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Una scia di sangue attraversa Tokio. Criminali, delitti,
killer, una spietata organizzazione e una kxh.
Leggete e commentate, mi raccomando!!!
Il genere “sperimentale” non c’era fra le opzioni…diciamo
che è una fan fic diversa da quelle che scrivo di solito: avete presente il
film “Era mio padre” (Fantastico! Guardatelo se non lo conoscete perché è
veramente favoloso: ve lo dice una che non ha mai amato i film di mafia,
gangster… NdAutrice)?! Ecco la mia storia potrebbe essere anche un’ispirazione
a quel film: mescolerò gangster, amore, efferati omicidi…in una Tokio stile Al
Capone.
Dimenticate i bey perché qui non li troverete: i nostri
amici non sono blader…tutt’altro.
Ripeto che è un esperimento quindi scrivetemi i vostri
commenti e ditemi se volete che la continui.
Bhe, che altro aggiungere?! Buona lettura…
Cap. I°
Prologo
L’uomo alla scrivania sfogliava senza interesse le
scartoffie che aveva davanti al naso. Non era nemmeno tornato a casa: non aveva
senso.
La sua vita era agli sgoccioli: presto sarebbe arrivato
l’Angelo (*)… Avrebbero mandato sicuramente lui, il miglior killer
dell’Organizzazione.
Era stato un pazzo a tradirli, a parlare con la polizia:
immaginava sul serio di scampare alla vendetta di Spyro?
Gettò uno sguardo alla foto sulla scrivania: sua figlia…il
suo solo rimpianto…non voleva che restasse sola, in balia di quei pazzi. Se ne
era occupato per diciotto anni, facendole da padre e madre. Non voleva che
Spyro se la prendesse anche con lei.
Improvvisamente avvertì qualcosa di freddo sulla tempia. La
canna di una pistola.
-Silenzioso come un felino. Proprio come ti descrivono-
disse alla figura nell’ombra. –Non sono solo leggende, Angelo.
-Odio quel soprannome- ribatté l’altro.
-Angelo della morte…è il tuo lavoro: donare il sonno eterno.
-Ciò non toglie che io non lo sopporti.- Si udì il rumore
del caricatore.
-Solo una richiesta: risparmia mia figlia…lei non sa niente
di questa storia…
-Non sono io a decidere, lo sai. Io eseguo soltanto.
Uno sparo.
L’uomo si accasciò sul tavolo con un foro fumante; pezzi di
cranio e di cervello si sparpagliarono sul tavolo, mentre il sangue tingeva di
rosso le carte.
(*) Citazione dal film “Era mio padre”.
Ringrazio tutti i miei
appassionati lettori…
Lenn
BenHuznestova
Iria
Padme86
Eagle Fire
Vampirosolitario91
Nissa
Medea90
…e tutti quelli che leggono
anche senza commentare!
Il
tenente Takao Kinomiya osservò con aria stanca la scena del delitto: l’ennesima
che visitava in pochi mesi. Il solito corpo, la solita arma, il solito
omicidio. E un nuovo testimone messo a tacere.
L’Organizzazione
non aveva perso tempo e l’Angelo aveva agito indisturbato, come sempre.
L’Angelo
della morte…fino a qualche anno prima nessuno lo conosceva. Ed ora era il
killer ufficiale dell’Organizzazione.
Non
si sapeva nulla di lui: non una traccia, un nome, un indiziato, un sospetto…
Si
sapeva solo che donava la morte con la stessa semplicità con cui si regalavano
caramelle a un bambino. Arrivava, agiva e se ne andava. Il tutto nel silenzio e
nelle tenebre, quasi fosse un’ombra o un demone protetto da chissà quali forze
maligne.
Nel
suo campo lo si poteva definire un artista. Il migliore: infallibile, letale e
soprattutto anonimo.
A
suo nome risultavano almeno una ventina di omicidi…tutte persone che avevano
pensato di esser più furbe di Spyro: ora facevano compagnia a Satana.
Salutò
gli uomini della scientifica, lasciando poi il grattacielo. Tirò fuori il
cellulare, disperso in una tasca della sua giacca e compose un numero. Una voce
spigliata e giovanile gli rispose all’altro capo.
-Centrale
di Tokio. Sezione omicidi.
-Max,
sono io. Dovresti convocare una persona.
-Dammi
il nome.
Il
tenente esplorò le tasche alla ricerca del taccuino: dove l’aveva cacciato,
maledizione?
-Sì,
ecco…Hilary Tachibana…
Jack
Spyro tirò una lunga boccata dal suo sigaro, scomparendo dietro una nuvola di
fumo che gli impedì per alcuni secondi di vedere il suo interlocutore.
-Vieni
sotto la luce, Angelo.
-Sai
che preferisco l’oscurità- replicò, storcendo il naso all’udire quel nome.
-Come
preferisci. Hai fatto un ottimo lavoro: come sempre.
-La
mia ricompensa.
-Naturalmente.
Non me ne ero dimenticato- continuò Spyro, estraendo un cd dalla sua borsa.
–Questo è l’ultimo lavoro di Sosuke: sono le informazioni che aveva raccolto
prima che venisse ucciso.
-C’è
il nome del suo assassino?
-Forse.
-Che
risposta è forse? Mi stai prendendo in giro?- Il suo tono si fece furente.
-Calmati,
Angelo: mi dispiacerebbe perdere il mio miglior killer per un motivo stupido
come un eccesso d’ira. Nessuno sa chi abbia ucciso tuo padre: abbiamo solo quei
cd che ti ho consegnato.- Improvvisamente, sorrise al di sopra delle mani
riunite. –Sei forse stufo di lavorare con noi?
-Abbiamo
un patto, no?
-Certamente:
trova l’assassino di Sosuke e sarai libero di lasciare l’Organizzazione.
Non
arrivò una risposta. Solo lo sbattere della porta.
A
quel punto, Jack esibì il suo miglior sorriso da serpente.
-Sei
uno stupido. Non ci lascerai mai vivo.
Hilary
Tachibana, diciotto anni da poco compiuti, nascose il viso nel fazzoletto,
versando tutte le sue lacrime. Seduta nell’ufficio del tenente Kinomiya, aveva
appena ricevuto la notizia dell’omicidio.
Suo
padre, l’uomo più retto e giusto che conoscesse…chi mai poteva desiderare la
sua morte?
La
sera prima, quando non lo aveva visto rientrare, si era un po’ preoccupata. Ma
non avrebbe mai immaginato questo.
-Signorina,
capisco che non è il momento adatto…- tentennò il poliziotto. –Ma avrei alcune
domande da farle.
La
ragazza alzò gli occhi: erano grandi, castani. Molto belli, nonostante le
lacrime. Aveva i capelli bruni, leggermente mossi, trattenuti con un mollettone
a forma di farfalla.
-Mi
dica, tenente- singhiozzò. Il ragazzo che le stava davanti non poteva avere più
di ventidue anni, occhi blu cobalto e capelli neri. In un’altra situazione
l’avrebbe trovato perfino attraente. Ma certamente non ora.
-Lei
era a conoscenza del lavoro di suo padre?
-Si
occupava di finanza…per le industrie Kosura.
-Non
mi riferivo a questo. Suo padre era anche il contabile di una pericolosa
associazione criminale chiamata Organizzazione che fa capo a Jack Spyro, il più
potente boss di Tokio.
La
faccia sconvolta di lei lasciava intuire la sua totale estraneità ai fatti.
-No…non
è possibile…non…
-Mi
dispiace, signorina Tachibana.
-È…è
per questo che lo hanno ucciso?
-Suo
padre aveva deciso di testimoniare contro Spyro e i suoi tirapiedi. Da anni
cerchiamo le prove per incastrarlo, ma i nostri testimoni non sopravvivono fino
al processo.
-Cosa?
-L’Organizzazione
si serve di un killer: l’Angelo della Morte lo definiscono. È come un fantasma:
riesce a entrare ovunque, compiendo il suo lavoro in silenzio e sparendo senza
lasciare tracce. Noi li proteggiamo, li forniamo di scorta…ma niente riesce a
salvarli da quel tipo. È più scaltro di un gatto- continuò il giovane.
–Potrebbe essere in pericolo anche la sua vita.
-La
mia vita? Ma io non so nulla…
-A
Spyro non interessa: non è la prima volta che fa sterminare un’intera famiglia.
Le fornirò degli agenti che la proteggeranno e faremo tutto il possibile per
evitarle un incontro con l’Angelo o chi per esso.
“Un
altro omicidio per mano dell’Angelo della morte…”
La
sua mano cambiò stazione radio. L’Angelo della morte…non ricordava nemmeno chi
fosse stato a dargli quel soprannome: forse qualche giornalista, ma non ne era
certo.
Alcuni
lo credevano un uomo maturo, un demone scappato dall’inferno, un’anima talmente
dannata che nemmeno Satana aveva voluto tenerlo tra le sue fila. E c’era
perfino chi lo considerava solo una leggenda.
In
realtà non era niente di tutto questo: di anni ne aveva diciannove, era un
essere umano e sicuramente era reale. Alla guida della sua Jaguar nera,
svicolava nel traffico pomeridiano di Tokio per raggiungere l’albergo dove
alloggiava.
Nessuno
immaginava che dietro le spoglie di quel ragazzo solitario e silenzioso si
nascondesse il più temuto killer della città, la persona che tutti cercavano.
In apparenza non era che un giovane distaccato dal mondo, con gli occhi
perennemente coperti da un paio di occhiali scuri. In verità quel distacco
faceva parte del suo lavoro: non avrebbe ucciso se si fosse avvicinato troppo
alle sue vittime. Forse perché non voleva fare i conti con ciò che restava
della sua anima.
Parcheggiando
l’auto, si avviò verso la hall dell’hotel. Non badò al fattorino che gli veniva
incontro, fino a che questinon lo
chiamò.
-Signore,
signor Hiwatari…
Lo
dovette ripetere più di una volta prima che l’interessato si voltasse: non era
più abituato a sentir pronunciare il suo vero nome. La gente che frequentava
solitamente si rivolgeva a lui come all’Angelo.
-È
arrivato un messaggio per lei.
-Grazie.
Attese
di arrivare in camera per leggerlo.
LA
LUNA È IN ECLISSI. CHIAMAMI APPENA PUOI.
Sebbene
non fosse firmato, il ragazzo sapeva chi lo mandava.
Ma
cosa voleva ancora? Non gli lasciava neanche un giorno di riposo?
Hilary
si lasciò cadere sul letto, fissando il soffitto: suo padre era un criminale,
qualcuno voleva ucciderla…Non erano cose che si potessero digerire facilmente.
Come
se non bastasse aveva due agenti fuori dalla porta che sorvegliavano ogni
movimento, suo e di chi la circondava: come essere imprigionati in casa
propria.
L’Organizzazione.
Non sapeva nemmeno che cosa fosse…e ora doveva essere protetta dal loro killer.
“Faremo
tutto il possibile…”
Se
veramente l’Angelo era abile come si diceva, il possibile non sarebbe bastato a
fermarlo.
