le cronache del drago celeste

di scrittore 97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Derb ***
Capitolo 2: *** lord Main de Luack ***
Capitolo 3: *** la ragazza e l'omone ***
Capitolo 4: *** lotta per la libertà ***



Capitolo 1
*** Derb ***


Nulla è più sicuro della morte, la vita è un’incertezza che si vive perché così si deve fare, solo la mietitrice oscura dà veramente un po’ di pace, dopo una vita più che tormentata.
Derb pensava a lungo a quella frase, se la rigirava nella mente come una cantilena, la ripeteva come se aspettasse la morte, sembrava che avesse perso tutto, stava camminando sotto il sole cocente della città di Soltenet.
Il suo carattere duro e ostile lo rendeva restio ad avere rapporti con altre persone, preferiva restare solo con se stesso e con i suoi stupidi rimorsi.
Sembrava un uomo come altri, segnato dalla guerra, a testimoniarlo era una lunga cicatrice che gli deturpava il viso, occhi di ghiaccio si posavano con durezza verso tutti, aveva un’aria di rabbia e rassegnazione .
Un mento così marcato che sembrava scolpito nella roccia, la fossetta che aveva sembrava il segno di uno scalpello che gli aveva lavorato i lineamenti.
Aveva delle labbra carnose e screpolate, un naso gonfio di respiri e sospiri rivolti a un passato che mai tornerà .
Lunghi capelli color neri e lisci gli cascavano sulle spalle larghe e robuste, delle grosse mani callose uscivano dalle maniche della camicia di raso, i muscoli straripavano dalle maniche che sembravano sul punto di rottura.
Era alto più di uno e novanta, la sua mole non si limitava in altezza, ma anche in muscoli.
Al posto dei pantaloni portava un’armatura, lo rendeva strano il fatto che di sopra indossava una camicia bianco sporco , dalla quale usciva un collo taurino, sembrava quasi quello di un toro.
Una spada gli pendeva al fianco, quell’uomo infondeva paura a chiunque con quella stazza.
Arrivò nella locanda in cui aveva preso la stanza, il locandiere lo salutò con un sorriso, lui nemmeno rispose, salì con lentezza le scale di legno che scricchiolavano sotto il suo passo incedente, ricordo di altri tempi.
Frugò dentro la tasca della camicia, alla ricerca di qualcosa, con un tintinnio prese le chiavi della stanza, le infilò dentro la serratura della vecchia porta, la spinse e un forte rumore di cardini arrugginiti lo accompagnò dentro la stanza.
Si sedette sul letto, e fisso l’ambiente, c’era solo un giaciglio, una cassapanca, un comodino e un armadio.
C’era un’altra piccola stanza, che fungeva da latrina, una piccola tenda faceva da barriera per i mal odori.
Si mise a fissare la guaina della sua spada, era piena di fregi un lascito del suo passato glorioso, poi la estrasse  era bellissima: l’elsa era piena di arabeschi con intarsiati alcune gemme preziose, il pomo era fatto con un zaffiro che brillava d’azzurro.
L’uomo sospirò, poi dall’armatura prese un pugnale, si alzò dal letto e con passo lento si diresse verso l’armadio, strinse con forza la spada, e la conficcò nel legno, un urlo di dolore arrivò dal mobile.
Sangue coprì la lama che adesso luccicava di un inquietante color vermiglio, il cadavere di un uomo uscì da dentro l’armadio, nel frattempo con uno scatto uscirono due uomini da dentro la latrina.
L’uomo parò l’offensiva nemica con la spada, e uccise l’aggressore piantandogli in gola il pugnale, schivò l’attacco dell’altro avversario, e lo costrinse a terra con un tremendo pugno all’addome, l’uomo sputò sangue a terra, con un gesto veloce della mano Derb spiccò la testa al nemico.
Tutto si era svolto in pochi secondi, ma da dietro la porta si sentiva il vociare delle persone, l’uomo uscì mentre con una pezza puliva le armi e disse con la sua voce cruda e profonda- signori, allontanatevi, e che qualcuno per favore vada a chiamare le guardie, nella mia stanza ci sono tre uomini che mi volevano uccidere-.
Tutti ebbero un sussulto alle parole dell’uomo, più per la calma con cui aveva detto quelle frasi che per la notizia, un uomo si riprese da quello stupore, scese le scale e se ne andò al comando cittadino.
Derb scese di sotto si fermò davanti all’albergatore il quale disse- ma cos’è successo, ho sentito dei rumori-
-credo che voi sappiate cosa sia successo, ma per chiarirvi le idee, vi dico solo che ho trovato tre uomini nella mia camera, e per quanto ne so lei che sta sempre qui, li avrebbe dovuti vedere-
- sono indignato, io non ho visto nessuno, glie lo posso giurare-
-senti damerino, lo capisco subito quando qualcuno mente, e tu lo stai facendo spudoratamente, e a confermarlo è quella borsa tintinnante di monete che hai appesa alla cintola-disse Derb indicando una piccola borsetta.
- questo è l’incasso della giornata- rispose con voce paurosa l’albergatore.
Derb stanco di quel tira e molla prese l’uomo per la collottola e disse- senti, di sopra ci sono tre uomini morti, non sono un tipo paziente con i bugiardi, quindi se li vuoi raggiungere, non hai che da dirmelo-.
L’albergatore boccheggiò e iniziò a sudare freddo poi disse- e va bene, mi hanno pagato per farli salire, ma mi avevano detto che erano vostri amici e vi volevano fare una sorpresa-.
Quando l’uomo finì la frase dentro l’albergo, irruppero due guardie con le lance tese pronte ad attaccare , i due intimarono a Derb di lasciare l’albergatore, cosa che fece spintonandolo.
-tu straniero perché stavi aggredendo quest’uomo?- disse la guardia puntando l’arma verso Derb.
- mi dispiace esservi di disturbo ma oggi quando sono rientrato nella mia stanza pronto per un bel sonno ristoratore, mi sono ritrovato con tre ospiti in camera che volevano la mia testa, io giustamente mi sono difeso con il risultato che troverete di sopra.
Ora il qui presente albergatore mi ha confessato che ha fatto salire nella mia stanza quei tre malintenzionati, perché gli avevano detto che erano miei amici- terminò Derb con voce calma.
La guardia sospirò, si girò verso il proprietario del locale e disse- è vero ciò che dice?-
L’albergatore iniziò a guardare di qua e di là, finché non incrociò lo sguardo terribile e freddo di Derb, che alzando  gli  occhi al soffitto gli ricordò il piano di sopra, l’uomo allora più che impaurito da quel semplice gesto, abbozzò un si.
-tu straniero devi venire alla centrale con me per dirmi tutto per filo e per segno la stessa cosa tu albergatore-
I due furono portati alla centrale dalla guardia, mentre l’altra provvedeva a fare un sopralluogo nella stanza, il trio camminava con lentezza tra le vie della città addormentata.
L’oste era impaurito dalla sola vicinanza di Derb che lo guardava dall’alto verso il basso, tutti guardavano quella scena con disgusto, c’era chi diceva che lo straniero avrebbe portato sfortuna, e difatti c’erano tre morti.
Appena dentro lo disarmarono, poi lo fecero accomodare in una stanza, l’oste fu messo nella stanza adiacente .
Le pareti della stanza erano bianche e spoglie, al centro due sedie, la guardia iniziò con Derb, il quale raccontò per filo e per segno ciò che era accaduto, alla fine del riassunto l’interlocutore annuì, e se ne andò a fare il suo rapporto.
Derb rimase lì, mentre sentiva delle voci nella stanza accanto.
Appena sentì quello che dicevano digrignò i denti, l’oste stava dicendo che lo dovevano uccidere loro, perché gli assassini assoldati non c’erano riusciti, ma Derb si chiedeva il perché fosse tanto odiato da quelle parti, lui non c’era stato mai prima di allora.
Si sedette tranquillamente, facendo finta di nulla, non aveva con se la sua spada, avrebbe aspettato che una delle guardie andasse da lui e l’avrebbe disarmato.
In fondo però non si aspettava che in quella città bella si potesse nascondere odio per lui che mai aveva fatto nulla contro alcun abitante di lì, ma forse era il suo maledetto passato che faceva ritorno.
Strinse i pugni e li batté sul tavolo, negli occhi aveva voglia di rompere il collo a qualcuno avrebbe voluto buttare tutto all’aria, sentiva ancora le voci di quei bastardi che confabulavano del modo di ucciderlo, ma non sapevano che lui aveva un udito sopraffino, e li sentiva come se fossero lì con lui.
Aspettò in silenzio dentro quella stanza per un tempo indeterminato, si stava stancando di rimanere rinchiuso in quelle quattro mura fatte di pietre incollate tra loro da malta, si sentiva soffocare.
Poi finalmente una guardia entrò, lo guardò con un sorriso nascosto dietro coltri di autocontrollo, ma lui non sapeva che Derb aveva ascoltato tutto, non sapeva che avevano provocato la sua ira.
La guardia lo porto nel sotterraneo della struttura, dove i banditi, i ladri e tutta la feccia della città rimanevano a marcire.
 c’era un forte odore che non sapeva distinguere, aveva le narici punzecchiate continuamente da quel gran fetore che gli faceva rivoltare lo stomaco, la luce lì sotto era poca, ma abbastanza per distinguere corpi cadaverici e divorati dalla fame, che si contorcevano nel dolore delle torture ricevute dalle guardie.
Poi capì qual era quell’odore che gli faceva ritornare in gola il cibo che aveva mangiato ore prima, erano dei cadaveri in putrefazione, che nell’angolo buio di una cella stavano lì con gli occhi spenti a fissare il corridoio.
-ti spaventano quei cadaveri?- disse la guardia non nascondendo un ghigno malvagio.
- no, è l’odore che mi da la nausea, ma come mai li avete lasciati lì?- rispose Derb con tono pacato e mite.
