Non siamo mai stati così lontani di letyourcolors_burst (/viewuser.php?uid=370403)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Niente è prevedibile ***
Capitolo 2: *** Niente è prevedibile (2) ***
Capitolo 3: *** La Grande Mela | Prologo ***
Capitolo 4: *** La Grande Mela ***
Capitolo 5: *** Una situazione troppo imprevista. ***
Capitolo 6: *** Castelli di carte ***
Capitolo 1 *** Niente è prevedibile ***
Capitolo 1.
Niente è prevedibile.
La solita scuola mi avrebbe accolta tre quarti d'ora dopo il mio
risveglio. La routine mattiniera aveva avvolto e soffocato ogni
studente nella mia classe. Mi svegliai, come ogni mattina, alle 7.30.
Feci colazione, m'infilai sotto la doccia, ficcai dei jeans ed una
maglietta e sparì da casa. Quest'ultima non era una delle
più belle che si potessero desiderare, certo; la mia
famiglia era piuttosto benestante, ma umile come poche. Soprattutto mio
padre, che non aveva mai voluto un Matisse originale per far mostra di
sè, appeso al muro del salone, mentre mia madre aveva le
solite manie. Il Matisse originale l'avrebbe voluto, eccome.
Comunque sia, alle 8.10 mi ritrovai catapultata nella
realtà che ogni adolescente desidererebbe evitare. Sei ore
filate passate ad ascoltare gente parlare dell'unica materia che sapeva
alla perfezione, ora algebra, ora filosofia. I professori di arte,
notai col tempo, erano tutti strani, nessuno escluso. Il nostro, in
particolare, era più strano degli altri. Pretendeva che noi
sapessimo a memoria le cattedrali senza averne mai parlato in classe;
avrebbe dovuto frequentare qualche centro di recupero delle
abilità mentali, a dirla tutta. Ricordo ancora un episodio
accaduto due anni fa, in secondo liceo. Sesta ora, arte, materia
tranquilla. A quanto pareva prima degli eventi. Era l'inizio del'anno,
ed il professore dell'anno prima si era ritirato a miglior vita
(parliamo di pensione, non di morte). Ci informarono, quella stessa
mattina, che il sostituto dell'anno sarebbe stato il professor Barone.
Niente di speciale. Entrò in classe come un "normale"
quarantenne sposato. Prese subito confidenza con noi, ci disse che
eravamo simpatici. Scostò la sedia della cattedra, e
cominciò a piangere, e a raccontarci della sua vita
infelice. Continuò così per tutta l'ora, senza
darci il minimo spazio in cui avremmo potuto esprimere la nostra
opinione riguardo le faccende che lo riguardavano. Ovviamente, a noi
non importava un fico secco dei suoi film mentali, ma erano pur sempre
migliori di un'ora passata ad ammirare la foto della cattedrale di San
Coso.
Come l'anno passato, il mio posto di banco era vicino a
Chiara, la mia migliore amica. L'unica persona in grado di non seccarmi
dopo dieci minuti di conversazione era seduta accanto a me. Inutile
dire quanto ridemmo della sceneggiata patetica di Barone, di cui
neanche i familiari sapevano il nome. Quel giorno, Chiara mi aveva dato
un'impressione diversa dal solito; il suo sorriso era
diverso, come costretto da qualcosa, o da qualcuno. Ma non le dissi
niente, pensando che forse non avrebbe voluto parlarne. Non brillante
per la sua altezza, castana, con occhi verdi, era l'unica con cui mi
fossi veramente divertita. Anche nelle cosiddette giornate "fiacche",
riuscivamo sempre a trovare un argomento per cui valeva la pena ridere.
Il resto della giornata trascorse normalmente. L'indomani, a
scuola, avremmo dovuto consegnare un tema assegnato la settimana prima
come compito a casa. Non starò qui a spiegare la traccia,
non interesserebbe a nessuno. Scostai la sedia, mi sedetti, ed aspettai
Chiara. Arrivò alla solita ora.
<< Sento che sto per scoppiare >>
mi disse. La cosa mi incuriosiva, ma allo stesso tempo, mi preoccupava
leggermente. Continuò, senza darmi il tempo di
rispondere, unica aspetto del carattere che mi dava, seppur
pochissimo, sui nervi. << I miei non capiscono me
nè il fatto che non cambierò mai il mio carattere
solo perchè deve piacere a loro, e non alla sottoscritta,
cosa abbastanza naturale, direi. Abbiamo litigato, ieri sera.
>>
<< Di nuovo? Chiara, litighi con loro ogni
giorno, per qualsiasi cosa. Possibile che nessuno molli la presa, che
non riusciate a trovare un punto d'incontro? E' davvero così
difficile cedere, per una volta? Rischiate di rovinare il rapporto
genitori-figli. >>
<< Sì, fidati. Lo è. Tu
li conosci bene, i miei. Sai che non mollano, devono spuntarla fino
alla fine. >>
<< E per quale motivo avreste litigato?
>> proprio in quel momento entrò Barone, che
per fortuna, vedevamo solo il martedì ed il
mercoledì, un'ora alla volta. Anche perchè
nessuno di noi avrebbe sopportato due ore di fila nelle sue grinfie.
<< Te lo racconto dopo. Se ci sente parlare,
sopratutto ora che siamo in prima fila, ci sbrana. >>
sussurrò. Cominciò la lezione, e dopo venti
minuti di chiese, ci ritrovammo a parlare di sua moglie, e di quanto
fosse brutta la sua vita.
L'ora successiva avremmo avuto la lezione di storia, guidata dalla De
Mauri. Più o meno rientrava nella categoria degli insegnanti
normali.
