An alternative FTale

di Nani9610
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** premise ***
Capitolo 2: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Scontri ***
Capitolo 4: *** Tempo al tempo ***
Capitolo 5: *** Due bagni al prezzo di uno ***
Capitolo 6: *** regola n°1: gli opposti si attraggono. Sempre. ***



Capitolo 1
*** premise ***


Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita,
 perché a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire.
Samuel Johnson



 

Devon Parker Scott, veniva da una cittadina minuscola e invisibile sull’atlante, situata a sud dell’Inghilterra. Figlia del conte Nicholas Parker e di Miss. Agatha Scott, era destinata a diventare qualche cosa di grande. Una lady, una contessa o addirittura una regina ( dopotutto era anche lei in linea di successione al trono). Devon già da piccolissima aveva iniziato a sopportare il peso della sua famiglia senza mai deluderla. Lezioni di portamento, di dizione, scuola di ballo, pianoforte, violino e canto per affinare le arti. Una bambina prodigio che nel corso del tempo, di anno in anno, diventò bella come un fiore, ma, come tutti i fiori prima o poi quella bellezza è destinata a sparire, ed ecco che Devon, sempre più spesso, iniziò a mostrarsi indisponente, spesso apatica a tutto ciò che le veniva ordinato, irriverente, occasionalmente non consona all’ambiente in cui si trovava e questi comportamenti andarono peggiorando con l’arrivo dei suoi tanto attesi 19 anni. Quella era l’età giusta per iniziare a scorrere al lista dei buoni partiti. Nel frattempo però, mentre la giovane duchessa con noia e repulsione sfogliava le foto di tutti i possibili pretendenti, dall’altra parte del mondo, ad esattamente 5.178,59 miglia, alle 10 di mattina, un ragazzo si stava preparando per partire e prendersi una pausa dopo la premierre del suo ultimo film. Josh era nato a Union  ma ormai erano anni che viveva a Los Angeles con la sua famiglia. Recitava da sempre e amava farlo, qualsiasi fosse il ruolo. Si impegnava e dava il 200%, metteva l’anima in tutto ciò che faceva e adesso quell’anima, la stava impiegando tutta per riuscire a piegare una semplicissima camicia. Non sarebbero mai potuti esistere due ragazzi più diversi se così si può dire. Da una parte Devon, una giovane duchessa in età da marito, con la voglia di regnare sotto i piedi e dall’altra, Josh, un giovane attore ambizioso, pieno di energia e talento che si preparava per le sue imminenti vacanze. 






BUEEEEENOOO (?) ok, allora, premesso che:

  1. questa è in assoluto al prima FF che scrivo su Josh. Era da un pezzetto che volevo provarci e così mi sono decisa a scrivere.
  2. sto ancora scrivendo diversi capitoli, perciò scusate se non aggiornerò regolarmente ( prometto che impegnerò a farlo)
  3. vi prego, vi scongiuro, non siate troppo cattive come ho già detto questa è la mia primissima FF.
  4. che dire, se volete recensire o se avete commenti e suggerimenti sono bene accetti. per ora questa è soltanto l'introduzzione.
P.S. grazie a coloro che leggeranno e continueranno a farlo e grazie comunque anche a quelli che inizieranno ma non finiranno.
STARK


 

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Capitolo 2
*** Un nuovo inizio ***


It's a new world, It's a new start 
It's alive with the beating of young hearts. 
It's a new day, It's a new plan 
I've been waiting for you 
Here I am. Here I am.

Bryan Adams 





Non era riuscita ad addormentarsi prima delle sei per finire l’ultimo capitolo e puntualmente appena si era messa comoda una voce petulante ma ancora lontana le impediva di lasciarsi abbandonare totalmente alla braccia di Morfeo. Si rigirò nuovamente su di un fianco e nascose la testa sotto il cuscino per non sentire più niente, ma, ogni sforzo fu vano. Sua madre entrò come un razzo nella sua stanza aprendo le tende e facendo filtrare un fastidiosissimo raggio di sole che andò a posarsi proprio sul viso pallido di Devon costringendola quasi a soffocarsi per impedire il passaggio ad un qualsiasi raggio di luce.

M. Devon! Alzati immediatamente!

In tutta risposta la giovane duchessa mugugnò qualche cosa di indecifrabile anche al più esperto studioso di lingue antiche.

M. HO DETTO ALZATI! Muoviti ho delle grandi novità dobbiamo partire immediatamente per Londra sbrigati! Devon alzati!
Dopo un monologo da parte di Miss Scott e dopo un serie di versi irripetibili finalmente Devon disse qualche cosa di sensato facendo affiorare la sua vera essenza.

D: sta zitta! zitta, zitta, zitta! mi sono addormentata due ore fa!
M: come sarebbe a dire due ore fa!? perché!?
D: stavo…
M: leggevi ancora non è così!? e di grazia quale stupido volume di tuo interesse ti ha rubato così tante ore di sonno?!

Non le diede nemmeno il tempo di rispondere che ai piedi del letto vide un volume grosso come un elenco del telefono ricoperto da un copertina nera dove spiccava particolarmente il titolo scritto in caratteri cubitali. Si affrettò a prenderlo in mano e lanciarlo sul letto con disgusto per poi iniziare a blaterare cose senza senso con una voce così stridula in grado di istigarti al suicidio.

M: ancora con questa storia Devon?! Hunger Games non è un volume adatto ad una lady! Devi leggere cose adatte ad una ragazza! non Harry Potter, il signore degli anelli o Eragon! Non sono cose per te!
D. preferiresti un figlia ignorante?! Bene se è questo quello che vuoi!
M: io voglio che tu ti vesta e che indossi l’abito blu con al giacca bianca e le perle!
D. perché mai dovrei?!
M: oggi conoscerai il tuo futuro marito! Perciò sbrigati!
Da quando in qua Devon aveva un futuro marito?! Aveva iniziato a sfogliare la lista dei pretendenti e dei possibili partiti soltanto ieri pomeriggio! Come poteva essere già  promessa a qualcuno?!
D: il mio futuro marito!? E quando l’avrei scelto?!
M: l’ho scelto io per te! Ora vestiti e andiamo!
D: non avevi il diritto!
M: non avevo il diritto?! IO sono tua madre e ho tutti i diritti del mondo su di te!

Uscì sbattendo la porta e lasciando Devon senza parole. Come poteva sposare un uomo che non amava? Rimase tra le sue coperte ancora per un po’ per poi destarsi e accontentare la madre. “ prima o poi avrei dovuto farlo comunque” si disse per confortarsi.

*

Nel frattempo sopra la sua testa volava un aereo con a bordo un giovane. Un ragazzo dai lineamenti decisi e dal sorriso spontaneo che adesso se la dormiva beatamente attendendo l’atterraggio all’aeroporto di Londra. Josh si era imbarcato diverse ore prima da LA con lo scopo di regalarsi qualche mese di vacanza. Voleva staccare la spina per un attimo, un solo attimo per poter respirare e sentirsi libero da tutto. Voleva solo essere Josh e quale posto migliore poteva esserci di Londra? E chi lo sa, magari questa volta avrebbe anche trovato quel qualcosa che gli mancava ma che neanche lui sapeva che cosa fosse. Si svegliò sorridendo. Il solo pensiero di potersi sentire completo lo rendeva euforico. Si sistemò meglio sul suo sedile e iniziò a guardare sotto di lui. Stava sorvolando un’immensa quantità d’acqua interrotta da qualche piccola macchia verde che secondo lui poteva corrispondere ad una qualche isola misteriosa. Iniziò a fantasticare su di un’ipotetica popolazione gaelica nascosta al resto del mondo e che soltanto lui  era riuscito a scoprire. E se fosse mai stato vero? Se ci fosse riuscito sul serio a scoprire qualche cosa di ignoto al resto del mondo proprio come Connor? Tutte le sue domande furono interrotte dalla voce del capitano che avvisava di allacciarsi le cinture e di prepararsi all’atterraggio. In un attimo tutti i punti di domanda che aveva in testa svanirono e furono presto sostituiti dall’immagine di Londra sotto di lui. Era sempre stato attratto da quella città anche se ne ignorava il motivo. Attese qualche altro momento prima di sentire il rumore dei portelloni che lasciavano spazio ai carrelli per l’atterraggio. Chiuse gli occhi e si concentrò iniziando a fare il conto alla rovescia. Arrivato allo zero sentì sotto di se l’impatto con la pista e quando li riaprì si vide catapultato in un qualche cosa di stranamente affascinante. Un mondo diverso con tutti quegli operai che dirigevano il traffico, le luci, i camion per il rifornimento, gli aerei parcheggiati ordinatamente e poi, tutto d’un tratto, un piccolo jet bianco atterrò di fianco al suo volo. Rimase impalato a fissare l’aereo con curiosità finchè non ne vide uscire un uomo ben distinto in giacca e cravatta affiancato da un donna, anch’essa di alto rango con in dosso un cappello gigantesco che le copriva parzialmente il viso e poi un ragazza fasciata in un abito stretto e blu. Se li tutte le ragazze erano così si prospettava una vacanza molto interessante.

GIOOOORNOOO ( scarsissima imitazione di George T.T )

Ok bene, primo capito.
Non è un granché lungo, me ne rendo conto. Però giuro posso fare di meglio, giuro! ( faccia da gatto con gli stivali modalità ON )
In questo primo capitolo ( se così si può chiamare ) entrano in scena i nostri due ragazzi: Devon, che come averete capito è un tipo leggermente perticolare per essere una Lady, e un fantasiosissimo Josh in cerca di qualche cosa che nemmeno lui sa cosa sia ( idee confuse al massimo). Ora: la trama sarà raccontata da un esterno ( valuterò più in la se inserire dei POV), che cercherà in qualche modo di ricongiungere quasi sempre le vite dei due ragazzi ( sperando di non intrecciarsi e confondersi).

P.S. recensite se volte. ribadisco: commenti e suggerimenti saranno sempre bene accetti :)

STARK

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Capitolo 3
*** Scontri ***



Atterrata a Londra Devon si rassegnò del tutto alla nuova situazione. Non poteva niente contro sua madre e opponendosi avrebbe solo peggiorato le cose. Scesa dall’aereo trovò un’auto nera ad aspettarla che senza indugi partì immediatamente per non si sa dove. Uscirono da un cancello secondario per non dare nell’occhio e percorsero diverse miglia prima di entrare nella città. Continuarono a vagare per diverso tempo fino a raggiungere una maestosa residenza. Attraversarono il lungo viale alberato fino ad arrivare all’immenso cortile animato da una fontana e dai cespugli curati.

M: Devon comportati bene, intesi?
D. si.
M:e non mi rispondere si con quel tono seccato!

La giovane sbuffò non sapendo più cosa fare. Attese di essere accolta e quando finalmente lo sportello si aprì un viso contornato da rughe le si parò davanti. “Il maggiordomo della famiglia” pensò. Fece un lieve inchino per poi guardarsi avanti vedendo una coppia davvero bislacca. Un uomo pelato con un completo da caccia e con una lunga barba bianca teneva stretta una donna bionda e in carne con abiti semplici e un grembiule da cucina. Salutarono entusiasti i suoi genitori per poi richiamare a gran voce un certo Colin. In un attimo si presentò un ragazzo alto, con gli occhi azzurri e i capelli rossi,  alto come il suo armadio o forse anche di più.

M: Devon lui è Colin McMurray. Il tuo…
D. piacere.

Troncò alla madre sul nascere con un freddo saluto rivolto al giovane… non si sa bene cosa. Baronetto probabilmente… il giovane pel di carota le baciò la mano sbavandoci sopra. Inorridita Devon la ritrasse immediatamente e la pulì su quell’odioso vestito di seta blu. L’allegra famigliola ignara dei pensieri omicidi e probabilmente anche suicidi di Devon se ne andò in casa lasciando soli i due piccioncini.

C: allora, quali sono i tuoi obiettivi a breve termine?
D: intendi dire a cosa mangerò per pranzo?
C. intendo cosa vorresti fare dopo il matrimonio.
D. wo, wo ,wo frena i cavalli! Io non ho ancora acconsentito a questa cosa del matrimonio.
C. ma tua madre ha detto…
D. mia madre può fare o dire tutto quello che pensa ma io ho le mie idee ed è la mia opinione a contare di più in questo momento.
C. aveva detto che avresti reagito così ecco perché ha trasferito tutti i tuoi effetti in un appartamento in centro fino al matrimonio.
D: lei ha fatto cosa?!
C. forse non dovevo dirlo. Almeno non ti ho detto che le nozze sono fissate per settembre… ho sbagliato di nuovo!
D: settembre?! Come sarebbe a dire settembre?! Siamo a fine maggio! Dovrei sposarmi con.. con te fra poco più di quattro mesi?!
C. esatto! Vedrai sarà un matrimonio fantastico e poi ci sarà un sacco di gente!
Devon iniziò a camminare a grandi falcate verso la veranda in vetro che ospitava i coniugi McMurrey e i suoi genitori mentre si godevano un buon te. Personalmente lei aveva sempre preferito il caffè, m non era quello il punto. Entrò non molto delicatamente facendo voltare tutti nella sua direzione.
M: Devon ma cosa?!
D: Londra?! Quando pensavi di dirmi che mi sono trasferita qui?! Oh e le nozze?! Settembre eh?! Grazie per aver chiesto la mia opinione! Sicuramente avrai scelto anche il mio abito senza chiedermelo! E il nome dei figli? Hai programmato anche quello?
M: Devon smettila, tuo padre aveva intenzione di dirtelo tra poco.
D: non dare la colpa a papà! So perfettamente che è una tua idea…
M: Devon smettila!
D: certo! Facciamo finta di niente come sempre vero?
M: ho detto smettila! Non fare l’impudente con me! Capito?! Ci stai mettendo tutti in imbarazzo!
D: non hai bisogno di me per questo. Lo stai facendo benissimo da sola. Ora se volte scusarmi. Signori McMurrey, Colin, papà.

