Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Everybody's got a secret Sonny
Something that they just can't face
Some folks spend their whole lives trying to keep it
They carry it with them every step that they take
Till some day they just cut it loose
Cut it loose or let it drag `em down
Where no one asks any questions
Or looks too long in your face
In the darkness on the edge of town
note: iltitolo è ispiratoalla canzone omonimadi Bruce Springsteen
Colpi alla porta.
Sempre più forti, sempre più insistenti.
Uno, due, tre…
“Reid apri!!Reid!!”.
Chi era?
“Andate via, andate via” .
Avrebbe voluto pronunciare quelle parole, ma non ci riusciva.
Rimanevano sospese nella sua mente, senza riuscire a prendere forma.
Le allontanò con una mano, come per scacciarle. Se solo avesse
potuto…
“Reid, per piacere, apri”. Il tono si era fatto stranamente supplicante.
Cercò di alzarsi, ma inutilmente. Non riusciva a stare in piedi.
Gli veniva da vomitare.
“Reid!!”.
Come si era arrivati a questo punto?
***
Dintorni di Washington dc. Tre giorni
prima
-Studi recenti dimostrano che almeno il 70% degli assassini
seriali ha presentato serie turbe psichiche prima dei sette anni…-.
L’agente Morgan si interruppe per un momento dando una breve
occhiata a Reid che stava prendendo posto su uno dei sedili dell’aereo proprio
in quel momento.
Gideon sollevò appena gli occhi dal giornale che stava leggendo.
Morgan proseguì con le statistiche.
Hotch e JJ. lo ascoltavano con attenzione.
Solo Reid pareva distratto.
I membri della squadra presero ad osservare le foto dei cadaveri, frutto
degli efferati assassini di cui era stata vittima Cripsidetown.
Sembrava che qualcuno si fosse divertito a prendere di mira ignari
passanti del parco a cui era stata recisa la testa.
JJ. aggiornò i colleghi sui sospetti della polizia locale.
Il timore era che i delitti potessero aumentare.
Reid guardava fuori dal finestrino, pensieroso.
Cominciò a tamburellare con le dita sul tavolino davanti a sé,
mentre gli altri proseguivano con le ipotesi.
-E tu Reid cosa ne pensi?- domandò Morgan ad un certo punto.
Reid balzò in piedi, come se fosse stato sorpreso in qualche
circostanza imbarazzante.
Rivolse ai colleghi un sorriso di circostanza ed esclamò –devo
andare in bagno-.
Morgan scrollò le spalle.
-Si tratta di omicidi molto circostanziati…-continuò Hotch.
Reid fissò la sua immagine nello specchio del bagno dell’aereo.
In fondo, non c’era nulla di male, in fondo…in fondo…
Cos’avrebbero detto Hotch, Morgan, Garcia e gli altri? E Gideon?
Più di tutti temeva la sua reazione.
Gli avrebbero dato del vigliacco oppure…Oppure…
Si spruzzò dell’acqua sul volto e tra i capelli.
Stava sudando.
-Tutto quello che possiamo dirvi è che nessuno si è accorto di
nulla. Nessun grido, niente, nessuna rivendicazione. Sono stati trovati così da
dei passanti al mattino…-.
Il poliziotto del luogo stava spiegando le circostanza del
ritrovamento dei cadaveri mutilati.
-Bene- esclamò Hotch risoluto- Reid tu e JJ. andate ad interrogare
chi ha effettuato la segnalazione, noi invece andiamo a parlare col coroner-.
JJ. suonò il campanello.
Venne ad aprire un tizio basso, stempiato, sulla quarantina.
-Sì?-.
JJ. si schiarì la voce –buongiorno, siamo dell’FBI è lei Donald
Perry, l’uomo che ha segnalato la presenza di un cadavere senza testa al
Kenksinton park?-.
L’uomo annuì.
-Potremmo rivolgerle qualche domanda?-.
L’uomo li fece entrare.
Reid si guardò intorno: nessuna foto sulle mensole, pochi quadri,
un ordine maniacale. Nemmeno un granello di polvere.
-Come le stavo dicendo-cominciò JJ. – vorremmo avere qualche
notizia in più circa il ritrovamento del cadavere…-.
L’uomo sembrava ben disposto a fornire informazioni.
Reid controllò l’ora. Sembrava impaziente.
-…E non ha notato nessuno, niente di strano…- stava concludendo
JJ.
-JJ…-.
-Un momento- JJ. gli fece segno di tacere con la mano.
-Ecco signorina, se mi ricordo bene…-.
-JJ.- ripetè di nuovo Reid pressante.
-Ecco, no, in realtà non mi ricordo granché…semplicemente era là.
Mi spiace-.
JJ annuì poco soddisfatta. Si voltò verso Reid -cosa c’è?-.
-Oh- fece Reid con scarso entusiasmo –niente di importante. Volevo
solo ricordarti che l’incontro è fissato per le cinque e…-.
-Ma sono solo le tre!-gli fece notare JJ. Poi tornò a rivolgersi
al testimone.
–Bene, signor Perry, ci metteremo in contatto con lei se necessario
-.
L’uomo annuì.
I due uscirono dalla casa di Perry.
-Non capisco tutta questa fretta Reid, la stazione di polizia
dista solo poche miglia…- andava borbottando JJ.
Reid parve non udirla neppure.
Era calata la notte su Cripsidetown.
Gideon stava studiando per l’ennesima volta le foto delle vittime,
cercando qualche misterioso segnale, qualcosa che gli indicasse chi fosse il
misterioso killer che infestava il parco della città.
Nella stanza, illuminata dalla fioca luce di una lampada c’erano
solo lui e Reid. Gli altri si erano presi una breve pausa o erano impegnati a
vagliare piste altrove.
Reid era appoggiato col mento sul tavolo da lavoro,dov’erano
sparse alcune foto.
Gideon andava avanti e indietro inquieto, snocciolando ipotesi,
quando l’unica cosa che voleva fare lui, Reid, era stendersi su un comodo letto
e dormire.
Aveva un assoluto bisogno di dormire.
Si sentiva così, stanco, così stanco.
Da un sacco di tempo.
- Ehi!..Reid ehi ci sei?-.
Reid sobbalzò.
-Eh sì? Cosa c’è?-.
-Mi stai seguendo?- domandò Gideon fermandosi al centro della
stanza.
-Oh sì, ecco io…scusa non ti stavo seguendo- ammise il giovane,
vergognandosi un po’.
Gideon sbuffò, poi riprese le sue elucubrazioni –allora ascolta
adesso, osserva attentamente queste foto, il taglio alla base del collo, è
pulito, preciso, nessun segno di esitazione. Io credo che si tratti di un
esperto, forse di armi o qualcuno che ha approfondite conoscenze nel campo
medico -.
Reid annuì. Non c’era alcun dubbio.
Si stiracchiò pigramente.
-Quindi se noi…- proseguì Gideon, poi si bloccò con le foto in
mano – se il discorso ti annoia, puoi trovarti una brandina-.
-Ho forse detto qualcosa?- ribattè Reid
aspro, prima ancora di capire effettivamente quello che aveva detto.
- Se la smettessi di sonnecchiare su quella scrivania potresti
essermi di qualche aiuto, altrimenti quella è la porta–
e indicò significativamente l’uscita.
-Perché diavolo te la stai prendendo tanto?– esclamò Reid alzando
la voce più di quanto avrebbe voluto.
-Ehi, cosa sta succedendo qui dentro ?- esclamò Hotch aprendo la
porta con una tazza di caffè in mano.
Il resto della squadra osservava la scena alle sue spalle.
- Stavamo solo…-cominciò Gideon.
- Gideon mi stava solo facendo notare il mio scarso apporto alle
indagini- sputò fuori Reid.
Hotch tentò di calmare le acque con il suo solito tono pacato –bè non c’è bisogno di gridare per farlo, adesso…-
-Ah sì??! E io dovrei rimanere qui a sentire…-Reid alzò le mani in
segno di resa, raccolse velocemente le sue cose e infilò la porta, uscendo a grandi
passi dall’ufficio.
Tutti lo guardarono allibiti.
Hotch e Gideon si scambiarono uno sguardo preoccupato.
Non capivano.
Loro non capivano.
E come avrebbero potuto?
Mentre attraversava la città, con le sue gambe lunghe, il vento
gli sferzava il volto.
Non sapeva nemmeno lui dove stesse andando di preciso.
Si ritrovò nei pressi di un parco.
Certo, il parco, il luogo del delitto.
Un brivido gli passò sù per la schiena.
Era deserto, tranne per le cartacce che svolazzavano qua e là.
Ovvio, il panico si era diffuso nella città.
Reid si aggirò per i viali alberati senza sapere perché.
Dopo un po’ si fermò su una panchina.
Era così stanco…
Morgan fece per seguire Reid che si era appena allontanato
dall’ufficio, ma Hotch lo bloccò e Morgan si accomodò intorno al grosso tavolo
che fungeva loro da base operativa.
Anche gli altri si erano sistemati, un po’ a disagio per la scena
cui avevano appena assistito.
Gideon invece era ancora in piedi a fissare intensamente la porta
da dove era uscito Reid, quasi che potesse riportarlo indietro col solo
pensiero.
Hotch si schiarì la voce – dove eravamo arrivati?-.
Gideon si riscosse – ah sì, dunque, stando a quanto appreso dai
rilievi le ferite sono state inflitte con un colpo deciso, un sol fendente,
così- Gideon mimò il colpo con cui il killer aveva reciso la testa alle sue
vittime.
-Che arma può aver usato? – domandò Morgan.
-Una spada?- intervenne JJ.
Tutti la guardarono lievemente perplessi –perché no? Dopotutto
l’hai detto tu Gideon, un solo fendente, preciso, pulito…-.
Hotch annuì. Poteva essere.
Mise una mano dentro la borsa e la ritrasse di scatto al contatto
di qualcosa di freddo, minaccioso.
Andiamo Reid non essere stupido, pensò tra sé e sé…No, non era
proprio il caso di farlo lì, in mezzo al parco a quell’ora di notte.
Regnava una gran pace lì, non desiderava turbarla.
Chiuse gli occhi.
-Qualche idea sul profilo?- domandò Hotch guardandosi intorno.
-Il soggetto dovrebbe essere maschio, bianco, sulla trentina, con
una predisposizione per le arti marziali o una laurea in medicina, magari un
chirurgo- disse Morgan.
-Vive da solo, non è sposato…il punto è cosa se ne fa delle
teste?- chiese Gideon ai presenti e a se stesso.
-Va bene- esclamò Hotch alzandosi – JJ. Tu illustra il profilo
alla polizia locale-.
La ragazza annuì e uscì.
-Morgan, domani noi andremo a fare un sopralluogo presso le
palestre del luogo-.
Morgan annuì e uscì dalla stanza.
Era rimasto solo Gideon.
Hotch si soffermò nella stanza – Jason…-.
Gideon gli diede le spalle –Non capisco – mormorò.
-Cosa non capisci?-.
Gideon non rispose.
Hotch si fece più vicino.
- Probabilmente a quest’ora starà elaborando qualche fantasiosa
teoria che ci esporrà domani con tutta calma -.
-Già forse- buttò lì Gideon.
-Vai a farti una dormita Gideon- mormorò Hotch uscendo dalla
stanza.
-Puoi spegnere le luci per favore?- gli rispose il collega come se
non l’avesse nemmeno sentito.
Hotch annuì, spense le luci e chiuse la porta dietro di sé.
Un fruscio tra gli alberi, qualcosa catturò la sua attenzione.
Reid riaprì gli occhi.
Per quanto aveva dormito? Se aveva dormito…
Si grattò la testa con fare distratto e controllò l’orologio:
niente più orologio.
La borsa c’era ancora per fortuna.
Un altro fruscio.
Reid si voltò con la mano sulla pistola…solo che non c’era più.
Il fruscio aumentò.
-Pensi che tornerà ad agire tra poco?- domandò Hotch a Gideon. Si
trovavano nell’ufficio della polizia locale.
-Sì- rispose dopo un po’ Gideon – i delitti si sono fatti sempre
più ravvicinati, credo che il prossimo…-.
JJ. entro nell’ufficio trafelata –hanno appena chiamato dalla
centrale: un altro corpo senza testa, al parco-.
