Last drop falls di Critti (/viewuser.php?uid=40321)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The dream ***
Capitolo 2: *** Mr. Darcy ***
Capitolo 3: *** Nightmare ***
Capitolo 4: *** Jane ***
Capitolo 5: *** Wound ***
Capitolo 6: *** Run ***
Capitolo 7: *** Bye ***
Capitolo 8: *** Irina ***
Capitolo 9: *** Broken ***
Capitolo 10: *** Jacob ***
Capitolo 11: *** Cruel ***
Capitolo 12: *** Last dawn ***
Capitolo 13: *** Drop ***
Capitolo 14: *** White soul ***
Capitolo 15: *** No more sorrow ***
Capitolo 16: *** Mrs. Cullen ***
Capitolo 1 *** The dream ***
Ciao a tutti!^^
Ho deciso di pubblicare anche qui la mia prima ff perchè
grazie ai vostri commenti e alle vostre critiche spero davvero di
riuscire a migliorare. Quindi mi raccomando, siate spietati!XD
Buona lettura!
«Non avrete difficoltà a capire,Signorina Bennet,
perché sono qui.»
Nel momento in cui percepii questa frase, giurai a me stessa che mai e
poi mai avrei rivelato ad Edward quello che stavo sognando.
Figuriamoci. Come sempre mi avrebbe fatto capire, con una gentilezza e
dei modi da fare invidia persino all’impeccabile Signor
Darcy, che era giunto il momento di dedicarsi ad altre letture.
La sera precedente, avevo infatti riletto per l’ennesima
volta quel romanzo che mi aveva tanto fatta sognare prima che mi
rendessi conto che uomini perfetti non erano una prerogativa delle
eroine dei libri. Conoscevo a memoria la parte del libro che stavo
vivendo in prima persona, quindi decisi di stare al gioco e di recitare
la parte di Elizabeth. Chissà,forse sarei stata anche
più brava dell’originale nel far infuriare Lady
Catherine. Ci sarebbe stato da divertirsi.
«Siete in errore,madama,non so affatto spiegarmi questo
onore.».Non ero mai stata brava a mentire e temetti che la
mia interlocutrice avesse capito che non trovavo alcun piacere nel
conversare con lei. Ma lei sembrò non curarsi della mia
risposta e proseguì.
«Signorina Bennet, vi avverto, con me non si scherza. Mi
è arrivata una voce oltremodo allarmante, che voi vorreste
unirvi in matrimonio con mio nipote, il Signor Darcy».
Sorrisi a questa affermazione. L’indomani, infatti, mi sarei
unita in matrimonio con un “ragazzo” la cui vista
avrebbe fatto impallidire anche l’affascinante Signor Darcy.
Dire che volevo trascorrere la mia vita al fianco di Edward non era
un’affermazione propriamente corretta. Desideravo infatti
molto, molto di più. Lady Catherine,tuttavia mi distolse dai
miei pensieri e proseguì,spietata.
«So che è una scandalosa menzogna, e
benché non volessi fargli il torto di ritenerlo possibile
sono venuta sull’istante a farvi conoscere il mio
animo».
«Se non lo ritenete possibile mi chiedo perché vi
siate scomodata a fare la strada» risposi io, maliziosa.
«Per una smentita, Signorina Bennet».
Solo allora fissai con attenzione la donna che avevo di fronte. Era
alta e imponente, con una carnagione molto chiara e lineamenti austeri.
I capelli, fili argentati resi tali dagli anni, erano raccolti in una
semplice acconciatura nascosta in parte da un buffo cappellino.
“Curioso”, pensai. “Neanche Rosalie mi
metterebbe così in soggezione in condizioni
normali”. Sorrisi all’idea e proseguii.
«La vostra sarebbe piuttosto una conferma se una simile
notizia fosse vera».
«Sì? Fingete di ignorarla forse? Non è
stata maliziosamente messa in circolazione da voi?».
«Io non l’ho mai sentito dire».
«E potete affermare che sia priva di fondamento?».
«Non pretendo di possedere la stessa franchezza di
Vossignoria». “Parole sante”,dissi tra me
mentre ripetevo automaticamente le parole di Elizabeth. Forse Edward
non aveva tutti i torti. In effetti, avevo imparato il romanzo a
memoria a furia di leggerlo.
«Non è tollerabile. Mio nipote vi ha mai chiesto
di sposarvi?». Be’, una proposta di matrimonio che
si sarebbe concretizzata entro poche ore l’avevo ricevuta, ma
certamente non da suo nipote. Avrei voluto esternarle i miei pensieri
per farla finita. Cominciavo infatti ad innervosirmi, ma non pronunciai
neanche una parola, desiderosa com’ero di vedere in che modo
si sarebbe concluso quel colloquio.
«Vossignoria lo ha appena dichiarato impossibile».
«Cercate di capirmi. Il Signor Darcy…».
E cominciò ad elencarmi quelli che lei riteneva
“buoni motivi” perché questo fantomatico
matrimonio non avvenisse.
Ma io pensavo ad altro. La discussione con Lady Catherine aveva
risvegliato in me quel tormento che mi perseguitava da mesi. Questa
volta, il mio turbamento non era causato dal timore di essere
l’oggetto del desiderio di un vampiro allettato
dall’idea di trasformarmi in un prelibato bocconcino.
Sicuramente il mio vampiro non era desideroso di trasformarmi in nulla,
e questo mi preoccupava.
Il modo sprezzante e superbo con cui la nobile signora mi guardava
alimentò le mie antiche paure. Cominciai a supporre di nuovo
che Edward desiderasse tenermi con sé solo finchè
la mia morte non ci avrebbe separati. In fin dei conti, non avevo
proprio nulla di speciale e la perfezione di Edward gli permetteva di
ambire a qualcuno di livello superiore. La bellezza mozzafiato di
Rosalie mi balenò davanti agli occhi e mi fece rabbrividire.
Quando sollevai gli occhi, che avevo abbassato mentre Lady Catherine
sfogava tutta la sua rabbia e il suo disappunto su di me, quella
situazione mi apparve così reale che pensai di non essere
più la sventurata protagonista di un semplicissimo sogno.
Temetti che Edward non avrebbe dovuto scomodarsi a vivere accanto a me
nemmeno un altro giorno. Sbigottita,notai infatti un terribile
cambiamento nel volto e nelle fattezze della donna che mi stava
davanti. I ridicolo capellino che indossava era scomparso per lasciare
fluire una meravigliosa chioma corvina. La pelle, antica e rugosa,
aveva conservato solo la prima caratteristica, ma era diventata
estremamente più chiara. Il fisico tipico di una donna di
età avanzata era stato sostituito da una corporatura snella
e scattante. Inoltre, la figura che avevo di fronte era molto
più ridotta rispetto a quella dell’imponente
signora.
Non volevo vedere gli occhi della “nuova“
creatura,ma mi costrinsi a posarvi lo sguardo. Erano rossi, ardenti dal
desiderio e dalla sete. Avevo già visto
quell’espressione crudele, che mi aveva terrorizzata e
atterrita per la prima volta solo l’anno precedente. Quella
che giaceva in piedi a pochi centimetri da me era l’unica
vampira che aveva disegnato sul volto di Edward i segni di un atroce
dolore fisico. Jane avanzò con grazia e avvicinò
lentamente il suo volto perfetto al mio fragile collo.
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Capitolo 2 *** Mr. Darcy ***
CAPITOLO 2 - MR. DARCY
«Bella,calmati,ti prego!Sono io,amore,sei al
sicuro!»
Quella certamente non era la voce di Jane, ma il tocco freddo che
percepii sulla guancia mi fece rabbrividire. Lottai contro la
stanchezza e le proteste delle mie palpebre,desiderose di rimanere
abbassate ancora per un po’,e aprii gli occhi. Fissai Edward
con sguardo vuoto e lui probabilmente lesse il terrore nei miei occhi.
Lo abbracciai con sollievo, e durante quegli interminabili momenti mi
sforzai di ricompormi. Lui,silenzioso, mi canticchiò la
ninnananna che tanto adoravo all’orecchio e aiutò
il mio respiro a tornare regolare.
«Non posso credere che tu abbia sognato una creatura
più spaventosa di me», ironizzò con
enfasi, ma dalla sua voce traspariva quella preoccupazione che cercava
in tutti i modi di dissimulare.
«Meno male che ogni tanto ti sbagli anche
tu»,borbottai con un sorriso un po’ troppo forzato
per risultare credibile.
«Bella,devi stare tranquilla. Vedrai che andrà
tutto bene».
Avevo già sentito quella frase troppe volte, per
cui,nonostante la sicurezza che colsi nella sua voce, non osai
prestarvi fede. Ripensai agli eventi del mese precedente, in cui il mio
migliore amico aveva rischiato di perdere la vita e rabbrividii. Ma non
potevo, non dovevo pensare a Jacob in quel momento. Ormai avevo fatto
la mia scelta. Edward se ne accorse, ma per fortuna non poté
comprendere il reale motivo del mio irrigidimento improvviso.
«A volte mi stupisco di quanto Elizabeth sia stata coraggiosa
di fronte a quella megera di Lady Catherine».
Ops. Che stupida, mi ero illusa di poter tenere tutto per me il sogno
di quella notte. Perché non potevo essere impacciata e
timida anche mentre dormivo?
«Ehm…Ho blaterato molto stanotte?».
«Solo un po’, verso la fine. Penso proprio che
quando vivremo insieme dovrò trovarti
un’alternativa migliore alla continua rilettura di questi
libri», disse indicando la pila di classici che si ergeva sul
mio comodino e ridacchiando soddisfatto.
Dopo poche ore di quello che non si poteva per nulla definire un sonno
riposante, mi sentivo davvero frastornata. Allarmata
dall’affermazione di Edward, cercai disperatamente di
ricordare che giorno fosse, ma il mio cervello si rifiutava di mettersi
in moto. Guardai di sfuggita il calendario appeso alla parete della mia
camera e rimasi un po’ delusa. Speravo che tutte le paure che
avevo facessero parte del sogno.
13 agosto.
Di lì a poche ore sarei diventata la Signora Cullen. Non
riuscivo ancora ad abituarmi all’idea, ma non mi dispiaceva
il modo in cui il mio nome si sposava al cognome di Edward.
Tornai a fissarlo con sguardo interrogativo. Avrei voluto dirgli un
milione di cose, ma grazie alla consapevolezza di avere a disposizione
l’eternità per farlo sussurrai soltanto:
«Può baciare la sposa.»
Edward non se lo fece ripetere due volte e posò con
entusiasmo le labbra fredde sulle mie. Ricambiai con trasporto,
desiderosa di provare un po’ di sollievo dopo una notte di
tormento.
Erano passati tre anni da quando stavamo insieme ed era incredibile
come ogni sua carezza, ogni suo tocco, ogni suo bacio...Mi scaldasse il
cuore come la prima volta.
Dopo un periodo di tempo che mi parve troppo breve Edward si
staccò e mi sussurrò all’orecchio
parole che conoscevo fin troppo bene:
«Mi avete stregato anima e corpo e vi amo, vi amo, vi amo. E
da ora in poi non voglio più separarmi da voi...
». Fu a quel punto che credetti che il mio cuore stesse per
esplodere.
I minuti trascorsi con Edward furono solo una piccola tregua prima
della ripresa dell’incubo. Quando, dopo aver sceso le scale,
trovai Alice che mi aspettava sulla porta, mi domandai
perché mi fossi fatta convincere a non celebrare il mio
matrimonio a Las Vegas.
«Ciao Bella!», mi salutò allegra.
«Ciao Alice», ricambiai, ma il mio saluto parve
più che altro un lamento funebre.
«Sei pronta?»
No. Non ero pronta a sentirmi strapazzata come una Barbie. Pregavo che
Alice avesse almeno mantenuto la promessa di invitare solo gli amici e
i parenti più stretti.
Chissà se Jacob sarebbe venuto.
Mi limitai a fissarla con aria scoraggiata, trovando la forza di
muovermi solo nel momento in cui Edward mi strinse forte la mano.
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Capitolo 3 *** Nightmare ***
CAPITOLO 3 - NIGHTMARE
La paura che avevo avuto quella notte era nulla in confronto a quella
che provai nei minuti successivi all’arrivo di Alice. Tutto
scorreva veloce davanti ai miei occhi e faticavo a tenere lo sguardo
puntato sulla piccola vampira: ero troppo impegnata a stringere con
frenesia qualunque cosa potesse darmi una sensazione di sicurezza.
«Alice,io mi devo sposare!»
dissi senza un filo di voce e con la gola secca. «Temo che di
questo passo non arriverò intera
all’altare».
Mi ero ripromessa di soddisfare i capricci di Alice, ma a quel punto
stava proprio esagerando.
Nonostante tutti i tentativi di oppormi, pochi minuti prima mi aveva
obbligata a separarmi da Edward e a sedermi accanto a lei nello stretto
abitacolo della sua Porche tirata a lucido.
«Salvami», avevo sussurrato ad Edward quando avevo
capito che non sarebbe venuto con noi. Lui mi aveva guardata divertito
e mi aveva risposto:
«Tranquilla Bella, sei in buone mani. Avrete la casa libera:
ci sono ancora alcune cose da sistemare e avrò bisogno
dell’aiuto degli altri. A più tardi.» E
così, dopo avermi dato il più dolce dei baci si
era dileguato nella foresta.
Temevo che il piccolo piede di Alice fosse incollato
all’acceleratore, perché durante tutto il tragitto
la macchina non rallentò neanche per un istante.
