Non siamo mai stati così lontani

di letyourcolors_burst
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Niente è prevedibile ***
Capitolo 2: *** Niente è prevedibile (2) ***
Capitolo 3: *** La Grande Mela | Prologo ***
Capitolo 4: *** La Grande Mela ***
Capitolo 5: *** Una situazione troppo imprevista. ***
Capitolo 6: *** Castelli di carte ***



Capitolo 1
*** Niente è prevedibile ***


Capitolo 1.
Niente è prevedibile.


La solita scuola mi avrebbe accolta tre quarti d'ora dopo il mio risveglio. La routine mattiniera aveva avvolto e soffocato ogni studente nella mia classe. Mi svegliai, come ogni mattina, alle 7.30. Feci colazione, m'infilai sotto la doccia, ficcai dei jeans ed una maglietta e sparì da casa. Quest'ultima non era una delle più belle che si potessero desiderare, certo; la mia famiglia era piuttosto benestante, ma umile come poche. Soprattutto mio padre, che non aveva mai voluto un Matisse originale per far mostra di sè, appeso al muro del salone, mentre mia madre aveva le solite manie. Il Matisse originale l'avrebbe voluto, eccome.
 Comunque sia, alle 8.10 mi ritrovai catapultata nella realtà che ogni adolescente desidererebbe evitare. Sei ore filate passate ad ascoltare gente parlare dell'unica materia che sapeva alla perfezione, ora algebra, ora filosofia. I professori di arte, notai col tempo, erano tutti strani, nessuno escluso. Il nostro, in particolare, era più strano degli altri. Pretendeva che noi sapessimo a memoria le cattedrali senza averne mai parlato in classe; avrebbe dovuto frequentare qualche centro di recupero delle abilità mentali, a dirla tutta. Ricordo ancora un episodio accaduto due anni fa, in secondo liceo. Sesta ora, arte, materia tranquilla. A quanto pareva prima degli eventi. Era l'inizio del'anno, ed il professore dell'anno prima si era ritirato a miglior vita (parliamo di pensione, non di morte). Ci informarono, quella stessa mattina, che il sostituto dell'anno sarebbe stato il professor Barone. Niente di speciale. Entrò in classe come un "normale" quarantenne sposato. Prese subito confidenza con noi, ci disse che eravamo simpatici. Scostò la sedia della cattedra, e cominciò a piangere, e a raccontarci della sua vita infelice. Continuò così per tutta l'ora, senza darci il minimo spazio in cui avremmo potuto esprimere la nostra opinione riguardo le faccende che lo riguardavano. Ovviamente, a noi non importava un fico secco dei suoi film mentali, ma erano pur sempre migliori di un'ora passata ad ammirare la foto della cattedrale di San Coso.
 Come l'anno passato, il mio posto di banco era vicino a Chiara, la mia migliore amica. L'unica persona in grado di non seccarmi dopo dieci minuti di conversazione era seduta accanto a me. Inutile dire quanto ridemmo della sceneggiata patetica di Barone, di cui neanche i familiari sapevano il nome. Quel giorno, Chiara mi aveva dato  un'impressione diversa dal solito; il suo sorriso era diverso, come costretto da qualcosa, o da qualcuno. Ma non le dissi niente, pensando che forse non avrebbe voluto parlarne. Non brillante per la sua altezza, castana, con occhi verdi, era l'unica con cui mi fossi veramente divertita. Anche nelle cosiddette giornate "fiacche", riuscivamo sempre a trovare un argomento per cui valeva la pena ridere.
 Il resto della giornata trascorse normalmente. L'indomani, a scuola, avremmo dovuto consegnare un tema assegnato la settimana prima come compito a casa. Non starò qui a spiegare la traccia, non interesserebbe a nessuno. Scostai la sedia, mi sedetti, ed aspettai Chiara. Arrivò alla solita ora.
 << Sento che sto per scoppiare >> mi disse. La cosa mi incuriosiva, ma allo stesso tempo, mi preoccupava leggermente. Continuò, senza darmi il tempo di rispondere, unica aspetto del carattere che mi dava, seppur pochissimo, sui nervi. << I miei non capiscono me nè il fatto che non cambierò mai il mio carattere solo perchè deve piacere a loro, e non alla sottoscritta, cosa abbastanza naturale, direi. Abbiamo litigato, ieri sera. >>
 << Di nuovo? Chiara, litighi con loro ogni giorno, per qualsiasi cosa. Possibile che nessuno molli la presa, che non riusciate a trovare un punto d'incontro? E' davvero così difficile cedere, per una volta? Rischiate di rovinare il rapporto genitori-figli. >>
 << Sì, fidati. Lo è. Tu li conosci bene, i miei. Sai che non mollano, devono spuntarla fino alla fine. >>
 << E per quale motivo avreste litigato? >> proprio in quel momento entrò Barone, che per fortuna, vedevamo solo il martedì ed il mercoledì, un'ora alla volta. Anche perchè nessuno di noi avrebbe sopportato due ore di fila nelle sue grinfie.
 << Te lo racconto dopo. Se ci sente parlare, sopratutto ora che siamo in prima fila, ci sbrana. >> sussurrò. Cominciò la lezione, e dopo venti minuti di chiese, ci ritrovammo a parlare di sua moglie, e di quanto fosse brutta la sua vita.
L'ora successiva avremmo avuto la lezione di storia, guidata dalla De Mauri. Più o meno rientrava nella categoria degli insegnanti normali.

