Last drop falls

di Critti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The dream ***
Capitolo 2: *** Mr. Darcy ***
Capitolo 3: *** Nightmare ***
Capitolo 4: *** Jane ***
Capitolo 5: *** Wound ***
Capitolo 6: *** Run ***
Capitolo 7: *** Bye ***
Capitolo 8: *** Irina ***
Capitolo 9: *** Broken ***
Capitolo 10: *** Jacob ***
Capitolo 11: *** Cruel ***
Capitolo 12: *** Last dawn ***
Capitolo 13: *** Drop ***
Capitolo 14: *** White soul ***
Capitolo 15: *** No more sorrow ***
Capitolo 16: *** Mrs. Cullen ***



Capitolo 1
*** The dream ***


Ciao a tutti!^^
Ho deciso di pubblicare anche qui la mia prima ff perchè grazie ai vostri commenti e alle vostre critiche spero davvero di riuscire a migliorare. Quindi mi raccomando, siate spietati!XD
Buona lettura!

«Non avrete difficoltà a capire,Signorina Bennet, perché sono qui.»
Nel momento in cui percepii questa frase, giurai a me stessa che mai e poi mai avrei rivelato ad Edward quello che stavo sognando. Figuriamoci. Come sempre mi avrebbe fatto capire, con una gentilezza e dei modi da fare invidia persino all’impeccabile Signor Darcy, che era giunto il momento di dedicarsi ad altre letture.
La sera precedente, avevo infatti riletto per l’ennesima volta quel romanzo che mi aveva tanto fatta sognare prima che mi rendessi conto che uomini perfetti non erano una prerogativa delle eroine dei libri. Conoscevo a memoria la parte del libro che stavo vivendo in prima persona, quindi decisi di stare al gioco e di recitare la parte di Elizabeth. Chissà,forse sarei stata anche più brava dell’originale nel far infuriare Lady Catherine. Ci sarebbe stato da divertirsi.
«Siete in errore,madama,non so affatto spiegarmi questo onore.».Non ero mai stata brava a mentire e temetti che la mia interlocutrice avesse capito che non trovavo alcun piacere nel conversare con lei. Ma lei sembrò non curarsi della mia risposta e proseguì.
«Signorina Bennet, vi avverto, con me non si scherza. Mi è arrivata una voce oltremodo allarmante, che voi vorreste unirvi in matrimonio con mio nipote, il Signor Darcy». Sorrisi a questa affermazione. L’indomani, infatti, mi sarei unita in matrimonio con un “ragazzo” la cui vista avrebbe fatto impallidire anche l’affascinante Signor Darcy. Dire che volevo trascorrere la mia vita al fianco di Edward non era un’affermazione propriamente corretta. Desideravo infatti molto, molto di più. Lady Catherine,tuttavia mi distolse dai miei pensieri e proseguì,spietata.
«So che è una scandalosa menzogna, e benché non volessi fargli il torto di ritenerlo possibile sono venuta sull’istante a farvi conoscere il mio animo».
«Se non lo ritenete possibile mi chiedo perché vi siate scomodata a fare la strada» risposi io, maliziosa.
«Per una smentita, Signorina Bennet».
Solo allora fissai con attenzione la donna che avevo di fronte. Era alta e imponente, con una carnagione molto chiara e lineamenti austeri. I capelli, fili argentati resi tali dagli anni, erano raccolti in una semplice acconciatura nascosta in parte da un buffo cappellino.
“Curioso”, pensai. “Neanche Rosalie mi metterebbe così in soggezione in condizioni normali”. Sorrisi all’idea e proseguii.
«La vostra sarebbe piuttosto una conferma se una simile notizia fosse vera».
«Sì? Fingete di ignorarla forse? Non è stata maliziosamente messa in circolazione da voi?».
«Io non l’ho mai sentito dire».
«E potete affermare che sia priva di fondamento?».
«Non pretendo di possedere la stessa franchezza di Vossignoria». “Parole sante”,dissi tra me mentre ripetevo automaticamente le parole di Elizabeth. Forse Edward non aveva tutti i torti. In effetti, avevo imparato il romanzo a memoria a furia di leggerlo.
«Non è tollerabile. Mio nipote vi ha mai chiesto di sposarvi?». Be’, una proposta di matrimonio che si sarebbe concretizzata entro poche ore l’avevo ricevuta, ma certamente non da suo nipote. Avrei voluto esternarle i miei pensieri per farla finita. Cominciavo infatti ad innervosirmi, ma non pronunciai neanche una parola, desiderosa com’ero di vedere in che modo si sarebbe concluso quel colloquio.
«Vossignoria lo ha appena dichiarato impossibile».
«Cercate di capirmi. Il Signor Darcy…». E cominciò ad elencarmi quelli che lei riteneva “buoni motivi” perché questo fantomatico matrimonio non avvenisse.
Ma io pensavo ad altro. La discussione con Lady Catherine aveva risvegliato in me quel tormento che mi perseguitava da mesi. Questa volta, il mio turbamento non era causato dal timore di essere l’oggetto del desiderio di un vampiro allettato dall’idea di trasformarmi in un prelibato bocconcino. Sicuramente il mio vampiro non era desideroso di trasformarmi in nulla, e questo mi preoccupava.
Il modo sprezzante e superbo con cui la nobile signora mi guardava alimentò le mie antiche paure. Cominciai a supporre di nuovo che Edward desiderasse tenermi con sé solo finchè la mia morte non ci avrebbe separati. In fin dei conti, non avevo proprio nulla di speciale e la perfezione di Edward gli permetteva di ambire a qualcuno di livello superiore. La bellezza mozzafiato di Rosalie mi balenò davanti agli occhi e mi fece rabbrividire.
Quando sollevai gli occhi, che avevo abbassato mentre Lady Catherine sfogava tutta la sua rabbia e il suo disappunto su di me, quella situazione mi apparve così reale che pensai di non essere più la sventurata protagonista di un semplicissimo sogno. Temetti che Edward non avrebbe dovuto scomodarsi a vivere accanto a me nemmeno un altro giorno. Sbigottita,notai infatti un terribile cambiamento nel volto e nelle fattezze della donna che mi stava davanti. I ridicolo capellino che indossava era scomparso per lasciare fluire una meravigliosa chioma corvina. La pelle, antica e rugosa, aveva conservato solo la prima caratteristica, ma era diventata estremamente più chiara. Il fisico tipico di una donna di età avanzata era stato sostituito da una corporatura snella e scattante. Inoltre, la figura che avevo di fronte era molto più ridotta rispetto a quella dell’imponente signora.
Non volevo vedere gli occhi della “nuova“ creatura,ma mi costrinsi a posarvi lo sguardo. Erano rossi, ardenti dal desiderio e dalla sete. Avevo già visto quell’espressione crudele, che mi aveva terrorizzata e atterrita per la prima volta solo l’anno precedente. Quella che giaceva in piedi a pochi centimetri da me era l’unica vampira che aveva disegnato sul volto di Edward i segni di un atroce dolore fisico. Jane avanzò con grazia e avvicinò lentamente il suo volto perfetto al mio fragile collo.

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Capitolo 2
*** Mr. Darcy ***


CAPITOLO 2 - MR. DARCY
«Bella,calmati,ti prego!Sono io,amore,sei al sicuro!»
Quella certamente non era la voce di Jane, ma il tocco freddo che percepii sulla guancia mi fece rabbrividire. Lottai contro la stanchezza e le proteste delle mie palpebre,desiderose di rimanere abbassate ancora per un po’,e aprii gli occhi. Fissai Edward con sguardo vuoto e lui probabilmente lesse il terrore nei miei occhi.
Lo abbracciai con sollievo, e durante quegli interminabili momenti mi sforzai di ricompormi. Lui,silenzioso, mi canticchiò la ninnananna che tanto adoravo all’orecchio e aiutò il mio respiro a tornare regolare.
«Non posso credere che tu abbia sognato una creatura più spaventosa di me», ironizzò con enfasi, ma dalla sua voce traspariva quella preoccupazione che cercava in tutti i modi di dissimulare.
«Meno male che ogni tanto ti sbagli anche tu»,borbottai con un sorriso un po’ troppo forzato per risultare credibile.
«Bella,devi stare tranquilla. Vedrai che andrà tutto bene».
Avevo già sentito quella frase troppe volte, per cui,nonostante la sicurezza che colsi nella sua voce, non osai prestarvi fede. Ripensai agli eventi del mese precedente, in cui il mio migliore amico aveva rischiato di perdere la vita e rabbrividii. Ma non potevo, non dovevo pensare a Jacob in quel momento. Ormai avevo fatto la mia scelta. Edward se ne accorse, ma per fortuna non poté comprendere il reale motivo del mio irrigidimento improvviso.
«A volte mi stupisco di quanto Elizabeth sia stata coraggiosa di fronte a quella megera di Lady Catherine».
Ops. Che stupida, mi ero illusa di poter tenere tutto per me il sogno di quella notte. Perché non potevo essere impacciata e timida anche mentre dormivo?
«Ehm…Ho blaterato molto stanotte?».
«Solo un po’, verso la fine. Penso proprio che quando vivremo insieme dovrò trovarti un’alternativa migliore alla continua rilettura di questi libri», disse indicando la pila di classici che si ergeva sul mio comodino e ridacchiando soddisfatto.
Dopo poche ore di quello che non si poteva per nulla definire un sonno riposante, mi sentivo davvero frastornata. Allarmata dall’affermazione di Edward, cercai disperatamente di ricordare che giorno fosse, ma il mio cervello si rifiutava di mettersi in moto. Guardai di sfuggita il calendario appeso alla parete della mia camera e rimasi un po’ delusa. Speravo che tutte le paure che avevo facessero parte del sogno.
13 agosto.
Di lì a poche ore sarei diventata la Signora Cullen. Non riuscivo ancora ad abituarmi all’idea, ma non mi dispiaceva il modo in cui il mio nome si sposava al cognome di Edward.
Tornai a fissarlo con sguardo interrogativo. Avrei voluto dirgli un milione di cose, ma grazie alla consapevolezza di avere a disposizione l’eternità per farlo sussurrai soltanto:
«Può baciare la sposa.»
Edward non se lo fece ripetere due volte e posò con entusiasmo le labbra fredde sulle mie. Ricambiai con trasporto, desiderosa di provare un po’ di sollievo dopo una notte di tormento.
Erano passati tre anni da quando stavamo insieme ed era incredibile come ogni sua carezza, ogni suo tocco, ogni suo bacio...Mi scaldasse il cuore come la prima volta.
Dopo un periodo di tempo che mi parve troppo breve Edward si staccò e mi sussurrò all’orecchio parole che conoscevo fin troppo bene:
«Mi avete stregato anima e corpo e vi amo, vi amo, vi amo. E da ora in poi non voglio più separarmi da voi... ». Fu a quel punto che credetti che il mio cuore stesse per esplodere.
I minuti trascorsi con Edward furono solo una piccola tregua prima della ripresa dell’incubo. Quando, dopo aver sceso le scale, trovai Alice che mi aspettava sulla porta, mi domandai perché mi fossi fatta convincere a non celebrare il mio matrimonio a Las Vegas.
«Ciao Bella!», mi salutò allegra.
«Ciao Alice», ricambiai, ma il mio saluto parve più che altro un lamento funebre.
«Sei pronta?»
No. Non ero pronta a sentirmi strapazzata come una Barbie. Pregavo che Alice avesse almeno mantenuto la promessa di invitare solo gli amici e i parenti più stretti.
Chissà se Jacob sarebbe venuto.
Mi limitai a fissarla con aria scoraggiata, trovando la forza di muovermi solo nel momento in cui Edward mi strinse forte la mano.

