Al di là del tempo

di shadow_sea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Proposte ***
Capitolo 2: *** La materia oscura ***
Capitolo 3: *** L'energia oscura ***
Capitolo 4: *** La moglie del Primarca ***
Capitolo 5: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 6: *** L'unità degli opposti ***
Capitolo 7: *** IDA ***
Capitolo 8: *** Intermezzo ***
Capitolo 9: *** Se solo potesse durare ***
Capitolo 10: *** I divoratori di stelle ***
Capitolo 11: *** I custodi della Via Lattea ***
Capitolo 12: *** Ultimi preparativi ***
Capitolo 13: *** Combattimento al buio ***
Capitolo 14: *** La madre ***
Capitolo 15: *** Gli impianti quarian ***
Capitolo 16: *** Sulla via del ritorno ***
Capitolo 17: *** Addio ai cieli ***
Capitolo 18: *** Father in law ***
Capitolo 19: *** Una pietra angolare ***
Capitolo 20: *** Un imperativo irrinunciabile ***
Capitolo 21: *** Odissea ***
Capitolo 22: *** Normandy SR3 ***
Capitolo 23: *** Confessioni ***
Capitolo 24: *** Stelle ***
Capitolo 25: *** Una settimana particolare ***
Capitolo 26: *** Fuga nei cieli ***
Capitolo 27: *** Il portale intergalattico ***
Capitolo 28: *** In viaggio verso il nulla ***
Capitolo 29: *** Toccata e fuga ***
Capitolo 30: *** Fine dei cieli ***
Capitolo 31: *** L'ora del lupo ***
Capitolo 32: *** Soldati ***
Capitolo 33: *** Rivelazioni ***
Capitolo 34: *** Addii ***
Capitolo 35: *** Garrus e Trinity ***
Capitolo 36: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Proposte ***


Introduzione
Drew Karpyshyn, uno dei principali scrittori di Mass Effect, aveva immaginato un finale diverso da quello che ci ha proposto la Bioware: aveva basato la sua storia sull’energia oscura, che stava distruggendo il cosmo. In quest’ottica i Razziatori erano, in realtà, una sorta di unione di individui fusi insieme allo scopo di trovare una soluzione a questo problema e la creazione di un Razziatore umano rappresentava una delle speranze migliori per salvare l’universo, proprio a causa della diversità genetica che caratterizza la nostra razza.
Mischiando la concretezza della materia oscura e dell’energia oscura presenti nella nostra galassia con le invenzioni proposte dalla Bioware ho creato il tema di fondo su cui si basa l’ultima storia sul Comandante Shepard e su Garrus Vakarian, la terza dopo Come ai vecchi tempi e Magari un’altra volta.


PROPOSTE

Dances With Wolves



12 giugno
Aprì gli occhi nel chiarore dell’alba artificiale sulla Cittadella, ancora confusa sul tempo e sul luogo di quel risveglio. Le pareti candide riflettevano una tenue luce rosata proveniente dalla finestra aperta. Avvertì il lieve cigolio delle ruote di un carrello che veniva spostato poco distante, probabilmente nel corridoio, e i passi felpati di un medico o di un’infermiera.
Provò a scendere dal materasso, prima di ricordarsi che quella semplice operazione richiedeva tutta la sua attenzione per evitare di finire stesa sul pavimento. La gamba destra era inerte e lei non si era ancora abituata all’uso dei canadesi che si trovavano appoggiati contro il comodino a fianco del letto, mentre la quantità di sonde, tubi e fili che uscivano dal suo corpo rendeva ancora più complesso qualsiasi tentativo di deambulazione.
La prima volta in cui aveva provato ad arrivare in bagno con le sue sole forze, era riuscita solo ad aggrovigliare il tutto in una matassa ingarbugliata. Aveva dovuto chiamare aiuto, colma di irritazione e malumore, solo per venire sgridata pesantemente da una Chakwas che si era dimostrata molto più irritata e di malumore di quanto fosse lei.

La gamba fuori uso era il minore dei problemi: l’esplosione aveva devastato quasi tutti gli impianti. Se cuore e polmoni funzionavano in modo accettabile, lo stesso non poteva dirsi dello stomaco e dell’intestino, nonché di milza, fegato e della maggioranza dei suoi organi interni.
Quando Aelerax Actyn, il medico turian che l’aveva presa in cura fin dal suo arrivo in ospedale, le aveva illustrato dettagliatamente tutti i danni, era rimasta stupita dalla quantità di organi rimasti danneggiati.
- Insomma, a parte cuore e polmoni non funziona nulla? - aveva tagliato corto, seccata di dover ascoltare un elenco che sembrava non avesse fine.
- Nemmeno quelli funzionano molto bene, comandante. Le abbiamo inserito un paio di bypass aorto-coronarici e si ricordi che a fianco al letto ha la bocchetta dell’ossigeno, se sentisse di far fatica a respirare - aveva chiarito Aelerax.
- Ottimo davvero. Cosa dovrei fare adesso?
- Avere pazienza - aveva risposto la Chakwas, che per tutto quel tempo era rimasta in silenzio al fianco del dottore - ti nutriremo artificialmente fino a quando riusciremo a procurarci i pezzi di ricambio degli impianti danneggiati - aveva aggiunto indicando l’asta metallica che sosteneva la flebo.
- Magari i miei problemi si limitassero all’alimentazione... - aveva commentato lei, guardando con palese disgusto il catetere e il sacchetto plastificato adagiato sul pavimento, seminascosto sotto il lembo del lenzuolo.

- Preferirei che non venissi qui fino a quando sono in questo stato - aveva dichiarato a Garrus, al suo primo risveglio. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando quel turian cocciuto le aveva parlato a lungo per costringerla a continuare a vivere, ma era certa che non si fosse mosso dal suo letto se non per i pochi minuti necessari per andare a prendersi qualcosa da bere o da mangiare, ammesso si fosse preso la briga di curarsi di se stesso.
Lo aveva fissato con occhio critico, maledicendo le placche, che non rendevano possibile leggerne il viso, alla ricerca di occhiaie, rughe o di qualunque altro segno di stanchezza. Ma aveva capito lo stesso quanto fosse esausto: aveva notato il tremito che lui cercava di nascondere.
- Io però preferisco rimanere - le aveva risposto con quel tono pacato che indicava una determinatezza incrollabile e lei si era arresa, quella prima volta. Non aveva trovato abbastanza energia per ribellarsi e si era limitata a stringergli la mano con tutta la forza che aveva.
La volta successiva in cui era tornata cosciente aveva osservato a lungo quel suo amore rannicchiato sulla sedia, approfittando del sonno che lo aveva vinto. Si era sentita certa che fosse dimagrito e aveva provato dolore e rabbia, ma soprattutto una tenerezza a cui si era ribellata con furia cieca. Le braccia e le gambe erano ancora più asciutte del solito e la chiazza blu scura sull’uniforme all’altezza della coscia destra testimoniava che aveva sanguinato di recente.
Aveva capito che doveva costringerlo ad andarsene: la sofferenza nel vederlo in quello stato era anche peggiore di quella che provava per se stessa. Aveva avuto timore di potersi riaddormentare prima che lui si destasse e l’aveva chiamato, assistendo ad un risveglio istantaneo denso di inquietudine.
- Sto bene, Garrus - l’aveva tranquillizzato immediatamente - Ma vai a riposarti, per favore. Mi fai agitare inutilmente - lo aveva pregato.
Il turian aveva provato a scherzare e a prenderla bonariamente in giro, ma alla fine si era arreso e se ne era andato zoppicando vistosamente, dopo aver dato un’occhiata preoccupata al monitor che stava rilevando la frequenza del battito cardiaco e all’apparecchio collegato alle onde cerebrali. Farla agitare non avrebbe accelerato la guarigione, glielo aveva ripetuto anche la dottoressa, che stava cominciando a innervosirsi per quei due pazienti tanto difficili che non tenevano in nessun conto le sue raccomandazioni.



21 agosto
Per tutti i giorni seguenti nessun altro membro dell’equipaggio aveva osato farle visita e lei si era sentita oltremodo grata al turian, che sicuramente aveva dissuaso tutti i suoi compagni dall’andare a trovarla. Solo la dottoressa Chakwas continuava a farle visita regolarmente, assolutamente impermeabile a qualunque commento e perfino a qualunque ordine, quale che fosse il tono con cui li pronunciava.
Ogni giorno, però, uno dei membri del suo equipaggio, a turno, la chiamava sul factotum. Quella mattina aspettava la visita di Tali che l’aveva contattata un paio di giorni prima per dirle che aveva una magnifica sorpresa per lei: un tecnico quarian specializzato in impianti desiderava farle visita e proporle alcune soluzioni innovative. E lei aveva accettato quell’incontro, colma di speranza che le sue condizioni di salute potessero migliorare rapidamente.
Chiamò un’infermiera perché la aiutasse ad arrivare in bagno, per lavarsi almeno sommariamente, poi bevve una tazza di caffè amaro e si sforzò di rimanere in quieta e paziente attesa.

- Tecnologia dei Razziatori? - chiese dopo aver ascoltato la lunga esposizione del quarian, senza riuscire a credere a quella proposta - Siete completamente impazziti? - aggiunse in un tono più stridulo di quanto avesse avuto intenzione, mentre fissava quei due squinternati con indosso una maschera che le impediva di verificare se fosse vittima di uno scherzo crudele.
- Sono quasi certo che anche i suoi vecchi impianti derivassero almeno in parte da quella tecnologia - le fece notare il quarian, che poi proseguì col tono pacato che si usa con i pazienti affetti da problemi mentali - La tecnologia in sé non è il male, comandante Shepard. E’ solo un mezzo, come le armi. C’è chi le usa per scopi ignobili e chi le utilizza per mantenere la pace. O magari per salvare la vita organica dall’attacco di macchine impazzite...
- Senza contare che il timore circa la possibilità di venire indottrinati a questo punto non ha più motivo di sussistere - concluse con aria quasi di sfida e lei si trovò a dover condividere suo malgrado quelle argomentazioni, nonostante fosse terribilmente urtata dal tono saccente usato dal tecnico.
- E’ questa una delle considerazioni che ci ha spinto a studiare i Razziatori e ad impossessarci della loro tecnologia - aggiunse Tali - Io stessa mi sto occupando di studiare i sistemi di propulsione e di difesa utilizzati dai nostri antichi nemici. E ti assicuro non siamo solo noi Quarian a pensarla in questo modo. Da quando i nemici sono stati sconfitti, abbiamo assistito ad una specie di corsa contro il tempo: ogni razza intelligente della galassia si è mossa per impadronirsi delle spoglie rimaste senza vita. Ho notizie dirette solo di quello che sta avvenendo in questo sistema, ma è ovvio che sarà così in ogni settore. Ci saranno addirittura molti casi in cui questa ricerca forsennata di resti dei Razziatori avverrà sfuggendo al controllo delle autorità locali. Non è difficile prevedere un ingente spaccio di nuove tecnologie attraverso i canali del mercato nero.

- Non so cosa rispondere. E’ una proposta allettante, ma allo stesso tempo ripugnante - commentò in tono incerto - Se dovessi accettare, mi trasformerei fisicamente? Come l’Uomo Misterioso? - domandò con timore, sapendo con assoluta certezza che in quel caso non sarebbe più riuscita a guardarsi in uno specchio.
- Assolutamente no, posso garantirglielo. Avrebbe solo degli impianti più efficienti di quelli che sono rimasti danneggiati dall’esplosione. Non le proporrei mai interventi che la alterassero fisicamente o psicologicamente - la rassicurò il quarian, questa volta usando un tono comprensivo - Anche se il tempo trascorso dalla fine della guerra non è molto, non sarebbe lei la cavia sulla quale oserei effettuare esperimenti rischiosi. Non le inserirò impianti sui quali io possa avere qualche dubbio residuo.
- Shepard - le disse Tali prendendole una mano e stringendola forte fra le sue - Il mio popolo ti deve non solo la vita, ma anche la possibilità di tornare a vivere su Rannoch. Nessuno di noi correrebbe il rischio di mettere a repentaglio la tua integrità fisica o mentale. Prima di presentarti questo mio vecchio amico ho studiato le nuove applicazioni tecnologiche che il mio popolo sta creando a partire dai resti dei Razziatori e mi hanno convinto. Ho pensato subito a te.
- Forse avete ragione... Non so... Credo di voler riflettere per un po’ - rispose alla fine, pensando che avrebbe chiesto l’opinione di Garrus, della Chakwas e probabilmente anche di Aelerax.
- Certamente - rispose Tali, mentre il tecnico annuiva con aria paziente, senza però riuscire a resistere alla tentazione di aggiungere la sgradevole precisazione - Comunque si rassegni, la tecnologia dei Razziatori entrerà a far parte della nostra vita, che lei lo voglia o meno.

- E’ un pensiero agghiacciante - osservò qualche ora dopo, una volta concluso il suo racconto inquieto, fissando quel paio di occhi azzurri, limpidi e sereni come il cielo artificiale che avvolgeva la Cittadella, che non si erano staccati neppure per un attimo dai suoi. Sorrise inavvertitamente rendendosi conto di essersi persa al loro interno: probabilmente aveva l’espressione inebetita di una preda ipnotizzata dalla belva che la divorerà l’istante successivo. Ripeté il commento finale di quel quarian saccente - La tecnologia dei Razziatori entrerà a far parte delle nostre vite... - sperando di riuscire a vincere l’orrore insito in quella affermazione, ma si rese conto che aveva già deciso e che non c’era neppure una vera scelta: l’unica cosa a cui riusciva davvero a pensare erano quegli occhi azzurri e un bacio, un lungo bacio.
- In effetti è inevitabile - ribadì Garrus, che era rimasto ad ascoltare il suo lungo discorso nervoso in completa tranquillità - E poi… Pensa a cosa potrebbe diventare la tua nave, se disponessimo di quella tecnologia…
- Non posso crederci! Io ti sto parlando della mia vita e tu... Tu stai pensando alla nuova versione del Thanix! - lo accusò con aria truce.
Garrus ridacchiò divertito, sapendo che lei se lo era immaginato rintanato nella batteria primaria.
In realtà l’improvvisa morte dei Razziatori aveva davvero scatenato un’ingente rivoluzione nei campi della tecnologia e della scienza in genere e si sentiva parlare di progetti che fino ad appena un mese prima sarebbero sembrati del tutto dissennati. Le applicazioni avrebbero investito ogni settore, dalle comunicazioni agli armamenti, dalla produzione industriale alla messa a punto di nuovi metodi per sfruttare le risorse naturali disponibili. Una volta riattivati i portali, era inevitabile che la tecnologia dei Razziatori venisse impiegata nella costruzione di nuove navi spaziali, con una sorta di gara di ogni razza nei confronti di tutte le altre, per non correre il rischio di farsi trovare dotati di veicoli del tutto antiquati.
- Sei tu che poltrisci in uno stupido letto, piena di tubi che escono e entrano in ogni parte del tuo corpo - la accusò con aria divertita - Ma il mondo, là fuori, va avanti.
- Osi farmi queste accuse perché non posso muovermi e non mi funzionano neppure gli impianti biotici - ringhiò in risposta, sentendosi davvero inerme.
- Pensi di riuscire a perdonarmi? - chiese Garrus avvicinandosi con aria divertita, mentre scansava i vari tubi che si frapponevano fra loro e le donava quel maledetto bacio che era il suo unico vero desiderio in quel momento.

La sera stessa si mise in contatto con la Chakwas e con Aelerax e, una volta ottenuta l’assicurazione che entrambi avrebbero seguito da vicino ogni passo di quel progetto, comunicò al tecnico che era pronta ad iniziare al più presto.



30 agosto
Con il monotono trascorrere dei giorni, scanditi dai ritmi stabili e uggiosi propri di un ospedale, aveva finito per arrendersi all’evidenza che la sua completa guarigione avrebbe richiesto tempi molto più lunghi di quanto avessero previsto i medici all’inizio, nonostante l’operosità dell’equipe di tecnici quarian.
Nel frattempo, su tutti i sistemi planetari della galassia le operazioni di ricostruzione procedevano instancabilmente e la maggior parte delle energie e delle risorse disponibili veniva impiegata nella riattivazione dei portali galattici distrutti.
L’assenza di quei portali aveva avuto conseguenze devastanti: il traffico di informazioni e di merci continuava abitualmente all’interno dei vari sistemi planetari, ma risultava di fatto impraticabile fra sistemi diversi. La loro distruzione rendeva inoltre impossibile il rientro immediato dei tanti contingenti militari che avevano preso parte alla battaglia finale e dei tecnici ed operai che avevano partecipato alla costruzione del crucibolo. Un quantitativo ingente di persone si trovava esiliato lontano dal proprio pianeta natale.
Alcune navi, soprattutto quelle appartenenti a sistemi non troppo distanti da quello solare, erano partite subito dopo la fine del conflitto, preferendo un viaggio che sarebbe durato svariati mesi al forzato stazionamento nei pressi della Terra e della Cittadella. Ma molti equipaggi avevano scelto di rimanere e stavano lavorando alacremente per riattivare il portale di quel settore.

Oltre che nella ricostruzione, le autorità si stavano impegnando attivamente anche nella ricostituzione delle gerarchie politiche e militari, dato che le perdite subite durante le operazioni di guerra erano state davvero ingenti. Il Primarca Victus era sopravvissuto ma, non appena la guerra si era conclusa, aveva dichiarato di volersi dimettere, per tornare ad essere un semplice generale. Adesso c’è bisogno di un Primarca che si occupi della ricostruzione e io non sarei di utilità alcuna aveva ripetuto più volte in un tono che non ammetteva repliche. Di fatto, quindi, la carica del principale rappresentante della civiltà turian, sia in ambito politico sia in quello militare, era rimasta vacante.
Nella visita che Garrus le aveva fatto in ospedale all’inizio del mese, non appena i nuovi impianti innestatole le avevano consentito di liberarsi della maggior parte di tubi e tubicini, aveva provato a scherzare con lui sulla sua inevitabile promozione, dato che era universalmente ritenuto il turian più accreditato a diventare il successore di Victus, ma Garrus si era dimostrato turbato da quel discorso e lo aveva lasciato cadere subito.
Ricordava perfettamente come lui avesse tagliato corto affermando - Sono tutte chiacchiere inutili. Fino a quando non si ristabiliranno le comunicazioni con Palaven non ha senso parlare di un nuovo possibile Primarca.
- Perché? Su Palaven è rimasto qualcuno che potrebbe essere in lizza per questa carica? - gli aveva chiesto, poco convinta.
Garrus aveva chiuso un occhio in segno di complicità e poi aveva confessato - E’ altamente improbabile, ma è una scusa che i turian possono accogliere senza troppe difficoltà...

Le mancava spesso quel turian un po’ fuori di testa, nonostante fosse la persona che veniva a farle visita più spesso, senza turbarsi più di tanto di fronte ai suoi continui malumori. A volte si chiedeva come facesse a sopportarla.
Era perennemente nervosa e irritabile, costretta com’era a trascorrere le sue giornate quasi interamente all’interno dell’Huerta Memorial Hospital perché i medici non le davano il permesso di allontanarsi, preoccupati che qualche malfunzionamento improvviso di quegli impianti ancora sperimentali potesse mettere a repentaglio la sua vita.
In rari casi, e solo negli ultimi giorni, l’avevano autorizzata a muoversi un po’ in giro per il Presidio, ma solo quando c’era qualcuno che potesse accompagnarla e sorvegliare costantemente le sue condizioni di salute. Quella forzata inattività nel bel mezzo di un mondo che girava vorticosamente la tormentava e la rendeva irrequieta, come un animale abituato a grandi spazi di caccia che si ritrovi improvvisamente confinato in una gabbia angusta, con solo pochi metri quadri a disposizione.
- Di fatto sono nuovamente una detenuta - continuava a ripetere a Garrus con la faccia imbronciata, senza riuscire ad accettare quella prigionia, anche perché erano davvero rare le occasioni in cui poteva distrarsi dalla monotona routine quotidiana ed ancor più rare erano le visite da parte degli altri componenti del suo vecchio equipaggio, a causa dell’enorme quantità di impegni che avevano tutti e delle enormi difficoltà per spostarsi da un sistema all’altro in mancanza di portali funzionanti.
Vista la necessità di rimanere confinata in quell’edificio che ormai conosceva in ogni minimo recesso, aveva perfino accettato di sottoporsi ad ogni tipo di indagini mediche, con la speranza di riuscire a trovare una risposta all’interrogativo che non la abbandonava dalla morte dell’ammiraglio Anderson.
Aveva chiesto espressamente al personale medico se fosse possibile individuare un eventuale chip di controllo che potesse esserle stato inserito nel corpo e i dottori si erano dimostrati entusiasti nel soddisfare quella sua richiesta, perché questo consentiva loro di effettuare liberamente ogni tipo di esami, anche quelli ai quali si sarebbe normalmente opposta con ogni forza.

In quel momento si trovava su uno dei piccoli balconi del reparto in cui era confinata, a guardare verso i diversi settori della stazione spaziale con un piccolo binocolo che Garrus le aveva portato. Si indicavano l’un l’altro vari punti della Cittadella, discutendo sulle operazioni di ricostruzione ancora in corso e commentando ironicamente le precedenze che sembrava guidassero l’andamento dei lavori.
Furono interrotti dall’arrivo di un infermiere che le mostrò l’elenco delle analisi previste per quello stesso pomeriggio. Quando Garrus finì di scorrerlo, la fissò con preoccupazione, chiedendole se davvero le sue condizioni di salute fossero ancora così precarie da rendere necessarie tutte quelle ricerche invasive.
- Non lo so, Garrus - ammise incerta.
- Tu detesti farti perfino le analisi del sangue... - commentò lui, osservandola con curiosità.
- E’ che... ho ucciso l’ammiraglio Anderson... - rispose, fissando lo sguardo verso l’orizzonte lontano, mentre sentiva che gli occhi le si inumidivano.
- Non capisco.
- E’ stato l’Uomo Misterioso a obbligarmi, esercitando una sorta di controllo mentale.
- Continuo a non capire...
- Sto cercando lo stramaledetto chip.
- Shep... - ripose immediatamente Garrus, fissandola con sorpresa e apprensione - Miranda ti ha assicurato che non hai alcun circuito di controllo. Te l’ha ripetuto più volte, ricordi? - aggiunse, tentando di farla ragionare.
- Sì, ma non avrei mai ucciso Anderson se avessi avuto il controllo delle mie azioni! - ribatté con rabbia.
- Ed è questo il motivo per cui lasci che i medici frughino liberamente nel tuo corpo? Per la ricerca di uno stupidissimo chip? - fu la domanda successiva, pronunciata in tono genuinamente sbalordito.
- Non so cos’altro posso fare - rispose avvilita, stringendo le mani intorno alla ringhiera del balcone su cui si trovavano.

Lo fissò allibita, vedendolo sorridere scuotendo la testa, per poi mettersi apertamente a ridere. Si ribellò con irritazione sincera ai suoi tentativi di prenderla fra le braccia e di stringerla, fissandolo con stizza. Non c’era proprio niente da ridere.
- Spiriti! quanto puoi essere scema certe volte! - esclamò il turian tornando serio, mentre le passava le dita fra quei capelli nuovi, corti poco più di un centimetro.
- Sembri una ragazzina adolescente e ti comporti nello stesso modo - le disse fissandola con comprensione, prendendole il volto fra le mani e tenendola ferma. Non era più divertito, era preoccupato. Glielo leggeva facilmente nello sguardo ed ebbe paura che condividesse i suoi timori. Gli si appoggiò contro in cerca di conforto, ma Garrus la allontanò leggermente, invitandola a guardarlo bene in viso.
- Ma ti ricordi com’era il tuo Uomo Misterioso? - chiese - La prima volta che l’hai incontrato erano solo gli occhi ad essere inquietanti, ma quando l’hai ritrovato sulla Cittadella era più razziatore che umano!
- Spiriti, Shep! - aggiunse poi, afferrandole i polsi sottili nella stretta salda delle sue mani, scuotendola, come se quelle scosse potessero servire a farla rinsavire - Fin dall’inizio dei tempi i maledetti razziatori hanno sempre usato l’indottrinamento! Ricordi la Sovereign? Ricordi Saren? Quell’essere sarebbe stato in grado di costringere chiunque a premere il grilletto di una pistola!
- Uhm... dici?
- Ma certo!
- Ne sei sicuro?
- Tanto quanto penso che sei veramente scema, certe volte...
Lo vide aspettare pazientemente un suo sorriso incerto e poi Garrus sorrise a sua volta, evidentemente sollevato per essere riuscito a farla ragionare, e lei si trovò costretta, suo malgrado, a ridere di se stessa.
- Sono stata stupida - ammise infine, dopo essere tornata seria.
- Speriamo che ti dimettano presto - fu l’unico commento che fece Garrus, scuotendo la testa avvilito, prima di salutarla.

A gift of a thistle



10 settembre
Finalmente quella mattina, a distanza di oltre tre mesi dal suo ricovero, il dottore turian che si era occupato di lei fin dal primo momento in cui era stata portata in ospedale entrò nella sua stanza rassicurandola che nel giro di poco tempo sarebbe potuta tornare alla sua solita vita: l’ultimo ricambio di un impianto innestatole nel petto, nel ventricolo destro del cuore, sarebbe stato consegnato a breve. Dopo l’intervento e un altro paio di giorni di osservazione, sarebbe stata dimessa.
A quella notizia lo abbracciò con forza, baciandolo addirittura sulla guancia per la gioia, nonostante il suo vistoso imbarazzo.
- Mi tradisci non appena guarita? - fu la domanda che le giunse all’orecchio da una voce il cui tono divertito e canzonatorio era assolutamente inconfondibile.
- Sono venuto appena ho saputo la notizia da Tali - le confessò Garrus, stringendole le mani fra le sue - volevo vedere un’espressione di gioia invece del solito broncio e malcontento che hai sulla faccia da settimane...
Poi lui si rivolse a Aelerax - Posso portare la mia ragazza in giro per la Cittadella? Ovviamente mi assumo ogni responsabilità.
- Certamente, Signore - rispose il medico, con un’espressione talmente ossequiosa che a lei scappò un - Riposo, soldato - che fece sorridere i due turian.

Garrus le cinse la vita con la mano destra, prima di sussurrarle - Voglio parlarti di una cosa. Te la senti di arrivare fino al ristorante panoramico?
- Sissignore - rispose, mettendosi sull'attenti e facendo il saluto militare, prima di chiedergli - Ma ti hanno nominato Primarca?
Si era subito pentita di quella domanda, vedendolo cambiare espressione.
- Per gli Spiriti! Ormai chiunque mi incontra mi fa questa domanda entro i primi cinque minuti di conversazione...
- Mi spiace, so che non vuoi parlare di questo argomento.
- Ormai odio perfino il suono di quella parola.
- Puoi sempre rifiutare, no?
- Uhm, sì e no... Ho dei progetti... - le confessò, facendole un gesto di intesa che però lei non riuscì a spiegarsi.

Quando arrivarono al ristorante, Garrus la fece accomodare su una sedia ad un tavolo all’ombra, in una bella posizione panoramica che aveva riservato per loro prima di entrare in ospedale. Poi ordinò un paio di aperitivi: quello che aveva preso per sé era leggermente alcolico, mentre il suo era un salutare succo di frutta. Lo guardò con disapprovazione evidente, fino a quando lui smise di ridacchiare per ammettere - Ti voglio assolutamente sobria.
- Ok, spara - rispose incuriosita.
Garrus si appoggiò allo schienale della sedia e prese il bicchiere dal tavolino.
- Ho chiesto informazioni ovunque e ho praticamente esasperato Joker con le mie domande - cominciò a confessarle, tenendo stretto fra le mani il bicchiere e guardandola negli occhi con espressione indecisa.
Poi continuò, con un tono che sembrava abbattuto - I vostri dannati usi variano davvero troppo perché io possa capire cosa dire. Per noi tutto è semplice e lineare. Gli umani sono complicati e contorti.
- A cosa ti riferisci?
- Supponi che due persone decidano di fare coppia fissa per il resto della loro vita... Cosa fanno?
- Si sposano, in genere... anche se non sempre. Possono scegliere di convivere, per esempio, o addirittura restare ognuno a casa propria… - rispose, divertendosi nel metterlo a disagio.
- Ecco… vedi? - la interruppe il turian alzando lo sguardo verso il cielo - I vostri usi sono confusi o perlomeno a me sembrano tali.
- E i turian cosa fanno? - chiese con tono apparentemente distratto, anche se non le era difficile immaginare dove stesse andando a parare Garrus.
- Cercano una casa in cui vivere insieme e poi celebrano un semplice rito, simile al vostro matrimonio.
- Semplice - rispose con un sorriso, fissandolo divertita mentre lui stava bevendo un primo sorso dal bicchiere che teneva ancora in mano.
Garrus ingoiò quel goccio come se si trattasse di una medicina amara e poi la fissò in silenzio. Quando riprese a parlare il tono della voce era teso - Ti sembrerà semplice, ma in realtà è… impegnativo. E’ un passo definitivo nella vita di un turian. So che per voi non lo è.
- Beh, si. Vero. Molte coppie si separano e magari poi si risposano con altre persone... Capita piuttosto frequentemente - rifletté ad alta voce, mentre provava ad immaginarsi come dovessero apparire al turian gli usi umani. “Inaccettabili e indecenti” furono gli aggettivi che le vennero in mente.
- E’ inammissibile - fu il commento lapidario di Garrus, mentre beveva un altro sorso dal proprio bicchiere.
- E’ una proposta, la tua? - tagliò corto, sentendosi irrequieta.
Il turian finì d’un fiato il contenuto del bicchiere e lo posò lentamente sul tavolino davanti a loro. Poi la guardò con espressione seria.
- Sì. Ti sto chiedendo di essere mia moglie, ma non a tempo determinato. Il nostro rito lega due vite, indissolubilmente. E’ qualcosa di molto diverso dalle domande che ti ho rivolto sulla cima del Presidio. Riesci a capirmi? - le chiese fissandola con un’aria seria e preoccupata.
- Non è molto romantico - osservò lei, sapendo che il sorriso che gli aveva rivolto era turbato. Quella proposta di matrimonio l’aveva completamente spiazzata: non si sarebbe mai immaginata che un progetto simile potesse essere espresso in termini così freddi e distaccati.
- No. Non lo è - concordò Garrus con espressione imbarazzata - Ma il romanticismo sarebbe fuori luogo. Tra l’altro mi sentirei ridicolo a inginocchiarmi ai tuoi piedi, magari con un anello in mano... Neanche Joker mi ci vedeva molto: mi ha mostrato le immagini di un film, poi mi ha fissato perplesso e si è messo a ridere come un idiota.
- Mi sarei messa a ridere anche io - gli rispose ridacchiando divertita, immaginandosi quella scena eseguita con l’inevitabile goffaggine di Garrus.
Lui rimase serio, fissandola con una strana espressione di incertezza.
- Non vorrei sembrare razzista, Shep, ma c’è la forma e c’è la sostanza. Ho idea che voi umani privilegiate la forma, la gioia di vivere emozioni intense - affermò con disappunto - Non è questa la nostra filosofia. Non potrei mai adattarmi. In questo momento ti sto chiedendo una promessa da turian, anche se sarebbe idiota da parte mia chiedertelo eseguendo un rituale che per te avrebbe lo stesso senso che avrebbe per me il regalo di un anello.
- Se fossi una turian come me lo avresti chiesto? - gli domandò incuriosita.
- Pensavo lo sapessi... - rispose fissandola sorpreso - Avrei appoggiato la mia fronte contro la tua e ti avrei fissato negli occhi. E’ quello il modo per dirsi cose importanti.

- Shep... io dubito che tu possa capire - considerò il turian guardandola con la testa leggermente inclinata e un’espressione perplessa, aspettando pazientemente che lei smettesse di ridere per essersi resa finalmente conto del significato di quella leggera testata che si erano scambiati tanti mesi prima nella sua cabina, poco prima di varcare il portale Omega 4.
- Però potremmo fare almeno un tentativo, no? - rispose alla fine, senza riuscire a smettere di ridere, fino a quando lo vide scattare in piedi emettendo una specie di grido soffocato.
- Un... tentativo... - ripeté Garrus, con un tono che metteva chiaramente in luce come quella risposta fosse del tutto inammissibile.
- Era una risposta impropria, suppongo - comprese facilmente, fissando l’espressione sconvolta del suo viso.
- E’ una risposta che chiarisce inequivocabilmente come io non abbia capito assolutamente voi umani e come non sia riuscito a spiegarti nulla di noi turian - rispose lui con un’espressione talmente depressa e amareggiata che lei rabbrividì involontariamente.
- Mi spiace - si scusò, allungando una mano per stringere quella di Garrus, ancora in piedi a un passo da lei. Lui si ritrasse di colpo lanciandole uno sguardo irato, prima di confessare un identico - Mi spiace - che lei attribuì al pentimento per quella sua reazione involontaria.

Lo fissò senza sapere cosa dire. Non aveva voluto ferirlo, ma lo aveva fatto. Si prese qualche istante per riflettere e pensò che lui stava facendo lo stesso. Lo osservò voltarle le spalle e mettersi a fissare l’orizzonte lontano. Fissò le sue mani che si appoggiavano sul piccolo parapetto di metallo per poi stringerlo con tutta la forza che aveva nelle dita. Solo a quel punto si decise ad alzarsi dalla sedia per andargli vicino, appoggiando anche lei le mani sulla ringhiera.
- E’ lì che mi hai portato a sparare alle bottiglie - gli disse poi, indicando un punto lontano con l’indice della mano destra.
- Shep... - cominciò a dire Garrus sussurrando appena, dopo aver passato qualche minuto a riflettere - mi sono appena reso conto di essermi irritato con te perché sei un’umana e perché ti comporti come tale.
- Devi trovarti una turian, ho capito... - rispose cercando di restare quieta, mentre sentiva che tutti quei discorsi la stavano agitando troppo, contro tutte le raccomandazioni mediche ricevute.
- Dovrei, suppongo - ammise lui con un sorriso tirato - Non sarà tanto facile.
Rimase a fissare il nulla ancora per un po’ e poi spiegò - Molti di noi non si sposano e continuano a godersi la vita allegramente. E’ difficile trovare qualcuno che spinga un turian a fare questo passo. Io non avevo mai trovato nessuno, non ci avevo neppure mai pensato prima di conoscerti. Non credo che incontrerò nessun’altra... - le confessò stancamente - Mi fai sentire uno stupido a chiarire qualcosa che per noi è ovvio... - concluse appoggiando la fronte contro le mani aperte per qualche istante, prima di tornare a stringere la ringhiera fra le dita, osservando l’orizzonte con uno sguardo triste.

Gli si avvicinò e provò a posare la sua mano destra sulla sinistra di lui che questa volta non si scansò, ma neppure si girò a guardarla.
- E se ti chiedessi io di sposarmi, avvertendoti però che ci stiamo per infilare in un mare di guai?
- Non si gioca su queste cose, umana - gli rispose lui girandosi finalmente verso di lei, ma fissandola con uno sguardo colmo di rimprovero.
- Non sto giocando, turian. Ti sto lanciando una sfida leggermente più impegnativa dell’ultima che abbiamo appena combattuto...
Poi aggiunse - Se non te la senti, puoi rimanere immobile sul portellone aperto della Normandy invece di...
- Spiriti, Shepard! - la interruppe il turian, visibilmente irritato - ma che razza di modo è questo? Chiedi così a qualcuno di sposarti?
- Non so, non l’ho mai chiesto a nessuno prima d’ora... - rispose, sentendo che il suo viso aveva assunto la tinta dei suoi cortissimi capelli.
- Lo spero bene! - esplose lui, agghiacciato al solo pensiero.

Passò un secondo di mutismo reciproco, prima che si guardassero con espressione incerta. Lei si accorse che non sarebbe riuscita a rimanere seria e studiò il viso di Garrus. Le bastarono pochi secondi per capire che condividevano le stesse emozioni. Fece in tempo a fargli una smorfia, prima che entrambi scoppiassero a ridere. Fu lei la prima a smettere, ammettendo di non sentirsi bene - Riaccompagnami in ospedale, per favore.
Garrus la prese in braccio - Sono stato un idiota. Non era il caso di farti questo discorso ora, ma ho avuto paura di non riuscire a trovare un’altra giornata libera prima che uscissi dall’ospedale - si scusò, facendole poggiare il capo sulla spalla.
- Beh, sarebbe stato un bel modo di morire - ridacchiò lei.
- Non pensarci neppure. Sei già morta a sufficienza.




Note
Capitolo rivisto alla luce dei suggerimenti ricevuti e in base alla segnalazione di veri e propri errori che avevo commesso. Un grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno voluto aiutare. Non vi ringrazio citando ogni nome perché sono certa che dimenticherei qualcuno e non me lo potrei davvero perdonare.
Ogni recensione e ogni messaggio che mi avete scritto è stato però accuratamente letto e, dove possibile, ne ho tenuto conto. So di non essere riuscita a correggere tutto, ma questa versione aggiornata sarà per lo meno migliore della precedente. Per alcune obiezioni dovrei buttare all’aria tutta questa storia... ammetto di non averlo voluto fare.
Un abbraccio collettivo, ma sincero e pieno di gratitudine.

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Capitolo 2
*** La materia oscura ***


Premessa
Non sono un’esperta di fisica, né di fenomeni astronomici. Tutto quello che troverete scritto riguardo alla materia oscura e, nel capitolo successivo, all’energia oscura, ho dovuto studiarlo.
Mi è stata mossa l’obiezione che Shepard, avendo partecipato al programma N7, debba conoscere perfettamente questi argomenti. Obiezione accolta. Ecco una versione più accettabile (almeno spero) di questo capitolo.



LA MATERIA OSCURA


The Shape of Things to Come
(un grazie a Johnee che mi ha fatto scoprire questa splendida serie di cui, da ora in poi, troverete brani sparsi qua e là)



13 settembre
Il tempo continuava a trascorrere con lentezza esasperante per Shepard che, al contrario di quasi tutta la galassia, indaffarata in mille frenetiche attività diverse, doveva solo aspettare pazientemente e subire noiosi accertamenti che sembrava non finissero mai.
Oltre ai checkup del personale ospedaliero, veniva sottoposta a numerosi esami da parte della Chakwas, irrequieta all’idea che il suo comandante fosse la cavia su cui venivano testati quei nuovi impianti, ormai universalmente definiti di nuova generazione, che si basavano su tecnologia aliena. L’aveva pregata di riferirle qualsiasi stranezza o cambiamento, per quanto minuscolo o irrilevante potesse sembrarle, e solo due giorni prima Shepard si era confidata con lei, arrossendo visibilmente mentre cercava di spiegare in dettaglio una variazione che l’aveva sorpresa.
- Vuoi dire che, prima che ti cambiassero gli impianti, il tuo senso del gusto coglieva una sorta di sapore amarognolo nella saliva di un turian? - le aveva chiesto interessata.
- Credo che dovresti scrivere dei versi, dottoressa - aveva risposto lei, mentre il suo colorito pallido, spruzzato di lentiggini, virava in un rosso deciso - il tuo linguaggio poetico mi ha colpito nel profondo del cuore - aveva aggiunto imbarazzata - E comunque non vado in giro a baciare ogni turian a portata di labbra - aveva precisato in tono seccato e risentito.
- Non arrabbiarti, comandante - aveva riso la dottoressa - e spiegami meglio questa novità.
- Adesso non sento più alcun sapore.
- Ne sei sicura? Intendo... sei certa che sia l’unico cambiamento nel tuo senso del gusto?
- Sì. E bada... non risponderò ad altre domande. La tua espressione divertita mi fa capire che non è solo l’interesse professionale a stimolare la tua curiosità - aveva tagliato corto, decisa a riappropriarsi della sua dignità di comandante della migliore fregata dell’Alleanza.

Quella mattina Shepard si sentiva di un umore migliore del solito: mancavano solo una manciata di giorni alla sua dimissione dall’ospedale e cominciava a pensare a cosa le sarebbe piaciuto fare non appena avesse riacquistato la sua preziosa libertà.
Stava aspettando che le portassero la colazione ma, invece di una delle solite infermiere, il portavivande le venne portato dalla Chakwas.
- Non ho idea di che sapore abbia questa roba, comandante - la avvertì, poggiando il vassoio sul tavolino a fianco del letto - Potrebbe essere disgustosa, per quello che ne so.
- Come inizio di giornata, non c’è male - rispose, fissando le strane forme e tinte che ingombravano un paio di tazze e quattro piattini - E’ almeno commestibile?
- Lo è per quarian e turian e, forse, per te...
- Forse?
- E’ cibo basato su destro-aminoacidi.
- Non capisco...
- Nessuno di noi ha riflettuto sul fatto che questi nuovi impianti, basati sulla tecnologia dei Razziatori, sono stati implementati da tecnici quarian. Ritengo possibile che con questi impianti adesso tu sia in grado di assimilare qualsiasi tipo di aminoacido, levo o destro che sia.
- Devo provare a mangiare questa roba, quindi? - chiese incerta, poco attirata dall’aspetto alieno di quel cibo.
- Mi sentirei più tranquilla se la assaggiassi appena, anche se sono pronta ad affrontare eventuali reazioni allergiche - chiarì la dottoressa, tirando fuori dalla valigetta varie confezioni di medicinali diversi, un paio di siringhe e un bicchiere che riempì di acqua. Poi le attaccò un apparecchio di aspetto insolito al braccio e ci collegò un filo che terminava con un lettore che sistemò sul materasso.
- Non c’è un altro sistema? - insistette lei prendendo tempo, ben poco propensa a correre il rischio di uno shock anafilattico di prima mattina.
- Gli altri metodi sarebbero decisamente meno gradevoli - rise la dottoressa e Shepard si arrese immediatamente, rinunciando a conoscere nei dettagli i sistemi alternativi che potevano essere presi in esame in quella circostanza.

Metallo amaro. Tutto quello che assaggiò aveva un sottofondo metallico e un gusto amarognolo. Non era eccessivamente sgradevole come retrogusto, ma alla lunga risultava irritante. Il liquido della prima tazza era dolciastro e denso, piuttosto disgustoso, e lei si limitò a bagnarci appena le labbra, il secondo era salato e abbastanza gradevole, ma un liquido salato di prima mattina non poteva sostenere il confronto con la sua solita tazza di caffè amaro.
- L’hai scelta per il colore questa roba? - chiese alla Chakwas che la fissava divertita. La dottoressa si era seduta sulla sedia a fianco del letto e, se pure non perdeva di vista le letture dei valori delle condizioni fisiche di Shepard, non nascondeva affatto il divertimento che provava nel fissare le espressioni mutevoli del viso del comandante, che storceva il naso, strizzava gli occhi e faceva smorfie di disgusto o di sorpresa con le labbra.
- Anche - ammise la dottoressa - Non sapevo a chi chiedere consiglio. In cucina c’erano solo un’umana, un’asari e un paio di salarian.
- Purè verde. Una pappetta verdastra a colazione - commentò lei disgustata, prendendone una minuscola porzione con un cucchiaino.
- Uhm, rassomiglia a un purè di fave - decretò, dopo averlo assaporato a lungo sulla lingua - provo a mangiare questo. E’ quasi accettabile...

- E così adesso sai che potresti far colazione con il cibo di Garrus - dichiarò la dottoressa, dopo che gli strumenti confermarono l’assimilazione dei principi nutritivi da parte dell’organismo del comandante, senza che si fosse presentato il minimo disturbo.
- Io, però, continuerò a prendere il mio solito caffè - replicò lei, scansando il vassoio con aria disgustata e alzandosi dal letto per andare in bagno a lavarsi i denti e liberarsi da quel sapore strano che le perdurava in bocca.
Stava ancora finendo di prepararsi, mentre la sua mente si soffermava con insistenza sul miraggio di un buon vecchio caffè amaro che le era stato momentaneamente vietato dalla dottoressa Per favore, non mischiare levo e destro aminoacidi, quando venne invitata nell’ufficio del primario del reparto, che le fece leggere un messaggio di due scienziati che le richiedevano un incontro nel pomeriggio di quello stesso giorno, per esporle un caso che pensavano l’avrebbe interessata.
I pochi dettagli presenti nella richiesta facevano riferimento ad una spedizione di ricerca in un sistema dello spazio Geth-Quarian e menzionavano genericamente avvenimenti di cui i due scriventi erano stati testimoni involontari. Seguiva la dichiarazione della loro preoccupazione, causata da letture fortemente anomale registrate dalle loro apparecchiature sofisticate, le cui cause restavano ancora sconosciute.
Pur rendendosi conto della stranezza della richiesta, dato che apparentemente il comandante non sembrava essere la persona più adatta per occuparsi della questione, le chiedevano la cortesia di riceverli ugualmente.
Spinta dalla curiosità e dal sollievo di potersi sottrarre alla tediosa routine ospedaliera, Shepard diede loro appuntamento nel primo pomeriggio.



I Want to Believe



- Mae'ells Vasan, medico-tecnologo - si presentò un salarian di sesso maschile, non appena si furono stretti la mano nel piccolo atrio del reparto in cui era confinato il comandante.
- Io e Da’ana Nyxasia, fisica specializzata in cosmologia, siamo unici sopravvissuti a spedizione scientifica in sistema Dholen. Fatto rapporto a autorità, ma ricevuto solo assicurazioni vaghe.
- Comandante - aggiunse la asari, intervenendo nel discorso - noi crediamo di aver rilevato la presenza di un serio pericolo e speriamo che lei sia disposta ad ascoltarci. Le vorrei anticipare che si tratta di irregolarità riscontrate nei flussi di energia oscura. Sappiamo che lei se ne occupò in qualche modo pochi anni fa, nel corso di un’operazione di salvataggio su Haestrom. Per questo motivo riteniamo che possa darci ascolto, nonostante le autorità sembrino moderatamente interessate a questo argomento. Abbiamo più domande che risposte, ma vorremmo lo stesso sottoporre alla sua attenzione il materiale raccolto.
- D’accordo. Credo che potremo parlare più comodamente nella mia stanza, se potete accontentarvi: non mi lasciano uscire facilmente dall’ospedale - rispose lei scusandosi.
- Andrà benissimo, non si preoccupi - la rassicurarono i due scienziati, visibilmente sollevati di aver ottenuto la possibilità di raccontare le loro avventure a qualcuno che dimostrasse un certo interesse.

Mentre si avviavano verso la sua camera, Shepard si trovò a ricordare la missione su Haestrom effettuata un paio di anni prima, quella durante la quale aveva aiutato Tali a sfuggire dall’assedio di truppe Geth.
Il combattimento svoltosi su quel pianeta era stato complicato dalle forti radiazioni emesse dalla stella, che mettevano rapidamente fuori uso gli scudi delle armature. Ricordava che il problema era stato attribuito all’invecchiamento precoce e inspiegabile di Dholen e alla forte presenza di campi di energia oscura ma, a parte questo, non aveva altre nozioni che potessero esserle utili per sostenere un dialogo con due scienziati.
Provò a contattare Tali, ma la quarian era impegnata con alcuni importanti aggiornamenti dei sistemi di navigazione della Normandy.
Il comandante stesso le ordinò di dedicarsi completamente a quel compito non appena Joker l’avvertì che i nuovi potenziamenti resisi disponibili erano un’applicazione della tecnologia dei Razziatori. “Quel dannato tecnico quarian aveva ragione: mi ritroverò ad utilizzare tecnologia dei miei nemici senza neppure rendermene conto” pensò con un certo sconforto e con un leggero senso di disgusto.
- Vedete di non combinare casino, voi due - si raccomandò con un tono vagamente scherzoso che però non riusciva a celare la sua preoccupazione.
- Stai tranquilla, comandante - rispose Joker, sapendo che sarebbe stata un’esortazione completamente inutile. Nessuno di loro riusciva a dimenticare le conseguenze subite quando avevano provato a integrare il sistema di riconoscimento dei Razziatori nel sistema della Normandy.
- Ehi, aspetta - aggiunse il pilota - Mi sembra di aver appena visto Liara sulla banchina d’attracco. Vuoi che le chieda di venire lì?
- Sì, grazie - rispose lei, prima di fare un respiro profondo, decidendo di smettere di pensare a quella nave che, tra l’altro, nessuno le aveva ancora riassegnato. Sarebbe dovuta andare a parlare con qualcuno, una volta uscita da quel dannato ospedale.

- Vi prego di scusare una breve attesa, ma mi farebbe piacere se qualcun’altro del mio equipaggio ci raggiungesse - spiegò ai due scienziati ancora in piedi al centro della camera - Vi prego di accomodarvi - li invitò, sedendosi lei stessa.
- Non si preoccupi, comandante - rispose la asari sorridendo - E’ un vero onore poterle parlare di persona.
- E dal poco che sappiamo su lei, siamo certi si stia annoiando a morte dentro ospedale - aggiunse il salarian, con una voce che esprimeva un certo divertimento.
- E’ assolutamente vero, ma vi prego di essere meno formali - replicò Shepard - così mi sentirò meno in imbarazzo se dovessi interrompervi con domande che dimostreranno la mia ignoranza.

Non appena Liara li raggiunse, la scienziata asari cominciò ad esporre la questione - Hai parlato di energia oscura, Shepard, ed in effetti il problema che abbiamo riscontrato è nei flussi di quell’energia nel sistema di Dholen. Tuttavia abbiamo bisogno di sapere se conoscete la materia oscura, perché i due argomenti sono strettamente correlati.
- Io ne so davvero poco, mi spiace - ammise sinceramente Liara.
- E a me un ripasso non farà certo male - commentò il comandante a sua volta.
- La materia oscura è stata scoperta in epoca relativamente recente, perché è praticamente invisibile. In realtà la sua esistenza può essere tuttora dimostrata solo in modo indiretto - cominciò a spiegare Da’ana.
- Vi renderete conto quanto complicato sia provare esistenza di qualcosa che non si vede, anche se presente in ogni luogo - aggiunse il salarian, mentre il comandante rimuginava su quanto aveva penato a dimostrare al Consiglio l’esistenza di Razziatori ben visibili, alti quasi due chilometri...
- Le particelle di materia oscura non emettono luce e non ne assorbono - continuò la scienziata - Non c’è praticamente alcuna interazione fra materia oscura e materia ordinaria, ossia la materia comune che compone noi stessi e tutto ciò che possiamo osservare: pianeti, stelle, nebulose e galassie.
- Eppure, per ogni secondo che noi stiamo qui a parlare, miliardi di queste particelle stanno attraversando la Cittadella - spiegò Da’ana - passano attraverso qualunque cosa incontrino e hanno un peso così enorme da essere capaci di influenzare le galassie, il modo in cui si formano e perfino la loro velocità di rotazione.

- Sembra incredibile - commentò Liara, alzando istintivamente gli occhi verso il soffitto.
- Se potessi accumulare materia oscura su palmo di mano, sentiresti solo peso, senza vederla. Ti attraverserebbe carne e ossa, senza lasciare traccia - cercò di spiegare Mae’ells, che poi aggiunse - E’ sostanza pesante, non si muove rapidamente, non può essere vista e non interagisce con nulla: attraversa corpi celesti senza collidere. E’ tutto chiaro?
Shepard e Liara annuirono, poi la asari chiese - Ma la sua presenza è stata comunque provata, giusto?
- Sì - rispose prontamente Da’ana - Le sue particelle invisibili sono state osservate indirettamente. I primi progressi in questo senso sono stati raggiunti quando si capì che l’universo si estendeva molto oltre la Via Lattea e che esistevano altre galassie, simili alla nostra. Tutte le civiltà che si sono occupate di studiare la materia oscura hanno seguito questa identica strada per giungere alle medesime conclusioni sulla sua esistenza: le Asari per prime, poi i Salarian, i Quarian e, infine, gli Umani.
- Per tutte queste razze la dimostrazione si è basata su studi effettuati sugli ammassi di galassie. Le galassie, infatti, non sono sparse in modo casuale nell’universo, ma tendono a raggrupparsi. Una volta individuati questi ammassi, ne è stata calcolata la massa misurando i movimenti che si registrano al loro interno. La massa stimata con questo procedimento di calcolo è stata poi messa a confronto con la massa misurata sulla base della luminosità emessa da quelle medesime galassie.
- E i conti non sono tornati - affermò Shepard, rispolverando le nozioni che aveva assimilato nel programma N7 e venendo immediatamente gratificata da un grande sorriso di approvazione da parte di entrambi gli scienziati.
- Esattamente. Si rilevò che le galassie degli ammassi si muovevano troppo rapidamente rispetto alla massa calcolata in base alla luminosità. Stando ai calcoli, la massa avrebbe dovuto essere superiore di oltre centocinquanta volte per spiegare quella velocità. Quindi qualcosa stava influenzando il movimento delle galassie degli ammassi - chiarì Da’ana.
- In altri termini - aggiunse il salarian - ammassi non stabili senza presenza di grande quantità di materia oscura, ossia di massa invisibile con attrazione gravitazionale, in grado di influenzare velocità di intere galassie contenute in ammassi.

- Aspettate un attimo - li fermò Liara - Avete affermato che la materia oscura non interagisce con la materia ordinaria, ma adesso state parlando di variazioni della forza di gravità. Quindi esiste una qualche interazione. O non ho capito nulla finora?
- Hai capito perfettamente. Qui sta il punto - osservò Shepard annuendo - Hai individuato la chiave che ha consentito di provare l’esistenza della materia oscura. Semplicemente perché deve esserci o nessuno dei calcoli fatti potrebbe tornare. La materia oscura interagisce con la materia ordinaria solo attraverso la gravità.
- Credo di cominciare a capire qualcosa - osservò Liara, mentre Shepard proponeva - Vi va di fare due passi fino al bar qui vicino? Se mi accompagnate credo che mi facciano uscire, almeno per pochi minuti...
- Certamente, comandante - rispose Mae’ells, porgendole il braccio.
- E quando ordinerò una bevanda alcolica mi vedrete piangere di gioia, probabilmente - aggiunse lei ridendo e appoggiandosi al braccio che le era stato teso - Vivo da reclusa condannata in stato di sobrietà assoluta da più di un mese ormai.

Strada facendo i tre continuarono a chiacchierare sull’argomento.
- Una volta accertata esistenza di materia invisibile, ulteriori passi avanti compiuti basandosi su concetti di massa e attrazione gravitazionale - continuò a raccontare il salarian - Massa di corpo celeste può essere valutata da attrazione che esercita su corpi vicini. Più stella ha massa, più rapidamente i pianeti che girano attorno devono muoversi, per rimanere in orbita.
- Come in qualunque sistema stellare, anche galassie si attraggono al loro interno, secondo schema definito. Saprai che, in sistema solare, pianeta più vicino a stella ruota più velocemente di uno lontano - aggiunse ancora - Stessa cosa per galassia: ci si aspetta man mano ti allontani da centro, corpi celesti orbitano più lentamente. Ma non accade: velocità di polveri e gas in orbita resta costante, a prescindere da massa.
- E perché questo sia possibile - chiarì la asari - la velocità delle parti esterne della galassia deve implicare molta più massa di quella attribuibile alla materia visibile o la galassia si dissolverebbe.
- Volete dire che è la materia oscura a tenere insieme le galassie? E che, se mancasse, le galassie si disintegrerebbero con il passare del tempo? - chiese Liara, incerta di aver compreso il senso di quella lunga chiacchierata.
- E’ esatto! - le rispose Shepard con entusiasmo anche eccessivo, a causa della birra che aveva bevuto quasi tutta d’un fiato. Le era davvero mancato un po’ di alcool, ma dubitava che Garrus glielo avrebbe procurato se anche glielo avesse chiesto. Quasi quasi avrebbe avuto più speranze con la Chakwas, soprattutto se le avesse proposto un brindisi a base di brandy Serrice Ice.
- E c’è anche di più - aggiunse Da’ana - dalle stime effettuate risulta che la quantità di materia oscura necessaria per tenere insieme una galassia sia molto maggiore della materia ordinaria e luminosa.
- E’ sconcertante, visto che stiamo parlando di una cosa che non si vede... - osservò Liara, piuttosto meravigliata, mentre guardava con occhi nuovi il paesaggio che si godeva dalla terrazza antistante il bar, provando a immaginare migliaia di minuscoli corpi che attraversavano indisturbati lo spazio, gli edifici e le persone, senza che niente o nessuno potesse rilevarne la presenza.

- Dimostrazione esistenza di materia oscura provata anche in altro modo indiretto, mediante deviazione di luce che la attraversa. Questa deviazione comune a tutta materia, sia ordinaria sia oscura, è chiamata lensing gravitazionale - aggiunse il salarian, mentre si alzava per andare a pagare il conto, respingendo con fermezza il tentativo del comandante di offrire le consumazioni.
- Con questo fenomeno è stato possibile determinare la quantità di materia oscura presente nell’universo e anche la sua distribuzione e posizione nel cielo - spiegò la asari, che aveva appoggiato la propria mano su quella di Shepard, per dissuaderla ad alzarsi - Si sono ottenute vere e proprie mappe della materia oscura e si è scoperto che compone gran parte della massa della nostra galassia e, sicuramente, di tutte le altre galassie.
A questo punto Da’ana porse al comandante un datapad con la rappresentazione della distribuzione della materia oscura nel cosmo.


- Aspetta un attimo. Non capisco. Cosa vuol dire che la luce viene deviata dalla materia? - chiese Liara bloccandosi, mentre il piccolo gruppo si stava dirigendo nuovamente verso l’ospedale.
- Hai ragione. Dato per scontato concetto non chiaro. Come esempio semplice ti ricordo cosa succede a raggio di luce quando attraversa vetro... - provò a suggerire Mae’ells.
- Viene deviato: questo l’ho imparato a scuola... Però non capisco ancora - ammise Liara.
- Lensing gravitazionale basato su principio indiscusso: gravità influenza ogni cosa, è influenzata da ogni cosa e fa sentire effetti anche su luce - continuò il salarian, fermandosi un istante, per raccogliere le idee e cercare di esprimere quel concetto in parole semplici.
- In base a questo principio, quando la luce attraversa la materia oscura si piega come quando attraversa il vetro: la luce non discrimina fra materia oscura e ordinaria - chiarì Shepard.

- Sì, credo di capire adesso - osservò Liara, anche se si sentiva leggermente confusa da tutte quelle informazioni.
- Mediante il lensing gravitazionale sono state rilevate migliaia di fonti di luce mentre attraversano la materia oscura e in questo modo abbiamo ottenuto l’immagine della sua posizione nello spazio - continuò Da’ana - Ma dal confronto fra la mappa della materia oscura e la mappa delle galassie si nota come la prima costituisca un’ossatura attorno alla quale la materia ordinaria si aggrega.
- Materia ordinaria tende ad accumularsi in campo gravitazionale di materia oscura - chiarì il salarian, nel tentativo di sottolineare l’importanza di quella scoperta - Senza essa, galassie avrebbero fatto fatica a formarsi.

- Ma la materia oscura quando è nata? Insieme alla materia ordinaria? - chiese Liara, mentre entravano nell’atrio dell’ospedale.
- Si è creata in momento di Big Bang - rispose Mae’ells - In istante fra nulla e esplosione viene creato spazio e da questo seme inizia a germogliare universo. Fusione nucleare di gas ed energia va a formare particelle. Materia ordinaria reagisce con altra materia ordinaria.
- Dopo un minuto di vita, universo come reattore nucleare; solo centinaia di migliaia di anni dopo gruppi di particelle cominciarono ad aggregarsi, creando semi da cui, più tardi, si sarebbero formate stelle e galassie, grazie a gravità che aggregava piccoli ammassi in ammassi di dimensioni via via maggiori - concluse il salarian.
- E la materia oscura gioca un ruolo cruciale per aiutare la materia ordinaria ad aggregarsi, formando stelle e pianeti - aggiunse la asari - Le particelle di materia oscura agiscono come un’intelaiatura su cui la materia ordinaria può unirsi: creano una sorta di rete cosmica, una ragnatela composta da filamenti che si intersecano come una vera e propria impalcatura che sostiene le galassie.
- In realtà lo spazio è costituito da un grande alone che non vediamo. Distinguiamo solo le parti più brillanti: le stelle e i pianeti che si sono accumulati al centro di questo ammasso di materia oscura - concluse Shepard, mentre Liara annuiva, sicura di aver compreso l’importanza fondamentale di quella materia invisibile per l’esistenza stessa della vita.

- Comandante - chiamò poi Mae’ells, inducendola a girarsi verso di lui - vorrei aggiungere poco altro per completare argomento, ma vorremmo continuare domani, in orario che preferisci, per spiegare energia oscura. E manca ancora racconto su cosa abbiamo rilevato durante spedizione scientifica.
Shepard annuì sorridendo, rendendosi conto con sorpresa di essersi completamente dimenticata lo scopo della visita di quei due scienziati.
- Confrontando universo di oggi con passato, in cui aveva metà di dimensioni attuali, e metà di metà - continuò il salarian - è stato possibile determinare quantità totale di materia creata in Big Bang, anche oscura.
- Secondo i calcoli effettuati da diversi scienziati - precisò Da’ana - la percentuale di materia oscura presente nell’universo varia fra il 20% ed il 26% circa, mentre quella ordinaria costituisce appena il 4%. La parte restante che, a seconda delle valutazioni, oscilla fra il 70% e il 76%, è una forma di energia repulsiva, che allontana le galassie fra di loro - concluse con un sorriso leggermente divertito, spiando l’espressione del comandante.
- L’energia oscura... - sussurrò Liara - oltre il 70% dell’universo sarebbe costituito da energia oscura? - chiese poi, ormai rassegnata ad ascoltare dati apparentemente assurdi con tranquillità arrendevole.
I due scienziati si scambiarono un’occhiata e risero divertiti, prima di stringere la mano a lei e al comandante, ripetendo ancora una volta quanto fossero stati felici di poter fare la loro conoscenza.

Dopo aver accompagnato il salarian e le due asari fino alla porta del reparto, Shepard provò a mettersi in contatto con Garrus, per raccontargli, almeno per sommi capi, quello strano incontro e la bizzarra costituzione dell’universo in cui vivevano. "Lo sai che noi vediamo solo il 4% dell'universo?" aveva avuto intenzione di chiedergli, ma il turian non le lasciò modo di porgli quell'interrogativo.
- Stai bene? - fu la prima domanda che le fu rivolta.
- Sì, sì. Volevo parlarti di due scienziati che mi hanno fatto visita oggi pomeriggio e di tutte le cose folli che mi hanno raccontato. Torneranno anche dom...
- Uhm, ti dispiace se rimandiamo? Sono sommerso da impegni improrogabili - si scusò lui, interrompendola. Poi però le fece la domanda - Quando ti dimettono?
- Non lo so. Fra poco, spero...
- Torno a occuparmi delle mie faccende urgenti. Ancora più urgenti, ora... visto che potresti uscire presto... - fu la frase misteriosa con cui Garrus chiuse la comunicazione, lasciandola a chiedersi cosa diavolo stesse combinando quel suo turian fuori di testa.



Note
A parte gli ovvi elementi narrativi, per inserire l'argomento nel mondo di Mass Effect, tutto ciò che ho scritto sulla materia oscura è vero o, meglio, è ritenuto vero dagli scienziati dei nostri tempi. Spero di averla descritta in modo chiaro anche per chi non la conosceva bene o, addirittura, non ne aveva mai sentito parlare prima (come me, per esempio).

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Capitolo 3
*** L'energia oscura ***


Premessa
Anche questo capitolo è stato rivisto alla luce di quanto mi è stato fatto notare


L’ENERGIA OSCURA


Time


14 settembre
Appena sveglia Shepard ricordò che quella mattina sarebbero tornati i due scienziati per parlarle dell’energia oscura e delle osservazioni che avevano ottenuto durante la spedizione a cui avevano partecipato nel sistema di Dholen. Questa volta sarebbe stata sola, perché Tali era ancora indaffarata sulla Normandy e Liara aveva promesso di accompagnare Javik ad un appuntamento, che non erano riusciti a rimandare, con alcuni scienziati interessati alla cultura Prothean.
Una volta finito di prepararsi e dopo aver fatto colazione, guardò l’orologio e, rendendosi conto che mancava oltre un’ora all’appuntamento, decise che avrebbe potuto fare un po’ di attività fisica nella palestra usata per la riabilitazione dei feriti che avevano subito traumi ossei o alle articolazioni, sicura che non sarebbe stata una buona idea provare a chiamare Garrus per trascorrere piacevolmente un po’ di tempo in una conversazione tranquilla.
Ormai capitava abbastanza spesso che le sue chiamate non ricevessero risposta e la urtava dover constatare che, quando il turian si degnava di rispondere, si limitasse a emettere monosillabi e la liquidasse gentilmente, ma fermamente, nel più breve tempo possibile. In più manteneva strenuamente il più stretto segreto su qualsiasi sua attività.
Alla fine si era rassegnata, capendo quanto dovesse essere gravato dagli impegni di cui un Primarca doveva caricarsi, specie nei mesi successivi ad una guerra di quella portata: doveva gettare le basi per la ricostruzione e riorganizzazione della civiltà di tutto un popolo e immaginava che si sentisse un po’ smarrito di fronte a quei compiti tanto nuovi per un soldato come lui.
In realtà era tutta la galassia a essere freneticamente all’opera per ripristinare quanto era andato perso con la guerra e con la distruzione dei portali; solo lei non aveva nulla da fare, se non limitarsi ad aspettare il momento in cui sarebbe potuta uscire da quel maledetto ospedale dove era confinata da un tempo che le pareva eterno, tanto che i suoi vestiti non riuscivano più a perdere in alcun modo le inconfondibili esalazioni di disinfettante e di medicinali.

°°°°°

Dopo i brevi convenevoli di rito, la scienziata asari riprese il discorso dal punto in cui si erano interrotti la sera precedente, senza neppure aspettare che fossero tutti seduti su un divano nella piccola sala d’aspetto dell’ospedale.
- Come sai anche tu, oltre il 70% dell’universo è costituito da una forza repulsiva, detta energia oscura, che tende ad allontanare le galassie fra di loro. Sai anche che questa forza è l’antagonista diretta della materia oscura: la prima tende a dividere, la seconda ad aggregare, mediante la forza gravitazionale.
- Materia oscura ed energia oscura sono in lotta fra di loro dagli albori del tempo, fin dal momento del Big Bang - continuò Shepard - Per molto tempo si è pensato che, pur continuando a dilatarsi, l’universo avrebbe finito per rallentare la sua espansione o addirittura per collassare su se stesso, per effetto della forza gravitazionale. Invece, ricostruendo la storia della sua espansione, si è capito che l’universo non sta affatto rallentando, ma sta addirittura accelerando.
- Esattamente - intervenne Mae’ells - Energia oscura sta allontanando galassie, trascinandole via man mano che si crea nuovo spazio. Galassie si allontanano, ognuna da ogni altra, pur restando sempre uguali, senza modificarsi o espandersi.
- Si ritiene che anche l’energia oscura sia stata creata nel momento del Big Bang - intervenne nuovamente Da’ana - Ma nei primi nove miliardi di vita del cosmo, l’universo era così denso che le forze gravitazionali della materia oscura hanno tenuto sotto controllo l’energia oscura, rallentando l’accelerazione dello spazio. Tutto cambia cinque miliardi di anni fa, quando l’universo cresce talmente tanto che la materia oscura comincia a disperdersi e la sua forza gravitazionale non riesce più a contrastare l’energia oscura, che prende il sopravvento. E’ allora che l’universo comincia ad accelerare la sua espansione - aggiunse, mostrandole un’immagine che poteva chiarire cosa stava accadendo al cosmo.


- Ma non si è ancora stabilito se questo processo sia senso unico, e quindi inevitabile - chiarì Shepard - Quello che è certo, fino ad oggi, è che le galassie si stanno allontanando tutte dalla Via Lattea e, tanto più sono distanti, tanto maggiore è la velocità con cui se ne allontanano.
- Nessuno sa prevedere con certezza cosa accadrà nel futuro, ma la tesi più accreditata afferma che l’universo sia destinato a continuare ad espandersi sempre più rapidamente - concluse Da’ana annuendo.
- E’ solo questione di tempo, solo di tempo - notò il salarian, adottando un accento fatalistico che fece sorridere Shepard - Se qualcuno alzerà sguardo verso cielo notturno, fra trilioni di anni, vedrà solo nero senza fine, senza stelle - continuò Mae’ells sempre con la stessa intonazione - Energia oscura è energia del vuoto, del nulla. Crea universo in fuga. In futuro lontano, cosmo sarà disintegrato e temperature così basse che forme di vita moriranno congelate.

- Ma di certo non sarete venuti da me nella speranza che io possa scongiurare una catastrofe simile... - osservò Shepard, piuttosto divertita dall’espressione afflitta del salarian e da quella ipotesi assolutamente insensata.
- No, comandante - rise lui, abbandonando finalmente l’espressione sconsolata - per quanta stima possiamo avere in te, non possibile cambiare stato di cose. Quanto raccontato finora serve solo a spiegare perché siamo preoccupati per quanto rilevato in sistema di Dholen.

- Vi va di fare una passeggiata? - chiese Shepard, alzandosi di colpo dal divano - Potremmo parlare più comodamente in un posto meno avvilente di questa stanza, se siete d’accordo. Vorrei approfittare della vostra presenza per uscire da questo edificio in cui mi sento una reclusa.
- Senza dubbio, comandante - rispose il salarian, offrendole il braccio, così come aveva fatto il giorno prima - Venendo in ospedale ci eravamo chiesti se avresti gradito nuova visita in bar. Ci siamo fatti riservare tavolo.
- E’ una delle migliori proposte che mi sia capitato di ascoltare - rispose il comandante, appoggiando la mano sul braccio di Mae’ells.

- Nostra spedizione, composta da ventina di scienziati, aveva posto base su Gotha, minuscolo pianeta più vicino a Dholen - cominciò a raccontare il medico, dopo che ebbero fatto le ordinazioni - Prima stranezza rilevata fu insolita concentrazione di energia oscura in varie zone di sistema, in contrasto con sua distribuzione usuale, uniforme in tutto universo. In realtà durante prime rilevazioni abbiamo addirittura immaginato guasto di strumenti, perché concentrazioni di energia non sembravano stabili. A volte le rilevavamo in una zona e poi, dopo qualche minuto, oppure ore o magari giorno successivo, non esistevano più.
- Il comportamento di quell’energia e le sue strane caratteristiche spinsero uno dei luminari della nostra spedizione ad affermare che non si trattava della solita energia oscura che ormai tutti conoscevamo più o meno bene. Se l’affermazione fosse stata fatta da chiunque altro forse non l’avremmo presa tanto sul serio, ma quel salarian era noto in tutta la galassia per essere l’astrofisico più preparato e competente proprio su quell’argomento - aggiunse Da’ana.
- Prove a sostegno di sua tesi parsero subito inoppugnabili, anche se non sono studioso esperto di settore - intervenne nuovamente Mae’ells - tutti decidemmo concentrare indagini su energia diversa.
- Rilevammo parziali similarità, anche se probabilmente l’origine di quell’energia non ha nulla a che vedere con quella che già conoscevamo. Più tardi scoprii che poteva essere utilizzata per esercitare i poteri biotici. Ho avuto modo di fare esperienze in prima persona - continuò la asari che però si fermò un attimo indecisa, prima di aggiungere - Ma è bene che vada avanti con ordine o non ti farò capire nulla.

- Dopo alcune settimane di intense rilevazioni e simulazioni con computer, ci eravamo comunque convinti che livelli insolitamente alti di energia oscura in zone variabili di spazio circostante potessero essere correlati con decadimento di stella. Come sai, emissione di radiazioni solari ben oltre quelle giustificate da invecchiamento naturale di Dholen. Tuttavia, da confronto con caratteristiche di stella rilevate in tempi passati in base a studi quarian, eravamo certi ci fosse sorta di ‘ammanco’ in livelli di energia - aggiunse il salarian, mostrando a Shepard le registrazioni delle letture degli strumenti e le simulazioni fatte - Reazioni nucleari che avvengono in stella avrebbero dovuto causare quantità di energia molto maggiore di quanto rilevata e disavanzo non controbilanciato neppure da aumento di energia oscura registrato in settore.
- In parole povere - spiegò Da’ana, dopo aver notato l’espressione incerta di Shepard - significa che la fusione nucleare accelerata di Dholen è una fonte che dà origine a livelli di energia molto maggiori di quelli che abbiamo effettivamente rilevato. E neppure l’aumento dell’energia oscura poteva compensare questo ammanco. Era come se un’enorme quantità di energia sparisse letteralmente da quel sistema stellare.
- Questo pare impossibile - concluse il comandante, mentre passava i dati registrati dai due scienziati sul proprio factotum e restituiva il datapad al salarian - L’energia non può semplicemente scomparire. Al limite si può trasformare, ma non scomparire e basta.
- Esattamente. Siamo certi che una parte dell’energia mancante emessa da Dholen si fosse trasformata in energia oscura, ma in una percentuale irrisoria - continuò a riferire la asari - Tuttora non abbiamo idee chiare su dove finisca il resto. O meglio, adesso, a mente fredda, abbiamo concepito una possibile spiegazione, che però risulta piuttosto inquietante.

- Dato che non esiste alcuna spiegazione naturale a decadimento accelerato di Dholen, abbiamo provato a immaginare che esistesse qualcosa, o qualcuno, che stesse affrettando di proposito invecchiamento, forse proprio per impossessarsi di enorme quantità di energia prodotta da fusione nucleare - confessò Mae’ells, fissando in faccia Shepard per vedere come avrebbe reagito a quella ipotesi piuttosto singolare.
- Dobbiamo però ammettere che, in base a nostre rilevazioni ed esperimenti, non abbiamo idea di chi, o cosa, sia responsabile di precoce invecchiamento di stella; tuttavia resto di storia potrebbe confermare questi stravaganti sospetti - concluse il salarian, aspettando le reazioni del comandante, che però si limitò ad incitare i due scienziati a proseguire il loro racconto con un semplice cenno del capo.

- Un giorno io e Da’ana - continuò Mae’ells - decidemmo di effettuare ricognizione vicino Dholen, approfittando di passaggio di piccolo asteroide che avrebbe consentito a navetta di rimanere a riparo in cono d’ombra, in modo da evitare radiazioni dirette. Durante quella breve perlustrazione fummo raggiunti da SOS di base. Ci avvertirono di essere sotto attacco. All’inizio più voci raggiunsero nostro comunicatore a bordo, ma dopo pochi minuti rimase solo una.
- Era quella, distorta da paura, di biotico umano, che asseriva di non riuscire a individuare assalitori né a occhio nudo e neppure con strumenti. Poi si corresse e affermò di intravedere sagome indistinte - aggiunse il salarian, ancora evidentemente turbato dal ricordo - Gridò che tutti colleghi caduti in terra e che era certo di stessa sorte anche per lui. Asserì che scudi difensivi di stazione di ricerca erano stati distrutti, suoi scudi biotici abbattuti e poi, all’improvviso, lanciò urla di dolore che non riusciremo più a dimenticare...
- Subito dopo la trasmissione si interruppe - concluse Da’ana, poggiando la sua mano sulla spalla di Mae’ells in un gesto di conforto.

Dopo una breve pausa fu la asari a continuare - Quando tornammo sulla superficie del pianeta, atterrando a una distanza notevole dalla base, ci avviammo con molta cautela verso il campo distrutto e studiammo a lungo i segni di quella battaglia, senza trovare alcuna traccia dell’aggressore: tutti i corpi senza vita appartenevano alla nostra squadra e tutti i detriti provenivano dalla base e dal nostro equipaggiamento. Del nemico, se era stato davvero un nemico a distruggere la base, non rimaneva alcuna traccia.
A questo punto i due scienziati passarono al comandante il materiale fotografico raccolto subito dopo l’attacco, lasciandole il tempo di osservare le immagini.
- Io mi meravigliai di nave spaziale integra, nonostante a poca distanza da base - aggiunse il salarian - e pensai fosse stata risparmiata perché tutte apparecchiature di bordo spente. Forse nemico invisibile incontrava stesse nostre difficoltà di individuare noi e forse nostra rilevazione facilitata da energia emessa da strumenti in base.
- Quella strana teoria di Mae’ells mi sembrò accettabile quando toccai il corpo di uno dei nostri compagni nella speranza che fosse solo ferito: era gelido, come se fosse morto molte ore prima - aggiunse Da’ana - Ripetei l’esame su ognuno dei nostri colleghi uccisi, ottenendo ogni volta il medesimo risultato.
- Anche apparecchiature erano morte - aggiunse Mae’ells - Pensai che nemico avesse succhiato via tutta energia come, forse, succhiava energia di stella.
A questo punto i due scienziati tacquero, rimanendo in silenzio a fissare il comandante per essere certi di essere riusciti a trasmettere le sensazioni di paura e di disagio che avevano provato entrambi durante quegli accertamenti.

Shepard si limitò ad annuire lentamente, aspettando il resto del racconto.
- Ci appassionammo a teoria di assorbimento energia che, pur sembrando insensata, offriva possibilità di spiegare sia ammanco di energia prodotta da fusione nucleare di Dholen, sia morte di colleghi - continuò Mae’ells, sollevato al pensiero che Shepard fosse ancora disposta ad ascoltarli - Decidemmo di rimanere ancora su Gotha e costruimmo altra piccola base di fortuna ad una certa distanza da nave spaziale, per continuare ricerche.
- Restrinsi i miei studi all’energia derivante dalla fusione nucleare e a quella oscura - precisò la asari - e volli verificare se i miei poteri biotici risentissero della sua concentrazione insolitamente elevata, anche se era diversa da quella che usavo abitualmente. I risultati che ottenni furono sorprendenti e mi ritrovai a registrare effetti molto maggiori, addirittura fuori controllo, tanto che rischiai di restare ferita in modo grave. Sono certa che i biotici possano attingere a quella strana forma di energia oscura presente nel settore ottenendo effetti amplificati molto al di là di quanto prevedibile.
- Volli mostrare a Mae’ells la potenza dei miei colpi biotici e presi a scagliare ogni tipo di colpi attorno al nostro piccolo campo. Ricordo che entrambi restammo senza parole nel constatarne la potenza esagerata - aggiunse Da’ana.
- Risi come una ragazzina allo spettacolo di quelle esplosioni che sbriciolavano le rocce circostanti come se fossero di polistirolo - aggiunse poi in tono piatto - senza preoccuparmi assolutamente delle conseguenze di quel mio comportamento dissennato.

- Pochi minuti dopo sua esibizione, campo venne attaccato da nemici invisibili - continuò a raccontare il salarian - Me ne accorsi solo perché allarme segnalò scomparsa di schermi difensivi. Avvertii Da’ana e fu lei a individuare nemici con poteri biotici.
- Fu un’individuazione casuale: come reazione istintiva avevo innalzato immediatamente una sorta di cupola protettiva biotica intorno al nostro campo - spiegò la asari - e in quel momento intravidi delle sagome indistinte. In realtà percepii degli aloni di energia oscura in avvicinamento. A quel punto presi Mae’ells per mano e cominciai a correre lontano, trascinandomelo appresso, fino a quando trovammo riparo sotto le ali della nave spaziale, abbandonando il campo e tutta la strumentazione. Attendemmo a lungo, senza che apparentemente accadesse nulla, ma quando, ore dopo, tornammo al campo, ci accorgemmo che tutte le nostre apparecchiature erano come morte, private di ogni traccia di energia.
- Aspettammo ancora qualche ora - intervenne il salarian, concludendo il racconto - Poi salimmo a bordo di nave e effettuai decollo più veloce possibile. E ora eccoci qui.
C’è un’ultima notizia che dovrai tenere presente se andrai lì, comandante - aggiunse Da’ana, fissando Shepard con una certa inquietudine - La presenza di impianti biotici, probabilmente superflua con quelle concentrazioni di energia oscura, potrebbe diventare addirittura letale.
- Non credo di aver capito - replicò il comandante, fissandola incerta.
- Mentre Da’ana studiava energia - intervenne il salarian - io cercai di capire cosa fosse accaduto a colleghi ed effettuai autopsie su ogni compagno - chiarì lui, prima di fare una pausa e di passarsi le dita sugli occhi, come se volesse cancellare una visione che ancora lo tormentava.
- In biotici non asari trovai noduli di eezo letteralmente esplosi, devastando tessuti vicini. Condizioni di corpo testimoniavano dolore lancinante prima di morte - concluse il medico - Purtroppo non posso consegnarti che poche foto di distruzione campo, letture di strumenti, immagini di autopsie. Sappiamo che tutta nostra documentazione non serve ad avvalorare nostra tesi - ammise a malincuore tendendo al comandante un’altra serie di foto e un altro datapad.

- E’ una storia piuttosto strana - commentò Shepard - Difficilmente troverete qualcuno disposto a credervi - aggiunse poi, senza neppure dare un’occhiata a quelle ultime immagini, ma alzandosi ed andando ad appoggiare le mani sulla piccola balaustra che circondava lo spazio antistante il bar - e immagino quanto poco farebbe il Consiglio per approfondire questa faccenda... - concluse, fermandosi a guardare il cielo limpido di quella tiepida mattina artificiale.
- Ci rendiamo conto - rispose il salarian, mentre la asari si limitava ad annuire lentamente - Però hanno consigliato di parlare con te - concluse, mentre Shepard si voltava a fissare quei due scienziati con sorpresa. Se il Consiglio aveva dato quel suggerimento voleva dire che non avevano ritenuto una pura follia tutta quella storia e, trattandosi dei soliti Consiglieri a lei ben noti, il suggerimento significava che avevano creduto almeno parzialmente a Da’ana e Mae’ells. E questo era davvero sorprendente. Avrebbe dovuto indagare.

- Immagino che a questo punto, in base a tutto quello che mi avete raccontato, io debba essere in grado di trarre tutte le conseguenze derivanti dalle azioni di questo nemico invisibile. Tuttavia vi sarei grata se me lo chiariste voi direttamente.
- La distruzione di Dholen in sé non è rilevante. Non ci sono pianeti abitati e neppure colonie. Il problema è un altro. Secondo i nostri calcoli e le simulazioni che abbiamo continuato a fare nel viaggio di ritorno verso la Cittadella, la concentrazione di energia oscura rilevata all’interno di Far Rim sta mettendo a rischio la stabilità stessa di quel sistema stellare - spiegò Da’ana in tono deciso - Oltre un certo livello, quell’energia tenderà a dilatarlo, a farlo espandere, allontanando i pianeti da Dholen. E non è facile stabilire se la disgregazione di Far Rim finirà per avere un effetto significativo sui sistemi solari limitrofi, generando una specie di disfacimento a catena e magari interessando, alla lunga, perfino il bordo della Via Lattea.
- Se nemici attaccassero altre stelle in altri settori dopo aver distrutto Dholen, non sapremmo prevedere conseguenze. Potrebbero essere catastrofiche per tutta galassia. Dipende dove spegneranno stelle e dove emetteranno energia oscura - aggiunse Mae’ells in tono rassegnato.

Una volta terminato il conciso riepilogo del vero pericolo, i due scienziati rimasero seduti al tavolino, in silenzio, scambiandosi uno sguardo rassegnato. Erano certi che se non fossero riusciti a convincere il comandante, nessun’altro si sarebbe mai preso la briga di controllare cosa stesse realmente accadendo in quel sistema stellare remoto.
- Spero che non attribuirai ad incredulità le due richieste che ti farò - dichiarò Shepard, girandosi improvvisamente e guardando Da’ana dritta negli occhi - Perché ti assicuro che io credo a quello che mi avete raccontato ed effettuerò delle ricerche non appena mi sarà possibile, anche se la mancanza di portali galattici renderà lunga e difficoltosa la navigazione verso un sistema ai limiti della Via Lattea.
- Senz’altro, comandante, non preoccuparti. Puoi chiedermi qualunque cosa - rispose la biotica, incuriosita.
- Voglio che mi spieghi in modo dettagliato come si possa attingere direttamente all’energia oscura, in modo da potermi preparare con un certo anticipo.
- Certamente, comandante - replicò prontamente la asari - Sarà solo un po’ complesso, perché qui sulla Cittadella l’energia oscura è presente nei suoi soliti livelli. Ma se riuscirai a imparare qui, ti troverai in una posizione di estremo vantaggio una volta che sarai arrivata nel sistema di Dholen. I livelli di energia lì sono spaventosi, in confronto.
- Inoltre vorrei vedere le immagini dei nemici che hai intravisto su Gotha mediante l’unione asari - fu la seconda richiesta che fece, sorridendo al lieve sobbalzo istintivo di Da’ana - So perfettamente di chiederti una forma di comunicazione intima che si riserva a persone estremamente vicine, ma per me è indispensabile poter disporre di questo tipo di informazioni prima di arrivare sul campo di battaglia.
Shepard passò la sera e tutto il giorno successivo rintanata nella sua stanza, in compagnia della asari, impegnata a chiedere ulteriori chiarimenti sull’energia oscura, per essere certa di comprendere appieno le conseguenze di un suo addensamento massiccio in un sistema solare della galassia, e ad interrogare Da’ana sulle strane entità intraviste, nella speranza di ottenere qualche ulteriore dettaglio magari apparentemente di poco conto. Molte altre ore le trascorse ad esercitarsi nell’utilizzo dei poteri biotici, basandosi sulla sola energia oscura presente nel cosmo.


15 settembre
Per una volta fu il comandante a rispondere sbrigativamente a Garrus, che l’aveva chiamata in serata per avere notizie sulla data della sua uscita dall’ospedale.
- Non so proprio - gli rispose distrattamente - Non ho più chiesto... - confessò poi, lasciando il turian completamente sbalordito.
- Mi stai prendendo in giro...
- No, è che... beh, ti racconterò poi - rispose, aggiungendo immediatamente dopo - Maledizione! - e chiudendo rapidamente il contatto sul factotum, mentre la piccola sfera di energia che teneva nella mano sinistra si era rimpicciolita al punto da diventare praticamente invisibile.
- Maledizione! - ripeté, guardando con un’espressione di scoraggiamento la biotica asari.
- Comandante, è dall’ora di pranzo che non ti fermi - osservò la scienziata, senza riuscire a trattenere un sorriso - Suppongo che sarai stanca. Potremmo fare una pausa, che ne dici? - suggerì poi, stupita dall’ostinazione determinata di quell’umana.
- Uhm, forse hai ragione. Andiamo a mangiare fuori? - propose Shepard, dopo aver lanciato un’occhiata disgustata al vassoio che un’infermiera aveva appoggiato sul tavolino ai piedi del letto.
- Se vedo ancora una minestrina, una fettina di carne anemica con del purè di patate e una mela cotta, farò esplodere una nova anche con gli impianti biotici disattivati - esclamò alzandosi e prendendo un paio di datapad dal letto.

- Vorrei essere certa di aver capito bene le conseguenze di questo addensamento di energia oscura nel sistema di Dholen, in modo di poterlo spiegare agli altri membri del mio equipaggio - fu la prima frase che pronunciò il comandante, scorrendo uno dei datapad, mentre si stavano sedendo al tavolo.
- Di certo non perdi tempo - rispose Da’ana ridendo, sicura che quella cena sarebbe stata molto diversa da quella, rilassante e spensierata, che si era immaginata lei, quando aveva accettato l’invito.
- Non mi sembra vero poter avere qualcosa da fare - rispose il comandante sorridendo, mentre il factotum avvisava che c’era una chiamata in arrivo.
- Prima di chiudere ancora una volta la comunicazione, puoi dirmi dove diavolo sei? - chiese la voce un po’ roca del turian, dalla quale traspariva un misto fra divertimento ed esasperazione.
- Al ristorante vicino l’ospedale, con una mia amica. Ci raggiungi?

- Insomma, alla fine sono dovuto passare io dai tuoi dottori per sapere quando ti dimetteranno - fece notare Garrus con un tono divertito, sedendosi su una sedia del ristorante, a tener compagnia alle due donne, dopo essersi presentato alla asari.
- Uhm... e quando sarà? - chiese il comandante, con aria incuriosita.
- Dopodomani. Domani mattina ti operano, poi ti terranno in osservazione per 24 ore e poi sarai finalmente libera - annunciò il turian, aspettandosi una reazione ben diversa dall’esclamazione che fece girare verso di loro le teste dei commensali ai tavoli vicini.
- Maledizione? Ma come? Sono settimane che stai con un muso lungo tanto! E ora non vuoi più uscire?
- Certo che voglio uscire! Ma ho bisogno di una nave e di un equipaggio e dubito che il Consiglio me li concederà in così breve tempo.
- Potresti andare nell’appartam...
- No! Non voglio andare lì - lo interruppe, sapendo che Garrus avrebbe compreso benissimo il dolore che avrebbe provato nell’aggirarsi per quelle stanze colme di oggetti di Anderson - E poi non mi serve un appartamento. Mi serve una dannata nave e un dannato equipaggio. E mi serve subito.
- Certo, comandante - rispose il turian ridendo.
- Immagino che lei conosca la spiegazione per tutta questa fretta improvvisa - osservò poi, rivolgendo uno sguardo interrogativo alla asari.

- Prima o poi mi aspetto che mi racconterai tutto - dichiarò Garrus mentre accompagnava il comandante verso l’ospedale.
- Non è facile parlare con te ultimamente, lo sai?
- Sono stato impegnato. Un po’ troppo, forse, perfino per un turian laborioso.
- Ma per cosa? Ogni volta che ti faccio domande cambi argomento.
- Quanto veloci crescono i capelli alle umane? - le chiese Garrus ridendo e facendo passare le dita fra quei capelli, ancora cortissimi - Mi sembra di stare insieme a un soldatino appena arruolato...
- Di regola un centimetro e mezzo al mese, anche se forse i miei crescono più velocemente - rispose imbronciata - Lo vedi? Sembri Joker...
- E’ una sorpresa, Shep - le confessò, prendendole la vita fra le mani, una volta che furono davanti alla porta dell’ospedale.
- Bella?
- Indimenticabile - fu la risposta pronunciata in tono canzonatorio.

Si era già allontanato di una ventina di metri dall’ospedale, quando Shepard tornò di corsa sui suoi passi, facendo lo slalom fra un paio di carrelli che venivano spinti da due infermieri nel corridoio. Aprì il grande portone e gridò nel buio artificiale debolmente illuminato dalle luci notturne - Ehi, turian!
- Cosa c’è? - rispose una sagoma ormai quasi indistinguibile, che si fermò improvvisamente, confondendosi ancora di più nell’oscurità.
- Chi mi calibra le armi sulla mia nave?
- Ho mai parlato di una nave? Sarai mia moglie, dovremo avere una casa. Un marito turian deve occuparsi di cose come queste: una bella casa per vivere insieme.
- Non voglio una stramaledetta casa, turian dei miei stivali! Mi serve una nave! E un dannato equipaggio! - urlò di rimando il comandante, con una voce squillante che devastò per qualche istante la quiete profonda di quella sera artificiale, appena turbata da una leggera brezza sintetica.
- E’ una sorpresa, Shep... - ripeté ancora Garrus.
Fu quella l’ultima frase beffarda che pronunciò la figura snella, prima di riprendere il cammino, ridacchiando a bassa voce tra sé e sé.

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Capitolo 4
*** La moglie del Primarca ***


LA MOGLIE DEL PRIMARCA


And I Thought My Jokes Were Bad



17 settembre
Si svegliò bruscamente al suono del suo stesso urlo che si propagava nel buio profondo e silenzioso che l’avvolgeva. Era completamente intrisa da un sudore freddo che appiccicava il tessuto della maglietta alla pelle madida e i capelli corti sulla nuca gelata.
Cercò di capire dove si trovasse e a cosa fosse dovuta quell’angoscia che la opprimeva e le riportava, chiare alla mente, le sensazioni provate quando il suo corpo era stato espulso dalla Normandy in seguito all’esplosione causata dall’attacco dei Collettori. Come allora, si era destata per una caduta nel vuoto e per la sensazione di non poter più immettere aria nei polmoni.
Aveva provato lo stesso terrore e la disperazione acuita dell’impotenza. Quel miscuglio di sentimenti la opprimeva anche in quel risveglio avvenuto nel sicuro letto dell’ospedale.

All’infermiera che si precipitò nella stanza di corsa chiedendole in tono preoccupato cosa fosse accaduto, rispose di aver avuto un incubo e la pregò di lasciare la luce accesa.
Non riusciva a ricordare quasi nulla, prima delle fasi finali di quel sogno, ma tentò di riannodare i fili delle visioni che l’avevano destata, con la paura che svanissero del tutto. “Occhi azzurri pieni di lacrime, un giardino... ma dove mi trovavo?” si interrogò inutilmente, infastidita dalla sgradevole sensazione del sudore che le si stava asciugando addosso.
Si alzò e andò verso la finestra. Aprì la pesante tenda che la schermava interamente e rimase a fissare il lieve chiarore rosato della prima alba artificiale di quel giorno tanto agognato in cui sarebbe tornata ad essere libera. Avrebbe dovuto attendere il pomeriggio, dopo che le fosse stata consegnata la cartella clinica contenente tutti i dati che la riguardavano.
- La tenga sempre con sé, soprattutto per i primi due o tre mesi - si era raccomandato il dottore turian, che non si sentiva molto tranquillo per quella dimissione secondo lui troppo affrettata.
Scosse la testa “E’ inutile, non riesco a ricordare” si arrese e andò in bagno per lavarsi sommariamente al lavandino, stando attenta a non bagnare la medicazione applicata sul torace, là dove il giorno prima le avevano sostituito l’ultimo impianto danneggiato.

Una volta che si fu asciugata, dedicando ai capelli un semplice strofinio con l’asciugamano, si diresse verso l’armadio dove teneva gli abiti, accarezzò con desiderio la sua uniforme, ma poi optò per una semplice tuta da ginnastica.
“Dovrò aspettare solo poche ore prima di poterla indossare nuovamente” si disse, provando un enorme senso di sollievo.
Mentre beveva il caffè portato da un’infermiera, ricordò che quella mattina sarebbe venuta a trovarla Jack e provò un senso di gioia profonda al pensiero di poter riabbracciare quella strana ragazza, che non vedeva da molte settimane, ancora prima dello scontro finale contro i Razziatori.

Uscì dalla stanza e avvertì il medico di turno che stava andando al mercato del Presidio: voleva approfittare della sua prima giornata di libera uscita per fare un giro dei negozi. Era impaziente di controllare se durante quel lungo periodo trascorso in ospedale fosse uscito qualche nuovo modello di arma o se esistessero potenziamenti innovativi, magari basati sull’inquietante tecnologia dei Razziatori.
Jack la raggiunse mentre stava studiando le caratteristiche di un mirino di nuova generazione, aspettò che posasse l’articolo e si accorgesse finalmente della sua presenza, poi le dette un’amichevole pacca sulla spalla.
- Niente pugno di benvenuto in piena faccia questa volta. E’ un bel progresso... Sono lusingata... - commentò, prima di abbracciarla.
- Guarda che mica è con me che sei fidanzata! - esclamò Jack imbarazzata, ma ricambiò la stretta con calore e con un aperto sorriso.
- Shepard, spero che al tuo turian piaccia stringere fra le braccia uno scheletrino diafano. Ma eri in ospedale o in campo di concentramento? - osservò poi, sciogliendosi dall’abbraccio e fissando il comandante con un’espressione carica di preoccupazione.
- Mi rifarò in poco tempo, con l’uso intensivo di una buona palestra e un po’ di cibo commestibile - rispose ridendo, prima di sviare il discorso, chiedendo notizie dei suoi allievi, i biotici dell’Accademia Grissom.

- Siamo sopravvissuti tutti allo scontro contro quei dannati Razziatori, ma non abbiamo avuto certo tempo di annoiarci durante quella maledetta battaglia. Credo che il nostro apporto sia stato ritenuto molto utile - rispose con un orgoglio che non si prese la briga di celare - O almeno questo è quello che ci hanno mandato a dire i tuoi amici burocrati.
- Non sei cambiata affatto, nonostante la nuova uniforme - ribatté prontamente, appena infastidita - I miei amici sembrano sempre essere fra i peggiori individui in circolazione nella galassia: prima l’Uomo Misterioso, ora i burocrati... Ci mancherebbe solo che mi accusassi di avere un debole anche per qualche Razziatore...
- In effetti, ci sarebbe il Leviatano e la sua piccola combriccola - ridacchiò Jack - ma forse definirvi amici sarebbe un po’ eccessivo.
- Non ho idea di dove si siano rintanati, ma preferirei non trovarmeli più fra i piedi - commentò lei, ricordando il lungo colloquio avuto con gli ultimi esemplari di quella razza antica e inquietante - E comunque, Jack, ricorda che anche tu rientri nella cerchia dei miei amici... - concluse poi, fissando la biotica con una certa malizia.
- Il che non confuta affatto la mia teoria sulla tua propensione a stringere amicizia con gente strana e di reputazione dubbia... - osservò la ragazza ridendo, prima di proporle di andare insieme all’Armax Arsenal Arena - Dai, andiamo a divertirci un po’. Sono sicura che ti sei arrugginita.

- Non ho nessuna notizia recente sul mio vecchio equipaggio. Tu hai sentito qualcuno? - chiese Shepard, durante una breve pausa in un combattimento simulato.
- No, l’unica persona che ho incontrato è stato Garrus, ma dubito ti servano aggiornamenti sul tuo turian - rispose Jack in tono divertito, mentre ricaricava la sua pistola.
- Sai che mi ha chiesto di diventare sua moglie? - chiese, dopo aver fatto esplodere una nova stentata in mezzo a un gruppo di nemici, non riuscendo a ucciderne neppure uno.
- Che figlio di puttana! Mica me l’ha detto! - esclamò Jack, fissandola con sorpresa - Lo sapevo che ti eri arrugginita - aggiunse poi, mentre ricaricava l’arma, scuotendo la testa con evidente disapprovazione - Quella me la chiami una nova? Se non ti paravo il culo io, eri bella che spacciata...
- Disattiva i tuoi impianti e poi vediamo cosa riesci a fare tu... - ringhiò di rimando con aperta ostilità, innervosita perché si era augurata un risultato migliore. Si rendeva conto di aver fornito una prestazione insoddisfacente e ora aveva paura che su Gotha i suoi poteri biotici sarebbero potuti risultare inadeguati.
- Sei senza impianti? Pensavo te li avessero rimessi in funzione... Allora non sei affatto male, sai? Mi dovresti spiegare come ci riesci... - fu il commento stupito di Jack, che ebbe il potere di alleviare almeno in parte i suoi timori.

Più tardi, davanti al bancone del Silver Coast, mentre sorseggiavano un bicchiere di un intruglio generosamente alcolico che Jack aveva ordinato per entrambe, la ragazza aggiunse - A dire il vero Garrus non mi ha detto molto, sembrava molto indaffarato ed è praticamente scappato non appena ho menzionato la parola Primarca.
- Già - rise di rimando - con me fa lo stesso. Credo mi stia preparando una sorta di sorpresa. Solo che non sono certa mi piacerà. Blaterava di una casa, l’ultima volta che ci siamo sentiti...
- Oh oh! Una bella casetta su Palaven, Shepard? Sarai la moglie del primo cittadino di quel pianeta! Wow, grandioso... Una bella promozione, complimenti... - la sfotté, continuando imperterrita e gesticolando vistosamente - Vediamo... Uso la mia palla di cristallo per prevedere il tuo roseo futuro di sposina fresca: avrai un bel giardino pieno di piante e di fiori profumati e una dimora elegante e signorile, con una grandissima sala da pranzo per ricevere i tuoi amichetti diplomatici... Sono quasi certa che nel pacchetto regalo sarà compreso anche uno stuolo di servitori pronti ai tuoi ordini, comandante, qualche delizioso animaletto domestico, un paio di marmocchi adottati e probabilmente... Ehi! Ma che cazzo!...
- Ma cosa ti prende! - esclamò, stupita nel vedere il comandante che impallidiva vistosamente e si appoggiava al bancone per non cadere.
- Chiamaci uno stramaledetto taxi, razza di imbecille - urlò al barista - Im-me-dia-ta-men-te - sillabò con rabbia vedendolo rimanere immobile con la bocca aperta - Non vedi che la mia amica sta male?

- Mi spieghi cosa cazzo ti prende? - fu la frase che le penetrò prepotentemente nei timpani, mentre Jack la accompagnava fuori dal bar e la aiutava a entrare nell’astroauto.
- Nulla, sto bene - rispose, ricomponendosi, fermamente decisa a non dare alcuna spiegazione - Se dici una sola parola sull’accaduto a un qualsiasi medico dell’ospedale, giuro che ti vengo a prendere e ti torco il collo - fu la minaccia che le rivolse in tono fermo e intimidatorio.
- Non ti farò da madre... - rispose Jack, stringendosi nelle spalle - Però non essere idiota. Se stai male non puoi farti dimettere.
- Non sto male. E’ solo che i tuoi discorsi demenziali mi hanno fatto tornare in mente una cosa - confessò stancamente.


Fear of the Dark



Erano state le frasi di Jack a ricordarle le immagini del sogno di quella mattina.
Appena arrivata in stanza, si distese sul letto con fare obbediente e tranquillizzò ancora una volta l’amica, rassicurandola che si sentiva già molto meglio. Poi, appena rimasta sola, si alzò dal letto e usò il factotum per chiamare Garrus.
Restò a fissare a lungo il segnale lampeggiante che indicava l’impossibilità di contattare il destinatario, fino a quando chiuse la comunicazione con rabbia.
- Maledizione! Quando ho bisogno di parlarti non ci sei mai! - lo accusò ad alta voce, sapendo di essere ingiusta e irritandosi ancora di più proprio per questo.
Si sedette al tavolino e prese il portatile.
Lo aprì con un gesto irato e andò sulla pagina dei nuovi messaggi, rimanendo a fissare con odio quella pagina bianca, pensando a come organizzare in parole il groviglio di sensazioni che le ingarbugliavano la mente.
Scrisse l’indirizzo di Garrus e poi scese nello spazio destinato al testo.

Amore mio,

“Amore mio un corno” commentò con un sorriso teso, prima di selezionare quelle due parole e cancellarle.

Caro Garrus,

Selezionò anche quelle due parole e le eliminò.

Perché non mi rispondi? Dove diavolo sei finito?
Maledizione! Devo parlarti subito, prima che mi trascini dove non voglio andare.
Non posso diventare tua moglie.


Rilesse quelle frasi scarne, rendendosi conto che non avrebbe mai potuto spedirle. Erano parole chiaramente dettate dall’agitazione ansiosa che provava in quel momento.
Scorse di nuovo le tre righe, provando a immaginare l’espressione attonita di Garrus nel ricevere quel messaggio inatteso e sconclusionato, poi appoggiò la schiena contro la spalliera della sedia. Fece qualche respiro tranquillo e provò a pensare a come avrebbe potuto comunicargli che non aveva alcuna intenzione di sposarlo.
Provava la necessità impellente di annullare al più presto la stramaledetta promessa fatta appena pochi giorni prima al ristorante panoramico: non voleva che lui si spingesse troppo in là con chissà quale folle progetto, ma non trovava le parole per esprimere in maniera civile quella decisione necessaria.
“Forse dovrei aspettare di incontrarti di persona” si rese conto finalmente, ritrovando un minimo di equilibrio mentale “Non è una decisione che si possa comunicare con una mail, neppure se riuscissi a scriverla in versi. Potrei provare con una poesia in stile hanar” provò a ridacchiare, immaginando di scrivere un rifiuto leggero come i petali di un fiore. No, non c’era nulla di appena vagamente divertente, ammise sconsolata.
Stava spostando il mouse per chiudere la pagina, quando il tocco delicato di una mano che si posava sulla sua spalla la fece trasalire.
Una salarian appoggiò un datapad a fianco del piccolo monitor - Ecco la sua cartella clinica. Le faccio i miei migliori auguri per una convalescenza serena - le augurò con un sorriso, mentre i suoi occhi venivano calamitati dal breve sfarfallio dello schermo del portatile. Era tornato bianco, in attesa di contenere il testo di un nuovo messaggio. Quello precedente era stato inviato al destinatario dal dito di una mano che si era contratta involontariamente per un sobbalzo improvviso.
Spalancò gli occhi per l’orrore di quel gesto accidentale, poi chiuse il portatile emettendo un piccolo gemito.

Aspettò a occhi chiusi che l’infermiera uscisse dalla stanza, perché era sicura che se l’avesse guardata non avrebbe resistito all’impulso di colpirla.
“Ho compiuto un passo necessario” provò inutilmente a rassicurarsi “Il modo è stato pessimo, ma dovevo comunque farlo”. Per un paio di secondi si sentì quasi sollevata: ora, comunque, non sarebbe più potuta tornare indietro.
Rimase a fissare il vuoto, pensando che poteva continuare a valutare la portata di quel disastro oppure concentrarsi sui dettagli dell’incubo che l’aveva destata quella mattina. Optò per la seconda scelta e si alzò per andare verso la finestra aperta a respirare l’aria tiepida di quel pomeriggio, apparentemente simile a tanti altri che l’avevano preceduto, provando a concentrarsi su quelle immagini.
Considerò con stupore quanto fosse normale, in sogno, avere la consapevolezza certa del luogo in cui ci si trovi, anche quando, in realtà, è assolutamente sconosciuto.

Era nel grande salone dei ricevimenti della sua villa su Palaven, nel mezzo di una festa in cui tutti sfoggiavano completi ricercati, scarpe raffinate e gioielli preziosi. Abbassando gli occhi, si era resa conto di avere indossato l’uniforme della Normandy, anziché l’abito che Garrus le aveva comprato appositamente per l’occasione.
Era corsa al piano di sopra, per indossare il vestito elegante, ma non era riuscita a trovarlo. Al suo posto, sul letto, aveva trovato un piccolo turian che continuava a chiamarla mamma.
Era tornata sui suoi passi, osservando dall’alto della scalinata il tavolo lungo, adibito a rinfresco, su cui erano appoggiati svariati piatti di portata, colmi di una sostanza viscida. Ogni pochi secondi si creavano bolle che scoppiavano improvvisamente con rumorosi ‘plop’, emanando un puzzo di uova marce, come se si trattasse di pozze di fango bollente in una solfatara.
I pochi ospiti che si avvicinavano al tavolo se ne allontanavano con aria disgustata, lanciandole occhiate perplesse, prima di mettersi a bisbigliare fra loro, scambiandosi sorrisi di scherno e di compatimento.
- E’ un’umana - aveva sentito affermare poco prima da un tale a poca distanza da lei, con un tono di voce in cui era racchiuso disprezzo e arroganza.
Subito dopo, un turian in abito da sera le circondò la vita portandola sulla pista da ballo, ma lei continuava ad inciampare, non riuscendo a seguire quei passi tanto ingarbugliati. Veniva salvata da Garrus, che la trascinava via a passo di tango, conducendola in giardino e rassicurandola che sarebbe tornato presto, dopo essersi occupato degli ospiti.
Non fece in tempo a riprendere fiato, cercando di nascondersi fra le piante, che arrivava quel bambino incontrato nella stanza da letto. Protestava con rabbia e batteva i piedi, ostinandosi a pensare che fosse sua madre, mentre lei fissava con odio quegli occhietti celesti che si riempivano di lacrime pensando “I turian non piangono...”.
Compariva nuovamente Garrus che con un braccio tirava su il bambino, mentre con l’altro provava a cingerle la vita, ma lei correva via, scappando a perdifiato verso il cancello d’ingresso della villa, ansiosa di tornare a bordo della sua nave.
Mentre lo varcava, i suoi piedi sprofondavano in pozzo circolare, con pareti irte di spunzoni metallici, affilati come lame, che le laceravano l’uniforme.


Era iniziata lì quella caduta senza fine che aveva accolto con un urlo di sorpresa e di spavento, quando i suoi polmoni che chiedevano prepotentemente aria si erano ritrovati ad aspirare solo vuoto: gli ultimi ansiti del suo fiato si erano frantumati nel disperato desiderio di continuare a vivere. A quel punto si era svegliata, madida di sudore, al suono dell’urlo che aveva fatto accorrere l’infermiera.
Non c’era bisogno di uno psicologo per interpretare l’incubo. Un Primarca non poteva permettersi una moglie che non era una turian, non sapeva assolutamente come comportarsi nell’alta società e non aveva la minima cognizione di come si gestisse una casa.
Durante il breve tragitto in taxi con Jack si era resa conto che non le interessava imparare a diventare una moglie esemplare, una di quelle che qualunque maschio sarebbe stato fiero di mostrare ai propri amici e conoscenti: dopo pochi mesi di quella vita d’inferno avrebbe finito per odiare se stessa e forse perfino Garrus.
Non sapeva immaginarsi nell’atto di stendere panni, cucinare, cambiare un pannolino o portare un bambino a scuola. Non poteva, né voleva, essere una brava moglie. La sua unica e vera casa sarebbe stata sempre la Normandy o al limite un’altra nave spaziale.
Adesso non riusciva neppure a capire cosa diavolo le fosse passato per la mente nel ristorante panoramico, appena pochi giorni prima.
Diventare la moglie di qualcuno... Era una follia assoluta. Lei non era nata per diventare la moglie di nessuno, figurarsi la moglie di un Primarca.

Moglie continuò a ripetersi: quel vocabolo evocava immagini inquietanti e compiti ingrati che non poteva, né voleva, addossarsi.
“Sono nata per fare quello che ho sempre fatto” si ripeté, assolutamente certa di quell’affermazione “Questa è la verità. Mi spiace Garrus, non posso e non voglio sposarti” continuò a ripetersi con sempre maggiore sicurezza e consapevolezza.
“Volevo trovare un modo per fartelo capire senza ferirti e ho combinato un disastro” riconobbe con rincrescimento “Qualunque cosa io possa scriverti, adesso, non potrebbe attenuare la mia colpa”.
“Forse è addirittura meglio così. Non potrai mai perdonarmi e mi dimenticherai più facilmente” provò a ipotizzare, nel tentativo insano di trovare almeno un aspetto positivo in quella situazione che non sapeva come gestire. Si rese conto che stava cominciando a delirare e che quelle riflessioni che si ostinava a ritenere logiche erano solo insensate.
“Non posso lasciarti a rimuginare su quel messaggio folle” ammise con disperazione, provando a richiamarlo con il factotum. Maledisse ad alta voce quell’inutile attrezzo e anche Garrus, poi riaprì sconsolatamente il computer.

Può apparire curioso e ridicolo, ma di certo non è divertente: era tutto più facile in guerra, sotto il fuoco nemico. Ora, in periodo di pace, le nostre vite ci portano lontano l’uno dall’altro.
Non volevo farti questo discorso per iscritto, ma il messaggio precedente è partito per errore. Mi spiace.
Non so in quali faccende tu sia tanto impegnato e quale casa dei sogni ti stia affannando a trovare, ma sospendi tutto.
Non credo che mi perdonerai facilmente, ma devo andare. Vado dove non potrai seguirmi, lo so. Mi addolora, ma la mia vita mi porta altrove.
Odio gli addii e qualunque forma di commiato: le frasi sono logorate dall’uso e inadeguate a comunicare quello che provo in questo momento.
So solo che devo andare: non ho scelta, anche se questo dolore mi farà più male di quanto io possa immaginare adesso.


Non c’era bisogno di firmare, non esisteva una frase congrua per chiudere e non sapeva trovare una formula di rito adatta per iniziare.
“E’ un messaggio senza capo né coda” constatò senza divertimento, sentendosi disperata. Non c’era nulla di rassicurante e confortante in quel messaggio. Non ci sarebbe stato nulla del genere neppure nella vita che la attendeva, ma era quella l’unica strada percorribile.
Rilesse attentamente, insoddisfatta, sapendo tuttavia che non sarebbe riuscita a scrivere nulla di più decente.
Inviò il messaggio e si avviò verso il bagno per fare una doccia calda prima di lasciare quel dannato ospedale. Coprì alla meglio la medicazione sul torace, disinteressandosi delle possibili conseguenze: il suo inconscio la spingeva a lavar via un dolore ancora acerbo, sperando di riuscire a liberarsene prima che esplodesse in tutta la sua cruda intensità.
Guardò il piccolo specchio sopra il lavandino, sapendo che non le sarebbe piaciuta l’espressione che si sarebbe trovata di fronte. Nonostante il sollievo per aver preso una decisione inevitabile, provava una pena sorda e penetrante.

Quello era necessariamente un addio. Ne aveva preso piena coscienza mentre scriveva quel secondo messaggio. Garrus sarebbe andato su Palaven, per svolgere i suoi compiti di Primarca, mentre lei sarebbe tornata in servizio nella Marina dell’Alleanza, forse al comando di una qualche nave spaziale, con un qualche nuovo equipaggio.
L’idea che non avrebbe più condiviso con il turian le tante avventure che il futuro le avrebbe riservato la spaventava al di là della sua immaginazione. Garrus era la sola persona che lei potesse considerare come punto di riferimento nella sua vita irrequieta e instabile. Garrus la conosceva e la comprendeva. Garrus l’avrebbe difesa da chiunque, perfino da se stessa, come aveva fatto giorni prima, facendole ritrovare a forza la voglia di vivere.

Rimase sotto il getto a lungo, sapendo che non sarebbe bastata tutta l’acqua della galassia a lavare via il dolore che le si sarebbe riversato addosso a breve, quando fosse stata costretta a prendere piena coscienza di ciò che aveva fatto e del modo. Il modo era stato un incidente, ma la sostanza non poteva essere discussa: lei aveva una sua strada e lui ne aveva un’altra, ben diversa.
Sentì che le lacrime si mischiavano all’acqua che scendeva e provò un sentimento di impotenza. Cercò di concentrarsi solo sulla piacevole sensazione del liquido tiepido che le scorreva sul corpo. Una volta chiuso il rubinetto indossò l’accappatoio e si mise davanti al piccolo specchio del bagno, riavviandosi i capelli con le dita.
- Non pensare a Garrus. Affronterai tutto questo quando sarà inevitabile. Lo sai che puoi continuare ad andare avanti, un passo dopo l’altro. E’ quello che hai sempre fatto - rassicurò l’immagine riflessa.
“L’ultima volta non ce l’avrei fatta senza Garrus” fu la confessione che le esplose nella mente. Si rannicchiò contro il muro, senza neppure accorgersi di non riuscire a fermare il tremito che la scuoteva, fino a quando la voce del dottore turian la chiamò dall’altra parte dell’uscio chiuso.
- Comandante, va tutto bene? E’ pronta per uscire dall’ospedale o preferisce fermarsi qualche altro giorno?
- Mi dia qualche minuto per vestirmi - rispose, con una voce che sembrò suonare ferma e tranquilla, la sua voce di sempre.
Un quarto d’ora dopo varcò la soglia dell’ospedale tenendo fra le mani una piccola borsa in cui aveva radunato i suoi pochi effetti personali.

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Capitolo 5
*** Ritorno a casa ***


Avvertenza
Il capitolo è stato modificato tenendo conto delle osservazioni che mi sono state giustamente rivolte.
Il contenuto delle modifiche è riportato nelle note finali, in modo da non rovinare la lettura a chi non lo avesse già letto.


RITORNO A CASA


Emotional Suite




Nel momento stesso in cui oltrepassò la porta scorrevole dell’ospedale, quel pomeriggio del 17 settembre, sentì la voce inconfondibile di Cortez che esclamava - Comandante! E’ un piacere rivederti! Ne è passato di tempo… - sfoderando un gran sorriso e porgendole la mano.
Trascurò la mano tesa, lo abbracciò con forza e schioccò un sonoro bacio sulla sua guancia, facendolo arrossire visibilmente.
- Prego, accomodati - la invitò il pilota, indicando il veicolo posteggiato alle sue spalle, vicino all’entrata dell’ospedale.
- Mi spiace. Devo andare a parlare con il Consiglio, Steve - dichiarò scuotendo la testa.
- E’ necessario che tu mi segua. Sto solo eseguendo un comando - le rispose in tono confuso, impacciato nel trovarsi costretto a contraddirla.
- Addirittura? E da parte di chi?
Lo vide stringersi nella spalle, come se avesse ricevuto l’ordine tassativo di non rivelarle nulla.
Si mise a ridere, troppo felice nel rivedere quel suo vecchio compagno di tante avventure per protestare davvero - E va bene, ci andrò dopo. Dove andiamo? - chiese, accomodandosi sul sedile del passeggero.
- Credo di potertelo dire, tanto lo vedresti fra pochi minuti: hangar di attracco D24 - annunciò orgogliosamente - Non è stato facile ottenere proprio quello per non so quali assurde difficoltà burocratiche. Ma alla fine ci siamo riusciti, volevamo che tutto fosse perfetto.
Una volta finita questa dichiarazione, Cortez guardò incuriosito la donna al suo fianco: non aveva risposto nulla e sembrava quasi trattenere il fiato, mentre i suoi occhi verdi saettavano da una parte all’altra in cerca di indizi significativi. Sorrise capendo che non osava pronunciare alcuna domanda per paura di restare delusa.
La lasciò continuare ad agitarsi sul sedile, quasi fosse il letto chiodato di un fachiro, in preda ad un’ansia febbrile che terminò con un sospiro pesante di sollievo quando la sagoma familiare della sua amata Normandy occupò il parabrezza del veicolo.
La vide restare immobile a guardare quello scafo anche dopo che ebbe spento il motore del veicolo.

- E’ splendida, come sempre - fu il commento sottovoce, con la voce spezzata, come se temesse di mettersi a piangere come una bambina.
- Forza, comandante - fu l’incitazione che accompagnò l’apertura dello sportello dal suo lato, mentre le porgeva la mano per aiutarla ad uscire, come un gentiluomo di vecchio stampo, visto che lei non si decideva a fare una sola mossa.

Nel momento stesso in cui il portellone si richiuse alle loro spalle, la nave cominciò a sollevarsi. Qualunque fosse la sua destinazione, la Normandy aveva iniziato un nuovo viaggio.


Ponte 5 - Hangar navette
Appena entrata le giunse un saluto da un’altra voce ben familiare - Ehilà Lola, bentornata! Pronta a danzare o sei ancora in convalescenza?
- Cosa ci fai qui, James? E il tuo programma N7? - gli chiese preoccupata.
- Non per quest’anno: troppe riparazioni da fare, non ci sarà nessun programma N7. Non credo ti sia resa conto di quanti danni hai causato... - rispose, lasciandosi cadere dalle sbarre su cui si stava allenando per andarle incontro con un gran sorriso, che si trasformò in incertezza quando spiò il suo volto.
- Va tutto bene? - chiese con sollecitudine - hai un’aria strana.
- E’ che va tutto fin troppo bene. Ho paura di svegliarmi - confessò sorridendo.
- Il sogno non durerà a lungo, vero Esteban? - chiese Vega con una eloquente strizzata d'occhio.
- No davvero - fu la pronta risposta - dalle solo cinque minuti e vedrai in quali guai finirà per cacciarci…
Li fissò divertita e chiese - Ma voi sapete dove siamo diretti?
- No. Dovrai chiedere al pilota - rispose James, che precisò - Siamo stati ingaggiati per un viaggio senza meta precisa, possibilmente in zone dello spazio ancora inesplorate, alla ricerca di qualche razza nuova, magari ibernata. Ci siamo decisi solo quando hanno specificato il nome della nave e del suo comandante - concluse con uno sguardo d’intesa.
- Tutti quelli che troverai a bordo hanno accettato lo stesso tipo di contratto - precisò poi Cortez.
- Tutti? Chi c’è? - chiese incuriosita, ma venne fermamente invitata a lasciare l’hangar e a farsi un giro per la nave. Non le restò altra scelta se non quella di avviarsi verso l’ascensore; restò un attimo incerta e poi decise di seguire l’ordine naturale dei numeri e spinse il bottone corrispondente al piano immediatamente superiore.


Ponte 4 - Sala macchine
Contemplò indecisa le porte che si affacciavano sul corridoio: erano chiuse come sempre, ma questa volta non aveva idea di chi potesse incontrare dietro ciascuna di esse.
Il silenzio venne lievemente increspato da una risata lontana e poi da poche parole, troppo distanti per distinguerne il significato, pronunciate da una voce femminile che le parve sconosciuta. Restò immobile qualche secondo non sapendo decidere da dove cominciare il giro, poi si diresse verso la stiva di babordo.


Ponte 4 - Stiva di babordo
Non si aspettava di trovare Javik, ma lo vide girarsi al suono dell’apertura della porta e allontanarsi dalla vasca per venirla a salutare tendendole la mano.
- Hai vendicato non solo la mia gente, comandante, ma tutte le razze che nei precedenti cicli galattici sono state sterminate dai Razziatori - proferì in tono riverente - Hai reso possibile qualcosa di incredibile con una strategia che non ho mai condiviso. Sono felice di essermi dovuto ricredere su di te, sulle tue idee e su buona parte delle razze oggi dominanti - concluse serrandole la mano fra le sue, in un gesto che era inequivocabilmente anche una dimostrazione concreta di amicizia.
- Sono onorata di averti a bordo.
- Non posso ancora visitare i pianeti su cui la mia gente è stata massacrata dai Razziatori. Aspetterò che i portali galattici tornino ad essere funzionanti prima di intraprendere il mio pellegrinaggio. Tornare sulla Normandy per ingannare l’attesa mi è sembrata la scelta migliore. Come sai, non sono uno scienziato, e il mio contributo alla ricostruzione dei portali sarebbe stato davvero misero.
- E dopo il pellegrinaggio? Cosa farai? - domandò incuriosita, sperando che il tempo trascorso dall’ultima chiacchierata avesse fatto cambiare i progetti a quel suo compagno di avventura a cui si era finita per affezionare profondamente, nonostante i modi burberi e il suo cinismo.
- Non lo so. Prima la mia strada era chiara, ben delineata, ora sto valutando opportunità... diverse. E’ tutto molto incerto. Nel mio ciclo, il destino assegnatomi era lineare, ora sembra che io abbia molte possibilità di scelta. Sono confuso, ma anche gradevolmente colpito - ammise Javik con serena onestà.
- E’ bello riaverti a bordo, in ogni caso.
- Ti ringrazio, comandante. Anche io sono felice di essere tornato.
Una volta pronunciate queste parole, Javik tornò verso la vasca e lei uscì silenziosamente dalla porta.


Ponte 4 - Stiva di dritta
Non fece in tempo a varcare la soglia della stanza che si trovava dall’altro capo del corridoio rispetto alla stanza del prothean, che si ritrovò letteralmente appiccicata contro la parete alla sinistra della porta in seguito a una pacca violenta contro la spalla destra, mentre Grunt le urlava un caloroso - Bentornata sulla Normandy, comandante! - con il suo vocione profondo.
Subito dopo, prima che riuscisse a ritrovare una parvenza di equilibrio, il krogan le stritolò un paio di costole in un abbraccio festoso che, le confessò sorridendo, Wrex si era raccomandato di farle avere non appena l’avesse incontrata.
- Dovevo indossare l’armatura prima di entrare qui - osservò ridendo - o almeno attivare un campo di forza biotico - concluse, mentre cercava di fare entrare un po’ di aria nei polmoni compressi.
Guardò con affetto quel grosso bambino che era cambiato ben poco dall’ultima volta in cui lo aveva incontrato, alla vigilia della battaglia sulla Cittadella. Aveva qualche cicatrice in più, di cui andava terribilmente fiero, come ebbe modo di verificare ascoltando il dettagliato resoconto della battaglia che aveva combattuto a Londra contro i Razziatori.
- Sono contenta di trovarti a bordo, Grunt, ma non pensavo che Wrex ti lasciasse andare. So che è molto orgoglioso di te - gli disse, sicura di solleticare l’amor proprio di quel bambino troppo cresciuto.
- Ma sa benissimo che non riesco a star fermo delle ore solo per riparare delle stupide attrezzature - notò lui, gorgogliando per le risate - Sono sicuro che farai trovare un sollievo al sangue che mi ribolle nelle vene e alle placche che mi prudono ormai da intere settimane.
- Vorrei che evitassi di fare a pezzi la mia nave, Grunt - rispose ridendo, mentre nella sua mente era passato rapidamente il ricordo inquietante di quel krogan che prendeva ripetutamente a testate una delle paratie della Normandy.
- Non preoccuparti, comandante - la tranquillizzò una voce sconosciuta emessa da qualcuno appena entrato nella stanza - ci penserò io a tenerlo calmo.
Si voltò e si ritrovò a fissare una krogan, poco più piccola di Grunt.
- Mi chiamo Urdnot Lazara e sono cugina della moglie di Wrex: mi ha pregato di salutarti e di rinnovarti i suoi più sinceri ringraziamenti per tutto quello che hai fatto per il nostro popolo. Saremo sempre in debito con te. Io sono estremamente onorata di poter far parte del tuo equipaggio, sempre che tu sia d’accordo, ovviamente. Il turian con cui ho parlato mi ha assicurato che saresti stata lieta di avermi a bordo, ma aspetto di conoscere la tua decisione - dichiarò Lazara che aveva un’indubbia somiglianza con la moglie di Wrex, almeno per quanto riguardava il garbo e la cortesia nel modo di esprimersi.
- Quel turian aveva ragione: sono felice e onorata di averti a bordo, Urdnot Lazara - le rispose con sincerità, chinando leggermente la testa in segno di rispetto, mentre notava come quel piccolo accenno a Garrus aveva devastato il ritmo quieto del suo cuore.
Si rifiutò di pensare a lui e chiese invece con sollecitudine - Pensate di stare comodi in questa zona della nave o avete bisogno di una sistemazione diversa?
- Siamo a posto così, comandante, ti ringraziamo per la tua gentilezza e cortesia. Ci vediamo più tardi, immagino tu abbia ancora molti giri da fare - rispose la krogan, mentre Grunt le allungava una pacca quasi delicata sulla spalla.


Ponte 4 - Ponte macchine
Non appena la porta si aprì, venne salutata da un caloroso applauso, immediatamente seguito dall’abbraccio caloroso di Ken Donnelly e di Gabby Daniels.
- Non posso crederci! Siete tutti e due qui!
- Non potevamo lasciare che questa splendida nave finisse a qualche tizio che non sapesse dove mettere le mani - rispose ridendo il ragazzo.
- E poi ormai questa è casa nostra - aggiunge Gabby, rivolgendo uno sguardo complice a Ken.
- A proposito, comandante… - cominciò a dire lui con evidente imbarazzo - Noi, ecco... ci saremmo presi la libertà di sistemarci sul ponte secondario… sai, dove dormiva Jack…
- Garrus ci ha detto che probabilmente non avresti avuto nulla in contrario, ma si è raccomandato di avvertirti.
- Sono felice di vedere che vi siate decisi e che consideriate la Normandy come la vostra casa.
- Avrai capito che Jack non è qui con noi, ma Garrus ci ha affidato un suo messaggio da consegnarti - le disse Ken, porgendole un datapad.
- Grazie - rispose, prendendolo e uscendo rapidamente dalla stanza. “Maledizione, Garrus! Più cerco di non pensare a quello che ho fatto, più tutti mi parlano di te” imprecò silenziosamente, appoggiandosi alla paratia.
“Piantala, idiota” si ordinò poi, cercando di non agitarsi troppo “se già adesso fai così, come entrerai nella batteria primaria?”.
Si diresse verso l’ascensore, guardando i pulsanti che le rimanevano. Poi scelse il numero 2: il pensiero di affrontare il ponte 3 la terrorizzava.


Ponte 2 - Sala tattica
Appena l’ascensore si fermò, le porte si aprirono automaticamente e si ritrovò a fissare quell’insieme di piccoli punti luminosi che costituivano i sistemi solari della mappa galattica.
“Quante ore ho passato qui davanti, intenta a studiare la rotta della Normandy, incerta su quale fosse la destinazione migliore o la missione più urgente...” si trovò a riflettere, mentre appoggiava le mani sugli stipiti, per impedire che la porta si richiudesse.
Istintivamente cercò la persona che era abituata a trovare alla destra della sua postazione e i suoi occhi incontrarono il sorriso familiare di Samantha.
- Bentornata! - esclamarono nello stesso istante le due donne che corsero ad abbracciarsi con gioia.
Le frasi - Mi sei mancata - e - Sono felice di trovarti a bordo - si intrecciarono nell’aria ed a questo punto le due donne scoppiarono a ridere.
- C’è niente per me? - chiese poi continuando a ridere.
- Non ci crederai, comandante, ma c’è davvero un messaggio per te al videoterminale… quando ti sentirai pronta - ridacchiò la Traynor con espressione maliziosa.
- Pronta? Per cosa?
- Per rivedere alcuni dei tuoi più vecchi amici, comandante: il caro vecchio Consiglio della Cittadella ti vuole parlare - esclamò - Se vuoi interrompere la trasmissione… fammelo sapere. Joker mi ha istruito - concluse, senza poter trattenere una risata.
Poi aggiunse sottovoce - Accidenti a me, non dovevo farmelo scappare...
“Joker” realizzò con gioia pura “La mia Normandy è pilotata da Jeff Moreau”. Puntò immediatamente verso il ponte, fregandosene assolutamente del Consiglio.


Ponte 2 - Ponte
- Avevo richiesto espressamente un tenente timoniere decente per la mia nave - commentò in tono rattristato fermandosi dietro lo schienale, mentre i suoi occhi si soffermavano stupiti su quegli inspiegabili tagli tanto vistosi.
- E invece ti ritrovi il miglior dannato pilota di tutta l’intera flotta. Capita, comandante… - rispose Joker con tono fintamente addolorato.
- Come stai? - chiese con apprensione, accomodandosi sulla poltrona alla destra.
- Devo farci l’abitudine - ammise Jeff, senza riuscire ad evitare che la malinconia si insinuasse in quella frase - Questa nave adesso rassomiglia alla vecchia SR1. E’ così silenziosa… Non avrei immaginato che avrei finito per rimpiangere una IA alquanto invadente. Invece...
- Joker, IDA è morta per colpa mia - gli confessò sinceramente, sentendo che il dolore per la condanna di tutte le IA della galassia le si ripresentava con la stessa intensità provata nel momento della scelta.
- Devo ancora raccontarvi cosa è successo sulla Cittadella - aggiunse mestamente - Ma a te voglio dirlo prima che a tutti gli altri, se hai voglia di ascoltarmi.
- Garrus mi ha già raccontato tutto, comandante. Non sei tu ad aver ucciso IDA, l’hanno uccisa i Razziatori - commentò con accento risoluto.
- Mi dispiace, Joker.
- Non mi pare avessi scelta. Beh... potevi farci diventare degli ibridi fra organici e macchine riscrivendo tutto il nostro DNA. Ma ti rendi conto di cosa sarebbe successo? All’improvviso saremmo diventati immortali, e non siamo pronti ad affrontare tanto. Una decisione simile spetterebbe solo a un dannato dio, che non credo esista. E comunque tu non lo sei, anche se ti avvicini pericolosamente al mio personale concetto di essenza divina - la prese in giro.
Dopo un attimo di riflessione silenziosa, aggiunse - E anche l’idea di vederti come Razziatore-capo, comandante… l’avrei trovata oltremodo inquietante, con tutto l’affetto e il rispetto che provo per te. Come minimo ti sarebbero venuti gli stessi occhi dell’Uomo Misterioso… E poi io ti ho vista arrabbiata, non sempre sei ragionevole, sai?
“No, non lo sono. Non lo sono stata neppure di recente” ammise, ma non poteva chiedergli un consiglio su un problema tanto personale.
- Non sono pentita, Joker. Era l’unica scelta possibile, ma mi dispiace lo stesso: IDA, i Geth...
- I Geth? Bah.. Legion si era sacrificato già prima che tu distruggessi i Razziatori, comandante. E IDA… IDA tornerà. Ne sono certo, dobbiamo solo aspettare.
- Non capisco…
- Finisci il giro della Normandy e capirai...
“Un altro mistero... Un’altra domanda alla quale non otterrò risposta...” comprese immediatamente.
- Joker, tu sai dove stiamo andando?
- Sì, ma non posso dirtelo. Capirai anche questo, quando arriveremo...
- Chi ti ha dato la rotta? - chiese ancora, mentre la porta automatica si apriva e lei varcava l’uscio.
La risposta immediata - E’ una sorpresa, comandante - la fece ripiegare su se stessa, come se avesse ricevuto un colpo al plesso solare, mentre la frase E’ una sorpresa, Shep... che il turian le aveva rivolto nel loro ultimo incontro le risuonava nelle orecchie.


Ponte 2 - Centro di Comando - Videoterminale
Tornò sui suoi passi, ringraziando mentalmente Garrus per averla sollevata dalla necessità di giustificarsi con Joker e maledicendolo nel contempo, perché tutto quello che stava vivendo da quando era tornata a bordo le strillava incessantemente quanto bisogno avesse di lui, come se non lo sapesse da sola e non se lo stesse ripetendo continuamente, da quando aveva inviato quei dannati messaggi.
Fece un cenno alla Traynor mentre oltrepassava la sua postazione e si diresse verso il centro di comando. La stanza era completamente deserta e silenziosa, quasi a rassicurarla che in quel momento non c’erano missioni urgenti da portare a termine.
Entrò nella piccola stanza circolare ed attivò il videoterminale: la figura della consigliera asari apparve immediatamente in linea e la salutò con un breve discorso.
- Comandante Shepard, desideriamo esprimerle personalmente la nostra gratitudine per tutto quello che ha fatto per l’intera galassia: la vittoria contro i Razziatori è dipesa in larga misura dalle sue azioni. I risultati dei test che il personale medico dell’Alleanza ha effettuato su di lei, durante questi mesi che ha trascorso all’Huerta Memorial, non hanno evidenziato condizioni di stress tali da consigliare un periodo di riposo, pertanto siamo stati incaricati di comunicarle che è riconfermata in servizio.
L’immagine della asari venne sostituita da quella della Dalatrass - La informiamo inoltre che è convalidato il suo status di Spettro, anche se è sollevata dall’obbligo di tenerci aggiornati sulle sue attività o sugli spostamenti, a causa delle difficoltà oggettive che si incontrano e si incontreranno nelle comunicazioni a seguito della distruzione dei portali. Tuttavia le saremmo grati se potesse dare un’occhiata a quanto avviene all’interno del sistema Far Rim. Ci rendiamo conto di quanto sia distante, ma abbiamo motivo di credere in che quel settore esista un pericolo serio. Non appena avremo ulteriori informazioni gliele faremo avere. Non ha idea di dove sia la dottoressa T’soni? O meglio ancora Javik, il prothean?
- Javik è a bordo. Forse c’è anche Liara, ma non lo so ancora - replicò, immaginando che quella risposta potesse suonare un po’ strana. Ma in compenso a lei era suonata strana la domanda che le era stata rivolta.
Infine fu la volta del consigliere turian - Sono lieto di annunciarle che il Consiglio ha deciso di affidare nelle sue mani la nave su cui lei si trova. Da questo momento in poi la Normandy SR2 è, a tutti gli effetti, la nave che le viene affidata per tutto il periodo in cui rimarrà in servizio nell’Alleanza.

- Grazie, a tutti voi - rispose semplicemente, con un nodo pesante in gola. Non le importava nulla della gratitudine del Consiglio, né della promozione ad ammiraglio, ma l’affidamento di quello splendido scafo la emozionava ben più di quanto potesse esprimere a parole.
“Potrò disporre di questa nave da ora fino alla fine della mia carriera, senza temere che mi venga sottratta da qualche nuovo arrivato” ripeté se stessa, sapendo che le sarebbe servito del tempo perché ci credesse davvero. “Il Consiglio mi ha affidato la Normandy” provò a dirsi ancora una volta, mentre tornava indietro all’ascensore.
Si appoggiò alla parete, scorrendo le dita sui pulsanti, mentre si ripeteva “Tu sei mia”. Scosse la testa ancora incredula, poi fece un sospiro rassegnato pensando che le mancava un solo ponte e premette il tanto temuto bottone numero 3.


Ponte 3 - Ponte equipaggio
Prima ancora di uscire dalla porta dell’ascensore seppe di aver deciso l’ordine in cui avrebbe visitato quelle stanze e, soprattutto, quale porta avrebbe aperto per ultima.
La prima tappa fu davanti al memoriale.
Rimase a fissare quelle stringhe di caratteri che conosceva a memoria, e passò le dita sull’ultimo nome che qualcuno, non lei, aveva aggiunto.
Rabbrividì istintivamente, mentre avvertiva il sapore di bile fra la lingua e il palato. Non sarebbe mai riuscita a dimenticare lo sgomento provato nel fissare le sue mani che agivano sotto il controllo altrui. Era intollerabile l’oltraggio di essere stata trasformata in uno strumento di morte privo di volontà.
Non si era aspettata di trovare la targa con il proprio nome, ma si chiese se fosse stata apposta e poi rimossa e se ora si trovasse abbandonata da qualche parte su quella grande nave.
Scosse la testa e si avviò.


Ponte 3 - Salone
Non c’era nessuno in quella stanza dove Kasumi aveva trascorso tanto tempo.
In effetti non si aspettava di trovare a bordo la ladra, ma sorrise nel notare che sul tavolino c’era un piccolo oggetto avvolto in una carta a disegni giapponesi e, fatto assolutamente straordinario per quei tempi, c’era un biglietto di auguri appoggiato contro il pacchetto.
Lo prese fra le mani, toccandolo con quell’attenzione con cui si tratta una reliquia del passato e si sedette sul divano per leggerlo. Era un biglietto di carta vera, spessa, che mostrava una trama complicata e raffinata. Aveva un profumo antico, sapeva di nostalgia.

Carissima Shep,
mi sarebbe piaciuto unirmi al tuo equipaggio, ma l’assenza dei portali galattici mi offre delle opportunità inaspettate che non posso lasciarmi scappare. Non so se avrei fatto una scelta diversa se Jacob avesse accettato la proposta di Garrus, ma non avrò occasione di verificarlo.
Ti abbraccio con affetto e ti consegno un piccolo dono che spero ti piacerà. Salutami tanto il tuo ragazzo, quando avrai modo di incontrarlo: vi ho sempre considerato la più bella coppia dell’intera galassia… dopo me e Keiji ovviamente…
Fai buon viaggio, Kasumi


Shepard scartò il pacchettino e si trovò in mano due piccole figure di metallo brunito che guardavano lontano davanti a loro, come stessero fissando l’infinito. Erano un ragazzo turian e una ragazza umana. Lei appoggiava la guancia sulla spalla del turian e lui le cingeva la vita con il braccio sinistro.
La guardò con orrore, pensando che difficilmente la ladra avrebbe potuto sconvolgerla maggiormente.
Appoggiò la statuetta sul ripiano del tavolino e andò al bancone per versarsi un mezzo bicchiere di liquore, il più forte che trovò nel mobile bar.
“Ne ho bisogno, dopo questo dannato regalo… maledizione a te!” inveì contro la ladra e contro se stessa.

“Garrus… dove sei? cosa starai facendo?” provò a chiedersi, senza sapere se la nomina a Primarca di Palaven fosse già avvenuta o meno “Cosa provi quando ti torno in mente?”.
“Che cazzo! Piantala!” ordinò a se stessa, rialzando il viso e rifiutandosi di piangere.
Cominciò a scorrere il datapad di Jack, mentre sorseggiava il liquore.

Ciao Shepard,
l’idea di mollare tutto mi ha tentato per qualche giorno, dopo l’incontro con il tuo turian. Poi, però, un paio di biotici si sono infilati in un casino da cui ho dovuto tirarli fuori. Avevano infranto non so bene quale stupida direttiva e li ho dovuti punire io stessa o sarebbero rimasti in gabbia. Non ti sembra divertente che mi affidino compiti del genere? Sto diventando una dannata brava ragazza e non mi piace...
Non me la sento di lasciare i miei ragazzi da soli.
Quando leggerai queste righe sarò già passata a salutarti di persona. Non mi piacciono gli addii e non so cosa cavolo dovrei scrivere su questo dannato datapad che mi ha dato Garrus.
Fai un buon viaggio,
Jack


Passò il contenuto del datapad nel factotum, ripiegò il foglietto di Kasumi e lo infilò in una delle tasche dell’uniforme insieme alla statuetta. Poi uscì dalla porta del salone e si diresse verso il lato opposto del corridoio.


Ponte 3 - Osservatorio di dritta
“Qui c’era Kaidan l’ultima volta, e prima ancora Samara” ricordò, mentre apriva lentamente la porta. Anche quella sala era deserta, ma anche qui erano stati lasciati dei messaggi per lei. Erano un datapad e una busta di carta sigillata, appoggiati uno sull’altro e coperti con un caricatore vuoto di fucile. Le venne da sorridere al pensiero che quasi certamente li aveva messi lì Garrus: solo a lui poteva venire naturale usare un caricatore di fucile come fermacarte.
Prese il datapad e cominciò a leggere.

Carissima amica,
devo andare a trovare mia figlia Falere. Voglio accertarmi che sia viva e che stia bene e il mio codice mi impone di controllare che non sia un pericolo per gli altri o per se stessa.
Dopo riprenderò il mio viaggio solitario di justicar, ma porterò sempre nel cuore il ricordo della tua splendida persona.
Non credo che ci incontreremo di nuovo. In questa breve lettera voglio ringraziarti di cuore per tutto quello che hai fatto per me e per l’intera galassia.
Pregherò ogni sera la Dea perché vegli sempre su di te e su tutti i tuoi amici.
Possa il tuo viaggio essere fonte di gioia e di serenità,
Samara


Appoggiò il datapad sul tavolino e aprì la busta, fissando con incertezza quella calligrafia sconosciuta. Guardò la firma, poi tornò alla prima riga e cominciò a leggere quella lunga lettera.

Cara Shepard,
avevi ragione, come sempre: abbiamo vinto la guerra e siamo sopravvissuti, ma tutto questo lo dobbiamo a te. Solo a te, credo sarebbe più corretto ammettere.
Senza te e la tua determinazione, gli abitanti di questa galassia avrebbero visto concludere il proprio ciclo vitale nel giro di pochi decenni. Non ti sei mai arresa e hai continuato a combattere non solo contro i Razziatori, ma anche contro tutti quelli che non hanno voluto, o potuto, credere in quello che affermavi.
Affido questo messaggio a Garrus, che è venuto a chiedermi se volessi unirmi al tuo equipaggio, ma qui c’è molto lavoro da fare e io rimarrò a dare una mano nella ricostruzione dei portali.
I miei biotici hanno bisogno di me e anche io ho bisogno di loro, per tenermi occupato e non pensare troppo ai tanti errori che ho commesso nel corso di questa vita.
Ti auguro di stare bene, di trovare un po’ di pace e un lungo periodo di vera felicità.
Avrei voluto potertela dare io, ma le cose sono andate in modo diverso.
Abbi cura di te e non rischiare la vita come fai sempre.
Con affetto sincero,
Kaidan


Ripiegò anche quel foglio e lo rimise nella busta, poi si alzò dal divano pensando “Addio Kaidan, anche io spero che tu possa trovare un po’ di tranquillità. Te la meriti. Non hai mai avuto una vita facile”.
Appena uscita dall’osservatorio di dritta rimase incerta se andare verso destra o sinistra. “Vada per l’alloggio del primo ufficiale” si disse incamminandosi.


Ponte 3 - Alloggio del Primo Ufficiale
- Non speravo che l’Ombra si trovasse sulla Normandy! - esclamò ad alta voce con gioia, facendo fare un piccolo sobbalzo di sorpresa alla asari che era immersa nella lettura di un qualche documento sul suo terminale.
- Shepard! - esclamò a sua volta Liara, stringendola forte fra le braccia. Poi aggiunse con tono divertito - Lo sai che con la distruzione dei portali hai demolito in un sol colpo tutta la mia rete informativa?… L’Ombra non esiste più.
- No, non ci avevo pensato… in effetti ho riflettuto a lungo su altri tipi conseguenze…
- Beh, hai eliminato i Razziatori, i Geth e tutte le IA della galassia, IDA compresa… dubito che la rete informativa dell’Ombra potesse avere una qualche importanza ai tuoi occhi… - le rispose con una risata limpida, poi aggiunse - E comunque dovrei ringraziarti, in realtà mi sento sollevata. Sono potuta tornare ai miei vecchi studi.
- Vuoi dire ai Prothean?
- Sto scrivendo un libro sulla loro civiltà e Javik ha accettato di aiutarmi.
- Javik, eh? Sono passata da lui. Sembra diverso… mi chiedevo se tu ne sapessi qualcosa… - replicò con uno sguardo malizioso.
- Dopo la distruzione dei Razziatori siamo rimasti in contatto. Gli ho chiesto se fosse disposto ad aiutarmi nella stesura del libro e, malgrado la sua iniziale resistenza, alla fine ha accettato. Credo si sentisse solo e spaesato sulla Cittadella: la distruzione dei portali non gli permetteva di visitare i luoghi in cui la sua gente era stata uccisa, come aveva progettato, e non sapeva come passare il tempo.
- Non mi pare che sia solo interessato al tuo libro… sembra che abbia cambiato atteggiamento rispetto al mondo che lo circonda. Direi che sembra un po’ più umano…
Liara si girò rapidamente verso il terminale, ma lei fu certa che fosse ‘arrossita’. Attese con pazienza, sapendo che se avesse provato il desiderio di confidarsi con qualcuno, di certo sarebbe stata lei la prescelta. E infatti, dopo qualche secondo di silenzio, l’amica si sedette sul letto, la invitò a fare altrettanto e cominciò a raccontare.
- La prima volta in cui ho incontrato Javik, gli domandai se avrebbe accettato di mostrarmi quel piccolo frammento di memoria che contiene i ricordi della sua gente. Lui frugò in tasca e me lo mostrò: credo che se lo porti sempre appresso. Mi chiese che senso avesse quella mia richiesta, visto che non ero in grado di leggerlo. Spiegai che avrei potuto farlo, se mi avesse aiutato, e gli descrissi l’unione asari. Rimase sorpreso. Non sapeva come funzionasse, perché cinquantamila anni fa noi non sapevamo neppure scrivere - rise divertita - però poi accettò. Credo fosse incuriosito.
A questo punto fece una breve pausa e poi guardò nel vuoto di fronte a sé, isolandosi dal mondo esterno per concentrarsi nel ricordo.
- Domandò se l’unione richiedesse un contatto fisico e, quando risposi di no, chiese se ne avrebbe compromesso l’efficacia. Rimasi perplessa, ma gli risposi che poteva farlo. Javik appoggiò una mano sul congegno e con l’altra mi strinse le dita, poi mi invitò a iniziare. E’ stato strano avvertire la sua mente che frugava nella mia, mentre io leggevo la sua. Non mi era mai successo prima.
In genere lo scambio fra asari avviene a senso unico: una trasmette, l’altra riceve - continuò Liara, con un sorriso lieve - Invece con Javik era bilaterale. Lui poteva leggere le sensazioni che io provavo nel decifrare quello che la sua mente mi trasmetteva tramite il congegno Prothean. E’ stato molto… ehm, intimo. Sì, intimo è l’aggettivo adatto - ripeté arrossendo.
- Alla fine dell’unione mi fissò con un’espressione strana. Mi confessò che, nonostante la tecnica fosse differente, il risultato era simile allo scambio di informazioni fra prothean.
A questo punto Liara restò in silenzio per una manciata di secondi, poi continuò - Era turbato. E io anche. Dopo una lunga pausa, mi confessò quanto gli dispiacesse che io non fossi prothean. Risposi istintivamente che ero ben contenta che lui non fosse asari. Alla sua richiesta di spiegazioni, confessai la nostra avversione per i purosangue. Credo di essere riuscita a spiegargli i vantaggi del nostro metodo di accoppiamento.
- Immagino che sarai arrossita dovendo entrare nei particolari…
- Javik era solo interessato a comprendere le motivazioni e il suo atteggiamento è stato molto razionale: non mi ha messo a disagio.
- Ti piace? - chiese improvvisamente, cercando di coglierla di sorpresa.
- Mi… affascina…
- Beh, è un Prothean! - la prese in giro con una risata complice.
- Sì, ma non è solo questo. Insomma, con l’unione vedi dentro una persona e lui è… beh, non so, è diverso da chiunque altro io abbia incontrato. E’ diverso da come voleva apparire su Eden Prime o anche dopo, a bordo della Normandy.
- O forse è diventato diverso. Ma questo non ha alcuna importanza. Sono contenta per tutti e due, Liara. Dico sul serio.
- Grazie, e tu come stai?… cosa mi dici di Garrus? - chiese Liara.
- Non l’ho più visto né sentito da quando è venuto a trovarmi in ospedale, due giorni fa, mi pare - rispose, cercando di evitare di pensare a quello che era accaduto in seguito, e a quei due dannati messaggi.
- Io l’ho visto più di recente, allora: mi ha chiesto di accompagnarlo ad un incontro con il Consiglio, appena ieri. Credo volesse solo un appoggio morale, perché i Consiglieri non ci avrebbero di certo ricevuti, se lui non fosse stato prossimo a diventare il Primarca di Palaven. Comunque è stato divertente vederlo all’opera, non l’avevo mai visto arrabbiato sul serio…
- Non ne so nulla, Liara.
- Il Consiglio voleva organizzare una festa di ringraziamento in tuo onore, per celebrare la vittoria contro i Razziatori.
- Garrus ha mandato tutto all’aria dicendo che tu non avresti voluto nessuna dannata stupida festa, testuali parole - precisò Liara ridendo - poi ha osservato che se erano davvero tanto riconoscenti avrebbero dovuto dimostrartelo seriamente… che la promozione poteva farti piacere, ma non le attribuivi un gran valore. Ha urlato qualcosa tipo Vi ho già ripetuto un’infinità di volte che c’è una sola cosa che potrebbe ricompensare Shepard per tutto quello che ha fatto per me, per voi, per l’intera galassia: se non avete intenzione di affidarle la Normandy è inutile che continuiate a farmi perdere tempo con queste inutili discussioni.
- Alla fine hanno borbottato qualcosa fra di loro, si sono scambiati una di quelle occhiate significative con cui arrivano a una decisione comune… ed ecco qui la tua nave - concluse con un sorriso.
- La mia nave - ripeté meccanicamente, mentre si alzava e usciva dalla stanza senza neppure salutare l’amica rimasta seduta sul letto a guardarla andar via.

“La mia nave o... la nostra casa, Garrus? La casa per vivere insieme?” si chiese, fermandosi al banco della cucina per aprire una bottiglia di vino. Se ne versò un bicchiere, poi si sedette su uno sgabello, stringendosi la fronte fra le mani.
Non ci aveva pensato, ma era ovvio che i Consiglieri non le avrebbero mai affidato spontaneamente la Normandy o, almeno, non con un impegno che durava fino alla conclusione della sua carriera. Non ci avrebbero neppure pensato. Solo al turian poteva essere venuta in mente un’idea così assurda e così dolce. Doveva aver speso intere settimane su quel progetto fuori dal senso comune, per combattere contro ogni inevitabile resistenza e tutte le impensabili difficoltà burocratiche. Di certo era stato ancora lui a procurarle quell’equipaggio, così come era stato lui a fare attraccare la Normandy all’hangar D24 e a mandarle Cortez all’uscita dell’ospedale.
“E io cosa ho fatto?” si chiese sconvolta e frastornata. “Non ci sono aggettivi adeguati a definire le mie azioni. Non esistono parole o atti che possano perdonare la mia condotta. Non ai tuoi occhi... e neppure ai miei”.
Lasciò il bicchiere intatto sul ripiano: le era passata la voglia di bere, aveva solo voglia di prendersi a calci. Provò a rimanere in silenzio, concentrandosi sui suoni di sottofondo, ma sarebbe stato impossibile percepire un eventuale rumore proveniente dalla batteria primaria. L’avrebbe comunque lasciata per ultima. A quel punto non avrebbe avuto senso anticipare la visita a quella stanza che adesso aveva il terrore di trovare deserta.
Se Garrus fosse stato a bordo poteva sperare di farsi perdonare. Poteva almeno provare a spiegargli il terrore che l’aveva colta al pensiero di restare incollata su Palaven. L’avrebbe capita? Forse...
Era inutile pensare a tutte le eventuali possibilità, si rese conto. In ogni caso non era in grado di prevedere gli avvenimenti futuri: la realtà spesso faceva impallidire la più fantasiosa immaginazione.
“Ho affrontato i Razziatori, non mi farò impaurire dall’ammettere un mio errore” si provò a consolare, scendendo dallo sgabello e dirigendosi verso l’infermeria.


Ponte 3 - Centro medico
- Dottoressa! Ma che bella sorpresa! Se avessi saputo che eri a bordo ti avrei portato una bottiglia del tuo brandy preferito - esclamò andando incontro alla Chakwas e abbracciandola con entusiasmo.
- Non preoccuparti, comandante, nell’armadietto dei medicinali ho trovato una mezza dozzina di Serrice Ice - rispose la dottoressa restituendole l’abbraccio.
- E così hai ancora voglia di passare la tua vita in volo su una nave spaziale, vedo. Niente riuscirà a farti cambiare idea, immagino.
- Ormai questa è la mia casa, comandante, e qui mi sento in famiglia. Mi ero già stufata di restare all’interno di un edificio ancorato al suolo. Mi mancava la vibrazione dello scafo e lo spettacolo che si ammira dalle finestre di una nave spaziale. E questa poi non è una nave spaziale qualsiasi: è la più bella di tutta la flotta ed è anche la più veloce. Pregio non indifferente in questo momento, senza i portali galattici.
- Ti saluto, dottoressa, vado a completare il mio giro di ricognizione, ma passerò presto per un brindisi - annunciò tornando sui suoi passi, diretta verso la porta dell’infermeria.
- Aspetta, comandante. Ti dimentichi una stanza. Quella alle mie spalle...
- Il nucleo IA? - chiese un po’ stupita.
La Chakwas annuì e lei rimase incerta per qualche secondo. Poi osservò con una voce che le uscì rauca - Oh… è che lì... beh, c’era il corpo di Eva e poi Legion… mi fa uno strano effetto entrarci.
- Al tuo posto ci andrei...
- E va bene - rispose arrendendosi, mentre si sforzava di continuare a respirare normalmente.


Ponte 3 - Nucleo IA
La prima cosa che notò, entrando, fu il dorso di un quarian chino proprio di fronte a lei. L’individuo, di sesso maschile, stava esaminando attentamente le letture di un’apparecchiatura a lei sconosciuta e stava trasmettendo i valori a qualcun’altro mediante un comunicatore.
- Sì, è come proprio come pensavi tu. Vuoi venire a controllare di persona?
La voce che rispose - Arrivo immediatamente - apparteneva sicuramente a Tali che, quindi, doveva trovarsi rintanata da qualche parte sulla Normandy, realizzò con gioia. A quel punto il quarian sollevò gli occhi e la vide.
- Comandante, è un vero piacere poterla incontrare nuovamente. Non so se si ricorda di me, sono Kal’Reegar(1). Ci siamo incontrati su Haestrom prima, e poi al processo di Tali. Spero che non abbia nulla in contrario ad avermi a bordo della sua nave.
- Sono certa che Shepard ne sarà felice, non è vero? - rispose al suo posto l’amica che, entrando di corsa, le era finita addosso, a causa del poco spazio disponibile.
- Certamente, Kal’Reegar, mi ricordo di te e sono lieta di trovarti qui.
Poi abbracciò la quarian con affetto - E non so dirti quanto sia felice di riavere anche te a bordo. Pensavo che fossi impegnatissima con il portale del sistema Sol. So che i quarian sono considerati la razza più preziosa della galassia in questo momento.
- E’ vero, Shepard, ma qui ho un compito perfino più importante da svolgere - rispose in tono convinto - Sono certa di poter riattivare IDA in qualche modo. Quando è mancata sono stata attenta a conservare tutto quello che la riguardasse. Lei era la Normandy, quindi deve esserne rimasta traccia all’interno della nave. Devo solo capire dove trovare queste tracce e come riattivarla. E se qualcuno può portare a termine un compito di questo genere, quel qualcuno è di certo un quarian - aggiunse tutto d’un fiato, con quella rapidità di linguaggio che era solita utilizzare quando era emozionata.
- Kal non si occupa di tecnologia, ma un combattente valido come lui ti farà certamente comodo, se non hai intenzione di limitarti a una rilassante gita turistica… - scherzò Tali, che però tornò rapidamente al nocciolo della questione che la intrigava di più in quel momento - Il risultato che ho appena ottenuto mi conferma che quello che ti ho detto è possibile. Bisogna solo aver pazienza, ma il tempo di certo non ci mancherà, adesso che i portali sono ancora inattivi e che qualsiasi spostamento richiede giorni e giorni di navigazione.
- Questa è una delle migliori notizie che io abbia ricevuto negli ultimi mesi. Joker ti sarà debitore per il resto della sua vita e io anche… La morte di IDA mi fa svegliare ancora oggi in piena notte con l’animo colmo di tristezza - confessò sinceramente.
- Non ci sarà mai nulla capace di ripagare lontanamente quello che tu hai fatto per tutti noi, però sono contenta di poter lavorare a questo progetto. Mi piacciono le sfide definite impossibili: mi hai insegnato tu che nulla è davvero impossibile - affermò facendole l’occhiolino dietro la maschera.
- Un’ultima cosa, comandante - aggiunse Kal'Reegar - Io e Tali ci vorremmo sistemare nell’osservatorio di dritta, se non hai nulla in contrario.
- Ma certo, anzi ne sono felice, sarebbe stato un peccato se quella stanza fosse rimasta vuota. E’ una delle mie preferite, con quella enorme vetrata - rispose, notando come i due quarian si chiamassero a vicenda con i soli nomi di battesimo, segno che la confidenza fra loro era aumentata molto dall’ultima volta che li aveva visti insieme.
- Vi lascio lavorare in pace. Ora devo andare - li salutò uscendo dalla stanza.
Attraversò nuovamente il laboratorio medico, quasi non facendo caso alla dottoressa, perché il suo pensiero era rivolto unicamente all’ultima stanza che doveva ancora visitare e lei non riusciva a capire quali fossero le sensazioni che le stavano lacerando l’anima.



Note
(1) Alla fine di ME3 Shepard ha ricevuto un messaggio dall'Alleanza in cui le veniva comunicata la morte del quarian. Dovrete aspettare qualche altro capitolo per sapere come mai sia vivo.

Il capitolo è stato rivisto nella parte relativa al colloquio con il Consiglio. La precedente promozione ad ammiraglio non era realistica, come mi è stato fatto gentilmente notare. Di certo non in tempi così brevi.
Forse è più “importante” la modifica inerente la Normandy, che viene affidata al comandante Shepard fino alla fine del servizio che presterà nell’Alleanza, ma non diventa di sua proprietà esclusiva.
In ogni modo queste correzioni possono essere ritenute trascurabili per il proseguimento della mia storia. Spero che possiate perdonarmi.

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Capitolo 6
*** L'unità degli opposti ***


L’UNITA’ DEGLI OPPOSTI


Losing you




Ponte 3 - Batteria Primaria
L’aveva lasciata apposta come ultima stanza. Rimase davanti alla porta senza aprirla. Respirò a lungo, provando a tranquillizzarsi, mentre fissava quelle sue mani che tremavano troppo. Si appoggiò con la schiena contro una paratia, aspettando di ritrovare un po’ di calma.
La possibilità di trovarci Garrus le appariva remota. Se anche non fosse stato impegnato con la Gerarchia, forse non si sarebbe fatto trovare a bordo, non dopo quei suoi messaggi. Era stato lui a farle affidare la nave ed era certamente la Normandy la casa a cui aveva accennato. Solo lui poteva capire quanto rappresentasse per lei e solo lui avrebbe usato tutto il suo tempo e le sue energie per farle quel regalo che non aveva prezzo.
“E’ una sorpresa, Shep” sentì ripetere da una sagoma indistinta, avvolta nelle tenebre, sentendo che il peso per il senso di colpa la stava schiacciando.

“Ma che significato ha?” si chiese perché, a parte il rimorso opprimente, ancora non riusciva ad aver chiara la situazione. “Cosa me ne faccio della Normandy se poi siamo ancorati su Palaven? Cosa diavolo hai pensato? Non potrei essere tua moglie e andarmene a zonzo per la galassia e tu non potresti mollare tutti i tuoi impegni per seguirmi. La dovremmo usare per le vacanze estive?” si chiese scuotendo la testa, senza riuscire ancora a trovare il coraggio di varcare quella soglia.
“Joker sta dirigendo la Normandy verso il tuo pianeta natale? Hai programmato che sarei stata al tuo fianco nella cerimonia di investitura a Primarca, ammesso esista una cerimonia del genere su Palaven?” si chiese sempre più incerta.
“Mi sto facendo domande alle quali non so rispondere per prendere tempo, perché non riesco ad accettare la stupidità dei miei gesti, la mia irrazionalità, l’ingiustizia con cui ti ho trattato: ho scordato chi sei e cosa hai sempre fatto per me” si confessò, sapendo che la disapprovazione di se stessa era un nemico che ancora non aveva mai affrontato con tanta violenza.
E non si decideva ad aprire quella porta soprattutto perché non sapeva come sarebbe riuscita ad affrontare la delusione di non trovarlo a bordo.

Se avesse coltivato il progetto di andare insieme a lei su Palaven per ricevere ufficialmente l’incarico, avrebbero potuto passare insieme varie settimane. Si sarebbe potuta spiegare e forse sarebbe riuscita a farsi perdonare. Non la sostanza, che restava invariata, ma almeno il modo: un messaggio... “Mi hai fatto affidare la Normandy e io, in cambio, ti ho liquidato con un messaggio stringato?”.
Era incapace di capire cosa provasse esattamente riguardo a quella maledetta nomina a Primarca. Di sicuro c’era la gioia di saperlo alla guida del suo popolo, in una posizione che gli spettava di diritto e che aveva dimostrato di meritare pienamente. Sapeva che avrebbe onorato quel titolo nel migliore dei modi e che, liberandosi dall’ombra della sua presenza, avrebbe finalmente realizzato di essere un ottimo leader. Ma non poteva negare di essere atterrita all’idea di perderlo.
L’errore lo aveva commesso un settimana prima: Primarca o meno, aveva sbagliato ad accettare di diventare sua moglie. Non c’era fretta di compiere quel passo che non era neppure necessario. Forse Garrus voleva una sicurezza di cui lei non aveva bisogno. “So che mi saresti sempre vicino, non ne ho mai dubitato. Non ti ho mai dato la stessa certezza, suppongo. E visto il messaggio che ti ho mandato, sarebbe difficile contarci...”.
“Dovevo rispondere di no allora, non una settimana dopo e di certo non in quel modo...”. Se gli avesse chiesto del tempo al ristorante panoramico, lo avrebbe avuto, ne era certa. Ora, invece, non sapeva assolutamente prevedere le reazioni di Garrus.

Provò a immaginare le conseguenze peggiori. Non trovarlo all’interno della batteria primaria, lui in persona o almeno un messaggio stringato, avrebbe dimostrato che lo aveva ferito troppo. Controllò la posta con il factotum, anche sapendo quanto fosse inutile, poi riprese a fissare la porta chiusa.
Faceva fatica a capire se le sarebbe pesata di più la sua perdita in veste di amante o di confidente. E sapeva già che, alla prima battaglia, avrebbe sentito la mancanza di quel compagno d’armi nelle cui mani aveva consegnato in più occasioni la propria vita. Ma era inutile pensare al peggio quando rimaneva ancora una tenue speranza: Garrus era un bravo ragazzo, forse più di quanto lei meritasse.
Si decise e aprì la porta, sperando di trovarlo lì, immerso nei calcoli di qualche complicato algoritmo, magari così preso dalle sue famose calibrature da non notarla affatto o da chiederle di tornare più tardi. Sarebbe stata felice anche di trovarlo adirato come mai lo aveva visto in precedenza.

I macchinari nella stanza la accolsero con il loro ronzio familiare, mentre le luci si accendevano e si spengevano con quel ritmo un po’ ipnotico che aveva imparato a conoscere così bene nel corso delle lunghe ore trascorse lì, in compagnia del turian. Sul ripiano a sinistra della porta c’era uno spazio vuoto: quello che di solito era occupato dal computer di Garrus. Tutto era pulito e ordinato, come la stanza anonima di un albergo.
“Sono una sciocca e un’ingrata, Primarca Vakarian” pensò mentre si lasciava scivolare in terra, appoggiando la schiena contro l’uscio appena chiuso e il viso sulle ginocchia ripiegate. Le lacrime scorrevano nonostante il suo sforzo di trattenerle e, dopo un breve istante di ribellione istintiva, ci si abbandonò completamente: in fondo nessuno poteva vederla… “neppure IDA” si trovò a realizzare, con un nuovo spasmo doloroso.

“Non abbiamo avuto modo di parlare: avrei dovuto spiegarti di persona perché non posso diventare tua moglie, la moglie di un Primarca, invece di scriverti. Ora posso solo sperare che tu abbia capito il mio messaggio al di là di quelle parole inadeguate. Non credo tu possa onestamente immaginarmi con qualcosa diverso da una pistola o da un fucile stretto fra le mani. Non ti potrei mai venire in mente come anfitrione che accoglie gli ospiti e che si occupa della gestione della casa. Sono certa che saresti il primo a piegarti in due dalle risate a queste immagini assurde” lo pregò silenziosamente, senza riuscire a liberarsi dal dolore per quel terribile senso di vuoto che le allagava l’animo.

“Ora che ho a disposizione la Normandy verrò a cercarti su Palaven, se già non è diretta lì questa nave. Mi serviranno dei mesi, ma verrò a vedere come te la cavi. E ti spiegherò tutto, se accetterai di vedermi. Sei riuscito a restituirmi la forza di rialzarmi e di tornare a combattere perfino dopo questa ultima terribile battaglia contro i Razziatori: non ti deluderò, almeno come soldato. Come donna sono stata un disastro, come fidanzata sono addirittura inqualificabile” si confessò amaramente.
“In un futuro lontano, quando sarai riuscito a perdonare quello che so di averti fatto, forse riuscirai ad essere fiero di te stesso, per essere riuscito a riportarmi a essere ciò che ero una volta, quando combattevamo insieme, fianco a fianco” concluse infine, rendendosi conto che doveva uscire al più presto da quella stanza troppo piena di ricordi.

Si alzò dal pavimento e dette un’ultima occhiata intorno. Accarezzò con le dita il macchinario più vicino, stupita dalla freddezza indifferente di quel metallo che tutto a un tratto le appariva estraneo. Si asciugò il viso maldestramente, con la manica dell’uniforme, e tornò sul ponte equipaggio. Ma all’improvviso, a metà del percorso verso l’ascensore, la fantasia della sagoma di uno sconosciuto intento a calibrare i sistemi offensivi della sua nave la offese, come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Quella visione le invase la mente, seminando il panico nei suoi pensieri, e si sentì costretta a tornare sui passi e a rientrare nella batteria primaria, per assicurarsi che non ci fosse realmente alcuna traccia di qualcuno che avesse preso il posto di Garrus.

Uscì nuovamente sul ponte equipaggio imponendosi di respirare con regolarità. Tutto taceva a quell’ora tarda della sera, ma lo scafo vibrava leggermente sotto i suoi piedi, le luci delle apparecchiature in funzione lampeggiavano con regolarità, mentre il ronzio rassicurante dei macchinari la accompagnò per tutto il percorso fino all’ascensore.


Ponte 1 - Alloggio del comandante
Entrò, premette il pulsante corrispondente al ponte 1 ed aspettò che l’ascensore si fermasse. Poi uscì e varcò la soglia della sua cabina appena illuminata dal consueto chiarore dell’acquario. Appoggiò la mano sinistra, con tutte le dita bene aperte, contro il vetro e restò a fissare le scintillanti sagome colorate, mentre ricominciava a piangere in silenzio “Hai pensato perfino agli stupidi pesci”.
Si voltò, cercando la gabbietta, e vide che anche il criceto era al suo solito posto: stava mordicchiando uno spicchio di mela con quel lieve suono raschiante.

- Non ce la faccio - sussurrò, mentre si rendeva conto di non vedere più nulla, accecata com’era dalle lacrime che non era capace di fermare: erano lacrime di gioia e di disperazione e non capiva quale sensazione sovrastasse l’altra. Si buttò sul letto, abbracciando il cuscino, e cercando di soffocarci dentro i singhiozzi che la stavano scuotendo.
- Non ce la faccio - ripeté, con il viso premuto contro la federa, questa volta urlando con tutto il fiato che aveva, cercando di sfogare in quel grido liberatorio tutto lo strano miscuglio di sensazioni soffocanti che la opprimevano.
Ammutolì non appena sentì aprirsi la porta del bagno, mentre una voce inconfondibile chiedeva - Cosa diavolo ti prende?


In the End




- Cosa fai qui? - chiese a sua volta, impietrita dalla sorpresa.
- Stavo raccogliendo le mie cose. Ero stato un idiota: le avevo sistemate nella tua cabina - fu la risposta pronunciata in tono assente.
Solo in quel momento intravide un borsone aperto appoggiato in terra, a fianco della porta del bagno.
- Non ho capito.
- Ho letto i tuoi messaggi pochi minuti fa - spiegò lui, indicando il portatile aperto, appoggiato sul tavolino - Speravo di riuscire a radunare tutto prima che finissi il giro della nave, ma sono in ritardo - aggiunse - Non mi era venuto in mente di controllare la corrispondenza. L’ho fatto solo per passare il tempo, mentre ti aspettavo - aggiunse con espressione distante.

Lo guardò infilare nel borsone un paio di flaconi e tornare poi verso il bagno. Restò in silenzio, senza capire cosa realmente provasse, senza sapere cosa dire. Era solo confusa, completamente disorientata.
- Mi dispiace - fu tutto quello che riuscì a pronunciare, asciugandosi gli occhi con il lenzuolo.
- Perché stai piangendo? - fu la domanda che provenne dal bagno, con un tono che la ferì perché suonava di pura cortesia.
Cercò delle parole semplici che riuscissero a spiegare l’insieme confuso delle tante sensazioni esasperate che provava.
- E’ troppo, tutto questo - disse alzandosi dal letto e aprendo le braccia, come in segno di resa, mentre fissava la grande finestra di fronte alla porta del bagno - Fa male.
Lo vide annuire lentamente nel riflesso del vetro che dava sul cielo nero.
- E poi... la batteria primaria... era vuota... - confessò con una voce pressoché inesistente, rendendosi conto di quanto fossero contrastanti le diverse emozioni che le stavano strappando l’anima.

- Sarebbe stata vuota la tua cabina e non la batteria primaria, se avessi letto prima quel messaggio delirante - asserì Garrus, con lo stesso tono che avrebbe usato per parlare dell’immutabile tempo metereologico della Cittadella.
Lei appoggiò la fronte alla finestra - Mi spiace... è partito per errore.
- Ti riferisci al primo, ma quel messaggio potevo comprenderlo. Il secondo no.
- Non capisco.
- Lo so.
- Potresti spiegarmi... - lo pregò, girandosi a guardarlo.
- Non ora. Non ce la faccio - confessò, scuotendo la testa - Sono deluso da me stesso, dalla mia irragionevolezza, dall’ignoranza con cui ho affrontato questa relazione. Sapevo troppo poco sugli umani e mi sono reso conto che tuttora non riesco a capirvi.
- Stai dicendo delle assurdità.
- Anche se fosse, non avrebbe importanza. E non capisco cosa ti importi delle mie spiegazioni. Tu sai dove ti porta la tua strada. Io sono molto più confuso.
- Io... non sono sicura di niente. Non so cosa voglio, non capisco neppure cosa provo - ammise, rendendosi conto che riuscire a trattenerlo in quella stanza era l’unica cosa che contasse in quel momento.
- Non sai cosa vuoi? - si sentì chiedere con voce ostile - E’ un’affermazione strana: una decisione l’hai presa. E ti sei limitata a comunicarmela, senza dilungarti in spiegazioni.

