Le gemme dei primi Hunger Games

di RomanticaLuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Smeraldo ***
Capitolo 2: *** Ametista ***
Capitolo 3: *** Rubino ***
Capitolo 4: *** Ambra ***
Capitolo 5: *** Diamante ***
Capitolo 6: *** Topazio ***
Capitolo 7: *** Acquamarina ***
Capitolo 8: *** Turchese ***
Capitolo 9: *** Opale ***
Capitolo 10: *** Perla ***
Capitolo 11: *** Zaffiro ***
Capitolo 12: *** Mamma e papà ***



Capitolo 1
*** Smeraldo ***





“Uscite!” urla la voce di mia sorella Jane dall’esterno. Ascolto un attimo in silenzio prima di aprire la botola: i bombardamenti sono conclusi.
“Nicole! Uscite ho detto!“ urla ancora più forte.
Slego la catena di fretta, nel rifugio si soffoca dal caldo. Faccio uscire i miei fratelli, aiutandoli a salire gli alti scalini e passando i più piccoli a Jane.
Appena esco la vedo: la più completa distruzione! Le case sono squarciate, corpi dispersi per strada, mutilati, feriti, morti. I bambini escono tutti insieme dai rifugi anti-bombe, si guardano intorno smarriti, cercano i famigliari. Io faccio lo stesso. Guardo Jane negli occhi, ma lei distoglie lo sguardo. Non le sono mai piaciuta, forse perché dalla mia nascita sono considerata “la cocca di mamma”. Lei dice che sono diversa dai miei fratelli, che sono pura, e ha sempre cercato di conservare questa mia particolarità.
“Dove sono mamma e papà?” le chiedo. Ma lei non mi risponde. Alexandra, l’altra mia sorella maggiore, mi si avvicina e, piano, inizia a parlarmi.
“Tesoro…mamma e papà…” si mette a piangere. Capisco. Cerco in giro i loro corpi, ma è molto più probabile che troverei dei pezzi di loro se facessi un giro per la città. Erano in prima linea, alla prima bomba di Capitol City devono essere volati in aria.
“Prendo gli altri e vado a cercare qualcosa da mangiare” dico, la voce bassa. Sto cercando di non piangere, ma è difficile. Io non sono come Jane: cinica, insensibile…a volte sembra che non abbia un cuore. Prendo il coltello dalla vecchia cintura di papà e entro nel frutteto di famiglia. Un melo mostra le sue figlie più succulente, mature, rosse e grandi quanto un pugno. Lancio il coltello e stacco il primo frutto succoso. Recupero il coltello, lo rilancio. Continuo fino a che non ho 12 succosi frutti. Allargo la gonna e poso le mele, proteggendole meglio che posso. Passo la strada e torno nel rifugio. Nessuno dei miei fratelli è ancora tornato. Sistemo. I terremoti hanno rovesciato le credenze, i quadri si sono frantumati in mille pezzi, la piccola tv è capovolta, a terra. Sistemo meglio che posso, prendo un grosso piatto e ci verso le mele.
Quando ho pulito, esco a chiamare il resto della combriccola. Siamo 12 fratelli, 7 femmine e 5 maschi. Jane è la prima ad entrare, spoglia gli scarponi che ripone sotto la sedia, lancia la giacca impolverata e si specchia. Sarebbe una bella ragazza se permettesse ai suoi capelli rossi di crescere e non nascondesse la sua femminilità sotto magliette enormi. Lei ha 16 anni, è la terza nata in famiglia e la più propensa al combattimento. Alexandra entra con gli scarponi in mano, la tuta da infermiera coperta di sangue, terra e polvere, il bel viso scheggiato e graffiato. Lei è la più grande, la più bella, la più altruista. Ha 19 anni e lavora, anzi lavorava, come infermiera all’ospedale del Distretto 2.
“Brava tesoro, hai dato un contegno a questo posto!” dice prima di sedersi a tavola. Vede subito che il piatto e misero e sospira, ma cerca di non darlo a vedere.
Poi c’è Jacob, 17 anni e la muscolatura di un adulto. Quando non va a scuola lavora nella miniera, papà lo incitava. Mi spettina i capelli con una mano e si mette a tavola. Sembra stanco.
Ricompongo i boccoli castani davanti allo specchio. Margaret e Rose, le gemelle di 14 anni, entrano in casa con un mazzo di fiori ciascuna, piangono e si tengono strette l’una all’altra.
Io vengo dopo di loro. 11 anni, anzi, il mese prossimo sono 12 ormai, una carriera scolastica ottima, donna di casa a tempo pieno e venditrice di fiori a tempo perso.
Mirko e Elinor entrano in casa saltellando. Loro hanno solo 8 anni e non credo abbiano capito completamente cosa sia successo là fuori.
“Che si mangia?” chiede Christian impertinente, i capelli rossicci sempre disordinati, gli occhi sgranati e delle freccette in mano. Nonostante abbia solo 5 anni si crede in grado di poter proteggere l’intera famiglia con il solo uso delle sue freccette a punta scheggiata.
“Tata!” dice invece Tito per farsi sentire dal resto di noi. Prendo il piccolo che mi aspetta all’entrata, è troppo basso per riuscire ad affrontare gli enormi gradini da solo.
“Vieni, la tua Tata è qui!” gli dico. Lui salta ed io lo prendo, gli faccio fare il volo dell’elicottero e lo rimetto a terra. Gli piace sempre. Come faccio a dire ad un bambino di soli 2 anni che mamma e papà non ci sono più? Mi metto a tavola e guardo i miei fratelli addentare le loro mele. Metto le mani giunte, chiudo gli occhi e prego.
“Non serve a niente pregare!” dice Jane, masticando “Dov’era il tuo Dio, in questo massacro?”
“Non c’entra Dio, in questo massacro.” apro gli occhi e mi alzo “Questo, l’abbiamo voluto noi, non Dio!” urlo indicando le macerie fuori dalle finestre.
“Tata urla” balbetta Tito che si mette a piangere.
“ Scusa, Tito. Non volevo spaventarti!” gli sussurro cullandolo. Jane si è zittita.
“ Nic! Nic, dove sei? “ dice la voce della signora Emerson.
“ Sono qui, signora. Che c’è? “ chiedo, preoccupata.
“Avete lasciato per strada alcuni componenti della famiglia!” vedo il passeggino dei miei fratellini più piccoli.
“O, grazie! Come faremmo senza di lei!” le dico prendendo i due bebè. Hanno solo 9 mesi, Karina e Jason. Così piccoli e già gli viene tolta la figura dei genitori. Li metto nel lettino gioco e torno a tavola. Le mele sono finite, ma non me ne faccio un dramma: non ho fame. Guardo la ciurma che forma la mia famiglia. Siamo 12 persone da dover mantenere, 12 bocche da sfamare, 12 corpi da vestire. I bimbi da controllare mentre i più grandi saranno costretti a lavorare. Dobbiamo ricostruire la casa, aspettarci il contrattacco di Capitol City, vincitrice di questa Rivolta ripiena di sangue e carneficina. Perché è iniziato tutto questo? Perché non possiamo vivere in pace, come dei popoli uniti come nei tempi passati? Perché Capitol City ci sfrutta? Come possono essere tanto subdoli e malefici?
Esco dal rifugio, il mio cervello è sconnesso, il cuore ricolmo di paura e dolore. Ma non posso ancora piangere. Non finché i piccoli sono svegli. Mi siedo su una pietra, appoggio la schiena al muro della nostra vecchia casa e guardo la città deserta, senza vita. Il Distretto 2 è sempre stato splendido, allegro, pieno di bimbi spensierati che correvano per le viuzze, le voci dei vecchi che ricordavano i vecchi tempi e raccontavano antiche leggende ai giovani. Lo scalpiccio dei lavoratori, alle miniere, i giochi, i divertimenti, le risate. Tutto è svanito, oggi. La guerra ha portato via ogni cosa che amavo. Ora piango. Non riesco a trattenere le lacrime che, salate, scendono a fiotti lungo le mie guance. Da oggi tutto cambierà, ne sono certa.
“Hai ragione, sai? È colpa nostra questo macello!” dice Jane, accendendosi una sigaretta “Siamo stati degli stupidi. Dovevamo metterci dalla parte di Capitol City, chinare la testa e lavorare per loro, dire di no agli altri Distretti”.
La guardo. Come può dire queste cose? Non ha capito la vera ragione della Rivolta?
“Sei solo una stupida! Sei come quelli di Capitol City, la stessa mentalità chiusa. Pensi che tutto ti sia dovuto. Ma non hai visto che la situazione stava peggiorando? Per tutti i Distretti, noi compresi! Capitol City chiedeva sempre di più, non si accontentava. È per questo che è nata la Rivolta. Per riottenere la nostra libertà!” esclamo, sicura di me. Lei mi afferra per i capelli, mi fa alzare in piedi e mi tira uno schiaffo.
“Non osare darmi della stupida, sono tua sorella maggiore, ricordatelo!” mi urla in faccia, il suo alito intriso del fumo della sigaretta. Mi molla i capelli, tira un calcio ad un sasso e si allontana.
“Lo sai che in fondo ti vuole bene!”. Alzo lo sguardo e vedo Jacob. Io e lui siamo particolarmente legati, mi protegge ed io lo aiuto a risolvere ogni problemi. Io la mente e lui il braccio.
“Credo non sappia nemmeno cosa voglia dire “voler bene”” controbatto.
“Se non ci volesse bene se ne andrebbe, non credi!” dice.
“No. Non ha un posto dove andare. Non ha una famiglia oltre a noi. Anche se non sa amare, sa di essere amata, è per quello che torna sempre da noi!” esclamo, seria.
Si siede accanto a me, prima di chiedermi “Perché il tuo Dio non ha fermato tutto questo?”
“Dio ha creato gli uomini. Ha dato loro un’intelligenza, uno spazio in cui vivere, una coscienza. Stava a loro sfruttare tutti questi doni. Ma gli uomini li hanno usati male. L’intelligenza è diventata furbizia, la coscienza è stata eliminata, lo spazio che li circondava è stato usato per cose malvagie. Dio ci guarda da lassù, non può intervenire. Non è un mago o un grande stregone, è solo un Padre che guarda i suoi figli sbagliare, vedere l’errore e sbagliare ancora. Magari si chiede dove ha sbagliato, come diceva mamma quando guardava Jane tirare i coltelli. Magari spera in un nostro cambiamento, che ci ricordiamo di avere delle coscienze ed iniziamo ad usarle” dico.
“Perché preghi un Entità che non può aiutarti?” chiede ancora
“Perché lui ci guarda da lassù e io gli chiedo di perdonare le azioni cattive che gli uomini compiono, perché loro usano la ragione nel modo sbagliato e non ascoltano il loro cuore. E poi prego perché protegga i nostri cari morti, che vanno a sedersi nel Regno dei Cieli e, come lui, sperano che i loro figli non facciano i loro stessi errori”. Mamma diceva sempre che per avere solo 11 anni sono molto sveglia ed intelligente. Papà che sono testarda e faccio sempre di testa mia. Unito ad una buona dose di autocontrollo e senso del dovere, viene fuori il mio carattere.
“Questo l’abbiamo voluto noi uomini, non loro, lo sai?” domando. Lo guardo negli occhi. Quei suoi occhi dello stesso colore dello smeraldo che porta appeso al collo. Di quel verde acceso che significa “speranza”. Azzeccato, in momenti come questi. Lui è la mia speranza per poter sfamare i piccoli e mantenere unita la famiglia, la mia speranza per arrivare a domani senza impazzire. Non credo lo sappia, mamma non gliel’ha mai detto, ma è grazie a lui se non sono morta la notte in cui sono nata. Lui è la mia speranza per continuare a vivere.




****
Scusate, ho fatto un casino con le storie! =)

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Capitolo 2
*** Ametista ***




Stiamo cenando. Devo ringraziare Jane per questo. Uccelli ben cotti e rane fritte sono sui fornelli, Alexandra mi da una mano, Margaret prepara la tavola mentre Rose gioca con i più piccoli. La TV si accende da sola.
“La rivolta è finita, i Distretti sono usciti perdenti. Uno di loro è stato completamente distrutto. Cosa succederà ora? Passiamo direttamente la parola al neo eletto presidente: il signor Primus Snow” annuncia il presentatore. È molto diverso da noi. Tutti gli abitanti della capitale sono diversi da noi. Il loro look eccentrico, le mentalità chiuse ed il sorriso sempre presente sulle labbra colorate. Provocano un odio profondo tra i più poveri di noi, che devono lottare anche solo per terminare la giornata.
Il presidente è un uomo di mezz’età, i capelli azzurri e neri, gli occhi grigi.
“La ringrazio, mio caro Ombrus. Voglio parlare direttamente agli abitanti dei Distretti. La guerra è stata persa e voi vorrete recuperare e piangere i vostri morti. D’altronde, sono umano pure io e credo sia giusto che i caduti abbiano un riconoscimento. Ora, come tutti sappiamo in quanto studiato a scuola, un’azione comporta una controazione, un effetto. Un Distretto è stato distrutto, non lo volevamo noi, l’avete voluto voi. L’immagine del distretto 13 passa in sovraimpressione, le macerie sono ancora in fumo. Alexandra si allontana da me velocemente e porta fuori i più piccoli. È alta in me la speranza che da ora in poi i Distretti collaboreranno con Capitol City, ma i miei soci non hanno questa sicurezza. Per questo motivo, in seduta comune e con un quadro dei morti e dei danni di questi giorni, abbiamo preso due grandi decisioni. Primo: invieremo dei nostri soldati in ogni Distretto, per sicurezza e controllo, con il compito di aiutare i cittadini nella loro relazione con la capitale; secondo: ogni anno, per rimpiangere l’enorme tasso di morti, verranno organizzati degli Hunger Games. Ogni distretto verrà rappresentato da due ragazzi, un maschio ed una femmina, che diventerà la star di un reality show. Il vincitore riceverà in dono una vita agiata e ricchezza per il proprio Distretto. Con ciò e con il più grande augurio a tutti di poter rinvenire e capire lo sbaglio fatto, termino il mio discorso. Ci sentiremo ancora presto, un saluto a tutta la comunità dal vostro presidente”
“Che figata!” dice Jane alzandosi.
“Cosa sarebbe la figata?” chiedo. La  cena è pronta e Jacob viene ad aiutarmi per servire le pietanze.
“Questa storia degli Hunger Games! Il vincitore sarà riconosciuto da tutti e avrà ricchezze per tutto il Distretto!” esclama come se fosse la cosa più ovvia.
“E per gli altri c’è la morte!” dico convinta. Jacob lascia cadere il piatto che si scheggia. Lo prendo e lo appoggio sul tavolo.
“Sono pronta, potrei vincere. Abbiamo bisogno di riscattarci un po’ di fronte agli occhi di Capitol City” pensa a voce alta. Jane. Sangue e combattimenti sono le sue uniche passioni. Forse è per questo che papà le ha dato come pietra preziosa il rubino. Rosso, il colore del sangue, il colore dell’odio e del dolore, il colore del fuoco che brucia ed uccide. Ma papà diceva che era anche il colore dell’affetto, dell’amore, perché era convinto che in fondo Jane provasse dei sentimenti ed era più che certo che se ci fossimo trovati nei guai lei ci avrebbe protetti.
“E’ pronto. Vai a chiamare Alex!” le ordina Jacob. Di lui ha un po’ di timore, forse perché è il maschio primogenito, è più muscoloso e potrebbe batterla in un combattimento corpo a corpo. Obbedisce e tutta la ciurma torna nel rifugio e si mette a tavola, affamata. Prego come sempre, ringraziando per il cibo, Jane alza gli occhi al cielo, ma non ci faccio caso. Mangiamo prima che si raffreddi o, per meglio dire, divoriamo il tutto a causa della fame. I gemellini piangono nella culla, hanno ovviamente fame anche loro e come sempre toccherà a me servire i loro bisogni. Con sorpresa vedo Margaret e Rose alzarsi: loro non fanno mai niente in casa!
“Oggi loro sono nostri” mi dice Rose “Voi trovate altri lavori” esclama Margaret.
“Lavori in miniera domani?” chiede Jane a Jacob, che annuisce “Posso venire con te?”
“NO” risponde lui
“Perché?”
“Sei troppo piccola”
“Ho solo un anno in meno di te!” urla inviperita.
“Portala con te! C’è bisogno di tutto l’aiuto possibile sia alle miniere che in città e lei causerebbe solo danni insieme a noi” bisbiglio a mio fratello. Ci pensa un attimo, so che sta pensando agli aspetti negativi per lui e per noi di avere in giro Jane.
“Ok” dice alla fine “ma fai quello che ti dico io!”
“Ovvio!” ride felice è entusiasta di se stessa.

La mattina porta consiglio, la mattina ha l’oro in bocca, la mattina è la madre dei mestieri…questi sono alcuni dei detti che sentivo dire dai vecchi per strada, quando volevano che i ragazzini andassero a scuola.
Ma questa mattina vediamo realmente i disastri causati dalla Rivolta.
Tutta la famiglia esce in strada, tutti devono aiutare. Jacob e Jane ci salutano mentre  si dirigono alle miniere, io, Alexandra, Rose e Margaret andiamo in paese per ripulire le strade dalle macerie ed aiutare chi ha più bisogno. I più piccoli vanno al prato enorme dove un gruppo di giovani donne si sono offerte di farli giocare. Vedo, però, che ci stanno seguendo anche Mirko ed Elinor, così li aspettiamo.
“Io vado all’ospedale, vedo se è stato portato là qualcuno dei feriti” dice Alex, lasciandoci al bivio tra due viuzze.
“Io vado alla scuola” esclama Rose “E io in centro. Tu puoi iniziare con il vecchio negozio di nonna!” dichiara invece Margaret. Annuisco e, dopo un saluto veloce, ognuna prende la sua strada. I piccoli vengono con me, almeno conoscono la vecchia baracca di fiori e non rischieremo di incontrare cadaveri  sulla strada.
Il negozio di nonna è vicino al cimitero, in periferia, una zona poco colpita. È una piccola bottega decorata allegramente e la cui attività principale è quella di vendere fiori. Quando nonna era viva quella stanzetta era molto frequentata e guadagnava molto, ma dopo la sua morte ed il passaggio nelle mani di mamma perse molta della sua fama. Mamma non ci guardava molto, non aveva tempo e io l’aiutavo più che riuscivo, ma c’erano sempre troppe cose da fare. Ora passava a noi figli. I terremoti non l’hanno disfatta, qualche vetro scoppiato è sparso per terra, i vasi di fiori sono tutti rovesciati, ma nulla di più. La struttura vecchia e marcia della baracca ha retto.
“Eli vai dentro a controllare i danni. Io pulisco qui fuori. Mirko, vai a dare una mano alla signora Smith, dall’altra parte della strada. È vecchia e non riesce a fare molto nelle sue condizioni” dico ai miei fratellini. Ubbidiscono entrambi. Io prendo una pala e tolgo le tegole cadute dai tetti, facendone mucchietti in parte all’entrata. Elinor mette in ordine i fiori, li bagna e li accudisce come faceva la nonna, toglie le foglie più vecchie e decrepite così che le nuove possano formarsi. È molto brava, sembra nata per essere fiorista. Passo in rassegna tutta la via, eliminando ogni traccia delle macerie e poi butto tutto in un grosso bidone e torno al negozio. Sembra tutto come prima della Rivolta che ha occupato l’intera settimana. Mi siedo sotto la finestra senza vetri e guardo mia sorella finire di pulire e rendere nuovamente presentabile quella misera stanza ricca di colori  e profumi. I capelli castani sono legati in una coda alta e stretta, il corpo magro contenuto in una vecchia maglia di papà trovata in soffitta, che le arriva fino a metà gamba. L’ametista viola che ha appesa al collo con una corda sottile si muove regolarmente, avanti e indietro. Quella pietruzza che lei stessa aveva trovato all’età di un anno, quando aveva seguito in miniera papà. Il viola è considerato il colore del mistero e, effettivamente, nessuno capisce mai cosa Elinor pensa, ma è anche il colore dell’intelligenza, della nobiltà e, secondo alcuni, della tristezza. Come per tutti noi, la sua pietra la rappresenta. Come con tutti noi, mamma e papà le hanno dato un gioiello che racchiude una particolarità e che è associato ad un colore che ritrae il suo carattere. È come se, ancora prima di conoscerci veramente, i nostri genitori sapessero già come saremmo diventati. O, forse, sono le pietre stesse che ci hanno scelti e hanno formato i nostri caratteri. Continuo a guardare la piccola Elinor, così composta e pensierosa e mi accorgo che sta piangendo mentre guarda due rose bianche. I suoi bellissimi occhi azzurri, ora sono rossi come il sangue versato in questi giorni.