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Capitolo 3
*** Nightmare ***


CAPITOLO 3 - NIGHTMARE
La paura che avevo avuto quella notte era nulla in confronto a quella che provai nei minuti successivi all’arrivo di Alice. Tutto scorreva veloce davanti ai miei occhi e faticavo a tenere lo sguardo puntato sulla piccola vampira: ero troppo impegnata a stringere con frenesia qualunque cosa potesse darmi una sensazione di sicurezza.
«Alice,io mi devo sposare!» dissi senza un filo di voce e con la gola secca. «Temo che di questo passo non arriverò intera all’altare».
Mi ero ripromessa di soddisfare i capricci di Alice, ma a quel punto stava proprio esagerando.
Nonostante tutti i tentativi di oppormi, pochi minuti prima mi aveva obbligata a separarmi da Edward e a sedermi accanto a lei nello stretto abitacolo della sua Porche tirata a lucido.
«Salvami», avevo sussurrato ad Edward quando avevo capito che non sarebbe venuto con noi. Lui mi aveva guardata divertito e mi aveva risposto:
«Tranquilla Bella, sei in buone mani. Avrete la casa libera: ci sono ancora alcune cose da sistemare e avrò bisogno dell’aiuto degli altri. A più tardi.» E così, dopo avermi dato il più dolce dei baci si era dileguato nella foresta.
Temevo che il piccolo piede di Alice fosse incollato all’acceleratore, perché durante tutto il tragitto la macchina non rallentò neanche per un istante.
«Oh , rilassati per favore. Non è colpa mia se tu dormi secoli, Bella Addormentata. Siamo incredibilmente in ritardo e abbiamo molto lavoro da fare. Poi mi sembrava giusto che tu provassi questo gioiello: devo solo ringraziare te se adesso posso sfruttare tutti i cavalli di un motore…». Cominciò a illustrarmi tutte le potenzialità dell’automobile, ma la interruppi quasi subito, stizzita.
«Alice, ascoltami bene. Ti giuro che questa è l’ultima volta…».
Non feci in tempo a terminare la frase. Alice scese rapidamente dall’auto che nel frattempo si era fermata e corse ad aprirmi la portiera.
«Tre minuti e cinquantotto secondi. Niente male come tempo se rapportato al tragitto. Grazie a te, Bella, il mio nome potrebbe entrare a far parte del guinness dei primati»
«Sì, come primo caso di vampiro ucciso da un umano».
Lei scoppiò a ridere e mi trascinò per un braccio. Ci avviammo verso la grande casa bianca e il pensiero che quella sarebbe diventata anche la mia dimora mi fece un certo effetto. Attraversammo il salone deserto, salimmo le scale e raggiungemmo l’enorme bagno in cui Alice teneva tutti i suoi strumenti di tortura, che quel giorno erano anche più numerosi del solito.
«Hai mai pensato di aprire un salone di bellezza? Molte persone sarebbero liete di essere tormentate al posto mio», la provocai.
«Sicuramente i miei clienti mi sarebbero più grati», disse continuando a sorridere, imperturbabile. «Ma vedrai, dopo le mie cure mi sarai riconoscente come loro»
Non so quanto tempo passò prima che riuscissi a sfuggire dalle grinfie di un’Alice più eccitata del solito. Dopo quelli che mi parvero secoli, però, potei finalmente vedere il risultato di tanto lavoro.
«Ero convinta di essermi svegliata. Evidentemente, invece, sto ancora dormendo e la fase rem non si è ancora conclusa».
Alice ridacchiò soddisfatta e fissò con orgoglio la mia figura riflessa nello specchio. Per una volta mi sentii davvero…bella. Certo, non ai livelli di Rosalie e dei suoi fratelli, ma in quei frangenti non mi sembrò più di essere goffa ed insignificante.
Il lungo vestito bianco creato dalla mia stilista personale scivolava morbido sul mio corpo, lasciando scoperto solo il mio collo bianchissimo e le eleganti scarpe bianche che avevo ai piedi. Il viso mi appariva diverso, cambiato. Non era il volto di una diciottenne appena diplomata desiderosa di divertirsi dopo mesi di tensione e di studio. Aveva un non so che di maturo e deciso. I capelli erano raccolti in un’elegante acconciatura, da cui sfuggiva solo una ciocca ribelle.
Alice si avvicinò a me e mi pizzicò il dorso della mano.
«Ahi!»,esclamai. Lei sorrise.
«Lo vedi anche tu, non stai dormendo.» Mi prese per mano e mi portò con sè alla finestra. Proprio in quel momento un raggio di sole si fece largo tra le nuvole plumbee, ridando colore e vita all’uggiosa cittadina di Forks. In lontananza,non fu difficile percepire lo scroscio del mare in burrasca.
Alice esitò un attimo prima di continuare.
«Questo è un nuovo giorno, l’inizio di una nuova vita. Le tenebre hanno finito di oscurare il sole, che d’ora in poi non smetterà di riscaldare i freddi abissi del mare».
Abbracciai forte la mia futura cognata, mentre sentii una lacrima di felicità scorrermi lungo la guancia. Temetti di essermi rovinata il trucco, ma come al solito Alice era stata previdente usando cosmetici resistenti all’acqua.
«E’ quasi ora. Vado un attimo a ritirare il tuo bouquet. Prendo la macchina, così non potrai correre all’aeroporto».
Mi sorrise di nuovo e scivolò aggraziata fuori dalla stanza.
Ancora scossa, mi riavvicinai alla finestra. Una nube scura stava per oscurare il sole di nuovo. Rabbrividii e d’istinto mi voltai. Se avessi già stretto tra le mie mani il bouquet che Alice stava andando a prendere mi sarebbe caduto per la sorpresa e il terrore.

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Capitolo 4
*** Jane ***


CAPITOLO QUATTRO
Più volte, in passato, i sogni erano stati per me fondamentali per comprendere la realtà. Solo una notte di sonno, congiunta all’aiuto di Jacob, mi aveva permesso di capire a che cosa fosse dovuto lo strano comportamento di Edward. Allo stesso modo, una bella dormita mi aveva consentito, l’anno successivo, di svelare il segreto che il mio migliore amico non poteva svelarmi. Mai, però, mi era capitato di avere un sogno premonitore.
Con occhi sbarrati, fissai la creatura che avevo di fronte, convinta di essermi addormentata di nuovo in attesa di raggiungere l’altare.
«Ciao Bella», mormorò Jane con voce suadente e un sorriso inquietante.
Sul momento tacqui. Rigida come un pezzo di legno, mi sforzai di respirare e di trovare la forza di risponderle.
«Ciao Jane». Non era difficile percepire il terrore che rendeva la mia voce fioca e debole.
«Che cosa ci fai qui?», dissi con un po’ più di convinzione. Non dovevo darle la soddisfazione di cogliere una paura che era difficile celare.
«Questa tua domanda mi sorprende», rispose lei, tranquilla. «Sai che giorno è oggi?», proseguì.
Lo sapevo anche troppo bene.
«E’ il tredici di agosto».
«Bene, vedo che non hai perso completamente la memoria». La fissai con sguardo interrogativo.
«Sai cosa significa questo, Bella?»
“Significa che tra poco mi devo sposare” avrei voluto risponderle.
Di fronte al mio silenzio non esitò a dare una risposta alla sua domanda.
«E’ passato più di un anno da quando Edward ha stretto un patto con Aro e con tutti noi. Aro, però, in quell’occasione si è mostrato stato troppo ingenuo e si è lasciato abbindolare dalle visioni imperfette di Alice.»
Vide la mia espressione perplessa e cercò di essere più chiara.
«Era sicuro che saresti stata trasformata poche ore dopo il nostro ritorno in Italia, il mese scorso».
Un lampo illuminò il buio che regnava nella mia testa. Alice era convinta che le cose sarebbero andate diversamente nella radura. Non aveva previsto che avrei rifiutato l’allettante proposta di Edward, desideroso di esaudire solo i miei desideri.
Deglutii, ancora incapace di parlare.
«Invece eccoti qui, più viva e vegeta che mai». Il tono di disprezzo con cui pronunciò quelle parole mi nauseò.
«Ero convinta che fossimo stati chiari l’anno scorso», proseguì spietata.
«I Volturi non danno una seconda possibilità».
Il suono di quelle parole riecheggiò nella stanza. Mi sentii male, ma mi sforzai di rimanere lucida.
Dopo secondi che mi parvero interminabili una voce debole e affranta riuscì ad uscire dal mio petto e i miei sforzi di dare una parvenza di sicurezza furono vanificati.
«Ti prego, non fare del male ad Edward».
Jane scoppiò a ridere. Ma era una risata crudele, sadica.
«Se proprio insiti…Sono certa che ad Aro dispiacerebbe sprecare il potere eccezionale di Edward. Non so per quale motivo prova un certo interesse anche nei suoi confronti, ma dato che giustizia va fatta…». Gli occhi neri come la pece a quel punto si illuminarono di una luce sinistra. «…Possiamo raggiungere un compromesso».
Jane si fece improvvisamente pensierosa mentre io a stento trattenevo le lacrime.
«La tua vita in cambio dello sbaglio commesso da Edward. Mmm…Non male come idea».
Avrei dovuto sobbalzare udendo che la mia morte era ormai imminente, ma mi sentivo stranamente sollevata.
«Aspetta però prima di prendere qualunque decisione», disse. «Vorrei fare le cose per bene. A quanto pare Aro ci tiene a mantenere buoni rapporti con Carlisle. Quindi, se per te non è un problema, sarebbe meglio non rendere note le ragioni della tua improvvisa scomparsa ai membri della sua famiglia». A quel punto mi sorse un dubbio. Ero certa che Alice avrebbe visto i piani di Jane e Edward avrebbe percepito i suoi pensieri. Un improvviso terrore si impossessò di me. Il ricordo del dolore inferto ad Edward dalla spietata vampira apparve limpido nella mia mente e mi fece rabbrividire.
Non volevo che Alice e suo fratello venissero coinvolti. Solo io ero la fonte di tutti i mali, di tutti i problemi. Ero io la sola a dover pagare.
Jane parve comprendere le ragioni della preoccupazione facilmente leggibile nei miei occhi e parlò senza esitazione.
«Tranquilla, loro non sanno nulla. Edward è lontano a sufficienza da non riuscire a percepire i miei pensieri. Poi hai visto con che facilità i nuovi nati hanno saputo raggirare il potere di Alice il mese scorso. Pensi che io sia meno abile di loro nel neutralizzare le sue capacità?».
«No», risposi con una voce improvvisamente fredda, distaccata. «Ma come pensi che riuscirò io a fare altrettanto? Alice capirà tutto…». “E sarà la fine”, pensai tra me.
«Questo sta a te, Bella». Il sorriso spietato ricomparve sulla sua bocca perfetta e assassina.
«Dovrai impegnarti parecchio, ma sono sicura che non mi farai litigare con Aro per aver eliminato anche Edward». Sussultai udendo quelle parole.
«Ci vediamo in Italia tra tre giorni, a mezzogiorno in punto. Non ti concedo un istante di più».
Non appena terminò la frase si dileguò nell’ombra, lasciandomi in preda alla disperazione.
La tensione e l’ansia non esitarono ad sgorgare dal mio cuore, che batteva ancora solo per miracolo, e calde lacrime cominciarono a uscire da occhi che avevano visto troppo. Smisi di piangere solo quando mi resi conto che quella mia debolezza avrebbe potuto essere fatale per me e per Edward. Alice non avrebbe tardato a ritornare e a capire che qualcosa che non andava.
Mi sforzai di costruire nella mia testa una storia che avrebbe convinto me, Alice ed Edward che mi recavo in Italia per motivi diversi da quelli effettivi. Tutto ciò che mi veniva in mente, però, implicava la sofferenza di Edward.
Una grossa lacrima solcò il mio viso quando mi resi conto di quello che stavo per fare, ma ormai avevo deciso. Nella speranza di abbindolare anche Alice, cercai di ingannare me stessa pensando che stavo compiendo un passo avventato sposandomi quel giorno e che avevo bisogno di altro tempo per riflettere.
Con calma, cominciai a togliermi quel meraviglioso abito bianco che non avevo avuto la possibilità di usare. Andai in camera di Alice e lo appesi nel suo armadio, ove sarebbe rimasto chiuso per sempre, insieme alle mie speranze e ai miei sogni infranti.

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Capitolo 5
*** Wound ***


Grazie a tutte per i commenti. Farò il possibile per l'happy ending!^^ C'è una piccola novità. Per ogni capitolo, d'ora in poi, scriverò un pezzettino di una canzone che mi sembra adatta allo svolgimento della trama!^^ Un bacione a tutte!

CAPITOLO 5
I'll be there till the stars don't shine
Till the heavens burst and
The words don't rhyme
And I know when I die, you'll be on my mind
And I'll love you - Always
Always,Bon Jovi


Uscii dalla stanza e cominciai a percorrere il lungo corridoio che conduceva alle scale. Il mio passo si fece sempre più lento finchè, barcollante, fui costretta a fermarmi. Mi sedetti per terra appoggiando la schiena contro il muro e strinsi le ginocchia al mio petto lacerato.
Le ferite guarite a fatica si erano riaperte e bruciavano come non mai.
Non so quanto tempo rimasi in quella posizione. Ad un certo punto, sperai che il fuoco che mi distruggeva a poco a poco, incenerendo il mio fragile cuore, lo riducesse in polvere prima dell’arrivo di Edward.
Improvvisamente, spinta dalla forza della disperazione, decisi di ascoltare l’impulso che mi suggeriva di alzarmi in piedi e di tornare sui miei passi. Superai la camera di Alice, impugnai la maniglia e dischiusi l’elegante porta che mi trovai davanti.
Il bellissimo letto di ferro battuto che Alice aveva sistemato nella camera di Edward per il nostro “pigiama party” era ancora lì. Mi appoggiai allo stipite della porta per sorreggermi quando mi resi conto che la vista mi si stava offuscando.
Mi sforzai di non ricordare la notte in cui Edward era riuscito a strapparmi la promessa di sposarlo, ma la vista dei due candidi guanciali posti l’uno accanto all’altro mi costrinse ad immaginare come sarebbe stata la mia vita insieme a lui.
Improvvisamente, mi accorsi che avevo cominciato a correre. Mi precipitai giù dalle scale e spalancai la porta di ingresso della bellissima casa in cui non sarei mai più entrata. Non guardavo dove andavo, perciò inciampai. Inspiegabilmente, però, non caddi.
Le braccia marmoree di Edward si strinsero attorno a me, impedendomi di finire con la faccia per terra. Non ebbi il coraggio di sollevare lo sguardo mentre parlò.
«Mi spiace che all’ultimo momento tu abbia deciso di armarti di jeans e maglietta e di fuggire a Las Vegas. Comunque non importa, me ne farò una ragione». La voce divertita con cui pronunciò queste parole era coperta da un sottile velo di preoccupazione.
Tenni la fronte ancora abbassata. La vista dei suoi occhi caldi e pieni d’affetto probabilmente mi avrebbe uccisa. Lui proseguì con naturalezza.
«Bella, devi fare in fretta. Fra poco più di un’ora avrà inizio la cerimonia».
Devi fare in fretta.
Il suono di quelle parole rimbombò nella mia testa e mi stordì. Solo di fronte ad un ennesimo silenzio Edward mi permise di rimettermi in piedi e mi sollevò il mento, scrutando il mio volto.
Non era difficile immaginare cosa vide.
La sua espressione, inizialmente tranquilla e rilassata, mutò in un arcobaleno di emozioni. Stupore, Preoccupazione. Tormento. Tristezza. Dolore.
«Bella…». Esitava.
«Hai cambiato idea?», disse con voce affranta.
Non sapevo cosa fare. La parte meno nobile di me mi suggeriva di confessargli tutto, di alleviare il peso incredibile che mi portavo dentro. Ma io dovevo salvarlo. Era il minimo che potessi fare per lui.
Perciò, mi preparai ad estrarre quel pugnale invisibile che gli avrebbe inferto una ferita che probabilmente lo avrebbe accompagnato per l’eternità.
Misi una mano in tasca, pronta a colpire una vittima innocente.