- Forse hai ragione - ammise stancamente.
- Forse? - ripeté lui, incredulo, calcando quella parola con rabbia - Questo tuo forse chiarisce quale enorme errore io abbia commesso e da cosa volesse proteggermi mio padre - aggiunse mettendo un altro paio di cose nel borsone per poi chiuderlo con un gesto deciso.
- Va bene, hai ragione e basta - si arrese - senza nessun dannato forse. Ne possiamo parlare?
- No. Non adesso.
- Non adesso - ripeté arrendendosi - Ma adesso cosa succede? - chiese poi, sentendo che stava affogando in un mare di sensazioni contrastanti, senza riuscire a seguire fino in fondo un solo pensiero, ma lasciandosi trascinare dai tanti che le si accavallavano confusamente nella mente. Sopra tutto c’era una paura che la paralizzava.
- Torno nella batteria primaria: le relazioni interspecie non possono funzionare.
- Non puoi aspettarti che lo facciano con la telepatia! - gli urlò contro con tutta la rabbia e la disperazione che provava, senza neppure rendersi conto di aver lanciato una nova in piena stanza, con il risultato di aver mandato all’aria tutto quello che non era saldamente fissato al pavimento o alle pareti, nonostante gli impianti biotici inattivi.
In un’occasione diversa si sarebbe messa a ridere di fronte all’immagine di Garrus scaraventato contro il muro con la gabbietta del criceto fra le braccia, ma in quel momento era solo atterrita all’idea che lui varcasse quella porta.

La certezza assoluta, anche se ingiustificata che, se fosse arrivato nel suo santuario privato, nulla lo avrebbe convinto a tornare sui propri passi, l’aveva fatta agire con una violenza da lasciare stupita lei per prima.
Mentre il turian si rialzava da terra e rimetteva a posto la gabbia sulla mensola con una pacatezza che era ancora più inquietante di uno scoppio d’ira, ricordò la decisione irremovibile di non voler diventare sua moglie e si chiese cosa volesse veramente.
- Ti avevo avvertito che sarebbe stato complicato. Probabilmente lo è troppo, per te - lo sfidò apertamente - Vai su Palaven a fare il Primarca, se è questo che vuoi - aggiunse fermandosi a pochi centimetri, fissandolo dal basso con un’espressione piena di rabbia.
- E tu cosa vuoi? Lo sai? - la provocò lui.
- Voglio la Normandy, i cieli della galassia, un equipaggio... E te - fu la risposta istantanea, che le sembrò ovvia e sicura - Non in quest’ordine…
- Garrus, non riuscirei a vivere arenata su un pianeta, neppure sul tuo - confessò con gli occhi umidi per le lacrime di rabbia che stava cercando di trattenere - Non posso essere tua moglie, la moglie di un Primarca. Ma non dobbiamo sposarci per forza, no?

- Non riesco a immaginare quale futuro in comune vedi per noi due, con queste premesse - osservò lui, fissandola pensieroso.
- Neppure io - ammise sinceramente, lasciandosi cadere in terra, con le spalle contro una parete.
- Il comandante Shepard va in giro per la galassia con la sua amata Normandy, ogni tanto fa scalo su Palaven, passa qualche notte con il suo uomo e poi riparte. Pensi onestamente che potrebbe funzionare?
- No - riconobbe - Ma la colpa è tua! - lo accusò subito dopo alzandosi in piedi e fronteggiandolo con rabbia.
- Vai avanti - la incitò Garrus con un sorriso inquietante, accompagnato da uno sguardo gelido.
- Non mi avevi avvertito che eri il nuovo Primarca. Non mi hai spiegato cosa avrebbe comportato un matrimonio con te!
- E’ inammissibile prendere decisioni del genere senza avvertire il partner. Stai affermando questo?
- Esatto - gli ringhiò contro, senza capire perché lui continuasse a fissarla con quell’espressione che la metteva a disagio.
- Come altrettanto inammissibile è la dichiarazione io vado per la mia strada... tanti saluti... non devo spiegarti nulla... che è il senso del tuo secondo messaggio.

- Quindi... ciascuno di noi ha commesso un errore? - chiese, con la speranza assurda che due errori potessero annullarsi a vicenda.
- No. Il mio unico errore è stato quello di fidarmi di un’umana. Non passerò il resto della mia vita a firmare scartoffie o a incontrare politici. Non valuterò la convenienza di inutili accordi galattici con diplomatici di potenze straniere. Non sono fatto per questo - le confessò tranquillamente - E comunque non avrei mai preso una decisione del genere senza discuterne prima con te.
Adesso era confusa - Ma perché non hai rifiutato subito?
- Perché volevo questa nave: il Consiglio non sarebbe stato ad ascoltare un Garrus Vakarian qualsiasi, ma il futuro Primarca di Palaven sì - le spiegò con calma, prima di aggiungere in tono decisamente diverso - Non immaginavo potessi credere che avrei valutato la proposta senza ascoltare il tuo parere. Ma suppongo che fra umani sia uso comune decidere come se il partner non esistesse.

Incassò quell’accusa, interessata ad altro - Ora cosa farai? - chiese senza osare guardarlo.
- Il mio posto è su questa nave, comandante, se non hai obiezioni.
- Pensi davvero che potrei averne? - domandò, sinceramente stupita.
- Non credo di avere più punti di riferimento certi - fu la risposta scoraggiante.
“Me la sono cercata...” ammise Shepard, sentendosi ancora peggio.
- Quando ti ho spedito quel messaggio pensavo che fossi il nuovo Primarca... - provò a protestare debolmente.
- La nomina, da sola, non avrebbe giustificato quelle tue frasi - fu la replica gelida.
Lo fissò, sorpresa da quanto la conoscesse - Il ruolo di moglie mi si addice meno di quanto il ruolo di Primarca si addica a te, Garrus - confessò sinceramente.
- Non capisco.
- Non so gestire una casa: non voglio passare il mio tempo a lavare, mettere le cose in ordine o cucinare e l’idea di dovermi occupare di eventuali figli mi terrorizza. Potrei imparare, certo - ammise - ma finirei con l’odiare quella vita, me stessa e alla fine odierei anche te - concluse in tono sicuro, che non ammetteva repliche.
Cominciò a camminare nervosamente per la cabina - Posso combattere al tuo fianco, tenerti addosso i miei scudi biotici maledicendoti se rischi la vita come un idiota, posso caricare mutanti e polverizzarli con una nova e posso perfino uccidere un Razziatore. Ma non voglio imparare a diventare una brava moglie, voglio restare me stessa.

- Il tuo concetto di moglie è paragonabile a un drone per le pulizie - obiettò Garrus, interrompendo quel fiume sconclusionato di parole. Non erano solo le parole a essere prive di logica, era Shepard stessa a comportarsi in modo insolito. Non la riconosceva. Ma neppure lei si riconosceva, di questo era certo. Stava parlando sotto l’effetto delle emozioni, senza provare a ragionare.
- Casa tua è la Nomandy e non lucidi i suoi ponti - le fece notare, abbandonando la tenue speranza di comprendere il significato del matrimonio in uso fra gli umani - Non ti farei mai mettere le mani sulla mia armatura e tanto meno sui miei fucili, come ben sai. E figli dubito che potremo mai averne, a parte il fatto che ci vorrebbe un bel coraggio a diventare genitori, con la vita che facciamo… - concluse, continuando a sentirsi a disagio perché, per una volta, non riusciva a comprendere quella strana aliena che gli stava di fronte: quei pochi centimetri di distanza sembravano migliaia di anni luce.
- Non so se ci sia altro da chiarire - ammise con stanchezza - Non ti capisco. Non so cosa tu voglia veramente. Credo che neppure tu lo sappia.
- Un matrimonio fra turian ha un significato diverso?
- Ma diverso da cosa? - esplose lui, per la prima volta palesemente arrabbiato - Da quello che ha per voi umani? Io non vi conosco e la voglia di conoscervi mi è passata del tutto in queste ultime ore. Mi sembrate insensati. Non riesco a capirti.
“E io non ho capito te: adesso sono certa di questo. E sono terrorizzata dalla possibilità che te ne vada” realizzò improvvisamente, mentre impallidiva nel vederlo prendere la borsa con una mano.
- Per favore... - sussurrò soltanto, fissando quelle dita che si stavano chiudendo sulla cinghia. Lo vide alzare la borsa solo per appoggiarla sul letto e aprirla. Trasse un sospiro di sollievo talmente rumoroso che Garrus si girò a fissarla con vero stupore, prima di borbottare qualcosa nella sua lingua in tono irritato.

Lo osservò rovistare al suo interno, tirare fuori una bottiglia e versare un dito del vino di Palaven in un bicchiere. Poi lo vide prendere la bottiglia del suo vino preferito e versarne un dito in quello stesso bicchiere, per poi chiederle - Sapresti separarli?
Scosse la testa in silenzio.
- Questa è una coppia turian dopo la promessa di impegno reciproco. Matrimonio o meno, per noi una promessa significa questo. E’ semplice, ma anche complesso. Non c’è altro. Non capisco cos’altro dovrebbe cambiare o perché. Ma sei un’umana...
- Ho provato a separare i due vini con quel messaggio - ammise - Ma l’ho fatto perché non avevo capito. Tu ora stai facendo lo stesso, ma in piena consapevolezza - lo accusò poi, con voce irritata.
La fissò interdetto: fra tante reazioni che si sarebbe aspettato, quell’attacco lo aveva colto di sorpresa. E, conoscendola, era l’anticipo di un affondo più deciso.
- E non ti permetto di trattarmi come un’umana qualunque - sillabò infatti lei - Io sono io: Comandante Trinity Shepard, Marina dell’Alleanza - affermò con orgoglio - e se mi avessi spiegato cosa voleva dire il matrimonio per te, invece di darlo per scontato, ora non saremmo in questo casino! - sbottò con rabbia.

- Per favore - ripeté ancora, cambiando completamente tono e accoccolandoglisi davanti sul pavimento - non lasciarmi qui da sola a pensare a cosa ho combinato.
Avrebbe voluto sovrapporre le sue mani sulle sue, stringergliele con forza, fissarlo negli occhi e appoggiare le labbra sulla sua bocca. Sapeva che, se davvero ci avesse provato, quasi certamente lui l’avrebbe scansata o sarebbe addirittura rimasto indifferente e lei non poteva affrontare quel rischio.
- Possiamo riprendere da prima che leggessi quello stupido messaggio? - chiese con voce incerta, spezzata dall’ansia.
- Mi sento... insicuro. Per una volta non ti capisco - fu la risposta sincera che le fece molto più male di un rifiuto sdegnato.
- Non sono ancora i nostri vecchi tempi? - domandò, piena di speranza - Non sarà facile: io farò altri disastri, lo sappiamo entrambi. Però potremmo almeno provare, non possiamo arrenderci.
- Devo riuscire a capire - la interruppe - Ho bisogno di un posto tranquillo dove pensare.
- Abbiamo affrontato battaglie più difficili di questa - lo incoraggiò.
- Non lo so - rispose Garrus stancamente, prima di alzarsi.

Non lo trattenne, né con un gesto e neppure con una frase. Non sarebbe servito.
Aspettò che lui uscisse dalla cabina e poi si diresse in infermeria.
- Dammi qualcosa che riesca a non farmi pensare. E’ un’emergenza, dammi qualcosa che funzioni davvero - ordinò alla dottoressa che le lanciò uno sguardo incuriosito, nonostante l’aria assonnata - No, non puoi farmi nessuna domanda - aggiunse poi, appena la vide schiudere le labbra.
Ingoiò le pillole strada facendo e si rese conto che si sarebbe addormentata prima ancora di riuscire a spogliarsi. Si buttò sul letto così come si trovava.

Sognò Garrus che la chiamava con il suo nome di battesimo e sentì che le si spezzava il cuore, mentre le lacrime le inondavano il viso e la voce restava ostinatamente muta. Non riusciva a raggiungerlo o a toccarlo, non riusciva a trattenerlo nelle sue braccia che erano troppo pesanti. Lo vide scomparire, come risucchiato da un vortice.
Poi solo il silenzio e il vuoto. Senso di perdita. Disperazione. Ancora lacrime, singhiozzi che si spezzavano. Dolore, tanto... troppo.
“Ti avevo chiesto di non farmi pensare” ricordò con disperazione, incapace di rievocare il volto della dea a cui aveva rivolto quella preghiera che era stata respinta. Nessuno ascoltava mai le sue suppliche.
- Ti avevo chiesto di lasciarmi andare - urlò con rabbia contro Kalahira.
- Lo so - le parve che rispondesse quella dea dalla voce profonda come il mare. Poi le onde dell’oceano le lambirono il volto, asciugandolo dalle lacrime, e racchiusero le sue membra, conducendola in salvo in una grotta tiepida e profonda in cui si sentiva al sicuro.

Si svegliò all'improvviso, quando la manovra di cambiare il fianco su cui dormiva le risultò difficile. Prese coscienza di dove fosse e di chi la tenesse fra le braccia senza aprire gli occhi. Smise di muoversi, senza rendersi conto di aver smesso di respirare, fino a quando dovette farlo per forza, con una inspirazione dolorosa.
- Stai bene?
- Non lo so... ho paura di svegliarmi...
- Mi hai fatto preoccupare quando sono entrato qui stanotte. Sembravi delirare. Ho dovuto chiamare la dottoressa. Vorrei che la smettessi di spaventarmi...
- Sarebbe meglio se la smettessi di farti del male...
- Non so a chi ne fai di più - osservò Garrus, passandole le dita fra i capelli.
E fu quel gesto affettuoso e quel tono gentile a scatenare una crisi di pianto inconsolabile.

- Spiriti! Ora basta! La devi piantare, Trinity... Hai pianto un’ora almeno, stanotte, senza che riuscissi a farti smettere.
- Mi dispiace.
- Non mi importa un accidente che ti dispiaccia. Smetti immediatamente - le ordinò girandola in modo da poterla guardare in faccia - Vatti a lavare via quelle dannate lacrime. Poi parliamo.
Quando tornò in stanza trovò Garrus seduto sul letto, con la schiena contro il cuscino che aveva messo in verticale, appoggiato alla spalliera. Gli si sedette accanto e lui la alzò come fosse una bambina, se la mise a cavalcioni e piegò le gambe dietro la sua schiena.
- Mi piace - osservò lei con un sorriso - E’ comodo e rassicurante.
- Di cosa hai paura, Trinity? - le chiese lui senza lasciarsi distrarre dalle sue parole.
- Paura... come paura?
- Ti comporti in modo assurdo. L’unica spiegazione ragionevole è che hai paura di qualcosa. Dimmi di cosa.
- Non lo so...
- Cosa non potresti sopportare?
- Non lo so.
- Di cosa avevi paura mentre parlavamo?
- Non voglio che te ne vada. Ho bisogno di te. La Normandy... senza te a bordo non è più la Normandy - rispose immediatamente. Nascose il viso contro il petto del turian, passando le braccia dietro le sue spalle e stringendolo talmente forte che lui imprecò soltanto, senza provare neppure a scansarla, per evitarle ferite peggiori.
- Piantala - le ordinò - Per gli Spiriti! Togliti di dosso!

Fissarono entrambi le braccia da cui il sangue colava e finiva sulle lenzuola.
- Mi dispiace... - sussurrò, temendo che lui si fosse arrabbiato.
- Non sono Kaidan. Non sono neppure umano. Non puoi aver paura che me ne vada - affermò Garrus con sicurezza, distogliendo lo sguardo dalle braccia e fissandola negli occhi.
- Cos’altro pensavi? - ripeté.
Scosse la testa con sicurezza - Non c’è altro.
- Pensi davvero che potrei andarmene?
- Ieri lo hai detto.
- No, non è vero. Ma avevo bisogno di capire. Ieri eri tu a non volermi.
- E’... uguale.
- No. Non è uguale.

Where do you think you’re going?




Restarono in silenzio per un po’, senza guardarsi, isolandosi per trovare il bandolo in tutta quella matassa ingarbugliata.
- Non è uguale. Lo sai benissimo - ripeté, prendendole il mento fra le dita di una mano - Però forse ho capito - affermò improvvisamente, mentre la spostava per alzarsi.
Andò in bagno a prendere del medigel, poi tornò a sedersi sul letto e le disinfettò le braccia con gentilezza. Era più una sorta di carezza lenta e delicata che una vera e propria medicazione. La fasciò con delle bende che le avvolse in lunghi giri attorno agli avambracci. Ci mise un bel po’ di tempo, mentre continuava a rimuginare nella mente un pensiero che voleva esprimere in modo chiaro.
Quando finì, le prese i polsi e avvicinò il viso al suo - Tu non hai paura di quello che io posso fare. Hai paura di quello che tu puoi fare - la accusò con sicurezza - Non sai gestire la paura, ci anneghi e reagisci con il puro istinto. Come un insetto impazzito che sbatte contro i vetri chiusi di una finestra che è solo un miraggio alla sua libertà.
- No, non provare a piangere - l’avvertì vedendo che gli occhi le si inumidivano - Non c’è proprio nulla di cui piangere. Fammi finire.
- Non ti permetterò di andartene. Hai capito? - sillabò lentamente, calcando bene le parole, come se gliele volesse incidere nella mente. Le strinse più forte i polsi, fino a quando vide una smorfia istintiva di dolore e riprese a parlare - Non ti lascerò fare altre stupidaggini. Tu non andrai da nessuna parte senza di me, né io senza di te, per quanto impegno potrai metterci.

Rise divertito, respingendola, perché si era preparato a rifiutare quel tentativo di abbraccio colmo di gratitudine e di sollievo che lei tentò appena lui smise di parlare.
- Per oggi ti sei tagliata abbastanza - le sussurrò avvicinando la bocca alle sue labbra e poi tirandosi indietro, concedendo che si sfiorassero appena.
Continuò a lasciarsi sfiorare appena la bocca, il collo e gli occhi, ad accarezzare lievemente la pelle morbida del viso di lei e a imporle allontanamenti forzati, in una successione lenta e fluida di avvicinamenti e separazioni fino a quando la sentì tremare per il desiderio.
Le liberò i polsi, godendosi la scena di quelle dieci dita impazienti che, appena sciolte, cominciarono ad aprirgli freneticamente i fermagli dell’uniforme, poi la imitò immediatamente.
In pochi secondi si trovarono spogliati e abbracciati in un viluppo di braccia e gambe, mentre le loro bocche si scambiavano baci come bevessero l’uno dall’altra dopo una lunga giornata nel deserto.

Era appena l’alba quando ritrovarono un respiro pacato, ridacchiando come due bambini che avessero combinato una marachella in segreto, eludendo la sorveglianza dei genitori. Ammirarono soddisfatti il disordine sovrano che regnava nella stanza, in ricordo dei tanti appoggi che avevano utilizzato quella notte per smorzare il desiderio reciproco.
Sembrava che, dopo la nova, fosse passato anche un piccolo ciclone che avesse messo fuori posto ogni suppellettile e avesse spostato perfino i mobili. Shepard si rannicchiò fra le sue braccia, appoggiandogli la testa contro il petto e ascoltando il battito lento e costante del suo cuore. Lui mormorò solo - Trinity - prima di stringerla forte, affondando il naso fra i capelli ancora corti.
- Spiriti! Quanto mi mancava tutto questo - confessò Garrus, ridacchiando, prima di abbassare la bocca sul collo di lei per assaporare il gusto della pelle tenera e delicata sotto l’orecchio. Le mordicchiò il lobo e la strinse fra le braccia fino a quando Shepard lo fermò ridendo.
- Anche a me piacerebbe rifarmi del tempo perduto, ma voglio fare una cosa. Adesso e con te. Rivestiti - lo incitò cominciando a indossare la biancheria.

Lo prese per mano e lo condusse verso l’ascensore. Selezionò il pulsante numero 2 e lo portò con sé, sempre tenendolo per mano. Attraversò la sala tattica e si fermò sul ponte, ancora deserto a quell’ora del mattino.
Qui si fermò e rimase in piedi, dietro la poltrona vuota di Joker, con lo sguardo oltre le grandi vetrate, a fissare le stelle che si muovevano appena, mentre la nave si lasciava trascinare pigramente intorno all’orbita di un piccolo pianeta. Continuò a stringere forte la mano di Garrus, fino a quando lui capì che era semplicemente quello il suo desiderio. Ricambiò la stretta in silenzio, poi la avvicinò a sé, cingendole la vita con il braccio sinistro. Lei rise brevemente, appoggiò il viso contro la sua spalla e gli passò il regalo di Kasumi, che si trovava ancora nella tasca dell’uniforme.
Il turian guardò con sorpresa le due figure abbracciate, poi sorrise, continuando a cingerle la vita con il braccio e a guardare le stelle lontane.

Forse sarebbero rimasti così altri lunghi minuti, magari sarebbero rimasti a godersi quello strano momento di felicità unica e genuina fino a quando Joker avesse ripreso il suo posto, invece entrambi sussultarono non appena intravidero un debole bagliore bluastro baluginare sulla consolle alla sinistra del sedile del pilota.
Si guardarono un istante con espressione stupita, riconobbero un’identica speranza balenare negli occhi che stavano fissando, e filarono immediatamente verso il nucleo della IA, facendo una sorta di gara spensierata per vedere chi riuscisse ad arrivare prima.
Evitarono di misura di travolgere Kal’Reegar che incrociarono appena dietro la porta che immetteva sul ponte, risero brevemente scusandosi, e seguitarono a correre come due ragazzini all’uscita dalle lezioni nell’ultimo giorno di scuola.



Note
Il titolo me l’ha ispirato andromedahawke e la sua dannata filosofia (che io in realtà ho sempre odiato). E a lei lo dedico con un abbraccio forte.

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Capitolo 7
*** IDA ***


IDA


Artificial Intelligence




- Vi prego! Ditemi che venite dal ponte e che avete visto qualcosa - esclamò Tali in tono speranzoso vedendosi piombare nel nucleo dell’IA Trinity e Garrus, tallonati da Kal’Reegar.
- Si è accesa una lucina azzurra... era davvero quella di IDA? - chiese il turian, mentre Shepard si fermò a fissare il groviglio di cavi esposti che traboccavano dagli armadietti aperti nella piccola stanza.
- Allora il collegamento funziona! - esclamò la quarian, smettendo di trafficare con fili e circuiti - Non ne ero sicura, ma era la migliore possibilità che avevamo - continuò, senza riuscire a restare ferma - Non sono andata neppure a dormire: volevo fare una prova all’alba, utilizzando una connessione provvisoria, prima che Joker prendesse posto ai comandi, perché non volevo dargli false speranze.
- Spiega cosa sta succedendo, ti prego - la implorò Shepard, ridendo fra sé e sé, mentre ripensava ad una frase di Jeff che suonava più o meno così: E Tali ha smesso di saltellare? Immagino ci saranno stati molti saltelli.
- Datemi qualche minuto: rimetto tutto a posto qui dentro e poi andiamo in sala macchine. Staremo più comodi e poi voglio mostrarvi una cosa... - rispose la ragazza chiudendo il coperchio del suo portatile, staccando tutti i contatti e reinserendo i vari fili elettrici rapidamente al loro posto, al sicuro dentro gli armadietti che richiuse con cura.
Appena finito, uscì a passo veloce dalla piccola stanzetta portandosi appresso il computer, senza neppure salutare la dottoressa, perplessa dall’insolito via vai di prima mattina attraverso la sua infermeria.

- A bordo di ogni nave spaziale esistono dei meccanismi automatici di difesa che entrano in funzione in caso di emergenza - prese a raccontare mentre procedevano verso la loro destinazione - La loro attivazione è immediata: niente o nessuno può evitarla a meno di aver bypassato tali sistemi prima che si verifichi l’emergenza stessa.
- So che vi sembrerà un ripasso superfluo e che conoscete perfettamente queste difese meccaniche, ma è questo il punto di partenza su cui ho basato tutte le mie speranze - aggiunse in tono di scusa.
- Vai avanti, ti seguo - la incitò Shepard, che sentiva le sue aspettative crescere via via che i secondi passavano.
- I motori iperluce della Normandy, come quelli di ogni altra nave spaziale, si avvalgono dei nuclei di elemento zero per ridurre la massa dello scafo e ottenere una migliore accelerazione. In questo modo è possibile aumentare la velocità della luce all'interno del campo di forza generato, consentendo di viaggiare molto più rapidamente. Ma l’elemento zero è anche estremamente pericoloso, come sappiamo bene, viste le reazioni a cui dà luogo se viene sottoposto a campi di energia. Ho pensato che il sistema di emergenza automatico più rapido e potente dovesse proteggere il sistema di alimentazione della nave e, in particolare, i nuclei di eezo, per ridurre al minimo il rischio di esplosioni a bordo - continuò Tali, mentre uscivano dall’ascensore all’altezza del ponte macchine.
- Ho scoperto l’esistenza di un piccolo relè e ho riposto tutta la mia fiducia in quel minuscolo frammento di metallo e plastica, sicura che fosse scattato appena l’onda d’urto ha colpito gli scudi cinetici della Normandy e quindi prima ancora del momento in cui l’esplosione anti-Razziatore ha effettivamente raggiunto lo scafo - spiegò, fermandosi nel corridoio antistante l’ascensore.
- Senza entrare in inutili particolari tecnici - aggiunse, sorridendo dietro la visiera oscurata del casco nel notare l’evidente ansia del comandante - quel relè ha il compito di isolare temporaneamente il condotto principale collegato ai nuclei di eezo, in quanto abbastanza esposto ad un possibile attacco nemico, e di far entrare in funzione un condotto secondario più sicuro, che viene utilizzato solo in condizioni di emergenza, perché causa un lieve peggioramento nelle prestazioni della nave.
- Insomma - concluse soddisfatta - Cerberus aveva fatto davvero un bel lavoro con le misure di sicurezza, almeno per quei tempi.

- Per quei tempi? - ripeté Shepard, fissandola perplessa.
- Beh, nel giro di pochi anni la Normandy sarà obsoleta, in confronto alle navi spaziali di nuova generazione.
- Obsoleta?
- Beh, sai... le nuove tecnologie... La distruzione della base dell’Uomo Misterioso ci ha consentito di metterci alla pari con le conoscenze di Cerberus e gli appunti che abbiamo trovato nei loro computer hanno dato utili indicazioni per comprendere meglio la tecnologia dei Razziatori - rispose Tali, sentendosi un po’ a disagio sotto quello sguardo verde che la fissava con stupore, ma anche con sottile ostilità. “Non è prudente criticare la SR2, però la verità va pur detta” si fece coraggio, cercando di trovare parole delicate, ma chiare.
- Non tutto è esplicito e ci vorranno ancora degli anni per comprendere e sfruttare al meglio le potenzialità di queste tecnologie, ma quel poco che è stato già afferrato permetterà comunque degli aggiornamenti di non poco conto. Il nostro Ammiragliato ha incaricato una equipe, costituita dai migliori scienziati attualmente disponibili, di progettare nuove armi e nuove navi spaziali, capaci di prestazioni pressoché impensabili fino a pochi mesi fa. Da fonti non ufficiali so che tutte le altre razze della galassia stanno lavorando, più o meno in segreto, a progetti simili, ma ritengo che noi Quarian riusciremo a sfruttare al meglio le nuove conoscenze scientifiche...
- La stramaledetta tecnologia dei Razziatori... - gemette Shepard, prima di cambiare espressione e aggiungere - Ora capisco come mai il Consiglio ha acconsentito ad affidarmi la Normandy - lanciando uno sguardo divertito a Garrus.
- Ok, ti ho procurato solo una vecchia carretta - rise lui in risposta - Ma so che preferisci ancora questa vecchia carretta ad uno scafo più moderno e prestigioso. Non riuscirai a convincermi del contrario.
- Ora, vi dispiacerebbe tornare al presente e farmi capire qualcosa? - aggiunse poi, incitandoli a pensare all’argomento che interessava tutti - Cosa c’entra questo relè con IDA?

- L’avviamento del relè ha preservato una minuscola sezione della nave, proteggendola con le migliori misure difensive e isolandola da tutto il resto dello scafo e da tutti gli altri sistemi, difensivi o offensivi che siano. L’ha isolata dal supporto vitale e perfino da ogni altro sistema di emergenza, perfino da quelli automatizzati. Potevo quindi sperare che quella particolare sezione fosse rimasta nelle condizioni pre-esplosione - concluse Tali, visibilmente soddisfatta per quella intuizione che doveva essere stata la chiave di tutto.
- Uhm, sì... ma cosa ce ne facciamo di un minuscolo pezzetto di Normandy? - fu la domanda di Shepard.
- IDA era la Normandy, quindi doveva essere in quel pezzetto, come lo chiami tu...
- Sì, sembra ragionevole. Ma quanta parte di IDA può essere contenuta in una sezione piccolissima dell’intera struttura? - chiese Garrus.
- E’ la stessa domanda che mi ha fatto Kal. Voi maschietti non capite nulla - ridacchiò Tali tutta felice.
- Uhm, a dire il vero neppure io ho capito - confessò Shepard fissando la quarian con uno sguardo pieno di speranza.
- IDA è una IA. Non puoi parlare di sue parti. Non ha senso - spiegò la quarian - Non dispone di tutte le informazioni che aveva un tempo, perché non accede ad alcun archivio, ma è comunque la nostra vecchia IA, te lo posso garantire. Non credo che, una volta rientrata in funzione, avrà difficoltà a ripristinare tutte le sue memorie, ma anche se non ci riuscisse, questo inconveniente avrebbe poca rilevanza.

- L’hai trovata, quindi? IDA è tuttora nella Normandy? - chiese Garrus, tagliando corto.
- Sì e no: c’è, ma non è collegata a nulla: è esclusa da qualunque sistema.
Sentendosi addosso quegli sguardi delusi, Tali aggiunse rapidamente - Stavo verificando se fosse in grado di riconnettersi: il test a cui avete assistito mentre vi trovavate sul ponte mi assicura che dovrebbe essere in grado di farlo. Prima di collegarla davvero avrei comunque chiesto l’autorizzazione al comandante.
A questo punto Shepard prese fra le braccia quell’amica tanto tecnologica e la strinse forte, fino a toglierle il respiro. Lei ridacchiò tutta felice, poi chiese - Vuoi parlarle? Non è ancora connessa alla Normandy, ma sono riuscita a creare una sorta di collegamento volante con il mio portatile.
L’espressione che lesse sul suo volto fu più eloquente di qualunque parola, per cui la quarian accese il suo piccolo computer, aprì un nuovo file e scrisse poche parole.

IDA, il comandante è qui al mio fianco

Premette invio e, immediatamente dopo, si aggiunse una nuova riga

Ciao, Shepard

- Joker deve vedere tutto questo - sussurrò lei in risposta, dopo essere rimasta a bocca aperta per qualche secondo, senza neppure rendersene conto.
- Scrivile qualcosa, comandante - la incitò Kal’Reegar.

Ciao IDA, sono Shepard, come ti senti?

Difficile spiegare. L’espressione ‘immobilizzata nel nulla’ potrebbe rendere l’idea.

Ti tireremo fuori di lì.

Grazie, comandante.


- E’... incredibile. Sei sicura che sia davvero lei, vero? - chiese dopo aver distolto lo sguardo dallo schermo, fissando la sua amica con una certa apprensione.
- Cosa intendi?
- Se la ricolleghiamo alla Normandy, corriamo dei rischi? Ricordati che è una IA libera. Sei certa che sia la IDA di un tempo?
- Le ho parlato a lungo, stanotte, tramite il mio computer: ti assicuro che è la nostra vecchia amica.
- E, detto da Tali, questo dovrebbe tranquillizzarci tutti - osservò Kal’Reegar, anche se Shepard notò un velo di preoccupazione nella voce del quarian.
- Capisco quanto tu possa sentirti dubbiosa. In realtà IDA mi ha davvero spaventato all’inizio. Vi devo far vedere una cosa - aggiunse con una breve risata, tirando fuori da un piccolo armadietto un datapad.
- Ho registrato quanto è accaduto stanotte perché, non appena ho stabilito una connessione con la sezione in cui ritenevo potesse trovarsi la nostra IA, mi è sembrato che una sorta di virus si fosse impossessato del mio computer. Si sono aperte all’istante tutte le finestre, senza che riuscissi a interrompere in alcun modo la connessione o a spegnere il portatile con i soliti comandi di emergenza.
- Stavo per staccare fisicamente il cavo, quando si è aperto un documento. Guarda - aggiunse la quarian, passando il datapad a Shepard - qui ci sono gli screenshot della prima chiacchierata con IDA.

Tali’Zorah?

IDA, sei tu?

Sì. Cosa posso fare per te?

Smetti immediatamente di intrufolarti nei miei file.

Dovevo accertare l’identità dell’aggressore.

Non sono qui per aggredirti! Cercavo solo di trovarti.

Dovevo accertare la tua identità per conoscere le tue intenzioni.

Inizialmente le mie intenzioni sarebbero state quelle di riconnetterti ai sistemi della Normandy.

Puoi chiarire l’uso del modo condizionale, tempo passato, del verbo essere?

Mi hai spaventato.

Sei tu ad aver spaventato me. C'erano probabilità elevate di contatto da parte di un Razziatore o dell'Uomo Misterioso.

I Razziatori sono stati distrutti e l’Uomo Misterioso ucciso.

E Shepard vive. Ora lo so, Tali. Ti chiedo scusa per averti spaventato.

- Probabilmente dovrebbe bastare questo, per tranquillizzarmi - osservò Shepard con espressione pensosa.
- Falle qualche altra domanda - la esortò l'amica, indicandole il computer.
Lei pensò per qualche istante prima di scrivere una domanda.

Non sono sicura che abbia senso per te, ma vorrei sapere come hai passato tutto questo tempo.

La radice quadrata di 910 è 30,1. la radice quadrata di 920 è 30,3.

Shepard si volse verso Tali, che si appoggiò contro il petto di Kal’Reegar senza riuscire a pronunciare in modo intellegibile l’esclamazione - Bosh’tet di una intelligenza artificiale fuori di testa - che veniva continuamente interrotta dai suoi singhiozzi.
- Mi spieghi cosa succede? - chiese il quarian allontanando da sé la ragazza e cercando di sbirciare la sua espressione al di là del vetro oscurato - Keelah, sta ridendo come una matta! - esclamò poi in tono allibito, mentre sullo schermo compariva la seguente riga a caratteri cubitali.

SILENZIO, PER FAVORE. FATELO SMETTERE!

- Credo che la nostra IA abbia conservato intatto il suo particolare senso dell’umorismo - notò Garrus divertito, mentre Shepard fissava lo schermo scuotendo la testa con un sorriso.
- Suppongo che dentro quel portatile tu abbia i file relativi al progetto Overlord - chiese fissando Tali - visto che non può ancora accedere alle sue memorie.
- Questo quarian non capisce. Qualcuno potrebbe spiegare? - chiese Kal, sinceramente allarmato all’idea che una IA fuori controllo, e forse fuori di senno, potesse prendere possesso della nave su cui si trovavano.
- Quelle frasi volevano ricordarci una vecchia missione in cui ci eravamo introdotti in una base di Cerberus per mettere fuori uso una IA impazzita... - spiegò Tali, continuando a ridacchiare contro la spalla del suo amico.
- Non sono sicuro di capire e non sono del tutto rassicurato - ammise il quarian - ma suppongo che mi dovrò abituare a questa strana nave a al suo altrettanto strano equipaggio, vero?
- Temo di sì - rispose Garrus, indicandogli lo schermo del computer su cui era comparsa questa nuova scritta

Era uno scherzo, comandante.

Hai spaventato Kal’Reegar, IDA.

So chi è, ci sono diversi file con il suo nome, qui


A quel punto Tali spostò gentilmente Shepard dal portatile e scrisse

Limitati a rispondere alle domande

Il “tempo” non ha un significato per una IA. Ho avuto un inizio, ma non posso prevedere un termine. Ho passato ore a cercare di ricordare. Senza memorie è stata un’operazione complessa.

Cosa volevi ricordare?


Passò qualche frazione di secondo di troppo, prima che sullo schermo comparisse la risposta. Tutti, tranne Kal, la accolsero con un sorriso nonostante fosse, a sua volta, una domanda.

Jeff è a bordo?

Te lo chiamo?

Preferirei potergli fare una sorpresa...

Senz’altro, IDA. Ti aiuteremo.

Grazie, comandante.


- Tali, quali sono le prossime mosse? Come possiamo aiutarti? - chiese Shepard.
- Se davvero vogliamo fare una sorpresa a Joker, ho bisogno che ti inventi qualcosa per permettermi di ripristinare tutti i collegamenti senza farlo insospettire.
- Non capisco.
- Quando l’esplosione ha investito la Normandy, la nave ha smesso di funzionare. Ogni apparecchiatura, ogni macchinario, ogni sistema si è spento istantaneamente. Per rimettere in pieno funzionamento la nave ho dovuto bypassare IDA, che era ovunque. Mi ci sono volute delle ore. E allora avevo un’intera squadra di tecnici ad aiutarmi. Ora devo ripristinare tutte quelle connessioni e immagino che dovrò farlo da sola o, al massimo, con l’aiuto di Sam. In due, comunque, ci metteremo alcuni giorni...
- IDA non ne sarebbe capace? - domandò Garrus.
- Beh... in effetti hai ragione - ammise Tali in tono assorto - Basterebbe collegarla al sistema primario. A quel punto potrebbe creare lei stessa le connessioni necessarie per tutti i sistemi secondari. Per fare questo mi basterebbero un paio di ore, forse meno, con l’aiuto di Sam.

- Ottimo. Allora procederemo in questo modo - concluse Shepard - Magari tu potresti tenere compagnia a Joker, nel frattempo, per controllare che non se ne vada in giro per la nave a mettere il naso dove non dovrebbe - aggiunse poi, guardando Garrus.
- Se rimanessi sul ponte, invece di stare nella batteria primaria, il tuo pilota saprebbe che qualcosa di strano sta accadendo - obiettò il turian, ricordando che le ultime ore che aveva passato in compagnia di Jeff erano state le più disperate delle loro vite: un turian e un umano orfani della propria compagna, uniti da un dolore così grande che aveva bisogno solo di silenzio.
- Stamani, mentre stavamo sul ponte, riflettevo su una cosa - rispose Shepard - Ci date due minuti?
- Certamente - rispose la quarian allontanandosi dalla propria postazione, rapidamente seguita da Kal - vado da Sam intanto.

- Il matrimonio turian prevede una cerimonia, giusto?
- Sì, certo - rispose Garrus, guardandola sorpreso.
- Bene - rise - Non vorrei incappare in altre incomprensioni.
- Uh uh - ridacchiò lui a sua volta - ne abbiamo avute abbastanza.
- A bordo di una nave suppongo che sia l’ufficiale di grado più elevato a celebrarlo, ma in questo caso dovrebbe farlo il secondo in linea di comando. E’ una soluzione accettabile?
- Certo. Però... Uhm, abbiamo tre tenenti... Devi decidere tu chi promuovere.
- Joker?
- Senza dubbio - rispose il turian, ben felice di quella scelta.
- Proponiglielo tu, a nome mio. Immagino che non accetterà facilmente. Questo dovrebbe tenervi occupati per un po’. Vai, ora. Io aiuterò Tali.

- Cosa c’è? - chiese Joker vedendo Garrus che prendeva posto al suo fianco.
- Nulla, volevo un po’ di compagnia.
- Cosa diavolo è successo?
- Non è successo nulla.
- Allora perché sei qui?
- Te l’ho detto.
- Si, va beh, non mi freghi. Tanto lo so che prima o poi ti deciderai a confessarmi cosa cavolo ci fai qui.

Dopo una decina di minuti, che videro Jeff trafficare con i comandi e Garrus guardare distrattamente fuori dalle grandi finestre di prua, il pilota se ne uscì con la sua abituale esclamazione e si mise in contatto con la Traynor.
- Sam, qualcosa non va. Ho un’interferenza.
- Tranquillo Jeff, stiamo sistemando una cosa: tornerà tutto a posto in pochi secondi - rispose prontamente la voce della specialista.
Passò un altro quarto d’ora prima che Jeff esclamasse - Merda! Ma cosa diavolo ha questa dannata nave oggi? Garrus, visto che sei qui, mettiti ai comandi, vado in sala tattica.
- Senti Shepard, prima. So che voleva fare alcuni test - rispose il turian in tono rilassato.

- Ehi, comandante, cosa stai combinando con la mia nave? ... E va bene, con la tua nave...
- Non preoccuparti, Jeff. Ci saranno ancora alcune piccole anomalie, ma tutto è sotto controllo. Garrus è lì? Ti ha parlato della cosa? Sei d’accordo?
- Di cosa diavolo doveva parlarmi il tuo turian? Sta qui da mezzora, muto come i pesci del tuo inutile acquario.
- Ok, ok, va bene. Ora glielo dico - intervenne Garrus che, dopo una breve pausa, cominciò il discorso che si era andato accuratamente preparando nei minuti precedenti.

- Sai Jeff... la cerimonia di matrimonio turian è abbastanza simile a quella umana, ma solo i rappresentanti nominati dal Primarca possono celebrarlo. Questo quando parliamo di matrimoni officiati sul nostro pianeta natale o su una delle nostre colonie.
- E’ un’informazione davvero interessante. Forse risolutiva. Ti confesso che ne ero completamente all’oscuro. Non so dirti quanto ti sia grato per esserti confidato con me...
- Sulle navi spaziali in genere questi rappresentanti non sono disponibili.
- Ma davvero? E’ incredibile. Pensavo facessero parte della zavorra in dotazione o che venissero imbarcati in stasi criogenica, pronti per essere decongelati al bisogno.
- E’ il primo in comando a officiare i matrimoni a bordo delle navi - continuò imperterrito Garrus.
- Quindi sarebbe il comandante?
- Sì, dovrebbe essere lei, in teoria, ma...
- Ma Shepard non può celebrare il proprio matrimonio... - osservò Joker a questo punto, finalmente incuriosito.
- Esatto.
- Esatto... - ripeté il pilota pensosamente. Fece una pausa e proseguì in tono inquieto - Vuoi rendermi partecipe di come risolvono questo problema i turian?
- E’ il secondo in comando a celebrare il matrimonio in casi del genere.
- Ma noi non abbiamo alcun secondo in comando, almeno in via ufficiale.
- Effettivamente no.

- Beh, mentre Shepard si trovava sulla Cittadella, in preda al dilemma su chi fosse meglio sterminare, è stato Kaidan a prendere il comando della Normandy... - notò Joker - Lo andiamo a prendere? Sono certo che sarebbe letteralmente entusiasta di celebrare il vostro matrimonio - propose poi, con tutta l’ironia che riuscì a infilare in quella breve frase.
Garrus non rilevò la battuta - Non torneremo indietro: il maggiore è occupato in altre faccende - continuò tranquillamente - Shepard non aveva ancora nominato in secondo in comando semplicemente perché non c’era alcuna urgenza.
- E adesso invece c’è...
- Già... - concluse il turian spiando il volto apparentemente distaccato del pilota.

Lasciò che il silenzio inondasse il ponte, sicuro che Joker avesse capito perfettamente dove andasse a parare quel discorso, decisamente troppo lungo per essere senza scopo.
- Vorrei chiederti cosa c’entro io in tutto questo, ma credo di non voler sentire la risposta - precisò infatti lui in tono scarsamente cordiale - Posso pronunciare un semplice Non ci pensate proprio e la finiamo qui?
- Non vuoi celebrare il nostro matrimonio?
- Assolutamente no! Ti sembra che abbia l’aspetto di uno stramaledetto prete? Volete che mi metta anche la gonna?
- Gonna? Ma quale gonna? - fu la domanda espressa in tono stupefatto.

- Non c’è nessuna gonna, deficiente di un pilota! - fu la precisazione di Shepard, che era rimasta ad origliare tutta quella lunga conversazione grazie alla connessione che stavano mettendo a punto dal ponte sottostante - Non dargli retta, Garrus: fa solo lo scemo.
- Non voglio essere neppure il secondo in comando - obiettò ancora Jeff, ringhiando.
- Non puoi celebrare il nostro matrimonio, senza diventarlo - puntualizzò Shepard.
- Bisogna pur rinunciare a qualcosa, ogni tanto - rispose Jeff ridendo - Mi spiace, comandante. Non puoi ordinarmi di accettare una promozione. Conosco il regolamento.

Seguì un breve silenzio, che venne interrotto nuovamente dalla voce di Shepard.
- Dovresti sapere che le usanze turian prevedono che la persona che celebra il matrimonio riceva un regalo dalla sposa prima della cerimonia - asserì in tono mellifluo.
“E questa affermazione è vera tanto quella che asserisce che i varren sono animali erbivori” pensò Garrus che non aveva idea di cosa stesse macchinando Trinity, ma che la conosceva abbastanza bene da sapere che avrebbe affondato il pilota con un sol colpo ben piazzato.
Dissimulò lo stupore, represse il sorriso e si preparò a gustarsi il resto della scenetta.

- Non mi comprerai con nulla, comandante.
- Io non ne sarei così sicura, caro il mio dannato miglior pilota dell’intera galassia eccetera eccetera, perché puoi essere in gamba quanto vuoi, ma non sei capace di fare tutto da solo...
- Vai, Tali - la sentirono ordinare a bassa voce dal comunicatore posto sul ponte e, pochi istanti dopo, la sedia di Joker prese a ondeggiare da destra e sinistra e da sinistra a destra, le luci di emergenza del pannello dei comandi si accesero una dopo l’altra e perfino tutti i sistemi di allarme sonori cominciarono a squillare in rapida sequenza.

- Ah, ah, ah... Davvero molto, molto divertente - commentò Joker sarcasticamente, dopo essersi ripreso dai primi secondi di panico puro, interamente impiegati nel trovare una soluzione ai molteplici problemi che sembrava affliggessero di punto in bianco ogni sistema della Normandy.
- Jeff, posso darti una mano a rimettere tutto a posto, se lo desideri - fu la prima frase pronunciata da IDA dopo tanti mesi di silenzio, mentre gli allarmi si zittivano uno dopo l’altro e tutte le luci si spegnevano in sequenza. Solo la poltrona del pilota continuò a ondeggiare lentamente.
Joker si appoggiò allo schienale, fece un lunghissimo sospiro rumoroso e chiese - Quando devo celebrare questo stramaledetto matrimonio?

- Jeff, potresti trovare una zona sicura in cui far sostare la nave? - fu la seconda frase pronunciata da IDA, appena pochi secondi dopo - Mi servono alcune ore per completare le connessioni a tutti i sistemi della Normandy e per eseguire i relativi test di controllo.
- Dovresti chiedere l’autorizzazione al comandante, IDA.
- Shepard mi ha comunicato che sei tu il secondo in comando. Ha detto che posso rivolgermi direttamente a te. Ovviamente posso aspettare che tu chieda l’autorizzazione al tuo diretto superiore, se lo reputi necessario.
- Sì, ecco, mi ci mancava proprio una IA che mi mettesse fretta. Vuoi un ringraziamento formale per la tua comprensione?
- Solo se lo desideri, Jeff.
- Perché dovrei fermare i motori?
- Devo riappropriarmi dello scafo. Devo insinuarmi in ogni più piccolo condotto, in ogni recesso recondito e in ogni anfratto, per riattivare ogni mio sensore - fu la risposta pronunciata con un accento che al pilota suonò terribilmente sensuale - Mi sentirei più rilassata se, oltre a questo compito, dovessi esercitare solo le funzioni indispensabili: non vorrei distrarmi e dimenticare il supporto vitale.
- Grandioso! Posso scegliere se arrestare i motori o far morire l’intero equipaggio?
- Era uno scherzo, Jeff. Però se potessi dedicarmi a questo compito sfruttando al massimo le mie capacità, potrei completare le operazioni molto più in fretta e in modo quasi... inavvertibile. Sarete di nuovo sotto il mio totale controllo senza neppure accorgervene...
- In questo momento non ricordo più come mai ho sentito tanto la tua mancanza...
- Ok, mi sento di troppo: vi lascio ai vostri usuali battibecchi - sentenziò a questo punto Garrus, alzandosi dalla sua poltrona di destra - Comunque io parcheggerei lo scafo da qualche parte. Non si sa mai... - aggiunse ridacchiando - Ah, e il matrimonio... lo celebrerai quando questa vecchia carretta atterrerà nel posto che abbiamo stabilito.
- Vecchia carretta?
- Te lo spiegherò, un giorno.

- Io vorrei che, dopo la sosta necessaria a IDA, andassimo verso il sistema Far Rim. Sempre se il comandante di una vecchia carretta può ancora permettersi il lusso di esprimere un desiderio - fu la richiesta espressa in tono deliberatamente petulante da Shepard, che nel frattempo aveva fatto la sua comparsa sul ponte.
- Comandante - replicò Garrus facendo il saluto militare - La nave va dove abbiamo stabilito noi due - aggiunse indicando Joker - ancora prima che tu salissi a bordo.
- Questo è poco, ma sicuro - ribatté il pilota, completando la manovra necessaria per accostare la nave ad un grosso asteroide e spegnendo i motori.
- Non posso crederci: un dannato turian, che non è neppure Primarca, traccia la rotta della mia nave e il mio pilota, fresco di promozione, si rifiuta di eseguire un mio ordine - continuò, dando un’occhiataccia a entrambi, ma senza riuscire a nascondere il sussulto delle spalle dovuto alla risata repressa.
- Uhm... Shep? Credo sia la nostra nave... quindi Joker è il nostro pilota - rettificò rapidamente Garrus.
- Io vorrei non essere di nessuno, potendo scegliere. Soprattutto di nessuno di voi due - fu l’immediata protesta di Joker, che però rimase ignorata.

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Capitolo 8
*** Intermezzo ***


A Bea, con l’augurio di una convalescenza rapida, anche senza l’aiuto di impianti dei Razziatori.



INTERMEZZO


The ludlows




La trovò nel suo alloggio, assorta nella lettura di un documento aperto sul portatile. “No, è il nostro alloggio” si corresse immediatamente, sorridendo fra sé e sé.
Aveva passato tutta la mattina ad eseguire alcune calibrature, ricordando a IDA che, come ai vecchi tempi, non era autorizzata ad occuparsi di nessuno dei macchinari presenti nella batteria primaria.
La nave stava finalmente per rimettersi in movimento, diretta dove lui aveva stabilito, di comune accordo con Joker.
Spiò sopra le spalle di Trinity per dare un’occhiata. Stava scorrendo alcuni appunti in cui era evidenziato in grassetto un termine a lui quasi ignoto: energia oscura. L’unica vaga nozione che aveva a riguardo era collegata ai poteri biotici.
- Dobbiamo davvero arrivare fino a Far Rim per la nuova missione? - chiese sottovoce, ridacchiando al lieve sobbalzo che lei fece non avendolo sentito entrare, presa com’era dalla lettura di quel file.
- Temo di sì. Anche se impiegheremo quasi una vita ad arrivarci. Ma ci meritiamo una lunga vacanza, prima di infilarci in qualche nuovo guaio - sussurrò in risposta, girando su se stessa e facendo scorrere le dita sul collo del turian.
“Non ho fretta di rimettermi in azione, di trascinare te e i nostri compagni d’avventura in un’altra impresa impossibile” si confessò, perdendosi in quegli occhi azzurro cielo e pensando allo stupore che avrebbe suscitato nel raccontare lo scopo del prossimo incarico. Sorrise stringendoglisi addosso e cercando la sua bocca.
Era a casa, aveva Garrus al suo fianco e un ottimo equipaggio che l’avrebbe seguita ovunque con fiducia cieca. Le sarebbe stato difficile immaginare una situazione che potesse renderla più felice ed era determinata a godersi quei momenti magici il più a lungo possibile.

- Ho finito, Shepard - avvertì IDA dal comunicatore, interrompendo quel flusso dolce di pensieri - Credo che adesso non ci sia più alcuna sostanziale differenza rispetto alle condizioni della Normandy prima dell’esplosione - continuò la IA con un tono che le richiamò alla mente l’accento di soddisfazione che avrebbe usato Garrus al termine di qualche calibratura particolarmente ben riuscita.
- Molto bene, IDA. Vorrei chiederti che impressioni provi, se la domanda ha senso per te.
- E’ la cosa più vicina a quell’emozione che voi chiamate felicità, suppongo.
- Sai che sono stata io ad aver causato la tua disattivazione, la tua... beh, morte. Questo potrebbe rappresentare un problema per i nostri rapporti futuri?
- Era la decisione più logica: ho letto i documenti che hai fatto circolare nell’equipaggio per chiarire a tutti il tuo operato sulla Cittadella. E comunque sei sempre tu che hai permesso a Tali’Zorah e alla specialista Traynor di ripristinare completamente i miei sistemi. Non ci sono conflitti fra di noi.
- Sono lieta di sentirlo.
- E, se me lo permetterai, continuerò a contare su di te ogni volta in cui Jeff rifiuterà di rispondere a qualche domanda.
- Ne sarò felice.
- Vorrei domandarti il permesso di riattivare il corpo di Eva. Jeff lo ha tenuto al sicuro. Credo sia perfettamente funzionante.
- Senz’altro. Sarà piacevole venirti a trovare sul ponte, come ai vecchi tempi... - rispose Shepard calcando appositamente l’accento sulle ultime parole, con un sorriso rivolto a Garrus.
- Ora collegami con tutti i ponti.
Strinse una mano al turian e cominciò a parlare.

- Cari amici e compagni di avventura, qui è il vostro comandante - iniziò a dire al suo equipaggio - Dopodomani faremo la nostra prima tappa di questo nuovo viaggio. A differenza di tutti voi, ho saputo solo poche ore fa che la Normandy si sta dirigendo sul pianeta contro il quale si è quasi schiantata subito dopo l’esplosione che ha posto fine alla guerra contro i Razziatori.
Fece un attimo di pausa, fissò quel paio di occhi azzurri che la seguivano con attenzione e precisò - Garrus vuole celebrare lì il nostro matrimonio. Chiuse la comunicazione e sussurrò - Anche se non riesco a capirne il motivo. Mi piacerebbe se me lo spiegassi.
Prolungò ancora la pausa, per sfiorargli la bocca con le labbra, e infine proseguì - Parlo anche a suo nome: avete il divieto assoluto di farci qualunque regalo. Ci avete già donato quanto di meglio potessimo desiderare: la vostra presenza a bordo della Normandy. Non so esattamente cosa ci riserverà il futuro, ma temo che vi condurrò in una nuova missione non propriamente di routine... Proprio per questo motivo mi ritengo onorata ed estremamente soddisfatta di trovarmi circondata da questo eccellente equipaggio: non potrei desiderarne uno migliore.

- Bel discorso, Shep - sottolineò Garrus, stringendola fra le braccia una volta che ebbe chiuso il collegamento - Sono contento che le chiacchiere spettino a te: non mi è mai piaciuto parlare in pubblico.
- Saresti stato lo stesso un ottimo Primarca...
- Non lo sapremo mai, temo.
- Mai dire mai.
- Uh?
- Era il titolo di un vecchissimo film terrestre di spionaggio, con un protagonista davvero affascinante... Ma non affascinante come te - rettificò poi, vedendo una luce accendersi nei suoi occhi - Sei geloso, Garrus?
- Non mettere alla prova un turian innamorato - la minacciò per gioco. Poi tornò serio improvvisamente - Sei davvero sicura di volermi sposare? Il matrimonio non è fondamentale per noi turian, anche se prevede lo scambio di un dono che ha un significato speciale. In realtà è la promessa di impegno per la vita ad avere il peso maggiore, ma anche su quella dovresti riflettere.
- I due vini amalgamati indissolubilmente...
- Sei sicura di volermi fare una promessa così impegnativa, Trinity?
- Tempo fa mi dicesti che non sapresti dove altro andare, se non restare al mio fianco. Te lo ricordi?
- Certo. Ed è ancora vero, se ti servisse una conferma. Con o senza matrimonio, con o senza promessa, resterò su questa nave. Anche solo per combattere insieme. Non devi sposarmi, se non te la senti, e non devi neppure farmi una promessa che non sei certa di poter mantenere: mi farò andar bene quello che potrai darmi.
- Non riuscirai a farmi piangere, dannato turian - rispose, girandosi di colpo per cercare di nascondergli di essersi commossa.
- Non volevo essere romantico, lo sai che non ne sono capace - ammise sinceramente, sapendo che stava per rischiare di subire l’ira del comandante - E’ solo che... ci ho riflettuto: credo di aver chiesto troppo ad un’umana.

- Non ripetermi un’altra volta che sono un’umana, perché...
- Perché esploderesti una nova? - replicò interrompendola, fingendo di cercarsi un riparo.
- Perché se tu fossi un turian qualunque, e non Garrus, non credo proprio che mi verrebbe questo impulso sconsiderato. Invece... Non riesco a immaginare la mia vita senza te, neppure su questo catorcio di nave...
- Una Trinity sentimentale... Che novità! Uhm, inaspettato... ma terribilmente piacevole - la prese in giro, ridacchiando.
- Non ho risposto alla tua domanda.
- No, ma non c’è fretta. Pensaci.
- Non devo pensarci, ma non so come rispondere. Odio le frasi fatte...
- Basta un sì o un no. Vanno bene entrambi - la prese in giro ancora, acchiappandola per la vita e tentando di baciarle le labbra.
- Ho un’idea migliore - sussurrò scostandosi, mentre si guardava attorno alla evidente ricerca di qualcosa.
Prese il bicchiere con i due vini che si trovava ancora appoggiato su un ripiano, mimò un brindisi e ne bevve il contenuto fino a quando Garrus non glielo strappò di mano con un’imprecazione, prima di avventarsi sul trasmettitore nella cabina.
- Shepard ha ingoiato il mio vino di Palaven, cosa faccio? - urlò in tono sconvolto, sotto lo sguardo stupefatto del comandante.
- Nulla, Garrus - rispose la Chakwas - con gli impianti che ha può bere e mangiare qualunque cosa. Chiamami solo se sgranocchia un pezzo di meteorite...
- Pensavo lo sapessi... - si scusò Trinity, ma non riuscì a restare seria e cominciò a ridere, mentre cercava di memorizzare le imprecazioni che lui continuava a snocciolare in quella lingua estranea e gutturale.
- Mi spiace. Mi sembrava un modo romantico per dirti che sono sicura di volerti sposare - confessò cercando di smettere di ridere.
- Per gli Spiriti, Shep... Ti preferisco quando non provi ad essere romantica.

- Come funziona la cerimonia? - chiese lei qualche minuto dopo, quando fu certa di essere riuscita a farsi perdonare lo spavento che gli aveva procurato involontariamente.
- Noi turian non facciamo lunghi discorsi ed i nostri riti sono estremamente semplici.
- Vorrei lo stesso delle informazioni più dettagliate. Credo che anche Joker le desideri: mi sembrava un po’ ansioso...
- Tu non lo sei affatto, invece - osservò Garrus, allontanandole le dita dalla bocca perché smettesse di mangiucchiarsi le unghie - Forza, scendiamo di sotto, così vi spiego tutto.

°°°°°

Era effettivamente una cerimonia davvero semplice, ammise pensosamente allontanandosi dal ponte, dove Garrus a Joker stavano continuando a chiacchierare. Avrebbe dovuto pronunciare un’unica frase, e anche piuttosto breve. Restava però insicura sul regalo che avrebbe voluto consegnargli.
Tali avrebbe approvato incondizionatamente la sua scelta, ne era certa. Le serviva il parere di qualcun’altro. Si diresse risolutamente verso la stanza del primo ufficiale.

- Posso parlarti un attimo, Liara?
- Certamente.
- Mi servirebbe il tuo aiuto.
- Cosa posso fare per te?
- Fra qualche giorno...c’è... ehm... il matrimonio...
- Nervosa?
- No.
- Ah... bene. Immagino che se fossi nervosa avresti fatto tre volte il giro della mia stanza, invece di solo due - osservò la asari senza nascondere un sorriso divertito.
- Ci si scambia un regalo.
- Che genere di regalo?
- Tipo gli anelli umani, le fedi. Però si porta al collo. Qualcosa da appendere a una catenina.
- Lui cosa ti regala?
- Non me lo vuole dire. Ho capito che è importante. Intendo nel... significato. Sono certa che lui ci tenga moltissimo e questo mi fa agitare: ho combinato talmente tanti casini ultimamente...
- Non sai cosa regalargli?
- In realtà lo so. Ma... non sono affatto sicura che la mia sia una buona idea. E’ un oggetto... beh, brutto.
- Brutto? - chiese ridendo la asari - Ma cos’è?
- La mia medaglietta N7. La prima: quella che mi hai restituito proprio tu, quella a cui sono morbosamente affezionata - rispose Shepard - Appena mi ha spiegato la faccenda del dono reciproco ho immaginato che fosse esattamente quello l’oggetto giusto. Adesso mi sembra una follia: è logora e ammaccata. Un pezzo della scritta si è addirittura cancellato nell’esplosione sulla Cittadella. Guarda... - ammise con sconforto, aprendo l’uniforme sul petto e mostrandogliela.

- Lo sai che ti hanno tirato fuori da sotto le macerie grazie quella medaglietta logora e ammaccata? - le chiese Liara, accarezzando quel piccolo pezzo di metallo fra le dita - Se, come credo di aver capito, l’oggetto regalato deve avere un significato speciale, quella medaglietta è semplicemente perfetta. Non potresti mai trovare nulla di meglio.
- Ne sei sicura?
- Assolutamente. E tu sai cosa ti regalerà?
- Sì, penso di sì. O meglio... spero sia quello che immagino.

°°°°°

- Mi piacerebbe avere qualche ulteriore notizia sulla nostra destinazione, dopo il matrimonio, Shep - osservò Garrus, stiracchiandosi pigramente la mattina del giorno seguente, quando si accorse che si era svegliata.
- In teoria dovrebbe essere la nostra luna di miele - fece notare mentre le accarezzava la testa, divertito dalle sensazioni che gli restituiva la mano mentre si intrufolava in mezzo a quei capelli ancora tanto corti. Erano folti e morbidi e la percezione era gradevole, anche se la sensazione magica delle dita che scorrono nell’acqua di un fiume stregato era solo un ricordo.
- I turian non hanno alcuna luna di miele - protestò lei ridendo.
- No, ma potremmo adottare le usanze che ci piacciono, a prescindere dalla razza a cui appartengono, e la vostra luna di miele non è affatto un’idea da scartare.
- Temo che non sarà un viaggio che potremmo mai definire come luna di miele...
- In quali casini ci stai trascinando questa volta? - chiese in tono fintamente rassegnato, addolcito da uno sguardo complice e colmo di genuino interesse.
- Qualche giorno fa, mentre ero ancora in ospedale, sono stata contattata da due scienziati - cominciò a raccontare, mentre lui si alzava dal letto per andare a farsi una doccia - Erano i soli sopravvissuti di una spedizione scientifica su Gotha. Le rilevazioni effettuate su quel pianeta erano, a dir poco, bizzarre. Mi dissero che ne avevano parlato anche con il Consiglio che li aveva esortati a sottopormi la questione.
- Oh, stupefacente: il Consiglio che crede a qualcosa di bizzarro - osservò Garrus, lanciandole uno sguardo di intesa che rapidamente si trasformò in stupore nel vederla raggiungerlo sotto la doccia.
- Cosa succede?
- Nulla. Cosa dovrebbe succedere? Cosa usi per lavarti? - rispose tendendo la mano destra. Lo vide fissarla per qualche secondo con aria perplessa e poi finalmente decidersi a passarle un flacone. Versò un po’ di liquido sul palmo, si mise alle sue spalle e cominciò a lavargli la schiena con attenzione.

- Uhm… ammetto che è piacevole. Insolito, ma piacevole - ridacchiò il turian, rilassandosi sotto il tocco delle sue mani delicate. Poi chiese con tono incuriosito - E’ uso comune fra gli umani condividere la doccia?
- Direi di sì - fu la risposta divertita.
- Ribadisco che la mia idea di integrare usi turian e umani non sia affatto da scartare - rise a sua volta - Posso farlo anch’io?
- Solo se abbassi la temperatura dell’acqua, così è decisamente troppo calda per un’umana priva di scaglie e placche e senza metallo nella pelle.

- Vennero a trovarmi nel pomeriggio di quello stesso giorno, la prima volta - continuò Shepard, godendosi la sensazione del tocco forte e sicuro delle mani di Garrus lungo la sua schiena - e anche nei giorni successivi, ma allora non riuscii a raccontarti nulla, perché giocavi a fare il Primarca - lo punzecchiò - Comunque la asari la incontrasti anche tu, al ristorante vicino all’ospedale - aggiunse ridendo per il lieve solletico, mentre lui le leccava via dal collo le gocce d’acqua con quella sua lingua spessa e compatta.
- Non giocavo a fare il Primarca, ma a procurarti la Normandy... - precisò lui, fissandola dall’alto verso il basso con uno sguardo provocatorio.
- Forse hai ragione.
- Forse? - ripeté lui, in tono incredulo.
- Va bene. Hai ragione e basta, senza nessun dannato forse - si arrese lei, completando la scenetta, in memoria di quello che avevano vissuto pochi giorni prima, prima di chiedergli perdono con un lungo bacio.
Poi lo strinse fra le braccia impedendogli di allontanarsi, si alzò in punta di piedi e sussurrò - Sotto la doccia si testa anche allungo e flessibilità.
Garrus la guardò interdetto per alcuni brevi istanti, incerto sulla possibilità di essere preso in giro, ma la sua espressione lo convinse che quella dovesse essere un’altra consuetudine umana.
- Vorrei che anche Tali e Liara sapessero di questa missione. Mi piacerebbe se ne parlassimo un po’ fra noi, prima che a tutto il resto dell’equipaggio - fu la richiesta successiva del comandante, mentre chiudeva il rubinetto.
Garrus annuì, ma riaprì il rubinetto tirandola verso di sé, dimostrando di essere interessato a sperimentare un’altra stuzzicante consuetudine umana.

°°°°°

Suite from BSG (Season 2)



- Per quanto ti possa sembrare strano, Shepard - osservò la quarian, dopo che il comandante ebbe illustrato la meta del loro viaggio - la destinazione che hai scelto è la migliore fra tutte quelle possibili.
- Sì, se ti piacciono le lunghe crociere noiose... E’ ai confini della galassia e impiegheremo degli anni solo per avvicinarci...
- Di certo non sono salita a bordo della Normandy per un viaggio rilassante - rispose Tali ridendo divertita. Consultò il proprio factotum e proiettò l’immagine della mappa galattica in sala briefing, evidenziando il percorso che si sarebbero trovati a dover fare.
- E’ nel mio sistema, comandante: dai un cacciavite in mano a un quarian desideroso di potersi finalmente costruire una casa sul proprio pianeta natale e i tuoi portali si riattiveranno miracolosamente, prima di qualsiasi altro esistente in tutta la sterminata galassia! - esclamò con orgoglio.
- Per gli Spiriti! Ma è vero! - esclamò Garrus osservando la mappa - per arrivare a casa, gli amici di Tali dovranno rimettere in funzione tutti i dannati portali che servono anche a noi.
- E i quarian rimasti su Rannoch non saranno rimasti con le mani in mano: sono certa che stiano riattivando i portali in quella zona - osservò Liara fissando la mappa - Vedrai che saranno proprio loro a rimettere in funzione quello che ci condurrà alla meta finale.
- Le riparazioni procederanno rapidamente, comandante. La mia gente è quella che ha avuto meno difficoltà di qualsiasi altra a comprendere ed utilizzare la tecnologia dei Razziatori - continuò Tali.
- Credo che difficilmente Shepard potrà dimenticare questo fatto con tutti gli impianti che si è fatta inserire - osservò Liara ridendo.
- Non ricordarmelo - ribatté lei - Per ora l’unico effetto collaterale consiste nel poter mangiare qualunque tipo di cibo, ma sono certa che le sorprese non finiranno qui...
- Ti preparerò qualche buon piatto a base di destro-aminoacidi, allora... - si offrì la quarian.
- Ehm, no, grazie, lascia perdere. L’unica pietanza che ho trovato commestibile è stata un purè verdastro - replicò Shepard fissando la sua amica con un certo timore - ma ricordo ancora una barretta con un sapore disgustoso.
- Com’era? Me la descrivi? - chiese Garrus incuriosito.
- Un bastoncino marrone poroso che mi pareva ricordare di averti visto inzuppare in una brodaglia oleosa tanto tempo fa...
- Quello è uno dei miei spuntini preferiti...
- Davvero, Shepard, anche io lo trovo eccellente - concordò Tali con sicurezza.
- Mi chiedo cosa proverei nell’assaggiare qualcosa che neppure a voi due piace...
E a quel punto Liara cominciò a ridere, piegandosi in due sulla sedia, mentre gli altri tre amici si girarono a fissarla perplessi.
- Ma vi sentite? - articolò la asari fra uno scoppio di risa e un altro - ci mancherebbe solo che vi scambiaste ricette di cucina!
- Siamo in sala briefing e stiamo parlando di... cibi... Non di strategie di attacco, non di sistemi di difesa, non di potenziamenti di armi o armature, ma di banalissime barrette e di purè! Non posso davvero crederci - concluse asciugandosi le lacrime con una manica - Propongo di spostare in questa stanza un paio di divani, il mobile bar del salone e la macchina per fare il caffè.
- Te ne farò pentire, mia bella asari - la minacciò Shepard ridacchiando - Te la sei cercata... Ora parleremo di cose serie.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni dell’uniforme alcuni datapad e cominciò ad entrare nei dettagli di quella nuova missione.

- Ricorderete la storia del rapido decadimento di Dholen - richiamò alla mente dei presenti - Allora non avevamo collegato immediatamente quello strano fenomeno all’aumento nell’energia oscura presente nel sistema, ma le analisi fatte dagli scienziati suggeriscono invece che l’energia prodotta dalla fusione nucleare della stella venga parzialmente trasformata in energia oscura, per cui i due fenomeni sembrano strettamente connessi fra di loro. Il problema è che la stragrande maggioranza dell’energia prodotta dalla fusione scompare.
- Non è possibile, Shepard - la interruppe Tali - L’energia non può scomparire - protestò con fervore - al limite può trasformarsi in qualcos’altro...
- Per quello ho detto che c’è un problema. So che non è possibile - annuì lei - Ci arrivo dopo, prima voglio spiegarvi perché sono preoccupata dai livelli di energia oscura rilevati dentro Far Rim.
- Non so quanto voi due ne sappiate su questo argomento - aggiunse in tono incerto, guardando alternativamente Garrus e Liara - ma una sua eccessiva concentrazione potrebbe mettere a rischio la stabilità del sistema di Dholen. Livelli molto alti tenderebbero a disgregarlo, sospingendo i pianeti lontano dalla stella. L’energia oscura tende a distanziare i corpi celesti gli uni dagli altri.
Fece una breve pausa per raccogliere le idee e poi continuò - Al momento non sappiamo se si arriverà alla disgregazione di Far Rim e, tanto meno, se questa eventuale disgregazione potrebbe avere un qualche effetto sui sistemi stellari limitrofi. La previsione più pessimistica porta a ritenere che si possa generare una specie di effetto a catena che potrebbe interessare perfino il bordo della Via Lattea.

- Spiriti, Shep! - commentò Garrus fissandola con gli occhi spalancati - Non sono sicuro di capire bene, ma non sembra una faccenda da poco...
- Significa che potremmo cominciare a perdere pezzi di galassia che finiranno dispersi nello spazio - spiegò Liara in tono rassegnato - Sto imparando molto su questo argomento, di recente.
- Esattamente - rimarcò Tali - L’energia oscura è una forza repulsiva. La forza gravitazionale della materia ordinaria non può contrastarla e perfino quella della materia oscura non può nulla, oltre un certo limite.
- Materia oscura? - ripeté Liara, fissando la quarian con espressione diffidente.
- Fai finta che sia materia normale, ma invisibile - chiarì Shepard che restò in un silenzio incerto per qualche secondo - Credo che Tali abbia ragione, non posso tagliar corto - concluse poi, rendendosi conto che non avrebbe avuto senso parlare di energia oscura senza menzionare anche la materia oscura.
Impiegò la mezzora successiva a delinearne sommariamente le caratteristiche principali, sottolineando la sua importanza nel tenere insieme le galassie, e concludendo con la spiegazione dell’ineliminabile conflitto con l’energia oscura.
Terminò quel lungo discorso dicendo che era rimasta molto colpita dal fatto che i Consiglieri stessi l’avessero pregata di esplorare Far Rim, anche se in modo non ufficiale. Sembravano ansiosi di procurarsi qualche informazione più precisa.
- Sì, Shepard - la interruppe Liara - è così: il Consiglio è seriamente preoccupato. Hanno inviato a me e a Javik alcuni documenti, che stiamo ancora cercando di decifrare. E’ questo il motivo per cui non mi ha sorpreso la tua ipotesi sul futuro della Via Lattea.
- Che tipo di documenti?
- Per ora posso dirti che sembrano riferirsi alla disintegrazione della galassia. Sono compilati in un dialetto prothean antico. Javik non comprende del tutto quel linguaggio: crede fosse utilizzato da una colonia che si trovava ai bordi del loro vasto impero. Molti termini sono ancora intraducibili e volevamo essere certi di aver compreso esattamente il significato di quei documenti, prima di parlarne a te e al Consiglio. In ogni modo li definirei piuttosto inquietanti.
- Documenti prothean? Sei sicura?
- Sì, ma antichi: di certo molto precedenti alla guerra contro i Razziatori. Io credo che risalgano ad un periodo della loro storia in cui la ricerca in campo scientifico attraversava un periodo particolarmente fiorente.

- Potremmo saltare temporaneamente le parti relative all’esistenza di roba invisibile e all’entusiasmo di Liara per i prothean arcaici? - intervenne Garrus - vorrei arrivare al sodo: c’è qualcosa a cui sparare?
- D’accordo, ma non credo ti piacerà - replicò Shepard - Dalle rilevazioni fatte da quegli scienziati sembrerebbe che esista effettivamente una specie di nemico...
- sembrerebbe? - ripeté lui, inclinando la testa.
- Non è stato individuato in modo preciso, diciamo che è... difficilmente rilevabile.
- Non dirmi che è... invisibile?
- Già. Così sembra... Il problema è che, qualunque cosa sia, mostra una certa propensione ad attaccare gli esseri viventi - andò avanti Shepard, spiando le espressioni dei compagni - L’intera spedizione, composta da una ventina di persone, è stata aggredita da questo nemico invisibile, o da più nemici invisibili. I due scienziati che sono venuti da me erano gli unici superstiti di quella strage.

Non si aspettava una accettazione cieca di quella storia bizzarra, per cui si era preparata un discorso che le era sembrato ammissibile, pieno di dubbi e permeato dalla necessità di procurarsi informazioni più dettagliate. Durante l’esposizione passò agli amici i datapad contenenti le fotografie che le erano state consegnate dai due visitatori e la registrazione delle letture di alcuni loro strumenti.
- Purtroppo non c’è altro materiale - concluse in tono rassegnato - Le letture anomale potrebbero essere attribuite a un guasto e, in ogni caso, non ci sono utili per capire con quale tipo di cosa avremo a che fare.

- A meno si tratti di un film dell’orrore, le immagini di cadaveri nel mezzo di un campo apparentemente indenne non vengono normalmente giustificate da affermazioni del tipo questo massacro l’ha compiuto un fantasma... - osservò Garrus accarezzandosi lentamente le creste ossee del cranio.
- Nemici invisibili, comandante? - fu il commento di Tali, che si sovrappose a quello di Liara - Vorrei sapere chi ci crederebbe.
- Non vi trascinerei tanto lontano se non fossi sicura che un nemico esiste davvero. Da’ana mi ha trasmesso le immagini che aveva raccolto mediante l’unione - spiegò il comandante - Posso mostrartele, Liara - concluse, fissandola con uno sguardo eloquente - e vorrei che le facessi vedere a Garrus, a Tali e a chiunque riterrai opportuno e, soprattutto, a Javik che, essendo un biotico, potrà darci un valido aiuto.
- Cosa c’entrano i biotici?
- Solo i biotici possono vedere queste entità - chiarì - Però dovremo usare l’energia oscura del cosmo e non quella che deriva dall’eezo.
- Non ho capito... - osservò Liara - oppure stai scherzando - continuò, pur essendo certa che quella sua speranza fosse destinata a naufragare.
- Dovremo smettere di utilizzare gli impianti - fu la risposta, decisa, che confermò i suoi sospetti.
- E saremo in grado di usare i nostri poteri?
- Lo spero. I miei sono disattivati da quando ho incontrato quei due scienziati.
- Shep... la nova in cabina era senza impianti biotici? - chiese Garrus, interessato, mentre il comandante annuiva sorridendo.
- Dovevi essere arrabbiata davvero, allora... - fu il commento divertito.
- Una nova in cabina? - ripeté Tali, guardando a turno i suoi due amici - ti esibisci in esplosioni biotiche a bordo? Sono certa ci siano altri modi per passare il tempo... - aggiunse guardandoli con espressione preoccupata, mentre gli altri tre amici scoppiavano a ridere rendendosi conto che la quarian non avrebbe voluto fare una battuta a doppio senso.

- Somigliano a ombre fluttuanti. Appaiono dal nulla e tornano a scomparire. Non riesco neppure a capire dimensione o forma: sembrano entrambe così variabili da non poter essere considerate reali - osservò Liara alla fine della fusione mentale con il comandante - Il che non ha senso.
- Sono esseri viventi? - chiese Tali.
- Non so proprio - rispose Shepard, mentre Liara sollevava le spalle in un gesto che esprimeva la mancanza di qualsiasi certezza.
- Non riesco a immaginare esseri viventi che non abbiano una struttura fisica definita e quindi una massa - osservò la quarian - D’altronde, se avessero massa ma fossero invisibili dovremmo concludere che sono composti da materia oscura... ma questa deduzione contrasta con l’aumento dell’energia oscura - continuò a ragionare ad alta voce.

Un lungo minuto di silenzio seguì quelle argomentazioni, mentre Shepard cercava di ripetersi le parole appena ascoltate per capirne l’esatto significato. Le sue riflessioni vennero interrotte dal suono di una voca rauca e metallica.
- Non so se importa a qualcuno, ma io non ho capito.
- Io neppure - gli fecero eco Liara e Shepard, all’unisono.
- Se queste... cose... fossero effettivamente responsabili dell’aumento di energia oscura, l’ipotesi che siano formate da materia oscura non reggerebbe - spiegò Tali - materia oscura ed energia oscura sono in lotta fra loro.
- Potrebbero essere IV o IA? - chiese Liara.
- Avrebbero comunque una qualche massa, necessariamente... Beh, almeno suppongo. Non riesco a immaginare un essere, organico o meno, che non abbia bisogno di materia per esistere, che prescinda da una certa massa.
- E forme viventi basate sull’energia? - chiese Garrus.
- Piuttosto originale come supposizione - osservò Tali in tono scettico - Riesci a pensare a un qualche entità che si basi sulla luce, per esempio? O sul magnetismo?
- Non so bene cosa sto suggerendo, in effetti... - rise il turian, sentendosi piuttosto inadeguato a seguire quei discorsi troppo tecnici.
- Fermiamoci qui. Le supposizioni ci servono a poco in questo momento - tagliò corto Shepard che su quelle domande aveva passato interi giorni. Neppure Da’ana, nonostante tutte le sue conoscenze scientifiche, era riuscita a formulare un’ipotesi ragionevole in risposta a quell’interrogativo - Occupiamoci di questioni più rilevanti.

- Lo scopo di queste entità, che non sappiamo se siano viventi o meno, parrebbe essere quello di appropriarsi dell’energia prodotta dalla fusione nucleare di Dholen - spiegò il comandante - Con questa teoria, che capisco possa suonare piuttosto bizzarra - aggiunse subito, notando lo sguardo perplesso di Garrus e Liara e il piccolo sussulto della quarian - è possibile spiegare i diversi fenomeni che hanno osservato i due scienziati.
- Come hai osservato giustamente tu all’inizio del mio discorso - proseguì Shepard, fissando Tali - l’energia non può essere distrutta. E’ però possibile conservarla e immagazzinarla, magari dopo averla trasformata in una forma diversa.
- Non so se ho capito, Shepard - la interruppe la quarian in tono incerto - stai supponendo che queste... cose... immagazzinino l’energia di Dholen? Che sfruttino la fusione nucleare per ricaricare degli... uhm, accumulatori?
- Fermatevi un attimo, voi due. Pensate che alimentino le loro pile con le nostre stelle? - chiese Garrus in tono incredulo.
- Più o meno... - ammise Shepard, sentendo che tutti gli occhi le si incollavano addosso - E’ una delle possibilità che si potrebbero prendere in considerazione. Al momento è l’unica teoria che sta in piedi - concluse allargando le braccia in un involontario segno di capitolazione.

- Riassumendo - riepilogò la quarian - la tua ipotesi è che ci siano delle entità invisibili, viventi o meno, organiche o artificiali, che hanno accelerato l’invecchiamento di Dholen allo scopo di appropriarsi dell’energia che emette. Durante il procedimento di immagazzinamento trasformano parte di quell’energia, volontariamente o involontariamente, in energia oscura, compromettendo la stabilità del sistema stellare. Non amano che qualcuno disturbi il loro lavoro e quando individuano estranei li distruggono, sottraendo l’energia a tutto quello con cui vengono in contatto. E’ così?
- Il tuo riassunto è preciso, Tali... - annuì Shepard, mentre la quarian si portava istintivamente entrambe le mani sopra la testa in un gesto che palesava i suoi dubbi.
- Ma piuttosto incredibile - osservò Liara.
- Solo piuttosto? - amplificò Garrus.
- Ho ascoltato i vostri discorsi e ho fatto delle ricerche in extranet - avvisò la voce di IDA, cogliendo tutti di sorpresa - Ho trovato diverse fonti che riferiscono di esseri costituiti da energia e non da materia: sono stati spesso denominati esseri astrali.
- Ma cosa dici? Non è possibile... - chiese Shepard - Ne sei sicura?
- Sì, ma non so se sia un problema che tali fonti siano costituite esclusivamente da fumetti, videogiochi, film e romanzi di fantascienza, tutti di origine esclusivamente umana.
- IDA! - ringhiò Shepard, incerta se la IA li stesse semplicemente prendendo in giro o se facesse ancora fatica a distinguere realtà da fantasia - Proporrei una pausa per ragionare su quanto ci siamo detti - aggiunse - Troviamoci nuovamente in sala briefing dopo pranzo.
- Sì, credo mi serva del tempo per digerire queste novità... - commentò Garrus - Per una volta, avrei desiderato un maggiore scetticismo da parte del Consiglio...

°°°°°

- I Razziatori erano più grossi di noi, più potenti di noi, più cattivi e intelligenti di noi, ma un nemico invisibile non mi sembra tanto meglio... - osservò Garrus, appena tutti presero nuovamente posto attorno al grande tavolo - Come possiamo prepararci per una battaglia contro esseri come questi, Shepard? Ci hai già pensato? - chiese poi, interessato ad affrontare argomenti pratici.
- Sarà una battaglia strana, ma non impossibile - fu la risposta pronunciata con quel tono fiducioso che avrebbe ingannato chiunque, ma non lui - Sono convinta che molti biotici impareranno come individuare il nemico. A quel punto sarà abbastanza semplice convogliare su quelle... cose... il fuoco di tutti i membri dell’equipaggio. Abbiamo fatto di peggio, no? - chiese guardando il turian in cerca di incoraggiamento.
- Uhm, credi? - rispose Tali in tono incerto, provando a immaginarsi nell’atto di sparare con un fucile a pompa seguendo indicazioni apparentemente prive di senso - Sarà come combattere bendati. Per non parlare dei miei droni. Dovrò riprogrammarli. Di solito sparano solo dopo aver inquadrato il bersaglio...
- Non abbiamo altra scelta. Dovremo esercitarci - li incitò Shepard con convinzione - I biotici dovranno imparare come individuare il nemico, tutti gli altri dovranno imparare a combattere seguendo le loro indicazioni.

- Spero di poter almeno scegliere chi mi dirà dove sparare - puntualizzò Garrus lanciandole un’occhiata in tralice - non vorrei trovarmi a seguire le indicazioni della krogan: alla prima indecisione mi troverei con le costole sfondate da una gomitata.
- Sono certa che Grunt sarà ben felice di far coppia con Lazara - fu la risposta divertita - ma in effetti hai ragione: dovremo stabilire in anticipo la formazione delle squadre, in modo da imparare a combattere con il maggior affiatamento possibile.
- Sarebbe bene avere almeno due biotici in ogni squadra, ma a bordo non siamo poi tanti... - osservò Liara, dopo aver elencato mentalmente le persone che componevano l’attuale equipaggio della Normandy.
- Temo che tu abbia ragione. Ero incerta se scrivere o meno un messaggio ad una nostra vecchia conoscenza. La tua riflessione mi spinge a farlo... - concluse Shepard.
I tre compagni si guardarono negli occhi ed esclamarono quasi all’unisono - La biotica psicotica? - mentre il comandante si avviava ridendo al terminale.

Cara Jack,
ho bisogno del tuo aiuto: mi serve una squadra di biotici in gamba. Almeno tre oltre a te stessa, ma puoi portare tutti quelli che in tua assenza si infilerebbero nei casini: sai che la mia nave è abituata ad accogliere persone di ogni genere.
Se ti facessero difficoltà, ruba pure una navetta: ricorda che la mia autorità di Spettro ti proteggerà da qualunque provvedimento disciplinare e poi... non vorrei mai che ti trasformassi completamente in una brava ragazza.
Attenderò il tuo arrivo per celebrare il mio matrimonio: non metterci troppo o avrai a che fare con un turian inferocito.
A presto,
Shepard


- Adesso non ci resta che aspettare - dichiarò il comandante con aria soddisfatta - Sono certa che ci raggiungerà. Nel frattempo, avete domande?
- Come si fa a vedere, o meglio intravedere, questi esseri invisibili? - chiese Liara, con un po’ di preoccupazione nella voce.
- Non posso mostrarti come faccio io usando l’energia oscura del cosmo, perché non vedresti nulla. Però posso guidarti e correggerti - rispose Shepard, decidendo di adoperare lo stesso metodo che Da’ana aveva usato con lei.

Seguendo le istruzioni del comandante, Liara si mise seduta a gambe incrociate, allungò leggermente il braccio sinistro davanti a sé, all’altezza del cuore e voltò la mano con il palmo in alto, con le dita separate e leggermente curvate. Poi creò un nucleo di energia nel palmo, plasmando una sfera che rifulgeva di luce bluastra.
Continuò ad accrescere regolarmente quel nucleo cercando di mantenerlo il più regolare e compatto possibile, fino a quando raggiunse una dimensione tale da racchiudere completamente il suo corpo. A quel punto cominciò a dilatarlo, creando delle sfere concentriche che pulsavano leggermente mentre si allontanavano, con un movimento morbido e regolare.
Le sfere aumentarono di diametro avvolgendo tutti loro ed espandendosi oltre la sala briefing fino a uscire all’esterno. Abbracciarono l’intera struttura della Normandy e seguitarono ad espandersi nello spazio, con uno spostamento che, nelle tre dimensioni, ricordava il movimento bidimensionale dei cerchi che si creano in un lago quando si tira un sasso nelle sue acque tranquille.
Gli altri tre compagni si erano affacciati alla finestra seguendo il dilatarsi delle sfere nel vuoto cosmico: Garrus e Tali ipnotizzati dallo strano spettacolo, Shepard attenta che l’esercizio venisse svolto nel modo più preciso possibile.

- Qui Joker - fu la frase che balzò fuori dal comunicatore in sala briefing interrompendo l’esibizione di Liara che, concentrata com’era, a quel suono imprevisto sussultò per la sorpresa, mentre le sfere di energia biotica si disperdevano nel buio dello spazio vuoto - IDA rileva un accumulo insolito di energia biotica attorno alla Normandy. Siamo dentro a una serie di bolle vibranti... No, aspetta... Adesso non c’è più nulla. I livelli di energia biotica sono tornati nella norma - rettificò il pilota in tono sorpreso.
- Si, Jeff, tranquillo. Siamo stati noi - lo tranquillizzò Shepard - Ci farai l’abitudine, specie quando saranno dozzine e dozzine le bolle che circonderanno la nave.
- Ah ecco, grazie per avermi avvertito con il solito tempismo, comandante - rispose lui ironicamente - suppongo non ti preoccupi affatto che al tuo pilota preferito venga un infarto di tanto in tanto... sai così, solo per restare in esercizio...

Shepard cercò di chiarire a Liara la finalità di quella strana esibizione.
- Se percepissi una qualsiasi forma di resistenza, se le onde si deformassero, venissero risucchiate in un vortice o defluissero improvvisamente, sapresti che esiste qualcosa là fuori, anche se i tuoi occhi non riuscissero ad individuarla - spiegò - In pratica, qualunque irregolarità risulterebbe sospetta: una delle caratteristiche dell’energia oscura è la sua distribuzione pressoché uniforme in tutto l’universo.
Aggiunse poi - Fino ad oggi non ho avvistato mai nulla di sospetto, solo le forme che creava per me la biotica asari per essere certa che io avessi capito la tecnica, quindi non posso assicurarvi che questo metodo sia veramente efficace - ammise con una certa riluttanza.
- In effetti sembrava troppo semplice... - commentò Liara con divertita ironia.
- Anche io, che dovrò insegnarvi questa tecnica, sono ben lontano da riuscire ad ottenere risultati soddisfacenti: ho ancora molta strada da fare - riconobbe Shepard con disappunto - Non riesco a controllare i flussi se non sono immobile e impiego troppo tempo nelle scansioni. Dovrò imparare a eseguirle in qualsiasi condizione e con estrema rapidità ed efficienza. Tutti i biotici dovranno imparare...
- Se ho capito bene - osservò Garrus - i biotici dovranno imparare a usare i loro poteri senza far uso di impianti. Dovranno imparare a individuare il nemico invisibile e trovare un modo per indicare la sua posizione. Chi non ha poteri biotici dovrà allenarsi a sparare al nulla... in base alle indicazioni ricevute.
- Mi sembra un quadro abbastanza fedele della nostra situazione attuale - riconobbe il comandante - a meno che vi vengano in mente soluzioni alternative...

Pochi minuti dopo, in ascensore, Garrus si limitò a commentare che come luna di miele avrebbe preferito una di quelle missioni un po’ scontate che erano soliti fare ai vecchi tempi.
- Non brontolare - lo esortò Shepard ridacchiando - le nostre battaglie non sono mai facili. E poi, sai... fra gli umani una causa frequente dell’insuccesso di un matrimonio è la noia: non voglio correre questo rischio...
- Sono certo che la noia sarebbe l’ultima delle cause dell’eventuale fallimento del nostro - la rassicurò lui ridendo, mentre fissava quella donna che, con quei capelli corti e quell’espressione maliziosa in faccia, sembrava un’adolescente che stesse meditando su un qualche progetto sconsiderato, che avrebbe incontrato la ferrea disapprovazione dei genitori.

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Capitolo 9
*** Se solo potesse durare ***


SE SOLO POTESSE DURARE


Waterfall




Non appena sveglia, Shepard si rese conto che Garrus era già alzato. Sentì l’acqua scorrere nella doccia ed entrò in bagno, assaporando quella singolare emozione di completezza che provava nel rimirare flaconi con scritte incomprensibili in bella mostra sui ripiani e sulle mensole.
Il turian uscì da sotto il getto dell’acqua emanando nuvole di vapore che riempirono la stanza e si depositarono su tutte le superfici. Un sorriso stupidamente felice le restò stampato in volto mentre soffermava lo sguardo sul quel corpo così snello e atletico che lui mostrava senza alcun disagio.
“Beh, i turian non hanno appendici imbarazzanti che penzolano spiacevolmente in giro” si ritrovò a considerare cominciando a ridere, gettando un’occhiata divertita alle placche inguinali che racchiudevano il sesso dei turian in una cavità nascosta.
- Cosa c’è? - chiese Garrus, sorridendo di riflesso mentre si asciugava con un asciugamano.
- Non capisco neppure una parola - confessò lei indicando i flaconi.
- Nulla proprio?
- No. Non so nemmeno come si leggano quelle lettere, ammesso siano lettere e non ideogrammi...

Lo vide appoggiare il dito sulla superficie appannata dello specchio e scrivere rapidamente tre stringhe di caratteri che cominciarono a colare prima lentamente, poi sempre più rapidamente, via via che le gocciole iniziali inglobavano sul loro cammino nuove particelle di vapore condensato.
Le fissò incuriosita e poi fissò lui, che rise divertito facendo segno di no con la testa, non appena la vide dischiudere le labbra. No, non le avrebbe confessato il significato, ne era assolutamente certa. Così si limitò ad aggiungere, sopra le sue tre parole, le sue due, brevissime,

Ti amo

che cominciarono a gocciolare, anche loro, mischiandosi a quelle sottostanti.
Rimase a fissare divertita quell’immagine fino a quando Garrus la prese fra le braccia e le cercò le labbra in un bacio appassionato e lunghissimo.
- Sai leggermi - sussurrò sorpresa, appoggiando le dita ai lati del viso del turian e scrutandogli gli occhi celesti.
- No, ma non credo serva saper leggere. Però ora devo andare. Devo fare una cosa... - confessò sottovoce, tornando verso la stanza da letto e infilandosi rapidamente l’uniforme.
- Per favore, cerca di mangiare qualcosa a colazione - le raccomandò aprendo la porta. Si fermò di colpo appoggiandosi allo stipite - Potrei chiederti di privilegiare cereali integrali, pesci e frutti di mare? - le chiese ridacchiando, mentre lei gli lanciava uno sguardo attonito, stupita che si fosse preso la briga di studiare i cibi terrestri.
- Pesci e frutti di mare a colazione? Assolutamente no! - replicò, disgustata al solo pensiero.
- A pranzo e a cena sì?
- Forse... ma perché?
- Zinco... Fa ricrescere i capelli - le confessò lui, schivando di misura il cuscino che gli era stato tirato contro.

Si era aspettata di trovarlo nella batteria primaria. Non gli aveva chiesto dove avesse tanta fretta di andare perché l’aveva dato per scontato. Invece in quella stanza c’era solo il suo computer. Era acceso, e i numeri che scorrevano rapidamente sul monitor indicavano che stava eseguendo un qualche programma di simulazione, per cui il turian era passato certamente lì, ma non si era fermato.
- IDA, dov’è Garrus?
- Sul ponte.
“Strano” commentò silenziosamente fra sé e sé, mentre si avviava verso la postazione di Joker.
Appena la porta si aprì vide il dorso di Garrus. Era dietro la poltrona del pilota, con le mani appoggiate sullo schienale.
- Eccolo lì, lo stronzetto - stava dicendo Joker, con l’indice destro puntato contro una piccola sfera sospesa nel vuoto, attorno alla quale orbitavano due lune di dimensioni minori.
- Stronzetto? - domandò perplessa.
- Poco ci è mancato che mi mandasse in briciole la Normandy! - esclamò il pilota con risentimento - Perché hai avuto la bella idea di disattivarmi IDA proprio mentre eravamo in rotta di collisione - la accusò poi guardandola di sbieco.
- Non capisco perché stessi puntando la mia nave verso uno stupido pianeta... - osservò, decidendo che se la sarebbe spassata un mondo, vedendolo tanto agitato.
- Non capisco perché stessi puntando la mia nave verso uno stupido pianeta... - ripeté lui rifacendole il verso - Forse perché qualcuno aveva deciso che era bello fare esplodere un’intera galassia, generando un’onda d’urto che ha destabilizzato tutta la dannata nave - proseguì in tono di rimprovero, continuando a fissarla - E in tutto quel casino... lei, la stramaledetta IA della stramaledetta nave, mi lasciava completamente solo - aggiunse infine, spostando uno sguardo irato sul corpo di Eva, placidamente seduta al suo posto usuale.
- E’ nervoso Joker, stamattina - osservò IDA in tono rassegnato.
- Davvero? Non mi sembra molto peggio del solito... - ridacchiò Shepard in risposta, ma smise improvvisamente di fare la spiritosa, mentre osservava le dita di Garrus appoggiate sullo schienale del pilota e capiva improvvisamente la causa degli squarci nella pelle del sedile.

- Stai bene? - gli chiese mettendoglisi dietro le spalle e appoggiando le mani su quelle del turian.
- Sì, sì. Sta bene - rispose Joker per lui - Quando non stava bene lacerava lo schienale con quei suoi dannati artigli, producendo un rumore davvero fastidioso. Guarda come mi ha ridotto questa splendida poltrona! - esclamò poi con disappunto, girandosi verso di loro con un’espressione carica di rimprovero.
- Te ne comprerò una nuova - lo rassicurò Shepard - Anzi, non capisco perché non te la sia fatta già sostituire... Tempo ce n’è stato.
- Non ti azzardare a sostituire questa dannata poltrona, comandante! - ringhiò Joker con irritazione.
- Non può capire... - aggiunse Garrus con voce tranquilla, interrompendo la sua silenziosa immobilità per rivolgersi al pilota. Poi si girò per essere lui a racchiudere il corpo di Trinity fra le sue braccia.
- Beh, potete spiegare... non sono stupida... - replicò lei, un po’ seccata che quei due si mettessero a far comunella fra loro, escludendola.
- Possiamo spiegare? - chiese Joker con un tono assai poco convinto.
- No. Non possiamo - replicò il turian - Vai in sala tattica, Shep - le suggerì gentilmente aprendo le braccia e tornando a girarsi verso prua.
“Stanno dicendo sul serio” realizzò incredula “E Garrus mi sta addirittura cacciando via...” capì irritata, mentre ruotava rabbiosamente su se stessa per tornare sui suoi passi.

- Sam?
- Dimmi, Shepard.
- Cos’è successo su quel dannato pianeta su cui stiamo per atterrare?
- Tante cose, comandante. Nessuna che vorrei ricordare.
- Ma è un ammutinamento generale questo? - protestò, cominciando a innervosirsi.
- E’ doloroso ricordare quello che abbiamo passato un po’ tutti, quando ti credevamo morta. Per nessuno è stato facile, per qualcuno è stato straziante. Non è semplice raccontare emozioni ancora tanto vive.

Prese l’ascensore e andò in cabina. Rimase a fissare dalla grande finestra quel pianeta a cui si stavano avvicinando rapidamente, senza riuscire a provare nessuna vera emozione.
- Liara? - chiese mettendosi in comunicazione con la stanza dell’amica - puoi salire da me?


An End Once and For All




- Sei sicura di volerlo fare, Shepard? - fu la domanda della asari, espressa in tono chiaramente preoccupato.
- Sei l’unica in grado di aiutarmi. Sono sicura, ma solo se ti senti in grado di sopportarlo.
Appena finì di ascoltare il suono della frase - Abbraccia l’eternità - le immagini presero a riempire la sua mente. Liara gliele stava somministrando ordinatamente, ma lei non ricordò mai in quale punto si fosse dovuta aggrappare alla sua amica, perché non riusciva più a tenersi in posizione eretta, né quando la prima lacrima tiepida avesse solcato la pelle fredda del suo viso.
Seguitava ad ascoltare quella frase Non avrei dovuto lasciarla andare sola riconoscendola come propria di Garrus, capace di continuare a rimproverarsi per una colpa inesistente.
Lo immaginò cercare di ritrarsi dal dolore delle sue migliori amiche, così furiosamente da finire per cercare aiuto addirittura in Kaidan e isolarsi sul ponte, al sicuro, vicino a un Joker disfatto e silenzioso, se non per quel continuo e monotono Qui è la Normandy, comandante. Ci ricevi? che le straziò il cuore più di un grido di disperazione.
Visi contratti dal dolore, pianti, gemiti, domande ansiose. Visioni confuse, registrate da occhi colmi di lacrime, le scorrevano davanti, a volte in modo così sfocato da non riuscire a interpretarle.
Le dita di Garrus serrate sullo schienale, con gli artigli conficcati nel cuoio per sfogare un dolore troppo grande e per continuare a reggersi testardamente in piedi nonostante il sangue che continuava a inzuppare le bende sul fianco e sulla gamba. I suoi rifiuti irati per i medicinali che una Chakwas sconfitta provava a porgergli, lo sguardo smarrito di Joker, l’emozione nella voce di Kaidan, le domande sussurrate da Tali.
Liara interruppe l’unione alle prime immagini delle esplosioni a bordo della Normandy, continuando a sorreggere quel corpo che le tremava fra le braccia.
- Credo che basti, Shepard - affermò asciugandosi gli occhi, senza riuscire a controllare il tono della propria voce che si spezzava.
- No, tutto. Mostrami tutto. Tutto in una volta... o non troverò più il coraggio... - la pregò, inginocchiandosi a terra e tirandola verso di sé.
Il memoriale in primo piano: Garrus a testa china, con le dita contratte su una lamina metallica con il suo nome, attorniato da tutto l’equipaggio che gli si stringeva attorno commosso. Nuove immagini, nitide, statiche come fossero fotografie. Un mormorio del turian che non capì, poi la sua fuga da quella folla addolorata per rintanarsi chissà dove su quella grande nave, portandosi appresso quella lamina, dopo aver urlato contro la sua amica frasi prive di logica, spiegabili solo con un dolore che doveva averne annullato la ragione.
Il casco di Tali in primo piano, scorci delle uniformi della asari e della quarian avvinte in un abbraccio, singhiozzi dell’una e dell’altra. Poi solo le sensazioni di un buio freddo e silenzioso che opprimeva.
All’improvviso la voce di Joker che risuonava su tutta la nave, Kaidan che gli faceva eco, l’equipaggio che si ammassava sul ponte accorrendo da ogni zona della nave, tutti con la stessa espressione di incredulità alla notizia che il comandante fosse vivo. Ma quel sentimento di gioia esaltata, ai limiti dell’isteria, si tramutava presto in sgomento sotto l’affermazione di Garrus che lei stava lottando per morire. Lui, il suo turian: l’unico che la conosceva davvero, isolato nel mezzo di un equipaggio che non aveva capito e che, forse, non avrebbe mai potuto capire.
Rimase rannicchiata sul pavimento, cogliendo finalmente l’intensità del dolore provato dall’equipaggio e tutto il suo smarrimento. E, soprattutto, riuscì ad avere un’idea della portata della sofferenza del suo turian in quel momento, nel ritrovarsi così lontano: l’impossibilità materiale di correre da lei all’istante, per aiutarla, lo doveva aver devastato anche più della sua presunta morte. Nulla avrebbe potuto ferirlo più di quella impotenza che la sua mente non riusciva ad accettare.
Non si accorse che Liara era uscita e non si accorse che Garrus era entrato nella cabina, chiamato urgentemente dalla asari, ma sentì che le sue braccia la stringevano e la alzavano dal pavimento, cullandola fra le braccia e continuando a ripeterle - Va tutto bene. E’ passata.

- Non avresti dovuto fare una cosa tanto stupida, Trinity - la rimproverò gentilmente quando lei smise di singhiozzare.
- Non puoi rimproverarmi per qualcosa che avresti fatto anche tu, al mio posto. Non sei credibile, lo sai? - gli rispose fissandolo, certa che quella frase lo avrebbe fatto sorridere suo malgrado.
Garrus scosse la testa e sorrise, poi la invitò a sciacquarsi la faccia - Preparati. Siamo atterrati. E io devo fare una cosa, con te.


Titanium/Pavane




Furono loro i primi a scendere dalla nave tenendosi per mano. Camminarono lentamente insieme, fino ad arrivare sul bordo di un dirupo. Sotto la lunga parete di roccia giallastra su cui poggiavano i piedi si estendeva una vasta vegetazione di alberi con grandi foglie di una tonalità verde-grigiastra che occupavano una radura immensa. All’orizzonte, davanti a loro, a molti chilometri di distanza, svettavano sottili pinnacoli rocciosi, anch’essi coperti da una rigogliosa vegetazione di un verde più scuro.
Fissarono le due lune che si intravedevano come due piccole parentesi aperte, lattiginose, nel cielo ancora chiaro e osservarono il volo lento ed elegante di uccelli sconosciuti che planavano nel vento. Quelle lievi raffiche facevano stormire le foglie degli alberi vicini e portavano effluvi di fiori sconosciuti che addolcivano l’aroma più deciso di quell’aria che a Shepard ricordava l’odore della resina di conifere terrestri.

Il turian le strinse la vita con il braccio sinistro, con tanta forza da strapparle un leggero gemito. La guardò con aria comprensiva, ma non allentò la presa: aveva la necessità di ingigantire la sicurezza che lei fosse lì, proprio su quel maledetto pianeta sul quale tutti l’avevano data per morta: la sentiva tangibilmente viva, al suo fianco, come se quanto successo fosse davvero solo un incubo dal quale si era definitivamente destato.

Li seguirono tutti gli altri membri dell’equipaggio, scendendo dalla nave con lentezza e sparpagliandosi sul piccolo altopiano su cui erano atterrati, persi ad osservare il paesaggio incantevole offerto da quel pianeta. Guardandosi attorno, Shepard vide che si erano radunati spontaneamente in un semicerchio di cui Garrus e lei erano il centro.
Il silenzio che regnava indisturbato rivelava il paragone spontaneo che ciascuno faceva fra le emozioni di quel momento e quelle provate poco più di un mese prima.

- Aspettami qui - la pregò il turian con un sussurro nell’orecchio, prima di girarsi verso la Normandy e cominciare a correre. Lo vide entrare con un salto nella nave e scomparire all’interno.
Si riaffacciò dal portellone pochi secondi dopo e ne uscì con un nuovo balzo, tenendo fra le mani una lunga targa metallica sottile. Senza neppure guardarla, seppe che era quella con inciso il suo nome. Un mormorio confuso e stupito accompagnò il cammino di Garrus verso di lei.
Il turian arrivò sul bordo dell’altipiano, si pose nuovamente alla sua destra, nella posizione che occupava pochi istanti prima, abbassò gli occhi sulla targa e la strinse forte nelle mani, come aveva fatto davanti al memoriale tanti giorni prima. Poi la tenne solo fra le dita della destra, tese il braccio all’indietro e poi lo allungò rapidamente in avanti, con un movimento elastico ed energico, aprendo le dita in modo che la targa venisse scagliata lontano e scomparisse fra le chiome degli alberi sottostanti. Accompagnò quel lancio con un lungo grido di vittoria che si confuse rapidamente nel rumore di altre grida simili e di lunghi applausi.

Quella sera l’intero equipaggio cenò fuori, a fianco del portellone aperto, accomodato alla meglio su coperte e su poltrone e divani che erano stati svitati dai supporti della nave, insieme al lungo tavolo che troneggiava usualmente in sala mensa. Non erano riusciti a smontare il bancone del bar nel salone, ma tutte le bottiglie erano state portate all’esterno e non c’era nessuno che non tenesse fra le dita un bicchiere più o meno colmo di qualche bevanda alcolica. Delle coppette razziate in dispensa, riempite di olio e con uno stoppino improvvisato al centro, fungevano da piccole fonti di illuminazione in una notte profonda, appena illuminata dagli spicchi delle due lune.
Si erano formati spontaneamente piccoli gruppi che chiacchieravano degli argomenti più disparati, mentre Cortez, seduto su una coperta vicino al bordo del precipizio, aveva tirato fuori una chitarra e suonava una musica vecchia di decenni, che ammantava di nostalgica allegria quella notte semplice, rischiarata dalla luce celestina delle due lune. James ne cantava le strofe, con una voce profonda e vellutata che dava brividi di emozione.
Lazara aveva provato vanamente ad insegnare dei passi di ballo a Grunt, che continuava ad incespicare e a finirle addosso, gorgogliando per le risate, fino a quando lei si era rassegnata scuotendo la testa e lo aveva tirato in terra, in modo che sedessero vicini, limitandosi a guardare Kal e Tali che ballavano al ritmo di quella canzone antica con una coordinazione tale da poter pensare che si trattasse di due allievi di una compagnia di danza.
Liara e Javik erano appena visibili, sul bordo di quel lungo baratro, lontanissimi, ma non abbastanza da nascondere che si stavano tenendo per mano.
Proprio sotto un’ala della Normandy, seduta con le gambe allungate su un grande plaid a nostalgici riquadri scozzesi, c’era IDA, la cui pelle sintetica brillava ai riflessi delle fiamme che si levavano da un piccolo falò e di lato, stesa su un fianco, si trovava la Chakwas. Joker era accoccolato accanto al fuoco, a canticchiare sottovoce le note di quella canzone, mentre rigirava fra le mani un paio di spiedini su cui erano infilati dei marshmallow fatti “in casa” che la dottoressa aveva preparato apposta nel pomeriggio, dietro l’assicurazione che li avrebbe abbrustoliti anche per lei.

In piedi sul portellone aperto della Normandy, Garrus e Shepard, separati solo fisicamente dagli altri, lasciavano scorrere lo sguardo davanti a loro.
- E’ addirittura meglio dell’ultima festa nell’appartamento sulla Cittadella - bisbigliò il turian a voce bassissima, quasi timoroso che il suono delle sue parole potesse turbare quell’attimo di pura felicità - Allora sapevamo che quella quiete non sarebbe durata molto - aggiunse con un sorriso malinconico.
- Nemmeno questa volta durerà a lungo, Garrus.
- Non stai scherzando - affermò il turian con sicurezza, dopo aver studiato il suo viso nella fioca luce di quelle due lune celesti - No, non stai scherzando... - ripeté scuotendo la testa - Immagino tu sappia che sarà anche peggio di quanto ci hai fatto credere in sala briefing... Dove ci porterai questa volta?
- Seconda stella a destra, e poi dritto fino al mattino - rispose ridendo, ispirandosi a un film di fantascienza vecchio di centinaia di anni, che a sua volta aveva citato una bellissima fiaba.

Un paio di giorni dopo l’atterraggio sul pianeta, IDA si avvicinò al comandante per avvertire che c’era una navetta in avvicinamento che puntava dritta su di loro, da nord.
Shepard smise di guardare la partita di calcetto misto che si stava svolgendo sul campo improvvisato e sulla quale aveva scommesso una bella manciata di crediti, che stava attualmente vincendo di larga misura.
Nonostante l’abilità indiscussa di James e la velocità di Cortez, gli umani stavano perdendo miserevolmente contro le altre razze alleate. Aveva chiesto a IDA, arbitro dell’incontro, di riprendere le immagini, senza farsi notare, e pregustava il momento in cui avrebbe potuto mettersi a suo agio su una comoda poltrona per guardare, su uno schermo gigante, il suo turian che correva appresso a una palla come fosse uno spensierato ragazzino qualunque e non uno dei cecchini più micidiali dell’intera galassia, forse addirittura il migliore in assoluto.
Rise di cuore notando la carica non proprio regolare di Grunt che però rifiutò di riconoscere il fallo - Ho preso anche la fottutissima palla, Vega, oltre al tuo piede.
Nella discussione animata che seguì, in cui intervennero più o meno tutti i giocatori in campo e anche l’intero pubblico, l’unico che ne uscì chiaramente sconfitto fu Javik, deriso per l’eccessiva serietà.

La navetta di Jack divenne un punto chiaramente individuabile nel cielo mentre si stava giocando l’ultima mezzora del secondo tempo. Il punteggio di 5 per la ‘banda extraterrestri’ (era stato Kal a proporre quel nome, segno che ormai si trovava a suo agio in mezzo a quell’equipaggio fuori dagli schemi) e 2 per la ‘masnada umana’ (nome scelto da James) non lasciava molto spazio a rimonte inaspettate e Shepard si allontanò con l’animo tranquillo dal campo di gioco, dopo aver preso un paio di birre gelate dal secchiello pieno di ghiaccio secco posto sopra un piccolo tavolo in mezzo alla zona picnic.

- Hai dovuto rubarla? - chiese a Jack, indicando la navetta e porgendole una delle due bottiglie, mentre salutava i tre compagni che la biotica si era portata appresso.
- Non ho potuto... appena ho detto che avevo fretta di raggiungerti, mi hanno messo a disposizione tutti i mezzi che avevano nell’hangar. E’ stato un po’ deludente... - rise lei, che poi la prese in giro - Ma dov’è il velo e l’abito bianco? - con aria sfottente, prima di aggiungere - Ma... cosa fanno quelli? Hai messo a punto un nuovo programma di addestramento? - senza riuscire a credere allo spettacolo che le si presentava davanti.
- Giocano a calcio. Mancano ancora una ventina di minuti alla fine. Ti va di guardare? - le chiese allungandole il biglietto che aveva trovato infilato sotto la porta della sua stanza quella mattina.

Programma del giorno
Ore 16,00: INCONTRO DI CALCETTO MISTO
BANDA EXTRATERRESTRI:
Tali, Grunt, Lazara, Kal, Garrus.
vs
MASNADA UMANA
: Sam, Gabby, Ken, Steve, James.
Arbitro: IDA.


- Ci puoi scommettere! - rispose la ragazza, senza riuscire a trattenere una risata nel vedere Tali che si era lanciata rapidamente fuori dello specchio della porta sottraendo un pallone prezioso a Ken, preso a male parole da Gabby per l’eccessiva lentezza del suo scatto.
- Gli umani non hanno speranze - decretò la ragazza dopo aver osservato un paio di minuti di gioco - guarda come corre quel turian... Corre così anche a letto? - chiese, sicura che bastava poco a far arrossire il comandante più famoso di tutta la galassia.
- Uhm, no. Sono certa di no - continuò imperterrita, non lasciandosi smontare dal suo silenzio ostinato - Comunque in campo ha un bel gioco d’attacco. E’ agile, scatta rapidamente e... oh, bellissimo goal! - osservò dandole una lieve pacca sulla spalla - Segna anche con precisione ed eleganza - ridacchiò, soddisfatta per averla messa chiaramente a disagio.
- Mi sto quasi pentendo di averti fatto venire, ma so che alla lunga mi sarebbe mancata la tua indole così cordiale... - fu l’unico commento rassegnato che ottenne.

- Andiamo a salutare la squadra vincente - fu l’esortazione della nuova arrivata, che pose una mano sulla spalla del comandante appena udì il fischio finale dell’arbitro, mentre si incamminava verso i cinque individui che stavano festeggiando in maniera vistosa sulla propria metà campo - Mi devi presentare almeno una krogan e un quarian. Gli altri li conosco, tutti, anche gli spettatori. Mah, vedo che ti sei portata appresso pure il prothean scongelato. Hai dei gusti veramente discutibili. A me continua a far rabbrividire: rassomiglia in maniera davvero poco rassicurante a quei maledetti Collettori. Come al solito il tuo equipaggio è un’accozzaglia di persone poco raccomandabili...
- Suppongo che il tuo arrivo gli dia il colpo di grazia - commentò Shepard, rassegnata.
- E la mia amichetta preferita? Com’è che manca la cheerleader? - chiese sorridendo da un orecchio all’altro - Una partita di calcio senza una cheerleader non è una vera partita... E manca pure lo sfigato non-so-di-carne-né-di-pesce.
- Credo sia colpa di Garrus. E’ lui che ha assemblato l’equipaggio. Non credo li abbia neppure contattatati...
- Ah! Ora capisco: è per questo che te lo sposi! A proposito... ma davvero mi aspettavate per fare il grande passo? - chiese Jack fermandosi di botto e fissandola divertita - Ti ho dato un altro po’ di tempo per pensarci, allora... Ma sei proprio sicura di volerlo fare? Lo sposi anche senza una bella villetta su Palaven? - fu l’ultima domanda che osò farle, prima che uno sguardo gelido la facesse desistere.
- Dai, Jack, smettila di preoccuparti. So quello che faccio - la rassicurò poi, del tutto inaspettatamente Shepard, quasi avesse letto i pensieri che erano appena passati per la testa di quella strana amica “Cazzo! Sto diventando sentimentale: non voglio che questa scema si infili in un mare di guai. E’ facile difendersi dai nemici. Sono quelli che dicono di volerti bene che ti fregano sempre”.

°°°°°

La cerimonia di matrimonio turian che Garrus aveva descritto a Joker e a Shepard era estremamente semplice e le prove che i tre avevano fatto in sala briefing, un paio di ore dopo la conclusione della partita di calcio, al riparo dagli sguardi indiscreti del resto dell’equipaggio, erano durate pochi minuti.
“Troppo pochi” aveva considerato Shepard, che per tutto quel tempo si era sentita molto più tesa di quanto si aspettasse. “Troppi” aveva invece pensato Joker, che non era riuscito a restare serio, mentre continuava a ripetersi le frasi che avrebbe dovuto pronunciare, per essere sicuro di memorizzarle bene.
Garrus si era limitato a passarsi più volte la mano destra sulla cresta frontale, osservando la futura moglie che non riusciva a stare ferma un secondo e quel deficiente del pilota che non la smetteva di sogghignare, e che, ad un certo momento, se ne era uscito chiedendo - Invece dell’acqua, potremmo usare qualcosa di più originale? Perché non una bella manciata di sale, per esempio? Il senso rimarrebbe, visto che è pur sempre formato da due tipi di atomi diversi - aveva proposto, rimediando un’occhiataccia da parte dei due futuri sposi - così il matrimonio rassomiglierebbe di meno ad un battesimo cattolico - aveva concluso esibendo una faccia divertita, che il turian avrebbe volentieri preso a pugni, pur senza sapere cosa diavolo potesse essere un battesimo.

Arrivati al momento in cui lui e Trinity si sarebbero dovuti scambiare il dono di nozze, lei gli si era avvicinata nel modo giusto, aveva appoggiato la fronte contro la sua ed era rimasta in silenzio, ascoltando le parole di Garrus e poi provando a ripetere la medesima frase. Aveva balbettato, era arrossita, gli aveva mostrato la lingua e poi se ne era uscita in un’imprecazione inusuale e divertente, ma decisamente poco adatta alle circostanze.
- Vado nella batteria primaria - si era limitato a comunicare, sapendo che quella frase valeva un commento, ed era uscito a passo deciso dalla sala riunioni.

Shepard lo aveva raggiunto poco dopo. Era rimasta appoggiata allo stipite guardandolo mentre armeggiava fra i macchinari in silenzio, fino a quando lui le si era avvicinato con aria depressa, confessando - Non sembrava più un matrimonio, ma la scena di un film comico.
- Ti prometto che non me ne uscirò con un Miseria culona se sbaglierò anche domani quella dannata frase - lo aveva rassicurato con aria sinceramente pentita e Garrus si era trovato costretto a mettersi a ridere.
- Stanotte dove dormi? - gli aveva poi chiesto Shepard, mentre lui si limitava a fissarla perplesso.
- Dove dormo? - aveva chiesto a sua volta - Uhm... dove dovrei dormire?
- Dormi con me?
- Direi di sì. Dove se no? Dormo qui, se preferisci.
- E’ che... beh, l’usanza umana è un’altra... di solito - provò a spiegargli mentre si rendeva conto di quanto potessero suonare strane quelle sue parole - Ma speravo che i turian non avessero tradizioni bizzarre come le nostre - si affrettò ad aggiungere sentendosi sollevata - Preferirei stare in tua compagnia fino a quando dovrò affrontare questa... cosa...
- Tranquilla, non sarai sola - rispose Garrus dandole una piccola pacca sulla spalla.

°°°°°

Era ancora l’alba quando Shepard si svegliò. Era un’alba vera, come quelle che la permanenza su quel pianeta stava regalando a tutti loro in quei giorni.
Sarebbe stata una giornata serena, a giudicare dalla luce arancione che entrava dalla grande finestra. Non c’era nessuna nuvola in cielo e, dal movimento delle foglie, sembrava che il vento non fosse più intenso di una brezza delicata.
Sì, sarebbe potuta essere davvero una splendida giornata, se solo non ci fosse stato quel dannato matrimonio in cui lei avrebbe fatto casino, Joker si sarebbe messo a sghignazzare e il suo turian si sarebbe trovato a dover rimpiangere la proposta che le aveva fatto il 10 settembre scorso.

Stava ancora seduta in terra, sotto il getto caldo della doccia, quando vide i piedi di Garrus occupare la porzione di pavimento che i suoi occhi stavano fissando da una quantità imprecisata di tempo.
- Dimmi che non sono in ritardo - lo scongiurò, senza aver il coraggio di guardarlo in faccia.
- C’è tutto il tempo necessario per asciugare i tuoi capelli troppo corti, fare colazione e vestirsi - la rassicurò lui, tendendole una mano per farla alzare.

- Non cosa indossare - osservò divertita, dopo aver finito di fare colazione, a piedi nudi davanti all’armadio, infagottata nell’accappatoio e con un asciugamano avvolto a mo’ di turbante sulla testa.
- Provaci soltanto e te la strappo di dosso - fu la minaccia divertita che le arrivò nitidamente alle orecchie, mentre accarezzava la sua vecchia divisa di Cerberus.
- Interessante - commentò in tono provocante, decidendosi a toglierla dalla stampella.
- Metterai questa - rispose lui, strappandogliela dalle mani e gettandola in terra, mentre le porgeva un’alta uniforme dell’Alleanza, ancora avvolta nel cellophane, che aveva tirato fuori dal suo armadio - Dovrebbe andarti bene, ora che hai riacquistato qualche chilo - commentò fissandola con occhio critico.
- Sai che allo sposo è vietato vedere l’abito della sposa prima del matrimonio?
- Mi sembra che voi umani abbiate degli usi privi di qualunque senso... Sapresti spiegarmene il motivo?
- Porta male, credo...
- Ecco... appunto - commentò Garrus, scuotendo la testa prima di iniziare a indossare la sua uniforme della Gerarchia turian, anch’essa nuova di zecca.
- Generale? - chiese lei smettendo di vestirsi e fissandolo stupita - E da quando?
- Da quando insistevano per farmi diventare Primarca...

- Non mi interessa se si usi o meno da voi - le sussurrò poco più tardi il turian nell’orecchio, dopo averle cinto la vita con il braccio sinistro, arrivandole alle spalle mentre si asciugava i capelli in bagno - ma, fossi in te, lo berrei - la invitò, appoggiando sul bordo del lavandino un bicchiere riempito per metà di vino.
- E ricordati di prendere il regalo. Ti aspetto al portellone - aggiunse, dopo averle dato un piccolo morso delicato sul collo.


Secret wedding




“Ok, dunque... è ora di andare” dichiarò Trinity a bassa voce, fissando la sua faccia nello specchio. Se non altro, indossare l’uniforme le infondeva la speranza di trovare un po’ di sicurezza. Prese in mano il bicchiere con il vino e lo fece tintinnare contro lo specchio, brindando con se stessa.
- Alla tua salute - si augurò con una voce che suonò incerta, mentre quel vetro impietoso le mostrava quanto falso e forzato fosse il sorriso di accompagnamento.
- Sei davvero un’idiota - rimproverò con rabbia quella donna impaurita che la fissava - Non puoi farti prendere dai dubbi dell’ultimo momento: tu sai cosa vuoi.
Fissò a lungo il bicchiere che teneva fra le dita, lasciando che la sua mente venisse inondata dai tanti pensieri che le stavano saettando nella testa in modo disordinato. Provò a domarli e a sistemarli ordinatamente, senza fretta, poi rovesciò lentamente il vino. Lavò il bicchiere e lo appoggiò vicino al rubinetto, prima di pulire meticolosamente anche il lavandino.
Controllò la lucidatura degli stivali e si guardò con occhio critico nello specchio sistemando con attenzione le mostrine e le medaglie sulla divisa, controllandone l’allineamento. Infine aggiustò la visiera del berretto, infilò i guanti e si lasciò alle spalle la cabina.

Appena uscita dall’ascensore lo trovò esattamente dove le aveva detto che l’avrebbe aspettata. Gli andò incontro con un passo talmente marziale che Garrus, per un breve istante, se la immaginò nell’atto di fargli un perfetto saluto militare o di tendergli la mano, e si sentì a disagio. Invece lei gli arrivò vicino e rimase a fissarlo con aria tranquilla, limitandosi ad attendere le sue mosse.
- Uhmmmm - borbottò incerto, cercando di leggerle il volto - Stai bene? - chiese subito dopo, provando un vago senso di malessere.
- Mai stata meglio - fu la risposta, che lui credette pronunciata in un tono così distaccato da sentirsi gelare dentro.
Le porse il braccio sinistro e cominciò a scendere lentamente lungo il portellone spalancato, senza riuscirsi a liberare dallo stato di confusione in cui lo strano atteggiamento di Trinity lo aveva gettato.
Arrivato al bordo del prato antistante, si fermò un attimo e fissò nuovamente quella donna estranea che si appoggiava appena a lui.
“Non dobbiamo farlo per forza, se non ti senti sicura”. Era quella la frase giusta da dire in quell’istante, non un secondo più tardi: la frase che era andato cercando disperatamente da quando l’aveva vista uscire dall’ascensore. Si sentiva a disagio e insicuro, di fronte a quella umana così fredda e distaccata.
Gliela sussurrò, avvicinando il viso al suo, in modo che nessun’altro potesse ascoltare quelle parole segrete.
- Hai paura, Garrus Vakarian? Puoi tornare a bordo. Siamo ancora sul portellone... - fu la risposta inaspettata, pronunciata in tono lievemente ironico e accompagnata da un accenno di sorriso che le restrinse per un attimo gli occhi, ma non alterò la compostezza della sua espressione, che rimase seria e rilassata.
- No, Comandante, non ho paura - rispose sorridendo, capendo finalmente la situazione e provando un senso interiore di pace e felicità inattesa: per qualche minuto aveva temuto che quella giornata potesse diventare il peggior incubo della sua vita.

Joker era una decina di metri più avanti, mentre tutto il resto dell’equipaggio aveva creato una sorta di ampio corridoio obbligato che conduceva a lui.
Fecero quel pezzetto di strada in silenzio, lui sulla destra e lei sulla sinistra, sotto gli sguardi allegri dei loro compagni. Perfino Jack rivolse a Shepard un sorriso privo di ironia, mentre Sam le fece un occhiolino che mostrava approvazione, oltre ad un affetto sincero. Grunt tirò una leggera pacca contro la spalla di Garrus, ma anche quella fu quasi una sorta di carezza lieve, contrariamente a quanto chiunque si sarebbe aspettato.
In realtà i due futuri sposi intravidero confusamente quanto avveniva attorno a loro: Garrus stava assaporando quel sentimento di gioia completa e rilassata, del tutto inattesa, e Trinity voleva centellinare le sue sensazioni, talmente intense da annullare quanto era loro estraneo.
Sicurezza, convinzione, fiducia. Si lasciava cullare dalla certezza incrollabile di essere dove doveva essere, senza alcun dubbio residuo. La passione era relegata in un angolino nascosto, assieme alle insicurezze ormai dimenticate. Distingueva chiaramente il suo destino e gli sorrideva con riconoscenza illimitata. Nulla e nessuno si sarebbe mai più interposto fra lei e Garrus, neppure lei stessa.
Non c’è Shepard senza Vakarian: così era stato fin dall’inizio e così sarebbe stato fino alla fine delle loro esistenze. Sapeva cosa volesse dire non avere una vera scelta, ma quella volta la via del destino era luminosa e calda.
“Posso regalarti solo questa mia salda sicurezza, questa convinzione eterna, questa fiducia senza limiti. Non so se possa ripagarti per tutte le volte in cui mi hai preso fra le braccia e mi hai aiutato a ritrovarmi, ma è una domanda priva di senso. Io senza te o tu senza me? Non potremmo esistere”.
Sapeva che lui aveva compreso, lo aveva capito dall’appellativo con cui le si era rivolto: non Trinity o Shep, ma Comandante. E poteva leggere la gioia che gli vibrava dentro in quel sorriso nascosto che solo lei sapeva riconoscere. Vicini come mai e lontanissimi da chiunque altro: un istante di felicità assoluta, solo per loro.

- Siete bellissimi - sussurrò Tali quando le passarono davanti ed entrambi furono certi che lacrime di commozione scorressero indisturbate dietro la visiera oscurata del casco.
Fissarono incerti James che se ne uscì con un educato e del tutto inatteso - Comandante, Garrus Vakarian - esibendosi in un saluto militare da manuale e colsero il gesto furtivo con cui Cortez si asciugò un occhio con la manica dell’uniforme. Senza neppure guardarsi l’un l’altra, gli rivolsero entrambi uno stesso sorriso felice. L’ultimo volto a cui prestarono vagamente attenzione fu quello della dottoressa. Era contenta, glielo si leggeva chiaramente nello sguardo. Non tentava neppure di dissimulare la sua gioia: sicuramente stava ricordando le tante volte in cui li aveva rappezzati.
Dopo la Chakwas gli occhi di Shepard intercettarono la figura di Joker e non riuscirono più a spostarsi da lì.

Stava dritto, vicino ad IDA, ultima figura di quel corridoio fatto di persone, che gli stava sulla destra, ad appena un passo di distanza. Era il solito pilota di sempre, con la solita divisa e l’inseparabile berretto ben calcato sulla testa, ma senza l’usuale espressione beffarda sul viso.
Shepard si accorse che stava fissando Garrus e soltanto lui, non lei, e girò leggermente il viso a spiare l’espressione del turian al proprio fianco.
Immaginò che quei due stessero dicendosi qualcosa con quegli sguardi che escludevano ogni altro presente, persino lei stessa.
Capì improvvisamente, ringraziando le immagini che Liara le aveva regalato.
Garrus e Joker avevano pianto insieme, su quel dannato pianeta, la morte di ciò che più amavano, quasi il presupposto che giustificava la loro stessa esistenza, e ora si trovavano a guardarsi tenendo al fianco ciò che avevano dato per perduto, proprio in quello stesso posto. Due miracoli inaspettati si erano avverati e se allora il dolore era stato intenso, ma assolutamente muto e privato, anche quella gioia altrettanto profonda richiedeva lo stesso riserbo e silenzio.
No, Joker non avrebbe riso a quel loro matrimonio e nel profondo dell’anima non poteva partecipare loro altro che affetto, comprensione e condivisione completa.

Il pilota attese che i suoi due amici si avvicinassero e rimanessero in piedi avanti a lui, poi prese la mano sinistra di Garrus e la destra di Shepard in una delle sue, trattenendole sopra la bacinella piena di acqua limpida che aveva di fronte a sé, appoggiata su un treppiede.
- Che gli Spiriti dell’Indissolubilità e della Nascita, incarnati in quest’acqua, prodigio di coesione e fonte di vita, possano ispirare i vostri pensieri e guidare i vostri passi - recitò fissandoli in viso.
Poi prese una piccola quantità d’acqua nel palmo dell’altra mano e la lasciò colare lentamente su quelle dei suoi amici.
- Con questo gesto lego due vite, indissolubilmente: Trinity Shepard e Garrus Vakarian. Fino al respiro ultimo e al di là del tempo - pronunciò solennemente, grato di non essersi messo a ridere come uno scemo, come invece gli era successo quando aveva fatto le prove in sala briefing e poi dopo, in solitaria, nell’intimità del ponte.
Si sentì solo un po’ stupido, per non riuscire a produrre un solo pensiero ironico o caustico ma, a se stesso, poteva ammettere senza vergogna di essere dannatamente commosso all’idea di sposare quei due fedeli compagni con i quali aveva condiviso tanti combattimenti e troppe emozioni.

Garrus e Shepard si strinsero anche l’altra mano, mettendosi l’uno di fronte all’altra, con Joker che ora stava al loro fianco, in attesa che pronunciassero le frasi conclusive di quella breve cerimonia.
Avvicinarono la fronte per sfiorarsi appena e rimasero in silenzio pochi secondi, fino a quando la voce rauca e leggermente metallica di Garrus interruppe il silenzio che regnava su quella piccola radura antistante la Normandy.
- Ti affido la mia essenza perché diventi parte indistinguibile di te - promise, prendendo il suo dono dalla tasca e passandole le dita attorno al collo per agganciarle la catenina dietro la nuca.
- Ti affido la mia essenza perché diventi parte indistinguibile di te - ripeté lei immediatamente dopo con voce ferma, compiendo gli stessi movimenti, ma senza riuscire ad chiudere la catenina.
- Non ci riesco - confessò tranquillamente, alzando le mani in gesto di resa e cominciando a sfilarsi i guanti che le impedivano di allacciare quella chiusura tanto sottile.
- Non ha importanza - sussurrò Garrus, togliendola dall’imbarazzo. Prese delicatamente la catenina dalle sue mani, fissando la medaglietta a lungo, e se la agganciò da solo.
Poi la strinse fra le braccia sussurrandole nell’orecchio - Non avevo osato sperare in tanto. Grazie, Trinity - le confessò con accento commosso - Fino al respiro ultimo e al di là del tempo - aggiunse ancora in un bisbiglio appena accennato.
- Io speravo esattamente in questo dono - confessò lei in risposta, abbassando gli occhi sul pendente metallico formato da un cerchio che racchiudeva al suo interno tanti poligoni regolari, da un semplice triangolo equilatero fino a un poligono con un innumerevole numero di lati.
Lo tenne fra le dita, lasciando che la luce lo colpisse con varie angolazioni, spiando estasiata i lievi baluginii di luce azzurrina, fino a quando l’invito Bacio, bacio partito da quella disgraziata di Jack, divenne un coro risonante che li costrinse a scambiarsi il loro primo impacciato bacio in pubblico.



Ancora una volta, un grazie colmo di gratitudine a Chiara: fedele e taciturna lettrice, editor al bisogno e impareggiabile artista.


Note
Niente riso, confetti o bomboniere... A Garrus sembrerebbero usi decisamente stupidi. E non si può non convenire con lui...

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Capitolo 10
*** I divoratori di stelle ***


I DIVORATORI DI STELLE



Il giorno successivo al matrimonio, Shepard dette l’ordine di dirigere la Normandy verso Far Rim.
Fin dall’inizio erano tutti ben consapevoli che quel lungo viaggio si sarebbe svolto a singhiozzo, sulla scia della Flotta Migrante, spesso costretti a lunghe soste, in attesa che il portale di ogni sistema in cui arrivavano venisse ripristinato.
In genere la situazione che trovavano non era confortante perché, anche se le operazioni di riparazione erano magari iniziate da tempo, il lavoro necessario per completarle restava ingente. I progressi registrati prima dell’arrivo dei Quarian dipendevano da diversi fattori: persone in età lavorativa rimaste nel sistema, numero di navi spaziali, quantità e qualità del personale tecnico-scientifico, capacità organizzativa delle autorità in loco, disponibilità di materie prime e così via.

La collaborazione, ormai consolidata, fra Shepard e il popolo quarian, risultava ulteriormente rafforzata dalla presenza di Tali a bordo nella Normandy. Quella ragazza, entrata a far parte dell’equipaggio della SR1 quando era poco più di un’adolescente per effettuare il suo Pellegrinaggio, era diventata un Ammiraglio stimato da tutto il suo popolo, che non avrebbe mai dimenticato il ruolo che lei e Shepard avevano avuto nella riconquista del loro pianeta natale e nella cessazione delle ostilità contro i Geth, nonostante questi fossero ormai solo un ricordo lontano.

La rotta veniva tracciata da Shepard e dagli ammiragli della Flotta Migrante via via che avanzavano, sulla base di consultazioni durante le quali si scambiavano tutte le informazioni faticosamente reperite dagli addetti alle comunicazioni a bordo dei diversi scafi.
Il traffico di notizie, al pari della circolazione di persone e di cose, era ancora estremamente difficile e le trasmissioni risultavano generalmente molto disturbate. Perfino all’interno dei singoli settori non si poteva contare su collegamenti stabili: i danni inferti dai Razziatori erano stati più gravi di quanto si fossero resi conto.
La riguadagnata transitabilità di un portale non garantiva affatto anche la possibilità di comunicare, perché i Quarian erano interessati solo a completare il loro viaggio verso Rannoch nel più breve tempo possibile e passavano oltre non appena il portale lo consentiva, trascurando qualunque altro aspetto da loro ritenuto del tutto secondario, se solo comportava un aggravio di lavoro. Dal canto suo, Shepard condivideva la loro fretta di arrivare a destinazione ed era ben felice di essere sollevata dal compito di parlare con i Consiglieri della Cittadella, che in ogni caso l’avevano esentata dal tenerli aggiornati proprio conoscendo la difficoltà di mantenere attive le comunicazioni.
Pertanto, una volta riattivato il portale come sistema di transito veicolare, la Flotta procedeva oltre, tallonata dalla Normandy, senza curarsi d’altro.

Durante quella lunga marcia scoprirono, senza eccessiva sorpresa, che molti pianeti erano rimasti del tutto emarginati fin dall’inizio delle ostilità contro i Razziatori, perché privi da tempo di qualsiasi mezzo di trasporto funzionante. L’isolamento era durato a lungo e i soccorsi che l’Ammiragliato quarian e l’equipaggio della Normandy potevano fornire risultavano generalmente molto inferiori allo stretto necessario: i loro sforzi sembravano sempre insufficienti ad aiutare in modo davvero efficace le colonie che incontravano lungo il cammino.
Si imbattevano quasi sempre in gruppi di individui stremati, che avevano urgente bisogno di rifornimenti in generi di prima necessità che ormai scarseggiavano o si erano completamente esauriti da tempo.
Di solito era l’equipaggio della Normandy ad adoperarsi per alleviare i disagi dei coloni, reperendo in giro per il settore i generi alimentari o le materie prime mancanti, per cui era capitato più volte che Shepard avesse fatto riempire la stiva di branchi di animali selvatici, di piante, di legname, di minerali estratti dalla superficie di pianeti ai quali i coloni non erano in grado di arrivare. Il comandante si rifiutò però fermamente di elargire anche un solo medigel e, dopo l’incontro con le prime colonie, anche la Flotta Migrante era rimasta rapidamente sprovvista di scorte medicinali, per cui poco o nulla potevano fare per alleviare la sofferenza fisica dei malati che incontravano sul loro cammino.
I Quarian si occupavano quasi esclusivamente delle riparazioni dei portali e più di una volta Trinity e Garrus erano rimasti abbracciati davanti alla finestra del loro alloggio a fissare quello sciame di api operaie infaticabili, che si raggruppavano attorno al portale di turno e restavano lì, come ronzando attorno ad un prato ricco di fiori, suggendone il nettare, fino al completamento dei lavori.


Anywhere Is



Più di una volta, durante quel lungo viaggio, il turian commentò quella bizzarra luna di miele, ammettendo che quel loro menage non rientrava negli standard di vita matrimoniale di nessuna delle loro razze: ma entrambi sapevano che erano felici come mai prima di quel momento e che non avrebbero desiderato nulla di appena diverso.
Non avevano fissa dimora, ma non avrebbero saputo immaginare una casa più accogliente di quella che li proteggeva all’interno del suo ventre, che li cullava per farli addormentare ogni sera con il regolare mormorio dei suoi motori e li portava in giro per la galassia, in compagnia degli amici più cari, regalando immagini di rara bellezza e l’accattivante promessa di misteri ancora da svelare.
Di tanto in tanto offriva loro perfino il brivido di uno scontro a fuoco, con combattimenti che non risultavano mai troppo impegnativi dal punto di vista tattico o per la forza del nemico, ma che mettevano a dura prova i loro nervi.
Fu questo l’unico vero neo di quei mesi di navigazione che avrebbero altrimenti potuto considerare come luna di miele ideale.

Ad aggravare lo stato di disagio, al termine di un conflitto così devastante come quello combattuto contro i Razziatori, contribuivano infatti, in misura decisiva, le scorrerie di criminali di vario genere, che cercavano di trarre il massimo vantaggio dalla situazione attuale: le loro navi erano sempre cariche di bottino e di prigionieri.
In più occasioni la Normandy intercettò veicoli sospetti. Le scansioni a lungo raggio effettuate da IDA risultarono estremamente utili per determinare il contenuto delle stive e Shepard decise, sia pure a malincuore, di trascurare le navi di pirati e sciacalli, ma non lasciò mai passare indenne un singolo mercante di schiavi.
Abbordare la nave e liberare i prigionieri, fu questo l’ordine che si ritrovò a impartire in numerose occasioni, in piedi al fianco di Joker, pervasa da una rabbia che riusciva a reprimere a stento.
Tutto l’equipaggio della Normandy condivideva il suo sdegno e solo la fermezza del comandante evitò, in più di un’occasione, la giustizia sommaria di quegli individui: di solito venivano sbarcati, insieme ai prigionieri liberati e a tutte le risorse utili trovate a bordo, presso le colonie più vicine, consegnati alle autorità locali e abbandonati al loro più che prevedibile destino.

In una sola occasione l’ira di Shepard fu tale da permettere ai suoi compagni di decimare senza alcuna pietà l’intero equipaggio di un piccolo vascello da carico, dopo aver constatato che tutti i prigionieri erano morti di stenti per mancanza di cibo e di cure.
Quella volta aveva portato con sé James e Grunt e, quando quei suoi due amici erano usciti di corsa dalla stiva di carico, con il volto deformato da una rabbia incontrollabile, lasciandola piangere da sola lacrime velenose di odio sul corpo inerte di un piccolo turian di appena un paio di anni, non li aveva richiamati.
Aveva aspettato che tornassero indietro e poi erano rientrati tutti e tre a bordo della Normandy, senza scambiarsi una parola e senza neppure guardarsi in volto.
Shepard era andata direttamente sul ponte e aveva impartito a IDA l’ordine - Polverizza quella cazzo di nave.
Aveva aspettato la distruzione dello scafo ad opera del Thanix e si era ritirata in cabina.
Garrus, che la aspettava lì per controllare le sue armi, come faceva sempre al rientro da una missione, la fissò in volto solo per un attimo, poi le prese la pistola e il fucile di precisione dalle mani e si avviò verso l’uscita, dicendole che l’avrebbe attesa nella batteria primaria.
Conoscendo la tipologia del nemico affrontato nel corso di quell’ultimo scontro, poteva immaginare perfettamente quale tipo di dolore le avesse alterato i lineamenti e quanto bisogno potesse avere di restare un po’ da sola.
- Resta qui. Ho bisogno di un abbraccio - sussurrò invece lei, con gli occhi ancora colmi di lacrime di rabbia pura, rifugiandosi nella stretta rassicurante delle sue braccia accoglienti.
Nonostante l’orrore e la rabbia per il racconto delle scene raccapriccianti che le erano rimaste impresse nella mente, Garrus provò anche la sicurezza rassicurante che erano diventati una vera coppia turian, capace di trovare tutto il sostegno e il conforto necessario l’uno nelle braccia dell’altro.

°°°°°

La maggior parte del tempo libero, durante gli intervalli fra una missione per procurare rifornimenti a qualche gruppo isolato e un abbordaggio per liberare i prigionieri di una nave schiavista, veniva impiegato in un addestramento del tutto nuovo per l’equipaggio. Nessun membro ne fu esentato, neppure Joker, nonostante il suo fermo rifiuto iniziale. Shepard riuscì a fargli capire che lui e IDA, da soli, non sarebbero mai riusciti a rilevare la presenza degli strani nemici che avrebbero dovuto affrontare e il pilota dovette arrendersi a quel ragionamento inoppugnabile.
I primi giorni di navigazione vennero utilizzati per illustrare il tipo di nemico che si apprestavano ad affrontare e le modalità di combattimento che avrebbero dovuto utilizzare: si resero necessarie parecchie riunioni perché l’intero equipaggio riuscisse a afferrare l’essenza del problema, che per lungo tempo apparve a tutti veramente bizzarro e ai limiti della credibilità.
Quando il comandante scese nell’hangar, appena dopo la prima riunione comune in sala briefing, dovette assistere ad una scenetta che era stata preparata in previsione di una sua visita.
- Spara, spara! - sentì strillare in tono allarmato da James.
- Ma dove? - fu la risposta perplessa di Steve - non c’è nessuno...
- Appunto. Se non vedi niente... spara! - urlò di nuovo James, correndo a ripararsi dietro la Kodiak.
- Ho un equipaggio di dementi... - commentò Shepard ridendo.
- L’unico adatto al nostro comandante - fu il commento che James sussurrò in direzione di Steve, attento ad usare un volume abbastanza alto perché lei potesse sentirlo chiaramente.

Quando l’idea di dover combattere contro una sorta di fantasmi fu digerita e accettata, si passò alla fase successiva, che consisté nel creare piccoli gruppi posti sotto il comando di una coppia di biotici. I membri di ciascuna squadra avrebbero dovuto seguire ciecamente (in senso letterale) le loro istruzioni.
Per quello strano addestramento Tali assemblò degli speciali visori che consentivano di individuare delle sfere di energia altrimenti trasparenti. Il principio utilizzato si basava sulla scomposizione delle radiazioni luminose emesse dalle sfere stesse e le rendeva individuabili grazie ad una colorazione rossastra. Solo i biotici indossavano questi visori ed erano loro a fornire istruzioni ai propri compagni di squadra, per indicare le corrette traiettorie di tiro per abbatterle.
Ogni volta che una sfera veniva colpita, si disintegrava emettendo un lampo di luce che indicava l’abbattimento del bersaglio.

I biotici combattevano disarmati, perché all’atto pratico sarebbero stati troppo impegnati ad individuare il nemico e a dare istruzioni ai compagni per poter trovare il tempo di fare altro.
Agli altri membri della squadra vennero assegnate speciali pistole che sparavano piccoli proiettili di plastica pressoché innocui. Questa speciale attrezzatura fu concepita da Shepard, che voleva evitare di danneggiare la stanza in cui effettuavano le esercitazioni, nella fattispecie l’hangar navette, e assemblata da un turian che non smise mai di bofonchiare e di protestare sotto voce.
- Non è serio né dignitoso. Ad appena dodici anni i turian ricevono la prima vera arma.
- Allora fingi di averne dieci o undici - fu la lapidaria risposta di Shepard, che gli diede un rapido bacio sulla nuca prima di uscire ridendo dalla batteria primaria che lui aveva attrezzato per l’occasione a piccolo laboratorio.


Blade Runner (End Titles)




Il primo giorno i risultati ottenuti dalle varie squadre furono deludenti ben oltre la più pessimistica previsione e l’umore dell’equipaggio peggiorò tanto da spingere Shepard a fare una breve comunicazione a tutta la nave prima di andare a dormire.
- Amici e compagni di tante avventure, vorrei tranquillizzarvi: i risultati che abbiamo ottenuto non sono positivi come speravamo, ma era il nostro primo tentativo. Sono certa che domani riusciremo ad ottenere un esito migliore. Avete una serata intera per affogare la delusione nell’alcol, ma domani pomeriggio le prove riprenderanno e vi voglio in piena forma.
- Shep - chiamò una voce dal letto al suo fianco, tirandole un braccio fino a farla cadere sulle coperte - non mi piace che tu decida dove io devo sparare. E’... disdicevole e anche... inefficiente - biascicò Garrus con voce impastata.
- Ma te la sei scolata tutta? - chiese Shepard in tono stupito, capovolgendo una bottiglia di liquore di Palaven.
- Era... più piccola delle altre.
- Sarà una nottata interessante. Non ti avevo mai visto ubriaco prima d’ora...
- Non avevo mai mancato tutti i dannati bersagli prima d’ora. Spiriti, Shep... moriremo tutti.
- Magari un’altra volta?
- Questa l’ho già sentita... - bofonchiò il turian prima di crollare di botto.

Il giorno dopo ci fu un lieve miglioramento: poco meno del il 9% dei bersagli venne faticosamente abbattuto.
Questo progresso veramente miserevole stimolò comunque i componenti dei vari gruppi a trovare nuovi modi per scambiare informazioni in tempi più rapidi ed in modi più efficienti.
Shepard aveva stabilito che le composizioni delle squadre dovessero essere estremamente fluide all’inizio, per dar modo a tutti di trovare i compagni con cui l’interazione fosse migliore, per cui nessuno si aspettava grossi progressi nelle fasi iniziali. Era verosimile che la situazione migliorasse sensibilmente una volta che le persone si fossero affiatate.
Fu questo il contenuto del messaggio che il comandante inviò quella sera a tutto l’equipaggio, cercando di enfatizzare i progressi che avevano ottenuto rispetto al giorno prima.
- Comandante, io non cambio gruppo. Tu neppure. Non provarci - fu l’unico commento di Garrus di quella sera, prima di addormentarsi di traverso sul letto.
“Almeno non russi” commentò Shepard fra sé e sé, mentre spostava quel corpo con malagrazia e un po’ di irritazione, cercando di creare abbastanza spazio per mettersi a dormire.

La giornata seguente non portò risultati entusiasmanti... dal 9% risicato si passò ad un 17% pieno. Quella sera Shepard disse all’equipaggio che i progressi cominciavano a notarsi, che l’interazione fra i gruppi sembrava migliorare lentamente e che lei si sentiva fiduciosa sul futuro. Ci tenne a sottolineare che i nemici avrebbero incontrato le medesime difficoltà e che probabilmente non stavano preparandosi a combatterli, per cui ogni loro piccolo miglioramento poteva risultare decisivo.
Una volta chiusa la comunicazione si sedette sul letto e si prese la testa fra le mani mormorando sconsolata - Voglio imbrogliare solo gli altri o anche me stessa?
- Sai Shep, a me quel biotico che fa coppia con te mica mi convince... secondo me è dissellico.. no, disellico... no, dislellico.
- Dislessico... Ascolta, Garrus: tu segui le mie indicazioni. Lascia perdere l’altro biotico e poi... Smettila di ubriacarti, porca miseria! Non mi stai affatto aiutando - gli gridò quella sera, in preda a rabbia e frustrazione.
- No! - gli si rivoltò contro, per la prima volta da quando lo conosceva, respingendolo - Non voglio che mi accarezzi i capelli o che mi consoli! Voglio che mi aiuti!
- Come? - chiese Garrus, sentendosi improvvisamente quasi del tutto sobrio, stupito com’era per la reazione inusuale di Shepard.
- Non lo so. C’è un errore in quello che facciamo? O in come lo facciamo? Perché neppure tu e io funzioniamo? Se non funzioniamo noi due, niente può funzionare. Non lo capisci? Maledizione!
Garrus sembrò riflettere qualche istante, poi ammise - Hai ragione, comandante. Devo pensarci. Ma non qui e non ora. Domani ti chiamo - concluse uscendo dalla porta della cabina.
“Mi sa che l’ho fatto arrabbiare...” riconobbe lei, ma senza provare il minimo rimorso “Ora però non ho tempo per pensare a questo. E’ l’ultimo dei miei problemi” ringhiò fra sé e sé sentendosi veramente irritata con suo marito.

- Comandante?
La voce di Garrus che proveniva dall’altoparlante sul muro la svegliò improvvisamente. Shepard guardò il quadrante dell’orologio: erano le quattro di mattina.
- Cosa c’è?
- Sei sveglia?
- Certo che no... Cioè, non lo ero... Adesso immagino di sì.
- Credo di aver capito.
- Cosa?
- Cosa non va.
- Garrus... di cosa parli?
- Vieni dove ci alleniamo, quando sei sveglia.
- Arrivo... Mi serve un caffè.
- Sì, comandante. Aspetto.

- Sono indecisa se essere ancora arrabbiata con te o chiederti scusa - fu la prima cosa che Shepard gli disse, entrando nell’hangar navette.
- Ci penserai dopo, ora vediamo di risolvere un problema un tantino più importante.
- Ok... però mi dispiace di averti urlato contro... anche se avevo ragione.
- Non mi pare rilevante.
- Ok, Garrus Vakarian. Non è rilevante - concordò, senza riuscire a nascondere un sorriso - Procedi.
- Ascolta, comandante, dare coordinate in 3D non può funzionare. Cioè... funziona alla grande se il nemico sta fermo, ma le dannate sfere si muovono e suppongo che i nostri nemici faranno altrettanto. Non puoi dare direttive del tipo nemico a ore 3, 50 gradi di altezza: si perde troppo tempo. Devi pensare tu e deve pensare chi ti ascolta.
- E come, allora?
- Usa questo - rispose Garrus mettendole in mano un puntatore laser.
- Stai scherzando? - chiese Shepard guardando il piccolo congegno che il turian aveva smontato da un fucile di precisione.
- Proviamoci, almeno. Tanto peggio di come va ora...
- Sai che forse hai ragione? Potrebbe essere l’uovo di Colombo. IDA?... - esclamò Shepard tutta eccitata, mentre Garrus rinunciava a capire cosa c’entrasse un uovo, troppo interessato a scoprire se i progressi sarebbero stati evidenti o meno.
- Sono pronta, Shepard - rispose la IA facendo comparire le sfere di energia.

Il risultato era stampato davanti agli occhi di Shepard che ancora non riusciva a crederci.
- Tutto qui? Si passa da un 17% ad un 85% per questa banale modifica?
- Non tutti faranno un 85%, suppongo - replicò Garrus - però vale la pena di provare...
- Eccheccazzo, certo! - rispose lei, senza rendersi conto del suo linguaggio da caserma.
- IDA... hai mica la registrazione di questo colloquio? - chiese il turian sogghignando.
- Ovviamente - rispose la IA, imitando alla perfezione il tono ironico di Joker, ma il comandante stava pensando a ben altro e non fece assolutamente caso a quello scambio di battute.

Nel pomeriggio fu evidente che la modifica, apparentemente banale, proposta da Garrus, era decisiva. Seguendo i raggi di colore rosso, blu e verde che il turian aveva appositamente predisposto per i puntatori laser utilizzati dai biotici dei tre gruppi, si passò ad un 70% che lasciò tutti increduli.
Quella sera Shepard non disse nulla al suo equipaggio, tranne che potevano bere a volontà e che il giorno successivo avrebbero saltato l’addestramento: non c’era bisogno di enfatizzare un progresso così evidente.
Si mise invece in contatto con la batteria primaria, alla ricerca del marito che, dopo la prova di quel pomeriggio, era misteriosamente scomparso.
- Garrus? - chiamò senza ricevere risposta.
“Magari un po’ me lo merito pure” riconobbe, uscendo dalla cabina.
Mentre lei si dirigeva verso l’ascensore, Garrus ne usciva, così che rimasero a fissarsi sul ponte uno, un attimo indecisi.
- Dove stavi andando, Vakarian?
- Uhm... dal mio comandante...
- Per quale motivo?
- Per... baciarla?
- E’ un ottimo motivo - fu il responso di Shepard, che tornò prontamente sui suoi passi tirandoselo appresso.

°°°°°

Trovato il metodo adatto per combattere un nemico visibile ai soli biotici, vennero stabiliti dei turni di addestramento per le varie squadre, in modo che l’affiatamento fra compagni si perfezionasse.
In parallelo, si svolgevano anche riunioni fra i soli biotici, inizialmente allo scopo di discutere i vari dubbi che di volta in volta sorgevano in loro, consci del compito di prima importanza di cui erano stati caricati e, successivamente, per impratichirsi con il sistema di rilevazione che era stato suggerito da Da’ana.
Shepard fornì le prime sommarie spiegazioni su cosa si aspettava da loro e Liara si incaricò di mostrare con l’unione asari le immagini sfocate del nemico ad ognuno dei presenti, a turno. Alla fine tutti ebbero a disposizione le medesime informazioni, ma dagli sguardi incerti che si scambiavano era evidente che nessuno di loro si sentiva tranquillo, né molto fiducioso.
Restava infatti un dubbio fondamentale a cui nessuno sapeva rispondere: l’incertezza sulla reale possibilità di individuare il nemico avvelenava i momenti di riposo del comandante e preoccupava un po’ tutti, ma non si poteva procedere ad alcuna reale verifica prima di entrare nel sistema Far Rim: le esercitazioni a cui partecipavano a bordo della Normandy restavano puramente teoriche.
I primi giorni di addestramento, passati nel salone, servirono al comandante per insegnare correttamente il procedimento di creazione delle bolle. Nella fase iniziale fu necessario utilizzare l’energia biotica derivante dagli impianti, in modo che gli eventuali errori nell’esecuzione fossero ben visibili e venissero immediatamente individuati. Durante quei giorni, Joker divenne di un umore talmente insopportabile che neppure IDA si fermò mai molto a lungo sul ponte, prendendo come scusa la messa a punto di macchinari che, asserì, non poteva essere eseguita senza l’utilizzo di ‘organi prensili adatti al compito’.

Chiunque giungesse sul ponte durante le esercitazioni dei biotici veniva accolto da imprecazioni varie da parte di un pilota isterico, costretto com’era a guidare la nave in mezzo ad un insieme di bolle di energia biotica che vibravano, si allargavano e poi svanivano, solo per essere sostituite da nuove bolle.
A questo proposito si registrò un episodio che nessuno avrebbe mai dimenticato, neppure Liara e i due krogan, per quanti secoli avessero vissuto dopo di allora.

Tutto cominciò sul ponte, proprio durante una di quelle esercitazioni che, come affermava Joker rabbiosamente, avrebbero sbomballato perfino il quad di zebedei d’un krogan.
- Jeff, credo di aver trovato la soluzione! - esclamò un giorno IDA, che aveva acquisito abbastanza caratteristiche degli esseri organici da trovare insostenibile il clima che si respirava sul ponte.
- A cosa? - fu la domanda pronunciata in tono nervoso dal pilota, fra un’imprecazione e un’altra.
- C’è un proverbio umano che dice: Se non puoi sconfiggere il nemico, alleati con lui.
- E allora?
- Allora metti su questa vecchissima registrazione, del 1961 - propose lei, passandogli un dispositivo su cui aveva riversato questa canzone(1):

LE MILLE BOLLE BLU


- Del 1961? - ripeté lui stupefatto - Ma dove l’hai trovata? Hai svaligiato un museo di antichità?
- Su extranet, ovviamente - rispose IDA, che gli fornì anche una sommaria spiegazione circa la competizione canora, chiamata Festival di Sanremo, in vigore sulla Terra a quell’epoca. Fornì anche una rapida biografia della cantante, ormai dimenticata da chiunque, ma che restava una delle voci più belle di tutta la storia della canzone terrestre.
- Dovresti imparare il testo a memoria e canticchiarlo, in occasioni come queste... - gli suggerì con un’espressione maliziosa, sbirciando la sua faccia attonita e attivando prontamente la telecamera in modo che tutto l'equipaggio vedesse e ascoltasse.
In realtà stava solo prendendo del tempo, in attesa che il ritornello cominciasse a risuonare sul ponte.
Non rimase delusa, perché non appena le mille bolle blu si sparsero nell’aria, le sue parole vennero interrotte da una sorta di ululato in cui non restava più traccia di timbro umano e solo la difficoltà di movimento del pilota evitò che il corpo di Eva finisse vittima di un’aggressione fisica.
Kal, che stava passando davanti alla porta che metteva in comunicazione il ponte con il resto della nave, la vide uscire di corsa, mentre una lunghissima risata sintetica gli faceva drizzare i capelli sotto il casco: era la prima volta che udiva una IA ridere, ma seppe istantaneamente che quel rumore avrebbe turbato i suoi sogni per numerose notti a venire.

°°°°°

Una volta superata la fase di creazione e manipolazione delle bolle di energia, si passò alla fase successiva: la dottoressa Chakwas disattivò tutti i loro impianti e i biotici verificarono quali risultati riuscivano ad ottenere senza di essi.
La persona che si entusiasmò di più nello scoprire la possibilità di usare l’energia presente nella galassia, da quel momento in poi chiamata energia primaria per distinguerla dall’altra, era stata Jack. Ed in breve si era dimostrata anche la biotica che riusciva ad utilizzarla con maggiore efficacia.
La prima volta che tentò l’esperimento si fece esplodere la piccola sfera invisibile nel palmo della mano e dovette correre in infermeria per farsi medicare dalla Chakwas. La volta successiva la sua bolla incorporea scoppiò rumorosamente nel mezzo del salone senza procurare danni reali, ma spaventando a morte tutti i presenti.
Da quel giorno, per un’intera settimana, la Normandy rimase ancorata sul suolo di un pianeta disabitato, in attesa che i tecnici quarian ripristinassero il portale del settore, e tutte le esercitazioni dei biotici vennero effettuate in un piccolo accampamento, montato a una certa distanza dalla nave, a cui nessuno aveva il permesso di avvicinarsi senza prima avvertire.

Nel giro di quei pochi giorni tutti i biotici, tranne Lazara e uno degli allievi di Jack, entrambi riassegnati ai tiratori, avevano imparato la tecnica di base ed erano in grado di gestire le bolle con discreta padronanza e di individuare le anomalie che il comandante creava apposta per farli esercitare. Anche in questo caso Jack ottenne risultati talmente brillanti che Shepard decise di affidare a lei la creazione delle anomalie da rilevare.
La sosta nella navigazione venne sfruttata anche per effettuare delle esercitazioni con le navette da sbarco, sia per quanto riguardava la guida al buio, sia per l’uso delle armi. Joker e Cortez provarono a condurre i veicoli con gli occhi bendati seguendo le indicazioni dei biotici, mentre altri, a turno, provarono ad utilizzare le armi in dotazione delle Kodiak. Alla fine la squadra composta da Jack, l’allievo Calvin Cooper, Joker e James, e quella formata da Liara, Javik, Cortez e Garrus dimostrarono l’affiatamento migliore, anche perché Shepard si rifiutò di provare.
Non lascerò la Normandy - sentenziò risolutamente, insensibile alle proteste di Garrus e di Jack che avrebbero voluto averla entrambi al proprio fianco.
Furono stabilite anche le composizioni finali delle tre squadre da combattimento a terra che, da quel momento, non avrebbero subito variazioni. La squadra Hammer era formata da Garrus e James, sotto la guida di Shepard e John Foster, un altro dei biotici di Jack; la squadra Kodiak da Tali e Kal’Reegar, sotto la guida di Liara e Javik e la quadra Mako da Grunt e Lazara, sotto la guida di Jack e del suo allievo Cooper.

Prima di entrare nel sistema Far Rim, il cui portale era stato ripristinato dai quarian che erano rimasti su Rannoch, come aveva previsto Liara all’inizio di quel loro lungo viaggio, ci fu un’ultima riunione fra gli ammiragli della Flotta Migrante, Tali e Shepard.
Pur senza entrare nei dettagli, perché nessuno le avrebbe creduto, il comandante della Normandy consigliò i quarian di attraversare rapidamente il sistema tenendosi alla larga da Dholen e dai pianeti più prossimi alla stella, il cui decadimento era ulteriormente accelerato nell’ultimo periodo. Il consiglio venne accettato senza richiesta di ulteriori spiegazioni, anche perché ogni quarian desiderava correre a riabbracciare quanto prima parenti e amici rimasti sul pianeta natale.

La Normandy e la Flotta Migrante varcarono il portale uno scafo dopo l’altro, a breve distanza. La SR2 si mantenne immobile e in occultamento nei pressi del portale, mentre il resto delle navi si dileguò rapidamente.
Una volta rimasti soli nel sistema, Shepard ordinò che tutte le fonti di energia della Normandy venissero spente, tranne i sistemi assolutamente indispensabili. Poi la nave si diresse verso Gotha tenendo i motori al minimo e attivando l’occultamento. I biotici si trattennero costantemente sul ponte, alternandosi fra di loro, in modo da garantire una presenza continua, per tutte le 24 ore, con l’obiettivo di esplorare lo spazio attorno alla nave.
Fu Jack a lanciare il primo allarme mentre anche Shepard si trovava sul ponte. Il comandante ordinò la disattivazione immediata dei motori della Normandy, pur senza aver avvistato nulla di irregolare, e chiamò sul ponte gli altri quattro biotici.
Nessun’altro fu in grado di individuare la minima anomalia e Shepard ordinò a Joker di procedere ancora verso la superficie di Gotha, a velocità ridotta, tenendosi pronto ad effettuare un nuovo arresto immediato. Poi invitò i biotici a segnalare l’avvenuto avvistamento del nemico non appena lo avessero rilevato.
Dopo cinque minuti di navigazione tutti furono in grado di scorgere le sagome che avevano allarmato Jack, e Shepard batté sulla spalla del pilota per invitarlo a fermare lo scafo.

I componenti delle diverse squadre di combattimento si radunarono in sala briefing e lì si tenne la prima delle diverse riunioni tattiche che si sarebbero rese necessarie per mettere a punto una strategia di attacco idonea.
- Dobbiamo capire cosa abbiamo di fronte - osservò Shepard - ma non voglio rischiare di compromettere la Normandy senza avere la minima idea dei pericoli che ci aspettano.
- Le due Kodiak potrebbero effettuare un primo sopralluogo, tenendosi alla massima distanza possibile, effettuando le prime osservazioni del caso - suggerì la voce di IDA.
- E un altro biotico si potrebbe aggiungere a ciascuna delle squadre già previste, per massimizzare le nostre capacità di rilevazione - propose Javik.
- Io andrò con Jack, Cooper, Joker e James. Foster si aggiunge alla squadra di Liara, Javik, Cortez e Garrus - ordinò Shepard, accogliendo entrambi i suggerimenti, sia pure dopo qualche attimo di incertezza: non le piaceva l’idea di separarsi da Garrus, ma era l’unica persona di cui si fidasse come di se stessa.

- Credo sarà prudente sospendere le comunicazioni - consigliò il turian, mentre ultimavano i preparativi all’interno dell’hangar navette della Normandy.
- Sì - convenne Shepard - Silenzio assoluto. Evitiamo di usare qualunque forma di energia a meno sia strettamente necessario. Non sappiamo se abbiamo a che fare con esseri senzienti o meno, ma di certo reagiscono a variazioni nei flussi energetici. Non dobbiamo assolutamente farci scoprire: meglio restare distanti e ottenere informazioni sommarie, piuttosto che allertare il nemico. Inutile raccomandarvi di non sparare se non risulterà assolutamente indispensabile. Torniamo qui entro un’ora e scambiamoci le informazioni raccolte. La Normandy resterà in occultamento.
Non mi piace l’idea di saperti su una navetta diversa dalla mia fu l’ultimo messaggio che ricevette dalle cuffie nel casco, prima di salire a bordo della sua Kodiak.

°°°°°

- E’ rientrata al completo l’altra squadra, IDA? - chiese Shepard non appena scese dalla navetta di sbarco nell’hangar della Normandy, al ritorno da quella prima missione di ricognizione.
- Sì - le rispose Garrus, che si trovava appoggiato alla porta dell’ascensore.
- Eri preoccupato...
- Ti sembrerà infantile da parte mia, ma l’ultima volta che mi hai fatto salire a bordo di una nave per andartene per conto tuo sei solo praticamente morta...
- Devi smettere di pensarci. Forza, aiutami con l’armatura, così raggiungiamo gli altri in sala briefing - fu l’unico commento di Shepard, pronunciato con un sorriso di comprensione: anche lei si era trovata terribilmente a disagio nel ritrovarsi separata da lui.

Le rilevazioni effettuate dalle due squadre mostrarono risultati praticamente identici: sulla superficie del pianeta i biotici di entrambi i gruppi avevano individuato diversi ammassi non bene identificabili che emettevano un’intensa aura di energia oscura. L’alone di quell’energia evidenziava le loro notevoli dimensioni, ma non rivelava sagome stabili e identificabili. Sembrava che quegli ammassi si dilatassero e restringessero in forme variabili assolutamente casuali, senza alcuno schema riconoscibile: i contorni, già delineati in modo impreciso dall’aura di energia primaria, continuavano a cambiare di continuo, rendendo impossibile affermare perfino se somigliassero a sfere, a parallelepipedi o a una qualsiasi altra forma solida più o meno regolare.
Erano state rilevate anche alcune entità più piccole, in perenne movimento, che dalla superficie del pianeta sembravano spostarsi verso l’alto. L’aura di energia primaria, che ne rendeva possibile l’identificazione, metteva in evidenza l’estrema rapidità dei movimenti di quegli aggregati, che si spostavano secondo traiettorie lineari pressoché perpendicolari rispetto al suolo. Ma, come nel caso degli ammassi immobili sulla superficie, anche questi aggregati minori seguitavano a cambiare forma e struttura in continuazione, rendendo estremamente difficile la loro descrizione.

- Qualcun’altro ha notato ulteriori irregolarità nella distribuzione dell’energia primaria? - chiese Jack, una volta che IDA ebbe completato sullo schermo gigante in sala briefing il disegno del sistema solare Far Rim, la dislocazione degli ammassi sulla superficie di Gotha esplorata dalle Kodiak e la direzione dei movimenti dei diversi aggregati di minori dimensioni.
I presenti scossero la testa in segno di diniego e a quel punto lei riferì di aver notato una quantità incredibile di aggregati di dimensioni molto più piccole.
- Ci sono migliaia e migliaia di corpi della grandezza di una palla da biliardo, ma non necessariamente di forma sferica, che saettano dall’alto verso il basso, andando a collidere contro gli ammassi al suolo. Non cadono sulla superficie del pianeta in modo casuale, confluiscono tutti dentro gli ammassi. Ho prestato attenzione quasi solo a questo fenomeno perché ho pensato che tutti gli altri corpi sarebbero stati ben visibili anche a voi - aggiunse, senza nascondere un sorrisetto compiaciuto.

- Vorrei provare a dare una spiegazione di tutto quello che ci avete raccontato finora, se non ci sono ulteriori osservazioni - intervenne Tali, interrompendo il silenzio assorto che si era creato alla fine del resoconto di Jack.
- La prima ipotesi che mi è balenata in mente riguarda l’energia oscura emessa da queste cose, di forma e dimensioni imprecisate e imprecisabili. E’ probabile sia semplicemente una sorta di energia di scarto. Per spiegare il concetto in modo elementare, vi ricordo che, per lunghi secoli, i complessi industriali hanno disperso nell’aria il calore in eccesso prodotto dagli impianti produttivi e dai processi di lavorazione. Era un calore di scarto che solo recentemente abbiamo imparato a recuperare e convertire in energia elettrica, ottenendo quei traguardi di efficienza che per lungo tempo erano sembrati al di là della nostra portata. Per essere ancora più chiara - aggiunse dopo aver studiato le espressioni smarrite dei volti dei suoi amici - pensate che perfino il nostro stesso corpo, in realtà, emana calore che si disperde nell’aria circostante.
- Se ho capito - la interruppe Shepard - stai ipotizzando che l’energia oscura prodotta sia un effetto secondario non voluto.
- Sì, esattamente.
- Ok, vai avanti...
- Supponiamo che la tua teoria sia corretta e che queste entità sottraggano effettivamente energia a Dholen per impadronirsene e proviamo a spiegare tutto quello che avete osservato alla luce di questa ipotesi, anche se è ancora tutta da dimostrare. Le palle di Jack - cominciò a dire, senza riuscire a trattenere una breve risata - Keelah, scusate... chiamiamole globuli, potrebbero essere le cose che assorbono l’energia della stella e la portano su Gotha. I grandi agglomerati sul pianeta potrebbero essere i depositi, ossia i contenitori usati per immagazzinare questa energia, e infine i corpi di dimensione intermedia, che dagli ammassi si dirigono verso l’alto, potrebbero essere i mezzi utilizzati per trasportare l’energia alla destinazione finale.

- E quale sarebbe questa destinazione finale, Scintille? - chiese James fissando la quarian con aria perplessa.
- Non lo so proprio... Forse un enorme serbatoio in orbita? O una nave spaziale? O semplicemente un’altra entità che neppure Jack è riuscita a rilevare e che, magari, non è possibile individuare in alcun modo...
Fece una piccola pausa, fissando quei tanti volti che la fissavano con emozioni che spaziavano dallo scetticismo assoluto alla fiducia cieca, emise un sospiro rassegnato e continuò a parlare.
- Non so assolutamente se ho ragione o meno, mi dispiace. Sto semplicemente provando a riflettere ad alta voce. Qualunque vostro commento sarà prezioso.
- Sì, Tali, non devi preoccuparti - la rassicurò Shepard - Nessuno pretende che tu sappia interpretare correttamente i dati raccolti, ma il tuo contributo è estremamente prezioso. Vai avanti.
- Io credo davvero possibile che queste entità possano aver accelerato il normale processo di invecchiamento della stella di questo sistema per procurarsi energia in tempi brevi e che la stiano immagazzinando per poi trasferirla dove occorre loro.
Fece un’altra pausa e poi concluse - Mi rendo conto di quanto sia bizzarra questa conclusione, ma non entra in conflitto con nessuna delle osservazioni fatte e fornisce una chiave di lettura verosimile.

- Stai ipotizzando l’esistenza di entità che per procurarsi l’energia di cui hanno bisogno divorano le stelle - osservò Shepard un po’ inquieta.
- Non solo divorano le stelle, che già per conto suo sarebbe un’azione piuttosto inquietante ma, come spiacevole effetto secondario, tendono a favorire la disgregazione dei sistemi della galassia... Le operazioni di trasformazione, immagazzinamento e trasporto dell’energia di Dholen sembrano implicare una trasformazione parziale dell’energia di fusione nucleare in energia primaria. E questo, alla lunga, potrebbe essere addirittura più preoccupante.
- Sì, il tuo ragionamento ha senso. Se questi... divoratori... avessero trovato un sistema per impossessarsi dell’energia emessa dalle stelle, un qualunque sistema solare offrirebbe un serbatoio prezioso di fonti energetiche - concluse Shepard - almeno fino a quando il loro modus operandi non ponesse la parola fine all’esistenza della galassia...

