A volte i sogni si avverano

di blackthornssnaps
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memorias ***
Capitolo 2: *** Revelationibus ***
Capitolo 3: *** Omnes Somnis (tutti i miei sogni) ***
Capitolo 4: *** Initium ***
Capitolo 5: *** Reunion ***
Capitolo 6: *** Confessiones ***



Capitolo 1
*** Memorias ***


Memorias
 
La guerra era finita.
Gea, la Madre Terra, finalmente sconfitta.
 L'Olimpo, sia quello sull'Empire State Building, sia l'originario Monte Olimpo in Grecia, era di nuovo in salvo.
La Grande Profezia si era compiuta.
Le Porte della Morte di nuovo chiuse.
 I semidei avevano imparato a fidarsi gli uni degli altri.
Greci e Romani erano finalmente una squadra, dopo secoli di lotte e divisioni. Tutto era finito per il meglio.
Jason, Piper, Hazel, Frank e perfino Leo avevano consolidato i loro rapporti.
E Percy aveva chiesto ad Annabeth di sposarlo. È stato un momento magnifico.
Durante la loro spedizione in Grecia, Annabeth aveva insistito per vedere il Partenone dal vivo. Era il suo sogno e lui lo sapeva. Era stata proprio lei a dirglielo durante la loro prima impresa a 12 anni, quando gli aveva confessato di voler diventare un architetto.
Percy non aveva mai visto Annabeth in quel modo. Anche normalmente era bellissima, ma in quel momento, per lui, lo era ancora di più. Avevano entrambi la solita divisa, un paio di jeans e la maglia arancione del campo, ma questa volta lei aveva lasciato sciolti i capelli e i suoi riccioli, perciò, le ricadevano sulle spalle. I suoi occhi grigi, solitamente minacciosi, brillavano di stupore e ammirazione. Si vedeva che era felice. E come poteva non esserlo? Aveva raggiunto un obiettivo e realizzato una parte del suo sogno.
Percy sapeva che quello era il momento giusto. Non riusciva a spiegarsi come, ma lo sapeva.
Aspettò che finissero il giro, ascoltando la sua ragazza che gli descriveva l'architettura di quel posto. L'ordine delle colonne, i capitelli, il fregio, il frontone, le sculture che lo adornavano e che si rifacevano alla mitologia... Tutte cose che ovviamente Percy non capiva e che sicuramente non avrebbe ricordato. In realtà non si sforzava nemmeno di farlo. La lasciava parlare annuendo ogni tanto, giusto per non darle l'impressione che non gli importasse, e la guardava. A lui bastava quello. Guardarla.
Una volta finite le spiegazioni, le prese la mano e la portò lontano dai turisti e dai loro compagni di viaggio, ma in modo che potessero comunque ancora vedere il Partenone.
Lei lo guardò a metà tra spaventata e stupita, non riusciva a capire che cosa quello stupido del suo ragazzo avesse in mente (e lei odiava non sapere le cose), ma Percy, invece, sapeva quel che faceva, per una volta in vita sua.
- Ti ricordi quando mi hai detto di voler diventare architetto? Eravamo sotto il Gateway Arch, e tu hai detto che avresti voluto costruire qualcosa che sarebbe durato per migliaia di anni, giusto? - chiese lui. Sapeva di aver ragione, ma voleva comunque una conferma da parte della ragazza.
- Sì, è vero. Ma Percy, cosa c'entra ora... - Non riuscì a finire la frase che il suo fidanzato s’inginocchiò davanti a lei, senza lasciarle la mano.
Ad Annabeth mancò il respiro.
- C'entra perchè... - fece una pausa, mise la mano libera in tasca e tirò fuori una scatolina di velluto blu. Fece un bel respirò e proseguì.
- ... Perchè voglio costruire anch’io qualcosa di permanente. Però con te. Annabeth... mi..mi.. mi-vuoi-sposare?- e aprì la scatolina.
Al suo interno non c'era il solito anello con diamante, no, troppo generico. Annabeth era unica, e meritava qualcosa di unico come lei.
C'era un anello certo, ma era di finissimo oro bianco tutto intrecciato, forgiato dai ciclopi nelle fucine del regno di suo padre, Poseidone. E incastonati vi erano minuscoli frammenti di zaffiri e smeraldi, provenienti dalle grotte affondate negli abissi. Non era un anello sfarzoso e impegnativo, Percy se ne rendeva conto, ma se lo fosse stato alla sua ragazza non sarebbe piaciuto. Al contrario era un gioiello molto fine ma scintillante ed era perfetto per Annabeth, perchè rispecchiava proprio il suo modo di essere.
La ragazza per poco non svenne. Non solo per l’anello, o la proposta, ma anche per quello che Percy aveva detto. Non poteva crederci. Non riusciva a dire una parola, ma in qualche modo sillabò un ‘Si, certo’ con un fil di voce.
Appena Percy si alzò, lei gli saltò al collo. Intrecciò le braccia dietro di lui, probabilmente lo stava strozzando, ma non poteva farci niente. La sua gioia era troppa.
Lo lasciò andare un secondo, giusto il tempo di fargli riprendere fiato.
Poi lo baciò. Come mai prima, un bacio romantico che fondeva insieme una tempesta di emozioni, mentre le lacrime le rigavano il viso. Non poteva fermarle. Non aveva più il controllo dei suoi sentimenti. Sapeva solo che amava il suo Testa d’Alghe. E le bastava.
Quando si staccarono, si guardarono per un attimo solo, anche se persa nel verde dei suoi occhi, ad Annabeth sembrò fosse passato un secolo.
Poi Percy le sorrise, e le mise l’anello al dito.
Era tutto assolutamente perfetto.
E ora che tutto era in pace, potevano liberamente stare insieme. Al campo o nel mondo reale, non importava.
E Percy stava ripensando proprio a questo nella sua cabina quella notte, prima di addormentarsi.
Eppure c’era qualcosa che non andava…
 
**********************************************************************************************************
 
Percy si svegliò stordito quella mattina. Si sentiva stano e confuso.
Avrebbe dovuto essere allegro e pronto a qualunque cosa. Avrebbe dovuto essere la persona più felice del mondo. Aveva sognato Annabeth, anzi no. La sua Annabeth. E appena uscito dalla cabina, l’avrebbe rivista, ma...
Lui non era nella cabina 3. No, non era proprio al campo.
E non era nemmeno a casa sua.
Era sdraiato in una stanza strana..
Era sdraiato in un letto di ospedale.
Ed era solo.








