Ando, Eiji, la vita è tutta un'altra cosa.

di xujunqing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Metro. ***
Capitolo 2: *** Non ti conosco, Eiji. ***



Capitolo 1
*** Metro. ***


                                                   Capitolo primo.

- Metro.


Le mie giornate erano sempre le stesse: mi svegliavo, andavo a correre, tornavo a casa, indossavo il classico completo giacca e cravatta e salivo sulla metro. Per educazione e costume, nella nostra società, la gente in metro è molto silenziosa, tranquilla, quasi non si sente il suono del respiro dei passeggieri. L'unico rumore che avrete possibilità di udire su una metro di Tokyo saranno quelli dei tasti del notebook e quelli del cellulare.
Ma quel Lunedì, -dannato Lunedì-, purtroppo, un signore infantile entrò di fretta dentro il vagone,  che conversava al cellulare. No, non conversava, urlava, ripetendo monotonamente -pare al suo capo- di essere quasi arrivato in ufficio, che non avrebbe più ritardato, che quella sarebbe stata l'ultima volta. Quel chiasso da lui provocato mi svegliò e come prima cosa vidi molta gente girarsi a guardarlo; era colpevole di un fatto maleducato e deplorevole e in quel momento era al centro dell'attenzione. Quasi incuriosito, diedi uno sguardo anch'io -nonostante avessi gli occhi ancora assonati- per osservare quella persona che era oramai diventata la rogna di tutti noi passeggeri.
Inizialmente mi sembrò di vedere una figura piacevole, ma man mano che gli occhi iniziarono a fare il loro lavoro, mi venne quasi un colpo: occhiali dai vetri rotondi, taglio di capelli a scodella, orrenda camicia gialla con fantasie violette. Mi parve quasi di vedere l'opposto di m
e, perché, io personalmente, utilizzavo lenti a contatto, avevo i capelli molto corti e indossavo camicia di colori neutri e delicati, così come ogni salaryman dovrebbe vestirsi. Eppure, quel bambinone di almeno quarantanni con la valigetta sembrava un povero pazzo mai cresciuto.

Ritornando al dunque, quello squilibrato, sfortunatamente, mi coinvolse in un gioco di sguardi; appena notò infatti che stavo osservandolo in maniera a dir poco sconvolta, cominciò a sorridermi in un modo così spaventoso che non riuscii a resistere a quella visione. I suoi occhi, seppur belli, espressivi e di una forma speciale, mi terrorizzarono, il suo sguardo sembrò quello di qualche personaggio di film dell'orrore, per non dire altro, seppur bellissimo.

« Salve. » Mi sussurrò, nonostante mi parve quasi forzato, cercando di non attirare l'attenzione per la seconda volta. « Posso sedermi? » Mi chiese sorridendo e sfoggiando la sua espressione tenebrosa ma interessante per l'ennesima volta.
« Sì, si sieda. » Gli risposi per educazione, girando la testa da un'altra parte e tirando verso di me la mia valigetta con i documenti e il lavoro completato il giorno prima, che avrei dovuto consegnare al capo il più presto possibile. Quella sera stessa, povero me, non riuscii a riposare bene perchè, i giorni precedenti, non feci che dormire in ufficio, a causa del troppo stress.
Fui costretto a stare sveglio per completare di fretta il lavoro assegnato.
« Posso vedere cosa c'è dentro? La prego! » Ed indicò la mia ventiquattr'ore. 
« Scusi, ma non posso e sono di fretta. » Questa era la scusa più plausibile e quella di cui non avrebbe potuto contestare, alla fine mi sbaglio, o siamo sconosciuti?
Rimasi di stucco; come poteva un uomo essere così sfacciato e maleducato, e soprattutto, come poteva chiedere ad uno sconosciuto di mostrargli cosa ci fosse dentro la borsa?
« Dai, sono curioso! » Le sue sottili e femminili dita andarono sulla mia valigetta e iniziarono a tirarla verso di sé; inutile dire che fu l'inizio di un tira e molla ridicolo ed infantile. Il risultato? La valigetta cadde a terra così come tutto il mio lavoro, la mia voglia di vivere e di andare a lavoro. Gli sguardi della gente inevitabilmente si focalizzarono verso di noi, che, in fretta e furia raccattavamo le carte e cercavamo di sistemarle il meglio possibile.
« M-mi dispiace tanto... » Pronunziò flebile quell'idiota cercando di sdrammatizzare il tutto, cominciò a sorridere e mi tese la mano nonostante ci trovassimo ancora per terra. « Mi chiamo Mihara Eiji, e Lei?»
« Lasci stare, mi chiami Ando. » Gli dissi, uscendo dal vagone della metro ed invitando pure lui ad avanzare, visto che era così sbadato che non si era accorto ch'eravamo già arrivati alla stazione di Bakuro. Così occupato ad osservar
mi ed infastidirmi, dal vago uscì per ultimo con la testa fra le nuvole e strafottente del fatto che il suo capo lo sgridasse continuamente per i suoi ritardi.
 

