Angel

di redeagle86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'angelo della morte ***
Capitolo 3: *** Dubbi ***
Capitolo 4: *** Luce e ombra ***
Capitolo 5: *** Una strana coppia ***
Capitolo 6: *** Prelievi bancari ***
Capitolo 7: *** Bloody Mary ***
Capitolo 8: *** Eccesso di adrenalina ***
Capitolo 9: *** Imprevisto ***
Capitolo 10: *** Esca viva ***
Capitolo 11: *** Come un topo in trappola ***
Capitolo 12: *** Gli artigli del gatto ***
Capitolo 13: *** Uccidere Spyro ***
Capitolo 14: *** Noi ***
Capitolo 15: *** Pioggia rossa ***
Capitolo 16: *** Una vita nuova? ***
Capitolo 17: *** L'ultimo sparo ***
Capitolo 18: *** Insieme ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ANGEL

 

Una scia di sangue attraversa Tokio. Criminali, delitti, killer, una spietata organizzazione e una kxh.

Leggete e commentate, mi raccomando!!!

 

Il genere “sperimentale” non c’era fra le opzioni…diciamo che è una fan fic diversa da quelle che scrivo di solito: avete presente il film “Era mio padre” (Fantastico! Guardatelo se non lo conoscete perché è veramente favoloso: ve lo dice una che non ha mai amato i film di mafia, gangster… NdAutrice)?! Ecco la mia storia potrebbe essere anche un’ispirazione a quel film: mescolerò gangster, amore, efferati omicidi…in una Tokio stile Al Capone.

Dimenticate i bey perché qui non li troverete: i nostri amici non sono blader…tutt’altro.

Ripeto che è un esperimento quindi scrivetemi i vostri commenti e ditemi se volete che la continui.

Bhe, che altro aggiungere?! Buona lettura…

 

Cap. I°

Prologo

 

L’uomo alla scrivania sfogliava senza interesse le scartoffie che aveva davanti al naso. Non era nemmeno tornato a casa: non aveva senso.

La sua vita era agli sgoccioli: presto sarebbe arrivato l’Angelo (*)… Avrebbero mandato sicuramente lui, il miglior killer dell’Organizzazione.

Era stato un pazzo a tradirli, a parlare con la polizia: immaginava sul serio di scampare alla vendetta di Spyro?

Gettò uno sguardo alla foto sulla scrivania: sua figlia…il suo solo rimpianto…non voleva che restasse sola, in balia di quei pazzi. Se ne era occupato per diciotto anni, facendole da padre e madre. Non voleva che Spyro se la prendesse anche con lei.

Improvvisamente avvertì qualcosa di freddo sulla tempia. La canna di una pistola.

-Silenzioso come un felino. Proprio come ti descrivono- disse alla figura nell’ombra. –Non sono solo leggende, Angelo.

-Odio quel soprannome- ribatté l’altro.

-Angelo della morte…è il tuo lavoro: donare il sonno eterno.

-Ciò non toglie che io non lo sopporti.- Si udì il rumore del caricatore.

-Solo una richiesta: risparmia mia figlia…lei non sa niente di questa storia…

-Non sono io a decidere, lo sai. Io eseguo soltanto.

Uno sparo.

L’uomo si accasciò sul tavolo con un foro fumante; pezzi di cranio e di cervello si sparpagliarono sul tavolo, mentre il sangue tingeva di rosso le carte.

 

(*) Citazione dal film “Era mio padre”.

 

 

Ringrazio tutti i miei appassionati lettori…

Lenn

BenHuznestova

Iria

Padme86

Eagle Fire

Vampirosolitario91

Nissa

Medea90

…e tutti quelli che leggono anche senza commentare!

 

La vostra Redeagle86!! ^^

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Capitolo 2
*** L'angelo della morte ***


Cap. II

L’Angelo della morte

 

Il tenente Takao Kinomiya osservò con aria stanca la scena del delitto: l’ennesima che visitava in pochi mesi. Il solito corpo, la solita arma, il solito omicidio. E un nuovo testimone messo a tacere.

L’Organizzazione non aveva perso tempo e l’Angelo aveva agito indisturbato, come sempre.

L’Angelo della morte…fino a qualche anno prima nessuno lo conosceva. Ed ora era il killer ufficiale dell’Organizzazione.

Non si sapeva nulla di lui: non una traccia, un nome, un indiziato, un sospetto…

Si sapeva solo che donava la morte con la stessa semplicità con cui si regalavano caramelle a un bambino. Arrivava, agiva e se ne andava. Il tutto nel silenzio e nelle tenebre, quasi fosse un’ombra o un demone protetto da chissà quali forze maligne.

Nel suo campo lo si poteva definire un artista. Il migliore: infallibile, letale e soprattutto anonimo.

A suo nome risultavano almeno una ventina di omicidi…tutte persone che avevano pensato di esser più furbe di Spyro: ora facevano compagnia a Satana.

Salutò gli uomini della scientifica, lasciando poi il grattacielo. Tirò fuori il cellulare, disperso in una tasca della sua giacca e compose un numero. Una voce spigliata e giovanile gli rispose all’altro capo.

-Centrale di Tokio. Sezione omicidi.

-Max, sono io. Dovresti convocare una persona.

-Dammi il nome.

Il tenente esplorò le tasche alla ricerca del taccuino: dove l’aveva cacciato, maledizione?

-Sì, ecco…Hilary Tachibana…

 

Jack Spyro tirò una lunga boccata dal suo sigaro, scomparendo dietro una nuvola di fumo che gli impedì per alcuni secondi di vedere il suo interlocutore.

-Vieni sotto la luce, Angelo.

-Sai che preferisco l’oscurità- replicò, storcendo il naso all’udire quel nome.

-Come preferisci. Hai fatto un ottimo lavoro: come sempre.

-La mia ricompensa.

-Naturalmente. Non me ne ero dimenticato- continuò Spyro, estraendo un cd dalla sua borsa. –Questo è l’ultimo lavoro di Sosuke: sono le informazioni che aveva raccolto prima che venisse ucciso.

-C’è il nome del suo assassino?

-Forse.

-Che risposta è forse? Mi stai prendendo in giro?- Il suo tono si fece furente.

-Calmati, Angelo: mi dispiacerebbe perdere il mio miglior killer per un motivo stupido come un eccesso d’ira. Nessuno sa chi abbia ucciso tuo padre: abbiamo solo quei cd che ti ho consegnato.- Improvvisamente, sorrise al di sopra delle mani riunite. –Sei forse stufo di lavorare con noi?

-Abbiamo un patto, no?

-Certamente: trova l’assassino di Sosuke e sarai libero di lasciare l’Organizzazione.

Non arrivò una risposta. Solo lo sbattere della porta.

A quel punto, Jack esibì il suo miglior sorriso da serpente.

-Sei uno stupido. Non ci lascerai mai vivo.

 

Hilary Tachibana, diciotto anni da poco compiuti, nascose il viso nel fazzoletto, versando tutte le sue lacrime. Seduta nell’ufficio del tenente Kinomiya, aveva appena ricevuto la notizia dell’omicidio.

Suo padre, l’uomo più retto e giusto che conoscesse…chi mai poteva desiderare la sua morte?

La sera prima, quando non lo aveva visto rientrare, si era un po’ preoccupata. Ma non avrebbe mai immaginato questo.

-Signorina, capisco che non è il momento adatto…- tentennò il poliziotto. –Ma avrei alcune domande da farle.

La ragazza alzò gli occhi: erano grandi, castani. Molto belli, nonostante le lacrime. Aveva i capelli bruni, leggermente mossi, trattenuti con un mollettone a forma di farfalla.

-Mi dica, tenente- singhiozzò. Il ragazzo che le stava davanti non poteva avere più di ventidue anni, occhi blu cobalto e capelli neri. In un’altra situazione l’avrebbe trovato perfino attraente. Ma certamente non ora.

-Lei era a conoscenza del lavoro di suo padre?

-Si occupava di finanza…per le industrie Kosura.

-Non mi riferivo a questo. Suo padre era anche il contabile di una pericolosa associazione criminale chiamata Organizzazione che fa capo a Jack Spyro, il più potente boss di Tokio.

La faccia sconvolta di lei lasciava intuire la sua totale estraneità ai fatti.

-No…non è possibile…non…

-Mi dispiace, signorina Tachibana.

-È…è per questo che lo hanno ucciso?

-Suo padre aveva deciso di testimoniare contro Spyro e i suoi tirapiedi. Da anni cerchiamo le prove per incastrarlo, ma i nostri testimoni non sopravvivono fino al processo.

-Cosa?

-L’Organizzazione si serve di un killer: l’Angelo della Morte lo definiscono. È come un fantasma: riesce a entrare ovunque, compiendo il suo lavoro in silenzio e sparendo senza lasciare tracce. Noi li proteggiamo, li forniamo di scorta…ma niente riesce a salvarli da quel tipo. È più scaltro di un gatto- continuò il giovane. –Potrebbe essere in pericolo anche la sua vita.

-La mia vita? Ma io non so nulla…

-A Spyro non interessa: non è la prima volta che fa sterminare un’intera famiglia. Le fornirò degli agenti che la proteggeranno e faremo tutto il possibile per evitarle un incontro con l’Angelo o chi per esso.

 

“Un altro omicidio per mano dell’Angelo della morte…”

La sua mano cambiò stazione radio. L’Angelo della morte…non ricordava nemmeno chi fosse stato a dargli quel soprannome: forse qualche giornalista, ma non ne era certo.

Alcuni lo credevano un uomo maturo, un demone scappato dall’inferno, un’anima talmente dannata che nemmeno Satana aveva voluto tenerlo tra le sue fila. E c’era perfino chi lo considerava solo una leggenda.

In realtà non era niente di tutto questo: di anni ne aveva diciannove, era un essere umano e sicuramente era reale. Alla guida della sua Jaguar nera, svicolava nel traffico pomeridiano di Tokio per raggiungere l’albergo dove alloggiava.

Nessuno immaginava che dietro le spoglie di quel ragazzo solitario e silenzioso si nascondesse il più temuto killer della città, la persona che tutti cercavano. In apparenza non era che un giovane distaccato dal mondo, con gli occhi perennemente coperti da un paio di occhiali scuri. In verità quel distacco faceva parte del suo lavoro: non avrebbe ucciso se si fosse avvicinato troppo alle sue vittime. Forse perché non voleva fare i conti con ciò che restava della sua anima.

Parcheggiando l’auto, si avviò verso la hall dell’hotel. Non badò al fattorino che gli veniva incontro, fino a che questi  non lo chiamò.

-Signore, signor Hiwatari…

Lo dovette ripetere più di una volta prima che l’interessato si voltasse: non era più abituato a sentir pronunciare il suo vero nome. La gente che frequentava solitamente si rivolgeva a lui come all’Angelo.

-È arrivato un messaggio per lei.

-Grazie.

Attese di arrivare in camera per leggerlo.

 

LA LUNA È IN ECLISSI. CHIAMAMI APPENA PUOI.

 

Sebbene non fosse firmato, il ragazzo sapeva chi lo mandava.