ANGOLO AUTRICE!
Ciao a tutti!! Mi chiamo Becki, e questa è la mia prima fan-fiction in assoluto! All'inizio non volevo pubblicarla, ma poi mi sono lasciata convincere!
Parliamo un po' della storia. L'idea mi è venuta mentre guardavo le fan-art su internet. Ne avevo vista una in cui Percy era inginocchiato davanti ad Annabeth davanti al Partenone, e un'altra dove si chiedeva la reazione di ogni fan di questa saga se Rick decidesse di far finire l'ultimo libro di Eroi dell'Olimpo con Percy che ha sognato tutto! Io penso che andrei in America solo per farlo fuori! (Ma questo non c'entra nulla..) Allora ho pensato di seguire questo filo conduttore e creare una nuova storia incentrata sulla Percabeth <3 (perchè si io AMO Percy e Annabeth!) La prima idea era di creare una one-shot, ma poi mi sono lasciata prendere la mano e, dato che dovevo assolutamente raccontare nei dettagli di come Percy si dichiara, mi è uscita una storiella a capitoli! Ho già una prima stesura del secondo pronta, aspetto un po' di commenti su questo per sapere come sono andata, e se la storia piace soprattutto!
Altri chiarimenti che ci tengo a fare: diciamo che può essere considerata come un piccolo spoiler, ma in realtà non ne sono tanto sicura, anche perchè corrono voci su una proposta di matrimonio in Mark of Athena, e io ho letto fino a Son of Neptune per ora, perciò non saprei dirvi.. Un'altra cosa che vi posso dire è che mette insieme varie idee prese da vari libri che ho letto, ma non è da considerarsi un crossover.. E che altro dire? Niente, spero vi piaccia e recensite perchè davvero è la prima volta che pubblico e vorrei sapere che ne pensate! Bacio *--*
Becki <3

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Capitolo 2
*** Revelationibus ***


Revelationibus

Quando Percy aprì gli occhi quella mattina, ci mise un po’ per capire che c’era qualcosa di strano.
Aveva ancora in mente il bel ricordo della fine della guerra, del ritorno al Campo Mezzosangue e il viso di Annabeth con i suoi occhi grigi. I suoi meravigliosi occhi grigi. Ci si perdeva sempre. Ogni volta che la guardava. Poteva essere arrabbiato con lei o distrutto da un combattimento, ma ogni volta che posava, per sbaglio o per abitudine, lo sguardo in quello di lei, il suo cervello andava in tilt. Dimenticava tutto. Contava solo quella particolare sfumatura di fumo. Li aveva visti un’infinità di volte, ma non importava. Ne rimaneva incantato costantemente.  A volte anche solo pensandoci.
Come in quel momento.
Malvolentieri riuscì a scacciare la visione della sua fidanzata e mise a fuoco lo strano posto in cui si trovava.
Di sicuro non ci era mai stato.
Era sdraiato su un letto con lenzuola bianchissime e accanto a lui c’erano una decina di monitor che segnalavano ogni minimo cambiamento del battito cardiaco, della pressione, del respiro…
Per il resto la stanza era molto piccola. Le pareti erano di un verdolino chiaro, molto freddo come colore, verso l’alto erano collocate piccole finestrelle, mentre sul muro di fronte a lui si apriva una grossa vetrata, anche se a quella Percy non prestò molta attenzione.
Si era, infatti, appena accorto di indossare una specie di tunica (anch’essa rigorosamente bianca) con triangoli verdi e blu stampati sopra.
Inoltre aveva un tubicino nel naso, fermato con del nastro adesivo sulle guance, per impedirgli di spostarsi. Come si chiamava? Ah sì, respiratore. E sulle braccia erano infilati aghi di ogni genere.
 “Flebo, probabilmente” pensò lui.
Era decisamente in un ospedale, ma Percy non riusciva a capire perché.
Non ebbe molto tempo per pensarci, comunque.
Appena riuscì a rendersi conto di quel che stava succedendo, la porta della stanza si spalancò ed entrarono tre persone.
Una di loro, sicuramente un dottore, aveva una cartellina in mano, una penna nella tasca e un lungo camice bianco.
Le altre due persone erano un uomo e una donna. L’uomo aveva i capelli biondi tagliati molto corti, e due profondi occhi azzurri. Non un azzurro intenso, no, piuttosto era un colore chiarissimo, quasi grigio.
La donna invece aveva lunghi capelli castani, mentre i suoi occhi… stavano lacrimando.
Non sembrava triste, anzi. Sorrideva, e nello stesso tempo piangeva.
Dopo due secondi Percy si ritrovò stritolato dal suo abbraccio. Ma a lui piaceva. Adorava gli abbracci della madre.
-       Bambino mio! Oh, non ci posso credere. Avevamo quasi perso le speranze! Come… come stai, tesoro? Ti ricordi chi sono?
-       Certo, mamma. Come potrei dimenticarmi di te? – Percy non pensava di aver detto qualcosa di sbagliato, ma Sally, sua madre, scoppiò di nuovo in lacrime.
L’uomo che era con lei l’abbracciò, mentre il dottore staccò il respiratore e sentenziò:
-       È davvero un miracolo e di questi tempi ne capitano davvero pochi. Pare che il ragazzo stia bene, e che durante il risveglio non ci siano state complicazioni di alcun genere, ma vorrei comunque tenerlo qui in osservazione ancora qualche giorno. Ora, beh vi lascio un po’ da soli.
Salutò con un cenno e sparì.
Percy guardò sua madre. Era seduta e stava ancora singhiozzando mentre gli stringeva la mano. Odiava vederla in quello stato. Nonostante tutto quello che aveva passato, era una donna forte, e ora si vedeva che era a pezzi.
Poi si girò verso l’uomo che la stava ancora consolando e gli venne un colpo.
Possibile che non l’avesse riconosciuto prima?
Era il sig. Chase, il padre di Annabeth. Ma allora lei dov’era?
Stava per chiederlo, quando si ricordò della madre. Prima doveva tranquillizzare lei.
-       Mamma, io non volevo farti star male. – disse, stringendole la mano più forte.
-        Dove sono? Perché sono in un letto d’ospedale? Che cos’è successo?
-       Sally, vi lascio un po’ da soli. Hai bisogno di stare con tuo figlio. Ha diritto a delle spiegazioni. Se avete bisogno, sono qui fuori. –  e detto questo, il sig. Chase uscì a sua volta dalla stanza.
-       Mamma… - Percy non riusciva a parlare, non riusciva a capire, né tantomeno a ricostruire i fatti. L’ultima cosa che ricordava era di essersi addormentato sul letto della cabina 3 al campo, dopo la serata di festeggiamenti.
Com’era arrivato in ospedale? E dov’erano Paul, il fidanzato della madre, e Annabeth?
Era sconvolto e confuso, e vedere sua madre distrutta mandava in frantumi anche quel briciolo di forza che gli era rimasta.
Fu Sally a rompere il silenzio. Si era calmata e aveva iniziato a parlare al figlio con dolcezza.
-       Tesoro, non ricordi nulla di quello che è successo?
Percy stava per raccontare che si ricordava tutto per filo e per segno, ma qualcosa gli fece capire che sua madre si riferiva al ricordare com’era finito in quel posto. E lui questo non lo sapeva. Tipico di lui, non pensare mai prima di parlare. Almeno stavolta si era fermato in tempo, prima di dire una stupidaggine.
Guardò Sally e scosse la testa. Così lei cominciò a spiegare:
-       Stavamo tornando a casa, eravamo usciti per festeggiare la fine della scuola…
Fine della scuola? Com’era possibile? Probabilmente era una scusa perché ovviamente non poteva dire davanti ai mortali di avere un figlio semidio che ha appena combattuto una guerra. Forse, anche se la stanza era deserta, qualche medico ascoltava tutto quello che si dicevano tramite appositi apparecchi elettronici, per assicurarsi che, nel caso fosse stato male, qualcuno lo avrebbe soccorso subito. Sally però era così seria. Sembrava davvero convinta di ciò che diceva, così Percy decise di lasciarla continuare.
-       … Eravamo in macchina e c’è stato un incidente. Un tizio ubriaco ci è venuto addosso. La macchina è saltata in aria. Io ho perso conoscenza. Quando mi sono svegliata, ero qui. Il dottore ha detto che stavo bene, che avevo sbattuto la testa, ma che non avevo subito danni gravi. Però… - i suoi occhi divennero lucidi.
Fece un respiro profondo e proseguì.
-       Però… mi dissero che… Percy mi dispiace molto! Tuo padre è morto nell’impatto, non hanno potuto fare niente. Mentre tu, avevi subito un forte trauma cranico e sei finito in coma per colpa di un’emorragia. I medici pensavano non ti saresti più svegliato.
A Percy crollò il mondo addosso.
Non ci credeva.
Ok, la storia del “padre morto” non aveva molto senso. Suo padre era un dio. Non poteva morire. Però penso che si riferisse a Paul, che era stato come un secondo padre per lui.
Gli girava la testa. Non ci capiva nulla.
Non aveva la forza di parlare, si sentiva svenire, ma riuscì comunque a formulare debolmente una domanda, quella che gli ronzava di più in testa.
-       Da… da quanto tempo sono in coma esattamente?
-       Dall’ultimo giorno di scuola, di quando avevi 12 anni.