«Oh , rilassati per favore. Non è colpa mia se tu
dormi secoli, Bella Addormentata. Siamo incredibilmente in ritardo e
abbiamo molto lavoro da fare. Poi mi sembrava giusto che tu provassi
questo gioiello: devo solo ringraziare te se adesso posso sfruttare
tutti i cavalli di un motore…».
Cominciò a illustrarmi tutte le potenzialità
dell’automobile, ma la interruppi quasi subito, stizzita.
«Alice, ascoltami bene. Ti giuro che questa è
l’ultima volta…».
Non feci in tempo a terminare la frase. Alice scese rapidamente
dall’auto che nel frattempo si era fermata e corse ad aprirmi
la portiera.
«Tre minuti e cinquantotto secondi. Niente male come tempo se
rapportato al tragitto. Grazie a te, Bella, il mio nome potrebbe
entrare a far parte del guinness dei primati»
«Sì, come primo caso di vampiro ucciso da un
umano».
Lei scoppiò a ridere e mi trascinò per un
braccio. Ci avviammo verso la grande casa bianca e il pensiero che
quella sarebbe diventata anche la mia dimora mi
fece un certo effetto. Attraversammo il salone deserto, salimmo le
scale e raggiungemmo l’enorme bagno in cui Alice teneva tutti
i suoi strumenti di tortura, che quel giorno erano anche più
numerosi del solito.
«Hai mai pensato di aprire un salone di bellezza? Molte
persone sarebbero liete di essere tormentate al posto mio»,
la provocai.
«Sicuramente i miei clienti mi sarebbero più
grati», disse continuando a sorridere, imperturbabile.
«Ma vedrai, dopo le mie cure mi sarai riconoscente come
loro»
Non so quanto tempo passò prima che riuscissi a sfuggire
dalle grinfie di un’Alice più eccitata del solito.
Dopo quelli che mi parvero secoli, però, potei finalmente
vedere il risultato di tanto lavoro.
«Ero convinta di essermi svegliata. Evidentemente, invece,
sto ancora dormendo e la fase rem non si è ancora
conclusa».
Alice ridacchiò soddisfatta e fissò con orgoglio
la mia figura riflessa nello specchio. Per una volta mi sentii
davvero…bella. Certo, non ai livelli di Rosalie e dei suoi
fratelli, ma in quei frangenti non mi sembrò più
di essere goffa ed insignificante.
Il lungo vestito bianco creato dalla mia stilista personale scivolava
morbido sul mio corpo, lasciando scoperto solo il mio collo
bianchissimo e le eleganti scarpe bianche che avevo ai piedi. Il viso
mi appariva diverso, cambiato. Non era il volto di una diciottenne
appena diplomata desiderosa di divertirsi dopo mesi di tensione e di
studio. Aveva un non so che di maturo e deciso. I capelli erano
raccolti in un’elegante acconciatura, da cui sfuggiva solo
una ciocca ribelle.
Alice si avvicinò a me e mi pizzicò il dorso
della mano.
«Ahi!»,esclamai. Lei sorrise.
«Lo vedi anche tu, non stai dormendo.» Mi prese per
mano e mi portò con sè alla finestra. Proprio in
quel momento un raggio di sole si fece largo tra le nuvole plumbee,
ridando colore e vita all’uggiosa cittadina di Forks. In
lontananza,non fu difficile percepire lo scroscio del mare in burrasca.
Alice esitò un attimo prima di continuare.
«Questo è un nuovo giorno, l’inizio di
una nuova vita. Le tenebre hanno finito di oscurare il sole, che
d’ora in poi non smetterà di riscaldare i freddi
abissi del mare».
Abbracciai forte la mia futura cognata, mentre sentii una lacrima di
felicità scorrermi lungo la guancia. Temetti di essermi
rovinata il trucco, ma come al solito Alice era stata previdente usando
cosmetici resistenti all’acqua.
«E’ quasi ora. Vado un attimo a ritirare il tuo
bouquet. Prendo la macchina, così non potrai correre
all’aeroporto».
Mi sorrise di nuovo e scivolò aggraziata fuori dalla stanza.
Ancora scossa, mi riavvicinai alla finestra. Una nube scura stava per
oscurare il sole di nuovo. Rabbrividii e d’istinto mi voltai.
Se avessi già stretto tra le mie mani il bouquet che Alice
stava andando a prendere mi sarebbe caduto per la sorpresa e il terrore.
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Capitolo 4 *** Jane ***
CAPITOLO QUATTRO
Più volte, in passato, i sogni erano stati per me
fondamentali per comprendere la realtà. Solo una notte di
sonno, congiunta all’aiuto di Jacob, mi aveva permesso di
capire a che cosa fosse dovuto lo strano comportamento di Edward. Allo
stesso modo, una bella dormita mi aveva consentito, l’anno
successivo, di svelare il segreto che il mio migliore amico non poteva
svelarmi. Mai, però, mi era capitato di avere un sogno
premonitore.
Con occhi sbarrati, fissai la creatura che avevo di fronte, convinta di
essermi addormentata di nuovo in attesa di raggiungere
l’altare.
«Ciao Bella», mormorò Jane con voce
suadente e un sorriso inquietante.
Sul momento tacqui. Rigida come un pezzo di legno, mi sforzai di
respirare e di trovare la forza di risponderle.
«Ciao Jane». Non era difficile percepire il terrore
che rendeva la mia voce fioca e debole.
«Che cosa ci fai qui?», dissi con un po’
più di convinzione. Non dovevo darle la soddisfazione di
cogliere una paura che era difficile celare.
«Questa tua domanda mi sorprende», rispose lei,
tranquilla. «Sai che giorno è oggi?»,
proseguì.
Lo sapevo anche troppo bene.
«E’ il tredici di agosto».
«Bene, vedo che non hai perso completamente la
memoria». La fissai con sguardo interrogativo.
«Sai cosa significa questo, Bella?»
“Significa che tra poco mi devo sposare” avrei
voluto risponderle.
Di fronte al mio silenzio non esitò a dare una risposta alla
sua domanda.
«E’ passato più di un anno da quando
Edward ha stretto un patto con Aro e con tutti noi. Aro,
però, in quell’occasione si è mostrato
stato troppo ingenuo e si è lasciato abbindolare dalle
visioni imperfette di Alice.»
Vide la mia espressione perplessa e cercò di essere
più chiara.
«Era sicuro che saresti stata trasformata poche ore dopo il
nostro ritorno in Italia, il mese scorso».
Un lampo illuminò il buio che regnava nella mia testa. Alice
era convinta che le cose sarebbero andate diversamente nella radura.
Non aveva previsto che avrei rifiutato l’allettante proposta
di Edward, desideroso di esaudire solo i miei desideri.
Deglutii, ancora incapace di parlare.
«Invece eccoti qui, più viva e vegeta che
mai». Il tono di disprezzo con cui pronunciò
quelle parole mi nauseò.
«Ero convinta che fossimo stati chiari l’anno
scorso», proseguì spietata.
«I Volturi non danno una seconda
possibilità».
Il suono di quelle parole riecheggiò nella stanza. Mi sentii
male, ma mi sforzai di rimanere lucida.
Dopo secondi che mi parvero interminabili una voce debole e affranta
riuscì ad uscire dal mio petto e i miei sforzi di dare una
parvenza di sicurezza furono vanificati.
«Ti prego, non fare del male ad Edward».
Jane scoppiò a ridere. Ma era una risata crudele, sadica.
«Se proprio insiti…Sono certa che ad Aro
dispiacerebbe sprecare il potere eccezionale di Edward. Non so per
quale motivo prova un certo interesse anche nei suoi confronti, ma dato
che giustizia va fatta…». Gli occhi neri come la
pece a quel punto si illuminarono di una luce sinistra.
«…Possiamo raggiungere un compromesso».
Jane si fece improvvisamente pensierosa mentre io a stento trattenevo
le lacrime.
«La tua vita in cambio dello sbaglio commesso da Edward.
Mmm…Non male come idea».
Avrei dovuto sobbalzare udendo che la mia morte era ormai imminente, ma
mi sentivo stranamente sollevata.
«Aspetta però prima di prendere qualunque
decisione», disse. «Vorrei fare le cose per bene. A
quanto pare Aro ci tiene a mantenere buoni rapporti con Carlisle.
Quindi, se per te non è un problema, sarebbe meglio non
rendere note le ragioni della tua improvvisa scomparsa ai membri della
sua famiglia». A quel punto mi sorse un dubbio. Ero certa che
Alice avrebbe visto i piani di Jane e Edward avrebbe percepito i suoi
pensieri. Un improvviso terrore si impossessò di me. Il
ricordo del dolore inferto ad Edward dalla spietata vampira apparve
limpido nella mia mente e mi fece rabbrividire.
Non volevo che Alice e suo fratello venissero coinvolti. Solo io ero la
fonte di tutti i mali, di tutti i problemi. Ero io la sola a dover
pagare.
Jane parve comprendere le ragioni della preoccupazione facilmente
leggibile nei miei occhi e parlò senza esitazione.
«Tranquilla, loro non sanno nulla. Edward è
lontano a sufficienza da non riuscire a percepire i miei pensieri. Poi
hai visto con che facilità i nuovi nati hanno saputo
raggirare il potere di Alice il mese scorso. Pensi che io sia meno
abile di loro nel neutralizzare le sue capacità?».
«No», risposi con una voce improvvisamente fredda,
distaccata. «Ma come pensi che riuscirò io a fare
altrettanto? Alice capirà tutto…».
“E sarà la fine”, pensai tra me.
«Questo sta a te, Bella». Il sorriso spietato
ricomparve sulla sua bocca perfetta e assassina.
«Dovrai impegnarti parecchio, ma sono sicura che non mi farai
litigare con Aro per aver eliminato anche Edward». Sussultai
udendo quelle parole.
«Ci vediamo in Italia tra tre giorni, a mezzogiorno in punto.
Non ti concedo un istante di più».
Non appena terminò la frase si dileguò
nell’ombra, lasciandomi in preda alla disperazione.
La tensione e l’ansia non esitarono ad sgorgare dal mio
cuore, che batteva ancora solo per miracolo, e calde lacrime
cominciarono a uscire da occhi che avevano visto troppo. Smisi di
piangere solo quando mi resi conto che quella mia debolezza avrebbe
potuto essere fatale per me e per Edward. Alice non avrebbe tardato a
ritornare e a capire che qualcosa che non andava.
Mi sforzai di costruire nella mia testa una storia che avrebbe convinto
me, Alice ed Edward che mi recavo in Italia per motivi diversi da
quelli effettivi. Tutto ciò che mi veniva in mente,
però, implicava la sofferenza di Edward.
Una grossa lacrima solcò il mio viso quando mi resi conto di
quello che stavo per fare, ma ormai avevo deciso. Nella speranza di
abbindolare anche Alice, cercai di ingannare me stessa pensando che
stavo compiendo un passo avventato sposandomi quel giorno e che avevo
bisogno di altro tempo per riflettere.
Con calma, cominciai a togliermi quel meraviglioso abito bianco che non
avevo avuto la possibilità di usare. Andai in camera di
Alice e lo appesi nel suo armadio, ove sarebbe rimasto chiuso per
sempre, insieme alle mie speranze e ai miei sogni infranti.
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Capitolo 5 *** Wound ***
Grazie a tutte per i commenti. Farò il possibile per l'happy
ending!^^ C'è una piccola novità. Per ogni
capitolo, d'ora in poi, scriverò un pezzettino di una
canzone che mi sembra adatta allo svolgimento della trama!^^ Un bacione
a tutte!
CAPITOLO 5
I'll
be there till the stars don't shine
Till the heavens burst and
The words don't rhyme
And I know when I die, you'll be on my mind
And I'll love you - Always
Always,Bon
Jovi
Uscii dalla stanza e cominciai a percorrere il lungo corridoio che
conduceva alle scale. Il mio passo si fece sempre più lento
finchè, barcollante, fui costretta a fermarmi. Mi sedetti
per terra appoggiando la schiena contro il muro e strinsi le ginocchia
al mio petto lacerato.
Le ferite guarite a fatica si erano riaperte e bruciavano come non mai.
Non so quanto tempo rimasi in quella posizione. Ad un certo punto,
sperai che il fuoco che mi distruggeva a poco a poco, incenerendo il
mio fragile cuore, lo riducesse in polvere prima dell’arrivo
di Edward.
Improvvisamente, spinta dalla forza della disperazione, decisi di
ascoltare l’impulso che mi suggeriva di alzarmi in piedi e di
tornare sui miei passi. Superai la camera di Alice, impugnai la
maniglia e dischiusi l’elegante porta che mi trovai davanti.
Il bellissimo letto di ferro battuto che Alice aveva sistemato nella
camera di Edward per il nostro “pigiama party” era
ancora lì. Mi appoggiai allo stipite della porta per
sorreggermi quando mi resi conto che la vista mi si stava offuscando.
Mi sforzai di non ricordare la notte in cui Edward era riuscito a
strapparmi la promessa di sposarlo, ma la vista dei due candidi
guanciali posti l’uno accanto all’altro mi
costrinse ad immaginare come sarebbe stata la mia vita insieme a lui.
Improvvisamente, mi accorsi che avevo cominciato a correre. Mi
precipitai giù dalle scale e spalancai la porta di ingresso
della bellissima casa in cui non sarei mai più entrata. Non
guardavo dove andavo, perciò inciampai. Inspiegabilmente,
però, non caddi.
Le braccia marmoree di Edward si strinsero attorno a me, impedendomi di
finire con la faccia per terra. Non ebbi il coraggio di sollevare lo
sguardo mentre parlò.
«Mi spiace che all’ultimo momento tu abbia deciso
di armarti di jeans e maglietta e di fuggire a Las Vegas. Comunque non
importa, me ne farò una ragione». La voce
divertita con cui pronunciò queste parole era coperta da un
sottile velo di preoccupazione.