                                                                             *   *   *

Quando soffermai il mio sguardo sulla figura perfetta di Edward tutta la forza che a fatica avevo saputo trovare si dileguò in un lampo.
Edward era di una bellezza sconvolgente.
L’elegantissimo smocking grigio scuro che indossava faceva risaltare per contrasto la sua carnagione diafana. I capelli che contornavano il volto, spesso scompigliati, erano perfettamente pettinati.
Avevo combattuto con tutte le mie forze per non posare il mio sguardo triste sui suoi occhi dorati e sicuramente pieni di dolore…Ma non ce l’avevo fatta. Per un istante, mi persi nella loro incommensurabile profondità, desiderando che quello che avevo di fronte fosse il principe azzurro venuto a svegliare la sua Bella addormentata da un oblio tormentato da incubi.
Solo la sua voce vellutata e nuovamente composta mi riportò alla realtà.
«Bella, ti prego, rispondimi».
Non era difficile capire che si stava sforzando in tutti i modi di celare la delusione cocente che certamente provava.
Nonostante fossi in uno stato di dormiveglia, nella notte più lunga del mese precedente avevo colto buona parte del confronto tra Edward e Jacob nella tenda.
«E se dovesse preferire me?», aveva detto Jacob con tono di sfida.
«La lascerei andare».
«Punto e basta?», aveva proseguito Jacob, incredulo.
«Sì, nel senso che non le mostrerei mai quanto mi farebbe soffrire…».
«Edward…». Non mi ero accorta che calde lacrime avevano ripreso a rigarmi il volto.
Attese che proseguissi, paziente.
«Io…Non…Non sono certa di aver fatto la scelta giusta».
Vedevo il pugnale invisibile conficcarsi nel suo cuore, che non avrebbe più smesso di sanguinare.
Il viso di Edward non faceva trapelare alcuna emozione. Poco prima, vedendomi, lo stupore che lo aveva colto gli aveva quasi fatto infrangere la promessa che aveva fatto a se stesso e di cui aveva condiviso il peso con Jacob, ma adesso era di nuovo quieto, rassegnato.
«Edward…Ho…Ho deciso di frequentare un anno di università», riuscii a sussurrare tra i singhiozzi.
«…Ho bisogno di…riflettere…E di stare lontana da Forks per un po’».
Abbassai di nuovo lo sguardo: la sua espressione fredda come il ghiaccio mi raggelava il cuore.
«Quindi…Andrò in Italia. Frequenterò…La Normale di Pisa».
Mi stavo comportando in modo spregevole. Non solo lo stavo lasciando poco prima che i suoi sogni si realizzassero, ma stavo approfittando anche del denaro che sicuramente aveva speso per farmi ammettere in una delle università più rinomate del mondo.
Provai un forte senso di nausea mentre una fitta acutissima mi dilaniava il petto. Ma d’altronde come avrei potuto giustificare altrimenti la mia partenza improvvisa per una terra tanto lontana e pericolosa?
Mi riscossi solo quando sentii le dita fredde di Edward sollevarmi di nuovo il viso. Si avvicinò, e con le sue labbra di marmo mi asciugò le copiose lacrime che mi scendevano lungo le guance.
Avevo la dolorosa consapevolezza che quella probabilmente era l’ultima volta in cui potevo averlo così vicino. Ma per un attimo il suo profumo inebriante e il suo tocco dolce mi fecero sentire meglio, al sicuro. Il mio cuore cominciò a battere forte.
Edward si scostò e mi guardò con tenerezza. Sembrava stranamente sereno.
“No, ti prego” gli urlava il mio inconscio. “Non lasciarmi andare, non arrenderti, combatti!”.
Ma le mie erano grida che forse solo il mio assassino avrebbe sentito.
«Edward…Perdonami. Lo so…E’ orribile da parte mia comportarmi così…lasciarti a un passo dall’altare». Mi mancò la voce.
Cercò di interrompermi, ma proseguii con improvvisa decisione.
«Vorrei chiederti un favore, però, se non è troppo». Le parole che stavo pronunciando mi suonavano stranamente, dolorosamente familiari…
«Tutto quello che vuoi», disse calmo.
«Qualunque cosa accada, qualunque cosa decida di fare…Non fare nulla di insensato o stupido.».
Edward mi si avvicinò ancora.
«Te lo prometto».
Mi prese il viso tra le mani, con delicatezza e con cautela. Probabilmente temeva che mi dileguassi all’improvviso, volando lontano con la mite brezza d’agosto.
«Bella…Finchè l’ultima stella brillerà in cielo, finchè il sole sorgerà per l’ultima volta…Io sarò qui ad attendere il tuo ritorno».
«Edward, non bisogna sfidare gli astri in questo modo. Icaro cercò di raggiungere il sole e pagò con la vita la sua caparbietà», sussurrai. Presi le sue mani, che sfioravano delicatamente le mie guance, e le strinsi forte nelle mie per l’ultima volta.
«Addio, Edward. Nonostante tutto, credimi se ti dico che ti amo».
Mi voltai e cominciai a correre, tenendo stretto il pugnale invisibile tutto sporco di sangue.

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Capitolo 6
*** Run ***


CAPITOLO 6
Oh how I wish
for soothing rain
all I wish is to dream again.
My loving heart
lost in the dark,
for hope I’d give my everything.
Nemo, Nightwish


Non mi fermai finchè non mi mancò il fiato. Avevo solo una vaga idea di dove mi trovassi. La vegetazione, fittissima nella zona di bosco in cui ero giunta, non lasciava trapelare un raggio di quella poca luce che riusciva a farsi spazio tra le nuvole.
Mi sdraiai a terra, esausta. Le gambe mi facevano male, ma il fastidio che sentivo era nulla in confronto al dolore penetrante che mi squarciava il petto. Restai con la faccia rivolta a terra per diversi minuti, non pensando a nulla. La voragine che il ritorno del mio Romeo aveva colmato si era riaperta e bruciava.
Un lieve tremito di paura mi scosse quando sentii qualcosa muoversi tra gli alberi. Allora, riuscii a trovare la forza di proseguire.
Bella, devi fare in fretta.
La voce di Edward mi rimbombò nella testa fino a stordirmi.
Camminai apparentemente senza una meta, ma dopo circa mezz’ora il fogliame che mi circondava si diradò finchè sbucai in un prato vicino a casa.
Dovevo parlare con Charlie. La cosa mi metteva a disagio, ma mi sentii quasi sollevata al pensiero di aver già fatto il discorso più difficile.
Cercai di aprire la porta d’ingresso, ma era chiusa a chiave. Solo allora mi resi conto che il matrimonio sarebbe dovuto iniziare già da mezz’ora.
Mentre riflettevo sulla cosa migliore da fare sentii una macchina frenare.
Mi voltai e vidi l’auto della polizia di mio padre. Charlie aprì la portiera e, sceso dalla macchina, mi guardò incredulo.
«Bella, si può sapere che cosa è successo? Perché sei conciata così?», disse. Non sembrava furioso come mi sarei aspettata.
Solo allora mi guardai e mi resi conto di avere gli abiti imbrattati di terra. Sentivo la gola bruciare, quindi deglutii prima di cominciare a parlare.
«Papà…Io…Ho cambiato idea». Charlie mi fissò con occhi sbarrati.
«Bella…Stai scherzando?»
«Non sono mai stata più seria in vita mia».
«Ma…Ma come? Pensavo che Edward fosse tutto ciò che desideravi».
«Non…Non ne sono più così sicura».
Entrambi non sapevamo più cosa dire. Il silenzio regnò sovrano per un minuto buono. Fui io a parlare per prima.
«Ho deciso che frequenterò l’università. Non voglio compiere passi affrettati».
Charlie sorrise appena. Sapevo che l’idea non gli dispiaceva affatto.
«Sono contento che tu abbia deciso di agire in modo più razionale».
Presi fiato prima di rispondere.
«Parto subito, papà. Vado in Italia. Sono stata accettata all’università di Pisa».
La luce che poco prima aveva illuminato gli occhi di Charlie si spense all’improvviso.
«Oh, congratulazioni», si limitò a dire. Dopo qualche secondo mi si avvicinò lentamente e mi abbracciò.
«Sei sicura, Bells?». Sospirai.
«Sì, papà».
«Voglio che tu sia felice, Bella. Questo e tutto ciò che mi importa».
«Grazie». La voce mi si mozzò in gola. Mi resi sempre più conto che mentre tutti cercavano in ogni modo di costruire la mia felicità, io facevo di tutto per distruggere la loro.
«Vado a prendere le mie cose», dissi non appena una piccola goccia di pioggia toccò la mia pelle ghiacciata.
Mi liberai dall’abbraccio e corsi in camera mia. Sul letto c’era una valigia che attendeva solo di essere chiusa. Qualche ora prima, infatti, avevo impilato con ordine tutti i vestiti che mi sarebbero serviti durante…La mia luna di miele con Edward.
Sopra a tutto, c’era la camicetta blu che lui tanto adorava. La presi e la gettai per terra in un impeto di disperazione.
“Calma Bella”, dissi a me stessa. “Non puoi permetterti di comportarti da bambina. Devi essere forte”.
Cercai di fare mie parole che mi sembravano difficili da accettare. Poi mi cambiai, indossando gli unici vestiti rimasti nell’armadio. Prima di uscire con la valigia in mano, guardai la mia camera per l’ultima volta.
In quella stanza lasciavo una parte di me. Le tende ingiallite appese alla finestra erano impregnate del soave profumo della mia infanzia, in cui solevo trascorrere le vacanze estive a Forks con papà.
Allora odiavo quella piccola, piovosa cittadina che in quel momento mi sembrava occupare il centro del mondo, del mio mondo.
Mai mi parve più bello quel semplice letto su cui una creatura divina si era più volte adagiata al fianco di una vittima inerme del suo fascino e della sua dolcezza.
Mi avvicinai alla testata e sfiorai con nostalgia il morbido guanciale che avevo inumidito di lacrime nel lungo periodo in cui, con la scomparsa di Edward, si era dissolta anche la mia più importante ragione di vita.
Il ciondolo a forma di cuore che ancora era legato al mio polso si fece improvvisamente pesante quando mi resi conto che la sveglia appoggiata sul comodino segnava già le due del pomeriggio.