Girò su quei tacchi altissimi e se ne andò con un’uscita d’effetto lasciando tutti senza parole. Nessuno aveva mai visto una lady così combattiva, o almeno fino ad ora. A metà del viale alberato, sicura di non essere seguita da nessuno tolse i trampoli bianchi, i guanti, il cappello e si sciolse i lunghissimi capelli biondo platino per poi estrarre dalla sua borsetta un cellulare sul quale compose immediatamente un numero.

J: parla Joe!
D: sono Devon.
J: che cosa succede?
D: so benissimo che lo sia ora dammi il mio nuovo indirizzo.

Si fece dettare velocemente l’indirizzo per poi chiudere velocemente la chiamata. Joe era il capo della sicurezza e suo autista, nonché suo unico amico in quella gabbia di matti. Riprese immediatamente a camminare fino all’esterno della proprietà per poi fischiare come un cowboy per fermare il primo taxi. Disse velocemente la sua destinazione aggiungendo un  “ in fretta per favore”.  Vagarono non più di 10 minuti fino a fermarsi davanti ad un palazzo. Si fece scaricare poi guardò dentro alla cassetta della posta e come da indicazioni ci trovò le chiavi fissate con del nastro adesivo. Senza indugi aprì velocemente la porta per correre lungo le scale fino ad arrivare all’ultimo piano. Quello che le si presentò davanti era un enorme appartamento in bianco e nero e in vetro tutto a sua disposizione. Vagando con lo sguardo si accorse anche dell’enorme veranda sulla quale uscì immediatamente per affacciarsi su tutta Londra. Respirò profondamente e adesso che era rimasta sola poteva lasciarsi andare completamente ad un pianto disperato che tratteneva forse da fin troppo tempo.

*

Intanto Josh aveva scaricato i suoi bagagli nel suo temporaneo appartamento nel cuore della city. Una casetta spaziosa per una sola persona ma il ragazzo era ottimista e sperava ( più che altro) di non essere sempre solo. Aveva fatto appena in tempo a lasciare le valigie sul pavimento che già si era fiondato nella metro per raggiungere Hyde Park. Avrebbe trascorso li l’intera giornata, ne era più che certo. In pochissimo tempo raggiunse la sua fermata e appena riaffiorò in superficie canticchiando la canzone di super Mario si guardò intorno. Il parco era dall’altra parte della strada a poco più di 500 metri. Mentre camminava diretto alla sua unica meta del giorno si voltò verso un palazzo che a primo impatto poteva sembrare molto comune, ma guardando il tetto si poteva scorgere una testa bionda scompigliata, probabilmente, dal vento che tirava la in alto. Chiunque fosse doveva avere un bel appartamentino tutto per se. Continuò a camminare guardandosi intorno e certe volte urtando qualcuno ma le persone in questione sembravano non farci caso, erano tutti con la stessa faccia. Impassibile, fredda, quasi  come quella di un robot programmato per compire un’azione prefissata. Josh scosse la testa “ dopo tutto” si disse “ C’è gente che è sempre contenta” poi pensandoci meglio sorrise amaramente “è quella cui manca il coraggio di guardare in faccia la realtà”. Dio se era vero! Quanta gente conosceva a LA che era sempre su di giri? Sempre pronta a partire alla volta di una nuova festa o bevuta, che poi alla fine la maggior parte di questi erano un branco di ipocriti abbandonati dalla vita, destinati a comportarsi nello stesso modo ogni giorno, destinati ad essere criticati, presi in giro per ottenere cosa poi? Un’intervista. Sospirò. Effettivamente si, gli serviva quella vacanza e un posto come Londra era l’ideale. Attraversò nuovamente la strada per poi avventurarsi tra le fronde del grande parco. A Los Angeles non c’era niente del genere e anche se ci fosse stato non avrebbe mai potuto passarci tutto il tempo senza essere sotto assedio, mentre li nessuno si era accorto di lui tranne forse qualche ragazza curiosa e troppo timida per avvicinarsi. Sorrise rilassato. Mise le mani in tasca  e iniziò a  vagare tra le stradine, le fronde, si fermava a guardare le anatre nuotare nel grande stagno centrale e le coppiette. Un sacco di coppiette indaffarate a scambiarsi moine e saliva. Doveva avere il diabete alle stelle per sentirsi così strano. Continuò a vagare per un pezzo finché lungo la via principale non vide un chiosco temporaneo della Starbucks. Senza dubbi andò li e si prese il suo solito cappuccino a cui non poteva rinunciare anche con 40 gradi all’ombra. Dopo aver pagato si lasciò andare comodamente su di una panchina all’ombra di un albero enorme, magari con dietro qualche magnifica storia che Josh iniziò ad immaginarsi perdendosi così, come ogni volta nelle sue fantasie.

*

Ancora attaccata alla balaustra di vetro non era riuscita rimettersi in sesto dal pianto finito da poco. Ma lei era forte. Tirò su con il naso e sospirò pesantemente. Tornò in casa e si sfilò in malo modo il tanto odiato abito blu che le impediva anche di respirare per poi calciarlo in un angolino dietro al divano ( sarebbe rimasto li a marcire nella polvere probabilmente). Aveva deciso di uscire, non poteva restarsene chiusa in casa ad autocommiserasi per la sua vita schifosa. No , non sarebbe stato da lei! Corse dritta in camera per fermasi immediatamente davanti alle ante a specchio del nuovo armadio. Rimase ad osservare per qualche secondo quello che era diventata. Le gambe grassottelle che avevano lasciato spazio a due gambe dritte e pallide, le spalle larghe e lisce e la pancia piatta resa viva da un piercing sull’ombelico che se solo sua madre avesse visto avrebbe strappato via immediatamente. Sorrise straffottente. “Ora non combatto più per niente. Oh no che non lo farò. Da oggi mi interessa una sola cosa: me stessa.” Pensò tra se e se e forse fu quello a convincerla ad indossare dei pantaloncini cortissimi e borchiati con una maglia bianca smanicata che lasciava in bella vista la biancheria. Se solo sua madre l’avesse vista in quel momento, l’avrebbe riempita di schiaffi, cosa che veramente faceva già… sbuffò divertita per spostare una ciocca bionda che le era scivolata davanti agli occhi e che fissò con una forcina. Per finire di preparasi si infilò delle scarpe da ginnastica logorate dal tempo e poi, la cosa più importante, la spilla della ghiandaia imitatrice che portava sempre con se, quello era il suo simbolo. Fece per aprire la porta di casa mi si ricordò immediatamente di dover indossare , un berretto rosso e degli occhiali per evitare di essere riconosciuta .Dopotutto lei era una nobile e si sa… La gente mormora! Chiuse a chiave la porta e si incamminò verso il parco poco distante da casa sua. Hyde Park le era sempre piaciuto come posto, forse perché era dove poteva starsene tranquilla leggere. Con passo furtivo e cercando di dare il meno possibile nell’occhio attraversò il grande cancello per andare dritta al chiosco di Starbucks dove ordinò il solito caffè. “ nero come la mia anima” pensò divertita. Ancora assorta nei suoi pensieri iniziò a vagare distrattamente qua e la sorseggiando di tanto in tanto il suo caffè bollente. Quella era un’oasi di pace. Arrivata al grande stagno si appoggiò alla ringhiera  guardare quella coppietta di anziani nella panchina di fronte. Come avrebbe voluto avere una vita come quella. Scegliere chi amare e sposare, scegliere la persona con cui passare la propria vita. Sarebbe scesa a patti con il diavolo per di essere normale, pur di essere solo Devon Scott, la ragazza come le altre e non Devon Parker Scott la giovane duchessa destinata  sposare uno spaventapasseri con la testa piena di segatura. Aveva sempre sperato nell’incontrare il vero amore, che poi, cos’era veramente il vero amore? Perché nessun ragazzo aveva mai provato ad avvicinarla? “Infondo” si disse “Non sono irraggiungibile. Non sono difficile. Non sono inconquistabile.” Già non era nessuna di queste cose perché era molto di più “però so di essere ferita, sono una di quelle persone che sola ci sta bene. Che forse è anche peggio.” Una lacrima le scese lentamente sulla guancia fino ad arrivare a delineare il profilo della mascella poco accentuata. Sola ci stava bene, forse era così perché non era mai stata con nessuno, forse perché non era mai riuscita  trovare il suo vero amore. Quel giorno attaccata alla ringhiera dello stagno delle papere, forse per la prima volta, Devon pregò Dio di regalarle il vero amore, di poterlo trovare quando meno se lo poteva aspettare, continuò a pregare anche mentre camminava distrattamente sulla via del ritorno prima di trovarsi con il sedere a terra. Al contatto con il terreno sussultò leggermente prima di guardare in alto e trovare la causa dell’impatto con il suolo ghiaioso. Un’ombra nera le si era parata davanti senza che lei riuscisse a distinguerla, vide solo una mano tendersi in avanti. Non esitò un attimo ad afferrarla.
*
Stava per addormentarsi su quella panchina quando un rumore proveniente dal suo stomaco lo fece tornare in se. Effettivamente era affamato e mentre veniva li aveva notato un ristorantino niente male nel quale sarebbe voluto andare più in la, ma non resistendo più ai suoi istinti famelici si alzò in piedi di scatto urtando involontariamente qualcuno. Quando si voltò vide una ragazza con il sedere a terra che imprecava malamente come uno scaricatore di porto. Senza pensarci due volte le tese la mano per aiutarla ad alzarsi.

*

Una volta in piedi i due ragazzi si guardarono. Devon non aveva mai visto un viso così. Mascella pronunciata, occhi luminosi, labbra sottili contornate da lentiggini sbiadite e poi quel sorriso. Un sorriso che non aveva mai viso a nessuno. Un sorriso. Abbozzato ma pur sempre un sorriso. Senza accorgersene iniziò a  sorridere anche lei, come se il dolore al sedere fosse una cosa lontana successa anni e anni fa. Si accorse soltanto dopo di avere ancora la mano intrecciata alla sua.

J: faresti meglio a guardare dove metti i piedi sai?
E puff. In un attimo l’immagine celestiale che le si era parata davanti scomparve udendo quelle semplici parole. Perfetto. Uno uguale  a tutti gli altri.
D: come scusa?! Sei tu ad essermi venuto addosso!
J: se tu avessi guardato dove mettevi i piedi non saresti caduta, o sbaglio?
D: dio che stronzo!

Lasciò immediatamente la mano di Josh andandosene via come una furia. Josh si grattò la testa con una faccia interrogativa. Che diavolo aveva fatto? Infondo non aveva detto niente di male… beh ragazze. Tutte uguali. Los Angeles, Londra. Non c’è differenza. Tornò immediatamente a pensare al suo programmino. Sarebbe assolutamente andato in quel ristorante, ma prima di andarsene raccolse il suo berretto sotto al quale ci trovò una spilla. Se la rigirò tra le mani guardando stupito la ghiandaia imitatrice di bronzo che gli luccicava tra le mani. Doveva essere per forza di quella ragazza, tanto prima non c’era! Senza nemmeno pensarci due volte la mise in tasca e se ne tornò sui suoi passi. Effettivamente per Devon era stata una giornata piena di scontri mentre per Josh una giornata come un’altra almeno credeva. Non poteva sapere quello che gli sarebbe successo dopo. Il destino aveva giocato ancora una volta.

*

Si era alzata e se ne era andata imprecando come uno scaricatore di porto di Brighton.  Ma chi si credeva di essere? Lei stava camminando tranquillamente e quel troglodita dagli occhi nocciola le era andato addosso! E poi? Aveva avuto anche la faccia tosta di darle la colpa! Quello era il colmo. Il suo monologo interiore fu interrotto dal brontolio del suo stomaco. Perfetto ci mancava solo la fame che si fa sentire adesso. A metà della via verso casa Devon notò un ristorantino niente male dal quale usciva un odorino sfizioso.” Infondo” si disse “ potrei mangiarmi una bella fetta di pizza”. Una volta auto convinta si fiondò nel locale e prese posto in uno dei tavolini più appartati.