Tenni la fronte ancora abbassata. La vista dei suoi occhi caldi e pieni
d’affetto probabilmente mi avrebbe uccisa. Lui
proseguì con naturalezza.
«Bella, devi fare in fretta. Fra poco più di
un’ora avrà inizio la cerimonia».
Devi fare in fretta.
Il suono di quelle parole rimbombò nella mia testa e mi
stordì. Solo di fronte ad un ennesimo silenzio Edward mi
permise di rimettermi in piedi e mi sollevò il mento,
scrutando il mio volto.
Non era difficile immaginare cosa vide.
La sua espressione, inizialmente tranquilla e rilassata,
mutò in un arcobaleno di emozioni. Stupore, Preoccupazione.
Tormento. Tristezza. Dolore.
«Bella…». Esitava.
«Hai cambiato idea?», disse con voce affranta.
Non sapevo cosa fare. La parte meno nobile di me mi suggeriva di
confessargli tutto, di alleviare il peso incredibile che mi portavo
dentro. Ma io dovevo salvarlo. Era il minimo che potessi fare per lui.
Perciò, mi preparai ad estrarre quel pugnale invisibile che
gli avrebbe inferto una ferita che probabilmente lo avrebbe
accompagnato per l’eternità.
Misi una mano in tasca, pronta a colpire una vittima innocente.
* * *
Quando soffermai il mio sguardo sulla figura perfetta di Edward tutta
la forza che a fatica avevo saputo trovare si dileguò in un
lampo.
Edward era di una bellezza sconvolgente.
L’elegantissimo smocking grigio scuro che indossava faceva
risaltare per contrasto la sua carnagione diafana. I capelli che
contornavano il volto, spesso scompigliati, erano perfettamente
pettinati.
Avevo combattuto con tutte le mie forze per non posare il mio sguardo
triste sui suoi occhi dorati e sicuramente pieni di
dolore…Ma non ce l’avevo fatta. Per un istante, mi
persi nella loro incommensurabile profondità, desiderando
che quello che avevo di fronte fosse il principe azzurro venuto a
svegliare la sua Bella addormentata da un oblio tormentato da incubi.
Solo la sua voce vellutata e nuovamente composta mi riportò
alla realtà.
«Bella, ti prego, rispondimi».
Non era difficile capire che si stava sforzando in tutti i modi di
celare la delusione cocente che certamente provava.
Nonostante fossi in uno stato di dormiveglia, nella notte
più lunga del mese precedente avevo colto buona parte del
confronto tra Edward e Jacob nella tenda.
«E se dovesse preferire me?», aveva
detto Jacob con tono di sfida.
«La lascerei andare».
«Punto e basta?», aveva
proseguito Jacob, incredulo.
«Sì, nel senso che non le mostrerei mai
quanto mi farebbe soffrire…».
«Edward…». Non mi ero accorta che calde
lacrime avevano ripreso a rigarmi il volto.
Attese che proseguissi, paziente.
«Io…Non…Non sono certa di aver fatto la
scelta giusta».
Vedevo il pugnale invisibile conficcarsi nel suo cuore, che non avrebbe
più smesso di sanguinare.
Il viso di Edward non faceva trapelare alcuna emozione. Poco prima,
vedendomi, lo stupore che lo aveva colto gli aveva quasi fatto
infrangere la promessa che aveva fatto a se stesso e di cui aveva
condiviso il peso con Jacob, ma adesso era di nuovo quieto, rassegnato.
«Edward…Ho…Ho deciso di frequentare un
anno di università», riuscii a sussurrare tra i
singhiozzi.
«…Ho bisogno di…riflettere…E
di stare lontana da Forks per un po’».
Abbassai di nuovo lo sguardo: la sua espressione fredda come il
ghiaccio mi raggelava il cuore.
«Quindi…Andrò in Italia.
Frequenterò…La Normale di Pisa».
Mi stavo comportando in modo spregevole. Non solo lo stavo lasciando
poco prima che i suoi sogni si realizzassero, ma stavo approfittando
anche del denaro che sicuramente aveva speso per farmi ammettere in una
delle università più rinomate del mondo.
Provai un forte senso di nausea mentre una fitta acutissima mi
dilaniava il petto. Ma d’altronde come avrei potuto
giustificare altrimenti la mia partenza improvvisa per una terra tanto
lontana e pericolosa?
Mi riscossi solo quando sentii le dita fredde di Edward sollevarmi di
nuovo il viso. Si avvicinò, e con le sue labbra di marmo mi
asciugò le copiose lacrime che mi scendevano lungo le guance.
Avevo la dolorosa consapevolezza che quella probabilmente era
l’ultima volta in cui potevo averlo così vicino.
Ma per un attimo il suo profumo inebriante e il suo tocco dolce mi
fecero sentire meglio, al sicuro. Il mio cuore cominciò a
battere forte.
Edward si scostò e mi guardò con tenerezza.
Sembrava stranamente sereno.
“No, ti prego” gli urlava il mio inconscio.
“Non lasciarmi andare, non arrenderti, combatti!”.
Ma le mie erano grida che forse solo il mio assassino avrebbe sentito.
«Edward…Perdonami. Lo so…E’
orribile da parte mia comportarmi così…lasciarti
a un passo dall’altare». Mi mancò la
voce.
Cercò di interrompermi, ma proseguii con improvvisa
decisione.
«Vorrei chiederti un favore, però, se non
è troppo». Le parole che stavo pronunciando mi
suonavano stranamente, dolorosamente familiari…
«Tutto quello che vuoi», disse calmo.
«Qualunque cosa accada, qualunque cosa decida di
fare…Non fare nulla di insensato o stupido.».
Edward mi si avvicinò ancora.
«Te lo prometto».
Mi prese il viso tra le mani, con delicatezza e con cautela.
Probabilmente temeva che mi dileguassi all’improvviso,
volando lontano con la mite brezza d’agosto.
«Bella…Finchè l’ultima stella
brillerà in cielo, finchè il sole
sorgerà per l’ultima volta…Io
sarò qui ad attendere il tuo ritorno».
«Edward, non bisogna sfidare gli astri in questo modo. Icaro
cercò di raggiungere il sole e pagò con la vita
la sua caparbietà», sussurrai. Presi le sue mani,
che sfioravano delicatamente le mie guance, e le strinsi forte nelle
mie per l’ultima volta.
«Addio, Edward. Nonostante tutto, credimi se ti dico che ti
amo».
Mi voltai e cominciai a correre, tenendo stretto il pugnale invisibile
tutto sporco di sangue.
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Capitolo 6 *** Run ***
CAPITOLO 6
Oh how I wish
for soothing rain
all I wish is to dream again.
My loving heart
lost in the dark,
for hope I’d give my everything.
Nemo,
Nightwish
Non mi fermai finchè non mi mancò il fiato. Avevo
solo una vaga idea di dove mi trovassi. La vegetazione, fittissima
nella zona di bosco in cui ero giunta, non lasciava trapelare un raggio
di quella poca luce che riusciva a farsi spazio tra le nuvole.
Mi sdraiai a terra, esausta. Le gambe mi facevano male, ma il fastidio
che sentivo era nulla in confronto al dolore penetrante che mi
squarciava il petto. Restai con la faccia rivolta a terra per diversi
minuti, non pensando a nulla. La voragine che il ritorno del mio Romeo
aveva colmato si era riaperta e bruciava.
Un lieve tremito di paura mi scosse quando sentii qualcosa muoversi tra
gli alberi. Allora, riuscii a trovare la forza di proseguire.
Bella, devi fare in fretta.
La voce di Edward mi rimbombò nella testa fino a stordirmi.
Camminai apparentemente senza una meta, ma dopo circa
mezz’ora il fogliame che mi circondava si diradò
finchè sbucai in un prato vicino a casa.
Dovevo parlare con Charlie. La cosa mi metteva a disagio, ma mi sentii
quasi sollevata al pensiero di aver già fatto il discorso
più difficile.
Cercai di aprire la porta d’ingresso, ma era chiusa a chiave.
Solo allora mi resi conto che il matrimonio sarebbe dovuto iniziare
già da mezz’ora.
Mentre riflettevo sulla cosa migliore da fare sentii una macchina
frenare.
Mi voltai e vidi l’auto della polizia di mio padre. Charlie
aprì la portiera e, sceso dalla macchina, mi
guardò incredulo.
«Bella, si può sapere che cosa è
successo? Perché sei conciata così?»,
disse. Non sembrava furioso come mi sarei aspettata.
Solo allora mi guardai e mi resi conto di avere gli abiti imbrattati di
terra. Sentivo la gola bruciare, quindi deglutii prima di cominciare a
parlare.
«Papà…Io…Ho cambiato
idea». Charlie mi fissò con occhi sbarrati.
«Bella…Stai scherzando?»
«Non sono mai stata più seria in vita
mia».
«Ma…Ma come? Pensavo che Edward fosse tutto
ciò che desideravi».
«Non…Non ne sono più così
sicura».
Entrambi non sapevamo più cosa dire. Il silenzio
regnò sovrano per un minuto buono. Fui io a parlare per
prima.
«Ho deciso che frequenterò
l’università. Non voglio compiere passi
affrettati».
Charlie sorrise appena. Sapevo che l’idea non gli dispiaceva
affatto.
«Sono contento che tu abbia deciso di agire in modo
più razionale».
Presi fiato prima di rispondere.
«Parto subito, papà. Vado in Italia. Sono stata
accettata all’università di Pisa».
La luce che poco prima aveva illuminato gli occhi di Charlie si spense
all’improvviso.
«Oh, congratulazioni», si limitò a dire.
Dopo qualche secondo mi si avvicinò lentamente e mi
abbracciò.
«Sei sicura, Bells?». Sospirai.
«Sì, papà».
«Voglio che tu sia felice, Bella. Questo e tutto
ciò che mi importa».
«Grazie». La voce mi si mozzò in gola.
Mi resi sempre più conto che mentre tutti cercavano in ogni
modo di costruire la mia felicità, io facevo di tutto per
distruggere la loro.
«Vado a prendere le mie cose», dissi non appena una
piccola goccia di pioggia toccò la mia pelle ghiacciata.
Mi liberai dall’abbraccio e corsi in camera mia. Sul letto
c’era una valigia che attendeva solo di essere chiusa.
Qualche ora prima, infatti, avevo impilato con ordine tutti i vestiti
che mi sarebbero serviti durante…La mia luna di miele con
Edward.
Sopra a tutto, c’era la camicetta blu che lui tanto
adorava. La presi e la gettai per terra in un impeto di disperazione.
“Calma Bella”, dissi a me stessa. “Non
puoi permetterti di comportarti da bambina. Devi essere
forte”.
Cercai di fare mie parole che mi sembravano difficili da accettare. Poi
mi cambiai, indossando gli unici vestiti rimasti
nell’armadio. Prima di uscire con la valigia in mano, guardai
la mia camera per l’ultima volta.
In quella stanza lasciavo una parte di me. Le tende ingiallite appese
alla finestra erano impregnate del soave profumo della mia infanzia, in
cui solevo trascorrere le vacanze estive a Forks con papà.
Allora odiavo quella piccola, piovosa cittadina che in quel momento mi
sembrava occupare il centro del mondo, del mio mondo.
Mai mi parve più bello quel semplice letto su cui una
creatura divina si era più volte adagiata al fianco di una
vittima inerme del suo fascino e della sua dolcezza.
Mi avvicinai alla testata e sfiorai con nostalgia il morbido guanciale
che avevo inumidito di lacrime nel lungo periodo in cui, con la
scomparsa di Edward, si era dissolta anche la mia più
importante ragione di vita.
Il ciondolo a forma di cuore che ancora era legato al mio polso si fece
improvvisamente pesante quando mi resi conto che la sveglia appoggiata
sul comodino segnava già le due del pomeriggio.
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Capitolo 7 *** Bye ***
CAPITOLO 7
Remember when we used to look how
sun set far away?
And how you said: "this is never
over"
I believed your every word and I
quess you did too
But now you're saying : "hey, let's
think this over”…
Tallulah,
Sonata Arctica
Charlie fu previdente nell’aspettarmi in cima alle scale per
portare la mia valigia. Non penso che altrimenti sarei uscita di casa
con le mie gambe.
Il telefono e il campanello suonarono quasi contemporaneamente.
«Bella, vai tu ad aprire». Charlie scomparve in
cucina.
Spalancai l’uscio di casa e guardai sbigottita il nostro
visitatore: mai mi sarei aspettata di trovarmi di fronte Jacob. Solo in
quel momento mi resi conto di quanto mi fosse mancato. La
preoccupazione per la salvezza di Edward aveva fatto passare in secondo
piano tutto il resto.
Era passato più di un mese dall’ultima volta in
cui avevo visto Jake. Dopo la nostra definitiva…separazione
a casa sua lo avevo sentito solo una volta al telefono. Per la prima
settimana non era stato rintracciabile in alcun modo. Avevo provato a
telefonargli più e più volte, ma Billy mi
rispondeva sempre che suo figlio era fuori e che non sapeva quando
sarebbe tornato. L’avevo pregato di farmi richiamare a
qualunque ora del giorno e della notte, ma il mio telefono era rimasto
muto per diverso tempo. Si era fatto vivo una decina di giorni
più tardi, assicurandomi di stare bene, poi più
nulla. Io ero troppo codarda per chiamarlo di nuovo. Ed ora eccolo
sulla porta di casa mia, elegante come non mai e con un sorriso
smagliante sul viso.
Ero piacevolmente stupita. Jacob sarebbe venuto al
mio matrimonio.
«Ciao Jake», sussurrai.