Insieme alla folla uscii dalla stazione sulle scale mobili, ripensai un attimo alle mie idee sulla vita: poco prima d'incontrare Eiji credevo che la vita fosse solo una tortura monotona a cui nessuno poteva scampare. Ma volte l'esistenza viene condita da degli incontri particolari che ti fanno cambiare idea in maniera radicale. Guardate Eiji, cari lettori, che con semplicità e armonia si gode la propria vita, per darsi il tempo di dormire quanto necessita, per lavarsi come dice lui e senza fretta, decidendo da solo quello che vuole.
E' quello che dovremmo fare tutti noi, vittime di una società alienante e stressante, che non ci permette di dedicarci a ciò che siamo veramente, che non permette di ricordarci che siamo essere umani e non macchine, che non viviamo di mansioni ma di aria, che non ci nutriamo di carte ma di alimenti, che la nostra vita sociale non si basa nel vivere davanti ad un computer per lavorare.


« Mi scusi per l'accaduto di oggi, mi dispiace tantissimo! A domani, binario 4, stessa ora! Chu~ » Una voce divertente proferì queste parole affannose. Mi girai, sentii lo schioccare di un bacio confuso di Eiji su una parte a caso del mio viso.
Velocemente, di corsa, il mio conoscente si dissolvé tra la folla.


[Angolo autrice: Questa... cosa è nata in un momento di strana e pazzesca ispirazione dopo aver visto Naked Blood (il film horror) che non c'entra niente con la storia... ma mi ha ispirata moltissimo. Boh. A parte questo, recensite pure, non importa se negativamente o positivamente, un abbraccio. xjq.]

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Capitolo 2
*** Non ti conosco, Eiji. ***


 Capitolo secondo.

- Non ti conosco.


"Signor Mihara,. 
Ci siamo conosciuti oggi per caso, in quella confusa metro. Mi ha disturbato, mi ha svegliato con i suoi stupidi schiamazzi, mi ha sorriso ed è venuto a parlarmi e buttarmi borsa a terra. Ad essere onesto non capisco perché mi abbia invitato a vederci di nuovo. Se, per caso, desiderasse fare amicizia con me, beh, se lo tolga dalla testa! Non sopporto né il suo comportamento né il suo vestiario, sono dell'idea che siamo troppo diversi.


Buona fortuna."


