Oggi sono io. di _TheDarkLadyV_ (/viewuser.php?uid=126040)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Independent woman ***
Capitolo 2: *** Stranger in stranger land ***
Capitolo 3: *** The return ***
Capitolo 4: *** Tell me something ***
Capitolo 5: *** Sweet dream or beautiful nightmare? ***
Capitolo 6: *** Behind appearances ***
Capitolo 7: *** What? ***
Capitolo 8: *** Acid Queen ***
Capitolo 9: *** The closer I get to you ***
Capitolo 10: *** Cinderella, stay awhile with me ***
Capitolo 11: *** One Plus One ***
Capitolo 12: *** Love, lust and afraid ***
Capitolo 13: *** New Day ***
Capitolo 14: *** When I first saw you ***
Capitolo 15: *** Ring the alarm ***
Capitolo 1 *** Independent woman ***
Mmmh
dunque salve xD!
Questa
storia l'avevo pubblicata parecchio tempo fa su questi schermi, ma
poi per vari motivi l'avevo cancellata. Ora ho deciso di riprendere
in mano la situazione grazie soprattutto alle parole di
incoraggiamento della mia “Crabs”
Heaven_Tonight, con la quale si
sclera allegramente sulle bellezze del finnico qui presente <3
Beeene
sono abbastanza agitata, ma va bé lo sono sempre di mio.
Spero che
qualche anima buona la legga e che si interessi a questa follia :)
Buona
lettura <3
Vals
Independent woman
Era inutile piangersi
addosso. Perchè
farlo e sentirsi da schifo più di quanto ci si potesse
già sentire
dall'inizio?
La mia filosofia era:
nei momenti in
cui sei stata già fottuta devi pensare al futuro, a qualcosa
per cui
senti la necessità di andare avanti, non fermarti agli
interrogativi
che può lasciarti una situazione non propriamente gentile
del
presente e quando vedi che la ruota sta per girare per quelli che
vogliono vederti soffrire, le dai una spinta con la mano e con un
sorriso fotti tutti quanti. Filosofia da quattro soldi, infantile e
decisamente stupida forse, ma era ciò che mi aveva portata
ad essere
quella che ero, una ragazza che provava ogni volta a farsi scivolare
addosso ciò che la feriva o che cercava di trarla con
l'inganno
nella tana della tristezza e ci riusciva sempre. La vita era
già
difficile di suo, perchè mai doverla rendere impossibile con
situazioni che si potevano decisamente evitare? Facile la risposta.
Tutti noi eravamo destinati a voler rincorrere qualcosa di effimero,
una maledetta illusione che solitamente si appostava dietro l'angolo
del marciapiede e t'investiva in pieno quanto meno te l'aspettavi. In
altre parole gli uomini sapevano bene come farsi del male, inseguendo
tutto quello che non faceva al caso loro e che li avrebbe man mano
resi burattini e automi dei loro stessi inganni. Il bello era che
quasi mai nessuno riusciva ad ottenere ciò che voleva con
tutte le
proprie forze senza aver venduto almeno una minima parte della
propria anima ad un demone remoto, di ignota provenienza ma che
puntualmente bussava alla porta come i venditori di enciclopedie. E
così quando si tornava nuovamente in possesso del proprio
cervello
come d'incanto si capiva la gravità della missione fallita e
immediatamente si era pronti a chiudersi in una scatola per iniziare
riti a base di pianti e maledizioni alla propria inefficienza. Ma
cosa sarebbe servito piangere e piangere ancora se tutto quello che
il pianto produceva era un cambiamento drastico del viso passando da
perfetta First Lady a Ursula, Regina degli Abissi? Probabilmente
questo non era proprio il paragone possibile da fare, ma era uno dei
tanti modi che trovai per far capire il cambiamento improvviso che si
poteva ottenere. Forse era meglio la trasformazione da Jocker. In
ogni caso piangere troppo rendeva brutte, molto brutte e non si
concludeva niente. Era un semplice sfogo che si poteva ottenere anche
affondando colpi sicuri su ciò che aveva provocato tale
affronto.
Secondo me, quella era la soluzione ideale. C'era anche chi riusciva
a superare gli ostacoli con una calma infinita che faceva paura. Per
me non era un giusto mezzo: la calma a differenza di quanto si
diceva, non era la virtù dei forti. La calma, a mio avviso,
era la
virtù dei morti perchè solitamente i forti si
incazzavano e
picchiavano duramente, impossessati del tutto dall'istinto
animalesco. Io non potevo definirmi forte, nè morta, ero
piuttosto
una via di mezzo. A detta di Elisabeth, io avevo la
sensibilità di
un topo, il sarcasmo di un'iguana, la leggerezza di un elefante e le
palle di un toro, mentre per Jonathan io ero semplicemente una donna
con le palle. E io mi ritrovavo a dover condividere con entrambi i
casi esaminati, anche se il più delle volte concordavo con
quello di
Jonathan.
Perchè tutta
questa acidità e rabbia?
Da dove poteva scaturire tale mostruosità?
L'origine di tutto
stava nella mia
infanzia e adolescenza che di certo non avevo vissuto come tutte le
bambine e ragazze di quell'età. Io dovetti affrontare
diversi
problemi, primo fra tutti l'obesità e le conseguenze che
esso portò
sulle mie relazioni con il mondo esterno. Conobbi il male assoluto e
capii quanto potesse essere meschino e squallido l'uomo, a
prescindere se fosse maschio o femmina. Avrei tanto voluto ammazzare
quei buonisti del cavolo i quali affermavano che la bellezza non
sempre contava. Perchè dire una simile scemenza quando era
tutto il
contrario? A questo mondo Venere contava più di quanto si
potesse
pensare. D'altronde quale sano di mente avrebbe agganciato una preda
di ben 139, 5 kg, sciatta, brutta e abbandonata a se stessa? Nessuno.
Dovevo capirlo già a sette anni che la mia vita sentimentale
non
sarebbe stata grandiosa. A quell'età mi innamorai di Adam.
Era una
cosa assurda affermare di essere innamorate a sette anni,
però la
mia non fu cotta, bensì un fulmine a ciel sereno. In questo
caso
credevo proprio che la parola innamorata era quella più
opportuna.
Ogni cosa sembrava perfetta così un giorno decisi di
aprirgli il mio
cuore; il risultato? Beh anche lui disse di amarmi. La nostra storia
però durò solo due giorni perchè un
grissino biondo si portò via
il grande amore della mia vita, lo stesso che fu il primo a dirmi
quanto io fossi brutta, grassa e con i brufoli. Chi l'avrebbe mai
detto che le cose sarebbero cambiate così radicalmente in
soli due
giorni? Ci restai male sentendo quelle parole, che poi sarebbero
diventate di routine. A quel tempo ero una bambina e i bambini
finché
erano piccoli avevano la capacità di dimenticare quasi
immediatamente ciò che li faceva stare male, e
così dopo qualche
giorno per me era tutto passato. Ma i miei problemi di
obesità
continuavano e seppi presto che avrebbero provveduto a chiudere per
sempre i cancelli sul mondo maschile. A quattordici anni presi una
cotta assurda per Jamie, un ragazzo alto, un fisichetto niente male e
due occhi verdi da far paura. Il mio peso nel frattempo era aumentato
provocandomi un bel po' di problemi nelle relazioni con il mondo
esterno. Dovevo capire fin da subito che un ragazzo del genere era un
bastardo senza cuore, che se la tirava peggio di una vera diva del
cinema e che non gli sarebbe passato nemmeno per l'anticamera del
cervello di perdere del tempo con me. Ero debole e sfiduciata e
questo non fece altro che uccidermi, sentimentalmente parlando. Mi
ingannò come faceva la maggior parte della gente,
ritrovandomi
sempre sola e con un piede nella fossa. Non credevo nemmeno
nell'amicizia, perchè anche lì ebbi diverse
batoste ad eccezione di
Elisabeth. A diciotto anni trovai qualcuno che diceva di amarmi,
nonostante fossi una balena e brutta come la Morte. Si chiamava
Julian e ben presto fui completamente soggiogata dai suoi modi di
fare, perchè lui ci sapeva fare con me. Conosceva ogni mio
punto
debole e amava stuzzicarmi. Non ero più me stessa, ero
diventata un
burattino nelle mani di un Illuminato. Finii per non avere
più
un'identità e peggio ancora avevo gli occhi foderati di
prosciutto
tutte le volte che lo vedevo provarci con altre ragazze, quelle
vipere che rendevano un inferno la mia vita. Quando finalmente
Elisabeth riuscì a farmi aprire gli occhi e con grande forza
d'animo
tornai in me, decisi di restare sola e prendermi cura di me stessa.
Dopo quelle ferite fu velocissimo il passaggio da giovane
bohémien a
cinica materialista e finii per non credere più all'amore.
Quando
diventai bella e splendente con nessuna traccia di grasso sui fianchi
cominciai lentamente a prendermi la mia rivincita e tutti i ragazzi
che conobbi furono presi in giro allo stesso modo di come era
successo a me. La bastardaggine che era assopita in me fu svegliata
dopo varie invocazioni demoniache e un piccolo mostro si
insidiò
dentro le vene del mio cuore. Era quella piccola creatura a dettare
le regole, e io le seguivo con molto piacere. Era davvero
gratificante vedere gli uomini feriti, anche se sapevo che quel
sentimento sarebbe durato giusto il tempo di un caffé. Capii
che
probabilmente nel mondo non ero la sola a pensarla in quel modo e
continuai su quella scia acquistando sempre di più fiducia
in me
stessa, una cosa che certamente un uomo non mi avrebbe mai tolto o
fatto vacillare. Credevo all'amore, ma ad una tipologia tutta mia.