- perché il capo delle guardie ha detto che sono stati condannati a una vita di carcere, si sono salvati per un soffio dalla pena capitale, però la vera punizione sarà che il loro spirito rimarrà qui sotto, e non sarà portato via dai venti-  Derb era furioso per quel dettaglio, non perché gli interessasse della vita di ladri assassini e istigatori di beghe, ma togliere la serenità della morte era terribile per chiunque, perché in quel mondo la vera cosa da temere non era la morte ma la vita stessa, quindi togliere la pace all’anima in quel modo era terribbile per chiunque.
Anche se era furioso per quello che vedeva la sotto cercava di camminare come se nulla fosse.
Derb capì doveva agire,  quando arrivarono in un’ala del sotterraneo priva di guardie e di prigionieri, capì che lo volevano uccider lì lontano da testimoni.
ad avvertirlo del pericolo imminente un piccolo suono dentro una nicchia, non era il solito rumore che facevano i prigionieri, era il rumore di una spada che veniva estratta dal fodero.
Derb finalmente poté togliersi la soddisfazione di   cancellare quel sorriso odioso dal viso della guardia, lo afferrò all’improvviso, e con la sua immane forza gli ruppe il collo, con velocità e senza fare il minimo rumore.
Prese la spada dal fodero, il padrone ormai morto aveva la mano sull’elsa, sicuramente la stava per usare, Derb prese la guardia e la trascinò davanti a se, appena arrivò vicino alla nicchia due fendenti colpirono il costato dell’uomo .
Con velocità Derb uccise uno dei nemici, poi l’altro ripresosi dallo shock provò un fendente, ma il colosso, fermò l’attacco prendendo il polso dell’avversario, con forza lo torse e la spada si conficcò nel petto dell’aggressore, il quale cadde a terra morto.
Derb non aveva mai avuto rimorso nell’uccidere, tranne quando era ancora un ragazzino, il padre gli aveva messo davanti un povero ragazzino indifeso che aveva cercato di rubare nella loro casa, lui non lo voleva ammazzare, ma il padre gli aveva preso la mano e l’aveva guidato nell’uccisione, da allora non aveva più avuto rimorso nel togliere la vita a qualcun altro.
Sputò vicino al cadavere della guardia, aveva ancora il viso contrito per la furia, tutta la sua ira non si era placata, si sentiva tradito da quella città, lui non gli aveva fatto nulla, ma forse era la sua stessa vita che ormai lo voleva abbandonare,  lui stesso era stanco da quel continuo vagare per il mondo di .
Cercò di darsi un contegno con respiri profondi, aveva capito che lì non era gradito, spogliò uno dei morti, e indossò l’armatura, che in alcuni punti gli stava fin troppo stretta, a volte doveva cercare di non far scoppiare quella ferraglia in cui era rinchiuso.
Cercò di far mente locale, sulla strada da percorrere, per uscire da quel budello, marcescente di cadaveri, e di uomini ridotti all’ombra di se stessi.
Derb si confuse in alcune svolte, e si perse più di una volta, quei maledetti sotterranei erano peggiori di un labirinto, la puzza lo stava tormentando sempre più,  sentiva l’odore percorrerlo , gli strisciava fino alle narici, dalle volte si chiudeva il naso con le dita.
Tutti quei fastidiosi particolari, lo fecero spazientire, all’improvviso doveva sfogarsi, non riusciva più a trattenere la sua irascibilità, estrasse la spada che aveva preso insieme all’armatura, e sfasciò con un unico fendente dall’alto verso il basso il tavolo in cui di solito si posizionava chi montava la guardia.
Quel gesto lo aveva, anche se pur poco calmato, aveva ancora le mani tremanti di rabbia, e non riuscì quasi a sentire dei passi veloci nella sua direzione, si riscosse e iniziò di nuovo a camminare, finalmente la fortuna fu dalla sua, riconobbe un corridoio, per il potente fetore che si respirare, l’aria era malsana in modo inverosimile.
Arrivò davanti alle celle in cui c’erano i cadaveri, dietro di lui sentiva dei passi e delle voci infuriate, Derb capì che ormai era stato scoperto, allora decise cosa fare, avrebbe dato pace alle anime dei morti, e così facendo avrebbe intralciato gli inseguitori.
Ammucchiò tutti i cadaveri velocemente in una catasta, poi prese una torcia, che con la sua luce rossastra rischiarava il corridoio, e la gettò sulla piramide di corpi, che con l’aiuto dei gas sprigionati dalla decomposizione, presero subito fuoco.
Derb si mise a correre, in pochi secondi la cella fu come l’anticamera dell’inferno, i corpi dei morti divennero pian piano sempre più neri, e sembrò quasi come se sulle increspature dei visi comparisse, i sorrisi  per il sollievo della loro anima che ben presto sarebbe andata al grande e glorioso dio Diaeil, che avrebbe deciso se mandarli negli inferi, o prenderli con se nel regno delle nuvole.
L’uomo non poté fare a meno di sorridere per quell’opera di bene, che oltre a servire al dio è servita a lui per poter distrarre gli inseguitori, gli uomini dietro le barre lo guardavano con il loro sguardo spento, ogni corpo era martoriato dalle torture, lunghi tagli rossi che spiccavano su corpi neri coperti dalla sporcizia.
Derb era disgustato, erano pur sempre uomini quelli che erano lì dentro, eppure sembravano animali in gabbia denudati dal loro orgoglio, dal loro essere creature che avevano una volta la voglia di vivere.
Erano gettati dentro  quelle pareti nere, in cui l’umidità faceva vegetare in abbondanza i muschi, là l’aria era satura di polveri malsane, l’unico spicchio di luce oltre alle torce che non compivano bene il loro lavoro erano delle finestre poste in alto.
Dentro  ogni cella c’erano più di quattro uomini, uno spazio troppo stretto per contenere più di tre persone, ma a quanto pareva, chi comandava voleva trattare i prigionieri come bestie, anzi peggio.
Derb credeva, che per chi fosse lì esistesse un motivo,  nulla però poteva giustificare quell’abominio, quello che vedeva là dentro era la vera facciata della centrale delle guardie di quella città, non una struttura quadrangolare colorata di bianco, anche le cose più candide alla fine avevano un cuore nero come la pece.
Finalmente Derb fu davanti alla scala, anche se era felice di poter uscire da quei corridoi e da quel fetore nauseabondo, non lo era per la sorte di quelle povere anime.
Però una cosa gli saltò agli occhi, prima di poter salire la scala, incrociò lo sguardo di un uomo, gli occhi gli brillavano ancora di vita, lo guardavano come se non avesse sofferto nulla in quei giorni, ma la sua carne piena di tagli diceva tutt’altro, i vestiti stessi neri e putridi erano solcati da segni di frusta.
Stava seduto sopra una rozza pietra, era solo nella cella e appena vide Derb sorrise, e delle piccole rughe gli solcarono i lati degli occhi, quell’uomo sembrava un gramin in un branco di lupi-vampiri.
Derb avrebbe voluto fermarsi per interrogare quell’uomo, che sembrava alieno a tutta quella sofferenza, ma sapeva che non aveva tempo, da lì a poco i soldati che lo stavano inseguendo, avrebbero smesso di lottare con le fiamme e lo avrebbero potuto trovare.
Appena fu sopra le scale sbucò nel corridoio bianco che precedeva quell’inferno nero, c’era una sola guardia a proteggere l’ingresso, e per sfortuna sua lo riconobbe, Derb fu veloce estrasse la spada, e la conficcò nel collo del malcapitato, mentre per non farlo gridare gli tappava la bocca.
L’armatura che indossava fu zuppa di sangue lo sentiva entrare nei punti d’aria, sentiva la carne incrostarsi di quel sangue, non ne poteva più di quell’odore pungente, e nemmeno di quella maledetta situazione, appena sarebbe stato fuori non aveva intenzione di scappare e rifugiarsi nelle terre ventose, territorio in cui lui pensava di non trovare nemici.
Anche se aveva l’armatura piena di sangue, irruppe nella stanza centrale del comando, gli occhi dei presenti si magnetizzarono su di lui, che urlò- i prigionieri hanno iniziato una rivolta, lì sotto hanno bisogno d’aiuto-
Per qualche istante nessuno mosse un muscolo, Derb teneva il viso calato per non farsi riconoscere, faceva finta di essere sofferente per una ferita grave, e in quel modo giustificava la presenza di sangue sull’armatura.
Dopo che tutte le guardie compresero appieno le parole dell’uomo, presero le armi in spalla e iniziarono a correre verso le prigioni, appena furono tutti nel corridoio Derb chiuse la porta di ferro battuto, imprigionando tutte le guardie lì dentro.
L’uomo sorrise, adesso era solo con chi lo aveva portato lì, sapeva che l’albergatore era ancora nella sala dell’interrogatorio, Derb con passo svelto si diresse verso un tavolo sopra il quale stava la sua meravigliosa spada.
La estrasse, e osservò a lungo la lama, sorrise, e entrò nella stanza, c’era una guardia seduta dirimpetto all’albergatore, gli spiccò la testa con un sol colpo, l’uomo che era seduto tranquillamente scattò in piedi, e si mi se a indietreggiare davanti alla figura enorme di Derb, che in pochi passi lo sormontò.
-ti prego, ti darò tutto quello che vuoi, ma non uccidermi- disse l’uomo mentre era con le spalle al muro.
- non voglio niente da te, tu mi hai preso in giro fin dall’inizio brutto bastardo, non ti chiedo il perché e chi vi ha ingaggiati, perché ho poco tempo, quindi addio- rispose Derb con un rapido colpo di spada alla gola dell’uomo.
L’ira dell’omone non si placò del tutto, e con un fendente amputò un braccio al corpo ormai morto, il filo della sua meravigliosa spada si increspò di un intenso colore vermiglio, quell’arma aveva visto la battaglia dei venti regni, e non si era nemmeno scalfita, con tutto che aveva parato i colpi delle asce di Anelacort, le più taglienti e distruttive.
