Il destino scelto

di CreAttiva
(/viewuser.php?uid=498545)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il castello ***
Capitolo 2: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 3: *** La verità (1^parte) ***
Capitolo 4: *** La verità (2^parte) ***
Capitolo 5: *** Rumori nella foresta ***
Capitolo 6: *** Il fiore che guida lungo il sentiero ***
Capitolo 7: *** A Trais ***
Capitolo 8: *** La prima missione ***



Capitolo 1
*** Il castello ***


2 - Un nuovo amico

Il Castello


Leggimi su Facebook: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-tay/il-destino-scelto-cap-1-il-castello/186866831480770


Runne era una bambina molto graziosa, con i capelli dorati dai quali spuntavano le lunghe orecchie ripiegate come sua madre, e gli occhi rossi come suo padre; la stessa bambina che ancora all’età di undici anni si chiedeva chi fosse realmente il suo papà, partito per la guerra quando lei era ancora troppo piccola per imprimere nella mente il suo viso. Di lui sapeva solo che era un grande guerriero e che si trovava in qualche angolo remoto del Mondo dell'Avvento.

Runne sedeva sull’erba umida di rugiada mattutina. Era uscita di casa presto, prima ancora che la madre si svegliasse, ed era salita sulla collina più alta della cittadina. Lo faceva spesso: le piaceva guardare l’alba. Il tramonto non le era mai piaciuto perché le sembrava portare tristezza; quando invece il sole faceva lentamente capolino dalle Montagne Incatenate era come se il mondo nascesse. Strinse le gracili ginocchia al petto, appoggiando la testa su di esse. I lunghi capelli lisci come la seta, che le arrivavano sino a metà schiena, ondularono alla dolce brezza mattutina. Si spettinò la frangia con le mani ricorrendo, inconsciamente, a una consueta abitudine di sua madre Judith. Il sole era quasi del tutto sorto; Runne stava su quella collina da un’ora e mezza ormai, seduta ad ammirare la città dall’alto. Anche da così lontano poteva sentire il profumo del pane, udire le risa dei bimbi, i battibecchi degli adulti, le lamentele degli assonnati, il latrare dei cani, gustare il sapore agrodolce dell’acqua del lago; proprio come se fosse stata lì. Fiandher, la città che tutto illumina: così era chiamata. Tale appellativo si doveva alla gemma posta sulla torre più alta del luogo: essa, quando avvertiva un pericolo, si accendeva di una luce verde in grado di illuminare l’intero territorio del Graäm.

Runne pensava a questo guardando alle proprie spalle. Il vecchio castello si ergeva in tutta la sua magnificenza, con i suoi mattoni di pietra e la sua altissima torre: quella che conteneva la gemma. Il muschio ricopriva il lato nord dell’edificio; una pianta rampicante si estendeva sui cardini del portone logoro dal tempo. Si diceva che il suo antico proprietario non avesse rispettato la Foresta Dipinta, il bosco che si estendeva dietro il palazzo, e che per questo gli spiriti dei boschi lo avessero punito togliendogli tutte le sue ricchezze. Dopo la decaduta del signore, tutti i servitori se n’erano andati e avevano cominciato una nuova vita. Senza eredi, abbandonato dalla gente che pensava gli fosse fedele, il corpo dell'uomo (secondo le dicerie) giaceva ancora sul suo seggio.

I battenti del cancello cigolarono, facendo trasalire la ragazzina. Si alzò lentamente e un’idea le s’insinuò nella mente: entra. Non poteva farlo. Sua madre glie lo aveva proibito. E poi potevano esserci dei vagabondi. Entra. Pensò al volto irato della madre. Entra. Scusa mamma. Sospirò. Avrebbe solo dato un’occhiata. Che male poteva farle?

Spinse il cancello e mise piede nei giardini del palazzo. L’erba cresceva incolta e Runne dovette prestare attenzione a una macchia di ortiche. Gli alberi rinsecchiti si piegavano su se stessi. Giunse di fronte all’alto portone di legno scuro. Posò le mani su di esso e provò a spingere. Con enorme sorpresa si accorse che non c’era nulla a bloccarlo. Peccato che fosse troppo pesante per lei. Nonostante puntasse i piedi per terra e facesse più forza possibile, il portone non si mosse. Runne abbandonò la lotta ansimando. Ormai era curiosa e con le buone o le cattive maniere voleva entrarci. Guardò il cielo. Il sole era alto!

«Oh no!» fece preoccupata. Non si era accorta di aver perso tutto quel tempo sulla collina. Corse a perdifiato verso la città, sapendo già cosa l’aspettava.



Judith era una bellissima donna, una feliana a dir poco splendida. I capelli dorati e mossi, raccolti in un nastro rosso, raggiungevano le anche; gli occhi castani erano truccati con la sabbia delle terre; le labbra carnose fremettero d’impazienza, mordicchiate dai lunghi canini: dov’era sparita sua figlia? Judith camminò con eleganza per la cucina, prendendo e posando ripetutamente il suo lavoro a maglia. La sua figura snella si arrestò solo quando la porta si spalancò, permettendo a Runne di entrare. A constatare dal respiro affannato doveva aver corso molto. La madre le rivolse uno sguardo severo.

Runne fece finta di cadere dalle nuvole:«’giorno, mamma!»

«Dove sei stata?»

Runne scrollò le spalle, continuando a boccheggiare «In… giro.»

«In giro dove?»

La ragazzina si affrettò a inventare una balla «Alla piazza del mercato.»

«Oh, certo! Alla piazza del mercato!» le fece eco Judith «Non raccontarmi altre bugie, Runne! Sei stata di nuovo sulla collina del castello, vero?» Beccata.

«No! Certo che no!»

«Piantala Runne o mi arrabbio sul serio! Quante volte ti avrò detto che quel luogo è pericoloso? Quante?!»

«Eddài, mamma! Non crederai mica che ci siano i fantasmi!»

«Quello a cui credo è affar mio. Non saresti dovuta andare là: te l’ho proibito. Avresti dovuto rispettare le mie regole perché sono tua madre.»

«E solo per questo dovrei rispettare le tue stupide regole?!» Un sonoro schiaffo si abbatté sulla guancia di Runne.

«Non ti permetto di parlarmi così! Io sono tua madre e finché starai in questa casa rispetterai le mie stupide regole!»

«Allora non ci voglio stare in questa casa!» urlò Runne, salendo le scale e chiudendosi in camera sua. Si buttò sul letto e singhiozzò tra le coperte. Aveva esagerato con la mamma. Ma perché non lo voleva capire? Lo sentiva: quella collina faceva parte di lei. Non riusciva a comprenderne il motivo, ma sapeva di essere legata in qualche modo a quel luogo da cui si potevano ammirare le albe di Fiandher. E sapeva anche che, una volta libera dai pomeriggi di lavoro di cucito di cui sicuramente la mamma l’avrebbe sommersa, sarebbe tornata al castello. Ma stavolta non sarebbe stata sola.

Le proverò che il castello non è pericoloso, così mi lascerà andare, si promise.



Alcuni giorni dopo il sole svegliò Runne, che dormiva comodamente nel letto.

«Mmh!» mugolò, affondando la testa nel cuscino.

«Runne!» la chiamò sua madre. Nessuna risposta.

«Runne, è ora di alzarsi!» Ancora silenzio.

«Runne! Kail e i suoi amici ti stanno aspet…» Runne balzò bruscamente in piedi e scese dal letto, inciampando tra le lenzuola per la fretta. Prese il giaccone e i pantaloni di pelle e afferrò la sua fidata spada di legno. Avvolse i capelli in foulard nero, nascondendovi il più possibile le orecchie, e si lasciò scivolare dolcemente sul mancorrente delle scale.

«Oggi si va in guerra!» si giustificò allo sguardo perplesso della madre.

«Ma tu sei una donna!»

«Sì, ma sono una guerriera!» Con quest’altezzosa precisazione, che Runne ricordava come la centesima, si avviò con i compagni per le strade di Fiandher, agguantando al volo una focaccia.

«Era un po’ che non ti vedevamo!» commentò Kail, il capo dei ragazzi. Aveva due anni più di Runne ed era anche il più grande della compagnia. Vantava dei capelli ricci e biondo-platino e due occhi grigio-azzurri. Erano un gruppetto di dieci bambini, tutti maschi a parte Runne. Era stata accettata con fatica, essendo una femmina, ma aveva conquistato un certo rispetto battendo Kail nella lotta. Per legittimità avrebbe dovuto prendere il ruolo del ragazzo, ma non lo aveva fatto. Non lo avrebbe mai fatto. Perché Kail le piaceva. Il suo sorriso, la sua voce imperiosa: amava tutto di lui.

«La mia vecchia mi aveva messo in punizione.»

«Sei proprio una femminuccia!» commentò uno dei ragazzini «Io me la sarei svignata!»

«Ma se appena una settimana fa sei rimasto ad aiutare tuo padre al lavoro!» fece Runne.

«Mi sono offerto spontaneamente per guadagnare un po’. Ricordi femminuccia?»

Runne gli si parò davanti, gli occhi rossi piantati nelle sue pupille «Vuoi vedere chi è la femminuccia qui con una dimostrazione pratica, Pylon?» Il bambino deglutì.

«Perché non ci proponi dove andare, Runne?» s’intromise Kail. Era proprio un vero capo: solitamente comandava i compagni con sicurezza, ma quando avvertiva un pericolo li guidava pensando con chiarezza al bene comune, mettendo da parte l’orgoglio. Era quello il caso. Con Runne non c’era da scherzare.

«Pensavo di andare al castello in esplorazione. Potrebbe diventare la nostra base.» rispose Runne senza distogliere lo sguardo infuocato dal ragazzino.

«Fico!» esclamò qualcuno.

«D’accordo.» acconsentì Kail. Il gruppetto raggiunse la collina in più di mezz’ora. Se fosse stato per Runne, ci sarebbe voluta la metà del tempo. Possedeva gambe agili e veloci e sapeva controllare bene il respiro. Lei e sua madre erano le uniche feliane di tutta la città; appartenevano a un popolo ormai in via d’estinzione. Per quanto ne sapeva i feliani erano gli originari abitanti del Mondo dell’Avvento, prima dell’arrivo degli esseri umani; con la mescolanza delle razze e, più avanti, l’ascesa al potere di Endrun, il loro numero era diminuito drasticamente.

Runne si fermò a guardare Fiandher. Un senso di dolce malinconia la pervase. Sentiva la città lontana, come se fosse dovuta scomparire da un momento all’altro. Perché mi sento così triste?

«Runne! Che fai lì impalata? Muoviti!» sbottò Kail. Runne raggiunse gli amici e il ragazzo proseguì:«Bene. Ora entreremo con cautela. Non sappiamo se è abitato. Facciamo un rapido giro del pianterreno, poi vi darò nuove istruzioni. Io apro la fila. Gli arcieri dietro di me…» e tre ragazzini armati di fionda annuirono «…a seguire i guerrieri…» e altri quattro (tra cui Pylon) con le spade di legno si fecero avanti «…e Runne chiude la fila.» Runne fece un cenno con la testa.

«I maghi coprono i lati. Tutto chiaro?» Un sonoro “sì” riecheggiò sulla collina, mentre due gemelli di circa dieci anni presero posizione. Avevano delle borse capienti, al cui interno c’erano le “pozioni”. Si trattava di semplici fumogeni, o perlopiù liquidi che facevano solo un bel botto, mettendo in fuga i nemici. Merito di loro padre, chimico ed erborista. I ragazzini rispettarono la formazione, penetrando nel giardino. Tutti insieme, riuscirono ad aprire il pesante portone di legno. Un pesante odore di muffa li invase. Si riformarono e varcarono la soglia.

Un salone a dir poco immenso mozzò il fiato a Runne. La stanza era un ampio semicerchio: sul lato curvo si estendevano un’infinità di porte, preceduto da un corridoio di colonne in marmo, il cui gioco seguiva la forma della sala. Runne per poco non prese un colpo guardando ai propri piedi: il pavimento di cristallo rifletteva le immagini del soffitto. Spostò la testa verso l’alto. Gli affreschi sul soffitto sembravano narrare una specie di storia. Riconobbe uomini, sinhilari, gli eremiti delle leggende e persino alcuni feliani. Portò istintivamente una mano sulle orecchie ricurve, che lei trovava buffamente simili a quelle di un coniglio, poi si ricordò che le aveva cacciate sotto il foulard. Così, girando su se stessa, rimirava i graffiti, rapita come gli altri, fintantoché la sua attenzione non venne catturata da delle strane figure. Somigliavano agli esseri umani, ma qualcosa in loro li rendeva diversi. A partire dagli occhi rossi. Runne ebbe un tuffo al cuore. Se aveva ereditato gli occhi dal padre, allora lui faceva parte di quelle creature? Ma cos’erano in realtà quelle creature?

Runne avrebbe voluto capire, chiedere a quei dipinti la verità, ma la pietra era muta. Si costrinse a guardare Kail e a domandargli:«Allora, andiamo?»

«Sì.» rispose lui con voce sognante «Andiamo.» I ragazzini scelsero una porta a caso e cominciarono a perlustrare i dintorni. Gli affreschi continuavano interminabili in ogni stanza. Piante rampicanti si estendevano persino sulle pareti interne. Fu un attimo. Runne avvertì uno scricchiolio.

«Ho sentito qualcosa!» avvertì gli altri.

«Come?» chiese Kail.

«Ho detto che ho sentito qualcosa!» I bambini si misero all’erta, guardandosi attorno con circospezione. Nulla. Neppure un respiro.

«Non è che te lo sei immaginato?» la punzecchiò Pylon.

«No, uffa! Sono sicura di aver sentito un rumore…» e indicò un mobile in un angolo «Là, nella credenza.»

«Ma è impossibile!» esclamò Kail «Nessun uomo si potrebbe nascondere lì!»

«Sarà un animale.» suggerì uno dei guerrieri; tuttavia il suo tono di voce era teso.

«Bisogna comunque controllare.» s’intestardì Runne «Vado io.» Si avvicinò lentamente al mobile sospetto. Strinse la presa sulla spada di legno. I suoi passi risuonavano sul pavimento, accompagnati dallo sguardo dei presenti, che trattenevano il respiro. Esaminò la credenza con attenzione. Sembrava non esserci davvero niente.

«Visto?» la prese in giro Pylon «Te lo sei immaginato!» Proprio mentre pronunciava quelle parole, uno sportello della credenza si spalancò e ne uscì un piccolo essere dalla pelle bianca, alto meno di una spanna, con soffici piume al posto delle orecchie, un vestito elegante e un cappello a forma di cilindro. Il sinhilare si gettò su Runne gridando:«ORA!» e fiotti di sinhilari dilagarono, scoprendosi dai loro nascondigli. Fluttuavano come insetti fastidiosi attorno ai ragazzini, mordendoli, graffiandoli, tirandogli i capelli. Stesso trattamento riserbava il sinhilare alle prese con Runne: la cosa più irritante era che sghignazzava sguaiatamente. La ragazzina menò colpi con la spada con una furia cieca, facendo ridere l’esserino ancora di più. La lotta durò un paio di minuti, finché un fumo denso non invase la stanza: uno dei maghi aveva usato una pozione.

«Ritirata!» urlò Kail, mentre i sinhilari tossivano e sbandavano, confusi. «Ritirata!» I bambini si precipitarono fuori correndo a più non posso. Alle spalle di Runne risuonò la voce canzonatoria del sinhilare col cappello a cilindro:«Andatevene! Scappate via! Non li vogliamo qui dentro gli umani!»



Runne tornò a casa in tempo per il pranzo. Durante il tragitto di ritorno i bambini non si erano scambiati una parola. Quando Runne si separò da loro, non ricevette né porse un saluto. Quella era stata la loro prima, clamorosa sconfitta. Sua madre la osservava masticare con lo sguardo vuoto, ma inizialmente non domandò nulla. Poi non resisté:«Cos’è successo oggi, Runne?»

La bambina la guardò senza espressione:«Niente.»

«Sicura? Se vuoi puoi parlare con me.» A Runne scappò una risata. Se la mamma avesse solo immaginato dov’era stata… «Non credo sia una buona idea. E comunque non ti preoccupare, non è niente di che.»

Judith sembrava voler aggiungere altro, ma decise di cambiare argomento:«Cosa mi dici di Kail?»

Runne sgranò gli occhi «Che dovrei dire?»

«Bé… come sta, ad esempio.»

«Bene.»

«E tu come stai con lui?» chiese Judith con una nota di malizia.

Runne arrossì «Cosa vuoi dire?»

«Che ti piace.»

«Mamma!»

«Oh!» sorrise «Eccome se ti piace!» Runne era rossa fino alla punta delle orecchie ripiegate.

«Sì.» ammise dopo un po’ «E allora?»

«Allora pensavo che potremmo invitarlo a cena, ogni tanto.» Runne sospirò. Sua madre aveva sempre avuto buon occhio per queste cose. Come faceva ad accorgersene? Eppure era sicura di averlo nascosto piuttosto bene…«Glie lo dirò.»

«D’accordo.» Judith si alzò dalla sedia e cominciò a sparecchiare. Runne rimase immobile mentre lei lavava i piatti.

Infine si decise:«Mamma, cosa sai dei sinhilari?»



Runne procedeva a passo lento, rimuginando su quello che le aveva detto la madre.

«Perché mi fai questa domanda?» si era insospettita Judith.
«Se ti dico la verità prometti di non arrabbiarti?»
Judith rimase in silenzio per qualche secondo, sostenendo lo sguardo della figlia.
«Dimmi.»
«L’hai promesso, eh? Stamattina sono stata sulla collina...»
«Cosa?!» urlò.
«Non arrabbiarti, l’hai promesso!»
«Runne...»
«Lasciami finire, d’accordo?» Judith tacque.
«Bene: io e i miei amici siamo entrati nel castello.» Gli occhi di Judith sprizzavano scintille di fuoco, ma lasciò continuare la bambina:«L’unico problema è che è abitato dai sinhilari.»
Runne entrò nel giardino e giunse davanti al portone. Era socchiuso. C’era un piccolo spiraglio, un po’ stretto forse, ma riuscì comunque a passare, seppur con fatica.
Judith la guardò con severità. «Quindi?»
«Cosa?»
«Mi hai raccontato la tua bravata e mi hai chiesto cosa so dei sinhilari. Cosa vuoi sapere?»
«Non lo so...» rispose Runne «Non so neanche “cosa” siano...»
Judith sospirò «I sinhilari appartengono a una categoria di creature chiamata Demonaturi: sono in stretto rapporto con la natura che li circonda. La rispettano e ne ricevono poteri.»
«Che genere di poteri?»
«Muovono le piante, usano incantesimi soporiferi... roba simile. Detestano gli umani perché non hanno alcun ritegno per la natura, ma si dà il caso che apprezzino i feliani.»
Runne ammutolì. Apprezzano i feliani? «Allora perché mi hanno attaccata?»
«In mezzo ai tuoi amici non ci avranno fatto caso.»
«Credi che potrei diventare loro amica?»
Judith diede un’alzata di spalle. «E’ molto difficile, anche per un feliano. Sono creature schive; e poi tu sei feliana solo a metà. Puoi tentare.»
Runne rimase di stucco. «Mi dai il permesso??? Non dicevi che il castello è pericoloso?»
«Come se servisse a qualcosa proibirti di andare... se ci sono solo sinhilari, non c’è da temere. Amano gli scherzi, ti faranno saltare i nervi, ma non possono farti del male. Non a te almeno.» e sfoggiò un sorriso pieno di sottintesi. Runne si accigliò, chiedendosi cosa intendesse. Lasciò perdere e si avviò verso la porta.
«Aspetta!» la fermò Judith «Ti consiglio di cambiarti: conciata così non rendi l’idea di avere buone intenzioni. E passa da Suran, il droghiere: i sinhilari hanno un debole per le fragole.»

Runne indossava un abito semplice color cremisi, che le arrivava sino alle caviglie. Calzava dei sandali e si era sciolta i capelli. In mano portava un fazzoletto che sembrava contenere qualcosa. Non appena mise piede nel salone, un’orda di sinhilari la circondò.

«Cosa ci fai ancora qui, umana?» il sinhilare con il cappello a cilindro. Pareva essere il loro capo, nonostante apparisse giovanissimo.

«Non sono un’umana.» rispose Runne indicando le orecchie «Sono una feliana.» I sinhilari esclamarono note di stupore e meraviglia.

«Una feliana? Ma...» li sentì bisbigliare.

«E’ davvero una feliana?»

«Sembra di sì.»

«Non emana l’aura pacifica dei feliani.»

«Già, infatti ha gli occhi rossi.»

«Occhi rossi? Allora sarà un...»

«Dev’esserlo per forza con quegli occhi...»

«Silenzio!» li zittì il sinhilare di prima «Come ti chiami, figlia del bosco?»

«Runne.» Un’ombra di tristezza passò per un attimo sul viso del sinhilare, ma si ricompose quasi subito:«Un nome della Lingua Perduta! Allora sei davvero una feliana!»

«Mia madre porta un nome umano, eppure è una feliana purosangue.»

«Sì, hai ragione. Non sempre si portano nomi appartenenti alla propria razza, di questi tempi.»

Runne ebbe modo di osservare i sinhilari con più attenzione: la loro pelle era di un bianco perlato, con lievi riflessi azzurri; le piume, che si trovavano all’altezza delle orecchie, ondeggiavano placide, mosse per istinto dai loro proprietari. Quello col cappello a cilindro aveva lisci capelli rossi, lunghi fino alle spalle, e occhi color miele. Poteva avere una ventina d’anni, forse, misurandoli secondo il suo metro di giudizio. La ragazzina pensò che se fosse stato della sua misura lo avrebbe trovato un bel ragazzo. Il sinhilare si stampò in faccia lo stesso sorriso beffardo di sempre.

«Piacere di conoscerti, Runne. Io sono Daeb, il capo dei sinhilari della Foresta Dipinta. Dunque eri tu la bambina che vedo spesso su questo colle. Da lontano non avevo notato che eri una felina. Come mai sei qui?»

Non poteva crederci: ce l’aveva fatta! «Vi ho portato queste.» Aprì il fazzoletto: dentro vi erano le fragole.

«Fragole!» esplosero gioiosamente molti.

«Pensavo vi piacessero, così ne ho prese un po’ da un mio amico.»

Il sorriso scomparve dalle loro facce «Un tuo amico umano?»

«Sì... perché?»

«Noi non prendiamo niente dagli umani.» precisò Daeb, gelido «Sono i nemici della Grande Madre.»

«Ma questo mio amico è buono, ama la natura!»

«Chi è amico degli umani è nostro nemico. Vattene.» Runne avvertì un blocco di ghiaccio alla bocca dello stomaco. Sentiva quelle creature vicine a lei. Aveva sempre desiderato avere un sinhilare per amico. E ora che c’era quasi riuscita...

«No.» disse.

«Come?»

«Ho detto che non me ne vado.» Un forte brusio si animò tra i sinhilari.

«Vattene subito, altrimenti...» minacciò Daeb.

«“Altrimenti” cosa?» lo rimbeccò Runne con tono di sfida. Daeb era furibondo:«Hai osato troppo. Ora ne pagherai le conseguenze.» Il sinhilare chiuse gli occhi. Una misteriosa luce lo avvolse e Runne sentì il sottosuolo tremare.

«Daeb, aspetta!» provò a dire, ma non ricevette ascolto. Percepì un movimento alle proprie spalle. Si voltò: un albero del giardino esterno spalancò il portone con i rami, allungati a dismisura. Guardò con orrore la pianta animata da una furia impetuosa. Poi i rami si tesero verso di lei. Daeb mosse un braccio; simmetricamente i rami dell’albero mirarono a Runne. La bambina evitò il colpo, saltando con agilità. Le fragole rimasero spiaccicate. I rami si piegarono nella nuova direzione presa da Runne e lei fu costretta a scartare di lato. Continuò a schivare i rami, che seguivano ogni suo movimento. Aveva ormai preso il ritmo giusto, perciò decise di avvicinarsi a Daeb: colpendo lui molto probabilmente avrebbe fermato l’albero.