Ero una scrittrice laureata e finii per esorcizzare il mio demone
scrivendo a tal proposito. Così nacque Lady V, autrice di
romanzi
d'amore, ma non di quelli struggenti con tanto di alto contenuto
diabetico. Le mie erano piuttosto delle commedie e oltre a questo ero
nota soprattutto per i miei manuali ironici sull'amore dove non
evitavo di mettere in chiaro il potere che avevano le donne e che io
cercavo di dare.
Sì, probabilmente erano solo parole, ma pensavo che
fosse sempre importante per una donna trovare un'altra che rendesse
pubblici i suoi pensieri tenuti nascosti in fondo al cuore, per paura
forse di gridarli al mondo. Sapevo perfettamente come ci si sentisse
quando gli uomini sottovalutavano e rendevano inutile quell'essere
dalla grande forza d'animo qual era la donna. Io in primis ero stanca
di vedere donne crogiolarsi in una fitta delusione piuttosto che
alzare il sedere e agire, stanche ormai di tutto. Io avevo deciso di
gridarlo al mondo, di farmi avanti e trasformarmi in una paladina
della giustizia che desse la forza di agire a tutte le donne magre,
grasse, belle o brutte che fossero. Quella paladina era Lady V. Ma
una volta che l'alter ego andava via, il suo posto veniva occupato da
una donna che racchiudeva in sé tutti i problemi
dell'universo,
anche se li sapeva nascondere abilmente agli occhi della gente. In
altre parole tutti i problemi a cui Lady V cercava di dare soluzioni
facili attraverso la scrittura.
A volte però mi chiedevo perchè
continuavo a farlo, se quella piccola minoranza di donne senza
dignità continuava a prorompere e a calcare il passo
più del
dovuto. Beh pensandoci lo facevo per rendere le mie ragazze
più
forti e più belle di un sedere platificato in fase di
deterioramento
precoce. Io ero dalla parte di tutte quelle donne che soffrivano o
avevano sofferto e sapevano bene come ci si potesse sentire. Ero
dalla parte di quelle donne che avevano una dignità, che
erano forti
nella loro debolezza e che nonostante gli infiniti sforzi di essere
apatiche riuscivano ancora a provare emozioni e a mettersi in
carreggiata. E il fatto che io potessi far sorridere e portare
fiducia nei loro cuori mi faceva sentire bene, mi emozionava
rendendomi più umana. In fondo non ero poi così
malvagia e cattiva
come la gente poteva pensare. Semplicemente avevo ancora dei residui
di quel rancore che pian piano stava andando via. E poi non
necessariamente dovevo mostrarmi alla società con tanto di
sorrisi e
con la sfera emotiva di Biancaneve, no? Ognuno era originale proprio
perchè non seguiva i tempi scanditi dai battiti delle
lancette
dell'orologio del Big Ben e doveva essere fiero di ciò che
era e non
omologarsi alla massa. Io ero dalla parte delle sopravvissute. Le
sopravvissute al sessismo, alla violenza, ad ogni misogino presente
sulla Terra e a quelle brutte bestie quali erano l'obesità e
l'anoressia. Io stessa ero una sopravvissuta e alzavo al cielo il mio
braccio in segno di vittoria, la stessa che volevo vedere sul volto
delle mie amiche donne.
Era soprattutto da
questo che nasceva
la versione inglese e mora di Sailor Moon. Lottavo per vincere sul
male e far trionfare il bene. Che poi ci fosse anche l'amore di
mezzo, beh quello lo lasciavo alle altre, a me non interessava.
Paura? Malattia rara contro ogni forma sdolcinata? Decisamente. Fatto
stava che non c'era stato nessuno in grado di far cadere le mie
difese e farmi sentire davvero bene e innamorata. E non c'era
tutt'ora. Ma fino a che punto mi sarebbe piaciuto continuare
così?
Gradualmente e inevitabilmente mi stavo stancando ma non volevo
ammetterlo e non l'avrei mai fatto, nemmeno se fosse stato evidente.
Forse tutto questo era il prezzo che dovevo pagare per la mia
acidità
e mancanza di sentimentalismo.
Chi si celava dietro la
maschera della
famosissima Lady V? Jade Watson, una trentaduenne che aveva vissuto
una vita a metà fra momenti stupendi e momenti cupi,
talmente cupi
da far brillare gli occhi persino a Dario Argento. Inutile ripetere
che questi ultimi furono i protagonisti in assoluto della mia vita.
L'amore aveva mille volti, piccole sfumature ed era una bella
fregatura a cui nessuno poteva scappare nemmeno se si incaricava un
cecchino di sparargli contro. Era un fantasma, i proiettili colpivano
solo vapore indissolubile. Ma io stavo provvedendo anche a questo, a
trovare un'arma micidiale per combattere questo mostro invisibile.
Forse era troppo anche per me, in effetti.
Ultimamente stavo
perdendo
l'ispirazione. Per me era come perdere l'aria, soprattutto quando si
trattava di quel soffio che dava vita ai personaggi delle mie storie,
quelle insulse sceneggiate che mi assicurarono un tetto sulla testa e
abbastanza verdoni da permettermi di comprare tutto ciò che
desideravo. Chiunque a Londra mi conosceva, la mia fama si era
addirittura estesa fino a toccare maestose terre come Francia, Spagna
e Italia con discreto successo anche in America e Finlandia e tutti
sapevano bene chi fosse la diabolica mente di quelle storie e, strano
ma vero, mi amavano. E io amavo a mia volta quelle seguaci
affettuose. A causa della momentanea voglia dell'ispirazione di
scherzare con il fuoco, per evitare una depressione traumatica a tal
proposito, decisi di seguire il consiglio di Elisabeth e di recarmi
ad Helsinki e andare da lei e Jonathan per trascorrere qualche
settimana, o forse un mese.
“ Sono
sicura che se vieni qui
Lady V tornerà di nuovo in vita e in tutto il suo splendore.
Helsinki è stupenda, non te ne pentiresti, davvero! E poi ci
manchi
quindi vedi di trovare del tempo per me.”
La sua sicurezza e tenerezza mi avevano
convinta e così ora mi ritrovavo sul primo volo che avevo
trovato,
ansiosa di tornare con i piedi per terra e soprattutto di
riconquistare la mia cara amica di scrittura senza della quale non
sarei riuscita a vivere così a lungo. Per me Lady V era
tutto,
quella fonte inesauribile di sicurezza in cui avevo messo tutta me
stessa. Sarei morta senza la sua presenza. Il viaggio, però,
non era
ideale fra un bambino che continuava a piagnucolare per qualcosa che
non aveva ottenuto e un uomo abbastanza affascinante che cercava
continuamente di attaccare bottone. E il fatto che io odiassi
viaggiare in aereo non andava di certo a suo favore. Io ero una iena
e se avesse continuato come stava facendo sicuramente nel giro di due
minuti gli avrei assestato un bel calcio lì dove non batteva
il
sole, semmai ci fosse stato qualcosa da colpire. Generalmente non
amavo viaggiare, soprattutto quando si trattava di prendere mezzi
come gli aerei, ma Londra cominciava a starmi stretta e la lista dei
posti in cui solitamente andavo per essere colta in pieno
dall'ispirazione e scrivere fino a quando non ero esausta e i miei
occhi iniziavano a chiudersi in preda ad un attacco di schizofrenia
mi avevano stancata. Era evidente che avessi bisogno di un posto
nuovo, di aria nuova, ma soprattutto di rivedere la mia migliore
amica Elisabeth. Lei era quel tipo di donna che avevo sempre
apprezzato: gentile, onesta, coraggiosa, fedele e una di quelle a cui
si poteva dare il cuore, sicuro del fatto che lo avrebbe custodito
gelosamente. Era lei a mancarmi più di ogni altra cosa e
nonostante
la durezza del viaggio, ero felicissima di essere ad un passo dalla
sua voce, dal suo sorriso e dalle sue chiacchiere. Mi rendevo conto
ogni giorno che passava, che il telefono non bastava più,
era
evidente che avessi bisogno di vederla. Elisabeth era stata la mia
curatrice, colei che mi aveva fatta uscire dal baratro in cui ero
finita e che aveva seguito i suoi sogni. Un' autentica donna
indipendente, che si era trasferita nella sua amatissima capitale
finlandese per lavoro e che ora divideva il suo appartamento con un
altro tassello della mia vita, Jonathan, la cui durata della nostra
amicizia si perdeva nei tempi remoti dell'infanzia. Ecco, per queste
due persone mi sarei buttata anche nel fuoco, girato il mondo a piedi
pur di vederle felici. Erano le uniche due persone di cui mi
importava al di là della mia sfera famigliare. Quando avevo
detto a
Elisabeth che sarei andata da loro si mise a gridare come un'ossessa
al telefono, in preda ad un attacco di felicità improvvisa,
e
rischiando di farmi saltare il timpano. Dopo qualche minuto sentii
una seconda voce che l'accompagnava, quella di Jonathan. Sorrisi
pensando a loro due sicuramente in preda all'ansia in aeroporto.
L'uomo al mio fianco nel frattempo sembrava aver finalmente capito
che non avevo nessuna voglia di chiacchierare con lui, né di
sapere
cose interessanti sul suo conto e ora se ne stava in silenzio
gettandomi ogni tanto delle occhiate speranzose. Inutile, quel
fascino che riservava solo per me non faceva alcun effetto. E poi ero
appena uscita da una situazione sentimentale decisamente orripilante.
Quando il volo atterrò con mia enorme felicità,
non ci misi molto a
riprendere il colorito roseo e il senso di ansia nel rivedere i miei
amici. E non ci misi nemmeno tanto tempo a scorgerli fra i numerosi
personaggi che popolavano l'aeroporto.