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Capitolo 3
*** Rubino ***




La città è nuovamente pulita, con il tempo riusciremo a ricostruire i monumenti e gli edifici. Ma, per oggi, il lavoro è finito e la giornata è giunta al termine. Per sta sera il cibo ce l’ha offerto il sindaco che ha aperto il magazzino con le scorte di sicurezza.
La TV si accende, proprio come ieri sera. Il presentatore con i capelli viola è seduto comodamente su una poltrona rivestita di tessuto rosso, il suo sorriso lascia intravvedere i denti bianchissimi. La sua immagine svanisce subito e compare quella del neo presidente.
“Cari cittadini di Panem. È stato oggi deciso in seduta comune che i primi Hunger Games della storia inizieranno il 12 luglio. Ogni ragazzo e ragazza di ogni Distretto avranno dei preparatori a loro disposizione, con il compito di renderli fantastici per le telecamere. Faranno parte della Mietitura i giovani fra 12 e i 19 anni, che dovranno presentarsi nelle rispettive piazze del loro distretto all’ora di pranzo, vestiti elegantemente per le telecamere. Consiglio caldamente ad ogni famiglia di non nascondere i propri figli, ricordando loro che si tratta solamente di un reality show e che i ragazzi saranno un’attrazione per gli abitanti di Capitol City. Con ciò, concludo” dice la voce del presidente. C’è un momento di silenzio, poi parte l’inno della capitale, che avevo sentito solo nei funerali importanti. Guardo i miei fratelli, tutti silenziosi ed immobili. Nessuno parla, nessuno reagisce mentre la TV si spegne da sola e riprendiamo a mangiare come prima. Leggo la paura negli occhi di Alexandra e vedo le lacrime in quelli delle gemelle. Tutti siamo scossi per la brutta piega che ha preso la situazione e ognuno cerca di nasconderlo per dare sicurezza al resto del gruppo. Ci mettiamo a dormire nell’oscurità del rifugio, schiacciati sul pavimento all’interno dei nostri sacco a pelo. Ma è impossibile dormire, le parole del presidente mi tornano continuamente alla mente.
Faranno parte alla Mietitura i giovani fra 12 e i 19 anni. Fra i 12 e i 19 anni. Sei di noi andranno in piazza, un’alta possibilità che qualcuno venga scelto per la carneficina. E tutto solo per intrattenere i cittadini di Capitol City. Mi alzo ed esco al chiaro di luna, fermandomi vicino alla porta per ascoltare le urla di Jane contro Jacob.
“Devi allenarmi! Ho bisogno di imparare il combattimento corpo a corpo, per restare viva agli Hunger Games! Come fai a non capire?” urla. Il rubino al suo collo luccica, colpito dalla luce della luna.
Jacob non ribatte. Penso abbia accettato, perché Jane ride ed esulta.
“Anch’io voglio allenarmi!” dico, uscendo allo scoperto.
“Non si origlia, pulce!” esclama sprezzante Jane.
“No” ribatte, invece, mio fratello.
“Perché no?” chiedo, calma.
“Perché tu non c’entri negli Hunger Games! Quanti anni hai? 9, 10 anni! Non devi venire alla Mietitura” dice Jane, senza abbandonare il suo tono d’attacco.
“11!” la corregge Jacob.
“Veramente 12, alla Mietitura. È il 12 luglio ed io compio gli anni il 12 luglio” esclamo.
“Perfetto! Ora fanno 5 possibilità di uscire!” si lamenta Jane.
Cosa intende dire? Beh, pensandoci siamo 5 ragazze, ma perché non ha contato anche Jacob? Uno o anche due di noi potrebbero rappresentare il Distretto 2 in TV.
“Vai a letto. Anzi, andiamo a letto tutti” dice mio fratello. Obbediamo e torniamo a rintanarci nel rifugio, chiudendoci la porta alle spalle.
 
L’estate non tarda a regalarci il sole caldo e giornate lunghe e limpide. Il 12 luglio è arrivato e, mentre i miei fratelli creano un’aria di allegria in casa, la mia mente naviga già alla Mietitura del mezzogiorno.
“Se mamma e papà fossero qui, sarebbero riusciti a soddisfare ogni tuo desiderio” dice Alexandra
“Noi abbiamo fatto del nostro meglio” aggiunge Jacob
“E abbiamo voluto farti una sorpresa!” urlano Margaret e Rose in coro.
Mi trascinano nel giardino che ha appena rimesso l’erba e mi permettono di aprire gli occhi. Un cagnolino nero è legato al melo.
“Non può essere!” esclamo a bocca aperta, la mia felicità ha raggiunto un livello altissimo e salto per l’eccitazione “Come avete fatto a permettervelo?”
“La vecchia signora Smith ce l’ha venduto per pochi soldi. La sua cagna ha avuto una cucciolata enorme, sono bellissimi!” dice Elinor
Non posso credere che i miei fratelli abbiano pensato ad un regalo tanto bello per me! Li abbraccio e bacio tutti, saltando come una scimmia e ridendo come una scema.
Ma, come tutte le cose positive lasciano spesso il posto a quelle negative, così anche questa giornata di festa deve lasciare il posto alla paura ed alla preoccupazione. 5 soldati sono sbarcati qualche ora fa e si sono schierati a bordo piazza, con un blocco di fogli ciascuno ed una penna. Parlano e scherzano tra loro a discapito di noi poveri ragazzi. Le mie sorelle si stanno cambiando e mettendo eleganti per andare in piazza. Io non voglio, non mi sembra una cosa molto sensata. Doversi tirare per andare al macello solo perché qualche famiglia della capitale ci vedrà in TV. Che scemenza. Siamo tornati a vivere nella vecchia casa ormai ricostruita da poco e molte cose sono rinchiuse in grossi scatoloni. Da uno escono le foto di famiglia, con mamma e papà sorridenti che ci fanno giocare e ridere.
Jane è la prima a scendere in salotto. Indossa un vecchio vestito di mamma, bianco e rosa, con una piccola fascia a fiori all’altezza dei fianchi. Sui capelli ha una molletta con un piccolo fiore fatto di brillantini. Il rubino stretto sul collo dalla fascia nera.
“Sei elegante! Non sei mai stata elegante!” le dico, sorpresa che lei abbia accettato di spogliare i suoi vestiti larghi per metterne uno femminile.
“E tu devi andare a cambiarti! Alex ti aspetta di sopra!” esclama. Esce di casa e prende i suoi coltelli, che lancia contro il bersaglio appeso al cancello.
Salgo le scale, le mie sorelle maggiori sono tutte pronte. Alexandra indossa un abito bianco e lungo, sembra quello che mamma usò per sposarsi, ed i suoi boccoli biondi sono sciolti sul petto. Sul capo un cerchietto bianco di perle, al collo l’elegante nastro d’oro con attaccata la sua pietra: una perla lavorata che forma un cuore. I suoi occhi verdi sono leggermente truccati. Rose indossa un abito arancione, i capelli castani sono racchiusi in una treccia ed il topazio rosa pallido è in bella mostra sul suo dito scurito dal sole. Margaret, invece, è vestita di giallo ed il turchese spicca sull’anello d’oro bianco che porta alla mano sinistra.
“Tieni, mettilo!” mi dice Alex, passandomi un vestito azzurro chiaro. Obbedisco senza parlare, vedo che tutte e tre hanno gli occhi verdi piene di lacrime. Il vestito mi è un po’ largo ai fianchi, ma nulla che un fiocco non possa sistemare. I capelli mi vengono spillati dietro la nuca con una molletta a forma di farfalla ed i boccoli sciolti mi arrivano alle spalle. Stringo in pugno il diamante legato alla corda della mia collana, ho paura, ma devo essere forte. Andiamo tutti alla Mietitura. Alcuni dei nostri amici sono già disposti su due file; maschi a destra e femmine a sinistra. Jacob mi lascia la mano, mentre dice il suo nome al soldato in uniforme bianca che cancella il nome dalla lista e lo lascia passare.
“Nomi” ci dice l’uomo che abbiamo di fronte.
“Alexandra Evervood” dice Alex. Piano, ci presentiamo tutte e 5 ed i nomi vengono spuntati. Ci teniamo strette per mano mentre dei cameramen ed un uomo giovane e distinto salgono sul palco.
“Cittadini del Distretto 2!” urla nel microfono. La sua voce è calda come l’arancione del suo vestito e del trucco. “Io mi chiamo Hugo Cambridge e sono il vostro rappresentante a Capitol City. Non abbiate paura, non vi mangerò!” dice, cercando di far ridere qualcuno. Ma siamo tutti troppo spaventati per dire anche solo una parola.
“In queste grandi bocce ci sono i vostri nomi. Estraggo subito il nominativo della ragazza che rappresenterà il Distretto 2 ai primi Hunger Games!” continua Hugo. La sua mano sguazza rapida tra i foglietti e ne afferra uno. Lo estrae piano e sento le mani delle mie sorelle stringersi ancora più forte attorno alle mie.
“Nicole Evervood” legge. Il mio cuore si ferma, sento tutti gli sguardi posati su di me. Avanzo di un passo, ma le mani di Alex e Rose mi trattengono. Mi libero e mi avvicino al palco, composta, come mi ha insegnato mamma, a testa alta, come mi diceva papà per affrontare le sfide. Sto salendo il primo gradino quando una voce urla “Mi offro volontaria!”. Mi giro di scatto, Jane è in mezzo al corridoio, tutti la guardano. Sono immobilizzata, non riesco a muovermi. Si sta offrendo al mio posto, va a morire al posto mio. Alla fine il suo amore verso di noi è uscito, mi sta proteggendo! Si avvicina e, appena mi si affianca, le salto al collo, piangendo.
“Ti prego, non morire!” le sussurro.
“Ci proverò! Ti voglio bene, pulce!”. Il suo bisbiglio arriva dritto al mio cuore, trafiggendolo. Ci vogliono 4 soldati per separarci, due prendono me per la vita e due impediscono a lei di liberarsi per tornare indietro. Sale sul palco, mentre io vengo posata vicino alle mie sorelle, di nuovo. Piango abbracciata ad Alexandra, che mi da piccoli colpetti sulla schiena. Tocca ai ragazzi. Ci è già stata portata via una sorella e prego che quel nome non sia quello di Jacob.
“Kevin Prince!” urla Hugo al microfono. Conosco Kevin, è un amico di mio fratello ed è venuto spesso a casa a fare i compiti. Tutti i ragazzi gli danno pacche sulla spalla, lui si dirige verso il palco fiero e sicuro di sé. Non so se è per far bella figura davanti alle telecamere o perché non ha ancora capito il vero scopo del reality.
“Ecco a voi i partecipanti dei primi Hunger Games! E che la fortuna possa sempre essere dalla vostra parte” dice l’uomo arancione, incitandoci all’applauso. Jane ci guarda. Batte due volte il pugno sul cuore, poi si gira e stringe la mano dell’amico d’infanzia.
Due pugni sul cuore significano “forza” e “coraggio”. Ce l’ha insegnato il nonno che ha visto scambiarsi quel gesto durante la guerra di Separazione. Lo ricambiamo, baciando il pugno prima di battere, per dire che le vogliamo bene. Poi veniamo mandati tutti a casa, i soldati ci spingono fuori dalla piazza, mentre Jane e Kevin rimangono sul palco insieme a Hugo Cambridge.

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Capitolo 4
*** Ambra ***




Jane non torna a casa per cena. I soldati di Capitol City pattugliano le strade con le stesse armi che gli vendiamo noi, le medagliette d’argento risplendono alla luce della luna. Tengo buono Luke, che abbaia alla vista di quegli uomini in uniforme. Lo coccolo, non so bene se per calmare lui o me. Sono agitata ed il mio corpo trema come una foglia durante una folata di vento. Sento che, come essa, potrei spezzarmi e volare via, lontana da questo luogo maledetto. Alexandra mi ha detto che le scorte di cibo nei magazzini sono state vietate per qualsiasi famiglia e sono sotto la stretta sorveglianza dei soldati di Capitol City. Sembra che il presidente Snow voglia farci morire di fame, renderci deboli e innocui. Ma non credo che voglia sterminarci. Alla fine, siamo noi a forgiare le armi di cui hanno tanto bisogno. Noi inviamo i minerali e le pietre preziose al Distretto 1 che le lavora e ne fa bellissimi gioielli. Noi siamo utili a Capitol City, loro hanno bisogno di noi. E credo anche di tutti gli altri Distretti, altrimenti ci avrebbero già rasi al suolo completamente.
“Ragazzi, a tavola!” urla Alex dalla cucina. Mi alzo con Luke in braccio, lo stringo forte contro di me. La cena consiste di un pezzo di pane vecchio ed una fetta di prosciutto. Forse è un po’ misera, ma a confronto di altre famiglie che non sono riuscite a tenere delle scorte, possiamo ritenerci fortunati.
“Perché Jane non c’è?” chiede Mirko, al mio fianco.
“Credo che per un po’ non mangerà più in questa casa, con noi” risponde piano Margaret. Le sue mani si chiudono attorno ad un piccolo portachiavi a forma di sole.
“Ma perché?” continua mio fratello.
“Perché Capitol City vuole così e noi dobbiamo ubbidire!” esclama Rose infuriata. Si alza da tavola e corre fuori. La seguo.
“Siamo tutti sconvolti da questa cosa” le confido “io ho una paura enorme! Questa guerra ci è sfuggita dalle mani e, probabilmente, andrà sempre peggio. Dobbiamo farci l’abitudine”
“Non si può fare l’abitudine a questa situazione! Io non voglio vivere così, nella guerra e nell’odio!” dice lei. So che ha ragione, nemmeno io riuscirei a svegliarmi ogni giorno e vedere un soldato armato passare per strada, una punizione in atto o la paura dei prossimo Hunger Games. La abbraccio e ci stringiamo forte, cercando di darci forza e di trasmettere quella forza anche a Jane.
“Potrebbe non sopravvivere!” bisbiglia Rose.
“Lo so” confermo. Sento le sue lacrime calde cadere sulla mia spalla “anche se penso che sia più facile che moriremo prima noi di fame!!”
Ci guardiamo negli occhi, entrambe impaurite, entrambe disorientate, ma entrambe sappiamo quali siano i nostri doveri in casa: dobbiamo proteggere gli altri e preoccuparci che non gli manchi niente, se non ai più grandi, almeno ai più piccoli. Vediamo una donna correre vicino alla nostra casa con una borsa a tracolla che le sbatte contro il corpo, dietro di lei due soldati con le armi puntate. Sentiamo i colpi, l’uno dopo l’altro, partire dalle armi e colpire i muri o le finestre che si rompono. Ci alziamo e rientriamo all’interno di quelle quattro mura sicure, lontane dai rumori dell’inseguimento. Chi sa cosa ha fatto quella donna per meritarsi la morte certa.
“Mi ha chiamata il sindaco. Dice che Jane e Kevin dormiranno da lui sta notte e domani mattina presto partiranno per Capitol City. Ha detto che se vogliamo, possiamo andare a trovarli!” ci riferisce Jane appena ci vede. Noto subito che sono tutti già preparati, giacche abbottonati e stivali, due ciotole coperte tra le mani di Elinor e Mirko ed una bottiglia di vino in quelle di Margaret.
“Portiamo anche Karina e Jason?” chiedo
“No, la signora Emerson ha gentilmente proposto di lasciarli da loro” risponde Alex.
Prendo Christian per mano e mi accodo agli altri.
“Cos’hai in tasca?” chiedo, notando che la cerniera lotta per stare chiusa.
“Le freccette!” dice lui, come fosse la cosa più ovvia del mondo.
“E che vuoi farci? Non ci sono mica bersagli a casa del sindaco!”
“Ma che domande fai? È per proteggervi!” esclama, inebetito che io sia tanto sciocca per non averlo capito da sola. Sorrido leggermente. Un bel coraggio per un ragazzino di soli 5 anni, ma non è lui a dover proteggere noi, casomai  al contrario! Passiamo davanti alla casa dei signori Hugg e noto che c’è qualcosa di strano. I vetri sono completamente frantumati, le luci sono accese, ma manca quel brusio solito della famiglia. Le liti tra i fratelli Hugg sono epiche nel Distretto 2, spesso i vicini escono di casa per capire cosa stia succedendo. Poi li vedo: i 4 corpi martirizzati e appesantiti dalle pallottole, riversi in enormi pozze di sangue. Una piccola borsa di carta è nascosta sotto al tavolo, due sacchetti di farina si sono aperti e hanno liberato il loro contenuto sul pavimento. Copro gli occhi a Christian, ma ormai è troppo tardi, ha già visto tutto.
“Da questo devo proteggervi!” dice piano, indicando i corpi dei due ragazzi della mia età. Erano miei amici, li conoscevo da quando ero nata ed è difficile trattenersi dal piangere.
Veniamo spinti in avanti e continuiamo a camminare. La mia testa è pesante, fatico a respirare e la ragione mi ha completamente abbandonata. Arriviamo in piazza, il palazzo del sindaco si trova giusto di fronte, dietro alla base del palco montato per la Mietitura. Nel centro è stato piantato un palo e, alla sua base, le mattonelle hanno cambiato colore, passando dal grigio perla al rosso-marrone. Assistiamo in prima persona alla flagellazione di una ragazza poco più che ventenne. Viene trascinata per i capelli e legata per le braccia al palo. Poi il soldato di Capitol City prende un bastone ed inizia a colpirla, in viso, sulle braccia, sulle gambe. Ogni parte non coperta del suo corpo inizia a sanguinare e lei, lentamente, perde le forze. Se continua a picchiarla così tra poco morirà. Una freccetta blocca la mano del soldato che, colto di sorpresa, urla dal dolore. Cerco con gli occhi Christian. Non è più vicino a me, dev’essersi allontanato quando mi sono girata a guardare la giovane.
“Dovevi tenerlo d’occhio” mi bisbiglia Rose. Lei tiene in braccio Tito che trema da capo a piedi. Poi lo vedo. Il mio fratellino è andato a nascondersi dietro una colonna del portico e, da lì, sta prendendo la mira per scagliare una nuova freccetta.
Approfittando del disorientamento del soldato che sta cercando il punto da cui è arrivato il colpo, sguscio alle sue spalle e libero la ragazza che crolla a terra, distrutta e sanguinante. Lui si è allontanato di qualche metro in direzione dei miei fratelli, immobili e silenziosi.
“Siete stati voi, luridi marmocchi?” lo sento urlare, davanti alle porte del municipio. Faccio un gesto a Christian che mi raggiunge e, insieme, portiamo alla casa più vicina il corpo sanguinante della sconosciuta.
“G-g-grazie” riesce a biascicare.
“Non parlare, perderesti troppe energie” dico bussando di fretta e furia alla prima porta. Una donna anziana ci apre, non chiedo se posso entrare, lo faccio e blocco l’entrata velocemente.
“Fai la guardia, Kris!” bisbiglio.
“Che sta succedendo? Tu sei la figlia degli Evervood, non è vero?” dice inviperita la donna, seccata dall’entrata senza invito.
“Si. Mi scusi, ma ho bisogno di aiuto! È per lei!” esclamo indicando la ragazza svenuta che, con fatica, cerco di tenere in piedi. La vecchia sembra più propensa a chiamare un soldato, piuttosto che aiutarci.
“La prego” aggiungo.
“No. Causerete guai a tutti noi, non voglio aver nulla a che fare con nessuno di voi Evervood. Avete sempre causato guai, sin dai tempi più antichi! Fuori da casa mia!” si era messa ad urlare e faceva paura.
“Mio nonno” inizia Christian, dalla finestra. La sua voce cristallina non sembra appartenergli “Mi ha sempre detto che ai suoi tempi tutti si aiutavano. Ci diceva che tutti erano felici e tutti erano amici. Diceva anche che aveva spesso salvato diverse persone, durante la guerra di Separazione, molti amici e molti che non conosceva neanche. Diceva che non esistono nemici, che siamo parte tutti dello stesso mondo e, per questo, dobbiamo aiutarci gli uni gli altri” dice sicuro di sé. I racconti del nonno sono la nostra forza più grande, perché ci hanno sempre aiutato a sognare un mondo senza inimicizie, un posto di pace.
“Lei è la signora Millicent, non è vero?” chiedo titubante
“Si. Come lo sai” domanda lei sulla difensiva
“Ho una foto di lei ed il nonno, a casa. Sembravate felici!” spiego.
“Felici. Pua, non si è mai felici con un Evervood a fianco. Ma stavamo bene, eravamo amici, un tempo. Si, tanto tempo fa, io e Jacob Evervood eravamo amici. Prima che si intestardisse e partì in spedizione per provare a inimicarsi quelli di Capitol City, prova che portò ad un nuovo attacco. Che stupido, quell’Evervood!” dice tra sé.
“In ricordo della vecchia amicizia, per favore, ci aiuti. Questa donna fa parte di questo Distretto, è una di noi. Non può morire perché noi stiamo qui a discutere di cose senza senso!” urlo. Lei ci pensa, poi grida qualcosa in una strana lingua ed una ragazzina pallida arriva correndo. “Occupati di loro” dice prima di lasciarci.
Garze, cotone, disinfettante e medicinali vengono subito riversati sul tavolo da un grosso baule ed iniziamo a curare le ferite più brutte della giovane. Ogni tanto la voce di Christian ci avvisa del passaggio di un soldato.
“Arriva Alex!” urla ora felice, saltellando sul posto e facendosi vedere dalla finestra socchiusa.
“Testardi che non siete altro, eravamo tutti in pensiero per voi!” dice guardandoci entrambi negli occhi e fulminandoci “Andate, Jane vi aspetta. Mi occuperò io di lei” aggiunge poi, più gentilmente “Su, forza, cosa aspettate” continua vedendo che non ci muoviamo.
Prendo Christian ed usciamo. Corriamo nell’ombra, restando sempre appiccicati ai muri. Una delle sue manine è infilata nella tasca, probabilmente stringe una freccetta che è pronta a colpire una vittima e ferirla. Bussiamo frettolosamente alla casa del sindaco ed il maggiordomo ci conduce fino alla camera di Jane. Un brusio allegro proviene dall’interno, apro la porta e la comitiva degli Evervood ci accoglie calorosamente. Ci sono anche Kevin e le sue tre sorelle minori.
“Ciao pulce!” mi saluta Jane, mentre a Christian è riservato un caloroso abbraccio. Sento le parole soffocate “Grande uomo, proteggili tu!”
Entra un soldato che ci chiede gentilmente di uscire, ma riusciamo a rubargli ancora una decina di minuti. Vedo le dita di Christian chiuse attorno ad una freccetta che era pronta a colpire. Dal polso dondola l’ambra arancio-rossa, il colore del coraggio e della vivacità, entrambe caratteristiche predominanti in mio fratello. Ma l’uomo torna nuovamente e la freccetta ancora puntata alla porta si incastra nel muro a pochi centimetri dal suo orecchio. Prende l’arma e mira mio fratello.
Sconcertata, mi alzo in piedi. “Ci lasci il tempo per salutarci, non ci vedremo per molto tempo e Jane è nostra sorella maggiore” dico mettendomi davanti a lui, attirando i suoi occhi e cercando di convincerlo con i miei. Non ho mai avuto problemi ad ottenere qualcosa: in una famiglia numerosa si impara presto fare gli occhi dolci o a rendere il tono di voce più tremante per soddisfare le esigenze del momento. Ci riesco ed il soldato ci concede gli ultimi due minuti, quindi partono i saluti.
“Quanto dura questa cosa?” chiede Christian.
“Non so. Dipende quanto tempo ci impiegheremo per ucciderci l’un l’altro, credo” risponde Jane, senza troppi peli sulla lingua.
“Noi ti sosterremo, anche se a distanza” esclamo. Batte i due pugni al petto e la imitiamo. Poi usciamo, in fila indiana ed in silenzio passiamo davanti al soldato che, con un bisbiglio, ferma Christian e gli dice qualcosa.
“Che ti ha detto?” gli chiedo.
“Di non perdere mai il mio coraggio!” esclama lui, stanco ma felice, i suoi occhi dal colore del cielo semichiusi per il sonno. Appena Jacob lo prende in braccio si addormenta. Gli accarezzo i riccioli rossicci ed osservo dormire quella piccola e temeraria peste.


