Ranuncolo d'inverno

di Peggotty
(/viewuser.php?uid=30713)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Titolo ***
Capitolo 2: *** Giorni d'estate ***
Capitolo 3: *** Litha ***
Capitolo 4: *** Confusione ***
Capitolo 5: *** Colui che tradisce ***
Capitolo 6: *** Notte di bufera ***
Capitolo 7: *** Fanny ***
Capitolo 8: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 9: *** Comunicato stampa ***



Capitolo 1
*** Titolo ***


Ranuncolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ranuncolo

d’inverno

 

redarcher

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Giorni d'estate ***


Note dell’autrice:Questa storia è nata da una mia voglia improvvisa di scrivere una fiction ambientata in un’epoca passata, quando non esistevano ancora le comodità che possiamo permetterci oggi, quando la gente per portare a casa un pezzo di pane era co

Note dell’autrice:Questa storia è nata da una mia voglia improvvisa di scrivere una fiction ambientata in un’epoca passata, quando non esistevano ancora le comodità che possiamo permetterci oggi, quando la gente per portare a casa un pezzo di pane era costretta anche a spezzarsi la schiena dal tanto lavoro, quando la vita per le persone era difficile… e forse, allo stesso tempo, facile. Non ho idea se la Storia Universale avrà un qualche riscontro sulla Storia dei personaggi, ora come ora è una storia senza tante pretese che però vorrebbe raccontare qualcosa di importante: una storia d’amore qualunque, che spero possa riuscire a toccare il

vostro cuore.                                                                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È scesa la neve, divina creatura

a visitare la valle.

È scesa la neve, sposa della stella,

guardiamola cadere:

Dolce! Giunge senza rumore, come gli esseri soavi
che temono di far male.
Così scende la luna, così scendono i sogni....
guardiamola scendere.
Pura! Guarda la valle tua, come sta ricamandola
di gelsomino soffice.

Ha così dolci dita, così lievi e sottili
 che sfiorano senza toccare.

 

               G. Mistral

                                          “È scesa la neve” 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I

 

 

Giorni d’estate

 

 

 

 

 

Maggio 1755

Villaggio di Bedlington, Wansbeck (1)

 

L’estate s’era decisa ad arrivare, raggiungendo persino le sperdute campagne del Wansbeck, riportando alla vita la terra divenuta secca e priva calore nel periodo invernale.

L’inverno era stato particolarmente rigido quell’anno e troppo a lungo aveva trattenuto tutti noi nella sua gelida morsa di ghiaccio e neve; sembrava quasi voler durare per sempre e marzo non fu tanto diverso da febbraio, così come aprile non lo fu da marzo.

   Venti gelidi provenienti dal nord avevano infuriato impietosi nella brughiera e nella campagna, strappando dai rami i fiorellini appena nati gettandoli a terra senza alcun ritegno, mentre la neve per un desiderio irrazionale e crudele era caduta fino alla fine di marzo, ghiacciando anche i primi accenni di primavera e di nuova vita che con coraggio erano spuntati da quel manto freddo e crudele. Ma adesso era finita.

Con l’arrivo di maggio la stagione calda s’era finalmente decisa ad uscire allo scoperto, portando un po’ di allegria e colori nei prati e nelle campagne assieme al promettente caldo di un’estate ormai prossima; con la bella stagione anche le mandrie adesso potevano uscirsene fuori dalle stalle e trascorrere le loro oziose giornate nei pascoli verdi, mugghiando tranquille e beate al riparo dei muretti di pietra.

   Per quanto mi riguardava, ero più che mai propensa a godermi fino all’ultimo istante il caldo tepore del sole sul viso, seduta comodamente sull’erbetta verde e fresca, giocherellando con i ciuffetti fragranti, passandoli tra le dita e magari raccogliendo qualche fiore da portare a casa, l’ombra della quercia secolare era una panacea nelle ore più calde della giornata e dalla sua posizione strategica – sopra la collina – era perfetta come ‘torre’ di vedetta, ottima per osservare il villaggio poco distante dai pascoli, oppure per dare un’occhiate alle greggi di pecore, cosa che mi stavo curando assolutamente di non fare: era una giornata troppo bella per essere sprecata a tenere d’occhio un branco di ovini puzzolenti e noiosi… ma la coscienza ricordò a me stessa che ero pagata per tenerli d’occhio, perciò non potevo permettermi alcuna distrazione.

  Sbuffai contrariata e mi misi lunga distesa sotto l’ombra della grande quercia, crogiolandomi tra i canti estatici degli uccelli e godendomi appieno quel piacevole tepore estivo; non mi era mai piaciuto badare al bestiame, ma se questo poteva evitarmi una giornata intera immersa fino al gomito in compiti come: spolverare, cucinare, lavare i panni o una qualsiasi faccenda avesse a che fare con mansioni femminili… avrei anche accettato di fare la guardiana di porci anche tutta la vita, piuttosto!

Non che non fossi in grado di svolgere lavori tipici da donna come ad esempio rammendare calzini o camicie, ma non lo trovavo per niente edificante; al contrario di mia sorella, che trascorreva la maggior parte delle sue giornate tappate dentro casa a cucinare e rammendare, io amavo l’aria aperta: sentire l’aria fresca sul viso, assaporare il profumo dei fiori, persino starmene distesa all’ombra di un albero a contemplare le nuvole passare velocemente nel cielo estivo era bello. Non c’era proprio paragone.

   Dovevo essermi addormentata; quando sentii una voce maschile chiamarmi a gran voce balzai immediatamente a sedere, provando un lieve stordimento mentre la testa prese a girarmi come una trottola. Me la presi tra le mano e la infilai tra le ginocchia, aspettando alcuni secondi, intanto la voce continuava a chiamarmi con insistenza, senza darmi il tempo di rispondere: << Maddy! Maddy! Maddy! >> continuava a  ripetere.

   << Che c’è? >> urlai io di rimando, senza accennare a sollevare la testa.

I passi adesso erano più vicini e il ragazzo in pochi secondi fu vicino a me, sotto l’albero.

Quando la testa smise di girare su stessa decisi di alzarla verso la persona che aveva continuato a invocare

Il mio nome a gran voce, come uno scongiuro.

Il viso arrossato per la corsa fino alla cima della collina, le labbra dischiuse in un costante boccheggiare senza respiro, gli occhi scuri ed espressivi di John Maverick non mi abbandonavano un secondo, quasi volesse farmi capire quello che voleva dirmi attraverso di essi.

Mi stiracchiai languidamente e sospirai, sentendomi appagata e rilassata, gli sorrisi tranquillamente. << Ehi,

John, che ci fai qui? Non dovresti essere nei campi assieme a tuo padre? >> domandai.

   << Lo stavo facendo! >> sbottò lui e il viso si arrossò ancora di più per la rabbia. Strinse i pugni contro i fianchi, quasi avesse voluto trattenersi dal picchiarmi, ma la sua era solo una facciata: John aveva diciassette anni ma aveva ancora un viso infantile e nonostante fosse un ragazzo era più alto di me di appena una decina di centimetri, tra l’altro non si sarebbe mai permesso di picchiarmi, perché non glielo avrei mai permesso.

John inspirò ed espirò più volte, quando ebbe ritrovato la calma riprese a parlare. << Ero venuto a controllare che non ti fosse accaduto nulla, ma adesso che ti ho vista… capisco tutto. >>

Lo guardai piccata, aggrottando le sopracciglia, allora mi alzai da terra ed iniziai ad assettarmi con cura l’ampia gonna di cotone grezzo, togliendo i pezzetti di rami che si erano attaccati e anche le foglie verdi della quercia. << Di che parli? >>

John roteò gli occhi e poi indicò bruscamente l’ampio raggio dei campi che si stendeva a perdita d’occhio all’orizzonte; la maggior parte degli uomini del villaggio era intenta a mietere il fieno maturo e giallo, altri invece erano tornati a prendersi cura dei campi adesso che la bella stagione era tornata; John avrebbe dovuto essere assieme a suo padre…

   << Le pecore che dovevi tenere d’occhio sono arrivate fino al campo… e adesso stanno scorrazzando allegramente sotto il naso degli altri! Per questo sono venuto a cercarti! Credevo che ti fosse accaduto qualcosa di male! E invece tu… >>, fece una smorfia di puro disgusto, << te ne stavi in panciolle sotto la quercia… a dormire. >>

Le pecore erano scappate? Stava scherzando?... no, a vedere il tratteggio duro della sua mascella e gli occhi ricolmi di rabbia, doveva essere maledettamente serio.

   << Oh, mio Dio… allora mi sono davvero addormentata? >>

   << Così sembrerebbe >>, disse lui sarcastico.

<< Accidenti, e adesso che faccio? Mia sorella mi ammazza se lo scopre! >> Mi misi le mani tra i capelli ed iniziai a scompigliarmeli nervosamente, sperando di trovare una soluzione.

John borbottò qualcosa di incomprensibile, poi mi afferrò la mano ed iniziò a correre a precipizio lungo la collina.

  << Dove mi porti? >> sbottai dando dei forti strattoni cercando di liberarmi da quella morsa. Ma era inutile.

John non si voltò a guardarmi. << Dobbiamo riportare indietro le pecore scappate, altrimenti saranno guai. >>

Era più grande di me di un anno, eppure sin da piccolo a volte assumeva un atteggiamento dispotico e autoritario nei miei confronti, quasi avesse avuto dei diritti inalienabili su di me; certo, ogni volta che cercava di alzare la cresta nei miei confronti avevo sempre avuto cura di rimettere quel galletto superbo al suo posto… ma tuttavia lui stesso mi aveva fatto notare che le pecore non sarebbero tornate indietro da sole, perciò occorreva sbrigarsi, e al più presto.

Trovammo quei maledetti ovini impudenti al ruscello, intenti ad abbeverarsi placidamente nelle fresche acque gorgoglianti oppure a brucare le erbette fresche che crescevano vicino alla riva, incuranti del fatto che avrebbero potuto mettermi nei guai con mio padre, o peggio… mia sorella.

   John si raccolse il calzoni malandati fino al ginocchio, guardò per alcuni istanti quell’acqua indubbiamente gelida, nonostante fosse maggio inoltrato, poi prese a saltellare come una rana da un masso all’altro, cercando di raggiungere quelle stupide pecore che, nonostante i nostri sforzi per recuperarle, continuavano

Ad abbeverarsi e a brucare il muschio fresco che cresceva vicino ai massi scivolosi.

Scivolò sul sasso cui aveva appena appoggiato il piede, ondeggiò pericolosamente per alcuni secondi, prima di ristabilire un minimo di controllo su quella superficie scivolosa. << Dio… >>, fece per lanciare un imprecazione, ma si fermò subito. 

   << John, forse… >>

<< Taci, Maddy! Hai già fatto abbastanza, non ti pare? >> sbottò a denti stretti, senza guardarmi negli occhi.

Imbecille pensai tra me e me; mi sistemai meglio la gonna e mi sedetti su un tronco marcio, aspettando che finisse di guadare il ruscello, lanciandogli delle occhiate annoiate, di tanto in tanto.

   Non so quanto tempo impiegò, sempre troppo per i miei gusti; ci mancava solo un ultimo masso, e questo era completamente ricoperto di muschio verde…

   << John, aspetta… >>

Non feci in tempo.

Appena appoggiò la scarpa consunta sul sasso, il piede cedette sotto quella scivolosa superficie verde, perse l’equilibrio, ritrovandosi in acqua, bagnato fino ai calzoni.

   La sua dipartita contro quel nefasto nemico suscitò la mia ilarità e, ne sono sicura, anche quella delle pecore. Quando affondò nella superficie ciottolosa del rigagnolo sollevò spruzzi su spruzzi d’acqua, accompagnati da un urlo sorpreso e spaventato da parte sua; risi come se non fossi in grado di smettere, mi vidi costretta persino ad afferrarmi la pancia con le mani per attenuare i dolori che sentivo, ma non serviva a  niente, continuavo a sghignazzare senza sosta.

Quando cadde in acqua, l’imprecazione che aveva trattenuto solo pochi minuti prima, uscì dalla sua bocca, la urlò a gran voce come se chi fosse nei paraggi fosse obbligato ad ascoltarlo, e io non smettevo di ridere. Mi lanciò delle occhiate di fuoco, quasi avesse voluto incenerirmi con solo l’aiuto degli occhi ma come era prevedibile, non serviva a nulla.

Vedendo che l’avevo offeso – e parecchio –, con tutte quelle risate, mi tappai la bocca con le mani, soffocando il continuo scroscio di risa e trasformandolo in una serie di singhiozzi isterici e ripetuti.

   << Ridi, ridi pure! >> sbottò lui una volta uscito dall’acqua.

  << Ho cercato di dirtelo >>, ansimai io, sentendo le costole scricchiolare contro le stecche del corpetto per quelle continue risate soffocate e quelle precedenti. Mi calmai un poco, riacquistando così una parvenza di serietà, con le nocche mi asciugai le lacrime che stavano colando dagli occhi, gli sorrisi allegra. << Ho cercato di avvertirti, ma tanto non mi avresti ascoltato. >> Scrollai le spalle, come se fosse un dato di fatto.

Conquistai un’altra occhiata truce e malevola da parte sua, ma non ci feci caso. John si levò la camicia di lino grezzo e prese a strizzarla con le mani: il suo petto glabro e magro era pieno di goccioline che brillavano al sole quasi il suo petto fosse stato cosparso di preziosi diamanti, i capezzoli gli si erano irrigiditi per l’acqua gelida e lui non faceva che borbottare imprecazioni a tutto spiano, incomprensibili alle mie orecchie.

Distolsi lo sguardo, concentrandomi sulle pecore dalla parte opposta del ruscello: si erano allontanate almeno due metri, rispetto a quando le avevamo trovate.

John mi lanciò un’occhiata di tralice e gli ricambiai guardandolo con la coda dell’occhio; mi parve di scorgere un sorriso sulle sue labbra infantili. << Non mi dire! >> esclamò, improvvisamente allegro. Si passò il palmo della mano sul viso umido, i capelli scuri adesso gli si erano attaccati al viso e al collo quasi fosse stati mescolati al miele; finì di strizzare la camicia logora e adesso bagnata, poi se la appoggiò sulle spalle magre e ossute, si gonfiò il petto quasi fosse stato un galletto superbo. << Non mi dire! Madelaine Newbery… ti senti a disagio? >> il tono della sua voce aveva un che di esultante e canzonatorio nei miei confronti.

Scossi brevemente la testa, istupidita da quell’affermazione. << Perché dovrei? >>

I suoi occhi scuri si dilatarono, forse per la sorpresa, o per l’incredulità. << Come sarebbe a dire ‘perché dovrei’? >>

Con gli occhi tornai sulla sua figura magra, ancora a petto nudo. Oh, adesso capivo…

Sorrisi. << Credimi John… potresti mostrarti a me anche senza calzoni… ma non otterresti niente di più che un ‘Oh’ da parte mia. >>

Le sue guance magre presero colore ancora una volta, mentre un’espressione rabbiosa e di sdegno nei miei confronti si faceva strada nei suoi occhi. << ‘Oh’? >> disse incredulo.

  << Diresti solo ‘oh’? >> L’ostilità era quasi palpabile e fu difficile trattenere un sorriso.

  << Esatto >>, replicai convinta. << Stai insinuando che il tuo uccellino è cresciuto, negli ultimi anni? >> domandai ingenuamente, inclinando la testa di lato.

Il colore delle sue guance si fece ancora più scuro, diede un’ultima strizzata alla camicia e se la rimise, borbottando insulti incomprensibili. << Ha! Per quel che mi importa! >>

  << Come se non sapessi che a te, gli uomini non interessano! >>

Quell’improvvisa affermazione mi lasciò interdetta, soprattutto perché non riuscii a capirne il senso. Aggrottai le sopracciglia confusa e poi mi avvicinai un po’ di più a lui, guardandolo dal basso verso l’alto, nonostante in realtà non ce ne fosse bisogno, lui distolse lo sguardo e allora io gli girai attorno, guardandolo in viso.

   << Chi è stato a dirlo? >>

Mi guardò in tralice e increspò le labbra, ma non disse nulla.

   << John… >> Odiavo le frasi dette a metà: se si iniziava un discorso era perlomeno educato terminarlo, invece John era del tutto intenzionato a farmi perdere la pazienza, gli tirai un pugno all’avambraccio magro, lui gridò per la sorpresa e poi si allontanò con un balzo.  

   << Sei impazzita? >> Prese a massaggiarsi il braccio, mentre i suoi occhi cercavano di incenerirmi con la sola forza del pensiero.

Piegai le braccia sui fianchi e lo guardai severa, del tutto intenzionata a farlo parlare. << Allora, sentiamo. Cos’è questa storia che non sarei interessata agli uomini? >> Dovetti usare un tono di voce più duro di quanto volessi; John mi lanciò un’occhiata piena di risentimento, e per un attimo pensai non mi avrebbe dato alcuna risposta.

   << Lo sanno tutti, ala villaggio… >> borbottò a mezza voce.

   << Cosa? >>

   << … Che vuoi restare zitella. >>

   << Non è vero! È una bugia! >> esclamai sdegnata.

Avevo solo sedici anni e in tutta sincerità non pensavo ancora al matrimonio, oppure ad accalappiare un uomo… ma evidentemente le donne anziane avevano avuto da ridire a proposito: la maggior parte delle donne del villaggio si maritavano in giovane età, la maggior parte delle volte accadeva che avessero appena compiuto quindici anni… ma per me era un’età piuttosto delicata, il mio primo pensiero la mattina non era pensare al fabbisogno dell’uomo che condivideva con me il letto oppure crescere con cura la sua prole. Ero giovane e – che quelle fossero d’accordo o meno – ero ancora una ragazzina; il matrimonio non era ancora nei miei pensieri.

   << Solo perché non sono ancora chiusa in casa a sfornare figli e a cucinare, non significa che gli uomini non mi interessino! >> sbottai infastidita.

John sgranò gli occhi all’invero simile per la sorpresa e il suo viso si arrossò ancora di più.

   << Bada a quello che dici, ragazzina! >>

   << Non fare la voce grossa con me! >> lo redarguii io con voce acida.

Voltandomi di nuovo verso quelle maledette pecore, piegai il pollice e l’indice, portandoli poi alle labbra; bastò un fischio breve, e subito i tre ovini rizzarono attenti le orecchie e, nel giro di qualche secondo, me le ritrovai appresso, tutte belanti e bagnate mentre premevano contro le mie sottane, quasi stessero cercando qualcosa. Con le pecore di nuovo al mio seguito, ero pronta a tornare indietro.

John mi rivolse un’occhiata sgomenta e sorpresa, io invece mi limitai a scimmiottare una riverenza da gran dama, sollevai l’orlo logoro della gonna e lui ebbe modo di vedere un pezzo della seconda sottana, arrossì vistosamente e stornò lo sguardo, scatenando la mia ilarità.

 

*

 

   << Ventisette, ventotto, ventinove… trenta! >> esclami trionfante dopo aver terminato la conta.

Aggiungendo le pecore che erano scappate e le tre trovate al ruscello, adesso il gregge era al completo.

John sbuffò rumorosamente. << Non ci vedo nessun motivo per esultare >>, disse brusco.

Lo fulminai con lo sguardo. << Solo perché tu non sei riuscito a riportarle indietro da solo, mentre una povera donna come me, invece, c’è riuscita alla grande! >>

Mi guardò di sbieco e arricciò le labbra, quasi avesse voluto ribattere, alla fine scosse la testa e lasciò perdere. << Sei sempre, ad avere l’ultima parola. >>

    << Mi sembra ovvio >>, dissi conciliante.

Diedi un’occhiata al sole in cielo: le nuvole avevano iniziato a scurirsi, divenendo poso a poco di un colore roseo con alcuni cenni più scuri, il cielo adesso era del colore stesso del sole, quasi che un pittore distratto li avesse colorati in ugual modo, quella palla infuocata, che rendeva il giorno caldo e piacevolmente afoso; adesso non scottava più così tanto e nemmeno bruciava gli occhi se la si guardava. Era ora di tornare.

  Mi diedi una rapida assettata alla gonna e con le dita cercai di pettinarmi i capelli, talmente scompigliati e intrigati da sembrare un nido d’uccelli, John aspettò in silenzio poco distante da me, quasi la troppa vicinanza gli desse fastidio.

   << Hai finito? >> mi chiese burbero.

   << Certo. >>

Con l’ennesimo fischio, incitai il numeroso gregge a seguirmi e queste ubbidienti come dei pulcini che seguono la chioccia, presero a camminare belando allegramente, sapendo che, una volta tornate nel loro ovile avrebbero ricevuto una generosa dose di foraggio e erba medica.

Io e John non parlammo molto durante il ritorno, più perché lui era chiuso in un silenzioso riserbo nei miei confronti ed io mi accontentavo del continuo belare allegro del gregge, seguito anche dai suoni dei loro campanacci.

Giungemmo al villaggio che il cielo adesso era come una pozza uniforme di sangue mentre il sole spariva poco a poco verso le colline, finendo chissà dove; la prima stella della sera era già sorta, era davvero tardi.

Mi sorpresi molto quando John si offrì di portare a casa lui le pecore, ma accettai, visto che i ritardi non erano visti molto di buon occhio, a casa mia.

Il piccolo cottage dove vivevamo era appena fuori dal villaggio, bastava percorrere la strada che utilizzavano i carri da fieno per portare il foraggio al mercato oppure a portarlo nelle stalle, perciò non era difficile camminare sulla strada già battuta dalle ruote.

   Presi a correre lungo la strada secca e polverosa, incurante che la mia corsa sollevasse una quantità considerevole di polvere e che si attaccasse inevitabilmente all’ampia gonna dell’abito; nel giro di poco il piccolo profilo del cottage in pietra entrò nella mia visuale: non eravamo mai stati ricchi e anche il fatto che fossimo costretti a vivere in cinque in una casa così piccola poteva essere davvero un problema, ma a noi andava bene anche così, non eravamo abituati a vivere in spazi ampi.

Il cottage era costruito appena fuori dalla strada, completamente immerso nel verde dei campi, un basso muretto in pietra segnava l’inizio della proprietà accompagnato poi da alcune piante aromatiche come il prezzemolo o l’erba cipollina e con l’aggiunta di qualche fiore di campo e delle erbacce, nati senza che qualcuno glielo chiedesse, ma poi curati da mia madre quasi fossero state le rose più belle del mondo. A prendersene cura adesso era Elisa, mia sorella, da quando nostra madre era morta.

   Le luci erano già accese e alcune candele erano state appoggiate dietro le tende davanti alle finestre, forse Papà aveva messo Fletcher di guardia alla finestra, in modo che potesse avvisarlo del io ritorno, ma adesso sembrava non esserci nessuno.

La porta d’ingresso cigolò rumorosamente quando la aprii, annunciando il mio ritorno.

   << Sono to… >>

   << Era ora! >> La voce dura di Elisa mi accolse all’ingresso, facendomi sobbalzare.

Mia sorella era davanti alla porta da dove ero appena entrata, gli occhi verdi oscurati dalla rabbia e le labbra piene e sensuali increspate quasi si stesse trattenendo da urlare come una pazza. i capelli biondi erano raccolti alla meglio sulla testa per impedire che le cadessero davanti agli occhi mentre cucinava, il grembiule che quella mattina era intonso prima che uscissi di casa, adesso era come se il colore bianco e il pulito, non li avesse mai conosciuti. Mi puntellai timidamente da un piede all’altro, lo sguardo ostinatamente piantato a terra.

   << Ti avevo detto di tornare a casa presto, perché avevo bisogno di aiuto per la cena! >> disse brusca.

   << Me ne sono dimenticata >>, ammisi a malincuore.

Roteò gli occhi esasperata e sbuffando come una teiera piena d’acqua bollente.

   << Madelaine, ti deciderai ma a crescere, una buona volta? >> La sua voce era stanca, come se fossi stata un caso disperato.

A quell’affermazione avrei potuto arrabbiarmi e ribattere a quelle parole, ma si dava il caso che Elisa avesse completamente ragione e, soprattutto, non era saggio contraddirla quando era arrabbiata; persino Erial – suo marito – sapeva di doverla lasciar sfogare quando era in collera.

   << Mi dispiace, Elisa. Prometto di ricordarmene, la prossima volta. >>

   << Ah, Maddy! La prossima volta, la prossima volta! esiste sempre e solo il futuro, per te? non riesci proprio a pensare al presente?! >>

Non replicai nemmeno stavolta.

   << Almeno hai portato a casa i soldi? >> Una piccola luce speranzosa brillò nei suoi occhi azzurri.

Oh, no! avevo dimenticato di riscuotere il denaro dal proprietario del gregge!

   << Ehm, io… >> Se possibile, chinai ancora di più la testa, pronta all’ennesima tirata da parte di mia sorella.

   << LI HAI DIMENTICATI?! >> strepitò incredula, vedendo i miei tentennamenti. Il suo urlo fu talmente forte che se avessimo avuto i vetri alle finestre, questi avrebbero vibrato.

   << Elisa, aspetta… >>

   << Madelaine, quei soldi ci servono, lo capisci? >> Sembrava si stesse rivolgendo a me come se fossi stata una pazza, e mi infastidii.

   << Sì che lo so! >> sbottai piccata.

   << E allora perché non hai preteso subito il pagamento? >>

   << Perché… >>

Mi mordicchiai il labbro inferiore, restia a parlare a Elisa di John.

   << Perché? >>

  << Perché le pecore le ha riportare indietro John! >> ammisi alla fine con esasperazione.

  << John? >>

Una voce bassa e rauca mi giunse lontana e lieve come un soffio nel vento. Papà.

Corsi subito nel piccolo salotto che fungeva anche da camera da letto. Mia sorella aveva deciso di accogliere il marito nella propria casa per non lasciarmi completamente sola a prendermi cura di Papà e Fletcher, la camera che una volta era stata di Papà e Mamma andò a Elisa e al consorte, Fletcher dormiva in salotto sul pavimento e con un materasso fatto di stracci vecchi, io invece dormivo su di un piccolo letto malandato in

una piccola stanza vicino alla piccola cucina.

Papà era sdraiato sul suo ‘letto’ con tre cuscini – tutti quelli che eravamo riusciti a reperire – e imbacuccato

Con almeno cinque coperte, ovvero tutte quelle che avevamo in casa, tutte sgualcite e che in inverno ti riscaldavano a malapena, ma adesso era impossibile sentire freddo, con la calura di maggio.

Mi inginocchiai a terra accanto a lui e gli toccai il viso segnato dalla vecchiaia e dalla malattia, Papà tossì.

   << Papà, ti senti bene? >> domandai, aggrottando le sopracciglia.

Lui mi sorrise, nonostante si vedesse appena, sotto quella folta barba. << Sto meglio, Maddy. Non ti preoccupare. >>

Sorrisi e sospirai quando lui mi accarezzò dolcemente la testa. Non mi ero del tutto abituata al fatto che fosse così gentil, insomma, si sa come sono i padri, o meglio, so come era il mio prima!

Ha educato me e i miei fratelli in un modo autoritario e gentile al contempo, con il pugno di ferro e il guanto di velluto, come si suol dire.    

  Non l’ho mai considerato una persona ingiusta, anzi il più delle volte è sempre stato buono con me, Elisa e Fletcher, non ci ha mai puniti a caso, solo perché gli andava… ma, ragazzi! quando ce lo meritavamo ci faceva vedere i sorci verdi! Non ho mai conosciuto – grazie a Dio – una persona che usasse la cinghia così, ogni colpo che andava a segno bruciava come se fossi finita dritta all’inferno e il mio povero sedere gemeva assieme a me ad ogni colpo, chiedendo pietà; era anche vero però che io, essendo testarda come un mulo di natura, mi limitavo a qualche guaito di disapprovazione e niente più. Solo quando il supplizio terminava, io mi riabbassavo dignitosamente la gonna e camminavo impettita dentro casa, e lì mi aggrappavo alle gonne di mia madre e scoppiavo in un pianto disperato, mentre lei mi accarezzava la testa con dolcezza, sussurrandomi parole di consolazione.

Quando il vaiolo si portò via nostra madre, Papà smise di alzare le mani su di noi. Non lo fece nemmeno una volta, anche se facevamo qualche danno, lui si limitava a sgridarci: io, Elisa, Fletcher, chi di noi avesse combinato un danno, veniva ammonito severamente e, se il danno combinato era serio, magari veniva spedito a letto senza cena, ma niente di più.

   << È stato il figlio di Rufus a darti una mano con le pecore? >> mi chiese, senza smettere di passare la mano ruvida e callosa tra i ricci scarmigliati della mia testa. Annuii.

Un fischio prolungato richiamò la nostra attenzione, e io voltai la testa. Appostati sulla soglia del salotto, con gli abiti logori e impolverati e con addosso l’odore di terra e il fetore pungente di maschio non lavato, Fletcher ed Erial annunciarono il loro ritorno a casa.

   << John Maverick, eh? >> domandò mio fratello con un ghigno divertito. << Che dici, Maddy, dobbiamo preoccuparci che chieda la tua mano entro la fine dell’estate? >>

La battuta – per niente divertente – di Fletcher fu accompagnata da uno scroscio di risate, persino Elisa, adesso meno furibonda, si mise a ridere, e lo stesso fece Papà.

Scattai in piedi con un balzo e in poche falcate raggiunse Fletcher, ancora impegnato a prendermi in giro; senza dargli il tempo di reagire gli assestai un gran calcio allo stinco, e lui uggiolò come un cane per il dolore, prendendo a saltellare come uno zoppo.

   << Ma dico, sei impazzita? >> strepitò furioso.

Io in tutta risposta sollevai con fare altezzoso il mento, e lo ignorai. << Cosa dovrei dire io allora. Hai già diciannove anni e non hai ancora trovato moglie! Se non altro, nel caso nessuno volesse chiedere la mia mano, ho sempre John come rimpiazzo! >> mi cacciai indietro un ricciolo di capelli dandomi un’aria di contegno.

   << Povero John se dovesse prenderti in moglie! >>

Altro scoppio di ilarità, stavolta più forte e meno contenuto. Sentii le guance farsi più calde e come minimo ero diventata rossa come un pomodoro, alzai il pugno puntandolo verso il soffitto. << Bada a te, Erial Pacy, se non vuoi rimetterci un occhio! >> dissi minacciosa.

   << Guai a te se ti azzardi a toccare mio marito! >> protestò immediatamente mia sorella, parandosi davanti ad Erial, quasi avesse voluto fargli da scudo.

Io e mia sorella ci stavamo per lanciare in uno scontro all’ultimo sangue, contando di aggiungere alle parole graffi e morsi, e magari pugni, essendo abituata a litigare con dei maschi avevo imparato a difendermi usando le mani e Fletcher mi aveva insegnato a tirare qualche gancio; se mai ce ne fosse stato bisogno, Elisa era spacciata.

Proprio mentre la nostra discussione mortale ebbe inizio, qualcuno bussò alla porta, interrompendo ogni cosa. Erial andò alla porta. Aspettammo tutti quanti in silenzio che il visitatore se ne andasse, o entrasse, non avevo idea di cosa potesse succedere; quando sentii un ‘grazie’ da parte di mio cognato, capii che il visitatore

non si sarebbe trattenuto.

Erial tornò subito in salotto, e tra le mani reggeva un piccolo sacchetto di cuoio completamente gualcito, un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.

   << Il caro John è passato apposta per portarci i soldi che Maddy aveva dimenticato. Si vede che è proprio innamorato, eh? >> disse guardando mio fratello, il quale ricambiò con un sospiro trasognato e gli occhi sognanti.

   << Oh, Maddy… >> disse, come se fosse stato un perfetto ragazzo innamorato.

   << SMETTILA FLETCHER! >> sbraitai, puntando il pugno dritto verso di lui. << Non ti è bastato quel calcio? >>

    << Maddy ti amoo, credi a meee… se non  sei, il mio cuore batte solo per tee! >> cantilenò lui, con una voce talmente stonata che avrebbe ucciso un sordo.

Evidentemente, non gli bastava.

 

*

 

La notte fu davvero breve e non riuscii a dormire. Sarebbe spuntata l’alba di lì a poco.

Avevo immaginato di dormire fino a tardi, come facevano le donne che appartenevano all’aristocrazia che passavano la notte tra banchetti e balli continui, e rincasavano a mattina già inoltrata, svegliandosi poi a metà pomeriggio; non era la mia massima aspirazione di vita alzarmi a un orario così indecente, però in fondo in fondo pensavo che sarebbe stato divertente, provarci almeno per una vola. Non ebbi successo.

   Forse stavo davvero per addormentarmi, stanchissima per la notte passata praticamente in bianco, riuscivo a vedere il sonno vero e proprio affacciarsi dallo stato di dormiveglia in cui versavo da parecchie ore ormai… ma fui interrotta.

Fui strappata bruscamente alla realtà quando un paio di mani estranee mi tolsero di dosso la coperta, lasciandomi con addosso solo la camiciola di lino che usavo per dormire in estate, e le gambe nude in mostra. Cacciai uno strillo sconcertato, cercando qualcosa con cui coprirmi, ma non riuscivo a trovare le lenzuola, perché? 

    << Svegliati pigrona. Il sole è già alto. >>

Riconobbi la voce di Elisa, ma non riuscii a distinguere la sua figura, che era poco più che una massa di indumenti resa sfocata e confusa dal sonno, mi strofinai gli occhi e nel giro di poco riuscii a distinguere i dettagli del suo viso.

   << Ma che… >> Mi coprii la bocca, soffocando uno sbadiglio. << … che ore sono? >>

   << Il sole è alto già da due ore, faresti meglio a vestirti! >> sbottò lei e subito dopo, con un turbinare di sottane azzurro chiaro, se ne tornò in cucina.

Mi grattai la testa, sentendomi ancora intontita dal sonno e dal fatto che non avevo praticamente dormito, reprimendo un altro sbadiglio mi decisi ad alzarmi e andai alla finestra e tirai lo spesso strato di stoffa che fungeva da tenda, il sole mi accecò. Chiusi immediatamente gli occhi e diedi le spalle a quella luce abbacinante, a tentoni mi diressi verso la sedia dove appoggiavo sempre i vestiti; la trovai.