ANGOLO AUTRICE!!
Ed ecco il secondo capitolo! Ok, non chiedetemi cosa mi sia venuto in mente di scrivere i titoli in latino, non lo so nemmeno io. Considerato poi che io non studio latino!
Comunque, in questo capitolo viene descritta la reazione di Percy nel trovarsi in un ospedale, e inizia a essere spiegato come mai ci è finito! Il sig. Chase è lì per un motivo ben preciso, perché posso anticiparvi che la bella Annabeth farà poi la sua comparsa! (mi pare ovvio dato che è una percabeth, anche se ancora non si capisce molto). Altro che dovrei precisare è che Percy ha 17 anni, come se la guerra fosse appena finita sul serio, e beh metaforicamente lo è, ma non sono qui per fare la filosofica. Spero di aver chiarito tutto, nel caso non ci fossi riuscita recensite e fatemi domande! Beh recensite anche solo per dirmi se la storia per ora vi piace, a me fa piacere. E un ringraziamento a quelli che hanno recensito, e messo la storia tra seguite/ricordate. Grazieeee :3 Al prossimo capitolo! *smack*
Becki_diAngelo
p.s. : si amo alla follia Nico *--*, oltre alla percabeth! (ma anche questo si era capito xD)

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Capitolo 3
*** Omnes Somnis (tutti i miei sogni) ***


Omnes somnis (tutti i miei sogni)

No.
Questo non aveva senso.
Non poteva essere vero. Lui era stato al campo quel giorno.
L’incidente è stato colpa del Minotauro, il primo mostro che ha affrontato.  Ma…  Suo “padre” non era in macchina quel giorno. Paul e Sally non si erano ancora conosciuti e Gabe, beh Gabe era ovviamente a casa a giocare a poker. Di cosa stava parlando sua madre allora?

- Percy, tesoro – disse Sally – lo so che è una cosa difficile da accettare..

- Difficile? No, no tu ti stai inventando tutto, lo so. Non mi vuoi dire la verità per via dei mortali. Lo capisco, ma non mentire per favore.

Percy era sconvolto. Non accettava ciò che gli avevano detto.
E come poteva farlo? Significava che si era immaginato tutto.  La sua vita, le imprese, le guerre, gli amici e…
No. Non poteva essersi immaginato Annabeth.
Era l’unica ragazza che l’avesse mai considerato e ed era anche la sua migliore amica, l’unica che lo conosceva meglio di chiunque altro. Lei. Lei era la sua ancora di salvezza (metaforicamente parlando).
Aveva bisogno di lei, non poteva essere solo frutto della sua fantasia, che tra l’altro non aveva mai avuto.

- Mortali? Di cosa parli? – chiese Sally visibilmente preoccupata.

- Forse è un effetto collaterale del risveglio…  Bambino mio, ascoltami. Io ti sto dicendo la verità. Almeno quel poco che so. Posso immaginare che sia dure per te, sono passati 5 anni lo capisco. 5 anni di incoscienza, 5 anni di vita legato ad una macchina, 5 anni di vita sprecata. Ti sei perso un sacco di cose, hai ragione.

Percy crollò e scoppiò a piangere. Non ce la faceva più.
Ormai era chiaro. Quello che fin’ora aveva sperato fosse uno scherzo della madre, invece era vero. Aveva sognato tutto.
E anche la sua paura più grande si era avverata:  Annabeth, non era reale.
Non poteva trattenere le lacrime, e non sapeva come spiegare tutto quello che provava a sua madre.
Forse semplicemente non poteva.
Era una donna comprensiva e lui sapeva che poteva dirle tutto, ma come poteva credere a “questo”?
Sally lo lasciò sfogare, ne intuiva il bisogno dal volto del figlio. Rimase in silenzio e si limitò ad accarezzargli i capelli dolcemente, per rassicurarlo.
Dopo un po’ Percy riuscì a fatica a calmarsi, e trovò al coraggio di porgere alla madre una domanda che gli ronzava in testa:

- Mamma, una domanda – disse cercando di limitare i singhiozzi – l’uomo che ti ha abbracciato prima…

- Oh, lui… è il mio editore. La tua condizione mi ha spinto a realizzare il mio sogno di scrivere un libro e lui mi ha dato una mano. Ok, forse editore non è proprio il termine esatto, insomma lui è un professore di storia. Comunque un giorno parlando mi ha detto di conoscere qualcuno che poteva aiutarmi e mi ha procurato un contatto con la casa editrice. Percy, andiamo non preoccuparti  – aggiunse notando lo sguardo indagatore del figlio – siamo solo grandi amici. È sposato e io non rovinerei mai la sua famiglia.

Percy tirò un sospiro di sollievo.
Gli sembrava strano che sua mamma stesse con quell’uomo, anche ammesso che non fosse chi credeva. Una parte di lui sperava ancora di non sbagliarsi, e che la sua Annabeth esistesse, dopotutto l’aveva detto anche sua madre: ha una famiglia, perché non dovrebbe avere una figlia?
Comunque più ci pensava, più si rendeva conto che fosse un’idea folle.
Non era Friedrick Chase.
Era impossibile.

- Percy, ne hai passate tante per oggi. Troppe verità dette tutte insieme. Riposati ora, ne hai bisogno. Ora ti lascio solo, ok? Quando torno ti racconto tutto quello che vorrai sapere. Ci vediamo più tardi. Ti voglio bene.

Gli scoccò un bacio sulla fronte, come solo lei sapeva fare, e uscì dalla stanza.
“Ti voglio bene anche io” riuscì a sussurrare Percy.
Non aveva particolarmente voglia di dormire, ma tutte le rivelazioni lo avevano distrutto. Perciò non appena chiuse gli occhi, si addormentò.
Non durò molto il suo stato di sonno, non sapeva definire esattamente quanto tempo sia passato, ma ipotizzo 15-30 minuti, poi qualcuno entrò nella sua stanza.
Aprì gli occhi pensando che fosse sua madre,e il suo cuore improvvisamente, per la sopresa si fermò.
Era lei.


