X: buongiorno io sono Steve e per oggi sarò il suo cameriere. Cose le porto?

Devon si tolse gli occhiali e chiese gentilmente di elencargli i piatti presenti nel menù. Una volta ascoltato tutto quanto ordinò una bella pizza farcita con aggiunta di ananas. Strani gusti ma lei adorava la pizza con l’ananas.

X: se non sono indiscreto signorina, lei non è mica…
D: si sono io, ma la prego, la scongiuro non ne faccia parola. Vorrei starmene tranquilla.
X: il suo segreto è al sicuro con me.

Il giovane ragazzo se ne andò con la sua ordinazione lasciandola di nuovo sola ad attendere il suo pranzo. Mentre aspettava iniziò a guardarsi intorno. Strano che non avesse notato prima questo posto. Eppure suo nonno la portava sempre in giro per Londra specialmente da quelle parti. Sorrise ripensando a lui. Era l’unico che la sostenesse e che l’amasse per quello che era davvero. Lui la definiva sempre uno spirito libero, non una ribelle, una ragazza nobile con le sue opinioni, non un’anarchica, una ragazza con un cervello che non poteva essere manipolato da nessuno, una persona forte degna del titolo che portava. Le mancava tremendamente quell’uomo che era tutto per lei. Adesso le era rimasto solo suo padre, che più passava il tempo, più assomigliava a lui. Sorrise ancora una volta ripensando all’espressione di finta costernazione che aveva assunto poche ore prima. Era la stessa faccia che usava quando da piccola usciva a giocare in giardino con il vestitino nuovo e tornava ricoperta di foglie, fango e con in mano qualche strano animaletto che faceva scappare sua madre a gambe levate. Era cambiata solo fisicamente. Se solo avesse potuto, avrebbe continuato a comportarsi da “selvaggia”. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore stridulo provocato dalle gambe della sedia, strusciate sul pavimento. Alzò lo sguardo e incrociò di nuovo quegli occhi nocciola che adesso avevano assunto un’intensa sfumatura di verde. Uno sguardo dolce, eloquente e attraente, l’unico difetto che aveva quello sguardo è che era accompagnato da un sorrisetto sghembo e strafottente.

D: che diavolo vuoi?
J: ciao anche a te.
D: ti ho chiesto che cosa vuoi.
J: delle scuse ovvio.
D. delle scuse? Dio che razza di st…
J: mi hai già chiarito il concetto poco fa. Non occorre ripetermelo non sono stupido.
D: su questo non ci giurerei.
J: allora, latte, questo bel faccino avrà pure un nome no?
D: si.
J: e quale sarebbe?
D: non ti interessa.
J: piacere non ti interessa. Io sono Josh.

Il giovane attore fece per porgerle la mano ma l’enorme piatto con la sua pizza arrivò in quel preciso istante.

X: ecco a lei signorina. E con gli omaggi della casa una bottiglia della nostra birra migliore.
D: grazie mille.

Sorrise gentile a quel ragazzo che si era comportato normalmente con lei. Come se non fosse nessuno di importante. Sospirò e posò gli occhi sulla sua pizza notando la mancanza di una fetta. Puntò lo sguardo verso Josh che se ne stava tranquillamente a mangiare il pezzo rubato.

D. prego serviti pure.
J: molto gentile. Consideralo un dono di pace.
D: veramente dovrebbe essere il contrario. Sei stato tu a farmi cadere.
J: dipende dai punti di vista.
D: il mio punto di vista dice che sei un imbecille e che io mangerò cinese a casa mia.

Devon si alzò, infilò gli occhiali e uscì dirigendosi verso il suo meraviglioso e vuoto appartamento lasciando l’ingenuo e stupido Josh al tavolo con il conto da pagare e una pizza.



hoooolaaaaa! Questo qui è decisamente più ricco come capitolo anche perchè ci sono molti più dialoghi, situazioni e pensieri strambi che se solo confidassi ad uno psichiatra strabberebbe il suo diploma e andrebbe ad asciguarre il naso alle concole ( sarebbero le cozze, però in dialetto rendeva di più).
Ehm, bene spero vi sia piaciuto e al prossimo aggiornamento.
STARK

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Capitolo 4
*** Tempo al tempo ***


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Passarono alcuni giorni durante i quali Josh non fece altro che pensare a quella ragazza estremamente … come dire, schietta. Ecco schietta è la parola esatta. L’aveva abbandonato al tavolo con la pizza ed il conto. Cosa strana per uno come lui che è sempre stato abituato ad avere le ragazze ai suoi piedi anche solo con uno schiocco di dita se solo avesse voluto, eppure lei era diversa. Gli faceva venire voglia di fare battute sarcastiche, voleva impressionarla, farle saltare i nervi. Non si spiegava il perché ma voleva farlo e basta. Ormai erano giorni che si tormentava con quel pensiero,voleva rivederla. A qualsiasi costo. Tutto per colpa della spilla che si era ritrovato in tasca. Sicuramente è la sua,. di chi se no? “eppure” si chiese “ se aveva quella spilla significa che ha visto il film. Di conseguenza saprà chi sono” nessuno avrebbe potuto rispondere a quella domanda. Si rigirò nuovamente tra le lenzuola per poi alzarsi svogliatamente. Aprì le tende mostrando davanti a se una vista spettacolare su tutta la city. Palazzi di vetro che riflettevano la tenue luce del sole che quel giorno aveva concesso, il cielo grigio, le sagome dei gabbiani che volavano alti. Forse iniziava a capire perché quella città lo attirasse tanto. Si passò distrattamente una  mano tra i capelli ancora leggermente biondi ma molto meno ridicoli rispetto a qualche mese fa per poi tornarsene in camera. Aprì distrattamente l’armadio e ne tirò fuori una delle sue solite magliette bianche, dei jeans e la sua giacca di pelle. Lanciò tutto sul letto disfatto e si concesse una doccia veloce prima di uscire a fare colazione ( magari con la speranza di incontrarla di nuovo). Una volta pronto afferrò le chiavi, il telefono e il portafogli e si diresse al parco di qualche giorno prima alla stessa panchina vicino allo stagno.

*

Quella mattina come le precedenti, Devon non aveva la minima intenzione di alzarsi dal letto con l’accusa di essere troppo comodo. Quando la luce iniziò a filtrare sempre di più dalle tende fece letteralmente sprofondare il viso nel cuscino ( come suo solito fare) e provò a riaddormentarsi. Appena si sentì completamente rilassata si lasciò andare e chiuse gli occhi che riaprì istintivamente quando il suo telefono squillò. Prontamente lo prese e rispose. “Pessima decisione” si disse dopo quando sentì la voce dell’interlocutore.

M: dove diavolo sei!?
D. a casa mia.
M: ti rendi conto di quello che hai combinato? Il povero Colin non sapeva più dove guardare! I McMurrey per poco non annullavano il matrimonio! Hai messo in imbarazzo tutti quanti Devon! Sei un disonore per questa famiglia!

La donna continuò a parlare imperterrita per una buona dose di tempo senza lasciare libertà di parola a Devon. Era costretta ad ascoltare e ascoltare e ascoltare e assecondare tutte le stupidaggini che blaterava sua madre.

M: hai capito disgraziata!?
D: posso farti solo una domanda?! Ti ho mai fatto credere di acconsentire al matrimonio con quel troglodita?!
M: non mi importa di avere la tu approvazione ingrata che non sei altro! Tu farai esattamente quello che ti dico!
D: Non starò di certo ad aspettare che il mio destino venga scritto senza il mio consenso! Tu sei una pazza se pensi che non farò niente per impedire tutto questo!

La ragazza riattaccò prima ancora che la bisbetica potesse ribattere. Non aveva nessun diritto su di lei, se solo avesse voluto avrebbe potuto cacciarla via dalla sua vita in un attimo. Lei non faceva parte della dinastia, non era di sangue reale, era un corpo aggiunto a quella famiglia. Era avida, viziata, dispotica, un vera e propria strega incazzata con la vita perché non aveva mai ottenuto ciò che voleva. Non avrebbe mai governato il suo paese e mai avrebbe ottenuto l’amore e la fedeltà dei cittadini, cosa che Devon aveva sempre ricevuto. La odiava perché rappresentava tutto quello che lei non sarebbe mai potuta diventare. Lanciò il telefono dall’altra parte della stanza e si mise le mani tra i lunghi ricci biondi che le ricadevano sulla schiena. Sospirò pensando che peggio di così non potesse andare e che ormai era sveglia e tanto valeva alzarsi, prepararsi e uscire per staccare un po’ la spina. Si fiondò in bagno e aprì l’acqua gelata buttandocisi sotto. Si lavò rapidamente tralasciando i capelli e se ne tornò in stanza indossando, una tuta in seta beige con scollo profondo e con una fascia in vita, sandali di cuoio decorati, bracciali, orecchini e tanto altro per poi afferrare la sua mega borsa ( modificata con un incantesimo estensivo impercettibile) e i suoi occhiali. Uscì di corsa da quell’appartamento e si diresse nella parte ovest del parco per prendersi il suo solito caffè sperando di non incontrare quel tipo. In effetti adesso che ci pensava l’aveva abbandonato al tavolo qualche giorno prima. Immediatamente l’immagine dei suoi occhi, delle sue labbra e di tutto il suo viso le si parò davanti facendola riflette. Come poteva essere così tremendamente bello ma allo stesso tempo così tremendamente lui?! Così strafottente, pieno di se, arrogante, ammaliante, seducente, interessante, attr… no, ok. adesso basta! Stava degenerando. Portò velocemente il bicchiere alle labbra che si ustionò per la troppa fretta. Si morse la lingua per evitare di imprecare malamente in mezzo a tutta quella gente. Con il suo caffè in mano e la testa immersa nei suoi pensieri tornò a camminare lungo la stradina sterrata del parco passando davanti allo stagno dove guardò il suo riflesso. “ che cosa c’è di sbagliato in me?” si chiese per l’ennesima volta in quei giorni. Tentando di trovare una risposta ad un’incognita che risposta non ha riprese la sua passeggiata fino all’uscita di quel paradiso che la catapultò nella fredda e cruda realtà. L’unico vantaggio di Londra è che se ti comporti con indifferenza e freddezza nessuno si accorge mai di te. Ecco perché ancora non era stata fermata da nessuno.

*

Josh aveva finito già il suo cappuccino da un pezzo. Ma spettava comunque di vederla arrivare da un momento all’altro. Sarebbe sicuramente passata di li, se lo sentiva nelle ossa. Si guardava intorno nervoso, quasi rassegnato dopo un’altra ora che se ne stava li impalato a fissare il vuoto poi, d’un tratto la vide. Lunghi capelli biondi e ricci, pelle bianco latte, labbra carnose e quegli occhi grigi coperti dalla montatura degli occhiali scuri. Era lei non c’era dubbio. Ci mise un po’ a realizzare il tutto poi però si alzò e in quel esatto istante si accorse che lei era sparita. Iniziò a correre come un disperato dall’altra parte dello stagno sperando di non averla persa e la vide uscire dagli enormi cancelli per andare non si sa dove. Continuò a seguirla finché non navanì nel nulla. Provò a cercarla tra tutte quelle teste di persone, saltava, evitava la gente, altre volte non era abbastanza veloce e ci andava a sbattere ma non gli importava. Continuò a girare su se stesso prima che il suo sguardo si imbattesse in quella montagna di ricci che svoltava in uno dei vicoli di Notthing Hill. La seguì con discrezione fino ad una piccola libreria. Rimase ad osservarla da attraverso il vetro. Vagava tra gli scaffali e ogni tanto afferrava un libro con disinvoltura come se non avesse mai fatto altro in vita sua.

X: posso aiutarla?

Saltò praticamente in aria quando sentì quella voce così inaspettata dietro di se. Quando si voltò vide un uomo dall'età indefinita poco più alto di lui che lo osservava curioso.

J: io stavo soltanto …
X: oh, ho capito. Guardavi lei non è così? sai ogni tanto viene qui, ci passa per diversi giorni e poi sparisce. Però alla fine ritorna sempre.
J: come sarebbe a dire sparisce?
X: beh… la si vede per qualche giorno di fila poi si dilegua nel nulla come se non esistesse e come se non fosse mai stata qui. Sappiamo che non ce lo siamo immaginato perché acquista sempre diversi libri. Sai ragazzo molto spesso sembra che esca direttamente da uno di essi tanto è particolare.

Non rispose. Si voltò di nuovo ad osservarla mentre leggeva la trama di un volume. Era assorto ad osservarlo come lei era assorta nella sua lettura ed ispezione del libro.

X: bella vero?
J: come?
X: la ragazza. non trovi sia particolarmente bella?
J: mah, niente che non abbia mai visto in verità. In America è pieno di ragazze come lei.