Dopo aver indossato il corpetto e le sottane mi diedi una spazzolata ai capelli – anche se non li resi presentabili – e uscii dalla stanza.

Elisa mi accolse nella cucina gettandomi addosso un grembiule bianco e ordinandomi di indossarlo, me lo legai attorno alla vita ma non senza brontolare qualche insulto silenzioso; detestavo indossare i grembiuli, e lei lo sapeva. Lo sapeva benissimo.

  << Tieni. >>

Mi gettò il borsellino in cuoio che John ci aveva portato la sera prima, lo afferrai al volo e le monetine che vi erano dentro tintinnarono piacevolmente.

  << Vai al villaggio a comprare un po’ di latte e qualche uovo per la cena >>, disse perentoria riprendendo a muoversi nel piano cottura con una velocità sorprendente, nonostante la sua mole.

   << Sicura che, ehm, non devo fare altro? >>

  << Perché me lo chiedi? >> disse, visibilmente sorpresa dalla mia domanda.

Scrollai le spalle. << Be’, insomma… sai com’è, il bambino… >>

  << Oh! >> esclamò lei, come se si fosse ricordata solo in quel momento di essere in attesa.

Si tastò appena il ventre gonfio e pieno come un pomodoro maturo, sorridendo dolcemente quando in tutta risposta, il bimbo dentro di lei scalciò.

   << Non preoccuparti, ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che il piccolo nasca; ma, se proprio ci tieni… >>

   << Ehm… >>

   << Questa volta vedi di non startene in giro a bighellonare per il villaggio, e vedi di non spendere più del necessario magari comprando del cibo che non ci occorre. Quando torni a casa vedrò di tenerti occupata con qualche faccenda domestica. Ora che ci penso: le camicie di Erial e Fletcher devono essere rammendate, lo stesso i calzini di Papà, poi sarebbe il caso che dessi una rassettata anche alla casa. Siamo poveri, ma non viviamo mica in un porcile! E poi… >>

   << Ho capito, ho capito! >> esclamai disperata. << Vedrò di essere a casa presto, non ti preoccupare! >>

Afferrai con un gesto rapido della mano il cesto di vimini che mi stava porgendo e corsi fuori di casa.

  L’aria del mattino era piacevolmente fresca, in quel caso anche troppo nonostante fosse maggio, fui felice di avere indossato lo scialle di cotone, il sole non era completamente alto nel cielo e quindi era anche impossibile che facesse caldo, una leggera nebbiolina veleggiava leggera sulla strada sterrata, gli alberi ai fiochi raggi solari rilucevano di rugiada quasi fossero stati carichi di pietre preziose e lo stesso si poteva dire dell’erbetta tenera e verde che cresceva sul ciglio della strada. Diedi una lieve annusata a quell’aria fresca e umida e mi avviai lungo la strada battuta. 

Nonostante fosse ancora presto Bedlington era già in pieno fermento nei preparativi della nuova giornata di lavoro, nell’aria assieme al profumo di erba bagnata si avvertiva con piacere anche il buon odore di pane appena sfornato mescolato a quello di fieno appena falciato, così come si poteva udire il rumore delle secchiate d’acqua che venivano tirate su dal pozzo della piccola piazza per essere portate in casa e messe a bollire per preparare il tè.

Lungo la strada incontrai la vecchia Etta, una delle donne più anziane del villaggio. La salutai e lei ricambiò con un sorriso rugoso e sdentato, poi procedette per la sua strada: aveva la schiena curva come una collina e il viso segnato da una ruga per ogni sentiero che aveva percorso durante la sua lunga vita; ognuno dei suoi passi lenti sembrava costarle una fatica immane.

    Le donne più giovani era già al lavoro da tempo così come quelle che, nonostante l’età avanzata, erano ancora in grado di rendersi utili, ma ugualmente considerate delle donne anziane.

Il lattaio di Bedlington non era un vero lattaio. Possedeva un cottage fuori dal villaggio, dato che le sue mucche da latte producevano gran quantità di latte ad ogni mungitura, Maurice prendeva quello in eccesso e lo vendeva al villaggio, sperando di ricavarne qualche scellino. Assieme al cestino per le uova Elisa mi aveva dato anche un secchio apposta per il latte, mentre le uova le chiesi alla figlia acquisita della vecchia Etta, quando la incontrai al villaggio.

   Una volta sbrigati i compiti assegnatimi da mia sorella mi ritrovai seduta sulla piattaforma in sassi del vecchio pozzo di pietra, con un secchio stracolmo di latte in una mano e un cestino con delle uova nell’altra; il sole s’era fatto più caldo e fui costretta a ripiegare lo scialle dentro al cestino intrecciato sopra le uova fresche. Sentendo la gola seccarsi per la sete feci calare la corda alla cui estremità c’era un vecchio secchio consunto, lo calai dentro al pozzo e grazie ad una ruota arrugginita tirai la corda, ottenendo della buona acqua fresca in pochi secondi, raccogliendola poi con un mescolo di metallo; il liquido fresco entrò nella mia gola calda annaffiandola gentilmente e scorrendo sempre più giù, qualche goccia d’acqua sfuggì dal mescolo e mi scivolò lungo il collo, raggelandomi.

Una volta sazia mi passai il palmo della mano sulle labbra umide e sospirai di contentezza.

    << Non dovresti bere così velocemente… >> Una voce maschile e attraente richiamò la mia attenzione. << Potrebbe venirti il mal di pancia, poi. >>

L’acqua che avevo appena ingurgitato rischiò di uscirmi nuovamente dalla bocca per lo spasmo di emozione che provai, vedendolo. Avevo detto che cercare un marito per ora non mi interessava… ma avrei potuto facilmente cambiare idea, se a farmi la proposta fosse stato William MacDonald, il figlio dell’unico possessore di una locanda in tutta Bedlington.

   << Will… >> Tossicchiai imbarazzata, sentendo la voce venirmi meno per l’imbarazzo.

William Cameron era scozzese; la sua famiglia si trasferì nella piccola contea del Wansbeck all’epoca della Grande Sommossa che aveva portato l’esercito scozzese di Bonnie Prince ad una colossale disfatta. Stando alle voci delle vecchie comari, il nonno di Will non era un sostenitore del principe, e nonostante il laird (2) del clan Cameron decise di sostenere la causa Stuart, William Cameron prese moglie e figli e scappò dalla Scozia, raggiungendo questo piccolo villaggio nella speranza di ricominciare tutto capo, per sé e per i suoi eredi.

Will aveva venti anni. Nonostante fossero coetanei era più alto di Erial, nonostante lui stesso fosse un uomo di altezza non indifferente; aveva i capelli scuri come le ali di un corvo, divisi in morbide onde tenute costantemente ferme da un legaccio di cuoio, gli occhi di un verde caldo e profondo… e un sorriso che lasciava profondamente il segno. Il sorriso conscio e un poco impudente di un uomo che sa di poter ottenere ciò che vuole. 

   << Vedo che sei mattiniera, Maddy >>, disse sistemandosi meglio i sacchi di farina che portava sulle spalle, il suo sorriso mi spezzò il cuore, lasciandomi confusa e un poco stordita.

Non mi fossi dovuta preoccupare di controllare l’improvvisa ondata di emozioni che la sua sola vista aveva scatenato dentro di me, avrei anche potuto azzardare ad un saluto cordiale, ma l’unico risultato che ottenni furono smozzichi di parole dette a metà, il viso accaldato per l’emozione e il cuore che sembrava volermi uscire dal petto.

   << Ciao… Will. >>

Sorrise di nuovo e io temetti di non arrivare viva al giorno successivo. Per alleviare la tensione che sentivo, mi passai un ricciolo ribelle dietro l’orecchio, guardando rigorosamente il terreno polveroso e pieno di sassi.

   << Devi, ehm, fare delle commissioni per tuo padre? >> chiesi, trovando finalmente il coraggio di parlare.

Scrollò le spalle larghe con indolenza. << Abbiamo finito la farina per fare il pane, così sono andato a prenderne un po’ dal mugnaio. >>

   << Ah. >>

Il principio di conversazione che avevamo avviato morì subito con quel mio commento completamente inutile.

   << Io invece sono venuta a prendere del latte e qualche uovo! >> esclamai senza trovare nulla di intelligente da dire.

Will lanciò un’occhiata curiosa al secchio pieno di latte, dentro al quale iniziavano a radunarsi delle mosche golose, mentre le uova erano nascoste dal mio logoro scialle. << Vedo. >>

   << Adesso però credo di dover tornare a casa >>, mi affrettai ad aggiungere, conscia che se mi fossi trattenuta un minuto di più, Elisa mi avrebbe fatta a pezzi e servita con il brodo a colazione.

Aggrottò le folte sopracciglia nere. << Devi? >>

Annuii vigorosamente e mi passai ancora una volta un rissaiolo dietro l’orecchio. << Allora, ehm… ci vediamo. >>

Raccattati il cestini intrecciato e il secchio con entrambe le mani e tenendo la testa bassa lo sorpassai, avviandomi verso l’uscita del villaggio.

    << Maddy! >>  

Il cuore mi balzò dritto in gola appena la sua voce profonda e maschia chiamò il mio nome; girai appena la testa. << Sì? >>

   << Sarai presente alla festa di Litha? >>

Il solstizio d’estate era la festa che celebravamo durante il periodo caldo, per augurarci un buon raccolto e cibo abbondante da conservare poi nel periodo freddo, c’era anche un piccolo banchetto e musica e danze per divertirci tutti assieme, facendo bagordi fino a tardi, un lusso che potevamo concederci solo poche volte durante l’intero anno. Io adoravo la festa di Litha.

   << Certo che ci sarò, perché? >>

Il sorrisetto consapevole e un po’ spudorato affiorò sulle sue labbra piene e sensuali. << Mi stavo giusto chiedendo se avessi già un cavaliere per la festa. >> I suoi occhi brillavano di una luce che non conoscevo.

Mi sentii arrossire fino alla punta dei piedi e boccheggiai alcune parole sconnesse che non riuscii a capire.

   << No, non ce l’ho. >>

Mi girai e corsi via, lasciandolo solo.

  Tornando a casa da villaggio, mi sentii finalmente tranquilla, non avendo il bel viso di Will davanti agli occhi, ma la mia testa era piena di lui, sembrava non esserci spazio per niente e nessun altro.

La sua voce, il suo viso, il suo magnifico corpo… c’era solo lui, e il ricordo della sua risata.

 

 

 

 

 

Note :

 

1)      Wansbeck è un piccolo distretto locale della contea del Northumberland, Inghilterra.

       2)   Laird è una parola in gaelico scozzese usata per indicare l’uomo che guida il clan. 

 

                                                          

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Litha ***


Note dell’autrice: grazie mille per essere state così tante a commentare

Note dell’autrice: grazie mille per essere state così tante a commentare. Sinceramente non credevo che questa storia potesse riscuotere un simile successo, soprattutto perché già la sezione ‘Originali’ di per sé non è molto frequentata (almeno credo), ho pensato che nemmeno un racconto storico avrebbe potuto raccogliere un successo sufficiente… invece sbagliavo! XD

   La storia è nata senza un motivo particolare e senza troppe pretese, ma sono felice che sia stata apprezzata!

In particolare, ringrazio le sei meravigliose persone che hanno deciso di commentare il primo capitolo: energia pura, oriway yume, barbarizia, la mia adorata Padme, arcobaleno e infine Roby.   

  Vi ringrazio per i complimenti, riguardanti soprattutto il mio modo di scrivere, credetemi, è sempre un piacere sentirselo dire, soprattutto quando ti fai un mazzo tanto per scrivere qualcosa di decente e scorrevole al tempo stesso! Questa storia non è complicata e non ha nessun particolare scopo, come ad esempio vincere il Nobel per la scrittura, o che so io… eppure è stato un vero travaglio trasportarla dalla mia testa alle pagine virtuali di Word, e credetemi se continuo a ripetere che è una gioia sentirsi lodare per il proprio modo di scrivere!XD

 

  Prima di cominciare, di tengo a rispondere alla domanda di barbarizia.

Mi dispiace, ma non ho letto molti romanzi storici: ‘La figlia del matematico’ (Kinsale), ‘Un’estate da ricordare’(Balogh) e ‘La saga di Claire Randall’(Gabaldon) e ‘Uccelli da preda’(Smith)

Ecco, questi sono tutti i romanzi a tema storico che ho letto fino ad ora; mi piacciono un sacco e vorrei leggerne tanti altri in futuro, ma non ho mai sentito nominare questa Woodiwiss, sorry -_-‘

  Ho impiegato un bel po’ di tempo ad aggiornare, ma spero che il capitolo scritto possa risollevarvi il morale per questa lunga attesa. Al prossimo aggiornamento.

          

 

                                                                                                           

                                                                                               Redarcher

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

II

 

 

               

Litha (1)

 

 

giugno,

 alcuni giorni prima di Litha

 

 

 

Dieci paia di occhi erano puntati addosso a me, come se fossero stati degli spilloni; osservavano con attenzione ogni mio gesto o accenno di movimento, erano perfettamente concentrati anche su come muovessi le labbra mentre parlavo.

  << ‘ No, mia cara Bestia’  >>, dissi con dolcezza, volendo imitare una voce carezzevole e suadente, << 

‘ voi non morirete’ , le disse la Bella. ‘Voi vivrete per diventare mio sposo: da questo momento io vi do la mia mano, e giuro che non sarò d'altri che di voi...’
Appena la Bella ebbe pronunziato queste parole, ecco che tutto il castello appare risplendente di lumi: i fuochi di artifizio, la musica, ogni cosa annunziava una gran festa. Ma queste meraviglie non incantarono punto i suoi occhi: ella si voltò verso la sua cara Bestia, il cui pericolo la teneva in tanta agitazione. E quale fu il suo stupore! La Bestia era sparita, ed essa non vide ai suoi piedi che un Principe bello come un amore, il quale la ringraziava per aver rotto il suo incantesimo. Sebbene questo Principe meritasse tutte le sue premure, ella non poté stare dal chiedergli dove fosse la Bestia.
<< ’Eccola ai vostri piedi’, le disse il Principe, ‘una fata maligna mi aveva condannato a restare sotto quell'aspetto finché una bella fanciulla non avesse acconsentito a sposarmi, e mi aveva per di più proibito di far mostra di spirito. Così in tutto il mondo non ci voleva che voi, per lasciarsi innamorare dalla bontà del mio carattere: ed offrendovi la mia corona, non posso sdebitarmi del gran bene che mi avete fatto.’ >>
Simulai un gesto aggraziato con la mano, come se avessi voluto porgerla ad un cavaliere immaginario, magari quello della fiaba… (2)

  << Eh? ma finisce così? >> chiese Lloyd il figlio del fattore, particolarmente deluso da come si era conclusa la fiaba. L’amico seduto accanto a lui annuì, si passò la mano sporca sotto naso, lasciando così uno sbafo di sporco sotto il setto nasale.

   << Io pensavo che la Bestia fosse morta! >> esclamò contrariato e irritato: sarebbe stato più contento se la storia fosse finita in una valle di lacrime. Uomini, ha!

  La sorella di Lloyd, Mary, fulminò il fratello minore con lo sguardo e lui sussultò paurosamente, facendosi poi piccolo piccolo, come se avesse voluto sparire. Mary prese tra le mani i lembi della mia gonna e li strattonò dolcemente, come a voler richiamare la mia attenzione.

   << E poi cos’è successo? >> chiese affascinata.

Le sue due amichette si avvicinarono ancora di più, palpitanti come non mai per sapere la fine; sorrisi a ognuna della bambine e poi raccolsi alcune falde della mia rozza gonna color ruggine, roteai appena su me stessa e le mie gonne turbinarono assieme a me.

  << Alla fine della favola, la Bella e il Principe di sposano, e… >>

<< E vissero felici e contenti. Per sempre. >>

Una voce anziana mi riportò bruscamente alla realtà, strappandomi via il mio meraviglioso sogno. Mi girai e il volto rugoso e gioviale di Mr Duncan, il libraio, mi portò a sorridere a mia volta a quel volto da furetto con il naso all’insù, il sorriso buono e accondiscendente come solo un nonno poteva avere.

   << Ancora con quella favola, Maddy? >> mi chiese, senza smettere di sorridere, a me e ai bambini.  

Io e le altre bambine sorridemmo assieme. << È la mia preferita, signore! Di tutte le favole che conosco, questa è di sicuro quella che mi è più cara! >> esclamai estasiata, senza a contenere l’ondata di piacere che sentivo sbocciare dentro al mio petto.

  << Adoro questa favola, Maddy! >> esclamò trasognata la piccola Elsie, di soli cinque anni.

Tesi le mani verso di lei e la presi in braccio, stringendola forte. << Anche a me piace Elsie >>, dissi con dolcezza, guardando negli specchi azzurro chiaro di quella bambina.

  Mi guardò per qualche istante con esitazione, come se non fosse sicura di qualcosa, poi vidi le sue guance paffutelle arrossarsi leggermente, mi lanciò un’altra occhiata esitante, e poi mi domandò: << Pensi che anch’io, un giorno, sposerò un bellissimo principe? >> le sue guance si fecero ancora più rosse e  poi si schermò il visetto con le manine cicciotelle, come se si vergognasse profondamente. 

   Ridacchiai divertita, ma la strinsi più forte. << Certo che sì, Elsie! Ad ogni fanciulla è destinato un magnifico principe, quindi anche tu lo sposerai, ne sono sicura. >>

Elsie mi guardò dritta negli occhi per qualche secondo, quasi stesse controllando se mentivo oppure se ero sincera, ma poi un largo sorriso comparve sulle sue labbra infantili e rise allegra.

   << Maddy. >>

La comparsa di Elisa mi colse di sorpresa, e nel contempo mi rammentò che eravamo venute al villaggio: la festa di Litha si sarebbe tenuta la settimana successiva  e io avevo accompagnato mia sorella al villaggio per fare qualche acquisto in vista di quel giorno; né Erial né Fletcher avevano il tempo per farlo a causa del loro lavoro, Papà si stava ancora rimettendo dal raffreddore che lo aveva colpito qualche settimana prima, perciò restavo solo io. Senza che se ne accorgesse, mi ero allontanata da lei ed ero giunta alla piazza del villaggio, dove al centro di essa era posta una piccola fontana dove era possibile attingere l’acqua, ed era un luogo di ritrovo per donne e uomini. Lì avevo trovato Mary e gli altri bambini, i quali mi avevano supplicato di raccontare loro una favola; li avevo accontentati, ma adesso che Elisa mi aveva trovata non avrei potuto raccontarne altre. Non riuscivo a comprenderne il motivo, ma a mia sorella non piacevano le favole: storie di bestie che si trasformano in principi, ragazze che dopo aver perso una scarpetta poi trovano il loro amore nel principe…

  Magia, sentimenti, romanticismo… nonostante mia sorella avesse trovato l’amore della sua vita – o almeno così credevo – in suo marito, perché non poteva pensare che le favole potessero essere vere?

    I suoi occhi si strinsero nel guardare me, ma credo che solo io riuscii ad accorgermene, con un gesto leggero delle dita di mise un ricciolo dietro l’orecchio e mi vece un breve cenno con la testa. << Coraggio, Maddy. È ora di tornare a casa. >> Accennò a qualche passo.

  << No, Maddy! >> la piccola Elsie mi afferrò per i capelli, facendomi anche male, mentre Mary e la sua amichetta mi afferrano la gonna, tutte e tre mi guardarono con occhi grandi e supplichevoli. << Devi per forza andare? >> chiesero imploranti, come se con quel gesto le stessi offendendo tutte e tre.

Non risposi subito: lentamente posai a terra Elsie, sorrisi alle bambine.

   << Sì, purtroppo. >>

Le bambine abbassarono la testa remissive, stringendo con forza le proprie rozze gonne.

  << Ma alla festa ve ne racconterò tante altre >>, aggiunsi, con un sorriso rivolto a tutte e tre.

Mary alzò la testa con uno scatto rapido, rinfrancata dalle mie parole. << Dici sul serio? >> chiese.

  << Certo. >>

<< Per tutta la notte? >> chiese speranzosa la piccola Elsie.

Feci una piccola smorfia. << Diciamo… finché non sarà ora di andare a dormire, d’accordo? >>

  << D’accordo! >>

 

 

*

 

 

 

  << Non avresti dovuto farlo. >>

Guardai Elisa con tanto di occhi, sorpresa e confusa.

  << Cosa? Cosa non… avrei dovuto fare? >>

Il passo di mia sorella era un po’ più lento del mio a causa della gravidanza ormai avanzata, tuttavia apparte il fiato un poco affannato, non sembrava essere per niente stanca.

Elisa girò la testa per guardarmi negli occhi: delusione, rammarico, rimprovero, potevo leggere questo in quegli occhi verde chiaro. Increspò leggermente le labbra, e poi mi rispose.

Chiuse gli occhi con lentezza, come se fosse improvvisamente stanca. << Non raccontare più favole ai bambini, Maddy. È un favore che ti chiedo. >>

  Nonostante io ed Elisa fossimo praticamente sempre in contrasto a causa delle nostre convinzioni, non mi capitava quasi mai di contestare ad alta voce il suo pensiero, anche se non lo condividevo, era pur sempre mia sorella, ed era più grande di me, perciò non mi sarei mai nemmeno sognata di discutere le sue parole; eppure quel giorno…

  << Perché? >> chiesi, parlando con voce più acida di quanto volessi realmente.

Aggrottò le sopracciglia bionde contrariata, ma non mi negò la risposta. << Non voglio che tu illuda quelle bambine. La vita è già difficile di per sé, e non è con le bugie che renderai la loro migliore. >>

  << Non sono bugie! >> obbiettati nuovamente io, più contrariata che mai. Strinsi con forza i pugni, appiattendoli con forza contro i fianchi. << Non lo sono… >>

  Elisa scosse la testa rassegnata, e mi fulminò con il verde dei suoi occhi. << Non farlo mai più. Punto e basta. >>

  << Ma, Elisa… >>

<< Maddy! >>

L’urlo sgraziato di Fletcher mi fece sobbalzare brutalmente, impedendomi di terminare ciò che volessi dire a Elisa. Mia sorella sorpassò lentamente mio fratello, uscito fuori di casa per venirci incontro.

  Mi venne incontro e posò la sua mano enorme sulla mia testa, come se stesse consolando una bambina piccola. Lo guardai storta e cercai di appioppargli un bel calcio nello stinco, ma lui senza smettere un secondo di fare lo stupido si scansò di lato. << Una volta mi freghi, la seconda però no, Maddy! >>

  Cercai di allontanarmi, ma lui con le braccia mi prese e mi sollevò di peso, facendomi ondeggiare pericolosamente. Gridai allarmata. << FLETCHER, SMETTILA! >> urlai isterica.

Solo quando Papà uscì anche lui di casa e guardò storto il figlio maschio primogenito, allora Fletcher si convinse a lasciarmi andare. Mi allontanai con rapidità da quella bestia, guardandolo di sbieco, come se fossi stata pronta a morderlo, in caso di necessità.

   << Si può sapere che ti prende? E poi, perché non sei nei campi con Erial? >>

Senza smettere un attimo di sorridere radioso, Fletcher scrollò indolente le spalle. << L’ho saputo, sorellina! >>

  Lo guardai sorpresa, aggrottando perplessa le sopracciglia. << Che cosa? >>

Si passò le mani tra i capelli castano chiaro, mentre i suoi occhi chiari sembravano danzare, tanto era di buon umore. << A quanto pare Will MacLeod ti ha chiesto di danzare assieme a lui, alla festa di Litha! >> sorrise malizioso, come se sapesse cose di cui io ero completamente all’oscuro.

Bastò il semplice nominare Will, e il mio viso sembrò andare in fiamme per l’imbarazzo; abbassai la testa, improvvisamente timida.

  << Allora è vero! >> esclamò lui entusiasta.

Lanciò un urlo esultante e cercò di afferrami di nuovo, ma io mi scansai prontamente. << Stai alla larga! >> gli intimai.

   Lui si allontanò non senza però continuare a ridacchiare ed esultare come se fosse completamente impazzito. Sconcertata guardai Papà. << Ma che gli prende? >> indicai mio fratello.

 Papà scosse lentamente la testa, sospirando. << Se il figlio di MacLeod ha invitato te, di conseguenza, – o almeno così pensa quella testa di legni di mio figlio – pensa che se William è impegnato, potrà invitare alla festa la figlia di Dursley. >>

Dovetti fare una smorfia, perché anche Papà annuì in un gesto di assenso, come se avesse voluto darmi ragione. Nonostante avessi solo sedici anni e fossi considerata ancora una bambina, ero abbastanza intelligente da capire che mio fratello, in quanto a donne… avesse davvero un pessimo gusto. Non che Agnes Dursley fosse una brutta ragazza, questo no!

Volendo essere sinceri, per avere solo due anni in più di me era cresciuta davvero in fretta: i capelli rosso fuoco si dividevano in morbidi boccoli lunghi fino alla schiena, gli occhi azzurri avevano la forma leggermente allungata, dandole un aspetto seducente e accattivante; uno sguardo da gatta, in poche parole. Se si contavano i bei lineamenti del viso e quei capelli simili a lingue di fuoco, si poteva dire fosse una bella ragazza, ma bastava aggiungere il seno procace costantemente messo in mostra, le labbra piene e rosee come rose in fiore, i fianchi larghi e perfetti – una fattrice perfetta, insomma –… se il viso e i capelli erano di per sé un buon elemento di bellezza, con quelle piccole aggiunte diveniva un bocconcino appetitoso per quasi tutti gli uomini di Ipswich!

   Non conoscevo i gusti di Will, ma ero certa che nemmeno lui era indifferente al fascino di Agnes… e questo mi faceva male. Tanto male.

Scossi brevemente la testa, allontanandomi da quei pensieri deprimenti, e concentrandomi su Fletcher.

  << Pensi che Agnes accetterà di ballare assieme a te? >> domandai dubbiosa.

Non che la figlia di Dursley avesse qualche motivo per rifiutare la corte di Fletcher, in fondo anche mio fratello, nonostante avesse il cervello di una gallina, era di bell’aspetto, e tanto bastava; per una come Agnes, se non altro.

   Fletcher gonfiò il petto largo e mascolino con fierezza e la rozza camicia – una volta bianca – si modellò attorno ad esso, i bottoni sembravano pronti ad esplodere da un momento all’altro…

  << Ho capito, ho capito! Adesso smettila però! >> gli intimai severa.

Ridacchiando divertito si passò la grossa mano tra i capelli biondo castano, dandosi un’aria quasi da dandy. << Dico, vuoi scherzare? Con un viso e un corpo così, chi mai mi rifiuterebbe? >>

Alzai gli occhi al cielo, sospirando. << Già… chi sarebbe così pazza? >> dissi debolmente.

Mi guardò in tralice e poi mi diede una portentosa pacca sulla testa, io mi allontanai quasi subito, guaendo dissentita. << Ma che…? >>

 Sorrise radioso. << Vedrai, Maddy. Andrà tutto bene! >>   

Sulle prime non capii il senso di quelle parole, e non vi diedi peso. Non immaginavo neanche lontanamente che, da lì a poco, sarebbe tutto cambiato.

 

 

*

 

 

 

  << Ma non sei ancora pronta? >> Elisa sbuffò spazientita, guardandomi con occhi severi.

La guardai nel riflesso dello specchio rotto che c’era nel salotto e strinsi gli occhi, guardandola di sbieco. << Lo sarei se questi dannati capelli stessero al loro posto, una volta tanto! >> sbottai infastidita mentre, con la spazzola, cercavo di pettinare quei ricci ribelli, senza riuscirci minimamente.

Ero praticamente pronta per uscire, con il mio nuovo vestito giallo con un fiocco arancione in vita che gli dava un’aria graziosa e quasi civettuola, il pizzo che vi avevo aggiunto io sulla scollatura, in modo che non fosse troppo evidente… mi sentivo bellissima e a mio agio nel nuovo vestito, e quei dannati capelli invece…

Con uno scatto d’ira improvvisa gettai la spazzola a terra, la quale rimbalzò sul pavimento di legno e scivolò lontana da me; mi coprii il viso con le mani ed iniziai ad emettere singulti di rabbia e tristezza, ma non stavo piangendo; ero troppo arrabbiata per farlo!

Un paio di mani gentili iniziarono ad accarezzarmi i capelli, passando le dita affusolate e femminili tra quei riccioli aggrovigliati, tirandoli appena e facendomi trattenere un’esclamazione di fastidio, le dita poi furono sostituite dalla spazzola che Elisa evidentemente aveva recuperato.

   Mia sorella mi guardò nel riflesso dello specchio incrinato. << Non dovresti comportati in modo così infantile, lo sai >>, la sua mano stringeva saldamente la spazzola, e questa scivolava senza problemi sulla mia testa, accarezzando e sciogliendo anche i boccoli più ostinati. << Rimarrai una zitella per tutta la vita, se non decidi a correggere questo tuo caratteraccio, Maddy. >> Mi sembrò si scorgere un sorriso sul suo viso. << Sei stata già fortunata ad essere invitata a danzare dal giovane MacLeod, non fare niente di compromettente, d’accordo? >>

Non riuscii a non arrossire per l’imbarazzo. << Che… che vorresti dire? >> biascicai impacciata.

Elisa mi tirò l’orecchio e io emisi un gridolino sorpreso. << Nel senso che non devi mostrargli quanto sei scorbutica e ostinata! >> disse severa.

   << Se dovesse puntare gli occhi su un’altra ragazza, Dio ce ne scampi, dovremo sorbirci questa sorellina ostinata per chissà quanto altro tempo! >>

La voce di Fletcher impedì ad Elisa di finire la sua frase. Entrambe ci girammo a guardare nostro fratello, appena comparso sulla soglia della mia stanza. Io lo fulminai con lo sguardo, mentre Elisa annuì dandogli ragione. << Proprio quello che volevo dire io, fratello. >>

   << Adesso basta! >> con uno scatto nervoso mi alzai dalla sedia sbilenca sulla quale ero seduta e feci per uscire dalla stanza, ma mia sorella mi bloccò afferrandomi per un braccio. << Aspetta, Maddy. Non ho ancora finito con te. >>  

Senza che potessi dire nulla, Elisa mi fece riaccomodare sulla sedia e mi diede qualche altro colpo di spazzola, lisciando ancora un po’ i capelli.

Alla fine la sentii armeggiare un po’ con i miei riccioli, modellandoli fino a formare una treccia lunga e morbida, che fermò con un nastro giallo.

  << Lo usavo sempre a legarmi i capelli quando indossavo questo vestito, è giusto che lo faccia anche tu. >>

Mi guardai nello specchio che, a causa del vetro rotto rifletteva la mia immagine in modo vagamente sproporzionato e sbilenco, concentrata su quella punta di colore che i miei capelli castani adesso avevano, le mie guance si fecero poco a poco più calde e, imbarazzata, abbassai la testa, mormorando un ringraziamento a mia sorella. Elisa mi posò la mano calda e materna sulla spalla e la strizzò leggermente. << Non c’è di che. >> 

 << Pensate di essere pronte, oppure dobbiamo aspettare l’anno prossimo? >> con un ghigno divertito, anche Erial entrò nella mia stanza. Risposi sia a lui che a Fletcher con una linguaccia. << Adesso arriviamo! >>

 

 

*

 

 

  Quando arrivammo al villaggio la festa era già bella che iniziata.

Flauti e violini erano intenti a suonare una musica festosa e allegra, mentre uomini e donne di tutte le età erano avvolti in un turbinio allegro di colori al ritmo degli strumenti, il sole veleggiava ancora nel cielo, non era ancora pronto a cedere il posto alla luna, in fondo Litha era la notte più breve di tutto l’anno!

   << Maddy, Maddy! Sono qui! >>

Sentendomi chiamare girai la testa in direzione della voce femminile che stava richiamando la mia attenzione. Dovetti aguzzare un po’ la vista, ma non mi ci volle molto nel vedere i capelli nero pece di Charlot, sciolti e ondeggianti in quella lieve brezza estiva.

mi venne in contro facendosi largo tra la folla intenta nei festeggiamenti e quando fu abbastanza vicina, mi gettò le braccia al collo, stringendomi con forza.

  << Meno male che sei arrivata! Temevo non saresti venuta! >>

Le diedi qualche colpetto sulla schiena, un po’ per rassicurarla e po’ per convincerla a lasciarmi andare. << Certo che sono venuta, non mi sarei persa la festa per nulla al mondo! >>

  << Senza contare che devi ballare assieme a MacLeod, o sbaglio? >>

<< Taci, Fletcher! >>

  Charlot aprì leggermente la bocca in una o sorpresa. << MacLeod? Accidenti Maddy, ma perché non me l’hai detto subito? >>

  << Maddy, io e Erial andiamo a ballare, d’accordo? >>

Fletcher invece si guardò un po’ attorno e, quando alla fine sembrò trovare ciò che stava cercando, con la scusa di andare a prendere qualcosa da mangiare, si allontanò, lasciando me e Charlot da sole. << Raccontami tutto. >>

Non ci fu molto da dire, ma lo feci ugualmente.

   << Oh be’, accipicchia, quanto sei fortunata! >> esclamò lei estasiata alla fine del racconto.

Abbassai lo sguardo con timidezza, accarezzando pensierosa la mia folta treccia di capelli. << Fortunata… >>, ripetei con un mormorio confuso.

  << Certo che lo sei >>, la sentii sospirare, << se Fletcher mi avesse chiesto di ballare assieme a lui questa sera, avrei accettato immediatamente. >>

  Charlot era innamorata di mio fratello. Non era una infatuazione come potrebbe accadere a tante ragazze tra i quindici e i sedici anni no, lei amava sul serio quell’idiota di mio fratello, e lui non se n’era mai accorto. 

Che il motivo fosse da ricercare nel fatto che Charlot era mia amica e di conseguenza una bambina, oppure perché non fosse abbastanza bella per i suoi gusti, non l’ho mai saputo.