Tutti si alzarono.
Mentre si avviavano alle auto Morgan domandò – dove diavolo è
finito Reid?-.
Giaceva con il volto rivolto contro il suolo.
Le braccia lungo i fianchi. La figura scomposta in un un’unica
massa sotto la quale andava allargandosi un’enorme macchi di sangue.
Anche a quel cadavere avevano sottratto la testa.
Era giovane, non poteva avere più di trent’anni.
Lo sceriffo andò incontro alla squadra che stava sopraggiungendo
–Non è un bello spettacolo
– esclamò togliendosi il cappello.
Gideon si inginocchiò vicino al cadavere sfigurato.
-Cosa?! No aspetta Reid, ricomincia da capo…non- Morgan si scostò
dal gruppo che discuteva animatamente -cosa???!!!Va bene arrivo subito-.
Il coroner stava portando via il corpo, dopo i consueti rilievi.
Morgan prese in disparte Hotch –dev…devo assentarmi un momento-.
Hotch lo guardò come gli avesse appena detto che intendeva
coltivare cavoli su marte.
-Ho…un’emergenza, mi dispiace…- e si voltò in fretta
allontanandosi dalla scena del delitto.
Reid attendeva vicino a una cabina telefonica in Sunset street.
Impaziente, batteva il piede ritmicamente contro l’asfalto.
Quanto ci metteva?
Infine vide comparire Morgan dall’altra parte della strada. Gli
andò incontro.
Morgan vide arrivare il collega tutto spettinato, con l’aria di
chi non avesse passato una buona nottata.
Reid cominciò subito a gesticolare e a parlare tutto d’un fiato –l’ho
persa, è successo, stamattina, no ieri, sul tardi…non so come…non ho idea di
chi sia stato, ero nel parco…-.
-Nel parco?Cosa diavolo ci facevi nel…-.
-Io, non lo so, non…-
-Ok, calma calma- esclamò Morgan guardandosi attorno –entriamo in
un caffè -.
Reid fece un profondo respiro – ieri sera…-cominciò il giovane,
poi si fermò, ricordando all’improvviso il motivo della sua lunga camminata
verso il parco.
-Sì?- fece Morgan per incoraggiarlo.
-Ecco, ho fatto una lunga passeggiata verso il parco, no aspetta,
non volevo andarci intenzionalmente, è solo che mi sono ritrovato lì-.
-Lo so, nemmeno io so spiegarmi come…e al mio risveglio non c’era
più…la pistola capisci? Sparita- Reid omise la sparizione dell’orologio.
Morgan annuì piano –non hai ancora chiamato la centrale vero?-.
Reid fece no con la testa.
-Dobbiamo dirlo a Hotch -.
Reid annuì piano.
-Che cosaaaaaaaaaa?????!!-.
JJ. che stava portando il caffè nella stanza vicina sobbalzò
facendolo cadere a terra.
Era strano sentire Hotch alzare la voce.
-JJ!- la ragazza si era appena chinata a cercare di sistemare il
danno appena fatto che subito si raddrizzò e si affrettò a raggiungere Hotch.
-Eccomi cosa succede?-.
JJ. si guardò intorno. L’atmosfera era piuttosto tesa. C’era
Morgan, in un angolo che scuoteva impercettibilmente la testa. Gideon era una
maschera di gesso: non si poteva assolutamente intuire cosa stesse pensando.
Hotch era al centro della stanza, con le mani sui fianchi e guardava Reid che
evitava il suo sguardo.
-Chiama la centrale. Devi denunciare lo smarrimento, no il furto
di una pistola d’ordinanza. Reid ti darà tutti i dettagli-.
JJ. era allibita, ma non disse una parola. La stanza sarebbe
potuta esplodere. Hotch cercava di mantenere un minimo di compostezza, ma si
vedeva benissimo che tratteneva la rabbia a stento.
JJ. uscì dalla stanza e si mise subito al telefono.
Reid fece per seguirla, ma Hotch lo fermò –Morgan, scusa, potresti
lasciarci?-.
Morgan fece per obiettare, ma dopo un breve scambio di sguardi con
Gideon uscì anche lui.
-E adesso cosa c’è?- domandò subito Reid, sulla difensiva.
Si sentiva come un leone in trappola.
-Non crederai di cavartela così vero?- cominciò Hotch serio.
-Così come?- ribattè subito Reid –ho detto che non è stata colpa
mia -.
-Innanzitutto, cosa ci facevi nel parco a quell’ora?-
-Io...volevo solo …fare una passeggiata– rispose Reid con una
scrollatina di spalle. Cosa c’era di male?
-Il guaio Reid, è che era proprio il parco degli omicidi-
sottolineò Gideon guardandolo intensamente.
Reid fece una faccia stupita. E allora?
-Non ci sono andato di proposito, stavo solo camminando per
prendere un po’ d’aria…-.
- E casualmente sei finito proprio in quel parco-.
-Sì e con questo?- ribattè Reid. cominciava stufarsi di
quell’interrogatorio –che altro devo dirvi?-.
-Reid…- riprese Hotch, ma il giovane lo interruppe.
-Ne ho abbastanza, non so che altro dirvi, è capitato…- cominciava
ad irritarsi, il suo tono si era fatto più acuto.
-Il fatto è, giovanotto, che adesso un probabile psicotico con
manie di paranoia è in giro armato…-.
-Ma chi vi dice che sia stato lui a… e comunque era pericoloso già
prima di…di sottrarmi l’arma- sbuffò Reid.
-Certo, ma se se farà del male a qualcuno, lo farà con l’arma di
un agente dell’FBI. A questo hai pensato?- cercò di fargli capire Hotch.
-E che cosa dovrei dirvi??- sbottò Reid allargando le braccia – mi
dispiace va bene? Mi dispiace- e li guardò tutti e due, prima l’uno, poi
l’altro.
Entrambi tacevano.
-Reid...- fece Hotch avvicinandosi lentamente al giovane.
Reid arretrò cauto -Cosa c’è ancora?- .
-Reid, possiamo parlarne…-.
-E di cosa?-.
Hotch si stava avvicinando, mentre Gideon era fermo lì, poco
distante.
-Non ho intenzione di parlare di alcunché. La faccenda è chiusa!-
gridò.
Detto questo, uscì sbattendo la porta.
Avevano un problema.
***
-Cosa ne pensi?- esclamò Hotch osservando il cadavere appena
ricucito dal patologo.
Gideon si prese qualche istante per rispondere.
-I segni che ha lasciato, qui e qui vedi…-indicò due punto vicino
alla giugulare –non è perfetto, come se avesse dovuto fare di fretta, come se
fosse stato interrotto-.
-Forse si sente minacciato- suggerì Hotch.
-Sì forse- sussurrò Gideon.
Squillò il telefono.
Reid sussultò.
Erano di nuovo sulla scena del delitto, ad osservare i rilievi
della scientifica. Con lui c’era JJ, impegnata con una telefonata.
La ragazza si allontanò per sentire meglio.
Curiosamente le impronte lasciate dall’assassino arrivavano solo
fino a un certo punto. Poi sparivano.
JJ. ritornò vicino a lui – ha chiamato il signor Perry. Dice di
essersi ricordato alcuni dettagli. Vuole che andiamo subito da lui-.
-E non può venire lui alla centrale ?- obiettò Reid.
-Certo che no, Reid, avanti o faremo tardi-.
Parcheggiarono vicino alla casa di Perry.
JJ. suonò il campanello.
Una volta.
Nessuna risposta.
Riprovarono.
Ancora niente.
Si guardarono l’un l’altro.
C’era qualcosa che non andava.
- Eccovi!-.
Sobbalzarono entrambi.
Alle loro spalle era comparso il signor Perry con un paio di
ortaggi in mano.
-Scusate devo essermi dimenticato…prego prego- e li fece
accomodare in casa.
-Signor Perry…- cominciò JJ.
-Gradite una tazza di tè?- domandò loro il signor Perry
sorridendo.
Reid si guardò intorno. Trofei …trofei di lotta libera?
-Vedo che ha vinto molte coppe signor Perry- osservò Reid.
-Oh sì ma è stato molto tempo fa- rispose l’uomo sorridendo.
-Adesso non pratica più sport?- chiese di nuovo Reid.
-No, allora non gradite un tè?- fece l’uomo cambiando discorso.
- Come mai signor Perry?- insistè Reid, incurante dell’evidente
disagio dell’uomo.
JJ. si schiarì la voce.
-Mi dica signor Perry…-.
-Reid…- ringhiò JJ. tra i denti.
Perry sembrava smarrito.
-Signor…- non fece in tempo a finire la frase che il braccio di
Perry scattò verso la gola di Reid inchiodandolo al muro.
Note: ringrazio
tutti coloro che hanno letto il primo capitolo di questa fan fic e hanno
lasciato un commento. Fa sempre piacere sapere che qualcuno legge le storie che
sono state partorite dalla propria fantasia e concede due minuti del suo tempo
per scrivere due righe.
Prima arrivarono le voci, poi JJ. e Reid si materializzarono
presso la stazione della polizia di Cripsidetown.
Morgan stava leggendo un rapporto della scientifica, mentre Hotch
parlava al telefono con lo sceriffo.
-Che cosa succede?- domandò Morgan, preoccupato. Non aveva mai
visto JJ. così agitata.
-Lui…- JJ puntò significativamente un dito contro Reid che la
seguiva da presso –lui- ripetè JJ. –ha quasi rischiato di…-.
-Te lo spiego io- la interruppe Reid –ho tentato un approccio…-.
-Tu non ha tentato nessuno approccio!- squittì JJ -sai che cos’ha
fatto lo sai?- esclamò alzando la voce –te lo dico io cos’ha fatto!!Per poco
non ci faceva uccidere tutti e due!-.
Hotch chiuse la telefonata.
Il caos stava dilagando nella stanza. JJ e Reid stavano urlando
l’uno contro l’altra, mentre Morgan cercava di riappacificarli, sforzandosi di
sovrastare le loro voci con la sua.
-Ora Basta!!!- gridò Hotch picchiando una mano sulla scrivania.
Tutti ammutolirono.
-Nel mio ufficio!! SUBITO!-.
JJ e Reid entrarono subito nell’ufficio, Reid facendo attenzione a
passare il più lontano possibile da Hotch che li guardava come avesse voluto
fulminarli con lo sguardo.
JJ. prese posto alla scrivania circolare che usavano per discutere
il caso.
Hotch chiuse la porta dietro di loro con colpo secco.
Tacevano tutti. Reid, appoggiato a una delle pareti della stanza
osservava Hotch con aria di sfida, mentre JJ. fissava il piano del tavolo come
se avesse voluto leggervi attraverso.
Hotch si passò una mano tra i capelli, nervoso.
-Allora…- fece per cominciare. Fu subito interrotto da JJ.
-Non stavamo litigando, se è questo che pensi-.
Hotch spalancò la bocca per la meraviglia, poi scosse la testa –
Voi..- disse incredulo –non stavate litigando?-.
JJ si schiarì la voce –volevo solo dire che…-
-No JJ ascoltami bene- fece Hotch deciso –anzi, ascoltatemi bene
tutti e due: non voglio mai più vedervi comportare come vi siete comportati
poco fa. E’ stato uno spettacolo indecente!-.
JJ fece per obiettare, ma Hotch alzò una mano per fermarla –no,
non interrompermi JJ. Voglio che sia ben chiara una cosa: un’altra scenata così
e…-.
JJ. si morse un labbro –scusa Hotch, ma non mi sembra giusto!- lo
contraddì la ragazza con veemenza.
-JJ…- Hotch sottolineò le parole, come se fossero una avvertimento
–non voglio più sentire una sola parola su…-
-Ma non sai nemmeno cos’è successo!!- ribadì la ragazza.
-E non gli interessa - ribadì Reid, sempre rimanendo a braccia
conserte contro la parete e guardando Hotch con uno strano sorriso –Hotch pensa
di sapere tutto e gli basta-.
-E con questo cosa vorresti dire?- ribattè Hotch-sentiamo-.
-Io? Niente- rispose Reid con una scrollata di spalle e fece per
andarsene.
-No aspetta! Ora voglio proprio sentire cos’hai da dire- Hotch lo
guardò fermamente deciso a non lasciarlo andare, finché non avessero chiarito
la questione.