Elisabeth e Jonathan
allo stesso modo
non ci misero molto a posare i loro occhi su di me e come tre piccoli
bambini corremmo fino a quando i nostri corpi non si schiantarono e
strinsero calorosi. Dopo molto tempo riprendemmo un po' di quel
contegno mandato a farsi benedire e prendemmo la parola, o almeno
cercammo di farlo.
“ Miranda,
mia unica padrona. Sei
tornata!”- esclamò gioioso Jonathan stringendomi e
perforandomi
l'orecchio. Mi lasciai abbracciare mentre sorridevo sentendomi
chiamare in quel modo. Ad un tratto fu energicamente messo da parte
da una Elisabeth fintamente arrabbiata che disse: “ ehi non
tenerla
tutta per te. Lei è mia!”
Fui trattenuta anche
tra le sue braccia
mentre il suo volto cambiò l'espressione severa in una dolce
e
stupenda che quasi mi mise sull'orlo delle lacrime, che prontamente
tenni chiuse nel serbatoio. Non ero la tizia dalla lacrima facile, il
tempo mi aveva cambiata e poi ne avevo spese talmente tante che
quelle poche che mi restavano le custodivo gelosamente. Ma ammettevo
che fu difficile contenerle. Quando finalmente lo scambio di
effusioni pubbliche finì guardai entrambi e liberando la
voce da un
sottile velo di commozione dissi: “ Sono così
felice di vedervi!
Non avete idea di quanto mi siete mancati.”
Jonathan sorrise e
chiese: “ Jade,
sei tu vero? Perchè questa tua momentanea
affettuosità mi lascia
sorpreso.”
Gli diedi un piccolo
colpo sulla spalla
e risposi: “ sei sempre il solito. Lo sai che la mia
affettuosità
è presente solo nei vostri confronti, quindi vedete bene di
non
spifferarla ai quattro venti. Ne andrebbe della mia immagine da
perfetta bastarda senza cuore.”
Ci guardammo tutti e
tre e scoppiammo a
ridere. Quelle voci mi erano mancate da morire così come i
proprietari. Fra una risata e una chiacchiera uscimmo dall'aeroporto
e alla luce del pallido sole invernale, un'aria gelida mi
investì di
colpo, quasi fossi finita nel corpo di un fantasma. Nonostante il
cappotto pesante e il berretto ben sistemato sui miei capelli lunghi,
lisci e neri, fu quasi come sentirsi completamente nuda sotto ad
acqua gelata. Sapevo che lì facesse freddo, ma non ero
preparata
psicologicamente a questo tipo di freddo, che a quanto pareva
riuscivo a malapena a sopportare.
“ Accidenti
che freddo!”-
esclamai.- “ come diavolo fate voi a sopravvivere?”
“ Ci abbiamo
fatto la pelle, un po'
come i serpenti.”- disse Elisabeth.- “ abbiamo
cambiato la nostra
per abituarci a tutto questo freddo. Decisamente diverso da Londra,
vero?”
Risposi al suo sorriso
e dissi: “
assolutamente. A questo punto dovrò far presto ad abituarmi
e
cambiare pelle anche io.”
“ Ci
riuscirai, tu sei la donna dalle
cose impossibili. Un cambiamento di pelle non sarà nulla per
te,
padrona Miranda.”- proseguì Jonathan mentre
caricava le mie
pesanti valige in auto. Non volle aiuti e mi spinse sul sedile
anteriore senza ammettere repliche, mentre Elisabeth sedeva dietro e
lui sistemava con cura il tutto nel bagagliaio. Quando finì
partimmo
spediti verso la loro casa, che da ora in avanti sarebbe stata anche
mia per un tempo imprecisato. Nel frattempo continuai a torturarmi le
mani cercando di creare un po' di calore anche se sapevo
perfettamente che quel tormento era dovuto più che altro
all'ansia
di raccontare loro i dettagli della mia recente relazione andata in
frantumi. Ero stata tradita, non c'erano altri mezzi termini per dire
la questione.
“ Tesoro
apriti con noi solo se te la
senti di raccontarci tutto..”- iniziò Elisabeth,
ma io prima che
potesse dire altro la bloccai e dissi: “ io sono un libro
aperto
per voi quindi non c'è nessun motivo per la quale dovrei
chiudermi
in me stessa e non dirvi nulla..”
Così dissi
ciò che avevo trovato in
ufficio dal mio fidanzato, se così potevo definirlo, visto
che lo
frequentavo da poco e il nostro rapporto non si era
spintocosì in là
da definirla una vera e propria relazione. Anche la sfera fisica in
effetti era stata alquanto scarsa perché ero decisamente
più
preoccupata della mia ispirazione e della mancanza di Lady V per
stargli vicino come voleva. Ma qualcuna aveva provveduto a consolare
il mio piccolo “cucciolo” e lo spettacolo che
trovai sulla
scrivania fu davvero disgustoso. Ecco, quella era il tipo di donna
che faceva parte di quella minoranza che odiavo, quella minoranza che
non mi capiva, che non capiva Lady V. Forse era quella parte, dopo i
maschi ad odiarmi davvero. Un odio reciproco ci univa, ecco. Quando
finii il racconto il silenzio si sostituì alle mie parole,
fino a
quando Jonathan disse: “ è anche probabile che lei
abbia lasciato
un segno durante il suo passaggio che tu non sei riuscita a lasciare.
Insomma lei c'era quando tu invece cercavi la tua Lady V.”
“Certo! Ha
lasciato il segno della zoccola. E io infatti non lo
sono, per questo è andata così. Hai
ragione.”- dissi schietta e
senza una nota di rabbia nella voce. Era come se avessi avuto
l'anestesia e quella affermazione, per quanto potessi crederla
cattiva, non scalfì nemmeno una delle mie unghie laccate. Mi
sistemai meglio i capelli e guardai quella strada a me completamente
sconosciuta, ma non per Jonathan che durante la guida continuava a
lanciarmi sguardi furtivi, soddisfatto in cuor suo di aver sentito
una risposta del genere. Del resto conoscevo bene il mio pollo e lui
adorava il mio stile alla Miranda
Priestly de “ il Diavolo veste Prada”.
“ Adesso
non ci pensare! L'aria di Helsinki
ti farà bene. Chissà magari incontri qualcuno di
inaspettato e
finalmente ti innamori anche tu. Che ne sai..”- disse
Elisabeth per
consolarmi. Sbuffai sorridendo e dissi: “ la speranza
seppellirà
tutti. Quindi se questo ipotetico ragazzo vuole farsi avanti ben
venga. Io vivo lo stesso e senza speranze.”
“ Sei sempre
tragica!”- esclamò la mia amica scuotendo la
testa.
Era evidente che fossi un caso difficile.
“ Comunque se
ti interessa saperlo qui c'è della buona roba.”-
disse Johnathan. Lo guardai sopresa e chiesi: “ da quando ti
interessi di fauna maschile? Non è che nel frattempo mi sei
diventato gay?”
Lui scoppiò
a ridere mentre svoltava una traversa e rispose: “ no,
ma conosco i tuoi gusti.”
Sorrisi fissando a mia
volta la strada. Era l'unico esemplare di uomo
che amavo follemente e che riusciva a capirmi alla velocità
della
luce.
“ Per una
volta dò ragione a John Travolta.”-
confermò
Elisabeth con l'aria di una che la sapeva lunga, sedendosi meglio e
riflettendo i suoi occhi sullo specchietto retrovisore.
“ Vedremo
cosa si potrà fare.”-
risposi ironica. Jonathan distolse per un attimo lo sguardo dalla
guida per fissare me. Sorrise e sussurrò: “
Miranda all'attacco.
Così ci piace!”
Sorrisi e gli
scompigliai i capelli
castani e leggermente cresciuti.
“ Hai deciso
di farli allungare e
diventare un eremita?”
“ Colpa delle
donne! La clientela
femminile mi adora così.”- rispose dandosi delle
arie.
“
Stupido.”- sbottò Elisabeth
dandogli un colpo sulla spalla.
“ Ehi ma sei
impazzita? Sto guidando!
Potevo morire!”- esclamò tragicamente.
“ Come siamo
delicati!”
“
Strega.”
“
Grazie.”
In quell'attimo di
silenzio che si
venne a formare, guardai entrambi e mi sciolsi in un altro sorriso.
L'unico pensiero che mi gironzolava nella testa in quel momento era
il fatto di essere finalmente a casa nonostante fossi in un posto per
me completamente sconosciuto.
Appena entrai in casa
una piacevole
sensazione di caldo mi investì dandomi il benvenuto in
quella che
sarebbe stata la mia nuova dimora. Forse avrei trascorso anche il
Natale. Avevo bisogno di staccare del tutto con la mia vita da
perfetta londinese qual'ero e starmene un po' per fatti miei.
L'offerta era davvero invitante, anche se non volevo recare disturbi
ai miei due amici, i quali mi fulminarono con lo sguardo appena dissi
una cosa del genere. Loro volevano che restassi lì per tutta
la
vita, in quella casa a dividere le gioie e i dolori sempre insieme.
L'avevo già detto che li amavo?
“ Vieni a
vedere come abbiamo
arredato la tua stanza!”- esclamò Elisabeth
prendendomi per un
braccio e trascinandomi di sopra. Era una casa enorme e facevo fatica
a credere che io ci fossi dentro. Anche se avevo un bel gruzzoletto
da parte, abitavo nel mio appartamento piccolino e confortante che
non avrei venduto per nessuna ragione al mondo. Quello era il mio
mondo e non si toccava. Quanto a questa casa, mi sembrò di
trovarmi
in un universo parallelo, forse fin troppo luminoso per i miei gusti,
ma decisamente ben arredato, merito di Elisabeth che aveva buon
gusto. Quando entrai in quella che sarebbe stata la mia camera da
letto, quasi non riuscii a credere ai miei occhi. Era stupenda e
larga quanto bastava per farci entrare un esercito. Il letto era
ricoperto da un piumone del mio colore preferito, blu e le pareti
erano tinteggiate di azzurro chiaro, come piaceva a me. I mobili
erano di legno chiaro abbinati ai colori e alle cianfrusaglie messe
come abbellimento sugli scaffali e la cosa più bella di
tutte, non
era tanto l'armadio gigante che avrebbe contenuto tutto il mio
guardaroba stiloso, quanto quella spaziosa scrivania piazzata sotto
la grande finestra che dava sul giardino del retro. Avrei avuto un
bel panorama e questo non poteva che rendermi felice.