I sinhilari però capirono le sue intenzioni e cominciarono a concentrarsi tutti assieme. Un intrico di rami sovrastò Runne: tutti gli alberi del giardino adesso erano contro di lei. Si vide perduta. Chiuse gli occhi. Silenzio. Li riaprì lentamente. I rami erano immobili, sospesi sopra la sua testa. Rimase a bocca aperta. Non meno sorpresi erano i sinhilari. Si concentrarono ancora di più e i rami tremarono appena, ma non si mossero.

«Ma... perché?» balbettò Daeb, allibito. I rami scesero fino ai piedi di Runne e uno le si avvolse dolcemente alla vita per farla salire. Runne si levò in alto, trasportata dalle piante, e venne posata con accuratezza fuori dal cancello. Infine i rami si accorciarono a lunghezza naturale e gli alberi tornarono immobili.

Runne aveva il cuore in gola. Deglutì e riprese coscienza del proprio corpo. Come mai gli alberi avevano esitato ad attaccarla? Di certo non era merito dei sinhilari: loro erano intenzionati a ucciderla. Forse la mamma ne sapeva qualcosa...

Sospirò. Le dispiaceva dover lasciare quel luogo, ma era l’unica soluzione se voleva evitare un secondo scontro con dei sinhilari iracondi. Non era sicura che sarebbe sopravvissuta a un altro incontro. Guardò tristemente il castello. Pensò ai sinhilari. Pensò a Daeb. Le sarebbe davvero piaciuto diventare sua amica. Poi i piedi si mossero da soli verso la città.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Grazie di cuore per esservi interessati alla mia storia.

Cosa ne pensate di questo primo capitolo? Per il momento i personaggi introdotti sono Runne, Judith, Kail e Daeb. Ciascuno di loro ha una propria identità, e spero di farla emergere nei capitoli successivi.

Badate, nessun errore di dicitura: sono feliAni con la “a” messa lì per un motivo. E quando dico che Runne ha i capelli “dorati” non è una metafora: non sono biondi e sì, brillano come una scritta glitterata xD Saprete di più su questo popolo continuando a seguirmi.

Ora passiamo al termine “sinhilari”. Provate un’analisi etimologica di “simpatia”: sin=con + pathos=sentimento. Il processo di formazione della parola è lo stesso. L’h è muta, a meno che non vogliate farvi venire una sincope per pronunciarla.


Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva

Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un nuovo amico ***


2 - Un nuovo amico

Un Nuovo Amico


Leggimi su Facebook: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-tay/il-destino-scelto-cap-2-un-nuovo-amico/186886218145498

Di ritorno a casa, Runne passò per la piazza del mercato. Decise di farsi un giretto, per distrarsi un po’. Era pieno di gente. Runne si fece largo fra le innumerevoli persone. Nelle bancarelle si poteva trovare di tutto: carne, verdura, frutta, dolci, vestiti, gioielli, armi, erbe, manifattura, quadri... Runne ripose una statuetta a forma di aquila e si diresse in un punto preciso. Aveva visto i suoi amici. Passò in mezzo a due uomini che discutevano sul prezzo della stoffa e li trovò: erano riuniti attorno al banco delle erbe e Pylon aveva allacciato alla cintura un pugnale. Un pugnale vero. E Kail non c’era. La cosa non le piacque.

Si avvicinò a loro:«Ciao, ragazzi. Cosa state facendo?»

I bambini rimasero spiazzati: a quanto pareva non erano contenti di vederla.

«Ciao.» rispose Pylon con calma «Ti unisci a noi?»

«Per fare cosa?» domandò Runne allarmata.

Pylon le sventolò un sacchetto sotto al naso «Veleno per topi. Pensiamo di andare a togliere di mezzo quei sinhilari.»

«Che??» Runne scosse la testa «Ma siete impazziti?!»

«Non ti preoccupare. Sui sinhilari avrà solo un effetto di stordimento e malessere.

Credo.» Runne non era preoccupata unicamente per i sinhilari «Allora quel pugnale?»

Pylon accarezzò l’elsa dell’arma. «Per precauzione.»

«No, ragazzi. E’ troppo pericoloso.» I bambini scoppiarono a ridere.

«“Pericoloso”?» la canzonò un arciere.

«Sono solo sinhilari!» fece un altro.

«Non la prendete in giro, ragazzi!» disse Pylon con voce ironica «Dopotutto è una femmina: è normale che se la faccia sotto!» Runne non si arrabbiò neppure: la preoccupazione superava l’orgoglio.

«Sei un pazzo, Pylon! Non puoi farlo!»

Il ghigno del bambino si tramutò in un ringhio «Non mi pare di averti chiesto il permesso.» Il gruppetto la sorpassò e Runne ebbe solo il tempo di gridare:«Vi prego! Datemi ascolto!» prima che scomparisse nella folla del mercato.

Runne rimase lì imbambolata. Le sfuggì una parolaccia. Girò sui tacchi e corse per le vie. Lo scalpiccio dei sandali risuonava sul suolo. Giunse innanzi a una bottega. Bussò nervosamente alla porta. Non arrivò nessuno. Picchiò più forte, disperata. La porta si aprì di botto e ne emerse un uomo alto e robusto: Gonta, l’armaiolo. Aveva allacciato alla vita in grembiule sporco quanto la sua faccia, e puzzava terribilmente di sudore. La sua stazza corpulenta aveva sempre suscitato soggezione in Runne.

«Che vuoi?» grugnì l’uomo.

«Cerco Kail...» Gonta la squadrò da capo a piedi, poi chiamò:«Kail! C’è qui la mocciosa tua amica!» L’uomo si fece da parte per cedere il posto al figlio. Kail spuntò sull’uscio, anche lui sudato marcio e con un asciugamano poggiato sul collo. Persino in un momento simile Runne riusciva a pensare che era veramente bello.

«Runne! Come mai sei qui? Lo sai che il pomeriggio devo aiutare mio padre...»

Runne si riscosse:«Pylon e gli altri sono andati al castello! Vogliono cacciare i sinhilari!»

«Che cosa???» Kail buttò l’asciugamano su una sedia, quindi si rivolse al padre:«Esco un attimo.» Gonta annuì senza proferire una parola. I due bambini si misero a correre in direzione della collina.

«Grazie!» disse Runne «A me non danno ascolto.»

«Quegli idioti! Ma cosa pensano di fare?» Marciarono tra gli stretti e labirintici vicoli, urtando le persone.

«Ehi! Attenti dove andate, piccole pesti!» I ragazzini non sprecarono tempo in scuse, né tanto meno il fiato che gli serviva per correre. Continuarono a seguire la propria strada senza badare a nessuno.



Daeb volava avanti e indietro per il salone d’ingresso. Gli altri sinhilari si erano ormai dispersi per il castello, ognuno preso dai propri interessi. Si sedette sulla sporgenza di una delle colonne e si mise a riflettere. Si era lasciato prendere la mano e aveva attaccato con ferocia una ragazzina. Dopo tutti quegli anni non aveva ancora imparato: appena si era presentata l’occasione aveva usato uno stupido pretesto per alimentare il suo antico rancore verso gli umani. Sospirò. Fortunatamente gli alberi non avevano obbedito ai loro comandi; ma perché? Perché avevano risparmiato quella ragazzina? D’accordo, per metà era di sangue feliano, ma pur sempre solo a metà. I feliani erano un po’ come i sinhilari: gente del bosco, in stretta relazione con la natura, erano in grado di sfruttare appieno la magia bianca. Tuttavia, se nel cuore di una creatura qualsiasi (della foresta o meno) albergava malvagità, la natura era in grado di sentirlo; e la puniva con fermezza. Lui ne era la prova vivente... scosse la testa e tornò a concentrarsi sui propri dubbi. Perché gli alberi erano stati clementi con lei?

Formulò un’ipotesi, l’unica plausibile, ma la scartò subito: quella bambina non poteva possedere poteri sacri. Sorrise sarcastico. Che ironia della sorte: portava addirittura quel nome. Ciò non cambiava le cose. La stirpe sacra si era estinta per sempre... I suoi pensieri vennero interrotti da un sottile vociare di fanciulli. Volò sino ad affacciarsi a una finestra e li vide: i bambini di quella mattina. Stringevano tra le mani dei sacchetti di stoffa e avanzavano con fare pomposo. Li scorse con lo sguardo: la semifeliana non c’era. Diede immediatamente l’allarme. I compagni accorsero velocemente, da diverse direzioni. Si piazzarono di fronte al portone, che venne aperto dai bambini.

«Cosa volete, uma...?» Daeb non fece in tempo a finire la frase, che Pylon aprì il sacchetto e lanciò una manciata di polvere bianca. I sinhilari, colti di sorpresa, la respirarono. Daeb, invece, corse prontamente lontano.

«Attenti! Non respirate!» urlò ai suoi. Fu tutto inutile: i ragazzini si unirono al loro capo, investendo le creature di veleno. I sinhilari cominciarono a tossire, intossicati e disorientati; alcuni caddero svenuti a terra.

«Lim! Ryuha! Dannazione!» imprecò Daeb. Si concentrò per invocare l’aiuto della natura, ma proprio in quel frangente Pylon lo raggiunse con una ventata di polvere bianca, prendendolo in pieno. Daeb si tenne la gola. Un moto di terrore lo percorse quando si sentì mancare e non riuscì più a volare. Rovinò al suolo, sbucciandosi un gomito. Si sentì afferrare per la giacca di pelle e sollevare dal pavimento. Pylon portò il sinhilare all’altezza della sua faccia.

«Tu...» disse con un ghigno «...sei un esserino fastidioso.» Estrasse il pugnale. Il sorriso di Pylon baluginò nella lucentezza della lama.

«Nooo!» Runne si precipitò verso il bambino, seguita a ruota da Kail. Runne fermò il coltello afferrandolo con le mani, ferendosi le palme. Pylon lasciò la presa sia su di esso sia sul sinhilare, che cozzò a terra con violenza.

«CHE CAVOLO FAI?!» urlò Pylon, fuori di sé. Runne non rispose. Raccolse Daeb con delicatezza e lo posò sulla propria spalla. Daeb riprese a respirare regolarmente, ma un forte capogiro lo costrinse ad aggrapparsi al collo della bambina. Intanto Kail aveva sbattuto contro il muro un paio di amici.

«Piantatela, ragazzi!» ordinò Kail, scuro in volto «Questa è la casa dei sinhilari e noi non abbiamo il diritto di violarla!» I bambini si fermarono, a disagio.

«Cosa??» esclamò Pylon «Loro ci hanno attaccato, umiliato e... IO NON HO ALCUNA INTENZIONE DI LASCIARGLI FARE DI NOI CIÒ CHE VOGLIONO!»

«QUESTA È CASA LORO!» ripeté Kail, urlando anch’egli «NOI SIAMO DEGLI INVASORI E PER QUESTO CI HANNO ATTACCATI!»

«QUESTA NON È LA LORO CASA! CHE SE NE TORNINO NELLA FORESTA DIPINTA!»

«ORA BASTA, IDIOTA! NON È IL CASO DI SCATENARE UNA GUERRA PER UNA RAGAZZATA!»

«ZITTO! NON PUOI DARMI ORDINI!» Pylon scattò verso Kail, pronto a colpirlo, ma Runne fu più veloce: s’intromise fra i due e gli tirò un pugno violento in piena faccia. Pylon si accasciò, svenuto.

«Questo è per Daeb; non provare mai più a fargli del male.» mormorò furibonda. Kail si voltò verso i compagni:«Forza, andiamo. Queral, Zodish; prendete Pylon. E datemi quei dannati sacchetti!»

Due bambini si misero Pylon sulle spalle e lo sorressero, mentre Kail requisiva il veleno. S’incamminarono verso l’uscita. Runne, invece, rimase indietro.

«Non vieni?» le domandò Kail.

Lei scosse la testa. «Tornerò più tardi. Ora li devo aiutare.»

Kail passò lo sguardo sui sinhilari intontiti, poi sospirò:«Va bene. Fa’ come vuoi.» L’orlo dei suoi pantaloni sparì dietro al portone e Runne rimase sola con le creature dei boschi.

Daeb sollevò la testa su di lei, ancora pallido e tremante per gli effetti del veleno:«Intento nobile il tuo, ma come pensi di aiutarci?»

La bambina sorrise. «In qualche modo lo farò. Aspetta un attimo qui.» Runne prese Daeb e lo posò per terra.

«Dove...?» provò a chiederle il sinhilare ma Runne aveva già imboccato l’uscita, facendo ondeggiare i lucenti capelli dorati. La ragazzina esplorò il giardino. Si orientò a fatica nell’erba alta, che le pungeva le gambe nude. Finalmente trovò ciò che cercava: si chinò su un gruppo di fiori viola, coi petali fini e ripiegati più volte su se stessi. Ricordavano una cascata di capelli mossi, la cui faccia era il polline. Alimut, fiori che facevano al caso suo. Ne strappò un bel mucchio, quindi rientrò di corsa al castello. Alcuni sinhilari, a quanto pareva guariti, aiutavano altri a camminare o fluttuare in aria.

«Li stiamo portando ai giacigli.» rispose Daeb allo sguardo interrogativo di Runne.

«Che cosa ci hanno fatto? Perché alcuni stanno bene e altri no?»

«Veleno per topi.» Daeb sbiancò. Runne riprese a parlare:«Pylon voleva solo stordirvi, ma temo che abbia sbagliato i calcoli.»

«Non è vero. Ha cercato di uccidermi.»

«Voleva uccidere te perché sei il capo dei sinhilari.» E poi lui per primo l’aveva quasi uccisa.

«Cosa ne sarà di noi?» chiese Daeb in tono disperato.

«I più robusti guariranno, come te, ma i più deboli si ammaleranno e continueranno a peggiorare.» Daeb trasalì. Runne gli sorrise:«Non ti preoccupare. So come curarli.»

Daeb l’accompagnò nelle cucine. La ragazzina prese una ciotola e vi mise dentro i petali e le radici dei fiori. Dopodiché li pressò finché non ottenne una poltiglia verde. Quindi salirono una ripida scalinata ed entrarono in un’ampia stanza quadrata. I sinhilari vi avevano creato il loro ambiente naturale: piante di ogni tipo, cespugli e fiori crescevano sino a raggiungere l’alto soffitto. Tra una pianta e l’altra, i sinhilari giacevano sdraiati sulle foglie. Runne si avvicinò a uno di loro, prese un po’ di pappa con un cucchiaino (che per il sinhilare era più grande di un piatto) e glielo porse. L’esserino la guardò con riluttanza.

«Mandane giù un po’. Ti farà bene.» lo incoraggiò Runne. Il sinhilare la guardò, se possibile, ancora più male di prima.

«Calion, per favore, fa’ come ti ha detto.» intervenne Daeb «Vedrai che dopo ti sentirai meglio.» Calion mantenne il broncio, ma ubbidì.

Runne distribuì pappetta per tutta la stanza, per precauzione anche a chi si sentiva bene. Quindi anche Daeb ne mandò giù una porzione. Gli esserini si ripresero, poco a poco. Runne emanò un sospiro di sollievo; la mamma non era un'esperta di botanica e per un attimo aveva dubitato dei suoi consigli. “L'Alimut cura tutte le malattie” non le era parsa una massima affidabile.

«Grazie.» disse «Ti siamo debitori.»

«Non c’è bisogno di ringraziarmi, non ho fatto niente. Ho solo messo in pratica quello che mi ha insegnato mia madre. Non ero nemmeno sicura che funzionasse.»

Daeb sorrise. «Hai fatto molto, invece. Sei venuta in nostro soccorso nonostante noi avessimo tentato di ucciderti.» A proposito, quale mistero l’aveva risparmiata?

«Inoltre mi hai salvato la vita.» Daeb si tolse il cappello a cilindro e fece un rapido inchino «Perciò permettimi di sdebitarmi a nome di tutti i sinhilari della Foresta Dipinta. D’ora in poi sarò al tuo completo servizio; cosa comandi, padrona?»

Runne sbatté le palpebre più volte, incredula. Un attimo prima quello stesso sinhilare l’aveva attaccata con un albero impazzito e ora voleva diventare suo servo!

«Non voglio niente da te, Daeb. Mi piacerebbe solo che diventassimo amici.» rispose Runne. Daeb riassunse il solito sorriso strafottente. «Credevo lo fossimo già, padrona.»

«Dico davvero, Daeb, a me basta questo; perciò piantala di chiamarmi “padrona”. Ho un nome, usalo.»

«Sicuro, Runne.» La bambina si rincuorò, ma il sinhilare non si diede per vinto. «Ma non c’è nessun desiderio che possa soddisfare? Nessun sogno o ambizione? Farei qualunque cosa per aiutarti. Non c’è proprio niente?» Runne si rabbuiò, assunse un’aria triste e afflitta, al che Daeb si premette le mani sulla bocca e balbettò mortificato:«Ho detto qualcosa che non andava?»

«No, niente. Scusa. E’ solo che vorrei tanto sapere chi sia mio padre. Mamma non ne parla mai, e se glie lo chiedo scoppia sempre a piangere disperata. Ho capito che non è umano. Nessun umano ha gli occhi rossi.»

«Sì, infatti.»

Runne lo guardò supplichevole «Tu sai cos’è? E cosa sono io?»

«Sì, lo so.»

«E allora dimmelo, ti prego!»

Daeb volò a una finestra. «Ehi! Il sole sta calando! Non dovresti tornare a casa?»

«Non cambiare discorso. Perché non vuoi dirmelo?»

Daeb sospirò. «Non credo di essere la persona più indicata...»

«Per favore. Sei la mia unica speranza.»

Il sinhilare si voltò verso di lei. «Te lo dirò. Ma non adesso. Non qui.»

«E quando?» Daeb la sorvolò e richiamò l’attenzione dei compagni. «Daeb, quando?» insistette Runne.

La voce di Daeb risuonò chiara nella sala «Io, Daeb, lascio la carica di capo. Cedo il mio posto a Liuru, se egli concorda.»

I sinhilari lo fissarono stupiti. Anche Runne rimase sorpresa e tacque. Un sinhilare piuttosto robusto si avvicinò a Daeb, chinò la testa e la risollevò:«Io, Liuru, accetto la carica di capo, promettendo di impegnarmi a salvaguardare la Foresta Dipinta.» Un coro di applausi emerse dagli esserini.

Runne rimase spiazzata. «Daeb...» mormorò.

Daeb abbracciò alcuni amici, poi tornò dalla ragazzina ed esclamò:«Coraggio, andiamo a casa. Io ti seguirò ovunque.»

«Perché l’hai fatto?»

Il sinhilare inarcò un sopracciglio. «Non devo essere granché come capo, se stavo per uccidere una bambina così graziosa.» Runne arrossì. Cercò di ricomporsi guardando altrove.

«Com’è tardi!» disse con enfasi. Salutò in fretta i sinhilari e si precipitò giù per le scale, seguita da Daeb.



Runne spalancò la porta di casa.

«Bentornata!» la accolse Judith «Com’è andata?»

Runne entrò, seguita da Daeb che aggiunse:«Permesso!» Si tolse il cappello. «Buonasera signora.»

Judith sgranò gli occhi. Subito dopo saltellò eccitata:«Ce l’hai fatta! Piaciute le fragole?»

Daeb emise un gemito e fissò la punta delle scarpe, imbarazzato.

«All’albero penso di sì.» rispose ironica Runne.

«Albero???» I tre si sedettero a tavola. Judith prese una scatoletta di legno e un sottobicchiere, che Daeb usò rispettivamente come sedia e piatto. Runne raccontò tutto dall’inizio alla fine, anche se parlò dei sinhilari al plurale quando disse che l’avevano attaccata, omettendo il fatto che era stato proprio Daeb a dare il via. Ad ogni parola il sinhilare sprofondava nel sottobicchiere.

Judith se ne accorse:«Non c’è niente di cui vergognarsi: hai agito secondo il tuo istinto.»

«Potevo ammazzarla.» sussurrò Daeb affranto.

«Credi che l’avrei lasciata andare, se fosse stato pericoloso?» Runne ricordò le parole della madre:“Non possono farti del male. Non a te, almeno.

«Che intendevi dire con “non possono farti del male”?» chiese sospettosa. Daeb si fece attento.

«Ma è naturale.» rispose Judith con un sorrisetto «Perché sei metà e metà.»

Runne la scrutò senza capire, al contrario di Daeb che annuì convinto:«L’avevo immaginato, ma non ci volevo credere.»

«A cosa?» intervenne la bambina.

«E’ proprio così.» confermò Judith «E’ per via del padre.»

«Capisco.»

«Cosa?» ripeté Runne sull’orlo dell’esasperazione.

«Finiamo di cenare.»

«Sì, signora...»

«QUALCUNO MI VUOLE DARE ASCOLTO?!» l’urlo di Runne squarciò l’atmosfera. Si rese conto di essersi alzata e di aver appena rovesciato la sedia.

«CHI È MIO PADRE?! DITEMELO! HO IL DIRITTO DI SAPERLO!»

«Runne, siediti.» le intimò Judith.

«NO! ORA MI DICI LA VERITÀ!» Tremava e sudava freddo. Avvertiva una morsa allo stomaco e le girava la testa. Sto male? Runne cadde a terra.

«Runne!» gridarono all’unisono Judith e Daeb, soccorrendola.

«Oh dei!» disse il sinhilare con una nota di preoccupazione nella voce.

La madre la sorresse. «Runne, calmati! Placa la tua ira! Non lasciare che la collera ti divori!» La collera? Cosa intendeva dire? Avvertì il battito accelerare e il sangue rifluire vischioso nelle vene. I muscoli si contrassero.

«Mamma... cosa mi sta succedendo?»

«Se solo ci fosse qui tuo padre...» lamentò Judith. Runne non capiva. Nonostante non facesse nulla per alimentarla, la rabbia continuava a crescere. Era come se qualcosa dall’interno la divorasse e le lacerasse le carni. L’angoscia era opprimente e un terribile senso di solitudine le fece salire le lacrime agli occhi. Tutte le sue preoccupazioni, i ricordi dolorosi, tutte le sue paure le affollarono la mente con l’impeto di un uragano.

Qualcuno bussò alla porta e fu come se il tempo si fermasse. Poi si udì una voce familiare:«Signora Judith! Sono Kail, l’amico di sua figlia. Volevo sapere come stava...»

La voce del ragazzo rimbombò nella testa di Runne. La rabbia si placò poco a poco, il battito tornò regolare e tutti i brutti pensieri vennero cancellati con la stessa velocità con cui erano comparsi. Runne si afflosciò tra le braccia di Judith. Un attimo dopo rinvenne e biascicò con un filo di voce:«Grazie, sto bene.»

La madre la fece sedere e Daeb ordinò alla pianta da vaso vicino all’uscita di allungare i propri rami e di aprire la porta. Kail entrò a capo chino, i ciuffi biondo-platino spettinati.

«Disturbo?»

«No, affatto.» rispose Judith. Daeb richiuse la porta con lo stesso metodo di prima e il ragazzino lo contemplò stupito. «Ma tu sei il capo dei sinhilari!»

«Non più. Comunque chiamami Daeb. Tu sei... ehm?»

«Kail. Come stanno i tuoi amici?»

«Molto meglio, grazie. Runne ci è stata di grande aiuto.»

«Mi dispiace per il comportamento dei miei compagni. Ti giuro che non c’entro niente.»