Charlot non era una bella ragazza, ma a parere mio nemmeno brutta, cosa che non sembrava pensare sua madre. ‘A quest’ora sarebbe già sposata, se solo non avesse un aspetto così comune’, era questo che diceva sempre la signora Lucas ogni volta che parlava di sua figlia, pensando che avendo già vent’anni avrebbe già dovuto essere sposata, e invece…

  Charlot era molto più alta delle altre ragazze di Ipswich e il fatto che fosse un po’ più rotonda delle altre evidentemente non la aiutava con gli uomini, eppure aveva un bel viso, dai lineamenti regolari e dagli occhi grandi e dolci, ma forse davvero non era abbastanza per un pretendente, chi lo sa!

Si passò una mano tra i lunghissimi capelli neri, portandosi qualche ciocca dietro l’orecchio, e sospirò.

 << Forse, se fossi un po’ più simile ad Agnes, forse Fletcher… >>

Scossi vigorosamente la testa e le afferrai entrambe le mani. << Andiamo a ballare >>, la incalzai io, con un enorme sorriso.

In mezzo alla bolgia danzante trovammo anche John che, come al solito, cercava di invitare a ballare qualche ragazza… ma purtroppo nessuna di loro accettava, e così alla fine si ritrovava sempre a ballare con Lydia, la sua sorellina di dodici anni.

   << Vuoi il cambio, Libby? >> le chiese Charlot con cortesia, sorridendole.

Per un attimo, gli occhi della ragazzina parvero brillare e, come se niente fosse, staccò le proprie mani da quelle del fratello e corse via, andando a cercare i suoi amici. Per qualche secondo guardammo attonite il punto in cui Lydia era sparita, poi guardammo John che, come era prevedibile, arrossì come un pomodoro maturo e cercando di dissimulare il proprio imbarazzo prese a tossicchiare.

Io e Charlot scoppiammo a ridere, meritandoci così dal figlio del pastore uno sguardo furente.

 

 

*

 

  << Vedrai che arriva, aspetta ancora qualche minuto >>, disse Charlot con un sorriso dolce e comprensivo mentre addentava con voracità il suo pezzo di carne arrosto.

La guardai per qualche secondo con occhi inespressivi, poi osservai per qualche tempo il mio piatto sul quale riposavano, inviolati, un pezzo di agnello arrosto, e una patata bollita; sospirai e non mi arrabbiai nemmeno quando John afferrò con una mano sporca di unto il mio pezzo di agnello e se lo cacciò completamente in bocca.

  << Accidenti, allora è grave! >> esclamò lui a bocca piena mentre masticava, dando a me e a Charlot una completa visione di quello che stava masticando.

Io e lei arretrammo in simultanea inorridite, facendo entrambe una smorfia disgustata. << Che c’è? >> chiese allora lui, una volta mandato giù il boccone e dopo essersi leccato le dita con impudenza.

Charlot scosse la testa. << Lascia perdere >>, dissi io rassegnata.

  Una voce possente voce femminile chiamò a raccolta tutte le ragazze nubili di Ipswich. << Le ragazze ancora nubili vengano qui! >> gridò lei a gran voce.

Io e Charlot ci guardammo in simultanea, sapendo bene cosa sarebbe accaduto di lì a pochi minuti. Senza dire una parola di più ci alzammo dalla panca di legno e ci unimmo al gruppo estasiato di ragazze nubili.

Era tradizione che durante i festeggiamenti del solstizio d’estate, le ragazze nubili si facessero in un certo senso ‘predire’ il futuro attraverso il piombo liquefatto dentro una padella, oppure attraverso la chiara d’uovo mescolata in un bacile pieno d’acqua; io non credevo a cose simili, perciò non ci tenevo particolarmente a sapere se mi sarei sposata quello stesso anno, oppure sapere quale sarebbe stato il mestiere del mio futuro marito, tuttavia…

   << A me, a me! Voglio sapere del mio futuro marito! >> esclamò estasiata Agnes Dursley.

<< Oh, vi prego signora Timms, predite il mio futuro! >> la scongiurò Margaret, la sorella maggiore di John. << Mi sposerò entro l’anno? >> chiese speranzosa. Era risaputo, in un certo senso, che Margaret Maverick temesse molto più della povertà e della malattia, una possibile condizione di zitella.

  << Maddy, vieni qui >>, mi incalzò la signora Timms, volendo dare a intendere a tutte le altre ragazze che io sarei stata la prima. Con piccoli passi esitanti, attraversai il gruppo di ragazze che si aprì ai miei lati per lasciarmi passare, lanciandomi poi, ognuna di loro, un’occhiata furente e inceneritrice.   

   << Sì? >> chiesi, una volta davanti alla donna. << Cosa c’è? >>

La donna di mezza età mi lanciò uno sguardo ricco di rimprovero, ma lasciò perdere quasi subito. Ruppe il guscio dell’uovo, separando la chiara d’uovo e la versò dentro il piccolo bacile con l’acqua. Dovetti attendere qualche secondo prima che l’albume smettesse di muoversi e di tremolare dentro il liquido trasparente e poi, alla fine assunse una forma molto simile a…

   << Una maschera? >> chiesi stranita, guardando con attenzione quella forma irregolare dal naso esageratamente allungato.

Le ragazze dietro di me iniziarono a ridacchiare sommessamente, come se fosse un motivo di ilarità la mia predizione. Ma se per loro poteva essere qualcosa di cui ridere, per me non si poteva dire altrettanto: Will non faceva l’attore di teatro.

   << Magari farà una fuga d’amore con un attore di teatro! >> mormorò Agnes divertita, scatenando un altro coro di risatine e di sghignazzi sommessi da parte delle sue amiche.

  Brutta oca! Pensai tra me e me.

La signora Timms prese la chiara d’uovo e la gettò via, poi mi guardò dritta in viso con i suoi occhi porcini, dandomi a intendere che quello che stava pensando era serio.

   << Vai fino alla chiesetta, sai quello che devi fare.(3) >>

Senza dire una parola di più accettai il coltello, e mi allontanai da quel gruppo di ragazze agitate.  

 

 

*

 

 

  << Qui c’è il coltello, dove è il fodero? >> cantilenai io, al quinto giro attorno alla piccola chiesa di Ipswich.

  Mi fermai davanti al piccolo portone chiuso, guardai poi la piccola lama scintillante nella notte e senza troppo entusiasmo, la inserii dentro la serratura. Non successe niente.

  << Basta! >> sbottai spazientita. << Ma a che serve una sciocchezza simile? >> chiesi a me stessa, sedendomi poi per terra, accostando la schiena al portone chiuso.

  << Alla fine non è venuto, non ha senso continuare >>, mormorai rassegnata, guardandomi la punta delle logore scarpette che indossavo quella sera.

Avevo aspettato così tanto a lungo questo giorno, sin da quella mattina di maggio, io…

  << Ti ho aspettato Will, e tu invece… >>

Una lacrima galeotta mi scivolò dall’occhio e percorse tutta la guancia, fino a raggiungere il collo; immediatamente la sfregai via, facendomi poi piccola piccola, come se avessi voluto sparire dentro me stessa, ingoiata viva dal mio stesso corpo.

  << Perché, Will? >> singhiozzai sommessamente. << Perché non sei venuto? >>

<< Madelaine? >> un sibilo nella notte mi spinse ad alzare immediatamente la testa.

  Disorientata guardai davanti a me, vedendo solo una scura macchia di cespugli nella notte, una sagoma nera e minacciosa, ai miei occhi.

<< Chi… chi è? >> sibilai di rimando, tirandomi su a sedere senza gesti troppo rapidi. << C’è qualcuno? >> con la schiena saldamente adesa al portone della chiesa, cercai a tentoni il manico del piccolo coltello che avevo conficcato nella serratura. Lo trovai.

   <> ripetei di nuovo, incoraggiata dal piccolo manico consunto che adesso stringevo con una mano, ancora conficcato dentro la serratura. << Fatti vedere! >> lo incalzai io, adesso forse con troppa baldanza.  

  La macchia scura di cespugli iniziò a fremere e a tremare, come se dentro di essa vi fosse un qualche animale, un tasso, o magari una volpe… ma non era così; sapevo che cosa ci fosse la dietro…

Deglutii con forza, pronta ad attaccare chiunque fosse dentro quel cespuglio, spinta dal puro spirito di sopravvivenza.

Papà ci aveva raccontato che, durante la Sommossa non fosse raro che gruppi di disertori oppure di Dragoni inglesi o, peggio ancora, di traditori scozzesi, facessero incursione nei villaggi, saccheggiassero tutto il saccheggiabile… e stuprassero le donne. Era una realtà lontana vent’anni e ancora molto più lontana per noi di Ipswich, ma non potevamo escludere briganti e furfanti di ogni sorta. Quelli c’erano sempre, in qualsiasi caso.

   Dal cespuglio balzò fuori una figura nera e io per poco non lanciai un urlo, un po’ per volerla spaventare con il mio strillo improvviso… e un po’ perché avevo paura.

   << Vattene! >> urlai io,brandendo il coltello con entrambe le mani e puntandolo contro quella figura alta e scura. << Vattene via! >> la incitai io, disperata e senza sapere bene cosa fare.

   << Maddy, sono io! >> una voce maschile attirò la mia attenzione, spingendomi ad abbassare immediatamente l’arma.

 Strinsi appena gli occhi velati di lacrime, come a voler mettere a fuoco la figura. Battei appena le palpebre, e le lacrime scivolarono lungo le guance. << Will? >> chiesi, sospettosa, ma non spaventata.

  << Sì, sono io. >> Mi sembrò di sentire una risata smorzata provenire da lui, ma non vi badai più di tanto. Iniziò ad avvicinarsi e, quando la luce della luna illuminò il suo viso dagli lineamenti decisi e mascolini, tirai un lungo respiro di sollievo; fu in quel momento che notai come fosse vestito.

  A differenza delle solite camice di lino grezzo e dei calzoni larghi e consunti, quella sera portava i capelli neri sciolti lungo le spalle, in modo da formare morbide onde nere sulle sue spalle larghe e mascoline, indossava una camicia bianca e pulita, di un tessuto differente dal solito lino grezzo, infine un kilt(4) di cui però non riuscii a comprendere il colore, era avvolto attorno al suo meraviglioso corpo maschile e lo fasciava alla perfezione. Era talmente bello da togliermi il fiato.

 << Santo cielo, cosa ci facevi là dietro? >> gli chiesi dopo qualche secondo, quando il mio cuore tornò a battere normalmente.

   Scrollò appena le spalle, abbozzando un sorriso. << Ero venuto a cercarti. Sono arrivato in ritardo e quando ho visto la figlia del signor Lucas le ho chiesto dove eri, e così… >> Scrollò nuovamente le spalle, facendomi capire quello che era successo qualche secondo prima.

  Aggrottai le sopracciglia, guardandolo in tralice. << Perché eri dietro a quella macchia di cespugli? >>

Sorrise di nuovo, e il cuore mi si fermò in petto. << Volevo farti uno scherzo! >> esclamò allegro.

  << E perché? >> gli chiesi, usando un tono molto più acido di quanto volessi.

Lui tuttavia non vi badò. Lo sguardo ilare e allegro cedette immediatamente il passo ad uno più duro e serio. Aggrottò leggermente le sue folte sopracciglia nere e per un attimo, i suoi occhi verdi sembrarono risplendere di una luce diversa… quasi selvatica. Ne ebbi paura.

  << Will… >>, biascicai spaventata, senza trovare niente da dire, se non pronunciare il suo nome.

<< Volevo punirti >>, disse con un sussurro.

Con un gesto fulmineo mi afferrò per le spalle, e io sussultai per la paura. << Will, no! >>

  << Tu avevo detto di aspettarmi, e tu invece… >> Adesso la sua voce non sembrava dura come pochi secondi prima, ma ferita. Sembrava che soffrisse per qualcosa, come se io ne fossi la causa…

  Lo guardai negli occhi, senza dire niente di concreto o di importante, e lui fece lo stesso. I suoi occhi sembrarono addolcirsi e poi passò la sua mano grande e calda sul mio viso, possibilmente ancora più accaldato. << Maddy >>, mi sussurrò con dolcezza, accarezzandomi appena la guancia, e scendendo poi lungo il mio collo sottile. << Piccola, dolce Maddy… >>, ripeté con voce carezzevole, quasi mi stesse rivolgendo una preghiera.    

  << Maddy, voglio baciarti >> disse con la voce leggermente strozzata, come se fosse un assetato che non vede una goccia d’acqua da tempo… ed io ero l’acqua; tutta l’acqua che voleva. Il mio cuore capì per primo, battendo con insistenza contro le costole e togliendomi quasi il fiato, il corpetto mi soffocava, le stecche mi soffocavano… respiro, respiro… non riesco più a respirare…

La debole luce della luna lontana danzava sul suo viso con un perfetto gioco di ombre e luci; Will alzò la mano e fece scorrere nuovamente le nocche, lievi come piume, lungo la mia mascella raggiungendo poi il mento.

  << Lascia che ti baci, Maddy >>, sussurrò carezzevole, quasi rassicurante.

Lentamente chiusi gli occhi, annuendo appena con la testa. Sentii le sue mani fermarsi ai lati della mia vita, tirandomi poi in avanti fino a che il suo torace non sfiorò appena il mio seno, e poi più vicino. In cerca di equilibrio alzai le mani e le posai sulle sue spalle larghe, sentendo un’improvvisa intimità a contatto con Will, e il suo corpo. Aprii gli occhi e vidi il suo volto molto vicino al mio, lo sguardo fisso sulle mi labbra. E poi mi baciò.

   Le sue labbra erano dischiuse. Provai un improvviso sgomento il calore umido dell’interno della sua bocca e il suo fiato caldo contro la mia guancia. Per qualche istante mi abbandonai a sensazioni più carnali di quanto avessi mai sospettato. La sua lingua prese ad accarezzarmi la linea delle labbra , trasmettendomi una sensazione indecente giù per la gola e giù nel seno e giù…

La sua mano era ben ferma dietro la mia vita, no, al di sotto, e mi stava attirando contro di sé in modo da aderire con le sue cosce contro le mie e…

   Sapevo bene cosa portasse un uomo sotto al kilt – e cioè niente –, Papà me lo aveva detto, e adesso quella cosa sembrava spingere con insistenza contro di me, facendomi avvertire tutta la sua durezza e…

Lo allontanai con una spinta, lottando contro il caos delle sensazioni e delle emozioni sconosciute che stavano turbinando nel mio cervello, sconvolgendomi. Non avevo mai baciato nessun uomo, apparte John, il che rientrava più in una semplice forma di saluto oppure un gioco infantile… ma Will non era un bambino… e ormai non la ero più neanche io.

   << Grazie Will, ma… >>, io stessa sentivo la voce tremula per l’emozione, tirai una lunga boccata d’ossigeno, prima di parlare ancora. << Credo che… sia meglio, credo che sia sufficiente a… >>

A cosa? Cosa era sufficiente? … non lo sapevo nemmeno io.

   << Maddy. >> Eravamo ancora vicinissimo e dall’alto della sua statura mi dominava, la testa piegata un poco di lato. Non fece alcun tentativo per abbracciarmi, non mi sfiorò nemmeno e teneva le mani sui fianchi, dandomi a intendere che non avrebbe fatto nessun altro gesto azzardato. Tuttavia, se non avessi avuto il portone della chiesa dietro di me, avrei cercato di arretrare di qualche passo, per mettere un po’ di distanza tra noi, non perché non mi fidassi di lui, ma piuttosto di me. Se mi avesse baciata di nuovo… non osavo nemmeno pensarci.

   << Maddy, io ti amo. >>

  Cosa? Lo fissai ammutolita, senza trovare nulla da dire.

 << Ti prego, diventa mia moglie. >>

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

_____________________________________________________________

 

Note:

 

1) Litha, festa del solstizio d’estate, di solito attorno al 21 giugno, una festa tradizionale risalente fino alla lontana epoca dei celti. Litha segna il punto dell’anno in cui il Sole si trova simbolicamente al culmine dei suoi poteri e così anche il Dio. È il giorno più lungo dell’anno. Nonostante nel Settecento fossero o cattolici o protestanti, in qualche villaggio si festeggiavano ancora le vecchie feste pagane, e il villaggio dove vive Maddy è uno di questi.  

2) No, mia cara Bestia… estratto dalla favola “La Bella e la Bestia”, di Leprince De Beaumont.  

3) Il coltello per trovare la propria anima gemella si camminava intorno ad una chiesa nove volte e si metteva alla fine di ogni giro un coltello nella serratura del portone, dicendo: “Qui c'è il coltello, dove è il fodero?” Il simbolismo è evidente...

Non è una tradizione tipica dell’Inghilterra (essendo il Suffolk in Inghilterra), ma ho voluto comunque inserire questa piccola tradizione:)

4) Il kilt è un indumento maschile che consiste in un pezzo di stoffa arrotolato intorno alla vita (simile alla gonna femminile) ed allacciato. Anticamente il kilt era realizzato con un pezzo di stoffa lungo abbastanza da essere poi appoggiato sulla spalla (dopo essere stato arrotolato intorno alla vita). Per una maggiore comprensione e per chi non conoscesse la cultura scozzese:) :

Versione ad alta risoluzione

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Confusione ***


Note dell’autrice: finalmente sono tornata

Note dell’autrice: finalmente sono tornata! :D

Chiedo umilmente perdono per averci messo così tanto, ma non è per niente facile aggiornare questa fanfiction, soprattutto perché non voglio scrivere capitoli inutili dove non succede niente di interessante… be’, forse dovrei starmene zitta, dato che nei primi due non è successo praticamente niente… e come al solito mi sotterro da sola-_-‘

 Ringrazio come al solito la mia cara Padme,sai che apprezzo tantissimo i commenti che lasci^^, barbarizia,sono contenta che stessi aspettando il seguito, anche se mi dispiace di averti fatto attendere così tanto^^’, Owarinai yume,eheh… credo che non ci vorrà molto, per sapere chi è ‘l’uomo mascherato’:D, shandril, yay, una new entry!x3 Grazie per i complimenti, sono contenta che Maddy ti piaccia… piace anche a me, ma del resto sono sua ‘Madre’, come potrei non amarla?^^

Will… eh, Will penso che a lungo andare si beccherà un sacco di nomi… e finirà sulla lista nera di molti… -­_-‘

  Al solito, chiedo scusa per averci messo così tanto ad aggiornare, ma non è facile essere puntuali con gli aggiornamenti, quando si è all’ultimo anno delle superiori, perciò vi prego, non mettetemi in croce, d’accordo?^^’

   Spero che anche questo capitolo possa piacervi e… alla prossima!

 

 

Redarcher  

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

III

 

 

Confusione

 

 

 

Quella notte non chiusi occhio. Senza sosta, continuai a girarmi e rigirarmi sotto le coperte completamente accaldata e confusa. Le parole di Will erano marcate a fuoco dentro di me, e ogni secondo di più bruciavano nel mio cuore come se avessero voluto incenerirlo.

  ‘Diventa mia moglie’.

Scossi brutalmente la testa, cercando di togliermi dalla mente le sue parole, tirandomi il lenzuolo fresco sopra la testa. Ero riuscita a fuggire da lui dicendogli che dovevo fare ritorno a casa, e così avevo fatto… ma avevo il presentimento – anzi la convinzione! – che in futuro non avrei più potuto lasciare in sospeso la faccenda. Will era molto più grande di me, ed era un uomo forte e orgoglioso… non avrebbe accettato un no come risposta, o meglio, non mi avrebbe lasciata fuggire senza chiarire la situazione.

   Il mese successivo avrei compiuto diciassette anni, ed ero in età da marito già a quattordici… Papà non mi avrebbe lasciata senza marito a lungo, ne ero certa, a causa anche delle nostre scarse possibilità economiche, senza contare che Elisa era incinta, e Fletcher sembrava voler ritardare il più a lungo possibile, il momento di scegliere una moglie… io non avevo scelta. Prima o poi sarebbe successo, che io lo volessi o meno, perciò forse avrei fatto bene ad accettare la proposta di Will…

    << Madelaine! Madelaine, svegliati! >> La voce di Elisa mi raggiunse da dietro la porta malandata della mia stanza, strappandomi un sussulto.

    << Arrivo! >> le risposi, balzando fuori dal materasso sfondato del letto.

Mi vestii nel buio della stanza, sistemandomi la camiciola di mussola e aggiungendovi sopra il corpetto e le gonne; aprii la finestra e una luce pallida entrò nella stanza, facendo danzare il pulviscolo sul pavimento, mi legai i capelli con lo stesso nastro giallo della sera prima e uscii dalla stanza.

   Elisa era già sveglia e pronta a iniziare la sua giornata, il grembiule bianco annodato e i capelli raccolti in una crocchia improvvisata. Si voltò lentamente, sentendo i miei passi.

   << Oh, buongiorno >>, disse tranquilla, riconcentrandosi sulla colazione.

    << Buongiorno >>, risposi, mentre mi annodavo anch’io il mio grembiule bianco.

Nella stanza permeava l’odore pungente del porridge e di zuppa di erbe, se eravamo fortunati ci sarebbero stati alcuni pezzetti di pane raffermo da inumidire nella zuppa calda.

    << Manca l’acqua, ti dispiace andare a prenderla? >>

Non risposi, limitandomi ad uscire dalla porta della cucina, ritrovandomi così nel retro del piccolo cottage. Con il secchio in una mano andai nella piccola stella – che in realtà era solo una tettoia – dove lì accanto c’era la botte dove raccoglievamo l’acqua, a volte era acqua piovana, altra andavo fino al fiume con due secchi e poi andavo avanti e indietro finché la botte non era piena.

   Una volta recuperata l’acqua tornai in casa, trovando Papà, Fletcher ed Erial svegli e seduti a tavola con la loro colazione fumante davanti al naso, lasciai il secchio al piano di cottura e mi sedetti al mio posto, congiunsi le mani, aspettando che Papà iniziasse la funzione.

Si alzò da tavola, di modo che la sua voce chiara e ben udibile, abbassammo il capo, pronti a recitare la preghiera.

La sua voce, nonostante l’età, era profonda e ben udibile, senza alcuna incertezza.

   <<  Signore, il pane non manca sulla nostra tavola. I nostri zaini contengono cibo a sufficienza, anzi qualche volta ne portiamo fin troppo. >> Fece una pausa, << Siamo affamati per il cammino e la fatica della strada, e ora ci dai la gioia di nutrirci. >>

Fletcher emise un lungo sospiro, pensando al fatto che noi, in realtà, fossimo sempre affamati, e poche volte avevamo la gioia di nutrirci. Per me non era un problema, non più di tanto, almeno; mangiavamo poco, ma

Non sembravo risentire granché della mancanza di cibo… Fletcher invece era sempre affamato, e poche possibilità di nutrirsi a dovere.

Intanto Papà continuava a recitare la preghiera.

    << Fa’ che non perdiamo mai il gusto delle cose semplici, che non diventiamo schiavi delle cose superflue o inutili. Insegnaci a dividere il nostro pane con chi ne è privo e a non sprecare mai le risorse e le vivande che abbiamo. >>

   No, non avremmo mai perso il gusto delle cose semplici, perché era l’unica cosa di cui disponevamo.

Alla fine intonò le ultime parole. << Donaci sempre la fame di Te. >> (1)

   << Amen. >>

Riaprii finalmente gli occhi e afferrai il mio cucchiaio di legno, posto accanto alla scodella calda.

Sorbimmo il nostro magro pasto in religioso silenzio, scambiandoci qualche parola di tanto in tanto, ma nessuna di esse era di fondamentale importanza.

Una volta terminato di mangiare, Erial, Fletcher e Papà si recarono assieme nei campi, pronti per una nuova giornata di lavoro. Aiutai Elisa a raccogliere le stoviglie, versai un po’ d’acqua in un catino e diedi una sciacquata alle scodelle e una volta terminata l’operazione, portai l’acqua nella stalla, versandola nel secchio di Joshua, il piccolo bramantino che usavamo per arare i campi e, saltuariamente, per raggiungere la contea di Babergh (2), ma la maggior parte del tempo la trascorreva dentro alla piccola tettoia che fungeva da stalla, con il suo fieno e il foraggio fragrante.

   << Ehi, Joshua >>, gli dissi amichevole, battendo lievemente il palmo sulla sua testa piccola e raffinata, sentendo sotto le dita l’accumulo di polvere e fango e altre lordure, sul pelo sporco e pieno di sudiciume.

Joshua in tutta risposta esalò un nitrito gutturale di saluto, piantando il grosso muso sulla mia mano, e tirando una lunga annusata, avvertendo molto probabilmente la zaffata di avena e erbe assieme.

    << Bravo ragazzo >>dissi conciliante, mentre versavo l’acqua nel suo catino.

 

 

*

  

      << Qualcosa non va? >>

 Alzai gli occhi dal mio lavoro di cucito, soffermandomi sul viso dai tratti regolari di Elisa, intenta a scrutarmi con attenzione.

     << Perché? >> chiesi, senza capire cosa volesse dire.

Si passò un ciuffo di capelli dietro le orecchie, tirando una lunga boccata d’aria, quasi stesse cercando le parole giuste.

     << Ieri sei tornata a casa da sola, come mai? >>

<< Oh. >> Mi riconcentrai prontamente sui calzini che stavo rammendando, un odore forte e pungente di maschio fuoriusciva da essi, pizzicandomi leggermente il naso; Fletcher per avere solo diciannove anni sudava peggio di un uomo di trenta.

    Scossi lentamente la testa e alcuni riccioli mi caddero davanti al viso, impedendomi di vedere cosa stessi facendo; con un gesto rapido me li tolsi di torno.

   << Ero stanca, perciò sono tornata a casa? >>

      << Da sola? >>

Annuii di nuovo. Sapevo bene il perché di quella domanda. Se le vecchie comari di Ipswich mi avessero vista tornare a casa con un uomo, di sicuro avrebbero potuto fare ipotesi azzardate sulla mia persona: sarei potuta ritrovarmi fidanzata con un uomo nel giro di poche ore – ovviamente senza saperlo – oppure essere una ragazza dal deplorevole… che meraviglia.

    << Hai incontrato il figlio del locandiere? >> Non riuscii a trattenere un fremito, sentendo menzionare Will. Intuendo che sarei potuta andare avanti a lungo, poggiai sul grembo la calza di Fletcher, guardando sconsolata la pila di altri indumenti da rammendare.

   << Chi te l’ha detto? >> Riuscii a simulare un tono tranquillo, nonostante fossi tutt’altro che tranquilla, in quel momento.

   Elisa scrollò le spalle, riprendendo le sue faccende. << Oh, è stato lui a chiedermi di te. stavo ballando assieme ad Erial, quando me lo sono visto davanti agli occhi. Mi ha chiesto dove fossi, così gli ho detto che molto probabilmente eri con Charlot e il figlio del pastore. >>

   << Infatti >>, dissi, più rivolta a me stessa che a mia sorella.

<< L’hai visto? >>

Stavolta non dissi la verità. << No, sono tornata a casa prima. >>

   << Ah. >> Elisa concluse così la sua sequela di domande, riprendendo a preparare il pranzo.

Non avrei mai potuto dire a Elisa della proposta di matrimonio da parte di Will; sapevo che anche solo a menzionare una cosa simile, lei si sarebbe prodigata con tutta sé stessa affinché io e lui convolassimo a nozze prima del compimento dei miei diciassette anni… e per adesso non avevo simili intenzioni, non subito, almeno.

   << Sarebbe il caso che tu andassi al fiume, oggi. >>

<< Ah, sì? >> chiesi, sollevando nuovamente il naso dal rammendo, stavolta di una camicia di Erial.

Elisa annuì brevemente. << Ti darei volentieri una mano, ma come vedi… >> Girò su sé stessa, esibendo al meglio il suo ventre rigonfio.

   Scossi leggermente la testa. << Non importa, me la caverò anche da sola. >>

Chinai nuovamente il capo sul lavoro di rammendo, e stavolta non fui interrotta.

 

*

 

Dopo un pranzo frugale raccattai tutti i panni sporchi, presi un’assa di legno e un frammento di liscivia e un catino in cui infilare il tutto, mi annodai un fazzoletto sulla testa e andai al fiume, sotto un battente sole estivo.

  Il piccolo ruscello scorreva placidamente in mezzo ad una generosa distesa di massi verdi di muschio più o meno grandi; solitamente la maggior parte delle donne di Ipswich si raccoglieva al ruscello per lavare i panni e, ovviamente, per spettegolare tra loro… ma oggi non sembrava così.

Troppo accaldate per starsene a lavare i panni sotto al sole cocente, le donne evidentemente avevano preferito starsene tappate in casa a sbrigare le faccende di casa, piuttosto che svenire per il caldo. Io non ero della stessa opinione.

Mi ero munita di un fazzoletto, accuratamente annodato sopra la mia testa, perciò non temevo né il caldo né nessun svenimento in particolare.

Appoggiai il catino su di una roccia dalla forma smussata e piatta sulla sommità, raccolsi al meglio le maniche della camicia e mi tirai su le gonne fino alle ginocchia, lasciando il polpaccio pallido esposto alla luce del sole. C’era una differenza spaventosa tra la pelle delle mie gambe e quella delle braccia, molto più abbronzate e di un colore più salutare rispetto alle mie gambe.

  Una volta tolte anche le logore scarpe, mi immersi poco a poco in acqua, rabbrividendo fino alla radice dei capelli per l’acqua fredda, i sassi scivolosi pungevano e pizzicavano sotto i miei piedi, ma non si feci granché caso: ero abituata a lavare i panni nel fiume.

Presi una manciata di vestiti e me li posai accanto, la logora assa di legno e la liscivia; iniziai a lavare i panni, stando ben attenta a non sprecare inutilmente troppa liscivia.

Nonostante il caldo, era una giornata perfetta per lavare i panni, di sicuro sarebbero anche asciugati in fretta con tutto quel caldo. I panni si inumidivano in acqua e si lasciavano impastare dolcemente dalle mie mani esperte, ruvide per i lavori manuali cui erano state ‘costrette’ fin quando ero bambina.

   Con un così bel tempo, il sole che scaldava piacevolmente la mia schiena sudata e il resto del mio corpo, mi riusciva impossibile pensare a quello che era accaduto solo la note precedente; ora come ora, Will non era altro che un pallido riflesso nella mia mente, che tendeva a svanire poco a poco ad ogni strizzata che davo ai vestiti. Dovevo trovare una soluzione, sapevo di non poter ritardare a lungo, ma adesso sembrava una cosa così lontana, quasi impossibile… ci avrei pensato più tardi, ma non adesso. Ero troppo impegnata.

   Il nitrito acuto di un cavallo non troppo lontano, mi distolse dal lavoro, facendomi perdere la concentrazione. Sollevando la testa dai panni, i miei occhi cercarono il cavallo, venuto molto probabilmente ad abbeverarsi. Di sicuro con lui c’era anche il suo cavaliere, ma non sarebbe stato difficile nemmeno trovare l’equino completamente solo, magari sfuggito dal recinto e adesso intento a farsi una bella passeggiata in solitaria.

Lo trovai non troppo lontano da dove ero appostata io. Chinato sulle lunghe zampe muscolose, un grosso roano con dei rapidi colpi della grossa lingua rosa raccoglieva generose quantità d’acqua, dissetandosi completamente. Non troppo lontano dal grosso roano trovai il suo cavaliere… e il mio cuore perse un colpo.

   Will bucò improvvisamente da una macchia di cespugli li accanto, le mani poggiate sulla patta dei pantaloni e un’espressione sollevata in viso. Raggiunse il cavallo e si inginocchiò lì accanto, chiuse la mani a coppa e raccolse una generosa quantità d’acqua, versandosela poi sulle labbra generose.

Deglutii profondamente, vedendolo sorbirsi quel liquido ghiacciato quasi fosse stato il più buono dei nettari. Non era difficile capire perché la maggior parte delle ragazze del villaggio sperasse di andare in sposa al figlio del locandiere. Will era bello e gentile, quasi quanto era imprevedibile e ‘pericoloso’, guardarlo in quei profondi occhi verdi voleva dire scegliere deliberatamente di perdersi in quelle profondità del colore dello smeraldo.

   Forse era proprio per questo che ero così restia ad accettare la sua proposta di matrimonio. Non ero sicura di conservare la mia integrità, la mia anima, se avessi scelto lui… e la mia anima era una delle poche cose che erano mie, e mie soltanto.

Una volta che anche il cavallo ebbe finito di abbeverarsi, William gli afferrò le redini e gli diede un leggero colpetto sul muso, sussurrandoli delle paroline incomprensibili all’orecchio.

   << Murtagh, mo mhùirnìn bàn (3), sei pronto a ripartire? >> chiese allo stallone con dolcezza.

Con uno scatto agile e molleggiato, risalì in groppa alla propria cavalcatura, il cavallo sollevò la grossa testa in risposta allo sprono delle briglie, Will poi lo incitò a partire con uno schiocco secco della lingua; il cavallo ubbidì, e nel giro di poco mi ritrovai nuovamente sola.

   Forse sposare William era soluzione migliore. Era un bravo ragazzo, aveva i soldi ed un nome rispettabile, nonché una casa sua propria, ma allo stesso tempo, una parte di me gridava con tutto il fiato che aveva in corpo di non accettare l’offerta. Non ero vanitosa, non potevo sperare – né volevo – di avere un uomo migliore di lui, il prestigio e il denaro erano l’ultima cosa che mi interessasse… ma allora cosa volevo?

   Con quella domanda ancora stampata a fuoco dentro di me, ritornai ai panni.

 

*

 

Tornai a casa giusto per l’ora di cena, i panni lavati e umidi nel catino, e un’espressione soddisfatta dipinta in viso. Andai sul retro del cottage dove, piantati nel terreno secco, c’erano due grossi pali di legno e un filo dove stendere la biancheria bagnata. Vedendomi, Joshua si lanciò in una sequela di nitriti gutturali in segno di saluto.

   << Ciao Joshua >>, gli risposi, senza guardarlo, troppo impegnata a terminare il lavoro per prestargli attenzione.

Ai nitriti allegri di Joshua, si aggiunse un altro, molto più potente.

   Era strano; Joshua era l’unico cavallo che possedevamo, ed era un evento raro ricevere visite, almeno per noi, tuttavia non poteva essere altrimenti.

Girandomi verso la piccola stalla, temetti che il cuore mi scoppiasse da un momento all’altro.