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Capitolo 2
*** Niente è prevedibile (2) ***


L'ora della De Mauri, stranamente, passò in un batter d'occhi. La ricreazione avrebbe segnato il momento in cui sarei venuta a conoscenza del sorriso diverso dal solito di Chiara. La presi per mano e la costrinsi a raccontarmi tutto, perchè sapevo che non mi avrebbe messo a conoscenza di niente se non sotto costrizione.
 << Allora, vuoi deciderti a raccontarmi come stanno le cose? >>
 << Non la stai facendo un po' troppo tragica? In fondo abbiamo solo litigato. >>
 << Ti conosco sin troppo bene. Se aveste "solo litigato" non avresti quella faccia. Vi siete ritrovati nella stessa situazione decine di volte, conosco la tua faccia da litigata. E non è questa. >>
 << Okay, okay. Vedi, - cominciò a parlare - il motivo stavolta è diverso. Sono stanca della loro sfiducia nei miei confronti, della noncuranza, del sentirmi dire che nella vita non combinerò nulla di buono. Non ci sono mai, pretendono anche di sapere qualcosa della mia vita? Non sanno niente di tutto quello che ho dentro. E mai lo sapranno. >>
 << Già, stavolta è un po' peggio delle precedenti. Quando pensi di perdonarli? >>
 << Non ne ho idea. Ho deciso una cosa. >>
 << Cosa? >>
 << Me ne vado da qui. >>. A quelle parole sbarrai gli occhi. Non volevo che la mia migliore amica se ne andasse all'improvviso; nessuna della due era ancora maggiorenne. Certo, lo saremo state a breve, ma ciò non dava per scontato che fossimo pronte ad affrontare il mondo. Mi reputavo una persona abbastanza matura, cosa che non potevo esattamente dire di Chiara. Era matura, ma non quanto una diciassettenne. Le mancavano un paio di anni, credevo. Cercai di convincerla a cambiare idea, ma era una delle persone più determinate che conoscessi; non sarebbe stato facile farle posare la valigia all'aeroporto. I suoi genitori, poi, erano persone completamente irragionevoli. Non avevano mai dato troppa libertà di espressione a Chiara, ed era logico che prima o poi il suo carattere ribelle avrebbe deciso di scappare da quell'inferno di vita che si trovava a dover fronteggiare ogni giorno. Avevo provato, una volta, a far ragionare i suoi, ma con scarsissimi risultati. Da quel giorno non ci avevo provato più. A quel punto, a tre minuti dal suono della campana che ci avrebbe riportati in classe, chiesi a Chiara cosa avesse intenzione di fare una volta scappata da casa.
 << Cosa?! Non è un po' troppo avventata come decisione? >>
 << Per niente. Anzi, vorrei partire dopodomani, ho già i biglietti. >>
 << Sei proprio sicura di volerlo fare? Insomma, parliamo di New York, non di Firenze! >>
 << Mmm. >> mi accorsi con dispiacere che il suo sguardo era diventato malizioso.
 << Aspetta un secondo... I biglietti? Non vorrai mica dire che mi porterai con te?! >>
 << La tua perspicacia mi è sempre piaciuta un sacco. Certo, volevo dire proprio quello. Ci stai? >>
 << Cosa hai bevuto? Sei matta? Mi dispiace lasciarti, ma non posso mollare tutto così... Mettiti nei miei panni, cerca di capirmi. Cosa penseranno i miei? >>
 << Io me ne frego di cosa pensano i miei. E' un problema loro. Ma tu, tu devi sempre essere la perfetta. Sei sempre la solita, io dovrei mettermi nei tuoi panni. E tu? Non sai quant'è dura sentire i miei genitori che mi parlano alle spalle, gli stessi di cui dovrei fidarmi più di ogni altro e da cui dovrei sentirmi protetta, amata, rispettata. Ma il mondo non è fatto per i sognatori, l'ho imparato a mie spese. Il mondo è fatto per gli oppresori e per gli oppressi, solo per due categorie ben distinte, ossia i vincitori ed i vinti. >>
 << Non andartene. Pensa ancora un po' alla tua decisione. >>
 << Ari, no. Ho deciso, e così sarà. Non mi tiro indietro davanti alle promesse. >> non parlai più. Feci per andarmene, ma i sensi di colpa presero il sopravvento su di me. Così, decisi di partire pur di non abbandonarla a sè stessa. Se le fosse successo qualcosa, non me lo sarei mai perdonato.
 << ... Verrò con te. >>
 << Sapevo che non mi avresti abbandonata. Grazie. >>
 << Okay, ora che si fa? >>
 << Per primo, dopo la fine della scuola, ci vedremo a casa tua, sai, a casa mia non possiamo. Faremo le valigie e partiremo dopodomani. Potrei dormire a casa tua? >>
 << Certo! Ma i tuoi non verranno a cercarti a casa mia quando si accorgeranno che sei scappata? Non ci metteranno molto, credo. >>
 << Non preoccuparti, torneranno tra una settimana, sono fuori per "lavoro". >>
 << Allora è deciso. Che tutto abbia inizio! >>
Chiara ed io ci precipitammo a casa mia, dopo la fine delle lezioni. Preparammo le valigie e discutemmo sui preparativi per il viaggio. La partenza, due giorni dopo, sarebbe stata attesissima da entrambe, non vedevamo l'ora di mettere piede sul suolo americano ed incominciare a vivere come appartenti a quella terra, sogno irragiungibile, a volte, per migliaia di adolescenti. Anche io sognavo l'America da anni, ormai, e quello era un sogno che diventava realtà. Ma se lo avessi saputo, non sarei mai partita.