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Capitolo 7
*** Bye ***


CAPITOLO 7
Remember when we used to look how
sun set far away?
And how you said: "this is never
over"
I believed your every word and I
quess you did too
But now you're saying : "hey, let's
think this over”…
Tallulah, Sonata Arctica


Charlie fu previdente nell’aspettarmi in cima alle scale per portare la mia valigia. Non penso che altrimenti sarei uscita di casa con le mie gambe.
Il telefono e il campanello suonarono quasi contemporaneamente.
«Bella, vai tu ad aprire». Charlie scomparve in cucina.
Spalancai l’uscio di casa e guardai sbigottita il nostro visitatore: mai mi sarei aspettata di trovarmi di fronte Jacob. Solo in quel momento mi resi conto di quanto mi fosse mancato. La preoccupazione per la salvezza di Edward aveva fatto passare in secondo piano tutto il resto.
Era passato più di un mese dall’ultima volta in cui avevo visto Jake. Dopo la nostra definitiva…separazione a casa sua lo avevo sentito solo una volta al telefono. Per la prima settimana non era stato rintracciabile in alcun modo. Avevo provato a telefonargli più e più volte, ma Billy mi rispondeva sempre che suo figlio era fuori e che non sapeva quando sarebbe tornato. L’avevo pregato di farmi richiamare a qualunque ora del giorno e della notte, ma il mio telefono era rimasto muto per diverso tempo. Si era fatto vivo una decina di giorni più tardi, assicurandomi di stare bene, poi più nulla. Io ero troppo codarda per chiamarlo di nuovo. Ed ora eccolo sulla porta di casa mia, elegante come non mai e con un sorriso smagliante sul viso.
Ero piacevolmente stupita. Jacob sarebbe venuto al mio matrimonio.
«Ciao Jake», sussurrai.
Invece che rispondere al mio saluto, mi strinse a sé in uno dei suoi tipici abbracci da orso.
«Oh Bella, non sai quanto mi hai reso felice oggi».
«Jake, Jake…Non riesco…A respirare!».
«Scusa». Mollò un po’ la presa, ma non mi lasciò andare.
«Chi…Ti ha detto…Cosa?», domandai senza fiato.
«Ho incontrato…Edward».
Lo abbracciai ancora più forte, nel tentativo di non cadere a pezzi.
«L’ho incrociato a pochi passi da casa sua. Sembrava…Afflitto, e nel timore che ti fosse successo qualcosa mi sono fermato per chiedergli che cosa non andasse».
Di fronte al mio silenzio proseguì imperterrito e spietato.
«Non è stato molto esauriente nella spiegazione. Ha detto solo: “Hai vinto Jacob Black”. Io non ho risposto nulla. Ho rimesso in moto la macchina e mi sono fiondato da te».
Era evidente la soddisfazione sul volto di Jake. Stava assaporando a pieno il gusto di una vittoria che ignorava di non aver conseguito.
In quel momento mi resi conto di non potermi paragonare in alcun modo ad Elizabeth Bennet. Lei aveva infranto, rifiutandolo, solo le speranze del Signor Darcy. Io, invece, stavo per far male a più di una persona.
«Jake…Le cose non stanno esattamente così».
Jacob mi guardò perplesso.
«Ah no?». Le sue grandi mani, avvolte intorno alla mia vita, cominciarono a tremare debolmente.
«Io…». Mi mancavano la voce e le parole.
«Ho bisogno di riflettere».
Jacob tentò di darsi un contegno prima di rispondere. Ci riuscì solo in parte.
«Bella, si può sapere cosa succede?». Mi si raggelò il sangue mentre Jake mi prese per le spalle e mi scosse.
«Un mese fa confessavi di amarmi sognando la nostra vita insieme. E ora che finalmente hai superato l’unico ostacolo alla nostra felicità…Tu mi dici che devi riflettere?».
Come dargli torto? Come mentirgli ammettendo che tutto ciò che gli avevo detto era falso? Come ingannare lui e me stessa?
Dovevo trovare il modo. Altrimenti, per Edward, sarebbe stata la fine.
Mi concentrai su di lui mentre mi costrinsi a pronunciare parole sferzanti, crudeli.
«Pensi che sia facile convivere con creature…Non umane? Non credi che una scelta del genere necessiti di un minimo di riflessione?».
Il dolore disegnato sul volto di Jacob mi ferì nel profondo. Come potevo fargli questo?
Trattenni a stento le lacrime mentre proseguii, crudele.
«Jake, ho paura di finire come Emily». Non osai guardarlo mentre pronunciavo quelle parole.«Non voglio rovinare la mia e la tua esistenza».
Jacob mi lasciò andare. Era…Colpito, addolorato.
Afferrando la valigia, superai lentamente lo stipite della porta, dandogli le spalle.
«Scusami Jake, mi dispiace tanto».
Feci qualche passo e con gli occhi gonfi mi voltai per guardarlo per l’ultima volta. Non c’era più.

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Capitolo 8
*** Irina ***


CAPITOLO 8
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart - the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak

Amaranth, Nightwish

Non appena Charlie mise in moto la macchina accesi l’autoradio e alzai il volume.
Non me la sentivo di parlare. Temevo di esplodere da un momento all’altro.
Mi sentivo un mostro. Come avevo potuto usare parole tanto dure con Jake? Dove avevo trovato la forza di spezzare il cuore di Edward? Il mio era stato davvero un colpo basso per entrambi.
Tuttavia, non potevo permettere che nessuno dei due, non convinto dalle mie parole, mi seguisse o facesse qualcosa per fermarmi. Le lancette dell’orologio continuavano a scorrere, lente e inesorabili.
Persa nei miei pensieri, mi parve che il viaggio fosse durato solo pochi minuti quando Charlie si fermò.
«Siamo arrivati, Bells», disse senza entusiasmo.
Scendemmo dall’auto e lo aiutai a portare i miei inutili bagagli. Non appena le porte scorrevoli dell’aeroporto di Seattle si aprirono davanti a noi decisi che era giunto il momento di salutare anche papà.
«Ok…Allora…Io vado», dissi esitante.
Charlie mi sorrise mestamente.
«Ciao Bella, mi mancherai».
Mi abbracciò, e io colsi l’occasione per asciugare sulla sua maglia una lacrima traditrice.
«Anche tu papà».
Sciolsi l’abbraccio e presi il carrello con le valigie.
«Mi raccomando, prenditi cura di te», proseguii. «E salutami Renèe».
Non avevo avuto neppure il coraggio di telefonarle per salutarla. La sua perspicacia, durante il mio viaggio in Florida con Edward, mi aveva disarmata. Mi ero ripromessa di stare più attenta a confidarmi con mia madre in un’occasione futura.
«Tornerai presto a trovarmi, vero?», si lamentò Charlie.
Lo stomaco mi si annodò mentre mi sforzavo di risultare credibile nel pronunciare l’ennesima bugia.
«Farò il possibile, te lo prometto».
Mi voltai e sentii l’ennesima fitta di dolore non appena distolsi lo sguardo dal volto affranto di mio padre.
Mi diressi lentamente verso il banco del check-in per chiedere informazioni. Mi sentivo un po’ disorientata: Alice aveva sempre provveduto a procurare i biglietti aerei anche per me e non sapevo esattamente cosa dovessi fare. L’impiegata che mi ritrovai di fronte mi guardò con aria annoiata.
«Salve. Dovrei arrivare al più presto a Firenze. Lei può…»
«Isabella Marie Swan?», disse con una voce nasale assolutamente insopportabile.
La fissai perplessa prima di rispondere.
«Sì…Ma lei come…»
«Un suo parente, suppongo, ha provveduto alla prenotazione e al pagamento dei biglietti. Può darmi per favore i suoi bagagli?».
Probabilmente Charlie aveva chiamato l’aeroporto mentre lo attendevo in macchina. Non potevo infatti credere che la gentilezza di Alice si spingesse fino a questo punto.
«Sa per caso chi ha…»
«Sono spiacente, ma dato che ogni giorno sento per telefono centinaia di voci proprio non ricordo quella di chi ha chiamato per lei».
Le lanciai un occhiataccia prima di estrarre dalla borsa il portafoglio. Dopo averle mostrato il passaporto, mi porse frettolosamente biglietto e carta d’imbarco.
«Buon viaggio e buona giornata», gracchiò prima di lasciarmi andare.
Poco più di un ora dopo una hostess mi dava il benvenuto sull’aereo. Mi sforzai di sorriderle e andai alla ricerca del mio posto.
Il sedile di fianco al mio era già occupato. Ma non da un passeggero qualunque. Una donna normale, infatti, non avrebbe potuto avere una carnagione tanto chiara e una bellezza così…sconvolgente.
La mia vicina di posto si voltò e i suoi meravigliosi capelli color miele sprigionarono un profumo buonissimo, che certamente non apparteneva a nessun tipo di shampoo in commercio.
Inchiodò il suo sguardo dorato su di me, prima che io, sotto shock, mi azzardassi a rivolgerle la parola.
«Tania?».
«Piacere Bella, sono Irina».
La guardai incredula prima di stringere la mano che mi porgeva. Naturalmente, era fredda come il ghiaccio.
«Ma tu…Come fai a sapere chi sono?» domandai timidamente.
«Be’, penso che tu sia l’unica umana a conoscenza dell’esistenza di Tania».
Arrossii leggermente mentre mi sforzavo di proseguire.
«Come mai da queste parti?», domandai incredula.
«Atterraggio d’emergenza. Il nostro aereo ha avuto un guasto in volo. E così eccomi qui». Sfoderò un sorriso abbagliante, che lasciò interdetto uno degli uomini che stavano passando per distribuire le bibite. Meno male che Edward preferiva le brune.
«Sei diretta a New York?», proseguii, desiderosa di non interrompere la conversazione.
«Faccio scalo lì, ma sono diretta a Volterra, in Italia».
Questa proprio non ci voleva.
E adesso? Se avesse anche solo sospettato le mie intenzioni probabilmente avrebbe fatto di tutto per fermarmi.
«E…Come mai?». Mi sembrava…Strano un viaggio del genere da parte sua.
«Vado a un funerale». Il sorriso che mi rivolse non era esattamente la reazione che mi aspettavo.
«Mi dispiace», mormorai.
«Non preoccuparti». Un nuovo sorriso si distese sul suo viso perfetto. Tacqui per qualche istante prima di riprendere a parlare. Il suo atteggiamento tranquillo e rilassato mi incuriosiva. Così, il fascino per una creatura tanto meravigliosa e rara prese il sopravvento sulla ragione, che mi suggeriva insistentemente di non pronunciare una parola di più.
«Sai, ti ammiro. Io non sarei tanto forte da mettere a tacere il mio dolore», confessai.
Irina mi voltò momentaneamente le spalle e il suo sguardo antico si posò lontano, sulle nuvole bianche che si intravedevano fuori dal finestrino. Poi, lentamente si alzò.
«Ti svelo un segreto, Bella», disse con voce vellutata. Si chinò sopra di me, scostandomi delicatamente la ciocca di capelli che mi copriva l’orecchio sinistro. Nonostante i suoi occhi dorati mi suggerissero che non avrebbe mai osato farmi del male, ero tesa come una corda di violino. Sentivo una piccola goccia di sudore freddo scorrermi lungo la schiena, facendomi il solletico.
La vampira avvicinò le sue labbra carnose al mio orecchio, dischiudendosi abbastanza da farmi sentire il suo fiato fresco sul collo.
«Da più di un secolo amo e vivo in silenzio...ma dietro ogni sorriso ho sempre celato una lacrima di dolore».
Mi superò con un movimento fluido, muovendo quelli che sembravano passi di danza. La ammirai annichilita mentre percorreva il corridoio facendosi spazio tra gli ignari passeggeri, avvolta da un fitto alone di mistero.

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Capitolo 9
*** Broken ***


Nota: posto un "extra" che descrive lo stato d'animo di Edward. E' accompagnato da una meravigliosa poesia di Neruda, secondo me adattissima al contesto!^^

CAPITOLO 9 - THE END

Qui ti amo...

Qui ti amo.
Negli oscuri pini si districa il vento.
Brilla la luna sulle acque erranti.
Trascorrono giorni uguali che s'inseguono.

La nebbia si scioglie in figure danzanti.
Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte, stelle.

O la croce nera di una nave.
Solo.
A volte albeggio, ed è umida persino la mia anima.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.

Qui ti amo e invano l'orizzonte ti nasconde.
Ti sto amando anche tra queste fredde cose.
A volte i miei baci vanno su quelle navi gravi,
che corrono per il mare verso dove non giungono.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
I moli sono più tristi quando attracca la sera.

La mia vita s'affatica invano affamata.
Amo ciò che non ho. Tu sei così distante.
La mia noia combatte coni lenti crepuscoli.
Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.
La luna fa girare la sua pellicola di sogno.

Le stelle più grandi mi guardano con i tuoi occhi.
E poiché io ti amo, i pini nel vento
vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie di filo metallico.

P. Neruda

* * *



«Edward, respira».
Cercai di obbedire ad Alice inspirando profondamente, ma poco dopo ricominciai involontariamente a trattenere il fiato. Sentivo l’aria calda di agosto bruciare nei miei polmoni ghiacciati.
Proprio al centro del petto, però, percepivo un fuoco ben più ardente, che inghiottiva a poco a poco il mio cuore lacerato.
Troppo amaro era il sapore della sconfitta. Troppo devastante era il senso di perdita che mi pervadeva.
La mia vita era finita. Punto. Il destino aveva smesso di scrivere la mia storia nel momento esatto in cui quel meraviglioso angelo triste che ora era scomparso aveva pronunciato parole per me letali.
Mi sentivo al centro esatto dell’Inferno, solo e disperato come ero stato fino a tre anni prima.
Per più di un secolo avevo fatto di tutto per rassegnarmi all'idea che per quelli come me non c’erano possibilità. Ero stato condannato ad una vita di oscurità senza fine, un abisso da cui non sarei mai più riemerso. Punto. E a capo.
Il volto candido di Bella, i suoi occhi allegri e intelligenti mi avevano regalato la dolcissima speranza di poter dare un senso alla mia esistenza.
Tutti i sogni, però, sono destinati a finire. E così il fantasma di un futuro di luce e di felicità si era dileguato proprio nel momento in cui stavo per stringerlo fra le braccia e farlo mio per sempre.
«Io esco», dissi.
Alice mi guardò con occhi carichi di apprensione.
«Torna presto», si limitò a dire.
Accostai delicatamente la porta di casa e mi dileguai nella fittissima vegetazione che adombrava con le sue fronde la mia casa, conferendole un aspetto sinistro e inquietante. Normalmente quando correvo tra gli alberi si impossessava di me un inebriante senso di spensieratezza e di libertà. Ma non quel giorno. Le catene che avvinghiavano il mio cuore erano un peso insostenibile, che mi spingeva con forza verso il basso.
Così, quando arrivai nella nostra radura mi accasciai privo di forze al suolo e chiusi gli occhi nella vana speranza di perdere i sensi.
Per la prima volta, desiderai che il terreno si aprisse sotto di me e mi inghiottisse in un lampo, regalandomi un po’ di sollievo da quel dolore che mi avrebbe afflitto fino alla fine dei miei giorni.