Murtagh, il grosso roano che avevo visto quel pomeriggio, adesso era impastoiato nella piccola stalla assieme a Joshua, occupando tutto lo spazio disponibile al piccolo bramantino, relegandolo in un angolo.

   Che ci faceva a casa nostra il cavallo di Will?

Appena mi posi quella domanda, un campanello d’allarme attirò la mia attenzione, gelandomi il sangue.

   << Non può essere…! >> Lasciai gli abiti lavati nel catino, raccolsi le gonne affinché non mi impedissero i movimenti, e mi precipitai in casa.

   << Elisa! >> esclamai a gran voce, una volta entrata dalla porta.

Il cuore mi batteva violento nel petto, stringendomi sempre più le stecche del corpetto contro e lasciandomi senza fiato.

   << Elisa…! >> Senza fiato, la voce mi uscì come un rantolo allarmato.

<< Cosa c’è? >> Non riesco a descrivere il sollievo che provai, vedendo il volto di mia sorella, rilassato e sorpreso.

   << Dov’è Papà? >> chiesi, guardandomi attorno, furtiva.

   << È di là, assieme ad un ospite >>, disse lei senza una particolare emozione nella voce.

   << Ospite? >> La voce mi tremò come se avessi freddo, togliendomi anche gli ultimi residui d’aria rimasti.

Lei annuì, nonostante la mia domanda fosse retorica.

    << Il figlio del locandiere è venuto a casa nostra. Voleva parlare con Papà. >>

Oh, no. no, non poteva essere, non stava accadendo veramente, non stava…

    << Maddy? Figliola, sei tu? >> Dall’altra stanza mi giunse la voce di Papà.

Non gli risposi, limitandomi a camminare a testa bassa, raggiungendolo.

    La vista di Will, comodamente seduto sulla poltrona sgangherata della piccola stanza che fungeva da soggiorno, mi fece male al cuore… ma non fu piacevole.

Non era difficile immaginare il motivo per cui fosse qui, era fin troppo ovvio.

Will, vedendo la mia indecisione, aveva deciso di prendere il toro per le corna, decidendo di parlare personalmente con Papà. Non aveva minimamente tenuto in considerazione le mie opinioni, mi aveva deliberatamente messa da parte.

   << Maddy, non essere scortese! >> esclamarono Papà ed Elisa all’unisono. << Saluta il nostro ospite >>, mi intimò mia sorella, spingendomi verso William.

   << Eh… ah… io, io… >>, mi morsi leggermente la lingua, imponendomi di non balbettare, << … buonasera. >> La mia voce non era più che un sussurro strozzato.

    Lui mi sorrise cordialmente, chinando lievemente il capo, in segno di cortesia. << Buonasera. >>

<< Papà io… >>

    << Credo che sia il momento che me ne vada. >> Will interruppe qualsiasi mia parola, alzandosi dalla sedia. Elisa cortesemente gli porse il cappello a tesa larga, lui la ringraziò, calcandoselo poi sopra la testa.

    << Ve ne andate di già, MacLeod? >> chiese Papà, quasi con una punta di rammarico nella voce.

Lui annuì, quasi distrattamente. << Si è fatto tardi, è il caso che faccia ritorno a casa. >>

    << Capisco >>, Papà si alzò dalla propria poltrona, tendendo la mano al giovane. << Vi ringrazio MacLeod. Rifletterò sulla vostra proposta molto attentamente. >>

Will strinse la mano callosa e piena di rughe di Papà, una stretta giovane ed energica. << Sono io a dover ringraziare voi, signore. >>

   << Mrs. Pacy >>, disse, rivolto a mia sorella. Le afferrò cortesemente la mano, e vi poggiò appena le labbra. << Servo vostro, madam. >>

    << Onorata, Mr. MacLeod >>, disse mia sorella, con la pari cortesia.

<< Maddy. >> Il fatto che usasse il mio nome in tono così confidenziale mi lasciò senza parole, ma in fondo, era anche vero che ci conoscevamo da una vita, io e lui. Eppure, allo stesso tempo, sentivo di non conoscerlo affatto.

   Prese la mia mano nella sua, posandovi completamente le lebbra, un fremito mi scosse da capo a piedi, provocandomi un fremito in tutto il corpo, i suoi occhi verdi sembrarono accendersi di una luce che non conoscevo, mentre si soffermavano sul mio viso. << Mia cara, ti auguro la buonanotte. >>

Fece per lasciare la mia mano, ma per un istante, strinse la presa, quasi fosse stato un monito, e io annuii, senza sapere cosa dire.

Uscendo dalla porta Will fu costretto ad abbassare la testa, dato che era molto più alto; prima di uscire completamente, però, lanciò un’ultima occhiata in tralice nella mia direzione.

   Capivo il motivo di quello sguardo… non avrei fatto come mi pareva. Aveva anticipato qualsiasi mia mossa, intrappolandomi completamente.

 

*

 

    << Papà, che cosa vi siete detti? >>

    << Non lo immagini? >> Elisa aveva un tono di voce serio, sembrava arrabbiata, e non ne capii il motivo.

   << Io… >> Abbassai lo sguardo, senza sapere cosa dire.

Papà tirò un lungo respiro, quasi stesse cercando le parole giuste da usare. << Il giovane MacLeod ha chiesto la tua mano, figliola >>, si batteva le dita rigide sulla coscia, soppesando le parole una ad una, << … e io gli ho dato il permesso. >>

    << Cosa…? >> la voce mi uscì di bocca come un tremolio incredulo. << Perché Papà? Perché l’hai fatto? >> esclamai, sentendomi tradita. Papà sapeva cosa ne pensassi del matrimonio in così giovane età… e io sapevo che ero alle dirette dipendenze di mio padre. Lo sapevo, eppure…

   Papà si accarezzò lievemente i baffi grigi con la mano, senza rispondere subito alla mia domanda. << Abbiamo bisogno che ti sposi, Maddy. >>

   << Perché non ci sono soldi? >> chiesi, completamente basita e incredula. << È solo per questo? Io conto così poco, per te? >>

   Non avrei dovuto dirlo. Gli occhi grigi di Papà si fissarono su di me come gli occhi di un predatore; una scossa di rabbia lo fece fremere, spaventandomi.

   << Non ti azzardare, ragazzina >>, disse rabbioso. << Se non mi importasse niente di te, ti avrei data in sposa appena compiuti quattordici anni. Hai idea di quanti uomini abbiano chiesto la tua mano, in questi tre anni? >> i suoi occhi sembravano brillare di una luce animalesca, cancellando ogni parvenza di civiltà.

Si alzò dalla poltrona e in poche falcate mi fu addosso. Mi afferrò per le braccia e mi scosse talmente forte, fino a farmi battere i denti. << Ho rifiutato più di dieci uomini, perché sapevo quanto fossi restia a sposarti! Tutti quegli uomini avevano almeno quindici anni in più di te, credi che avrei mai potuta lasciare ad uno di loro? >> Sputava addosso a me tutto il veleno che aveva in corpo, urlando come un ossesso e spaventandomi.

    << Papà, mi sai facendo male! >>

<< Avrei potuto lasciarti ad uno di loro, ma ho preferito aspettare… adesso che quel ragazzo mi offre la possibilità di dar mia figlia ad una brava persona… buon Dio, sei davvero così ottusa, Madelaine!? >>

   Non sapevo cosa rispondere. Le parole erano intrappolate in fondo alla gola, mentre dei singhiozzi mi scuotevano tutta, togliendomi il fiato.

   << Papà… ti prego… >>

Alla fine riuscì a calmarsi. Lasciò andare le mie braccia, e io mi allontanai il più possibile da lui, sfregandomi le braccia tra loro, cercando di farmi forza. Papà perdeva la pazienza facilmente, ma non ci aveva mai picchiati se non per un giusto motivo; la reazione di quella sera, invece, era peggio di venti cinghiate senza sosta.

    << William MacLeod è un bravo ragazzo, Madelaine >>, disse, dopo che la rabbia si fu, attenuata; la voce era ancora tremula, ma Papà sembrava calmo. << Nonostante sia uno scozzese, è un buon partito, è l’unico erede e suo padre possiede una locanda, hai i soldi, una casa tutta per sé… Maddy, non possiamo rifiutare una simile opportunità, capisci? >>

   No, avrei voluto dire. Non capisco il vostro egoismo e non voglio nemmeno stare sotto le vostre regole… ma non dissi nulla. Mi limitai ad annuire leggermente con il capo.

Papà si avvicinò nuovamente, e mi cinse la testa con un braccio, calmando appena i tremori che ancora mi scuotevano.

   << Capisco, Papà >>, tirai su con il naso, << e accetto la proposta. >>

Annuii appena con la testa. << Sposerò William MacLeod. >>

 

*

 

Riuscii a convincere Papà ad uscire fuori casa per qualche minuto. Avevo bisogno di starmene un po’ da sola, senza che lui o Elisa mi stessero vicini.

Il sole era ancora alto in cielo, che aveva iniziato a stemperarsi nei colori più cupi della notte, assumendo sfumature arancio, rosse e qualche screziatura violacea qua e là; una leggera brezza soffiava nei campi, facendo danzare l’erba selvatica e i fiori di campo, un brivido mi scosse leggermene, allorché mi avvolsi stretta nello scialle leggero che avevo preso con me.

   Una ragazza del villaggio, di fronte ad una simile opportunità avrebbe implorato il padre affinché potesse sposare il ragazzo, nonostante fosse scozzese e, per questo, un traditore della Corona inglese… ma a Papà questo non sembrava importare, era più interessato al fatto che Will fosse affidabile e che si comportasse come un buon marito. Normalmente avrei dovuto essere felice di una simile opportunità, ma io…

Strinsi i denti e raccolsi alcune delle lacrime che mi erano sfuggite dalle palpebre, asciugando poi la mano umida contro la gonna.

Il sole stava calando in fretta, forse era il caso di far ritorno a casa…

Tuttavia non lo feci. Con passi rapidi e decisi, camminai fino al villaggio, salutando frettolosamente gli uomini che incontravo, intenti a tornarsene a casa dalle proprie famiglie, a gustare una deliziosa cena.

    Alla fine raggiunsi la locanda gestita dalla famiglia MacLeod; entrai dentro, decisa più che mai a trovarlo.  

  << Maddy! >>

William era distante pochi metri da me. Indossava un grembiule sopra la rozza camicia di lino e stava servendo un uomo tarchiato e barbuto, che reclamava a gran voce una pinta di birra.

Mi fece cenno di aspettare un istante, disse qualcosa nella sua strana lingua a suo padre, che lo lasciò andare.

Si tolse il grembiule e mi raggiunse, il viso forte e robusto piacevolmente rubicondo, forse per la felicità.

   << Che ci fai qui? >> mi chiese, senza smettere di sorridermi ammiccante.

Distolsi lo sguardo, puntandolo sul pavimento sporco di birra e liquori vari, ormai asciutti.

    << Vorrei parlarti, se non ti dispiace >>, dissi con un mormorio cupo.

<< Oh, certo. Non c’è problema. >> Con un gesto puramente cavalleresco, mi prese a braccetto. << Ti riaccompagno a casa, d’accordo? >>

Annuii, lasciando che mi conducesse fuori.

 

*

 

 I capelli sciolti ondeggiavano piacevolmente nella brezza serotina, e avvertii il sentore di maschio non lavato, mentre Will era vicino a me; un odore forte e muschiato, non particolarmente sgradevole.

Non avevamo ancora instaurato una parvenza di conversazione, io mi limitavo a starmene sulle mie, e lui cortesemente attendeva. Ma non lo fece a lungo.

   << Maddy, io… >> I suoi occhi sembravano affranti, quasi dispiaciuti. Non credevo che fosse dispiaciuto per me, per il fatto che mi avesse praticamente costretta a diventare sua moglie, tuttavia i suoi occhi…

   << … mi dispiace, non intendevo ferirti >>, disse alla fine, con voce dimessa.

Scossi lievemente la testa, e alcune ciocche di capelli mi caddero davanti al viso.

   << Non ti preoccupare, in fondo hai ottenuto quello che volevi, no? >> Fui più sgarbata di quanto intendessi essere, e me ne dispiacqui.

Lui non disse nulla, limitandosi a distogliere lo sguardo. << Will, io non… >>

   Mi diede le spalle, distaccandosi da me il più possibile. << Will, non volevo offenderti! >>

Mi sentii il cuore congelarsi una gelida morsa, lasciandomi stordita e piena di dolore. Non mi piaceva l’idea di essere sua moglie, o meglio, non mi piaceva l’idea di sposarmi così presto, ma non volevo che a causa della mia testardaggine lui soffrisse, dopo tutto io…

    << Will! >> lo chiamai ancora, sperando che non se ne tornasse a casa, lasciandomi sola.  

Non avevo paura a tornare a casa da sola, ma la sua presenza vicino era una specie di amuleto, qualcosa che sembrava tenermi al sicuro, senza contare che la sua presenza era più che rassicurante, viste la sua stazza.

   Contrariamente alle mie aspettative, lo vidi inginocchiarsi sul ciglio della strada sterrata, armeggiò con le mani in quella posizione per qualche secondo, poi si rimise in piedi, voltandosi nuovamente verso di me.

   << Will… >> Non riuscivo a dire nient’altro al di fuori del suo nome, gli occhi mi pungevano con insistenza, e le lacrime ormai erano giunte al punto di non ritorno.

   << Mi dispiace, Maddy. >> La sua voce era sincera, così come lo erano i suoi occhi.

Quando fu abbastanza vicino, riuscii a vedere le corolle di alcuni fiorellini di campo, che crescevano su ciglio della strada. Forse era un gesto per scusarsi, un modo per fare ammenda, e ottenere il mio perdono.

   Me li porse, ma non li accettai subito, rimasi a guardarlo, in silenzio.

<< Non volevo essere avventato, davvero. >> Si mordicchiò il labbro inferiore, un’ovvia dimostrazione di disagio.

   << Non ti prometto niente, ma vedrai che farò del mio meglio >>, disse alla fine, imbarazzato e a disagio.

<< Cosa…? >>

    << Farò di tutto per essere un bravo marito, Maddy. Non ti farò mancare niente, te l’assicuro. >>

Rimasi in silenzio, osservando quel semplice dono floreale, e il volto imbarazzato e forte del mio promesso sposo.

   Come potevo rifiutarlo?

Nonostante le mie reticenze, dovevo ammettere che Papà aveva ragione. Era un bravo ragazzo, serio, votato al lavoro e di sani principi. Con lui sarei stata felice, molto di più che con altri uomini.

  Senza dire nulla, tesi la mano verso il piccolo mazzo di fiori, mentre un dolce sorriso si faceva strada sulle mie labbra, rivolto al mio futuro marito.

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:   

1)      Signore, il pane non manca mai… si tratta della preghiera della cena; so che non è molto azzeccata, dato che si tratta della colazione, ma non ne ho trovate di preghiere che parlassero della colazione, scusate^^’

2)      Babergh è il distretto confinante con quello di Ipswich, ed entrambi fanno parte della contea del Suffolk.

3)      Mo mhùirnìn bàn: frase di origine gaelica, significa ‘Mio caro/mia cara’. Per intenderci, il gaelico è la lingua parlata nelle Highlands, la parte più settentrionale della Scozia^^            

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Colui che tradisce ***


Note dell’autrice: Eccomi con il quarto

Note dell’autrice: Eccomi con il quarto!^^

Mi dispiace di averlo pubblicato solo ora, ma negli ultimi tempi ho intrapreso la stesura di ben due fanfiction ‘Originali’, e a volte non riesco a metterci poco come vorrei, magari è dovuto anche al fatto che non sono molto veloce a battere a computer, tuttavia non mi sono mai cronometrata, quindi me ne frego!XD

   Dal quarto capitolo in poi la storia dovrebbe entrare nel ‘vivo’ (si fa per dire) della narrazione, perciò spero tanto che ci sarà un po’ più di cui parlare, da adesso in poi…

Sono rimasta stupita e piacevolmente colpita da quante persone apprezzino questa fanfiction, di fatti, mi sono resa conto che in ben 10 persone l’hanno inserita tra i propri ‘Preferiti’, quindi non posso che essere felice. senza contare le persone che hanno sempre commentato dal primo capitolo^^

  Oriway yume in primis, dato che è stata la prima a lasciare il commento al capitolo^^

Mi dispiace di aver impiegato così tanto ad aggiornare, ma come ho già detto nel precedente capitolo, non è facile portare avanti un racconto storico, per ovvi motivi^^’ Stavolta spero di non averci messo così tanto. A proposito: ti ringrazio per aver commentato l’altra mia fanfiction… anche se, per pura superbia mi piace chiamarlo ‘libro’, sai… l’ego di uno scrittore può essere particolarmente sviluppato, e il mio non fa eccezione. XDD

Colgo l’occasione per rispondere alla tua domanda. No, mi dispiace, non ho intenzione di proseguirla, almeno su EFP, per il fatto che ho intenzione di sottoporla ad una casa editrice, ma puoi seguire la storia su EFP fino al quinto capitolo; spero possa tirarti su di morale^^

  shandril quanti complimenti! Vi avverto che se continuate così, il mio ego si gonfierà come un pallone! Ti prego, non smettere di adularmi! Scherzi a parte… spero che le sorprese siano sufficienti, in questo capitolo^^

   eiby la new entry! Sono contenta che Maddy piaccia a così tante persone! È ancora una ragazzina, ma conto che nel proseguire della storia possa maturare abbastanza da poter diventare una vera donna. Sono molto affezionata a lei, è stata la seconda protagonista che è nata dalla mia testa ed è completamente diversa da sua ‘sorella’, perciò non avevo idea di come avrebbe potuto affrontare un pubblico di lettori… adesso però mi sento più tranquilla^^

   barbarizia non so cosa dirti, altrimenti farei spoiler gratuiti e non richiesti!XD

Hai detto che la Woodiwiss è la tua scrittrice preferita, giusto? Per caso è una scrittrice di romanzi in costume?

Scusa la domanda, la mia è semplice curiosità. Solo una cosa: se ti piacciono le storie d’amore ambientate nel passato, allora spero non ti dispiaccia se ti consiglio una serie di romanzi che, senza troppi giri di parole, mi ha fatto e mi fa battere tutt’ora il cuore, al solo pensarci.

   Questa serie è della scrittrice americana Diana Gabaldon e il primo libro della serie si intitola ‘La straniera’. Ricordo di averne già parlato nel secondo capitolo, ma anche a rischio di sembrare noiosa, non posso non parlare di questa serie. Per chi ama non solo le storie d’amore, ma anche il passato, gli intrighi, azione, guerre, le storie tristi ma che, dopo tanto penare terminano con un lieto fine, allora questo libro è quello giusto. ^^

… Okay, adesso che ho finito il mio soliloquio su questa meravigliosa serie, credo di poter passare ad altro. 

Prima di iniziare ci tengo anche a ringraziare Roby e Untitoled, che hanno apprezzato e commentato i primi due capitoli. Grazie mille!

 

 

Redarcher  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notaultramegapocoimportante: prima di iniziare, ci tengo particolarmente a dire che la storia subirà un cambiamento, sia spaziale che temporale. A causa alcuni miei errori di valutazione, mi vedo costretta a cambiare luoghi e tempo.

La contea in cui si svolge la storia è quella di  Northumberland, per quanto invece riguarda il tempo, invece, tutto inizia nel 1755, cioè dieci anni dopo la disfatta di Culloden, e non venti.

   Un ulteriore cambiamento invece è stato apportato nel titolo, che, in un futuro prossimo, diverrà ‘Ranuncolo d’inverno’.

     Adesso vi lascio veramente al capitolo

 

 

 

 

 

IV

 

Colui che tradisce 

 

 

 

Tutto sembrò acquistare un senso, poco a poco. L’idea di divenire la sposa di William MacLeod con il passare del tempo iniziò a divenire più sopportabile, un po’ perché non avevo scelta, un po’ perché Will ci teneva particolarmente a tutto questo. Non me lo disse mai, ma sembrava sinceramente interessato a prendere me come moglie, e non si sarebbe accontentato della nostra futura unione davanti a Dio; lui voleva di più… e io iniziavo a pensare che, col tempo, glie l’avrei dato.

   Non era il mio corpo che lui voleva, non solo, almeno. Lui voleva anche il mio cuore, non mi avrebbe presa a metà, ne ero sicura.

Credo che fosse per quel motivo se, ogni qual volta ne aveva possibilità, veniva a farci visita al nostro cottage dimesso e incredibilmente piccolo, e devo ammettere che mi ci stavo abituando, ormai, alla sua presenza. Ai suoi sguardi dolci, il tocco carezzevole delle sue dita sulla mia mano piena di calli e vesciche, la sua voce profonda e bella...

Will poco a poco stava divenendo qualcosa di presente e costante, nella mia vita… e io mi ci stavo abituando.

Quel giorno ero andata al fiume, munita di bastone e due secchi vuoti posti alle estremità di esso, ondeggiavano rumorosamente ad ogni mio momento, producendo rumori cacofonici lungo il sentiero; la botte che utilizzavamo a raccogliere l’acqua era quasi vuota, perciò toccava a me andare al fiume e riempire i secchi. Era una bella giornata, ma di tanto in tanto, gonfi nuvoloni di pioggia si avvicinavano troppo al sole, oscurandolo per alcuni minuti, poi tornava sereno; ma io avevo la netta sensazione che entro sera sarebbe piovuto.

   << Il figlio del locandiere viene spesso a trovarti. >> Non era una domanda.

Distolsi l’attenzione dai secchi, per concentrarmi sul viso magro e infantile di John, intento a grattare le orecchie ad Arn, il cane da caccia di suo padre. Rufus Maverick non era un cacciatore, perciò l’ottimo olfatto, la capacità all’ubbidienza nel lavoro di campagna e le doti di cane da ferma di Arn erano sprecate; la maggior parte del tempo John se lo portava appresso e il cane lo seguiva ovunque andasse, negli ultimi tempi però, il figlio del pastore insisteva col dire che voleva diventare un cacciatore, e quindi le doti di Arn erano necessarie. 

   << Sì, e allora? >> Posai una lieve carezza sulla testa di Arn, e la sua coda lunga e sfrangiata si mosse nell’immediato, dandomi a intendere che fosse felice.       

  John aggrottò le sopracciglia scure e mi lanciò un’occhiata torva, le sue dita cercarono a tentoni sulla distesa di ciottoli su cui era seduto, trovò un sassolino, e lo gettò nel ruscello.

   << Ti ha fatto la proposta? >> mi chiese, cercando di usare un tono distaccato.

   << No, certo che no. >> Papà aveva deciso di ritardare il più possibile l’annuncio ufficiale del nostro fidanzamento, o meglio, questa era la condizione che aveva posto a Will per potermi sposare.

  << Voglio che il fidanzamento sia reso ufficiale a luglio; il giorno del compleanno di Maddy. >>

Queste erano state le sue esatte parole, visto che anch’io ero presente. Papà non voleva che il fidanzamento fosse reso ufficiale prima di quel giorno, perciò aveva imposto a me e a Will di non parlarne ad anima viva; nonostante John fosse uno dei miei più cari e vecchi amici, non potevo disubbidire a mio padre, perciò avevo mentito.

   << Accetteresti? >>

   << Che cosa? >>

John sbuffò spazientito e si alzò in piedi, iniziando a dare calcia ai sassi. << Se lui ti chiedesse in moglie, accetteresti? >> La sua voce era un continuo tremito, quasi stesse trattenendo un vero e proprio scoppio d’ira. << Allora? >>

Mi strinsi nelle spalle, e ripresi a riempire il secchio. << Forse. >> Così, una volta che il fidanzamento sarà reso ufficiale, non avrà rimostranze o lamentele contro di me da presentare.

   << Ha! >> esclamò sprezzante. << Tutte uguali, voi donne! >>

   << Perché, scusa? >> Forse, una vaga idea di dove volesse andare a parare ce l’avevo… e questo mi infastidiva.

   << Basta che un bell’uomo vi faccia la corte, e voi subito gli gettate le braccia al collo. >> La sua voce era un chiaro disprezzo verso tutto ciò che era la natura femminile, o almeno così sembrava.

  Afferrai il secchio e, con tutta la forza che avevo nelle braccia, glielo scagliai addosso. L’acqua gli cadde addosso con la stessa intensità di un vortice, bagnandolo da capo a piedi; John lanciò un’imprecazione con tutta la voce che aveva nei polmoni e fece scappare qualche passero appostato sugli alberi, lanciando grida di allarme.

    << Impara anche questo, John >>, gli dissi maligna, tra una risata e l’altra. << Non metterti mai contro una donna che ha in mano un secchio pieno d’acqua! >>

    << Ti farà soffrire, Maddy! >> proruppe allora, tutto in una volta.

<< Come? >>

   John strinse le labbra, quasi non fosse sicuro se dire o no quello che stava pensando.

   << John, che vuoi dire? >>

Alla fine non riuscì a resistere. << Se accetti la sua proposta ti farà soffrire… e non potrai farci niente. >>   

   Corse via; Arn lo seguì prontamente, raggiungendolo in poche rapide falcate. Sparirono tra i cespugli, diretti chissà dove.

Cosa significavano quelle parole? Era sincero, oppure lo aveva detto così, mosso istintivamente da uno scatto d’ira? Non sapevo se potevo credergli.

John ha sempre avuto la cattiva abitudine di parlare a sproposito, sin da quando era piccolo, quindi avrei potuto accantonare senza problemi quelle parole velenose, e concentrarmi sul mio compito.

   << Sei uno stupido, John Maverick >>, borbottai a mezza voce, mentre riprendevo a riempire il secchio vuoto.

Forse, in un certo senso, me lo aspettavo. Will poteva essere gentile, bello e poteva anche essere il possessore di una casa tutta sua… ma era pur sempre un uomo, accidenti! Non avrebbe reso conto a me di ciò che avrebbe potuto fare, anche se fossi divenuta sua moglie, questo non toglieva il fatto che avrei avuto l’opportunità di alzare la cresta, con lui. Non era raro che una donna venisse picchiata dal proprio marito, in caso di ribellione nei confronti del suddetto.

Conoscevo Will sin da quando ero piccola, e lui ha sempre mostrato la parte migliore di sé… ma potevo crederci? Chi mi assicurava che sarebbe cambiato, nel tempo?

    Purtroppo non avevo garanzie, né certezze a riguardo. Avevo una sola convinzione, e cioè che lui mi aveva promesso di essere un buon marito, e io speravo in questo, con tutta me stessa.

 

*

 

   << Quei secchi devono essere pesanti. >>

Il mio cuore perse un colpo e poi cominciò a battere sempre più forte quando, alzata la testa, avevo scorto tra la massa di riccioli ribelli che avevo, la figura alta e massiccia di Will.

Ridacchiò brevemente e, con un tocco lieve e appena accennato, raccolse i miei riccioli e me ripassò dietro l’orecchio; mi sentii improvvisamente in imbarazzo. Nonostante i continui cambiamenti del tempo, la giornata era calda e umida, e mi era praticamente impossibile non sudare, la mia camiciola era zuppa di sudore e aderiva al mio corpo come una seconda pelle, i capelli impigliati tra loro e appiccicati alla mia testa dal sudore e dalla lordura… oddio, avrei dovuto darmi almeno una lavata!

   << Ehm, grazie… >>, borbottai imbarazzata, sentendo le guance sempre più calde,

   << Dovere >>, disse dolcemente, indugiando con le dita sulla mia guancia.

L’allontanò e io per un istante sentii la mancanza del contatto della sua mano, ma fu una cosa breve.

Non sentii più il peso del bastone sulle mie spalle, e per un attimo pensai di averlo fatto cadere a terra… ma non era così. Will con un movimento rapido aveva afferrato il bastone con le sue grosse mani e se l’era portato sulle proprie, di scapole, molto più robuste e resistenti delle mie.

   << Will, no fa niente! >> replicai imbarazzata, cercando di recuperare i secchi, ma lui mi scartò con un movimento rapido, e l’acqua dentro ai secchi sobbalzò.

   << Non ti preoccupare, Maddy. Non è un problema. >> Mi sorrise e si incamminò verso il cottage.

   << Ma, ma è… è un lavoro da donne! >> esclamai, sempre più rossa in viso. << Non dovresti farlo tu! >> aggiunsi poi.

Si fermò ad aspettarmi. Quando gli fui davanti per ribadire le mie parole, non trovai il coraggio di dire altro.

I suoi occhi verde muschio brillavano di imbarazzo e ilarità insieme, fece una piccola smorfia e riuscì a mozzarmi il respiro.

   << Allora, spero tanto che tu non vada a raccontarlo in giro, intesi? >> Si sistemò meglio il bastone e riprese la marcia. << Posso mettermi in ridicolo, per te >>, proseguì sempre con allegria, << … ma anch’io ho il mio orgoglio, aye? >> 

   << Oh. Ah… sì. >> Non seppi cosa rispondere, perciò gli diedi ragione, e lo lasciai trasportare i secchi fino a casa.

Camminammo in silenzio per qualche tempo, godendo molto probabilmente della presenza reciproca e niente altro, alcune ghiandaie lanciavano allegre strida e le cicale frinivano nella calura estiva, perciò lasciammo che fossero loro a parlare al posto nostro. In prossimità del cottage, mi accorsi che Murtagh era impastoiato sotto la tettoia e, con un’arroganza senza pari, si stava sbafando la razione di fieno di Joshua, incastrato in un angolino della tettoia, con la testa fuori ed esposta al sole.

   << Ma tu non hai mai niente da fare? >> esclamai trattenendo una breve risata. << Tuo padre non ha bisogno di te alla locanda? Ultimamente vieni sempre a trovarmi e… >>

   << Oh, certo che gli serve aiuto! >> esclamò allegro, guardando anche lui la scena della tettoia.

Abbassò la testa per guardarmi negli occhi, e un’espressione di indicibile dolcezza apparve nei suoi occhi.

   << Tuttavia mi ha dato il permesso di corteggiarti a dovere, sai? >>

   << Ma se praticamente siamo già fidanzati? >> dissi e ma stessa, ma lui riuscì a sentire.

   << Voglio che tu ti abitui alla mia presenza poco alla volta, così che non nasca qualche problema in seguito. Be’, non so se sono riuscito a rendere l’idea… >>, disse allora, il viso leggermente roseo per l’imbarazzo.

   << Ti sei spiegato benissimo >>, replicai con un sorriso e, mossa da un desiderio improvviso, gli sfiorai il gomito robusto e peloso con le dita. Non so perché avessi deciso di farlo, ma lo volevo; volevo sentire un contatto con il suo corpo, con una parte di lui…

Lui mi guardò di nuovo, e stavolta non seppi interpretare la sua espressione… allora lasciai ricadere la mano lungo il fianco, interrompendo il nostro contatto.

   << Scusa… >>, dissi a mezza voce.

   << Non devi, Maddy. >>

Un’allegra risata uscì dalle sue labbra. << Dopo il matrimonio non ci sarà spazio per la titubanza >>, disse allegro, i suoi occhi brillavano. << Che tu lo voglia o no, mia cara, entrerai in contatto con diverse parti del mio corpo. >>

    << Will, smettila! >> Le mie guance presero fuoco, avevo capito a cosa si stesse riferendo, e questo mi metteva profondamente a disagio. Sapevo benissimo cosa sarebbe successo se io, se lui…

   << Dùn di bheal (1) Murtagh! >> esclamò brutalmente Will contro il roano che, vedendo il proprio cavaliere fare ritorno, aveva iniziato a scalciare e nitrire gioiosamente in segno di saluto.    

   Lo aiutai a togliersi il bastone dalle scapole, poi versammo l’acqua fresca nella botte, poi vi misi sopra un coperchio di legno e lo fermai con un masso pesante.

   << Serve altra acqua? >> mi chiese lui, i secchi già stretti nelle sue grosse mani.

Scossi la testa e sorrisi. << No, ormai la botte è colma, non serve altra acqua. >>

   Mi feci consegnare i due secchi ed entrai nella porta laterale, ritrovandomi in cucina.

  << Hai riempito la botte di acqua? >> mi chiese Elisa, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro di cucito. Le sue mani bianche stringevano un piccolo pezzo di stoffa grigia che, con il passare del tempo, aveva iniziato ad assumere l’aspetto di una vestina piccola piccola. 

   << Sì, ho appena finito >>, replicai, lanciando occhiate ansiose verso la porta sul retro. Speravo con tutta me stessa che Will non decidesse di entrare, altrimenti Elisa avrebbe potuto equivocare, o meglio, avrebbe ritenuto sconveniente che ci trovassimo da soli prima che il fidanzamento fosse reso ufficiale.

   << Dovresti andare a raccogliere dell’ortica >>, disse lei dopo qualche minuto di silenzio. << Mi serve per la cena di stasera. >>

   << Oh, va bene. Ci vediamo dopo! >>

Uscii dalla porta di servizio il più velocemente possibile… e mi ritrovai tra le braccia di Will, forti e dure, che mi stringevano contro il suo petto ampio.

   << Vai da qualche parte, a nighean? >> chiese carezzevole, mentre passava le dita i miei capelli.

  << A mia sorella serve dell’ortica per la cena. >> Senza che lo volessi realmente, mi lasciai sfuggire un pesante sospiro contro il suo petto, mentre le sue grandi mani mi accarezzavano con dolcezza.

   Potevamo concederci un simile contatto? Il nostro fidanzamento non era ancora ufficiale, ma era anche vero che mancavano solo pochi giorni al mio compleanno… tuttavia certi contatti potevano essere ritenuti sconvenienti, prima del matrimonio…

Alla fine Will cancellò qualsiasi mia insicurezza… interrompendo lui stesso il contatto.

   << Vieni, conosco un posto dove ci sono un sacco di ortiche. >>

Sciolse le pastoie di Murtagh e con un movimento rapido ed elegante, montò in sella al grosso roano.

Feci per prendere la sella e le briglie di Joshua, ma Will mi interruppe. << Ti porto io. >>

   Ricordandosi delle regole del galateo, scese dalla sella e, afferratami per la vita, mi issò sopra il grosso cavallo, e poi fece lo stesso.