«So già tutto, non darti pensiero.»

Kail assunse un’espressione amareggiata, poi posò lo sguardo sul volto pallido e tirato di Runne. «Non stai bene?»

«Non ho niente.» lo rassicurò stancamente. Non più, almeno.

«Perché non ti fermi un po’ da noi?» gli propose Judith.

«No, la ringrazio. Devo tornare subito a casa.» Si salutarono. Con la stessa semplicità con cui era venuto, se ne andò.

Runne rimase a fissare l’uscio vuoto, dopodiché aiutò la madre a lavare i piatti. Finito il lavoro, Judith aveva già un piede sulle scale, quando la bambina la fermò. «Ti prego, mamma. Non evitarmi. Cosa mi è successo prima?»

La madre si voltò lentamente, con occhi tristi «Quello che è successo è avvenuto proprio per l’altra tua metà. Per ciò che è tuo padre.»

«Chi è mio padre?» aggiunse Runne speranzosa.

Judith scosse il capo «Parliamone domani. Ti dirò tutto, promesso.» La donna salì le scale. Runne la seguì e si diresse in camera. Daeb attendeva lì, sdraiato su un po’ di paglia, dentro una scatoletta senza coperchio e riscaldato da un fazzoletto convertito in coperta. Chiuse gli occhi quando la bambina si cambiò e li riaprì solo quando lei si fu coricata.

«Buonanotte.» le disse.

«Buonanotte.» fu la risposta. Dopo qualche minuto di silenzio, Runne mormorò:«Daeb...»

«Che c’è?»

«Chi è mio padre?»

«Buonanotte, Runne.»

«Ti scongiuro! Non ti chiederò nient’altro!» La voce della bambina era quasi implorante, e forse fu per questo che Daeb si decise a rispondere:«E’ un reptile.»




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Con questo capitolo Runne ha risolto un problema (la bellicosità dei sinhilari) e ne ha guadagnato un altro: l’identità di suo padre. Ma che diavolo è un rePtile, direte voi? Sono stata abbastanza subdola da rivelarlo solo nel prossimo capitolo xD

Quali sono le vostre opinioni? Come vi pare la storia fino a qui?


Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva

Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La verità (1^parte) ***


2 - Un nuovo amico

La Verità - 1^ parte


Leggimi su Facebook: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-tay/il-destino-scelto-cap-3-la-verit%C3%A0-1-parte/186887284812058


Runne camminava a passo svelto, perdendosi tra le vie di Fiandher. Ogni tanto rallentava per guardare qualche chiosco, poi riprendeva la marcia. Quella notte aveva dormito poco. Quando era riuscita ad addormentarsi, era stata tormentata dagli incubi. L’immagine di un paio di occhi rossi l’aveva perseguitata per tutta la notte. Occhi come i suoi. La mattina era uscita di casa senza avvisare né sua madre né Daeb. Quell’unica parola le risuonava nella testa, con una cantilena incessante. Reptile. Reptile. Reptile. Anche i bambini conoscevano i reptili: esseri diabolici che sfruttavano la magia nera. I reptili erano i personaggi cattivi delle fiabe, quelli che rappresentavano il male e che popolavano gli incubi dei piccini. Originari di una terra sconosciuta, c’era chi affermava che i reptili fossero sorti dal sangue delle grandi battaglie. Inoltre si vociferava che il re di Kuden, bramoso di dominare tutto il Mondo dell’Avvento, avesse un intero esercito di reptili al suo servizio. Re Endrun era un uomo scaltro, in passato consigliere del sovrano precedente, Flarel; quest’ultimo venne spodestato con un inganno che lo portò alla morte. Endrun, cospiratore del raggiro, gli era subentrato.

Ma Runne non pensava a questo, mentre piangeva sulla collina del castello. Pensava invece a quella parola. Reptile. Reptile. Reptile. Udì un fruscio alle proprie spalle e si girò di scatto. I sinhilari che le si erano radunati attorno sussultarono assieme alle foglie e agli stracci di cui erano vestiti.

Liuru le si avvicinò cauto:«Perché piangi?» Runne non rispose. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Le lacrime continuarono a scendere senza sosta. Gli esserini la guardarono tristi e preoccupati, e alla fine la ragazzina disse:«Perché mio padre è un reptile. Perché io sono un reptile.»

«E allora?» fece un sinhilare paffutello «Che c’è di male in questo?»

«Io... sono un mostro!»

Liuru scosse la testa. «E’ più mostro il malvagio figlio del santo che il buon figlio del mostro.» Runne lo fissò con aria interrogativa.

Liuru continuò:«Significa che non importa chi sia tuo padre, o tu, ma cosa serbi nel cuore. Ci hai dato un grande aiuto, perciò sappiamo che non sei un mostro. E per ripagarti ti faremo un omaggio!»

I sinhilari si scambiarono uno sguardo d’intesa. Formarono un cerchio attorno a lei e girarono come posseduti da una strana danza. Le loro vocine si levarono in un canto e Runne se ne sentì riempire il cuore. Le lacrime volarono via e un sorriso le si formò seguendo quella melodia gioiosa. Non riuscì a resistere. Si sentì pervasa e rapita dalla felicità sfrenata di quei sinhilari. Cominciò a cantare suo malgrado, parlando una lingua a lei sconosciuta e venne travolta da uno strano sentimento: fu come se stesse nascendo, come se respirasse per la prima volta, come se desse il suo primo urlo. Dopo un po’ il canto calò di tono e il cerchio di sinhilari si spezzò.

Runne si strinse il petto estasiata. Non riusciva a trovare il coraggio di infrangere quella magia che la rendeva tanto eccitata con la profanazione delle parole. Infine chiese:«Come mai mi sento così felice?»

«E’ il Canto della Quiete.» rispose Liuru «Si dice che il Mondo dell’Avvento nacque con questo canto. Tra noi viene tramandata di generazione in generazione.»

«Cosa vogliono dire quelle parole?»

«Nessuno lo sa.» intervenne una sinhilare graziosa «Il loro significato si è andato perduto nei misteri del tempo.»

«Come ho fatto a cantare con voi? Eppure non avevo mai sentito questa canzone...»

«E’ perché sei una feliana. I feliani sono stati i primi ad abitare queste terre, sono ancora più antichi di noi sinhilari. La loro magia, che scorre nelle tue vene, ti ha fatto ricordare questa melodia.» Runne si rasserenò al pensiero che l’incanto dei feliani l’accompagnasse nella vita.

«E’ incredibile! E’ l’esperienza più bella che abbia mai vissuto! Grazie, Liuru! Grazie a tutti voi!» Salutò i sinhilari e si avviò verso casa, colma di una frenesia incalcolabile.



Runne sfondò praticamente la porta.

Judith fece un gesto di stizza. «Dico, ma sei impazzita?!» Notò il radioso sorriso di sua figlia e rimase di stucco «Ti vedo allegra. Cosa ti è successo?»

«Mamma! Mamma!» esclamò Runne.

«È bellissimo! È stupendo! È magnifico! È...»

«Cosa?» domandò la madre perplessa.

«Il Canto della Quiete!»

Judith sbatté le palpebre «Canto della quiete?»

«Non sai cos’è? È... oh, come te lo posso spiegare?»

«Va bene, va bene.» assentì sua madre. Si picchiò la fronte con una mano. «Daeb, è vero! Era andato a cercarti! Lo hai visto?»

«No.»

«Sono qui.» rispose una voce flebile. Daeb entrò ansimando e si sedette sulla spalla sinistra di Runne.

«Ma quanto corri?» prese fiato «Ti ho vista schizzare tra la folla mattutina e ti ho seguita. Ma ti ho persa di vista. A sapere che stavi tornando a casa me la prendevo molto più comoda.» Runne scoppiò a ridere. Il sinhilare la guardò con aria stupita e un po’ offesa.

«Credevo fossi giù di morale, per questo ti ho cercata. Tutta questa fatica e tu ridi?» Runne rise ancora più forte.

«Parla di un certo “Canto della quiete”.» spiegò Judith.

«Ah! Ora capisco! Sì, fa quest’effetto.» Attesero che Runne placasse le risate, quindi si sedettero. Il cuore di Runne batteva a mille.

«Ti ho promesso di raccontarti la verità, e te la racconterò.» esordì Judith.



Judith vive con la sua famiglia a Hermet Dlun, nel Regno di Raion, la terra dei feliani. Sono poco più di seicento: il resto della stirpe si è sparso da secoli per il Mondo dell’Avvento, mescolandosi agli umani. Judith ha sedici anni ed è figlia di tessitori. Un giorno, mentre gira come di consueto in mezzo ai maestosi palazzi, vede un uomo accovacciato a terra, completamente avvolto in un mantello nero. Il cappuccio è calato fino alla punta del naso. Judith si domanda come faccia a vederci. L’unica cosa che riesce a distinguere è la pipa che sta fumando, emettendo soavi nuvole di fumo.

«Cosa ti serve, bambina?» domanda una voce gelida e roca.

Judith scuote la testa. «Niente, scusi. Non volevo infastidirla.» e fa per andarsene. L’uomo ammira le ciocche dorate dei suoi capelli dondolare placide accarezzando la schiena; ne è ipnotizzato e senza rendersene conto apre il mantello solo quel poco che gli permette di scoprire un braccio, cui sono messi una moltitudine di bracciali. Ce ne sono di tutti i tipi: di corde intrecciate, di legno finemente intagliato e di ferro inciso. Judith li guarda ammirata. Anche con la pipa in bocca, il ghigno dell’uomo è inconfondibile.

«Ne vuoi uno, bambina?»

«Grazie, ma non me li posso permettere.»

L’uomo spegne la pipa e se la infila sotto il mantello. Si alza, si toglie un bracciale e lo porge a Judith. «È derivato dall'intreccio di algarame: una particolare pianta color ruggine dalle foglie lunghe e sottili che al contatto col fuoco cristallizza la clorofilla in un lucido manto protettivo.»

«Glie l’ho detto: non ho i soldi...» L’uomo le afferra un braccio e le fa indossare il bracciale.

«Te lo regalo, bambina.» Avvicina le labbra al suo orecchio. Judith sente il suo fiato misurato sfiorarle il collo.

«Per la tua bellezza.» mormora lui.

«Non posso accettarlo...» balbetta Judith arrossendo. L’uomo non risponde. Si scosta da lei e scivola via come un’ombra, scomparendo tra la folla.



Judith torna a casa con aria trasognata. «Ciao, mamma.»

Gliend si volta verso la figlia. «Bentornata! Allora: qualcuno ti ha fatto la corte?»

Judith nasconde d’istinto il braccio dietro la schiena. «Nessuno.»

La madre sospira. «Speriamo in bene... sei in età da marito e il tempo corre!»

«Non ti preoccupare. Quando troverò quello giusto, sarai la prima a saperlo.»

«Ti ringrazio. Aiutami a preparare la cena, adesso. Tuo padre sarà qui a momenti e avrà una fame da lupi.» La sera trascorre tranquilla e, finalmente sola nella sua stanza, Judith rimira il bracciale.



Il giorno dopo Judith esce di nuovo. Si guarda intorno preoccupata, poi tira un sospiro di sollievo quando scorge l’uomo. È nello stesso posto del giorno precedente, nella stessa posizione, indossa lo stesso mantello e fuma di nuovo la pipa. Sembra quasi che non si sia mai mosso da lì.

Judith gli si avvicina e gli posa di fronte un cestino per il pranzo. «Per ringraziarla. Non riuscirò mai a ripagarla del tutto, ma...» L’uomo rimane immobile, come se lei non ci fosse.

«Spero le piaccia.» prova Judith. Nessuna risposta. La ragazza stringe i pugni nervosamente. «Bhé... io devo andare. Arrivederci.»

«Aspetta.» Judith si congela sul posto. L’uomo spegne la pipa e le fa cenno di sedersi. Judith obbedisce. L’uomo apre il cestino e tira fuori un piatto avvolto in uno straccio, contenente una crostata di mele. Nel cestino ci sono anche delle posate, che lui usa in silenzio.

«Sei un’ottima cuoca.» acconsente, e Judith si riempie d’orgoglio.

«Come ti chiami?» le chiede l’uomo, voltandosi verso di lei. Judith non riesce tuttavia a distinguere il suo viso.

«Judith. Lei...?»

«Non credo di essere così vecchio. Avrò cinque o sei anni più di te. Dammi pure del tu.»

«Invece tu?» si corregge Judith. Il ragazzo non risponde.

«Vengo qua ogni pomeriggio.» e così Judith inizia a parlare. Parla di sé, dei suoi genitori, persino delle sue cottarelle da bambina, senza riuscire a fermarsi.

«Parli un sacco!» la interrompe lui.

Judith arrossisce. «Lo so, ma non ho mai avuto nessuno a cui confidare queste cose.» È troppo timida per farlo.

«E le riveli a un perfetto sconosciuto come me?»

«Sei stato tu il primo a regalarmi questo bracciale.» e solleva il braccio per mostrarlo.

Lui ha un attimo di esitazione, poi riprende il controllo:«Quella è robetta da niente, è solo un... hobby.» Quante fanfaronate escono dalla sua bocca?!

«Se per te questi ornamenti non valgono nulla, significa che sei ricco!»

Il ragazzo dà un’alzata di spalle. «Diciamo che nel mio lavoro è normale maneggiare roba del genere.»

«Davvero? Sei un mercante, allora?»

Lui ridacchia, divertito. «Chissà? Magari sono un ladro.»

«Non ho sentito di nessun ricercato in città. Non prendermi in giro.»

Sveglia, la ragazza. «Devo andare.»

«Dove?» chiede Judith, incuriosita.

«Sono affari miei, chiaro?!» sbotta il ragazzo alzandosi di scatto. Judith risponde con un debole «Scusa!» prima che lui scompaia avvolto nel suo mantello.

Il giorno seguente Judith torna con un altro cestino per il pranzo, e fa altrettanto nei giorni successivi; ogni volta si siede a parlare con il ragazzo, anche se lui non risponde mai alle sue domande dirette, tenendosi sempre vago o cambiando discorso; e ogni volta la conversazione finisce quando il mercante si dilegua nella folla pomeridiana. Judith naturalmente non dice nulla ai suoi genitori: cosa penserebbero di lei se sapessero che si è invaghita di uno sconosciuto senza volto e senza nome? A Judith va bene così: quella nota di mistero mette un po’ di pepe al suo amore.



Un pomeriggio si reca come al solito dal suo amato. Ma non lo trova. Al suo posto ci sono tre uomini che parlottano sottovoce. Judith riconosce le loro armature feline: le guardie. Vorrebbe avvicinarsi, chiedere spiegazioni. La voce le muore in gola quando una delle guardie mostra una pipa alle altre due. Una pipa. La sua pipa.

Si volta e torna a casa il più in fretta possibile.

Il giorno dopo torna al solito posto, ma non trova più né il ragazzo né le guardie. Così l’indomani e anche nei giorni a venire. Judith si sente angosciata. Teme per il ragazzo e non sopporta il fatto di non poterlo vedere. Qualche volta scoppia a piangere, chiusa in camera sua, come una bambina. Si dà della stupida, ma le lacrime non si placano.



Passa un mese. Judith si accorge che c’è tumulto a Hermet Dlun: le guardie pattugliano spesso la città e anche la gente è più nervosa. Judith non si fa troppe domande: queste cose non la riguardano. Così crede.

È una notte fredda quella in cui Judith si sveglia di soprassalto. Ode i passi dei suoi genitori salire le scale frettolosamente.

«Judith! Judith!» Suo padre.

La ragazza balza giù dal letto. «Che succede?»

«Dobbiamo andarcene, presto!» Judith lo asseconda. Non sa cosa stia accadendo, ma le grida che sente provenire dall’esterno precedono le spiegazioni. Si precipitano fuori dalla casa e Judith vede ciò che teme: l’inferno.

Le case in fiamme, le donne che urlano, i bambini che piangono, uomini che ne combattono altri. Uomini? No, quelli non sono feliani: sono reptili. Judith osserva pietrificata quella scena di morte. Tortura, carneficina, sangue, paura: si mescolano ovunque. Sua madre la chiama, suo padre la tira per un braccio, ma lei non riesce a distogliere lo sguardo da quell’orrore. I genitori la trascinano di peso in mezzo alla folla scalpitante, nella calca urlante. Judith si trova inghiottita dalle persone che scappano e gridano terrorizzate, come lei. Man mano che procedono, qualcuno cade a terra e muore calpestato. La gente non ci bada e continua a correre: la paura fa anche questo. Poi è il turno dei reptili, che spinge la folla a destra, a sinistra; che fanno stragi. Le inversioni di marcia sono brusche. Judith viene spinta da una parte all’altra, reggendosi e mantenendo salda la mano della madre a fatica.

Un rombo sordo sopraggiunge non lontano dalla folla e una luce accecante invade i loro volti: poco distante da Judith una ventina di persone esplodono. Sotto la pressione della magia dei reptili, esplodono. Judith viene sommersa dal loro sangue: ne sente l’odore pungente, il sapore viscido in bocca. Sangue di amici, sangue di conoscenti, sangue di innocenti. Judith trattiene un conato di vomito e singhiozza in preda al panico. Sarebbe bastato un metro e anche per lei sarebbe finita. Inutile pregare gli dei: vita o morte sono tutta questione di fortuna. Judith sente freddo ed è scossa da tremiti, nonostante il caldo soffocante proveniente dai corpi intorno a lei e dalle fiamme che divorano le abitazioni.

È un attimo. Le persone si stringono di più e una spinta le fa scivolare via la mano di sua madre. La chiama, ma la sua voce è coperta dal frastuono della folla. Riesce a scorgere il volto terrorizzato di Gliend appena prima di perderla, inghiottita col marito nel gorgo di gente. Judith rimane sola, indotta a proseguire quella terribile marcia. Un altro rombo, e un’altra esplosione invade i feliani poco dietro a Judith. La calca si restringe; sono tanti ma rispetto a prima sono pochissimi.

Un agghiacciante stridio che non può provenire da alcuna gola umana squarcia il cielo. L’intera folla si arresta a guardare inorridita la bestia sovrastarla. Il corpo è quello di un lupo, il cui pelo rosso brace ricasca come una chioma sul collo possente. Una folta coda fluisce nell’aria pesante, mentre le enormi ali da pipistrello gli permettono di abbassarsi e agli artigli di afferrare in volo due feliani. L’animale li finisce con le zanne. Negli occhi gialli, senza pupille, si riflette lo stesso ghigno malvagio del suo cavaliere, seduto sul suo destriero e protetto da un’oscura armatura nera.

Judith ha sentito parlare di quelle creature: glorg, i lupi fantasma dei reptili. Il glorg spalanca le fauci e un alito d’ombra scende sui feliani, disintegrandone una buona parte. La folla si disperde, ma il glorg e il suo padrone la inseguono spietati. Judith si guarda attorno disperata, cercando di cogliere con lo sguardo i suoi genitori. Scorre la vista sulle persone che la circondano, corre senza seguire una direzione precisa. Finalmente li trova: ma l’immagine che la raggiunge è quella di un reptile che trapassa con la spada il corpo di suo padre e che decapita sua madre.

Judith grida con quanto fiato ha in corpo. I polmoni le bruciano almeno quanto le manca il respiro. Un altro raggio di tenebre sconvolge i feliani. Non colpisce Judith, ma l’impatto è talmente vicino e violento da farla volare tre metri più avanti. La ragazza batte la testa. Qualche secondo di delirio e poi precipita nel nulla.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Capitolo pesantuccio… e il passato di Judith non è finito qui! Che ne pensate di questo colpo di fulmine per un uomo di cui non sa nulla? Dopo qualche flirt e fru fru ecco una bella carneficina. Spero di non avervi spaventato troppo. Ne “Il destino scelto” mescolo ironia, amore, azione e drammaticità. O almeno ci provo. Solo voi lettori avete l’ultima parola a riguardo. Cianciatemi le vostre opinioni! (ho appena violentato l’italiano xD)


Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva

Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La verità (2^parte) ***


2 - Un nuovo amico

La Verità - 2^ parte


Leggimi su Facebook: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-tay/il-destino-scelto-cap-4-la-verit%C3%A0-2-parte/187050638129056


La cella è fredda e buia quella mattina. In mezzo ai prigionieri terrorizzati e disperati c’è un ragazzo accovacciato a terra. È avvolto in un ampio mantello nero e ha il cappuccio calato fino alla punta del naso. Sospira. È senza la sua pipa. Quelle stupide guardie! Per poco non avevano mandato tutto a monte! D’altra parte la sua identità è dovuta rimanere segreta fino a questo momento; e sempre lo sarebbe stata. Anche per quelle guardie. E dire che è dalla loro parte! Non fa niente, ormai. Si è fatto catturare dai reptili e rinchiudere in gattabuia apposta. Non si è fatto scoprire. E ora parte del piano di riserva è riuscita.

Non c’è comunque da stare allegri... non con la città in fiamme. La porta si apre e un reptile scaraventa dentro con malagrazia una ragazza dai lunghi capelli mossi e dorati. La poverina si rialza a stento e il ragazzo la riconosce: la feliana a cui ha regalato il bracciale. Judith. Ma ora del bracciale non c’è più traccia. Probabilmente i reptili glie l’hanno rubato. Ha lo sguardo spento, del sangue rappreso alla testa e il volto presenta i segni di un lungo pianto. Solleva gli occhi e lo vede. Il ragazzo le si avvicina lentamente. Judith gli si getta al collo, stremata. Lo abbraccia e scoppia in lacrime. Il ragazzo sente che Judith vorrebbe parlare, ma che non ha più voce. Allora è lui a parlarle; le mormora dolcemente parole di conforto. Judith si tranquillizza e dopo un tempo interminabile si scioglie dalla stretta del ragazzo.

«Perdonami. Non volevo... infastidirti...» la sua voce è scossa dai singhiozzi.

«Mia madre... mio padre... un reptile... loro...» Non riesce a proseguire. Il ragazzo l’abbraccia più forte. Restano così per qualche minuto, poi si separano. Il ragazzo si siede di nuovo a terra e fa cenno a Judith di imitarlo.

«Dove siamo?» balbetta Judith smarrita «Ci hanno fatto camminare a lungo, ma... era tutto bruciato; non ho capito dove stessimo andando.» deglutisce, facendo riaffiorare un ricordo spiacevole «Ci incitavano a proseguire senza sosta, uccidendo quelli troppo stanchi o troppo deboli per continuare il cammino. Alcuni hanno tentato di scappare, ma...»

«Non ci troviamo più nel Raion.» la interrompe lui «Siamo a Kradit, capitale del Regno di Kuden.»

«Kradit? Ma... questa è la residenza di re Endrun?»

«Sono le sue carceri. I reptili sono ai suoi servigi.»

Judith annaspa con aria angosciata. Come può il re allearsi con quei mostri? Non riesce crederci. Dopo un po’ chiede:«E Hermet Dlun?»

«È caduta.» E il piano previsto inizialmente è fallito.

Judith ha le lacrime agli occhi. «Cosa vuole il re dai feliani? Non gli abbiamo fatto nulla!»

«Endrun teme i feliani perché hanno un legame particolare con la natura. Teme il potere dei vostri antenati e ha paura che esso si possa risvegliare in voi.» Judith nota che il ragazzo parla dei feliani come se non ne facesse parte.

«Cosa ne faranno di noi?» riprende.

«Non lo so e non ci tengo a scoprirlo. Non ti preoccupare, andrà tutto bene.»

«Non ti credo.» Come potrebbe? Vede solo la morte.

Il ragazzo le accosta le labbra all’orecchio. «Finché starai con me, sarai al sicuro.» Judith sa che è la verità.