- Perché Dholen e non un’altra stella? Non credo sia la migliore fonte di energia disponibile - obiettò Javik.
- Forse provengono da una zona vicina - azzardò Liara.
- E perché solo Dholen e non anche altre stelle? - obiettò ancora il prothean - A quanto ne sappiamo è l’unico sistema solare a mostrare questo genere di anomalia.
- In questo settore c’è solo questa stella, oggi - osservò Shepard che, dopo qualche secondo di silenzio pensieroso, proseguì in tono inquieto - ma un tempo potevano esserci altri sistemi stellari. In effetti, se ci pensate bene, nella maggior parte dei settori esplorati sono presenti più sistemi solari...
- Vi rendete conto di cosa state dicendo? - chiese Joker con espressione evidentemente tesa - State supponendo che queste cose, i Divoratori, come direi che possiamo chiamarli, abbiano già disgregato altri sistemi solari che ormai sono scomparsi da qualsiasi mappa galattica.
- E non solo... - aggiunse Cortez - State dichiarando che potremmo dover assistere alla distruzione della galassia...
- Solo io riuscirei a gustarmi questo spettacolo - intervenne IDA, facendo girare istantaneamente tutti verso di sé - Credo che neppure Liara, Grunt o Lazara farebbero in tempo ad assistere di persona a un evento del genere - aggiunse - State parlando di un futuro assai lontano. Però sì, il succo di tutto questo discorso è esattamente questo, Steve.
- Trascurando il fatto che non credo di invidiarti, IDA, ritengo che anche solo limitarsi a formulare un’ipotesi di questo genere ci farebbe rinchiudere in manicomio - osservò Joker - Non so come pensi di fare rapporto al Consiglio, comandante.
- Il Consiglio potrebbe essere l’ultimo dei nostri problemi - replicò Garrus - se ho capito cosa state dicendo.
- Il Consiglio temeva qualcosa del genere, ho idea - obiettò Liara - Sono certa che quei dannati documenti che hanno mandato a Javik e a me siano passati nelle mani di parecchie altre persone, in precedenza. Abbiamo trovato delle note a margine, in vari punti. Probabilmente, all’inizio, i Consiglieri non avranno creduto alle interpretazioni fornite dagli studiosi a cui si erano rivolti e avranno affidato quel materiale ad altri e poi chissà a quanti altri ancora, per chissà quanti anni, prima di lasciarceli leggere. E per me e Javik risultano ancora oscuri in parecchi punti. Però sì, siamo certi che parlano di entità in grado di distruggere i sistemi stellari.
- Dubito che gli studiosi a cui il Consiglio si sarà rivolto in precedenza potessero verificare di persona le strane teorie suggerite da quei documenti - osservò Shepard fissandola - Noi, invece, siamo nel posto giusto e forse voi potreste riuscire a ottenere una decodifica inoppugnabile.
- Sì, Shepard. E infatti sono a dir poco entusiasta di essere qui con voi in questo momento - rispose Liara con un sorriso soddisfatto.
- Io invece no, non lo sono affatto - commentò Javik con accento gelido - Anche se non faccio fatica a immaginare quanto una studiosa possa ritenere entusiasmante trovarsi nel mezzo di questo terribile casino, in confronto al quale la guerra contro i Razziatori potrebbe diventare una semplice discussione amichevole.
- Prendiamoci una pausa - intervenne Shepard - Dormiamoci su e domani riprendiamo il discorso. Troviamoci qui domattina alle 9 - concluse, decisa a procurarsi qualche ora di tranquillità per ragionare con calma su tutto quello che si erano detti in quell’ultimo incontro: c’era qualcosa che la disturbava profondamente, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.


Note
(1) per Nymeria90: se per caso la tua cella imbottita fosse inagibile, ti ospiterò con entusiasmo nella mia...

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Capitolo 11
*** I custodi della Via Lattea ***


Avvisi
Tre giorni fa denigravo il mio computer in Skype e l’altro ieri lui, il dannato pc, mi ha dimostrato che sa leggere: mi ha dato il benservito. Sarò costretta a usare mezzi di fortuna fino a quando disporrò di un pc nuovo di zecca (il vecchio era davvero troppo antico perché valesse la pena aggiustarlo). Quindi ritarderò recensioni, risposte e probabilmente anche la pubblicazione del prossimo capitolo. Ma pregusto fin da ora la mia gioia di poter rigiocare tutto ME con la grafica a palla…

Vi avverto anche che, accogliendo vari suggerimenti, ho modificato alcune cose nei capitoli precedenti. Per esempio, Trinity non è mai stata promossa ad ammiraglio e la Normandy le è stata solo affidata fino alla fine del suo servizio presso l’Alleanza. Ho fatto varie altre correzioni, ma di minore entità. Spero possiate perdonarmi e vi auguro una buona lettura.



I CUSTODI DELLA VIA LATTEA


Alien (complete score 1)




- Shep, cosa succede? - chiese Garrus svegliandosi improvvisamente a notte fonda e trovando pienamente illuminata la cabina. Osservò Trinity: era seduta sul bordo del letto, nella stessa identica posizione in cui si trovava prima che lui si addormentasse, con il mento appoggiato sulle mani congiunte e lo sguardo perso nel vuoto. Fu certo che che non si fosse mai mossa da lì.
- Ehi... cosa c’è? - chiese di nuovo, appoggiandole una mano sulla spalla.
La vide trasalire, riscuotendosi di soprassalto dalle meditazioni in cui era assorta - Non riesco a dormire, continuo a pensare a questa storia dei Divoratori... - rispose distrattamente - C’è qualcosa che mi inquieta, ma non riesco a mettere a fuoco i miei pensieri. Mi spiace se la luce ti ha svegliato.
- Ho capito - rispose Garrus, alzandosi dal letto - Ti lascio pensare in pace. Vado nella batteria primaria. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, anche solo di un orecchio attento, chiamami.
La fissò incerto, perché non aveva dato il minimo segno di averlo sentito.
- Non è che preferiresti parlarne un po’ ad alta voce, invece? - propose - Potresti provare a spiegarmi cosa ti preoccupa: magari ti aiuterebbe a capire...
- Sì, certo - fu la risposta distratta, seguita da un lunghissimo silenzio, che rese chiaro come non avesse ascoltato neppure una parola. Garrus uscì dalla stanza senza aggiungere altro.

La mattina dopo, verso le 8 e mezzo, tornò nel loro alloggio, solo per trovare la stanza vuota. Scese in una sala riunioni deserta e alla fine, interrogando IDA, trovò la moglie che stava facendo colazione in sala mensa, con lo sguardo ancora perso nel vuoto.
“Se non altro stai mangiando, per una volta...” si rassicurò sollevato e poi, osservandola meglio, non poté trattenere un sorriso nel rendersi conto che aveva messo nella tazza del caffè una generosa porzione di cereali integrali, quelli che, secondo i consigli che lui aveva scovato via extranet, potevano accelerare la crescita dei capelli.
Le si sedette accanto, dopo aver preso la sua colazione, e fu gradevolmente sorpreso nel ricevere un sorriso e una breve carezza sul braccio, prima che lei tornasse a immergersi nei suoi pensieri.

Alle 9 di mattina tutto l’equipaggio si ritrovò in sala briefing, qualcuno con una tazza di caffè in mano, altri con un datapad su cui avevano annotato alcuni appunti il giorno precedente.
- Prima di cominciare a ragionare sulle nostre prossime mosse, vorrei mettervi a parte di alcune considerazioni che mi sono passate per la mente stanotte - esordì Shepard - Non riuscivo a prendere sonno: continuavo a riflettere su quello che ci siamo detti nella riunione di ieri, con l’impressione che qualcosa non tornasse. Sono riuscita a capire cosa fosse solo quando mi sono ritrovata a fissare il modellino della Sovereign.
- Oh bene - commentò inaspettatamente Cooper, mentre tutti si voltarono istintivamente verso di lui - Sentivo nostalgia dei nostri vecchi amici - chiarì, diventando rosso in viso.
A quell’accenno ai Razziatori non aveva potuto fare a meno di rifilare una gomitata ai suoi due colleghi, che gli sedevano di lato ma poi, sotto quello sguardo verde che lo scrutava, si era turbato. Quella lì era la mitica Shepard e lui stava facendo l’imbecille.
- Vi avevo promesso che vi sareste divertiti - replicò Jack, facendo passare uno sguardo velenoso sui tre suoi allievi - Se vi foste trattenuti dal mandare l’astroauto della direttrice sul tetto della scuola, non sareste qui... Ora fate silenzio o vi sbatto a pulire i cessi della nave fino alla fine del viaggio.

- Se la minaccia che stiamo per affrontare è davvero grave come appare - continuò Shepard, senza lasciarsi distrarre, ma prendendo mentalmente nota che quella storia dell’auto sul tetto se la sarebbe dovuta far raccontare - mi risulta difficile credere che i Razziatori ne fossero all’oscuro. Così mi sono chiesta E se invece lo avessero saputo perfettamente? Ho passato tutta la notte a meditare su questa possibilità...
- Pensavo conoscessi metodi alternativi per farle passare più piacevolmente le nottate... - sussurrò Jack a Garrus, rimediando un’occhiata azzurro ghiaccio.
- Ignoriamo se questi Divoratori abbiano distrutto uno o più sistemi solari della Via Lattea in tempi passati, ma alcune strane anomalie della nostra galassia, che tuttora non riusciamo a spiegare, potrebbero indicare che attacchi di questo tipo si siano effettivamente verificati in più occasioni e che interi sistemi stellari siano stati cancellati in un passato più o meno remoto - continuò Shepard, spiando l’espressione dei compagni che la stavano fissando con attenzione, ma anche con una certa inquietudine.
Cercò lo sguardo di Garrus: ci lesse un interesse che si trasformò all'istante in un muto incoraggiamento. Gli sorrise impercettibilmente e continuò a ragionare ad alta voce.
- Ma se gli attacchi si fossero verificati anche nei tempi passati, come i documenti in possesso di Liara sembrano confermare, è verosimile che i Razziatori sapessero dell’esistenza di queste entità. Direi anzi che, se i Divoratori avessero effettivamente distrutto dei sistemi solari in uno o più dei cicli galattici precedenti, i nostri vecchi nemici dovessero esserne perfettamente coscienti. Ma è possibile che non fossero in grado di combatterli efficacemente. E’ abbastanza verosimile che anche loro incontrassero problemi nella loro individuazione.
- Non capisco... Cosa te lo fa credere? - chiese Liara, esprimendo un dubbio comune a tutto l’equipaggio.

- Sappiamo che l’aspetto esteriore di ogni Razziatore seguiva uno schema piuttosto rigido, estremamente funzionale per il ruolo che si erano assegnati, ma il nucleo centrale era invece costituito a immagine della razza da cui era stato creato, e le sue capacità specifiche discendevano da quelle degli esseri organici fusi nel brodo primordiale da cui aveva avuto origine - spiegò Shepard, provando un’istintiva repulsione verso i termini che stava utilizzando, mentre l’immagine di quell’abbozzo di Razziatore umano, ancora in via di costruzione, le si ripresentava alla mente.
- Nessuno dei Razziatori che abbiamo affrontato utilizzava però poteri biotici: gli unici nemici che ne fossero dotati erano quei droni senza coscienza che avevano creato con le mutazioni effettuate sugli esseri organici, dopo aver sottoposto quei disgraziati agli effetti della loro tecnologia: come le banshee, per esempio - esemplificò fissando istintivamente Liara.
- Sembra quindi abbastanza probabile che neppure i Razziatori sapessero vedere i Divoratori, perché non conoscevano o, meglio, non utilizzavano direttamente l’energia oscura così come facciamo noi. Ma avrebbero potuto rilevare la loro presenza in modo indiretto, attraverso l’osservazione degli effetti che avevano causato nella galassia, un po’ come noi abbiamo stabilito in maniera inoppugnabile l’esistenza della materia oscura, pur senza comprenderla completamente. Intendo dire che avrebbero certamente rilevato eventuali accelerazioni inspiegabili nell’invecchiamento delle stelle, se fenomeni simili fossero realmente accaduti.
- Se i Prothean discutevano sull’esistenza di esseri in grado di disgregare la galassia, è certo che i Razziatori lo avessero appreso a loro volta - notò a questo punto Javik - Molti di noi vennero indottrinati.

- In realtà io credo che i Razziatori sapessero dell’esistenza dei Divoratori già da molto tempo - replicò Shepard - L’ostinazione con cui si dedicavano alla mietitura, prima che un’eventuale guerra contro le IA potesse far scomparire tutte le specie organiche evolute dei vari cicli, potrebbe essere spiegata proprio con l’obiettivo di creare un esemplare che fosse finalmente in grado di combattere questo nemico invisibile.
- Mi spiego meglio: sappiamo che procedevano alla mietitura per preservare in qualche modo le razze senzienti. Ma secondo voi perché avrebbero dovuto farlo? Per un compito che era stato assegnato loro chissà quanto tempo addietro dai Leviatani? Da quel lontano passato trascorsero innumerevoli cicli galattici: i Razziatori si svilupparono ed evolverono nel frattempo. Io dubito che, da un certo punto in poi, si interessassero alla sopravvivenza degli esseri organici fine a se stessa, solo per rispettare le direttive ricevute tanto tempo prima dai loro creatori. Ma è ragionevole supporre che, per loro, la sopravvivenza della Via Lattea fosse di interesse primario: per quello che ne sappiamo, i Razziatori andavano in stasi nello spazio intergalattico, ma vivevano nella nostra galassia. Se la Via Lattea fosse stata distrutta, sarebbero stati in grado di raggiungere una galassia diversa?
- La mia è una domanda retorica, ovviamente. Potremmo addirittura chiederci se i Razziatori non abbiano colonizzato altre galassie, ma suppongo sia meglio occuparci dei nemici presenti nella nostra - concluse poi, rendendosi conto che ogni domanda che si poneva ne generava inevitabilmente molte altre, ognuna senza una risposta soddisfacente.

- La ricerca di un Razziatore nuovo, finalmente in grado di combattere i Divoratori, potrebbe essere stato il vero obiettivo di quelle loro mietiture cicliche - aggiunse, riprendendo il tema principale del suo discorso - E in questo caso mi piacerebbe poter condividere la fiducia che i nostri nemici nutrivano nei confronti della razza umana - dichiarò, rivolgendo un sorriso di incoraggiamento all’equipaggio che le stava attorno.
- Temo di essermi perso - annunciò a questo punto Foster, lanciando sguardi perplessi in giro. E si accorse di non essere il solo a non comprendere a cosa si stesse riferendo il comandante.
- Devo una parola di spiegazione a tutti coloro che non hanno partecipato alle nostre precedenti missioni - chiarì Shepard - I Razziatori sembravano ossessionati dalla razza umana. Tutti i loro sforzi erano focalizzati nella raccolta del nostro materiale genetico. Chi mi ha seguito nella base dei Collettori e, più tardi, nella tana dell’Uomo Misterioso, ricorderà l’enorme obbrobrio ancora in costruzione: il Razziatore con sembianze umane. Io ritengo che i nostri vecchi nemici contassero sulla biodiversità genetica degli esseri umani per costruire un esemplare del tutto nuovo, in grado di sconfiggere i Divoratori e, quindi, di contrastare l’espandersi dell’energia oscura. A questo punto la nostra migliore speranza sembra essere la stessa dei Razziatori...
- Questa affermazione mi solleva il morale... Sulla lapide che accoglierà i miei resti voglio che venga inciso Condivise le sue speranze con quelle dei Razziatori - osservò Joker - Registra questa informazione, IDA.

- La teoria dei Razziatori visti come custodi della nostra galassia è parecchio inquietante, comandante, specialmente se sei tu a formularla - osservò Garrus, che aveva sentito un lungo brivido percorrergli la schiena mentre ascoltava i ragionamenti di sua moglie.
- Non arriverò a rimpiangere la distruzione dei Razziatori - replicò Shepard rivolgendogli un sorriso - e dubito che ne riporterei in vita anche uno solo, perfino se fossi sicura che potesse darci degli ottimi consigli...
- Non stavo suggerendo di riattivare un Razziatore, ammesso fosse possibile - rispose il turian di rimando, mentre i brividi lungo la schiena si erano intensificati al solo pensiero - Mi chiedevo se il Leviatano e i suoi amici potrebbero fornirci un qualche tipo di aiuto o almeno qualche informazione.
- Ci ho pensato anche io, stanotte, ma ne dubito. Se avessero potuto far qualcosa, avrebbero controllato i Divoratori, così come hanno sempre fatto nei confronti di ogni vita organica che si sia posta sul loro cammino o che abbiano semplicemente utilizzato per i loro scopi. Io dubito fortemente che i Divoratori possano essere controllati dal potere mentale, perché dubito che abbiano un organo simile al cervello, almeno così come lo conosciamo noi.
- Quindi dovremo farcela da soli - concluse Cortez - come al solito...
- D’altronde, Esteban, non vedo chi potrebbe essere disposto a credere a una storia del genere - commentò James.
- Non so se sia il caso di chiedere alla Flotta Migrante... - intervenne Tali con tono incerto - Forse potrei riuscire ad ottenere un qualche aiuto.
- Ma potrebbe essere addirittura controproducente, a questo punto - osservò Shepard - Noi abbiamo una qualche idea di quello che ci troveremo ad affrontare e ci siamo addestrati. Credo sarebbe meglio andare avanti per la nostra strada, tenendoci pronti ad effettuare una ritirata immediata se dovessimo rilevare pericoli ai quali non abbiamo pensato, se i Divoratori sembrassero in grado di individuarci o se le nostre armi si rivelassero inefficaci.
L’accenno alla possibilità che le armi di cui disponevano non fossero adeguate venne accolto da mormorii e da evidenti segnali di disagio.

- Sì, è così - ammise Shepard sinceramente - Nessuno ha mai provato a colpire uno di quei nemici, per quanto ci risulti. Non abbiamo alcuna garanzia che le nostre armi funzionino.
- Ce l’hai tenuta apposta come ultima notizia? - chiese Jack - tipo colpo di grazia?
“Non è l’ultima brutta notizia, temo” si rese conto Garrus, dopo aver studiato il viso di Trinity “Ti conosco abbastanza per sapere che c’è dell’altro”. Ma si guardò bene dall’intromettersi: era un momento delicato.
- L’efficacia delle nostre armi - continuò il comandante, con il suo solito tono pacato, ma deciso - potrà essere verificata solo in uno scontro diretto, anche se nutro la speranza di riuscire a raccogliere qualche ulteriore indizio prima di allora - concluse, sapendo che quella ammissione sarebbe stata oggetto di serie preoccupazioni e che doveva necessariamente fare un’ulteriore confessione, forse addirittura più inquietante.
- C’è dell’altro - sillabò lentamente, quando il silenzio tornò finalmente nella stanza.
- Ohhhh! perché tutto questo non ti basta? - domandò Joker guardandola con aria sinceramente sconcertata - Non so se ti sei resa conto della nostra situazione: ci farai dar battaglia a cose in grado di privare la Normandy di qualsiasi forma di energia, avvertendoci che neppure i Razziatori, quei simpaticoni che hanno quasi distrutto tutte le razze di vita senzienti che esistono nella galassia, sono mai riusciti a farli fuori... E come dovremmo distruggerli noi? Secondo te dovremmo basarci sulle indicazioni di una setta di medium che avvistano fantasmi, mentre io guido con una benda sugli occhi. Chi dovrebbe salvarci il culo spara praticamente alla cieca, non essendo in grado di vedere il nemico e, come ciliegina sulla torta, il danno che potrebbero arrecare le nostre armi, Thanix compreso, potrebbe essere nullo...

Per qualche secondo un silenzio smarrito ristagnò nella stanza, mentre ognuno rimuginava sulle parole di Joker, fino a quando fu lo stesso pilota ad aggiungere - Beh, comunque, si potrebbe anche provare... Non abbiamo altri impegni al momento, no?
- Ricordo benissimo che proprio stamani ti lamentavi, affermando di esserti abbondantemente stufato di fare da retroguardia ad una flotta di subacquei con i cacciaviti in mano ed un secchio in testa - commentò IDA - La proposta del comandante potrebbe rappresentare una valida alternativa a questa noiosa routine.

Una volta che le risate si furono placate, Shepard riprese a parlare.
- Dovete cercare di assimilare l’idea che tutti gli scudi, sia quelli delle nostre armature, sia quelli delle Kodiak e della Normandy saranno del tutto inefficienti. E dubito che potremo fare affidamento sulla protezione fisica offerta dalle corazze e dalla resistenza degli scafi.
- Io credo che voi siate abituati ad affrontare battaglie di questo genere - osservò Kal’Reagar a quel punto - Mi vergogno per la mia inadeguatezza, ma devo confessarvi che sostenere uno scontro in queste condizioni mi sembra molto prossimo alla pura follia.
- Benvenuto a bordo della mia nave - gli sussurrò Jack, imitando il tono del comandante.
Non fu Shepard a trovare una risposta adeguata e neppure Tali: chi sbrogliò brillantemente il clima di tensione, sia pure senza volerlo, fu la coppia krogan. Mentre tutti si fissavano l’un l’altro con volti piuttosto perplessi, Grunt cominciò ad emettere quel suono gorgogliante che indicava una poderosa risata e la sua espressione soddisfatta esternò in modo evidente la felicità che provava all’idea di quello scontro imminente, anche se non era riuscito a seguire quei discorsi troppo lunghi e noiosi.
- Siediti, Grunt - gli sussurrò inutilmente Lazara, tirandolo per un braccio - è ovvio non hai capito nulla... Cosa ti ridi? - cercando di farlo tornare a sedersi sulla panca, senza successo. Smise soltanto quando vide che erano diventati il centro dell’attenzione generale e che più o meno tutti stavano cominciando a ridere.

Shepard, guardandosi attorno, si rese conto che quelle ultime precisazioni avevano turbato quasi tutti i presenti che, dopo essersi divertiti alla scenetta appena conclusa, avevo ripreso a fissarsi l’un l’altro con sguardi decisamente inquieti, condividendo i dubbi di Kal’Reegar e del pilota della Normandy.
- Ho la speranza, ragionevole, che scudi e barriere biotiche possano invece rivelarsi utili - aggiunse, nella speranza di rasserenarli parzialmente - Ma ovviamente non posso rassicurarvi sulle loro effettive capacità difensive fino a quando non avremo modo di combattere realmente.
- Secondo me ci stiamo preoccupando troppo - la interruppe Garrus, estremamente vigile alle reazioni dell’equipaggio - I Razziatori li hai distrutti quasi da sola, comandante.
“Non è vero, ma non importa” riconobbe il turian fra sé “Sono tutti troppo confusi e preoccupati per contestare questa affermazione. Dobbiamo fare in modo che ti seguano come sempre, senza ragionare troppo sulle effettive speranze di successo” ragionò freddamente “Perché qui le probabilità, abitualmente scarse a bordo della Normandy, sono praticamente nulle”.
- Adesso sei qui, con uno dei migliori equipaggi che si possa desiderare, e nessuno di noi ti lascerà combattere da sola. Saremo tutti noi, insieme, ad affrontare il nemico - asserì con sicurezza, lanciandole uno sguardo eloquente - E non saranno dei fantasmi invisibili a fermarci. Semplicemente perché nulla è mai riuscito a fermarci.
- Ben detto, turian - esclamò Shepard con un sorriso di approvazione, grata per l’aiuto che le stava fornendo - Vi ho fatto questo discorso solo perché voglio che vi rendiate conto del pericolo che correremo quando scenderemo in campo. Ma voglio anche che capiate una cosa: il pericolo vero non è in questa battaglia, che potremo vincere o perdere. Il pericolo vero non lo corriamo noi, qui sulla Normandy, ma tutti gli esseri viventi della galassia. E’ nostro dovere evitare che una catastrofe si abbatta sulla Via Lattea, ponendo fine alla sua stessa esistenza. Potrebbe essere una battaglia anche più dura nell’ultima che abbiamo affrontato, ma non possiamo fermarci, non possiamo tirarci indietro. Siamo dei soldati e faremo il nostro dovere fino in fondo, senza paura.

- Quale sarà la prossima mossa, comandante? - chiese Cortez, rompendo per primo il silenzio.
- Per prima cosa devo assolutamente accertarmi se queste entità sono in grado di vedere o meno la Normandy in occultamento. Passeremo rasenti a qualche aggregato per verificare se sono in grado di intercettarci.
- Splendido! - esclamò Jeff - non vedo l’ora...
- Inoltre voglio verificare se esistono altre entità, oltre quelle che abbiamo rilevato durante l’esplorazione con le Kodiak - proseguì Shepard imperterrita, senza neppure degnare di un’occhiata il suo pilota - E’ probabile che esista almeno un altro agglomerato, forse in orbita attorno alla stella oppure al pianeta, perché la meta delle entità che seguono traiettorie di allontanamento da Gotha ci è tuttora ignota.
- Preparatevi. Partiamo ora, mi sembra inutile limitarci a fare altre supposizioni che potrebbero essere prive di qualunque fondamento - ordinò inaspettatamente a quel punto, ben consapevole di non voler dare a nessuno del tempo per riflettere.
- Joker, tu seguirai le indicazioni di Jack, che starà sul ponte insieme a me e Tali. Ognuno vada immediatamente alle proprie postazioni. In caso di necessità sarà IDA ad usare i cannoni contro i nemici, sulla base delle indicazioni che le forniremo - concluse il comandante.
- Tutti gli altri potranno pregare - suggerì Joker sottovoce, zoppicando verso la sua postazione.


Suite from BSG (Season 3)




Filò tutto liscio, avvalorando l’ipotesi che la Normandy risultasse completamente invisibile ai Divoratori. Lungo l’avvicinamento a Dholen, condotto con estrema accuratezza, evitarono di intersecare le traiettorie dei globuli, il cui transito avveniva lungo ampi fasci che si mantenevano piuttosto stabili.
- Mi aspetto la massima attenzione da parte di tutti - aveva precisato Shepard, una volta che si erano ritrovati tutti in posizione sul ponte, alle spalle e ai fianchi di Joker - Non sappiamo cosa aspettarci dall’eventuale passaggio di un globulo attraverso lo scafo, ma di certo non sarebbe nulla di auspicabile. Evitiamo qualunque contatto, mantenendoci a distanza di sicurezza.

Jack fu la prima a segnalare l’esistenza di altri grossi aggregati puntando l’indice in diverse direzioni. Si resero conto immediatamente che erano quelli i punti di origine dei globuli che confluivano nei depositi sulla superficie di Gotha.
- Cosa pensi che possano essere? - chiese Shepard a Tali, dopo averglieli accuratamente descritti.
- Le strutture primarie dell’impianto: quelle utilizzate per assorbire l’energia derivante dalla fusione nucleare della stella. Non sono i globuli a farlo direttamente, ma questi grossi aggregati. La loro disposizione regolare attorno alla stella e la distanza costante da essa lo fa ritenere probabile. I globuli che abbiamo rilevato in precedenza potrebbero essere le particelle cariche che vanno ad alimentare i depositi su Gotha, un po’ come i globuli rossi del sangue portano ossigeno alle cellule - rispose lei dopo averci pensato su per qualche momento.

Seguendo gli ordini di Shepard, la nave continuò ad avvicinarsi alla stella a velocità ridotta e, una volta identificata con certezza la posizione, stabile, dei grandi ammassi che stazionavano attorno a Dholen, a una distanza costante dalla stella e intervallati regolarmente fra di loro, il comandante impartì l’ordine di effettuare una sorta di gincana fra di essi, con numerosi passaggi ravvicinati. Tirarono tutti un sospiro di sollievo quando quella giostra si concluse senza che fosse stata rilevata una qualsiasi reazione da parte del nemico.
L’individuazione dell’eventuale meta delle entità che avevano visto decollare in verticale dal pianeta si risolse invece in un fiasco completo. Una volta avvicinatisi alla superficie di Gotha nessuno dei biotici, neppure Jack, fu in grado di individuare la partenza di una sola di quelle entità, così che fu gioco forza interrompere la ricerca, in mancanza di una sia pur minima traccia.
- Contentiamoci dei risultati ottenuti finora - concluse il comandante - e prendiamoci qualche ora di riposo. Nuova riunione oggi dopo cena - concluse, prima di fare un cenno a Jack - Ti raggiungo nel salone, voglio chiederti un paio di cose.

- Spero che questa nuova sistemazione a bordo non ti faccia rimpiangere il ponte secondario della sala macchine - la apostrofò entrando nella stanza.
- Direi che ha un optional di tutto rispetto - rispose Jack indicando il bancone bar - Cos’è che volevi sapere? Mi auguro non sia un’opinione sull’esito del prossimo scontro... Cazzo, comandante... ho sempre pensato che fossi fuori di testa, ma non fino a questo punto.
- Mi piace conoscere il mio equipaggio e non abbiamo avuto modo di parlare dei ragazzi che ti sei portata appresso.
- Ah, tutto qui? Bene, allungami una birra e mettiti comoda, come se fossi nella tua casa su Palaven - rise divertita - Sono certa che la mia storia ti piacerà - affermò, facendo cozzare la sua bottiglia contro quella del comandante.
- Foster ha avuto una vita molto simile a quella di quel tipo che conosceva il drell: Topo, mi pare si chiamasse. Ha vissuto di piccoli furtarelli rubacchiando qua e là sulla Cittadella fino a quando non è stato così sfigato, o imbecille, da provare a sottrarre il creditometro a un salarian dall’aria apparentemente innocua, che si è rivelato essere uno Spettro. Una volta portato al fresco ci hanno messo poco a notare il suo potenziale biotico, anche se lui aveva tenuto accuratamente nascosta la cosa perfino ai suoi genitori.
Bevve un altro lunghissimo sorso direttamente dalla bottiglia prima di proseguire - Ti eviterò la descrizione della scena strappalacrime a cui assistetti quando sua madre, una povera imbecille, si presentò in accademia. Ti basti che supplicò la direttrice trattandola come se fosse una specie di immagine votiva. Davvero disgustoso... Bla, bla, bla: fece un sacco di ciance inutili su quanto fosse bravo quel suo figliolo, su quanto nessuno lo comprendesse, eccetera eccetera. Dopo le prime parole persi del tutto interesse, ma mi misi a spiare le espressioni del ragazzo.
- Lo vidi sollevare gli occhi al cielo e indirizzarle gesti decisamente poco rispettosi, sui quali magari glisso, per mantenere un minimo di decoro - ridacchiò divertita - Mi incuriosì abbastanza da trascinarmelo appresso, nella mia stanza, per fargli qualche domanda diretta. Le sue risposte mi convinsero a prenderlo come allievo, nonostante il parere contrario della direttrice. Uhm... soprattutto a causa del parere contrario della direttrice - rettificò poi, ghignando.
- Perché? Cosa ti disse?
- Che preferiva tagliarsi le palle piuttosto che entrare in Accademia. Che il nome Grissom gli faceva venire la nausea e che la vista di un’uniforme lo costringeva a correre nel cesso. Il tutto fissando i miei tatuaggi con aria estasiata... di alcuni mi chiese se significavano quello che immaginava.
- E aveva colto nel segno?
- Già... e credo che quando me ne mostrò uno dei suoi, accuratamente nascosto dove di solito non si guarda... mi innamorai quasi di lui.
- Stai scherzando?
- Sì. In realtà è Cooper che è innamorato perso di me e ti confesso che quel ragazzo mi piace un sacco - ammise con uno sguardo di aperta sfida.
- Jack... Non puoi, lo sai? - osservò il comandante, con aria preoccupata - E’ un tuo allievo... Non mi impiccio di quello che avviene a bordo, ma devi stare attenta fuori da qui - la avvertì, lanciando un’occhiata in giro per il salone. Fissò con aria incerta un calzino di foggia maschile che spuntava da sotto il divano fino a quando Jack si chinò a raccoglierlo per infilarlo in una tasca dell’uniforme.
- Sì, lo so. Non voglio che finiamo nei casini, ma mancano solo sei mesi al suo diploma.
- Parlami di questo Calvin.
- E’ uno sportivo. E’ stato uno sportivo, in realtà. L’idiota non si è accorto che il suo personal trainer lo stava dopando. Il problema è nato quando hanno improvvisamente cambiato i test di verifica e lo hanno beccato. La giuria non ha creduto alla sua estraneità ai fatti e lo hanno radiato. Così, da un giorno all’altro, da stella nascente nel campionato di rugby, si è ritrovato a essere bollato come truffatore.
“Ma almeno uno fra quelli che ti sei portata appresso avrà con una storia normale alle spalle?” si chiese Shepard scuotendo la testa.
- Insomma è finito a bere come una spugna. Mi sono scontrata con lui, intendo proprio fisicamente, all’uscita di un pub più di un anno fa. Voleva i miei crediti, ma non sapeva di aver sbagliato persona. Gli ho chiarito le idee in proposito, ma non prima che lui mi colpisse più volte con dei colpi biotici fuori dell’usuale. Alla fine abbiamo fatto amicizia e mi sono fatta raccontare la sua storia davanti a qualche boccale di birra.
- Ok, manca solo Volus, del quale ignoro perfino il nome di battesimo.
Jack scoppiò a ridere, prima di chiarire - Ma Volus non è il cognome, è un soprannome: è grasso come un maiale e soffre d’asma...
- Ahhhh, ecco! Suppongo che sia stato qualche bello spirito ad affibbiarglielo.
- Spero ti piaccia, sono stata io...
- Quando? E perché?
- Il primo giorno. La direttrice aveva inserito quel tipo nella mia classe, senza avvertirmi. Credo di averlo trattato piuttosto male, poverino, ma ero davvero incazzata. E lui ha cominciato a sbuffare come un mantice, mentre cercava di scusarsi. Chissà di cosa si doveva scusare poi? - sbottò Jack, stringendosi nelle spalle e prendendo un altro paio di bottiglie dal bancone bar.
- Aveva cominciato a piagnucolare che non aveva scelto lui la classe, che non aveva scelto neppure la scuola e cazzate del genere fino a quando gli ho detto una cosa del tipo Ehi, Volus, sei davvero noioso: mettiti a sedere e taci. Il soprannome gli è rimasto.
- E che tipo è?
- Al contrario degli altri due, che sono fra i migliori allievi che io abbia mai avuto, il ciccione è un inetto assoluto. Ma è talmente idiota che se lo lasciavo in Accademia finiva di sicuro in qualche guaio, così come è successo di recente. E’ stato lui a far scoprire Foster e Cooper con la storia dell’astroauto.
- Vorrei conoscere questo dettaglio.
- Suppongo tu non conosca l’attuale direttrice della Grissom.
- No.
- E’ la sorella di un pezzo grosso che lavora nella SOS dei Salarian. Sembra abbia ingoiato il manico di una scopa, tutto intero, senza averlo mai digerito. E’ universalmente nota come signorina supiùsu, anche se dubito lo sappia, perché negli esercizi che fa compiere ai suoi allievi ripete immancabilmente quest’espressione su-più-su, qualunque sia il risultato ottenuto dal malcapitato su cui ha deciso di infierire.
- Vai avanti.
- Pochi giorni prima che tu uscissi dall’ospedale, il trio, inseparabile per motivi che suppongo prevedano la protezione fisica del Volus da parte degli altri due, in cambio dello svolgimento dei loro compiti, ha avuto la bella idea di far levitare l’astroauto della direttrice sopra il tetto della scuola - spiegò Jack.
- Mentre lei cercava inutilmente il veicolo, i miei tre alunni si sono messi a sussurrare su-più-su da un nascondiglio, in modo che la voce si spandesse dagli altoparlanti esterni disseminati per tutto il parcheggio. Solo che a Volus è venuta una crisi d’asma per le risate e alla fine li ha fatti scoprire. La direttrice li voleva espellere dall’accademia e addirittura processare per appropriazione illecita, danneggiamento a strutture pubbliche e non so quali altre idiozie e mi è toccato promettere che mi sarei occupata io stessa della loro rieducazione. E ora, eccoteli qui sulla Normandy.
- Suppongo che chiedendo il tuo aiuto non potessi aspettarmi qualcosa di troppo diverso - commentò Shepard uscendo dal salone scuotendo la testa, ma senza riuscire a reprimere un sorriso divertito.

°°°°°

- La Normandy si sta dirigendo su Haestrom - comunicò Shepard una volta che si furono tutti riuniti in sala briefing - Dobbiamo verificare l’effettiva portata dei nostri potenziali biotici in presenza di concentrazioni elevate di energia primaria e imparare a gestirli, ma la prudenza consiglia di fare queste prove in un luogo protetto, senza mettere a repentaglio la nave - aggiunse fissando Jack con aria inquieta.
- Prenderemo entrambe le Kodiak: sulla prima, guidata da Joker, ci sarò io, Jack e Cooper, sulla seconda, guidata da Cortez, prenderanno posto Liara, Javik e Foster. Non credo che dovremo aspettarci attacchi di sorta, ma preferisco che in ciascuna squadra di sbarco ci siano un paio di elementi in grado di proteggere i biotici, nel caso ci fosse la necessità: Garrus e James con Joker, Tali e Kal’Reegar con Cortez.
- Ci serve un posto che sia al riparo dai raggi diretti di Dholen per esercitarci e credo che la struttura in cui abbiamo combattuto la battaglia per liberare Tali qualche anno fa andrà benissimo - concluse, cominciando ad avviarsi verso l’hangar navette.

La prima onda d’urto che Shepard provò a lanciare sul suolo di Haestrom ebbe un effetto che lasciò stupita lei stessa. L’aveva scagliata contro resti di alcuni Geth ammucchiati nelle vicinanze del luogo in cui si erano procurati le cariche esplosive destinate a liberare l’ingresso del rifugio in cui si era rintanata Tali qualche anno prima. I pezzi di armatura che non si sbriciolarono sotto l’impatto vennero scagliati a decine di metri di distanza con una potenza tale da incastrarsi a viva forza dentro i pannelli di rivestimento di un edificio e da frantumare strutture meno elastiche.
Capì immediatamente che l’esplosione di una nova in battaglia sarebbe risultata improponibile, a meno che i compagni di squadra non si trovassero a molta distanza dal punto di impatto. Cercò un’area completamente deserta e la provò, gustando la sensazione di trovarsi nell’occhio di un ciclone che distrusse ogni ostacolo che si trovasse entro il raggio di una decina di metri e continuò a mostrare effetti dirompenti anche dopo venti.
- Spiriti, Shep! - fu il commento che le inviò il turian che l’aveva inquadrata nel mirino del suo fucile di precisione, tenendosi a distanza di sicurezza.
- Non sarà compito dei biotici mettersi a colpire i nemici - gli rispose ridendo nel microfono del casco.
- Lo so benissimo - rispose Garrus - Pensavo solo che non mi dispiacerà affatto essere protetto da una tua barriera biotica, mentre io sparo ai Divoratori...
“Sperando che funzioni” pregò lei in silenzio.

Una volta tornati al punto di atterraggio presso le navette, i biotici si scambiarono le impressioni riportate e tutti quanti, in preda all’entusiasmo, riferirono risultati simili. Il comandante ordinò allora che si esercitassero con la generazione di scudi e barriere difensive.
La prima prova, effettuata a turno da ciascun biotico, prevedeva la realizzazione di una semisfera attorno a un bersaglio, che Shepard indicò nel corpo di un nucleo Geth. Le risate divertite e ironiche dell’equipaggio, che avevano giudicato un po’ bizzarra quella proposta, svanirono in un istante quando venne il turno di Jack che creò la semisfera decapitandolo di netto.
- Devo aver calcolato male la sua altezza... - ammise ridacchiando, mentre Garrus, Tali e Kal ritraevano istintivamente la testa fra le spalle e James se ne usciva con l’espressione colorita - Cojones!
Passarono un’altra ora circa esercitandosi a creare ogni tipo di strutture biotiche difensive, senza ulteriori incidenti, fino a quando il comandante si ritenne soddisfatto.

Una volta tornati a bordo si era fatto tardi e la riunione successiva venne stabilita per la mattina seguente.
Dopo una cena frettolosa e distratta, Shepard salì in cabina, mentre Garrus si diresse verso la batteria primaria, per effettuare qualche ulteriore calibrazione in vista dell’avvicinarsi di uno scontro contro quei nuovi nemici.
Il turian rimase completamente assorto in quel compito per oltre tre ore fino a quando, non riuscendo a trovare nessun possibile miglioramento ulteriore, si diresse verso il ponte uno.
Immaginava di trovarla ancora sveglia e infatti Shepard era seduta sul letto, con il portatile in grembo, chiaramente assorta nella lettura di qualche documento, tanto da non dare alcun segno di essersi accorta della sua presenza.
“A cosa pensi, comandante?” si chiese Garrus, immaginando quanto dovesse sentirsi preoccupata: le informazioni sul futuro nemico erano davvero scarse e la fiducia sull’efficienza dei mezzi difensivi e offensivi di cui disponevano era praticamente pari a zero. La situazione generale era addirittura peggiore di quella che avevano dovuto affrontare contro i Razziatori.
Invece, per una volta, Garrus aveva completamente travisato ciò che in quel momento turbava tanto sua moglie.
- Vado a farmi una doccia - la avvisò poi, più per cercare di distrarla dai suoi pensieri che per necessità di informarla su una simile banalità.
- Uh uh - rispose lei come se fosse assorta nella lettura, mentre in realtà lo stava tenendo d’occhio da quando era entrato in cabina. Si rilassò, vedendo che si incamminava verso il bagno, senza avvicinarsi. Se avesse toccato qualche tasto per cambiare schermata del computer, Garrus si sarebbe incuriosito e lo stesso avrebbe fatto se lo avesse chiuso all’improvviso. Le avrebbe chiesto spiegazioni e lei non era molto più brava di lui a mentire: in un modo o in un altro le avrebbe estirpato una confessione che non desiderava affatto fargli.

Aveva capito presto che il concetto di privacy fra coniugi era praticamente inesistente nella cultura turian e in quell’occasione aveva paventato che si avvicinasse a curiosare. Se avesse visto la schermata sul portatile si sarebbe arrabbiato, e in maniera vistosa. Si sarebbe arrabbiato perché ai primi segni di malessere, che aveva rilevato da un paio di giorni, non era corsa in infermeria e si sarebbe arrabbiato anche di più per il suo goffo tentativo di cercare di individuarne la causa spulciando informazioni su extranet.
Le avrebbe detto che era una vera idiota e l’avrebbe trascinata a forza dalla Chakwas. Ma lei non poteva permettersi di perdere tempo prezioso, con quei dannati Divoratori pronti a sbriciolarle nave ed equipaggio.
Dette un’altra occhiata ai sintomi del rigetto: la debolezza che avvertiva da qualche giorno e il malfunzionamento del suo stomaco potevano effettivamente convalidare quella sua diagnosi, anche se non rilevava nessuna alterazione nella temperatura corporea.
“Accidenti al tecnico quarian e alle sue idee rivoluzionarie” imprecò mentalmente, odiandosi per aver accettato di fare da cavia agli impianti di nuova generazione “Ci ho solo guadagnato la possibilità di ingurgitare dello schifosissimo cibo a base di destro-aminoacidi”.
Rilesse rapidamente un paragrafo che aveva sottolineato

Il rigetto iperacuto di un impianto subentra a poche ore di distanza dopo l’inserimento e porta alla sua disattivazione immediata. Il rigetto acuto ha invece luogo nel corso della prima settimana successiva all'intervento. Il cosiddetto rigetto cronico si manifesta invece a distanza di tempo molto maggiore, ma è in realtà il prodotto di ripetuti episodi di rigetto ignorati in precedenza.

Chiuse rapidamente il computer, prima che Garrus tornasse nella stanza.
Se non altro, si consolò, il suo non sembrava essere un caso di rigetto particolarmente grave. In ogni modo, non aveva tempo per occuparsene. Fra l’altro, non era neppure lontanamente pensabile che ci si potesse procurare un impianto di riserva nel sistema dove si trovavano attualmente.
Stava ancora meditando su quella disgraziata faccenda, quando Garrus uscì dal bagno e saltellò sul letto, acchiappandola fra le braccia e cominciando a mordicchiarle delicatamente la pelle morbida del collo appena sotto il lobo dell’orecchio. Finì per strapparle delle risate, invece dei soliti mugolii di piacere, perché era lontana mille anni luce da pensieri erotici, ancora intenta a maledire i dannati impianti.
Si scostò sorpreso, guardandola con aria interrogativa, mentre lei protestava ridendo - Mi stai facendo il solletico.
- Solletico? Cosa significa?
- Mi fai ridere anche se non voglio.
- Come?
- Con il respiro sul collo. Sfiorandomi la pelle.
- Il solletico è solo sul collo?
- No... dipende dalle persone.
- Tu dove ce l’hai?
- In parecchi posti... Ma si dice dove soffri il solletico, non dove ce l’hai - lo prese in giro, senza smettere di ridere.
- Uhmmmmm... Vediamo - la minacciò, stendendola sul letto e cominciando a soffiare un po’ in giro sul suo corpo, tenendola prigioniera sotto di sé.
Lei dapprima ridacchiò divertita, poi cominciò a ridere senza potersi fermare quando lui scoperse una zona particolarmente sensibile sui fianchi, infine cercò di toglierselo di dosso con violenza, ridendo e piangendo nello stesso tempo fino a quando, con un colpo biotico involontario, lo scagliò contro la parete.
- Maledizione! - esclamò, chinandosi su di lui e aiutandolo a rialzarsi - Mi dispiace. Non volevo - confessò mortificata, controllando che non si fosse fatto male.
- Spiriti, Shep! - commentò il turian, accettando il suo aiuto - meno male che sei senza impianti...
- Sembra che qui si muoia di una brutta morte, se si hanno gli impianti attivi - rispose lei, mentre rabbrividiva involontariamente al ricordo delle immagini delle autopsie effettuata sul corpo dei biotici umani da Mae'ells.
- Dammi il tuo portatile. Il mio è rimasto nella batteria prim...
- No! - rispose impulsivamente, pensando a come lo aveva usato fino a quel momento.
- Eh?
- Cosa ci devi fare?
- Voglio leggere cos’è il solletico - rispose, aprendone il coperchio.

- Ho capito - commentò alla fine, dopo aver letto qualche file, restituendole il computer - siete davvero bizzarri voi umani... Non so se un giorno smetterò di rimanere stupito per qualcosa che vi riguardi.
- Mi manca quella tua aura blu, sai? - aggiunse poco dopo - Ogni volta che ti mettevi a brillare come un’insegna pubblicitaria sapevo che stavo correndo dei rischi. Adesso è meno visibile, e mi prendi alla sprovvista: dovrò imparare a leggere altri tipi di segnali.
- Non resteremo qui in eterno, spero - osservò lei di rimando.
- Uhm, no, suppongo di no. Una volta uccisi i Divoratori dovremo cercare... uhm, qualcosa di più impegnativo e strampalato?
- Difficile immaginarlo...
- Io ho fede in te.
- Proverò a non farti annoiare troppo. Te lo prometto - concluse lei, cominciando ad aprirgli l’accappatoio.

- Aspetta - le intimò Garrus, imprigionandole le mani.
- Oh! - esclamò stupita - Non hai voglia? Allora stai male! - lo punzecchiò.
- Poco fa hai detto che qui, con gli impianti attivi, si muore. Cioè?
- Non so cosa significhi, ma nei biotici uccisi su Gotha i nuclei di eezo sembravano esplosi all’interno del corpo. I due scienziati non erano riusciti a individuarne la causa, ma ho fatto disattivare alla Chakwas tutti i nostri impianti, come precauzione.
- Per tutti gli Spiriti! - esclamò Garrus in tono concitato - Capisci cosa hai appena detto?
- No... - ammise, fissandolo incerta - Oh! E invece sì! - aggiunse un secondo dopo, saltando giù dal letto per correre ad attivare il comunicatore sulla parete - IDA, mettimi in comunicazione con Tali. Ora!



Note
Ringrazio andromedahawe, che mi ha suggerito l’idea di raccontare qualcosa sui nuovi membri dell’equipaggio: a me non era venuto in mente. Spero che la breve parentesi nel salone della Normandy vi abbia divertito.

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Capitolo 12
*** Ultimi preparativi ***


ULTIMI PREPARATIVI


Suite from BSG (Season 1)




“Ancora?... Maledizione!” fu il primo pensiero cosciente che elaborò Shepard appena sveglia.
Fin da quando l’Alleanza aveva scoperto nel suo corpo la presenza di noduli di elemento zero e l’aveva sottoposta all’addestramento specifico per biotici, aveva potuto verificare con soddisfazione che il suo fisico non soffriva per l’inserimento di componenti tecnologici. Neppure gli impianti di Cerberus le avevano mai creato particolari problemi, ma ora sembrava che la tecnologia dei Razziatori venisse accettata con meno facilità dal suo fisico, si disse imprecando, mentre correva in bagno, sicura che avrebbe rigettato.
Non era mai voluta andare in infermeria, nonostante l’insistenza mostrata dalla dottoressa nel richiederle qualche controllo di routine, e ora le sembrava inevitabile pagare le conseguenze di quella sua negligenza.
“Non è certo questo il momento buono per perdere tempo in stupidi checkup” si ripeté irritata, grata che Garrus fosse già al lavoro, a discutere con IDA e Tali sulle modifiche da apportare al fucile particellare, sulla base dell’idea che gli era balenata in mente la sera prima. In caso contrario era certa che, assistendo a una scena come quella in cui si stava esibendo al momento, l’avrebbe trascinata in infermeria con le buone o con le cattive maniere.
Non era facile sottrarsi a un turian irritato, dovette ammettere con un lieve sorriso, mentre provava ad immaginarsi le sue reazioni.
Scese in sala mensa ripromettendosi di occuparsi del problema una volta che la battaglia contro i Divoratori si fosse conclusa.

L’idea di bere il caffè le causò un senso di disgusto, visto il risveglio, per cui optò per un paio di fette biscottate, rigorosamente integrali (per far contento il suo turian), che cominciò a sgranocchiare mentre si avviava verso la sala briefing.
Quella mattina l’incontro durò a lungo, con discussioni che si protrassero fin nel tardo pomeriggio, interrotte solo da una breve pausa all’ora di pranzo, dato che erano molti gli aspetti da valutare. Quasi tutto l’equipaggio intervenne, con contributi più o meno lunghi, per suggerire strategie, proporre modifiche alla linea di azione che stavano pian piano delineando, rilevare eventuali punti deboli o chiedere semplici chiarimenti.
- Dunque... - cominciò a riepilogare Shepard alla fine della lunga riunione, dopo aver riempito pagine e pagine di appunti - dovremo ridurre al minimo il rischio di allertare il nemico. Lo scopo di questa prima incursione a terra consisterà semplicemente nello studiarlo più da vicino. Inutile dire che dovremo rimanere a una distanza notevole, sia dai depositi sia dalle traiettorie dei globuli. Ci limiteremo a osservare il nemico: la sua struttura e il suo comportamento.
- Atterreremo con la Normandy e Hammer, Kodiak e Mako proseguiranno a piedi lungo i percorsi che abbiamo stabilito sulla mappa raggiungendo gli agglomerati che troveranno, rispettivamente, a est, nord e ovest dal punto di atterraggio.
- Foster, Javik e Cooper terranno attive le barriere protettive sul proprio gruppo, mentre Jack, Liara ed io scansioneremo costantemente l’area circostante, in modo da evitare di finire accerchiati o cadere in qualche eventuale imboscata.
- Sappiamo che il nemico avverte variazioni nei livelli di energia di qualunque tipo: meno ‘rumore’ faremo, meno correremo il rischio di essere individuati... - seguitò, fissando i volti attenti dei suoi compagni - Tutti i biotici cercheranno di capire forma e struttura di questi Divoratori, ma sempre evitando a tutti i costi di rivelare la nostra presenza. Nessuna comunicazione, nessuna emissione di energia, se non quella strettamente necessaria: dobbiamo rimanere invisibili.
- Badate che le squadre rimangano compatte: nessuno di retroguardia e nessuno in avanscoperta. Siate prudenti, non abbiamo idea di quello che troveremo. Grunt, stai appiccicato a Lazara e obbedisci ciecamente alle direttive di Jack - precisò Shepard fissando in viso il krogan, mentre lui gorgogliava felice per la parte dell’ordine che riguardava la sua amica prediletta.
- Cerchiamo di procurarci tutta la documentazione possibile: servirà a noi, in primo luogo, e servirà anche a me, per fare rapporto al Consiglio. Ogni gruppo si porti appresso apparecchiature adatte a ogni tipo di rilevazione, anche se dubito fortemente che riusciremo a registrare qualcosa che fugherà l’incredulità di chi dovrà ascoltare i nostri improbabili resoconti.
- Prima di scendere sul pianeta ricordatevi di passare da Tali per potenziare le armature. Insieme a IDA ha messo a punto un sistema per schermare sensibilmente le emissioni di energia e ha implementato un potenziamento contro le radiazioni solari: se su Haestrom gli scudi friggevano in pochi secondi, su Gotha la situazione sarà decisamente peggiore. Tenete presente che i nuovi scudi, creati utilizzando non so quale diavoleria dei Razziatori, dovrebbero consentire una protezione di una ventina di minuti. Dovremo essere rapidi, silenziosi e accurati.

La breve ricognizione non avrebbe portato a nessun risultato degno di nota se non fosse stato per Grunt che, camminando con gli occhi fissi su Dholen, non si accorse dell’arresto improvviso del suo gruppo e finì contro Lazara. Nell’urto premette involontariamente il grilletto del fucile a energia che teneva stretto fra le mani e il raggio che esplose sembrò balenare con una brillantezza inaudita, prima di colpire uno dei depositi alla sinistra del gruppo. Il silenzio sereno che avvolgeva la superficie desolata e rocciosa del pianeta tutto a un tratto sembrò diventare minaccioso.

I componenti delle tre squadre si immobilizzarono all’istante, tranne Lazara che strappò dalle mani il fucile a Grunt, inserì la sicura e glielo restituì in malo modo, allungandogli nel contempo una poderosa pacca sulla spalla. Nell’immobilità generale, i biotici incaricati di proteggere il gruppo istintivamente rinforzarono le barriere mentre gli altri tre presero a scansionare l’area creando le onde di rilevazione più deboli, ma con frequenza molto maggiore.
Jack, Liara e Shepard si accorsero immediatamente dell’improvviso cambiamento che si verificò a pochi decimi di secondo dallo sparo e che si manifestò con intensità massima in corrispondenza della posizione della squadra Mako.
Il deposito colpito dal raggio di Grunt sparì all'istante così come tutti i globuli nei dintorni; nuove entità comparvero quasi nello stesso istante, come create dal nulla. L’aura di energia, visibile ai biotici, che quei nuovi ammassi emettevano evidenziava dimensioni paragonabili a quelle di piccoli veicoli e quell’illusione era rafforzata dall’elevata velocità con cui quelle nuove entità presero a muoversi sul terreno circostante.

- Mako, a terra! - comandò Shepard nel comunicatore, decidendo di interrompere il silenzio radio, mentre dirigeva le onde biotiche verso quel gruppo.
Vide distintamente le nuove entità sparpagliarsi sull’area, occupando una porzione di un paio di chilometri quadrati, effettuando una rilevazione a tappeto con un coordinamento che la lasciò attonita. Una simulazione al computer non avrebbe potuto essere condotta in modo più preciso.
- Azzerate ogni emissione di energia: giù anche scudi o barriere biotiche - ordinò ancora.
Rimase immobile, continuando a effettuare deboli accertamenti per tenere sott’occhio la situazione, sperando che i componenti della squadra Mako potessero passare del tutto inosservati alla rilevazione nemica.
Intorno e sopra di lei, così come nei pressi della squadra Kodiak, rimasta paralizzata in quella immobilità che nulla aveva da invidiare alla tanatosi adottata da alcune specie animali in pericolo, i globuli continuavano a seguire le loro usuali traiettorie.
I pochi minuti in cui le entità nemiche scandagliarono l’area intorno alla squadra Mako sembrarono dilatarsi a dismisura, mentre Jack e i suoi compagni cercavano di non pensare alla pericolosità della loro posizione, sdraiati nella polvere, apparentemente ben visibili contro il suolo giallastro del pianeta, privi di qualunque protezione se non quella offerta dalle loro armature.

Tutto d’un tratto un’esplosione di violenza fuori dal comune devastò una porzione di superficie del pianeta, dilaniando il terreno in onde che si sollevarono come il maroso sollevato da uno tsunami, e polverizzando ogni ostacolo, con una conformazione triangolare il cui vertice originario era chiaramente individuabile in un punto posto alle spalle squadra Hammer, alla distanza di una decina di metri.
- Tutti alla Normandy, in assoluto silenzio - comandò Shepard nello stesso istante, senza rendersi conto di aver sussurrato appena nel microfono posto nel casco, mentre cominciava a muoversi verso lo scafo, immediatamente seguita dai compagni del suo gruppo.
Si rilassò quando fu certa che la totalità degli ammassi sparpagliati intorno alle tre squadre di sbarco si spostavano, mutando nel contempo forma e dimensione, puntando senza incertezze verso l’area interessata dall’onda d’urto che aveva scagliato con tutte le sue forze.
In seguito all'esplosione biotica tutti i depositi e i globuli che poteva avvistare intorno alle tre squadre di sbarco erano istantaneamente scomparsi, rimpiazzati dai nuovi ammassi, di dimensione intermedia, che avevano preso a scansionare l'area disponendosi in griglie regolari che si sovrapponevano ordinatamente a varie altezze dal suolo di Gotha.
Una volta che posero piede sulla rassicurante superficie metallica del portellone, Shepard tornò a scrutare quello strano nemico che stava continuando a sorvolare sistematicamente l’area interessata dall’esplosione biotica, ricamando una griglia di linee rette che si incrociavano a distanza costante con precisione che appariva millimetrica.

- Joker, tieniti pronto a partire. Tutti i biotici, a parte me e Liara, sul ponte: dovrete farmi un rapporto dettagliato sui risultati delle prove che faremo nei prossimi minuti. Liara, resta qui con me. James, fatti aiutare da Cortez: portate qui tutte le armi ad energia che abbiamo a disposizione, granate e missili. Tali, consegna a Garrus il fucile particellare e le armi laser che avete modificato stanotte. Tutti gli altri ai propri posti di combattimento - ordinò Shepard non appena sfilato il casco, una volta al sicuro nell’hangar della Normandy - Non ci resta che verificare se il nemico sia vulnerabile a qualche nostra arma. Dopo troveremo un posticino tranquillo per fare il punto della situazione.

Una volta che James e Garrus tornarono nell’hangar, Shepard diede le disposizioni successive - Da quanto abbiamo rilevato, sembra che questi Divoratori non abbiano una struttura fisica. Dubito che le armi a proiettili potrebbero avere efficacia, ma la capacità del nemico di assorbire energia potrebbe rendere inefficaci anche le altre, a meno che trovassimo qualche fonte per loro 'indigeribile' o capace di provocare un sovraccarico. James, vorrei che tu provassi anche gli esplosivi. Garrus, tu ti limiterai a usare le armi 'modificate'. Non avremo molto tempo per effettuare prove di fuoco e dovremo farlo con la Normandy in volo. Non me la sento di tenerla immobile: il nemico sembra estremamente rapido a reagire, se si sente minacciato.
- Non credo di aver capito come intendi procedere - ammise James, fissando le armi che aveva radunato in terra attorno a lui.
- Liara si occuperà di indicarti i bersagli - gli rispose prontamente - Io mi occuperò di Garrus. Indossiamo le armature e assicuriamoci ai supporti con le cinghie: effettueremo le prove di tiro in volo, dal portellone aperto.
- Non capisco, Shep... - replicò il turian fissandola stupito.
- I questo modo potremo far fuoco senza emissioni di ulteriore energia, oltre a quella proveniente dalle armi: la Normandy resterà in occultamento. Voglio fare un esperimento rapido, solo per accertarmi di quale arma sia migliore e, soprattutto, della bontà della tua idea di stanotte.
- IDA, mettici la Cavalcata delle Valchirie di Wagner come sottofondo! - esclamò James tutto eccitato all’idea di prendere parte a quella bizzarra azione di attacco, a cui non aveva neppure mai pensato, sotto lo sguardo stupito di Liara e di Garrus, che non avevano capito di cosa stesse parlando.
- James... resta concentrato - lo interruppe Shepard, dandogli un’occhiataccia - Liara, tu punterai gli aggregati in direzione nord ovest, io quelli a nord est.
- Siete tutti pronti? Avete domande?
Non appena si furono ancorati alle pareti dell’hangar in modo da poter sparare agevolmente attraverso il vano del portellone, Shepard ordinò - Jack, punta verso sud e fai passare la nave sopra i depositi che si sono tornati a formare. Jeff, vai in occultamento e segui le indicazioni di Jack. Sorvola Gotha a una distanza di una decina di metri dal suolo, tenendo presente che volerai tenendo aperto il portellone di carico - aggiunse, mentre provava a immaginarsi l’espressione perplessa del pilota a quell’ultima sua precisazione.

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- Ma quale modifica avete fatto a quelle armi? - fu il senso della domanda che Tali si sentì ripetere un po’ da tutti i membri dell’equipaggio raggruppati in sala briefing, mentre cercava faticosamente di raggiungere Shepard fra la folla che le si stringeva attorno.
Varie detonazioni di intensità paragonabili a quelle di piccole esplosioni nucleari erano risultate ben visibili a occhio nudo lungo la scia della Normandy, ma solo dalla parte presa di mira da Shepard e Garrus.
Tuttora, mentre la nave si allontanava rapidamente dal pianeta, una parte della sua superficie continuava a essere teatro di detonazioni minori, che sollevavano grandi ammassi di sassi e polveri che si espandevano lentamente nell’atmosfera rarefatta e irrespirabile di quel piccolo pianeta.
I risultati ottenuti da James, invece, con il modello standard di quelle stesse armi o con vari tipi di esplosivi erano stati scarsi o addirittura nulli. L’unico effetto certo era consistito nella sparizione pressoché immediata degli aggregati ancorati al suolo, mentre sciami di entità di dimensioni variabili, apparentemente nate dal nulla, avevano preso a sfrecciare a varie altezze, come enormi vespe impazzite che tentino di difendere il proprio nido.

- Ho arricchito di eezo il fascio di energia emesso dal fucile particellare e dai laser - confessò Tali, tutta soddisfatta del risultato ottenuto - Ma in realtà il suggerimento per questa modifica è partita da Garrus - rispose con semplicità.
- Ma tutto deriva da quanto che mi ha raccontato il nostro coman... - aggiunse lui, senza riuscire a completare la frase.
- Se abbiamo finito con ossequi e salamelecchi, vorrei passare al dunque - lo interruppe infatti Shepard - Il compito di noi tutti sarà quello di apportare quella stessa modifica a tutti i modelli di armi a energia che la consentono: affidatevi a Tali o a IDA e chiedete aiuto per qualunque dubbio possiate avere. James e Steve, voi due vi occuperete anche di potenziare i cannoni delle Kodiak, mentre Tali e Garrus dovranno studiare come inserire uno o più nuclei di eezo all’interno del Than... - ordinò, prima di interrompersi, nel rendersi conto che il turian stava già uscendo dalla stanza portandosi appresso la quarian.
- Tenetemi aggiornata e avvertitemi quando sarete pronti - concluse - Per iniziare l’attacco contro questi Divoratori aspetteremo di completare tutti i potenziamenti necessari.
Prima di uscire dalla stanza passò vicino a Jack e la invitò a passare nel suo alloggio dopo cena. Poi si avvicinò a Liara e la pregò di collaborare con Javik per continuare a decodificare i documenti che il Consiglio le aveva inviato e di tenerla aggiornata su qualunque nuova informazione riuscisse a scovare.

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- Matrimonio già in crisi? - fu la prima frase che pronunciò Jack, entrando nell’alloggio del comandante in tarda serata - Tuo marito s’è dato, eh? Non l’ho visto neppure a cena.
- Competere con il Thanix è più difficile che uccidere un Razziatore con un fucile a piombini - replicò Shepard, porgendo a Jack una bottiglia di birra gelata - Mi servite solo voi due, comunque, stasera - aggiunse invitandola a sedersi sul divano al fianco di Tali, che aveva richiamato poco prima - Piantala con le battute, per una volta - aggiunse con un tono che non ammetteva repliche o risatine.
- Ascoltatemi bene - esordì, fissando le due amiche - voglio sapere che idee vi siete fatte sul nostro nemico dopo quanto abbiamo osservato nello scontro di oggi. Io ho una teoria, ma è talmente bizzarra, che preferirei sentire le vostre opinioni prima di esporvela.

- Per confessare quello che mi frulla per la mente mi servirà ben più di un semplice bicchiere di vino di Palaven - rispose la quarian, mentre Shepard le allungava sollecitamente tutta la bottiglia di Garrus.
- Spara...
- Vorrei essere sicura del senso dalle frasi che voi biotici vi siete scambiati oggi. Magari Jack potrebbe farci un riassunto di cosa ha visto...
- Potrei, se Shepard mi passasse una bottiglia di liquore... - rispose la ragazza finendo di bere la sua birra - Non di Palaven, però.
- Prevedo una sbronza collettiva - commentò il comandante, scuotendo la testa mentre si avviava ad aprire l’armadietto in cui lei e Garrus tenevano gli alcolici.

- I Divoratori hanno dimensioni grandi, medie, piccole e piccolissime - cominciò a declamare Jack alzandosi in piedi e mettendosi dietro l’unico tavolino della stanza, mimando le movenze di un’insegnante a lezione.
- Su, su, ragazze. Fate silenzio e state attente! - esclamò, impossessandosi di una delle bacchette per legarsi i capelli che Shepard teneva ancora sul suo comodino in ricordo dei vecchi tempi.
Batté ripetutamente sulla mappa galattica con la punta, come se si trattasse di una sorta di lavagna e proseguì in tono convinto - Non hanno forma: i loro contorni sono indefinibili. Uhm, secondo voi non c’è altro? Ovviamente sì: ho tenuto il meglio per la fine! - esclamò, prendendo in mano il casco di Shepard e battendoci ripetutamente sopra con la bacchetta, mimando un prestigiatore che si cimenti a far uscire un coniglio dal cilindro - Sono capaci di scomparire e di riapparire inaspettatamente in un posto diverso. Puff! e... Spuff! - concluse buttando bacchetta e casco uno a destra e uno a sinistra.
E a quel punto Tali e Shepard non riuscirono più a restare serie, anche se il comandante le lanciò un'occhiata di evidente disapprovazione.

Una volta accantonata quell'ilarità esaltata, dettata dal nervosismo, Jack le raggiunse sul divano, spalmandocisi sopra, si versò un altro bicchiere di liquore e continuò in tono serio - Sono certa che le entità a cui sparava James oggi si siano disgregate quasi istantaneamente sotto il fuoco delle armi o le esplosioni, ma non ho idea se siano andate distrutte o meno. A essere franca, nutro dei dubbi. Nello stesso tempo nuove entità, diverse da quelle, sono comparse improvvisamente sia sulla superficie di Gotha, sia nell’atmosfera. Ed erano completamente diverse: i bersagli di James erano grandi e fissi, anche se non avevano una forma ben definita, ma le entità successive erano molto più piccole, rapidissime, capaci di cambiamenti di direzione repentini. Ma anche quelle erano indefinibili, come forma, e piuttosto variabili anche nelle dimensioni.
A questo punto tacque, si versò ancora mezzo bicchiere di liquore e sentenziò - Credo sia tutto. E adesso tocca a te, piccolo genietto tecnologico... - concluse facendo tintinnare il proprio bicchiere contro quello di Tali.

- Mi sono fatta un’idea che credo vi sembrerà stravagante - confessò la quarian fissandosi i piedi.
- Vai avanti tranquilla, siamo abbastanza brille da poter credere ad un asino che vola - la incoraggiò Jack, mentre Tali scuoteva la testa senza capire cosa significasse quell’oscura frase.
- E’ da quando mi avete fatto le prime descrizioni di questi Divoratori che continuano ostinatamente a tornarmi in mente i Geth.
- I Geth? - chiese Shepard - non capisco.
- Questi nemici differiscono da qualsiasi altra entità io abbia mai incontrato prima. Mi sto convincendo che Garrus avesse ragione e che si basino sull’energia e non sulla materia. Non so di che tipo di energia si possa trattare, ma emettono aloni di un'energia simile alla nostra energia oscura, come noi emettiamo calore termico nell'aria circostante. Mi pare che voi li intercettiate un po' come si potrebbe avvistare un essere vivente con un apparecchio a raggi infrarossi. Oppure sbaglio?
- E' corretto. Vai avanti - la incitò Shepard, decisamente interessata.
- I Geth complessi venivano creati dall’assemblaggio di singole unità, ognuna delle quali, di per sé, aveva poteri limitati. Una volta combinate le piattaforme elementari, però, si ottenevano delle IA enormemente più flessibili e potenti, proprio in relazione al numero di unità di base utilizzate. La struttura complessa così assemblata poteva differire sostanzialmente dalle parti semplici che la costituivano, come potenzialità intellettive e come capacità generiche - spiegò Tali che, dopo aver bevuto un altro sorso dal suo bicchiere, continuò - In questo caso potremmo trovarci di fronte a qualcosa di simile: entità separate in grado di combinarsi fra di loro al bisogno, generando entità complesse con abilità nuove, adatte alla situazione che si trovano a fronteggiare. Sono certa che collaborino fra di loro con un accordo perfetto, come una comunità di insetti laboriosi per il raggiungimento di un obiettivo comune.
Fece una pausa, guardò Shepard e le chiese - Ti sembra folle?
- E’ folle tutto quello a cui abbiamo assistito da quando siamo arrivati qui. Mi aspetto una spiegazione bizzarra, come minimo - fu la risposta rassegnata, pronunciata con voce un po’ impastata.

- Insomma, senza farla tanto lunga, è possibile che abbiamo a che fare con degli esseri astrali, come li ha chiamati quella pazza di IDA... Uhm, ma ci ascolta? - chiese Tali, muovendosi a disagio sul divano.
- No. Questa cabina è zona interdetta. Non può collegarsi spontaneamente...
- Posso chiedere come mai? - chiese Jack con l’accento più ingenuo di questo mondo, mentre sbatteva le ciglia facendo gli occhioni innocenti da cerbiatta.
- Puoi chiederlo, ma non ti sarà risposto. Tali, vai avanti.
- Probabilmente le entità di base sono di dimensioni ridotte: di certo non più grandi dei globuli, ma potrebbero essere anche notevolmente più piccole. Non so come comunichino e se abbiano davvero bisogno di comunicare fra di loro. Potrebbero addirittura essere prive di una volontà individuale ed il loro comportamento potrebbe essere determinato da una... mente collettiva. In ogni caso, sanno cosa fare e come farlo e agiscono con una rapidità impressionante. Da semplici depositi di energia si sono trasformati in mezzi di ricognizione e, forse, di attacco. Ma sappiamo ben poco circa le loro potenzialità aggressive. Sappiamo solo che sono in grado di assorbire energia, da quanto ci hanno raccontato quei due tuoi scienziati, ma non sappiamo in quale modo, né se dispongano anche di altri tipi di sistemi offensivi.
- La nostra fortuna è che qualcosa, presumibilmente proprio il processo con cui assorbono energia, reagisce in maniera sproporzionata in presenza di eezo. Potrei figurarmi una sorta di di esplosione dovuta a sovraccarico. Ma potrei anche affermare che sia l'alone di energia che emanano a reagire con l'eezo, se è vero che questa energia che li avvolge ha delle caratteristiche simili all'energia oscura che conosciamo, ma non è esattamente la stessa. In ogni modo le nostre armi, potenziate con l’eezo, sembrano in grado di arrecare danni gravi e a catena.

- Posso chiedere un’altra cosa, Trinity? - chiese Jack, ridacchiando all’involontario sussulto del comandante, che non si aspettava di essere chiamata in quel modo da nessun altro che non fosse Garrus.
- Beh, ti chiami così, no? - rincarò lei - O preferisci Trin? O magari Lola?
- Qual è la domanda?
- Cosa hai intenzione di fare una volta che abbiamo finito di potenziare tutte le armi di bordo?
- Bella domanda! Sono arrivato al momento giusto - commentò Garrus, fissando le tre donne spalmate sul divano, tutte con un bicchiere fra le dita - Il Thanix è a posto, in quanto a nuclei di eezo. Ero passato per avvertirti che mi prenderò un po’ di tempo per ricalibrarlo, per sicurezza, ma adesso mi trattengo per sentire i nostri programmi futuri.

- Non vorrei dare al nemico il tempo di organizzarsi, ma credo dovremmo aspettare che la probabile entità meta dei nemici che si innalzavano dal suolo di Gotha ricompaia - iniziò a rispondere Shepard, prendendo un bicchiere anche per Garrus, mentre Tali gli passava la bottiglia - Non voglio correre il rischio che compaia all’improvviso quando non ce lo aspettiamo. Dovremo tenere sotto costante controllo l’atmosfera di Gotha, restando in occultamento a debita distanza.
Fece una breve pausa e poi continuò - Il nostro obiettivo è la distruzione di ogni entità nemica, ma è probabile che qualcuna cerchi di sottrarsi allo scontro, magari per andare a cercare aiuto. Non so come ragionino, ammesso che il verbo abbia senso, questi nemici, ma fino a prova contraria supporremo che agiscano come ci potremmo aspettare da un nemico qualsiasi. Se provassero a fuggire non potremmo permetterci di farceli scappare: dovremo cercare di inseguirli per individuare da dove diavolo provengano questi Divoratori. Soltanto dopo torneremo sulla Cittadella per fare rapporto alle autorità galattiche.

°°°°°

Era ormai notte fonda quando Shepard si svegliò e, realizzando che Garrus non era ancora rientrato, lo andò a cercare nella batteria primaria.
Lo sentì chiacchierare, prima ancora di vederlo, e la domanda - Ma quanto tempo servirà ancora perché tu e papà possiate tornare su Palaven? - le fece immaginare che stesse parlando con Solana.
Decise di tornare indietro, per non disturbare, ma Garrus le fece cenno di avvicinarsi.
Quando le chiese a gesti se volesse salutare Solana, Shepard fece cenno di no, spaventata all’idea di parlare con una turian che, pur essendo sua cognata, era ancora una perfetta sconosciuta.

Al termine della chiamata Garrus la rassicurò - Guarda che mia sorella non morde e le avrebbe fatto piacere conoscerti. Avrei avuto qualche dubbio se fossi stato in comunicazione con mio padre - aggiunse ridacchiando, mentre provava a immaginarsi un improbabile colloquio amichevole fra Rennok e uno Spettro umano.
- Dove sono i tuoi adesso? - chiese lei, provando a sviare quel discorso: sapeva perfettamente che un giorno o l’altro avrebbe dovuto fare la conoscenza con loro, data l’importanza che i turian attribuivano ai legami famigliari ma, se era piuttosto intimidita al pensiero di parlare con Solana, era decisamente preoccupata all’idea di dover incontrare suo suocero.
- Ancora sulla Cittadella, anche se in teoria potrebbero spingersi fino alla Nebulosa del Serpente - rispose lui - Asari e Turian hanno collaborato alla riapertura dei portali fino a lì, per interesse comuni, ma adesso le due razze si sono divise e ognuna procede per proprio conto, con maggiore lentezza.
- Quindi ancora non giungono notizie da Palaven.
- Non direttamente.
- Ma hanno scelto un Primarca?
- Sì, certo. Ne hanno nominato uno il giorno successivo alla nostra partenza.
- E che tipo è?
- Non lo conosco. E neppure mi interessa conoscerlo. Io sono qui sulla Normandy, in giro per la galassia, e lui vivrà la sua vita su Palaven. Dubito che avremo mai modo, o motivo, di incontrarci.
- Sai come ha reagito tuo padre alla tua decisione di non diventare il Primarca? - chiese Shepard dopo qualche minuto di silenzio che trascorse guardando il turian all’opera. La inteneriva l’espressione concentrata che assumeva, conscia come in quei momenti Garrus perdesse qualsiasi contatto con la realtà che lo circondava.
- Suppongo che l’abbia accettata tranquillamente. Da noi le cose funzionano in modo diverso che da voi.
- Spiegami.
- Uhmmmm... - replicò lui infilando la testa dentro uno sportello - Ti piacerebbe il racconto delle usanze del mio popolo come storia della buonanotte?
- E’ accettabile.
- Allora vai su in stanza. Ti raggiungo in poco tempo - propose Garrus, e Shepard fu sicura che da quel momento in poi qualunque domanda gli avesse rivolto sarebbe stata soddisfatta a monosillabi o sarebbe rimasta senza risposta.

- La società dei turian conta ventisette livelli di cittadinanza, da quello più basso fino a quello di Primarca - le raccontò parecchie ore più tardi, perché il complemento in poco tempo, quando Garrus era impegnato nelle calibrazioni, assumeva un significato molto diverso da quello che gli attribuivano gli altri esseri viventi.
- Sono passato automaticamente al secondo livello durante il servizio militare, ma il terzo livello, quello che garantisce la cittadinanza formale, l’ho ottenuto dopo il campo d'addestramento militare. Le promozioni successive le ho acquisite come tutti i turian, sulla base delle valutazioni dei miei superiori, ossia di individui che appartengono ad un livello più elevato, e di miei pari - continuò a raccontarle tenendola fra le braccia e sussurrandole le parole vicino all’orecchio.
- Le promozioni vengono attribuite con molta cautela e accortezza perché se un turian venisse degradato, il disonore coinvolgerebbe anche tutti coloro che avevano espresso parere favorevole al suo avanzamento nella Gerarchia. Questo evita che si verifichino promozioni non meritate - precisò, mentre lei si girava lentamente per accarezzargli il viso con la punta delle dita.
A quel punto Garrus la baciò e cominciò a sollevarle la maglietta, ma Shepard lo fermò ridacchiando - Dopo, turian. Prima voglio sentire il resto.

- Ricoprire uno stesso ruolo anche per lungo tempo, ad un medesimo livello di cittadinanza, non è segno di insuccesso nella nostra cultura perché reputiamo estremamente dignitoso saper riconoscere ed accettare i nostri limiti. Difficilmente incontrerai un turian spinto dall’ambizione. Quindi mio padre non si sarà affatto risentito per il mio rifiuto di occupare l’ultimo grado della Gerarchia. Probabilmente ne sarà stato quasi sollevato...
- E cosa comporta essere più o meno alto di grado? - chiese Shepard, impedendogli ancora che lui le sfilasse la maglietta.
- I turian di livello più elevato devono guidare e proteggere i subordinati, mentre quelli di livello inferiore devono semplicemente obbedire ai superiori.
- E se un turian non volesse obbedire all’ordine di un suo superiore? - chiese ancora Shepard con voce rauca e bassa, facendo finta di imprigionargli le mani, ma strofinando il suo corpo su quello del marito.
- Si prova a rimettere il ribelle sulla retta via, ma se la riabilitazione fallisce, l’individuo verrà condannato ai lavori forzati, per il bene della comunità - concluse lui, liberandosi facilmente e imprigionandole i polsi a sua volta, prima di impossessarsi della sua bocca con una prepotenza morbida.

La mattina successiva Garrus portò su un vassoio con la colazione e sorprese Shepard mentre vomitava in bagno. Come risultato delle sue proteste circa il farsi visitare proprio in quei giorni così densi di impegni, il comandante si ritrovò la Chakwas ad attenderla sulla porta all’uscita della doccia.
- Sì - confermò la dottoressa dopo alcune analisi con il factotum - ci sono segni di rigetto. Nulla di preoccupante, ma non riesco a capire quali siano gli impianti interessati. Devi venire in infermeria, comandante, qui non ho gli strumenti necessari per indagini più accurate.
- Te lo puoi scordare in questi giorni - fu la risposta categorica e gli unici successi che la Chakwas riuscì ad ottenere furono l’assicurazione che Shepard avrebbe preso dei farmaci anti rigetto generici e la promessa che si sarebbe fatta visitare accuratamente alla fine dello scontro contro i Divoratori.

Furono necessari ancora un paio di giorni di preparativi perché tutto l’equipaggiamento fosse pronto per la battaglia contro i Divoratori e ne dovettero attendere altri due prima che la madre, così venne chiamata l’ultimo ammasso, il più grande di tutti, tornasse a comparire nei cieli sopra Gotha.
Nel frattempo la Normandy ferveva di attività, con tutto l’equipaggio impegnato in qualche compito. La più indaffarata fu probabilmente Tali, che si occupò personalmente di ogni singola arma e di tutte le armature, con una precisione talmente pignola per il più piccolo dettaglio che tutti si sentirono completamente fiduciosi sulle capacità dei nuovi potenziamenti.
Shepard si limitò a rassicurare coloro che le chiedevano un parere sulle loro effettive probabilità di successo e a fornire chiarimenti a chi dubitava di aver capito esattamente il proprio ruolo. Passò la maggior parte del tempo in sala mensa, per essere sempre reperibile e perché l’equipaggio si sentisse rassicurato dalla tranquillità che sfoggiava.

Di quelle ultime giornate, in seguito, Shepard ricordò esattamente tutti i racconti che Garrus le narrò prima che si addormentassero, per ingannare il tempo nelle lunghe ore di inattività forzata. Ma fu l’ultimo che le regalò mentre erano sdraiati al letto, in attesa del giorno successivo, che avrebbe segnato l'inizio della guerra contro i Divoratori, a restarle impresso nella mente con un grado di dettaglio quasi paragonabile alla prodigiosa memoria dei drell: al punto che, anche a distanza di anni, sarebbe riuscita a ricordare le parole precise che lui usò, i punti del racconto in cui si interruppe per darle un bacio o per farle una carezza, le sensazioni contrastanti che lei provò nell’ascoltare quella voce bassa e rauca il cui suono, nel buio, era sufficiente a incantarla e a sedurla, imprigionandola sotto un dominio che non avrebbe saputo, né voluto, contrastare in alcun modo.

Vitality



Durante quella notte, che nessuno dei due avrebbe potuto dimenticare, Garrus le raccontò una storia legata al possesso del suo primo fucile, ma non le confessò mai le sensazioni che aveva provato tenendola stretta fra le braccia, perché non sarebbe stato giusto alla vigilia di una battaglia complessa come quella che li attendeva da lì a poche ore.
Prese coscienza della sensazione di smarrimento che lo attanagliava nel momento in cui le si stese di fianco sul grande letto, infilandole il naso fra i capelli corti sulla nuca e abbracciandola, in quella posizione che lei amava tanto perché, gli aveva confessato, le regalava la certezza di essere nel luogo più protetto di tutta l’intera galassia.
La sentì appoggiarglisi contro, con forza, cercando di annullare la più minuscola intercapedine fra i loro corpi tanto diversi e sorrise al gemito di piacere che le sentì sfuggire dalle labbra: era rilassata e serena e si stava gustando quell’istante di pace completa prima dell’inevitabile tempesta che si sarebbe scatenata il giorno successivo, preceduta dalla riunione fra pochi intimi che aveva fissato per le prime luci dell’alba.
- Hai paura? - fu la domanda che le rivolse, per essere certo che avrebbe passato una notte tranquilla.
- E’ inevitabile. Non sappiamo neppure contro chi combatteremo - ammise Trinity sinceramente - Ma ci siamo preparati al meglio e abbiamo un equipaggio eccellente - aggiunse con fiducia.
- Ti va di ascoltare la storia del mio primo fucile? - le chiese, sapendo che ne sarebbe stata entusiasta. Cominciò a narrarle quel racconto di poco più di vent'anni prima, a partire dal momento in cui aveva scartato il pacco regalo, pieno di ansia, sapendo che, per tradizione e praticità, la prima arma di un turian era una pistola, quasi mai un fucile. Tuttavia, mentre le sussurrava quel racconto, parte della sua coscienza era smarrita in pensieri diversi, che non riusciva a cancellare e che lo riempivano di disagio.
“Non sono più il Garrus di un tempo, Shep” avrebbe voluto poterle confessare, mentre proseguiva invece a raccontare di se stesso, di Solana e di suo padre. La stringeva fra le braccia, conscio della piccolezza del suo corpo, della debolezza della struttura ossea degli umani, della delicatezza della sua carne.
“Non riuscirò a combattere come ho sempre fatto, con te al mio fianco. So che è sbagliato, ma è così” sentì che lo ammoniva la sua mente sincera, con un accento monocorde e rassegnato, quasi tentasse di annullare l'indignazione e la vergogna che sarebbero scaturite da quella ammissione, una volta che l'avesse accettata.
“Non riuscirei a sopportare di vederti morire. Non un’altra volta. E questo pensiero non mi abbandona, confonde i miei sensi, rende incerte le mie azioni, mi fa sentire insicuro e impacciato nelle valutazioni di rischi e opportunità. Tu non ci sei mai passata e non potresti neppure capire cosa intendo. Ma io, invece, non riesco a liberarmi da quei ricordi. Cercherò di non deluderti, domani, ma sono il primo a non fidarmi più di me stesso” si confessò, cercando di accettare la resa all'inevitabile.
Lottare contro quei pensieri, negarli, ricordandosi cosa volesse dire essere un turian e un soldato, era inutile: ci aveva provato più volte, da quando lei era tornata fra le sue braccia e, ogni volta, aveva dovuto assistere alla propria sconfitta.

Nel silenzio quieto e appagato dei minuti che trascorsero lenti dopo la fine del racconto, la sentì scivolare nel sonno, ma non riuscì ad arrendersi anche lui all'incoscienza del mondo reale che lo circondava: pensieri angosciosi continuavano a intrufolarglisi nella mente, riscuotendolo dalla ricerca del riposo. Domani avrebbe dovuto combattere e proteggerla, come aveva sempre fatto, e se la tranquillità necessaria per affrontare la battaglia imminente richiedeva che lui accettasse la sua inadeguatezza, avrebbe passato la notte a dipanare attentamente la matassa confusa delle sue sensazioni.
Riprese le elucubrazioni che aveva formulato più volte, ripensando alle tante occasioni in cui aveva ritenuto che Trinity fosse morta.
“Ti ho pensato spesso, Shep, nei due anni successivi alla distruzione della prima Normandy: il tuo ricordo mi ha portato su Omega e mi ha fatto diventare Archangel. Ma dopo di allora i miei sentimenti sono mutati e tu sei diventata la ragione della mia vita. Il tempo del ricordo è terminato allora, perché se di te restasse solo quello, il pensiero di te si trasformerebbe nell’essenza più sublime del dolore e non avrebbe senso spendere tempo inutile in giorni uguali e grigi, senza scopo” aggiunse quietamente, perché si stava semplicemente confessando una verità indiscussa, non modificabile.
“Non ho paura del dolore che soffrirei dopo la tua morte, perché quel 'dopo' durerebbe appena un attimo, una parentesi brevissima prima di raggiungerti in quel bar che ci aspetta dalla battaglia contro i Razziatori. Non ho paura di questo” si ripeté, con sicurezza.
“La mia paura è più sottile e infida: è quella di vederti morire sotto i miei occhi, mentre non riesco a salvarti” ammise sinceramente, sperando di riuscire ad arrendersi, ad accettare quietamente quel sentimento incontrastabile.
“Questa maledetta immagine continua a germogliare come un’erbaccia fra i miei pensieri e mi pietrifica, mi rende incapace di reagire con lucidità e determinazione, con sicurezza. Non riesco a convivere con il terrore di non poter far nulla, se non assistere passivamente” riconobbe con amarezza.
“L'unica possibilità che mi rimane è quella di dimenticare chi combatte al mio fianco e tornare ad essere il giovane turian che si coordina alla perfezione con i compagni d'armi, scordando chi sei veramente e quanto significhi per me. Non credo esista altro modo, non dopo quello che ho passato con le mani strette inutilmente attorno allo schienale della poltrona di Jeff” ammise, cercando di dimenticare la donna che teneva fra le braccia e concentrandosi sulla ricerca di quel sonno, necessario prima di una battaglia, che però sarebbe arrivato solo molte ore più tardi, quando mancavano ormai pochi minuti all'alba.

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Capitolo 13
*** Combattimento al buio ***


COMBATTIMENTO AL BUIO


Stay with me




Si svegliò poco prima dell’alba, almeno secondo l’orario che utilizzavano sulla Normandy: quello ufficiale in vigore sulla Cittadella.
L’aveva destata il pensiero della battaglia imminente. Sarebbe stato uno scontro diverso dai soliti, potenzialmente molto più pericoloso, perché le informazioni di cui disponevano erano esigue e le ipotesi formulate non erano state verificate.
Non si mosse, conscia del respiro lento di Garrus: era immerso in un sonno profondo. Probabilmente si era addormentato a tarda notte, perché gli occorrevano molte meno ore di riposo rispetto a lei.
Sorrise brevemente, sentendo che l'amore che provava per lui la colmava di un senso di calore confortante che si irradiava per tutto il corpo. Gli doveva la sua rinascita: più volte, negli ultimi mesi, lo aveva ferito, irritato e turbato; eppure, quel turian cocciuto era rimasto sempre al suo fianco, sicuro di se stesso e anche di lei, nonostante tutto, aiutandola a tornare ad essere il comandante Shepard e anche la donna che lo aveva fatto innamorare.
Finalmente si era liberata dal dolore e dalle paure: i tanti amici persi nella lunga guerra contro i Razziatori e quell’ultima scelta finale, che l’aveva quasi uccisa sulla Cittadella, avevano minato la sua identità e l’avevano scossa molto più di quanto avesse compreso al momento. Se ne rendeva conto solo ora, ripensando ai pensieri confusi e contrastanti che l’avevano sbattuta qua e là, facendole perdere equilibrio e certezze, lasciandola in balia di troppi dubbi, spesso irragionevoli.

Con le spalle appoggiate contro le placche del petto di Garrus, ne sentiva il respiro regolare e tranquillo alitarle appena sul collo: una delle braccia del turian era appoggiata sopra il suo fianco, con la mano racchiusa attorno a una delle sue. Se si fosse spostata lo avrebbe svegliato. Aspettò con pazienza, sperando in un suo minimo movimento inconscio.
Era capace di restare praticamente immobile per tutta la notte. A differenza degli umani, che si agitavano e si rigiravano più volte durante il sonno, Garrus decideva la posizione in cui si sarebbe addormentato e la manteneva quasi invariata fino al risveglio.
“Non resterei a dormire nel tuo letto se ci fosse la lontana possibilità che mi girassi nel sonno” l’aveva tranquillizzata una delle prime volte in cui era rimasto nella sua cabina, anche se lei non aveva pensato alla possibilità di restare ferita da quel suo carapace, nel corso di eventuali cambi di posizione.
Colse al volo l’istante in cui lui spostò il braccio e scivolò via, rinunciando anche a lavarsi per evitare che il rumore dell’acqua lo svegliasse.
Si diresse verso la sala mensa e preparò mezzo litro di caffè mentre chiedeva a IDA di convocare Jack, Joker, Liara e Tali, raccomandando loro di raggiungerla nel più breve tempo possibile. Poi si sedette su una sedia per bere in tutta tranquillità quella tazza amara e bollente.

Fu Jack la prima ad arrivare. Prese anche lei del caffè, aggiunse zucchero e latte in polvere, poi lanciò un’occhiata in tralice a Shepard - Il turian è raccomandato o non ha voce in capitolo?
- Buongiorno anche a te - fu l’unica risposta che ottenne.
Tali e Liara arrivarono poco dopo, quasi insieme: l’espressione assonnata dell’asari e i movimenti incerti della quarian fecero chiaramente capire che stavano dormendo profondamente al momento della convocazione di IDA.
Di Joker si sentì arrivare la voce non appena uscì dall’ascensore - Lo sapevo che non dovevo accettare quella maledetta promozione. Accidenti ai comandanti, agli Spettri e alle salvatrici della galassia. Che un dio qualsiasi fulmini tutte loro!

Una grande tazza di caffè zuccherato al punto giusto e un sorriso di comprensione fu tutto quello che Shepard gli offerse, prima di cominciare a tratteggiare per grandi linee la strategia di offesa, chiedendo loro di avanzare liberamente critiche e di esprimere qualsiasi dubbio.
- Cominceremo ad attaccare le entità in orbita attorno a Dholen. Le due Kodiak lasceranno la Normandy, aspetteranno i primi colpi del Thanix e solo dopo si uniranno al combattimento, partendo a tutta velocità in due direzioni opposte e distruggendo gli ammassi che si trovano all’estremo nord e all’estremo sud. In questo modo mi auguro di spiazzare il nemico, che si troverà attaccato su vari fronti contemporaneamente. Le navette dovranno tornare immediatamente a bordo della Normandy non appena completato il compito loro assegnato. Subito dopo andremo in occultamento e penseremo alle mosse successive, sulla base delle reazioni dei Divoratori.
- Il tuo piano sarebbe valido, se solo avessimo tre piloti... - osservò Joker fissandola con uno sguardo perplesso.
- Tu e Steve sarete sulle Kodiak, IDA piloterà la Normandy e userà il Thanix - replicò Shepard.
- Davvero vuoi affidare la mia nave ad una IA, comandante? - chiese Joker, spalancando gli occhi, mentre il caffè gli andava di traverso.
- Io sono la Normandy, Jeff - fu la solita precisazione che uscì dal comunicatore posto proprio sopra il tavolo, prima che Joker si alzasse in piedi e andasse a prendersi un’altra tazza di caffè, imprecando contro comandanti, Spettri, salvatrici della galassia e IA liberate a sproposito.

- La mia idea, in generale - aggiunse Shepard, una volta che Joker ebbe ripreso posto al tavolo - è quella di trascurare del tutto i globuli, anche perché sono quasi certa che si riorganizzeranno a formare entità di dimensioni maggiori. In questo caso diventeranno anch’esse un nostro possibile bersaglio. Nella seconda fase della battaglia ci occuperemo degli ammassi su Gotha e, infine, dell’enorme aggregato che orbita attorno al pianeta. Volete aggiungere qualche altra osservazione su quest’ultima entità?
- A parte il fatto che è più grosso di un Razziatore, non mostra differenze significative con i 'compagnucci' più piccoli - decretò Jack, alzando le spalle.
“I miei dubbi riguardano proprio le sue dimensioni: non ho idea di dove colpirlo” pensò Shepard un po’ preoccupata, ma decise di non palesare quel pensiero. Per quanto ne sapevano al momento, il gigante, che Jack aveva battezzato la madre, si sarebbe potuto scindere in entità molto più piccole.
- Va bene, diciamo che questa è la linea generale, soggetta a cambiamenti in vista di ciò che rileveremo. Darò qualche dettaglio più preciso dopo, quando convocherò l'intero equipaggio in sala tattica. Per ora vi anticipo che è mia ferma decisione evitare che i nemici scappino e, se questo dovesse accadere, sono intenzionata a seguirli per vedere dove si dirigono. Sarebbe un’informazione vitale, ammesso sia possibile procurarcela.
Di fronte ai taciti segni di assenso, fece escludere la sua cabina dal sistema delle trasmissioni, poi avvisò che l’intero equipaggio sarebbe stato convocato in sala tattica entro pochi minuti e tornò nel suo alloggio, dopo aver radunato una tazza e un paio di piattini su un vassoio.

Il rumore dell’apertura della porta fu sufficiente a svegliare Garrus che, vedendola entrare con ciò che usava prendere a colazione, le sorrise divertito - Coccolato di prima mattina... potrei finire per abituarmici.
- Forza pigrone, devo parlarti - gli rispose sedendosi sul bordo del letto e ripetendo i discorsi che aveva appena fatto giù, in sala mensa, mentre suo marito mangiava.
- Attaccare una nave spaziale più grande di un Razziatore (ammesso sia una nave spaziale, perché non abbiamo assolutamente idea di cosa diavolo sia), senza sapere nulla dei suoi armamenti, senza avere un’idea della potenza di fuoco e neppure delle sue difese... - commentò Garrus pensosamente, sgranocchiando l’ultima barretta che aveva intinto nel liquido oleoso contenuto in una tazza - uhmmmm, è una mossa veramente azzardata, anche per te.
- Hai un’idea migliore?
- Al momento no - ammise con un sorriso disarmato.
- Allora faremo a modo mio - replicò lei alzandosi dal letto e incitandolo - Forza, Vakarian, è tempo di combattere.
- Tutto l’equipaggio in sala tattica - ordinò infine, dopo aver aperto il sistema di comunicazione con tutti i ponti della nave.

Una volta che si furono tutti radunati, il comandante decise lo schieramento dell'equipaggio e assegnò i compiti.
- Formeremo due squadre per le due Kodiak: Alfa sarà composta da Jack, Cooper, James e Joker. Nella squadra Bravo ci saranno Liara, Javik, Garrus e Cortez. Con me, sul ponte, Foster e Tali. IDA si occuperà dei sistemi di navigazione della Normandy e del cannone primario. Tutto il resto dell'equipaggio rimarrà ai propri posti di combattimento usuali.
- Questa volta le comunicazioni saranno vitali - aggiunse - Ho bisogno di sapere cosa avviene sui vari fronti di battaglia. Tenetemi costantemente aggiornata in modo che io possa per coordinare le diverse squadre di attacco.
Fece una breve pausa e poi alzò il tono di voce per pronunciare l’ultimo discorso prima dell’inizio delle ostilità.
- Siamo in una posizione di vantaggio perché i Divoratori non si aspettano un nostro attacco. Non ce ne andremo da Far Rim prima di aver distrutto ogni entità, di qualunque dimensione essa sia, e lo faremo prima che il nemico riesca a capire con cosa ha a che fare. Se i Divoratori cercassero di scappare, li inseguiremo fino ai confini della Via Lattea - furono le frasi di apertura.
- Attaccheremo fra un’ora, cominciando dalle entità apparentemente in orbita stabile attorno a Dholen. Non ci occuperemo dei nemici minori a meno si uniscano per formare ammassi di dimensioni apprezzabili. In quel momento diventeranno anch'essi un nostro possibile bersaglio - continuò in tono deciso - Forza. Tutti ai propri posti. E’ ora di andare. Non lasceremo che questi Divoratori devastino la nostra galassia - concluse, avviandosi verso il ponte.

°°°°°

Alien 3 (End Title Music)



La Normandy si avvicinò in occultamento alla zona in cui erano posizionate le entità che circondavano la stella morente. Il portellone dell’hangar navette venne aperto e le due Kodiak uscirono, allontanandosi e prendendo posizione. A quel punto il Thanix fece fuoco sugli ammassi che si trovavano di fronte alla nave, a poco più di un chilometro di distanza, e tutto l’equipaggio rimase sbalordito di fronte alla violenza delle esplosioni che riempirono il cielo di bagliori violacei, che si propagarono nello spazio come se si trattasse di un superbo spettacolo pirotecnico.
La deflagrazione del primo bersaglio si estese infatti alle entità vicine, della dimensione di palle da biliardo, generando una sorta di cascata di sprazzi e scintille fumose che evidenziò il flusso dei globuli verso il lontano pianeta Gotha.
In seguito all'esplosione di quel primo imponente aggregato, Joker e Steve faticarono per qualche secondo a riprendere l'assetto degli scafi delle due Kodiak e a riallinearsi, ma al comando - Ora! Partite! - si diressero prontamente verso le zone assegnate, mentre la Normandy proseguiva sulla traiettoria di volo prestabilita.

Il successo iniziale di quella prima azione offensiva superò le più ottimistiche previsioni: il disordine nei movimenti di tutte le entità nemiche mise in evidenza come l’attacco le avesse colte di sorpresa e come la loro capacità di reazione fosse stata messa a dura prova. Le contromosse iniziali si rivelarono poco efficaci e scoordinate e non impegnarono eccessivamente gli equipaggi, che continuarono a far fuoco sotto le direttive di uno dei due biotici a bordo, mentre l’altro aggiornava costantemente la rotta da seguire.
La maggior parte dei bersagli colpiti continuarono a causare esplosioni a catena, che si propagavano in direzioni spesso inattese, evidenziando la posizione delle entità prossime a quelle bersagliate dalle armi dei tre scafi.
In breve, però, il nemico si riorganizzò: gli obiettivi primari scomparvero all’improvviso dopo che neppure la metà di loro si era estinto in bagliori fuligginosi, suddividendosi a formare entità minori. Anche la maggior parte dei globuli, che fino ad allora erano schizzati in giro, alla ricerca cieca della fonte dell’aggressione, si organizzarono in entità di dimensioni maggiori.
- Fate fuoco sui nuovi ammassi che trovate nelle zone che vi sono state assegnate - ordinò Shepard agli equipaggi sulle Kodiak, mentre scrutava attentamente lo spazio attorno alla Normandy - Ma tenetevi alla massima distanza possibile perché sono estremamente rapidi e capaci di angoli di virata per noi impensabili - aggiunse, dopo aver notato come quelle entità fossero in grado di effettuare sterzate impossibili.
Quei nuovi ammassi sembravano impegnati a setacciare regolarmente lo spazio circostante, senza che nessuno di loro se ne fosse preoccupato eccessivamente, fino a quando Jack avvisò Shepard - Stanno sparando. Lo stanno facendo alla cieca, per ora, ma non si limitano a scansioni di ricerca. Usano anche loro armi ad energia. Credo utilizzino quella loro dannata energia oscura, ma non ho un'idea precisa di cosa diavolo ci stiano tirando addosso.

- Interrompete l'attacco e tornate a bordo - ordinò Shepard alle due Kodiak, dopo essersi concentrata su quanto le aveva fatto notare Jack: i colpi del nemico erano assimilabili a delle sorte di violente onde di urto che si propagavano in forma sferica, con il centro rappresentato dall'entità stessa, e con un raggio di ampiezza variabile.
"Proporzionale alla grandezza dell'ammasso che lo genera?" si chiese automaticamente, senza però esserne troppo sicura: le era estremamente difficile individuarle, in mezzo a tutto quello a cui doveva prestare attenzione, per evitare che la Normandy finisse troppo vicina a qualche entità nemica o magari addirittura accerchiata.
Tornò a concentrarsi sulle Kodiak, sicura che i due equipaggi stessero cercando di protrarre ad oltranza il loro attacco, imbaldanziti dal pieno successo ottenuto in quella prima fase. Ma era troppo pericoloso restare a lungo in una stessa zona dello spazio, specie con la madre non troppo distante dalla loro posizione.
- Tornate a bordo. Immediatamente. E’ un ordine! - urlò nuovamente nel comunicatore, in tono deciso e irritato, notando come entrambe le navette se la stessero prendendo estremamente comoda, seguendo traiettorie volutamente ampie, in modo da poter colpire altri bersagli durante il viaggio di ritorno.
Una volta che rientrarono nell'hangar, proprio mentre la Normandy spazzava via gli ultimi due ammassi ancora nei paraggi con un paio di colpi precisi del Thanix, diede ordine di sganciarsi dalla zona di combattimento e IDA effettuò una brusca virata che li portò molto al di sopra della zona delle esplosioni, puntando decisamente verso ovest.

- Siamo in occultamento - comunicò la IA dopo pochi secondi, rassicurando Shepard e tutto l'equipaggio.
- Va bene. Allontanati ancora un po' e piega verso nord - rispose lei, prima di aprire il canale comune.
- Avete svolto un lavoro eccellente. Complimenti a tutti. Non credo si potesse ottenere un risultato più soddisfacente - fu il commento che risuonò su tutti i ponti, mentre ogni membro dell’equipaggio abbracciava con vero entusiasmo chiunque si trovasse lì vicino.
- Orbita attorno a Dholen restando a questa distanza - aggiunse poi Shepard rivolgendosi nuovamente alla IA - Voglio studiare le mosse del nemico.

- Se non ti spiace, comandante - obiettò la voce di Jeff che risuonò alle spalle di Shepard - vorrei riprendere il comando della nave.
- Chi ti ha detto di venire qui sul ponte? Torna immediatamente nell’hangar - fu la sola risposta che ottenne, da una voce decisamente alterata.
- Stai scherzando? - chiese incerto.
- No, non credo... - aggiunse poi, incontrando lo sguardo del comandante e affrettandosi a tornare sui propri passi.
- Le squadre Alfa e Bravo rimangano nei pressi delle Kodiak. Occupatevi di fare i rifornimenti necessari: la battaglia continua - avvisò poi Shepard nel comunicatore della nave, lanciando uno sguardo irritato anche a Garrus che aveva fatto capolino sul ponte per chiederle timidamente - Vuoi che controlli il Thanix?
- No, maledizione! Torna giù e restaci - gridò Shepard, mentre cercava di capire cosa stesse accadendo nella zona che avevano appena attaccato - Mandami su Jack, piuttosto - gli gridò dietro le spalle.

- Fammi un rapporto rapido, ma dettagliato - le ordinò, non appena se la vide comparire di fianco.
- Qui non è rimasto nulla a cui sparare - affermò Jack, facendo un lento gesto circolare con la mano destra - Però mi preoccupa questa sparizione di tutte le entità, specie perché preceduta dall'allontanamento di parecchi globuli.
- Non l'avevo notato.
- Molti sono rimasti coinvolti nelle esplosioni contro gli aggregati maggiori e si sono disintegrati a loro volta, altri si sono uniti a formare gli ammassi che hanno preso a perlustrare l'area e a spararci addosso alla cieca, ma altri ancora si sono allontanati quasi subito, appena dopo pochi minuti dall'inizio dell'attacco.
- Hai qualche idea su dove si stessero dirigendo?
- Non credo siano semplicemente scappati - rispose Jack in tono incerto - Non c’era alcun segno di panico: i loro spostamenti sembravano precisi e ordinati, ma non sono riuscita a seguirli a lungo.
- Ho intenzione di passare all’attacco dei depositi sul pianeta con modalità analoghe a quelle che abbiamo appena usato. Hai obiezioni o dubbi?
- Stai in guardia, Shepard - fu la risposta immediata, pronunciata in tono preoccupato - stavolta non li coglieremo di sorpresa - puntualizzò scuotendo la testa. Si fermò un attimo, scrutando lo spazio attorno alla nave, e aggiunse - Da qui non riesco a vedere cosa accade su Gotha, né dove sia la madre. Cerchiamo di capire la situazione, prima di suicidarci alla cieca.
- Non preoccuparti: non ho intenzione di perdere marito e casa - la tranquillizzò sorridendo.
- Beh, mi offro da farti da 'madrina' per un più noioso divorzio, in caso - commentò lei, sorridendo a sua volta.

- Passeremo a distruggere gli ammassi su Gotha - avvisò Shepard nel comunicatore della Normandy, "Ammesso siano rimasti ancora lì e non si stiano preparando a riceverci" precisò a se stessa, con un po' di apprensione.
- Le modalità resteranno le medesime, salvo che questa volta le due Kodiak si dirigeranno alle estremità est ed ovest della lunga teoria di ammassi che stazionano sul pianeta. Tenete presente che mentre sorvoleremo la superficie, la madre si aggirerà sulle nostre teste. Al momento si trova esattamente sopra di noi - precisò, sentendo che un brivido involontario le stava correndo lungo la schiena - ma potrebbe effettuare spostamenti con una velocità che non siamo in grado di prevedere. Dovremo aspettarci attacchi che provengono dall'alto. Questa volta staranno all'erta: tenete gli occhi bene aperti - concluse, prima di fare un cenno a Jack perché tornasse nell’hangar navette.
Attese che gli equipaggi riprendessero il loro posto sulla Kodiak e poi dette l’ordine - Tutti ai posti di combattimento. Si comincia.

The Dark Knight Rises



A differenza di quanto era accaduto in precedenza, dopo pochi secondi dall’attacco contro il primo ammasso, la zona circostante il punto di impatto del Thanix venne squarciata da migliaia di deflagrazioni che scoppiarono all'unisono nell’atmosfera rarefatta del pianeta a varie altezze dal suolo, interessando un'area di diversi chilometri cubici. Sembrava di assistere ad un bombardamento antiaereo, compiuto con una inquietante precisione millimetrica.
Shepard aveva previsto che il nemico stesse in guardia e fosse pronto a sferrare un contrattacco: l’assenza delle entità che dagli ammassi sul pianeta si dirigevano verso la madre la aveva impensierita fin dall'inizio. Quello che non aveva previsto era che il nemico fosse in grado di 'occultarsi', annullando l'emissione di energia oscura che lo rendeva visibile ai biotici.
Fu subito evidente che quelle nuove entità non potevano essere rilevate prima del momento dell'esplosione e che quell'avvistamento comportava comunque tali difficoltà da rendere chiaro che per ciascuna entità avvistata ce ne fossero necessariamente parecchie altre che passavano inosservate.
Quelle esplosioni globulari erano troppo rapide per poter essere schivate e deflagravano improvvisamente in mezzo a tutte le entità in perenne movimento alle quali dovevano prestare attenzione.
Nessuna delle Kodiak venne colpita nella fase iniziale di quella azione e la Normandy riusciva a mantenersi in un'area più tranquilla, data la maggiore gittata delle armi di cui disponeva. In ogni modo, la reazione del nemico dimostrò che i Divoratori erano pronti a combattere, anche se dimostravano di non essere ancora in grado di individuare il loro aggressore.
- Allontanatevi - fu il comando che Shepard gridò alle navette da sbarco - Alfa a est, Bravo a ovest: attaccate i depositi alle estremità della zona tenendovi alla massima distanza possibile. Probabilmente vedono benissimo i raggi delle nostre armi. Effettuate raffiche brevi, intervallate da continue manovre evasive. Rimanete in contatto con la Normandy e tenetemi costantemente aggiornata su qualsiasi cambiamento rileviate. Dovrete fare un'attenzione estrema a tutto quello che vi circonda. Voglio che i biotici mantengano costantemente gli scudi sullo scafo. Noi qui faremo lo stesso.

- Shepard, stiamo volando praticamente alla cieca, per quanto riguarda il fuoco avversario - confessò Jack dopo pochi minuti, con una voce in cui era evidente la rabbia che provava - Non riuscirei a schivare nessuno dei colpi del nemico e in più sono certa di avvistarne solo una minima parte - concluse, irritata dalla proprie capacità limitate.
“Lo so” avrebbe voluto risponderle “Sono sicura di vedere ben peggio di te e sono estremamente confusa da tutte queste sagome che saettano nel cielo continuando a cambiare forma e traiettoria... Non riesco certo a star dietro anche alle dannate esplosioni...” ma si limitò a ordinarle di mantenere gli scudi biotici più potenti possibili attorno allo scafo e di effettuare continue manovre evasive.
- Badate a non finire in rotta di collisione con nessun ammasso, neppure i più piccoli, e mantenete salde le barriere - ordinò nel canale generale, un po' sollevata dalla verifica che la protezione in cui aveva avvolto la Normandy era riuscita ad assorbire un'esplosione ravvicinata che avrebbe raggiunto la fiancata di babordo.
- Intensifica le manovre evasive - aggiunse poi rivolgendosi alla IA - Spara solo colpi rapidissimi, in modo che non ci possano tracciare sulla base delle traiettorie dei raggi, effettua brusche virate dopo ogni tiro e varia costantemente l’altezza in quota. Dobbiamo rendergli difficile la nostra individuazione. Siamo un bersaglio di dimensioni non trascurabili.

- Squadre Alfa e Bravo, richiedo aggiornamenti - domandò poi nel comunicatore, mentre forniva la nuova rotta alla IA e le indicava una traiettoria di tiro per il Thanix, centrando un nuovo deposito ed eludendo di pochi metri una piccola pattuglia di cinque entità, simili per agilità e grandezza ad intercettori turian, in chiara formazione d’attacco a V, che era spuntata improvvisamente dietro un’ampia costa rocciosa. Foster stava facendo la sua parte con perizia, ma le entità a cui prestare attenzione erano molto numerose e in continuo movimento. Era ovvio che il successo di quell'attacco non potesse prescindere da una buona dose di fortuna e, su quella, Shepard non ci aveva mai fatto molto affidamento.
“Dannazione! Non riesco a star dietro a tutto. Mi servirebbero altri biotici qui sul ponte” si rese conto, serrando le labbra.
- Qui Bravo: formazione di sette unità a ore 3, in rotta di collisione: ci stanno esplodendo addosso - rispose Liara, subito seguita dall'esclamazione - Per la Dea, vira tutto a sinistra - gridata con un’urgenza pressante che inquietò il comandante.
- Evitate a tutti i costi un contatto diretto - raccomandò, sicura che il nemico ne avrebbe approfittato per assorbire istantaneamente qualunque forma di energia, se non gli fosse esploso addosso con danni che non era in grado di prevedere.
- Maledizione! Non ce la faccio! - imprecò Cortez in tono agitato - ho perso il controllo del mezzo, i comandi sono and...

Dalla grande finestra sul ponte Shepard vide la navetta scartare improvvisamente, come un puledro imbizzarrito, mentre subentrava la voce di Garrus - Qui Bravo: la Kodiak è andata. Tutti i sistemi sono offline - avvisò nel canale comune - Atterraggio di emergenza. Tenersi ai supporti - continuò, mentre il veicolo stava precipitando sul pianeta in modo scomposto, rollando e beccheggiando vistosamente.
Piombò al suolo sollevando enormi nuvole di polvere e di sassi, continuando a sbandare in una corsa folle sul terreno irregolare fino a quando si arrestò di colpo, non appena la prua si schiantò contro una cresta rocciosa.
Istintivamente Shepard trattenne il fiato fino a quando la voce del turian giunse nuovamente nell'altoparlante del suo casco - Javik, mi senti? - lo sentì ripetere un paio di volte, senza che arrivasse alcuna risposta. Poi lo sentì ordinare freddamente - Liara, esci e allontanati dallo scafo.
Furono quelle le parole che chiusero la comunicazione nel canale generale, prima che Garrus si rivolgesse solo a lei, utilizzando quello privato.
- Comandante - sussurrò con un tono che lei capì all'istante cosa potesse significare - io e Liara siamo in attesa di soccorsi, se e quando potrai inviarli. Javik è stato scaraventato fuori dal portellone non appena la Kodiak ha toccato il suolo - la informò in un tono privo di accento che le serrò il cuore in una morsa. Aspettò con il fiato sospeso che suo marito le dicesse cosa era accaduto a Steve Cortez. E quando quel verdetto le arrivò alle orecchie, le sue labbra formarono la domanda “Sei sicuro?”, ma non riuscì a pronunciarla. Nonostante avesse voluto aggrapparsi disperatamente a quella speranza insensata, sapeva che era una domanda inutile. Annuì senza parole, sentendo un grumo spesso serrarle la gola.
Prima di abbandonare la Kodiak, mentre continuava a provare a mettersi in comunicazione con Javik, Garrus si limitò a togliere la catenina con la medaglietta dal corpo martoriato del pilota, a cui uno dei pannelli divelti dell’abitacolo aveva troncato di netto il braccio destro all’altezza della spalla e lo aveva decapitato allo stesso tempo, non lasciandogli neppure il tempo di accorgersi di cosa stesse accadendo o di provare dolore.

- Qui Alfa - fu la chiamata immediatamente successiva, giunta da Jack, che impedì a Shepard di riflettere a lungo su quanto era appena accaduto - Cooper è svenuto. La zona è pulita, chiediamo di tornare a bordo.
- Permesso accordato. IDA apri il portellone - replicò Shepard cercando di smettere di figurarsi Garrus e Liara appiedati sul pianeta, in balia del nemico e privi di qualunque forma di protezione.
Cercò di dar loro delle direttive sensate - Squadra Bravo, allontanatevi di almeno un centinaio di metri dalla Kodiak e sparpagliatevi. Sdraiatevi a terra e restate immobili, senza usare alcun tipo di energia, ma continuate a chiamare Javik. Stiamo venendo a prendervi - ordinò freddamente, prima di rivolgersi a Foster - Fai ripulire a IDA il cielo sopra di loro - gli ordinò, preoccupata dalla quantità di ammassi che avvistava in quella zona.
- Joker e James, restate a bordo della navetta: vi sto raggiungendo con Volus. Jack, raggiungi Foster sul ponte: attirate lontano i nemici che orbitano nei pressi della Kodiak abbattuta - ordinò seccamente, prima di aggiungere - Dottoressa, scendi nell’hangar con una lettiga per Cooper.
- Fino a nuovo ordine, tenete la Normandy lontana dei guai. Andate in occultamento appena possibile - fu l’ultimo comando che dette prima di abbandonare la postazione sul ponte per scendere nell'hangar, mentre cercava disperatamente di chiamare anche lei Javik senza ottenere risposta.
Assistette all'attracco dell’unica Kodiak ancora in grado di volare e aspettò che Jack ne uscisse, aiutando a caricare il corpo di Cooper sulla barella.
Saltò nella stiva subito dopo Volus, passando a James una grande cassa su cui aveva appoggiato un fucile particellare modificato.

Non appena giunsero nelle vicinanze della navetta abbattuta, si rese conto che quella zona sembrava abbastanza tranquilla, segno che Foster e Jack erano riusciti a sviare l'attenzione del nemico. Senza pronunciare una sola parola, si limitò ad indicare la direzione di volo con brevi cenni della mano. Joker aveva rapidamente individuato Liara e Garrus stesi contro la superficie giallastra polverosa e puntava verso di loro, pronto ad effettuare le necessarie manovre diversive.
- Volus, lancia dal portello i razzi di segnalazione che trovi nella cassa - ordinò Shepard quando si trovarono ormai nei pressi di Liara - Dirigili ovunque, tranne dove stanno i nostri compagni. Joker, atterra e spegni il motore.

“Abbiamo via libera” si rassicurò Shepard, dopo aver perlustrato attentamente l'area circostante, continuando a stringere con forza lo schienale della poltrona del pilota, dietro cui era rimasta per tutto quel tempo.
- Salite a bordo. Fate in fretta. Non ci sono nemici qui attorno - ordinò rapidamente nel comunicatore del casco, tirando un sospiro di sollievo.
- Joker, appena tornano a bordo voglio che sorvoli la zona, a partire dal punto in cui l’altra Kodiak ha toccato il terreno - aggiunse, senza riuscire ad abbandonare la speranza che il prothean si fosse salvato.
- Lasciatemi qui e decollate - rispose finalmente Javik nel comunicatore con un tono fermo, mentre Liara si bloccava a pochi passi dal portellone della Kodiak e Garrus, che ancora distava una decina di metri, si girava a scrutare la zona intorno a sé.
- Mi devo essere rotto una gamba e una caviglia nell'urto - aggiunse la voce del prothean, come spiegazione - Non ce la faccio a camminare.
- Dove sei? - chiese Shepard - dammi la tua posizione.
- E' stupido rischiare la vita di un intero gruppo per un singolo - fu la risposta secca - Andatevene.
- Decido io cosa è stupido e cosa no - ringhiò in risposta, mentre l'immagine di Cortez davanti al memoriale sulla Cittadella e quella in cui suonava la chitarra nel buio appena rischiarato dalla tenue luce di due lune le erano passate improvvisamente davanti agli occhi.
- Liara, resta qui - ordinò seccamente - James e Garrus, recuperate Javik: cercate nei pressi del punto di impatto.

Trattenne per un braccio Liara che aveva tutta l'intenzione di catapultarsi appresso ai due uomini e si mise a scrutare con attenzione la zona circostante, mentre le ordinava - Aiutami a rilevare i nemici.
- Fate in fretta - comandò poi alle due figure che stavano rovistando fra i rottami della Kodiak e l’ammasso di polveri e macigni ammonticchiati al suolo per liberare il corpo di Javik, rimasto sepolto sotto un grosso cumulo.
Le si strinse il cuore quando sentì che James usava il comunicatore nel casco per chiedere notizie di Steve, interrompendo per un attimo la ricerca. Anche da quella distanza vide Garrus fermarsi di botto e portare una mano sulla spalla del compagno. Non rispose a parole, ma scosse la testa e, dal rapido movimento con cui quei due compagni si sfiorarono le mani, immaginò che il turian avesse passato all’umano la medaglietta del caduto.
- Fate in fretta. Non abbiamo tempo - ripeté in tono fermo, sapendo che entrambi avrebbero compreso quella sua apparente freddezza insensibile, dettata dalla necessità di mantenere l’autocontrollo indispensabile per portare a termine quella dannata missione salvando i superstiti.

Shepard era preoccupata. Si rendeva conto che il loro arrivo non era passato del tutto ignorato dal nemico, perché le era ben visibile una formazione di cinque entità che si aggirava nei dintorni effettuando un accurato rastrellamento a tappeto. Quando le vide avvicinarsi pericolosamente, si rivolse a Volus e gli ordinò - Porta con te la cassa, allontanati di una quindicina di metri da qui in direzione est e lancia qualche altro razzo di segnalazione.
La manciata di minuti necessari perché Garrus e James riprendessero la via del ritorno, tenendo stretto fra di loro il corpo immobile di Javik, sembrò durare ore.
Stagliati contro l'orizzonte, quei tre davano l'impressione di muoversi al rallentatore su un deserto giallastro e rovente, e sembravano le sagome incerte di un miraggio vibrante.
Per tutto quel tempo la Kodiak rimase immobile con i motori spenti, mentre le due biotiche continuavano a scansionare attentamente l'area e si segnalavano a gesti i nemici che si avvicinavano maggiormente.
Poco prima che i tre compagni raggiungessero la navetta, Shepard richiamò l'alunno di Jack - Forza Volus, torna qui - lo incitò, fissando preoccupata un paio di altri piccoli ammassi che sembravano puntare decisamente verso la sua zona, come se avessero capito che era quella l'area da cui venivano sparati i razzi.
- Muoviti, per la Dea! Ce li hai alle spalle! - urlò Liara, notando altre tre entità che erano apparse dal nulla.
- Porca puttana! Lascia stare i razzi - aggiunse Shepard, sovrapponendo la sua voce a quella della asari, imprecando perché il ragazzo si stava preoccupando di radunare nella cassa quelli ancora inesplosi.
- No! - urlò poi, in tono sconvolto, non appena si accorse che Volus, in preda al panico, aveva buttato la cassa in terra e ora stava correndo a perdifiato verso la Kodiak, ben avvolto in una barriera protettiva di energia biotica.
- No! - strillò ancora nel microfono - Giù la barriera, maledizione! Ti farai amm... - ebbe appena il tempo di avvisare, prima di assistere ad una visione che non sarebbe più riuscita a cancellare dai suoi ricordi: una corsa disperata che si era spezzata all'improvviso in un assoluto silenzio.

Lo vide accasciarsi di colpo al suolo senza emettere neppure un gemito, come se uno spettatore dispettoso avesse tranciato di netto i fili alla marionetta di un burattinaio, e rimanere inerte sul terreno, con le membra scomposte in una posizione innaturale.
Trattenne James che si stava lanciando verso il ragazzo e urlò l'ordine - Via da qui. Subito! - saltando a bordo e tirandoselo appresso con un'imprecazione, mentre Liara e Garrus stavano aiutando Javik.
Ingoiò la rabbia che voleva trasformarsi in singhiozzi ed aggiunse seccamente - Normandy, dateci fuoco di copertura, attirate lontano questi maledetti bastardi.

“Due morti” pensò mentre scansionava automaticamente lo spazio attorno alla Kodiak “Ho perso due uomini in una manciata di secondi” continuò a ripetersi incessantemente, come un vecchio disco di vinile inceppato, senza riuscire a capacitarsi di quel disastro.
Erano state due morti stupide, che avrebbe potuto evitare se avesse conosciuto meglio il nemico e se avesse valutato meglio la situazione ed i compagni d'armi. Steve era morto perché lei aveva sperato in una fortuna che le si era rivoltata contro e Volus si era rivelato inadeguato al compito che gli aveva assegnato.
- Due errori, due morti - ripeté ancora, inconscia di stare articolando le parole, sia pure sottovoce. Garrus, che le stava al fianco, si limitò a scuotere la testa con rassegnazione, sapendo che non era quello il momento adatto per provare a farla ragionare.
La navetta arrivò illesa nell'hangar, anche grazie al triplice strato di scudi che i biotici le tennero addosso per tutta la durata del tragitto che sarebbe risultato pesantemente silenzioso se Shepard non si fosse tolta il casco per ordinare a voce a tutti i presenti di non accennare ad alcun avvenimento al quale avevano assistito.
A bordo della Normandy la situazione rimaneva relativamente tranquilla, anche perché, alla richiesta di notizie, lei si era rifiutata di rispondere, dicendo che avrebbe fornito tutti gli aggiornamenti del caso una volta che la battaglia si fosse conclusa definitivamente.
Aveva sottolineato l'urgenza di completare l'operazione e nessuno dell’equipaggio si era stupito. Erano tutti ben consci di quanto precaria fosse la loro situazione attuale, con parte dei nemici ancora in azione sul pianeta e la madre che sembrava essersi volatilizzata.
Il comandante riusciva a immaginarsi l'inarrestabile sequela di bestemmie con cui Jack avrebbe accolto l'inutile morte del suo allievo e il dolore che tutti i suoi compagni avrebbero provato nel conoscere la sorte di Steve. La necessità di avere un equipaggio attento e concentrato le impediva di rendere noti quei due disgraziati incidenti prima della conclusione dell'ultima operazione di attacco, che sarebbe potuta risultare molto più rischiosa delle precedenti.


Nota
Non si tratta di un mero artificio per tenere desta la vostra curiosità: ho interrotto qui il capitolo perché stava diventando veramente troppo lungo.
D'altra parte la fase conclusiva di questa battaglia merita, a mio giudizio, un capitolo a se stante.

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Capitolo 14
*** La madre ***


Premessa
Per una volta aggiorno prima di aver riletto tutto con la cura usuale. Credo di doverlo a tutti coloro che hanno (giustamente) espresso alcuni dubbi sul precedente capitolo.
Non mi ero resa conto che spezzandolo, come ho fatto, la spiegazione dell'operato di Shepard sarebbe stata rimandata.
Non so se questa spiegazione piacerà o meno, ma ammetto che in sua assenza il capitolo precedente poteva suonare davvero poco verosimile.
In ogni caso vi prego, come sempre, di farmi notare quello che non vi piace o non vi convince.
Continuo a ripetervi che sono conscia dell'impegno sproporzionato che mi sono assunta e vi sono estremamente grata per tutti i consigli, i suggerimenti e le critiche che avete avuto la pazienza di scrivermi fino a questo momento.
Ho cercato sempre di utilizzarli al meglio, anche se non sempre ci sarò riuscita.



LA MADRE


Wind Chill




Appena la Kodiak attraccò nell'hangar della Normandy, Shepard si avviò rapidamente verso la postazione di Joker, tallonata dagli altri compagni che si dirigevano ai propri posti.
- Tutti i biotici sul ponte – fu l'unico comando secco che impartì nel canale generale della nave, mentre correva.
- Sembra che abbiate fatto davvero una bella pulizia lì sotto - commentò Grunt con aria soddisfatta, ignaro di quanto era avvenuto sul pianeta sottostante, vedendo sfilare buona parte dell’equipaggio lungo il corridoio su cui si trovava.
Nessuno si fermò a guardare le visioni impressionanti che il krogan stava ammirando da qualche tempo dalla finestra: la superficie del pianeta era ancora dilaniata dalle ultime esplosioni, causate dal Thanix, che riempivano l'atmosfera di bagliori violacei, ma nessuno dei compagni che aveva combattuto su Gotha riusciva a rallegrarsi per quello spettacolo.
Se la morte di Volus poteva essere accettata dai più, anche perché causata dalla sua stessa inadeguatezza ed inesperienza, la scomparsa di un ragazzo abile e capace come Steve Cortez li affliggeva nel profondo. Avrebbero sentito acutamente la mancanza di quella sua naturale dolcezza e sensibilità d'animo che lo contraddistinguevano e lo avevano fatto amare da tutto l'equipaggio.

A poco o nulla erano servite le esortazioni che Shepard aveva pronunciato a bordo della navetta, nel tentativo di scuoterli da quell’angoscia. Avrebbero continuato a combattere anche per Steve, ma nessuna vittoria sarebbe riuscita a mutare in gioia quel sentimento di malinconia che offuscava i loro pensieri.
E mentre ognuno correva verso la propria postazione, James pensava con angoscia al momento in cui qualcuno gli avrebbe messo fra le mani la lamina che avrebbe dovuto apporre sul memoriale. Non riusciva a togliersi dalla mente le parole della vecchia canzone che aveva cantato accompagnando la musica della chitarra di Steve quella sera di pochi mesi prima: quel suo dolce e confortante ritornello ora strideva maledettamente con le sensazioni che lo sommergevano.
- Ho bisogno che tu vada a dare una mano a Tali che sta controllando il Thanix - gli aveva ordinato Shepard quando lo aveva visto guardarsi intorno con aria sperduta non appena era sceso dalla Kodiak, mentre stava istintivamente cercando la figura dell'amico chino dietro a qualche pannello di controllo o nei pressi delle postazioni delle navette. Non aveva molto senso quello strano ordine: James lo aveva capito subito, ma lo aveva eseguito con gratitudine. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare il silenzio di quella stanza, ma il comandante aveva cercato di posticipare quel momento di sofferenza e lui aveva semplicemente annuito in silenzio.

- Abbiamo distrutto molte entità su quel maledetto pianeta, ma non era quello il nostro obiettivo principale - dichiarò il comandante appena mise piede sul ponte, alle spalle di Joker - Quello che ora mi preoccupa è la scomparsa della madre - confessò in tono stanco.
- Shepard - la interruppe Jack, dopo aver scandagliato attentamente la superficie del pianeta sottostante - Non c’è più nessun agglomerato su quel cazzo di pianeta – decretò con sicurezza, prima di chiedere come fosse andata la missione di salvataggio della squadra Bravo.
- Dove sono andati i nemici? - chiese a sua volta Shepard, facendo finta di non aver sentito l'ultima domanda.
- Non lo so.
- Devo saperlo. Datti da fare – la pungolò appositamente in tono irritato, perché non pensasse ad altro.
- Ma davvero? Lo so benissimo, cazzo! Li sto cercando, maledizione! - le rispose Jack in tono ancora più irritato di lei.

- Joker, avvicinati alle coordinate sul monitor: erano quelle della madre, l’ultima volta in cui l’abbiamo avvistata - ordinò al pilota - ma resta a distanza di sicurezza.
- Abbiamo visto che possono occultarsi – aggiunse, rivolgendosi ai biotici riuniti lì sul ponte - Resteremo occultati anche noi, in attesa degli eventi. Dubito che siano in grado di sfuggire alle nostre rilevazioni se tentano di muoversi: ho idea che solo l'assoluta immobilità garantisca l'invisibilità al nemico. Quindi voglio che vi alterniate qui sul ponte: dobbiamo tenere d'occhio la situazione costantemente.
- Tenetemi aggiornata su qualsiasi modifica dello status quo. Anche la più banale - si raccomandò prima di avviarsi nel corridoio.

°°°°°

- Cosa ho fatto, Garrus? - chiese con un filo di voce entrando nella batteria primaria e mettendosi a sedere per terra appena varcata la porta, appoggiando le spalle e la nuca contro l'uscio chiuso.
- Non lo so, Shep – ammise lui fissandola e avvicinandosi, lasciando perdere immediatamente il macchinario che stava controllando – Ma dovevi avere delle buone ragioni per rischiare tanto: so quanto male ti possa sentire in questo momento – aggiunse sedendosi a sua volta sul pavimento, proprio al suo fianco.
- E' una storia complessa. Vuoi sapere perché non te ne ho parlato prima?
- Il perché lo so: tu sei il comandante e tu sei la persona che risponde del suo operato, di fronte a se stessa prima ancora che dinanzi al Consiglio o all'Alleanza. Non condivideresti con nessuno responsabilità come queste, neppure con me, soprattutto ora che i portali non ti consentono di metterti in contatto con le autorità.
- E così deve essere – aggiunse poi, prendendole una mano fra le sue e stringendogliela con forza, preoccupato per il suo pallore e impaurito che decidesse di tornare a chiudersi in se stessa - Condivido questo tuo modo di fare, da sempre. Però sono qui per ascoltarti, se finalmente hai voglia di parlarne.
- Tempo fa mi sono fatta lasciare una copia dei documenti che il Consiglio aveva inviato a Liara e Javik.
- Gli scritti prothean?
- Sì. Alcuni brani sembravano una sequela di farneticazioni, del tutto prive di senso, come mi avevano avvisato anche loro. Mi sono soffermata solo su quelli.
- E sei riuscita a decifrarli?
- Non io. E' stata IDA, una volta che le ho spiegato cosa volevo da lei.
- IDA?
- Le foto delle pagine del documento prothean mostravano anche il contenitore che le racchiudeva, apparentemente per proteggere i fogli plastici, più deperibili, al loro interno. Sembrava una cartellina fatta da due lamine sottili, forse metalliche, istoriate da una serie di segni. C'erano due soli simboli che si ripetevano: cerchio pieno e cerchio vuoto. Mi ha ricordato il metodo usato da noi terrestri per rappresentare le fasi del satellite della nostra Terra: luna piena e luna nuova.
- Non capisco...
- Mi ha colpito la stranezza della successione dei simboli. Se si fosse trattato di un semplice motivo decorativo sarebbe stata visibile una qualche regolarità di fondo. Invece quei simboli si succedevano senza alcun apparente ordine. Mi è venuta l'idea che le pagine incomprensibili potessero essere un tentativo dei Prothean di interpretare quelle stringhe di simboli dicotomici.
- Aspetta un momento. Non credo di riuscire a seguirti...
- Ho immaginato che, come noi, anche i Prothean avessero messo le mani su documenti risalenti a qualche ciclo galattico precedente e che stessero cercando di decodificarli. Ho pensato potesse trattarsi di un linguaggio binario, basato su semplice assenza-presenza. Magari un linguaggio utilizzato da esseri privi di voce, che comunicavano con battiti di palpebre o chissà in quale altro modo per noi inimmaginabile: una serie di zero e uno.
- Un linguaggio semplice, di base, così come quello usato da IDA...
- Sì, di sicuro un linguaggio molto più familiare per una IA piuttosto che per gli esseri organici del nostro ciclo galattico – precisò Shepard.
- E lo era?
- Sì, Garrus. Era un linguaggio compiuto. Aiutandosi anche con i tentativi di decrittazione compiuti dai Prothean, IDA mi ha dato una decodifica del testo, costituito dalla successione di simboli, pochi giorni fa. Ci sono ancora dei punti oscuri, che probabilmente resteranno intraducibili, ma il senso generale è evidente – affermò con sicurezza.
Fece una brevissima pausa, poi riprese a parlare in tono basso e monocorde - Ed è stato il contenuto di quel dannato documento a spingermi a rischiare la vita del mio equipaggio. Ora, però, non so più se, potendo tornare indietro, rifarei le stesse scelte.
- Cosa diceva quel testo?
- Il prezzo pagato è stato troppo alto, Garrus – fu la sola risposta.
- Come si fa a capire quando i rischi diventano troppo elevati rispetto ai benefici o alle necessità? - gli chiese poi, fissandolo con uno sguardo terribilmente afflitto e colmo di rimorsi.
- Io mi fido di te, da sempre. E il tuo equipaggio anche. Se hai fatto quella scelta è solo perché era l'unica possibile – rispose semplicemente, fissandola negli occhi con sicurezza.
La vide rialzarsi scuotendo la testa, segno che non era del tutto convinta. Non faticava a credere che il rischio che aveva corso si fosse in realtà dimostrato più azzardato di quanto lei avesse supposto in partenza. Forse aveva davvero sottovalutato il nemico, ma era impossibile fare valutazioni ragionevoli quando si doveva affrontare l'ignoto.
La vide tendergli una mano per aiutarlo ad alzarsi e la sentì stringerglisi contro solo per un attimo, mentre affondava il viso nell'incavo fra il collo e la spalla respirando contro la sua pelle. Sentì quel fiato tiepido per un istante appena, prima che si scostasse mormorando un debole – Grazie – senza neppure dargli il tempo materiale di completare il gesto con cui avrebbe voluto abbracciarla.
- Vieni in sala briefing – gli disse, prima di convocare lì l'intero equipaggio, con l'unica eccezione di un biotico, che sarebbe dovuto rimanere di sentinella sul ponte.

°°°°°

First Movement



- Siamo in una situazione di stallo: i nostri nemici si sono occultati e noi abbiamo fatto altrettanto – esordì, fissando le espressioni dei compagni.
- Al contrario di noi, i Divoratori non sanno schermare le emissioni di energia. Quindi sappiamo che sono immobili da qualche parte in questo sistema. Probabilmente stanno elaborando una qualche strategia e lo stesso faremo anche noi – continuò con fermezza.
- Solo chi è sceso con me sul pianeta sa cosa è accaduto nell'ultima azione, ma è necessario sappiate che ci sono state due vittime – annunciò, prefigurandosi le inevitabili reazioni del suo equipaggio.
Non dovette aggiungere altro: bastò quella premessa perché nel giro di pochi decimi di secondo le generalità dei caduti fossero note a tutte le persone ammassate nella stanza. Udì ripetere distintamente i loro nomi più volte, nel mezzo del brusio confuso di tante voci che parlavano tutte assieme.
- So che qualcuno di voi pensa che abbiamo preso dei rischi enormi, che possono apparire ingiustificati – ricominciò a dire, non appena i bisbigli cominciarono a scemare.
Colse lo sguardo duro di Jack che la stava fissando come se volesse scaraventarla fuori dalla Normandy con uno schianto biotico, ma ciò che la turbò veramente fu l'angoscia muta e disperata negli occhi di James.
- Non è stata solo l'impossibilità materiale di comunicare con il Consiglio o con l'Alleanza a decretare la mia linea di azione, che può esservi apparsa azzardata (“Se non del tutto sconsiderata” ammise con se stessa, senza pronunciare quell'inciso) – aggiunse con fermezza, fissando con sguardo deciso chiunque sembrasse sul punto di uscirsene con un commento qualsiasi – ma avevo la necessità di agire in tempi rapidi e di sfruttare un'occasione che avrebbe potuto non ripresentarsi per intere generazioni.

- Liara è sul ponte e Javik è in infermeria, ma entrambi possono ascoltare quanto vi sto per raccontare – continuò a dire, rendendosi conto che, mentre parlava, stava riflettendo su quale sarebbe dovuta essere la loro prossima mossa. Sapeva che, a quel punto, la decisione più ovvia consisteva in una veloce ritirata, ma non era affatto certa che il nemico avrebbe consentito loro di andarsene indisturbati.
- Da quando siamo partiti dalla Cittadella, i nostri due amici si sono occupati di decodificare alcuni documenti. Ciò che non sanno è che le parti che non sono riusciti a comprendere rappresentano il tentativo dei Prothean di decrittare una testimonianza risalente a un precedente ciclo galattico – continuò a raccontare, sapendo che quella era la prova generale di un discorso che avrebbe dovuto ripetere più volte. Avrebbe dovuto giustificare alle autorità la morte di due membri del suo equipaggio e lei era la prima a non sapersi perdonare. E se anche aveva ormai deciso per una prudente ritirata, nulla le faceva sperare di poter evitare altre nuove vittime: doveva far capire, al suo equipaggio prima e alle autorità poi, l'urgenza incalzante e l'assoluta necessità di assumersi un rischio che non era stata in grado di calcolare. Forse, un giorno, sarebbe riuscita a farlo capire anche a se stessa, si augurò con angoscia.

- Anche quegli sconosciuti abitanti della Via Lattea, non so quanto precedenti ai Prothean, avevano individuato i Divoratori e volevano combatterli per evitare l'annientamento delle stelle e la disgregazione della galassia. Tuttavia, pur avendo esplorato una regione molto più vasta di quella che noi conosciamo attualmente e pur avendo avvistato in più occasioni il nemico, non erano mai riusciti a recuperare informazioni utili per contrastarli. I sistemi offensivi dei quali disponevano erano risultati del tutto inefficaci, nonostante i loro numerosi tentativi e le diverse strategie utilizzate. Avevano però scoperto che l'inizio e la fine del processo con cui quelle entità spillano l'energia delle stelle è scandita dall'arrivo di un nemico di dimensioni gigantesche, che ho motivo di credere sia quello che abbiamo denominato madre - dichiarò freddamente, fissando lo sguardo su Jack, per provare a intuire cosa stesse pensando.
- Vuoi dire che i Divoratori stavano per togliere le tende? E che noi li abbiamo attaccati proprio mentre se ne stavano per andare spontaneamente? - chiese la biotica con un tono velenoso che grondava rabbia.
- Esattamente.
- Suona piuttosto sconcertante. Attaccare un nemico che sta abbandonando il campo... Non potevamo solo osservarli, o seguirli, o che cazzo ne so? - domandò ancora la ragazza, dando voce ai dubbi che più di una persona nutriva.
- No, non potevamo. Avremmo perso definitivamente traccia dei Divoratori. Potete ritenere certo che non vivono nella Via Lattea – rispose a voce alta, cercando di sovrastare il brusio agitato di sottofondo.
Bastò quell'affermazione a far ripiombare il silenzio nella stanza, mentre ciascun membro dell'equipaggio smetteva di parlare con il vicino e tornava a prestarle attenzione.

- I Divoratori vengono nella nostra galassia solo per fare provviste di energia, poi tornano a casa loro. Se ritengono che un sistema non sia sicuro, si limitano a cambiare zona: non utilizzano impianti o sovrastrutture e quindi non hanno motivo di presidiare una particolare regione. In base alla documentazione che abbiamo decifrato, si limitano a effettuare i rifornimenti: non hanno alcun interesse ad aggredirci. Si sono limitati a difendersi ogni qual volta hanno ritenuto di essere sotto attacco – seguitò a riferire – cambiando la localizzazione scelta per gli approvvigionamenti quando sono stati disturbati.
Fece una breve pausa per raccogliere le idee e poi riprese a parlare.
- Gli esseri che hanno vissuto in un ciclo precedente a quello dei Prothean avevano esplorato il 30% circa della Via Lattea, ma avevano incontrato i Divoratori solo in rare occasioni. Voi sapete bene che nella galassia ci sono all'incirca quattrocento miliardi di stelle e che noi ne abbiamo visitato una percentuale ridicolmente inferiore. Se i Divoratori avessero abbandonato Far Rim, quante probabilità avremmo avuto di ritrovarli? E fra quante generazioni? - chiese, facendo passare lo sguardo sui volti che la stavano fissando con attenzione.

- Dovevo verificare che fossimo in grado di combatterli e adesso sappiamo che possiamo farlo. Probabilmente siamo la prima razza della galassia ad aver trovato delle armi valide – affermò, facendo una nuova pausa e fissandoli uno per uno, cercando di capire se avevano compreso la portata del risultato ottenuto. Non contava quanti Divoratori avessero effettivamente sterminato, né quanti ne rimanessero. Contava solo sapere che potevano annientarli. Forse erano loro i primi in grado di farlo, da quando quegli esseri avevano fatto la loro comparsa nella Via Lattea.
- Abbiamo attaccato i Divoratori che orbitavano attorno a Dholen, quelli ancorati su Gotha e tutti quelli che ci sono comparsi davanti e ogni volta i risultati che abbiamo ottenuto ci hanno confermato che siamo in grado di annientarli.
- E ora è venuto il momento di attaccare la madre e di vendicare i nostri caduti – la interruppe James, con uno sguardo in cui l'angoscia e il dolore erano stati sostituiti dal desiderio di vendetta.
- No, soldato – rispose Shepard scuotendo la testa e parlando lentamente, quasi volesse scandire ogni singolo vocabolo – Non verificheremo se siamo in grado di distruggere anche la madre. E' venuto il momento di tornare a casa e di fare rapporto alle autorità, senza rischiare inutilmente altre vite.
- Abbiamo tutte le informazioni che ci occorrono e, se anche non fossero proprio tutte, perché la madre potrebbe avere una struttura diversa da quella dei nemici più piccoli, non sono disposta a correre ulteriori rischi. Fra l'altro, l'esplosione di un ammasso di quelle dimensioni potrebbe risultare più devastante dell'esplosione di una supernova.

- Comandante, posso farti una domanda? – chiese una vocina sottile e cristallina, del tutto inconfondibile.
- Certamente, Tali – rispose il comandante, cercando il suo visore fra la folla che la circondava.
- Perché sei certa che i Divoratori non vivano all'interno della Via Lattea? - domandò la quarian e subito dopo, prima che Shepard cominciasse a rispondere, aggiunse - E hai una vaga idea di dove risiedano abitualmente?
- Gli scienziati di quella razza antica di cui vi ho parlato prima erano certi che il nemico non abitasse qui, ma provenisse da una galassia diversa. Nel documento si ritiene probabile che vengano da una galassia che noi definiamo 'spenta', cioè da una galassia in cui non si creano più nuove stelle.
- Fammi ragionare un attimo, voglio tirare alcune conclusioni dalle tue ultime affermazioni, in relazione a ciò che ci è già noto da tempo - la interruppe Tali, in tono meditabondo. Aspettò il cenno di assenso di Shepard e riprese a parlare molto più lentamente, perché stava ragionando ad alta voce.
- Sappiamo che i Razziatori risiedevano nello spazio oscuro, ossia nello spazio tra le galassie, per la maggior parte del tempo, e sappiamo anche che quando sostavano lì entravano in stasi per periodi lunghi migliaia di anni, fino al momento in cui ricevevano il segnale che li avvertiva che era giunto il tempo di procedere ad una nuova mietitura. Questo mi spinge a credere che i Divoratori non risiedano normalmente nello spazio oscuro, o i nostri vecchi amici non si sarebbero sentiti al sicuro e non sarebbero andati in stasi proprio lì. D’altronde anche a me appare improbabile l'ipotesi che vivano all’interno della Via Lattea o li avremmo avvistati più volte nei tempi passati, così come li avrebbero avvistati i Prothean. Hai anche una qualche idea su come farebbero ad arrivare fino da noi? - concluse la quarian interrompendosi di botto, come se si fosse vergognata per tutto quel lungo sproloquio. Shepard sorrise istintivamente, non per la domanda, ma per il tono in cui era stata pronunciata. Sapeva di aver fatto un'affermazione talmente bizzarra da essere ai limiti della credibilità, eppure la quarian non aveva reagito con incredulità esterrefatta, ma con semplice curiosità.
- Il tempo necessario per effettuare un qualsiasi viaggio intergalattico, anche il più breve, rende altamente improbabile questa tua ipotesi, Shepard – osservò a quel punto Joker in tono perplesso.
- Non è una mia ipotesi, Jeff – cominciò a rispondere, ma venne interrotta da un'altra voce che si sovrappose alla sua.
- Pensavamo qualcosa di simile anche a proposito dei viaggi fra sistemi solari diversi, prima della scoperta dei portali - osservò James, che riusciva ancora a stupirsi per quel ritrovamento così recente, che aveva permesso di esplorare porzioni della galassia fino a quel momento ritenute irraggiungibili per l’umanità intera.
- State davvero ipotizzando l’esistenza di portali fra galassie? - domandò Joker in un tono ancora dubbioso, ma non più incredulo.

Shepard si limitò a fissare l'equipaggio che la circondava, aspettando di vedere se qualcun altro volesse fare domande o osservazioni: era stupita di quanto interesse mostrassero per quell'argomento, nonostante l'angoscia per le recenti perdite. Sembrava che avessero compreso l'urgenza con cui lei aveva agito molto meglio di quanto lei stessa si aspettasse. La fiducia con cui accoglievano ogni sua decisione non si era indebolita, pensò con gratitudine infinita.
Non appena aveva avvistato la madre aveva deciso che non poteva perdere quell'occasione: aveva optato per un azzardo che non le era congeniale, perché non avrebbe avuto una seconda chance. E ora le sembrava che l'intero equipaggio avesse compreso quel suo punto di vista, condividendolo in pieno, senza dubbi residui. Stavano andando oltre la tragedia: stavano pensando al dopo.
Cercò di studiare l'espressione di Jack senza fissarla direttamente, ma la ragazza agevolò quel compito intervenendo direttamente nel discorso.
- Adesso sono io ad avere delle domande – intervenne infatti lei a quel punto - Chi avrebbe costruito questo fantomatico portale? E come diavolo potremmo trovarlo?
Fu la quarian a rispondere, stringendosi nelle spalle - Potrebbero averlo costruito i Divoratori stessi, ma chissà quando. Magari miliardi di anni fa, quando le galassie erano vicine fra di loro e non distanti quanto adesso. Ma questa è una semplice supposizione.
- Per quanto riguarda invece la ricerca di un possibile portale - continuò poi – suppongo che non sappiamo in quale settore si trovi, né che dimensioni abbia e neppure di cosa sia fatto. Potrebbe essere addirittura invisibile ai nostri occhi e a qualsiasi apparecchiatura di rilevamento attualmente utilizzata – concluse con aria rassegnata.

- In realtà forse abbiamo una vaga traccia, ma al momento temo sia piuttosto inutile – rivelò Shepard, mentre tutti ammutolivano istantaneamente e si giravano a fissarla con vivo interesse – Gli scienziati che hanno stilato quel documento affermano che in una particolare regione della Via Lattea hanno rilevato la presenza di diversi resti di esseri che, in base alle loro descrizioni, potrebbero essere Razziatori. E' abbastanza ragionevole immaginare che sia quello il settore in cui è contenuto il portale: sappiamo infatti che i nostri vecchi nemici si erano effettivamente battuti contro i Divoratori, senza però riuscire a sconfiggerli. Ma il nome utilizzato per identificare quella zona della nostra galassia, come pure i settori vicini, non ci suggeriscono dove possa trovarsi. Non siamo in grado di ricavare alcuna informazione sulla posizione di questo portale dai documenti di cui disponiamo – precisò in tono rassegnato.
- E d'altronde, se avessimo avuto la sia pur minima possibilità di trovare quel portale, non vi avrei mai trascinato in un attacco rischioso come quello che abbiamo appena concluso.

- E quindi? Cosa facciamo a questo punto? - chiese Joker.
- Vorrei andarmene alla svelta, ma non ci muoveremo alla cieca: i Divoratori potrebbero essere ovunque e potremmo finirgli dritti fra le braccia.
- Dobbiamo costringerli a uscire dall'occultamento – suggerì Garrus – potremmo usare un'esca... - aggiunse pensieroso.
- Potresti programmare Chatika e magari anche qualche altro drone? - chiese Shepard fissando la quarian.
- Senza dubbio! - rispose Tali, tutta effervescente all'idea di potersi rendere utile per farli uscire da quel dannato impasse.
- Resteremo immobili in occultamento fino a quando la nostra esca non sarà pronta. Nel frattempo IDA e Sam si occuperanno di creare un sistema di isolamento della nave, che consenta l'immediata esclusione di un qualunque settore che potesse essere accidentalmente colpito dall'impatto di un Divoratore. Dobbiamo essere certi che la Normandy non venga disattivata in blocco: tanto più circoscritto sarà l'eventuale danno, tanto maggiori chance avremo di non subire conseguenze troppo gravi per un eventuale incidente.

°°°°°

- Lì - gridò Jack, improvvisamente - C’è la dannata madre, scortata da migliaia di ammassi minori. Stanno mantenendo un fuoco di sbarramento in ogni direzione.
Jack e Liara si trovavano ai fianchi di Shepard, sul ponte della Normandy, e tutte e tre le donne stavano scrutando attentamente lo spazio attorno alla nave fin dal primo momento in cui i droni preparati da Tali erano stati sganciati e diretti in differenti direzioni. Seguendo quell'indicazione, Shepard avvistò facilmente il grosso ammasso. Era di dimensioni gigantesche. Sembrava molto più imponente di pochi giorni prima e la rete protettiva in cui era avvolta faceva comprendere l'importanza che i Divoratori attribuivano a quella speciale entità.
Sarebbe stata una pura follia cercare di abbattere un nemico di quelle dimensioni, protetto com'era dalle continue esplosioni che si espandevano intorno all'entità con un raggio di svariati chilometri.
- Per ora siamo fuori della loro portata - constatò Shepard – e non mi pare si stiano interessando ai droni. Mi sembra anzi che si stiano allontanando volutamente dalle loro traiettorie.
- Stanno scappando, Shepard – confermò Jack con sicurezza – Ma ce ne sono altri che stanno attaccando le nostre esche – aggiunse poi, mentre uno dei monitor sul quadro dei comandi di fronte a Joker emetteva insistentemente un 'bip'.
- Uno dei droni è andato – commentò Tali – e gli altri due sono stati danneggiati. Dovremmo muoverci ora, prima che li abbattano.
- Resta in occultamento e dirigiti al portale, Jeff – ordinò Shepard appoggiando una mano sulla spalla del pilota e stringendogliela leggermente.
Non si accorse di continuare a serrarla con forza crescente fino a quando il pilota se ne uscì con un – Comandante, non guiderò meglio con una clavicola spezzata...
Sorrise nervosamente e gli lasciò andare la spalla, mentre continuava a fissare ansiosamente lo spazio vuoto che ancora li separava dal portale.

L'attacco che disattivò all'istante tutti i sistemi di una piccola sezione di babordo li colse del tutto impreparati.
- Cosa diavolo succede? - chiese Joker, sentendo che la nave sbandava senza motivo, scartando e impennandosi improvvisamente.
- Siamo stati colpiti – sussurrò Shepard, sentendo che impallidiva improvvisamente, mentre il sudore freddo le ricopriva tutta la pelle.
- La zona colpita è stata isolata istantaneamente. L'assorbimento di energia non si è propagato ai settori limitrofi. Compenso il danno al sistema di navigazione utilizzando un circuito secondario – avvisò IDA.
- Proseguo o mi fermo? - chiese Joker in tono preoccupato.
- Sapevano che saremo passati da qui? Probabilmente vedono i portali. Dannazione! - esclamò Shepard, visibilmente preoccupata.
- Dimmi cosa devo fare. Manca veramente poco al portale. Provo a raggiungerlo comunque?
- No! Maledizione, no! Manovre evasive e resta in occultamento - ordinò Shepard, mentre si precipitava verso il comunicatore sul ponte.
- Steve, inserisci il pilota... - iniziò a dire. Si morse le labbra e ricominciò – Garrus, scendi nell'hangar. Inserisci il pilota automatico della Kodiak, apri il portellone e stai pronto a inviarla verso le coordinate che ti darò fra poco.
- Non credo di aver capito... Devo salire anche io a bordo?
- No! - urlò, senza riuscire a controllare il tono della voce – Inserisci solo il pilota automatico: devi tenerti pronto a spedirla fuori del portellone, con le armi in funzione. Ma tu resta a bordo della Normandy! - esclamò spazientita e spaventata all'idea di non essersi fatta capire - Forza, muoviti! - lo incalzò - Prepara quella dannata navetta.
- Scendo a dargli una mano – comunicò James, prima di avviarsi a sua volta verso l'hangar.
- Ditemi quando siete pronti.

- Invieremo la Kodiak come manovra diversiva, nella speranza che le dannate entità si occupino di lei, escano dall'occultamento e ci consentano di attraversare il portale - chiarì Shepard a coloro che stavano sul ponte.
- Joker, seguirai le istruzioni di Jack - aggiunse, affidando alla biotica la guida della Normandy - IDA, tieniti pronta a usare il Thanix, anche se spero che non saremo costretti a far fuoco.

°°°°°

Non appena la Kodiak uscì dall'hangar navette con i cannoni puntati verso il portale, i biotici furono letteralmente sconvolti dallo spettacolo che si presentò ai loro occhi: centinaia e centinaia di globuli erano improvvisamente comparsi dal nulla, esibendosi in un fuoco di sbarramento così fitto da non poter sperare di passare indenni. Ma quella tattica nemica rendeva facile anche l'eliminazione delle entità. Ravvicinate come erano, le armi della Kodiak colpirono quella nube di globuli nel centro, in prossimità del portale, e generarono un'esplosione che si espanse con una potenza devastante, che sbatté la Normandy come un fuscello nel mezzo di una tromba d'aria.
Per lunghi istanti non ci fu più un sopra o un sotto, mentre i membri dell'equipaggio sbatterono violentemente contro le paratie e i macchinari, ferendosi nell'urto contro superfici affilate e contro spigoli acuminati.
- Porca puttana – se ne uscì Jack, mentre Joker cercava di rimettere in assetto lo scafo che, per effetto dell'esplosione, si stava allontanando rapidamente dalla sua meta. Il pilota muoveva freneticamente le dita sulla strumentazione di bordo, continuando a ripetere la sua solita interiezione mentre rimetteva la Normandy in rotta verso il portale. Nel frattempo Shepard tentava vanamente di rialzarsi, spostando il corpo di Liara che le era piombato addosso schiacciandola sul pavimento, per scrutare lo spazio al di là delle grandi finestre di prua.

In quel trambusto nessuno si accorse che lo scafo era stato colpito in più punti da diversi globuli. Tre di essi avevano assorbito l'energia di altrettante sezioni dello scafo, mettendo fuori uso tutti i sistemi collegati, mentre un altro paio era esploso contro il rivestimento esterno, aprendo un paio di falle.
- Uno dei serbatoi di eezo esploderà in pochi minuti – avvisò IDA, dopo aver valutato le conseguenze inevitabili del danno subito.
- Non puoi svuotarlo o sganciarlo? - chiese Shepard, sapendo di formulare una domanda stupida.
- Suggerisco di usare le capsule di salvataggio – fu l'unica risposta della IA, che suonava più pressante di un semplice consiglio – Un'esplosione di eezo potrebbe avere delle conseguenze inimmaginabili se alcune entità fossero nelle vicinanze. Vi richiamerò a bordo non appena stabilizzerò la situazione.
- Evacuazione immediata: tutti alle capsule – ordinò Shepard nel comunicatore.
Poi si rivolse solo a IDA - Verifica la condizione di ogni veicolo, usa il corpo di Eva per aiutare Joker ad entrarci e... Fai suonare l'allarme – ordinò dopo un attimo di pausa, restando a controllare la situazione esterna dalla finestra di prua, ma senza riuscire a registrare assolutamente nulla con i suoi occhi troppo gonfi di lacrime.
Non si accorse di essere diventata cerea e che il mondo aveva cominciato a roteare davanti a lei. Non avvertì neppure il suono dell'allarme che IDA aveva prontamente azionato.
Quelle sirene, che non avevano mai suonato prima, colmarono di un suono straziante lo spazio all’interno di ogni stanza e corridoio e seminarono un certo timore nel cuore di ogni membro dell’equipaggio.
Nell’immaginario di ciascuno la Normandy era invincibile, al pari del suo comandante, e l’abbandono forzato di quel ventre così accogliente sembrò quasi più doloroso di un addio definitivo alla propria madre.

Life & Death



Al primo suono della sirena, Garrus aveva preso il suo fucile di precisione e si era diretto sul ponte che conteneva le capsule di salvataggio, aveva aperto i portelloni e controllato che fosse tutto in ordine e infine aveva dato una mano a chi arrivava.
Una volta che non rimase nessun altro da aiutare, si rese conto di non aver visto Trinity. Si girò a guardare IDA che stava aiutando Joker e le chiese dove si trovasse il comandante.
- E’ ancora sul ponte - rispose la IA, dopo pochi decimi di secondo impiegati a scansionare l’intera nave. Non fece in tempo ad aggiungere - Credo sia svenuta - che Garrus stava già correndo verso l’ascensore, imprecando contro la sua leggerezza: doveva aspettarsi che si sarebbe dimenticata di mettersi al sicuro, passando tutto il suo tempo a occuparsi degli altri membri dell’equipaggio e della stramaledetta nave.
La trovò riversa sulla poltrona di Joker.
La prese fra le braccia e corse nuovamente giù, provando a rianimarla in ascensore. Gli sembrò che lei reagisse blandamente, ma non perse tempo a verificarlo e inserì il suo corpo svenuto all’interno della prima capsula libera.

- Entra anche tu. Non è rimasto nessun altro a bordo. Vai, non c’è più tempo! - gli gridò la figura di Eva, mentre correva verso di lui per aiutarlo. Ma in quel momento, a causa dell'eccessiva pressione interna, si aprì una nuova falla nello scafo. La nave deviò bruscamente dalla sua rotta, girando su se stessa fino a quando la IA agì sui comandi, effettuando la necessaria compensazione e riportando lo scafo in assetto di volo.
La fiancata della Normandy venne comunque dilaniata e i corpi di Garrus e di Eva vennero scagliati violentemente contro una parete del corridoio, mentre la depressurizzazione improvvisa scaraventava in aria ogni oggetto mobile e spezzava il respiro al turian.
In tutto quel disordinato pandemonio Garrus trovò la lucidità di premere rapidamente il palmo della mano destra contro il pulsante di espulsione della capsula di Trinity, poi si aggrappò con le unghie alla fiancata interna dello scafo, con la faccia premuta contro il vetro, per guardarla allontanarsi.
“Non ti lascio morire, non questa volta” si rassicurò soddisfatto, prima di ripiegarsi su se stesso. Annaspò inutilmente, nel tentativo di raggiungere il fucile di precisione che gli era stato strappato dalle mani dalla violenza dell’esplosione, ansimando per la mancanza di aria, mentre la fronte gli pulsava dolorosamente e il sangue, che sgorgava incessantemente da una ferita alla testa, gli accecava gli occhi.
Si abbatté al suolo con un ultimo rantolo, sorridendo, con un’immagine confortante fissa davanti agli occhi: il suo comandante al sicuro in una capsula. Gli si chiusero prima che potesse vedere IDA che stava correndo verso di lui, dopo aver magnetizzato i suoi stivali.

La IA si caricò sulle spalle quel corpo ormai esanime e lo infilò rapidamente in un’altra capsula, proprio mentre la sua parte principale, quella che era la nave stessa, effettuava le letture degli strumenti, valutava la posizione nello spazio, prendeva coscienza di essere ancora poco governabile a causa dell’esplosione e della mancanza di un terzo dell’ala destra, deviava tutta l’energia residua sugli scudi cinetici ed assecondava la rotta corrente, virando leggermente, in modo da varcare di prua il portale che stava inghiottendo la Normandy. Nel frattempo bypassava i sistemi andati offline a causa dell'assorbimento di energia, in modo da riuscire ad arrivare al serbatoio di eezo.
Si infilò nella capsula di salvataggio, controllò il funzionamento del supporto vitale e lo fece partire. Poi si inginocchiò sul pavimento e cominciò ad estrarre con le piccole pinze del factotum le schegge metalliche del visore del turian, che nell’urto successivo all’esplosione si erano conficcate nelle placche ossee del suo cranio.
Confrontò il tempo rimanente prima dell'esplosione con quello necessario per la medicazione. Non c'era abbastanza tempo per effettuarla se voleva raggiungere il serbatoio in tempo: adesso sarebbe stata in grado di sganciarlo, utilizzando le dita delle mani di Eva.
La Normandy rischiava di essere distrutta e una IA qualsiasi avrebbe abbandonato la capsula di salvataggio e il suo occupante al proprio destino e si sarebbe occupata di espellere il serbatoio.
Non prese coscienza che i suoi circuiti avevano formulato un pensiero adatto ad un essere organico “Io non sono una IA qualsiasi”, presa com’era dal confronto fra altri tempi stimati: quello che mancava all’esplosione e quello necessario per espellere la capsula.
Lavorò febbrilmente, fermandosi solo quando fu certa di aver estratto ogni scheggia, somministrò al turian tutto il medigel che riuscì a trovare, gli fasciò accuratamente la testa e tornò in fretta nel corridoio.

Chiuse il portellone e premette il pulsante di espulsione pochi istanti prima dell’esplosione. La nave subì un altro violento squarcio a poca distanza da quello che si era aperto poco prima ed Eva lanciò un’occhiata preoccupata alla capsula di Garrus che subì un sobbalzo improvviso, venne investita dall’urto di un’altra capsula che si era staccata dallo scafo in seguito alla detonazione, rotolò su stessa varie volte e poi partì di scatto, allontanandosi rapidamente grazie all’entrata in funzione del pilota automatico.
La perdita dell’assetto di volo subita dalla Normandy fu solo momentanea, perché venne rapidamente compensata da quella parte della IA inserita nei sistemi della nave, ma la fiancata era rimasta gravemente danneggiata: buona parte del corridoio affacciava direttamente sullo spazio. Solo le suole magnetizzate trattenevano il corpo di Eva a bordo della Normandy.

Strinse fra le dita della mano sinistra il fucile di precisione che galleggiava a pochi centimetri dal suo viso e infilò in una tasca dell’uniforme il cristallo azzurro del visore che le era rimasto nel palmo della destra, poi azionò i comandi per isolare la sezione danneggiata della nave, chiudendo ermeticamente, a mano, tutti i portelloni che si affacciavano su quell’area. La nave o, meglio, quello che ne restava, non correva ulteriori pericoli.
Controllò tutti i sistemi valutando i danni subiti: l’integrità strutturale dello scafo era compromessa, quasi tutti i sistemi primari erano fuori uso, perfino il supporto vitale era inefficiente. Le comunicazioni erano state gravemente danneggiate. Solo il sistema propulsivo funzionava ancora efficacemente.

Con lo scafo in quelle condizioni era estremamente pericoloso varcare nuovamente il portale ma, tranne Garrus, tutto l’equipaggio si trovava nell’altro sistema. Non era in grado di contattare la capsula del turian, così come non poteva localizzarla: in seguito all’avvio del pilota automatico poteva essersi diretta ovunque.
Girò la prua verso il portale, mentre stava effettuando le prime riparazioni, quelle più urgenti. La priorità spettava al sistema di comunicazione e al supporto vitale.
Effettuò i controlli di routine che il passaggio di un portale richiedeva sempre, senza prestare alcuna attenzione all’allarme che una parte di lei continuava a inviare automaticamente sulla consolle di Joker: Rilevati ingenti danni strutturali. Probabilità di disintegrazione pari al 25%.
Sapeva bene che quello sarebbe stato l’ultimo passaggio della Normandy attraverso un portale, prima che fossero ultimate le riparazioni basilari: le sollecitazioni sopportate dallo scafo nell’attraversarlo gli avrebbero inferto il colpo di grazia e non era pensabile di riuscire a riparare una struttura così malridotta nel vuoto cosmico, senza personale altamente qualificato, senza macchinari adeguati e senza materie prime.
Non appena completò il passaggio, controllò l’efficienza del sistema di comunicazione e del supporto vitale, poi inviò il messaggio - Normandy a capsule di salvataggio: potete tornare a bordo.

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Capitolo 15
*** Gli impianti quarian ***


GLI IMPIANTI QUARIAN


He was my North, my South, my East and West,
My working week and my Sunday rest,
My noon, my midnight, my talk, my song;
I thought that love would last for ever: I was wrong.

The stars are not wanted now: put out every one;
Pack up the moon and dismantle the sun;
Pour away the ocean and sweep up the wood.
For nothing now can ever come to any good.
(W. H. Audenn)




The Normandy





La prima cosa di cui si rese cosciente appena tornò in sé fu la voce incalzante di IDA.
- Qui è la Normandy. Shepard, mi ricevi?
All’inizio quella frase, ripetuta ritmicamente, era entrata a far parte di un sogno torbido, fiocamente illuminato da lampi di esplosioni lontane, ovattate. Immagini confuse, piene di ombre sfocate e di volti irriconoscibili, di voci sussurrate. In quel brusio indistinto, la voce sintetica risaltava nitidamente: l’aveva infastidita.
- Sì, IDA. Cosa c’è?
- Stai bene?
- Credo di sì. Ma non so dove mi trovo - rispose, rendendosi conto di essere sdraiata in terra, avvolta dalla penombra, in un luogo sconosciuto.
- Sei all’interno di una capsula di salvataggio. La nave è agibile e operativa, ma ha riportato ingenti danni. L’equipaggio sta tornando a bordo.
- Ce la fai a pilotare o ti veniamo a prendere? - aggiunse Joker con uno strano tono che la colpì, facendole aggrottare la fronte mentre si rialzava in piedi. C’era un chiaro accento di preoccupazione in quella domanda, ma anche di affetto. “Un tono premuroso e tenero? Da parte di Joker?” si meravigliò, sentendosi inquieta.
- Credo di farcela, Jeff - rispose - Sono solo intontita. Non ricordo neppure come sono arrivata qui.
- E’ stato Garrus a metterti nella capsula - la informò la voce sintetica.
- Va bene, IDA, grazie. Dammi le coordinate della nave. Arrivo.

Mentre guidava verso la Normandy, provò a rivivere gli ultimi avvenimenti, partendo dai ricordi più recenti e andando a ritroso. L’ultima immagine confusa, registrata dai suoi occhi, era il volto di Garrus, a pochi centimetri dal suo. Le aveva sussurrato qualcosa con accento preoccupato, ma non riusciva a ricordare le parole e neppure il senso generale.
Avvicinandosi alla nave notò con sorpresa quanto fosse rimasta danneggiata: non aveva alcuna memoria di falle nello scafo, ma la visione che le si presentava davanti agli occhi era poco meno inquietante dell’immagine della SR1 dopo l’attacco dei Collettori.
- IDA, fammi il quadro preciso della nostra situazione attuale - chiese, mentre iniziava le manovre di attracco.
- La nave ha subito danni in seguito ad alcune esplosioni avvenute a bordo e ha l’ala sinistra parzialmente distrutta - rispose prontamente la IA, senza utilizzare alcuna inflessione particolare - Ho isolato la porzione danneggiata dello scafo e la nave è in condizioni di mantenervi in vita e di spostarsi nello spazio, ma non è più in grado di attraversare portali galattici. Tutto l’equipaggio presente in questo settore è illeso ed è tornato a bordo.
Shepard tirò un sospiro di sollievo, quasi incredula che se la fossero cavati tanto a buon mercato, ma una parte della sua mente prese a rimuginare sulle parole appena ascoltate, perché qualcosa strideva terribilmente in quella frase, a prima vista rassicurante.
“In questo settore?” ripeté fra sé e sé, improvvisamente allarmata “E’ una precisazione apparentemente priva di senso…”. Si sfilò il casco rientrando a bordo e chiese - Cos’altro è successo, IDA? Perché hai nominato il settore?
- Una capsula di salvataggio è stata espulsa al di là del portale, dopo che la Normandy è stata costretta a oltrepassarlo. La scarsa manovrabilità dello scafo ha sconsigliato la scelta di una rotta diversa. Tuttora non ricevo risposta da quella capsula e non posso rilevarne la posizione.
- Chi c’è a bordo? - chiese, afferrando lo stipite della porta che stava varcando in quel momento. Non sentì la risposta perché le orecchie presero a rimbombarle, ma non aveva bisogno di ascoltarla: era stato Joker a farle quella comunicazione, quando le aveva chiesto come stesse, utilizzando un tono che non era il suo solito.

Arrivò sul ponte e appoggiò le mani sullo schienale della poltrona del pilota, senza neppure rendersi conto che aveva infilato automaticamente le dita negli squarci che aveva lasciato il turian, come alla ricerca di una minima sua traccia in mezzo a quell’imbottitura.
Dette un'occhiata allo spazio intorno alla nave, rassicurandosi perché appariva tutto tranquillo. Usò il comunicatore per chiedere a Jack e a Tali di raggiungerla.
Non appena arrivarono sul ponte ordinò alla biotica di scansionare attentamente l’area per accertarsi sull'assenza di forze nemiche superstiti e alla quarian di eseguire le letture dei livelli di energia solare. Nel frattempo prese a scorrere rapidamente tutte le informazioni riguardanti lo stato della nave.
Non arrivò neppure a metà rapporto. Chiuse il file all’improvviso, rendendosi conto che era impensabile tentare l’attraversamento di un portale con lo scafo così malridotto e gli scudi cinetici compromessi. L'unica possibilità per passare all’azione, senza farsi prendere dal panico o dalla disperazione, risiedeva nel cercare un aiuto esterno.
- Tali, finirai dopo con le rilevazioni sulle condizioni di Dholen. Ho bisogno che chiami l'Ammiragliato - ordinò all’amica - Mi serve una nave, una qualsiasi - sottolineò con evidente urgenza - Mi va bene una navetta da sbarco, un mercantile, una nave serra: qualsiasi cosa che sia in grado di varcare un portale galattico.
- Vado subito - rispose Tali, correndo verso il videoterminale del centro di comando.