Invece che rispondere al mio saluto, mi strinse a sé in uno
dei suoi tipici abbracci da orso.
«Oh Bella, non sai quanto mi hai reso felice oggi».
«Jake, Jake…Non riesco…A
respirare!».
«Scusa». Mollò un po’ la
presa, ma non mi lasciò andare.
«Chi…Ti ha detto…Cosa?»,
domandai senza fiato.
«Ho incontrato…Edward».
Lo abbracciai ancora più forte, nel tentativo di non cadere
a pezzi.
«L’ho incrociato a pochi passi da casa sua.
Sembrava…Afflitto, e nel timore che ti fosse successo
qualcosa mi sono fermato per chiedergli che cosa non andasse».
Di fronte al mio silenzio proseguì imperterrito e spietato.
«Non è stato molto esauriente nella spiegazione.
Ha detto solo: “Hai vinto Jacob Black”. Io non ho
risposto nulla. Ho rimesso in moto la macchina e mi sono fiondato da
te».
Era evidente la soddisfazione sul volto di Jake. Stava assaporando a
pieno il gusto di una vittoria che ignorava di non aver conseguito.
In quel momento mi resi conto di non potermi paragonare in alcun modo
ad Elizabeth Bennet. Lei aveva infranto, rifiutandolo, solo le speranze
del Signor Darcy. Io, invece, stavo per far male a più di
una persona.
«Jake…Le cose non stanno esattamente
così».
Jacob mi guardò perplesso.
«Ah no?». Le sue grandi mani, avvolte intorno alla
mia vita, cominciarono a tremare debolmente.
«Io…». Mi mancavano la voce e le parole.
«Ho bisogno di riflettere».
Jacob tentò di darsi un contegno prima di rispondere. Ci
riuscì solo in parte.
«Bella, si può sapere cosa succede?». Mi
si raggelò il sangue mentre Jake mi prese per le spalle e mi
scosse.
«Un mese fa confessavi di amarmi sognando la nostra vita
insieme. E ora che finalmente hai superato l’unico ostacolo
alla nostra felicità…Tu mi dici che devi
riflettere?».
Come dargli torto? Come mentirgli ammettendo che tutto ciò
che gli avevo detto era falso? Come ingannare lui e me stessa?
Dovevo trovare il modo. Altrimenti, per Edward, sarebbe stata la fine.
Mi concentrai su di lui mentre mi costrinsi a pronunciare parole
sferzanti, crudeli.
«Pensi che sia facile convivere con creature…Non
umane? Non credi che una scelta del genere necessiti di un minimo di
riflessione?».
Il dolore disegnato sul volto di Jacob mi ferì nel profondo.
Come potevo fargli questo?
Trattenni a stento le lacrime mentre proseguii, crudele.
«Jake, ho paura di finire come Emily». Non osai
guardarlo mentre pronunciavo quelle parole.«Non voglio
rovinare la mia e la tua esistenza».
Jacob mi lasciò andare. Era…Colpito, addolorato.
Afferrando la valigia, superai lentamente lo stipite della porta,
dandogli le spalle.
«Scusami Jake, mi dispiace tanto».
Feci qualche passo e con gli occhi gonfi mi voltai per guardarlo per
l’ultima volta. Non c’era più.
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Capitolo 8 *** Irina ***
CAPITOLO
8
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart - the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Amaranth, Nightwish
Non appena Charlie mise in moto la macchina accesi
l’autoradio e alzai il
volume. Non me la sentivo di
parlare. Temevo di esplodere da un momento all’altro.
Mi sentivo un mostro. Come avevo potuto usare parole tanto dure con
Jake? Dove
avevo trovato la forza di spezzare il cuore di Edward? Il mio era stato
davvero
un colpo basso per entrambi.
Tuttavia, non potevo permettere che nessuno dei due, non convinto dalle
mie
parole, mi seguisse o facesse qualcosa per fermarmi. Le lancette
dell’orologio
continuavano a scorrere, lente e inesorabili.
Persa nei miei pensieri, mi parve che il viaggio fosse durato solo
pochi minuti
quando Charlie si fermò.
«Siamo arrivati, Bells», disse senza entusiasmo.
Scendemmo dall’auto e lo aiutai a portare i miei inutili
bagagli. Non appena le
porte scorrevoli dell’aeroporto di Seattle si aprirono
davanti a noi decisi che
era giunto il momento di salutare anche papà.
«Ok…Allora…Io vado», dissi
esitante.
Charlie mi sorrise mestamente.
«Ciao Bella, mi mancherai».
Mi abbracciò, e io colsi l’occasione per asciugare
sulla sua maglia una lacrima
traditrice.
«Anche tu papà».
Sciolsi l’abbraccio e presi il carrello con le valigie.
«Mi raccomando, prenditi cura di te», proseguii.
«E salutami Renèe».
Non avevo avuto neppure il coraggio di telefonarle per salutarla. La
sua
perspicacia, durante il mio viaggio in Florida con Edward, mi aveva
disarmata.
Mi ero ripromessa di stare più attenta a confidarmi con mia
madre in
un’occasione futura.
«Tornerai presto a trovarmi, vero?», si
lamentò Charlie.
Lo stomaco mi si annodò mentre mi sforzavo di risultare
credibile nel
pronunciare l’ennesima bugia.
«Farò il possibile, te lo prometto».
Mi voltai e sentii l’ennesima fitta di dolore non appena
distolsi lo sguardo
dal volto affranto di mio padre.
Mi diressi lentamente verso il banco del check-in per chiedere
informazioni. Mi
sentivo un po’ disorientata: Alice aveva sempre provveduto a
procurare i
biglietti aerei anche per me e non sapevo esattamente cosa dovessi
fare.
L’impiegata che mi ritrovai di fronte mi guardò
con aria annoiata.
«Salve. Dovrei arrivare al più presto a Firenze.
Lei può…»
«Isabella Marie Swan?», disse con una voce nasale
assolutamente insopportabile.
La fissai perplessa prima di rispondere.
«Sì…Ma lei come…»
«Un suo parente, suppongo, ha provveduto alla prenotazione e
al pagamento dei
biglietti. Può darmi per favore i suoi bagagli?».
Probabilmente Charlie aveva chiamato l’aeroporto mentre lo
attendevo in
macchina. Non potevo infatti credere che la gentilezza di Alice si
spingesse
fino a questo punto.
«Sa per caso chi ha…»
«Sono spiacente, ma dato che ogni giorno sento per telefono
centinaia di voci
proprio non ricordo quella di chi ha chiamato per lei».
Le lanciai un occhiataccia prima di estrarre dalla borsa il
portafoglio. Dopo
averle mostrato il passaporto, mi porse frettolosamente biglietto e
carta
d’imbarco.
«Buon viaggio e buona giornata»,
gracchiò prima di lasciarmi andare.
Poco più di un ora dopo una hostess mi dava il benvenuto
sull’aereo. Mi sforzai
di sorriderle e andai alla ricerca del mio posto.
Il sedile di fianco al mio era già occupato. Ma non da un
passeggero qualunque.
Una donna normale, infatti, non avrebbe potuto avere una carnagione
tanto
chiara e una bellezza così…sconvolgente.
La mia vicina di posto si voltò e i suoi meravigliosi
capelli color miele
sprigionarono un profumo buonissimo, che certamente non apparteneva a
nessun
tipo di shampoo in commercio.
Inchiodò il suo sguardo dorato su di me, prima che io, sotto
shock, mi
azzardassi a rivolgerle la parola.
«Tania?».
«Piacere Bella, sono Irina».
La guardai incredula prima di stringere la mano che mi porgeva.
Naturalmente,
era fredda come il ghiaccio.
«Ma tu…Come fai a sapere chi sono?»
domandai timidamente.
«Be’, penso che tu sia l’unica umana a
conoscenza dell’esistenza di Tania».
Arrossii leggermente mentre mi sforzavo di proseguire.
«Come mai da queste parti?», domandai incredula.
«Atterraggio d’emergenza. Il nostro aereo ha avuto
un guasto in volo. E così
eccomi qui». Sfoderò un sorriso abbagliante, che
lasciò interdetto uno degli
uomini che stavano passando per distribuire le bibite. Meno male che
Edward
preferiva le brune.
«Sei diretta a New York?», proseguii, desiderosa di
non interrompere la
conversazione.
«Faccio scalo lì, ma sono diretta a Volterra, in
Italia».
Questa proprio non ci voleva.
E adesso? Se avesse anche solo sospettato le mie intenzioni
probabilmente
avrebbe fatto di tutto per fermarmi.
«E…Come mai?». Mi
sembrava…Strano un viaggio del genere da parte sua.
«Vado a un funerale». Il sorriso che mi rivolse non
era esattamente la reazione
che mi aspettavo.
«Mi dispiace», mormorai.
«Non preoccuparti». Un nuovo sorriso si distese sul
suo viso perfetto. Tacqui
per qualche istante prima di riprendere a parlare. Il suo atteggiamento
tranquillo e rilassato mi incuriosiva. Così, il fascino per
una creatura tanto
meravigliosa e rara prese il sopravvento sulla ragione, che mi
suggeriva
insistentemente di non pronunciare una parola di più.
«Sai, ti ammiro. Io non sarei tanto forte da mettere a tacere
il mio dolore»,
confessai.
Irina mi voltò momentaneamente le spalle e il suo sguardo
antico si posò
lontano, sulle nuvole bianche che si intravedevano fuori dal
finestrino. Poi,
lentamente si alzò.
«Ti svelo un segreto, Bella», disse con voce
vellutata. Si chinò sopra di me,
scostandomi delicatamente la ciocca di capelli che mi copriva
l’orecchio
sinistro. Nonostante i suoi occhi dorati mi suggerissero che non
avrebbe mai
osato farmi del male, ero tesa come una corda di violino. Sentivo una
piccola
goccia di sudore freddo scorrermi lungo la schiena, facendomi il
solletico.
La vampira avvicinò le sue labbra carnose al mio orecchio,
dischiudendosi
abbastanza da farmi sentire il suo fiato fresco sul collo.
«Da più di un secolo amo e vivo in silenzio...ma
dietro ogni sorriso ho sempre
celato una lacrima di dolore».
Mi superò con un movimento fluido, muovendo quelli che
sembravano passi di
danza. La ammirai annichilita mentre percorreva il corridoio facendosi
spazio
tra gli ignari passeggeri, avvolta da un fitto alone di mistero.
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Capitolo 9 *** Broken ***
Nota: posto un "extra" che
descrive lo stato d'animo di Edward. E' accompagnato da una
meravigliosa poesia di Neruda, secondo me adattissima al contesto!^^
CAPITOLO 9 - THE END
Qui ti amo...
Qui ti amo.
Negli oscuri pini si districa il vento.
Brilla la luna sulle acque erranti.
Trascorrono giorni uguali che s'inseguono.
La nebbia si scioglie in figure danzanti.
Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte, stelle.
O la croce nera di una nave.
Solo.
A volte albeggio, ed è umida persino la mia anima.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.
Qui ti amo e invano l'orizzonte ti nasconde.
Ti sto amando anche tra queste fredde cose.
A volte i miei baci vanno su quelle navi gravi,
che corrono per il mare verso dove non giungono.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie
àncore.
I moli sono più tristi quando attracca la sera.
La mia vita s'affatica invano affamata.
Amo ciò che non ho. Tu sei così distante.
La mia noia combatte coni lenti crepuscoli.
Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.
La luna fa girare la sua pellicola di sogno.
Le stelle più grandi mi guardano con i tuoi occhi.
E poiché io ti amo, i pini nel vento
vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie di filo metallico.
P. Neruda
* * *
«Edward, respira».
Cercai di obbedire ad Alice inspirando profondamente, ma poco dopo
ricominciai
involontariamente a trattenere il fiato. Sentivo l’aria calda
di agosto
bruciare nei miei polmoni ghiacciati.
Proprio al centro del petto, però, percepivo un fuoco ben
più ardente, che
inghiottiva a poco a poco il mio cuore lacerato.
Troppo amaro era il sapore della sconfitta. Troppo devastante era il
senso di
perdita che mi pervadeva.
La mia vita era finita. Punto. Il destino aveva smesso di scrivere la
mia
storia nel momento esatto in cui quel meraviglioso angelo triste che
ora era
scomparso aveva pronunciato parole per me letali.
Mi sentivo al centro esatto dell’Inferno, solo e disperato
come ero stato fino
a tre anni prima.
Per più di un secolo avevo fatto di tutto per rassegnarmi
all'idea che per
quelli come me non c’erano possibilità. Ero stato
condannato ad una vita di
oscurità senza fine, un abisso da cui non sarei mai
più riemerso. Punto. E a
capo.
Il volto candido di Bella, i suoi occhi allegri e intelligenti mi
avevano
regalato la dolcissima speranza di poter dare un senso alla mia
esistenza.
Tutti i sogni, però, sono destinati a finire. E
così il fantasma di un futuro
di luce e di felicità si era dileguato proprio nel momento
in cui stavo per
stringerlo fra le braccia e farlo mio per sempre.
«Io esco», dissi.
Alice mi guardò con occhi carichi di apprensione.
«Torna presto», si limitò a dire.
Accostai delicatamente la porta di casa e mi dileguai nella fittissima
vegetazione
che adombrava con le sue fronde la mia casa, conferendole un aspetto
sinistro e
inquietante. Normalmente quando correvo tra gli alberi si impossessava
di me un
inebriante senso di spensieratezza e di libertà. Ma non quel
giorno. Le catene
che avvinghiavano il mio cuore erano un peso insostenibile, che mi
spingeva con
forza verso il basso.
Così, quando arrivai nella nostra radura
mi accasciai privo di forze al
suolo e chiusi gli occhi nella vana speranza di perdere i sensi.
