Il frutto del peccato. di Hadi (/viewuser.php?uid=107770)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Caduta 1.1 ***
Capitolo 3: *** Caduta 1.2 ***
Capitolo 4: *** Caduta 1.3 ***
Capitolo 5: *** Adorazione 2.1 ***
Capitolo 6: *** Adorazione 2.2 ***
Capitolo 7: *** Conoscenza 3.1 ***
Capitolo 8: *** Conoscenza 3.2 ***
Capitolo 9: *** Conoscenza 3.3 ***
Capitolo 10: *** Espiazione 4.1 ***
Capitolo 11: *** Espiazione 4.2 ***
Capitolo 12: *** Espiazione 4.3 ***
Capitolo 13: *** Ricaduta 5.1 ***
Capitolo 14: *** Ricaduta 5.2 ***
Capitolo 15: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
Il frutto del peccato
Eva raccolse il frutto del peccato.
Perché lo fece?
Quel frutto aveva qualcosa di
diverso dagli altri?
Aveva una forma diversa? Un
colore più acceso e brillante?
Il sapore era diverso? La mano
che lo sfiorava veniva scossa da brividi particolari? La buccia era più
calda, più ruvida?
No, ovviamente. Ma cosa lo
rese così appetibile?
La proibizione.
Basta imporre a un uomo di non
fare una cosa, e questo sicuramente la farà. È così semplice; banale
quasi.
Perché tanto interesse in ciò
che è vietato, reso immorale, giudicato torbidamente?
Perché l’uomo vive con
l’insana e bruciante voglia d’infrangere ogni regola, di spazzare via
ogni limite?
Ma, soprattutto, perché io ho
ceduto?
Il frutto del peccato è
proibito;
ti osserva, ti tenta inconsciamente con i suoi occhi ambrati. Solleva
il tuo desiderio non appena ruota il candido corpo verso di te.
Più desideri di fermarti, di
voltarti, e di cancellare dalla mente quei pensieri pungentemente
osceni, più lui avanza verso di te. Sinuoso, incarnazione di un sesso
corrotto, illuminato da una virginea luce di sensualità.
Bellissimo.
Non esiste redenzione. Quelle
sono
solo cazzate. Un architetto non progetta una casa dopo averla
costruita, un panettiere non impasta dopo aver cotto il pane.
Allo stesso modo, il
pentimento non è mai posteriore al compimento del peccato.
La penitenza, la paura, il
timore
di Dio si manifestano sempre l’attimo prima di rubare, di uccidere, di
stuprare, o di affondare il proprio corpo dentro quello del fratello.
Ho avuto l’occasione di
pentirmi, a un centimetro dalle sue labbra. Potevo voltare la testa,
fingere, e dileguarmi.
Non sarebbe successo niente.
Invece...
Il suo profumo era così forte
perché io lo ignorassi, il suo sorriso così morbido perché io non
desiderassi di viverlo anche sulle mie labbra.
Io ero così debole.
Quando lo baciai, lo feci con
la consapevolezza di non voler trasmettere affetto, o amore, ma solo
puro desiderio di possederlo.
Baciai mio fratello sapendo di
essermi caricato sulle spalle un peso che non avrei più potuto
abbandonare.
Era peccato, era assurdo, era
immondo.
Forse non mi sarei innamorato
di Feliciano, se questo non fosse stato mio fratello.
Non c’è uomo, al mondo, per
cui senta di provare attrazione sessuale. Oltre a lui, oltre al legame
di sangue che ci unisce.
Lo desideravo, lo bramavo; il
mio obiettivo era quello di impormi nella sua vita, facendolo vivere di
me, con me.
Lui era il Diavolo che mi
aveva tentato; lui mi aveva incatenato al suo caldo corpo con ganci di
lussurioso dolore.
Avevo varcato le porte
dell’Inferno e i cancelli si erano chiusi, stridendo di terrore,
dietro di me.
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Capitolo 2 *** Caduta 1.1 ***
Ciò che
più mi teneva legato a Feliciano era la gelosia.
Ero terribilmente, completamente, rabbiosamente, geloso di lui.
Il legame di sangue, che si sarebbe imposto come barriera morale tra
noi due, in quel momento mi stava appoggiando:
“Lovino è un po’ scorbutico, però
vuole tanto bene a suo fratello...”
“Si vede che Lovino è un fratello
protettivo.”
“Feliciano è davvero fortunato, non
correrà rischi con un fratello come Lovi!”
Ero suo fratello: essere geloso era nei miei diritti, e fondamento dei
miei doveri.
Dovevo origliare le sue chiamate, controllare segretamente il suo
cellulare ogni giorno. Dovevo assicurarmi che frequentasse le persone
che io reputavo giuste per lui. Dovevo avere la password dei suoi
account sui social network. Dovevo chiamarlo ogni trenta minuti quando
si trovava fuori.
Dovevo avere le sue stesse compagnie di amici, frequentare la sua
stessa scuola, iscrivermi alle associazioni che interessavano anche
lui.
Ma ciò che facevo di più importante e di più egoistico, era privarlo di
una qualsiasi forma d’amore che non fosse il mio.
Io ero suo fratello, ma ero anche il suo migliore amico. Dopo la morte
di papà sono diventato il suo genitore. Ero il suo insegnante quando
facevamo i compiti insieme. Ero il suo addestratore quando lo portavo a
giocare a calcio in campagna.
Io ero suo, così come lui era mio.
Di questo non si è mai lamentato; non so se accettava la mia presenza
costante per amore, o per semplice abitudine, ma non ha mai dimostrato
imbarazzo nell’uscire con me, nel vedermi sempre come un’ombra d’un
angelo buono.
La gelosia sarebbe diventata possessione, e il possesso desiderio.
La gelosia è un mostro dagli occhi
verdi- diceva Shakespeare.
Io ero quel mostro.
Non volevo più solamente vivere la sua vita come protettore; desideravo
esserne il protagonista, insieme a lui.
Quel giorno, 4 marzo 2012, mi accorsi quanto potesse essere facile
cadere nel rogo più nero del più fresco amore.
«Lovi! Quando torna la mamma dille che sarò a casa per cena!»
«Dove vai?»
«A casa di Gilbert! Lui e suo fratello mi hanno invitato a stare un po’
lì!»
«E non mi hai detto niente? Sai cosa penso di loro due.»
«Mi hanno chiamato poco fa.»
«Mhh. Va bene, vengo anche io.»
Corsi subito a prendere il cappotto; non ci sarebbe stato tempo da
perdere. I due crucchi volevano porre i loro tentacoli viscidi sul
candido corpo di mio fratello. Avrei dovuto salvarlo, nuovamente.
«Lovi... Io volevo andarci da solo... Sai, Gilbert ha detto che Ludwig
doveva dirmi qualcosa di... romantico. »
«Ah sì? Questo è un buon motivo per non mandartici. Conosco Gilbert e,
se il sangue non mente, allora suo fratello è uno squilibrato
pervertito quanto lui! Quindi, o vengo anche io, o tu resti qua. »
«Ma... Dai, non è così!»
«Sì che è così! Sai bene quanto mi scoccia lasciarti in pasto a quei
due deficienti! Non ti lascio andare lì senza che io possa proteggerti!
Ficcatelo in testa.»
Mi rivolse un’espressione triste, martoriata.
Non voleva avermi con sé. Non voleva! E per di più, non trovava neanche
il coraggio di rispondermi. Aveva forse paura di me?
Lo turbava la possibilità di non potersi incontrare con il crucco. E
io? Io ero meno importante?
Io lo stavo proteggendo, pur non avendo tutti quei muscoli che invece
il signor Tedesco vantava.
Probabilmente Feliciano stava per scoppiare a piangere, cercando di convincermi a lasciarlo andare.
Mi avrebbe urlato contro di come avesse bisogno dei suoi
spazi, o di quanto si sentisse oppresso da me.
È lì che lo feci; strinsi la mano sul suo mento, lo alzai
appena, e lo baciai.
Stavo per perderlo; mi avrebbe costretto a cederlo a un altro cuore.
Non avrei potuto lasciarlo andare, non per quel bastardo.
Qualcosa mi disse che era il momento giusto per fargli capire che lo
amavo. Forse un demone, un istinto di onestà.
Doveva sapere quanto sporco era il mio amore per lui, quanto vigliacchi
ed egoistici erano i miei sentimenti. Quanto lo bramavo, quanto tempo
avevo agognato le sue labbra sottili.
Per un attimo quel bacio mi apparse come un sogno, poi come un incubo,
infine scoprì che era solo un respiro di sollievo.
Ma era mio fratello, sangue del mio sangue, carne della mia carne.
Era illegale, era immorale, era inammissibile.
Era incesto, nella sua forma più istintivamente cruenta.
|| Note:
Nonostante abbia pubblicato questi primi due capitoli velocemente, non assicuro aggiornamenti costanti in questo mese. Mi troverò in vacanza, ma spero tuttavia di poter pubblicare ancora.
Vi ringrazio per aver letto, sperando che abbiate anche apprezzato. :)
Alla prossima,
Hadi
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Capitolo 3 *** Caduta 1.2 ***
Scappai
da lui; le mie labbra erano ancora umide del suo bacio, il mio cuore
gorgogliava ancora d’amore.
Corsi in camera mia, lasciai il
cappotto a terra, per stendermi poi sopra il mio letto. Temevo che
avrebbe urlato, che avrebbe pianto, che avrebbe chiamato nostra madre.
E invece, dopo qualche secondo, sentii i suoi passi varcare la porta
della nostra stanza.