Quella mattina mi svegliai con la lettera scritta per Eiji vicino a me tra le dita, segno che la notte prima l'avevo controllata più volte: volevo fosse chiara e diretta, non volevo avere a che fare con quello squilibrato a lungo, andava contro ogni mio valore morale. Io, abituato ed educato da una famiglia ricca e lavoratrice, ho sempre sostenuto che chi non si dedicasse al lavoro con dedizione e puntualità non fosse un essere umano, ma solo un rifiuto, un cancro della nostra società. Perciò continuare anche solo ad osservare Eiji era un qualcosa di orribile e terrificante. Andava contro la mia morale anche il come si vestiva ed atteggiava. Lui, povero pazzo, non era un uomo ma solo uno stupido bambinone che pensava che ogni cosa si adattasse alle proprie esigenze, ma lui, immaturo che non era altro, non comprendeva che questo tipo di vita fosse solo un'utopia, un qualcosa che mai sarà reale, se non fra un millennio o nei propri sogni notturni. Oppure, parliamo del suo vestiario: il suo abbigliamento non era da salaryman, ma era da idiota uscito da qualche manga per bambini ancora più idioti, e non venitemi a dire che sto esagerando. Vorreste per caso insuinare che le camicie gialle a fantasia viola sono i capi adatti ad un uomo d'affari importante e rispettato? E devo dire che quasi mi sentivo in colpa per aver pensato, ieri, che quel suo stile di vita fosse corretto e giusto per ogni essere umano. Devo ammettere, un tipo di vita così era sicuramente piacevole ed accessibile a tutti, ma nessuno poteva permettersi di aderirne per un'ovvia questione di moralità. Quel mattino, non so per quale motivo, mi svegliai più presto del solito; niente sveglie o cosa, fu un risveglio naturale e tranquillo. Il tempo era mite, un tipo di temperatura che rendeva, in qualche misterioso modo, le persone felici. Era quella, possiamo dire, una delle giornate ideali di ogni persona normale: il risveglio era speciale, il cuore, già appena alzati, batteva in maniera ancora più speciale -non che battesse più forte, sia chiaro-, le braccia, le gambe, o meglio, l'intero corpo era già pieno di eccessiva adrenalina. Forse era questo il motivo del mio risveglio che avvenne alle 6.00 a.m. Appena alzato, sentii il mio stomaco emettere qualche strano versetto, voleva ricevere cibo ma appena pensai che avrei dovuto incontrare Eiji, , mi venne una fitta allo stomaco così forte che non riuscii ad ingerire niente.
Ero così emozionato che non riuscii neanche nel fare la mia sessione di corsa giornaliera, anche riprovandoci. Sentivo gli arti venire a mancare, il cuore battere troppo forte per qualunque attività fisica; in quel giorno in cui ero una così inutile persona decisi di tornare a casa prima del normale e cambiarmi. Girandomi, non mi accorsi di essere davanti allo specchio. Mi guardai attentamente, mi osservai ed non riuscii a non immaginare Eiji nel mio stesso stato accanto a me, per guardarsi alla specchiera insieme. Le nostre forme erano così diverse, possiamo dire, come il bianco e il nero. Guardai il suo corpo quasi con estrema tenerezza con la quale potrei guardare quello di un bambino: le gambe erano lunghe, slanciate, senza nessuna presenza di muscolo od allenamento e con le ginocchia che sembravano toccarsi, le braccia sottili e i polsi stretti, il busto corto e glabro. Oh, per completare, la pelle appariva soffice, d'un colorito chiaro, tendente all'ocra. Le mie gambe, invece, erano muscolose, tozze, segnate dalle mie corse veloci giornaliere, le mie spalle erano larghe e il petto presentava della leggerissima peluria, la mia pelle non aveva certamente il pallore bambinesco di Eiji; mi persi in questo pensiero per un arco di tempo indefinito, fino a quando alzai lo sguardo notando i miei occhi bagnarsi e brillare di una luce che non avevo mai visto in vita mia. Dire che mi spaventai è poco. Chiusi gli occhi così, mi girai dalla vergogna e mi rivestii subito facendo finta di niente, come se non avessi fantasticato niente. Mi tranquillizzai soltanto quando mi abbottonai la camicia e la giacca, annodai la cravatta, indossai i pantaloni e pettinai i capelli per bene. Quando compresi che ero ritornato ad essere me stesso.