Ma cosa voleva ancora? Non gli lasciava neanche un giorno di riposo?

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Capitolo 3
*** Dubbi ***


Cap. III°

Dubbi

 

Hilary si lasciò cadere sul letto, fissando il soffitto: suo padre era un criminale, qualcuno voleva ucciderla…Non erano cose che si potessero digerire facilmente.

Come se non bastasse aveva due agenti fuori dalla porta che sorvegliavano ogni movimento, suo e di chi la circondava: come essere imprigionati in casa propria.

L’Organizzazione. Non sapeva nemmeno che cosa fosse…e ora doveva essere protetta dal loro killer.

“Faremo tutto il possibile…”

Se veramente l’Angelo era abile come si diceva, il possibile non sarebbe bastato a fermarlo.

Minou, la sua gatta, saltò sul materasso facendole le fusa.

-Ehi, bella. Cosa c’è?- domandò, accarezzandola. –Beata te che non hai problemi…

Perché suo padre si era messo con quelle persone?

Lui era il suo mito, il suo eroe…si era occupato di lei dalla nascita, da quando cioè sua madre era venuta a mancare: in quegli anni l’aveva sostenuta, incoraggiata, consolata…

Non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe trovata a chiedersi chi fosse veramente.

Il contabile dell’Organizzazione: come aveva potuto un uomo irreprensibile come Mizuno Tachibana a finire in quel giro?

Sospirando guardò fuori dalla finestra: forse l’Angelo era già sulle sue tracce…

 

Il ragazzo bruciò il biglietto, sedendosi poi al computer e inserendo il cd: avrebbe telefonato al mittente del messaggio più tardi, una volta controllate quelle informazioni.

Scorse velocemente le pagine stampate dai precedenti file: liste di nomi, di orari, di appuntamenti, di fatti…

Sosuke Hiwatari, la miglior spia dell’Organizzazione: era lui a fornire tutte le informazioni su eventuali tradimenti… Fino al giorno in cui qualcuno era entrato in casa sua e gli aveva aperto un foro nel torace: un solo proiettile, dritto al cuore.

“Conosceva il suo assassino” dicevano i giornali dell’epoca. Ma non erano mai riusciti a trovarlo.

Quel compito ora era suo: aveva solo sei anni quando suo padre era morto, ma aveva comunque giurato di vendicarsi. Jack Spyro lo aveva preso con sé, lo aveva cresciuto come un figlio, lo aveva mandato nelle migliori scuole.

E gli aveva insegnato l’arte di uccidere.

A sedici anni aveva commesso il suo primo omicidio. Da allora era diventato il killer numero uno di quella banda. Un assassino su ordinazione.

Ma non vedeva l’ora di ammazzare l’uomo che gli aveva strappato il padre, anche perché quel giorno avrebbe detto addio a quella vita.

Gettò rapidamente un’occhiata allo schermo: ma quanti nomi c’erano? Non poteva certo farli fuori tutti. Come riconoscere l’assassino?

Stava per arrendersi e gettare tutto, quando una frase, in fondo allo scritto, attirò la sua attenzione:

 

“IL SIGNORE DECRETERÀ IL GIUDIZIO FINALE, MOSTRANDO L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA.”

 

Cos’era? Un indovinello?

Che suo padre sospettasse di essere in pericolo e gli avesse lasciato un indizio? Ma cosa significava?

Pareva una profezia di un qualche veggente ubriaco…

-Che cavolo di aiuto mi hai dato, papà?!- esclamò, appoggiandosi stancamente allo schienale. Si passò una mano sugli occhi, stropicciandoli, poi scostò una ciocca di capelli argentei dal viso con un gesto nervoso. Prese il cellulare, componendo un numero ormai dannatamente noto e aspettando alcuni secondi prima di premere il tasto d’invio.

-Pronto?- risposero all’altro capo.

-Sono io. Ho ricevuto il messaggio.

-Ho un lavoro per te. Ma è meglio parlarne a quattr’occhi.

-Ti raggiungo.

Chiudendo la conversazione, il ragazzo indossò di nuovo gli occhiali scuri e la giacca di pelle nera, avviandosi verso il parcheggio. Ma il pensiero di quella frase accompagnava i suoi passi: che ragionamento voleva che facesse suo padre?

Sentiva che la soluzione era lì, davanti al suo naso, eppure non riusciva ad agguantarla. Chi era il signore a cui si faceva riferimento? Dubitava un collegamento con la religione: suo padre non era certo il tipo casa e chiesa.

Ma allora chi avrebbe decretato il giudizio finale?

Ingranando la marcia, si immise per la seconda volta nel traffico, certo che, molto presto, Jack Spyro e i suoi lavoretti non sarebbero stati che un puntino alle sue spalle.

 

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Capitolo 4
*** Luce e ombra ***


Cap. IV°

Luce e ombra

 

-Cosa?!

Il tono dell’Angelo si avvicinava molto alla collera. In piedi davanti alla scrivania di Spyro, guardava il suo capo con espressione torva, lanciando scintille.

-Te l’ho già detto una volta, oggi: datti una calmata. Negli ultimi tempi perdi le staffe un po’ troppo facilmente.

-Io non faccio questi lavori, lo sai! Hai altri assassini per questo: manda loro come sempre!

-Angelo…siediti e discutiamone.

-Non c’è niente da discutere!

-La polizia sorveglia quella casa come se fosse una banca: è solo per questo che mando te- continuò Spyro. –Sarà la prima e l’ultima volta.

-Chi è?- chiese il giovane, restando in piedi.

-Hilary Tachibana, la figlia di Mizuno.

Un ricordo colpì improvviso la sua mente:

“Risparmia mia figlia…” L’ultimo desiderio di quell’uomo. Gli doleva non poterlo esaudire.

-Quando?

-Oh, hai tutta la settimana per farlo.

-Che sia davvero l’ultima volta, Jack.

-È una promessa.

L’Angelo della morte lasciò l’ufficio, sbattendosi la porta alle spalle con un gesto rabbioso. Non era il solo killer dell’Organizzazione: lui si occupava dei traditori…non sterminava le loro famiglie.

Per questi compiti c’era quell’altro, Ivanov se non ricordava male. Al solo nominarlo gli correvano dei brividi lungo la schiena: aveva il ghiaccio al posto dell’anima, sempre che ne avesse mai posseduta una.

Non lo aveva incontrato spesso, ma ne aveva sentito parlare. Bloody Mary lo chiamavano, come il cocktail. Questo per via del suo stile: i suoi omicidi non passavano certo inosservati. Era uno a cui piaceva la spettacolarità e le scene dei suoi delitti avevano fatto cambiare dipartimento a più di un poliziotto.

Se gli omicidi dell’Angelo non lasciavano tracce, Ivanov riduceva le stanze a delle macellerie.

Immerso nei suoi pensieri si accorse solo a metà corridoio di aver dimenticato la giacca nell’ufficio e tornò indietro, fermandosi però sulla porta.

C’era un’altra persona nella stanza.

-Davvero non capisco cosa aspetti a eliminarlo.

-Perché ho ancora bisogno di lui.- La voce di Spyro. Ma con chi stava parlando?

-Prima o poi capirà tutto.

-Quel giorno, Bloody, l’Angelo della morte sparirà per sempre.

Bloody! E discutevano di lui!

Che cosa doveva capire? Si riferivano forse alla morte di suo padre?

-E sarò io ad occuparmene, vero?

-No, voglio una cosa pulita, proprio come abbiamo fatto per Sosuke.

 

“IL SIGNORE DECRETERÀ IL GIUDIZIO FINALE, MOSTRANDO L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA.”

 

Jack Spyro…ecco chi era il signore. E il giudizio finale si collegava alle sue commissioni: era lui a decidere la vita o la morte dei suoi sottoposti.

E lui come un cretino si era lasciato manovrare come una marionetta per tredici anni, convinto che quell’uomo gli dicesse la verità. Si era servito del suo rancore per convincerlo a lavorare per l’Organizzazione.

L’uomo che lo aveva allevato era anche quello che lo aveva reso orfano.

Aveva già una mano sulla maniglia e l’altra alla pistola, quando le parole di Mizuno gli echeggiarono nel cervello:

“Risparmia mia figlia”.

-In fondo, ci sono cose peggiori della morte- sussurrò, con un ghigno malvagio dipinto sul viso.

 

Hilary rientrò a casa a sera inoltrata. Aveva trascorso il pomeriggio passeggiando per la città senza una meta, sperando di riuscire a chiudere in camera i pensieri. Ma non era facile dimenticare che la propria vita era appesa a un filo.

Cercò le chiavi in fondo alla borsa, facendole cadere più di una volta prima di riuscire ad infilarle nella toppa: gli sguardi dei poliziotti la snervavano. Non la mollavano un solo secondo.

Entrando nell’abitazione, gettò borsa e cappotto in un angolo, pensando di farsi una bella doccia che le avrebbe fatto scivolare via di dosso la stanchezza.

I suoi propositi però svanirono nel nulla nel momento stesso in cui accese la luce.

Una figura vestita di nero la aspettava appoggiata al muro. Un ragazzo molto giovane, dai capelli argento e blu, occhi coperti da un paio di occhiali scuri e carnagione incredibilmente pallida.

E una pistola in mano.

-L’Angelo…- sussurrò.

Minou, del tutto ignara dell’identità dell’ospite, si strusciava tranquilla lungo le gambe.

-Non urlare, o potrei avere una reazione inconsulta e premere il grilletto- disse con voce gelida.

-Come hai fatto a…

-Gli uomini di Kinomiya perdono i colpi: sono passato praticamente sotto i loro nasi.

-Sei venuto per uccidermi, vero?

-No.

Hilary sgranò gli occhi a quella risposta.

-Sono qui per salvare entrambe le nostre vite, e rovinarne un’altra- proseguì.

-Cosa?

-Non ho molto tempo per le spiegazioni. Devi fidarti di me.

-Tu sei pazzo. Nessuno sano di mente si fiderebbe di un assassino- esclamò lei.

-Ma tu non hai alternative: se ti lasciò qui verrà un altro killer ad ucciderti- aggiunse senza alcuna emozione. –Un killer molto più spietato e sanguinario di me.

-Perché vuoi salvarmi, se non hai bisogno di me?- Non era logico. Non da uno con, sulle spalle, più di venti omicidi a sangue freddo.

-Perché tuo padre mi ha chiesto di risparmiarti.

Suo padre…

Era una buona motivazione, ma come fidarsi? Chi le assicurava che quel tipo dicesse la verità? Chi le dava la garanzia che non fosse solo un trucco?

Come si poteva affidare la propria vita ad un killer professionista?

Forse c’era un modo…

-Togli gli occhiali, per favore.

-Come?- C’era incredulità nella sua voce.

-Togli gli occhiali.

L’Angelo era riluttante: che razza di richiesta era? Avevano i minuti contati, Bloody Mary pronto ad ucciderli…e lei gli chiedeva di togliere gli occhiali?