“ Ma se veramente anche a LA è pieno di ragazze così, perché tu non stai ancora con una di quelle razza di cretino?” la sua coscienza aveva parlato per lui. Che grandissima cazzata aveva sparato. Nessuna era come lei a LA e mai ne aveva vista una come lei. Se era bella? Oh, altro che! Se se ne sentiva attratto? Ovvio, ma solo fisicamente. Difetti? Schietta, acida, cinica, glaciale, senza cuore e arrogante. Perfetto. Due pro e sei contro. Bel colpo Hutch.

X: vuoi entrare o hai intenzione di restare qui fuori ad osservarla per tutto il giorno?
J: come?

Quando si girò l’uomo era entrato nella libreria. Forse aveva ragione. Stando li fuori sarebbe sembrato uno stalker. Meglio entrare, o almeno era quello che gli diceva il suo buon senso. Oltrepassò la porta facendo suonare il campanello e attirando lo sguardo dell’uomo con cui aveva parlato prima che gli fece cenno di avvicinarsi.

X. se ti interessa è al piano di sopra confinata tra gli scaffali dei best sellers. Passa li delle ore.
J: grazie.

Sorrise e poi iniziò a salire silenziosamente le scale. Arrivato sul pianerottolo iniziò a camminare lungo il corridoio centrale osservando tra i vari scaffali e cercando quello giusto. Dovette arrivare alla fine prima di trovare una Devon messa sotto una luce diversa. Piedi scalzi appoggiati al parquet di noce scuro, capelli tirati su alla buona con una matita e viso arrossato dal pianto.

*

Era tornata  trovare George e Louis nella loro vecchia libreria di Notthing Hill. Era tanto che non ci tornava ma loro la aspettavano sempre con ansia. Ogni volta che andava li passava giornate intere fra gli scaffali ad arraffare i libri più vecchi che riuscisse a trovare per odorarne le pagine. Aveva la strana mania di sfiorare le pagine ad occhi chiusi per sentire la grana della carta, i rilievi delle lettere impercettibili ad occhio nudo e poi si sa. Con gli occhi chiusi si sentono meglio gli odori e tutti i sensi si affinano.

D: Lou!
L: Devon! Dio mio quanto tempo. che ci fai qui?
D: lunga storia. Non mi va di parlarne. Scusami.
L: oooh, suvvia. Non è niente che un buon libro non può sistemare.
D: hai ragione. George? Non viene?
L: si tra poco dovrebbe essere qui. Tu intanto fai come se fossi a casa tua.

Sorrise dolcemente e quel vecchietto che se ne stava al bancone a leggersi il suo giornale. Iniziò a girovagare tra gli scaffali afferrando qualche libro dall’aspetto invitante, distrattamente poi afferrò una delle prime stesure del viaggio al centro della terra. La copertina logora, le immagini ingiallite e il forte odore di inchiostro misto all’umidità le fecero venire la pelle d’oca. Amava quell’odore, probabilmente era uno dei suoi preferiti. Iniziò a leggere la trama sul retro e si lasciò trasportare dall’immaginazione creandosi immagini fantastiche, ascoltando suoni che solo lei poteva sentire, poi però la su attenzione fu attirata dal campanello dell’ingresso.

G: Devon? Lo so che ci sei! Ti ho vista!
D: ciao George!
G: già iniziata l’ispezione?
D: mi sembrava d’obbligo.
G: se ti interessa abbiamo aggiornato il piano di sopra. Ci sono molti nuovi arrivi. Vai a dare un’occhiata. Sono sicuro che troverai qualche cosa che ti piace.

Come consigliato salì al piano di sopra ritrovandosi catapultata in un qualche cosa di meraviglioso. Scaffali alti due metri stracolmi di libri vecchi, nuovi, piccoli, grandi, trilogie, pezzi unici, romanzi cavallereschi, di avventura, fantasy, opere leggere e impegnative. Si ritrovò nel suo mondo. Vagando tra tutti i ripiani notò subito un volume che avrebbe riconosciuto fra altri mille. Senza pensarci oltre lo afferrò e lo portò con se nel suo angolino. Si tolse poi i sandali, fermò i ricci biondi con una matita e si mise a sedere sul pavimento. sfogliò rapidamente le prime pagine prima di trovare quella giusta. Scorse i paragrafi poi si bloccò e da li iniziò a leggere…

La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me, è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro, allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano... Disse la volpe: ecco il mio segreto.”

J: È molto semplice: non vedo bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.

Devon alzò gli occhi leggermente gonfi e arrossati a causa dell’imminente pianto per poi incontrare ancora i suoi, e con quegli occhi anche quel sorrisino soddisfatto. Nemmeno li poteva restarsene sola.

D: che vuoi?
J: fare conversazione.
D: se non te ne fossi accorto stavo leggendo.
J: però ora stai parlando con me e sono più che certo che ormai conosci a memoria quel libro.
D: presuntuoso, arrogante e anche pieno di se a quanto pare.
J: oh. Così mi lusinghi non ti interessa. Però sono più che certo si avere ragione e sai perché lo so? perché è pressoché impossibile che in così poco tempo tu si già arrivata a quel punto della storia, ergo  devi averlo già letto diverse volte, perciò adesso farai conversazione con me.
D: ti ho dato l’idea di volerlo fare?
J: intanto stiamo già conversando.
D: a me sembri di più che tu ti stia facendo insultare da me.
J: ma non mi stai insultando.
D. perlomeno non in maniera diretta. Però se non sparisci dal mio campo visivo puoi star sicuro che passerò alla maniera diretta.
J: facciamo così. tu mi dici il tuo nome e io me ne vado.
D: cosa ti fa pensare che ti dirò il mio vero nome?
J: beh, il mio sesto senso credo e soprattutto il tuo subconscio che a quanto pare è attratto dai miei occhi.
D: come scusa?!
J: ammettilo. I miei occhi ti piacciono. Li guardi sempre ogni volta che mi vedi.
D: indipendentemente dal fatto che mi piacciono, è un fatto di educazione guardare le persone negli occhi quando esse parlano anche quando queste sparano un mare di cazzate.

Silenzio. Josh iniziò a sorridere soddisfatto. Odiava quella specie di smorfia che compariva su quel viso perfetto. Rovinava tutto, esattamente come la sua linguaccia al loro primo incontro.

D: e ora che cos’hai da ridere? si può sapere?
J: l’hai ammesso. Hai ammesso che ti piacciono i miei occhi.

Sbuffò sonoramente e visibilmente infastidita chiuse il libro che ripose sullo scaffale rischiando di cadere inciampando nei propri sandali. Era ormai pronta a sentire il contatto con il legno freddo ma due mani calde l’avevano afferrata per la vita appena in tempo. Quando realizzò di chi si trattasse si scostò immediatamente.

D: levami le mani di dosso.
J: ehy, non c’è di che.
D: sparati.

Devon si chinò a raccogliere le sue scarpe  e la borsa per poi andarsene di corsa al piano di sotto salutando George e Louis.

L: già te ne vai?
D: si scusa Lou ma l’aria è veramente troppo pesante qui dentro.

Rispose alludendo al ragazzo che scendeva velocemente le scale per raggiungerla.

G: Devon davvero resta ancora un po’. Giusto per una tazza di tè.
D: scusa George ma ho fretta.

Lasciò un bacio ad ognuno e sgusciò fuori dal negozio a passo di marcia. Si era incamminata nel vicolo per raggiungere il più in fretta possibile la folla per mischiarcisi in mezzo.

J: ehy!

Aumentò ancora il passo. Non voleva avere niente a che fare con quel tipo. Odiava quelli come lui. doveva odiarli a prescindere. Non erano fatti per stare con una come lei.

J: ehy fermati!
D: che diavolo vuoi ancora!?

Josh le afferrò la mano e la portò più vicino a se quasi petto contro petto. Entrambi sentirono una strana sensazione che non riuscirono a spiegarsi, come una sorta di elettricità che in quel momento aveva riempito l’aria.

D. eh lasciami!
J: perché?
D: fottiti! Lasciami ho detto!

Prima di lasciarla andare lasciò scivolare qualche cosa nella sua mano per poi sorridere malizioso. Mai gli era capitato di ricevere certi sorrisi da parte di qualcuno.

J: adoro il modo in cui mi dici vai a farti fottere.

Detto questo le lasciò un casto bacio sullo zigomo e si volatilizzò in mezzo alla gente. Come se non fosse successo nulla. Devon a quel punto non sapeva più a che cosa pensare. Perché soltanto a lei capitavano cose del genere?! sospirando esasperata si ricordò dell’oggetto che le aveva lasciato. Una palletta di carta  era appoggiata sul palmo della sua mano. la srotolò velocemente per poi ritrovarci dentro al sua spilla della ghiandaia  imitatrice che non riusciva più a trovare. Un leggero sorriso le si dipinse sul viso. Poi lesse quello che c’era scritto sul biglietto e come un moschicida fa con le mosche lo uccise.

“ Devi averla persa quando mi sei venuta addosso. La prossima volta stai più attenta Latte. Xx Josh”

 


Buon giornooooo!! Sono esattamente le 3:57 di notte e sono stata sfrattata dal mio letto da quella palla di pelo del mio cane ( non vi interessa lo so). 
Ricapitolando: Josh sta mostrando una strana fissa per Devon che a sua volta è acida come un limone ( sai che novità) ma che si saprà sciogliere con i due teneri vecchietti Louis e George, i proprietari della biblioteca. La madre di Devon si sta dimostrando per quello che è ( e questo è solo l'inizio), il padre per ora non si afarà vivo ma avrà un ruolo importante più avanti e poi che dire. Colin McMurrey, beh senza parole.

P.S. grazie a Violetrica per la primissima recensione ( e come richiesto ho aggiornato).

E STARK vi dice ciao.
 

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Capitolo 5
*** Due bagni al prezzo di uno ***


Sam: Sono le 2 di notte, è da 5 ore che parliamo.
Austin: stavolta abbiamo battuto il record.
Sam: Ora andiamo a letto, sogni d'oro
Austin: Aspetta! 
Non posso dormire se non so che ci vedremo, metà della notte mi perdo in sospiri, e languo in un vigile assopimento... 
La mano, le labbra, gli occhi per l'incontro di domani.
Sam: Alfred Ellison. Notevole.
Austin: Vediamoci al ballo di Halloweene, ti aspetto alle 23:00 in punto, al centro della pista da ballo. Sogni d'oro!

Cinderella Story

 





Passarono diversi giorni prima che Devon tornasse a Notthing Hill da Louis e George, così quel venerdì mattina si alzò, indossò dei vestiti a caso e uscì con un’unica meta. Ogni tanto lungo la strada si sistemava lo zainetto di cuoio che le scivolava dalla spalla per quanto correva. Voleva arrivare li prima dell’apertura per poterci passare tutta la giornata. Sarebbe rimasta nel suo angolino con una vagonata di libri, magari avrebbe anche aiutato quei due pazzoidi a riordinare un po’, le piaceva farlo. Sembrava quasi che il tempo si fermasse quando era li con loro. Percorsa tutta la strada, girò nel vicolo con la porticina blu fino ad arrivare all’ingresso del piccolo negozio. Aspettò relativamente poco prima di vedere Louis con uno dei suoi soliti cardigan stravaganti e gli occhialetti a mezza luna sistemati sul naso.

L: Devon! Ma che ci fai qui?
D: sono tornata a casa no?

L’uomo rise. Amava quella ragazza come fosse figlia sua. L’aveva conosciuta 6 anni prima, quando entrò con il fiatone e si alzò sulle punte per arrivare al pari del bancone chiedendo l’ultimo volume di Harry Potter. Ricordava quel giorno come fosse ieri. I due si accomodarono all’interno del piccolo ufficio nascosto dietro al bancone. Li Louis e George avevano montato una specie di cucinino fornito di tè, biscotti, caffè e tutto quello che poteva rendere migliore la lettura.

L: quanto zucchero?
D: niente grazie.

L’uomo le passò un’immensa tazza di caffè nero fumante che Devon assaporò immediatamente.

L: allora piccola. Come mai sei a Londra?
D: mi sposo.

Così di punto in bianco sputò fuori la notizia facendo strozzare Louis con il suo tè verde.

L: con-congratulazioni.
D: già. Congratulazioni.

Sospirò pesantemente come se potesse soffiare fuori tutte le preoccupazioni, le emozioni e tornare una normale ragazza di 19 anni. Portò le ginocchia al petto per poi appoggiarvi sopra una guancia, quel giorno priva di trucco, come tutto il viso del resto.

L: Devon. Tu vuoi questo matrimonio?
D: secondo te volerlo o no fa qualche differenza?
L: Devon. Sei una ragazza intelligente! Pensa e decidi con la tua testa.
D: è inutile sforzarsi di pensare con la propria testa quando qualcuno la possiede anche per te. No?