«Che c’è? Guarda che puoi uscire,
eh... Fa’ che cazzo ti pare con quel crucco...»
«Sì, però, Lovi... volevo chiederti
una cosa, prima che vada...»
«Chiedi. Ascolt-»
«I baci non sono roba per...
fidanzati? Sai... Io non ho mai baciato nessuno, sulla bocca, dico, quindi non so come
funziona. Cioè, io sapevo che due fidanzati si baciano in bocca... Due
fratelli dovrebbero baciarsi sulla guancia, no?»
Mi disse che mai nessuno, prima di
me, aveva osato violare le sue sottili e morbide labbra. Ero
riuscito a proteggerlo da eventuali avventori. Ero stato il primo.
Mio fratello avrebbe trascorso con
me ogni sua tappa importante; si sarebbe innamorato per la prima volta
di me, avrebbe dato il suo primo bacio a me, si sarebbe mostrato nudo
per la prima volta a me, avrebbe fatto l’amore per la prima volta con
me.
Io l’avrei iniziato, battezzandolo con un’acqua
infangata dal peccato.
Questo ci avrebbe reso felici,
stretti l’uno nel corpo nudo dell’altro, precipitando nel burrone
dell’incesto.
«Se due persone si vogliono bene si
baciano. Dove cavolo vogliono. Tutto qui.»
«Capito, Lovi! Ti ringrazio! Scu-»
«Però, dal momento che baci una
persona, non puoi baciarne un’altra. Mi spiego meglio: ora che hai...
baciato me, dovrai sempre baciare...me. Soprattutto se sono tuo
fratello. Quindi togliti dalla testa l’idea di baciare quel crucco dai
capelli bianchi, o suo fratello!»
Mentii a Feliciano. Mi sentivo una
merda, un essere spregevole. Non l’avrei mai fatto se non fossi stato
certo di riuscire a far star bene Feliciano. Mio fratello non ha avuto
mai bisogno di Gilbert, o di suo fratello. Io gli sono sempre bastato;
sentivo di meritare un’attenzione particolare da parte di Feliciano.
Gli spiegai che avrebbe dovuto baciarmi ogni volta fossimo stati da
soli, senza nessuno che ci vedesse. Lui ascoltava, con gli occhi
illuminati, come se fosse un gioco. Ciò che per lui era un semplice
divertimento, per me era dannazione. Cosa stavo facendo? Ero io?
Stavo alimentando il bestiale fuoco
dell’incesto; stavo guidando mio fratello in una visione distorta
dell’amore fraterno. Lui non era più il tentatore che, con i suoi
sorrisi, con l’accavallarsi sinuoso delle gambe, con i caldi abbracci,
mi aveva corrotto. Era la vittima di un mostro.
Non se ne accorgeva, non sapeva
della mia manipolazione. Feliciano mi avrebbe baciato, per salutarmi,
ogni notte e ogni mattina; aveva trovato queste occasioni per poterci
scambiare dei baci, senza che nessuno ci vedesse.
Mi aveva implicitamente - e
inconsapevolmente- proposto di iniziare una relazione incestuosa,
composta da una pioggia di piccoli e segreti baci. Probabilmente, col
tempo, tutto questo si sarebbe evoluto in qualcosa di più esplicito.
Ciò che mi aveva turbato per anni
era diventato realtà, in una decina di minuti.
Com’era possibile?
Dio aiutava i depravati?
«A me è piaciuto quel bacio, sai,
Lovi? Poi abbiamo la stessa camera! Se mamma non c’è possiamo darcene
altri!»
«Sì, beh.»
«Sai cosa, Lovi?»
«Cosa?»
«Mamma ora non è in casa. Quindi,
Lovi... Se ti va possiamo darci un bacio...»
Non mi alzai dal letto, restai
disteso. Feliciano, delicato e brutalmente bello, si chinò accanto a
me. Dormivamo nella stessa stanza, ma ognuno di noi aveva un letto
proprio
Ci ponemmo entrambi di profilo; il
volto di uno di fronte a quello simile dell’altro. Le dimensioni
ristrette del letto, per fortuna, ci obbligavano a stare vicinissimi.
Sentivo il suo respiro sulla mia
bocca; era calmo, regolare. Come poteva, Feliciano, mantenersi
tranquillo? Forse non aveva compreso la gravità della situazione in cui
lo avevo cacciato.
Mi sussurrò di chiudere gli occhi e
di non giudicarlo.
Sentii le sue labbra posarsi sulle
mie e posso giurare che fossero piegate in un sorriso.
La mia mente si sforzava di
spingerlo via, ma come avrei potuto? Quell’attimo era un sogno divenuto
realtà, non era l’apice del peccato. Sono già stato dannato quando
pensai, steso sul mio letto, qualche anno prima, al concludere un
rapporto sessuale con mio fratello.
Il Demonio è uno strano giudice:
spesso un peccato non va compiuto per essere condannato e punito. La
sua elaborazione astratta, mentale, è la chiave che ti porta alla morte.
Feliciano mi baciò nuovamente,
questa volta, con un po’ di audacia, lasciò la propria lingua varcare
la mia bocca. La sentii, molle e umida, strusciare contro la mia. Si
ritirò poco dopo, fermandosi a guardarmi il volto.
«Io tra poco devo andare, Lovi...
Non posso mancare. Gliel’ho promesso!»
«Quei fottuti crucchi... Ricordati
quello che ti ho detto; niente baci a quel testa di cazzo di Gilbert! È non farti abbindolare da quell'altro. Ti chiamo, tanto. Te rispondi.»
«Niente baci a Gil... Lui non è mio
fratello! E questi baci sono solamente per fratelli... E tutti quelli
che darò io saranno... per il mio fratellone!»
Feliciano si avvicinò nuovamente a
me, suo fratello, per baciarmi ancora. Le sua labbra si erano appena
arrossate a causa dei lunghi baci. Già il nostro amore lo stava
marchiando.
Le sue parole mi eccitarono molto;
era consapevole del legame di sangue che correva tra di noi, ne era
assolutamente consapevole! Eppure questo non era un problema, anzi, era
come se ciò lo incitasse a baciarmi ancora, e ancora.
Feliciano, eri la perfezione del
Demonio.
|| Note:
Mi scuso se è presente qualche errore in HTML; sono in campeggio, e vi assicuro che non è facile lavorare con i codici HTML dal cellulare. Non mi sembrava giusto riaggiornare al mio ritorno, visto che questo sarà a fine agosto. Ringrazio chi ha recensito, e chi recensirà. Le vostre recensioni mi fanno davvero piacere, e vi chiedo scusa se le risposte a queste arriveranno in ritardo.
Ci sentiamo presto,
Hadi
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Capitolo 4 *** Caduta 1.3 ***
Quanto
era bello il mio Feliciano. Glielo avevo mai detto? Non penso;
anche lui aveva dovuto cozzare col mio atteggiamento burbero.
Con una salvietta ripulii le ultime
gocce di sperma dal mio petto. Mi ero masturbato pensando a mio
fratello. Amavo il suo corpo così piccolo, esile, femminile.
Mio fratello era andato via una
decina di minuti prima, lasciandomi con ancora le labbra assetate delle
sua e con un corpo fremente di piacere.
Non potevo resistere, fingere che
niente fosse accaduto. Non potevo alzarmi dal letto, e accendere il PC
o la televisione.
Sono stato con mio fratello, steso
l’uno vicino all’altro, nel mio letto, mentre lui,
sorridendo, schioccava tanti baci sulla mia bocca. Avrei potuto accarezzarlo meglio, se ne avessi avuto il tempo. Fanculo a quei
crucchi; quel giorno li avrei graziati, in nome della sorpresa che Feliciano mi fece, ma se avessero osato ancora mettersi tra me e mio fratello, posso giurare che avrei spaccato loro il cranio.
Consumai la mia dannazione.
Io amavo Feliciano. Io amavo mio
fratello.
Ne presi consapevolezza qualche anno
prima, a sedici, diciassette anni, quando Feliciano dichiarò di essere gay.
Sapevo che mio fratello voleva me,
ne ero sicuro. Non un qualsiasi altro uomo; lui aveva bisogno di me.
In quel periodo cominciò la mia
discesa all’inferno.
Amai mio fratello: quanto può essere
grave questo?
Lo amavo, e, amandolo, avrei
compiuto con lui ogni passo della depravata danza della lussuria.
Ho sempre desiderato baciarlo; ho
fantasticato nel sentire la sua bocca scivolare sul mio corpo. Mi sono
masturbato pensando a mio fratello, a come gli avrei sorretto le gambe snelle
mentre mi riversavo in lui.
Volevo assolutamente scoparmi mio fratello;
questa fantasia era diventata un obiettivo. Io mi sarei unito con mio
fratello; quando non ha mai avuto importanza.
Sapevo solo che la mia missione era
marciare in senso opposto a Dio e, in questa via brulla e riarsa, era
presente il corpo nudo di Feliciano.
Il piacere di quei ricordi durò
qualche minuto per poi essere soppresso e sputato via dai sensi di
colpa.
È vero, Feliciano mi aveva palesato
il suo piacere nell’intraprendere il cammino violento
dell’incesto. Mi baciava con passione, leccava la mia lingua come se ne fosse eccitato.
Questo a cosa ci avrebbe portati?
Alla dannazione eterna? Quello era
certo, ma l’Inferno è in un’altra vita.
Avremmo vissuto insieme fino alla
fine dei nostri giorni? Ci avrebbero incarcerato? Buttato fuori di casa?