-E a te cosa importa Hotch?- fece Reid avvicinandosi a lui –a te
non interessa cosa pensiamo, l’importante è che risolviamo questo caso
giusto?-.
-Io non intendevo questo!- esclamò JJ voltandosi verso di loro.
-Oh andiamo JJ quando mai gli è interessato qualcosa che non fosse
strettamente inerente al caso?-.
-Ma che stai dicendo Reid?- disse Hotch preoccupato.
-Dico Hotch che tu sei un…-.
Gideon si precipitò alla centrale con una fascio di fogli in mano.
-Forse abbiamo qualcosa!!– esclamò rivolto ai colleghi.
Poi si accorse dell’aria lugubre che tirava. Si guardò intorno e
vide, in fondo alla stanza, l’ufficio che usavano per le riunioni, dove Hotch e
Reid stavano parlando animatamente.
Vide JJ scattare in piedi. Hotch e Reid erano vicini. Troppo
vicini.
Gideon balzò nella stanza.
-…Ed è per questo che lo fai, sei ossessionato dal tuo lavoro e
non hai tempo per nient’altro, ma te la prendi con noi, se non siamo perfetti,
se non siamo…- Reid incespicò cercando le parole -...come te!- sbottò alla
fine.
Hotch scuoteva la testa incredulo. Non aveva mai visto Reid così.
Nemmeno dopo il caso di Raphael. C’era qualcosa di strano, nei suoi occhi,
qualcosa che non aveva mai visto prima, forse...forse…
Reid si avvicinò minaccioso.
JJ balzò in piedi temendo il peggio.
In quel momento Gideon spalancò la porta deciso.
Afferrò al volo la situazione e disse, col suo solito tono pacato
–c’è qualche problema?-.
A quel punto Reid esplose.
-Ma bene, arrivano i rinforzi!!Ed ecco a voi, Jason Gideon, temerario
combattente delle tenebre della mente, strenuo difensore dell’innocenza
perduta…e padre fallito di…- non terminò la frase.
La mano di Hotch scattò prima sulla guancia di Reid.
Anche lui ne rimase sorpreso, come tutti i presenti.
-Hai esagerato…- mormorò Hotch, quasi che questo potesse bastare a
giustificare quello che aveva appena fatto e prese a fissare la sua mano come
se la vedesse per la prima volta. Come aveva potuto…
- Ok, ora cerchiamo di darci una calmata tutti quanti va bene?-
intervenne Gideon circospetto.
-Sai una cosa Hotch?- fece Reid, come se non l’avesse nemmeno
sentito e cercando di metterci tutto il disprezzo che poteva – Vaffanculo!!! E
non c’è bisogno che mi sospenda tu. Mi dimetto io!- estrasse il distintivo
dalla giacca e lo sbattè sul tavolo.
-Reid, non volevamo questo- fece Gideon cercando di rimediare al
danno.
Ma ormai era fatta.
-Avrei dovuto farlo io …prima – mormorò Hotch quasi tra sé e sé –
ma non l’ho fatto, perché me l’aveva chiesto Gideon- finì in un sussurro.
Gideon fece no con la testa, doveva rimanere un segreto.
-AHH!!!-Reid spalancò la porta, mentre Hotch, ripresosi gridava
–Reid!Torna qui!Torna qui, mi dispiace, hai sentito? Mi dispiace!!!- e JJ
osservava la sua fuga preoccupata.
Gli altri videro sbucare fuori dall’ufficio un Reid sconvolto e un
Gideon che gli correva dietro, arrancando.
-Ma cosa sta succedendo?- fece in tempo a dire Morgan, mentre Reid
gli sfrecciava davanti alla velocità del lampo -ehi Reid!-.
E gli corse dietro anche lui.
Sbucarono all’aperto sotto un sole accecante.
Reid faceva i gradini della lunga scalinata a due a due, Morgan e
Gideon alle calcagna.
-Reid ehi Reid non puoi andartene così! Aspetta- gridava Morgan.
-Reid parliamone- gli faceva eco Gideon –Reid non sono arrabbiato
con te, aspetta!!-.
Ma il giovane non voleva sentire ragioni.
Giunto alla fine della scalinata si bloccò e si voltò verso i suoi
inseguitori.
-Mi inseguirete ovunque eh?- fece con le braccia lungo i fianchi.
Morgan annuì. Logico.
-E allora credo che dovrò ricorrere a qualcosa di più drastico-
disse Reid guardandosi intorno sempre con le braccia sui fianchi.
Non se lo aspettava.
Non perché si trattava di Reid, o forse sì.
Semplicemente non se lo aspettava.
Fu preso alla sprovvista. Non si attendeva tanta forza.
Il braccio destro di Reid scattò all’improvviso colpendo in pieno volto
Morgan che vacillò pericolosamente all’indietro e sarebbe caduto, se non ci
fosse stato lì Gideon a sostenerlo.
-Adesso non mi seguirete più!- esclamò prima di correre via.
Forse già nell’istante in cui stava alzando il braccio per colpire
Morgan o ancora prima.
Lo sguardo di Gideon inginocchiato vicino a Morgan.
Non poteva sopportarlo.
Non sopportava di essere guardato così.
Non guardarmi così,
non guardarmi così, ti prego.
Non con quello sguardo, come se già l’avesse perdonato.
L’ultima cosa che aveva sentito era stato il grido di JJ. in cima
alle scale. C’era anche lei, aveva assistito a tutto. E c’era preoccupazione
nella sua voce.
Saltò sul primo autobus che trovò libero.
Il primo diretto a K.city.
Non tornava lì da…da quanto?
Non lo sapeva.
Subito dopo la partenza della madre.
Ricordava di aver fatto le valigie in tutta fretta, ficcando le
cose così, a casaccio nelle borse di tela, lui che era così ordinato, così
metodico.
Semplicemente voleva andarsene il più presto possibile. Non
desiderava rimanere lì più a lungo.
E adesso ci stava tornando.
Si ficcò una mano in tasca.
Tastò la boccetta per accertarsi che fosse al suo posto.
Avrebbe atteso…
-Tutto bene Morgan?- domandò Hotch mentre JJ. premeva una borsa
del ghiaccio sulla guancia del collega.
Morgan annuì –non è niente!-.
-A me non sembra- osservò Garcia osservando il livido violaceo che
andava formandosi sulla guancia del collega –però ti fa più sexi-.
-Dove può essere andato?- domandò Prentiss.
-Al parco?- propose Hotch grattandosi la fronte.
-Lo escludo- esclamò Gideon.
- A….casa sua?- azzardò Garcia dando il cambio a JJ.
Gideon non rispose.
Stava pensando. Stava prendendo in considerazione qualsiasi
particolare, per arrivare a una soluzione.
E questa volta l’enigma era Reid.
Non aveva le chiavi, ma questo non aveva importanza. Conosceva il
modo di entrare.
L’aveva fatto mille volte quando sua madre dimenticava che lui era
fuori casa e si chiudeva dentro.
C’era odore di muffa. I muri erano scrostati per l’usura del
tempo.
Le ragnatele erano ovunque. Forse i mobili si erano salvati dalle
tarme, perchè ricoperti da lunghi teli bianchi.
-Mamma!- gridò ad un certo punto –mamma!- per un attimo gli era
sembrato che potesse esserci. Ma sapeva benissimo che non era così. Che sua
madre non c’era e non sarebbe mai tornata, perché lui aveva voluto così.
-Sono tornato– sussurrò.
-Sono tornato- ripetè.
-Avanti- esclamò Hotch guardando tutti i presenti negli occhi, uno
per uno- ci sarà pure un luogo dove Reid andrebbe a rifugiarsi-.
-Bè non è che ci frequentiamo così tanto – buttò lì Prentiss.
-Oltre al locale che dove talvolta beviamo
qualcosa…non saprei- disse Garcia.
-Maledizione!- esclamò Morgan battendo una mano contro il muro-
-Buono tu o dovremo fasciarti la zampa!- lo rimproverò Garcia.
-possibile che non sappiamo nemmeno dove…- continuò Morgan-
insomma, è impossibile, individuiamo criminali senza sapere quasi nulla di
loro, ma non riusciamo a scoprire dove si nasconde Reid. Un nostro
collega…un…nostro amico- finì Morgan demoralizzato, lasciandosi cadere sulla
sedia.
In quel momento le accuse di Reid a Hotch non sembrarono più tanto
campate per aria.
-Ma Reid non è come tutti gli altri- osservò JJ -intendo dire, lui
non è come i criminali che inseguiamo-.
-No, ma anche lui è un essere umano e come tale ha un punto
debole- esclamò Gideon meditabondo.
***
Dov’era? Maledizione, dov’era?Non riusciva a trovarla, eppure era
sicuro di averla messa lì, in quel cassetto.
-Spencer… Spencer!!!Spencer!!!-.
-Arrivo mamma, solo un momento- gridò rovistando a due mani in
tutti i cassetti della cucina. Doveva
essere lì.
-Spencer, caro!-.
-Un momento!- strillò il bambino di rimando, ormai in preda al
panico. Se non l’avesse trovata, la madre non avrebbe potuto fare la sua
iniezione giornaliera e allora…Preferì non pensare a cosa poteva accadere.
-Ma dove l’ho messa? Dove??- piagnucolò estraendo completamente un
cassetto e posandolo sul pavimento della cucina.
-Spencer!!!- il tono era mutato.
Ecco, stava già cominciando.
Poi, sotto una pila di fogli tastò qualcosa di consistente.
-Ecco!!- si precipitò in salotto.
Era da almeno un’ora che si lambiccavano tutti il cervello
cercando di trovare una possibile soluzione alla sparizione di Reid.
Alla fine fu Gideon ad avere l’illuminazione.
Si battè un pugno sul palmo della mano
ed esclamò –ma certo!!! Perchè non ci ho pensato prima!! Ma certo, certo!! Deve
essere lì!-.
Tutti lo guardarono stupiti.
Pendevano dalle sue labbra.
-Dove abitava la madre di Reid?-.
-Sì, va bene, grazie- JJ mise giù il telefono –è confermato, un
uomo che corrisponde alla descrizione di Reid ha comprato un biglietto per la
città di K. 2 ore fa-.
-Bene- esclamò Morgan deciso – allora non ci resta che
raggiungerlo-.
Non lesse lo stesso entusiasmo sul volto di Hotch che scuoteva la
testa impercettibilmente.
-Non possiamo andare, non tutti almeno-.
-Ma perché? Noi…Reid è uno dei nostri …- obiettò Morgan.
-Ti ricordo che qui abbiamo preso un impegno. Là fuori c’è un
killer che sta pensando a come colpire la prossima vittima e stando al profilo
non manca molto al momento in cui agirà di nuovo- esclamò Hotch con fervore.
Nessuno disse niente.
-Ahhhhh, ma perché…- insistè
Morgan mulinando le lunghe braccia in aria. Garcia gli posò una mano sul
braccio scuotendo la testa.
Hotch aveva dannatamente ragione.
In quel momento entrò uno degli agenti di Cripsidetown – c’è stata
una segnalazione…-.
Scesero dalle auto nella zona nord del parco della città. I fari
delle auto della polizia illuminavano quasi a giorno la zona.
Si avviarono verso la scena del crimine, tra gli alberi. Hotch,
Prentiss e JJ avanti e Morgan e Gideon un po’ più indietro.
Erano quasi arrivati quando Gideon si fermò di colpo
-Ci sei?- esclamò Morgan voltandosi verso di lui.
Gideon non rispose. Fece no con la testa. Si voltò e a grandi
passi tornò verso le auto.
-Ehi Gideon, dove stai andando …dove?- poi Morgan si interruppe e
sorrise. Si voltò e si incamminò per raggiungere gli altri sussurrando tra sé e
sé Trovalo.
Si risvegliò con un brivido che gli percorse la schiena
Si risvegliò con un brivido che gli percorse la schiena.
Aveva freddo.
Il pavimento era umido e pieno di muffa.
Tossì.
Era tutto bagnato.
Si rannicchiò contro la parete, tirandosi il maglione sulle
ginocchia, come fanno i bambini piccoli o i ragazzi molto magri.
Intorno a lui regnava il silenzio, quello delle lunghe ore di
veglia in attesa che la madre si alzasse, quando il sole era già alto o quando
il medico passava a visitarla.