 





****
Ciaooo!! Per la prima volta mi faccio sentire! =) Spero con tutto il cuore che la mia soriella famigliare nata sotto gli effetti della noia vi piaccia! =) Vi invito a partecipare attraverso le recensioni, a scrivermi cosa va o cosa no! Non solo per gli errori di grammatica (quelli credo siano abbastanza normali quando si scrive di fretta) ma anche per qualche consiglio! Magari anche solo per confrontarci sui nostri personaggi preferiti, cosa preferireste cambiare, cosa non vi sareste aspettati o cosa dovrei aggiungere! Sono aperta a critiche ed a consigli! Un grande grazie a tutti!! Luna.

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Capitolo 5
*** Diamante ***




Di prima mattina arriva una lettera.
ALL’INTERA FAMIGLIA DI JANE EVERVOOD.
Invitiamo i gentili famigliari della novella star televisiva a partecipare al suo debutto in società, partecipando alla trasmissione televisiva che si terrà il 15 maggio presso Capitol City. Un autista vi passerà a prendere il 14 maggio per le 19:00, viaggio ed alloggio per la notte resta a nostre spese. Vi preghiamo di accettare o negare l’invito presso i Pacificatori della vostra zona e, con la speranza di vedervi presto tutti uniti, vi mandiamo i nostri più cordiali saluti ed i più sinceri abbracci.
Il vostro Presidente,
Primus Snow.
“Ci andiamo?” chiedo guardando i miei fratelli, attorniati intorno alla tavola imbandita di poca frutta e qualche cereale.
“Mi pare ovvio!” risponde Alexandra “e vediamo di non fare brutta figura!” dice poi, indicando soprattutto me e Christian. Me perché ho due coltelli attaccati alla cintura, lui per via delle sue freccette multiuso.
“Saremo l’invidia di tutte le famiglie!” dico con un falso sorriso. Non avrei lasciato a casa i coltelli per nulla al mondo e lo stesso vale sicuramente per Christian.
“Bene. Deciso ciò, direi che possiamo dividerci e tornare ognuno al suo lavoro” esclama Jacob che, con una mela tra le mani, si dirige verso la miniera.
Io ed Elinor andiamo verso il negozio di fiori che, visto le recenti e diverse morti, si è riscattato agli occhi dei cittadini del Distretto 2, Alex va verso l’ospedale da campo costruito sotto un tendone, almeno momentaneamente. Margaret ha deciso di aiutare una signora nei mestieri di casa, mentre Rose, troppo timida per restare troppo a lungo in balia di sconosciuti, si dirige al laghetto artificiale con i più piccoli, decisa a farli giocare e svagare un po’.
“Vado a raccogliere i fiori nella serra!” mi urla Elinor, che sta già frugando nella tasca in cerca della piccola chiave che apre la grande porta a vetro indistruttibile. Io preparo il negozio, sistemo e conto i pochi soldi presenti in cassa.
Non passano molti clienti, solo un uomo anziano che mi dà un biglietto ed una busta. Poi, con un sorrisetto, se ne va.
Alla gentile fiorista Evervood, sicuro che accetterà la richiesta di un povero vecchio che sta tirando le cuoia.
Gentile signorina, vorrei chiederle di portare un mazzo di sei rose a mia moglie ogni anno nel giorno del suo compleanno, il 14 maggio, fino al giorno del suo 90°compleanno. I soldi dovrebbero bastare ad accontentare questa mia piccola domanda e, anzi, dovreste averne un piccolo ricavo. Vorrei anche che, annesso ai fiori, metteste un bigliettino: “le anime se ne vanno in un altro mondo, i corpi diventano decrepiti, ma l’amore che ci lega non potrà mai morire. Tanti auguri al bocconcino più prelibato dell’intero Distretto, il tuo Campione”.
Ogni anno lo stesso, non importa, perché lei soffre di memoria e solo con questa frase, in questi ultimi giorni, riesco a farle ricordare di me.
La ringrazio profondamente per il suo tempo, signorina Evervood e, in ricordo della fantastica amicizia che mi legava con i suoi nonni, auguro a lei ed a tutti i suoi fratelli ogni bene possibile. Forza e coraggio, ragazzi miei.
Distinti saluti,
un uomo che sta andando a morire.
Rileggo veloce una seconda volta, incerta di aver ben compreso il senso di quelle parole scritte con una calligrafia sottile ed incurvata, piena di errori e di scarabocchi. Chi sa quanto era costato a quel povero signore senza forze scrivere quella lettera! L’unico problema è che non ha lasciato né indirizzi né nomi. Sento uno strano sentimento di compassione e gioia, è raro che un amore potesse durare tanto a lungo, soprattutto in tempi di guerra.
Elinor entra con un mazzo di crisantemi e li posa delicatamente in un vaso argento di fronte all’ingresso.
 
Tanto quanto la giornata è passata tranquillamente, così la sera, appena rientriamo in casa, si dimostra caotica. Karin e Jason urlano dal divano, Tito si è tagliato con un foglio di carta e piange, mentre mi tira dai pantaloni, Christian utilizza la frutta della cena come bersaglio mobile e Rose, stanca di tutti i pianti dei bambini, sta dando in escandescenza.
“Basta!” urlo a tutta voce. Le grida diventano mormorii, poi bisbigli e poi silenzio. “Era ora!” sbuffo “ora, chi ha bisogno di qualcosa, si mette in fila ed Alex lo ascolta, gli altri si mettono a tavola in silenzio!!”
Tito, Mirko e Rose si piazzano vicino ad Alexandra che, supplichevole, cerca l’aiuto di Margaret, indaffarata con Karin. Io mi occupo di Jason e, piano, le lamentele si attenuano e gli animi si placano. Una cena veloce e poi, con la speranza di poter rivedere Jane presto, tutti a letto.
“Nic!” mi chiama Christian da sotto le coperte.
“Che c’è?” gli chiedo, avvicinandomi a lui
“Mi racconti la storia degli Stati Uniti?”
“Ma certo” dico frugando nella memoria quella leggenda che spesso il nonno ci raccontava.
“C’era una volta, tanto tempo fa, proprio qui, al posto di Panem, una grande unione di Stati autonomi. Questo gruppo era chiamato Stati Uniti d’America. Ogni Stato viveva indipendente l’uno dall’altro ma, se uno di essi aveva bisogno, tutti gli altri accorrevano per aiutarlo. La gente viveva felice, abitava in piccole case che facevano parte di grandi edifici alti fino al cielo, il lavoro era pagato, le persone erano libere. Non c’erano guerre per stupide questioni di appartenenza ad un gruppo, né per questioni religiose o culturali. Ma già a quei tempi, sotto il controllo di un presidente scelto dal popolo, c’erano tensioni politiche, che portarono all’egoismo ed all’odio. Con gli anni, nei cittadini degli Stati Uniti crebbe la paura e si chiusero in se stessi, non parlarono più con i loro compagni. Gli Stati iniziarono a non aiutarsi più e, anzi, a fare la guerra tra loro. Finché, ucciso il presidente eletto dal popolo, salì al potere un uomo cattivo, brutto e col cuore pieno di odio. Sotto il suo controllo, i cittadini furono bombardati ed assaliti, tanto che per qualche giorno dovettero nascondersi nelle proprie case. E durante quei giorni di prigionia obbligata, furono costruiti dei muri attorno alle città, senza uguaglianza, senza logica. La città più piccola, quella al centro, prese il nome di Capitol City e le altre, allontanandosi da essa, divennero i Distretti, numerati dall’1 al 13. Ognuno aveva una particolarità che non gli fu mai tolta, ma Capitol City li comandò, obbligandoli a sottomettersi al suo volere ed a servirli. Ogni anno era sempre peggio finché, stanchi di tutti  i soprusi subiti, i cittadini si allontanarono dall’odio che provavano verso gli altri Distretti e fecero gruppo per ribellarsi contro Capitol City. Iniziarono sommosse, la capitale costruì abomini chiamati Ibridi per spiarci e, alla fine, la Rivolta.” Mi fermo per prendere un respiro, Christian e Mirko mi guardano con gli occhi sgranati, pensandoci non è una buona favola della buona notte.
“Ma non bisogna mai perdere la speranza” mi incita Christian che sa la storia a memoria quanto me. Almeno l’inizio, perché col passare del tempo si allunga sempre più.
“Ma non bisogna mai perdere la speranza, perché un giorno arriverà un salvatore che ci libererà della dittatura e ci permetterà di tornare alla Repubblica, alla libertà ed alla decisione nelle mani dei cittadini, alle amicizie ed all’unione assoluta.” Finisco la storia, rimbocco loro le coperte e, prima di uscire, dico “Così almeno dicono i vecchi saggi ed i simboli scritti sulle antiche pergamene!”. Poi chiudo la porta e mi dirigo dalle ragazze.
“Nic, ora tocca a noi!” esclama Elinor, già mezza addormentata e stretta al suo peluche preferito.
“Cosa volete sentire?” chiedo.
“La storia di mamma e papà” chiede Margaret a bassa voce. Nonostante tutti ascoltassimo le storie del nonno, soltanto io riuscivo a memorizzarle e, poi, a raccontarle di nuovo, magari con qualche particolare in più.
“Allora…22 anni fa, una ragazzina del Distretto 4 scappò dalla casa dove era vissuta con la mamma, ormai morta, e si diresse verso il Distretto 1, dove suo papà era stato costretto a lavorare per Capitol City. Ma il viaggio che intraprese era lungo e pericoloso, perché i muri che dividevano i Distretti erano alti, appuntiti e, spesso, anche elettrificati. In più, la gente dei nuovi Distretti, caratterizzati da carnagioni di diverso colore o vestiti più sgargianti di quelli della ragazzina, la guardavano con paura e la puntavano a dito. Nessuno l’aiutò, dovette arrangiarsi con i pochi soldi della sua eredità e contare solo sulla sua forza d’animo. Lentamente e faticosamente, riuscì ad arrivare al Distretto 2, dove una piccola famiglia povera l’accolse, la sfamò e le diede riparo per tutto il tempo di cui aveva bisogno. Questa famiglia aveva due figli, entrambi maschi. Uno, schietto e volgare, aveva sempre una voglia incontenibile di cacciare, lottare e fare del male. Questo spaventava la giovane che, nei giorni che passò con la famiglia, si avvicinò all’altro fratello, più timido e riservato, grande lavoratore e con un grande senso del dovere. Passarono i mesi, la giovane dimenticò della sua missione di trovare il padre segregato nel Distretto 1, passò il suo tempo con il ragazzo che le faceva battere il cuore a mille. Si innamorarono e, giovanissimi, poco più che ventenni, si sposarono. La loro vita fu agitata, ma mai infelice. Ogni giorno era una rivelazione, una nuova avventura che vissero insieme, si scontrarono e fecero pace. E poi, per completare quel miracoloso idillio che la vita aveva donato loro, nacque una bimba” raccontai. La storia di mamma e papà piaceva anche a me, ero riuscita ad estorcere la prima parte al nonno con tanta fatica e, il resto, l’avevo raccolto attraverso domande indirette ai miei genitori.
“Alex” bisbiglia Elinor. Riprendo la storia “Si. Quei suoi occhioni verdi ricordavano tanto la mamma della giovane che le diede il suo nome e, per ricordare anche a se stessa di provenire da un Distretto la cui componente principale è l’acqua, le legò al collo una piccola perla, proveniente dalle profondità marine del 4. Negli anni, per rendere ancora più attiva ed eccitante la vita dei due genitori, nacquero altri 11 bimbi, tutti con delle caratteristiche diverse, tutti con delle esigenze specifiche e con dei caratteri unici. E fu così che, parte di una grande famiglia, la coppia visse una vita felice ed abbastanza spensierata, avventurosa e mai monotona”
“Ogni volta riesci a renderla diversa” dice Rose, abbracciata al cuscino.
“Un dono naturale” dico con leggerezza. Mi metto nel letto accanto a lei e, in poco meno di mezz’ora di chiacchiere tra ragazze, ci addormentiamo.
 
L’auto di Capitol City arriva puntuale alle 19:00 e noi, carichi di uno zainetto contenente gli effetti essenziali per la notte e per la diretta del giorno successivo, saliamo. È grande, ci stiamo tutti senza doverci stringere troppo. Bottigliette d’acqua e succo di frutta sono all’interno di un piccolo frigo-bar, bicchieri di cristallo adagiati in uno scatolone sotto il sedile.
“Potete usufruire di quello che volete” dice l’autista vestito completamente di blu. Karina agita le manine entusiasta dei colori che vede, Jason si muove senza tregua sulle ginocchia di Jacob. Tutti rimaniamo estasiati dal lusso di Capitol City.
“Quanto tempo ci impiegheremo per arrivare alla capitale?” chiede Alex allo specchietto che ci divide dall’autista.
“Qualche ora e ci siamo” risponde lui. Non può avere più di trent’anni, le mani coperte da guanti blu notte, gli occhi verdi con le ciglia arancioni, ciuffi di capelli azzurri gli ricadono sulla fronte.
“Volete fare un gioco?” propone Rose, che fruga nel suo zaino.
“Beh, possiamo fare quello delle storie da completare” propone Margaret “Uno inizia una storia, poi si ferma e quello che gli sta vicino la continua. Alla fine esce una storia che contiene le idee di tutti”.
“Oppure possiamo giocare alla ruota delle lettere” suggerisce Elinor. Tutti sappiamo fare quel giochetto di parole: si sceglie una lettera e si elencano tutte le parole che vengono in mente che iniziano con quella consonante o vocale che sia.
 
Passiamo in macchina 4 ore, prima di arrivare all’hotel dove soggiorniamo. Siamo tutti stanchi e bisognosi di una doccia ma, in 11, è molto il tempo d’attesa per il bagno. Ci hanno riservato due stanze e ci dividiamo come a casa: maschi da una parte e femmine dall’altra. Così guadagniamo un po’ di tempo, ma è comunque mezzanotte passata quando le luci si spengono. Nel lettone stringo a me Elinor che, senza il suo peluche preferito, si aggrappa con forza al mio braccio.
Non possiamo visitare Jane fino a questa sera, quando farà il suo ingresso in “società”. Nel frattempo, possiamo visitare Capitol City, molto diversa rispetto al nostro piccolo mondo, molto più colorata, attiva e caotica. Come le grandi città degli Stati Uniti, le persone non si parlano per strada ma si tengono a distanza, se si scontrano litigano e non chiedono mai scusa. Sono persone strane, con i loro capelli dai colori sgargianti, le labbra gonfie ed abbinate ai capelli, i vestiti eccentrici e troppo vistosi, come gli alberi di Natale pieni di lampadine.
Quando cala la sera tutti si rintanano nelle proprie case ed accendono la TV, mentre Alex ci incita a cambiarci velocemente e a metterci in fila. Sembra di essere ancora a scuola, con lei come maestra.
Raggiungiamo un grande teatro che trabocca di voci eccitate. Sull’entrata un’enorme striscione annuncia i primi Hunger Games. Il giovane uomo che ci rappresenta, Hugo Cambridge, scorta noi e la famiglia di Kevin Prince fino ad un settore del teatro che si trova vicino al palco. Altre famiglie sono già sedute in reparti riservati, ognuno nell’eleganza tipica del proprio Distretto.
“Cittadini di Capitol City, famiglie!” annuncia lo stesso presentatore che avevo visto in TV la sera della fine della Rivolta. Ombrus, così l’aveva chiamato il presidente Snow.
“Questa sera è l’inizio di una grande avventura. Una grande ricchezza verrà data al vincitore, fama e gloria anche per il suo Distretto. Ma non attendiamo oltre e mostriamo i 24 ragazzi che sono stati scelti per rappresentare ogni Distretto qui, nella grande Capitol City!” urla. Una porta si apre ed entrano i due giovani dell’1, scortati dal loro rappresentante, un uomo virile con i capelli verde pisello. Indossano un vestito blu scuro scintillato di gioielli, sulla testa delle corone di diamanti,  alle dita grandi anelli.
Dietro di loro, ci sono Jane e Kevin, vestiti con semplici tute nere, quelle dei minatori che estraggono le pietre, a tracolla portano due fucili, sicuramente scarichi. Vedo Jane che sfila sicura di sé, a testa alta e con i pugni chiusi.
Passano tutti e 12 i Distretti, ognuno splendido nella divisa che rappresenta il loro stile di vita.
Poi ci sono le interviste. Uno alla volta i ragazzi vengono fatti parlare. Il presentatore fa domande e loro rispondono. I più socievoli intrattengono gli spettatori e riescono a farli ridere, i più affascinanti si basano soprattutto sul loro aspetto fisico e gli altri, come Jane, i più chiusi o i più timidi, cercano con gli occhi le famiglie e rispondono a loro alle domande. Le telecamere sono puntate sul palco e, sui maxischermo su tutti i lati dell’arena, si vedono le facce di quei 24 giovani uomini e donne, ancora troppo ignari della vita e non ancora pronti a lasciarla.
“Vedo che i tuoi occhi sono fissi sul pubblico” dice Ombrus alla testa rossa di Jane. Lei annuisce
“Chi stai cercando?” continua lui
“Nessuno, li ho già trovati.” esclama con un sorriso.
“Hai trovato la tua famiglia, giusto?” e, vedendo che Jane annuisce, parla ancora “A quanto ho sentito, la tua è la più grande del Distretto 2! Raccontaci un po’ di loro”
“Beh, siamo in 12 ragazzini senza genitori, i più grandi badano ai più piccoli. Nella mia famiglia c’è quel senso di unità che manca a Panem, un sentimento di amore, protezione e felicità. Nonostante si faccia fatica ad andare avanti, i nostri caratteri sono forti e sopravviviamo. So che mi mancheranno, per questo vorrei godere ancora qualche momento con loro” dice Jane.
“Beh, magari dopo potrete parlare. Ma, quello è un rubino vero?” le chiede, sorpreso.
“Si, perché?”
“Beh, i rubini sono pietre molto ricercate e molto costose da queste parti” spiega Ombrus
“Questa pietruzza? Mi è stata affibbiata appena sono nata, il suo colore rappresenta il mio carattere!” sospira mia sorella. Vedo una luce rossa lampeggiare e Jane esce di scena. Ha giocato la carta della famiglia numerosa senza genitori per addolcire la sua figura davanti agli abitanti di Capitol City, altrimenti non avrebbe mai parlato di noi in pubblico.
Verso mezzanotte ci permettono di vederla. In un grande spazio chiuso ogni famiglia abbraccia il ragazzo che sta lasciando andare nelle grinfie della capitale. La famiglia di Kevin fa gruppo con noi, non mancano gli abbracci e le lacrime per le separazioni.
“Attenta alla pietra, a quanto ho capito ne sono tutti molto interessati” la mette in guardia il signor Prince. Distretto per Distretto, i ragazzi tornano sul palco, sta volta accompagnati dalla propria famiglia. I flash delle macchine fotografiche riprendono ognuno di noi, una foto di gruppo per ricordare quella “splendida” avventura, seguendo le parole del presentatore. Un’immagine per ricordare i morti di questo stupido programma, penso io irrigidita dalla rabbia.
“Ehi pulce” mi dice Jane, prima di salutarci definitivamente. Mi giro, con gli occhi cerco di capire cosa vuole. Tocca il diamante che ho appeso al collo e lo rigira tra le sue dita.
“Il diamante a contatto con la luce emette l’arcobaleno, ovvero l’insieme dei colori delle nostre pietre, lo sapevi? Ciò significa che in fondo, il tuo scopo è quello di tenerci sempre uniti. Papà diceva che il tuo cuore è capace di essere talmente grande da poter amare tutti ed anche rigido per non farti crollare alla prima difficoltà. Ti hanno praticamente allenata per fare da anello saldante della catena! Anche se non tornerò più, promettimi che non permetterai loro di crogiolarsi nell’autocommiserazione e nella tristezza, che continuerete a vivere. Gli racconterai una nuova storia, quella di una ragazza coraggiosa che si è sacrificata per il bene della sua famiglia!” dice tutto d’un fiato.
“Cerca di non morire, ragazza coraggiosa!” esclamo con un sorriso.
“Ci proverò!” replica lei. I due pugni. “Forza e coraggio, noi ti saremo sempre vicini!” esclama Alex, tenendo tra le braccia un Jason addormentato.
“Jane!” sono le prime lettere di Karina. Un unico nome, quel nome che ci terrà tutti in sospeso durante queste settimane di agonia. Quel nome e la speranza di poterlo pronunciare ancora per richiamare la ragazza che lo porta e non scritto su una pietra tombale. Spero e prego perché mia sorella si faccia coraggio e torni da noi.