Derb la guardava come sempre con meraviglia, come la prima volta che l’aveva vista, se lo ricordava benissimo, il padre era morto e gli e lo aveva dato perché quello era il cimelio che si tramandavano da generazioni, quell’oggetto aveva più di settecento anni, ed era stata forgiata con l’ultimo dente di drago, una specie ormai estinta.
Derb si riscosse dai suoi pensieri, non aveva altro tempo da perdere con i ricordi,  strappò uno straccio dai vestiti dell’albergatore, e pulì sia la spada sia la sua armatura grondante di sangue.
Uscì dalla stazione, come se nulla fosse, le due guardie all’ingresso lo fecero passare senza nemmeno guardarlo, di sicuro non sapevano cosa avrebbero trovato all’interno.
Appena Derb svoltò l’angolo, si tolse l’armatura, e iniziò a correre verso la stalla  dove aveva lasciato il suo magnifico stallone da guerra.
Percorse le strade che si inerpicavano su per una piccola collina, la gente che lo vedeva lo squadrava di malocchio, gli ultimi raggi del sole morente si posavano sui bastioni del castello, che si ergeva in tutta la sua magnificenza sopra il colle, doveva fare in fretta di li a poco sarebbe stato buio.
Appena dentro la stalla gettò una moneta d’argento allo stalliere, che calò il capo, mentre iniziava lentamente a mettere la sella al cavallo.
Derb disse al ragazzo- no, non c’è bisogno, ho fretta, lo cavalcherò a pelo-.
Il suo cavallo era nero come la notte, con due occhi pieni di furia,  una lunga cicatrice gli percorreva l’addome, un vecchio lascito della guerra che aveva vissuto con il padrone, aveva delle enormi zampe con i calzini bianchi, un aspetto fiero e nobile lo caratterizzavano, sembrava possente nella sua statura.
-Bahid, amico mio, sei pronto per continuare il nostro viaggio senza meta?- disse Derb accarezzando la criniera all’animale che sembrava sodisfatto.
La risposta fu un lungo e sonoro nitrito, l’uomo sorrise, e con un balzo fu in groppa al destriero, che lo accolse con uno sbuffo d’aria, poi Derb con un colpo di redini fece partire Bahid al galoppo.
L’omone si sentiva ancora più possente sopra al suo animale nonché amico, gli ritornavano in mente gli anni in cui lui non era un semplice vagabondo, ma era un glorioso combattente, quando ancora era giovane e stupido, si ricordava quando non era ancora stato stretto dalle braccia della troia che lo aveva fatto innamorare, e che lo aveva portato alla rovina.
Derb spronò al massimo Bahid, infischiandosene della gente che per poco non finiva sotto gli zoccoli del suo destriero, imboccava le vie con velocità incredibile,  e si sentiva rinato, anche il cavallo da parte sua era felice di poter correre dopo due settimane che stava fermo a marcire nella stalla.
Le mura che stringevano in un abbraccio la grande città, si fecero sempre più vicine, finché Derb non fu davanti al portone principale della città, le guardie dall’alto della loro postazione lo squadrarono a lungo, dopo qualche istante di silenzio, gli fecero segno di andare.
L’uomo non se lo fece ripetere, e spronò al massimo Bahid, che si sentiva rinato, si sentiva come quando era appena nato, quel piccolo istante di spaesamento, poi sua madre nera come lui, che lo fissava con una dolcezza che sembrava non provenisse da un animale.
Dopo qualche minuto che Derb fu fuori da Soltenet, nella città scoppiò un allarme, le guardie ormai erano libere, e lo stavano cercando, ma non lo avrebbero trovato mai e poi mai, quello era il pensiero ottimista dell’uomo, che stava macinando gli zoccoli alla sua cavalcatura, la sua destinazione erano le terre di grande vento.

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Capitolo 2
*** lord Main de Luack ***


Il giardino del castello era strapieno di fiori colorati, e profumati, la nobile Elle de Luack vagava tra quei bellissimi capolavori naturali, che solo alla famiglia dei de Luack, i Lord di gran sole, amici dell’imperatore in persona era possibile vedere.
La giovane ormai conosceva a memoria ogni singola pianta, ogni singolo fiore, era in pratica cresciuta lì, e adesso doveva dire addio a quel luogo che l’aveva protetta dal crudele mondo esterno, il padre Lord Main de Luack, aveva deciso che lei aveva l’età per poter sposarsi e dare prole al consorte, ma lei non si sentiva pronta, aveva ancora tredici anni,   le sue forme erano in via di sviluppo,  aveva avuto il menarca poco più di un mese prima, il padre già la considerava una donna.
 Elle, si sentiva impotente davanti alla decisione del padre, lei non voleva avere a che fare con il matrimonio, si sentiva ancora bambina, aveva  nella testa solo la voglia di giocare con il suo gatto, che in quel momento di tristezza le stava accanto, andando a cercare le sue carezze.
Si sedette in una panchina di legno viola, il padre aveva fatto ordinare quel legno direttamente da Albanera, la più grande città che lavorasse il legno viola e quello blu.
Elle si sentiva il cuore oppresso, avrebbe sposato un uomo che nemmeno conosceva, e che aveva trent’anni più di lei, era schiacciata da quella situazione che non riusciva a gestire, ormai non ci dormiva più la notte, ogni volta che guardava al suo futuro, lo immaginava  in un castello, con un uomo che probabilmente avrebbe odiato, ad accudire molti figli, e lei che si sarebbe spenta con il passare degli anni.
Nei suoi sogni invece immaginava di incontrare un principe gentiluomo, che le avrebbe fatto battere il cuore all’impazzata, che l’avrebbe amata e protetta da qualsiasi male, ma il padre un mese prima stanco di quei pensieri ingenui, gli disse tutto d’un colpo che non era più tempo per quelle leziosaggini , e che si doveva sposare,  lei era caduta quasi a terra per lo stupore, il cuore le aveva iniziato a battere più forte, sembrava come se stesse per sfondare la gabbia toracica.
Ma Lord Main de Luack era abituato a farsi obbedire, e non avrebbe accettato mai un rifiuto da parte di una ragazzina che viveva ancora di sogni, e già aveva iniziato a progettare il matrimonio, con un nobile  delle terre di gran vento, così facendo il padre avrebbe anche sancito la pace tra quei due che si lottavano fin da prima della guerra dei venti regni.
Elle sbuffò, mentre con una mano asciugava le lacrime, il gatto bianco dalla pelle fulgida, saltò sopra le gambe della ragazza, la quale lo accolse con una carezza infischiandosene se le stava graffiando la preziosa gonna verde come le foglie dell’albero dietro la panchina.
-perché noi donne abbiamo un simile destino?- disse Elle come se fosse rivolta al gatto, il quale nemmeno la stava ad ascoltare, era beatamente accoccolato sulle gambe della padrona che lo coccolava con le candide mani che mai avevano visto lavoro.
- sorellina, sempre a rimuginare sulle scelte di nostro padre non è vero?- disse una voce che veniva da dietro l’albero.
- Rudolf, tu non puoi sapere cosa si prova a sognare per una vita di trovare l’anima gemella, e poi scoprire che la mia esistenza serve a legare mio padre con un vecchio nemico-
- sono solo delle cazzate quelle dell’anima gemella e lo stesso sono i sogni, io ho smesso di crederci quando avevo sei anni, quello che dovete fare voi donne è dare prole, mantenere in ordine la casa, e riscaldarci la notte, non esiste l’anima gemella- disse suo fratello uscendo da dietro l’albero.
Elle strinse i denti,  con uno scatto diede uno schiaffo al viso ogivale di Rudolf, il gatto con un balzo cadde a terra, e digrignò i denti verso il ragazzo, il quale si massaggiava la guancia, e rideva.
-mia cara e ingenua sorellina, se tu pensi che sia un inferno sposarsi con un vecchio, non sai cosa sia l’addestramento militare, io è da quando avevo sei anni che ho smesso di sognare, ora ne ho diciotto, e ti posso garantire dopo una vita di sacrifici e di allenamenti che avrei voluto essere una ragazza, o semplicemente meno robusto come nostro fratello Robert, che per sua fortuna aveva la consistenza fragile, e gli è toccato prendere i voti come sacerdote di Diaeil-
Elle strinse di più i denti, fino a fare un sonoro rumore, che Rudolf colse con una risata, poi disse- vabbè io ti lascio con i tuoi stupidi piagnistei, ho ben altro da fare-.
La ragazza avrebbe voluto prendere il fratello e massacrarlo di botte, ma si limitò a guardarlo camminare con cadenza militaresca verso l’entrata del castello, mentre lei imprecava tra se e se.
Elle era ancora furiosa, e aveva il viso solcato da lacrime, le guance rosse, il gatto continuava a miagolare, e lei per sbollire i nervi fece una cosa che mai aveva fatto, e che giudicava riprovevole , diede un calcio alla povera bestiola, la quale mugugnò.
La ragazza subito si pentì di quel gesto orribile, e si avvicinò al gatto mormorando un migliaio di scuse, ma la bestiola rizzò i peli, e digrignò i denti, poi se ne scappò verso un albero.
Elle si sentiva straziata, sia per quell’azione che le pesava troppo nell’animo, sia per quella discussione, non si era mai sentita così arrabbiata e pentita nella sua breve vita.
Voleva andare nella sua lussuosa camera a sbollire i nervi, la sua balia era in cucina, che lavorava ai ferri, appena la donna la vide si inchinò, ma Elle non ci fece caso, tirò dritto seguita da quella donna petulante, che l’aveva vista crescere, appena fu davanti alla porta, entrò e chiuse fuori Amelia, che si mise a bussare.
Elle si coricò nel suo letto, e si mise a riflettere sulle parole odiose del fratello, che le si insinuavano nelle crepe del suo cervello,  fino a ferirla come lame affilate.