   << Mettimi le braccia attorno alla vita >>, mi ordinò e io ubbidii all’istante, appena spronò Murtagh a partire con un movimento delle briglie e uno schiocco della lingua.

Il cavallo partì subito all’incitamento da parte del proprio cavaliere, e per un attimo mi sentii sbalzare di sella, ma era solo una mia impressione. Con le cosce strette al corpo del cavallo e le braccia perfettamente allacciate al busto di William, non correvo certo un simile rischio; gli zoccoli del roano battevano sollevavano polvere e alcuni pezzi di terra, l’aria fresca mi sferzava piacevolmente il viso accaldato, e tutto quello che volevo era che quel momento non finisse mai.

 

*

 

Non conoscevo la radura in cui Will mi aveva portato, ma contenta di vedere che la macchia di ortiche di cui mi aveva parlato, era completamente esposta ai raggi del sole. Non che fosse una cosa importante, ma il potere urticante dell’ortica era meno forte dopo la pioggia o nelle ore di maggior sole; sorrisi tra me e me, vedendo i fiorellini viola chiaro e bianchi spuntare qua e là tra quelle foglie verde menta.

   << Stai attenta >>, mi intimò Will, tornato al mio fianco dopo aver impastoiato il cavallo.

<< Non ti preoccupare >>, lo blandii io, << mi pungerò ugualmente, anche se il dolore sarà meno forte. >>

  Chinatami leggermente sulle ginocchia e ben attenta a non scoprire le caviglie – per pura pudicizia – inizia a pizzicare e raccogliere con sapienti strappi le foglie verdi, sentendo solo un leggero pizzicore sulle dita, qua e là.

Il pensiero di una minestra con ortiche bollite o di una vellutata crema verde scacciò con decisione ogni dolorino fastidioso che sentivo; una volta tanto avremmo accompagnato al pane raffermo qualcosa di diverso dal brodo di verdure. Non mi lamentavo del cibo che avevamo in tavola, questo no... però qualche volta era piacevole mangiare qualcosa di diverso.

    << Ahi! >> La foglia che avevo appena raccolto mi punse più delle altre, e la lasciai cadere a terra.

<< Accidenti… >>, dissi a mezza voce, stringendomi la mano dolorante al petto, quasi stessi pensando di alleviare il dolore.

    << Maddy… >> Will mi afferrò le dita intorpidite e le strinse nella sua mano, mi sfuggì un sussulto per la sorpresa, e lui se ne accorse.

    << Ti ho fatto male? >>  mi chiese ansioso, guardando con attenzione se fossero già spuntate le bollicine rosse che causavano un prurito fastidiosissimo, peggiorando poi la situazione.

Scossi lievemente la testa. << No, non ti preoccupare >>, deglutii pensatemene, avvertendo il contatto della sua mano, così calda, il tocco piacevole… << È normale che spuntino quelle bolle rosse, non sei tu che mi fai male… >>

   Le parole di John mi colpirono con così tanta violenza, che per un attimo mi sentii mancare, ma non svenni, mi sentivo solo confusa, e un po’ stordita.

Will mi aiutò ad alzarmi in piedi e, senza che glielo chiedessi, mi portò fino ad un piccolo ruscello accanto alla macchia di ortiche; immerse la mia mano arrossata dentro l’acqua fredda, e il sollievo fu immediato, anche se in qualche punto, avvertivo ancora un pizzicore insopportabile e la mia pelle bianca era ancora arrossata. Sapeva che non doveva sfregare la mia pelle per farmi passare il prurito, perché altrimenti lo sfogo sarebbe tornato fuori, si limitava solo a tenere stretta la mia mano, immersa assieme alla sua in quell’acqua praticamente ghiacciata.

    << Grazie, William… adesso posso riprendere a… >> Ripresi la mia mano e me la strinsi al petto, se si fosse appena scottata, e tornai alle ortiche.

Quando ne ebbi raccolte a sufficienza, le avvolsi strette attorno al mio grembiule e le posai non molto lontane da me; i miei occhi scovarono un punto in quella radura completamente avvolto dall’ombra delle folte fronde degli alberi. Ne approfittai e mi andai a sedere fra quell’erbetta fresca e tenera, alcuni fiorellini di campo spuntavano qua e là, di colori sgargianti che andavano dal rosso, all’arancione, giallo, rosa, bianco e ce n’erano alcuni anche blu e azzurri.

  Will s’era fermato a bere al ruscello, perciò non ero sicura che mi avrebbe trovato, tuttavia adesso non mi importava molto; iniziai a strappare qualche piccola margherita e qualche fiorellino rosso e arancione e giallo, intrecciandoli tra loro.

Quando William mi raggiunse, dall’intreccio di quel piccoli fiori, avevo ottenuto una piccola corona profumata, e adesso la stava guardando con aperta soddisfazione.

   << Allora eri qui! >> esclamò lui con un ghigno divertito.

Gli sorrisi lievemente e lo osservai avvicinarsi, fino a che si lasciò cadere accanto a me, tirando un lungo sospiro soddisfatto. << Signore, se fa caldo! >> esclamò, prendendo a farsi aria con la mano grande, le sue tempie erano leggermente umide, così come i suoi riccioli neri e scompigliati, sfuggiti dalla coda bassa in cui erano stati legati.

    << Non ti danno fastidio? I capelli lunghi, intendo. >> Se non sbagliavo Will, apparte suo padre, era uno dei pochi uomini del villaggio che portasse i capelli così lunghi.

Scosse il capo, sorridendo lievemente. << È una tradizione scozzese, o almeno credo >>, disse pensieroso, come se non fosse sicuro di quello che stava dicendo.

    << Porto i capelli lunghi sin da quando ero piccolo, e mio padre mi ha sempre detto che dovevo portarli così, perciò… >> Scrollò le spalle, dandomi a intendere che avesse poca importanza.

   La luce del sole accendeva di riflessi differente quelle ciocche corvine e belle; allungai la mano e glieli ravviai lievemente, di modo che non gli cadessero davanti agli occhi.

   << Ecco fatto >>, dissi a bassa voce, soddisfatta.

Il mio cuore si fermò all’improvviso nel petto, vedendo quegli occhi verde scuro fissi su di me come due spilloni, sentii il calore montare con forza nelle guance, mentre Will, incredibilmente serio, si faceva più vicino al mio viso.

    << Maddy… >> La sua voce era poco più che un sussurro roco, il suo respiro caldo sul mio viso, le labbra invitanti…

    << Will, ti prego… >> E non sapevo se volessi dire ‘Ti prego, non ti avvicinare’ o ‘Ti prego, baciami’.

  Fu lui a decidere per me.

Le sue labbra lambirono le mie lentamente, toccandole appena, quasi avesse avuto timore di farmi del male, poi mi accarezzarono dolcemente, saggiando e carezzando lentamente… e io non sapevo più chi ero. Mi sentii sprofondare verso qualcosa di sconosciuto e nuovo, e tuttavia piacevole e sconvolgente. Perché desideravo tanto un contatto con lui? cosa c’era in lui che mi spingeva a tenerlo stretto, come se fosse stato un prezioso tesoro. Quando la sua lingua ricalcò la linea delle mie labbra, sentii un fremito appagato in tutto il corpo, come se non avessi aspettato altro da lui, sospirai pesantemente e le mie labbra si dischiusero, per ricevere il suo bacio.

    << Sei il mio tesoro, Maddy >>, disse con un mormorio strozzato, << sei il mio tutto, Madelaine… >>

Le mie labbra si unirono alle sue, e io sentii come una scossa percorrermi da capo a piedi, lasciandomi senza fiato e stordita; la sua lingua giocò birichina con la mia, e io me ne stavo lì, senza sapere bene cosa fare, come comportarmi…

   Non avevo dimenticato il bacio che ci eravamo scambiati la notte di Litha; era stato tutto così improvviso, così sconvolgente, e poi la sua successiva dichiarazione… mi aveva colta di sorpresa e non avevo idea di come poter reagire. Adesso era diverso: era come se fosse una cosa giusta, non mi spaventava più un simile contatto, perché dopo tutto aveva ragione: sarebbe diventato mio marito, e che io lo volessi o meno, prima o poi sarei entrata in contatto con ogni parte del suo corpo, senza esclusioni.

Mi lasciai andare a quelle sensazioni oscenamente e piacevolmente terrene, le mani che si toccavano, le labbra che si cercava e si assaggiavano a vicenda, le mani di Will che mi accarezzavano il viso, i capelli, le spalle.

Sentii il contatto dell’erba fresca contro la schiena, i capelli aperti a come un ventaglio su quella piacevole distesa verde ricca di fiori, non sapevo dove fosse finita la corona, e non mi importava; l’unica cosa che mi importava, adesso, era Will, e il contatto con il suo solido corpo.

   Mi diede un bacio leggero sul collo, e io rabbrividii rilasciando un profondo sospiro contro il suo viso, le mie dita artigliarono il suo braccio duro come una sbarra di ferro, e lui non sembrò sentire nulla, non so come, ma i miei piedi non erano più costretti dentro le logore scarpe, le mie dita avvertirono il contatto fresco con l’aria aperta; solo in quel momento mi resi conto che la mano di Will era scesa così in basso, e adesso accarezzava la mia caviglia nuda, girandole attorno e indugiando appena sul polpaccio. Trattenni il respiro quando lo strizzò appena, quasi avesse voluto constatarne la solidità, e non si fermò.

Più che vederlo, lo sentii armeggiare con le mie gonne, lanciare deboli grugniti nella sua lingua, quasi stesse inveendo contro il tessuto… e io rimasi pietrificata.

   << Will… >> lo chiamai, scalciando appena per indurlo a smettere, ma lui non sembrò recepire il messaggio.

   << Will, per favore… >>, ripetei, stavolta con meno convinzione. Se avesse continuato così, mi sarei ritrovata con le gonne fino alle orecchie.

Scalciai più forte, e lui in tutta risposta mi afferrò la caviglia e strinse con forza, quasi avesse voluto indurmi a starmene buona e ferma. << Will, per favore, smettila >>, implorai, sentendomi ormai prossima alle lacrime. Con i pugni afferrai dell’erba, piantandomi a terra il più possibile, mentre riprendevo a scalciare, stavolta con tutta la forza che avevo in corpo, mossa dal terrore di quello che sarebbe potuto succedere se non l’avessi fermato subito.

   << WILL FERMATI! >>

Stavolta ottenni qualche risultato. Alzò la testa dalla mia gamba e una luce strana balenò nei suoi occhi verdi. Sembrava sorpreso, come se non si aspettasse una simile reazione da parte mia; ancora scosso, lasciò andare le mie caviglie, e io approfittai dell’occasione per raggomitolarmi su me stessa, a riccio, dandogli la schiena.

   << Madelaine, io… >>

   << Will, non mi parlare. >> Mi sentivo ferita, spaventata, la mia voce non smetteva di tremare e le lacrime adesso scendevano copiose dal mio viso. << Lasciami stare… >> ripetei, sperando che se ne andasse davvero. Ma non lo fece.

   Quando sentii la sua mano grande posarsi sulla mia spalla, non riuscii a non impedirmi di tremare, mi sfuggì un singhiozzo terrorizzato dalle labbra, mentre un freddo blocco ghiacciato permeava dentro al mio stomaco.

   << Mi dispiace, a nighean. >> Le sue labbra calde si posarono sulla mia tempia, scendendo lungo la guancia e indugiarono sulla curva del mento; non si avvicinò nemmeno alle labbra.

   << Te l’assicuro Maddy; non era mia intenzione farti del male. >>

Ma l’avresti fatto, anche se inconsciamente.  

   << Tesoro, scusami, non sai quanto mi dispiaccia io… io non volevo farti… >> Deglutì pesantemente, e allontanò la sua mano dalla mia spalla.

   Lo sentii scostarsi il più possibile da me, andandosi a sedere un po’ più lontano da dove ero io. Mi sentii male, avvertendo tutta quella lontananza tra noi, ma il mio cuore batteva ancora forte per lo spavento, mentre sentivo ancora le sue mani forti su di me, senza poter fare nulla per impedirgli di toccarmi. Buon Dio, mi sentivo così male…

    << È sbagliato. >> Dissi solo quelle poche parole, non trovando altro da dire.

   << Come? >>

Alla fine mi alzai in piedi e mi ravviai appena i capelli, anche se sapevo non sarebbe servito a nulla; scacciai via le lacrime con il palmo della mano e tirai su con il naso, dovevo guardarlo negli occhi, altrimenti sentivo che non l’avrei fatto mai più in vita mia.

    << Quello che stavi per fare, non… è sbagliato >>, dissi incerta, senza trovare valide argomentazioni. << Quello che un uomo… vuole fare con una donna, è sbagliato, è peccato… prima del matrimonio, almeno. >> Le mie guance erano talmente calde che avrei potuto cuocervi la farinata d’avena.

   La risata poderosa di William riuscì a farmi sentire ancora di più in imbarazzo, si asciugò gli occhi con le nocche e quando mi guardò negli occhi i suoi parevano brillare.

  << Mi dispiace, Maddy. Su questo hai ragione da vendere. >> La sua grossa mano si posò sulla mia testa e mi accarezzò amorevolmente, facendomi sentire all’improvviso una bambina piccola e stupida, inadatta ad affrontare qualcosa di importante come il matrimonio.

Con un movimento fluido, Will si alzò in piedi e mi tese la mano. << Vieni, a nighean. Ti riporto a casa. >>

 

*

 

Ho sempre pensato che il matrimonio fosse qualcosa di troppo lontano, per me. Mi sono sempre ritenuta troppo giovane per una cosa del genere e davo la priorità alla famiglia e alla vita di ogni giorno, pensando al fatto che dopo aver svolto le faccende avrei potuto andare a trovare Charlot, oppure salire su fino al pascolo a trovare John e Ian e aiutarli a badare alle pecore. La mia non è mai stata avventurosa o piena di avvenimenti particolari, ma mi piaceva così come l’ho sempre conosciuta.

    Non mi ritengo una ragazza cinica oppure fredda, ma non ho mai pensato all’idea di amare un uomo, di sentire con tutta me stessa che volevo diventare sua moglie, condividere con lui le mie giornate, dargli dei bambini… non l’ho mai ritenuto importante, e mai avrei pensato di vedere Will sotto quella luce, pensarlo come marito e padre dei figli che gli avrei potuto dare in futuro.

Adesso era tutto diverso. Non pensavo di essere innamorata di lui, non ancora, ma sentivo un sentimento di tenerezza subentrare dentro di me quando ci incontravamo, quando veniva a trovarmi… ho sempre ritenuto che fosse un bravo ragazzo, oltre che bello e sveglio, perciò non immaginavo non ci sarebbe voluto molto, prima che l’amore prendesse il posto del rispetto e dell’affetto che sentivo per lui.

   Con mia grande sorpresa, mi accorsi che stavo contando i giorni con ansia, aspettando il giorno del mio compleanno. Mancava ancora una settimana, e poi finalmente sarei stata la sua fidanzata, la sua promessa sposa… Oh, il solo pensarci mi riempiva il cuore di felicità.

   << Maddy ho bisogno che tu vada al villaggio, oggi. >>

Stavo spazzando il pavimento leggermente dissestato del soggiorno, con una scopa ormai troppo vecchia per raccogliere qualsivoglia tipo di sporcizia o anche della semplice polvere.

   << Dove devo andare? >> domandai ad Elisa che, imperterrita, proseguiva il suo lavoro di cucito per il futuro nascituro. Lo sollevò un istante e osservò se le calzine di cotone grezzo fossero della stessa misura, poi, soddisfatta, e ripose da parte e cominciò il suo lavoro di rammendo.

   << Mr Bennet aveva chiesto in prestito la pala di Papà, qualche tempo prima, ma dato che non l’ha ancora restituita, ho pensato che potessi andarci tu. >>

Mi fermai un istante e, sentendo la schiena leggermente dolorante, mi tolsi di dosso il fazzoletto con cui tenevo stretti i capelli. Le sorrisi. << Certo, non ti preoccupare. >>

   Forse non avrei dovuto pensare in simili termini, ma Will era già qualche giorno che non si faceva vedere a casa nostra, era sconveniente pensarlo, ma volevo approfittare di quell’occasione per andare a fargli un saluto. No, forse non era così sconveniente. Anche se in città non lo sapeva nessuno, prima o poi avremmo annunciato il fidanzamento, così anche le vecchie comari e le loro lingue velenose, si sarebbero azzittite.  

Uscii di casa nel primo pomeriggio e con un fazzoletto legato stretto sopra la testa, mi recai al villaggio. L’aria era piacevolmente calda sulla mia pelle, anche se quella cortina di nuvole scure continuava a indugiare nel cielo, per niente limpido e tutt’altro che tranquillo.

   Sul ciglio della strada notai qualche fiore selvatico di colore rosso e giallo, mi chinai e ne raccolsi qualcuno, mi sfilai il fazzoletto dalla testa e me li infilai tra i capelli. Mi sentivo così felice e di buon umore, avevo come il presentimento che nulla sarebbe potuto andare storto, quel giorno.

    E nemmeno immaginavo, quanto in realtà potessi sbagliarmi.

Non pensavo minimamente che, con una semplice folata di vento, la mia vita sarebbe cambiata così drasticamente.

 

*

 

Non passai subito dai Bennet, perché rimasi attratta dal clima goliardico e di festa che si respirava nella piazza del paese. La gente lanciava grida esultanti e allegre, altri esultavano e continuavano a ripetere ‘Congratulazioni’ o ‘Auguri e figli e maschi!’; qualcuno aveva annunciato il proprio fidanzamento.

  I ragazzi ridevano e facevano commenti volgari in merito alla coppia fidanzata, le ragazze invece parlottavano tra loro e, a quanto sembrava non sembravano contenti di questo fidanzamento; il grosso della festa si teneva si teneva nella piazza del villaggio, nei pressi della locanda di Will, dove c’erano anche il pozzo, la bottega del fabbro e la casa del magistrato, nonostante una figura fosse pressoché inutile, in un villaggio così piccolo.

   << Maddy, mia cara! >> Margaret, scorgendomi in mezzo alla folla mi strinse forte, soffocandomi contro il suo petto generoso. << Oh, quanto è che non ti vedo! Dalla festa di Litha, vero? >>

Iniziò allora una sequela di domande su come stessi, le condizioni di Elisa, il bambino e tutto ciò che riguardava la mia famiglia; le risposi, nonostante fossi maggiormente interessata a sapere chi fossero interessati. Allungai il collo e scrutai con attenzione la folla allegra e, a mio parere, parecchio rinfrancata da un’eccessiva dose di birra.

   << Come mai la gente sembra così… allegra? >> Non riuscii a trovare una parola migliore, anche se non esprimeva al meglio ciò che stavo vedendo.

   << Oh, è stato il locandiere >>, disse con uno svolazzo incurante della mano. << Ha offerto da bere a tutti, sai, per festeggiare. >>

   << Festeggiare? E cosa? >>

   Il mio cuore prese a battere più veloce di prima, mentre un’orribile sensazione si stava facendo strada dentro di me, togliendomi il respiro, e spaventandomi.

Perché…

   << Oh, è per suo figlio. >>

Qualcosa sembrò strattonarmi le caviglie, tirandomi verso il basso. Oh, no. cosa volevano dire quelle parole? Che stava dicendo, Margaret?

   << Will? >> chiesi, con un filo di voce. << E cosa c’entra? >> Perché domandare? La risposta tanto…

<< Perché si sposa, mi pare ovvio. >> Sbuffò pesantemente, lanciando occhiate velenose verso l’ingresso della locanda. << Alla fine Agnes è riuscita ad accaparrarselo. Quella cagna maledetta. >> Non mi interessavano le parole velenose di Margaret, non mi interessava a chi MacLeod avesse offerto da bere.

   << Devo… lui… vederlo… >>

Senza curarmi degli schiamazzi di Margaret, barcollai fino all’ingresso della locanda, spintonata e gettata da parte dalla folla festante. Il cuore batteva con un ritmo tanto serrato che non sentivo altro che quello, stretto alla mia cassa toracica, lentamente mi soffocava, rendendo il corpetto stretto, sempre più stretto. Deglutii pesantemente, mentre la vista si stava appannando sempre più. Stavo piangendo?

   Alla fine, lo trovai.

Seduto comodamente su una panca della locanda, un boccale stracolmo di birra in mano, il viso rubicondo e di buon umore, rispondeva a domande più che indelicate a degli uomini resi audaci dalla birra e dal clima in generale. La sua futura sposa sedeva accanto a lui, il boccale semi vuoto e le guance ancora più rosse di quelle del futuro consorte, con una mano stringeva quella si Will lì accanto, quasi avesse voluto dire a tutti i presenti: << Lui è mio. >>

   I genitori dei giovani discutevano animatamente probabilmente a come si sarebbero svolte le future nozze, di tanto in tanto di scambiavano pacche amichevoli sulle spalle e poi guardavano i rispettivi figli con un amore e un affetto che solo un genitore avrebbe potuto avere.

    Era troppo. Non poteva essere… anzi, no; poteva essere eccome. Deglutendo il più possibile, diedi le spalle alla folla nel pieno della festa, non sentivo più il battito del mio cuore, solo un’improvvisa stanchezza. E freddo. Tanto freddo.

Mi lasciai spintonare dalla folla senza dire o fare niente, non mi sentivo in vena di ribattere, oppure di farmi largo o scansarmi. Non sentivo niente, se non quell’opprimente senso di desolazione.

    Era già stato promesso ad Agnes? Se era così, perché mi aveva chiesto di sposarlo?

Quelle domande mi assillarono a lungo, e io non potevo fare nulla per impedire loro di farmi stare male.

Camminando verso casa, mi sfilai uno ad uno i fiori che avevo infilato tra i capelli… e li calpestai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

 

1)      Dùn di bheal in gaelico significa “sta’ zitto!”

 

 

 

 

 

Un’ultima cosa: per due settimane starò lontana dal computer, perché sarò in vacanza. Quindi, chi aspetta con ansia gli aggiornamenti, devo chiedergli di attendere un po’, e di essere paziente.

     Grazie per aver letto il capitolo!!^^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Notte di bufera ***


Note dell’autrice: finalmente sono tornata dalle vacanze, e adesso ho intenzione di dedicarmi alla prosecuzione delle storie che ho tra le mani… anche se, mi dispiace dirlo, darò la massima priorità alla stesura di quello che – spero – diventerà il mio l

Note dell’autrice: finalmente sono tornata dalle vacanze, e adesso ho intenzione di dedicarmi alla prosecuzione delle storie che ho tra le mani… anche se, mi dispiace dirlo, darò la massima priorità alla stesura di quello che – spero – diventerà il mio libro, perciò vi prego di usare clemenza nei miei confronti, e attendere pazientemente^^’

   Grazie a Owarinai yume – maledizione! Ho sempre sbagliato a scrivere il nome!! >.<’’’ – per aver commentato anche questo capitolo, sono contenta che la storia ti piaccia, e spero ardentemente che, con il passare del tempo, possa continuare a piacerti^^

  Bychan sii la benvenuta dentro al mondo di Maddy, allora!^^

Sono contenta che la storia ti piaccia, e conto che anche in futuro tu possa apprezzare questi personaggi e la storia in generale^^

   Per quanto riguarda Will, credo proprio che nessuno abbia apprezzato il suo comportamento, e nemmeno mi aspetto che qualcuno gli si pari davanti per fargli scudo dalla condanna degli altri lettori… senza contare che, nonostante sia sua ‘madre’, penso di potermi aggiungere ufficialmente agli odiatori di questo ‘traditore scozzese’

  Barbarizia sono davvero contenta che la storia ti piaccia e, un pochino, sono contenta che tu abbia, in un certo senso ‘toppato’ al pensare che Will fosse questo misterioso lord. No, Will sin dalla prima volta in cui ha iniziato a formarsi nella mia mente è sempre stato un personaggio negativo, perciò, mi dispiace, ma non credo proprio che possa essere lord Allenton. Il fatto che risponda ogni volta ai vostri post, è un modo per ringraziarvi dei numerosi commenti che mi lasciate^^

  Per quanto riguarda i libri, be’… diciamo che lo faccio solo per diletto personale, e perché sostengo con tutta me stessa che CHIUNQUE ami le storie d’amore come quella raccontata ne ‘La Straniera’, dovrebbe semplicemente IDOLATRARE questi libri e chiamare ‘REGINA DELL’UNIVERSO’ Diana Gabaldon… ma queste sono solo le parole di una pazza fanatica di questa serie, il giudizio va sempre a chi legge XD

  Shandril i tuoi sospetti sono sempre stati fondati, non posso che darti ragione ed elogiare la tua perspicacia!!^.^

Grazie per i complimenti, spero di fare del mio meglio anche stavolta!!:D

   Grazie anche ad eiby! In fondo, anche uno scrittore è un essere umano come gli altri, anche noi ci stanchiamo e, per un po’, abbiamo bisogno di staccare la spina… e io ne avevo davvero bisogno!!XD

Anche a te Will non piace, mmm… credo che siamo davvero in tante a disprezzarlo… e io che dovrei ADORARLO solo per il semplice fatto che è di origini scozzesi *ç*

Rubs devo immaginare che tu sia Roby, giusto?:D

Grazie ancora per i tuoi complimenti, sia per quanto riguarda il mio modo di scrivere e, ancora di più, per il fatto che sia preparata in, em… immagino sugli eventi della storia, giusto?^^’

  Un po’ mi vergogno a dirlo, ma in quanto alla storia della Scozia, ho saputo delle sue orribili vicende solo… l’estate scorsa, se non sbaglio, prima non avevo nemmeno idea di quali orribili conseguenze gli scozzesi furono costretti, dopo Culloden ;_;

    Non l’ho mai detto apertamente, ma sto facendo tutto ciò che è in mio potere per studiare al meglio la storia del XVIII secolo, anche se ahimé noi ce ne ricordiamo solo per la Guerra di Indigenza da parte dell’America e per la Rivoluzione francese. La Sommossa giacobita è durata fino al 1745, quando migliaia di Highlander furono sterminati dall’esercito inglese in solo 30, drastici minuti.

 … Bene, adesso credo di potervi lasciare al continuo della storia, augurandovi di rivederci nel prossimo capitolo. 

            Grazie in anticipo!

 

 

 

Redarcher  

 

NOTAULTRAMEGAPOCOIMPORTANTE

 

CHIUNQUE SIA INTERESSATO, IL MIO CONATTO E-MAIL È

 

WINTERSONATA@LIBERO.IT

 

SE QUALCUNO DI VOI VOLESSE MANDARMI UNA MAIL, ANCHE SOLO PER CHIACCHERARE, FATELO SENZA PROBLEMI^^

 

 

 

 

 

 

 

 

V

 

Notte di bufera

 

 

   << Che cosa!? >> La voce incredula di Papà rimbombò contro le pareti fragili del cottage, facendolo tremare.

  Fletcher, seduto sulla poltrona sgangherata, sentendo le mie parole balzò in piedi e mi afferrò per le spalle, scrollandomi talmente forte da lasciarmi intontita.

  << Stai scherzando, spero! >> La sua voce era dura come un pezzo di roccia, mi infastidì sentirlo usare quel tono, quasi stesse pensando che avessi appena mentito solo perché magari, presa da un improvviso attacco di paura per via del matrimonio con Will. È vero, prima ero spaventata, e anche nelle ultime settimane sentivo come una stretta allo stomaco che mi lasciava senza fiato e spaurita, ma ormai mi ci stavo. Prima di quello che era appena accaduto, almeno.

   Mi divincolai con uno strattone e lo guardai con occhi furenti e pieni di risentimento.

<< Non sto mentendo, Fletcher >>, dissi e denti stretti, guardandolo in cagnesco.

Presa da un improvviso atto di nervosismo mi alzai in piedi e, senza sapere bene cosa fare, cercai di dare un’assettata al soggiorno, al momento spaventosamente disordinato e pieno di sporcizia, ai miei occhi.

   << Non credo ci sia niente di male, no? >> La voce, nonostante non lo volessi, mi tremolò leggermente.

<< Will ha cambiato idea, e allora? >>

   << Bastardo >>, disse Erial, che fino a quel momento se n’era stato seduto sul divano, impegnato a tranquillizzare Elisa che, venuta a sapere dell’accaduto, aveva avuto come un mancamento.

    << Lo ucciderò, per questo. >> Fletcher prese a crocchiarsi le dita, con raccapriccianti schiocchi secchi.

<< Madelaine… >>

Papà mi distolse per un attimo dal mio ‘lavoro’, afferrandomi per le spalle e stringendomi contro il suo petto largo, fu un po’ difficile data la sua pancia prominente, ma alla fine ci riuscì. Prese ad accarezzarmi quella folta criniera scompigliata e riccioluta che erano i miei capelli, mormorandomi parole di conforto di tanto in tanto.

   << Mi dispiace, figliola. Se fossi stato più accorto, forse in qualche modo… >> Non riuscendo a trovare parole efficaci, alla fine lasciò cadere la conversazione, limitandosi solo ad accarezzarmi la testa, quasi fossi stata una bimba spaventata.

   << Ti assicuro che non sono triste come credi, Pa’ >>, lo blandii io, la voce ferma e senza espressione.

Abbozzai un sorriso e mi discostai appena. << In fondo non era mia intenzione sposarlo, fin dall’inizio. Perciò non ci vedo niente di male, nell’aspettare qualcun altro, no? >>

Non sembrò convinto, i suoi occhi verdi brillavano di incredulità, sotto le sopracciglia folte come un bruco peloso.

   << Andiamo al villaggio. >> Fletcher, avendo finalmente compreso che non mentivo, si era riseduto sulla poltrona sgangherata, e adesso fissava in modo truce e vendicativo le braci del camino, in procinto di spegnersi.

   Erial si alzò e, afferrato qualche ciocco di legno ravvivò il fuoco. << Adesso? >> domandò, guardando il cognato dritto negli occhi. Sembrava impaziente quanto mio fratello di partire alla volta del villaggio, e gonfiare di botte il futuro consorte di Agnes Dursley.

   << Prima iniziamo, prima finiremo il lavoro. >> Fletcher si sistemò i calzoni e strinse meglio la rozza corda che usava per tenerli su e poi si diressero entrambi verso la porta.

   << No! >> Agguantai la manica della rozza camicia di Fletcher e lo strattonai, cercandolo di riportarlo in salotto.

Lui mi guardò dall’alto in basso, con una chiara nota di disprezzo nei miei confronti, i suoi occhi brillarono di rabbia trattenuta a stento, e una gran voglia di menare le mani. Diede uno strattone al braccio e io per poco non mollai la presa, ma non cedetti, avvoltolai ancora di più le braccia attorno al suo e conficcai le dita nella carne calda e palpitante di rabbia, sentendo la consistenza dei muscoli e delle ossa. Fletcher cacciò un guaito di protesta e mi piantò una mano sulla testa, cercando di allontanarmi.

    << Madelaine lasciami, porca troia! >> imprecò a pieni polmoni, cercando sempre di togliermi di dosso.

  << No, Fletcher! >> Scossi più volte la testa, tanto che i capelli mi finirono davanti agli occhi, accecandomi. << Non ti lascerò finché non ti sarai risieduto sul divano, calmo e tranquillo! >>

  << Spero tu stia scherzando! >> esclamò lui, incredulo e furioso.

Lo guardai in quei suoi occhi chiari, con tutta la serietà che possedevo. << No. >>

  << … Cristo. >> Fletcher fu scosso da un brivido, mi fissò con occhi atterriti, quasi orripilati, ma alla fine la tensione e la rabbia sembrarono sgonfiarlo, lasciando il braccio molle e senza forza tra le mie mani.

Erial, tornato anche lui in soggiorno, mise le grosse mani sulle spalle di mio fratello, e mormorandogli qualcosa all’orecchio, lo fece sedere accanto ad Elisa, che se n’era stata in silenzio fino a quel momento.

   << Maddy, tu… >>, esitò qualche istante, come se non avesse voluto pronunciare simili parole.

   << Lo ami? William, intendo. >> Mi guardò per la prima volta, dopo aver fissato a lungo il pavimento dissestato e sudicio, i suoi occhi verdi sembravano ricoperti da una patina trasparente: tristezza, compassione, non era ben chiaro, ma sentii una specie di dolore al petto, vedendo quegli occhi.

 Scossi la testa con decisione. << No, non lo amo. >> Presi un lungo respiro, e la guardai a mia volta. << Era solo un matrimonio combinato, il nostro. Forse – e dico forse – avrei potuto amarlo, con il tempo. Ma visti gli ultimi eventi… >> Scrollai le spalle, dando a intendere che non avesse senso terminare la frase.

   Elisa sospirò a fondo e si passò un ricciolo dietro l’orecchio. << Dopo tutto è stata una fortuna, decidere di annunciare il vostro fidanzamento appena tu avessi compiuto diciassette anni. Se l’avessimo fatto prima, a quest’ora saresti stata svergognata da tutto il villaggio, e nessun’altro uomo ti avrebbe più chiesta in moglie. È stata una fortuna >>, ripeté a mezza voce, più a sé stessa che a me.

   Mi mordicchiai l’interno della guancia. << Adesso… credo sia ora di andare a dormire, per me. È stata una lunga giornata, e domattina devo andare al pascolo. >>

Con questa scusa mi congedai dal resto della mia famiglia, e andai nella mia stanza.

   Una volta dentro, chiusi la porta e mi andai a sedere sul letto dal materasso sfondato, sentendomi sprofondare nell’imbottitura scomoda, mi rialzai e con un gesto repentino tolsi il pesante telo che utilizzavo come tenda e, in inverno, venendo fissato con dei grossi chiodi, come vetro.

L’odore di notte, terra smossa e erba secca mi pizzicò le narici, mentre una folta di vento freddo mi raggelò le guance, le nuvole si stavano addensavano nel cielo l’una sopra all’altra, una torre di Babele fatta di nubi scure e minacciose.

   << Il tempo sta cambiando >>, dissi tra me e me, pensierosa.

In montagna non era difficile che il tempo cambiasse facilmente, un momento poteva esserci freddo e nuvoloso, l’attimo dopo le nubi potevano essere sparite e il sole faceva capolino nel cielo azzurro; Bedlington era un piccolo villaggio ai piedi di una collina, ben lontano dai monti e dal loro clima dispettoso… eppure il tempo stava cambiando, con la stessa velocità con cui una donna di buona famiglia cambiava un abito ancora buono.