Sentivo, dentro di me, che questo
non aveva importanza.
L’Inferno esisteva, ma era una
realtà ancora tropo distante. Così come l’arresto.
Si apriva solo il sipario della sera
quando, dopo aver salutato mamma in salotto, Feliciano si sarebbe
stretto sotto le mie coperte, per augurami un’ottima “buonanotte”.
Pensare a questo, leccarmi le labbra
bagnate da lui, ricordare le sue mani poggiate sulle mie guance, i suoi
occhi caldi e sensualmente dischiusi... Tutto questo mi aveva fatto
cedere. Feliciano era andato via, e potei finalmente sfogare le mie pulsazioni.
Ripresi fiato velocemente, per
poi afferrare il cellulare sul comodino. Inviai un messaggio a
Feliciano, per chiedergli come stesse, cosa stesse facendo. Sarei
andato a farmi una doccia, e poi l’avrei chiamato.
Mi avrebbe considerato invadente,
forse è vero, ma avevo appena permesso al mio fratello di entrare nella
gabbia dei mostri della Germania. Raddoppiare le difese, e le
preoccupazioni, era una prevenzione più che giusta. Quei due crucchi
avrebbero dovuto capire che Feliciano era mio e che, anche se gli
avessi permesso di visitarli, restava comunque sotto la mia più
accurata protezione.
“Feliciano- 16.39
Ciaoo!
Sì, sì,
sto bene! Stiamo parlando e facendo la merenda! Poi giochiamo un po’!
Mi manchi
tanto, eh! Ricordatelo! A dopo, Lovi, ti voglio bene!!!”
Per fortuna, Feliciano rispose quasi subito. Stavano facendo merenda; chissà che razza di
cibo stavano dando al mio fratello. Spero niente di troppo “tedesco”.
E poi, in che senso ‘avrebbero
giocato’? Il tempo di farmi una doccia, poi mi sarei tenuto pronto per
andare a soccorrerlo.
Avrei mandato un altro messaggio a
Feliciano per farmi spiegare cosa stessero facendo, nel dettaglio,
possibilmente.
Mi concentrai sull’ultima riga
del messaggio.
Anche lui mi mancava.
Sapevo che mi voleva bene.
Aveva preso i nostri baci come
“dimostrazione d’affetto fraterno”, non per ciò che erano: corruzione
dell’anima, immoralità.
Come ho potuto trascinarlo nel
vortice dell’incesto?
Io già annegavo ma lui... lui
poteva ancora salvarsi.
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Capitolo 5 *** Adorazione 2.1 ***
Le buste
della spesa mi laceravano le mani. Eppure non avevo comprato
molto, se non quello che mamma mi aveva richiesto.
Avevo acquistato anche due barrette di cioccolato da regalare a mio fratello.
Avrei voluto comprargli altro, ma temevo che potessero nascere
sospetti. Per sicurezza, avevo anche comprato dei bignè per mia madre.
Lei sapeva quanto amassi la famiglia, sicuramente era incapace a vedere
come io, recentemente, avessi storpiato il significato di “amore
familiare”.
Erano passati più o meno quattro giorni da quando baciai mio fratello.
Sapevo bene che lui, negli attimi in cui affondava la lingua nella mia
bocca, si stava muovendo per puro amore fraterno, non per desiderio.
Io ci provavo eccitazione; bramavo il suo corpo. La possibilità di
godere dentro di lui si manifestava non più come un’assurda fantasia,
ma come una vicina realtà.
Mi facevo schifo nel vedere mio fratello come un mero oggetto sessuale,
ma è questo che più mi affascinava di lui.
È vero, Feliciano era bellissimo; aveva un corpo esile, delicato,
candido e femmineo che avrebbe fatto desiderare a chiunque di poterlo
violare; i suoi occhi erano d’un ambra particolare e brillante; le sue
gambe lisce e snelle. Ma questo non mi avrebbe mai eccitato
completamente.
Il desiderio che provavo per mio fratello era psicologico.
Feliciano ha sempre incarnato l’ideale di castità e di purezza, o,
meglio, di innocenza. A tratti era malizioso, ma si percepiva che erano
momenti istantanei, non programmati. Feliciano attraeva senza che
desiderasse di farlo. Chiunque volesse fare sesso con lui - sono
sicuro-, non si sarebbe mai limitato a del sesso “standard”.
Tutti noi eravamo eccitati dalla sua purezza, e ognuno di noi avrebbe
voluto macchiarlo, in qualche modo. Quella testa di cazzo di Ludwig
avrebbe voluto fargli conoscere il sadomasochismo; i tre coglioni,
Francis, Gilbert e Antonio se lo sarebbero fatto tutti e tre insieme,
mentre io l’avrei macchiato con l’incesto.
Provai dispiacere nel realizzare quanto una persona calma, buona, e
pura come Feliciano, fosse circondata da tanti demoni.
Sapevo anche che la mia forma di amarlo era quella più pura; Feliciano
era mia fratello, l’avrei protetto, l’avrei rassicurato, l’avrei amato
doppiamente.
Suonò il cellulare. Con fatica riuscii a rispondere.
«Oi, ciao Feliciano, qua ho quasi fatto.»
«Io mi sono svegliato ora... Senti, mamma ha detto se dopo vuoi andare
a trovare la zia...»
«Ah... Beh, tu..vai?»
«No, no, io resto a casa...»
«Ah, allora resto anche io. È ok, vero?»
«Certo, sì! Ne sono felice! Torni a casa presto, vero?»
«Tra dieci minuti sono lì.»
Saremo rimasti soli, nel pomeriggio. Feliciano adorava andare dalla zia
Anna, probabilmente avrebbe voluto rimanere a casa per stare con me. Il
giorno precendente ci siamo potuti baciare solo prima di dormire,
quando sgattaiolò nel mio letto. Mi raccontò un po’ quello che gli era
capitato, mi riassunse gli episodi delle sue serie tv preferite, e,
di tanto in tanto, quando non parlava o non sorrideva, schioccava le
sue labbra sopra le mia.
Il pensiero che quel giorno avrei potuto baciarlo per decine di minuti,
senza temere di essere scoperti, mi immobilizzava, mi seccava la gola e
mi imbarazzava.
Feliciano, sono sincero, cosa darei per essere te.
Vivevi
inconsapevolmente il nostro rapporto; nessun verme ti divorava l’anima,
nessuna colpa premeva sulle tue spalle.
Non potevo salire al tuo livello; forse è per questo che ti costrinsi a
scendere al mio?
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Capitolo 6 *** Adorazione 2.2 ***
Entrai in casa in fretta.
Probabilmente mamma era già andata via, e sapevo di non dover perdere
neanche un momento per stare con mio fratello.
Posai le buste della spesa sul
corridoio, per rifugiarmi in camera nostra.
Feliciano si era riaddormentato;
stringeva il cellulare in mano. Era così buffo.
Mi fece... sorridere?
Feci per avvicinarmi a lui, quando
mia madre ci interruppe.
«Lovino! Lovi! Hai lasciato le
buste nel corridoio! Tranquillo, le ho messe via io. Oh, ma Feli dorme
ancora?»
Un gemito si levò, fumoso, dal letto di
Feliciano; si svegliò e mamma corse subito da lui. Si stese sul letto
accanto a mio fratello, chiedendogli, con un sussurro, se davvero non
volesse venire dalla zia. Feliciano scosse la testa, dicendo di essere
stanco e di voler continuare a dormire.
Era deciso a stare con me. Io mi sedetti alla mia
scrivania, accendendo il computer portatile.
Normale; dovevo sembrare normale.
Non dovevo assolutamente dare apparenza del mio desiderio.
I brividi scossero le mie gambe,
trasformandone la superficie in una bruciante pelle d’oca; la gola diventò secca, d'improvviso. Ma dovevo continuare a bruciare la mia eccitazione in silenzio.
«Va bene, allora io vado! Se la zia
mi ci tiene tanto vi chiamo, va bene? Penso di tornare qua per le
quattro! Tanto ve la cavate a fare da mangiare, no?»
«Sì, mamma. Stai tranquilla! Io e
Lovi siamo grandi adesso!»
«Lovino, tu non stare tutto il
tempo al computer! Buon riposo Feliciano! Fate i bravi!»
Ci baciò entrambi, prima di uscire.
Mi accertai che la porta si fosse
chiusa prima di spegnere il computer; Feliciano forse fece lo stesso,
visto che appena la porta tuonò, rilegandoci nella nostra intimità, si
alzò di scatto dal letto per venire da me.
«È andata via, vero?»
«Pens-»
Non feci in tempo a rispondergli,
che avvinghiò le sue braccia intorno al mio collo; la sua bocca si
stava poggiando sulla mia testa, sopra i miei capelli, accompagnata da
una risatina.
«Ehi, Feli! Aspetta un attimo,
cazzo!»
«Oh. Va bene!»
Sciolse il suo abbraccio,
portandone via il dolce ricordo.
Non volevo essere rude, ma prima ci
saremmo dovuti accertare che nostra madre fosse andata via.
Si mise a sedere sul mio letto, in
silenzio, picchiettando noiosamente i piedi a terra.
Speravo potesse perdonarmi
tutte le precauzioni. Considerava la nostra relazione una cosa normale, un intimo gioco
da fare con me, e solo con me. Io la vedevo per ciò che era: una relazione immorale,
da tenere segreta. Un tabù da non gridare al mondo; un marchio che
avrebbe bruciato la nostra carne per l’eternità.
Tu non ne sentivi il dolore?