La signorina con il solito vestito nero, il giovane vestito come me in giacca e cravatta, un gruppetto di teneri bambini dell'elementari con i loro zainetti a forma di animaletti sulle spalle. Non mancava nessuno all'appello se non Eiji; devo dire, sinceramente, che un senso di tristezza mi assalì e una lacrima quasi mi infiammò l'occhio sinistro. La sera prima scrissi quella lettera di rifiuto con il cuore pieno di sentimenti ed emozioni, che avevo provato a far emergere con quelle poche parole scritte su una carte bianca. Avrei voluto dare subito a quell'idiota la mia lettera, ed evitare che...
« Signor Ando, sono qui! » Avevo udito qualcuno entrare a passi pesanti nel vagone, ma non ci avevo fatto caso, ormai avevo perso tutte le speranze di poterlo vedere di nuovo. « Mi scusi signor Ando, sono sempre il solito ritardatario. » Mi gridò all'orecchio, dopotutto, non era cambiato neanche dopo avermi conosciuto, non aveva preso il mio ottimo esempio. Come sempre, era al centro dell'attenzione dei passeggeri. A volte pensavo che Eiji lo facesse di proposito, probabilmente amava essere osservato ed attuava queste modalità esagerate e maleducate in pubblico.
« Signor Mihara, è arrivato. Volevo darle una cosa. » Le sopracciglie di Eiji si aggrottarono leggermente e scoppiò a ridermi in faccia.
« Signor Ando, anche io avrei una cosa da darle, spero sia di Suo gradimento. » Non si avvicinò a me, tese soltanto le sue braccia scoperte dalla sua ridicola camicia a maniche corte. Dalò leggermente la testa e la frangetta gli cadde davanti agli occhi. Presi attentamente il suo pacchetto e lo esaminai per pochi secondi e, quando compresi che cosa fosse, mi venne quasi un attacco al cuore ed arrossì. Non potevo crederci, non pensavo che un uomo potesse farmi un simile regalo. Mi donò un bento.
« Signor Mihara, ma perché le interessa così tanto cucinarmi da mangiare? Scusi, ma neanche mi conosce! » I bellissimi occhi di Eiji, in quel momento appena finii di pronunciare la frase, si arrossarono leggermente ma cercò di non interrompere il nostro discorso. Ad essere sincero, ero sorpreso ed infuriato allo stesso tempo: perché Eiji potrebbe volere cucinare per me? Voleva farmi una sorpresa oppure mi aveva per uno stupido?
« Beh, era solo un regalo, signor Ando. Ora è il Suo turno! » I suoi occhi brillavano di gioia, chissà cosa si aspettava.
Gli diedi la lettera e ricominciai a parlare, sentendo il cuore iniziare nuovamente a battermi forte.
« E' una lettera per Lei, ma può buttarla, non vale più adesso. » Dopo aver pronunciato quelle parole, sentii che avevo ucciso me stesso, che ero caduto davvero nell'oblio, che stavo negando tutto ciò che avevo pensato prima di incontrare Eiji, tutte le mie decisioni, tutti i miei pensieri.
« D'accordo! Allora me la mangio. » E con mio grande spavento, prese il biglietto e lo mise in bocca, masticandolo. Rimasi di stucco vedendo quanto un uomo poteva essere stupido e malato, soprattutto quanto non capisse la gravità delle sue azioni. « Questo è l'unico modo per cancellare il tutto. » Mi girai d'istinto per il disprezzo, sperando che la sputasse e ovviamente così fu.
Non parlammo per i cinque minuti di corsa, seduti però uno accanto all'altro.
« Siamo arrivati, signor Mihara, andiamo. » Accennai un sorriso -falso, ovviamente- e con un'impercettibile pacca sulla spalla invitai Eiji a seguirmi ed uscire dal vagone. Il viso di quell'idiota si dipinse di un sorriso ancora più idiota ed insensato. Perché aveva così bisogno di essere felice e sorridere? E' inutile essere felici se quello che ti aspetta è lavoro, fatica, dolore. E' inutile sorridere, è inutile sprecare energia per aprire la bocca. Soprattutto, nel caso di Eiji, era disgustoso vederlo mostrare la sua gioia, a causa dei suoi denti così affollati che sembravano quasi uscirgli dalla bocca, caotici come tutta la folla che c'era alla Stazione.
« Mi raccomando, non si dimentichi di mangiare quello che c'è dentro il bento. Ah! E ho lasciato un bigliettino dentro. » Mi disse allegro e prendendomi a braccetto mi trascinò fuori dalla fermata. Provai un brivido, un forte brivido. La sua mano, calda e femminile aveva sfiorato la mia, inalai il suo effluvio odore e dovetti chiudere gli occhi, perché il pensiero della mattina stessa, il pensiero di poter osservare il suo corpo 
con estrema tenerezza, con la quale avrei potuto guardare quello di un bambino stava impossessandosi di me. Quasi iniziai a sudare freddo, avendo la sensazione che le sue labbra stessero avvicinandosi a me, che le sue mani stessero intrecciandosi con le mie e mentre stava per unire le sue labbra con le mie, sentii pronunciare il mio nome con la sua tipica maniera infantile... "Ando..."
« Signor Ando, sta bene? » Stavo sognando. Stavo immaginandomi tutto. Eiji non mi stava abbracciando, non mi stava baciando, non mi aveva preso per mano, niente. Come uno stupido, mi stavo facendo trascinare dalle mie fantasie, fantasie...? No, sicuramente era per il troppo caldo. Sicuramente. A me, Eiji, non è mai piaciuto.
« Stavo solo pensando. » Ribadii.
« A me? Sei tutto sudato. »
Ridemmo.
Un bacio.
Alla fine ci baciammo veramente.
Un bacio a stampo, sobrio, educato.
Mi baciò lui, io non volevo baciarlo, non ci avevo mai pensato, e soprattutto, non avrei mai voluto conoscerlo.
Tutti ci guardavano, ma in realtà non c'era nessuno.
In quel momento la folla sembrava camminare veloce, il risultato era uno sfondo sfocato, confuso.
Solo noi rimanevamo fermi.
A causa di quel bacio avremmo perso la faccia.
« Eiji..?! » Gli tirai uno schiaffo, i suoi occhiali caddero a terra così come le sue lacrime. Idiota pervertito, come s'era permesso? Avrei voluto ucciderlo, ma non potevo, non volevo andare in carcere per uno stupido come lui. Per colpa sua avrei ritardato al lavoro, se qualcuno che mi conosceva ci avesse visto lo avrebbe raccontato ad altre persone, sarebbe stata la mia vergogna, avrei perso la faccia, sarebbe stata la mia rovina.
« Ando, mi piaci! »
Le labbra non si aprivano, non ne avevano il coraggio.  
Il suo odore era irresistibile, la sua bocca inaccessibile, i suoi capelli morbidi, soffici.
Avevamo paura, vergogna.
Ci guardammo negli occhi e insieme ci dissolvemmo tra la folla, ma come due sconosciuti.


[Ed eccomi qui, con il mio secondo capitolo; ho tanta paura di deludervi, ma spero di sbagliare.
Recensite sinceramente, mi raccomando,
Un abbraccio, xjq.]

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