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Capitolo 10
*** Jacob ***


Dopo aver lasciato Bella al suo viaggio farò prendere la parola, per i prossimi due capitoli, a Leah, personaggio di cui purtroppo non si è mai parlato molto...Buona lettura!

CAPITOLO 10
As you can see, when you look at
me, I'm pieces of what I used to be.
It's easier if you don't see me
standing on my own two feet.
I'm taller when I sit here still,
you ask are all my dreams
fulfilled.
They made me a heart of steal,
the kind them bullets cannot see.
Replica, Sonata Arctica

«Jacob Black, si può sapere perché diavolo lo fai?».
Conoscevo Jacob abbastanza bene da dire che si sarebbe arrabbiato udendo le mie parole. Pazienza. I suoi ringhi sarebbero stati un suono ben più piacevole del rumoroso silenzio che regnava sovrano.
Mi guardò con aria di compatimento.
«Leah Clearwater, si può sapere perché diavolo ti comporti da stupida?».
Lo fissai a lungo con espressione imbronciata prima di rispondere.
«Jake…Non puoi correrle dietro per sempre. Mi sembra che sia stata abbastanza chiara con te ultimamente».
Il sorriso beffardo disegnato sul suo volto improvvisamente scomparve, lasciando spazio ad una smorfia di dolore e di disgusto. Dopo qualche secondo si riscosse e parlò con disprezzo.
«Mi sembrava che anche Sam fosse stato abbastanza chiaro con te, Leah, e invece continui a sbavargli dietro da povera illusa quale sei. Strana cosa l’amore, eh?».
Guardai fuori dal finestrino dell’aereo, voltandogli le spalle. La rabbia che istantaneamente provai presto cedette il posto ad un sentimento di fervida compassione.
Sì, strana cosa l’amore. Quel sentimento tanto dolce aveva un retrogusto terribilmente amaro, che a fatica riuscivo a tollerare.
Sospirai. Era inutile negare ostinatamente a me stessa che Jake aveva ragione.
Tacqui per qualche minuto, ma poi trovai la forza di perdonarlo e di rispondergli. Sapevo che l’amore era un sentimento irrazionale e che come tale spesso spingeva a pronunciare parole insensate, che spesso fluivano involontariamente fuori dalle labbra e dal cuore.
«Ma come hai potuto comportarti così con Billy? Ti rendi conto di quanto sarà in ansia per te? Hai preso tutti i soldi che c’erano in casa e sei sparito! Oltretutto», mi interruppi per riprendere fiato «Si può sapere perchè hai chiesto proprio a me di accompagnarti? Non eri assolutamente convinto che fossi solo una ragazza sciocca e intrattabile?». Finalmente fui io a metterlo a tacere.
Riflettè qualche istante prima di rispondermi. La sua espressione seria e pensierosa mi ricordava tantissimo Sam quand’era preoccupato.
«Mi sbagliavo, scusami». Per qualche strano motivo, le sue parole mi fecero più piacere di quanto avrebbero dovuto. Automaticamente gli sorrisi.
«Non preoccuparti. So cosa provi». Avrei voluto abbracciarlo e consolarlo silenziosamente, ma la ragione mi spinse a trattenermi.
Il silenzio sopraffece nuovamente le nostre voci. Solo un nome aleggiava nell’aria e si insinuava prepotentemente nei pensieri di Jacob e nella mia testa dolente: Bella.
Anche e migliaia di metri dal suolo riuscivo a percepire la sua presenza. Possibile che tutti si preoccupassero per lei? In fin dei conti non aveva nulla di speciale. Non era eccezionalmente bella, né particolarmente simpatica, né straordinariamente intelligente.
Mi rodeva ammetterlo, ma evidentemente doveva avere qualcosa di unico: una persona normale non sarebbe mai riuscita a stregare contemporaneamente un vampiro e un licantropo.
Guardai Jake e mi intristii. Lui, così solare, così pieno di vita, sembrava precipitato in un baratro senza fine. Chissà se prima o poi sarebbe riuscito a salvarsi e a vedere di nuovo la luce del sole. Il pensiero di non poter rivedere mai più il suo meraviglioso sorriso mi provocò una fitta allo stomaco. Com’era possibile che Bella facesse del male a chiunque incontrasse?
Una voce gracchiante ci annunciò che eravamo giunti all’aeroporto di Firenze. La tristezza si dileguò dal volto di Jake, che si fece improvvisamente ansioso.
«Comicia ad alzarti Leah. Dobbiamo andare.».
Dovevamo proprio? Avrei voluto pregarlo di tornare a casa e di cercare di andare avanti come se nulla fosse successo, ma i miei pensieri rimasero muti.
Scendemmo dall’aereo quasi correndo. Io stavo al passo di Jake, che con la sua mole imponente riusciva a farsi spazio tra la gente che lo fissava perplessa e inquietata. Non sapevo però se ciò che sconcertava molte persone fosse la sua incredibile statura o l’indescrivibile espressione che stravolgeva il suo volto.
Sentivo in lontananza un odore acre che mi stuzzicava le radici. Probabilmente Bella Swan, che ormai era a pochi metri di distanza da noi, aveva portato con sé quel profumo dolcissimo, tipico dei succhiasangue, che accresceva ad ogni passo che facevo il mio mal di testa.
Confusa e disorientata, la causa di tutti i problemi di Jacob si voltò di scatto. Per la prima volta da quando la conoscevo provai un senso di sincera compassione per Bella Swan.

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Capitolo 11
*** Cruel ***


CAPITOLO 11

Love's the funeral of hearts
And an ode for cruelty
When angels cry blood
On flowers of evil in bloom

Funeral of hearts, HIM


 

Quando fummo a poco più di un metro di distanza da Bella sentii il mio sangue esageratamente caldo gelarsi nelle vene. Non poteva essere.

Gli occhi grandi e tristi che di fronte a me fissavano il vuoto erano solcati da due profonde ombre violacee, che contrastavano in modo evidente con la carnagione chiarissima. Mi stupii di non provare repulsione fisica, oltre che psicologica e morale, per la creatura spregevole che mi trovavo di fronte. Quel giorno Bella sembrava proprio un vampiro.

Senza parole, fissò a lungo il pavimento prima di degnarci di uno sguardo. Sperai che le piastrelle sotto i suoi piedi si dileguassero e che il vuoto la inghiottisse, facendola scomparire per sempre.

Poi, finalmente, quell'inestinguibile fonte di dolore smise di mordersi il labbro inferiore ed emise una voce cupa, metallica.

«Jake, che cosa ci fai qui?». L'assoluta mancanza di riguardo nei miei confronti mi indispettì ancora di più.

Jacob sorrise.

«Me lo chiedi anche?».

Di fronte al suo silenzio, Jake le si avvicinò, stringendole le grandi mani bollenti attorno ai polsi. Istintivamente, feci un passo indietro, mentre un brivido fastidioso scivolò lungo la mia schiena.

«Bella, smettila di fingere. Ho capito tutto».

Lei sollevò lo sguardo, fissandolo con occhi carichi di apprensione. Non mi sfuggì la sua espressione sconcertata e terrorizzata.

«C-cosa hai capito?».

Jake inspirò profondamente prima di riprendere a parlare.

«Mi hai mentito. Ti conosco meglio di quanto tu stessa ti conosca e lo sai». Si interruppe un attimo. Scorsi uno strano luccichio sulla guancia di Bella prima di tornare a guardare Jake.

«I tuoi sentimenti nei miei confronti non possono essere cambiati. Non posso credere che tu abbia deciso seriamente di chiudere in uno sgabuzzino la possibilità di vivere felici...insieme. Bella,». Jake le scostò una ciocca di capelli che le copriva viso, tempestato da quelli che sembravano piccoli diamanti lucenti.

«Dimmi la verità. Dopo il nostro ultimo incontro ho riflettuto ininterrottamente per circa un'ora su quello che mi hai detto e, incapace di prestarvi fede, ti sono corso dietro nella speranza che ti rimangiassi tutto».

Bella si passò una mano sul viso e sembrò sforzarsi nel tentativo di darsi un contegno. Dopo qualche interminabile secondo rispose con voce stranamente calma, utilizzando parole caute e ponderate.

«Jake, io non ti ho mai mentito. Non mi rimangio nessuna delle parole che hai udito il mese scorso. Vedi...», deglutì. «Credimi se ti dico che vorrei renderti felice. Sei una persona meravigliosa e ti meriti tutto l'amore di questo mondo». Mi trattenni dal tirarle un pugno su quella bocca menzognera.

«Ma...Non posso. Ho già violato troppe volte le leggi della natura. E' meglio non approfittare troppo della sua pazienza».

Un'improvviso tremore scosse Jake, che strinse i polsi di Bella con forza ancora maggiore. Sembrava incredulo.

«Maledizione, Bella, smettila! Sei stata per tre anni insieme ad un dannatissimo succhiasangue e adesso fai la santarellina dicendo che bisogna fare solo ciò che è giusto e razionale?».

Non ascoltò la mia preghiera di abbassare la voce.

«Tu non sei la Bella che ho conosciuto. Che ne hai fatto di lei?», disse con tono rabbioso. «Restituiscimela!».

Bella non si sforzò più di contenere le lacrime.

«Jake, lasciami, mi fai male!», gemette. «Ti prego, Jacob, vattene».

Lui stupito di fronte a tanta noncuranza per i propri sentimenti, la lasciò andare. Lei si tolse uno dei due braccialetti che aveva al polso destro e glielo porse. Riconobbi il ciondolo che Jake aveva intagliato con tanto amore qualche tempo prima.

«Tieni Jake, questo è tuo. Dimenticami e non cercarmi mai più, te ne prego».

Né a me né a Jacob sfuggì il grosso cuore di ghiaccio che ancora abbracciava la sua pelle diafana.

Jake riprese il suo braccialetto, ma con esso non recuperò il pezzetto del suo cuore che le aveva donato. Bella recuperò i suoi bagagli e si voltò, esitante.

«Grazie per tutto quello che hai fatto per me, Jake. Non lo dimenticherò mai. Addio».

Un foglio appallottolato le scivolò dalla tasca mentre si allontanava. Percepii ancora quel nauseante odore dolciastro.

Jacob si fiondò subito fuori dall'aeroporto, dileguandosi in un piccolo bosco vicino.

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Capitolo 12
*** Last dawn ***


Dopo i due capitoli narrati dal punto di vista di Leah, torna a raccontare Bella,che ci terrà compagnia fino alla fine!:) Buona lettura!

CAPITOLO 12

Frozen inside without your touch
Without your love, darling
Only you all the life upon the die
All of this I, I can't believe I couldn't see
Kept in the dark, but you were there in front of me
I've been sleeping a thousand years it seems
Got to open my eyes to everything
Without a thought, without a voice, without a soul
Don't let me die here, there must be something more
Bring me to life...
Bring me to life, Evanescence

 