Il silenzio rotto solo dal ticchettio dell’orologio a pendolo
della sala.
Gideon osservava sfilare una dietro l’altra le case perfettamente
distribuite di quell’ angolo d’America. Casette linde, pulite, ordinate, con i
giardini diligentemente curati. Si stava facendo buio.
-Mi scusi, non potrebbe andare più veloce?- domandò all’autista
del taxi.
L’uomo borbottò qualcosa in risposta. Ma Gideon non lo stava
ascoltando.
Pensava a Reid, tutto solo in quella casa piena di ricordi, tutto
solo lì, dove era iniziato tutto.
Era immerso in questi pensieri quando una frenata improvvisa gli
fece sbattere la testa contro il sedile anteriore.
Le ore passavano, così come i giorni, nella speranza di un
miglioramento che non arrivava, di un miracolo che esitava a verificarsi. Non
che lui fosse particolarmente portato per le credenze religiose. Ma sua madre
ci credeva, quindi…tutta questa fede però non le aveva impedito di ammalarsi,
osservava compostamente Reid, all’epoca.
E allora aveva capito che potevano contare solo l’uno sull’altro
per poter sopravvivere e su nessun altro.
Su nessun altro…
Gideon si portò una mano alla fronte e la ritrasse bagnata.
L’autista era uscito e stava animatamente dibattendo con l’autista
di un pullman di linea, mentre dal cofano del veicolo usciva una preoccupante
nuvola grigia.
Gideon forzò la porta del taxi e uscì.
L’autista cercò di corrergli dietro,ma Gideon non gli badò.
Aveva un presentimento. Se non fosse arrivato un tempo…
Cominciò a camminare con passo veloce lungo gli isolati della zona
residenziale di quella città, poi aumentò l’andatura. Sempre più veloce, sempre
più veloce, finché la marcia si tramutò in una corsa. Lasciò andare la borsa
con le sue cose, soffermandosi appena a scrutare il numero civico delle case
che sfrecciavano davanti ai suoi occhi, impaziente.
-Perché non torni?- sussurrò a mezza voce Reid, stringendosi forte
le ginocchia, perché non torni?.
Perché non poteva tornare tutto come prima?
Come una volta…
L’avrebbe voluto?
E poi la vide, lì, bella come lo era stata un tempo, coi capelli
lunghi e lucidi e gli occhi grandi.
Balzò in piedi, barcollando un po’ –Sei qui! Sei tornata!-.
Lei gli sorrideva felice e lo invitava a raggiungerla.
-Duecentotrentaquattro, duecentrotrentacinque…- mormorò Gideon
rallentando un poco e premendosi la base dello stomaco con la mano. C’era
quasi, era quasi arrivato, lo sentiva.
Il cuore gli batteva all’impazzata.
-Non adesso- sussurrò rivolto a se stesso –non adesso…-.
L’ abbracciò piangendo.
Piangeva forte e senza vergogna tra le sue braccia.
E in quelle lacrime c’erano tutti gli anni di separazione che
avevano tragicamente segnato la loro esistenza, minacciando di renderli
estranei.
Ma adesso era tutto finito, adesso sarebbero rimasti insieme per
sempre. Per sempre.
Gideon giunse davanti alla casetta bianca in Roger
street e cercò di entrare. Sentiva dei rumori provenire dall’interno. Provò a
forzare la porta.
Era chiusa.
Fece il giro, fino a raggiungere una delle finestre che davano sul
salotto.
I vetri erano opachi e lui li ripulì con la manica della giacca.
-Sei cresciuto- osservò la donna, accarezzandogli il volto, dopo
che si fu calmato …e questi capelli…-.
Reid fece un sorriso stentato.
-Sei diventato un uomo-.
- Io...- mormorò Reid incapace di formulare una qualsiasi frase di
senso compiuto. Le parole erano sempre state fondamentali nella sua vita, ma
adesso, se ne sentiva disperatamente privo.
-Reid apri Reid!!!Reid!-.
Qualcuno bussava alla porta ma lui non se ne curò.
Era così felice in quel momento, così…
Poi lei si staccò dolcemente da lui, posando un dito sulle labbra.
-Reid apri!!-.
Possibile che qualcuno l’avesse trovato lì?
Reid guardò con apprensione la porta da cui provenivano le grida.
-Ora devo andare- sussurrò l’eterea figura che gli stava davanti.
-No!- gridò lui subito di rimando -no,no no no,
non te ne andare, io…sarò buono, non timanderò più via, ma ti prego rimani, rimani…-.
Le posò una mano sul
braccio, ma non trovò nulla a cui attaccarsi. La figura era diventata inconsistente.
-No, no no, non mi lasciare, non mi
lasciare, non mi lasciare-.
E la donna svanì così come era apparsa.
-Reid per piacere apri!!-.
Il tono era supplichevole.
-Reid!-.
Il pavimento sapeva di muffa.
Ma perché non lo lasciavano in pace? Perché?
Rumori di un finestrino che andava in pezzi.
Dopo aver sferrato un pugno alla finestra vicino alla maniglia, Gideon
si fece largo con la mano tra i vetri rotti fino alla serratura che scattò con
un colpo secco.
La porta si aprì con un cigolio.
Reid era lì, a terra.
-No, no, no!- esclamò Gideon precipitandosi verso di lui-.
Gli sollevò delicatamente la testa da terra e gli sentì il polso.
Era debolissimo.
Cercò di scuoterlo e qualcosa rotolò a terra.
Gideon lo riconobbe subito: oxicodone.
-No, no no. Reid, no- cominciò a
mormorare sollevandolo dal pavimento e portandolo verso il bagno. Era così
magro…
-Gli altri sì, ma tu no. Tu no!!-.
Aprì il rubinetto della doccia pregando che funzionasse.
Un getto freddo lo colpì in volto. Non appena l’acqua cominciò a scendere
più calda vi mise sotto Reid che non accennava a riprendersi.
Gideon lo tirò via dal getto caldo e lo riportò in salotto,
distendendolo su quello che rimaneva di un tappeto persiano.
-Un telefono, un telefono, devo trovare un telefono-sussurrò
frugandosi velocemente in tasca. Si era dimenticato di averlo lasciato nel
taxi.
-Maledizione, maledizione!!-.
Non poteva lasciarlo così per cercare un altro telefono.
Provò a gridare –Aiuto, qualcuno mi aiuti!! Aiuto!- ma nessuno
accorse. Nessuna luce si accese.
Gli scostò i capelli dalla fronte, tenendo la testa di Reid
appoggiata sulle sue ginocchia.
-Tranquillo Reid, andrà tutto bene, andrà tutto bene…andrà…- ripetè meccanicamente cullandolo e stringendolo a sé -andrà
tutto…bene vedrai-.
Sirene in lontananza.
Potevano essere dirette lì?
Impossibile.
Fuori stava albeggiando.
Ormai era anche lui scosso dai brividi e febbricitante.
Sentiva qualcosa di umido scorrergli sul volto, ma di quelle
lacrime non aveva alcuna coscienza.
Quando Reid si agitava o mugolava qualcosa lui si affrettava ad
accarezzargli la testa sussurrando che sarebbe andato tutto bene, che non c’era
nulla di cui preoccuparsi.
Quando Hotch e la sua squadra al completo irruppero nella stanza si
trovarono davanti a quel triste spettacolo.
I paramedici si affrettarono a condurre all’interno la barella per
il trasporto e si apprestarono afornire
le prime cure al più bisognoso dei due, ma non appena tentarono di avvicinarsi
a Reid Gideon li spinse via.
A quel punto Hotch fece loro cenno di aspettare un momento, con la
sua solita aria tranquilla e seria e quelli si allontanarono sbuffando.
Hotch si inginocchiò di fianco a Gideon che stringeva Reid a sé e
gli posò delicatamente una mano sulla spalla –devi lasciarlo andare Gideon- sussurrò
dolcemente.
Morgan, che si teneva in disparte, sobbalzò. Non gli aveva mai
sentito usare quel tono.
Gideon scosse la testa.
-Se non lo fai non potranno curarlo e tu vuoi che lo curino vero? Non
è ancora troppo tardi…se lo lasci-.
Gideon allentò lentamente la presa –ecco così-.
Hotch fece un cenno ai paramedici che intubarono Reid e lo
trasportarono velocemente verso l’ambulanza.
I dottori lavoravano con movimenti veloci e precisi che loro seguivano
attraverso il vetro della sala d’attesa
I dottori lavoravano con movimenti veloci e precisi che loro
seguivano attraverso il vetro della sala d’attesa.
Dopo un primo momento di caos, sembrava che la situazione fosse
tornata sotto controllo.
Reid era stato intubato e collegato a
diversi monitor che ne riportavano fedelmente i segni vitali.
Gideon e Hotch sostavano praticamente attaccati al finestrino.
Morgan, invece, incapace di stare fermo si aggirava per il
corridoio inquieto.
JJ e Prentiss sedevano sulle poltroncine di legno sostenendosi
l’un l’altra, mentre Garcia si mordeva le unghie poco distante.
-Lo sai vero, che non è colpa tua?- mormorò Hotch rivolto aGideon, ma senza guardarlo direttamente.
Aveva accettato docilmente di farsi medicare la mano che
necessitava di qualche punto. Adesso era lì fasciata, inerte al suo fianco. Per
la fronte invece non erano stati necessari dei punti, ora un piccolo cerotto
faceva capolino sulla sua fronte alta.
-Non potevi saperlo, nessuno di noi l’ha intuito…nessuno…non è
colpa tua se è finita così- continuò Hotch.
Gideon si voltò per una frazione di secondo verso di lui. Come a
dirgli Ah sì e allora di chi è?
Hotch fu salvato da quell’impellente e muto interrogativo dalla
fine delle prime operazioni di soccorso.
Finalmente, dopo un’ultima occhiata al paziente uno dei medici
uscì dalla stanza.
Tutti gli si fecero intorno.
-Allora come sta?- domandò Morgan anticipando tutti quanti.
L’uomo con gli occhiali e la cartella si prese qualche istante per
rispondere. Fisicamente Reid stava abbastanza bene.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo.
-No aspettate. Dicevo, i valori sono tornati quasi normali, per il
momento non sono insorte complicazioni rilevanti senonché…-
-Ci dica dottore la prego- lo incoraggiò Hotch.
-Data la gravità del problema e il fatto che…-
-la prego non indugi- lo interruppe di nuovo Hotch- ci dica solo
che cos’ha-.
L’uomo si schiarì la voce -…trattandosi di un caso di overdose potrebbero
insorgere delle complicazioni di carattere neurologico di cui non possiamo
stimare l’entità-.
JJ. scoppiò a piangere, appoggiandosi a Prentiss.
Garcia torno a sedersi sulla sedia di poco prima, molto, molto
lentamente.
Morgan mollò un pugno al muro e Hotch annuì piano, cercando di
elaborare la notizia in un modo che fosse comprensibile…
Poi rialzò la testa per cogliere lo spettacolo di Gideon che si
avviava lentamente lungo il corridoio, per poi fermarsi improvvisamente e
scagliarsi contro una delle poltrone, sradicandola dalla sua postazione e
gettandola contro una delle pareti asettiche che lo circondavano.
Garcia gridò.
Morgan fece per accorrere a fermarlo, ma Hotch lo bloccò.
Era tornata la calma e il tempo rimase come sospeso per qualche
istante. Poi, sempre con estrema lentezza Gideon infilò la prima porta a
sinistra e scomparve alla loro vista.
Il rumore delle gocce della soluzione attaccata per via endovenosa
al braccio di Reid scandiva il tempo in quella stanza dove ogni altra cosa
taceva.
Hotch sonnecchiava su una poltrona in fondo alla stanza del
giovane, senza sapere che ore fossero.
Morgan invece era disteso sulle poltrone all’esterno.
Non aveva voluto sapere di andarsene. Le ragazze sarebbero tornate
l’indomani mattina per dar loro il cambio.
Hotch aprì un occhio a metà, giusto per controllare che tutto
andasse bene e lo vide.
Gideon era lì, sulla sedia di fianco a Reid. Intento ad osservare
il respiro del giovane.
Dopo un pò si fece più vicino, si chinò
sul letto di Reid, a sussurrargli qualcosa nell’orecchio, una specie di
mormorio prolungato di cui Hotch colse solo qualche stralcio.