Il vecchio si alzò lentamente dalla sua poltrona logora e si chinò con fatica al livello di Devon per guardarla meglio in quegli occhi grigi e ormai pieni di lacrime. Come poteva una bambina, perché effettivamente era una bambina intrappolata in un corpo da adulta, essere costretta a un matrimonio come quello? Il medioevo era finito da un pezzo, ma a quanto pareva la mentalità restava la stessa. Louis le passò i pollici freddi sulle guancie e fece comparire un sorriso dolce da sotto i folti baffi bianchi.

L: sposati per amore Devon, fallo perché ami qualcuno, fallo solo perché lo vuoi non perché devi. Mi capisci?
D: esiste?
L: che cosa?
D: il vero amore. Esiste il vero amore?
L: Il veroamore è come i fantasmi; tutti ne parlano, ma sono pochi quelli che lo hanno visto davvero.
D: La Rouchefoucauld.

Devon incurvò le labbra in un timido sorriso. Amava quando qualcuno le rispondeva con delle citazioni, perché la maggior parte delle volte erano risposte molto più esaurienti di qualsiasi altre. Continuò a fissare Louis nei languidi e stanchi occhi nocciola con delle sfumature verdi che ricordavano quelli di… di Josh. Adesso che ci pensava aveva degli occhi davvero belli, poi quel giorno quando l’ha tirata a se li ha visti perfettamente, erano identici a quelli di Louis. La testa affollata da ogni pensiero fu liberata in un attimo da una sola e semplice domanda.

L: tesoro, per te che cos’è l’amore?

“ l’amore è una cosa che ti fa del male, che ti distrugge lentamente da dentro, pezzetto per pezzetto. Ti fa sentire stupido, inutile, ti fa perdere te stesso dentro qualcun altro, anche se spesso questo non merita che noi lo facciamo. L’amore è quando sei arrabbiato, deluso, ferito, ma non alzi la voce davanti alla persona che ti ha fatto sentire così solo per non farla piangere o far star male. L’amore è quella cosa, sempre se la posso definire cosa, che come una medicina, ci fa guarire e sorridere quando stiamo male. L’amore è quella cosa che di solito si sente prima che arrivi la rabbia, l’odio e la cattiveria. Ecco cos’è” questo era quello che Devon aveva in testa, che sentiva essere la risposta giusta. Sentiva che quelle erano le parole giuste da dire, ma nemmeno lei riuscì a spiegarsi il perché le venne fuori tutt’altro.

D: un ciao.
L: un ciao? Spiegami.
D: è un CIAO della persona che ami che quando lo senti ti sembra di non aver sentito niente di più bello.

Louis sorrise di nuovo. Quello era il concetto dell’amore, il vero concetto. Devon non meritava di sprecare tutta se stessa per una qualcuno che non la meritava. Lei meritava di più, molto di più, non un qualsiasi baronetto pallone gonfiato. Aveva bisogno di qualcuno che le tenesse testa. Qualcuno di speciale quanto lei.
 


E se adesso quella persona speciale fosse intrecciata tra le lenzuola blu del suo letto? Magari con i capelli arricciati, un rivolo di bava e la faccia schiacciata contro il materasso? E se fosse proprio quella la persona così speciale da tenerle testa e meritare il suo amore?


*

Le finestre erano oscurate, il piede destro a penzoloni fuori da letto, il sinistro intrecciato tra le lenzuola che profumavano di fresco e il viso sprofondato nella morbidezza del cuscino. Josh dormiva sempre così, dormiva veramente alla stragrande, magari prima che il suo IPhone illuminasse la stanza e la riempisse con una musichetta stridula. Saltò letteralmente in aria sputando una piuma probabilmente fuoriuscita dalla federa e rispose portando la testa sotto il cuscino insieme al telefono.

J: pronto?
A: ehy Joshy!
J: ti sembra l’ora per chiamare questa?
A: sono le 9.
J: ti correggo sono solo le 9.
A: si, si come vuoi Joshy. Comunque che aspetti a venirmi ad aprire?
J:  puoi ripetere?
A: aprimi. Ora.
J: io torno a dormire.

Chiuse la chiamata e spense il telefono con l’intenzione di riaddormentarsi tranquillamente cosa che non poté fare. Il suono metallico risuonò in tutto l’appartamento costringendolo ad alzarsi e a trascinarsi fino alla porta. Quando la aprì si ritrovò davanti un gigante biondo platinato con degli occhiali a specchio.

J: che vuoi?
A: ti rendi conto che sono qui?
J: tra poco so anche uscirà fuori il drago della storia infinita.
A: vai a vestirti io preparo un caffè.

Josh tornò in camera sua, infilò una maglia bianca e dei pantaloncini da basket e se ne tornò da Alex che stava trafficando con la moca.

J: che ci fai qui?
A: vacanze. C’è anche Jen e Liam arriverà domani.
J: mi hai pedinato?
A: ho ristretto il campo rintracciando il segnale GPS del tuo cellulare e triangolando latitudine e longitudine ti ho trovato. Ovviamente ho assunto un investigatore.

L’attore guardò l’amico con uno sguardo misto allo scioccato e allo stordito. Quelle erano sicuramente troppe informazioni da assimilare da appena svegli. Rimase a fissarlo con la bocca spalancata e la testa sorretta dalla mano sinistra.

A: sto scherzando. Ho solo chiesto a Connor. Non ti facevi sentire da quasi due settimane e mi sono preoccupato, poi ci hanno invitato qui e ho detto “ perché non andiamo a trovare Joshy?”
J: smettila di chiamarmi così e passami il caffè.

Il biondo gli allungò una tazza piena del liquido nero e bollente che dopo appena un sorso fece svegliare Josh.

J: hai detto che vi hanno invitato. Che intendi?
A: CI hanno invitato. Ci sarà una festa in maschera domani sera al Cafè royal hotel. Vieni vero?
J: non lo so.
A: andiamo! Ci divertiremo!
J: devo anche trovare un costume con così poco preavviso.
A: a quello ci ho pensato io.

Corse verso la sua enorme valigia ( decisamente troppo grande per essere quella di un ragazzo) e iniziò a frugare tra tutti i suoi vestiti lanciando un paio di pantaloni di pelle, degli anfibi e una giacca ( di pelle anche questa) addosso a Josh.

J: dove li hai presi?
A: li ho presi in prestito dal vecchio reparto costumi.
J: ti vestirai anche tu da tributo?
A: fossi matto. Sembro un pappagallo impagliato, poi con quell’elmo. No, ho un costume da persona seria IO.
J: e quale sarebbe?
A: mi vestirò da 007.
J: perché tu indosserai un fottutissimo smoking e io un completino in pelle che mi sta appiccicato addosso?
A: perché tu hai bisogno di attirare l’attenzione, io no.
J: che vorresti dire?!
A: quante ragazze hai avuto in questi giorni?
J: non sono cose che ti riguardano.
A: vuoi dirmi che non sei stato con nessuna?! Dio Josh! Tu stai male! Sei a Londra, le ragazze sono ovunque e tu sei qui da due settimane senza aver fatto niente?

In effetti non aveva proprio fatto niente, insomma dare la caccia a Devon era abbastanza interessante e gli occupava intere giornate, anche se il più delle volte passava ore al parco senza concludere niente.

J: già.
A: ok. lei chi è?
J: come?
A: la ragazza. Chi è?
J: cosa ti fa pensare che ci sia una ragazza?
A: dammi un motivo per non pensarlo.

Era estremamente subdolo e furbo, doveva riconoscerlo. Interpretare Cato l’aveva svegliato un po’, o forse ha sempre fatto il finto stupido.

J: si chiama Devon.
A: lo sapevo! Dai com’è? Com’è?
J: acida, frigida, aggressiva,…
A: insomma il tuo tipo. Dove l’hai incontrata?
J: più che altro scontrati. L’ho tirata su dal viale di Hyde Park la settimana scorsa più o meno, poi l’ho rivista un paio di volte ma sempre di sfuggita.
A: sei preso da questa qui eh?
J: cosa?! Ma tu sei tutto scemo!

Gli diede una spallata e andò a lanciarsi sul divano accendendo la tv sul primo canale disponibile che in quel momento, trasmetteva il telegiornale. Già iniziando a leggere i titoli del notiziario si stava annoiando. “ la borsa cala del 5%” oppure “ il royal baby è finalmente andato di corpo!” o anche “ la figlia del conte sposerà il figlio del duca McMurrey”. Cambiò immediatamente canale senza prestare attenzione alla foto appena comparsa dei due soggetti e si sintonizzò sul basket. quasi sicuramente avrebbe passato la giornata steso a guardare il campionato. Alex fece lo stesso andandosi a sistemare sul secondo divano affondando la mano in un pacco di biscotti appena aperti. Passarono le prime due ore a guardare le partite poi finite quelle si fiondarono sulla console appoggiata appena sotto al televisore e si persero completamente. Litigarono, sbraitarono, piansero per essere morti e ricominciarono da capo tutto COD. continuarono a giocare per diverso tempo saltando il pranzo e cibandosi di biscotti e patatine con una bottiglia di fanta. Un pomeriggio trasgressivo interrotto fortunatamente da una sola telefonata.

A: si? calma Jen, sono a casa di Joshy. Per chi mi hai preso scusa?! Certo ha detto di si. non lo so Jen. Non lo so. ma no! Dio mio basta! Ok va bene, scusa, non alzo più la voce, mi dispiace. Si va bene. Ciao.

Intanto il soggetto della conversazione se ne stava in silenzio ad ascoltare trattenendosi a stento dalle risate. Un colosso di quasi un metro e 90 si faceva sottomettere così da Jen. Doveva ammettere che certe volte quella ragazza incuteva un certo terrore.

J: che uomo senza paura.
A: non sei divertente! È in grado di uccidermi nel sonno!
J: certo Alex, certo. Possiamo riprendere la partita?

Ripresero i joystick e finirono quella partita, poi un’altra, un’altra … giocarono parecchie partite quel giorno non c’è che dire. Verso le sei però, stesi sul pavimento del salotto si accordarono per una pizza, giusto per placare la fame. Josh segnò gli ordini, prese lo skate e corse alla metro. Sarebbe andato nella pizzeria vicino Hyde Park. Così per fare due passi. Buttò a terra la tavola e iniziò a correre lungo l’intreccio di piste che attraversava il parco, un po’ schivando la gente e le bici e un po’ guardando per aria. Raramente aveva sentito parlare del sole a Londra, l’aveva sempre immaginata una città coperta dalle nuvole e sommersa dalla pioggia. Evidentemente si sbagliava. Continuava ad ammirare il cielo quando, non si sa perché finì con la faccia a terra. Si guardò intorno sorpreso per poi girarsi verso qualcuno che imprecava pesantemente contro di lui. Quando si affacciò sullo stagno delle anatre vide dei lunghi capelli biondi ricoperti di alghe e rami. Iniziò a ridere di Devon. Era esilarante, seduta poco più in la della riva, bagnata fradicia e con i capelli degni del mostro della palude.

J: devo dire che il tuo equilibrio fa schifo.

Continuò a ridere aspettandosi una qualsiasi risposta, poi lei si alzò, gli diede una spinta sul torace, afferrò il suo zaino e con la maglia bianca completamente trasparente, le scarpe fradice e i capelli grondanti uscì dallo stagno senza degnarlo di uno sguardo. Josh a sua volta afferrò la tavola e le corse dietro velocemente.

J: qualcosa mi dice che ti piace farti investire.
A: qualcosa mi dice che vuoi prendere una gomitata nei denti.
J: ehy, andiamo, sto scherzando.
A: però io non rido!

Si fermò in mezzo al vialetto e si voltò velocemente verso di lui iniziando a sbraitargli in faccia.

A: guarda come sono ridotta! Mi ero fatta ieri la doccia! Mi ci vorranno anni per togliermi questo schifo dai capelli!
J: beh due bagni al prezzo di uno, più trattamento ai fanghi e alghe. Dovresti ringraziarmi. Ti ho fatto risparmiare un sacco di soldi. Pensa quanto avresti speso andando in una spa.
A: sei un cretino!

Provò a mollargli un pugno dritto sula mascella che prontamente schivò. Le fermò la mano che era tornata alla carica per poi trascinarla davanti a se, proprio come qualche giorno prima.

J: credi che abbia fatto tutto questo di proposito?
A: inizio a crederlo, si.
J: senti voglio farmi perdonare ok? domani sera ci sarà una festa in costume al Cafè Royal Hotel. Sai dov’è?
A: e perché mai dovrei venirci!?
J: li alle 8. Puntuale.

La lasciò andare e le voltò le spalle riprendendo la strada verso la pizzeria. Appena fu sicuro di essere fuori dalla sua vista sorrise sornione. Aveva ottenuto ancora una volta quello che voleva.