Captai il rombo del motore della
macchina di nostra madre. Se ne stava andando. Saremmo rimasti soli. Mi
alzai lentamente dalla sedia della mia scrivania, avvicinandomi a lui.
«Ora possiamo farci le coccole?»
«Sì.»
Mi sedetti accanto a lui, e le sue
mani subito corsero sul mio viso, avvicinandolo al suo, per baciarlo.
Un nuovo ballo stava incominciando;
aveva aperto le danze, spontaneamente, con un sorriso sulle labbra.
Ci sarebbero state letali.
Avrei dovuto renderlo consapevole. Continuai a baciarlo.
Lo avevo gettato nelle fauci del
demonio; ma lui non voleva fuggirne. Desiderava solo che io che io
condividessi il suo dolore.
Lo baciai ancora: la strada del peccato è più dolce,
se percorsa in due.
La sua bocca scivolò lontano dalla
mia, con amaro dispiacere.
«Ci stendiamo, Lovi? È scomodo da
seduti.»
«Il letto è troppo piccolo per due,
Feliciano. Si starebbe scomodi lo stesso.»
«No! Non hai capito! Io mi sdraio,
e tu mi vieni sopra!»
Sorridendo si stese sul letto,
muovendo le mani per incoraggiarmi a unirmi a lui.
A che cazzo stava pensando? Mi
soffermai qualche secondo, prima di gettarmi avidamente sopra il corpo
di mio fratello.
Pensavo che avremmo fatto l’amore,
o, più semplicemente, che avrei potuto baciargli il petto, le spalle,
il collo. Tentazione era la mia Padrona. L’avrei sentito fremere sotto di me; la mia ossessione si era
appena materializzata. Il mio desiderio era carne, sotto di me.
Lo fissavo; era il traguardo dopo
un’infinita e faticosa corsa, era la scia di una stella che squarcia il
cielo in una notte di vana attesa. Era tutto ciò che avevo desiderato,
ogni notte, per anni, ed era lì, mio.
«Bravo, Lovi! Ora sembriamo una
coppia di fidanzati, vero? Beh, tu sei il mio fidanzato, no?»
«Che cazzo farnetichi, scusa?»
«Te lo chiedo adesso! Vuoi essere
il mio fidanzato?»
Me lo stava chiedendo davvero?
«È una cazzata da romantico, ma...
sì. È come se lo fossimo. Sappi che resta comunque una cazzata.»
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Capitolo 7 *** Conoscenza 3.1 ***
|| Attenzione: sono presenti accenni relativi ad
amplessi di natura incestuosa. Il regolamento di EFP vieta la
pubblicazione di descrizioni di scene di sesso incestuose, ma non
regola gli eventuali accenni. Se, comunque, questi possono turbare il
lettore o andare contro il regolamento stesso, ditemelo e provvederò.
Mio fratello; il mio amato fratello.
Sei sempre stato migliore di me; intelligente tanto da finire il liceo
un anno prima degli altri, il più amato dai genitori, il più simpatico,
il più bello.
Io sono stato la pecora nera, destinata a vivere alla tua ombra.
Sono stato l’ignorante, il ribelle, lo scorbutico, lo sfigato.
Tutto ciò non mi ha mai scalfito; con te non ho mai avuto bisogno di
maschere.
Con te non sono mai stato “ lo scorbutico”, ma il “fratello
innamorato”. Tu mi conosci per ciò che sono: non un ragazzo
perennemente incazzato con tutti, ma come un uomo morto alle porte
dell’inferno, come un depravato di fronte alla sua preda.
Gli stavo facendo male; avrei potuto shoccarlo per sempre, iniziarlo a
una visione distorta ed errata dell’amore. Se lui - e mi
auguravo di no- avesse avuto un nuovo fidanzato? Avrebbe detto lui di
aver fatto sesso per la prima volta con il suo stesso fratello?
O non l’avrebbe detto, decidendo di portare con sé un peso che gli ho
imposto io?
Se ne sarebbe pentito, sicuramente. Avrebbe rimpianto il giorno in cui,
o per debolezza, o per curiosità, accettò di cedermi il suo corpo.
O gli sarebbe piaciuto, e lo avrebbe desiderato per tutta la vita,
accettando di incatenarsi a me, bruciando in un rogo di turbinosa
passione.
Mamma tornò circa due orette dopo la conclusione del nostro primo
amplesso. Mio fratello insistette perché ci facessimo la doccia
insieme; accettai, e lo rifacemmo tra i giochi di schiuma e tra gli
schizzi d’acqua.
Eravamo ufficialmente due fratelli che praticavano l’incesto. Non era
più una fantasia, un bacio; era divenuto carne, sesso, fervore.
Non era stato uno sbaglio; lo avevamo ripetuto, dopotutto.
Feliciano ne era consapevole. Forse non era a conoscenza di quanto
abominevole fosse considerata quella pratica, ma sapevo per certo che
non aveva mai smesso di vedermi come suo fratello.
Avrei dovuto dirglielo, non potevo fare altrimenti.
Ci eravamo spinti troppo oltre; avevamo fatto sesso, due volte, nella
stessa giornata. E probabilmente lo avremmo rifatto il giorno dopo, o
quello dopo ancora.
Feliciano doveva necessariamente sapere cosa fosse l’incesto; e dirmi
se voleva continuare a praticarlo, oppure no.
Ho avuto occasione di spiegarglielo quella stessa sera, prima di andare
a dormire.
Entrambi salutammo mamma, poi ci chiudemmo nella nostra camera. Io,
steso sul mio letto, accesi la televisione; non ne ero interessato,
tenevo gli occhi fissi su Feliciano, intento a leggere un libro. Dopo
qualche minuto si accorse dei miei sguardi; riposò il libro sul
comodino, e si diresse verso di me.
«Buonanotte, amore mio!»
Sussurrò, prima di poggiare le sue labbra sulle mie. La sua lingua era
pronta a unirsi con la mia, ma non potevo continuare a fare il figlio
di puttana con Feliciano.
Era il mio sogno erotico, la mia dannazione, il mio compagno, ma
restava comunque il mio cazzo di fratello. E gli dovevo rispetto.
Interruppi il bacio.
«Qualcosa non va?»
«Vieni qui, siediti accanto a me. Parla a bassa voce.»
Feliciano obbedì, annuendo, e si sedette accanto a me. Mi afferrò una
mano, stringendola tra le sue, più bianche e lisce.
«Ascolta, è una cosa seria. Sai come si chiama quello che abbiamo fatto
qua.. e nella doccia?»
«Oh.. sì.. È.. il sesso, no?»
«Cazzo, Feliciano, è ovvio che è sesso. Intendevo... si tratta di un
sesso particolare, capisci cosa voglio dire?»
«Sì... Intendi che siamo due uomini?»
«Non solo... Ascolta, va’. Noi due siamo fratelli, Feliciano. Il...
sesso tra due familiari, è chiamato ‘incesto’.»
«Oh, lo sapevo, eh!»
Feliciano sembrava non capire. Era come se per lui la parola ‘incesto’
non significasse ‘peccato’, ma una semplice variante dell’amore.
Questo mi faceva stare male per due motivi. Il primo era che, se
Feliciano non si accorgeva di compiere un peccato, non avrebbe potuto
salvarsi.
Il secondo era che Feliciano non avrebbe mai goduto un amplesso come lo
godevo io. Una buona parte del mio piacere proveniva dal fare una
cazzata, dallo scoparsi il proprio fratello. Per Feliciano non era
importante che io fossi suo fratello, suo padre, o il suo migliore
amico. Lo faceva per piacere? O per amore?
«Feliciano, cavolo. L’incesto è merda, è sbagliato. È illegale; è
vietato. Noi non dovremmo fare l’amore! È da deviati del cazzo!»
Allora potei leggere la paura nei suoi occhi; non tanto per il
significato delle mie parole, ma a causa della rabbia con cui le avevo
pronunciate. Forse sentiva quelle parole come attacchi personali, non
come denuncia alla nostra condizione in genere.
«Feliciano, ascolta. Ti è piaciuta la cazzata che abbiamo fatto?»
«Sì, tantissimo... A te no, vero? »
«Cazzo se mi è piaciu-.»
«Allora continuiamo a farlo, no? Non ci facciamo scoprire da nessuno!»
«Oddio, Feliciano, lo vuoi capire che non è normale?»
«Ma se ci va di farlo? Per noi è normale! Non facciamo del male a
nessuno!»
Strinse le mani intorno alla mia, in un tenero tentativo di
persuadermi. Non capiva, forse Feliciano non avrebbe mai capito quanto
grave fosse quella situazione.
Come potevano i suoi occhi limitarsi a guardare il presente, sfuggendo
ai mostri che lo avrebbero aspettato nel gorgo del futuro?
Non potevo permettere a Feliciano di avere rimorsi.
«Dai, Lovi! Non farti problemi! Per me è ok! Resta un segreto fra noi!
Te lo giuro! Ora andiamo a letto, mi sembri stanco, sai?»
Mi baciò ancora e trascinò la mia anima in un nuovo vortice di
frustrazione.
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Capitolo 8 *** Conoscenza 3.2 ***
Il giorno seguente, di mattina, uscii.
Avevo da svolgere alcuni compiti fuori casa. Feliciano dormiva quando
partii, e, quasi per certo, ancora lo avrebbe fatto quando fossi
tornato.
Invece, quando entrai in
camera nostra, lo vidi sdraiato sul proprio letto. Appena dentro,
Feliciano nascose -forse fin troppo istintivamente- il proprio
cellulare sotto il cuscino del letto.
«Con chi stai messaggiando?»