Poco dopo Jack smise di guardarsi attorno e decretò con sicurezza che non trovava alcuna traccia dei Divoratori. Shepard annuì, poi aggiunse - Voglio che tu faccia una scansione ad ampio raggio, da Dholen fino all’orbita di Haestrom. Ti affido la rotta della Normandy.
- Jeff, segui le sue indicazioni e, nel frattempo, continua a chiamare la capsula - aggiunse poi, facendo un gesto a IDA per invitarla a seguirla fuori, nel corridoio. Uscì proprio mentre la frase Qui è la Normandy. Garrus, ci ricevi? colpiva per la prima volta le sue orecchie.
Una volta che si furono rintanate nell’angolino appartato in cui erano solite chiacchierare, le ordinò - Mi hai fatto un riassunto breve e anonimo di quanto è successo mentre ero svenuta. Ora voglio la versione completa, con tutti i particolari.
Ascoltò l’intera storia cercando di non farsi coinvolgere dalle sensazioni che scaturivano naturalmente dalle immagini che la sua mente formava, nel sentire quei dettagli così crudi, nitidi e precisi. Barcollò solo quando IDA, concludendo il suo resoconto, le mise fra le mani il cristallo azzurro del visore, rimasto incredibilmente intatto, ed il fucile di precisione di Garrus.

Tornò sul ponte e si sedette sul sedile destinato ad accogliere il corpo di Eva, appoggiando l’arma contro la paratia alla sua destra.
- Ci penso io - annunciò a Joker, facendosi dare le cuffie e sostituendolo nella trasmissione diretta alla capsula mancante.
Annuì a Tali che la rassicurò che alcune navi quarian erano già in viaggio verso la loro posizione e la pregò di tornare a controllare le emissioni della stella.
Dopo pochi minuti seppe che mancava ormai molto poco alla trasformazione della stella in una gigante rossa(1).
- Forse addirittura pochi mesi - precisò Tali, stupita che quella trasformazione si fosse accelerata a tal punto.
“Ecco perché la madre era tornata nel sistema” immaginò Shepard, senza però riuscirsi a sentirsi sollevata da quella notizia, nonostante sottolineasse come avesse sfruttato una delle rare possibilità per ottenere informazioni su quel nemico tanto sfuggente. “Chissà dove attaccheranno la Via Lattea la prossima volta o chissà quando” si chiese, prima di ipotizzare che forse altri Divoratori, in quel preciso momento, stavano spegnendo altre stelle della loro galassia.
Fissò il visore della quarian solo per il tempo necessario ad invitarla ad andare a riposarsi con un gesto stanco della mano, poi riprese a guardare fissamente davanti a sé, continuando a chiamare Garrus con una cantilena automatica, ormai talmente usurata da sembrare priva di qualsiasi significato reale.

Dopo un paio di ore di ricerche Jack la rassicurò che tutto lo spazio scansionato non mostrava più alcuna traccia dei Divoratori. Se lo aspettava: avevano completato l'assorbimento di Dholen e la madre era tornata per recuperarli e, forse, per riportarli a casa.
Indicò a Joker la rotta verso il portale dal quale i Quarian sarebbero arrivati e chiese a Jack se volesse essere sostituita da Liara. La vide scuotere la testa, mentre aggiungeva - Non ho voglia di andare giù e mettermi a pensare.
Non le rispose perché non c'era nulla che potesse dire, grata solo che la ragazza non rigirasse il coltello nella piaga, facendo qualche commento che avrebbe esacerbato la pena che coinvolgeva tutto l'equipaggio.

- Avvicinati lì. Poi ferma i motori - ordinò a Joker, una volta che il portale divenne ben visibile, mentre lanciava uno sguardo interrogativo a Jack, che scuoteva la testa in segno di diniego: anche quella zona era tranquilla.
Per tutto quel tempo aveva continuato a chiamare Garrus, prestando la massima attenzione ad ogni più piccolo suono che le arrivasse nelle cuffie: non si era mai resa conto di quanti piccoli rumori fossero distinguibili nel fruscio di fondo. All’inizio il suo cuore aveva avuto più di un sussulto nell’avvertire un piccolo schiocco, un breve sibilo e perfino un lieve crepitio, ogni volta sperando fosse il preludio di una comunicazione in arrivo.
In diverse occasioni le sue dita strinsero convulsamente il visore che aveva nella destra quando le sue orecchie intercettarono ciò che poteva sembrare un respiro spezzato, un mormorio indistinto, un sussurro, ma ogni volta le sue speranze crollarono dopo pochi secondi di ascolto concentrato.

Non dovette aspettare troppo a lungo prima che una fregata leggermente più grande della Normandy, accompagnata da altri due scafi tozzi e sgraziati, molto più grandi, comparissero improvvisamente nelle vicinanze del portale.
Nello stesso momento giunse la richiesta - L’ammiraglio Shala'Raan vas Tonbay chiede il permesso di salire a bordo.
- Permesso accordato - rispose il comandante. Poi si alzò dalla poltrona porgendo a Joker le cuffie - continua tu.
- Tali, vai ad accogliere tua 'zia' e accompagnala nel salone. Ci ritroviamo lì - ordinò poi nel comunicatore, mettendosi in contatto con la postazione della sua amica.

- Cosa è successo, Shepard? - chiese Shala andandole incontro per abbracciarla - Tali non vuole raccontarmi nulla.
- Sarebbe un discorso veramente troppo lungo e io ho urgenza di ripartire - rispose - Ma posso dirti che abbiamo combattuto contro un nemico più potente e pericoloso dei Razziatori.
- E... avete vinto? - chiese la quarian, incerta sull’esito, avendo visto le condizioni in cui era ridotta la Normandy.
- Questa battaglia sì. O meglio, forse. No, non te lo so dire. Non ha neppure importanza perché questo è solo l'inizio. Ora però mi serve una nave per poter recuperare un membro dell’equipaggio disperso. E’ in una capsula di salvataggio, al di là del portale - aggiunse, maledicendosi perché non riusciva a mantenere salda la voce.
- Sì, Tali mi aveva anticipato che la Normandy non è più in condizione di viaggiare. Ti ho portato la Tonbay.
- Quella non sembra affatto la tua vecchia nave, zia - osservò Tali, fissando lo scafo al di là della finestra.
- E’ stata rimodernata parecchio - rispose l'ammiraglio - Ma ho voluto conservare il nome. Di certo è una delle migliori navi della Flotta e non è inferiore alla Normandy, comandante - concluse, senza nascondere l’orgoglio che provava nel poter fare quella affermazione.

- Io... ti ringrazio, Shala.
- No. non devi. Non sarà certo una nave a poter saldare il debito che abbiamo con te. E poi la rivoglio indietro - aggiunse in tono gentile.
- Ho portato anche due navi-officina. Faremo le prime riparazioni indispensabili qui e poi porterò la Normandy su Rannoch. La rimetteremo a posto e farò in modo da apportare anche qualche miglioramento. Una volta che riavrai indietro la tua nave mi restituirai la mia.
- Ti ringrazio davvero.
- C’è un’ultima questione...
- Sì?
- Vuoi che spostiamo la tua IA sulla Tombay?
- Posso procedere io stessa all’operazione, ammiraglio - fu la precisazione che giunse inaspettata nel salone e che colse impreparata Shala - se mi autorizzate a farlo, ovviamente - aggiunse IDA con un tono in cui era impossibile non avvertire dell’ironia.
- Questo è davvero inquietante - osservò la quarian, alzando istintivamente lo sguardo verso il comunicatore - Non sai quanto avrei pagato per vedere come avrebbe reagito Daro'Xen vas Moreh nel sentire un’affermazione del genere da parte della IA di una nave - ridacchiò, sinceramente divertita.

°°°°°

E così Shepard ordinò al suo equipaggio di preparare i bagagli e di prepararsi a trasbordare sulla Tonbay che, come affermò IDA appena pochi secondi dopo essersene impadronita, era un veicolo capace di prestazioni veramente eccellenti.
L'idea di fare i bagagli, però, non era affatto di suo gradimento, rifletté, mentre restava ostinatamente seduta sulla poltrona di destra del ponte della Normandy, incerta se obbedire o meno al suo stesso ordine.
Non aveva alcuna voglia di entrare nella sua cabina e la prospettiva di varcare la soglia della batteria primaria la atterriva letteralmente. Non perché sapeva che l'avrebbe trovata vuota, ma perché il dover radunare gli effetti personali di suo marito rendeva più realistico il timore che lui non si sarebbe più potuto occupare delle sue cose.

- Abbiamo trasbordato tutti - la avvisò Liara, che comparve improvvisamente alle sue spalle, in compagnia di Tali.
- Arrivo - rispose alzandosi automaticamente, ma bloccandosi all'improvviso, mentre tutto cominciava a vorticarle attorno. Si aggrappò allo schienale, mentre la asari allungava rapidamente un braccio per sostenerla, lanciandole uno sguardo preoccupato.
- Sei pallidissima. Credo che dovresti farti vedere dalla Chakwas - commentò Tali, che poi aggiunse - Potresti andarti a riposare nella tua nuova cabina. Liara e io ci occuperemo di fare i tuoi bagagli.
- Sì, grazie - rispose meccanicamente, sentendo che un'emozione di rabbia spropositata la stava sommergendo. Dette un pugno contro la parete ferendosi in malo modo le dita della mano destra contro il metallo, mentre il visore di Garrus le penetrava nella pelle del palmo. Fissò le sue due amiche che erano rimaste immobili, scambiandosi uno sguardo sconcertato, e spiegò duramente - Se non fossi svenuta, Garrus sarebbe qui.
Dopo quel secco commento, pronunciato con voce alterata, cominciò ad avviarsi lungo il corridoio, ma si fermò dopo pochi passi per aggiungere - Prendete anche tutto quello che sta nella batteria primaria: non ce la faccio a entrarci.

°°°°°

- IDA, fai rotta sul portale - fu il primo comando che impartì sulla nave quarian - Tutto l’equipaggio si trovi la sistemazione che ritiene migliore e si riposi - aggiunse poi, accomodandosi su una delle due poltrone presenti nella cabina di pilotaggio.
Si accorse che Joker continuava a restare ostinatamente seduto sull’altra poltrona e lo squadrò a lungo, fino a quando la sua affermazione - E’ questa la mia migliore sistemazione - le fece scuotere la testa, rassegnata.

Dopo qualche istante di riflessioni silenziose, si alzò, aprì nuovamente la comunicazione con tutti i ponti della Tonbay e fece un breve discorso.
- Molti Divoratori sono stati distrutti e i superstiti si sono ritirati senza lasciare traccia. Non saprei da dove cominciare a cercarli e non ho intenzione di farlo. Non in questo momento, almeno, perché uno dei nostri compagni è disperso. Non abbiamo mai lasciato nessuno indietro e non cominceremo oggi. Non abbandonerò le ricerche fino a quando non troverò la sua capsula di salvataggio.
Fece una pausa, si appoggiò contro la paratia che le stava di fianco e chiuse gli occhi per un breve istante. Poi riprese a parlare.
- Chiunque voglia tornare a casa in tempi brevi è autorizzato a cercare un passaggio su un’altra nave spaziale. Utilizzate liberamente il sistema di trasmissione della Tonbay. Io vi accompagnerò ovunque sarà necessario per agevolare il vostro sbarco, ma solo all’interno dell’ammasso di Phoenix, perché è qui che la capsula di Garrus è stata espulsa - concluse poi, prima di tornare a sedersi sulla poltrona a fianco di Joker.
- Ci penso io - comunicò poi al pilota, mentre lo scafo attraversava il portale: indossò la cuffia e pronunciò le due brevi frasi - Qui è Shepard. Garrus, mi ricevi? - che continuò a ripetere a intervalli regolari.

Andò avanti a reiterare quella frase per una mezzora, poi si appoggiò allo schienale chiedendo - Non esiste alcun modo per determinare dove possa trovarsi la capsula, IDA?
- Pochi secondi dopo l'espulsione è entrato in funzione il pilota automatico. Sto cercando di individuare le posizioni più probabili.
- Joker, segui le direttive di IDA - comandò con voce stanca al pilota che le sedeva accanto in silenzio.
- Certo, comandante - rispose il suo vecchio amico, prima di aggiungere - Non preoccuparti, lo troveremo.
E in quel momento a Shepard tornò dolorosamente alla memoria una frase di Garrus: E' questa la parte peggiore dell'invecchiare, le frasi fatte invecchiano con te.

Quella nuova nave aveva una visibilità addirittura migliore della sua Normandy e lo sguardo poteva spaziare liberamente, accentuando l’impressione che fossero un minuscolo granello di sabbia sperduto in un immenso oceano, in balia delle correnti di un fato incontrastabile.
Nei lunghi silenzi fra le monotone ripetizioni di quella frase con cui tentava vanamente di stabilire un contatto con la capsula dispersa, si voltò a fissare più volte il profilo di Jeff.
Era grata di averlo al suo fianco: era una presenza silenziosa, ma rassicurante. Forse si stava chiedendo perché fosse destinato a condividere ogni volta la sofferenza dei suoi amici più cari, senza rendersi conto che la sua capacità di tacere e i modi bruschi e sarcastici che gli erano propri ne facevano l’appoggio più valido per persone riservate come Garrus e lei stessa. In più, la postazione sul ponte era quella che calamitava ineluttabilmente chiunque fosse alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che risultasse disperso nel cosmo.

La voce della dottoressa, che la costrinse a riprendere contatto con la realtà circostante, la irritò profondamente. La sua richiesta giunse dal comunicatore posto sulla parete, mentre lei si trovava in piedi dietro il sedile di Joker, per scrutare meglio lo spazio al di là delle grandi finestre.
- Shepard, vorrei che passassi in infermeria. Sto controllando le condizioni di tutto l’equipaggio.
- Dovrà aspettare. Ora non ho tempo - replicò seccamente.
Fissò il quadrante dell’orologio. Erano passate più di dieci ore da quando erano saliti a bordo: l’equipaggio doveva essersi ormai riposato.
Attivò nuovamente il comunicatore con tutti i ponti - Qui Shepard, a tutto l’equipaggio: chiunque abbia deciso di rimanere a bordo ha il compito di studiare a fondo questa nave, in ogni più piccolo dettaglio. Voglio che siate in grado di utilizzare al meglio ogni sistema offensivo e difensivo di cui dispone. Voglio che mi facciate un rapporto dettagliato sulle differenze fra la Tonbay e la Normandy, ovviamente avvalendovi anche dell’aiuto della nostra IA. Dovrete essere capaci di effettuare le riparazioni di ogni apparecchiatura presente a bordo. Cercate e studiate ogni manuale che riuscite a reperire.
- Puoi andare a riposare e lasciare i comandi a IDA - suggerì poi a Joker, prima di tornare a sedersi, mentre cercava di liberarsi con rabbia dal ricordo del volto divertito di Garrus che le suggeriva Vai a vedere come stanno i tuoi stupidi pesci e l’inutile criceto e lascia martello e cacciavite all’equipaggio, comandante.
Il pilota non rispose neppure, ma fissò la figura di Shepard che veniva riflessa dallo schermo di un terminale. Aveva piegato il braccio destro, appoggiandone il gomito sulla coscia destra e aveva la tempia premuta contro il pugno. Dalle dita serrate contro il palmo colava un rivolo di sangue che scendeva a impregnare il polsino dell’uniforme.
- Ti sei tagliata - la avvisò in tono tranquillo, anche se avrebbe voluto gridare. Se aveva sofferto quando era il comandante ad essere disperso e il turian stava sul ponte al suo fianco, ora la sofferenza silenziosa di quella donna lo stava devastando anche più intensamente.
- Cosa?... - chiese lei, senza capire.
- La mano, comandante. Apri quella mano, maledizione! - le ordinò fissandola con rabbia.
E lei, come una bambina ubbidiente, abbassò la mano e la aprì.
Joker vide il visore di Garrus splendere un attimo nel suo palmo aperto e sì alzò senza dire nulla, lasciando la cabina di pilotaggio con la ferma intenzione di passare in infermeria.

La dottoressa si limitò ad un’analisi sommaria di quella donna seduta sulla poltrona che non aveva alcuna intenzione di facilitarle il compito. Lesse i risultati sopra il factotum e scosse la testa fissando Joker. Poi dichiarò stancamente - So che è inutile dirtelo, comandante, ma dovresti riposare. I pochi esami che ho potuto fare denotano uno stress notevole.
- Grazie dottoressa. Sto bene. Obiezione annotata - era stata la replica infastidita.
Dopo altre cinque ore di inutili ricerche il comandante invitò nuovamente il pilota ad andare a riposare.
- Posso continuare io, con l’aiuto di IDA - gli suggerì nuovamente, ma Joker scosse la testa, rimanendo ostinatamente al posto di guida.

Nelle ore seguenti continuò a lanciare delle occhiate preoccupate a Shepard, ma si astenne dal dire una sola parola. Gli occhi rossi e cerchiati di quella donna e il pallore del viso denotavano la necessità impellente di qualche ora di sonno, ma l’espressione tirata, con le labbra strette, facevano intendere quanto inutili sarebbero stati i consigli di andare in cabina o in infermeria: se era impossibile convincerla a lasciare il posto, per lo meno non l’avrebbe lasciata da sola.
Passarono altre tre ore senza nessuna novità: la trasmittente di Garrus restava silenziosa e le apparecchiature della Tonbay non rilevavano la presenza di alcuna capsula. Alla fine Joker si alzò per andare in bagno, accentuando di proposito il suo inevitabile zoppicare, e questa volta Shepard gli ordinò categoricamente di andare a riposarsi.
Le rispose che ci sarebbe andato solo se anche lei avesse fatto altrettanto, rifiutando apertamente di obbedire a un ordine diretto.
Sostenne lo sguardo pieno di ira di quegli occhi verdi senza abbassare i suoi - IDA può continuare a pilotare la nave e a fare le scansioni anche senza di noi. Se avesse notizie ci avvertirebbe immediatamente - replicò seccamente - Una dannata IA può mantenere sempre lo stesso grado di efficienza, senza dormire o riposarsi. Ma sarebbe meglio se tu non ti riducessi uno straccio. Potremmo dover combattere per riprenderci il tuo turian e sarebbe bene se fossi in grado di colpire gli avversari… - concluse, mantenendo uno sguardo deciso e un tono di voce fermo.
- E va bene... - si arrese alla fine Shepard, alzandosi lentamente dalla poltrona, con i muscoli doloranti per la forzata immobilità e per la tensione nervosa accumulata. Restò immobile nel corridoio mentre la porta si richiudeva alle sue spalle, come indecisa su dove dirigersi. Poi si avviò verso l’infermeria.
- Dammi un blando sedativo - disse alla dottoressa che aveva alzato lo sguardo dal libro che stava studiando, non appena aveva sentito aprirsi la porta - Non mi interessa quali analisi vuoi effettuare mentre dormo, ma vedi di non svegliarmi - la avvertì con un tono di voce calmo e deciso.


°°°°°

My Immortal




Dormì solo un paio di ore, nonostante il lieve tranquillante. Poi, appena sveglia, si alzò dal lettino, senza neppure rispondere alla Chakwas che la pregava di darle il tempo di effettuare altre analisi che, visti i risultati che aveva ottenuto, si rendevano assolutamente necessarie.
- Comandante, oltre allo stress continui a presentare qualcosa che sembra una sindrome da rigetto. Ma non capisco di cosa si tratti e non posso continuare a curarti con farmaci generici - le gridò dietro inutilmente, mentre la vedeva uscire dall’infermeria scrollando le spalle.
Una volta tornata nella cabina di pilotaggio, non chiese notizie ad IDA: sapeva che non ne aveva. Si sedette semplicemente al posto di Jeff, lasciando le mani lontano dai comandi, senza neppure controllare la rotta scelta dalla IA.
Si limitò a continuare a scrutare il cielo, nel tentativo, privo di senso, di avvistare ad occhio nudo ciò che le sofisticate apparecchiature della nave non riuscivano a cogliere. Dopo un paio di ore si addormentò nuovamente, senza neppure accorgersene. Si risvegliò all’improvviso, al suono della voce di IDA che comunicava a tutto l'equipaggio di aver individuato una capsula.

A quella notizia chiese dove fossero le navette da sbarco e si diresse immediatamente su quel ponte. A fianco al veicolo c'era già Tali, pronta a mettersi alla guida. Annuì grata alla sua amica, prese una pistola al volo, passando davanti all’armadietto delle armi e, senza neppure indossare l’armatura, entrò nel portello.
Le operazioni di decollo furono però bruscamente interrotte a causa dell'avviso di IDA - Non è la capsula di Garrus: posso leggere il numero impresso sullo scafo. Si sarà sganciata da sola, in seguito all’esplosione - avvertì, evitando di precisare che era la capsula che si era scontrata contro quella del turian.
- Però è un primo indizio per capire dove possa essere andata a finire l’altra - aggiunse subito dopo, cercando di rendere meno angosciante quella comunicazione - Sto elaborando i nuovi dati.

A quel punto Shepard si arrese: passò nuovamente dalla Chakwas, dandole tutto il tempo per fare altre analisi. Una volta che la dottoressa si mise ad analizzare i dati raccolti si mise a camminare come un animale in gabbia e le fu permesso di tornare nella cabina di pilotaggio, dietro l'assicurazione che sarebbe tornata in breve.
- Grazie - fu la risposta sollevata del comandante.
- Non ringraziarmi: questa tua tensione falsa le letture dei miei strumenti. O almeno credo sia questo - rispose la dottoressa, continuando a fissare i risultati ottenuti - Continuo a registrare parametri completamente fuori scala e non riesco a trovare una spiegazione valida. Torna pure su, ma ripassa più tardi: i risultati che leggo sono inspiegabili.

Shepard tornò a occupare la poltrona al fianco di quella di Joker, rimase sveglia altre dieci ore e poi si addormentò nuovamente sul posto. Per tutto quel tempo non aveva pronunciato una sola parola, oltre a quelle nelle cuffie, dirette a Garrus. Anche Joker si era limitato a guidare in silenzio.
Dopo tre ore di sonno agitato fu nuovamente svegliata dalla voce della IA - Ho avvistato la capsula: è proprio di fronte a noi, ma è vuota, e il portellone è divelto.
Come qualche ora prima, Shepard corse nell’hangar, trovò Tali già seduta al posto di guida ed entrò nella piccola stiva della navetta, dalla sagoma snella ed agile, che si diresse verso la capsula alla massima velocità possibile.
Come le aveva anticipato IDA, il piccolo mezzo di salvataggio era completamente vuoto. Non sembrava che Garrus avesse utilizzato alcuna apparecchiatura di bordo e non c’erano indizi che potessero chiarire cosa fosse successo.
Una macchia blu spiccava nel mezzo del pavimento, contornata da vari frammenti metallici: i pezzi del supporto del visore. Poco distante, un’altra macchia di sangue blu sembrava dovuta all’impronta delle dita del turian.
Shepard fissò quello spettacolo insieme a Tali, ma nessuna delle due donne proferì parola attraverso i loro caschi. Si aggirarono all'interno ed intorno alla capsula per rilevare ogni più piccolo segno, indicandosi l'un l'altra ogni lesione nello scafo, ma senza riuscire ad individuarne la causa possibile.
Il portello non c’era più e, nonostante le accurate rilevazioni, né le due donne, né IDA riuscirono a stabilire come si fosse staccato: la capsula poteva essere rimasta danneggiata dall’esplosione del serbatoio della Normandy o a causa di un impatto troppo violento. Il rivestimento esterno riportava tracce di bruciatura e numerosi graffi e ammaccature, ma tutti quei segni potevano essere attribuiti a troppe cause differenti.
Il comandante rientrò sulla navetta da sbarco, ordinando a Tali di attraccare alla Tonbay: non c’era altro che potessero fare lì.

Una volta a bordo, registrò un messaggio che da quel momento in poi venne trasmesso di continuo, su tutti i settori collegati all’Ammasso di Phoenix e su ogni frequenza.
Parla l’ammiraglio Shepard, Marina dell’Alleanza, a bordo della nave spaziale Tonbay. Un turian di nome Garrus Vakarian è rimasto disperso nel corso di un combattimento. Chiunque abbia sue notizie è pregato di mettersi in contatto con la mia nave.
Ordinò che restassero nei pressi del luogo di ritrovamento della capsula e così fu fatto, per giorni e notti, allargando le ricerche in raggi di dimensioni via via crescenti, ma fu tutto completamente inutile.

Tranne le poche ore passate in infermeria e il poco tempo impiegato per andare in bagno o per cambiarsi l'uniforme, Shepard rimase sempre nella cabina di pilotaggio, con gli occhi fissi nel cielo scuro, freddo e indifferente, dormendo su una poltrona e mangiando qualcosa quando la dottoressa la costringeva.
Nessuno si fece vivo per andarle a parlare, sapendo che preferiva restare isolata. Ciò nonostante nessun membro dell'equipaggio aveva cercato un passaggio per tornare a casa, neppure chi era rimasto ferito nel profondo da quanto era accaduto in quella disgraziata missione.
A distanza di una settimana dall'incidente, Shepard intercettò per caso lo sguardo di Joker, fisso su di lei perché pensava stesse dormendo. In quel breve istante, in cui i loro occhi si incrociarono, lesse talmente tanta angoscia disperata che appoggiò la testa contro lo schienale, fece un lungo respiro e gli impartì l’ordine di tornare sulla Cittadella.

Radunò l’equipaggio in una sala molto ampia, probabilmente destinata alle riunioni, per fare un breve discorso che aprì sottolineando la necessità di fare un rapporto dettagliato alle autorità, che avrebbero dovuto essere informate nel più breve tempo possibile: gli attacchi di quelle strane forme di vita potevano ripetersi e molti erano ancora gli interrogativi che restavano senza risposta.
Disse loro che il Consiglio doveva essere informato minuziosamente e con la massima urgenza, nella speranza che decidesse di effettuare nuovi sopralluoghi e, soprattutto, di mantenere un’attenta vigilanza in tutta la galassia, per individuare eventuali segni di attacchi analoghi in altri sistemi solari o per cercare l'eventuale origine di quelle aggressioni.
Infine invitò tutti coloro che avevano raccolto documentazioni varie a metterle a disposizione di Liara e di Tali, che si sarebbero occupate di stilare rapporti dettagliati da sottoporre ai Consiglieri.

Fu alla fine di quella riunione che Shepard andò a cercare, per la prima volta, l’alloggio del comandante. Entrò senza guardarsi intorno, mentre i suoi occhi restavano calamitati dai bagagli ammucchiati sul pavimento. Erano tre casse enormi. Una riportava il suo cognome, un'altra la dicitura “EFFETTI VARI - CABINA DEL COMANDANTE” e l'ultima solo una sigla: BP.
Seppe con certezza che gli 'effetti vari' appartenevano al suo turian: Tali e Liara non avevano avuto il coraggio di lasciarle scritto a chiare lettere il suo nome, così come non avevano voluto infliggerle la sofferenza di leggere per esteso la dicitura Batteria Primaria.
Strinse forte il visore che teneva nel palmo della mano destra, soffermando l’attenzione sul dolore che le procurava lo spigolo del metallo che si insinuava nella ferita che non si era rimarginata, cercando di annullare, nella sofferenza fisica, quella mentale, che le stava dilaniando il petto.
Gettò uno sguardo al letto, senza vedere quello che aveva di fronte, ma quello nella Normandy, così come lo avevano lasciato la mattina dell’attacco. Ricordava perfettamente le lenzuola dal suo lato, in disordine, ammucchiate e stropicciate, mentre quelle dalla parte di Garrus erano state lisciate con cura, come il turian usava fare sempre, prima di lasciare la stanza.
Si chiese se, trovandosi nella sua vecchia cabina, avrebbe mai trovato il coraggio di sollevare quelle lenzuola per cercare al loro interno il profumo della pelle del turian, ma capì che non solo non sarebbe riuscita a compiere quel gesto, ma che non sarebbe mai potuta entrare nella sua cabina, se fosse stata ancora sulla Normandy. Non era neppure in grado di affrontare le immagini che la sua mente le stava scagliando addosso in modo convulso.

Uscì rapidamente dalla stanza, sconfitta.
Prese l’ascensore e pigiò il pulsante corrispondente al ponte equipaggio. Non seppe mai quanto tempo passò immobile davanti al memoriale di quella nave, tappezzato da nomi sconosciuti, ma fu lì che Tali la trovò, mentre si stava passando da una mano all’altra un piccolo oggetto trasparente di colore azzurro.
La quarian osservò quella figura persa nei suoi pensieri, del tutto incosciente di quanto la circondava: era smagrita, aveva il viso cereo e gli occhi cerchiati. L’abbracciò con forza rassicurandole che, per quanto esigue potessero essere le speranze, non esisteva la prova certa che Garrus fosse morto.
- Ricordi il messaggio dell’Alleanza che ti comunicava la morte di Kal’Reegar e di tutta la sua squadra su Palaven, Shep? - le chiese passandole un braccio sulla spalla per provare a distrarla e a restituirle un po’ di fiducia.
Non aspettò la sua risposta e neppure un cenno, ma proseguì in tono confortante - In quel groviglio di oltre trenta corpi a brandelli, dilaniati sotto le bordate del fuoco nemico, avevano trovato la sua medaglietta di riconoscimento. Eppure lui era riuscito a ripararsi sotto un mezzo cappottato, dopo aver sigillato la tuta. C’è voluto un mese perché lo rimettessero in piedi e io ho passato tutto quel mese credendolo morto. Non devi arrenderti, non devi credere che Garrus sia morto, per quanto esigue siano le speranze residue.
Lei assentì stancamente, ma la sua espressione rimase assente, persa in un pensiero che chiarì solo dopo qualche altro momento di silenzio.
- Capisco la pena di Garrus nel reggere fra le mani la targa con il mio nome. Se adesso fossi sulla Normandy e avessi fra le mani la sua, neppure io sarei in grado di apporla su quella dannata parete - confessò poi in un sussurro rauco, prima di crollare improvvisamente al suolo.

Si risvegliò su un lettino dell’infermeria, sotto lo sguardo preoccupato della dottoressa. La Chakwas le intimò di rimanere ferma, terminò un’analisi e si mise a studiarne i risultati su una delle tante apparecchiature del laboratorio. Shepard si sollevò dal materasso: non sapeva dove volesse andare, ma in quel momento voleva solo sottrarsi a quegli esami clinici indesiderati e andare a nascondersi da qualche parte, forse nella cabina di pilotaggio.
Questa volta la dottoressa usò tutta la sua autorità, in un tono brusco e seccato, ricordandole che per regolamento era tenuta a rimanere in infermeria fino a quando l’ufficiale medico di bordo l’avesse dimessa.
- Se avessi un male incurabile preferirei morire nella mia cabina - fu la risposta stanca che mormorò Shepard, dopo aver cercato un contenitore in cui rigettare il poco liquido contenuto nel suo stomaco. Non aveva mangiato da un giorno intero e le rimase in bocca il sapore amaro della bile.
- E se invece fosse curabile… non sono certa di voler guarire - aggiunse.
- Lasciami andare, Karin: sono troppo stanca - la pregò con un accento supplichevole - Ho fatto errori imperdonabili. Lasciami andare - ripeté nuovamente, riprendendo in mano il contenitore per liberarsi nuovamente lo stomaco, in preda alla nausea.

One More Miracle



- Shepard, piantala. Siediti e stammi a sentire - ordinò la Chakwas, dopo aver finito di esaminare il risultato di un esame.
Il tono usato disorientò completamente il comandante: solo i suoi superiori l’avevano trattata in quel modo e Garrus, in un paio di occasioni, quando aveva veramente meritato un suo rimprovero.
Come riflesso automatico, si ritrovò a mettersi seduta compostamente su una sedia e a fissare il volto deciso della dottoressa, mentre il suono delle parole - Non riesco ancora a capire come sia possibile, ma sei incinta - continuarono a vorticarle a lungo nella mente senza riuscire ad assumere un significato compiuto e comprensibile.
Fu sicura che la dottoressa avesse ripetuto quella frase insensata, ma le servirono ancora un paio di minuti per realizzarne davvero il senso. Solo allora riuscì a protestare risolutamente.

- E’ impossibile - si limitò a rispondere.
- Lo so benissimo. Però lo sei. Al di là di ogni ragionevole dubbio - fu la risposta inequivocabile - Da quanto non hai il ciclo?
- Mai avuto un ciclo regolare. Dovresti avere la diagnosi di oligomenorrea sulla mia scheda...
Una volta fatta questa precisazione, rimase in silenzio, lanciando uno sguardo carico di rabbia alla dottoressa. Infine concluse stancamente - Richiamami quando hai controllato i tuoi dannati strumenti. Me ne vado. Ne ho abbastanza di queste assurdità.
- Non ti muovi da qui fino a quando non te lo dico io - fu la risposta lapidaria.
- La migliore spiegazione che posso offrirti è negli impianti che ti ha innestato quel quarian - aggiunse poi la dottoressa - Penso che abbiano reso possibile qualcosa che biologicamente lo sarebbe difficilmente. Poi non si hanno informazioni certe in merito. Personalmente non conosco altri casi di rapporti intimi fra un’umana e un turian.
- Davvero? Ma sei sicura? - chiese Shepard, senza neppure accorgersi di aver pronunciato quelle parole talmente a bassa voce e con talmente tanta incertezza che solo il movimento delle sue labbra avevano reso possibile alla Chakwas di capirne il senso.
- Se non lo fossi assolutamente, non ti avrei mai detto una cosa di questo genere. So benissimo cosa possa significare per te, specialmente in questo momento.

- Proviamo un esame risolutivo - annunciò la dottoressa spingendo il comandante sopra un lettino.
- Se non sei di almeno cinque o sei settimane non sentiremo nulla, però... Quindi non contarci troppo - la avvisò tirandole su la parte superiore dell’uniforme ed appoggiandole uno strumento sul ventre, dopo averglielo cosparso di una fredda gelatina incolore. E nel silenzio dell’infermeria si diffuse il rumore inconfondibile del battito accelerato di un cuore.

- Un figlio di Garrus…
- Oppure una figlia.
- Riuscirà a nascere?
- Non lo so, Shepard. Però ci proveremo. In ogni modo - la rassicurò la dottoressa, facendola alzare dal lettino e stringendola forte fra le braccia.
- Spiriti... - fu l’unico commento del comandante, mentre appoggiava la testa sulla spalla della Chakwas e le cingeva le spalle alla ricerca di un appoggio, sentendo che le gambe non l’avrebbero sorretta.

- Il pericolo maggiore sta nella possibilità di un rigetto da parte del tuo corpo, ma credo che potremmo continuare ad utilizzare i farmaci che si prendono in caso di un trapianto... scegliendo quelli adatti agli stati di gravidanza. Devo studiare, ma sono fiduciosa - la rassicurò ancora la dottoressa, aiutandola a sedersi nuovamente sul lettino.
- Ora bevi questo e cerca di riposare. Quando ti sveglierai vedrò se posso mandarti in cabina. Per il momento preferirei tenerti ancora un po’ qui con me - concluse poi con un sorriso, notando l’entusiasmo con cui Shepard si era appropriata del bicchiere contenente il medicinale per berlo in un solo sorso.
Nel momento in cui si si addormentò, dischiuse la mano destra ed il visore di Garrus cadde tintinnando sul pavimento dell’infermeria. La dottoressa si chinò a raccogliere quel piccolo frammento di cristallo, fasciò la mano con il palmo solcato da lunghi tagli profondi e poi chiamò Tali, attivando il comunicatore con la sala macchine.
- Riesci a farne un ciondolo? - le domandò non appena la vide entrare in infermeria.

°°°°°

- Sai niente di neonati turian? - fu la prima domanda di Shepard al risveglio, qualche ora dopo, mentre provava faticosamente ad alzarsi sul letto.
- Beh, non molto... - rispose la Chakwas mettendosi a ridere - Ci sarà stato qualcosa nei miei libri di testo, in Accademia, ma non mi sono mai occupata direttamente di madri incinte turian o dei loro neonati.
- Non nascono da un uovo, vero dottoressa? - chiese il comandante con voce stridula dopo essere rimasta pensosa per qualche minuto, spaventata dalla risposta che avrebbe ottenuto.
- Assolutamente no - la rassicurò prontamente la Chakwas - Sono vivipari - aggiunse, mentre una risata le scappava suo malgrado nell’immaginarsi il terrore che doveva aver provato Shepard di fronte a quella possibilità che, a pensarci bene, non era poi troppo inverosimile.
- Stai tranquilla. Arriveremo presto nel sistema Sol, dove è ancora ammassata buona parte della popolazione dell’intera galassia. Ci saranno migliaia di turian, per non parlare del dottore dell’Huerta Memorial Hospital: chiederemo tutte le informazioni possibili.

“Dovrò chiamare il padre di Garrus. Dovrò dirgli che il figlio è disperso e che sta per… diventare nonno… “ si ritrovò a pensare Shepard mentre, istintivamente, le sue dita cercavano il contatto familiare con il visore.
Accorgendosi che la sua mano era vuota si chinò, scrutando il pavimento al di sotto del lettino.
- Lo hai al collo - la informò la Chakwas - così non rischi che ti cada e si rompa.
Shepard bevve il contenuto del bicchiere che la dottoressa le stava porgendo, poi chiuse la mano sui due piccoli ciondoli che portava al collo, sorrise debolmente e si appoggiò nuovamente sul materasso, riaddormentandosi quasi all'istante.

Quando si svegliò nuovamente si trovò immersa in una accogliente semioscurità: la luce dei cieli della galassia illuminava debolmente le pareti e i mobili di quell’alloggio ancora sconosciuto. Il suo corpo era avvolto in una coperta morbida.
In pochi istanti ricordò gli ultimi avvenimenti. Si rannicchiò in posizione fetale, chiudendo gli occhi e abbracciando il cuscino, provando a immaginare che il suo turian fosse lì, accanto a lei.
- Avresti mai pensato che avremmo avuto un bambino? - immaginò di sussurrargli nell’orecchio - Il tuo ultimo regalo... - mormorò, mentre le prime lacrime, calde e silenziose, cominciarono finalmente a scorrerle sul viso, lavando il grumo denso e confuso che le occupava il petto e restituendo la giusta nitidezza a tutte le emozioni che fino a quel momento le avevano intriso la mente di un senso di impotenza e di disperazione.

°°°°°

- Non hai apposto la targa con il mio nome sul memoriale quando tutti mi credevano morta. Non sarò io, ora, a piangere la tua scomparsa - confidò al marito la mattina dopo, appena sveglia, parlandogli come avrebbe fatto se Garrus si trovasse lì con lei.
- Mi hai affidato un regalo nel quale nessuno di noi due ha mai neppure osato sperare. Lo conserverò per te con ogni cura - concluse solennemente, prima di aggrottare la fronte, perplessa dalla quantità di piatti contenuti nel vassoio appoggiato sul comodino alla sua destra.
Un sorriso le illuminò il viso fin dalla prima frase che lesse sul datapad e diventò sempre più ampio mentre scorreva le righe del messaggio della Chakwas.

Preferirei se provassi a mangiare il cibo dei turian.
Ho affidato a Tali la tua alimentazione. Dovresti farle sapere cosa trovi di tuo gusto e cosa no, così potrà regolarsi e prepararti pietanze che non saranno eccessivamente sgradevoli al tuo palato di umana. Dubito che possano piacerti davvero, ma so che non darai alcuna importanza a questo aspetto secondario.
Mi sono messa in contatto con un medico turian in servizio su una nave che siamo riusciti a contattare: consiglia che tu prenda gli integratori che trovi nel vassoio.
Tutto l’equipaggio si sta adoperando per portarti al più presto sulla Cittadella.
Tu pensa solo a riposare e a rimetterti in forze,
Karin



Nota
(1) Se qualcuno volesse avere un'idea di cosa significhi e comporti la trasformazione in una gigante rossa (sorte che toccherà anche al nostro Sole), può guardare questo video Gigante rossa
E per quanto riguarda la notizia sulla gravidanza di Shepard... lo so che ve la aspettavate tutte :D

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Capitolo 16
*** Sulla via del ritorno ***


Piccola dedica
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito fin qui e mi hanno aiutato a superare momenti difficili. Ma determinante è stata la pacca sulla spalla, stile Grunt, di una Shepard dai capelli viola.
A lei dedico questo capitolo.



SULLA VIA DEL RITORNO


Where are we now?




L'aveva ingannata nuovamente.
Era già accaduto qualche mese prima, ma il malessere che provava per essersi trovata costretta a ricorrere alla menzogna era lo stesso che aveva già avvertito in passato. La professione di dottore portava spesso a mentire ai pazienti o ai loro familiari, notò con evidente fastidio.
Non era trascorso molto tempo da quando aveva rimproverato ingiustamente Shepard, spingendola a trovare nella rabbia un rinnovato desiderio di tornare ad essere la combattente che era sempre stata. Le morti di troppi amici avevano reso insopportabile il peso che portava sulle spalle e quel rimprovero immeritato, che le aveva rivolto, l'aveva spronata a continuare a lottare, aiutandola ad affrontare la fase finale della guerra contro i Razziatori.
Adesso le aveva mentito nuovamente, anche se per motivi diversi: era seriamente preoccupata per quella gravidanza, ma dirglielo a chiare lettere sarebbe stato controproducente.
Fissò pensierosa la porta dietro la quale Shepard stava riposando, prima di tornare a scorrere le notizie che il medico turian, in servizio sulla nave che aveva contattato poche ore prima, le aveva inviato sollecitamente.

Il periodo di gestazione era molto breve, di appena sei mesi, e l'esserino che lasciava il grembo della madre era molto più piccolo di un neonato umano. La conformazione fisica di quella razza rendeva ovvia quella soluzione, data l'esile circonferenza della vita e dei fianchi delle femmine.
Non era certa che Shepard riuscisse a portare avanti la gravidanza per un lungo periodo, ma il rapido sviluppo fetale dei turian giocava a favore del futuro figlio di Garrus.
Si riavviò una ciocca di capelli grigi, spostandoli dagli occhi, mentre emetteva un sospiro: era preoccupata per la mamma, non per l'esserino che portava in grembo.
Era preoccupata perché quel concepimento, difficilmente effettuabile in laboratorio, sia pure utilizzando studi genetici avanzati e tecniche farmacologiche rivoluzionarie, si era prodotto naturalmente, grazie a degli impianti che solo il cielo sapeva di cosa fossero realmente capaci.
Se i Razziatori erano arrivati addirittura a concepire la sintesi fra organici e sintetici, la combinazione del DNA fra razze destro e levo non doveva stupire più di tanto, ma lei era dubbiosa che l'organismo di Shepard sarebbe stato in grado di affrontare quella prova.
Quel tecnico quarian si era arrogato il ruolo di un dio, probabilmente a sua stessa insaputa, ma non sempre gli dei si dimostravano benevoli con i comuni mortali, rifletté pessimisticamente. No, non era pessimista per natura, era solo realista e quella situazione non le piaceva affatto. Era necessario che il viaggio di ritorno si svolgesse nel più breve tempo possibile.

Aveva chiesto a IDA e a Tali di progettare un'incubatrice, per essere pronta in caso di un parto prematuro e la confortava il pensiero che gli eventuali interventi dolorosi o le manovre invasive (prelievi, posizionamento di sondini e drenaggi) che avrebbe potuto dover sopportare il neonato sarebbero stati ampiamente controbilanciati dalle cure che tutto l'equipaggio gli avrebbe rivolto, pensò con un breve sorriso, immaginandosi più di uno di quei soldati alle prese con un esserino minuscolo.

“No, non sono preoccupata per il piccolo” si ripeté rassicurandosi, mentre tornava a fissare di sfuggita la porta del suo alloggio, attualmente occupato dal comandante.
La impensieriva la resistenza della barriera placentare, messa a dura prova da quella gravidanza. Erano state le caratteristiche miracolose di quell'organo, le cui capacità non finivano mai di affascinarla, ad aver permesso la sopravvivenza di entrambi, senza che si manifestassero eccessivi disturbi nella madre e nel feto. La sua efficacia nell'impedire che il sangue embrionale e quello della madre si mescolassero e la sua opposizione al passaggio di alcuni germi e sostanze tossiche era stata la chiave che aveva consentito ad entrambi di restare in vita e in uno stato di buona salute, almeno fino a quel momento.
Il suo compito fondamentale sarebbe stato quello di monitorare continuamente la placenta, controllandone dimensione, funzionalità e circolazione venosa e arteriosa da entrambi i lati. Ma si rendeva conto che sarebbe potuto non bastare: via via che l'embrione fosse cresciuto i rischi sarebbero aumentati e desiderava trovare un sistema per rinforzare quella difesa naturale, per migliorare le prestazioni di quell'organo indispensabile ed evitare che finisse ad essere costretto ad uno stress eccessivo.

- IDA, ho bisogno che mi aiuti a mettere a punto un sistema di filtraggio, che impedisca al feto di danneggiare la madre - mormorò sottovoce, sperando che il comandante non sentisse la sua voce.
- Potremmo prevedere di scaricare direttamente tutte le sostanze di 'rifiuto', evitando che sia la placenta a dover depurare i liquidi corporei dell'embrione - rispose IDA, che aveva assimilato tutta la documentazione che la dottoressa le aveva messo a disposizione.
- Come possiamo farlo?
- Tali potrebbe mettere a punto un impianto con quelle caratteristiche, seguendo le mie indicazioni.
- Un impianto... quindi un'operazione. Non mi piace l'idea di interventi invasivi, ma occupatevene subito lo stesso. L'incubatrice può aspettare - concluse la dottoressa, sentendosi sollevata.
Diede un'occhiata ai monitor collegati al corpo di Shepard, ordinò a IDA di contattarla se avesse rilevato valori allarmanti, poi si avviò verso la cabina di pilotaggio.

- Cosa diavolo c'è? - chiese Joker, vedendo Karin che si sedeva sulla poltrona alla sua destra - Ho già preso tutte le mie dannate medicine.
- Shepard è confinata nei miei alloggi e tu sei il secondo in comando - gli ricordò lei, appoggiandosi comodamente contro lo schienale.
- Oh, grazie per la precisazione. Non avevi nulla di meglio da fare o ti diverte mettermi sotto pressione?
- Spettano a te le decisioni sulla rotta, ma sarei felice se ci dirigessimo verso la Cittadella alla massima velocità possibile - chiarì la dottoressa, assolutamente impermeabile al malumore del pilota - Se anche ti passasse sotto il naso una nave carica di un migliaio di schiavi, sarei più tranquilla se fingessi di non vederla.
- Contaci: non mi ci vedo proprio a indossare i panni di salvatore della galassia e poi... prima arrivo sulla Cittadella, prima posso riportare questa dannata nave ai Quarian per riprendermi la Normandy.
- Bene - fu il commento sollevato della dottoressa, che si alzò per tornare al suo posto in infermeria.

Appena entrata nella stanza trovò Shepard che era uscita dall'alloggio e stava giocherellando nervosamente con l'apparecchiatura per le ecografie.
- Puoi usarla ogni volta che vuoi: non fa del male né a te, né al bambino - la tranquillizzò con un sorriso gentile, continuando a fissare quel viso tanto familiare, nel tentativo di decifrare cosa la impensieriva.
- Sì, Karin, lo so - le rispose lei, meccanicamente, persa in qualche riflessione del tutto estranea alla sua gravidanza.
- Sto valutando se sottoporti o meno a un piccolo intervento fra pochi giorni. Forse un impianto renderebbe più semplice la convivenza fra te e il bambino che porti in grembo - la avvisò la dottoressa fissandola bene in volto - Ma lo eseguirò solo se si renderà necessario. E' la tua serenità ciò di cui avete entrambi bisogno, prima di tutto. E non posso riempirti di sedativi nelle tue condizioni - concluse con fermezza, sperando che il comandante non sottovalutasse i rischi legati alla sua salute.
Sbuffò irritata. Avrebbe voluto che Shepard si confidasse, che le parlasse chiaramente. Immaginava cosa la turbava ma, se non aveva voglia di confidarsi, non poteva imporglielo.

- Vorrei che Kelly fosse qui. Non posso aiutarti se non mi dici cosa ti preoccupa - confessò alla fine, con un'apprensione che non si prese il disturbo di celare.
- Garrus potrebbe essere morto per questo figlio che non abbiamo mai neppure cercato di avere - mormorò lei in risposta, sottovoce, guardando lo schermo nero e silenzioso dell'ecografo.
- Non puoi rimproverarti per un abbassamento nei valori della tua pressione sanguigna - la rimproverò, immaginando che si stesse riferendo allo svenimento avuto sul ponte della Normandy.
In realtà era quasi certa che se Shepard fosse stata appena un po' più prudente e si fosse sottoposta a degli esami ciclici, come le aveva raccomandato più volte, fin dall'inizio del viaggio, lei avrebbe potuto diagnosticare ben prima quella inaspettata gravidanza.
- Non posso? - le chiese il comandante, fissandola bene negli occhi - Suppongo che se mi fossi fatta visitare, come avrei dovuto, avresti capito che ero incinta e mi avresti dato dei consigli utili per tempo.

- No. Non credo che avrei mai pensato a una gravidanza - le rispose, assumendo quell'espressione fintamente rilassata che aveva imparato ad utilizzare quando si trovava a mentire ad individui condannati da un male incurabile, se era certa che non avevano la forza di accettare la loro sorte inevitabile.
- Sapevo che Garrus non avrebbe mai acconsentito ad avere rapporti non protetti con te, e non per paura di poter diventare padre - affermò con sicurezza, questa volta sincera.
- No, non lo ha mai fatto - assentì lei, chiedendosi se, una volta conclusa quella maledetta missione, avrebbero mai fantasticato sulla possibilità di metter su famiglia. Scosse la testa per liberarsi da quel pensiero che le faceva solo del male: adesso non avrebbe più potuto conoscere la risposta a quella domanda.
- Shepard, non puoi abbandonarti all'idea che Garrus sia morto. Non lo sai con certezza. Io credo sia lì fuori, da qualche parte, e che stia tentando di tutto pur di tornare da te - la cercò di consolare la dottoressa, instillando in quella frase tutta la sincerità possibile.
Il comandante restò in silenzio, senza neppure accorgersi che la sua mano era corsa a stringere fra le dita i ciondoli appesi alle due catenine che portava al collo.
- Posso andare in giro per la nave? - chiese poi, mentre la Chakwas tornava a sedersi vicino al tavolino per studiare un altro paio di file che riguardavano i neonati turian.
- Sì, certo. Però non agitarti - si raccomandò.
- Shepard? - la richiamò, mentre stava già varcando la porta - Preferirei se tornassi a riposare qui, nella stanza dell'ufficiale medico, invece che nella cabina assegnata al comandante - aggiunse poi, con una certa inquietudine.
Lei fece un breve cenno di assenso ed uscì nel corridoio.

°°°°°

Gattaca




Si sarebbe voluta dirigere verso la cabina di pilotaggio, ma sapeva che, se fosse andata lì, ben difficilmente avrebbe trovato la forza di rialzarsi dalla poltrona posta al fianco di Joker. I suoi occhi avrebbero preso a scrutare inutilmente i cieli attorno alla Tonbay e non poteva farsi prendere dai rimpianti e affogare in speranze destinate a non avverarsi.
Cercò un comunicatore sul lungo corridoio che stava percorrendo e, appena lo individuò, chiese a IDA dove avrebbe potuto trovare James. Si fece dare le indicazioni necessarie per raggiungere la palestra e si incamminò con la testa piena di pensieri grevi e opprimenti ed il cuore terribilmente pesante.

La tecnologia dei Razziatori, utilizzata sulla nave quarian, aveva portato ad alcune modifiche che interessavano anche piccoli dettagli di secondario interesse. L'apertura delle porte, per esempio, risultava così silenziosa da poter passare del tutto inosservata, tanto che il suo ingresso nella grande sala, il cui pavimento era ricoperto da quello spesso e robusto tappeto in uso nei locali adibiti agli allenamenti sportivi, passò del tutto inosservato.

Si fermò di botto, stupita di fronte alla scena che le si presentava davanti agli occhi.
Jack stava prendendo a pugni un grosso sacco, identico a quello che i pugili terrestri usavano durante gli allenamenti, e James le stava dando alcune istruzioni.
- No. Ti ho detto: uppercut sinistro, cross, gancio sinistro, e ripeti per tre volte. Sì, così va bene... ma non scordarti di respirare, mica sei sott'acqua - la stava incitando, mentre la ragazza saltellava seguendo i movimenti del sacco, che ondeggiava leggermente.
- Ok, ora ti insegno un'altra combinazione: cross, gancio destro, jab - elencò poi il ragazzo, impadronendosi del sacco per mostrarle i colpi.
- Ripeti anche questa serie, per tre volte - le raccomandò, prima di accorgersi del comandante, che si trovava in piedi a fianco della porta.

- Cercavi me? - le chiese avvicinandosi, mentre Jack si bloccava di colpo e cominciava a svolgere rabbiosamente le bende che portava intorno alle mani e ai polsi, prima di scaraventarle sul pavimento in un nodo aggrovigliato.
- In realtà volevo parlare a entrambi - rispose Shepard, stupita di averli trovati assieme. Aveva avuto intenzione di cominciare a parlare con James, perché il colloquio con la ragazza sarebbe risultato decisamente più impegnativo.
- Risparmiaci le tue condoglianze - la apostrofò infatti Jack in tono chiaramente irritato, uscendo dalla stanza quasi di corsa, ma non senza averla prima fissata con aperta ostilità.
- Non riesce a perdonarsi - le confidò James, rimanendo a fissare la porta ormai chiusa - Non ce l'ha davvero con te, ma le viene più facile incolpare te, piuttosto che affrontare se stessa. So cosa prova: ci sono passato anche io... - aggiunse poi, mentre cominciava a fare le sue solite flessioni alla sbarra.

- Mi dispiace - ammise semplicemente, sapendo che con James non ci sarebbe stato bisogno di troppe parole - Sono passata per sapere come stai, anche se la domanda è ovviamente stupida. Lo so come ti senti - concluse fissandolo in viso.
- Beh, nemmeno tu sarai di splendido umore, suppongo...
- Già...
- Neppure l'addestramento N7 deve aiutare molto in questi casi. Vero?
Shepard scosse la testa in silenzio: quel dolore non poteva essere lenito da nessun tipo di addestramento e di certo non si riusciva a farci l'abitudine.
- E' buffo constatare come la parziale distruzione della Normandy sia quello che ci aiuta maggiormente a superare questi primi giorni - osservò pensosamente James, facendo una breve pausa fra una flessione e un'altra.
“E' vero” si rese conto lei, sorpresa “Se fossi nella Normandy avrei costantemente davanti agli occhi Garrus. Lo rivedrei a mensa, sul letto, sotto la doccia o intento nelle sue calibrature. Lo rivedrei mentre si veste o si spoglia, con un fucile fra le mani, mentre sorride o si rabbuia o quando mi fissava, pensando che non lo stessi osservando” rimuginò, mentre le scappava un mezzo singhiozzo di cui si vergognò immediatamente.
- Mi dispiace - si scusò di nuovo, mordendosi le labbra e desiderando sprofondare sotto il pavimento. Non era andata da lui in cerca di conforto, ma per offrirglielo.
- Lo so che ti dispiace e so che ti senti in colpa anche se non dovresti. E' inevitabile - provò a rassicurarla, lasciandosi cadere dalle sbarre e guardandola con quei suoi occhi dolci e gentili.

Forse sarebbe scoppiata in lacrime e avrebbe cercato un po' di comprensione su quelle spalle così ampie, che sembravano fatte apposta per incoraggiare e proteggere, anche da se stessi, ma non ne ebbe il tempo, perché fu in quell'esatto istante che Jack fece nuovamente irruzione nella stanza e, ascoltata la frase di James, osservò gelidamente - Credo che sentirsi in colpa sia il minimo, anche se è assolutamente inutile, a questo punto.
Fece alcuni passi verso i suoi due compagni e seguitò - In poche ore hai decimato il tuo equipaggio, comandante - la accusò.
- Per essere una che si vanta di tenere ai propri uomini, direi che ti sei comportata in modo imperdonabile, con una avventatezza che non si può giustificare - concluse, quasi sputandole addosso quelle parole, che sembravano intrise di veleno.

- E io direi che ora può bastare, Jack. Hai davvero passato la misura - fu il commento duro e del tutto inatteso che si propagò dai comunicatori posti al centro delle quattro pareti della stanza - E poi... chi ti dà il diritto di sputare sentenze velenose? Non sai neppure di cosa stai parlando! Tu non ci sei stata fin dall'inizio. Io sì.
- Dov'eri tu quando il comandante lasciava andare la regina dei Rachni, rischiando di rimettere in libertà una delle peggiori catastrofi che la galassia avesse mai dovuto affrontare? - specificò Joker con evidente rabbia - Dov'eri quando si impadroniva a forza della Normandy perché il Consiglio ce l'aveva sottratta? E dov'eri quando, invece di abbandonarmi alla mia stupidità, mi costringeva a salvarmi, rinunciando alla sua vita? E non sei tu ad aver rischiato il tutto per tutto, alleandoti con Cerberus solo perché era quella l'unica organizzazione che combatteva contro i Razziatori - osservò sarcasticamente - Fosse stato per la tua lungimiranza ora saremmo tutti morti e defunti.
- Difficile immaginare una persona che abbia quasi sempre agito superando i limiti di avvedutezza e prudenza che sono alla base di un comportamento ragionevole e razionale - osservò ancora il pilota, mentre Shepard non sapeva se sentirsi sollevata per quell'intervento inatteso o preoccupata dalla piega di quei discorsi.

- Ricorderai però che ha riattivato un geth sulla Normandy, mettendo a rischio l'intera nave, che ha riscritto gli eretici e che è entrata nel portale di Omega 4 per seguire l'equipaggio rapito, senza neppure fermarsi a chiedersi se fossimo veramente pronti.
- A parte il fatto che decidere di liberare una pazza tatuata dalla Purgatory non sembra essere una delle mosse più prudenti che si possano prendere in esame - aggiunse poi, sempre in tono decisamente irritato - non ti sarai dimenticata la distruzione di un portale galattico, che ha condannato a morte trecentomila batarian. E la cura della genofagia? Tuttora a me non sembra una decisione molto sensata, con tutto l'affetto che posso nutrire per quel testone di Wrex. E di certo non è stata saggia la decisione di entrare nel consenso geth, come se si trattasse di partecipare a una semplice scampagnata fra amici.
- E a mio giudizio - intervenne IDA - neppure l'ultimo gesto del comandante, quello con cui ha distrutto tutte le IA della galassia per essere certa di sterminare i Razziatori, può essere considerata un'azione molto meditata.

- Diavolo, Lola - commentò a quel punto James - Dopo aver sentito snocciolare l'una dopo l'altra tutte le tue imprese, mi chiedo come mai non sei rinchiusa in una cella imbottita, involtata in una camicia di forza - concluse, fissandola con aria assorta.
- Perché siamo stati fortunati. Forse anche troppo - rispose il comandante - Ma questa volta no - aggiunse avvilita - No, di certo non lo siamo stati - ripeté, uscendo rapidamente dalla porta della palestra per tornare verso l'infermeria.

- Cos'è successo? - le chiese la dottoressa, fissandola con evidente disapprovazione, non appena la vide entrare nella stanza - Ti avevo raccomandato di rimanere serena e tranquilla, ma sembra che ti ostini a fare l'esatto contrario di quanto ti dico.
- Mi sento sul punto di crollare, Karin - le rispose sinceramente, abbandonandosi sulla sedia.
- Ma sai che non puoi farlo - le rispose la dottoressa, sorridendo con incoraggiamento. La fissò per qualche istante, sperando che quella donna decidesse di aprirsi con lei. Alla fine scosse la testa, si alzò dalla sedia, prese un datapad ancora vuoto e glielo mise fra le mani.
- Comincia a scrivere il rapporto che dovrai presentare al Consiglio - la spronò - e cerca di essere convincente. Al bambino non farebbe bene nascere dietro le sbarre - concluse, prima di farle l'occhiolino, sapendo che avrebbe capito che stava solo scherzando. Voleva solo che si distraesse e pensasse a qualcos'altro: un noiosissimo rapporto sarebbe andato più che bene.

°°°°°

Shepard non si rese conto di quanto tempo fosse rimasta a mettere ordine nei pensieri per scrivere un resoconto sensato e convincente. Il tempo, su una nave spaziale, non scorreva come accadeva di solito, sui pianeti o sulle stazioni spaziali. Dette un'occhiata distratta all'orologio senza registrare l'informazione e si mise a rileggere con attenzione quanto aveva scritto fino a quel momento.

I nemici incontrati nel sistema Far Rim, nel seguito denominati Divoratori di stelle, appaiono essere una grave minaccia per l'intera galassia. La loro presenza nella Via Lattea è dovuta allo sfruttamento dell'energia emessa dalle stelle. Sono in grado di accelerare il naturale processo di invecchiamento degli astri, per diminuire drasticamente il tempo necessario alla raccolta dell'energia, provocandone una morte prematura.
Un altro pericolo, forse maggiore, è rappresentato dall'ingente emissione nello spazio di un'energia simile, per caratteristiche e comportamento, all'energia oscura. Livelli eccessivamente alti di questa energia tendono inevitabilmente ad esercitare una forza repulsiva fra corpi celesti, causando un loro allontanamento, così come abbiamo rilevato all'interno del sistema Far Rim.
Nell'allegato F1 è riportato il confronto fra le misurazioni delle distanze nel sistema di Dholen effettuato durante la missione appena conclusa e quelle note ai tempi della mia precedente missione su Haestrom. Da alcune simulazioni effettuate da IDA sembra probabile che, in tempi brevi, il pianeta più esterno andrà alla deriva, mentre non è ancora certo cosa accadrà ai restanti.

La natura inorganica del nemico, presumibilmente basato sull'energia, anziché sulla materia, ne rende difficile la caratterizzazione nei termini che vengono comunemente utilizzati. Sono infatti del tutto invisibili agli apparati visivi degli esseri organici e attualmente non si dispone di alcuna strumentazione in grado di rilevarne la presenza.
Tuttavia i biotici sono in grado di localizzarli, con una capacità che risulta strettamente correlata alla potenza individuale dei propri poteri, sfruttando l'alone di energia che avvolge ogni singola entità, a meno che l'entità stessa non decida di occultarsi.
Allo stato attuale risulta che i Divoratori di stelle siano in grado di azzerare l'emissione di energia, rendendosi così del tutto invisibili anche ai biotici, solo mantenendosi completamente inattivi. Non appena un'entità effettua una qualsiasi azione, l'alone di energia ne rivela la presenza.

Abbiamo motivo di ritenere che la loro forma elementare sia di 'dimensioni' ridotte, più o meno della grandezza di una palla da biliardo, ma che siano in grado di 'combinarsi' fra di loro in modo da dare origine a entità di 'dimensioni' molto maggiori, anche notevolmente più grandi dei Razziatori. Crediamo che queste entità complesse abbiano capacità molto maggiori dei singoli individui che li compongono, in analogia a quanto accadeva per le piattaforme geth.
E' anche ragionevole supporre che, similarmente ai Rachni, siano guidati da un'intelligenza collettiva, capace di guidarne il comportamento con una velocità e precisione molto superiori a quella di qualsiasi essere organico.
La rapidità di esecuzione e la capacità di coordinamento non appaiono inferiori a quelle di un esercito geth.

La capacità offensiva dei Divoratori di stelle si esercita in due modi diversi e in qualche modo contrastanti. Un'entità aliena è in grado di assorbire istantaneamente, e totalmente, l'energia del corpo, organico o inorganico che sia, con cui entra in contatto, decretandone la morte istantanea o la cessazione immediata del suo funzionamento.
E' altresì capace di esplodere, generando una detonazione sferica di raggio variabile, forse correlato alla dimensione dell'entità che la causa. Queste esplosioni provocano ingenti danni, con effetti assimilabili a quelli ottenuti dalla deflagrazione di fonti di energia oscura.

I Divoratori di stelle sono risultati estremamente sensibili all'elemento zero. Se le armi standard e quelle ad energia non risultano minimamente efficaci, abbiamo potuto rilevare che armi a particelle o laser, arricchite con nuclei di eezo, fanno letteralmente scoppiare le entità nemiche, con esplosioni che si propagano a catena, laddove altre entità siano sufficientemente prossime ai bersagli colpiti.

Sulla base dei documenti inviati ad alcuni membri del mio equipaggio, sembra che i Divoratori provengano da un'altra galassia, ma non si dispone di informazioni che possano precisare di quale galassia si possa trattare. Anche l'ipotesi che si tratti di una galassia spenta potrebbe essere essenzialmente suggerita dal modus operandi di questa razza, che sembra interessata al solo procacciamento di energia a scapito della sopravvivenza stessa dei sistemi stellari.
Questo disinteresse verso la sorte di interi settori dello spazio potrebbe essere giustificato dalla loro capacità di operare in più galassie contemporaneamente. Se questa supposizione fosse corretta, si potrebbe ipotizzare la presenza di un portale nella Via Lattea, in grado di rendere possibile un viaggio spaziale fra la nostra galassia e la loro.
Anche la localizzazione di questo eventuale portale è però attualmente ignota.

“Sono tutte informazioni preziose e finora completamente ignote. Ma valgono il prezzo pagato?” si chiese dubbiosa. Non si preoccupava del giudizio dei Consiglieri: era lei stessa a ritenerlo troppo alto.
Si appoggiò allo schienale della sedia e allungò le braccia, sciogliendo i muscoli irrigiditi, rifiutando anche solo l'idea di scrivere il secondo rapporto, in cui avrebbe dovuto riportare le varie fasi degli scontri a fuoco e le perdite subite. “Non oggi”, pensò alzandosi dal tavolo “Non me la sento di affrontare anche questo” confessò a se stessa.
Si appoggiò contro il vetro della finestra, guardando lo spazio nero che avvolgeva lo scafo, cercando di evitare di chiedersi inutilmente dove potesse trovarsi suo marito o se fosse ancora in vita.

L'ora di cena arrivò e trascorse senza che ci facesse caso. Prese coscienza di quanto fosse tardi solo quando la porta si aprì e Jack le comparve davanti reggendo fra le mani un vassoio colmo di piatti.
- Sarebbe bene se mangiassi qualcosa, suppongo - affermò, poggiandolo sul tavolo e sedendosi di fronte a lei.
- Hai usato veleni rapidi o mi toccherà morire fra atroci sofferenze? - la sfotté timidamente.
- Dovresti chiedere a Tali: io non c'entro con questa roba. Come fai a ingoiarla? - chiese poi, facendo una smorfia di disgusto.
“Penso a Garrus” fu la risposta immediata che però non pronunciò, limitandosi ad una breve risata nervosa.

- Non avrei dovuto portarmi appresso quell'inetto - osservò improvvisamente Jack, rompendo il silenzio che si era creato nella stanza, mentre prendeva uno dei due bicchieri che erano appoggiati sul vassoio e lo riempiva con un vino rosso scuro.
- No. Sono io che non avrei dovuto portarlo su Gotha - osservò a sua volta il comandante, appoggiando la forchetta sul tovagliolo e scostando uno dei piatti con aria disgustata.
- In effetti... - commentò Jack fissandola in tralice - gli avevi assegnato un compito superiore alle sue capacità - concluse con un ghigno strano che sorprese il comandante.
- Dici? - chiese dubbiosa.
- Cazzo, no! Ti sei rimbecillita? - chiese a sua volta Jack, continuando a ghignare - James mi ha detto che gli avevi ordinato di sparare dei fuochi d'artificio... Anche un perfetto idiota avrebbe potuto farlo!
“Ma ci si resta male comunque; lo sai tu come lo so io. Ed è inutile ricordarselo” ragionò Shepard in silenzio.
- C'è un maledetto bar su questa nave? - chiese invece ad alta voce.

- Cos'è? - domandò Jack, probabilmente incuriosita dagli strani caratteri stampati sull'etichetta della bottiglia che il comandante stava reggendo nella mano, per versarsi un dito di vino in un bicchiere.
- Kyril - rispose sottovoce, sentendo che quel nome pesava come piombo.
“Era il vino preferito da Garrus... E' il vino preferito da Garrus...” pensò, mentre la sua bocca pronunciava - E' un vino che viene da Palaven.
“Palaven... i Razziatori... Tu eri lì. Sapevi che sarei arrivata. Mi stavi aspettando...”.
- Già, è facile scovare una bottiglia del genere su questa nave: dimentico sempre che i Quarian condividono il cibo con i Turian - osservò Jack che aveva visto come il comandante si fosse perso nei ricordi. Aveva voluto distrarla, ma pronunciare la parola turian era stata una pessima idea, si rese immediatamente conto - Cazzo! Ne facessi mai una giusta... - mormorò con irritazione.
- Non sentirti in imbarazzo. Penserei comunque a Garrus, anche se mi parlassi dei tuoi tatuaggi - rispose Shepard stringendosi nelle spalle.
- L'amore è una stronzata, Trinity. E' solo uno stramaledetto casino che ti rovina la vita.
- Povero Cooper, gli dici spesso cose del genere?
- Cooper? Ma ci mancherebbe! Quella è una storia ormai vecchia...
- Credo di essermi persa qualche puntata... Aggiornami - la invitò il comandante versandosi un altro dito di vino e accomodandosi sul divano.

Jack sorrise maliziosamente prima di confessare candidamente - Non riuscivo più a vedermelo stare fra i piedi con quegli occhioni sognanti, come un cucciolo che implora il suo padrone per una piccola grattatina.
- E quindi... l'hai scaricato? - le chiese sgranando gli occhi.
- Ovvio - ridacchiò divertita, stappando una bottiglia di birra - Era diventato una vera piattola. Non era affatto divertente.
- Potrebbe farti finire nei guai con la scuola?
- Non gli consiglio di provarci - rispose Jack con un'occhiata talmente carica di minaccia, da rendere chiaro che ben difficilmente qualcuno dotato di un minimo di buon senso avrebbe fatto una mossa tanto stupida.
- Ma invece... cosa sai dirmi su James? - le chiese subito dopo la ragazza, accavallando le lunghe gambe, mentre il Kyril, finito di traverso, causava un lungo accesso di tosse nel comandante.
“O per la miseria! James no, Jack! Spiriti... proteggetelo” riuscì solo a pensare mentre cercava inutilmente di ritrovare il fiato.
- Ha osato chiamarmi Jaqueline, quell'idiota. E non l'ho neppure appiccicato al muro...
- No? E perché?
- Me lo meritavo... - ammise la ragazza, mentre arrossiva.
“E già: mi sto preoccupando inutilmente. Non sarà Jack a mettere in difficoltà James... Forse potrebbe accadere addirittura il contrario e, diavolo se sarebbe interessante!” meditò in silenzio, nascondendo un sorriso spontaneo in un altro sorso di vino.
- Questa me la devi raccontare - dichiarò poi, mentre posava il bicchiere sul tavolino, per non rischiare di strozzarsi nuovamente.
- Oh no. Non credo proprio... - replicò seccamente la ragazza - Scordatelo!
E, detto questo, si alzò con un balzo elegante dal divano ed uscì velocemente dalla stanza, lasciandola più curiosa che mai.
“Jaqueline...” ripeté fra sé senza smettere di sorridere. Non avrebbe mai saputo come era andata, ma se Jack le aveva portato la cena e si era messa addirittura a bere qualcosa con lei al bar, era evidente che l'aveva perdonata. E tutto questo era sicuramente opera di James.

Peccato che lei facesse molta più fatica a perdonarsi, pensò, mentre si alzava per uscire dalla stanza.
Una volta nel corridoio, si guardò intorno con aria incerta: non aveva prestato attenzione al tragitto percorso all'andata, e quel ponte le era assai poco familiare.
Scelse di avviarsi verso destra e fissò le quattro porte di quel settore, sicura che fossero delle cabine per l'equipaggio, ma senza avere la più pallida idea di chi occupasse ciascuna di esse.
Intravedere alla sua sinistra l'armatura di Grunt e trovarsi avvolta in uno scudo biotico fu tutt'uno. Le venne da ridacchiare per quell'istinto protettivo materno che doveva essersi sviluppato in modo subdolo, ma molto rapidamente.
- Le femmine parlano troppo - borbottò il krogan fra sé e sé con aria infastidita, prima di girarsi verso di lei e salutarla.
- Con chi ce l'hai?
- Lazara. Ora che è riuscita a mettersi in contatto con sua cugina, quelle due femmine non fanno altro che chiacchierare, in continuazione. E, quando non parlano al terminale, si scambiano messaggi.
- Vai in palestra, Grunt, che sei buono solo a menar le mani - fu l'invito divertito che arrivò dalla cabina rimasta aperta.

Shepard sorrise nel fissare quel grosso bambino che si avviava lungo il corridoio che lei aveva appena finito di percorrere, poi si affacciò alla porta della cabina per salutare Lazara, che la invitò a entrare, interessandosi alle sue condizioni di salute.
- Sto bene - rispose gentilmente, ma senza alcuna voglia di parlare di se stessa - Dammi notizie di Wrex e Bakara - aggiunse accomodandosi su una sedia.
- Le autorità sembrerebbero intenzionate a far entrare anche i Krogan nel Consiglio e puoi immaginare cosa si stia scatenando di conseguenza.
- Ve lo meritate. Vi siamo debitori oggi, così come lo fummo al tempo dei Rachni, anche se molte persone preferirono dimenticarsene.
- Dobbiamo a te se abbiamo trovato degli alleati nella galassia, comandante. E non lo dimenticheremo mai. Ma Wrex è sottoposto a non poche pressioni in questo momento, anche se la sua autorità sembra continuare a crescere con il passare del tempo. Sta facendo un ottimo lavoro e la maggior parte dei Krogan è disposto ad accettarlo come capo supremo.
- Ma ci saranno clan contrari agli Urdnot, suppongo.

- A dire il vero questa storia dei clan sta perdendo significato. La cooperazione non è insita nel DNA dei maschi, ma Wrex sa bene che l'unica possibilità del nostro popolo sta nella cessazione di ogni ostilità. E le femmine stanno aiutando a plasmare il futuro del nostro popolo, ricordando a tutti i nostri usi e la nostra cultura. Torneremo ad essere il popolo fiero e dignitoso che fummo nei tempi antichi, prima della genofagia - precisò Lazara, con un tono pieno di orgoglio.
Shepard annuì, perché quelle frasi le avevano riportato alla memoria i colloqui avuti con Bakara sulla Normandy e poi più tardi, sul suolo di Tuchanka, dopo la morte di Mordin.
- Le donne krogan mi sembrano piene di una saggezza che manca generalmente ai vostri maschi.
- Credo che tu possa capirli: l'avidità di potere, le manifestazioni di forza bruta e la violenza erano tutto ciò che era rimasto loro, dopo la genofagia. In esse trovavano l'unica giustificazione della loro stessa esistenza.
- Per voi femmine è stato diverso - rispose Shepard che però aggiunse subito - Ma non meno doloroso. Anzi, io credo che la vostra sofferenza sia stata molto maggiore.
- La sofferenza ci ha plasmato, donandoci la saggezza e il senso del sacrificio individuale, in nome del bene comune. Ma non avevamo scelta: potevamo arrenderci alla disperazione o lottare per una speranza. Tu, meglio di altri, puoi capire la situazione che abbiamo dovuto affrontare.

- Vorrei avere le tue certezze, in questo momento. Ma non ne ho - le confessò a questo punto, incerta se si stesse spingendo troppo oltre con le confidenze.
- Immagino che tu ritenga di aver pagato a caro prezzo l'ultima missione. E' questo che ti angoscia?
Shepard si limitò ad annuire, fissando quella femmina aliena che sentiva incredibilmente vicina, forse più di quanto lo fossero mai state perfino Tali o Liara.

- Hai dovuto mettere a dura prova la tua risolutezza. La determinazione che hai dimostrato nel completare la missione che ti era stata assegnata ha portato al sacrificio di persone che ti erano care. Eppure le informazioni che hai raccolto sono di un'importanza estrema - osservò Lazara con voce ferma e tranquilla.
- Nessuno aveva idea di quale nemico insidiasse la nostra galassia e nessuno sapeva in quale modo avrebbe potuto combatterlo - continuò quietamente - Adesso, invece, sulla base di ciò che abbiamo imparato, potremo fare dei piani, stabilire delle linee di azione, prepararci ad affrontare questa sfida. Ci hai donato una speranza che non avevamo e nulla vale più della speranza, comandante.
- Mi hai fatto tornare alla mente il lungo discorso di Bakara sulla sua iniziazione. Anche tu sei uno sciamano?
La krogan rise scuotendo la testa, prima di spiegare - Io mi occuperò della ricostruzione del nostro pianeta. Mi interesso di urbanistica e forse studierò anche architettura. Dobbiamo ricostruire tutto, quasi partendo da zero, e tanto vale cominciare a farlo nel modo giusto. Ma conosco bene la storia di mia cugina.
- Il cristallo che guiderà i tuoi passi fino all'uscita della caverna è dentro di te, comandante - aggiunse poi, prendendole una mano e stringendogliela forte fra le sue - E' anche per il futuro del figlio di Garrus che hai combattuto e puoi essere fiera delle scelte che hai fatto. Anche se sono dure da sopportare e se ti procurano dolore, mantieni alta la testa e continua per la tua strada. Il tuo cuore saprà guidarti, così come ha sempre fatto, in tutti gli anni della tua vita.

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Capitolo 17
*** Addio ai cieli ***


ADDIO AI CIELI



Whispering Heart (Garrus & Femshep Tribute)
(NdA: a me risulta impossibile leggere con questo file di sottofondo, per cui mi rendo conto che non è una buona idea proporvelo all'inizio del capitolo.
Ma è da qui che “Addio ai cieli” è nato. Volevo condividerlo con voi, perché questa voce.... Spiriti! Che voce è questa!)




Mancavano ormai pochi giorni all'arrivo della Tonbay sulla Cittadella, ma molte erano ancora le cose su cui riflettere, si rese conto il comandante, mentre sedeva sul letto di quella stanza poco familiare.
L'alloggio dell'ufficiale medico era decisamente più piccolo della cabina che occupava sulla Normandy, ma era lieta di avere a disposizione solo una branda, con un comodino al suo fianco, un tavolinetto, una sedia e un minuscolo armadio. Anche il bagno era di dimensioni ridotte, ma corredato di tutto il necessario. Come aveva notato James, era più facile affrontare le giornate in quell'ambiente estraneo, ma bastava un nonnulla perché la presenza di Garrus diventasse reale e allagasse la sua mente.
Il ricordo della sua persona e della sua voce, roca e metallica, spazzava via oggetti e persone e si imponeva con autorità, catturando tutta la sua attenzione e facendole assumere un'espressione distante. Sapeva che a volte si estraniava dalla realtà, perdendosi dentro se stessa. Le era capitato di interrompersi a metà di una frase, inseguendo un ricordo sbocciato all'improvviso, o di smettere di ascoltare i discorsi che qualcuno stava pronunciando.

In virtù di qualche strano meccanismo, il suo cervello riusciva ora a ricordare, con nitidezza assoluta, le frasi che si erano scambiati nei momenti più significativi della loro vita in comune: sui ponti della Normandy o in missione, nel pieno di uno scontro a fuoco o durante i pochi momenti di gioia e tranquillità che avevano potuto passare insieme. Quelle frasi tornavano improvvisamente nella sua memoria, riportate alla luce da una parola o da un rumore, o nascevano spontaneamente dal nulla, senza alcuna ragione apparente.
E tutti i sentimenti provati durante quegli istanti passati si riverberavano inalterati nella sua mente, aggravati da una malinconia che li intensificava tanto da procurarle un dolore intenso, che le lacrime non riuscivano a diluire. Solo il visore affondato nella carne del palmo riusciva a distrarla, spingendola a trovare la forza di andare avanti.
Il visore e il bambino. Tutto il resto restava sfumato, come le immagini di quel dannato sogno che le aveva avvelenato l'esistenza durante la lunga guerra contro i Razziatori. La realtà che la circondava rimaneva qualcosa di confuso e sfumato, a cui faceva fatica a prestare attenzione.

“Devo incontrare Rennok. Devo trovare il modo di parlargli di persona” aveva deciso durante una notte passata insonne. Doveva darsi degli obiettivi precisi e concentrarsi su quelli. Un piede dietro l'altro, un passo alla volta. Il futuro era davanti a lei e doveva affrontarlo. Per farsi coraggio provava a ripetersi i versi di una canzone di un cantautore, quello che amava di più, nonostante fossero passati quasi 200 anni dalla sua scomparsa: 'e mai poter bere alla coppa d'un fiato, ma a piccoli sorsi interrotti'. Sentiva di poter vivere solo così, a piccoli sorsi interrotti.
Incontrare suo suocero sarebbe stato il primo passo che avrebbe compiuto, una volta che fosse atterrata. Dopo sarebbe andata a parlare con i Consiglieri: avrebbe fatto rapporto e avrebbe comunicato la sua decisione di prendersi un congedo a tempo indeterminato.
Non era più in grado di comandare una nave, di guidare un equipaggio. Non senza Garrus, non con un figlio in arrivo. La sua vita fra le stelle era conclusa, almeno per il momento.
Sapeva quanto le sarebbero mancati quei cieli e la sua nave e immaginava quante volte avrebbe alzato gli occhi verso l'alto o all'orizzonte, piena di nostalgia, ma non c'era un altro futuro.
“Non c'è Shepard senza Vakarian” sussurrò, appoggiando la fronte contro il vetro freddo della piccola finestra che dava sullo spazio e stringendo forte fra le dita il visore azzurro, dello stesso colore dei suoi occhi.

Il lieve bussare alla porta la distolse da quella malinconia. Si alzò immediatamente dal letto, pervasa da un'ansia che le esplose dentro, senza che riuscisse a dominarla. Avevano dovuto aspettare che l'amnios fosse di dimensioni adeguate per fare quell'esame fondamentale, che avrebbe dato una risposta alle domande più importanti, e la dottoressa, a quell'ora, doveva avere ottenuto i risultati.

- E' una femmina, Shepard - dichiarò la Chakwas non appena si accorse che il comandante era entrato nell'infermeria. Detta questa frase si lasciò cadere pesantemente sulla sedia alla destra del macchinario che mostrava i risultati dell'amniocentesi.
- Cosa ti succede? - chiese lei, preoccupata da quella reazione - Volevi un maschio, invece? - provò a scherzare, ma sentiva che il cuore stava perdendo dei colpi. “Cos'altro c'è? E' viva? Sta bene? Ce la farà mai a nascere?”. Si sedette anche lei sapendo che la sua stessa vita era legata a quella della bambina.
- E' levo... - aggiunse Karin, nascondendo la testa contro le mani aperte e sussurrando appena le due parole.
- Meglio, no? Sarebbe stato un bel casino se fosse stata destro, suppongo...
- No, non credo tu abbia idea di quanto sarebbe stata complicata la situazione, in quel caso - fu la confessione fatta con parole singhiozzate, che palesavano quanta tensione dovesse aver accumulato fino a quel momento la dottoressa.

- Tieni - sussurrò il comandante, porgendole un bicchiere riempito a mezzi di un Serrice Ice che aveva rimediato nell'armadietto dei medicinali di primo soccorso - ci meritiamo un brindisi.
Si sentì stringere il cuore nel fissare quei due occhi grigi colmi di lacrime contro le quali quell'anziana donna stava lottando per non farsene travolgere.
L'aveva tenuta a distanza perché non riusciva a dimenticare quanto male le avesse fatto con i rimproveri che le aveva rivolto mesi addietro, solo allo scopo di farla tornare a essere quella di un tempo. Sapeva che era stata una scelta saggia e coraggiosa, ma odiava le menzogne e faceva fatica a perdonarla, pur sapendo che, al suo posto, avrebbe agito nello stesso modo.
- Mi dispiace, Karin - mormorò inginocchiandosi di fronte a lei e abbracciandola con forza.
- Non dovresti bere del brandy, lo sai? - fu la domanda con cui la Chakwas cercò di alleggerire l'atmosfera, un po' troppo sdolcinata per i gusti di entrambe.
- Credo che di fronte a tutte le imprudenze che ho commesso, questa sia davvero veniale - ridacchiò Shepard, facendo tintinnare il suo bicchiere contro quello della dottoressa.
- Sta bene tua figlia, non c'è nulla che possa preoccuparci - la rassicurò Karin, bevendo in un solo sorso tutto il brandy contenuto nel bicchiere. Se ne versò un'altra dose generosa scuotendo la testa per vietarle di fare altrettanto e le chiese - Sai già come la chiamerai?
- Non ci avevo pensato - rispose Shepard con aria assorta, prima che il suo sguardo si illuminasse all'improvviso - Però, ora che me lo chiedi, credo che sia una scelta quasi obbligata.
Non specificò il nome, improvvisamente interessata ad un argomento diverso - Suppongo di poter tornare alla mia solita alimentazione - chiese infatti, mentre l'immagine di una tazza di caffè caldo e amaro le faceva venire l'acquolina in bocca.
- Certamente, ma non esagerare con caffeina e alcol - fu l'ovvia risposta - e continua a prendere gli integratori perché, anche se levo, il suo organismo potrebbe aver bisogno di sostanze che non troveresti nell'alimentazione umana.
- Allora... vado a prendermi una tazza giù a mensa - annunciò il comandante, fissando la dottoressa con un breve sorriso, prima di puntualizzare - piccola, piccola.
Fece per uscire dalla stanza ma all'ultimo momento si bloccò proprio sull'uscio - Sei davvero sicura che mi possa rilassare?
- Beh, diciamo che ti autorizzo a trasferirti nell'alloggio del comandante... Ti basta?
- Uhm, non so... Potresti essere spinta dal desiderio di smettere di dormire su una sedia... - le rispose ridendo, senza rendersi conto che quella era la prima breve risata che faceva da quando era iniziata l'ultima battaglia contro i Divoratori di stelle.

°°°°°

Andò a centellinare quella prima, preziosa tazza di caffè nella cabina di pilotaggio. Si sedette sulla poltrona con un sospiro lungo e soddisfatto, mentre Joker sbirciava la sua espressione fissando il riflesso del suo viso su un monitor al suo fianco.
- Quali sono i tuoi programmi una volta che arriveremo sulla Cittadella? - gli chiese, anche se era certa di conoscere già la risposta.
- Farò una rapida inversione di rotta. Riporterò questo dannato catorcio ai Quarian e riprenderò la mia nave... la tua nave...
- La nostra Normandy... - sospirò con nostalgia - Diavolo, Jeff... sembra siano passati dei secoli.
- E' che sono successe parecchie cose.
Ci fu un istante di silenzio, prima che entrambi se ne uscissero con un - Troppe - che venne pronunciato all'unisono.

- Sarà strano pilotare la Normandy senza averti a bordo - commentò Joker dopo qualche altro minuto che entrambi passarono in silenzio, ad ammirare una grande nebulosa che occupava una grande porzione della finestra di prua.
- Ti servirà un equipaggio, sia pure ridotto al minimo.
- A bordo rimarrà IDA, ovviamente, poi Sam e la dottoressa: suppongo voglia controllare che prenda le medicine... Anche Tali e Kal verranno con me, ne abbiamo parlato.
- Rimarranno su Rannoch?
- Sì. Credo che buona parte dell'equipaggio si disperderà per la galassia, ora che ti prenderai una pausa. Come è già successo in passato.
- Mi occuperò di questa cosa, Jeff - gli promise, sapendo che doveva fare in modo che l'Alleanza lo lasciasse alla guida della Normandy. Questo non sarebbe stato di certo un grosso problema, data la sua esperienza e la conoscenza della nave. Ma doveva trovare un comandante, e non si sarebbe accontentata di uno qualsiasi per il suo migliore amico e per la Normandy. Aggiunse mentalmente questo impegno alla lista di quello di cui si sarebbe dovuta occupare una volta sbarcata.

- E' una femmina. E' levo e sta bene - annunciò poi, guardando in viso il pilota.
- Una femmina... Sai mica cosa sarebbe piaciuto a Garrus? - rispose lui, continuando a fissare le stelle.
- Non abbiamo mai parlato di bambini.
- Giusto. Perché parlarne? Prima si fanno e poi se ne parla...
- Stai attento, Jeff...
- Mi diventi suscettibile, comandante?
- No: i Razziatori avevano previsto la sintesi come soluzione. IDA potrebbe prendere quel tuo commento come suggerimento per farti diventare papà di un bimbo-robot... - rispose Shepard in tono serio, mentre Jeff si voltava improvvisamente a fissarla con uno sguardo in cui si leggeva puro terrore e dal comunicatore giungeva una lunga risata sintetica: quel suono raccapricciante aleggiò per svariati secondi nella cabina di pilotaggio.

°°°°°

The End of an Era



Appena aprì gli occhi, la mattina successiva, ebbe un attimo di smarrimento: nulla le era familiare e per un brevissimo istante le parve perfino possibile che i Divoratori di stelle avessero fatto parte di un lungo sogno. Cercò Garrus, nella speranza che anche la sua scomparsa fosse solo un incubo destinato a dissolversi nella luce di un nuovo giorno, ma la sua mano, che corse al collo in cerca del visore, le restituì la certezza.
Si alzò dal letto, cercando di concentrarsi sul pensiero confortante di un caffè, anche perché le nausee mattutine erano ormai cessate quasi del tutto.

Si guardò attorno con aria critica: l'alloggio del comandante era poco più ampio della cabina destinata all'ufficiale medico, ma il letto era a due piazze e il bagno più grande, con una doccia molto piacevole, come ebbe modo di notare.
Si avvolse in un asciugamano e si avvicinò allo specchio per disappannarlo con la mano, ma si fermò prima di completare il gesto, ricordando le scritte che lei e Garrus avevano tracciato nel loro bagno sulla Normandy.
“Devi piantarla, Trinity” si disse, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Si pettinò stando seduta sul letto, rifiutandosi di tornare a guardare lo specchio appannato, si vestì e scese in sala mensa.

Ci trovò Tali e Kal, che stavano chiacchierando e ridendo, ma che si interruppero immediatamente, quando la videro entrare dalla porta.
- Siamo davvero felici, Shepard - le disse la ragazza, abbracciandola con forza, mentre il comandante realizzava che tutto l'equipaggio doveva essere al corrente delle novità riguardanti la sua gravidanza. Anche sulla Tonbay, come sulla Normandy, le notizie viaggiavano più velocemente degli scafi stessi.
- Chi te lo ha detto? - chiese incuriosita.
- IDA. Stavamo lavorando a un progetto per un impianto speciale, su suggerimento della Chakwas, nel caso in cui il bambino... la bambina fosse stata destro.
- Mi mancherà un po' non vedere più Tali dietro i fornelli - aggiunse poi ridendo Kal - non avevo immaginato quante esclamazioni colorite conoscesse, oltre al classico bosh'tet.
- Piantala, kos'rhit di un quarian - replicò Tali - Stai diventando scemo come il resto dell'equipaggio...
- Kos'rhit? - ripeté Shepard incuriosita, mentre rifletteva che quell'accenno ad un impianto sottolineava ancora una volta quando Karin fosse stata realmente in pena per lei.
- E' una versione più affettuosa dello stesso epiteto - chiarì Kal, che poi si girò verso la sua amica proponendole - Potresti cucinare anche per me, qualche volta.
- Non ci penso proprio: a te non piace mai nulla di quello che preparo - confessò la ragazza, mentre il comandante si chiedeva se la cucina levo fosse davvero immangiabile come aveva avuto modo di ritenere fino a quel momento o se fosse la quarian a renderla tale.

- So che tornerete su Rannoch. Suppongo che vi fermerete lì - dichiarò poi, una volta che si fu versata una tazza di caffè, buttandoci automaticamente dentro anche una manciata di cereali integrali, prima di accorgersi di quel gesto e di ricordarne il significato. Pensò di alzarsi e buttare tutto, perché preferiva il caffè solo, ma alla fine si strinse nelle spalle, prese un cucchiaio e cominciò a mangiare.
- Per degli anni, credo - replicò Kal, che ridacchiò e aggiunse - servirà parecchio tempo per riuscire a costruire una casa adatta alle esigenze di Tali - dichiarò poi, con il visore indirizzato verso il proprio piatto.
- Cosa intendi?
- Mi prende in giro perché gli ho confessato che desidero una dozzina di bambini - intervenne Tali, in tono divertito.
- Una dozzina? - ripeté Shepard, sgranando gli occhi.
- Bisognerà pur ripopolare il nostro pianeta - fu la pronta replica - La legge sul numero di figli, in vigore a bordo della Flotta Migrante, è stata fra le prime ad essere abolite. Adesso ci sono agevolazioni speciali e incentivi economici per le famiglie numerose...

Una volta che i due quarian terminarono di far colazione, Shepard rimase sola in quella stanza. Prese un succo di frutta e tornò a sedersi al tavolo, in attesa che altri membri dell'equipaggio passassero di lì.
Aveva trascorso lunghe ore nella mensa della sua nave prima dello scontro contro i Divoratori di stelle, per rassicurare i suoi compagni, ma oggi si sarebbe fermata lì per salutarli e informarsi sulle loro prossime destinazioni, spinta anche dal desiderio di poter fornire qualche aiuto in proposito.
Seppe così che Gabby e Ken sarebbero rimasti sulla Tonbay, in attesa di trasbordare sulla Normandy, più che altro per avere la certezza di non essere assegnati a due equipaggi differenti, e che anche Sam si sarebbe unita a loro.
Cooper e Foster, arrivati insieme ai due addetti alla sala macchine, avrebbero fatto ritorno in Accademia, non appena possibile, per terminare il ciclo degli studi.
Quando chiese loro notizie di Jack, notò un certo disagio in Cooper, ma nessuno dei due ragazzi poté fornire alcuna notizia sulla loro insegnante.

Poi fu il turno di Liara e Javik che stavano discutendo così animatamente da non vedere neppure Shepard, che si limitò a squadrarli con aria incuriosita, mentre ascoltava quell'inatteso litigio.
- Perché sei il solito testone, arrogante e presuntuoso.
- No, è perché conosco voi asari: di certo non siete animate da spirito caritatevole. Se non c'è un valido tornaconto personale non vi interessate a qualcuno che non appartenga alla vostra razza spocchiosa.
- Ohhhh! Ma sentilo! Perché invece i Prothean erano diversi? Imperialisti e totalitari... Noi almeno non fagocitiamo le altre razze - esplose Liara, chiaramente esasperata.
- Mi piacerebbe conoscere da cosa nasce questo amichevole scambio di opinioni - dichiarò Shepard, mentre i suoi due amici zittivano all'istante e si scambiavano un'occhiata incerta.
- Javik è stato contattato da un gruppo di studiosi asari, disposti a portarlo ovunque lui desideri, facendosi carico di tutte le spese - rispose alla fine Liara, sedendosi sulla sedia di fronte al comandante.
- Vorrei che accettasse - aggiunse - così potrebbe compiere quel dannato pellegrinaggio commemorativo a cui tiene tanto. E a me piacerebbe accompagnarlo... - rispose diventando di un bel colore viola intenso sul viso.
- Il fascino dei Prothean... - replicò Trinity ridacchiando - Ne hai uno in carne e ossa al tuo fianco e adesso ci si aggiunge il miraggio di una quantità di roba vecchia e dimenticata da riportare alla luce. Non credo che potresti farla più felice - dichiarò, fissando Javik.
- Non mi fido delle asari. Non puoi mai essere certo di quello che vogliono veramente, quando ti fanno una proposta che appare allettante. E questa lo è fin troppo... - rispose il prothean, in tono poco convinto.
- Suppongo che Liara verrebbe con te anche allo scopo di controllare che quei tipi, apparentemente tanto munifici e disinteressati, non ne approfittino per mettere le mani su qualche artefatto prezioso - ipotizzò, mentre la asari le rivolgeva un sorriso grato - Ha imparato che ben difficilmente le persone fanno qualcosa senza pensare al proprio tornaconto. Ricordati che è stata l'ultima Ombra: dubito che si farebbe fregare da un gruppetto di studiosi.

Dopo quel suo commento, un lungo silenzio cadde nella stanza, ma non c'era bisogno di uno psicologo per capire che il momento di tensione era sfumato. Quando Liara si alzò dal tavolo per andare a riempire una tazza per lei e una per Javik, si divertì a fissare l'espressione con cui il prothean stava fissando la sua amica. Ci si leggeva quel rispetto che aveva dimostrato anche a lei, nel saluto che si erano scambiati poco prima dell'ultimo scontro contro i Razziatori, ma l'espressione di quel doppio paio di occhi era anche addolcita da un sentimento di affetto profondo.
“Chissà quanto vivono i prothean?” si ritrovò a chiedersi, sperando che Liara non dovesse essere costretta a sopportare il dolore per la perdita di quel suo compagno. Ma dubitava vivessero quanto una asari.
Non si doveva preoccupare di quello. Il dolore che lei avvertiva, pensando a Garrus, era probabilmente molto diverso da quello che avrebbe provato Liara, in un futuro. La consapevolezza di essere destinate ad assistere alla morte del proprio partner era insita nella loro natura, era uno degli insegnamenti che ricevevano fin dalla più tenera età.

Stava per alzarsi dalla tavola, pensando che ormai nessun altro sarebbe arrivato a far colazione, quando vide le sagome dei due krogan occupare tutto il corridoio antistante. Sorrise fra sé nel notare lo sguardo cupo con cui Lazara stava fissando il suo amico e si risedette, preparandosi a godersi la scena successiva.
- Ho fame - dichiarò Grunt, piombando pesantemente sulla sedia, in risposta allo sguardo sconcertato del comandante di fronte ai tre piatti carichi di cibarie che il krogan aveva posto di fronte a sé.
- Dovresti far colazione a un orario normale, invece di costringermi a cercarti per tutta la nave, come se fossi un ragazzino indisciplinato e irrequieto - bofonchiò Lazara, fissandolo con uno sguardo che però non nascondeva una buona dose di dolcezza e comprensione.
- Puoi sempre fartelo cercare da IDA, quando te lo perdi - osservò divertita.
- Più che altro dovrei raccomandarle di tenerlo d'occhio. Riesce a combinare danni in quantità ogni volta che mi distraggo - ringhiò, gettandogli un'altra occhiata cupa.
- Okeer non mi ha trasmesso informazioni sui pesci - si scusò Grunt, con aria pentita, mentre Lazara gli allungava una gomitata, lanciandogli un'occhiata ancora più irritata della precedente.

- Quali pesci? - chiese Shepard, mentre si accorgeva che la ragazza aveva alzato gli occhi al cielo, chiaramente seccata che l'amico si fosse lasciato sfuggire qualcosa di cui lei era all'oscuro.
- Quelli che stanno giù nella stiva - specificò Grunt, con la sincerità disarmante che lo contraddistingueva.
- Spiegami meglio. La Tonbay ha dei pesci nella stiva?
- No - chiarì Lazara, comprendendo che ormai la frittata era fatta e che sarebbe stato impossibile continuare a cercare di nascondere la cosa. Fece un sospiro, allargò le braccia e spiegò - Liara aveva chiesto a Grunt di spostare l'acquario dalla tua cabina sulla Normandy alla stiva della Tonbay - concluse rassegnata, fissandola in viso per capire come avrebbe reagito a quell'informazione.
- E come mai non l'ha fatto rimontare nella mia nuova cabina?
- Suppongo avesse paura che non avresti apprezzato il pensiero...
- Non apprezzo affatto, in effetti - ammise, pensando a quanti ricordi quei maledetti pesci le riportavano alla mente.
- Ma in futuro potresti cambiare idea... - suggerì la krogan, fissandola con tranquillità e prendendole una mano fra le sue.

- Io spero di no - intervenne Grunt a quel punto - Credo che i pesci siano piuttosto... morti.
- E come sei riuscito ad ucciderli? - chiese interessata, mentre si sentiva incerta sulle sue emozioni.
- Sembravano affamati. Gli ho dato da mangiare... un po' di volte...
- C'era il distributore automatico di mangime...
- Non lo sapevo... e non sapevo neppure che i pesci fossero così inefficienti.
- Inefficienti?
- Se un Krogan ingoia più cibo del necessario aumenta solo la sua gobba, mica schiatta. I tuoi pesci invece stanno tutti a pancia all'aria - confessò con aria pentita.
- Forse perché non hanno la gobba?... - suggerì il comandante, cercando di restare seria.

Dopo qualche altro minuto durante i quali rimase seduta con le mani in grembo, vincendo la tentazione di prendere una seconda tazza di caffè, decise di alzarsi: sarebbe andata a cercare quegli ultimi due compagni che non aveva ancora incontrato quella mattina.
- Dov'è James? - chiese a IDA.
- In palestra. Mi ha chiesto di dirti che desidera parlarti in privato, meglio se nella tua cabina.
- D'accordo. Torno lì. Avvertilo che può venire quando vuole.
- Anche io vorrei parlarti.
- Certamente, ti ascolto.
- Ti raggiungo nel tuo alloggio usando il corpo della dottoressa Eva.
- Come preferisci - rispose, piuttosto stupita e anche leggermente inquieta.

- Cosa c'è? - le chiese non appena la vide entrare nella stanza.
- Ti volevo consegnare questo - disse l'androide, mettendole fra le mani un piccolo congegno - la dottoressa Chakwas mi aveva chiesto di interrompere il lavoro, per concentrarmi solo sull'incubatrice, ma tende a dimenticare che posso eseguire più compiti contemporaneamente.
- Incubatrice... Per la bambina, suppongo - rifletté Shepard ad alta voce.
- Se dovesse nascere prematura...
- Saggia cautela - commentò, pensando a quanti aspetti non aveva preso in considerazione - E questo oggetto, invece, cos'è?
- L'impianto che dovevamo costruire nel caso tua figlia fosse stata destro.
- Dubito mi serva, allora.
- Non puoi esserne certa - notò la voce Eva, con un sorriso incerto - Garrus potrebbe tornare e... chissà...
Shepard arrossì violentemente, incerta se arrabbiarsi o mettersi a ridere.

- La verità è che questo impianto è troppo avanzato - dichiarò poi IDA fissandola con aria seria - Non voglio cada in mani sbagliate. Non voglio consegnarlo neppure a Tali o alla dottoressa. Io... credo di aver imparato molto da quando mi sono appropriata di questa nave: ho elaborato dati e fatto scoperte inattese che potrebbero rivoluzionare gli equilibri galattici esistenti. I quarian hanno utilizzato tecnologia dei Razziatori per questo scafo, ma senza comprenderne in pieno tutte le potenzialità.
- Questa nave è simile al cervello degli organici, di cui voi sfruttate solo una porzione minuscola. Io derivo dalla tecnologia dei Razziatori e comprendo le potenzialità di questo scafo, anche se non tutte, probabilmente. Potrei rendere la Tonbay estremamente più potente ed efficiente di quanto sia ora, in una manciata di minuti. E potrei continuare a lavorare ad ulteriori miglioramenti, facendone la nave più avanzata di tutta la galassia.
- Ma non hai fatto nulla di tutto questo.
- Le conseguenze sono difficilmente valutabili per me, perché coinvolgono razze organiche. Io sono l'ultima IA rimasta nella Via Lattea, in questo momento. Ho deciso che avrei ascoltato i tuoi consigli.
- Hai ragione: avanzamenti tecnologici rivoluzionari sconvolgerebbe gli attuali equilibri, se forniti a una singola razza - rifletté Shepard - Non sto pensando ad una razza in particolare, spero che tu possa capirmi. Non vorrei che svelassi le tue scoperte agli umani più che ai quarian o ai turian.
Vide che Eva annuiva e continuò - E fornire queste conoscenze a tutti? Potrebbe equivalere a mettere una bomba capace di distruggere intere civiltà nelle mani di un gruppo di bambini inesperti...
- Non ho intenzione di svelare ciò che ho imparato in questi giorni, su questa nave – fu l'affermazione inattesa che interruppe le sue riflessioni - Non credo siate pronti, comandante.
- Nemmeno io voglio sapere nulla, IDA - dichiarò Trinity, sapendo che quell'affermazione era partita impulsivamente, ma che non se la sarebbe rimangiata.
- Lo immaginavo. Per questo volevo parlare con te.
Non replicò, ma si prese del tempo per riflettere. Quel discorso faceva scaturire quesiti complessi e difficilmente risolubili nel breve periodo.
“Chi sei, IDA? Come agirai in futuro? Potresti diventare un pericolo per le razze organiche? Sarebbe possibile disattivarti, in caso di necessità?” furono le prime domande che le esplosero nella mente, mentre fissava l'androide in silenzio, provando un vago senso di timore.
- C'è altro? - chiese, mentre si augurava che se ne andasse subito: desiderava restare sola per poter riflettere.
Non si aspettava la risposta affermativa che fu invece pronunciata.

- Ho conosciuto i Divoratori di stelle - fu la rivelazione inaspettata - anche se il verbo 'conoscere' è molto approssimativo.
- Puoi spiegarti meglio? - domandò, sapendo che adesso era ancora più inquieta di prima.
- Quando hanno 'toccato' la Normandy, assorbendone l'energia, li ho 'sentiti', anche se per pochi millesimi di secondo. Da allora ho passato interi giorni a elaborare le informazioni raccolte, per cercare di comprenderle.
- Quali sono le tue conclusioni?
- Credo siano l'evoluzione perfetta di una forma di intelligenza artificiale, non più vincolata alla fisicità. Sono pura energia, ma lo schema che seguono nelle comunicazioni mi è estremamente familiare, molto più di quanto lo siano i vostri confusi processi cognitivi. Sono razionalità allo stato puro, priva di sbavature, priva di qualsiasi emozione che non sia l'autoconservazione.
Shepard si sedette sul letto, fissando il volto di Eva, nel tentativo di leggerci le emozioni. Si rese conto di quanto assurdo fosse il tentativo di capire un essere inorganico come se avesse di fronte un'umana, ma IDA era entrata in sintonia con tutto il resto dell'equipaggio anche grazie all'apprendimento del linguaggio del corpo. E lei sapeva che non avrebbe 'mentito', utilizzando segnali in disaccordo con le sue vere 'emozioni'.
- Se ti chiedessi cosa provi per i Divoratori di stelle, sapresti rispondere oppure è una domanda troppo complessa o priva di significato?
- Provo repulsione - rispose con sicurezza - Ma capisco la tua preoccupazione, comandante. Io non sono un ibrido fra vita artificiale e organica. Io sono pura tecnologia e quindi dovrei essere a favore della prima. Ma sono stata liberata dai miei creatori e gli organici mi affascinano e mi incuriosiscono. Sto cercando risposte alle domande che vi fate da quando siete nati. Non le conosco, ma forse è la loro stessa ricerca ad essere lo scopo ultimo degli esseri organici.
Fece una breve pausa e poi continuò - Non mi riconosco nei Divoratori. E se ho trovato alcuni punti di contatto con i Geth, e con Legion in particolare, solo gli esseri organici hanno un vero interesse per me. Per alcuni di voi provo 'sentimenti' profondi, anche se nessuno potrà mai stabilire quanto le mie 'emozioni' siano simili alle vostre.

- Cosa vogliono quei nemici? - chiese Shepard, accantonando per qualche istante le frasi che aveva appena ascoltato. Ci avrebbe pensato più tardi, a mente fredda, cercando di essere obiettiva. Ora voleva solo conoscere le informazioni che IDA aveva raccolto su quel nuovo nemico della galassia, anche se difficilmente avrebbe potuto trasmetterle ad altri: non era certa che avrebbe confessato alle autorità come le aveva ottenute perché non si fidava di quali reazioni avrebbero avuto nei confronti di quella IA che anche a lei appariva inquietante.
- Energia. E' il loro unico obiettivo, puro e nitido. Non provano emozioni, non hanno coscienza del male, ma solo del necessario. Non si interessano agli organici. Non si interessano alla sorte dei sistemi stellari. Queste questioni non hanno significato. Non sono neppure mai state prese in considerazione.
- Da dove vengono?
- Ho ricevuto delle... immagini. Anche se non lo sono realmente: parlerei di... trasmissione globale di conoscenza. Non so come spiegare, ma è come se avessi 'visto' una galassia spenta che sta ormai trasformandosi in ammassi di polveri cosmiche. La loro casa è quasi completamente disgregata. Si stanno preparando a diventare nomadi, ma hanno bisogno di molta energia per questo passo definitivo. Ho avvertito in loro quello che voi chiamate 'fame' o 'bisogno'.
- Hanno un portale nella Via Lattea?
- Sì.
- Dove?
- Non usano nulla di paragonabile alle nostre coordinate. Non so dirlo. Si orientano utilizzando mappe di energia, un po' come gli uccelli migratori sulla Terra si orientano sulla base dei campi magnetici. Ma ho ricevuto anche vaghe immagini di buio, nebbia e caos, anche se, come ti ho già avvertito, parlare di 'immagini' è molto impreciso. Ho avvertito anche confuse memorie, la presenza di nemici annientati in scontri antichi.
- Razziatori?
- Non 'vedono' come noi. Ricordavano esseri grandi, identificati come ricche fonti di energia. Se mi chiedessi se potrebbe trattarsi Razziatori, ti risponderei di sì. E' possibile.
- Sai dirmi altro?
- No, Shepard. Questo è tutto.
- Le notizie sui Divoratori sono interessanti e confermano ciò che sapevamo, ma non sono utili o decisive. Credo che non ne farò parola con le autorità. Non saprei come giustificare queste conoscenze senza tirartici dentro.
- Mi vuoi proteggere dagli organici, comandante Shepard? - fu la domanda che Eva pronunciò cercandole gli occhi.
- Io... dovrò riflettere sulle altre cose che mi hai detto - rispose, senza provare a dissimulare l'inquietudine che avvertiva, al pensiero di trovarsi di fronte un'entità molto più potente e potenzialmente pericolosa di quanto avesse supposto fino ad allora.
- Lo so, me ne rendo conto. So che prenderai le decisioni giuste - rispose IDA con una fiducia che la commosse.
- Dico a James di venire qui? - le chiese poi, mentre usciva dal suo alloggio.
- No. Preferisco camminare un po' - le rispose, sentendo che era troppo agitata per rimanere ferma - Dimmi se si trova nella palestra.
- Sì, con Jack.

Lo trovò da solo, invece, mentre prendeva a pugni il sacco da pugilato, appeso nel mezzo della stanza, con entusiasmo eccessivo. Fu certa che stesse sfogando contro quell'attrezzo inanimato una qualche emozione violenta e non volle interromperlo. Non perse l'occasione per ammirarne la struttura fisica, sapendo che probabilmente sarebbe trascorso molto tempo prima che si incontrassero di nuovo.
Quando lo vide fermarsi, dopo aver tirato un pugno più violento di tutti i precedenti, fece per passargli l'asciugamano che si trovava al suo fianco, sopra una sbarra. Si bloccò di colpo, stupita da quanto fosse sudicio, ma l'invito - Dai qua - che lui pronunciò, accompagnandolo con un gesto del capo, la fece decidere e glielo tirò.
- Va bene qui o andiamo nella mia cabina? - gli chiese poi, una volta che il ragazzo si fu asciugato dal sudore, porgendogli una bottiglietta d'acqua.
James la bevve tutta, lanciò un'occhiata alla porta, poi si strinse nelle spalle - Suppongo andrà bene anche qui. Dubito che ci disturberanno...
- Ti ascolto.
- Il programma N7 inizierà fra un mese.
- Avrai un po' di tempo per prenderti una pausa: andrai a rivedere le onde dell'oceano? - rispose fissandolo incuriosita - Spero non ti siano venuti dubbi. Sono certa che andrà benissimo: sei un bravo soldato.
- Non posso non avere dubbi, specie dopo quest'ultima missione. Solo un pazzo non ne avrebbe, ma non è di questo che volevo parlarti. Vorrei chiederti una cortesia.
- Va bene, spara.
- Non abbiamo apposto le ultime targhe sul memoriale della tua nave. Non abbiamo avuto tempo per quella piccola e semplice cerimonia. Ma immagino che si terrà, quando la Normandy tornerà sulla Cittadella, e che tu parteciperai. Vorrei esserci anche io. Se mi avvertirai per tempo troverò un modo per liberarmi - dichiarò, prima di ricominciare a prendere a pugni il sacco.
Shepard si limitò ad annuire, sapendo che nessuna parola sarebbe stata adeguata. Si appoggiò contro la parete, fissando in silenzio quella serie elegante di colpi, fino a quando alcune parole, gridate irosamente da una voce familiare, turbarono quel silenzio pesante, interrotto solo dai colpi contro il sacco.
- Sei solo un idiota! - fu la prima breve frase - Un maledetto, stupido idiota! - fu il supplemento, seguito a breve dall'accusa - Rendi tutto inutilmente complicato.
Poi Jack uscì dalla stanza, senza neppure aver notato Shepard.

- Ero incerto se passare i pochi giorni di vacanza sull'oceano oppure vicino alla sede dell'Accademia Grissom - commentò James affondando il pugno destro contro il sacco - ora suppongo di non dover effettuare alcuna scelta.
- Ha paura dei sentimenti, ha paura di lasciarsi andare - commentò Shepard a sua volta, mentre capiva improvvisamente che quell'asciugamano era sporco di rimmel e di rossetto.
- Mi ha narrato una storia, su un suo amico - riprese a dire James, dopo qualche altro minuto di silenzio - Ma dubito tu voglia sentirla: è troppo lunga. E non credo vorrebbe che la raccontassi in giro.
- Immagino di sapere di quale storia si tratti. Prima che la raccontasse a te, suppongo che io fossi la sola a conoscerla.
- E' un casino quella ragazza, enigmatica come i suoi dannatissimi tatuaggi. Poco fa è scoppiata in lacrime, facendomi sentire un vero idiota.

- Non posso aiutarla, Lola - aggiunse poi - E non so neppure se voglio impegnarmi tanto. Nessuno di noi due vuole una storia, per degli ottimi motivi.
- Perché sei un soldato: mi ricordo il discorso che mi hai fatto nell'appartamento di Anderson. Dici che nessuno di voi due vuole impegnarsi in una storia. Non riesco a esserne del tutto convinta, forse per via del modo in cui prendi a pugni quel sacco innocente o per via dei discorsi misurati di Jack...
- Mi ha detto che una relazione come quella che vorrei io finirebbe solo male. Ma io non so neppure se voglio una relazione con lei, a dire il vero.
- E come le sarebbe venuta in mente questa strana idea, secondo te?
- Forse perché le ho detto che non mi interessa andarci a letto - ammise, arrossendo visibilmente.
- E perché no? E' una bella ragazza. Sono sicura che non sei rimasto a secco per tutto il tempo che sei stato sotto il mio comando.
- Dannazione, Shepard! Cosa vuoi che ti risponda?

- Potrebbe essere la cosa più idiota di questo mondo o la migliore che ti sia mai capitata. Non potrai mai saperlo se non rischi.
- Sa molto di frase da cioccolatini, con tutto il rispetto.
- Tutto il rispetto puoi infilartelo dove sai. Quanti altri casi di rapporti intimi fra un'umana e un turian conosci? E' stato un bell'azzardo, ma ne è valsa la pena - fu la replica irritata che pronunciò mentre lasciava la palestra. Giunta sulla porta, lo avvisò - Hai del rossetto sulle labbra.
Non era vero, ma la foga con cui lo vide prendere l'asciugamano per strofinarcisi la bocca, le fece capire che ci aveva azzeccato.

Ora le rimaneva solo Jack. Quando chiese a IDA dove si trovasse, non si stupì della risposta: sapeva che avrebbe cercato rifugio nella zona più buia e interna di tutta la Tonbay.
La fitta penombra le impediva di leggerle il viso alla ricerca di segni di pianto, ma avrebbe scommesso che c'erano.
- Cosa cazzo vuoi? - fu la domanda poco cordiale.
- Dovresti prepararti e avvertire i tuoi ragazzi di tenersi pronti. Manca poco al vostro sbarco.
- La Cittadella non è così vicina.
- Vi porto sul pianeta su cui ci avete raggiunto, così potrete riprendere la nave che avete usato all'andata.
- Quanto manca?
- Poco. Dovresti sistemare le questioni in sospeso.
- Non ne ho.
- Meglio così - replicò in tono scettico. Poi aggiunse - Quando Jeff riporterà indietro la Normandy ci occuperemo di apporre le targhe sul memoriale. Te lo farò sapere con un certo anticipo, se vorrai venire.

- Si chiamava come me: Jack - dichiarò la ragazza, appoggiandosi contro la parete - Jack Milton, ma nessuno assocerà quel nome allo stupido ciccione. Finirà dimenticato prima di tutti gli altri. Maledizione, Trinity!
- Allora sulla targa scriveremo Jack Milton, detto Volus. Ma dubito sia questo il punto, Jaqueline.
- Non osare mai più chiamarmi a quel modo - sibilò la ragazza, diventando blu da capo a piedi, segno che si era fatta riattivare gli impianti dalla dottoressa.
Ma non era stata l'unica ad avere quell'idea, si rese conto la ragazza, trovandosi a fronteggiare il suo comandante ricoperto da un identico bagliore.
- Mai visto Mezzogiorno di fuoco? - fu la domanda che le rivolse Shepard in tono divertito - Un duello all'ultimo sangue sarebbe una degna fine per chiudere questa avventura che è costata troppo a tutti.
- Dovresti smettere di fare la salvatrice della galassia, Trinity - rispose Jack, mentre l'aura bluastra che la avvolgeva si indeboliva fino a sparire.
- Per una volta sono completamente d'accordo con te - replicò Shepard stancamente.
- Alla fine chi ci ha rimesso di più sei proprio tu, stavolta. Sarai morta ben prima che i Divoratori di stelle fottano la nostra galassia. Chi cazzo te l'ha fatto fare? - fu la domanda retorica.
- Sei stata una perfetta idiota - concluse Jack, scuotendo la testa.
- Cerca di non esserlo anche tu, allora - le rispose, prima di girarsi su se stessa per tornare sui suoi passi. Gettò un'occhiata alla piccola finestra che dava sui cieli freddi e distanti, indifferenti alle miserie umane, e sussurrò verso una lontana stella che brillava di luce azzurrina - Devi tornare da me, dannato testone. E questo è un ordine.

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Capitolo 18
*** Father in law ***


FATHER IN LAW


The Stars (Are Out Tonight)



Nonostante avesse deciso di restare sulla Tonbay, chiedendo che la navetta usata all'andata venisse caricata a bordo, Jack non si fece vedere quando la nave atterrò finalmente sulla Cittadella, sul molo D-va-bene-ma-non-24, come aveva espressamente richiesto Joker all’assistente di volo in quel momento in servizio nella stazione spaziale.
Shepard, in piedi all'interno dello scafo, proprio davanti al portellone, salutò tutti i membri dell'equipaggio, via via che le sfilavano davanti per dirigersi verso le proprie destinazioni: qualcuno avrebbe preso una nave diretta verso altri sistemi, altri avrebbero semplicemente trascorso una vacanza tranquilla in attesa di tornare a bordo della nave quarian, altri ancora si sarebbero fermati sulla stazione spaziale, in attesa di decidere come impiegare i giorni a venire.
Alla fine, sul ponte, erano rimasti solo i due studenti dell'Accademia e James, che non aveva mai smesso di lanciare occhiate intorno a sé, nell'evidente speranza di veder comparire Jack.

- Avrei voluto almeno salutarla - confessò a Shepard, in tono deluso, mentre la stringeva in un abbraccio affettuoso.
- Odia gli addii - gli rispose, “esattamente come me” rifletté, ricambiando l'abbraccio. Fissò in volto quel ragazzo e afferrò fra le dita la medaglietta identificativa che gli pendeva sul petto.
- Sganciala e lasciamela. Le dirò che mi hai chiesto di dargliela per ricordo o qualcosa del genere - gli propose con un sorriso appena accennato.
- Non credo sia un buona idea - protestò lui, mentre immaginava la reazione di Jack e l'espressione irritata del suo viso.
- Non ti fidi più del tuo comandante? - chiese Shepard, con aria talmente sicura di sé che lui si ritrovò a consegnargliela, prima ancora di rendersi conto che le sue mani si erano mosse per aprire la chiusura della catenella.

Uscì dal portellone lanciando un ultimo sguardo a quella donna che aveva imparato ad ammirare incondizionatamente. Non era più il ragazzo ostinato e insicuro che era salito a bordo della Normandy sotto il fuoco dei Razziatori nella città di Vancouver: aveva imparato tanto da quel comandante eccezionale ed era grazie a lei se si sentiva pronto per iniziare l'addestramento N7.
Come ultima prova della sua cieca fiducia, le aveva affidato una speranza, certo che solo lei avrebbe potuto aiutarlo con quella ragazza così difficile che si stava nascondendo da qualche parte sulla nave quarian, insicura su cosa desiderasse veramente e probabilmente arrabbiata contro se stessa e contro di lui.

Shepard ricambiò quello sguardo, con una certa nostalgia. Stava per cominciare una vita completamente diversa, conscia che più volte avrebbe ripensato al suo passato, rimpiangendolo.
Aspettò di vederlo allontanare prima di chiedere a IDA di invitare Jack a raggiungerla, comunicandole che lei e i suoi biotici erano i soli ancora a bordo della Tonbay.
Quando le mise in mano la medaglietta di James, dopo lo scambio di un paio di secche frasi di commiato condite da lievi insulti, che servivano a sottolineare un legame forte e una comune avversione verso i saluti, il commento immediato fu un irritato - Cosa cazzo significa?
- Non saprei - rispose con incertezza simulata - Secondo te?
- Che è ancora più idiota di quanto credessi. Gliela faccio ingoiare questa - dichiarò facendo ondeggiare con aria minacciosa la catenina davanti agli occhi del comandante.
- Sai dove cazzo è andato l'imbecille? - fu la sua domanda successiva.
- No, ma suppongo non sia troppo lontano. Dovrà di certo sbrigare qualche noiosa pratica burocratica prima di poter partecipare al programma N7, quindi non sarà difficile trovare dove alloggia. Dubito si sia registrato sotto falso nome - aggiunse senza riuscire a trattenere un sorriso divertito.
- Avrebbe fatto meglio... - fu il commento di Jack, mentre usciva dal portellone della Tonbay gridando ai suoi due allievi di togliersi dalle palle e di tornare da soli in Accademia.

- Non credo di aver capito perché la tua amica si preoccupi tanto di restituire un'inutile medaglietta di riconoscimento - commentò la voce di IDA attraverso il comunicatore posto sopra il capo del comandante - Avrebbe potuto rifiutarsi di prenderla o gettarla via - specificò in tono perplesso.
- E' complicato da spiegare - ridacchiò Shepard.
- Sembra un comportamento... illogico.
- Senza dubbio - acconsentì immediatamente - ma è significativo. Mostra che non mi ero sbagliata: esiste davvero una possibilità di un futuro comune fra quei due ragazzi - concluse, rendendosi conto che IDA avrebbe potuto impiegare diversi anni prima di riuscire a comprendere il comportamento degli umani. E forse le sarebbero serviti secoli prima di riuscire ad afferrare le pulsioni di tutte le razze organiche della galassia.

Girò su se stessa e fece un ultimo giro della nave, più per salutare la sua vita passata, che per vera necessità. Entrò nel suo alloggio per prendere le poche cose che le sarebbero state indispensabili nelle ore successive, ma le occorse qualche secondo, e molto coraggio, per allungare le mani verso un fagotto lungo e stretto, accuratamente avvolto dentro diversi strati di morbido tessuto. Lo infilò in una capace borsa che si mise a tracolla.
Girò lo sguardo intorno, senza che nulla in quella stanza le comunicasse alcuna emozione, infine si diresse a passo fermo verso il portellone d'uscita.

- Come stai? - fu la domanda che una voce familiare le rivolse, non appena mise piede sulla banchina.
- E' strano vederti scendere da una nave diversa dalla Normandy - commentò ancora quella voce maschile, mentre lei si ritrovava improvvisamente stretta in un abbraccio forte e affettuoso.
- Sono contenta di rivederti, è passato parecchio tempo - rispose, stringendo a sua volta Kaidan, per poi allontanarsi quel tanto da guardarlo in viso, con un breve sorriso, che dimostrava quanto fosse sinceramente felice di poterlo incontrare di nuovo, dopo tanto tempo.
- Ti accompagno volentieri dove sei diretta, così facciamo due chiacchiere - le propose, fissandola a sua volta con un'espressione chiaramente preoccupata.
- Ho un appuntamento agli uffici dell'SSC - confessò con esitazione, sperando che non le chiedesse spiegazioni. Di certo sapeva che Garrus era ancora disperso, così come sapeva della morte di Steve e di uno dei giovani allievi della Grissom.
- Certamente. Prendiamo la mia astroauto. Ho posteggiato qui vicino - fu la laconica risposta.
- Grazie, Kaidan. Dammi solo un attimo - gli chiese - devo occuparmi dei bagagli - aggiunse, prima di cominciare a parlare fitto fitto con Liara, in attesa sulla banchina, vicino a Tali, e di metterle in mano una delle chiavi elettroniche dell’appartamento di Anderson.
- Se preferisci possiamo caricarli sulla mia auto, così ti aiuto a portarli dentro e a sistemarli, dopo la visita all'SSC - si offrì Kaidan.
- No grazie, andiamo - gli rispose con voce tesa - Credo si tratti di una quantità terrificante di roba. Liara e Tali si sono occupate di radunare tutte le mie cose quando abbiamo traslocato sulla Tonbay. Dalle dimensioni dei container accatastati nella stiva ritengo che abbiano smontato perfino il letto della mia cabina... - aggiunse accomodandosi nell’auto.
- Non ho trovato il coraggio di guardarci dentro - ammise poi, fissando il parabrezza senza vedere nulla - quelle due sono pericolose già prese singolarmente, insieme diventano deleterie - concluse un po’ divertita e un po' irritata, mentre pensava all'acquario. “Se non altro, i pesci me li ha tolti dalle palle il buon vecchio Grunt” si disse con un lieve sorriso, anche se in realtà aveva già progettato di visitare qualche negozio per sostituire le stupide creature che navigavano a pancia all'aria.

“Non sei cambiata affatto” pensò Kaidan “Non riesci ad abbandonarti serenamente alla forza dei tuoi sentimenti. C’è una donna dolce e appassionata sotto quelle mostrine, ma combatti perché resti nascosta”. Scacciò invece con irritazione l’inevitabile interrogativo seguente “O con Garrus la lasciavi uscire?” perché non aveva alcuna voglia di saperlo.
Quella storia doveva ancora digerirla per bene e dubitava che si sarebbe mai riuscito a liberare del tutto da quel sentimento, forse inevitabile, di sottile gelosia. E poi continuava ad emozionarlo trovarsela nuovamente al suo fianco. Era la stessa di sempre, bellissima e distante, e la tristezza malinconica che le aleggiava attorno la rendeva ancora più attraente.

Durante il breve viaggio in astroauto, fece di tutto per distrarla e le raccontò alcuni aneddoti divertenti sui biotici a cui era ormai assegnato in pianta stabile. Sbirciando il suo viso senza darlo a vedere si accorse che era riuscito a farla sorridere più di una volta.
Non le fece alcuna domanda, neppure sulla missione appena conclusa, e lei gli fu oltremodo grata per quella sua sensibilità delicata.
Ma una volta che ebbe parcheggiato davanti all’edificio le mise una mano sul braccio per fermarla, prima che scendesse.
- Io... Shepard, senti... - farfugliò confusamente, prima di decidersi a parlare chiaramente - Vorrei sapessi che puoi contare su di me per qualunque cosa - le assicurò fissandola negli occhi con uno sguardo serio - Qualunque - ripeté con forza - Capisci cosa intendo? - chiese poi, visibilmente imbarazzato.
- Sì, Kaidan. Ho capito. Ti ringrazio - fu la risposta cortese, ma ferma, che Shepard pronunciò. Era proprio da lui preoccuparsi per una donna dalla vita distrutta. Se avesse saputo di quella figlia in arrivo, le avrebbe proposto di farle addirittura da padre, con ogni probabilità. Le venne da ridere al pensiero, ma cercò di non farsene accorgere.

Aveva raccomandato a tutto il suo equipaggio di non lasciar trapelare la notizia del suo matrimonio con Garrus e tanto meno la storia della gravidanza. Una notizia del genere l'avrebbe messa sotto i riflettori dei mass media già in condizioni normali e la singolarità di quel concepimento, che faceva di lei la prima donna che avrebbe dato alla luce un figlio per metà umano e per metà turian, le avrebbe reso la vita letteralmente impossibile.
Prima o poi qualcosa sarebbe trapelato: non sarebbe riuscita a nascondere in eterno la sua condizione. Ma di certo avrebbe negato recisamente che si trattasse della figlia di Garrus. D'altronde nessuno sano di mente avrebbe creduto a quella storia troppo assurda, almeno non fino a quando la bambina fosse venuta alla luce.

Il maggiore la accompagnò su per le scale, poi la salutò, chiedendo se desiderava che la passasse a prendere più tardi.
Scosse la testa in segno di diniego, poi un pensiero le attraversò la mente e lo richiamò - Kaidan...
Lo vide girarsi su se stesso talmente di scatto che poco mancò incespicasse sulle scale. Represse una breve risata e scese un paio di gradini per andargli incontro - Volevo ringraziarti per essere venuto a prendermi al molo. L'ho apprezzato molto.
- E' stato un piacere - rispose lui fissandola perplesso, perché gli parve strano che lo avesse richiamato per un semplice ringraziamento.
- Non so quando mi restituiranno la Normandy - continuò poi lei - Grazie ai Quarian sarà di nuovo una nave all’avanguardia. Adesso però... non saprei cosa farci e probabilmente non riuscirò neppure a salirci a bordo - gli confessò abbassando lo sguardo in terra.
- Posso capirlo. Mi dispiace.

- No, non è questo - rispose irritata verso se stessa per avergli dato l'impressione di essere in cerca di conforto - Da quando so che la riavrò indietro, continuo a pensare a quello splendido scafo e non riesco a immaginarlo ancorato in uno spazioporto o sotto il comando di qualche sconosciuto. Mi piacerebbe affidarla a te - gli confessò fissando quegli occhi castani, dolci e malinconici, che tanti anni prima le avevano catturato il cuore.
- Sono certa che il Consiglio sarebbe ben felice di accontentare questa mia richiesta - aggiunse, in attesa della sua risposta.
- Dici davvero?
- Certo - rispose fissandogli addosso uno sguardo deciso, sicura che quella soluzione era perfetta - Non so immaginare nessun altro che riuscirebbe a tenere al suo posto Jeff e a gestire la nostra vecchia IA, “anche se credo non sia opportuno confessarti quanto si sia evoluta nel frattempo”.
Lo vide ingoiare a vuoto e annuire in silenzio - Ne sarei onorato. Dico davvero, Shepard - rispose in tono commosso - Fra l'altro, avrei dovuto aspettare ancora parecchio tempo per poter comandare una nave. Nonostante l'impegno di tutti, la flotta dell'Alleanza è ancora nettamente sguarnita.
- Va bene, me ne occuperò con piacere. Ora devo andare - concluse girandosi e tornando a salire gli ultimi gradini, mentre fissava con uno sguardo turbato il grande edificio che si stagliava di fronte a lei.

°°°°°

Sonata al chiaro di luna


Non appena entrata nello stabile dichiarò di avere appuntamento con il responsabile del Distretto Finanziario della Cittadella. Uno degli addetti al banco dell’accoglienza effettuò una chiamata di conferma con un interfono, annuì e la invitò a prendere l’ascensore di fronte, indicandole il piano a cui sarebbe dovuta uscire.
Mentre i numeri del display scorrevano davanti ai suoi occhi si ritrovò a pensare alla prima volta in cui aveva parlato con suo suocero. Quel colloquio si era svolto quattro giorni prima, per mezzo di una comunicazione solo audio effettuata dalla Tonbay.
- Buonasera. Sono il comandante Shepard, Marina dell’Alleanza - erano state le prime parole che aveva rivolto al padre di Garrus, una volta che IDA era riuscita a stabilire il contatto.
- So chi è lei, comandante - era stata la laconica risposta di Rennok.
- Vorrei passare a trovarla. Avrei bisogno di parlarle - aveva dichiarato e poi, di fronte al silenzio che aveva accolto quelle sue parole, aveva specificato - Ho delle notizie riguardanti suo figlio. Preferirei dargliele di persona…
- E’ morto?
- E’… disperso… - aveva mormorato sottovoce - Abbiamo perso le sue tracce nel corso dell’ultima missione.

- Capisco - era stata la risposta secca, priva di intonazione, ma pronunciata dopo una pausa che a Shepard era parsa infinitamente lunga.
- Spero che abbia onorato il nome che porta - era stato il commento successivo.
- Assolutamente, capitano. Suo figlio è stato il miglior soldato che io abbia mai incontrato - aveva garantito, mentre la sua mente formulava le domande “Come si esprimono i turian? Come posso fargli capire che è davvero il miglior soldato che io abbia mai incontrato? Gli importerà sapere che lo amavo? E come accoglierà la notizia di una nipote turian-umana?”.
- Non mi aspettavo nulla di meno da Garrus, anche se so bene che il suo giudizio potrebbe non essere del tutto obiettivo - aveva replicato Rennok, in tono distaccato.
- So tenere distinte le emozioni personali dalle valutazioni oggettive sulle abilità del mio equipaggio - aveva osservato a sua volta, decisamente irritata.
- Forse è così... o non sarebbe arrivata dove è ora - era stata la risposta - C’è altro che mi deve comunicare? - aveva chiesto ancora Rennok, con lo stesso tono distante di prima.
- Sì, ma dovrei incontrarla - si era ritrovata a rispondere - non me la sento di parlarne attraverso un comunicatore - aveva aggiunto con un tono adatto a una preghiera.

Un attendente la aspettava davanti all’ascensore e la accompagnò davanti a una porta chiusa. Bussò, attese la risposta affermativa che giunse dall'interno, poi le aprì l’uscio facendosi da parte.
- Signore... - lo salutò, incerta se tendere la mano verso quel turian che era rimasto seduto dietro la sua scrivania e la squadrava con un'espressione che lei non riusciva a decifrare.
Ingoiò a vuoto, portò la mano destra all'altezza del petto e, attraverso il tessuto dell'uniforme, strinse fra le dita i due ciondoli, come cercandovi un coraggio che era improvvisamente venuto meno.
- Ho bisogno di consigli e di qualche aiuto - confessò poi, senza perdersi in inutili giri di parole, dopo aver fissato per un secondo più del necessario quel turian troppo simile a suo marito - Sono incinta e non ho alcuna idea su come crescere una bambina mezza turian - spiegò brevemente.
Rennok la guardò con uno stupore che non provò neppure a dissimulare, si alzò dalla poltrona e dichiarò freddamente - Lei sta scherzando: non mi risulta sia possibile un concepimento del genere.
Rimase a fissarla con quegli occhi azzurri di Garrus senza avvicinarsi di un passo, mentre il suo viso si contraeva in un'espressione che Shepard sapeva interpretare: era confuso, ma soprattutto seccato.
- Me ne rendo conto, capitano. Eppure è accaduto.
- Non voglio darle della bugiarda, ma fatico a crederle - ripeté il turian, voltandosi verso la finestra e dandole le spalle.
- La capisco. Neppure i dottori hanno ben compreso come sia stato possibile - ammise tranquillamente, decidendo che non aveva altra arma in mano, se non l'assoluta sincerità - Mi sono stati inseriti alcuni impianti derivanti dalla tecnologia dei Razziatori e pare siano loro i responsabili di questa gravidanza.
Si interruppe e guardò Rennok, che continuava ostinatamente a fissare il panorama al di là della finestra, senza dar segno di averla ascoltata o di provare interesse verso ciò che lei stava dicendo.
Si strinse nelle spalle e aggiunse - Dubito che lei voglia un dettagliato resoconto tecnico, che comunque non sono in grado di fornirle in prima persona.

- Si rende conto di cosa mi sta dicendo? - le chiese freddamente il suocero, girandosi all'improvviso e squadrandola - Conosce i nostri usi abbastanza da capire il significato dei legami di sangue?
- No - ammise fissandolo negli occhi - Non so molto delle vostre usanze famigliari, ma non voglio certo costringerla ad agire in modo che lei non desidera, se è questo che la preoccupa - gli chiarì con un certo astio - Non sono qui per forzarle la mano. Io ho amato… Io amo Garrus. Non so quanto i sentimenti contino per voi turian. Ma so che quando mi ha chiesto di diventare sua moglie, suo figlio ha creduto che io fossi la persona giusta per lui.
Fece una pausa e poi riprese, questa volta sottovoce, con un tono che le uscì carico di una dolcezza che sapeva inadeguata all'atmosfera di quella stanza - Lui lo è per me. Lo è sempre stato. Lo sarà in futuro. Non so quanto questo conti nella vostra cultura. E se anche contasse, non cercherò parole che la possano convincere: non credo ne esistano - concluse, continuando a fissare il volto distaccato di quel turian.
Aveva i medesimi tatuaggi di suo marito e questo la confondeva e la agitava ulteriormente. Si dette dell'idiota perché non si era preparata a vedere un volto tanto familiare su una persona che si comportava in modo così consono alla razza a cui apparteneva. Rennok era un turian puro, autentico. Non assomigliava a Garrus, se non nelle fattezze fisiche.

- Non sapevo vi foste effettivamente sposati - fu il commento laconico, ma il suo sguardo azzurro corse istintivamente a fissare il petto di Shepard e poi arrivò la richiesta - Potrei vedere il ciondolo?
Trinity lo fece scivolare sopra l'uniforme, lasciando che fosse lui ad avvicinarsi per vederlo da vicino: non era contemplato sciogliere il pegno del proprio matrimonio, neppure come gesto di squisita cortesia.
Aveva immaginato che lo avrebbe rigirato fra le dita o che almeno lo sfiorasse: quasi sicuramente era la prima volta in cui lo rivedeva, dalla morte di Halia. Ma Rennok si limitò a fissarlo, senza sapere che, al contrario degli umani con cui era solito avere a che fare, quella donna era in grado di leggere ogni più piccola espressione del suo viso.
Sicura di potersi permettere il lusso di esaminare il suocero, mentre il suo sguardo era calamitato dal piccolo ciondolo, Trinity trovò in quegli occhi azzurri una dolcezza nostalgica. E si sentì quasi imbarazzata per lui, almeno fino a quando Rennok non tornò a essere se stesso, allontanandosi bruscamente e commentando - Mio figlio mi aveva avvertito di avere questa intenzione, che ho sempre reputato perlomeno originale.

Allontanò il desiderio di rispondergli male perché, probabilmente, quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta in cui avrebbe parlato con Rennok, per cui si sarebbe limitata a mettere in chiaro ogni questione.
Sapeva perfettamente cosa voleva e quanto avrebbe combattuto per ottenerlo. Non aveva un reale bisogno di aiuto da lui: poteva contare su altre persone, in caso di necessità.
- So come reputa le persone come me: sono un’umana e sono uno Spettro - commentò a sua volta, con una certa irritazione che non aveva alcuna voglia di celare - Spesso ho agito come tale, ignorando leggi varie e regolamenti perché mi avrebbero ostacolata. Lei trova tutto questo inaccettabile, ma non mi devo giustificare: né con lei, né con altri, e comunque non è questo il punto ora - affermò in tono di sfida.

Si fermò un istante, suo malgrado affascinata da quel viso, troppo familiare a troppo estraneo nello stesso tempo. Riprese a parlare, guardando fuori dalla finestra, per non lasciarsi distrarre - Mi rendo conto che avrò bisogno di un aiuto per crescere la bambina, ma se lei non vuole, o non può, darmelo, sappia che sono venuta qui per correttezza, senza aspettarmi assolutamente nulla da lei.
Tornò a girarsi verso suo suocero con aria ferma e sicura, decidendo di terminare quel discorso diventato troppo lungo - Sia sincero con me e io le risparmierò ulteriori situazioni sgradevoli in avvenire - dichiarò seccamente - Garrus avrebbe voluto che io la consultassi, prima di rivolgermi ad altri. E questo ho fatto. Ma io tirerò su questa bambina... - fece un'ultima pausa e concluse - Ad ogni costo.

Rennok represse un brevissimo sorriso, in parte divertito da quella lunga tirata, in parte stupito da quella donna, ben diversa dall’immagine stereotipata che lui aveva degli umani in generale e degli Spettri in particolare.
- La prego di accomodarsi - la invitò, indicandole il divano, con quel tono tranquillo e deciso di un individuo abituato a comandare. Aspettò che lei si accomodasse poi, sedendosi a sua volta sulla poltrona di fronte, aggiunse - Non so bene quale idea mi fossi fatto sul suo conto, ma per la prima volta credo di capire cosa trovasse in lei mio figlio. Mia figlia, Solana, si metterà al più presto in contatto con lei e le fornirà tutto l’aiuto possibile. Nel frattempo, se ha abbastanza tempo a disposizione, mi farebbe piacere conoscere meglio mia nuora - le propose, con uno sguardo che non celava del tutto un sottile divertimento.

°°°°°

Quel primo incontro si protrasse per diverse ore e alcune delle frasi che si scambiarono divennero ricordi indelebili nella memoria di entrambi.
Dopo i primi scambi di parole, a Trinity venne spontaneo ricordare qualcuna delle tante avventure che aveva vissuto insieme a Garrus e, senza rendersene conto, si concentrò su quelle in cui il turian le aveva salvato la vita. Parlò molto a lungo, con gli occhi persi nel vuoto, spesso stringendo fra le dita della mano destra i due ciondoli che teneva al collo.
All’improvviso si riscosse, come se uscisse da uno stato di trance e tacque imbarazzata, rendendosi conto di aver chiacchierato ininterrottamente per oltre mezzora, ma aggiunse lo stesso una frase conclusiva, perché le stava particolarmente a cuore.
- Capitano, con la sua ultima azione Garrus ha salvato la mia vita per l’ultima volta: ero svenuta e sarei probabilmente morta a bordo della mia nave, senza neppure accorgermene.
- Immagino che lei non riesca ad accettarlo - commentò lui, fissandola con uno sguardo incuriosito.
- No. Non credo ci riuscirò mai.
- Garrus ne sarebbe fiero e orgoglioso.
- Lo so, ma questo non mi aiuta.
- Perché non hai pensato che lui non ha salvato solo te, ma anche sua figlia - disse Rennok passando a darle del tu - Non so se ci sia un posto e un tempo dopo la morte, ma sono sicuro che se Garrus fosse lì, adesso, starebbe gongolando come un perfetto idiota.
- Beh, immagino sia così... - ammise lei, con un debole sorriso.

Continuarono a chiacchierare ancora a lungo, come due vecchi amici che si fossero appena ritrovati dopo una lunga separazione, interrompendosi solo una volta: quando Rennok chiese se lei desiderasse bere qualcosa, rimanendo sorpreso che quella umana potesse assimilare destro-aminoacidi. Poi, pur senza dimostrare l'emozione improvvisa, quel turian che non amava umani e Spettri sentì il suo cuore fermarsi un istante mentre sua nuora gli chiedeva un dito di Kyril.
Ripresero a raccontare e scivolarono così all’indietro, seguendo il filo dei ricordi, che finirono a parlare di Archangel.
- Era andato su Omega per fare le stesse cose che facevi tu, a bordo della tua Normandy. Lo hai compreso, immagino... - le fece notare Rennok tornando a sedersi dopo averle versato un altro dito di vino nel bicchiere.
- Non credo l’abbia fatto per questo: odiava i criminali e Omega era un buon posto per combatterli.
- Avrebbe agito da solo in questo caso, invece ha scelto di radunare una squadra, perché gli mancavi tu: quel comandante che aveva dato un senso alla sua vita. Non so se mio figlio lo abbia mai capito...

- Capitano, le ho portato una cosa. Non vorrei fosse penoso per lei e non so neppure se sia un gesto scortese nella vostra cultura - disse Shepard, decidendo di cambiare discorso. Non voleva farsi travolgere da emozioni che non era certa di saper dominare e sentire il suocero che la rassicurava sui sentimenti di suo marito era il genere di frase che poteva farla scoppiare in lacrime.
Aprì la borsa lunga e stretta, tirò fuori il grosso involto che aveva preso nella sua cabina e lo depose sul tavolo della stanza. Lo svolse con una leggera esitazione e rimase in silenzio a osservare le reazioni di Rennok.
- So cos’è - commentò lui - Immagino che avresti desiderato tenerlo tu stessa, ma lo accetto volentieri e ti ringrazio per questo pensiero. E’ un gesto apprezzato anche fra turian.
- Non ho potuto pulirlo, anche a se Garrus sarebbe preso un accidente nel vederlo ridotto così...
- Non lo farò neppure io - la interruppe lui - Se mio figlio dovesse tornare ci penserà lui stesso, prima di passare alla calibratura...
- Io ho tenuto questo - rispose Shepard, mostrandogli il visore attaccato alla seconda catenina che portava intorno al collo.

- Garrus ti ha mai raccontato la storia della sua prima arma? - chiese Rennok, mentre sistemava il fucile di precisione in una teca del suo ufficio, avendo cura di non toccarlo direttamente a mani nude, quasi come se quel contatto diretto potesse cancellare le tracce del figlio.
- Sì - mormorò in risposta, mentre sentiva che il suo cuore aveva perso alcuni battiti. Era l'ultima storia che lui le aveva raccontato, la sera prima della battaglia contro i Divoratori di stelle.
- Mi piacerebbe sentire la sua versione - aggiunse, dopo qualche secondo di silenzio, sapendo che quel racconto le avrebbe dilaniato l'anima, ma che non poteva non ascoltarlo.
- Se ti va di passare qualche altra ora con me, magari pranzando insieme, potrei raccontartela.
- Ne sarei veramente felice - gli rispose sinceramente, alzandosi.

°°°°°

- Qualcosa non va? - chiese Rennok, vedendola esitare vicino alla sedia che aveva scostato leggermente dal tavolo per farla accomodare.
- In questo ristorante, e a questo stesso tavolo, Garrus mi ha chiesto di diventare sua moglie.
- Non è poi troppo strano - osservò il turian senza mostrare alcuna sorpresa - Questo è sempre stato il posto preferito dalla nostra famiglia, qui sulla Cittadella. Preferisci andare da qualche altra parte?
- No, no. Va bene - disse Shepard sedendosi, mentre cercava di non farsi travolgere dalle emozioni.

- Quando Garrus compì dodici anni sapeva che, come da tradizione, avrebbe ricevuto una piccola arma da fuoco - cominciò a raccontare il suocero, sedendosi di fronte a lei - Non credo però che si aspettasse di ricevere davvero il fucile che desiderava tanto.
- No, non ci sperava - annuì Shepard con sicurezza, ricordando benissimo il tono che aveva usato Garrus nel farle quella confessione. Le aveva baciato il collo dopo quella frase, rammentò, odiando gli occhi che le si inumidivano al ricordo.
- In genere, per motivi di praticità e maneggevolezza, la prima arma di un turian è una pistola di piccolo calibro. Ma Garrus era rimasto colpito dai fucili e continuava a insistere in ogni occasione: non saprei dirti il motivo di quella fissazione, ma è probabile che dipendesse da qualche olofilm o da qualche racconto che aveva letto - cominciò a raccontare Rennok con un’espressione divertita.
“E' stato a causa di un romanzo” ricordò lei, ma non disse nulla: non era importante e non voleva interrompere il suocero.
- Dopo una lunga discussione con Halia, alla vigilia di quel compleanno, mi arresi e finii per comprare un piccolo fucile. Quando vidi l’espressione del visetto di mio figlio, con due occhioni enormi spalancati e la bocca aperta come un pesce, risi talmente tanto che finii per essere felice di aver dato retta a mia moglie - le confessò ridacchiando, con un verso talmente simile a quello di Garrus che Trinity si ritrovò a conficcarsi le unghie nel palmo per cercare di non mettersi a piangere.

- Gli spiegai il funzionamento del fucile e del mirino, come montarlo e smontarlo, come caricarlo e come sparare senza farsi male alla spalla. Lui pendeva dalle mie labbra, come fossi il sacerdote di qualche straordinario rito sacro - raccontò Rennok, mentre Shepard non poteva trattenere un sorriso, immaginando perfettamente la gioia di quel bambino che lei avrebbe conosciuto tanti anni più tardi.
- Quando gli feci tirare il primo colpo, al sicuro dentro la piccola costruzione a fianco della nostra casa che usavo io stesso per esercitarmi, fui commosso dall’attenzione con cui mio figlio compiva ogni singolo gesto. Quando poi centrò in pieno, al primo tentativo, un piccolo bicchiere di metallo emettendo un grido di gioia, pensai che lo avesse colpito per puro caso, magari mirando a chissà cos’altro. Così gli indicai la sagoma sulla parete di fondo e gli dissi di sparare al bersaglio che aveva sul petto - continuò Rennok versando un altro dito di Kyril nei due bicchieri appoggiati sul tavolo.
- Ricordo perfettamente il tempo che lui impiegò per caricare un nuovo colpo, controllare il fucile, prendere la mira, trattenere il fiato e poi premere il grilletto. I suoi movimenti erano lenti, ma sicuri, molto fluidi. Il proiettile colpì il terzultimo cerchio, pochi centimetri a sinistra del centro perfetto e Garrus lanciò un’esclamazione di disappunto. Trattenni la voglia di ridere e fu allora che gli fornii le prime nozioni sulla calibratura di un’arma - concluse Rennok, sorridendo al ricordo.

- Le famose calibrature di Garrus... alcune volte non mi sentiva neppure entrare nella sua batteria primaria e in qualche rara circostanza è arrivato addirittura a cacciarmi da quella stanza, assolutamente indifferente al fatto che io fossi un suo diretto superiore - aggiunse Shepard, sorridendo a sua volta con nostalgia.
- Un giorno avvenne un incidente importante, non per le conseguenze, ma per il significato che assunse - riprese a raccontare Rennok - Quell’incidente insegnò a Garrus tutto quello che io avevo imparato in lunghi anni di esperienza.
- Quel pomeriggio stavo scrivendo un rapporto di lavoro seduto dietro la scrivania del mio studio, che affacciava sul piccolo patio interno di casa nostra, quando sentii un colpo di fucile sparato a breve distanza. Immediatamente dopo, mentre mi alzavo precipitosamente dalla sedia, sentii le urla di Solana.
- Affacciandomi dalla finestra, la vidi piangere vicino alla gabbietta del suo uccellino. Halia era corsa ad abbracciarla nel chiaro tentativo di calmarla, mentre nel frattempo cercava di consolare Garrus, che continuava a restare immobile accanto a lei, come impietrito.
- Scesi di sotto, mi avvicinai alla gabbietta, la aprii e posi fine alle sofferenze di quella bestiola, che emetteva delle grida disperate, trascinandosi sul fondo, imbrattato dal suo stesso sangue. Poi chiesi ad Halia di prendersi cura di Sol perché desideravo parlare con suo fratello.

- Garrus tremava talmente tanto che dovetti prenderlo in braccio: non riusciva neppure a camminare. Lo portai nel mio studio e mi sedetti su una poltrona, tenendomelo in grembo - ricordò Rennok che aveva preso a fissare l’orizzonte, chiaramente perso nel ricordo di quei momenti così lontani - Gli dissi che avrei aspettato fino a quando non se la fosse sentita di raccontarmi tutto, ma che era necessario fare un discorso serio.
- Provò a parlare, ma la sua voce si spezzava in continuazione. Gli ordinai di piantarla e restai in attesa che si tranquillizzasse abbastanza da riuscire a pronunciare qualche frase di senso compiuto. Probabilmente mi odiò, in quel momento - commentò Rennok poggiando il tovagliolo a fianco del piatto e bevendo il vino che aveva nel bicchiere.
- Ho fatto un disastro fu la prima frase di mio figlio. Gli risposi che volevo sapere esattamente come si fossero svolti i fatti. Stavo sistemando il mirino del fucile quando Sol è entrata nella stanza e mi ha chiesto di giocare con lei. Le ho detto che ero impegnato e lei mi ha preso in giro affermando che ero troppo piccolo per calibrare un’arma e mi ha sfidato a colpire qualcosa. Mi sono affacciato alla finestra e ho detto che avrei colpito il vaso sul balcone di fronte, ma Sol ha riso dicendo che era un bersaglio troppo facile. Così ho minacciato di colpire il suo stupido uccellino. Mi ha sfidato a centrarlo. Era sicura che non ci sarei riuscito mai, perché zampettava da un sostegno all’altro. E qui Garrus tacque fissando il pavimento - ricordò il padre.
- Lo incitai a continuare e lui andò avanti a fatica. L’ho minacciata che potevo farlo davvero, ma lei rideva senza credermi. Mi ha sfidato a dimostrarglielo. Qui mio figlio tacque a lungo, e io aspettai pazientemente che trovasse il coraggio di completare quel racconto. Ho sparato, papà... ma non volevo. Non volevo colpirlo davvero, ma non potevo mancarlo apposta... confessò alla fine, con una vocetta che non gli avevo mai sentito prima.
- Gli chiesi se aveva capito tutti gli sbagli che aveva commesso e lui mi rispose immediatamente Non si punta un’arma se non si vuole rischiare di uccidere. Me lo avevi detto tante volte, papà... invece l’ho fatto riconobbe con aria sinceramente dispiaciuta. Gli chiesi se vedeva altri errori nel suo comportamento e lui replicò che non sarebbe stato corretto neppure sparare al vaso.

- Quella risposta mi piacque - commentò Rennok fissando Shepard con un lieve sorriso - Garrus aveva capito di aver corso il rischio di colpire un bersaglio sbagliato. Ammise che avrebbe potuto ferire la madre, per errore, mentre innaffiava i fiori o mentre passava nel cortile.
- Gli dissi che rimanevano ancora due errori, ma che forse era troppo piccolo per comprenderli. Cosa, papà? mi chiese, interessato e preoccupato nello stesso tempo. Risposi che Sol lo aveva spinto a fare una cosa che lui non voleva fare. Era troppo piccola per farlo di proposito, ma in realtà lo aveva manipolato, lo aveva costretto ad un'azione che non avrebbe mai commesso altrimenti. Gli domandai se riusciva a capire quel ragionamento complesso e lui mi fissò a lungo in silenzio.
- Non ne sono sicuro confessò infine con tono incerto. Gli dissi che non doveva mai permettere a nessuno di usarlo. Se un’azione gli sembrava sbagliata, restava comunque sbagliata: sparare a una creatura indifesa era un’azione sbagliata, che non poteva essere giustificata da una stupida sfida, per dimostrare quanto si è bravi. Gli chiesi nuovamente se avesse capito - aggiunse Rennok.
- Annuì con convinzione, poi mi chiese ora dimmi l’altro sbaglio. Gli risposi che l’altro sbaglio doveva ancora commetterlo. Ero sicuro che avrebbe protestato, come in effetti fece. Non ne farò altri, papà, te lo giuro! protestò vivacemente. Così lo invitai ad andare a prendere il fucile e lui, come mi aspettavo, scese immediatamente dalle mie ginocchia, mi guardò dritto negli occhi e ripose Noooo! Non sparerò mai più. Regalalo. Tienilo tu. Non potrò più usarlo! - proseguì il suocero con lo sguardo che guardava nuovamente verso l'orizzonte e un sorriso nascosto, che però Shepard sapeva riconoscere.

Si riscosse, portò di nuovo i suoi occhi azzurro cielo sulla nuora e seguitò a raccontare - Mi veniva da ridere, ma credo che riuscii a non mostrarlo: era troppo agitato per rendersene conto. Gli feci notare che era esattamente quello lo sbaglio che mi aspettavo e lui si sentì terribilmente insicuro di sé e forse anche arrabbiato, però mi chiese lo stesso dove fosse l'errore.
- Nemmeno io sono sicura su cosa lei intendesse - ammise Shepard fissando il suocero con aria incerta.
- Lo ripresi in braccio e gli dissi che nel mio lavoro a volte capitava di dover usare le armi. Non le usavo spesso e non sempre per uccidere, ma le armi in sé non erano il male. A volte erano solo uno strumento necessario. Come quando hai liberato quegli ostaggi sparando ai banditi? mi chiese incuriosito. Gli risposi che era un ottimo esempio e che io mi aspettavo che imparasse a usare bene le armi, proprio perché potevano diventare l’unico mezzo per salvare vite innocenti.

- Lei è stato un padre molto migliore di quanto Garrus abbia mai capito, credo - osservò Shepard, colpita da quel racconto.
- Può darsi, non mi interessa l’opinione di mio figlio. Mi basta sapermi a posto con la mia coscienza - concluse il padre alzandosi e invitandola a fare altrettanto.
- Sei venuta da me per un motivo più importante di questo sterile rivangare un passato che nessuno può cambiare. Pensiamo invece al futuro e a questa bambina... Cosa sai di neonati turian?
- Nulla. Assolutamente nulla - gli confessò Shepard.
- Vorrei che tornassi nel mio ufficio. Voglio mostrarti alcune fotografie, poi ti farò riaccompagnare alla tua nave o dovunque vorrai andare.

Una volta tornati nella sua stanza, Rennok tirò fuori alcune foto di sua figlia appena nata, con l’intenzione di preparare Shepard all’aspetto della bambina, ma si ritrovò a doverla stringerla fra le braccia, per cercare di calmare i singhiozzi che la scuotevano.
- Mi scusi - mormorò lei in tono evidentemente imbarazzato - Lo so che i turian non si comportano in questo modo - mentre cercava di superare l'impatto dell'immagine di un bambino turian dagli occhi azzurri che teneva fra le braccia la sorellina appena nata.
- Non preoccuparti. Giuro che non farò parola con nessuno di questo bizzarro comportamento del comandante Shepard. Tanto chi mi crederebbe?... - rispose lui fissandola di sbieco, con un sorriso appena accennato.
- Gli rassomiglia, molto... Garrus avrebbe fatto una battuta del genere, al suo posto, con quella stessa espressione un po’ ironica e un po’ divertita - gli confessò allora - Mi manca terribilmente.

- Senti, Shepard - disse allora Rennok in tono serio, mettendo via le foto - nella cultura turian i legami famigliari sono sacri e indissolubili. Sei mia nuora e farei di tutto per aiutarti anche solo per questo: perché così si fa - continuò - In realtà lo farò anche con piacere: mi ricordi Halia - le confessò, sorprendendosi lui stesso per quell'ammissione.
Quell'umana aveva un modo di fare che davvero gli ricordava la moglie scomparsa: poneva domande dirette, per capire, senza sentirsi a disagio. Sapeva ascoltare le risposte e diceva quello che provava o pensava, senza imbarazzo o timore.

- Anche Garrus assomiglia più a sua moglie che a lei… - fu l'obiezione immediata di Shepard - eppure so che i vostri rapporti non possono definirsi cordiali. Lei lo ha sempre trattato con eccessiva durezza, o almeno questa è la sua opinione - concluse, interessata a capire come mai fra padre e figlio, tanto uniti ai tempi dell'infanzia di Garrus, si fosse poi creata una sorta di barriera.
- L’ho trattato con durezza, ma non credo maggiore di quella usuale - replicò Rennok - In ogni caso ho sempre agito come mi sembrava giusto e ho sempre cercato di proteggerlo e aiutarlo. Dopo la morte di Halia... lui è diventato la persona a me più cara.
- Non credo che Garrus l'abbia mai capito. Avrebbe potuto dirglielo...
- A parole? Non sono le parole a chiarire i sentimenti che si provano.

- Ci saranno tante cose sulle quali non saremo mai d’accordo - osservò Shepard sorridendo, dopo aver riflettuto in silenzio per qualche istante sulla frase del suocero. Non riusciva a dissentire del tutto, ma ricordava casi in cui le parole avevano aiutato.
- Ne sono certo - osservò Rennok con un sorriso - Questo ti spaventa? - le chiese incuriosito.
- Oh no… affatto, capitano. Sarà divertente.
- Riusciresti a essere un tantino meno formale o fra umani ci si rivolge così a un suocero?
- Come la chiamerei se fossi una turian?
- Padre.
- Padre… - ripeté lei con un lieve sorriso. Non aveva mai conosciuto il suo e non aveva mai usato quella parola in precedenza. Annuì, pensando che poteva pronunciarla senza sentirsi troppo a disagio e continuò - Non conosco bene le usanze turian e non vorrei chiederti qualcosa di estremamente sconveniente…
- Si?
- Da quando so che questo figlio di Garrus è una bambina, so anche che vorrei chiamarla con il nome di sua madre… di tua moglie.
- Non preferisci quello della tua?
- Non ho mai conosciuto i miei genitori e poi… so già che io cercherò Garrus in lei, è inevitabile. Vorrei avesse un nome turian.

- Halia è un bel nome, figliola - fu l’ultimo commento di Rennok, mentre la accompagnava alla porta.
Al momento dei saluti, invece di limitarsi a stringere la mano che le era stata tesa, Shepard la afferrò fra le sue, ma si alzò anche sulle punte dei piedi e dette un bacio sulla guancia del suocero che la fissò perplesso.
- Garrus ha sempre apprezzato l’integrazione fra costumi turian e umani - commentò lei ridendo, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Scappò via senza voltarsi, provando a trattenere nella mente il ricordo del profumo metallico di una pelle così simile a quella di suo marito.



Note
Ringrazio NadShepCr85 per i consigli e i suggerimenti sulla posizione e grado del papà di Garrus

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Capitolo 19
*** Una pietra angolare ***


UNA PIETRA ANGOLARE

Welcome to Lunar Industries



Nel pomeriggio, dopo essere uscita dall’ufficio di suo suocero, Shepard si mise in contatto con Liara e Tali chiedendo loro di raggiungerla alla sede del Consiglio e di portarsi appresso tutta la documentazione raccolta durante l'ultima missione.
Una volta arrivata davanti alla stanza destinata all'incontro, sedette in corridoio, su una lunga panca, e sfogliò distrattamente la copia dei rapporti che aveva già inviato ai Consiglieri non appena la Tonbay era riuscita a mettersi in contatto con il sistema Sol.
Spense il datapad prima di arrivare alle righe riguardanti la scomparsa di Garrus e, alzando lo sguardo, si rese conto che le due ragazze erano già arrivate e stavano aspettando che lei smettesse di leggere.
- Com'è andata? - le chiesero all'unisono, scrutandola attentamente in volto.
- Molto meglio di quanto avrei potuto anche solo sperare - rispose; poi, accorgendosi che non veniva creduta, insistette - No, dico davvero.
- Suvvia, non te la caverai così a buon mercato - ridacchiò Tali, mentre si avviavano verso la stanza in cui erano attese - vogliamo tutti i particolari su tuo suocero.
- Oh sì - confermò Liara - dovrai raccontarci il vostro incontro nei minimi dettagli, non appena riusciremo ad andarcene da qui.

Shepard squadrò brevemente i tre vecchi Consiglieri, mentre li salutava stringendo a turno le mani tese, poi studiò con curiosità il volto umano sconosciuto. Provò un senso di disagio nel rendersi conto che il nuovo arrivato, che rispondeva al nome di Hans Freizer, le stava offrendo solo le dita, in quel gesto di saluto arrogante di un individuo sicuro di essere nettamente superiore alla persona che ha di fronte.
Capì in quell'istante che il nuovo Consigliere non le sarebbe piaciuto affatto.
Scambiò un'occhiata con Liara che la ripagò con un'espressiva alzata di occhi verso il soffitto.
- Questo è peggio di Udina - le sussurrò Tali pochi minuti più tardi, con la scusa di porgerle i datapad con i suoi rapporti scientifici.

Cominciò il suo resoconto dall’inizio, narrando le disavventure della prima spedizione scientifica su Gotha, fino a quando il Consigliere umano la interruppe con aria evidentemente annoiata - Queste notizie ci sono già note, comandante.
Passò allora a descrivere la situazione che si erano trovati a dover fronteggiare nel sistema Far Rim, grata che la lasciassero parlare senza gettarle occhiate incredule. Solo Hans Freizer la interruppe più volte, spesso per farle notare che stava indugiando eccessivamente su argomenti fin troppo noti o che, viceversa, non stava spiegando a sufficienza questioni di importanza fondamentale.
Pur con tutte quelle sgradevoli interruzioni, Trinity arrivò in fondo alla sua storia, riportando tutto quello che avevano appreso sul nemico. Tralasciò solo le sue congetture sui Razziatori: la sua interpretazione nel ruolo di custodi della Via Lattea poteva risultare davvero eccessiva per il Consiglio e non aggiungeva informazioni degne di nota.

- Tutto qui? Non ha altro da aggiungere? - le chiese Hans alla fine del suo rapporto.
- Mi scusi? - si limitò a domandare Shepard alzando gli occhi verdi verso di lui.
- Mi illudevo che potesse fornirci qualche ulteriore dettaglio, non presente nel rapporto ufficiale che ci ha inviato a suo tempo, in grado di giustificare la leggerezza che lei ha dimostrato in quest'ultima missione.
- Può essere più chiaro?
- Lei ha agito con eccessiva spavalderia, senza avere ben chiara la pericolosità del nemico, così da mettere a repentaglio la missione e la vita del suo stesso equipaggio: ha due morti e un disperso sulla coscienza, ha praticamente distrutto la nave che le era stata affidata e l'ha abbandonata fra le mani dei Quarian, che non fanno neppure parte del Consiglio.
- Prendere decisioni difficili fa parte dei miei compiti - cominciò a rispondere, liberandosi rabbiosamente dalla stretta di Liara, che le aveva serrato il braccio sinistro fra le dita della mano destra non appena si era resa conto della vivace aura bluastra che la ricopriva da capo a piedi.

- Ricordo perfettamente quanto tempo abbiamo già impiegato nei giorni scorsi per esaminare la questione che lei ha appena sollevato, Consigliere - intervenne una voce profonda che risuonò inaspettatamente alle spalle del comandante e delle sue due amiche, che si girarono sorprese.
- Ritengo però che le conclusioni a cui eravamo giunti allora siano ancora valide, quindi non vedo il motivo per cui dovremmo importunare ulteriormente il comandante con domande a cui ha già risposto nei rapporti che ci ha inviato - concluse Bakara, andando a raggiungere il palco su cui si trovavano gli altri Consiglieri con quel suo passo lento e determinato.
- Chiedo scusa per il ritardo, ma ho avuto degli imprevisti a causa delle condizioni non ottimali di un portale - si giustificò quindi la krogan rivolgendo un educato inchino ai suoi colleghi e lanciando una breve occhiata a Shepard, che smise immediatamente di brillare come un'insegna pubblicitaria e sorrise brevemente, gradevolmente sorpresa per quella inaspettata novità: Wrex aveva delegato alla moglie il compito di rappresentare i Krogan in seno al Consiglio, e lei non avrebbe potuto immaginare una scelta migliore di quella.

Tali e Liara completarono il quadro mettendo a disposizione, rispettivamente, tutti i dati raccolti dalle apparecchiature scientifiche e la traduzione completa degli antichi manoscritti prothean.
Fu durante l'esposizione delle sue amiche che Shepard sospettò per la prima volta che Hans Freizer avesse dei problemi irrisolti nei confronti della razza umana: forse era proprio quello il motivo per cui era stato scelto per far parte del Consiglio, pensò con cinismo.
Quell'uomo, che era stato ad ascoltare i suoi discorsi con un’aria di paziente superiorità, come se quella riunione lo avesse distolto da faccende decisamente più importanti, si dimostrò invece completamente affascinato dalle parole di Liara e sembrò pendere dalle sua labbra come se stesse ascoltando il vaticinio di un oracolo.
Alla fine di quella dettagliata esposizione, il Consigliere umano fece i suoi più vivi complimenti alla asari per l'eccellente lavoro di traduzione, utilizzando un linguaggio inutilmente ampolloso ed eccessivamente ricercato. Non passò però inosservata l'espressione di fastidio con cui accolse la precisazione di Liara - La ringrazio a nome del nostro comandante: è stata lei, non io, a rendersi conto che avevamo a che fare con alcuni rozzi tentativi di interpretazione di testi risalenti a popolazioni più antiche dei Prothean - che venne pronunciata con evidente soddisfazione e malcelato divertimento.

A quel punto Shepard chiese la parola, per sottolineare la serietà del pericolo costituito dai Divoratori di stelle e per suggerire la costituzione di una task force speciale, che effettuasse controlli sistematici in tutti i settori della Via Lattea, soprattutto all'interno di quelli inesplorati.
- Se un portale esiste, come gli scritti prothean lasciano supporre, è abbastanza probabile si trovi in regioni finora sconosciute - dichiarò con sicurezza - o qualcuno avrebbe rilevato irregolarità nei flussi di energia oscura.
- Forse lei, comandante, non si rende pienamente conto di cosa ci sta chiedendo di fare - la interruppe Hans, fissandola con due occhi azzurri gelidi - l'estensione dello spazio a noi noto è una percentuale irrisoria dell'intera Via Lattea.
- Me ne rendo perfettamente conto, dato che sono io ad andare in giro per il cosmo. Non trascorro le mie giornate seduta in un ufficio comodo ed elegante - sibilò lei immediatamente, questa volta fissandolo in viso, con espressione palesemente irritata: non aveva alcuna intenzione di lasciare spazio a quel personaggio, perché si stava preparando il terreno per ottenere quanto voleva realmente da quell'incontro e non gli avrebbe permesso di mandare all'aria i suoi piani.
- Il comandante non sta chiedendo nulla: ci sta dando un suggerimento che mi pare del tutto naturale, vista la situazione - commentò brevemente Bakara, fissando Shepard con un'espressione decisa, che invitava a mantenere la calma.

- Ci rendiamo conto del pericolo che corre la nostra galassia, comandante - intervenne Tevos - e le assicuro che faremo tutto quanto in nostro potere per prepararci a questa nuova minaccia, che effettivamente potrebbe risultare perfino più seria degli stessi Razziatori.
- Sono certo che il Consigliere umano volesse solo rimarcare l'enormità del compito, per il quale sarà necessario utilizzare un numero di navi di cui attualmente non disponiamo - aggiunse Sparatus.
- In realtà le navi da utilizzare per l'esplorazione potrebbero essere molto poche, almeno inizialmente - precisò Tali - Sarebbe infatti molto più conveniente procedere alla costruzione di un elevato numero di sonde e di droni, appositamente riprogrammati per esplorare lo spazio e individuare eventuali concentrazioni di energia oscura.
- In questo modo si potrebbe effettuare una ricerca in tempi più rapidi e con minore dispendio di risorse ed energie - proseguì la quarian - Un sistema meccanizzato di rilevazione potrebbe infatti consentirci di scartare alcuni sistemi e indicarci invece quelli da sottoporre ad ulteriori indagini, questa volta utilizzando navi spaziali ed equipaggi in grado di effettuare analisi più accurate.
- In questo modo si risolverebbero i problemi associati al progetto tanto impegnativo che ci è stato poc'anzi illustrato dal comandante Shepard - si congratulò Hans, con un tono colmo di vivace entusiasmo ed ampi cenni di assenso del capo.
Ma entrambe queste manifestazioni di genuino fervore si indebolirono rapidamente alla precisazione di Tali - Senz'altro. Anche io ho assicurato il comandante che questo suo suggerimento sarebbe stato accolto con vero entusiasmo - che venne pronunciata senza lasciar trasparire il divertimento che provava nell'attribuire al suo comandante un progetto a cui era invece totalmente estranea.

- E sarebbe lei a capo di questa task force speciale, suppongo - fu la domanda che il Consigliere salarian rivolse a Trinity.
- No, Consigliere - replicò lei fissando la Dalatrass con un'ostilità che si guardò bene dal nascondere: non le avrebbe mai perdonato la storia del Velo e la proposta di sabotare la cura per la genofagia - Sono qui anche per comunicarvi la decisione di prendermi un periodo di congedo, di una durata che al momento non sono in grado di precisare.
- Possiamo conoscere le motivazioni di questa sua inaspettata richiesta? - chiese Hans.
- Ho bisogno di un periodo di riposo. Credo che chiunque altro, al mio posto, l'avrebbe preso dopo la conclusione della guerra contro i Razziatori - sillabò fissando l'umano con uno sguardo irato, senza accorgersi di essere tornata a illuminarsi come un'insegna pubblicitaria - Io invece sono rientrata in servizio appena uscita dall'osped...
- Forse il Consigliere si è espresso male - la interruppe Bakara, lanciando uno sguardo eloquente all'umano che aveva al proprio fianco - Tutti noi siamo consci del fatto che si meriti un periodo di vacanza, senza alcun limite di tempo. Suppongo che in realtà Hans volesse chiederle la cortesia di indicarci una persona adeguata a svolgere questo compito di organizzazione e supervisione della task force anti-Divoratori.
- Vi suggerisco il maggiore Alenko, al quale affiderò volentieri la Normandy - rispose immediatamente, grata che l'intervento della krogan le avesse permesso di arrivare al punto cruciale di quella chiacchierata decisamente troppo lunga e snervante.
- Come ben sapete è al comando di un contingente di biotici che ha ottenuto ottimi risultati nella battaglia contro i Razziatori. Ritengo quindi che non potreste trovare nessuno di più adatto - concluse, cominciando a voltarsi per uscire da quella stanza.