Minou,
la sua gatta, saltò sul materasso facendole le fusa.
-Ehi,
bella. Cosa c’è?- domandò, accarezzandola. –Beata te che non hai problemi…
Perché
suo padre si era messo con quelle persone?
Lui
era il suo mito, il suo eroe…si era occupato di lei dalla nascita, da quando
cioè sua madre era venuta a mancare: in quegli anni l’aveva sostenuta,
incoraggiata, consolata…
Non
avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe trovata a chiedersi chi fosse
veramente.
Il
contabile dell’Organizzazione: come aveva potuto un uomo irreprensibile come
Mizuno Tachibana a finire in quel giro?
Sospirando
guardò fuori dalla finestra: forse l’Angelo era già sulle sue tracce…
Il
ragazzo bruciò il biglietto, sedendosi poi al computer e inserendo il cd:
avrebbe telefonato al mittente del messaggio più tardi, una volta controllate
quelle informazioni.
Scorse
velocemente le pagine stampate dai precedenti file: liste di nomi, di orari, di
appuntamenti, di fatti…
Sosuke
Hiwatari, la miglior spia dell’Organizzazione: era lui a fornire tutte le
informazioni su eventuali tradimenti… Fino al giorno in cui qualcuno era
entrato in casa sua e gli aveva aperto un foro nel torace: un solo proiettile,
dritto al cuore.
“Conosceva
il suo assassino” dicevano i giornali dell’epoca. Ma non erano mai riusciti a
trovarlo.
Quel
compito ora era suo: aveva solo sei anni quando suo padre era morto, ma aveva
comunque giurato di vendicarsi. Jack Spyro lo aveva preso con sé, lo aveva
cresciuto come un figlio, lo aveva mandato nelle migliori scuole.
E
gli aveva insegnato l’arte di uccidere.
A
sedici anni aveva commesso il suo primo omicidio. Da allora era diventato il
killer numero uno di quella banda. Un assassino su ordinazione.
Ma
non vedeva l’ora di ammazzare l’uomo che gli aveva strappato il padre, anche
perché quel giorno avrebbe detto addio a quella vita.
Gettò
rapidamente un’occhiata allo schermo: ma quanti nomi c’erano? Non poteva certo
farli fuori tutti. Come riconoscere l’assassino?
Stava
per arrendersi e gettare tutto, quando una frase, in fondo allo scritto, attirò
la sua attenzione:
“IL
SIGNORE DECRETERÀ IL GIUDIZIO FINALE, MOSTRANDO L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA.”
Cos’era?
Un indovinello?
Che
suo padre sospettasse di essere in pericolo e gli avesse lasciato un indizio?
Ma cosa significava?
Pareva
una profezia di un qualche veggente ubriaco…
-Che
cavolo di aiuto mi hai dato, papà?!- esclamò, appoggiandosi stancamente allo
schienale. Si passò una mano sugli occhi, stropicciandoli, poi scostò una
ciocca di capelli argentei dal viso con un gesto nervoso. Prese il cellulare,
componendo un numero ormai dannatamente noto e aspettando alcuni secondi prima
di premere il tasto d’invio.
-Pronto?-
risposero all’altro capo.
-Sono
io. Ho ricevuto il messaggio.
-Ho
un lavoro per te. Ma è meglio parlarne a quattr’occhi.
-Ti
raggiungo.
Chiudendo
la conversazione, il ragazzo indossò di nuovo gli occhiali scuri e la giacca di
pelle nera, avviandosi verso il parcheggio. Ma il pensiero di quella frase
accompagnava i suoi passi: che ragionamento voleva che facesse suo padre?
Sentiva
che la soluzione era lì, davanti al suo naso, eppure non riusciva ad agguantarla.
Chi era il signore a cui si faceva riferimento? Dubitava un collegamento con la
religione: suo padre non era certo il tipo casa e chiesa.
Ma
allora chi avrebbe decretato il giudizio finale?
Ingranando
la marcia, si immise per la seconda volta nel traffico, certo che, molto
presto, Jack Spyro e i suoi lavoretti non sarebbero stati che un puntino alle
sue spalle.
Il
tono dell’Angelo si avvicinava molto alla collera. In piedi davanti alla
scrivania di Spyro, guardava il suo capo con espressione torva, lanciando
scintille.
-Te
l’ho già detto una volta, oggi: datti una calmata. Negli ultimi tempi perdi le
staffe un po’ troppo facilmente.
-Io
non faccio questi lavori, lo sai! Hai altri assassini per questo: manda loro
come sempre!
-Angelo…siediti
e discutiamone.
-Non
c’è niente da discutere!
-La
polizia sorveglia quella casa come se fosse una banca: è solo per questo che
mando te- continuò Spyro. –Sarà la prima e l’ultima volta.
-Chi
è?- chiese il giovane, restando in piedi.
-Hilary
Tachibana, la figlia di Mizuno.
Un
ricordo colpì improvviso la sua mente:
“Risparmia
mia figlia…” L’ultimo desiderio di quell’uomo. Gli doleva non poterlo esaudire.
-Quando?
-Oh,
hai tutta la settimana per farlo.
-Che
sia davvero l’ultima volta, Jack.
-È
una promessa.
L’Angelo
della morte lasciò l’ufficio, sbattendosi la porta alle spalle con un gesto
rabbioso. Non era il solo killer dell’Organizzazione: lui si occupava dei
traditori…non sterminava le loro famiglie.
Per
questi compiti c’era quell’altro, Ivanov se non ricordava male. Al solo
nominarlo gli correvano dei brividi lungo la schiena: aveva il ghiaccio al
posto dell’anima, sempre che ne avesse mai posseduta una.
Non
lo aveva incontrato spesso, ma ne aveva sentito parlare. Bloody Mary lo chiamavano,
come il cocktail. Questo per via del suo stile: i suoi omicidi non passavano
certo inosservati. Era uno a cui piaceva la spettacolarità e le scene dei suoi
delitti avevano fatto cambiare dipartimento a più di un poliziotto.
Se
gli omicidi dell’Angelo non lasciavano tracce, Ivanov riduceva le stanze a
delle macellerie.
Immerso
nei suoi pensieri si accorse solo a metà corridoio di aver dimenticato la
giacca nell’ufficio e tornò indietro, fermandosi però sulla porta.
C’era
un’altra persona nella stanza.
-Davvero
non capisco cosa aspetti a eliminarlo.
-Perché
ho ancora bisogno di lui.- La voce di Spyro. Ma con chi stava parlando?
-Prima
o poi capirà tutto.
-Quel
giorno, Bloody, l’Angelo della morte sparirà per sempre.
Bloody!
E discutevano di lui!
Che
cosa doveva capire? Si riferivano forse alla morte di suo padre?
-E
sarò io ad occuparmene, vero?
-No,
voglio una cosa pulita, proprio come abbiamo fatto per Sosuke.
“IL
SIGNORE DECRETERÀ IL GIUDIZIO FINALE, MOSTRANDO L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA.”
Jack
Spyro…ecco chi era il signore. E il giudizio finale si collegava alle sue
commissioni: era lui a decidere la vita o la morte dei suoi sottoposti.
E
lui come un cretino si era lasciato manovrare come una marionetta per tredici
anni, convinto che quell’uomo gli dicesse la verità. Si era servito del suo
rancore per convincerlo a lavorare per l’Organizzazione.
L’uomo
che lo aveva allevato era anche quello che lo aveva reso orfano.
Aveva
già una mano sulla maniglia e l’altra alla pistola, quando le parole di Mizuno gli
echeggiarono nel cervello:
“Risparmia
mia figlia”.
-In
fondo, ci sono cose peggiori della morte- sussurrò, con un ghigno malvagio
dipinto sul viso.
Hilary
rientrò a casa a sera inoltrata. Aveva trascorso il pomeriggio passeggiando per
la città senza una meta, sperando di riuscire a chiudere in camera i pensieri.
Ma non era facile dimenticare che la propria vita era appesa a un filo.
Cercò
le chiavi in fondo alla borsa, facendole cadere più di una volta prima di
riuscire ad infilarle nella toppa: gli sguardi dei poliziotti la snervavano.
Non la mollavano un solo secondo.
Entrando
nell’abitazione, gettò borsa e cappotto in un angolo, pensando di farsi una
bella doccia che le avrebbe fatto scivolare via di dosso la stanchezza.
I
suoi propositi però svanirono nel nulla nel momento stesso in cui accese la
luce.
Una
figura vestita di nero la aspettava appoggiata al muro. Un ragazzo molto
giovane, dai capelli argento e blu, occhi coperti da un paio di occhiali scuri
e carnagione incredibilmente pallida.
E
una pistola in mano.
-L’Angelo…-
sussurrò.
Minou,
del tutto ignara dell’identità dell’ospite, si strusciava tranquilla lungo le
gambe.
-Non
urlare, o potrei avere una reazione inconsulta e premere il grilletto- disse
con voce gelida.
-Come
hai fatto a…
-Gli
uomini di Kinomiya perdono i colpi: sono passato praticamente sotto i loro
nasi.
-Sei
venuto per uccidermi, vero?
-No.
Hilary
sgranò gli occhi a quella risposta.
-Sono
qui per salvare entrambe le nostre vite, e rovinarne un’altra- proseguì.
-Cosa?
-Non
ho molto tempo per le spiegazioni. Devi fidarti di me.
-Tu
sei pazzo. Nessuno sano di mente si fiderebbe di un assassino- esclamò lei.
-Ma
tu non hai alternative: se ti lasciò qui verrà un altro killer ad ucciderti-
aggiunse senza alcuna emozione. –Un killer molto più spietato e sanguinario di
me.
-Perché
vuoi salvarmi, se non hai bisogno di me?- Non era logico. Non da uno con, sulle
spalle, più di venti omicidi a sangue freddo.
-Perché
tuo padre mi ha chiesto di risparmiarti.
Suo
padre…
Era
una buona motivazione, ma come fidarsi? Chi le assicurava che quel tipo dicesse
la verità? Chi le dava la garanzia che non fosse solo un trucco?
Come
si poteva affidare la propria vita ad un killer professionista?
Forse
c’era un modo…
-Togli
gli occhiali, per favore.
-Come?-
C’era incredulità nella sua voce.
-Togli
gli occhiali.
L’Angelo
era riluttante: che razza di richiesta era? Avevano i minuti contati, Bloody
Mary pronto ad ucciderli…e lei gli chiedeva di togliere gli occhiali?
Non
li levava mai quando era al lavoro: erano il suo giusto distacco dal mondo. Ma
se era l’unico modo per convincere quella ragazzina…
Due
grandi occhi, di un viola intenso, si spalancarono su Hilary: in essi c’era un
rogo, che bruciava urlando vendetta. C’era odio, rabbia, delusione. Ma non vi
era cattiveria, anzi.
Quelle
iridi ametista erano forse la cosa più onesta e sincera che avesse mai visto da
molto tempo a quella parte.
Doveva
fidarsi di lui.
-Va
bene. Dove hai intenzione di andare?