****
Ok, credo che questo sia il capitolo più deprimente tra quelli che ho scritto fin ora (già gli altri non sono una brillantezza unica). Colpa della scuola, non ci sono più lezioni noiose a causa delle interrogazioni e non riesco ad addormentarmi sul banco per pensare =P
Sono apeta a critiche! =)

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Capitolo 6
*** Topazio ***



Una rosa. È la prima cosa che vedo in questa mattinata soleggiata e calda. Una rosa rossa, il suo profumo dolce ed i suoi petali freschi mi solleticano il naso. Guardo mia sorella che lascia dondolare lentamente il fiore sopra la mia faccia.
“Piantala, Rosie, voglio dormire!” le dico, nascondendo la faccia sotto al cuscino.
“Su dormigliona! Il sole è già alto nel cielo!” urla lei, aprendo le ante, lasciando entrare la luce abbagliante “Ci hanno invitato a Capitol City!”
Sei parole bastano per farmi alzare di scatto e vestire in tutta fretta, lavare e pettinare.
“Bene, cosa stiamo aspettando?” le chiedo sorridente, la coda alta che mi solletica il collo.
“Solo te!” risponde lei divertita. Rose non è una che ama le battute, è sempre stata tranquilla, riservata, non le piace parlare troppo, né spettegolare, è sempre chiusa in se stessa e partecipa poco alla vita del Distretto. Quello che la contraddistingue di più è la sua sincerità e la sua schiettezza. Nonostante sia riservata non è timida e se deve dire una cosa non ha peli sulla lingua. Ricordo che una volta ha detto ad una sua compagna di scuola di andare a fare una doccia perché il suo odore si sentiva per tutti i corridoi dell’istituto. E ad un’altra che si vantava dei suoi orecchini di biscotti aveva riferito che non si poteva considerare “gioielli” delle cose fatte con il cibo e li aveva mangiati.
Scendo le scale inciampando nei miei piedi e nel corpo peloso di Luke che continua a frapporsi fra me ed il gradino successivo. Sento già in lontananza le voci dei miei due fratelli maggiori litigare in giardino, vedo Karina gattonare in salotto, Christian che si allena con le sue freccette. La porta di casa sbatte violentemente ed entra un’infuriata Alexandra, il viso rosso, gli occhi fuggitivi.
“Cos’è successo?” chiede Margaret entrando nella stanza.
“Hanno licenziato Jac!” ci rivela. Una stretta al cuore. Uno stipendio in meno in casa Evervood.
“O, non è poi così grave! Vivremo bene lo stesso” dico ripensando al grosso anticipo del vecchio signore di settimana scorsa. Ricordo il sorriso della moglie quando ha visto i fiori e letto il biglietto. “E’ in guerra, in questo momento!”. Le infermiere mi avevano detto di non contestare nulla dei suoi racconti, di non fermarla e di essere gentile. E così ho fatto. Però che tristezza passare un’intera vecchiaia sola, pensando che il proprio marito sia in una guerra, lontano. Anni di bugie.
Il clacson di una macchina ci annuncia che il nostro autista personale è arrivato. Credo abbia una cotta per Alex, la guarda sempre, parla sempre con lei, le fa gli occhi dolci e, soprattutto, le porta dei regali (anche se sostiene che sono per tutta la famiglia).
Credo che per educazione, dopo oggi, dovremo invitarlo a pranzo. Anche solo perché riesce a sopportare le urla di undici ragazzini per quattro ore!
“Nicole” urla Mirko, lanciandomi addosso uno dei suoi pupazzi preferiti. O cavolo!
“Te lo aggiusto, giuro! Ora spicciati” intimo al mio fratellino. Per sbaglio quell’orsetto mi è volato fuori dalla cesta e Luke l’ha azzannato e, ovviamente, strappato. Ma voleva solo giocare, d’altronde è solo un cucciolo!
“Allora! Il reality sta per iniziare! Vedrete vostra sorella sul grande schermo!” dice Theodore, l’autista con i capelli azzurri e le sopraciglia arancioni.
Oh, si, la vedremo mentre viene torturata da chi sa quale diavoleria della capitale! Penso mentre un sorriso ebete si disegna sulla mia faccia. Ma per rispondere ad un abitante del centro bisogna accettare che le proprie espressioni diventino simili alla loro.
“Si, siamo sicuri che ci renderà fieri di lei!” dice Rose a denti stretti.
“Non che non lo siamo già!” continua Margaret.
Così simili eppure così diverse. Credo sia così per tutti i gemelli. Corpo uguale e sentimenti opposti.
Rose mi guarda, il fiore rosso sempre tra le dita, i suoi occhi viaggiano lontani mentre guardano fuori dal finestrino. Scommetto che se dicessi una scemenza lei annuirebbe. Ma non sono io a parlare.
“Chi ti ha dato la rosa?” chiede Margaret, osservando la sorella con la faccia spiaccicata contro il vetro.
“mm” dice la gemella, in segno di assenso.
Margaret la scuote, leggermente, ed i suoi occhi verdi la guardano spaesati.
“Ma che vuoi? Stavo pensando!” urla staccandosi dalla presa dell’altra.
“Ti ho chiesto” sillaba Margaret “chi ti ha regalato il fiore!”
“Nessuno” risponde Rose, ma le sue guance diventano rosse. Cosa nuova per i nostri occhi, nostra sorella che si imbarazza ad una domanda!
“Tu non ce la racconti giusta” esclamo ridendo.
Elinor si fa spazio fino a raggiungerci e si crea un posticino vicino a me. Sembra un angioletto biondo con quel visino latteo e gli occhi azzurri. Ma in una famiglia di tante persone, spesso, anche il più buono dei caratteri viene contaminato e questo è il caso della mia sorellina, così come il mio del resto. La sua vista ha già puntato qualcosa ed un sorriso malizioso le si forma sulle labbra. Scatta in avanti ed affonda la mano nella giacca di Rose, estraendone un pezzo di carta. Nostra sorella, rossa in viso quanto un pomodoro maturo, cerca di divincolarsi dalle braccia di Margaret che la trattengono e tira calci a Elinor che inizia a leggere.
“Cara e dolce Rose” dice ed i primi fischi d’ammirazione non si fanno attendere.
“Sono un ragazzo che ti vede spesso passare per strada e ti ammira molto. Mi piacerebbe tanto conoscerti…” ma Elinor non riesce a continuare in quanto la veloce mano di Alexandra agguanta la lettera e gliela strappa di mano.
“Saranno poi fatti suoi!” ci urla, ma so che sta già finendo di leggere, incuriosita. Ecco, la curiosità è l’unica cosa che non manca nella nostra famiglia! Chi in un campo e chi in un altro, tutti siamo curiosi.
“E su, non vuoi dirci di chi si tratta?” chiedo a Rose, il cui viso si sta già rischiarendo.
“Non lo so, non lo conosco. Credo sia un compagno di scuola!” dice lei.
Theodore prende una curva stretta e sento il peso di metà famiglia schiacciarmi contro la portiera.
“L’avete fatto apposta” urlo inviperita, guardando i miei fratelli sogghignanti negli occhi. Mi massaggio il braccio che ha fatto da cuscino e retto tutto il peso.

A Capitol City la famiglia di Kevin ci abbraccia e offre la cena. Loro sono arrivati ieri ed hanno trovato un posto in prima fila, così che possiamo vedere bene i nostri Tributi (si, nel Distretto 2 è nato questo termine perché gli anziani ricordano che tanto tempo fa si pagavano dei tributi in denaro allo Stato per poter avere in cambio qualcosa).
Vedo il presentatore, accomodato in una delle tribune d’onore, un marchingegno elettronico è seduto vicino a lui, come se fosse il suo migliore amico. E Ombrus Smith gli parla come se fosse il suo migliore amico. Un piccolo microfono è posato davanti a lui, probabilmente sentiremo la sua voce fare da telecronaca per tutto il reality show.
Grossi numeri appaiono sullo schermo e delle diapositive vengono trasmesse velocemente. Sono fotografie dei 24 ragazzi, durante l’allenamento, durante le serate, durante il giorno della Mietitura. E poi ci sono immagini della vita quotidiana.
“Dove le han prese quelle?” si domanda Alex, osservando una foto che ritrae Jane e papà. Sono così simili…anzi, erano. E, come lui, lei rischia di morire per la famiglia.
Il destino è davvero crudele con certe persone! Chiudo gli occhi e riporto alla mente l’immagine dei miei genitori, la loro felicità, le loro risate.
“Proteggetela voi” bisbiglio tra me e me.
Inizia un inno, quello di Capitol City che anche settimana scorsa abbiamo ascoltato. Tutti si alzano e noi li imitiamo. Poi Ombrus Smith inizia a parlare.
“Benvenuti, signori e signore, signorine, bambini, a questi primi Hunger Games!” annuncia felice “Diamo un caloroso benvenuto al nostro presidente, Primus Snow!”
Gli abitanti della capitale applaudono e fischiano, ma la nostra parte di sala (quella dei parenti) è invasa da bisbigli ostili.
“Grazie, grazie! Cosa posso dire, siete un pubblico favoloso” dice l’uomo dai capelli neri e azzurri. O, per lo meno, la sua voce, dato che non si vede nessuno sull’immenso palco.
“Povero illuso, non verrà mai rispettato o amato come il vecchio presidente” ringhia Rose, stringendo i pugni. Il topazio rosa sul suo anello scintilla, come a darle ragione. E, in effetti, ha ragione. Il signor Fair è stato un grande uomo, tutti lo amavano e le sue decisioni erano sempre giuste, ragionate, fatte per il nostro bene.
“Che la fortuna sia sempre con voi ed i vostri cari ed ora che lo show abbia inizio!” urla Snow.
Lo schermo si riempie di colori, prima piccoli riflessi e poi l’immagine di una montagna si piazza davanti ai nostri occhi. Sulla cima c’è una piccola casetta di bronzo, alla sua base i 24 ragazzi, in piedi su dei piedistalli metallici.
Un conto alla rovescia fatto da una voce robotica.
“10…9…8…7…6…5…” dice. Una ragazzina della mia età scende dal piedistallo e la base sotto di lei esplode, generando un gran polverone. Tutti restano col fiato sospeso, gli abitanti della capitale applaudono per i favolosi effetti scenici, una donna scoppia a piangere. Tutti in quella parte di sala tratteniamo il respiro. È questo che fanno ai nostri amici, ai nostri fratelli, ai nostri figli? Come si può essere tanto brutali?
“3…2…1” e poi un sonoro acustico che da il via. I ragazzi corrono verso la foresta. Non succede niente, li vediamo correre, salire sugli alberi, cercare un nascondiglio. Le telecamere riprendono uno per uno i giovani, inquadrano le loro espressioni.
Quando il mormorio dell’ala destra diventa percettibile ed i tecnici capiscono che la gente si sta annoiando, allora ecco un lupo selvatico spuntare dal nulla nella parte est del bosco. E poi un altro ed un altro ancora. Si sente il rumore di persone che trattengono il respiro tutte insieme, noi perché immaginiamo già la strage e ci stringiamo sperando che non colpisca qualcuno che conosciamo, gli altri perché immaginano già che ci sarà da divertirsi.
“Bastardi!” sibila Rose.
Vedo Jane, i suoi capelli rossi sono inconfondibili in tutto quel verde e marrone. La sua cintura con i coltelli che rimbalzano sulle cosce, gli occhi che cercano veloci un riparo possibile ed uno dei lupi alle sue calcagna. Non è un animale normale, è grosso e alto e…un attimo…si sta mettendo su due zampe! Ma che diavolo…che diavoleria è questa?
Capitol City e le sue stupide tecnologie, come direbbe mio nonno: i tecnici della capitale ne sanno una in più del diavolo. L’attenzione, ora, è tutta su Jane. Prende un coltello, lo lancia, colpisce una zampa al lupo che cade ululando e, togliendosi l’oggetto con le zanne appuntite, si rilancia all’inseguimento.
La telecamera spiazza su un altro ragazzo che corre veloce tra i cespugli. Anche lui è inseguito da uno dei grossi mammiferi creati dalla capitale. Corre ed inciampa. L’animale gli è sopra in un solo balzo ed un colpo di cannone fa sobbalzare tutta la sala. È morto.
Urla da parte dei genitori, un “No” gridato a gran voce dalla parte finale della sala. Ho paura, perché non tornano su Jane, cosa le è successo? Rose mi prende per mano, è calda e sicura. Guarda con gli occhi sgranati e pieni d’odio quelle scene crudeli, cerca di trattenere tutte le parolacce che so che sbraiterebbe in faccia al presentatore eccitato che commenta tutte le scene.
“Oh, che peccato, non ce l’ha fatta!” ha detto quando quel diavolo peloso ha iniziato a sradicare la pelle del povero ragazzino.
Un altro salto. Un gruppo di ragazzi si è radunato vicino al ruscello, cerca di bere e discute di una strategia da seguire. Disegnano sulla terra con un sasso, parlano di cercare delle armi o di crearle. Questo è quello che gli hanno detto i loro mentori di Capitol City in quei giorni di allenamento. Hanno lasciato i coltelli a Jane non per difendersi, ma per uccidere gli altri. Immaginavo fosse qualcosa del genere, ma non pensavo che trasformassero i ragazzi in assassini.
Una ragazza diciottenne, con una coda alta e corvina si arrampica su una roccia non del tutto fissata al terreno. No penso tra me. Come fa a pensare che la regga?
Infatti, come previsto, il sasso si stacca e rotola nel precipizio, ma non porta con sé la giovane. Si tiene con una mano sospesa sull’enorme burrone, la fronte imperlata di sudore. Un corvo gracchia sopra la sua testa e viene raggiunto subito da un suo fratello. Entrambi si catapultano sulla ragazza che cerca di proteggersi la testa con il braccio libero. Gli animali iniziano a beccarla ma la loro attenzione viene rapita da qualcosa. Prendono un serpente nascosto tra le rocce e se ne vanno per la loro strada. Un sospiro di sollievo dalla nostra parte, uno di sconforto dall’altra.

È mezzogiorno, il mio stomaco brontola e non si sono più sentiti spari. Buon segno! Alcuni camerieri imbandiscono enormi tavolate, posano piatti di panini, patatine, pizzette e, soprattutto, di dolci! Mi catapulto su uno di essi, agguantando più cose possibili.
“Lo sai che questo è tutto il cibo che è stato tolto a noi Distretti?” mi chiede Rose. Quest’affermazione mi fa pensare e, effettivamente, so che è vero. Ma cosa posso farci, sono qui per noi, serviamoci!
“Mangia, una volta che possiamo” le dico azzannando un panino. Sembra burro, da quanto tempo non lo mangiavo più! Anzi, da quanto tempo non riempio lo stomaco! Sembra passata un’eternità dall’ultima cena con la C maiuscola!
Tutti (e quando dico tutti è tutti) gli abitanti dei Distretti si fiondano sul cibo come delle bestie, mangiano con voracità, inghiottono più cose possibili.
Poi penso a Jane, lei oggi salta anche il pranzo. A meno che il suo istinto da cacciatrice omicida e senza scrupoli la aiuti a trovare una preda facile. Mi si chiude lo stomaco ed avanzo metà del cibo sul mio piatto.
“Ragazze! Come vi sembra questo nuovo reality show” ci chiede Ombrus Smith. Non avevo nemmeno visto che si era avvicinato al tavolo del buffet!
“Ha voglia di scherzare?” inizia Rose. Bene, inizia lo spettacolo!
“Perché, non vi piace? Gli effetti speciali, gli ibridi creati dai nostri tecnici! È tutto perfetto e…nuovo!” esclama sospirando beatamente. Ok, mi trattengo, ma ho l’istinto di spaccargli la faccia a pugni.
“State uccidendo dei ragazzi innocenti! Siete degli assassini!” sbotta Alex. Bene, le due paladine della giustizia contro il povero Smith che vorrebbe essere senz’altro da qualche altra parte.
“Li avrete sulla coscienza! Assassini!” sbotta Rose.
“Solo per potervi divertire, per passare il tempo! È il vostro passatempo uccidere le persone? Far soffrire?” urla Alex.
Hanno attirato un bel gruppo di spettatori. Smith sembra pensare alle loro parole, come se capisse per la prima volta cosa vuole Snow. Come se non avesse mai nemmeno pensato di poter esser un assassino indiretto, un complice di quello Stato marcio fino al midollo.
“Lei è un verme! Un sudicio verme che striscia suoi morbidi terreni di Capitol City, che obbedisce agli ordini di un presidente senza cuore senza pensare al male che fa agli altri. Ed un codardo, perché resta nascosto dietro a delle false convinzioni e si sente felice del suo lavoro! Scommetto che fino a poco fa si vantava di esso! Adesso, invece, capisce che non è poi un così buon lavoro! È meglio essere abitante di un Distretto piuttosto che essere come uno di voi!” urla Rose. Beh, ci voleva la sfuriata finale! Inizia un applauso, prima lieve, poi collettivo. Smith sbianca e si dilegua mentre i parenti dei Tributi si avvicinano e sostengono mia sorella.
Brava Rose, come diceva il nonno: quando ci vuole, ci vuole!



*****
Ciaoooo!! Sono tornataaa!! Non che a qualcuno interessi, probabilmente =(
Cooomunque! Dopo una lunga pausa di riflessione (dovuta allo studio scolastico), ad un recupero andato malissimo ed al fatto che ho le mie cose (vi lascio immaginare la mia situazione attuale) ho scritto il nuovo capitolo.
L'ho buttato giù di getto, non sgridatemi troppo per gli errori.
Credo di aver modificato leggermente il carattere di Nicole, ma è dovuto dal fatto che è passato molto tempo da quando ho scritto l'ultimo capitolo!
Spero vi piaccia, aspetto presto recensioni!! =) Bacciiii!!!