Cala la notte. Dormono tutti. Il ragazzo si alza e scivola silenzioso verso la porta. Judith si desta e il ragazzo le fa cenno di tacere. Il “ladro” avvicina una mano alla serratura. Una luce oscura la fa scattare. Judith rimane a bocca aperta mentre il ragazzo apre con cautela la porta.

«Aspettami qui.» bisbiglia «Sveglia gli altri e avvertili di tenersi pronti alla fuga.» Judith annuisce. Il ragazzo scompare richiudendo l’uscio.

Il ragazzo cammina veloce, ma con passo felpato. Sente l’arrivo di una sentinella dietro l’angolo e salta, aggrappandosi alle travi del soffitto. Se fosse stato una persona comune, non sarebbe mai riuscito a spiccare un salto così alto. Ma lui non è una persona comune. La sentinella svolta l’angolo e percorre il corridoio. Il predatore si acquatta nell’oscurità della notte, attendendo il momento propizio. Il ragazzo piomba sulla sentinella e la sgozza col coltello. La preda si accascia tra le sue braccia senza emettere un lamento. Il fuggiasco la trascina dentro una cella vuota e la stende dove nessuno può vederla senza uno sguardo accurato. Esce e richiude la porta alle proprie spalle.

Si muove per i corridoi senza fare alcun rumore. Raggiunge quello che in apparenza può sembrare un vicolo cieco. Poggia l’orecchio alla parete e tasta delicatamente i mattoni. Si ferma. Sorride. Ne spinge uno e la parete si apre, rivelando un passaggio segreto. Come ricordava, si può aprire solo dall’interno. Scende la lunga scala a chiocciola e arriva in uno stretto passaggio. Lo risale e spalanca la botola sopra la sua testa. Sbuca fuori dalla fortezza: una trentina di feliani lo attendono. Viene avanti un uomo dall’armatura dorata come i suoi capelli.

«Possiamo chiamare i rinforzi?» domanda con imperiosità Berital, il sovrano dei feliani.

«Sarebbe inutile.» risponde il ragazzo «Le vostre milizie non hanno impedito la caduta di Hermet Dlun e non annienteranno Endrun. Mi bastano dieci uomini per liberare i prigionieri. Gli altri possono attenderli qui per soccorrerli.»

«Quanti sono?»

«Meno di un centinaio, sire.»

Il re china la testa. «Così pochi...» Un dolore indicibile lo attraversa. «Ormai non c’è più speranza. La stirpe dei feliani è finita.»

«Non ancora!» esclama il ragazzo. Il re sospira. Sceglie nove guerrieri e propone a concludere se stesso.

«Voi no, maestà. Non potete rischia...» comincia il ragazzo.

Il sovrano lo zittisce con un cenno del capo. «Sono i miei sudditi.» Il ragazzo non replica. Ripercorrono il passaggio segreto a ritroso. Una volta all’interno della fortezza, si dividono per far fuggire i prigionieri. Il ragazzo, l’unico in grado di aprire le porte con la sua magia, passa davanti a ogni cella. Judith lo raggiunge. Ha riconosciuto le armature scintillanti delle guardie reali e il volto noto del re.

«Segui gli altri.» le dice il ragazzo.

«No. Io non esco senza di te.»

Il ragazzo scuote la testa:«Non fare la sciocca. Va’.»

«No.»

«Judith, coraggio, vai!»

«No!»

«Non vale la pena rischiare la vita per uno come me. Non sai neppure chi sono...»

«Non m’importa.» Gli occhi di Judith sono vivi, sinceri. Il ragazzo ha la tentazione di baciarla. Non è questo il momento... La prende per mano e la trascina verso il passaggio segreto. Diversi feliani sono già fuggiti, mancano solo gli ultimi.

«ALLARME! I PRIGIONIERI STANNO SCAPPANDO!»

Una sentinella sbuca proprio in quel momento. Il ragazzo lascia la mano di Judith e sguaina la spada. La sentinella gli piomba addosso, ma il ragazzo è rapido a schivarlo e gli basta un colpo per abbatterlo. Attraverso il corridoio si odono i passi affrettati e il vociare dei rinforzi nemici. Sopraggiungono gettandosi sulla squadra di salvataggio dei prigionieri, ormai al sicuro oltre il passaggio.

Dei fuggitivi rimane solo Judith, impietrita sul posto; guarda lottare il ragazzo, il re dei feliani e i suoi nove guerrieri. Due di questi ultimi vengono finiti. Lo stile di combattimento del ragazzo, impegnato in una terribile danza mortale, è il più letale di tutti, o almeno così appare agli occhi di Judith.

Un nemico mena un fendente a pochi centimetri dal suo viso e il cappuccio gli scivola indietro. Il ragazzo è veloce a calarselo, ma Judith e il guerriero davanti riescono a vedere il suo volto duro e i suoi occhi rossi. Prima che l’avversario possa rivelare la sua natura, il ragazzo lo uccide. Gli altri non si sono accorti di nulla. C’è mancato davvero poco. Arrivano altri rinforzi.

«Non ce la faremo mai!» urla il ragazzo.

Il re esita un istante. «Andate avanti voi! Io li terrò impegnati!» comanda con voce secca.

«Ma...»

«ANDATE!» Il ragazzo imbocca il passaggio segreto, seguito da Judith. I feliani rimangono al fianco del loro re. I due corrono senza fermarsi. Escono all’aria aperta. Judith inspira a pieni polmoni, concedendosi quell’attimo di pace. Il ragazzo chiude la botola e lo sigilla con la magia.

«Questo li terrà impegnati per un po’.»

«Che fai?!» Judith ha la voce strozzata «E il re?!»

Il ragazzo la tira rudemente per un braccio.«Ormai è morto.»

«Come fai a dirlo?»

Non c'è bisogno di rispondere. Si odono un tramestio strascicato e clangore di spade al di sotto della botola. Judith trasale.

Il ragazzo la trascina via. «Corri!»



Si fermano in una piccola radura. Fa parecchio freddo, ma non possono accendere un fuoco. Il ragazzo si siede spossato, appoggiato a un albero. Judith trema.

«Vieni qui.» le suggerisce lui «Il mio mantello ti riscalderà.»

Judith rimane dov’è. Lo guarda con timore. Ha paura. Paura di colui che ha amato per tutti quei giorni. Quella figura misteriosa che tanto l’affascinava le appare all'improvviso terribilmente minacciosa. La sua voce è roca:«Tu sei un reptile, non è vero?»

Il ragazzo scoppia in una risata fredda e priva di allegria. Si toglie il cappuccio. Ora Judith distingue meglio le sue iridi rosse come il sangue. Distoglie lo sguardo.

Il ragazzo ride ancora:«Speravo non mi avessi visto prima.»

Judith non risponde. Lo osserva con timore. In quegli occhi rivive lo stesso incubo del giorno prima e la morte dei suoi genitori.

Il ragazzo si gratta il mento con noncuranza. «Bhé, fa’ come ti pare.» Judith resta lì, immobile, combattuta dalla tentazione di avvicinarglisi e da quella di scappare lontano. Sceglie invece di chiedergli:«Eri alleato con re Berital?»

«Sono anni che agisco sotto copertura. Passavo informazioni al re.»

«Ma... sei un reptile, quindi... perché?»

Il ragazzo si stringe nelle spalle. «Mi sono semplicemente reso conto che la mia razza non combatte per sopravvivenza, come chiunque altro, ma solo per la sete di sangue o per il potere. Queste cose mi danno la nausea!» Sul volto ha un’espressione amareggiata.

«Ci sono altri reptili come te?»

«Belli come me nessuno.» ride della propria battuta «Se ce ne sono altri, o sono già morti o si nascondono; sono dei reietti, considerati dei traditori del loro sangue.»

Ed ecco che Judith arriva a ciò che la tormenta:«Dove sono gli altri feliani? Non avremmo dovuto raggiungerli?»

«Credi forse che ti voglia portare nel mio oscuro covo e torturarti per il semplice piacere di farlo?» Judith rabbrividisce. Il ragazzo si alza e la guarda torvo.

«Rispondi: chi ha salvato quel che rimaneva del tuo popolo?» Judith pensa di dire “tu”, ma un’altra volta non ha più voce.

Il ragazzo continua:«Chi è che ti ha salvato la vita? Io, maledizione!»

Si passa una mano sulla faccia. Poi sospira e le spiega:«I feliani si stanno sparpagliando per le terre libere dal controllo di Endrun. Ti sto portando alla città più vicina: lì troverai la tua strada. Non ti preoccupare. Te l’ho già detto, no? Finché starai con me, sarai al sicuro. Non posso cambiare ciò che sono, ma ti giuro che non ti farei mai del male.»

Judith arrossisce. Muove qualche timido passo verso di lui, nuovamente seduto. Si mette sotto il suo mantello e si addormenta.



Judith apre gli occhi e sobbalza: il ragazzo la sta portando sulle spalle. Il cappuccio gli copre di nuovo il viso.

«Finalmente ti sei svegliata!»

«Quanto ho dormito?» chiede lei stropicciandosi gli occhi.

«Più di tre ore. Al tuo posto sarei così agitato da non riuscire a chiudere occhio.»

«Finché starò con te, sarò al sicuro.» Il ragazzo ride. Lo fa spesso.

«Puoi mettermi giù adesso.»

«No. Hai il passo pesante, le tue orme sono troppo visibili. Ci scoprirebbero in un lampo. Approfitta della mia galanteria.»

Judith si guarda attorno. «Come mai non si vede ancora la città? E’ così grande questo luogo?»

«No. Siamo seguiti. Sto cambiando continuamente direzione lasciando false tracce per confonderli.» In pratica stanno girando in tondo. Judith appoggia il capo sulla schiena del ragazzo. Si sente pacificata dalla sua presenza.

Ci vuole un’altra ora prima di uscire dalla boscaglia. Giungono in un modesto villaggio. Il ragazzo la fa scendere.

«Qui le nostre strade si dividono.» la voce del ragazzo è asciutta. Le mette in mano un sacchetto di monete e aggiunge:«Comprati un cavallo e dirigiti nel Dron. Trovati un luogo sicuro e restaci.»

Judith contempla il villaggio in silenzio. Le si stringe il cuore. Non può finire così. Si volta verso il ragazzo e dice:«Voglio stare con te.» Judith scorge solo la smorfia del reptile, col capo chino; ma può percepire il suo tentennamento.

«Lascia stare.»

«Ti prego...! Non ti sarò d’intralcio! Ti aiuterò! Ti affiancherò nelle tue missioni...» tentenna lei con voce strozzata.

«Sei in gamba.» mormora il ragazzo senza prestarle ascolto »Sono sicuro che te la caverai.»

«Non senza di te.»

«Judith...»

«Portami con te! Farò qualunque cosa!»

Il ragazzo l’afferra per le spalle. «Ascoltami: io sono un traditore che rientra nella schiera dei ribelli. Il mio ruolo è quello di spia tra le fila di Endrun e per questo sono in continuo peregrinazione, non vivo nello stesso luogo per più di alcuni giorni o mesi. Non devo essere riconosciuto, il mio volto è celato a tutti. Per questo se venissi con me salterebbe la mia copertura. Non sono altro che un’ombra. Io non esisto.»

«Non sei obbligato a continuare.» si impone Judith «Possiamo fuggire, soltanto io e te...»

Lui scuote la testa. «Non è così semplice. In questi giorni mi sono esposto troppo: sanno che c'è una spia e non avranno pace finché non la troveranno. Se fuggissimo insieme saresti in pericolo anche tu.»

«Non ha importanza.»

«Ne ha per me, invece!» è fuori di sé «Non voglio che tu muoia come il mio migliore amico; e come mio padre, che ho ucciso io stesso!!» Judith ammutolisce.

Il ragazzo riprende il controllo. «E poi non ho tempo di starti a proteggere sempre, mi saresti solo di peso.» Judith incassa il colpo. Trema.

«Non lasciarmi sola...» sussurra. Ha un nodo alla gola. Senza di lui la sua vita non ha senso. Piange. Il ragazzo si sente in colpa. Forse ha esagerato. Ma deve comportarsi così. Abbraccia Judith e la stringe forte al petto, finché lei non si calma. Judith lo osserva tristemente. Allunga le mani per sollevargli il cappuccio, ma il ragazzo la ferma con le sue.

«Per favore! Voglio vedere il volto dell’uomo che amo un’ultima volta!»

Lui l’accontenta. I due si fissano a lungo. E Judith non resiste. Lo bacia. Il bacio è dolce, profondo; ed è ricambiato.

Improvvisamente il ragazzo la stacca da sé:«Devo andare. E anche tu.»

«Promettimi che tornerai!»

Lui la fissa intensamente.«Te lo prometto. Ti troverò, dovunque sarai.»

I genitori di Runne si separano; Judith guarda scomparire la figura del ragazzo tra le fronde degli alberi spogli.

Passano due anni. Judith vive come sarta in una piccola casetta di Larqua. Non ha dimenticato il reptile, e il reptile non ha dimenticato lei. Il ragazzo arriva una mattina al principio dell’estate. E’ avvolto nel solito mantello, nonostante il caldo. E le rivolge il consueto sorriso ironico. Judith gli si getta al collo e si baciano.

Si sposano. Un mese dopo si trasferiscono in una città lontana dalla guerra, dove non conoscono i reptili, se non per sentito dire, e dove non avrebbero riconosciuto il ragazzo: Fiandher. A seguire anche il territorio del Dron sarà assoggettato da Endrun.

Con la nascita di Runne, un anno dopo, si apre un nuovo capitolo della loro vita. Runne non ha compiuto neanche due anni quando suo padre è richiamato per una missione. Parte, senza più tornare.



«Da allora non l’ho più visto.» terminò Judith «Inizialmente ricevevo sue lettere una volta la settimana, poi una volta al mese e via dicendo sempre più di rado. L’ultima volta che ho avuto sue notizie è stato più di tre anni fa. Probabilmente ora è nascosto chissà dove, oppure...» una lacrima le bagnò la guancia «Chiedeva sempre di te. Avrebbe voluto starti vicino, crescerti. Ma, come diceva lui, forse non era nel suo destino.» sorrise amaramente.

Runne chinò la testa. Suo padre era un reptile alleato a feliani e umani ed era... un eroe.

«Perché non me l’hai detto prima?»

«Speravo che sarebbe tornato presto. Speravo che, un giorno o l’altro, ti avrebbe spiegato tutto lui. Non volevo caricarmi di questo peso. Mi fa male solo pensarlo, figuriamoci parlarne... qualche mese fa ho perso la ragione e ho bruciato tutte le sue lettere. Volevo tagliare i ponti e ricominciare. È stato sciocco e comunque inutile. Perdonami, se puoi.»

«Non fa niente.»

Scese il silenzio. Judith si mise a lavorare all’uncinetto, mentre Runne rifletteva guardandosi la punta dei piedi. Daeb ridacchiò:«Insomma, alla fine non c’è nessun problema! Tuo padre ti vuole bene ed è un eroe! Ora rimane solo da scoprire dove si trova e tutto si risolverà!»

Judith alzò gli occhi al cielo.

«Daeb.» disse Runne «Hai capito cosa ha detto mia madre?»

«Certo! Che è nascosto, rifugiato in un posto segreto oppure...»

«Mio padre è sicuramente morto.»




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Che tristezza, povera Runne! Tenetevi pronti ancora per qualche sorriso e lacrimuccia, perché tendo a maltrattare i miei personaggi, soprattutto dopo avergli dato un assaggio di felicità. Non sono ai livelli di George R. R. Martin (credo nell’happy ending), ma ho ritenuto opportuno avvisarvi.

Ora avete un quadro abbastanza completo per farvi un’idea su Judith: che ne pensate di lei? Del marito si sa ancora troppo poco, ma ammetto che adoro questa coppia. Il loro è un amore genuino, nato nel corso di una guerra. Judith perde la famiglia, ama un uomo che l’abbandona con la promessa di tornare, quindi passa pochi anni felici prima di dire un'altra volta addio al suo sposo. La sua nuova e unica gioia è la figlia. È una donna molto più forte di quanto possa sembrare. Questo è quello che volevo mostrarvi; ci sono riuscita?


Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva

Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Rumori nella foresta ***


2 - Un nuovo amico

Rumori nella Foresta


Leggimi su Facebook: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/il-destino-scelto-cap-5-rumori-nella-foresta/242042235963229


Passarono i giorni. Né lei, né la mamma avevano più parlato di suo padre. Perfino Daeb aveva evitato l’argomento. Anche se il suo atteggiamento scherzoso non tardò a riaffiorare.

Ora Daeb giocava assieme al gruppetto di ragazzini (Pylon compreso) e spesso era lui a inventarsi divertenti trappole per il “nemico”, ossia altri bambini o il signor Koremore, il vecchio contadino brontolone. Una mattina, mentre giocavano l’ennesimo tiro a quest’ultimo, Runne si isolò inconsciamente dal resto del gruppo. Appena passato il granoturco, si smarrì nell’incolta erba alta. Le risate dei bambini riecheggiavano lontane, seguite dall’urlo iracondo del vecchio. Runne guardò davanti a sé: i campi del signor Koremore terminavano esattamente tre metri e mezzo prima del limitare della selva della Foresta Dipinta. Runne uscì dall’erba alta e si avvicinò alla boscaglia. WOM! Un fruscio dentro la foresta. Era stato un suono quasi impercettibile, ma non era sfuggito alle orecchie di Runne.

«Chi è là?» domandò di scatto. Non ricevette risposta. La Foresta Dipinta rimase immobile e silenziosa. Forse se l’era immaginato... avvertì un movimento alle proprie spalle. Agì d’istinto. Senza rendersene conto si ritrovò a stritolare Daeb, puntandogli contro la spada di legno.

«Una vera guerriera!» disse il sinhilare con voce strozzata.

Runne lo lasciò andare. «Scusa.» Scrutò la foresta: niente. Legò con un lacciuolo la spada alla vita e seguì rapida Daeb, prima che li trovasse il signor Koremore.



Quel pomeriggio Runne si sdraiò sul letto a ripensare a cosa poteva aver udito nella Foresta Dipinta. Cercò di scacciare quel ricordo e le venne in mente suo padre. Le sarebbe piaciuto vederlo un’ultima volta. Vedere il suo viso, sentire la sua voce. Ma non lo avrebbe mai conosciuto. Di lui aveva solo il vago ricordo di un paio di occhi di un rosso luminoso. Si rese conto che sua madre non le aveva neanche detto il suo nome. Chissà come si chiamava... non lo avrebbe chiesto a Judith. Per quanto le premesse colmare quella curiosità, si era promessa di non parlarne più.

La voce della mamma giunse dal pianterreno:«Runne! È arrivato Kail!»

La bambina fece un movimento brusco, perse l’equilibrio e cozzò sul pavimento «Ahi!»

Kail bussò:«Si può?»

Runne si rimise in piedi e cercò di aggiustarsi i capelli scompigliati dalla scivolata prima di aprire la porta. «Ciao!»

«Ciao! Come sei...» il ragazzo si soffermò sull’abito di Runne «...elegante!» Era raro vederla vestita da donna. Gli occhi di Runne si posarono sulla spada di legno allacciata alla cintura di Kail.

«Ah!» esclamò, e gli sbatté la porta in faccia. Una manciata di secondi dopo la riaprì in tenuta da guerra, saltellando su un piede per infilarsi gli stivali. Si fiondarono fuori di casa. Daeb fece per seguirli, ma Judith lo fermò:«Lasciali stare! Per una volta che riescono a rimanere soli...!»

Il sinhilare incrociò le braccia, contrariato, ma acconsentì.


Runne si lasciò guidare al Lago Calmo. La brezza leggera increspava appena l’acqua. Si sedettero sull’erba a chiacchierare.

«Cosa pensi di fare più avanti?» chiese la bambina.

«“Più avanti”?»

«Intendo da grande... farai l’armaiolo, come tuo padre?»

L'amico ci pensò su per un po’ prima di rispondere. «Non lo so. Forse sì, ma preferirei entrare nell’esercito. Mio padre è contrario: dice che è un suicidio. E non ha torto: la resistenza contro re Endrun si sta sfaldando. Combattere contro le sue armate significa morire.»

«Quindi pensi sia meglio arrendersi a Endrun?»

Kail scosse il capo con veemenza:«Neanche per sogno!»

«Chissà, magari non è poi così sbagliato. In fondo cosa abbiamo da perdere? Solo la vita in un’insensata resistenza...» pensò al popolo dei feliani, sterminato da Endrun per timore della loro magia.

«Magari se ci arrendessimo sarebbe indulgente con noi. Dopotutto non sappiamo come sia il suo governo, potrebbe non dimostrarsi tanto terribile...»

«Che scemenze stai dicendo?» fece sdegnato Kail «Non è da te proporre di arrenderci a un dispotico tiranno e usurpatore! Sai che dovremo sottostare a quei mostri di reptili?!»

Runne trasalì. «Sai chi è mio padre?»

«No, non parli mai di lui.»

«Ti avverto, è un segreto.»

«D’accordo, giuro che non lo dico a nessuno. Ma cosa c’entra col nostro discorso?»

«C’entra eccome. Perché mio padre è un reptile.» Kail sgranò gli occhi dalla paura.

«È diverso dagli altri: è buono, combatte contro Endrun... cioè, combatteva. La mamma pensa che sia morto.»

Kail riprese un contegno. «E tu cosa pensi?»

«Che sia ancora vivo, nascosto da qualche parte per sfuggire alla milizia di Endrun.»

«Credi che gli farebbe piacere sentire le tue parole dopo una vita passata a lottare per un futuro sereno in cui tu potrai costruirti un angolo di pace?»

Runne arrossì. «Stavo solo facendo delle ipotesi. Non pensavo seriamente a ciò che ho detto. Ma se non ci fossero più guerre... forse papà potrebbe tornare.» Era una speranza sciocca e vana, lo sapeva. Un capriccio nato dall’ingenuità infantile. Sapeva però che Kail l’aveva capita.

«Che mi dici di te?» riprese lui.

«Scusa?»

«Cosa farai da grande?»

«Anch’io voglio arruolarmi, voglio diventare una guerriera!»

Kail la squadrò. Parve prendere seriamente in considerazione quella possibilità. «Allora devi iniziare subito gli allenamenti! Un guerriero non riposa mai!»

Runne rise. «E chi mi darà lezioni? Tu?»

«Il mio vecchio mi ha insegnato qualche tiro di spada. Vuoi vedere?»

«Certo!» I due bambini si misero a giocare. Kail aveva già appreso qualche tecnica, mentre Runne era alla frutta, ma l’abile gioco di gambe le consentì un minimo di vantaggio. Si attardarono fino al tramonto. Runne tornò a casa sporca come un maiale, il che le costò una lavata di capo, in tutti i sensi.



Si scoprì spesso a ripensare al rumore che aveva udito nella Foresta Dipinta. Giorno per giorno si convinceva sempre più che non era stata solo un’impressione. Ne parlò con Daeb, che non si mostrò molto stupito:«Ci vivono tantissimi animali: uccelli, cinghiali, caprioli... potrebbe anche essere stata una volpe.»

«Perché voi sinhilari vivete nel castello e non nella foresta?» chiese Runne d’un tratto.

«Un tempo condividevamo la foresta con altre creature dei Demonaturi. Circa due secoli fa il padrone di quel castello ha tentato di conquistare la Foresta Dipinta, che considerava parte del suo territorio, venendo meno ai patti. Mise a ferro e fuoco la foresta, e noi spiriti dei boschi non facemmo altro che difenderci. Fu tutto inutile: avevamo stipulato un contratto di pace col signore. A differenza di lui, un Demonaturo non può venire meno a un giuramento.»

«Perché? Per l’onore?»

«L’onore non c’entra: se infrangiamo un patto moriamo.» Runne rimase sconcertata.