-Per
prima cosa metteremo il maggior numero di chilometri tra noi e Spyro: quando
scoprirà la mia fuga, ci metterà alle costole quel folle di Bloody Mary e io
non voglio certo rendergli le cose facili.
-Preparo
i bagagli.
-Prendi
lo stretto indispensabile- le spiegò, dando un’ultima carezza a Minou. –Hai
qualcuno a cui lasciarla?
Hilary
si bloccò a metà corridoio: erano nei guai fino al collo e lui si preoccupava
del gatto?! L’Angelo era davvero un tipo strano.
-È
indipendente: viene e va quando vuole…se la caverà anche senza di me- rispose.
Non
era ancora certa di aver fatto la scelta giusta, ma sapeva che solo il tempo le
avrebbe dato una risposta.
-Il
signor Hiwatari ha cancellato oggi pomeriggio la sua prenotazione e ha lasciato
l’albergo.
Jack
Spyro tambureggiò la biro sul tavolo con evidente nervosismo. L’Angelo non era
più in albergo: poteva aver deciso di portare a termine il lavoro e aver preso
una camera in un altro hotel…
Eppure
un sesto senso gli suggeriva che non fosse così. Quel ragazzino aveva mangiato
foglia, ramo e tutto l’albero insieme. In quel caso non c’era che una cosa da
fare.
-Millie-
disse alla segretaria. –Mandami qui il nostro caro signor Ivanov.
La
Jaguar nera correva rapida sull’autostrada, lasciandosi l’ombra di Tokio alle
spalle, come un silenzioso fantasma. I sedili di pelle dello stesso colore
davano l’impressione di scivolare in una pozza di tenebra.
Hilary
squadrò il paesaggio che scorreva, come un nastro avvolto velocemente. Era
successo tutto talmente in fretta che solo adesso, a quasi un’ora di distanza,
riusciva a rendersene conto: stava viaggiando con l’Angelo della morte! Le
sembrava ancora così assurdo: si era veramente fidata di lui!
Dopo
un pesante sospiro, si volse verso il giovane alla guida; concentrato sulla
strada non aveva pronunciato mezza parola da quando erano saliti in auto. Se
pensava alle facce che avrebbero fatto i poliziotti, una volta accortisi della
sua fuga: probabilmente al tenente sarebbe scoppiata una vena.
Avevano
camminato davanti a loro come se niente fosse, quasi degli spettri. Nessuno
sospettava che quel ragazzo dall’aria angelica fosse il killer più famoso del
Giappone, per questo passava inosservato.
Inevitabilmente,
tornò a chiedersi come facesse, così giovane, ad essere tanto freddo e glaciale
da fare l’assassino.
-Arriveremo
a Shizuoca tra poco. È questa la nostra prima meta.
La
sua voce la fece spaventare: non si aspettava che le rivolgesse la parola dal
niente.
-Perché
andiamo a Shizuoca?
-Una
parte del capitale di Spyro si trova nella banca della città: diciamo che farò
un prelievo non autorizzato.
-Vuoi
prosciugare il bottino di quell’uomo?!- esclamò, stupita.
-Esatto.
E i soldi andranno dritti al caro tenente Kinomiya: sono certo che saprà cosa
farne.
La
ragazza non replicò: era il piano più assurdo che avesse mai ascoltato. Ma lei
non faceva parte di quel mondo: forse lì era normale una simile azione.
Forse
era meglio cambiare argomento.
-Mi
fa uno strano effetto chiamarti Angelo: forse perché a me non farebbe piacere
essere nota come Angelo della morte…- iniziò, tentennando. –Te l’avranno pur
dato un nome…
-Il
mio vero nome? Sono secoli che non lo uso più.- Alla giovane parve di notare
una leggera malinconia nella sua voce. –Comunque mi chiamo Kei. Kei Hiwatari.
-È
un bel nome. Molto meglio di Angelo- proseguì lei. –Bhe, immagino tu sappia già
il mio: mi chiamo Hilary.
-Suona
molto dolce- commentò, senza staccare gli occhi dalla strada. –Alloggeremo in
albergo, fingendoci una coppia: daremo meno nell’occhio e insieme saremo più al
sicuro.
-Sì…va
bene…- balbettò , arrossendo sempre di più.
Kei
si volse leggermente, accorgendosi del suo imbarazzo, e aggiunse:
-Non
dormiremo insieme, stai tranquilla.
Ma
la sua rassicurazione servì solo ad aumentare il suo rossore, che si estese a
tutto il viso.
-Hilary,
tu sai guidare?- le chiese improvvisamente.
-Sì,
perché?
-Domattina
te lo spiego.
-Io
ti avevo detto di farlo fuori!
-Calmati,
Bloody. Non sei il solo a rischiare: c’è in ballo il futuro dell’intera
Organizzazione- replicò Spyro.
-Abbiamo
almeno idea di dove sia andato?
-No,
per ora non so niente, se non che oggi pomeriggio ha disdetto la prenotazione
in albergo.
-L’Angelo
della morte ha avuto il suo canto del cigno. Ora ha i giorni contati- mormorò
Ivanov con sguardo sadico. –E ho già in mente uno splendido quadro.
Anche
se Jack non l’avrebbe mai ammesso con anima viva, quelle parole sibilate gli
fecero correre dei brividi lungo la schiena.
Ma
quel giovane faceva a tutti lo stesso effetto: iridi color ghiaccio, carnagione
pallida, capelli rosso vivo…e una macabra ossessione verso il sangue e la
morte. Da far accapponare la pelle.
Per
i suoi gusti era fin troppo appariscente.
E
cominciava a darsi troppe arie.
Forse
sarebbe stato il nome subito dopo quello di Kei, nella lista del personale da
eliminare.
-Uau-
disse Hilary, entrando nella camera.
Solo
nei film aveva visto posti così lussuosi. Le pareti color rosa antico erano
intervallate da grandi vetrate, da cui si ammirava la città di notte. Nel
salottino c’erano un tavolo con quattro sedie, in legno pregiato e riccamente
decorati da intarsi. Sull’altro lato della stanza, dove si trovava la porta
della camera da letto, un divano di broccato e un tavolinetto di cristallo
facevano bella mostra di sé davanti al camino.
-È
fantastico…- mormorò.
-Lieto
che ti piaccia- rispose l’Angelo, dando la mancia al fattorino che aveva
portato loro i bagagli. Si volse verso di lei, osservandola girare su sé
stessa, in piena ammirazione per tutto ciò che la circondava. –Perché non dai
un’occhiata all’altra stanza?
Hilary
non se lo fece certo ripetere: era assolutamente stupenda. Tutto era splendido…
-Mi
sembra incredibile.
Il
ragazzo la raggiunse, lasciandole sul pavimento la valigia e augurandole:
-Buonanotte,
Hilary.- Stava per andarsene, quando lei lo fermò.
-Grazie,
Kei. Per tutto.
-Aspetta
a ringraziarmi: forse un giorno non considererai un favore il mio gesto.
-Mi
hai salvato la vita…
-Ho
fatto anche i miei interessi, credimi. Riposa, ora.
-Sì,
signore- balbettarono i due uomini. –Ci siamo accorti solo stamattina che la
signorina era scomparsa.
-Non
c’è traccia di lei, signore.
-Maledizione.
Questa non ci voleva proprio. Max!
-Sì?
-Chiama
la scientifica. Forse in quella casa troviamo qualche indizio.
Takao
si fermò a riflettere sulla situazione: da quando Spyro faceva rapire i
sospetti? Non era nel suo stile. A meno che non fosse opera sua.
Ma
chi altro poteva avere interesse a prendere Hilary?
Il
giorno dopo, quando Hilary si svegliò, i raggi del sole illuminavano la stanza
attraverso le tende tirate. Nell’aria c’era odore di olio e di metallo, come in
un’officina.
Si
alzò, recandosi nel salotto.
Kei
era seduto su un sedia, con il giornale aperto sul tavolo e le varie parti di
un’arma davanti a lui.
Le
stava pulendo metodicamente, servendosi di stracci, scovolini e bottigliette
piene di sostanze diverse. La pistola era appoggiata in parte.
-Buongiorno-
disse.
-Buongiorno,
Kei.
-Hilary,
siediti, per favore. Ti devo parlare.
La
giovane ubbidì, sicura che volesse spiegargli quella strana domanda della sera
prima.
-Non
posso portare a termine il mio piano da solo, quindi mi devi aiutare. O
moriremo entrambi in un battito di ciglia- continuò. –C’è solo una cosa che
conta per Spyro: il denaro. Parla tanto di fedeltà, di onore, ma ciò che conta
veramente per lui sono i soldi.
Hilary
annuì, seguendo il suo discorso.
-Voglio
fargliela pagare in tutti i modi, minare le sue sicurezze. E comincerò con i
soldi.
-E
cosa dovrei fare io?
-Tu
guiderai l’auto e mi aspetterai fuori dalla banca.
La
brunetta sgranò gli occhi: avrebbe fatto l’autista del rapinatore?
-Quando
uscirò tu dovrai correre, o la polizia ci catturerà affiancandoci. E la polizia
di mezzo stato è controllata da Jack- proseguì. –Allora, mi aiuterai?
Hilary
sospirò.
-Ti
devo la vita, Kei. D’accordo, quando cominciamo?
-Brava,
ragazza.
Quella
stessa mattina, Kei, con il vestito scuro, gli occhiali neri e il cappotto, si
avvicinò all’entrata di una banca. Con i suoi modi educati e una borsa di pelle
nera nella mano destra, sembrava assolutamente rispettabile.
La
giovane rimase in attesa in un parcheggio in fondo alla strada, con il motore
acceso. L’Angelo le fece un cenno con il capo, lei, dietro il volante, deglutì
e ricambiò il cenno.
L’atrio
di marmo, con il soffitto alto, era piuttosto affollato: c’erano diversi uomini
e donne in piedi di fronte allo sportello, in coda uno dietro l’altro.
Si
avvicinò agli sportelli dei casseri dirigendosi verso uno chiuso e, attraverso
la grata, disse:
-Mi
scusi, sto cercando il signor Onoco.
Un
ometto intimidito in maniche di camicia, con gli occhiali e il farfallino, chiese:
-Ha
un appuntamento, signore?
-No.
-Bhe,
allora dovrà mettersi d’accordo con la segretaria e fissare un incontro.
-Mi
dispiace, ma vengo per conto di uno dei maggiori clienti della banca, un uomo
d’affari.
Il
banchiere ricominciò a parlare, ma le parole gli si bloccarono in gola quando
osservò Kei con più attenzione.
Gli
fece strada, aprì una porta e si recò dal direttore, lasciando il ragazzo ad
attendere.
-Signor
Onoco! Signor Onoco!- esclamò.
-Che
succede?
-Un uomo di Spyro chiede di vederla!
-Cosa?!-
Il direttore iniziò a sudare freddo. Che cosa voleva quell’uomo da lui? –Fallo
entrare.
Kei
entrò nell’ufficio con passo elegante, quasi avesse tutto il tempo del mondo.
-Sono
qui per il denaro del capo.