Stette lì a testa in già, alzando ogni tanto il viso, per guardare il percorso del sole fuori dalla finestra, quando era entrata era pomeriggio inoltrato, e si stupì della rapidità di come erano passate le ore messa lì nel suo letto, fuori era quasi buio, il sole si accingeva a scomparire dietro le imponenti montagne che costituivano l’enorme impero della montagna.
Si stava alzando, pronta a scendere di sotto per la cena, quando all’improvviso nella città, sotto l’enorme castello iniziò a suonare di trombe, lei non sapeva cosa fosse, mai nella città erano suonate le trombe, e a quanto ne sapeva lei, quello era il segnale di pericolo.
Uscì dalla sua stanza, e si diresse verso la stanza dove il padre faceva le decisioni importanti per il regno, ma all’improvviso tutti uscirono dalle loro stanze, parenti nobili, servitù, quando passò dalla stanza del fratello, lo trovò che andava nella sua stessa direzione, quando diede una sbirciata dentro la camera vide una ragazza delle pulizie, che si copriva le nudità con un lenzuolo.
-e così ti fai delle ragazzine che sono qui per lavoro?- disse Elle mentre camminava incontro a Rudolf.
- non sono affari tuoi, adesso ho da fare, voglio sapere cosa è successo-
-beh anche io ho giusto una punta di curiosità, quindi se non ti dispiace ti seguo-
-queste sono cose da donna, vai nella tua stanza e chiuditi dentro, può darsi che sia qualcosa di pericoloso-
- mi dispiace, ma se fosse qualcosa di molto pericoloso ci sarebbero le truppe reali nei corridoi-
- fai un po’ come vuoi mocciosa, io ti ho avvertita- disse Rudolf con voce altera.
La sala in cui il padre discuteva delle cose importanti, era chiusa da un enorme portone d’ebano pieno di intarsi e arabeschi, le guardie alla visione dei figli del lord aprirono la porta.
Ella vide il padre che batteva il pugno sul tavolo, una guardia stava confabulando qualcosa, Rudolf si schiarì la gola, e disse:- padre, cosa è successo, ero in camera che mi riposavo, quando le trombe hanno suonato.
Alla ragazza venne quasi da ridere – si come no stava riposando- pensò lei.
-una cosa molto grave, un uomo pericoloso che era stato arrestato, è sfuggito alla nostra custodia, sto dando a questa guardia un dispaccio con le indicazioni, ogni casa sarà rivoltata da cima a fondo per trovarlo, è un nemico che sfugge da sempre agli interi regni, è un nemico dell’imperatore stesso-
- padre scusa per l’impertinenza, ma potrei aiutare in questa missione, ormai sono un cavaliere da due settimane, e non mi è stato ancora affidato nessun incarico- rispose Rudolf con un tono di voce supplichevole.
- no ragazzo mio, sarebbe una missione fin troppo pericolosa per te, quel bastardo è un nemico che non va sottovalutato ne ora e ne mai, ha messo in ginocchio l’intera stazione delle guardie cittadine, tu sei il mio unico figlio degno di questo nome, Robert è un sacerdote, tua sorella non vuole adempiere al suo destino, e il tuo gemello è morto, non voglio perdere il mio pupillo e orgoglio-
- padre, sai benissimo, che mi sono fatto le ossa con uno dei migliori cavalieri del regno, e sai ancora più bene che sono un abilissimo spadaccino,  posso sconfiggere chiunque-
- non essere troppo sicuro della tua bravura, non ti devi mai sopravvalutare, è questo quello che devi pensare, perché se ti troveresti davanti un nemico come il fuggitivo avresti poche speranze, detto questo non insistere, la questione è chiusa, adesso andate a cenare, io ho altre cose da fare- disse Main de Luack mentre iniziava a scrivere qualcosa.
Rudolf digrignò i denti, poteva essere mai che quel fuggitivo fosse così temibile da far impaurire persino suo padre? Però non poteva controbattere, con il volere del padre quindi se ne tornò nella sua stanza, dove avrebbe trovato la serva a tenergli caldo il posto.
Elle da parte sua fu felice di vedere il padre così arrabbiato e impaurito, i lineamenti coraggiosi e duri del genitore, sembravano messi a dura prova da quella situazione.
La ragazza uscì, e si diresse verso la sala da pranzo.           
Tutta la gente che un momento prima riempiva i corridoi erano ritornati alle loro stanze, per andare nella sala da pranzo passò dalla stanza del fratello, dalla quale provenivano suoni inequivocabili, lei indignata proseguì per la sua strada.
Sua madre era seduta a capotavola, la sala  da pranzo sarebbe stata vuota senza di lei e Elle, la quale si sedette di fianco alla donna.
-figlia mia, tuo fratello mi ha detto che ti ha visto piangere in giardino, cos’è successo?-
- niente mamma, sarà stato il profumo forte di qualche fiore-
- lo so che non è vero vedo chiaramente che hai ancora gli occhi arrossati dal pianto, è per la decisione di tuo padre?- disse la madre con tono pacato.
-no, ti ripeto che sarà stato solo il profumo troppo aggressivo di un fiore-
- non mentirmi, lo vedo chiaramente che stai soffrendo, a me puoi dire tutto-
- e va bene madre, si, stavo piangendo per la stupida decisione di mio padre, io non mi voglio sposare con qualcuno che non conosco e che non amo-
- ma l’amore viene da se, anche io quando mi promisero in sposa a tuo padre rimasi alibita, ed ero triste all’idea di sposarmi, i primi mesi di matrimonio furono cupi, ma con il passare del tempo il mio consorte mi piacque sempre più, fidati che l’amore verrà da se-
- io non ho il tuo stesso coraggio, e poi tu con mio padre non avete molta età di differenza, lui ne ha cinquanta, e tu quarantatré, mentre io andrò in sposa con uno che ha trent’anni più di me-
- so che la cosa è un po’ diversa, ma fidati perché l’amore arriverà con il tempo, soprattutto con l’avvento dei tuoi figli-
- se mai un vecchio possa darmi dei figli-
- e allora noi, nei primi temi non riuscivamo a fare prole, solo all’età di venticinque anni riuscii a rimanere incinta dei due gemelli Rudolf e Rudel pace all’anima sua povero figlio mio- disse la madre mentre iniziava a mangiare la zuppa che la serva le aveva portato.
Elle si sedette, aveva capito che nemmeno sua madre la poteva aiutare in quella situazione, lei non mangiò subito, avrebbe aspettato la seconda portata, non le piaceva la zuppa.
Dopo poco di venti minuti, Rudolf entrò nella sala, era con il viso imperlato di sudore, ed Elle sapeva benissimo il perché, difatti la ragazza venne dopo tre minuti con i capelli spettinati, e i vestiti spiegazzati.
La madre lo salutò con un sorriso, ed Elle fece finta di non vederlo, ma il fratello rise con quel suo ghigno che le stava antipatico.
Appena la ragazza che era stata con Rudolf entrò con un piatto di cosce, che posò davanti al ragazzo, il quale le scoccò un’occhiata maliziosa, e lei arrossì.
Elle stava quasi per alzarsi, non sopportava quel teatrino imbastito per farla infuriare, però la voce di quell’odioso Rudolf disse:- porta anche alla mia amata sorellina il cibo, non la vorremmo trattare male la dobbiamo fare trovare bene dal suo futuro marito-
La ragazza non volle restare un secondo di più, e disse- non ho voglia di rimanere qui, mamma per favore fammi portare la cena in camera-
Rudolf  la squadrò mentre se ne andava, e anche se non lo voleva ammettere, la sorella stava crescendo, era un vero peccato darla via a un vecchio, se non sarebbe stata la sua adorata sorellina ci avrebbe fatto un pensiero su.
Elle si sedette sul bordo del letto, e sospirò come aveva fatto ogni giorno da quando il padre l’aveva promessa in sposa a uno sconosciuto.
Rimase a fissare la porta, finché non bussarono, andò ad aprire e si trovò davanti la ragazza del fratello con un vassoio si carne e pane azzimo, Elle si trattenne dal cacciare via a pedate quella sgualdrina, prese la sua cena e le sbatté la porta in faccia.
-aspetti- mormorò da dietro il legno la ragazza.
- cosa vuoi?- domandò Elle con tono nervoso.
- mi scusi, ma le vorrei parlare-
- e perché mai, per te e mio fratello, a me non mi importa, lui si può sbattere tutte le sgualdrine di questo regno-
- signorina, io non sono una sgualdrina-
Elle si innervosì per quella frase, aprì la porta di scatto e disse- e allora cosa sei una troia, una prostituta, una troia? Perché io non saprei come definire una che se ne va con chiunque gli capiti-
-No, io l’ho fatto solo con suo fratello, lui mi ricatta, mi dice che se non faccio quello che dice lui mi fa licenziare-
- e se è come dici tu, perché non lo dici a mio padre?-
-perché e la mia parola contro un cavaliere e figlio di un lord-
- allora fatti licenziare e basta, non farla lunga- disse Elle con tono sempre più alterato.
- mia signora, si vede che lei non sa cos’è il lavoro, io ci campo i miei fratelli e la mia povera madre che è malata con i soldi che guadagno qui, se perdo il posto, non saprei cosa fare-
Elle a quelle parole sembrò calmarsi, se era quella, la ragione poteva anche capirla, anzi quella ragazza sembrò quasi farle pena, aveva il peso di una famiglia sulle giovani spalle.
-va bene, io ti devo porti delle scuse, non sapevo che avevi delle bocche da sfamare, io ti posso aiutare, non sopporto mio fratello, e fargli infliggere una punizione da mio padre sarà un piacere che mi vorrei passare, adesso gli e lo vado a dire-
- lasci stare signorina, suo padre non farebbe nulla, tutti gli uomini vogliono quella cosa, e neanche il lord è da meno ma scusate se mi sono espressa in modo, poco consono-
-no non ti scusare, forse hai ragione, tutti gli uomini sono gli stessi, ma mio padre è un nobile, e come tale ti difenderà- disse Elle con tono rabbioso.