*



Devon passò tutta la mattina con Louis e George che cercavano di tenerla su di morale facendo delle stupide battute sul suo futuro marito. Qualcuna la fece anche ridere ma solo per pochi istanti. Quando i due capirono che tutti i tentativi erano inutili le chiesero di aiutarli a riordinare e catalogare i vecchi libri. Passò delle ore tra l’odore di inchiostro, vecchie pagine e polvere e tra uno sternuto e l’altro si erano fatte quasi le sei. Salutò i due proprietari con un bacio e si diresse verso casa insieme ad alcuni dei suoi nuovi acquisti (alcune stesure originali di romanzi non molto popolari ma che lei adorava). Pensò bene di passare per il parco, magari si sarebbe anche fermata li per un po’ a leggere probabilmente con una lattina fredda di coca e un panino presi ad uno dei numerosi chioschi presenti. Attraversato il grande cancello di ferro battuto prese la via più breve per arrivare allo stagno. Con passo sicuro stava raggiungendo la sua solita panchina quando, senza rendersene conto, si ritrovò dentro al laghetto, con le anatre che le nuotavano intorno e i capelli davanti agli occhi come un sipario, probabilmente pieni di non si sa cosa.

J: devo dire che il tuo equilibrio fa schifo.

Pur avendola sentita cosi poche volte riuscì a riconoscere immediatamente quella voce. Ancora lui. Aveva pregato Dio di trovare il vero amore non un aspirante assassino! Si alzò immediatamente in piedi rifiutando la sua mano e lo spinse con talmente tanta rabbia nelle vene che rischiò di farlo cadere. Senza proferire parola o altro prese il suo zaino e iniziò a marciare dritta a casa sua con le gocce d’acqua che le solleticavano il naso. Pochi secondi dopo essersene andata se lo ritrovò alle costole che sparava cose senza senso come il prezzo delle spa e dei trattamenti con il fango. Esasperata, si voltò e iniziò a sbraitargli in faccia. Fu costretta, però, ad alzarsi sulle punte per raggiungere la sua altezza. Se solo si fosse resa conto della comicità di quella scena, sarebbe scoppiata a ridere. Una ragazza fradicia ricoperta di fango, alghe, piume e rami che cerca di mollare un pugno a un ragazzo ben piazzato che subito la tira a se come aveva fatto diversi giorni prima. Devon guardò la causa della sua quasi morte negli occhi e non poté fare a meno di specchiarsi. Ogni singola volta che lo incontrava e lo guardava negli occhi era come se tutta la rabbia sparisse per poi ritornare più forte di prima ricordandosi del solito sorrisetto che accompagnava quello sguardo. Però quel giorno non comparve. Da quelle labbra rosse e sottili, invece di quella smorfia, uscì fuori una voce calda e leggermente roca che con il suo profumo creava un mix quasi afrodisiaco per il suo cervello.

J: credi che abbia fatto tutto questo di proposito?
A: inizio a crederlo, si.

Esitante gli rispose senza staccare gli occhi dai suoi. Solo ora aveva notato che quelle lentiggini non erano poi così sbiadite. Le piacevano, lo rendevano meno uomo e vagamente più dolce. Si trovò a pensare di schiaffeggiarsi. Non doveva pensare certe cose, lui non meritava di ricevere dei pensieri del genere da parte sua.

J: senti voglio farmi perdonare ok? domani sera ci sarà una festa in costume al Cafè Royal Hotel. Sai dov’è?

Un invito a una festa in maschera per farsi perdonare. Poteva essere un’idea carina tranne per il fatto che non avrebbe mai potuto rischiare di essere fotografata con lui o magari mentre beveva un drink rimediandosi la reputazione da alcolista.

A: e perché mai dovrei venirci!?
J: li alle 8. Puntuale.

Poi se ne andò lasciando Devon da sola. Esattamente come aveva fatto lei quel giorno alla pizzeria. “ occhio per occhio dente per dente”. Forse un pochino se lo meritava. Ma che andava  a pensare! Scosse la testa facendo cadere qualche foglia e se ne tornò a casa sua, dove iniziò a spogliarsi lanciando i vestiti un po’ ovunque per poi correre in bagno e lanciarsi dentro la grande vasca che troneggiava accanto alla doccia. Rimase a mollo per diverso tempo rischiando più volte di addormentarsi. Solo dopo aver ripensato alla conversazione con Josh, si rese conto di un dettaglio importante. Digitò furiosamente un numero sui tasti del telefono e attese impaziente una risposta.

B: pronto?
D: Beth  ho bisogno di un favore!
B: si sto bene Devon, grazie per avermelo chiesto.
D: si scusa Beth. È solo che ho urgente bisogno di un costume.
B: costume? Come sarebbe a dir e un costume?
D: un costume! Una maschera, come la chiamo la chiamo!
B: e a che ti serve adesso?
D: mi hanno invitato a una festa e non ho niente da mettermi. Ti prego aiutami!
B: che avevi in mente?
D: Non lo so! Magari qualche cosa di bianco o comunque chiaro, non molto appariscente magari.
B: Chi è lui?
D: Lui chi?
B: Quello su cui vuoi fare colpo. Tu non indossi ami il bianco a meno che non ti vuoi far notare.
D: Ma che stai dicendo?! Non è affatto vero!
B: Non mentirmi Devon. Ti conosco come le mie tasche.
D: Si chiama Josh e non è nessuno.
B: Un nessuno su cui vuoi fare colpo. Va bene non indagherò oltre, ti ricordo solo che sei fidanza.
D: Grazie. Davvero, Beth grazie per avermelo ricordato.
B: Di niente! Allora per quando ti serve?
D: Domani.
B: Cosa? Mi stai chiedendo un vestito per domani? Sei impazzita!?
D: Ti prego dimmi che puoi farlo.
B: Ho detto solo che sei impazzita non che non posso. Ti avverto però che ho solo due o tre vestiti pronti e l’unico bian…
D: Non importa. Ti lascio carta bianca.  Riesci a mandarmelo a casa?
B: Verrò io.

Beth chiuse la chiamata. Probabilmente le era venuto un colpo di genio. Faceva spesso così con Devon. Lei chiede e Beth esegue. Era la ragazza più creativa che conoscesse. Era stata assunta per curare la sua immagine e per una volta sua madre aveva fatto una cosa giusta.
 


* LUMOS*
Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.

Capitolo appena finito. Allora, qui iniziano ad apparire altri componenti importanti della storia come Alex, Jen e Beth. Loro saranno delle parti importanti nell'evolversi della storia, senza tralasciare che saranno un po' i clown in certe situazioni ( saranno più o meno come degli strateghi), insieme a loro esce una nuova parte di Devon ( quasi diabetica direi) e un Josh sempre più determinato per ottenere ciò che vuole. Per ora sto iniziando a scrivere il nuovo capitolo, probabilmente ci metterò un po' di più, ma voglio renderlo grandioso ( sempre per quello che permettono i miei standard e la stanchezza pre esami ), perciò addio, il letto mi reclama, insieme a quella palla di pelo del cane e della mia migliore amica, che inizia ad imprecare per farmi spegnere la luce dato che sta venendo sbranata dalle zanzare. 
Buona notte a chi legge.
STARK.
 

Fatto il misfatto
*NOX*

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Capitolo 6
*** regola n°1: gli opposti si attraggono. Sempre. ***


C’è il momento in cui guardi una persona e capisci di aver trovato il tuo posto.
Non è questione di chimica, non è istinto: è amore.
E’ guardarsi e capire di essersi sempre cercati.



Regola n°1: Gli opposti si attraggono. Sempre.

Quella sera nessuno dei due chiuse occhio. Josh per gli strani rumori che faceva Alex e Devon per finire di leggere per l’ennesima volta un vecchio libro polveroso. La verità è però, che nessuno dei due ne aveva voglia. Josh non faceva che chiedersi se si sarebbe presentata e se mai fosse venuta che cosa avrebbe indossato, Devon pensava a come sarebbe stata con in dosso un abito bianco e a come si sarebbe comportata con lui, perché adesso non riusciva più a pensare con razionalità.
 
Straordinariamente alle 7 stava già girando per casa con in mano una tazza fumante di caffè e con addosso una maglia di Star Wars di 3 taglie più grande di lei. Aveva chiuso occhio si e no 4 ore quella notte e poi si era alzata presto, troppo presto per i suoi standard. Sentiva che qualche cosa la spingeva ad alzarsi, ma nemmeno lei sapeva cosa. Continuava a fare avanti e dietro dalla terrazza alla sala, dalla sala alla cucina e dalla cucina alla camera, dove finalmente si guardò allo specchio. Notò i segni della stanchezza sotto gli occhi, i capelli arruffati e senza forma concreta e poi le unghie mangiucchiate e con lo smalto rovinato. Doveva fare assolutamente qualche cosa, non poteva presentarsi così quella sera, non avrebbe potuto. Appoggiò la tazza vuota sul comodino e si buttò pesantemente sul letto cercando il suo cellulare tra le lenzuola, che come se sapesse di essere cercato iniziò a squillare. Devon l’afferrò al volo prima che potesse cadere e rispose.

B: il tuo vestito è pronto!
D: io ti amo! Quando me lo porti?
B: sono già qui fuori, aprimi.

Iniziò a correre inciampando più volte sul lungo tappeto e sbattendo ripetutamente contro i mobili iniziando ad imprecare, poi finalmente, riuscì ad arrivare tutta intera alla porta. Quando l’aprì le si presentò un omone altissimo con degli enormi occhiali da sole, un auricolare e la testa lucida. Devon esitò un attimo poi gli saltò al collo. Era l’unico oltre a suo padre che gli mancasse.

D: Joe!
J: Devon vatti a vestire immediatamente.
D: ciao anche a te. Si mi sei mancato!

Le passò una mano tra i capelli scompigliandoli ancora di più, poi si spostò facendo apparire una ragazza alta quasi come Devon con in spalla una sacca bianca. Non fece in tempo a dire niente che si ritrovò in camera sua sopra ad una sedia per gli ultimi accorgimenti.

D: che stai facendo Beth?!
B: zitta e infilati questo!

Senza ribattere indossò un lungo abito bianco che cadeva giù morbido e rimaneva più rigido sul torace. Beth con degli spilli continuava ad appuntare, a rifinire gli orli, intrecciare spalline e così via. Dopo tre ore di modifiche, punture di spilli e tutto il resto poté guardarsi allo specchio. Era come se non avesse indossato altro per tutta la vita. Passò delicatamente le dita tra il tessuto semitrasparente come per paura di rovinarlo. Era magnifico.

B: ovviamente manca ancora qualche dettaglio.
D: tipo?
B: lo vedremo dopo. Adesso toglitelo e mettiti qualche cosa. Usciamo.
D: dove andiamo?
B: hai intenzione di presentarti in questo stato? Non credo proprio. Muoviti ti aspetto alla macchina.

Con un sorriso si tolse l’abito e si preparò in fretta. Pantaloni della tuta, maglietta bianca, infradito e capelli legati alla buona. Chiuse la porta e corse giù per le scale. Uscita dalla porta un’auto nera con lo stemma della sua casata aspettava ferma sul vialetto. Saltò immediatamente su e senza dire niente Joe iniziò a guidare per le strade trafficate di Londra.

B: beh?
D: beh cosa?
B: lui! Com’è lui?
D: è … insomma … è, un tipo.
B: com’è? Dai descrivilo!

Descriverlo?! Da dove avrebbe potuto iniziare?! Dalla smorfia che ha sempre in faccia? Dalla mascella larga? Dalle lentiggini, dalle labbra sottili o dai capelli sempre in disordine? Oh no, niente di tutto quello. Lei sapeva bene da dove iniziare, solo che non voleva ammetterlo.

B: Devon? Ci sei? Allora? Com’è?
D: b-beh… ha dei begli occhi.
B: cos’hanno di così speciale?
D: sembrano castani, però se li guardi bene hanno anche del verde e del blu. Poi h-ha le labbra sottili, qualche lentiggine intorno al naso e …
B: ho capito, ho capito basta. Il tuo tipo.
D: non è per niente il mio tipo! È troppo pieno di se, arrogante e stupido per essere il mio tipo!
B: quanti requisiti ha?
D: non ho mai confrontato la lista con lui…
B: allora facciamolo subito! È bello?

Se era bello? Oggettivamente parlando era molto più che bello, con quel viso dai tratti marcati, poi le spalle larghe, il modo di muoversi ...

D: direi che è discretamente bello.
B: ok è maledettamente sexy. Passiamo al secondo requisito. Ha una voce sexy?

Quel ragazzo aveva un non so che nella voce che faceva andare il cervello di Devon in tilt. Forse perché è bassa, calda e leggermente roca, oppure per il suo accento…

D: purtroppo si.
B: è spontaneo?
D: ancora non lo so! So solo che è puntiglioso.
B: perché?
D: ero in biblioteca l’altro giorno e stavo leggendo, lui è venuto li senza ritegno e ha iniziato a punzecchiarmi.
B: abbiamo un cuor di leone tra noi! Ci vuole fegato a stuzzicarti mentre leggi. Con questo fanno 3 requisiti su 9. ha la battuta pronta?
D: si. Ha la lingua biforcuta quel tipo. Però adesso basta parlare di lui Beth, non ne posso più!
B: un’ ultima cosa… avete litigato e poi fatto sesso per far pace?
D: cosa?! Ma sei matta!?
B: andiamo, a me puoi dirlo…
D: lo conosco da si e no due settimane. Ti sembro il tipo che va a letto con un tipo solo per far pace?
B: lo vedremo…
 

*

Josh quella mattina, al contrario di Devon, era rimasto intrecciato tra le lenzuola fino al nuovo ordine. Fu Alex a svegliarlo verso le 11.