-Bene,
è una piacevole sorpresa. Non mi aspettavo un deposito…
-Veramente,-
disse l’Angelo, aprendo la borsa –sono qui per un prelievo.
La
pistola comparve nella sua mano e il sorriso svanì dalla faccia di Onoco.
Kei
gli ordinò di mettere le mani sulla scrivania e di ascoltare con attenzione.
-Voglio
solo i soldi sporchi, quello che non è nei registri. Apra la cassaforte.
Il
banchiere, terrorizzato, si voltò verso la cassaforte e compose la
combinazione. Dovette fare diversi tentativi, perché la tensione gli rendeva
difficile qualsiasi pensiero, ma alla fine riuscì a tirar fuori la cassetta di
sicurezza, la pose sulla scrivania e la aprì: conteneva un mucchio di denaro,
insieme ad alcuni documenti compromettenti.
Mentre
l’uomo era all’opera, Kei disse:
-E
se leggerò sui giornali che i risparmi dei poveri contribuenti sono stati
rubati da un ladro senza cuore…mi arrabbierò molto.
L’uomo
ammucchiò le mazzette di denaro nella borsa e mormorò:
-Lei
è pazzo. Scopriranno chi è…
-Io
sono l’Angelo.
Il
banchiere sembrava più sorpreso che spaventato.
-La
uccideranno. Sono spietati.
-Non
parlare- lo interruppe. Lasciò fuori solo due mazzette, che consegnò al
banchiere. –Li tenga per il disturbo che le ho causato. Dica a Spyro che li ho
presi io.
-Davvero
crede che non dirò nulla?
-Bisogna
fidarsi di un direttore di banca.
Nel
giro di un minuto, Kei, con la borsa in una mano e la pistola, nascosta nella
tasca del cappotto, nell’altra, era fuori dalla banca e camminava lungo il
marciapiede. Dopo pochi secondi la Jaguar accostò lentamente.
Attraverso
il finestrino della vettura, lanciò un’occhiata ad Hilary, che sedeva al
volante preoccupata.
-Niente
fretta- la rassicurò. Salì sull’auto e si allontanarono.
Nel
corso delle due settimane successive, Hilary e Kei fecero visita a quattro
banche, ed erano solo all’inizio.
-Perché
lasciamo passare così tanti giorni tra un furto e l’altro?- chiese la giovane.
-Perché
così rendiamo loro la vita più difficile. Non sanno mai dove colpiremo la volta
dopo.
Viaggiavano
molto, ma a una banca di Fukui ne seguiva una a Matsusaka, ad un colpo a
Hamamatsu uno a Maebashi e poi a Fukushima.
Di
sicuro potevano permettersi il carburante.
Lo
scomparto ricavato sotto i sedili era pieno di pacchetti di banconote,
racchiusi in involucri di banche diverse.
-Perché
la polizia non ci insegue?
Kei
le spiegò che lo schema era sempre lo stesso: si presentava gentilmente, come
rappresentante di Jack Spyro, tirava fuori la pistola nell’ufficio del
direttore della banca, raccoglieva i soldi, lasciava una pare dei profitti al
banchiere e se ne andava.
Ma
Spyro ne aveva abbastanza di quei prelievi. Anche perché sospettava che
l’Angelo non si sarebbe limitato a quelli.
La
borsa con le armi pesava circa dieci chili, ma l’uomo esile che la trasportava,
pallido, di una bellezza fanciullesca e algida, di soli ventidue anni,
procedeva spedito lungo il vialetto di casa, come se il peso che si stava
trascinando dietro fosse leggero come una piuma.
Entrò
proprio quando il telefono iniziò a suonare. Senza affannarsi, appoggiò la
borsa e raggiunse il soggiorno dell’appartamento. Lasciandosi cadere sul divano
vicino al telefono, rispose:
-Yuri
Ivanov.
-Devi
fermarlo! A tutti i costi!- esclamò la voce all’altro capo del filo.
-D’accordo,
capo.
-E
non lasciare prove sulla scena del delitto! Per una volta non fare il
macellaio.
-Ci
proverò- replicò Bloody Mary senza troppa convinzione.
Si salutarono e il killer riagganciò, pensando che sarebbe
stato perfetto. La scenografia dell’omicidio si andava delineando nella sua
mente. L’Angelo della morte era proprio ciò che mancava alla sua collezione di
morti.
Era
inquietante come l’aspetto dei cadaveri lo avesse sempre affascinato. Era
qualcosa che lo faceva sentire vivo. Fin da bambino aveva questa ossessione.
Un
ossessione che non poteva che defluire in quel lavoro. Lui non donava la morte.
La infliggeva, ne faceva il suo capolavoro. Un’opera d’arte, la considerava
lui.
Il
momento in cui un uomo raggiungeva l’apice della bellezza.
E
Kei sarebbe stata la sua opera massima. L’apoteosi.
Ma fu il destino a farla da padrone.
Perché
fu proprio un caso a fare in modo che i due killer più importanti
dell’Organizzazione si incontrassero faccia a faccia.
La
Jaguar si fermò nel parcheggio di un ristorante e Kei si voltò verso Hilary,
seduta al suo fianco.
-Vado
a prendere qualcosa da mangiare.
Vedendo
lo sguardo angosciato di lei, le lasciò sul sedile un revolver a canna corta.
-Ci
sono sei colpi. Stai tranquilla, ok?
Uscì,
lasciando la ragazza ai suoi pensieri. Il ristorante, arredato con mobili
gialli e blu, era ben illuminato, ma nonostante fosse ora di cena non c’era
molta gente. Si avvicinò alla cameriera e ordinò un a cena a portar via.
Stava
aspettando da circa cinque minuti, quando il campanello alla porta tintinnò ed
entrò un poliziotto, un uomo sulla quarantina. Era un agente locale, uno di
quelli agli stadi bassi non ancora corrotti dalla politica sporca di Spyro.
Stava
scendendo la sera e questo bastava ad innervosire l’Angelo. Ma ciò che lo fece
trasalire, furono i fari anteriori del veicolo che stava entrando nel
parcheggio. Un’auto che conosceva bene. La Ferrari rosso fiammante parcheggiò a
poca distanza dalla Jaguar nera. Ne scese un ragazzo dai capelli dello stesso
colore della vettura, vestito di nero.
Quando
entrò, i suoi occhi azzurri incontrarono subito quelli viola dell’altro. Ma
aveva visto il poliziotto: gli lanciò un’occhiata meno indifferente di quel che
voleva apparire.
Ordinò
un caffè e distolse lo sguardo dal suo obbiettivo. Spyro gli aveva ordinato la
discrezione e sapeva che disubbidire significava essere già morto. Non ci
teneva a lasciarci la pelle per colpa di quel pallone gonfiato.
Ma
Kei non era certo intenzionato a farsi catturare così facilmente. Doveva
ammettere che la presenza di Bloody Mary lo aveva sorpreso non poco. Una
coincidenza, certo, ma una coincidenza pericolosa.
-Mi
scusi, signora. Dov’è il bagno?
Attese
la risposta, poi si avviò verso la toilette.
Dal
suo posto Yuri Ivanov si guardò intorno. Il poliziotto stava andando via.
Il
giovane infilò la mano nella tasca della giacca e afferrò la pistola. Sentì
un’auto che veniva messa in moto e si allontanava.
Bene.
Adesso che se ne era andato, Ivanov non aveva alcun problema con quelli che
erano rimasti: un vecchio di tremila anni, la cameriera e il cuoco. Il
pavimento luccicante, schizzato di sangue e cosparso di cadaveri…che immagine
sublime!
Il
campanello della porta trillò di nuovo. Okay, un altro cliente, un altro
elemento nella composizione. Ma era di nuovo lo sbirro!
Yuri
si precipitò fuori dal ristorante. La Jaguar se ne era andata, riusciva a
sentirla mentre si allontanava sulla strada a tutto gas.
Corse
verso la sua auto, ma Kei gli aveva fatto un simpatico regalo: tutte e quattro
le ruote a terra.
-Dannazione!
Incurante
della presenza del poliziotto, Ivanov corse in mezzo alla strada, vide le luci
posteriori dell’auto dell’Angelo che si allontanavano e, lentamente, prese la
mira con il revolver.
Nella
Jaguar, Kei gridò ad Hilary:
-Stai
giù!
Il
lunotto posteriore esplose, seguito da quello anteriore. I due ragazzi non si
fecero male, ma i vetri erano sparsi su tutta la vettura.
Dietro
di loro, compiaciuto di aver udito il rumore del vetro che si rompeva, Ivanov
sparò di nuovo, ma questa volta senza successo.
Il
poliziotto uscì di corsa, con una mano alla fondina che teneva di fianco.
-Hey,
che cosa pensi di fare?
Lui
si voltò e sparò. Due volte. Con la stessa freddezza con cui si può bere un
bicchiere d’acqua. Il sangue continuava a scorrere.
Ivanov
sospirò e poi, con l’arma, tornò nel ristorante a finire il suo caffè.
Il
tenente Kinomiya arrivò a casa tardi quella sera. Il caso Tachibana era ancora
al primo posto nei suoi pensieri, sebbene il suo capo gli avesse consigliato di
lasciar perdere e di occuparsi di questioni più urgenti. Ma cosa c’era di più
urgente che fermare Jack Spyro?
Quasi
inciampò nel pacco alla porta. Una pacco piuttosto voluminoso.
Lo
aprì nella cucina, restando a bocca aperta. Conteneva soldi, una montagna di
soldi. E un biglietto:
Kei
guidava rispettando i limiti di velocità, nonostante la faccia sconvolta di
Hilary lo spingesse a cercare al più presto un albergo. Non erano feriti, ma
lei era spaventatissima.
Il
ragazzo era lieto di quella notte buia che gli dava l’opportunità di fuggire senza
intoppi e, quando apparve l’insegna amica di un albergo, si fermò di colpo.
La
aiutò a scendere, per evitare che si tagliasse con i vetri. Ordinò la solita
suite, sebbene fosse meno elegante e lussuoso degli alberghi che frequentava di
solito.
-Hilary,
resta qui, d’accordo?- le disse con fermezza, prendendola per le spalle. –Io
vado a cercare qualcuno che ripari l’auto.
La
brunetta annuì meccanicamente e Kei, seppur con preoccupazione, lasciò la
camera.
Hilary
era terrorizzata, ma viva. Doveva attaccarsi a quello, senza riflettere su ciò
che era accaduto. Erano sopravvissuti ad una sparatoria! Erano quasi dei
supereroi.
Niente
poteva fermarli.
Alzò
lo sguardo e incontrò il mobile bar.
Kei
trovò una stazione di servizio ancora aperta che gli sistemò i lunotti esplosi.
Poi chiese che fosse verniciata di blu. Come diavolo aveva fatto Ivanov a
raggiungerli? Mito non era lontana da Tokio, forse si erano avvicinati troppo
alla base…ma avevano avuto proprio una sfortuna nera. Di tante città, proprio
lì doveva dirigersi quel pazzo. E la sua povera Jaguar ne pagava le
conseguenze.