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Capitolo 2 *** Niente è prevedibile (2) ***
L'ora della De Mauri,
stranamente, passò in un batter d'occhi. La ricreazione
avrebbe segnato il momento in cui sarei venuta a conoscenza del sorriso
diverso dal solito di Chiara. La presi per mano e la costrinsi a
raccontarmi tutto, perchè sapevo che non mi avrebbe messo a
conoscenza di niente se non sotto costrizione.
<< Allora, vuoi deciderti a raccontarmi come
stanno le cose? >>
<< Non la stai facendo un po' troppo tragica?
In fondo abbiamo solo litigato. >>
<< Ti conosco sin troppo bene. Se aveste "solo
litigato" non avresti quella faccia. Vi siete ritrovati nella stessa
situazione decine di volte, conosco la tua faccia da litigata. E non
è questa. >>
<< Okay, okay. Vedi, - cominciò a
parlare - il motivo stavolta è diverso. Sono stanca della
loro sfiducia nei miei confronti, della noncuranza, del sentirmi dire
che nella vita non combinerò nulla di buono. Non ci sono
mai, pretendono anche di sapere qualcosa della mia vita? Non sanno
niente di tutto quello che ho dentro. E mai lo sapranno.
>>
<< Già, stavolta è un po'
peggio delle precedenti. Quando pensi di perdonarli? >>
<< Non ne ho idea. Ho deciso una cosa.
>>
<< Cosa? >>
<< Me ne vado da qui. >>. A
quelle parole sbarrai gli occhi. Non volevo che la mia migliore amica
se ne andasse all'improvviso; nessuna della due era ancora maggiorenne.
Certo, lo saremo state a breve, ma ciò non dava per scontato
che fossimo pronte ad affrontare il mondo. Mi reputavo una persona
abbastanza matura, cosa che non potevo esattamente dire di Chiara. Era
matura, ma non quanto una diciassettenne. Le mancavano un paio di anni,
credevo. Cercai di convincerla a cambiare idea, ma era una delle
persone più determinate che conoscessi; non sarebbe stato
facile farle posare la valigia all'aeroporto. I suoi genitori, poi,
erano persone completamente irragionevoli. Non avevano mai dato troppa
libertà di espressione a Chiara, ed era logico che prima o
poi il suo carattere ribelle avrebbe deciso di scappare da
quell'inferno di vita che si trovava a dover fronteggiare ogni giorno.
Avevo provato, una volta, a far ragionare i suoi, ma con scarsissimi
risultati. Da quel giorno non ci avevo provato più. A quel
punto, a tre minuti dal suono della campana che ci avrebbe riportati in
classe, chiesi a Chiara cosa avesse intenzione di fare una volta
scappata da casa.
<< Cosa?! Non è un po' troppo
avventata come decisione? >>
<<
Per niente. Anzi, vorrei partire dopodomani, ho già i
biglietti. >>
<< Sei proprio sicura di volerlo fare? Insomma,
parliamo di New York, non di Firenze! >>
<< Mmm. >> mi accorsi con
dispiacere che il suo sguardo era diventato malizioso.
<< Aspetta un secondo... I biglietti? Non vorrai mica
dire che mi porterai con te?! >>
<< La tua perspicacia mi è sempre
piaciuta un sacco. Certo, volevo dire proprio quello. Ci stai?
>>
<< Cosa hai bevuto? Sei matta? Mi dispiace
lasciarti, ma non posso mollare tutto così... Mettiti nei
miei panni, cerca di capirmi. Cosa penseranno i miei? >>
<< Io
me ne frego di cosa pensano i miei. E' un problema loro. Ma tu, tu devi
sempre essere la perfetta. Sei sempre la solita, io dovrei mettermi nei
tuoi panni. E tu? Non sai quant'è dura sentire i miei
genitori che mi parlano alle spalle, gli stessi di cui dovrei fidarmi
più di ogni altro e da cui dovrei sentirmi protetta, amata,
rispettata. Ma il mondo non è fatto per i sognatori, l'ho
imparato a mie spese. Il mondo è fatto per gli oppresori e
per gli oppressi, solo per due categorie ben distinte, ossia i
vincitori ed i vinti. >>
<< Non andartene. Pensa ancora un po' alla tua
decisione. >>
<< Ari, no. Ho deciso, e così
sarà. Non mi tiro indietro davanti alle promesse.
>> non parlai più. Feci per andarmene, ma i
sensi di colpa presero il sopravvento su di me. Così, decisi
di partire pur di non abbandonarla a sè stessa. Se le fosse
successo qualcosa, non me lo sarei mai perdonato.
<< ... Verrò con te. >>
<< Sapevo che non mi avresti abbandonata.
Grazie. >>
<< Okay, ora che si fa? >>
<< Per primo, dopo la fine della scuola, ci
vedremo a casa tua, sai, a casa mia non possiamo. Faremo le valigie e
partiremo dopodomani. Potrei dormire a casa tua? >>
<< Certo! Ma i tuoi non verranno a cercarti a
casa mia quando si accorgeranno che sei scappata? Non ci metteranno
molto, credo. >>
<< Non preoccuparti, torneranno tra una
settimana, sono fuori per "lavoro". >>
<< Allora è deciso. Che tutto abbia
inizio! >>
Chiara ed io ci precipitammo a casa mia, dopo la fine delle lezioni.
Preparammo le valigie e discutemmo sui preparativi per il viaggio. La
partenza, due giorni dopo, sarebbe stata attesissima da entrambe, non
vedevamo l'ora di mettere piede sul suolo americano ed incominciare a
vivere come appartenti a quella terra, sogno irragiungibile, a volte,
per migliaia di adolescenti. Anche io sognavo l'America da anni, ormai,
e quello era un sogno che diventava realtà. Ma se lo avessi
saputo, non sarei mai
partita.
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