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Capitolo 3
*** La Grande Mela | Prologo ***


Capitolo 3
La Grande Mela - Prologo


Presi la valigia insieme a Chiara. Arrivammo al centro commerciale con la stessa navetta che ci avrebbe portate anche all'aeroporto, percorreva entrambe le tappe. Avevamo dimenticato delle cose per la fretta, e così ora avremmo dovuto procurarcele. Le assenze a scuola non sarebbero state un gran problema, poichè a maggio inoltrato la scuola non sarebbe durata più di un mese. Chiara mi disse che non avrebbe voluto restare a New York dopo il compimento della maggiore età. Facendo due calcoli, capì che non saremmo rimaste lì per più di quattro mesi e mezzo. In questo modo avremmo potuto cercarci dei lavori part-time e una casa in affitto. Di certo il lavoro sarebbe servito solo a me, poichè Chiara, essendo figlia unica di due imprenditori di fama internazionale, non avrebbe avuto problemi economici, ed io, figlia di due persone normali, non avevo intenzione di chiederle del denaro. Avevo sempre avuto in testa l'idea fissa di rimboccarmi le maniche e trovare i soldi senza aiuto, anche perchè poi avrei dovuto restituirli; tutti sanno che in tempi di crisi, i creditori aumentano gli interessi fino a farli arrivare alle stelle. Grazie al Cielo, l'avevo già capito a diciassette anni. Dopo il centro commerciale, ci infilammo sul bus per l'aeroporto. Tra spintoni e imprecazioni della gente spinta da noi stesse, riuscimmo a trovare due posti liberi.
 I gates per l'imbarco si sarebbero aperti dopo un'ora dal nostro arrivo, quindi decidemmo di attendere sedute nella sala "d'aspetto" dell'aeroporto. La dipendente nascosta dietro al megafono chiamò il nostro volo.
 << Il gate d'imbarco per New York è aperto. Si prega la gentile clientela di formare una fila ordinata e di mostrare i documenti ed i biglietti alle hostess, grazie. >>
 Non avevo mai volato. Inutile quantificare la paura che mi prese nel momento prima del decollo, all'incirca durante la spiegazione delle misure di sicurezza in caso di guasti ai motori. Dopo la spiegazione, il pilota disse qualcosa in almeno dieci lingue diverse, prima di arrivare all'italiano. Quel qualcosa mi raggelò le vene.
 << Il volo diretto durerà undici ore. Si prega di spegnere i cellulari e qualsiasi altra apparecchiatura elettronica durante il decollo, e di allacciare le cinture. Grazie per l'ascolto, buon viaggio. >>
 Mi girai verso Chiara con uno sguardo che riusciva benissimo ad esprimere tutta la mia paura.
 << Undici ore?! Il volo dura davvero così tanto? >>
 << Ari, rilassati. Sì, il volo dura undici ore, non ho trovato di meglio. Ma hai paura? >>
 << Perchè, non si nota abbastanza? Ho una paura tremenda, non ho mai volato prima d'ora! >>
 << Oh, oh... Mi dispiace... Giuro, cercavo lo scalo, ma i posti erano finiti, ho trovato solo questo. >>
 << Nah, fa niente. Vedrò di pensare ad altro, così almeno non svengo. >>
 Niente fu terribile come pensavo. Nonostante tutto il tempo che ci sarebbe voluto per mettere piede sul suolo americano, l'atterraggio arrivò subito. Forse perchè impiegai nove delle undici ore dormendo. Chiara, vicino a me, ne dormì solo sei. Il resto fu impiegato ascoltando la musica, leggendo e parlando fra di noi.