   Un brivido freddo mi scese lungo la schiena, lasciandomi quasi stordita. Stringendomi nello scialle che avevo indosso, rimisi il telo davanti alla finestra, e me ne andai a dormire.

 

*

 

   Mi rimisi dritta e piegai leggermente la schiena all’indietro, sentendo i muscoli indolenziti e doloranti per essere stati costretti per tanto tempo in una posizione scomoda, mi passai la mano sulla fronte, raccogliendo le goccioline di sudore che mi si erano formate sulla fronte per il caldo, sentivo la testa calda e pesante e pensai che forse, usare solo un fazzoletto come protezione dal sole non era granché.

   << Sei già stanca? >>

John, ancora intento a legare tra loro le spighe di grano era chinato e con lo sguardo basso, la camicia rozza ripiegata accuratamente da una parte, mentre il suo possidente era impegnato a svolgere quel lavoro tedioso e fastidioso.

    << No, mi fa solo male la schiena >>, dissi piccata e punta sul vivo da quella constatazione.

    << Allora vedi di riprendere il lavoro, che ne dici? >>

Lo guardai torva e gli feci la linguaccia, per poi rimettermi all’opera. << Lo faccio solo perché sono gentile e ben disposta verso il prossimo, altrimenti adesso te ne staresti qui, completamente solo, sotto il sole battente a raccogliere spighe e a intrecciarle tra loro. >>

   John fece uno sgradevole verso dal naso, ma non alzò lo sguardo per lanciarmi un’occhiataccia, o per ribattere alle mie parole velenose.

    << È stato un festeggiamento con i fiocchi, sai. >> Era da un po’ di tempo che non stavamo parlando, e sobbalzai vistosamente quando John aprì nuovamente bocca.

   << Di che stai parlando? >> gli chiesi, senza sollevare la faccia dalle spighe che stavo intrecciando con lo spago.

   << Del fidanzamento di William e Agnes, mi sembra ovvio. >>

Sapevo a cosa si stesse riferendo, ma avrei comunque voluto ficcargli in gola le spighe che stavo intrecciando; era proprio necessario che ne parlasse?

   << Ah sì? Mi fa piacere per loro; sei riuscito ad arraffare almeno una pinta di birra, oppure sei rimasto a secco? >> Usai un tono di voce più acido e scontroso di quanto in realtà volessi, e anche John se ne accorse.

   << Maddy… lui non faceva per te, credimi >>, disse dopo un lungo silenzio, quasi a voler giustificare il fatto che ne stessimo parlando.

    << Ah, sì? E dimmi, chi sarebbe l’uomo adatto a me? … e comunque non mi importa niente, io non volevo sposarlo. >>

Sentii una sgradevole fitta al petto, ma la ignorai, continuando con quel lavoro tedioso.

    << Se non ti importa, allora perché sei così? >> Mi guardò, un’espressone offesa e scorbutica dipinta negli occhi scuri e seri.

   Ricambiai l’occhiataccia, interrompendo il lavoro a metà. << Non credo siano affari tuoi, o sbaglio? >>

  << No, non sono affari miei, però ho ragione, giusto? >> Anche lui smise di lavorare, si passò il braccio sulla fronte imperlata di sudore e tirò su con il naso, mentre una gocciolina gli era scivolata lungo il naso leggermente a patata. << Se non te ne importasse nulla di quello là >>, fece un gesto spazientito in direzione di Bedlington, << allora non saresti così irritata… o triste. >>

   Questo era il colmo.

  << Vedi di lasciarmi in pace, John Maverick, non sono in vena di ricevere ramanzine… tantomeno da uno come te. >>    

Ci lanciammo delle occhiate in cagnesco per qualche secondo, poi lui decise di interrompere quel silenzio pieno di astio. << Lo dico solo per il tuo bene, Madelaine. >>

   << Se è così allora puoi anche startene zitto! >> sbraitai, non riuscendo più a contenere la mia rabbia.

  << LI HO VISTI, DANNAZIONE! >> Anche lui alla fine esplose, gridando con tutto il fiato che aveva in corpo, e spaventando delle ghiandaie appollaiate sugli alberi, che si levarono in volo lanciando strida d’allarme.

   << William… e Agnes… loro… assieme… >>

    << Co... cosa? >>

John si mordicchiò il labbro inferiore, una chiara espressione di disagio negli occhi. << Non sarebbe potuto essere altrimenti, Maddy. È per questo che io… mm… ti ho detto che… che ti avrebbe fatta soffrire. Perché li ho visti assieme. >>  

  Gli chiesi quando fosse successo, ma lui sembrava restio a raccontarmi qualsiasi altra cosa in proposito… ma io non avevo intenzione di accettare quel suo cocciuto silenzio.

Con due rapide falcate colami la distanza che ci separava, non potendolo afferrare per la camicia… ripiegai sui calzoni. Con le dita agili e cogliendolo di sorpresa, gli infilai la mano nei calzoni, e strinsi con forza. John avvampò per la rabbia e l’imbarazzo, lanciando un ruggito rabbioso, si divincolò come un pesce fuor d’acqua, ma alla mia seconda strizzata, si bloccò immediatamente, guardandomi con occhi di brace pieni di furia.

    << Adesso, tu mi dirai tutto… >>

   << Brutta stronza… >> disse, la voce roca e flebile per la rabbia e il dolore.

Strinsi ancora un po’. << Vedi di dirmi tutto John… altrimenti ti staccherò l’uccello a mani nude. >> La mia era una minaccia bella e buona, e lui lo sapeva.

 

*

 

Nonostante le reticenze varie e le minacce a vuoto che mi rifilò, alla fine decise di raccontare ogni cosa; dapprima una specie di racconto breve e strascicato, ma che poi si trasformò in una confessione torrenziale, se io stringevo la presa sul suo cazzo.

   John era uscito assieme ad alcuni amici per bersi un boccale di birra dopo una lunga giornata di lavoro. S’erano trattenuti fino e tardi e molti di loro era ubriachi fradici, persino John, che di solito si limitava ad un contegnoso boccale, s’era ritrovato con la testa pesante e confusa, annebbiato leggermente dai fumi dell’alcol.

    << Non ero ubriaco come gli altri, tuttavia non riuscivo a vederci bene e mi sembrava di galleggiare, tanto mi sentivo la testa leggera… >> Con un colpetto della mano scacciò un insetto che gli faceva il solletico sulla spalla. << Me ne stavo tornando a casa quando, be’, non mi sono sentito granché bene e… >>

   Colto all’improvviso da un conato di vomito, s’era infilato nel primo vicolo che aveva trovato, s’era messo ginocchioni… e aveva rimesso anche l’anima. Una volta terminati i conati s’era rimesso in piedi e dandosi una rapida assettata agli abiti e cercando di assumere un’aria sobria s’era incamminato verso casa.

   << È stato in quel momento che li ho visti. >>

Non lontani dal vicolo in cui s’era nascosto a vomitare, John aveva sentito una serie di risolini chiocci e dei sospiri, di tanto in tanto sfuggivano anche dei lamenti di piacere, o almeno così era sembrato a lui; incuriosito da quei versi soffusi, s’era avvicinato al vicolo… e li aveva scorto Agnes Dursley, con le gonne sollevate fino alle ginocchia, e le gambe bianche avvolte attorno alla vita di Will, le sue grosse mani accarezzavano il seno chiaro e scoperto della ragazza, mentre le loro bocche erano incollate tra loro…

   << Me ne sono andato subito a casa, cercando di non farmi sentire >>, fece una smorfia sprezzante, << anche se dubito fortemente che avrebbero potuto scoprirmi. >>

   << Tu lo sapevi… >> dissi a voce talmente bassa, che poteva sembrare un sussurro lugubre e minaccioso.

   << Be’, io… um… sì, lo sapevo; ma non l’avrei mai raccontato se… >>

    << È PROPRIO QUESTO IL PUNTO, IMBECILLE! >> Gli diedi uno spintone talmente forte che, nonostante fossi più piccola e magra di lui, lo mandai con il culo per terra. John lanciò imprecazione tra i denti, mentre con la mano si massaggiava il culo dolorante.

Mi guardò con aria malevola e come se avesse avuto voglia di strozzarmi, ma questa svanì quasi all’istante, vedendo i miei occhi. Serrai le labbra il più possibile, per evitare di lanciargli maledizioni o comunque di inveire contro di lui con tutta la rabbia e la frustrazione che avevo.

    << Tu lo sapevi… e non mi hai detto niente, ma ti rendi conto, di cosa hai fatto? >> Non lo avrei mai voluto, ma la voce adesso tremolava come la luce di una candela esposta al vento, gli occhi mi pungevano…

    << Maddy, mi dispiace io non… non credevo possibile che… >>

   << Sta’ zitto! >> lo minacciai. Mi tappai le orecchie con forza, e chiusi gli occhi. << Mio Dio, sta’ zitto! >> Non volevo sentire, non volevo vedere, volevo solo andarmene via, andarmene lontano, sparire…

    << Maddy… >>

    << Non rivolgermi più la parola, John. Non cercarmi, non venire da me… >> lo guardai con tutto l’astio che potevo, << … sparisci. >>

Mi levai il fazzoletto con un gesto nervoso e impaziente e me ne tornai a casa, lasciandolo ancora steso a terra, con un’infinità di spighe ancora da legare.

 

 

*

 

L’ultima persona che avrei mai voluto vedere sulla faccia della terra, si presentò davanti ai miei occhi.

  Ero al fiume a lavare qualche panno e, tanto per gradire, a raccogliere qualche secchiata d’acqua per le abluzioni; l’ultima volta che mi ero lavata nel vero senso della parola, era stato per la notte di Litha, da quel momento in poi invece mi ero lavata a pezzi raccogliendo qualche secchiata d’acqua. Sudore stantio, polvere panni sporchi, cibo, erbe essiccate, tutti questi odori li avevo addosso come se fossero stati una seconda pelle, e per un attimo mi balenò in mente in pensiero di un bagno caldo, pieno di profumi e Sali costosi, dentro una vasca piena di acqua calda… scossi la testa e ripresi a sfregare la camicia di Papà con la liscivia, passandolo dove il puzzo di sudore si era ormai attaccato al lino grezzo della sua camicia.

   Un’ombra imponente mi oscurò la visuale. Quando la sentii parlare, per poco la liscivia non mi sfuggì di mano.

   << Maddy… >>

Il cuore mi fece una capriola nel petto, falciandomi il respiro; strinsi con forza la camicia di Papà, in quel momento umida e sfuggente come un’anguilla.

Nonostante non volessi incontrare quegli occhi verde muschio, il mio orgoglio mi impedì di tenere la testa bassa. Oh, Signore, era bello come me lo ricordavo.

I capelli lunghi e trascurati legati alla perfezione con un legaccio di cuoi, le ossa forti e decise del viso, le labbra piene e morbide, e quegli occhi… quegli occhi!

   Boccheggiai delle parole che non avevano suono, e quando Will mi si avvicinò fu difficile evitare di fare uno scatto all’indietro, e poi correre via, verso casa.

  << … Cosa c’è? >> Mi misi un ricciolo umido di acqua e sudore dietro l’orecchio, cercando di stare tranquilla e impassibile.

  << Io volevo… >>, tacque un attimo, quasi intimidito. << Volevo vederti. >>

   << Ah, davvero? >> chiesi, stavolta sentendomi più forte. Misi da parte la camicia bagnata e passai ad una camiciola di Elisa, ormai completamente lisa dal tempo e dallo sfruttamento.

   << Non pensi che Agnes si arrabbierebbe, vedendoti qui, assieme a me? >>

Fu scosso da un fremito e sgranò gli occhi per la sorpresa, evidentemente non aspettandosi una frase simile. Incurvò appena le spalle larghe e massicce, passandosi poi un ciuffo corvino dietro l’orecchio, come avevo fatto io. << Dunque, lo sai? >> La sua voce uscì solamente come un mormorio appena udibile, pieno di rammarico.

Gettai la camiciola di Elisa a terra. << Sì, lo so! >> Lo guardai dritto negli occhi e sperai potessero rimanere incenerito dal mio sguardo.

   << Pensi che non l’avrei saputo? Che avrei aspettato davanti all’altare in trepida attesa del mio sposo, per poi venire a sapere che avrei sposato un’altra? Be’, mi dispiace, William, io non sono così! >>

   << Maddy, aspetta, lascia che almeno ti spieghi… >>

Mi alzai lentamente in piedi, guardandolo in tutta la sua altezza, gli occhi freddi e inespressivi. << Il fidanzamento è sciolto, William. È per questo che sei venuto, no? >> Agitai brevemente la mano. << Coraggio, vai. sei libero di tornartene dalla tua Agnes, adesso. >>

   Stanca di quella conversazione, iniziai a raccattare tutti i panni, per poi tornarmene a casa.

<< ASPETTA! >> Mi afferrò per il braccio e, senza che me ne accorgessi, mi ritrovai stretta contro il suo petto, la presa delle sue braccia talmente forte che avrebbe potuto stritolarmi.

   Iniziai a prendere a pugni il suo petto robusto, urlando e grugnendo, per cercare di allontanarlo. << LASCIAMI, MALEDETTO BASTARDO, LASCIAMI! >>

   << Non posso, Maddy! >> La sua voce era rotta dall’emozione, sembrava quasi sofferente… ma non mi importava. Lo colpii allo stinco con un calcio ben assestato, e lui con un guaito strozzato mi lasciò andare.

  << Sei impazzito, per caso? >> Avevo il fiato corto e il cuore mi batteva forte per la paura, ma la rabbia aveva dissipato, per un po’, quel sentimento.

   << Sei vuoi abbracciare qualcuno, torna a casa dalla tua promessa sposa, maledetto imbecille! >>

Cercai di avere un tono di voce duro e, possibilmente irritato, ma alla fine la mia voce fu incrinata da un singulto. Gli occhi presero a pizzicarmi nervosamente, e io mi girai, sfregandomi il viso con le mani.

   << Maddy, se ci fosse stata un’altra soluzione, credimi io… >>

   << Un’altra soluzione? >> Mi girai verso di lui. << Si probabilmente ci sarebbe stata >>, dissi sorridendo.

Avresti potuto tenerti l’uccello nei pantaloni, invece che venire a piagnucolare da me a fatti compiuti.

 Will si avvicinò di qualche passo, ma io mi allontanai, temendo che potesse abbracciarmi di nuovo.

   << Madelaine, io non ti mentivo, quel giorno, nel prato. >> I suoi occhi sembravano brillare, come se stesse trattenendo a malapena le lacrime, ma non provai pietà, o tenerezza; solo una gran rabbia… e umiliazione.

   << Tu… tu sei la cosa più preziosa, per me, ma io… Agnes… >>

   << Non mi interessa, William. Potrò anche essere un prezioso tesoro per te… >>

Ma questo non ti ha impedito di infilare il tuo cazzo dentro Agnes, fottuto bastardo!

Scossi brevemente la testa, liquidando la faccenda. << Lasciami andare a casa, la discussione è terminata. >>

  Gli diedi la schiena e, raccolta di nuovo la cesta, mi avviai verso casa.

   << È incinta! >> Quell’esclamazione strozzata uscì dalle sue labbra come un grido disperato. << Io… io l’ho messa incinta, e adesso devo prendermi le mie responsabilità. >>

Deglutì pesantemente, e poi buttò fuori l’aria. << Credimi, vorrei tanto che questo non fosse mai accaduto. Madelaine… >>

    << Auguri, e figli maschi. >>

Non riuscii a trattenermi oltre. Stringendomi la cesta al petto, mi lanciai in una corsa senza freni verso casa.

 

*

 

La mia vita prese una piega inaspettata all’improvviso, senza che io me ne accorgessi.

  Nel bel mezzo della notte fui svegliata da una conversazione a bassa voce, nei pressi della mia stanza. Dopo essermi rotolata su un fianco, ancora intontita dal sonno, mi stropicciai gli occhi per levarmi la patina di sonno che avevo addosso; mi alzai da letto e mi avvolsi un logoro scialle attorno alle spalle, rendendomi conto solo in quel momento che c’era particolarmente freddo, mentre un sentore di umido aleggiava in tutta la stanza. Una luce abbagliante filtrò dalla mia finestra, e poi venne un rumore assordante, accompagnato dalla pioggia battente. Un temporale.

Strofinandomi energicamente le braccia, uscii dalla mia stanza, e trovai Fletcher e Erial l’uno accanto all’altro, quest’ultimo con una candela in mano.

    << Il bambino è in arrivo >>, annunciò mio fratello, vedendomi sveglia. Si stirò appena e alcune ossa crocchiarono, mentre i muscoli si tendevano. << Un po’ prematuro, Erial? >>

    << Non saprei. Forse di qualche giorno, credo. >> Erial sorrideva in un modo rapido e nervoso.

    << Bisogna chiamare la levatrice. >> Papà sbucò dal buio, venendo dalla camera di Elisa e suo marito.

    << Non possiamo cavarcela da soli? >> chiese Erial, alzando gli occhi al cielo con fare esitante, sentendo il ruggito di un tuono lì vicino. Non sembrava molto propenso all’idea di uscire.

Papà gli lanciò un’occhiata di sufficienza. << Tu eri girato al contrario, ragazzo, senza l’aiuto di una levatrice, a quest’ora non saresti qui. >>

   Detto questo afferrò Erial per la spalla e lo condusse da sua moglie, Fletcher, dopo una serie di borbottii incomprensibili recuperò un cappellaccio sgualcito, se lo calcò in testa e poi infilò un vecchio mantello, per potersi riparare dalla pioggia.

<< Torna a letto, Maddy. Quando ti sveglierai, domattina, avrai tuo nipote da tenere in braccio. >>

   << Vengo con te! >>

Senza dargli il tempo di replicare, tornai in camera mia e, pochi minuti dopo, ero avvolta in un mantello di lana blu scuro con il cappuccio sulla testa. << Andiamo >>, lo esortai, uscendo dalla porta prima di lui e dirigendomi verso la tettoia di Joshua.

Fletcher impiegò qualche minuto buono prima di preparare cavallo e carretto, senza contare che era un’impresa particolarmente complessa, mettere briglie e legare un cavallo ad un piccolo carro con solo l’ausilio di una lanterna, sorretta da me, mentre fuori sembrava appena scoppiato il Giorno del Giudizio.

   Dopo una mezz’oretta buona, riuscimmo a partire verso il villaggio di Ashington.

   << Tcha! >> Incitato dall’incoraggiamento di Fletcher, nonché dal frustino, Joshua partì al galoppo – per quanto la strada e il peso del carretto  delle persone glielo consentissero – alla volta del villaggio vicino.

Bedlington, purtroppo era un villaggio piccolo e senza una propria levatrice e, proprio per questo motivo, eravamo costretti a recarci nel villaggio vicino, a notte fonda, sotto una pioggia battente, e con la strada inagibile per la pioggia e il fango.

   << Credi che Elisa resisterà fino all’arrivo della levatrice? >> urlai sotto l’ululato del vento, rivolgendomi a Fletcher.

  Non distolse un istante lo sguardo dalla stradina piena di fango, le mani erano ben strette alle redini e il passo si Joshua era veloce e sostenuto.

   << Mi auguro di sì, Madelaine! >> rispose lui.

La strada era completamente buia, e solo la lanterna che io tenevo avanti riusciva a illuminare un po’ la strada. C’erano buche piene di acqua e fango ovunque, gli zoccoli del cavallo affondavano e incespicavano ogni qual volta incappavamo in un tratto dove la strada era cedevole, e ci mancò poco perché venissimo sbalzati fuori dal carro. La debole luce della lanterna saltava e tremolava assecondando i miei sobbalzi a causa della strada accidentata, Fletcher imprecava tra i denti e stringeva sempre più forte la presa, il cappellaccio talmente calcato sulla testa che gli occhi sembravano sparire; io ero completamente bagnata e infreddolita, ma non mi lamentai una sola volta.

    Joshua scartò nervosamente di lato e il carro iniziò a tremolare bruscamente, tanto che dovetti aggrapparmi alle assi, per non cadere.

   << Che succede? >> urlai a Fletcher, il cui viso era a malapena visibile in mezzo a tutto quel buio, ma quando mi rispose, sembrava preoccupato.

   << Non lo so, ma tu tieniti stretta, per l’amor di Dio! >> Ubbidii, ma servì a poco.

Il nitrito di allarme del cavallo fu come una specie di segnale. Joshua si inarcò pericolosamente e poi cadde a terra; mi sentii come strattonata da qualcosa, il carro si girò, e io e mio fratello finimmo a gambe all’aria in mezzo all’acqua e al fango.

Forse svenni, per qualche minuto, perché quando tornai in me, trovai la carcassa del carro completamente rivoltata, Joshua – di nuovo in piedi – impastoiato a quello che sembrava un albero. Provai ad alzarmi e sentii una fitta lancinante al sedere, più una serie di tanti altri dolorini che mi lasciarono senza fiato, il vestito che indossavo era completamente bagnato e inzaccherato di fango, i capelli mi stavano incollati alla testa per la pioggia e l’eventuale lordura che gli si era attaccata addosso.

  Mi aggrappai con tutte le mie forze a un mucchio di erbacce che cresceva sul ciglio della strada, incespicando e arrancando fuori dal fosso in cui ero finita; quando riuscii a riemergere, trovai Fletcher, adesso nient’altro che una sagoma nera, intento a rimettere a posto il carro.

   << Stai bene? >> mi chiese. Non mi sfuggì la punta di sollievo nella sua voce.

Annuii, anche se sapevo non potesse vedermi. << Cosa è successo? >>

  Brontolò qualcosa, ma non riuscii subito a capire. << La strada era cedevole a causa della pioggia, ed è franata mentre noi ci stavamo passando sopra. >>

   << E adesso? Che si fa? >>

<< Per prima cosa, devo disincagliare questo stupido carretto, altrimenti non possiamo arrivare fino Ashington. >> Si chinò sotto il carro e, prendendo un bastone trovato chissà dove, iniziò a fare pressione sulle ruote incastrate nel fango, grugnendo e ansimando come un animale sotto sforzo.

   << Lascia perdere! >> esclamai, cercando di togliergli di mano il bastone.

   << Ma che stai dicendo? >> disse incredulo. << Se non rimetto in sesto il carretto non possiamo proseguire…! >>

   << Ci penso io! >>

<< Tu? >> Non mi sfuggì il tono poco convinto della sua voce.

Approfittai di quel momento per prendergli di mano il bastone. << Prendi Joshua e va ad Ashington, poi torna a prendermi, e io nel frattempo avrò rimesso in sesto il carro. >>

Fletcher sembrò riflettere a lungo sulle mie parole. << Maddy, sarai da sola, se io mi allontano. Non hai paura? >>

Mi strinsi nelle spalle. << È una notte troppo brutta persino per dei briganti >>, mi giustificai, poi gli diedi una leggera spintarella, indirizzandolo verso il cavallo.

   << Adesso vai. >>

Nonostante fosse tutt’altro che convinto dal lasciarmi sola e senza protezione, alla fine montò in sella al cavallo, e partì alla volta del villaggio.

   Attesi per qualche istante che fosse abbastanza lontano, mi tolsi dagli occhi i capelli umidi e freddi, dopodichè mi avvicinai alla carcassa del carro.

   Non riuscivo a vedere niente in mezzo a tutto quel buio, e la lanterna purtroppo si era spenta, perciò non mi restava altra soluzione se non fare come aveva fatto mio fratello, nonostante anche lui avesse lavorato alla cieca, senza avere la vaga idea di come rimettere dritto il carro.

Strinsi il bastone con tutte le forze che avevo, lo feci scivolare sotto il legno del carretto, poi, quando sentii il contatto legno contro legno, iniziai a spingere verso il basso, meravigliandomi di quanto fosse difficile, come procedura.

Impiegai non so quanto tempo a spingere verso il basso, grugnendo in un modo tutt’altro che femminile, per lo sforzo, ma non lo mossi neanche di un millimetro.

   Fu allora che vidi una luce. O meglio, delle luci.

Una forma massiccia e scura nel buio, illuminata solo da qualche piccola luce, che mi suggerirono la sua forma. Una carrozza.

  Il cocchiere era una figura nera e indistinta nella pioggia e nella notte, vidi solo il movimento delle braccia, quando fermò i cavalli, accanto a me. Questi sbuffarono e agitarono nervosamente la testa, ma alla fine ubbidirono.

Una voce profonda, quasi spettrale, mi rivolse la parola; poco lontana rispetto a dove ero io. 

   << Avete bisogno di aiuto? >> La voce dell’uomo non aveva l’accento di quelle parti, perciò ipotizzai non potessero essere Lord Ashington, il più grande proprietario terriero del Wansbeck.

Questo dubbio mi fu confermato quando, avvicinatami un poco, vidi lo stemma araldico della famiglia del gentiluomo. Un leone alato accovacciato con una corona gemmata in testa, mentre tra le grosse zampe artigliate stritolava un serpente. No, non era lo stemma famigliare degli Ashington.

     << Allora? >> domandò spazientito, l’uomo dentro la carrozza.

   << Oh! Io, io non… non vorrei disturbarla, ma grazie! La ringrazio per la sua bontà d’animo, mi creda! >>

Non sapevo chi fosse quel nobiluomo, ma in fondo, anche se l’avessi conosciuto, vi avrei girato alla larga ugualmente. Era molto meglio che sistemassi il carro da sola.

   Feci per tornarmene al mio lavoro, quando la portiera della carrozza si aprì. Ne uscì fuori una figura non troppo alta e tarchiata, la schiena dritta come se avesse avuto un bastone su per il culo; senza degnarmi di uno sguardo mi superò e, con un cenno al cocchiere, lo incitò a scendere dal sedile dove era seduto, e insieme si diressero verso il mio carro.

   << Non ce n’è bisogno, signore! Sul serio! >> protestai io, cercando di interrompere il lavoro di quei due.

   Il nobiluomo non mi diede ascolto e così nemmeno i suoi due servitori.

Impiegarono qualche minuto prima di capire come dovessero agire, borbottando qualche frase smozzicata e incomprensibile tra loro, ma alla fine gettarono il ramo che avevo usato fino a quel momento, poi si chinarono ed iniziarono a sollevarlo.

   << Il cavallo non c’è >>, fu il commento del lord, ancora comodamente seduto in carrozza, all’asciutto.

  << Come? >> chiesi allarmata.

L’uomo in tutta risposta emise un brontolio spazientito, poi vidi qualcosa di lungo passarmi accanto, e io mi ritrassi con un grido allarmato… per accorgermi troppo tardi che si trattava di un bastone da passeggio.  

  << Il vostro cavallo non c’è >>, disse secco. << È scappato, per caso? >>

  << Oh. Oh, no milord! >> esclamai, sentendomi una stupida, a parlare con quell’uomo. << L’ha… l’ha preso mio fratello, signore. Mia sorella sta partorendo e ci stavamo recando al villaggio vicino per chiedere aiuto alla levatrice, ma abbiamo avuto un incidente e… >>, mi strinsi nelle spalle, << mio fratello ha preso il cavallo, e io lo stavo aspettando qui, sperando di riuscire a rimettere in sesto il carro, prima del suo arrivo. >> Con una mano mi scrollai via un po’ d’acqua via dai capelli, infilandomi di nuovo il cappuccio del mantello sulla testa.

   << E non avete paura? >> si sincerò lui, sospettoso.

  << No, signore. È una brutta nottata anche per briganti e ladri tagliagole. L’unico rischio che corro è essere aggredita da un cinghiale. >>

   << Siete molto coraggiosa… per essere una ragazzina. >> Non seppi come interpretare quell’ultima affermazione, perciò mi limitai ad un breve sorriso di circostanza; né cordiale né ostile.

    << Come vi chiamate, ragazza? >>

    << Madelaine, signore >>, mi affrettai poi ad aggiungere, << ma di solito mi chiamano Maddy. >>

Madelaine era un nome troppo altisonante per essere quello di una contadina, perciò sia Papà sia tutti quelli che mi conoscevano, mi chiamavano semplicemente Maddy.

    << Madelaine… >> disse pensieroso, quasi stesse parlando da solo.

    << Milord, il carro è a posto! >> Una voce maschile squillante e da un insolito accento attirò nuovamente la mia attenzione, e solo in quel momento mi resi conto che il carro era nuovamente su strada, dritto.

L’uomo corpulento che era sceso dalla carrozza si affrettò a risalire, e il peso del mezzo ondeggiò pericolosamente quando questi risalì. Il cocchiere invece si affrettò a tornare al suo posto sul trespolo, in attesa di nuovi ordini dal suo signore.

   Feci una riverenza profonda, cercando di imitare una donna d’alta classe, senza pensare che per lui, magari, sarebbe potuto risultare offensivo.

   << Vi ringrazio per la benevolenza, milord. Pregherò ogni giorno per l’uomo clemente e di buon cuore che siete. >>

    << Quante sciocchezze! >> inveì lui, zittendomi all’istante.

Mi rimisi dritta, zittendomi all’istante, per paura di dire qualcos’altro che lo facesse infuriare.

    << Mi dispiace, io… >>

    << Lascia perdere, ragazzina >>, disse brusco.

Senza che potessi aggiungere altro, la portiera della carrozza si aprì una seconda volta, e la voce spettrale e profonda di quel nobiluomo parlò di nuovo.

    << Salite. >>

    << No, signore! Non posso! >>

Se pochi secondi prima pensavo che, nonostante la voce spaventosa, fosse un uomo di buon cuore, quei pensieri svanirono in una bolla di sapone. Quell’uomo non era gentile, non mi aveva aiutata per semplice bontà…

   Indietreggiai, sentendo un gelo improvviso avvilupparsi attorno al mio corpo, ghiacciando ogni parte di esso, e lasciandomi tremante e spaurita.

   << Mio… mio fratello sarà qui a momenti, non posso salire, si preoccuperebbe e… >>

Ogni mia protesta venne ignorata.

   Una figura alta e massiccia scese dalla carrozza, mi si avvicinò con passo talmente svelto che non riuscii nemmeno a vedere i suoi movimenti; mi afferrò per il braccio e per poco non me lo torse, tanto la sua stretta fu forte, lanciai un grido di dolore, ma lui lo ignorò.

   << Salite. >> La sua voce era dura come un pezzo di granito, e fredda come la pioggia che cadeva dal cielo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Fanny ***


Note dell’autrice: eccomi, sono tornata con il nuovo capitolo della storia; mi scuso per aver impiegato un po’ di tempo, ma visto, come al solito, che mi occupo di due fanfiction originali in contemporanea, nonché della stesura del mio libro, ho sempre p

Note dell’autrice: eccomi, sono tornata con il nuovo capitolo della storia; mi scuso per aver impiegato un po’ di tempo, ma visto, come al solito, che mi occupo di due fanfiction originali in contemporanea, nonché della stesura del mio libro, ho sempre poco tempo per aggiornare^^’                                    

mAd wOrLd grazie per il tuo commento, senza contare che sei una new entry nel gruppo! Che dire, la storia non sarebbe affascinante se non ci fossero alcune interruzioni sul più bello stile ‘Beautiful’, no?   

   owarinai yume mi dispiace per aver fatto terminare il capitolo così, ma avevo già deciso che Maddy venisse costretta a salire sulla carrozza di quel nobiluomo, perciò… spero di averti soddisfatta in questo:D

shandril non ti preoccupare per Will, non creerà altri problemi, forse…

Maddy rapita? Non ho scritto niente del genere nello scorso capitolo! °_°’

Grazie per gli auguri, spero di finire il libro prima di dicembre, è anche troppo tempo che me lo trascino dietro, ormai. XD

   Bychan ringrazio tantissimo anche te per i complimenti, e pensare che a volte mi sembra di scrivere delle vere porcherie!! Evidentemente lo percepisce solo la mia mente distorta!!XDD

Anche tu parli di rapimento? Ma no, se è questo che pensate allora scordatevelo! Maddy non è stata rapita… non esattamente, almeno -.-‘

   Summers84 anche a te piacciono i romanzi storici? Allora siamo in due!:D

Ormai sta diventando una domanda di repertorio, ma non posso fare a meno di domandare: Hai ma letto ‘La Straniera’? se la tua è una risposta è ‘no’, allora ti consiglio di cercare questo libro, anche solo per dare un’occhiata alla trama; ne vale la pena, te l’assicuro ;) … anche se a dirlo è una pazza fanatica per questa serie!XD

  Eiby, ciao!^^

Be’, credo che qui la pensiamo tutti così a proposito di Will, ma se lui si fosse comportato in modo retto, tenendo a freno i propri istinti… Maddy lo avrebbe sposato, invece di… ops, rischiavo di dire più del necessario!! °.°’

   Be’, contando anche Rayne, le new entry stavolta sono addirittura tre, wow!:D

Grazie per i complimenti e anche per aver inserito questa storia tra i tuoi preferiti che, con mia grande gioia, hanno raggiunto la quota 16. Grazie mille vi amo con tutto il cuore!!^^

   Visto che l’altra volta vi ho snocciolato delle nozioni storiche che avrebbero fatto dormire anche un insegnante della suddetta materia, questa volta non dirò niente, e vi lascerò alla lettura immediatamente; però prima sarei curiosa di sapere una cosa.

Qualche settimana fa mi è arrivata una mail da un indirizzo che portava il nome   buffy1984@yahoo.it

Ho risposto a questa mail per sapere con chi stessi parlando, ma non mi è ancora giunta una risposta. Se per caso uno di voi lettori è il proprietario di questo indirizzo e-mail, allora vi prego di contattarmi, sarei felice di parlare nuovamente con voi^^

 

 

Redarcher  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VI

 

 

Fanny

 

 

 

Fuori imperversava una tempesta che, con la sua forza demolitrice sembrava volesse cancellare ogni cosa; dentro, la carrozza veniva squassata e tremolava come un pudding al latte a causa della strada accidentata e scarsamente agibile. Ero seduta vicino all’uomo basso e tarchiato che, sceso dalla carrozza sotto ordine del proprio padrone, aveva dato una mano al cocchiere, dalla parte opposta della carrozza, il nobiluomo senza volto si accaparrava l’intero sedile rivestito di velluto rosso scuro ricco di decori dorati incomprensibili ai miei occhi, io invece dovevo farmi piccola piccola per impedire al grassone accanto a me di inglobarmi dentro al suo corpo flaccido.  