“ Allora ti
piace?”- chiese
Jonathan entrando trascinando i miei bagagli. Mi voltai verso loro
che aspettavano ansiosi e quasi impauriti il mio verdetto, ma quando
videro un sorriso enorme sul mio volto, capirono quanto non mi
dispiacesse affatto tutto quello.
“ La trovo
magnifica. Grazie!”-
esclamai.
“ Questa
camera non era niente prima.
Quando abbiamo ricevuto la tua chiamata abbiamo fatto tutto il
possibile per renderla degna di ospitare la nostra scrittrice del
cuore.”- disse Elisabeth soddisfatta. Mi avvicinai a loro e
li
abbracciai per l'ennesima volta. Stavo notando che le mie emozioni
positive si erano mostrate troppo e cercai in qualche modo di tirarle
indietro e lasciare l'alone di durezza che mi accompagnava ovunque
andassi. Non volevo che i miei amici avessero sospetti strani sul mio
sprizzare amore da tutti i pori, anche se non c'era nulla di cui
allarmarsi. Ero consapevole di essere un tipo strano. E a volte
facevo paura persino a me stessa!
“ Grazie
ancora! Siete dei pazzi.”-
dissi cercando di tornare con i piedi per terra districandomi
dall'abbraccio.
“ Lo
sappiamo!”- dissero in coro.
Scoppiammo a ridere e mi lasciarono sola giusto il tempo di
sistemarmi e mettere un pigiama per stare più comoda.
Così una
volta disfatto i bagagli, essermi fatta una doccia e cambiata e aver
preso confidenza con la casa, l'unica cosa che mi restava da fare era
sedermi e rilassarmi sul comodo divano aspettando che anche i miei
amici fedeli mi dicessero qualcosa sulla loro vita.
“ Allora?
Come vanno le vostre
vite?”- dissi una volta che mi fui seduta e legata i capelli.
“ Lizzie si
frequenta con Edward
Cullen.”- annunciò Jonathan.
“ Si chiama
Victor e non è un
vampiro.”- corresse Elisabeth rivolgendosi a me. Era
lievemente
arrossita, ma io feci finta di non notare nulla.
“ Ma
è magro, pallido e ha due occhi
che mi fanno paura. Sai, per certi versi mi ricorda lo zombie che
vive a due passi da noi.”-commentò il ragazzo.
“ E hai detto
niente!”- esclamò
Elisabeth.
“
Sì, ma io ho detto per certi
versi. Il tuo Edward non è nulla a confronto.”
Dopo una pausa di
cinque minuti,
Jonathan si sentì un po' in imbarazzo sentendosi gli occhi
di
Elisabeth e i miei addosso e tossicchiando disse: “ che cosa
c'è?”
“ Sicuro che
tu non sia attratto
dagli uomini? Non ci sarebbe nulla di male, noi ti accetteremmo lo
stesso.”- lo rassicurò Elisabeth, mentre io dopo
le parole Edward,
Victor e vampiro non riuscii a seguire più il discorso.
“
Stupida!”- esclamò il ragazzo
colpendola con il cuscino in pieno volto. Prima però che
potesse
scoppiare la rissa mi schiarii la voce e tuonai: “ ragazzi
cercate
di comportarvi come persone mature e non come una bambocciosa banda
di babbuini!”
Il risultato fu che
entrambi si misero
sull'attenti e mi guardarono quasi impauriti. Io sorrisi soddisfatta
e sedendomi di nuovo dissi: “ adesso si ragiona.”
Jonathan, con in mano
ancora il
cuscino, mi guardò e disse: “ sai ti ci vedrei
bene con lo
zombie.”
Elisabeth fece la
stessa cosa, mi
squadrò come se fossi una concorrente di una concorso di
bellezza.
“ Beh in
effetti sareste una bella
coppia.”
“ Ehi! Mi
volete spiegare di cosa
diavolo stiamo parlando? Perchè io non vi sto capendo! Chi
diavolo è
questo zombie?”
“ Ville
Valo!”- esclamò Elisabeth
assomigliando terribilmente ad una ragazzina alle prese con i suoi
disturbi ormonali. Quando tornai a ragionare il mio pensiero si
focalizzò sul nome appena pronunciato così la
guardai terrorizzata
e poi chiesi: “ chi?”
“ Non dirmi
che non lo conosci..”-
disse Jonathan allarmato.
“
Perchè dovrei conoscere Ville
Valo?”- chiesi confusa.
“ Oh mio Dio!
Perchè..?”- implorò
al cielo lo stesso deficiente.
“ Beh non
tutti possono conoscerlo se
non ascoltano musica rock.”- convenne Elisabeth.- “
Ville Valo è
il frontman di una band finlandese chiamata HIM conosciuta un po' in
tutto il mondo. E sai quante ragazzine gli vanno dietro? Ormai io e
John abbiamo perso il conto. E comunque noi abbiamo il piacere di
averlo come vicino di casa. Ti basterà guardare dalla
finestra un
po' più alla tua sinistra e vedrai una torre. Ecco
lì abita lui.”
Guardai scandalizzata
entrambi che
invece mi sorridevano felici e prima che potessi dire qualcosa e fare
anche una sola mossa, Jonathan si avvicinò alla finestra e
poi
esclamò: “ ehi lo zombie sta uscendo! Presto vieni
qui!”
Mi avvicinai, ma tutto
quello che potei
distinguere fu un'alta figura nera con un berretto in testa che si
muoveva a grandi passi verso il viale per una meta sconosciuta. Non
riuscii a vedere nient'altro e non capii nemmeno perchè
questo tizio
accendesse gli animi in quel modo, perfino di Jonathan che continuava
a farmi paura.
“ Quindi
vivete vicino ad uno
zombie?”- chiesi poco dopo.
“ Il
più bel zombie che tu possa mai
vedere.”- mi corresse Elisabeth.
“ Beh non
è che abbia visto
moltissimo. Tutto quello che posso dire è che è
molto magro.”-
conclusi sedendomi nuovamente.
“ Aspetta
ancora prima di parlare. Il
tempo di trovartelo davanti e parlarci e la magrezza
diventerà il
tuo ultimo pensiero.”
Le parole di Elisabeth
suonarono più
come una profezia che come uno scambio di battute. Non volli dire
altro, così mi limitai a sorridere. Non volevo rovinare
quell'atmosfera da tipico salotto di gossip, perchè
nonostante
l'euforia del momento, io pensavo alla mia ispirazione e alla mia
Lady V che non vedevo l'ora di vederla tornare fra le mie braccia.
Quel Ville Valo o come diavolo si chiamava era il mio ultimissimo
pensiero insieme alla sua magrezza.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Stranger in stranger land ***
Stranger in a strange land
Sapevi di essere
sulla buona strada solo quando la mente partoriva frasi degne di
Shakespeare anche stando semplicemente seduti in un bar, ad un tavolo
riservato accanto alle grandi vetrate che rispecchiavano l'atmosfera
serena di una strada leggermente sporca di neve. Erano tempi difficili
per la mia pelle, che faceva ancora fatica ad adattarsi a
quell'ambiente ostile. Eppure nonostante tutto amavo quella sensazione,
simile allo stato in cui si trovava il mio cuore, freddo come Helsinki.
Di tutte le
stagioni che si alternavano ripetutamente sulla Terra, l'inverno era
sicuramente la mia stagione preferita, perché le lunghe
giornate grigie che portava con sé si addicevano
perfettamente al mio essere. Mi piaceva sentire il freddo penetrarmi
nelle ossa, anche se difficilmente lo sopportavo e soprattutto adoravo
il venticello gelido che con un sol colpo fendeva la pelle come la lama
di un coltello. Quella a mio avviso, era la sensazione più
sadica che mi piaceva provare. In quel momento continuavo a fissare il
mio quaderno adagiato delicatamente sul tavolo, sperando che quel
contatto visivo in qualche modo accendesse la scintilla che, salendo
fino al cervello, mi avrebbe fatto partorire quelle dannate frasi da
far invidia a Shakespeare stesso. Io, seduta, aspettavo ma invano: il
mio desiderio purtroppo faticava ad avverarsi. L'unica cosa ad essere
cambiata nel frattempo era la dose mattutina di caffé che
gradualmente stava svanendo dalla tazza, la prima di una lunga serie. A
volte mi facevo paura da sola, sembravo una macchina divoratrice di
caffeina, questo soprattutto quando cercavo di attivare le antenne
usate per cogliere l'ispirazione. Ormai andavo avanti così
da una settimana, ogni mattina. La prima settimana, invece, la usai per
conoscere la città.
Imparare a
vivere in un posto completamente fuori dalla mia portata fu
ciò che dovetti fare in quei giorni. Era un
pò come partecipare ad uno reality televisivo in cui avrei
dovuto superare molti ostacoli per vincere e aggiudicarmi il titolo di
sopravvissuta, e nonostante la difficoltà dei primi momenti,
mi complimentai con me stessa per il risultato raggiunto ed essere
stata davvero così brava a mettermi in carreggiata in
così poco tempo. Grazie alle visite guidate di Jonathan ed
Elisabeth pian piano cominciai a sapermi muovere per la
città, non benissimo certo, ma almeno ora sapevo raggiungere
anche da sola quei posti in cui avrei passato un sacco di tempo ad
evocare in intimità il mio dolce alter ego. E uno di questi
era il bar in centro dove passavo la mattina ad ingozzarmi di
caffé rendendomi nervosa e suscettibile in pochissimo tempo.