 Il gate dell'aeroporto in cui atterrammo era gremito di persone che partivano ed arrivavano. Le prime avrebbero voluto essere al posto delle seconde, e non viceversa.
 I soliti controlli antiterroristici ci aspettavano appena varcata la porta della struttura interna; li passammo senza problemi. Le agenzie immobiliari, a maggio, non furono così disponibili come sarebbe potuto sembrare dai film americani, quindi dovemmo arrangiarci a modo nostro. Non fu facile, ma con degli annunci in giro per la città riuscimmo a trovare un tale, Ryan McCarthy, disposto ad affittare una delle sue due case per un periodo di tempo a nostra scelta. L'offerta fu piuttosto alta, ma le dimensioni della casa e la piscina posta nel giardino posteriore furono sufficienti a dileguare le nostre titubanze. McCarthy doveva essere abbastanza ricco, secondo noi. Per potersi permettere due case talmente grandi, i soldi non potevano mancare. O forse in America le case erano più grandi ed economiche delle nostre, l'avremmo scoperto vivendo lì.
 L'abitazione copriva circa trecentocinquanta metri quadri, escluso il giardino, parquet in tutto il piano inferiore, TV  di cinquanta pollici e sala biliardo, bowling e cinema. Forse era davvero ricco, dopotutto. Ma non volevamo farci i fatti suoi.
 Con la stretta di mano, si strinse l'accordo fra noi. Ad oggi, mi sembrano i millecinquecento dollari al mese meglio spesi in tutta la mi vita.
 
 Restava solo da procurarci un lavoro. Chiara mi disse, convinta più che mai, che non avrebbe voluto prendere soldi dei genitori per nessun motivo al mondo. Si sarebbe sentita molto meglio procurandoseli autonomamente. Ci mettemmo allora in cerca di un'occupazione.
 La trovammo la settimana dopo. A quanto pareva, servivano al più presto tre camerieri allo Starbucks Coffee di New York. Ovviamente, avremmo occupato solo due dei tre posti disponibili, ma saremmo state ben felici di conoscere il terzo. Quest'ultimo si rivelò essere McCarthy in persona, spettante il posto di diritto poichè figlio del proprietario di tutti gli Starbucks d'America. Era davvero ricco, scoprimmo. Ma qualcosa mi diceva che quella non sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avremmo visto.
 La sua altezzosità lo rendeva antipatico, sgarbato alle volte, ed il suo modo di fare lo rendeva vanitoso agli occhi della gente. Mi accorsi, già dal secondo giorno di lavoro, che Chiara lo avrebbe apprezzato per il suo spirito d'iniziativa, ed io l'avrei detestato per la sua ingiustificata superiorità.
 Tra me e lui cominciarono subito i primi diverbi, discussioni sul posto di lavoro e screditamenti reciproci rivolti al direttore del caffè.
 << Te lo ripeto per l'ultima volta, Arianna. Parlo seriamente, non inimicartelo, potrebbe toglierci la casa. >>
 << Già, ma hai visto come si comporta? Non pensavo che qualcuno mi sarebbe mai stato antipatico ai suoi livelli. Pensavo male. >>
 << Hai ragione. Non tanto dopotutto. Guardalo, è bellissimo. Non trovi? >>
 << Ne ho visti di meglio in Italia, non farti ingannare da lui. >>
 << Sarà, ma per me resta bellissimo. L'ultima volta, non litigarci più di tanto. >>
 << Ci proverò, ma non ti prometto niente. >> Presi un vassoio ed uscii dalla cucina per prendere le ordinazioni.
 Avrei dovuto trovare un altro posto di lavoro al più presto, non avrei potuto continuare in quel modo ancora a lungo.


 

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Capitolo 4
*** La Grande Mela ***