Per la prima volta, desiderai che il terreno si aprisse sotto di me e
mi
inghiottisse in un lampo, regalandomi un po’ di sollievo da
quel dolore che mi
avrebbe afflitto fino alla fine dei miei giorni.
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Capitolo 10 *** Jacob ***
Dopo aver lasciato Bella al suo
viaggio farò prendere la parola, per i prossimi due
capitoli, a Leah, personaggio di cui purtroppo non si è mai
parlato molto...Buona lettura!
CAPITOLO 10
As you can see, when you look at
me, I'm pieces of what I used to be.
It's easier if you don't see me
standing on my own two feet.
I'm taller when I sit here still,
you ask are all my dreams
fulfilled.
They made me a heart of steal,
the kind them bullets cannot see.
Replica,
Sonata Arctica
«Jacob Black, si può sapere perché
diavolo lo fai?».
Conoscevo Jacob abbastanza bene da dire che si sarebbe arrabbiato
udendo le mie
parole. Pazienza. I suoi ringhi sarebbero stati un suono ben
più piacevole del
rumoroso silenzio che regnava sovrano.
Mi guardò con aria di compatimento.
«Leah Clearwater, si può sapere perché
diavolo ti comporti da stupida?».
Lo fissai a lungo con espressione imbronciata prima di rispondere.
«Jake…Non puoi correrle dietro per sempre. Mi
sembra che sia stata abbastanza
chiara con te ultimamente».
Il sorriso beffardo disegnato sul suo volto improvvisamente scomparve,
lasciando spazio ad una smorfia di dolore e di disgusto. Dopo qualche
secondo
si riscosse e parlò con disprezzo.
«Mi sembrava che anche Sam fosse stato abbastanza chiaro con
te, Leah, e invece
continui a sbavargli dietro da povera illusa quale sei. Strana cosa
l’amore,
eh?».
Guardai fuori dal finestrino dell’aereo, voltandogli le
spalle. La rabbia che
istantaneamente provai presto cedette il posto ad un sentimento di
fervida
compassione.
Sì, strana cosa l’amore. Quel sentimento tanto
dolce aveva un retrogusto
terribilmente amaro, che a fatica riuscivo a tollerare.
Sospirai. Era inutile negare ostinatamente a me stessa che Jake aveva
ragione.
Tacqui per qualche minuto, ma poi trovai la forza di perdonarlo e di
rispondergli. Sapevo che
l’amore era un sentimento irrazionale e che come tale spesso
spingeva a pronunciare
parole insensate, che spesso fluivano involontariamente fuori dalle
labbra e
dal cuore.
«Ma come hai potuto comportarti così con Billy? Ti
rendi conto di quanto sarà
in ansia per te? Hai preso tutti i soldi che c’erano in casa
e sei sparito!
Oltretutto», mi interruppi per riprendere fiato «Si
può sapere perchè hai
chiesto proprio a me di accompagnarti? Non eri assolutamente convinto
che fossi
solo una ragazza sciocca e intrattabile?». Finalmente fui io
a metterlo a
tacere.
Riflettè qualche istante prima di rispondermi. La sua
espressione seria e
pensierosa mi ricordava tantissimo Sam quand’era preoccupato.
«Mi sbagliavo, scusami». Per qualche strano motivo,
le sue parole mi fecero più
piacere di quanto avrebbero dovuto. Automaticamente gli sorrisi.
«Non preoccuparti. So cosa provi». Avrei voluto
abbracciarlo e consolarlo
silenziosamente, ma la ragione mi spinse a trattenermi.
Il silenzio sopraffece nuovamente le nostre voci. Solo un nome
aleggiava
nell’aria e si insinuava prepotentemente nei pensieri di
Jacob e nella mia
testa dolente: Bella.
Anche e migliaia di metri dal suolo riuscivo a percepire la sua
presenza.
Possibile che tutti si preoccupassero per lei? In fin dei conti non
aveva nulla
di speciale. Non era eccezionalmente bella, né
particolarmente simpatica, né
straordinariamente intelligente.
Mi rodeva ammetterlo, ma evidentemente doveva avere qualcosa di unico:
una
persona normale non sarebbe mai riuscita a stregare contemporaneamente
un
vampiro e un licantropo.
Guardai Jake e mi intristii. Lui, così solare,
così pieno di vita, sembrava
precipitato in un baratro senza fine. Chissà se prima o poi
sarebbe riuscito a
salvarsi e a vedere di nuovo la luce del sole. Il pensiero di non poter
rivedere mai più il suo meraviglioso sorriso mi
provocò una fitta allo stomaco.
Com’era possibile che Bella facesse del male a chiunque
incontrasse?
Una voce gracchiante ci annunciò che eravamo giunti
all’aeroporto di Firenze.
La tristezza si dileguò dal volto di Jake, che si fece
improvvisamente ansioso.
«Comicia ad alzarti Leah. Dobbiamo andare.».
Dovevamo proprio? Avrei voluto pregarlo di tornare a casa e di cercare
di
andare avanti come se nulla fosse successo, ma i miei pensieri rimasero
muti.
Scendemmo dall’aereo quasi correndo. Io stavo al passo di
Jake, che con la sua
mole imponente riusciva a farsi spazio tra la gente che lo fissava
perplessa e
inquietata. Non sapevo però se ciò che
sconcertava molte persone fosse la sua
incredibile statura o l’indescrivibile espressione che
stravolgeva il suo volto.
Sentivo in lontananza un odore acre che mi stuzzicava le radici.
Probabilmente
Bella Swan, che ormai era a pochi metri di distanza da noi, aveva
portato con
sé quel profumo dolcissimo, tipico dei succhiasangue, che
accresceva ad ogni passo che facevo il mio mal di testa.
Confusa e disorientata, la causa di tutti i problemi di Jacob si
voltò di
scatto. Per la prima volta da quando la conoscevo provai un senso di
sincera
compassione per Bella Swan.
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Capitolo 11 *** Cruel ***
CAPITOLO 11
Love's the funeral of hearts
And an ode for cruelty
When angels cry blood
On flowers of evil in bloom
Funeral of hearts,
HIM
Quando
fummo a poco più di un metro di distanza da Bella sentii il
mio
sangue esageratamente caldo gelarsi nelle vene. Non poteva essere.
Gli
occhi grandi e tristi che di fronte a me fissavano il vuoto erano
solcati
da due profonde ombre violacee, che contrastavano in modo evidente con
la
carnagione chiarissima. Mi stupii di non provare repulsione fisica,
oltre che
psicologica e morale, per la creatura spregevole che mi trovavo di
fronte. Quel
giorno Bella sembrava proprio un vampiro.
Senza
parole, fissò a lungo il pavimento prima di degnarci di uno
sguardo.
Sperai che le piastrelle sotto i suoi piedi si dileguassero e che il
vuoto la
inghiottisse, facendola scomparire per sempre.
Poi,
finalmente, quell'inestinguibile fonte di dolore smise di mordersi il
labbro inferiore ed emise una voce cupa, metallica.
«Jake, che cosa ci fai qui?».
L'assoluta
mancanza di riguardo nei miei confronti mi indispettì ancora
di più.
Jacob
sorrise.
«Me lo chiedi anche?».
Di
fronte al suo silenzio, Jake le si avvicinò, stringendole le
grandi mani
bollenti attorno ai polsi. Istintivamente, feci un passo indietro,
mentre un
brivido fastidioso scivolò lungo la mia schiena.
«Bella, smettila di fingere. Ho capito
tutto».
Lei
sollevò lo sguardo, fissandolo con occhi carichi di
apprensione. Non mi
sfuggì la sua espressione sconcertata e terrorizzata.
«C-cosa hai capito?».
Jake
inspirò profondamente prima di riprendere a parlare.
«Mi hai mentito. Ti conosco meglio di
quanto tu
stessa ti conosca e lo sai». Si interruppe un attimo. Scorsi
uno strano
luccichio sulla guancia di Bella prima di tornare a guardare Jake.
«I tuoi sentimenti nei miei confronti non
possono essere cambiati. Non posso credere che tu abbia deciso
seriamente di
chiudere in uno sgabuzzino la possibilità di vivere
felici...insieme. Bella,».
Jake le scostò una ciocca di capelli che le copriva viso,
tempestato da quelli
che sembravano piccoli diamanti lucenti.
«Dimmi la verità. Dopo il
nostro ultimo incontro
ho riflettuto ininterrottamente per circa un'ora su quello che mi hai
detto e,
incapace di prestarvi fede, ti sono corso dietro nella speranza che ti
rimangiassi tutto».
Bella
si passò una mano sul viso e sembrò sforzarsi nel
tentativo di darsi
un contegno. Dopo qualche interminabile secondo rispose con voce
stranamente
calma, utilizzando parole caute e ponderate.
«Jake,
io non ti ho
mai mentito. Non mi rimangio nessuna delle parole che hai udito il mese
scorso.
Vedi...», deglutì. «Credimi se ti dico
che vorrei renderti felice. Sei
una persona meravigliosa e ti meriti tutto l'amore di questo
mondo». Mi
trattenni dal tirarle un pugno su quella bocca menzognera.
«Ma...Non posso. Ho
già violato troppe
volte le leggi della natura. E' meglio non approfittare troppo della
sua
pazienza».
Un'improvviso
tremore scosse Jake, che strinse i polsi di Bella con forza
ancora maggiore. Sembrava incredulo.
«Maledizione, Bella, smettila! Sei stata
per tre
anni insieme ad un dannatissimo succhiasangue e adesso fai la
santarellina
dicendo che bisogna fare solo ciò che è giusto e
razionale?».
Non
ascoltò la mia preghiera di abbassare la voce.
«Tu non sei la Bella che ho conosciuto.
Che ne
hai fatto di lei?», disse con tono rabbioso.
«Restituiscimela!».
Bella
non si sforzò più di contenere le lacrime.
«Jake,
lasciami, mi
fai male!», gemette. «Ti prego, Jacob,
vattene».
Lui
stupito di fronte a tanta noncuranza per i propri sentimenti, la
lasciò
andare. Lei si tolse uno dei due braccialetti che aveva al polso destro
e
glielo porse. Riconobbi il ciondolo che Jake aveva intagliato con tanto
amore
qualche tempo prima.
«Tieni Jake, questo è tuo.
Dimenticami e non
cercarmi mai più, te ne prego».
Né
a me né a Jacob sfuggì il grosso cuore di
ghiaccio che ancora
abbracciava la sua pelle diafana.
Jake
riprese il suo braccialetto, ma con esso non recuperò il
pezzetto del
suo cuore che le aveva donato. Bella recuperò i suoi bagagli
e si voltò,
esitante.
«Grazie per tutto quello che hai fatto
per me,
Jake. Non lo dimenticherò mai. Addio».
Un
foglio appallottolato le scivolò dalla tasca mentre si
allontanava.
Percepii ancora quel nauseante odore dolciastro.
Jacob
si fiondò subito fuori dall'aeroporto, dileguandosi in un
piccolo
bosco vicino.
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Capitolo 12 *** Last dawn ***
Dopo i due capitoli narrati dal punto di vista di Leah, torna a raccontare Bella,che ci terrà compagnia fino alla fine!:) Buona lettura!
CAPITOLO 12
Frozen inside without your touch
Without your love, darling
Only you all the life upon the die
All of this I, I can't believe I couldn't see
Kept in the dark, but you were there in front of me
I've been sleeping a thousand years it seems
Got to open my eyes to everything
Without a thought, without a voice, without a soul
Don't let me die here, there must be something more
Bring me to life...
Bring
me to life, Evanescence
Ero
sicura di sognare. Il vestito che mai mi sarei sognata di indossare nel
ventunesimo secolo mi suggeriva che mi trovavo in una situazione
irreale.
Il sole declinava e io correvo. Verso dove? Non lo sapevo.
Non ricordavo il mio nome. Non sapevo cosa stessi facendo e soprattutto
perchè.
La landa desolata che stavo attraversando, però, fece
sorgere in me un
dubbio. Ero forse ripiombata nei panni di Elizabeth? Forse. In quel
momento non
mi importava.
In effetti, la protagonista di Orgoglio e Pregiudizio, afflitta e
pentita
per la risposta repentina e avventata data all'uomo che non si era resa
conto
di amare, passeggiava per qualche tempo nella fredda brughiera prima di
rincontrare Darcy e legarsi a lui per sempre.
La luce si faceva sempre più fioca, ma mi sforzai comunque
di scorgere
anche un minimo movimento nella fitta vegetazione che interrompeva la
piatta
campagna inglese.
«C'è qualcuno?», domandai,
improvvisamente inquieta. L'unica risposta che
ricevetti fu l'ululato del vento.
Ammaliata dal fascino misterioso di quel bosco mi addentrai tra le
fronde
degli alberi. Il crepuscolo stava cedendo il posto ad una notte buia e
senza
luna. Rabbrividii, incapace di orientarmi nella fitta
oscurità che mi
avvolgeva. Mi rendevo perfettamente conto che era inutile proseguire,
perciò mi
fermai. Mi sedetti ai piedi di un grande albero, sola e infreddolita.
Ma
qualcosa si mosse tra le tenebre. Impietrita, mi strinsi le ginocchia
al petto.
Avevo cominciato a tremare.
Quando mi parve di sentire un tocco freddo sul collo mi svegliai di
soprassalto, con la fronte bagnata di sudore.
Per un attimo, non capii dove mi trovassi. Il comodo letto su cui ero
sdraiata non mi era affatto famigliare. Le pareti, tinte di un giallo
pallido,
non rievocavano alcun ricordo.