La serva scosse la testa con un sorriso sciocco e le rispose- suo padre sa bene quello che faccio con il  figlio, e ho visto il suo sguardo, è solo compiaciuto da come gestisce la situazione suo fratello-
Elle sospirò, era arrabbiata, ma come aveva fatto a non vedere mai quell’aspetto maschilista e malvagio del padre, adesso lo odiava veramente, non poteva credere che era uscito dal seme si quell’uomo, e lei avrebbe dato dei figli a un altro porco, che probabilmente avrebbe fatto lo stesso che ha fatto suo padre.
Lei non voleva lo stesso destino per i suoi piccoli, e soprattutto non voleva quel destino cupo per se, se lo voleva creare il suo futuro, voleva essere libera di decidere, e non ne voleva dare atto al genitore.
-adesso basta però chiamarmi con il lei, dammi pure del tu, più tosto qual è il tuo nome?- disse Elle tentando di fare un sorriso.
- ma  signorina, non so se posso chiamarla con il tu-
- non ti fare problemi, mi stai simpatica, sembra quasi che abbiamo qualcosa in comune, ma non so ancora il tuo nome-
- va bene signora, il mio nome è Flagista , ma non so il suo perché a noi servi non è permesso chiamarvi per nome–
- il mio  nome  è Elle, ma il tuo mi ricorda il dio Flogisterio-
-bene Elle, tu hai qualcosa di diverso dagli altri nobili, sinceramente credo che oltre il rango che ci divide saremo amiche, beh per il nome è vero, mia madre è stata allevata dai monaci della fiamma perpetua gli operanti in terra del dio Flogisterio, e lei ha voluto dare un tributo al suo dio preferito-
- ho capito, ma adesso vai prima che ti rimproverino per il ritardo-
Elle sorrise un’ultima volta, e Flagista lo ricambiò, mentre si allontanava.
La ragazza aveva giudicato male la serva, era una ragazza normale, che era caduta nei luridi e viscidi tentacoli del fratello, quel maledetto odioso che si dava delle arie, solo perché era il figlio di un lord, lei non si sentiva superiore a nessuno, perché pensava che chi si sente più in alto in realtà è più in basso.
Elle chiuse la porta dietro di se, e iniziò a mangiare il cibo che ormai era freddo più che caldo, dopodiché andò a coricarsi, ogni giorno che passava, voleva dire l’avvicinarsi del matrimonio .

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Capitolo 3
*** la ragazza e l'omone ***


Derb corse per tutta la notte in groppa a Bahid, si sentiva dopo molto tempo un fuggitivo era da tre anni che non aveva di fronte il suo terribile passato, perché solo chi sapesse il suo errore gli avrebbe dato la caccia.
Quasi quei momenti passati sopra il suo vecchio e fedele destriero, gli ricordavano momenti in cui era braccato dalle intere terre unite, lui era ancora considerato un pericoloso criminale a distanza di vent’anni-.
Quella sera non vi erano nuvole in cielo, solo una chiara luna con le stelle a farle compagnia, non era una bella notte per scappare, c’era abbastanza luce perché potesse essere individuato, dagli inseguitori.
Derb sentiva sotto di se il battito immenso di Bahid, che sbuffava dalle narici, era l’alba e la povera bestia era sfiancata, dovevano trovare per forza un posto in cui fermarsi.
Mezz’ora dopo l’alba finalmente avvistò in lontananza un piccolo villaggio, poco più di dieci case, avrebbe cercato ospitalità lì.
Le persone che abitavano in quel piccolo complesso di case erano per lo più contadini, lui si fermò davanti un’abitazione con un grande fienile, disse a Bahid di restare fermo, e bussò alla porta.
Aprì una ragazzina di dieci anni, cui mancavano dei denti, delle piccole trecce bionde le cascavano dalla testolina, si leggeva nei suoi occhi ancora innocenza.
-chi sei?- disse la piccina con voce interrogatoria ma impaurita.
- sono un viandante, c’è qualcuno in casa tua con cui io possa parlare?- rispose con un sorriso Derb.
La ragazzina annuì ricambiando il sorriso, dopodiché chiuse la porta e rientrò, dopo un po’ dalla porta fece capolino il viso di una donna sulla trentina, con le mani sporche di farina, e il viso imperlato di sudore.
-cosa c’è forestiero?- disse sulla difensiva la padrona di casa.
- mi dispiace disturbarla, ma ho viaggiato molto, e volevo sapere se mi dareste un po’ di ospitalità, devo riposare solo un tre quattro ore, mi basta un mucchietto di paglia del vostro fienile-
la donna lo scrutò da capo a piedi, il suo occhio si fermò sulla spada che aveva Derb al fianco lei fece un gesto verso l’arma e rispose- a cosa ti serve quella spada?-
-mia cara signora, sono un viandante che vaga da città a città, o mi assoldo una guardia, o la guardia di me stesso la faccio io- disse Derb con un viso misto di ironia e compiacimento.
- una risposta più che convincente, riposatevi nella stalla, avete fino a stasera, prima che mio marito torni da lavoro-
- le ripeto, che tre quattro ore saranno sufficienti, ecco questo è un compenso per la sua gentilezza- rispose Derb uscendo da un borsello una moneta d’argento.
La donna lo fissò per un po’, dopodiché sorrise e prese la moneta, lei stessa andò nella stalla e preparò un giaciglio fatto di paglia, Derb entrò, ringraziò di nuovo la donna e cercò di sistemare anche Bahid, il quale ancora respirava affannosamente, era veramente stanco, forse gli chiedeva molto ma poteva contare sul suo fedele amico.
Dentro la stalla c’era molto caldo, non solo per la limpidità della giornata, ma per la presenza degli animali, a Derb iniziò a venire un piccolo capogiro, poi crollò e si addormentò.
Alla fine le quattro ore divennero sette, l’uomo si svegliò intontito evidentemente il caldo e anche la stanchezza lo avevano fatto crollare, cercò di sollevarsi aggrappandosi a Bahid il quale preoccupato per il padrone sbuffava.
Derb fece qualche passo verso la porta, doveva prendere un po’ d’aria, sentì delle voci provenire dalla casa, dei cavalli sostavano fuori.
-dobbiamo controllare anche la stalla- disse una voce dall’interno della casa.
Derb a quelle parole si accese, quella frase e quei cavalli  potevano  solo dire che i suoi inseguitori lo avevano rintracciato, e quel maledetto capogiro non lo aiutava mica.
Cercò di sbrigarsi, fece abbassare Bahid , e lui si infilò dentro un cumulo di paglia, quella maledetta erba secca lo pungeva da morire, ma era meglio quello che le spade dei nemici.
All’improvviso il portone si spalancò, e entrarono quattro uomini ricoperti d’armature, con le spade in mano, per Derb erano troppi, se sarebbe stato in forze c’è l’avrebbe fatta, ma ancora il suo corpo risentiva del capogiro.
Gli avversari si misero a osservare tutto intorno, per fortuna non notarono nulla, ma lo stesso iniziarono a girare per l’ambiente, in cerca di qualcosa.
Passarono di fronte a Derb più di una volta, ma non lo videro l’uomo sentiva il cuore pompargli a mille, se lo avrebbero scoperto, sarebbe stata la fine del suo viaggio, anche se un senso non l’aveva mai avuto.
Quando tutto sembrava passato e stavano per uscire, uno di loro vide Bahid e disse- ragazzi, quel cavallo non sembra per niente un cavallo da lavoro, e tantomeno non è per le tasche di alcuni contadini-.
Un nemico  guardò il cavallo sorrise, andò a prendere il forcone, e iniziò a punzecchiare tutti i cumuli di paglia, Derb si  preoccupò, e lo fu di più quando l’uomo giunse davanti il suo cumulo.
Il forcone si abbassò sulla paglia, Derb sperò che non lo colpisse, ma non fu così, gli spuntoni gli si conficcarono sul polpaccio della gamba, l’uomo urlò di dolore, mai nessuno l’aveva colpito in un punto simile, e adesso un bastardo c’era riuscito.
I nemici lo circondarono, e lo presero, anche se l’omone era ferito, aveva ancora gli artigli, si fece valere menando fendenti a destra a manca, era accecato dal dolore, e non colpiva nulla che non fosse l’aria.
Bahid si mise sulle zampe posteriori, voleva difendere il padrone a qualsiasi costo, riuscì a colpire un nemico con la zampa – bastardo!- urlò uno degli aggressori, e con un colpo di spada uccise l’animale che cadde a terra, negli occhi il dolore, e un grido di disperazione.
Derb fu accecato dall’ira, aveva la gamba ferita, ma non avrebbe lasciato che la morte del suo amico fosse vana, resistette al dolore fisico, facendo scaturire quello mentale, e iniziò a ingaggiare una lotta con chiunque si avvicinasse, in quel momento era come un leone in gabbia, che mostra gli artigli e i denti.
Ben presto però la rabbia e la furia non furono sufficienti, il numero era superiore,  alla fine si ritrovò a terra con una spada puntata alla gola, però lui incurante di quella lama si alzò, per ripartire all’attacco,  all’improvviso una fitta alla gamba ferita, un bastardo lo aveva colpito con il forcone di nuovo.
Provò a continuare la lotta, ma aveva perso troppo sangue,  in pochi secondi i nemici ebbero la meglio, e lo legarono con delle corde, erano felici di averlo catturato.
 Derb  era più che furioso, sentiva il cuore ribollirgli nel petto, il dolore che veniva dal piede era enorme, ma si dimenava lo stesso come un pazzo.
Avevano ucciso il suo destriero, quel cavallo aveva visto molte battaglie, e mai era caduto sotto le armi nemiche, mai e adesso degli sprovveduti si erano permessi di ucciderlo? Derb voleva sentire supplicare di non ammazzarli a tutti quelli che erano lì.