Non li levava mai quando era al lavoro: erano il suo giusto distacco dal mondo. Ma se era l’unico modo per convincere quella ragazzina…

Due grandi occhi, di un viola intenso, si spalancarono su Hilary: in essi c’era un rogo, che bruciava urlando vendetta. C’era odio, rabbia, delusione. Ma non vi era cattiveria, anzi.

Quelle iridi ametista erano forse la cosa più onesta e sincera che avesse mai visto da molto tempo a quella parte.

Doveva fidarsi di lui.

-Va bene. Dove hai intenzione di andare?

-Per prima cosa metteremo il maggior numero di chilometri tra noi e Spyro: quando scoprirà la mia fuga, ci metterà alle costole quel folle di Bloody Mary e io non voglio certo rendergli le cose facili.

-Preparo i bagagli.

-Prendi lo stretto indispensabile- le spiegò, dando un’ultima carezza a Minou. –Hai qualcuno a cui lasciarla?

Hilary si bloccò a metà corridoio: erano nei guai fino al collo e lui si preoccupava del gatto?! L’Angelo era davvero un tipo strano.

-È indipendente: viene e va quando vuole…se la caverà anche senza di me- rispose.

Non era ancora certa di aver fatto la scelta giusta, ma sapeva che solo il tempo le avrebbe dato una risposta.

 

-Il signor Hiwatari ha cancellato oggi pomeriggio la sua prenotazione e ha lasciato l’albergo.

-Ha lasciato l’albergo?!- esclamarono all’altro capo.

-Sì, signore. Non alloggia più qui.

-Grazie.

Jack Spyro tambureggiò la biro sul tavolo con evidente nervosismo. L’Angelo non era più in albergo: poteva aver deciso di portare a termine il lavoro e aver preso una camera in un altro hotel…

Eppure un sesto senso gli suggeriva che non fosse così. Quel ragazzino aveva mangiato foglia, ramo e tutto l’albero insieme. In quel caso non c’era che una cosa da fare.

-Millie- disse alla segretaria. –Mandami qui il nostro caro signor Ivanov.

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Capitolo 5
*** Una strana coppia ***


Cap. V°

Una strana coppia

 

La Jaguar nera correva rapida sull’autostrada, lasciandosi l’ombra di Tokio alle spalle, come un silenzioso fantasma. I sedili di pelle dello stesso colore davano l’impressione di scivolare in una pozza di tenebra.

Hilary squadrò il paesaggio che scorreva, come un nastro avvolto velocemente. Era successo tutto talmente in fretta che solo adesso, a quasi un’ora di distanza, riusciva a rendersene conto: stava viaggiando con l’Angelo della morte! Le sembrava ancora così assurdo: si era veramente fidata di lui!

Dopo un pesante sospiro, si volse verso il giovane alla guida; concentrato sulla strada non aveva pronunciato mezza parola da quando erano saliti in auto. Se pensava alle facce che avrebbero fatto i poliziotti, una volta accortisi della sua fuga: probabilmente al tenente sarebbe scoppiata una vena.

Avevano camminato davanti a loro come se niente fosse, quasi degli spettri. Nessuno sospettava che quel ragazzo dall’aria angelica fosse il killer più famoso del Giappone, per questo passava inosservato.

Inevitabilmente, tornò a chiedersi come facesse, così giovane, ad essere tanto freddo e glaciale da fare l’assassino.

-Arriveremo a Shizuoca tra poco. È questa la nostra prima meta.

La sua voce la fece spaventare: non si aspettava che le rivolgesse la parola dal niente.

-Perché andiamo a Shizuoca?

-Una parte del capitale di Spyro si trova nella banca della città: diciamo che farò un prelievo non autorizzato.

-Vuoi prosciugare il bottino di quell’uomo?!- esclamò, stupita.

-Esatto. E i soldi andranno dritti al caro tenente Kinomiya: sono certo che saprà cosa farne.

La ragazza non replicò: era il piano più assurdo che avesse mai ascoltato. Ma lei non faceva parte di quel mondo: forse lì era normale una simile azione.

Forse era meglio cambiare argomento.

-Mi fa uno strano effetto chiamarti Angelo: forse perché a me non farebbe piacere essere nota come Angelo della morte…- iniziò, tentennando. –Te l’avranno pur dato un nome…

-Il mio vero nome? Sono secoli che non lo uso più.- Alla giovane parve di notare una leggera malinconia nella sua voce. –Comunque mi chiamo Kei. Kei Hiwatari.

-È un bel nome. Molto meglio di Angelo- proseguì lei. –Bhe, immagino tu sappia già il mio: mi chiamo Hilary.

-Suona molto dolce- commentò, senza staccare gli occhi dalla strada. –Alloggeremo in albergo, fingendoci una coppia: daremo meno nell’occhio e insieme saremo più al sicuro.

-Sì…va bene…- balbettò , arrossendo sempre di più.

Kei si volse leggermente, accorgendosi del suo imbarazzo, e aggiunse:

-Non dormiremo insieme, stai tranquilla.

Ma la sua rassicurazione servì solo ad aumentare il suo rossore, che si estese a tutto il viso.

-Hilary, tu sai guidare?- le chiese improvvisamente.

-Sì, perché?

-Domattina te lo spiego.

 

-Io ti avevo detto di farlo fuori!

-Calmati, Bloody. Non sei il solo a rischiare: c’è in ballo il futuro dell’intera Organizzazione- replicò Spyro.

-Abbiamo almeno idea di dove sia andato?

-No, per ora non so niente, se non che oggi pomeriggio ha disdetto la prenotazione in albergo.

-L’Angelo della morte ha avuto il suo canto del cigno. Ora ha i giorni contati- mormorò Ivanov con sguardo sadico. –E ho già in mente uno splendido quadro.

Anche se Jack non l’avrebbe mai ammesso con anima viva, quelle parole sibilate gli fecero correre dei brividi lungo la schiena.

Ma quel giovane faceva a tutti lo stesso effetto: iridi color ghiaccio, carnagione pallida, capelli rosso vivo…e una macabra ossessione verso il sangue e la morte. Da far accapponare la pelle.

Per i suoi gusti era fin troppo appariscente.

E cominciava a darsi troppe arie.

Forse sarebbe stato il nome subito dopo quello di Kei, nella lista del personale da eliminare.

 

-Uau- disse Hilary, entrando nella camera.

Solo nei film aveva visto posti così lussuosi. Le pareti color rosa antico erano intervallate da grandi vetrate, da cui si ammirava la città di notte. Nel salottino c’erano un tavolo con quattro sedie, in legno pregiato e riccamente decorati da intarsi. Sull’altro lato della stanza, dove si trovava la porta della camera da letto, un divano di broccato e un tavolinetto di cristallo facevano bella mostra di sé davanti al camino.

-È fantastico…- mormorò.

-Lieto che ti piaccia- rispose l’Angelo, dando la mancia al fattorino che aveva portato loro i bagagli. Si volse verso di lei, osservandola girare su sé stessa, in piena ammirazione per tutto ciò che la circondava. –Perché non dai un’occhiata all’altra stanza?

Hilary non se lo fece certo ripetere: era assolutamente stupenda. Tutto era splendido…

-Mi sembra incredibile.

Il ragazzo la raggiunse, lasciandole sul pavimento la valigia e augurandole:

-Buonanotte, Hilary.- Stava per andarsene, quando lei lo fermò.

-Grazie, Kei. Per tutto.

-Aspetta a ringraziarmi: forse un giorno non considererai un favore il mio gesto.

-Mi hai salvato la vita…

-Ho fatto anche i miei interessi, credimi. Riposa, ora.

-Dormi bene.

-Anche tu.

 

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Capitolo 6
*** Prelievi bancari ***


Cap. VI°

Prelievi bancari

 

-COME SAREBBBE SPARITA?!- tuonò il tenente Kinomiya. –NON DOVEVATE TENERLA D’OCCHIO, INCOMPETENTI?!

-Sì, signore- balbettarono i due uomini. –Ci siamo accorti solo stamattina che la signorina era scomparsa.

-Non c’è traccia di lei, signore.

-Maledizione. Questa non ci voleva proprio. Max!

-Sì?

-Chiama la scientifica. Forse in quella casa troviamo qualche indizio.

Takao si fermò a riflettere sulla situazione: da quando Spyro faceva rapire i sospetti? Non era nel suo stile. A meno che non fosse opera sua.

Ma chi altro poteva avere interesse a prendere Hilary?

 

Il giorno dopo, quando Hilary si svegliò, i raggi del sole illuminavano la stanza attraverso le tende tirate. Nell’aria c’era odore di olio e di metallo, come in un’officina.

Si alzò, recandosi nel salotto.

Kei era seduto su un sedia, con il giornale aperto sul tavolo e le varie parti di un’arma davanti a lui.

Le stava pulendo metodicamente, servendosi di stracci, scovolini e bottigliette piene di sostanze diverse. La pistola era appoggiata in parte.

-Buongiorno- disse.

-Buongiorno, Kei.

-Hilary, siediti, per favore. Ti devo parlare.

La giovane ubbidì, sicura che volesse spiegargli quella strana domanda della sera prima.

-Non posso portare a termine il mio piano da solo, quindi mi devi aiutare. O moriremo entrambi in un battito di ciglia- continuò. –C’è solo una cosa che conta per Spyro: il denaro. Parla tanto di fedeltà, di onore, ma ciò che conta veramente per lui sono i soldi.

Hilary annuì, seguendo il suo discorso.

-Voglio fargliela pagare in tutti i modi, minare le sue sicurezze. E comincerò con i soldi.

-E cosa dovrei fare io?

-Tu guiderai l’auto e mi aspetterai fuori dalla banca.

La brunetta sgranò gli occhi: avrebbe fatto l’autista del rapinatore?

-Quando uscirò tu dovrai correre, o la polizia ci catturerà affiancandoci. E la polizia di mezzo stato è controllata da Jack- proseguì. –Allora, mi aiuterai?

Hilary sospirò.

-Ti devo la vita, Kei. D’accordo, quando cominciamo?

-Brava, ragazza.

 

Quella stessa mattina, Kei, con il vestito scuro, gli occhiali neri e il cappotto, si avvicinò all’entrata di una banca. Con i suoi modi educati e una borsa di pelle nera nella mano destra, sembrava assolutamente rispettabile.

La giovane rimase in attesa in un parcheggio in fondo alla strada, con il motore acceso. L’Angelo le fece un cenno con il capo, lei, dietro il volante, deglutì e ricambiò il cenno.

L’atrio di marmo, con il soffitto alto, era piuttosto affollato: c’erano diversi uomini e donne in piedi di fronte allo sportello, in coda uno dietro l’altro.

Si avvicinò agli sportelli dei casseri dirigendosi verso uno chiuso e, attraverso la grata, disse:

-Mi scusi, sto cercando il signor Onoco.

Un ometto intimidito in maniche di camicia, con gli occhiali e il farfallino, chiese:

-Ha un appuntamento, signore?

-No.

-Bhe, allora dovrà mettersi d’accordo con la segretaria e fissare un incontro.

-Mi dispiace, ma vengo per conto di uno dei maggiori clienti della banca, un uomo d’affari.