Ero sicura di sognare. Il vestito che mai mi sarei sognata di indossare nel ventunesimo secolo mi suggeriva che mi trovavo in una situazione irreale.
Il sole declinava e io correvo. Verso dove? Non lo sapevo.
Non ricordavo il mio nome. Non sapevo cosa stessi facendo e soprattutto perchè.
La landa desolata che stavo attraversando, però, fece sorgere in me un dubbio. Ero forse ripiombata nei panni di Elizabeth? Forse. In quel momento non mi importava.
In effetti, la protagonista di Orgoglio e Pregiudizio, afflitta e pentita per la risposta repentina e avventata data all'uomo che non si era resa conto di amare, passeggiava per qualche tempo nella fredda brughiera prima di rincontrare Darcy e legarsi a lui per sempre.
La luce si faceva sempre più fioca, ma mi sforzai comunque di scorgere anche un minimo movimento nella fitta vegetazione che interrompeva la piatta campagna inglese.
«C'è qualcuno?», domandai, improvvisamente inquieta. L'unica risposta che ricevetti fu l'ululato del vento.
Ammaliata dal fascino misterioso di quel bosco mi addentrai tra le fronde degli alberi. Il crepuscolo stava cedendo il posto ad una notte buia e senza luna. Rabbrividii, incapace di orientarmi nella fitta oscurità che mi avvolgeva. Mi rendevo perfettamente conto che era inutile proseguire, perciò mi fermai. Mi sedetti ai piedi di un grande albero, sola e infreddolita. Ma qualcosa si mosse tra le tenebre. Impietrita, mi strinsi le ginocchia al petto. Avevo cominciato a tremare.
Quando mi parve di sentire un tocco freddo sul collo mi svegliai di soprassalto, con la fronte bagnata di sudore.
Per un attimo, non capii dove mi trovassi. Il comodo letto su cui ero sdraiata non mi era affatto famigliare. Le pareti, tinte di un giallo pallido, non rievocavano alcun ricordo.
Un lampo di lucidità illuminò per un attimo la mia memoria. La sera precedente, esausta per le infinite ore di viaggio, avevo chiesto ospitalità presso un hotel di Volterra.
La consapevolezza di essere giunta a destinazione si impossessò di me in un baleno. Sentii il bisogno di prendere una boccata d'aria.
Uscii sul piccolo balconcino della stanza, respirando a pieni polmoni la frizzante brezza mattutina.
In lontananza, il cielo si stava tingendo di rosso. Attesi con pazienza l'alba: per me, quel giorno, il sole stava sorgendo per l'ultima volta.
Fasci di luce dorata illuminarono il cielo, solleticando con il loro calore la cittadina ancora addormentata. Poco dopo, il sole vinse l'oscurità con tutto il suo splendore, illuminando il mio viso pallido e stanco, su cui quei tiepidi raggi non avrebbero più brillato dopo quel giorno.
Con calma, mi vestii e mi pettinai. Non era necessario uscire così presto. Sapevo di essere in anticipo. Pensai alla foga con cui ero corsa incontro a James, tanto tempo prima, e sorrisi. Contro ogni logica ero evidentemente ansiosa di sfidare la morte, sebbene fossi consapevole del fatto che non avrei mai potuto vincerla. In fin dei conti, non ero un'eroina delle fiabe.
Alla reception, pregai di chiamare un taxi. Il portiere di notte, che a breve avrebbe finito il suo turno, mi guardò perplesso prima di esaudire la mia richiesta.
Dopo pochi minuti, una Volvo bianca si fermò davanti alla hall dell'albergo. Il mio stomaco ebbe un sussulto.
Il viaggio fu breve. Pagai il tassista e mi diressi a passo sicuro verso il mio vestibolo.
Attraversai la grande piazza che poco più di un anno prima avevo percorso di corsa nonostante fosse gremita di gente. Quel giorno, invece, solo una anziana mendicante era seduta sul bordo della grande fontana che si trovava al centro. Incuriosita e desiderosa di alleviare la fame che certamente l'attanagliava mi avvicinai, mettendo una banconota nel piccolo bicchiere che stringeva tra le mani.
Sentii un borbottio sommesso prima di distinguere parole che mi colpirono e mi toccarono nel profondo.
«È l'amore, non la ragione, che è più forte della morte.Non dimenticarlo,cara».
Coperto da un cappuccio nero, non riuscii a scorgere il suo viso.
“Lo farò, lo prometto”, pensai.
Mi concentrai con tutte le mie forze per cercare di ricordare il punto in cui si trovava la porta del palazzo da cui io, Edward e Alice eravamo usciti incolumi l'anno precedente. Avventurandomi tra i vicoli ancora debolmente illuminati che circondavano il palazzo dei Priori mi trovai improvvisamente di fronte ad una pesante porta di legno, che interrompeva le fila perfette di mattoni che componevano le antichissime pareti del palazzo.
Inspirai profondamente e la spinsi. Stranamente la porta era aperta.
Mi ritrovai in un corridoio angusto, su cui si affacciava soltanto la porta di un ascensore. Premetti un pulsante, mettendo in moto il mio mezzo di trasporto verso l'inferno.
Due porte di metallo si dischiusero davanti a me, lasciandomi passare. Soltanto un altro pulsante mi separava dalla mia meta. Lo premetti, contando mentalmente gli ultimi secondi di vita che mi rimanevano. Stranamente mi sentivo tranquilla. Sapevo che qualcosa nella mia testa non funzionava.
Quando una voce gracchiante mi annunciò che avevo raggiunto il secondo piano sbucai in quella che sembrava l'anticamera di un ufficio di lusso. Dietro all'alta scrivania di mogano lucido un tempo occupata da Gianna, trovai un'altra ragazza altrettanto carina. Elegantissima, aveva lunghi capelli castani e occhi grandi ed espressivi. Mi salutò con un calore che contrastava in modo evidente con la freddezza della stanza.
«Benvenuta, sono Alessandra. Posso esserti d'aiuto?»
Appena aprii la bocca per risponderle una grande porta dorata si aprì. Ne uscì Felix che sorrise ad Alessandra prima degnarmi della sua attenzione. Lei contraccambiò con un cenno della mano. Sperai sinceramente che i Volturi la risparmiassero. Ebbi la sensazione che in un altro contesto saremmo potute diventare buone amiche. Felix posò il suo sguardo felino su di me.
«Bella, sei in anticipo».
«Lo so», risposi con freddezza.
«Seguimi», ordinò.
Attraversammo interminabili corridoi prima di raggiungere la stanza circolare in cui l'anno prima ero entrata abbracciata ad Edward. Il mio stomaco sussultò, mentre sentivo l'adrenalina bruciare vene. In lontananza, mi parve di sentire un ringhio sommesso. Evidentemente, la paura che segretamente provavo mi stava facendo delirare.
Fui sicura di essere sopraffatta dalle allucinazioni nel momento in cui vidi davanti a me l'immagine sfuocata di Irina. Mi stropicciai gli occhi, distrutti dalle lacrime e dalle poche ore di riposo.
La snella figura della vampira, però, più nitida e reale che mai, non scomparve.

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Capitolo 13
*** Drop ***


CAPITOLO 13

Jar of love isn't dry until the last drop falls...
Last drop falls, Sonata Arctica

Avevo la gola secca e le orecchie che mi fischiavano. Cercai di ricompormi prima di parlare, ma il mio tentativo fallì miseramente.
«Irina?».
Purtroppo, la mia domanda era ovvia e scontata, ma non riuscivo proprio a capire come la vampira dagli occhi topazio che avevo conosciuto in aereo potesse avere a che fare con i Volturi. Ormai gli eventi si erano allontanati dalla via della logica.
Irina si limitò a sorridermi con apparente dolcezza. Era compassione quella che leggevo sul suo volto?
«C-cosa ci fai qui?».
La vampira si scostò dal freddo muro di pietra a cui era appoggiata e si avvicinò a me lentamente, camminando con una grazia sconcertante. Si fermò a pochi centimetri di distanza, inondandomi con un profumo tanto dolce da stordire. Le occhiaie che le contornavano gli occhi ammalianti erano più profonde rispetto all'ultima volta in cui ci eravamo viste. Anche le iridi erano di una tonalità più scura.
«Ma come, Bella? ». La sua mano bianchissima mi sfiorò i capelli. Mi sentivo stranamente inquieta, qualcosa in lei non mi convinceva affatto.
«Ti ho prenotato il biglietto aereo per l'Italia, ti sono stata vicino per tre giorni e tu mi ferisci così?».
Impietrita, mi allontanai impercettibilmente. Nei successivi secondi di silenzio, sperai di svegliarmi da quello che pareva un incubo senza fine. Per mia sfortuna, però, non aprii gli occhi in un letto morbido sollevata dal pensiero di aver fatto solo un brutto sogno. Gli occhi color onice di Irina mi scrutavano ancora, curiosi e venati da una nota di lieve sarcasmo.
«Stai mentendo», sussurrai. La parte razionale di me si opponeva strenuamente alle sue parole.
«Io non mento mai, Bella.».
«M-ma...Non avresti dovuto assistere ad un funerale in Italia?», le mie parole suonavano stupide e ingenue anche a me, ma non riuscii a lasciare andare il sottile filo di speranza che mi portava ancora a credere che Irina si trovasse in quella stanza maledetta per sbaglio.
La meravigliosa creatura che avevo di fronte sorrise di nuovo. Questa volta sul suo viso perfetto comparve un ghigno di crudele soddisfazione.
«Te l'ho detto, io non mento mai», distolse per un attimo lo sguardo da me prima di avvinghiare nuovamente ai miei i suoi occhi quasi neri. Non era difficile rendersi conto che ardevano per la sete..
«Presto si celebrerà il tuo funerale».
Scioccata, mossi un altro passo all'indietro, desiderosa di fuggire da un mostro dalla parvenza d'angelo.
«Spiegati», mormorai. Notai un lieve isterismo nella mia voce implorante.
«Ti ricordi di Victoria, Bella?». E come dimenticarla?
«Vedi, io sapevo quello che stava facendo prima che ti trovasse. Sapevo dei nuovi nati e di tutto il resto».
«C-cosa?Come...». Il mio cuore batteva all'impazzata. Per un attimo, temetti che mi uscisse dal petto, desideroso com'era di liberarsi da una gabbia che l'aveva tenuto prigioniero per troppo tempo.
«Laurent». Sospirò prima di proseguire. «E' vissuto con noi qualche tempo prima che...», per la prima volta la sua sicurezza disarmante parve dileguarsi.
«Si era confidato con me perché mi considerava un'amica affidabile, o forse qualcosa di più...».
Irina mi fulminò con il suo sguardo nero, riducendomi in polvere con il pensiero.
«Poi, inspiegabilmente, mi ha lasciata e un paio di giorni dopo il tuo licantropo se l'è portato via...Per sempre». Tentenno per qualche interminabile secondo.
«E questo è accaduto per colpa tua». Si morse il labbro, mostrando denti bianchissimi e letali.
«Inspiegabilmente, però, i Volturi, una volta scoperto il progetto di Victoria, sono venuti a sapere che c'era qualcuno al di fuori del suo gruppo che sapeva qualcosa di troppo. Qualche sporco traditore sapeva troppo di me. E così, una mattina Jane è venuta a farmi visita. Mi ha imposto una punizione terribile per il segreto che avevo troppo a lungo celato».
Il tiepido sole mattutino trapelò attraverso i vetri delle finestre, illuminando la fredda stanza del palazzo. La pelle diafana di Irina rifulse debolmente. Ammutolita, aspettai che proseguisse.
«Dopo tanti anni di astensione dovevo...Uccidere un umano». Nel suo umore volubile, improvvisamente mi guardò soddisfatta.
«A dispetto delle mie previsioni, però, Jane ha esaudito un mio piccolo desiderio», tacque.
«Quale?», domandai, nonostante non volessi assolutamente sentire la risposta.
«Imponendomi soltanto di pagare il mio debito qui, mi ha concesso di scegliere la mia vittima».
La vampira mosse un altro passo, avvicinando la sua bocca fatale al mio orecchio.
«Tu, Bella. Ci sono cose che il cuore non dimentica. Le conserva nel suo profondo fino al momento della vendetta, inesorabile condanna che prima o poi viene messa in atto».
Incapace di reagire al pericolo incombente, accarezzai con la punta delle dita il grosso cuore di ghiaccio che mi pendeva dal polso.
“Bella, scappa”. Il ringhio lontano che avevo percepito poco prima finalmente aveva assunto sostanza. Nella testa mi rimbombò l'unica voce che desideravo udire negli ultimi istanti della mia breve esistenza. Sentii Edward vicino, e questo fu sufficiente a dileguare gran parte della paura che, da vigliacca quale ero, mi stringeva in una morsa.
“Non posso. Ci ucciderebbero entrambi”, risposi con serenità crescente.
“NO!Bella, ti prego, non farlo”. Come faceva ad essere adorabile anche quand'era arrabbiato?
“Edward, ti amo. In una forma diversa da quella che desideravo, ti dono la mia vita”.
“Bella, non posso vivere senza di te”. La sua voce meravigliosa era ora implorante.
“Ti prego, mantieni la promessa. Quando sentirai la mia mancanza, sussurra piano il mio nome nel tuo cuore...E sarò lì. Addio.”
La voce cominciò a svanire. Mi parve di sentire un grido in lontananza, ma potevo esserne ero sicura.
Irina, ancora a pochi centimetri da me si avvicinò pericolosamente al mio collo.
«Perciò ti senti pronta?», domandò. Il pensiero volò subito al ballo della scuola di qualche anno prima, in cui avevo sperato che il sogno di restare con Edward per sempre potesse realizzarsi. Con la mia partenza per Volterra, però, avevo cancellato ogni mia possibilità di essere felice vicino al vampiro che amavo, desiderio che entro pochi secondi sarebbe stato consegnato solo al ricordo dei pochi che avrebbero saputo davvero come fossi sparita.
«Sì», sussurrai afona. Una piccola lacrima scivolò dai miei occhi avidi di cogliere l'ultimo raggio di sole.
Sentii un ululato lontano, poi il buio mi accolse tra le sue fredde braccia.

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Capitolo 14
*** White soul ***


CAPITOLO 14

 My flower, withered between
The pages 2 and 3
The once and forever bloom gone with my sins
Walk the dark path
Sleep with angels
Call the past for help
Touch me with your love
And reveal to me my true name.