-…Mi dispiace per quello che è successo Reid, mi dispiace tanto.
So che dicono che non è colpa mia, ma lo è…. Ah…credevo di sapere tutto e
invece…non sapevo nulla, non capivo nulla –Strinse la mano ferita così forte
che un’enorme macchia di sangue cominciò a stendersi sul bendaggio pulito.
-Sono stato vigliacco lo sai? Per un momento ho pensato che non
sarei più tornato…e ora eccomi qui. ..però c’è una cosa che voglio dirti…-la
voce gli tremò impercettibilmente-…se…se tu non puoi tornare come eri prima, se
tu non puoi più essere te stesso…se…è così che deve andare, allora…- tacque per
un momento poi riprese con un sussurro-…allora puoi anche andartene. Nessuno te
ne vorrebbe per questo capito?-
Detto questo gli strinse forte la mano e si sistemò sulla poltrona
al suo fianco.
Hotch non gli sentì più dire
una parola per i tre giorni successivi.
Di tanto in tanto si sgranchiva le gambe percorrendo la stanza a
lunghe falcate o si distraeva momentaneamente guardando fuori dalla finestra,
la primavera che arrivava. Chissà, magari osservava quegli uccelli che amava
tanto.
Le condizioni di Reid erano rimaste stazionarie.
Nessuno peggioramento, ma non accennava a riprendersi.
E Gideon rimaneva lì, ad aspettare.
Sfogliando di tanto in tanto un vecchio diario sgualcito.
Un diario che parlava di un bambino alla prese con qualcosa di
molto più grande di lui. Era la storia della deriva di un famiglia e quello che
aveva comportato sul giovane disteso sul letto davanti a lui.
All’alba del quarto giorno Reid aprì gli occhi.
-Buongiorno- esclamò Gideon osservandolo dalla sponda opposta del
letto, su cui era appoggiato.
Reid strizzò gli occhi come se si fosse appena svegliato da una
nottataccia un po’ agitata.
-Dove sono?- domandò stiracchiandosi e cercando di mettersi a
sedere sul letto.
-Ospedale- rispose prontamente Gideon – niente di grave-.
Reid annuì.
In quel momento una delle infermiere di turno si accorse di quello
che stava succedendo all’interno della stanza e corse a chiamare il medico che
arrivò prontamente.
Reid era un po’ stupito di tutta quella premura e si guardava
intorno cercando di capire cosa stesse succedendo.
Svegliato dal frastuono improvviso Morgan saltò giù rapidamente
dalle poltrone in corridoio e fece capitolino nella stanza –Reid!!-.
A quel punto le infermiere si diedero da fare per allontanare
anche Gideon e richiusero al porta alle loro spalle.
Non appena fuori Gideon si accasciò contro la parete con gli occhi
chiusi.
Morgan gli si avvicinò preoccupato –tutto bene Gideon?-.
-Bè, cosa dicono?- domandò Prentiss mordendosi un labbro
impaziente.
-Per il momento sembra che vada tutto bene, insomma non pare abbia
avuto gravi conseguenze solo…-
-Solo…- gli fece eco JJ. con voce tesa.
-Potete constatarlo con i vostri occhi, entrare- Hotch aprì la
porta e li fece entrare.
Vicino al letto di Reid vi era già Gideon.
Reid sorrideva a tutti loro come se fosse appena tornato da una
scampagnata in compagna.
-Bè allora? Cosa mi raccontate? JJ. Prentiss, cosa avete?-
-Non si ricorda nulla…-sussurrò Prentiss a bassissima voce.
-Nulla- le confermò Hotch.
***
-Bene allora rimani tu con lui?- domandò Hotch conoscendo già la
risposta.
Gideon annuì. Era la soluzione migliore e anche la più pratica.
Lui viveva da solo e Reid non poteva tornare nel suo appartamento, senza
nessuno che si curasse di lui.
Hotch si guardò brevemente intorno, quasi per trovare qualcosa che
non andasse bene, qualche ostacolo o qualche imprevisto, forse solo una scusa
per fermarsi un po’ di più.
Si sentiva un po’ in colpa per quello che era successo.
Non aveva capito cosa stava succedendo a Reid e forse, senza
volerlo, aveva contribuito ad aggravare la situazione.
-Ok, allora…vi lascio- esclamò dopo un po’ osservando Reid
che si guardava in giro curioso –ciao Reid!-
-Oh, ciao Hotch- lo salutò il giovane voltandosi appena verso di
lui.
Gideon lo accompagnò alla porta –Tranquillo Hotch, ci penso io-.
Gideon tornò a rivolgersi verso Reid-bene
e…-
-Un partita a scacchi?- lo anticipò Reid indicando la scacchiera
sul tavolo del piccolo soggiorno.
-Allora come sta?- domandò Morgan andando incontro a Hotch nel
corridoio della sede operativa.
-Per il momento tutto bene-.
- Avremo fatto bene a lasciarlo con Gideon?- chiese Prentiss
sbucando alle spalle dei due.
Hotch annuì. Sì, decisamente Gideon era la scelta migliore.
-Starà benissimo con Gideon, vedrai- la rassicurò Morgan.
Detto questo tornarono alla loro indagine.
-Alfiere in A4!- esclamò Reid compiaciuto, dopo quindici minuti di
riflessione.
-Cavallo in F6!- fece subito Gideon in risposta.
-Ah!-esclamò Reid mordendosi in labbro.
Chino sulla scacchiera, con gli occhi incollati ai pedoni Reid
sembrava parecchio assorto.
Davvero non ricordava? Si domandò Gideon scrutandolo da vicino e
approfittando della sua distrazione.
Prima o poi comunque avrebbe ricordato e allora…
-Pedone in H6!...Ti vedo un po’ distratto questa sera eh Gideon?-.
-Perché dovrei prendere questa roba?- domandò Reid rigirandosi tra
le mani delle strane pasticche colorate.
- L’ha detto il tuo dottore- gli rispose Gideon. Sapeva che
richiamandogli alla mente un’autorità in campo scientifico avrebbe fatto meno
fatica a fargli accettare le prescrizioni.
-E anche al flebo è stata…prescritta dal medico?-domandò Reid
osservando Gideon armeggiare con una soluzione concentrata e dei fili.
Lui annuì - già, pensano che tu…uhm ti debba rimettere in forma-.
Anche il mattino seguente trascorse nella quiete più assoluta.
Reid si svegliò piuttosto tardi, cosa che non gli era abituale.
Gideon aveva già preparato la colazione. Era un sabato mattina.
Forse quel giorno Reid avrebbe gradito farsi un giro, magari al parco.
Era perso in quelle riflessioni quando vide il giovane chino su
qualcosa.
-Questo è veramente fantastico- era un piccolo campo magnetico
colorato che si frantumava non appena vi si passava la mano attraverso. Reid ne
era affascinato.
-Me l’ha regalato un tizio, un professore del Jeffersoninstitute-.
E così avviarono una discussione sui campi magnetici.
Reid si comportava in modo normale, era, mansueto, tranquillo forse…persino
troppo tranquillo. Si sarebbe potuto anche dire
un Reid normale, se non fosse stato per…Gideon non avrebbe saputo
nemmeno dire esattamente cosa. Era nell’aria…possibile che non si ricordasse
niente? Nulla??!
Certo, era un’eventualità da prendere in considerazione.
Soprattutto dopo avvenimenti particolarmente traumatici.
Solo…che c’era qualcosa…e oltretutto le medicine per il momento
facevano effetto, ma prima o poi avrebbero dovuto affrontare la questione.
-Gideon!! Ehi Gideon!!-.
Gideon sobbalzò, per un momento si era perso dietro le sue
elucubrazioni.
-Sì? Cosa c’è?-.
-Hai per caso della cioccolata?-.
-Dunque, zucchero, uova, ghiaccio sintetico…-Gideon stava
elencando brevemente la lista della spesa.
-Ghiaccio sintetico?-gli fece eco Reid dal soggiorno –a cosa ti
serve?-.
Gideon non rispose. Quella per il ghiaccio era una sua fissa. Non
doveva mai mancare in casa sua.
Dopodichè si affacciò sul salotto, dove Reid stava leggendo un
libro.
Erano tornati da poco da una passeggiata al parco.
Gideon se ne stava lì, momentaneamente incapace di decidersi sul
da farsi. Da una parte avrebbe voluto portar Reid con sè,
perché…anche se non voleva ammetterlo, non si fidava a lasciarlo a casa da solo…dall’altra
però non desiderava stancarlo più del dovuto.
Per il momento i farmaci avevano funzionato, ma sapeva bene che
erano solo un palliativo, giusto per quel frangente di emergenza. Poi avrebbero
dovuto provvedere a un serio programma di disintossicazione. Il che avrebbe
implicato, delle visite frequenti in ospedale, analisi, test, il ricovero
forse.
Tutte cose che andavano discusse…ma non ora, non adesso. Era
ancora troppo presto.
Dopo aver tirato un lungo sospiro Gideon disse – allora io vado,
non ci metterò molto- e in effetti non aveva alcuna intenzione di impiegarci
molto. Sarebbe andato al supermarket dell’angolo, a poca distanza.
Reid quasi non gli rispose, immerso nella sua lettura. Gli fece
ciao ciao con la manina da sopra il libro e fu tutto.
E di nuovo Gideon, per la millesima volta nel corso della
giornata, si domandò se davvero non ricordava oppure…oppure…
-…Dunque il caffè- qualcuno urtò contro
il suo carrello, mandandolo contro una fila di scatolette di conserve che
caddero a terra rovinosamente.
Un commesso si affrettò a cercare di riparare al danno.
-Scusi, mi scusi, scusatemi…- mormorava Gideon cercando anche lui
di arginare il disastro, ma riuscendo solo a complicarlo.
Dopodichè Gideon tornò alla sua spesa. Guardò nel carrello e vi
trovò del latte in polvere. Strano…a lui non piaceva.
Non ci aveva davvero messo molto, giusto mezz’ora. E aveva anche
comprato più del dovuto.
Armeggiò con i sacchetti della spesa fin sulla soglia di casa.
Suonò.
Nessuna risposta.
Un vento gelido cominciò a spirare tra le pieghe del suo giaccone.
Risuonò.
A quel punto, per non perdere altro tempo, immaginandosi le cose
più catastrofiche, estrasse le chiavi e aprì la porta.
Era entrato giusto in tempo per vedere Reid in piedi con qualcosa
in mano.
Mollò le borse che caddero a peso morto sul pavimento dell’appartamento.
Qualche frutto rotolò persino fuori dai sacchetti.
-Ma cosa…- fece in tempo a sussurrare Gideon prima che Reid
alzasse la testa da quello che stava leggendo con uno sguardo accusatore.
Oh no, l’ha trovato…l’ha trovato…era…
- Quando avevi intenzione di dirmi che l’avevi trovato eh?- lo
aggredì subito Reid.
-Io non…-.
-O preferivi tenermelo nascosto?- gridò avvicinandoglisi
sempre con il diario sgualcito in mano –tu, tu lo sapevi!- urlò in preda
all’agitazione.
-E l’hai letto vero? Tu l’hai letto??!-non era una domanda-
Rispondi l’hai letto??!!!- era sull’orlo del pianto. Il volto sconvolto, con i
capelli lunghi che ricadevano sulla fronte oscurargli per metà il viso
contratto dalla rabbia-non hai
resistito vero??!-.
Aveva ragione Reid, non aveva saputo resistere, solo…non l’aveva
fatto per mera curiosità…lui…voleva solo aiutarlo…Glielo disse.
-Calmati Reid, io volevo solo aiutarti, so che non avrei dovuto
ma…-
E sul suo viso lesse la delusione. L’aveva tradito.
- L’hai letto allora lo ammetti!!-gridò di nuovo agitandosi ancora
di più!-e fece per andarsene aggirando Gideon per raggiungere l’uscita, ma
Gideon non lo lasciò passare.