Un lampo di lucidità illuminò per un attimo la
mia memoria. La sera
precedente, esausta per le infinite ore di viaggio, avevo chiesto
ospitalità
presso un hotel di Volterra.
La consapevolezza di essere giunta a destinazione si
impossessò di me in un
baleno. Sentii il bisogno di prendere una boccata d'aria.
Uscii sul piccolo balconcino della stanza, respirando a pieni polmoni
la
frizzante brezza mattutina.
In lontananza, il cielo si stava tingendo di rosso. Attesi con pazienza
l'alba: per me, quel giorno, il sole stava sorgendo per l'ultima volta.
Fasci di luce dorata illuminarono il cielo, solleticando con il loro
calore
la cittadina ancora addormentata. Poco dopo, il sole vinse
l'oscurità con tutto
il suo splendore, illuminando il mio viso pallido e stanco, su cui quei
tiepidi
raggi non avrebbero più brillato dopo quel giorno.
Con calma, mi vestii e mi pettinai. Non era necessario uscire
così presto.
Sapevo di essere in anticipo. Pensai alla foga con cui ero corsa
incontro a
James, tanto tempo prima, e sorrisi. Contro ogni logica ero
evidentemente
ansiosa di sfidare la morte, sebbene fossi consapevole del fatto che
non avrei
mai potuto vincerla. In fin dei conti, non ero un'eroina delle fiabe.
Alla reception, pregai di chiamare un taxi. Il portiere di notte, che a
breve avrebbe finito il suo turno, mi guardò perplesso prima
di esaudire la mia
richiesta.
Dopo pochi minuti, una Volvo bianca si fermò davanti alla
hall
dell'albergo. Il mio stomaco ebbe un sussulto.
Il viaggio fu breve. Pagai il tassista e mi diressi a passo sicuro
verso il
mio vestibolo.
Attraversai la grande piazza che poco più di un anno prima
avevo percorso
di corsa nonostante fosse gremita di gente. Quel giorno, invece, solo
una
anziana mendicante era seduta sul bordo della grande fontana che si
trovava al
centro. Incuriosita e desiderosa di alleviare la fame che certamente
l'attanagliava mi avvicinai, mettendo una banconota nel piccolo
bicchiere che
stringeva tra le mani.
Sentii un borbottio sommesso prima di distinguere parole che mi
colpirono e
mi toccarono nel profondo.
«È l'amore, non la ragione, che è
più forte della morte.Non dimenticarlo,cara».
Coperto da un cappuccio nero, non riuscii a scorgere il suo viso.
“Lo farò, lo prometto”, pensai.
Mi concentrai con tutte le mie forze per cercare di ricordare il punto
in
cui si trovava la porta del palazzo da cui io, Edward e Alice eravamo
usciti
incolumi l'anno precedente. Avventurandomi tra i vicoli ancora
debolmente
illuminati che circondavano il palazzo dei Priori mi trovai
improvvisamente di
fronte ad una pesante porta di legno, che interrompeva le fila perfette
di
mattoni che componevano le antichissime pareti del palazzo.
Inspirai profondamente e la spinsi. Stranamente la porta era aperta.
Mi ritrovai in un corridoio angusto, su cui si affacciava soltanto la
porta
di un ascensore. Premetti un pulsante, mettendo in moto il mio mezzo di
trasporto
verso l'inferno.
Due porte di metallo si dischiusero davanti a me, lasciandomi passare.
Soltanto un altro pulsante mi separava dalla mia meta. Lo premetti,
contando
mentalmente gli ultimi secondi di vita che mi rimanevano. Stranamente
mi
sentivo tranquilla. Sapevo che qualcosa nella mia testa non funzionava.
Quando una voce gracchiante mi annunciò che avevo raggiunto
il secondo
piano sbucai in quella che sembrava l'anticamera di un ufficio di
lusso. Dietro
all'alta scrivania di mogano lucido un tempo occupata da Gianna, trovai
un'altra ragazza altrettanto carina. Elegantissima, aveva lunghi
capelli
castani e occhi grandi ed espressivi. Mi salutò con un
calore che contrastava
in modo evidente con la freddezza della stanza.
«Benvenuta, sono Alessandra. Posso esserti d'aiuto?»
Appena aprii la bocca per risponderle una grande porta dorata si
aprì. Ne
uscì Felix che sorrise ad Alessandra prima degnarmi della
sua attenzione. Lei
contraccambiò con un cenno della mano. Sperai sinceramente
che i Volturi la risparmiassero.
Ebbi la sensazione che in un altro contesto saremmo potute diventare
buone
amiche. Felix posò il suo sguardo felino su di me.
«Bella, sei in anticipo».
«Lo so», risposi con freddezza.
«Seguimi», ordinò.
Attraversammo interminabili corridoi prima di raggiungere la stanza
circolare in cui l'anno prima ero entrata abbracciata ad Edward. Il mio
stomaco
sussultò, mentre sentivo l'adrenalina bruciare vene. In
lontananza,
mi parve di sentire un ringhio sommesso. Evidentemente, la paura che
segretamente
provavo mi stava facendo delirare.
Fui sicura di essere sopraffatta dalle allucinazioni nel momento in cui
vidi davanti a me l'immagine sfuocata di Irina. Mi stropicciai gli
occhi,
distrutti dalle lacrime e dalle poche ore di riposo.
La snella figura della vampira, però, più nitida
e reale che mai, non
scomparve.
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Capitolo 13 *** Drop ***
CAPITOLO 13
Jar of love
isn't dry until
the last drop falls...
Last drop falls, Sonata
Arctica
Avevo
la gola secca e le orecchie che mi fischiavano. Cercai di ricompormi
prima di parlare, ma il mio tentativo fallì miseramente.
«Irina?».
Purtroppo, la mia domanda era ovvia e scontata, ma non riuscivo proprio
a
capire come la vampira dagli occhi topazio che avevo conosciuto in
aereo
potesse avere a che fare con i Volturi. Ormai gli eventi si erano
allontanati
dalla via della logica.
Irina si limitò a sorridermi con apparente dolcezza. Era
compassione quella
che leggevo sul suo volto?
«C-cosa ci fai qui?».
La vampira si scostò dal freddo muro di pietra a cui era
appoggiata e si
avvicinò a me lentamente, camminando con una grazia
sconcertante. Si fermò a
pochi centimetri di distanza, inondandomi con un profumo tanto dolce da
stordire. Le occhiaie che le contornavano gli occhi ammalianti erano
più
profonde rispetto all'ultima volta in cui ci eravamo viste.
Anche le iridi erano di una
tonalità più scura.
«Ma come, Bella? ». La sua mano bianchissima mi
sfiorò i capelli. Mi
sentivo stranamente inquieta, qualcosa in lei non mi convinceva affatto.
«Ti ho prenotato il biglietto aereo per l'Italia, ti sono
stata vicino per tre giorni e tu mi ferisci così?».
Impietrita, mi allontanai impercettibilmente. Nei successivi secondi di
silenzio, sperai di svegliarmi da quello che pareva un incubo senza
fine. Per
mia sfortuna, però, non aprii gli occhi in un letto morbido
sollevata dal
pensiero di aver fatto solo un brutto sogno. Gli occhi color onice di
Irina mi
scrutavano ancora, curiosi e venati da una nota di lieve sarcasmo.
«Stai mentendo», sussurrai. La parte razionale di
me si opponeva
strenuamente alle sue parole.
«Io non mento mai, Bella.».
«M-ma...Non avresti dovuto assistere ad un funerale in
Italia?», le mie
parole suonavano stupide e ingenue anche a me, ma non riuscii a
lasciare andare
il sottile filo di speranza che mi portava ancora a credere che Irina
si
trovasse in quella stanza maledetta per sbaglio.
La meravigliosa creatura che avevo di fronte sorrise di nuovo. Questa
volta
sul suo viso perfetto comparve un ghigno di crudele soddisfazione.
«Te l'ho detto, io non mento mai»,
distolse per un attimo lo sguardo da me
prima di avvinghiare nuovamente ai miei i suoi occhi quasi neri. Non
era
difficile rendersi conto che ardevano per la sete..
«Presto si celebrerà il tuo
funerale».
Scioccata, mossi un altro passo all'indietro, desiderosa di fuggire da
un
mostro dalla parvenza d'angelo.
«Spiegati», mormorai. Notai un lieve isterismo
nella mia voce implorante.
«Ti ricordi di Victoria, Bella?». E come
dimenticarla?
«Vedi, io sapevo quello che stava facendo prima che ti
trovasse. Sapevo dei
nuovi nati e di tutto il resto».
«C-cosa?Come...». Il mio cuore batteva
all'impazzata. Per un attimo,
temetti che mi uscisse dal petto, desideroso com'era di liberarsi da
una gabbia
che l'aveva tenuto prigioniero per troppo tempo.
«Laurent». Sospirò prima di proseguire.
«E' vissuto con noi qualche tempo
prima che...», per la prima volta la sua sicurezza disarmante
parve dileguarsi.
«Si era confidato con me perché mi considerava
un'amica affidabile, o forse
qualcosa di più...».
Irina mi fulminò con il suo sguardo nero, riducendomi in
polvere con il
pensiero.
«Poi, inspiegabilmente, mi ha lasciata e un paio di giorni
dopo il tuo
licantropo se l'è portato via...Per sempre».
Tentenno per qualche interminabile
secondo.
«E questo è accaduto per colpa tua».
Si morse il labbro, mostrando
denti bianchissimi e letali.
«Inspiegabilmente, però, i Volturi, una volta
scoperto il progetto di
Victoria, sono venuti a sapere che c'era qualcuno al di fuori del suo
gruppo
che sapeva qualcosa di troppo. Qualche sporco traditore sapeva troppo
di me. E
così, una mattina Jane è venuta a farmi visita.
Mi ha imposto una punizione
terribile per il segreto che avevo troppo a lungo celato».
Il tiepido sole mattutino trapelò attraverso i vetri delle
finestre,
illuminando la fredda stanza del palazzo. La pelle diafana di Irina
rifulse
debolmente. Ammutolita, aspettai che proseguisse.
«Dopo tanti anni di astensione dovevo...Uccidere un
umano». Nel suo umore
volubile, improvvisamente mi guardò soddisfatta.
«A dispetto delle mie previsioni, però, Jane ha
esaudito un mio piccolo
desiderio», tacque.
«Quale?», domandai, nonostante non volessi
assolutamente sentire la
risposta.
«Imponendomi soltanto di pagare il mio debito qui, mi ha
concesso di
scegliere la mia vittima».
La vampira mosse un altro passo, avvicinando la sua bocca fatale al mio
orecchio.
«Tu, Bella. Ci sono cose che il cuore non dimentica. Le
conserva nel suo
profondo fino al momento della vendetta, inesorabile condanna che prima
o poi
viene messa in atto».
Incapace di reagire al pericolo incombente, accarezzai con la punta
delle
dita il grosso cuore di ghiaccio che mi pendeva dal polso.
“Bella, scappa”. Il ringhio lontano che avevo
percepito poco prima finalmente
aveva assunto sostanza. Nella testa mi rimbombò l'unica voce
che desideravo
udire negli ultimi istanti della mia breve esistenza. Sentii Edward
vicino, e
questo fu sufficiente a dileguare gran parte della paura che, da
vigliacca
quale ero, mi stringeva in una morsa.
“Non posso. Ci ucciderebbero entrambi”, risposi con
serenità crescente.
“NO!Bella, ti prego, non farlo”. Come faceva ad
essere adorabile anche
quand'era arrabbiato?
“Edward, ti amo. In una forma diversa da quella che
desideravo, ti dono la
mia vita”.
“Bella, non posso vivere senza di te”. La sua voce
meravigliosa era ora
implorante.
“Ti prego, mantieni la promessa. Quando sentirai la mia
mancanza, sussurra
piano il mio nome nel tuo cuore...E sarò lì.
Addio.”
La voce cominciò a svanire. Mi parve di sentire un grido in
lontananza, ma potevo esserne ero sicura.
Irina, ancora a pochi centimetri da me si avvicinò
pericolosamente al mio
collo.
«Perciò ti senti pronta?»,
domandò. Il pensiero volò subito al ballo della
scuola di qualche anno prima, in cui avevo sperato che il sogno di
restare con
Edward per sempre potesse realizzarsi. Con la mia partenza per
Volterra, però,
avevo cancellato ogni mia possibilità di essere felice
vicino al vampiro che
amavo, desiderio che entro pochi secondi sarebbe stato consegnato solo
al
ricordo dei pochi che avrebbero saputo davvero come fossi sparita.
«Sì», sussurrai afona. Una piccola
lacrima scivolò dai miei occhi avidi di
cogliere l'ultimo raggio di sole.
Sentii un ululato lontano, poi il buio mi accolse tra le sue fredde
braccia.
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Capitolo 14 *** White soul ***
CAPITOLO 14
My flower, withered between
The pages 2 and 3
The once and forever bloom gone with my sins
Walk the dark path
Sleep with angels
Call the past for help
Touch me with your love
And reveal to me my true name.
Nemo, Nightwish
Finchè
il buio mi tenne stretto a se, la piccola fiammella di speranza che
mi portava a credere che avessi solo sognato il mio incontro con Irina
rimase
debolmente accesa. Poi, una folata di vento gelido la spense quando un
mare di
solitudine e di desolazione mi si presentò davanti agli
occhi e mi permise di
capire che ero davvero morta.
Camminavo scalza nella neve, indossando solo un paio di jeans e una
maglietta a manica lunga.
I miei piedi scalzi, arrossati per il freddo, cominciavano a
sanguinare.
Faceva molto freddo: freddo nell'aria, freddo nel cuore.
Camminavo verso il nulla, tracciando sul manto candido che si stendeva
davanti a me tante piccole macchie purpuree.