   I vestiti stavano iniziando ad asciugarsi ma io ero completamente infreddolita e perciò non fu colpa mia se mi sfuggì uno starnuto, allarmando la palla di grasso accanto a me che sobbalzò e si appiattì contro la parete del veicolo, quasi avesse voluto fuggire da un’appestata. Be’, almeno adesso avevo un po’ più di spazio… ma non potevo permettermi di starmene tranquilla e rilassata come se niente fosse. Quello sconosciuto mi stava portando chissà dove e io lo avevo seguito, mossa unicamente da un improvviso moto di paura verso quell’uomo di cui, a causa della penombra che regnava nella carrozza, non riuscivo nemmeno a vedere il volto.

   Deglutii pesantemente e i miei occhi inquieti si soffermarono sul cupo paesaggio fuori dal finestrino, completamente battuto dalla pioggia e illuminato unicamente dalla caduta di un fulmine e seguito poi dallo scoppio di un tuono, a volte troppo vicino, per i miei gusti. Fu difficile tenere calmi i miei nervi, già fortemente provati, quando cadde l’ultimo… troppo vicino per i miei gusti. Cacciai un urlo allarmato e saltai sul sedile, coprendomi istintivamente le orecchie con le mani e chiudendo gli occhi, sperando che una volta riaperti, mi sarei ritrovata nel nostro cottage dimesso, nella mia stanza piena di spifferi, dentro al mio letto sgangherato, finalmente al sicuro.

    << Non temete un attacco da parte di una banda di briganti… >> La voce sorpresa e cavernosa di quell’uomo mi costrinse ad aprirli. << … Ma di un semplice tuono ? >> Era esterrefatto, come se non potesse credere a ciò che i suoi occhi vedevano.

   << I tuoni mi fanno paura, signore >>, ammisi con un sussurro strozzato, sfregandomi le braccia l’una con l’altra, tentando di scaldarmi.

   << Hm. >> Fu l’unica cosa che disse, poi si zittì, lasciandomi quasi credere che avessi parlato da sola.

L’ennesimo sobbalzo della carrozza mi gettò dal mio posto, mandandomi dritta contro l’uomo corpulento seduto accanto a me, che lanciò uno strillo soffocato, scansandomi brutalmente con le mani grasse come salsicce. Si sistemò la parrucca incipriata e diede un violento colpo al tettuccio della carrozza.

   << Laurent per l’amor del cielo! Vuoi andare più piano? >> gridò rabbioso verso il cocchiere.

In tutta risposta arrivò un colpo dal tetto, seguito poi da una serie di parole che non riuscii a capire, ma non c’era alcun dubbio che fossero insulti verso l’uomo imparruccato e incipriato. 

   << Vostra grazia >>, iniziai, la voce il più bassa possibile.

   << Cosa? >> Sussultai, sentendo la sua voce bassa e rabbiosa.

<< Io… io devo tornare a casa >>, dissi, cercando il mio coraggio da qualche parte, dentro di me. << La mia famiglia ha bisogno di me, io devo andare… >>

Con un gesto insofferente mi indusse al silenzio e, nonostante mi sentissi fortemente umiliata, la paura mi azzittì.

   << Non mi interessa >>, disse dopo un lungo silenzio, dandomi a intendere che la conversazione era terminata.

   << Ma io… >>

   << Non hai sentito Lord Cumbrae (1), ragazzina? >> esclamò spazientito l’uomo grasso. << Non gli interessa, perciò vedi di startene zitta! >> E con uno sbuffo spazientito si accomodò meglio sul sedile imbottito di velluto rosso, facendo ondeggiare la carrozza e facendo sì che da fuori provenissero altri rimbrotti nella lingua sconosciuta del cocchiere.

Attesi in silenzio qualche minuto, cercando di trovare un modo per sfuggire dalle grinfie di quell’uomo che, con ogni probabilità, avrebbe potuto abusare di me per soddisfare le sue voglie, e poi gettarmi nuovamente in mezzo alla strada, senza troppi rimpianti. La mia mente pensava a vuoto, perché onestamente non vedevo nessuna soluzione possibile all’infuori di…

   Stringendo convulsamente i pugni mi alzai con uno scatto improvviso, e il grassone ebbe appena il tempo di dire: << Che…? >>

Mi lanciai verso la maniglia della portiera e con dita svelte e agili – nonostante tremassi da capo a piedi, e non solo per il freddo – e appena la sentii aprirsi, mi raccolsi le gonne… e saltai.

 

*

 

L’impatto con il terreno fu meno disastroso di quanto mi fossi aspettata, atterrai in mezzo ad un cespuglio dall’odore pungente mescolato a quello dell’acqua e del fango, sulla lingua sentivo il disgustoso sapore di fango e erba, sputai in un angolo più volte, cercando di togliermi quel sapore orrendo dal palato, ma sembrava intenzionato a restarmi sulla lingua, perciò alla fine decisi di ignorarlo.

 I miei abiti si erano inzuppati di nuovo, ma prima che questo pensiero potesse sfiorarmi la mente, ignorando i dolori che sentivo in tutto il corpo, mi alzai in piedi, barcollando e sentendo il terreno mancarmi sotto i piedi; raccogliendo i capelli completamente infangati dentro al cappuccio del mantello, mi raccolsi le gonne inzaccherate di fango e acqua e arrancai fuori sulla strada, liberandomi qualche minuto dopo delle scarpe; completamente inutili, visto che non facevano che venire inghiottite dalla poltiglia fangosa e impedendomi di muovermi come avrei voluto.

   Riuscii a raggiungere il sentiero, anche se alla cieca, visto che era talmente buio da non riuscire a vedere a un palmo dal mio naso, mi diedi una rapida strizzata ai lembi della gonna, pensando a cosa avrei potuto raccontare a casa, per spiegare l’attuale stato dei miei abiti. Una luce fioca distante da me qualche metro attirò la mia attenzione, sembravano delle lanterne… una locanda? Ashington?

Con il cuore gonfio di speranza zoppicai lungo la strada piena di fango, senza accorgermi dei tuoni che squarciavano il cielo e l’ululato del vento che squassava gli alberi sul sentiero, camminavo a fatica e i miei movimenti sembravano quelli di una papera ubriaca, ma se avessi raggiunto Ashington, se avessi trovato Fletcher…

   << Eccola, è qui! >>

Sentendo quella voce mi sembrò di sprofondare ancora di più nel fango, pensando ‘Mio Dio, perché?’

Non riuscii nemmeno a girare su me stessa e trovare una macchia di cespugli in cui nascondermi… venni riacciuffata. Sentii delle dita grandi e grosse come salsicce agguantarmi le braccia e trascinarmi verso le luci soffuse della carrozza, senza mollare la presa nonostante scalciassi come un puledro recalcitrante e gli urlassi di lasciarmi andare; borbottando parole per niente gentili, mi spinse nuovamente dentro la carrozza, picchiai le ginocchia contro il pavimento e sentii qualcuno pungolarmi con il bastone, mentre le gelide parole: << Rimettetevi seduta >> mi gelavano il corpo con la stessa intensità di una bufera di neve.

   Fu per un semplice impulso, se afferrai l’estremità del bastone da passeggio di Lord Cumbrae, e guardando nel modo peggiore possibile, gli dissi:

   << Non sono uno dei vostri cani, milord >>, dissi con voce cupa.

Mi sentii strattonare all’indietro e lanciai un gridolino strozzato, quando incontrai il viso paffuto e malevolo dell’uomo che, all’improvviso, iniziai pensare fosse il maggiordomo di Lord Cumbrae.

   << I cani di Lord Cumbrae sono mille volte meglio di te, stracciona. >> La sua voce sibilò con disgusto quella parole, che vibrò dentro al mio cuore con la stessa intensità di una stoccata al petto.

Mi dimenai come una trota dalle sue mani grosse e grasse, appiattendomi poi contro la parete della carrozza.

   << Sarò anche povera >>, dissi con lo stesso odio, << ma non sono una stracciona. >> Alzai il mento con fare superbo, come se fossi stata una gran dama, o comunque di un rango superiore di quell’uomo odioso.

   << Come ti permetti, maledetta… >>

L’uomo fece per saltarmi addosso e scaraventarmi fuori dalla carrozza, che nel frattempo aveva ripreso la sua corsa… ma la voce cavernosa e terrificante del padrone richiamò il maggiordomo al silenzio.

   << Fa’ silenzio, Tatcher >>, gli intimò il Lord con voce brusca.

   << Ma signore, io… >>

Ogni protesta del maggiordomo fu sepolta nel silenzio con un solo sguardo di quell’uomo, che con un’ultima occhiata di disprezzo verso di me, si mise sul sedile, finalmente in silenzio.

Stavolta il maggiordomo mi costrinse a sedermi dalla parte opposta, lontano dalla portiera: << Così non ti verrà in mente di scappare >>, disse burbero mentre si sistemava la parrucca bianca e incipriata.

   Tanto ci proverò di nuovo fu il mio improvviso pensiero, mentre cercavo un modo per congedarmi da quell’uomo inquietante che era Lord Cumbrae.

Lord Cumbrae… mmm… perché quel nome non mi suonava nuovo? Dove l’avevo già sentito?

Mentre cercavo di ricordare dove avessi sentito nominare quel nome, la carrozza si fermò sotto incitamento del cocchiere. I cavalli probabilmente slittarono sul terreno, perché il veicolo impiegò qualche istante buono, prima di fermarsi completamente; io mi alzai in piedi in automatica e, senza pensare che la carrozza fosse ancora in movimento, persi l’equilibrio, battendo la faccia contro il sedile opposto.

   << Vuoi stare ferma, ragazzina? >> Tatcher mi afferrò per l’orlo logoro della gonna e con uno strattone cercò di rimettermi in piedi.

   << Che diavolo state facendo? >> Afferrai a mia volta la sottana, cercando di staccare le sue dita grasse dal mio vestito. Uno spiacevole rumore di stoffa strappata ferì le mie orecchie, mentre un pezzo della mia gonna cadeva a terra.

   << Il mio vestito… >>

   << Avreste dovuto lasciare andare la presa, invece di tirare a vostra volta. >> La voce altera e superiore di quell’uomo insulso e odioso mi dava ai nervi.

   << Mi avete strappato il vestito, dannazione! >> Avrei afferrato volentieri il bavero della sua giacca di alta sartoria e farla a pezzi davanti ai suoi occhi, ma il buon senso ebbe il sopravvento e io mi chiusi in un silenzio ostile, temendo molto di più le frustrate che avrei potuto beccare, usando insubordinazione sul servitore di un nobile. Elisa si sarebbe arrabbiata, e parecchio, ma la sua lingua non feriva allo stesso modo di una frusta.

   << Siamo arrivati. >> Lord Cumbrae disse solo quelle poche parole e, appena il cocchiere aprì la portiera al proprio padrone, scivolò fuori dalla carrozza, svanendo come se fosse stato un fantasma. Tatcher scese dopo di me e mi diede uno spintone ben calcolato, facendomi finire lunga distesa sul pavimento della carrozza. Imprecando tra i denti, cercai di rialzarmi in piedi, incespicando tra le gonne e le sottogonne del mio vestito.

   Una mano dalle dita lunghe e affusolate venne tesa verso di me e, risalendo il braccio magro, avvolto in una giacca dal taglio di alata sartoria, incontrai un pallido viso affilato, mentre due occhi scuri come la notte sembravano esprimere rammarico. Senza sapere bene come comportarmi, accettai la mano e l’uomo – il cocchiere, supposi – dimostrò molta più forza di quanta immaginassi, dato il fisico mingherlino e la statura considerevole.

Comportandosi da vero gentiluomo mi aiutò a scendere dalla carrozza, come se fossi stata una donna dell’alta società.

   << Je suis désolé, mademoiselle >>, mi sussurrò, una volta scesa dalla carrozza. Non avevo mai sentito una lingua simile, e dubitavo fortemente che fosse inglese, nonostante i dialetti dell’Inghilterra variassero fortemente da contea a contea. I miei occhi curiosi si soffermarono un istante sul suo viso affilato, gli occhi piccoli e scuri, il naso lungo e all’insù, le labbra sottili, il mento sfuggente… no, quell’uomo non era inglese, ne ero sicura.

   << Venez a l'intérieur, vous êtes tout mouillé >>, disse poi, spingendomi verso l’entrata di quella che riconobbi come una locanda. Non tanto grande e dall’aria dimessa, alcune candele però erano accese, e davano un’aria di benvenuto e accoglienza ai viandanti stanchi. Molto meglio che quella carrozza buia e fredda, in ogni caso.  

  << Vite, vite >>, mi incitò il cocchiere, vedendomi indugiare all’ingresso. Mi lasciai spintonare dentro, capendo ormai che ogni mio tentativo di fuga sarebbe stato inutile.

All’interno, l’aspetto della locanda non migliorò. Una scala dall’aria sgangherata e fragile conduceva al piano superiore, mentre il pianterreno fungeva da taverna e da sala in cui mangiare o fare bagordi fino a tardi, bevendo birra e cantando ad alta voce. Non avevo idea di che ore fossero, ma doveva essere tardi, visto che, apparte la moglie del locandiere, non c’era nessuno ancora sveglio.

   Lord Cumbrae stava conversando con lei, mentre Tatcher stava accanto al suo datore di lavoro come un cane fedele in attesa di un ordine, qualche volta vidi voltarsi nella mia direzione e, nonostante la luce fornita dalle candele fosse poco più che un bagliore soffuso, riuscivo a vedere senza problema la luce ostile che brillava nei suoi occhi porcini.

   << Maudit porc anglais >>, borbottò l’uomo accanto a me, guardando nella stessa direzione di Tatcher.

   << Laurent, vieni qui. >> La voce cavernosa di Lord Cumbrae risuonò spettrale nell’androne della locanda, un brivido mi percorse tutta la schiena, facendo rizzare ogni singolo pelo del mio corpo.

   << Oui Monsieur! >> Svelto come una lepre, Laurent sgambettò in direzione del padrone, pronto ad ubbidire agli ordini del suo signore. In fondo; non tanto diverso tanto da Tatcher pensai acida, osservando il cocchiere accogliere gli ordini con attenzione.

Con un movimento rapido, Lord Cumbrae si girò verso di me, e io sobbalzai come un coniglio spaventato.

   << Voi >>, disse spazientito, indicandomi con il bastone, << venite qui. >>

Avrei tanto voluto non farlo, ma sapevo bene cosa mi aspettava, se mai avessi deciso di disubbidire. Trascinando lentamente i piedi nudi sul pavimento sporco e pieno di polvere, raggiunsi il mio rapitore e chinai il capo, aspettando che dicesse chissà cosa.

   << Dite a questa donna il nome di vostro fratello. >>

   << Come? >> Alzai gli occhi verso quell’uomo che, potei constatare, al buio e avvolto nel proprio mantello, era un vero e proprio gigante. << Perché lo vuole sapere? >>

Non avevo idea del perché lo volesse sapere, ma qualcosa dentro di me urlava di stare zitta, di non ubbidire a quell’ordine.

   << Cosa volete da mio fratello? >>

Quando Lord Cumbrae si voltò a guardarmi in tutta la sua altezza, sentii come una vertigine, mentre un blocco di ghiaccio si formava dentro al mio stomaco, gelandomi fino alla punta delle dita. I suoi occhi erano azzurri come un cielo estivo… ma freddi come l’inverno. Non sembrava esserci vita, dietro quelle pupille chiare.

   << Fate come vi dico >>, ringhiò a mezza voce, intimandomi di ubbidire.

   << No! non farò niente di quello che dite, almeno finché… >>

La locandiera di intromise nella conversazione, interrompendo il mio inevitabile disastro. << Vostra grazia è stato così gentile da propormi di mandare qualche garzone ad avvisare tuo fratello, per dirgli che state bene, e che non deve preoccuparsi. >> Non riuscii a distinguere i contorni del volto di quella donna, ma la sua voce era dolce e materna, come se avesse voluto rassicurarmi.

   Ancora reticente, e meno che convinta a fidarmi di quell’uomo, alla fine borbottai ‘Fletcher Newbery’, mentre stropicciavo senza interruzione le falde del mio mantello impillaccherato di fango e ancora bagnato.

   << Molto bene. >> Con un rapido turbinare di sottane, la donna sparì dietro una porta, che io notai solo in quel momento, per tornare qualche minuto dopo con una lanterna accesa e un ragazzino sui dodici anni che la seguiva a ruota, ondeggiando e sbadigliando come se fosse appena stato tirato giù dal letto, e forse, era davvero così.

Senza dire una sola parola, Lord Cumbrae gettò una moneta alla donna che lo ringraziò e uno scellino al ragazzino, il quale fece un inchino servile, prima do sparire fuori dalla porta d’ingresso, la lanterna in mano e avvolto in un mantellaccio sdrucito e sporco.

    << Vorrei una camera per stanotte, Mrs. La migliore che avete. >> Il gentiluomo accennò a sfilarsi il mantello dalle spalle, e subito Tatcher si prodigò a sfilarglielo, prendendolo lui stesso in consegna

     << Da questa parte, milord. >> Con una candela in mano, la donna iniziò a salire le scale, che cigolarono pericolosamente sotto il suo peso e quello di Lord Cumbrae.

    << Tu resta qui, Tatcher. >>

Nel caso tenti di nuovo la fuga pensai mestamente mentre, sfilandomi a mia volta i mantello, avanzavo all’interno della locanda, camminando alla cieca.

Avvalendomi del tatto, individuai una panca e usando il mantello come cuscino, mi ci sdraiai sopra. Sentii Tatcher borbottare qualcosa, ma non riuscii a capire le sue parole; solo quando sentii il mio corpo farsi sempre più pesante e le palpebre sempre più difficili da tenere aperte, mi resi conto di quanto fossi stanca.

Lasciai chiudere i miei occhi sempre più pesanti, mentre in lontananza, un tuono cadeva dal cielo.

 

*

 

Sognai di essere seduta in un campo pieno di fiori in boccio, i quali ad ogni mio passo fiorivano all’improvviso, aprendosi come sei io fossi stata il sole, mostrandomi i loro colori vivaci e piacevoli a vedersi: rossi, gialli, arancioni, bianchi… tutto era ricoperto dai fiori in boccio, e io ero testimone di quella magnificenza.

   Fui strappata bruscamente dal mio sogno da un paio di mani che, afferratami per le spalle, iniziarono a scuotermi con violenza. Aprii gli occhi di scatto ed ebbi l’impulso di spingere lontano il mio aggressore, decisa poi a darmela a gambe appena avuta occasione… tuttavia dovetti desistere.

   << Coraggio, tesoruccio. È ora di alzarsi. >>

Non conoscevo il viso di quella donna, ma quando sentii la sua voce provai un moto di sollievo: la moglie del locandiere.

   << Mmm… >> Mi alzai a sedere e soffocando uno sbadiglio, mi stropicciai velocemente gli occhi, levando la patina di sonno e gli ultimi residui di sonnolenza.

   << Coraggio, coraggio. È ora di alzarsi, piccina >>, mi incitò lei, strattonandomi leggermente per il braccio, affinché mi alzassi.

Mi passai lentamente una mano tra i capelli, sentendoli innaturalmente rigidi e pieni di nodi. Solo quando mi rimase in mano un mucchietto di fango secco, mi resi conto di quanto fossi sporca.

Mi guardai attorno con occhi circospetti, cercando individuare la massa di grasso di Tatcher, o la figura imponente di Lord Cumbrae, magari imboscati da qualche parte, in attesa di intercettare la mia prossima fuga.

   Con le imposte aperte e la luce del giorno – di un bel giorno, per essere precisi – la locanda non aveva quell’aspetto abbandonato o usurato; certo, dovevano essere mesi che la moglie del locandiere non dava una spazzata per terra oppure non toglieva le ragnatele dal soffitto, ma nel complesso era molto simile alla locanda gestita da Mr Cameron…

L’improvvisa fitta che sentii al petto mi lasciò indispettita e infuriata, sia con quel traditore di Will… sia con me stessa. Decidendo finalmente di prendere il toro per le corna, guardai la locandiera.

   << Dov’è Lord Cumbrae, mistress? >> domandai sospettosa.

   << Oh, se n’è andato >>, disse lei.

   << Andato? >> domandai istupidita, vedendo la sua figura tonda ancheggiare per la stanza comune, recuperando da qualche parte una vecchia scopa e iniziando a togliere la sporcizia lasciata durante la notte.

   << Ma dove? Cioè, mi ha lasciata qui? >> Non riuscivo a comprendere perché fossi così sorpresa dalla piega che gli eventi avevano assunto. Dopo tutto non poteva che essere una fortuna, per me. Adesso potevo tornarmene a casa, e avevo la possibilità di dimenticare la notte passata…

    << È tornato nel Cumbrae, nei suoi possedimenti. A quanto mi ha detto, era solo di passaggio da queste parti. >>

     << Oh, d’accordo. >>

La notizia che quell’uomo vivesse in un’altra contea era un motivo di gioia, per me. Con il morale rinnovato mi alzai dalla panca, pensando solo in quel momento che, di sicuro, quella donna avrebbe preteso di essere pagata, visto che avevo dormito nella sua locanda.

    << Oh, non ce n’è bisogno, tesoro >>, disse allegramente, quando glielo chiesi.

Inclinai la testa con fare interrogativo. << Perché? >>

    << Sua grazia ha pagato anche per te, cara. >> Detto questo, mi disse che se volevo c’era un pezzo di pane sul bancone e una tazza di tè caldo, nel caso avessi avuto fame.

Una volta considerato portato a termine il proprio compito, la donna riprese a spazzare il pavimento.

Bevvi avidamente la tazza di tè caldo, temendo che magari la donna decidesse all’improvviso di cambiare idea, fui talmente veloce a mandare giù quel liquido corroborante che nemmeno feci caso al sapore, poi, nascosta la pagnotta nelle tasche dell’abito, ringraziai la locandiera e uscii fuori.

   Nonostante il temporale furioso della notte precedente, quel giorno si prospettava soleggiato, e caldo, molto caldo.

Passeggiando per le strade del villaggio in cui mi trovavo, non potevo fare a meno di domandarmi come avrei potuto fare per tornare a casa, a Bedlington; quel villaggio non mi era famigliare e non mi sembrava di esserci mai stata, le strade erano già affollate di contadini e mercanti, mentre le donne passeggiavano per strada con secchi pieni di acqua fresca o con dei panieri, bambini sporchi e scalzi correvano per strada brandendo bastoni e urlando a squarciagola, mentre quelli più grandi aiutavano i genitori con il lavoro.

Non era tanto diverso dal mio villaggio, eppure non potevo fare a meno di provare una sensazione di estraniamento, come se fossi stata una straniera, in mezzo a tutta quella gente.

Pensando che non avesse senso continuare a indugiare, presi il coraggio a due mani e fermai una donna per strada.

   Aveva le guance scarne e i capelli sporchi erano raccolti sotto una cuffia, solo qualche ciocca scura era sfuggita fuori, mi guardò ostile per qualche istante, ma vedendo il mio aspetto cencioso e sporco sembrò rabbonirsi.

   << Che vuoi? >> mi domandò, usando una voce scortese.

   << Mi sai dire dove siamo? >> domandai senza tanti giri di parole, guardandola dritta negli occhi.

   << Che? >>

   << Che villaggio è, questo? >> domandai, indicando con le braccia allargate i gruppi di case irregolari e dimesse e altri edifici che lo compensano.

La donna si pulì il naso nella manica del vestito sporco. << Questo è Newbiggin (2) >>, disse senza emozione.

Senza aspettare ulteriori domande, riprese a camminare per la propria strada.    

   Newbiggin? Ma era da tutt’altra parte, rispetto ad Ashington…

Imprecando fra i denti, iniziai a domandare a chiunque avesse un carretto, se potesse portarmi fino a Bedlington, in caso contrario, magari fino a metà strada.

Non ho idea di quanto tempo rimasi nella piazza del villaggio, ripetendo in giro quella stessa domanda; stavo iniziando a pensare che avrei dovuto farmela interamente a piedi (impiegando almeno una giornata intera prima di arrivare almeno nei pressi di Bedlington, non potevo mancare da casa un altro giorno e pensare che Papà, Elisa, Fletcher ed Erial non si preoccupassero per me), qualcuno mi strattono appena per la manica del vestito.

   Era una ragazza piccola e graziosa come un fiore, il viso ricoperto di lentiggini e i lunghi capelli biondi cenere nascosti sotto ad un fazzoletto colorato, gli occhi brillanti come due stelle e un sorrisetto vispo sulle labbra.

   << Ho sentito che devi andare a Bedlington >>, mi disse senza perdere tempo.

   << Sì, infatti. >>

Il suo sorriso si allargò ancora di più. << Io sono diretta lì. Se vuoi, puoi venire con me. >>

   << Ti ringrazio >>, dissi, lasciando trasparire la mia sorpresa. << Sei davvero gentile. >>

   << Mi auguro che tu abbia dei soldi, con te. >>

Ah, già. Per forza era stata così gentile; anche la bontà d’animo aveva un prezzo dopo tutto.   

Cercando di non mettermi a ridere, le feci vedere meglio il mio vestito. << Tu che dici? Pensi che possa avere del denaro, con me? >>

   Lei fece un gesto incurante della mano. << Niente soldi, niente passaggio. >> E fece per andarsene.

  << Aspetta! >> Agguantai la manica del suo vestito – non ridotto meglio del mio –

  << Posso pagarti >>, le dissi.

  << Oh, davvero? >> La sua voce suonava annoiata, come se in realtà sapesse che non avevo nemmeno uno scellino con me.

  << Se ti accontenti di un pezzo di pane, posso pagarti con quello. >>

I suoi occhi sembrarono accendersi, e io capii che non avrebbe rifiutato la mia offerta. Nonostante il denaro fosse più importante, nessuno si sarebbe rifiutato di prendere anche un pezzo di pane, come pagamento. Che fosse una cosa positiva o no, tutti i poveri ragionavano allo stesso modo, e quella ragazza non era da meno.

Trattenendo un sorrisetto trionfante, tirai fuori dalla tasca il pezzo di pane bianco che mi aveva dato la locandiera, le sue labbra tremolarono un istante, mentre le sue mani si allungavano verso il pagamento.

   << Non così in fretta. >> Io però fui più svelta. Prima che potesse succedere qualsiasi cosa, nascosi il bottino dentro le tasche del mio vestito. << Ti pagherò quando avrò raggiunto Bedlington. >>

   Non mi facevo imbrogliare così facilmente, non l’avrei lasciata scappare con il pane senza darmi quello che aveva promesso.

La giovane serrò le labbra indispettita, ma poi fece il gesto di seguirla. << Andiamo, ho perso già abbastanza tempo. >>

   Mi lasciai condurre da quella ragazza, mentre la speranza sbocciava dentro al petto, e la voglia di rivedere la mia famiglia si faceva sempre più urgente.

 

*

 

Mi guidò attraverso una serie di stretti viottoli maleodoranti, pieni di sporcizia, liquami e immondizia varia. Normalmente non mi sarebbe importato di camminare in mezzo a tutta quella sporcizia, ma si dava il caso che le mie scarpe, le mie uniche scarpe, in quel momento fossero disperse chissà dove nella brughiera, perciò feci molta attenzione a quello che calpestavo.

   << Comunque io sono Fanny >>, disse di punto in bianco, voltandosi poi verso di me, un mezzo sorriso sulle labbra. << Fanny Hayes. >>

Non vedendoci nulla di male nel dirle il mio nome, decisi di rispondere. << Madelaine Newbery. >>

Fanny in tutta risposta fece un lungo fischio di ammirazione. << È un nome da cortigiana. >>

Cercando di controllare il rossore di disagio che stava spuntando sulle mie guance, cercai di trovare una risposta. << Tutti mi chiamano semplicemente Maddy >>, dissi infine.

   << Come vuoi, Maddy. >>

Camminammo per qualche minuto buono, poi, all’improvviso, Fanny svoltò in un altro vicolo e io dovetti raccogliere le gonne per riuscire a starle dietro. Il posto in cui mi ritrovai era lo squallore fatto a persona. Le case davano segno di decadenza e anzi, sembravano quasi disabitate, non c’era nessuno in giro, apparte la figura piccola e scattante della ragazza avanti a me.  

   << Che posto è questo? >> le domandi, una volta raggiunto il suo passo svelto.

Fanny si strinse nelle spalle, con fare incurante. << Semplicemente, è la zona più degradata del villaggio. >>

   << Oh. >>

   << Noi viviamo un po’ lontano, rispetto alla maggior parte dei cittadini, i quali vivono nei pressi della piazza. È una zona abbastanza tranquilla, per quanto povera che sia. >>

Non sapendo cosa dire, rimasi zitta, lasciando che lei mi guidasse in quei vicoli sporchi e maleodoranti.

Si fermò davanti a quella che, una volta, doveva essere una bottega. Delle grosse travi di legno adesso sprangavano l’entrata nel locale; un cavallo sauro dall’aria irrequieta batteva con insistenza gli zoccoli sul terreno sporco, mentre le grosse mandibole mangiucchiavano il morso, un uomo dalla corporatura massiccia stava sistemando delle cose dentro al carro; agitando allegramente la mano, Fanny lo chiamò.

   << Abel! >>

Sentendo chiamare il proprio nome, Abel girò la testa, e i suoi occhi parvero illuminarsi, appena vide Fanny. Lei gli gettò le braccia al collo e lui la afferrò per la vita e le scoccò un sonoro bacio sulla bocca; cercando di farmi gli affari miei, distolsi timidamente lo sguardo. Fanny era così giovane, non avrei mai immaginato che fosse già sposata.

   << Maddy, muoviti! >> Vedendo che mi stava chiamando, raggiunsi Fanny, che mi presentò a suo marito.        

Abel mi sorrise con gentilezza e, presa la mia mano piena di calli e sporca di fango, vi premette leggermente le labbra, in segno di saluto e galanteria.

Rimasi interdetta da quel gesto, nemmeno Will lo aveva mai fatto… no, non dovevo più pensarci! Il fidanzamento era sciolto, l’unica cosa che mi interessava adesso era tornare a casa da Papà e dagli altri.

   << Sono Abel Hayes, il marito di Fanny. >>

Era difficile riuscire a guardarlo negli occhi, vista la sua corporatura massiccia e la sua altezza allarmante, tuttavia non era difficile pensare che fosse un bell’uomo. I capelli crescevano lunghi e trascurati fino alle spalle, dividendosi in morbidi riccioli castano chiaro, i suoi occhi verde slavato invece sembravano esprimere gentilezza e bontà.

    << Ehi, ehi, giù quegli occhi da civetta da mio marito! >> Quasi avesse voluto fargli da scudo, Fanny si frappose tra me e lui, scatenando l’ilarità del marito.

    << Allora, cosa hai combinato questa volta? >> le domandò bonario, riferendosi ovviamente a me.

    << Devo raggiungere Bedlington, e tua moglie si è offerta di darmi un passaggio, visto che vi state recando là. >> Frugai brevemente nelle tasche della gonna e tirai infine fuori il pane.

    << Non ho soldi con me, ma se vi va bene, posso pagarvi con questo tozzo di pane. >>

Abel scrutò con attenzione il pane che reggevo tra le mani, mentre Fanny sembrava fremere dalla voglia di afferrarlo e metterlo al sicuro; suo marito scosse brevemente la testa, riprendendo a sistemare un poco il carro.

    << Non ti ruberò il pane di bocca. >>

    << Cosa?! >> Fanny lo afferrò per la manica della camicia, cercando di farlo voltare. << Ma che stai dicendo, Abel? Abbiamo bisogno di cibo, ci serve! >>

    << Sì, hai ragione >>, i suoi occhi scivolarono su di me, << ma intendo comportarmi come un ladro. >>

L’ombra di un sorriso comparve sul suo viso. << Ti accompagneremo gratuitamente a Bedlington, rimetti pure via il tuo cibo. >>

Feci come mi aveva detto; Fanny scosse mestamente la testa, rilasciando un sospiro. << Sei troppo buono, Abel. L’ho sempre detto. >>

    << Ma è proprio per questo, che mi ami. >>

    << Ti prego, non me lo ricordare. >>  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

Note:

  

1)      Il Cumbrae (o Cumbria) è una contea dell’Inghilterra confinante con il Northumberland. Visto che non riuscivo a trovare niente di meglio per il nome del nostro lord, ho deciso di dargli questo nome. La mia è pura negligenza professionale!

2)      Newbiggin è un villaggio facente parte del Wansbeck, tuttavia, visto che non ho idea di quanto disti da Bedlington, non fate caso alle distanze che Maddy percorrerà prima di tornare a casa, ecc. visto che il suo nome completo ricorda un posto di mare, dovrebbe essere quella la sua collocazione, mentre Bedlington penso sia più nell’entroterra… comunque sia, vi prego di non farci troppo caso, okay? ^^’

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ritorno a casa ***


Note dell’autrice: vi ringrazio ancora una volta, er la costanza e la passione che dedicate, a me e alla mia creatura, nonostante a volte faccia passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro

Note dell’autrice: vi ringrazio ancora una volta, er la costanza e la passione che dedicate, a me e alla mia creatura, nonostante a volte faccia passare troppo tempo tra un capitolo e l’altro.

  Con mia grande sorpresa, si è aggiunta una nuova new entry, flori che a proposito, ringrazio per la recensione lasciata, inoltre, gli utenti che hanno aggiunto questa storia tra i propri ‘Preferiti’ sono adesso, ben 17. Vi ringrazio di cuore.

   Owarinai Yume come al solito ti ringrazio per il commento postato. Sono contenta che la storia ti appassioni, spero di non essere manchevole, con il proseguire della storia.

Rayne, grazie anche a te. che dire, se Fanny e Abel sono brave persone, be’…

    Shandril sono sicura che a casa, la famiglia di Maddy sarà più che preoccupata, credimi. Sono contenta che Fanny e Abel abbiano riscontrato una buon opinione, ne sono felice^^

Rubs, a essere sincera, ero certa sin dall’inizio che Lord Cumbrae avrebbe suscitato simili sensazioni nei lettori. Eh, sì, le loro strade si sono già divise, e sinceramente non so nemmeno quando si rincontreranno!!