«Con nessuno! Giuro!»
«Fammi vedere il cellulare!
Mica saranno quei due crucchi maledetti!»
«No!»
«Lo prendo come un sì, vero?
Dammi quel cellulare o ti do due schiaffi nel viso!»
Mi avvicinai a lui con
prepotenza; dovevo avere quel cellulare, in ogni modo. Feliciano si
oppose ridicolmente, per poi arrendersi e consegnarmi il telefono.
«Ti giuro che se stavi
messaggiando con uno di quei due schifosi bastardi te le do!»
Mi accorsi di quanto rude ero
stato quando Feliciano scoppiò a piangere. Velocemente se ne andò da
camera nostra. Mia madre gli chiese perché stesse piangendo, e
Feliciano rispose che ero cattivo, e che non volevo che parlasse con i
due tedeschi del cazzo.
Riuscivo a sentirne le parole,
smorzate da terribili gemiti.
Io lo stavo proteggendo.
Perché non lo capiva?
Per fortuna, mamma era
abituata a questi miei attacchi di gelosia, specialmente se vedevano
come protagonisti i due tedeschi.
Prese Feliciano con sé e lo
portò nella sua camera, almeno così credo.
Il fatto che Feliciano avesse
reagito così male mi insospettì molto; doveva nascondere qualcosa di
grave per non volerlo far leggere a me.
Sbloccato il cellulare, apparì
la schermata dell’ultima applicazione aperta, ovvero Facebook. Aprii la
casella dei messaggi, e l’ultima conversazione avvenuta era con quel
coglione di Gilbert, interrotta qualche minuto prima. Tornai indietro
nella conversazione, fino all’inizio di quella del giorno.
Saltai i vari saluti di
circostanza.
Feliciano Vargas, 11:43
Senti,
Gil... Sinceramente, tu cosa pensi dell’incesto?
Gilbert A. Beilschmidt, 11:44
Ma che
cazzo?? Perché? Vuoi farti un giro con me e mio fratello
contemporaneamente? Ahah!
Feliciano aveva raccontato a
quel coglione, stronzo, bastardo, inopportuno d’un Gilbert le nostre
esperienze sessuali. Ma come gli era saltato in mente?
Come.
Come aveva potuto farlo?
Quelle non erano certo esperienze da prendere così alla leggera. Mio
fratello era tremendamente idiota.
Gilbert A. Beilschmidt, 12:02
Beh, se
devo essere sincero, Feliciano... Non penso che l’incesto sia normale
al cento per cento...
Cioè, è una cosa che io non farei mai, e sai quanto
io sia di larghe vedute...
Feliciano Vargas, 12:03
Ma se lo
amo?
Gilbert A. Beilschmidt, 12:05
Ora, non
arrabbiarti, ma penso tu abbia confuso l’amore fraterno con
qualcos’altro...
Non mi farei mai mia madre, mia cugina, o mio
fratello...
Andiamo, Feli, ci sono dei limiti a cui l’amore si
deve attenere...
L’amore in questo caso non c’entra molto, dai.. Non
è per essere cattivo o altro, ok?
Non rispose; non gliene ho
lasciato il tempo prendendogli il cellulare.
Feliciano...
Quanto mi deluse. Sentii
spezzarsi brandelli del mio cuore.
Perché lo fece? Perché ne
parlò con quel testa di cazzo? Perché non con me, se aveva dei dubbi?
Io sono sempre stato il pozzo per
le sue confidenze, non quel cretino.
E poi, dove aveva trovato il
coraggio per dirglielo?
Per di più, dopo avermi
giurato che sarebbe rimasto un segreto tra noi.
Probabilmente avrebbe
raccontato tutto a nostra madre.
«Fanculo!»
Gridai, in un impeto di
rabbia; non so quale forza mi abbia impedito di gettare il cellulare a
terra.
Dovevo andare via da lì;
io l’avevo macchiato, confuso.
Lo stavo tenendo sott’acqua
nonostante si stesse dimenando per tornare in superficie.
Come ho fatto a non
accorgermene?
Lo avrei distrutto.
Io ho lasciato che il marcio
mi divorasse l’anima e che corrompesse la sua; ho vissuto con la
consapevolezza di essere pazzo, di essere un depravato malato di mente.
Ma tu...
Tu eri solo un angelo,
Feliciano, caduto in questo bordello per puro caso.
Con quanto egoismo continuavo a reclamarti come mio.
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Capitolo 9 *** Conoscenza 3.3 ***
Andai a confessarmi, o almeno, uscii di
casa con questo intento.
Il mio era un gesto privo di senso,
che, infatti, poi non portai a termine.
Io ero il diavolo; quale preghiera
o confessione avrebbe potuto cancellare i miei atti?
O renderli meno gravi?
Cosa avrei dovuto dire? Di aver
fatto sesso con mio fratello perché mi andava di farlo, e sperare di
essere mondato per questo?
Io non ero stato costretto; avevo
iniziato una relazione incestuosa con mio fratello perché volevo farlo.
Cazzo, se lo volevo. E lo desideravo anche in quel momento.
Sentivo, però, il dovere di
meritarmi una punizione.
Non da Dio; lui mi aveva scacciato
di casa tempo fa per aver violato il suo angelo più dolce.
Avrei dovuto costituirmi; andare
alla polizia a riferire di aver fatto sesso con mio fratello. Avrei
detto che lo stavo violentando da cinque giorni, che lui non era
consenziente, e altre porcate di questo genere.
Mi sarei preso una pena più dura;
il peso del reato di Feliciano sarebbe scivolato sopra le mie
spalle. Ma mi sarebbe andato bene così.
Feliciano era il peccato, non il
peccatore; era il reato, non il reo.
Mi sedetti su una panchina;
scoppiai a piangere.
Non erano lacrime di tristezza, o
di sconforto. Lacrimavo rabbia.
Odiavo me stesso, prima di tutto.
Odiavo la mia perversione, la mia depravazione. Odiavo mia madre per
avermi messo al mondo. Odiavo il destino per avermi unito
indissolubilmente a mio fratello. Odiavo tutto il mondo che, presto, si
sarebbe rivolto contro di noi.
Sicuramente quel coglione di
Gilbert lo avrebbe detto ad Antonio e Francis, e si sa che sesso e tabù
circolano di bocca in bocca fin troppo velocemente.
I fratelli Vargas, gli incestuosi.
Avevo rovinato mio fratello. Il suo
sogno era essere un artista; e se fosse riuscito a sfondare? A
diventare famoso?
Sarebbe stato ricordato per essersi
fatto scopare da suo fratello, piuttosto che per i suoi dipinti.
“Feliciano- 12.29
Lovi, dove sei? Mamma si sta preoccupando perché non rispondi alle
chiamate. Torni a casa per pranzo?”
Cosa diamine poteva importarmi del
pranzo? Feliciano non capiva.
Risposi al suo messaggio
chiedendogli se le avesse raccontato di quello che era successo tra
noi. Lui rispose di no, che non l’avrebbe detto più a nessuno per non
farmi arrabbiare ancora.
Quello era un guaio in meno, per
fortuna. Ora mi sarei dovuto assicurare che quel coglione di Gilbert si
tenesse la bocca chiusa; gliela avrei spaccata se solo avesse fiatato.
Risposi a mio fratello dicendogli
che sarei tornato dopo qualche minuto. Se ne rallegrò, aggiungendo che
mi avrebbe aspettato con ansia.
Feliciano, per Dio, non eri lì, non
mi stavi parlando, ma il solo leggere le tue parole, i tuoi messaggi, mi
fece stare bene.
Non ti avrei dovuto usare come
carne, tu eri molto di più. Non eri solo un buon sesso, reso più
appetibile dall’esperienza dell’incesto, ma eri la rosa rossa
nell’arido deserto del mio cuore. Avrei potuto coglierti, spezzare il
tuo legame con la terra e tenerti con me.
E poi, come avrei impedito il tuo
inesorabile appassire?
Come avrei impedito al tuo animo
gentile di corrompersi, stando insieme a me?
Avrei dovuto lasciarti crescere da
solo, ammirandoti da lontano.
Sarei dovuto cambiare.
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Capitolo 10 *** Espiazione 4.1 ***
Non potevo
abbandonarlo. Non sarebbe servito a niente, credevo.
Mi convincevo che l’avrei fatto soffrire se avessi interrotto la nostra
relazione, ma sapevo bene che era solo un atto egoistico per poter
godere ancora di lui. Non solo del suo corpo, ma della sua
compagnia. I sorrisi che aveva imparato a rivolgermi, il tono con cui
mi chiamava, i suoi abbracci più stretti, lasciavano intendere che
qualcosa era cambiato. Non era più amore fraterno, puro, casto,
istintivo; entrambi l’avevamo stravolto, cancellato. Per sempre.
Essere fratelli, per noi due, avrebbe significato essere amanti. Non
saremmo più potuti tornare indietro, riprendere a comportarci come due
normali fratelli.
I baci sulla guancia ci sarebbero sembrati incompleti, gli abbracci non
avrebbero dissolto la nostra sete.
Non avremmo potuto più rinunciare al sesso; potevamo purificarlo?
Renderlo meno peccaminoso?
Il destino ci ha teso una brutta trappola.
Non solo Feliciano era mio fratello, era anche nato il mio stesso
giorno, con la mia immagine riflessa sul suo corpo. Sembravamo gemelli;
chiunque, ovviamente, ci avrebbe scambiato per fratelli.
Non potevo privarti dell’amore, ma avrei potuto, almeno teoricamente,
mondarti dall’incesto.