ANGOLO SCUSE AUTRICE:

SONO TORNATAAAA!!
Si, sono imperdonabile, avete ragione. È più di un mese quasi che non aggiorno, vi porgo le mie umilissime scuse, ma tra le vacanze e i miei che volevano ri-pitturare interamente la casa ho avuto un sacco di cose da fare! Perciò, nonostante avessi la bozza pronta, non potevo pubblicare.. scusateee *si inginocchia con le mani unite e facendo la faccia da cucciolo per farsi perdonare*
Tornando al capitolo… So di aver scritto che questa storia fosse una Percabeth, e ancora della Percabeth non ci sono tracce, ma tranquilli arriverà! Non posso distruggermi da sola le OTP (cose che tra l’altro già faccio) perciò… Niente, lascio a voi i commenti o le domande o le critiche.. accetto tutto, dagli errori si impara e si migliora.. per cui un bacio e stavolta cercherò di aggiornare presto!
Ultima cosa: RECENSITEEE!! *^*
Becki_diAngelo :3

 

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Capitolo 4
*** Initium ***


Initium

*FLASHBACK*                  5 anni prima……

-  Papà per quanto tempo dovrò tenere il gesso? – chiese la bambina all’uomo che l’aveva accompagnata.
Sembrava Riccioli d’Oro, con i suoi lucenti boccoli biondi che le ricadevano sulle spalle, e i suoi occhi grigi come il cielo che si prepara al temporale in arrivo. L’unico motivo per cui non poteva essere lei, erano gli abiti. Odiava i vestitini da principessa, lei non era così. Aveva indosso una semplicissima maglietta colorata e una salopette di jeans.
 Per le altre sue coetanee era un maschiaccio, ma lei era a suo agio, ed era quello che importava.
Aveva solo 12 anni, ma già si vedeva che era molto intelligente.
- Finchè  il braccio non sarà guarito, hai fatto proprio una brutta caduta. Ora andiamo.
Si incamminarono verso l’uscita, mano nella mano. Si trovavano al terzo piano e, dato che l’ascensore era temporaneamente fuori uso, dovettero usare le scale.
Il secondo piano era quello di Terapia intensiva.
 All’uomo non piaceva passare di lì, lo faceva pensare, lo faceva ricordare, ma la bambina insistette e alla fine la accontentò, facendole attraversare tutto il corridoio per arrivare all’altra rampa di scale.
Nel piano precedente, i pazienti erano svariati, c’era chi aveva fasciature a gambe e braccia, chi alla testa, chi era costretto a stare a letto, o chi camminava con l’aiuto di un deambulatore, ma tutti loro non erano soli. Le loro famiglie andavano  a trovarli e gli infondevano speranza, perché presto sarebbero usciti dal quel posto.
Nel piano attuale invece non c’ero lo stesso clima. Le stanze erano cupe, tristi e buie. E lo erano anche i pochi famigliari a cui era permesso andare a trovare i loro cari ricoverati.
Non c’erano gioia o speranza, solo desolazione e rassegnazione.
La bambina guardava tutti sconsolata, come se avesse voluto far qualcosa per alleviare il loro dolore, ma continuava imperterrita a camminare affianco al padre.
Ad un tratto però si fermò.
Erano quasi vicino le scale, dove vi erano le macchinette e delle sedie.
E li, seduta, c’era una donna con un grosso cerotto sulla fronte per coprire i punti, e piangeva con in mano un bicchiere del caffè, ormai freddo.
Piangeva così tanto disperatamente che la bambina provò una forte tenerezza per lei.
Agì d’istinto, senza pensare. Lasciò la mano del padre e si avvicinò alla donna. Poi l’abbracciò forte, o almeno quanto poteva con un braccio rotto.
Il padre sbiancò, aveva cercato di fermarla, ma quando la figlia si metteva in testa qualcosa, farle cambiare idea era quasi impossibile.
- Mi dispiace davvero tanto per lei, qualunque cosa sia successa.
- Annabeth, non mi pare il modo di comportarsi. Mi scusi, davvero, mia figlia non la voleva disturbare.
La ragazzina si staccò dall’abbraccio, ma contrariamente a come aveva pensato suo padre, la donna sorrise.
Forse la piccola era appena riuscita a fare un miracolo, dare conforto a una persona che aveva visto la sua vita andare a rotoli, solo con un misero abbraccio.
- Non si preoccupi, sua figlia non mi da fastidio. Anzi, ti devo ringraziare… ti chiami Annabeth giusto? – la bimba annuì.
- Beh, come dicevo, ti devo ringraziare Annabeth.. Sei riuscita a farmi sorridere dopo una settimana che continuo a piangere. Grazie davvero. Ora però è meglio che vada con tuo padre, sicuramente avete da fare…
- No! Io voglio sapere come mai piange.. sono, sono curiosa ora… -  e si sedette accanto alla signora, ignorando il padre che cercava di dissuaderla.
- Mi faccia indovinare – disse la donna rivolta all’uomo – non è facile farle cambiare idea vero?
- No, direi di no. Sa essere molto testarda per la sua età.
E così la donna iniziò a presentarsi alla piccola Annabeth e a suo padre Friedrick Chase. Disse di chiamarsi Sally Jackson, del suo lavoro e dell’incidente. Poi toccò al sig. Chase presentarsi.
Finchè la bimba disse:
- Sally, scusa, ma hai detto che tuo marito è morto nell’impatto… che ci fai allora in ospedale?
- Oh, è semplice… vuoi vedere? – la piccola annuì e si alzò seguendo la sua nuova amica.
Il padre invece rimase seduto, pensava fosse una cosa che dovessero fare loro due da sole.
Sally condusse Annabeth in una stanzetta buia. Le tende e le tapparelle erano tirate e quasi non si riuscivano a scorgere la quantità di macchinari presenti. Macchine per il cuore, per la respirazione, flebo… sembrava di stare sul set cinematografico di Dottor House.
In mezzo alla stanza si trovava un unico lettino. Sdraiato sopra invece c’era un ragazzo che apparentemente dormiva.
Ma la bambina sapeva la verità. Era in coma.
Aveva visto sua madre in quello stato per colpa di una malattia, lo ricordava bene.
Per questo si era sentita in dovere di consolare Sally, una parte di lei sapeva cosa stava passando, lo aveva intuito l’istinto, lo aveva provato anche lei sulla sua pelle.
Il ragazzo nel letto era sicuramente il figlio di Sally e non poteva avere più della sua età.
La donna avvicinò due sedie al letto e solo allora la bimba si accorse di essere rimasta sulla porta.
- Annabeth, ti presento Percy, mio figlio. La sera dell’incidente c’era anche lui era in macchina. – la sua voce si fece cupa.
- Sally… mi dispiace. – istintivamente allungò la mano verso quella di Percy.
Non  lo aveva mai visto prima e sapeva che c’era la possibilità che lui nemmeno se ne accorgesse, ma sentiva il bisogno di stringergli la mano e rassicuralo che anche lei combatteva con lui, che anche lei sperava si svegliasse.
La donna a quel gesto sorrise e le propose, sempre che il sig. Chase accettasse, di venire a trovarla dopo scuola, li in ospedale, così le avrebbe raccontato del figlio.
Alla bambina si illuminarono gli occhi. Corse fuori e lo disse al padre che, vedendo l’espressione sulla faccia della figlia, sapeva già di non poterle dire no.
Poi salutò Sally e mentalmente anche Percy, e lasciò che il padre la portasse a casa.
Da quel giorno, tutte le sere dopo scuola e dopo i compiti, verso le 17.30 Annabeth arrivava in ospedale per mantenere l’impegno che si era presa con Sally. La ascoltava parlare del figlio, o addirittura AL figlio, come se lui stesse solo facendo finta di dormire.
Fu così per i primi anni.. poi Annabeth decise di arrivare anche prima di Sally, voleva stare con Percy da sola.
Era consapevole che lui non la sentiva, ma sperava che potesse farlo, e che potesse svegliarsi, esattamente come lo sperava Sally.
Iniziò a leggergli racconti mitologici, una delle sue passioni. Ogni giorno un mito diverso. Gli parlava degli Dei, dei semidei, delle loro imprese e di come volesse esserlo lei stessa, di come amasse la loro cultura.
A volte andava persino a studiare da lui, e lo rendeva partecipe del suo sogno di essere un architetto.
Intanto gli anni passavano, lei cresceva, e inconsciamente anche lui, ma le sue condizioni non cambiavano.
Annabeth non si arrendeva mai. Era sicura che Percy avrebbe aperto gli occhi prima o poi, era sicura che la storia non si sarebbe ripetuta. Lui non sarebbe morto come sua madre.
Le sue amiche intanto non capivano come potesse davvero perdere il suo tempo in ospedale, a leggere racconti a un ragazzo che non solo non la poteva sentire, ma nemmeno la conosceva.
Lei pronta rispondeva che erano opere di bene, e che si sentiva in dovere di farlo per via della madre, ma non era la verità. O almeno non tutta.
Si sentiva ancora in colpa per non aver passato più tempo con la madre da bambina, ma il vero motivo era che dalla prima volta che aveva visto Percy, ne era rimasta incantata.
Sembrava davvero un dio.
E una parte di lei, anche se non capiva come, ormai era consapevole di cosa le stava succedendo.
Si stava innamorando. Si stava innamorando segretamente di Percy.
Si stava innamorando di un ragazzo bellissimo in coma da 5 anni. Si, di lui era innamorata.
Di lui, che non sapeva nemmeno della sua esistenza.
Ma questo era quello che credeva lei.