Per
non parlare di Hilary. Forse aveva sbagliato a coinvolgerla in quel piano, ma
senza di lui sarebbe morta in modo orribile.
Rientrando
in camera, pensò di scusarsi con lei e di cercare un posto sicuro dove
nasconderla. Sì, sarebbe andato avanti da solo.
La
stanza era avvolta dall’oscurità e i suoi riflessi erano all’erta, come sempre.
Ma, malgrado questo, non fu pronto a reagire alle braccia che lo strinsero al
collo e alle labbra che premettero sulle sue in un bacio appassionato.
La
ragazza aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto azzurro cielo della
sua stanza. Si sentiva intontita, come se avesse avuto la testa imbottita di
ovatta.
Barcollando,
tentò di alzarsi, accorgendosi di indossare ancora i vestiti della sera prima.
Ma cos’era successo?
Ricordava
la sparatoria, la fuga…E poi? Poi aveva iniziato a bere, aspettando il ritorno
di Kei. E gli era praticamente saltata addosso! Eppure aveva ancora i vestiti e
lui non era nella stanza. Cos’era accaduto allora? Perché non riusciva a
rammentarlo?
Appoggiandosi
al muro, uscì a tentoni dalla camera.
Avvampò
nel vederlo seduto al tavolo, intento a fare colazione e a leggere il giornale.
Chissà cosa pensava di lei… Si trascinò a testa bassa fino a lui, evitando
accuratamente di guadarlo negli occhi.
-Buongiorno-
la salutò.
-Ciao.
Il
silenzio calò nella stanza. Un silenzio rotto solo dal rumore delle posate e
delle pagine girate. Hilary avrebbe voluto sprofondare: non si era mai sentita
così in imbarazzo come in quel momento.
-Stai
bene?- le domandò, appoggiando il giornale e osservandola. Non c’era derisione
o altro nel suo sguardo. Era il solito Kei con cui viveva da un mese ormai.
-Kei…io…
-Non
preoccuparti per ieri sera- la interruppe, distogliendo lo sguardo. –La tua è
stata una normale reazione causata dall’adrenalina in circolo. Ho visto persone
molto più mature, fare cose molto più stupide nella stessa situazione, credimi.
-Ti
sono saltata addosso come una pazza.
-Non
penso male di te per questo: ti ho chiusa in camera ed è finita lì.
Sembrava
tranquillo, come se non fosse successo niente. La ragazza si calmò leggermente
e trovò il coraggio per rialzare la testa e sorridergli.
-Grazie.
-E
di cosa?- chiese stupito.
-Bhe…avresti
potuto approfittare della situazione…invece non l’hai fatto…
-Ho
molto rispetto per te, Hilary. Sono io ad aver sbagliato: non dovevo obbligarti
a questa vita.
-Siamo
vivi. Cos’altro c’è che conta?
-Hai
rischiato di morire- proseguì lui.
-Non
con te. Non puoi fermare Spyro da solo. E questa è l’ultima volta che ne
parliamo.
Le
labbra dell’Angelo si incurvarono in un raro sorriso: che determinazione in
quella ragazzina pelle e ossa. Una determinazione che sentiva simile alla sua,
sebbene spinta in una diversa direzione.
E,
anche se sarebbe morto piuttosto che ammetterlo, una strana sensazione si era
impadronita di lui da quando lei lo aveva baciato.
A
Tokio, nella villa di Jack Spyro, l’uomo parlava al telefono con Yuri Ivanov,
che gli stava dando le ultime brutte notizie.
La
rabbia esplose.
-Quanto
ho perso? Quanto?
-Tutto
ciò che avevi depositato presso di loro.
Bloody
Mary continuò, dicendo che l’Angelo aveva rivelato il suo nome al banchiere e
che presto sarebbero stati rovinati.
-Allora,
rispondi a questa domanda.
-Certamente.
-Cosa
ti pago a fare?- urlò, furioso.
-Mi
dispiace, Jack, ma non è così facile come pensavamo.
-Sbrigati,
o sarà la tua testa che vorrò!
Nelle
settimane seguenti, Kei riempì la borsa nera nelle banche di Nagoya, di
Takaoka, di Yamaguki, di Miyakonojō e di Tottori. Non sparò un colpo e le
rapine divennero quasi un’abitudine. Durante il viaggio, leggeva i giornali con
grande attenzione, cercando anche il minimo riferimento alle loro rapine, ma
non trovava mai nulla e ne era felice. Ogni tanto spediva dei pacchi a Tokio,
al tenente Kinomiya, con l’avvertimento di non fidarsi di nessuno. Il capo
della polizia della città era sul libro contabile di Spyro. Non avrebbe trovato
appoggio in quella direzione.
Era
seduto alla scrivania del direttore della banca di Tsu, un uomo troppo giovane
per l’incarico che ricopriva. Un po’ come lui, che a diciannove anni era un
tempo colui che faceva rispettare la legge di Jack Spyro.
Molto
professionale nell’aspetto e nei modi, il giovane banchiere era nervoso e
visibilmente spaventato.
-Sono
spiacente, signore. Non ci sono soldi.
Kei
puntò la pistola dritto alla testa del direttore della banca.
-No!
Posso darle il denaro- disse l’uomo. –Voglio solo dire che…non sarà quello
dell’Organizzazione. Hanno ritirato tutto due giorni fa.
L’Angelo
lo osservò, stava dicendo la verità.
-Chi
ha dato l’autorizzazione?
-Il
contabile.
Sembrava
che un contabile dell’Organizzazione stesse girando per le banche accompagnato
da uomini armati. La faccenda andava avanti da giorni.
-Come
si chiama?
-Gianni.
Gianni Tornatore.
-Non
sa per caso quale sarà la prossima meta del signor Tornatore?
Kariya
non era lontana da Tsu, ed era inoltre la città natale di Kei. Rivederla gli
faceva uno strano effetto.
Hilary,
al volante della Jaguar, sapeva che il ragazzo così freddo era piuttosto
nervoso negli ultimi giorni.
-Se
vedi qualcosa, suona il clacson due volte.
Lei
annuì.
-E
non scendere dall’auto.
Si
avvicinò alla ragazza, la incatenò con lo sguardo e le ricordò che avrebbe
potuto sentire spari, grida o niente di tutto questo, ma in nessun caso avrebbe
dovuto lasciare la Jaguar.
-In
nessun caso- insistette.
La
brunetta assentì di nuovo.
-Okay,
sei pronta?
-Sono
pronta.
Le
ripeté ancora di tenere gli occhi aperti, poi scese dall’auto.
Dal
punto in cui avevano parcheggiato, Hilary riuscì a osservare i movimenti
dell’Angelo nello specchietto retrovisore; lo vide allontanarsi con aria
indifferente, a passi rapidi e sicuri, e poi sparire nell’hotel.
Nell’edificio
di fronte all’albergo, in un appartamento arredato in maniera funzionale ma
dall’aspetto triste, un ragazzo guardava fuori dalla finestra.
Quello
stupido di Kei sarebbe caduto nella trappola come un bambino. Dopotutto, anche
il leggendario Angelo della morte era solo un uomo, un uomo rovinato…
Finalmente
sarebbe stato di nuovo lui il killer numero uno dell’Organizzazione. E non quel
pivello con l’aria nella testa.
Lo
odiava dal primo giorno in cui si erano incontrati, due anni prima nell’ufficio
di Spyro. Non si erano scambiati una parola, ma a volte gli occhi parlano più
della lingua.
Voleva
farlo fuori, voleva che tutti lo ricordassero come colui che aveva ucciso il
famigerato Kei.
Ma
è il caso a dominare le nostre azioni. Per quanto possiamo programmare ogni
dettaglio, qualcosa sconvolgerà sempre i nostri piani.
Bloody
abbassò lo sguardo sulla pistola, per controllare che fosse a posto. E fu per
questa ragione che Yuri Ivanov, di guardia alla finestra, non vide Kei Hiwatari
che attraversava la strada ed entrava nell’albergo.
Non
aveva idea di come trovare la stanza del contabile, ma di certo lo spirito
d’iniziativa non gli mancava.
Ma
fu la fortuna a venirgli in aiuto.
-Devo
portare la biancheria lavata al signor Tornatore- disse un garzone
all’impiegato dietro al bancone.
-Stanza
413.
Il
fattorino non si accorse della presenza di Kei alle sue spalle, che attese con
l’aria di un avvoltoio. Appena uscì dalla stanza, l’Angelo lanciò un’occhiata
al corridoio vuoto, afferrò la pistola e bussò.
-È
aperto- gridò una voce irritata dall’interno.
Kei
entrò con la pistola puntata. Il soggiorno dell’appartamento era ampio e
lussuoso. Un giovane uomo, con indosso una giacca da camera, stava controllando
la biancheria che gli era stata appena consegnata e dava le spalle al ragazzo.
-Dica
pure alla lavanderia che dovrebbero cambiare mestiere!
Ma,
con la coda dell’occhio, notò qualcosa che attirò la sua attenzione verso il
nuovo arrivato…che gli stava puntando una calibro 45 alla testa.
-Metta
giù la roba, signor Tornatore.
Gianni
aveva gli occhi spalancati.
Kei
non disse nulla, ma la pistola era abbastanza eloquente.
Il
contabile fece come gli era stato ordinato, mormorando qualche parola di scusa.
Ma almeno non finse di non riconoscere l’ospite inatteso e lo salutò con tono
calmo:
-Angelo
della morte.
-Signor
Tornatore.
Li
divideva un divano elegantissimo. Con le mani in alto e le sopracciglia
aggrottate, l’uomo chiese:
-Come mi ha trovato?
-Ho
avuto un suggerimento.
Senza
distogliere gli occhi dal bersaglio, Kei si avvicinò alla porta e la chiuse a
chiave.
-Potrebbe
abbassare l’arma?
-Non
posso.
Il
click della calibro chiarì il suo punto di vista.
-Okay,
okay…le darò i soldi.
Il
contabile entrò nella camera da letto vicina. Kei rimase in soggiorno e lo osservò
attraverso la porta aperta. Tornatore indicò la grande cassa di metallo e,
riferendosi al suo “bottino”, disse:
-Sono
lì dentro.
L’Angelo,
ancora nell’altra stanza, fece segno con la pistola:
-Portali
qui.
Comprensibilmente
nervoso, Gianni lanciò un’occhiata alla finestra che si affacciava sulla
strada. Kei se ne accorse e, quando il contabile iniziò a trascinare la cassa
verso il soggiorno, lasciando aperta la porta della camera da letto, il ragazzo
si avvicinò alla finestra e tirò le tende.
Qualche
minuto prima, nella pensione dall’altra parte della strada, Yuri si era alzato
di scatto, rendendosi conto che Tornatore stava discutendo con qualcuno. Il
contabile trascorreva la maggior parte del suo tempo parlando al telefono con
gli incaricati del servizio in camera e con altri membri dello staff
dell’hotel, rendendo loro la vita impossibile. Perciò, vederlo attraverso la
finestra che parlava con qualcuno nella suite gli aveva fatto suonare un
campanellino d’allarme.