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Capitolo 7
*** Acquamarina ***



 

Rose si calma lentamente, per il pomeriggio è stata interrotta la trasmissione degli Hunger Games. I produttori ed i tecnici dicono che provvederanno per i nostri alloggi e ci hanno promesso che i Tributi rimasti potranno riposare pacificamente.
Aspettiamo il ritorno di Alex e, insieme ai genitori di Kevin, andiamo all’appartamento riservato al Distretto 2. Karina e Jason dormono tra le braccia di Jacob, Elinor e Mirko litigano sonoramente tra loro e occhi indiscreti continuano a guardare dalla nostra parte. Mi sento male, vorrei affondare o scavare una buca nel terreno per nascondermi. Non mi sembra ancora del tutto reale….tutta questa cosa degli Hunger Games, insomma. Non riesco a credere che alcune persone possano essere così cattive!
“Nic” sento la voce di Margaret, vedo la sua mano passare davanti ai miei occhi come se fosse quella di un fantasma. Il mio cervello è perso in una foresta buia e fitta, vedo uno sprazzo di luce tra le foglie. Una scossa mi fa risvegliare: sono a Capitol City, i marciapiedi sono pieni di gente e colori, il traffico si fa sentire dietro ai clacson delle auto.
“Che c’è?” chiedo a mia sorella che mi guarda con gli occhi sgranati.
“Stai bene?” mi chiede Margaret.
“Si, perché?”
“Sei pallida”
Pallida…beh, in una situazione del genere credo sia normale. Un clima nuovo, una città nuova, nuove impressioni e, soprattutto, tantissime paure. Non so cosa passi nella testa dei miei fratelli, ma di una cosa posso essere assolutamente certa: tutti abbiamo paura. Anche i gemelli più piccoli, dietro al loro misero anno di vita, hanno capito cosa sta succedendo. Lo sento la notte quando sussurrano il nome di Jane o quando giocano e bisbigliano “guerra” o “morte” oppure “addio”. Mi stringo al braccio di mia sorella, la sua espansività e la sua allegria mi fanno sentire protetta e mi distraggono dai miei pensieri. Arriviamo ad un palazzo rosso fiammante. La signora Prince apre la porta con una chiave d’argento ed il salotto arredato secondo i gusti della capitale ci appare davanti agli occhi. Mobili nuovi, quasi tutti di plastica colorata, tre divani che accerchiano una tv maxischermo, un tappeto fatto con la pelliccia di un orso bianco, dei quadri brillanti e senza forma. E poi specchi, tantissimi specchi. Se si volesse fuggire alla propria immagine sarebbe impossibile. Elinor e Mirko vanno in avanscoperta, corrono per le scale, Tito si getta sull’orso, inserendo le mani graffiate nella sua bocca, toccando i denti appuntiti. Margaret e Rose, io ed Alexandra andiamo in cucina. E’ spaziosa, le tende colorate ci permettono un completo isolamento dall’esterno, il tavolo è lungo e di marmo, i fornelli di acciaio e perfettamente scintillanti. Tutto in quest’appartamento sembra nuovo.
La televisione si accende, i passi sulle scale si accentuano e tutti finiamo schiacciati sul divano centrale per ascoltare le parole di un tecnico.
“Cari ragazzi, cari signori, siamo spiacenti di aver dovuto fermare il programma. Speriamo con tutto il cuore che l’appartamento sia di vostra comodità e che non vi manchi nulla. Per ogni necessità, vicino al telefono fisso trovate i numeri di servizio ed un aiuto tecnico vi aiuterà e risponderà alle vostre domande. Sia lode a Capitol City”. La tv si spegne e torniamo alle nostre mansioni abituali.
“Ci sono due stanze gigantesche, di sopra!” urla Elinor
“E tantissimi letti a castello. Saranno almeno 20!” continua il gemello.
“Non esagerare! Saranno stati a malapena 10!” lo rimbecca la sorella.
Inizia così uno dei soliti litigi che coinvolgono i “gemelli mezzani” come li chiamava mamma. Li lasciamo fare, ormai siamo abituati ai loro battibecchi.
Le stanze sono favolose, una camera grande ed una più piccola con un solo letto matrimoniale. Il bagno è enorme, ci sono doccia e vasca e decine di prodotti per lavarsi. Un profumo di vaniglia e cioccolato aleggia per la nostra stanza, uno di fragola nell’altra, mentre vicino al lavandino vedo una candela con il profumo di ciliegie. Girovago per l’appartamento con Tito appiccicato ad una gamba che mi guarda con i suoi occhioni verdi. Mi supplica di dargli un ghiacciolo perché fuori fa caldo, mi chiede di giocare con lui alla guerra e cerca di prendere la lama che tengo ancora nascosta nella cintura dei pantaloni. Non mi fido degli abitanti della capitale…sono diversi da noi.
 
Sono le 4 del pomeriggio e, in effetti, fa talmente caldo che mi sto sciogliendo come un cubetto. Il signor Prince è riuscito a costruire una piscinetta per i più piccoli che ora sguazzano e ridono alla faccia nostra. Karina muove le mani, cospargendo il pavimento di piastrelle blu di acqua fresca e scivolosa. Ridono felici…beati loro!
Raggiungo Jacob in giardino nello stesso momento in cui Rose inciampa sul divano a causa dei pattini di Christian e sento le urla mentre chiudo la porta a vetri dietro di me.
“Cosa fai qua fuori?” chiedo alle sue spalle muscolose. È stupefacente che non si sia ancora trovato una ragazza, con il fisico e la bellezza che si ritrova scommetto che tutte le fanciulle del Distretto cadrebbero ai suoi piedi con una frase.
“Mi sentivo intrappolato e…sinceramente, non mi piace stare allo zoo!” risponde girandosi. Nasconde lo smeraldo sotto la maglietta, per un attimo i suoi occhi guardano un punto lontano all’orizzonte, poi mi fa sedere e mi sorride.
“A si? E io che animale sarei, sentiamo!” scherzo.
“Beh, credo che saresti un elefante…visto la tua finezza quando ti muovi! Ti si sente lontana un miglio!” ride anche lui
“Elefante a chi?” urlo saltandogli al collo. Mi fa il solletico, ha sempre saputo come farmi ridere.
“No, ripensandoci… somigli molto di più ad un rinoceronte…guarda che naso!” dice punzecchiandomi la faccia.
“Zitto brutto orso bruno lardoso!”
“A beh, se proprio la metti su questo piano…” ricomincia a farmi il solletico. Ridiamo entrambi sotto il cielo azzurro. Quando smette, l’atmosfera cambia immediatamente. Ci stendiamo sull’erba finta guardando le nuvole.
“Quella sembra un barboncino” dico indicando una figura senza forma.
“Quella, invece, sembra uno squalo che mangia un pesce!” aggiunge lui. Non è vero, è soltanto un ammasso uniforme di bianco che non forma nessuna figura, ma ognuno può immaginare quello che vuole, quando guarda le nuvole.
“Quando Jane era piccola, lei, io ed Alex spesso andavamo per i boschi con papà. Imparavamo a studiare le piante, ci ha insegnato a riconoscere le bacche velenose da quelle buone, come usare la corteccia o ricavare l’acqua dai ramoscelli di bambù. Ora potrebbero tornarle utili tutti quegli insegnamenti!” pensa Jacob. Non lo interrompo, io non vorrei che i miei pensieri vengano fermati bruscamente da qualcuno (cosa che succede spesso e che mi fa arrabbiare).
“Se la caverà!” dico quando il silenzio si fa pesante. Mio fratello mi guarda e mi scosta una ciocca di capelli dalla fronte. Tocca la piccola cicatrice che ho sulla tempia e sorride.
“Non sei mai stata molto brava ad arrampicarti” esclama ridendo. Ha ragione, questo segno risale a cinque anni fa quando, arrampicata sulla corteccia di un grosso pino, ho cercato di raggiungere una mela. Sono scivolata subito sbattendo la testa su un piccolo sasso. Un veloce giro in ospedale, una convalescenza di una settimana e sono tornata come nuova. Uno dei tanti giri in ospedale.
“Ricordo che quando eri piccola ogni giorno venivi a casa sporca di sangue, dicendo che avevi fatto a botte con Tobias Hugg, che avevi incontrato un serpente ed avevi lottato con una scimmia selvatica. Hai sempre avuto una buona fantasia!” sospira.
“Ho fatto veramente a botte con Tobias Hugg! Ho anche vinto!” rido. Gli occhi verdi di Jacob mi guardano, sembrano studiarmi, come se non mi avessero mai vista.
“Quando sei nata i dottori ti hanno dato due giorni di vita!” esclama d’un tratto. Siamo tornati ai vecchi ricordi, alla nostra infanzia ed, ora, a questo. Nata con un problema al cuore, impossibile da curare, salvata per miracolo. Me ne aveva parlato la nonna.
“Avevi uno strano nodo nell’arteria e non potevano operarti perché il tuo cuore non avrebbe retto ed il tuo sangue era troppo poco per quell’intervento” continua a parlare, ma la conosco già quella storia.
“Ricordo che mamma piangeva e papà la stringeva, i dottori continuavano a dire che saresti morta da un momento all’altro. Mi avvicinai alla culla e ti toccai. Smettesti subito di piangere e apristi gli occhi. Non credo che mi vedesti, eri troppo piccola. Però mi guardavi e io guardavo te. Era la prima volta che non piangevi! Sembravi uno sgorbio, piccola e magra, lunga metà culla. Ti presi in braccio, ti dondolai, ti tenni stretta. Non sapevo cosa stavo facendo, sentivo di doverlo fare. Ti ho dato un bacio sulla fronte e ti ho fatto il solletico…e come ridevi! Il dottore, mamma e papà sono entrati e subito si sono preoccupati delle tue condizioni. Secondo loro non avresti potuto ridere, era impossibile con quell’arteria bloccata. Hanno rifatto gli esami, ti hanno allontanata da me. Poi hanno iniziato a urlare –è un miracolo, è un miracolo!-. Ci dissero che non saresti più morta, che era tutto normale, il nodo non c’era più. Per un momento ho avuto paura di averti persa! Dopo tante sorelle frignanti tu avevi qualcosa di diverso….forse perché ti ho sentita ridere o i tuoi occhi, non so, però eri diversa!”. Ha finito il racconto. Beh, io conoscevo la storia dall’angolazione della nonna, ma era comunque simile.
“Mamma diceva che eri stato tu a salvarmi. Perché non hai mai perso la speranza di potermi vedere crescere. Hai saputo farmi ridere dopo un’intera giornata di pianto! Sei stato il mio miracolo!” confido. Ho la voce bassa, come se questa storiella mi avesse fatto tornare la malinconia.
“Sei stata forte, io non centro niente!”
“Basta con i ricordi. Torniamo dentro!” dico alzandomi. Mi spolvero i vestiti ed apro di scatto la porta a vetro, cercando di sorridere e trattenendo le lacrime. Mi fa ancora male pensare ai miei genitori, ma credo sia normale per una ragazzina di 11 anni.
 
 
Un rumore mi sveglia quando l’orologio segna la mezzanotte. Nella grande stanza i miei fratelli dormono sonoramente. Guardo Rose e Margaret che condividono il letto sotto di me e si tirano sberle e calci; Alexandra dorme con i gemellini; Jacob abbraccia Tito; Christian russa sonoramente vicino a Elinor. Manca solo Mirko all’appello ma, conoscendolo, è andato a prendere da mangiare. Sprofondo la testa nel cuscino, ma il caldo è soffocante, sono appiccicaticcia e coperta di sudore. Scendo in salotto e trovo il mio fratellino intento a guardare un cartone in tv. Non l’aveva mai fatto prima d’ora…al Distretto usciva a giocare e mai nessuno accendeva la televisione.
“Non riuscivi a dormire nemmeno tu?” mi chiede senza voltarsi. Che orecchio!
“Già, fa troppo caldo!” rispondo avvicinandomi a lui. È strano! Resta rigido per terra, gli occhi verdi appiccicati al maxischermo sembrano vuoti. Gli scompiglio i riccioli biondi madidi di sudore e lui si getta al mio collo ed inizia a piangere.
“Rose ha detto che dovremo abituarci a vivere così…senza Jane!” bisbiglia al mio collo.
“Non starla ad ascoltare, avrai detto qualcosa che l’ha offesa…sai com’è Rose!”. Gli accarezzo i capelli, prima di aggiungere “Jane sa pensare a se stessa. L’ha fatto per tanti anni! Vincerà contro Capitol City, vedrai!”
I suoi occhi sono pieni di lacrime, ma riconosco quel verde chiaro dietro al rosso. Mi mostra il braccialetto, indicando la gemma di acquamarina azzurra.
“Secondo te perché mi hanno dato questa pietra?” mi chiede cambiando argomento.
“Perché quando sei nato stavi sempre nell’acqua e non volevi uscire. Mamma aveva una paura matta che tu potessi annegare e quando ti impediva di andare al lago tu uscivi di nascosto”
“Però il mio azzurro non è uguale a quello di Meggy”
“Beh, l’azzurro ha tanti significati. Nel tuo caso è segno di tranquillità, in quello di Margaret di serenità d’animo e di riflessione” spiego. Sembra non capire e, effettivamente, è normale…tranquillità e serenità sono quasi sinonimi.
“Sei tranquillo quando non ti serve urlare o correre per essere felice, quando stai fermo in un posto per ore intere solo per guardare un uccello, quando non ti serve urlare o essere preso in considerazione dalla tua famiglia per forza. Sei sereno quando il tuo animo è in pace e non hai preoccupazioni!”
“Mi racconti una storia per farmi addormentare?” mi chiede Mirko. Come dirgli di no!
“C’era una volta, in un regno lontano, lontano, una giovane guerriera, valorosa e combattiva. Vinceva contro tutti gli uomini che provavano ad affrontarla, sgozzava i draghi ed uccideva le streghe cattive. La sua natura era selvaggia ed era odiata da molti a causa della sua forza. Sia uomini che donne la invidiavano. Infatti, oltre che bravissima con la spada, la fanciulla era bellissima. Luminosa come una stella nella notte, faceva ingelosire tutte le dame di corte che la volevano morta. Per questo, un giorno, venne indetto un torneo e la guerriera si iscrisse senza pensarci due volte. Quello che non sapeva, però, era che era un torneo tutti contro tutti, all’ultimo sangue! Tutti gli energumeni che sembravano grossi rinoceronti si scagliarono veloci contro la guerriera e…” mi fermo e guardo Mirko che segue ogni mia parola come se fosse detta da Dio.
“E la guerriera li sconfigge?” mi chiede
“Secondo te?”
“Ovvio, se no che storia sarebbe!”. Ha il sorriso più dolce del mondo!
“Si, la guerriera impugna la sua spada, infilza lo scimmione che la tiene bloccata per la vita, morde un braccio peloso e sguscia sotto le gambe di uno spilungone con il collo da giraffa. Poi gira sui tacchi e inizia a prenderli a calci. Ed i guerrieri saltellano e si lamentano. La fanciulla guarda l’imperatore ed il pubblico in attesa di sangue ed urla –mia cara gente, perché uccidere questi ciarlatani! Lasciateli viaggiare liberi per le strade della contea, le loro storie affascineranno i pargoli, i loro combattimenti vi daranno sollievo nei momenti di noia. Non vale la pena versare sangue!-. Ma il pubblico voleva vedere i loro intestini, urlava, imprecava perché lei li uccidesse. Ma la guerriera impiantò la spada nel terreno, saltò sulle spalle di Mr. Giraffa ed uscì dallo stadio”
“Perché non ha ucciso i suoi nemici?”
“Perché nessuno merita di morire per volontà nostra. Buono o cattivo che sia, bello o brutto, stupido o troppo intelligente. Anche se odiamo una persona con tutto il cuore non possiamo permetterci di togliergli la vita, perché quello può farlo solo Dio!”.
Lo bacio sulla fronte e lui si lascia addormentare tra le mie braccia. Lo faccio stendere sulla pelliccia di orso, lo tengo stretto a me e chiudo gli occhi.
 

****

Scusate l'assenza, ma sono alla presa con gli esami di maturità e mi manca il tempo materiale...teoricamente domani avrei una prova difficile e dovrei studiare, ma ho troppa paura per pensare di aprire i libri...ormai ciò che so so e il resto speriamo in bene!=)
Chi oltre a me è in depressione per la maturità??? O esami di qualche tipo?? =) 
Bacioni a tutti!!!

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Capitolo 8
*** Turchese ***


 

 