Sentiva dolore da tutte le parti, ma quello che più gli bruciava era quello della morte di Bahid.
Ci vollero tutte le guardie per poterlo trasportare fino a un cavallo al quale lo assicurarono legandolo sulla sella dell’animale.
Uno degli uomini entrò nella casa, e portò fuori per i capelli la donna e la bambina, lo sguardo infuriato di Derb incrociò quello pieno di odio della madre della piccina, la quale piangeva.
-lo sapevo che avresti portato guai nella mia famiglia, guarda negli occhi mia figlia, che tra poco morirà per colpa tua e delle malefatte che hai combinato, maledetto bastardo- urlò piangendo la donna.
Derb si sentì colpito nell’orgoglio, ma in fondo lei aveva ragione, per chi ospita un fuggitivo, c’è una pena severissima, la morte.
Gli uomini imposero le spade al cielo, uno di loro si avvicinò alle due figure che si stringevano tra loro, la bambina piangeva, guardando con gli occhi colmi di lacrime Derb che da parte sua sentiva quello sguardo peggiore di una stoccata dritta al cuore.
La donna invece lo malediceva con sguardo di fuoco, il loro boia calò la spada e spiccò in un sol colpo la testa alle due, Derb non si sarebbe mai scordato quella scena, ne aveva viste nella sua vita, ma in quel momento si sentiva un grandissimo bastardo, per colpa sua quella due avevano perso la vita.
L’uomo che aveva fatto l’esecuzione, disse- coprite i corpi di queste stupide, gettateli dentro la casa e bruciatela, così da dare esempio a chi da rifugio ai nemici-.
Tutti obbedirono e iniziarono a cospargere la casa di una sostanza infiammabile,  poi gettarono una torcia dentro l’abitazione, che in poco tempo si trovò invasa dalle fiamme alte.
Tutti gli abitanti avevano assistito alla scena inorriditi, pensando se veramente Lord Main de Luack pensasse al meglio per loro, in fondo la donna non sapeva chi ospitava.
Il gruppo partì dalla città appena le fiamme impetuose della casa divennero delle tiepide braci che scoppiettavano, e ancora si notavano i lineamenti di una sedia, o del tavolo, ma soprattutto miracolosamente il corpo della bambina era rimasto quasi integro, solo con qualche bruciatura.
Derb prese quel fatto come un segno, avrebbe ucciso a qualunque costo lord Main de Luack.
Il viaggio di ritorno fu lento, e Derb ebbe modo di riflettere, forse era l’ora di mettere fine alla sua vita, aveva perso l’unico amico che gli restava, per colpa sua erano morte due innocenti, e quello gli pesava più di tutto.
Sentiva il dolore della ferita crescergli a ogni scossone del cavallo, era una fitta lancinante che non smetteva di tormentarlo, ma quello che gli faceva più male erano le anime della donna e della bambina, mai in tutta la sua vita si era sentito così in colpa.
Ogni tanto i suoi carcerieri gli davano un pugno sulla ferita ridendo, se non fosse stato legato di loro, non sarebbe rimasto nemmeno il ricordo, li avrebbe stritolati con le sue mani.
Viaggiarono tutto il giorno, non si fermarono nemmeno di notte, facendo una parte di viaggio con il buio, gli uomini ridevano felici che avevano acchiappato loro il nemico, e che avrebbero ricevuto una degna ricompensa.
Le mura che circondavano la città si fecero vedere verso mezza notte, le lanterne delle guardie erano sospese in aria, sembravano i fuochi fatui del nord.
Una voce venne da uno dei punti vedetta, diceva- chi è là?-
-siamo la truppa tre mandata al villaggio di Calanda, abbiamo trovato il fuggitivo-
Non vi fu nessuna risposta, il portone principale si spalancò e fece rientrare i soldati, i quali tirarono dritti verso la caserma delle guardie, per consegnare il fuggitivo.
La città era deserta, tranne che per qualche ubriacone che andava pisciando da muro in muro e i gatti che andavano cercando la loro cena.
Derb già vedeva la sua fine, s’immaginava appeso ad una corda, o con la testa staccata dal collo, ma sentiva che era vissuto già molto, e nelle tenebre della morte avrebbe trovato la pace che nella luce dei giorni non aveva trovato, finalmente i tormenti delle sue azioni si sarebbero dispersi nei venti dell’inferno, i suoi pensieri rubati dal demone dimenticato.
Non lo portarono alla centrale delle guardie, la loro strada prese, una svolta verso il castello, e Derb si stupì, come mai lo stavano portando lì? Di solito i fuggitivi venivano tenuti in una cella per una settimana, senza cibo, e poi venivano decapitati.
Quel cambio di destinazione fece capire a Derb che Main de Luack lo voleva sfottere un po’, ma con lui non c’era da scherzare-
Il portone del castello si abbassò, facendo passare il gruppo, nel buio della costruzione vedeva due finestre aperte con le luci accese, in una Derb scorse una graziosa ragazza di tredici anni circa, con le mani negli occhi che tentava di frenare le lacrime, dall’altra arrivava l’ombra di un uomo seduto su di uno scranno.
I corridoi del castello erano tutti gettati nelle tenebre, si intravvedeva a malapena il pavimento di pietra lavorata, le pareti adorne di quadri sembravano lontane.
 Derb non capiva il perché di quell’oscurità.
Camminarono molto prima di arrivare davanti un enorme porta, su cui due guardie con alabarda sostavano, appena però videro il gruppo aprirono i battenti.
Un’enorme stanza di marmo si aprì sul gruppo, le armature messe a muro erano di una bellezza abbacinante, erano di varie leghe preziose, che andavano dall’oro, all’argento, poi anche di quartenite.
I quadri appesi ai muri rappresentavano la stirpe di quel lord, da Uriten de Luack all’attuale signore Main de luack.
Un grande scranno decorato con pietre preziose, troneggiava in fondo alla stanza, su di esso sedeva con fare arcigno e reale un uomo sulla cinquantina, con gli occhi azzurri ottenebrati dalle ciglia.
Gli uomini che avevano preso Derb erano contenti, avrebbero ricevuto una bella ricompensa.
Arrivati sotto lo scranno, costrinsero Derb a terra dandogli un calcio alla ferita, gli uomini fecero una reverenza, il portavoce disse:- mio signore abbiamo riacciuffato il fuggitivo-
Il lord aveva un ghigno maligno stampato in viso mentre osservava quella montagna umana, un nemico temuto da tutte le nazioni messo in ginocchio davanti a lui.
Main de luack si alzò dal posto che occupava e si avvicinò al prigioniero, con un bastone di legno blu alzò il mento di Derb, il quale lo fissò con gli occhi di una iraconda.
Il lord aveva visto di tutto, ma mai uno sguardo così potente e in grado di mettere in soggezione, avrebbe voluto distogliere il suo campo visivo, ma non demorse.
Dopo qualche istante Main de Luack si girò e ritornò al suo scranno e disse- e così, il temibile Derb nemico di tutto e di tutti, chi fece tremare tutti i grandi re, è inginocchiato ai miei piedi-
-sono inginocchiato ai tuoi piedi solo perché ci sono le tue guardie a trattenermi bastardo-
Dopo quella frase, i lord, digrignò i denti, e colpì Derb sul viso con il suo bastone.
A quell’affronto l’omone strattonò le sue guardie, ignorò il dolore della gamba, e diede una testata al lord, i quale iniziò a perdere sangue dal naso.
Main de Luack si mise a urlare:- il naso, mi ha rotto il naso-
Derb era una furia sentiva dolore, adrenalina e altri sentimenti tutti in un momento.
Una guardia tentò di fermarlo, ma l’omone lo caricò a testa bassa come un toro, il nemico fu a terra.
Tutti gli uomini del Lord si gettarono su Derb, il quale anche se era ferito, e legato lottava come un forsennato.
Alla fine però la rivolta dell’omone fu placata, questa volta però lo legarono a una colonna di marmo.
Lord Main de Luack era seduto sullo scranno, con un fazzoletto imbrattato di sangue che gli copriva il naso, e uno sguardo assassino stampato in viso.
Dopo qualche minuto il Signore si alzò e si avvicinò di nuovo a Derb, un altro colpo di bastone più violento ruppe il silenzio frastornante.
L’omone tentò di scattare, ma la corda lo teneva legato alla colonna, non gli restava che uccidere il Lord con il suo sguardo di ghiaccio.
-Derb, sei sempre stata una belva, un animale pieno di forza che va subito su tutte le furie, ma adesso sei mio prigioniero, e dopodomani sarai portato ad albanera, dove ti attenderà l’imperatore per giudicarti bastardo.
Purtroppo non ti posso uccidere, ma se potessi prenderei la mia frusta e ti scuoierei vivo a frustate-
-e se io invece fossi libero da queste maledette corde, a quest’ora tu saresti a terra con il collo rotto e un intero stato che esulta per la tua fine, sei solo un vigliacco che fa uccidere donne e bambini,  ma alla fine ti nascondi dietro le tue guardie, che non sono quasi riuscite a fermarmi.
Ricordati Lord dei miei stivali, verrà il giorno seppur lontano in cui qualcuno ti ucciderà, anche se non sarò io sarà qualcun altro, ti esce sangue, segno che per quanto tu sia ricco e nobile la morte c’è anche per te- disse Derb con una voce che faceva tremare l’intero castello da cima a fondo.
Lord Main de Luack rispose- guardi portatelo nei sotterranei del castello-
Alcuni uomini eseguirono l’ordine e portarono via l’omone che sbuffava come un cavallo che aveva corso per due giorni di fila-.
Il Lord si sedette sullo scranno, tamponando ancora il naso, le guardie che avevano preso Derb erano ancora lì, che guardavano Main con devozione.
Il Signore disse- volete una ricompensa vero?-
-si sua magnificità- rispose uno del gruppo.
Main sorrise e disse- guardie toglietemi questa feccia da davanti, uccideteli-.