A: sveglia Hutch!
J: togli il tuo fottutissimo culo dalla mia schiena!
A: buongiorno finezza!

Detto questo si alzò e rimase a guardare Josh. Aveva la faccia stanca. Che non avesse dormito? Ma ovvio che no! Doveva avere qualche cosa per la testa. Sarebbe riuscito a scoprire cosa.

A: come mai non hai dormito?
J: hai anche la faccia tosta di chiedermelo? Se solo le tue fan sapessero che razza di rumori fai di notte, scapperebbero a gambe levate. Fidati!
A: come scusa?
J: Alex! Russi! E dalla tua camera uscivano gas tossici! Per non dire che parli nel sonno!

Ecco! Avrebbe volto la cosa a suo vantaggio! Se c’è una cosa che sa bene di Josh è che è un credulone. Basta buttare l’esca che lui abbocca subito.

A: anche tu parli nel sonno se è per questo.
J: non è vero!
A: allora perché quando sono entrato dicevi : “ posso avere questo ballo?”

Josh arrossì. Aveva veramente detto quello? Come poteva saperlo? Stava dormendo! Si grattò la testa imbarazzato. In effetti, aveva sognato di ballare con qualcuno. Magari un qualcuno che fosse Devon. Erano lui e quella ragazza in maschera a ballare al centro della sala. Non era mai stato così pateticamente romantico. Alex aveva ragione. Si sarebbe dovuto trovare una ragazza durante il soggiorno…

A: Oh, ho capito! Sognavi lei!
J: non è vero! Smettila e vammi a preparare un caffè!

Alex si allontanò ridendo. Aveva fatto bingo! Josh rimase a fissare il soffitto cercando una risposta. Sarebbe venuta? L’avrebbe ignorato completamente? Che cosa diavolo sarebbe successo?! Prese un cuscino e se lo portò al viso. Perché era tutto così fottutamente complicato con lei? Perché ne era così attratto e non era come con tutte le altre che se gli dicevano no ci rinunciava subito? E in più perché sentiva il bisogno costante di prenderla a schiaffi e contemporaneamente portarsela a letto all’infinito? E proprio in quel momento l’immagine di una Devon senza vestiti gli si stava parando davanti, ma fu subito scacciata via dalla voce di Alex. Un giorno di questi l’avrebbe sicuramente fatto fuori.

A: no non ucciderti! Voglio farlo io!
J: divertente, davvero divertente.
A: il caffè te l’ho fatto. Devo anche berlo?
J: ho già detto che non sei divertente?
A: e tu sai di essere strano? Sei più scombussolato del solito, ma so io come farti tornare con i piedi per terra!
J: come?
A: alza il culo e vestiti Hutch. Oggi si va per negozi!
J: tu sei pazzo. Io non mi alzo!

Si coprì fin sopra la testa con le lenzuola che in un attimo sparirono, poi fu trascinato giù per un piede da Alex. Era cocciuto come un mulo. Dopo la lotta, tre cuscini rotti, diverse scivolate sul pavimento si decisero ad uscire. Attraversato il quartiere dove viveva Josh ci si ritrovava a Piccadilly, ormai piena di gente che correva da tutte le parti. Alex lo trascinò ovunque, negozio per negozio per trovare quel dettaglio che mancava al suo costume da 007. Passarono delle ore prima che si rendesse conto che quello di cui aveva realmente bisogno, erano un paio di gemelli da appuntare ai polsini della camicia. Finalmente dopo aver scelto tra 15 modelli diversi si fece impacchettare quelli in platino rettangolari. Chi mai avrebbe speso 200 £ per degli affari minuscoli? Ovviamente Alex.

J: senti, devi cercare qualcos’altro? Io ho fame, sono le due.
A: anch’io ho fame. Fammi pensare a dove possiamo andare

Il biondo rimase un attimo in silenzio e prese a grattarsi il mento, poi di scatto afferrò Josh per il colletto della maglia e iniziò a trascinarlo per le vie come un cane al guinzaglio. Alex era veramente un tipo strano, ma non sarebbe stato altrimenti, dopotutto è amico di Josh. Camminarono per una decina di minuti fino a trovarsi alla fermata della metro. Salirono su e arrivarono fino ad Hyde Park.

J: perché siamo qui?
A: tu hai detto che l’hai vista spesso in un ristorante qui vicino. Fai due più due…
J: tu sei fuori di testa. Se quella mi vede mi denuncia per stalking!
A: correremo il rischio. Adesso muoviti!

Prima che potesse afferrarlo di nuovo per la maglia, si scansò e riprese a camminare normalmente verso l’entrata del ristorante. Entrati li dentro notarono i pochi posti occupati e un cameriere, probabilmente quello che aveva servito Devon l’ultima volta, andò ad accoglierli.

A: un tavolo per due.
X: per di qua prego.

Li accompagnò fino ad un tavolino rotondo vicino alla finestra. Li guardavano tutti quelli che passavano e ogni volta che Josh intravedeva dei ricci biondi perdeva un battito. Non riusciva a non pensare a quello che sarebbe potuto succedere tra poche ore. Se mai si fosse presentata sarebbe caduta ai suoi piedi. Doveva farla cedere ai suoi piedi, doveva essere sua. ad ogni costo… ma a chi la dava a bere! Lui non era mai stato bravo con le ragazze. Il primo approccio era sempre un disastro, cosa poteva fare con lei? Si era comportato da coglione. Aveva provato a fare il ragazzo diverso, alternativo. Il problema era che così non sarebbe mai andato da nessuna parte con lei.

A: Josh? Ehy! Mi ascolti?
J: come?
A: ti stavo dicendo che dovresti darti una sistemata a quei capelli. Hai metà testa bionda.
J: si lo so.
A: dovresti tornare completamente biondo. Insomma, stasera ti vestirai da Peeta e non puoi essere così.
J: certe volte ho dei dubbi su di te. Non riesco a capire se sei una ragazza travestita da ragazzo oppure una ragazza molto muscolosa.
A: idiota. Parlando di ragazze. Stasera vieni con qualcuno?
J: forse.
A: chi è?
J: quella di cui ti ho parlato.
A: hai invitato Devon… e non sei svenuto? Insomma niente figure di merda? Tutto così diretto?
J: l’ho buttata nello stagno del parco.
A: sei un caso clinico! Andiamo Josh, non ci vuole un genio!
J: non iniziare, sono pessimo in queste cose…
X: oh, certo. Hai ragione.

Si voltarono tutti e due e videro una Jenn che afferrava una sedia per mettersi al loro tavolo.

J: non prendermi in giro…
Jenn: sei così dolce! E affascinante e adorabile!
J: sono molto affascinante, estremamente affascinante…
Jenn: divertente…
J: ne sono consapevole, sono molto divertente.
Jenn: e sei intelligente!
J: sono molto intelligente, ma la cosa…
Jenn: e in più guardati, sei atletico, sei un grande giocatore di basket!
A: cosa vuoi, che si metta a giocare a basket?! Andiamo Jenn!
J: giocherò a basket… no seriamente, sono davvero pessimo nell’iniziativa e nel primo contatto con le donne, ma una volta iniziato ho raggiunto il mio obiettivo.
A: certo, come no!
J: sentite, il primo contatto è sempre il più difficle… che cosa dovrei fare ? Mandarle un biglietto con scritto “ Ti piaccio? Si o NO.”?

Lo guardarono entrambi perplessi. Era una cosa complicata! Magari non per Alex, lui non aveva di questi problemi. Bastava una sbattuta di ciglia, tirare un attimino i bicipiti e le ragazze arrivavano, erano  attratte da lui come le mosche con il miele. Ma con Josh… uff! Aveva bisogno dei segnali luminosi per capire se qualche ragazza era interessata.

A: scherzi vero?
J: andiamo, è un classico, funziona sempre.
Jenn: ok. adesso mi spiegate, per favore, chi è lei?
A: quella per cui Joshy ha perso la testa!
J: esatt.. non aspetta, cosa?! Non ho perso la testa per lei!
A: chi lo nega si frega.
Jenn: ha ragione sai?
J: volete finirla? Voglio solo ordinare e mangiare qualche cosa. Sono stanco di parlare di lei.
A: che c’è? Hai paura che non si presenterà stasera?
Jenn: l’hai invitata alla festa?
J: già.
Jenn: e che ha detto?!
J: non sono sicuro che fosse una risposta affermativa… più che altro mi ha gridato in faccia.
Jenn: e perché?
A: l’aveva appena buttata nello stagno delle anatre. Non doveva essere molto felice.
J: comunque c’è il 50% di possibilità. Io mi preparerò, indosserò il mio costume e mi divertirò, comunque vadano le cose.
Jenn: che indosserai stasera?
A: si vestirà da tributo! Gli ho portato il costume, sarà fantastico.
Jenn: che cosa?! Non puoi fargli mettere quello! Andiamo sarà una festa di classe!
A: e allora?
J: indossare completino aderenti in pelle non è esattamente ciò che si definisce di classe. Però ormai non ho scelta. Non so che altro mettere.
Jen: e io che ci sto a fare qui?! Forza alzatevi e andiamo!
J: ma devo ancora mangiare!
Jenn: zitto e non contraddirmi! Muovetevi!
A: ma Jenn!
Jenn: siete ancora li?! Non costringetemi a fare delle cose che proprio non vorrei fare!

I due si alzarono intimoriti dalla ragazza che avevano davanti. Jenn riusciva a farti quell’effetto più di qualunque altro, perché lei non gridava. Rimaneva impassibile, con il tono piatto e gli occhi puntati nei tuoi senza mai spostarli. Sarebbe riuscita a convincere chiunque a fare ciò che voleva, e così aveva fatto con Alex e Josh. Li trascinò di nuovo per negozi. Iniziò a frugare tra giacche, pantaloni camicie, scarpe e ciò che le piaceva lo lanciava tra le braccia di Josh. Lo costrinse a provare pezzo per pezzo. Impiegarono due ore soltanto per decidere i pantaloni, poi da quelli avevano trovato una giacca nera con profili in velluto, una camicia nera attillata, un papillon in raso e delle scarpe lucide. Mancava solo un dettaglio che ancora non si sapeva quale fosse.

J: da che cosa sarei mascherato?
Jenn: da domino, ovvio. Manca qualche dettaglio qua e la, ma vedrai prima di stasera sarai perfetto.
J: ne sei sicura? Insomma, mi sembra di indossare solo uno smoking.
Jenn: ti fidi di me si o no?
J: si, ed è proprio per questo che mi preoccupo…

Perplesso come non lo era mai stato, Josh tirò fuori la sua carta di credito e raggiunse la cassa. Con che faccia si sarebbe presentato li quella sera?

Jenn: fermati! Hai intenzione di sistemarti la testa vero?
J: come?
A: i capelli Josh. Non puoi andare in giro con la testa di due colori. Forza muoviti, dobbiamo sistemarli.

Lo spinse fuori dal negozio fino al primo parrucchiere aperto. Jenn diede gli ordini facendo scattare tutti sull’attenti, shampoo, taglio e piega tutto alla perfezione. Josh avrebbe fatto cadere ai suoi piedi chiunque a suo parere, solo che Devon non era una chiunque.
 

*

Il tempo passò in fretta, troppo in fretta forse sia per Beth che per Devon. Si ritrovarono a correre verso casa che erano di poco passate le sette. Entrarono di fretta nell’appartamento e Devon iniziò a togliersi di dosso la tuta grigia e sgualcita per la sciare spazio all’abito preparato da Beth. Con delicatezza fecero scivolare il tessuto leggero sopra alla biancheria bianca che quella sera stava indossando e , una volta che la gonna toccò terra, Beth iniziò a tirare i lacci sottili sulla schiena per legarci sopra gli ultimi dettagli: delle ali bianche e morbide che lasciarono Devon spiazzata. Per ultimo l’aiutò ad indossare le scarpe con il tacco altissimo a cui lei era già abituata e la maschera , semplice, in raso che le incorniciava gli occhi truccati di nero e metteva in risalto le labbra con il rossetto del medesimo colore. Prima di uscire fece un giro su se stessa.

B: che ne pensi?
D: penso che tu sia un genio.
B: lo sapevo.
D: davvero modesta.
B: dopotutto so esattamente cosa vuoi. Ti conosco troppo bene, è in più quando mi hai detto di avere una festa in maschera ho subito pensato al balletto.
D: te ne sei ricordata?
B: Devon, siamo cresciute insieme. Posso certamente dire di conoscerti meglio di tua madre
D: non ci vuole molto. A proposito, qualcuno è a corrente di questa “ uscita”?
B: nessuno, tranne me e Joe. Tranquilla, non lo saprà nessuno.
D: grazie.