Il banchiere ricominciò a parlare, ma le parole gli si bloccarono in gola quando osservò Kei con più attenzione.

Gli fece strada, aprì una porta e si recò dal direttore, lasciando il ragazzo ad attendere.

-Signor Onoco! Signor Onoco!- esclamò.

-Che succede?
-Un uomo di Spyro chiede di vederla!

-Cosa?!- Il direttore iniziò a sudare freddo. Che cosa voleva quell’uomo da lui? –Fallo entrare.

Kei entrò nell’ufficio con passo elegante, quasi avesse tutto il tempo del mondo.

-Sono qui per il denaro del capo.

-Bene, è una piacevole sorpresa. Non mi aspettavo un deposito…

-Veramente,- disse l’Angelo, aprendo la borsa –sono qui per un prelievo.

La pistola comparve nella sua mano e il sorriso svanì dalla faccia di Onoco.

Kei gli ordinò di mettere le mani sulla scrivania e di ascoltare con attenzione.

-Voglio solo i soldi sporchi, quello che non è nei registri. Apra la cassaforte.

Il banchiere, terrorizzato, si voltò verso la cassaforte e compose la combinazione. Dovette fare diversi tentativi, perché la tensione gli rendeva difficile qualsiasi pensiero, ma alla fine riuscì a tirar fuori la cassetta di sicurezza, la pose sulla scrivania e la aprì: conteneva un mucchio di denaro, insieme ad alcuni documenti compromettenti.

Mentre l’uomo era all’opera, Kei disse:

-E se leggerò sui giornali che i risparmi dei poveri contribuenti sono stati rubati da un ladro senza cuore…mi arrabbierò molto.

L’uomo ammucchiò le mazzette di denaro nella borsa e mormorò:

-Lei è pazzo. Scopriranno chi è…

-Io sono l’Angelo.

Il banchiere sembrava più sorpreso che spaventato.

-La uccideranno. Sono spietati.

-Non parlare- lo interruppe. Lasciò fuori solo due mazzette, che consegnò al banchiere. –Li tenga per il disturbo che le ho causato. Dica a Spyro che li ho presi io.

-Davvero crede che non dirò nulla?

-Bisogna fidarsi di un direttore di banca.

Nel giro di un minuto, Kei, con la borsa in una mano e la pistola, nascosta nella tasca del cappotto, nell’altra, era fuori dalla banca e camminava lungo il marciapiede. Dopo pochi secondi la Jaguar accostò lentamente.

Attraverso il finestrino della vettura, lanciò un’occhiata ad Hilary, che sedeva al volante preoccupata.

-Niente fretta- la rassicurò. Salì sull’auto e si allontanarono.

 

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Capitolo 7
*** Bloody Mary ***


Cap

Cap. VII°

Bloody Mary

 

Nel corso delle due settimane successive, Hilary e Kei fecero visita a quattro banche, ed erano solo all’inizio.

-Perché lasciamo passare così tanti giorni tra un furto e l’altro?- chiese la giovane.

-Perché così rendiamo loro la vita più difficile. Non sanno mai dove colpiremo la volta dopo.

Viaggiavano molto, ma a una banca di Fukui ne seguiva una a Matsusaka, ad un colpo a Hamamatsu uno a Maebashi e poi a Fukushima.

Di sicuro potevano permettersi il carburante.

Lo scomparto ricavato sotto i sedili era pieno di pacchetti di banconote, racchiusi in involucri di banche diverse.

-Perché la polizia non ci insegue?

Kei le spiegò che lo schema era sempre lo stesso: si presentava gentilmente, come rappresentante di Jack Spyro, tirava fuori la pistola nell’ufficio del direttore della banca, raccoglieva i soldi, lasciava una pare dei profitti al banchiere e se ne andava.

Ma Spyro ne aveva abbastanza di quei prelievi. Anche perché sospettava che l’Angelo non si sarebbe limitato a quelli.

 

La borsa con le armi pesava circa dieci chili, ma l’uomo esile che la trasportava, pallido, di una bellezza fanciullesca e algida, di soli ventidue anni, procedeva spedito lungo il vialetto di casa, come se il peso che si stava trascinando dietro fosse leggero come una piuma.

Entrò proprio quando il telefono iniziò a suonare. Senza affannarsi, appoggiò la borsa e raggiunse il soggiorno dell’appartamento. Lasciandosi cadere sul divano vicino al telefono, rispose:

-Yuri Ivanov.

-Devi fermarlo! A tutti i costi!- esclamò la voce all’altro capo del filo.

-D’accordo, capo.

-E non lasciare prove sulla scena del delitto! Per una volta non fare il macellaio.

-Ci proverò- replicò Bloody Mary senza troppa convinzione.

Si salutarono e il killer riagganciò, pensando che sarebbe stato perfetto. La scenografia dell’omicidio si andava delineando nella sua mente. L’Angelo della morte era proprio ciò che mancava alla sua collezione di morti.

Era inquietante come l’aspetto dei cadaveri lo avesse sempre affascinato. Era qualcosa che lo faceva sentire vivo. Fin da bambino aveva questa ossessione.

Un ossessione che non poteva che defluire in quel lavoro. Lui non donava la morte. La infliggeva, ne faceva il suo capolavoro. Un’opera d’arte, la considerava lui.

Il momento in cui un uomo raggiungeva l’apice della bellezza.

E Kei sarebbe stata la sua opera massima. L’apoteosi.

 

Ma fu il destino a farla da padrone.

Perché fu proprio un caso a fare in modo che i due killer più importanti dell’Organizzazione si incontrassero faccia a faccia.

La Jaguar si fermò nel parcheggio di un ristorante e Kei si voltò verso Hilary, seduta al suo fianco.

-Vado a prendere qualcosa da mangiare.

Vedendo lo sguardo angosciato di lei, le lasciò sul sedile un revolver a canna corta.

-Ci sono sei colpi. Stai tranquilla, ok?

Uscì, lasciando la ragazza ai suoi pensieri. Il ristorante, arredato con mobili gialli e blu, era ben illuminato, ma nonostante fosse ora di cena non c’era molta gente. Si avvicinò alla cameriera e ordinò un a cena a portar via.

Stava aspettando da circa cinque minuti, quando il campanello alla porta tintinnò ed entrò un poliziotto, un uomo sulla quarantina. Era un agente locale, uno di quelli agli stadi bassi non ancora corrotti dalla politica sporca di Spyro.

Stava scendendo la sera e questo bastava ad innervosire l’Angelo. Ma ciò che lo fece trasalire, furono i fari anteriori del veicolo che stava entrando nel parcheggio. Un’auto che conosceva bene. La Ferrari rosso fiammante parcheggiò a poca distanza dalla Jaguar nera. Ne scese un ragazzo dai capelli dello stesso colore della vettura, vestito di nero.

Quando entrò, i suoi occhi azzurri incontrarono subito quelli viola dell’altro. Ma aveva visto il poliziotto: gli lanciò un’occhiata meno indifferente di quel che voleva apparire.

Ordinò un caffè e distolse lo sguardo dal suo obbiettivo. Spyro gli aveva ordinato la discrezione e sapeva che disubbidire significava essere già morto. Non ci teneva a lasciarci la pelle per colpa di quel pallone gonfiato.

Ma Kei non era certo intenzionato a farsi catturare così facilmente. Doveva ammettere che la presenza di Bloody Mary lo aveva sorpreso non poco. Una coincidenza, certo, ma una coincidenza pericolosa.

-Mi scusi, signora. Dov’è il bagno?

Attese la risposta, poi si avviò verso la toilette.

Dal suo posto Yuri Ivanov si guardò intorno. Il poliziotto stava andando via.

Il giovane infilò la mano nella tasca della giacca e afferrò la pistola. Sentì un’auto che veniva messa in moto e si allontanava.

Bene. Adesso che se ne era andato, Ivanov non aveva alcun problema con quelli che erano rimasti: un vecchio di tremila anni, la cameriera e il cuoco. Il pavimento luccicante, schizzato di sangue e cosparso di cadaveri…che immagine sublime!

Il campanello della porta trillò di nuovo. Okay, un altro cliente, un altro elemento nella composizione. Ma era di nuovo lo sbirro!

Yuri si precipitò fuori dal ristorante. La Jaguar se ne era andata, riusciva a sentirla mentre si allontanava sulla strada a tutto gas.

Corse verso la sua auto, ma Kei gli aveva fatto un simpatico regalo: tutte e quattro le ruote a terra.

-Dannazione!

Incurante della presenza del poliziotto, Ivanov corse in mezzo alla strada, vide le luci posteriori dell’auto dell’Angelo che si allontanavano e, lentamente, prese la mira con il revolver.

Nella Jaguar, Kei gridò ad Hilary:

-Stai giù!

Il lunotto posteriore esplose, seguito da quello anteriore. I due ragazzi non si fecero male, ma i vetri erano sparsi su tutta la vettura.

Dietro di loro, compiaciuto di aver udito il rumore del vetro che si rompeva, Ivanov sparò di nuovo, ma questa volta senza successo.

Il poliziotto uscì di corsa, con una mano alla fondina che teneva di fianco.

-Hey, che cosa pensi di fare?

Lui si voltò e sparò. Due volte. Con la stessa freddezza con cui si può bere un bicchiere d’acqua. Il sangue continuava a scorrere.

Ivanov sospirò e poi, con l’arma, tornò nel ristorante a finire il suo caffè.

 

Il tenente Kinomiya arrivò a casa tardi quella sera. Il caso Tachibana era ancora al primo posto nei suoi pensieri, sebbene il suo capo gli avesse consigliato di lasciar perdere e di occuparsi di questioni più urgenti. Ma cosa c’era di più urgente che fermare Jack Spyro?

Quasi inciampò nel pacco alla porta. Una pacco piuttosto voluminoso.

Lo aprì nella cucina, restando a bocca aperta. Conteneva soldi, una montagna di soldi. E un biglietto:

“Non fidarti di nessuno. L’Angelo”

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Capitolo 8
*** Eccesso di adrenalina ***


Cap

Cap. VIII°

Eccesso di adrenalina

 

Kei guidava rispettando i limiti di velocità, nonostante la faccia sconvolta di Hilary lo spingesse a cercare al più presto un albergo. Non erano feriti, ma lei era spaventatissima.

Il ragazzo era lieto di quella notte buia che gli dava l’opportunità di fuggire senza intoppi e, quando apparve l’insegna amica di un albergo, si fermò di colpo.

La aiutò a scendere, per evitare che si tagliasse con i vetri. Ordinò la solita suite, sebbene fosse meno elegante e lussuoso degli alberghi che frequentava di solito.

-Hilary, resta qui, d’accordo?- le disse con fermezza, prendendola per le spalle. –Io vado a cercare qualcuno che ripari l’auto.

La brunetta annuì meccanicamente e Kei, seppur con preoccupazione, lasciò la camera.

Hilary era terrorizzata, ma viva. Doveva attaccarsi a quello, senza riflettere su ciò che era accaduto. Erano sopravvissuti ad una sparatoria! Erano quasi dei supereroi.

Niente poteva fermarli.