Alcuni uomini eseguirono gli ordini portando fuori dalla stanza il gruppo che urlava contro il Lord che dal canto suo aveva in testa le lodi che l’imperatore avrebbe fatto a lui per aver preso una persona pericolosa come Derb.
 
Derb era iracondo, le guardie lo stavano trasportando come un cane verso i sotterranei, la ferita si era riaperta, e l’omone era costretto a strisciare quasi a terra.
Gli uomini che lo avevano in custodia infierivano su di lui pizzicandolo con la punta della spada e dicendo:- e questo sarebbe uno pericoloso che sembra un cagnolino-
Derb voleva rispondere all’affronto, ma aveva bisogno di forze e non lo fece.
I corridoi prima bui adesso splendevano, gli abitanti del castello dopo il trambusto erano alzati, e fissavano Derb con odio e rancore.
Un ragazzo che somigliava a Lord Main de Luack, disse ridendo- e così il terribile fuggitivo era questo straccione? Meglio che torno dentro a riscaldarmi-
Derb non era mai stato umiliato così tanto in vita sua, nel profondo covava la vendetta contro Lord Main de Luack, più di una volta aveva sbagliato con lui, e di solito già alla prima sarebbe stato morto.
Tra tante facce stupite ne incontrò una, una faccia rosea e bella, era la ragazza che aveva visto piangere dalla finestra, lo guardava con pietà, e ammirazione.
Derb la fissò a lungo con il suo sguardo, lei non ebbe paura e lo fisso dritto negli occhi, lui vide in lei sofferenza, e lei un profondo odio.
La ragazza prese un fazzoletto, entrò nella stanza per qualche secondo, per poi uscire di nuovo.
Fece finta di avvicinarsi a una delle guardie che aveva in custodia Derb e  passo tra le mani dell’omone il fazzoletto, poi lei tornò alla sua stanza.
Derb vide il pezzo di stoffa e lesse- io sono Elle de Luack, figlia di Main de Luack cosa di cui mi pento, ho saputo cosa hai fatto e ho stima di te, ti voglio incontrare prima che domani mi sposi-.

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Capitolo 4
*** lotta per la libertà ***


Derb, fu gettato nello squallore di una cella, mentre le guardie ridevano tra loro.
 L’uomo se ne infischiava, ma era perplesso sulle parole scritte su quel fazzoletto, possibile che quella ragazza fosse la figlia di Main de Luack? Non gli somigliava per nulla, e poi apprezzava la sua azione.
Gli occhi di Elle erano rimasti impressi nella mente di Derb, erano pieni di speranza, pieni di coraggio e vita, aveva una fiamma contagiosa.
Si sedette su un blocco di pietra messo in un angolo della cella, guardava il buio interrogandosi per quanto tempo sarebbe rimasto in quelle quattro mura.
Derb non faceva che pensare a Elle, c’è l’aveva stampata nella testa, ma non sapeva il perché, la conosceva solo di vista, forse era stato quel piccolo pezzo di stoffa, a farlo impressionare, forse il perché era racchiuso dentro un piccolissimo particolare: era la figlia del suo nemico.
Più di una volta l’omone dovette strapparsi la camicia, per fare degli stracci con cui legare la gamba, quella maledetta ferita lo stava facendo impazzire, l’aveva sforzata fin troppo.
Passò sei ore là sotto, vide la luna che pian piano se ne andava, fino all’alba che vedeva il sole spuntare da est.
All’improvviso nei sotterranei ci fu un sacco di trambusto, delle guardie trasportavano un uomo, lo trasportavano letteralmente, aveva varie ecchimosi, il corpo pieno di percosse e di frustate.
Derb lo osservò bene, era l’uomo che aveva visto nella centrale della guardia cittadina, quello stesso uomo che lo aveva sorpreso per il sorriso.
L’omone era pieno di curiosità, avrebbe voluto vedere chi era, ma forse i suoi interrogatori sarebbero cessati, perché aprirono la sua cella e vi gettarono dentro l’uomo.
Una guardia disse ridendo- ecco insieme due bastardi traditori-.
Derb si chiese il perché di quella frase, mentre gli uomini se ne andavano su per le scale.
L’omone non ci pensò più di tanto e si diresse dolorante verso il suo compagno di cella, dicendo- stai bene?-
L’uomo si alzò a fatica e si appoggiò al muro, sputando sangue poi rispose dicendo- sono stato meglio-
-che cosa hai fatto per essere ridotto così e per essere portato nelle segrete del castello?-
-Quasi i tuoi stessi crimini Derb- rispose l’uomo.
- e tu come fai a sapere il mio nome- disse Derb con una punta d’ira.
- chi non conosce il grande derb, il rivoluzionario, forse sarai dimenticato in queste terre, ma non in quelle libere-
- era da molto che non mi sentivo chiamato Derb il rivoluzionario, mi ricordo di quei tempi, tu sei una spia vero? E ti sei fatto catturare-
- si mi hanno catturato, ma forse ti sei già scordato che le terre libere non sono sprovvedute, la situazione è diversa, sono stato io a farmi prendere, così quando fuggirò, avrò molte informazioni-
- non mi sembra così facile scappare da qui-
- non per una spia normale, ma per me si- rispose l’uomo con un sorriso e facendo comparire una luce verde dalle mani.
Derb guardò gli arti dell’uomo, aveva gli occhi fissi su quella luce verde, balbettò un attimo poi disse- tu sei un mago, è da anni che non ne vedo uno, su queste terre non c’è ne sono più –
-me lo immagino, il popolo dei maghi era stato sterminato dall’imperatore, ma quei pochissimi sopravvissuti sono riusciti a rifugiarsi nelle terre libere-
-mm bene, era da molto che non vedevo un mago, tu sai già il mio nome, il tuo qual è?- chiese Derb.
- il mio nome è William-
- bene William, che ne dici se iniziamo a progettare ora la nostra fuga?-
- certo, ma dimmi Derb ti vuoi di nuovo unire alle terre libere?-
- non lo so, ho già visto troppa guerra, e troppa sofferenza, certo il mio obiettivo è distruggere il bastardo di Main de Luack-
- e non vorresti puntare più in alto? Tipo l’imperatore-
- l’imperatori, era uno dei miei obbiettivi, e lo è tutt’ora, anche se lo odio ancora per quello che mi ha fatto, è un uomo pieno di poteri, è quasi impossibile avvinarcisi, persino i suoi amici devono prima passare miriadi di domande, e perquisizioni-
- lo so, ma ti sembra giusto il potere che ha? È troppo per un uomo solo e lo esercita come un tiranno tenendo sotto giogo il popolo, noi delle terre libere siamo gli unici che abbiamo ancora coraggio di ribellarsi contro lui-
- non so che dirti William, per adesso lascio stare-
- bene, io adesso se non ti dispiace curo le mie ferite, a quanto vedo ne hai una anche tu e sembra anche grave, sta andando in cancrena, avvicinati che ti aiuto-
Derb si mise a fianco del mago, il quale iniziò a pronunciare parole incomprensibili, e subito l’omone si sentì sollevato, vide la ferita rimarginarsi pian piano, e la fronte di William imperlarsi sempre più di sudore.
Dopo venti minuti la gamba di Derb fu come se non fosse mai stata ferita, il mago sorrise, ma era visibilmente provato, e all’improvviso il volto di un quarantenne lasciò posto a quello di un giovane sulla ventina.
-ma cosa ti è successo alla faccia?- disse Derb stupito.
-questo è il mio vero viso, devi sapere che per non farmi riconoscere prima di essere catturato ho fatto una magia per cambiare il mio volto, ma dopo averti curato, ho perso molte energie, poi ero già spossato dalle torture e quindi non sono più riuscito a trattenere la trasfigurazione-
-mm mi dispiace, adesso coricati e nasconditi il viso, penseremo dopo alla fuga-
William annuì e si mise in un angolo, in cui nessuno l’avrebbe visto.
 
Elle dopo aver parlato con Flagista, aveva provato a dormire, ma era troppo angosciata, sia per il suo matrimonio, sia per la sua nuova amica.
Andò fuori sul balcone a fissare il cielo, era limpido con una magnifica luna, sotto del castello vedeva la città ancora desta dopo l’allarme, vedeva le torce delle guardie che perquisivano ogni casa, a volte con troppa violenza.
All’improvviso nel corridoio sentì molto rumore, Elle si affacciò dalla porta e vide che delle guardie trascinavano un ragazzo sudicio di sporco che opponeva resistenza.
La ragazza si sentì in pena per quel poverino e disse- che cosa ha fatto quel poverino?-.
-mia signora, questo ragazzo era lo stalliere che aveva in custodia il cavallo del fuggitivo, lui lo ha lasciato andare e dopo aver parlato con il re suo padre, ha deciso di farlo uccidere-
- lui cosa ha fatto di male?-
- non lo dica a me io, eseguo e basta-
Elle si morse le labbra e rientrò nella sua stanza, suo padre le stava sempre più antipatico e non poteva raccapezzarsi di come fosse possibile della crudeltà del genitore.
Lei forse era l’unica ribelle della sua famiglia, dalla sua parentela era vista come la pecora nera, ma in realtà lei si sentiva diversa forse era l’unica normale in quel mondo di lusso e crudeltà.
Passò la notte a pensare come fosse crudele il destino con lei e chiunque avesse a che fare con suo padre e il fratello.
La mattina le soliti servitrici la vennero a svegliare e a vestire con la solita cura e la solita eleganza regale.
Elle sapeva che essere una ricca e sposarsi con un nobile era il sogno di ogni altra ragazza, ma lei invece voleva essere proprio una ragazza normale.
Nella sala da pranzo c’erano sua madre, suo fratello e suo padre che la vide entrare con fare nervoso.
Elle salutò di malavoglia i presenti e si sedette, da una porta arrivò Flagista e lei le sorrise, la serva non poté ricambiare, stava portando la colazione.