ANGOLO AUTRICE:
Et voilà!
Sono tornataa che ne dite di questo capitolo? Io personalmente ne sono innamorataa *^*
AMO LA PERCABETH! Ma queste sono cose che dovreste dirmi voi..
Spero si inizi a capire qualcosa della storia! Ma non dico altro o faccio spoiler! Ahaha xD
Bene prima di chiudere: ringrazio le demigods che aspettano i capitoli con ansia e che per fortuna mi torturano per scrivere xD, chi ha messo la storia tra Preferite/Seguite/Ricordate e i lettori silenziosi u.u  :*
E ultima cosa: RECENSITEEEE VOGLIO SAPERE CHE NE PENSATEE! :D
Baci da Becki :3

 

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Capitolo 5
*** Reunion ***


REUNION

PRESENT DAY:
Percy non credeva ai suoi occhi.
Si stava sicuramente sbagliando, stava avendo delle allucinazioni dovute a effetti collaterali dei farmaci, o a sintomi post-risveglio traumatico dal coma.
Chiuse di nuovo gli occhi, e cercò di tornare a dormire, facendo come se nulla fosse accaduto.
Annabeth, ignara di tutto, si avvicinò e fece esattamente quello che ormai era diventata un’abitudine: prese una sedia e si sedette accanto al letto del ragazzo.
Per quello che sapeva  lei, lui era sempre lì, immobile, con un braccio disteso lungo i fianchi.
Appoggiò la mano sul letto, accanto alla sua.
Lentamente la avvicinò, sempre di più, ma quando fu a pochi centimetri da quella del ragazzo, tentò di prenderla, ma esitò.
Lo aveva fatto un milione di volte in 5 anni, ovviamente quando Sally non c’era o avrebbe dovuto spiegarle troppe cose, ma ora… Non voleva illudersi, non più di quanto non avesse già fatto.
Questa volta era diverso, non ci riusciva, qualcosa la fermava, anche se non sapeva cosa.
Era ancora indecisa sul da farsi, quando Percy, che sentiva la presenza della mano della ragazza accanto alla sua, reagì d’istinto e gliel’afferrò.
Strinse forte, ma non facendole male, tanto quanto bastava per avvertire un brivido lungo la schiena.
Gli faceva sempre un certo effetto il contatto con la pelle di lei, ma aveva bisogno di quella stretta, aveva bisogno di sentirla con lui, di sentire il suo calore, anche se quasi impercettibile.
Poi aprì gli occhi.
Annabeth sussultò, non se lo aspettava, ma con grande sorpresa di entrambi, non ritrasse la mano.
I loro sguardi si incrociarono, attirati da un magnetismo inspiegabile, una forza che proveniva da dentro di loro, come se si appartenessero, come se quello fosse ormai un gesto naturale, che si ripeteva all’infinito, da tempo immemore.
Si guardarono intensamente, persi l’uno negli occhi dell’altra, per pochi attimi che però parvero interminabili.
Annabeth non potè far a meno di pensare che i suoi occhi fossero ancora più belli di come se li era immaginati per tutto quel tempo, di come Sally li aveva descritti.
Annabeth se lo ricordava, era una delle prime cose che aveva voluto sapere su Percy.
Non se fosse simpatico, gentile, che tipo era insomma, no. Lei voleva sapere dei suoi occhi.
E Sally le aveva ripetuto tante volte che erano verdi, dello stesso colore del mare.
Quello che non le aveva detto, e che toglieva alla ragazza il respiro, era che rispecchiassero tutte le sfumature di verde/blu che presentavano le acque cristalline del mare.
- Tu sei… ti sei… io non… - riuscì a farfugliare Annabeth.Per la prima volta era rimasta senza parole.
Lui rise.
- Forse è meglio iniziare con un “ciao”. Ehm, dimmi, vieni spesso qui? – e mentre parlava non riuscì a togliersi il sorriso dalla faccia.Eh si, adorava prenderla in giro.
“Accidenti se è bello” pensò Annabeth.  Il modo in cui sorrideva con quell’aria da malandrino, la mandava in crisi, aveva sempre sognato di vederlo ridere, e ora ne era rimasta spiazzata.
Ma cosa stava facendo?
Cercò di levarsi quel pensiero dalla testa.
Involontariamente, però, arrossì.
Poi assunse un aria mista tra vergogna e indignazione.
- Abbastanza da notare che quando dormi, sbavi – rispose secca lei.Ok, era stata troppo dura, se ne rendeva conto, ma aveva iniziato lui con le domande imbarazzanti no?
Con suo grande stupore, Percy scoppiò a ridere ancora di più, e questo fece sorridere anche lei.
- Scusa, non dovevo essere così brusca..
- Oh, figurati. Non c’è problema, non è la prima volta che me lo dici… cioè, dicono. – si corresse.Abbassò lo sguardo, imbarazzato. Aveva commesso un errore terribile, e sperò che la ragazza non se ne accorgesse.
Fu allora che notò che le stava ancora stringendo la mano.
La lasciò andare e arrossì, e così fece anche lei.
Rimasero in silenzio per un po’, evitando di guardarsi.
- Beh… io sono Annabeth, credo di dovermi presentare a questo punto – disse alla fine la ragazza.
- Si, lo so – rispose lui dolcemente, alzando lo sguardo per cercare di incontrare il suo – io sono Percy.Stava sorridendo come un ebete, ma al momento non gli importava, era lei quello che contava.
- Si, lo so – disse lei, con lo stesso tono usato da lui prima. – Tua madre me lo ha detto.
- Oh, perfetto… hai parlato con lei… - mormorò lui.Sfortunatamente, Annabeth lo sentì.
- Cosa?
- No, nulla. Solo che… beh… se hai parlato con mia madre vuol dire che ti avrà raccontato tutte le cose più imbarazzanti su di me.
- Potrebbe anche darsi – lo prese in giro lei.Percy sbiancò e la guardò terrorizzato.
Annabeth scoppiò a ridere, e la cosa, nonostante tutto, lo fece stare meglio.
Eh si, lo aveva sempre saputo, bastava così poco a cambiare il suo umore.
Il sorriso di Annabeth era la sua migliore medicina.
- Ti diverti eh? Brava, prenditi gioco di me. Qualunque cosa ti abbia detto, io…
- Ehi!  Scherzavo! – lo interruppe lei, continuando a ridere – puoi stare tranquillo, tua madre non mi ha detto niente di imbarazzante su di te. Anzi in effetti mi ha raccontato solo aspetti positivi, ti descrive come il suo piccolo eroe…
- E meno male che non aveva detto nulla di imbarazzante… - Percy fece una smorfia.E in quel momento entrarono il sig. Chase e Sally Jackson che corse subito ad abbracciare Annabeth.
Si vedeva che era al settimo cielo, la ragazza non ricordava di averla mai vista così euforica.
- Vedo che hai finalmente conosciuto il mio bambino di persona
- MAMMA! IO NON SONO PIU' UN BAMBINO – disse il ragazzo con fare accusatorio, ma non potè fare a meno di arrossire.Annabeth rise, esattamente come Sally.
Non sapeva cosa le stesse succedendo, o meglio, lo sapeva, ma non capiva come era possibile.
Cosa sapeva su quel ragazzo? A parte quello che aveva detto Sally? Niente, lo conosceva da soli 10 minuti, e già si scioglieva ogni volta che lo vedeva sorridere… non pensava che una cosa del genere sarebbe mai potuta capitare.
Non a lei, perlomeno.
E invece…
Il sig. Chase guardò la figlia e sorrise.
Lei lo notò e si affrettò a distogliere lo sguardo. Possibile che il padre avesse capito cosa provava?
Decise di non pensarci per ora.
- Sally, so che è un momento importante per te, ma abbiamo un appuntamento con la casa editrice, non possiamo mancare. Il dottore ha detto che ha bisogno di riposo, e poi, da quel che vedo, la compagnia non gli manca – disse, alludendo alla figlia.
- PAPA’! – lo rimproverò lei.
- Si, Friedrick, hai ragione. Percy, sai che rimarrei con te, ma…
- Ma è il tuo sogno da sempre, tranquilla, vai pure.
- Grazie. Cercheremo di fare in fretta, anche se non mi preoccuperei più di tanto. Annabeth è una ragazza fantastica, ti lascio in buone mani.Annabeth arrossì, sapeva che Sally le voleva bene, e le aveva fatto tante volte complimenti come quello, ma non si aspettava che lo dicesse davanti al figlio.
Percy si voltò a guardarla, e sorrise, come se lo sapesse già, senza che la madre lo dicesse.
Questo la fece vergognare ancora di più, e abbassò la testa per nascondersi.
Sally scoccò un bacio in fronte a Percy e uscì con il sig. Chase.
Appena se ne furono andati, il ragazzo si sporse un po’ dal letto e prese la mano di Annabeth, che alzò lo sguardo e lo fissò.
Era come se il tempo si fosse fermato, sarebbe potuta rimanere così per sempre, e d’altronde la stessa cosa valeva per lui.
La ragazza sorrise, ma era un sorriso debole, c’era un qualcosa che la turbava, e Percy lo poteva avvertire.
Ormai sapeva riconoscere quando qualcosa non andava.
Poi Annabeth si fece coraggio e parlò, con un velo di amarezza nella voce.
- Percy… devo chiederti una cosa… come mai mi dai corda? Voglio dire, ti conosco solo in base a quello che mi ha raccontato tua madre, non dovrei essere qui come se si conoscessimo da sempre.. dovresti essere, come dire, arrabbiato o qualcosa del genere…
- Beh, non capita tutti i giorni di svegliarsi e trovare una bella ragazza seduta accanto a te – disse lui, per farla sentire meglio.Apparentemente la cosa funzionò, perché Annabeth sorrise, era stato sincero in fondo e lei lo aveva capito.
A questo punto Percy prese la sua decisione. Sapeva che c’era qualcosa che li legava e doveva farglielo capire.
- E poi… Annabeth, io e te ci conosciamo già. 












ANGOLO AUTRICEE:
E SONO TORNATAAAAA!
No tranquilli, non era sprofondata nel Tartaro (beh  in un certo senso si), solo che tra le tavole, le verifiche (beh la scuola in generale), e i libri da leggere nel poco tempo libero, non riuscivo a scrivere..
Ok, no, diciamolo, ero in crisi con la reunion.. volevo fare una scenetta percabetthosa, ma non so se mi sia riuscita.. fatto sta che a me questo capitolo non piace tanto quanto quello prima..
Alla fine però dovete essere voi a giudicare, perciò nulla.. vi lascio..
RECENSITE PLEASE! :3 devo sapere..
Cercherò di aggiornare più i fretta, ma non garantisco nulla.
Basta. Vi amo tutti *-*
Un baciooo
Becki_diAngelo
P.S. ho finito The Mark of Athena, sono emotivamente in crisi.. quindi le scene percabeth al momento sono un po’.. boh non le so nemmeno definire… ok, la smetto sul serio (io e la mia parlantina maledetta  -.-) a prestoo!

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Capitolo 6
*** Confessiones ***