Era quella la punizione che dovevo scontare per aver superato i limiti
della conoscenza umana, intromettendomi in un mondo con cui non avrei
dovuto
avere nulla a che fare? Era quello l'Inferno gelido e solitario in cui
avrei
dovuto fare ammenda per ogni secondo di luce e di calore di cui avevo
goduto
grazie a Edward?
Nessuno rispose alle mie silenziose domande. Il vento ululava forte,
mentre soffici fiocchi di neve
mi inumidivano i capelli.
Non so per quanto arrancai in quel deserto bianco. Laggiù la
dimensione temporale non esisteva.
Improvvisamente, nella nebbia mi parve di scorgere qualcosa. La sagoma
che
intravvedevo si disegnò con maggiore precisione a mano a
mano che avanzavo.
Ogni passo era una sofferenza infinita.
Quando fui a pochi metri da quella piccola figura, riconobbi mia nonna
Marie che mi tendeva la mano sorridendomi. Fu un sollievo vederla.
Dopotutto,
forse, quello era il Purgatorio.
Tuttavia, ero riluttante nel colmare la distanza che ci separava. Con
quel sorriso dolce stampato sulle labbra, mia nonna voleva accogliermi
nel suo nuovo mondo, una realtà
di cui non mi sentivo parte.
La guardai esitante, finchè non sentii una voce che mi
chiamava. Era
debole, lontana, bellissima.
«Bella!», chiamava preoccupata.
Mi voltai, ma oltre la nebbia e la fitta neve che cadeva, non vidi
nessuno.
Poi, tutto ciò che mi circondava cominciò a
dissolversi di nuovo. Mia nonna
Marie scomparve, fulminandomi con un'occhiata di delusione, e il buio
mi
strinse ancora forte a sé.
La voce meravigliosa che avevo sentito poco prima, ora sempre
più forte e
chiara, mi guidava nella dimensione dell'oblio. Cercai con tutte le mie
forze
di non perderla, di inseguirla.
«Bella, ti prego, svegliati! Bella, amore, apri gli
occhi», urlava un
angelo con voce rotta.
Sentii qualcosa solleticarmi il palmo della mano e un liquido caldo
scorrermi lungo il collo. La mia bocca si opponeva a qualunque
tentativo di
aprirsi per rispondere alla creatura che mi stava accogliendo nel
Paradiso in
cui, per qualche strana ragione, ero stata catapultata.
Percepii un tocco freddo sulla guancia. Mi sforzai di reagire al
torpore
che mi avvolgeva e alla fine vinsi.
«Edward?», gracchiò una voce, la mia.
«No, Edward! Avevi
promesso!Perchè...Perchè sei qui?».
«Bella!», urlò l'angelo, ancora
preoccupato. «Il mio posto è con te»,
sussurrò poi dolcemente.
Ad un tratto, il buio mi abbandonò e i miei occhi videro
finalmente la
luce. Mi trovavo in una stanza in cui ero già stata, seppure
non mi fosse
familiare. Edward mi guardava, con la mano tesa verso di me, mentre un
grosso
lupo dal pelo fulvo mi stava accanto con sguardo contrito.
Il petto mi doleva, ma il male che sentivo non aveva nulla a che fare
con
il dolore che mi aveva distrutta nei giorni precedenti.
«Bella», chiamò di nuovo Edward con
apprensione. «Come ti senti? Il
collo...Brucia?», una nota di dolore adombrò il
suono perfetto della sua voce.
Mi toccai la gola con la punta delle dita, che dopo il contatto
restarono
bagnate. Lo sgradevolissimo odore che sentivo mi lasciava immaginare di
che
cosa fossero sporche. Cercai in tutti i modi di non perdere di nuovo i
sensi.
«No», dissi con voce ancora secca. «Sono
solo un po' ammaccata».
L'angelo sospirò sollevato, mentre il lupo guaì
docilmente.
«Andiamo via di qui», disse Edward.
D'un tratto, sentii la terra mancarmi sotto i piedi. Edward mi
sollevò,
stringendomi tra le sue braccia di marmo.
Mentre ci allontanavamo, vidi con orrore che Alice e un altro lupo
più
piccolo combattevano contro la creatura che aveva causato la mia morte.
Evidentemente, il destino si stava prendendo gioco di me mostrandomi
come
sarebbero andate le cose se il morso letale di Irina non mi avesse
uccisa.
«Alice», cercai di urlare. La mia voce era debole e
fioca.
Edward mi strinse ancora più forte a sé e insieme
sparimmo nell'ombra.
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Capitolo 15 *** No more sorrow ***
CAPITOLO 15
I don’t wanna miss one smile
I don’t wanna miss one kiss
I just wanna be with you
Right here with you just like this
I just wanna hold you close
Feel your heart so close to mine
And just stay here in this moment for all the rest of time.
I don't want to miss
a thing, Aerosmith
La
pellicola di quel film fuori dal tempo, che si era interrotta nel
momento in cui avevo abbandonato la stanza circolare del palazzo tra le
braccia
di Edward, ricominciò a scorrere quando mi svegliai nel
comodo letto di quella stanza
d'albergo in cui avevo trascorso -sola- l'ultima notte della mia vita.
Edward era appoggiato alla parete di fronte al letto con gli occhi
socchiusi. Fissava il vuoto, assorto nei suoi pensieri. Non si accorse
immediatamente che, ancora sdraiata, lo stavo guardando.
I miei occhi, avidi del suo viso d'angelo, dei suoi occhi stanchi e del
suo
fisico statuario, non riuscivano a staccarsi da una perfezione che
appariva fin
troppo irreale.
Sentii un brivido quando il suo sguardo ipnotico incontrò il
mio. Edward si
scostò dalla parete e mi si avvicinò lentamente.
Si sedette ai piedi del letto,
attento a non toccarmi.
«Come stai?», la sua voce di velluto, carica
d'apprensione, mi fece sussultare.
Per un momento, mi sentii ancora viva, come se i denti affilati di
Irina non
fossero penetrati nella mia fragile pelle donandomi un riposo senza
fine.
Istintivamente, mi toccai il collo. Sentii che una crosta sottile si
stava
formando nel punto in cui ero convinta di essere stata morsa.
«Bene...Credo». La presenza di Edward era
sufficiente ad alleviare tutti i
dolori che mi martellavano il corpo. Sulle mie braccia nude notai un
cerotto e
parecchi lividi.
Approfittando di un breve momento di silenzio meditai
sull'opportunità di
seguire il copione di quello sceneggiato di cui ero un'inaspettata
protagonista. Decisi di stare al gioco: in fin dei conti che cosa avevo
da
perdere a quel punto?
«Come posso...Essere viva?», domandai.
Lo sguardo antico e malinconico di Edward si posò lontano,
trapassando le
pareti della stanza e volando oltre le nuvole scure che coprivano il
cielo.
I suoi occhi color onice, d'un tratto, divennero due piccole fessure
quando
qualcuno bussò alla porta.
Senza attendere risposta Jake entrò ansimante.
Fissò interdetto Edward
prima di parlare.
«Ciao Bella. Ero venuto...A vedere come stavi».
Lanciò un'occhiataccia a
quello che considerava un ospite indesiderato, il quale, da parte sua,
non lo
degnò di uno sguardo.
«Jake...Che cosa ci fai qui?». Avevo un vago
ricordo di un lupo dal pelo
rossiccio, ma pensavo di averlo solo immaginato. Vidi l'espressione di
Jacob,
da tesa e preoccupata quale era, mutare in una smorfia di dolore.
«Non che non mi faccia piacere...Ma sono sorpresa,
ecco», mi affrettai a
precisare.
Jake, che mentre parlavo aveva scrutato il pavimento, mi
guardò sorridendo
con amarezza. Il suo sguardo mi bruciava la pelle come il sole che
splendeva
dietro a quelle nuvole plumbee che minacciavano pioggia. Non rispose
alla mia
domanda.
«Be', vedo che sei in buona compagnia. Ci vediamo dopo,
Bells», e uscì
chiudendo la porta con po' troppa forza.
Mi dispiaceva vederlo così. Avrei voluto corrergli dietro,
supplicarlo di
perdonarmi, di dimenticarmi...Ma la sofferenza di Jacob, che si
ripercuoteva
spietata anche su di me, era una giusta punizione al mio egoismo e alla
mia
mancanza di responsabilità nei confronti di entrambi.
Smisi di fissare la porta chiusa quando sentii sulla guancia la mano
fredda
di Edward, che nel frattempo si era avvicinato. La sua espressione era
impenetrabile.
«Sono io che dovrei chiederti che cosa ci fai in questo
letto, viva per
miracolo», sussurrò con dolcezza.
Fuori cominciò a piovere. Piccole gocce d'acqua cominciarono
a picchiettare
sull'asfalto rovente e sulla terra arsa dal sole. In lontananza sentii
il
fragore di un tuono.
«Il cielo sta piangendo quelle lacrime che non ho potuto
versare nel
momento in ho creduto di averti persa per sempre». La voce di
Edward si incrinò
quando pronunciò quelle dolorose parole.
A mia volta, gli accarezzai la guancia sinistra con il dorso della
mano.
Tremavo.
«Ma tu mi hai salvata ancora una volta», sussurrai
per non tradire
l'emozione.
«E' proprio qui che sta l'errore, Bella. Io non sarei
arrivato in tempo».
La testa mi girò un poco, e le orecchie cominciarono a
fischiarmi. Non
poteva essere. Non volevo, non potevo essere legata a Jacob
anche da un
vincolo di gratitudine. Tuttavia, soltanto lui poteva essere
intervenuto prima
che, a causa di Irina, sprofondassi nell'oblio senza fine.
Edward sfilò dalla tasca un foglio sgualcito, su cui
riconobbi una grafia
piccola e disordinata. Sotto la mano ghiacciata di Edward, le mie
guance si
tinsero di porpora.
«Irina ti avrebbe...Uccisa se...Leah non le fosse balzata
addosso prima che
fosse troppo tardi. Ti ha ferita involontariamente al collo mentre
cercava di
separarvi».
Ero sbigottita. Leah aveva trovato la lettera di addio che non avevo
mai
avuto il coraggio di far pervenire ad Edward, l'aveva letta ed era
corsa a
salvarmi. Perchè?
Edward lesse senza difficoltà lo stupore che tormentava il
mio viso.
«Ultimamente la sua disposizione d'animo nei confronti
di...Jacob è
cambiata un po'. Mentre lui era irrintracciabile e per te si avvicinava
la fine
non ha dunque esitato a recuperare un pezzetto fondamentale della vita
del
suo...Amico prima che fosse troppo tardi».
La sua mano fredda, che ancora sfiorava la mia guancia rovente,
scivolò
piano lungo il mio collo, accarezzando con delicatezza la linea del mio
braccio
fino ad incontrare una delle mie mani fredde.
«Perdonami Bella. Perdonami per averti esposta a tutto questo
a causa del
mio egoismo. Sono...Addolorato per quanto è successo, non
avresti dovuto
rischiare la vita per salvare un mostro».
«L'unico mostro che mi spaventa», dissi facendo una
smorfia, «E' Jane. Ha
approfittato dell'odio che Irina nutriva nei miei confronti per...Non
doversi
neanche sporcare le mani nell'atto di uccidermi».
«Esatto», mormorò Edward, apparentemente
stupito. «Sapeva che Aro
non avrebbe mai approvato il suo comportamento e quindi è
ricorsa a questo
meschino espediente».
«E...Alice?Leah?Come...Stanno?», domandai
preoccupata.
«Benissimo. Jane è intervenuta non appena ce ne
siamo andati. Ha richiamato
tutti all'ordine e poi è sparita dalla stanza con Irina.
Penso che Tania non la
rivedrà mai più.», disse con voce
tagliente.
«Però ti giuro, Bella, che Jane la
pagherà cara, fosse l'ultima cosa che
faccio».
«No, Edward, ti prego!Non ti sembra che abbiamo sfidato il
destino già
troppe volte?», mormorai con voce rotta.
Edward si avvicinò pericolosamente. Io mi irrigidii, scossa
da un tremito.
«In effetti hai ragione. Come sempre».
Quando compresi le sue intenzioni gli posai l'indice che prima aveva
accarezzato la sua guancia sulla bocca.
«Ti supplico, non farlo», supplicai tra i
singhiozzi. «Sarà già abbastanza
difficile sopportare la tua lontananza anche senza questo bacio. Mi
reputo già
abbastanza fortunata per averti rivisto un'ultima volta».
Edward mi guardò con occhi sgranati.
«Bella...Cosa stai dicendo?», una piccola macchia
di dolore sporcò la sua
voce di velluto.
«Probabilmente tu non lo sai, ma...La mia anima è
all'Inferno, tormentata
dalla neve fitta e da un freddo inestinguibile. Per qualche strana
ragione,
però, mi è stata data la possibilità
di vedere come sarebbero andate le cose se
Irina non mi avesse morsa». Una piccola lacrima mi
scivolò lungo la guancia.
Edward sorrise sollevato e giocherellò con una ciocca dei
miei capelli.
«E quale peccato capitale avresti commesso per trovarti
lì?».
«Ho voltato le spalle all'umanità e ho infranto le
leggi della natura. Ti
sembra poco?». Edward tornò serio.
«Bella, se davvero ti trovassi all'Inferno probabilmente ti
avrei raggiunta
da un pezzo».
Non concordavo con lui, ma le sue parole mi fecero riflettere. L'avevo
supplicato di non fare nulla di insensato o stupido prima della mia
partenza,
ma, riflettendoci, sarebbe riuscito a mantenere la promessa? La
fedeltà avrebbe
vinto la testardaggine?