Srotolai la pellicola dalla testa, lasciando cadere i capelli in
avanti, sul lavandino del bagno.
Li tinsi di nero.
I nostri capelli erano troppo simili; volevo cancellare ogni traccia di
“noi” nel mio corpo.
Presi un paio di forbici; avrei dovuto tagliarli. Decisi che avrei
dovuto farlo io, come atto di espiazione, e non lasciarlo fare a una
parrucchiera.
Tagliai il ciuffo di capelli che, come anche sulla tua testa, si
arricciava in fuori.
Non me ne dispiacqui, neanche un po’.
Il ciuffo di capelli era ciò che contraddistingueva i ‘fratelli Vargas’.
Erano misure estreme, è vero, ma volevo cancellare la parola “fratello”.
Io e Feliciano, di simile, non avremmo più avuto niente.
Avrei potuto portarlo fuori, al parco, senza che nessuno si stupisse di
quei ‘due gemelli che limonano su una panchina’.
Completai il mio aspetto tagliando i capelli ai lati, e accorciando la
cresta che si era formata.
Ero bruttissimo, sembravo uscito da una qualche band. Ma non mi
importava un granché. Speravo che Feliciano mi trovasse bello, e che
nessuno ci avesse scambiati ancora per fratelli.
In quel momento diventai il suo amante.
Non saremmo potuti uscire come fidanzati nella nostra città- lì avrebbero potuto comunque
riconoscerci- ma saremmo andati in quelle vicine.
Lo avrei portato al cinema, a cena fuori, ovunque non vi fossero
controlli sull’identità di una persona.
Non era più il mio fratello, sangue del mio sangue, ma parte del mio
cuore.
Avrei provato ad amarlo come Feliciano, e non come Feliciano Vargas.
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Capitolo 11 *** Espiazione 4.2 ***
Andai da mio fratello per vedere come avrebbe reagito al mio nuovo look.
Corse verso di me non appena entrai in camera; le sue mani si
poggiarono sulle mie guance.
Rideva e guardava sbalordito la mia nuova acconciatura.
«Sembri così diverso, Lovi! Però ti stanno benissimo i capelli!»
Saltellava intorno a me, accarezzando la cresta di capelli ancora umidi.
Si stava divertendo, probabilmente non gli dispiacevo poi molto. Si
fermò davanti a me e mi abbracciò.
Cinque giorni prima avevo letto la sua conversazione con quell’albino
del cazzo; da quel giorno in poi non abbiamo avuto modo di stare da
soli, intimamente. L’ unica attenzione particolare che mi rivolgeva era
baciarmi sulle guance prima di andare a letto.
Erano baci privi di malizia, carichi solo d’affetto fraterno.
Percepivo la differenza.
Quell’abbraccio mi stupì molto; temevo che mio fratello volesse starmi
alla larga, invece strinse le sue braccia intorno alla mia vita con
tanto amore.
Aveva alzato la testa verso di me e mi guardava sorridendo.
Quanto avrei voluto baciarlo; le sue piccole labbra sembravano chiedere
solo questo.
«Lovi!»
Esclamò, con tale gioia e spontaneità che mi fece sorridere.
Era istinto; Feliciano aveva il calore necessario per sciogliere la mia
maschera di cera.
Chiusi gli occhi e chinai la testa aspettando un bacio; io non avrei
dovuto baciarlo, io non avrei voluto.
Ma sarei stato ancora colpevole, se a baciarmi fosse stato lui?
Il suo profumo all’arancio mi inebriava, il suo calore, il suo pacato
respirare sulle mie labbra.
Era insopportabile, intollerabile.
Avrei voluto spingerlo via e stringerlo a me, schiaffeggiarlo e
accarezzarlo; volevo odiarlo, e non ci riuscivo, volevo amarlo, e non
avrei potuto.
Si scansò:
«Mamma! Guarda che taglio di capelli si è fatto Lovino!»
«Feli?!»
Mi allontanai da lui. Mi voltai verso la porta. Temevo che già vi fosse
mia madre.
Respirare mi era impossibile; sentivo il cuore sfondarmi il petto.
Sperimentai una specie di morte dei sensi: la realtà sfumava in nero
nei miei occhi, un acuto grido squarciava le mie orecchie. Il profumo
d’arancio era morto, e con lui il ricordo delle labbra di mio fratello.
In quel momento lo odiai. Per un secondo, lo odiai.
La paura, il terrore, iniziarono a dissolversi solo quando ebbi la
certezza che mia madre non fosse lì.
La gola tornò umida; il battito del cuore si regolarizzò man mano che
riprendevo fiato.
Feliciano non disse niente. Non cercò di aiutarmi.
Nei suoi occhi vidi un terrore più nero di quello che incatenò me.
Nostra madre arrivò dopo qualche minuto.
Mi prese tra le sua braccia, sballottandomi, voltandomi per
‘analizzarmi’ meglio. Esprimeva il suo disappunto verso un taglio di
capelli così esagerato. Stette un paio di minuti a farneticare su come
non avrei trovato lavoro con una cresta del genere, a come apparissi
sciatto e non curato; sospiravo, soffiavo, e finalmente quella tortura
terminò con il suo andarsene borbottando.
Il mio cuore non avrebbe potuto sopportare oltre.
«Ok, Feliciano, c-che cazzo succede? Perché l’hai chiamata?»
«Perché voleva vedere i tuoi capelli!»
«Ma sei idiota? Ma... Avrebbe potuto scoprirci.»
Sussurrai; tu, tenendo la testa bassa, corresti a chiudere la porta di
camera nostra.
«Scoprire cosa? Lovi, era solo un abbraccio... Lo fanno anche i
fratelli normali...»
“Normali”.
«Tu non hai idea di cosa sia la normalità.»
Scappai da quella camera maledetta.
Feliciano non capiva, forse non lo avrebbe mai capito: ogni sera, verso
mezzanotte, dopo aver visto Feliciano rimboccarsi le coperte nel
proprio letto, e dopo aver cautamente sentito il suo flebile russare,
ecco che dovevo affrontare i miei demoni.
Il letto morbido diventava un giaciglio spinoso.
La mia coscienza urlava, gridava di essere colpevole di un crimine
invisibile. Era come una pugnalata allo stomaco.
Era il tuono che ti colpisce all’improvviso, il vuoto, l’oscurità.
Tutto il male si riversava in me con forza; bruciava nelle mie vene.
Ogni sera restavo fermo, immobile, stringendo gli occhi impiastricciati
da lacrime amare; ogni notte mi pentivo, venivo mondato dal dolore e,
graziato, trovavo nel sonno un lontano ma fedele amico.
Il suo ‘amore’ non avrebbe mai placato tutto il mio dolore, anzi, lo
avrebbe fomentato sempre di più.
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Capitolo 12 *** Espiazione 4.3 ***
La speranza è una fibra piccola, impalpabile, fragile. Basta un alito
di vento e scompare, lontana. Questo basterebbe a far morire un uomo,
ma no; ci aggrappiamo al ricordo.
Continuiamo a sperare perché in passato la speranza c’era, e non ha
importanza la ferocia con cui è stata strappata via.
A me sorrise.
Quella mattina, quattordici marzo, ero stato io a svegliarmi prima di
Feliciano, per sfuggire alla prigionia dei suoi baci.
Sarei stato capace di ignorarlo una giornata intera, forse due, ma poi?
Cosa avrei fatto?
Gli avrei parlato; no, non l’avrei fatto. Non avrei dovuto farlo.
Avrei sperato che capisse da solo che quel giochetto doveva terminare.
E che fuggisse e mi liberasse.
Mancavano una ventina di minuti e sarebbero state le otto. Andai in
cucina, a prendere qualcosa per fare colazione, e vi trovai mia madre.
Mi preparò un caffè, per poi dirmi che presto sarebbe uscita.
Non sarei rimasto da solo con Feliciano; sarei dovuto uscire anche io.
Fare l’amore con Feliciano mi appagò completamente; le sue labbra, il
suo corpo, il suo profumo, tutto, era diventato parte di me. Amavo
vederlo sorridere, e non riuscivo a trovare pace se non
nell’ascoltarlo, mentre mi raccontava tutto ciò che gli era capitato,
ciò che aveva visto o fatto.
Di chi altro mi sarei potuto innamorare, se non di quel ragazzino
perfetto?
Capii che Dio mi aveva donato l’opportunità di amarlo per sempre,
incondizionatamente, poiché era mio fratello. Dio ci aveva legati nel
vincolo di sangue, avrebbe fatto sì che Lovino e Feliciano Vargas
sarebbero sempre stati uniti, in qualche modo.
Il mio ruolo era quello di essere fratello di Feliciano.
Con torbido, schifoso ma rassicurante dispiacere, scoprì che il ruolo
di amante spettava a qualcun’altro.
Io non avrei dovuto baciarlo, ma mi sarei dovuto sedere sul divano,
accanto a lui, per sentirmi raccontare del suo primo amore. Avrei
dovuto accettarlo, avrei dovuto assicurarmi che gli uomini pronti a
provarci con lui fossero degni di Feliciano.
Avrei dovuto viziarlo quando mamma non ne fosse stata in grado.
Sapevo che, adesso, il mio obiettivo non era più affondare in lui, ma
afferrarlo per la mano per vivere con lui situazioni di semplice amore
fraterno.
Ricominciare sarebbe stata dura, ma ce l’avrei fatta.
Questi erano i miei pensieri, mentre sorseggiavo il caffè, distrutti
presto dalle parole di mamma.
«Lovino, ascoltami.»