Secondo giorno  di Hunger Games, secondo giorno di preoccupazioni per noi famigliari e di divertimento per gli abitanti della capitale. Il presentatore è cambiato, Ombrus Smith non si vede da nessuna parte. Al suo posto c’è una donna con lunghissimi capelli argento e tante stelle tatuate sul volto. Gli occhi sono neri, inespressivi. Un’altra tirapiedi del presidente, probabilmente subdola e senza cuore come lui. Ormai tutti hanno capito cosa sono questi giochi, questo “reality show” come l’ha chiamato Snow: un modo per punirci, renderci schiavi di Capitol City. Lo schermo si accende, il sole è appena sorto nell’arena. Le telecamere visualizzano i Tributi ancora presenti, tutti appisolati sui rami degli alberi o tra i cespugli, ben nascosti da animali selvatici o altri ragazzi. Vedo Jane, la frangetta ribelle e rossa che le ricopre gli occhi ancora chiusi. Kevin le dorme al fianco, probabilmente cercavano di ricavare un po’ di calore. Scommetto che quei tecnici demoniaci hanno abbassato le temperature fino a farli congelare! Mi volto di scatto verso la mia sinistra, dove ieri stava Rose. Ma non vedo il suo viso contratto dalla rabbia, i suoi pugni stretti o i suoi respiri affannati: al suo posto c’è la figura tranquilla di Margaret.
“Dov’è Rosie?”
“Non l’hanno fatta entrare…dopo la sfuriata di ieri. L’hanno portata in una stanza con un televisore, dove non può fare niente”
“Da sola?”
“No. Alex e Jac sono andati con lei! Non si fidavano.” Ora sono più tranquilla. Però mi dispiace non sentire i suoi commenti giusti contro la cattiveria dei tecnici o inveire contro il presidente…c’è troppo silenzio in questa sala!
Il sole sorge pienamente nell’arena, gli uccellini cinguettano e anche qualche altro animale si sveglia, il suo verso è strano, acuto e stridulo. Sarà un altro di quegli ibridi tanto amati dai tecnici. Sento un urlo, maschile, ma non lo conosco. Un ragazzo diciottenne con i vestiti stracciati, proveniente dal primo distretto da quanto dice il cartellino che ha appeso alla camicia, alza la testa e impallidisce. Corre verso l’interno della foresta, verso quell’urlo disumano. Cerca la fonte di quel grido.
“Marco! Marco!” urla a squarciagola il ragazzo moro in piedi tra gli alberi alti. Il grido si ripete ancora e ancora, riecheggia nel bosco, mandando il diciottenne in tilt. I due Tributi del Distretto 4 lo raggiungono, chiedendogli cosa fosse successo, di chi fosse l’urlo o se ne conoscesse la fonte. Il giovane dell’1 si gira con le lacrime agli occhi e la spada antica tra le mani e colpisce il maschio del 4. Resto con il fiato sospeso, quel ragazzo ha appena ucciso un suo coetaneo. Chi se ne frega se non lo conosceva nemmeno, l’ha VERAMENTE ucciso! Vedo la ragazzina correre all’impazzata, cadere e subire la stessa sorte dell’amico. Due scoppi riecheggiano per tutta la sala, sento alcuni applausi e molte, troppe lacrime. Anch’io sto piangendo. Sento le lacrime calde scorrermi sulle guance mentre la mano di Margaret le asciuga.
“Jane non diventerà un’assassina, vedrai!” mi sussurra. Il suo tono è talmente rassicurante che le credo, per un attimo. Ma tutti devono uccidere se vogliono anche solo sopravvivere. Lo farà anche lei se vorrà tornare da noi, se vorrà rivederci.
Un altro sparo e l’immagine di una ragazza biondissima e dagli occhi verde acqua compare sullo schermo. Distretto 5. Con lei fanno già 5 morti in sole due giornate…anzi, in mezza giornata più i dieci minuti di oggi. Un altro urlo sovrumano. Questo lo conosco però. Sembra…sembra…Rose! Guardo i miei fratelli che hanno la bocca aperta ed il respiro trattenuto. Come può Rose, che non si è mai mossa da qui, aver urlato in quel modo all’interno dell’arena? Vedo Jane correre all’interno del bosco proprio come ha fatto il ragazzo dell’1 poco fa…e lui che l’aspetta con la spada sguainata ed ancora gocciolante di sangue. Stringo la mano di Margaret finché lei non si lamenta per il dolore, vedo mia sorella maggiore correre verso la trappola e sento il mio cuore spezzarsi e gocciolare sangue. È una sensazione orribile e…fa male…malissimo. Sento la nausea, la testa che mi gira e la vista inizia a non essere più molto chiara. Vorrei sotterrarmi!
“Guarda” sussurra Christian. L’urlo di Rose si ripete ancora una volta, ma Jane non si muove. Si è inginocchiata dietro ad un tronco e guarda il suo avversario a qualche passo di distanza. Sta ragionando sul da farsi, perché la vedo spostarsi i capelli e massaggiarsi le tempie. Slaccia un coltello dalla cintura...no, non farlo! Prende la mira per lanciarlo, ma sembra ripensarci. Il suo sguardo ha visto qualcosa…di più interessante, diciamo. Raccoglie una manciata di erba, la spreme ed un liquido vischioso e bluastro esce dalle venature di quelle foglioline verdi. Lo conosco, è curaro, un veleno potente che Alex ha utilizzato spesso per curare alcuni strani batteri, in ospedale. Inserisce la punta del pugnale e corre verso il ragazzo. Entrambi tengono le armi davanti al petto, sorrisi di cattiveria sui loro volti. Il Tributo dell’1 sferra l’attacco, colpendo Jane ad un braccio e ricevendo in cambio solo un graffio sul collo.
“La tua mira scarseggia!” sbotta contro mia sorella
“Non mi serviva colpirti al cuore per ucciderti. Morirai comunque, lentamente, dolorosamente, per mano della natura” risponde lei con un ghigno.
Guardo Margaret, allibita quanto me.
“Beh, almeno non ha sparso troppo sangue” cerca di dire con un sorriso, ma i suoi occhi riflettono la mia stessa paura, la mia stessa angoscia.
Lo scenario sullo schermo cambia, un laghetto scintillante si mostra davanti ai nostri occhi. Un gruppo di ragazzi si fronteggia in cerchio, le armi puntate alla fronte del vicino. Sono in una posizione di stallo, si guardano e stanno zitti. Due provengono dal Distretto 11, si capisce dalla loro carnagione scura, gli altri due dal 6. Un piccolo serpente acquatico esce dal suo ambiente naturale, probabilmente colpito dall’odore di carne fresca e sangue, ed addenta la gamba della ragazza 11, una fanciulla dai capelli neri come la pece e dal viso angelico. Cade a terra immediatamente, il suo corpo affonda nelle acque del lago. In pochissimo tempo la coppia rimasta affonda i coltelli nel giovane che ha di fronte, iniziando una lotta due contro uno che prevede una sconfitta per il moro. Con la lancia sguainata il Tributo dell’11 si difende dagli attacchi, con una mossa di karatè stende il ragazzo del 6 e gli affonda la lancia nel cuore. La partner se la dà a gambe appena il colpo viene sparato.
In poco tempo la sala si sta decimando, i parenti dei Tributi morti escono all’aria aperta singhiozzando anzi, per meglio dire, vengono portati fuori a forza a causa dei loro urli.
La telecamera mostra una casetta di legno. La baita posta alla cima della montagna. Una coppia di ragazzini della mia età entra, mano nella mano, chiude la porta e si barrica al sicuro delle quattro mura. Non vengono seguiti e l’immagine cambia. Vedo ancora Jane, sta cacciando. Riconosco le sue trappole semplici ma mortali, i suoi lacci posizionati strategicamente. Kevin le guarda le spalle, l’arco posizionato davanti al viso, la freccia pronta a scoccare. Non si sente nessun rumore se non quello dello scoppiettare di un fuoco e del frusciare delle foglie. Un ramo spezzato e la freccia parte. Un diciottenne dalla pelle chiarissima cade a terra, gli occhi blu che perdono consistenza, il gemito sfuggito ed il viso immerso nelle foglie. Il colpo annuncia che il suo cuore ha smesso di battere, trafitto dalla veloce freccia di Kevin. Sento un urlo acuto, da bambino, provenire da poco lontano da dove sta Jane. I suoi occhi si voltano verso la cima della montagna, le lingue di fuoco che saettano verso il cielo chiaro e limpido. La baita di legno ha preso fuoco, i ragazzi che erano entrati poco prima stanno urlando a squarciagola, chiamando quell’aiuto che non arriverà mai.
Quasi la metà dei Tributi è stata sacrificata per il divertimento del presidente Snow, le risate di quegli strambi cittadini si estendono a tutta la sala.
Il sole nell’arena inizia a calare, è già arrivata la sera. Non mi sono nemmeno accorta del passare del tempo, non ho nemmeno pensato al pranzo saltato o allo stomaco brontolante. Do un ultimo sguardo al maxischermo prima che si spenga. I soldati ci invitano ad uscire con le armi puntate, come se temono un’aggressione, una nuova rivolta. Non mi reggo sulle gambe. Avrei dovuto esserci io in quel paesaggio “artistico”, in quella carneficina. Sarei già morta, probabilmente, ma almeno non sarei obbligata a vedere tanta gente morire. Jacob ed Alexandra ci raggiungono, parlano tra loro. Rose non c’è.
“Do..dov’è Rose?” chiede Margaret.
“A casa, con i gemelli” risponde Jacob. Christian mi stringe la mano, nascondendosi dietro di me. Sento il calore delle sue lacrime venire assorbite dalla mia camicetta. Tranquillo ometto, ti proteggo io questa volta. Mi trovo a pensare. La passeggiata verso casa sembra lunga ed è molto, troppo silenziosa. Nessuno apre bocca, camminiamo a testa bassa, andando a sbattere contro i passanti. Sento le lacrime rigarmi il volto, offuscarmi la vista. Mi gira la testa, mi sento le gambe molli.
“Nic” è l’ultima cosa che sento prima che il buio si impossessi completamente di me.
 
Sono a casa, nel mio letto, un fazzoletto bagnato sulla fronte ed i capelli sciolti ed appiccicati sul volto. Mi alzo a fatica, devo avere la febbre o qualcosa del genere, e scendo le scale, gradino per gradino. Jacob si avvicina a me appena mi vede, mi sorregge, mi fa accomodare su una sedia. Margaret mi offre un bicchiere d’acqua e mi sorride. La signora Prince appoggia il dorso della mano sulla mia fronte.
“Hai ancora la febbre, ma si è abbassata di qualche grado. Entro domani ti sarai ripresa completamente” esclama soddisfatta. La ringrazio con il capo ed aspetto di essere servita. Mi sento inutile, ma non posso muovermi ed i miei fratelli si dispongono presto vicino a me, mi portano da mangiare, mi parlano, ridiamo. Si, ridiamo per quel poco che ancora può essere considerato divertente.
“La tua amica Iole mi ha mandato una lettera. Dice che al Distretto tutti fanno il tifo per Kevin e Jane e che faranno qualsiasi cosa per poterli rivedere a casa sani e salvi!” dice Alex, sedendosi al mio fianco.
Considerare Iole una mia amica è un’assurdità, ma sono felice che abbia scritto, perché significa che non si è dimenticata di noi. Comunque, non perde occasione per mettersi in mostra, sono certa che se succedesse qualcosa sarebbe la prima a tirarsi indietro.
“Le scriverò per ringraziarla” sussurro prima di iniziare a mangiare. È tutto buonissimo, Alex è una cuoca fenomenale! Dopo le “avventure” di oggi è bello sapere che c’è ancora qualcosa che può farti sentire meglio.
“Tata, guarda!” sussurra Tito tirandomi per la manica. Mi porge un disegno. È effettivamente brutto, come tutti quelli dei bambini, ma si distinguono due figure stilizzate. Una ha un ovale rosso sopra a quella che suppongo sia la testa, l’altra marrone. Sono Kevin e Jane, quegli ammassi lunghi devono essere gli alberi. L’unica cosa chiara è il coltello davanti alla forma di Jane. Sento il cuore sanguinare, ma mi avvicino a Tito e gli sussurro “Bravo! Sarai un fantastico pittore” provocando un sorriso sul suo visino paffuto. Mi scuso e mi allontano dalla stanza, diretta verso il mio letto. Con il cuore spezzato e le lacrime che sgorgano dai miei occhi mi inoltro nel buio della camera, mi arrampico ed affondo il viso nel cuscino, lasciando libero sfogo ai miei sentimenti. Tito è ancora piccolo, non ha visto le scene cruente di oggi, gli sono stati risparmiati i massacri, il sangue, le morti e le urla dei famigliari. Christian, nonostante i suoi 5 anni, ha visto, ha capito e non ha retto. Ed io che sono più debole di lui come carattere non ce la faccio più a mostrarmi tranquilla. Piango finché sento le forze venir meno ed il cuscino zuppo. La porta si apre e chiude velocemente, una figura scura sguscia silenziosamente verso la mia parte, il letto a castello si muove ed un corpo caldo si stende vicino a me.
“Stai bene?” mi chiede una delle mie sorelle. Sono talmente scossa e fuori di me che non riesco nemmeno a riconoscere quale sia.
“Sai, la vita non è sempre come ce la aspettiamo. È piena di alti e bassi, felicità e dubbi, preoccupazioni, paure. Abbiamo vissuto tanto tempo come una famiglia felice, la più felice del Distretto. Ci siamo divertiti ed era normale che la situazione degenerasse” sussurra lei. Io la ascolto, non capisco cosa voglia dirmi, dove voglia andare a parare.
“So che vuoi bene a Jane, che avresti voluto andare tu in quell’arena, che era il tuo nome quello estratto. Ma lei ha voluto scambiarsi con te perché sapeva di avere qualche possibilità. Tu no, saresti morta come la prima ragazzina” sussurra ancora. Mi stringe, accarezzo la sua mano, sento l’anello al medio. Solo Rose e Margaret portano dei gioielli su quel dito e, contando che Rose non riuscirebbe mai a fare un discorso così serio, calmo e rassicurante, immagino sia Margaret a tenermi compagnia. La stringo a me, incrocio le mie dita con le sue.
“Snow ha trovato il modo giusto per punirci, sa che saremo sempre al suo comando. Almeno finché spereremo in un cambiamento, in un miglioramento” sussurra. Io resto in silenzio, non riesco a parlare, la gola mi brucia, le parole sembrano macigni.
“Prova a pensare in positivo. Se Jane non dovesse farcela andrà con mamma e papà, ci guarderanno dal Paradiso”
“Non andrà in Paradiso, ha ucciso un ragazzo, l’hai visto anche tu” replico
“Era autodifesa. A volte si fanno delle cose perché si è costretti. Lei non lo voleva e sono sicura che se ne pente, che sta morendo dentro. E quando una persona si pente veramente dei suoi peccati, Dio la perdona”. È strano che sia lei a trattare questo argomento. Di solito è il mio punto cardinale.
“Jane sta cercando di vincere, ma per far ciò dovrà uccidere ancora. Persone come lei, con dei sentimenti e con la speranza di tornare a casa, di rivedere le loro famiglie. Quando tornerà sarà…diversa”. Il tono di Margaret è calmo, come se quel discorso fosse una cosa normale, una delle sue solite uscite teatrali.
“Jane non riuscirà mai a tornare con noi. È furba e sveglia, ma ha contro ancora 11 Tributi. E Kevin” sospiro, buttando la testa sotto il cuscino.
“Come direbbe il cappellaio matto di quel vecchio film: è impossibile solo se pensi che lo sia!”. Mi mancavano le sue uscite teatrali, il discorso era troppo serio. Sorrido e credo che lei lo veda.
“Un giorno il nonno mi disse: sai, Nicole, gli uomini sono stupidi. Gli animali, oh! loro si che sono intelligenti. Prova a pensare ad un topolino, lui non penserebbe mai a costruirsi una trappola. Ma l’uomo…beh, quello si! Passa la sua vita a costruire trappole che un giorno lo porteranno alla morte. Non sa godersi ciò che la natura gli ha donato”
“Già, il nonno è sempre stato un uomo saggio! Un giorno ricordo che mi ero accucciata dietro alla sua poltrona e piangevo. Avevo paura perché Jacob era uscito a caccia con papà per la prima volta. Ero piccola. Il nonno mi prese sulle sue ginocchia e mi disse: Rose, cara (non ci ha mai azzeccato con noi due), non devi avere paura. Jacob tornerà presto a casa, con un bel cinghiale per cena. Ti dico una cosa che mi disse mio padre molto tempo fa. Solo chi ama veramente ha paura di perdere qualcosa. Noi amiamo Jane ed abbiamo paura di perderla. Ma lei è forte, è coraggiosa”
“Lo so” riesco solo a dire. C’è silenzio per un po’, poi Margaret riprende a parlare.
“Sai, il turchese che indosso è segno di serenità, di ottimismo e voglia di vivere. Papà diceva che il mio carattere è sereno e solare. Sai perché cerco sempre di farmi vedere allegra?”
“Perché è nel tuo carattere”
“No. Spesso dietro ad un mio sorriso si nasconde un mondo nero, un abisso senza fine. Ma un’ebrea disse: chiunque sia felice rende felici anche gli altri. Io cerco di avere sempre il sorriso, faccio battute e non mi rabbuio mai davanti a voi perché spero che voi ridiate. Spero di…poter…potervi distogliere per un po’ dai vostri problemi. E mi sembra di esserci sempre riuscita per ora!”
“Si, sei brava a non mostrare le tue emozioni”
“Gli antichi egizi dicono anche che il turchese sia una pietra porta fortuna. Speriamo che ne porti un po’ anche a noi” dice baciandomi sulla fronte.
 

 

 

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Evviva!=) Ora l'estate è completa=) Benvenuto soleeee =) Ecco il nuovo capitolo, ormai sono quasi finiti! Spero vi piaccia, aspetto commenti=) Bacioni

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Capitolo 9
*** Opale ***


 

Terzo giorno. Chi sa quanto andrà avanti questa carneficina.
Ci trasciniamo fino al teatro cittadino, ma troviamo le porte sbarrate e due soldati pronti a difenderle.
“Perché non ci lasciate entrare?” chiede Alex.
“Perché da ora in poi potranno entrare solamente i cittadini di Capitol City. Le famiglie vedranno i giochi sui televisori dei loro appartamenti” dice la voce robotica del soldato.
“Ma perché?” calca Margaret
“Perché l’ha deciso il presidente Snow”.
Io osservo la scena da una colonna più nascosta, insieme a Christian che cerca un’entrata secondaria. Quando vedo che i miei fratelli si avvicinano a noi prendo il bambino per il polso e me lo trascino dietro. Elinor sbuffa sonoramente, Mirko sta già pensando a cosa poter fare a quell’uomo di latta.
Torniamo all’appartamento e…tutto è a soqquadro! Il pavimento è pieno di terra, le finestre aperte come il frigorifero, il cibo sparpagliato per la cucina. Sento un grido e lo riconduco a Tito. Corro verso il piano di sopra, quasi butto già la porta del bagno. Tito urla nella vasca da bagno, Rose che cerca di lavarlo e scrostargli la terra dal viso.
“Oh, siete già tornati! Mi dispiace per l’ingresso, speravo di mettere a posto dopo! Questi diavoletti hanno buttato tutto all’aria!” si giustifica mia sorella indicando i tre piccoli che le sono stati affidati. Karina ride mentre schizza acqua da ogni parte, Jason è affascinato da una paperella di gomma.
“Tranquilla, ci penso io! Pensavamo fossero entrati i ladri!” l’assicuro.
Esco dalla stanza richiudendo dolcemente la porta. Al piano di sotto la televisione è già accesa e gli Hunger Games sono cominciati.
“E’ già morto un ragazzo” annuncia Jacob dal giardino.
“Chi?”
“Uno del nono! Hanno mostrato la sua immagine dopo il colpo di cannone. Ora fanno vedere solo Jane e Kevin” mi spiega
“Credo che ogni appartamento sia connesso con il proprio Tributo” esclama Margaret.
Guardo Jane spellare uno scoiattolo e metterlo sul fuoco. Kevin non è con lei. Le telecamere sfrecciano dall’uno all’altra, così da permettere anche ala signora Prince di vedere il suo figliuolo. Immagino coloro che sono rimasti a casa la possibilità di vedere, o di sapere! Prendo un foglio e rispondo alla lettera di Iole.
Carissima Iole, siamo stati felici di ricevere la tua lettera. Il reality show, come immaginavamo, è una vera e propria carneficina. I ragazzi diventano assassini per poter sopravvivere nell’arena. Jane e Kevin sono ancora vivi, stanno bene e fanno squadra. Spero veramente di riuscire a rivederli anche nella vita quotidiana. Qui tutto bene, l’appartamento è grazioso anche se piccolo per 13 persone! Ma raccontami qualcosa sul Distretto! Come state voi? E Lise, Elizabeth? Puzzola e Orco? Ti prego, scrivimi ancora presto e salutami tutti! Un bacione enorme, gli Evervood.
Sento un altro sparo di cannone e vado verso il salotto. La fotografia di una ragazzina bionda, più o meno della mia età. Il nome: Katherine Smith, 14 anni, Distretto 7. Quando scompare, vedo Jane che si prepara a pranzare.
Il rumore dei più piccoli disturba il silenzio, rianimando la casa. Tito salta gli ultimi gradini e si butta sul divano, senza dimenticarsi di far cadere un vaso di porcellana che si rompe in mille pezzi.
“Jane” urla contro la televisione “C’è Jane, c’è Jane”
Già, c’è Jane! Così presente eppure così distante da noi. Come se avesse sentito la voce del bambino, Jane alza la testa e si guarda intorno. Tito ci trascina tutti davanti al televisore, si assicura che guardiamo nostra sorella e che la sosteniamo. Io sono appoggiata a Jacob, le sue braccia si stringono attorno alla mia pancia. La testa mi fa ancora male, ma credo che la febbre si sia abbassata.
“Vai Jane! Forza Jane! Mangia e torna da noi!” continua a gridare felice Tito. Sembra di essere al luna park con lui che salta sul divano ed urla come un forsennato.
“Tito, smettila!” lo sgrida Rose con Karina in braccio e Jason attaccato alla schiena. Cerca di afferrarlo per un polso, ma lui saetta verso la poltrona vicina, atterrando sulle gambe del signor Prince. Ride felice mentre corre da una parte all’altra della casa. Leggerezza. Questo è uno dei significati della pietra del suo braccialetto, l’opale. L’altro era ottimismo. Quell’ottimismo che manca in molti di noi, in questo momento. Quella voglia di pensare sempre positivo, nonostante la tristezza che ci circonda, nonostante il profumo di morte che aleggia nell’aria.
“Carissimi spettatori” dice la voce della presentatrice “Siamo costretti a sospendere per un momento le riprese a causa di un problema tecnico. Nella speranza di risolvere al più presto vi chiediamo di non cambiare canale”
Lo schermo diventa nero, dei rumori di sottofondo aleggiano striduli tra il silenzio appena riformato.
“Prepariamo il pranzo” dice Alex alzandosi. Annuisco e mi dirigo verso la cucina, tavola apparecchiata, acqua che bolle, profumo di verdura e fiori freschi.
“Quanto dureranno ancora?” le chiedo stupidamente, come se non sapessi già la risposta.
“Finché anche l’ultimo non sarà caduto” risponde drammaticamente.
“Ti manca casa?”
“Un po’. Ma voi siete qui e questo mi basta!”
Solitamente, in momenti come questo, mi chiuderei in camera e pregherei. Ma ora non ci riesco. Non riesco a rivolgermi a Dio per chiedergli aiuto, né a mamma e papà, né ai nonni. Il pessimismo si è impossessato di me.
“Ahi” sento. Guardo mia sorella aprire l’acqua e mettere la mano sotto il getto.
“Scottata?”
“Già! Passami un fazzoletto”
Una volta messi a tavola, le immagini tornano nitide come all’inizio. Il sole nell’arena è alto nel cielo sereno, gli uccelli canticchiano i loro motivetti melodiosi, le ghiandaie li copiano. Con i bambini il pranzo diventa una festa, le loro grida e la loro fantasia sono infiniti, così che i maccheroni al sugo diventano aeroplani e dischi volanti e l’acqua una piscina per gli alieni. Immaginano di essere su Marte e di combattere i suoi abitanti con molliche di pane, di impossessarsi del pianeta e piantare la bandiera della vittoria (una forchetta infilzata nel tavolo di legno). Magari sarò anche cresciuta un po’ troppo per i giochi, ma mi unisco a loro in questa fantasia, racconto la storia e faccio finta di essere uno dei marziani insieme ad Elinor. Gli altri ci lasciano fare. Alla fine della battaglia, quando i gemellini e Tito sono troppo stanchi per continuare, sistemiamo e ci riuniamo al resto della famiglia, davanti al televisore.
“Allora, Marte è stato preso dai terrestri o no?” domanda Margaret appena entriamo in salotto.
“No, gli alieni si sono difesi e hanno vinto!” ride Elinor. Ci accomodiamo per terra.
 