zvcx z Capitolo 4.
La Grande Mela


Come previsto, non trovai posti di lavoro appetibili. Dovetti tenere quello allo Starbucks. Il lato positivo della faccenda era uno solo: se non altro, avevamo i soldi sufficienti a pagare l'affitto e a pagare le spese quotidiane, quali cibo, tasse e svaghi vari.
 Finalmente, arrivò la domenica più sentita della mia vita. La prima settimana di lavoro ci aveva stremato, poichè eravamo divise fra lavoro e studi. Non volevamo certo rimanere indietro rispetto alla classe, la quale era stata avvisata di tutto, ed aveva il compito di coprirci. L'avvenimento più brutto di quella domenica fu la chiamata dei genitori di Chiara.
 Esordirono, al telefono, con i soliti rimproveri, anche verso di me, stavolta. Non avrei davvero voluto sentire le chiacchiere campate in aria di genitori neanche miei, pronti ad accusarmi di aver "trascinato la loro figlia in un'avventura mortale", a detta loro. A dire il vero, era stata lei a trascinarmi. La conversazione non finì pima di mezz'ora, tempo in cui sperai con tutta me stessa che Chiara non gli rivelasse il luogo in cui stavamo; al novantanove percento si sarebbero precipitati qui, e ci saremmo trovate davanti a loro in meno di ventiquattro ore.
 La domenica passò così, tra litigi e telefonate continue dei genitori, sguardi a tratti depressi, a tratti furiosi di Chiara verso di me e lacrime. Ovviamente, non avrei mai voluto entrare nella faccenda, ma mi ci ritrovai immersa fino al collo in men che non si dica. Ero stata trascinata in qualcosa più grande di me. I suoi genitori avevano un potere enorme, specie su due diciassettenni in un altro continente. Cercammo, verso sera, di scacciare quei timori che si erano impossessati di noi dopo le telefonate. Andammo verso Times Square. In quattro mesi avremmo potuto vedere tutto della Grande Mela, così decidemmo di prendercela con calma. I grattacieli furono la mia parte preferita. Vederli ergersi al di là di ogni aspettativa umana li riempiva di mistero. Era come se facessero a gara per decretare il vincitore in altezza. Quest'ultima, nelle costruzioni antiche e moderne, mi aveva sempre affascinata. Non a caso, il periodo artistico che preferisco è il gotico francese; lì le chiese raggiungevano altezze prodigiose.
 Mentre ammiravamo i grattacieli e le persone impegnate a discutere sul marketing della propria azienda al telefono con il loro capo, notai due figure familiari. Spiccavano dalla massa per la loro altezza. Entrambi sembravano abbastanza ricchi, dato il loro abbigliamento. Ma non appena notai questo particolare, una goccia di sudore sembrò voler venire via dalla mia fronte. Chiesi conferma a Chiara.
 << Dimmi che quelli non sono i tuoi, ti prego. >>
 << Ari, hai le traveggole? Non sanno che sono qui. >>
 << Dimentichi il potere del denaro. E dei gps, a volte. >>
 << Tranquilla, li avrei già visti, non credi? >>
 << Hai centrato il punto, non credo. Guarda lì. >> le indicai la direzione con mano.
 << Non sono loro, i miei sono più alti. >>
 << Ma non quelli! Questi! >>
 << Come potrebbe essere, non sanno che sono a Ne... Cazzo! Sono qui! >>
 << Continua a non fidarti di me... Meno male che non ti ho detto di aver avvistato uno squalo, se no a quest'ora saresti già m... >> mi tirò per la manica.
 << Ari, vuoi darti una mossa?! Non devono vederci o, ti giuro, sarà l'ultima volta in cui potremmo vederci! >>
 << No, troveremo un modo per incontrarci di nascosto. >>
 << All'obitorio? Scusa, ma la vedo un po' difficile. >>
 << Arriverebbero a tanto? >> le gocce si erano sdoppiate, nel frattempo. I brividi percorrevano la mia schiena. Non sarebbero arrivati a tanto, no, la mia era una domanda retorica.
 << Sì! Corri! >>
 Cominciammo a correre, e nonostante avessimo perso parecchio tempo nel riconoscerli, non ci trovarono. Eravamo al sicuro, per ora, ma i successivi mesi non sarebbero stati facili da trascorrere con il costante pericolo di trovarceli davanti. L'unica cosa da fare era chiedere aiuto a qualcuno con un potere economico uguale, se non maggiore del loro, di farli sparire da New York e dintorni. Dovevamo cercare di mandarli via, di nuovo in Italia. Avevamo già in mente a chi chiedere, restava da trovare solo il modo per farli andare via.

 Ci precipitammo a casa di Ryan. McCarthy mi era sempre stato antipatico, e viceversa, ma nel momento del bisogno non avrebbe potuto dirci di no.
 << No. >> disse. Si passò la mano tra i capelli. Avevo sempre odiato quel suo modo di fare, così sgarbato e altezzoso.
 << Dacci almeno un motivo. >> Chiara non venne, solo perchè non avrebbe "mai voluto chiedere un favore a quel gentilissimo ragazzo. Non ci si approfitta della disponibilità altrui.". Avrei voluto tirarle un calcio, ma pareva fosse contro il galateo. McCarthy non fu mai gentile nè diponibile con noi, fu ovvio pensare - almeno per me - che l'amore acceca. Toglie la ragione. Per giunta, non era stato gentile neanche con Chiara, e questo mi toglieva completamente ogni ragione per la quale dovesse essere innamorata di Ryan, davvero non capivo.
 << Non ho mai aiutato nessuno in vita mia, e non vedo perchè dovrei cominciare ora. Che ci guadagno? Niente. >>
 << Immaginavo. Ci guadagni il vantaggio di aver compiuto una buona azione. Ma a te non interessano le cose immateriali, tu vuoi solo giocare con le persone e gettarle via quando per te diventano inutili. Ti basta essere sommerso d'oro, ma non di gente che ti voglia bene. >> pensavo fortemente che quel discorso lo avrebbe fatto ricredere, ma non fu così.
 << Già. Ora, sparisci. Anche tu, Chiara. >> ce ne andammo, deluse più che disgustate. Cominciai a credere che, dopo quel giorno, Chiara avrebbe completamente perso l'interesse per lui.
 Scortese. Altezzoso. Maleducato. Egoista. Materiale. Anaffettivo. Stronzo. Semplicemente Ryan McCarthy.
 

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Capitolo 5
*** Una situazione troppo imprevista. ***


zvcx z Capitolo 5.
Una situazione troppo imprevista.