CONFESSIONES

Annabeth rimase a bocca aperta.
Cosa significava quel "ci conosciamo già"?
Era impossibile, si sarebbe ricordata di un ragazzo così.
Eccome.
Non è un tipo che passa inosservato.
Lui, però, sembrava davvero convinto di quel che aveva detto, e questo le faceva venire seri dubbi.
Alla fine, dopo lo sconvolgimento iniziale, si decise a chiedere spiegazioni.
- Che intendi con "io e te ci conosciamo già", esattamente? Perchè non è possibile! Me lo ricorderei. - disse la ragazza,cercando di dare un tono rilassato alla sua voce.
- Non puoi ricordarlo.. è.. complicato.. Sai una cosa? Lascia stare, non importa - si affrettò a rispondere Percy.
Ecco che lo aveva rifatto, dire una cosa e rimangiarsela, stuzzicare l'infinita curiosità di Annabeth senza poi approfondire. Era una cosa che le dava i nervi. Odiava non sapere le cose.
- COSA?! Certo che importa! - ribattè, alzando di qualche tono la voce.
- E perchè? - chiese, guardandola stupito.
Come mai doveva interessarle così tanto una cosa che lei non poteva ricordare? Non aveva senso, a meno che.. no, impossibile.
Percy doveva assolutamente scacciare quel pensiero.
Lei non sapeva, era un sogno frutto del coma, lei non ne era al corrente.
Nessuno lo era.
E allora come mai?
La ragazza sentì le guance arrossarsi e distolse lo sguardo, vergognandosi di se stessa.
Di certo non poteva dirgli che teneva tantissimo a lui.
Il fatto che fosse andata a trovarlo per anni, non significa niente. Lui era incosciente.
Ma allora quella frase?
Alzò gli occhi e vide che Percy aspettava ancora una risposta.
- Perchè.. beh.. insomma.. tu sei l'unico amico che ho. - disse infine, guardandosi le ginocchia, imbarazzata. - anche se forse "amico" è una parola un po' troppo grossa.
- Non ci credo. - affermò deciso. - Non posso essere l'unico.
- Però lo sei. Più o meno..
- Questa cosa non ha senso.
- Non c'è sempre un senso logico, sai? E te lo dice una che cerca di razionalizzare tutto. A volte semplicemente non si può. Anche quello che è successo a te "non ha senso". I medici non si spiegano come hai fatto a svegliarti dopo 5 anni da quello stadio di coma. Semplicemente è successo, ed è meglio così forse, con una punta di mistero. Rende il tutto più affascinante.
Il ragazzo la guardò con ammirazione, amava quando la parte “secchiona” di lei usciva fuori.
- Touchè. - si limitò a rispondere, e alzò le braccia in segno di resa.
Annabeth lo guardò un po’ scettica e lui di rimando scoppiò a ridere.
A quel punto anche lei sorrise.
- Queste cose con i miei “amici” non succedono. È per questo che ho iniziato sempre più spesso a venire qui. – confessò.
- Oh… dimmi dall’inizio. La prima volta che sei venuta, come è successo? – chiese cauto il ragazzo. Non voleva ferirla, né tantomeno farla chiudere in se stessa.
- Non cambiare argomento! Mi devi spiegare la frase.
- Lo farò. Raccontami di te, poi ti dirò il significato. Ho bisogno di sapere.
Prese un respiro profondo e iniziò :
- Ero venuta qui con mio padre perché mi ero rotta il braccio. Non era nulla di grave e ci avremmo messo pochissimo tempo, se non avessi insistito. Io avevo 12 anni, come te del resto, e ero stata in ospedale, in questo reparto molte volte. – la sua voce tremò – mia.. mia madre…
- Ehi – la interruppe Percy – non sei obbligata a dirmelo
- No, non importa. Devo, in qualche modo è collegato. Dicevo. Mia madre è finita in ospedale quando ero più piccola per una grave malattia, che l’ha portata prima in coma, e poi alla morte. La venivo a trovare ogni tanto, ma da quando è finita in coma papà ha cercato di portarmi da lei il meno possibile. Non voleva farmi più male di quanto già non facesse.Quando sono venuta a mettere il gesso, ho costretto mio padre a passare per questo corridoio, perché mi faceva pensare che mamma fosse ancora qui.
E poi ho visto Sally, disperata, come avevo visto papà da bambina e, non so cosa mi sia preso, ma l’ho abbracciata. Abbiamo iniziato a parlare e mi ha portato da te.
- Ehi, ehi, calma. Respira mentre parli. Io non ho fretta e non potrei andare da nessuna parte, comunque – disse il ragazzo ridendo.
Annabeth non si era nemmeno accorta di aver iniziato a parlare più veloce.
Fece un grosso respiro per calmarsi e riprese a spiegare.
- Quando l’ho vista in quello stato ho capito che non l’avrei lasciata affrontare tutto da sola, perché ci ero passata ed è uno schifo. E poi con il tempo ho iniziato anche io a sperare che un giorno ti saresti svegliato.
- Alla fine l’ho fatto. E sono sicuro che la tua presenza abbia aiutato moltissimo mia madre. Perciò… beh grazie. – disse e le tese la mano.
La ragazza la prese, lui gliela strinse e la guardò dritto negli occhi.
- Io non sono così coraggioso, e dato che ora tocca a me confessare vorrei essere sicuro che tu rimanga qui fino alla fine, perché mi rendo conto sia una cosa folle.
- Vai avanti. Io sono qui.
Ora toccò a Percy prendere un grosso respiro.
- In questi anni in cui sono stato bloccato qui, in stato comatoso…
- Non credo che esista quest’espressione, sai? – lo interruppe Annabeth. 
Percy le lanciò quella che sarebbe dovuta essere un’occhiataccia, ma non riuscì molto bene nell’intento.
- Grazie della precisazione, Sapientona, ma credo tu abbia capito il senso. Posso continuare? – chiese poi, non riuscendo a trattenere una risata.
La ragazza annuì, ma il suo cuore fece un salto.
Possibile che lui.. no, no era impossibile.
Il fatto che avesse usato quel soprannome era un caso, aveva fatto quello che si diceva di non fare, ma puntualmente il suo essere una secchiona usciva fuori.
Per questo l’aveva chiamata in quel modo.
Si riprese dai suoi pensieri e tornò al racconto del ragazzo, che sicuramente le avrebbe chiarito le idee.
- Allora in questi anni in cui ero nella condizione che tu sai, io.. non so bene come dirlo, diciamo che ero cosciente, solo non… qui. – disse esitando, poi notando l’espressione confusa della sua nuova (o vecchia, ora non lo sapeva più) amica, si affrettò a spiegare.