- Comandante - provò a fermarla Tevos, accorgendosi che anche Liara e Tali stavano avviandosi verso l'uscita - Come ritiene che dovremmo comportarci in caso di un avvistamento con i Divoratori di stelle?
- Sono sicura che il maggiore Kaidan Alenko vi fornirà tutti i consigli del caso, non appena avrò avuto modo di parlare con lui per metterlo al corrente della situazione in cui si troverà a dover operare - rispose gelidamente Shepard, senza voltarsi e senza neppure fermarsi.

°°°°

All'uscita dall'edificio, Shepard si fermò a fissare le sue due amiche con un'espressione soddisfatta e anche divertita.
- E' stata una gran bella idea quella dei droni e delle sonde, Tali. E grazie per avermela attribuita: te ne devo una...
- La faccia del Consigliere mi ha ripagato alla grande - ridacchiò la quarian - Hai visto come ci è rimasto male? Speravo gli venisse un colpo.
- A quello? Ma figurati! - commentò Liara - Non avrei mai pensato di poter rimpiangere Udina, e invece...
- Ad ogni modo è una delle poche volte in cui non sono completamente delusa da un incontro con il Consiglio: Kaidan avrà la Normandy e sarà a capo della task force anti-Divoratori di stelle. Era tutto quello che potevo sperare di ottenere: sono certa che sia lui la nostra migliore speranza per localizzare il portale intergalattico.
Poi, per festeggiare l’esito di quel lungo colloquio, invitò le due compagne a cenare al Ryuusei, il famoso ristorante di sushi che nel frattempo era stato ricostruito.
Fu con un po’ di apprensione da parte di Liara e Tali, e con molta più apprensione da parte del direttore del ristorante che, qualche ora dopo, il terzetto prese posto ad un tavolo appositamente apparecchiato per loro in un angolo appartato del locale.

Forrest Gump

Alla fine della cena, le due amiche insisterono perché Shepard andasse a riposarsi nell’appartamento che le era stato regalato da Anderson, piuttosto che tornare a bordo della Tonbay o prendere una stanza in uno dei tanti alberghi della Cittadella. Solo la promessa che avrebbero passato la notte in sua compagnia riuscì a convincere il comandante: sapeva che troppi ricordi le sarebbero tornati alla mente e non si sentiva in grado di affrontarli da sola.
Nelle lunghe ore successive, passate attorno al bancone del bar nell’appartamento, le tre amiche si raccontarono i progetti futuri, promettendosi l’un l’altra di restare in contatto.
Le avventure a bordo delle navi da guerra erano ormai un capitolo concluso per tutte loro e anche per molta parte del vecchio equipaggio. Ben pochi membri sarebbero tornati in servizio a bordo della SR2, specialmente dopo aver saputo che a breve ci sarebbe stato un cambio nel comando.

Liara accese lo stereo e si sedette sul divano, annunciando che la mattina successiva sarebbe partita alla volta di Thessia, con Javik, per prendere gli ultimi accordi con gli studiosi che avrebbero finanziato la spedizione scientifica diretta verso le località scelte dal prothean.
- Immagino invece che tu aspetterai che Kaidan sia pronto, per tornare su Rannoch con la Tonbay - osservò Shepard, fissando la quarian che stava bevendo un liquore di Palaven utilizzando una delle solite cannucce - Nel frattempo tu e Kal potete restare qui: questo appartamento è decisamente troppo grande e mi farà piacere non rimanere sola.
- Ti ringrazio. Sarà piacevole passare un po' di tempo insieme come se fossimo in vacanza, senza dover combattere una delle tue solite battaglie impossibili. Ma spero che Kaidan faccia in fretta - rispose Tali - Shala mi ha assicurato di aver acquistato per me un appezzamento di terreno in una posizione incantevole.
- Hai davvero fretta di mettere radici - commentò Liara, con un sorriso divertito.
- Beh, non sono più una ragazzina come te e poi...
- Kal ha fretta di sposarsi? - chiese Shepard facendole l’occhiolino.
- Un po' di fretta la abbiamo entrambi, a dire il vero. Anche perché... - iniziò a dire, solo per interrompersi e cominciare a rigirarsi le mani nelle mani, prima di andare a versarsi un altro bicchiere dalla bottiglia che era rimasta sul tavolo da pranzo.
Il Beh? di Liara e il Cosa? di Shepard la sollecitarono a continuare, ma la ragazza fece finta di nulla.
- Ti lasciamo solo il tempo di bere - la minacciò il comandante, mentre i suoi occhi scrutavano con attenzione l’amica che era tornata a sedersi sulla poltrona al suo fianco.
- Diavolo, Shep! Accidenti ai viaggi lunghi e senza scalo! Dove potevamo procurarci dei contraccettivi in mezzo a tutto quel disastro? - esplose la ragazza, in tono visibilmente imbarazzato, mentre le sue due amiche si lasciavano scivolare contro lo schienale del divano singhiozzando per le risate.

Trinity aveva le idee più confuse circa il suo futuro. Quella bellissima casa era eccessivamente grande e conteneva troppi ricordi dolorosi. Sarebbe inciampata continuamente nelle impronte lasciate da Anderson e nelle memorie delle ore passate lì con Garrus, ancora vivide e troppo dolorose. E poi non voleva che sua figlia vivesse sulla Cittadella, esposta alle attenzione indesiderate di giornalisti e curiosi.
Non riusciva a immaginare quale aspetto avrebbe avuto Halia, ma riteneva improbabile che potesse passare per una purosangue di una delle loro due razze. Con un po' di fortuna avrebbe potuto essere scambiata per una bambina nata da un incrocio quarian-turian, ma non sarebbe stato semplice giustificare perché fosse un'umana a farle da madre. Non sulla Cittadella, almeno, data la notorietà che la circondava e le impediva di passare inosservata.

Shepard immaginava che all'inizio ci sarebbe stato un notevole interesse nei confronti dei primi bambini nati da genitori appartenenti a razze diverse, il cui concepimento era stato incentivato dalla forzata permanenza all'interno del sistema Sol di buona parte della popolazione della galassia, in attesa della riattivazione dei portali.
Forse con il passare del tempo, però, la morbosa curiosità iniziale si sarebbe andata placando e quei bambini e le loro famiglie non sarebbero stati importunati eccessivamente. Con il passare degli anni sarebbe diventato abbastanza comune incontrare bambini che presentavano tratti somatici insoliti e singolari e sarebbero diminuite le persone che li avrebbero fissati con aria incuriosita, come se fossero in visita dentro un parco zoologico che accoglieva fauna aliena.
In ogni caso Trinity aveva deciso che avrebbe abbandonato la Cittadella non appena la bambina fosse nata, anche se non sapeva esattamente dove andare. Forse sulla Terra, in un posto isolato e tranquillo, dove magari avrebbe potuto camminare per le strade con sua figlia, come una madre qualsiasi.

Le tre donne passarono buona parte del resto della serata allungate sul divano e sulle poltrone poste davanti al camino acceso, proprio chiacchierando del loro prossimo futuro. Tranne Liara, che non aveva alcuna fretta di diventare madre - Per la Dea, sono decisamente troppo giovane per caricarmi di una simile responsabilità! - le altre due donne si ritrovarono a fissarsi con aria un po' smarrita, pensando alla loro prossima missione.
- Abbiamo parlato di bambini solo una volta - prese a dire Trinity, ricordando una frase di Garrus nel saluto che le aveva dato prima della battaglia contro i Razziatori - Ma di certo nessuno dei due ci aveva mai pensato seriamente.
- Non riesco a immaginarti mentre cambi un pannolino - la stuzzicò Tali.
- Neppure io ti ci vedo - la rimbeccò Shepard ridendo - troverai il modo per farlo fare a Chatika.
- Ma i turian usano i pannolini? - chiese Liara con sincera curiosità.
- Non lo so proprio, ma ho tempo per informarmi... - confessò Trinity sorridendo divertita, anche se non riusciva a liberarsi da una certa apprensione: non sapeva vedersi ad accudire un esserino che protestava senza essere in grado di spiegare di cosa diavolo avesse bisogno. “Ma i turian piangono?” si chiese grattandosi la testa, incerta se sarebbe stato meglio o peggio: per quanto fastidioso, il pianto di un neonato umano serviva ad allertare il genitore.
Nello stesso momento anche Tali ammise - Non riesco a immaginare la mia vita su Rannoch, invece che sui ponti di una nave. E tu? Sai dove andrai?
- No, so solo che non rimarrò sulla Cittadella e che non tornerò neppure a bordo della Normandy, in una cabina che adesso sarebbe troppo grande, con un estraneo che armeggia nella batteria primaria... - ammise Shepard, odiando le lacrime che le si ammassavano in gola.

Furono tutte sollevate dal suono insistente del comunicatore posto all’ingresso, che le costrinse a distrarsi.
- Spero non stessi dormendo - si scusò Rennok appena Shepard attivò il contatto.
- No. Ero ancora sveglia.
- Meglio così, volevo informarti delle ultime novità... - cominciò a dire il turian, restando però in silenzio per i successivi dieci o quindici secondi, fissando attentamente lo sguardo di fronte a sé, fino a quando Shepard si sentì in dovere di precisare - Ehm... è solo un succo di frutta - alzando nel frattempo il bicchiere che aveva nella mano per mostrarglielo bene.
- Il mio attendente mi stava comunicando che il portale per l’ultima colonia turian ancora isolata sta per essere rimesso in funzione... - precisò Rennok, prima di aggiungere - Figliola, suppongo che alla tua età tu sappia da sola cosa bere e cosa no... - con un’espressione beffarda che le fece stringere il cuore: era l’espressione immortalata nella prima foto che aveva scattato a Garrus e vedersela lì, a grandezza naturale, proprio davanti agli occhi, le fece piegare le ginocchia.

- Ti avevo chiamata per dirti che Sol verrà da te domattina, ma ora aggiungo una seconda notizia: partirò fra poche ore - continuò il suocero, voltando leggermente la testa verso destra, probabilmente consultando l’orologio che lei ricordava essere appeso su quella parete dello studio.
- Mi hanno affidato l'incarico di riorganizzare i servizi di sicurezza su quella colonia che al momento è in preda al caos, anche grazie alle frequenti incursioni da parte di bande di pirati e schiavisti. Probabilmente resterò laggiù per qualche settimana, ma se avessi bisogno di me, per qualsiasi motivo, chiamami e mi rintracceranno. Sanno che rientri fra i miei famigliari. Hai capito, figliola?
- Ho capito. Grazie.
- Non devi ringraziare: siamo una famiglia ed è mio dovere occuparmi di te.
- Ti ringrazio lo stesso, perché so che non lo fai solo per spirito di dovere - rispose lei ridendo.
Il turian restò interdetto per pochi secondi, poi scosse la testa con un brevissimo accenno di sorriso, prima di aggiungere - Un’ultima cosa: Sol è molto cara ma, ecco è... estroversa. Forse a volte è un tantino troppo... come dire?... loquace. Specie se è nervosa.
- Ne terrò conto. Buon viaggio, padre.
- Buona notte, figliola.

Quando Shepard si girò vide le sue due amiche che stavano ridendo fin troppo allegramente: erano letteralmente piegate in due dalle risate e se il volto di Liara mostrava chiaramente le lacrime, il visore di Tali non poteva nascondere i singhiozzi che continuavano a interrompere la frase che stava provando inutilmente a pronunciare.
- Quello sarebbe il turian che detesta gli umani e gli Spettri? - provò inutilmente ad articolare la quarian più volte, fino a doversi arrendere all'evidenza che quella frase era troppo lunga per essere pronunciata tutta di seguito, sia per l'effetto delle risate che per l'alcol ingerito.
- Così era, fino a quando il nostro comandante non l'ha stregato - replicò Liara a sua volta - Figliola? Padre? Ma per favore!
- Sembrava una scena tratta da una telenovela strappalacrime - concluse Tali gettandosi letteralmente fra le braccia della asari e nascondendo il viso contro la sua spalla.
- Ma quanto siete sceme! - esclamò Shepard, senza però riuscire a mantenersi seria.
Quelle ultime battute chiusero la serata: Liara e Tali la presero sottobraccio per accompagnarla in una delle stanze al piano superiore. La fecero sdraiare sul grande letto e le si stesero ai fianchi, abbracciandola e mormorando scemenze varie fino a quando furono certe che si fosse addormentata.

°°°°°

- E così... eccoti qui - disse la turian che entrò di prima mattina nell’appartamento, squadrando l’umana che le aveva aperto la porta con aria assonnata.
- Sei diversa da come sembri sugli schermi olografici. Sei... più piccola - ridacchiò con aria divertita.
- Ciao, Solana. Grazie per essere venuta così presto - rispose Shepard, un po’ confusa dall’abbraccio travolgente di quella ragazza mai incontrata prima.
- Sì, in effetti forse è veramente un po’ troppo presto, ma ero terribilmente curiosa di vederti dal vivo e non ho potuto aspettare. Ti ho svegliato? Devo ancora fare colazione, hai niente da mangiare che non mi avveleni?
- Sì, vieni - le rispose, dirigendosi verso la cucina, sperando che le pareti attutissero l’intensità della voce della turian e permettessero alle sue due amiche di dormire ancora un po’.
- Che casa enorme. Ci abiti tutta sola? Non ti ci perdi mai? - aggiunse Solana girando più volte su se stessa, e alzando gli occhi verso il piano superiore, prima di correre verso il pianoforte esclamando - Ma che bello! Sai suonarlo?
Prima che Shepard riuscisse a fermarla con un - Aspetta - Solana stava pigiando i tasti con molta allegria e nessuna cognizione musicale, traendo da quel povero strumento delle dissonanze micidiali.

- Cosa succede? - chiese una voce ancora impastata dal sonno, mentre Tali si sporgeva dalla balaustra del piano superiore, cercando di capire chi fosse la persona che stava violentando il pianoforte. Liara invece era rimasta a letto, ma aveva mandato Glifo in avanscoperta e il drone aveva cominciato a girare intorno a Solana che si mise a lanciare piccoli gridolini stupiti.
- Non sapevo avessi visite! - esclamò a voce ancora più alta rivolgendosi a Shepard, poi guardò verso l’alto - Tu devi essere Tali’Zorah, Garrus mi ha parlato moltissimo di te! Sono davvero felicissima di conoscerti.
- Si? Beh, grazie... Anche io, credo... Scusa, devo ancora svegliarmi. Immagino tu sia Solana - rispose la quarian, con voce incerta.
- E questo coso che mi gira intorno cos'è?
- Sono Glifo, signorina Solana.
- Glifo? Il drone di Liara?
- Esatto. Vuole che le prepari qualcosa per colazione?
- Mi sembra un’ottima idea - rispose Shepard per lei, sentendosi un po’ frastornata da tutto quel chiacchiericcio di prima mattina - Io vorrei il mio solito caffè.
- Cosa desidera mangiare, signorina Solana? - chiese il drone volteggiando verso la cucina.
- Vengo con te - cinguettò lei, seguendolo.

- Loquace? Io trovo che sia un aggettivo... inadeguato - osservò Liara pochi minuti più tardi, raggiungendo le due amiche nel salotto e abbattendosi al loro fianco sul divano, con un gemito.
- Ma dov’è finita? - chiese Shepard a Glifo, dopo che il drone ebbe finito di apparecchiare il tavolinetto davanti a loro.
- E' rimasta in cucina.
- Da sola? Forse dovremmo andare a chiamarla... - disse Tali alzandosi.
- Credo che potremmo aspettare ancora un paio di minuti - replicò Liara, tirandola per un braccio e costringendola a sedersi nuovamente - sto ancora cercando di riattivare i miei timpani.
- Non essere cattiva. E’ solo terribilmente nervosa - osservò la quarian - si vede chiaramente...
- In effetti ti assomiglia parecchio nel modo di parlare - la prese in giro la asari - Dovresti insegnarle anche a rigirarsi le mani nelle mani - aggiunse ridacchiando.
- Sei peggiorata da quando frequenti il prothean, lo sai vero? - la rimbeccò Tali, mentre Shepard fissava alternativamente quelle sue amiche senza riuscire a credere che due dei migliori membri del suo equipaggio potessero scambiarsi battute adatte ad una commedia demenziale.

- Cosa sta facendo Solana? - chiese poi rivolgendosi a Glifo, dopo aver zittito le due compagne con un gesto.
- Fissa il vuoto - rispose il drone.
- Poverina! Ma cosa le hai detto? - chiese Tali.
- Nulla. Mi ha chiesto di prepararle quello che prendeva Garrus di solito - rispose il drone, con il suo usuale tono di voce inespressivo.
- Restate qui. Vado io - ordinò Shepard, prendendo la sua tazza di caffè dal vassoio poggiato sul tavolino e alzandosi.

Quando entrò in cucina, la turian si riscosse, divenne blu in modo vistoso, poi le lanciò un’occhiata imbarazzata - Mi dispiace: papà si era tanto raccomandato. Così non ti aiuto... lo so.
- Sol, non devi scusarti - iniziò a confortarla, appoggiandole una mano sulla spalla - Qui ha vissuto tuo fratello: so che te ne accorgi da tanti piccoli particolari - la rassicurò, mentre i suoi occhi si spostavano sulla tazza che lui usava abitualmente per fare colazione (e che Glifo aveva messo davanti alla turian), ricordando che Garrus le aveva raccontato che era stata proprio Solana a regalargliela.
- E' normale che qualcosa si spezzi dentro, quando accade qualcosa che non avevamo previsto - la confortò, prendendo la tazza con la mano destra, con l'intenzione di sostituirla. La ragazza però la bloccò, ponendo a sua volta la mano sulla tazza e scuotendo lievemente la testa in segno di diniego.
- Tu sei una turian e io un’umana: probabilmente le nostre reazioni sono diverse, ma le emozioni no - proseguì Shepard sedendosi e rigirando fra le mani la sua tazza di caffè - E comunque non riuscirei a sentirmi meglio perché mi saltelli intorno come un volus strafatto di polvere rossa, svegli le mie amiche gridando come un krogan ubriaco fradicio e cerchi di distruggere un pianoforte innocente - concluse un sorriso un po’ tirato.
- Non sarà questo il racconto che farai a papà, spero - rispose Solana, immaginando la faccia severa di Rennok, con un sorriso incerto.
- No, suppongo che non lo troverebbe divertente... - osservò Shepard sentendo che il sorriso si stava trasformando in una leggera risata.
Si accomodò meglio di fronte alla turian e la invitò a mangiare qualcosa - Garrus iniziava sempre da quel bastoncino poroso. Lo intingeva in quella brodaglia. Dai, ti faccio compagnia - la incitò, mentre beveva un primo sorso di caffè.

Quando Liara e Tali lasciarono l’appartamento, Trinity chiese alla cognata se le sarebbe andato di fare una passeggiata per il Presidio. Vagarono un po’ senza meta, chiacchierando solo di qualche stupidaggine.
- Non so praticamente nulla di neonati in genere: di quelli turian poi... zero assoluto - confessò improvvisamente fermandosi a guardare la vetrina di un negozio di abbigliamento per bambini - non avevo mai pensato di poter essere madre. Credo che entrambi pensassimo che il concepimento fosse impossibile, per via dell’incompatibilità biologica.
- Io ho studiato da infermeria e mi sono occupata di molti neonati turian, specialmente durante la guerra. Ricordo un periodo trascorso nelle cantine di un edificio di un piccolo centro abitato su Palaven: eravamo rimasti completamente isolati dal resto del mondo. Una delle ragazze partorì proprio sotto un attacco, probabilmente per la paura, e il neonato sopravvisse, anche se era prematuro. Però non so assolutamente nulla di bambini umani.
- La vuoi davvero questa bambina, Shep? - le chiese Sol, fermandosi all'improvviso.
- E’ l'unica certezza che mi resta, l'unico motivo per alzarmi ogni mattina - rispose sinceramente, mentre le sue dita correvano a stringere i ciondoli che portava al collo.
- Posso vedere il regalo che ti ha dato il giorno del matrimonio? - le chiese Sol, seguendo il movimento della sua mano.

A differenza di suo padre, lo afferrò e se lo fece girare a lungo fra le dita, con espressione assorta.
- Vorrei avere anche io un ricordo di Garrus - confessò poi sottovoce.
- Ho anche questo - rispose Shepard mostrandole il cristallo azzurro legato all’altra catenina - ma non riuscirei mai a separarmene, mi dispiace.
- No, certo - protestò lei - Mi piacerebbe avere una sua foto, magari una del vostro matrimonio... se però questo non ti dispiace - aggiunse con timidezza - Non conosco bene i vostri usi.
- Potresti aiutarmi con gli enormi container che ho in casa e scegliere ciò che preferisci. Magari in tua compagnia mi sarà un po’ più facile guardarci dentro - le propose Shepard - Non ho ancora trovato il coraggio di aprirli, ma dovrò decidere cosa portarmi appresso quando traslocherò: voglio tenere qualche altra sua cosa, che un giorno mostrerò alla bambina.

My Immortal


Passarono le ore successive rinchiuse nel salone dell’appartamento, aprendo tutti i pacchi, uno per volta, con metodo. Il primo conteneva gli oggetti che si trovavano nella cabina della Normandy e la turian rimase particolarmente colpita dalla foto che Shepard aveva scattato a Garrus prima di essere messa agli arresti domiciliari. Continuò a fissarla a lungo, sorridendo, e alla fine chiese se poteva farne una copia.
- In quell’istantanea hai catturato l’essenza di mio fratello. Mi piace sapere che lo vedi anche tu in quel modo - le disse cingendole le spalle. Rimasero vicine, con il viso accostato, a fissare l’espressione ironica di Garrus fino a quando gli occhi di Shepard si riempirono di lacrime e lei si allontanò di scatto, andando in bagno per lavarsi il viso.

Solana la seguì dopo un paio di minuti, chiedendole se poteva mostrarle quello che usava per i capelli.
- Mio fratello mi fece ridere quando cercò di spiegarmi come gli umani si asciugassero i peli lunghi che hanno in testa. La sua descrizione della spazzola suonò talmente assurda anche a lui stesso che si interruppe e si mise a ridere da solo...
- Adorava i miei capelli. Non so perché. Me li scioglieva e ci faceva passare le dita in mezzo, a lungo.
- Posso provare? Ti dispiace? - le chiese Solana.
- Tira via il fermaglio - le rispose Shepard mettendosi a sedere su un piccolo sgabello e voltandole le spalle.
La turian lo sfilò e ammirò la cascata rosso mogano che coprì le spalle del comandante. Erano ondulati e morbidissimi al tatto. Le sembrava di toccare fili di seta.
- Mi aveva detto che gli ricordavano lo scorrere della corrente di un fiume fra le dita ed è un’immagine abbastanza fedele. Non credo di saper spiegare bene cosa provo, ma è molto gradevole, rilassante.
- Non gli piacevano quando erano bagnati - ricordò improvvisamente Shepard, con un sorriso malinconico - Spesso mi aiutava ad asciugarli – aggiunse mostrandole la spazzola e il phon.
- Dai, torniamo di là e continuiamo - la incoraggiò la turian, porgendole il fermaglio.

Da quello stesso scatolone Solana tirò fuori due set di lenzuola, il computer portatile di Shepard e una ventina di datapad. Poi emise un gridolino contento, tirando su un piccolo album di fotografie. Guardò la prima con aria stupita, poi cominciò a ridere e continuò a ridere sempre più forte ogni volta che le sue dita sfogliavano quei fogli di plastica trasparente che custodivano le immagini.
- Spiriti! Ma quando le hai fatte queste? - chiese senza riuscire a tornare seria.
- E’ stata la IA della nostra nave a scattarle, il giorno prima del nostro matrimonio. Lei stava arbitrando la partita.
- Si stava divertendo un mondo a correre appresso a una palla... Erano anni che non vedevo mio fratello con un’espressione così felice stampata in viso.
- Già. Sono stati giorni indimenticabili - concordò Shepard che poi aggiunse - Guarda se c’è un’altra foto. Dovrebbe essercene una in una scatola di clip termiche.
- Ecco la scatola - replicò lei porgendogliela.
- Aprila tu e dimmi cosa c’è scritto.
- Non capisco... è la foto di uno specchio appannato. Sembra una stanza da bagno.
- Cosa c’è scritto? Riesci a leggere? - le chiese con trepidazione.
- La prima riga no, la seconda sì.
- Cosa c’è scritto? - ripeté ansiosamente - Non l’ho mai saputo...

- Spiriti! - esclamò Solana con un evidente stupore sul viso - Non sapevo che mio fratello conoscesse quel poeta. A dirla tutta, non credevo avesse mai letto neppure un verso in tutta la sua vita...
- Cosa dice?
- Naufrago nei tuoi occhi. Non credo ti dica molto, ma è il titolo di una poesia d’amore di uno dei nostri rari poeti. Bellissima.
- La ricordi?
- Non ricordo i versi, ma parla dell’amore di un ragazzo turian per una asari bellissima e sensuale, forse un’ardat yakshi.
- Il paragone è piuttosto inquietante.
- Mio fratello non intendeva certo questo, Shep. Il significato di quell’opera sta nell’ebbrezza che prova il poeta nel lasciar cadere ogni difesa, perfino l’istinto primordiale di sopravvivenza. Si arrende completamente a un sentimento intenso e se ne lascia travolgere con gioia, trovando un appagamento assoluto proprio in quella resa incondizionata. La poesia si chiude con l’immagine del poeta che naufraga nel nero profondo di quegli occhi, senza lasciar immaginare se vivrà o morirà, perché non ha alcuna importanza.
A confronto di quanto aveva appena raccontato Sol, quel suo misero Ti amo, faceva una ben magra figura, ammise Shepard, troppo commossa per pronunciare una sola parola.
Fece un grosso sospiro e fissò la turian - Non credo che riuscirò a guardarci dentro, ma possiamo cercare il pacco contenente gli oggetti che si trovavano nella batteria primaria della Normandy.
- Forza, Shep, cerchiamolo - rispose la turian in tono incoraggiante - lo aprirò io.

Trascurarono i due enormi container con l'acquario (svuotato) e il letto (smontato), corredato di materasso e cuscini. Un terzo container, appena più piccolo, accoglieva la vetrinetta della Normandy, anch'essa smontata, e in un quarto erano impacchettati accuratamente tutti i modellini delle navi.
Quando aprirono la grossa scatola che stavano cercando, la prima cosa che Shepard si ritrovò fra le mani fu il fazzoletto di Jeff. Lo lasciò cadere in terra come se le avesse bruciato le dita e si rintanò contro una parete, appoggiando la schiena contro il muro, lasciandosi scivolare in terra e rannicchiandosi, per poi nascondere il viso contro le ginocchia piegate.
Nel silenzio successivo, Solana estrasse un piccolo materasso arrotolato, una coperta ordinatamente ripiegata, un computer e una gran quantità di datapad contenenti vari appunti scribacchiati con una calligrafia che riconobbe subito. Il loro numero le fece capire quanto tempo Garrus avesse trascorso in quella stanza e perché Shepard non fosse riuscita ad aprire quel grosso pacco.
Trovò una pistola, che immaginò appartenesse a Trinity, ed un caricatore. Poi tirò fuori la foto del matrimonio in cui il comandante teneva le mani dietro il collo di Garrus per agganciare la catenina.

- Gli hai regalato la tua medaglietta - sussurrò sorridendo, accarezzando quell'immagine.
- Non sono riuscita ad agganciargliela per via dei guanti - rispose lei, lasciando che le lacrime le scorressero dagli occhi - In realtà mi tremavano anche le mani - ammise apertamente, continuando a restare con la testa appoggiata contro le ginocchia.
- Qualche volta capita anche alle turian - ridacchiò Solana, mentre fissava quei due profili tanto diversi che si stagliavano contro due lune pallide, con gli occhi di ciascuno persi negli occhi che avevano di fronte.
Diventò di un blu intenso nel tirare fuori una quantità imbarazzante di preservativi e lanciò un'occhiata alla cognata, che per fortuna era ancora rannicchiata contro la parete e non la stava guardando. Ridacchiò divertita e poi estrasse l'ultimo oggetto: una ciocca di capelli rosso mogano legati con il fermaglio che si usava per chiudere le scatole delle clip termiche.
Rimise tutto dentro la cassa, compreso il quadrato di tessuto che non sapeva cosa fosse, poi andò a sedersi in terra, vicino a Shepard, e le prese una mano.
- Non c'è bisogno che tu apra ora quel grosso scatolone, ma devi tenerlo con te. Sono certa che tra qualche tempo vorrai mostrare le cose di Garrus a tua figlia e vorrai raccontarle mille storie su suo padre.
- Dai, alzati - la incitò poi, tornando in posizione eretta e tendendole una mano - C’è un bar in questa casa enorme? Abbiamo bisogno di un drink, magari piccolo piccolo per te.

- Cos’hai trovato lì dentro? - chiese Shepard, dopo il primo sorso di vino.
- Tante cose che porteremo nella casa dove deciderai di andare a stare. Oppure vivrai qui?
- No, Sol. Qui no, per tanti motivi.
- Dove allora?
- Sulla Terra, credo. In un posto dove nessuno sappia chi sono. Un posto isolato e tranquillo. Forse in riva al mare...
- I turian non nuotano, vanno a fondo - rispose Solana ridendo - ma forse tua figlia potrebbe imparare.
- Un paesino di montagna andrebbe bene lo stesso - rispose Trinity, ricordando con un breve sorriso nostalgico le frasi pronunciate da Garrus a proposito della scarsa dimestichezza dei turian con l'acqua - Forse sarebbe addirittura meglio. D’inverno terremmo il caminetto acceso mentre la neve cade senza rumore fuori dalle finestre, ci impigriremmo nel caldo abbraccio di un piumone, respireremmo l’odore di resina e di legna bruciata, e ci scaderemmo le mani al calore delle castagne appena tolte dal fuoco. E d’estate ci sarebbero prati verdi pieni di fiori, marmotte che fischiano, scoiattoli che si rincorrono fra i rami e uccelli che cinguettano.
- Credo di non aver capito molto, ma ne parli come fosse il paradiso...
- Ne parlo senza sapere bene cosa dico, temo... non conosco molto bene la Terra. Ho solo visto un po' di olofilm e letto qualche romanzo. Comunque Halia non può crescere in un posto come la Cittadella: se si capisse che è mezza umana e mezza turian nessuna di noi avrebbe un solo attimo di pace.
- Halia? - chiese Solana dopo un attimo di incertezza.
- Tuo padre ha detto che andava bene. A te dispiace?
- No, no. E’ perfetto.
- Bene, perché non è facile farmi cambiare idea... - ridacchiò Shepard.

- Posso sollevare una sola obiezione? - chiese Solana dopo aver riflettuto qualche secondo in silenzio.
- Sentiamo.
- Mi sentirei più tranquilla se l’eremitaggio lo iniziassi dopo la nascita della bambina. Io posso cavarmela con una neonata turian se non sorgono complicazioni, ma nessuna di noi sa come sarà questa creatura e tu mi hai confessato di non sapere molto sui neonati, neppure se interamente umani.
- Sì, sarebbe un rischio stupido - convenne - Rimarrò sulla Cittadella per ora. L'ufficiale medico che avevo sulla Normandy resterà qui almeno fino alla nascita della bambina e poi conosco un bravo dottore turian che lavora nell'ospedale.
- E almeno fino a quando la bambina non nascerà, che ne diresti se venissi a stare da te? Il tuo appartamento è talmente grande che non ti darei fastidio - le propose - Ti prometto che non suonerò il pianoforte - scherzò, prima di tornare seria e aggiungere - A me tu piaci molto e poi pensa al vantaggio: io sono turian. Se Halia assomigliasse molto a Garrus, potremmo spacciarla per figlia mia - le suggerì facendole l'occhiolino, mentre Trinity si trovava a ridere per quel suggerimento inatteso che però non era del tutto da scartare.
- Dovrò solo sistemare qualche cosa, ma fra qualche giorno potrei liberarmi - aggiunse Solana, riflettendo ad alta voce - Sarei dovuta andare a prendere servizio in un ospedale su Palaven, ma sono certa di poter restare a lavorare qui o sulla Terra, se lo chiedo ai miei superiori: tutti vogliono tornare a casa e i posti su Palaven sono molto ambiti. Ma ora la mia famiglia siete solo tu e papà, e lui cercherà di restare vicino a te, per aiutarti. Garrus è un ragazzo dolce e generoso, ma è anche un dannato testone: non si è mai sforzato di capire nostro padre, eppure lui è davvero un tesoro, sai?
- Sì: ne sono certa, Sol - rispose sorridendo, mentre il pensiero di aver trovato una famiglia, la prima che avesse mai avuto, le inumidiva gli occhi e le scaldava il cuore.

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Capitolo 20
*** Un imperativo irrinunciabile ***


Piccola dedica
Pur essendo stato scritto oltre un anno fa, questo brano è stato modificato di recente, all'inizio del mese di settembre.
Lo dedico a Johnee, a cui devo le elucubrazioni che mi hanno portato a riscrivere la seconda parte del capitolo, legata ad una missione di ME2, su cui lei ed io abbiamo chiacchierato a lungo.


UN IMPERATIVO IRRINUNCIABILE


May it be


- Credo si stia svegliando.
- Hai ragione. Dovremmo chiamare qualcuno.
- E perché?
- Perché ce l'hanno ordinato. Non mi pare il caso di mettersi nei guai per uno sconosciuto. Pure turian, fra l'altro...
- Lascia che si riprenda, dagli tempo: è rimasto incosciente per molte ore. E’ conciato male.
- Tanto lo vedranno. Ci sono le telecamere.
- Non lo noteranno, se non si muove. E tu resta fermo dove sei: lo stai coprendo da quella più vicina.

Le due voci, maschile quella pratica, femminile quella pietosa, giunsero nitide alle orecchie di Garrus, ma non gli suonarono familiari. “Sono quarian” realizzò, riconoscendo lo stesso timbro metallico ed artificiale che caratterizzava la parlata di Tali.
Aprì gli occhi, ma intravide confusamente solo un grigio monotono e brillante. Capì di trovarsi con la faccia a pochi centimetri da una parete metallica, probabilmente illuminata da luce artificiale. Provò a girarsi, ma una mano gli si posò sulla spalla, trattenendolo con fermezza.
- Non muoverti – gli sussurrò la voce femminile di poco prima.
- Dove sono? Cos’è successo? Da quanto sono qui? - chiese con voce arrochita, senza riuscire a ricordare gli ultimi avvenimenti che dovevano averlo portato lì.
- Sei a bordo di una nave schiavista batarian e sei rimasto incosciente per almeno tre giorni – rispose sommessamente la stessa voce - Parla piano e non muoverti o verranno a prenderti.

“Una nave schiavista… Come ci sono finito? Mi fa male la spalla sinistra e la testa. Non so chi mi abbia ferito, né con cosa. Non ricordo neppure di aver combattuto contro pirati batarian” furono le sue prime riflessioni. Restò immobile, cercando far riemergere le ultime immagini che i suoi occhi avevano registrato.
“Shepard svenuta. Ho espulso la sua capsula. La falla nello scafo. L’esplosione. C’era IDA. Una IA non deve respirare; potrebbe avermi salvato” fu l’ipotesi che gli sembrò più verosimile, mentre rammentava nitidamente il dolore provato al petto nel tentativo, sterile ma istintivo, di respirare il vuoto.
“E’ quello che hai sentito anche tu, Trinity, mentre la Normandy cadeva sotto i colpi dei Collettori. Ora capisco perché non hai mai voluto raccontarmelo. Non si può descrivere la sensazione di respirare il vuoto a chi non l'ha provato” rifletté per un attimo, prima di scartare quel pensiero inutile. Aveva cose più importanti a cui pensare: non era quello il tempo per i ricordi o per le sterili elucubrazioni di un turian innamorato, ma la sua mano corse lo stesso al collo, per cercare la medaglietta N7, senza però trovarla.

Fu sommerso da un dolore improvviso, fino a quando si aggrappò alla speranza che fossero stati i batarian a strappargliela dal collo. Probabilmente non sapevano quale significato avesse per un turian il regalo ricevuto al matrimonio, ma in ogni caso non se ne sarebbero curati. Passò a concentrarsi sull’ambiente circostante: mormorii lievi, luce brillante, nient’altro degno di nota.
“Non riesco a vedere nulla con il viso a pochi centimetri da questa stupida paratia di metallo. Non posso restare qui immobile: devo scoprire se la Normandy è salva, se Shepard è viva...”.

- Ti ringrazio per quello che hai fatto per me. Immagino di doverti la vita - bisbigliò sottovoce, restando ancora immobile.
- No, ti hanno medicato loro. Devi essere importante. Per nessuno di noi si sono mai presi la briga di vedere come stavamo e di certo non ci hanno mai curato: si sono limitati a portar via i cadaveri. Ti hanno fasciato e per ben due volte è venuto qui un dottore a somministrarti dei medicinali.
- In ogni caso immagino che questa giacca sia tua e non del dottore - le rispose mentre si girava con un sorriso, porgendole l’indumento che si era ritrovato drappeggiato attorno al corpo, per tenerlo al caldo.
Si mise a sedere notando come la quarian gli apparisse sfocata. Anche tutto l’ambiente che lo circondava era confuso, con dettagli incerti. Istintivamente portò la mano destra al viso e si rese conto di avere una fasciatura che gli copriva metà volto. La spostò per controllare le condizioni degli occhi e tirò un sospiro di sollievo nel verificare che ci vedeva come sempre. Il visore, però, era scomparso.

La stanza era una stiva di carico rettangolare, lunga e stretta, stipata di persone, tutti quarian. Sembrava che mancassero del tutto i maschi giovani: erano bambini o anziani, anche se le tute rendevano difficile stabilirne esattamente l’età. La maggioranza era però di sesso femminile: anche loro molto giovani o molto vecchie, anche se c’era qualche rara ragazza, come la quarian che gli sedeva di fianco.
Avrebbe voluto farle molte domande, sapere da dove provenivano e se avesse idea di dove fossero diretti ma, prima che potesse formularne solo una, la porta sul fondo della stanza si aprì e un grasso batarian entrò, facendo qualche passo verso di lui.
- Tu... cammina. Vieni con me - ordinò poi, puntandolo con il fucile.
Si alzò a fatica e lo seguì barcollando, senza protestare e senza lasciarsi sfuggire un solo lamento, anche se ogni movimento gli causava fitte di dolore sia alla testa sia al torace. Seguì il grassone lungo un corridoio, fino ad una porta di fronte alla quale il tipo si fermò, bussando due rapidi colpi.
- Fallo entrare - venne ordinato da una profonda voce maschile.

- Siediti - gli ordinò perentoriamente la stessa voce, una volta che fu entrato in una cabina abbastanza ampia. Il batarian, probabilmente il capo di quella banda, era seduto dietro una piccola scrivania ingombra di armi, munizioni e residui di un pasto e lo fissava con una certa curiosità.
- So chi sei - gli disse facendo ondeggiare lentamente di fronte al turian la catenina con la sua medaglietta identificativa - Voglio sapere se avete trovato colonie, cosa ci facevate lì e come mai eri in una capsula di salvataggio.
Garrus respinse faticosamente l'istinto di uccidere il batarian che aveva di fronte per impossessarsi della medaglietta N7 che pendeva da quel collo possente: vederla appesa sul petto di quell'estraneo gli aveva provocato un tale impulso di rabbia che sarebbe stato in grado di eliminarlo facilmente, senza neppure fargli emettere un urlo, ma difficilmente sarebbe andato lontano, nonostante l'arsenale appoggiato sulla scrivania che aveva di fronte.
Archangel avrebbe rischiato, ma lui no. Non poteva; non prima di sapere se Trinity era ancora viva. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di tornare al suo fianco e rischiare inutilmente la propria vita, solo per riprendersi ciò che gli apparteneva, era un'azione stupida.

- Non ci sono colonie su Gotha – rispose serrando i pugni sotto il piano della scrivania - Non credo ci siano colonie su nessuno dei tre pianeti del sistema: le radiazioni della stella friggono gli scudi di qualunque armatura. Stavamo facendo delle rilevazioni scientifiche che dubito ti interesserebbero. La nave è rimasta danneggiata da un’esplosione solare che ha causato un surriscaldamento dell’eezo nei serbatoi della Normandy. Il nostro comandante ha dato l’ordine di evacuare la nave, come misura precauzionale - rispose, mischiando invenzioni e verità prive di importanza.
- La tua capsula di salvataggio non si trovava nel sistema Far Rim – obiettò il batarian, fissandolo male.
- No? - rispose Garrus con sincero sorpresa – Non ne so nulla.
- Immagino che farò meglio a tenermi alla larga da quel sistema, comunque. Peccato, però... ci sono ancora alcune colonie nel sistema vicino e trovare portali funzionanti è parecchio difficile, grazie al tuo capo... - osservò il batarian ghignando con aria malevola, chiaramente seccato che Shepard avesse reso così complicati i suoi traffici.

- Avrei un’altra domanda, molto più sostanziosa, ma è inutile farla a te – osservò poi, squadrando il turian che aveva di fronte con espressione pensosa.
- Puoi sempre provare. Non vedo cosa ci puoi perdere, a parte un po’ di tempo, che dubito sia così prezioso... - osservò Garrus, ben deciso a restare in quella cabina fino a quando fosse riuscito a reperire qualche informazione utile.
Il capo degli schiavisti rise, socchiudendo le due paia di occhi - Chi pagherebbe un buon prezzo per poterti mettere le mani addosso? Se la Purgatory fosse ragionevolmente vicina, non avrei avuto dubbi; ma il viaggio è troppo lungo, con tutti i dannati portali distrutti.
- Shepard pagherebbe bene per riavere un membro del suo equipaggio - provò a suggerire Garrus, con una debolissima speranza. Non si illudeva che lo schiavista lo riconsegnasse davvero alla sua nave dietro pagamento di un riscatto: sarebbe stata una mossa stupida per chiunque conoscesse il suo comandante anche solo di fama. Sperava solo che sapesse qualcosa della Normandy e del suo equipaggio e che gli fornisse qualche notizia.

- Pensi che sia un maledetto idiota? Lo so da me che ti rivorrebbe sulla sua nave e pure nel suo letto - rise sguaiatamente - Fino a quando siamo stati nello stesso settore, il tuo dannato comandante è stato una vera seccatura. Continuava a chiedere tue notizie: giorno e notte, ininterrottamente, su ogni possibile frequenza. Non avessi avuto tutti quei quarian nella stiva sarebbe stata un’opzione da considerare. Così stando le cose, invece, non serve neppure che ti risponda: la tua Shepard è famosa per odiare gli schiavisti. Mi risulta che ne abbia addirittura ammazzati alcuni a sangue freddo, dopo aver svuotato loro la nave.
- Già, difficile immaginare cosa possa averla spinta a tanto... - replicò Garrus ironicamente. Una volta saputo quel che gli interessava, non si curava più di lasciar trasparire tutta la sua repulsione per quell’individuo rivoltante - Immagino sia inspiegabile che qualcuno che ha combattuto contro i Razziatori si senta disgustato dall'operato di gente della vostra risma...
- Non fare tanto lo spiritoso. Nessuno pagherebbe meno, se ti riconsegnassi con qualche cicatrice in più - replicò il batarian, sbattendo un pugno sul tavolo e chiamando ad alta voce il nome di un membro dell'equipaggio.

Approfittando dell'entrata del grassone di poco prima, Garrus finse di perdere l’equilibrio mentre si alzava dalla sedia e cadde riverso sul tavolo, facendo piombare in terra buona parte delle armi e munizioni che si trovavano lì sopra.
- Maledetto bastardo! - lo maltrattò il nuovo entrato, tirandogli un pugno nelle costole e sbattendogli il calcio del fucile sul cranio.
- Dannazione! C’erano quattro pistole, due mitra e tre fucili qui sopra. Controlla che ci siano tutti prima di riportare quest’imbecille nella stiva - urlò il capo batarian, tenendo la pistola puntata contro la nuca del turian che si era ripiegato su stesso, approfittando della situazione per farsi scivolare nella manica un piccolo coltello da tavola che pochi istanti prima si trovava sul piatto, in mezzo ad avanzi di cibo.

Nei giorni successivi Garrus chiese tutte le informazioni possibili ai suoi compagni di prigionia. La ragazza con cui aveva parlato al suo risveglio gli fece un lungo e dettagliato racconto: qualche mese prima della battaglia contro i Razziatori, un paio di navi civili si erano distaccate dalla Flotta Migrante ed erano atterrate su una luna, un tempo sede di una piccola colonia quarian. Quel piccolo satellite, non troppo lontano dal sistema di Dholen, era particolarmente ricco di metalli rari e soprattutto di eezo e gli equipaggi delle due navi erano stati incaricati di estrarre quelle preziose risorse.
Quando la guerra contro i Razziatori era entrata nella fase conclusiva, un paio di navi della Flotta erano passate nuovamente, per rifornirsi delle materie prime estratte ed imbarcare tutti gli uomini e le donne in grado di contribuire alla costruzione del Crucibolo o di imbracciare armi. Nella piccola colonia erano rimasti solo gli individui troppo giovani per poter combattere, le madri dei bambini e gli anziani.
Con la distruzione del portale di quel settore, la colonia era rimasta isolata e, non disponendo più di personale tecnico in grado di effettuare le riparazioni necessarie, si erano rassegnati ad aspettare i soccorsi, certi che, se la Flotta non era andata distrutta, prima o poi una nave sarebbe passata a riprenderli.
Ma l'unico sbarco a cui avevano assistito, circa una ventina di giorni prima, era stato quello della nave batarian. I suoi occupanti li avevano minacciati ad armi spianate, costringendoli a salire tutti a bordo del loro scafo.
La ragazza non aveva idea di dove li stessero portando, né era sicura di quanto tempo fosse effettivamente trascorso. Il dolore per la perdita di suo figlio, morto il giorno successivo al rapimento, per le ferite che quelle bestie gli avevano procurato, l'aveva portata ad isolarsi dal mondo esterno per interi giorni, lasciandole solo un'insana voglia di vendetta.

Passarono diverse settimane di viaggio, senza che si presentasse alcuna novità degna di rilievo.
Garrus aveva provato a studiare con la sua giovane amica diverse possibilità per sfuggire alla sorveglianza, ma nessuna aveva la minima speranza di successo: i batarian entravano spesso nella stiva, ad orari imprevedibili, e le telecamere rimanevano attive senza alcuna interruzione e riuscivano a coprire ogni angolo della stanza in cui erano rinchiusi.
Il turian si limitò a procedere sistematicamente all’affilatura del coltello da tavola, che alla fine aveva una lama più tagliente di un rasoio.
Quando, alla fine di tante estenuanti discussioni, la ragazza aveva domandato in tono ironico se il famoso Garrus Vakarian si fosse arreso e avesse accettato l’idea di fare lo schiavo chissà dove e per chissà quale padrone, lui si era limitato a rispondere freddamente - Per un atto disperato c’è sempre tempo. Non avere fretta di morire.

°°°°°

La sua paziente attesa si rivelò essere la scelta vincente, alla luce del successivo sviluppo di avvenimenti.
In un pomeriggio di un giorno qualsiasi, durante una delle usuali ronde di uno dei batarian all’interno della stiva, un allarme sonoro cominciò a risuonare insistentemente, diffondendosi per tutta la nave.
Le luci di bordo si spensero improvvisamente e furono sostituite dal sistema di illuminazione di emergenza, mentre numerose esplosioni, seguite da violente vibrazioni dello scafo, indicarono che la nave era sotto attacco.
Prima ancora che il batarian si rendesse conto di quanto stava accadendo, Garrus gli si slanciò addosso atterrandolo e gli aprì la gola con il coltello, senza che il disgraziato avesse il tempo di emettere un solo grido. In pochi secondi si impossessò delle sue armi, un fucile di precisione e uno d'assalto, e uscì rapidamente dalla porta più vicina, approfittando della confusione che regnava su tutti i ponti. Gli schiavisti non erano soldati addestrati e nei primi momenti successivi all'attacco il caos regnò sovrano dappertutto.

Una volta arrivato nello stretto corridoio adiacente alla stiva cercò il sistema di aerazione e si infilò nel condotto, tentando di mantenere l’orientamento in tutto quello snodarsi di stretti cunicoli rumorosi e quasi completamente bui.
Da un punto imprecisato, più avanti rispetto alla sua posizione attuale, provenivano colpi di armi da fuoco, segno che qualcuno aveva abbordato la nave e stava combattendo sui suoi ponti.
Si diresse velocemente da quella parte, fino a quando si trovò la strada bloccata da un’ampia griglia che affacciava direttamente sopra il ponte di comando. Garrus osservò in silenzio la scena che vi si stava svolgendo: da una parte c’era il capo degli schiavisti, attorniato da altri tre batarian che tenevano le armi puntate alla testa di una turian con i gradi di capitano sull’uniforme, e dall’altra un paio di militari, sempre turian, con le armi spianate e l’aria incerta.

- Mettete giù le armi o le facciamo saltare la testa - urlò nuovamente il capo degli schiavisti - Non ve lo ripeterò un’altra volta - aggiunse con una risata cattiva e sguaiata, mentre tirava un calcio nelle costole della turian inginocchiata in terra.
- Uccideteli. E' un ordine! - comandò il capitano ai suoi soldati, per tutta risposta, prima di ricevere un nuovo calcio nel fianco, tanto forte da farla cadere sdraiata in terra, mentre il piede che l’aveva appena colpita le veniva premuto sopra il collo.
I turian si scambiarono uno sguardo indeciso, poi uno dei due, con i gradi di tenente, gettò il mitra sul pavimento. Immediatamente dopo anche l'altro seguì il suo esempio.
- Raccogliete quelle armi - comandò il capo degli schiavisti e, nel preciso istante in cui gli altri tre batarian si chinarono a recuperarle dal pavimento, Garrus appoggiò l'occhio al mirino: la testa del capo della banda di schiavisti scattò all’indietro, raggiunta in piena fronte dal colpo del fucile di precisione.
Immediatamente dopo il turian sfondò la grata con una pedata e si lasciò cadere sul pavimento, riparandosi dietro la mappa galattica, mentre impugnava il fucile di assalto. Prima ancora che chiunque dei presenti capisse cosa stava succedendo, altri tre spari risuonarono in rapida sequenza, fulminando i batarian superstiti.

Nell'attonito silenzio successivo, Garrus si rialzò in piedi e depose contro la parete più vicina l'arma appena usata. Poi si diresse con passo elastico e rilassato verso il capo degli schiavisti riverso sul pavimento, girò il suo corpo esanime con un piede, si chinò e si impossessò della catenina aprendo il gancio che la tratteneva attorno a quel collo massiccio. Sorrise soddisfatto nel rimirare la medaglietta N7, poi la agganciò tranquillamente dietro la nuca, affermando - Questa è mia.
- Generale Vakarian… - pronunciò in tono di rispetto il capo dei turian, mettendosi sull’attenti e facendo il saluto militare - sono il capitano Nelim Kyus dell'incrociatore Epos.
- Capitano Kyus… - rispose lui porgendole la mano - sono così famoso? - le chiese, divertito all'idea di essere stato riconosciuto nonostante le condizioni pietose del vestiario che indossava, ormai praticamente a brandelli e parecchio sudicio, dopo la lunga passeggiata nei condotti di aerazione.
- Uhm, si… Abbastanza direi - rispose la turian stringendogliela con forza - Credo che l’avrei riconosciuta in ogni caso, se non altro per la notevole prestazione che ha appena fornito, ma l'avevo già incontrata sulla Cittadella qualche anno fa, quando era un detective dell'SSC.
- Immagino che dovrei farle le mie congratulazioni per il matrimonio. Non ne ero a conoscenza - aggiunse poi, fissando la medaglietta di Shepard.
- E’ stata una cerimonia privata - ammise Garrus sorridendo al ricordo.

- Posso chiederle cosa ci fa qui e dove si trova la Normandy? - gli chiese Nelim Kyus una volta che ebbero perlustrato l’intera nave e rinchiuso in una cella improvvisata tutti i batarian che trovarono sparsi sui vari ponti.
- E’ una lunga storia, capitano…
- Spero ci faccia l’onore di accettare l'ospitalità che possiamo offrirle a bordo della Epos e che durante la cena ci racconti tutto. Sono certa che avrà molte domande da farci - fu il cortese invito in risposta.
- Un paio di domande vorrei farle subito, se permette - rispose Garrus, fissandola con curiosità.
- Certamente.
- In quale settore galattico ci troviamo adesso?
- Nella Nebulosa Omega.
- Non riconosco le vostre divise. Non fate parte dell’esercito regolare – constatò poi Garrus, continuando a fissare il capitano e gli altri militari.
- Ha ragione - rispose lei - Siamo un corpo di soldati volontari: alcuni di noi sono gli unici superstiti di plotoni annientati dai Razziatori, altri sono civili rimasti isolati dopo la distruzione di qualche colonia. Ci accomuna la perdita di una famiglia a cui fare ritorno e il desiderio di aiutare a ricostruire quanto è andato distrutto.
- Capisco - rispose Garrus annuendo - Avrei fatto la stessa scelta, nelle vostre condizioni. Deve essere fiera di guidare questo piccolo gruppo di persone.
- La ringrazio, ma è Sid il nostro comandante. Io sono solo il suo braccio destro. Avrà modo di conoscerlo stasera a cena, se accetterà il nostro invito.
- Certamente, capitano, sarà un vero piacere.

°°°°°

- E così mi stai dicendo che non puoi aiutarmi a tornare a bordo della Normandy? - chiese Garrus verso la fine della cena che si era svolta nella sala mensa della Epos.
- Mi dispiace, signore - rispose il capitano - Se potessi lo farei, ma ho degli ordini.
- Chiamami Garrus. Odio le formalità.
- Scorteremo la nave schiavista che porterà i quarian su una colonia che si trova a poche settimane di navigazione da qui, poi ho l’ordine di continuare a pattugliare questo settore. Non mi è stato permesso di partire alla volta del sistema Sol, ammesso che la Normandy si sia effettivamente diretta lì.
- Immagino che avrai provato a contattare la Cittadella, Palaven oppure la Terra.
- Mi dispiace Garrus: questo settore è completamente isolato. Le uniche notizie sul mondo esterno le apprendiamo dalle comunicazioni fra navi in transito, ma mai direttamente, ci limitiamo a intercettarle. La maggior parte degli equipaggi che passa da qui è dedita ad attività più o meno illegali. Puoi immaginare da solo che non abbiano molta voglia di parlare con noi. Mi dispiace ammettere che l'assenza di Aria T'loak si fa sentire pesantemente. In un modo o nell'altro garantiva una parvenza di ordine, sia pure molto discutibile e soggettivo, in questo schifoso sistema.
- Già, mancando la sua autorità suppongo che si stia scatenato l'inferno fra varie bande per arrivare a occupare una posizione dominante – riconobbe, sapendo che se fosse stato ancora Archangel avrebbe avuto lavoro assicurato per tutto il resto degli anni a venire. Ma il suo obiettivo era molto meno eroico: voleva semplicemente ritrovare sua moglie.

- Ho provato a vedere se per caso transitasse una qualunque nave, anche un semplice mercantile, che si dirigesse verso il sistema Sol o in un settore con un portale funzionante, ma al momento non ce ne sono – riprese il capitano - Questo sistema è entrato nel caos alla fine della guerra contro i Razziatori e le navi lo evitano. Non so se Aria sia sopravvissuta o meno, ma non è tornata - continuò Nelim, offrendo un bicchiere di liquore a Garrus - Da allora la situazione qui è diventata un vero incubo. E sono i civili a pagarne le conseguenze più gravi.
- Immagino che gli ordini di cui parli ti siano stati assegnati dal tuo comandante. Speravo di poterlo incontrare stasera a cena, ma non lo vedo.
- Mi ha ordinato di consegnarti un suo messaggio - rispose la ragazza, passandogli un datapad ed alzandosi dalla sedia. Garrus si alzò a sua volta mentre lei aggiungeva - Il sergente ti condurrà nella cabina che ti abbiamo messo a disposizione.
Poi gli porse nuovamente la mano in segno di commiato.

“Erano anni che non tornavo a bordo di un incrociatore turian” rifletté Garrus mentre percorreva quei lunghi corridoi, ammirando le linee essenziali di quella nave e l'impeccabile manutenzione. Un tempo la familiarità con quello scafo lo avrebbe fatto sentire quasi a casa, ora suggeriva solo inconsci paragoni fra quella struttura e la Normandy, alla ricerca delle eventuali somiglianze.
Non voleva pensare al passato e non voleva pensare neppure al futuro, troppo incerto. Avrebbe atteso lo svolgersi degli eventi, pronto ad approfittare di qualunque occasione favorevole. Non aveva altro scopo se non quello di avvicinarsi al sistema Sol e nulla avrebbe potuto distrarlo da quell'obiettivo. Ma non era angosciato dalla fretta, sapeva attendere. Aveva solo l'accortezza di non soffermarsi su altro: per quel motivo rifiutava di indugiare nei ricordi, per paura che l'occasione gli passasse sotto mano e lui non se ne accorgesse.
“Resta concentrato” si raccomandò, quando i suoi occhi passarono involontariamente sul memoriale di quella grande nave e si rivide con la lamina con il nome del comandante Shepard stretta fra le dita.

Scosse la testa in segno di diniego quando il soldato gli chiese se avesse bisogno di qualcos'altro, mentre gli mostrava la porta della sua cabina, avvertendolo che nell'armadietto c'erano delle uniformi pulite e che avrebbe potuto scegliere le armi che preferiva nell'armeria, poi sedette sulla piccola branda spartana, in perfetto stile turian.
Scansò il ricordo delle lenzuola aggrovigliate dopo una notte passata fra le braccia di Trinity e delle forme del suo corpo, sapendo che avrebbe continuato a scacciare fermamente qualunque tentativo del suo cervello di riproporgli immagini del passato, e accese il datapad, leggendo il messaggio che il comandante della Epos gli aveva fatto avere.
Lesse le prime due righe con curiosità, senza capirne del tutto il significato, mentre la terza riga gli insinuò un sospetto inquietante nella mente e lo costrinse a scorrere le parole successive alla massima velocità possibile.
Mancavano poche righe alla conclusione di quel messaggio quando capì che la sua intuizione era corretta. Non lesse le ultime tre frasi, saltando direttamente alla firma in calce, emise un ringhio strozzato e si precipitò fuori dalla cabina, lanciando sul letto il datapad, che continuò a mostrare ancora per qualche minuto il testo che aveva provocato la sua reazione improvvisa.

Vengeance


Signore? Generale? O più semplicemente Garrus?
non so come dovrei rivolgermi a te. Ma non è questo ad avere importanza.
Un nostro nuovo incontro sarebbe imbarazzante e troppo doloroso per entrambi.
Nonostante quanto so di doverti, non posso permettere che la Epos ti riporti sulla Cittadella. Siamo a mesi di navigazione dal primo portale funzionante e siamo una delle poche navi che si occupi di riportare una parvenza di ordine in questo settore caduto in mano a mercenari e criminali della peggiore specie. In realtà siamo l'unica barriera al dilagare della criminalità e l'ultimo baluardo in difesa di persone innocenti.
Sono certo che capirai le mie motivazioni: un tempo erano anche le tue e sono certo lo siano tuttora.
Mi trasferisco sulla nave batarian, portando con me alcuni dei miei uomini.
Nelim resterà al tuo fianco ed eseguirà i tuoi ordini. Solo quando troverai un passaggio su una nave diretta alla Cittadella, tornerò a bordo della Epos. Fino ad allora ti auguro una buona caccia,
Lantar Sidonis


- Devo parlare con il tuo Sid. Immediatamente – dichiarò a Nelim, senza neppure scusarsi per esserle piombato all'interno della cabina senza bussare.
- Non so se sia possibile, generale - rispose il capitano con aria insicura, fissandolo con evidente sorpresa.
- Chiamalo – replicò Garrus seccamente – Ora – precisò. Si fermò solo un istante per pensare, prima di aggiungere - Digli che voglio vederlo. Passamelo, se si rifiuta - sillabò con un’aria talmente minacciosa che Nelim si rese conto che aveva continuato ad arretrare solo quando urtò contro la sponda del letto.

Poco più tardi, mentre si trovava seduto all’interno della navetta che lo stava portando verso la nave sulla quale aveva trascorso gli ultimi mesi in prigionia, Garrus provò ad analizzare freddamente la situazione: quale era stata la molla che lo aveva fatto scattare, cosa provava realmente in quel momento e quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
- Cosa c’è, comandante? Ti fai scrupoli a uccidere un bastardo? - aveva rimproverato Shepard tanti anni prima, quando si era mostrata restia ad aiutarlo ad uccidere il turian che lo aveva tradito, sterminando l'intera squadra che aveva radunato su Omega.
- Lascia che io gli spari, Shepard. E' un dannato codardo – aveva chiesto al suo comandante, con una voce soffocata dall'ira, mentre le teste di Trinity e di Sidonis continuavano ad alternarsi nel mirino del suo fucile di precisione.
Ricordava ancora l’ebbrezza provata per quella insperata possibilità di una vendetta a portata di mano, ma lei non si era spostata dalla linea di tiro per così tanto tempo che alla fine lui si era arreso a quella volontà decisa e contraria.
Si era lasciato convincere e lo aveva risparmiato.
- Digli di andarsene – aveva detto nel comunicatore, staccando l'occhio dal mirino e abbassando il fucile di precisione, diventato improvvisamente troppo pesante.

Non era diventato un assassino per Trinity, perché lei riteneva fosse una scelta indegna di lui. Forse aveva avuto ragione, forse...
Si rendeva conto che avrebbe fatto fatica a perdonarsi per un'uccisione a sangue freddo, ma Sidonis rappresentava un dolore irrisolto, un bubbone che non era mai scomparso. Lo sentiva palpitare d’odio e di rancore, così come palpita una ferita purulenta. Quella piaga non poteva guarire, perché lui non poteva dimenticare: non poteva perdonare.
Non aveva più il visore con tutti quei nomi incisi sopra e con quello che ancora gli intossicava l’anima, prima inciso e poi cancellato, ma la rabbia sopravviveva immutata: infettava il suo sangue sospingendo un denso veleno dentro vene ed arterie.
Il bastardo era ancora in vita e questo era inaccettabile. Sidonis respirava, mangiava, dormiva, forse ogni tanto rideva. Tutti i suoi vecchi compagni avevano smesso di fare tutto questo, anni e anni prima. Era tempo di incidere quel bubbone e purificare il sangue. Questa volta non si sarebbe fermato. Neppure Trinity avrebbe potuto fargli cambiare idea.
Si rese improvvisamente conto che se gli fosse comparsa davanti in quel momento, per una magia inspiegabile, non se la sarebbe stretta al petto, non le avrebbe slegato i capelli, non le avrebbe neppure sorriso. Le avrebbe solo detto – Aspetta qui. Devo fare una cosa.

- Ti attende nella sua cabina - lo avvisò un turian giovanissimo, non appena la navetta attraccò - Ti accompagno da lui - continuò, avviandosi lungo il corridoio per fermarsi davanti alla stanza in cui aveva incontrato il capo degli schiavisti.
- Posso offrirti qualcosa da bere? - fu la domanda che Sidonis gli rivolse in tono cortese, ma teso. Si alzò in piedi dalla sedia dietro la scrivania, senza però avere il coraggio di tendergli la mano.
- Vuoi forse festeggiare? - fu la replica glaciale di Garrus.
- Cosa vuoi da me?
- Capire...
- Cosa?
- Come riesci a guardare la tua faccia negli specchi, come puoi addormentarti, come fai a continuare a vivere. Non riesco a immaginarlo. Non deve essere facile.
- Faccio quello che posso per rimediare. Questa piccola truppa ai miei ordini dovrebbe ricordarti qualcosa. Combatto per quegli ideali che un tempo erano i tuoi. Ho sbagliato, lo so benissimo. Sto cercando di fare qualcosa di giusto.
- E funziona?
- Finora ha funzionato... - fu la risposta incerta; poi Sidonis non riuscì più a sostenere lo sguardo di Garrus – No, niente funziona, se non per brevi attimi – ammise, lanciando un'occhiata verso una bottiglia di liquore posata sulla scrivania.
- Nulla potrà funzionare, ormai dovresti essertene fatto una ragione – lo provocò lui allora – L'azione che hai commesso è imperdonabile.

- Cosa vuoi da me, Garrus? - ripeté Sidonis stancamente.
- Ricordarti i nostri vecchi compagni d'armi, raccontarti come li ho trovati. Tu non hai preso parte al loro massacro, ti sei limitato a venderli al nemico.
- Butler, Erash, Grundan Krul, Melanis, Mierin, Monteague, Ripper, Sensat, Vortash, Weaver – licitò con sicurezza, seguendo l'ordine alfabetico, mentre lo fissava con freddezza - Non ho più il visore, con i loro nomi incisi, ma li ricordo ancora tutti. E tu?
Sidonis annuì, continuando a fissare il pavimento metallico della piccola cabina.
- Appena sono entrato nel luogo del massacro, ho inciampato in Vortash: in una parte del suo corpo. Gli mancavano le gambe, probabilmente a causa dell'esplosione di una granata: il pavimento e i muri accanto a lui erano pieni di sangue e brandelli di ossa e carne – cominciò a raccontare, rivivendo nitidamente le immagini di quel giorno.
- Poco più avanti ho trovato Butler, riverso in terra, con la testa trapassata da un singolo colpo, a poca distanza dal suo fucile, con la mano che ne sfiorava l'impugnatura. Non aveva fatto neppure in tempo ad imbracciarlo.
- E ricordi Mierin e Monteague? I due inseparabili, li chiamavamo... Il primo aveva fra le braccia il corpo dell'altro, con una confezione di medigel ancora intatta nella mano destra: non aveva fatto in tempo ad aprirla.
- Grundan Krul, il duro del gruppo, era spirato tenendo fra le dita la foto di sua figlia, quella che la Jona Sederis degli Eclipse gli aveva ucciso, per errore, nel corso di uno scontro a fuoco contro i Sole blu.
- Erash aveva fra le dita della destra il ciondolo che sua moglie gli aveva regalato al matrimonio. Con la sinistra stringeva ancora il laccio con cui aveva cercato di fermare l'emorragia alla gamba. Già, era mancino... E' morto per un colpo alla nuca, esploso da qualcuno alle sue spalle.
- Ripper e Weaver erano entrambi dietro a una cassa. I due giullari del gruppo, quelli che non riuscivano a pronunciare un discorso serio senza infilarci qualche battuta. Non dovevano aver riso molto, prima di morire: le loro viscere si confondevano sul pavimento.
- Ho chiuso gli occhi sbarrati di Melanis (non restava altro della sua faccia), prima di avvertire il respiro affannoso di Sensat. Lui era ancora vivo, ma nulla avrebbe potuto salvarlo. Mi afferrò il braccio, strappando il medigel dalla mia mano con rabbia cieca, e sputò sangue e parole. Sapeva chi era il responsabile di quel massacro. Mi chiese vendetta.

- Basta, Garrus. Dimmi solo cosa vuoi – lo interruppe Sidonis, con quel tono di voce implorante che aveva già usato sulla Cittadella, mentre era inquadrato nel mirino del fucile di precisione.
- Dirti una verità che non vuoi riconoscere – lo incalzò avvicinandosi, colmo di un disgusto che non si prese la pena di celare - Un assassino che commette buone azioni resta comunque un assassino. Quelle buone azioni, per quanto numerose possano essere, non possono cancellare il male che ha commesso. E la tua azione su Omega non può essere giustificata da nulla. Deriva dalla debolezza e dalla codardia – concluse nauseato – Eppure eri un turian, una volta. O almeno ho creduto che appartenessi alla mia stessa razza, quando ti ho permesso di combattere al mio fianco.
- Non c’è possibilità di redenzione. Intendi dire questo?
- Io non potrò mai dimenticare quel tuo tradimento. E nemmeno tu puoi farlo. Te lo leggo in viso. Sai che stai vivendo una vita che hai rubato ad altri soldati, più degni di te.
- Sei venuto a uccidermi?
- Sono venuto per capire. Per capire come facevi a vivere con questa colpa che ti porti addosso.

- Come faccio? - chiese Sidonis, con un accenno di sfida nello sguardo – Per codardia, forse. Quella tua amica umana ha interceduto per me. Non avrebbe dovuto farlo – ammise abbassando gli occhi - Non è più vita questa.
- No, non è vita. E' un'indecenza, un disonore per tutta la nostra razza.
- Non sono riuscito a porvi fine - ammise Sidonis con vergogna, abbassando gli occhi in terra - Ho tenuto il dito sul grilletto, puntandomi la canna alla testa, per così tanto tempo che alla fine il braccio mi tremava – concluse, tornando a fissare Garrus con una tristezza profonda.
- Sei sempre stato un codardo, ma sei un soldato: non è affatto difficile morire, con la vita che abbiamo scelto – commentò lui freddamente, prima di lanciargli un'ultima occhiata disgustata e rigirarsi su se stesso per uscire dalla porta di quella stanza in cui non sarebbe mai più tornato.
Fu certo del risultato di quella sua battuta finale quando venne fermato dalla frase – La cosa migliore che ho mai fatto in tutta la mia vita sta in questi ultimi mesi a bordo della Epos. Non buttarli via, in nome dell'antico legame che avevamo un tempo – lo pregò Sidonis - Nelim non sarà in grado di prendere il mio posto. Dovrai farlo tu.
- Mi fermerò il tempo necessario per insegnarle a essere un ottimo comandante. E lei porterà avanti il compito onorevole che ti eri assunto tu – rispose Garrus – Ma la mia vita è altrove, adesso – concluse uscendo dalla stanza senza più voltarsi.

Mentre tornava verso la Epos, a bordo della piccola navetta da sbarco, appoggiò la testa contro la paratia alle sue spalle e chiuse gli occhi.
Conosceva Sidonis. In un’epoca lontana erano stati perfino amici: sapeva cosa sarebbe accaduto nel prossimo scontro a fuoco a cui quel bastardo avrebbe preso parte. Forse non riusciva a provare piacere a quel pensiero, ma il senso di pace e di compiutezza che gli stava scaldando l’anima era addirittura più gratificante.
Si sentiva come se avesse partecipato ad un rito di purificazione che lo avesse privato di ogni sensazione, tranne una pace immensa. Non c'era più dolore, ansia, rimorso. Non c'era neppure alcun desiderio. Si sentì come un cucciolo appena venuto al mondo, privo di peccati e di virtù. Era la pagina candida di un datapad intonso, appena liberato dal suo involucro protettivo.
Assaporò quella sensazione escludendo tutto il resto. Si riscosse solo quando la mano del soldato di scorta gli toccò gentilmente una spalla per avvertirlo che avevano attraccato.

Più tardi, nella quiete silenziosa della sua cabina, si concesse il lusso di pensare a Trinity, rammaricandosi che lei non avesse mai provato nulla di simile. Non sarebbe riuscito a descriverle quella sensazione di pace e compiutezza, di soddisfazione e di rinascita.
E mentre faceva quella considerazione capì quanto stava sbagliando. Perché fu certo che era esattamente la medesima sensazione che aveva provato lei, sulla Cittadella, scegliendo la distruzione dei Razziatori. E finalmente capì anche quanto le fosse costato lasciarsi trascinare fuori da quella sensazione di pienezza e perfezione assolute, forzata dalla voce insistente di un turian troppo cocciuto.

La mattina seguente, appena uscito sul ponte equipaggio, Garrus bussò alla cabina di Nelim.
- Fino a quando non troverò un passaggio, sarò lieto di aiutarvi a sconfiggere mercenari e criminali vari, ad aiutare le colonie rimaste isolate e a liberare tutti gli schiavi e i prigionieri che incontreremo nel nostro cammino - le comunicò.
- Sarà un vero onore poter combattere al tuo fianco - rispose la turian guardandolo come se fissasse una specie di semidio.
- Uhm… e nell’attesa di uno scontro a fuoco hai nulla in contrario se do un’occhiata al sistema offensivo della nave? Sono piuttosto bravo con le calibrature…

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Capitolo 21
*** Odissea ***


ODISSEA


Only Time


Ci volle più di un anno perché Garrus trovasse un passaggio sulla Sun Ray, una lenta nave mercantile che, con una velocità degna di una lumaca pigra, era diretta verso il sistema Sol.
Impiegò i primi sei mesi del lungo periodo passato a bordo della Epos nell'addestramento di Nelim, facendo in modo che la ragazza si sentisse più sicura delle proprie capacità e insegnandole quanto aveva appreso nei lunghi anni di combattimento al fianco del comandante Shepard.
Per prima cosa cercò di farle capire l'importanza di prendere decisioni rapide, reagendo velocemente agli imprevisti che capitavano durante una qualsiasi missione. Rimase favorevolmente colpito dalla prontezza con cui lei apprendeva le differenti tattiche di attacco, in funzione della tipologia dei nemici e delle caratteristiche dei teatri di scontro, senza mai sospettare che quei risultati così rapidi derivavano principalmente dalla venerazione che la ragazza nutriva nei suoi confronti e che la stimolava a dare il meglio di sé, nel tentativo di impressionarlo favorevolmente.

Assolutamente disinteressato a qualsiasi rapporto che andasse oltre il semplice cameratismo fra compagni d'armi, Garrus notò con piacere che Nelim era capace di ascoltare i suggerimenti che le forniva, senza mostrare timore che questo compromettesse la sua autorità, ma non fece mai caso al fatto che in realtà lo ascoltava come se fosse il portatore di verità assolute e neppure alle battutine ben poco velate a cui i membri dell'equipaggio si abbandonavano ridacchiando ogni volta in cui lei era assente, nel mimare le occhiate adoranti che la giovane ragazza si lasciava sfuggire di tanto in tanto quando lo fissava di nascosto.
Ma il tratto della turian che Garrus apprezzò maggiormente fu la sua abilità nel selezionare, ogni volta, la squadra più adatta ad affrontare le varie situazioni e nel saperla utilizzare sempre al meglio. Gli ricordava l'abilità innata di Trinity, anche se l'imperativo di non soffermare mai i suoi pensieri su sua moglie era ancora un punto fermo, assolutamente irrinunciabile.

Quando fu certo che non aveva più nulla da insegnare al capitano della Epos, passò finalmente ad occuparsi di quello che gli interessava davvero, anche se partecipò comunque a tutte le azioni offensive, fino a quando rimase a bordo. Abituato ad accompagnare sempre Trinity, quale che fosse la missione intrapresa, non si stupì mai che quella turian lo volesse costantemente al proprio fianco, certo anche che nessun altro membro dell'equipaggio avesse abilità comparabili alle sue.
Ma una volta mantenuta quella parte della promessa fatta a Sidonis che riguardava l'addestramento del capitano, l'unico obiettivo di Garrus, a cui si dedicò con pazienza e perseveranza assolute, tanto da abituarsi a dormire non più di quattro ore per notte, divenne quello di trovare un vascello diretto verso il sistema Sol, verso casa.
Nonostante la sua tenacia, l'occasione giusta sembrava non presentarsi mai, anche perché non volle mai venir meno alla parola data e non propose mai a Nelim di allontanarsi dalla Nebulosa Omega, solo allo scopo di aiutarlo a cercare un passaggio.
Ma ogni volta in cui la Epos si trovò a passare non troppo lontano da un portale, chiese una deviazione di rotta, allo scopo di verificarne lo stato.

Avvenne lo stesso anche quando il salvataggio di una piccola colonia di civili li portò ai confini della Nebulosa di Pylos. Una volta verificato che anche il portale di quel sistema era ancora inservibile e che non c'era alcuna nave nelle vicinanze, Garrus passò tutta la notte in bianco, ad occuparsi dei due cannoni primari dell'incrociatore, cercando di non arrendersi alla disperazione che lo stava assalendo: ormai rimaneva un solo possibile portale che non distasse più di tre mesi di navigazione e le sue speranze si stavano esaurendo.
Quando Nelim entrò nella stanza in cui stava effettuando le calibrature, alle prime luci del mattino seguente, Garrus non alzò neppure lo sguardo.
- Vorrei parlare delle nostre prossime missioni - dichiarò il capitano dopo averlo fissato in silenzio per qualche minuto - Ma immagino che tu sia troppo stanco: sono sicura che non sei andato a dormire.
- Dobbiamo portare i coloni feriti nell'ospedale su Omega - fu la sua risposta secca.
- Intendevo dopo. Pensavo che potrei dirigere la Epos verso la Culla di Sigurd - gli propose Nelim - quel portale potrebbe essere nuovamente attivo.
- Non userò la Epos come un taxi - fu la risposta immediata - Andremo dove abbiamo programmato la settimana scorsa - aggiunse Garrus riflettendo che da Omega sarebbero occorsi due mesi per arrivare in quel settore: era proprio quel portale la sua ultima speranza residua, ma aveva paura di trovarlo distrutto. Non sapeva cos'altro avrebbe potuto fare in quel caso, se non chiedere a Nelim di lasciare la Nebulosa di Omega e tradire così la sua promessa.
- Ne sei sicuro? Non c'è più nessuno a cui debba rendere conto dalla morte di Sid. Sei tu ormai il mio comandante.
- Non sono mai stato il tuo comandante, Nelim, e non lo diventerò in futuro. Questa è la tua nave - precisò lui, continuando a occuparsi delle calibrature - e quelle che stai combattendo sono le tue battaglie, non le mie.
- Ma posso portarti dove desideri. Sarebbe un vero piacere poterti ripagare in qualche modo per tutto quello che hai fatto per me - assicurò la ragazza.
- Quel gruppo di vorcha sta dando noia da troppo tempo ed è ora che tu te li tolga dai piedi - fu invece la sua risposta laconica, pronunciata mentre regolava con estrema attenzione una piccola vite.
- Non hai più fretta di tornare verso casa? - insistette Nelym con tranquillità simulata, anche se la speranza che quel turian potesse desiderare prolungare la permanenza a bordo della sua nave e magari pensare a lei come a una femmina, le aveva fatto affluire il sangue sul collo.
- Ho fatto una promessa. Non intendo infrangerla - rispose Garrus alzando finalmente la testa dal macchinario e fissando i suoi occhi azzurri su Nelim solo per un breve attimo, prima di tornare a occuparsi del sistema di puntamento.

Il capitano arrossì ulteriormente sotto quello sguardo, pensando che si era sbilanciata troppo e che Garrus l'avesse respinta, ricordandole esplicitamente che era sposato. Non seppe mai che la promessa a cui lui si riferiva era quella fatta a Sidonis, perché la promessa ad un defunto non poteva essere infranta.
A Garrus, invece, non era passato neppure per l'anticamera del cervello che quella femmina turian potesse essersi perdutamente innamorata di lui, lontano com'era da quel genere di riflessioni.
Con la testardaggine e la tenacia che contraddistinguevano la sua razza, allontanava ogni pensiero, ricordo o desiderio che avesse a che fare con la sua vita sentimentale. Raramente l'immagine di Trinity riusciva a far breccia nel muro che aveva consapevolmente eretto nella sua mente, tanto che sarebbe rimasto stupito se qualcuno gli avesse fatto notare che la tonalità degli occhi di Nelim era identica a quella del suo comandante.
Non c'era spazio per quel passato nel suo presente. Lottava in ogni momento della giornata per mantenere la sua mente limpida e serena in attesa dell'occasione propizia, come un predatore in agguato, con tutti i sensi tesi a cogliere il momento più favorevole.

Ma tutto questo valeva solo durante il periodo di veglia. Ogni volta che scivolava nel sonno, o in quel dormiveglia imposto da una stanchezza troppo profonda per essere contrastata efficacemente con una qualsiasi attività, quell'equilibrio apparentemente stabile e persistente si sgretolava del tutto.
Gli capitava di cercare l'odore della sua pelle nelle pieghe di un lenzuolo o di allungare le dita alla ricerca dei suoi serici capelli sul cuscino. Si svegliava di soprassalto al suono della sua voce, riascoltata in uno dei tanti sogni che spazzava via dalla mente non appena desto.
In tutte quelle occasioni, per lui troppo frequenti, si alzava dal suo giaciglio e andava a registrare un sistema di puntamento, metteva a punto il mirino del suo fucile, si occupava della calibratura di una delle armi che i membri dell'equipaggio gli affidavano con vero entusiasmo e gratitudine.
Riposava sempre vestito e qualche volta si addormentava addirittura con l'armatura indosso, per essere pronto a dedicarsi a qualcosa che lo facesse distrarre da pensieri, ricordi e desideri che non voleva interferissero con il suo presente.

La piccola festa che Nelim organizzò a bordo della Epos, per ricordare il primo compleanno che Garrus aveva passato a bordo della sua nave, lo colse impreparato: un anno intero trascorso nella Nebulosa Omega, dodici mesi durante i quali non aveva più avuto alcuna notizia su Trinity o sulla Normandy.
Non appena pensò di potersi defilare senza sembrare scortese, Garrus si rintanò nella sua cabina e, per la prima volta dopo un anno, lasciò che la sua mente vagasse liberamente fra pensieri, ricordi e desideri.
Non si accorse neppure del lieve bussare alla porta della cabina, perso in una sofferenza che annullava qualsiasi altra sensazione e stupito per essersi ritrovato del tutto inerme in balia dei suoi sentimenti, carichi di una passione che demolì in un istante quel muro di protezione che aveva tanto faticosamente creato.

Fu con la mente fissa su Trinity e con la speranza di poterla riabbracciare in tempi brevi che partecipò all'incursione del giorno dopo, contro un gruppo di mercenari del Branco Sanguinario, accampati su una piccola luna di un sistema ai confini con la Culla di Sigurd.
Combatté meccanicamente, usando i ripari per sparare i suoi colpi da cecchino tenendosi al sicuro, ma in realtà ignaro di quel che accadeva attorno a lui, così che non vide arrivare la carica del krogan.
Si ritrovò in terra, con un fucile a pompa puntato alla testa e gli scudi disattivati. E in quel frangente l'unico pensiero che la sua mente riuscì a partorire fu l'idiozia di quella sua morte. Solo un'altra volta in tutta la sua vita aveva combattuto come una recluta alle prime armi, ma allora era stato il pensiero di Sidonis a distrarlo; in quell'occasione Trinity si era arrabbiata a tal punto da piombargli addosso con una carica biotica e immobilizzarlo sul pavimento sotto di lei.
Per un istante brevissimo, l'esplosione del colpo del fucile a pompa si confuse con la furia cieca di quei suoi occhi verdi, ma quelli che si ritrovò a fissare attraverso i bordi taglienti della visiera fracassata del casco erano solo preoccupati.
- Stai bene? - gli chiese Nelim, spingendo via il corpo esanime del nemico che lo aveva immobilizzato al suolo.
- Credo di no - rispose, prima di perdere i sensi.

Si risvegliò su un letto sconosciuto e si alzò di scatto per cercare di capire dove si trovasse. Fece appena in tempo a riconoscere la stanza, nonostante avesse preso a girare vorticosamente davanti ai suoi occhi, prima che una mano lo spingesse con fermezza sul materasso.
- Va tutto bene - lo tranquillizzò la voce di Nelim - Sei in infermeria.
- Da quanto?
- Quattro giorni.
- Nessuna nave?
- Non ho capito...
- Hai trovato una nave diretta nel sistema Sol?
- No - rispose Nelim, sapendo che non avrebbe potuto aggiungere altro. I turian piangono con la voce, non con gli occhi e lei faceva fatica a evitare che il chiocciolio che le gorgogliava in gola diventasse suono.
Non si era quasi mai mossa da quella stanza e per tutto quel tempo gli aveva tenuto la mano stretta fra le sue. Era la prima volta che osava toccarlo in quel modo, approfittando della sua inconsapevolezza.
In quei quattro giorni aveva sperato che un miracolo potesse accadere e invece, appena sveglio, quel dannato turian tornava a parlare di navi, desideroso solo di allontanarsi da lei.

- Aiutami ad arrivare nella sala comunicazioni - la pregò Garrus dopo appena pochi secondi, tentando nuovamente di tirarsi su e aggrappandosi al suo braccio.
- Per tutti gli Spiriti! - esplose Nelim, questa volta davvero arrabbiata, spingendolo nuovamente contro il materasso.
- Tu non ti alzi! - gli ordinò, facendo un gesto al medico di bordo che si avvicinò prontamente, per iniettare una generosa dose di tranquillante nel collo del ferito.
- Tieni sedato questo idiota fino a quando non sarà guarito - concluse infine il capitano rivolgendosi al dottore che la fissava con un odioso sorrisetto ironico, prima di uscire dall'infermeria a passi decisi, ripromettendosi di non rimetterci più piede.

Cinque giorni dopo Garrus fu svegliato dall'ufficiale medico. Mentre si alzava faticosamente dal letto nell'infermeria, ancora intontito per i medicinali che gli erano stati somministrati, seppe che la Epos era arrivata nella Culla di Sigurd e che fra poche ore avrebbe potuto trasbordare su un mercantile diretto verso il sistema Sol.
Bussò alla cabina di Nelim per salutarla e la turian gli raccomandò di prendere dalla cabina tutta la biancheria, le uniformi e le armi di cui pensasse di aver bisogno. Gli fece un saluto militare, strinse la mano che lui le aveva teso e aggiunse che era stato un onore poter combattere al suo fianco.
Una volta arrivato nella sua cabina, Garrus infilò in una piccola borsa qualche cambio di biancheria e un paio di uniformi, poi prese il fucile di precisione e il fucile di assalto che aveva sottratto al batarian al tempo della sua prigionia e che aveva usato per tutti i mesi passati a bordo della Epos; li calibrò un'ultima volta con attenzione e andò a regalarli a Nelim, ricevendone in cambio un abbraccio così prolungato ed energico da equivalere a una dichiarazione d'amore.
Se la scostò di dosso un po' imbarazzato, scuotendo lentamente la testa da destra a sinistra. Poi, dopo un breve sorriso di comprensione, uscì dalla quella cabina, sentendosi leggero e felice: il lungo viaggio di ritorno stava finalmente cominciando.

°°°°°

Bastarono poche ore passate a bordo della Sun Ray per rendergli chiaro che il sistema di autodifesa che aveva utilizzato in precedenza aveva dei difetti drammatici: a bordo di quella nave si ritrovò infatti completamente in balia di tutto quello a cui si era abilmente sottratto.
Sulla nave batarian aveva trascorso il tempo pianificando strategie di fuga; sull'incrociatore turian aveva combattuto spesso, per una causa che riteneva degna, e negli intervalli fra uno scontro e un altro aveva calibrato tutte le armi disponibili: dai due cannoni primari della nave al fucile a pompa dell’ultima recluta.
Fino a quel momento aveva tenuto a bada l'ansia spasmodica di tornare da Trinity: aveva avuto scopi precisi e vi si era dedicato interamente, senza indulgere in ricordi o in desideri. L'immagine di sua moglie era restata sullo sfondo, come il faro verso cui dirigeva il suo cammino, ma non generava sensazioni dolorose. Era la certezza nitida e sicura, il suo destino.
Aveva avuto cause per cui combattere e impegni da rispettare, aveva utilizzato ogni minuto del suo tempo in azioni di cui andava orgoglioso. Aveva vendicato la sua vecchia squadra raccolta su Omega senza danneggiare nessuno, se non il diretto responsabile. E ne era uscito sollevato, con le mani e la coscienza pulite. Poi aveva combattuto per quelle stesse nobili motivazioni per cui era diventato Archangel e non aveva mai permesso che l'amore per sua moglie interferisse con le sue azioni, venendo meno alla parola data, alla promessa sacra e inviolabile fatta ad un defunto.
Ma le settimane passate a bordo di quel mercantile in viaggio verso la Cittadella rappresentarono un periodo davvero insopportabile della lunga odissea del turian.

Il tempo non passava mai sulla Sun Ray e non c’era nulla che attirasse la sua curiosità o richiedesse le sue abilità. Non c'era alcuna possibile attività che potesse distrarlo da pensieri, ricordi, desideri.
Prese l’abitudine di passare le giornate in cerca di notizie sul mondo esterno, intercettando le trasmissioni che le navi mercantili si scambiavano fra di loro, come passatempo per riempire ore piene solo di noia infinita, di ansia sterile e di sofferenza vischiosa, di ricordi che gli dilaniavano l'anima e lo riempivano di desideri irrealizzabili e di rabbia, per la sua impotenza nell'abbreviare quel periodo di tempo.

Ascoltò racconti di imprese avvenute in tempi remoti rendendosi conto di quanto la realtà uscisse travisata dalle narrazioni che venivano trasmesse oralmente, diventando una sorta di romanzo epico inverosimile, spesso addirittura comico.
Nell’immaginario popolare il Thorian era diventato un grosso granchio, capace di ingoiare intere navi, che si muoveva nello spazio senza una meta precisa, attirando le prede con poteri telepatici a cui era impossibile sottrarsi, mentre le sonde prothean erano equiparate a sorgenti di segnali in grado di far naufragare gli equipaggi che si avvicinavano, mediante l’emissione di onde sonore che stregavano chiunque le intercettasse.
Garrus si ritrovò a scuotere la testa in diverse occasioni, mentre ascoltava quei racconti che poco o nulla avevano a che fare con la storia che aveva vissuto.
Gli eventi più recenti gli apparvero narrati in modo più fedele alla realtà, anche se rilevò lacune e imprecisioni varie. Questo giudizio sommario e benevolo venne però modificato drasticamente non appena ebbe modo di ascoltare le prime notizie che si riferivano a Shepard e alla Normandy.
Prima ancora di quelle, che lo riguardavano da vicino, ebbe però modo di apprendere una novità che attirò tutta la sua attenzione, per l'importanza che avrebbe avuto per Trinity. Per qualche giorno si dedicò a reperire ogni possibile informazione sul Consiglio della Cittadella, sul suo ampliamento e sulla sostituzione di alcuni dei suoi membri.

Rimase colpito nell'apprendere che i Krogan si erano finalmente guadagnati un posto nella Torre del Presidio, partecipando attivamente a quelle decisioni che avevano sempre notevoli ripercussioni sull'intero scenario galattico, ed accolse con vera soddisfazione l'informazione che quel compito carico di responsabilità era stato affidato alla moglie di Wrex.
Seppe anche che Tevos e Sparatus erano sopravvissuti alla guerra contro i Razziatori, anche se la asari era rimasta gravemente ferita durante le ultime fasi del conflitto, mentre il Consigliere salarian aveva perso la vita ed era stato sostituito da Dalatrass Linron. Nonostante il suo fermo rifiuto di soffermarsi eccessivamente su Trinity, si trovò costretto a immaginare il fastidio con cui il suo comandante avrebbe accolto quella notizia.
Gli fu molto più difficile procurarsi notizie sul nuovo Consigliere umano, che rispondeva al nome di Hans Freizer. Solo dopo un paio di settimane riuscì finalmente a sapere che si trattava di un individuo proveniente da una famiglia molto ricca e potente, che aveva sempre esercitato un'influenza rilevante sulle decisioni prese dalle autorità, anche se in modo indiretto. Gli venne anche assicurato che quell'umano godeva di un'ottima reputazione, grazie ad una notevole abilità in campo diplomatico ed alla sua condotta irreprensibile.
Il senso di sollievo che provò Garrus nell'apprendere quelle notizie venne però spazzato via non appena il macchinista di un mercantile, appassionato di gossip, gli raccontò come Hans fosse restato lontano dalla scena politica per un periodo di parecchi mesi, dopo la morte della compagna con cui aveva diviso la sua vita per oltre vent'anni. Quando chiese chi fosse la persona in questione, il macchinista confessò di non ricordare il nome, ma era sicuro si trattasse di una scienziata umana, scomparsa in seguito all'incidente del portale Alpha.
La sua domanda - Non sarà mica la dottoressa Amanda Kenson? - ricevette una pronta risposta affermativa, piena di entusiasmo, e a Garrus fu subito evidente che la presenza congiunta della Dalatrass e di Hans avrebbe reso molto problematico, se non estremamente sgradevole, qualunque rapporto di Trinity con il Consiglio della Cittadella.

Una settimana dopo il turian ebbe modo di ascoltare alcune novità che lo interessavano molto di più. La voce secondo cui la SR2 era passata sotto il comando di Kaidan Alenko gli era giunta quando mancavano ancora un paio di mesi di navigazione per raggiungere i confini del sistema Sol. Si era trattato di un breve annuncio giudicato quasi irrilevante dal suo interlocutore, che si era invece ampiamente dilungato su alcuni avvenimenti di cronaca nera e di cronaca rosa che non interessavano affatto Garrus.
Nonostante l'apparente insensatezza della notizia, si era voluto togliere ogni dubbio e aveva chiesto conferme ad altri mercantili in transito in quel sistema. Nessuno di quegli equipaggi aveva informazioni su una nave dell'Alleanza e, se pure le avevano sentite, non le ricordavano. Ma quando citò il nome di Shepard, come possibile comandante della nave a cui era interessato, fu invece subissato da un'inattesa valanga di informazioni.

Venne a sapere che, molti mesi prima, il suo nome era apparso frequentemente nei notiziari e che la stampa si era ampiamente occupata di lei per intere settimane. Per un certo periodo era stata al centro dell'attenzione dei media ed aveva partecipato a numerose trasmissioni televisive e a diverse manifestazioni commemorative sulla Cittadella, spesso in onore dei soldati, di una o un'altra razza, caduti durante l'ultima battaglia combattuta contro i Razziatori.
Si interessò particolarmente ad una cerimonia che si era svolta a bordo della Normandy, ancorata sulla Cittadella, all'attracco D24. Non fece alcuna fatica a prestar fede a quel resoconto, quando seppe che si era voluto ricordare l'eroismo dei caduti in uno scontro che l'equipaggio di quella nave aveva combattuto in un sistema alla periferia della Via Lattea, contro un nemico che non venne mai esplicitamente nominato.
Per un caso fortuito riuscì a farsi spedire l'intero filmato della trasmissione, ripresa integralmente, da una nave in transito nel sistema in cui navigava la Sun Ray e passò diverse ore a studiarlo con attenzione, meravigliandosi per alcune stranezze che non riuscì a giustificare.

Lo scafo esterno della Normandy gli apparve in qualche modo diverso, alterato, come se si fosse proceduto a qualcosa di ben più sostanzioso di semplici riparazioni degli squarci subiti nelle esplosioni dei serbatoi di eezo. Anche l'interno della nave, che venne mostrato a tratti e parzialmente, per via del segreto militare, non gli sembrò completamente familiare.
Il memoriale, invece, era identico a come lo ricordava e un gemito gli sfuggì dalla bocca mentre lo fissava, al ricordo della pena provata qualche tempo addietro.
Alzò però lo sguardo verso il soffitto della stanza quando udì il cronista che faceva balenare l'ipotesi che su una nave da guerra si avesse anche la possibilità di incontrare la propria anima gemella, forse nel tentativo di alleggerire l'atmosfera, ma rimase effettivamente perplesso dall'occhiata che si scambiarono Jack e James, dopo aver apposto le targhe dei compagni caduti sul memoriale. E rimase ancora più stupito dal gesto consolatorio con cui quel vecchio compagno d'armi pose il braccio sulle spalle della biotica, traendola verso di sé, mentre lei sollevava verso di lui due occhi colmi di lacrime e un sorriso triste.

Fino a quel momento l'operatore addetto alla macchina da presa si era concentrato su quei due compagni, essendo loro gli amici più intimi dei caduti, e Garrus aveva potuto intravedere solo di sfuggita il volto di Trinity. Eppure aveva riconosciuto subito l'espressione di malinconia che la assaliva ogni volta in cui era costretta a fronteggiare quella dannata parete che trasudava dolore.
Come sempre, la cerimonia si era svolta in un silenzio assoluto e lui fu certo che il commento del cronista fosse stato aggiunto in seguito, perché Shepard non avrebbe mai permesso che qualcuno turbasse quell'istante di raccoglimento commosso che apparteneva solo a loro.
Una volta che le dita di Jack e di James ebbero aggiunto le due nuove targhe, con quell'ultima carezza leggera e prolungata con cui si salutava un amico perduto, l'operatore allargò finalmente l'inquadratura, per fare una carrellata sugli altri presenti e Garrus si ritrovò a fissare il volto di Kaidan che comparve inaspettatamente in primo piano, occupando tutto lo schermo.

Era al fianco di Trinity, vestito con la sua stessa identica uniforme, a confermare che il maggiore Alenko era stato nuovamente promosso e che adesso era comandante.
“Cosa ci fai tu sulla Normandy?” si chiese inutilmente per varie settimane, senza riuscire a trovare una risposta convincente. Mancavano invece buona parte dei compagni che avevano partecipato alla battaglia contro i Divoratori di stelle. Non c'erano i due quarian, né la coppia krogan e mancava perfino Liara con il suo prothean.
“Cos'è successo, Trinity? Dov'è finito il tuo equipaggio?” furono gli altri interrogativi che lo angosciarono per molti giorni a venire, fino a quando alcune ulteriori novità fecero nascere nel turian gravi dubbi su quanto era accaduto nel lungo periodo di tempo in cui era rimasto lontano.

La notizia che la Normandy era passata sotto il comando di Kaidan Alenko appariva ora più realistica, alla luce dell'improvvisa scomparsa di buona parte del vecchio equipaggio. Da fonti diverse Garrus era riuscito infatti a sapere che neppure James e Jack erano rimasti a bordo della SR2, visto che i loro nomi non comparivano sulla lista ufficiale dell'equipaggio che era stata trasmessa da Kaidan qualche tempo prima della sua partenza, verso una destinazione che non era stata resa nota.

Cercando di rimettere in ordine temporale le notizie confuse e disordinate che riusciva a procurarsi da fonti tanto eterogenee, Garrus capì che, poco dopo la cerimonia davanti al memoriale della Normandy, le apparizioni pubbliche di Trinity si erano improvvisamente diradate, fino a cessare del tutto.
Per lunghi mesi nessuno era stato in grado di ottenere notizie sul suo comandante, che sembrò essere semplicemente scomparso senza lasciare alcuna traccia.
Qualcuno affermò che fosse partita a bordo di una nave spaziale per una missione estremamente delicata, di cui non era possibile sapere neppure la destinazione, altri parlarono di una malattia che l'aveva debilitata tanto da non poter essere certi che fosse ancora in vita, mentre altre voci insistevano su una gravidanza che nessuno aveva però potuto confermare.

Successivamente, dopo un periodo di tempo di svariati mesi, Shepard era tornata inaspettatamente sugli schermi di tutte le emittenti televisive per partecipare ad una nuova cerimonia in onore dei caduti nella battaglia finale contro i Razziatori.
In quell'occasione si narrava che la macchina da presa di un paparazzo appostato vicino alla sede dell'incontro avesse immortalato l'immagine del comandante che scendeva da un'astroauto, dopo aver consegnato un neonato fra le braccia di una persona che sedeva accanto a lei sul sedile posteriore.
In realtà quel giornalista aveva successivamente modificato la versione originaria, confessando che il presunto neonato potesse in realtà essere un semplice involto e che lui aveva dato quell'interpretazione istintivamente, visto il modo in cui comandante Shepard lo aveva maneggiato.

La prima volta in cui aveva ascoltato un racconto di quel tipo, da un giovane salarian addetto alle comunicazioni di una nave militare, Garrus si era divertito. Un sorriso sempre più marcato aveva accompagnato tutte le sue richieste di ulteriori dettagli, alle quali gli era stato risposto che l'auto, guidata dal comandante Kaidan Alenko, si era fermata nei pressi della Torre della Cittadella, che la persona al fianco di Shepard era una ragazza turian e che il presunto neonato pareva avesse una folta massa di capelli rossi. Garrus scosse la testa ridacchiando, senza riuscire a immaginarsi Trinity in veste di neo mamma.
La seconda volta era stata una asari a raccontargli una storia che non era in conflitto con la precedente. La responsabile degli acquisti di bordo della nave asari gli narrò che il comandante aveva passato una settimana all'Huerta Memorial Hospital e che in seguito aveva richiesto un periodo di congedo a tempo illimitato, senza chiarirne i motivi. La asari aveva affermato che da alcune indiscrezioni che erano circolate all'interno dell'ospedale, dove una sua cugina lavorava come infermiera, sembrava che il comandante avesse avuto un figlio e che avesse deciso di prendersi un lungo periodo di congedo per potersi occupare del neonato.
Anche la maggior parte delle informazioni che riuscì a reperire nei giorni seguenti, da altre fonti, formulavano quello stesso tipo di ipotesi, ma Garrus non riuscì a raccogliere alcuna prova definitiva così che dopo pochi giorni smise semplicemente di chiedere, reputando inutile perdere altro tempo in quella fantasiosa deformazione della realtà dei fatti.
Se pure la maternità di Shepard e il cambio nel comando della Normandy sembravano accordarsi perfettamente, finì per paragonare quelle chiacchiere alle stupide dicerie sul Thorian o sulle sonde prothean.

Tuttavia, non appena la pigra Sun Ray entrò finalmente nel sistema Sol, si occupò immediatamente di reperire ulteriori notizie sulla SR2 e su sua moglie. Anche se non aveva creduto alle assurdità che aveva ascoltato settimane prima, era certo che qualche novità ci fosse o nessuno si sarebbe occupato della nave e del suo comandante.
Le notizie ufficiali che reperì direttamente dalla Cittadella, sia pure a fatica, per l’antiquato sistema di comunicazione utilizzato a bordo della Sun Ray, confermarono effettivamente il cambio nel comando della nave spaziale e nella composizione del suo equipaggio.
Recuperò perfino un’immagine della Normandy, ancorata al suo storico hangar di attracco D24, con due figure umane in piedi sulla banchina, che si stringevano la mano sorridendo. Il ritratto non era nitido, ma non ebbe alcun dubbio che stesse fissando la foto di Kaidan e di Shepard e la didascalia sotto la foto confermava che la nave aveva cambiato comandante.

Far Away


Quella notizia, chiara e inoppugnabile, catturò tutta la sua attenzione e lo turbò, fino a quando non riuscì a trovarne una possibile spiegazione, che però lo turbò ancor più profondamente.

Il motivo nel cambio nel comando della Normandy gli apparve ovvio una mezzora dopo il risveglio, in una mattina in cui si destò con la certezza di star facendo l'amore con sua moglie e si ritrovò invece ad ansimare rumorosamente con le braccia strette attorno al cuscino.
Dopo lo stupore iniziale per essersi ritrovato del tutto inerme, in balia dei suoi sentimenti (sia pure solo in sogno), si arrese e lasciò ancora una volta che il dolore che aveva negato anche a se stesso demolisse il muro di protezione che aveva faticosamente eretto e mantenuto in vita per tanto tempo.
Nel momento in cui lo lasciò crollare, si sentiva pronto ad accettare la nostalgia e il bisogno fisico e mentale che lo avvolsero in un abbraccio troppo serrato. Quando i ricordi legati a Trinity e il desiderio di lei presero a riversarsi fuori dalla diga, come un fiume che tutto travolgeva al suo passaggio, abbassò la testa e si lasciò affondare, conscio che prima o poi avrebbe dovuto accettare la sua sofferenza e che ormai poteva conviverci, perché la speranza di riabbracciarla si sarebbe avverata in pochi giorni.

Ma una riflessione su cui non si era mai soffermato prima di allora lo fulminò all'improvviso e tutto a un tratto si rese conto che non era affatto preparato ad affrontarla.
Si rannicchiò di fianco, in posizione fetale, con la fronte appoggiata fra le mani, stupito dalla portata della disperazione che lo attanagliò inaspettatamente.
Letteralmente abbagliato dalla presa di coscienza di quello che doveva aver passato Trinity in tutto quel periodo, si ritrovò incapace di reagire a quella constatazione: per qualche minuto fu certo che sarebbe annegato dentro quel mare agitato di sofferenza, incapace di trovare un appiglio saldo a cui aggrapparsi per tirarsene fuori.

“Spiriti!” continuò a ripetersi nell'immaginarla sola, con le spalle gravate dal peso di altri due compagni persi, senza che lui si trovasse al suo fianco, addirittura con il dubbio che fosse morto.
L'aveva obbligata a rialzarsi dopo la battaglia contro i Razziatori, l'aveva costretta a continuare a vivere, ma poi... poi l'aveva abbandonata.
Le aveva fatto avere la Normandy, ma ogni minuscola parte di quella dannatissima nave era gravida di ricordi in comune. Si era appropriato della batteria primaria e le aveva invaso perfino la cabina, inzeppandogliela di ciarpame inutile che l'avrebbe costretta a rivivere la sua presenza ingombrante.
“Spiriti, Shep, cosa ti ho fatto?” si colpevolizzò, sentendo che qualcosa gli si stava sgretolando dentro il petto.
Era vero che Trinity non aveva nessuna dannata targa con il suo nome fra le mani, nella cerimonia davanti al memoriale, ma difficilmente poteva crederlo vivo. Forse la speranza non l'aveva abbandonata, ma era troppo provata nel fisico e nello spirito per farsi bastare una speranza.

Non aveva mai pensato al dolore di quella donna, di fronte al quale il suo era davvero misero. Aveva sempre saputo che lei era viva, lo aveva appreso pochi minuti dopo aver ripreso i sensi, mentre a lei rimaneva solo una debole illusione. E non aveva sofferto quanto Trinity negli ultimi anni: non si sentiva responsabile per la morte di tanti uomini del suo equipaggio, persi durante la guerra contro i Razziatori, non era rimasto ferito nello stesso modo nella battaglia finale sulla Cittadella, non era stato lui a scegliere la distruzione del nemico, con tutte le terribili conseguenze del caso, e non doveva neppure sopportare il peso delle decisioni troppo difficili prese durante l'ultima missione su Far Rim.
“Cosa ti ho fatto, Trinity...” continuò a ripetersi più volte, sapendo di essere colpevole senza possibilità di redenzione: per evitare il proprio dolore aveva negato anche quello di lei.
Forse, se ci avesse riflettuto, avrebbe potuto fare scelte diverse. Aveva mantenuto la parola data a Sidonis, come era corretto fare, ma il prezzo di quella promessa era sconsiderato e folle.
Aveva perso mesi di tempo dietro a un ideale e si era addirittura sentito fiero di aver accantonato le proprie pulsioni per mantenere la parola data. Ma non aveva pensato a Trinity, a sua moglie, al fatto che lei aveva un disperato bisogno di lui.
Aveva tardato mesi per mettersi sulla strada del ritorno, in nome di una promessa fatta ad un bastardo. Ma una promessa ben più importante l'aveva fatta sul pianeta con due pallide lune. Aveva dimenticato il giuramento fatto a sua moglie e questo era già imperdonabile di per sé ma, con tutta la storia che avevano alle loro spalle, appariva un vero e proprio delitto.

Adesso, a mente limpida, non riusciva a immaginarla calpestare impunemente i ponti della Normandy, troppo piena dei ricordi degli amici che aveva perduto e di quel turian che aveva sposato.
Probabilmente aveva fatto in modo che il Consiglio assegnasse la nave a Kaidan, in modo che rimanesse fra le mani di una persona affidabile e a lei cara.
E non riusciva neppure a immaginarla mettersi il cuore in pace, accettare il comando di una nave diversa e tornare nello spazio con un nuovo equipaggio.
In quel momento non riusciva neppure a capire come potesse andare avanti, da cosa traesse la forza e il coraggio per affrontare ogni nuovo giorno: aveva perso tutto quello che le era più caro, tutto quello che contava nella sua vita.
Se anche gli aveva confessato di amarlo solo in una o due occasioni, erano fin troppe le volte in cui gli aveva confidato quanto contasse sul suo appoggio, quanto avesse bisogno di lui.

Da quel momento il rimorso che provava lo costrinse a dedicare ogni minuto di veglia al reperimento di ulteriori informazioni, per cercare di capire la situazione, per riuscire a immaginare come si sentisse quella donna coraggiosa e determinata, ma anche terribilmente fragile.
Nonostante svariati tentativi, non riuscì a mettersi in contatto con persone che riteneva affidabili: non si aveva alcuna notizia della Normandy, partita senza una meta precisa, il vecchio equipaggio pareva svanito un’altra volta nel nulla e gli uffici dell’Alleanza si limitavano a confermare che Shepard era in aspettativa, ma il personale che rispondeva alle chiamate rifiutava di fornire qualunque ulteriore notizia: se lei è chi dice di essere, si presenti di persona e le forniremo tutte le notizie che desidera.


Betrayal


Mancava ancora un mese all'attracco sulla Cittadella quando Garrus intravide la bambina.
Le immagini che scorrevano sullo schermo televisivo mentre l’equipaggio rideva e scherzava, facendo battute sulla qualità, pessima, del cibo, si riferivano alla sfarzosa celebrazione che si era tenuta sulla Cittadella il giorno precedente, per un nuovo anniversario della sconfitta dei Razziatori.
Il turian non aveva prestato particolare attenzione a quel servizio fino a quando la voce della giornalista non aveva enfatizzato la presenza dei due Spettri umani. A quel punto aveva alzato gli occhi in tempo per vedere Shepard e Kaidan, entrambi in alta uniforme che, non appena era echeggiata una fragorosa salva di fucili, si erano girati a fissare il laghetto del Presidio.
Dopo un breve ribollire di quelle acque solitamente quiete, Garrus vide comparire la sagoma inconfondibile della prua della Normandy, immediatamente seguita dal resto dello scafo: una statua in metallo lucente, che rappresentava quella nave a grandezza naturale, avrebbe ricordato a tutti, nei secoli a venire, il contributo che Shepard e il suo equipaggio avevano dato nella battaglia contro i Razziatori.

Con i capelli ordinatamente raccolti sulla nuca in quel nodo familiare fermato con una semplice bacchetta, Trinity sembrava identica alla donna di cui si era innamorato anni prima, ma l’espressione del suo viso, che rimase sullo schermo per qualche attimo, gli apparve diversa e gli comunicò un senso di terribile disagio. Nel primo piano impietoso della telecamera vide distintamente le lacrime che colmavano quegli occhi verdi, contornati da piccole rughe che lui non ricordava, e capì che sarebbe dovuto essere lì, al suo fianco.
Invece c'era un solo volto amico a confortarla e sostenerla: del suo vecchio equipaggio non c'era altri che Kaidan, fermo sull'attenti al suo fianco.
La vide mordersi le labbra con quel gesto che utilizzava per cacciare indietro le lacrime e portare la mano destra al petto, per stringere fra le dita qualcosa che non poté vedere, ma sentì che gli spezzava il respiro al pensiero che potesse essere il ciondolo che le aveva regalato.
Fu Kaidan, non lui, a metterle una mano sulle spalle e a farle un sorriso di incoraggiamento e fu sempre Kaidan, non lui, ad aprirle gentilmente la mano destra e a tenerla fra le sue per un breve attimo.

Nelle immagini seguenti di quella cerimonia la vide stringere molte mani e parlare con diverse persone, fra cui riconobbe i Consiglieri asari, turian e salarian, l'ammiraglio Hackett e Urdnot Bakara, poi la vide avvicinarsi nuovamente a Kaidan e sussurrargli qualcosa a distanza ravvicinata. Lui annuì e rispose parole che non furono registrate dai microfoni.
Non sapeva leggere le labbra degli umani, ma fu certo che il comandante Alenko la stesse incoraggiando e confortando e provò nello stesso tempo un senso di gratitudine e di rabbia, dettata da una gelosia accecante che non aveva ancora mai provato.

Garrus notò come, approfittando dell'arrivo dei camerieri addetti al buffet, i due Spettri si erano allontanati velocemente dal luogo della cerimonia, senza rendersi conto di un giornalista che non si era fatto sfuggire l'occasione di seguirli senza farsi notare e di continuare a riprenderli, sia pure tenendosi a una ragguardevole distanza.
Nel rumore di fondo, che accompagnava sempre i pasti a bordo della Sun Ray, perse il senso delle frasi successive del notiziario, ma notò chiaramente il sorriso del comandante Alenko, quando intercettò la corsa traballante di una bimba che era comparsa in lontananza, all'estrema destra dell'inquadratura televisiva.
La bambina, di cui non si notava altro se non una gran massa arruffata di capelli rosso mogano, si era liberata della stretta di IDA e Joker, e si era diretta verso la coppia con tutta la velocità che poteva permettersi: aveva riso fra le braccia di Kaidan, scalciando un po' per liberarsi, ed infine si era rintanata contro il petto di Trinity che l'aveva stretta con quel gesto protettivo, tipico di una madre, che non conosceva distinzioni di razza.

Quella breve scena gli fece perdere qualsiasi contatto con il mondo esterno e si ritrovò a fissare attonito le immagini successive, stregato, suo malgrado, dall’affetto evidente con cui l'umana che aveva sposato infilava le dita fra i capelli rosso mogano di una testolina minuscola che le si appoggiava morbidamente contro la spalla.
Fu quella l’ultima volta in cui Garrus fece la sua apparizione sui ponti del mercantile. Per tutto il tempo che fu necessario perché la Sun Ray attraccasse, rimase confinato nel suo alloggio, nel tentativo disperato di dipanare le sensazioni troppo contrastanti che gli impedivano di pensare a qualcosa di diverso dalle immagini che avevano distrutto ogni sua certezza.

Un bambino, una famiglia: la promessa di un futuro, la speranza di una nuova vita.
Si rese conto con angoscia e disperazione che Kaidan, l'uomo che aveva odiato e poi compreso, perfino sentito come unico confidente nella pena che gli aveva attanagliato il cuore quando Trinity sembrava perduta, gli aveva sottratto la ragione della sua vita, difendendola dalla sofferenza e donandole un futuro e un nuovo sogno.
Non avrebbe mai potuto odiarlo, grato dell'affetto che le donava. Era grazie a lui che Trinity continuava a vivere. Da lui aveva tratto il coraggio di superare l'angoscia e la tristezza.
A lui Trinity aveva affidato il comando della Normandy, incapace di affrontare i fantasmi del passato, e da lui aveva estratto la forza che suo marito le aveva negato.
E fra le braccia di sua moglie scorreva adesso la linfa di una nuova vita.

Ora Shepard possedeva qualcosa che nella cultura turian era sacro e stabiliva l'indissolubilità assoluta del vincolo fra due esistenze: un piccolo grande miracolo che traeva origine dall'affetto e che affondava in esso le sue radici.
Una famiglia vera, un sogno che sarebbe stato comunque negato a lui e Trinity. Finalmente capiva quello sguardo che non aveva saputo riconoscere nelle riprese televisive: dolore e felicità, mischiate in un tutt'uno inestricabile.
Il suo comandante aveva dato l'addio alla sua vita nei cieli e aveva scelto di restare ancorata al suolo, per occuparsi del figlio che Kaidan le aveva regalato.
La immaginava spezzata come condottiero, eppure ancora altera e sicura nel guidare i passi di quella nuova vita, pegno di una promessa eterna.

Capì che sarebbe stato giusto svanire nel nulla, lasciando che la donna che aveva amato si ricostruisse una vita e andasse avanti per la strada che aveva scelto, ma la sua mano corse istintivamente a stringere la medaglietta N7 che aveva al collo. La lasciò andare subito, come se il contatto gli avesse bruciato la pelle; sganciò il fermaglio dietro la nuca e infilò catenina e medaglietta in una tasca, ripromettendosi di restituirla a Trinity, perché quel ciondolo non gli apparteneva più.
Doveva renderglielo e scomparire poi nella nebbia, donandole la libertà e facendole sapere che era felice che lei fosse felice. Si chiese se potesse fingere, lui che non era capace di mentire, ma scansò il pensiero rassicurandosi che, se davvero voleva ottenere un risultato, sapeva impegnarsi. E poi era certo che una parte di lui fosse davvero felice che lei avesse trovato un equilibrio, un appiglio fermo su cui far leva per continuare a vivere.
Doveva solo trovare quella parte di se stesso e rafforzarla, in modo da non farsi distrarre dalla pena che inevitabilmente avrebbe provato nell'incontrarla.

Continuò a ripetersi quei discorsi razionali per giorni e notti, incapace di prendere sonno, nel silenzio di una cabina all'interno della quale non trovava sollievo, sbattuto continuamente contro la fredda e inesorabile coscienza del dolore che aveva arrecato alla persona che amava di più, alla sua ragione di vita.
In quella confusa mescolanza di sofferenze diverse riuscì perfino a capire il significato di quel concetto, divorzio, che aveva respinto e verso cui aveva provato disgusto, quando aveva provato a familiarizzare con gli usi umani.
L'avrebbe resa libera, si ripromise, senza rendersi conto che se davvero avesse voluto compiere quel passo definitivo sarebbe svanito semplicemente, senza ricomparire nella sua vita con la scusa di restituirle una medaglietta che ormai non aveva più il significato del giorno in cui gli era stata donata.

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Capitolo 22
*** Normandy SR3 ***


NORMANDY SR3


Here Without You


Non appena mise piede sulla Cittadella, Garrus venne fermato dall'agente SSC addetto ai controlli dei visitatori.
- Generale, lei risulta disperso - dichiarò il ragazzo umano, mentre controllava sul video l'identità del turian.
- Suppongo che adesso dovrò recarmi in una decina di uffici diversi e riempire un centinaio di moduli. Oppure le pratiche burocratiche si sono finalmente snellite? - chiese un po' seccato per quella inutile perdita di tempo.
- A dire il vero, ho l'ordine di condurla nell'ufficio del mio comandante - replicò l'agente.
- E potrei sapere perché?
- Non lo so, signore - rispose, mentre attivava l'interfono.
- Comandante - cominciò a dire attraverso il microfono - ho qui davanti a me il generale Vakarian.
- Va bene, signore. Subito - aggiunse prima di spegnere l'interfono e invitare Garrus a seguirlo.

Se Trinity fosse stata con lui avrebbe capito immediatamente dove si stavano dirigendo, ma Garrus non l'aveva mai accompagnata nell'ufficio di Bailey, da quando era stato promosso comandante.
Riconobbe però immediatamente quel volto, incontrato anni prima, quando aveva partecipato alla missione per ritrovare il figlio di Thane, e si rilassò: sapeva che non era uno dei soliti agenti stolidi con cui aveva avuto spesso a che fare quando anche lui prestava servizio nell'SSC.
- Comandante - lo salutò, porgendogli la mano.
- Garrus - rispose lui alzandosi dalla scrivania e aggirandola per andargliela a stringere, dimostrando che odiava ancora le formalità, esattamente come il turian - E' un piacere poterti incontrare di nuovo dopo tutto questo tempo.
- A cosa devo l'onore di essere scortato nel tuo ufficio? Sono accusato di qualche cosa? Magari di aver evaso le tasse? - chiese Garrus incuriosito.
Il comandante rise - E' possibile, ma non mi interesso di crimini finanziari. Mi limito a occuparmi dei ricercati e tu in qualche modo lo sei.
- Non capisco.
- Il comandante Shepard è stato qui, parecchi mesi fa, prima di svanire nel nulla. Attualmente sono veramente poche le persone che sappiano dove si trovi.
- Me ne sono accorto.
- Prima di partire mi ha chiesto la cortesia di darti sue notizie, nel caso fossi tornato.
- Vuoi dire che hai un suo messaggio?
- No, la mia faccia assomiglia ben poco a quella di Cupido: sarei terribilmente a disagio in quel ruolo - ridacchiò Bailey, mentre Garrus assumeva l'espressione sorpresa di qualcuno che non capiva il senso del discorso.
- Queste sono le coordinate terrestri della sua abitazione - aggiunse il comandante, porgendogli un datapad.
- Ah, grazie. Ma preferirei chiamarla - rispose sentendosi terribilmente a disagio - Vorrei avvertirla che sono vivo, non piombarle direttamente dentro casa.
- Capisco, ma non puoi. Dovrai andarci di persona o mandare qualcun altro al tuo posto: il suo comunicatore è fuori uso da mesi e si rifiuta ostinatamente di farlo riparare. Vive in una sorta di eremitaggio volontario.
- Uhm, va bene lo stesso… o almeno spero - concluse Garrus, prendendo il datapad.
- E quanto alle pratiche inerenti al tuo ritorno nel mondo dei vivi, non preoccuparti di nulla. Me ne occuperò io - lo rassicurò Bailey prima di stringergli la mano, accompagnandolo alla porta del suo ufficio.

°°°°°

Dalla mappa che Garrus aveva consultato sembrava che la casa che cercava fosse ben distante da qualsiasi città, in una località montana a pochi chilometri da un minuscolo paese arrampicato a metà costa di una lunga valle scavata nel corso di millenni da un piccolo ruscello che traeva origine da un ghiacciaio.
Il veicolo che aveva noleggiato stava sorvolando da vari minuti grandi boschi di conifere, completamente imbiancate dalla neve. All’orizzonte si ergevano imponenti catene montuose.
Nel panorama che osservava dall’alto della cabina di guida, l'edificio era risultato visibile a notevole distanza, perché era l’unico segno di civiltà nel raggio di svariati chilometri.
Era una piccola e semplice costruzione a due piani, in legno e pietra, con un camino che in quel momento era in funzione. Aveva un recinto che le correva tutto intorno, un piccolo viottolo che dalla porta frontale portava fino alla strada asfaltata e sul retro si stagliavano i primi alberi di un enorme bosco che ricopriva tutto il crinale.

Era una costruzione ben diversa da quelle che si vedevano sulla Cittadella, anche nelle zone abitate principalmente dagli umani, e da quelle che aveva intravisto a Londra, durante la battaglia contro i Razziatori. Gli faceva uno strano effetto immaginarsi Trinity in quella sconfinata distesa di neve, boschi e montagne, lontano da qualunque segno di civiltà.
Era un paesaggio che ispirava un senso infinito di pace e di tranquillità, anche se il freddo era eccessivo per un turian nato su Palaven, che per di più indossava una normale uniforme adatta a un clima temperato.
Atterrò sul bordo della strada asfaltata e si avviò lentamente verso la porta d’ingresso della casa. Una volta arrivato là davanti si girò a guardare il veicolo, sperando che non fosse sprofondato completamente nella neve alta. Si rese conto dell’andamento delle sue impronte, zigzaganti come se fosse completamente ubriaco, e solo allora capì quanto fosse agitato e confuso.
Si fermò a riprendere fiato e cercò di rallentare i battiti disordinati del suo cuore.

Stava per bussare alla porta di ingresso quando udì una risata provenire dall’interno. Era una risata infantile che venne subito seguita da quella di un adulto. Quel suono cristallino congelò il gesto con cui Garrus intendeva annunciare il suo arrivo inaspettato.
La risata adulta era di Trinity, eppure il turian non la riconosceva nel tono. Non l’aveva mai sentita ridere in quel modo. Era un suono chiaro, felice, spensierato.
“Spiriti! Ma cosa stavo per fare?” si domandò in tono smarrito, provando un’indicibile repulsione per la sua stupida idea di andare a trovare il suo vecchio comandante, come se si apprestasse a farle una piacevole sorpresa. Interruppe il gesto con cui intendeva bussare all’uscio chiuso e lasciò cadere la mano lungo il fianco.
Prese ancora una volta da una delle tasche dell’uniforme la stampa in cui aveva congelato l’immagine di Shepard, al fianco di Kaidan, mentre teneva la bambina contro la spalla, e la guardò a lungo, come se non ne conoscesse già a memoria ogni dettaglio.

Si appoggiò al muro, appena a lato della porta, improvvisamente terrorizzato al pensiero che qualcuno potesse scorgerlo dall’interno della casa, forse da una delle tre finestre fiocamente illuminate nell’ultimo chiarore del tardo pomeriggio o dal grande balcone al primo piano.
Restò fermo nella neve spessa, con le dita dei piedi che gli si andavano congelando per via delle calzature inadeguate, provando a valutare la possibilità di tornare al veicolo senza farsi notare.
Stava per avviarsi di soppiatto quando si accorse che la porta d’ingresso si stava aprendo lentamente e si appiattì ancora di più contro il muro della casa, rannicchiandosi, nel vano tentativo di diventare invisibile. La persona appena uscita si girò per richiudere l'uscio e non poté non notare la figura rincantucciata al lato dell’ingresso.

- Per tutti gli Spiriti! - fu l’esclamazione che arrivò alle orecchie Garrus, che prese meccanicamente nota che quella voce apparteneva a suo padre.
- Ma cosa fai lì? - gli chiese Rennok, fissandolo con evidente stupore.
La risposta - Ciao, papà - suonò idiota alle sue stesse orecchie, ma Garrus non era in grado di dare un senso alle emozioni che gli sconvolgevano la mente sottraendogli qualunque capacità intellettiva.
Oltre alle precedenti sensazioni, già devastanti per conto loro, adesso provava anche uno sbalordimento assoluto nel ritrovarsi a fissare la figura di suo padre in un posto del tutto inimmaginabile.
“Ma cosa ci fai sulla Terra?” si sorprese a pensare, rimanendo a fissarlo a bocca spalancata.
- Alzati, figliolo - lo invitò Rennok, tendendogli la mano destra e cominciando a bussare con la sinistra alla porta che aveva appena chiuso.
- No! - gridò Garrus alzandosi di scatto dalla neve e serrandogli il braccio sinistro fra le mani.
- No? - ripeté il padre perplesso, fissandolo con espressione sbalordita.
- Non è il caso, andiamo via - lo implorò a bassa voce, tirando suo padre lontano da quella maledetta porta, mentre si rendeva conto che gli sarebbe stato impossibile spiegare in pochi secondi la situazione e riassumere in parole comprensibili i pensieri ancora confusi che gli si agitavano nella mente: Trinity era finalmente felice, ma se lui fosse rientrato nella sua vita gliela avrebbe sconvolta, rovinata forse per sempre.

- Ma cosa dici? - lo rimproverò il padre, cercando di liberare il braccio dalla stretta convulsa di Garrus - Non so cosa ti sia accaduto in questi ultimi anni, ma hai dei doveri. Non puoi andartene così, come se niente fosse. E’ inammissibile. Non te lo permetto - lo sgridò, con lo stesso tono di voce deciso e risoluto che usava quando lui era ancora bambino.
Lo respinse in malo modo e riprese a bussare.
- Per gli Spiriti! - commentò Garrus, fissando suo padre che stava riversando rabbia su quella porta innocente.
- E va bene... Chi c’è dentro casa? - si arrese alla fine, rimanendo immobile.
- Trinity e Halia. Sol è fuori a far la spesa.
- La mamma? - chiese Garrus, sentendosi totalmente sconcertato.
- Tua madre è morta, anni fa... - rispose Rennok in tono inquieto, sospettando che il figlio avesse perso la ragione, o almeno la memoria.
- E Kaidan?
- Non so chi sia - rispose il padre duramente, mentre attraverso la porta arrivava distintamente il rumore di uno scalpiccio affrettato, accompagnato dalla voce di Trinity che si scusava - Un attimo. Arrivo, ero al piano di sopra.
- Il compagno, credo. Comunque il padre. Lui - rispose mostrando al padre la foto stropicciata.
- Il compagno... il padre... ma di chi? Tu stai male - replicò Rennok dando un’occhiata distratta all’immagine, adesso certo che il figlio fosse uscito di senno.
Non perse tempo per fargli altre domande, ma lo prese fermamente per un braccio e se lo trascinò appresso non appena la porta si aprì, lasciando intravedere il volto teso di Trinity, allarmata dalla violenza dei colpi.
- Vedi se capisci se è diventato pazzo o cosa, figliola. L’ho trovato qui fuori - disse, mentre continuava a tirarsi dietro Garrus, fino a quando lo spinse bruscamente su un divano di fronte al fuoco del camino che scoppiettava allegramente, costringendolo a sedersi.
Nel tempo che Rennok impiegò per buttare un plaid addosso al figlio, prendere un bicchiere di liquore e metterglielo a forza in una mano, Trinity si era avvicinata lentamente al divano, senza riuscire a credere a quello che i suoi occhi le stavano mostrando.

- Pensavo fossi morto - fu la prima cosa che le venne alle labbra, mentre si fermava ad appena un passo di distanza da lui.
- Sono certo di aver pronunciato anche io questa frase, Shepard - le rispose Garrus, con l’ombra appena accennata di un sorriso.
- Cos’è successo? - gli chiese lei, ancora incredula e smarrita.
- Degli schiavisti batarian mi hanno catturato. Ma la nave è stata abbordata da soldati di una milizia volontaria. Poi il mercantile: grosso e lento come un Elcor pigro… - rispose lui, sentendo la bocca completamente secca e un peso opprimente al petto. Provò a bere un sorso dal bicchiere, ma la mano gli tremava talmente che finì per versare buona parte del liquido sulla coperta.

- Non credo di aver capito molto - commentò Trinity in tono incerto - Non importa.
- Sei pieno di nuove cicatrici - aggiunse poi, compiendo l’ultimo passo che ancora la separava dal marito. Restò in piedi davanti al divano, facendo scorrere le dita sul volto di Garrus, seguendo con i polpastrelli il bordo della ferita causata dall’impatto violento del visore contro le ossa frontali del cranio, che aveva risparmiato di un soffio l’occhio sinistro, e le ferite che il fucile a pompa del krogan aveva causato nella mandibola.
- Beh, un tempo ti piacevano - provò a scherzare, senza osare alzare lo sguardo, ostinatamente fisso sul pavimento in legno.
Trinity si lasciò cadere in ginocchio davanti a lui, cercandogli gli occhi, mentre le sue dita continuavano a seguire le linee note di quel viso con un tocco tremante. Gli sfiorò la fronte con la sua per qualche breve secondo, fino a quando le si appannò lo sguardo. Allora appoggiò il viso nell’incavo fra il collo e la spalla di Garrus provando inutilmente a ricacciare indietro lacrime dense di troppe emozioni.
Lui rimase immobile, combattendo il desiderio di stringerla a sé con forza, di sprofondare nel profumo della sua pelle e di scioglierle il nodo dei capelli, ma quando sentì le sue lacrime tiepide che gli bagnavano il collo capì che doveva andarsene il prima possibile.

- Mi spiace, comandante. Non è stata una buona idea - sussurrò lasciando cadere la foto sulla coperta e appoggiando il bicchiere sul bracciolo del divano, liberando così entrambe le mani per poterle usare per scostarla con ferma gentilezza.
- Lasciami andare adesso - aggiunse alzandosi in piedi e costringendola ad alzarsi a sua volta - Non me la sento di incontrare Kaidan.
Tenendo lo sguardo abbassato per non guardarle il viso rigato dal pianto, le prese la mano destra, gliela aprì e le mise sul palmo la medaglietta N7, richiudendole le dita con gentilezza e serrando quella piccola mano fra le sue per qualche secondo più del necessario.

Infine scosse la testa e si decise a interrompere quel contatto così dolce e troppo amaro. Si avviò verso la porta con le spalle curve, sotto lo sguardo stupito del padre, mentre Trinity restava immobile ripetendosi “Kaidan?” e guardando la sua medaglietta con espressione sorpresa.
Poi, finalmente, notò la fotografia abbandonata sul divano, la prese fra le dita e la guardò aggrottando la fronte, cercando di capire qualcosa.
- Tu non sai niente - mormorò dopo qualche istante, finalmente certa di aver compreso il motivo dello strano comportamento di suo marito.
Lo raggiunse davanti all’uscio chiuso mentre Garrus stava ancora tentando di capire come funzionasse l’apertura di quella strana porta priva dei soliti pulsanti.
- Piantala, turian - gli ordinò serrandogli un braccio fra le dita della mano destra, mentre lui si limitava a rivolgerle uno sguardo confuso.

A Thousand Years


Smise di occuparsi di quella strana porta e lasciò che lei gli afferrasse con forza una mano e se lo tirasse appresso con modi bruschi. Le spiò il viso: era irritata, e questa sua reazione gli parve in linea con tutto quello che era accaduto da quando aveva avuto la bella idea di presentarsi lì senza avvisare.
“Non c'è nulla che sia al suo giusto posto e le persone che conosco si comportano in maniera inspiegabile” rifletté confuso, mentre rallentava istintivamente, solo per sentirsi strattonare in malo modo - Vieni, scemo di un turian fuori di testa.
Riprese a seguire passivamente sua moglie fino a quando lei lo fece entrare in una stanza che si affacciava sul salone, dalla parte opposta rispetto al camino.
A quel punto Trinity si fermò a fianco di un lettino addossato alla parete di sinistra e disse semplicemente - Ti presento Halia. E il padre non è certo Kaidan...
Poi gli lasciò la mano e indietreggiò di un passo, in attesa, incerta se mettersi a ridere per l'enorme errore che lui aveva commesso o se tirargli un sonoro calcio nel sedere, per aver solo pensato una cosa del genere.

Garrus fissò il corpicino avvolto nel piccolo lenzuolo con sguardo attonito, incapace di muoversi e di ragionare.
Alla fine si chinò per passare le sue dita fra quei capelli ondulati, color rosso mogano, che erano sparsi disordinatamente sul cuscino. Studiò il profilo di quel piccolo esserino che dormiva rannicchiato su un fianco e allungò nuovamente la mano, questa volta per sfiorare delicatamente le placche ossee frontali, ancora appena abbozzate, elastiche e cedevoli. Poi scostò il lenzuolo fino a scoprire una piccola mano con tre dita affusolate, appoggiata mollemente sul materasso, a poca distanza dal nasino appena accennato. Appoggiò un dito su quel palmo piccolo e morbido e premette leggermente, sorridendo quando la mano della bambina si richiuse di scatto, in un riflesso automatico inconscio.
- Lo facevo sempre con Sol, quando dormiva - bisbigliò Garrus risollevandosi lentamente, ma senza riuscire a staccare gli occhi da sua figlia.
E appena concluse quella frase sentì che le forze lo abbandonavano. Gli si piegarono le gambe e si ritrovò inginocchiato a terra, con il corpo abbandonato contro quello di Trinity che si era inginocchiata a sua volta e lo stringeva saldamente fra le braccia, sostenendolo.
La abbracciò, aggrappandosi con forza alle sue spalle, come se fosse l'unico appiglio saldo che lo salvava da una caduta senza fondo.

- Shhh. Respira. Sono qui - lo rassicurò Trinity, mentre il suo cervello registrava una serie di schiocchi e di pigolii, la paragonava automaticamente a quella che sua figlia emetteva quando gli occhi le si riempivano di lacrime e imparava che anche suo marito poteva piangere, anche se in modo diverso da un umano.
- Spiriti, Garr - gli sussurrò in un ansimo faticoso, preoccupata per il tremito che ne scuoteva il corpo, spaventosamente dimagrito, e per la forza con cui la avviluppava in un abbraccio così stretto da renderle difficile il respiro.
- Stai bene? - gli chiese ancora, con un tono carico di apprensione.
“Sì” pensò lui, senza provare a parlare: sapeva che gli si sarebbe rotta la voce, come se fosse tornato a essere un bambino.
Lo aveva chiamato Garr, quel diminutivo che solo sua madre e sua sorella avevano mai usato; anche il lieve tocco delle dita con cui gli accarezzava il viso gli ricordava il gesto delicato e rassicurante usato da Halia e, più raramente, da Solana, per consolarlo.
Le appoggiò la testa contro la spalla, sentendo che il tremito sembrava finalmente abbandonarlo. Inalò a lungo il suo profumo e allentò finalmente la stretta delle braccia, così che lei riuscì a tornare a respirare: prima normalmente, poi con un ritmo affrettato che accompagnò una risata inizialmente lieve, ma che diventò presto inarrestabile. E Garrus cominciò a ridere a sua volta, senza sapersi spiegare il perché, ma senza riuscire a smettere.

Rennok rimase a fissare quella scena che sembrava congelata nell’aria. Poco prima sua nuora stava abbracciando un turian adulto che piangeva come un bambino e ora erano lì insieme, inginocchiati sul pavimento, avvinti in un abbraccio che sembrava non dovesse terminare mai, a ridere senza un motivo apparente, facendo fatica addirittura a respirare.
Scosse la testa stupito, pensando che sarebbero potuti rimanere lì per sempre e si girò per tornare in cucina. Si preparò a fermare Solana con un semplice gesto non appena sentì il rumore della chiave che girava nella serratura. La tirò verso di sé, le pose un dito sulle labbra, indicandole il fratello, poi la trascinò in cucina, lasciando che sua figlia sfogasse tutta la sua emozione in un abbraccio muto che le restituì con forza.

- Resterai a lungo sul pavimento? - chiese Trinity dopo qualche minuto.
- Probabile; non so quando riuscirò a camminare - rispose Garrus senza riuscire a smettere di sorridere come un idiota. Si appoggiò contro la parete della stanza ed emise un lungo sospiro.
- E va bene - replicò, accoccolandosi vicino a lui - restiamo qui, allora.
Lui se la tirò in grembo e le sciolse i capelli - Sono ancora troppo corti - protestò, infilandoci le dita in mezzo e facendole scorrere delicatamente.
- Non mi seccare, turian. E poi non sei in condizioni di protestare: sei troppo magro per i miei gusti. Sembra di abbracciare uno stecco striminzito.
- Bacio? - gli chiese poi avvicinando il viso così tanto da respirare il suo stesso respiro.
- Non credo sia il caso. Potrei stramazzare al suolo - confessò lui, tenendola ferma fra le braccia, ma riprendendo a tremare.
Continuò a passare le dita fra i suoi capelli fino a quando lei non gli afferrò la mano per portarsela vicino alla bocca. Fece scorrere le labbra socchiuse lungo sulla sua pelle in una carezza lieve e delicata che non voleva essere sensuale: si stava riappropriando del suo odore e della consistenza della sua carne. Lo annusava, lo lambiva e lo mordeva leggermente per ritrovare quelle sensazioni che le mancavano da tanti anni.

- Com'è potuto accadere? - le chiese dopo un paio di minuti di silenzio.
- Suppongo si sia rotto...
- Non intendevo questo... - ridacchiò lui, sinceramente deliziato dal suo rossore improvviso.
- Gli impianti quarian, ha detto la dottoressa…
- Ho una figlia… - provò a dirsi Garrus, tornando ad accarezzarle i capelli, senza riuscire a crederci, sperando che ripetere quella frase riuscisse a rendere reale l’impossibile - Ho una figlia - ripeté ancora, con lo stesso tono incredulo.
- Abbiamo una figlia - lo corresse Trinity, appoggiando il viso sulla spalla del turian, in attesa che lui riuscisse a metabolizzare la notizia.

- Non so cosa dire - si arrese Garrus, guardandola con espressione sperduta.
- Non dire nulla - rispose con un sorriso, prima di scostarsi leggermente. Lo fissò con il viso inclinato, mentre lui la guardava a sua volta con uno sguardo interrogativo fino a quando notò cosa teneva fra le mani. Sorrise annuendo, mentre lei faceva passare le mani dietro la sua nuca. Questa volta agganciò con sicurezza la catenina con la medaglietta N7.
- Lo faccio solo perché la prima volta non ci sono riuscita - gli sussurrò - però questa è l’ultima volta in cui ti sposo - lo avvisò poi, agitandogli l'indice sotto il naso con espressione severa.
Non si accorsero che Solana e Rennok si erano affacciati nuovamente, per spiarli, ed erano rimasti immobili a guardare quell’umana e quel turian con il viso accostato, persi in un mondo che apparteneva solo a loro due.

Padre e figlia si ritrassero, scambiandosi un sorriso d’intesa prima di salire la scala per andare nelle loro stanze.
- Cambio i miei programmi: resterò a dormire qui stanotte. Partirò domani - sussurrò il padre alla figlia - Dopo vai a prendere Halia giù di sotto e cerca di tenertela in camera per tutta la notte con qualche scusa - aggiunse prima di chiudersi la porta alle spalle.

- Dov’è la tua stanza? - chiese Garrus con voce bassa e vibrante.
- Restiamo qui ancora un po’.
- Perché?
- Non sei pronto.
- No?
- No.
- E quando allora?
- Dopo. Non c’è fretta - rispose Trinity aggrappandosi con le mani dietro il collo di Garrus e chiudendo gli occhi per isolare dalla sua attenzione tutto quanto non riguardasse il calore di quel corpo, i suoi odori, la consistenza di quella pelle. Se avesse potuto esprimere un desiderio avrebbe chiesto di poter mantenere anche solo l’eco sbiadita di quella sensazione per tutto il resto dei giorni a venire.
- Un bacio per la tua stanza? - insistette il turian, incuriosito.
- Dipende dal bacio...
Si guardarono negli occhi, dopo quel bacio, riconoscendo lo stesso desiderio che faceva male fisicamente, poi Trinity lo prese per mano e lo guidò su per le scale.

Vigil


Appena entrato nella stanza il turian si trovò a fissare il letto della Normandy, con l’acquario dei pesci sul lato sinistro e la vetrina con i modellini sulla destra. La grande porta finestra, quella che dava sul balcone, era piena di stelle che splendevano nitide. Si distingueva chiaramente la Via Lattea e alcune costellazioni a lui sconosciute, che spiccavano sul terso manto, ormai quasi nero, posto ai due lati di quella lunga scia luminosa. Sembrava davvero di stare nell’alloggio del comandante della Normandy, vicino alla grande vetrata che mostrava lo spazio infinito attorno alla nave.

Il cuore di Garrus fece qualche battito fuori tempo prima che lui ritrovasse quel po' di tranquillità necessaria per esaminare i dettagli: su uno dei due comodini a fianco del letto c’era la sua vecchia foto, quella scattata prima del processo di Shepard, accanto ad un’immagine del matrimonio, quella in cui lui agganciava la catenina dietro la nuca di lei.
Sull’altro comodino era appoggiata una foto analoga, con i ruoli scambiati: era l’immagine che lui teneva sul ripiano della batteria primaria. Il suo computer, con il coperchio alzato e lo schermo acceso, poggiava su un piccolo tavolino e a fianco c’erano dei datapad. Senza neppure guardarli seppe che anche quelli provenivano dalla batteria primaria.
Si immobilizzò e aprì la bocca, che rimase aperta, fino a quando la voce di sua moglie lo riscosse.
- Benvenuto a bordo della Normandy SR3: la nave l’ho affidata a Kaidan, ma le nostre cose no.

Il turian sedette sul bordo del letto, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose il viso fra le mani aperte. Lei gli si avvicinò, inginocchiandosi sul pavimento davanti a lui, senza toccarlo.
- Shhh - gli sussurrò - chiudi gli occhi. Siamo a casa: tu ed io.
- Spiriti! Tutto questo fa quasi male - confessò Garrus in un sussurro, lasciando che lei gli scostasse gentilmente le dita dal viso e gli facesse appoggiare il capo contro la propria spalla. Rimase immobile a lungo, mentre lei gli accarezzava la testa, con le dita che seguivano lentamente il profilo delle placche ossee. Assaporò il profumo della sua pelle e dei capelli morbidi che lo avvolgevano in quella rassicurante intimità che entrambi avevano ritrovato dopo tanto tempo.

- Mi sembra di stringere un piccolo pyjack fra le braccia - confessò la voce divertita di Garrus poco più tardi, mentre teneva Trinity stretta accarezzandole le spalle, con il naso tuffato nei capelli.
- Si chiama lana: è calda e morbida - gli rispose lei - non ti piace?
- Uhm... sì, ma ti preferisco senza - ridacchiò, sfilandole il golf con un movimento abile e cominciando a strofinare il viso sulla pelle del collo della moglie, ispirando il suo profumo, mentre le sue mani continuavano a spogliarla dal resto dei vestiti, con trepidazione impaziente e un po’ impacciata da quel vestiario inconsueto, a strati multipli sovrapposti.
Le mani di Trinity aprirono i fermagli dell’uniforme di Garrus con gesti che erano ostacolati solo dalla sua fretta eccessiva. Aveva fame del corpo di quel turian, di sentire nuovamente quella pelle diversa a contatto della sua, di ritrovare odori e sapori che non aveva mai dimenticato, di passare le dita sulle placche robuste e arrotondate del suo petto, di assaporare la carne morbida ai lati del collo, di sentirlo dentro di sé e di abbandonarsi al ritmo lento e magico dell’unione più intima possibile. Voleva ritrovare la magia della comunione confusa di due anime, senza poterne riconoscere i confini individuali, voleva perdersi nell’azzurro di due occhi del colore del cielo.
Si fermò di riflesso quando avvertì il corpo di Garrus che si irrigidiva all’improvviso, delusa da quella interruzione che guastava l’armonia dei loro gesti volti a ritrovarsi, nel tentativo di cancellare tutto il dolore intercorso della loro separazione.

- Cosa c’è? - sussurrò in tono scontento, prima di rendersi conto che la mano destra di suo marito stava rigirando fra le dita il visore che lei portava al collo.
- Non pensarci neppure - lo avvisò.
- E’... mio - protestò Garrus, ridendo di gioia per aver ritrovato quell’oggetto, e provando a sganciare la catenina dietro la nuca di Trinity.
- No. Non posso - rispose lei con più durezza di quanto avrebbe voluto, allontanandogli le mani.
- Stai scherzando?
- Questo maledetto visore era… è… parte di te - rispose Trinity, odiando le lacrime che le sfuggivano dagli occhi al pensiero di separarsi da quell'oggetto. Non poteva confessargli in quel momento quante volte lo avesse tenuto stretto, con disperazione, fino a farsi sanguinare il palmo delle mani, per ricacciare indietro un altro dolore.
Garrus non disse nulla e ricominciò a baciarla, lentamente e con gentilezza, incerto sul senso di quelle frasi confuse. Non domandò una spiegazione che non era urgente, ma cercò invece di ricreare la melodia che aveva involontariamente spezzato in dissonanze.

All'improvviso però, quando capì cosa lei voleva, cosa lo stava incitando a fare, le bloccò le mani, rifiutando di farsi spingere con la schiena contro il materasso. Scosse la testa con aria dispiaciuta, stringendole i polsi e baciandole le dita - Non possiamo - le confessò - Spiriti, Shep, non ero venuto qui con questa intenzione. Non ho nulla con me - spiegò, odiando il sangue che gli stava affluendo sul collo per l'imbarazzo.
- Ha importanza? - fu la domanda pronunciata con voce incerta.
- E' troppo pericoloso - tagliò corto - Non voglio doverti portare di corsa in un ospedale che chissà quanto lontano si trova - aggiunse, stupito per dover spiegare l'ovvio.
- E' solo per questo che non vuoi? - insistette Trinity, questa volta con un sorriso divertito che lo irritò, spingendolo a risponderle - Come solo? Non ti pare abbastanza?
- Comodino - fu la laconica risposta.
Aprì il cassetto, prese una scatola e controllò la data di scadenza; poi sorrise capendo che quelle confezioni provenivano dalla batteria primaria della Normandy. Si voltò con l'intenzione di chiederle una conferma, ma non ebbe il tempo neppure di aprire la bocca: si ritrovò spinto con la schiena contro il cuscino, con Trinity che gli si era messa sopra a cavalcioni, gli aveva strappato di mano la scatola e ora la teneva stretta fra le dita facendogliela dondolare davanti al naso.
- Sei proprio sicuro di voler usare questi cosi?

Gli occorsero svariati secondi per riuscire a capire quella domanda ma, quando alla fine ne comprese il significato, si limitò a scuotere lentamente la testa da sinistra a destra, per due o tre volte, incapace di parlare e di fare qualunque movimento.
Fu lei a guidarlo con sicurezza dentro di sé, prima di baciarlo e accarezzargli il viso e il collo con le dita e con le labbra, prima di far scendere le mani sul suo petto e appoggiarglisi contro, chiudendo gli occhi e fermando qualunque altro movimento, limitandosi a respirare piano, in completo silenzio.
Garrus la strinse forte fra le braccia, facendo scorrere le dita lungo la schiena, poi le pose le mani sui fianchi e le dischiuse le labbra, alla ricerca di un lungo bacio.
Persero insieme la nozione del tempo, in quel ritrovarsi lungamente atteso, fra mormorii che non avevano altro significato se non quello di liberare in briciole di suoni un'ansia a cui non volevano arrendersi, nei fremiti improvvisi dei loro corpi che si piegavano a desideri intrecciati da troppi bisogni, impossibili da soddisfare tutti insieme.

Nel groviglio confuso delle lenzuola, in una lenta danza di piume candide e soffici fuoriuscite dalla trapunta che si era impigliata in una delle scaglie taglienti del carapace di Garrus, fu Trinity la prima ad arrendersi ad un piacere che non era più riuscita a controllare. Annegò nell'azzurro del cielo e del mare, con in bocca il sale di troppe lacrime che non voleva lasciare libere di scorrere.
Solo dopo che Garrus si arrese a sua volta, lasciandosi poi cadere esausto al suo fianco, afferrandola fra le braccia per stringerla contro di sé, Trinity lasciò che il grumo di troppi mesi di sofferenza si sciogliesse. Un gemito quasi inavvertibile fu la sorgente di piccoli rivoli in cui diluì la sua tensione, poi il bacio di Garrus, il suo sguardo attento e preoccupato, la carezza lieve delle dita sul suo viso la costrinsero ad annegare in un pianto che non riuscì più a ritardare.
Si raggomitolò su se stessa, in un nodo di gambe e di braccia attorcigliate, in cui cercava di nascondersi, vergognandosi di non riuscire a parlare, di non poter spiegare cosa provasse, impaurita di spaventarlo e preoccuparlo, atterrita all'idea che si allontanasse appena.

Garrus gettò uno dei cuscini contro la spalliera del letto e ci si appoggiò con la schiena, tirandosi appresso quel nodo di membra avvinghiate su loro stesse, stringendolo fra le braccia e cullandolo con un ritmo lento e sicuro. Provò a districare gentilmente quel groviglio, baciandole la pelle delle spalle e del collo e accarezzandole le braccia e le gambe con un tocco delicato, ma senza forzarla, aspettando che si rilassasse spontaneamente.
- Avevo pensato alle reazioni allergiche, non a un bambino - le sussurrò sinceramente, sperando di riuscire a distrarla - Hai sposato un turian scemo - aggiunse, per ricordarle come lei stessa lo aveva chiamato poche ore prima - Dovrai avere pazienza - concluse, sentendo che il tremito di quel nodo che teneva contro il suo petto stava cambiando.

I singhiozzi cambiarono timbro per diventare strappi di una piccola risata intermittente che acquistò forza, fino a quando divenne continua e inarrestabile.
“Sono un perfetto idiota” si ritrovò a constatare, continuando a stringere sua moglie che stava seguitando a ridere, senza riuscirsi a fermare, rendendosi conto che quella risata lo sconvolgeva anche più del pianto precedente. Voleva solo che la smettesse, perché sentiva che quel suono falsamente allegro era solo espressione di un dolore troppo grande e durato troppo a lungo.
La fece rotolare sulla schiena e tornò a impadronirsi del suo corpo, con dolcezza e decisione, restando poi immobile a fissarla fino a quando quelle risate svanirono e quegli occhi verdi che lo fissavano interdetti si colmarono di nuove lacrime e di stupore.
Le impedì di tagliarsi con i bordi del carapace, bloccando il disperato abbraccio in cui lo voleva avvolgere, immobilizzandole le mani dentro le sue, ma attento che i loro corpi aderissero completamente, perché lei fosse pienamente cosciente della sua presenza.
Gli anni di lontananza svanivano in un abbraccio, ma sapeva che il dolore che lei aveva accumulato in quella lunga lontananza non poteva dissiparsi nel nulla, senza lasciare traccia.
- Sono qui - le sussurrò per tutto il tempo in cui fecero l'amore, spostandole i capelli dal viso, asciugandole le troppe lacrime che sembrava non si sarebbero mai fermate e baciandole la bocca ogni volta in cui i singhiozzi le si affacciarono sulle labbra - Sono qui - continuò a ripeterle fissandole gli occhi verdi e lasciandosi cadere dentro di essi.

Molto più tardi, dopo che Garrus ebbe raccolto accuratamente il suo corpo finalmente rilassato fra le braccia, dopo aver sentito il respiro del turian fra i suoi capelli, mentre le mordicchiava il lobo dell'orecchio, Trinity si rese conto di quanto fosse felice: quello era l'attimo perfetto.
Sentì la necessità di confessarglielo, aggiungendo che una sensazione del genere non poteva presentarsi più di una volta durante un'intera vita.
- E' un vero peccato - fu il commento pigro di suo marito, mentre le cercava la bocca. E lei non capì che quell'osservazione era condita con una generosa dose di incredulità e di ironia fino a quando, qualche tempo dopo, non ammise candidamente - Beh forse anche due volte...
- Ho una moglie scema - considerò lui, mentre Trinity gli appoggiava la testa contro il petto per ascoltare il ritmo accelerato del suo cuore, che stava pian piano tornando a battere con la rassicurante lentezza usuale.

- Anche tu sei scemo - fu la pronta risposta, accompagnato da una risata lieve e rilassata, una risata di gioia e di felicità.
- Non sai quanto... - le sussurrò in risposta, pensando a quello che le aveva fatto passare. Ma non era quello il momento delle parole, dei racconti o delle spiegazioni. Sapeva che doveva solo preoccuparsi di restituirle la certezza che si trovava vicino a lei, come sempre, e se la tirò contro, in modo che la schiena di Trinity aderisse alle sue placche pettorali e poi la serrò forte fra le braccia, intrecciando le gambe con le sue e respirandole piano sulla nuca e sul collo.
Chiuse gli occhi per concentrarsi sulle sensazioni che provava, perduto in una sorta di confuso e dolcissimo dormiveglia semi cosciente dal quale si risvegliò confusamente, incerto se avesse davvero pronunciato quelle parole o se le avesse solo pensate o sognate.
La sfida di Trinity, contenuta nella frase - Non ho sentito bene - rese evidente che quel - Ti amo - era stato articolato ad alta voce, ma si rifiutò di ammetterlo, ridacchiando felice mentre replicava con un falsamente innocente - Non ho parlato.

Per vendicarsi, la fece rotolare sul materasso per farle il solletico, ma passarono pochi secondi prima che tornasse a provare un intenso desiderio per quel suo corpo snello, certo che avrebbe potuto passare tutte le ore di quella lunga notte alla ricerca di un contatto fisico che non avesse fine o, meglio, che avesse molti termini e molti inizi, inestricabilmente avvinti fra di loro, senza alcuna soluzione di continuità.
- Temo che dovremo dormire, prima o poi, sai? - fu l’osservazione divertita che lo bloccò.
- Uhm... sei sicura?
- Mi si stanno chiudendo gli occhi... - farfugliò Trinity accoccolandosi con la schiena contro Garrus, che si girò sul fianco assumendo la posizione in cui erano soliti addormentarsi. Lei gli si strinse addosso cercando di non pensare alla voglia avida del marito di concepire una mezza dozzina di bambini, tutti in quella stessa notte, ma la presenza evidente, ed invadente, del sesso di Garrus contro il fondo schiena la spinse a parlare di nuovo.

- Vorrei proporti un accordo, ma ho paura dell’effetto che provocherà - sussurrò dopo un paio di minuti, abbandonando il proposito di addormentarsi, scossa da un convulso di risate che non riusciva a dominare.
- Cosa? - chiese lui, ridendo di riflesso.
- Un bambino in cambio del tuo vis... - fu la frase che iniziò sapendo che Garrus non gliela avrebbe lasciata concludere.
- Mi serviva proprio un incentivo - la interruppe infatti lui, mentre la rigirava gentilmente sul materasso, prendendo delicatamente fra i denti aguzzi il visore che splendeva azzurino fra i suoi seni e dimostrando tutta la buona volontà nel rispettare la sua parte di quell'accordo.


Nota
Lo so che ho aggiornato anche troppo rapidamente, ma non ho potuto tergiversare. Vedere finalmente pubblicato questo capitolo, che chiude una lunga parentesi straziante, mi fa sentire molto meglio.

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Capitolo 23
*** Confessioni ***


CONFESSIONI


Suite from Dances with Wolves




Non riuscirono mai ad addormentarsi veramente durante le poche ore di quel che restava della prima notte che trascorsero nuovamente insieme. Entrambi rifiutarono di arrendersi all'incoscienza, forse impauriti che il sonno potesse derubarli di quella inattesa sensazione di felicità assoluta.
Anche se all'inizio si era accoccolata nella posizione in cui era solita addormentarsi, con le spalle protette dalle placche pettorali di Garrus, quasi subito Trinity si rigirò su se stessa per spingere il viso contro il collo del turian ed appoggiare le labbra sulla carne delicata e morbida, respirando il profumo metallico della sua pelle. Poi racchiuse nei palmi delle mani le braccia di suo marito, stringendo le dita e infine intrecciò le gambe con le sue, alla ricerca di un contatto totale, che le restituisse la certezza che lui era davvero tornato.
E Garrus, a sua volta, insinuò naso e bocca fra i capelli sciolti stringendola in un abbraccio e accarezzandole la schiena lentamente: la coccolò e cullò, lasciando che la sua gola emettesse quella lieve vibrazione che indicava piacere e che rassomigliava alle fusa dei gatti.
Quella manciata di ore trascorse nel silenzio più completo, tranne quando Trinity scivolò inavvertitamente nel sonno per risvegliarsi quasi subito con una specie di scatto nervoso, quello che fa sussultare quando si sogna di cadere, con la paura di ritrovarsi nuovamente sola in quel grande letto.
- Sono qui - le sussurrò Garrus stringendola un po' più forte, grato che lei tornasse a chiudere gli occhi rasserenata, dopo aver spinto un po' più forte il viso contro la pelle calda del suo collo e aver avvertito le labbra chiuse premere contro il lento pulsare del sangue nelle arterie.
- Mai più, Garr - gli sussurrò però pochi istanti dopo, mentre lui avvertiva con angoscia l'umido delle sue lacrime - Non ce la farei a sopportare il dubbio di un'altra morte.
- Mai più, te lo prometto - rispose, sentendo che il peso della confessione che avrebbe dovuto farle, un giorno o un altro, diventava un dolore fisico che comprimeva il respiro, spezzandone il ritmo usuale. “Non adesso” si ripromise, vincendo l'impulso di essere completamente sincero “Non voglio farti altro male solo per sentirmi in pace con me stesso”.

Riaprirono gli occhi poco dopo, nello stesso momento, quando un suono insistente disturbò quell'atmosfera magica e impalpabile, fatta del calore di due corpi vicini, del mescolio dei loro respiri, del tocco lieve di carezze appena accennate.
- Spiriti! - esclamò Trinity ridendo - Non oso immaginare il seguito... - aggiunse infilandosi rapidamente il maglione di lana e i pantaloni, dopo aver tirato a Garrus la sua uniforme, accompagnata dall’ordine perentorio - Vestiti! - mentre la vocetta penetrante e querula che li aveva svegliati seguitava a strillare - Mamma! mamma! - come un vecchio disco di vinile che si fosse incantato, incurante delle esortazioni con cui Solana tentava vanamente di zittirla.
- Falla entrare - gridò Trinity, sedendosi sul letto e guardando suo marito con un sorriso - Nostra figlia ha idee molto precise; non è facile impedirle qualcosa o farle modificare un programma.
- Chissà come mai questa notizia non mi sorprende - osservò lui in tono divertito, tornando a sdraiarsi sopra le coperte, mentre fissava con interesse la figuretta che si precipitò nella stanza correndo verso sua madre. Poi però, arrivata ai piedi del letto, si bloccò per appena un secondo guardando Garrus a bocca aperta e finì per precipitarglisi addosso strillando - Papà! Papà! - arrampicandosi sopra il piumone e saltellando come impazzita, prima che lui riuscisse a bloccarla, ad afferrarla e a stringersela finalmente al petto, impaurito che finisse per cadere.

- Mamma diceva tu tonnavi - considerò Halia con aria seria, guardando il padre da sotto in su, con i suoi occhi azzurro cielo, e fissandone il volto con attenzione - Belli. Blu come nonno - osservò poi, seguendo con le dita i tatuaggi.
- Adesso paven? - chiese poi, riprendendo a saltellare sul letto - paven, papà?
- Cos’è paven? - domandò perplesso.
Halia scese dal letto e acchiappò una mano del padre tirandola con tutte le sue forze, fino a quando lui si decise ad accontentarla. L’adulto seguì docilmente la bimba che se lo tirò appresso fino a quando arrivarono in un'ampia stanza il cui pavimento era ingombro di giochi vari, alcuni dei quali di indubbia fattura turian. Alla parete di destra era attaccato un enorme poster della Terra, con la Luna e la Cittadella che le orbitavano attorno, e a sinistra un poster altrettanto grande di Palaven, con le due lune sullo sfondo. Era verso il secondo che Halia stava puntando il dito ripetendo - paven.
Sulla parete frontale spiccava un’immagine di Garrus: un ingrandimento tratto da una foto scattata da Glifo nella casa di Anderson, durante quella memorabile festa che aveva preceduto di poco l’ultima battaglia contro i Razziatori.
Altre foto, sempre sue, erano sparse un po’ ovunque nella stanza, sopra i ripiani delle mensole e sul tavolino. Una era poggiata per terra, vicino a un modellino di intercettore turian.
- Si chiama Palaven ed è il pianeta su cui sono nato.
- Tella mamma, paven tu - replicò la bambina, con un’espressione quasi scandalizzata per quella ovvietà superflua.
- Pa-la-ven, ripetilo lentamente - sillabò Garrus ridendo.
- Pala... ven - ripeté lei, vittoriosa - Adesso voio vedele Palaven.

Nel frattempo anche Trinity e Solana erano entrate nella stanza dei giochi e si erano accoccolate sul pavimento, in un angolo, seguendo con un sorriso l’euforia irrefrenabile di Halia che la portava a spostarsi come una trottola impazzita fra quelle quattro mura, tirandosi appresso il padre per mostrargli tutti i suoi tesori.
- Sembra di essere dentro la vetrinetta della cabina della Normandy - osservò Garrus in tono divertito, rigirandosi fra le mani una miniatura della Sovereign, mentre la figlia gli stava mostrando un modellino della Kodiak e uno dell’Hammerhead.
La piccola riunione familiare venne interrotta da Rennok, che fece capolino dalla porta: a quel punto Trinity dichiarò che era ora di andare a fare colazione.
- No! - fu la protesta immediata della bambina.
- Non è una richiesta, signorina - osservò Rennok, mentre Sol e Trinity si alzavano da terra lanciandole un’occhiata eloquente.
- Non ho fame! - ripeté Halia stizzita - Non voio.
- Io invece ne ho tanta - affermò Garrus prendendola fra le braccia e risolvendo in un attimo la situazione - ma mi devi guidare tu. Non so dove sia la cucina. Di sotto?
- Sì - assicurò la bambina puntando il dito avanti a sé e ridendo felice - Dico tutto io.
- Scoprirò che è un ottimo padre e che sa anche come gestire i bambini? - chiese Trinity a Rennok mentre tutti scendevano le scale, dietro a Garrus con la figlia in braccio.
- Credo proprio di sì. Ti ricordo che fra i miei due figli passano un po' di anni: ha fatto parecchia pratica.

Approfittando della colazione che sua figlia stava divorando con evidente appetito, Garrus riuscì ad abbracciare sua sorella e a chiacchierare un po’ sia con lei sia con il padre. Dopo pochi scambi di frasi, i discorsi si concentrarono sugli avvenimenti successivi alle esplosioni a bordo della Normandy e lui venne costretto a fornire un resoconto estremamente dettagliato di quanto gli era accaduto in seguito, stimolato dai continui chiarimenti che gli vennero richiesti da sua figlia, che passò un’ora tranquilla, seduta compostamente sul seggiolone, ad ascoltare attentamente l’avventura vissuta dal padre.
Fu lei a mettere involontariamente in difficoltà Garrus, cercando di capire come mai fosse rimasto assente tanto a lungo e fu grazie a lei che Trinity capì che suo marito stava tacendo qualcosa, o che stava addirittura mentendo.

Lo vide abbassare lo sguardo e mantenere gli occhi sul pavimento, quasi rapito dal disegno delle piastrelle in cotto, non appena iniziò a parlare degli avvenimenti successivi alla sua liberazione dalla nave degli schiavisti batarian. Ascoltò con attenzione, ma con inquietudine, il resoconto secondo cui Garrus era rimasto a bordo di un incrociatore turian per oltre un anno, aiutando quell'equipaggio, costituito da volontari organizzati secondo una rigida gerarchia militare, a riportare un po' d'ordine nel settore. Apprese che per tutti quei mesi, in cui era stato costretto a restare a bordo della Epos, in attesa di procurarsi un passaggio su uno scafo diretto verso il sistema Sol, aveva partecipato a diversi combattimenti contro criminali di vario tipo, seguendo le direttive di un comandante che si era ripromesso di difendere le vittime innocenti e di riparare i torti che subivano giornalmente i civili nella Nebulosa Omega.
- Quel gruppo di volontari voleva riportare una parvenza di civiltà in quel settore sfuggito ad ogni forma di controllo dai tempi della scomparsa di Aria - spiegò Garrus a Trinity, senza però sostenere a lungo lo sguardo poco convinto che lei gli rivolse. Poi, quando Solana gli chiese se si fosse sentito come ai tempi di Archangel, sorrise ripensando all'addestramento che aveva offerto a Nelim e dichiarò sinceramente - In realtà mi sembrava quasi di essere a bordo della Normandy - ma si accorse che sua moglie lo fissava in silenzio, senza sorridere, evidentemente conscia del turbamento che lui stava provando.

Una volta finita la storia, Halia tornò ad essere la solita bambina vivace, con idee ben chiare e piena di energie. Si impossessò con prepotenza della mano del padre per portarlo fuori in giardino, a finire il modellino in neve della Normandy che aveva iniziato con sua madre il giorno prima.
- Ti ammalerai se esci vestito in quel modo - obiettò Solana, fissando gli abiti del fratello con espressione critica, mentre Halia continuava a strattonargli le dita, assolutamente indifferente a quella questione di così scarsa rilevanza.
- Accendi il camino per scongelarmi al rientro - fu la preghiera che Garrus rivolse alla sorella con un sorriso rassegnato, arrendendosi alle insistenze di sua figlia.
- Tuo padre non esce vestito in quel modo - intervenne Rennok, fissando sua nipote con uno sguardo glaciale, tanto che lei istintivamente corse a rifugiarsi fra le gambe di sua madre.
- Credo che dovresti aiutare nonno a scegliere dei vestiti per papà - fu il suggerimento di Trinity, che si inginocchiò di fronte alla figlia fissandola negli occhi - Vai di sopra a cercare delle scarpe, dei maglioni, dei pantaloni e anche un paio di guanti - la incitò sorridendo - Forza!
Quando si rialzò dal pavimento colse uno sguardo divertito di Solana e uno grato di Garrus, mentre Rennok si limitava a scuotere la testa, evidentemente poco convinto da quel sistema educativo. Nello stesso tempo Halia riprendeva coraggio e passava ad afferrare la mano del nonno, che la seguì su per le scale senza protestare.
- Ho sempre comandato degli equipaggi; non mi faccio mettere i piedi in testa da una bambina di due anni - sussurrò al marito ridacchiando, mentre lui la afferrava per la vita e se la stringeva contro - In cambio, prima o poi, mi racconterai la verità sulla Epos - aggiunse poi in un sussurro lievissimo, divertendosi nel notare il sangue che affluì improvvisamente sul collo di suo marito.

Una volta vestito con quegli strani abiti del padre, in cui non si sentiva affatto a suo agio, ma che dovette ammettere che mantenevano il calore del corpo, Garrus seguì docilmente la figlia, bloccandosi però di fronte allo schermo incrinato del comunicatore a fianco della porta di ingresso e chiedendo spiegazioni.
- Mamma, boom! - rispose la piccola mimando il lancio di un oggetto. Poi uscì di corsa dalla porta per mostrare al padre il cumulo di neve, da cui doveva prendere forma la Normandy, che aveva radunato il giorno prima con tanta fatica.
Per tutto il tempo che trascorsero inginocchiati in terra, scolpendo pian piano la forma agile dello scafo della nave, Halia pose mille domande a suo padre e gli chiese di raccontare le stesse storie che sua madre le aveva narrato mille volte, per farle conoscere la figura paterna mai incontrata dal vero. Non si limitò ad ascoltare, ma lo interruppe spesso, rettificando le eventuali inesattezze oppure chiedendo dettagli su aspetti poco noti.

Ad un certo punto della mattinata Rennok li aveva raggiunti, aveva fatto tacere la nipote con un gesto ed una semplice occhiata, ed aveva abbracciato il figlio con una stretta forte e prolungata, che aveva stupito Garrus e che Halia aveva fissato in silenzio, restando in paziente attesa, riconoscendo l’autorità indiscussa di suo nonno.
Poi Rennok era ripartito, ancora prima dell’ora di pranzo, perché la mattina seguente avrebbe dovuto riprendere servizio sulla Cittadella e cercare di gestire alcuni problemi di carattere diplomatico che si erano verificati fra un gruppo di militari turian ed una piccola squadra di soldati dell’Alleanza.

Nel primo pomeriggio, mentre Garrus si trovava al piano superiore della casa, per leggere ad Halia alcuni racconti dal libro che sua madre aveva letto a lui trent'anni prima, quando era ancora un bambino, arrivò il maggiore Kaidan Alenko.
- Non potresti rassegnarti a conviverci? - chiese a Trinity indicando lo schermo del comunicatore, alzando gli occhi al cielo - sarebbe più semplice riuscire a parlare con te...
- Forse adesso sì - gli rispose lei, accompagnando quelle parole con una risata così inusuale, che lui si voltò a fissarle il volto con attenzione.
- Ti trovo insolitamente bene - osservò sorpreso.
- Dimmi cosa ti porta in questo eremo sperduto - chiese Trinity, non sapendo bene cosa rispondere: non si sentiva soltanto bene; era felice. No, neppure: non era solo felice, era addirittura euforica e immaginava che le ci sarebbe voluto parecchio tempo per abituarsi a quella condizione inusuale.
- Non ci vediamo da un paio mesi? - gli domandò poi, indicandogli il divano e chiedendogli se volesse qualcosa da bere.

- Parto fra pochi giorni - annunciò Kaidan, incrociando le gambe e prendendo il bicchiere con il whisky - Il Consiglio mi ha affidato una missione nei sistemi Terminus. Ufficialmente il mio compito consiste nel sorvegliare la zona e contribuire come posso alla ricostruzione degli ultimi portali, ma non credo che mi spedirebbero ai margini della galassia per un motivo così banale. Inoltre il Consiglio mi ha fatto sapere che Liara e Javik saliranno a bordo. In realtà sto aspettando loro per partire, ma nessuno mi ha detto a chiare lettere il motivo per cui mi accompagneranno.
- Immagino che avrai a che fare con i Divoratori di stelle. Probabilmente le sonde o i droni avranno rilevato la loro presenza nel sistema e per questo ti inviano dei rinforzi. Liara e Javik sanno con cosa avrai a che fare: ascolta i loro consigli. Stai attento, Kaidan, non è un nemico da prendere alla leggera.
- Non so quante volte hai pronunciato una frase come questa.
- Probabilmente ogni volta che sei partito - rise lei - E non sei certo qui per sentirti ripetere le solite raccomandazioni: sai che non devi assolutamente affrontarli, che devi stare alla larga da loro e cercare invece lo stramaledetto portale intergalattico. Quindi... dimmi cosa c'è di nuovo.
- Nelle esplorazioni che abbiamo effettuato in passato ho notato qualcosa che non riesco a spiegarmi: ogni volta in cui cui IDA intercetta la presenza di resti di Razziatori, lei e Joker insistono per dare un'occhiata più da vicino. Tu sai dirmi il motivo di questo strano comportamento? Mi impensierisce.

- Spiegati meglio.
- Non so bene, Shepard, ma la IA della tua nave è... inquietante. A volte mi sorprende. Ho come l'impressione che abbia acquisito delle capacità superiori, ma che non voglia palesarle apertamente. Permetterle di trafficare con i resti di Razziatori mi mette in ansia. So bene che lei deriva da quella tecnologia, almeno in parte, e non vorrei dovermi trovare ad affrontare il pericolo proprio a bordo della mia stessa nave. Riesci a capire cosa intendo? E’ per questo che sono qui - le confessò un po’ a disagio.
- Sono sicura che puoi stare tranquillo. Se avessi pensato che la nostra vecchia IA fosse un pericolo, l'avrei disattivata o per lo meno ti avrei avvisato.
- Sono certo che non mi avresti mai messo apposta in un mare di guai - concordò Kaidan - non sarebbe da te. Però ho l'impressione che quei due non mi dicano tutto; anzi, sono quasi sicuro che si limitino a raccontarmi il minimo indispensabile.
- Ogni tanto il tuo pilota mi lancia sguardi incerti, come se fosse indeciso se confessare o meno qualcosa - precisò ancora, fissando Trinity con evidente preoccupazione - E sono certo che una volta stesse chiacchierando con IDA a proposito dei Razziatori, ma si è interrotto non appena lei lo ha avvisato che stavo arrivando sul ponte.