Non era molto distante dal parco, altro punto strategico, che ormai
avevo preso l'abitudine a misurare a grandi passi durante il
pomeriggio. Questi erano i due fulcri centrali della mia esistenza
lì, in quella specie di Polo Nord abitato.
La gente era
cordiale. Alcune donne mi riconobbero per strada e ricordo
perfettamente come il mio ego in quel momento divenne più
smisurato del dovuto e la soddisfazione di avere delle fan
così accanite anche lì divenne davvero immensa.
Oltre ad Elisabeth e Jonathan non fui così estroversa da
fare subito amicizia con altra gente. Dopotutto era ancora l'inizio e
gradualmente avrei avuto modo di aprirmi anche con le persone che erano
al fianco dei miei amici, ma conoscendomi, il carattere burbero che mi
ritrovavo avrebbe giocato a mio sfavore. A Londra non avevo una vita
sociale molto attiva e gli amici anche lì si potevano
contare sulla punta delle dita. A me stava bene così e non
vedevo il motivo per cui dovessi cambiare le mie abitudini ad Helsinki.
Già era tanto se abituavo il mio corpo a quelle temperature.
L'unico estraneo con cui avevo instaurato una sorta di legame
amichevole, che si apriva con un buongiorno e si chiudeva con un ciao,
era Jack, il barista, londinese anche lui. Fui davvero contenta di
trovare un compaesano in quel posto, anche se c'era da dire che la
maggior parte della gente che incontrai in quelle due settimane
praticava bene l'inglese, ma era comunque sempre piacevole scambiare
due parole contate e più veloci con gente della propria zona
di origine. Ebbi modo anche di conoscere suo figlio, Liam, il ragazzo
che prontamente provvedeva a portarmi le decine di tazze di
caffé appena le chiedevo. Era molto cordiale e non sapevo se
il fatto che i suoi occhi appena alzavo la testa erano puntati su di me
dovesse lusingarmi o irritarmi. Pensandoci bene mi irritavano
perché riflettendo, probabilmente dieci anni prima non avrei
avuto un trattamento così gentile se solo avesse visto la
balena che ero. Era questo forse ad irritarmi di più, il
fatto che quelle attenzioni si ricevevano solo se si era lontani
dall'essere un mostro. Per questo odiavo gli uomini. Cosa pensavano,
che un semplice complimento o un'attenzione in più potesse
cambiare qualcosa? A me non cambiava nulla. Non era quello che mi
faceva impazzire in un uomo. Erano tutti così uguali! Noiosi
soprattutto! Ma per soddisfare il corpo si accettavano anche gente del
genere, dopotutto la carne era sempre stata debole a tal proposito.
Anche quel giorno trovai Liam a fissarmi dal bancone e dovetti
forzatamente rispondere al suo sorriso imbarazzato con uno decisamente
falso. Poi spostai lo sguardo sulle altre persone che a quell'ora
popolavano il bar e restai a guardarli per un bel pò di
tempo.
Osservare la
gente era la cosa che più mi divertiva e mi piaceva fare
quando ero in procinto di scrivere un nuovo romanzo. Quella gente non
sapeva quanto potesse essere di grande aiuto per una scrittrice. Era
proprio dalla gente comune che prendevo spunto per formare i caratteri
dei personaggi e se trovavo qualcuno di particolarmente interessante
potevo anche prendere in prestito i caratteri somatici.
Molti mi
credevano pazza, altri semplicemente strana, ma fin'ora nessuno era
riuscito a capire chi fossi realmente. Lasciando la freddezza e la
cattiveria sviluppata contro il sesso opposto, io ero una di quelle
ragazze che amava di gran di lunga starsene per fatti suoi, guardando
in silenzio ciò che la circondava.
Non ero
particolarmente loquace come magari poteva sembrare e il più
delle volte tendevo ad isolarmi dal resto del mondo, preferendo
scomparire nel luogo che avevo creato con grande zelo nella mia mente
durante quegli anni. Era il mio piccolo universo, dove stranamente
valeva ancora la storia della principessa che veniva salvata
in calcio d'angolo dal principe azzurro, quest'ultimo magari in sella
al suo famoso cavallo bianco. O dove Cenerentola ancora una volta
fotteva quelle streghe delle sue sorellastre e cambiava residenza, e
finiva per vivere in un palazzo e portare sul lastrico il bel principe
e tutto il seguito, per via dello shopping sfrenato. In quel momento
presi ad osservare una coppia seduta ad un tavolo vicino all'ingresso.
Erano giovani e sicuramente molto innamorati. Capii che quel sentimento
era molto recente dal modo in cui si guardavano e forse passando il
tempo quei sorrisi luminosi si sarebbero gradualmente affievoliti,
perché quell'amore avrebbe finito per diventare una semplice
abitudine. Forse ero io che vedevo questa piccola nota dolente in
quella felicità, ma era nella mia natura trovare del marcio
e del negativo in tutto quello che sprizzava gioia e amore. In tutte le
cose c'era la fregatura. Ma non potei fare a meno di sorridere vedendo
quello scambio di dolci carezze ed effusioni, perché
nonostante la mia mente malata di acidità ero contenta di
vedere una donna felice. La mia paura era invece quella di trovare una
donna sola, perché la donna poteva dare molto e insieme ad
un'altra sapeva essere davvero una forza della natura. Mi accorsi per
un attimo di essermi persa nel guardare quella giovane coppia,
rischiando probabilmente di apparire invadente e fastidiosa.
Così distolsi lo sguardo appena in tempo per eliminare il
dolciume che si era stampato sul mio volto e che non mi apparteneva
minimamente. Ma prima di riportare gli occhi sul foglio constatai che
Liam non era l'unico quella mattina a fissarmi in maniera curiosa e
costante come faceva sempre da quando lo conoscevo.
Quel giorno a
due tavoli dal mio, un ragazzo, che stranamente avevo ignorato, con un
berretto nero e con un viso magro e pallido, sembrava aver deciso di
imitarlo. Indugiai su quello sguardo che, per un tempo infinito, mi
fece perdere il respiro per quanto fosse immediato da lasciare senza
parole e presa da uno strano senso di imbarazzo subito abbassai la
testa per tornare sul mio quaderno. Cercai con tutte le mie forze di
fare l'indifferente ma sentivo lo stesso quello sguardo trapassarmi.
Non mi sentivo
più a mio agio, era chiaro che il tizio mi desse ai nervi e
così mi alzai e prendendo borsa, quaderno e penna mi
allontanai dal mio tavolo e, senza guardare in quella direzione
nonostante la voglia, mi avvicinai a Jack che con un gran sorriso
disse: " già ci lasci?"
Guardai anche
Liam dietro suo padre e risposi: " per oggi sì. Ma
tranquillo domani sono di nuovo qui. Il tuo caffé
è un toccasana per il mio corpo."
Jack sorrise e
disse: " ne sono davvero compiaciuto."
Pagai i miei
sette caffé e dopo aver salutato Liam, che gentilmente mi
aveva accompagnata fin all'ingresso, aprii la porta scivolando in un
vortice di freddo assurdo. Mi strinsi meglio la sciarpa al collo e mi
diressi da Jonathan. Lui aveva aperto, da circa tre anni una scuola di
danza, la sua unica ragione di vita, e molto spesso finiva per restare
lì dentro quasi tutta la giornata. Era un coreografo
spettacolare molto richiesto in America. Prima di pranzo ero solita
passare da lui per poi dirigerci insieme a casa.
Mentre mi
sistemai il cappello e imboccai la strada per raggiungere il primo
ballerino del mondo, sentii una presenza dietro di me. Fu inevitabile
per il mio istinto voltarmi e quasi mi pentii subito di averlo fatto.
Dietro di me come una sorta di demone oscuro, c'era il ragazzo che mi
aveva fissato per tutto il tempo al bar. Non seppi bene
perché ebbi quella reazione, ovvero, battiti del cuore
accelerati e un nodo allo stomaco. Forse la colpa era di quel viso
davvero particolare. Ma cosa stavo facendo? Da quando un uomo mi faceva
questo effetto? Evidentemente Helsinki l'avevo sopravvalutata: non mi
stava sicuramente facendo del bene, anzi mi stava rammollendo e la cosa
non mi piaceva affatto. Velocizzai il passo e dopo aver imboccato una
stradina secondaria che si apriva come uno spiraglio sulla mia
sinistra, mi guardai dietro e con grande gioia seppi di aver seminato
lo scheletro ambulante. Soddisfatta arrivai poco dopo alla scuola dove
trovai Jonathan sudato e con l'affanno mentre salutava le sue due
aiutanti. Immaginai che avevano appena finito di provare qualche
coreografia pazzesca. Appena mi vide, lo spilungone mi sorrise e si
precipitò da me per abbracciarmi.
" Che schifo sei
tutto sudato! Non avvicinarti!"- mi lamentai indietreggiando.- " non ti
permettere!"
Ma lui,
dispettoso, mi cinse i fianchi e finii per essere imprigionata tra le
sue braccia nonostante il mio disappunto. Gli tirai un pugno sul
braccio e mi liberai da quella presa allontanandolo.
" Sei una iena!
Ti odio!"- disse massaggiandosi il punto colpito.
" Questo vale
anche per me."- risposi a braccia conserte. Mi fece la linguaccia e poi
scomparve diretto agli spogliatoi. Io nel frattempo mi sedetti di
fronte ad un muro pieno zeppo di foto che ritraevano Jonathan insieme
alle star della musica con cui aveva lavorato in quegli anni. Una foto
su tutte faceva da padrona ed era quella che traeva il mio caro
ballerino con la bravissima e talentuosa Beyoncé Knowles.