Alzò lo sguardo e incontrò il mobile bar.

 

Kei trovò una stazione di servizio ancora aperta che gli sistemò i lunotti esplosi. Poi chiese che fosse verniciata di blu. Come diavolo aveva fatto Ivanov a raggiungerli? Mito non era lontana da Tokio, forse si erano avvicinati troppo alla base…ma avevano avuto proprio una sfortuna nera. Di tante città, proprio lì doveva dirigersi quel pazzo. E la sua povera Jaguar ne pagava le conseguenze.

Per non parlare di Hilary. Forse aveva sbagliato a coinvolgerla in quel piano, ma senza di lui sarebbe morta in modo orribile.

Rientrando in camera, pensò di scusarsi con lei e di cercare un posto sicuro dove nasconderla. Sì, sarebbe andato avanti da solo.

La stanza era avvolta dall’oscurità e i suoi riflessi erano all’erta, come sempre. Ma, malgrado questo, non fu pronto a reagire alle braccia che lo strinsero al collo e alle labbra che premettero sulle sue in un bacio appassionato.

 

La ragazza aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto azzurro cielo della sua stanza. Si sentiva intontita, come se avesse avuto la testa imbottita di ovatta.

Barcollando, tentò di alzarsi, accorgendosi di indossare ancora i vestiti della sera prima. Ma cos’era successo?

Ricordava la sparatoria, la fuga…E poi? Poi aveva iniziato a bere, aspettando il ritorno di Kei. E gli era praticamente saltata addosso! Eppure aveva ancora i vestiti e lui non era nella stanza. Cos’era accaduto allora? Perché non riusciva a rammentarlo?

Appoggiandosi al muro, uscì a tentoni dalla camera.

Avvampò nel vederlo seduto al tavolo, intento a fare colazione e a leggere il giornale. Chissà cosa pensava di lei… Si trascinò a testa bassa fino a lui, evitando accuratamente di guadarlo negli occhi.

-Buongiorno- la salutò.

-Ciao.

Il silenzio calò nella stanza. Un silenzio rotto solo dal rumore delle posate e delle pagine girate. Hilary avrebbe voluto sprofondare: non si era mai sentita così in imbarazzo come in quel momento.

-Stai bene?- le domandò, appoggiando il giornale e osservandola. Non c’era derisione o altro nel suo sguardo. Era il solito Kei con cui viveva da un mese ormai.

-Kei…io…

-Non preoccuparti per ieri sera- la interruppe, distogliendo lo sguardo. –La tua è stata una normale reazione causata dall’adrenalina in circolo. Ho visto persone molto più mature, fare cose molto più stupide nella stessa situazione, credimi.

-Ti sono saltata addosso come una pazza.

-Non penso male di te per questo: ti ho chiusa in camera ed è finita lì.

Sembrava tranquillo, come se non fosse successo niente. La ragazza si calmò leggermente e trovò il coraggio per rialzare la testa e sorridergli.

-Grazie.

-E di cosa?- chiese stupito.

-Bhe…avresti potuto approfittare della situazione…invece non l’hai fatto…

-Ho molto rispetto per te, Hilary. Sono io ad aver sbagliato: non dovevo obbligarti a questa vita.

-Siamo vivi. Cos’altro c’è che conta?

-Hai rischiato di morire- proseguì lui.

-Non con te. Non puoi fermare Spyro da solo. E questa è l’ultima volta che ne parliamo.

Le labbra dell’Angelo si incurvarono in un raro sorriso: che determinazione in quella ragazzina pelle e ossa. Una determinazione che sentiva simile alla sua, sebbene spinta in una diversa direzione.

E, anche se sarebbe morto piuttosto che ammetterlo, una strana sensazione si era impadronita di lui da quando lei lo aveva baciato.

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Capitolo 9
*** Imprevisto ***


Cap

Cap. IX°

Imprevisto

 

A Tokio, nella villa di Jack Spyro, l’uomo parlava al telefono con Yuri Ivanov, che gli stava dando le ultime brutte notizie.

La rabbia esplose.

-Quanto ho perso? Quanto?

-Tutto ciò che avevi depositato presso di loro.

Bloody Mary continuò, dicendo che l’Angelo aveva rivelato il suo nome al banchiere e che presto sarebbero stati rovinati.

-Allora, rispondi a questa domanda.

-Certamente.

-Cosa ti pago a fare?- urlò, furioso.

-Mi dispiace, Jack, ma non è così facile come pensavamo.

-Sbrigati, o sarà la tua testa che vorrò!

 

Nelle settimane seguenti, Kei riempì la borsa nera nelle banche di Nagoya, di Takaoka, di Yamaguki, di Miyakonojō e di Tottori. Non sparò un colpo e le rapine divennero quasi un’abitudine. Durante il viaggio, leggeva i giornali con grande attenzione, cercando anche il minimo riferimento alle loro rapine, ma non trovava mai nulla e ne era felice. Ogni tanto spediva dei pacchi a Tokio, al tenente Kinomiya, con l’avvertimento di non fidarsi di nessuno. Il capo della polizia della città era sul libro contabile di Spyro. Non avrebbe trovato appoggio in quella direzione.

Era seduto alla scrivania del direttore della banca di Tsu, un uomo troppo giovane per l’incarico che ricopriva. Un po’ come lui, che a diciannove anni era un tempo colui che faceva rispettare la legge di Jack Spyro.

Molto professionale nell’aspetto e nei modi, il giovane banchiere era nervoso e visibilmente spaventato.

-Sono spiacente, signore. Non ci sono soldi.

Kei puntò la pistola dritto alla testa del direttore della banca.

-No! Posso darle il denaro- disse l’uomo. –Voglio solo dire che…non sarà quello dell’Organizzazione. Hanno ritirato tutto due giorni fa.

L’Angelo lo osservò, stava dicendo la verità.

-Chi ha dato l’autorizzazione?

-Il contabile.

Sembrava che un contabile dell’Organizzazione stesse girando per le banche accompagnato da uomini armati. La faccenda andava avanti da giorni.

-Come si chiama?

-Gianni. Gianni Tornatore.

-Non sa per caso quale sarà la prossima meta del signor Tornatore?

-Sì, lo so.

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Capitolo 10
*** Esca viva ***


Cap

Cap. X°

Esca viva

 

Kariya non era lontana da Tsu, ed era inoltre la città natale di Kei. Rivederla gli faceva uno strano effetto.

Hilary, al volante della Jaguar, sapeva che il ragazzo così freddo era piuttosto nervoso negli ultimi giorni.

-Se vedi qualcosa, suona il clacson due volte.

Lei annuì.

-E non scendere dall’auto.

Si avvicinò alla ragazza, la incatenò con lo sguardo e le ricordò che avrebbe potuto sentire spari, grida o niente di tutto questo, ma in nessun caso avrebbe dovuto lasciare la Jaguar.

-In nessun caso- insistette.

La brunetta assentì di nuovo.

-Okay, sei pronta?

-Sono pronta.

Le ripeté ancora di tenere gli occhi aperti, poi scese dall’auto.

Dal punto in cui avevano parcheggiato, Hilary riuscì a osservare i movimenti dell’Angelo nello specchietto retrovisore; lo vide allontanarsi con aria indifferente, a passi rapidi e sicuri, e poi sparire nell’hotel.

 

Nell’edificio di fronte all’albergo, in un appartamento arredato in maniera funzionale ma dall’aspetto triste, un ragazzo guardava fuori dalla finestra.

Quello stupido di Kei sarebbe caduto nella trappola come un bambino. Dopotutto, anche il leggendario Angelo della morte era solo un uomo, un uomo rovinato…

Finalmente sarebbe stato di nuovo lui il killer numero uno dell’Organizzazione. E non quel pivello con l’aria nella testa.

Lo odiava dal primo giorno in cui si erano incontrati, due anni prima nell’ufficio di Spyro. Non si erano scambiati una parola, ma a volte gli occhi parlano più della lingua.

Voleva farlo fuori, voleva che tutti lo ricordassero come colui che aveva ucciso il famigerato Kei.

Ma è il caso a dominare le nostre azioni. Per quanto possiamo programmare ogni dettaglio, qualcosa sconvolgerà sempre i nostri piani.

Bloody abbassò lo sguardo sulla pistola, per controllare che fosse a posto. E fu per questa ragione che Yuri Ivanov, di guardia alla finestra, non vide Kei Hiwatari che attraversava la strada ed entrava nell’albergo.

 

Non aveva idea di come trovare la stanza del contabile, ma di certo lo spirito d’iniziativa non gli mancava.

Ma fu la fortuna a venirgli in aiuto.

-Devo portare la biancheria lavata al signor Tornatore- disse un garzone all’impiegato dietro al bancone.

-Stanza 413.

Il fattorino non si accorse della presenza di Kei alle sue spalle, che attese con l’aria di un avvoltoio. Appena uscì dalla stanza, l’Angelo lanciò un’occhiata al corridoio vuoto, afferrò la pistola e bussò.

-È aperto- gridò una voce irritata dall’interno.

Kei entrò con la pistola puntata. Il soggiorno dell’appartamento era ampio e lussuoso. Un giovane uomo, con indosso una giacca da camera, stava controllando la biancheria che gli era stata appena consegnata e dava le spalle al ragazzo.

-Dica pure alla lavanderia che dovrebbero cambiare mestiere!

Ma, con la coda dell’occhio, notò qualcosa che attirò la sua attenzione verso il nuovo arrivato…che gli stava puntando una calibro 45 alla testa.

-Metta giù la roba, signor Tornatore.

Gianni aveva gli occhi spalancati.

Kei non disse nulla, ma la pistola era abbastanza eloquente.

Il contabile fece come gli era stato ordinato, mormorando qualche parola di scusa. Ma almeno non finse di non riconoscere l’ospite inatteso e lo salutò con tono calmo:

-Angelo della morte.

-Signor Tornatore.

Li divideva un divano elegantissimo. Con le mani in alto e le sopracciglia aggrottate, l’uomo chiese:
-Come mi ha trovato?

-Ho avuto un suggerimento.

Senza distogliere gli occhi dal bersaglio, Kei si avvicinò alla porta e la chiuse a chiave.

-Potrebbe abbassare l’arma?

-Non posso.

Il click della calibro chiarì il suo punto di vista.

-Okay, okay…le darò i soldi.

Il contabile entrò nella camera da letto vicina. Kei rimase in soggiorno e lo osservò attraverso la porta aperta. Tornatore indicò la grande cassa di metallo e, riferendosi al suo “bottino”, disse:

-Sono lì dentro.

L’Angelo, ancora nell’altra stanza, fece segno con la pistola:

-Portali qui.

Comprensibilmente nervoso, Gianni lanciò un’occhiata alla finestra che si affacciava sulla strada. Kei se ne accorse e, quando il contabile iniziò a trascinare la cassa verso il soggiorno, lasciando aperta la porta della camera da letto, il ragazzo si avvicinò alla finestra e tirò le tende.