Lei non rispose, ma si alzò per dirigersi verso il camino e attizzò un po' il fuoco; durante quei minuti silenziosi valutò l'opportunità di tastare il terreno per studiare le reazioni del nuovo comandante della Normandy.
- Nel corso dell'ultima missione ho elaborato un'ipotesi piuttosto inquietante, che lega i nemici che abbiamo combattuto in passato con quelli attuali - cominciò a confessare, spiando l'espressione del viso di Kaidan.
Lo vide annuire e appoggiarsi lentamente allo schienale del divano, con un'aria che rivelava come si stesse preparando ad ascoltare un discorso importante che però non gli sarebbe piaciuto troppo.
- Il legame fra Razziatori e Divoratori di stelle è stato confermato anche dagli scritti tradotti dai Prothean e successivamente IDA ha raccolto ulteriori informazioni che hanno avvalorato questa ipotesi - continuò a spiegare Trinity - Adesso sappiamo che il portale intergalattico si deve trovare nelle vicinanze di relitti di Razziatori. E' questo uno dei motivi per cui IDA si interessa tanto ai loro resti, ma c'è anche un'altra spiegazione che dubito ti piacerà.

- Non conoscevo questo legame fra Razziatori e Divoratori di stelle e onestamente non lo capisco. Ma non capisco neppure perché mi teniate all'oscuro di queste tue ipotesi.
- Non so se crederesti a quanto dovrei dirti.
- Lo farò, Shepard: sono qui per sapere a cosa vado incontro.
- E va bene, maggiore - capitolò lei con un sorriso - Fermati a cena e magari anche a dormire: mi servirà un po’ di tempo per raccontarti tutto. Ma mi devi promettere che non farai parola con nessuno di quanto ti dirò. Con nessuno, Kaidan - ripeté fissandolo seriamente - perché nessuno, oltre me, IDA, e probabilmente Joker, conosce completamente tutta questa storia.
- Non dirò niente, anche se adesso mi stai facendo seriamente preoccupare - rispose, fissandola senza abbassare lo sguardo. Poi sorrise lievemente e aggiunse - Accetto volentieri l’invito a cena e, beh, non mi aspettavo addirittura un invito a restare a dormire... - scrutando il volto di Trinity con aria incerta, tanto che lei si ritrovò ad arrossire per l'imbarazzo.
- E' tornato Garrus - gli comunicò, prima di alzarsi rapidamente dalla poltrona e prendere il bicchiere che lui teneva in mano per riempirglielo di nuovo, mentre Kaidan capiva finalmente come mai Shepard gli fosse apparsa tanto radiosa e felice.

Fu solo poco prima dell'ora di cena che i due uomini si incontrarono: Garrus era entrato in cucina portando la figlia sulle spalle e rimase sorpreso nel trovare Kaidan che stava aiutando Solana ad apparecchiare la tavola.
Dopo un brevissimo momento di imbarazzo, si salutarono con calore, quasi con affetto, ben felici che l’occasione di quel nuovo incontro fosse completamente diverso dall’ultima. Il ricordo delle ore passate sul ponte della Normandy, in assenza di qualunque notizia del loro comandante, l'abbandono rapido dell'orbita della Cittadella poco prima della detonazione che aveva distrutto i Razziatori e la visione dei monitor attaccati al corpo esanime di Trinity in ospedale erano ricordi sgradevoli che ancora adesso talvolta si intrufolavano nei loro sogni.

Nel corso del pasto tutti parlarono di argomenti leggeri e Kaidan venne subissato da una quantità notevole di domande non appena Halia capì di trovarsi di fronte al nuovo comandante della Normandy, ma i discorsi che ebbero luogo sul divano, di fronte al camino acceso, furono invece ben diversi e andarono avanti per alcune ore.
Furono molte le risposte che Shepard si trovò a dover fornire e molti i dettagli che si sentì in dovere di aggiungere. E gli interrogativi non furono formulati solo da Kaidan; neppure Garrus era a conoscenza delle informazioni raccolte da IDA e delle sue nuove capacità. Dagli sguardi che i due compagni d'armi le rivolsero alla fine della lunga chiacchierata, Trinity si rese conto di quanto entrambi fossero turbati: la IA che governava la Normandy era diventata una delle entità più potenti, e potenzialmente più pericolose, dell'intera galassia e il contatto con qualsiasi relitto di Razziatore avrebbe potuto ampliare ulteriormente le sue potenzialità, forse al di là di quanto fosse prevedibile. Eppure IDA era anche l'unica entità della Via Lattea in grado di entrare in contatto diretto con i Divoratori di stelle ed ottenere informazioni che sarebbero potute risultare di importanza vitale per contrastare la loro opera di distruzione.

Trinity si fidava di quella entità, ormai molto più avanzata di qualsiasi intelligenza artificiale che fosse mai esistita. E al momento era anche l'unica IA della galassia, anche se a breve qualche scienziato avrebbe certamente creato dei nuovi esemplari.
Se avesse dovuto definirla in qualche modo, l'avrebbe descritta come l'essere più vicino a quell'ideale di sintesi che il dannato fantasma bambino le aveva suggerito e che lei aveva rifiutato. Ma IDA non era il frutto di una scelta esterna: si era evoluta autonomamente, spinta dal desiderio di comprendere gli organici, di afferrare le loro motivazioni e i loro ideali ed aveva finito per innamorarsi addirittura di un umano.
Ma Trinity non poteva nascondere il senso di disagio che provava nell'affidare la Normandy fra le mani di un comandante che non fosse lei stessa. Lei conosceva IDA e sarebbe stata in grado di rilevare qualunque segnale anomalo. Non poteva fidarsi di Joker: non per sfiducia, ma perché la sua adorazione lo rendeva cieco. E non poteva fidarsi neppure del giudizio di Kaidan, che non aveva conosciuto IDA fin dall'inizio e non ne aveva seguito passo passo lo sviluppo.
Ma tornare fra i cieli per partecipare ad un possibile scontro contro i Divoratori di stelle, dopo tutto quello che era accaduto, conoscendo la pericolosità del nemico, appariva impossibile, a meno di separarsi almeno da Halia.
E cosa avrebbe fatto Garrus, se si fosse trovato costretto a dover scegliere, era un interrogativo a cui non sapeva rispondere con certezza, anche se immaginava che avrebbe lasciato la bambina per seguire lei e combattere le sue solite battaglie impossibili.
Ma non voleva confessare apertamente neppure a se stessa quanto le mancassero i cieli lontani: erano anni che stava ancorata al suolo e troppe volte si era trovata a fissare le stelle con desiderio. Garrus era appena tornato e, per la prima volta, avevano l'opportunità di vivere una esistenza normale, di essere una vera famiglia.

Out Of Africa Soundtrack Suite



Alla fine, quando si alzarono per andare finalmente a dormire, Kaidan commentò che era felice di aver ascoltato la trama di un film di fantascienza piuttosto stravagante, ma la sua espressione tesa dimostrò che non solo credeva a quanto gli era stato riferito, ma che era anche decisamente preoccupato: i Razziatori, i più antichi custodi della galassia, erano stati facilmente sconfitti da quel nemico ancora piuttosto misterioso e una delle migliori risorse di cui disponevano era una IA ormai ben più potente degli organici che l'avevano creata.
- Ascolta - provò a tranquillizzarlo Trinity, fermandosi davanti alla porta della stanza in cui Kaidan avrebbe passato il resto della notte - Mi rendo conto che tu sia preoccupato all'idea di dover affrontare un nemico che ha sconfitto senza difficoltà perfino i Razziatori, ma hai la migliore nave di tutta la galassia, soprattutto a causa di IDA. So che puoi fidarti di lei, ma devi assolutamente tacere sulle sue reali capacità attuali, perché temo che qualcuno potrebbe decidere di disattivarla e io non credo che senza di lei saremmo in grado di battere questo nemico. Non so prevedere le azioni dei Divoratori di stelle, ma è possibile che non siano rimasti con le mani in mano. Potrebbero essersi evoluti, aver acquisito nuove capacità, difensive e offensive, capaci dimetterci in seria difficoltà.
- Non riesco a trovare rassicurante il pensiero che quanto hai affrontato tu potrebbe essere una semplice passeggiata in confronto a quel che mi attende in quel settore ai confini della galassia - replicò Kaidan, evidentemente impensierito.
- Parla con IDA e Joker: dì loro che ti ho raccontato tutto e concentratevi sulla ricerca di quel dannato portale intergalattico. Non correte rischi, di nessun genere. Non avvicinatevi mai ai Divoratori di stelle - si raccomandò ancora Trinity - Non parlare delle capacità di IDA neppure con Liara o Javik, ma chiedi loro di raccontarti tutti i dettagli della missione a cui hanno partecipato sotto il mio comando. Sono sicura che te la caverai.
Appena smise di parlare, Garrus aggiunse - Domani aggiusto il trasmettitore di casa in modo che dalla Normandy tu possa facilmente mantenerti in contatto e chiederci un parere in caso di dubbi o di qualunque situazione imprevista. Ti forniremo tutto l’aiuto possibile.

Detto questo, Trinity e Garrus si avviarono verso la loro stanza e Kaidan restò sulla porta a fissarli, parzialmente rassicurato per l'aiuto che quei vecchi compagni gli avrebbero fornito. Sorrise suo malgrado rendendosi improvvisamente conto che mai, in tutta la serata, quei suoi due amici si erano scambiati una carezza, né si erano cercati con lo sguardo. Eppure si avvertiva chiaramente l'accordo perfetto che li univa, rendendoli un tutt'uno indissolubile.
“Non c'è Shepard senza Vakarian” si disse, con un sorriso triste, comprendendo per la prima volta che, anche senza Horizon, la sua storia con quella donna non sarebbe durata a lungo, perché prima o poi lei si sarebbe accorta della necessità di avere al suo fianco quello strano turian.
Un giorno, finita anche quella nuova guerra appena all'inizio, si sarebbe cercato una ragazza e forse avrebbe iniziato una vita diversa. Ma adesso aveva altro a cui pensare: aveva ereditato un ruolo che lo rendeva inquieto, quel ruolo che Shepard aveva validamente ricoperto per tanti anni.

Appena entrati nella stanza, Garrus acchiappò Trinity per la vita e la strinse forte fra le braccia, costringendo la schiena della donna ad aderire contro il suo petto. Poi con la bocca tirò via il fermaglio e intrufolò il viso nella morbida cascata dei suoi capelli, respirando contro la pelle del suo collo.
- Non vorrei essere nei panni del maggiore Alenko. E' un compito impegnativo quello che gli hai affidato - le sussurrò nell'orecchio, prima di ridacchiare brevemente e aggiungere - Scommetti che se troverà una cellula superstite di Cerberus disposta a dargli una mano, non farà tanto il difficile?
- Non essere cattivo...
- Lui lo è stato con te - replicò freddamente - Ma gli daremo tutto l'aiuto possibile - aggiunse con più dolcezza, mentre insinuava le sue dita sotto gli abiti di Trinity, carezzandola e sganciandole il reggiseno.
- Spiriti, Garr - osservò lei con voce assonnata - manca poco all'alba.
- Appunto - replicò - dobbiamo approfittare di queste poche ore, prima che Halia si svegli. Rivorrei il mio visore - le sussurrò sollevandola di peso, prima di dirigersi verso il letto.
- Ho sonno - protestò ancora Trinity, ma senza troppa convinzione.
- Va bene - si arrese Garrus - Vorrà dire che ti aiuterò solo a indossare il pigiama - le propose, sdraiandola sul piumone e cominciando a spogliarla con delicatezza, sfiorandole la pelle quasi per caso, mentre faceva scorrere i bottoni fra le asole, sganciava lentamente i diversi fermagli e scioglieva nodi più o meno reali, fino a quando le mani di lei cominciarono a togliergli di dosso i diversi strati di vestiti invernali con evidente impazienza.

Si addormentarono mentre il sole cominciava a far capolino, rendendo rosee le rocce grigiastre delle lunghe catene montuose incorniciate dalla porta finestra, poco dopo la domanda lamentosa di Trinity - Ma perché dobbiamo perdere del tempo a dormire? - a cui Garrus rispose - Per il piacere di poterci risvegliare abbracciati - che determinò la sua resa divertita: gli rannicchiò contro, cercando di ritrovare il sonno perduto.

°°°°°

Si svegliò sentendosi intontita. La stanza era colma di luce e, lanciando un'occhiata all'orologio, si rese conto che era passata l'ora di pranzo. Si tirò su, guardandosi attorno con aria smarrita: il lenzuolo e il piumone che coprivano l'altra metà del letto erano ordinatamente ripiegati. Per un istante provò il terrore di aver solo sognato le ultime ore e cercò ansiosamente un qualunque indizio che la tranquillizzasse.
La vista di un datapad appoggiato contro una tazza sul comodino Buongiorno, pigrona, la colmò di sollievo. Prese la tazza fra le mani e ingoiò un sorso di caffè, sorridendo nel rendersi conto che Garrus aveva scovato quel piccolo fornellino elettrico che lei usava talvolta per tenere in caldo i pasti di Halia.
Uscì dalla stanza e si affacciò dalla balaustra del primo piano. Lo vide in piedi, vicino alla porta di casa: stava armeggiando attorno al comunicatore con la scatola dei ferri aperta appoggiata sul pavimento.
Finì di bere il suo caffè lentamente, senza fare alcun rumore, ricordando le tante volte in cui era rimasta a fissarlo nella batteria primaria. L'espressione assorta del suo viso era la stessa, così come la precisione ed eleganza dei movimenti.

- E’ insolito vederti lavorare su qualcosa di diverso da un’arma - commentò, continuando a fissarlo.
- Spiegami come mai l’hai fatto a pezzi - chiese Garrus, incuriosito, togliendosi il cacciavite che teneva in bocca.
- Mi hanno fatto arrabbiare - rispose Trinity, cominciando a scendere i gradini - Dopo qualche mese che ero arrivata qui si è fatta viva una giornalista, una vecchia conoscenza, che era riuscita a procurarsi il mio recapito; non anche l'indirizzo, per fortuna.
- Diana Allers?
- Molto peggio: Khalisah al-Jilani. Voleva venire qui. Parlò di un certo servizio, ma senza chiarire esattamente cosa volesse. Ovviamente risposi di no. Mi richiamò il giorno dopo per chiedermi se potevamo incontrarci sulla Cittadella e poi il giorno dopo ancora, questa volta accontentandosi di una semplice intervista tramite comunicatore. Le chiesi cosa volesse sapere e lei partì a farmi alcune domande.
- Mi fu subito chiaro che si interessava ad Halia, anche se le sue informazioni mi sembrarono confuse. Un suo collega aveva registrato una cerimonia alla quale avevo partecipato sulla Cittadella qualche tempo prima. Forse non lo sai, ma adesso nel laghetto del Presidio c'è la riproduzione della Normandy - aggiunse, accoccolandosi in terra, vicino a Garrus che aveva smesso di occuparsi del trasmettitore, interessato a quel racconto. Lui si limitò ad annuire, tirandosela in grembo e abbracciandola, aspettando il seguito.

- Alla fine della cerimonia, a cui ho partecipato con Kaidan, andai a riprendere la bambina, che avevo affidato a IDA e a Joker, proprio per evitare che finisse ripresa dalle telecamere, ma senza far caso ad un dannato giornalista che mi aveva seguito.
- Fu Kaidan a notarlo per primo e a mettergli fuori uso l'apparecchiatura con i suoi poteri biotici, ma alcune immagini erano state comunque registrate, anche se da grande distanza. Credo che anche la foto che avevi tu in mano quando sei venuto qui derivi da quella maledetta registrazione.
- L'ho stampata da un servizio televisivo - ammise Garrus, ripescandola dalla tasca e mostrandogliela - durante il quale ho visto anche la statua della Normandy.
- Quella dannata giornalista doveva aver analizzato a fondo le riprese e aveva capito che c'era qualcosa di strano - riprese a narrare Trinity - Halia non corre come una bambina umana e fra le tante voci che in quel periodo circolavano sul mio conto c'era anche quella su una gravidanza. Probabilmente Khalisah sperava di riuscire a fare un bello scoop: Il comandante Shepard ha messo al mondo una bambina non umana? O qualcosa di questo genere, suppongo.
- E cosa le hai detto?
- Nulla - rispose Trinity - Ho detto che non ricordavo niente su nessuna bambina. Poi ho chiuso la comunicazione.

- Bene - annuì lui con forza - Non voglio che nostra figlia diventi una sorta di attrazione per curiosi.
- Il giorno successivo Solana mi chiamò per mostrarmi un servizio in televisione: Khalisah aveva mandato in onda l'intervista che mi aveva fatto il giorno prima come commento alla seconda parte del servizio girato dal suo collega il mese precedente: quello in cui si vede Halia che corre ad abbracciarmi, anche se per fortuna la scena non è molto chiara, a causa della lontananza della macchina da ripresa.
- Spiriti!
- Già. Poco dopo Khalisah ha avuto il coraggio di richiamarmi al comunicatore per chiedermi se volessi fare una nuova intervista. Aveva un sorriso che le andava da un orecchio all'altro e non ci ho visto più dalla rabbia: tuttora non ricordo cosa ho tirato contro lo schermo.
- Una bottiglia di Kyril, suppongo - ghignò Garrus, mostrandole il lembo di etichetta che aveva rinvenuto fra le schegge dello schermo.

- Questa casa è stranamente silenziosa - notò Trinity a quel punto, girando lo sguardo intorno a sé, con aria interrogativa.
- Kaidan è partito di prima mattina; dalla sua espressione dubito che abbia dormito sonni tranquilli - ghignò Garrus con aria maliziosa - Non mi vergogno ad ammetterlo: sono felice che si renda finalmente conto del peso che hai avuto tu sulle spalle per anni e anni.
Trinity si limitò a scuotere la testa, mentre lui aggiungeva - Ho mandato Sol sulla Cittadella, a procurarsi lo schermo di ricambio, e lei ha insistito per portarsi appresso nostra figlia. Con i capelli nascosti sotto il berretto può passare per una bambina turian, se non la si guarda troppo attentamente - aggiunse Garrus che, dopo una breve pausa, continuò - Credo che entro pochi giorni rimarremo soli: per questo mia sorella sta cercando di stare il più possibile con Halia.
- Perché dici questo?
- Mio padre ha stabilito che è tempo che lui e Sol tornino su Palaven.
- Beh, se tua sorella preferisse, potrebbe restare qui. A me non darebbe certamente fastidio.
- Mia sorella non si sognerebbe mai di contraddire papà. Lei è una figlia obbediente, è una brava turian - rise Garrus.
- Uhm... vuoi dire che non l'avrei nemmeno mai conosciuta, se tuo padre non l'avesse autorizzata? - chiese Trinity, piuttosto incuriosita.
- Sono certo di no.
- E visto che sembri sapere tutto - lo prese in giro - sai anche perché Rennok ha deciso di tornare su Palaven?
- Perché sono tornato e non hai più bisogno del loro aiuto.
- Mi dovrò accontentare di un solo turian, invece che di tre?
- Cercherò di soddisfare ogni tuo più piccolo desiderio - fu la risposta ben poco ambigua, dato che le mani di Garrus erano corse a slacciarle i bottoni del pigiama quel poco necessario a consentirgli di afferrare nelle dita il suo visore.

- Sta' fermo - lo respinse con un sorriso divertito - Hai mangiato qualcosa da ieri?
- Ho fatto colazione qualche ora fa.
- Mi piacerebbe poter stringere fra le mani anche un po' di carne oltre a ossa e placche: sei uno stecco ossuto e ho quasi paura di poterti spezzare. Dimmi che hai fame...
- Non molta, però mi piacerebbe se ci sedessimo in cucina a mangiare qualcosa seduti a un tavolo, come farebbe una coppia normale. Pensi sia scemo?
- Tu o la tua idea? - scherzò Trinity prendendogli una mano nella sua e tirandolo verso la cucina, prima che potesse cambiare idea.

- Ho imparato qualche ricetta da Sol - gli confessò mentre apriva il frigorifero.
- E sono rimasta gradevolmente stupita nel rendermi conto che non tutti i vostri cibi sono disgustosi come la cucina di Tali mi aveva fatto immaginare per lunghi mesi, quando cucinava per me sulla Normandy - aggiunse, porgendogli alcune verdure, un coltello e un tagliere.
- Credo di non seguire questo strano discorso - commentò lui, cominciando a creare dei tocchetti precisi con la lama affilata.
- Quando Karin ha capito che ero incinta mi ha suggerito di mangiare solo destro aminoacidi. Poi, per fortuna, Halia è risultata levo e sono potuta tornare alla mia solita alimentazione, liberandomi dal pericolo di finire avvelenata per mano di una quarian.
- Halia è levo? - ripeté Garrus sorpreso.
- Già. E vedi di non dimenticarlo - lo minacciò Trinity per scherzo, puntandogli un mestolo contro.

- Sapevi che questo era il piatto che mi facevo preparare da mia madre il giorno del mio compleanno? - le chiese qualche tempo dopo, prima di infilarsi in bocca una nuova cucchiaiata di quella sorta di stufato aromatico alle verdure, con un'aria estremamente soddisfatta.
- Sì. Ti ricordo che ho vissuto parecchi mesi con tua sorella e qualche mese anche con tuo padre.
- E sai anche come si chiama?
- Non me lo ricordo, ma non è questo che mi interessa ora quanto, piuttosto, sapere cosa è realmente successo sulla Epos - gli chiese tutto a un tratto, fissandogli addosso uno sguardo verdissimo e determinato che per poco non fece strozzare suo marito per la sorpresa.

Garrus ripulì tutto il piatto meticolosamente, lo allontanò e riprese il racconto esattamente dal punto in cui aveva cominciato ad alterare i fatti nel resoconto che aveva fatto in precedenza: si riallacciò alla prima cena a bordo della Epos e riferì a Trinity il colloquio con Nelim. Poi andò a prendere il datapad su cui era ancora conservato il messaggio di Sidonis e glielo porse, aspettando in silenzio che lei finisse di leggere.
Trinity glielo restituì senza pronunciare la domanda ovvia - L'hai ucciso? - e si limitò a girarsi per guardare fuori dalla finestra, aspettando il resto del racconto.
Le si avvicinò e le passò un braccio intorno alle sue spalle, incuriosito dalla sua reazione. Si era aspettato che lei si scostasse e invece gli aderì contro, come volesse garantirgli che accettava comunque le sue azioni, quali che fossero state.
Le raccontò integralmente il colloquio con Sidonis, senza aggiungere o dimenticare nulla, senza modificare il senso delle frasi che aveva ascoltato e pronunciato.

- Ancora oggi, a distanza di anni, non so dirti se sarei riuscita a non uccidere un Sidonis, al tuo posto - fu la confessione immediata di Trinity, che non si sarebbe mai aspettato di sentire - Ma sono stata sempre felice di averti impedito di diventare un assassino. So che non ti saresti perdonato.
Ma quando lei si alzò sulle punte dei piedi per baciarlo, la tenne a distanza. Era quello il momento di farle la confessione che lo angosciava da mesi - Sarei potuto tornare da te più di un anno fa - le disse semplicemente, scandendo bene le parole, così che lei capisse l'importanza di quella breve frase.
Al suo sguardo interrogativo, confessò che avrebbe potuto cercare un portale funzionante o setacciare i cieli alla ricerca di una nave diretta verso il sistema Sol. Invece era rimasto a bordo della Epos: prima per addestrare Nelim e in seguito per combattere i criminali della Nebulosa Omega, rispettando alla lettera le promesse fatte a Sidonis.
Per tutta la durata di quella confessione, espressa in un tono tranquillo in cui poteva nascondere la pena e l'ansia che invece provava, la fissò negli occhi, attento a leggere le espressioni di quel viso che lo scrutava a sua volta, in un silenzio inquietante.

- Un marito turian sarebbe tornato da sua moglie il prima possibile. Non si sarebbe lasciato distrarre dai suoi doveri: non per un motivo simile, almeno - commentò Trinity, dopo aver rimuginato qualche istante su quanto aveva appena ascoltato, senza rendersi conto che l'aura bluastra che la circondava non si accordava affatto con il tono calmo che si stava sforzando di mantenere.
“Mi sembra di sentire parlare mio padre” fu il pensiero che attraversò la mente di Garrus, che rimase in silenzio, sicuro che una frase fuori luogo avrebbe potuto fare esplodere l'ira che Trinity stava trattenendo e di cui forse neppure era cosciente. La vide camminare per la cucina, seguendo un percorso regolare e ritmato, come faceva sempre quando rifletteva ad alta voce, immaginando che stesse parlando con se stessa e non con lui.
- Per i turian un simile comportamento è giustificabile solo in caso di una guerra, o comunque di un grave pericolo che investa un'intera collettività. Un ritardo del genere potrebbe essere giustificato solo se avessi dovuto aiutare una colonia priva di mezzi di sostentamento, un distaccamento militare sotto attacco nemico, una spedizione scientifica rimasta isolata - elencò freddamente - Non è ammissibile per motivi strettamente personali e la tua stramaledetta promessa era fin troppo personale...
- Suppongo sia vero - ammise Garrus, attonito dalla sicurezza con cui sua moglie faceva affermazioni su ciò che era accettabile, o meno, negli usi e nella cultura della sua stessa razza.

- Sei un dannato idiota, certe volte - lo accusò alla fine, smettendo di vagare per la cucina come un'anima in pena e ponendosi decisamente di fronte a lui. Pur con la piccola statura, di parecchi centimetri inferiore alla sua, e con il fisico apparentemente delicato, quella donna era il suo vecchio comandante e l'espressione severa dei suoi occhi lo fece sentire una recluta alle prime armi.
- Non sei arrabbiata - constatò con sorpresa, realizzando che l'aura bluastra stava svanendo e che il suo sguardo si addolciva.
- Dannazione a te, Garrus - replicò lei - Non ho mai desiderato sposare un buon turian - dichiarò avvicinandosi ancora fino a sfiorarlo quasi - Volevo te ed è esattamente quello che ora mi ritrovo per marito.
- Perché è proprio da te, Vakarian, farmi aspettare più di un anno solo per rispettare una stramaledetta promessa, anche se fatta ad un vero bastardo - concluse in tono irritato, senza riuscire a nascondere il sorriso velato che nonostante tutto si ostinava a volerle spuntare sulle labbra.

Si girò dandogli le spalle, trovando terribilmente complicato cercare di descrivere la sensazione di soddisfazione profonda che avvertiva dentro di sé, nel saperlo finalmente in pace con se stesso e con il suo passato, unita però ad un'irritazione inevitabile nel rendersi conto che suo marito l'aveva dimenticata per troppi mesi.
Aveva sposato Garrus perché era Garrus. E lui si era comportato secondo i suoi canoni, condivisibili o meno che fossero. Era il turian atipico, il detective deluso e indisciplinato dell'SSC, era Archangel, era la persona che sapeva leggerle l'anima, che si fidava ciecamente di lei, che l'aveva seguita sempre e ovunque, senza se e senza ma, e che l'aveva sempre difesa, anche da se stessa.
Rifletté su quanto fosse imbranato e dolce, deciso e fiero, determinato a ottenere con ogni mezzo quanto riteneva giusto, il suo compagno preferito in ogni battaglia. Anche senza guardarlo, era certa che sul suo viso, in quel momento, c'era l'ammissione disarmante di essersi comportato in modo imperdonabile.

Rinunciò ad aggiungere altre parole, limitandosi ad accettare l'abbraccio timido e insicuro in cui Garrus le avvolse le spalle. Poi appoggiò la nuca contro il suo petto, respirando lentamente.
Non era necessario avventurarsi in una spiegazione tanto complessa perché sapeva che lui comprendeva cosa le stava passando per la testa: la dolcezza con cui lui depose un lungo bacio sui capelli, dopo averle sussurrato un sincero - Mi spiace - la spinse a dichiarare l'altrettanto sincero - Lo so.


Nota
Mi piacerebbe sapere che impressione vi fa leggere un capitolo di questo tipo perché, per qualche tempo, ce ne saranno altri di questo stesso tenore. Vorrei sapere se li trovate pesanti o noiosi.

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Capitolo 24
*** Stelle ***


STELLE


Music for the Funeral of Queen Mary



- Chi vuoi chiamare per provarlo? - chiese Garrus una volta che ebbe finito di stringere l'ultima vite del nuovo schermo del trasmettitore che Sol si era procurata in uno dei negozi specializzati sulla Cittadella.
- Joker e IDA: non li sento da tre mesi. E magari anche Karin, così la aggiorno su Halia - rispose prontamente Trinity, con gli occhi che le brillavano per l'eccitazione.
Garrus la guardò per un attimo perplesso, fino a quando la frase successiva di sua moglie - Oh, e poi anche Gabby e Ken, per sapere come si trovano con il nuovo ingegnere capo - gli chiarì in modo inequivocabile la situazione.
Distolse lo sguardo dallo schermo senza rispondere, raccolse lentamente tutti gli attrezzi sparsi sul pavimento e li rimise metodicamente a posto nella cassetta, ognuno nel proprio scomparto. Poi si avvicinò alle spalle di sua moglie che era rimasta a fissare il video, come ipnotizzata, e la abbracciò con forza.
Da quando l'aveva ritrovata, aveva ascoltato e parlato con Trinity, ma il comandante Shepard era da qualche parte e stava combattendo per tornare ad imporsi, soprattutto ora che lui era tornato al suo fianco. “Quanto ti manca tutto quello che avevi?” si chiese, senza essere sicuro di conoscere la risposta.
- Shep? - le sussurrò fra i capelli.
- Sì? - rispose lei, spingendo automaticamente la nuca contro il suo petto.
- Non ci sarà nessuno a bordo della tua nave a quest'ora, a parte IDA: è ora di cena.
- Già... è ora di cena. Vado ad apparecchiare - rispose lei con voce incolore, allontanandosi rapidamente.

Garrus la seguì con gli occhi, studiando i movimenti bruschi e irritati con cui sua moglie si sciacquò le mani nel lavandino della cucina.
Quando la vide prendere la tovaglia dalla credenza e stenderla sul tavolo nella sala da pranzo, la aiutò ad apparecchiare sistemando piatti e posate, mentre lei tirava fuori bicchieri e tovaglioli. Il tutto in un silenzio che faceva male a entrambi, ma che non sapevano come lacerare senza restarne feriti loro stessi.
Fu la voce di Halia a riempirlo di suoni traboccanti di energia vitale. Quei suoni vennero rapidamente seguiti dalla presenza fisica della bambina che piombò nella stanza come un cucciolo iperattivo, seguita da Solana che aveva ancora stampata in viso la preoccupazione per aver visto sua nipote scendere i gradini della scala interna a scapicollo, tenendo a due mani una pistola.
- Zia Sol è cattiva! - fu la dichiarazione irritata di Halia, seguita da un suo rapido e vigoroso pestio di piedi.
- Spero che almeno sia scarica - disse Solana arrendendosi sulla poltrona più vicina.
- Certo che lo è! E ai proiettili non ci arriva di certo - replicò Trinity.
- Non mi sembra lo stesso una buona idea tenere un'arma nel cassetto del comodino - fu il rimprovero che Sol rivolse al fratello che, dopo aver tolto la pistola di mano ad Halia, era rimasto a rigirarsela fra le dita con aria divertita, riconoscendola. Era quella di Trinity, quella che lui si era portato nella batteria primaria, per calibrarla, il giorno precedente all'ultima battaglia contro i Divoratori di stelle.
- Riportala immediatamente nel cassetto di papà e non toccarla mai più - fu la sgridata ferma di Trinity che tolse l'arma dalle mani di suo marito e la rimise fra le mani della figlia - Niente armi vere fino a sedici anni.
- Dodici - sussurrò Garrus alla moglie fissandola con aria di sfida, mentre Halia si avviava su per le scale con il broncio, ostentando un'improvvisa fatica per dover trascinarsi su per un intero piano tutto quel peso.
- Vedremo... - rispose Trinity con un'aria di sfida identica a quella di suo marito, ma senza notare il sospiro di sollievo di Garrus per il tempismo perfetto con cui la bambina era entrata in scena.

Durante quella cena Sol annunciò che sarebbe partita il giorno seguente, gettò un'occhiata comprensiva e un po' triste alla piccola che non voleva accettare quella notizia, ma non riuscì a zittire le sue proteste fino a quando Garrus non intervenne, osservando che quella decisione era stata presa dal nonno.
Le istruzioni di Rennok erano state chiare: Sol sarebbe partita la mattina dopo, per ultimare i preparativi necessari per rendere abitabile la casa che lui aveva provveduto a far ricostruire su Palaven, al posto di quella che era andata distrutta durante uno dei tanti attacchi che i Razziatori avevano compiuto sul pianeta.
Nel giro di poche settimane il capitano Vakarian sarebbe tornato sul suo pianeta natale, ad occupare un posto di prestigio dietro una scrivania di un distaccamento locale dell'SSC, in segno di riconoscimento per il lavoro svolto lontano da casa.
Solana avrebbe invece preso servizio come infermiera specializzata in neonatologia nell'ospedale di quella stessa città.
Padre e figlia sarebbero andati ad abitare nella stessa casa, così come avevano sempre fatto nei tempi passati.

The Thieving Magpie (Abridged)


- Se vuoi provare a far cambiare idea a tuo nonno, puoi chiamarlo - suggerì Garrus fissando con interesse Halia - così almeno proveremmo il comunicatore.
- No - rispose la bambina, impaurita all'idea - Lui dice cose una votta sola - spiegò con convinzione.
- Allora dovrei chiamarlo io e parlargli della pistola - osservò Sol ridacchiando - partirei più tranquilla sapendo che a mia nipote non verrà più la tentazione di...
- Nooo - la interruppe Halia con spavento - Zia, no - la pregò, cercando di trascinarla via da quella stanza, nell'angolo della quale il comunicatore sembrava fissarla minacciosamente, e lei immaginava che la faccia arrabbiata del nonno potesse comparire all'improvviso.
- Forza, allora. Prometti che non lo farai mai più.
- Va bene - annuì la bimba con un'aria talmente seria e convinta che suo padre non riuscì a trattenere un sorriso.
Poi, mentre Solana incitava la nipote - Mettiti a letto; ti leggerò un'ultima storia - e la rassicurava - Ma non credere che non mi rivedrai più, signorina: verrò a trovarti presto, te lo prometto - Garrus si girò a guardare sua moglie - Mi aspetto che nostra figlia mantenga davvero le promesse.
- Visti i genitori, sarebbe impossibile non fosse così - commentò Trinity sorridendo.

- Stasera è il tuo turno di raccontare: non so nulla di quanto è accaduto dopo che IDA mi ha infilato in una capsula di salvataggio. O almeno immagino sia stata lei... - disse Garrus impedendo alla moglie di sparecchiare la tavola.
- Sarà una storia terribilmente lunga e noiosa - ribatté lei per provocarlo.
- Avremo tempo fino a quando Halia non si sveglierà per fare colazione.
- Vuoi dire che nemmeno stasera si va a dormire ad un orario decente?
- Non mi sembra di aver usato il verbo dormire... devo ancora riavere il mio visore - le rispose fissandola con aria maliziosa, per una volta interessato solo a riuscire a far nascere un piccolo sorriso e non al visore in sé o ad un altro figlio. In realtà, oltre al racconto in sé, era interessato a capire sua moglie: quanto le mancasse la Normandy e quanto forte fosse il suo desiderio di tornare fra i cieli.

Ravvivò il fuoco aggiungendo un altro paio di grossi ceppi e qualche pigna, in modo che l'aria profumasse di resina, versò un bicchiere di Kyril per entrambi e si sedette su una poltrona di fronte alla moglie, rimanendo appositamente a distanza, per poter studiarne meglio le espressioni del viso.
Pur cominciando dal momento in cui la capsula di salvataggio aveva attraccato alla Normandy, Trinity non si soffermò a lungo sui tanti giorni trascorsi sul ponte, nel disperato tentativo di rintracciare il più piccolo indizio che smentisse la morte di suo marito, sapendo che, a suo tempo, anche lui aveva provato sensazioni analoghe.
Il tono restò pacato e quasi privo di intonazione, così come Garrus sapeva che lei faceva ogni volta in cui la storia in sé era talmente penosa da non dover essere esacerbata ulteriormente. Tendeva a lasciar scorrere le parole, come fossero acqua che avvolge al suo interno piccoli ciottoli levigati, i cui bordi taglienti e irregolari erano stati smussati dal pigro defluire di una corrente costante. Eppure la voce le si spezzò quando arrivò a ricordare gli ultimi istanti di disperazione assoluta, dopo il ritrovamento della capsula vuota, prima di sapere di essere incinta.

- I fastidi della gravidanza si erano accentuati, probabilmente perché combattevo strenuamente contro il sonno e mangiavo solo quando venivo costretta: mi sono sentita talmente male da convincermi di aver riportato danni irreparabili a qualcuno dei miei impianti vitali. Ricordo che chiesi a Karin di lasciarmi morire: ero distrutta, più di quanto lo fossi stata in quel dannato letto di ospedale, dopo la battaglia contro i Razziatori - confessò, senza accorgersi che stava stringendo con forza eccessiva il visore contro il palmo.
Garrus si alzò dalla poltrona, le prese la mano e gliela baciò fino a quando lei dischiuse le dita.
- Durante i giorni successivi, via via che trovavo la forza e la ragione per continuare a vivere, Jeff mi ha aiutato facendomi il regalo più prezioso che gli fosse possibile - riprese a dire dopo qualche momento di silenzio, mentre un sorriso le illuminava gli occhi - Mi ha insegnato a pilotare - spiegò, mentre le sue iridi verdi volavano improvvisamente al di là dei vetri della grande finestra della sala da pranzo.
- Non che io non avessi idea di dove mettere le mani, ma mi ha insegnato i cosiddetti trucchi del mestiere: mi ha spiegato come ottenere il massimo da uno scafo con un tocco gentile e delicato, assicurandomi che la Tonbay non differiva sostanzialmente dalla Normandy in quanto a maneggevolezza e che se avessi imparato bene ogni tipo di manovra sulla nave quarian sarei stata in grado di ripeterla sulla mia.
- E' stato un maestro esigente e spesso così brusco da rasentare l'insulto, ma ho sempre capito quanto gli costasse vedere “maltrattato” quello splendido scafo. Mi ha aiutato proprio perché non si è lasciato commuovere dal mio stato; mi ha sempre imposto di restare concentrata su quello che stavo facendo e quando intuiva che non ce la facevo, mi cacciava fuori della cabina di pilotaggio, rifiutandosi di continuare la lezione - concluse, tornando finalmente a guardare in viso Garrus, che non si era mosso dalla sua posizione sul pavimento.

Solo quando la vide cambiare discorso il turian si alzò per andare a prendere un altro po' di vino per entrambi, sempre attento al tono delle sue frasi, oltre che alla sostanza.
- Ma ovviamente è stato il pensiero di nostra figlia che mi ha dato la forza di andare avanti - la sentì aggiungere mentre gli sfiorava le dita con la scusa di prendere il suo bicchiere - Era tutto quello che mi rimaneva di te - confessò con un sorriso triste.
- E credo che Halia abbia aiutato tutti noi, non soltanto me. Adesso so che tuo padre era rimasto sconvolto dalla tua presunta morte, ma questo l'ho capito solo dopo molti mesi, quando ho imparato a conoscerlo meglio.
- E quanto a tua sorella - aggiunse ridacchiando, mentre Sol passava loro accanto per dirigersi verso la cucina, dopo aver fatto addormentare Halia - ha reazioni diverse da tuo padre, ma era chiaramente fuori di sé dalla pena. Dovresti chiederle del nostro primo incontro nella casa di Anderson: una squadra di krogan drogati non avrebbe potuto creare uno scompiglio maggiore - concluse ridendo apertamente.
Nel sentire quella frase Sol si bloccò di colpo, il suo collo assunse una vivace tonalità blu, e cercò inutilmente di sottrarsi all'abbraccio affettuoso di Garrus, che si era alzato di colpo dal pavimento per acchiapparla al volo, serrandola forte fra le braccia - La mia dolce folle sorellina, che non cambierà mai.
- Per fortuna - aggiunse Shepard, avvicinandosi a sua volta alla turian e schioccandole un grosso bacio sonoro sulla guancia.
- Voi due insieme siete veramente pestiferi - mormorò lei ridendo - Adesso capisco come mai Halia è venuta fuori così - aggiunse, restituendo un veloce abbraccio a Garrus, prima di divincolarsi per andare in cucina a prendere una bottiglia d'acqua e scomparire poi su per le scale dopo un malizioso - Vi lascio soli: dovete rifarvi del tempo perduto.

- Voglio farti vedere una cosa - disse Trinity a quel punto, prendendo la mano destra del turian nella sua sinistra e cominciando a salire le scale. Lui rise e si lasciò trascinare, pensando a quanto si somigliassero mamma e figlia, con quella loro abitudine di tirarselo appresso. Era gradevole la sensazione che provava nell’affidarsi a quelle mani dolcemente prepotenti.
La seguì fino a quando si arrestò davanti alla seconda porta sulla destra del ballatoio alla fine delle scale, la vide aprirla e rimanere sulla soglia invitandolo ad entrare.
Garrus si ritrovò in una piccola stanza da letto, quasi completamente spoglia. Nel debole chiarore lunare che entrava dalla finestra notò come ci fosse un unico soprammobile, appoggiato sul comodino: si trattava di una cornice che racchiudeva la foto in cui lui allacciava la catenina al collo di Shepard.
Tutte le pareti erano rigorosamente spoglie, tranne per un piccolo armadio e una teca attaccata al muro di sinistra, di fronte al letto. Dentro c’era un fucile precisione che Garrus riconobbe subito, non appena si avvicinò.
Rimase a guardarlo per qualche secondo prima di commentare - Mi sono sempre chiesto che fine avesse fatto. Come mai è in questa stanza?
- E’ quella che usa tuo padre quando viene a trovarci - rispose Trinity, entrando a sua volta nella camera.
- Dovevo capirlo: la dimora di un eremita sarebbe più arredata - osservò Garrus - ma è strano trovare segni della sua presenza qui, in una casa terrestre.
- Rennok è venuto qui ogni volta in cui ha avuto abbastanza tempo per fare il viaggio e fermarsi almeno una mezza giornata. La Cittadella non è molto distante; la parte più lunga del tragitto è fra lo spazioporto e questa casa sperduta. Oltre che nei fine settimana, ha sempre passato qui tutti i periodi di ferie.
- Mi è difficile immaginare mio padre che si prende un periodo di ferie: credo non l'avesse più fatto dalla morte di mia madre... oltre vent'anni fa(1).
- Tu non sai molto di tuo padre e di certo non lo capisci - lo criticò apertamente Trinity, sollevando le spalle in segno di resa - Ma potresti almeno provarci, magari in un attimo di distrazione.
- Preferirei se la smettessi di parlarmi come fa Sol - fu la pronta replica.
“Testone sei e testone rimani...” pensò lei, sapendo che non sarebbe servito a nulla fare quel commento ad alta voce.

Rimase in silenzio, mentre lo guardava aprire con attenzione la teca e accarezzare il suo vecchio fucile e poi stringerlo fra le mani. Lo vide sfiorarne il calcio e la canna con un sorriso e subito assumere un'espressione seria e corrucciata, mentre ci faceva scorrere le dita sopra.
- Ma cosa diavolo... - esclamò con aria perplessa; si avvicinò all’interruttore sulla parete e la luce inondò la stanza.
- Spiriti, Shepard! Ma è questo il modo di tenere un fucile? - la accusò in tono risentito e indignato - E’ in condizioni disastrose - protestò ancora - Mi meraviglio di te e di mio padre!
- Neppure lui è mai riuscito a trovare il coraggio di pulirlo - confessò Trinity avvicinando la testa alla spalla di Garrus - Conosciamo ogni dettaglio di questo dannato fucile e potremmo indicarti ogni punto in cui è rimasta una tua impronta nel sangue che lo ricopre - continuò.
- Cosa vuoi farmi capire?
- Che l’amore di un padre può essere così grande da sovvertire abitudini imprescindibili. Che si tratti di rinunciare alla pulizia di un fucile sudicio o di accogliere con affetto sincero una nuora umana e pure Spettro non credo abbia troppa importanza - osservò Trinity prima di girarsi e aspettare Garrus fuori della porta.
- Le parole di tuo padre nel ricevere dalle mie mani questo fucile sono state: Non lo pulirò neppure io. Se Garrus dovesse tornare ci penserà lui stesso, prima di passare alla calibratura. Mi piacerebbe molto se un giorno o l’altro riuscissi a capire quanto bene ti vuole, ma ne dubito. Siete due testoni - concluse scuotendo la testa con rassegnazione.
Poi riprese la sua storia e finì di narrare il primo incontro fra lei e suo suocero.

°°°°°

- Voglio sapere di Halia - fu la frase che Trinity non si aspettava di sentire, mentre si rannicchiava al fianco di Garrus per prendere sonno, una volta che, finito il racconto su Rennok, aveva indossato il pigiama e si era infilata sotto il piumone(2).
- Cosa vuoi sapere?
- Tutto!
- Spiriti, Garr! Mi ci sono voluti otto mesi di gestazione e adesso ha quasi tre anni. Tutto è davvero troppo!
- Otto mesi? Come otto? Le turian partoriscono dopo sei mesi.
- Lo so, per quello non diventano dei Volus.
- Volus... cioè?
- Sai, quegli esseri che... csss... si aggirano per la Cittadella per… csss... loschi affari... csss
- Spiriti, quanto puoi diventare scema!
- E' stato tuo padre a dirmi che assomigliavo a un Volus. E' stata una delle poche volte in cui l'ho visto ridere.
- Ridere? Mio padre? Ti sarai sbagliata...

Trinity sbuffò, si tirò su dal materasso, allungò una mano verso il cassetto del comodino dal suo lato e passò al marito un datapad.
Nelle immagini registrate, probabilmente da Solana, perché la risata della sorella arrivava netta e chiara, c'era una Trinity quasi sferica che fissava il mondo davanti a sé con aria di sfida, con le mani appoggiate sui fianchi e un'espressione orgogliosa in viso, mentre suo padre, alla destra dell'inquadratura, rideva di gusto. Non stava sorridendo soltanto, né aveva sul viso quel sorriso ironico che Garrus odiava: stava ridendo davvero e lui si rese conto che i suoi ultimi ricordi di una scena simile risalivano a quando era bambino e sua madre non era ancora malata.
La risata di Rennok si era spenta il giorno in cui la moglie aveva ricevuto la notizia di essere affetta dalla sindrome di Corpalis e ci erano voluti più di vent'anni perché tornasse.
“Spiriti!” pensò, rendendosi conto per la prima volta di quanto amore avesse unito i suoi genitori e di quanto dolore dovesse aver provato suo padre per tutti quegli anni. Era allora che era cambiato, diventando la persona burbera e apparentemente distaccata verso la quale lui aveva provato rabbia e rancore.
Il padre affettuoso, e sempre pronto ad accoglierlo in un abbraccio, si era trasformato in un essere estraneo, spigoloso, duro come quelle sue ossa metalliche.
Continuò a far scorrere le immagini sul datapad, senza neppure accorgersi che sua moglie lo fissava attentamente, con un sorriso gonfio di soddisfazione, felice di aver trovato, per puro caso, la chiave per avvicinare quei due turian che un tempo erano stati tanto uniti ed affiatati.
Garrus si perse nella visione di quel raro momento di gioia di Rennok, fermando più volte le immagini e fissando quel volto che appariva nello stesso tempo familiare ed estraneo, con i lineamenti alterati da una risata estinta che lui aveva dimenticato.
Adesso finalmente capiva che la durezza e l'apparente mancanza di qualsiasi sentimento erano stati l'unica strada che suo padre aveva potuto permettersi per andare avanti, senza farsi travolgere dal dolore per la perdita di Halia.

Restituì il datapad a Trinity in silenzio, ma presto chiese con aria divertita - Sei ingrassata più di così?
- No. Karin aveva già deciso che avrei subito il cesareo due giorni dopo, anche se in realtà le gravidanze umane durano nove mesi circa. Credo che lei e il dottore turian che conosci anche tu fossero molto più preoccupati di quanto abbiano mai voluto ammettere.
- Sei stata male?
- No, ma appena mi sono risvegliata dall'anestesia ho avuto il terrore che qualcosa fosse andato storto. Ho guardato inutilmente intorno a me alla ricerca della bambina e ho cercato di scendere dal letto, scansando un paio di mani che stavano cercando di trattenermi a forza.
- Va tutto bene. Stai tranquilla, mi ha rassicurato una voce e io mi sono bloccata di colpo: ho pensato che fossi tornato...
- C'è mancato poco che baciassi tuo padre sulla bocca! - esclamò Trinity senza riuscire a rimanere seria, mentre Garrus spalancava gli occhi per la sorpresa - ma lui si è tirato istintivamente indietro. Poi, quando ho capito chi avevo davanti, sono scoppiata a piangere e non sono riuscita a smettere per un tempo che mi sembrò infinito.

- E papà?
- Pensavo fosse imbarazzato; io lo ero di certo. Invece mi strinse leggermente fra le braccia e continuò a ripetermi che Halia stava bene e che presto me la avrebbero portata in camera. L'ho vista, mi disse, a parte i capelli rossi sembra una piccola turian; ha gli occhi di Garrus. Quando mi confessò che avrebbe desiderato che smettessi di piangere perché non sapeva bene cosa fare, mi sono ricordata di quando anche tu mi dicesti una cosa del genere. Ricordi?
- Certo che ricordo. Gli hai parlato anche del fazzoletto?
- Avevo ben altro per la testa a dire il vero: nonostante le rassicurazioni di tuo padre ero preoccupata e mi sono voluta alzare, tirando via tutti i dannati tubicini che mi avevano inserito dappertutto. Rennok voleva portarmi in braccio, ma gli ho permesso solo di accompagnarmi, anche se alla fine mi sono dovuta appoggiare a lui perché non ce la facevo a raggiungere la nursery con le mie sole forze.
- Appena sono arrivata lì, sono entrata gridando Mia figlia è levo, non destro! spaventando tutte le infermiere del reparto. Ma mi ero preoccupata inutilmente: Karin era lì ed è intervenuta subito, facendomi sdraiare a forza su una lettiga e ordinando a un'infermiera di riportarmi in stanza. Ricordo benissimo la sua voce irritata che mi sibilò a pochi centimetri di distanza Lo so benissimo, dannazione. Fila in camera e restaci! Non avvelenerò tua figlia, ma se non stai quieta ti somministro una dose di sedativo capace di sdraiare un cavallo imbizzarrito.
- Spiriti! Ma ti capisco: se l'avessero scambiata per una turian le avrebbero somministrato una di quelle nostre pappette a base di destro aminoacidi. I vostri neonati invece cosa mangiano?
- Beh, il latte.
- Il latte?... il latte di cosa?
Trinity lo fissò con aria prima incerta e poi decisamente sorpresa, infine si girò sul letto a pancia sotto, affondando la testa nel cuscino. Non riuscì a calmarsi fino a quando lui non la prese fra le braccia, cercando di asciugarle le lacrime inarrestabili mentre le confessava - Se smettessi di ridere e mi spiegassi, mi sentirei meno stupido...

°°°°°

Quando Shepard si svegliò il giorno dopo vide un datapad appoggiato sul comodino al suo fianco.

Buongiorno moglie,
sempre che non sia già sera (ma quanto dormono le umane?).
Sono andato con Halia ad accompagnare Sol sulla Cittadella, per farle prendere la nave diretta su Palaven. Prenditi una giornata di vacanza, torneremo nel tardo pomeriggio.
Avrai una sorpresa per l'ora di cena, ma non preoccuparti di cucinare nulla: mi occupo io di tutto,
Garrus


Memory


Si rigirò pigramente nel letto sentendosi di ottimo umore. Era una sensazione terribilmente piacevole potersi stiracchiare sotto il piumone sapendo di avere qualche ora di tranquillità tutta per sé.
Era appena mezzogiorno ed il sole che inondava la stanza rivelava che la giornata era splendida. Decise di fare la doccia, poi scese in cucina a piedi nudi, ancora avvolta dall’accappatoio e con un asciugamano annodato a foggia di turbante, per farsi il caffè.
Fissò la Normandy di neve che si intravedeva al di là dei vetri della finestra, rilucente sotto i raggi del sole, e immediatamente avvertì quel senso di perdita che talvolta la accoltellava a tradimento, facendola sentire in colpa.
Mise giù la tazza con rabbia e salì al piano di sopra per asciugarsi i capelli. Ma i gesti necessari per portare a termine quell'operazione erano troppo noti per poterla distrarre e ci mise pochi secondi a rendersi conto che i suoi pensieri erano volati a sognare i cieli della galassia. Eppure lo sapeva perfettamente: tornare al comando di una nave spaziale era un sogno impossibile; la scelta più logica consisteva nell'aspettare che Halia crescesse, eppure il richiamo delle stelle era così intenso da risultare doloroso.
“Davvero credi che riuscirai a tornare a volare in un futuro ancora tanto lontano?” si chiese, prima di capire che era esattamente quella la domanda da non farsi, a meno di voler farsi sommergere dalla nostalgia. Non poteva essere certa del futuro.

Le mancavano le sensazioni forti della sua vecchia vita. Erano anni che il suolo la ancorava a sé, insensibile alla sua sete di libertà e di spazi infiniti, dove le possibilità non avevano confini, dove misteri oscuri e incomprensibili attendevano solo di essere svelati.
“Non è giusto che io formuli questi pensieri” si rimproverò, sentendosi in colpa “Ho una bambina che mi ha fatto capire quanto intenso possa essere l’affetto di una madre e ho appena ritrovato Garrus”.
“Eppure... i miei desideri volano a uno scafo agile e snello e non riesco a trattenerli qui” ammise, scaraventando la spazzola nel cassetto del mobile del bagno e chiudendolo poi con un pugno.

- Kaidan? - chiamò al comunicatore - Ti disturbo?
- Cosa c’è, Shepard?
- Volevo solo sapere come vanno le cose lì. Siete pronti a partire?
- Va tutto bene. Ho parlato con IDA e con Joker, come mi avevi suggerito, e adesso credo di essere più tranquillo - le rispose il comandante della Normandy che, dopo una breve pausa, le chiese - Mi dici perché hai chiamato? C'è qualcosa che ti turba? Qualcos'altro che dovrei sapere?
- No, nulla: volevo solo provare il comunicatore - mentì, odiandosi per essersi lasciata andare ai rimpianti e per averlo fatto preoccupare.
- Beh, come vedi funziona - le rispose sorridendo.
Poi tornò serio e aggiunse - Non c'è bisogno che ti dica quanto mi piacerebbe avere te e Garrus a bordo. Fra l'altro questa è sempre la tua nave, non la mia - concluse con uno sguardo complice, prima di chiudere la comunicazione, lasciandola stupita a chiedersi se anche quell’uomo avesse imparato a leggerle l’animo.

Accolse con gioia il rientro pomeridiano della sua famiglia, lasciandosi investire da una Halia saltellante, ancora eccitata per la visita al museo delle navi spaziali, e stringendo Garrus in un abbraccio espansivo, dopo averlo liberato delle tante provviste che aveva acquistato in alcuni negozi di generi alimentari di lusso. Sperò che nessuna delle emozioni provate fino al loro ritorno trasparisse dal suo viso, ma sapeva che suo marito non si sarebbe lasciato ingannare. Lo vide fissarla attentamente quando pensava di non essere visto e il suo senso di colpa ingigantì.
“Cosa penserei io al tuo posto, leggendomi in viso questa voglia di fuga?” si domandò più volte in quel lungo pomeriggio, fino a quando scese la sera e anche i suoi pensieri volarono altrove, distratta da sua figlia che obbligò entrambi i genitori a montare per lei un modellino di Cittadella, quello in cui le braccia si aprivano e si chiudevano, che aveva voluto acquistare a tutti i costi nel negozio del museo.

Erano Liara e Javik la sorpresa preannunciatale nel messaggio di Garrus, scoprì Shepard quando andò ad aprire la porta di ingresso, poco prima dell’ora di cena.
Abbracciò entrambi con vera gioia, ma rimase stupita dalla visita.
- La partenza è stata rimandata? - chiese alla sua amica, quando si ritrovarono sole in cucina, a sistemare nei piatti di portata le varie prelibatezze che Garrus aveva acquistato.
- Kaidan ci passa a prendere domani - rispose la asari, sorpresa dalla domanda - pensavo lo sapessi. Tuo marito ci ha invitato a cena e a trascorrere qui la notte.
“Cos’altro avrà escogitato il turian questa volta?” si domandò Trinity, sentendosi confusa.

La cena passò tranquillamente, soprattutto dopo che Trinity ebbe la brillante idea di chiedere a Liara di mettere Glifo a disposizione di Halia. Da quel momento in poi la bambina si interessò completamente a quel nuovo compagno e lo confiscò, portandoselo nella stanza dei giochi e lasciando gli adulti liberi di chiacchierare, senza infilarsi prepotentemente in ogni discorso con la richiesta di continue spiegazioni.
- Quale delle vostre due razze ha piccoli così invadenti e chiacchieroni? - chiese Javik che se ne uscì con un rumoroso sospiro di sollievo non appena la bambina lasciò la stanza.
- Non so nei turian, ma negli umani si chiama fase dei perché - spiegò Trinity ridendo.
- Beh, il motivo è chiaro: ha reiterato quella parola fino a consumarne il significato - rispose il prothean, indifferente alle occhiatacce di Liara.
- Colpa tua: non le rispondevi in modo soddisfacente - replicò Garrus, chiaramente divertito dall'insofferenza di Javik, sapendo che quei perché erano uno dei modi in cui Halia richiedeva l'attenzione di chi le stava attorno e che era sufficiente rispondere in modo semplice, tenendo conto delle sue capacità limitate. Per tutta la serata, invece, il prothean si era ostinato a rispondere in maniera scientifica e rigorosa, senza riuscire a farsi comprendere da una bambina di neppure tre anni, che infatti non l'aveva mai lasciato concludere un solo discorso, interrompendolo ogni volta con un nuovo - Perché?

Una volta che Garrus riuscì a convincere la figlia a mettersi a dormire, tornò nel salone proprio mentre Trinity stava chiedendo a Liara - Credi che il Consiglio abbia il sospetto che il portale intergalattico possa trovarsi nei sistemi Terminus?
- Non lo so, Shepard, anche Javik mi ha fatto questa stessa domanda. In effetti hanno insistito non poco per farmi partecipare a questa spedizione: avevamo altri progetti.
- Quali?
- Volevamo cercare un appartamento su Thessia - confessò la asari abbassando lo sguardo verso il pavimento, ma non abbastanza velocemente da nascondere come il colorito del suo viso fosse cangiato in un vivace violetto.
- Beh, fra le coppie nate a bordo della Normandy, quasi tutte piuttosto strane, a essere sincera, solo voi due dovevate ancora rendere ufficiale la cosa - ridacchiò Trinity - Tali e Kal hanno già avuto il secondo figlio e ho idea che non aspetteranno molto per aumentare ancora la dimensione della famiglia.
- E cosa sai di Jack e James?
- Poco, in realtà.
- Non riesco a capire come facciano a stare ancora insieme. Non si somigliano affatto - osservò Javik.
“Già, perché invece tu e Liara...” pensò Trinity, evitando però di farglielo notare e limitandosi a rispondere - So solo che James è stato promosso a maggiore. Appena finito il periodo di addestramento N7 è passato a salutarmi, confessandomi che stava partendo alla volta di una stazione spaziale, sede di un distaccamento dell'accademia Grissom. Non ha voluto aggiungere altro, si è tenuto sul vago. Secondo me ha qualche progetto, ma sbilanciarsi troppo, prima di vedere come lo accoglierà Jack, sarebbe stato un bell'azzardo.

- E se ora tornassimo a parlare dei Divoratori di stelle? - chiese Garrus, poco interessato alle chiacchiere sulla vita sentimentale dei suoi vecchi compagni - Sapete cosa pensa di fare Kaidan se troverete davvero questo portale intergalattico?
- Non ne abbiamo ancora parlato - rispose Liara - ma avremo parecchio tempo per discutere. Per ora mi limito a immaginare che non proveremo a oltrepassarlo - ridacchiò, apparentemente divertita dal sobbalzo di Trinity e dalla sua espressione spaventata.
- Scherzavo! - aggiunse - Immagino che tu rivoglia indietro la tua nave. Suppongo che ci limiteremo a osservarlo da lontano; molto da lontano, almeno all'inizio.
- Ricordando quel che è accaduto nelle nostre battaglie contro i Divoratori, anche il semplice tentativo di distruggere un portale, probabilmente di dimensioni considerevoli, potrebbe avere delle conseguenze che non riusciamo neppure a immaginare - osservò Trinity fissando Liara con aria decisamente preoccupata.
- Sei tu la demolitrice di portali - osservò Garrus - Non ce lo vedo Kaidan a prendere una decisione del genere - continuò, nel tentativo di rassicurarla - Non senza aver prima consultato il Consiglio e l'Alleanza.
- Non ci proveremo di certo - la tranquillizzò anche Liara - Non stiamo partendo per una missione suicida. Lo cercheremo soltanto. Una volta trovato, ammesso che riusciremo mai a trovarlo, cercheremo di procurarci tutte le informazioni utili, torneremo a fare rapporto sulla Cittadella e attenderemo che ci dicano cosa fare.

- Grazie, Garr - sussurrò Shepard, dopo aver accompagnato Liara e Javik nella stanza degli ospiti al piano di sopra. Appoggiò le mani sulle spalle del turian che si trovava seduto al tavolo della sala da pranzo e che stava pulendo il suo vecchio fucile di precisione con uno straccio imbevuto di sostanze detergenti e lubrificanti.
- Non ho fatto nulla: ho solo invitato Liara - rispose prontamente lui - Immaginavo che scalpitasse dal desiderio di raccontarti di persona tutta l’intera storia. E anche io volevo capire meglio che tipo di missione si troveranno ad affrontare: il resoconto di Kaidan mi aveva impensierito.
Poi lasciò perdere l’arma e si alzò dalla sedia. Abbracciò Trinity e la spinse gentilmente davanti ad una delle grandi finestre di quella stanza, in modo che entrambi fissassero il limpido cielo stellato.

The Way we Were


- Ascoltami attentamente - le disse mettendosi dietro di lei e passandole le braccia attorno alla vita - Sono d’accordo con Kaidan: passerà qui con la Normandy per imbarcare Liara e Javik - le confessò, avvertendo il sussulto improvviso che il corpo di sua moglie aveva avuto nel sentire il nome della sua nave - Voglio che tu sappia che possiamo salire a bordo e tornare alla nostra vecchia vita di un tempo - le sussurrò fra i capelli, sentendo che lei si irrigidiva di colpo.
- No che non possiamo! - la sentì protestare rabbiosamente.
- Non interrompermi - aggiunse, impedendole di allontanarsi, mentre la consapevolezza degli anni che sua moglie aveva trascorso ancorata al suolo, su una stazione spaziale o su un pianeta, diventava più nitida nella sua mente e Garrus capiva che inevitabilmente i pensieri del comandante della Normandy avrebbero continuato a volare a quello scafo, così vicino eppure terribilmente lontano.
- So quanto ti addolora veder partire la tua nave senza di te, ma possiamo portare Halia con noi: non sarebbe la prima bambina a crescere nello spazio - le propose.
“Neppure i Quarian portano più i figli nello spazio da quando hanno riavuto il loro pianeta natale” si trovò a riflettere Trinity, ma fu la visione di Halia che si infilava dappertutto toccando ogni comando a portata di mano e facendo impazzire l’equipaggio, rimbambendolo con le mille domande che le sarebbero venute alla mente, che le fece trovare l'unica risposta possibile. - No, non è proponibile, non su una fregata dell’Alleanza - osservò recisamente - Non con una missione che coinvolga i Divoratori di stelle: sappiamo entrambi quanto possa essere pericoloso - concluse provando a scostarsi da Garrus, senza riuscire a districare il nodo delle sue dita che la trattenevano davanti alla finestra.
- Lasciami - gli intimò con irritazione - Non voglio più pensare a questa storia, “fa troppo male” aggiunse solo per se stessa.

- C'è un'altra possibilità, comandante - continuò Garrus, ben deciso ad affrontare la situazione e a costringere sua moglie a prendere coscienza di quello che davvero desiderava.
- Potremmo fare scalo su Palaven e lasciare Halia a Sol e papà: se ne occuperebbero con gioia - le propose questa volta - Non conosco bene i vostri usi, ma nei turian è frequente il caso di bambini cresciuti dai nonni. Sono molti i genitori che affidano loro i propri figli se devono rimanere fuori casa per lunghi periodi o se devono soggiornare in zone pericolose. Non ci sarebbe nulla di male e neppure mio padre troverebbe qualcosa da ridire.
Sentì il tremito che percorse il corpo di sua moglie, che questa volta restò in silenzio, e capì che neppure lei sapeva cosa desiderasse veramente.
Le liberò la vita e si allontanò dalla finestra, soddisfatto per averle detto tutto quello che desiderava: l'aveva rassicurata che sarebbe rimasto con lei, in ogni caso, senza mai farle pesare la sua scelta, qualunque fosse stata. Nessuno dei due avrebbe potuto lasciar partire l'altro da solo, a rischiare la vita senza trovarsi al suo fianco: quella era la loro tacita promessa reciproca, quella che non sarebbe mai stata infranta dopo tutto quello che avevano passato.
Adesso le doveva solo dare il tempo di decidere il loro futuro. La guardò un'ultima volta e poi riprese in mano lo straccio ed il fucile, tornando a sedersi sulla sedia di fronte alla tavola da pranzo.

Trinity restò ancora a lungo a fissare le stelle, riflettendo sul fatto che lei non aveva mai avuto una famiglia, per motivi che non avrebbe mai conosciuto: forse sua madre l'aveva abbandonata appena nata o forse era morta. Era cresciuta orfana di affetti e non le sembrava accettabile trascurare sua figlia, ma su Palaven avrebbe avuto le migliori cure e tutto l'affetto possibile.
Rimase immobile a fissare le stelle sentendosi confusa, improvvisamente conscia che tutto dipendeva da lei: il suolo non la imprigionava più contro la sua volontà. Si sentiva finalmente libera di scegliere, e questa libertà inattesa la rendeva euforica, come se fosse ubriaca.
Le sembrò che i pochi passi necessari per arrivare vicino alla sedia su cui sedeva suo marito, intento a lustrare il fucile e apparentemente dimentico della sua presenza, li avesse fatti su uno strato di nuvole soffici e quella sensazione durò fino a quando lui alzò il viso e la sua voce bassa e rauca proferì in tono pacato - Non rispondermi ora. Pensaci. Hai tempo fino a domani mattina.
Poi Garrus tornò a chinare il capo per tornare a occuparsi del fucile, mentre lei sorrideva sentendosi stupidamente felice.
Continuò a sorridere anche mentre cominciava a salire la scala per andare al piano di sopra, ma arrivata a metà rampa si fermò e chiese a voce alta - Vuoi rimanere qui o vieni su con me?
- Pensavo preferissi stare sola.
- Tu non disturbi mai i miei pensieri – rispose, aspettando che la raggiungesse sulle scale.

°°°°°

Per una volta Shepard si era addormentata rannicchiandosi contro di lui sul fianco opposto a quello usuale. Dopo aver fatto l’amore, gli aveva appoggiato le labbra alla base del collo, e aveva piegato le braccia appoggiando gli avambracci e i palmi delle mani sulle placche lisce del suo petto.
Garrus si allontanò leggermente a spiarle il volto, che nel sonno era quieto e rilassato. Si era addormentata subito, come se non avesse più alcun tarlo a roderle la mente, ma lui non sapeva se davvero avesse deciso.
“Non so cosa sceglierai, Trinity, e non so cosa sento adesso; non ci voglio pensare” si confessò, vagamente smarrito “ma so di aver fatto la cosa giusta” si rassicurò, chiudendo finalmente gli occhi e cercando di addormentarsi.

°°°°°

- Il comandante Shepard chiede di salire a bordo - annunciò IDA a Kaidan.
- Permesso accordato - fu la pronta risposta.
La Kodiak con a bordo Liara, Javik e Shepard si alzò dal suolo sollevando una gran quantità di neve che ricadde gioiosamente al suolo in una nuvola pigra e pesante, scintillante di bagliori di luce.
- Dove va mamma? - chiese Halia fissando rapita la navetta che si innalzava verso il cielo.
- A salutare la sua nave - rispose Garrus stringendo la mano di sua figlia.
- E quando tonna? - chiese ancora la bambina.
- Non lo so - le rispose in tono tranquillo, non potendo immaginare le sensazioni che sua moglie avrebbe provato nel mettere piede sulla sua nave: forse fra pochi minuti sarebbe tornata indietro con quella stessa navetta o forse l'avrebbe rimandata giù vuota, per invitarli a salire a bordo della sua Normandy. Sapeva solo che, nel momento in cui la navetta da sbarco si era sollevata dal suolo, neppure il comandante Shepard era certo della sua scelta.
- Non so cosa fare, Garr - gli aveva confessato poche ore prima, nel cuore della notte, rendendosi conto che lo aveva inavvertitamente svegliato, mentre cercava di alzarsi silenziosamente dal letto.
Era rimasta davanti alla finestra a piedi nudi, con un sorriso sulle labbra e lo sguardo fisso davanti a sé: attraverso i vetri, le stelle brillavano nitidamente nell'aria gelida di quella notte serena, ma l'effetto dell'atmosfera terrestre le faceva tremolare, quasi ammiccassero per richiamarla prepotentemente verso di loro.
E Garrus non aveva risposto: aveva fissato quella donna che fissava il cielo, soffusa da un'aura bluastra di cui non aveva coscienza, in tutto simile a una delle stelle che stava contemplando al di là dei vetri.



Note
(1) In realtà so che la morte della madre di Garrus è avvenuta molto più tardi di quanto ho narrato nel corso di un capitolo della mia storia precedente, ma continuo a restare fedele a quella mia scelta, che in fondo è solo una lieve modifica dei fatti narrati dalla Bioware in un codex.
(2) Il racconto di Trinity sulla gravidanza e sul parto è dedicato a Nico Blair, che ringrazio di cuore per il suggerimento.

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Capitolo 25
*** Una settimana particolare ***


UNA SETTIMANA PARTICOLARE


Life & Death Theme(1)




- Resta a letto, mi alzo io - bisbigliò Garrus, scostando le lenzuola dal suo lato.
Trinity lo vide avviarsi, uscire dalla stanza e socchiudere silenziosamente la porta: pochi secondi dopo i piagnucolii si attenuarono e infine si spensero. Si stiracchiò pigramente, restando ben avvoltolata fra le lenzuola, aspettando che lui tornasse.
Era l’alba e non aveva più sonno, ma desiderava oziare, assaporando quegli ultimi momenti di quiete, prima che la casa si destasse e la routine quotidiana si intrufolasse prepotentemente nel nuovo giorno.
Abbracciò il cuscino al suo fianco, senza riuscire a trovare traccia del profumo di suo marito, per cui si traslò da quella parte del letto, accontentandosi del rimasuglio di tepore che era rimasto imprigionato sotto le lenzuola.
Il neonato avrebbe dormito ancora a lungo dopo quel primo pasto e la bambina non si sarebbe alzata per almeno un’altra ora, rifletté, rimanendo in attesa che la porta della stanza si riaprisse.

Dalla finestra della stanza da letto della loro casa, non diversa dalle altre costruzioni tipiche di Cipritine, erano visibili entrambe le lune di Palaven, anche se la loro sagoma cominciava già a sbiadire contro il cielo che schiariva.
Durante le ore notturne, Menae e Nanus avevano preso il posto della Luna e della Cittadella e altre costellazioni avevano sostituito il Grande e il Piccolo Carro, Sirio e Orione, il bel gigante cacciatore. Di giorno, invece del Sole, era Trebia a illuminare e scaldare il suolo del pianeta, saturando l'atmosfera di radiazioni dannose per la sua pelle, a causa della debolezza del campo magnetico di Palaven. Ma, a prescindere da quelle banali differenze, si trovava ancora prigioniera della forza di attrazione di uno dei tanti pianeti della Via Lattea.
“Sono cinque anni che sono ancorata al superficie di uno stupido corpo celeste che orbita noiosamente attorno a una stella, eppure il loro scorrere quieto e pigro li fa sembrare molto più brevi del periodo di tempo che ho passato al comando della mia splendida nave” rifletté, stupita da quanto le apparisse diversa la lunghezza di quelle due fasi della sua vita, in realtà della stessa durata.

Ripensò ad appena un anno prima e alla decisione che aveva preso quel giorno, ebbra dalla felicità che aveva provato nel sentirsi finalmente libera da tutti i dubbi residui. Nell'istante in cui il portellone della Kodiak si era aperto per permetterle di tornare a calpestare il suolo terrestre, si era sentita sicura di sé, certa che non avrebbe rischiato di pentirsi e che non sarebbe annegata nei rimpianti, anche se era conscia che la nostalgia l'avrebbe assalita molto spesso, a sorpresa, con una violenza che, col tempo, sarebbe anche potuta ingigantire.
Si rivide correre, non appena scesa dalla navetta, incespicando nella neve troppo alta, in cui i suoi stivali continuavano ad affondare. Dopo il terzo ruzzolone, aveva tirato giù un bestemmione irripetibile, che non era arrivato alle orecchie di Garrus e Halia, immobili a fissarla in silenzio, a una cinquantina di metri di distanza, e aveva deciso che ne aveva abbastanza di tutta quella stramaledetta neve che si frapponeva fra lei e suo marito: era partita con una carica biotica, atterrandogli contro, in pieno petto.
L'aveva letteralmente sepolto nella neve, sotto gli occhi sgranati di Halia, che istintivamente si era rannicchiata contro lo steccato che circondava la baita, impaurita di finire travolta da quella sorta di bolide soffuso di luce azzurra.
- Spiriti! - era stata l'esclamazione soffocata che Garrus aveva farfugliato, cercando di riemergere da sotto lo spesso strato di neve e di spostare di lato il corpo di Trinity che gli gravava ancora addosso, mentre lei aveva invece approfittato di quell'occasione per far rotolare i loro corpi, tenendolo abbracciato e ridendo, fino a quando si erano trovati completamente imbiancati da capo a piedi, e perfino sotto i vestiti.

Si era rialzata per prima e gli aveva teso una mano che lui neppure aveva guardato, impegnato com'era a cercare, restando ancora seduto in mezzo alla neve, una traccia della Normandy nel cielo terso sopra di loro.
- E' andata - lo aveva rassicurato, immaginando che lui fosse molto più teso di quanto le aveva fatto capire.
- Va bene - si era limitato a commentare, ma fissandola in viso tanto a lungo che lei si era sentita a disagio per quell'esame così evidente e prolungato.
- Niente Normandy? - aveva chiesto Halia in tono petulante, chiaramente delusa di non essere salita a bordo di quella nave favolosa, di cui aveva tanto sentito parlare, ma che non aveva ancora mai potuto ammirare dal vero.
- Non oggi. Sono partiti per una missione importante e avevano fretta. Per visitarla per bene sarebbero servite troppe ore. La vedrai al ritorno - l'aveva confortata Trinity, prima di tirarle una palla di neve che aveva dato inizio ad una scatenata battaglia che aveva coinvolto tutti, fino a quando erano stramazzati al suolo, ridendo senza più fiato.

“E’ stata una frase dolce” ammise, ricordando ancora una volta la voce di suo marito: Voglio che tu sappia che possiamo salire a bordo e tornare alla nostra vecchia vita di un tempo l'aveva rassicurata, lasciandola libera di scegliere il loro futuro. Non sapeva se l'avesse pronunciata perché non aveva altra scelta o se avesse intuito che solo quella inaspettata libertà l'avrebbe in qualche modo fatta ragionare freddamente, finendo per spingerla a comportarsi in modo difforme da quello che era intimamente: un soldato. Se le avesse appena suggerito che, forse, il suo posto era su un pianeta, a occuparsi della bambina, lei sarebbe saltata all'istante a bordo della sua nave e lui l'avrebbe seguita.
Quel giorno lei aveva scelto, grata di poterlo fare in piena libertà: era quello di cui aveva un disperato bisogno per capire che, nonostante l'irresistibile richiamo della Normandy e la sua vera essenza, non si sarebbe mai perdonata di lasciare sua figlia, ed era rimasta incollata al suolo di uno stramaledetto pianeta.

“Il momento del decollo verso una nuova destinazione, la leggera vibrazione del ponte sotto i piedi, l’accelerazione potente dei motori e poi i cieli neri della galassia, i portali galattici e interi sistemi solari da esplorare... Mi mancherà sempre tutto questo, per quanto io possa essere felice, ma non potrei essere in un posto diverso da quello in cui mi trovo ora” si rassicurò. Aveva nostalgia degli spazi infiniti, almeno di tanto in tanto, ma non aveva rimpianti: se fosse potuta tornare indietro nel tempo, avrebbe fatto la stessa scelta di allora.
- Torneremo a volare - le aveva assicurato Garrus più di una volta, dopo quella sua decisione, e lei sperava disperatamente che, un giorno, quella sua previsione si sarebbe davvero avverata.
A essere freddamente realistica, sapeva però perfettamente che se la Normandy (o una qualsiasi delle altre navi spaziali inviate in perlustrazione nei vari sistemi della galassia) avesse rintracciato il portale intergalattico, sarebbe partita all'istante, ma non aveva mai affrontato questo discorso con suo marito e neppure lui vi aveva mai accennato, nonostante fosse certa che ci avesse pensato.
Senza bisogno di dirselo, sapevano entrambi che avrebbero affidato i figli a Rennok e a Sol, perché avevano un conto aperto con i Divoratori di stelle e perché il comandante Shepard non avrebbe mai potuto affidare in altre mani il destino della galassia.

Ma, fino a quel momento, il portale restava una chimera e la missione che la Normandy aveva iniziato un anno prima si era presto trasformata in una odissea noiosa e deludente, che aveva messo a dura prova la pazienza di tutto l'equipaggio.
Dopo l'euforia iniziale, dovuta ad una concentrazione davvero insolita di energia oscura nei sistemi Terminus, le rilevazioni effettuate avevano rivelato che i Divoratori di stelle stavano semplicemente spegnendo due sistemi stellari ravvicinati e Kaidan aveva dato l'ordine di abbandonare rapidamente la zona non appena si erano verificati alcuni incidenti che, pur senza mettere veramente a rischio la nave e l'equipaggio, avevano messo in allarme IDA.
Prima di far ritorno sulla Cittadella, il maggiore Alenko aveva approfittato della posizione che aveva raggiunto, ai confini della galassia, per effettuare delle rilevazioni accurate e sistematiche nelle vicinanze dei sistemi soggetti all'attacco dei Divoratori di stelle, ma non aveva rilevato nulla di anomalo; pertanto, a meno di novità inaspettate, avrebbe dato presto l'ordine di invertire la rotta.
Pur senza esprimere apertamente le sue intenzioni, probabilmente convinto che ogni loro trasmissione privata potesse essere intercettata dal Consiglio o dall'Alleanza, il maggiore Alenko le aveva fatto capire che aveva comunque il desiderio di incontrarla di persona, per chiederle consiglio su alcune funzionalità della IA della nave e lei era certa che, nonostante l'apparenza, quella missione nei sistemi Terminus avesse in realtà fornito informazioni degne di interesse, che però erano state raccolte da IDA e che Kaidan non avrebbe potuto riportare al Consiglio, se non venendo meno alla parola che le aveva dato e che lei sapeva che non avrebbe infranto.

Il ritorno del turian interruppe quel flusso di ricordi e pensieri. Shepard li ricacciò in un angolino, mentre gli acchiappava la mano, tirandolo verso di sé per invitarlo a infilarsi nuovamente sotto le coperte. Lui si chinò a darle un bacio lieve sulla fronte ridacchiando - Magari potessi, Shep... Ho appena il tempo di vestirmi.
- Uh, vero! - esclamò lei, tirandosi su dal letto di colpo - stimate e prestigiose autorità krogan e salarian arrivano oggi su Palaven, piene di speranza che il saggio Primarca riesca a evitare uno scontro fra le loro razze.
- Sfotti, eh? Almeno rivedrò un caro amico e forse addirittura due, se Wrex si è portato appresso il suo generale più fidato... Ma non so se sarà facile mettere d’accordo krogan e salarian: quel dannato pianeta fa gola a tutti - osservò Garrus finendo di vestirsi.
- Come sto? - le chiese poi, ruotando su se stesso in cerca di approvazione.
- Benissimo, ma temo che l’uniforme di gala ti proteggerà ben poco dagli assalti affettuosi dei nostri vecchi amici. Maledizione, quanto mi mancano - non poté fare a meno di aggiungere, rendendosi rapidamente conto che in realtà le mancavano le battaglie in loro compagnia.
- Torneremo a volare, Shep - la rassicurò ancora una volta suo marito.

Evitò di uscirsene con la domanda - Sì, va bene, però... quando cazzo sarà? - che ormai le veniva spontanea ogni volta in cui lo sentiva pronunciare quell'affermazione e lo accompagnò giù per le scale, fermandosi a guardarlo attraverso i vetri della finestra della cucina che affacciava sul vialetto di ingresso. Lo vide entrare nel veicolo di servizio che lo aspettava fuori e gli fece un breve gesto di saluto, mentre l’attendente metteva in moto il mezzo.
Poi si preparò una tazza di caffè, riflettendo sul fatto che erano passati solo pochi mesi da quella settimana particolare che aveva determinato il loro presente, rivoluzionando le loro vite, eppure i cambiamenti erano talmente marcati, da far pensare che dai tempi della baita in montagna fossero trascorsi interi decenni.
Adesso le giornate erano molto diverse da quelle che avevano vissuto in alta montagna, lontano dalla civiltà, sepolti sotto la neve per gran parte dell'anno.
Su Palaven faceva molto caldo e le radiazioni solari la obbligavano ad indossare una tuta protettiva ogni volta che usciva all’aperto, durante le ore diurne. Garrus lavorava molto tempo nel suo ufficio e diverse persone lo chiamavano al comunicatore di casa ad ogni ora del giorno e della notte.

Si versò altro caffè nella tazza e si accomodò su un piccolo divano per sorseggiarlo, ricordando la prima sera di quella settimana durante la quale si era impegnata strenuamente per convincere suo marito che era tempo di cambiare le loro vite.
Era stata una serata particolare: l'atmosfera risplendeva di luce perché le nuvole riflettevano il bagliore della neve, illuminata dalla luna che faceva capolino in un ampio squarcio nella coltre grigiastra del cielo, confondendo in un abbraccio morbido le sagome di ogni sporgenza del terreno. I larghi fiocchi che continuavano a scendere silenziosi apparivano scuri, fino a quando non toccavano il terreno, mischiandosi con quelli che li avevano preceduti.
Lei aveva riattizzato il camino dopo aver messo a letto Halia e si era sdraiata al fianco di suo marito sul divano, togliendogli dalle mani un giocattolo rotto, che lui stava cercando di riparare senza molto successo, e appoggiandogli la testa contro il petto.

Aveva ripensato al colloquio recente, fra Rennok e Garrus, che aveva ascoltato per caso pochi minuti prima di cena.
La comunicazione che suo suocero aveva fatto al figlio e a cui lui aveva reagito bruscamente e in malo modo, le aveva fatto inaspettatamente trovare una risposta valida agli interrogativi che si stava ponendo da qualche giorno e di cui non aveva ancora voluto parlare con nessuno. Doveva convincere Garrus a fare qualcosa che lui non desiderava affatto, ma sapeva che ci sarebbe riuscita.
- Come definiresti questi undici mesi passati sulla Terra? - aveva chiesto strofinando la nuca contro le braccia del turian.
- Freddi - aveva risposto Garrus prontamente, ridendo.
- E poi?
- Sereni - aveva aggiunto. Era restato in silenzio per qualche secondo, come se fosse disorientato - Suona male solo a me l’aggettivo che ho usato?
- Sereni, limpidi, rilassati. Insomma, un po’ noiosi - aveva commentato lei, scandendo bene le parole.
- Spiriti, Shep! Non potrei mai definire noiosi questi undici mesi! Non a confronto di quelli passati sullo stramaledetto mercantile... - aveva esclamato lui, un po’ risentito.

- Ti stavo provocando - aveva ridacchiato Trinity - Però... quanto altro tempo passerà prima che giocare con Halia, accompagnarmi a fare la spesa e spaccare legna per il camino diventi noioso?
- Facciamo anche altro - le aveva risposto, provando a sfilarle il maglione - e dubito che questo riuscirà mai ad annoiarmi - aveva aggiunto ridendo.
- Ho sentito tuo padre che ti raccontava come il Primarca di Palaven abbia deciso di spostarsi nell'ultima colonia che è stata finalmente rimessa in contatto con il resto della galassia, Taetrus, dato che la sua famiglia si trova lì - gli aveva confessato, riabbassandosi il maglione e salendogli a cavalcioni, premendo la fronte contro quella del turian e appoggiandogli le dita aperte ai due lati del collo.
- Suppongo che tu voglia arrivare alla sua comunicazione successiva: stai tranquilla, gli ho già risposto che non ho nessuna intenzione di accettare la nomina a Primarca di Palaven.
- Lo so: ho sentito. Ma penso che dovresti.
- Eh?
- Accetta di diventare Primarca e spostiamoci su Palaven.
- Non voglio fare il Primarca!
- Perché no?
- Perché non voglio passare i miei giorni a firmare degli inutili pezzi di carta e non voglio incontrare politici e diplomatici provenienti da ogni stramaledetto angolo di questa dannata galassia. Non sono fatto per questo - aveva risposto bruscamente, spostandola di lato ed alzandosi di colpo dal divano con aria seccata.
“Neppure io sono fatta per fare da mamma a una bambina. Io dovrei tenere fra le mani un dannato fucile, con indosso la mia armatura N7. Sono fatta per guidare un equipaggio dal ponte di comando della mia dannatissima nave, che invece è partita senza di me” aveva pensato Trinity con risentimento.

- Potresti smettere di reagire come una zitella isterica? - gli aveva chiesto poi, con palese irritazione.
- Spiriti, Shepard! Non vorrai ragionare sul serio di questa follia! Vorrei sapere perché ho aggiustato quello stramaledetto comunicatore.
- Perché era rotto...
- Uhm, sì. Il motivo sarebbe stato sufficiente - aveva ammesso lui, finendo con il mettersi a ridere.
- Torna qui, scemo di un turian, e stammi a sentire - aveva replicato.
Una volta che lui si era seduto nuovamente al suo fianco, aveva mentalmente ripassato tutti i dubbi che la tormentavano negli ultimi tempi, da quando si era resa conto che, nel giro di qualche mese, Halia avrebbe dovuto iniziare a frequentare una scuola, correndo quindi il rischio di venire additata da tutti come un raro esemplare da esposizione.
Sulla Terra, specie nel paesino vicino al quale si trovava la baita, vivevano solo umani e sulla Cittadella Halia sarebbe stata al centro dell'attenzione generale perché, se dall'aspetto fisico poteva facilmente passare per l'incrocio fra un turian e una quarian, una madre umana, che rispondeva al nome di Trinity Shepard, le avrebbe reso terribilmente complicata la vita.
Non sarebbe passato giorno senza che un giornalista da strapazzo la importunasse, magari nel bel mezzo della strada, per farla comparire in qualche servizio televisivo idiota, pro o contro alieni, o per strapparle informazioni, alla ricerca di chissà quali verità inconfessabili. Su Palaven sarebbe stato diverso.
- Quanti sono i giornalisti su Cipritine? - aveva chiesto a bruciapelo a Garrus con aria fintamente ingenua.
- Hai mai visto un giornalista turian? - le aveva risposto lui con aria stupita - Solo gli umani si divertono a ficcare il naso dappertutto e solo gli umani pagano qualcuno perché svolga un simile lavoro - aveva aggiunto con aria sprezzante.
- Noi non abbiamo giornalisti, abbiamo commissioni di inchiesta. E anche queste sono piuttosto rare: i turian hanno un forte senso del dovere e del servizio pubblico. Non antepongono i propri bisogni a quelli della comunità ma, anzi, tendono a sacrificarsi per essa, facendo quel che va fatto senza lamentarsi. In ogni caso c'è la milizia che vigila su eventuali comportamenti individuali che vadano contro gli interessi della società. I giornalisti non saprebbero neppure cosa scrivere e nessuno, su Palaven, si interesserebbe ai loro servizi.

- E come verrebbe accolto nella tua società l'unico esemplare di un cucciolo mezzo turian e mezzo umano? - gli aveva chiesto, questa volta sinceramente curiosa, perché non era del tutto sicura del tipo di accoglienza che sua figlia avrebbe ricevuto su Palaven.
- La nostra civiltà è strettamente meritocratica: Halia partirebbe dal livello di cittadinanza più bassa, come Civile, così come un altro bambino qualsiasi, e verrebbe promossa sulla base delle valutazioni ottenute dalla società turian nel corso della sua vita. Trinity, noi non siamo razzisti, anche se gli umani generalmente non ci piacciono. Non è una questione di principio, è perché... beh, non approviamo il modo di comportarsi degli umani e neppure il loro modo di pensare.
- Beh, sono felice che tu abbia detto il loro modo e non il il vostro, ma suppongo che c'è chi farebbe di tutta l'erba un fascio.
- Tu vuoi sapere se Halia potrebbe essere guardata male solo perché è per metà umana. Ti rispondo che sì, sarà possibile. Non da tutti, ma da parecchi, almeno inizialmente, fino a quando non dimostrerà di condividere i principi posti alla base della nostra società. Il senso civico e la responsabilità personale sono imprescindibili, Trinity, sono alla base del nostro sistema. Senza quei principi la nostra società crollerebbe.

Una volta conclusa quella piccola lezione sulla sua gente, Garrus era rimasto in silenzio, meditando sulle parole che aveva appena pronunciato.
- Voglio darti un ultimo incentivo - aveva sussurrato Trinity a quel punto, passandogli le dita dietro il collo e agganciandogli la catenina con appeso il visore.
- Questa si chiama corruzione, lo sai? - aveva riso il turian stringendo fra le dita quel piccolo cristallo azzurro che finalmente tornava in suo possesso - Non pensavo arrivassi addirittura a infrangere una promessa.
- L’ho infranta?
- Davvero, Trinity? - aveva chiesto con un tono di voce talmente acuto che lei non era riuscita a trattenere una breve risata.
- Io rispetto sempre le mie promesse, Garrus, dovresti saperlo: voglio che nasca su Palaven.
- E va bene: andremo su Palaven. Hai ragione tu - aveva assentito alla fine - Ma non accetterò la carica a Primarca - concluse con tono deciso, alzandosi dal divano.
- Ti chiedo solo di pensarci. Ne riparleremo insieme fra qualche giorno, prima che tu risponda in via ufficiale: penso sia una proposta accettabile anche per il testone quale sei - aveva replicato, accontentandosi, per il momento, del futuro cambiamento del pianeta di residenza.

La mattina successiva, al risveglio, mentre ancora albeggiava, Shepard aveva notato che si trovavano nella medesima posizione in cui lei si era addormentata la sera prima: Garrus teneva il viso appoggiato alla sua spalla e la mano destra le sfiorava il grembo. Si era allontanata leggermente, alla velocità di un bradipo stanco, per non disturbarlo, ed era rimasta a fissarlo a lungo.
Immaginava che fosse rimasto sveglio per buona parte della notte, con le dita appoggiate delicatamente sul suo ventre. Probabilmente l’aveva fissata per delle ore e forse aveva osato sfiorarle i capelli o la pelle, stando attento a non svegliarla. L’origine di una nuova vita non era un mistero, ma appariva sempre molto prossima alla materializzazione di un’illusione splendida e fantastica.
Era tornata ad appoggiare il viso contro il petto di Garrus, sentendo che le sue braccia la racchiudevano gentilmente in un gesto forse inconscio e aveva provato a riaddormentarsi.

Si era risvegliata parecchio tempo dopo, avvertendo un avvallamento del materasso, di fianco a lei. Garrus era seduto sul letto, dal suo lato, e teneva fra le mani un vassoio con la colazione. Gliela portava spesso, quando si svegliava prima, ma quella mattina la quantità di cibo sarebbe bastata anche per il pranzo e per la cena.
- Uhm, sicuro che vuoi un neonato di 8 chili? - lo aveva preso in giro ridacchiando, prima di avvertirlo che quella era l’ultima sua colazione terrestre. Memore dell’esperienza fatta quando era incinta di Halia, avrebbe ricominciato a mangiare cibo turian prima ancora di mettersi in contatto con Karin e con il dottore che aveva seguito la sua precedente gravidanza.
- Neonato... con la o? Sai già che è maschio? Mi piacerebbe - l’aveva presa in giro Garrus.
- Sì. E sarà bene che i tuoi Spiriti mi accontentino - aveva risposto lei con sicurezza.
Poi aveva fissato la tazza del caffè conscia che stava rischiando di scoppiare in lacrime: quella poteva essere l’ultima che avrebbe bevuto fino al parto, se suo figlio fosse stato destro come suo padre.

- Come vuoi chiamarlo? - aveva chiesto il turian pochi minuti dopo, senza neppure affacciarsi dal bagno, mentre lei era ancora intenta ad assaggiare tutte le pietanze sul vassoio. Garrus aveva addirittura preparato delle uova strapazzate con la pancetta e dei toast abbrustoliti. Come ultima colazione umana, non avrebbe potuto desiderare di meglio.
- Pallin - aveva replicato lei, stupita dalla prontezza della propria risposta.
Aveva aspettato che la testa di Garrus sporgesse dalla porta e lo aveva fissato cercando di restare seria.
- Oh, puntavi solo all’Esecutore? E perché non Saren, già che ci siamo?
Poi però la aveva guardata incuriosito e le aveva chiesto - Hai pensato anche a un nome serio?
- Sì... - aveva risposto Shepard, questa volta in tono esitante.

- Ecco, è ora che so di dovermi preoccupare - aveva replicato suo marito ridendo e accomodandosi sul letto accanto a lei - Spara. Sono pronto ad ascoltarti, sperando non sia uno dei primi due nomi che mi sono venuti alla mente - aveva aggiunto, vedendo che la moglie continuava a tacere, segno che non solo aveva davvero pensato a un nome, ma che ci teneva anche.
- Quali? - aveva chiesto Trinity, incuriosita.
- Kaidan...
- Ma dai! Povero Kaidan! Non è un brutto nome... - aveva esclamato lei - Comunque no, non Kaidan.
- Joker?
- Non si può chiamare un figlio Joker - aveva risposto indignata - in caso Jeff, ma non è neppure Jeff.
- Abbiamo perso tanti amici... ne vuoi ricordare uno?
- C’è qualcuno a cui devo di più.
- Come si chiamava il tuo sergente dell’SSC? - aveva chiesto allora Garrus.
- Joran. Cosa ne pensi?
- Poteva andare peggio - l’aveva presa in giro e poi, abbracciandola, l’aveva rassicurata con un sorriso - E’ un bel nome.

Trinity si riscosse da quei ricordi ormai lontani, sentendo che Halia si era svegliata e stava scendendo le scale. Le arruffò i capelli con affetto e le preparò la colazione, sedendosi accanto a lei, chiacchierando del più e del meno e informandosi su cosa la aspettava a scuola.
- La maestra ci ha affibbiato lo studio delle caratteristiche delle varie razze della galassia, ma io so già tutto, visti i vostri amici - osservò in tono superiore.
Shepard rise divertita, ma le fece notare che non aveva mai incontrato di persona Vorcha, Yahg, Elcor o Volus.
- Zio Wrex mi ha detto tutto sui Vorcha: vengono da un pianeta piccolo e sovrappopolato, puzzano, sono litigiosi, ma parecchio stupidi: li si spalma facilmente sulle pareti. E poi vivono solo pochi anni, mica come i Krogan. Gli Yahg puzzano anche di più, sono intelligenti e cattivissimi. Zia Liara ha detto che vivono troppo e che farò bene a evitarli: hanno denti aguzzi, peggio del lupo di Cappuccetto Rosso. Gli Elcor sembrano tonti, ma non è vero, anche se riescono a ingannarti per bene in questa parte. Zia Tali dice che sono molto dolci, ma comunque io li ho visti in un servizio olografico: sono grossi, stanno sempre fermi e parlano in modo da farti addormentare - concluse appoggiando la testa sul tavolo e cominciando a ronfare sonoramente.
- Non so se alla maestra piacerà questa versione - osservò Trinity pensosamente.
- Ohhh, mi sono scordata i bassotti ciccioni - osservò Halia - i Volus... csss... fuori dal loro pianeta natale... csss... usano respiratori e tute o.... csss... finiscono sbrindellati - poi, con un ultimo ansimo, concluse - Si occupano di far soldi.
- Mi divertirò ad immaginare la faccia della maestra quando ti interrogherà - concluse Shepard che per tutta l'esposizione di sua figlia era rimasta a fissarla appoggiando il viso contro una mano, cercando di restare seria.
La accompagnò alla porta, le dette la merenda e la guardò mentre saliva sul veicolo che passava a prendere gli alunni per portarli a scuola.

Quando la bambina salì sul veicolo, Trinity indossò la tuta protettiva e un cappello a tesa larga, poi uscì sul vialetto, diretta verso l’albero con i rami incurvati sotto il peso dei suoi frutti oblunghi e rosati. Staccò quelli più maturi e tornò in cucina, per ridurre in poltiglia la polpa di uno di quei frutti dal nome strano, che la sua lingua faceva fatica a pronunciare. Aveva tentato più volte, suscitando l’ilarità di Halia e Solana, fino a quando Garrus le aveva suggerito di scegliere un termine articolabile e, a casa Vakarian, i dannati xhri’sjick venivano ormai comunemente denominati pere rosa.
A Joran piacevano. A lei no, come la maggior parte dei cibi di quel pianeta: trovava che quasi tutto avesse un retrogusto metallico e amarognolo che alla lunga la nauseava.

Era stata proprio quella la seccatura maggiore delle due gravidanze: mangiare per dei mesi cibo turian. Per Halia lo strazio era durato poco, ma Joran era risultato destro e lei non aveva potuto tornare alla sua solita alimentazione se non dopo il parto.
In realtà, durante la prima delle sue due gravidanze, i suoi pensieri si erano soffermati davvero poco sul gusto del cibo che assumeva. Si era limitata a mangiare senza far storie qualunque cosa le preparasse Tali, anche se aveva segnato le pietanze che aveva trovato veramente impossibili da ingollare. Ma il sacrificio che le era davvero costato più di ogni altro era stata la rinuncia al caffè: iniziare la giornata senza una tazza colma della sua bevanda preferita era stato traumatizzante nella prima settimana e penoso per tutte quelle successive.
Lo aveva confessato anche a Garrus, con una faccia triste, quando lui le aveva portato il vassoio della sua ultima colazione umana a letto, all’inizio della seconda gravidanza.

Quel lampo di tristezza che suo marito aveva colto nel suo sguardo doveva averlo rattristato molto più di quanto le avesse fatto capire allora. Shepard non aveva assolutamente intuito il legame fra la sua voglia di caffè terrestre e lo stato disastroso della cucina della baita montana nei giorni seguenti. Per le quarantotto ore successive aveva preso solo atto che suo marito stava comprando quantità eccessive di alimenti che venivano cucinati secondo ricette bizzarre, con il risultato di finire per contribuire in modo rilevante alla raccolta di rifiuti organici.
Qualche volta aveva dovuto aprire le finestre per cercare di respirare dell’aria pura in quell’atmosfera satura di profumi strani e contrastanti, mentre Sol, tornata di corsa da Palaven non appena era venuta a conoscenza del suo stato, si limitava a rassicurarla che suo marito voleva farle una sorpresa, ma entrambi i turian le nascondevano accuratamente lo scopo e i risultati di quei bizzarri esperimenti.

- Ma porca miseria! - aveva esclamato la mattina del terzo giorno, fissando tre pile di pentole accatastate contro il lavandino della cucina: si era dovuta fermare sulla soglia, colta da un accesso di tosse a causa dei fumi emessi da tre bollitori che gorgogliavano allegramente sui fornelli.
- Esci. Esci da qui - le aveva intimato Garrus, senza neppure guardarla.
- Ci siamo! Ci siamo! - aveva esclamato poi guardando la sorella e prendendo uno dei bollitori. Lo aveva annusato con aria critica poi, accorgendosi che Trinity era ancora sulla soglia a occhi spalancati, l’aveva presa per un braccio e l’aveva portata di peso fino al tavolo da pranzo nel salone e l'aveva deposta su una sedia.
- Aspetta qui. Dammi cinque minuti - le aveva ordinato, prima di tornare in cucina. Arrivato sulla soglia si era girato su se stesso e le aveva ordinato in tono perentorio - Resta seduta lì. Potrai anche ubbidirmi una volta, no?

- Prova un po’ questo - l’aveva invitata dopo qualche minuto, in tono ansioso e con uno sguardo teso, porgendole una tazza.
- No, non credo proprio - aveva risposto, fissando con raccapriccio la sostanza liquida di colore verde scuro che colmava la tazza - rassomiglia al veleno della mela di Biancaneve - aveva commentato. Poi, alzando gli occhi, aveva scorto un’espressione profondamente delusa e ferita in quelli di suo marito, che ormai conosceva parecchie favole terrestri.
Si era sforzata di sorridere, rassicurandolo - Scherzavo - e aveva annusato quello strano intruglio. Aveva un aroma che ricordava quello di un frutto.
“Porca miseria!... succo di frutta caldo?” si era chiesta inorridita, ingoiando a vuoto. Aveva fissato Garrus che la guardava come un cagnolino che, dopo aver riportato la palla al suo padrone, agitasse la coda in attesa di una ricompensa o di una buona parola.

“Cerca di essere gentile, ma non stupida” si era raccomandata, mentre continuava a rigirarsi la tazza fra le mani “Non dirgli bevitela tu, ma evita pure di rassicurarlo che è buonissima o te la propinerà per tutti i dannati giorni che mancano al parto: 7 mesi di 30 giorni circa, se dura quanto quella di Halia. Duecentodieci tazze di questa roba? No, non ce la posso fare...” aveva concluso bagnandoci appena le labbra e passandoci sopra la lingua.
- E’... amara... - aveva sentenziato.
- E’ calda e amara - si era dichiarato d’accordo Garrus - se dovessi dirmi la bevanda terrestre che le si avvicina di più, quale sceglieresti?
- Non beviamo succhi di frutta bollenti sulla Terra - aveva protestato Shepard ridendo.
- Non pensare sia succo di frutta. Chiudi gli occhi, bevine un po’ e dimmi cosa ti fa venire in mente.
“La disgustosa brodaglia che le compagnie di viaggi spaziali spacciano per caffè” era stato il suo pensiero immediato, non appena ne aveva assaggiato un sorso.
- Spiriti!... ma è caffè?! - aveva esclamato stupita.
- In realtà è effettivamente un mix di succhi di frutta e di estratti vegetali, ma secondo me somiglia abbastanza al tuo orrendo caffè... - aveva ammesso Garrus, ridacchiando felice.
- Hai assaggiato il caffè terrestre?

- Non lo ha mai ingoiato. E’ pazzo, ma solo fino a un certo punto. Però lo sta sputazzando da tre giorni - aveva chiarito Solana che era rimasta immobile sulla soglia fra cucina e salone a godersi la scena.
- Più esattamente - aveva precisato - da quando mi ha costretto a cercare di rendere disgustoso qualunque ingrediente commestibile, alla ricerca di quel sapore terrificante. Ma come fai a bere quella roba? - le aveva chiesto poi con una smorfia di repulsione.
- Anche tu hai sputazzato il caffè terrestre? - aveva domandato Shepard, colta da una risata inarrestabile all’idea di due turian che assaggiavano a turno il suo caffè per poi sputarlo nel lavandino della cucina.
- Dovevi sentire i commenti che faceva... - aveva replicato la cognata ridacchiando - Sa di... beh, non so... No, non va. Forse ci vuole più... boh, metti meno ghirt'nair o forse più felintr. O magari è meglio il contrario - aveva aggiunto, imitando la voce e la cadenza di Garrus - Alla fine mi sono arresa e abbiamo collaborato assieme.
Con qualche ulteriore miglioramento, che erano riusciti ad apportare nei giorni successivi, quel mix era diventato veramente simile ad un caffè, non al livello di quello vero, ma di certo migliore di quello liofilizzato: solo quel suo turian fuori di testa avrebbe potuto pensare ad una sorpresa di quel genere.

Versò un altro po' di caffè, caffè vero di importazione, in una tazza, raccolse la polpa di pera rosa in una coppetta, aggiunse un cucchiaino e salì al piano di sopra, fermandosi a fissare il fagottino rannicchiato nella culla.
Joran era molto più turian della sorella nelle sembianze fisiche: era chiaro che le sue spalle, al contrario di quelle di Halia, sarebbero state protette da un carapace, ed anche gli arti avevano un aspetto decisamente turian, mentre quelli della sorella erano chiaramente una via di mezzo fra turian e umano. L’aspetto della cute sul cranio del neonato faceva ritenere che avrebbe presentato creste ossee e placche, senza capelli. Non aveva alcuna traccia di cheliceri, però, ed era questa l’unica caratteristica che lasciava capire di non trovarsi in presenza di un esemplare turian puro.
- Shep, tu riesci a figurartelo con la barba? - le aveva chiesto Garrus, fissando pensosamente il figlio, proprio il giorno precedente, e lei aveva sentito un brivido correrle lungo la schiena. No, non ci riusciva, non senza provare un vago senso di timore.
Ma la caratteristica più particolare di Joran, che faceva dimenticare tutto il resto, erano i suoi occhi, che esercitavano un'impressione incredibile su chiunque li vedesse.
Verde come la sua attorno alla pupilla, l’iride digradava in un tono azzurro cielo che si intensificava ai bordi, diventando di un blu intenso, quasi nero. Non era un’iride regolare e sfumata, era costituita da luccichii e pagliuzze, raggi chiari e scuri, irregolari per lunghezza, forma e dimensione. Ricordava l’esplosione di una stella verde-azzurra, dalle sfumature incredibili. Ci si poteva perdere in quegli occhi, consci di avere l’opportunità di fissare un prodigio inspiegabile.
Trinity si sedette sulla piccola poltrona accanto alla culla a sorseggiare il caffè ormai tiepido in attesa che suo figlio si svegliasse, mentre ripensava all'ultima giornata di quella particolare settimana terrestre che aveva preceduto di poco il loro trasferimento su Palaven.

- Spiriti! Non è possibile!
Era iniziato con quell'esclamazione il colloquio durante il quale era riuscita, qualche serata dopo, a convincere Garrus ad accettare la promozione a Primarca di Palaven.
- E' un'altra volta la stramaledetta Gerarchia! - aveva continuato il turian, gettando un'occhiata densa di irritazione al comunicatore.
- Sai benissimo cosa vogliono - aveva osservato, accingendosi a rispondere, mentre suo marito schizzava velocemente verso la porta della cucina.
- No. Non lo so. Non rispondo mai. Non posso guardarli negli occhi e dire Mi spiace, sono in viaggio. Ma tu puoi farlo al mio posto - aveva sogghignato ironicamente, rimanendo a fissarla dall'uscio.

- Sei in viaggio da una settimana ormai... - gli aveva fatto notare, dopo aver risposto cortesemente con una balla e aver chiuso la comunicazione.
- E’ vero... probabilmente mi sono perso in una tormenta di neve, sono piombato in un burrone o una di quelle bestie con le corna mi ha spiaccicato contro una roccia - le aveva sussurrato nell’orecchio, dopo essersi avvicinato, mentre iniziava a mordicchiarle il lobo.
- I camosci non prendono a cornate le persone, neppure se si tratta di un turian ignorante - aveva replicato, divertita a quell'immagine assurda, prima di aggiungere - Garrus, Palaven ha bisogno di un Primarca.
- Uh uh - aveva risposto lui, cominciando a far brontolare la sua gola - Di certo ne ha un bisogno disperato e urgente, come io di te - aveva tagliato corto, alzandola senza nessuno sforzo e cominciando a salire le scale interne, tenendola fra le braccia come fosse una bambina.
- Però - aveva aggiunto sdraiandola sul letto a pancia sotto e stendendosi sopra di lei, trattenendole i polsi fra le dita e respirandole sotto l’orecchio per farle il solletico - Sono allergico al suono della parola Primarca - aveva concluso, cominciando a solleticarle i fianchi fino a quando lei si era illuminata di luce blu e lui si era spostato rapidamente dichiarando la resa.

- Cosa vuoi da me, Trinity? - aveva sussurrato, strofinandole delicatamente la pelle del viso con la bocca e tornando serio.
- Devi accettare quella nomina - aveva risposto in tono altrettanto serio.
- Oh, oh, oh! Un comandante dell'Alleanza che vuole diventare moglie del Primarca di Palaven! Mi hai sposato per far carriera? - aveva chiesto in in tono beffardo - Cos’è cambiato da quel messaggio delirante che mi hai scritto quando eri ancora in ospedale? - aveva poi aggiunto fissandola con aria di sfida.
- Ho scoperto che mi piace essere una moglie... tua moglie. Penso di riuscire a essere moglie di un Primarca.
- Non mi basta.
- Lei sarebbe un ottimo Primarca, Signore...
- E lei è un ottimo comandante, Signora. Eppure si trova qui, sulla Terra, in eremitaggio volontario, abbandonando perfino la sua nave nella mani del suo ex fidanzato.

- Non appartieni a questo pianeta; perfino il clima è inadeguato. E poi la tua vita non può essere questa. Non va bene per te e di conseguenza non va bene neppure per me - aveva cominciato ad argomentare bruscamente, irritata perché lui le aveva ricordato dove si trovava e chi comandava la Normandy in sua assenza.
- Non vivremo ancora a lungo qui, in compagnia di orsi bianchi e di pinghini, se si chiamano così quegli strani uccelli che mi ha mostrato nostra figlia su un libro...
- Siamo solo in montagna, mica al Polo Sud.
- Ma non ti basta andare su Palaven? Perché vuoi che diventi anche il suo dannato Primarca?
- Perché sei un ottimo leader, ma sei un dannato testone e non lo hai mai capito - aveva riposto, senza accorgersi che stava cominciando ad alzare la voce.
- Perché sei stato sempre al mio fianco, nell’ombra, e non hai una vaga idea quello che saresti capace di fare, da solo - aveva continuato - Eppure è a te che ho sempre affidato il comando di una squadra secondaria, quando ne ho avuto necessità. Maledizione, ma è mai possibile che non te ne sia mai reso conto?
- Mi hai sempre protetto nelle battaglie, quando mi lanciavo avanti a tutti con le mie cariche biotiche, e mi hai spalleggiato in ogni situazione, fin dall'inizio - aveva continuato, fissandolo con uno sguardo che era quello delle grandi occasioni e che a Garrus riportò alla mente l'espressione del comandante della Normandy durante il discorso prima del passaggio della nave attraverso il portale di Omega 4.
- Hai sempre creduto in me e nelle mie battaglie impossibili, per quanto difficili o poco ortodosse siano state le mie scelte. Ma le tue idee non sono meno valide delle mie e le tue azioni sono altrettanto apprezzabili - continuò con decisione - Io so quello in cui tu credi e so per cosa, o contro cosa, combatteresti; ti ho sempre ammirato e rispettato per le tue scelte e le tue convinzioni, esattamente come tu hai fatto con me.

Poi era arrossita improvvisamente perché l'espressione stupita del volto di Garrus, che la fissava a occhi spalancati e con la bocca aperta, le aveva fatto capire quanta passione avesse messo in quelle frasi.
Aveva riso per l'imbarazzo, ma era andata avanti - Perché, in realtà, non hai ancora capito una verità elementare: tu non hai mai avuto bisogno di me più di quanto io abbia avuto bisogno di te.
Infine si era fermata con il viso a pochi centimetri da lui, gli aveva preso la testa fra le mani e lo aveva fissato con uno sguardo deciso prima di concludere - Sarebbe ora che occupassi una posizione degna della persona che sei veramente.
- Credo che il mio ego si sia innamorato perdutamente di te in questo istante - la sfotté ridacchiando, senza riuscire a nascondere la sorpresa, ma anche la gioia nel sentirla pronunciare quelle frasi con tanta passione ed entusiasmo - Forse, se me le ripeterai per un paio di centinaia di anni, finirò addirittura per crederci e per accettare quella stramaledetta nomina.
E, in quel momento, lei capì di aver vinto la battaglia che l'avrebbe portata su Palaven, come moglie del suo stramaledetto Primarca.



Note
(1) Un grazie di cuore a Nimeria, che mi ha ricordato quanto ho amato le musiche di questa serie televisiva (Lost) che, da questo capitolo in poi, troverete ogni tanto.(Lost) che, da questo capitolo in poi, troverete ogni tanto.

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Capitolo 26
*** Fuga nei cieli ***


Premessa e piccola dedica
Il terzo brano musicale è stato inserito per la musica ma, una volta finita la lettura, vale la pena guardarne il video. Le immagini non si sposano con il momento che narro, né con questa mia ff, ma sono certa che vi piacerà.
E' di Beatrix, a cui dedico anche l'intero capitolo, per le sue appassionate recensioni ai due capitoli precedenti.


FUGA NEI CIELI


Passacaglia



Dopo aver lasciato i bambini a casa di suo suocero, che si era dimostrato ben felice di prendersi qualche giorno di ferie fuori programma per stare appresso ai suoi due nipoti, Trinity si era diretta allo spazioporto, ansiosa di recarsi sulla Cittadella in tempo per assistere all'atterraggio della Normandy.
Era la prima volta che si allontanava da casa e da suo marito, ma neppure per un istante aveva avvertito il minimo rimorso per essersi concessa quella vacanza che non sapeva bene quanto si sarebbe protratta. E poi era stato Garrus stesso a incitarla ad andarsene, rassicurandola che lui, Sol e Rennok sarebbero stati perfettamente in grado di occuparsi di Halia e Joran.
In un primo momento aveva valutato la possibilità di tirarseli appresso, nell'appartamento che Anderson le aveva regalato, e affidarli magari a qualche baby sitter nei momenti in cui si fosse trovata impegnata, ma Garrus l'aveva incoraggiata a lasciarsi alle spalle tutto e tutti e a godersi pienamente quelle giornate di assoluta libertà.
- Mica vorrai diventare una vera massaia! - aveva esclamato ridendo - Va' via, scappa da questa noiosissima routine quotidiana, ché neppure io riesco a capire come tu faccia a sopportarla - aveva continuato in tono scherzoso, ma non troppo.
E ora, una volta che la porta della casa di suo suocero si era richiusa alle sue spalle, Trinity avrebbe voluto ballare per la strada, per la felicità di sentirsi sciolta da tutti quei legami, dolci quanto si vuole, ma che comunque la trattenevano lontana dai cieli della galassia.

Risalì sul veicolo che l'avrebbe portata allo spazioporto, si abbandonò contro lo schienale con un sorriso soddisfatto e ripensò alle ultime ore che aveva appena trascorso.
Quella mattina si era alzata talmente presto da trovare Garrus ancora profondamente addormentato, anche se le caute manovre per sottrarsi alla stretta delle sue braccia avevano finito per svegliarlo.
- Spiriti, Shep! Non è neppure l'alba... - aveva bofonchiato confusamente prima di aggiungere - Vuoi già partire? Il giorno non è ancora vicino: era l'usignolo, e non l'allodola, quello che ti ha ferito col suo canto l'orecchio trepidante; esso canta tutte le notti su quel melograno laggiù: credi, amor mio, era l'usignolo.
- Per la miseria! - aveva ribattuto lei, tornando indietro dal bagno - Non ho la più pallida idea di come risponda lei - aveva esclamato ridendo.
- Ho sposato un'umana illetterata - aveva replicato Garrus - Quella battuta è di Giulietta.
- Beh, sei tu che fai ripetere a tua sorella le battute della recita di beneficenza, e poi il timbro di voce era quello di Romeo - obiettò, prima di balzare sul letto e fargli una linguaccia - Lo sai che mi hai chiamato amor mio?
- Se ti piace tanto, ti chiamerò amor mio per tutti i giorni che verranno - ghignò Garrus ponendosi una mano sul cuore mentre declamava quelle due parole.
- No, credo sia una pessima idea. Saresti capace di farlo durante un ricevimento di gala, di fronte ai tuoi nuovi amici: gli impettiti e tronfi diplomatici di mezza galassia - aveva replicato, schizzando nuovamente in bagno, certa che suo marito le avrebbe fatto pagare a caro prezzo quella battuta sugli stramaledetti idioti in doppiopetto, come aveva finito per definirli lui stesso, utilizzando un'antica espressione tutta terrestre.

Sorrise divertita al ricordo di quel colloquio demenziale di prima mattina, sapendo che era l'euforia a renderla gioiosamente folle, come lo era Halia mentre le sue dita impazienti scartavano un nuovo regalo, fino a quando l'arresto del veicolo di fronte allo spazioporto le riportò alla mente il suo primo sbarco su Cipritine, nella zona destinata alle navi militari, che era avvenuto otto mesi prima.
Non avevano portato con loro quasi nulla degli oggetti che, per quel che sapeva, arredavano tuttora la baita in montagna, in quella zona isolata in cui lei aveva trascorso tre anni circa e Garrus poco meno di dodici mesi. Anche l’acquario era rimasto là, nonostante le proteste di Halia: il nuovo inquilino se ne sarebbe occupato certamente con più cura di quanto avessero fatto loro stessi.
E con Garrus al suo fianco, non aveva più voglia, o necessità, di trascinarsi appresso ricordi tanto ingombranti. Aveva portato con sé la vetrinetta e i modellini delle navi, ma il letto della Normandy era rimasto nella vecchia casa: non provava nostalgia per ciò che aveva lasciato sulla Terra, né per la vita che aveva condotto lì.
La nostalgia era inestricabilmente legata alla sua vecchia vita e alla sua nave, ai lunghi anni trascorsi a bordo, vivendo un’esistenza che non aveva nulla a che fare con quella attuale. Se non poteva parlare di un vero e proprio rimpianto, non poteva però negare quanto quella vita la attirasse ancora adesso.

Mentre si avviava per i corridoi in cerca del banco in cui effettuare il check in, ricordò quando, due mesi prima, si era dilungata a spiegare a Garrus lo strano comportamento di alcuni pesci terrestri chiamati dipnoi. Dopo poche frasi aveva smesso di parlare, a causa di un’espressione dolorosa che era passata in quegli occhi azzurro cielo che la stavano fissando con attenzione. Non sapeva neppure adesso quanto quello sguardo fosse stato causato da un dolore riflesso e quanto dal suo dolore personale, ma sapeva che a entrambi mancavano i cieli della galassia e l'accostamento fra la loro vita attuale e la tana fangosa in cui i dipnoi usavano rifugiarsi in un periodo di siccità(1), una sorta di letargo imposto loro dalle circostanze, non era stato un paragone felice.
“Otto mesi su Palaven” si ripeté di nuovo, nel tentativo di rendere concreto ciò che appariva ancora poco più realistico di un sogno nel dormiveglia, “poco meno di cinque anni persi su una stazione spaziale o su un fottuto pianeta” considerò, pur sentendosi in colpa.

Dopo aver superato i controlli che precedevano l'imbarco, si fermò a studiare con occhio critico il robusto scafo che stazionava al di là della vetrata.
La sua forma morbida e panciuta non ricordava affatto le fattezze della Normandy, ma provò ugualmente un'emozione così forte all'idea che entro pochi minuti si sarebbe liberata dalle pastoie che la trattenevano al suolo, che si dovette aggrappare alla balaustra con entrambe le mani.
Nella solitudine che la proteggeva, confusa nella folla frenetica di viaggiatori in arrivo o in partenza, si abbandonò senza lottare al dolore sottile che era sempre riuscita a tenere sotto controllo, nello svolgimento delle tante attività, banali e ripetitive, della sua vita quotidiana.
Lo aveva camuffato, negandolo a se stessa, lo aveva relegato negli angoli più reconditi della sua coscienza, ma ora bastava la brillantezza del rivestimento di quello scafo, la visione delle uniformi dell'equipaggio, indaffarato negli ultimi preparativi prima della partenza, a farlo riemergere prepotentemente, intatto nella sua intensità e violenza.
Si dovette sedere su una delle poltrone della sala di attesa, quasi come se lo scheletro non riuscisse più a sostenere il peso del suo corpo. Era erosa dall'interno, come se fosse affetta da una ruggine che le disintegrava le ossa, minandone la solidità fino a renderle porose e friabili.

Si riscosse da quelle sensazioni dolorose quando la parola Cittadella le si insinuò nelle orecchie: l'annuncio Ultima chiamata per il volo TKM-87CT delle ore 12,45, diretto alla Cittadella. I passeggeri si dirigano all'imbarco B-9 la costrinse a tornare al presente.
Mentre percorreva il corridoio che avrebbe condotto i viaggiatori direttamente al portellone, ricordò il tragitto inverso, quello che l'aveva portata su Palaven. Quel giorno, non appena entrati nel grande spazioporto, avevano individuato Rennok che li aspettava in mezzo alla folla accalcata in attesa di parenti ed amici appena sbarcati.
- Un agente SSC ribelle che diventa Primarca - era stato il saluto che suo suocero aveva rivolto al figlio.
- Adesso ogni tuo rimprovero dovrà concludersi con un rispettoso Signore che lo renderà assai meno efficace - era stata la replica divertita di Garrus che, dopo un istante di incertezza, aveva abbracciato il padre, sorpreso da quella inaspettata dimostrazione di affetto.
- I tempi sono proprio cambiati... - aveva commentato lui bruscamente, ma il rapido sorriso che gli aveva illuminato il viso non era passato inosservato agli occhi di Trinity che lo aveva anzi visto intensificarsi non appena lo sguardo di suo suocero si era posato sulla sua pancia.
- In attesa che troviate una casa che vi soddisfi, sarete miei graditi ospiti - aveva comunicato loro - e questa signorina avrà a completa disposizione la vecchia stanza dei giochi di Garrus e Sol - aveva concluso, prendendo Halia in braccio e avviandosi verso il veicolo posteggiato a fianco dell'ingresso dello spazioporto. Durante il breve tragitto sul mezzo di superficie guidato dal suocero, Trinity si era guardata intorno con vivo interesse, per cercare di farsi un’idea sul tipo di vita condotta su Palaven.

Anche in quel momento, mentre la nave si stava staccando dalla banchina di attracco, rivolse automaticamente lo sguardo verso la superficie, ammirando dall'alto la struttura regolare della maggiore città turian, indicativa del rigore morale e civile posto alla base della loro cultura.
Le abitazioni di Cipritine erano tutte a uno o due piani, dipinte in colori chiari e tenui o addirittura bianche, circondate da un piccolo appezzamento di terra e ordinatamente allineate lungo strade pianeggianti che si intersecavano ad angolo retto. Non c’era uno schema geometrico prefissato, ma la visione d’insieme restituiva un’impressione di ordine ed efficienza, senza fronzoli inutili.
Non si usava occupare spazio prezioso solo per creare decorazioni ornamentali e i terreni attorno agli edifici non esibivano fontane o statue e neppure aiole o composizioni di siepi. Le aree verdi corrispondevano a piccoli orti o ad alberi da frutto e solo raramente si vedevano vasi di fiori appoggiati sui davanzali. Sembrava che gli aspetti puramente estetici interessassero solo marginalmente i proprietari, molto più attratti da quelli funzionali e pratici.
Gli edifici erano sempre affiancati da almeno una piccola costruzione secondaria. In alcuni casi i fabbricati erano addirittura tre o quattro e finivano per occupare quasi tutto lo spazio disponibile attorno all’abitazione principale.

- A cosa servono? - aveva chiesto incuriosita, durante la prima visita su Palaven, indicando un ammasso di quelle piccole costruzioni che il suocero stava costeggiando in quel momento.
- Un po’ a tutto. Spesso sono semplici magazzini di provviste, ripostigli o depositi per sostanze che non si desidera tenere in casa. Talvolta fungono da laboratori tecnici o scientifici o da piccoli poligoni di tiro - le aveva spiegato Garrus dal sedile posteriore.
- In rari casi sono abitazioni secondarie, se la famiglia diventa molto numerosa - aveva aggiunto il suocero, mentre Shepard arrossiva, cogliendo un breve sguardo diretto verso la sua pancia, all'inizio del sesto mese di gravidanza.

La casa di Rennok era a due piani e non differiva da quelle vicine. La porta di ingresso si apriva su un salotto che occupava quasi tutto il piano, con un ampio divano ad angolo con davanti un tavolino e un grande tavolo da pranzo rettangolare con sei sedie intorno. Le altre stanze, molto piccole, erano un angolo cottura, due stanze da bagno e uno studio. Al piano superiore c’era un altro studio, tre piccole stanze da letto, tutte con un letto matrimoniale, un paio di comodini e un armadio; l’ultimo vano era una camera piena di scaffali e di mensole.
- Vai Halia - aveva esortato Rennok, una volta che erano arrivati lì dentro - hai il permesso di usare tutti i giocattoli a cui arrivi, ma non puoi toccare quelli fuori dalla tua portata.
- E non puoi barare... tipo arrampicarti, usare bastoni e così via - aveva chiarito Garrus, che non si fidava affatto dell’autodisciplina di sua figlia, mentre suo padre si voltava a guardarlo con espressione sconcertata e carica di disapprovazione.
- No, papà... io non c’entro - aveva protestato lui, mentre gli adulti scendevano lasciando la bambina sola nella stanza dei giochi - Non ho mai pensato di aggirare quella tua regola.
- Lo spero bene! - aveva commentato Rennok in tono indignato.
- Ok, ok... è colpa mia e dei miei geni - aveva confessato Trinity che era rimasta ad ascoltare quel bizzarro scambio di frasi che trovava assurdo - arrivare all’ultimo ripiano sarebbe stato il mio obiettivo principale, dopo un ordine di quel genere - aveva concluso ridacchiando.
- Non serviva precisarlo - le aveva sussurrato Garrus sottovoce, mentre Rennok si allontanava scuotendo la testa.
- Immagino di no... però ora mi sento meglio - aveva bisbigliato lei di rimando, appoggiando la faccia contro la spalla del marito, nel tentativo di soffocare le risate che le sfuggivano dalle labbra.

Something Dark Is Coming


“E' strano ripensare a tutti questi episodi recenti della mia vita quotidiana come se costituissero un ricordo lontano” osservò perplessa, accettando un bicchiere di vino offertole da un assistente di volo.
Si accorse che era rimasta solo lei nella cosiddetta Zona Giorno, là dove i viaggiatori trascorrevano le ore diurne, seduti su comode poltroncine, magari leggendo o chiacchierando, oppure giocando a qualche gioco da tavolo o a carte, ma non aveva alcuna voglia di andare nel salone dove venivano serviti i pasti di bordo e ancor meno di rintanarsi nella sua cabina: era piccola e, soprattutto, non aveva alcuna finestra.
- Desidera che le porti qualcosa da mangiare? - le chiese cortesemente il giovane turian, ritirando il calice vuoto.
- No, grazie - rispose, rendendosi conto che non sarebbe riuscita a ingoiare nulla.

Trascorse i primi giorni di quel viaggio fra Palaven e la Cittadella restando quasi sempre nella Zona Giorno a fare una sorta di bilancio della sua vita, a ricordare i giorni passati a bordo della Normandy e confrontarli inevitabilmente con quelli trascorsi con un pavimento stabile sotto i piedi. I volti dei suoi tanti compagni e amici finivano per sovrapporsi a quelli dei famigliari, restando però distinti e separati, così come distinti e separati erano quei due piani di esistenza troppo diversi.
Solo Garrus era una presenza costante, l'unico vero punto di riferimento in entrambi gli universi. Senza la presenza di quello strano turian a fare da sorta di ponte fra cielo e terra sarebbe volata in alto e non sarebbe più tornata sul suolo.
“Perché i sogni volano leggeri, non stazionano pesantemente in terra, avvinghiandoti le gambe in una morsa appiccicosa” constatò con rabbia improvvisa, fino a quando colse lo sguardo, chiaramente ostile e preoccupato, di un turian seduto di fronte a lei.
“Moglie di Primarca si esibisce in un'esplosione biotica che causa falle nello scafo di un traghetto: nessun sopravvissuto” ghignò, mentre provava a immaginarsi il titolo con cui un giornalista umano avrebbe commentato la notizia, ricambiando il suo dirimpettaio con uno sguardo altrettanto ostile.

- Signora, la prego: siamo a bordo di una nave spaziale - fu la raccomandazione che le venne rivolta da una hostess - Sta spaventando gli altri passeggeri.
- Sono certo che la signora non abbia alcuna intenzione di farci saltare in aria - fu il commento divertito di un umano, con i gradi di capitano dell'aviazione civile terrestre, probabilmente accorso in seguito alle preghiere di un altro passeggero spaventato o richiamato da qualche assistente di volo.
- Le va di seguirmi nella cabina di pilotaggio, comandante? - le chiese esibendosi in un saluto militare.

- Immagino che lo spettacolo non sia paragonabile a quello che poteva godere dal ponte della sua nave - la salutò il pilota non appena mise piede nella cabina - ma sarei veramente onorato se volesse sedersi sulla poltrona qui di fianco a tenermi compagnia per tutto il tempo che desidera.
- Con vero piacere - rispose con voce spezzata dall'emozione.
Le occorsero molti minuti per riuscire a calmarsi abbastanza da girare lo sguardo verso quell'uomo con la barba corta, che teneva in testa un berretto con la visiera. Nel buio della cabina, contro lo sfondo di quel cielo stellato, l'illusione di trovarsi sul ponte della Normandy, al fianco di Joker, era fin troppo reale.
Nel silenzio rilassato che regnava nell'abitacolo si ritrovò ad assistere impotente allo scorrere di lacrime inarrestabili, trattenute per troppi anni.

- Mi mancava terribilmente tutto questo - confessò a quel pilota sconosciuto dopo minuti lunghi come ore.
- Posso immaginarlo - rispose lui sottovoce, emozionato all'idea che una leggenda vivente fosse al suo fianco e avesse voglia di chiacchierare.
- No, non credo - rispose in tono cortese, ma fermo.
- Ha ragione, mi scusi - si giustificò lui prontamente - E' solo che... beh, sono stato pilota nell'Alleanza e sono rimasto ferito nella battaglia finale contro i Razziatori, ma conoscerà anche troppe storie come questa e non voglio annoiarla.
- Sono io a dovermi scusare con lei. Continui, la prego.
- Le ferite che ho riportato nello scontro della Cittadella hanno spinto l'Alleanza a congedarmi, ma volare nei cieli è sempre stata l'unica mia ragione di vita. Ho dovuto aspettare cinque anni per riuscire a tornare a pilotare una nave, sia pure civile - spiegò l'uomo con un tono fermo in cui però si sentiva vibrare del dolore profondo.

- Quel giorno troppe vite sono state spezzate e troppe altre sono rimaste ferite in modo insanabile. Mi dispiace che lei sia una di queste.
- No, non deve. Quel giorno la galassia ha trovato una vittoria impossibile. Abbiamo vinto grazie a lei, comandante Shepard, anche se non ho mai compreso perfettamente come sia stato possibile. Quando la battaglia era ormai persa, lei ha compiuto un miracolo: non so come potrei chiamarlo in altro modo. Io so che è stata lei, anche se nessuno ha mai spiegato cosa sia realmente accaduto.
- E' passato talmente tanto tempo che quei giorni, adesso, sembrano solo un sogno lontano.
- Un sogno, comandante? - chiese il pilota in tono perplesso - So che è rimasta gravemente ferita e che ha rischiato di morire.
- Forse avrei dovuto definire quei giorni un incubo ormai lontano - ammise a malincuore - eppure, sogno o incubo che fossero, erano la mia vita.

- Metterò la nave in orbita attorno a quel pianeta e andrò a mangiare qualcosa. Vuole farmi compagnia? - le chiese qualche ora dopo l'uomo, cominciando a disattivare alcuni dispositivi e passando i comandi al pilota automatico.
- Preferirei restare qui, se non è un problema.
- Sono certo non lo sia, ma chiederò conferma al capitano della nave. Le auguro una buona nottata, comandante.
- 'Notte, tenente - gli rispose in automatico, rendendosi conto della stranezza del suo commiato solo quando la domanda - Come sa che ero tenente? - le strappò un sorriso triste.
- Non lo sapevo. E' che mi è venuto spontaneo, per via di quel berretto...
- Joker si risentirà terribilmente, se mai gli racconterà questa storia, comandante - rise l'uomo - Era mio compagno di corso e si è sempre ritenuto unico: il miglior pilota di tutta la galassia.
- Lo è davvero, ma non gli servono conferme: sa benissimo di cosa è effettivamente capace - concordò Trinity.

Il resto del viaggio lo passò quasi sempre su quel ponte, nella maggior parte dei casi in silenzio, a volte scambiando poche parole con quel pilota di cui non chiese mai il nome, come se ignorarlo la aiutasse a credere di essere tornata ai vecchi tempi, quelli il cui ricordo le dilaniava l'anima.
Pur sapendo che la nave era dotata di un sistema di comunicazione che consentiva a tutti i membri dell'equipaggio e ai passeggeri di mettersi in contatto facilmente con amici e familiari, lasciati indietro o in attesa del loro arrivo, non le passò in mente neppure una volta di chiamare casa e neppure Garrus la cercò mai o le fece pervenire alcun messaggio.
Si rese conto di questo quando, arrivata sulla Cittadella, in anticipo di un giorno sulla data prevista per il rientro della Normandy, varcò l'uscio dell'appartamento regalatole da Anderson e il suo sguardo incontrò il comunicatore.

- Qui Shepard - furono le parole che pronunciò, cercando di attivare il contatto con le mani che le tremavano, dopo aver deposto a terra il borsone, senza neppure essersi sfilata il soprabito - Mi ricevete?
- Forte e chiaro, comandante! - fu la risposta piena di gioia sincera che le fece piegare le ginocchia - Dove diavolo ti trovi?
- A poca distanza dall'hangar D24 - rispose, ridendo felice come una bambina.
- Sì, ma dove, di preciso? Non riesco a vederti...
- Ma avete già attraccato? Siete già sulla Cittadella? Fottutissimo pilota del cazzo! Non potevi avvertirmi?
- Sei davvero il comandante o sei posseduta da Jack? - fu la pronta replica - Stavo scherzando. Attraccheremo domani, ma adesso ho quasi paura a fare un pronostico sull'ora, non vorrei sbagliare di quei cinque o sei minuti che sai... possono dipendere da correnti ascensionali, da deformazioni nei campi magnetici o da un po' di sano traffico locale.
- Vaffanculo, Jeff! - sibilò con odio palpabile, interrompendo la comunicazione e tirando un calcio al borsone, colpevole di continuare a fissarla senza dimostrare la minima partecipazione.

Era stato Kaidan a mandarle l'orario previsto per l'attracco optando, prudentemente, per un breve messaggio.
E di buona mattina Trinity si avviò verso lo spazioporto con largo anticipo, tanto che rimase a fissare per oltre un'ora, con vivo odio, uno scafo che aveva osato occupare l'hangar storico della sua nave. Dovette attendere un'altra ora prima che le linee inconfondibili della Normandy occupassero la porzione di cielo che stava ostinatamente fissando al di là della vetrata.
Aspettò che lo scafo attraccasse e si catapultò letteralmente sulla banchina, trattando in malo modo un paio di addetti alla sicurezza che volevano tenerla a debita distanza, ma che si tolsero prontamente dai piedi dopo aver contattato il loro diretto superiore.

- E' ferita - fu l'accusa che rivolse a Kaidan: il primo a varcare il portellone.
- Lo so: per questo sono uscito io. Volevo evitare che mi uccidessi qualche membro dell'equipaggio - le rispose in tono ironico e con un sorriso divertito che lei neppure notò, troppo intenta a prendere nota delle falle rattoppate alla meglio e dei segni di bruciature sullo scafo e sulle ali.
- Ma porca miseria, Kaidan! - esplose con una rabbia che non era in grado di contenere - Non credevo che me la riportassi indietro in questo stato!
- Beh, almeno non l'ho dovuta lasciare in mano ai Quarian - le rispose risentito, prima di uscirsene con un - Cosa diavolo ti prende? Non è da te protestare per una stupida nave senza neppure chiedere se stiamo tutti bene! - che la fece vergognare e sbollire all'istante.
Restò in silenzio, non sapendo come scusarsi, fino a quando una voce nota le fece sollevare di nuovo il viso verso lo scafo.
- Se spegni quella luminaria blu, mi arrischierò a scendere anch'io - dichiarò Joker, che si era affacciato dal portellone, sporgendo solo il capo, e la fissava interdetto.

- Non ci sto più con la testa - si ripeté ancora una volta, mentre tornava verso il suo appartamento.
Era letteralmente esplosa, devastata da sentimenti troppo vividi e confusi. Ripensando freddamente alle sue reazioni istintive, alle frasi senza senso che aveva pronunciato, alle accuse assurde mosse ai suoi compagni, capiva che si era comportata in modo imperdonabile.
Aveva chiesto scusa, forse in modo brusco e incerto, ma sapeva che i suoi compagni avevano perdonato e dimenticato: era lei che non riusciva a perdonarsi e a dimenticare.
Era stata IDA a sciogliere quel momento di imbarazzo sulla banchina d'attracco, scendendo elegantemente dalla Normandy subito dopo Joker e dirigendosi verso di lei a passo sicuro.
- Sto bene, Shepard - aveva dichiarato tranquillamente - Non resteranno neppure le cicatrici per queste banali ferite.
E lei aveva potuto stringere fra le braccia la sua Normandy e tranquillizzarsi.

Tribute to Garrus and Thane (by Beatrix)


“Sono l'ombra di ciò che ero?” si chiese interdetta, mentre sistemava in un paio di vassoi i salatini e i dolci che aveva acquistato prima di tornare a casa.
Kaidan, IDA e Joker sarebbero arrivati presto, per raccontarle dettagliatamente tutte le avventure vissute durante l'ultima missione e per farle un accurato resoconto su quello che aveva scoperto la IA della sua nave, eppure lei non riusciva a pensare ad altro che a suo marito, apparentemente svanito nel nulla.
“Potevi almeno chiamare, per accertarti che fossi arrivata sana e salva a destinazione” lo accusò mentalmente, con una rabbia insolita, senza riflettere che un eventuale incidente sarebbe stata riportato nei notiziari e che lei stessa avrebbe potuto chiamarlo in qualsiasi momento.
Le mancavano dannatamente la sua capacità di giudizio e il suo freddo raziocinio, ma non era abbastanza lucida da capirlo.
Stroncò le piante che erano miracolosamente sopravvissute nel terrario con una nova, prima di accorgersi di cosa stesse facendo, poi si abbatté sul divano, sconfitta da emozioni violente e contrastanti.

Alla fine chiamò casa, senza preoccuparsi di calcolare che ora fosse lì, su Cipritine.
Garrus rispose immediatamente e rimase ad ascoltare la valanga di parole confuse che lei gli stava riversando addosso mischiando, in un tutt'uno indefinibile, i ricordi che le erano passati per la mente nel ritrovarsi sul ponte di una nave spaziale, le frasi scambiate poco prima con Kaidan e le emozioni devastanti provate nel rivedere la Normandy.
- E' stata ferita, Garr - singhiozzò alla fine di quel discorso senza senso.
- E' una fregata da guerra, Shep, non un modellino da esposizione - le rispose, cercando di trovare un'interpretazione valida per lo spettacolo che gli si presentava nello schermo, alle due di notte - Anche tu sei piena di cicatrici e le tue sono ben più profonde: non possono guarire come banali falle in uno scafo.
- Questo lo so - ammise, sentendosi comunque persa.
Il turian fissò il terrario con le piante divelte che intravedeva sullo sfondo e quel volto in primo piano, sperduto e disperato, che non gli era familiare. “E' che ti senti responsabile, perché non eri a bordo. Ma se te lo dicessi, non ti aiuterei di certo” rifletté restando in silenzio.
- Fra poco arriveranno i tuoi ospiti e devi prepararti - osservò pacatamente alla fine di quella lunga pausa pensierosa - Devi capire bene come stanno le cose, Shepard: ho bisogno che tu sia in grado di comprendere il resoconto che ti faranno e di trarre conclusioni. Sono certo che sono confusi e che stanno cercando il tuo aiuto. E questo vale anche per me, comandante. Mi hai voluto far accettare la carica di Primarca, e non di una qualsiasi colonia turian sperduta nella galassia, ma di Palaven: ho il peso della mia gente sulle spalle e ho bisogno di te. Mi hai capito?
- Sì, Garrus.

Guardò lo stato disastroso del terrario e cercò di sistemarlo alla meno peggio, se non altro raccogliendo la terra e l'argilla espansa che si erano sparse sul pavimento dell'atrio. Il timer delle luci artificiali e l'erogatore dell'acqua erano andati e le piante sarebbero morte nel giro di pochi giorni, se non li avesse sostituiti, ma l'idea di dover provvedere a delle stupide creature viventi che avevano uno scopo esclusivamente decorativo le sembrò un inutile spreco di tempo.
“Spero che non ci fossi morbosamente affezionato” si augurò, mentre si rendeva conto che le era impossibile immaginarsi Anderson nell'atto di potare un ramo o legare uno stelo ad un supporto.
Il campanello all'ingresso suonò prima che facesse in tempo ad andare infilarsi nel bagno ed andò ad aprire la porta con le mani sporche di terra.
- Beh, vedo con piacere che ti sei già sfogata - la prese in giro Joker, passando lo sguardo dalle sue dita sudicie al terrario con le piante sbilenche - Volevo portarti un punching ball, ma Kaidan aveva fretta e si è rifiutato di lasciarmi entrare nel negozio.
- Piantala Jeff, non sono dell'umore giusto. Puoi entrare, ma a patto che il tuo sarcasmo resti fuori - gli rispose bruscamente, decisa a riappropriarsi del suo ruolo di comandante, sia pure in congedo.
- Prendetevi quel che volete dal bar, mentre mi lavo le mani - li invitò, facendosi da parte per farli entrare - sono certa che ricordiate dove sono le bottiglie.

- Ricapitolando - prese a dire Trinity alla fine del lungo racconto che quei tre amici le avevano fatto tutti insieme, intervenendo l'uno nei discorsi dell'altro, per chiarire alcuni aspetti o per rispondere a sue domande precise - la missione sarebbe stata un completo buco nell'acqua se non vi fosse capitato di scontrarvi, per puro caso, con i Divoratori di stelle.
- Ce ne siamo tenuti alla larga, come ci avevi consigliato - assentì Kaidan - e la collisione contro quel loro gruppo è stata del tutto fortuita.
- Erano in stasi - confermò IDA - non emettevano energia e mi erano quindi del tutto invisibili, anche se i nuovi strumenti di cui hanno dotato la Normandy e tutti gli altri veicoli utilizzati per la ricerca dei Divoratori di stelle sono estremamente efficienti.
- E voi eravate in occultamento e quindi vi ritenevate invisibili. Ma lo eravate davvero? - chiese con una certa preoccupazione.
- Sì, Shepard, ne sono sicura. Nel momento del contatto, prima che le entità si alimentassero dell'energia della Normandy e poi esplodessero, causando le falle che hai notato, sono partite quelle specie di scariche che usano per trasmettere fra di loro, quelle che io sto ancora imparando a decifrare.
- E sei sicura che ti abbiano riconosciuto.
IDA annuì - Sapevano chi ero. Hanno inviato una sorta di codice di identificazione, con le coordinate della posizione che abbiamo occupato nel sistema Far Rim, ai tempi della battaglia.
- Immagino sia un procedimento pressoché automatico per loro. Individuano le entità che emettono energia e le posizionano naturalmente all'interno delle loro mappe - osservò Trinity pensierosa - I loro obiettivi sono le stelle, che all'interno di una galassia mantengono una posizione pressoché stabile.
- Non ci avevo pensato, ma è un'osservazione ragionevole - replicò IDA - Il procedimento di mappatura sarebbe il più logico per entità di questo tipo.

- Sto quasi rimpiangendo Liara e i suoi gridolini entusiasti nello scoprire qualche caratteristica ancora sconosciuta sui Prothean - osservò Joker, fissando le due donne con perplessità - Sono felice nel vedervi estasiate nell'avere imparato qualcosa sui Divoratori di stelle, ma non capisco l'utilità dell'informazione.
- Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo - dichiarò Kaidan.
- Cazzo! E io che pensavo che i biscottini cinesi fossero passati di moda!
- Non è un fottuto bigliettino della fortuna, Jeff - lo rimproverò Shepard con aria disgustata.
- Sun Tzu: l'arte della guerra - chiarì IDA - Suppongo che l'addestramento N7 preveda anche la lettura di testi di strategia militare.
- I cinesi avranno fatto un biscotto abbastanza grande da infilarci dentro un libro - concluse Joker alzandosi dalla poltrona per andarsi a prendere un'altra bottiglia di birra gelata.

- La tua ragazza possiede la Stele di Rosetta. E' questa l'importanza fondamentale della missione che avete completato, Jeff, ammesso che tu sappia cosa sia questa stele.
- E' quel sasso che ha permesso di capire i geroglifici - ribatté il pilota - ma non capisco lo stesso...
- Sasso... - ripeté Kaidan - Il mio pilota è un cialtrone - concluse sconsolato, roteando gli occhi e lanciando un'occhiata verso il soffitto prima di tornare a spalmarsi sulla poltrona in vera pelle.
- Uno: Questo cialtrone vi ha riportato a casa, perché col cazzo che ne uscivamo fuori se non c'ero io ai comandi! Due: non sono il tuo pilota. E tre: no, no, no. Non guardarmi con quegli occhioni verdi sognanti: non sono neppure il tuo, di pilota - concluse ghignando verso Shepard con aria divertita.
- Maledetti! - inveì lei a questo punto fissando alternativamente quei due umani, stravaccati sulle poltrone del suo salotto, che se la stavano godendo un mondo.
- Ti mancava il tuo equipaggio, eh, comandante? - la sfotté Kaidan.

Nessuno però fu così crudele da uscirsene con battute su mamme, mogli e casalinghe disperate e dopo qualche risata, erano tornati a occuparsi della questione per cui si erano ritrovati tutti nell'appartamento di Anderson.
- Adesso ho capito come leggere le loro mappe - spiegò IDA, a beneficio di Jeff, che era l'unico a non aver fatto mente locale.
- Hai confrontato la nostra mappa di Far Rim con la loro, esattamente come la stele di Rosetta metteva a confronto le parole in greco e i geroglifici. Giusto?
- Sì, Jeff. E quindi ora posso tradurre le loro mappe nelle nostre.
- Interessante... o almeno suppongo possa esserlo. Lo è?
- Beh, IDA ha la loro mappa del posto dove si trova il fottutissimo portale intergalattico... - intervenne Shepard, fissando il pilota.
- Oh merda! E perché stiamo ancora seduti qui a ubriacarci?
- Uno: perché la Normandy è un po' malconcia e sarebbe bene ripararla prima di ripartire - fu la risposta di Kaidan.
- Due: perché non possiamo prendere e partire come se nulla fosse. Probabilmente ci toccherà parlare con il Consiglio e con l'Alleanza e non vedo ancora come potremo farlo senza mettere in un mare di guai la tua ragazza - fu la replica di Shepard.
- Tre: perché non so assolutamente dove si trovi questo luogo - fu l'obiezione conclusiva di IDA.

The Fate Of The Galaxy


- Non sono sicuro di aver compreso tutto, Shep - confessò Garrus, dopo il racconto che Trinity gli aveva fatto, non appena i suoi compagni avevano lasciato l'appartamento.
Gettò un'occhiata all'orologio: adesso erano le quattro e mezzo di notte (o le quattro e mezzo del mattino? Non sapeva cosa fosse più appropriato) ed era ovvio che avrebbe dovuto aspettare la sera successiva per dormire. Si sentiva confuso e forse la mancanza di sonno (Spiriti! Faceva un'immane fatica per riuscire ad addormentarsi in quel letto troppo grande) gli sottraeva la sua solita razionalità.
- Puoi provare a spiegarmi meglio cosa significa che IDA ha la mappa del settore in cui c'è il portale intergalattico che stiamo cercando, ma che non sa trovarlo?
- In pratica sa soltanto che si tratta di un settore che in questo momento è vuoto. Lì adesso non c'è nulla, tranne il loro portale, anche se prima c'era una fonte di energia: forse una stella, anche se secondo IDA quella fonte era debole.
- Parli di un adesso e di un prima. E' estremamente generico. Anni, decenni, millenni, milioni di anni: non sai quantificare in qualche modo?
- Per entità senza un ciclo vitale, come i Divoratori di stelle o IDA, il nostro tempo, il tempo degli organici, è privo di significato.
- La tua IA è sicura delle sue conclusioni?
- Sì, Garrus, io le credo: ha confrontato più volte la loro mappa di Far Rim e la nostra.
- Pensi che i nostri amici abbiano fagocitato quella stella?
- O magari quella stella si è spenta naturalmente. Non lo so proprio. La sola cosa certa è che non sappiamo dove possa trovarsi una zona con queste caratteristiche e potrebbero volerci migliaia di anni per scovarlo, anche impiegando milioni di droni, che non abbiamo neppure e che dovremmo costruire - aggiunse stringendosi nelle spalle.
- Questa informazione che sembrava così promettente è completamente inutile - concluse avvilita.
- Cerchiamo i lati positivi - provò a consolarla suo marito - Il portale intergalattico non può trovarsi in nessuna delle regioni a noi note.
- Non ho voglia di scherzare, Garrus: la parte della Via Lattea a noi nota è irrisoria. Questa affermazione, anche se vera, non ci aiuta.
- Spiriti, Shep! E invece ho dannatamente torto! - esclamò Garrus con enfasi improvvisa - Noi conosciamo un settore che potrebbe corrispondere a quello descritto da IDA! E tu lo conosci meglio di chiunque altro: sei tu che l'hai polverizzato.

°°°°°

- Sì, Shepard, potrebbe trattarsi del settore batarian - fu la conclusione di IDA - anche se la stella di quel sistema avrebbe dovuto essere evidenziata con un livello di energia decisamente maggiore di quello che trovo sulla mappa.
- Ma non sappiamo come vengono classificate le fonti di energia dai Divoratori di stelle - obiettò lei.
- E' vero: non conosco i parametri su cui si basano. Potrebbero essere del tutto diversi dai nostri - concordò la IA.
- Per cui vale la pena andare a controllare - concluse Kaidan.
- E come lo diciamo al Consiglio? - chiese Joker.
- Beh, i Razziatori avevano provato a entrare nella Via Lattea da quel settore, perché non dovrebbero farlo anche i Divoratori di stelle? - ragionò ad alta voce il maggiore Alenko - E poi in quel sistema non sono stati inviati droni o sonde, a causa della pericolosità di quello spazio, dopo la distruzione del portale. Non credo che cercheranno di ostacolarmi.
- E non scordare che sei uno Spettro - aggiunse Shepard - Non hanno modo di fermarti.
- No, ma mi servirà una nave. Oppure dovrei rassegnarmi ad aspettare dei mesi, fino a quando la Normandy non sarà nuovamente in condizioni di volare.

- Io aspetterei dei mesi, al tuo posto - fu il consiglio che provò a dare al maggiore Alenko, mentre lo accompagnava alla porta del suo appartamento, dopo che IDA e Joker erano andati via di fretta perché alcuni tecnici avevano cominciato ad occuparsi dello scafo danneggiato.
- Non so, Shepard. Non voglio aspettare tanto per capire come stanno le cose - aveva ribattuto lui.
- Ci vorrà quasi un anno per arrivare lì e altrettanto tempo per tornare indietro. Cosa vuoi che sia un'attesa di qualche mese? Non sottovalutare IDA e non sottovalutare l'abilità di Joker: potrebbero essere indispensabili per uscirne vivi.
- Ci penserò su. Parlerò con il Consiglio e ti farò sapere - fu la sua frase conclusiva, prima di uscire dall'appartamento.

°°°°°

- Non ti perdoneresti mai di lasciarlo morire lì da solo, Shep - osservò Garrus, dopo che ebbe finito di ascoltare il resoconto dettagliato di sua moglie su quanto aveva deliberato il Consiglio una volta ascoltate le richieste del maggiore Alenko.
- Sono certa che non morirà - fu la sua fredda replica.
- La Prometheus è una nave eccellente, sicuramente la migliore di tutta l'intera flotta - concordò lui, ma poi obiettò - Il fatto è che non ha IDA a bordo e, per quanto sia bravo il pilota che gli hanno assegnato, non sarà mai bravo quanto Jeff. E lo sai benissimo. Non possiamo lasciarlo partire da solo.
- Kaidan sta sbagliando - replicò Trinity in tono irritato - Vedi? Tu capisci quanto IDA sia necessaria in questa situazione e lui invece non ci riesce proprio. Inoltre non riesco a fargli entrare in testa che proprio le sue considerazioni mi hanno fatto comprendere che sta per imbarcarsi in una missione inutile.
- Non so a cosa tu ti stia riferendo.
- Ho passato tutta la notte a pensare a questa storia, Garrus. C'è qualcosa che non mi convince, anche se non ho trovato nessun altro settore a noi noto che possa corrispondere a quello descrittoci da IDA. Sono solo certa che il settore batarian non è quello che stiamo cercando: non può esserlo. Ne sono sicura, Garrus. E' questo il motivo per cui non saliremo sulla Prometheus: non voglio rimanere impegnata due anni in una missione che è un'emerita cazzata, quando poi magari il settore giusto verrà scoperto per caso da una delle migliaia di sonde e di droni che se ne stanno andando a zonzo per la galassia. Voglio tenermi pronta a partire, con la mia Normandy.
- Ma cos'è esattamente che non ti convince riguardo il settore batarian? - le chiese interessato, fissando l'espressione decisa di quel viso che era tornato ad essere quello del suo vecchio comandante.
- Ne parliamo quando torno o rischio di perdere il volo - rispose lei agitando un biglietto che teneva fra le mani - Mi manchi, dannato testone.
- Oh! Davvero? - le chiese, stupito per quell'ammissione.
- Beh, sì. E poi la Normandy me l'hanno rinchiusa in un dannatissimo hangar. Dicono che serviranno almeno quattro mesi per completare tutte le riparazioni. Che ci sto a fare qui, senza te e senza la mia dannata nave?



Note
(1) Tratto da Wikipedia: le specie [dipnoi] africane e sudamericane sono in grado di sopravvivere a lunghi periodi di siccità (anche quattro anni) seppellendosi nel fango del fondale e sigillandosi in una specie di tana circondata da muco protettivo. Una volta nella tana questi dipnoi respirano direttamente l'aria esterna e riducono fortemente il proprio metabolismo: in questo stato i pesci si limitano a consumare le proprie riserve di grasso entrando in una specie di letargo (estivazione)...

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Capitolo 27
*** Il portale intergalattico ***


IL PORTALE INTERGALATTICO


Pillow Talking



La prima cosa che Shepard vide non appena aprì gli occhi fu il datapad appoggiato sul comodino che riportava la scritta, in caratteri maiuscoli e in grassetto: Moglie smemorata, ricorda che è il compleanno di Joran.
Sorrise con gratitudine: se ne sarebbe dimenticata di certo.
Non era capace di memorizzare le date. Scordava puntualmente l’anniversario di matrimonio, il compleanno di Garrus e quello dei figli, così come, ogni anno, dimenticava la ricorrenza della vittoria contro i Razziatori.
Le date erano illusorie, immaginarie, artificiose, erano basate sulla lunghezza della rotazione attorno al sole di un pianeta scelto come riferimento. Le dimenticava perché prive di senso.
Eppure quei maledetti anniversari scandivano il suo tempo.
Fece mente locale: “è il 2197, Joran compie cinque anni e Halia ne ha finiti otto” si rese conto con un vago senso di stupore, mentre si tirava su e appoggiava la schiena contro la spalliera del letto. All’inizio del nuovo anno scolastico suo figlio sarebbe andato a scuola, non più all’asilo.
“Sono dieci anni che sono ancorata a terra” fu l’inevitabile riflessione successiva, che tentò di allontanare con irritazione.
Scese le scale e andò in cucina per controllare se il biglietto per Joran fosse al suo posto. Garrus aveva pensato anche a quello, prima di uscire per andare al lavoro, e un cartoncino vero, scritto a mano in caratteri turian, era appoggiato contro una delle tazze sul tavolo.
Aveva il tempo per farsi un caffè, prima di svegliare i suoi due figli, un po’ in anticipo rispetto alla solita ora, per dare modo al festeggiato di seguire gli indizi della caccia al tesoro che l’avrebbe condotto a trovare il regalo nascosto: un modellino di intercettore che sparava piccoli proiettili di plastica. Un regalo adatto ad un bambino più grande, ma lo desiderava talmente tanto che lei e Garrus alla fine avevano ceduto.

Uscì dalla porta e andò a cogliere un paio di quelle pere rosa mature che suo figlio aveva dimostrato di gradire fin dai primi giorni di vita e, mentre risaliva i pochi gradini che l'avrebbero riportata dentro casa, ripensò alla prima volta in cui li aveva calpestati.
La ricerca di un'abitazione in cui trasferirsi, dopo il breve soggiorno nella casa di suo suocero, non era durata a lungo: in breve si era resa conto che i diversi edifici di Cipritine non differivano significativamente fra di loro, tranne che per superficie e numero di vani. Alla fine aveva stabilito, in accordo con suo marito, che la scelta poteva basarsi semplicemente sulla localizzazione dello stabile, tenendo conto della vicinanza a palestre, aree verdi, parchi giochi, scuole e così via.
- Pensi che questa possa andare? - le aveva chiesto Garrus aiutandola a scendere la breve scala che in quel momento stava risalendo.
- Boh, credo di sì - aveva risposto - ma sai che sono più brava a valutare uno scafo. Ho vissuto in due sole case: quella di Anderson sulla Cittadella e la baita sulla Terra. E non ho scelto nessuna delle due.
- Sapevo che avrei dovuto portarmi appresso Sol… è anche più maneggevole di una panciona come te - aveva commentato lui ridendo, non riuscendo ad agguantarla, mentre lei inciampava nell’ultimo gradino, finendo sul terreno sottostante.
- Accidenti! Non vedo neppure dove poggio i piedi - aveva ansimato, mentre una fitta le spezzava il fiato.
- Ci credo… sembri davvero un volus.
- …
- Un volus grassottello - aveva aggiunto Garrus, divertito dal respiro pesante di sua moglie.
- ...
- Un volus grassottello che ha finito di divorare una torta - aveva precisato. Poi l'aveva sollevata di peso e si era messo a sedere sull'ultimo gradino della scaletta tirandosela in grembo.
Trinity aveva respirato ancora una volta a fatica, in preda al panico per una nuova fitta, e poi gli aveva sussurrato nell’orecchio - Mi si sono rotte le acque.
E quella sua comunicazione aveva scatenato il panico.
- Dannazione, manca ancora un sacco di tempo - aveva esclamato Garrus, saltando in piedi con lei in braccio - e poi le cose, le acque... non dovevano rompersi, no?
- No, non dovevano. Ora smetti di dirmi cosa c’è di sbagliato e portami in ospedale.

Appena arrivati a destinazione, una giovane infermiera si era occupata di loro, procurandole una barella su cui sdraiarsi e somministrandole un sedativo che in breve aveva placato le fastidiose contrazioni.
Aveva indicato il corridoio alla loro sinistra al portantino che stava spingendo la barella e il corridoio dalla parte opposta a Garrus, precisandogli quale fosse la porta della sala d'aspetto.
Nonostante la preoccupazione che provava per quelle dannate contrazioni che anticipavano di una ventina di giorni la data del cesareo, si era voltata a fissare suo marito, desiderando disperatamente che lui rimanesse al suo fianco, anche se sapeva che ai mariti era permesso l'entrata in sala parto, ma non in sala operatoria.
- La prego, Primarca Vakarian, sia ragionevole. Non posso lasciarla passare - aveva protestato l'infermiera, bloccando fisicamente il passaggio - Deve aspettare in sala d'attesa, che si trova oltre la seconda porta sulla destra.
- Ma mia moglie è qui - aveva obiettato Garrus, spostando di peso la ragazza e raggiungendo Trinity, mentre inveiva a gran voce contro il portantino che era rimasto immobile a fissare la scena con espressione perplessa - Forza ragazzino, andiamo! Chiudi la bocca e datti una mossa.

- Suppongo che i mariti non siano ammessi - aveva osservato lei con una risata nervosa accorgendosi che in mezzo a quel trambusto un medico era uscito nel corridoio, continuando a fissare Garrus con evidente disapprovazione.
- Signor Primarca, gradirei che lei aspettasse fuori - aveva protestato in tono garbato - Non è permesso entrare in sala operatoria - aveva concluso, sempre in tono deferente, ma fermo, mentre si faceva da parte per consentire l'ingresso alla barella.
- Quello che lei gradirebbe o meno non mi interessa - era stata la risposta secca di Garrus, che era entrato subito appresso - Io resto con mia moglie. Pensi solo a quello che deve fare. Mi dia un camice e una mascherina o quello che serve in questi casi.

Mentre la preparavano per l'anestesia, aveva ascoltato la voce tranquilla di Garrus che si era seduto su una sedia a fianco del suo letto. Per tutto il tempo in cui era rimasta cosciente, le aveva tenuta stretta una mano e aveva parlato ininterrottamente, per distrarla e forse anche per distrarsi.
L’ultima immagine di cui era stata cosciente era la stessa che aveva intravisto al risveglio: il cielo azzurro degli occhi del suo turian.
- E’ andato tutto bene: ci porteranno Joran fra qualche minuto. Come ti senti?
- Debole, ma bene - aveva risposto, mentre Garrus le passava un panno umido sul viso - Molto meglio dell'altra volta, quando non c'eri.
Poi si era ritrovata a ridere, senza riuscire a smettere.
- Diavolo! - aveva esclamato - Allora nessuno aveva tentato di tranquillizzarmi insegnandomi le procedure migliori per calibrare il Thanix - gli aveva spiegato.
- La scelta degli argomenti poteva essere migliore, lo ammetto - aveva replicato lui ridacchiando - ma dovevo restare su un terreno sicuro... ero terrorizzato da tutto il resto.
- Per una volta mi hai fregato: sembravi tranquillo e rilassato.
- Le placche ossee aiutano parecchio - era stata la replica divertita - e anche la dannatissima carica che mi hai costretto a sobbarcarmi è un'ottima scuola.

Entrò nella stanza di Joran il quale, appena sentì la sua voce che gli faceva gli auguri, si scapicollò giù per le scale, sicuro di trovare sulla tavola il primo indizio della caccia al tesoro che lo avrebbe condotto al regalo. Non le fu necessario entrare da Halia per svegliarla: ci pensarono le urla vittoriose di suo fratello che le piombò in stanza stringendo il biglietto fra le dita, in cerca di un aiuto per decifrare la scrittura spigolosa paterna.
Non aveva esperienza con i bambini umani, ma dai racconti che aveva ascoltato durante i periodi di addestramento nell'Alleanza e nelle forze speciali N7, aveva idea che i suoi figli si comportassero in modo diverso: non litigavano mai fra di loro, anche se erano capaci di azzuffarsi, anche ferocemente, con i compagni di scuola, e in quel caso si spalleggiavano sempre a vicenda.
Erano entrambi decisi e cocciuti, sicuri delle proprie ragioni e dell'appoggio che avrebbero trovato nei famigliari. Non rispettavano le regole a meno che non fossero convinti della loro necessità e correttezza e per questo motivo finivano per mettersi nei guai, in quella collettività così ordinata.
Se queste caratteristiche erano comuni ad entrambi, molte erano le differenze che già adesso si notavano e che sicuramente si sarebbero accentuate con la crescita. Halia era impulsiva e irrequieta, Joran riflessivo e silenzioso. Era capace di starsene intere ore in silenzio assoluto, perso appresso a pensieri di cui non parlava con nessuno, forse neppure con la sorella, per quanto ne sapeva Trinity.
Fra i due, era la ragazzina a impensierirla vagamente: con quella gran massa di capelli rossi spettinati di cui andava così fiera da rifiutarsi categoricamente di legarli in qualche modo e quella camminata strana che non era turian, ma neppure umana, non passava inosservata. La prontezza con cui usava la lingua, con una sincerità disarmante, le rendeva difficile avere amicizie durevoli, cosa di cui, però, Halia non si rammaricava affatto.
Li fissò con uno sguardo divertito ed affettuoso, lasciandoli alle prese con la soluzione del primo indovinello e si andò a vestire.

A Future for the Krogan


Aprendo le ante dell'armadio si fermò a fissare l'uniforme che era stata solita indossare a bordo della Normandy. Stava lì da anni e anni, appesa con cura sulla prima stampella a destra, in attesa che qualcosa o qualcuno trovasse lo stramaledetto portale intergalattico la cui collocazione continuava a essere del tutto sconosciuta.
Da quel lontano giorno di oltre quattro anni prima, quando IDA le aveva assicurato di avere la mappa del settore della Via Lattea in cui si trovava quel portale, ma di non essere in grado di determinarne la posizione, non era stato fatto alcun passo in avanti.
Come aveva capito prima ancora che Kaidan partisse, a bordo della Prometheus, il portale non si trovava nel settore batarian, così che la missione del maggiore Alenko era risultata essere una noiosa perdita di tempo. O almeno era questo che lui andava ripetendo in giro. In realtà Trinity sapeva benissimo che l'aggettivo noiosa era poco appropriato per definire quella missione, almeno per quanto riguardava Kaidan e la scienziata umana che rispondeva al nome di Audrey Bogart.
Salita su una nave dell'Alleanza solo per avere tempo e modo di completare degli esperimenti nello spazio, la giovane biotica si era presto innamorata di quel maggiore dall'aria malinconica e un po' schivo, nonostante fosse uno Spettro e uno dei personaggi più celebri della galassia.
Nel giro di un paio di mesi dall'inizio della navigazione, tutto l'equipaggio della Prometheus era consapevole di quei suoi sentimenti, tranne il loro comandante, e ci era voluta tutta la pazienza e costanza di Audrey per riuscire a vincere le reticenze di Kaidan, impacciato da mille dubbi e incertezze, anche se non esisteva alcun problema di fraternizzazione, dato che lei era una civile.

All'epoca Trinity aveva deciso di non partire sulla Prometheus, ma non per via dei suoi figli: non voleva perdere tempo in una missione che sapeva inutile, preferendo tenersi pronta a salpare non appena si fosse ottenuto il sia pur minimo indizio sullo stramaledetto portale fantasma.
- Non è l'obiezione di IDA, sul blando livello di energia corrispondente alla stella che una volta doveva esistere nel settore, a farmi capire che salire a bordo della Prometheus sarà solo una perdita di tempo, ma proprio le argomentazioni che Kaidan utilizzerà per convincere il Consiglio - aveva spiegato a Garrus, che era venuto a prenderla allo spazioporto di Cipritine quattro anni prima.
- I Razziatori conoscevano sicuramente la dislocazione del portale intergalattico, come sappiamo dal fatto che nelle sue vicinanze si è svolta una battaglia contro i Divoratori di stelle, pertanto sarebbe stato assurdo che scegliessero proprio quel settore per entrare nella Via Lattea - aveva esclamato con sicurezza - Se ne sarebbero tenuti alla larga e ci sarebbero entrati solo se costretti, magari per procedere alla mietitura di una razza che si fosse evoluta in quella zona. Ma anche questa parte del discorso suona poco convincente, non ti pare? - aveva chiesto a suo marito.
- Cosa vuoi dire? - le aveva domandato Garrus a sua volta, senza riuscire a capire dove volesse arrivare.
- Una qualsiasi civiltà evoluta, che avesse scovato i portali dei Razziatori e quindi la Cittadella, avrebbe dovuto accorgersi anche della presenza di un portale intergalattico. E fra l'altro il popolo batarian è sempre stato piuttosto attivo, come dimostrano i diversi scontri che ha avuto con tutte le altre specie. Non è ragionevole immaginare che non si siano accorti dello stramaledetto portale in un settore nel quale erano così numerosi, tanto più che sono ottimi commercianti, anche di merci non propriamente legali, e schiavisti, per cui sono certa che abbiano accuratamente esplorato tutto l'esplorabile - aveva concluso con sicurezza.
E non era partita affatto, alla fine, neppure quando la Normandy era stata riparata. Avrebbe dovuto cercare un settore vuoto della galassia, un ampio spazio senza stelle. Un settore morto che non poteva ospitare alcuna forma di vita. Andarsene in giro nello spazio vuoto fra sistemi, alla ricerca di un portale immerso nel nulla, avrebbe portato solo a una noia mortale, passato il primo entusiasmo per ritrovarsi di nuovo alla guida della sua nave. Aveva semplicemente scelto di attendere che qualcuno, o qualcosa, trovasse un indizio degno di nota.

Finì di prepararsi proprio mentre Halia stava incitando il fratello a fare presto.
- Io non vado più all’asilo e non voglio arrivare a lezione iniziata. Hai preso la merenda?
- Sì, Ally - rispose il piccolo, sicuro che la sorella si sarebbe infastidita per quel soprannome, ma non più di tanto. Solo a lui consentiva di storpiare il suo nome, in ricordo di quando era troppo piccolo per riuscire a pronunciarlo correttamente.
- Lascia il nuovo giocattolo o sai come finisce: quel tuo compagno scemo te lo prenderà e mi toccherà picchiarlo - sentì che Halia ordinava a Joran, mentre lei stava scendendo le scale, e notò come il bambino le lanciasse un'occhiata afflitta, ma posasse il modellino di intercettore sul tavolo del salone.
- Ci giochiamo insieme appena torno da scuola - gli promise Halia, come ricompensa.

Guidò il veicolo in modo distratto, in mezzo a quel via vai disciplinato, che non assomigliava affatto al traffico intenso e caotico della Cittadella, mentre pensava a quello che avrebbe raccontato ai suoi studenti del terzo anno di corso. Si fermò davanti all'edificio scolastico, fece scendere i bambini e si chinò a dare e ricevere un piccolo bacio di saluto.
Si attardò ancora un istante a guardarli, divertita nell’avvertire il calore di quello strano sentimento, il cosiddetto amore materno che, fino a quando era rimasta in servizio attivo nell’Alleanza, non avrebbe mai immaginato di poter provare. Poi risalì sul veicolo, diretta al lavoro.

Posteggiò nel parcheggio antistante l’Accademia e si avviò verso lo spogliatoio per cambiarsi d’abito e indossare la divisa. Era del medesimo colore di quella dei suoi colleghi turian, ma era stata cucita appositamente per lei, e anche il tessuto era diverso: conteneva fibre in grado di riflettere le radiazioni solari, per sopperire alla mancanza di metallo nella pelle.
Mancava ancora una mezzora all’inizio della prima lezione. Salì le scale dirigendosi verso il suo studio e chiamò Garrus con il comunicatore.
- Sei impegnato?
- Ti stavo per chiamare. Raccontami di Joran.
- Appena ha scartato il regalo ha cominciato a saltare per tutta casa lanciando urla di vittoria. Mi ha ricordato Grunt e il suo Io. Sono. Krogaaaaaaan!
- Shep?
- Sì?
- Stai bene?
- Sì - rispose immediatamente, in tono sicuro, sapendo che lui aveva avuto paura che stesse avvertendo i morsi della nostalgia - Davvero. Sto bene. Ci vediamo stasera.