Lui era un suo grandissimo fan e ricordavo, come se fosse ieri,
esattamente, parola per parola, la sua chiamata dove, con voce da donna
isterica per via del ciclo mestruale, mi diceva che la sua regina lo
aveva scelto per alcune coreografie impegnative e allo stesso tempo per
imbarcarsi in un mostruoso tour mondiale, e lui naturalmente aveva
accettato.
" Andiamo?"
Distolsi la
sguardo dalla foto e alzandomi gli andai vicino e accennai con la
testa. Uscii per prima mentre Jonathan provvedeva alla chiusura quasi
ermetica del suo castello prezioso.
" Vai al parco?"
La voce di
Elisabeth quasi mi fece trasalire mentre indossavo il cappotto e il
cappello. Ero così assorta nei miei pensieri che la presenza
della mia amica mi fece fare un salto degno di un atleta olimpico.
" Non pensavo di
fare questo effetto."- scherzò. Sorrisi e sistemandomi i
capelli con perfetta attenzione davanti allo specchio dell'ingresso
risposi: " scusami. È che oggi mi sento strana."
" E' colpa di
tutti quei caffé. Devi smetterla! Finirai per esserne del
tutto dipendente."
" Già
lo sono."- dissi prendendo la borsa.- " io vado. Ci vediamo dopo."
" Okay."
Le diedi un
bacio sulla guancia come facevo sempre quando era a Londra e
chiudendomi la porta alle spalle, mi incamminai verso il mio destino
incerto. Quel giorno ero sicura che non avrei ricavato un ragno dal
buco, perché conoscendomi sapevo perfettamente che non ero
concentrata. Il bello era che non sapevo nemmeno il motivo e la
conseguenza fu un nervosismo pazzesco, più di quello che
riuscivo a procurarmi con dieci caffé di seguito. Mentre
camminavo tranquillamente scoprii che davanti a me c'era la figura
tenebrosa che avevo visto la mattina stessa e la cosa mi diede
ulteriormente fastidio. Non volevo sorpassarlo, ma allo stesso tempo
non avevo la minima voglia di camminare lenta come una tartaruga per
evitare di avvicinarmi. Così armata di coraggio feci il
passo decisivo e rapidamente lo superai cercando di non guardarlo.
Continuai a camminare sperando di averlo superato e invece non fu
così. Era come se mi stesse seguendo e non faceva nulla per
nasconderlo. Quando mi voltai giurai di aver visto un sorriso sul suo
volto, un sorriso tutto per me poi. Mi voltai immediatamente e
continuai a camminare. Quando fui immersa nel parco respirai l'aria
pura e mi sedetti sull'altalena stando attenta a non cadere. Guardai i
bambini rincorrersi e nel frattempo tirai fuori il quaderno con la
speranza che potessi finalmente scriverci almeno una frase come " c'era
una volta", piuttosto che continuare a guardarlo. Scrutai quei bambini
immersi nei loro giochi quando uno di loro, cadde a poca distanza da
me. Mi avvicinai preoccupata per via della caduta decisamente rovinosa
che aveva fatto e chiesi: " ehi tutto bene?"
Lo aiutai a
mettersi in piedi e a sistemarsi. Lui mi sorrise e rispose: "
sì sto bene."
" Ne sei
sicuro?"- chiesi ancora preoccupata.
" Davvero!"-
esclamò allegramente.- " grazie!"
" Di nulla."-
risposi sorridendo a mia volta vedendolo poi tornare correndo dai suoi
amici. Uno di loro alzò la mano per salutarmi. Alzai a mia
volta la mano continuando a tenere quel sorriso sincero sul volto.
Quando tornai a sedermi il sorriso si congelò per quello che
vidi girando la testa verso la mia sinistra. Quel ragazzo si era seduto
sulla panchina rilassato e mi stava guardando. Quando i nostri sguardi
si incrociarono in poco tempo distolse il suo preferendo contemplare i
bambini. Evidentemente aveva capito che quella sua malsana
curiosità provocava nervosismo. Io feci finta di nulla e
sbuffando presi il mio quaderno, decisa a scrivere qualcosa di
più di diecimila scarabocchi. Ebbi la stupida di idea di
pensare che forse la causa di quegli occhi puntati su di me era dovuto
al mio cappotto lungo rosso che non passava di certo inosservato e
molto probabilmente Cappuccetto Rosso mi avrebbe denunciata per plagio.
Mi addentrai nel
mio mondo fatato ignorando il fatto che nella realtà fossi
l'oggetto di osservazione di una specie di uomo nero, ma sembrava
proprio che qualcuno ce l'avesse con me. Prima di poter del tutto
lasciare la realtà, dedicandomi a quel foglio bianco che
avevo in grembo, qualcuno mi si parò di fronte e alzando la
testa vidi un biondino niente male che mi sorrideva.
"Ciao."-
esordì. Lo guardai mezzo minuto senza parlare e poi tornai a
guardare il quaderno e sussurrai un acido: "ciao."
Questi intoppi
decisamente non mi piacevano soprattutto se questi prendevano il nome
di uomini. Stavano facendo di tutto pur di non farmi riprendere i
rapporti con Lady V. E sapevo bene cosa significasse il sorriso
stampato su quel volto fintamente angelico: prima regola di abbordaggio.
Innervosita a
quel punto infilai il quaderno in borsa e mi alzai, con la voglia di
scomparire prima di fare del male fisico a quella zecca.
" Già
vai via?"
" Ho da fare."-
risposi apatica. Ma quando decisi di fare un passo verso la luce, lui
si parò nuovamente davanti e disse: " io sono Allan."
"Piacere."-
dissi senza guardarlo.
"Tu hai un nome?"
Lo guardai e
sorridendo risposi: " no. I miei genitori si sono dimenticati di
darmene uno quando sono nata."
" Sei sempre
così scortese?"
Ma che cosa te
ne importava seppure lo fossi stata e perennemente per giunta? Chi ti
conosceva? I miei nervi erano già alle stelle, ma mantenni
la calma e fissandolo dissi: " lo sono sempre con le persone che non
conosco."
" Oh ma questo
problema è risolvibile."- rispose avvicinandosi di
più.- " ho notato che sei sola. Beh anche io sono solo,
perciò che ne dici se trascorriamo la giornata qui al parco
insieme?"
Lo fissai
sconcertata. Possibile che tutti gli uomini cercassero di fare i
dongiovanni? Peccato che fossero tutti dei falliti.
" No."- risposi
seccata cercando di liberarmi della sua presenza.
"Oh ma andiamo!
Lo so che vuoi stare in compagnia e muori dalla voglia di conoscermi."-
disse con aria maliziosa. Lo guardai meglio e mi accorsi che quella
faccia apparteneva ad un maniaco schifoso. Ma sempre io dovevo trovare
gente del genere durante il mio passaggio?
" Che cosa? Dio
perché mi fai questo?"- esclamai alzando gli occhi al
cielo.- "cosa ne dici se ti togli dalle palle con la stessa
facilità con cui sei arrivato per infastidirmi? Forse
è meglio se ti fanculizzi, evapori. Penso che tu riusciresti
a farlo egregiamente, no?"
Il ragazzo
restò di stucco dopo quelle parole.
" Mah.."
"Hai sentito
cosa ti ha detto? Vuole essere lasciata in pace."
Quando sentii
quella voce, i peli sulla nuca mi si rizzarono tutti. Era una voce
calda, profonda e decisamente da infarto. Mi voltai e vidi l'uomo nero
avvicinarsi con un'aria piuttosto cattiva. Non sapevo se essere felice
che quel qualcuno che aveva parlato mi volesse aiutare o urlare di
terrore per via della sua presenza lugubre. Il biondino
deglutì e poco dopo senza dir nulla andò via e io
all'improvviso lo invidiai per essere riuscito a darsela a gambe. Lo
scheletro mi guardò rischiando di uccidermi e poi sorridendo
mi porse la mano e disse: " io sono Ville."
Guardai quella
mano, indecisa se stringerla o scappare direttamente. Volevo tanto
dirgli " e io sono Jade Watson, una fottuta donna con le palle, quindi
non mi fai paura!" ma invece tutto quello che la voce mi permise di
dire fu: "Jade."
Strinsi la sua
mano e sentii una scarica elettrica percorrere il mio corpo mentre il
ragazzo incappucciato sussurrava: " mmh Jade..suona bene."
Qualsiasi donna
a quelle parole sarebbe arrossita o nei peggiori dei casi sarebbe morta
stecchita dinanzi ai suoi piedi. Qualsiasi donna tranne io che invece
rovinai tutta l'atmosfera chiedendo: " sbaglio o tu sei quel tizio che
mi sono ritrovata dietro per tutto il giorno?"
" Non sbagli ero
proprio io. Chiamalo caso."- rispose con noncuranza, ma era evidente
che fosse dispiaciuto per non aver ottenuto l'effetto desiderato.
"Io lo chiamerei
più che altro indiscrezione."
"Ecco, chiamiamo
il caso indiscrezione."- disse fingendosi pensieroso. - " comunque
andava bene anche un grazie."
Lo fissai e
dissi: " non sono una donna dal grazie facile."
"Questa potrebbe
chiamarsi maleducazione."- sorrise urtandomi i nervi più del
dovuto. Mi accorsi che le nostre mani erano ancora strette l'una
nell'altra e così mantenendo la calma come solo io sapevo
fare in questi casi dissi: " e questa invece insolenza. Puoi lasciarmi
la mano? Grazie."
Sfuggii alla sua
presa mentre lui sorrise e disse: " oh oh! Ti è scappato un
grazie. Questo mette in discussione ciò che hai detto prima."
Lo guardai senza
dire una parola. Se dovevo essere sincera per la prima volta in vita
mia non ne avevo.