E
poi il suo grande rivale si era avvicinato alla finestra per chiudere le tende,
perfettamente visibile, anche se solo per un istante.
Quella
Jaguar che aveva visto prima…blu, ma uguale all’altra. L’aveva dipinta? E chi
c’era al volante?
Questi
e altri pensieri affollavano la mente di Bloody Mary, mentre afferrava il
fucile e lo nascondeva sotto il soprabito. Si precipitò giù per le scale e
attraversò la strada di corsa, senza curarsi troppo del traffico del centro,
che del resto in quella cittadina era piuttosto scarso.
Mentre
si dirigeva verso l’entrata dell’albergo, non vide nemmeno l’auto che dovette
inchiodare bruscamente e sterzare per evitarlo.
Ma
qualcun altro la vide.
Hilary
aspettava paziente il ritorno di Kei. Non aveva ancora sentito degli spari e
questo prometteva bene. Forse anche stavolta se ne sarebbero andati in silenzio
come erano arrivati.
Poi
il rumore della frenata attirò la sua attenzione. Dallo specchietto retrovisore
sinistro notò il giovane dai capelli rossi che attraversava la strada di corsa.
Al
ristorante non aveva visto bene il killer, ma Kei aveva descritto Bloody Mary
con cura, fin nei minimi dettagli. Inoltre, intravide la canna del fucile che
spuntava da sotto il soprabito, come una scarna terza gamba che non raggiungeva
il terreno.
Ora,
il killer numero due dell’Organizzazione, si stava avvicinando all’albergo e
Hilary poggiò con forza la mano sul clacson e suonò…due volte.
Il
suono fece sobbalzare l’uomo, che guardò indietro, ma non si accorse di lei.
Subito dopo entrò nell’hotel.
Con
il cuore che batteva all’impazzata, la ragazza suonò il clacson più volte. Si
fermò un istante poi ripeté l’operazione e, sempre più spaventata, lo tenne
premuto a lungo, così tanto che la gente per strada iniziò a fermarsi e ad
osservarla.
Ma
dov’era Kei? Perché non si era precipitato fuori appena udito il segnale?
Nel
preciso momento in cui Ivanov afferrava il fucile, Kei si trovava nella suite
nuziale, con la pistola puntata su Gianni Tornatore che, stizzito, stava
spingendo a fatica la grossa cassa di metallo fuori dalla camera da letto.
Lanciò
uno sguardo verso la finestra, dove l’Angelo aveva appena tirato le tende, e
gli chiese di riaprirle, lamentandosi:
-Non
riuscirò a vedere nulla.
Kei
ignorò la richiesta e ordinò:
-Sbrigati.
Gianni
continuò a spingere la cassa, apparentemente molto pesante.
-Che
cosa pensa di ottenere interferendo con i nostri affari?
-Questo
non ti deve interessare.
Il
rumore del clacson fece sobbalzare Kei. Un segnale ripetuto più e più volte.
In
quel momento il contabile riuscì a fuggire in camera da letto, sbatté la porta
e la chiuse a chiave dietro di sé.
Kei
sparò al lucchetto della cassa, facendolo saltare e…
E
capì di essere in trappola. Il baule era vuoto.
Tornatore
era l’esca, e lui era il topo…ma dov’era il gatto?
Uno
sparò sovrastò il suono del clacson, e fece un buco nella porta della suite,
frantumando il legno. Un colpo di fucile a così breve distanza!
Kei
si nascose dietro la cassa con il coperchio aperto, mentre qualcuno prendeva a
calci la porta con il tacco dello stivale: udì il legno andare in pezzi e il
metallo spezzarsi. Bloody Mary entrò e, non vedendo Kei, sparò cinque colpi in
rapida successione, per tutta la stanza, colpendo anche la porta della camera
da letto e il muro.
Due
colpi raggiunsero il coperchio della cassa
L’uomo
con il fucile si fermò sulla soglia per ricaricare, la stanza davanti a lui
sembrava vuota. Kei saltò fuori da dietro la cassa e sparò quasi alla cieca con
la calibro 45. Il proiettile colpì il divano vicino alla porta. Yuri si
precipitò dietro il tavolino su cui era appoggiata una lampada di cristallo, e
si abbassò per finire di ricaricare l’arma.
L’Angelo,
rannicchiato dietro la cassa, riusciva a vedere il punto in cui i proiettili
avevano colpito il coperchio.
Respirando
a fatica contò quante pallottole gli restavano; nella stanza regnava un
silenzio irreale, interrotto solo dal rumore del suo nemico che ricaricava il
fucile; il tempo sembrava essersi fermato.
Non
vide il suo avversario alzarsi, ma due colpi penetrarono nella cassa e la
scaraventarono con forza contro di lui, spingendolo sul pavimento, di fianco e
privandolo del riparo.
Nel
momento in cui si rese conto di essere esposto, il ragazzo dai capelli argentei
sparò tre colpi in rapida sequenza: un di questi mandò in frantumi la lampada
di cristallo sul tavolino. Le schegge volarono dappertutto e colpirono in pieno
viso Yuri, come le punture di decine di terribili api.
Ivanov
urlò per la sorpresa e il dolore e cadde sulle ginocchia. Kei, ancora steso di
lato, perfettamente visibile, continuò a sparare, ma i proiettili servirono
solo a spingere l’altro, ferito e dolorante, a cercare rifugio dietro il divano
imbottito.
Kei
si accorse di sparare a vuoto, quindi lanciò un’occhiata a Bloody, rannicchiato
dietro il divano: con una mano si toccava il viso insanguinato, con l’altra
stringeva il fucile, impotente, almeno per il momento.
Sfruttò
il momento di calma: si alzò in piedi, corse verso la porta della camera da
letto e iniziò a prenderla a calci. Riuscì a romperla quel tanto da far passare
il braccio e girare la chiave.
Entrando,
si voltò rapidamente, ricaricando l’arma. Gianni era riverso sul letto, di
schiena, con la bocca e gli occhi aperti e una chiazza di sangue sulla giacca
da camera. Spruzzi scarlatti macchiavano anche la parete e la testiera. Una
delle pallottole del fucile aveva colpito il contabile, dandogli un’ultima
lezione sul mondo del crimine.
La
camera da letto aveva un’altra uscita: Kei passò da lì e corse via lungo il
corridoio, scendendo poi la scala antincendio e, nel giro di pochi secondi,
stava avviandosi verso il parcheggio.
Non
si avvide che Yuri Ivanov, nel frattempo, era riuscito a raggiungere la
finestra e ad aprire le tende, aveva estratto un revolver a dalla tasca del
soprabito, si era ripulito dal sangue e, infine, aveva preso la mira. Nessuna
scheggia gli era finita negli occhi, per sua fortuna.
Hilary
riconobbe immediatamente Kei che usciva dal vicolo, ingranò la retromarcia e
indietreggiò per andargli incontro. Nessuno dei due perse tempo, ma due spari
li scoraggiarono entrambi: sul tetto della Jaguar si aprirono due fori e i
raggi del sole penetrarono nell’abitacolo. La ragazza sentì l’amico gridare:
-Vai!
Vai!
E
lei sapeva che, nonostante andasse contro il suo cuore, non poteva
disubbidirgli.
Cambiò
marcia e iniziò ad accelerare, mentre Kei correva accanto all’auto. Aprì la
portiera ed era quasi salito, quando si udì un altro sparo e Kei ritrasse la
spalla, sussultando per il colpo.
Eppure,
in un modo o nell’altro, riuscì a salire sulla Jaguar e a chiudere la portiera,
gridando ancora:
-Vai!
VAI!
Hilary
era spaventata, ma sapeva che l’Angelo era stato ferito, perciò fece del suo
meglio: premette l’acceleratore, spingendo fino al limite della velocità,
procedette a zigzag lungo il traffico mattutino, mentre le sirene ululavano
dietro di loro.
Raggiunta
finalmente la periferia, si voltò verso Kei, che si teneva la spalla sinistra
con la mano: il sangue gli scorreva in mezzo alle dita, formando righe rosse
sul braccio.
Il
ragazzo scorse il panico sul volto di lei e disse:
-Sto
bene, non preoccuparti. Guarda la strada.
Hilary
continuò a guidare.
Nella
suite, Yuri Ivanov si inginocchiò come se fosse sul punto di mettersi a
pregare, ma non congiunse le mani: le allungò davanti a sé, con il palmo
rivolto verso l’alto.
Le
mani che si era portato al volto, devastato dalle schegge di vetro. Mani
coperte di sangue, grondanti di rosso.
Era
spaventato.
Era
come se tutto il sangue di cui si era macchiato fosse lì davanti a lui.
Quella
fu l’unica volta in cui Kei ed Hilary comparvero sul giornale: il ragazzo fu
descritto come un ladro assassino, che aveva ucciso un contabile rispettabile
portando via centinaia di migliaia di dollari dalla sua camera. In realtà non
aveva preso nulla.
Per
quanto fosse spaventata, Hilary riuscì a reggere la situazione finché Kei
rimase cosciente e continuò a darle indicazioni per raggiungere, a suo dire, un
posto sicuro. Era riuscito a fermare il sangue con un pezzo di stoffa strappato
dalla sua camicia e non aveva voluto che la ragazza si fermasse per aiutarlo a
sistemare quella fasciatura di fortuna.
Probabilmente,
quello sforzo era stato troppo anche per lui e l’aveva indebolito fino a fargli
perdere i sensi.
In
Hilary il panico crebbe con la stessa forza dell’acqua che invade una nave che
sta affondando.
Per
fortuna, la sagoma di una piccola abitazione, sembrò apparire come un porto di
salvezza. La giovane si fermò davanti all’ingresso, sperando di non trovarvi
altri assassini, ma al massimo persone disposte ad aiutarli.
Bussò
alla porta, e un ragazzo aprì l’uscio. Doveva avere all’incirca la sua età,
capelli neri e occhi color dell’ambra. Le sorrise amichevole, notando poi
l’auto alle sue spalle e la figura all’interno.
-Kei!-
esclamò.
Il
ferito prese conoscenza quel tanto da salutare il giovane.
-Ciao…Rei…
Quello
che Hilary intuì essere un amico, lo portò nella camera da letto, sdraiandolo
sul materasso.
-Non
è niente…la pallottola è uscita…- sussurrò lui.
Poi
si addormentò. La sua fronte scottava. Tremava per la febbre in quella branda
improvvisata.
Non
potevano chiamare un medico, non potevano fare niente, se non restargli
accanto.
Kei
si era preso cura di lei nel corso di quelle lunghe settimane e ora la giovane
non poteva ricambiare il suo gesto. Rei, però, non la lasciò cincischiare nella
preoccupazione e iniziò a darle ordini: tolse la camicia impregnata di sangue e
lo bendò con una fasciatura decente.
-Prendi
dell’acqua fredda.
Lei
lo fece e restò accanto a Kei tutto il giorno, bagnandogli la fronte con un
panno bagnato.