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Capitolo 11
*** Come un topo in trappola ***


Cap

Cap. XI°

Come un topo in trappola

 

Qualche minuto prima, nella pensione dall’altra parte della strada, Yuri si era alzato di scatto, rendendosi conto che Tornatore stava discutendo con qualcuno. Il contabile trascorreva la maggior parte del suo tempo parlando al telefono con gli incaricati del servizio in camera e con altri membri dello staff dell’hotel, rendendo loro la vita impossibile. Perciò, vederlo attraverso la finestra che parlava con qualcuno nella suite gli aveva fatto suonare un campanellino d’allarme.

E poi il suo grande rivale si era avvicinato alla finestra per chiudere le tende, perfettamente visibile, anche se solo per un istante.

Quella Jaguar che aveva visto prima…blu, ma uguale all’altra. L’aveva dipinta? E chi c’era al volante?

Questi e altri pensieri affollavano la mente di Bloody Mary, mentre afferrava il fucile e lo nascondeva sotto il soprabito. Si precipitò giù per le scale e attraversò la strada di corsa, senza curarsi troppo del traffico del centro, che del resto in quella cittadina era piuttosto scarso.

Mentre si dirigeva verso l’entrata dell’albergo, non vide nemmeno l’auto che dovette inchiodare bruscamente e sterzare per evitarlo.

Ma qualcun altro la vide.

 

Hilary aspettava paziente il ritorno di Kei. Non aveva ancora sentito degli spari e questo prometteva bene. Forse anche stavolta se ne sarebbero andati in silenzio come erano arrivati.

Poi il rumore della frenata attirò la sua attenzione. Dallo specchietto retrovisore sinistro notò il giovane dai capelli rossi che attraversava la strada di corsa.

Al ristorante non aveva visto bene il killer, ma Kei aveva descritto Bloody Mary con cura, fin nei minimi dettagli. Inoltre, intravide la canna del fucile che spuntava da sotto il soprabito, come una scarna terza gamba che non raggiungeva il terreno.

Ora, il killer numero due dell’Organizzazione, si stava avvicinando all’albergo e Hilary poggiò con forza la mano sul clacson e suonò…due volte.

Il suono fece sobbalzare l’uomo, che guardò indietro, ma non si accorse di lei. Subito dopo entrò nell’hotel.

Con il cuore che batteva all’impazzata, la ragazza suonò il clacson più volte. Si fermò un istante poi ripeté l’operazione e, sempre più spaventata, lo tenne premuto a lungo, così tanto che la gente per strada iniziò a fermarsi e ad osservarla.

Ma dov’era Kei? Perché non si era precipitato fuori appena udito il segnale?

 

Nel preciso momento in cui Ivanov afferrava il fucile, Kei si trovava nella suite nuziale, con la pistola puntata su Gianni Tornatore che, stizzito, stava spingendo a fatica la grossa cassa di metallo fuori dalla camera da letto.

Lanciò uno sguardo verso la finestra, dove l’Angelo aveva appena tirato le tende, e gli chiese di riaprirle, lamentandosi:

-Non riuscirò a vedere nulla.

Kei ignorò la richiesta e ordinò:

-Sbrigati.

Gianni continuò a spingere la cassa, apparentemente molto pesante.

-Che cosa pensa di ottenere interferendo con i nostri affari?

-Questo non ti deve interessare.

Il rumore del clacson fece sobbalzare Kei. Un segnale ripetuto più e più volte.

In quel momento il contabile riuscì a fuggire in camera da letto, sbatté la porta e la chiuse a chiave dietro di sé.

Kei sparò al lucchetto della cassa, facendolo saltare e…

E capì di essere in trappola. Il baule era vuoto.

Tornatore era l’esca, e lui era il topo…ma dov’era il gatto?

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Capitolo 12
*** Gli artigli del gatto ***


Cap

Cap. XII°

Gli artigli del gatto

 

Uno sparò sovrastò il suono del clacson, e fece un buco nella porta della suite, frantumando il legno. Un colpo di fucile a così breve distanza!

Kei si nascose dietro la cassa con il coperchio aperto, mentre qualcuno prendeva a calci la porta con il tacco dello stivale: udì il legno andare in pezzi e il metallo spezzarsi. Bloody Mary entrò e, non vedendo Kei, sparò cinque colpi in rapida successione, per tutta la stanza, colpendo anche la porta della camera da letto e il muro.

Due colpi raggiunsero il coperchio della cassa

L’uomo con il fucile si fermò sulla soglia per ricaricare, la stanza davanti a lui sembrava vuota. Kei saltò fuori da dietro la cassa e sparò quasi alla cieca con la calibro 45. Il proiettile colpì il divano vicino alla porta. Yuri si precipitò dietro il tavolino su cui era appoggiata una lampada di cristallo, e si abbassò per finire di ricaricare l’arma.

L’Angelo, rannicchiato dietro la cassa, riusciva a vedere il punto in cui i proiettili avevano colpito il coperchio.

Respirando a fatica contò quante pallottole gli restavano; nella stanza regnava un silenzio irreale, interrotto solo dal rumore del suo nemico che ricaricava il fucile; il tempo sembrava essersi fermato.

Non vide il suo avversario alzarsi, ma due colpi penetrarono nella cassa e la scaraventarono con forza contro di lui, spingendolo sul pavimento, di fianco e privandolo del riparo.

Nel momento in cui si rese conto di essere esposto, il ragazzo dai capelli argentei sparò tre colpi in rapida sequenza: un di questi mandò in frantumi la lampada di cristallo sul tavolino. Le schegge volarono dappertutto e colpirono in pieno viso Yuri, come le punture di decine di terribili api.

Ivanov urlò per la sorpresa e il dolore e cadde sulle ginocchia. Kei, ancora steso di lato, perfettamente visibile, continuò a sparare, ma i proiettili servirono solo a spingere l’altro, ferito e dolorante, a cercare rifugio dietro il divano imbottito.

Kei si accorse di sparare a vuoto, quindi lanciò un’occhiata a Bloody, rannicchiato dietro il divano: con una mano si toccava il viso insanguinato, con l’altra stringeva il fucile, impotente, almeno per il momento.

Sfruttò il momento di calma: si alzò in piedi, corse verso la porta della camera da letto e iniziò a prenderla a calci. Riuscì a romperla quel tanto da far passare il braccio e girare la chiave.

Entrando, si voltò rapidamente, ricaricando l’arma. Gianni era riverso sul letto, di schiena, con la bocca e gli occhi aperti e una chiazza di sangue sulla giacca da camera. Spruzzi scarlatti macchiavano anche la parete e la testiera. Una delle pallottole del fucile aveva colpito il contabile, dandogli un’ultima lezione sul mondo del crimine.

La camera da letto aveva un’altra uscita: Kei passò da lì e corse via lungo il corridoio, scendendo poi la scala antincendio e, nel giro di pochi secondi, stava avviandosi verso il parcheggio.

Non si avvide che Yuri Ivanov, nel frattempo, era riuscito a raggiungere la finestra e ad aprire le tende, aveva estratto un revolver a dalla tasca del soprabito, si era ripulito dal sangue e, infine, aveva preso la mira. Nessuna scheggia gli era finita negli occhi, per sua fortuna.

 

Hilary riconobbe immediatamente Kei che usciva dal vicolo, ingranò la retromarcia e indietreggiò per andargli incontro. Nessuno dei due perse tempo, ma due spari li scoraggiarono entrambi: sul tetto della Jaguar si aprirono due fori e i raggi del sole penetrarono nell’abitacolo. La ragazza sentì l’amico gridare:

-Vai! Vai!

E lei sapeva che, nonostante andasse contro il suo cuore, non poteva disubbidirgli.

Cambiò marcia e iniziò ad accelerare, mentre Kei correva accanto all’auto. Aprì la portiera ed era quasi salito, quando si udì un altro sparo e Kei ritrasse la spalla, sussultando per il colpo.

Eppure, in un modo o nell’altro, riuscì a salire sulla Jaguar e a chiudere la portiera, gridando ancora:

-Vai! VAI!

Hilary era spaventata, ma sapeva che l’Angelo era stato ferito, perciò fece del suo meglio: premette l’acceleratore, spingendo fino al limite della velocità, procedette a zigzag lungo il traffico mattutino, mentre le sirene ululavano dietro di loro.

Raggiunta finalmente la periferia, si voltò verso Kei, che si teneva la spalla sinistra con la mano: il sangue gli scorreva in mezzo alle dita, formando righe rosse sul braccio.

Il ragazzo scorse il panico sul volto di lei e disse:

-Sto bene, non preoccuparti. Guarda la strada.

Hilary continuò a guidare.

 

Nella suite, Yuri Ivanov si inginocchiò come se fosse sul punto di mettersi a pregare, ma non congiunse le mani: le allungò davanti a sé, con il palmo rivolto verso l’alto.

Le mani che si era portato al volto, devastato dalle schegge di vetro. Mani coperte di sangue, grondanti di rosso.

Era spaventato.

Era come se tutto il sangue di cui si era macchiato fosse lì davanti a lui.

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Capitolo 13
*** Uccidere Spyro ***


Cap. XIII°

Uccidere Spyro

 

Quella fu l’unica volta in cui Kei ed Hilary comparvero sul giornale: il ragazzo fu descritto come un ladro assassino, che aveva ucciso un contabile rispettabile portando via centinaia di migliaia di dollari dalla sua camera. In realtà non aveva preso nulla.

 

Per quanto fosse spaventata, Hilary riuscì a reggere la situazione finché Kei rimase cosciente e continuò a darle indicazioni per raggiungere, a suo dire, un posto sicuro. Era riuscito a fermare il sangue con un pezzo di stoffa strappato dalla sua camicia e non aveva voluto che la ragazza si fermasse per aiutarlo a sistemare quella fasciatura di fortuna.

Probabilmente, quello sforzo era stato troppo anche per lui e l’aveva indebolito fino a fargli perdere i sensi.

In Hilary il panico crebbe con la stessa forza dell’acqua che invade una nave che sta affondando.

Per fortuna, la sagoma di una piccola abitazione, sembrò apparire come un porto di salvezza. La giovane si fermò davanti all’ingresso, sperando di non trovarvi altri assassini, ma al massimo persone disposte ad aiutarli.

Bussò alla porta, e un ragazzo aprì l’uscio. Doveva avere all’incirca la sua età, capelli neri e occhi color dell’ambra. Le sorrise amichevole, notando poi l’auto alle sue spalle e la figura all’interno.

-Kei!- esclamò.

Il ferito prese conoscenza quel tanto da salutare il giovane.

-Ciao…Rei…

Quello che Hilary intuì essere un amico, lo portò nella camera da letto, sdraiandolo sul materasso.

-Non è niente…la pallottola è uscita…- sussurrò lui.

Poi si addormentò. La sua fronte scottava. Tremava per la febbre in quella branda improvvisata.

Non potevano chiamare un medico, non potevano fare niente, se non restargli accanto.

Kei si era preso cura di lei nel corso di quelle lunghe settimane e ora la giovane non poteva ricambiare il suo gesto. Rei, però, non la lasciò cincischiare nella preoccupazione e iniziò a darle ordini: tolse la camicia impregnata di sangue e lo bendò con una fasciatura decente.