Quando Flagista  passò da Rudolf, Elle vide che il fratello palpava il sedere alla ragazza che dal canto suo non disse nulla.
Appena la serva portò la colazione a Elle lei di nascosto disse- ma come lo puoi sopportare?-
Flagista versando del latte caldo rispose in sottovoce dicendo- purtroppo lo devo fare-.
Lord Main de Luack all’improvviso disse- Elle oggi devi gioire-.
La ragazza fu colta in sorpresa, e disse- perché padre?-
-domani sera verrà il tuo futuro marito per sposarvi- rispose il Lord con tono freddo.
Elle sputò tutto il latte che aveva bevuto, si stava soffocando quasi, ci volle qualche secondo prima che la ragazza masticasse bene le parole del padre, e quando ne comprese appieno il significato, disse- ma così su due piedi?-
-si, il nobile con cui ti devi unire in matrimonio si trova nei paraggi per affari e mi ha detto che passerà per sposarsi-
La ragazza era furibonda, questa volta non avrebbe trattenuto quello che pensava e urlò- non sono un oggetto, che mi puoi barattare per un’alleanza, non sono una spada che un guerriero passa a prendere, sono stufa di questa situazione, io voglio essere libera di fare ciò che voglio della mia vita-.
Lord Main de Luack fissò la figlia con degli occhi pieni d’ira, si alzò dal posto  si avvicinò alla ragazza e le tirò un sonoro schiaffo.
-adesso basta, tu devi ascoltare me, io sono stufo di questa situazione, ho una figlia selvaggia che non sente il padre, la tua vita viene da una parte di me e decido io per te, tu non hai potere sulla tua vita, ricordalo adesso finisci di mangiare ingrata- disse il lord urlando.
Elle aveva la guancia rossa, questa volta il padre aveva passato il limite, si alzò dalla sedia facendola sbattere sul muro, fissò il genitore con tutto il suo odio, poi uscì dalla stanza sbattendo la porta.
La ragazza era riuscita a stento a trattenere le lacrime, ma appena fu fuori fu libera di sfogarsi.
Andò nel giardino e sedette su una panca, questa volta il padre aveva passato il limite, lei non era di lui, non era di nessuno, soprattutto di un vecchio balordo che la voleva sposare.
Perché la vita era così avversa contro lei e contro le donne? Avrebbe voluto uccidere con le sue mani il padre, non le sarebbe importato che le aveva dato la vita.
Aveva il cuore a pezzi se solo pensava che avrebbe trascorso l’eternità dei suoi giorni in un castello, con lei ancora giovane, e sicuramente il marito che sarebbe morto, lasciandole un regno e dei figli da crescere e da accudire come lui.
Elle dopo un po’ si  rifugiò nella sua stanza, a piangere come al solito, vi rimase chiusa fino a sera.
All’improvviso verso la mezza notte un servo si mise a urlare per il castello che il fuggitivo era stato riacciuffato e portato davanti a Lord Main de Luack, e l’uomo aveva sfidato il nobile rompendogli il naso con una testata-.
Elle appena sentì la notizia non poté che mettersi a ridere come una pazza, un uomo che sfidava il padre doveva essere uno cui non importava molto del rango, e quel particolare le iniziava a piacere.
In realtà la ragazza avrebbe desiderato tanto vedere quel fuggitivo, lo iniziava a stimare.
Dopo qualche minuto dalla notizia le guardie passarono dal corridoio trasportando il fuggitivo che sembrava una belva incatenata.
Lo sguardo di Elle si perse in quello furioso dell’uomo, la ragazza vedeva sofferenza, e odio in quegli occhi, lei non ne ebbe paura, anzi si sentì confortata, si sentì piena di calore, un calore che mai aveva provato.
Si sentì in qualche modo attratta da quell’uomo, lui aveva in volto stampato la voglia di fuggire da lì e uccidere suo padre, la stessa cosa che voleva lei, quindi prese un fazzoletto e rientrò nella stanza.
Prese dell’inchiostro e scrisse sul pezzo di stoffa: - io sono Elle de Luack, figlia di Main de Luack cosa di cui mi pento, ho saputo cosa hai fatto e ho stima di te, ti voglio incontrare prima che domani mi sposi-.
Uscì dalla stanza e iniziò a dire alla guardia chi fosse il prigioniero, ma di nascosto gli passava il fazzoletto, Elle non badò alla risposta della guardia e ritornò nella sua stanza mentre vedeva l’uomo leggere le parole.
La ragazza aveva deciso che voleva aiutare quell’omone a fuggire, e sarebbe andata con lui, era sicura che l’avrebbe portata con se.
Quella notte finalmente dormì in tranquillità, sognando prati in fiore in cui correre in libertà senza suo padre a guastarle i suoi sogni.
Si svegliò due ore dopo l’alba, un’ora prima che le sue serve arrivassero a svegliarla e vestirla, aveva deciso che sarebbe scesa nei sotterranei in quel momento stesso.
La porta che scendeva era ben sorvegliata, c’erano due guardie ben impostate che appena videro alla ragazza, non s’inchinarono ma dissero- cosa ci fate voi qui?-.
La mente di Elle credeva di trovare le solite guardie cortesi con lei, ma si sbagliava erano due uomini di quelli scelti dal padre per mostrarsi fedeli solo a lui.
-sono qui perché il mio gatto è entrato lì sotto e lo vorrei riprendere- inventò lei.
-mi dispiace ma lì sotto non scende nessuno, tantomeno voi e per di più per uno stupido gatto-
Elle digrignò i denti e rinunciò al suo piano, fece dietro front e si diresse dal padre aveva un’idea.
Andò nella sala delle riunioni sicura di trovarlo lì, e così fu, chiese di essere accolta, e il padre la fece entrare.
Il Lord disse con tono freddo- cosa vuoi figlia ingrata?-
-padre ti chiedo scusa per il mio comportamento, sono stata una stupida a farti arrabbiare- rispose lei fingendo.
-mm bene  quanto pare hai capito il tuo sbaglio, quindi stasera non farai cazzate davanti al tuo sposo?-
- no padre, ma ti chiedo un favore-
-bene, vediamo cosa vuoi-
-voglio vedere l’uomo che ieri hanno riacciuffato-
Il padre la fissò con stupore, e disse- e perché mai?-.
-perché ho saputo che ti ha picchiato, e non mi è piaciuto, se le tue guardie lo possono umiliare, lo può fare anche tua figlia vero?-
Il padre la fissò a lungo poi disse- si hai ragione, vai da lui, ma da fuori da dentro sarebbe troppo pericoloso, tieni fai vedere questo alle guardie-.
La ragazza prese un anello che il padre le porgeva, era al settimo cielo, e poi vedere il naso del padre rosso e gonfio la faceva ridere, ma si tratteneva.
Uscì dalla stanza e si diresse subito al punto di partenza, dove trovò le guardie che le dissero:- che vuoi di nuovo?-
-questa volta ho il permesso di mio padre per entrare, guardate- rispose la ragazza mostrando il gioiello.
I due lo fissarono, e infine aprirono la porta facendola entrare poi dissero- attenzione però, lì sotto ci sono due pericolosi detenuti-
Lei annuì ed entrò, vide un’altra guardia a un angolo, ma questa appena la vide fece una reverenza senza dirle nulla.
Elle vide che non c’era quasi nessuno poi girò angolo, e sentì una voce, vi si diresse e trovò chi cercava.
Era lui l’uomo della sera precedente, che la fissava con stupore, però notò che in un angolo della cella c’era un altro carcerato girato dal lato del muro.
I loro occhi si fissarono, si c’era qualcosa di celato in entrambi.
Elle si avvicinò e disse- voi siete l’uomo che ha rotto il naso a mio padre vero?-
-si e tu sei la ragazza che ieri sera mi ha dato un fazzolettino, e a quanto pare non era uno scherzo, cosa vuole la figlia del mio nemico da me?-
- o lo crediate o no, io sono qui per aiutarvi a fuggire e unirvi a voi-
-senti ragazzina, io sono un farabutto bastardo come mi definirebbe tuo padre, e tu mi sembra che hai un odio profondo per il tuo genitore, ma tu devi restare dove sei-
- forse tu non mi hai capito, io voglio che mio padre muoia, non lo sopporto più ha fatto soffrire me e tanta altra gente, voglio scappare via da qui, e l’unica soluzione che trovo è quella di aiutarti a fuggire e venire con te-
- mm, e sentiamo allora come pensi di aiutarci?-
- perché aiutarvi?-
-perché quello che vedi lì è un mio amico, e voglio che venga anche lui-
- va bene, basta che me ne vada via da qui, ancora non so come aiutarvi, ma qualcosa inventerò, voi tenetevi pronti in qualsiasi momento, ma almeno mi dici il tuo nome?-
- mi chiamo Derb, e sono un po’ scettico sul tuo aiuto-
- non lo essere sono decisa ad abbandonare questa vita, mi fa schifo, stasera mi devo sposare, e io invece voglio essere libera-
- d’accordo, ma ti avverto se davvero fuggiremo grazie a te, e verrai con noi se ci darai un minimo di impiccio ti lasceremo da qualche parte-
-va bene per me ci sto, ma almeno si potrebbe presentare il tuo amico?-
- certo, mi presento, sono William  piacere di conoscerti- disse il mago girandosi.
Elle rimase di stucco appena vide il giovane viso del carcerato, aveva la pelle chiara, un sorriso che l’aveva stupita, gli occhi azzurri erano due zaffiri che scrutavano con dolcezza.
Aveva i lineamenti delicati, ma in alcuni punti deturpati da lividi, tutto il corpo era martoriato, ma si denotava una certa prestanza fisica.
Elle sentiva il cuore battergli all’impazzata, non aveva mai provato un simile sentimento, sentiva le gambe tremargli, lo stomaco in subbuglio, e i suoi occhi riempirsi di quel ragazzo, adesso aveva una ragione in più per aiutarli: si era innamorata.

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