Mi dispiace barbarizia, se Lord Cumbrae ti ha lasciato una brutta impressione. Sarà che io so com’è in realtà, perciò non mi esprimo a riguardo, ma visto che voi leggete la storia dal punto di vista di Maddy… be’ sì, non è che sia un modello di galanteria e gentilezza, questo è vero-_-‘

Grazie infinite come al solito; ci vediamo al prossimo aggiornamento.

Mi dispiace se il capitolo è risultato più corto degli altri. Vedrò di fare meglio la prossima volta.

 

 

Redarcher

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VII

 

Ritorno a casa

 

 

<< Lord Cumbrae, hai detto? >> Fanny si passò le dita tra i boccoli biondi con agilità, inumidendosi la folta chioma con l’acqua del torrente che avevamo incontrato lungo il tragitto, e dove avevamo deciso di fare una sosta.

Annuii, mentre immergevo una bottiglia di vetro vuota nell’acqua fredda, stando ben attenta a non raccogliere del greto di fiume oppure del crescione. Mossi leggermente la bottiglia piena e me la misi davanti agli: l’acqua era leggermente torbida, ma non c’era traccia di sassi o erbe d’acqua. Andava bene.

   Mi raccolsi le maniche della camicia e immersi le braccia in acqua, rabbrividendo per il freddo; mi passai l’acqua sulle braccia sporche, mi inumidii i capelli, crespi e inzaccherati di fango, mi lavai la faccia togliendomi lo sporco del viaggio e della notte passata a cercare di fuggire da quell’uomo…senza riuscire nel mio intento. Adesso però ero libera, e stavo ritornando a casa; la mia fortuna aveva iniziato a girare.

   Fanny raccolse l’acqua con le mani a coppa e bevve un lungo sorso d’acqua. La temperatura, a causa del temporale, s’era abbassata parecchio, ma il sole quel giorno aveva ripreso a picchiare e, visto che l’estate era breve e spesso segnata da intemperie, quel calore improvviso calore era accolto con gioia.

La mia compagna di viaggio fischiò sommessamente, un gesto di pura ammirazione. << Cosa hai fatto per costringerlo a rapirti in una notte così schifosa? >> domandò sbalordita, gli occhi brillanti di curiosità.

   << È questo il punto! >> sbottai, tirando un piccolo ciottolo in acqua, che la rese torbida e agitata. << Non riesco a capire perché mi abbia portata fino a Newbiggin, e poi mi abbia lasciata in quella locanda.>> Con il conto pagato, oltretutto, ma questo lo tenni per me. 

Fanny schioccò la lingua e si sistemò il fazzoletto sulla testa, attenta a serrarlo bene. << Be’, un comportamento simile, per uno come lui, è assolutamente nella norma, credimi. >>

Smisi si muovere le braccia dentro l’acqua, girandomi verso di lei. << Che intendi dire? >>

   << Andiamo, lo sanno tutti, nella contea! >> esclamò agitando la mano, quasi avesse voluto dirmi ‘Smettila di scherzare!’ Vedendo i miei occhi, evidentemente, riuscì a comprendere che non sapevo nulla, l’espressione rilassata si fece un po’ più seria, la voce si abbassò, assumendo un tono confidenziale, quasi lugubre.

  << Sai almeno chi sia, Lord Cumbrae? >> chiese a bassa voce.

Scossi la testa. << L’ho sentito nominare ieri per la prima volta. >> Ed era vero. Conoscevo Lord Ashington, ovviamente, il maggior possidente terriero del Wansbeck – e proprietario del terreno in cui sorgeva il nostro cottage, per giunta –, più qualche altro piccolo possidente terreno delle mie parti, ma non avevo la minima idea di chi fosse quell’uomo senza volto, con quella voce cavernosa agghiacciante.

   Fanny scosse la testa sospirando rumorosamente, mi lanciò un’occhiata piena di biasimo, poi iniziò a raccontare.

   << Hai mai sentito parlare della Grande Sommossa? >>

Annuii con la testa. Avevo solo sette anni allora, e ovviamente non potevo ricordare cosa accadde, soprattutto perché non giunse mai dalle nostre parti.

Fanny annuì a sua volta. << Quindi immagino saprai anche del massacro di Culloden, giusto? >>

   Mi schiarii brevemente la gola, sentendo una sgradevole sensazione salirmi lungo le pareti dello stomaco. << Sì, in un certo senso. >>

Le mie informazioni a riguardo erano molto scarse. L’unica cosa che Papà mi aveva raccontato riguardava un esiguo gruppo di Highlanders ribelli, capeggiati da Charles Stuart, un principe esiliato il cui padre era stato re di Scozia, prima dell’annessione di quest’ultima al regno britannico. Stando alle parole di Papà, quello scellerato – così lo chiamava – di Bonnie Prince Charlie aveva marciato con il suo esiguo esercito di selvaggi Highlanders, marciando fino a Culloden… dove erano andati incontro alla morte. Il principe era riuscito a salvarsi e a fuggire all’estero, ma gli scozzesi…

   << Oh, bene >>, disse lei, adesso di buon umore. << Dieci anni fa, l’esercito britannico scese in guerra contro quei bastardi scozzesi… e Lord Cumbrae era tra loro. Era un soldato, e stando alle voci che giravano a quel tempo, era anche un ottimo militare. Marciò con il suo squadrone di dragoni inglesi contro quei fottuti selvaggi assieme al resto delle giubbe rosse… e vinsero, come ben sai. >>

Annuii, non riuscendo a comprendere che nesso ci fosse tra la Sommossa e quel nobiluomo. D’accordo, era sceso in guerra, e ovviamente aveva vinto, ma ancora non riuscivo a comprenderne il nesso.

   << È a Culloden che è successo tutto. È stato in quel frangente che la vita di Lord Cumbrae è finita. >>

Un brivido freddo mi scivolò lungo la schiena, lasciandomi senza fiato.

   << Quel povero diavolo, durante la frenesia della battaglia fu separato dal resto dell’esercito inglese; venne attaccato da tre ribelli, armati di spadoni lunghi quanto le zampe di un cavallo, la lama scintillante e letale intrisa del sangue dei nemici falciati, le asce smussate luccicanti di vendetta e morte… >>

   << Smettila Fanny, non voglio sentire… >>

Il cuore mi martellava nelle tempie ad un ritmo serrato e folle, intontendomi al massimo, una sensazione nauseabonda saliva lungo la bocca dello stomaco…

   << Lo ferirono gravemente, ma lui riuscì comunque ad abbatterli tutti e tre, uno dopo l’altro. >> A dimostrazione di ciò mosse il braccio in un serie di affondi e stoccate, come se fosse stata un perfetta spadaccina.

   << Purtroppo, quando vedi la morte degli occhi, non è facile conservare la sanità mentale, mi spiego? >> Si strinse nelle spalle, proseguendo con il suo racconto.

Riuscì ad abbattere due nemici riportando solo ferite superficiali al costato e in qualche altro punto, ma non lo misero a rischio… il terzo però…

   << Il terzo uomo lo ferì alla testa con un’ascia… SPAT! Ci mancò poco che non gli tagliasse la faccia a metà! >> esclamò lei, infervorata dal racconto. << Secondo le chiacchere, persino il suo occhio sinistro fu spaccato a metà, dicono anche che cadde a terra, riversandosi in un liquido trasparente e appiccicoso, mescolandosi assieme al sangue del conte… >>

   << Uh! >> Un urto di vomito mi piegò a metà. Fui scossa da lunghi conati di vomito, ma non rilasciai niente, visto che non avevo messo niente nello stomaco, quella mattina. Solo del tè caldo.

Quando i conati cessarono, mi rimisi in ginocchio a stento, sentendo un bruciore insopportabile al ventre, mentre una sapore acido mi fermentava in bocca. Mi sciacquai ancora una volta il viso con l’acqua, trovando immensamente piacevole quel contatto gelido sulla mia pelle accaldata.

   << Ti senti meglio? >> Fanny se n’era rimasta in disparte, dando un’assettata al proprio aspetto, mentre io cercavo di vomitare nel torrente.

   << In realtà, quello è solo un racconto, messo in giro da qualche idiota >>, disse con tono annoiato, pensando in realtà che quello fosse molto più interessante. << Lord Cumbrae rimase gravemente ferito in quella battaglia e, quando tornò a casa, rimase a letto per settimane, ferito gravemente e con la pelle incandescente per la febbre; nessuno pensava che potesse riuscire a sopravvivere. >>

   << Ma? >> dissi, com’era ovvio che fosse.

Fanny annuì. << Ma ce la fece. Anche se non era più lo stesso, quando fece ritorno. >>

  Il conte fece ritorno dal regno dei morti, ma quando si svegliò non era più lui. era un uomo che aveva visto la morte in faccia, e aveva vissuto l’inferno sulla propria pelle, vivendo per settimane in un coma febbricitante che avrebbe ucciso qualsiasi uomo; e alla fine aveva vinto… ma aveva perso la sua anima. La sua sanità mentale.

   << Non conosco i dettagli della storia. Mi è stata raccontata da una ragazza che prestava servizio presso di lui da quasi dieci anni, ed era stata licenziata. Mi disse che il conte licenziò la maggior parte dei domestici, al castello, tenendone solo una piccola parte; Linda – così si chiamava – mi raccontò che, il giorno che se ne andò di casa, vide Lord Cumbrae per la prima volta, dal suo ritorno a Culloden.

   Il viso era nascosto da una maschera, gli occhi blu luccicavano di una luce folle e disumana, i suoi capelli erano scompigliati e gli stavano ritti sulla testa come se fosse stato un demonio >>, Fanny ridacchiò, << quella poveraccia si fece il segno della croce, appena lo vide; per questo lui la licenziò. >>

   << Senza motivo? >> domandai sconvolta.

Scosse la testa. << Oh, no! Un motivo c’era! >> mi assicurò.

   << Lord Cumbrae era posseduto dal demonio. >>

 

*

 

Dopo quella breve sosta lungo il torrente, Abel ci informò che eravamo pronti a ripartire.

   Mi ero sistemata dietro al carretto, in mezzo a piccoli mobili pieni di tarli e realizzati, molto probabilmente, da Abel stesso; l’odore pungente di carne essiccata e formaggio mi stordiva, mentre il piccolo carro avanzava cigolando e ondeggiando lungo la strada acciottolata, lasciandomi un vago senso di nausea. Fanny si era sistemata accanto a me, le gonne raccolte sotto al sedere e le gambe tornite e pallide in bella vista, alla luce del sole sembravano quasi brillare, tanto erano chiare. Si era tolta le rozze scarpe che aveva indosso, e adesso muoveva le piccole dita dei piedi con frenesia, come se stesse assaggiando la libertà.

   << Hai qualcuno a casa? >> mi domandò lei di punto in bianco.

Annuii. << Vivo assieme a mio padre e a mio fratello maggiore. Mia sorella vive assieme a noi e a suo marito, per il momento, senza contare che, ormai, dovrebbe essere arrivato anche il loro primogenito >>, sorrisi tra me e me, pensando ad Elisa con in braccio un frugoletto piagnucoloso e irritato.

Fanny sbuffò e liquidò la mia vicenda familiare con una mano. << Molto toccante, davvero… ma io mi riferivo a qualcun’altro. >> L’occhiata eloquente che mi lanciò riuscì solo a confondermi ancora di più.

Aggrottai le sopracciglia e sporsi il labbro in avanti. << Non ho idea di cosa tu stia parlando >>, sentenziai alla fine, con acidità.

La mia compagna di viaggio roteò gli occhi e sbuffò, puntandomi un dito grassoccio tra le costole, io sussultai per la sorpresa. << Ce l’hai un uomo, a casa? >> mi chiese, per amor della comprensione.

   << Oh! >> esclamai, riuscendo finalmente a capire cosa intendesse. << Intendi se sono promessa a qualcuno? Be’, no. Nessuno mi ha chiesta in sposa, finora. >>

   Apparte un bastardo traditore di mia conoscenza. E tuttavia non mi andava di parlare di una situazione simile assieme a Fanny; poteva essere simpatica e disponibile – nei limiti contadini, ovvio – quanto volessi, ma era pur sempre una donna incontrata solo da poche ore. Andava bene essere gentili e affabili, ma non ingenui. Anche i poveri erano costretti a guardarsi dai propri simili, la comune malasorte non doveva rincretinirmi.

   << Mmm. >> Fanny si portò un dito sotto al mento, mugugnando qualche parola tra sé. 

<< E tu, allora? Immagino che tu e Abel siate sposati, giusto? >> Con la coda dell’occhio osservai la schiena curva ed enorme di quel gigante gentile, pensando a quanto Fanny fosse fortunata. Almeno in apparenza, Abel sembrava un uomo gentile e dolce, disponibile ad aiutare il prossimo senza chiedere nulla in cambio, nonostante – a giudicare la qualità dei loro effetti personali – avessero loro stessi un disperato bisogno di denaro.

  Fanny si strinse nelle spalle, guardando prima il marito, poi me, come se non fosse sicura se potermi raccontare la loro storia. Alla fine scrollò le spalle co incuranza, e si decise a raccontare.

   << Non c’è molto da dire, in verità. Sono un’ex-prostituta. >>

<< Oh! >>

   << Guarda che ero una semplice battona di strada, non è il caso di sorprendersi così tanto! >> disse acida, trovando, evidentemente, particolarmente irritante la mia reazione.

   << Mio padre mi vendette a un bordello a dodici anni per pagarsi da bere – era poco più di un mendicante, sai –, e la proprietaria della casa di malaffare mi ha messa in strada, facendomi bazzicare le strade del porto in cerca di qualche marinaio allupato in vena di allentare il borsellino; per otto anni non ho fatto che vivere di questo, sai… >>, si passò distrattamente le mani sulle cosce, << aprire le gambe a qualsiasi uomo lo richiedesse, e fosse in grado di pagare, pensavo non esistesse altro modo per sopravvivere nel mondo… finché non ho incontrato Abel. >> I suoi occhi scivolarono sulla schiena del marito, un misto di dolcezza e venerazione per quell’uomo buono, e gentile.

   << E poi? >> domandai, senza riflettere. << Oh, scusa! Non volevo essere invadente… >>

Fanny liquidò la faccenda con un movimento della mano. << Figurati, tanto sono io che ho iniziato a parlarne! >>

Si schiarì la gola e riprese il racconto. << Ho conosciuto Abel al porto, com’era ovvio che fosse. Stavo discutendo con un marinaio il prezzo che avrebbe dovuto sborsare per farmi aprire le gambe – quel maledetto taccagno non voleva allentare il cordino della borsa, che bastardo! –, stavamo litigando di brutto… così Abel ha messo fine alla discussione. >>

   << E come? >> La cosa più sensata, vedendo la sua corporatura e l’aria di possanza che emanava, era ovvio pensare che lui e quell’uomo fossero venuti alle mani… ma dopo averlo conosciuto, non ero certa che fosse capace di fare del male volontariamente, o comunque con intenzione di ferire.

   << Mi comprò al posto del marinaio >>, disse, con una semplicità disarmante.

Ridacchiò, arrossendo un pochino, rievocando i propri ricordi; non riuscii a impedirmelo, le mie guance divennero più calde e, ne sono sicura, presero colore, pensando a cosa potesse essere successo tra loro due.  

   << Mi trascinò in una locanda del porto e… be’, diciamo che mi accese come un fiammifero, non so se mi spiego. >> E mi tirò un’altra gomitata nelle costole.

Abel, seduto sul carretto, si agitò a disagio, tossendo rumorosamente. Quella storia doveva imbarazzarlo, e non poco.

   << Per qualche mese non facemmo altro, sai, lui veniva al porto, mi portava in una locanda, facevamo l’amore, e poi trascorrevamo il tempo a parlare, anche di cose futili, per poi rifare l’amore di nuovo… >> Fanny sospirò, un suono pieno di malinconia, ma non rimpianto, ne ero sicura. << Mi innamorai di lui, e dopo un po’ smisi di farmi pagare per il servizio, non potevo farlo pagare, capisci? Divenne il mio amante, anche se era un segreto – la Maitresse non voleva che avessimo degli amanti –, solo clienti paganti. >>

  Come era logico pensare, anche Abel si innamorò di Fanny e, non potendo tollerare che altri uomini potessero averla, cercò di riscattare l’amata alla matrona del bordello… ma la situazione si rivelò più complicata di quanto avessero pensato all’inizio.

Secondo la Maitresse, nonostante Fanny non fosse una bella ragazza, riscuoteva parecchio successo tra gli uomini, i guadagni della ragazza erano notevoli, e la padrona sarebbe stata una sciocca a lasciare che un uomo, venuto da chi sa dove, potesse riscattarla così, lasciandosi sfuggire una delle sue migliori fonti di guadagno. Così, non vedendo altra soluzione, i due fuggirono assieme.

   << Ci siamo nascosti nei sobborghi di Newbiggin, lontani dagli occhi della padrona, e da quelli delle altre puttane, se è per questo. Io mi nascondevo in casa, senza mai uscire, e Abel svolgeva dei lavori che lo tenessero lontano dal porto, lavorò anche come aiuto maniscalco, per qualche tempo – ci ha permesso di vivere nella sua soffitta, pensa –; ma non potevamo continuare così, vivendo e nascondendoci come ratti… così abbiamo deciso di tentare la fortuna nel Cumbrae! >> esclamò lei con allegria. << Ho sentito che è possibile trovare facilmente lavoro nella contea di Carlisle, è lì che ci stiamo recando. >>

   << Non so che dire… >>

<< Non è necessario che tu lo faccia >>, esclamò Fanny con ironia.

Scossi brevemente la testa, e i capelli mi caddero davanti agli occhi. << Non pensavo che, sì insomma, che la tua storia fosse… >>

   Fanny mi tirò un pugno leggero sulla spalla, mi allontanai, cacciando un guaito sorpreso.

  << Non è necessario che ti metti a frignare, stupida! >> disse con voce dura. << La mia vita è stata uno schifo, è vero, ma adesso ho la possibilità di ricominciare daccapo, di rifarmi una vita, nel Cumbrae. Ho un marito che amo e rispetto, che mi protegge e non mi fa mancare nulla – per quanto le nostre possibilità siano scarse –, cosa potrei volere di più, dalla vita? >>

  << Già, hai ragione. >>

Mi tolsi un pezzetto di fango secco dalla sottana, pensando a quanto in realtà invidiassi Fanny. Certo, la mia vita paragonata alla sua era un giardino delle Delizie, ma mi era impossibile pensare che, se Will mi fosse stato fedele, se avesse mantenuto la promessa, se fosse stato sincero… io a quest’ora sarei stata a casa, a Bedlington, assieme a un marito che, col tempo, avrei imparato ad amare, che forse, un pochino, già amavo… e invece, dov’ero? In viaggio verso casa, assieme ad un’ex-prostituta e un ex-maniscalco, diretti nel Cumbrae per cercare di rifarsi una vita assieme. Se solo avessi potuto…

   Mi passai la mano davanti al viso, cercando di dissipare quella coltre di malinconia che mi stava avvolgendo. Papà, Elisa, Fletcher ed Erial mi stavano aspettando, solo quello contava.

 

*

 

Impiegammo due giorni a raggiungere Bedlington, con l’andatura traballante e lenta che aveva Chester, il vecchio sauro di Abel; era molto più vecchio e lento di Joshua, ebbi modo di constatare, durante il viaggio.

   Tra Newbiggin e Bedlington non c’erano villaggi, solo insediamenti di una decina di casupole al massimo, perciò Abel dovette fare appello alla clemenza di qualche contadino, affinché permettessero, almeno a me e Fanny di dormire nella stalla, su qualche distesa di paglia, rannicchiate nei nostri mantelli da viaggio. Nonostante l’odore pungente e pensante di cavallo – o mucca, a seconda dei casi –, cibo masticato e feci animali, il calore degli animali all’interno della stalla era confortante, così come il loro respiro pensante mentre dormivano; mi rannicchiavo nel mio mantello, sentendomi al sicuro e protetta da quelle quattro mura, il contatto con il corpo di Fanny mi dava una sensazione di conforto, di calore; non avrei mai pensato che le natiche grassocce di una sconosciuta premute contro le mie potessero farmi sentire così tranquilla, a casa.

   Fanny però non sembrava della stessa opinione. Nonostante mi addormentassi senza timore, il mio sonno era comunque leggero, pronto a cogliere il minimo cambiamento dell’ambiente attorno a me. Nonostante lei si muovesse con passo felpato, e il più discretamente possibile, sentivo benissimo il cigolio della porta della stalla, mentre lei usciva nel freddo della notte, per stare assieme a lui, a suo marito… per poi tornare solo con l’approssimarsi dell’alba, quando la gente si alzava da letto per andare a lavorare nei campi.

   Nonostante Abel non volesse essere pagato per il passaggio, fui più che felice di condividere la mia pagnotta di pane assieme a loro, provando un senso di piacevole comunione a spartire quel poco che avevo con i miei compagni di viaggio, con cui avevo iniziato ad instaurare un rapporto che andava al di là dal viaggiare assieme a causa delle circostanze e delle condizioni di viaggio.

Mi ero talmente abituata alla loro presenza, che quasi provai un punta di tristezza, nel vedere i primi gruppi di tetti che componevano il villaggio, il mio villaggio.

   << Sarà strano, proseguire il viaggio senza di te; mi stavo quasi abituando alla tua presenza, Maddy. >> Fanny si tolse il fazzoletto e si passò la mano tra i capelli, appiccicati alla testa per il sudore e per lo sporco.

   << Davvero? >> dissi, parlando con incuranza, come aveva fatto lei, ma sentendo distintamente un piccolo groppo fastidioso serrarmi la gola con forza.

   << È quella? >> domandò Abel, puntando bruscamente il mento in direzione della casupola.

Il senso di tristezza e di perdita che mi aveva avvolta sin quando avevo iniziato a riconoscere la strada, passando davanti al mulino d’acqua ormai in disuso, alla collina della quercia, dov’ero solita condurre le pecore al pascolo; tutte quelle sensazioni tristi e deprimenti vennero sostituite da un senso di urgenza incontenibile. Ero a casa, finalmente!

   Ero mancata solo per qualche giorno, ma mi sembrava di essermi assentata per degli anni, e ora, come il Figliol Prodigo, facevo ritorno alla casa del padre.

Deglutii pesantemente, mentre un sorriso si affacciava sulle mie labbra. << Sì; è quella. >>

   Non riuscendo a trattenermi oltre, smontai dal carretto con un balzo e, raccolte appena le gonne per non intralciarmi in movimenti, corsi come un disperata verso casa, divorando i metri che mi separavano dal piccolo cottage malandato. Dal comignolo una piccola serpentina di fumo bianco scivolava fuori per sparire nel cielo, il giardino di erbacce della Mamma era sempre lo stesso, il muretto mezzo distrutto segnava l’ingresso nella ‘nostra’ – si fa per dire – proprietà… no, non era cambiato nulla. era tutto uguale. Tutto come al solito.

    Attesi che Abel e Fanny mi raggiunsero assieme a Chester, fermandosi davanti al muretto semi-distrutto.

<< … Mi aspettavo qualcosa di più, sinceramente >>, commentò Fanny con delusione.

La fulminai con lo sguardo. << Ti ho detto che eravamo poveri! Non racconto bugie >> sbottai tutto in una volta.

   << Allora, sei arrivata >>, commentò lei, grattandosi pensosa il mento. << Immagino che questo sia un addio… >>

   << Suppongo di sì. >> A meno che, per ragioni assolutamente incomprensibili, non decidessi di recarmi nel Cumbrae, affrontando un viaggio che mi avrebbe tenuta lontana da casa almeno una settimana.

Con mia grande sorpresa, Fanny si sporse oltre il bordo del carro, avvolgendomi con forza tra le sue braccia calde e morbide, un effluvio di sudore stantio e sporcizia e polvere mi pizzicò le narici, ma fu solo una zaffata.

    << Stammi bene, Madelaine >>, disse sommessamente.

   << Ti ho detto che mi chiamo Maddy >>; dissi a mia volta, stringendola con la stessa intensità, quasi avessi voluto stritolarla.

   << Fa’ lo stesso. >>

<< Ah, volete fermarvi un po’, per riprendere le forze, rifocillarvi, magari. Se volete, possiamo ospitarvi in casa… >>

Abel sorrise gentilmente, ma scosse la testa, declinando l’invito. << Sei molto gentile, e ti ringrazio, ma è ora di andare. >>

   << Vogliamo raggiungere il Cumbrae il più in fretta possibile >>, aggiunse Fanny, toccando appena la spalla di Abel, sorridendomi.

   << Sì, capisco. >> Eppure avrei voluto che si fermassero, almeno per quella notte.

Dopo un altro, breve scambio di saluti e di ‘buona fortuna’ reciproci, i coniugi Hayes proseguirono per la loro strada, arrancando sul loro carro dimesso, condotto da un sauro vecchio e spossato.

    Mi girai verso il piccolo cottage, il cuore aveva iniziato a battermi veloce, e le mani sudavano senza controllo, mi passai i palmi bagnati più volte sulla gonna, nel tentativo di asciugarli, presi un paio di boccate, trovando finalmente la calma.

  I cardini della porta cigolarono rumorosamente appena la aprii, mentre un silenzio quasi innaturale mi trasportò all’interno della casa.

   << Elisa? >> domandai con incertezza, avanzando di qualche passo dentro casa.

Il piccolo salotto era vuoto, Papà doveva essere nei campi assieme a Erial e Fletcher… ma Elisa? Dove poteva essere?

   << Oh, no… >>

Un’orribile pensiero si affacciò nella mia mente, pensando a quante volte fosse capitato, anche in un villaggio piccolo come Bedlington. Ma non lei! Non a mia sorella! Non poteva essere…

   << Elisa! >> chiamai di nuovo, l’angoscia e l’urgenza mi distorcevano la voce, trasformandola in un verso gracchiante che non aveva nulla di umano. << Elisa! >>

Mi raccolsi ancora le gonne e iniziai a salire le scale di legno, che cigolarono e gemettero sotto il mio peso, protestando e inveendo contro di me, ma non mi importava. L’unica cosa che volevo, che mi interessava…

   Ero così impegnata a pensare a quali orribili esiti avesse potuto portare la gravidanza di mia sorella, alla possibilità che lei e il bambino potessero essere morti, che nemmeno mi accorsi del vagito sommesso, eppure squillante, che proveniva dalla camera da letto di Elisa e Erial.  

 

 

°~Ω~°

 

 

Non era così che immaginavo l’incontro con Timothy.

   Aprii la porta con talmente tanta foga, che questa si schiantò contro il muro, staccando qualche pezzo di legno del battente, e aumentando l’intensità degli strilli del bambino.

   << Dio Santissimo, Madelaine! >> urlò mia sorella collerica, abbrustolendomi con l’intensità e la rabbia del suo sguardo verde. << Mi hai fatto venire un colpo, per Dio! >> sbottò, mentre intanto cercava di elargire paroline dolci all’infante che stringeva tra le braccia, mormorando parole sommesse ed emettendo versetti che, per miracolo, riuscirono ad azzittirlo. Il piccolo emise ancora qualche piccolo verso di protesta, ma poi, inevitabilmente, chiuse gli occhi, appoggiandosi al seno di Elisa, di nuovo tranquillo.

   << È… insomma, è lui? >>  sussurrai incredula, vedendo quel piccolo fagotto avvolto nelle logore copertine che nostra madre aveva usato per lei, Fletcher e me.

Elisa annuì appena, e io, il più silenziosamente possibile, mi avvicinai al suo capezzale, gli occhi avidi di quella piccola creatura addormentata.

   Era piccolo, molto più piccolo di quanto in realtà mi aspettassi. La testa era piccina e tonda, con della peluria leggera castano chiaro sulla sommità, il naso era praticamente invisibile e le mani erano talmente piccole che quasi faticavo a vedergli le unghie; era il bambino più bello che avessi mai visto.

   << Come si chiama? >> domandai a bassa voce, il petto gonfio di orgoglio come se fossi stata io stessa, la madre.

Elisa mi lanciò un’occhiata sprezzante e strinse gli occhi, serrando poi le labbra. << Sei lercia, Madelaine >>, mi disse compassata, stringendosi al petto il bambino con fare possessivo.

   << Io… >> Mi allontanai, prendendo il suo commento come un invito sgarbato ad allontanarmi.

Elisa ripose il piccolo accanto a sé, poggiandolo in un piccolo giaciglio fatto di coperte spiegazzate, quasi fosse stata la cuccia di un cane, poi tornò a guardare me, gli occhi chiaramente severi, e forse, preoccupati.  

   << Ma che diavolo hai combinato? >> mi domandò dura, facendomi sentire enormemente in colpa, per essere stata lontana da casa così a lungo, nonostante non fosse stata una mia decisione.

Strinsi con forza i lembi logori della mia gonna inzaccherata di fango e polvere, e alcuni pezzi di terra secca si staccarono, volando a terra.

   Gli occhi di Elisa si strinsero ancora di più, e io provai il desiderio di scomparire alla sua vista, e dalla sua rabbia a stento contenuta.

   << Mi dispiace, sorella. Io non… >> Le parole mi morirono in gola, non trovando spiegazioni adatte da darle. Come avrei potuto giustificare l’incontro con quell’uomo… Lord Cumbrae? Non avrebbe mai creduto alle mie parole, per quanto vere fossero. Nessun gentiluomo se ne andava in giro per le campagne inglesi, in una notte di tempesta, ad aiutare delle volgari contadine, per quanto in difficoltà potesse trovarsi la suddetta; i nobili – o ricchi che fossero – non aiutavano la povera gente. Ma lui… e ancora non riuscivo a spiegarmene il motivo.  

   Non potendo rispondere a simili domande, me ne restai zitta, aspettando la tirata di mia sorella, pronta a sopportare in silenzio.

Mi scrutò a lungo, soppesando le mie gonne strappate con quattro dita di fango, come minimo, i capelli assurdamente arruffati e imbrattati di sporcizia di ogni sorta, dal pezzetto di fango rappreso, alla foglia di un albero oppure ad un rametto secco incastrato tra tutti quei nodi; sospirò pesantemente e scosse la testa bionda.

   << Vai a darti una strigliata, Maddy. >> Gesticolò appena con la mano indicando la porta, segno che la conversazione era terminata.

Annuii e mi girai verso la porta, indirizzandomi verso le scale sgangherate e scricchiolanti.

   << Al tuo ritorno, voglio sapere anche dove sono finite le scarpe >>, mi annunciò, mentre mi chiudevo la porta alle spalle.

Scesi le scale di fretta e cercando anche di essere il più leggera possibile; in cucina tirai fuori un catino vuoto, dove vi gettai una grossa scaglia di liscivia e dei panni sporchi che raccattai in giro per casa, mi diressi a grandi passi verso il fiume, mentre il pensiero di togliermi la sporcizia di dosso diveniva un richiamo irresistibile.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Comunicato stampa ***


Comunicato stampa

Comunicato stampa! (risata)

 

 

 

Un saluto a tutte le persone che hanno letto questa storia e amato (e odiato) i personaggi nati dalla tastiera del mio computer. Sono molto dispiaciuta di avervi lasciate così, come dire, “a bocca asciutta” per così tanto tempo (caspita! Un anno e mezzo, ormai! chiedo perdono!), purtroppo questa storia nacque come semplice esperimento, e per staccare un po’ da un’altra mia produzione (paranormal romance) su EFP che negli ultimi tempi mi stava facendo letteralmente impazzire (avete presente il “blocco dello scrittore”? ecco, questo simpaticone sembra essersi stabilito in pianta stabile a casa mia, da un anno a questa parte), perciò diciamo che, quando ha iniziato a essere ‘qualcosa di più’ di un semplice raccontino per tenermi in allenamento, mi sono sentita davvero male, per come avevo così impunemente maltratto la storia e i suoi personaggi.

   Forse per qualcuno non ha molto senso ciò che sto dicendo, e non chiedo nemmeno di essere capita, però quando ridiedi un’occhiata ai capitoli scritti, mi venne male, al pensiero di aver postato simili obbrobri.

Non ho cancellato i capitoli per pura affezione, se così possiamo dirlo, ma sappiate che da qualche tempo ho ripreso la storia in mano e la sto letteralmente riscrivendo (solo il PLOT, per ora, ma spero di poterci rimettere le mani, in futuro) e sto anche facendo un mucchio di ricerche sul periodo storico, dagli abiti, a come fosse la vita dei nobili, ecc. ecc.

La ricerca storica è molto difficile e non sempre riesco a trovare ciò che cerco, ma ho fiducia nelle capacità di internet, e anche nei libri che di tanto in tanto consulto.

 

Forse a qualcuno non farà piacere, altri saranno contenti, altri ancora si arrabbieranno, in ogni caso, ho intenzione, anche se non nell’immediato futuro, di riscrivere, e stavolta per bene, la storia di Maddie e “La Bestia di Carlisle”. (risata)

Per ora scrivo il PLOT o faccio ricerche storiche, ma solo quando la mia opera paranormal romance non riesce a proseguire, quindi tutto procede molto a rilento, per cui, mi dispiace informarvi che non ci saranno modifiche o aggiornamenti, non nell’immediato futuro, almeno.

 

Spero comunque che, se mai questo giorno arriverà, tutte le persone che mi hanno apprezzata e seguita continuino ad esserci.

Grazie, tutti i vostri commenti, ma anche solo le vostre letture, hanno significato tantissimo, per me.

 

 

Ultimo, ma non meno importante, volevo che sapeste che, anche se tutto procede in modalità “slow”, sono comunque arrivata a pensare che e avventure di Maddie non avranno conclusione con un solo “racconto”, per così dire, ma proseguirà per altri due, se riesco a trovare le idee giuste, e informazioni a sufficienza!

 

Per ora vi saluto, ma spero che questo sia solo un “arrivederci”, e non un addio.

 

Grazie ancora

 

La vostra ubbidientissima serva

 

Redarcher  

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=202561