Lo afferrò al volo per un braccio- non puoi andartene, non così…-
era sinceramente preoccupato su come si stavano mettendo le cose, doveva calmarlo,
tutta quell’agitazione non gli faceva bene e non poteva lasciarlo andare fuori
da solo, in quelle condizioni -non te lo permetterò!Reid, tu hai dei problemi,
tu non…- aggiunse con una nota di panico nella voce, proprio lui che riusciva a
trattare con psicopatici imbottiti di esplosivo e pluriomicidi
col grilletto facile, lui che adesso era semplicemente terrorizzato all’idea
che Reid fuggisse per colpa sua.
-E lasciami- fece Reid scrollandoselo di dosso in malo modo- tu
non sei mio padre!!-.
A quelle parole Gideon allentò istantaneamente la presa e Reid potè liberarsi.
Gideon rimase così, affranto, sulla soglia di casa sua.
[ per rispondere alle vostre recensioni di cui vi ringrazio tanto: Gideon è tanto tanto dolce già di suo e poi credo che con Reid abbia un
rapporto davvero speciale. Insomma si capisce che Gideon è il mio personaggio
preferito?]
Mentre correva macinando strade e quartieri, i contorni di quanto gli
scorreva vicino andavano sfumandosi in un caleidoscopio di colori diversi
Mentre correva macinando strade e quartieri, i contorni di quanto
gli scorreva vicino andavano sfumandosi in un caleidoscopio di colori diversi.
Le lacrime, che cercava di ricacciare indietro a forza, offuscavano tutto.
Non sapeva dove stava andando o forse sì.
L’aveva tradito...lui…l’aveva
tradito.
L’ultima persona al mondo che avrebbe mai pensato potesse fare una
cosa simile.
-Ti dico che è andata così…io non so…senti, mi dispiace va bene?
Mi dispiace, non volevo…ma Hotch ascoltami…-.
Dall’altro capo del filo qualcuno tacque e ascoltò.
-Se lui viene da te, no ascoltami…lui verrà da te, tu devi…Hotch
mi senti??-.
Si sentiva confuso, non solo per quello che era successo a casa di
Gideon, che riteneva inaccettabile, ma lo era anche per le immagini senza senso
che cominciavano a turbinargli in mente, senza alcun ordine, senza alcuna
logica.
E tutto doveva avere una logica.
Tutto.
Soprattutto, sentiva di aver fatto qualcosa, aveva il sentore di
aver commesso qualcosa di terribile, qualcosa di cui avrebbe dovuto vergognarsi.
Ma cosa?
I suoi ultimi ricordi terminavano…non sapeva nemmeno quando...ah
sì in un parco, ecco la cosa che ricordava meglio: il parco. Ma perché si
trovasse lì e cosa ci facesse era un mistero…e tutte quelle immagini poi…Ed era
questa la cosa peggiore, il non sapere.
Lo faceva impazzire.
In Grafton street, affacciato alla
finestra, Hotch osservò un ragazzo alto e dinoccolato sostare all’inizio del
vialetto di casa sua, indeciso.
-È già qui!- sussurrò alla cornetta.
Mise giù.
Piuttosto indeciso sul da farsi, Reid si fermò sulla soglia del
vialetto dicasa Hotchner.
Le luci erano accese, ma non era sicuro che Hotch fosse in casa.
Forse non sarebbe dovuto andare lì, forse non…
In quel momento una sagoma si profilò sul portico di casa: Hotch –
hai intenzione di rimanere lì per tutta la notte?-.
Reid sorrise suo malgrado.
Reid varcò la soglia di casa un po’ trepidante. Dal salotto spuntò
la moglie di Hotch con il bimbo in braccio e gli sorrise, nonostante lui
sapesse di non avere un aspetto del tutto …presentabile.
La donna poi sparì al piano di sopra dopo un cenno del capo di
Hotch.
-Vieni entra- gli disse Hotch facendogli segnodi accomodarsi.
Reid prese posto sul sofà.
Si guardò intorno, a disagio.
Sapeva di non aver scelto un buon momento.
Probabilmente Hotch si stava godendo il meritato week end dopo la soluzione di un caso e l’ultima cosa che
voleva era essere disturbato da un collega in piena crisi.
E, a complicare il tutto, c’era quell’atmosfera di calda
ospitalità, quella sorta di tepore che s’insinua nelle case dove regna la
serenità così lontano dai suoi standard domestici.
-Io…-si schiarì la voce Reid dopo un po’.
Hotch lo interruppe –Gideon ha già chiamato. Sa che sei qui!-.
-Non voglio tornare da lui- esclamò Reid prontamente.
Hotch scosse la testa – ti è tornata la memoria?-.
Reid sobbalzò. Non si era aspettato che Hotch avesse intuito che i
ricordi gli stavano tornando –non proprio…-azzardò con cautela.
-Vieni con me, su vieni- gli disse Hotch incoraggiante,
tendendogli una mano.
-Qual è la cosa che ti ricordi meglio?- chiese Hotch dopo un po’.
-Il parco...io…mi ricordo il parco- esclamò subito Reid
sfiorandosi la tempia con una mano. Era tutto così confuso. Aveva la pistola e
poi non c e l’aveva più e l’orologio? Che fine aveva fatto l’orologio?
-Nient’altro?- chiese Hotch mettendo la freccia.
-No io non..- si sforzò Reid. Era inutile, non ricordava.
-Stavamo indagando su un pericoloso serial killer che decapitava i
frequentatori del parco-.
-E l’avete preso?- domandò per riflesso Reid. Non voleva che la
sua situazione personale avesse potuto influire sulle indagini.
Hotch annuì. Non era stato semplice però con lui e Gideon fuori
gioco…d’altra partenon esistevano, nel
loro mestiere, casi semplici.
-Non mi ricordo Hotch, non mi ricordo. E’ inutile che continui a
chiedermelo. Non ricordo. Maledizione, non ricordo-.
-Non puoi o non vuoi?-inquisì Hotch.
Reid lo fissò stupito. Come poteva pensare che non volesse
ricordare? Lui lo voleva, lo vole...E poi una fitta
alla testa lo trafisse letteralmente. Che male.
Vide se stesso, sudato, ansimante, consegnare l’orologio del padre
a un tizio col giubbotto di pelle nera.
Poi lui che si frugava in tasca, alla ricerca di qualcosa…Oh no…era
era…
E di nuovo, qualcuno che gridava con quanto fiato aveva in gola
davanti a una porta chiusa. Ma perché gridava così?
E chi c’era dietro quella porta? Perché tanto preoccupazione,
ansia, paura in quella voce?
-Devi aver pazienza…- stava dicendo Hotch –ritorneranno…nel
frattempo…-.
-Forse sono già qui- sussurrò Reid.
Hotch si voltò a fissarlo, prima di riportare la propria
attenzione sulla strada.
Reid chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
Niente. Tutto buio.
Si erano bloccati di nuovo.
-Non voglio tornare da Gideon. Mi stai portando lì vero?- chiese
Reid dopo un po’.
-Ti porterò ovunque vorrai, ma prima ascoltami- gli risposte
Hotch.
Reid ascoltò, anche se c’era una voce nella sua testa. Una voce,
un suono, qualcuno che singhiozzava.
-Gideon è stato l’unico tra di noi a venire a cercarti- stava
dicendo Hotch.
Ma Reid era distratto dalla voce, da quei singhiozzi soffocati e
strazianti di cui non aveva memoria.
Chiuse gli occhi.
Perché qualcuno piangeva così? Cosa poteva aver portato tanto
dolore?E perché non smetteva?
Voleva che smettesse, che la finisse. Perché non smetteva?
“Non tu, non tu...gli
altri sì, ma tu no!”.
Chi poteva essere?
E poi finalmente tutto tornò.
Gideon era lì, con lui, nella casa in cui aveva vissuto da bambino
e in cui non tornava più da anni.
L’aveva trovato.
Era lui quello che gridava e piangeva tenendolo tra le sue
braccia.
E anche allora, ricordava, in quello stato di dormiveglia e semincoscienza, aveva desiderato che la smettesse e avrebbe
voluto dirgli che non era colpa sua quello che era successo. E che era stato
lui, Reid, a volerlo. Che andava bene così, o forse no, che niente andava bene…ma
lui non c’entrava nulla…
-Reid?- domandò Hotch preoccupato –tutto bene?-.
Reid annuì.
Ora ricordava.
Quando l’auto di Hotch accostò lungo il vialetto di quel quartiere
residenziale, una figura che sedeva sui gradini della casa si tirò su.
Reid scambiò una breve occhiata con Hotch e gli sorrise.
Il giovane scese dall’auto e Hotch avviò il motore.
Reid percorse con passo veloce il vialetto di casa.
Gideon gli andò incontro.
Gli ultimi passi Reid li fece quasi correndo.
E si gettò tra le sua braccia, ancora prima che Gideon potesse
cominciare a scusarsi.
[Molto contenta che la ff vi stia piacendo, ormai però ci stiamo
avviando verso la fine
[Molto
contenta che la ff vi stia piacendo, ormai però ci
stiamo avviando verso la fine. Gideon è il mio personaggio preferito e per Reid
è davvero come un padre, secondo me. Per questo mi piace molto descriverlo]
-Latte in polvere??!-
fece Reid stupito girando tra le sue mani il piccolo contenitore cilindrico – è
il mio preferito!-.
-Reid…- cominciò
Gideon controvoglia. Sapeva che prima o poi sarebbe venuto quel momento –c’è
qualcosa di cui dobbiamo parlare-.
- Ah sì?- fece Reid
sul vago. Ma prese comunque posto al tavolo della cucina.
Gideon faceva fatica a
trovare le parole giuste –…senti…-.
-Se è per la
disintossicazione ho già pensato a tutto, stà tranquillo!-
Gideon lo guardò come
se lo vedesse per la prima volta.
-Sì, si può fare anche
qui! Non c’è nessun problema…-.
-No, no aspetta un
attimo tu...come…no che non si può fare qui- esclamò infine Gideon deciso –
devi andare in un centro qualificato, con cure mirate e…-.
-E una bella macchia
sul curriculum- finì per lui Reid sistemandosi gli occhiali.
-Ma tu hai bisogno di
aiuto, di specialisti, io non posso…tu devi andare in un centro…-tornò alla
carica Gideon.
-No- secco e deciso.
-Come?- fece Gideon
incredulo. Non gli aveva mai sentito usare quel tono prima di allora. Era
cambiato. Aveva qualcosa di diverso. Non era più il ragazzo geniale, ma
leggermente imbranato che lo rincorreva per i corridoi del Bureau con pile di
fascicoli in mano o che lo cercava per una partita a scacchi o per una
chiacchierata sui modus operandi
di killer seriali. No…niente di tutto questo vi era più, sostituito da quel
tono deciso che non ammetteva repliche.
-Ho detto no-
semplice, chiaro. Da non fare una piega.
- Reid…-sussurrò
Gideon.
- Vedo che hai dei
dubbi- usò un tono distaccato. Come se non si trattasse di lui, della sua
salute, della sua vita, ma di uno dei tanti casi da affrontare con la giusta
distanza per potervi intravedere al verità.
E la verità questa
volta era che Reid non aveva nessuna intenzione di farsi ricoverare e che,
anzi, voleva improvvisare un programma di disintossicazione forzata proprio lì,
in casa sua.
Se si fosse trattato
di qualcun altro forse avrebbe anche potuto prendere in considerazione la cosa
ma…
- Io non…- non sapeva
più cosa obiettare, Reid doveva averla studiata proprio per bene per prenderlo
alla sprovvista, così che lui non potesse opporvisi…o almeno non più di tanto –
tu non sai cosa significa… starai
malissimo …non…-
-Non si può. Sì,
questo l’ho capito benissimo. Ma d’altra parte è inutile. Lo faremo-.
Da dove gli veniva
tanta sicurezza?
-Senti Gideon… –
riprese Reid con quel tono pragmatico che ormai lo infastidiva- so che hai già
fatto tanto, ma adesso ti chiedo di fare un’ultima cosa per me. Entrambi
sappiamo che le nostre vite private sono sempre sotto la lente d’ingrandimento
di qualcuno, passate al setaccio. Per fare questo lavoro, bisogna avere un
certo… profilo. Come pensi che la prenderebbero le alte sfere sapendo che un
loro agente impiegato sul campo è in cura presso un centro di riabilitazione?
Svolgerebbero delle indagini…approfondite…e tutti finirebbero per rimetterci
solo per colpa mia-.