Tornate a casa, chiesi a Chiara se avesse perso l'interesse per Ryan o se le piacesse ancora. Ovviamente, dato che "l'amore acceca" - per citare me stessa -, mi rispose di amarlo ancora. Non capì davvero il motivo, dato che fino a poco tempo prima, ci aveva trattate in modo scortese. Chiara sosteneva imperterrita di avere un certo ascendente su McCarthy, cosa che io mi sentì di smentire totalmente. Le rinfrescai la memoria: << Tu ricordi ciò che ci ha detto quell'idiota prima di cacciarci, vero? Ha detto che saresti dovuta sparire anche tu da casa sua. >>. Lei, sempre più sicura di sè e delle sue doti da modella, mi rispose: << Ryan si riferiva a te. >>. Lì, non ci vidi più; cominciai ad offendere sia lei, sia McCarthy. << Non capisci che non ti vuole? Non gli piaci, capiscilo una buona volta! >>
 << Sei tu che non capisci. Ti dimostrerò di piacergli. Torniamo a casa sua, ti farò vedere che ti sbagli. >>
 << Vedremo chi delle due sbaglia. >>
 Così detto, tornammo a casa di Ryan. Se Chiara non avesse deciso anche per me, le avrei comunque detto di tornarci; avremmo assolutamente dovuto ottenere ciò che volevamo. Solo lui avrebbe potuto aiutarci ad ingannare i genitori di Chiara. Notai che la strada verso la "residenza McCarthy" era piuttosto trafficata, ma non mi chiesi il motivo. Non lo ritenevo importante, e così fu. Bussammo di nuovo alla porta. Ryan ci aprì dopo qualche secondo, e fu sorpreso ed irritato di vederci di nuovo sulla soglia di casa sua.
 << Ve l'ho già detto, non vi aiuterò. >>
 << Ma noi potremmo darti, in cambio del tuo aiuto, s'intende, ciò che vuoi. >> a quel punto mi venne in mente di venirgli incontro. Aveva detto di non aiutare mai nessuno se non in cambio di qualcosa, così giocai bene le mie carte. Chiara si era bloccata, cosa che le succedeva praticamente ogni volta che incrociavamo McCarthy. Almeno non mi avrebbe creato problemi.
 << Ma cosa potrei volere? Ho già tutto. Non mi serve niente. >>
 << Sul serio? Io non credo che tu abbia tutto ciò che desideri. >>
 << Già. Ora che ci penso, mi manca una fidanzata. >>
A quel punto, Chiara rinvenne. Confermò a Ryan la sua disponibilità. Lui, con il suo solito fare sprezzante, si passò la mano fra i capelli e alzò il sopracciglio sinistro. Chaira, ovviamente, si accorse di niente. Secondo me volle accorgersi di niente.
 << Non voglio te. >> disse.
Lei gli si avvicinò e gli prese la mano; lui, disgustato, forse, si scostò. Fu una scena esilarante. Chiara, allora, gli chiese chi volesse al suo fianco; di tutta risposta, McCarthy si girò nella mia direzione e mi fece l'occhiolino. Io, che fino ad allora ero rimasta a guardare ed avevo aperto bocca pochissimo, gridai: << Che?! Neanche morta! >>
<< Ed allora potete scordarvi i miei soldi. >>
<< Okay, okay. Se è questo che vuoi, allora accetterò. Ma solo finchè ci servirai; dopo, ti rispedirò da dove sei venuto. Chiaro? >>
<< Eh? >> Chiara si girò verso di me. Non aveva mai brillato per la sua svegliezza, nonostante si sentisse la figlia di Einstein.
<< Ma non tu, parlavo con McCar... Con Ryan. >>
<< Ooh, capisco. >>
<< Comunque sia, ho afferrato il concetto. Mi farò bastare questo tempo. >>
<< Goditelo, perchè poi tornerò ad odiarti come ho sempre fatto. >>
<< Okay, calmina. Allora, Ari bella, passerai dei mesi formidabili accanto a Ryan "Fusto" McCarthy! >> mise in evidenza i suoi patetici muscoli. Ne avevo più io.
<< Euh! Che schifo! >>
<< Ricordi i patti? >>
<< Sì, certo, ma non prevedevano l'aumentare il tuo ego spropositato. >>
<< Questo lo vedremo. L'assegno è ancora in tasca mia. >>
Iniziò il periodo più brutto della mia vita. Una volta che Chiara si rese conto del nostro fidenzamento, mi diede contro per averle "rubato il fidanzato". Io provai a spiegarle la situazione, ma lei non volle sentire ragioni. D'altra parte, l'avevo detto che non era sveglia. I giorni passarono inesorabili, ed ormai praticamente tutti allo Starbucks (clienti, commessi, persino il mendicante appostato fuori) si erano accorti della nostra relazione. Ryan non faceva altro che farmi l'occhiolino, passarmi vicino ogni volta che poteva, cercare di mostrarsi più figo di quanto non fosse in realtà ai miei occhi. Fare il cascamorto gli riusciva davvero bene.
 Intanto, Chiara non parlava più con me dal giorno del nostro fidanzamento, e così mi abituai presto ad una situazione di disagio. La mia migliore amica, la stessa per la quale avevo lasciato tutto e mi ero trasferita in un altro continente quasi senza battere ciglio, ora non mi degnava neanche di uno sguardo, e il ragazzo più sgradevole che avessi mai conosciuto ora era il mio fidanzato.
 Tutti sapevano quanto avessi ragione su McCarthy; era famoso a New York proprio per il suo ego e per il suo caratteraccio.  
Mi disse che il sabato successivo saremmo entrati in azione. Aspettai quel giorno con ansia sempre crescente.
  