 
La giornata è finita, sono 10 i Tributi rimasti in gioco. Nascosta nella sua caverna, Jane sta affilando i coltelli. Kevin si è addentrato nella foresta, in cerca di un avversario o di qualcosa poco chiaro. Accompagno in camera i più piccoli mentre le ultime riprese dei giochi vengono trasmesse. Li metto a letto e do il bacio della buona notte ai gemelli, che si addormentano immediatamente.
“Jane è molto forte” dice Tito con quel tono sicuro che usa sempre.
“Si, la più forte del mondo!” lo assecondo.
“Quando vince diventa famosa!”
“Oh si! Talmente famosa che non avrà più tempo di vederci!”
La sua espressione si rabbuia “No, allora non voglio che diventa famosa” dice solamente
“Tranquillo! La nostra Jane riuscirà sempre a tornare da noi!” lo assicuro baciandolo sulla fronte.
“Si!” esulta “è vero che ha fatto a fettine uno scoiattolo?”
“Oh, certo! E ora se non ti metti a dormire viene qui con il teletrasporto e fa a fettine anche te!”. Luce spenta, stanza silenziosa, parole sussurrate. Bene, si sono addormentati.
 
 

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Capitolo 10
*** Perla ***


 

La foresta è nera, i raggi del sole sono rari. Gli uccelli sono muti, nessun rumore se non quello delle foglie che vengono sospinte dal vento. Luglio è agli sgoccioli ormai, Jane, Kevin e tutti gli altri Tributi sono nell’arena da due settimane e non c’è stato alcun cambiamento. Ognuno ha le sue postazioni e nessuno dei 10 ragazzi rimasti pensa a lasciarla per cercare gli avversari. Sono vivi, questo importa! Il rumore di rami spezzati e lo scorrere dell’acqua in lontananza, una montagna verde ricca di fiori colorati. Le immagini passano veloci sul televisore mentre Kevin e Jane corrono a perdifiato verso la vetta del monte, come inseguiti da qualcuno di pericoloso. Il Buio li segue. Un Buio strano che ha forma e sostanza, che non si illumina con la luce del sole estivo. E quel Buio quando passa lascia solo distruzione e morte. Lo vedo dai fiori marci, dagli alberi secchi, dai piccoli animali stecchiti ai bordi del sentiero. È un Buio fatale, un risultato dei marchingegni costruiti dai tecnici dei giochi. La luce del sole inonda la montagna, la rallegra colpendo i petali dei fiori colorati, ma non può nulla contro la creatura nera che rincorre mia sorella. Correte riesco solo a pensare. Sono presa dal panico. Ormai è diventata un’abitudine. Ho smesso anche di chiedermi se quest’angoscia finirà mai. Quest’anno è Jane, l’anno prossimo potrei essere io o qualcun altro della famiglia. Non potrò mai stare in pace, non finché Snow sarà al comando.

Arrivati alla cima della montagna il Buio inizia a ritrarsi, torna sui suoi passi, si inoltra di nuovo nella foresta. Jane e Kevin si stendono per terra, i loro respiri sono pesanti a causa della lunga corsa. Chiudono gli occhi mentre le loro mani si incrociano. Mi accorgo solo ora che questi giochi li hanno avvicinati. Dev’essere normale diventare amici o qualcosa di più quando si deve passare con una persona tutte le tue giornate…probabilmente le ultime ore della tua vita. Eppure sono la prima coppia che vedo in questi Hunger Games. Ho visto due ragazzi dello stesso Distretto uccidersi l’un l’altro solo per un ramoscello di bacche. È orribile vederli su uno schermo, come se fosse un film di fantascienza o un documentario sullo stile di vita degli animali. Noi non siamo animali.

Gli uccellini canticchiano, è l’unico suono proveniente dalla televisione. Poi un ramoscello spezzato ed un respiro affannato. Jane e Kevin aprono gli occhi contemporaneamente, riescono a vedere a fatica il ragazzo che alza la lancia sopra la testa, pronto a colpire.

“Attenta” urla Kevin, coprendo col suo corpo quello di mia sorella. I raggi colpiscono la punta argentata della lancia che si conficca nelle scapole del nostro Tributo…del nostro amico. L’urlo di dolore non si fa aspettare: contemporaneamente tutti i Prince si lasciano sfuggire un gemito. Il sangue inizia subito a sgorgare dalla ferita di Kevin, ancora sopra al corpo di Jane. Lei sembra paralizzata. Quando si riprende si toglie la camicia e cerca di attenuare il flusso, ma ormai è troppo tardi, la lancia è riuscita a toccare il cuore. Gli occhi di Kevin sono aperti, ma sono vuoti. Non c’è più nemmeno un minimo della vecchia allegria, della spensieratezza e del coraggio che li caratterizzavano. Sono…spenti. Così come quelli dei signori Prince. Quando anche Jane capisce che non c’è più nulla da fare urla. Urla tutta la sua rabbia, la sua frustrazione ed il suo dolore contro il ragazzo che li ha colpiti alle spalle. Estrae un coltello dalla cintura e lo lancia, colpendolo alla testa, facendolo cadere a terra senza nemmeno lasciargli il tempo di capire cosa stia succedendo. Due morti. Due colpi di cannone. Le due fotografie con i nomi ed i Distretti. Distretto 2 e Distretto 5. Jane chiude delicatamente gli occhi di Kevin, lo accarezza, gli tiene la mano e lo bacia delicatamente sulla fronte. Non riesco a staccare gli occhi da lei, è…diversa. Sembra…innamorata. Magari lo è davvero, basta guardarla, guardare i suoi occhi. Slaccia un altro coltello nello stesso momento in cui un elicottero della capitale sorvola l’arena. Lo inserisce tra le mani di Kevin e lega al suo polso il filo con il rubino.

“Addio” riusciamo solo a sentire, un tono duro e senza sentimento.

Poi corre via, di nuovo verso il bosco, di nuovo verso il Buio. Chi sa quali sono i suoi pensieri. Vorrà tornare da noi o vorrà andare da lui? Il mio cuore perde un colpo, il solo pensiero che Jane voglia smettere di combattere mi fa stare male. Lei è forte, è vero, ma anche le donne forti hanno punti deboli. Ed il suo è appena stato colpito da una freccia avvelenata. Il suo cuore sta morendo, lentamente, lasciando libero ed ampio spazio al dolore. Cade a terra, si rialza, ricomincia a correre e inciampa di nuovo. Jane resta ferma, le mani a terra, le ginocchia sbucciate. Piccole gocce colpiscono il terreno: sta piangendo. Poi un urlo: “Vi odio”. Il collegamento salta, lo schermo torna nero, i rumori di ieri sera tornano ad aleggiare nella stanza. I singhiozzi della signora Prince sono smorzati dalla felpa del marito. Stanno abbracciati l’una all’altro, anche i loro cuori sono stati spezzati, hanno perso il loro figlio.
“Vieni” mi dice il signor Prince, segnandomi con la mano di avvicinarmi. Non mi sono nemmeno accorta che sto piangendo insieme a loro. Il mio corpo fa una cosa, ma il mio cervello non la tiene in considerazione. Così, anche se non me ne accorgo, mi avvicino alla coppia e sprofondo il viso nel petto di quell’uomo tanto gentile che ci è stato accanto fino ad oggi. Sono praticamente imprigionata in quest’abbraccio, mi sento soffocare, mi manca l’aria, non riesco a respirare. L’unica cosa che riesco a vedere è la felpa rossa del signor Prince, un rosso scuro, lo stesso colore del sangue di Kevin. Mi libero di fretta con uno strattone e corro in giardino. Cerco di calmarmi mentre guardo il cielo sereno, faccio respiri profondi, osservo i grattacieli, fermo le lacrime. La sensazione di nausea passa, ma quella di solitudine resta. E non si decide a lasciarmi per tutto il giorno, nemmeno quando sono insieme ai miei fratelli. Nemmeno mi accorgo che i genitori di Kevin sono tornati al Distretto. Devono dirmelo Elinor e Mirko, altrimenti li avrei ringraziati e salutati come ho fatto per tutte le settimane in loro compagnia. La cena è silenziosa, il collegamento è tornato anche se salta molto spesso. Fanno vedere un po’ tutti i Tributi rimasti, ormai scheletrici e senza forze. Il bosco, per chi non ci è abituato, può essere un luogo di morte. Soltanto i cacciatori e gli esperti di piante possono sopravvivere. Almeno Jane ha una delle due conoscenze, il suo corpo può resistere finché non la attaccheranno. Però sembra aver perso la sua voglia di vincere, di vivere. Non parla, mangia poco, non caccia. Resta distesa nella solita caverna, guarda il braccialetto intrecciato che apparteneva a Kevin, lo gira sul polso, ride e trattiene le lacrime. Ho solo 12 anni, non so come sia l’amore. Ma so che deve fare male perderlo. Troppo male! Non riesco a rimanere a guardare, esco in strada. È deserta. Tutti i cittadini devono essere nelle loro case a guardare i giochi. I lampioni illuminano i marciapiedi, si spengono ogni tanto per poi riaccendersi nel giro di qualche secondo. Riesco a comprare una barretta di cioccolato con i pochi soldi che ho in tasca e vago senza meta per un’oretta abbondante. La serata estiva nella capitale è gelida, il vento trascina con sé polvere e gas. Dev’essere brutto vivere qui tutto l’anno. Troppe luci, troppo smog, troppi…vizi e capricci. No…il 2 è molto meglio, decisamente. Quando torno all’appartamento tutti sono in fermento. Mezzanotte è passata, eppure nessuno è ancora andato a dormire. Anzi, sono tutti attivi ed affaccendati.
“Dov’eri?” mi urla contro Jacob appena attraverso la soglia d’ingresso.
“Sono andata a fare un giro. Avevo bisogno d’aria” rispondo con un filo di voce. Uno schiaffo corre veloce fino alla mia guancia, il segno della mano di mio fratello resta in sovrimpressione sul mio volto.
“Sei una stupida, ci siamo preoccupati tutti per te! Sei uscita senza dire niente a nessuno!” continua a gridare. Ha ragione, non lo fermo, non dico nulla. Tengo gli occhi bassi, guardo il pavimento, le mattonelle, le fughe, la polvere.
“Guardami quando ti parlo” ora è arrabbiato. È strano, perché non si è mai arrabbiato con me. Vedo la sua mano alzarsi di nuovo, chiudo gli occhi preparandomi ad un altro schiaffo, che non arriva.
“Ora basta” bisbiglia la voce di Alex, vicina e sicura “abbiamo altro a cui pensare”. Le sue mani trattengono quella di Jacob, i suoi occhi cercano di calmarlo. Lo manda in camera…manda tutti a dormire, tranne me. Io devo andare in cucina con lei, dove l’odore di menta e liquirizia aleggia nell’aria.
“Non farlo mai più! Pensavamo…” mi guarda mentre lavora con una pasta dura.
“Pensavate che fossi andata a suicidarmi o a drogarmi? Caspita, avete fiducia in me!” finisco la sua frase. Mi aspetto qualcosa, qualche reazione, ma non succede nulla.
“Cosa fai?” chiedo guardandola. Non conosco le piante e non so che radici siano quelle piccole schegge marroni racchiuse nei barattoli.
“Jane è stata morsa. Da un serpente. Alla caviglia”. Sgrano gli occhi. Avvelenata. Il veleno del serpente si diffonde velocemente, anche se dipende dalla quantità e dal tipo di serpente. Ma, anche i più lenti, in poche ore si sono diffusi per tutto il corpo e ne causano la morte.
“Cosa vuoi fare?”
“Ho mandato Jacob a prendere delle erbe…dovrebbero bastare per tenerla in vita…ma non ne sono sicura al 100%”.
“Ti aiuto”. Non ha mai fallito una cura e credo in lei, in questo momento. Anche solo perché è l’unica idea che abbiamo per salvare nostra sorella.
“Va..va bene…prepara i biscotti…ci ho aggiunto anche le erbe” sospira lasciando il mattarello e andando a stendersi sul divano. Si vede che è stanca, tutta la pressione ed il peso della famiglia devono essere caduti su di lei. La sorella maggiore, la nuova mamma, l’unica tra noi maggiorenne, la più responsabile. Mi dispiace per lei, ha troppi incarichi per un’unica persona. Ritaglio la pasta e metto le formine sulla carta, prima di inserirle nel forno. Speriamo soltanto che riescano ad eliminare il veleno già presente nel corpo di Jane.
“Sono morti ancora tre ragazzi. Un maschio e due femmine” annuncia Alexandra dal divano. Altri tre…in pratica sono rimasti in cinque. Da 24 a 5…Capitol City dev’esserne fiera!
“Ce la farà!” riesco solo a dire. Il timer suona, i biscotti sono pronti.
“Ora cosa vuoi fare?” le chiedo mentre lei ripone i biscotti fumanti in una piccola scatoletta di plastica. Un bigliettino attaccato al coperchio e poi sigilla il tutto.
“Andiamo dai tecnici” risponde insieme al suono del clacson di una macchina. Mi prende per mano ed usciamo, seguite anche da Jacob. Lui deve proteggerci, questa è l’unica frase che dice. Un ragazzo dai capelli lilla ci accoglie all’uscita, ci apre lo sportello e bacia la mano di Alex con un inchino.
“Grazie per tutto, Theo!” sussurra mentre arrossisce. Il nuovo look di Theodor è ambiguo. Capelli lilla, sopracciglia fucsia, un piccolo tatuaggio nero vicino all’occhio sinistro che raffigura una fragola. Indossa una tuta arancione evidenziatore ed il cappello blu degli autisti. Dopo un “tenetevi”, partiamo a tutta birra verso il “laboratorio” degli Hunger Games. Le luci sono ancora accese, segno che c’è ancora gente che lavora nonostante l’ora tarda. Le porte sono aperte, nei corridoi o sulle scale non c’è nessuno. Ci fermiamo dietro all’unica porta socchiusa da cui arrivano le voci e le risate. Alex non perde tempo nemmeno a bussare, entra e si presenta, dice il motivo per cui siamo venuti e li guarda con aria di sfida, ma con la paura nella voce.
“Perché mai noi dovremmo fare un favore a te?” chiede un tecnico grosso. Sono solo in due in quella misera stanzetta piena zeppa di computer. L’uomo grosso e tatuato che ci ha parlato ed un ragazzo più mingherlino, che viene fatto uscire con un compito preciso.
“Si, per favore…in fondo senza di noi non potreste fare i giochi…e voi non avreste un lavoro” cerca di dire mia sorella. Jacob mi stringe i polsi, come se ha avuto l’ordine di non lasciarmi nemmeno muovere.
“Beh, su questo devo darti ragione”. L’uomo ride. Ha una risata sonora eppure rauca. Tossisce prima di guardarci.
“Siete due ragazze carine, magari possiamo metterci d’accordo” continua.
Metterci d’accordo. Siete due ragazze carine. Due frasi che unite mi fanno venire la pelle d’oca.
“Cosa vuole da noi?” riesco a chiedere. I suoi occhi si spostano su di me, mi esaminano, mi studiano. E ride, di nuovo.
“Avvicinatevi. E dite pure al vostro amico di non preoccuparsi. Con me sarete al sicuro” dice strizzando l’occhio a Jacob. Un segno che lo rende ancora più protettivo e non mi molla un attimo.
“Sono loro fratello e non le lascerò da sole con lei” esclama Jacob, digrignando i denti.
“Fai quello che vuoi” controbatte l’uomo arrabbiato “perché volete inviare dei biscotti a vostra sorella? Non mi sembra stia morendo di fame. È una dei preferiti in questi Hunger Games”
“Perché vogliamo che si ricordi di noi” dico prima che Alex apra bocca “sono i suoi biscotti preferiti. Un po’ di zuccheri possono servire per renderla più attiva”
Il tecnico sembra pensarci, valutare l’idea. Nessuno dei Tributi ha mai ricevuto nulla dall’esterno.
“Dovete offrirmi qualcosa in cambio” dice sicuro di sé, guardando il computer. Guarda sia me che Alex, esamina i nostri corpi. Si sofferma su di me, forse perché mi vede più piccola ed indifesa.
“Glielo offro io” interviene mia sorella “lei è ancora una bambina”. La vedo sbottonare la giacca, Jacob mi tiene ferma per le braccia e non posso fermarla.
“Non vorrà mica andare a letto con mia sorella?” chiedo con poco più di un filo di voce “è solo una ragazza mentre lei…lei è…vecchio!”. La mano di Jacob mi tappa la bocca. Ma perché tiene ferma me e non cerca di fermare Alex? Cerco di slegarmi dalla presa, con il risultato di rimanere ancora più intrappolata.
“Ferma” dice l’uomo. Mi guarda mentre Alexandra si riveste.
“Lasciala parlare” dice invece a mio fratello, che mi lascia finalmente libera.
“Su, cosa pensi possa piacere ad un uomo come me?” mi chiede. Ci penso.
“Beh, contando che fa questo lavoro non credo abbia un cuore molto grande. Però magari è ben pagato…l’alletta il denaro”
“Oh si, come a tutti gli uomini…ma voi siete poveri!” continua toccandomi le braccia con le dita.
“Si, siamo poveri, ma tocchi mia sorella un’altra volta e non le basterà tutto l’oro del mondo per farsi mettere a posto il naso!” interviene Alex.
“Calma, calma. Avete un bel caratterino, i vostri genitori devono essere fieri di voi! Ma senza qualcosa in cambio io non posso inviare il vostro regalo alla vostra Jane”
“Posso darle questa. Apparteneva a mia madre” dice Alex, slegando il nastro della sua collana e mostrando la perla bianca proveniente dal Distretto 4.
“Una perla. È raro trovarne una nel 2…ma ne possiamo avere diverse, basta andare nel mare” ride ancora l’uomo.
“Beh, forse una perla non è una rarità…ma le pietre preziose valgono molto!” esclamo. Tutti gli occhi sono puntati su di me ed estraggo il diamante che porto sotto alla camicia.
“Si, questo vale molto di più! Parecchie centinaia di sterline!” dice l’uomo fissando la pietra appesa al mio collo. Sposto i capelli di lato, Jacob smolla il nodo e la collana scivola fino alla mano.
“Invii i biscotti, poi le do la collana”. Non sfido le persone solitamente, non gli adulti per lo meno.
Schiocca le dita e due uomini armati compaiono ai lati della porta.
“Se non manterrai la promessa i tuoi fratelli dovranno scavare una tomba vicina a quella di tua sorella Jane!” ringhia ridendo l’uomo. Posa il pacchetto su una bilancia e quello subito scompare. Lascio la pietra sul tavolo e ce ne andiamo.
 
 
Amore. Alex avrebbe donato il suo corpo a quell’uomo per salvare Jane. Amare significa sacrificare noi stessi per qualcun altro. All’inizio, quando il nonno aveva detto questa frase, mi era piaciuta tantissimo. Ma ora, adesso che Alex ha deciso di donare se stessa, ne capisco il vero significato e…mi disgusta. Per Alexandra, noi ragazzi siamo da considerare bambini bisognosi di protezione e farebbe tutto per amor nostro, anche vendersi al migliore offerente.
Purezza d’animo. I suoi pensieri, i suoi gesti, la sua semplicità. Tutto in Alex mi fa pensare ad una mamma pronta a tutto per proteggere i suoi figli, noi. Tutto è puro e vero in lei. Ogni tanto mi dispiace non essere come lei. Ma quando penso che lei è quella che, come una mamma, ci sta male per ogni cosa che ci succede…beh, allora mi piace essere me stessa. Il nonno aveva ragione quando ci diceva: L'inferno è per i puri; questa è la legge del mondo morale. Esso è infatti per i peccatori, e si può peccare soltanto contro la nostra purezza. 
 