-Prendi dell’acqua fredda.

Lei lo fece e restò accanto a Kei tutto il giorno, bagnandogli la fronte con un panno bagnato.

Osservandolo, Hilary si accorse di quanta innocenza ci fosse su quel viso. Il viso di un assassino, del peggiore assassino di Tokio…

 

Kei non sapeva con sicurezza quanti giorni fossero passati. Almeno tre, ma probabilmente non più di cinque. Si sentiva meglio; sedeva su un vecchio letto, cullando tra le mani una tazza di caffè bollente, il soprabito sopra la camicia bianca.

-Hai già intenzione di ripartire?

-Malgrado le ferite, Bloody sarà già sulla nostra pista. Potrebbe arrivare a giorni.

-Ma tu sei ancora convalescente…

La sua aria preoccupata suscitò in Kei un’onda di emozione. Veniva dal profondo, accompagnata da un terribile calore al petto.

-Non riuscirai a fermarlo- intervenne la voce del padrone di casa. –Kei è sempre stato un gran testardo.

Mi hai fatto stare in pena, lo sai?

-Sono stato uno stupido…mi sono lasciato fregare come un novellino.

-Bhe, per fortuna siete riusciti ad arrivare qui.

-Già. Stavolta me la sono vista brutta. Ti devo un altro favore, Rei.

-Oh, non preoccuparti. Faremo un conto unico, ok?

Hilary si alzò e uscì dalla stanza, per lasciarli soli. Gente come loro aveva di certo questioni che non gradivano discutere in presenza di terzi.

Non vide così lo sguardo che Kei le lanciò mentre usciva.

Uno sguardo che l’amico non mancò di commentare.

-E così anche tu hai dei sentimenti…non sei immune…

-Che…

-Lo so, non sono affari miei. Che farai adesso?

-Pensavo di lasciarla qui con te. Dopo quello che è successo, non voglio coinvolgerla ancora- decretò. –Poteva esserci lei al mio posto.

-Kei…quella ragazza non ti lascerà solo neanche se la leghi ad una sedia.

-Non posso continuare a metterla in pericolo!- esclamò l’Angelo, con un’enfasi maggiore di quella che voleva esibire.

-Ah, l’amore…parlane con la diretta interessata. Mi sembra l’unica cosa ragionevole che puoi fare.

-Sai, Rei…ogni volta che ti rivedo capisco perché non ci frequentiamo spesso.

-Uhm…perché sei un killer?!

-No, perché sei insopportabilmente impiccione.

-Sì…forse è per questo. Hilary!

Rei poteva dirsi fortunato che il suo ospite non avesse armi a portata di mano, perché probabilmente si sarebbe trovato ad agonizzare sul pavimento. Possibile che non si facesse mai gli affari suoi?!

Lo conosceva da una vita, erano amici dall’infanzia, sebbene poi le loro strade si fossero necessariamente divise nel momento in cui Kei aveva scelto la via del crimine. Eppure continuava ad essere il suo migliore amico, un fratello. Ben nascosto da Spyro, ovviamente.

La fanciulla arrivò nella stanza, notando subito l’espressione seria dell’Angelo.

-Cosa c’è, Kei?

-Hilary…sei sicura di voler proseguire?

-Ne abbiamo già parlato, no?

-Sì…ma la situazione adesso…

-Non è cambiata. Si è solo fatta più rischiosa. Ma ho fatto una promessa, ed intendo mantenerla.

-Non c’è niente che possa farti cambiare idea?

D’impulso Hilary gli gettò le braccia al collo, facendo attenzione a non toccare la ferita. Kei le restituì l’abbraccio, senza prestare la stessa attenzione.

E capì. Capì le parole di Rei. Nemmeno per tutto l’oro del mondo lei lo avrebbe abbandonato al suo destino.

Era arrivato il momento di chiudere la partita.

-Dove andiamo?

-A Tokio. Devo fare la cosa più importante adesso.

-Cioè?

-Uccidere Jack Spyro.

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Capitolo 14
*** Noi ***


Cap. XIV°

Noi

 

La casa alla periferia di Tokio era più malandata rispetto a quella di Rei, ma apparteneva all’Angelo e si trovava sulla strada per la città.

Il temporale infuriava, con tuoni, lampi e un vento che sembrava sul punto di sollevare l’abitazione.

Hilary odiava i temporali: ne aveva sempre avuto paura e ogni tuono la faceva saltare, impedendole di prendere sonno. Alla fine, dato che di dormire non se ne parlava, decise di alzarsi a bere un bicchiere d’acqua.

Scese le scale in punta di piedi, intenzionata a non svegliare Kei. Si era appena rimesso dopo la ferita alla spalla e aveva assolutamente bisogno di riposare: in quelle settimane aveva fatto di tutto per proteggerla e lasciarlo dormire era il minimo che lei potesse dargli come ringraziamento.

Passò nel salotto, ma un nuovo tuono la fece sobbalzare. La lampada sul tavolino si accese e il ragazzo si volse.

-Hilary, cosa c’è?- Non c’era rimprovero nella sua voce solo stupore.

-Niente…

Kei la osservò attentamente: tremava come una foglia e non soltanto a causa del freddo.

-Non dirmi che hai paura del temporale…

La brunetta si mise immediatamente sulla difensiva.

-E anche se fosse?!

-Non c’è niente di male- ribatté, alzando le mani in segno di resa. –La paura è un sentimento normale. Bisogna preoccuparsi solo se non la si prova.

-Posso…posso restare qui un attimo?- chiese titubante. Si sentiva una bambina di tre anni.

-Certo.

Hilary si sedette vicino a lui sul divano e la sua presenza la rese più tranquilla.

-Tu hai mai avuto paura?

-Non sono immune alla paura: le varie situazioni in cui mi sono trovato coinvolto hanno avuto un certo effetto su di me- rispose sinceramente, poggiandole una coperta sulle spalle. –Ma ho avuto paura soprattutto al ristorante e all’albergo…paura che tu potessi restare uccisa.

-Non hai paura di morire?

-Io e la morte conviviamo da tredici anni. Ha perso molto del suo mistero. Sebbene il fatto di darla ad altri non mi renda ansioso di provarla sulla mia pelle.

-Tu non sei malvagio…

-Per essere un buon killer una parte di te deve essere necessariamente malvagia.

-Perché sei diventato un killer? Per soldi, forse?

-No, per trovare l’assassino di mio padre- replicò deciso.

Lei gli chiese com’era accaduto e Kei le raccontò la storia dall’inizio.

-Quando Jack mi ordinò di ucciderti, ero intenzionato a portare a termine il lavoro.

-Cosa ti ha fatto cambiare idea?

-Ho scoperto che è stato Spyro ad uccidere mio padre. Così ho deciso di rovinarlo, ma avrò pace solo quando lo avrò ucciso.

-Ma le prove che…

L’Angelo negò lievemente con il capo.

-La polizia, i giudici…Spyro ha contaminato tutto.

-Allora perché mandi tutto al tenente Kinomiya?

-Perché so che lui è una persona onesta.

La fanciulla assentì: aveva conosciuto il tenente e i suoi collaboratori e le erano sembrati a posto, uomini e donne rispettabili. Ma l’apparenza inganna: a prima vista anche suo padre pareva onesto. In realtà era dentro fino al collo negli affari sporchi dell’Organizzazione.

-Hilary…grazie per tutto ciò che hai fatto. Ti sei trovata a lavorare con l’assassino peggiore di Tokio, fra rapine, omicidi, sparatorie…e nonostante questo sei ancora qui.

-È un velato tentativo di licenziamento?- ironizzò la giovane.

-No, mai.

Fu solo un attimo, i loro sguardi si incontrarono in modo diverso dal solito. I loro visi si trovarono vicini. Terribilmente vicini.

Anche se entrambi si rifiutavano di ammetterlo, agognavano a quel momento come si insegue una chimera. Bastava un secondo a rompere quell’incanto.

Kei stava per baciarla, quando improvvisamente abbassò il viso.

-Non posso…noi…

Hilary gli portò una mano sulla guancia, costringendolo a rialzare il volto. Lei gli stava sorridendo amorevolmente.

-Noi- disse soltanto, prima di baciarlo.

Lo sentì lasciarsi andare lentamente, mentre scivolava con lei lungo il divano. E persero la cognizione di ogni cosa, tempo, luogo, doveri.

Esistevano solo loro, avvinghiati l’uno all’altra, a divorarsi in quella passione bruciante e devastante a cui non potevano sottrarsi.

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Capitolo 15
*** Pioggia rossa ***


Cap. XV°

Pioggia rossa

 

La ragazza, con gli abiti addosso, fingeva di dormire sul letto della camera. Pioveva ancora a dirotto: quella notte non se ne era più accorta. La pioggia rigava i vetri e i suoi riflessi formavano strani disegni sul corpo di Hilary.

Kei era nell’altra stanza, immerso negli ultimi preparativi.

Stava ripulendo le armi e trovando la concentrazione per svolgere il suo compito più importante. A minuti avrebbe ucciso Jack Spyro, la legge di Tokio.

Erano giunti alla fine della strada.

Kei prese un foglio di carta e stilò una lista delle banche e delle casette di sicurezza; scrisse “Hilary” su una busta e vi infilò la lettera che aveva appena scritto, insieme a una mazzetta di denaro, sufficiente a mantenere la fanciulla per settimane, forse mesi. Inumidì la busta e la chiuse.

Poi tornò nella camera e posò la busta sul comodino. Rimase accanto a Hilary e la osservò a lungo, studiandolo, affidando alla memoria ogni dettaglio, come se sperasse di riconoscerla in un’altra vita.

Le carezzò i capelli, pensando a quanto la amava, e uscì.

Rimasta sola, Hilary guardò con sospetto la lettera sul comodino. La parola “addio” sembrava sollevarsi dalla busta come vapore.

 

In quella sera di pioggia, Jack Spyro trascorse diverse ore in compagnia di alcuni soci in un piccolo ristorante del centro. Ma all’ora di chiusura anche il boss doveva andarsene: quando il personale del locale finì di accatastare le sedie sopra ai tavoli e le luci si spensero, l’uomo e le sue due guardie del corpo si strinsero nei cappotti. Una prese l’ombrello, e si preparò ad affrontare la tempesta.

Quando Spyro uscì sul marciapiede, un tuono rimbombò, la pioggia batteva insistentemente sull’ombrello che la guardia teneva aperto per lui.

L’automobile era parcheggiata in fondo alla strada. Attese che Claude, la sua terza guardia del corpo rimasta all’interno della vettura, gli aprisse la portiera; riusciva a vedere il suo autista, dietro il volante, ma non chiaramente, perché i finestrini erano striati dalla pioggia.

Tentò con forza di aprire la portiera, finché non si accorse del foro rosso sulla fronte di Claude.

Ma era troppo tardi: le sue guardie del corpo crollarono come soldatini inermi, stroncate da due colpi in rapida successione. Il sangue scorreva nelle pozzanghere, colorando l’asfalto di un rosso scintillante.

Jack non riusciva a guardare: era disarmato, non c’era nulla che potesse fare. Era in trappola, non poteva fuggire.