«Così lanciammo una maledizione sul signore: nessuno lo avrebbe più riconosciuto. Né le sue guardie né i cittadini. I soldati, privati di un leader, e i servitori, senza più padrone, si ritirarono. Il signore sparì; credo si sia rifugiato nel Kuden e si sia alleato con Endrun... comunque adesso sarà bell’e morto. Al termine della battaglia, non avevamo più una casa: la foresta è sempre stata suddivisa tra sinhilari, Servetti e Talponi e il conte aveva praticamente distrutto la nostra zona. Chiedemmo...»

«Servetti e Talponi?» lo interruppe Runne spaesata.

«Oh, giusto: sono creature talmente schive che i Marcianti difficilmente ne conoscono l’esistenza. I Servetti si prendono cura degli alberi secolari; i Talponi sono un popolo boschivo che vive nel sottosuolo.»

«Che bello! Quindi siete tanti! Ma ora devi spiegarmi quella parola strana: “mar…”»

«Marcianti? È il modo in cui chiamiamo gli umani e la gente alta come te: avete la bizzarra caratteristica di non stare mai fermi in un posto.»

Runne ridacchiò:«Continua pure.»

«Chiedemmo asilo agli altri due popoli abitanti del bosco, ma entrambi ci ripudiarono.»

Il sorriso di Runne svanì. «Perché?»

«I Talponi non sopportavano il nostro atteggiamento scherzoso ed esuberante, che noiosi... mentre i Servetti non ci ritenevano alla loro altezza; stupide teste di legno!» Daeb sospirò «Non avevamo altra scelta che trasferirci nel castello, ormai disabitato. Ora la foresta si è rigenerata completamente, ma Servetti e Talponi non hanno esitato a soffiarci il posto. Che ci vuoi fare? Così è la vita...» le sorrise. Runne ricambiò e osservò Fiandher dalla collina.

La città era vicinissima ai suoi occhi, eppure le sembrava distante, irreale. Sinhilari, Servetti, Talponi, feliani... reptili. Il pensiero era riemerso. Un’altra volta. Non poteva chiedere informazioni a sua madre. Ma a Daeb sì. I sinhilari giocavano nel giardino alle sue spalle. Le loro vocine acute avrebbero coperto anche le loro orecchie. Daeb guardava il panorama con lei, seduto sulla sua spalla ad addentare una ciliegia.

Runne cominciò:«Quel giorno... a casa... mi stava accadendo qualcosa di strano...»

Daeb colse al volo l’allusione:«Ti sentivi in collera col mondo intero e il tuo cuore era piagato da rabbia e tristezza, vero?»

Runne annuì. «La mamma mi ha detto che è successo perché sono un reptile. Ma secondo me non è successo niente. Doveva ancora succedere. Qualunque cosa fosse, non mi ha dominata del tutto. Se lo avesse fatto?»

Daeb inghiottì un pezzetto di ciliegia. «Saresti diventata un reptile.»

Runne aggrottò la fronte, confusa.

«Non lo sono già?»

«Non esattamente. L’aspetto che hai, l’aspetto che di solito conservano i reptili, ossia umani con gli occhi rossi, non è quello reale. Un reptile è un mostro, una belva, una creatura ripugnante che prova solo odio. Senza offesa!» aggiunse rivolto a Runne, poi riprese:«Se quel giorno ti fossi lasciata dominare dalle tue emozioni, ti saresti trasformata in una bestia. Un mostro spietato, che non riconosce gli amici dai nemici, una macchina omicida assetata di sangue.» Runne rabbrividì. Si portò una mano al petto, terrorizzata da quella cosa che aveva dentro.

Daeb le diede un buffetto alla guancia. «Dopo un po’ tornano normali, la loro trasformazione non è definitiva, non preoccuparti.»

«I reptili trasformati sono molto potenti?»

«Terribilmente potenti. Non so neanche se un altro reptile sarebbe in grado di fermarlo, a meno che non muti anche lui.»

«Allora perché non rimangono sempre mostri? Non capisco...»

«Con l’ira bisogna andarci cauti. Spinge al disastro, alla follia. Ti consuma lentamente e alla fine ti annienta. Molti reptili presi troppo dalla rabbia si sono uccisi con le loro mani.» Un sinhilare andò a sbattere contro un albero e gli amici scoppiarono a ridere, prendendolo in giro. Liuru si fece attento ma l’esserino non si era fatto nulla, quindi tornò a guardarsi attorno con circospezione.

Runne teneva gli occhi incollati al paesaggio. Non riusciva a fare nient’altro. Era nervosa e aveva paura. Daeb le si aggrappò al collo come a dimostrare il suo sostegno e Runne non poté fare a meno di essergli grata, anche se ciò non bastava a diminuire la sua angoscia. Chiuse gli occhi, cercando conforto nel buio. La luce del giorno la raggiungeva ancora. Serrò le palpebre più che poté. Finalmente, in quell’oscurità forzata, riuscì a sentirsi maggiormente tranquilla. Si estraniò dalle voci e dall’ululato del vento. Pian piano perse coscienza della presenza di Daeb, benché fosse rimasto sulla sua spalla, e successivamente del proprio corpo. Adesso c’erano solo più lei e il buio. Nient’altro. La luce la raggiunse di nuovo. Runne si spazientì. Come poteva essere tanto insistente? Non la poteva lasciare in pace? Poi si accorse che quella luce non era bianca ma... verde.

Aprì gli occhi e vide che la luce l’avvolgeva, che s’irradiava sino a Fiandher, che inondava le sue strade, il Lago Calmo e tutto il cielo. Fin dove l’occhio potesse arrivare c’era solo verde. Daeb gridava qualcosa indicando il castello, ma un rombo assordante lo sovrastava. Sembrava il trillo di mille cristalli andati in frantumi. Runne e i sinhilari si tapparono le orecchie voltandosi a guardare la torre: la gemma risplendeva di una luce abbagliante e Runne comprese come fosse possibile che illuminasse tutto il Graäm. Gli occhi le bruciavano. Cominciarono a lacrimare. Runne cadde in ginocchio. Il frastuono le rimbombava nella testa. I sinhilari volarono via, verso la città. Runne si rimise in piedi a stento e gli corse dietro. Avvicinandosi a Fiandher il rombo si affievoliva e una volta entrati in città scomparve. Runne sentì la testa più leggera, anche se era completamente svuotata. La gente intorno era stupita e sconcertata prima dalla luce, poi dai sinhilari che sfrecciavano sotto il loro naso.

Una voce raggiunse a fatica la mente di Runne:«Stai bene?» Daeb.

«Sì... credo... di sì...» Non era del tutto vero. Era ancora intontita. Volse con una certa difficoltà lo sguardo al castello. «Cosa è successo?»

«Lo smeraldo della torre deve aver percepito un pericolo imminente. Di questi tempi e con Endrun alle porte... non è un buon segno.»

«Che tipo di pericolo?»

«Non ne ho idea. Ma finché Fiandher è minacciata, la gemma continuerà a splendere.»

Liuru si avvicinò:«Come facciamo, Daeb? Non abbiamo dove andare... di tornare al castello non se ne parla, con quel frastuono. E nemmeno nella foresta...»

«Posso ospitarvi io.» intervenne Runne.

«Tutti? Oh, no! Non disturbarti! Troveremo un posto.» e fluttuò tra le strade con il suo popolo.

Runne e Daeb tornarono a casa. Judith aveva il volto tirato ma si sforzò di apparire il più allegra possibile. La sua preoccupazione, tuttavia, finì col contagiare anche Runne.



Nel pomeriggio Daeb era andato a farsi un pisolino e Runne ne aveva approfittato per uscire da sola. I sinhilari, ormai in completa confidenza con gli umani, si erano sistemati nelle abitazioni nei pressi del Lago Calmo, accolti con entusiasmo in casa dei generosi cittadini. Vi sarebbero rimasti fino a che la gemma non si fosse spenta. Kail e gli altri bambini li avevano raggiunti per giocare. Ma non era diretta da loro. Lo scalpiccio di Runne puntava da tutt’altra parte.

Sorpassò i campi del signor Koremore e si trovò di fronte alla Foresta Dipinta. Silenziosa e sinistra come sempre, i suoi alberi colmavano la vista di Runne. Le radici possenti scavavano sotto la terra irremovibile. Il verde del bosco si mescolava al cielo, ormai verde anch’esso. Runne controllò un’ultima volta che nessuno l’avesse seguita, poi entrò. Mosse un passo dopo l’altro cercando di non far rumore, il che risultava alquanto complicato data la distesa di foglie ai suoi piedi. L’autunno era venuto. Proseguì cauta fin quando non rimase circondata dalla selva. Si concentrò su ogni rumore o immagine sfuggente, qualunque segnale particolare. Assoluto silenzio. Non il ronzio di una mosca, né il grugnito di un cinghiale, neppure il frullio d’ali o il cinguettio degli uccelli. L’aria era ferma, così come le fronde degli alberi. Troppo silenzio. In quella calma innaturale Runne riusciva a sentire il suo respiro, il battito del proprio cuore; percepiva ogni nervo, ogni muscolo e ogni osso del suo corpo. Sembrava che nulla avesse vita lì dentro. Non dovevano esserci animali, Servetti e Talponi?

«Affascinante, non è vero?» Runne si girò di scatto. La sua mano corse alla spada di legno prima che potesse pensare qualsiasi cosa, e un attimo dopo teneva tesa la sua arma, puntata contro un uomo avvolto in un lungo mantello rosso vivo.

«Mi riferivo a questo luogo.» continuò lui senza fare una piega «Alimenta i nostri sensi e li sviluppa oltre i livelli normali.»

«Allora vorrai spiegarmi come ho fatto a non sentirti.» disse Runne di getto. Come aveva potuto non avvertire la sua presenza in quel silenzio? O perlomeno non scorgere il suo mantello rosso in mezzo a tutto quel verde?

«Perché il mio livello di per sé non è normale.»

«Chi sei?»

«Con quella non ci farai molto.» disse lo straniero riferendosi alla spada della ragazzina. Aveva un accento marcato, con parole scandite e le vocali molto chiuse.

Runne non si lasciò distrarre:«Eri tu a spiarmi l’altro giorno, ne sono sicura. Voglio sapere chi sei!»

«Il mio nome è Arlenan.» l’uomo si tolse il cappuccio «E sono la risposta che cerchi.» Una cascata di riccioli bruni si adagiò sulle spalle. I boccoli scendevano lungo il volto di un giovane con la barba ben tenuta. I lineamenti del viso rotondeggianti verso il mento si congiungevano alla mascella larga. La pelle bronzea si corrugava leggermente sopra il naso, tra le fini sopraciglia. Le labbra carnose accennavano un sorriso, evidente negli occhi pieni di mistero, rossi come il mantello.

Runne si lasciò sfuggire una nota di stupore.

«Capisco la tua meraviglia. Sono il primo reptile che incontri, se non erro. È naturale: quasi tutti i reptili sono al servizio di Endrun, perciò è difficile vederne uno in una terra libera dal suo dominio. Comunque puoi rilassarti. Non hai niente da temere da me. Non faccio parte della sua schiera.»

«Come faccio a crederti?»

«Mettiamola così: ti avrei già uccisa se non dicessi il vero.»

Un’ipotesi da non escludere. «Non credo ci saresti riuscito.»

«Io credo di sì, Runne.»

«Come mi conosci?»

«So molte cose di te. Sappiamo, io e i miei compagni.»

«Che...?»

«Non ti sei accorta di essere sotto tiro?»

Runne sollevò lo sguardo. La spada le scivolò di mano. Cinque pezzi di corteccia si staccarono dagli alberi. Legno che si muove? No. Runne si accorse che le figure lignee che la sovrastavano erano uomini in carne e ossa, avvolti in uno sfavillante mantello rosso, e che ognuno di loro teneva incordato un arco. Teso, pronto all’attacco. Che non venne. A un cenno di Arlenan abbassarono gli archi. Runne si diede un pizzicotto per essere sicura che quello non fosse un sogno. Come avevano fatto a sembrare parte integrante degli alberi, per di più senza fare alcun rumore? Rimase paralizzata sul posto, esterrefatta.

La voce di Arlenan la colpì come una freccia. «Come puoi vedere, le nostre intenzioni sono più che cordiali.» Runne rimase vigile, pronta a darsela a gambe.

«Cosa volete?» domandò. Forse Daeb la stava cercando. C’erano buone probabilità che si ricordasse della chiacchierata mattutina e che provasse a cercarla nella foresta. Magari con Kail e gli altri. Le loro voci concitate probabilmente avrebbero allarmato quei tizi e con un po’ di fortuna li avrebbero messi in fuga. Sempre che la trovassero. Si era inoltrata parecchio nel bosco. Poi non era passata neanche un’ora dal loro ultimo incontro.

Runne sperò con tutto il cuore che quella conversazione finisse presto, ma sapeva anche che non potevano lasciarla andare come se niente fosse: aveva visto in faccia quell’uomo. Lei si trasformava così in una scomoda testimone. La paura la invase, riusciva solo a pensare alla sua mamma: non l’avrebbe più rivista.

Mamma... Sentì gli occhi umidi.

«Cosa volete?» ripeté con la voce incrinata dal pianto.

«Quello che vuoi tu. Rispondere alle tue giuste domande, svelarti chi sei, addestrarti a combattere Endrun.» Il cuore di Runne si fermò. Era inebetita. Forse non aveva sentito bene?

Uno degli uomini saltò giù dall'albero. «Noi siamo gli Scindri, una compagnia segreta che difende il Mondo dell’Avvento da ogni genere di male.» Si tolse il cappuccio: sembrava aver appena passato la ventina, proprio come Arlenan, anche se con un feliano è difficile indovinare l’età.

«Mi chiamo Arghenteo. Saremmo felici se ti unissi a noi, Runne» disse. Anche gli altri scesero dalle piante a presentarsi. Erano tutti esseri umani fra i venti e i trent’anni.

«Non è forse quello che hai sempre desiderato?» disse ancora Arlenan «Ti abbiamo osservata giocare con i tuoi amichetti e siamo sicuri che la nostra proposta ti interessi. Possiamo trasformarti nel migliore dei guerrieri, renderti silenziosa come la nebbia e terribile come un intero esercito. Ti insegneremo gli incantesimi più potenti mettendoti a contatto col mondo della magia. Imparerai cos’è l’autocontrollo, tenendo a bada la bestia che abbiamo entrambi dentro di noi.» Runne incassò il colpo come uno schiaffo violento in piena faccia.

Arlenan sorrise. «Noi due siamo uguali. Condividiamo la stessa potenza devastante, che possiedono solo i reptili; ma anche lo stesso dolore. È frustrante dover tenere dentro tutte le nostre paure: rabbia, tristezza, solitudine. Non potersi sfogare o lasciarsi andare è il destino di ogni reptile.» sospirò «Il nostro cuore è come un fiume in piena con argini troppo deboli. Se il fiume straripasse distruggerebbe tutto quanto sul suo cammino. È per impedire questa tragica fine che i reptili devono fortificare il cuore, prima di ogni cosa. Noi ti mostreremo come convivere con questo peso e ti offriremo la possibilità di entrare a far parte della compagnia degli Scindri.»

Runne era ipnotizzata dalle sue parole. Non osò aprir bocca per interromperlo; qualcosa nella figura di quell'uomo le ispirava un grande rispetto.

Arlenan pose le condizioni:«L’addestramento avverrà in questa foresta. Quando sarai pronta, le tue missioni riguarderanno Fiandher, Trais e altri paesi minori nelle vicinanze. Ti lasceremo una settimana di tempo per pensarci. Ci ritroveremo qui fra sette giorni alla stessa ora. Confido nel tuo giudizio a mantenere il riserbo sulla nostra chiacchierata. Per il resto, dipende da te: sei libera di accettare o di rifiutare. Sono sicuro che saprai fare la scelta più giusta. Spero di rivederti in qualità di mia allieva!»

Si portò il pugno al petto in segno di saluto. I compagni lo imitarono e gli uomini corsero rapidi nella selva, andandosene silenziosi come erano venuti.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Papparapaaaa colpo di scena! Si accende l’allarme, arriva un gran figo e Runne viene reclutata dall’FBI! Bè, è andata più o meno così. Traducete in medioevalese e voilà!

Quale sarà la scelta di Runne? Credete possibile un suo rifiuto? Che ve ne è parso del breve sipario sui Demonaturi e delle crisi di autocontrollo dei reptili?


Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva

Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il fiore che guida lungo il sentiero ***


2 - Un nuovo amico

Il fiore che Guida lungo il Sentiero


Leggimi su Facebook: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/il-destino-scelto-il-fiore-che-guida-lungo-il-sentiero/261441050690014


il giorno dopo né quello successivo la gemma in cima alla torre smise di brillare. E dopo altri quattro giorni di luce smeraldina la gente di Fiandher cominciò a calmarsi. Le persone cercavano di reperire informazioni sulle città vicine tramite gli ambulanti, ma lo facevano con scarso interesse. Credevano di essere al sicuro; in fondo in quei lunghi anni il re non si era mai interessato al Graäm. Tuttavia nelle locande nessuno aveva il coraggio di nominare Endrun; se ne facevano vaghi accenni, ma nessuno osava pronunciare ad alta voce il suo nome, quasi temessero che li udisse. Fortunatamente non era accaduto ancora nulla: checché si dicesse, non c’erano in giro soldati di Endrun; nessun villaggio saccheggiato o distrutto; nessuna persona scomparsa o morta misteriosamente. Gli abitanti di Fiandher seguivano la solita routine e attribuivano la colpa del fenomeno luminescente alle interpretazioni più svariate: da un presunto “guasto” dello smeraldo, allo scherzo di qualche stupido che l’avesse attivato per divertimento fino anche alla credenza che in realtà tutto fosse verde da sempre e che semplicemente una mattina si fossero svegliati rendendosi conto della verità. Eppure Runne sapeva che c’era qualcosa che non andava.

La sera del sesto giorno dal suo incontro con gli Scindri non fu diverso: la luce dello smeraldo splendeva come sempre. La bambina osservava Lup e Nap, le lune gemelle, dalla finestra della sua camera. Assumevano una tonalità sinistra alla luce della gemma. Si spettinò la frangia. Aveva pensato per tutta la settimana alla proposta di Arlenan. E non aveva ancora deciso. D’altronde, come poteva fidarsi di un reptile? Ecco, lo aveva pensato. Sogghignò. Nonostante suo padre fosse un reptile e lei lo fosse suo malgrado, non riusciva a togliersi dalla testa quell’immagine di distruzione che da sempre aveva imparato ad associare ai reptili. Le venne in mente anche Arghenteo. Dopo la storia raccontata da sua madre, poteva ben capire quanto i feliani sopravvissuti potessero odiare i reptili e il loro emissario. Nondimeno Arghenteo era un sottoposto di Arlenan e aveva notato una sorta di profondo rispetto fra i due. Scosse la testa con veemenza, fin quando non sentì che le girava, poi si fermò. Fece un largo sbadiglio e si alzò dal letto.

«Ehi pigrona!» esclamò Daeb, sbucando dal nulla «Cosa fai ancora qui? Forza, andiamo!»

A Fiandher era tradizione recarsi dal cantastorie ogni giovedì per apprendere del passato e del presente. La carriera passava di padre in figlio, che aveva il dovere di viaggiare in gioventù per accrescere le conoscenze della propria famiglia. Daeb aveva scoperto questa usanza accompagnando Runne e vi si era appassionato.

«Non ho molta voglia di uscire... Non puoi andarci da solo?»

«Scordatelo!» disse il sinhilare, irremovibile «Non è divertente senza di te.»

Runne sbuffò e decise di assecondarlo. Judith rimase a casa, stanca dopo una giornata di rammendi e ricami. Si incamminarono di buon passo verso l'estremità meridionale della città. Un gruppo di giovanotti li fiancheggiò lungo la strada. Il cantastorie attirava soprattutto un pubblico infantile, ma anche molti adulti erano curiosi di ascoltare il vecchio. A Runne piacevano i suoi racconti, da cui aveva appreso parecchio, ma da quando sapeva di essere un reptile temeva di essere smascherata. Stranamente, il cantastorie non aveva mai mostrato di riconoscere la sua natura. A ben pensarci, non aveva neanche mai dato una descrizione fisica dei reptili. Ma il vecchio cantastorie era sempre stato cieco, da quel che si sapeva di lui.

Raggiunsero la locanda della Favella, dove erano soliti raggrupparsi. Grazie all'impazienza di Daeb, erano arrivati abbastanza presto da assicurarsi un posto in quarta fila... o addirittura terza? Non era facile trovare un ordine in quell'ammasso di sedie che si stringevano intorno a quella più comoda e robusta del cantastorie, che dormiva profondamente. Mentre attendevano che la locanda si riempisse, con Daeb che volteggiava sulla sua spalla, Runne vide appeso a una parete il calendario con cui si insegnavano ai bambini i mesi dell'anno.

Si apriva con Destante, il mese in cui arrivava la primavera. Seguivano Florea e Paiato, con i suoi frequenti matrimoni. L'estate era portata da Eliume e continuava con Caldeggio e Granetto, in cui avveniva la trebbiatura. Rallegrato dal buon vino, Bevazzo era il mese corrente; presto avrebbero attraversato Foliume e Pluvio. Dopo sarebbe giunto l'inverno, con Gelante e Nevone. Sopiquo avrebbe segnato la fine della stagione fredda e il termine dell'anno. Ogni mese contava 31 giorni; solo Destante e Granetto avevano un dì aggiunto: il primo giorno dell’anno era dedicato agli dei e alla natura, mentre l’ultimo giorno del mese estivo era festeggiato in vario modo a seconda della razza e del popolo. Tra gli uomini venivano ricordati gli antenati, a differenza dei feliani che celebravano la sacralità della poesia e della musica.

L'oste passò a distribuire bevande e vettovaglie e la locanda si riempì del tintinnio di monete. In breve una discreta folla si sistemò sulle sedie disponibili; altri rimasero in piedi o si spostarono leggermente in disparte, addossati al bancone. Un silenzio di attesa calò sul pubblico e il cantastorie si svegliò all'improvviso, come gli succedeva sempre.

«C'era un tempo...!» esordì. La smania di scoprire l'argomento della serata percorse tutti gli ascoltatori. «C'era un tempo in cui gli dei calcavano queste terre e nessuna forma di vita poteva manifestarsi dinanzi ai loro occhi.»

Oh. La storia della genesi l'aveva già sentita. Runne fece un enorme e poco elegante sbadiglio, regalando a Daeb l'opportunità di lanciarle in gola un tocco di pane. La ragazzina quasi si strozzò e tossì con forza, richiamando involontariamente l'attenzione del cantastorie. «Tu sei la figlia di Judith.» Non era una domanda. Non si sapeva come facesse, ma nonostante la cecità il vecchio riusciva a distinguere le persone senza fallo. E sembrava conoscere tutti.

«Sì, signore.» confermò l'interpellata cercando di acchiappare Daeb per fargliela pagare «Mi chiamo Runne.»

«Un nome molto importante.»

«Davvero?»

«Oggi la durata della vita dei feliani è come la nostra,» riprese il cantastorie «ma c'era un tempo in cui vivevano molto più a lungo. Secondo le leggende la Prima Stirpe viveva fino a “sette volte la vita del mondo”.»

«Signore! Quanto dura la vita del mondo?» chiese un bimbo dallo sguardo curioso.

«Il mondo è in continuo mutamento e rinasce a ogni millennio.» spiegò il vecchio «I feliani avevano una prospettiva di vita di settemila anni, donata loro dagli dei.»

Un coro di stupore riempì la sala. Qualcuno sputacchiò dalla propria pinta.