Gideon vedeva tutta la
perversa logicità di quel ragionamento. Tuttavia…
- Se tu adesso non mi
aiuti…se tu adesso non stai dalla mia parte…sarà stato tutto inutile -.
Gideon esitava ancora
e Reid lo capì.
Reid si schiarì la
voce prima di sferrare il colpo finale – e tu sei troppo buono, troppo corretto
e mi vuoi troppo bene per lasciare che questo accada-.
E poi non c’era voluto
molto per allestire il tutto, dal momento che Reid aveva già predisposto la
maggior parte delle cose.
Gideon aveva dovuto
provvede solo agli integratori, andando in ospedale e facendosi anticipare
alcune prescrizioni per Reid.
Lui, d’altro canto,
aveva fatto il resto e adesso, l’abitazione di Gideon sembrava un centro
rifornimento per sfollati da cataclismi vari. C’erano casse di cartone,
contenenti bevande e simili ovunque, nemmeno avessero dovuto barricarsi
in casa per un mese.
O forse era quello che
Reid aveva in mente.
-E’ perfetto!!- esclamò Reid osservando il panorama della
camera da letto di Gideon, trasformata all’occasione per le loro particolari
esigenze –direi che non manca nulla-.
Gideon gli scoccò
un’occhiata in tralice.
Alle sette, ora
prevista per l’inizio del loro esperimento, qualcuno suonò alla porta.
-Perfettamente in
orario!- esclamò Reid alzandosi dal divano.
-E adesso chi…- Gideon
non fece in tempo a finire la frase che JJ. comparve sulla soglia di casa.
-Hai coinvolto anche
lei??!!- strillò Gideon costernato.
-JJ si è gentilmente
offerta di darci una mano-.
Jj non disse nulla.
-Ci voleva qualcuna
che ehm…insomma- incespicò Reid sulla difensiva.
- Avanti andiamo-
esclamò JJ- prima che cambi idea-.
Il piano,
semplicemente era questo: Gideon e Reid sarebbero rimasti confinati nella
stanza della casa scelta da Reid come la più confortevole e logisticamente adatta. Jj avrebbe avuto le chiavi e, in ogni caso, per
qualsiasi emergenza, nella stanza c’era un telefono fisso da cui chiamare.
-Bene- esclamò Reid
risoluto – direi che è tutto in ordine. Possiamo cominciare-.
Aveva trasportato la
tv nella stanza e disposto un bel tappeto ricoperto da una cerata ai piedi del
letto. Voleva dare il minor disturbo possibile a Gideon, ammesso che questo
fosse ancora possibile.
-Un momento – esclamò
Gideon prima che JJ se ne andasse – primo: decido io se e quando lasciare la
stanza. Dal momento che abbiamo iniziato questa cosa dobbiamo finirla, ma non
voglio che succeda niente- e sottolineò queste ultime parole.
Reid annuì.
-Secondo, in caso
succeda qualcosa voglio un’ambulanza qui in non meno di 5 minuti. JJ predisponi
il tutto va bene?-
La ragazza annuì.
-E terzo, quando dirò
che è abbastanza, sarà abbastanza mi avete capito?-
Annuirono entrambi.
E così cominciò il
programma di disintossicazione voluto da Reid, con la complicità di Gideon.
Reid sedeva tranquillo
sul letto intento a seguire un documentario in tv. Gideon ancora non riusciva a
capacitarsi di quello che stavano facendo e di come lui avesse potuto
acconsentire.
-Br…disgustoso…-commentò Reid osservando lo schermo.
Gideon si sporse per
vedere meglio. Un leone stava facendo a pezzetti un’antilope. Si domandò come
potesse fargli ribrezzo quello spettacolo quando tutti i giorni si trovavano
davanti ben altro.
Fece un lungo sospiro
e tornò al suo libro sugli uccelli.
La serata trascorse
tranquilla. Per cena consumarono uno dei piatti pronti che aveva lasciato JJ.
quando Gideon si addormentò la luce della stanza era ancora accesa.
I guai cominciarono
verso le 4 del mattino, quando sentì Reid muoversi nel bagno.
Gideon scese dal letto
e bussò delicatamente alla porta –tutto bene?- era una domanda retorica, lo
sapeva, ma voleva solo accertarsi di come andassero le cose lì dentro.
Udì provenire uno
strozzato dall’interno della stanza –sì!-.
Poi Reid uscì e gli
sorrise stentatamente –solo un piccolo…-.
-già- fece Gideon
annuendo.
Reid si trascinò di
nuovo verso il letto e si stese in cerca di un po’ di pace.
-sicuro di star bene?-
fece Gideon con una lieve traccia di preoccupazione nella voce.
-Sì- bofonchiò Reid da
sotto le coperte –non devi…- ma non fece in tempo a finire la frase che, con un
gesto veloce scalciò via le coperte e corse di nuovo verso il bagno.
Gideon scosse al testa
oh certo, andava tutto a meraviglia.
Il sole era già alto
quando Reid si svegliò. Si stiracchiò un po’ –Oh, non me n’ero accorto…scusa-.
-Oggi non si lavora,
non c’è motivo di alzarsi presto- osservò Gideon dalla sua poltrona.
-già-.
-Ti ho preparato
qualcosa, uhm credo che ti piacerà…ah tieni devi bere…lo sai no?-.
Reid annuì un po’ a
disagio per tutte quelle premure.
Osservò Gideon
aggirarsi per la stanza mettendo in ordine e si schiarì la voce –Gideon…-
L’uomo si voltò
attento.
–Non…non ti è
mai venuta voglia di…incontrare tuo figlio?- trattenne il respiro in attesa.
Era da tempo che voleva rivolgergli questa domanda, ma non c’era mai stata
l’occasione, non che quella fosse la situazione ideale, ma…ad ogni modo sarebbe
spettato a Gideon come interpretare quella domanda.
Gideon si fermò e lo
fissò un po’stupito –sì certo…-.
-Ma non l’hai mai
fatto vero? Perché?-.
Gideon prese tempo,
rimboccando un cuscino –ho sempre pensato che…insomma non ne avevo il diritto.
Sono uscito dalla sua vita molto tempo fa e…-.
-Non hai mai pensato
che, non so lui avesse bisogno di te?- domandò ancora Reid
Altra pausa –sì, ma
non…vedi è complicato…da quando ho deciso di andarmene, ho dato un taglio
definitivo a tutti i rapporti che avevo e poi ho pensato che non sarebbe stato
giusto da parte mia…-.
-Capisco- fece Reid
meditabondo.
-Perché questa
domanda?- fece a sua volta Gideon.
Reid fece spallucce
–niente, solo curiosità…-.
-Oh andiamo, scommetto
che era da tempo che volevi farmela-.
-Non ti sfugge niente
eh?- osservò Reid con un sorriso –pensavo a mio padre- esclamò Reid
mordendosi un labbro.
Gideon si fece più
attento.
-Pensavo a tutte le
volte che abbiamo avuto bisogno di lui e…- scrollò le spalle –bè adesso sono contento che non
ci sia-.
Gideon sorrise – un thè?-.
Si trovava al buio,
intrappolato, di nuovo.
Senza via d’uscita, solo
una voce, nell’oscurità che gli sussurrava che poi sarebbe stato meglio, che
sarebbe andato tutto bene, se solo lui…
Si svegliò in un bagno
di sudore.
Aveva anche i brividi.
Allungò una mano per
bere un sorso d’acqua, ma si accorse che gli tremava. Non voleva accendere la
luce per non svegliare Gideon.
Così finì con l’urtare
il bicchiere che cadde a terra rompendosi in mille pezzi. Il trambusto destò
Gideon.
-Mi dispiace…-
sussurrò Reid inginocchiato vicino ai cocci sparsi sul tappeto.
Gideon scosse la testa
–lascia, faccio io…-.
Reid si scostò.
-…Ma tu stai tremando…
avanti torna a letto-.
-No...io non…- e poi
cominciò a vedere tutto sfuocato e dovette sedersi.
Gideon raccolse tutti
i vetri in un sacco, poi prese un termometro-tieni…-.
Reid tornò sotto le
coperte.
E sognò: ombre scure,
che lo attorniavano, poi il volto di Tobias a terra, morente.
Non si accorse di
stare gridando, finchè non
aprì gli occhi scosso dalla mano di Gideon –ehi Reid, svegliati sù…va tutto bene…-.
-Io non…- mormorò…- mi
viene da vomitare!-.
Quando di su liberato
sussurrò un –mi dispiace…ho fatto un altro casino!-.
-Non preoccuparti-
fece Gideon sedendosi sul bordo del letto –sapevamo che non sarebbe stata
facile no?-.
Reid scosse la testa.
-Io…ho sognato…- si
morse un labbro incerto -ero ancora lì…e non…-
-Non c’è bisogno che…-
- No,voglio
raccontartelo…è sempre così che comincia e…non riesco…- si grattò un braccio e
continuò –mi terrorizzano, quei sogni...e… allora…so che non c’è una
giustificazione per quello che ho fatto, però…-.
Gideon ascoltava in
silenzio. Capiva fin troppo bene quello che gli stava succedendo, tuttavia non
poteva farci niente -andrà meglio vedrai-.
Reid lo guardò negli
occhi: voleva crederci anche lui.
Gideon gli rimboccò le
coperte –ora cerca di dormire-.
Gideon fissava
l’oscurità circostante e ascoltava il respiro regolare di Reid. Lo calmava.
L’ultima crisi era
stata piuttosto dura, ma finalmente sembrava essersi addormentato.
Ancora una volta si
domandò come poteva permettere una cosa simile.
Forse perché non aveva
capito fin dall’inizio cosa stava accadendo a Reid, quando ancora avrebbe
potuto fermarlo, farlo ragionare …forse…Hotch gli avrebbe detto di no, che non
si poteva ragionare con un drogato. Quello che era successo era anche colpa
loro, inutile negarlo. Avrebbero dovuto accorgersi che qualcosa non andava e
invece…avevano fatto finta di niente…credendo che sì certo, aveva dei problemi,
ma che li avrebbe potuti risolvere da solo, perché Reid non era come tutti gli
altri ragazzi della sua età…era diverso. Qualche volta Gideon desiderava che
non lo fosse.
Se fosse stato suo…
Gideon scacciò
quell’idea. Reid era un suo collega, un amico a cui teneva molto, ma sì, doveva
ammetterlo, non poteva nascondere l’affetto che provava per lui. E nemmeno
voleva farlo.
-Penserò io a te-
sussurrò prima di addormentarsi sulla poltrona.
E finalmente il capitolo finale di questa lunga storia
E finalmente il capitolo finale di questa lunga storia. A tutti
quelli che si sono commossi, a tutti quelli che hanno resistito fin qui, a tutti
quelli che si sono divertiti a leggere questa fan fiction un sentito GRAZIE.
Doveva uscire.
Doveva uscire.
Uscire da quella stanza, da quelle mura.
Assolutamente e a ogni costo.
Percorse con una mano le finiture della porta: niente. Chiusa
ermeticamente. Provò a forzare la serratura facendo il minor rumore possibile.
Poi, non riuscendoci cominciò a tempestarla di pugni –fatemi
uscire, voglio uscire voglio uscire!!! Mi sentite??Voglio uscire!!- gridò.
Non si fermò nemmeno dopo che due braccia robuste lo trascinarono
via.
-Lasciami, voglio uscire- esclamò riconoscendo Gideon che lo
tratteneva –mi hai sentito? Non voglio più stare qui!! fammi uscire-. Aveva un
unico pensiero fisso: quello di una dose.
-Reid mi senti? Ascolta va tutto bene, ascolta…-.
Ma lui lo spinse di lato e si buttò di nuovo contro la porta,
prendendola a spallate –eh apriti!!!!-
-Reid fermo!!- Gideon lo strattonò di nuovo via.
Era in uno stato pietoso, febbricitante, scosso dai brividi e in
astinenza.
-Così finirai col farti male!!-.
-Voglio uscire, per piacere Gideon, fammi uscire- piagnucolò Reid
afferrandogli un braccio- per favore per favore, poi farò tutto quello che
vorrai, ma fammi uscire…io ho bisogno di uscire, per favore…-.
Gideon scosse la testa. Ecco, c’erano arrivati.
-Solo un momento eh? Solo un momento, solo 5 minuti. Non riesco,
non posso stare qui, ti prego-.