" Spero che non
mi riservi lo stesso trattamento del tizio di prima dopo quello che ho
detto."- il suo tono era divertito, diversamente da come mi sentivo io.
Ma ciò che aveva detto mi fece sorridere. Aveva sentito
tutto quello che avevo detto e quasi mi imbarazzai soprattutto per il
fatto di essere stata abbastanza maleducata.
" Non lo so..ci
sto pensando."- dissi.
" E' grave."
" E non sai
quanto."
Scappò
un sorriso da entrambi i fronti e la cosa mi lasciò
decisamente confusa. Chi era quel tizio? Mi sembrava completamente
diverso dalla maggior parte dei deficienti con cui avevo avuto a che
fare anche solo per due minuti.
" Allora? Che
belle parole hai in serbo per me?"- quel volto mi faceva un
pò paura, ma quella voce era tutt'altra cosa. Jade non ci
siamo! Fai la stronza come sempre! Chi diavolo era questo Ville per
farti tentennare?
" Che sei
strano.."- tutto qui? Non ci siamo! Decisamente non ci siamo!
Questa volta
Ville rise, una risata davvero strana, ma che amai appena la sentii.
Anche da quello il ragazzo mi sembrava completamente diverso dagli
altri. Ma solitamente quando dicevo una cosa del genere, il tizio preso
in analisi era sempre gay. Forse lo era.
" Tutto qui?"-
chiese.- " pensavo peggio."
" Se vuoi posso
rifarmi in un batter d'occhio."
" No va bene
così. E poi in fatto di stranezza penso che siamo sullo
stesso piano."
" Mi sta dicendo
che anche io sono strana?"
" Molto strana."
Lo guardai e
chiesi: " perché hai cercato di fare l'eroe prima?"
Mi
fissò di rimando e rispose: " beh perché quando
si è concentrati su qualcosa è decisamente
snervante essere interrotti da scocciatori di quart'ordine."
Quella risposta
mi spiazzò. Era cosa se sapesse bene cosa stessi facendo.
" Beh anche
essere osservate, anzi perforate da occhi estranei può
essere fastidioso."- dissi alludendo alle sue occhiate insistenti. Lui
capì al volo e sorridendo un pò imbarazzato
disse: " scusa. È che mi piace osservare le persone che sono
concentrate. Tu stavi cercando di scrivere e io ero semplicemente
curioso di vedere le tue espressioni."
Quegli occhi mi
facevano perdere la logica della ragione e la cosa non mi piaceva
affatto. Sorrisi e guardai l'orologio notando che si era fatto tardi.
Dovevo tornare a casa purtroppo o per fortuna.
" Devi andare?"-
mi chiese, anticipando tutte le mie mosse. Annuii.
" Possiamo fare
la strada insieme, così almeno non ti farai film mentali
sull'essere seguita."
" Io non mi
faccio nessun film, sei tu che mi hai dato l'idea di essere uno
stalker."
" Mai passato
per il cervello l'idea che potessi aver voglia di andare nello stesso
posto in cui eri diretta tu?"
" Da voi uomini
ci si può aspettare di tutto."
Lui mi
guardò e finì per sorridere senza aggiungere
niente. Era probabile che avesse voluto farmi vincere questo round
senza replicare. In silenzio, uno accanto all'altro facemmo il percorso
opposto e in poco tempo raggiungemmo il quartiere dove avevo la nuova
residenza. Mi sorpresi di vederlo ancora lì vicino a me e
pensai per un attimo che avesse l'intenzione di accompagnarmi fino a
casa. Invece si fermò dinanzi ad una torre che, se dovevo
essere sincera, stonava un pò con le abitazioni vicine. La
osservai mentre lui disse: " io sono arrivato al capolinea."
" Abiti qui?"-
chiesi sconvolta. Quella risata strana, ma adorabile si fece di nuovo
strada fra le mie orecchie.
" Non
è così terribile, sai?"
" Se lo dici
tu.."- dissi un pò dubbiosa. Per me sarebbe stato l'ultimo
posto sulla Terra in cui sarei andata a vivere. Proprio se era
necessario.- " beh io vado."
" A domani."-
disse sorridendo mentre apriva il cancello e spariva dentro quel luogo
strano. A domani? Da oggi a domani avrei già dimenticato
l'incontro, potevi starne sicuro.
Ero alla
finestra e stavo vedendo le tenebre scendere e inghiottire tutto il
vicinato salvando solamente i lampioni illuminati.
Il fatto che
avessi una memoria molto corta verso gli incontri strani, non valse per
quello che avevo fatto durante il pomeriggio. Pensai costantemente a
quel tizio che aveva osato tenermi testa con sottile ironia.
Ricapitolando:
era molto alto, vestito di scuro con un berretto coordinato. Aveva un
viso pallido da far invidia ad un vampiro, era uno scheletro e la sua
voce era decisamente la più sexy che avessi mai sentito. E
la sua abitazione era una torre che scoprii essere non molto distante
dalla casa in cui ero ospite io.
Un momento!
Magrezza e una torre!
“ Ville Valo è il frontman di una band finlandese
chiamata HIM conosciuta un po' in tutto il mondo. E sai quante
ragazzine gli vanno dietro? Ormai io e John abbiamo perso il conto. E
comunque noi abbiamo il piacere ti averlo come vicino di casa. Ti
basterà guardare dalla finestra un pò
più alla tua sinistra e vedrai una torre. Ecco lì
abita lui.”
Le parole di
Elisabeth immediatamente mi rimbombarono nelle orecchie e di colpo un
senso di ansia si impadronì del mio stomaco.
" E' assurdo.."-
sussurrai convincendomi che fosse così.
Mi allontanai
dalla finestra e con grande rapidità oltrepassai il piccolo
muretto che divideva il soggiorno dalla cucina, dove Jonathan stava
preparando la sua torta al cioccolato ed Elisabeth la sua ricetta
italiana. Immediatamente mi avvicinai ad Elisabeth togliendole dalle
mani il coltello e poi a Jonathan a cui tolsi il cucchiaio. Era il mio
modo per avere l'attenzione su di me quando avevo qualcosa di urgente
da dire.
Elisabeth mi
guardò allarmata, mentre Jonathan si lamentò come
un bambino di cinque anni.
"Ehi mi dai il
cucchiaio? Devo finire!"- esclamò cercando di afferare il
cucchiaio stretto nel mio pugno. Lo respinsi con la mano e dissi: "
fermati un attimo, devo dirvi una cosa."
"Non posso
altrimenti sbaglio la dose!"
Lo fulminai con
lo sguardo e lui subito deglutì.
"Tu mi starai a
sentire! Al diavolo la dose!"
"Okay..questa
cosa mi spaventa."
Mi avvicinai al
tavolo da pranzo e come se fossi un ispettore di polizia feci avanti e
dietro mentre accennavo ai colpevoli di sedersi. Loro si sedettero e
continuarono a guardarmi.
" Potresti
smetterla di fare avanti e dietro. Mi stai facendo venire mal di
stomaco."- disse Jonathan. Io non lo ascoltai e poco dopo chiesi: "
come avete detto che si chiama lo zombie?"
"Quello
zombie?"- mi chiese Elisabeth indicando la finestra.
"Sì!"-
risposi impaziente mettendo le mani sul tavolo.
"Ville Valo."-
rispose deglutendo impaurita.
"E dove avete
detto che abita?"- continuai invasa dalla crescente nausea.
"Nella torre
gotica qui vicino."- rispose lei.
No, non era
possibile! Era impossibile che io avessi trascorso un piccolo momento
della mia giornata con Ville Valo, quel Ville Valo tanto adorato dai
miei amici. E non sapevo nemmeno perché dentro di me sentivo
lo stomaco e il cuore fare bunging jumping appena pensai a quegli occhi
e quel viso. Ma che diavolo mi saltava in mente?
"Oddio, no..non
può essere.."- sussurrai al tavolo sorridendo innervosita.
"Ti senti
bene?"- mi chiese Elisabeth preoccupata.
"Che cosa
è successo?"- chiese invece Jonathan. Alzai gli occhi e
fissai i miei amici decisamente confusi e preoccupati per quella mia
reazione improvvisa. Sospirai e con lo stesso sorriso dissi: " credo di
aver trascorso un pò di tempo con lui senza sapere
effettivamente che fosse quel lui."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** The return ***
*E nel frattempo quella che pensa di saper scrivere una storia
decente quatta quatta entra di nuovo a rompere le scatole.*
Salve DonneH! Volevo
ringraziare le anime buone e pie che stanno
seguendo la storia! Un infinito grazie! E grazie ancora anche alla
Crabs che
sclera con me <3
Bene io sono qui
perché questo capitolo mi è stato ispirato da una
canzone e volevo lasciarvela così magari la ascoltate anche
voi.
Volevo precisare comunque che ciò che dice caratterizza un
pò Jade,
il fatto che mente spesso e volentieri non solo ad una persona in
particolare, ma a tutti e che cerca di mascherare i suoi sentimenti.
Una bad girl da cui bisogna stare lontani..capito Ville? No dai
povera xD
Okay io
evaporo..sciaoooo!!
http://www.youtube.com/watch?v=fAxeOT6gKfk
The return
Non
sapevo bene se la scelta migliore fosse quella di sorridere o di
sgozzarli tutti e due e provare così il brivido emozionante
di un viaggio in auto con la polizia, finendo il resto dei miei giorni
segregata in una cella striminzita di qualche lugubre carcere.
Naturalmente la parte insana, che regnava sovrana nel mio esile
organismo, sceglieva la seconda opzione che le risultava essere la
più giusta. Sì, perchè le
manifestazioni di euforia che seguirono alla mia affermazione shock
furono la parte che più odiai di quella serata. Insomma, che
c'era di così entusiasmante in quello che avevo detto? Ville
Valo poteva anche essere l'uomo migliore di questo mondo, ma restava
comunque un maschio e non trovavo nulla di emozionante in una
conversazione avuta due ore prima con il suddetto individuo.