Nemo, Nightwish

Finchè il buio mi tenne stretto a se, la piccola fiammella di speranza che mi portava a credere che avessi solo sognato il mio incontro con Irina rimase debolmente accesa. Poi, una folata di vento gelido la spense quando un mare di solitudine e di desolazione mi si presentò davanti agli occhi e mi permise di capire che ero davvero morta.
Camminavo scalza nella neve, indossando solo un paio di jeans e una maglietta a manica lunga.
I miei piedi scalzi, arrossati per il freddo, cominciavano a sanguinare. Faceva molto freddo: freddo nell'aria, freddo nel cuore. 
Camminavo verso il nulla, tracciando sul manto candido che si stendeva davanti a  me tante piccole macchie purpuree.
Era quella la punizione che dovevo scontare per aver superato i limiti della conoscenza umana, intromettendomi in un mondo con cui non avrei dovuto avere nulla a che fare? Era quello l'Inferno gelido e solitario in cui avrei dovuto fare ammenda per ogni secondo di luce e di calore di cui avevo goduto grazie a Edward?
Nessuno rispose alle mie silenziose domande. Il vento ululava forte, mentre soffici fiocchi di neve mi inumidivano i capelli.
Non so per quanto arrancai in quel deserto bianco. Laggiù la dimensione temporale non esisteva.
Improvvisamente, nella nebbia mi parve di scorgere qualcosa. La sagoma che intravvedevo si disegnò con maggiore precisione a mano a mano che avanzavo. Ogni passo era una sofferenza infinita.
Quando fui a pochi metri da quella piccola figura, riconobbi mia nonna Marie che mi tendeva la mano sorridendomi. Fu un sollievo vederla. Dopotutto, forse, quello era il Purgatorio.
Tuttavia, ero riluttante nel colmare la distanza che ci separava. Con quel sorriso dolce stampato sulle labbra, mia nonna voleva accogliermi nel suo nuovo mondo, una realtà di cui non mi sentivo parte.
La guardai esitante, finchè non sentii una voce che mi chiamava. Era debole, lontana, bellissima.
«Bella!», chiamava preoccupata.
Mi voltai, ma oltre la nebbia e la fitta neve che cadeva, non vidi nessuno.
Poi, tutto ciò che mi circondava cominciò a dissolversi di nuovo. Mia nonna Marie scomparve, fulminandomi con un'occhiata di delusione, e il buio mi strinse ancora forte a sé.
La voce meravigliosa che avevo sentito poco prima, ora sempre più forte e chiara, mi guidava nella dimensione dell'oblio. Cercai con tutte le mie forze di non perderla, di inseguirla.
«Bella, ti prego, svegliati! Bella, amore, apri gli occhi», urlava un angelo con voce rotta.
Sentii qualcosa solleticarmi il palmo della mano e un liquido caldo scorrermi lungo il collo. La mia bocca si opponeva a qualunque tentativo di aprirsi per rispondere alla creatura che mi stava accogliendo nel Paradiso in cui, per qualche strana ragione, ero stata catapultata.
Percepii un tocco freddo sulla guancia. Mi sforzai di reagire al torpore che mi avvolgeva e alla fine vinsi.
«Edward?», gracchiò una voce, la mia. «No, Edward! Avevi promesso!Perchè...Perchè sei qui?».
«Bella!», urlò l'angelo, ancora preoccupato. «Il mio posto è con te», sussurrò poi dolcemente.
Ad un tratto, il buio mi abbandonò e i miei occhi videro finalmente la luce. Mi trovavo in una stanza in cui ero già stata, seppure non mi fosse familiare. Edward mi guardava, con la mano tesa verso di me, mentre un grosso lupo dal pelo fulvo mi stava accanto con sguardo contrito.
Il petto mi doleva, ma il male che sentivo non aveva nulla a che fare con il dolore che mi aveva distrutta nei giorni precedenti.
«Bella», chiamò di nuovo Edward con apprensione. «Come ti senti? Il collo...Brucia?», una nota di dolore adombrò il suono perfetto della sua voce.
Mi toccai la gola con la punta delle dita, che dopo il contatto restarono bagnate. Lo sgradevolissimo odore che sentivo mi lasciava immaginare di che cosa fossero sporche. Cercai in tutti i modi di non perdere di nuovo i sensi.
«No», dissi con voce ancora secca. «Sono solo un po' ammaccata».
L'angelo sospirò sollevato, mentre il lupo guaì docilmente.
«Andiamo via di qui», disse Edward.
D'un tratto, sentii la terra mancarmi sotto i piedi. Edward mi sollevò, stringendomi tra le sue braccia di marmo.
Mentre ci allontanavamo, vidi con orrore che Alice e un altro lupo più piccolo combattevano contro la creatura che aveva causato la mia morte. Evidentemente, il destino si stava prendendo gioco di me mostrandomi come sarebbero andate le cose se il morso letale di Irina non mi avesse uccisa.
«Alice», cercai di urlare. La mia voce era debole e fioca.
Edward mi strinse ancora più forte a sé e insieme sparimmo nell'ombra.

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Capitolo 15
*** No more sorrow ***


CAPITOLO 15

I don’t wanna miss one smile
I don’t wanna miss one kiss
I just wanna be with you
Right here with you just like this
I just wanna hold you close
Feel your heart so close to mine
And just stay here in this moment for all the rest of time.

I don't want to miss a thing, Aerosmith

La pellicola di quel film fuori dal tempo, che si era interrotta nel momento in cui avevo abbandonato la stanza circolare del palazzo tra le braccia di Edward, ricominciò a scorrere quando mi svegliai nel comodo letto di quella stanza d'albergo in cui avevo trascorso -sola- l'ultima notte della mia vita.
Edward era appoggiato alla parete di fronte al letto con gli occhi socchiusi. Fissava il vuoto, assorto nei suoi pensieri. Non si accorse immediatamente che, ancora sdraiata, lo stavo guardando.
I miei occhi, avidi del suo viso d'angelo, dei suoi occhi stanchi e del suo fisico statuario, non riuscivano a staccarsi da una perfezione che appariva fin troppo irreale.
Sentii un brivido quando il suo sguardo ipnotico incontrò il mio. Edward si scostò dalla parete e mi si avvicinò lentamente. Si sedette ai piedi del letto, attento a non toccarmi.
«Come stai?», la sua voce di velluto, carica d'apprensione, mi fece sussultare. Per un momento, mi sentii ancora viva, come se i denti affilati di Irina non fossero penetrati nella mia fragile pelle donandomi un riposo senza fine.
Istintivamente, mi toccai il collo. Sentii che una crosta sottile si stava formando nel punto in cui ero convinta di essere stata morsa.
«Bene...Credo». La presenza di Edward era sufficiente ad alleviare tutti i dolori che mi martellavano il corpo. Sulle mie braccia nude notai un cerotto e parecchi lividi.
Approfittando di un breve momento di silenzio meditai sull'opportunità di seguire il copione di quello sceneggiato di cui ero un'inaspettata protagonista. Decisi di stare al gioco: in fin dei conti che cosa avevo da perdere a quel punto?
«Come posso...Essere viva?», domandai.
Lo sguardo antico e malinconico di Edward si posò lontano, trapassando le pareti della stanza e volando oltre le nuvole scure che coprivano il cielo.
I suoi occhi color onice, d'un tratto, divennero due piccole fessure quando qualcuno bussò alla porta.
Senza attendere risposta Jake entrò ansimante. Fissò interdetto Edward prima di parlare.
«Ciao Bella. Ero venuto...A vedere come stavi». Lanciò un'occhiataccia a quello che considerava un ospite indesiderato, il quale, da parte sua, non lo degnò di uno sguardo.
«Jake...Che cosa ci fai qui?». Avevo un vago ricordo di un lupo dal pelo rossiccio, ma pensavo di averlo solo immaginato. Vidi l'espressione di Jacob, da tesa e preoccupata quale era, mutare in una smorfia di dolore.
«Non che non mi faccia piacere...Ma sono sorpresa, ecco», mi affrettai a precisare.
Jake, che mentre parlavo aveva scrutato il pavimento, mi guardò sorridendo con amarezza. Il suo sguardo mi bruciava la pelle come il sole che splendeva dietro a quelle nuvole plumbee che minacciavano pioggia. Non rispose alla mia domanda.
«Be', vedo che sei in buona compagnia. Ci vediamo dopo, Bells», e uscì chiudendo la porta con po' troppa forza.
Mi dispiaceva vederlo così. Avrei voluto corrergli dietro, supplicarlo di perdonarmi, di dimenticarmi...Ma la sofferenza di Jacob, che si ripercuoteva spietata anche su di me, era una giusta punizione al mio egoismo e alla mia mancanza di responsabilità nei confronti di entrambi.
Smisi di fissare la porta chiusa quando sentii sulla guancia la mano fredda di Edward, che nel frattempo si era avvicinato. La sua espressione era impenetrabile.
«Sono io che dovrei chiederti che cosa ci fai in questo letto, viva per miracolo», sussurrò con dolcezza.
Fuori cominciò a piovere. Piccole gocce d'acqua cominciarono a picchiettare sull'asfalto rovente e sulla terra arsa dal sole. In lontananza sentii il fragore di un tuono.
«Il cielo sta piangendo quelle lacrime che non ho potuto versare nel momento in ho creduto di averti persa per sempre». La voce di Edward si incrinò quando pronunciò quelle dolorose parole.
A mia volta, gli accarezzai la guancia sinistra con il dorso della mano. Tremavo.
«Ma tu mi hai salvata ancora una volta», sussurrai per non tradire l'emozione.
«E' proprio qui che sta l'errore, Bella. Io non sarei arrivato in tempo».
La testa mi girò un poco, e le orecchie cominciarono a fischiarmi. Non poteva essere. Non volevo, non potevo essere legata a Jacob anche da un vincolo di gratitudine. Tuttavia, soltanto lui poteva essere intervenuto prima che, a causa di Irina, sprofondassi nell'oblio senza fine.
Edward sfilò dalla tasca un foglio sgualcito, su cui riconobbi una grafia piccola e disordinata. Sotto la mano ghiacciata di Edward, le mie guance si tinsero di porpora.
«Irina ti avrebbe...Uccisa se...Leah non le fosse balzata addosso prima che fosse troppo tardi. Ti ha ferita involontariamente al collo mentre cercava di separarvi».
Ero sbigottita. Leah aveva trovato la lettera di addio che non avevo mai avuto il coraggio di far pervenire ad Edward, l'aveva letta ed era corsa a salvarmi. Perchè?
Edward lesse senza difficoltà lo stupore che tormentava il mio viso.
«Ultimamente la sua disposizione d'animo nei confronti di...Jacob è cambiata un po'. Mentre lui era irrintracciabile e per te si avvicinava la fine non ha dunque esitato a recuperare un pezzetto fondamentale della vita del suo...Amico prima che fosse troppo tardi».
La sua mano fredda, che ancora sfiorava la mia guancia rovente, scivolò piano lungo il mio collo, accarezzando con delicatezza la linea del mio braccio fino ad incontrare una delle mie mani fredde.
«Perdonami Bella. Perdonami per averti esposta a tutto questo a causa del mio egoismo. Sono...Addolorato per quanto è successo, non avresti dovuto rischiare la vita per salvare un mostro».
«L'unico mostro che mi spaventa», dissi facendo una smorfia, «E' Jane. Ha approfittato dell'odio che Irina nutriva nei miei confronti per...Non doversi neanche sporcare le mani nell'atto di uccidermi».
«Esatto», mormorò Edward, apparentemente stupito. «Sapeva che Aro non avrebbe mai approvato il suo comportamento e quindi è ricorsa a questo meschino espediente».
«E...Alice?Leah?Come...Stanno?», domandai preoccupata.
«Benissimo. Jane è intervenuta non appena ce ne siamo andati. Ha richiamato tutti all'ordine e poi è sparita dalla stanza con Irina. Penso che Tania non la rivedrà mai più.», disse con voce tagliente.
«Però ti giuro, Bella, che Jane la pagherà cara, fosse l'ultima cosa che faccio».
«No, Edward, ti prego!Non ti sembra che abbiamo sfidato il destino già troppe volte?», mormorai con voce rotta.
Edward si avvicinò pericolosamente. Io mi irrigidii, scossa da un tremito.
«In effetti hai ragione. Come sempre».
Quando compresi le sue intenzioni gli posai l'indice che prima aveva accarezzato la sua guancia sulla bocca.
«Ti supplico, non farlo», supplicai tra i singhiozzi. «Sarà già abbastanza difficile sopportare la tua lontananza anche senza questo bacio. Mi reputo già abbastanza fortunata per averti rivisto un'ultima volta».
Edward mi guardò con occhi sgranati.
«Bella...Cosa stai dicendo?», una piccola macchia di dolore sporcò la sua voce di velluto.
«Probabilmente tu non lo sai, ma...La mia anima è all'Inferno, tormentata dalla neve fitta e da un freddo inestinguibile. Per qualche strana ragione, però, mi è stata data la possibilità di vedere come sarebbero andate le cose se Irina non mi avesse morsa». Una piccola lacrima mi scivolò lungo la guancia.
Edward sorrise sollevato e giocherellò con una ciocca dei miei capelli.
«E quale peccato capitale avresti commesso per trovarti lì?».
«Ho voltato le spalle all'umanità e ho infranto le leggi della natura. Ti sembra poco?». Edward tornò serio.
«Bella, se davvero ti trovassi all'Inferno probabilmente ti avrei raggiunta da un pezzo».
Non concordavo con lui, ma le sue parole mi fecero riflettere. L'avevo supplicato di non fare nulla di insensato o stupido prima della mia partenza, ma, riflettendoci, sarebbe riuscito a mantenere la promessa? La fedeltà avrebbe vinto la testardaggine?
Tentennai ed Edward se ne approfittò. Le sue mani di acciaio si strinsero attorno ai miei polsi, non permettendomi di muovermi.
«Ti prego», lo pregai ancora sebbene fossi sicura che non mi avrebbe ascoltata.
«Se fossi davvero morta, pensi che il tuo cuore batterebbe ancora in questo modo?», sussurrò con voce seducente, sentendo che il cuore mi martellava nel petto. Il suo profumo, così dolce e reale mi stava dando alla testa.
Aprii la bocca per rispondere, ma le sue labbra fredde mi impedirono di parlare, chiudendo le mie con dolcezza.
Non era giusto. Perchè Edward doveva averla sempre vinta?
La volontà di non ricambiare il suo bacio si sbriciolò al momento stesso del contatto. Quando fu sicuro che non mi sarei più opposta lasciò andare i miei polsi e avvolse le sue braccia di marmo attorno alla mia vita, stringendomi forte a sé.
Le sue labbra divennero sempre più decise. Edward mi baciò con tutto il desiderio che lo divorava, sfogando con la passione il dolore e la preoccupazione che lo avevano tormentato nei giorni passati.
Dopo un periodo di tempo che mi parve troppo breve si staccò e io appoggiai la testa sulla sua spalla.
«E ora», sussurrò al mio orecchio mentre mi accarezzava i capelli, «se non ti dispiace ti aiuterò a fare i bagagli. Il tuo abito bianco ha già aspettato fin troppo».