 

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Capitolo 6
*** Castelli di carte ***


Capitolo 6.
Castelli di carte

Venerdì

Mancava un solo giorno. Ventiquattro ore mi separavano dalla libertà. Davvero non vedevo l'ora di rompere con Ryan, quel fidanzamento forzato avrebbe dovuto terminare il prima possibile, perciò sperai che in qualche oscuro modo, portassimo a termine la nostra "missione" il sabato stesso. Ma più ci pensavo, più mi illudevo di qualcosa di irrealizabile. Facendo due conti, era alquanto improbabile che i genitori la dessero inconsapevolmente vinta alla loro figlia. Già da alcune settimane temevo che i signori Valente fossero sbarcati a New York solo ed esclusivamente per stanarla. E la mia ansia cresceva in modo esponziale.
Quando Chiara non parlava per un po' di tempo, sembrava ancora meno sveglia. Molti, pensai, quando tacciono assumono un'aria intellettuale o, perlomeno, misteriosa, sensibile o che ne sappia. Ma lei, invece, non faceva altro che sembrare incantata. Non saprei, la mia simpatia per Chiara stava pian piano cominciando a... Svanire. Nonostante non lo volessi.
Cercai ancora una volta di far pace. Le avevo provate tutte, tranne una. Mio malincuore, avrei dovuto prendermi la colpa di tutto: il fidanzamento, l'arrivo dei genitori, il disinteresse di Ryan verso la sua persona.
 << Chiara, dovrei dirti una cosa... >> come se non fosse stato prevedibilissimo, non mi degnò di uno sguardo.
 << ... >>
 << Mi dispiace per Ryan. In effetti, io provo... >> in quel momento, nella mia testa giravano parole come "ribrezzo", "disgusto", "niente", "antipatia" o "odio", ma mi limitai a dirle quanto mi piacesse.
 << ... >>
 << ... Una certa attrazione per lui. Scusami, non avrei voluto accettare la sua proposta, ma pareva essere l'unica alternativa per mandare via i tuoi da qui. Dimmi, come avremmo fatto altrimenti? >>
 << Mmm. >> beh, se non altro stavo facendo progressi. Stava guarendo dal mutismo.
 << Davvero, mi dispiace. Guarda il lato positivo: domani scioglieremo il nostro fidanzamento, e Ryan sarà di nuovo libero. Vedrò di mettere una buona parola per te, che ne dici? >>
 Di tutta risposta, sbuffò, si alzò e sparì dal soggiorno. Ecco, era ufficiale: con quel tentativo aveva davvero giocato tutte le mie carte. Il sabato mattina, verso le dieci, avremmo dovuto incontrare Ryan per mettere in atto il nostro piano. Inutile dire quanto mi sentissi depressa in quei giorni. Insomma, la mia migliore amica non esisteva più, dire di essere fidanzata con Ryan McCarthy non rappresentava certo un onore, avevo lasciato la scuola senza pensarci tre volte, non avevo ancora sentito i miei genitori che, appena scoperta la mia fuga, mi avrebbero linciato. Così la seguì sino in camera, dove la vidi seduta sul materasso. Mi avvicinai a lei e cercai un ultimo, disperato tentativo di farmi perdonare; "Per cosa, poi?" mi dissi.
 << Chiara, mettiti nei miei panni, cosa avrei dovuto fare? Te lo ripeto ancora: lo sto facendo per te, in modo da mandar via i tuoi! Sai che ti ucciderebbero se ti trovassero qui, no? Buon  Dio, capiscimi una buona volta! >> cominciavo ad averne le tasche piene di quella storia.
 << Già. >> bene, altri progressi. Stava gradualmente passando dal mutismo, alle risposte a bocca chiusa, ai monosillabi. Continuando a supplicarla, umiliandomi fino a non avere più aria nei polmoni, forse mi avrebbe "perdonato". La lasciai ed uscì per fare quattro passi. Il venerdì avevo il turno di pomeriggio allo Starbucks, così avrei potuto pensare ad altri modi per tornare a parlare con Chiara. Non mi venne in mente niente. Mentre ero assorta nei miei pensieri, sentì qualcuno che pronunciava il mio nome. Alzai lo sguardo: una signora non molto alta ora mi stava guardando per accertarmi che fossi davvero io.
 << Arianna Baroni, la fidanzata del rampollo, Ryan McCarthy! Sai di essere su tutti i giornali scandalistici? Guarda, ho qui una copia dell'American Gossip! >> e mi mostrò il giornale. In effetti, notai con mio dispiacere di essere stata fotografata mano nella mano con Ryan. Non potevo crederci. Non poteva essere vero. Ma la foto era lì, sulla copertina di uno dei giornali scandalistici più importanti di tutta la Grande Mela, con tanto di articolo correlato su di noi. Intanto le amiche della signora mi avevano accerchiato. Notai che anche loro avevano un giornale di quel genere, ma con una testata diversa. Ogni donna del gruppo possedeva ora un giornale diverso con la mia foto. Una di loro me lo porse, notai il titolo di copertina e la notizia: "New York Gossip 2.0" e "Chi è la ragazza misteriosa del rampollo della casata McCarthy? I dettagli all'interno.", ed un altro con un titolo differente: "NYC Stars", con scritto "Arianna Baroni, la futura signora McCarthy. Scoprite i dettagli, solo un dollaro e venti.". Sul serio, ero disgustata. Neanche una settimana di fidanzamento e già avevo i paparazzi alle costole. Forse Ryan era più importante di quanto pensassi. Ma come avevano osato scrivere di me come la signora McCarthy?!
Una folla di curiosi si era pian piano avvicnata a me, stavo sostenendo una specie di intervista clandestina. Ma i Newyorkesi non avevano di meglio da fare?!
Riuacì a disfarmi di quei nullafacenti solo dopo un'ora e qualche minuto. Esasperata, tornai a casa per predere alcune cose e correre al lavoro. Non ne parlai con Chiara, al fine di evitare scenate di gelosia per il successo che avrebbe dovuto ottenere lei al posto mio. Arrivata al lavoro, Ryan mi aspettava sulla soglia.
 << E così ora sei famosa, eh? >>
 << Lascia stare, è orribile. Capisci, non ho mai sognato di diventare famosa! >>
 << Davvero? >>
 << Davvero. Sono sempre stata nell'ombra, ed ora per colpa tua mi ritrovo sui tre quarti dei giornali scandalistici americani! >>
 << Eh beh, essere ricchi e famosi fa schifo... >>
 << Non prendermi in giro. Non sai quanto è bello guadagnarsi con le proprie capacità del denaro e poter andare in bagno senza il rischio che qualcuno possa farti una foto. >>
 << Immagino... >> ecco, la solita schifezza-McCarthy.
Dopo il turno di lavoro, tornai a casa e sparì nella camera da letto, sperando che, addormentandomi, tutto svanisse e fosse solo un sogno.