- Cioè ero qui ovvio, ma a me non sembrava. Non ricordavo niente di questa vita, avevo ricordi di una vita che ora credo di non aver mai vissuto. – si fermò un attimo a guardarla, non voleva rischiare di spaventarla.
- Una vita che.. E com’era? – chiese lei, titubante.
Aveva paura di sapere la risposta, ma doveva averla.
- È complicato e totalmente folle.
- Farò uno sforzo per capire, ho un alto concetto di follia – lo incitò.
- Okay, allora io ero un.. – sospirò – io ero un semidio, anche se comunemente venivamo chiamati..
“Mezzosangue” borbottò Annabeth..
- Hai detto qualcosa? – chiese Percy, guardandola sospettoso.
Aveva l’impressione che lei sapesse, ma non poteva essere ancora sicuro.
- No, no niente. Continua, scusa – balbettò lei, arrossendo.
Gli stava decisamente nascondendo qualcosa, ma il ragazzo tornò al suo racconto.
- Dicevo, venivamo chiamati semplicemente mezzosangue, metà uomini e metà Dei. Da pazzi, lo so, ma ero convinto di esserlo. E ci sono state due guerre, e due profezie e ho rischiato la vita un’infinità di volte.
Annabeth continuava ad annuire, mentre la sua mente lavorava.
E se invece avesse avuto ragione dall’inizio? Sembrava incredibile, ma a questo punto tutto quadrava.
Però non poteva ancora rischiare di dirglielo e rovinare tutto. Doveva esserne completamente sicura.
Per cui chiese solo:
- Hai detto che credevi di essere un semidio.. vuol dire che uno dei tuo genitori era una divinità. Chi era?
- Intelligente la ragazza. Si, ero figlio di un dio. Mio padre era Poseidone, il dio dei mari. Non so perché proprio lui, ma a quanto pare la mia mente si è divertita a rendermi il figlio di un dio potente – le sorrise e lei si sforzò di ricambiare.
Poseidone.
Il figlio di uno degli dei maggiori.
La consapevolezza ormai più vicina la spaventava e allo stesso tempo la rendeva euforica.
- Oh wow.. E hai affrontato due guerre da solo? È impossibile!
- Beh… hai ragione, infatti. E qui entra in gioco la frase di prima, quando ho detto di conoscerti. Non ero solo, avevo altri amici, ma c’era una persona, una ragazza, senza la quale non avrei fatto niente. Era lei la mente e mi ha tirato fuori dai guai un’infinità di volte. E quella ragazza eri tu. O almeno, penso. Mi sembrava impossibile, ma tutto torna. Aveva il tuo nome, il tuo aspetto, il tuo carattere, beh credo. Questo è troppo presto per dirlo, ma sono quasi sicuro sia così. Per questo ho detto di conoscerti, perché se sei lei, allora.. – le parole gli morirono in gola.
Non poteva dirle cosa provava.
E se si sbagliasse? Se non fosse lei?
E poi la conosceva nella sua testa, ma questa era la vita vera. Era diverso.
Neanche sapeva come avesse fatto a immaginare proprio lei.
Non si conoscevano prima di allora.
Poi la guardò bene e il suo cuore mancò di un battito.
Aveva gli occhi lucidi e lui odiava farla piangere.
Annabeth abbassò lo sguardo, non voleva farsi vedere così.
Aveva ragione dunque. È stata lei. Non ci avrebbe mai creduto se non lo avesse vissuto.
Erano solo voci, teorie infondate che giravano. E invece era vero. E lei era felice, ma si sentiva anche in colpa.
Aveva trovato un amico, e se aveva ragione anche qualcosa di più, ma lo aveva fatto nel modo sbagliato.
E lui si era immaginato tutto, magari non era nemmeno quello che credeva lei.
Pensava a questo quando sentì un mano alzarle il volto.
La sua mano.
Le mancò il respiro.
Era dannatamente bello.
Più di quanto se lo fosse immaginata per tutti quegli anni.
Si guardarono per un tempo indefinibile, le lacrime che sgorgavano silenziose, e lui che dolcemente le asciugava con le dita, senza smettere di guardarla.
E infine parlò.
- Annabeth io.. non volevo farti questo. Scusa. Se ho detto qualcosa di male..
- No. Non è colpa tua. Sono io. È complicato, lascia stare. – si asciugò il viso e cercò di tornare in sé.
“Colpa sua” aveva pensato il ragazzo. Come poteva aver detto qualcosa di male, lui.
Dopo essere più o meno tornata in lei, la porta si aprì ed entrarono i loro genitori.
Sally era tutta raggiante, per l’editore e perché i dottori avrebbero dimesso suo figlio il giorno dopo.
E il sig. Chase invece era lì per recuperare la figlia e tornare a casa.
- Quindi non ti vedrò più – mormorò Percy triste.
L’aveva appena ritrovata e ora doveva perderla di nuovo.
- Non è detto. La città è grande, ma magari ci incrociamo in giro – cercò di consolarlo la ragazza, ma sapeva anche lei che quello era molto improbabile.
- Oppure, potresti venire a trovarlo a casa nostra – si intromise Sally – se ti va, ovvio. O può venire a trovare me, se la cosa ti rende più tranquillo Friedrick. – gli sorrise in modo complice.
Se solo non fosse stato legato alle macchine, Percy sarebbe saltato al collo della madre. Non aveva ide della bella notizia che gli aveva appena dato.
Poi si voltò verso Annabeth, che arrossì.
- Ehm… magari verrò a trovarvi, ogni tanto.
- Grande! Allora ti aspettiamo. Ora vai pure a casa, o tuo padre poi si arrabbia – e detto questo la donna diede un grosso abbraccio alla ragazza.
- Beh allora a presto, Annabeth.
- A presto, Percy. – e con un coraggio che non credeva di avere, gli scoccò un bacio sulla guancia.
Poi si diresse verso l’uscita, arrossendo ancora di più.
Sally e il sig. Chase si misero a ridere poi si salutarono.
Percy, invece, rimase imbambolato per qualche secondo e poi le gridò:
- Guarda che ci conto, mi devi ancora spiegare perché sarebbe colpa tua.
Lei si girò a guardarlo.
Stava sorridendo e questo fece sorridere anche lei
- Te lo dirò, la prossima volta che ci vedremo.
E detto questo uscì, seguendo il padre, con un grande sorriso in faccia e una strana sensazione dentro.
Lo sapeva che sarebbe finita con l’innamorarsi di un ragazzo impossibile da avere, ma forse si sbagliava.
Aveva trovato un amico finalmente.
Un amico che davano per morto.
Magari avrebbe trovato di più.