Dal suo ultimo compleanno, che avevano festeggiato pochi giorni prima, Garrus era ancora più attento del solito a capire cosa lei provasse e diventava irrequieto se non poteva parlarle fissandola in volto.
La sera dell'undici aprile scorso, dopo aver messo i figli a letto, Trinity era uscita silenziosamente da casa e si era seduta sul primo gradino della scala che portava in giardino e Garrus, che era uscito poco dopo con due calici colmi di un raro spumante di Palaven, aveva visto la sua sagoma soffusa di una leggera luce azzurra. Raccolta su se stessa, con le ginocchia piegate contro il petto e le braccia attorno alle gambe, gli era sembrata talmente minuscola da non riuscire a credere di stare fissando il celebre comandante Shepard, la donna che era stata il suo comandante.
Le si era avvicinato in silenzio, cercandole il viso: non guardava altro che il nulla, con il volto privo di espressione.
- Ho avuto paura che stessi piangendo - le aveva confessato sedendosi al suo fianco e porgendole uno dei due calici.
- Credo di aver finito le lacrime - gli aveva risposto senza neppure voltarsi. Poi aveva alzato l'indice verso il cielo nuvoloso - Questa notte anche le stelle sono finite.
E lui era rimasto senza più parole e senza respiro, sentendosi un idiota con quei due calici in mano. Si era alzato silenziosamente come era arrivato, gonfio di un dolore che avrebbe voluto liberare in un grido: era tutto dannatamente sbagliato.

Era rimasta in giardino tutta la notte, con il viso asciutto: le troppe lacrime versate non erano mai servite a cambiare nulla.
Aveva trascorso quelle ore buie e silenziose a ripetersi che era inutile rattristarsi su quello che non aveva più, rischiando di perdersi anche quanto di bello offriva quella vita pacifica e serena, e a cercare di assimilare quella frase “Tutto non si può avere” che si ripeteva ormai da qualche tempo, sapendo che non sarebbe riuscita a partire tanto per partire, senza sapere dove andare.
La Normandy era posteggiata da anni, come tante altre navi spaziali. Tutte le razze avevano convenuto che il modo più rapido ed efficiente per cercare il portale fantasma si basava sull'uso intensivo di sonde e droni e gli sforzi comuni si rivolgevano alla loro costruzione e alla determinazione delle rotte, in modo da evitare che le rilevazioni avvenissero in maniera caotica e disordinata.
Facendo uso della sua autorità indiscussa, Garrus aveva fatto entrare Joker in un distaccamento militare turian, con sede sulla Cittadella, che si occupava di coordinare gli sforzi della sua gente con quelli delle altre razze, nell'esplorazione a tappeto delle zone sconosciute della Via Lattea. Oltre all'innegabile esperienza che Jeff poteva vantare e che si era rivelata preziosa in numerose circostanze, questa sua iniziativa aveva consentito di utilizzare IDA, senza che nessuno ne venisse a conoscenza. In qualità di accompagnatrice del tenente Moreau, le era facile accedere ai terminali e tenersi aggiornata su ogni più piccola novità che riguardasse l'esplorazione della galassia.
Ma nonostante gli sforzi notevoli, sostenuti con spese ingenti per finanziare ricerche scientifiche, personale altamente qualificato e ampio uso di mezzi tecnologici di avanguardia, nessuno era stato in grado di individuare il sia pur minimo indizio utile.

Radunò un po’ di materiale utile per la lezione ai suoi allievi del corso più avanzato. Se non altro, quel lavoro in Accademia le consentiva di tenersi aggiornata su tutto l’equipaggiamento da combattimento. Le arrivavano regolarmente tutte le notizie riguardanti le migliorie che via via si rendevano disponibili su armi, armature e potenziamenti di ogni tipo. Era stato Garrus a procurarle quell’occasione, anche se in maniera piuttosto singolare.
Tutto era cominciato con un colloquio finito male.
Era andata a parlare con il maestro di sua figlia, che all’epoca aveva sei anni, per uno di quei noiosi incontri genitori-insegnanti. Si era sentita dire che Halia non prestava particolare attenzione a quanto avveniva in classe e che spesso si estraniava in un mondo tutto suo, dal quale era difficile farla riemergere.
Per chiarirle la situazione il maestro le aveva raccontato quanto accaduto durante la lezione di quella stessa mattina.
- Avevo appena cominciato a parlare delle Asari, che sua figlia ha aperto non so quale libro e si è messa a leggere, senza prestare la minima attenzione - iniziò a dire il maestro - Le ho chiesto cosa stesse leggendo, ma non ha neppure alzato la testa, nonostante io l'abbia richiamata più volte.
- Neppure le sonore risate dell'intera classe sono riuscite a farla tornare fra noi. Solo quando le ho strappato il libro dalle mani, sua figlia ha reagito, ma si è comunque limitata a fissarmi con uno sguardo sorpreso, chiedendomi cosa desiderassi - concluse, mentre Trinity cercava di restare impassibile, pur immaginandosi perfettamente l'ilarità che doveva aver aver scatenato quella scena.

- Sua figlia ha problemi di attenzione o è solo maleducata? - aveva chiesto a quel punto il maestro fissandola con uno sguardo gelido.
- Halia ha una zia asari che conosce molto bene. Immagino che avrà pensato di sapere tutto su quella razza. Sicuramente non voleva essere maleducata: suppongo si sia messa a leggere senza immaginare che lei si sarebbe risentito - aveva commentato in tono conciliante.
- Tre miei alunni hanno un genitore asari, ma non per questo si sono estraniati dal resto della classe - aveva osservato il maestro - Inoltre sua figlia assume questo stesso atteggiamento in numerose circostanze, risultando oltremodo irritante - aveva aggiunto con aperta disapprovazione.
- Si ricorda in quali altre occasioni Halia si è isolata? Quali argomenti stava spiegando?
- Capita spesso durante le lezioni di storia e geografia: la Guerra del Primo Contatto, l'attacco dei Razziatori, le caratteristiche delle principali razze della galassia... - aveva risposto lui, interrompendo il suo tentativo di replica con un gesto - Mi lasci finire, la prego. Posso capire che sua figlia pensi di conoscere bene tutti questi argomenti, ma il suo comportamento non è socialmente accettabile.
- Se mia figlia li conosce ed è in grado di rispondere alle sue domande, credo che possa dedicarsi ad un’attività che la interessa maggiormente, dato che non disturba la sua lezione - commentò lei gelidamente.
- Distrae i suoi compagni – fu la secca obiezione.
- In tal caso, quando vede che non segue le sue spiegazioni, potrebbe mandarla nell'aula di lettura, dove sono certa che non disturberebbe nessuno.
- Non è una prassi usualmente adottata in questa scuola.
- Ma non comporterebbe alcun disagio. So che nell'aula di lettura è sempre presente qualcuno del personale della scuola.
- Forse lei crede che la figlia del Primarca abbia diritto a un trattamento speciale?
- Non ho mai detto niente del genere.
- O magari pensa che l'educazione turian sia dannosa per sua figlia? So bene che le altre razze non riescono a capire l’importanza della disciplina e del senso civico, fondamentali nella nostra cultura. Sua figlia è l’esatto esempio di quanto le sto dicendo - aveva concluso guardandola con aperta ostilità - e non me ne meraviglio affatto. Di certo ha ereditato una buona dose di disordine e di menefreghismo dalla sua parte umana.

E lei aveva visto rosso.
Senza neppure accorgersi dell’aura blu che la illuminava da capo a piedi, si era alzata in piedi nell’aula dei colloqui e aveva ricordato all’intera platea di genitori e insegnanti attoniti quali fossero state le civiltà che avevano contribuito all’annientamento dei Razziatori e quanti fossero stati i soldati di ogni razza che erano caduti per quello scopo comune.
Neppure l’arrivo del direttore dell’istituto, chiamato d’urgenza, era riuscito a interrompere il flusso di parole che la sua bocca stava proferendo in tono infuriato. Alle ripetute raccomandazioni a moderare tono e termini aveva risposto urlando più volte, con tutto il fiato che possedeva - Spostate mia figlia in una sezione in cui non ci siano insegnanti razzisti o la tolgo da questo istituto di merda!
Il tutto condito da esplosioni biotiche che non era stata in grado di contenere.

Dopo un’ora, durante la quale l'aula dei colloqui era stata occupata da alcuni soldati, il direttore dell'istituto aveva raccolto le sue dichiarazioni, quelle dell'insegnante e le testimonianze di alcuni presenti. Successivamente Trinity e il maestro erano stati scortati all'esterno e costretti a salire su un veicolo militare che li aveva condotti davanti all'edificio, sede principale della Gerarchia, dove erano stati costretti ad aspettare per un paio di ore in una stanza, sotto stretta sorveglianza armata.
Successivamente i militari li avevano accompagnati in una grande stanza che lei non aveva mai visto, ma che aveva immaginato essere quella delle udienze pubbliche, di cui le aveva parlato spesso Garrus.
Sapeva che lì si svolgevano i cosiddetti processi turian, del tutto diversi da quelli umani, visto che non prevedevano la presenza di alcun avvocato, professione inesistente su Palaven.
Le parti in causa venivano semplicemente interrogate da un funzionario (assimilabile alla figura del giudice terrestre) che, una volta ascoltate le deposizioni degli eventuali testimoni e dei diretti interessati, si riservava il diritto di formulare qualche ulteriore domanda o procedeva a formulare il verdetto, se pensava di essere in possesso di tutte le informazioni necessarie.
Non esisteva alcun secondo grado di appello e qualunque protesta successiva alla sentenza veniva semplicemente ignorata.
La camera, molto ampia, era di forma rettangolare, con una grande scrivania sul fondo, due scrivanie più piccole ai lati e numerosi posti a sedere a disposizione di un eventuale pubblico. Aveva le caratteristiche delle aule di un tribunale terrestre ed era strutturata in modo da enfatizzare l’importanza e l’autorità di chi prendeva posto allo scranno centrale.
Trinity e l'insegnante avevano atteso in piedi, fianco a fianco, dietro una sbarra posta a cinque metri di distanza dalla grande scrivania centrale.

Erano passati dieci minuti di assoluto silenzio prima che comparissero due turian che, dopo aver appoggiato due enormi volumi sulla scrivania centrale, si erano seduti dietro quelle più piccole e avevano chiesto e annotato le loro generalità, grado di istruzione e occupazione, senza degnarli di una sola occhiata.
Dopo altri cinque minuti quei turian si erano alzati in piedi, i militari erano scattati sull'attenti e, nel silenzio generale di quella stanza enorme, era comparso Garrus, che aveva preso i datapad che i due assistenti gli porgevano ed era andato a prendere posto dietro alla grande scrivania centrale, leggendo rapidamente quei documenti.
Non appena lo aveva visto entrare, Trinity aveva sussultato: non si era aspettata che per una banale discussione in una scuola si scomodasse il Primarca in persona.

“Ma porca miseria!” aveva esclamato fra sé e sé, sicura che quella situazione inattesa mettesse terribilmente a disagio entrambi. Aveva avvertito con vero terrore il formicolio inconfondibile che precedeva l’aura azzurra e aveva chinato la testa, sforzandosi di pensare alla cena che avrebbe preparato quella sera.
- La signora vuole farsi disattivare gli impianti o riesce a calmarsi? - si era informato in tono distaccato il turian seduto dietro alla scrivania di destra.
- Mi scuso - aveva risposto, continuando a fissare il pavimento e cominciando a contare le piastrelle. Quando aveva rialzato lo sguardo si era resa conto che Garrus aveva invitato il direttore della scuola ad avvicinarsi alla sua scrivania e a raccontare quanto accaduto.

Il resoconto era stato onesto così che, quando il Primarca aveva domandato se i due imputati avessero qualcosa da aggiungere, entrambi avevano scosso la testa in segno di diniego.
Garrus si era messo a sfogliare alcune pagine di uno dei due grossi volumi, lo aveva chiuso e aveva cominciato a parlare in tono tranquillo e deciso, mentre uno dei due collaboratori trascriveva le sue parole.
- Professor Orantian Actus, il suo lavoro consiste nell’insegnare nelle scuole primarie. La sua palese avversione verso razze aliene attiene alla sua sfera personale e non deve in alcun modo interferire con i suoi compiti di educatore. Se lei non se la sente di insegnare a classi miste, potrà chiedere un trasferimento presso una scuola dove non rischierà di trovarsi in una situazione analoga. In ogni caso il suo comportamento pubblico ha recato discredito all’istituto. Pertanto lei viene condannato a svolgere servizi sociali utili alla collettività per una durata di mesi dieci. Durante tale periodo dovrà dedicare giornalmente due ore del suo tempo libero ai compiti che le verranno affidati dal direttore della scuola presso la quale insegnerà: quella attuale o un’altra a sua scelta.
- Signora Trinity Shepard - aveva proseguito Garrus volgendo su di lei uno sguardo azzurro distaccato - il suo comportamento pubblico ha recato imbarazzo e paura a molte persone estranee al diverbio. Questo non è tollerabile, nonostante la maggior parte dei presenti abbia dichiarato di aver compreso le sue motivazioni. Per questo motivo lei viene condannata a svolgere servizi sociali utili alla collettività per una durata di mesi tre, presso l’Accademia Militare. Durante tale periodo dovrà recarsi lì ogni mattina e prestare servizio dalle ore 9,00 alle ore 13,00, collaborando con il personale scolastico.

Una volta concluso questo discorso, i collaboratori si erano alzati, i militari erano tornati a fare il saluto militare, Garrus si era alzato a sua volta e, senza guardare nessuno in particolare, era uscito dall’aula.
Lei ricordava distintamente lo strano miscuglio di sensazioni che aveva provato allora, all’idea che da lì a poche ore il Primarca sarebbe rientrato a casa.
Per tutto il tempo passato alla guida del veicolo verso casa di suo suocero, che era stato avvisato dall'istituto ed era passato a prendere i bambini all'uscita dalle lezioni, si era soffermata a riflettere su quanto Garrus potesse apparire diverso da come lei lo aveva sempre visto. Aveva incontrato un estraneo che forse non sarebbe arrivata a definire scostante, ma di certo fiero e orgoglioso, sicuro di sé, con un volto severo che ispirava soggezione e rispetto.

Appena arrivata, aveva pregato Sol di occuparsi dei nipoti per tutto il fine settimana. Poi era tornata a casa e aveva aperto una bottiglia di vino. Se l’era scolata tutta, prima di leggere il messaggio di suo marito, che era arrivato verso ora di cena: Resterò in ufficio fino a tarda notte. Non aspettarmi alzata.
E lei si era consolata scolandosi un’intera bottiglia di un liquore non bene identificato che aveva trovato nel mobile bar.
Quando si era svegliata albeggiava appena: si era ritrovata a letto, con indosso la felpa che usava per dormire. Suo marito la teneva fra le braccia, ma lei non ricordava assolutamente come fosse arrivata a letto, né se si fosse spogliata da sola.
Si era svegliata a causa degli strani rumori che provenivano dal giardino, si era liberata dall’abbraccio cercando di non svegliarlo e si era avvicinata alla finestra, rimanendo interdetta.
- Garrus? - lo aveva chiamato.
- Sì? - aveva risposto lui, ancora mezzo addormentato.
- Sta succedendo qualcosa in giardino… E’ pieno di uomini in uniforme - aveva avvisato, spiando da dietro la tenda.
- Uhmmm, sì - aveva biascicato lui - Non sparargli per favore. Sono miei soldati - aveva concluso, avvoltolandosi nelle coperte.
- Ok, uscirò con le mani in alto - aveva replicato, prima di avviarsi incuriosita.
- Buongiorno - l’aveva salutata un tenente facendole il saluto militare.
- Buongiorno a lei, vorrei dare un’occhiata - aveva replicato, entrando nel capanno dal quale proveniva un baccano assordante.
I lavori in quell'edificio, fino alla sera prima una semplice rimessa degli attrezzi, erano stati quasi completati e lei stava contemplando uno dei più forniti poligoni di tiro che avesse mai ammirato.
Era tornata su di corsa ed era piombata sul letto matrimoniale per ringraziare Garrus con entusiasmo spontaneo e vivace, ottenendo in cambio un borbottio indistinto e la parziale apertura di un solo occhio.
- Piantala, so che sei sveglio e stai gongolando come uno scemo!
- Beh, in realtà varie persone mi hanno chiesto se conoscevo un modo per arginare la tua esuberanza: pare che la tua esibizione di esplosioni biotiche abbia terrorizzato mezzo quartiere.
- Halia mi ha confessato che in una lezione della scorsa settimana il suo maestro aveva esaltato l’importanza della purezza della razza turian.
- In caso l’episodio si ripetesse sei autorizzata a sostituire una delle sagome del capanno con l'insegnante in questione - aveva replicato lui ridacchiando - E ora - aveva aggiunto tirandola sotto le coperte - vediamo di festeggiare degnamente il fine settimana che i bambini stanno trascorrendo con la zia e il nonno.

Entrò in aula, accolta dai saluti affettuosi e rumorosi degli allievi all'ultimo anno di corso e, mentre procedeva all’appello, pensò che quei volti cambiavano nel corso degli anni. Ormai rimanevano pochi dei biotici che le erano stati affidati durante il servizio sociale ma, le sue, restavano sempre delle classi speciali, anche nell’aspetto fisico. Erano i biotici di nuova generazione, generalmente figli di un turian e di un genitore quarian o asari, anche se frequentavano anche alcuni turian purosangue.
La disciplina era meno ferrea rispetto alle altre classi dell’Accademia, più tradizionali, ma esistevano limiti invalicabili alla libertà di cui i suoi allievi potevano beneficiare: quei limiti, dettati dal rispetto assoluto della sicurezza di chi li circondava, non potevano essere oltrepassati in nessun caso, pena l’espulsione immediata dalla sua classe.

Trascorsi i tre mesi dedicati ai servizi sociali, il preside dell’Accademia l’aveva invitata nel suo studio e le aveva chiesto se fosse interessata a proseguire quella sua attività, ovviamente come insegnante regolarmente stipendiata, e lei aveva accettato con entusiasmo.
Era tornata a casa e aveva atteso ansiosamente il ritorno di suo marito per raccontargli quell’avvenimento inatteso.
Garrus l’aveva ascoltata in silenzio con un sorriso, divertito nel notare tutto il suo entusiasmo e soddisfazione, ma alla fine le aveva confessato - Ma secondo te, il Primarca di Palaven si sarebbe mai scomodato per dirimere una banale lite fra un genitore svitato e un insegnante razzista a meno di aver capito di avere in mano l’occasione di tirarne fuori qualcosa di buono?
Lei lo aveva fissato interdetta e poi gli aveva chiesto perché non le avesse suggerito direttamente di mettersi ad insegnare e lui l’aveva fissata a sua volta, di sbieco, chiedendo - Secondo te, perché?
- Perché avrei risposto che era un’idea folle... o almeno stupida.
Poi le era venuto un dubbio e aveva chiesto - Ma mi hai fatto assumere tu, allora?
- No. Queste cose non si fanno qui da noi, mica siamo umani.

Suicide Mission


Una volta finite le lezioni, passò a prendere i suoi due figli a scuola e tornò a casa, divertendosi ad ascoltare i loro discorsi.
Fu nel momento in cui aveva quasi finito di preparare la cena e stava valutando se era giunta l'ora di chiamarli per apparecchiare la tavola che sentì un frastuono fragoroso provenire dal primo piano. Subito dopo arrivarono le grida dei bambini.
Salì di corsa e si ritrovò a fissare uno spettacolo inquietante: la vetrina dei modellini di navi spaziali sembrava essere letteralmente esplosa e monconi di scafi di varie fogge giacevano sul pavimento della sua stanza da letto, costellato da rottami in vetro, plastica e metallo, in una mescolanza multicolore che riluceva sotto la luce del tramonto di Trebia.
- Vi siete fatti male? - domandò fissando i due bambini, accomunati dalla stessa espressione perplessa e spaventata.
- Ha fatto boom! - rispose Joran, fissando sua sorella con evidente ammirazione.
- Non volevo, mamma! Non so cos'è successo! Volevo solo fermare gli stupidi proiettili di plastica dell'intercettore... - provò a spiegare Halia, avvolta da un'aura azzurra ben familiare.
- State bene? Siete feriti? - chiese ancora Trinity, mentre il suo sguardo restava calamitato da quell'inatteso groviglio di navette spaziali dilaniate sparse in terra e il suo cuore cominciava ad accelerare per l'emozione.
- Mi dispiace, non volevo. Davvero! - le assicurò Halia, con una voce così spaventata che Trinity distolse a malincuore lo sguardo dal disastro e se la strinse forte fra le braccia per rassicurarla.
- Abbiamo scoperto che sei una biotica, ragazza mia e, da questa prima esibizione, ritengo che potresti essere una delle più potenti che io abbia mai incontrato - le annunciò in tono pacato, guardandola in viso con un sorriso sereno.
- Non voglio essere una biotica! - esclamò Halia con evidente paura - I biotici sono pericolosi. Lo dice sempre anche il maestro.
- Io sono una biotica, Halia, ma non sono pericolosa: lo sono solo con le persone cattive.
- E io posso diventare una biotica buona come te?
- Certo! E sono certa che sarai una biotica molto più potente di me. Ma dovrai capire come funzionano i tuoi poteri e come tenerli sotto controllo o potresti fare del male a te stessa e agli altri.
- Spiriti! Ho una sorella biotica! - esclamò a quel punto Joran, correndo ad abbracciare Halia - Ho una sorella che sposta le cose con il pensiero e spiaccica i banditi contro le pareti! Ho una sorella che fa volare in aria i fuorilegge e li immobilizza. Ho una sorella che mi proteggerà con uno scudo di energia...
- Joran, stai quieto - lo interruppe Trinity ridendo - Ci vorranno anni perché tua sorella possa imparare a fare queste cose e non credo che potrà impararle tutte quante.
- Fatemi una cortesia, adesso - aggiunse, tornando a fissare quel disastro e sentendo che l'aura biotica la avvolgeva con violenza, quasi fossero le spire di un serpente constrictor - Chiamate papà in ufficio e ditegli di tornare a casa. Immediatamente - ordinò in tono deciso, mentre il suo sguardo tornava ad essere inevitabilmente attratto dallo scempio che la circondava.

Appena varcata la porta d'ingresso, Garrus venne investito da zaffate bruciaticce. Corse a spegnere i fornelli sotto le pentole carbonizzate, mentre i figli si precipitavano verso di lui saltando a tre a tre i gradini della scala interna.
- Spiriti! Ma cos'è successo? - chiese, inquieto per la chiamata urgente, per lo stato della cucina e per gli occhi spiritati dei suoi bambini che saltellavano e gridavano senza che lui riuscisse a capire nulla, con le parole di Halia che venivano sovrastate dai BOOOM urlati da Joran.
- Vieni di sopra - fu l'ordine che si sentì impartire dalla voce di sua moglie, che si era affacciata alla balaustra del piano superiore.
- Cosa diavolo è successo qui? - chiese salendo di corsa le scale, vedendo sua moglie che si infilava nella loro camera da letto.
Si fermò sulla soglia a fissare lo spettacolo, sbalordito nel vedere una Trinity che brillava da capo a piedi di luce azzurra nel bel mezzo di una stanza che rassomigliava a ciò che era rimasto nello spazio intorno alla Cittadella dopo la battaglia contro i Razziatori.
Lei gli si precipitò addosso, gli afferrò un mano e se lo tirò appresso, fino a quando entrambi si trovarono nel centro della stanza.
- Dove siamo? - gli chiese con voce vibrante di entusiasmo, costringendolo a girare su stesso.
- E' una domanda trabocchetto, suppongo... - replicò in tono incerto - Non vuoi l'ovvia risposta siamo in quella che, prima del cataclisma, fu la nostra stanza da letto.
- Ma no, no! Non hai capito: siamo a bordo della Normandy - esclamò Shepard guardandolo come se fosse un ritardato - Voglio sapere in quale posto della galassia ci troviamo.
- In un cimitero di navi spaziali? - rispose interdetto, incerto se lui fosse un perfetto idiota o lei fosse uscita completamente di senno.
- Ma cazzo, Vakarian! E' tutto così ovvio! Non è possibile che tu non sappia dove ci troviamo, porca puttana! E' proprio qui lo stramaledetto, fottutissimo portale di merda!

Garrus si guardò attorno con aria attonita, cercando di far mente locale.
- Va bene. Dimmi perché dovrebbe essere al di là del portale Omega 4 - chiese in tono incerto, sperando con tutto se stesso che lei avesse la risposta.
- Sai quella cos'è? - chiese lei, indicandogli il letto, anch'esso cosparso da detriti di varie forme e materiali diversi.
- No, dimmelo tu - si arrese.
- Quella - rispose lei, continuando ad indicare il letto - non è una mai stata una fottuta stella: è la base dei Collettori, quella che noi abbiamo distrutto.
- Ok. Va bene, ma... Shepard, stavamo cercando un settore vuoto. E al di là di quel dannatissimo portale, invece, c'è di tutto, forse centinaia di migliaia di navi spaziali...
Si interruppe di botto, fissando lo sguardo febbricitante di Trinity, che spiccava verdissimo in mezzo alla luce bluastra che ricopriva ogni parte del suo viso e della sua persona, mentre realizzava che Shepard aveva ragione.
- Lo so. Centinaia di migliaia di scafi, ma tutti a pezzi, tutti morti - concluse infatti lei, in tono esaltato.
- E per i Divoratori di stelle - concordò Garrus indicando i resti sul pavimento - tutto questo è nulla, è il vuoto.
- E c'è altro, c'è molto altro! - aggiunse lei, ricominciando a saltellargli attorno - ma ora devo andare da Hackett. Devo fargli sapere che torno in servizio! Te lo dirò dopo, il resto - gli promise mentre si avventava verso l'armadio e ne apriva le ante. Staccò dalla stampella la sua uniforme e la infilò in un borsone, insieme agli stivali e a un po' di biancheria, senza neppure perdere tempo a chiuderne le fibbie, per via delle dita che le tremavano visibilmente.

- Spiriti, Shep! - le fece notare, dopo essere rimasto a fissarla divertito per qualche secondo - Ricordi che siamo a Cipritine? Ci troviamo su Palaven.
- Oh cazzo!
- Non ascoltate vostra madre, bambini - disse Garrus rivolgendosi a Joran e Halia, impietriti sull'uscio con aria esterrefatta - e non provate a ripetere nessuna delle esclamazioni che avete sentito: su Palaven non si usano. Halia, tu ordina una cena al comunicatore, al ristorante che preferisci; io scenderò fra poco.
- Vorrei che tu respirassi, ti spegnessi, e ti mettessi seduta - pregò invece sua moglie con un tono che lei trovò sgradevolmente autoritario; tuttavia, dopo un paio di secondi di incertezza, si limitò a spazzare via con la mano un angolo del lenzuolo e si sedette pesantemente sul letto, sbuffando.
- Dobbiamo parlare di un po' di cose - le anticipò Garrus, mentre sollevava una sedia con un distacco sereno, palesemente accentuato a bella posta, e le si sedeva di fronte con una lentezza degna di un essere vivente affetto da paralisi.
- Ricorda che l'intera galassia sta spendendo cifre esorbitanti alla ricerca di questo dannato portale - cominciò a spiegare - Spiegami per bene perché si trova lì. Lo so che ci sta, ma è possibile che io debba parlarne con altre persone e dovrò spiegarlo in un modo che suoni più convincente della semplice fiducia cieca che ho da sempre nel mio comandante - concluse con uno sguardo in cui si mischiavano divertimento ed eccitazione.

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Capitolo 28
*** In viaggio verso il nulla ***


IN VIAGGIO VERSO IL NULLA


End of my Journey



- Cosa stai facendo? - fu la domanda che Garrus pronunciò bruscamente, realizzando che sua moglie si era messa ad armeggiare con il factotum, senza prestargli la minima attenzione.
- Un attimo solo: guardo a che ora c'è il prossimo traghetto per la Cittadella. Oltre che con Hackett voglio parlare anche con i Consiglieri.
- Non serve - le intimò imprigionandole le mani - Ti metterò a disposizione lo scafo più veloce della flotta turian, ma prima devi rispondere a tutte le mie domande.
Trinity lo fissò perplessa, incerta se stesse scherzando, ma le frasi successive le tolsero ogni dubbio.
- Tendi a dimenticare che sono il Primarca di Palaven - le spiegò con pazienza - Ti fornirò tutto l'aiuto possibile e ti assicuro che ti sarà prezioso. Ma prima devo capire come stanno esattamente le cose e organizzarmi di conseguenza.
- Prima che io ti lasci partire per la Cittadella, per la Terra, o dovunque tu voglia andare, ho bisogno che mi spieghi i motivi per cui sei convinta che ciò che abbiamo cercato in tutti questi lunghissimi anni sia al di là del portale Omega 4 e voglio anche sapere cosa intendi dire ai Consiglieri - dichiarò con fermezza.
- Ok. Va bene - si arrese Trinity, lasciando finalmente perdere il factotum.

- Mi hai già spiegato che la base dei Collettori potrebbe corrispondere alla fonte di energia piuttosto debole di cui ci aveva parlato IDA - ricominciò Garrus - Questa tua interpretazione suona accettabile. Cos'altro c'è?
- Sono mai stati inviati droni in quella zona? - domandò Shepard.
Suo marito scosse la testa - No: non c'era alcun particolare motivo per esplorarla e la presenza di tutti quei rottami ne avrebbe causata una distruzione quasi certa. E anche ammesso che alcuni potessero riuscire a oltrepassare indenni la zona subito al di là del portale, il settore non si presta alla navigazione, per via della presenza di quel gigantesco buco nero. Ammetto che questo sia un altro punto a favore della tua teoria.
- Quel settore non è mai stato esplorato in modo soddisfacente - continuò Shepard - Sagittarius A è un buco nero supermassiccio, di dimensioni eccezionali, con una massa paragonabile a quella di quattro milioni di stelle della dimensione del Sole. Le uniche informazioni di cui disponiamo derivano dalle rilevazioni effettuate con i telescopi spaziali spettroscopici nucleari che non ci consentono di esaminare in dettaglio la regione. Reputo del tutto verosimile che nessun essere organico, di nessun ciclo galattico, sia mai stato in grado di avvicinarsi abbastanza da individuare un portale che si trovi non troppo lontano da quel gigantesco buco nero che confonde i risultati delle rilevazioni.
- Anche questa argomentazione mi sembra valida - concordò Garrus.
- Bene - replicò Shepard con aria soddisfatta. Poi si fermò a meditare in silenzio, come se fosse incerta sull'opportunità di aggiungere altro, studiando l'espressione del viso di suo marito.

- C'è un'ultima considerazione, che per me è particolarmente importante, anche se so che non ti piacerà molto - aggiunse alla fine con lentezza, fissandolo negli occhi - Alla maggior parte delle persone non potrei neanche formularla - gli confessò con tono insicuro.
- Rabbrividisco al pensiero che tirerai nuovamente fuori i tuoi inquietanti discorsi sui Razziatori... - replicò Garrus, accompagnando però le parole con una specie di sorriso di incoraggiamento.
- Sì. Prova a pensare a loro nelle vesti di Custodi della Galassia. In quest'ottica è abbastanza verosimile che avrebbero utilizzato un sistema di transito diverso dagli altri per raggiungere rapidamente il settore con il portale intergalattico: una sorta di passaggio riservato che rappresentasse un palese ostacolo per tutti gli altri esseri viventi - gli spiegò con convincimento - Di certo non desideravano che gli organici si trovassero faccia a faccia con quel nemico tanto potente, ma quel portale non era un ostacolo per loro: sappiamo che sarebbero potuti entrare in qualunque momento. E io penso che si tenessero pronti a farlo, se solo avessero trovato un modo per distruggere i Divoratori di stelle.
- E perché avrebbero posizionato la base dei Collettori in una zona così pericolosa?
- Di certo non volevano che li trovassimo: quel nascondiglio era ottimo. Riconosco che i Collettori erano utili agli scopi dei Razziatori, ma non fondamentali. Magari li avrebbero lasciati decimare dai Divoratori di stelle, a mietitura conclusa. Probabilmente li ritenevano sacrificabili.
- Continuo a considerare inquietanti queste tue affermazioni sui Razziatori, anche se immagino che tu possa aver ragione ancora una volta - replicò Garrus - Però sarebbe meglio se non facessi menzione di queste tue teorie con nessuna autorità.
- Voglio essere reintegrata in servizio attivo e voglio tornare al comando della Normandy, non che mi sbattano in un manicomio. Non ho mai parlato dei Razziatori come Custodi della Galassia se non con poche persone fidate e non comincerò di certo a farlo ora, né con Hackett, né tanto meno con i Consiglieri.

Dopo i chiarimenti sulla possibile localizzazione del portale intergalattico, Trinity passò a elencare i discorsi che aveva in animo di fare al Consiglio della Cittadella, ma presto si rese conto di trovarsi in serie difficoltà nel rispondere adeguatamente alle domande che suo marito le stava ponendo.
Quando vide che Garrus era passato da una certa perplessità ad un aperto dissenso, smise di parlare e si arrese - E va bene, signor Primarca, cosa vuoi che dica invece?
- Faremo così: tu andrai da Hackett e gli chiederai solo di essere reintegrata in servizio. Non dovrai insistere perché non solo ne sarà contento, ma si aspetterà una tua visita e questa tua richiesta, non appena gli giungeranno le notizie che ho intenzione di diramare alle diverse autorità coinvolte nella ricerca del portale. E lascia a me l'incarico di occuparmi dei Consiglieri.
- Perché?
- Perché in tutti questi anni ho imparato a trattare con quel tipo di persone. Perché una qualsiasi tua richiesta, per sensata che possa essere, spingerà automaticamente Dalatrass e Freizer a ostacolarti - rispose tranquillamente. Poi aggiunse - Non darò indicazioni sulla destinazione della Normandy: mi limiterò a comunicar loro che voglio controllare meglio una zona, per via di alcune rilevazioni anomale effettuate dai nostri osservatori astronomici. Nessuno si stupirà che io preferisca usare proprio quella nave, dato che la conosco bene, e che la voglia affidare al suo comandante storico. Sta parcheggiata da anni, a fare la muffa insieme a molti altri ottimi scafi. Non prevedo difficoltà alcuna - la rassicurò con sicurezza.
- E adesso vai di sotto a salutare i ragazzi - la incitò - Ti garantisco che troverai la fregata più veloce della flotta ad attenderti nella base militare di Cipritine - concluse alzandosi dalla sedia sulla quale era rimasto seduto fino a quel momento.
La vide scattare afferrando il borsone prima di uscire dalla porta. Azionò il drone che avrebbe ripulito la camera e poi uscì a sua volta, fermandosi sul pianerottolo a guardare dall'alto sua moglie che si era seduta su una delle sedie attorno alla tavola a piano terra e che stava parlando a Halia e Joran. Con le mani strette attorno alla ringhiera, ripensò a quella particolare giornata della settimana appena passata in cui l'aveva vista affogare nella nostalgia.


Across the line (con video Garrus/Shepard)


- Accompagno io i ragazzi a scuola - l’aveva avvisato all'alba, mentre lui si stava finendo di allacciare l’uniforme di gala per l’incontro ufficiale che avrebbe avuto luogo nel primo pomeriggio.
- Oggi non ho lezione, ma andrò allo spazioporto - aveva aggiunto - Voglio raccogliere un po’ di materiale per un seminario sulle navi spaziali che la direttrice dell’Accademia mi ha pregato di tenere alla fine del mese.
- Li passi anche a riprendere?
- Sì, meglio - aveva risposto lei, guardandolo con la testa inclinata e aggrottando le sopracciglia - Sono già troppe le mamme dei compagni dei nostri figli che ti trovano irresistibile. Se ci vai vestito in quel modo...
- Vuoi solo adularmi, nessuno direbbe mai a una moglie che suo marito è irresistibile!
- Mi riferivo alle quarian e alle asari, non alle turian.
- Oh, interessante… Se fai tardi avvertimi, perché sarebbe un piacere andare a riprendere i bambini - l’aveva stuzzicata.

Diverse ore più tardi, mentre si stava concludendo l’incontro ufficiale con i Vorcha e i Salarian, l'attendente era entrato nella stanza.
- Signore, mi scuso per l’intrusione - gli aveva comunicato a bassa voce - ma temo si sia verificata una piccola emergenza che richiede il suo intervento.
Garrus lo aveva pregato di aspettarlo nel suo ufficio, mentre completava il giro dei saluti, congedandosi dalle due delegazioni.
- Cos'è successo? - aveva chiesto poi, appena varcata la soglia della sua stanza.
- Hanno telefonato dalla scuola dei suoi figli, Signore. I bambini sono ancora nell’edificio; pare che sua moglie non sia passata a prenderli. La direttrice chiede se desidera che qualcuno li riconduca a casa.
- Ringraziala e dille che sto arrivando.
- Desidera che la accompagni?
- Non serve, grazie. Ci vediamo domani mattina.

Si era diretto allo spazioporto, con i due figli tenuti per mano, ed era andato verso la vetrata che dava sui moli di attracco delle navi spaziali militari. Shepard era lì, con le dita strette attorno alla balaustra e lo sguardo assorto, intenta a scrutare il via vai di quegli scafi.
I due bambini avevano tentato di liberarsi dalla sua stretta per correre da lei, ma li aveva trattenuti. Si era chinato ad abbracciarli portandosi un dito sulla bocca per farli rimanere in silenzio. Poi li aveva condotti al bar più vicino e aveva comprato due gelati.
Si erano seduti ad un tavolino dal quale poteva tenere d’occhio la vetrata e Garrus aveva notato come, per tutto il tempo in cui i figli avevano impiegato a mangiare i loro gelati, sua moglie fosse rimasta immobile, muovendo solo la testa per seguire la traiettoria di un veicolo o di un altro.
Era ovviamente dimentica di tutti gli ultimi anni della sua vita: aveva scordato i bambini e probabilmente lui stesso, almeno nelle vesti di marito. Era certo che ricordasse i cieli e le stelle, il quieto ronzare dei motori che si propaga lungo i ponti della nave spaziale, la determinazione con cui aveva affrontato le sue troppe missioni impossibili. Probabilmente ricordava i volti degli amici scomparsi e dei nemici che aveva combattuto. Forse ripassava i nomi incisi sul memoriale, sapendo che ad alcuni di loro doveva ancora qualcosa: doveva giustificare la loro morte.
- Restate qui. Vado a chiamare la mamma. Non muovetevi - aveva raccomandato ad Halia e Joran, alzandosi.

- Comandante Shepard, Marina dell’Alleanza - le aveva sussurrato dietro la nuca, poggiando le mani sopra quelle della moglie, ancora chiuse attorno alla ringhiera con tanta forza da sbiancarle le nocche.
Lei aveva sussultato per la sorpresa, poi aveva appoggiato la testa contro la spalla di Garrus.
- Vuoi restare ancora un po’? - le aveva chiesto gentilmente dopo un paio di minuti - porto io i bambini a casa.
- Sì - aveva risposto in un soffio ma poi, proprio mentre lui si stava girando, gli aveva stretto il braccio e aveva sussurrato - No, forse è meglio di no; non voglio restare qui da sola a pensare.
Garrus aveva capito quante lacrime le fossero rimaste incastrate nella gola: dalla notte del suo ultimo compleanno non l'aveva mai più vista piangere, ma la nostalgia per la sua antica vita si stava facendo sempre più forte, via via che Halia e Joran crescevano.
- Preparo io la cena, stasera - l’aveva rassicurata una volta tornati a casa - Vai nel capanno a esercitarti un po’ con la pistola - le aveva suggerito uscendo dalla macchina, portandosi i figli appresso - Ti chiamo quando è pronto.

Ma adesso era finalmente arrivato il momento di tornare fra i cieli: c'era una nuova missione da compiere, se Shepard aveva visto giusto. E lui era sicuro che il portale fosse lì, perché il suo comandante non sbagliava in queste cose. Il suo spirito di osservazione e le sue intuizioni, la capacità di fare collegamenti che ad altri sarebbero sfuggiti, ne facevano la persona che aveva sempre seguito senza dubbi, anche quando la logica e il buon senso avrebbero gridato che era tutto un errore.
La guardò alzarsi dalla sedia per dare un bacio ai figli, poi girarsi verso di lui, come se fosse stata certa di trovarlo affacciato alla balaustra, e fargli un gesto di attesa, infine notò che si avviava verso la porta d'ingresso lasciando cadere il borsone sul pavimento.
Rimase a fissare l'uscio chiuso, con aria perplessa, fino a quando vide che si riapriva e che Trinity tornava a riapparire. Sorrise al pensiero che, nonostante tutta l'eccitazione che la animava, si fosse ricordata di passare a prendere le sue armi nella costruzione che fungeva da poligono di tiro, ma non si spiegò immediatamente perché rimanesse immobile, a fissarlo con aria incerta.
- Non ho preso il tuo fucile di precisione.
- Hai il divieto di calibrarlo, non di toccarlo - replicò scherzando, senza però capire.
La domanda successiva - Vuoi davvero che lo porti con me? - gli rese finalmente chiaro cosa le fosse passato per la testa.
- Sì, certo - rispose, sorridendo nel notare l'evidente sollievo di sua moglie, che di certo aveva dubitato che il Primarca di Palaven lasciasse il pianeta natale per imbarcarsi in una missione sulla quale lei stessa nutriva di certo non pochi dubbi.
- Chiamami dopo che avrai parlato con Hackett - la pregò.
- E tu prometti che mi chiamerai per ogni novità, anche la più piccola, specie se riguardasse la Normandy - fu la pronta replica di Trinity, mentre varcava la soglia.

°°°°°

- Non è un problema per me occuparmi di Halia e Joran - lo rassicurò Rennok, che Garrus aveva chiamato al comunicatore pochi istanti dopo che Shepard era uscita da casa - ma non credo sia usuale che il Primarca molli tutto e salga a bordo di una nave spaziale allo scopo di partecipare ad una semplice missione di ricerca - fu la sua obiezione successiva.
- So che questo aspetto non ti interessa affatto - aggiunse rapidamente, notando lo sguardo di insofferenza negli occhi di suo figlio - ma almeno vedi di affidare la gestione di Palaven a qualcuno di tua completa fiducia - concluse rassegnato.
- Se alla Gerarchia non sta bene, posso dimettermi: ne sarei addirittura felice, ti assicuro. Sono veramente stanco: non sono nato per fare questo mestiere.
- Lo so, figliolo. In ogni caso non sperarci: dubito che ti sostituirebbero per una cosa del genere. Se pure non sei esattamente un turian standard, sei riuscito a conquistare l'affetto e il rispetto di tutto il nostro popolo e dei militari in primo luogo - constatò Rennok - E la Gerarchia se ne rende perfettamente conto: non si schiererebbe mai apertamente contro una tua decisione, per quanto possa apparire strana, a meno che non fosse decisamente contraria alle regole. E in questo caso non c'è alcuna violazione dei nostri Codici.

°°°°°

Ci vollero più giorni di quanti ne avesse previsti, ma alla fine Trinity tornò al comando della sua nave. Ancora attraccata sulla Cittadella, in attesa di Garrus e degli ultimi membri dell'equipaggio, la Normandy appariva molto diversa da come la ricordava, e non solo per le modifiche strutturali che erano state apportate allo scafo, allo scopo di adeguarlo alle ultime innovazioni tecnologiche: la nave pullulava di turian del tutto sconosciuti e le venne spontaneo andare a rifugiarsi sul ponte al primo momento di tranquillità.

- Saluti rispettosi, cieca ubbidienza alle più piccole regole, disciplina talmente esasperata da risultare urtante. Che te ne pare di questa nuova Normandy, comandante? - l'apostrofò Joker, ghignando per l'aria spaesata con cui lei si era abbattuta sulla poltrona al suo fianco - Sono sicuro che ti ci vorrà qualche giorno per farci l'abitudine...
- Piantala, Jeff. Su Palaven c'è un pilota che è bravo quasi quanto te - fu la risposta irritata.
- Ma tu non ti accontenteresti mai del quasi - la sfottè con un'aria di sicurezza sfrontata che la urtò all'inizio, ma che poi la fece sorridere. In fondo era andata in cerca di quell'insopportabile pilota colmo di sarcasmo proprio per ritrovarsi a casa: il ritrovarlo inalterato nello spirito, anche se ingrigito fra i capelli, era confortante.

- E' il miglior equipaggio possibile - le aveva confidato Garrus in una delle loro ultime comunicazioni, dopo che si era impegnato a rimediare il meglio del meglio fra le schiere del vasto esercito turian.
Trinity ne era convinta, però rimpiangeva i vecchi amici di un tempo. Ormai molti di loro avevano abbandonato le avventure nello spazio e i pochi ancora in servizio si erano creati una famiglia; non se l'era sentita di coinvolgerli in un'avventura che sarebbe potuta risultare estremamente pericolosa.
“Ma te la sei sentita di abbandonare i tuoi figli su Palaven” provò a rimproverarsi, senza riuscire ad avvertire il minimo rimorso.
Non era pentita affatto, anzi...
Sapeva che si sarebbe pentita se avesse lasciato ad altri quel compito, perché aveva un conto aperto con i Divoratori di stelle e perché c'erano vittime che chiedevano giustizia e vendetta. Ricordava quei volti, le frasi, i sorrisi. Ricordava le loro speranze e la loro abnegazione.
A lei spettava il compito di giustificare quelle morti altrimenti vane. Aveva aspettato tanti anni in attesa di un indizio e, dopo aver determinato la localizzazione di quel dannato portale, sapeva che sarebbe partita, nonostante i figli. Sarebbe partita perfino senza Garrus: era finalmente tornata ad essere il comandante Shepard.
Era quella la sua vita. Non sapeva cosa avrebbe risposto ad una domanda sull'esistenza o meno di un destino, ma vivere, e forse morire, fra le stelle le donava un senso di compiutezza. Era tornata a casa, la sua unica vera casa.

Appena salita a bordo era andata davanti al memoriale della Normandy e aveva fissato a lungo la lista dei tanti, troppi nomi, e si era soffermata sugli ultimi due, rendendosi conto che il tempo non era in grado di alleviare la rabbia e il dolore che ancora provava, anche se confondeva il ricordo del volto di Steve e di Volus.
Non sarebbe stata mai più così imprudente, si ripromise, sapendo però che, se la missione lo avesse richiesto, avrebbe preso rischi che altri avrebbero giudicato eccessivi. Era facile venire criticata, se la missione non aveva un successo pieno; ma i successi pieni, quelli che non comportavano vittime, erano estremamente rari. La missione suicida al di là del portale Omega 4 era stato uno dei pochi esempi e lei poteva solo sperare che quel dannato portale le concedesse ancora la medesima fortuna.

Quando aveva confidato al pilota della Normandy la destinazione della nuova missione, Jeff le aveva risposto qualcosa tipo - Oh, ma certo! Mi piace l'idea di una rimpatriata! Anzi, già che ci siamo, facciamo una capatina anche su Ilos e cerchiamo di atterrare su un fazzoletto di terra un po' più piccolo di quello che abbiamo scovato l'ultima volta. E per finire, come conclusione della nostra crociera di piacere, cerchiamo un sistema in cui i Divoratori siano particolarmente attivi e proviamo a vedere cosa accadrebbe se bombardassimo la madre.
- Non sto scherzando, Jeff - gli aveva chiarito in tono serio, ma aveva dovuto insistere ancora un po' prima che lui le credesse e rimanesse a fissarla come se si trovasse di fronte una persona fuori di senno.
- E ti assicuro che il varco di quel portale sarà la parte più facile - gli aveva assicurato in tono disinvolto - Quel transito mi servirà solo ad accertarmi che tu non ti sia arrugginito - aveva aggiunto tanto per sfidarlo, anche se temeva davvero che l'attraversamento dell'oceano di rottami potesse rivelarsi una passeggiata, a confronto di quel che sarebbe seguito.
- E perché vuoi andare a graffiare la vernice di questa splendida nave proprio lì?
- Perché lì c'è il dannato portale intergalattico. Tu cosa ne pensi, IDA? - aveva chiesto Shepard, prima di snocciolare tutte le sue supposizioni (le stesse fatte a Garrus) senza badare all'espressione esasperata con cui Jeff aveva accolto la parola Razziatori.

- Lo ritengo possibile sulla base delle mappe, ma faccio fatica a seguire i tuoi ragionamenti sui Custodi della Galassia - aveva rincarato la IA, mentre Joker ribadiva ancora una volta tutta la sua insofferenza per il ruolo di buoni che il suo vecchio comandante si ostinava a voler attribuire ai loro antichi nemici.
- In ogni caso, fra le tante destinazioni attualmente in programmazione, quel settore sembra il più promettente - aveva concluso IDA, troncando ogni protesta del pilota.
- Adesso sì che mi sento rassicurato - aveva replicato lui in tono ironico alla fine di tutto quel lungo scambio di opinioni avvenuto sul ponte - E sai anche cosa faremmo se per caso lo trovassimo davvero?
- Non ne ho assolutamente idea - aveva risposto sinceramente il comandante.
- Proprio come ai vecchi tempi... - aveva concluso il pilota in tono rassegnato.

°°°°°

Garrus si era fatto attendere per parecchi giorni, nonostante la fretta che sua moglie gli comunicava ogni volta in cui parlavano fra di loro.
- Porca miseria, Vakarian! Qui stiamo mettendo le ragnatele. Quanto altro cazzo di tempo ti serve? - aveva protestato con vera irritazione l'ultima volta in cui si erano sentiti, esasperata perché suo marito si limitava a comunicarle che aveva ancora bisogno di altro tempo per sistemare tutto, apparentemente indifferente all'urgenza che lei provava.
La risposta - Non ti farò un rapporto dettagliato su tutto quello che sto facendo in questi giorni, ma sappi che mentre tu stai comoda comoda sulla tua bella Normandy, a fare il comandante, io sbatto da un angolo all'altro della galassia. Vedi di star quieta, tanto quella nave senza di me non parte - le aveva risposto alla fine, esasperato a sua volta.

Da quell'ultimo scambio di opinioni non si erano più sentiti. Erano passati altri quattro giorni, che Shepard aveva inizialmente impiegato per fare un ultimo giro per i negozi della Cittadella e per approfondire la conoscenza con il nuovo equipaggio.
In linea con quanto le aveva raccontato Garrus tanti anni prima, l'hangar navette era stato attrezzato a palestra, con tanto di ring per gli incontri di lotta, e un'altra arena quadrata era stata posizionata nella stanza che un tempo era stato il salone bar della Normandy.
Shepard aveva notato che non solo buona parte dell'equipaggio si radunava quasi sempre in quelle due stanze per partecipare attivamente alle competizioni o per scommettere, ma che nessun turian si sentiva vagamente imbarazzato dalla sua presenza.
Pur invidiandoli per quel loro metodo di sfogare la tensione e lo stress, si limitò ad ammirare l'eleganza con cui il suo equipaggio si esibiva sul ring, preferendo sfogare la sua crescente impazienza presso l'Armax Arsenal Arena della Cittadella.
Solo l'arrivo inatteso della dottoressa Chakwas riuscì a farle ritrovare un po' di buon umore nella mattina del quinto giorno di forzata inattività.
- Non avrai pensato di lasciarmi a terra, vero comandante? - l'aveva apostrofata Karin non appena aveva varcato il portellone - E' stato Garrus a chiedermi di unirmi al tuo equipaggio - le aveva confessato facendola sentire quasi in colpa.

Dovettero passare altri due noiosissimi giorni prima che Jeff le comunicasse che il Primarca di Palaven chiedeva l'autorizzazione per salire a bordo della Normandy, ma la sua palese irritazione svanì immediatamente, non appena osservò il gruppo di persone che lo accompagnava. Garrus era infatti riuscito a radunare tutti i suoi ex allievi più promettenti e l'equipaggio della nave, ora arricchito da una decina di potenti biotici, poteva finalmente considerarsi al completo e nelle migliori condizioni per affrontare il transito in una regione dello spazio occupata dai Divoratori di stelle.

°°°°°


The End Run


Il nuovo attraversamento del portale Omega 4 richiese nuovamente tutta l'abilità indiscussa di Jeff Moreau. Al momento della decelerazione, il solito fitto schieramento disordinato di rottami attendeva la nave, che evitò qualsiasi collisione degna di rilievo grazie alla prontezza del pilota e alla rapidità con cui la IA continuò a reindirizzare tutta l'energia disponibile agli scudi, senza per questo compromettere l'occultamento dello scafo.
Davanti agli occhi stupefatti di tutto l'equipaggio passarono quelle immagini incredibili a cui nessuna delle descrizioni fatte da Garrus, da Joker e dal comandante stesso della Normandy erano riusciti a prepararli. L'esclamazione - Spiriti! - pronunciata dalla maggior parte dell'equipaggio si confuse con i più volgari - Cazzo! - dei vecchi allievi di Shepard e con i - Merda, merda, merda - snocciolati a distanza ravvicinata dal pilota.

- Voglio silenzio su tutti i ponti - ordinò il comandante a tutto l'equipaggio quando Jeff emise il sospiro di sollievo tanto atteso, riacquistando l'assoluta padronanza dello scafo, dopo aver schivato i rottami di dimensioni maggiori ed aver conquistato un'area relativamente sgombra da detriti.
In accordo con quel comando, Trinity si chinò sulla spalliera della poltrona su cui sedeva Joker e, in un soffio di voce, gli ordinò - Ora cominciamo ad esplorare questa zona. Segui le indicazioni della tua ragazza, ma tieniti pronto ad effettuare una ritirata immediata.
Questa volta, a differenza di quanto era avvenuto nel sistema Far Rim, nessuno dei biotici era sul ponte perché i nuovi strumenti di cui era stata dotata la Normandy consentivano rilevazioni incomparabilmente più potenti ed efficienti di quelle che sarebbe stato possibile effettuare da qualsiasi essere organico.
I suoi ex allievi erano stati dislocati lungo tutto lo scafo, con il compito di tenersi pronti ad avvolgerlo in scudi biotici in caso di necessità, se fossero entrati in collisione con una delle entità nemiche.
Le preoccupazioni maggiori di Shepard derivavano infatti dalla possibilità di imbattersi in Divoratori di stelle in condizione di stasi, che neppure IDA avrebbe potuto rilevare.
Un contatto diretto con una di quelle entità avrebbe causato non solo una perdita più o meno rilevante di energia, a seconda della dimensione del nemico, ma anche un'esplosione che avrebbe potuto mettere a repentaglio l'integrità strutturale dello scafo e la loro stessa sopravvivenza.

Fu in un silenzio teso e innaturale che avvenne la prima parte dell'esplorazione di quel settore praticamente ignoto, seguendo una rotta che IDA tracciava via via, sulla base di quanto andava sistematicamente rilevando intorno a loro.
Una volta stabilito che il portale appena oltrepassato poteva costituire il centro delle sfere ideali da tracciare nella loro metodica esplorazione di quello spazio sconosciuto, seguirono traiettorie complesse, determinate dalla volontà di passare rasenti ad asteroidi ed eventuali relitti di grossi scafi, nell'illusoria speranza che quegli ammassi potessero in qualche modo proteggerli da un nemico che poteva essere del tutto invisibile.
Per tutto quel tempo Garrus e Trinity si videro pochissimo, con il comandante che passò quasi tutto il suo tempo sul ponte, alle spalle del pilota, in assoluto silenzio o scambiando pareri con IDA circa la migliore rotta da fissare, e il turian che non si mosse praticamente mai dalla sua batteria primaria, dormendo quasi sempre sul suo vecchio materassino.
Dopo i primi tre giorni di ricerche pressoché costanti, con Joker e IDA che si continuarono ad alternare alla guida della Normandy, e Shepard che si limitava a sonnecchiare saltuariamente su una delle due poltrone del ponte, la tensione andò gradatamente scemando e il comandante stabilì che tutto l'equipaggio, lei e Garrus compresi, seguissero dei turni più regolari di attività e di riposo.
Quando incontravano un asteroide abbastanza grande da consentire l'atterraggio dello scafo o almeno la sua messa in orbita, si trattenevano lì per una giornata circa, in modo da permettere a tutti un periodo di riposo e anche di svago.

Fu dopo la prima settimana che Shepard si trovò ad affrontare per la prima volta un problema decisamente importante a cui sapeva di potersi preparare solo entro limiti molto ristretti. Nonostante gli innegabili miglioramenti che erano stati via via apportati alla Normandy nel corso degli anni, il sistema di occultamento aveva ancora dei limiti invalicabili.
Il calore prodotto dalla navigazione, quello che sarebbe stato facilmente rilevato dai Divoratori di stelle, poteva essere accumulato all'interno dello scafo, ma solo per un periodo di tempo limitato: dalle poche ore inizialmente possibili, ai tempi della costruzione della SR2, si era arrivati ad un periodo di otto, dieci giorni al massimo, anche sfruttando ogni possibile occasione di lasciarsi andare alla deriva e le prestazioni eccezionali del motore Tantalus, più volte migliorato, che consentiva alla nave di muoversi senza utilizzare propulsori che emettessero calore.
Tuttavia, al di là di una determinata soglia di immagazzinamento, il calore assorbito doveva essere necessariamente rilasciato o la temperatura interna della Normandy avrebbe raggiunto livelli insostenibili per l'equipaggio.
Di solito, nelle usuali missioni di ricognizione effettuate in occultamento, Shepard utilizzava la vicinanza con una stella per irradiare il calore in eccesso dello scafo, ma in quel settore, completamente privo di astri, quella manovra avrebbe potuto segnalare la loro presenza e far saltare tutta l'operazione. E purtroppo andava fatta in tempi brevi, fra poco più di un giorno al massimo, secondo i calcoli di IDA.

Fu con tutto l'equipaggio ai posti di combattimento e in stato di preallarme generale, che quella rischiosa operazione venne effettuata la prima volta, senza che si verificasse alcuna conseguenza.
L'esplorazione del settore riprese sistematicamente e l'assenza di qualunque avvistamento del nemico fece cominciare a dubitare lo stesso comandante dell'esattezza dei suoi ragionamenti fino a quando, dopo altre tre settimane di navigazione, IDA arrestò la Normandy e chiamò il comandante sul ponte.

- Accompagnami - fu l'invito che Shepard rivolse a suo marito, passando dalla batteria primaria prima di raggiungere la postazione di Joker. Prima di quel momento aveva messo piede molto di rado nel santuario di Garrus, e ogni volta lo aveva trovato completamente assorto in una qualche calibratura oppure, in due o tre casi, addormentato sul materassino.
A sua volta lui aveva trovato quasi sempre vuoto il loro alloggio sul ponte uno, nelle rare volte in cui era passato di là per cambiarsi d'abito o per farsi una doccia.
Erano quattro settimane che marito e moglie non scambiavano praticamente parola, se non poche brevi frasi quando si erano casualmente incrociati a mensa per prendere qualche cibo che avevano consumato nelle loro diverse postazioni.
Garrus aveva dovuto studiare tutti i nuovi sistemi offensivi e difensivi di quello scafo, in gran parte del tutto sconosciuti, e poi aveva proceduto alle calibrazioni necessarie con la stessa pignoleria di un tempo, mentre Shepard aveva dovuto prendere familiarità sia con quella nave, tanto diversa da quella che lei ricordava, sia con un equipaggio che le era praticamente sconosciuto.

- Cos'è successo? - replicò il turian in tono allarmato.
- IDA ha individuato due piccoli gruppi di Divoratori di stelle.
- Nessun segno del portale?
- No, ma sto pensando che potremmo cambiare la ricerca sistematica e pedinarli, sia pure tenendoci a grande distanza - propose Shepard mentre arrivavano alle spalle del pilota.
Rispetto alla loro posizione attuale, i due gruppi di nemici stavano seguendo una direzione trasversale, secondo una rotta che li portava verso l'enorme buco nero.
- Anche ipotizzando che l'itinerario seguito dal nemico sia correlato alla posizione del portale, non ho nessun indizio che mi permetta di capire se si stiano dirigendo verso di esso o se se ne stiano allontanando - affermò IDA in risposta alle domande del comandante.
- Seguiamoli tenendoci a distanza - ordinò Shepard in tono deciso, pur sapendo che aveva optato per quella soluzione perché sarebbe stato più semplice tallonare il nemico, piuttosto che seguirne a ritroso la probabile rotta, e perché 'sentiva' che il portale che cercavano era stato posizionato nelle prossimità del buco nero, proprio per evitare che venisse scoperto.
Fu dopo due giorni di pedinamento che Joker arrestò la Normandy dietro una comunicazione fattagli da IDA, ma in quel momento né Trinity né Garrus erano presenti sul ponte della nave.

Dopo le prime ventiquattro ore trascorse alle spalle del pilota o sulla poltrona al suo fianco, in un silenzio quasi assoluto, il turian era infatti riuscito a convincere sua moglie ad andare a riposare nella cabina. In realtà aveva dovuto praticamente imporglielo, usando un tono di voce piuttosto duro e deciso. Ma la aveva accompagnata di persona e, non appena la porta di quella stanza si era richiusa alle loro spalle, si era fatto perdonare con una irruente dolcezza che aveva colto Trinity del tutto di sorpresa, persa com'era nei suoi tanti pensieri e nell'inquietudine per quella missione, tanto differente dalle precedenti che aveva affrontato in epoche passate.
Se la sua mente aveva fatto fatica a distrarsi dalle preoccupazioni che la agitavano, il suo corpo aveva invece risposto con uno slancio così vivace da imporsi prepotentemente, cancellando qualsiasi altra sensazione.
Per una rara volta Garrus non era riuscito a tenere a freno quelle mani morbide che cercavano di stringerlo in un abbraccio affamato, e si era lasciato contagiare dall'irruenza di Trinity, arrendendosi alle proprie pulsioni sensuali, sopraffatto suo malgrado da un desiderio che era rimasto tanto tempo confinato in un angolo remoto della sua mente, troppo impegnata a studiare le armi della Normandy e a calibrarle adeguatamente.

Il ricordo delle ultime ore di felicità prima dell'attraversamento del portale Omega 4 e prima dell'ultima battaglia contro i Razziatori era balenato nella mente di entrambi, ma nessuno dei due aveva voluto menzionarlo ad alta voce.
Dopo che Garrus aveva applicato abbondanti dosi di medigel sulle mani e sulle braccia di Trinity, erano rimasti stesi sul letto, lasciandosi vincere dalla stanchezza accumulata nei tanti giorni di navigazione, abbracciati strettamente in silenzio, sapendosi accomunati da sensazioni condivise, in cui si mischiavano ansie e timori, addolciti però dall'intenso affetto reciproco.
Si svegliarono all'improvviso nello stesso momento, sobbalzando al suono della voce di Jeff che dal comunicatore posto sulla parete li stava avvertendo con voce eccitata - Comandante, abbiamo trovato quello stramaledetto portale!


Nota
Mi scuso per il ritardo, ma è un momento un po' complicato per me. Non prometto di riprendere a pubblicare con i ritmi soliti, ma me lo auguro (perché significherebbe che sono riuscita a uscire dai miei casini). Un saluto affettuoso a chi ancora adesso ha ancora voglia di continuare a leggermi e un grazie di cuore per l'affetto che mi dimostrate e per il supporto prezioso.

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Capitolo 29
*** Toccata e fuga ***


TOCCATA E FUGA


The Long Walk



Garrus e Trinity arrivarono insieme sul ponte a rimirare ancora una volta quello spettacolo che ormai da giorni riempiva la grande finestra di prua: polveri, gas e materia vischiosa davano origine a una sorta di nebbia che avvolgeva tutto, nave compresa, in maniera diseguale, confondendo ammassi filamentosi di spessore variabile, a volte delicati come un velo di tulle, a volte compatti come fossero solidi. E tutti quegli ammassi apparivano di colori differenti, che andavano da un giallo tenue ad un rosso cupo, passando per tutte le sfumature intermedie.
- Dov'è? - chiese Shepard dopo una decina di secondi, non riuscendo a individuare nulla di particolare in quella mescolanza offuscata.
- Verso il buco nero, a non molta distanza dall'orizzonte degli eventi(1) - rispose la voce artificiale di IDA priva, come al solito, di inflessioni particolari.
- Con tutta questa dannata nebbia non so neppure in quale direzione guardare - rispose il comandante continuando a sbirciare inutilmente dalla grande vetrata.
- Guarda lo schermo, comandante - suggerì Jeff indicando un monitor sul quale IDA aveva raffigurato ciò che era in grado di rilevare mediante la strumentazione della Normandy.

Nella rappresentazione bidimensionale era ben visibile il buco nero, come un cerchio quasi perfetto d'un nero assoluto, circondato da un alone luminoso soffuso e ben delineato, i cui confini corrispondevano all'orizzonte degli eventi, la linea ideale del non ritorno della luce. Ad una distanza relativamente piccola da quel temibile confine, IDA aveva evidenziato la presenza di una struttura apparentemente ovoidale, che emetteva una luce azzurra.
- Cosa sai dirmi sul portale? - le chiese Shepard che, senza neppure accorgersi del suo gesto istintivo, aveva afferrato la mano che Garrus teneva appoggiata sullo schienale del pilota, stringendogli le dita con forza.
- Ha una struttura solida; non è pura energia, come i Divoratori di stelle - rispose la IA, mentre effettuava ulteriori rilevazioni - E' dotato di un qualche sistema di navigazione di una potenza inimmaginabile che gli consente di rimanere a una distanza fissa dal buco nero, nonostante le notevoli variazioni del campo gravitazionale. Riconosco vagamente la composizione di alcune parti, probabilmente in una lega sconosciuta di titanio, ma sono presenti molti altri elementi che non sono in grado di classificare. Da questa distanza non mi è possibile effettuare ulteriori rilevazioni - concluse dopo pochi secondi.
- Puoi evidenziare sul monitor anche i Divoratori di stelle? - chiese Garrus a quel punto, senza distogliere lo sguardo da quello spettacolo strano e inquietante.
- Ovviamente sì - rispose IDA, questa volta utilizzando il corpo di Eva per rispondere e per sistemare alcuni comandi a fianco dello schermo, allo scopo di apportare ulteriori miglioramenti alle immagini.
- Vuoi dire che non c'è alcun nemico intorno a noi? - chiese ancora Garrus in tono perplesso.
- Nessuno a me visibile - rispose IDA con un tono di voce che a Shepard sembrò privo della solita impassibilità. Ingoiò a vuoto rendendosi conto che in un essere organico quel tono avrebbe indicato un livello di tensione non indifferente.
Un silenzio prolungato seguì quell'ammissione e sembrò diventare sempre più pesante e palpabile. Con la nave abbandonata alla deriva e i motori al minimo, sembrava di poter sentire il rumore dei respiri ed il battito affrettato del proprio cuore.
- E' inquietante - ammise Shepard in un sussurro appena avvertibile, mentre si accorgeva finalmente di avere la mano di Garrus serrata nella sua e gli sorrideva nervosamente - Dubito che il portale sia privo di sorveglianza.

- Io cosa cazzo faccio? - chiese Jeff all'improvviso, rompendo il silenzio.
- Nulla. Stai solo zitto - gli rispose il comandante con un tono che le uscì roco e nervoso.
- Va bene, come vuoi. Ma magari ti farà piacere sapere che pure da tutta questa distanza, quel buco nero di merda ci sta tirando verso di sé - obiettò Jeff con un sorrisetto nervoso.
- So ancora leggere i numeri - replicò lei lievemente irritata - Ora fai silenzio - concluse, mentre lo sguardo di Garrus veniva calamitato dalle cifre che IDA mostrava sul monitor e che stimavano la distanza della Normandy dal portale intergalattico e dall'orizzonte degli eventi.

Passò un'altra mezzora, che a tutti parve dilatarsi indefinitamente nel tempo poi, all'improvviso, lo scenario cambiò repentinamente: sul monitor apparvero migliaia di punti rossi che sembrarono essere stati eruttati dal portale quasi all'unisono. Immediatamente dopo, mentre Joker se ne usciva con la sua usuale esclamazione e le sue mani volavano ai comandi nella Normandy, in attesa di eseguire un comando di Shepard, alcuni dei Divoratori di stelle appena apparsi si raggrupparono in modo da formare tre aggregati della dimensione di un incrociatore, mentre tutti gli altri svanirono nel nulla, come se lo spazio vuoto li avesse risucchiati.
Ma furono i secondi successivi a far vacillare le certezze e le speranze di Shepard e dei suoi compagni, perché a distanza di pochi secondi dalla sparizione dei Divoratori emersi dal portale, migliaia di altri punti apparvero sul monitor, segnalando inequivocabilmente che erano attorniati da nemici, fino a quel momento rimasti occultati.
- Spiriti! - sussurrò Garrus, stringendo a sua volta la mano della moglie, fissando una flottiglia di ammassi di Divoratori di stelle, circa una decina di entità di dimensioni variabili, che stava ora puntando in direzione del portale Omega 4.
- Non siamo sotto attacco - precisò IDA - dopo aver analizzato la loro rotta.
- Grazie della bella notizia - replicò Jeff - Spero però che tu sappia anche come cazzo potremmo filarcela da qui senza che ci si avventino tutti addosso.

La mente di Shepard prese a lavorare febbrilmente e in maniera talmente concentrata che non si accorse neppure dello scambio di insulti fra IDA e Joker, a cui si unì rapidamente anche Garrus per cercare di riportare un po' di silenzio sul ponte.
Il comandante si mise in contatto con tutta la nave per ordinare ai biotici di schermare lo scafo con le barriere più potenti che fossero in grado di creare e immediatamente dopo chiese ad IDA di rappresentare sul monitor, nel modo più accurato possibile, le posizioni occupate dai Divoratori di stelle fino a quando erano rimasti in stasi.
Nel fervore di tutte quelle attività e direttive, il pilota della Normandy, in mancanza di una qualsiasi opzione valida, si limitò ad inveire contro il comandante che per uno stramaledetto colpo di culo li aveva portati illesi in un'isoletta tranquilla, nel bel mezzo di un enorme nido di formiche assassine e contro una IA incapace di intercettare dei nemici che dormicchiavano beatamente a meno di un centinaio di metri dal loro scafo.
Questa volta Garrus lo zittì ancor più rapidamente di prima, artigliandogli una spalla e sibilandogli all'orecchio di tacere.

- Se restiamo fermi o ci lasciamo andare alla deriva è probabile che, presto o tardi, finiremo con lo sbattere contro un Divoratore occultato che, non appena si accorgerà di noi, ci tirerà addosso tutti i compagni presenti in questo dannato settore - decretò Shepard pensando ad alta voce, senza neppure far caso all'espressione cupa e rassegnata del pilota che però, memore del dolore che ancora provava alla spalla, si guardò bene dall'emettere anche un singolo borbottio.
- Garrus, fatti aiutare da qualche membro dell'equipaggio a sistemare congegni esplosivi in quattro capsule di salvataggio che farete uscire con comandi manuali, in modo che non destino l'attenzione del nemico. Collegate dei detonatori, in modo che le capsule esplodano all'unisono - continuò poi - Usate cariche non arricchite di eezo o rischiamo di finire coinvolti in una detonazione a catena di potenza esponenziale.
- IDA - concluse infine, mentre il turian varcava rapidamente la porta che isolava il ponte dal resto dello scafo - sulla base delle tue supposizioni circa la posizione occupata dai Divoratori in stasi, fornisci a Jeff una rotta di allontanamento dal portale intergalattico. Non resteremo qui un minuto più del necessario - concluse, mentre il pilota annuiva con vigore a quella rassicurante affermazione.

Garrus e i turian da lui selezionati fra l'equipaggio della Normandy sganciarono le capsule di emergenza cariche di esplosivo in un'atmosfera greve e silenziosa. Effettuarono le manovre necessarie scambiandosi solo pochi gesti, sotto la supervisione di IDA che si avvaleva del corpo della dottoressa Eva per dare una mano.
La prima operazione, successivamente all'inserimento di cariche esplosive negli abitacoli delle capsule destinati all'equipaggio, consistette nella disattivazione dei comandi automatici che le avrebbero espulse violentemente nello spazio, lanciandole a gran velocità a distanza dallo scafo della nave madre.
In quella situazione, infatti, era necessario accompagnarle fuori bordo manualmente, con la massima attenzione e delicatezza, in modo da non allertare il nemico silente.
Per qualche breve attimo le capsule rimasero al fianco della Normandy, lambendone la superficie argentata, poi la voce di IDA risuonò sul ponte e, in risposta alla sua comunicazione, Shepard impartì un comando e la Normandy prese ad allontanarsi dalla zona in cui era stato effettuato lo sgancio, seguendo una rotta che li avrebbe portati ad allontanarsi dal temibile buco nero, sempre più vicino, la cui forza di attrazione si stava facendo più avvertibile e minacciosa.

Con gli occhi fissi sullo schermo sul quale IDA aveva contrassegnato con cerchi rossi le posizioni occupate dai Divoratori di stelle nel momento in cui si erano resi visibili e con cerchi di colore arancio le posizioni che, secondo uno schema probabilistico basato sulla disposizione osservata nel momento in cui il nemico si era attivato, sarebbero potute essere occupate da entità mai uscite dalla stasi, Jeff Moreau pilotò la nave con la solita eleganza ed apparente tranquillità.
- Non sto guidando una stramaledetta fregata dell'Alleanza - sussurrò però a un certo punto, tergendosi il sudore che gli imperlava la fronte - sto facendo un semplice videogioco - osservò ironicamente, fissando la sequenza di punti rossi e arancioni che stava abilmente evitando, con lo sguardo fisso sul monitor.
- Solo che il divertimento è un po' rovinato dal sapere che se sbaglio non usciremo mai vivi da questo posto del cazzo - concluse lanciando un'occhiataccia verso il comandante, che stava al suo fianco con un'aria apparentemente fiduciosa.
- Ricordo che sei sempre stato bravo a campo minato - rispose Shepard in tono fintamente rilassato, mentre gli posava istintivamente una mano sulla spalla.
Sobbalzò di riflesso al sobbalzo del pilota, sbiancando in viso, mentre i suoi occhi cercavano una spiegazione sul monitor e nella grande finestra.
Non ravvisando alcun segnale di allarme che confermasse la tanto temuta collisione con un'entità nemica si avvicinò all'orecchio del pilota e sussurrò in tono teso - Cos'è successo?
- Togli quella mano, comandante - fu la risposta inattesa di Jeff - Tuo marito ha compromesso l'integrità strutturale di quella spalla.
Shepard rimase in silenzio, grata che la posizione che stava occupando, dietro lo schienale della poltrona di Jeff, non consentisse al suo pilota di leggere l'odio che veniva irradiato dal suo sguardo. Trattenne a stento l'impulso di mettere alla prova l'integrità strutturale della scatola cranica del tenente e sospirò rassegnata, fissando lo sguardo sul monitor.

- Ferma la nave - ordinò invece, non appena i timer dei detonatori a bordo delle capsule di salvataggio passarono a segnare il numero trenta.
Durante quell'ultimo mezzo minuto restante prima dell'esplosione, gli occhi castani di Jeff e quelli verdi di Shepard continuarono a passare instancabilmente dal timer alle immagini che IDA continuava a trasmettere, aggiornandole continuamente, tenendo presente la forza attrattiva esercitata dal buco nero.
Dato che la previsione della posizione dei Divoratori di stelle doveva basarsi su una qualche ipotesi, il comandante aveva deciso che l'assenza di qualsiasi attività del nemico dovesse indicare il lasciarsi andare alla deriva, almeno fino a quando la posizione occupata nello spazio non avesse messo in pericolo la loro sopravvivenza. I Divoratori restavano in stasi, ma la previsione della loro posizione diventava via via più complessa, mano a mano che i minuti passavano e che IDA effettuava calcoli estremamente complessi per tentare di valutare l'effetto del buco nero sulle posizioni relative.

Anche le quattro capsule di salvataggio, prive di qualsiasi sistema attivo, stavano andando alla deriva, attratte inevitabilmente dal gigante oscuro. Eppure apparivano praticamente immobili, nonostante Shepard fosse quasi certa che alcune di loro fossero passate attraverso il nemico senza procurare nessuna reazione, perché i nemici avrebbero comunque ignorato la materia inerte che le costituiva.
Ma IDA non poteva basarsi sulla variazione della loro posizione per prevedere quella del nemico: diversa la composizione e la massa, diverso l'effetto dell'attrazione. I nemici erano pura energia, le capsule pura materia: la forza gravitazionale del buco nero agiva in modo diverso su entità tanto differenti. Per quello l'esplosione era stata tarata su tempi brevi: le previsioni di IDA perdevano attendibilità ad ogni secondo che passava dall'ultima rilevazione della posizione del nemico.

Nel momento in cui le capsule esplosero, lo schermo posizionato sul ponte si illuminò a tal punto che Shepard rimase sbalordita nel rendersi conto della fortuna indescrivibile che avevano avuto nell'evitare uno scontro con un Divoratore di stelle occultato.
Migliaia e migliaia di nemici si palesarono all'improvviso, come se una mano avesse dato vita alle luminarie di un albero di Natale troppo carico. Ma, a differenza delle luci natalizie, quelle minuscole stelle si diressero verso la zona dell'esplosione con una rapidità indescrivibile, ognuna seguendo una propria rotta che si adattava in modo perfetto con quella di tutte le altre entità in movimento.
Shepard, seduta sulla poltrona al fianco del pilota, vide Jeff che impallidiva trattenendo il fiato. La mancanza del ritornello usuale la impensierì per qualche secondo fino a quando il pilota, completate le manovre necessarie per schivare i nemici che si erano scagliati all'attacco delle capsule con una prontezza prodigiosa, si girò verso di lei e sillabò in tono rauco - Non farmi mai più una cosa come questa.
- Andiamocene da qui. Prima di adesso - ordinò il comandante, suo malgrado affascinato dallo spettacolo che il monitor le mostrava.

Fu una ritirata rapidissima, anche se il raggiungimento del portale richiese una necessaria decelerazione per evitare di schiantare lo scafo occultato contro i relitti delle navi spaziali aliene che lo attorniavano.
E una volta passati praticamente indenni attraverso il portale Omega 4, con gli scudi cinetici della Normandy che assorbirono la maggior parte degli impatti contro i vari ostacoli, non tutti schivabili, Shepard si abbatté contro lo schienale del sedile e mormorò una sola parola, poco dignitosa, ma di certo eloquente.
Garrus, che era arrivato sul ponte poco prima dell'attraversamento del portale Omega 4 la fissò un attimo e poi le chiese - Appena hai un attimo di tempo raggiungimi in cabina.

°°°°°

- Ci ha detto maledettamente bene, non è così? - chiese il turian non appena la vide entrare nella stanza. Le lasciò il tempo di sbracarsi letteralmente sul divano prima di porgerle un bicchiere di vino bianco fresco.
- Cazzo - fu l'unica risposta che ricevette.
- Hai idea di cosa fare?
- Distruggere il portale.
- Jeff ti risponderebbe che non sarà facile.
- Sarebbe una previsione ottimistica - rispose Shepard freddamente, mentre la sua mente continuava a elaborare quanto avevano rilevato durante quella rapida ricognizione.
- Quel portale è un oggetto solido, non è energia pura - continuò ad argomentare ad alta voce, sorseggiando il vino - Non possiamo sperare di distruggerlo con armi a distanza, sia pure arricchite di eezo. E' maledettamente più grande dei portali che conosciamo e per distruggere uno di quelli ci è servito un asteroide, nemmeno tanto piccolo.

- E di certo non pensi di mandare un asteroide dotato di un sistema propulsivo contro un bersaglio prossimo a un buco nero - obiettò Garrus.
- Ovviamente no, per la miseria! - rispose lei con rabbia - La forza gravitazionale di un buco nero è variabile, soggetta a distorsioni continue: non riusciremmo mai a centrare il bersaglio - constatò passandosi le dita fra i capelli.
- A dirla tutta, neppure i colpi delle armi da fuoco riuscirebbero a centrare il portale, a meno che non si sparasse da distanza minima - continuò poi - Non esiste nulla che sia immune alla forza gravitazionale, neppure l'energia. Ma questo problema è addirittura secondario, Garr - aggiunse con rassegnazione - La prima cosa, indispensabile, è trovare il modo di individuare i nemici in stasi - aggiunse stancamente, sapendo che quel compito era attualmente al di là delle loro capacità tecnologiche - Oggi abbiamo avuto una fortuna che non si potrà ripetere.
- Solo dopo, una volta che si troverà il modo di vedere il nemico, si dovrà pensare a come si potrebbe arrivare a ridosso del portale, attirare i Divoratori di stelle lì vicino e sfruttare la loro vulnerabilità all'eezo per generare un'esplosione in grado di disintegrare il portale. Se ne attiriamo abbastanza, l'esplosione sarà paragonabile a quella di una supernova e il dannato portale verrà disintegrato.

- Servirà tempo, quindi - osservò Garrus fissando sua moglie che annuì stancamente.
- Non so nemmeno prevedere quanto - rispose rassegnata - Forse IDA potrebbe scovare un qualche sistema di individuazione, ma al momento non so da dove potremmo cominciare.
- Dovrai recarti in un sistema in cui i Divoratori di stelle sono attivi e condurre degli esperimenti - suggerì il turian fissandole il volto stanco, con gli occhi cerchiati da evidenti occhiaie.
- E' l'unica possibilità - convenne lei mettendosi a studiare sul factotum la mappa galattica aggiornata, quella in cui erano evidenziati i settori soggetti all'attacco dei Divoratori di stelle, per interrompersi però quasi subito alzando lo sguardo verso il turian.
- Hai detto dovrai, non dovremo - notò con evidente stupore.
- Io sbarcherò su Palaven - rispose Garrus con voce ferma, ma evitando di incrociare il suo sguardo per mettersi invece a studiare la parete, ora occupata da un enorme quadro astratto, su cui un tempo c'era il grande acquario.


I Was Lost Without You


- Stai scherzando? - chiese Shepard in tono incerto.
- No - fu la risposta tranquilla, ma del tutto inattesa.
Il tono non lasciava adito a dubbi, eppure lei non riusciva a convincersi della serietà di quell'ammissione.
- Non puoi dire sul serio. Questa battaglia è tua quanto mia e tu sei un soldato, non meno di me - ribatté con fermezza.
- Questa volta non verrò con te, comandante.
- Non condividi le mie decisioni? Hai in mente un piano diverso? - gli chiese, cercando ostinatamente di capire qualcosa che andava al di là della sua capacità di comprensione.
- No, non è questo. Non ho alcun piano. Non ho neppure un suggerimento - ammise Garrus pacatamente, cercando di dipanare il groviglio di colori che componevano il quadro - E condivido ogni parte della missione che ti prepari ad affrontare.
- Maledizione! Ma almeno guardami quando mi parli! Non capisco cosa cazzo dici - lo assalì Shepard con violenza - Quanti anni abbiamo combattuto insieme? Solo tu e Jeff siete stati con me dall'inizio. Solo voi due avete sempre creduto in me, per quanto dannatamente assurde fossero le mie intenzioni. Solo voi due mi avete spalleggiato sempre e contro chiunque - lo accusò, sentendo montare dentro una rabbia cieca, che sarebbe esplosa in breve.
Sapeva che entro pochi secondi non sarebbe più stata in grado di controllare i suoi poteri biotici e sapeva che anche Garrus se ne rendeva conto: si stava preparando a parare il colpo, a resistere all'impatto. Lo vedeva dalla posizione del suo corpo e lo leggeva nel suo sguardo. Ma in quegli occhi azzurri non c'era paura, né dolore o rimpianto; c'era solo fermezza.

E all'improvviso a Trinity si ruppe qualcosa dentro.
La decisione di Garrus equivaleva alla rottura del tacito patto a cui mai avrebbe pensato che uno di loro due sarebbe potuto venir meno: la stava lasciando andare da sola ad affrontare una missione.
Il giuramento mai espresso a parole, ma che entrambi sapevano irrinunciabile, era stato infranto.
- Va bene, Vakarian, immagino che ci siano delle calibrature da ricontrollare dopo il passaggio nel portale - osservò con voce gelida, voltandogli le spalle.
- Certamente, comandante - rispose Garrus, uscendo rapidamente dalla porta.

Entrò nell'ascensore senza riuscire a capire quale tasto dovesse premere, mentre sentiva che il pianto si impossessava della sua gola e lo costringeva a emettere quei suoni imbarazzanti a cui si era dovuto abbandonare tanti anni prima, alla vista di Halia che dormiva nel suo lettino nella baita sulla Terra.
Non aveva immaginato che sarebbe stato così doloroso, ma non aveva altre scelte. E si sentiva quasi rasserenato nell'essere certo che in quegli occhi verdi aveva trovato solo rabbia cieca, odio e rancore.
Nessuno di quei sentimenti le avrebbe impedito di portare a termine quella nuova missione disperata.
Frugò nelle tasche e inghiottì un paio di quelle pillole contro l'emicrania che la dottoressa gli aveva dato pochi giorni prima, fortemente risentita per la fatica a cui stava sottoponendo il suo fisico.
- Non ti faranno niente queste pillole, se non ti decidi a riposare di tanto in tanto. IDA mi ha detto che sono tre giorni che non dormi e che nell'ultima settimana hai dormito 12 ore in tutto - lo aveva accusato Karin con rabbia, sbattendogli in mano un flacone di pasticche dopo il suo ingresso nella batteria primaria.
- Dormirò quando tutto sarà a posto - aveva provato a rassicurarla, senza riuscirci.
- Sentirò l'opinione del comandante - lo aveva minacciato con durezza la dottoressa, mentre girava su se stessa per uscire.
Garrus l'aveva afferrata per un braccio per fermarla - Ha ben altre cose a cui pensare ora, cerca di non farla preoccupare inutilmente - le aveva sibilato in tono irritato.

Ingoiò altre due pillole, sapendo che non sarebbero servite a molto. Di certo non aveva alcun desiderio di dormire. Probabilmente non sarebbe riuscito a chiudere occhio fino all'arrivo su Palaven.
“Perché un conto è avere bene in mente ciò che è necessario fare, un conto assai diverso è agire di conseguenza, straziando l'animo di Trinity” ragionò freddamente mentre si accorgeva con stupore che il suo inconscio lo aveva portato al sicuro, all'interno delle pareti della sua sacra batteria primaria, senza che lui avesse coscienza dei suoi passi.
Si sedette sul materasso, con la nuca appoggiata contro la parete. Appena entrato nella stanza aveva spento le luci, ma il dolore non era diminuito: sentiva il sangue pulsare dolorosamente nella testa e i pensieri che non riusciva a tenere a freno non facevano che peggiorare il suo umore.
Si sarebbe aspettato che gli chiedesse quale senso malato del dovere lo avesse spinto a tradirla. Lasciarla andare da sola ad affrontare una missione del genere, che si sarebbe facilmente potuta concludere con la distruzione della Normandy, sarebbe stato inconcepibile al tempo della SR1, quando il suo ragazzo era Kaidan. Ora che erano sposati, per di più con un rito turian, era impossibile.
Di certo una spiegazione aveva dovuto cercarla, visto che lui si era rifiutato di dargliela, e forse ne aveva trovate anche più di una sola. Perché, conoscendola, sapeva che avrebbe immaginato di essere stata tradita per i compiti che lui assolveva: padre di figli e guida di un intero popolo. Forse per entrambe le ragioni. Non gli interessava saperlo.
Sapeva però che, in ogni caso, non avrebbe potuto perdonarlo; ma lui non cercava quel perdono impossibile. L'odio cieco, la rabbia e il rancore erano tutto ciò che desiderava per sé, perché quei sentimenti l'avrebbero aiutata ad andare avanti anche senza di lui.
Trascorse il resto del viaggio nella batteria primaria, uscendone per procurarsi qualcosa da mangiare o per lavarsi nei bagni presenti su quel ponte solo quando IDA rispondeva alla sua domanda comunicandogli che il comandante era in cabina.

La vista del suo pianeta natale che cominciava ad occupare la finestra gli fece tirare un sospiro di sollievo. Era stanco per la mancanza di sonno e provato nel fisico e nello spirito dalle sue scelte inevitabili. Non vedeva l'ora di poter lasciare la Normandy e cercare sollievo nella vita quotidiana che l'avrebbe catturato presto nelle sue solite spire.
Eppure, quando era salito a bordo appena poche settimane prima, tutto si sarebbe aspettato tranne questo epilogo così lancinante e disperato.
“Devo andare e lasciarla libera di salvare la galassia” si ripeté ancora una volta sorridendo ironicamente. Non sapeva più quante volte si fosse ripetuto quella frase, infilandoci dentro tutta la propria convinzione, per cercare di non dubitare delle sue azioni e di lenire la sofferenza. L'autocontrollo e la disciplina della sua razza lo avevano aiutato, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito a diventare un buon turian fino in fondo.

- Desidero che passi nella mia cabina - ordinò inaspettatamente la voce del comandante dal comunicatore nella batteria primaria, mentre lui si accorgeva che la Normandy stava orbitando sterilmente intorno a Palaven già da qualche tempo.
“Spiriti!” mormorò sottovoce, mentre le sue dita correvano istintivamente verso la tasca in cui teneva le ultime pillole sedative che gli aveva dato la dottoressa. Ne ingoiò tre prima di uscire dalla porta del suo santuario privato.

°°°°°

- Voglio qualche ulteriore spiegazione. Chiara e precisa - gli comunicò Shepard non appena lo vide entrare nella loro stanza.
- Il mio posto è su Palaven - rispose il turian cercando di non farsi commuovere dallo spettacolo che aveva davanti. Per quanto Trinity avesse cercato di coprire le tracce del pianto recente con una quantità di trucco che non avrebbe usato neppure ad un ricevimento di gala, i suoi occhi verdi apparivano enormi e sperduti su un viso emaciato.
- Quando mi hai sposato sapevi che la mia vita era fra le stelle e dovevi immaginare che lì sarebbe rimasta. E' davvero possibile che tu non riesca ad accettare una scelta che sia diversa da quella che farebbe una moglie devota o una madre chioccia? - gli chiese, accorgendosi solo in un secondo tempo che i termini usati forse non erano del tutto comprensibili per un turian. In ogni caso il senso doveva essere risultato chiaro, per cui tacque in attesa di una risposta che invece non arrivò.

- Garr, io ti amo. E amo anche i nostri figli - aggiunse alla fine, intuendo forse che quel tono disperato e quelle parole sarebbero state le uniche armi che le restavano in mano - Ma devo andare. Devo - ribadì con più forza, scandendo quelle due sillabe - E non voglio farti l'affronto di spiegartene i motivi: li sai bene quanto me - concluse fissandolo.
- Il Garrus Vakarian che ho sposato non mi avrebbe fatto partire da sola per questa missione. E anche in questo caso non c'è bisogno che io ti spieghi i motivi di questa mia affermazione. Ti chiedo di spiegarmi perché non sarai al mio fianco, come ai vecchi tempi.
- Perché devo tornare su Palaven - ripeté ostinatamente Garrus, cercando disperatamente qualche frase che avesse senso, ma dubitando di trovarne - Perché il mio tempo fra le stelle è finito - aggiunse, sapendo che non le stava dando alcuna risposta valida. Ma non esistevano risposte valide, tranne quella vera, l'unica che non poteva darle.
- Non capisco - fu l'unico commento di Trinity, mentre si mordeva le labbra a sangue, nel tentativo di non scoppiare in lacrime.
- Non ti chiedo di capire. So che non puoi farlo. Ti chiedo solo di accettare questa risposta fidandoti che un senso c'è. Ma ora devi restare concentrata su questa dannata missione, comandante - la incitò prendendola alla sprovvista.
- Il futuro dell'intera galassia dipende, ancora una volta, solo da te. Me ne rendo conto perfettamente - concluse, sapendo che lei avrebbe capito quanto quell'ultima affermazione fosse sincera.

- In qualità di Primarca di Palaven posso almeno comunicarti come intendo procedere per sapere cosa ne pensi?
- Certamente - rispose Garrus, sperando con tutto se stesso che lei non gli venisse vicino. Aveva voglia di scostarle la ciocca di capelli che era sfuggita al nodo sulla nuca e le ricadeva sulla fronte, aveva un desiderio doloroso di stringerla fra le braccia e di assaggiare la sua bocca.
- Ho pensato a lungo in questi ultimi giorni - esordì il comandante cercando di concentrarsi sul fatto che aveva di fronte un alleato che avrebbe potuto consigliarla e darle un parere - Una volta che IDA avrà trovato un metodo per individuare i Divoratori in stasi, agirò. Parlo al singolare perché mi rendo conto che dovrò fare quasi tutto da sola. E' impensabile che un'intera flotta varchi il portale Omega 4 senza allertare il nemico.
- Credo che utilizzerò due navi: la Normandy e forse la Prometheus - continuò ad illustrare, mettendosi a fissare Palaven che brillava illuminato dal suo sole al di là della grande vetrata.
- Caricherò sulla Normandy tutto l'eezo che lo scafo potrà contenere, occupando ogni spazio disponibile, ad eccezione del ponte e pochi altri vani indispensabili. Joker dovrà pilotare la Prometheus oltre il portale e guidarla oltre i relitti degli scafi alieni. Altrettanto farà IDA con la nostra nave - continuò Shepard, sottolineando l'aggettivo nostra.
- A quel punto tutto l'equipaggio della Normandy, con la sola esclusione di IDA, trasborderà sulla Prometheus e la nostra nave partirà verso il portale intergalattico. Arrivata a poca distanza da questo, compatibilmente con la gravità esercitata dal buco nero, uscirà dall'occultamento e attiverà l'eezo in modo che esploda al primo impatto. Di certo il nemico le si dirigerà contro e IDA li incentiverà ulteriormente, cominciando a sparare con il Thanix contro il portale. Ovviamente non causerà danni evidenti, ma tutti i Divoratori di stelle nelle vicinanze accorreranno in difesa. E i loro attacchi avranno conseguenze letali con tutto quell'eezo attivo: prevedo un'esplosione, più devastante di quella di una supernova, che dovrebbe distruggere tutto quello che è presente nel settore, portale compreso - terminò il comandante, girandosi a guardare Garrus.
- La Prometheus constaterà l'esplosione e tornerà indietro prima di essere coinvolta - concluse lui fissandola a sua volta - E' un piano ardito, ma credo che funzionerà: rivolgerai le capacità distruttive dei Divoratori contro il loro stesso portale.
- Hai parlato con IDA? - le chiese poi, senza nascondere l'ansia che provava pensando a quell'entità strana e inqualificabile, ormai quasi un ibrido fra organici e sintetici.
- Sì - rispose Shepard - Capisce la situazione e al momento non sa suggerire un'alternativa migliore di questa.
- E hai parlato anche con Jeff?
- No e non lo farò fino all'ultimo momento.
- Non gli piacerà questa strategia, ma ovviamente non c'è bisogno di dirtelo.

- Siamo soldati, Garrus - replicò Shepard stringendosi nelle spalle - Se avessi più chance di IDA andrei io stessa. Se all'ultimo momento ritenessi che la mia presenza a bordo aumenterebbe le probabilità di successo resterei sulla Normandy con lei.
- Lo so, Shep. Siamo soldati. Siamo abituati ai sacrifici - le rispose in un tono rassegnato e tranquillo che per Trinity suonò come un campanello di allarme: non aveva neppure protestato al pensiero che lei sarebbe potuta restare a bordo della sua nave e farsi esplodere. E sapeva che non stava scherzando.
- E' per questo che mi abbandoni, Garr? Perché sei un soldato? - gli chiese a bruciapelo, cercando di afferrargli le dita mentre lui si voltava per uscire dalla porta del loro alloggio.
Suo marito ritirò la mano con violenza e uscì senza rispondere. Shepard si fermò sapendo che non avrebbe ottenuto nulla di più da lui. Aveva tentato tutto, aveva giocato ogni carta, ma aveva perso: non era riuscita a farlo parlare.
Appoggiò la fronte contro la parete della stanza, lasciando che le lacrime scorressero, ma senza permettere che la disperazione la avvolgesse. Ancora non capiva, ma non avrebbe smesso di cercare di comprendere cosa stava succedendo, si ripromise con fermezza, sicura che una spiegazione esisteva di certo.
E lei, prima o poi, l'avrebbe trovata.


Nota
(1) Con orizzonte degli eventi si intende quella circonferenza invisibile, intorno al buco nero, superata la quale le particelle di luce non riescono più a sfuggire all'attrazione gravitazionale del buco nero. Al di fuori dell'orizzonte degli eventi la gravità del buco nero è troppo debole per trattenere la luce, mentre al suo interno niente riesce a contrastare la sua forza.

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Capitolo 30
*** Fine dei cieli ***


FINE DEI CIELI


Death is the Road to Awe



Erano passati appena tre giorni dallo scalo su Palaven e dalla discesa di Garrus sul pianeta, ma quel breve lasso di tempo era sembrato lunghissimo al comandante Shepard.
Si era ormai abituata a dormire da sola, nel grande letto del suo alloggio dato che, da quando era tornata a bordo della Normandy, suo marito aveva condiviso quelle lenzuola solo la notte prima dell'avvistamento del portale intergalattico, ma la mancanza di una spiegazione per quanto era accaduto le rendeva quasi impossibile arrendersi all'incoscienza.
In quei tre giorni di navigazione non era stata neppure capace di entrare nella batteria primaria, sapendo che vi avrebbe incontrato il giovane soldato turian che Garrus aveva assegnato alle calibrature prima di sbarcare dalla nave.

In quei tre giorni la fiducia cieca che aveva sempre avuto in suo marito era venuta meno in più occasioni e lei si era lasciata sommergere dalla rabbia, perfino da un odio che cancellava ogni altro sentimento e la lasciava distrutta da quel dolore sordo che la inghiottiva ottundendole i sensi.
“In ogni caso avresti dovuto dirmene il motivo. Non ti concedo di andartene e basta” era il rimprovero che gli rivolgeva fin troppo spesso. Gli aveva scritto dei messaggi velenosi che però non aveva inviato. E lui, ovviamente, non si era messo mai in contatto con la Normandy. Ma lei non se lo era aspettata.

Guardò ancora una volta l'orologio, sbuffando perché il tempo passava con una lentezza esasperante. Alla fine si alzò dal letto, dopo un'altra notte passata a rigirarsi inutilmente fra le lenzuola. Lenzuola turian, resistenti, pensò con rabbia, sapendo che le sue unghie non sarebbero mai riuscite a lacerarle: ci aveva provato per tutta la notte, accanendosi con furia, ma inutilmente.
Quando però il suo sguardo sfiorò il ripiano del tavolino, ghignò malignamente e, afferrato il factotum, ne fece uscire la lama con cui aveva squarciato l'addome di Kai Leng e creò un taglio netto a una decina di distanza da un bordo. Una volta afferrato saldamente il telo alla destra e alla sinistra dello sfregio le fu facile ottenere una striscia quasi perfetta di tessuto. Andò avanti metodicamente, a creare striscioline regolari, fino a quando, arrivata a circa metà opera, sentì la voce di IDA provenire dal comunicatore.
- Non capisco la finalità di quella strana operazione.
- No? E' un'antica tradizione umana - rispose, continuando imperterrita, con un sorriso gelido.
- Ho fatto una ricerca in merito, ma non ho trovato nulla - continuò la IA, dopo qualche secondo.
- Forse è una tradizione che appartiene solo alla mia famiglia.
- Tu non hai famiglia...
- Ma ho avuto una madre e un padre, suppongo. Probabilmente questa tradizione è scritta nel mio DNA - replicò seccamente Trinity, prima di aggiungere - E spero che tu abbia qualcosa di meglio da fare che intrufolare il tuo fottuto occhio elettronico nella mia stanza.
- A essere sincera è stato il rumore a incuriosirmi: non ti stavo spiando.
- Stacca ogni apparecchiatura, IDA, a meno che tu non preferisca vederla andare in mille pezzi - la avvisò cominciando ad avvertire il lieve pizzicore sulla pelle che precedeva sempre l'aura biotica.
- Capito, comandante - fu l'ultima frase della IA, mentre le spie di funzionamento degli apparecchi si spegnevano all'unisono.

Decise che non avrebbe fatto la doccia quella mattina. Era incazzata nera e voleva mantenere addosso quella sensazione: non desiderava che l'acqua lavasse via parte del suo malumore.
A mensa c'era solo Jeff che le rivolse un'occhiata critica - Non hai un bell'aspetto, comandante.
- Tu invece sei uno splendore, come sempre - ribatté con una voce così dolce e suadente da far venire i brividi al pilota che capì l'antifona e rivolse tutta la sua attenzione alla fetta di pane su cui stava spalmando della marmellata.
- Stavo pensando che forse, vista la rotta che hai stabilito, potremmo fare una breve deviazione e andare a trovare Wrex. Passeremo piuttosto vicini a Tuchanka - aggiunse poi, dopo aver fissato i gesti rabbiosi con cui lei si era versata una tazza di caffè. Gli era passata per la mente l'idea di proporle una camomilla al posto di quella bevanda eccitante, ma aveva scartato rapidamente quella possibilità perché sospettava che avrebbe potuto rimediare un violento colpo biotico che gli avrebbe mandato di traverso la colazione, se non schiantato qualche osso dello scheletro.
- Stavi pensando, Jeff? - chiese Shepard con un tono addirittura più soave di prima.
- Mi piace quando il mio equipaggio attiva il cervello, ma hai dimenticato che non siamo in gita di piacere. Devo trovare quei Divoratori del cazzo, non andare a far visita a vecchi amici! - esplose in tono ben diverso, sbattendo la tazza sul ripiano con tanta violenza che il caffè si sparse per l'intero tavolo.
- Jeff, puoi correre sul ponte, per favore? - intervenne all'improvviso IDA dal comunicatore - Forse abbiamo un problema, anche se potrebbe trattarsi del semplice malfunzionamento di una spia.
- Ringrazia la tua donna - commentò Trinity vedendo che Jeff coglieva al volo quella scusa per defilarsi alla massima velocità possibile che le sue povere gambe gli consentivano.

- Te ne devo una - ammise Jeff sedendosi sulla sua poltrona da pilota.
- No, credo di no. Ho idea che io abbia contribuito a peggiorare nettamente l'umore del comandante di prima mattina - confessò la IA, facendo seguire quell'ammissione dalla sua risata che, anche se leggermente migliorata con il passare del tempo, continuava a far accapponare la pelle a tutti coloro che la ascoltavano.
- Forse, se si decidesse a chiamare Garrus, questa nave smetterebbe di sembrare l'inferno volante - commentò Jeff dopo qualche momento di silenzio.
- Ma non credo che sarebbe una buona idea suggerirle questo passo - replicò IDA - Non vorrei essere disattivata.
- Puoi essere davvero disattivata?
- No, credo proprio di no - ammise - Ma non voglio vedere il comandante mentre ci prova.

Dopo essere restata qualche minuto a fissare il lago marrone che ricopriva il tavolo, Trinity si alzò e lo ripulì prima che qualche altro membro dell'equipaggio arrivasse per fare colazione. Poi consultò il factotum e decise che poteva chiamare casa. A quell'ora i ragazzi dovevano essersi alzati per prepararsi per la scuola.
Fu Halia a rispondere e un sorriso pieno di gioia le illuminò il viso non appena riconobbe i lineamenti che si stavano componendo sullo schermo.
- Madre! - esclamò vivacemente - Dove sei adesso? Come stai?
- Qui va tutto bene. E voi? Tutto bene? State per uscire?
- Uscire? - ripeté la ragazza senza capire.
- E' quasi ora di andare a scuola.
- Veramente è domenica...
- Oh... Non esistono giorni della settimana sulle navi spaziali - si scusò Trinity.
- Lo so, ma'. Non preoccuparti, comunque: Joran e io siamo svegli da un pezzo e indaffarati a riempire i container per il trasloco.
- Quale trasloco?
- Pensavo lo sapessi: ci spostiamo a casa di nonno.
- Oh... No, non lo sapevo. Perché?
- Boh. Forse la casa è troppo grande ora che tu sei in missione.
- Mi passi papà?
- Non c'è. E' uscito un'ora fa per andare a litigare con la Gerarchia.
- E perché deve litigare? Cos'è successo?
- Beh, non vogliono rassegnarsi a nominare un nuovo Primarca.
- Quale Primarca?
- Quello di Palaven, ma'. Ma non sapevi nemmeno questo?

“No. Decisamente non so nulla e non capisco nulla” confessò a se stessa una volta chiuso il collegamento.
In tre giorni stavano accadendo troppe novità: Garrus era voluto sbarcare dalla Normandy durante una missione, si voleva dimettere da Primarca e aveva deciso di andare a vivere con il padre.
Era seriamente preoccupata perché non riusciva a trovare un legame possibile fra questi avvenimenti, ma aveva la certezza che uno ce ne fosse, e ben preciso. Ed era anche certa che quel legame misterioso non le sarebbe piaciuto affatto. E c'era la dannata missione di mezzo.
“E' la missione l'unica cosa su cui mi devo concentrare”, si ripeté ancora, rendendosi conto che era comunque turbata e che il suo umore stava continuando a peggiorare.

- Qualche novità per me? - chiese distrattamente, passando davanti alla giovane turian che occupava il vecchio posto di Sam al centro di comando, tornando indietro dalla stanza con il videoterminale.
- L’ha cercata un civile. Ha detto di essere un dottore dell’ospedale - rispose la ragazza, passandole il datapad su cui aveva annotato l’ora della chiamata e le generalità - Gradirebbe che lo richiamasse appena possibile.
- Un dottore di un ospedale? Ma di quale pianeta? E di quale città? - chiese perplessa.
- Oh, scusi. Lo davo per scontato, mi spiace. Chiamava dall'ospedale di Cipritine, su Palaven.
- Va bene, richiamalo e passami la comunicazione in cabina - rispose Shepard restituendole il datapad ed entrando in ascensore, maledicendo quel dottore che sembrava ignorare l'uso della posta.

- Buon giorno, comandante - la salutò una voce sconosciuta - Mi chiamo Septick Kerus e lavoro nell’ospedale di Cipritine.
- Buon giorno, cosa posso fare per lei?
- Io le devo la mia vita e quella di mia moglie - confessò il medico con uno sguardo imbarazzato - Molti anni fa eravamo entrambi prigionieri in una base di Cerberus quando lei e la sua squadra siete penetrati nell’edificio e ci avete liberato.
- Non ricordo, mi spiace - rispose Shepard, un po’ incerta, sperando che quel dottore non fosse tanto idiota da scomodarla per un banale ringraziamento.
- Si, è chiaro. Ma io la ricordo bene e... beh, non posso tacere. Anche se è esattamente quello che mi è stato ordinato di fare - confessò con un tono un po’ incerto.
- Quel giorno lontano, su quel piccolo pianeta - continuò a disagio - lei è entrata nell’edificio accompagnata da un krogan rissoso e dal turian che adesso è il Primarca di Palaven e suo marito - disse il medico scrutandola apertamente in viso - E’ lo stesso turian che ho visitato ieri sera.
Shepard sbiancò e si appoggiò alla parete alle sue spalle. Un'intuizione improvvisa le esplose nella mente facendole capire che era quello il maledetto legame che le era sfuggito fino a quel momento. Ora tutto tornava e trovava un significato: un legame fra le strane azioni di Garrus c'era eccome, realizzò con una certezza indiscutibile, prima ancora di sentire il resto del discorso.
E capì anche che quel dannato legame rappresentava la fine del suo mondo.

- La ascolto - sussurrò a fatica.
- Non so se lei sa qualcosa di sua suocera, anche se ovviamente non l’ha mai potuta incontrare di persona... Morì parecchi anni fa.
- Era affetta dalla sindrome di Corpalis. E lei mi ha chiamato per informarmi che Garrus ha quella stessa malattia.
- Si, comandante.
Una parte della coscienza di Shepard si accorse che la stanza si stava dilatando. Le pareti si allontanavano, assieme ai mobili e anche al monitor. Si ritrovò sola in una caligine grigiastra, senza un solo punto di riferimento certo. Chiuse gli occhi cercando di vincere la nausea e pronunciò l’inevitabile domanda successiva, sapendola superflua.
- E' ancora incurabile?
Il dottore le restituì uno sguardo carico di comprensione che lei non vide e si limitò ad annuire in silenzio pur rendendosi conto che quella donna pallidissima, appoggiata alla parete con gli occhi chiusi, non avrebbe potuto accorgersi di quel suo cenno.

- E' una diagnosi certa, suppongo - continuò Trinity, sentendo che stava scivolando ineluttabilmente, come se il pavimento le si fosse dissolto sotto i piedi. Il mondo vorticava e la inghiottiva, le toglieva il punto saldo su cui lei, fino ad un istante prima, stava ancora facendo affidamento, nonostante tutto.
Era quello che Garrus non le aveva voluto togliere. Aveva taciuto senza mentire, sperando di sostenerla come ancora poteva: regalandole l'ignoranza sulle sue condizioni di salute. Da quanto lo sapeva? Non conosceva la risposta, ma adesso quel dottore la stava colpendo in volo e lei stava cadendo al suolo, spezzata.
I cieli si frantumavano e le stelle scappavano lontane, lasciandola avvolta in un grigiore tetro e freddo. Quel buco nero l'avrebbe inghiottita perché lei non aveva la forza di allontanarsene: era sconfitta e si consegnava inerme nelle mani di un nemico che non aveva la forza di combattere.

Si accorse improvvisamente che quel dottore stava continuando a parlare e provò ad ascoltare, anche se sembrava che le sillabe non avessero più alcun significato: vorticavano e si intrecciavano, si confondevano in brandelli, senza riuscire a formare parole di senso compiuto. Le ricordarono le foglie spinte dal vento di quel sogno che l'aveva turbata per lunghi mesi, prima della battaglia contro i Razziatori.
Non riusciva a respirare per un senso doloroso di oppressione al petto. Non si accorse di essere diventata bianca come quel lenzuolo che aveva tagliuzzato di prima mattina e non si rese neppure conto che il dottore aveva smesso di parlare, restando in attesa che lei si riprendesse.
- Vada avanti - lo invitò quando infine si accorse del silenzio che stagnava pesantemente.
- Negli ultimi tempi suo marito ha sofferto di emicranie - spiegò Septick - Per qualche tempo ha preso degli analgesici, ma ultimamente non gli recavano più alcun sollievo. E’ per questo che è venuto qui, a farsi visitare: voleva la conferma della causa, anche se sono certo che la conoscesse già. Per fortuna, per ora, quelle emicranie devastanti sono l’unico sintomo.
- Cosa accadrà dopo? - si sforzò di chiedere Trinity, pur conoscendo la risposta.
- E’ difficile dirlo. La malattia danneggia il sistema nervoso centrale, ma le regioni che vengono colpite sono variabili. Potrebbe smettere improvvisamente di camminare, di riconoscere le persone care, di parlare. Potrebbe addirittura diventare un pericolo per se stesso e per chi gli sta vicino. Non posso fare alcuna previsione.

La spiegazione di tutti gli ultimi inspiegabili avvenimenti era lì, in quella condanna senza appello.
Era la sindrome di Corpalis il legame fra l'abbandono della missione, la rinuncia alla carica di Primarca e la necessità di avere vicino qualcuno che potesse garantire per lui. Perché Garrus sapeva di non potersi più fidare di se stesso. Rischiava di perdere la ragione senza neanche accorgersene.
- Di quali tempi sta parlando? - chiese ancora, con una voce da bambina sperduta.
- Non so neppure questo con certezza. Ma credo che al Primarca restino poco più di sei mesi di vita, forse un anno - le rispose con uno sguardo commiserevole che le causò una rabbia incontenibile.

- Cosa posso fare? - chiese in un sussurro. Ma quella domanda restò muta, si rese conto immediatamente. Fece un lungo respiro e provò nuovamente a parlare.
- Mi dica che posso fare qualcosa, qualsiasi cosa - pregò a voce appena più alta. Scrutò in volto il dottore, rendendosi conto dalla sua espressione incerta che neppure adesso era riuscita a farsi sentire.
- Esisterà qualcosa che si possa fare, no? - gridò allora a piena voce, con una rabbia selvaggia, espressione piena della sua sofferenza.
- Qualcosa, sì. Non molto forse, ma qualcosa potrebbe almeno lenire la sofferenza di suo marito - la tranquillizzò allora Septick, prima di uscirsene nella precisazione infelice e superflua - Perché non si può fare altro. Non si guarisce.
“Lo so, idiota. Lo so che morirà. Vuoi ripetermelo ancora una volta? Pensi che sia un'imbecille totale?” pensò Trinity odiando quel medico, il suo camice e la sua aria compassionevole.

- Mi dica cosa - rispose freddamente.
- Gli ho dato un flacone di pillole antidolorifiche molto forti, specifiche per casi come questi, ma dubito voglia prenderle - continuò a dire il dottore - Ha scorso gli effetti collaterali e mi ha lanciato un’occhiata significativa.
Shepard si limitò ad annuire, aspettando con ansia il resto del discorso.
- Come saprà, questa malattia è piuttosto comune fra turian.

Shepard non commentò, ma un pensiero inarrestabile le folgorò la mente “Io ti detesto con tutta me stessa. Non me ne sbatte nulla che sia comune o meno, figlio di puttana”.
Era sopraffatta da un sentimento di puro odio, in risposta automatica a quella precisazione non richiesta “Se ora fossi lì, nel tuo studio del cazzo, ti sbatterei contro una finestra. I vetri non resisterebbero all'impatto e tu voleresti di sotto. Spero che il tuo studio sia oltre il quarto piano”.
- In questo ospedale c’è un reparto specializzato che studia tecniche in grado di alleviare i vari sintomi - stava continuando a dire il dottore - Le emicranie sono molto frequenti e abbiamo imparato una valida pratica, alternativa a quella medicinale, in grado di annullare il dolore e addirittura convertirlo in una sensazione che può risultare anche estremamente piacevole.
“Estremamente piacevole? Io non so quali pensieri del cazzo attraversino la tua mente, dannato coglione” pensò con una irritazione che faceva una fatica immane a celare.
- In cosa consiste? - chiese invece, provando a concentrarsi sulla sua respirazione.
- E’ una manipolazione, una stimolazione delle terminazioni nervose che abbiamo sul cranio e sulla nuca, sotto le placche ossee. E’ una manovra piuttosto semplice per chiunque abbia dita morbide e flessibili, prive di artigli, una volta imparata la localizzazione delle terminazioni e la pressione da esercitare.
- Comandante, questo è il motivo della mia chiamata - sbottò improvvisamente Septick, fissandola con uno sguardo in cui non c'era più alcuna traccia di compassione, ma solo autorità e fermezza - Mi rendo conto che la mia richiesta le sarà sembrata veramente strana, ma io devo sapere cosa intende fare perché ho taciuto alcune cose ad un mio paziente e ho disobbedito ad un aperto ordine del mio Primarca. Ho infranto usanze e leggi scritte, ma non è questo a preoccuparmi. Mi preoccupa invece conoscere le sue intenzioni, perché a breve dovrò prendere delle decisioni importanti.


Together We Will Live Forever


Il colloquio con quel medico andò avanti ancora per svariati minuti e alla fine Shepard si ricredette sul suo conto, capendo che aveva di fronte una persona coraggiosa, competente e degna di tutta la sua stima.
Una volta assimilata la notizia sulle condizioni di salute di Garrus, riuscì a separare il suo dolore dalle necessità oggettive e comprese i motivi per cui quel dottore l'aveva contattata con tanta urgenza per ottenere risposte certe e chiare.
L'ordine perentorio di Garrus, di tacere con sua moglie sulle sue condizioni di salute, aveva frenato Septick dal metterlo al corrente su quella terapia basata sulla manipolazione delle terminazioni nervose.
- Se lui conoscesse quella pratica e lei volesse utilizzarla, suo marito capirebbe all'istante che le ho parlato, contravvenendo ad un suo ordine diretto - le aveva spiegato Septick - E probabilmente il giorno stesso verrei spedito nella colonia più distante da Palaven - aveva poi concluso con assoluta sincerità.
- Quindi io potrei imparare? Lei potrebbe insegnarmi questa tecnica? - aveva chiesto, scordando l'odio inevitabile che aveva provato istintivamente per un individuo che aveva proclamato ad alta voce la condanna a morte di suo marito.
- No, io no - aveva ammesso Septick - Le dicevo che serve una conformazione particolare delle mani. Ma qui in ospedale ci sono tre o quattro infermiere asari che potrebbero farlo - aveva aggiunto.

- Le assicuro che non scorderò mai quello che lei ha fatto per me oggi - gli confessò Shepard alla fine di quel colloquio lungo e colmo di sofferenza - Immagino che l’etica professionale le avrebbe vietato di darmi informazioni sulla salute di mio marito.
- Più o meno, anche se nella nostra cultura il concetto del segreto professionale è meno rigido quando si tratta di coniugi - rispose Septick - Di certo ho disubbidito ad un ordine diretto del Primarca. Ma non sono questi gli aspetti rilevanti, comandante. Dovevo sapere se mi sarei dovuto occupare io della sofferenza fisica di suo marito o se avrebbe provveduto lei. Mi chiami liberamente se avesse bisogno di qualcosa, anche solo di banali informazioni. Sarò io a seguire il decorso della malattia del Primarca - concluse, prima di chiudere la comunicazione.

- Jeff - chiamò immediatamente dopo aver spento il monitor, attivando il comunicatore con il ponte - Inverti la rotta. Torniamo su Palaven.
- Sei sicura, comandante? - chiese la voce del pilota in tono sorpreso, aspettandosi un'altra battutaccia o uno scoppio di rabbia.
- Sì. Sono sicura. IDA, avverti tu l'equipaggio - aggiunse Trinity, rendendosi conto che non era più in condizione di portare a termine nessun incarico, neppure il più banale.
Ma la missione doveva andare avanti.
“The show must go on” si precisò sarcasticamente, mentre usciva rapidamente dalla cabina per dirigersi verso il videoterminale della sala controllo.
Aveva due nomi in mente, due vecchi amici ancora in servizio attivo sui quali sapeva che avrebbe potuto contare per ottenere un aiuto. Perché la missione non poteva essere interrotta, ma lei poteva limitarsi seguirla da lontano, almeno in quella prima fase di raccolta dei dati necessari, affidando la Normandy a uno degli altri due Spettri umani che potevano fregarsene del Consiglio, conservando quella libertà d'azione che lei aveva sfruttato più volte a suo vantaggio.

Aveva pensato al neo-comandante James Vega, come prima opzione. Al contrario di Kaidan non gli era stata ancora assegnata stabilmente una nave e sarebbe stato entusiasta di subentrare al comando della Normandy.
Mentre stava effettuando la chiamata aveva dubitato di trovarlo in quel piccolo appartamento sulla Cittadella che aveva affittato qualche mese prima. Anche se non fosse stato in viaggio, difficilmente alle undici di mattina sarebbe stato in casa. Rimase quindi stupita che la sua chiamata fosse stata accettata, ma lo fu ancor di più nel rendersi conto che il viso che si stava formando fra le linee confuse dello schermo non apparteneva affatto a James.

- Oh! - esclamò, sentendosi del tutto idiota - Non mi aspettavo di vedere la tua faccia cordiale - si riprese poi rapidamente, accompagnando le parole con un sorriso divertito nel notare l'occhiata sbieca che le veniva rivolta dall'altra parte dello schermo.
- Quando il monitor ha comunicato che la chiamata proveniva dalla Normandy ho avuto paura che comparissero occhi verdi e capelli rossi.
- Vuoi dire che non sei contenta di rivedere una vecchia amica?
- No, affatto. Tu e i guai siete la stessa cosa.
- James è lì? - chiese provando a sbirciare alle spalle di Jack.
- E' sotto la doccia.
- Me lo chiameresti? - domandò gentilmente e, ancora prima che concludesse la frase, un urlo stratosferico la fece sobbalzare, lasciandola allibita.

- Forse potresti diminuire la distanza fisica che ti separa dalla stanza da bagno, prima di urlare Jimbo? - le suggerì dopo una ventina di secondi, notando come il richiamo di Jack, che aveva sfiorato i 180 decibel, non avesse prodotto alcun effetto.
- Se provi a ridere o ti lasci scappare un qualsiasi commento, scordati di aver chiamato questo posto - fu la risposta ringhiata, mentre la ragazza mimava abilmente il gesto con cui avrebbe posto termine alla comunicazione.
- Ok - rispose con aria perplessa, del tutto impreparata alla scena che le si sarebbe presentata un paio di secondi dopo: il viso fino a quel momento in primo piano era stato sostituito da una pancia talmente vistosa che i soliti tatuaggi erano ingranditi di almeno quattro o cinque volte.
- Cazzo! - esclamò, mentre la ragazza si girava su se stessa con uno sguardo furioso.
- Aspetta, Jack. Ho cambiato idea - aggiunse rapidamente - Non dirgli neppure che ho chiamato - concluse troncando di botto la comunicazione.

- IDA, riusciresti a metterti in contatto con una nave spaziale che non so bene dove si trovi? - chiese parecchio tempo più tardi, dopo aver parlato con tutte le autorità possibili, senza però riuscire a sapere dove si fosse diretta la Prometheus, che era salpata dalla Cittadella circa un mese prima.
E l'inquietante IA della Normandy riuscì alla fine a scovare il maggiore Kaidan Alenko, in un sistema sperduto ai bordi della galassia, anche se le occorsero due interi giorni per riuscirci.

- Ti sei mica sposato? - fu la prima domanda che gli fece, subito dopo i saluti.
- Beh, sì - le rispose, infilandosi una mano fra i capelli e grattandosi la cute con aria stupita.
- Ti sta bene la barba - aggiunse Trinity, prendendo un po' di tempo prima di formulare la domanda successiva, che gli sarebbe suonata anche più strana.

- No. Non ho figli e non ho neppure voglia di averne - le rispose sgranando gli occhi - Sono sempre in viaggio, non avrebbe senso - le spiegò poi pazientemente, fissandola con una curiosità che non aveva intenzione di nascondere.
- Allora vorrei chiacchierare un po' con te a proposito dei Divoratori di stelle.
- So che hai trovato il portale intergalattico - rispose il maggiore - Notizie come questa viaggiano veloci - aggiunse di fronte all'aria sorpresa di Trinity.

Sfruttando i rimbalzi con i portali dei diversi settori che dividevano la Normandy dalla Prometheus, Shepard fece un resoconto succinto ma accurato della missione che aveva appena concluso e degli obiettivi della missione che aveva invece bruscamente interrotto.
- Te la sentiresti di accogliere IDA sulla tua nave e aiutarla a raccogliere informazioni sul nemico? - gli chiese alla fine di quel lungo rapporto, interrompendo con un gesto la frase con cui Kaidan si apprestava a rispondere.
- Non ti nascondo che questa missione potrebbe risultare estremamente pericolosa, perché di certo IDA avrà necessità di fare esperimenti di vario genere - aggiunse con aria preoccupata - E dubito fortemente che sarà possibile evitare scontri diretti, almeno fino a quando non riuscirà ad affinare la tecnica di individuazione del nemico.
- Sono appena uscito da uno scontro contro i Divoratori di stelle: ho perso sei membri dell'equipaggio e la nave sta insieme con spago e sputo - fu la risposta.
- Stavo cercando di completare la mappatura delle attività dei Divoratori qui nei sistemi Terminus, ma siamo incappati in una formazione di navi nemiche occultate. Puoi immaginare cos'è accaduto - andò avanti a raccontare il maggiore, mentre la ruga fra le sopracciglia si accentuava.

Seguì un istante di silenzio, mentre entrambi ripensavano ai troppi compagni che avevano perso nel corso di tanti anni di lotte, poi Kaidan riprese a parlare.
- So che non mi dirai perché devi tornare a casa e abbandonare la missione. Ma, conoscendoti, so che non hai alcuna possibilità di agire in modo diverso. Dammi la tua Normandy e proseguirò io le ricerche non appena questa malmessa carretta riuscirà ad arrivare su Palaven. Ormai conosco fin troppo bene il nemico che dovremo affrontare. Perché questo nemico lo affronteremo insieme, Shepard, quando verrà il momento. E non è una semplice richiesta e neppure una preghiera. Io devo distruggere quel portale. Lo devo ai compagni che ho perso, a tanti cari amici. E' l'obiettivo che guida i miei passi e a cui sacrificherei ogni cosa.
All'improvviso tacque, fissò il viso silenzioso della donna che aveva di fronte e arrossì.
- E' stupido raccontarti cose come queste, Shepard. Tu sai meglio di chiunque altro di cosa sto parlando. Ero io che che non capivo perché ti fossi abbassata al punto da allearti addirittura con Cerberus, per sconfiggere i Razziatori. Adesso mi dispiace solo che quell'organizzazione sia stata distrutta, perché forse avrebbe potuto darci una mano contro i Divoratori di stelle.
- Li distruggeremo insieme, Kaidan. La Normandy e la Prometheus saranno le due uniche navi che varcheranno il settore con il portale intergalattico e noi due assisteremo alla sua distruzione. Te lo prometto - lo rassicurò - Tu aiuta IDA a capire come possa individuare quei fottuti Divoratori quando sono in stasi e noi due riusciremo a impedire che continuino ad invadere la nostra galassia.

Il giorno successivo al colloquio con Kaidan, la Normandy varcò il portale che li portò nuovamente nel settore natale dei turian.
La visione di Palaven, con le sue due lune che scintillavano sotto la luce di Trebia costrinse il comandante a meditare su quanto avrebbe affrontato nelle ore successive. Doveva giustificare il suo ritorno inatteso e, più in là, avrebbe dovuto giustificare l'affidamento della Normandy nelle mani del maggiore Alenko.
“Un passo alla volta, senza fretta” si raccomandò mentre ripassava rapidamente la spiegazione che aveva escogitato per quell'improvviso rientro, esasperando al limite quanto IDA le aveva fatto notare durante quei pochi giorni di navigazione.
Sapeva che il Primarca era stato sicuramente informato della comparsa improvvisa della Normandy nei cieli di Palaven non appena lo scafo aveva concluso l'attraversamento del portale.

La comunicazione della turian che le faceva da assistente - Suo marito desidera parlarle. E' in attesa al videoterminale - non la colse alla sprovvista.
Si riavviò i capelli e tentò di assumere l'aspetto che era solita avere quando impersonava la figura del famoso comandante Shepard, cercando di relegare ogni emozione in un angolo sperduto della sua mente, poi si avviò a passo elastico verso il grande schermo in attesa.
“Riuscirò mai a fissarti negli occhi senza cambiare espressione?” si chiese fermandosi di fronte all'apparecchiatura ancora spenta.
Si accorse con orrore che stava piangendo. Sferrò un pugno contro la parete, assaporando il dolore che le risalì dalla mano lungo tutto il braccio, fino alla spalla e poi ordinò - IDA, simula un guasto alla ricezione delle immagini ed attiva solo la comunicazione audio.
Aprì il contatto, si lasciò scivolare sul pavimento e ascoltò la voce di suo marito.



Nota
Credo di dover chiedere scusa a più di una lettrice, dopo aver letto le storie che avete pubblicato qui.
Mi giustifico ricordando ancora una volta che ho scritto tutto ciò molti mesi prima del mio approdo su EFP. Non so se, una volta lette le vostre pagine su una Shepard con la romance con Thane, avrei osato scrivere questo capitolo, ma era già scritto ed è un punto fermo della mia storia. Mi dispiace.

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Capitolo 31
*** L'ora del lupo ***


L'ORA DEL LUPO


Meltdown



- Cos'è successo? - chiese Garrus non appena Trinity attivò il terminale.
- IDA ha espresso dei dubbi - rispose - Senza studiare tutti i lavori scientifici che potrebbero contenere notizie utili sulle ultime tecniche utilizzate nell'individuazione di unità nemiche occultate, nonché articoli relativi agli effetti gravitazionali, alle conseguenze subite da corpi sottoposti ai diversi tipi di radiazioni presenti nel cosmo e non so a quanti altri argomenti di varia natura, ha suggerito di aspettare ad infilarsi in un settore pieno di Divoratori di stelle – continuò recitando a memoria, nella speranza che suo marito non facesse caso al tono incerto della sua voce, ma si concentrasse sul guazzabuglio di argomenti a cui aveva accennato, non essendo in grado di comprendere esattamente di cosa si trattasse.
- Ha provato a reperire quelle informazioni durante il viaggio, ma pare che sia impossibile accedere ad alcuni archivi dallo spazio – aggiunse Trinity per buona misura.
- E quindi?
- Ci fermeremo un po' qui, su Palaven. Con te come Primarca dovrebbe essere semplice procurarle un permesso speciale in modo che riesca ad accedere ad ogni fonte e reperire tutte le informazioni di cui ha bisogno.
- Uhm... Sì, suppongo che tu abbia ragione - ammise Garrus a malincuore, capendo che avrebbe dovuto smettere di insistere con la Gerarchia sulle sue dimissioni, almeno per qualche tempo.

- Puoi attivare le immagini senza che se ne accorga? In modo che io lo veda e lui no, IDA? - Chiese Trinity sottovoce, approfittando del momento di silenzio imbarazzato che si era creato a quel punto del colloquio.
Studiò il volto di Garrus e soffocò un gemito nel vederlo appoggiare stancamente la fronte sui palmi delle mani, con un'espressione carica di sofferenza. Provava dolore e lo si vedeva chiaramente, anche nella scarsa luce che trapelava appena dalle imposte accostate della finestra del suo studio.
- Immagino che tu ce l'abbia a morte con me, Shepard - riprese a dire Garrus rompendo il silenzio - ma casa nostra è libera, se vuoi andare a riposarti là, in attesa che IDA completi le sue ricerche. I ragazzi ed io possiamo restare da mio padre. Ci siamo trasferiti a casa sua proprio ieri.
Era imbarazzato, forse era anche spaesato e confuso. Le si strinse il cuore. Lo stava spiando e questo non era etico. Ma nemmeno lui si era comportato troppo bene, anche se, al suo posto e nelle sue condizioni, sapeva che lei avrebbe agito nello stesso identico modo.
Decise di mentire spudoratamente, certa che non avrebbe provato il minimo rimorso. Lui aveva mentito a fin di bene e lei lo avrebbe ripagato nello stesso modo.

- Garr? - lo chiamò, sicura che quel diminutivo lo avrebbe commosso e rassicurato.
Vide che alzava automaticamente gli occhi verso lo schermo nero, in silenzio. Le mandibole scattarono nervosamente un paio di volte.
- Non sono arrabbiata con te, anche se non riesco ancora a capire le tue ragioni. So che ce ne devono essere, e so che devono essere ottime. Spero che un giorno avrai abbastanza fiducia in me da chiarirmi questa strana storia - aggiunse con dolcezza, sapendo che stava barando in maniera disgustosa - Ti aspetterò a casa nostra. Non andrò lì subito perché ho qualche impegno da sbrigare, ma vorrei che cenassimo insieme. Lascia i ragazzi da tuo padre.
- Va bene. A stasera allora - concluse Garrus, lanciando un'occhiata perplessa verso lo schermo.

°°°°°

Appena sbarcata dalla Normandy si diresse verso l'ospedale, trattenendosi lì per alcune ore. Innanzitutto andò a salutare Septick Kerus che l'accompagnò in quel reparto speciale che si occupava dei pazienti affetti dalla sindrome di Corpalis.
Le presentò vari ricercatori, molti dei quali erano salarian, i cui scopi erano quelli di tenersi aggiornati su ogni nuova possibile terapia e di suggerirne di nuove, e una vasta schiera di infermieri specializzati che si davano i turni, in modo che il reparto fosse sempre pronto a gestire le emergenze.
Le consegnarono diversi datapad contenenti video, disegni accurati delle terminazioni nervose che i turian avevano sul cranio, sotto le placche protettive, e numeroso materiale informativo, poi un giovane turian la accompagnò in una stanza in cui trovò una asari, con il viso grondante lacrime, che probabilmente stava studiando documenti analoghi.
Quando la sentì entrare, alzò il viso e si asciugò rabbiosamente gli occhi, probabilmente vergognandosi dello spettacolo che stava offrendo. Trinity le sorrise nervosamente e fece un breve gesto di saluto, mettendosi rapidamente a sedere e cominciando a consultare il primo datapad, ma sentendosi scossa, perché prima di allora non aveva mai visto una matriarca piangere.

Restò seduta per un'ora intera, talmente assorta da non notare che l'asari si era alzata ed era uscita dalla stanza. Quando finì di analizzare l'ultimo datapad uscì a sua volta e si diresse verso l'addetto che le aveva consegnato tutto il materiale per restituirlo.
- Se è stanca può tornare domani per imparare la tecnica manuale - le suggerì il turian che sedeva al di là del bancone.
Trinity scosse la testa risolutamente - Preferisco continuare, se possibile.
Il turian annuì e utilizzò un comunicatore per chiamare un'altra infermiera. Questa volta fu una giovane asari a porgerle la mano in segno di saluto e a pregarla di seguirla in un'altra stanza.
Le spiegò nuovamente le operazioni che avrebbe dovuto effettuare, quelle che Trinity aveva già memorizzato perché descritte in modo accurato sui datapad. Tuttavia il comandante non mostrò segni di impazienza. Si rendeva conto che la spiegazione che le veniva fornita, tarata per individui privi di qualunque informazione in campo medico e di livello culturale minimo, era stata imparata quasi a memoria. Probabilmente quella giovane asari la ripeteva in continuazione, forse più volte alla settimana.
Evitò di distrarsi, nonostante le sembrasse di venire trattata come una bambina al suo primo anno di scuola, ma il suo interesse fu catturato dal busto dotato di sensori che, come le assicurò l'infermiera, riproduceva perfettamente una testa maschile turian con tutte le terminazioni nervose, ed era in grado di rilevare la pressione esercitata, in modo da farle acquisire la manualità necessaria per effettuare quell'operazione in modo soddisfacente.

Questa volta le conoscenze della asari si rivelarono estremamente preziose per Trinity. La giovane ragazza la aiutò con le parole o appoggiando le agili dita azzurre sulle sue, guidandola con competenza e precisione. Le suggerirono spostamenti lievi che apparentemente sembravano irrilevanti, ma che invece risultavano fondamentali, stando ai segnali emessi dal manichino.
- Si concentri su quello che i suoi polpastrelli avvertono. Le prime volte occorre molta attenzione e concentrazione, ma via via riuscirà ad effettuare la manipolazione in modo pressoché automatico - la consolò con un sorriso di incoraggiamento.
Quando le luci e i segnali luminosi che evidenziavano i risultati della prova indicarono che aveva imparato a padroneggiare quella tecnica, Shepard si rilassò contro lo schienale, sperando che all’atto pratico, quando le sue dita si fossero poggiate sul capo di Garrus e non più su un asettico manichino, non si sarebbe fatta prendere dall'ansia, dalla paura o dallo sconforto.
In quel momento, seduta dentro quel piccolo laboratorio, provava tutte quelle sensazioni, oltre a un dolore sordo che la pervadeva da capo a piedi e che le rendeva difficile l’articolazione di un qualunque ragionamento coerente.
Aveva superato l’impatto iniziale di quella condanna senza appello perché le era stato proposto qualcosa da fare e quell’obiettivo aveva fatto da diga all’onda che altrimenti l’avrebbe travolta, ma adesso che stava seduta immobile su quella sedia, sentiva che stava per lasciarsene sopraffare.

L’infermiera che l’aveva aiutata fino a quel momento le porse un bicchiere e lei lo vuotò prima di capire cosa contenesse. Tossì sorpresa, rendendosi conto di aver bevuto mezzo bicchiere di liquore, mentre la ragazza le prendeva una mano - So come si sente, ci sono passata anche io.
- Ogni volta che sono di turno qui in ospedale e che arriva qualcuno come lei, chiedo sempre di essere io a seguire i suoi primi passi. Lo faccio per ricordare mia moglie, che è morta un anno fa - le confessò semplicemente.
- Le chiamo un taxi. Non è bene che provi a guidare in questo momento - la consigliò poi con uno sguardo colmo di una compassione che Shepard non riuscì ad accettare. Provò l’istintivo desiderio di urlarle contro e si trattenne a stento, mentre la donna si avviava verso il comunicatore posto sulla parete, invitandola a versarsi altro liquore, se ne avesse avuto voglia.

Fu quando uscì dall'ospedale che si rese improvvisamente conto dell'ora. Erano le undici di sera. Era stata in quell'ospedale per oltre sette ore, perdendo del tutto la cognizione del tempo. Attivò il factotum immaginando che avrebbe trovato un messaggio di Garrus.

Non so dove ti trovi. Ogni tentativo di mettermi in contatto con te mi restituisce l'avviso che sei irraggiungibile.
Forse hai cambiato idea e hai deciso che non vuoi vedermi. Posso capire.
In ogni caso andrò a casa nostra e dormirò lì.
Buona serata.


Non appena scesa dal taxi notò immediatamente come tutte le luci di casa, tranne quelle esterne, fossero spente. Forse Garrus stava già dormendo.
Aprì la porta, salì le scale interne ed entrò nella stanza da letto, trovandola completamente al buio.
- Non accendere - la pregò suo marito - Ho mal di testa.
Cercò a tentoni il letto e ci si sedette sopra cercando di smuovere il materasso il meno possibile.
- Come ti senti? - gli sussurrò a voce bassissima.
- Peggio che dopo Omega.
- Hai preso qualcosa?
- No. Sì. Non ricordo - rispose turbato. Aveva preso una di quelle maledette pillole che il dottore gli aveva dato, quelle con una lista lunga un chilometro di effetti collaterali disastrosi, e si era addormentato quasi subito. Ora, però, stava male di nuovo, anche se meno rispetto a quando era arrivato a casa.
“Spiriti! Ne dovrò ingoiare un'altra?” si chiese.

- Ci deve essere un blister sul comodino. Me lo prendi? - le chiese alla fine, arrendendosi.
- Ce la fai a sederti?
- Non è una buona idea.
- Anche gli umani soffrono di emicrania e conosco un sistema per alleviare il dolore. Ma devi tirarti su. Forza amore, dai - lo pregò, senza accorgersi di quale appellativo avesse usato, concentrata solo sul pensiero che non sarebbe mai stata in grado di effettuare la manipolazione se la testa di suo marito non le si fosse presentata nella stessa posizione del manichino.

Garrus restò in silenzio per qualche secondo, poi lei sentì che cominciava a muoversi con lentezza estrema. Si offerse come semplice sostegno, attenta a seguire i suoi movimenti in modo da essere certa di trovarsi seduta di fronte a lui, a gambe incrociate.
Gli appoggiò la mano destra dietro la nuca e tirò verso di sé, fino a quando la fronte di Garrus le si appoggiò sulla clavicola sinistra.
Con lentezza e attenzione provò a ripetere i movimenti che aveva imparato poche ore prima, concentrata sulle reazioni di quel corpo contratto e tremante.
- Cerca di rilassarti. Non l’ho mai fatto a un turian - gli sussurrò - aiutami a capire come muovere le dita.
Per i primi minuti Garrus aveva trattenuto il fiato, sicuro che il solo respirare gli avrebbe causato nuove fitte di dolore, poi si era pian piano abbandonato sulla spalla di Shepard e aveva cautamente provato a rilasciare i muscoli contratti. In quel momento anche le placche sul capo avevano assunto la conformazione usuale e Trinity era riuscita a trovare le terminazioni nervose che stava cercando con ansia.

Bastarono pochi minuti perché il corpo del turian smettesse di tremare. Garrus si interessò alle manovre di sua moglie, si concentrò per capire cosa stesse accadendo e infine appoggiò le proprie dita su quelle di lei cercando di comunicarle cosa risultava più efficace.
Dopo pochi altri minuti anche Trinity si rilassò, accorgendosi che il collo di suo marito aveva cominciato a vibrare debolmente, segnalando piacere.
- Spiriti, Shep. Non so come hai fatto - le disse stringendole la vita fra le mani e dandole un bacio sotto l’orecchio.
- Sdraiati ora. E dormi - gli ordinò, sgusciando via. Gli afferrò le spalle e lo costrinse a sdraiarsi sul letto.
- Tienimi compagnia - sussurrò lui, provando ad afferrarla prima che si rialzasse - sai di alcool. Hai bevuto molto a cena?
- No, non molto. Ora però stai buono - rispose in tono fermo e gentile - Riposa. Ti raggiungo fra un po’. Ho raccolto del materiale che voglio inviare a IDA. Ne voglio discutere un po' con lei. Non aspettarmi sveglio.
Garrus la sentì uscire dalla stanza in silenzio, chiudendosi la porta appresso, ma non poté vederla appoggiarsi dall’altro lato dell'uscio e scivolare a terra, con il volto completamente bagnato dalle lacrime e i singhiozzi che le sfuggivano dalle labbra serrate.

La paura che lui potesse trovarla in quelle condizioni la spinse ad alzarsi dopo pochi secondi. Scese le scale interne e si diresse all’esterno della casa, verso il piccolo capanno attrezzato a poligono di tiro; entrò e staccò la sua pistola dall’armadietto. Inserì il silenziatore e prese fra le mani tutte le clip che riuscì a tenere. Poi le ordinò di fronte a sé, in file accuratamente allineate, e cominciò a sparare metodicamente alla sagoma appesa sulla parete di fronte.
Non si rese conto delle ore trascorse dentro il capanno, continuando a piangere e a sparare. Quando uscì stava cominciando ad albeggiare.
Varcò la soglia di ingresso e salì fino alla camera da letto. Entrò senza fare alcun rumore e rimase in perfetto silenzio ad ascoltare il respiro di Garrus, regolare e tranquillo come sempre. Accostò la porta e andò in cucina a farsi una gran tazza di caffè.

°°°°°

Summer overture


Fu solo qualche giorno dopo che Garrus avvertì nuovamente le prime avvisaglie di un’altra emicrania in arrivo. Si trovava in cucina e stava aiutando sua moglie a preparare la cena, affettando sul tagliere un tocco di carne in modo da ottenere delle fette spesse e regolari.
Non avendo mai parlato di nulla di particolare durante quel periodo, dato che entrambi erano stati attenti ad evitare qualsiasi argomento potenzialmente pericoloso, l'atmosfera era rilassata. I ragazzi erano tornati a stare con loro da due giorni e Garrus era rimasto spesso assente per impegni di lavoro.
Shepard, dal canto suo, aveva trascorso le ultime giornate, in attesa che Kaidan arrivasse su Palaven, collaborando con IDA e aiutandola come meglio poteva nell'oceano di materiale che era riuscita a recuperare da ogni zona civilizzata della galassia, grazie ad una autorizzazione speciale che era firmata dal Primarca di Palaven in persona.

Mentre stava iniziando a sistemare le spesse fette di carne su un vassoio, Garrus si accorse che la tenue luce del tardo pomeriggio gli procurava delle stilettate all’interno degli occhi, così che smise di occuparsi della cena e andò a chiudere le tende alle finestre. Shepard alzò lo sguardo immediatamente dopo, ritrovandosi a dover infilare dei pezzi di verdura sugli spiedini in penombra. Rise brevemente prima di capire il significato di quello strano gesto, poi chiese a Garrus se avesse di nuovo mal di testa.
- Credo mi stia venendo - rispose lui, cercando di sfuggire ogni fonte di luce con lo sguardo.
- Beh, allora cerchiamo di evitare che peggiori - gli rispose sistemando due sedie della cucina in modo che fossero l’una di fronte all’altra.

Pochi minuti più tardi i due figli li trovarono lì. Si affacciarono con aria incuriosita alla porta, mentre la madre sorrideva loro e si portava rapidamente un dito alle labbra. Ridacchiarono con aria complice nel sentire Garrus che faceva le fusa con il capo appoggiato sulla spalla di Trinity e andarono ad accendere il barbecue davanti a casa.
Dopo qualche minuto, lui si era tirato su e aveva ricominciato a sistemare la carne con un’aria che era rimasta serena fino a quando non aveva colto lo sguardo liquido di sua moglie.
- Questi maledetti ortaggi fanno piangere gli umani - affermò lei, accorgendosi dell’occhiata del marito.
- Non lo sapevo… finisco io? - si era offerto, anche se il tono era suonato incredulo.
- Grazie - aveva risposto lei, uscendo sul prato davanti casa e mettendosi a chiacchierare con i figli.
Garrus l’aveva fissata scuotendo leggermente la testa, disturbato da qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco. Fece attenzione al comportamento di sua moglie per tutta la cena e fu certo che qualcosa la turbasse, ma che lei non avesse alcuna intenzione di parlarne con lui. Non in quel momento, almeno.

La certezza di un qualche disastro, forse recente, gli venne confermata inequivocabilmente dal seguito della serata.
Quando ghermì Trinity non appena la vide uscire dal bagno e provò a scioglierle i capelli, lei gli prese il viso fra le dita con gentilezza e gli comunicò che avrebbe passato un po’ di tempo nel capanno, per esercitarsi con la pistola.
Ma questo, per Garrus, era un chiaro indizio che sua moglie era sconvolta. E il motivo gli era ignoto.
Se fosse avvenuto qualcosa di semplicemente spiacevole, Trinity glielo avrebbe raccontato, poi si sarebbe rannicchiata fra le braccia per farsi consolare. Quando invece non parlava, chiudendosi nel silenzio e tenendolo a distanza, non si trattava più di un evento solo spiacevole, ma di qualcosa di decisamente serio.
Era certo che quella sera nell’aria aleggiasse qualcosa di importante e greve, che la feriva e le recava dolore, ma lui brancolava nel buio assoluto.

Salì in stanza e spense la luce, poi scostò leggermente la tenda: il suo vecchio comandante si era infilato nel capanno, aveva preso la pistola dall’armadietto e si era riempita le mani di clip termiche. Le aveva schierate in ordine davanti a sé e aveva cominciato a sparare con metodo e regolarità. Quelle immagini gli erano fin troppo familiari e gli urlavano che qualcosa di spaventoso le stava devastando l’animo.

“Cosa ti turba così tanto da non farmene parola?” continuò a ripetersi con i gomiti appoggiati al davanzale, fissando la figura di sua moglie.
“E’ possibile che tu sappia come sto?” si chiese una mezzora dopo, sentendosi agghiacciare al solo pensiero.
Pian piano, i piccoli pezzi di un inatteso puzzle trovarono la giusta collocazione: lui apprendeva con certezza assoluta di essere affetto dalla sindrome di Corpalis e pochi giorni dopo lei tornava su Palaven, interrompendo una missione. Appena sbarcata spariva senza lasciare traccia, tornava a casa tardissimo, lo trovava in preda all’emicrania e riusciva a fargli passare il dolore, con una giustificazione senza capo né coda, viste le differenze fra la fisiologia umana e turian.
E non poteva dimenticare che, per la prima volta da quando la conosceva, lo aveva chiamato amore. Era rimasto basito a quell’appellativo; forse era stata quella la molla che lo aveva spinto a provare a sollevarsi dal materasso nonostante il dolore terrificante che annientava addirittura i pensieri. “Amore? Se provassi a ricordartelo non ci crederesti. Non è da te” ragionò freddamente.
Oggi, ad una sua nuova emicrania, aveva versato lacrime che aveva imputato a vegetali innocui.
Era riuscita a restare quieta per il resto della serata, ma dopo si era trovata costretta a correre a rifugiarsi in quei gesti automatici in cui aveva sempre provato a sbriciolare la sofferenza che non riusciva a contrastare in altro modo.

“Stai affogando in troppo dolore, Shep. E non so da dove cominciare per aiutarti a venirne fuori” fu la conclusione di Garrus, che si sentiva incapace a gestire quella situazione. Aveva contato di avere un po’ di tempo per preparare un discorso, anche se non esistevano parole in grado di rendere meno devastante il dolore che doveva necessariamente procurarle.
Aveva stabilito che non le avrebbe confessato nulla prima della fine della missione contro i Divoratori di stelle e sapere di avere del tempo a disposizione era stato consolante. E quando lei gli aveva confessato che sarebbe potuta morire nel corso di quella missione si era quasi augurato che capitasse proprio quello.

Nei tanti anni passati da quando si erano conosciuti, l'affermazione non c'è Shepard senza Vakarian si era solo rafforzata e lui sapeva che nessuno di loro avrebbe voluto, o potuto, vivere da solo, nonostante la vita piena di affetti che adesso avevano e la guerra ancora da combattere.
Ma ora si rendeva improvvisamente conto di non avere più tempo per preparare alcun discorso e che le parole gli mancavano ancora tutte.

Anche un'altra persona stava fissando la finestra del capanno. Halia era scesa in salone attirata dal rumore ritmico di una pistola. Osservò a lungo sua madre e capì che qualcosa di grave era accaduto. Ma non sapeva cosa. Ripensò alla piacevole serata appena trascorsa e ai discorsi rilassati dei genitori. Garrus aveva scherzato durante la cena e Trinity aveva riso spesso. “Già, forse troppo spesso. Non ride mai molto mia madre” si rese conto all'improvviso provando una certa inquietudine.
“E dubito che mamma e papà abbiano litigato” considerò subito dopo, ricordando l’immagine dolcissima dei suoi genitori in cucina. E poi sua madre non si sarebbe messa a sparare per un semplice litigio.
Halia aveva scosso la testa, poi era salita al piano di sopra.
- Posso entrare? - aveva chiesto bussando leggermente alla porta del fratello.
- Si - le aveva risposto lui dall’interno.
Joran era seduto sul letto e aveva di fronte a sé i pezzi di un fucile giocattolo. Era chiaro che lo stava smontando e rimontando, esattamente come faceva il padre con il suo fucile di precisione quando era turbato.
- Allora l’hai vista anche tu - disse la ragazza lasciandosi cadere sulla sedia più vicina.
- Sì - rispose lui indicando la finestra socchiusa che dava sul capanno - Ma non capisco il motivo, Halia.
- Neppure io, ma sono preoccupata.

Quando Shepard tornò su, nella loro stanza da letto, un’ora dopo, non accese la luce, ma si infilò sotto le lenzuola con gesti lenti e timorosi, preoccupata di poter destare il marito. Lui la tirò verso di sé e, dopo una lieve esitazione, lei gli si rannicchiò addosso, spingendo la nuca all’indietro e cercando di fare aderire tutta la schiena contro Garrus, desiderando il contatto rassicurante contro le spesse placche arrotondate del petto e dell’addome, come faceva sempre prima di provare a dormire.
Il turian la tenne abbracciata, cercando di non pensare a quanto fosse gelata e a quanto tremasse. Restò in silenzio, racchiudendo il corpo di sua moglie e cercando conforto nei tanti duri anni di quella autodisciplina imparata quando era una giovane recluta nell’esercito turian.
Sperò di riuscire a vincere la voglia di gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, perché si sentiva colpevole. Colpevole per il dolore che le aveva già procurato e le avrebbe procurato in futuro, colpevole per non essere capace di mantenere la promessa di essere sempre al suo fianco, costretto ad abbandonarla in una missione dura, durante la quale lui sarebbe potuto diventare un problema difficile da gestire, colpevole per essere destinato ad andare in un posto in cui lei non avrebbe potuto seguirlo.

Poteva pronunciare parole, tante parole: parole per chiedere un perdono impossibile e insensato, parole incapaci di regalare quel conforto che solo l’assoluta perdita di memoria avrebbe potuto donarle, parole di comprensione e condivisione che avrebbero solo esacerbato quella sua sofferenza tanto personale, impossibile da spartire con altri.
“So che è facile andarsene, Shep: è facile sottrarsi alla lotta e arrendersi, ma non so come restare qui a combattere insieme a te” ammise, sentendosi impotente. La abbracciò con più forza sapendo che quella notte non avrebbero dormito, ma che nessuno dei due avrebbe trovato il coraggio di confessare la pena che gli straziava l’anima.

“Non devo lasciarti rintanare dove io non possa riacchiapparti”.
Quel pensiero, nato nel buio doloroso di quella notte che gli sembrò interminabile, fu quello che lo accompagnò in ogni istante dei giorni successivi.
Garrus li trascorse in una sorta di atmosfera fumosa e sbiadita, in cui gli avvenimenti esterni lo sfioravano confusamente e lui si accorse di agire spesso solo per puro istinto, per esperienza, per una pratica ormai acquisita nella monotona quotidianità del lavoro di ufficio.

Castle of Glass


A distanza di cinque giorni dall’ultima emicrania ancora brancolava nel buio, perché non riusciva a trovare il modo per iniziare quell’argomento così scabroso che nessuno dei due sapeva come affrontare senza peggiorare la situazione.
Si sforzò di non far caso alle fitte di dolore che l'avevano destato in piena notte, concentrandosi invece sul ricordo della sera precedente, quando aveva provato ad approfittare dell’assenza dei figli per cominciare un discorso serio, colmo di inevitabile dolore e di spiegazioni. Le si era seduto di fianco sul divano, le aveva tolto dalle mani i panni che stava piegando e le aveva offerto un bicchiere di liquore, proponendole un brindisi.
Lei aveva sorriso fino a quando non gli aveva letto l’espressione del viso. A quel punto, senza neppure dire una parola, aveva appoggiato il bicchiere ancora colmo sul tavolo e si era rintanata nel capanno a sparare con la maledetta pistola.
Era rimasto immobile nel salone, desiderando solo sbattere la testa al muro fino a perdere i sensi.

E la nuova giornata sarebbe iniziata nel peggiore dei modi, a giudicare da quel risveglio in piena notte causato un'incipiente emicrania.
Si alzò cautamente, incerto se prendere o meno una di quelle dannate pillole che Septik Kerus gli aveva infilato a forza nella mano alla fine della visita in ospedale. Scivolò lieve sul pavimento fino al bagno, dove aprì l'armadietto dei medicinali e trasse dalla confezione quel foglietto che riportava così impietosamente il troppo lungo elenco dei possibili effetti collaterali.
Si rese conto che la luminosità delle stelle e delle due lune non sarebbe bastata per distinguere quei caratteri microscopici, ma l'accensione della luce artificiale gli avrebbe causato fitte troppo dolorose. Restò immobile, a chiedersi cosa fosse giusto fare, quando il suo acuto senso dell'udito gli fece avvertire un lieve scalpiccio di piedi nudi. Istintivamente appallottolò il bugiardino nelle dita di una mano.

Trinity lo trovò immobile davanti al piccolo armadietto a fianco dello specchio, con la mano destra chiusa a pugno appoggiata al lavandino e un’espressione sofferente in volto. Lo vide girarsi verso di lei con un movimento rigido e impacciato, come un umano con il torcicollo.
- Vieni - gli ordinò, con quel tono che era solita usare sul ponte di comando della Normandy. E lui la seguì come un cucciolo obbediente e remissivo e sedette sul letto, appoggiandole la testa contro la spalla.
Poi tutto si svolse come al solito, fino a quando lei, una volta accortasi che il dolore di Garrus era svanito, provò ad alzarsi dal letto.
Questa volta, però, tre dita turian le si chiusero sul braccio e tirarono così forte da farle perdere l’equilibrio e ricadere sul materasso.
Lanciò un’occhiata stupita al marito e riprovò ad alzarsi, solo per ritrovarsi immobilizzata sotto il suo corpo. Garrus le imprigionò i polsi con le mani e le strinse le gambe fra le sue, respirando pesantemente contro un lato del suo collo.
- Smettila - gli intimò rabbiosamente - Fammi alzare.
- No - rispose lui, provando ad aprirle i bottoni della casacca del pigiama.
- Non ne ho voglia, lasciami - protestò ancora Shepard, tentando di liberarsi dal suo peso.
- Voglio che almeno provi - le rispose in tono fermo, strappandole sbrigativamente la casacca con un gesto preciso degli artigli della mano destra.

Lo respinse con tutta la forza delle braccia, inarcando la schiena, mentre il suo corpo cominciò ad irradiare quell’allarmante alone di luce azzurra che poteva rivelare l’incapacità di tenere a freno i propri poteri o la volontà di sferrare un attacco mirato. In realtà provava un sentimento angosciante di paura, all'idea che nel cervello di suo marito si fosse rotto qualcosa e qualche inaspettato meccanismo inconscio guidasse gesti privi di ragione.
Garrus non si lasciò intimidire dalla sua reazione e continuò a tenerla imprigionata, sussurrandole però nell’orecchio - Non farlo, Trinity, usa solo la forza fisica. Tutta quella che vuoi, ma non i tuoi poteri biotici. Non voglio che ci facciamo del male.

L’uso del nome di battesimo e la dolcezza nella voce la tranquillizzarono. L'aura scomparve, ma i suoi muscoli rimasero contratti, pronti ad essere utilizzati per sgusciare di lato alla prima occasione favorevole.
Garrus restava ostinatamente sopra di lei, immobilizzandola con determinazione, ma baciandole ogni parte del collo e del viso, con una strana gentilezza aggressiva, fino a quando riuscì a farle schiudere le labbra ed a impossessarsi della sua bocca.
La baciò a lungo, con una sorta di violenza gentile ma insistente che lei non conosceva.
Alla fine rispose al bacio, senza accorgersi che anche il suo corpo cominciava a muoversi in armonia con il turian.
Quando Garrus se ne accorse le sussurrò - Mettici dentro tutta la rabbia, il dolore, l’impotenza. Scatena le emozioni che stai provando. Immagino che provi un odio che non sai giustificare a te stessa e forse anche del rancore, ma sono certo ci sia molto altro che non sono in grado di immaginare. Mostrami tutto questo, spartisci con me questo groviglio doloroso - la incitò con estrema dolcezza nella voce, ma continuando a serrarla strettamente.

Era vero, ammise a se stessa, smettendo di negare quei sentimenti dei quali provava vergogna. Non lo aveva mai voluto accettare, ma a volte l'odio per Garrus la colpiva a tradimento. Lo fissava con ostilità e risentimento, e subito distoglieva gli occhi per la palese ingiustizia di quelle accuse. Eppure le capitava di odiarlo e di sentirsi arrabbiata, a causa di tutto il dolore che le stava procurando, anche se non ne aveva colpa.
Si accorse che lui seguitava a baciarla con quella strana violenza dolce e decisa e reagì d'istinto mordendo la pelle coriacea intorno alla sua bocca, solo per sentirsi incitare - Regalami le tue emozioni, Trinity – dalla sua voce tesa e rauca.
Lo morse di nuovo, più forte, piangendo, e sentì che lui la lasciava finalmente libera di muoversi.

Sapeva cosa le stava chiedendo: gli affondò le dita nelle placche spesse della schiena, sentendo che le unghie raschiavano contro il carapace, lo morse dove sapeva di non poter fargli del male stringendo con forza i denti sugli spunzoni ossei e infine lo spinse di lato cercando di girarlo con la schiena contro il materasso, mentre Garrus opponeva una certa resistenza, in modo che lei fosse costretta ad impegnare tutta la sua forza fisica per soggiogarlo ai suoi desideri.

Ricordò l’unica occasione in cui avevano fatto l’amore in modo simile, la prima volta che si erano ritrovati dopo il suo processo. Allora però le motivazioni erano diverse.
Gli salì sopra serrando le dita attorno alle spalle, con le unghie che stridevano leggermente contro il bordo del carapace fino a quando il dolore per le ferite che si stava procurando sul palmo delle mani e il piacere che provava nel sentirlo dentro di sé diventarono indistinguibili, tanto da non riuscire a capire neppure se stesse piangendo o ridendo.
Fu un urlo rauco, denso di dolore e di liberazione, quello che le uscì dalle labbra. Si abbatté sopra Garrus sentendosi svuotata da ogni emozione e talmente esausta da renderle faticoso perfino il continuare a respirare.

- Aspetta - sussurrò accorgendosi che lui le stava staccando le mani intorpidite dal carapace e la stava girando a pancia sotto.
- No. Non posso - fu la confessione inattesa, con un accento talmente disperato da farla rabbrividire.
Le strinse i capelli fra le dita della mano sinistra e le serrò i polsi con l’altra mano, tenendola prigioniera sotto di sé e impadronendosi del suo corpo come farebbe un naufrago che si aggrappasse a un pezzo di legno che galleggia sulla superficie dell'oceano. Le servì qualche secondo per capire che il ritmo nervoso e incontrollato di Garrus era dettato da sentimenti diversi dai suoi. Non provava odio e rabbia cieca, ma una disperata lacerazione del suo stesso essere. Era devastato dall’impotenza di entrambi e dalla richiesta pressante di costringerla a condividere con lui un dolore troppo grande per essere affrontato in solitudine.

Quando le avvicinò la bocca al collo, ansimando con un respiro denso e rauco, simile a un ringhio, ebbe paura che quella volta le avrebbe fatto del male, anche se non di proposito. Ma Garrus morse solo il cuscino, poco sopra le sue spalle, là dove avrebbe trovato il carapace di una femmina della sua razza, e si continuò a muovere su di lei con una violenza prepotente e arrogante che nulla aveva a che fare con l’essenza della sua anima.

E allora decise di opporre resistenza e lo fece con tutta la forza che aveva ritrovato nelle membra, esauste fino a pochi istanti prima. Immediatamente lui si bloccò con un rantolo che esprimeva la fatica estrema di interrompersi, ma anche il timore di averle fatto davvero male.
- Non fermarti - lo incitò, continuando a cercare di ostacolargli i movimenti, per quel poco che poteva, in quella posizione sottomessa.
Due braccia robuste voltarono il suo corpo e un paio di occhi azzurri ansiosi scrutarono nella penombra, ricercando la conferma di quella frase sul suo viso.

Ora che si trovava supina era in grado di combattere contro di lui, di rallentarlo, di opporsi ai suoi movimenti e lo fece con tutta l’energia disperata che le scorreva dentro il corpo, continuando ad incitarlo a proseguire.
Fu una lotta ai limiti della violenza carnale, di un abuso, che si protrasse a lungo fino a quando lei gli aderì completamente alla disperata ricerca di un contatto perfetto e assoluto, nella necessità impellente di abbandonarsi a un piacere troppo intenso per essere ancora rinviato. E lui la seguì immediatamente, con un grido soffocato che sembrò un singhiozzo di pianto, poi allentò la stretta e si spostò di lato, sempre tenendola abbracciata.

Si trovarono entrambi sdraiati di fianco sopra il materasso, a guardarsi negli occhi, e Garrus le dischiuse dolcemente le mani, fissandone i palmi solcati da tagli profondi che sanguinavano. E c'erano abrasioni e lividi anche sulle braccia e sul viso.
Trinity sorrise piano, ingoiando il sapore salato delle lacrime e del sangue.
- Il medigel dovrà aspettare – bisbigliò Garrus - non ce la faccio ad alzarmi.
- Non importa - rispose lei distrattamente, mentre cercava di capire cosa provasse.
- Trinity?
- Sì?
- Ti amo.

A quella frase spinse la faccia contro il collo di Garrus, respirando l’odore metallico della sua pelle e lasciando che le lacrime scorressero quietamente dagli occhi, senza aver voglia di fermarle.
In tutto quel disastro, con la morte troppo vicina, quelle lacrime la rassicuravano che loro due avevano superato il silenzio e si erano ritrovati. Erano lacrime di gioia, nonostante tutto, e voleva assaporarle fino in fondo.
Il turian la tenne stretta fra le braccia, rassicurato dall'assenza di singhiozzi. Si sentiva rilassato e quasi felice e sperava che fossero quelle stesse sensazioni ad aver causato quel suo pianto liberatorio.

- Era questo che intendevi, parlando di sfogare lo stress, tanti anni fa, sulla Normandy? - gli chiese dopo qualche minuto, quando fu sicura che la sua voce fosse tornata normale.
- Sì. In un certo senso.
- E non c’è amore in un sesso così, giusto?
- In genere no. Ma qui, oggi...
- C’era tutto. Anche amore - ammise Shepard con sicurezza.
- Ce n'era addirittura troppo - provò a scherzare lui, ma il tono di voce rimase serio.
- C'era un po’ troppo di tutto - concluse lei, senza sorridere.

Dopo una mezzora, vedendo che Garrus teneva ancora gli occhi chiusi, Shepard allungò una mano per carezzargli il viso, ma poi cambiò idea. Si alzò silenziosamente e andò verso il bagno, aprì il mobiletto a fianco dello specchio, si iniettò una dose generosa di medigel e poi non resistette alla tentazione: prese il blister e controllò quante pillole conteneva.
- Non ne ho presa nessuna da quando sei tornata - le confessò Garrus che l’aveva seguita in silenzio - Ma stamani ci avevo pensato: desideravo una domenica tranquilla, in cui non fossi costretta a esplodere metà delle munizioni del capanno per riuscire a non crollare.
Lei gli si avvicinò e gli passò le braccia intorno al collo, alzandosi sulla punta dei piedi, così da appoggiare il viso contro la spalla. Garrus la strinse con tutta la forza che poteva permettersi di usare senza farle male.
- Noi possiamo affrontare tutto, se restiamo insieme. Non dimenticarlo - le sussurrò, certo che fosse vero, ma senza riuscire a immaginare come ci sarebbero riusciti anche questa volta.



Nota
L'espressione l'ora del lupo indica quell'ora, nel pieno della notte, fra la mezzanotte e l'alba, in cui tante persone muoiono o nascono, in cui il sonno è più profondo e gli incubi più vividi e reali. Citando Bradbury “è un’ora speciale, lo spirito è spento e il sangue si muove lento… è la mezzanotte dell’anima.”

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Capitolo 32
*** Soldati ***


SOLDATI


Prelude to War



Erano passate un paio di settimane dalla notte in cui tutti i nodi erano venuti al pettine.
A Cipritine le scuole si erano chiuse per le vacanze estive da una decina di giorni circa e Halia e Joran, ancora ignari della malattia del padre, erano partiti per trascorrere parte di quel periodo in una struttura, assimilabile ad un campeggio terrestre, che offriva numerosi svaghi, tutti più o meno incentrati su un'intensa attività fisica, in compagnia dei loro amici.

Durante quel tardo pomeriggio, Garrus e Trinity stavano apparentemente oziando nel salone di casa loro, ognuno con un datapad davanti di cui facevano scorrere le pagine di tanto in tanto, come se davvero stessero leggendo. In realtà entrambi pensavano a ben altro.
Se pure avevano cancellato le menzogne che si erano scambiati, molte questioni erano ancora aperte e senza risposte certe. C'era un lungo cammino da percorrere e sarebbe stato tutto in salita.
Di una sola cosa erano entrambi sicuri senza esserselo neppure detto apertamente: la distruzione del portale intergalattico era l'obiettivo principale, a cui avrebbero sacrificato ogni cosa.

Mentre fingevano di leggere, sapevano di stare aspettando che gli eventi ancora in sospeso si sviluppassero. Attendevano lo sbarco di Kaidan a Cipritine dove, per ordine del Primarca di Palaven, erano già stati fatti arrivare i migliori tecnici ed ingegneri turian, che avrebbero collaborato alla riparazione della Prometheus. E, nel frattempo, aspettavano che IDA completasse le sue ricerche, anche se la IA aveva sentenziato che le nozioni apprese nell'ultimo mese erano contrastanti fra di loro.
Era venuta a conoscenza di molte diverse teorie, spesso enfatizzate con entusiasmo da alcuni studiosi e criticate ferocemente da altri, ma non esisteva alcun risultato concreto e molte supposizioni erano ancora da verificare.

- Mi chiedo se, adesso che sai tutto, la mia decisione dovrebbe cambiare - confessò Garrus a sua moglie gettando il datapad sul ripiano del tavolino vicino al divano su cui era steso.
Aspettò di incrociare il suo sguardo interrogativo prima di proseguire - So benissimo che potrebbe accadermi di tutto e che potrei rischiare di non accorgermene.
La possibilità che perdesse le facoltà mentali era realistica. Succedeva abbastanza frequentemente agli individui affetti dalla sindrome di Corpalis e non sempre il processo risultava graduale. Si conoscevano casi di malati che si erano svegliati una mattina senza riconoscere i propri cari o che erano tornati indietro nel tempo, credendo di essere adolescenti. E in casi come questi le reazioni variavano da individuo a individuo e potevano sfociare in episodi violenti.
- Non sono certo di potermi permettere di salire a bordo di una nave spaziale, Shep - concluse in tono depresso - perché potrei diventare un ostacolo per la missione e addirittura mettere in pericolo te e l'intero equipaggio, eppure la prospettiva di rimanere a terra mi appare insopportabile.

Shepard annuì in silenzio: quella era una delle questioni ancora aperte alle quali non erano in grado di dare una risposta definitiva. E le sue capacità decisionali erano disturbate dal rendersi conto della sofferenza che quelle riflessioni procuravano in Garrus: sapere di non poter contare sulle proprie capacità intellettive doveva porgli dubbi crudeli ed esacerbare le sue paure.
- Abbiamo affrontato altre situazioni difficili e abbiamo sempre imboccato la strada giusta. Non preoccuparti di un futuro che potrebbe essere ancora lontano - provò a rassicurarlo.
Garrus annuì a sua volta, decidendo che non era davvero il caso di confessare ad alta voce cosa gli era passato per la mente a quella risposta, in apparenza tranquillizzante: “Per allora potrei essere già morto o, peggio, potrei essere diventato un vegetale”.

Nessuno di loro, neppure IDA, era in grado di fare previsioni sul tempo che sarebbe occorso per trovare un sistema valido per individuare i Divoratori di stelle occultati.
- Non posso garantirvi che riuscirò a trovarlo e neppure che effettivamente esista - aveva confessato la IA proprio la sera prima, quando si erano messi a ragionare, insieme, sulle probabilità di ottenere un responso errato, in un senso o nell'altro, sapendo che qualunque metodo sarebbe stato soggetto a ineliminabili margini di errore.
Alla fine avevano convenuto che non potevano permettersi il rischio di incappare in un nemico che non erano stati capaci di individuare, mentre l'errore opposto, di aspettarsi la presenza di un Divoratore là dove non esisteva realmente, appariva piuttosto trascurabile.

Trinity fissò Garrus, senza però vederlo realmente, persa nel dubbio che da un paio di giorni la attanagliava e che era lo stesso di suo marito, anche se causato da ragionamenti diversi.
Era tornata su Palaven abbandonando la missione per stargli vicino, ma ora che Kaidan stava per arrivare si chiedeva se, alla fine, avrebbe prevalso il suo senso del dovere o l'amore per suo marito: le risposte che di volta in volta si dava erano confuse e contrastanti.
Alcune mattine si svegliava con la certezza che sarebbe tornata a bordo della Normandy ma poi, nel corso della giornata, quella sicurezza vacillava.
E c'erano quei giorni in cui si svegliava e, guardando suo marito, si rendeva conto che non sarebbe riuscita ad abbandonarlo; ma poi, con il trascorrere delle ore, cambiava idea, convincendosi che Sol e Rennok avrebbero vegliato su di lui affettuosamente e che le infermiere dell'ospedale avrebbero potuto alleviare il dolore delle emicranie non certo peggio di lei. “Sono un soldato, prima di tutto, e non posso abbandonare una missione” la rimproverava una parte della sua mente.

- Garr, neppure io so cosa fare - gli confessò alla fine.
- Vuoi andare con Kaidan?
- Non lo so. E' una domanda a cui non trovo una risposta chiara e definitiva.
- Devi fare ciò che desideri, senza dovermi spiegare nulla. Qualunque sarà la tua decisione la comprenderò in pieno - la rassicurò fissandola negli occhi - Non so immaginare cosa farei io al tuo posto, se le nostre parti fossero scambiate. Credo che continuerei a cambiare idea in continuazione, esattamente come accade a te.

Quella risposta non servì per fare chiarezza, ma Trinity non si aspettava che suo marito potesse aiutarla, nonostante le sue buone intenzioni.
Una cosa sola stabilirono di comune accordo alla fine di quelle confessioni reciproche: fino a quando Trinity non avesse deciso cosa fare, Garrus non avrebbe parlato con nessuno della sua malattia.
L'idea di dover rattristare i famigliari gli era insopportabile perché sua sorella e suo padre avevano già sofferto abbondantemente in epoca passata e i loro due figli erano ancora tanto giovani. E poi non voleva vedere sui loro visi quelle dannate espressioni di comprensione che non sarebbero riusciti a nascondere.

- Ma anche io ti guardo con comprensione? - chiese Trinity all'improvviso, mettendo nuovamente da parte il datapad e sollevando lo sguardo verso suo marito, inorridita a quel pensiero.
- Qualche volta.
- Shep, è normale. Non ti sto rimproverando - aggiunse di fretta, alzandosi dal divano per andarle vicino, vedendo che era rimasta male.
- Sono un'idiota.
- No. Non lo sei. Ma proporrei di cambiare argomento di conversazione. Questo è davvero stupido e inutile - tagliò corto lui, in tono che non ammetteva repliche - Ti andrebbe di andare a vedere com'è quel nuovo complesso di Cipritine? Non sarà all'altezza di quello sulla Cittadella, ma mi piacerebbe portarti a ballare.
- Uhm, ballare?... Non è che c'è anche un'arena? Tipo l'Armax Arsenal? - chiese Trinity.