«Un giorno i feliani scoprirono i nostri antenati, confinati nelle regioni più aride del Mondo dell’Avvento. Gli offrirono una dimora più agevole e condivisero la loro sapienza con gli uomini; ma il divario tra le due razze alimentò la discordia. Alcuni feliani si consideravano superiori agli umani e li volevano soggiogare; dal canto loro gli uomini erano invidiosi della longevità feliana. In questo spiacevole clima salì al trono Denowil, la “sovrana guerriera”. Il suo operato di pace parve quietare gli animi, eppure non impedì lo scoppio di una tremenda guerra tra le due razze.»

«Dobbiamo dunque vergognarci dei nostri antenati?» chiese l'oste mentre serviva polpette e altro pane bruciacchiato «Come hanno potuto dare inizio a una guerra contro i loro benefattori?»

«Nessuno è a conoscenza della causa scatenante; e potrebbero non essere stati gli uomini a cominciare quella lotta insensata. È nostro dovere ricordare e rispettare i nostri antenati, nel bene o nel male.» le palpebre del cantastorie fremettero sopra ai suoi occhi vuoti «Riprendiamo ora la nostra storia: per fermare quel bagno di sangue, Denowil compì un miracolo, privando i feliani del Dono delle Sette Vite. Per mettere in atto quella magia, ella infisse la sua lama nel terreno, pagando con la propria vita.»

«Nooo!» piagnucolò una bambina con la coda di cavallo.

Il vecchio sorrise. «Il suo spirito vive ancora: la sua spada è intatta, conficcata nel suolo, esattamente al centro del Mondo dell’Avvento.»

Un uomo con la pipa sobbalzò. «Al centro del... cioè a Kradit?»

I più giovani si innervosirono:«Kradit... la residenza di Endrun?»

«Dove c'è il re cattivo?»

«Sì.» confermò il cantastorie «Ovviamente allora non c'era nulla. Nient'altro che terra bruciata, consumata dalla battaglia. Ma quando Denowil vi infuse la propria magia il terreno diventò incredibilmente fertile. Attorno alla sua spada crebbe una pianta sacra, che non necessita di sole né acqua. Da quel rampicante sbocciò un fiore più candido della neve e più splendente di Lup e Nap nelle notti limpide. Nessuno, a quanto si vocifera, vi si può avvicinare. I re del passato, ammaliati da tanta bellezza e commossi dal sacrificio della regina feliana, vi costruirono un monumento e attorno la loro fortezza: così nacque la città. Da quel momento le due razze convissero in armonia.»

«Ma come può quello sporco Endrun vivere in un luogo tanto sacro?» chiese una voce familiare al limitare della folla. Runne notò solo allora Pylon.

«Suppongo che non si possa avvicinare al monumento.» sospirò il vecchio «Certo è che lo spirito di Denowil non glie lo permetterebbe mai.»

Gli astanti si rilassarono un poco.

«Quel fiore,» continuò il cantastorie «si dice che cresca spontaneamente nel Mondo dell'Avvento per indicare ai giusti la strada da seguire. È considerano tuttora un simbolo di speranza; i feliani lo chiamarono runne.»

La locanda al completa si voltò verso Runne, che arrossì. «Non lo sapevo.»

«Ed è per questo che io te l'ho raccontato. I tuoi genitori hanno scelto un nome pregevole di cui non puoi permetterti di ignorare il significato. Sicuramente ti attende un grande destino.»

Runne fece una smorfia. «Non mi piace l'idea che il mio destino sia scritto dal nome che porto. Non significa nulla. La mia vita appartiene soltanto a me.»

Una risata generale scosse la sala.

«Avete sentito la piccola?»

«Che caratterino!»

«Vai, Runne! Digliene quattro!»

Il cantastorie batté il bastone sul pavimento, piuttosto irritato:«I vostri scherni mi riportano alla mente la storia del Talpone citrullo. Volete ascoltarla?»

Alcuni “sì” e altri “no” investirono le orecchie del vecchio, mentre Runne si alzava per uscire dalla locanda. Si allontanò da risate e frastuono e prese la via del ritorno. Forse la sua reazione era stata eccessiva, ma non poteva fare a meno di essere turbata dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Aveva scoperto di essere figlia di un reptile, la gemma in cima alla torre si era accesa e un gruppo di sconosciuti la voleva reclutare. Ah, e dei sinhilari furiosi l'avevano attaccata con degli alberi animati. A proposito, perché c'era tutto quel silenzio?

Daeb sedeva ancora sulla sua spalla, ma era insolitamente taciturno. La bambina lo scrutò: le lacrime scendevano le guance del sinhilare, lasciando solchi azzurri sulla pelle perlata. Daeb si accorse di essere osservato e si asciugò in fretta il volto, recuperando il sorriso e domandandole:«Stai bene?»

«Io?» fece Runne dubbiosa.

«Non badare a me. Ho provato solo un po' di nostalgia... Il Piccolo Popolo è sensibile alle storie che narrano dei figli del bosco.»

«Sarà...»

Plic. Plic. Plic. La pioggia li sorprese lungo il tragitto. Gocce fredde cadevano dal cielo color muschio. Runne accelerò il passo prima che l'acqua scendesse più violenta e rientrò in casa appena in tempo. La mamma parve rincuorata dal suo ritorno anticipato. Quella storia dello smeraldo l'aveva riempita d'ansia. Runne e Daeb le augurarono la buonanotte e salirono in camera.

Nel buio della notte, il bagliore della gemma filtrava appena dalla tenda della finestra. Runne si era coricata da qualche minuto, ma faticava a prendere sonno. La voce di Daeb la fece sobbalzare:«Non hai ancora deciso?»

«Cosa?»

«Se accettare la proposta di Arlenan.»

Runne si rigirò nel letto e assottigliò la pupilla per scrutare meglio il sinhilare, che era appoggiato sul bordo della sua scatola. «Come fai a saperlo? Mi hai seguita? No, aspetta; tu stavi dormendo!»

«Mi pare ovvio, proprio così e no, stavo fingendo.» rispose Daeb con ordine. «Non fare quella faccia indignata: lo smeraldo mi ha messo in allarme ed ero preoccupato per te. Soprattutto perché l'angolo di foresta vicino ai campi del signor Koremore è disabitato da decenni. In quel luogo è stata lanciata la maledizione sul signore del castello e nessuno osa metterci piede... o zampa.»

«Perché non me l'hai detto quando ti ho parlato di quel rumore?»

Daeb assunse un'aria di rimprovero:«Volevo indagare per conto mio ma tu, impaziente come al solito, ti sei avventurata da sola nella foresta. Senza avvertire nessuno.»

«Mi dispiace.» Runne era sinceramente mortificata. Quando era stata circondata da quegli stranieri aveva provato davvero paura.

«Dopo il vostro incontro sono tornato nella foresta e ho parlato con gli Scindri.» fece una pausa, quindi continuò con voce piatta:«Sembra che siano qui per proteggere il Graäm dalla minaccia di Endrun. Non mi convincono del tutto, ma devo ammettere che sono in gamba: sapevano che ti avevo seguita. E condivido il loro interesse per te.»

«In che senso?»

Daeb recuperò la sua espressione allegra, a cui solo lui riusciva ad accostare una nota di solennità:«Sei una creatura unica, Runne. I tuoi genitori hanno fatto bene a rifugiarsi in questa piccola città, lontano dagli occhi della Resistenza e dell'armata di Endrun; ti hanno protetta fino ad ora, ma presto o tardi dovrai fare una scelta. Dovrai continuare a nasconderti, magari con l'aiuto dei popoli liberi, o entrare nell'esercito.»

«Io voglio combattere contro Endrun!» esclamò la ragazzina.

«Allora è meglio che impari a difenderti. Perché se il nemico viene a sapere della tua esistenza ti obbligherà a servirlo. O ti ucciderà, se ti ritiene una minaccia.»



Runne giunse di fronte alla Foresta Dipinta. Era arrivato il momento e lei esitava. Strinse le braccia al petto, prese un bel respiro ed entrò, facendosi largo tra i cespugli. Non sapeva già più dov’era, ma non aveva importanza: a trovarla ci avrebbero pensato loro. Era un po' in anticipo; poggiò la schiena contro un albero e attese. Gli uomini, come la settimana prima, sembrarono uscire dai tronchi. Runne non poté fare a meno di meravigliarsi a quello spettacolo ripetuto. Arlenan comparì sul ramo sopra la sua testa. Atterrò con eleganza davanti a lei. Il mantello si posò fluido sull’erba, senza muoverne un filo.

Si calò lentamente il cappuccio:«Arriverò subito al sodo: qual è la tua decisione?»

Gli occhi di tutti erano puntati sulla bambina. Una leggera brezza le fece fluttuare i capelli e le fronde degli alberi danzarono al vento; eppure i mantelli degli uomini rimasero immobili. Quelle figure sembravano non esistere. Runne ne rimase al contempo intimorita e affascinata. Ebbe conferma che la sua scelta poteva essere una sola. S’inginocchiò e disse:«Accetto la tua proposta, maestro.» Un coro d’entusiasmo emerse dagli Scindri. Qualcuno fischiò. Arghenteo batté le mani.

«Bene.» asserì Arlenan tendendo una mano a Runne e aiutandola a rialzarsi. L'uomo fece un cenno agli altri e la bambina seguì nel bosco la compagnia, ascoltando attentamente le parole del maestro:«Ci stiamo dirigendo al nostro nascondiglio. Da domani e per il resto della settimana ti aspetterò all’entrata della foresta e ti accompagnerò. Dopo dovrai ricordarti la strada da sola. La parola d’ordine è...» si abbassò e le mormorò all’orecchio. Il contatto con le sue labbra la fece avvampare «...CROSTATA DI MELE.» Si rialzò e sorrise «La mia preferita!»

Arrivarono ai piedi di un enorme albero secolare. I rami si intrecciavano e si mescolavano impedendo di mirare il cielo. Le foglie crescevano come spine, aguzze e taglienti. Poco male: lì almeno non li raggiungeva quella monotona luce smeraldina. Arlenan avanzò, aprendosi un varco nel cespuglio che cresceva di fianco all’albero. Si accucciò e sollevò una zolla di terra, rivelando una buca profonda più di due metri. Vi entrò. Runne lo seguì, scoprendo che la terra non era altro che una botola ben camuffata. Scese per una scaletta e con un balzo si posizionò al fianco di Arlenan. Il resto della compagnia attese in cima alla buca: lo spazio era troppo angusto. La buca appariva vuota, e Runne iniziava a essere perplessa. Arlenan disegnò uno strano simbolo sulla parete e mormorò una formula a bassa voce. Il muro ebbe un fremito: la terra si rattrappì come una pianta senz'acqua, scoprendo una porta solida. Runne allungò un braccio verso la maniglia, incuriosita, ma l’uomo la bloccò:«Se ci tieni alla vita, non farlo. Ci vuole la chiave.» Arlenan estrasse dal mantello una piccola chiave nera, proprio come la porta, la introdusse nella serratura e la fece scattare. La porta si aprì.

L’ambiente era una stanza di forma irregolare, come lo scavo di una miniera: su un largo macigno, arrangiato come tavolo, pergamene con strani ghirigori e piantine di edifici giacevano arrotolate o socchiuse; boccette con liquidi dei più svariati colori erano accatastate negli angoli; armi di ogni tipo (asce, spade, pugnali, archi, eccetera) erano appoggiate ai muri.

Quando tutti gli Scindri furono entrati Arlenan procedette a presentarle la compagnia. Conosceva già Arghenteo, quindi vennero introdotti gli altri sei membri: erano tutti esseri umani, e parevano entusiasti del nuovo acquisto. Dopo i convenevoli, gli Scindri si sparpagliarono per il nascondiglio, ognuno preso dal proprio lavoro. Arlenan condusse Runne lungo il breve corridoio che si affacciava, sulla destra, su una stanza piena di coperte. Doveva trattarsi di un giaciglio improvvisato. Sulla sinistra il corridoio si piegava bruscamente verso il basso fino a un'apertura con scaletta. Runne si stupì di dover scendere ancora.

Sbucarono in un ampio spazio buio, illuminato da una piccola torcia appesa al soffitto. Un tenue fuoco bluastro bruciava silenzioso.

«Questa è la Sala d’Addestramento.» annunciò Arlenan.

«Non si vede niente!»

«Fa parte dell’allenamento. Gli Scindri non sono semplici guerrieri: sono spie, infiltrati, a volte sicari. Devi abituarti ad agire al buio.»

«Come vuoi tu, maestro.» rispose Runne a bassa voce, per nascondere il fatto che le tremava.

L’uomo sorrise:«Non preoccuparti. Per ora mi limiterò a insegnarti le basi. Ma prima pensiamo al tuo abbigliamento.»

«Porterò anch’io un mantello come il vostro, maestro?» scattò lei eccitata.

Arlenan scosse il capo «Lo riceverai all’investitura in qualità di membro degli Scindri. Per adesso sei solo un’allieva.» Runne sgonfiò l’entusiasmo, mentre il suo maestro frugava nei sacchi abbandonati in un angolo.

«Vediamo... per la tua misura...» e l’uomo si tuffò nella ricerca. Dopo un po’ ne riemerse reggendo dei pantaloni di pelle, un corpetto, un mantello e un paio di guanti neri. Studiò con scetticismo le calzature di Runne e le porse anche un paio di stivaletti neri. La bambina si cambiò nel bel mezzo della sala, con Arlenan girato di spalle.

«Questo posto l'avete creato voi?» chiese Runne per scacciare l'imbarazzo.

«No» ammise lui «L'abbiamo trovato già così: suppongo fosse un rifugio segreto del fondatore di Fiandher. Noi abbiamo aggiunto solo le misure di sicurezza.»

La bambina ebbe qualche difficoltà ad allacciarsi il corpetto, ma riuscì comunque nell’impresa. Acciambellò la treccia dietro la testa, a mo’ di cipolla.

«Sono pronta.» disse Runne. Il maestro fu povero di commenti. Secondo lui Runne rifletteva un’immagine di sé già visibile per chi sapeva riconoscere un guerriero.

Arlenan si sfilò il mantello e lo appese su una sporgenza della grotta. Runne rimase a bocca aperta: dai polsi sino alle spalle la pelle era ricoperta da sottili squame dello stessa tonalità bronzea della pelle. L’uomo notò il suo stupore e, ammiccando, si tolse la cotta di maglia. Runne si avvicinò: le squame proseguivano a delineare il petto, lasciando scoperta la pancia, poi riprendevano sui fianchi; ma Runne non osò chiedergli di slacciarsi anche i pantaloni... La bambina girò attorno ad Arlenan e osservò la schiena: le squame correvano lungo la colonna vertebrale per finire sul retro del collo.

«È per questo che ci definiamo reptili: tutti i purosangue hanno un aspetto simile.»

«Quindi anche mio padre...» ipotizzò Runne, interrompendosi con disagio.

«Se era un purosangue sì.» Si rivestì e le chiese:«Pronta per la lezione?»

«Prontissima!»



Arlenan le fece apprendere la corretta posizione di guardia, poi le spiegò come poteva piegarsi, abbassarsi, schivare, saltare e muoversi da tale posa; dopo le intimò di fare qualche capriola e le mostrò in quanti modi si poteva cadere senza farsi male. Durante una breve pausa, Runne risolse finalmente il mistero delle movenze silenziose degli Scindri: risiedeva tutto in una pozione applicata ai loro mantelli, che ovattava qualunque suono prodotto dai loro possessori.

Arlenan fece uno sbadiglio contenuto, scrocchiò il collo e disse:«Credo possa bastare. Per oggi finiamo qui. Dopo i primi giorni, verrai tre volte a settimana, sempre a quest’ora.»

«E per le missioni?» chiese speranzosa Runne.

«Per quelle c’è tempo.» L'uomo si rivestì e intimò a Runne di indossare i suoi vecchi abiti; quindi le concesse qualche secondo per salutare la compagnia e la condusse fuori dalla foresta. La felicità e l'eccitazione colmavano l'animo della bambina, ansiosa di continuare le lezioni e di imparare cose nuove.

Runne fece per congedarsi, ma inaspettatamente Arlenan decise di accompagnarla a casa per parlare con sua madre. Lei rimase disorientata a quella novità, ed esitò prima di assecondarlo. Era ormai buio mentre si aggiravano per le strade di Fiandher, e la luce dello smeraldo donava una strana atmosfera al cielo stellato. Lungo il tragitto qualcuno salutò Runne, senza dare segno di notare l'uomo che la seguiva, come se fosse invisibile. Merito delle proprietà di mimetizzazione del mantello, oltre che delle capacità del suo possessore. Lei ricambiò con un sorriso, anche se era parecchio agitata: cosa avrebbe detto Arlenan a sua madre? E lei come avrebbe reagito?

La fedele piantina aprì la porta per Daeb, che sgranò gli occhi di fronte ad Arlenan. Judith sedeva in disparte a lavorare di cucito.

«Bentornata. Immagino tu non voglia dirmi dove sia stata.» osservò con una punta di irritazione, rivolgendosi alla figlia.

«Era con me.» rispose Arlenan. Judith sussultò, notando solo allora la figura austera dell'uomo.

«Lei chi sarebbe?»

Runne richiuse la porta mentre lui si presentava come capo di una compagnia segreta della Resistenza. La feliana lo squadrò con scetticismo e preoccupazione.

«Potremmo parlare da soli?» azzardò Arlenan «Non vorrei disturbarla troppo, ma preferirei conferire con lei in privato.» Judith acconsentì, ma date le dimensioni della casa chiese alla figlia e al sinhilare di aspettare fuori. Runne uscì con Daeb, incamminandosi verso il Lago Calmo, in modo da concedere ai due abbastanza tempo. Daeb volle sapere ogni particolare sul suo primo giorno d'addestramento. La bambina si divertì a raccontargli quello che le era stato insegnato, ma si mantenne vaga sull'ubicazione del nascondiglio degli Scindri, in parte perché non se la ricordava affatto. Il sinhilare fu lieto che andasse d'accordo con il suo nuovo maestro.

Aggiunse con voce monotona:«Mi sembra un uomo di cui ci si possa fidare. Ti aiuterà nel tuo percorso di crescita e ti permetterà di combattere per una giusta causa.»

«Che paroloni!» rise Runne «Sembra che tu l'abbia letto in un libro!»

Daeb sbatté le palpebre e aggrottò la fronte:«Può darsi.»

La bambina fu scossa dalle risate mentre faceva ritorno. Trovò sua madre da sola, a guardare con occhi lucidi il cielo verdognolo oltre la finestra. Abbracciò Runne e le sussurrò con calore:«Ti voglio bene! Avrei voluto per te un futuro diverso, senza battaglie e lontano dalla guerra. Ma devo rispettare il tuo volere e dentro di me sento che sarebbe ingiusto ostacolarti nella tua scelta. Sono sicura che tu sola saprai fare la differenza.» La sciolse dalla presa, quindi aggiunse più atona:«Arlenan conosceva tuo padre, me ne ha dato la prova.»

Runne ne fu sorpresa, ma non così tanto: un po' se l'aspettava.

Judith continuò, sempre senza lasciare trasparire emozioni:«Purtroppo non ha più contatti con lui, ma non ha importanza. Ho capito che posso affidarti a lui.»

Runne l'abbracciò di nuovo, uno scambio d'affetto a cui si unì anche Daeb. Era felice: il suo sogno di diventare una guerriera si stava avverando in modo inatteso, non perché vi era destinata dal suo stupido nome, ma perché lei era speciale; perché poteva fare la differenza. Mentre Judith preparava la cena, Runne lanciò uno sguardo a quel cielo che stava scrutando al loro rientro. Si promise che un giorno sarebbe riuscita a farlo tornare delle tinte turchine che gli si addicevano.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Questo capitolo non era previsto all’inizio. Il precedente si doveva concludere con la scelta immediata di Runne. Poi però ho preferito concederle un po’ di tempo, e approfondire la questione del suo nome (interrogativo rimasto dalla presentazione di Daeb). Una spiegazione spicciola veniva data alla fine del discorso di Judith (nel quarto capitolo), ma non mi piaceva. E così ho introdotto il cantastorie. Ogni villaggio o città che si rispetti dovrebbe averne uno, non trovate? ;-)

Spero di non aver allungato troppo la pappa...


Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva

Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** A Trais ***


2 - Un nuovo amico

Nota dell’autrice pasticciona

A tutti i nuovi lettori (dal 22/04/2014): proseguite la lettura senza curarvi della nota.

Ai vecchi lettori e a quelli più affezionati: ho cambiato alcuni termini.

Consiglio di rileggere i precedenti capitoli o in alternativa (quando leggete

qualcosa che non vi è chiaro) consultare questa legenda:

https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/legenda-il-destino-scelto/294400400727412


Buona lettura e perdonate il disturbo.

CreAttiva


A Trais


Leggimi su Facebook: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/il-destino-scelto-cap-7-a-trais/294420947392024


Runne aprì gli occhi rossi alle prime luci dell’alba. Rimase ferma, in ascolto, e udì con piacere il sottile respiro di Daeb, calmo e regolare. Si alzò silenziosamente e si vestì in fretta, senza fare alcun rumore. Erano trascorsi tre anni da quando era entrata a far parte degli Scindri: ormai aveva imparato a muoversi come un’ombra. Prese il coltellino che le aveva regalato Arlenan, soppesandolo. Era indecisa se infilarlo nel cinturino nascosto dall’ampia manica del braccio sinistro o lasciarlo sotto al cuscino, dove lo teneva durante il sonno. Alla fine si convinse che l'occasione le imponeva moralmente di farne a meno.

Si grattò il naso a patatina e guardò il proprio riflesso allo specchio incrinato che Judith le aveva regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Non era cambiata molto: era rimasta piuttosto minuta, nonostante i muscoli sodi e la pancia piatta frutto dell'addestramento; il seno si era leggermente gonfiato e ammorbidito, le guance arrossate e le labbra erano forse più carnose. Le orecchie ripiegate non sembravano più quelle di un coniglio: con la crescita si erano proporzionate al volto tondo, ricordando più i tratti di un gatto.

Nonostante le pressioni del suo maestro, Runne si era rifiutata categoricamente di tagliarsi i capelli. Ora erano parzialmente acciambellati dietro la testa, ormai così lunghi che la treccia proseguiva fino a un terzo della schiena; sul viso, invece, ricadevano la frangia e alcune ciocche più lunghe.

Si vergognava un po’ con quel vestito blu profondo indosso, abituata ad abbigliarsi da uomo. Ma era un’occasione speciale: Kail l’aveva invitata a uscire. Ufficialmente.

La ragazza aveva accettato di intraprendere l’addestramento degli Scindri e poco dopo Kail era partito con suo padre per girare il Graäm, imparando il mestiere di armaiolo. Senza il loro capo, il gruppetto si era sfaldato, e Runne aveva smesso di giocare alla guerra con i suoi amici. Kail era stato via più di due anni, tornando a Fiandher soltanto un mese addietro. Runne era andata a incontrarlo e accoglierlo; quando Kail le aveva timidamente chiesto se potevano continuare a vedersi, lei aveva risposto di sì con entusiasmo. La stessa risposta venne rivolta all’invito di Kail. Il giovane non aveva voluto rivelarle dove l’avrebbe portata, ma non aveva alcuna importanza: dovunque, purché ci fosse Kail. Controllò un’ultima volta Daeb con soddisfazione.