Osservandolo,
Hilary si accorse di quanta innocenza ci fosse su quel viso. Il viso di un
assassino, del peggiore assassino di Tokio…
Kei
non sapeva con sicurezza quanti giorni fossero passati. Almeno tre, ma
probabilmente non più di cinque. Si sentiva meglio; sedeva su un vecchio letto,
cullando tra le mani una tazza di caffè bollente, il soprabito sopra la camicia
bianca.
-Hai
già intenzione di ripartire?
-Malgrado
le ferite, Bloody sarà già sulla nostra pista. Potrebbe arrivare a giorni.
-Ma
tu sei ancora convalescente…
La
sua aria preoccupata suscitò in Kei un’onda di emozione. Veniva dal profondo,
accompagnata da un terribile calore al petto.
-Non
riuscirai a fermarlo- intervenne la voce del padrone di casa. –Kei è sempre
stato un gran testardo.
Mi
hai fatto stare in pena, lo sai?
-Sono
stato uno stupido…mi sono lasciato fregare come un novellino.
-Bhe,
per fortuna siete riusciti ad arrivare qui.
-Già.
Stavolta me la sono vista brutta. Ti devo un altro favore, Rei.
-Oh,
non preoccuparti. Faremo un conto unico, ok?
Hilary
si alzò e uscì dalla stanza, per lasciarli soli. Gente come loro aveva di certo
questioni che non gradivano discutere in presenza di terzi.
Non
vide così lo sguardo che Kei le lanciò mentre usciva.
Uno
sguardo che l’amico non mancò di commentare.
-E
così anche tu hai dei sentimenti…non sei immune…
-Che…
-Lo
so, non sono affari miei. Che farai adesso?
-Pensavo
di lasciarla qui con te. Dopo quello che è successo, non voglio coinvolgerla
ancora- decretò. –Poteva esserci lei al mio posto.
-Kei…quella
ragazza non ti lascerà solo neanche se la leghi ad una sedia.
-Non
posso continuare a metterla in pericolo!- esclamò l’Angelo, con un’enfasi
maggiore di quella che voleva esibire.
-Ah,
l’amore…parlane con la diretta interessata. Mi sembra l’unica cosa ragionevole
che puoi fare.
-Sai,
Rei…ogni volta che ti rivedo capisco perché non ci frequentiamo spesso.
-Uhm…perché
sei un killer?!
-No,
perché sei insopportabilmente impiccione.
-Sì…forse
è per questo. Hilary!
Rei
poteva dirsi fortunato che il suo ospite non avesse armi a portata di mano,
perché probabilmente si sarebbe trovato ad agonizzare sul pavimento. Possibile
che non si facesse mai gli affari suoi?!
Lo
conosceva da una vita, erano amici dall’infanzia, sebbene poi le loro strade si
fossero necessariamente divise nel momento in cui Kei aveva scelto la via del
crimine. Eppure continuava ad essere il suo migliore amico, un fratello. Ben
nascosto da Spyro, ovviamente.
La
fanciulla arrivò nella stanza, notando subito l’espressione seria dell’Angelo.
-Cosa
c’è, Kei?
-Hilary…sei
sicura di voler proseguire?
-Ne
abbiamo già parlato, no?
-Sì…ma
la situazione adesso…
-Non
è cambiata. Si è solo fatta più rischiosa. Ma ho fatto una promessa, ed intendo
mantenerla.
-Non
c’è niente che possa farti cambiare idea?
D’impulso
Hilary gli gettò le braccia al collo, facendo attenzione a non toccare la
ferita. Kei le restituì l’abbraccio, senza prestare la stessa attenzione.
E
capì. Capì le parole di Rei. Nemmeno per tutto l’oro del mondo lei lo avrebbe
abbandonato al suo destino.
Era
arrivato il momento di chiudere la partita.
-Dove
andiamo?
-A
Tokio. Devo fare la cosa più importante adesso.
La
casa alla periferia di Tokio era più malandata rispetto a quella di Rei, ma
apparteneva all’Angelo e si trovava sulla strada per la città.
Il
temporale infuriava, con tuoni, lampi e un vento che sembrava sul punto di
sollevare l’abitazione.
Hilary
odiava i temporali: ne aveva sempre avuto paura e ogni tuono la faceva saltare,
impedendole di prendere sonno. Alla fine, dato che di dormire non se ne
parlava, decise di alzarsi a bere un bicchiere d’acqua.
Scese
le scale in punta di piedi, intenzionata a non svegliare Kei. Si era appena
rimesso dopo la ferita alla spalla e aveva assolutamente bisogno di riposare:
in quelle settimane aveva fatto di tutto per proteggerla e lasciarlo dormire
era il minimo che lei potesse dargli come ringraziamento.
Passò
nel salotto, ma un nuovo tuono la fece sobbalzare. La lampada sul tavolino si
accese e il ragazzo si volse.
-Hilary, cosa c’è?- Non c’era rimprovero nella
sua voce solo stupore.
-Niente…
Kei
la osservò attentamente: tremava come una foglia e non soltanto a causa del
freddo.
-Non
dirmi che hai paura del temporale…
La
brunetta si mise immediatamente sulla difensiva.
-E
anche se fosse?!
-Non
c’è niente di male- ribatté, alzando le mani in segno di resa. –La paura è un
sentimento normale. Bisogna preoccuparsi solo se non la si prova.
-Posso…posso
restare qui un attimo?- chiese titubante. Si sentiva una bambina di tre anni.
-Certo.
Hilary
si sedette vicino a lui sul divano e la sua presenza la rese più tranquilla.
-Tu
hai mai avuto paura?
-Non
sono immune alla paura: le varie situazioni in cui mi sono trovato coinvolto
hanno avuto un certo effetto su di me- rispose sinceramente, poggiandole una
coperta sulle spalle. –Ma ho avuto paura soprattutto al ristorante e
all’albergo…paura che tu potessi restare uccisa.
-Non
hai paura di morire?
-Io
e la morte conviviamo da tredici anni. Ha perso molto del suo mistero. Sebbene
il fatto di darla ad altri non mi renda ansioso di provarla sulla mia pelle.
-Tu
non sei malvagio…
-Per
essere un buon killer una parte di te deve essere necessariamente malvagia.
-Perché
sei diventato un killer? Per soldi, forse?
-No,
per trovare l’assassino di mio padre- replicò deciso.
Lei
gli chiese com’era accaduto e Kei le raccontò la storia dall’inizio.
-Quando
Jack mi ordinò di ucciderti, ero intenzionato a portare a termine il lavoro.
-Cosa
ti ha fatto cambiare idea?
-Ho
scoperto che è stato Spyro ad uccidere mio padre. Così ho deciso di rovinarlo,
ma avrò pace solo quando lo avrò ucciso.
-Ma
le prove che…
L’Angelo
negò lievemente con il capo.
-La
polizia, i giudici…Spyro ha contaminato tutto.
-Allora
perché mandi tutto al tenente Kinomiya?
-Perché
so che lui è una persona onesta.
La
fanciulla assentì: aveva conosciuto il tenente e i suoi collaboratori e le
erano sembrati a posto, uomini e donne rispettabili. Ma l’apparenza inganna: a
prima vista anche suo padre pareva onesto. In realtà era dentro fino al collo
negli affari sporchi dell’Organizzazione.
-Hilary…grazie
per tutto ciò che hai fatto. Ti sei trovata a lavorare con l’assassino peggiore
di Tokio, fra rapine, omicidi, sparatorie…e nonostante questo sei ancora qui.
-È
un velato tentativo di licenziamento?- ironizzò la giovane.
-No,
mai.
Fu
solo un attimo, i loro sguardi si incontrarono in modo diverso dal solito. I
loro visi si trovarono vicini. Terribilmente vicini.
Anche
se entrambi si rifiutavano di ammetterlo, agognavano a quel momento come si
insegue una chimera. Bastava un secondo a rompere quell’incanto.
Kei
stava per baciarla, quando improvvisamente abbassò il viso.
-Non
posso…noi…
Hilary
gli portò una mano sulla guancia, costringendolo a rialzare il volto. Lei gli
stava sorridendo amorevolmente.
-Noi-
disse soltanto, prima di baciarlo.
Lo
sentì lasciarsi andare lentamente, mentre scivolava con lei lungo il divano. E
persero la cognizione di ogni cosa, tempo, luogo, doveri.
Esistevano
solo loro, avvinghiati l’uno all’altra, a divorarsi in quella passione
bruciante e devastante a cui non potevano sottrarsi.
La
ragazza, con gli abiti addosso, fingeva di dormire sul letto della camera.
Pioveva ancora a dirotto: quella notte non se ne era più accorta. La pioggia
rigava i vetri e i suoi riflessi formavano strani disegni sul corpo di Hilary.
Kei
era nell’altra stanza, immerso negli ultimi preparativi.
Stava
ripulendo le armi e trovando la concentrazione per svolgere il suo compito più
importante. A minuti avrebbe ucciso Jack Spyro, la legge di Tokio.
Erano
giunti alla fine della strada.
Kei
prese un foglio di carta e stilò una lista delle banche e delle casette di
sicurezza; scrisse “Hilary” su una busta e vi infilò la lettera che aveva
appena scritto, insieme a una mazzetta di denaro, sufficiente a mantenere la
fanciulla per settimane, forse mesi. Inumidì la busta e la chiuse.
Poi
tornò nella camera e posò la busta sul comodino. Rimase accanto a Hilary e la
osservò a lungo, studiandolo, affidando alla memoria ogni dettaglio, come se
sperasse di riconoscerla in un’altra vita.
Le
carezzò i capelli, pensando a quanto la amava, e uscì.
Rimasta
sola, Hilary guardò con sospetto la lettera sul comodino. La parola “addio”
sembrava sollevarsi dalla busta come vapore.
In
quella sera di pioggia, Jack Spyro trascorse diverse ore in compagnia di alcuni
soci in un piccolo ristorante del centro. Ma all’ora di chiusura anche il boss
doveva andarsene: quando il personale del locale finì di accatastare le sedie
sopra ai tavoli e le luci si spensero, l’uomo e le sue due guardie del corpo si
strinsero nei cappotti. Una prese l’ombrello, e si preparò ad affrontare la
tempesta.
Quando
Spyro uscì sul marciapiede, un tuono rimbombò, la pioggia batteva
insistentemente sull’ombrello che la guardia teneva aperto per lui.
L’automobile
era parcheggiata in fondo alla strada. Attese che Claude, la sua terza guardia
del corpo rimasta all’interno della vettura, gli aprisse la portiera; riusciva
a vedere il suo autista, dietro il volante, ma non chiaramente, perché i
finestrini erano striati dalla pioggia.
Tentò
con forza di aprire la portiera, finché non si accorse del foro rosso sulla
fronte di Claude.
Ma
era troppo tardi: le sue guardie del corpo crollarono come soldatini inermi,
stroncate da due colpi in rapida successione. Il sangue scorreva nelle
pozzanghere, colorando l’asfalto di un rosso scintillante.
Jack
non riusciva a guardare: era disarmato, non c’era nulla che potesse fare. Era
in trappola, non poteva fuggire.