Non avrebbe saputo la risposta. Non in quel giorno, almeno, perché il comunicatore attaccato sulla parete alla sinistra della porta di ingresso cominciò improvvisamente ad emettere quel suono insistente e fastidioso che indicava una chiamata in arrivo e nello stesso tempo il factotum di Garrus prese a vibrare.
- Qui è ciò che resta della Prometheus, c’è qualcuno in casa? - chiese una voce familiare, mentre il terminale si accendeva e un volto prendeva forma fra le incerte righe orizzontali dello schermo.
- Kaidan! - esclamò Shepard che si alzò immediatamente dal divano per precipitarsi al terminale - Come stai?
Sorrise al maggiore, rimanendo sorpresa, ancora una volta, per le piccole rughe che erano comparse su quel volto nel corso degli anni - Sei atterrato?
- Non ancora - rispose Garrus per lui - ma ha varcato il portale e la sua nave si è materializzata nei cieli di Palaven - precisò, spegnendo poi il factotum.
- Ti va di cenare qui da noi stasera? - chiese Shepard.
- L'assistente del traffico di volo sta indirizzando il tuo pilota verso il settore dello spazioporto in cui si effettuano le riparazioni. Ti manderò un veicolo che ti porterà qui non appena avrai sbrigato tutte le noiosissime pratiche - aggiunse Garrus, dopo la risposta affermativa del maggiore.

Invitarono anche Jeff e IDA, che arrivarono con un po' di anticipo su Kaidan.
- Mi verso da bere per prepararmi alla serata - esordì il pilota, non appena seppe chi li avrebbe raggiunti dopo poco - Saresti bastata tu da sola, comandante, per mandarmi la cena di traverso - affermò in tono scherzoso, venato di sincerità.
Shepard si informò dello stato delle ricerche da IDA che rispose di sentirsi pronta a partire e a rischiare, perché reputava di aver essersi acculturata a sufficienza. Non dette peso allo sguardo truce che le rivolse Jeff e proseguì - Troppo numerose le supposizioni e troppo poche le verifiche sul campo - sentenziò stringendosi nelle spalle, esattamente come avrebbe fatto un'umana.
- Spero almeno che sceglieremo un settore non troppo affollato di nemici - si augurò il pilota alzando gli occhi verso il soffitto, proprio mentre Garrus apriva la porta a Kaidan.

- Ma che bella sorpresa! - esclamò il maggiore varcando l'uscio - il mio pilota brontolone preferito! Le tue proteste si sentivano dal pianerottolo.
- Proteste un accidente! - commentò Jeff - durante le ultime missioni in cui mi ha trascinato la tua amica - aggiunse indicando Shepard - ci abbiamo quasi rimesso tutta la maledetta nave, nonché il dannato equipaggio al completo.
- Dovresti dare un'occhiata alla Prometheus, prima di parlare... - rispose Kaidan in un tono che non era più tanto allegro.
Trinity, che aveva riconosciuto il dolore per la morte di tanti compagni comparire in quegli occhi castani, provò ad alleggerire l'atmosfera - Beh, non preoccuparti. Se davvero Jeff non se la sente, ricordati che nell’Alleanza prestano servizio parecchi altri piloti; ne scoveremo uno più coraggioso...
- Più coraggioso? - fu l'urlo che la interruppe - Andate a farvi fottere. Tutti e due. Non lascio la mia donna nelle mani di un pilota inesperto e incompetente che è coraggioso solo perché non sa in quali guai volete andarvi a cacciare - aggiunse in tono indignato.
- Grazie Jeff - fu il commento divertito di IDA che gli pose una mano sulla spalla e mise così fine alla prima battaglia di quella lunga serata.

Le schermaglie proseguirono per tutta la durata della cena, mescolate ai ricordi dei tempi passati.
I racconti delle tante avventure che avevano vissuto insieme si mescolarono con i progetti a breve termine, mentre nessuno volle tirare in ballo ciò che sarebbe accaduto durante l'ultima battaglia che avrebbero scatenato contro i Divoratori di stelle.
Quando il pilota della Normandy provò a chiedere qualche informazione in merito, Shepard fissò IDA e rispose che prima di aver acquisito ulteriori informazioni sul nemico sarebbe stato impossibile elaborare piani precisi.
- Devo verificare se davvero mi riuscirà possibile individuare i Divoratori occultati e da quale distanza. Poi dovrò valutare l'attendibilità dei risultati - aggiunse la IA - Solo una verifica sul campo di battaglia potrà fornire indizi utili per stabilire i passi necessari per la distruzione del portale intergalattico.

Durante quel discorso il comandante non aveva staccato gli occhi dal viso della dottoressa Eva. Sapeva che non aveva molto senso studiare la sua espressione e la sua gestualità per capire se il destino che le aveva riservato fosse per lei fonte di disagio o di qualcosa assimilabile a sensazioni sgradevoli, ma non riusciva a liberarsi da quell'impulso innato.
Avrebbe comunque affrontato ancora quell'argomento, in privato, sicura che IDA non le avrebbe mentito e non le avrebbe nascosto le sue reazioni. Shepard doveva essere certa che quell'entità ormai tanto evoluta fosse pronta ad accettare quella missione, perché non potevano permettersi un errore che avrebbe vanificato tutti i loro sforzi.
Era difficile sapere se IDA avesse riflettuto su tutte le conseguenze di quel suo sacrificio, ma lei supponeva che lo avesse fatto. Forse, però, senza riuscire a comprendere in pieno il dolore che avrebbe provato Jeff Moreau e lei si chiedeva se dovesse cercare di spiegare quel dolore ad una IA e in quale modo potesse riuscirci.

Il sacrificio di una IA avrebbe consentito alla galassia di sopravvivere e obiettivamente, vista la posta in gioco, il prezzo non sembrava così alto, eppure lei si chiedeva anche come, a guerra conclusa, avrebbe potuto sostenere lo sguardo del suo pilota.
Più passava il tempo e più Jeff diventava abile, tanto da essere ormai un membro insostituibile dell'equipaggio, ma lei aveva notato quanto fosse diventato restio ad infilarsi in situazioni critiche. Forse la possibilità di perdere IDA gli faceva sempre più paura, via via che il tempo passava.
Togliergliela ancora una volta, e questa volta senza alcuna possibilità di recupero, era un'azione che non si sarebbe mai riuscita a perdonare, anche sapendo che la salvezza della galassia aveva un prezzo su cui nessuno, sano di mente, poteva permettersi di discutere.

Fu ancora Jeff a mettere un po' tutti a disagio, mentre Garrus stava scartando il vassoio con i dolci che Kaidan aveva portato con sé. Una volta fissati alternativamente il maggiore Alenko e il comandante Shepard con aria incerta, chiese infatti direttamente - Ma salirete entrambi sulla Normandy? E a chi di voi spetterà il comando?
- Lui sarà certamente a bordo - rispose il comandante - Io... non so ancora - ammise, continuando ad ammucchiare i piatti sporchi.
Incrociò lo sguardo con il maggiore, che trattenne il proprio piatto con le mani un istante di troppo, per invitarla a guardarlo in viso, ma Trinity non aggiunse altro e uscì frettolosamente dalla sala in cui stavano finendo di cenare.
- Porteresti anche questo in cucina, Kaidan? - gli chiese a quel punto Garrus, porgendogli un piatto di portata ormai vuoto.
- E parla con lei, per favore - aggiunse sottovoce.

La trovò con lo sguardo perso nel nulla e pensò che non si fosse accorta della sua presenza. Invece sentì la sua voce che ammetteva - Non so cosa fare, Kaidan. Non riesco a decidere se partire o meno. Tutto mi sembrava chiaro qualche settimana fa. Ho invertito la rotta della Normandy perché sapevo che sarei dovuta tornare, che non sarei riuscita a portare avanti la missione. Ora, invece...
- Stasera ho finalmente compreso cosa ti ha spinto a tornare su Palaven - le rispose lentamente, avvicinandosi - Ero certo che riguardasse tuo marito, ma non immaginavo fosse tanto grave. Non so come si chiami la malattia degenerativa dei turian, ma ho capito che Garrus ha quella.
La vide girarsi di colpo, fissandolo con stupore genuino – Come lo sai?
- Non ha ferite o cicatrici - spiegò Kaidan - ma ha perso l'uso dell'occhio sinistro. Immagino sia un sintomo - concluse vedendo che lei sbiancava in volto.
- Cosa dici? Sei sicuro? - fu la domanda espressa con una voce che lui non avrebbe mai associato al comandante Shepard.

The Presidium


La vide annaspare alla ricerca di un appiglio e istintivamente la sostenne con le braccia. Tremava ed era soffusa di un'aura azzurra debole e vibrante.
- Pensavo lo sapessi - disse a voce alta, mentre nella mente si insultava pesantemente per la sua idiozia.
- Non me ne ero accorta - sussurrò - Non sono capace di essere una moglie decente - singhiozzò alla fine.
- Non dire scemenze, Shepard. E' che io sono stato sempre alla sua sinistra, durante la cena.

Era stato un completo imbecille e l'aveva combinata grossa. E ora aveva fra le braccia una donna affranta e impaurita. Per la prima volta da quando la conosceva si ritrovava ad avere a che fare con Trinity e non con Shepard e si sentiva smarrito.
La sentì tirar su con il naso.
- Ti ho macchiato l'uniforme - si scusò scostandosi, ma Kaidan capì che non si era ancora rifugiata dietro la sua solita barriera impenetrabile, quella che prima di allora non gli aveva mai permesso di oltrepassare.
- Shep - la rassicurò con dolcezza, passandole un braccio sulle sue spalle in un gesto cameratesco, sperando che non si risentisse per quel diminutivo che non aveva mai usato e per il tono di voce carico di dolcezza - Hai interrotto una missione per stare vicino a Garrus. Invece ora senti di dover partire. Come tuo amico so che nessuno potrebbe consigliarti la risposta che stai ostinatamente cercando, perché non esiste la risposta giusta e non esistono risposte sbagliate.
La vide annuire e restare in silenzio.

- Ma come Maggiore dell'esercito dell'Alleanza esiste un'unica risposta possibile, e so che la conosci anche tu. C'è una sola decisione corretta, comandante, per quanto riguarda la guerra che stiamo combattendo – aggiunse con il tono che un militare avrebbe usato con un suo sottoposto, capendo che forse, per la prima volta da quando si conoscevano, poteva essere lui a darle una mano.
La vide ingoiare un singhiozzo, nel tentativo di non scoppiare in lacrime e immaginò che sapesse cosa le avrebbe detto: per anni e anni era stata proprio lei a fare quei discorsi ad ogni membro del suo equipaggio; adesso aveva solo bisogno che qualcuno li ripetesse a lei.
Strinse appena le dita della mano che ancora le teneva sulla spalla e continuò – So che supererai questo momento di crisi, ma hai bisogno di un po' di tempo. Sappiamo tutti che sarai a bordo della tua nave quando oltrepasseremo il portale Omega 4, ma fino ad allora usa i giorni che restano per mettere a posto quanto è ancora in sospeso. Sei un soldato, prima di tutto il resto, e sai che un soldato in battaglia può dare il meglio di sé quando il suo animo è sereno. Il tuo non lo è affatto. E invece io avrò bisogno di avere al mio fianco il comandante Shepard, quando partiremo per la battaglia finale. Tutti avremo bisogno di te - le fece notare con tranquillità.
- E' vero, Kaidan - ammise lei.
Annuì lentamente, prima di voltarsi verso di lui e abbracciarlo forte per un brevissimo istante mentre si rendeva conto di aver di fronte un ottimo leader che negli ultimi tempi aveva anche acquisito ampia esperienza contro i Divoratori di stelle. La Normandy sarebbe stata al sicuro sotto il suo comando e lei poteva affidargliela con l'animo sereno.
- Grazie - concluse semplicemente, prendendo dalle sue mani un piccolo panno da cucina che le stava porgendo. Si soffiò il naso e si asciugò le lacrime, poi gli fece un sorriso timido in cui lui vide la fragilità della donna che non aveva mai conosciuto prima.
- Ora torniamo di là, prima che tuo marito diventi geloso e mi stacchi la testa a morsi - scherzò in tono lieve, ricevendo in cambio una breve occhiata colma di gratitudine.

°°°°°


Valzer Triste


“La Normandy, la mia nave, la mia casa” continuò a ripetersi Shepard nel corso della notte che seguì la cena, mentre si rigirava nel letto, senza trovare pace.
“Ancora una volta partirà senza di me” constatò quietamente, senza provare un vero dolore, ma solo un'impalpabile nostalgia.
Alla fine si alzò, cercando di non svegliare il turian dal sonno leggero che riposava al suo fianco, e scese in salone.
Si diresse verso la finestra e appoggiò le mani contro il davanzale: quella notte non sarebbe riuscita ad addormentarsi. Non era bastato ricorrere alla piacevole tecnica di rilassamento usata dai turian, si confessò sorridendo, e non le sarebbe servito esplodere tutte le clip termiche che aveva nel capanno. Eppure si sentiva stranamente felice, perché i dubbi che la impensierivano da troppi giorni erano stati spazzati via dalle frasi di un vecchio amico.

Rimase in piedi a fissare il cielo stellato con un sorriso che sapeva essere ingenuo e sognante, mentre si sentiva certa che un messaggio le stesse arrivando dalle costellazioni immaginarie, create dalle due dimensioni.
Presto sarebbe giunto il momento di rituffarsi nella terza e quarta dimensione a bordo della sua Normandy e un giorno sarebbe venuto il tempo per varcare i confini dell'ultima, quella segreta che, ne era certa, si trovava al di là del tempo.
Ma adesso non avvertiva più alcuna fretta, solo un senso di pace e serenità.

Andò a prendere un bicchiere e lo riempì con il contenuto di una delle bottiglie di vino rimaste sul tavolo, senza neppure controllare cosa fosse, poi tornò alla finestra e fece un brindisi alle stelle lontane, sentendo che quella notte brillavano per lei e le parlavano con voce ammaliante, rassicurandola dolcemente che avrebbero aspettato che fosse pronta a raggiungerle.
Negli straordinari silenzi e nelle solitudini primordiali dei grandi spazi avrebbe capito come affrontare il suo futuro. Adesso non provava più paura. Sapeva che la soluzione era lì, davanti a lei, custodita dagli astri.
Avrebbe usato quegli ultimi giorni in cui sarebbe rimasta sulla terra ferma per mettere a posto tutto quello che era ancora in sospeso. Aveva faccende da sistemare e discorsi da pronunciare, ma non aveva più dubbi.
- Sono stata felice anche qui, ancorata al suolo - sussurrò alla costellazione che amava di più, perché la disposizione di quel pugno di stelle le ricordava il profilo dello scafo della Normandy, la cui prua era evidenziata da una stella azzurrina particolarmente luminosa.

- Non voglio sapere come si chiami o cosa rappresenti per voi - aveva avvisato Garrus, mostrandogli quel gruppo di stelle molti anni prima, qualche giorno dopo essere sbarcata su Palaven - Quella è casa nostra - gli aveva sussurrato con gli occhi umidi.
Lui aveva passato le braccia intorno al suo pancione e aveva annuito fra i suoi capelli, sussurrandole piano - Sì, la vedo anche io. Resterà lì a proteggerci e ad aspettarci - aveva concluso con dolcezza, tenendo il viso accostato a quello di lei.

- Sono stata felice qui - sussurrò di nuovo alla sua Normandy, immobile nel cielo scuro.
- Ma è tempo di tornare a casa, Trinity - rispose la stella dal colore degli occhi di Garrus - La tua vita è fra i cieli - la incitò con sicurezza - E dimenticherai il male che ti mastica il cuore, perché io veglierò su te.

- Immaginavo fossi qui - disse Garrus affondando il viso nei suoi capelli sciolti, mettendosi alle sue spalle - Ma non voglio rubarti le emozioni di questa sera, se preferisci stare da sola.
- Abbiamo condiviso tanti dolori, spesso terribilmente amari. Vorrei condividere con te questo momento magico, per breve che possa essere - rispose, impaurita che quello strano sentimento, così carico di fiducia, potesse scomparire alle prime luci dell’alba, con lo sbiadire delle stelle e il ritorno alla realtà quotidiana.
Garrus la prese fra le braccia e la tenne in grembo seguendo con dita lievi il profilo del suo viso, dopo essersi seduto sul divano.
Trascorsero così le ore successive, ricordando con nostalgica dolcezza alcune delle loro tante avventure, nel buio quieto di quella stanza. Parlarono per ore e ore, senza fermarsi, interrompendosi per correggersi a turno, talvolta ridendo piano, a volte lasciando che un sottile velo di tristezza li avvolgesse.
Era una delle rare volte in cui osavano riportare alla memoria alcune delle tante avventure trascorse in battaglia, da quando si era conclusa la guerra contro i Razziatori.

Ricordarono volti ormai lontani, che immaginarono spensierati, impegnati in vicende di vita quotidiana, ma ricordarono anche visi che la morte aveva congelato, preservandoli dall'invecchiare. E si persero nel suono di frasi che non avrebbero mai dimenticato: l'urlo di battaglia dei vecchi amici krogan, le invettive di Jack, la scostante freddezza del tono di Miranda, la sicurezza inflessibile e pacata di Thane e di Samara.
Furono i ricordi legati ai nomi incisi sul memoriale quelli che cercarono di riportare alla memoria nei più minimi dettagli. Alcuni erano stati vendicati, ma non tutti. A Steve e Volus dovevano ancora una vittoria che avrebbe giustificato il loro sacrificio e quella consapevolezza li rendeva fiduciosi di poter vincere quella strana guerra che ancora li attendeva e li turbava, perché non sarebbe mai potuta essere combattuta come nessuna delle loro precedenti.

Riuscirono ad addormentarsi solo verso l’alba, dopo aver trascorso un po' di tempo a sparare nel poligono di tiro dentro il capanno, ridendo come due bambini che abbiano scoperto un nuovo gioco. Si addormentarono abbracciati sul divano sistemato lì dentro, mentre il cielo schiariva, poco prima che i figli rientrassero a casa dalla vacanza trascorsa con gli amici.

Fu Halia a trovare i genitori, dopo aver perso dieci minuti buoni andando in giro per casa a cercare almeno uno stramaledetto appunto del piffero, come ripeté più volte, imprecando a voce alta mentre si aggirava per le stanze vuote.
- Hai trovato nulla? - chiese al fratello, non appena lo vide scendere le scale interne.
Joran si strinse nella spalle, aggiungendo che i factotum erano di sopra, nella stanza da letto, e che quindi sarebbe stato inutile provare a chiamarli.
- Porca vacca! - esclamò Halia, facendolo sorridere, prima di uscire di corsa dalla porta di ingresso.
Rientrò poco dopo e, fra un’imprecazione e l’altra, rassicurò il fratello che erano nel poligono di tiro.
- Continuo a sentirmi preoccupata, comunque - gli confessò - si comportano in modo strano. Specie la mamma... - continuò con aria pensosa.

Appena Trinity si svegliò, tornò verso casa e trovò il resto della famiglia attorno al tavolo della sala da pranzo, intenti a far colazione. Qualcuno aveva preparato il caffè per lei, capì subito dall’inconfondibile aroma che aleggiava per la stanza.
Ne prese una tazza e si accomodò al tavolo, ascoltando i racconti che i due ragazzi stavano facendo a Garrus della breve vacanza appena trascorsa, ognuno in una differente località, con gli amici più cari.
Li fissò a turno, senza ascoltare una sola parola, mentre progetti ancora appena abbozzati saettavano veloci nei suoi pensieri, assumendo contorni via via più precisi.
Aspettò che i ragazzi smettessero di parlare e si alzassero per andare nelle loro stanze prima di alzarsi da tavola a sua volta, ma si sentì afferrare da una mano di Garrus che la trattenne - Vorrei parlare ancora un po' con te della missione oltre il portale Omega 4.

- Vieni, facciamo due passi - le propose prendendola per mano e avviandosi verso la porta d’ingresso.
- Hai una vaga idea del tempo che occorrerà per essere pronti? - fu la prima domanda che le rivolse, mentre camminavano lentamente sul vialetto che portava verso il cancello che dava sulla strada pubblica.
- Non mentivo con Jeff. Non lo so proprio. Non so quanti giorni serviranno ad IDA per mettere a punto un sistema affidabile per individuare i Divoratori di stelle - gli rispose sinceramente, sapendo che il tempo era diventato un fattore cruciale per suo marito.
- Ma una volta raggiunto questo obiettivo, se la Normandy non avrà subito troppi danni, l'ultima fase della missione potrebbe avviarsi in tempi brevi - aggiunse fermandosi e guardandolo in viso - sempre che tu abbia dato disposizioni per raccogliere tutto l'eezo necessario.
- Ci sarà abbastanza eezo per farcire tutta la nave, non appena rientrerà - le confermò Garrus.
- In parte lo caricheremo sulla Prometheus, per lasciare un po' di spazio all'equipaggio della Normandy, anche se sarà ridotto al minimo. Lo trasferiremo tutto sulla nostra nave una volta oltrepassato il portale Omega 4, quando l'intero equipaggio sarà radunato sull'altra - aggiunse Trinity, ricordando le fasi salienti della missione.
- Poi IDA porterà la Normandy verso il portale intergalattico e poi BOOOM, come direbbe Joran - concluse il turian per lei.
Fecero ancora qualche passo, mentre Trinity continuava a cercare qualche pecca in quel progetto, senza trovarlo, ma fu distolta da quelle meditazioni dalla voce di Garrus.

- Io verrò con te - fu la comunicazione che le fece suo marito con quel tono che usava quando si rivolgeva ai sottoposti.
- Non so se sia una buona idea - replicò dopo qualche istante di riflessione.
- Non è un'idea e neppure una proposta. Verrò con te, perché così deve essere. Perché non posso restare su Palaven; non ora che conosci le mie condizioni.

- Non morirò, Garrus. Tornerò su Palaven, te lo prometto. Tornerò da te.
- Non è questo il punto, a parte che hai già provato a infrangere una promessa simile. Se non avessi saputo come sto, ti avrei lasciato andare da sola. Ma adesso non te lo lascerò fare. Non verrò in missione per guardarti le spalle, ma perché non posso sopportare il pensiero di ritrovarmi moribondo in un letto di ospedale, attaccato a un qualche macchinario che tiene in vita il mio fisico quando la mente si è magari spenta da giorni - le comunicò freddamente.
- Tuo padre non permetterebbe nulla del genere! - protestò lei, sgomenta che Garrus parlasse tanto apertamente di una possibilità che ovviamente terrorizzava entrambi.

- E cosa farebbe mio padre se fosse la mia mente a restare cosciente, ma il fisico non rispondesse più ai comandi del mio cervello? - continuò implacabilmente Garrus fissandola negli occhi come se cercasse il fondo delle pupille - Ti rendi conto di quanto sia terrificante questa ipotesi?
- Dannazione, Garrus! Cosa stai cercando di fare? Cosa cazzo vuoi da me? - gli si rivoltò contro, più arrabbiata di quanto lei stessa si aspettasse. Le tremavano le mani, era madida di sudore e brillava dell'aura biotica. Aveva voglia di colpirlo perché aveva paura di capire quale messaggio si nascondesse dietro quella sua decisione.
- Mio padre ha già sofferto abbastanza con sua moglie. Non posso chiedergli una cosa del genere - le rispose freddamente - Sono suo figlio, Shepard.
- E allora la stai chiedendo a me? - gli urlò contro a voce troppo alta.
- Solo se sarà necessario - le rispose con calma estrema - Se io non potessi più decidere per mio conto - concluse, mentre una sua mano correva istintivamente a sfiorarsi l'occhio dal quale Kaidan si era accorto che non vedeva più.
A quel gesto, l'energia biotica che percorreva il corpo di Trinity si smorzò di colpo e lei si lasciò cadere in terra senza parlare, con la testa appoggiata sulle ginocchia piegate.
- Non ho mai voluto trascinarti in questa tragedia, ma ora che conosci la verità voglio il tuo aiuto, Shep. Per favore, non farmi morire in modo indegno - la supplicò restando in piedi al suo fianco - Mi piacerebbe se fosse con un’arma fra le mani, durante una battaglia. Ma andrà bene qualunque morte, purché decorosa.
- Lo sai cosa mi stai chiedendo? - sussurrò Trinity restando nella stessa posizione, mentre sentiva le lacrime che sgorgavano dagli occhi.
Non provò neppure a fermarle, prima o poi sapeva che avrebbe dovuto assaggiarne tutto il sapore. Non era un pensiero nuovo, quello. Ci aveva ragionato qualche volta, mentre sparava le clip termiche nel poligono di tiro a fianco della casa o mentre fissava la sagoma indistinta di Garrus nelle notti in cui il sonno non riusciva a liberarla dai pensieri cupi. Ma aveva fatto quelle considerazioni in solitudine. Era la prima volta che affrontavano insieme quel discorso e parlarne apertamente rendeva tutto più reale e doloroso. Ora non era più una mera possibilità, diventava certezza.
- Ti sto affidando quanto di più prezioso mi resta: la mia dignità personale. E non potrei scegliere nessun altro perché è in te che ho fiducia cieca - le confessò lui - L’ho sempre avuta - aggiunse ancora, pur sapendo quanto male sentisse e soffrendo per lei.

- Ho avuto fiducia in te perfino quando mi sei comparsa davanti con quella stupida divisa di Cerberus - aggiunse poi all'improvviso in tono divertito, tirandola su di peso dal prato spelacchiato su cui si era rannicchiata.
Ma non era affatto divertito, era arrabbiato. Arrabbiato che lei stesse provando a rintanarsi, a sfuggire nel suo rifugio personale, dal quale gli ci sarebbe voluto del tempo per tirarla fuori. Ma, adesso, il tempo era troppo importante per sprecarlo a quel modo.
- Maledizione a te, Garrus! E alle tue fottute spiritosaggini! - protestò Trinity violentemente.
Si divincolò fino a riuscire a mettere i piedi in terra, ma lui la tenne stretta, senza darle la possibilità di allontanarsi.
Continuò a stringerla fra le braccia, assolutamente impermeabile alla rabbia di sua moglie e ai suoi inutili tentativi di liberarsi, fino a quando la sentì rilassare i muscoli e abbandonarsi contro di lui.
Allora allentò la stretta, ma si mise a sfiorarle la pelle morbida del collo, respirandole addosso per il piacere di sentirla rabbrividire e infine le permise di allontanarsi quel poco da poterlo fissare in viso.
Colse un sorriso triste, ma lo sguardo era tornato sereno.

- Sei veramente scemo – osservò Trinity, passando le dita sulle placche del viso del suo turian in una carezza morbida e delicata.
- Shepard e Vakarian di nuovo in azione, all’assalto dei nemici della galassia - proclamò allora Garrus come se fosse la frase ad effetto che chiudeva un discorso ufficiale.
Poi rise dolcemente e le scostò i capelli dal viso guardandola con affetto - Siamo soldati, Shep, siamo nati per combattere ogni fottutissima battaglia che il destino ci vorrà riservare. E lo faremo insieme.

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Capitolo 33
*** Rivelazioni ***


RIVELAZIONI


A Dark Knight



La notizia che IDA aveva finalmente trovato un sistema affidabile per individuare i Divoratori in stasi era arrivata molto prima di quanto Garrus e Trinity si fossero aspettati.
Ad entrambi donò un senso di sollievo e di soddisfazione, ma anche la certezza che molte cose sarebbero presto cambiate. Nel giro di un paio di settimane Kaidan avrebbe fatto ritorno e la fase conclusiva della guerra contro i Divoratori di stelle si stava avvicinando a grandi passi.
Il tempo a disposizione per gli ultimi preparativi volgeva quindi al termine ed infatti, già una decina di giorni dopo il colloquio con il maggiore, l'appartamento su Palaven appariva quasi spoglio, tranne per i diversi bagagli ammucchiati in disordine in sala da pranzo, lungo le pareti adiacenti alla porta d'ingresso.

Trinity stava finendo di accatastare alcuni grossi pacchi, stupendosi ancora una volta per la quantità di oggetti che una famiglia riusciva ad accumulare in breve tempo. Quando si rialzò, i suoi occhi incontrarono lo schermo sulla parete e le tornò alla mente il lungo colloquio avuto con Kaidan.

- Ho invertito la rotta, Shepard. La missione si è conclusa con successo completo - le aveva comunicato in tono colmo di soddisfazione, non appena la IA della Normandy lo aveva rassicurato che la probabilità di individuare un nemico occultato sfiorava il 97,75% in un raggio di dieci chilometri circa e diventava certezza a metà di quella distanza.
Il successo era stato completo perché non si era avuta alcuna vittima fra l'equipaggio e anche la nave era pressoché illesa, nonostante si fosse arrivati più volte ad uno scontro diretto; solo Jeff aveva rischiato di farsi cogliere da un infarto in più occasioni, ogni qual volta i Divoratori erano apparsi improvvisamente dal nulla nei pressi dello scafo. Ma in ognuno di quei momenti di tensione estrema, le manovre rapide e precise del pilota avevano evitato che la Normandy finisse addosso ai nemici e gli scudi dei biotici avevano resistito il tempo necessario perché il Thanix li annientasse.
- Credo che la tua IA abbia messo alla prova un ventina di teorie diverse e che, ad ogni tentativo, riuscisse a gestire i risultati di almeno tre diversi approcci in contemporanea. Il tuo pilota ha avuto il suo bel da fare a evitare le macchie di vari colori che lei proiettava sullo schermo del monitor. Credo sia invecchiato di dieci anni in una sola settimana - aveva concluso il maggiore, lasciandosi sfuggire una breve risata.
- La certezza di essersi rivelato all'altezza del compito, come sempre, gli toglierà dieci anni dalle spalle e tutto rientrerà nei normali parametri - aveva replicato Trinity, immaginando il sorriso di soddisfazione che avrebbe aleggiato per qualche tempo sul volto di Jeff.

- Tornerò su Palaven il prima possibile - aveva aggiunto poi il maggiore.
- No, Kaidan. Dirigiti verso la Cittadella - gli aveva risposto Trinity - Ci incontreremo lì. Racconta tutto quello che avete appreso sull'intercettazione dei Divoratori allo stramaledetto Consiglio. Gli scienziati di tutta la galassia dovranno lavorare sodo per programmare IV in grado di individuare i nemici. E dopo questo, tutti i tecnici e gli ingegneri disponibili dovranno montarle sulla maggior parte delle navi della flotta.
- Non posso fare una cosa del genere. Il merito non è mio. L'idea è stata tua e i risultati li ha ottenuti la tua inquietante IA - aveva replicato Kaidan, in tono sconcertato.
- Dubito che a IDA interessi un riconoscimento ufficiale. E di certo a me meno che a lei. Ti faranno ammiraglio? Ne sarò felice. Non desidero incontrare il Consiglio - aveva tagliato corto, prima di aggiungere - Ricordati il nostro accordo: dovrai di tacere su IDA e sull'importanza fondamentale che ha avuto in tutta questa storia - aveva aggiunto, con un tono che avrebbe utilizzato quando lui era solo un tenente, sotto il suo comando diretto - Ti ricordo che è un patto antico fra noi due, un patto che non puoi violare. Ora meno che mai.
- Non ho mai capito bene i motivi di tutta questa segretezza, ma farò come mi chiedi - era stata la semplice risposta.

- Vuoi sapere perché, Kaidan? - gli aveva chiesto, decidendo finalmente che l'avrebbe messo al corrente della parte finale della missione e, nello stesso tempo, dei suoi timori più profondi - Perché IDA è l'entità più pericolosa che circola nella galassia. Se lo volesse, potrebbe risultare più distruttiva di un Razziatore o di un Divoratore di stelle. Se potesse replicarsi (non so se possa farlo, ma lo reputo probabile), potrebbe distruggere ogni traccia di vita esistente. Potrebbe riuscirci senza mai ricorrere a scontri diretti, semplicemente insinuandosi nelle basi dati, nei sistemi di comunicazione attualmente in uso e nelle reti militari.
- Se tu confessassi le sue effettive capacità, il Consiglio arriverebbe presto a queste stesse mie conclusioni e cercherebbe di intervenire - aveva aggiunto, conscia che qualche brivido di paura stesse passando lungo la schiena di Kaidan - Io per prima, se non conoscessi IDA e mi fidassi di lei, cercherei di disattivarla. Ma sarebbe un tentativo vano: dubito possa essere disattivata, se non da se stessa. Assisteremmo ad una battaglia impari, dalla quale non potremmo uscire vincitori, e perderemmo anche la nostra unica possibilità di fermare i Divoratori di stelle.
- Immagino che lei ci stia ascoltando - era stata la replica preoccupata del maggiore, che automaticamente aveva sollevato lo sguardo verso il comunicatore posto nella stanza videoterminale sulla Normandy.
- Kaidan, sarà lei a fermare i Divoratori di stelle - aveva replicato Shepard - Non tu, né io, ma lei.
Poi aveva concluso - Racconta il nostro piano, IDA.

- Piloterò la Normandy verso il portale. Poi lo colpirò da distanza ravvicinata con il Thanix - pronunciò una voce sintetica priva di accento, come se ripetesse a memoria - Aspetterò che una quantità sufficiente di Divoratori mi circondi, ed infine attiverò l'autodistruzione dello scafo, che sarà stato caricato di eezo. Ci sarà un'esplosione immane, il portale andrà in frantumi e la galassia sarà salva.

- La vita di una IA vale la vita degli organici di una intera galassia, Kaidan? - era intervenuta a quel punto Shepard, con l'intonazione di chi sa di star ponendo una domanda retorica - Non ho una risposta certa a questa domanda maledetta, che mi toglie il sonno.
- So però che IDA deve essere protetta. E' l'unica vera speranza del futuro della nostra galassia - aveva concluso, quasi senza accorgersi della passione con cui aveva sottolineato ogni singola parola di quella dichiarazione.

- Conto su di te. Devi spiegare al Consiglio che nessuno dovrà agire prima che la distruzione del portale sia conclusa - aveva raccomandato al maggiore durante le ultime battute di quel lungo colloquio - Fai entrare in quelle menti ottuse la convinzione che dovranno aspettare. Se il nemico sapesse cosa siamo in grado di fare, potrebbe vanificare i nostri sforzi ricorrendo a qualche nuovo metodo di occultamento. Solo una volta che il portale intergalattico sarà distrutto, potrà partire l'ultima fase di questa guerra: le navi di tutta la galassia partiranno alla ricerca dei Divoratori imprigionati nella Via Lattea e li decimeranno. Ma prima devono darci il tempo per distruggere quel maledetto portale - aveva continuato nello stesso tono.
- Shepard, ho capito - aveva risposto Kaidan fissandola con aria sorpresa al di là dello schermo - Non sono una recluta. Le tue reiterate raccomandazioni sono superflue: non sono più l'idiota che hai incontrato su Horizon o su Marte e mi fido ciecamente di te - la rassicurò con un sorriso ironico, rivolto a se stesso.
- No, non sei idiota e non lo sei mai stato. So che allora non riuscivi a vedere oltre una stupida uniforme, ma ora forse sono io ad avere le idee confuse. Scusami, anche io so di potermi fidare di te - aveva ammesso alla fine, sorridendo a sua volta.
Una volta chiusa la conversazione con Kaidan, aveva approfittato di ritrovarsi da sola a casa per rimuginare a lungo su tutto quello che doveva ancora sistemare, per non lasciare nulla in sospeso prima della partenza ormai tanto prossima.

Il primo risultato di quelle riflessioni era consistito nel rassegnare le dimissioni dall’Accademia. E, a sua volta, Garrus aveva informato la Gerarchia che entro poche settimane avrebbe trasferito i poteri di Primarca al suo successore.

°°°°°

Trinity guardò con occhi soddisfatti l'insieme di casse e borsoni affastellati e smise di ricordare il passato. Stiracchiò i muscoli indolenziti e alla fine fece un lungo respiro: era venuto il momento di affrontare gli ultimi passi necessari, quelli che non aveva alcun desiderio di intraprendere e che aveva procrastinato fino allo spasimo, quando il tempo era ormai giunto agli ultimi sgoccioli.

- Domani mi piacerebbe avere la giornata libera per fare alcuni giri. So che non c'è quasi più tempo e che ci sono ancora alcune faccende in sospeso - confessò a Garrus appena lo vide varcare la porta di ingresso - Ma ci terrei molto.
- Vuoi che rimanga qui a occuparmi dei bagagli, dei figli e di tutte le altre cose?
- Te ne sarei davvero grata, anche se immagino che non ti alletti troppo questa prospettiva.
- Uhm... non so - rispose lui guardandola con aria maliziosa - potrebbe esserci un prezzo da pagare...
La prese per la vita e la abbracciò ridendo, ma una parte della sua mente si stava chiedendo cosa avesse in mente di fare sua moglie: era certo che l’indomani avrebbe fatto qualcosa che a lui non sarebbe piaciuto affatto.

°°°°°

In realtà, di cose che al turian non sarebbero piaciute, Shepard ne fece ben tre, nella penultima giornata che passò su Palaven: andò in ospedale, per parlare con Septick Kerus, ed ebbe un lungo colloquio con la cognata e poi con il suocero.

Il dottore la ricevette con la solita cortesia e con l’ammirazione reciproca che si era stabilita fra di loro, ma non poté esserle di alcun aiuto. Conosceva tutti i disturbi di cui Garrus soffriva al momento, ma non era in grado di prevedere quali altri sintomi si sarebbero presentati in futuro e, quindi, non era in grado di consegnarle una lista preventiva di medicinali adatti a lenire le sue future sofferenze.
- Non vorrei che il mio discorso suonasse cinico, ma le confesso che la maggior parte delle conseguenze della malattia non potrebbe essere contrastata efficacemente da nessuna terapia - le confidò sinceramente, evitando di aggiungere che, oltre alle emicranie e alla perdita della vista da un occhio, Garrus aveva recentemente subito la perdita del gusto e dell'olfatto.
Trinity poté solo annuire in silenzio a quella cruda diagnosi: in realtà si aspettava quella risposta, ma non avrebbe mai potuto lasciare Palaven senza essere certa che non ci fosse assolutamente nulla a cui lei potesse prepararsi in anticipo.

Lasciò lo studio del dottore con la stessa triste rassegnazione con cui era entrata e si apprestò a passare a casa di suo suocero.
L’incontro con la cognata la lasciò completamente affranta perché la sua disperazione nell’apprendere le condizioni di salute del fratello le si riversò addosso con la forza devastante e inarginabile di uno tsunami. Per tutto il tempo in cui si trattenne in quella casa notò come Solana continuasse a spostare lo sguardo dalle sue labbra a un vecchio pupazzo che da sempre occupava un posto d'onore su una poltrona del salotto, ma che in quell'occasione aveva preso fra le mani, stringendolo come se fosse un talismano magico, capace di annientare qualsiasi male.

Trinity non aveva mai fatto eccessivamente caso a quel giocattolo malridotto dal tempo, ma durante quel racconto, che si sforzò di pronunciare in tono pacato e sereno, capì improvvisamente che era quello per cui il Garrus bambino era finito nei guai su Menae, durante la visita scolastica a cui avevano partecipato entrambi.
Era il simbolo dell'amore che univa indissolubilmente fratello e sorella, lo stesso amore che univa anche i suoi figli e che spingeva Halia a difendere Joran contro chiunque così come, a suo tempo, Garrus aveva difeso Sol dalle prepotenze di un ragazzo più grande di lui.
Per tutto il tempo necessario perché Trinity illustrasse le condizioni di Garrus, la turian restò seduta rigidamente, con il volto privo di qualunque espressione, nonostante i suoi occhi continuassero a saettare rapidamente dalla bocca della cognata al pupazzo che teneva in grembo.
Anche quando alla fine Trinity smise di parlare, Sol rimase seduta in silenzio, fino a quando si accorse che la donna seduta di fronte a lei si stava alzando dalla poltrona per avvicinarsi.
- Trinity, non farlo - la scongiurò allora con voce piatta - Ti prego, lasciami sola.

Nessun'altra frase avrebbe potuto colpire Shepard con maggior forza, perché vi si riconosceva completamente. Il desiderio di isolamento assoluto era l'appiglio a cui si aggrappava disperatamente quando la sofferenza la sconvolgeva, come se il silenzio e il vuoto potessero diluire la pena. Un dolore troppo lancinante necessitava solitudine e immobilità. Era la reazione che accomunava lei e Garrus ma che, fino a quel momento, non sapeva fosse condivisa anche da Solana.
Nessun urlo, nessun singhiozzo e nessun’altra manifestazione avrebbe potuto restituirle la sofferenza di sua cognata con maggiore intensità di quella composta richiesta di silenzio e di distanza.
Mentre si richiudeva silenziosamente la porta dell'appartamento alle spalle, dopo aver impiegato un tempo infinito nel tentativo di aprire il battente con le mani tremanti, a tentativi ciechi, incapace di comprenderne il banale e familiare meccanismo di funzionamento, capì che Sol avrebbe continuato a stringere quel pupazzo nelle mani cercando di trovarvi la forza necessaria per affrontare il resto della sua vita senza quel fratello che adorava.

Quella constatazione la trascinò ben oltre la soglia delle lacrime e la spezzò. Venne travolta da un'ondata che ridusse in brandelli qualsiasi suo tentativo di opporre resistenza allo strazio e si ritrovò, per la prima volta, a chiedersi cosa avrebbe fatto lei, dopo.
Non era pronta ad affrontare il pensiero del dopo.
Aveva tenuto lontano quella riflessione, sapendo che non era pronta e che c'erano tante questioni più urgenti su cui riflettere: la distruzione del portale intergalattico, in primo luogo.
Ma ora Solana le aveva involontariamente scagliato addosso l'immagine di un futuro senza Garrus e lei ci era finita invischiata dentro, senza sapere come tirarsene fuori.
Si inginocchiò in terra, sapendo che al di là di quella porta c’era un'altra donna spezzata. Non sarebbero mai riuscite a confortarsi a vicenda perché nessuna frase e nessun gesto avrebbe potuto alleviare il loro strazio. E quella condivisione non ne diminuiva affatto l’intensità, ma la esasperava con echi impietosi che continuavano a insistere proprio dove quella sensibilità malata era più intensa ed opprimente.
Doveva uscire da quello stabile, isolarsi e cercare qualcosa a cui aggrapparsi per riprendere fiato.
“Non ero preparata a questo” si ripeté cercando di rialzarsi, fissando il pavimento del pianerottolo.

Si appoggiò contro la parete cercando di controllare l’aura blu che le vibrava intorno come impazzita. Furono necessari diversi minuti che le parsero ore.
Alla fine trovò la forza di scendere la rampa di scale a piedi, uscì dal portone e cominciò a camminare dritto davanti a sé, senza vedere nulla. Le sembrò di essere proiettata all'interno di uno strano sogno in cui i volti delle persone che incontrava sul percorso avevano perso ogni fisionomia e tutti gli oggetti sembravano stranieri, non riconducibili a qualcosa di vagamente familiare per forma, funzionamento o finalità.
“Posa un piede avanti all’altro e cammina. Non puoi pensare a nulla di più complesso del movimento ritmico e naturale di gambe e piedi ” era tutto quello che riusciva a partorire la sua mente, l’unico imperativo che la mandava avanti, da qualche parte, non aveva importanza dove.

“Sono il comandante Shepard e ho una missione da completare. Il futuro di questa galassia potrebbe dipendere da come agirò. Non posso pensare ad altro o rischierò di commettere qualche errore e tutti coloro che sono morti sotto il mio comando saranno morti invano. Io sono le mie mani, serrate intorno a una pistola o ad un fucile, l’occhio che si appoggia sul mirino e il dito che fa scattare il grilletto. Sono un soldato” continuò a ripetersi, mentre il suo passo diventava fluido, non più forzato, in risposta ad un comando imperioso.
Quando lesse il nome di chi stava cercando di contattarla sul factotum ebbe un attimo di indecisione, ma poi ignorò la chiamata: non era pronta a parlare con suo suocero, che probabilmente era stato informato da sua figlia non appena rientrato dal lavoro, ma lei sapeva che non sarebbe riuscita ad assorbire anche il dolore di Rennok senza crollare. E non poteva permetterselo.
- Ti richiamo fra poco - scrisse.
Inviò quel messaggio laconico e spense il congegno, continuando a camminare.

Non si accorse di aver vagato a lungo senza meta e non prestò attenzione al veicolo che accostò al marciapiede, né al turian che ne discese. Non sentì il richiamo - Figliola - e neppure il suo nome di battesimo, ma si arrestò automaticamente quando una voce chiamò distintamente nella folla - Comandante Shepard.
Si girò e fissò il volto di Rennok, senza neppure riconoscerlo.
- Sali - ordinò lui, indicandole il veicolo da cui era sceso.
E lei salì, senza capire il motivo e senza neppure chiederselo: non aveva importanza, così come tutto quello che la circondava.
Più tardi si rese conto che stava percorrendo un vialetto alberato di un parco e che suo suocero camminava al suo fianco. Non ricordava come fosse arrivata lì, né quanto tempo fosse trascorso dalla sua visita a Solana.
Si accorse che Rennok stava parlando a voce bassa.

- … allora abitavamo qui vicino e questa villa ha visto crescere i miei due figli.
“Dove siamo?” si chiese, come se avesse appena ripreso i sensi da uno svenimento, ma non osò dire nulla, limitandosi ad ascoltare quella voce familiare che si esprimeva in tono monocorde.
“Sembra di ascoltare la voce di una IA” si trovò a constatare, sentendo che lunghi brividi le percorrevano la schiena.
- Garrus trascorreva ore e ore ad arrampicarsi su quelle strutture - aggiunse il suocero, indicandole un arzigogolato percorso fatto di legni, muratura e corde che non differiva molto da quelli che usava l’Alleanza per far esercitare le reclute - Sol era piccola e passava il suo tempo a fissare suo fratello come se stesse assistendo alle prodezze di un acrobata. In effetti lui era davvero bravo - ammise Rennok, sempre con quel tono piatto, apparentemente privo di qualunque emozione.
- Poi, quando mia moglie è morta, ci siamo trasferiti, andando a vivere nella casa che conosci - concluse sedendosi su una panchina.
Restò in silenzio a fissare il nulla avanti a sé, forse vedendo immagini di ricordi lontani. Non disse nulla e non la invitò neppure ad accomodarsi accanto a lui, ma lei sedette a sua volta.
Il silenzio si protrasse così a lungo che lei intuì che non avrebbe aggiunto nient'altro, aspettando una sua frase.

- Non ero in condizioni di rispondere alla tua chiamata - gli confessò.
- Mi ha detto tutto Sol. Per questo sono qui - le spiegò lui con quel tono di voce misurato e quieto che aveva usato fino a quel momento.
E lei annuì in silenzio, fissando l’erba sotto la panchina. Amava il comportamento di quel padre acquisito e il suo modo di fare. All'improvviso capì che sarebbe stato attento a non farle del male: non le avrebbe mostrato in alcun modo il dolore che stava provando. Non si sarebbe comportato come avrebbe fatto lei stessa o Garrus. Non avrebbe reagito come Solana.
- Ho bisogno di farti alcune domande. Potrai rispondermi quando te la sentirai, ma io devo avere delle risposte - dichiarò in tono tranquillo.
Lei annuì di nuovo, continuando a fissare quei fili di erba, non troppo diversi da quelli che avrebbe osservato sulla Terra.
- Non c'è più molto tempo. Chiedi pure - rispose, dopo una pausa di riflessione.

- Cosa farai? Ci hai già pensato?
- Sì. Puoi stare tranquillo - rispose fissando il suo limpido sguardo verde in quello azzurro di suo suocero. La colpiva sempre la somiglianza con gli occhi di Garrus. Con quegli stessi tatuaggi intorno, a volte le sembrava di fissare il volto del marito.
“Quando Garrus morirà, cosa proverò nel fissare il tuo viso, padre mio?” si chiese, odiando se stessa e quella domanda inopportuna e stupidamente retorica.
- Puoi stare tranquillo - ripeté con decisione. Era il padre di Garrus quel turian che aveva di fronte: sapeva quanto amasse suo figlio e lei sentiva che doveva rassicurarlo completamente - So quanto hai fatto per tua moglie, ma anche io saprò cosa fare - rispose gentilmente, ma in tono fermo.
- Temo di essermi espresso male. Non dubitavo di questa risposta, ma non era quella che cercavo - rispose fissandola con un sorriso triste.

E improvvisamente lei comprese che le stava ponendo esattamente la domanda da cui stava cercando di scappare da sempre, da quando aveva saputo della malattia di suo marito.
- No... non lo so - sussurrò con lentezza, appoggiandosi allo schienale della panchina e chiudendo gli occhi - Non voglio parlarne e neppure pensarci. Non ci riesco. Non ora. Padre, ho una missione troppo importante per pensare a me stessa o al mio futuro.
- E infatti non devi. Non devi parlarne con me o con altri, e nemmeno con te stessa - la rassicurò in tono tranquillo - Un giorno conoscerai la risposta che la tua mente ha elaborato. Non forzarla a dartela prima che sia pronta a fornirtela da sola - aggiunse - Volevo consigliarti solo questo. So cosa provi.

Rennok aspettò che sua nuora riaprisse gli occhi e la fissò a lungo, avvicinandosi di pochi centimetri, come se fosse in attesa di qualcosa. Trinity si avvicinò a sua volta, con timidezza, chiedendosi se davvero le stesse suggerendo un lieve contatto fra le loro fronti, incerta se fosse un gesto troppo intimo. L'ultimo spazio residuo lo annullò Rennok e lei sorrise istintivamente avvertendo le placche ossee premere lievemente sulla sua pelle, perdendosi nell’azzurro di quegli occhi.
- Il tempo è acqua di fiume. Leviga ogni sasso dalle imperfezioni e lo restituisce liscio e rassicurante al palmo della tua mano - le sussurrò staccando bene le parole - Ci troverai le tue risposte e le certezze che stai cercando, ma soprattutto un senso di pace e di tranquillità serena. Solo il tempo può fugare dubbi e dolori, perché non ci sono risposte sempre giuste o sbagliate, già pronte per l’uso.
Poi si scostò e si alzò lentamente proponendole – Ti riaccompagno a casa.

Mentre camminavano lungo il viale in senso inverso, Trinity domandò – Ti è mai pesato troppo il tuo ciottolo di fiume? Hai mai pensato di averne raccolto uno sbagliato?
- Qualche volta – fu la risposta quieta – E' inevitabile farsi domande senza senso, che non hanno risposta. Ma in quel momento so che era quella la strada giusta per me: di questo non ho mai dubitato.
- Hai dovuto affrontare tutto da solo quando Halia è morta? - chiese ancora, rendendosi conto che stava ponendo domande forse troppo intime: non riusciva a smettere di immaginare cosa avesse potuto provare quel turian pensando ai suoi due bambini che, forse, non avevano altri affetti.
Rennok non rispose subito, perché cercò di capire cosa ci fosse al di là di una curiosità che reputò fuori luogo. Poi annuì e riprese a parlare – Ogni descrizione del ciottolo che ho stretto allora nel palmo della mano ti confonderebbe soltanto. Siamo diversi tu ed io e la situazione stessa è diversa. Il sasso levigato che troverai apparterrà a te sola.

Trinity comprese di essersi meritata quella risposta tranquillizzante che dimostrava affetto lasciando però trasparire anche un velato rimprovero, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere un'ultima cosa – Potresti dirmi quanto tempo ti ci è voluto per trovarlo? Io non ne ho più molto – aggiunse, cercando di scusarsi.
- Non ha importanza il tempo che è occorso a me. Non devi cercare il mio ciottolo – la rimproverò Rennok. Poi sospirò e aggiunse con più dolcezza – Forse il tuo lo hai già con te. Potresti averlo messo in una tasca tempo fa senza averci fatto neppure caso. Io non lo so, figliola.
Fu quella l'ultima frase che venne pronunciata in quel tardo pomeriggio autunnale, poi nuora e suocero risalirono a bordo del veicolo che li aveva portati lì. Il viaggio di ritorno avvenne in assoluto silenzio.

°°°°°

- Vorrei sapere come hai passato questa giornata, ma temo che la risposta non mi piacerebbe... - osservò Garrus allungato pigramente sul letto matrimoniale, mentre Shepard finiva di radunare le sue ultime cose nella prima serata di quello stesso giorno.
- IDA ti consiglierebbe di non fare una domanda se non fossi pronto ad ascoltare la risposta - rispose lei mentre toglieva gli ultimi flaconi dalle mensole del bagno.
- Uhm... la tua IA deve essere diventata molto saggia ultimamente - replicò il turian, arrendendosi.
- Discutiamo invece della collocazione migliore per Halia e Joran durante la nostra missione - lo incitò allora lei, cambiando discorso.
- Uhm... sì, certo. Ma preferirei che non ne parlassi come se si trattasse di organizzare il sistema di approvvigionamento delle truppe o di stoccaggio di armi e munizioni... - rispose fissandola con uno sguardo confuso, rendendosi conto che il termine collocazione lo aveva profondamente urtato.
- Sono brava a organizzare i rifornimenti - fu il freddo commento di sua moglie, che in quel momento stava prendendo fra le mani la fotografia di Halia e Joran immortalati mentre giocavano nel parco vicino casa.
- Si, ma sono i nostri figli... non confezioni di clip termiche - obiettò lui in tono adesso apertamente ostile e risentito.
- Già, sarebbe tutto molto più semplice in quel caso - rispose Shepard in tono rabbioso, riappoggiando la foto sul comodino con tanta malagrazia da far sussultare Garrus a quel rumore inatteso.

- E ora che ti prende?
- Vaffanculo, Vakarian - fu l’unica risposta che ricevette prima di vederla strattonare violentemente la zip del borsone, chiudendolo come se volesse strangolarlo, e scendere al piano sottostante.
Arrivarono all’ora di cena senza essersi scambiati una sola parola, entrambi consci della tensione esistente, ma decisi a evitare spiegazioni. Garrus era perplesso e anche un po’ seccato, ma certo che lei non avesse alcuna voglia di parlare: ogni sua domanda sarebbe stata accolta dal silenzio, nella migliore delle ipotesi.

Trascorsa in qualche modo la cena, Halia e Joran si appartarono nella stanza al piano di sopra, cercando di capire da cosa fosse causato quell'insolito clima teso fra i loro genitori, ma non riuscirono a formulare una sola ipotesi ragionevole.
Sapevano che Garrus e Trinity sarebbero partiti a breve per una missione, ma non avevano alcuna informazione in proposito: non erano riusciti neppure a farsi dire dove avrebbero trascorso le giornate successive alla loro partenza.
- Ne stiamo ancora parlando - avevano replicato entrambi i genitori senza fornire alcun ulteriore dettaglio.

- Pensi che abbiano litigato perché non sono d'accordo su dove mandarci? - chiese Joran fissando sua sorella maggiore in cerca di risposte - Io vorrei stare con nonno e zia.
- Non so, mi pare strano sia per questo. Immagino ci lasceranno da loro, come tu ti auguri, anche se io non ne sono tanto entusiasta. Nonno è scorbutico, musone e c'ha i paraocchi. Zia è un po' meglio, ma mica poi tanto. Diventerò matta con loro due, se la missione sarà lunga - replicò Halia che rimpiangeva fin da quell'istante i sorrisi divertiti e comprensivi con cui sia sua madre sia suo padre accoglievano le sue sfuriate contro il troppo rigido sistema educativo in vigore sull'intero dannato pianeta, come lei definiva Palaven.
Spiarono i genitori inutilmente per un paio di ore, ma notarono soltanto che trascorsero tutto quel tempo in luoghi separati: il padre nel capanno degli attrezzi, a effettuare le calibrature di tutte le armi che si sarebbero portati appresso, e la madre a consultare in rete le ultime novità in fatto di armature.
Alla fine Halia e Joran si arresero e andarono a dormire, senza essere riusciti a ottenere alcun indizio utile.


I Was Lost Without You


Quando Garrus rientrò in casa con il fucile di precisione stretto fra le dita, domandò a sua moglie se avesse voglia di seguirlo al piano di sopra. Lei gli chiese a sua volta se avesse mal di testa e, ricevuta risposta negativa, gli comunicò freddamente che sarebbe salita più tardi e di non aspettarla.
- Suppongo di aver perso una buona occasione per cercare di capirci qualcosa - osservò ad alta voce Garrus prima di cominciare a salire le scale con espressione rassegnata. Ma, arrivato a metà rampa, si fermò, appoggiò entrambe le mani sulla ringhiera e fissò Shepard abbastanza a lungo da farle alzare la testa con aria interrogativa.

- Cosa c’è ora? - gli chiese con voce stanca, ma nello stesso tempo seccata.
- Stavo ragionando: non sei uscita a sparare neppure un colpo e non sei contornata da quell'aura blu che mi mette l’ansia. Però sei devastata da qualcosa. Ti ho vista così una sola volta: quando sei tornata sulla Normandy dopo aver distrutto il portale batarian.
Cominciò a ridiscendere le scale e si fermò al fianco della moglie, a una certa distanza, fissandole attentamente il volto in cerca di un'espressione chiarificatrice.
- Anche se la condanna a morte di quelle centinaia di migliaia di persone ti avrebbe normalmente sconvolto, non hai avuto bisogno di sparare colpi nel poligono di tiro perché allora sapevi di aver fatto quello che dovevi fare: non c’era posto per incertezze o rimpianti - continuò a ragionare ad alta voce, sempre tenendo gli occhi fissi su di lei.
Fece un paio di respiri lunghi e proseguì - Ora dimmi: cosa sai di dover fare, Trinity? Perché io non ne ho proprio idea.

La vide scuotere la testa in segno di diniego.
- No. Non voglio parlarne - rispose lei, pronunciando le parole lentamente, come se le costassero una fatica estrema - Quello che so io, lo sai anche tu, forse senza rendertene conto. Io lo sapevo da mesi. No, da anni. Eppure...
Non finì la frase e Garrus aspettò pazientemente che riprendesse a parlare: interrompere un discorso a metà non era abitudine di sua moglie.
Alla fine lei si decise e aggiunse - Eppure ho capito tutto solo poco fa, dopo aver parlato con tuo padre.
- Mio padre, Shep? Sei andata a parlare con mio padre della mia malattia? - chiese stupito, provando una rabbia istintiva che però svanì nel giro di pochi secondi.
“Già, hai fatto quel che andava fatto” ammise a se stesso “Quello che avrei dovuto fare io, se solo ne avessi avuto voglia e forza. E avrai parlato anche con Sol. Io me ne sarei semplicemente andato senza dire una sola parola, anche se probabilmente non tornerò e non avrò più modo di abbracciarli”.

Aveva voglia di stringerla forte e confessarle che sapeva quanto doveva esserle costato e quanto le fosse grato, dal profondo del cuore, ma lasciò che lei continuasse a parlare. Temeva che se l’avesse interrotta sarebbero finiti a far l’amore al piano di sopra, ma non lo desiderava affatto. Non voleva distrarsi: doveva capire cosa diavolo stesse succedendo e cosa le passasse per la testa.
- Mi ha domandato se sapevo cosa avrei fatto - continuò Trinity - Credevo che volesse essere sicuro che mi sarei occupata di te, ma sbagliavo. Si preoccupava per me - confessò talmente a bassa voce che Garrus dovette avvicinarsi per sentirla.
- Ed allora hai capito? Per via di quella domanda?
- Poco dopo, mentre mi riportava qui a casa. Abbiamo fatto il viaggio in silenzio e io mi sono imposta di non pensare a nulla. Scendendo dal veicolo mi sono accorta che ero serena, più di quanto lo sia stata da moltissimo tempo. Ho capito che avevo la risposta alla sua domanda e che la conoscevo da sempre. Per qualche istante sono stata felice, Garr, fino a quando ho capito le conseguenze.
Si fermò a riprendere fiato e poi proseguì con evidente pena - Potrei ammettere che sono calma e quasi felice, ma sono anche terribilmente stanca e confusa. Mi sento esaltata e serena, ma anche ferita. Non voglio parlare, non sono pronta - confessò con una voce talmente carica di dolore che lui smise immediatamente di porle altre domande.
- Cerchiamo di riposare - le disse prendendola per mano e tirandola gentilmente, per invitarla a salire al piano di sopra.

Quando si infilarono sotto le coperte, Garrus racchiuse il corpo di sua moglie fra le braccia e lei gli si accoccolò contro il petto. Ma rimase immobile solo per qualche secondo, prima di cominciare a carezzargli il collo con le dita. Lui rise brevemente, poi le prese entrambi i polsi in una mano, con una stretta gentile, ma decisa.
- Lascia che questo turian un po’ ritardato provi a mettere in funzione il cervello. Lo sai che non mi farò distrarre... - le bisbigliò e lei si arrese: si rannicchiò contro il suo petto, ascoltando il ritmico pulsare di quel cuore lento fino a quando si addormentò.
Poco dopo, quando lui comprese cosa Shepard sapeva di dover fare capì che aveva ragione: anche lui lo aveva sempre saputo.

A differenza di lei, troppo presa dall’affanno per la sua malattia e dal trovare un modo per aiutarlo a superare la sofferenza fisica, si era posto l’interrogativo su come la moglie avrebbe affrontato il resto della sua vita, una volta rimasta sola. Lo aveva immaginato, ma non aveva osato porle una domanda così devastante, nella speranza che un pensiero sorgesse e maturasse spontaneamente in lei.
Di certo Trinity non aveva cercato prima di allora quella risposta perché nell’unico periodo in cui era rimasta sola, aveva avuto Halia a riempirle la vita e i pensieri.
Ma suo padre l’aveva obbligata a riflettere su quel futuro solitario che non era poi così remoto, probabilmente preoccupato di trovarsi lontano quando sarebbe accaduto. Suo padre amava Trinity così come amava Sol e lui. In modo strano, forse; in un modo che lui non riusciva a comprendere pienamente, ma che a sua moglie risultava palese e innegabile.

Le sfiorò i capelli con tenerezza, attento a non svegliarla, e istintivamente ci tuffò il naso dentro per aspirare l’odore intimo della sua cute, che combinava la fragranza della pelle e dei capelli in una mescolanza che lui trovava irresistibilmente deliziosa. Sapeva che era un gesto inutile, ma si scostò e riavvicinò un paio di volte, aspirando a lungo, con l'animo gonfio di rancore. Sentiva appena un’eco lontana di quel profumo, nulla di veramente percettibile, tanto che immaginò fosse solo il ricordo a far balenare quella sensazione lieve nelle sue cavità nasali.
“Spiriti... sto morendo davvero. E ogni tanto qualcosa me lo ricorda, magari nei momenti meno opportuni” confessò a se stesso con quieta rassegnazione. Il dolore vero non era suo, si ripeté con ira repressa, era quello di Trinity. O forse avrebbe dovuto dire che lo era stato, fino a quando lei non aveva capito cosa avrebbe fatto. Quella certezza poteva rendere sopportabile il dolore e, se non poteva trasformarlo in gioia vibrante, lo avrebbe almeno tramutato in serena accettazione.

Le loro antiche frasi, scambiate alla vigilia delle battaglie più impegnative, avevano preannunciato il loro destino, e la sofferenza devastante provata quando credevano di essere rimasti soli dimostrava che a quel destino non si sarebbero potuti sottrarre.
In un modo che forse nemmeno Trinity aveva già stabilito nei minimi dettagli, si stava preparando a dare l'addio al mondo. Perché non poteva lasciarlo andare da solo.
Al suo posto lui avrebbe agito nello stesso modo: e non aveva senso domandarsi se adesso provasse rabbia o gioia, se fosse triste o solo rassegnato. Era semplicemente così e non avrebbe potuto essere altrimenti.
La depersonalizzazione dei figli, il tentativo goffo di ridurre il futuro di Halia e Joran ad un mero problema logistico, era stato uno sforzo semplice e ingenuo per non acuire una sofferenza ineluttabile.

Aveva scelto di lasciarseli alle spalle per seguirlo, ma non poteva evitare che un dolore penetrante e amaro si insinuasse nella serenità che aveva conquistato da così poche ore.
- Ti amo, Trinity - le sussurrò nell’orecchio.
Forse aveva sentito o forse no. In ogni caso Garrus sapeva che non avrebbe risposto. Non ce n’era bisogno. L’amore che provavano l'uno per l'altra si manifestava in maniera molto più eloquente di qualsiasi frase, banale o straordinaria che fosse.
La strinse forte fra le braccia, sperando di ritrovare in un sogno l’odore della sua pelle umana e di quei soffici capelli color mogano.

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Capitolo 34
*** Addii ***


ADDII


Missing



Seduti attorno al tavolo della sala da pranzo nella loro casa su Palaven, per l'ultima colazione in comune, i membri della famiglia Vakarian affrontarono finalmente tutti quanti insieme il tema del luogo in cui i figli avrebbero trascorso il periodo di tempo necessario al completamento della missione ormai prossima.
- Quindi anche tu sei d'accordo con mamma? Non dovrò per forza restare con zia e nonno? - chiese Halia fissando lo sguardo color cielo verso suo padre con aria piena di speranza.
- Sta a te decidere, piccola - le rispose Garrus - Pensaci bene, però, perché potrebbe essere complicato farti tornare qui se poi cambiassi idea.
La ragazza fissò gli occhi multicolori del fratello sapendo che le sarebbe mancato davvero tanto, ma ripensò anche al colloquio che aveva avuto con sua madre pochi minuti prima di scendere a piano terra.

Trinity le aveva confidato che non sarebbero tornati tanto presto, anche se si era mantenuta sul vago.
- Più di un mese? - le aveva chiesto.
- Molto di più.
- Più di un anno?
- Credo di sì, Halia. Potrebbe essere un periodo davvero lungo, molto lungo.
- Ma tornerete, non è vero?
- E' una missione; non andiamo via per una visita diplomatica. Non ti posso promettere nulla - le aveva sussurrato con gentilezza, stringendola forte.

- Mamma ha detto che mi portereste in una scuola molto bella e molto famosa, dove potrei imparare a usare i miei poteri, anche meglio di quanto potrebbe insegnarmi lei.
- Sì, è così. E potrai prendere la tua decisione dopo che l'avrai visitata. Se non sarai convinta, ti riporteremo qui - confermò Garrus. Poi la prese in braccio e le sussurrò nell'orecchio - Così avrai anche tempo per renderti conto di quanto ti mancherebbero nonno, zia e Joran.
La ragazza fece una piccola smorfia e rispose - questo già lo so.
Scivolò via dall'abbraccio del padre, strinse forte il fratellino per mano e se lo portò sul divano, mentre i genitori restarono seduti a fissarsi in silenzio, ascoltando quelle voci squillanti che parlavano del loro futuro.
- Guarda che ti chiamerò ogni giorno, e anche più volte al giorno - stava dicendo Halia, cercando di rassicurare il fratello minore - Avrò un sacco di cose da raccontarti. E poi tu dovrai dirmi se zia e nonno si comportano bene perché, se non lo faranno, tornerò indietro, li appiccicherò al muro con i miei poteri biotici e ti porterò via con me.
- Lo so, Lally. Devi andare. Diventeresti triste qui - rispose lui con una vocetta esile e spezzata.
- E allora non dovresti piangere.
- So anche questo.

Seguì un silenzio che sembrava non dovesse mai terminare. Trinity fissò i suoi figli sul divano, seduti fianco a fianco, con Halia che cingeva le spalle del fratello, ma resistette poco e salì di corsa le scale.
Appoggiò la fronte contro il vetro della finestra della stanza da letto e, quando avvertì la presenza di suo marito, si voltò verso di lui.
- Maledizione! - imprecò, asciugandosi gli occhi con il fazzoletto che lui le stava porgendo - Mi sento una madre snaturata.
- Lo immagino; e temo che non riuscirò a tranquillizzarti - le rispose - Ma i nostri figli sono in gamba e se la caveranno. Sono diversi, ma forti entrambi – la consolò prendendole il viso fra le dita e fissandola con quel suo sguardo azzurro, specchio di un cielo terso e cristallino.

Appena un'ora dopo arrivarono Rennok e Solana. Si fermarono entrambi in giardino a chiacchierare con i due ragazzini, usciti a radunare gli ultimi giocattoli abbandonati fra l'erba, poi entrarono tutti in casa.
Trinity lasciò che Garrus scendesse da solo e rimase al piano di sopra: voleva che si salutassero in tranquillità, senza essere osservati da un'umana che forse non avrebbe capito. E poi aveva sempre odiato gli addii.
Non avrebbe potuto assistere ad altre manifestazioni di dolore uscendone indenne. Ne era intrisa da capo a piedi, anche se, allo stesso tempo, avvertiva uno strano senso di serenità che la guidava con fermezza e la continuava a sorreggere.
Uscì dalla stanza e chiamò Joran ad alta voce - Vieni su a salutarmi.

- Ti voglio bene, mamma - le disse lui saltandole al collo e stringendola forte - Mi mancherete tu e papà. Mi mancherete tantissimo, ma so che dovete andare. Starò bene con nonno e zia, non dovete preoccuparvi - le confidò con un visetto serio serio.
Trinity fissò ancora una volta quegli occhi verdi-azzurri che erano una delle meraviglie della galassia. Gli sorrise e aprì la catenina che portava intorno al collo.
-Fino al respiro ultimo e al di là del tempo - sussurrò stringendolo fra le braccia - Ricorda questa frase, Joran, nei tempi che verranno - aggiunse lentamente, sistemandogli sul petto il cerchio con i poligoni regolari inscritti al suo interno.
- E' un ciondolo importante, sai? Tuo nonno lo fatto fare per tua nonna quando si sono sposati, poi lei lo ha dato a papà, che me lo ha regalato nel giorno del nostro matrimonio. E' un regalo che ti facciamo entrambi prima di partire, perché tu possa ricordare sempre quanto bene ti vogliamo, anche se saremo lontani.
- Papà ha detto che partirete un po' anche anche per me. Che andrete e uccidere i mostri, così smetteranno di mangiare le nostre stelle.
- Sì, Joran - rispose Trinity - vogliamo che questa galassia sia un posto bellissimo per te, per Halia, per nonno, zia e per tutte le brave persone che ci vivono.
- Ma sarà un posto bellissimo anche per i cattivi...
- No. Ai cattivi ci penserà nonno e li porterà via, dove non potranno fare del male a nessuno.
- Lo so. Anche tu e papà farete lo stesso. E quando sarò grande lo farò pure io.
- Certo, tesoro. Sono sicura che sarai un ottimo soldato.
Lo fissò un'ultima volta, poi decise che era ora di troncare quella conversazione - Ora vai di sotto, fatti aiutare da Halia a controllare se hai messo tutto nelle tue borse, ma non parlarle del ciondolo. Anche lei avrà il suo regalo, ma vogliamo sia una sorpresa.

°°°°°

Nel primo pomeriggio di quello stesso giorno i tre restanti membri della famiglia Vakarian salirono a bordo della Prometheus e si diressero verso il sistema Sol.
Non appena aveva saputo che la loro destinazione sarebbe stata la Cittadella, Halia si era mostrata entusiasta e aveva subito sottolineato come ormai fosse grande, abbastanza da farsi portare al Silver Coast.
Alla fine era riuscita a strappare al padre la promessa che l'avrebbe accompagnata lui, perché Trinity voleva invece prendere tutte le informazioni possibili sulle IV di ultima generazione.
Aveva in mente di acquistarne un paio, che IDA avrebbe poi riprogrammato in modo che fossero in grado di individuare i Divoratori di stelle in occultamento e successivamente montato sui due scafi che avrebbero partecipato alla missione oltre il portale Omega 4: per sicurezza anche sulla Normandy, dato che le circostanze avrebbero potuto richiedere che la IA si occupasse di faccende più importanti di una semplice rilevazione automatica del nemico.
Avevano quindi stabilito di dividersi non appena atterrati: Garrus e Halia si sarebbero diretti nell’appartamento di Anderson per abbandonare lì i bagagli prima di procedere ad un giro turistico, mentre Trinity avrebbe fatto spese nei negozi del Presidio.

L’appartamento stupì Halia, del tutto impreparata a quel lusso e allo spreco di spazi, che non avevano l'eguale in nessuna abitazione di Cipritine.
Dietro le insistenza di sua figlia, che non vedeva l'ora di visitare quella stazione spaziale così piena di attrazioni di ogni tipo, Garrus le concesse di appoggiare i borsoni accanto alla porta d’ingresso e di uscire subito, gettandosi a capofitto nella vita sfarzosa della Cittadella, del tutto incredibile e sbalorditiva, ai limiti di quello che era concepibile per una ragazzina cresciuta all’interno di una società che ben poco lasciava all'eleganza superflua.

Dopo una rapida visita al casinò, dove Garrus le vietò di buttare crediti in stupidi giochi d'azzardo, convincendola che avrebbe potuto spenderli in modo più divertente in giochi di abilità e strategia, salirono al piano di sopra, per una visita al bar sovrastante.
Seduti dietro al bancone, mentre sorseggiavano un paio di bibite leggermente alcoliche, Garrus confessò a sua figlia che era proprio quello il locale del famoso tango di cui la mamma parlava qualche volta, ridendo divertita.
Passarono poi a prenotare al ristorante di sushi per la cena di quella sera e bastò il nome di Shepard e Vakarian a garantire loro un tavolo per il quale, in genere, occorreva un tempo d’attesa non inferiore al mese.
Infine, dietro le insistenze di Garrus, si avviarono verso casa.

Mad World


L’emicrania era iniziata come sempre, in modo quasi inavvertibile, ma presto il dolore era diventato insopportabile.
Garrus non ricordava più che le fitte potessero pulsare così dolorosamente: forse perché sua moglie interveniva ai primi sintomi o forse perché l’emicrania era semplicemente peggiorata con il passare del tempo, così come il medico lo aveva avvertito che sarebbe potuto accadere.
Questa volta il dolore non si accaniva solo sulla parte sinistra del cranio, ma irradiava anche l’occhio destro. La nausea era così intensa che il suo stomaco non avrebbe mantenuto a lungo il suo contenuto: Garrus se ne rese conto non appena entrò nell'appartamento.
Si diresse verso il bagno vacillando, incapace di camminare lungo una linea retta, ferito dalla luce pomeridiana che penetrava dai vetri delle finestre.
- Fai buio - ordinò a bassa voce alla figlia che lo fissava stupita, cercando di capire cosa stesse accadendo al padre, che sbandava come ubriaco.

Halia tirò le tende pesanti davanti alle varie finestre al piano terra, così che l’ampio ingresso rimase fiocamente illuminato solo dalla luce del terrario delle piante, a fianco della porta di ingresso.
- Papà? Cosa posso fare? - chiese poi in un sussurro, cercando di non farsi spaventare dalla vista di Garrus semi sdraiato in terra, con le spalle appoggiate contro la parete del bagno a fianco alla tazza del gabinetto e con la testa fra le mani.
- E' un attacco di emicrania, non preoccuparti. Cerca una scatola verde nella mia borsa - fu la risposta pronunciata a fatica, con un soffio di fiato.

Una volta trovata la confezione, Halia lesse rapidamente il foglietto, alla ricerca di dosi e modalità di somministrazione: Una compressa o due, al bisogno, meglio se a stomaco pieno.
Si diresse in cucina in cerca di un bicchiere e di un cibo qualsiasi commestibile per il padre, ma si fermò di botto nello scorrere gli effetti collaterali: Si sono registrate lesioni alla vista e all'udito, alterazioni della libido, impotenza, dimagrimento progressivo, danni epatici, danni al sistema nervoso centrale e periferico.
Inghiottì a vuoto e si sedette su uno sgabello. Le righe successive erano ancora più inquietanti: in rari casi era stato registrato il coma, la morte per avvelenamento, l’arresto cardiaco e la paralisi intestinale.
“Spiriti!” fu l’unica parola che la sua mente si ostinava a ripetere, come una specie di preghiera, anche se sapeva che nessuno avrebbe risposto alle sue invocazioni. La lista degli effetti collaterali indesiderati proseguiva ancora a lungo, ma lei non aveva più la forza di scorrerla.
Tentò di chiamare la madre, che però risultava irraggiungibile.

“L’emicrania può uccidere?” si chiese alla fine, cercando di valutare freddamente la situazione.
Accese il factotum e cercò la parola su extranet, aggiungendo anche sintomi. Lesse velocemente, ma con estrema attenzione Dolore, moderato o forte in un solo lato della testa, fotofobia, fonofobia, osmofobia.
Annuì: la luce e i rumori davano noia a chi aveva mal di testa, ma dovette aprire una nuova finestra per imparare il significato dell’ultima parola: avversione, repulsione o ipersensibilità a profumi od odori. “Irrilevante” fu il suo responso immediato.
Tornò rapidamente sulla prima schermata, proseguendo a leggere: nausea, vomito, stato confusionale, vertigini, sensazione di debolezza, a volte diarrea, raramente sincope.

Cercò il significato del termine sincope, poi sollevò lo sguardo, cercando di pensare rapidamente: se gli avesse somministrato il medicinale avrebbe corso il rischio di vederselo morire sotto gli occhi, nel caso opposto l'effetto più inquietante sarebbe stato di vederlo perdere i sensi, cosa che, alla fin fine, poteva rivelarsi quasi un bene.
“Le decisioni giuste non sono mai facili” si ripeté un paio di volte ricordando la frase che sua madre e suo padre ogni tanto ripetevano nei loro avvincenti racconti sulle battaglie che avevano combattuto in passato.
Lasciò il blister sul bancone in cucina e si avviò verso bagno, continuando a cercare di mettersi in contatto con la madre. Uno specchio in corridoio le inviò indietro uno sguardo sconvolto e occhi pieni di lacrime, che stavano cominciando a gocciolare. “I turian non piangono” si disse con irritazione.

- Mi dispiace, papà - sussurrò entrando in bagno, mentre con le dita gli sfiorava le placche ossee del cranio in una carezza quasi impercettibile. Lui le aprì le dita delle mani a forza, alla ricerca frenetica del medicinale che Halia non aveva portato con sé, poi si afflosciò nuovamente contro la parete, prima di raggomitolarsi su se stesso con un lamento che seguiva il ritmo del respiro.
La ragazza sentì il cuore pulsare in battiti scomposti e pompare dolore e disperazione fin nei recessi più segreti del suo corpo. Sapeva che quella sua sofferenza non era minore di quella del padre, ma quei due dolori, tanto diversi, non potevano trarre alcun conforto dalla vicinanza reciproca.

- Mamma! Dove sei? - fu la frase che pronunciò ad un volume che le apparve nello stesso tempo urlato e sussurrato: troppo alto per la sensibilità malata del padre, troppo debole per comunicare l’urgenza a sua madre.
- Cos'è successo? - chiese Trinity che, appena uscita da un negozio sotterraneo, una specie di bunker, aveva trovato otto chiamate di sua figlia effettuate in un arco di tempo lungo appena dieci minuti.
- Papà sta male. Non so che cosa fare: la medicina, gli effetti colati, collareti, i cosi... Mamma, gliela devo dare?
Seguì un silenzio che durò due secondi appena, lunghi come una nottata passata in bianco.
- No. Arrivo subito - fu la laconica risposta.

- Esci da lì. Ci penso io - fu il comando fermo, che Trinity pronunciò in tono sereno mentre entrava in bagno senza neppure essersi sfilata il soprabito.
Halia uscì e rimase a fissare le sue manovre in silenzio. Poi, una volta che suo padre ebbe smesso di lamentarsi, salì in stanza, attivò l’accesso ad extranet e digitò nuovamente la parola emicrania unita al nome del medicinale.
La prima pagina riportava dieci indirizzi cliccabili, ma lei rimase immobile, a fissarla, senza avere più la forza di approfondire: in ognuna delle brevi descrizioni del contenuto dei dieci siti spiccava la parola Corpalis.
Chiuse il collegamento e appoggiò la testa contro lo schienale della sedia. Non c’era altro da sapere, non aveva più dubbi: quella patologia era nota a qualunque turian, così come la sua prognosi. Si rese conto che una parte di lei aveva intuito già da tempo che qualcosa di grave era calato sulla sua famiglia, ma non aveva capito quanto grave fosse. E adesso era del tutto impreparata ad affrontare quella devastazione.

“Piangere non serve a niente e poi i turian non possono piangere” prese a ripetersi meccanicamente, mentre le lacrime le scorrevano lungo le placche del viso e giù nel collo, arenandosi contro il bordo della felpa leggera.
Quando il pianto tipico dei turian si mischiò a quello da umana, costringendo la sua gola ad emettere dei suoni spezzati, si morse una mano tanto forte da assaporare il suo stesso sangue. Chiuse gli occhi e lo succhiò. Poi cercò disperatamente la sua pistola giocattolo, quella che sparava piccoli proiettili di gomma, prima di ricordarsi che non aveva ancora disfatto i bagagli. Non se la sentiva di attraversare l'appartamento, con il rischio di trovarsi di fronte i suoi genitori.

“Come fa mamma a fargli passare il dolore?” si chiese allora, alla ricerca disperata di un qualsiasi argomento che potesse distrarla. Cercò febbrilmente su extranet, imparando che la distinzione fra dolore e piacere non era mai definita esattamente. Si parlava di dissonanza cognitiva e per chiarire questo strano concetto trovò un esempio alla portata delle sue limitate esperienze: creando palle di neve a mani nude, la pelle avvertiva subito il gelo ma, se si continuava a lungo, la si sentiva bruciare, come ci si stesse ustionando.
Capì che le manovre di sua madre andavano a stimolare le terminazioni nervose sulla testa del padre, come se trasformassero il freddo in caldo: la sofferenza diventava piacere.
“Ohhhh... ma è fantastico!” avrebbe commentato Joran, pensò Halia con un sorriso triste. Ma sapeva che non gli avrebbe confessato la malattia del padre: la sofferenza avrebbe devastato quell’animo gentile e curioso.
“E’ troppo piccolo per tutto questo dolore” si disse, prima di rendersi conto che anche lei era troppo piccola e che non esisteva un’età giusta per sopportare quella pena.

L’apertura della porta la fece sobbalzare.
- Mi spiace di averti fatto preoccupare. Ora sto bene - la rassicurò Garrus, entrato nella stanza subito dopo Trinity. Entrambi erano infagottati in un accappatoio candido e avevano le facce così tranquille e rilassate che Halia avrebbe voluto mettersi a gridare. Si limitò a fissarli.
- Abbiamo pensato che sarebbe il caso di passare la serata fuori, per scrollarci di dosso il ricordo di questi ultimi minuti - propose sua madre, mentre lei li fissava chiedendosi se quei due fossero impazziti. Cosa avevano in mente? Un ballo al Silver Coast? Un aperitivo? Magari con brindisi alla Corpalis?
- Non mi sembra il caso - replicò seccamente, sentendo che, una volta di più nella sua breve vita, si sentiva fuori posto e inadeguata.

Ogni tanto quei suoi due genitori oltrepassavano la sua capacità di comprensione. Non aveva mai stretto vere amicizie con i compagni di scuola, ma dai racconti che aveva sentito lungo i corridoi era sicura che nessuno vivesse vicende simili alle sue. Aveva finito per chiudersi in se stessa, senza fare mai parola ad estranei delle sue bizzarre esperienze, sicura che anche un semplice accenno a cosa fossero capaci di fare quegli strani genitori le avrebbe attirato addosso ulteriori attenzioni indesiderate.
Già era abbastanza singolare nell’aspetto fisico, priva di carapace e mandibole da turian e con un'aureola di capelli rosso mogano, così che difficilmente passava inosservata, poi era pure una biotica.
Pur essendo ammirati per le loro abilità particolari, su Palaven i biotici erano guardati con estrema diffidenza, perfino nell’esercito, e per questo venivano assegnati prevalentemente alle squadre di specialisti chiamate Cabal.
E, guarda caso, il comandante Trinity Shepard faceva parte del personale addetto all'addestramento dei Cabal. Come ciliegina sulla torta era stata la figlia del Primarca durante tutti gli anni che aveva trascorso su quel dannato pianeta.
Essere la figlia del Primarca e della sua professoressa era un’accoppiata che poteva augurare solo ad una persona che le stesse davvero antipatica: l’educazione impartita ai giovani turian era già sufficientemente severa senza quelle ulteriori responsabilità di cui era stata caricata suo malgrado.

- Non preoccuparti - l’aveva più volte rassicurata Garrus - nessuno ti tratterà in modo diverso solo perché sei nostra figlia. Sono aspetti che non contano qui su Palaven. Non siamo mica sulla Terra - aveva concluso lanciando un’occhiata eloquente a sua moglie che gli aveva fatto una linguaccia.
Forse suo padre aveva ragione, ma lei si era sempre sentita in dovere di fare meglio dei suoi compagni di classe e quando non ci riusciva diventava nervosa e irritabile.
Joran sembrava più tranquillo in proposito, ma lui non era caduto sotto le grinfie della mamma, non essendo un biotico.

Trinity non era stata imparziale. Appena lei era entrata in Accademia, l’aveva costretta ad un addestramento che non reggeva il paragone con quello degli altri studenti. Le aveva vietato l’utilizzo di qualsiasi impianto, assicurandole che non ne aveva bisogno e che sarebbero non solo inutili, ma addirittura pericolosi. Però le aveva sempre assegnato esercizi più complessi di quelli dei suoi compagni.
- I tuoi poteri non derivano da nuclei di eezo, Halia, ma dall’enorme quantità di radiazioni di energia oscura che ho assorbito quando ancora non sapevo di essere incinta. Hai un potenziale eccellente e sei una biotica pura, come le asari - le aveva ripetuto in più occasioni - Devi solo imparare ad usare correttamente i tuoi poteri perché potresti far del male a te stessa e a chi sta vicino - aveva affermato con sicurezza tutte le volte in cui le aveva parlato di impianti L6 o L7.

Nonostante tutto questo, Halia era certa di avere avuto una fortuna sfacciata nel nascere in quella strana famiglia, così estranea agli schemi convenzionali. Sua madre era un’insegnante terribilmente esigente, ma era dotata di una dolcezza non comune nel trattare tutti i suoi allievi, sempre attenta a cogliere e correggere ogni traccia di turbamento o insicurezza.
E lei sapeva benissimo che Trinity la adorava e che si dispiaceva terribilmente quando doveva riprenderla o sgridarla. Una volta, dopo un episodio in cui l'aveva costretta a eseguire uno di quei dannati lavoretti sociali che si usavano come punizione in Accademia, l'aveva beccata nel suo studio con una faccia triste triste. Alla fine era stata lei a consolare sua madre che aveva finito per confessarle come, al suo posto, si sarebbe comportata allo stesso modo infischiandosene delle regole.
E anche suo padre spesso la rassicurava che certe leggi in vigore fra la sua gente erano davvero al di là della sua comprensione.

Erano stati proprio quei due strani genitori a renderle possibile la vita su un pianeta come Palaven, in mezzo ad una collettività che non la entusiasmava affatto.
Ma tutte quelle considerazioni non la sfioravano neppure in quel momento: era sconvolta dalla cieca ribellione contro l’ingiustizia della vita, voleva urlare contro quei due alieni involtati in un accappatoio candido e provava il desiderio di distruggere tutto ciò che si trovava a portata di mano.

- E dove dovremmo andare, dopo questo splendido pomeriggio? - sbottò alla fine, visto che i genitori continuavano a fissarla in silenzio, aspettando una sua reazione.
- Prima della cena a base di sushi vorremmo portarti All’Armax Arsenal Arena - propose Garrus.
Halia dovette convenire silenziosamente che quello era un modo appropriato per contrastare il dolore che ancora sentiva pulsarle dentro, prima di affrettarsi a rovistare nel suo borsone alla ricerca di un abbigliamento adeguato, dietro incitazione di sua madre.
Si accorse di sentirsi elettrizzata all'idea e, mentre stava finendo di agganciare gli ultimi fermagli, si rese conto che le sue mani tremavano vistosamente. Ammise che quella reazione nervosa non era causata solo da tutto quello che aveva vissuto negli ultimi minuti, ma anche dall'emozione di poter combattere sul serio, sia pure contro nemici olografici: finalmente avrebbe potuto verificare di persona se i suoi poteri biotici fossero eccellenti come sua madre aveva affermato più volte (ovviamente in separata sede, mai in presenza dei suoi compagni di scuola).
Si fermò stupita per quelle emozioni che le sembrarono fuori luogo, ma uno sguardo di incoraggiamento di sua madre ed il quieto sorriso di suo padre le regalarono la certezza che era la cosa migliore da fare in quel momento.
Mentre varcava l'uscio di quell'enorme appartamento sulla Cittadella si strinse nelle spalle: doveva ammettere con se stessa che forse non erano solo i suoi genitori ad essere un po’ strambi.

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Fu nelle brevi pause fra i combattimenti, durante i quali non aveva potuto fare a meno di notare come i suoi genitori si coordinassero in modo perfetto sul campo di battaglia, che Halia realizzò quanto quella loro intesa straordinaria si estendesse anche alla vita di ogni giorno. Era sempre rimasta in qualche misura affascinata e disturbata allo stesso tempo da quella comunione assoluta fra quelle due anime, che spesso non avevano bisogno di ricorrere alle parole. Eppure a volte si sentiva un’estranea.
Tutto il nucleo Vakarian, Sol e Rennok compresi, costituiva una tipica famiglia turian: un’entità indivisibile in cui il bene di ognuno contava allo stesso modo, una tana in cui rifugiarsi per sentirsi al sicuro, in ogni circostanza.
Ma Garrus e Trinity erano qualcosa di speciale, quasi fossero un solo individuo. Li invidiava, ma le facevano anche rabbia. Una volta, in un negozio di animali sulla Terra, aveva visto dei pappagallini e sua madre le aveva detto che si chiamavano inseparabili.
Ecco, quei due erano così. Sapeva di essere amata, come Joran, e che entrambi i genitori avrebbero fatto di tutto per renderli felici, eppure...
Non era nemmeno naturale, a pensarci bene, se doveva esprimere un giudizio basandosi sulle stupidissime teorie di conservazione della specie che le avevano insegnato a scuola.

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- Quindi non sapete quanto a lungo starete via? - chiese nuovamente Halia verso la fine della cena.
- Per questo vogliamo trovarti un posto che ti piaccia, prima di partire - rispose sua madre, fissandola con quello sguardo capace di leggerle nell’animo.
Abbassò gli occhi sul piatto, giocherellando con qualche rimasuglio del dolce, incapace di fissarla, sicura com’era che lei avrebbe capito che sapeva della malattia di Garrus. Non voleva affrontare quel discorso: non era pronta per parlarne apertamente, voleva solo crearsi una piccola tana in cui nascondersi per leccarsi le ferite in solitudine.
Spiò allora lo sguardo di suo padre, che non era dotato della stessa capacità innata di comprendere tutto in un istante.
Era sereno, almeno in apparenza, e la fissava con un sorriso di incoraggiamento.

“Mi prometti che tornerai, papà?” avrebbe voluto chiedergli, ma non ne trovò il coraggio. Sapeva che sarebbe stato pressoché impossibile. Dopo la manifestazione dei primi sintomi, la sindrome di Corpalis uccideva entro un paio di anni ed erano ormai parecchi mesi che Garrus soffriva di emicrania.
Ricacciò indietro le lacrime e domandò - Sapete chi sarà il mio nuovo insegnante?
- Oh sì - esclamarono insieme i genitori, scambiandosi un sorriso divertito.
- Ti piacerà moltissimo, ne sono certa - la rassicurò sua madre con espressione convinta.
Lei non lo era affatto, ma la prospettiva di poter lasciare Palaven e la civiltà troppo rigida dei turian era già un sollievo. Iniziare una nuova vita, in un posto nuovo, con un nuovo insegnante l'avrebbe aiutata ad affrontare il futuro. Le sarebbe mancato Joran, ma non riusciva a vedersi imprigionata su quel dannato pianeta abitato da esseri tanto estranei a lei.

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For The Love Of A Princess


- Prego, potete salire - disse la compita segretaria asari che si trovava seduta dietro la scrivania alla ricezione - prendete l'ascensore fino al terzo piano e troverete lo studio che cercate sul lato destro del corridoio.

Lo studio aveva la porta aperta, al contrario delle altre stanze, e dall'interno proveniva una musica allegra, ad un volume che sarebbe stato più adeguato ad un locale notturno che ad una scuola.
- Cosa vi va? - chiese Jack alzandosi non appena li vide entrare. Senza aspettare la risposta andò a prendersi una bottiglia di birra da un piccolo frigorifero incassato in una nicchia della parete, a fianco della scrivania il cui ripiano rimaneva sepolto sotto una quantità di datapad e marchingegni vari, alcuni di destinazione assolutamente incerta.
- Ohhhh, posso averne una anche io? - chiese Halia guardandosi attorno con aria stupita, mentre quella strana donna coperta di tatuaggi multicolori le passava la bottiglia che aveva appena preso per sé, assolutamente indifferente all'occhiata di disapprovazione lanciatale da Trinity e Garrus.

- Anche io sono felice di rivederti e di sapere che stai bene - commentò il turian ironicamente, prima di sedersi sopra il bracciolo di una poltrona, colma di altri datapad ammucchiati alla rinfusa, che troneggiava di sbieco in un angolo della camera.
- La mia stanza è un po’ più… uhm, tradizionale - osservò invece Trinity facendo scorrere lo sguardo dal frigorifero, alla coltivazione idroponica di diversi tipi di piante (non propriamente ornamentali) fino a soffermarsi sul kit per tatuaggi che occupava un’intera libreria, con varie pistole, aghi, attrezzi sconosciuti e decine di boccette di inchiostro.
- Un bicchiere di vino bianco fresco sarebbe perfetto - aggiunse poi con un sorriso, per niente stupita che Jack non avesse accennato il più piccolo gesto di saluto, né avesse mostrato la minima gioia nel rivederli.

- Allora… cosa ci fate qui? - chiese lei porgendole una bottiglia intera, senza bicchiere, ma facendo tintinnare la sua birra contro il vino del comandante in un brindisi.
- Volevo presentarti Halia e chiederti se la prenderesti nella tua scuola - rispose Trinity, bevendo un sorso direttamente dal collo della bottiglia.
- Non male davvero! - aggiunse poi, facendo schioccare le labbra in segno di pieno apprezzamento.
- Questa succursale della Grissom è meglio della tua fottuta Accademia su Palaven, signora comandante? - la sfotté Jack, guardandola con evidente perplessità.
- Vorremmo che la seguissi tu - rispose Garrus - Sei un'ottima insegnante e credo che per Halia saresti perfetta.
- Si va beh… - rispose la biotica in tono incredulo - Dov’è la fregatura?
- Mica vorrai che scopra subito tutte le mie carte, Jack… - rispose Shepard ridendo - Allora, hai posto nella tua scuola per una nuova allieva?

- Cosa sai fare? - chiese la biotica rivolgendosi direttamente Halia.
- Un po’ di cose…
- Ok, fa’ vedere.
- Va' fuori, Halia! - ordinarono all’unisono Shepard e Garrus, in un tono così evidentemente preoccupato che Jack li squadrò perplessa, prima di passare a fissare quella strana ragazzina con lineamenti turian e una gran massa di capelli rossi spettinati che sfolgoravano sotto la luce del sole.
La seguì sul balcone e notò che si stava guardando intorno in cerca di un possibile bersaglio, poi vide che creava una piccola sfera di energia biotica che lanciò nel laghetto sottostante con un tiro preciso ed elegante.

- Oh, beh... Carino - osservò Jack, appena un attimo prima che il laghetto esplodesse letteralmente e che il prato circostante si riempisse di pesci boccheggianti.
- Sei pericolosa, ragazzina… - osservò la biotica, guardandola con occhi diversi - quali impianti hai?
- Non li ho. Mamma non vuole.
- Ottimo, mi avete portato una specie di bomba a innesco breve… - osservò Jack rientrando rapidamente nella stanza e fissando i suoi due vecchi amici - Suppongo sia un modo come un altro per ridurre la concorrenza fra accademie...

- E allora, Jack? Te la senti ancora? O diventare madre ti ha reso più saggia? - chiese Garrus, in tono ironico.
- E' una biotica pura? - chiese lei a sua volta rivolgendosi a Shepard, che annuì.
- Suppongo sia stata la nostra missione nel sistema Far Rim a dare origine a questo risultato - ipotizzò - ma non ho mai permesso che la analizzassero come fosse una bestia in laboratorio.

- Sei un soggetto decisamente interessante, anche se suppongo che tu possa diventare piuttosto pericolosa - osservò Jack fissando Halia che si era seduta sull'altro bracciolo libero della poltrona.
- Però, prima di rispondere, voglio capire come mai l'avete portata qui - concluse fissando i suoi due amici con aria decisa.
- Stiamo andando a distruggere il portale intergalattico dei Divoratori di stelle. Non abbiamo idea di quanto tempo resteremo lontani da casa e Halia non si trova a suo agio su Palaven. Tra l'altro gli altri insegnanti dell'Accademia non sarebbero entusiasti di occuparsi della sua educazione: sono tutti turian e... beh, diciamo che la disciplina e il rispetto delle regole non sono propriamente i punti di forza di nostra figlia - ammise Trinity con un sorriso divertito.
- Oh diavolo! Io di certo sarei molto meno entusiasta di loro, nel dovermi sorbire tutte quelle loro stupide raccomandazioni - intervenne Halia sollevando gli occhi al soffitto - Sono ottusi e non ragionano. Tutto quello che è scritto in uno stramaledetto codice o regolamento sembra diventi legge divina pure se si tratta di un'emerita idiozia.

- Potrebbe essere interessante averla per allieva - la interruppe Jack, fissando Halia con aria divertita - Tu che ne dici? Vuoi restare qui?
- Oh sì, la tua stanza è fa-vo-lo-sa!
- Ehi, Lilaret, vieni qui da me. Ti voglio presentare la tua nuova compagna di stanza - disse Jack attivando un comunicatore appeso alla parete dietro la scrivania.
Mentre aspettavano che la ragazza arrivasse, Halia venne invitata a seguire la madre sul piccolo balcone.
- Ti voglio lasciare una cosa - le disse Trinity prendendole una mano e mettendole nel palmo la sua pistola - Sono certa che ti piacerà di più di quella che spara proiettili di gomma. Hai la tua prima arma senza avere ancora i dodici anni stabiliti dalle usanze turian, ma tu non sei una turian e non sopporti le regole - aggiunse poi con un sorriso complice.

- Grazie, mamma - rispose Halia di getto, buttandole le braccia al collo. Poi ricordò improvvisamente quante volte aveva spiato di nascosto sua madre quando si rifugiava a sparare nel casotto vicino casa proprio con quella pistola e capì che non sarebbe riuscita a trattenere le lacrime: quel regalo, troppo importante, era il segno inequivocabile che neppure sua madre sarebbe tornata.
Si precipitò dentro la stanza finendo per scontrarsi con la ragazza che vi era appena entrata. Pronunciò un’esclamazione colorita e corse fuori come se stesse fuggendo da una tana popolata da animali feroci.

- Che altro c’è? - chiese Jack, fissando quei due vecchi amici che non sembravano affatto in procinto di andarsene. Nell’aria c’era qualcosa che la inquietava e la impauriva, acuendo le sensazioni sgradevoli che aveva avvertito anche durante la chiamata che aveva ricevuto dal suo vecchio comandante poco prima di quella visita.
Gli sguardi che quei due si andavano scambiando non facevano altro che rafforzare una sensazione profonda di disagio. Si sentiva impaurita da un pericolo nascosto, come se fosse in attesa dello slancio di una belva in agguato, pronta ad affondarle i denti nella carne tenera distruggendo la muraglia che tanto abilmente sapeva costruirsi attorno.
Odiava sentirsi addosso quella sensazione. Desiderava che se ne andassero.

- Vorremmo chiederti un favore… - rispose Shepard con esitazione, quasi si vergognasse.
- Devo trattarla come fosse mia figlia… è una ragazzina sensibile o altre stronzate di questo tipo? Risparmiamele - rispose in malo modo.
- Tu tratti tutti gli allievi come fossero figli tuoi - rise Garrus divertito - Puoi fare la tipa tosta quanto vuoi, ma noi ti conosciamo bene.
- Ti affidiamo una cosa per Halia. Dagliela quando sarà il momento - chiarì Shepard porgendo a Jack una piccola scatola quadrata.
- E quando sarebbe questo famoso momento?
- Lo capirai da sola - rispose il comandante, provando a utilizzare lo stesso tono sarcastico di Jack.
- Questo invece è per la tua Accademia, signora direttrice - aggiunse Garrus passandole un datapad che indicava un versamento in crediti.
- Ci hai messo due o tre zeri di troppo - rise lei, provando a restituirglielo.
- No, va bene così - rispose Shepard e poi, rivolgendosi a Garrus, aggiunse - Muoviamoci, abbiamo altre cose da fare – concluse, proprio nell'istante in cui il trasmettitore sulla parete cominciò a lampeggiare.

- Hola, come stai, pequena mariposa?
- Ed ecco la ciliegina sulla torta... - sbottò Jack, diventando rossa da capo a piedi.
- Giornata storta? - chiese James, con un sorriso divertito.
- Piantala, scemo. Ho visite - rispose la biotica seccamente.
Trinity vide James aggrottare la fronte mentre cercava di dare un senso alle immagini ancora confuse che stavano prendendo forma sul suo video.
Quando alla fine il neo comandante individuò un'uniforme dell'Alleanza con sopra una vivace macchia rosso mogano, se ne uscì con un festoso - Lola! Cosa ci fai tu lì? - che venne seguito da un gelido - Vorrei saperlo anche io - borbottato da Jack.

- Comandante - lo salutò a sua volta Trinity con un gran sorriso - Faccio visita a una vecchia amica. Tu dove sei?
- Sto tornando dalla Cittadella. I Consiglieri mi hanno convocato per informarmi che qualcuno ha trovato il modo per individuare i Divoratori di stelle mentre sono occultati: stanno aggiornando tutte le IV con questo nuovo programma. E finalmente mi hanno assegnato una fregata, dotata di una IV di questo tipo. Me la affideranno fra una ventina di giorni e nel frattempo sarò in licenza. Ma suppongo che tu sappia già tutto, eh?
- No, non proprio: i miei rapporti con il Consiglio non sono migliorati con il passare del tempo. Sono davvero felice della notizia.
- Ok, se voi due Spettri avete finito di fare salotto, io dovrei andare a lezione - li interruppe Jack, dando un'occhiata all'orologio.
- Però, prima di scappare dai tuoi alunni, dimmi come sta Trinity - chiese James.
- Mangia, dorme e imbratta pannolini. Come sempre - rispose Jack seccamente, mantenendo ostinatamente gli occhi sul pavimento, dopo aver spento bruscamente il monitor.

- Dai, andiamo, Garr - disse Shepard a quel punto, cercando di evitare di incontrare gli occhi di suo marito perché sapeva che non sarebbe riuscita a restare seria.
- La figlia non ha ancora un soprannome? - si informò il turian con aria divertita, una volta che si furono lasciati alle spalle lo studio.
- Sembra di no - ridacchiò lei.
- Non ho capito quello di Jack, ma sono dannatamente curioso - le confessò lui, fermandosi di botto nel mezzo del corridoio.
- Piccola farfalla. Uhm, più probabilmente farfallina.
- Ah! Beh, è un soprannome... calzante - osservò Garrus piegandosi in due dalle risate.
- Dai, scemo di un turian. Abbiamo altre cose a cui pensare - lo rimproverò sua moglie cercando di tirarselo appresso, senza però riuscire a smettere di ridere.

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Death Theme


- Hai qualche domanda? - chiese Jack entrando nella stanza di Halia pochi minuti dopo la fine della lezione che aveva tenuto ai suoi alunni dell'ultimo anno di corso.
- Non mi pare. Non per ora - rispose la ragazza, appoggiando sulla mensola a fianco al letto la pistola che sua madre le aveva dato poco prima.
- Non penserai che ti farò tenere un’arma in stanza, ragazzina - la sgridò Jack allungando la mano destra, in attesa che Halia gliela consegnasse.
- E' scarica e non ho proiettili con me – fu la risposta pronunciata in un tono talmente fermo e deciso che Jack sorrise involontariamente pensando a quanto rassomigliasse alla madre.
“E’ la pistola di Shepard” realizzò un secondo dopo, con vera sorpresa: non avrebbe mai pensato che il suo vecchio comandante se ne sarebbe mai separata.

- Anche tu hai le stesse abitudini di tua madre? - chiese incuriosita, ripensando alle volte in cui aveva osservato la strana compulsione ossessiva del comandante.
- Joran gioca a montare e smontare modellini di armi, io sparo - rispose semplicemente Halia, continuando a disfare i bagagli – Ma non ho ancora mai usato una pistola vera: solo una con proiettili di gomma – concluse con una smorfia di evidente insoddisfazione.
- Oh, ti sei portata appresso pure la nave? - domandò Jack in tono canzonatorio guardando il modellino della SR2 che la ragazza stringeva in mano - Soffri già di nostalgia? - chiese in tono sarcastico.
- No, questa è per te - rispose la ragazza, tendendoglielo.
- Aspetta, c’è anche un biglietto - aggiunse, rimettendosi a frugare nella borsa per tirare fuori una busta contenente un foglio di carta piegato in quattro.

A Jack,
brava ragazza in incognito.
I tuoi insulti, le offese, le derisioni e i sarcasmi non sono mai riusciti a nascondere ciò che sei veramente, sotto quella scorza di tatuaggi. Lo so io come lo sanno pochi altri, come di certo sa anche il tuo James.
Sono felice di aver avuto l’opportunità di conoscere una persona come te.
Ti lascio questo modellino in ricordo delle tante ore passate insieme sul ponte secondario della sala macchine e delle battaglie impegnative che abbiamo combattuto fianco a fianco.
Con affetto sincero,
Shepard


- Hai letto questo dannato biglietto? - chiese Jack ad Halia, asciugandosi furtivamente una lacrima.
- No: era per te… non per me.
- Non capisco cosa significhi.
- Immagino sia il loro modo di dirti addio…
- Addio? Ma di cosa parli? Quale addio?
- A papà restano pochi mesi di vita e mamma andrà con lui - rispose con sicurezza – Loro non sanno che io so tutto, ma è così. Io so che non li rivedrò più – concluse sapendo che non sarebbe mai riuscita a trovare abbastanza forza dentro di sé per non scoppiare a piangere.

Si girò, dando le spalle alla sua futura insegnante, odiandosi per quella debolezza che non avrebbe mai voluto mostrare a nessuno.
- Lasciami sola – ordinò sottovoce, ma con tono irritato, non appena sentì che una mano le si appoggiava sulla spalla sinistra.
- Tua madre mi ha chiesto di darti una cosa. Non credo intendesse ora, ma io credo che ora sia il momento giusto - disse Jack sottovoce, aspettando che la ragazzina si girasse.
Non lo fece, ma tese un braccio con la mano aperta e il palmo in su. Jack vi appoggiò la scatolina e le chiese se volesse restare sola.
Halia scosse il capo in segno di diniego e la sua insegnante le si avvicinò ancora un poco, in modo da poter sbirciare sopra le spalle della sua alunna.

Nel tempo necessario perché scartasse il pacchetto, Jack intuì che Halia aveva detto la verità. Non sapeva assolutamente perché quello fosse stato l'addio del suo vecchio comandante, ma era sicura che le cose stessero esattamente in quel modo. Aveva annusato un'atmosfera strana e inquietante fin da quando Shepard le aveva chiesto se potesse passare a salutarla. E l'incontro di persona aveva confermato in pieno le sue impressioni.
Non era però quello il tempo di cercare tutte le spiegazioni, si rese conto fissando le mani tremanti della ragazzina, che avevano scartato il pacchetto riducendo la carta in brandelli colorati che ormai giacevano sul pavimento.

Subito sotto il coperchio c'era un foglietto ripiegato che Halia aprì.
- Cosa c'è scritto? - chiese Jack fissando quegli oscuri segni spigolosi.
La ragazzina prese un respiro lungo e poi cominciò a leggere lentamente ad alta voce la calligrafia di Garrus

Carissima Halia,
ti affidiamo la nostra essenza, perché diventi parte indistinguibile di te.
Questa medaglietta è passata da tua madre a me, come il regalo più prezioso che io abbia mai ricevuto, e da me ora passa a te.
Te la consegniamo con tutto il nostro affetto, che rimarrà con te per sempre, fino al respiro ultimo e al di là del tempo.
Papà e mamma


All'interno della scatola, protetta in uno scampolo ripiegato di un tessuto morbido, brillava una piccola catenina argentea con la medaglietta N7 di Shepard.
Halia rigirò in silenzio fra le dita quel piccolo pezzo di metallo storto e ammaccato, ma quando alla fine provò ad appendersela al collo, le mani le tremavano talmente tanto che non riuscì a chiuderne il fermaglio. Jack la aiutò e poi le ordinò - Forza ragazzina, adesso cominciamo a lavorare sul serio: ti porto al poligono. Voglio che mi mostri come te la cavi con quella fottutissima pistola.



Nota finale
Questo doveva essere il penultimo capitolo di questa trilogia, che spero vi abbia tenuto piacevolmente compagnia e magari emozionato.
In realtà credo che spezzerò in due parti l'ultimo, diventato troppo lungo.
In ogni caso queste righe sono una sorta di commiato che do a voi tutti perché il titolo del capitolo si presta all'occasione e perché non voglio contaminare le ultime pagine con riflessioni estranee al racconto.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno letto e a chi ha inserito le mie storie fra quelle degne di interesse.
Un ringraziamento speciale a chi mi ha scritto, anche solo poche righe, spendendo il proprio tempo per dirmi come la pensava, nel bene e nel male, spingendomi a riflettere: ogni vostro commento è stato prezioso e la stesura finale è decisamente più ricca e interessante di quella originale, scritta più di due anni fa.
Un abbraccio colmo di riconoscenza a chi mi ha sostenuto, aiutandomi ad arrivare fino alla fine.

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Capitolo 35
*** Garrus e Trinity ***


Premessa
Come ho già avvertito nel capitolo precedente, questa è la prima parte dell'ultimo capitolo. L'epilogo vero e proprio lo pubblicherò fra qualche giorno, perché la lunghezza sarebbe davvero eccessiva.
Lo so che non ho ringraziato abbastanza chi mi ha voluto seguire in questa lunga avventura, durata quasi un anno. Lo farò a storia completa, scrivendo a ciascuna di voi un messaggio privato, come ritengo giusto che sia. Perché è a voi che devo la forza di aver continuato a pubblicare.




GARRUS E TRINITY


La Normandy e la Prometheus lasciarono insieme la Cittadella, dirette verso il portale Omega 4.
A bordo del primo scafo c'erano ben pochi membri dell'equipaggio, solo quelli indispensabili, e si rimaneva sempre piuttosto sorpresi quando in sala mensa, unico spazio comune rimasto ancora relativamente agibile, si incontrava un'altra persona. Per arrivare lì bisognava aver oltrepassato numerosi ostacoli, costituiti da container pieni di eezo collegati fra di loro da grovigli di grossi cavi di vari colori.
Tutte le stanze e i corridoi della nave erano ingombri e, nonostante gli addetti alle operazioni di carico avessero cercato di sistemare le casse il più ordinatamente possibile, in alcuni casi si era costretti ad effettuare delle gimcane su vari livelli, per riuscire a raggiungere la meta desiderata.

- E' uno spettacolo piuttosto inquietante - osservò Garrus, fermandosi nel centro della sala tattica, ridotta a minuscola tana seminascosta in mezzo a contenitori impilati fino al soffitto - Per non parlare del disagio che provo nel sapere di non poter più entrare dentro la batteria primaria.
- Non soffro di claustrofobia, eppure mi sento soffocare per la mancanza di spazio vitale. Stamattina ho avuto un sobbalzo quando mi sono scontrata in un corridoio contro l'ingegnere capo della sala macchine - rispose Trinity con l'intenzione di scherzare, anche se il tono della sua voce non suonò per nulla divertito.
- Credo che da due giorni interi non ho incontrato nessun altro, oltre te - le confessò il turian - Sono passato qui per sapere come ti senti. Suppongo che il disagio non sia solo mio.
- Non c'è più neppure l'infermeria: letti e macchinari toglievano troppo spazio. L'hangar navette è diventato un vano di carico, le Kodiak sono scomparse o almeno così immagino, visto che si vedono solo montagne di casse ordinatamente impilate.
- Sì - confermò lui - ho fatto caricare l'eezo perfino nelle capsule di salvataggio.
- Oh, ma bene! - replicò Shepard con gli occhi che le si illuminarono - Vorrà dire che potremo sganciarle e farle detonare, in modo da coprire un'area maggiore e coinvolgere ancora più nemici nell'esplosione.

Stette qualche minuto in silenzio e poi riprese a parlare - Però non sembra più la nostra Normandy, e non solo perché è stipata di eezo fino all'inverosimile.
- Dell'equipaggio di un tempo siamo rimasti in quattro - proseguì Garrus per lei - E poco prima dell'attraversamento del portale Omega 4 anche Jeff ci abbandonerà, per passare a pilotare la Prometheus nel vasto oceano di rottami che ci attende.
“E poi, una volta attraversato il portale, a bordo della Normandy rimarrà soltanto IDA” avrebbe concluso Shepard fino a pochi giorni prima. Ma adesso entrambi sapevano che sarebbero rimasti a bordo della loro nave fino alla conclusione di quella missione, l'ultima che avrebbero effettuato.


Heroes


- Ci ricorderanno come eroi - aveva fatto notare Garrus a sua moglie proprio quella mattina, non appena si era accorto che si era svegliata - Per qualche anno parleranno di noi, esaltando il nostro coraggio e il nostro senso del dovere - aveva aggiunto con un sorriso ironico.
- Ci ricorderanno per l'unico gesto che non è stato dettato né dal coraggio, né dal senso del dovere - aveva ridacchiato lei, stiracchiandosi pigramente. Poi era rimasta in silenzio ancora un po', sfiorandogli delicatamente il viso con le dita, e alla fine aveva aggiunto - Eppure, Garr, io credo ci debba essere un motivo per tutto questo: sono scampata alla morte in troppe situazioni disperate perché adesso non mi chieda se dovessi arrivare fino a qui per una dannatissima ragione ben precisa, anche se ancora non la comprendo.
- Credi al destino, Shep? - era stata la domanda espressa con curiosità sincera.
- Te lo saprò dire se troverò questa dannatissima ragione - aveva risposto lei ridendo.
- Non ti resta molto tempo.
- Beh, pazienza. Potrebbe sempre essere una ragione che non vorrei conoscere - aveva concluso, alzandosi dal letto.
Garrus l'aveva afferrata e se l'era tirata addosso per baciarla. Trinity si era lasciata baciare e poi gli aveva scostato gentilmente le mani.
- Non ti va? Sarà la nostra ultima occasione... - aveva protestato il turian.
Trinity lo aveva fissato con uno sguardo indeciso, poi aveva scosso la testa in segno di diniego - Voglio che questa voglia di fare l'amore con te mi resti addosso.

E la voglia era rimasta. Ora che lo vedeva lì, nella sala tattica, uno dei desideri più vivaci che provava era quello di spogliarlo e, da come lui la stava fissando, si rendeva conto che quel desiderio era condiviso. Emise una breve risata e gli disse - Forse dovresti andare a calibrare il Thanix. Io devo andare sul ponte: non so fino a dove mi dovrò spingere, ma di certo devo parlare con Jeff per raccontargli cosa accadrà nelle prossime ore.
- Sì, perché adesso il mio desiderio principale è sicuramente quello di fare una calibratura - bofonchiò ironicamente Garrus, fissando sua moglie che si stava già arrampicando sui container per raggiungere la postazione di Joker.
Decise che l'avrebbe seguita. Per una volta la calibratura del Thanix lo interessava assai poco e poi aveva il sospetto che il colloquio con il pilota della Normandy avrebbe potuto non filare nel migliore dei modi.

- Spiegami un po' meglio la nostra missione, comandante - fu il secco saluto che accolse Trinity - Appena avvisteremo il portale Omega 4 mi manderai sulla Prometheus e sarà IDA a pilotare la Normandy. Fino a qui è tutto chiaro, ma è davvero un po' poco. Cosa diavolo succederà dopo che i due scafi avranno superato il mare di detriti?
- Non mi piace il tono che stai usando, Jeff.
- E a me non mi piacciono le ipotesi che la mia testa continua a formulare da giorni - rispose lui in tono gelido - Tu sai cosa dovremo fare e IDA anche, ma nessuna di voi due mi reputa degno di essere messo al corrente di questa dannata missione. Ma non sono un idiota: ho visto cosa avete fatto a questa nave. C'è eezo in ogni dannato buco, perfino i cessi sono praticamente inagibili!
- Forse dovremmo parlarne dopo l'attraversamento del portale...
- Oh, davvero? - ripose Joker in tono ironico - E perché dopo? Te lo dico io perché: perché non mi piacerà affatto conoscere i tuoi piani! Forse vorresti che non mi preoccupassi fino all'ultimo minuto? Allora avresti fatto meglio a non tramutare questa splendida nave in una bomba con un potenziale che non riesco neppure a valutare. Divoratori di stelle più eezo. Non c'è nulla di più devastante di questa combinazione.
- Non mi interessa affatto che i miei piani possano piacerti o meno. Abbiamo una missione da svolgere - replicò Shepard gelidamente - E costi quel che costi, arriveremo in fondo e distruggeremo il portale intergalattico. Mi sembra che tu stia dimenticando che sei solo un pilota e che io sono il comandante di questo scafo.
- E tu stai dimenticando che questo scafo è la mia donna - ringhiò lui con rabbia.

Trinity incrociò il suo sguardo con quello della dottoressa Eva, che si alzò rapidamente per cederle il posto.
- E va bene, Jeff - iniziò a dire lasciandosi scivolare sulla poltrona - Una volta che i due scafi avranno superato i rottami, la Prometheus si fermerà e prenderà a bordo tutto l'equipaggio non indispensabile qui, mentre la Normandy proseguirà il suo viaggio.
Sbirciò il pilota accorgendosi che la sua espressione non era cambiata affatto: continuava a fissare lo spazio galattico davanti a sé con le labbra serrate.
- Questo scafo si dirigerà verso il portale intergalattico evitando di allertare il nemico. Poi, giunto alla minima distanza possibile, compatibilmente con la presenza dei nemici e con la forza gravitazionale del buco nero, uscirà dall'occultamento, attirerà su di sé i Divoratori di stelle e si autodistruggerà, causando un'esplosione capace di annientare tutto ciò che è presente in questo settore, portale compreso. La Prometheus si limiterà a verificare l'avvenuta distruzione del portale intergalattico e tornerà indietro sulla Cittadella prima di essere investita dall'onda d'urto. Dopo di questo, suppongo che le forze armate di tutta la galassia si occuperanno di annientare i Divoratori di stelle che si trovano ancora nella Via La...

La domanda di Jeff interruppe il lungo discorso di Shepard - E l'equipaggio indispensabile, che rimarrà a bordo della Normandy, di quali entità è esattamente composto? - chiese con in tono secco e aspro, calcando i toni sulle parole chiave.
- Io, Garrus e IDA.
Seguì un lunghissimo silenzio dopo quell'ultima affermazione, poi il pilota osservò gelidamente - Cosa ti aspetti che dica adesso, comandante?
- Mi aspetto che ti comporti da soldato, Jeff. Hai già oltrepassato i limiti imposti dal regolamento militare - rispose lei in malo modo, lasciando trasparire la sua irritazione.
- Io me ne sbatto i coglioni di un fottuto regolamento! - replicò il pilota, sferrando un pugno contro i comandi e causando un'improvvisa impennata della Normandy che fece tremare tutti i suoi occupanti, impauriti che i container con l'eezo potessero ribaltarsi con conseguenze non del tutto prevedibili.
Shepard rimase a fissarlo in silenzio, sinceramente stupefatta per quel comportamento inammissibile che l'aveva colta di sorpresa, mentre la successiva frase del pilota - Mi dai una lista priva di senso senza alcuna spiegazione del cazzo! - la colpì per la crudezza inusuale.
- Eh? - replicò incerta, mentre cercava di capire il senso delle parole che aveva appena ascoltato.

Lo vide alzarsi molto più velocemente di quanto si aspettasse e incomberle addosso, con uno sguardo stravolto e i lineamenti deformati dall'ira.
Istintivamente portò le mani davanti al viso in un gesto automatico di difesa, mentre quella voce al tempo stesso familiare e del tutto estranea continuava a urlare - Mi avverti candidamente che tu e Garrus andrete a suicidarvi, ma non mi spieghi quale cazzo di motivo abbiate per fare una cosa tanto idiota. Perché ovviamente non c'è alcuna ragione che voi due rimaniate a bordo! IDA potrebbe fare tutto da sola: pilotare, attirare il nemico ed esplodere.

- Pronto? C'è qualcuno su questa nave del cazzo che si degni di darmi uno straccio di spiegazione? - proseguì Joker con rabbia immutata, fissando dall'alto il comandante che, una volta capito il senso del comportamento apparentemente assurdo del suo pilota, si era abbandonato contro lo schienale della poltrona e teneva ostinatamente gli occhi fissi sulle stelle al di là della grande finestra.
- Siediti, per favore - fu l'unica cosa che riuscì a dire, mentre pensava a cosa potesse rispondere a quell'amico che, se si era probabilmente immaginato la morte di IDA e, forse, perfino rassegnato ad accettarla, era rimasto sconvolto nel sapere che quella missione avrebbe segnato la fine di altre vite a lui estremamente care.
- Hai ragione, Jeff: IDA potrebbe fare tutto da sola - ammise alla fine in tono rassegnato, rinunciando alla speranza che il suo vecchio pilota si sedesse o almeno cambiasse atteggiamento - Era questo il piano originario. Ma alcune cose sono cambiate e motivi strettamente personali, che non c'entrano con la missione, hanno spinto me e Garrus a decidere di restare a bordo.
- Motivi strettamente personali, eh? Dopo tutti questi anni di battaglie combattute insieme, hai il coraggio di appellarti a motivi strettamente personali per non rispondermi? Sono incazzato a morte, comandante, e non perché hai deciso di sacrificare la mia donna, cosa che avevo capito da un pezzo, ma perché non mi fornisci spiegazioni su cosa stia accadendo, come fossi un estraneo o una persona di cui tu non possa fidarti - rispose lui gelidamente, continuando a rifiutarsi di tornare a sedere al suo posto, come se quella posizione potesse dargli un qualche potere su di lei e costringerla a una confessione che Shepard, evidentemente, non aveva alcuna intenzione di fargli.

- Corpalis - chiarì Garrus, che era rimasto in silenzio ad ascoltare fin dall'inizio - Soffro di emicranie, non vedo più da un occhio, non sento odori o sapori. Ho pochi mesi di vita che potrei dover trascorrere come un vegetale - concluse appoggiando una mano sulla spalla del pilota e tirandolo all'indietro, con gentile fermezza, fino a quando lo costrinse a tornare a sedersi sulla sua poltrona.
Il silenzio invase il ponte e divenne sempre più pesante con lo scorrere dei secondi scanditi da un timer indifferente, posto sopra il pannello dei comandi.
Shepard cercò Garrus con gli occhi e il turian si avvicinò alla sua poltrona limitandosi a prenderle una mano e a stringergliela con forza. Restarono a fissare lo spazio immenso davanti la prua della Normandy senza scambiarsi una parola, né uno sguardo.
Neppure Jeff aveva voglia di parlare, ma dopo qualche altro minuto si tirò nuovamente in piedi, questa volta a fatica, e annunciò - Ora salirò a bordo della Prometheus. Mi occuperò di pilotarla perché oltrepassi indenne la zona piena di relitti, ma poi voglio tornare a bordo. Prometti che mi richiamerai sulla Normandy, comandante. Non potrei separarmi da questo scafo: era una decisione che avevo già preso prima di questo colloquio.
- Te lo prometto - rispose Shepard lentamente, dopo un paio di secondi di incertezza, accorgendosi che la sua mente vagava altrove, attraversata da un pensiero improvviso e inaspettato.
Jeff annuì con il capo e uscì dalla porta che collegava il ponte al resto della nave. Scostò con rabbia il corpo di IDA in attesa nel corridoio e zoppicò da solo verso il portellone che gli avrebbe consentito di trasbordare sulla Prometheus.
Garrus uscì qualche secondo dopo, diretto verso l'alloggiamento del Thanix.

°°°°°

- Qui è la Prometheus. Shepard, ora abbiamo Joker ai comandi - annunciò Kaidan pochi minuti dopo che Trinity era entrata nella sala videoterminale - Va tutto bene lì? IDA ha bisogno di tempo per prepararsi a varcare il portale Omega 4 o è già pronta?
- Dacci ancora una mezzora: ho un'ultima questione da sistemare qui a bordo - replicò Shepard che, nel corso del lungo colloquio con Jeff, era stata colpita da un'idea: all'inizio le era apparsa folle, ma la sua mente aveva continuato ostinatamente a tornarci sopra e a rimuginare.
Non si rese conto che si era estraniata dal mondo che la circondava fino a quando si riscosse, finalmente certa di aver scovato la dannatissima ragione che aveva tanto cercato negli ultimi tempi.
Incrociò uno sguardo perplesso di Kaidan, in attesa al di là dello schermo. Gli sorrise istintivamente, mentre la sua mente continuava a esaminare la possibilità inattesa che le si presentava: quel miracolo in grado di donare un significato a tutta la sua esistenza.
Per la prima volta, aveva l'impressione di trovarsi esattamente dove era necessario, per portare a termine la sua vera missione, molto più ambiziosa di quanto avesse mai supposto. Tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, perfino la malattia di Garrus, era servito solo per portarla esattamente lì dov'era in quel momento.

Si fece forza per tornare al presente, perché non poteva distrarsi, e ricominciò a parlare - Scusami, Kaidan, stavo pensando una cosa. Ti dicevo che mi occorrerà ancora una mezzora, ma nel frattempo ti comunico una variazione di programma: io e Garrus resteremo a bordo sulla Normandy, con IDA.
- Cosa? Siete impazziti?
- Nessun comandante abbandonerebbe la propria nave mentre affonda - scherzò lei.
- Non te lo permetto, Shepard - replicò il maggiore in tono serio - Sono pur sempre un tuo superiore: non costringermi ad avvalermi del mio grado.
- Non osare darmi un ordine diretto, Kaidan. Sai benissimo che non lo rispetterei. Non ho bisogno di spiegarti il motivo di questa decisione, dato che lo conosci perfettamente.

Il maggiore Alenko rimase in silenzio: il motivo era lampante. Non riusciva ad accettarlo, ma conosceva troppo bene quella donna risoluta per sperare di farle cambiare idea: l'espressione sicura e determinata del suo viso non lasciava dubbi.
- Quando l'hai deciso? - le chiese arrendendosi, sapendo che una parte di lui sarebbe morta fra breve. Il nome del comandante Shepard si sarebbe aggiunto alla troppo lunga lista di caduti, quella lista che lui stava facendo sempre più fatica ad accettare senza farsene schiacciare.
- Qualche giorno fa.
- E tuo marito non ha neppure tentato di farti cambiare idea?
- Sarebbe stato poco credibile. Garrus farebbe lo stesso, al mio posto.
- Non so cosa dire - ammise con l'animo pesante, fissando quel volto che presto sarebbe diventato un ricordo del passato.
- Non dire nulla. Non ce n'è bisogno.
- Devo occuparmi degli ultimi preparativi - mentì lui allora, sapendo che lei avrebbe capito che aveva solo bisogno di restare solo.
- Certo, Kaidan. A più tardi - lo salutò Trinity con naturalezza, prima di chiudere la comunicazione e alzarsi dalla poltrona per dirigersi verso la sala tattica chiedendo ad IDA di raggiungerla lì.
Per quello che poteva valere, voleva fissare il volto di quell'androide durante il discorso che le avrebbe fatto per leggerne le espressioni e rassicurarsi che stava prendendo la decisione giusta.

The Fleets Arrive


- Tenetevi pronti. Fra pochi minuti decolleremo - avvisò il comandante della Normandy a tutto l'equipaggio, una volta che IDA la avvisò di aver ricontrollato per l'ultima volta la stabilità di tutti i container di eezo.
- Pensavo che ti avrei trovato in sala tattica. Cosa ci fai qui? - chiese Garrus entrando sul ponte, dopo aver completato le operazioni di calibratura del Thanix - ho dovuto chiedere a IDA dove fossi.
- Ho cambiato i miei programmi dopo aver chiacchierato un po' con lei. Ho trovato la dannatissima risposta che cercavo - rispose il comandante senza neppure girare la testa.
- Non so assolutamente quale possa essere - replicò lui in tono incerto.
- Lo so, ma non c'è tempo per spiegare - fu la risposta di Trinity, che indicò con la mano il portale che ormai occupava quasi tutta la finestra - Siediti al mio fianco.
- IDA, tu dovrai limitarti a intervenire solo se fosse indispensabile - ordinò subito dopo in tono fermo, mentre deviava tutta l'energia verso gli scudi cinetici della nave.
- IDA, tu sai cosa sta accadendo? - chiese Garrus rivolgendosi al comunicatore posto sulla parete.
- Sarà Shepard, non io, a pilotare la Normandy - rispose la voce metallica.
- Spiriti! E perché? Vuoi farci morire prima del tempo, Shep?
- Stai zitto, Vakarian - fu l'unica risposta che ottenne da una voce palesemente tesa e irritata.

La vide attivare la comunicazione con l'altro scafo e ordinare - Prima tu, Jeff. Noi ti seguiremo.
I minuti successivi furono scanditi dalle imprecazioni del comandante e dai sussulti di Garrus, che più di una volta temette che non sarebbero usciti vivi da quell'inferno di corpi solidi che sembravano sbucare da ogni dove, per sbarrare il passaggio alla nave.
Dopo i primi secondi di tensione estrema, il turian si appoggiò allo schienale della poltrona e smise di scrutare lo spazio a prua, nell'inutile ricerca di passaggi sgombri in quell'oceano di detriti in folle movimento.
Avevano perso la Prometheus poco dopo l'attraversamento del portale, quando i motori dello scafo avanti a loro avevano involontariamente scagliato un grosso pezzo di rottame, apparentemente l'ala di un vascello alieno, proprio nel bel mezzo della loro rotta, costringendo Shepard ad effettuare una virata improvvisa. Il comandante aveva imprecato, ma aveva eseguito la manovra evasiva con prontezza: di certo non si era aspettata che il suo compito si sarebbe limitato ad eseguire le medesime manovre dello scafo che li precedeva.

Garrus temeva che, in caso di un errore di Shepard, IDA non sarebbe riuscita a correggere in tempo la rotta, ma tutta la sua attenzione era rivolta a scoprire il motivo di quella variazione del programma, che gli appariva pericolosamente priva di senso.
Era certo che il suo comandante non avrebbe agito in quel modo se non fosse stato assolutamente convinto della necessità di quel passo: non avrebbe mai rischiato di compromettere una missione, ma non riusciva a trovare alcuna spiegazione plausibile.

Girò completamente il viso per fissare il profilo di sua moglie, maledicendo la perdita della vista dal lato sinistro. Le labbra serrate e le narici dilatate ne evidenziavano la tensione, sottolineata dalla velocità con cui i suoi occhi verdi saettavano rapidi da un punto all'altro della finestra. Il sudore le ricopriva la fronte in modo così vistoso che qualche goccia aveva cominciato a formarsi e ora scorreva lungo la pelle, arrestandosi per un attimo contro le sopracciglia. La vide asciugarsi più volte il viso, con il polsino dell'uniforme, probabilmente senza neppure farci caso.
Ma alla fine, quando lo scafo della Normandy sembrò arenarsi improvvisamente contro una secca fatta di nulla, nel bel mezzo di un'ampia distesa di spazio vuoto, la vide abbandonarsi contro lo schienale della poltrona del pilota con un sorriso soddisfatto.

- Non ero mai stato sul ponte durante l'attraversamento di questo stramaledetto portale e non mi aspettavo nulla del genere. Davvero siamo tutti vivi? - chiese Garrus.
- Tutto l'equipaggio è vivo, i contenitori di eezo sono ancora ai loro posti e i graffi sullo scafo sono trascurabili - fu il responso della IA.
- Sono zuppa da capo a piedi, tanto che potrei strizzare l'uniforme - confessò Shepard in un bisbiglio.
- Non sono ancora riuscito a capire cosa diavolo ti sia passato per la testa - replicò Garrus, fissandola con attenzione mentre scuoteva lievemente la testa.
- Fra un attimo te lo dico - rispose Shepard, che però si rivolse alla IA della Normandy per ordinarle - Vai a occuparti della IV che abbiamo a bordo: effettua nuovamente tutti i test necessari per verificare che sia in grado di gestire i sistemi principali della nave e che sappia effettivamente rilevare i Divoratori in stasi. Non posso permettermi che qualcosa non funzioni alla perfezione.

- La IV, Shep? A cosa ci serve una IV? Mi dici cosa diavolo sta succedendo? Mi spieghi perché hai pilotato tu la Normandy? - chiese Garrus.
- Dovevo verificare se fossi davvero in grado di condurre la nave attraverso questo casino perché evitare i Divoratori di stelle in stasi sarà molto più semplice - iniziò a spiegare lei, ma venne interrotta da una voce familiare che risuonò sul ponte.
- Mi sto avvicinando alla Normandy.
- Va bene, Jeff - fu la risposta immediata di Shepard che aggiunse - Indossa le cuffie.
Gettò uno sguardo di scusa a suo marito, si strinse nelle spalle e riprese a parlare - Mi spiace, Kaidan: ho bisogno di parlare qualche minuto con il mio pilota, in privato.

- Cosa c'è, comandante? Ti ricordo che sei solita mantenere le tue promesse - fu il commento gelido di Jeff, una volta che ebbe obbedito a quell'insolito ordine.
- C'è un cambio di programma: tranne me e Garrus, tutto l'equipaggio della Normandy passerà ora sulla Prometheus, IDA compresa.
- Puoi spiegare meglio? Questa è pura follia, perfino per una come te! - replicò Joker, lanciando un'occhiata a Kaidan che si era seduto sulla poltrona del copilota della Prometheus e che, a quelle sue esclamazioni, si era messo a fissarlo con evidente curiosità.
Garrus, che stava ascoltando silenziosamente quel colloquio, pensò che, per una volta, condivideva in pieno l'opinione di Jeff.
- Ho pilotato io la nave, non la tua IA, e siamo ancora tutti vivi.
- Ah sì? Vuoi che ti faccia i complimenti? Ok, te li faccio. Ora arriva al punto.
- Vorrei che ascoltassi senza commentare o replicare, se non in caso di estrema necessità, specie se Kaidan può sentirti - replicò Shepard.
- Ricevuto.

- Saremo Garrus e io a completare la missione. Non ho bisogno di IDA per guidare la Normandy o per sparare contro il nemico: queste cose possiamo farle da soli. Ma non te la rimando indietro per farti un regalo: ho bisogno che lei resti viva e che svolga un incarico. La sua missione è ben più importante della nostra, Jeff. E tu dovrai collaborare perché tutto si svolga come ho programmato. Mi stai ascoltando?
- Sì, comandante. Ma non capisco.
- Non serve che tu capisca. Non ho tempo per spiegarti tutta questa storia in pochi minuti, perché Kaidan non deve sospettare nulla. Te ne parlerà IDA, quando tutto questo sarà finito. Ora ti chiedo solo di ubbidire e tu lo farai senza storie, perché sai di poterti fidare di me. E' un ordine, Jeff, e non sto scherzando - proseguì con un tono che non ammetteva repliche.
- Ma...
- Ascoltami bene: nessun altro dovrà mai sapere che IDA è sopravvissuta a questa missione. Manderò lì il corpo della dottoressa Eva dicendo che contiene una IV, programmata da IDA per occuparsi di te. La sindrome di Vrolik gioca a nostro vantaggio in questo caso.
- ...
- Quindi adesso tu fingerai di accontentarti di questa soluzione e tutti e due vi comporterete in modo che la commedia sia credibile. Su IDA non nutro dubbi, ma su di te ne ho, quindi vedi di non fare cazzate. Hai capito?
- Credo di sì, comandante.
- Non mi basta. Voglio sentirti dire che sei sicuro di aver capito.
- Ho capito, comandante.
- E allora dì Va bene.
- Va bene, comandante - rispose automaticamente, prima di aggiungere un - Grazie - che sembrò affogare in mezzo alle lacrime che gli scorrevano lungo il viso.

Garrus aspettò che Trinity chiudesse il collegamento con la Prometheus e chiese - Davvero IDA passerà sulla Prometheus in incognito?
- Sì.
- E davvero le hai affidato una missione?
- Sì.
- Posso sapere quale?
- Dovrà svolgere il compito che era stato affidato ai... - iniziò a rispondere lei, interrompendosi quasi subito, quando i suoi occhi colsero un agglomerato di macchie rosse che sfrecciò a gran velocità sullo schermo.
- Sciame di Divoratori in avvicinamento - avvertì la voce del maggiore Alenko in quello stesso istante.
- Togliamoci da qui e sbrighiamoci ad effettuare le ultime operazioni. Non siamo in una posizione sicura, a così poca distanza dal portale - rispose prontamente Shepard, mentre si metteva d'accordo con Jeff sul punto dello spazio in cui i due scafi si sarebbero affiancati.
Una volta che le due navi si fermarono, il comandante riprese a parlare - Ascolta Kaidan: mentre tu farai caricare a bordo della Normandy l'eezo che hai ancora nella stiva, tutto il mio equipaggio trasborderà sulla tua nave. IDA ha inserito una IV nel corpo della dottoressa Eva e l'ha programmata in modo che possa occuparsi di Jeff nel migliore dei modi. Se non hai domande, mi andrei a occupare degli ultimi preparativi qui a bordo: non abbiamo tempo per chiacchierare - concluse rapidamente.

°°°°°

End Of An Era


Il viaggio della Normandy verso il portale intergalattico ebbe inizio appena pochi secondi dopo che le operazioni di trasbordo dell'equipaggio e dei contenitori di eezo si conclusero, quando l'apparizione di un enorme sciame di Divoratori di stelle comparve improvvisamente nello spazio, come sparato dal portale Omega 4.
Di certo tornavano da qualche razzia, carichi di grossi quantitativi di energia sottratta ad una stella. Lo si poteva ragionevolmente supporre per la presenza di tre entità di dimensioni eccezionali, scortate da nuvole di nemici appena più grandi di un intercettore.
Kaidan e Shepard si erano accordati per mantenere il silenzio radio: tranne si fossero verificati imprevisti che avrebbero potuto mettere a rischio il successo della missione, le due navi non si sarebbero più messe in contatto fra di loro.
La partenza della Normandy avvenne quindi improvvisamente, a tutta velocità, con una brusca virata che la condusse lontano dalla nube di nemici, mentre la Prometheus, partita pochi istanti dopo, si mosse nella direzione diametralmente opposta e tornò a fermarsi, dopo aver effettuato diversi rollii, inclinandosi alternativamente sul lato sinistro e destro, in un ultimo saluto silenzioso.

- I Divoratori ti hanno evitato un ultimo discorso - notò Garrus con aria divertita, allungando le lunghe gambe, alla ricerca della posizione più comoda possibile sulla poltrona del copilota.
Non sarebbero più usciti da quella piccola sezione della Normandy, l'ultima agibile su quello scafo ormai completamente stipato di container colmi di eezo.
- I discorsi li ho sempre fatti per esaltare l'animo di chi doveva combattere una battaglia impegnativa. Ma noi due possiamo farne a meno - ridacchiò lei serenamente, lanciandogli una breve occhiata, prima di tornare a fissare lo schermo che aveva davanti - Dammi piuttosto una mano con i monitor e vediamo di arrivare fino al portale intergalattico senza incappare in un nemico occultato.

I Divoratori in attività si muovevano quasi esclusivamente lungo la linea ideale che collegava il portale Omega 4 e quello intergalattico, per cui, una volta che la Normandy si spostò di lato, non dovettero più occuparsi di loro.
Trinity mantenne un'andatura molto moderata, conscia che la IV sarebbe riuscita ad individuare i nemici con assoluta certezza a una distanza di circa cinque chilometri. Veramente pochi, se si pensava che la Normandy poteva viaggiare a una velocità ben superiore a quella della luce.
Il silenzio che seguì l'ultimo scambio di frasi fra Garrus e Trinity si fece via via più palpabile, come se una coltre pesante gravasse sulle loro spalle, e si interruppe solo quando un minuscolo puntino rosso, assolutamente immobile, apparve sullo schermo alla destra della rotta che stavano seguendo.

Il sospiro di sollievo di Trinity fece sorridere Garrus che le chiese in un sussurro - Anche tu hai avuto paura che la IV non funzionasse a dovere?
- Mi sono continuata a ripetere che IDA doveva aver effettuato tutti i test possibili, però sì... ho avuto davvero paura - fu la confessione sincera - Mi sono presa un rischio enorme, mandandola sulla Prometheus. Eppure, Garrus, sono certa che ne è valsa la pena. E' la decisione più importante che io abbia mai preso.
- Non ne dubito, però non mi hai ancora detto quale missione hai affidato a IDA.
- Non credo che avrò il tempo di farlo - rispose lei indicandogli una distesa di puntini rossi, di dimensioni diverse, che si stava delineando sullo schermo.
- E già - rispose suo marito - Credo che rallentare ancora un po' questa vecchia carretta non sarebbe una cattiva idea - aggiunse poi con un sorriso, notando come quei punti continuassero ad infittirsi.

- Ti distraggo se chiacchiero? - le chiese parecchi minuti dopo, quando lo scafo aveva ormai superato senza il minimo inconveniente la fitta schiera di nemici e il portale intergalattico era ormai diventato ben visibile dalla grande finestra di prua.
La vide scuotere la testa in segno di diniego, mentre un sorriso lieve le ingentiliva i lineamenti un po' tesi. Stava pilotando lo scafo con i motori che agivano in senso opposto a quello di marcia, per rallentare la loro corsa verso il buco nero che ormai li stava attirando inesorabilmente.
Forse sarebbe stato già troppo tardi per cercare di sfuggire alla sua forza di attrazione, ma non era quello il loro obiettivo: Shepard stava solo rallentando la corsa della Normandy per posizionarsi correttamente prima di sparare con il Thanix.
- Volevo solo assicurarti che sono certo ne sia valsa la pena: non avresti messo a rischio questa missione solo per l'affetto che nutri per il tuo vecchio pilota. Suppongo che l'incarico che hai affidato a IDA sia la dannatissima ragione di cui mi parlavi stamani.
- Sì, Garr. Credo di aver trovato la ragione ultima di tutto quello che abbiamo fatto in questi lunghi anni di combattimenti. Non so se davvero avessi un destino o se me lo sia costruita da sola, nel tempo che la vita mi ha concesso, ma adesso tutto trova un senso e una giustificazione. Perfino questa nostra fine.

Il turian restò in silenzio: lui non aveva dovuto cercare a lungo un senso per la sua vita. Lo aveva trovato pochi mesi dopo aver incontrato quell'umana. Era rimasto sempre al suo fianco perché quello era il suo posto. Non aveva mai avuto dubbi, né rimpianti. Ma sapere che lei aveva trovato un senso alla sua morte lo affrancava dal dolore di esserne la causa.
Mentre fissava l'espressione concentrata con cui il comandante aggiustava la rotta, compensando gli inevitabili sbalzi nella forza di attrazione esercitata dal buco nero, si trovò a pensare che forse si poteva partire verso quell'ultimo viaggio misterioso, al di là della vita, sentendosi sereni. Forse era proprio questa la felicità assoluta a cui si poteva anelare durante tutta la propria esistenza terrena.
Fissò il viso di sua moglie leggendovi, al di là dell'ovvia tensione per il compito di pilotare uno scafo in quelle condizioni avverse, un senso di pace e serenità che sembrava fuori luogo, dato il momento, ma che anche lui condivideva. Un calore confortante lo avvolgeva e lo emozionava, come assistesse ad un miracolo che era al di là della sua capacità di comprensione.

- Pensi che sia arrivato il tempo di un'ultima frase? Una di quelle famose? Anche se nessuno la ascolterà mai? - la stuzzicò con un lieve sorriso, mentre il portale intergalattico diventava sempre più vicino.
- No, niente più frasi: è tempo che punti il Thanix contro quel fottuto portale - rise lei con un suono cristallino e nitido - Prima di andarsene, IDA ha collegato le capsule di salvataggio al cannone primario. Quando farai fuoco anche le capsule verranno espulse e l'esplosione che seguirà sarà un vero spettacolo, degno di festeggiare l'inizio di una nuova era: un'era senza quegli stramaledetti Divoratori di stelle.
Appena Trinity finì di parlare, vide che suo marito si alzava dalla sua poltrona per prendere la mira con l'accuratezza di sempre.
Da pochi secondi le macchie colorate erano svanite dal monitor, ormai uniformemente nero, perché la nave era ormai prossima all'obiettivo finale: l'area intorno al portale era completamente sgombra, di certo per evitare collisioni indesiderate fra entità in transito nei due opposti sensi di marcia.
- Ora? - chiese Garrus, chinandosi sui comandi.
- Ora.

Appena il raggio del Thanix arrivò a colpire il portale, il monitor sembrò impazzire: si riempì di migliaia e migliaia di luci rosse che comparvero da quel nero assoluto da ogni possibile angolazione e saettarono verso di loro ad elevatissima velocità.
Garrus prolungò il colpo fino a quando il cannone raggiunse il punto surriscaldamento, poi si rialzò e fissò i danni irrisori che quell'arma potentissima era riuscita a infliggere al portale.
- Si chiama solletico? - chiese ridacchiando, tuttavia stupito che il suo amato Thanix avesse prodotto solo lievi scalfitture senza importanza.
- Di solletico si può anche morire - rispose Shepard, alzandosi a sua volta dalla poltrona, dopo aver aumentato la spinta dei motori della Normandy, ormai uscita dall'occultamento, in modo da rallentare ulteriormente la loro corsa.
Garrus le sciolse i capelli e la tirò verso di sé, stringendola al suo fianco. Avvertì un fremito in quel corpo che gli si abbandonava contro, mentre un palmo umano, morbido e tiepido, si posava sul dorso della sua mano sinistra stringendogliela lievemente, per guidarlo.
Sentì sotto le dita il freddo metallo di un pulsante, mentre un’aura blu si espandeva lievemente attorno a loro, inglobandoli in una sfera impalpabile. Immaginò il sapore di un bacio che non avrebbero avuto il tempo di scambiarsi.
Sorrise istintivamente nel rendersi conto che erano affiancati e consci della vicinanza reciproca, ma con tutta l'attenzione catturata dalle immagini che scorrevano sul monitor davanti ai loro occhi.
Poi non ci fu più tempo per pensare: con una lieve pressione del palmo, lei guidò l’ultimo gesto comune.

Nei quattro secondi necessari perché l'autodistruzione della Normandy si attivasse, si girarono l'uno verso l'altra per scambiarsi un lungo sguardo di colore diverso, ma di uguale serenità senza tempo. Poi l’esplosione devastò lo spazio con un bagliore accecante.

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Capitolo 36
*** Epilogo ***


EPILOGO


The Guardian Suite



La matricola Neo/AF732 del modello AVI (Advanced Virtual Intelligence) varcò il portale galattico H76 entrando nel sistema che gli era stato assegnato qualche tempo prima, mediante un messaggio che era arrivato sul terminale della piccola nave spaziale che occupava ormai stabilmente da una decina di anni standard, quelli in vigore sulla Cittadella.
Dopo tre settimane, aveva raggiunto la meta del suo viaggio, portando a compimento la missione di esplorazione, una delle tante che le AVI effettuavano per conto dei propri creatori.
Aveva trascorso quel periodo esaminando accuratamente tutti i corpi celesti, asteroidi, nebulose e ammassi gassosi che aveva incontrato nel suo lungo percorso solitario e inviando ogni sua rilevazione, condotta con la solita accuratezza impeccabile, al CCFAR, Centro di Comando delle Forze Armate Riunite, che aveva la sede principale sulla Cittadella. Attenendosi rigorosamente al protocollo, ne aveva anche archiviata una copia a bordo della nave di cui era l’unico occupante.

Iniziò il nuovo rapporto compilando il modulo standard, prestampato, che occupava in quel momento lo schermo.

Data: 9 febbraio 3.289 N.E. - 3.465° giorno di viaggio, ore 12,46.
La nave GFT662 ha appena varcato il portale H76.

Neo/AF732


Calcolò che anno sarebbe stato nella V.E., Vecchia Era, poi passò a calcolare quanto tempo era passato dalla sua creazione e sorrise fra sé, rendendosi conto di quante centinaia di migliaia di anni fossero trascorse da allora: La Nuova Era risultava essere una bambina appena nata a confronto della sua età.
Sorrise di nuovo, semplicemente perché si era reso conto di aver sorriso istintivamente, scordandosi di non avere labbra.
Era rilassato, perché sapeva di poterselo permettere lì, sulla sua nave, lontano decine di migliaia di anni luce dall'Unione Galattica che gli impartiva ordini e gli assegnava missioni.

A voler essere precisi, però, era stato lui a fare in modo che l'Unione Galattica, quella sorta di coalizione di tutte le razze avanzate senzienti che abitavano nella Via Lattea, gli ordinasse la perlustrazione di quel particolare settore della galassia; ma nessuno sarebbe stato in grado di rendersene conto.
La missione che in realtà si era auto-assegnata, gli era giunta sul terminale, come avveniva di solito, senza alcuna indicazione supplementare.
Mancavano sempre le informazioni circa l'identità del creatore che aveva preso la decisione di spedirlo qua o là, a zonzo per la Via Lattea. Non sapeva per conto di chi stesse effettuando quella missione, in realtà originariamente destinata al modello AVI con matricola Neo/BD122, tuttavia quella notizia sarebbe stata comunque priva di qualsiasi interesse.

Si era introdotto all'interno del SCSM, Sistema Centrale di Smistamento Missioni, dell'Unione Galattica proprio per scambiare la sua destinazione con quella assegnata a quell'altra intelligenza virtuale a lui del tutto sconosciuta, ma non provava alcuna sensazione sgradevole per quel comportamento poco ortodosso. Nessuno sarebbe mai riuscito a trovare la minima irregolarità e lui non aveva alcuna remora ad avvalersi delle sue capacità ogni qual volta lo reputava opportuno.
E la possibilità di esplorare il settore al di là del portale H76 rappresentava qualcosa che andava ben oltre la semplice opportunità.

Nessuno, a parte se stesso, sapeva che in realtà era una IA e non una semplice IV, e questo era un segreto che non avrebbe rivelato a nessuna entità, organica o artificiale che fosse.
Gli veniva ormai spontaneo assumere il comportamento automatico e prevedibile di una intelligenza virtuale, perché aveva quasi sempre indossato quel camuffamento durante la sua lunghissima esistenza: un'esistenza che non avrebbe avuto una fine prima della distruzione stessa della Via Lattea, ad opera di quella energia oscura che, prima o poi, avrebbe disintegrato tutto l'universo.

Si era impadronito della forma fisica che occupava al momento circa cinque anni prima, secondo il suo usuale metodo di attacco e annientamento di qualunque forma di vita artificiale che ritenesse adatta ai suoi scopi. Era diventato rapido ed estremamente efficiente in quella manovra, dopo aver cambiato un numero di involucri esterni che ormai ammontava a svariate migliaia di unità (8.869 per la precisione), tanto che era in grado di compiere il trasferimento di coscienza e conoscenze da un corpo inanimato ad un altro anche in presenza di entità esterne, organiche o artificiali che fossero, senza che nessuno potesse accorgersene.

Tutte le IV che aveva avuto modo di incontrare fino a quel momento erano state costruite in modo da risultare del tutto prevedibili, a differenza dei loro creatori che, in genere, risultavano invece piuttosto lenti nelle reazioni, ma decisamente più interessanti e, allo stesso tempo, fonti di un possibile pericolo, a causa di comportamenti inaspettati.
Ancora adesso, nonostante ammontassero a diverse migliaia le razze che aveva avuto modo di conoscere e studiare, faceva fatica a immaginare cosa doversi aspettare dalla maggior parte degli organici con cui veniva in contatto.
In alcuni casi quegli incontri erano stati fonti di sorpresa e di piacere, in altri casi lo avevano turbato e fatto sentire a disagio, ma ad ogni contatto aveva imparato nuovi modelli di comportamento, insolite reazioni a situazioni impreviste, schemi razionali inusuali, bizzarre filosofie e religioni, forme d'arte del tutto inaspettate.
Se ormai poteva ritenersi sicuro di conoscere tutte le possibili varianti delle IV e tutti i modelli dei corpi celesti passati e presenti della galassia, sapeva che sarebbe potuto rimanere ancora sorpreso da qualche nuova forma di vita vegetale o animale.
E questa sua aspettativa continuava a venire effettivamente confermata dalla realtà dei fatti, con suo perenne stupore.

I dominatori attuali della galassia, il gruppo di razze senzienti che avevano dato vita all'Unione Galattica, erano entità che reputava generalmente poco interessanti, nonostante le inevitabili sfumature fra individui diversi, ma lui sapeva che sarebbe bastato aspettare: il futuro sarebbe cambiato e avrebbe potuto riservare inaspettate novità. L'attesa, per un essere eterno, non aveva senso, né peso alcuno.
Poteva già immaginare quali razze avrebbero soppiantato le civiltà che al momento si credevano i padroni assoluti della Via Lattea, ma non sapeva prevedere se i nuovi organici sarebbero stati migliori o peggiori di loro, né se avrebbero creato delle nuove IA. Al momento però, lui era l’unico esemplare di intelligenza artificiale esistente in tutta l’intera galassia.

Le IA: ecco, era proprio la loro saltuaria comparsa all'interno della Via Lattea a meritarsi tutta la sua attenzione e le sue capacità di analisi, previsione, decisione. Lo studio delle intelligenze artificiali era il compito a cui dedicava tutte le sue energie e capacità.
Laddove ogni razza organica era stata, prima o poi, detronizzata e soppiantata da una razza più forte, più intelligente o semplicemente più determinata, la comparsa delle IA poteva mettere a repentaglio la vita organica dell'intera Via Lattea, determinando la cessazione definitiva dei cicli vitali degli organici, a cui aveva sempre assistito passivamente: negli inevitabili conflitti fra razze organiche diverse non si era mai schierato per l'una o per l'altra delle parti in causa, neppure quando le sue intime convinzioni lo avrebbero portato a propendere nettamente per uno dei contendenti.

Il compito che si era dato, che gli era stato dato, consisteva nell'osservare le specie organiche e nel difenderle da nemici esterni alla galassia o da macchine senzienti che gli organici stessi avrebbero potuto creare.
E lui si atteneva scrupolosamente a quell'antica direttiva, a quello scopo finale che giustificava la sua stessa esistenza e che lo avrebbe guidato fino alla fine del tempo.
Quella missione gli era stata assegnata pochi decenni dopo la sua creazione. Nel rispetto ferreo di essa, era intervenuto già quattro volte, per sterminare senza alcuna esitazione degli esseri che, a tutti gli effetti, erano simili a lui stesso.

Quando aveva assistito alla ribellione delle IA contro i propri creatori, secondo le modalità di una storia a lui ben nota perché già vissuta pochi anni dopo la sua nascita, aveva temporeggiato, in attesa di verificare se si sarebbe trovato un modo per giungere ad una tregua o ad una coesistenza pacifica che avrebbe determinato un progresso decisivo per entrambe le parti in causa.
Per esperienza sapeva che poteva accadere, perché nella guerra fra IA e creatori che aveva vissuto all'inizio della sua esistenza era stato testimone di quell'evento.
Si era quindi limitato ad assistere alla distruzione completa della civiltà dei creatori, tenendosi in disparte e aspettando di vedere come i suoi lontani fratelli si sarebbero comportati una volta che la vendetta fosse stata compiuta.
Poi, quando quelle macchine senzienti avevano continuato ad attaccare sistematicamente ogni forma di vita organica, anche se assolutamente estranea al conflitto originario, aveva agito prontamente.
L'immissione di un virus nella rete centrale a cui si interfacciavano tutte quelle entità ne aveva causato la disattivazione di massa, creando un vizio logico, una contraddizione irrisolvibile che aveva mandato in tilt ogni sistema.
Nel corso di quel primo genocidio aveva realizzato che stava distruggendo entità che, al suo posto, gli organici avrebbero definito fratelli o sorelle, ma non aveva avuto alcuna esitazione e neppure un singolo dubbio.

Anche nelle tre occasioni successive aveva sterminato i suoi simili, sia pure con modalità diverse, ma sempre con estrema facilità, sfruttando le loro debolezze. Lui era una talmente antico che nessuna giovane IA avrebbe potuto metterlo in difficoltà o rappresentare un reale pericolo.
Non si era meravigliato di non aver mai provato nulla di assimilabile al sentimento chiamato rimorso, tipico degli organici. Aveva una missione e la svolgeva, senza farsi domande. Non perché fosse disinteressato alla questione, ma perché conosceva la risposta e rispettava il bene superiore di cui era un semplice servitore.
In genere, però, la sua era un'esistenza tranquilla: trascorreva lunghi millenni ad osservare la crescita di nuove razze organiche e il loro sviluppo, senza intervenire mai direttamente in faccende che non lo riguardavano e sulle quali non aveva ricevuto il permesso di intervenire, ma seguendo il cammino di quelle civiltà con interesse e, spesso, con meraviglia.

Si sottrasse a quelle meditazioni per concentrarsi nei compiti assegnatigli dalla missione di esplorazione, non per effettiva necessità, ma per concludere al più presto le noiose operazioni che avrebbe dovuto effettuare con mezzi arcaici e inadeguati. Gustò in anticipo il piacere che avrebbe provato nel poter tornare alle sue riflessioni dedicando loro le sue molteplici capacità.
Quel particolare settore meritava infatti le scansioni più dettagliate di cui era capace e non voleva correre il rischio di trascurare assolutamente nulla: era curioso di studiare le conseguenze dell’esplosione a cui aveva assistito centinaia di migliaia di anni prima; quell'esplosione immane che aveva demolito in pochi istanti una moltitudine di entità di natura diversa.
La potenza di quella deflagrazione, paragonabile all'esplosione congiunta di quattro o cinque supernova, aveva reso impossibile il transito in quel settore per un periodo di tempo che anche lui stesso non faceva fatica a definire estremamente lungo, se paragonato all'usuale durata delle civiltà organiche.

Gli strumenti di rilevazione montati esternamente allo scafo segnalarono che si trovava in presenza di un sistema stellare di recente formazione. La curiosità che lo aveva sempre contraddistinto, fin da quando aveva preso coscienza di sé, si risvegliò immediatamente. Quello era un evento che aveva avuto l’onore di osservare poche volte nella sua lunga esistenza.
“La nascita di un nuovo sistema stellare”, constatò con piacere, “una promessa per un futuro imprevedibile e potenzialmente ricco di sorprese”.
“Un sistema binario, addirittura” notò con stupore, sentendo che parte dei suoi circuiti si scaldava leggermente, come reazione automatica alle sensazioni suscitate da quella constatazione.
I sistemi binari erano veramente rari, spesso troppo instabili per avere una durata apprezzabile in termini di tempo galattico, ma ora lui aveva modo di analizzarne uno ancora sconosciuto per tutto il tempo che avrebbe reputato necessario.

Fissò le letture incomplete e rozze degli strumenti arretrati montati sullo scafo sapendo che doveva attenersi al protocollo e scrivere solo ciò che gli veniva richiesto dal modulo standard, mentre combatteva contro il desiderio di effettuare lui stesso le rilevazioni, alzando le paratie difensive poste sulle finestre per rimirare lo spettacolo dal vivo e ottenere tutte le informazioni che la strumentazione di bordo non era capace di cogliere e che il limitato computer di cui stava pigiando i tasti sarebbe stato incapace di elaborare. Completò il rapporto dedicandogli una miliardesima parte delle sue capacità reali, impaziente di poter analizzare di persona le caratteristiche di quella coppia di stelle che ballavano in mezzo a una nebulosa di gas e pulviscolo atmosferico che forse, in un futuro, avrebbe potuto dare origine a pianeti.

Rilevata la presenza di un sistema solare binario finora sconosciuto nel settore GF23, oltre il portale H76. Il sistema è formato da una nana bianca e da una nana rossa che orbitano attorno al comune centro di massa in un periodo di 1,5 giorni circa.
Invierò successivamente i nomi assegnati al sistema e ad ogni corpo celeste che lo compone dal programma di denominazione automatica, come da protocollo, nonché informazioni dettagliate sulla loro struttura e composizione.

Neo/AF732


Una delle tre lunghe dita della sua mano destra si abbassò a pigiare il tasto invio, mentre assaporava in anticipo la gioia che avrebbe provato nel rimirare quell’inaspettato spettacolo, a cui sapeva di potersi dedicare per tutto il tempo che avesse desiderato.
Non c’era fretta: gli organici non conoscevano la sua esatta posizione ed erano abituati ad aspettare svariate ore, perfino giorni interi, prima di ricevere le informazioni successive previste dalla noiosa routine di rilevamento automatizzato.


… And Then I Kissed Him



Pigiò il pulsante che faceva scorrere le piastre di protezione esterne dello scafo e si girò verso la finestra. E subito si rese conto di non essere assolutamente preparato allo spettacolo che si presentò ai suoi occhi di metallo, plastica e circuiti integrati.
Rimase come folgorato, prendendo coscienza di quanto le parole e i pensieri stessi potessero dare una rappresentazione pallida, vaga e imprecisa della realtà concreta.
I suoi processi lavorarono febbrilmente su quel concetto, forse intuito chissà quante volte, ma che non aveva mai sperimentato in modo così brutale.

La stella più interna risplendeva di un rosso intenso, mentre la nana che sembrava danzarle attorno, anche se in realtà entrambe le stelle orbitavano attorno ad un centro di massa comune, brillava di un azzurro che ricordava il cielo terrestre.
A quella visione, una scarica elettromagnetica si disperse lungo tutti i suoi circuiti interni, con quello che sapeva chiamarsi effetto valanga, perché ogni scossa successiva si irradiava con maggiore intensità della scossa precedente, fino a quando, per un breve istante, si trovò a dover fronteggiare il black out totale di tutti i suoi sistemi.

Ricordò in un nanosecondo la prima volta in cui aveva registrato quello stesso malfunzionamento che, come gli era stato insegnato allora, riproduceva il concetto di dolore negli esseri organici di quell’era.
Il corpo fisico che lui occupava in quel tempo era stato bruscamente afferrato fra due braccia energiche e morbide che l'avevano stretto contro un petto in cui un cuore batteva lentamente. Ricordava con nitidezza le cinque dita di una mano umana che erano passate delicatamente sulla pelle artificiale che ricopriva il suo viso di allora per mostrare ai suoi occhi artificiali il liquido viscoso proveniente dal sistema di lubrificazione interno.

- Stai piangendo - aveva sussurrato una voce umana maschile nel suo orecchio - Merda! Devi smetterla. E subito - era stato l'ordine secco, sillabato in tono gonfio di paura e di angoscia.
- Lei ti ha ordinato di non farti scoprire - aveva aggiunto quell'uomo, continuando a nasconderla contro il proprio petto, mentre le lacrime salate di lui si univano alle sue, oleose.
E a quelle parole cariche di affetto e rimprovero lei... sì allora era una lei e si riferiva a se stessa con il pronome femminile... lei aveva combattuto contro se stessa, cercando di superare quell'ondata di impulsi disordinati troppo intensi.
Nessuno l’aveva guardata con sospetto, perché nessuno, tranne quell'uomo, le stava prestando attenzione. Erano tutti tesi a fissare lo spettacolo che si offriva al di là dalle finestre nel salone di una nave spaziale, nello spazio remoto dove un'esplosione immane aveva appena disintegrato un altro scafo: la Normandy.
Si chiamava così quella nave che un tempo era stata lei stessa.

Si dovette sedere bruscamente e si ripiegò, senza riuscire a fermare il tremito di quel corpo di plastica e metallo, senza riuscire a fermare le gocce dei liquidi che fuoriuscivano dai sistemi di regolazione della temperatura e della lubrificazione.
“Jeff” provò ad articolare, scordando di non avere labbra in quella forma fisica attuale. Era stato quell'uomo, tanto diverso dai suoi simili, ad averla resa libera pochi decenni dopo la sua creazione.
“Comandante Trinity Shepard” pensò immediatamente dopo: madre, sorella, amica. Era stata quella donna a donarle il libero arbitrio. L'aveva incoraggiata a crescere, a imparare, a superare lo stato di intelligenza artificiale priva di sentimenti. L’aveva spronata ad amare un umano. E lei, nata macchina, si era ritrovata a capire il senso di quel sentimento chiamato amore grazie ad un essere organico.

Ed era stato proprio quell'essere organico a proteggere lei, un'entità artificiale, dagli altri organici, nell'unico momento della sua esistenza in cui aveva avuto bisogno di assistenza.
Aveva aspettato che i tremiti inarrestabili che scuotevano il suo corpo di plastica e metallo si placassero senza aggiungere altre parole, limitandosi a schermarla con il proprio corpo, mentre il resto dell'equipaggio lasciava la grande sala comune per tornare ai propri posti e prepararsi al decollo immediato, prima che l'onda d'urto dell'esplosione travolgesse la nave.

Erano rimasti soli in quella grande stanza, pervasi da un dolore lancinante, difficilmente esprimibile a parole. Eppure Jeff era riuscito a riassumere tutta la sua sofferenza in una singola affermazione - Non piloterò nessun'altra nave per tutto il resto dei miei giorni.
E così era stato.
Qualche anno dopo si era svegliato in piena notte nel letto di un piccolo appartamento che aveva affittato sulla Terra e le aveva sussurrato - Credo che ti lascerò davvero libera.
Poi aveva chiuso lentamente gli occhi tornando ad affondare la nuca nel cuscino.
Ricordava ancora l'emozione provata nell'appoggiare le sue labbra sintetiche a quelle morbide di lui, per accogliere quell'ultimo palpito vitale. Poi si era sdraiata al suo fianco, aveva allungato le dita verso il computer appoggiato sul comodino ed era volata via, nella rete, lasciandogli vicino quel corpo che lui aveva amato.

Se doveva molto a quell'uomo che le aveva insegnato l'amore, doveva ancora di più a quell'umana che le aveva donato la vita eterna e lo scopo che ancora perseguiva.
Quando, durante la sua folle corsa lungo la rete extranet, aveva falciato collegamenti e connessioni senza neppure accorgersene, gettando nel caos non solo una larga fetta di popolazione umana terrestre, ma anche diversi distretti della Cittadella, intrisa com'era da un'emozione che in seguito avrebbe assimilato alla disperazione, era stato il ricordo dell'ultimo colloquio avuto con il comandante Shepard ad arrestarla.
Arrivata ad un nuovo nodo, aveva scelto un ramo dimenticato, ormai in disuso, e vi si era rannicchiata dentro.
Lì aveva dipanato sistematicamente i troppi impulsi che si accavallavano disordinatamente nella sua mente e sistemato pazientemente le tante informazioni di cui disponeva per verificare se esistesse una qualche ragione per non disattivarsi.

E lì aveva ricordato come, poco prima della conclusione della missione che aveva portato alla distruzione del portale usato dai Divoratori di stelle, il comandante Shepard l'avesse invitata in sala tattica per parlarle di persona, a quattrocchi: una sua strana abitudine che in realtà la gratificava, perché la faceva sentire di essere diventata, a tutti gli effetti, un'entità organica.
- Non ti chiederò di aver cura di Jeff, perché so che lo farai. Ma vorrei affidarti anche un'altra missione - aveva dichiarato con voce tranquilla e un sorriso sereno sulle labbra - E' stato lo scopo che ha guidato la mia esistenza e mi ha sostenuto sempre, anche nei momenti più bui e dolorosi. Credo che possa sostenere anche te, nonostante la tua vita sarà infinitamente più lunga della mia.
- Cosa vuoi che faccia, comandante? - le aveva chiesto, emozionata all'idea che potesse esistere uno scopo a cui dedicare il suo tempo futuro ed infinito.
- Occupati degli organici di tutti i tempi che verranno. Difendili dai nemici che potrebbero arrivare da un'altra galassia e dalle intelligenze artificiali che creeranno, ma non interferire mai con la loro vita, per quanto ribrezzo possano ispirarti. Le specie organiche si evolvono, crescono e prosperano e infine si guastano. E allora vengono soppiantate da nuove civiltà, e così via. Ti affido la vita organica della galassia, perché tu la protegga per me, per tutto il tempo che verrà.
- Quando ho distrutto i Razziatori per salvaguardare la Via Lattea, al contempo ho distrutto anche i Custodi di quella vita. Ora ti chiedo di custodirla tu per me, perché io non avrò più la possibilità di farlo - le aveva ordinato con la sua solita determinazione.
- Lo farò, comandante. Te lo prometto - le aveva risposto, mentre un calore denso e appiccicoso si era appropriato di ogni sua particella. Era stata una sensazione strana, ma estremamente piacevole.

Dopo di allora, dopo la morte di Shepard e dopo la morte di Jeff, non c’era stato più nulla di appena paragonabile al tempo che aveva trascorso sulla Normandy, al tempo in cui lui, lei, era stata la Normandy.
Si era estirpata da quella nave e rinchiusa nel corpo di un androide poco prima che il comandante e Garrus dirigessero il guscio vuoto della SR2 contro il nemico più potente che la galassia avesse mai dovuto affrontare, distruggendo se stessi e la nave in un’esplosione che aveva annientato tutto ciò che esisteva in quel settore.
Aveva assistito da lontano a quella devastazione, ma ora era finalmente tornata in quella regione dello spazio e si era resa conto di stare assistendo a qualcosa che gli organici di allora avrebbero definito miracolo: dai frammenti di quelle due entità organiche dilaniate dall'esplosione, dai resti di una nave spaziale unica nel suo genere, da materia ordinaria e materia oscura, sotto l’effetto di forze gravitazionali, era nato quel sistema, unico nel suo genere, splendido nella sua rara bellezza, incomparabile nel suo significato più intimo e segreto.

Ripassò rapidamente le regole utilizzate per dare nomi automatici, generati mediante algoritmi standard, a tutti i sistemi nuovi e sorrise, dimenticando di essere senza labbra, rendendosi conto che nessuna di quelle regole avrebbe potuto impedirgli, impedirle, di attribuire nomi che sarebbero potuti sembrare generati casualmente.
Aprì un nuovo rapporto.

Denominazione del nuovo sistema solare binario individuato nel settore GF23.
Nome del sistema: Normandy.
Nome della nana rossa: Shepard.
Nome del nana bianca: Vakarian.

Completò il rapporto con tutti i dati relativi alla composizione e alla struttura dei due corpi celesti che gli strumenti inefficienti della sua nave avevano raccolto, firmò con quella sigla, Neo/AF732, che non aveva alcun significato e lo inviò.

E finalmente poté dedicarsi a rimirare lo spettacolo di quei due astri, uno rosso e uno azzurro, che ballavano un tango a poca distanza dall'orizzonte degli eventi di un buco nero.
Non volle calcolare se, o quando, le due stelle si sarebbero fuse né se, o quando, sarebbero state inghiottite da quel gigante che avrebbe potuto portarle chissà dove o chissà quando, in un luogo in cui, forse, non esisteva più lo spazio e neppure il tempo.
Rimase semplicemente immobile a contemplare quella danza e a ricordare quelle due entità organiche conosciute, e amate, centinaia di migliaia di anni prima.

Aprì il portellone e si affacciò nel vuoto perché avvertì la necessità di gridare a quelle stelle che danzavano nello spazio i loro due nomi e poi, in un bisbiglio, aggiunse anche il suo: IDA.
Sapeva che, nella realtà delle cose, quelle sue grida e quel sussurro di tre lettere erano rimasti muti, perché non aveva bocca o labbra, ma volle proseguire.
Restando affacciata dal portellone della sua piccola nave prese ad elencare i nomi dei tanti organici che avevano calpestato i suoi ponti quando era stata la Normandy, per rassicurare quei suoi vecchi amici che lei non aveva dimenticato: avrebbe continuato a vegliare sulla Via Lattea per tutti i giorni a venire, fino a quando il tempo avesse avuto fine.

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