Che lui dormisse faceva parte del piano: era stato già abbastanza difficile trovare Runne da sola per chiederle appuntamento. Uscì silenziosamente dalla camera, rimuginando su Daeb. Ultimamente il sinhilare era diventato iperprotettivo nei suoi confronti, specialmente se si trattava di Kail. Sembrava quasi geloso. E di cosa? Runne considerava Daeb il suo più grande amico e ci viveva anche assieme: aveva forse paura che scappasse di nascosto? Trattenne a stento una risata. Era proprio quello che stava facendo. Quasi. La mamma era al corrente di tutto e aveva saggiamente appoggiato la sua scappatella mattutina. Fece colazione in fretta, smaniosa di andare all’appuntamento. Evitò per un pelo la secchiata di acqua gelida che chissà come era finita incastrata fra la porta e la mensola della cucina (opera di Daeb, sicuramente) e uscì. Il cielo risplendeva come sempre del bagliore verde dello smeraldo. In tre anni la luce non si era mai spenta e ormai gli abitanti del Graäm ci avevano fatto l’abitudine.

Si diresse al luogo d'incontro, l'estremità occidentale della città. Kail la stava già aspettando. Il suo viso era diventato ancora più bello e mascolino, con gli occhi grigio-azzurri seminascosti sotto i riccioli biondo-platino; il corpo era forte e muscoloso, risultato dell’addestramento e del viaggio intrapreso col padre. Il ragazzo le andò incontro sorridendo.

«Buongiorno!» lo salutò lei allegramente. Kail si bloccò, osservandola estasiato.

«Che c’è?» chiese Runne.

«Niente. Sei... bellissima!»

La ragazza arrossì «Grazie.»

Kail tossicchiò nervoso «Allora ci avviamo?»

«Certo! Potresti anche dirmi dove andiamo adesso.»

«Segreto! Dovremo camminare un po’; ti dispiace?»

«No, figurati.» rispose Runne felice: più strada da fare significava più tempo da trascorrere insieme fra andata e ritorno.

Marciarono per un paio d'ore in direzione nord-ovest, uscendo da Fiandher. Kail la interrogò su tutti i cambiamenti che c'erano stati a Fiandher durante la sua lunga assenza. Runne iniziò dalle nozze della nipote del signor Koremore, quindi riferì tutto quello che le veniva in mente. Mentre parlava, però, non riusciva a guardare il ragazzo direttamente negli occhi. Osservava con ostinazione la Foresta Dipinta, che li accompagnò a cavallo del sentiero per tutto il tragitto. Era così emozionata che, nonostante fosse allenata a percorrere i terreni più accidentati, inciampò più di qualche volta. Kail la sorresse prontamente, deciso a svolgere il suo ruolo di cavaliere fino in fondo. Questo non aiutava Runne: quando lui la soccorreva il suo viso si avvicinava e il cuore della ragazza accelerava i battiti, già troppo veloci. Runne cercò di distrarre la mente concentrandosi sul racconto, ma il suo stomaco non poteva fare a meno di annodarsi mentre Kail di tanto in tanto le lanciava un’occhiata di sottecchi. Grazie ai sensi stramaledettamente sviluppati, Runne poteva percepire il suo rapido sguardo, sebbene non lo vedesse.

Non capiva perché si sentisse tanto agitata: dov'era finita la naturalezza con cui trascorrevano insieme le giornate quand'erano bambini?

Finalmente giunsero davanti alle alte mura della città marittima di Trais. Lì la luce dello smeraldo era leggermente più fievole. A Runne quell'ingresso imponente sembrò quasi minaccioso. Non era mai stata così lontana da casa. Si grattò il braccio vuoto, dove normalmente avrebbe trovato il coltellino di Arlenan, sentendosi indifesa senza armi.

Due guardie si fecero avanti. «Quali sono i vostri nomi?» chiese una.

«Kail e Runne di Fiandher.» rispose il ragazzo. La seconda guardia, più alta e robusta dell’altra, gli puntò contro la lancia, mentre il compagno tirava fuori una serie di carte. Runne sapeva bene cos’erano: liste di nomi e ritratti di ricercati. Spie, traditori noti e guerrieri al soldo di Endrun. Dopo averli controllati, l’uomo rimise a posto i fogli, quindi si avvicinò per perquisirli.

«Potete passare.» concluse l’uomo. I ragazzi varcarono con sollievo la Porta Orientale. La prima cosa che sommerse Runne fu il frastuono della gente del mercato, poi venne il turno dei colori variopinti delle vesti e delle bancarelle. Non era abituata a tutto quel caos; preferiva di gran lunga il silenzio. Strabuzzò gli occhi più volte mentre Kail la trascinava in mezzo alla via.

«Andiamo a mangiare un boccone?» urlò lui per farsi sentire. Runne riuscì solo ad annuire. Dopo una moltitudine di “pesce fresco!” e “che ne dice di una collana, bella signorina?” i ragazzi entrarono in una locanda gremita di gente. Non appena si sedettero, una ragazza con i capelli lunghi e castani si avvicinò al loro tavolo.

«Prego... desiderate?»

«Avete le Alche rosate?»

«Certamente. E per lei, signorina? Lo stesso?»

«Neanche morta.» Piuttosto che mangiare Alche rosate preferiva tagliare le unghie al vecchio Koremore...

«Mi porti dei semi di Bargo.» Tipico piatto di mare, i semi di Bargo erano dei piccoli molluschi azzurri. La ragazza annuì e portò nell’attesa due Schiume. Runne ne bevve subito un sorso. Adorava il sapore dolciastro di quella bevanda.

«Qual'è il programma per oggi?» chiese.

Kail sorrise furbo «Vedrai...»

«Dimmelo, su!» protestò Runne.

«Neanche sotto tortura! È una sorpresa.»

«Cattivo.» Runne gli fece scherzosamente la linguaccia e Kail scoppiò a ridere.

Dopo aver consumato il pasto (offerto dal ragazzo) uscirono nuovamente nella strada affollata. La gente li spintonava in continuazione, quindi Kail prese Runne per mano. Lei avvampò. Calma. Possibile che continuasse a reagire in quel modo esagerato? Proseguirono il cammino. Kail cercava di tagliare per i vicoli evitando le bancarelle, ma persino lì la gente non mancava. Trais era tutta così: sembrava che il mondo vi fosse esploso dentro. Era una città piena di vita: i continui scambi commerciali con le città vicine e con l’arcipelago Erenya l’avevano resa ricca e fiorente. Se non fosse stato per il cielo dalle sfumature verdi nessuno avrebbe pensato che Endrun esistesse. D’altronde chi avrebbe osato sfidare la potente flotta di Trais, rinomata in tutta la contea? Eppure a Runne quell’atmosfera non piaceva; la rendeva nervosa. Tutti quei volti gentili, quei sorrisi tirati, quelle parole cordiali: l'aria era densa di falsità. Esaminando a fondo quelle persone si poteva percepire la loro ignoranza. Continuavano la loro vita monotona giorno dopo giorno, senza sapere cosa stesse accadendo al resto del mondo. A loro non importava se degli innocenti venivano torturati, schiavizzati e uccisi. Erano al sicuro all’interno di quelle mura robuste.

Dopotutto Fiandher non era molto diversa. Sguarnita del suo esercito dalla scomparsa del suo fondatore, la città si era estraniata dalla guerra. Solo l'insediamento segreto degli Scindri la rendeva differente da Trais.

Runne represse un moto di disgusto: non era venuta per giudicare ma per passare una bellissima giornata in compagnia di Kail. Si stampò in faccia un ampio sorriso e si lasciò guidare davanti a un palco. Si incastrarono fra gli spettatori e attesero.

«Di cosa si tratta?» chiese Runne osservando le tende rosse ancora chiuse.

«E’ uno spettacolo acrobatico. La banda è molto famosa.» Un attimo dopo si udì un rullo di tamburi e le tende si aprirono. Una bellissima ragazza che calzava un costume sgargiante fece il suo ingresso con una piroetta. Runne si immobilizzò. Quei capelli neri dalle sfumature tormaline non potevano che essere feliani; eppure le orecchie della giovane erano perfettamente tonde e minute. Indagando il suo sorriso, notò anche la mancanza dei tipici canini pronunciati.

«Salve, signori!» esclamò la fanciulla «Io sono Moe, vi auguro buon divertimento!» Gli applausi non mancarono e poco dopo entrarono in scena due ragazzi muscolosi. Al ritmo del tamburo si unì la melodia di un violino e lo spettacolo ebbe inizio. I ragazzi inscenarono una specie di sfida tra rivali: prima si batterono a mani nude, inserendo qualche salto o piroetta, poi passarono alle spade. Runne li osservò con interesse: sapeva che simulare un combattimento realistico poteva essere più difficile che ingaggiarlo per davvero. Il suo sguardo rimase ipnotizzato dalle movenze agili e aggraziate di Moe. La ragazza compiva acrobazie spettacolari senza l’ombra di uno sforzo nel tentativo di porre fine al presunto duello iniziato in suo nome.

Improvvisamente il rullo di tamburi si fece più forte ed entrò in scena un uomo incredibilmente alto con indosso un ampio mantello e un elmo ornato di corna di cervo. I due ragazzi si ritrassero con il volto sfigurato dalla paura, mentre Moe afferrava un lungo bastone e si avventava contro di lui. La giovane si tuffò in un combattimento ad armi impari, schivando all’ultimo secondo la mazza chiodata dell’uomo e scatenando un coro di fischi ammirati e di applausi. Dopo una serie di capriole e di avvitamenti aerei, Moe disarmò con destrezza l’avversario e lo immobilizzò a terra. L’uomo attese la sua fine, convinto di morire... Moe invece gettò il bastone, lo liberò dalla stretta e gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi, come voto di perdono. L'uomo si tolse l'elmo e abbassò il panno che gli copriva il viso. Fissò il pubblico, che trattenne il fiato per lo stupore.

Le corna non erano parte dell'elmo: erano sue. I palchi crescevano ad arco dalle tempie e sporgevano dal cranio, afferrando l'aria con dita ossee. Le ampie narici del naso rincagnato assumevano un tono più scuro rispetto alla carnagione bruna. Una goccia di sudore si perse nella sua folta barba mentre gli astanti attoniti cercavano di metterlo a fuoco. Quel particolare velo che pareva avvolgere la sua pelle faceva strizzare gli occhi.

Runne comprese a fatica che l'uomo non era avvolto da nulla; era proprio la densità della sua pelle a essere impalpabile. La ragazza strattonò Kail per la spalla. «E quello che cos'è?»

«Un cervode. Ne ho sentito parlare, anche se non ne ho mai incontrati durante il mio viaggio. Si dice che siano intangibili.»

Dal retro delle tende sbucarono i musicisti e i ragazzi della prima parte dello spettacolo. Assieme alla bizzarra coppia formarono una fila. S’inchinarono e la folla esplose in un applauso fragoroso a cui si unirono anche Runne e Kail.

Runne tornò a fissare Moe. Per un attimo i loro occhi si incrociarono: vide lo stupore dell’acrobata, mascherato quasi subito da un altro sorriso rivolto alla folla. Dopo un ultimo inchino, i saltimbanchi rientrarono dietro le tende. Un bambino dal visetto dolce e ingenuo passò fra gli spettatori con un bicchiere in mano. Si udì un tintinnio di monete piuttosto consistente: a quanto pareva Moe aveva conquistato tutti i presenti. Kail depose qualche soldo nel bicchiere, poi chiese:

«Piaciuto lo spettacolo?»

Runne ammirò per un attimo ancora le tende rosse, prima di rispondere:«Sì, molto.»

Il ragazzo parve studiare la sua espressione «Non sembri convinta.»

«No, è che... Moe è una feliana?»

«In parte. Suo nonno lo era. Sposò un’umana. La sua famiglia è di Trais e la sua abilità acrobatica l’ha resa piuttosto famosa.»

«Prima mi ha guardata come se fossi un'anguilla volante.»

Kail rise. «È raro vedere dei feliani, non dovresti sorprenderti.»

«Giusto.» Dalla caduta di Hermet Dlun la razza feliana era praticamente scomparsa. Runne scosse la testa e sorrise. «Grazie, mi sono divertita tanto!» Kail contraccambiò e la prese per mano.

«E adesso dove mi stai portando?» domandò lei. Il ragazzo le scoccò uno sguardo malizioso e scosse il capo. Runne seguì con gli occhi il movimento dei suoi capelli morbidi. Quasi non si accorse che Kail la stava tirando per un braccio. Si riprese e sospirò, rassegnata. La giornata fu tutta così: Kail la guidava da una parte all’altra di Trais, mostrandole i palazzi più antichi, le bancarelle più fornite, le gioiellerie più rinomate. Runne commentava con un “mmh” e un “ah, bello!” ogni cosa che le passava sott’occhio e non appena la sua espressione assumeva un leggero entusiasmo (posto da Runne anche solo per educazione) Kail insisteva per comprarle l’oggetto in questione. Runne doveva stare attenta: se dimostrava poco interesse il ragazzo si deprimeva; se invece ne esprimeva troppo lui tirava fuori tutti i soldi che aveva. Vedendo rifiutato ciascuno dei suoi tentati regali, Kail rimaneva sempre più deluso. La sua speranza però si riaccendeva quando dovevano raggiungere una nuova meta, a Runne costantemente celata.

Al termine del pomeriggio Kail la portò in un ristorante in riva al mare. Runne era riuscita a non farsi comprare niente. Dopo qualche minuto di silenzio, finalmente Kail disse:«Scusa.» A Runne andò di traverso il boccone di kortrone, un pesce dalla polpa ambrata.

«E di cosa?»

«Di averti annoiata per tutto il giorno.»

Runne lo contemplò tossicchiando. «Stai scherzando, vero?» chiese con voce strozzata.

Kail rimase zitto, lo sguardo basso. No, stava dicendo sul serio. Runne bevve un sorso di Schiuma per frenare i sussulti, poi parlò:«Kail, mi sono divertita con te oggi. Sono sincera. I tuoi regali mi hanno fatto piacere; se non li ho accettati è solo perché non li trovavo necessari. E neanche questo.» e indicò con un gesto il ristorante «Potevi portarmi in un posto più economico. Immagino che vorrai offrire tu...»

«Certo.» si affrettò a rispondere il ragazzo.

Runne alzò gli occhi al cielo «Siamo in riva al mare. Lo sai quanto costa?»

Kail fece spallucce «E allora? È la prima volta che usciamo insieme, mi sembra il minimo.» Si pentì subito di ciò che aveva detto. L’ovvietà delle sue parole lo fece arrossire violentemente. Anche Runne sentì le guance pizzicare, ma riuscì a mantenere un po’ di contegno.

«Quello che volevo dire è che io non pretendo tutte queste attenzioni. Non ne ho bisogno. A me basti tu.» Kail alzò gli occhi di scatto, incredulo. Stavolta toccò a Runne abbassare lo sguardo: lei stessa era stupita della propria sfacciataggine. Si tuffò nel proprio piatto, affogando l’imbarazzo in frenetiche sorsate di Schiuma. Finirono di cenare in silenzio, senza osare guardarsi negli occhi. Runne insistette per pagare il conto in parti uguali; con una voce stranamente rilassata, Kail accettò.

Uscirono dal ristorante e il ragazzo la prese per mano quasi con naturalezza, superando il disagio. Scesero i gradini di pietra che dal lungomare portavano alla spiaggia. Lo smeraldo della torre di Fiandher brillava con maggiore chiarezza di notte, senza l’attenuante luce solare. Le stelle sembravano tremolanti gemme preziose intagliate nell’immensa volta del cielo e il mare riluceva con riflessi di un verde cupo, ove l’acqua era più profonda. La sabbia era composta di minuscoli granelli sospinti dal vento, luccicanti di un verde bagliore se sollevati dalle spirali. Runne e Kail camminavano a piedi nudi, lasciando orme scure col loro passo lento, poi cancellate dal moto placido delle onde. L’ipnotico scroscio della risacca e il profumo salmastro accompagnavano i due ragazzi lungo il loro quieto tragitto.

«Durante il viaggio con mio padre ho conosciuto un sacco di gente diversa.» esordì Kail «Da Trais a Rodramino, dalla Cima Solitaria a Poltur: ogni luogo ha la sua bellezza particolare, anche se guastata dalla luce dello smeraldo. Eppure non ho mai smesso di pensare a Fiandher, la mia vera casa. Ci siamo spinti oltre i confini e non ci sembrava quasi vero di essere liberi da questa insistente luce verdognola. Abbiamo raggiunto l'Erenem, una regione prospera grazie alla ragnatela di fiumi che la contraddistinguono. È un paradosso, poiché in quella terra convivono elementi contrastanti: le fruttuose piantagioni di caciandre, il Deserto di Sale e la lunghissima catena dei monti Xürba.»

«Siete arrivati sino al confine col Regno di Kuden?!» esclamò Runne stupita.

«A dire il vero mio padre non voleva spingersi tanto lontano ma è stata una deviazione necessaria: solo nelle miniere degli Xürba si può trovare il titanio pallido, un materiale leggero come un filo d’erba ma più resistente dell’acciaio.»

Runne affondò i piedi in un punto in cui la sabbia era completamente asciutta. «Ma da quel che ho sentito dire il titanio pallido è molto costoso.»

«Da una decina d’anni, dopo che Endrun ha conquistato il Raion e il Dron, il prezzo è sceso sensibilmente: i maggiori acquirenti del prodotto erano i feliani, gli unici capaci di sfruttare appieno le proprietà magiche del titanio pallido. In effetti lavorarlo è impossibile senza le dovute conoscenze nel campo della magia.»

Runne era sempre più confusa «Allora... a che vi è servito comprarlo?»

Kail si fermò. Teneva lo sguardo basso, pensieroso. Sembrava che si stesse arrovellando per trovare le parole più adatte. Si volse verso Runne con cautela.

«Prima che partissi... avevo intenzione di forgiare una spada un po’ speciale. Ho chiesto consiglio a Daeb perché... bé, lo capirai dopo il perché. Il punto è che è stato lui a consigliarmi il titanio pallido, assicurandomi che mi avrebbe aiutato con la magia. Quando sono tornato, in quest’ultimo mese, abbiamo lavorato insieme. Avevo già elaborato un progetto ma Daeb l’ha corretto indicandomi le modifiche necessarie. Poi ci siamo messi all’opera. Il titanio pallido è immune al normale calore della fiamma, così Daeb ha dovuto alimentare il fuoco con la magia e nel contempo mantenere arroventato il metallo per permettermi di modellarlo. Ci sono volute due mesi per portare a compimento il lavoro, poiché Daeb non riusciva a ricorrere alla magia per più di un’ora e usarla gli prosciugava tutte le forze. A parte qualche coltello, questo è stato la mia prima forgiatura. Avevo paura di combinare un disastro... invece non è andata così male. Persino mio padre mi ha fatto i complimenti.»

«Wow...!» fu l’unica cosa che riuscì a dire Runne. C’era troppo mistero nel racconto di Kail e, cosa ancora più sospetta, nelle conoscenze di Daeb. Alimentare un fuoco con la magia richiedeva capacità avanzate ben lontane dalla portata di un comune sinhilare. Quante sorprese riservava ancora il suo piccolo amico?

Kail la tirò per mano verso l’entroterra, fino a condurla sotto il muro di pietra che tracciava il percorso del lungomare. Si accovacciò vicino alle fondamenta. Runne aguzzò la vista. Alla base del muro, dove la roccia era più grezza, notò una sporgenza che creava una sorta di piccola nicchia naturale. Era bassa, quasi al livello della sabbia, ed era talmente indistinta da risultare invisibile se non l’avesse esaminata con attenzione. Kail allungò le mani sotto la nicchia e scavò nella sabbia. Dopo qualche bracciata estrasse qualcosa di lungo e solido, e si rialzò.

«Buon compleanno... in ritardo.»

Gli occhi rossi di Runne si spalancarono per la meraviglia. Srotolata dalla stoffa una spada bianca riluceva come una stella. L’elsa si apriva in un taglio diagonale, spalancandosi sulla lama affilata da un lato.

Image and video hosting by TinyPic

Kail sorrise di fronte alla sua aria sbigottita. «Prova a brandirla.»

Runne seguì il consiglio e tagliò l’aria della notte. Sentì la spada leggera e, malgrado fosse abituata a maneggiare tutti i tipi di arma, doveva riconoscere che si adattava perfettamente all’estensione del suo braccio.

Si fermò a guardare Kail, che reggeva ancora il fodero perlaceo. Aveva osservato rapito le sue eleganti evoluzioni. Balbettò uno stupefatto:«Daeb mia aveva accennato qualcosa, ma non credevo...!»

Runne rinfoderò la spada, quindi la poggiò con delicatezza sulla sabbia. Si rialzò e si avvicinò al ragazzo con cautela. C’era qualcosa che balenava nell’atmosfera intorno a loro. Forse era il rossore sulle guance di Runne; o l’ardore negli occhi di Kail. I ragazzi non sapevano dare voce a quelle sensazioni, ma le parole sembravano solo un ostacolo alla dolcezza che li stava avvicinando. Il mistero di quegli istanti si dissolse nel momento in cui il loro timido abbraccio si trasformò in un bacio.

Un’intricata combinazione di colori si agitò nell’incrocio fra le loro anime. La vampa della passione li avvolse, il sapore della tenerezza inondò i sensi. Cullati dal moto placido delle onde, i due amanti condivisero i cuori.



«Igh!.» Runne finì schiacciata a terra, con il braccio bloccato dietro la schiena. Arghenteo lasciò la presa, torcendole il polso come ammonizione.

«Si può sapere cosa ti prende oggi?» sbottò il feliano «Sei distratta e prevedibile!»

Runne si rimise in piedi, mortificata per l’umiliazione. Il suo addestramento era ripreso quel pomeriggio, ma la sua mente vagava ancora sui ricordi del giorno prima.

Era tornata a Fiandher con Kail passeggiando in piena notte, con la consapevolezza che Judith e Daeb l'avrebbero sommersa di rimbrotti per l'ora tarda e l'incoscienza. Ne era valsa la pena, solo per prolungare il tempo trascorso con il suo ragazzo.

«Basta così.» intervenne Arlenan. Arghenteo sbuffò e lasciò soli allieva e maestro. Runne fece per scusarsi, ma Arlenan sollevò una mano per invitarla al silenzio.

«Quando arrivammo qui ti insegnammo a combattere. Ti impartimmo la disciplina di un guerriero. E tu...»

Runne si preparò a ricevere un duro giudizio.

«... hai imparato meglio di quanto potessi sperare. Il primo bacio distrarrebbe chiunque, non preoccuparti.» La ragazza rimase a bocca aperta, arrossendo, mentre Arlenan le faceva l'occhiolino. Abbassò lo sguardo e si spettinò la frangia, imbarazzata.

L'uomo riprese il discorso, questa volta in tono più grave:«Sei cresciuta molto in questi mesi, Runne. Penso sia venuto il momento di mettere alla prova le tue capacità. Assisterai Thomas nella missione che gli ho assegnato: sarà lui a valutarti. Sei pronta a mettere in gioco il tuo titolo di membro degli Scindri?»

Runne contenne la felicità per aver ricevuto quell'ordine inaspettato:«Sì, maestro!»




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Finalmente ho pubblicato questo capitolo! Chiedo scusa a tutti i lettori, ma un complotto che coinvolge genitori, università e computer (sottratti) mi ha rallentata. Come se non bastasse, ho avuto un blocco durante la descrizione della spada. Mi sono documentata su tutti i tipi possibili di armi da taglio prima di decidere. La prima bozza uscita esaltava l’ambivalenza feliana-reptile di Runne; ma era decisamente pacchiana! Ve la lascio qua sotto, in modo che possiate confrontarla con la scelta attuale (presa da Assassin’s CreedTM):

L’impugnatura, con pomolo zannuto, era scolpita in squame sottili, che non disturbarono la sua presa quando provò ad afferrarla. L’elsa si apriva nelle fauci di un leone, spalancandosi sulla lama ondulata. La punta terminava in una piccola testa di serpente.

Kail sorrise di fronte alla sua aria sbigottita. «Prova a brandirla.»

Runne seguì il consiglio e tagliò l’aria della notte. I due piccoli fori sulla lama, gli occhi del serpente, sibilarono seguendo i suoi movimenti.