Tentennai ed Edward se ne approfittò. Le sue mani di acciaio
si strinsero
attorno ai miei polsi, non permettendomi di muovermi.
«Ti prego», lo pregai ancora sebbene fossi sicura
che non mi avrebbe
ascoltata.
«Se fossi davvero morta, pensi che il tuo cuore batterebbe
ancora in questo
modo?», sussurrò con voce seducente, sentendo che
il cuore mi martellava nel
petto. Il suo profumo, così dolce e reale mi stava dando
alla testa.
Aprii la bocca per rispondere, ma le sue labbra fredde mi impedirono di
parlare, chiudendo le mie con dolcezza.
Non era giusto. Perchè Edward doveva averla sempre vinta?
La volontà di non ricambiare il suo bacio si
sbriciolò al momento stesso
del contatto. Quando fu sicuro che non mi sarei più opposta
lasciò andare i
miei polsi e avvolse le sue braccia di marmo attorno alla mia vita,
stringendomi forte a sé.
Le sue labbra divennero sempre più decise. Edward mi
baciò con tutto il
desiderio che lo divorava, sfogando con la passione il dolore e la
preoccupazione che lo avevano tormentato nei giorni passati.
Dopo un periodo di tempo che mi parve troppo breve si staccò
e io appoggiai
la testa sulla sua spalla.
«E ora», sussurrò al mio orecchio mentre
mi accarezzava i capelli, «se non
ti dispiace ti aiuterò a fare i bagagli. Il tuo abito bianco
ha già aspettato
fin troppo».
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Capitolo 16 *** Mrs. Cullen ***
EPILOGO
Because days come and go, but my feelings for you are
forever...
Forever,
Papa Roach
«Bella,
ho dimenticato una cosa di
sopra. Vedi di non farti rapire da qualche strana creatura mentre vado
a
recuperarla».
«Ok, ci proverò», promisi.
Alice lasciò il salotto fluttuando, bellissima nel suo abito
chiaro, e salì di
corsa le scale. Perchè solo io dovevo avere qualche problema
con i tacchi?
Mi sedetti esausta sul divano, attenta a non sgualcire il meraviglioso
vestito
che Alice aveva disegnato per il mio matrimonio.
Di scatto, però, mi rialzai. Ebbi la strana sensazione che
mancasse qualcosa.
Cercai negli arredi del salotto di casa Cullen, festosamente addobbato
per
l’occasione, la risposta al mio silenzioso interrogativo.
Quando i miei occhi si posarono sulla composizione floreale sistemata
sul
pianoforte mi resi conto che l'incubo si stava ripetendo: mancava il
bouquet.
«Alice!», chiamai con voce lamentosa.
Tacqui quando sentii il campanello suonare. Mi avvicinai con cautela
alla
porta, temendo che si trattasse di Edward: lo sposo non poteva vedere
l'abito
della sposa prima del matrimonio. Secondo molti portava sfortuna e noi
ne
avevamo già avuta abbastanza.
Tuttavia, la figura esageratamente alta che si intravvedeva attraverso
il vetro
opaco della porta non poteva essere quella di Edward. Ebbi un tuffo al
cuore.
Aprii la porta lentamente, pregando con tutte le mie forze che il mio
inaspettato visitatore avesse un'espressione diversa rispetto a quella
dell’ultima volta in cui l'avevo visto. Non meritava altro
dolore.
Quando vidi Jacob, vestito in modo impeccabile e con il mio bouquet in
mano,
ricordai il nostro ultimo incontro a casa mia. Allora, non credevo che
l’avrei
rivisto di nuovo.
Gli sorrisi timidamente e lui ricambiò.
«Ciao Jake», dissi in un sussurro.
«Ciao Bella». Tacque. Sembrava in
difficoltà con le parole.
«Be’, lo so che l’aggettivo è
riduttivo, ma…Sei bellissima». Sentii le mie
guance avvampare.
«Grazie. Come mai da queste parti?». Cercai di
prendere tempo prima di
affrontare l’argomento che premeva ad entrambi.
Mi porse il bouquet, abbozzando un altro sorriso.
«Mmm…Un uccellino mi ha raccontato le tue recenti
disavventure con i bouquet e
quindi ho pensato di non fare cosa sgradita andando a prendertelo di
persona».
«La novità degli uccelli parlanti dovrebbe
stupirmi?».
Jacob si fece improvvisamente serio. Era giunto il momento che avevo
tanto
temuto.
«Bella, non avresti dovuto agire in maniera così
avventata scappando in Italia.
Avremmo potuto trovare una soluzione…Insieme».
«E permettere che Edward morisse?». Notai una lieve
nota di isterismo nella mia
voce. Cercai di ricompormi.
«Scusami Jake, non ce l’ho con te. Sono solo un
po’…Stanca».
Jacob accarezzò la cicatrice bianca che Leah mi aveva
involontariamente
provocato nel tentativo di salvarmi da Irina.
«Stai tranquilla, capisco benissimo. Anzi, sono io che dovrei
chiederti scusa
per la mia testardaggine. Avrei dovuto comprendere le tue intenzioni
già molto
tempo fa. La mia corsa in Italia è stato…Uno
stupido atto di presunzione».
Mentre parlava abbassò lo sguardo. Mi immaginai soltanto il
luccichio che mi
sembrò di scorgere nei suoi occhi?
« Jake…». Cercai di celare il lieve
tremore che tradiva il mio dispiacere per
ciò che era accaduto.
«Se tu non mi avessi raggiunta in Italia…Sarei
sicuramente morta. Ancora una
volta, la tua ostinazione mi ha salvata». Mi sforzai di
riempire le mie parole
di gratitudine.
«Grazie Jake. Mi dispiace che questa misera parola sia tutto
ciò che ti posso
dare in cambio della vita che mi hai restituito, ma è
sincera».
Rimasi piacevolmente colpita dalle mie parole. Pronunciate con calma e
con
rinnovata sicurezza, non mi avevano provocato quella disperata
tristezza che
avevo provato tante altre volte parlando con Jacob dopo aver fatto la
mia
scelta.
Jacob mi sorrise (forzatamente? Non seppi dirlo.) e mi prese la mano
destra,
baciandola delicatamente.
«Il tuo ringraziamento è meno misero di quanto
possa sembrare, Bella. Mi basta.
Davvero».
La risolutezza che poco prima era giunta in mio aiuto
cominciò ad abbandonarmi
poco a poco.
« Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho
fatto?», dissi d’un fiato.
« L’unica cosa di cui dovrai farti perdonare se non
ci diamo una mossa sarà il tuo
ritardo al tuo matrimonio».
Dopo tanto tempo, vidi Jacob ridere di nuovo. Gli sorrisi di rimando,
sorpresa
per la sua reazione alle mie parole.
Dietro di me sentii un lieve fruscio e Alice mi fu accanto. Sorrisi di
nuovo di
fronte all’incredibile differenza d’altezza tra lei
e Jacob.
« Jacob», salutò Alice con un cenno.
« Alice», rispose Jake tranquillo.
« Andiamo», suggerii io.
Jacob mi porse il braccio e accanto ad un’Alice trepidante
come non mai ci
dirigemmo verso la Mercedes di Carlisle, al cui interno ci aspettava
Jasper,
comodamente seduto al posto del conducente.
***
Quando il portone della piccola chiesa in cui io ed Edward ci saremmo
sposati
si aprì mi mancò il fiato. Charlie mi strinse
forte la mano, consapevole
dell’arcobaleno di emozioni che mi avvolgeva il cuore.
«Andiamo», mi sussurrò mio padre,
porgendomi il braccio.
Lentamente, cominciammo ad attraversare la navata centrale. Ai nostri
lati una
trentina di persone ci guardava. Notai con piacere che Edward aveva
mantenuto
la promessa di invitare solo pochi amici intimi.
All’ingresso notai tutti i miei amici di scuola: Tyler, Eric,
Mike (gli unici
imbronciati), Angela, Ben, Jessica e persino Lauren.
Subito davanti a loro scorsi con sorpresa alcuni dei ragazzi di La
Push: Quil,
Embry, Seth e naturalmente Jacob, in piedi di fianco a Leah, che lo
teneva per
mano. Notando quel piccolo gesto cercai di non abbandonarmi a speranze
vane, ma
in cuor mio augurai a Jake tutta la felicità che io non
avevo potuto offrirgli.
Vicino all’altare, belli come un sogno, quasi tutti i Cullen
mi guardavano
raggianti. Persino Rosalie sorrideva timidamente.
Di fianco a loro mia madre mi salutò con un lieve cenno
della mano. Aveva gli
occhi lucidi, ma ignorava il fazzoletto che Phil le porgeva.
Notai altri visi più o meno noti, ma quando vidi Edward che
mi aspettava
accanto al prete non mi importò più di
nient’altro.
Emanava un’aura di serenità e di soddisfazione
contagiante. Lo guardai nei suoi
splendidi occhi dorati, mentre sul suo volto si disegnò un
sorriso sghembo
tanto bello da fermare il cuore.
La musica che aveva accompagnato l’ingresso mio e di mio
padre in chiesa cessò,
e la chiesa si riempì della voce profonda del prete.
Le frasi si susseguivano veloci, ma io ascoltavo appena, pronunciando
ogni
tanto le parole che mi avevano raccomandato di dire.
Ad un tratto sentii un tocco freddo sulla mano sinistra. La voce
morbida di
Edward mi svegliò dal torpore e dallo stato di
incredulità in cui mi trovavo.
«…Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e
nel dolore, nella salute e
nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia
vita». Sorrise
pronunciando le ultime tre parole. Il prete lo guardò
perplesso, mentre io,
incapace di alzare lo sguardo, sentivo che due grosse lacrime di gioia
minacciavano di rovinarmi il trucco.
Con voce rotta, pronunciai a mia volta le promesse di matrimonio,
mentre la
mano ghiacciata di Edward mi accarezzava la guancia, cancellando quelle
che
sarebbero state le mie ultime lacrime.
«Mi basta», sussurrò Edward con dolcezza
mentre il prete aveva ripreso a
parlare.
«Per sempre», gli risposi sorridendo.
***
«Aspetta».
«Arrivo subito, Edward. Vado a togliermi questa
tenda,così sarò più comoda».
«Alice potrebbe offendersi sentendoti».
Edward salì i pochi gradini che conducevano al piano
superiore di casa sua e mi
strinse forte a sé.
Era il crepuscolo e il silenzio che nuovamente regnava sovrano in casa
Cullen
dopo il banchetto di festeggiamento era rotto solo dalle nostre parole.
«Prima che ti cambi mi piacerebbe andare in un posto.
», aggiunse educato.
«Andiamo», gli dissi prendendolo per mano.
Scendemmo le scale di corsa non
richiudendo nemmeno la porta di casa. Il caldo afoso che ci aveva
tenuto
compagnia durante tutte la giornata, finalmente, si stava dileguando,
sospinto
via da una lieve brezza di fine estate.
Improvvisamente Edward si fermò, allargando le braccia.
Probabilmente si
accorse del mio sguardo interrogativo e preoccupato, perché
subito aggiunse:
«Non posso portarti in spalla con quel vestito».
«Io l’avevo detto che sarebbe stato meglio
toglierlo».
Un paio di secondi più tardi, Edward stava sfrecciando tra
le fronde degli
alberi.
Mi sentivo…Leggera, come non lo ero mai stata. Passammo
attraverso una radura e
il sole che declinava lentamente dietro l’orizzonte
illuminò la fede d’oro che
le mani sicure di Edward avevano infilato poche ore prime al mio
anulare. Io,
goffa e impacciata anche nel giorno del mio matrimonio, avevo avuto
qualche
difficoltà in più.
Alzai gli occhi, per guardare il volto perfetto di Edward.
Sembrava…Pensieroso.
Avrei dato qualunque cosa per sapere che cosa gli stesse passando per
la testa.
«Ormai penso che tu abbia capito dove stiamo andando, ma
preferirei che
chiudessi gli occhi».
Obbediente, mi abbandonai al buio, rabbrividendo di tanto in tanto per
la
frescura che ormai stava avvolgendo il bosco.
Ad un tratto Edward si fermò, deponendomi delicatamente a
terra.
«Ora apri gli occhi».
Solo una volta la radura era stata più bella di allora:
quando un leone pazzo e
masochista aveva preso in disparte uno stupido agnello, succube del
fascino di
quella magnifica creatura, confessandogli un amore che sarebbe durato
per
sempre.
Edward mi accompagnò al centro esatto del meraviglioso
cerchio ancora
illuminato da sole ed entrambi ci sedemmo sull’erba, tra cui
spuntava qualche
fiore tardivo.
Il suo profumo straordinariamente buono rendeva quel quadretto di
bellezza e
serenità ancora più perfetto.
«Come state stasera mia cara?», disse il mio Darcy
guardando lontano.
Decisi di stare al gioco.
«Molto bene, ma vorrei che non mi chiamaste "mia
cara"». Sorrise.
« Che appellativo dovrei usare?»
«Fatemi pensare…"Bella", quotidianamente. "Mia
perla", la
domenica. E "beltà divina", nelle occasioni
speciali». Edward si
fermò, incatenando il suo sguardo dorato ai miei occhi
castani.
«E come dovrei chiamarvi quando sono arrabbiato? "Signora
Cullen"?»
«No. No. Chiamatemi signora Cullen solo quando siete
completamente,
perfettamente e ardentemente felice».
« E come state questa sera... Signora Cullen? ». Mi
baciò la mano.
« Signora Cullen...». Il polso.
«Signora Cullen...». La spalla.
«Signora Cullen...». Il collo.
«Signora Cullen…». Le labbra.
Spero
che vi sia piaciuta almeno un po'!^^ Alla prossima!
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