Alzai lo sguardo sul suo; era seduta al tavolo, stringendo tra le mani
la tazza di caffè.
«Io voglio trattarti come un uomo adulto, perché è ciò che sei.»
Non le risposi; mi sedetti al tavolo, di fronte a lei, incuriosito
dalle sue parole. Non ci aveva scoperti; siamo sempre stati previdenti.
Quello era certo. Non avrei dovuto preoccuparmi.
«Sai che Feliciano vuole iscriversi all’Accademia delle Belle Arti...
Lo avrebbe fatto quest’anno se...»
«...Se avessimo avuto abbastanza soldi. Sì.»
«Ecco... Almeno tu, perché non ti trovi un lavoro? Non vuoi andare
all’Università, almeno prova a trovare qualcosa...»
«Ma ci sto provando, mamma!»
«Promettimi che ti impegnerai di più! Sai bene che, a me, il lavoro non
va molto bene...»
Mi voltai, seccato. È vero, avevo smesso di cercare lavoro da un paio
di settimane, ma francamente, pensavo di aver trovato qualcosa di più
interessante. Non volevo che mia madre mi considerasse uno sfaticato, o
cose del genere, ma odiavo anche essere ripreso non appena abbassavo la
guardia.
«Non mi va di pesare su Feliciano. Lui sta mettendo dei soldi da parte,
ma non mi sembra giusto che sia lui a pagarsela. Non ti chiedo di
pagargliela tu, ma almeno, con due stipendi, potrei mettere qualcosa da
parte...»
Sbuffai, poggiando bruscamente la tazza sul tavolo.
«Hai ragione, ma’. Vedrò di trovare qualcosa.»
Ovviamente un solo stipendio non sarebbe mai bastato alle esigenze di
tre persone.
Il mio lavoro sarebbe stato un sacrificio per la famiglia, per la bella
e pura unione familiare.
Avrei espiato così i miei peccati: sarei stato fuori tutto il giorno a
cercare lavoro, impedendomi di vedere Feliciano. La sera non lo
avrei considerato.
Tutto questo si sarebbe sciolto, cancellato, lasciando vivo solamente
il profumo dell’amore come atto più puro e alto dell’uomo, e non
come mera carne.
||
Essere riuscita a pubblicare questo capitolo è stato un miracolo per
me. Fra studio, lavoro, palestra e altri impegni personali non riesco a
stare molto al PC. Non ho abbandonato nessuna lettura; spero di
riprendere la mia attività qua su EFP con frequenza dopo questo periodo
un po' così.
Vi ringrazio per aver letto, davvero :)
Ci sentiamo presto,
Alla prossima
Hadi
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Capitolo 13 *** Ricaduta 5.1 ***
Ho sempre
odiato le feste di compleanno. Sono indigeste: gli occhi perennemente
puntati su di te, parenti che ricordano ‘i bei tempi di quando eri
bambino’, o che puntualizzano ironicamente ‘quanto è cambiato Lovino’.
Mia madre ci teneva molto, lo ha sempre fatto, e penso sia anche
perché il Destino volle che i due suoi figli nascessero lo stesso
giorno. Così simili, così uguali; sembrava che, fin dalla nascita, io e
mio fratello fossimo destinati a stare insieme.
Santo Cielo.
Mio fratello.
Forse era proprio lui l’aspetto che più mi turbava del mio
compleanno.
Era seduto accanto a me; mi irritò, avrebbe dovuto starmi
lontano. Ma era il nostro compleanno, noi eravamo i festeggiati;
avremmo dovuto sederci accanto, senza che potessi impedirlo.
Mi sentivo a disagio.
Da giorni non parlavo con lui, se non per rispondergli
laconicamente. Era strano, inusuale per me indossare la maschera da
burbero anche con mio fratello, dopo averlo amato così spasmodicamente.
Ogni ferita si stava rimarginando; stare fuori casa, ignorarlo,
respingerlo, mi faceva stare davvero bene. Su Feliciano non saprei cosa
pensare: sembrava incupirsi ogni sera, per i primi giorni, nel vedersi
rifiutato. Tornava nel suo letto balbettando qualche parola di perdono,
e si raggomitolava sotto le coperte.
Poi mi parve che avesse capito: smise di cercarmi, di volermi. Non
mi parlava se non lo stretto necessario. Pensai che si fosse confidato
nuovamente con Gilbert, e che questo gli avesse consigliato di
allontanarsi da me.
Non perse la sua allegria, però. Oscurò tutto, come con un brutto
sogno, ma restò felice.
Forse fingeva; speravo fingesse. Speravo che, nella sua più
buia intimità, reclamasse ancora il mio amore.
Gelai all’idea di aver perso ogni significato per lui, come
amante, come fratello, o come amico.
Saremmo stati solo... coinquilini?
«Lovino! Perché quel musone? Almeno non oggi, che è il tuo
compleanno!»
Le parole di mio zio mi riportarono alla realtà. I suoi baffoni
neri tornarono a inzupparsi di vino, mentre la forchetta infilzava le
ultime penne sul piatto.
Non risposi, mi limitai a bere un po’ d’acqua, guardandomi intorno.
«Ehi, Lovino, ti senti bene?»
«Eh? Sì, tutto a posto.»
Feliciano poggiò una mano sulla mia coscia; con voce sussurrata,
ma carica d’enfasi, mi chiese come stessi.
C’era timore nel suo tono, forse un po’ d’imbarazzo.
Certamente non voleva continuare a parlarmi, ma data la
situazione, non avrebbe potuto fare altrimenti.
O forse gli andava davvero?
Forse aveva ancora bisogno di me.
Forse.
***
Soffiammo, insieme, sulle rispettive candeline, e un boato di
applausi si alzò sopra le nostre teste, seguito da qualche insulso
flash.
Mamma corse da noi, abbracciandoci entrambi, per finire in qualche
foto ricordo; così fecero anche i parenti più stretti.
Baci di qua, sorrisi, baci di là, abbracci.
Che rottura di palle.
«Avete espresso un desiderio?»
Poi fu il turno di Feliciano ad abbracciarmi, non so se per sua
spontanea volontà, o per una certa costrizione ‘rituale’ e celebrativa
del compleanno.
So solo che impazzii nel sentire le sue braccia, delineate da
lievi muscoli, ma sempre soffici e leggiadre, stringersi intorno alla
mia schiena. Affondai la testa sulla sua spalla, dove fui assuefatto da
un inebriante profumo d’arancio.
Avrei voluto baciarlo, proprio lì, sul collo teso, sentire i suoi
capelli rossicci solleticarmi il viso, perdermi ancora una volta in
quel corpo soffice e delicato.
Più cercavo di uccidere questi desideri, più essi si
ripresentavano, ronzandomi intorno.
Ma non avrei ceduto; non più.
«Lovi, Lovi! Possiamo mangiare velocemente la torta? Perché Anto e
Gil hanno finito di mangiare da tanto e vogliono andare al bar!»
Feliciano era una stella; delicata, luminosa, fumosa.
Irradia calore e dona luce, ma se mi fossi avvicinato troppo,
allora mi avrebbe incenerito.
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Capitolo 14 *** Ricaduta 5.2 ***
«Sei tornato adesso, Lovi?»
«Sì, quel coso e i suoi
tentacoli non volevano lasciarmi andare.»
Probabilmente anche Feliciano l’avrebbe saputo, se non fosse scappato
via dopo appena cinque minuti con Gilbert.
Eravamo caduti nella loro trappola: cos’era? Un appuntamento a sorpresa?
Quell’albino ci stava provando con mio fratello?
Quel bastardo di Antonio ci stava provando con me?
Che schifo.
Per un momento mi balenò in testa il pensiero che Gilbert avesse fatto
il possibile non per conquistare Feliciano, ma per tenerlo lontano da
me.
Passare l’intera serata del mio compleanno con lo spagnolo, tormentato
dall’idea che mio fratello fosse tra gli artigli di un crucco...
Come sarebbe potuto andare peggio?
Guardai l’orologio: tre e qualcosa.
Mi faceva male la testa, per la stanchezza, o, sicuramente, per
qualcosa che quell’Antonio mi propinò nei drink. Mi misi subito a
sedere sul mio letto, spogliandomi lentamente e a fatica.
Feliciano si rimboccò le coperte, accucciando la testa sopra il cuscino.
«A te com’è andata?»
«Bene! Io, Gil e Lud ci siamo divertiti tantissimo!»
Perfetto: come al solito, quello pseudo-ariano si era aggiunto.
Provai, faticosamente, a fingere che ciò non mi avesse urtato più di
tanto.
Quindi, indossato il pigiama, mi sistemai nel letto, voltato dal lato
opposto rispetto a Feliciano.
«Pss, Lovi! Mi dici una cosa?»
«Cosa?»
«A te piace Antonio?»
«No. Che cazzo dici?»
Risposi di no, visibilmente scocciato per l’amara domanda.
Perché me lo chiese? Per curiosità giocosa, quella tipica di due amici,
o per gelosia?
Mi si stava proponendo come fratello, o come amante?
«A lui piaci! Non fa che parlarmi di te! Lo sai?»
«Entusiasmante.»
«Dovresti dargli qualche possibilità! Secondo me starete bene insieme!
Davvero!»
Sbuffai.
Cos’era cambiato? Perché era cambiato? Ciò che stava dicendo non lo
rendeva geloso?
Perché non era geloso?
Non significavo più niente per lui? D’improvviso?