Che orrore! Come ho fatto anche solo a pensarci? Chissà, magari a voi lettori piace questa spada decisamente troppo accessoriata xD

Spero di aver fatto un buon lavoro alla fine, anche se non ne sono del tutto convinta.


Trovo molto carini Runne e Kail; era ora che le cose si muovessero fra loro due, che ne dite? Avete già fatto castelli in aria su questa coppia? O non vi piace? Spero di non essere stata troppo melensa. Ho faticato a descrivere il loro appuntamento, perché le vicende troppo dolci mi danno il voltastomaco... Spero che questo non abbia avuto ripercussioni sul capitolo. In caso, criticatemi e aiutatemi a migliorare!


Per quanto riguarda le creature che popolano il Mondo dell'Avvento, ho introdotto un'altra specie. Che ne pensate?

Per problemi di complessità ho inserito una legenda sulla mia pagina facebook, che trovate qui:

https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/legenda-il-destino-scelto/294400400727412


Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva

Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La prima missione ***


8 - La prima missione

Legenda: https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/legenda-il-destino-scelto/294400400727412


La prima Missione


Poltur era un labirinto intricato di viottoli e sentieri. Salivano, scendevano, s'inabissavano sotto il letto del fiume in cunicoli stretti e si arrampicavano sulle alture della Cima Solitaria in nastri di terra e pietre. Runne si muoveva nella parte bassa della città, dove le strade serpeggiavano in un complicato intreccio di umidi sotterranei. Fino a qualche tempo prima avrebbe avuto paura di un luogo sinistro e malfamato come quello. Era risaputo che Poltur fosse divisa fra le grandi potenze del Graäm: i sacerdoti di Gorä e la gilda dei ladri.

Borseggiatori e tagliagole si erano moltiplicati dalla scomparsa del signore di Fiandher che, malgrado la cupidigia, aveva mantenuto un discreto ordine nel Graäm. I sacerdoti di Gorä, già organizzati in una casta, si erano impadroniti della flotta del commerciante. Trais fu posta a difesa della terra sacra al dio Gorä. Di fatto, l'armata navale dipendeva dalla carpenteria di Rodramino. Questa città era a sua volta sotto il controllo della gilda dei ladri di Poltur. Si poteva dunque pensare che il potere fosse in mano a loro; in realtà, nessuno avrebbe osato sfidare i sacerdoti di Gorä e la sacralità del suo tempio. Persino la gilda temeva gli dei. Runne non era mai stata una credente devota: preferiva agire piuttosto che credere nell'aiuto divino.

C'era stata ben poca azione fino ad ora. Solo nascondersi, rifugiarsi, sgattaiolare e procedere. Dal momento in cui aveva ricevuto il suo incarico, Runne era partita con Thomas da Fiandher, coprendo in una notte la distanza che li separava dal villaggio di Oned. Quindi avevano marciato per un giorno intero fino a Poltur. Durante il viaggio non avevano sostato in alcuna locanda; si erano cibati delle provviste nelle loro borse e avevano trovato riposo sugli alberi. Runne aveva lanciato un incantesimo feliano per camuffarli con la corteccia, lo stesso usato da Arghenteo sugli Scindri tre anni addietro.

Camminando, si erano tenuti ai lati della strada, sfruttando spuntoni rocciosi e macchie di alberi per non farsi vedere dai viaggiatori e (impresa più difficile) dai membri della gilda. I ladri, infatti, svolgevano la ronda per controllare i commercianti che si spostavano di città in città.

Ogni famiglia del Graäm pagava una tassa alla gilda, e le attività dovevano essere autorizzate dalla stessa. La tassa era comunque adeguata al reddito familiare: invadente, ma non eccessiva. Con l'osservanza delle norme i ladri erano soddisfatti e non compivano scorribande; si poteva condurre una vita pacifica. Chiunque cercasse di sfuggire allo strozzinaggio o non rispettasse l'autorità della gilda, era fortunato a cavarsela con uno scippo o una rapina. I più cocciuti venivano ritrovati con un sorriso insanguinato sulla gola.

Thomas e Runne avevano rischiato molto più della gola durante il tragitto. Nonostante le precauzioni adottate, la coppia era stata avvistata da una sentinella. Per fortuna Thomas se n'era accorto in tempo: aveva inseguito e raggiunto la spia, riducendola al silenzio. L'uomo aveva assicurato a Runne che quell'incidente non avrebbe compromesso la sua valutazione. Le aveva spiegato che nel lavoro degli Scindri gli imprevisti possono capitare.

Non era la propria promozione a preoccupare Runne: piuttosto era mortificata per la sua inesperienza, che aveva portato alla morte un uomo innocente... o, nello specifico, un criminale che svolgeva solo il suo mestiere. In ogni modo era una vittima che si poteva evitare.

Rimandò a dopo i sensi di colpa e focalizzò l'attenzione sul presente. Aveva bisogno di una mente libera e pronta a rispondere ai suoi sensi. Ringraziò il suo udito feliano e l'adattabilità della pupilla alla tenue rarefazione di luce. Avrebbe volentieri fatto a meno dell'olfatto reptile in quel luogo putrido, ma questa sua metà la aiutava a muoversi silenziosamente. Lei non indossava ancora il mantello rosso incantato, vestito invece da Thomas, che non doveva sforzarsi di nascondere la propria presenza. La ragazza si acquattò nell'oscurità per eludere la luce di una torcia. Era quasi strano non vedere il costante bagliore sbiadito dello smeraldo. Il cielo era irraggiungibile per i bassifondi di Poltur.

Davanti ai due Scindri le vie claustrofobiche si congiunsero in un’area spaziosa, sostenuta da un’impalcatura più solida ed elaborata delle precedenti. Un edificio in pietra spiccava in mezzo alle catapecchie di legno e ai budelli scavati nel terreno. La sua struttura massiccia pareva sorreggere i soffitti delle gallerie, che poggiavano sul suo tetto. Thomas le indirizzò un cenno d'intesa: era il momento di ottemperare alla vera parte della sua missione. Secondo le informazioni reperite dagli Scindri, il capo della gilda dei ladri era a Rodramino per affari. Si era portato dietro gran parte dei suoi membri, perciò la sede era sguarnita. Il compito di Runne era introdursi negli alloggi del capo e indagare sui suoi programmi.

Thomas attese in disparte, osservando la ragazza all'opera. Runne seguì le procedure che le avevano insegnato. Fece un giro completo dell'edificio, studiandone la struttura e la sorveglianza. Due soli piani, dalla pianta estesa e alti cinque metri l’uno. Assenza di ulteriori sotterranei, come dimostrava la mancanza di sfoghi per l’aria. Il lato posteriore dell’edificio poggiava direttamente sulla parete brulla della galleria.

Nei tempi meno redditizi per la gilda, i ladri avevano usato quel colosso di pietra come rifugio dalle guardie. Dopo la scomparsa del signore di Fiandher, la gilda sarebbe potuta uscire allo scoperto e vivere nel lusso; ma il suo capo aveva preferito non spostare la sede, mantenendo la propria identità. Questa volontà fu mantenuta anche da Luther, il suo successore. Runne la ritenne una scelta saggia: in quei cunicoli l’unica forza in grado di opporsi alla gilda, i sacerdoti di Gorä, si sarebbe trasformata in una preda impacciata. Solo una minaccia silenziosa avrebbe osato penetrare quel labirinto, come un sicario estremamente abile. O come una spia estremamente inesperta qual era Runne. A differenza dell’ipotetico assassino, la giovane apprendista non avrebbe eluso dozzine di tagliagole e la scorta personale del capo della gilda per poi scontrarsi con lui; si sarebbe invece intrufolata in una residenza semivuota sgattaiolando via a missione conclusa.

Terminato il sopralluogo, decise di sfruttare il retro dell’edificio, che forniva una stretta insenatura fra l’angolo sinistro e la parete. L’arrampicata non fu semplice come aveva pianificato: a ogni movimento rischiava di alzare un polverone strusciando contro il terriccio, e le pietre erano umide e scivolose. Raggiunse il marcapiano, quindi si mosse con cautela verso la prima finestra. La sua meta si trovava sulla facciata: doveva percorrere tutto il fianco e girare l’angolo. Valutò se aggrapparsi al davanzale per superare le persone che discutevano di là dal muro a cui era appoggiata. Notò allora delle protuberanze sporgere dal soffitto. A una spanna dal sopraccielo, una serie di braccia di pietra si allungavano in orizzontale e si chiudevano a pinza su qualcosa sospeso nell’aria. Runne ebbe un giramento di testa quando mise a fuoco la barriera magica che avvolgeva il perimetro del palazzo come un velo. Da terra quelle estensioni apparivano semplici decorazioni del cornicione.

La ragazza non aveva idea della funzione di quella barriera o di come l’avesse attraversata indenne (e inconsapevole); decise di ignorarla e di sfruttare come appiglio proprio quei diffusori. Soffitti elevati e finestre piccole fornivano un riparo da attacchi esterni, ma anche un notevole punto cieco. L’agilità feliana le agevolò l’arrampicata fino ai pioli, e in breve entrò negli appartamenti di Luther.

Corse alla porta e udì con sollievo il pesante respiro di una guardia addormentata.

«Sei stata imprudente.» Thomas l’aveva appena raggiunta.

«La barriera?»

«È ancora attiva; ho aperto solo un varco. Ringrazia la tua resistenza alla magia se ora non sei in preda a tremende allucinazioni.»

Runne ricordò le lezioni sulla specialità dei maghi del Graäm: gli incantesimi illusori. Le tecniche di combattimento invece rispecchiavano il flusso dell’acqua, con movimenti sciolti e ondeggianti, molto simili a quelli di Moe durante lo spettacolo. Thomas le intimò di procedere e Runne interruppe il ripasso mentale. Si accinsero a rovistare fra le carte della stanza. Lo studio era modesto, arieggiato dalla finestra per la quale erano passate le due spie; sulle pareti erano appese armi e alcuni quadri con simboli votivi al dio Gorä. Esaminarono la scrivania e la cassettiera, cariche di pergamene, rimettendo al loro posto ogni oggetto mosso durante la ricerca. Lessero liste di negozi con i nomi dei proprietari, riscosse, debiti e provvedimenti. Trovarono anche mappe e schemi che collegavano la gilda all’assalto di Yequiza, l’isola a sud-est che aveva cercato di sottrarsi alla tassazione credendosi al sicuro per la sua lontananza dal continente. Nulla però che facesse supporre una collaborazione con re Endrun. Runne iniziò a pensare che non ci fosse nulla da scoprire, che si trovasse lì solo per dimostrare le proprie capacità agli Scindri.

Un nome in mezzo al mucchio la attirò: era il suo. La giovane avvertì un’improvvisa agitazione e controllò i documenti. Era una descrizione accurata di Runne, con riferimento ai suoi genitori:


Runne di Fiandher – 14 anni – Minaccia elevata

Statura minuta, capelli dorati e occhi rossi. Madre: Judith di Fiandher (probabile sopravvissuta del Raion), feliana. Padre: sconosciuto. Forti sospetti di origini reptili. Apprendista sarta. Alleati fra gli umani e i sinhilari.


Runne si mise a rovistare fra le pagine e vi trovò dati altrettanto dettagliati sui suoi amici: solo sul suo profilo era annotata la pericolosità. Sotto a quel materiale il piano della scrivania era graffiato e inciso da solchi. Il pugnale piantato come una bandiera nell’angolo dello scrittoio era presumibilmente il responsabile di quello sfacelo. Un lieve fessura, più lineare delle altre, la indusse a esaminarla a fondo. Quando comprese di cosa si trattava chiamò Thomas ad aiutarla. L'uomo capì il meccanismo più rapidamente di Runne: estrasse un temperino e fece leva sulla fenditura, sollevando un'anta celata nel legno. Studiarono il contenuto del cassetto segreto e individuarono fra le pergamene un piano di attacco che prevedeva lo sbarco di truppe a Rodramino. Un esercito avrebbe spazzato via il tempio di Poltur e i suoi sacerdoti.

«È peggio di quanto immaginassimo. Ecco perché lo smeraldo di Fiandher brilla con tanta insistenza.»

«L’esercito che rientra in questo piano» chiese Runne «di chi è?»

«Guarda il sigillo sulla lettera di consegna.»

La ragazza rabbrividì alla vista del simbolo di Kradit: le due lune gemelle raccordate da una “E” nel mezzo.

«Questo cambia tutto.» concluse Thomas, riponendo i fogli sotto al mantello «Non possiamo lasciare che questo piano si compia. Dobbiamo intervenire.»

«D’accordo; che facciamo?»

L’esaminatore guardò negli occhi l’apprendista, trasmettendo una certa esitazione. Pose una mano sulla spalla di Runne, comunicandole:«Non era previsto che tu ti spingessi fino a questo punto, ma la nostra missione ha già comportato degli imprevisti. Alla sentinella ho pensato io; ora è il tuo turno. Attenderemo che Luther faccia ritorno e tu lo ucciderai.»

Runne trasalì. Per diventare una guerriera e combattere Endrun aveva tenuto conto del fatto che presto avrebbe dovuto uccidere qualcuno. Tuttavia non era preparata a togliere la vita in quel momento; non rientrava nella missione che le era stata assegnata.

«Forse dovremmo informare Arlenan prima di decidere.»

«Arlenan ti ha affidata a me. E ti ha detto espressamente di eseguire i miei ordini. Vuoi fare qualcosa per fermare questa guerra? Uccidi quell’uomo e il re tiranno avrà un’arma in meno contro la pace.»

Thomas controllò di nuovo la porta, lasciando la ragazza imbambolata a fissare il vuoto. Runne attese che lui aggiungesse qualcos’altro, che la sottraesse a quella responsabilità. Ricevette solo suggerimenti e istruzioni sul compimento dell’assassinio.



Il Maestro Luther era amareggiato. L’uomo catturato sull'isola di Yequiza e scortato a Rodramino non aveva ceduto alle torture, rifiutando di tradire il proprio padrone. Luther si era recato personalmente alla città-cantiere, pensando di confrontarsi con un nemico che meritava il suo rispetto. Ma il prigioniero si era dimostrato solo un pazzo dalle informazioni fasulle. Il capo della gilda si era scomodato per ascoltare i deliri di un mentecatto.

Lasciò che la sua scorta si riposasse al piano inferiore. L’Assistente del Maestro insistette per accompagnarlo nelle sue stanze, ma Luther lo liquidò con un gesto scocciato. Non voleva tra i piedi nessuno. Aveva bisogno di fumarsi una pipa nel suo studio, e di rivedere le carte. Quel rimbambito che gli aveva fatto perdere tempo lo aveva allontanato dai suoi obiettivi.

Sbraitò contro la guardia dei suoi alloggi, che giaceva sonnecchiante su una sedia. L’incompetente si allontanò profondendosi in scuse prima che Luther avesse la tentazione di ucciderlo. Il Maestro entrò nello studio e sbatté la porta dietro di sé. Riordinò il caos che regnava sulla sua scrivania borbottando seccato. Estrasse la pipa e cercò il tabacco: dove l’aveva messo? Mentre frugava nei cassetti e inveiva contro quel ladro dell’Assistente, un’ombra calò alle sue spalle. Una mano fece tacere la sua bocca, e un coltello ne disegnò una nuova sulla gola. Il cadavere cominciò a sgretolarsi fra le dita di Runne, che mormorava una lenta litania. L’incantesimo di incenerimento funzionò sui resti di Luther, cancellando persino le tracce di sangue. Del capo della gilda di Poltur non restò nemmeno la polvere.

Runne seguì Thomas in una silenziosa e complicata fuga. Il sicario su cui aveva fantasticato per alleggerire la tensione era diventato reale, materializzandosi nel suo corpo e agendo attraverso le sue mani.



«Dovresti lasciarla uscire qualche volta, Judith cara.»

«Runne sta imparando il mestiere. E ho molto da lavorare in questo periodo: sa, dalla morte di Caroline...»

«... sei l’unica sarta della zona nord di Fiandher. Ma si ammalerà se resta sempre tappata in casa.»

«Sta forse dicendo che non so prendermi cura di mia figlia?»

«Oh, no! Non intendevo questo, mia cara.»

«Bene. È stato un piacere vederla. Torni presto a farci visita. Arrivederci.»

Judith richiuse la porta tirando un sospiro di sollievo. Quella farsa andava avanti da quando Runne si era unita agli Scindri: per nascondere gli allenamenti della figlia, fingeva di tenerla segregata in casa. Fra i vicini, alcuni erano più comprensivi, riconoscendo l’amore di una madre per l’unica cosa che le era rimasta al mondo; altri, invece, la consideravano una dispotica egoista. Judith non dava peso alle voci che circolavano sul suo conto: non aveva mai visto Runne così felice, e condividere un segreto tanto importante con la sua bambina la colmava di gioia. La vedeva crescere giorno dopo giorno, affinando tecniche e carattere, sempre più vicina all’essere una donna. Ma per lei sarebbe sempre rimasta la sua piccola Runne.

Quella mattina, però, Runne era stata molto pensierosa e taciturna. Non aveva toccato la colazione, e si era messa al lavoro senza che Judith le avesse chiesto aiuto. La madre decise di non porle domande, ritenendo più saggio distrarla con qualche chiacchiera.

Runne cuciva badando solo all’ago e alla stoffa, mentre Judith le raccontava un piccolo scandalo sulla figlia del ceraiolo. Quando entrambe ebbero finito, la ragazza andò a riposarsi. Aprì la porta della camera e qualcosa la colpì sulla fronte.

«Ahia!»

«Ci è cascata!» esclamò una vocina, lanciandosi in un risolino acuto.

Runne si massaggiò la fronte, centrata da un laccio che era stato legato alla porta. Sul comodino sedevano Daeb e un’altra sinhilare, quella che aveva riso prima (e che stava continuando a farlo). Se la memoria non la ingannava, si chiamava Jiya.

«Potevate cavarmi un occhio!» li sgridò la vittima dello scherzo.

«E tu eri convinto che l’avrebbe evitato!» ridacchiò Jiya.

«Ne ero sicuro. Come succede sempre.» confermò Daeb, che al contrario non era mai stato tanto serio «Stai bene?»

«Vorrei stritolarti con il tuo laccio, ma a parte questo non mi hai ferita mortalmente.»

«Avevi ragione su di lei: questa ragazza è proprio uno spasso!»

Runne fissò in tralice la graziosa sinhilare dai capelli biondi e si soffermò sulla sua vicinanza con Daeb. «Ho interrotto qualcosa?»

«No.» disse l’amico, che aveva appena sottratto la sua mano dalla presa di Jiya «Lei se ne stava giusto andando.»

«Come sei cattivo!» si lamentò Jiya, facendogli la linguaccia «E va bene: lo so che sei molto timido.»

«No! Per gli dei, non hai capito quello che ti ho detto?»

«Non capisco perché tu non voglia darmi almeno una possibilità.»

Daeb non rispose. Incrociò le braccia e guardò altrove. Jiya, indispettita, gli sfilò dalla testa il cappello a cilindro e volò via, fuori dalla finestra.

«Ehi! Ridammelo!»

Daeb la inseguì e Runne rimase sola. Aveva sperato di potersi sfogare con lui prima che scendesse la sera. Si sfiorò ancora la fronte, benché il dolore fosse passato; quantomeno quello fisico.



L’atrio della base degli Scindri era più buio del solito e vuoto, il che donava un tono spettrale all’ambiente. Le fiaccole erano disposte parcamente a indicare il cammino. Runne le seguì, stringendo un lembo del mantello per domare il nervosismo. Giunse nella Sala d’Addestramento, dove fu accolta dalla Compagnia degli Scindri riunita a semicerchio. Si fermò al loro cospetto, in attesa.

La voce di Arlenan risuonò con fermezza:«Benvenuta, apprendista. Hai intrapreso un duro percorso di addestramento, specializzandoti nell’uso delle armi corpo a corpo e in diversi stili di lotta. Hai imparato a lanciare alcuni incantesimi reptili e hai ottenuto il controllo della bestia che alberga nel tuo animo. Questo fa di te un’ottima guerriera, ma far parte degli Scindri significa molto di più: analizzare l’ambiente che ti circonda, confonderti e mescolarti con esso, carpire informazioni vitali da piccoli indizi. Tali sono gli insegnamenti che ti sono stati impartiti, e nei scorsi giorni li hai messi in pratica sul campo.» Tese un braccio verso l'interessata «Consegnami il tuo mantello.»

Runne se lo sfilò e lo porse al maestro. Arlenan lo tenne dinanzi a sé e pronunciò la formula della cenere. Il mantello nero si sbriciolò, perdendosi nell'aria cupa della caverna. Arghenteo passò ad Arlenan un lungo panno ripiegato e il reptile lo distese: il nuovo mantello rosso di Runne.

«Da questo momento» decretò Arlenan posando il mantello sulle spalle della ragazza «tu non sei più un'apprendista, ma un membro effettivo degli Scindri.»

La compagnia batté il pugno sul petto e Runne li mimò con orgoglio. Arlenan fece cenno agli altri per comunicare che la cerimonia era finita. Quindi esclamò:«E ora festeggiamo con del buon sidro di Joor!»



Runne sedeva sul ramo di uno zigado marittimo, non distante dall'albero secolare che torreggiava sul nascondiglio degli Scindri. Le particolari foglie di quella pianta, larghe e bucherellate, giocavano con la brezza notturna, disegnando occhielli di luce smeraldina sul corpo della ragazza. Runne accarezzava il suo nuovo mantello, così leggero da far dubitare della sua esistenza. Avrebbe dovuto rallegrarsi di quel traguardo; eppure un senso di inquietudine sopprimeva il suo entusiasmo.

Arlenan salì sullo zigado seguendo un ritmo volutamente rumoroso, in modo da essere udito; Runne capì che le veniva offerta l'opportunità di allontanare il maestro prima che la raggiungesse, qualora non fosse gradito. Permise all'uomo di sedersi accanto a lei e di appoggiarsi al tronco fessurato.

«È un momento di festa, un evento troppo lieto perché tu mostri quell'espressione cupa. Qual è il problema?»

«Ho ucciso un uomo.»

«Hai estinto una minaccia per il mondo. Luther avrebbe consegnato il Graäm a Endrun. I suoi reptili avrebbero ucciso gli uomini, stuprato le donne e schiavizzato i bambini. Per merito tuo siamo di nuovo al sicuro.»

«Allora perché lo smeraldo della torre non si spegne?»

«Altri pericoli attendono in agguato. Gli Scindri sono gli unici in grado di sventarli. Capisci ciò che intendo dire?»

Runne annuì, accettando il peso delle proprie responsabilità. Arlenan le cinse le spalle e la strinse a sé. «Rendi onore a tuo padre, ex apprendista.»

I due rimasero abbracciati in un muto conforto, mentre la notte scivolava al termine per accogliere i raggi del mattino.




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Capitolo un tantino corto per i miei standard, ma fermarmi qui era necessario per la trama.

Avete domande sulla politica del Graäm? Ho paura di non essermi spiegata bene... o di essermi soffermata anche troppo nelle descrizioni. Sarò felice di fornire altre informazioni a chi ne vuole ^_^ a patto di non cadere nello spoiler. L’assetto politico e geografico del Mondo dell’Avvento è piuttosto complicato, ma ve lo esporrò a dosi digeribili ;-)

E la legenda all’inizio di ogni capitolo potrebbe esservi utile quando vi dimenticate di un nome (lo faccio persino io!).


Qualsiasi recensione, anche negativa, è ben accetta: sono qui soprattutto per migliorarmi e divertirmi.

Fate un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole Cozzate – CreAttiva


Al prossimo capitolo! Slán libh!

CreAttiva

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2031696