Sabato

Il giorno era arrivato. Nonostante prima fossi sicura che il piano sarebbe riuscito, ora tutte le mie idee cominciavano a crollarmi addosso come un castello di carte.
Io e Chiara ci ritrovammo a discutere anche quella mattina, Non sarebbe venuta con me da Ryan, e questo non faceva altro che farmi capire quanto fosse egoista.
Mi preparai e da sola raggiunsi la residenza McCarthy. Ovviamente Ryan non potè proprio fare a meno di baciarmi. Non lo sopportavo minimamente. Mi fece accomodare nel suo salotto e mi accorsi che dall'ultima volta in cui avevo visto casa sua, tre settimane prima, qualcosa era cambiato: aveva aggiunto due poltrone di pelle nera, aveva cambiato il divano e posto una pianta a chioma circolare vicino alla TV. Nonostante mi stesse antipatico, aveva un buon gusto nell'arredare. Davanti al divano su cui ero seduta c'erano alcune carte di credito, dei fogli con appunti vicino ad una cartella marrone, un posaceneri ed una stilografica sopra ad un blocco per gli assegni. Si sedette vicino a me.
 << Allora, ho preparato tutto. Come vedi, ho buttato giù qualche lettera da spedire ai Valente. Fingerò di essere un importante uomo d'affari italiano che li vuole per un grosso investimento. Chiederò la loro presenza a Roma ed un appuntamento in un luogo preciso. Intanto, un mio amico sarà lì e fingerà di essere l'uomo d'affari. Il bello viene qui. Gli faremo una proposta tale da essere impossibile da accettare: molto conveniente per noi, terribilmente sconveniente per loro, in modo che si sentano costretti a rifiutare. Che ne pensi? Tutta farina del mio sacco, Ari bella. >>
 <>
 << Va bene, mi hai convinto. >> e mi baciò di nuovo.
 << Ma insomma, perchè oggi sei così morboso? Non dirmi che ne stai approfittando perchè da domani fingeremo di non esserci mai conosciuti... >>
 << Eh, è proprio così. >>
 << Dai, infine erano i patti. >>
 << Lo so, ed è questa la parte più brutta. Non farmi domande. >> si depresse un po' dopo quelle parole. E, in fondo, non potei negare di avere avuto la sua stessa reazione.
Comunque sia, dopo un quarto d'ora di modifiche al piano, prese il telefono. Il suo amico aveva degli impegni, e così non avrebbe potuto fingere di essere l'uomo d'affari via webcam. Sollevò la cornetta del telefono e premette alcuni tasti che, secondo me, avrebbero dovuto rappresentare una sequenza da comporre prima del numero per far sì che il numero chiamante non fosse l'originale, ma un falso. Certi trucchetti potevano solo essere una sua idea. Il colloquio andò a buon fine. Fissarono un appuntamento di lavoro una settimana dopo la chiamata, il che significava che avrei dovuto rimanere insieme a Ryan ancora per sette giorni. "Che pizza...", pensai. Il mio incubo non era ancora finito. Mi chiesi per quanto ancora sarebbe andata avanti quella storia.
L'appuntamento si sarebbe tenuto a Roma, in via Carlo Alberto, in uno dei tanti appartamenti in giro per il mondo di Ryan. Avevo il forte presentimento che davvero tutto fosse un immenso castello di carte.

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