Per quanto lo pregasse però Gideon sapeva di non poter esaudire le
sue richieste –non posso...io non…-.
-E allora vuoi dirmi a cosa mi servi??- gridò il giovane
infuriato. Cominciò ad aggirarsi per la stanzaa lunghe falcate, come un leone in gabbia, torturandosi il braccio.
-Reid non devi fare così-.
Ma sapeva che non lo stava nemmeno ascoltando.
-Io io mi sono fidato, mi fidavo…voglio uscire per favore-.
Di nuovo quella richiesta.
L’unica che non poteva esaudire.
-Per favore-.
E andò avanti così per le successive ore.
-Dove sono?- domandò debolmente cercando di aprire gli occhi.
Ormai anche quel gesto costituiva un grande sforzo da parte sua. Preferì
tenerli chiusi.
-Sei a casa mia- esclamò Gideon passandogli una pezza bagnata
sulla fronte.
-Ho freddo- sussurrò il giovane.
-Lo so…- aveva già addosso tre coperte.
-Io…non non…riesco a –.
-Shh va tutto bene- fece Gideon a bassissima voce.
-Mi fa male tutto-.
-Mi dispiace, ma vedrai passerà e tornerai a stare bene-.
Reid annuì.
Aveva crampi ovunque e il senso di spossatezza non gli permetteva
di pensare. Ormai la nausea andava e veniva.
-Gideon…- bisbigliò Reid con quel poco fiato che gli restava
–grazie-
-Non c’è di che…-.
Reid si rigirò tra le coperte.
Sentiva qualcosa agitarsi alla base del letto e si tirò su a
sedere. Intorno l’oscurità. Gideon dormiva sulla brandina
lì a fianco.
Notò che qualcosa si muoveva tra le coperte.
Balzò in piedi gridando: era pieno di ragni, enormi, giganteschi,
orrendi.
Stava cercando di scrollarseli di dosso quando udì la voce di
Gideon arrivare da lontano, come da un altro pianeta.
-…basta…Reid..basta!!!-.
Ma erano dappertutto e non serviva a niente scrollarseli di dosso.
-Reid così ti farai male!!!!!!!!-.
-Ora va meglio?- domandò Gideon fasciandogli un braccio.
Reid si strofinò gli occhi e annuì.
-E questa volta cerca di non farla saltare ok?-.
Annuì di nuovo, piano.
Sedeva sul bordo del letto, completamente svuotato –non…-sussurrò
debolmente.
-Come? Cos’hai detto?- fece Gideon avvicinandosi.
-Non ce la faccio…non...non ci riesco mi dispiace-.
-Te la stai cavando alla grande- gli rispose Gideon.
Reid tacque per un po’, per recuperare le forze, poi continuò –no…non
ce la faccio più- rialzò la testa di scatto, gli occhi lucidi, iniettati di
sangue –non ci riesco-.
Gideon lo guardò a lungo – Sai cos’abbiamo deciso all’inizio
vero?-.
Reid annuì.
-Tu puoi farcela Reid, puoi, ne sono sicuro, ne sono certo…-
esclamò Gideon mentre il giovane scuoteva la testa.
-E invece no, non sono …non sono abbastanza forte…- biascicò Reid
avvolgendosi intorno la coperte sopra le spalle.
-Ah sì? È così?- esclamò Gideon tirandosi su – è questo che vuoi
davvero? Vuoi uscire?-.
–S-si…-
-Bene? Ti comunico che non è possibile-.
Lo fissò stralunato – Jj…-.
-Oh se alludi al telefono è staccato. L’ho fatto staccare io-.
-ma…- Reid non riusciva a capire.
-Ti ho fregato!- fece Gideon allargando le braccia.
-Tu hai…- Reid era incredulo, che potesse essere così incosciente,
non se l’era immaginato –hai staccato il telefono tu… ma che diavolo ti passava
per la testa? E se avessimo bisogno di aiuto e se…oh maledizione!!!!!!!!-.
Gideon continuava a sorridere.
Ed era quello a dargli più fastidio. Non poteva sopportarlo.
-Tu..tu… hai…- quel sorriso, quel
dannatissimo sorriso.
Gli fu addosso prima che potesse rendersene conto. Menava colpi
alla cieca.
-Ehi, ehi calma, calma- Gideon gli afferrò i polsi, lui cercò di
liberarsi, inutilmente –se hai ancora tutta questa forza- osservò mentre Reid
ancora cercava di liberarsi…
-Lasciami!-
Gideon lo mollò all’istante.
Reid stava ansimando, lo sforzo lo aveva privato di tutte le
energie
-era tutto un trucco…fin dall’inizio-.
Gideon gli strizzò un occhio –avanti, è quasi ora di cena-.
E poi cominciarono i dolori, fitte lancinanti da lasciare senza
fiato.
L’ultimo capitolo di un lungo percorso, forse.
Sapeva di non potergli dare niente.
L’unica cosa che poteva fare era assistere, passargli qualche
volta una asciugamano bagnato sul volto, mormorargli qualche parola.
Niente di più.
Si ripeteva che questo era meglio che vederlo andare sempre più a
fondo, vederlo rovinarsi la vita, la carriera…
Ma era dura comunque.
Gideon si passò una mano tra i radi capelli.
Se avesse potuto invertire i loro ruoli l’avrebbe fatto senza
esitazioni.
Ma non era possibile.
-Gideon…- una voce tenue, quasi soffocata.
-Ehi..- fece Gideon avvicinandosi.
Non gli chiese nulla, sapeva che parlare gli costava fatica.
-Ho-ho fatto un casino vero?-.
-Come?...ma no, non..certo che no, non
potresti mai…-.
-S-so che è così-.
Gideon lo fissò stupito –Reid…-.
-Lo so e se voi non mi voleste più…- ebbe un accesso di tosse che
non gli permise di finire la frase.
Gideon gli regalò uno dei suoi rari sorrisi –non importa- fece
accarezzandogli la testa – non importa, non ce l’ha con te. Nessuno di noi-.
-E mi sono comportato male anche con Hotch e…con-con
te- continuò il giovane in tono preoccupato.
-Sta’ tranquillo- sussurrò Gideon.
Reid annuì mordendosi un labbro e chiuse gli occhi troppo spossato
per rispondere.
Cadde in un sonno pesante e agitato.
Strane figure si agitavano nell’ombra.
Una di queste era sua madre.
Ma non era felice di vederlo, tutt’altro.
Sembrava arrabbiata con lui.
Reid le si avvicinò, ma lei indietreggiò.
–Mi hai abbandonata- fece la donna allontanandosi da lui.
-No io non…-
-Non volevi? Dì la verità, non vedevi l’ora di liberarti di me
eh?-
- NO!! Io non volevo io non…-
-Non volevi eh!- ribattè lei in tono
aggressivo.
-Non potevo fare nient’altro io…ero solo un ragazzo, non potevo
prendermi cura di te-.
-E mi hai fatta rinchiudere in un posto che odiavo. Che cosa
faresti tu se ti chiudessero in un posto che odi eh?-.
-Io non…- sussurrò Reid confuso…-mi dispiace mamma- era tutto
quello che gli veniva in mente in quel momento –mi dispiace, io…mi-mi
dispiace…-.
Ma lei non voleva saperne –mi hai deluso Spencer!-
-No… non mi dispiace, mi dispiace mi dispiace ti prego…- le urlava
tra le lacrime –non volevo, perdonami…-
Ma lei aveva deciso.
-Perdonami!!perdonami!perdonami!!!!!!!!-.
Gideon fu svegliato da quelle urla lancinanti.
Il suo primo istinto fu quello di accendere la luce.
Reid era in piedi, sanguinante da un braccio.
-Reid calmati- fece Gideon avvicinandoglisi
piano e parlando a bassa voce.
Il giovane si ritrasse in un angolo, appoggiandosi contro la
parete e lasciandosi scivolare a terra.
Era in uno stato pietoso.
-Reid mi senti? Sono io, Gideon…- sussurrò l’uomo inginocchiandosi
cautamente vicino a lui –va tutto bene…-.
-No…-singhiozzò lui – non andrà bene, non andrà mai bene, mai
più…-.
-No, non devi pensarlo, ce l’hai quasi fatta, tu…-
-Non è questo!!!!!!-.
Per un momento Gideon si chiese di che altro si trattasse e poi
capì.
-Lei, lei non mi vorrà, l’ho delusa io…-.
-Reid…- mormorò Gideon passandogli delicatamente un braccio
intorno alle spalle e tirandolo a sé – lei non ti odia-.
-Ma io l’ho fatta rinchiudere Gideon, io l’ho mandata via. È colpa
mia, lei non mi perdonerà mai…-.
Lo sentiva tremare accanto a sé, probabilmente era anche la febbre
a farlo delirare. Però sentiva che quelle parole avevano un fondamento, che
facevano parte di qualcosa che si agitava da qualche parte, nella sua mente. Da
sempre. O almeno da quanto lo conosceva lui.
Per un istante si chiese se l’avesse conosciuto prima…le cose
sarebbero potute andare diversamente?
Ma non era il momento di addentrarsi nel regno delle supposizioni.
Tutto quello che doveva fare era cercare di capire.
Non poteva avere la pretesa di aggiustare tutto, da tempo aveva
rinunciato… quello che poteva fare meglio era solo ascoltare.
-Lei, lei non mi perdonerà, mai- singhiozzò Reid.
-Invece sono sicuro che ha capito e che semmai lo farà meglio
quando glielo spiegherai tu, di persona-.
-No- rispose Reid scuotendo violentemente la testa –non posso io…-
-Certo che puoi, lei ti ascolterà. Ne sono sicuro. E se le hai
fatto un torto, capirà e ti perdonerà-.
Reid lo guardò per un breve momento, le labbra serrate.
Poi riabbassò lo sguardo a fissare il braccio destro
-perché dovrebbe farlo?- mormorò tirando su col naso.
- È tua madre-.
-Ma l’ho tradita e…-
Gideon scosse la testa –devi lasciar farea lei-.
Reid tacque per un po’, poi aggiunse – e…che-che cosa dirà di
questo?- disse sommessamente alludendo al braccio
–dirà che sono stato debole, che…-.
-Reid!!-
-Reid guardami!-.
Ma lui non aveva nessuna intenzione di guardarlo negli occhi,
perché vi avrebbe letto il disprezzo per quello che aveva fatto a se stesso. Lo
stesso disprezzo che aveva visto sul volto di sua madre, in sogno.
E non poteva sopportarlo, da chiunque altro sì, ma non da Gideon.
Non da lui.
Gideon allora gli afferrò delicatamente il polso –non sempre ci
comportiamo da persone sagge, non sempre facciamo le cose giuste, né siamo
sempre forti abbastanza, ma…-
Redi ricominciò a piangere.
-ma possiamo rimediare, fare meglio e le persone che ci vogliono
bene capiranno e ci perdoneranno-.
Voleva crederci.
Desiderava crederci.
Rialzò la testa e non vi lesse né disprezzo, né pietà, ma
qualcos’altro, qualcosa di molto simile all’affetto.
Appoggiò la testa alla spalla di Gideon e chiuse gli occhi.
Sapeva che Gideon sarebbe rimasto lì con lui, che non l’avrebbe
lasciato.
Tre mesi dopo
- Bene, allora io…entro… sì giusto…entro- fece Reid torturandosi
le mani, davanti agli scalini dell’edificio.
Gideon era in piedi vicino a lui, intento a guardarsi intorno:
prati verdi e panchine di legno, una perfetta oasi per trovare un po’ di pace.
Annuì incoraggiante.
Reid fece per suonare il campanello, arrivando a pochi centimetri
dal pulsante. Poi si fermò e si voltò verso di lui mordendosi un labbro – e…e
se non mi vuole vedere?-.
Gideon spalancò le braccia –Ti aspetterò-.
Reid annuì, mosse qualche passo, poi si voltò di nuovo –e se…-.
Gideon lo guardava sorridendo e anche lui sorrise a sua volta.
Poi varcò la soglia della casa di cura dove viveva sua madree sparì dietro la porta.
Gideon rivolse il suo sguardo in su, ad osservare il cielo limpido
attraversato da stormi di rondini che tornavano al loro nido e pensò che era
proprio una bellissima giornata.