***
 
Percy rimase a fissare la porta per un bel po’ di tempo, si disse, perché la madre lo chiamò dicendo:
- Ehi, capisco che Annabeth sia incredibilmente carina, ma è uscita. Puoi anche smetterla ora di guardare incantato la porta – e scoppiò a ridere.
Lui la guardò male, ma poi sorrise.
L’avrebbe rivista.
C’era ancora una domanda che lo tormentava.
“Non è colpa tua. Sono io” aveva detto.
Era la sua memoria incosciente, eppure lei sembrava convinta.
E questo lui non lo capiva.
Ora ne era certo, lei sapeva di sicuro qualcosa.
E lui avrebbe scoperto cosa.
 







E SONO VIVAAAAAAAAAAAAA!!! (beh più o meno)
Sono tornataaa! Dopo non so neanche io quanti mesi, e non li conterò nemmeno perché 1) io e la matematica abbiamo un rapporto molto complicato e 2) mi arrabbierei da sola con me stessa se sapessi esattamente quanti mesi sono che non pubblico.
Ma tornando al capitolo. Punto 1: ai miei cari lettori, delle scuse immense, ma ho avuto difficoltà con il capitolo. Per tanti motivi, tra cui scuola e impegni vari. Iniziate le vacanze mi sono decisa a scrivere, ma.. le idee non volevano uscire dalla mia testa. O meglio, uscivano, ma più come frasi disconnesse e senza senso Per cui la fatica per scrivere questo obrobrio spero si trasformi in soddisfazione per sapere che il capitolo vi piace.
Punto 2: passiamo alla storia! Beh, a dire il vero non so nemmeno io cosa commentare, spero di essere riuscita a chiarire i dubbi almeno in parte, il resto.. beh si vedrà XD
Okay, questa dovrebbe essere la parte in cui prometto di aggiornare presto, ma non lo farò, perché non so quando aggiornerò. Sempre per il problema che ultimamente i miei pensieri vengono fuori in modo del tutto casuale, anche per colpa del caldo che mi sta friggendo quel precario cervellino che mi ritrovo.
Me ne vado, che mi sto come al solito dileguando troppo e.. niente, GRAZIE PER LA PAZIENZA INFINITA CHE AVETE, VI AMO
E RECENSITEE!  <3
Becki_diAngelo :3
P.S. nel caso non ve lo avessi detto (non ricordo) ho avuto una specie di crisi mistica mesi orsono, e ho capito di essere una semidea figlia di Ade (eggià, l’ho sempre amato e mi rispecchio nelle sue caratteristiche) con la benedizione di Apollo (nei suoi giorni sì, nei suoi giorni no mi detesta, con tutto il suo immortale cuore :c )


 

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