«Ah! Ti ho fatto un regalo, Lovi! Volevo dartelo oggi, ma mi sei
sembrato arrabbiato quindi ho preferito non farlo! Però ora non sei più
arrabbiato con me!»
Sgusciò via dal letto, aprì il cassetto del proprio comodino per
estrarne un rotolo di carta.
«È un disegno! Vuoi vederlo? Tu che regalo mi hai fatto?»
«Feliciano...»
«Oh, tranquillo! Anche tu pensavi che io fossi arrabbiato con te, vero?
Facciamo così! Te lo faccio vedere domani, così anche tu mi compri
qualcosa, ok?»
Quanta gentilezza c’è nel suo cuore?
Non so se soffriva, o se abbia mai realmente sofferto, se il dolore
veniva abilmente celato nei meandri più intimi del suo cuore, o se
proprio non riuscisse a infiltravici.
A ogni secondo di tristezza seguiva un lungo sorriso, a ogni lacrima
una sonora risata.
Forse, con questa semplicità, riuscì a cancellare anche i nostri
rapporti; forse li trasformò in un ombroso sogno, forse li gettò
lontani dai suoi sentimenti.
Feliciano è libero. Vorrei poter dire lo stesso di me.
Mi stupisco ogni volta nel ripensare a quanto forte lui possa essere,
alla facilità con cui spezzò le catene che volevo imporgli.
Sorridendo, sempre.
Emozionandosi, stupendosi di ogni cosa; trovando in un fiocco di neve,
in un pezzo di cioccolata, in un bel libro, in uno schiaffo, in una
litigata o in un urlo, un qualcosa che potesse spingerlo ad andare
avanti.
Feliciano ha imparato a vivere, mentre io deperisco.
Ed è proprio sorridendo che si insinuò nel mio letto, un’ultima volta,
reclamando una chiacchierata, un po’ di coccole, puntualizzando però “nulla più di questo”.
Ciò che avrebbe dovuto offendermi sembrò invece liberarmi.
«A te mica piace quel mangiapatate, vero?»
«Chi?»
«Gilbert!»
«Ah, no, no!»
Lo strinsi a me, delicatamente. Lo stavo perdendo.
«Se hai domandato ‘chi’, significa che uno dei due ti piace. E se non è
Gilbert...»
Feliciano accennò una risatina, prima di spingere la sua testa contro
la mia spalla.
Cosa poteva trovarci in quel crucco?
Non rideva mai, non parlava mai, nonostante vivesse in Italia da anni
non riusciva comunque a ruotare decentemente la erre, non era capace di
dimostrare il minimo affetto.
Perché lui? Come aveva fatto
a conquistarsi l'infatuazione di mio fratello?
Bastava essere degli armadi biondi per far impazzire Feliciano?
E avevano anche trascorso il compleanno insieme.
«Sei arrabbiato con me, Lovi?»
«Con lui.»
Rise ancora.
Non ero invidioso di Ludwig, ma geloso
di Feliciano.
Volevo proteggerlo, non possederlo, e se avessi dovuto cederlo a
qualcuno, almeno speravo che potesse essere qualcuno migliore di quel
crucco.
«Io voglio bene anche a te! Ricordatelo!»
Iniziò ad accarezzarmi le guance, lento e delicato, quasi fatato.
«Secondo te, io potrò piacere a Ludwig?»
Non trovai la forza di rispondergli. Avrei dovuto, però.
Era palese che, nella sua immobile mole, quel tedesco provasse qualcosa
per mio fratello, ed era proprio per questo che, con tanto astio, mi
imponevo tra loro.
Quel mangiapatate avrebbe fatto del male a Feliciano; lo avrebbe
corrotto, avrebbe abusato di lui, lo avrebbe illuso e abbandonato.
Esattamente come feci anche io.
Sentivo il respiro di mio fratello sulla bocca, gli occhi languidamente
illusi puntati sui miei. L’istinto di baciarlo era ormai assopito,
sotterrato e irraggiungibile.
«Siete ancora sveg... Ma che state facendo?!»
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Capitolo 15 *** Epilogo. ***
Ancora
non capisco come mi ritrovai là, dopo tutti quegli anni passati a
scappare dal mio passato.
Non restavo mai nella stessa città
per più di qualche mese; trovare lavoro mi era quasi impossibile.
Ho cambiato molte volte il mio nome
presentandomi a estranei; Salvatore, Francesco, Alessio...
E altrettante il mio cognome.
La mano tremava sempre quando,
consegnando il mio curriculum ai vari datori di lavoro, leggevo in
stampatello “Lovino Vargas”.
Era come se loro sapessero, se loro
avessero intuito.
Aspettavo che qualcuno mi chiedesse se fossi il fratello di Feliciano.
Erano paure stupide, in fondo; mi
trovavo a Torino, o a Firenze, o a Bari o a Roma.
Non ero più nella mia città, dove
invece Feliciano continuava a studiare.
Con la stessa frequenza con cui
cambiavo città, presentandomi ai vari cittadini con nomi diversi,
cambiavo anche il numero di cellulare e l’indirizzo email.
Quanto è egoistico darsi
personalmente possibilità di rincominciare?
Ma funzionò: il vagare mi distraeva.
Cercare lavoro e una casa in affitto, fare e disfare le valige,
riusciva a tenermi impegnato, a liberare la mia mente da ogni soffice
ricordo.
Tutto di me cambiava continuamente;
faticavo a trovare nuovi interessi, nuove opportunità, ma recitare per
più mesi lo stesso personaggio mi avrebbe ucciso.
Tuttavia, non riuscii mai a
liberarmi di una cosa; il dipinto che Feliciano mi regalò quella notte.
Con ogni sua pennellata disegnò il
mio animo, il mio aspetto, così accuratamente, con tanta dedizione, che
distruggerlo mi sembrava un suicidio.
Quella notte... La notte che Dio
scelse come nostra punizione.
Una notte calma, pacata, pura, ma
che portava le stigmate del peccato.
Era tutto finito.
Pensavo di essere in una mia bolla,
lontano da tutti, incapace di danneggiare nessun’ altro o me stesso.
Mi stupii quando mi arrivò una
e-mail da Antonio.
Non c’era il mio nome o il mio
cognome nell’indirizzo di posta elettronica.
Eppure riuscì a trovarmi.
Era... destino?
Mi scrisse cinque parole, una data,
un indirizzo, una firma.
Venne a sedersi proprio accanto a
me; chi altro poteva volermi?
“Se non capisci qualcosa, ti aiuto
io”.
Mi sorrise, tornando poi a guardare
di fronte a sé.
Dopo tutto quel tempo, dopo essere
sparito così bruscamente dalla vita di tutti, lui aveva continuato a
cercarmi. Non mio fratello, non mia madre, non i miei familiari e non i
miei amici. Ma lui.
E c’era riuscito. Come aveva fatto?
Pensai che mi avesse seguito
ovunque, ma era impossibile.
O meglio, sarebbe stato capace di
fare questo, ma non gli sarebbero bastati i mezzi.
Lui ha imparato a conoscermi, lui sa
come leggermi. Sono il suo libro preferito, dopotutto.
Non è cambiato di una virgola da
quando ci siamo visti l’ultima volta.
Non mi fu facile andare lì.
L’aereo costò troppo, il taxi idem,
e lo stesso viaggio fu più faticoso del previsto.
Senza contare tutti i soldi spesi
per prepararmi, per acquistare l’abito giusto, e l’inesorabile e
angoscioso tormento nel vedere i giorni assottigliarsi fino alla data
prescelta.
C’era anche mia madre. Beh, come
poteva non esserci?
Seduta qualche fila davanti a me. I
suoi capelli lunghi erano ben adornati.
Non la salutai; ero un fantasma che
oscillava nelle ombre dei presenti. Non mi sarei potuto rivelare, né a
lei, né agli altri familiari, né a Feliciano.
Feliciano!
Com’era bello quel giorno! Il suo giorno!
Angelico, dolcemente imbarazzato ma
assolutamente determinato!
Ero felice nel vederlo così
allegro, sotto gli occhi di tutti. Ero davvero felice.
C’era Ludwig, ovviamente. Neanche
lui era cambiato; la sua solita rigidezza stonava in un abito così
elegante.
Sembrava un cameriere, un
maggiordomo, o una guardia del corpo.
E, in effetti, era tutto ciò che
aveva pianificato di diventare per Feliciano.
E poi c’era Gilbert, qualche passo indietro a Ludwig, a fare il testimone. Era voltato verso di me.
Vederlo ancora mi infastidì.
In fondo, lui sapeva.
Il passato che avevo cercato, in
ogni modo, di cancellare, di trasformare in un effimero sogno, riviveva
in quel momento nei suoi occhi.
Mi fulminò con lo sguardo, come un
padrone guarda il cane dopo avergli impartito un ordine, fiducioso che
questo ubbidisca.
C’era sfida nei suoi occhi;
cattiveria, forse. Superiorità. Malinconia. Rabbia?
Sicurezza, senz’altro.
«Che ha detto? Il prete, dico, che
ha detto? Non capisco un cavolo di tedesco.»
«Chi ha qualcosa in contrario parli
ora, o taccia per sempre.»
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Buonasera!
Vi ringrazio per aver letto!
E ringrazio anche chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/ e
preferite, e a chi ha donato il suo tempo a recensire!
Mi scuso per aver aggiornato oggi, al posto di venerdì, ma fra impegni
per il sociale e Lucca Comics, ho trovato il tempo solo oggi! ( se
tarderò ancora a rispondere alle recensioni, è per questo :( )
Spero che questa FF vi sia piaciuta!
Alla prossima,
Hadi
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