 

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Capitolo 11
*** Zaffiro ***





 

Cinque Tributi ancora in gioco. Tra cui Jane. “Solo uno potrà vincere. Solo uno tornerà nel suo Distretto”. Queste parole mi riecheggiano nella testa e fanno male al cuore. Solo uno. Certo, Jane è la favorita…ma non vuol dire che ha la vittoria in tasca. Ogni giorno accendiamo il televisore e teniamo compagnia agli ultimi sopravvissuti. O loro tengono compagnia a noi. Si, perché anche se siamo una famiglia numerosa, in questi giorni il silenzio regna sovrano. Fa quasi paura, tanto quanto quello strano Buio mandato da Capitol City contro i ragazzi. Ormai sono tutti stremati. Le forze li hanno abbandonati, non piove ed il sole è caldo. Nonostante le foglie si capisce che le temperature all’interno dell’arena devono essere altissime. I tecnici vorranno far finire in fretta il reality, staranno pagando troppo. Ormai farebbero prima a mandare quelle loro strane creature per finirli. Margaret e Rose entrano in sala da pranzo e contemporaneamente aprono gli sportelli delle mensole, in cerca di qualcosa da mangiare. Oggi si sono vestite uguali e non è semplice distinguerle. Ma dalla nostra parte abbiamo sempre i loro caratteri tanto diversi.
“Rose, piangono i bambini!” urla Alex dalla cucina.
“Tocca a Nicole!” ribatte lei. Mi alzo controvoglia dal divano, dirigendomi verso la stanza dei bambini. Tito saltella sul letto, lanciando indumenti contro Karina. Jason piange a squarciagola, i piedi incastrati tra il letto e il muro.
“Basta!” urlo e subito si fa silenzio nella stanza. Anche i singhiozzi di Jason si smorzano un pochino. Inizio da lui, liberandolo dalla stretta presa del letto e massaggiandogli le caviglie, rassicurandolo e assicurandomi la fine dei suoi dolori. Poi tocca a Tito, accucciato sul cuscino con un paio di calzini appallottolati tra le mani.
“Cosa stai facendo con le mie calze?” gli chiedo trattenendo una risata di fronte alla sua espressione di paura ed imbarazzo.
“Nente tata” dice “Ha iniziato lei” e punta il dito verso la bambina che gli sta di fronte. Nonostante abbia solo un anno, il carattere di Karina si è già mostrato: ribelle, selvatica, allegra e burlona. Le piacciono gli scherzi. Ma è anche in grado di dare amore, accoccolandosi tra le braccia di qualcuno di noi o prendendo le nostre dita tra le sue manine.
“Mi ha lanciato Jackson dalla finestra” continua Tito. Jackson, quel vecchio coniglio senza un orecchio, vecchio, logoro e sporco. Era da tempo che Alex voleva buttarlo via, Karina deve averlo presa in parola.
“No apposta” si difende lei. Negli ultimi giorni la sua capacità di parlare è aumentata considerevolmente, al contrario del gemello, che non ha ancora pronunciato nemmeno una sillaba.
“Si che l’hai fatto apposta!” urla Tito. Lancio uno sguardo in strada. Del vecchio e puzzolente coniglio di pezza ormai è rimasto solamente un orecchio.
“Dai, non è grave! Ne prenderemo un altro più carino!” cerco di calmarlo.
“No! Io voglio quello!”
“No più! son molto!” grida Karina. I suoi occhi si riempiono di lacrime prima che riesca ad aggiungere la parola “Scua ito”. Poi corre via, seguita da Jason. Io rimango sola con Tito, con le sue lacrime e le sue urla di disperazione per aver perso il suo migliore amico.
“Quel vecchio coniglio ha vissuto una vita splendida e gioiosa. È passato tra le mani e le braccia di tutti, è stato coccolato e strapazzato. Aveva più 19 anni, nessun coniglio vive così tanto! Voleva andare anche lui da mamma e papà!”bisbiglio piano.
“Ma Jackson era del papà! Per ricordarmi di lui!” piange ancora.
Giusto, era uno dei vecchi pupazzetti di papà prima ancora di passare ad Alex.
“Ora è tornato a lui! Non ti serve un coniglio di peluche per ricordarti del papà, lo avrai sempre qui” dico puntando un dito contro il cuore “lui ci protegge da lassù, è comodo su una stella e ci guarda!”
“E se cade?”
“E se cade arriva un angelo che lo prende e lo porta su una stella più bella!”
“E anche Jane andrà su una stella?”
“No, Jane tornerà da noi!”
“E se non vuole tornare? Se uno dei ragazzi cattivi della tv non la lascia più tornare?”
“Lei riuscirebbe a liberarsi dai suoi aguzzini e correrebbe fino a noi!”
“E se…”
“Ora basta Tito, dormi un po’ e calmati, vedrai che tra qualche giorno Jane sarà qui con noi!” gli dico baciandogli la fronte. Lui si stende e chiude gli occhi.
Appena esco in corridoio trovo i gemelli stretti l’una nelle braccia dell’altro. Karina piange e dice continuamente “No volevo” mentre Jason annuisce e le stringe la mano. “Amicizia” è un significato della sua gemma, lo zaffiro, e sono sicura che quando crescerà sarà un ottimo amico per chiunque. Per Karina in primo piano, ma anche per il resto del Distretto.
“Kari” la pizzico un po’ sulle spalle fino a che lei si gira.
“No volevo” dice ancora una volta.
“Lo so piccola, lo so! Ma adesso smettila di piangere!”
“Ma ito abbiato co me”
“No, Tito non potrà mai essere arrabbiato con te, sei la sua sorellina!” la rassicuro.
Lei si stacca dall’abbraccio e corre per il corridoio, verso a quella che fino a qualche giorno fa era la stanza dei signori Prince. La apre con fatica e si catapulta sul lettone. Afferra un orsetto scuro, lo stringe al petto e torna da me. No, si ferma davanti alla stanza in cui dormiamo tutti insieme.
“Ito” bisbiglia e, non ricevendo risposta in cambio urla più forte “Ito! Ito! Ito! Ito!” finché la faccia di Tito si volta a guardarla.
“Pe te” dice Karina allungando l’orsetto “Son due”
Lui lo guarda un attimo, so che vorrebbe lanciarglielo in faccia e rimanere da solo ma mi stupisce accettandolo. Abbraccia Karina e le da un bacio sulla guancia prima di bisbigliarle qualcosa all’orecchio. Poi si rimettono entrambi a ridere ed escono dalla stanza. “Amore” il significato dello zaffiro rosa che sbatte sulla caviglia di Karina.
“Nicole scendi!” urla Alex dal piano di sotto. Prendo i bambini e mi catapulto in salotto, dove il resto della famiglia è ammucchiato sul divano.
“Cosa succede?” chiedo.
Porge una lettera. “E’ da parte di Jane” dice, piano. Come può Jane scrivere una lettera rinchiusa in un’arena senza penna, inchiostro o possibilità di mandare un messaggio?
La leggo in fretta e rimango sbalordita dalle frasi che si susseguono davanti ai miei occhi.
Cara Alex, ce l’ho fatta! Come promesso sono ancora viva! Nemmeno Capitol City è riuscita a farmi fuori! Credo che domani ci permettano di tornare a casa, di vedervi! Hanno interrotto i giochi, siamo rimasti in cinque! Cinque vincitori…un po’ mi dispiace, perché non potrò dire di essere la prima e sola vincitrice degli Hunger Games, ma sono felice che sia tutto finito. Queste notti le ho passate a piangere sul cuscino. Stavo perdendo la voglia di vivere, sai? Quando hanno ucciso Kevin. Io il segno di una lacrima io….beh, lo sai! Salutami tutta la ciurma, non vedo l’ora di tornare a casa e rivedervi! Forza e coraggio fratelli, vi voglio bene. Jane.
“Hanno fermato i giochi? Perché?” chiedo spaesata.
“Avranno avuto problemi, cosa ci interessa? Jane è viva e torna da noi!” urla Margaret.
Giusto, cosa può fregarmene del perché la capitale abbia deciso di farla finita, è finita! Avremo di nuovo Jane in casa, rivedremo i suoi capelli rossi e ribelli, sentiremo di nuovo la sua voce e potremo abbracciarla dopo tanto tempo! Sembra…un sogno! Un sogno che si avvera! Una storia a lieto fine!
 
 
Theodor passa a prenderci alle 15:50, le valige vengono caricate nel bagagliaio, noi veniamo fatti accomodare. Tutto è pronto per tornare a casa, per abbandonare quella strana città di dolore, disgrazie e paure. Torniamo alla felicità o, almeno, ci proviamo! Abbandono la capitale con gioia, pensando a due settimane fa, quando sono arrivata. Ero incosciente della vita, una bambina che avrebbe potuto perdere sua sorella. Ma ora mi sento cambiata. Sono cambiati i miei orizzonti, i miei ideali, si sono…aperti, amplificati. Dopo la carneficina che ho visto ho capito il male che distrugge il mondo, ho toccato con mano la paura e abbracciato a lungo l’odio verso Capitol City. Ma solo ora che la lascio capisco quanto questi giochi siano importanti per lei. Non sono un divertimento, non solo per lo meno. Alla capitale gli Hunger Games servono, altrimenti lei non sarebbe più importante, non avrebbe la supremazia, non sarebbe più la terra di mezzo, la meta principale, la più ambita! Non sarebbe più niente, solo un altro Distretto, diviso dal resto del mondo, chiuso e senza uno scopo preciso. Se il primo presidente non avesse deciso che il Distretto più piccolo fosse la capitale di Panem beh, adesso sarebbe solo un inutile appezzamento di terra ed alberi. Una decisione l’ha forgiata ed una decisione la può distruggere…la nostra! Se il Presidente Snow non riuscisse a tenerci sotto controllo, la sua adorata Capitol City perderebbe di importanza…lui perderebbe di importanza! Diventerebbe un qualsiasi cittadino!
 
 
Finalmente rivediamo i nostri campi amici, gli alberi, le case piccole ed alte, i giardini ed i bambini che corrono per le vie asfaltate. Distretto 2, finalmente a casa!
Theodor ci accompagna fino al muretto di casa nostra. Sembra strana senza tutti i giocattoli sparsi per il giardino, senza Luke che corre contro i bambini ed i vecchietti che si avvicinano. A proposito, chi sa come sta Luke, non lo vedo da due intere settimane! L’ho affidato alle cure della signora Meddison e non le ho più nemmeno scritto per avere notizie! Il mio povero cagnolino! Non ho nemmeno il tempo di scendere dalla macchina che le mie domande ricevono una risposta. Luke saltella scodinzolante per tutto il giardino, saettando vicino alle ruote della macchina che si sta fermando. Salta sulle gambe di tutti, ci lecca felice ed abbaia. Appena scendiamo tutto il Distretto ci viene incontro. I vicini ci salutano, gli amici ci abbracciano. Sembra una grande festa di matrimonio in cui partecipa tutta la comunità. Appena entro in casa con la valigia sento, finalmente dopo tanto tempo, odore di casa. Quell’aria fresca, di erba e di fiori che aleggia nel Distretto. Rivedo i quadri, le fotografie, l’arredamento tipico del 2, il panorama semplice del paesaggio, la povertà delle case. Entro in camera di getto, capendo subito di non essere da sola. Una figura esile coperta da una coperta lilla è stesa sul letto di Jane. Mi avvicino piano, seguita da Karina ed Elinor. Tolgo piano la coperta che lascia intravvedere qualche ciuffo rosso.
“Jane” urliamo tutte e tre in coro. La testa rossa si muove leggermente, apre gli occhi, ci studia e…sorride! Jane sorride!
Abbraccia le bambine mentre mi dice “Ciao pulce, mi vai a prendere dell’acqua?”. La solita Jane. Appena tornata e già intenta a dare ordini! Non cambierà mai! Però, sono contenta che sia tornata, ora siamo di nuovo la famiglia unita che eravamo prima dell’inizio della Rivolta. Prima dei Giorni Bui. Prima di tutto questo. Ora siamo di nuovo gli Evervood!

 
 

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Capitolo 12
*** Mamma e papà ***


Sono passati 8 anni da quegli Hunger Games che hanno visto Jane come Tributo. È da mesi che non la sento parlare, se ne sta sempre rinchiusa nella nuova casetta al centro della piazza, una delle case nuove che hanno sostituito i detriti esplosi dopo la Rivolta. I Giorni Bui sono finiti, la situazione si è stabilizzata. Ora non siamo più il Distretto dei minerali e delle pietre preziose, la miniera è crollata. Costruiamo armi, per la maggior parte, e molti di noi sono diventano dottori. È stata aperta una nuova scuola proprio per specializzarsi in medicina, nuove fabbriche, nuovi ospedali, nuovi campi d’allenamento. Dopo la vittoria di Jane siamo entrati nelle grazie della capitale. Oggi le forniamo guerrieri, Pacificatori come li chiamano loro. Addestrano i nostri giovani per farli diventare crudeli, per uccidere i loro simili. Indossano uniformi bianche, tutte uguali, al collo pesanti fucili e gli occhi iniettati di sangue. Nessuno dei miei fratelli è entrato in quel gruppo, o almeno non ancora. Jacob ha rischiato di essere preso da uno di loro dopo aver perso qualche moneta al gioco. Se hai debiti, non ti resta che pareggiare i conti diventando paladino della giustizia parziale. Però ora ce la caviamo bene, almeno: c’è cibo, c’è ricchezza, c’è sicurezza! Gli Hunger Games sono tutti uguali e non  siamo più invitati a partecipare direttamente alla trasmissione. Viene trasmesso sulle televisioni di ognuno di noi, oppure sul maxischermo della piazza. Noi ed il Distretto 1 siamo i Preferiti ed i nostri giovani, dal compimento degli 11 anni, si allenano duramente per partecipare come volontari ai giochi. Quasi sempre vinciamo. Una volta noi, una volta l’1…raramente qualcun altro. E non dobbiamo più preoccuparci di perdere qualcuno contro la nostra volontà perché non mancano mai i volontari.
Guardo il cielo limpido, di inizio estate. Passeggio per la piazza senza una meta ben precisa e raggiungo la casa di Jane. Non ha un ragazzo, vive da sola e vuole rimanere sola. La trovo sdraiata sul divano mentre fa zapping con il telecomando in una mano ed una bottiglia di alcol nell’altra. Non mi saluta nemmeno quando entro, ormai si è abituata a me. Mi guarda pulire, far entrare aria, cucinare, ma non mi dice mai nemmeno una parola. È da tempo che non parla, dal Natale scorso, se non sbaglio. Aveva detto qualcosa a proposito di mamma e papà e tutti le siamo andati contro. Lei si è offesa e non ci ha più parlato. La guardo un attimo prima di sistemare la sua casa: sta afflosciata sul divano, la canottiera marrone e larga, gli shorts di jeans alla cui cintura tiene ancora legati i suoi coltelli. I capelli le arrivano al seno, ribelli e spettinati, di un rosso ancora più acceso rispetto a quando era ragazza. Gli occhi sono azzurro cielo, ma spenti, non comunicano più niente. Prendo uno straccio ed inizio a pulire, in silenzio. Mi piacerebbe rivedere il sorriso sulle sue labbra carnose, ma so già che non succederà tanto presto. Ha perso tutto ciò a cui teneva di più: i nostri genitori, Alex che è andata ad abitare a Capitol City, Jacob che rifiuta di vedere, i piccoli che non passano mai a trovarla, le gemelle che vivono con i loro fidanzati, Kevin….le resto solo io.
“Esci oggi?” le chiedo gentilmente, ma lei scuote la testa, come sempre concentrata sullo schermo del televisore. Oggi è l’anniversario di morte di mamma e papà, torna Alex da Capitol City, ci riuniamo a casa. È tradizione, per noi…è importante per me!
Quando capisco che non verrà e resterà ferma nel suo cantuccio per tutto il giorno, me ne vado. Siamo rimasti solo io ed i piccoli a casa…piccoli! Una parola! Elinor e Mirko ormai hanno 16 anni, sono alti entrambi più di me ma, crescendo, non hanno perso le loro espressioni angeliche. Elinor va alla scuola per dottori ed ha ottimi voti, mentre Mirko frequenta quella normale, per lavorare in fabbrica. È diventato molto simile a Jacob, muscoloso, bello, ambito dalle ragazze.
Christian è quindicenne e riesce a far dannare anche i Santi del cielo. Dalle freccette è passato alle lance e non c’è giorno che non dobbiamo riparare qualche muro. Sempre più ribelle è diventato molto simile a Jane. È l’unico che si allena per andare come Tributo volontario il suo ultimo anno di Hunger Games. Tito ha 10 anni, non è ancora entrato nella fascia della Mietitura. È giudizioso e intelligente, il primo della sua classe sia a scuola che sul campo. I gemelli, Karina e Jason, ormai hanno 9 anni, vispi come lo erano Elinor e Mirko alla loro età. La loro curiosità li porta spesso in mezzo ai guai e alle zuffe, ma riescono sempre ad uscirne illesi.
L’ultimo rimasto sotto il nostro stesso tetto è Jacob. I suoi 25 anni non gli hanno ancora portato l’anima gemella, ma negli ultimi tempi rientra molto tardi ed esce molto presto. A parte il vizio dell’alcol e del combattimento è un bravo ragazzo…ha la testa sulle spalle, diciamo. E si preoccupa per noi!
“Nicole!” urlano insieme i miei fratelli, i visi angelici che mi fissano per chiedermi cosa cucinerò per pranzo.
“Arrosto e patate!” dico sovrastando le loro grida di eccitazione.
Sono le 11 ed inizio subito a preparare il pranzo…voglio che sia tutto perfetto per l’arrivo di Alex e della sua famiglia. Già, 27 anni, bella, sposata e mamma di tre splendidi bambini! Peccato che non sia riuscita a convincere Theodor a rimanere nel Distretto e si sia trasferita verso la capitale. Le gemelle sono le prime ad arrivare, insieme ai loro ragazzi. Rose si è addolcita da quando ha conosciuto Ivan, sorride sempre, si imbarazza e…sembra felice. Margaret è sempre la solita, allegra, in forma, con il sorriso sempre stampato sulle labbra. All’anello con il turchese si è aggiunta una fedina d’argento, regalatale dal suo Stephan come regalo di fidanzamento…due mesi alle nozze ormai!
E di me…cosa si può dire…ho 20 anni, ormai, dirigo la famiglia, lavoro al negozio di fiori, non ho mai imparato a cacciare. Come aveva detto Jane un giorno, ho sempre avuto la particolare abilità di tenere uniti i miei fratelli, ma credo che si sia consumata un po’ troppo e non funzioni più per tutti…
Altro…ho un fidanzato, si. Si chiama Logan, ha 22 anni, è alto e biondo. Era un amico di Margaret, me l’ha presentato lei prima di lasciare la casa. Bello…beh, la bellezza è soggettiva ma per me si, è splendido! Così com’è perfetto nella camicia blu come i suoi occhi mentre entra in casa e si accomoda senza dire una parola. Ormai è diventata casa sua!
Alex arriva per ultima, quando ormai sono tutti seduti, le sue piccole pesti si catapultano verso il tavolo. Tre maschietti furbi e pestiferi, intelligenti ed astuti, i capelli biondo/rosso e gli occhi castani. Almeno non hanno gli strani colori del padre, la cui tinta delle sopracciglia quest’anno è verde pisello e quella dei capelli giallo limone. Sembra più che altro la punta di un evidenziatore, ma me ne resto zitta sotto lo sguardo accusatorio di mia sorella.
“C’è un posto vuoto. Chi manca?” mi chiede sedendosi
“Jane” rispondo con un’espressione amara in volto.
Alexandra mi mette una mano sulla spalla, come per confortarmi. Sa quanto significa per me questo giorno. Non facciamo a tempo a fare il brindisi che la porta si apre ancora ed un’elegante Jane entra in sala da pranzo. Il vestito blu notte che le svolazza appena sopra le ginocchia, i capelli finalmente pettinati e trattenuti in una coda alta, le scarpe col tacco e gli occhi truccati. Da un eccesso all’altro si potrebbe dire!
“Non pensavate di iniziare senza di me!” urla con il suo solito tono da maschiaccio. Mi mancava la sua voce!
Si siede, mangiamo e ridiamo come una vera famiglia unita e allargata. Karina serve il dolce, fatto con le sue mani. Lascio assaggiare a Theodor che non si tira mai indietro quando si tratta di torte…dalla sua espressione schifata e da quella entusiasta di mia sorella capisco che fa schifo.
“Torta di fango, gustosa?” dice felice, battendo le mani ed incrociando lo sguardo del gemello.
“Karina non hai più tre anni!” la rimbecca Alex mentre accompagna il marito verso il bagno. Le lancio uno sguardo ed i suoi occhi verdi brillano per un attimo, così come lo zaffiro che porta appeso al collo.
 
 
È pomeriggio inoltrato quando ci dirigiamo verso il cimitero. Ognuno un fiore in mano ed una preghiera nel cuore. Apriamo la grossa porta di ferro e passiamo qualche tomba lucida prima di arrivare alla lapide di mamma e papà. Le foto vecchie, i loro sorrisi felici, i loro occhi innamorati. Peccato che l’unica foto decente di mamma risalisse alla sua infanzia, mentre quella di papà era stata scattata dopo una gita in montagna.
Devo stringermi a Logan per non mettermi a piangere come gli anni passati. Lascio la rosa bianca, compongo una preghiera mentalmente e li ringrazio per tutto quello che hanno fatto per noi. Poi mi tiro da parte ed aspetto i miei fratelli. Sarebbero fieri di noi, oggi, so che è così! Abbiamo superato i problemi, siamo stati forti e ci siamo spalleggiati l’un l’altro, come ci hanno insegnato. E oggi siamo qui tutti insieme, come avrebbero voluto. La mano di Logan si stringe alla mia, sento il suo profumo leggero ed il suo corpo coprire il mio in un abbraccio caloroso.
“Ti amo” dico al suo braccio
“Anch’io!” bisbiglia lui ai miei capelli.
Sono felice! Ho dovuto aspettare, soffrire e sopportare, ma ne è valsa la pena, perché ora sono veramente felice!
 

*****
E finalmente sono arrivata alla fine di questa avventura....spero vi sia almeno piaciuta e che sia stata leggibile! =) Mi sono divertita ad immaginare le avventure di Jane e dei suoi fratelli. Ho cambiato nome, questo è più incentrato sul nome di tutti i capitoli, l'altro rappresentava solamente il primo!=)
Va beh, un bacione a tutti!=)

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