Un
fulmine illuminò il cielo, un tuono rimbombò e, in un istantaneo lampo di luce,
l’Angelo era lì, in piedi in fondo alla strada, con un revolver in mano.
Poi,
senza un movimento, scomparve nell’oscurità.
Spyro
attese. Perché fuggire? Udì i passi sull’asfalto bagnato, sempre più vicini, e
poi Kei Hiwatari, la calibro 45 in mano, fu lì, davanti a lui: i due erano così
vicini che potevano toccarsi.
-Sapevo
che Bloody era un buono a nulla. Sei sempre stato tu il migliore.
-Hai
ucciso mio padre…io mi ero fidato di te…
-E
tu? Quanti uomini hai ucciso? Non immagini che anche loro avessero dei figli, o
un padre? Chi erano gli uomini che abbiamo ucciso, Kei?- esclamò. –Erano uomini
in carne e ossa che avevano vissuto e respirato fino al giorno in cui non
abbiamo deciso che era finita, per sempre! Ci sono solo assassini, ragazzo.
Questa è la vita che abbiamo scelto!
-Io
non ho scelto niente!- ribatté il giovane. –Tu mi hai fatto diventare di ciò
che sono!
-Forse,
ma in fondo al cuore sai che era ciò che volevi. Avresti comunque continuato a
cercare l’assassino di tuo padre, per ucciderlo.
-E
non avrei mai saputo che eri tu, l’uomo che mi ha sempre dato tutto nella
vita…un uomo di cui mi fidavo…
-Tuo
padre voleva tradirci! Stava facendo il doppio gioco!
-Aveva
dato tutto all’Organizzazione: il suo tempo, la sua vita! Non significava
niente per te?!
-Ho
pensato al bene del…
-Hai
pensato solo ai tuoi interessi…ai tuoi soldi…come sempre. Prendi e lasci le
persone come se fossero oggetti…non hai mai nutrito un briciolo di rispetto per
chi passa la propria esistenza a fare lo sporco lavoro che c’è dietro al tuo
potere- sibilò. –Addio, Spyro.
Kei
sparò, un unico colpo alla tempia.
Negli
edifici ai lati della strada, diverse finestre si illuminarono, poi comparve
qualche volto indistinto. In strada solo un ragazzo, in piedi, gli altri
sparpagliati sull’asfalto. Poi, l’oscurità lo inghiottì e l’Angelo della morte
scomparve, lasciando la strada deserta.
Jack
Spyro era morto. Le bande di Tokio si sarebbero scannate a vicenda per
conquistare il potere. Ma Kei non se ne preoccupava. Non si aspettava alcuna
ritorsione: aveva ucciso anche le guardie del corpo di quell’uomo. I migliori.
Dopo di lui, naturalmente.
E
Bloody Mary si sarebbe venduto al miglior offerente. Tipico del suo stile.
Per
quanto lo riguardava, sarebbe sparito insieme ad Hilary. L’Angelo della morte
sarebbe svanito nello stesso modo in cui era apparso.
Hilary
aveva dormito poco. Di tanto in tanto si era inginocchiata accanto al letto e
aveva pregato per il bene di Kei. Quando udì i passi nel corridoio, era seduta
sul bordo del letto con gli occhi chiusi… ormai si limitava a pregare che lui
tornasse, non importava più che fosse tutto intero.
I
passi si erano fatti più vicini, Hilary aprì gli occhi e si stupì di vedere che
la luce entrava dalla finestra: era l’alba ormai, la chiave girò nella
serratura…e la porta si aprì. Kei.
Si
gettò fra le sue braccia. Si strinsero fino quasi a farsi male.
-Sei
tornato…
-Non
potevo lasciarti, lo sai. Ora è tutto finito.
Avevano
parlato poco, il primo giorno di viaggio, ma un nuovo calore sembrava unirli.
Sorridendo di nuovo, Hilary si stava godendo la giornata di primavera,
assaporando i raggi del sole a lungo attesi. Le foglie verdi li riflettevano
come mille smeraldi.
Erano
molto più che amanti. Erano compagni che avevano condiviso la sofferenza e
avevano superato insieme le avversità, che si erano sostenuti in un periodo
tragico, difficile.
E
che non vedevano l’ora di concedersi finalmente un domani felice e sereno.
Insieme.
Nel
tardo pomeriggio del secondo giorno arrivarono alla casa sul mare. Il
crepuscolo stava dispensando le sue ombre, colorando la striscia di sabbia
lungo il mare di un blu freddo. Una brezza leggera soffiava sull’acqua,
lievemente increspata.
Hilary
corse immediatamente verso la spiaggia, entusiasta.
Kei
non si unì a lei. Si fermò a guardare la sua ragazza che si comportava come una
ragazzina, la ragazzina che era. Poi proseguì verso la casa. Raggiunse il
portico ed entrò, la porta a zanzariera era solo accostata, come sempre, e andò
in cucina.
C’era
una grande finestra panoramica, da cui riuscì a vedere Hilary sulla spiaggia.
Da
una sedia in un angolo, Yuri Ivanov si alzò in piedi, lentamente. Sparò due
colpi, colpendolo con precisione. Kei barcollò e cadde, guardando il suo
assassino con gli occhi spalancati per lo shock e la sorpresa.
Gli
occhi di Ivanov erano impassibili, sembravano quelli di un folle. Il suo viso
aveva perso la bellezza fanciullesca di un tempo ed era devastato da una
miriade di cicatrici, conseguenza delle schegge di cristallo che l’avevano
colpito al volto, nella suite di Tornatore. Bloody Mary appoggiò l’arma e
sorrise.
Kei
si dibatté ma stava perdendo le forze… Riusciva ancora a muovere il braccio?
Yuri
aveva pagato un prezzo altissimo per quell’omicidio: il suo volto non sarebbe
mai tornato come una volta, nemmeno con la chirurgia plastica, ma quella
sarebbe stata la sua opera massima.
Un
piccolo rumore dietro di lui lo fece voltare verso la porta…
…e
proprio dietro di lui c’era Hilary Tachibana, che aveva preso la pistola di
Bloody dal tavolo della cucina.
Ivanov
si era trovato in situazioni difficili altre volte, ma in quei casi era sempre
stato armato. Improvvisamente, si rese conto che la sua attrazione verso la
morte non arrivava al punto di desiderare di sperimentare la sua.
Hilary
aveva capito che qualcosa non andava. Un sesto senso.
Stava
già correndo verso la casa, quando aveva sentito gli spari…
…e
ora era lì con la pistola puntata e tremava di paura, non per se stessa, ma per
Kei, disteso sul pavimento, ferito, sanguinante, indifeso, appena cosciente.
Ivanov
stava cercando di rimanere calmo. Si avvicinò lentamente alla ragazza.
Nella
mente di lei si dibattevano sentimenti diversi: rabbia, determinazione, paura,
disperazione. Il dito si distese sul grilletto.
Uno
sparo risuonò nella stanza, un colpo minuscolo più forte di qualsiasi tuono.
Spaventato,
Yuri guardò Hilary, i suoi occhi si agitavano ancora, furibondi. Poi, come se
una luce si fosse spenta, rimasero immobili, vuoti, e l’uomo cadde sul
pavimento.
Hilary,
che non aveva sparato, si voltò verso Kei ferito. Il fumo usciva a spirali
dalla calibro 45 nella sua mano, formando un punto interrogativo.
-Non
ci sono riuscita…
-Lo
so- rispose lui, sorridendo debolmente.
Hilary
gli si avvicinò, verificando l’entità delle ferite. Erano tutte profonde e
perfette. Non era certa che…
-Chiamo
un’ambulanza! Subito!
Kei
si guardò intorno: un morto, l’odore della polvere da sparo e lui che
sanguinava. A Bloody sarebbe piaciuta quella scena. Peccato ne facesse parte.
Era
la fine, se lo sentiva. Non sarebbe sopravvissuto a lungo.
Era
quella la fine del glorioso Angelo della morte.
Hilary
salutò il tenente Kinomiya all’ingresso dell’ospedale.
Erano
accadute molte cose. Erano trascorse molte settimane, settimane cariche di
ansia e di speranza e finalmente la certezza…
Appena
era giunta la notizia del ricovero dell’Angelo, il tenente si era recato di
persona a controllare che qualcuno non si desse la briga di accelerare i tempi.
Ma
per il mondo intero era meglio che il killer restasse solo una leggenda. Uomini
potenti erano coinvolti nei traffici di Spyro e Kei non aveva fatto loro che un
favore uccidendolo. La cosa migliore era lasciare che tutto affondasse nel
nulla.
La
calma stava tornando a regnare insieme alla giustizia.
Ed
era stato felice di vedere la giovane sana e salva. Sebbene la scoperta
dell’identità del killer più ricercato del Giappone lo avesse lasciato a bocca
aperta: era solo un ragazzino…si poteva essere così giovani e così spietati
allo stesso tempo? Certo che era sempre riuscito a svanire: nessuno avrebbe
sospettato di lui. Ma era anche merito suo se tutto ora stava recuperando una
sua logica.
Un
sorriso gli incurvò le labbra mentre rispondeva al saluto.
-Buongiorno,
Hilary.
-Tutto
bene qui?
-Sì,
a parte il paziente che è poco paziente- scherzò, riferendosi all’ennesimo
tentativo di fuga di Kei. Hilary rise, entrando nella stanza.
Il
ragazzo era decisamente contrariato e non vedeva l’ora di andarsene.
-I
giornali non ci metteranno molto a trovarci.
-Come
ti senti?
-Meglio…anche
se devo ammettere di essermela vista brutta. Senza di te…
-Non
pensarci. I medici hanno detto che puoi continuare le cure a casa, ma che non
devi affaticarti- gli spiegò la fanciulla, porgendogli i vestiti. –Possiamo
andarcene.
-E…la
polizia?- chiese stupito.
-Nessuno
sa chi sei. Ti basta? Il tenente non ti ha mai visto.
-Vuoi
dire che mi lasciano andare come se niente fosse?
-Esatto.
E potremo stare insieme, per sempre.
-Hilary…tu
meriti più di me…io non sono…
-Hai
cambiato la mia vita, Kei. È il destino che ci ha fatti incontrare: tu avevi
bisogno di me e io di te.
-Tu
credi?
-Certo.
Ti amo.
Quelle
parole…da quanto tempo desiderava sentir parlare di amore? Pensava che per lui
non ce ne fosse in nessun luogo di quella palla rotante chiamata Terra. E
invece lo aveva trovato, proprio nel momento in cui non ci sperava più.
E
avrebbe fatto di tutto per tenerselo stretto.
-Ti
amo.
Si
raccontano molte storie sull’Angelo della morte.
Nessuno
ebbe mai la certezza che fosse reale e non solo una leggenda metropolitana. E
se era esistito veramente nessuno seppe mai il suo nome: chi ne era a
conoscenza, lo teneva segreto.
Forse
non c’era davvero molto di buono in lui, ma aveva imparato ad amare, a
sacrificare la sua vita per un’altra.