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Capitolo 16
*** Mrs. Cullen ***


EPILOGO
Because days come and go, but my feelings for you are forever...
Forever, Papa Roach

«Bella, ho dimenticato una cosa di sopra. Vedi di non farti rapire da qualche strana creatura mentre vado a recuperarla».
«Ok, ci proverò», promisi.
Alice lasciò il salotto fluttuando, bellissima nel suo abito chiaro, e salì di corsa le scale. Perchè solo io dovevo avere qualche problema con i tacchi?
Mi sedetti esausta sul divano, attenta a non sgualcire il meraviglioso vestito che Alice aveva disegnato per il mio matrimonio.
Di scatto, però, mi rialzai. Ebbi la strana sensazione che mancasse qualcosa. Cercai negli arredi del salotto di casa Cullen, festosamente addobbato per l’occasione, la risposta al mio silenzioso interrogativo.
Quando i miei occhi si posarono sulla composizione floreale sistemata sul pianoforte mi resi conto che l'incubo si stava ripetendo: mancava il bouquet.
«Alice!», chiamai con voce lamentosa.
Tacqui quando sentii il campanello suonare. Mi avvicinai con cautela alla porta, temendo che si trattasse di Edward: lo sposo non poteva vedere l'abito della sposa prima del matrimonio. Secondo molti portava sfortuna e noi ne avevamo già avuta abbastanza.
Tuttavia, la figura esageratamente alta che si intravvedeva attraverso il vetro opaco della porta non poteva essere quella di Edward. Ebbi un tuffo al cuore.
Aprii la porta lentamente, pregando con tutte le mie forze che il mio inaspettato visitatore avesse un'espressione diversa rispetto a quella dell’ultima volta in cui l'avevo visto. Non meritava altro dolore.
Quando vidi Jacob, vestito in modo impeccabile e con il mio bouquet in mano, ricordai il nostro ultimo incontro a casa mia. Allora, non credevo che l’avrei rivisto di nuovo.
Gli sorrisi timidamente e lui ricambiò.
«Ciao Jake», dissi in un sussurro.
«Ciao Bella». Tacque. Sembrava in difficoltà con le parole.
«Be’, lo so che l’aggettivo è riduttivo, ma…Sei bellissima». Sentii le mie guance avvampare.
«Grazie. Come mai da queste parti?». Cercai di prendere tempo prima di affrontare l’argomento che premeva ad entrambi.
Mi porse il bouquet, abbozzando un altro sorriso.
«Mmm…Un uccellino mi ha raccontato le tue recenti disavventure con i bouquet e quindi ho pensato di non fare cosa sgradita andando a prendertelo di persona».
«La novità degli uccelli parlanti dovrebbe stupirmi?».
Jacob si fece improvvisamente serio. Era giunto il momento che avevo tanto temuto.
«Bella, non avresti dovuto agire in maniera così avventata scappando in Italia. Avremmo potuto trovare una soluzione…Insieme».
«E permettere che Edward morisse?». Notai una lieve nota di isterismo nella mia voce. Cercai di ricompormi.
«Scusami Jake, non ce l’ho con te. Sono solo un po’…Stanca».
Jacob accarezzò la cicatrice bianca che Leah mi aveva involontariamente provocato nel tentativo di salvarmi da Irina.
«Stai tranquilla, capisco benissimo. Anzi, sono io che dovrei chiederti scusa per la mia testardaggine. Avrei dovuto comprendere le tue intenzioni già molto tempo fa. La mia corsa in Italia è stato…Uno stupido atto di presunzione». Mentre parlava abbassò lo sguardo. Mi immaginai soltanto il luccichio che mi sembrò di scorgere nei suoi occhi?
« Jake…». Cercai di celare il lieve tremore che tradiva il mio dispiacere per ciò che era accaduto.
«Se tu non mi avessi raggiunta in Italia…Sarei sicuramente morta. Ancora una volta, la tua ostinazione mi ha salvata». Mi sforzai di riempire le mie parole di gratitudine.
«Grazie Jake. Mi dispiace che questa misera parola sia tutto ciò che ti posso dare in cambio della vita che mi hai restituito, ma è sincera».
Rimasi piacevolmente colpita dalle mie parole. Pronunciate con calma e con rinnovata sicurezza, non mi avevano provocato quella disperata tristezza che avevo provato tante altre volte parlando con Jacob dopo aver fatto la mia scelta.
Jacob mi sorrise (forzatamente? Non seppi dirlo.) e mi prese la mano destra, baciandola delicatamente.
«Il tuo ringraziamento è meno misero di quanto possa sembrare, Bella. Mi basta. Davvero».
La risolutezza che poco prima era giunta in mio aiuto cominciò ad abbandonarmi poco a poco.
« Potrai mai perdonarmi per quello che ti ho fatto?», dissi d’un fiato.
« L’unica cosa di cui dovrai farti perdonare se non ci diamo una mossa sarà il tuo ritardo al tuo matrimonio».
Dopo tanto tempo, vidi Jacob ridere di nuovo. Gli sorrisi di rimando, sorpresa per la sua reazione alle mie parole.
Dietro di me sentii un lieve fruscio e Alice mi fu accanto. Sorrisi di nuovo di fronte all’incredibile differenza d’altezza tra lei e Jacob.
« Jacob», salutò Alice con un cenno.
« Alice», rispose Jake tranquillo.
« Andiamo», suggerii io.
Jacob mi porse il braccio e accanto ad un’Alice trepidante come non mai ci dirigemmo verso la Mercedes di Carlisle, al cui interno ci aspettava Jasper, comodamente seduto al posto del conducente.

***



Quando il portone della piccola chiesa in cui io ed Edward ci saremmo sposati si aprì mi mancò il fiato. Charlie mi strinse forte la mano, consapevole dell’arcobaleno di emozioni che mi avvolgeva il cuore.
«Andiamo», mi sussurrò mio padre, porgendomi il braccio.
Lentamente, cominciammo ad attraversare la navata centrale. Ai nostri lati una trentina di persone ci guardava. Notai con piacere che Edward aveva mantenuto la promessa di invitare solo pochi amici intimi.
All’ingresso notai tutti i miei amici di scuola: Tyler, Eric, Mike (gli unici imbronciati), Angela, Ben, Jessica e persino Lauren.
Subito davanti a loro scorsi con sorpresa alcuni dei ragazzi di La Push: Quil, Embry, Seth e naturalmente Jacob, in piedi di fianco a Leah, che lo teneva per mano. Notando quel piccolo gesto cercai di non abbandonarmi a speranze vane, ma in cuor mio augurai a Jake tutta la felicità che io non avevo potuto offrirgli.
Vicino all’altare, belli come un sogno, quasi tutti i Cullen mi guardavano raggianti. Persino Rosalie sorrideva timidamente.
Di fianco a loro mia madre mi salutò con un lieve cenno della mano. Aveva gli occhi lucidi, ma ignorava il fazzoletto che Phil le porgeva.
Notai altri visi più o meno noti, ma quando vidi Edward che mi aspettava accanto al prete non mi importò più di nient’altro.
Emanava un’aura di serenità e di soddisfazione contagiante. Lo guardai nei suoi splendidi occhi dorati, mentre sul suo volto si disegnò un sorriso sghembo tanto bello da fermare il cuore.
La musica che aveva accompagnato l’ingresso mio e di mio padre in chiesa cessò, e la chiesa si riempì della voce profonda del prete.
Le frasi si susseguivano veloci, ma io ascoltavo appena, pronunciando ogni tanto le parole che mi avevano raccomandato di dire.
Ad un tratto sentii un tocco freddo sulla mano sinistra. La voce morbida di Edward mi svegliò dal torpore e dallo stato di incredulità in cui mi trovavo.
«…Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Sorrise pronunciando le ultime tre parole. Il prete lo guardò perplesso, mentre io, incapace di alzare lo sguardo, sentivo che due grosse lacrime di gioia minacciavano di rovinarmi il trucco.
Con voce rotta, pronunciai a mia volta le promesse di matrimonio, mentre la mano ghiacciata di Edward mi accarezzava la guancia, cancellando quelle che sarebbero state le mie ultime lacrime.
«Mi basta», sussurrò Edward con dolcezza mentre il prete aveva ripreso a parlare.
«Per sempre», gli risposi sorridendo.

***



«Aspetta».
«Arrivo subito, Edward. Vado a togliermi questa tenda,così sarò più comoda».
«Alice potrebbe offendersi sentendoti».
Edward salì i pochi gradini che conducevano al piano superiore di casa sua e mi strinse forte a sé.
Era il crepuscolo e il silenzio che nuovamente regnava sovrano in casa Cullen dopo il banchetto di festeggiamento era rotto solo dalle nostre parole.
«Prima che ti cambi mi piacerebbe andare in un posto. », aggiunse educato.
«Andiamo», gli dissi prendendolo per mano. Scendemmo le scale di corsa non richiudendo nemmeno la porta di casa. Il caldo afoso che ci aveva tenuto compagnia durante tutte la giornata, finalmente, si stava dileguando, sospinto via da una lieve brezza di fine estate.
Improvvisamente Edward si fermò, allargando le braccia. Probabilmente si accorse del mio sguardo interrogativo e preoccupato, perché subito aggiunse:
«Non posso portarti in spalla con quel vestito».
«Io l’avevo detto che sarebbe stato meglio toglierlo».
Un paio di secondi più tardi, Edward stava sfrecciando tra le fronde degli alberi.
Mi sentivo…Leggera, come non lo ero mai stata. Passammo attraverso una radura e il sole che declinava lentamente dietro l’orizzonte illuminò la fede d’oro che le mani sicure di Edward avevano infilato poche ore prime al mio anulare. Io, goffa e impacciata anche nel giorno del mio matrimonio, avevo avuto qualche difficoltà in più.
Alzai gli occhi, per guardare il volto perfetto di Edward. Sembrava…Pensieroso. Avrei dato qualunque cosa per sapere che cosa gli stesse passando per la testa.
«Ormai penso che tu abbia capito dove stiamo andando, ma preferirei che chiudessi gli occhi».
Obbediente, mi abbandonai al buio, rabbrividendo di tanto in tanto per la frescura che ormai stava avvolgendo il bosco.
Ad un tratto Edward si fermò, deponendomi delicatamente a terra.
«Ora apri gli occhi».
Solo una volta la radura era stata più bella di allora: quando un leone pazzo e masochista aveva preso in disparte uno stupido agnello, succube del fascino di quella magnifica creatura, confessandogli un amore che sarebbe durato per sempre.
Edward mi accompagnò al centro esatto del meraviglioso cerchio ancora illuminato da sole ed entrambi ci sedemmo sull’erba, tra cui spuntava qualche fiore tardivo.
Il suo profumo straordinariamente buono rendeva quel quadretto di bellezza e serenità ancora più perfetto.
«Come state stasera mia cara?», disse il mio Darcy guardando lontano.
Decisi di stare al gioco.
«Molto bene, ma vorrei che non mi chiamaste "mia cara"». Sorrise.
« Che appellativo dovrei usare?»
«Fatemi pensare…"Bella", quotidianamente. "Mia perla", la domenica. E "beltà divina", nelle occasioni speciali». Edward si fermò, incatenando il suo sguardo dorato ai miei occhi castani.
«E come dovrei chiamarvi quando sono arrabbiato? "Signora Cullen"?»
«No. No. Chiamatemi signora Cullen solo quando siete completamente, perfettamente e ardentemente felice».
« E come state questa sera... Signora Cullen? ». Mi baciò la mano.
« Signora Cullen...». Il polso.
«Signora Cullen...». La spalla.
«Signora Cullen...». Il collo.
«Signora Cullen…». Le labbra.

 Spero che vi sia piaciuta almeno un po'!^^ Alla prossima!

 

 

 

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