Iniziò ad incamminarsi verso la porta quando Beth la fermò nuovamente per andarle vicino e guardarla negli occhi.

B: Devon, sei sicura di quello che fai?
D: ormai non sono più sicura di niente.

Si sorrisero tristemente ancora una volta,prima che Devon uscisse di li per poi sparire dietro all’immenso portone nero, lasciando il suo appartamento immerso nel silenzio rotto solo da alcuni pensieri di Beth. Fuori dal suo palazzo, Joe l’aspettava per portarla dalla parte opposta della città. Con il suo abito e le ali salì in macchina, attenta a non rovinare nemmeno una piega dei capelli perfettamente lisci e tirati indietro per lasciare spazio alla meravigliosa maschera. Joe ogni tanto la notava dallo specchietto retrovisore, mentre cercava di sistemare dei difetti inesistenti sulla gonna dell’abito e si contorceva freneticamente le mani.

J: Così ti romperai le dita.
D: è solo che non riesco a stare ferma…
J: agitata?
D: un po’.
J: è solo una festa. Hai bisogno di rilassarti un po’.
D: non voglio essere riconosciuta.
J: con tutta la gente che ci sarà, nemmeno si accorgeranno di te. Vedrai.
D: ho paura di sbagliare. Non potrei mai finire nelle pagine di una rivista. Non sopporterei di nuovo quel peso.
J: alle volte abbiamo solo bisogno di una scusa per sbagliare.
D: in che senso?
J: nel senso che se troverai qualche cosa per cui varrà la pena sbagliare, potrai sbagliare e non ti importerà.
D: forse non a me. Ma credo che a palazzo a qualcuno interessi.
J: fregatene di loro. Almeno per stasera sentiti libera. Adesso stai tranquilla. Ci metteremo un po’ ad arrivare.

Ci sarebbe voluto molto più di un po’. Sembrava che tutti quanti avessero deciso di uscire quella sera e che andassero tutti nella stessa direzione. Distrattamente Devon iniziò a guardare fuori dal finestrino leggermente appannato per poi seguire lentamente una delle prime gocce che scivolava su di esso. Senza fretta la strada scorreva davanti ai suoi occhi e il nero dell’asfalto si fondeva lentamente con la tonalità rosa che si specchiava sulle pozzanghere e si rifletteva attraverso il fumo che usciva dai tombini. Amava il tempo quando era così. L’odore che c’è nell’aria, i colori che diventano stranamente di una tonalità più violacea,  i suoni che diventano ovattati, tutto sembrava più dolce, più calmo ai suoi occhi, ed era quello che le serviva. Le serviva calma, anche solo una calma apparente. Giusto un qualche cosa che non la facesse andare fuori di testa. Cercò di crearsi una sorta di equilibrio che non durò poi più di tanto, si perché una volta che Joe l’aiutò a scendere dall’auto fu subito assalita da domande, luci abbaglianti e dall’aria umida di quella sera. Prima di muovere un solo passo, un ragazzo con un ombrello le si avvicinò coprendola e scortandola lungo un chilometrico tappeto nero che spariva dietro alle porte decorate del palazzo, dietro alle quali scomparve anche lei, immergendosi in un ambiente lucido con delle note che si disperdevano tra le colonne di marmo che facevano da padroni ai lati dell’ingresso. Sembrava essere finita in un universo parallelo. Come potevano 10 metri fare tanta differenza? Si voltò in dietro per osservare. Lampi di luce rompevano il buio, vedeva labbra muoversi freneticamente ma senza sentire nessun suono. Quella sera, in quell’atrio, dopo tanto tempo si sentì in pace con se stessa per non dover rendere conto a nessuno. Sospirò prima di far comparire un leggero sorriso su quelle labbra tinte di nero. Riprese a camminare lentamente lungo il tappeto che la portò dritta alla sala dove la festa era già iniziata. Il soppalco le rese facile vedere la gente che ballava al centro della pista. Era un tripudio di abiti, tessuti, luccichii e colori. Ognuno con un abito diverso, qualcuno appariscente, qualcuno semplice ma non banale, come quello azzurro di una ragazza dalla parte opposta della sala. Rimase ad osservarsi intorno. Chissà lui dov’era. Che costume avrà avuto? Come avrebbe fatto a riconoscerlo tra tutte quelle persone?
 

*

 
Josh intanto si stava facendo le stesse domande. Se ne stava seduto ad un tavolo dal quale era assicurata la vista di tutta la sala, almeno prima che Liam gli si sedesse davanti, subito seguito da Alex e Jenn.

L: sembri un po’ avvilito Romeo.
A: non pensarci Josh! Guarda le ragazze che ci sono qui. Scegline una e vai.
Jenn: pensi veramente che possa essergli di aiuto? Quanto sei stupido!
A: almeno io provo a tirarlo su di morale! Tu che cosa fai invece? Guardati! Sei talmente impegnata a sistemarti continuamente quella montagna di stoffa azzurra che ti ritrovi addosso, che hai ignorato il fatto che quella li non si è presentata.
Jenn: primo, non ho affatto ignorato questo particolare. Secondo, il mio vestito non è affar tuo. Chiaro?!
J: potete farla finita?

Il moro li guardò con una faccia stravolta per poi togliersi il mantello, slegarsi il fiocco ormai troppo stretto che aveva intorno al collo e passarsi nervosamente una mano tra i capelli tirati indietro, adesso spettinati e sparsi sulla fronte ampia del ragazzo. Ordinò qualche cosa di alcolico sperando di lasciarsi andare almeno un po’. Dopotutto lei non si era presentata, ma questo non voleva dire che non avrebbe potuto divertirsi ugualmente. Infondo Alex aveva ragione. Non c’era solo lei quella sera. Era come trovarsi in un negozio di caramelle. Ragazze rosse, more, alte, basse, con le curve, magre come manici di scopa, abiti lunghi e sfarzosi, abiti corti e attillati che lasciavano ben poco all’immaginazione. Buttò giù in un sorso il mezzo bicchiere che gli era rimasto per poi sbragarsi ancora di più sulla poltroncina in velluto rosso.

L: sicuro che non verrà?
J: più che sicuro. Dopo che l’ho buttata dentro al lago escludo l’eventualità di vederla.
L: Alex mi aveva accennato questo dettaglio. Dai non pensarci. Vieni a ballare.
J: con te?
L: certo!
J: sarai anche affascinante con quella divisa da Marine, ma non sei il mio tipo.
L: allora invita qualcuna a ballare. Scommetto che farebbero la fila.
J: allora perché non ne vedo nemmeno una?
L: perché sei fottutamente cieco! Perciò ora apri gli occhi e scegline una!

Iniziò a  vagare con lo sguardo tra tutte le ragazze presenti nella sala, senza mai davvero osservarle, poi eccola. Fu questione di un attimo e la vide. Appoggiata al corrimano, stava scendendo elegantemente una ragazza vestita in bianco. Ad ogni passo la gonna si apriva mostrando parte delle lunghe gambe, ad ogni passo la gola di Josh si faceva sempre più secca. Ad ogni gradino il tessuto semitrasparente volteggiava intorno alle sue caviglie e ad ogni gradino gli occhi di Josh si riempivano sempre di più di quella figura.

J: voglio lei.

Liam si girò verso la scalinata osservandola. Anche lui ne rimase sorpreso. Ma non dalla bellezza, dal fisico o da altro, ma dalle ali bianche che spuntavano da dietro la schiena.

L: allora vai.
J: ma dico l’hai vista? Andiamo, una come lei con me che ci fa?
L: allora fai come vuoi, resta pure qui e continua ad ordinare da bere, ma poi non lamentarti se non hai nessuno con cui passare parte della tua vita.
J: che vorresti dire?
L: sei bloccato dalla paura! Dici sempre di avere bisogno di qualche cosa che non sai cos’è, il problema è che l’unico a non saperlo sei tu! Ti serve qualcuno con cui stare Josh! Hai bisogni di farti amare e di amare qualcuno, il punto è però che non ci arrivi! Se continuerai a trovare delle scuse idiote per ogni cosa, tanto vale che lasci perdere.

Quelle parole lo colpirono in pieno petto. Liam gli aveva sputato in faccia la verità, in meno di due minuti era riuscito a rispondere a tutti i suoi stupidissimi dubbi esistenziali. E allora che ci faceva ancora li seduto? Afferrò immediatamente la maschera nera e la indossò coprendosi il viso. Era pur sempre una festa in maschera. Senza nemmeno indossare il mantello o sistemarsi il papillon iniziò a camminare verso di lei ma in una frazione di secondo un ragazzo gli tagliò la strada portandola via. Lui l’aveva scelta e quella sera sarebbe stata sua ad ogni costo. Li seguì con lo sguardo fino al centro della pista, dove le prime note di una tango scandirono il tempo. Senza pensarci due volte si fiondò tra tutta quella gente che aveva iniziato a volteggiare sul ritmo di Roxanne. Arrivò al centro dopo essersi preso una vagonata d’insulti, ma non gli importava. Era concentrato su di lei che ballava tra le braccia di un ragazzo dai capelli lunghi e mori e dagli occhi color carbone. Poi eccola li. Un volteggio. Il tempo di staccarsi che la tirò a se. Continuando a farla ballare. Portò una mano sul suo fianco morbido e intrecciò l’altra libera con la sua.

J: presa.

Soffiò a qualche centimetro dalle sue labbra. Dio che labbra, carnose e ricoperte da uno strato di rossetto nero che spiccava su quella pelle bianco latte. Senza esitare riprese a ballare in un modo che non gli era mai appartenuto. Movimenti sinuosi accostati a quelli molto più che espliciti della ragazza che gli stava davanti. La pelle delle gambe che usciva dallo spacco del vestito lo mandava letteralmente fuori di testa, scatenava in lui una reazione probabilmente eccessiva, solo per aver visto un po’ di pelle. Forse perché se la pelle delle gambe era così, poteva solo immaginare come poteva essere tutto il resto… rimase incollato a lei e lei a lui anche quando la musica tornò ad essere quella iniziale. Una musica metallica, senza senso che piaceva a tutti tranne che a lui. Fece scivolare la mano fino a quella della ragazza e la portò via con se, verso al tavolo che aveva già occupato prima e dove aveva abbandonato il suo bicchiere. La fece accomodare, e lei, accavallò lentamente le gambe facendolo letteralmente esplodere. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Al diavolo Devon! Lei era senz’altro meglio di quella cinica senza cuore, perché diciamocelo, Devon non sarebbe per niente stata il tipo da mettersi a ballare un tango con le gambe scoperte e ad osservare il vuoto con ari assorta.

J: un penny per i tuoi pensieri.
D: scusami, sono con la testa da un’altra parte.
J: ah si? E dov’è?
D: dove dovrebbe essere anche tutto il resto.
J: e di preciso dov’è questo posto?
D: non lo so nemmeno io veramente…

Un sorriso sornione le si dipinse sul volto facendo allungare quelle labbra magnifiche. Se non fosse stato da maniaci, ci si sarebbe fiondato sopra già da un pezzo. Chissà che cosa si provava a baciare una ragazza del genere.

J: come mai sei venuta qui?
D: un invito dell’ultimo momento. Sai quasi un regalo di scuse.

Un flash gli attraverso la testa. Un regalo di scuse, un invito dell’ultimo momento…  Josh fece due più due e capì subito di aver mandato mentalmente al diavolo la ragazza che aveva davanti. Doveva
solo fare la prova del nove per esserne assolutamente certo.

J: sai, era il minimo dopo averti buttata nel lago.

Devon puntò gli occhi nei suoi. Piombo contro ebano. Grigio nel marrone, si fusero insieme del tutto inconsapevolmente. Come potevano non essersi riconosciuti? Era così evidente. Soltanto guardandola meglio riuscì ad intravedere il neo sulla guancia destra e soltanto dopo averlo osservato attentamente, Devon, si rese conto che lui gli era sempre stato davanti. Da quando l’aveva notato scendendo le scale. Quella sera erano due opposti. Lei in bianco e lui in nero, lei di ghiaccio lui in fiamme. Ciò che non avevano, lo avrebbero compensato con l’altro, anche se ancora non ne erano coscienti.
 
 Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.
 Luoms.

Mi dispiace per aver aggiornato soltanto adesso. è un periodo un po' difficile in questo momento, però mi sono ripromessa che quando tutto sarà passato ritornerò ad aggiornare regolarmente. Parlando del capitolo, questa qui è la premessa per quello che potrebbe succedere dopo ( una premessa un pochino lunga in effetti, solo che studiare economia mi fa questo effetto, per non parlare di Just a Dream di Nelly e Skinny love di Birdy). adesso direi che dovrei andare a letto. Ultimamente non dormo molto e il medico dice che non è una buona cosa, perciò per evitare l'ira funesta del dottore mi dileguo. 
STARK
Nox...
F
atto il misfatto.
 

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