Un fulmine illuminò il cielo, un tuono rimbombò e, in un istantaneo lampo di luce, l’Angelo era lì, in piedi in fondo alla strada, con un revolver in mano.

Poi, senza un movimento, scomparve nell’oscurità.

Spyro attese. Perché fuggire? Udì i passi sull’asfalto bagnato, sempre più vicini, e poi Kei Hiwatari, la calibro 45 in mano, fu lì, davanti a lui: i due erano così vicini che potevano toccarsi.

-Sapevo che Bloody era un buono a nulla. Sei sempre stato tu il migliore.

-Hai ucciso mio padre…io mi ero fidato di te…

-E tu? Quanti uomini hai ucciso? Non immagini che anche loro avessero dei figli, o un padre? Chi erano gli uomini che abbiamo ucciso, Kei?- esclamò. –Erano uomini in carne e ossa che avevano vissuto e respirato fino al giorno in cui non abbiamo deciso che era finita, per sempre! Ci sono solo assassini, ragazzo. Questa è la vita che abbiamo scelto!

-Io non ho scelto niente!- ribatté il giovane. –Tu mi hai fatto diventare di ciò che sono!

-Forse, ma in fondo al cuore sai che era ciò che volevi. Avresti comunque continuato a cercare l’assassino di tuo padre, per ucciderlo.

-E non avrei mai saputo che eri tu, l’uomo che mi ha sempre dato tutto nella vita…un uomo di cui mi fidavo…

-Tuo padre voleva tradirci! Stava facendo il doppio gioco!

-Aveva dato tutto all’Organizzazione: il suo tempo, la sua vita! Non significava niente per te?!

-Ho pensato al bene del…

-Hai pensato solo ai tuoi interessi…ai tuoi soldi…come sempre. Prendi e lasci le persone come se fossero oggetti…non hai mai nutrito un briciolo di rispetto per chi passa la propria esistenza a fare lo sporco lavoro che c’è dietro al tuo potere- sibilò. –Addio, Spyro.

Kei sparò, un unico colpo alla tempia.

Negli edifici ai lati della strada, diverse finestre si illuminarono, poi comparve qualche volto indistinto. In strada solo un ragazzo, in piedi, gli altri sparpagliati sull’asfalto. Poi, l’oscurità lo inghiottì e l’Angelo della morte scomparve, lasciando la strada deserta.

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Capitolo 16
*** Una vita nuova? ***


Cap. XVI°

Una vita nuova?

 

Jack Spyro era morto. Le bande di Tokio si sarebbero scannate a vicenda per conquistare il potere. Ma Kei non se ne preoccupava. Non si aspettava alcuna ritorsione: aveva ucciso anche le guardie del corpo di quell’uomo. I migliori. Dopo di lui, naturalmente.

E Bloody Mary si sarebbe venduto al miglior offerente. Tipico del suo stile.

Per quanto lo riguardava, sarebbe sparito insieme ad Hilary. L’Angelo della morte sarebbe svanito nello stesso modo in cui era apparso.

 

Hilary aveva dormito poco. Di tanto in tanto si era inginocchiata accanto al letto e aveva pregato per il bene di Kei. Quando udì i passi nel corridoio, era seduta sul bordo del letto con gli occhi chiusi… ormai si limitava a pregare che lui tornasse, non importava più che fosse tutto intero.

I passi si erano fatti più vicini, Hilary aprì gli occhi e si stupì di vedere che la luce entrava dalla finestra: era l’alba ormai, la chiave girò nella serratura…e la porta si aprì. Kei.

Si gettò fra le sue braccia. Si strinsero fino quasi a farsi male.

-Sei tornato…

-Non potevo lasciarti, lo sai. Ora è tutto finito.

E lei sentì che era la verità.

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Capitolo 17
*** L'ultimo sparo ***


Cap. XVII°

L’ultimo sparo

 

Avevano parlato poco, il primo giorno di viaggio, ma un nuovo calore sembrava unirli. Sorridendo di nuovo, Hilary si stava godendo la giornata di primavera, assaporando i raggi del sole a lungo attesi. Le foglie verdi li riflettevano come mille smeraldi.

Erano molto più che amanti. Erano compagni che avevano condiviso la sofferenza e avevano superato insieme le avversità, che si erano sostenuti in un periodo tragico, difficile.

E che non vedevano l’ora di concedersi finalmente un domani felice e sereno. Insieme.

Nel tardo pomeriggio del secondo giorno arrivarono alla casa sul mare. Il crepuscolo stava dispensando le sue ombre, colorando la striscia di sabbia lungo il mare di un blu freddo. Una brezza leggera soffiava sull’acqua, lievemente increspata.

Hilary corse immediatamente verso la spiaggia, entusiasta.

Kei non si unì a lei. Si fermò a guardare la sua ragazza che si comportava come una ragazzina, la ragazzina che era. Poi proseguì verso la casa. Raggiunse il portico ed entrò, la porta a zanzariera era solo accostata, come sempre, e andò in cucina.

C’era una grande finestra panoramica, da cui riuscì a vedere Hilary sulla spiaggia.

Da una sedia in un angolo, Yuri Ivanov si alzò in piedi, lentamente. Sparò due colpi, colpendolo con precisione. Kei barcollò e cadde, guardando il suo assassino con gli occhi spalancati per lo shock e la sorpresa.

Gli occhi di Ivanov erano impassibili, sembravano quelli di un folle. Il suo viso aveva perso la bellezza fanciullesca di un tempo ed era devastato da una miriade di cicatrici, conseguenza delle schegge di cristallo che l’avevano colpito al volto, nella suite di Tornatore. Bloody Mary appoggiò l’arma e sorrise.

Kei si dibatté ma stava perdendo le forze… Riusciva ancora a muovere il braccio?

Yuri aveva pagato un prezzo altissimo per quell’omicidio: il suo volto non sarebbe mai tornato come una volta, nemmeno con la chirurgia plastica, ma quella sarebbe stata la sua opera massima.

Un piccolo rumore dietro di lui lo fece voltare verso la porta…

…e proprio dietro di lui c’era Hilary Tachibana, che aveva preso la pistola di Bloody dal tavolo della cucina.

Ivanov si era trovato in situazioni difficili altre volte, ma in quei casi era sempre stato armato. Improvvisamente, si rese conto che la sua attrazione verso la morte non arrivava al punto di desiderare di sperimentare la sua.

 

Hilary aveva capito che qualcosa non andava. Un sesto senso.

Stava già correndo verso la casa, quando aveva sentito gli spari…

…e ora era lì con la pistola puntata e tremava di paura, non per se stessa, ma per Kei, disteso sul pavimento, ferito, sanguinante, indifeso, appena cosciente.

Ivanov stava cercando di rimanere calmo. Si avvicinò lentamente alla ragazza.

Nella mente di lei si dibattevano sentimenti diversi: rabbia, determinazione, paura, disperazione. Il dito si distese sul grilletto.

Uno sparo risuonò nella stanza, un colpo minuscolo più forte di qualsiasi tuono.

Spaventato, Yuri guardò Hilary, i suoi occhi si agitavano ancora, furibondi. Poi, come se una luce si fosse spenta, rimasero immobili, vuoti, e l’uomo cadde sul pavimento.

Hilary, che non aveva sparato, si voltò verso Kei ferito. Il fumo usciva a spirali dalla calibro 45 nella sua mano, formando un punto interrogativo.

-Non ci sono riuscita…

-Lo so- rispose lui, sorridendo debolmente.

Hilary gli si avvicinò, verificando l’entità delle ferite. Erano tutte profonde e perfette. Non era certa che…

-Chiamo un’ambulanza! Subito!

Kei si guardò intorno: un morto, l’odore della polvere da sparo e lui che sanguinava. A Bloody sarebbe piaciuta quella scena. Peccato ne facesse parte.

Era la fine, se lo sentiva. Non sarebbe sopravvissuto a lungo.

Era quella la fine del glorioso Angelo della morte.

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Capitolo 18
*** Insieme ***


Cap. XVIII°

Insieme

 

Hilary salutò il tenente Kinomiya all’ingresso dell’ospedale.

Erano accadute molte cose. Erano trascorse molte settimane, settimane cariche di ansia e di speranza e finalmente la certezza…

Appena era giunta la notizia del ricovero dell’Angelo, il tenente si era recato di persona a controllare che qualcuno non si desse la briga di accelerare i tempi.

Ma per il mondo intero era meglio che il killer restasse solo una leggenda. Uomini potenti erano coinvolti nei traffici di Spyro e Kei non aveva fatto loro che un favore uccidendolo. La cosa migliore era lasciare che tutto affondasse nel nulla.

La calma stava tornando a regnare insieme alla giustizia.

Ed era stato felice di vedere la giovane sana e salva. Sebbene la scoperta dell’identità del killer più ricercato del Giappone lo avesse lasciato a bocca aperta: era solo un ragazzino…si poteva essere così giovani e così spietati allo stesso tempo? Certo che era sempre riuscito a svanire: nessuno avrebbe sospettato di lui. Ma era anche merito suo se tutto ora stava recuperando una sua logica.

Un sorriso gli incurvò le labbra mentre rispondeva al saluto.

-Buongiorno, Hilary.

-Tutto bene qui?

-Sì, a parte il paziente che è poco paziente- scherzò, riferendosi all’ennesimo tentativo di fuga di Kei. Hilary rise, entrando nella stanza.

Il ragazzo era decisamente contrariato e non vedeva l’ora di andarsene.

-I giornali non ci metteranno molto a trovarci.

-Come ti senti?

-Meglio…anche se devo ammettere di essermela vista brutta. Senza di te…

-Non pensarci. I medici hanno detto che puoi continuare le cure a casa, ma che non devi affaticarti- gli spiegò la fanciulla, porgendogli i vestiti. –Possiamo andarcene.

-E…la polizia?- chiese stupito.

-Nessuno sa chi sei. Ti basta? Il tenente non ti ha mai visto.

-Vuoi dire che mi lasciano andare come se niente fosse?

-Esatto. E potremo stare insieme, per sempre.

-Hilary…tu meriti più di me…io non sono…

-Hai cambiato la mia vita, Kei. È il destino che ci ha fatti incontrare: tu avevi bisogno di me e io di te.

-Tu credi?

-Certo. Ti amo.

Quelle parole…da quanto tempo desiderava sentir parlare di amore? Pensava che per lui non ce ne fosse in nessun luogo di quella palla rotante chiamata Terra. E invece lo aveva trovato, proprio nel momento in cui non ci sperava più.

E avrebbe fatto di tutto per tenerselo stretto.

-Ti amo.

 

Si raccontano molte storie sull’Angelo della morte.

Nessuno ebbe mai la certezza che fosse reale e non solo una leggenda metropolitana. E se era esistito veramente nessuno seppe mai il suo nome: chi ne era a conoscenza, lo teneva segreto.

Forse non c’era davvero molto di buono in lui, ma aveva imparato ad amare, a sacrificare la sua vita per un’altra.

E fu una lezione che non dimenticò mai.

 

FINE

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