C'era
anche da dire che da una persona normale era altrettanto normale
aspettarsi una reazione come quella che ebbero i miei amici. Dopotutto
lo zombie era famoso soprattutto per quel suo fascino maligno che
esercitava sulle donne di ogni continente e con cui faceva strage di
cuori, oltre al fatto che fosse famoso per essere il darkman degli HIM,
che per la precisione non avevo mai ascoltato in vita mia. Si trattava
naturalmente di cuori umani, il mio probabilmente era una sottospecie
di organo striminzito che chiamavano così giusto
perché non c'erano altri vocaboli per definirlo. Il vero
problema non era tanto quello di avere un brutto carattere, quanto
piuttosto il fatto che mi non mi dispiacesse. A Elisabeth
ciò la faceva innervosire, mentre a me divertiva. Quindi per
una persona anormale come me tutto quello era decisamente irritante e,
vedere Jonathan con gli occhi illuminati da una luce intensa ed
Elisabeth ripetere parole insensate tra le quali riuscii a distinguere
solamente il mio nome e quello di Vile Valo, era ulteriormente
snervante.
La
situazione stava continuando così da un paio di minuti ed
ero stufa di tutta quell'agitazione insensata, così
sbattendo i pugni sul tavolo dissi: " ma la volete piantare di fare
quelle facce? Non ho mica detto che ci ho fatto del sesso o che me lo
sono sposato!"
"
Come minimo sarei morta e ti avrei ammazzata per non essere stata
invitata."- esclamò Elisabeth.
"
E io avrei voluto sapere tutte le posizioni."- precisò
Jonathan malizioso. Io alzai gli occhi al cielo imbarazzandomi
leggermente. A quelle parole, infatti, come per magia l'immagine dello
zombie mi apparve nella testa con un sorriso malizioso stampato sul suo
volto...
Ehi!
Che diavolo ti prende Jade? Da quando ci facciamo questi film mentali?
"
Che hai?"- mi chiese Jonathan sorridendo.- " stai pensando a Ville e
alle posizioni, vero?"
"
Oh piantala!"- esclamai tirandogli addosso il pacco di pasta appoggiato
sul tavolo da cucina dove entrambi erano ancora seduti. Fortuna che non
si aprì altrimenti Elisabeth mi avrebbe come minimo
ammazzata. Ma lei sembrava essere su un altro pianeta e poco dopo
sospirando e tornando con gli occhi su di me disse: " che fortuna! Io
se l'ho incontrato tre volte sarà stato anche tanto. Non
è un tipo che si incontra facilmente in giro. Preferisce
stare rinchiuso in casa e concentrarsi sulla musica. Tu sei una
miracolata, sappilo."
"
Quale onore!"- sbuffai sarcasticamente.
"
Sei un caso assurdo."- sbottò Elisabeth alzandosi. In quel
momento Jonathan scomparve per poi tornare in cucina con il suo
portatile. Lo appoggiò delicatamente sul tavolo e si sedette
immergendo i suoi occhietti vispi in una ricerca a me del tutto
sconosciuta.
"
Che stai facendo? Non dovresti continuare con la tua dose di non so
cosa nella torta?"- domandai innervosita. Aveva fatto tanto storie
prima!
"
Sto cercando tutte le informazioni che servono a te per conoscere
meglio il Mister."- rispose senza guardarmi. Dopo poco tempo si
alzò e mi fece segno di accomodarmi al suo posto tutto
contento per quello che aveva trovato.
"
Cosa dovrei fare io? Non se ne parla! Io non ho bisogno di nessuna
informazione su nessuno. Non mi serve a niente visto e considerato che
non mi importa nulla di lui. Non devo fargli un'intervista."- dissi
testarda.
"
Non ti costa nulla. Devi perdere del tempo, e visto che Lady V non
c'è, spendilo in qualcosa di utile. Sono sicuro che troverai
la cosa molto interessante."- disse facendomi l'occhiolino. Jonathan
era sicuramente un tipo alquanto interessante, ma estremamente
terrificante in casi specifici come questi. A volte facevo fatica a
considerarlo il mio migliore amico, semplicemente perché mi
spaventava e mi sembrava di più un porco maniaco che un
ragazzo raggiante e serio.
"
Io non perdo mai tempo! Uno, mi avete cacciata dalla cucina
perché non volete che l'ospite veda la sorpresa e due, sto
cercando di pensare al mio romanzo e non devo distrarmi."
"
Beh visto che hai bisogno di ispirazione che ne dici se inizi guardando
le sue foto e leggendo qualcosa sul suo conto come ti sto dicendo da
circa cinque minuti?"- continuò lui imperterrito. Lo fissai
non dicendo una parola, perché non volevo che vincesse quel
round senza senso in cui ero finita senza saper lottare e poi
perché sinceramente non avevo voglia di leggere. Ma era
anche vero che una parte di me, quel piccolo avanzo di bontà
e curiosità verso il genere maschile, stava organizzando una
spedizione armata per combattere la parte malsana. Era meglio chiarire
il fatto che si trattava di perdere del tempo in maniera diversa e non
di curiosità. Volevo convincermi che fosse così
anche se iniziavo a sentire in me una certa incoerenza di dimensioni
atomiche.
Smettila,
deficiente che non sei altro! Ma ti pare normale? Datti un contegno per
l'amor del cielo!
"
Beh che ha deciso, padrona Miranda?"- la voce di Jonathan
così fintamente sottomessa mi fece tornare tra gli essere
umani e sbuffando dissi: " ci do giusto un'occhiata perché
non so cosa fare."
Lui
sorrise trionfante mentre raggiungeva Elisabeth ai fornelli che nel
frattempo se la rideva sotto i baffi. Affrontai il mio viaggio in rete
decisamente più innervosita del dovuto e per poco non ebbi
l'istinto di afferrare il computer e di spiaccicarlo al suolo. Evitai
di farlo per il semplice fatto che l'aggeggio non mi apparteneva e che
stranamente quella piccola forza armata stava avendo la meglio. La
curiosità a mio avviso era la malattia più
incurabile dell'uomo, insieme alla gelosia, ma questa era un'altra
storia che avrei raccontato forse a tempo debito. Ora era proprio la
curiosità ad essere la protagonista dell'intera serata e non
potei assolutamente frenarla. Era come se fosse lei a mandare avanti il
mio corpo in quel momento. Così gli altri minuti restanti
prima della cena li usai per sapere qualcosa di più sugli
HIM e sul bel fusto, restando affascinata per certi versi da quello che
lessi e scoprendo anche i suoi problemi con l'alcol sviluppatisi
maggiormente quando finì la storia importante con la sua
ragazza, quella che pensava fosse giusta e con cui stava addirittura
prendendo delle decisioni serie per il futuro.
Restai
stupita del fatto che questo fu il primo caso che lessi in cui le
sventure d'amore non capitavano ad una donna, ma ad un uomo e la cosa
stranamente non mi fece piacere come potevo pensare. Mi meravigliai
molto del mio atteggiamento che mi rese quasi più umana
verso il genere maschile e in particolare verso lui. La colpa era da
dare soprattutto alle foto che scorrevo, in molte delle quali quel
volto appariva di una tenerezza quasi disarmante ed era davvero
difficile per me odiarlo. Più andavo avanti e più
mi ripetevo che aveva qualcosa di strano..di diverso.
Quando
i ragazzi mi dissero che la cena era pronta, spensi il computer e mi
gustai tutto il banchetto che era stato preparato in mio onore anche se
una piccola parte di me continuava a pensare a quel personaggio ancora
troppo misterioso per i miei gusti. Mi bastarono quelle poche
informazioni che avevo letto per capire che non avevo bisogno di un
computer e una sedia per sapere qualcosa su un individuo, ma che invece
c'era bisogno della persona stessa davanti ai miei occhi. Non amavo
conoscere la gente da ciò che si diceva in giro, ma da
ciò che mi trasmetteva una volta avutala di fronte e
così valeva anche per lo zombie. Beh non era mia intenzione
conoscerlo, però se mi fosse capitato l'avrei analizzato dal
vivo senza farmi pregiudizi alcuni per via di Internet e le sue storie
tese.
Parlai
poco e alla fine mi congedai dicendo quanto fossi stanca e,
così sorridendo e augurandoli la buona notte, mi ritirai
nella mia stanza. Mi feci una doccia veloce e infilai immediatamente il
mio bel pigiamone pesante quasi quanto una montagna e caldo da far
invidia ad un vulcano. Ma prima di mettermi bella comoda sul letto
andai alla finestra e contro ogni senso di logica la aprii, gelando
appena il mio esile corpo si incontrò con l'aria gelida
della notte. Non sapevo esattamente perché feci una cosa del
genere. La cosa sicura fu quella di guardare le finestre della torre
non molto distante da me e notai che erano accese. Restai altri pochi
minuti a vagare con sguardo curioso su quella strana abitazione
credendo addirittura di aver visto qualcuno muoversi dietro alle tende.
Poi quando sentii il gelo stringermi anche lo stomaco chiusi la
finestra e tremando mi tuffai sotto le coperte.
Anche
se il mio corpo trovò la giusta posizione per riposarsi, la
mia testa era in tutt'altre faccende affaccendate e così
finii per restare vigile grazie ai mille pensieri, uno fra tutti lo
zombie che a quanto pareva era diventato la novità del
momento.
La
mattina dopo scoprii di essermi addormentata con i piedi scoperti per
via della posizione stramba che assunsi durante la notte. Ricordai di
aver sognato scene stupide e scollegate fra di loro, ma la cosa che
sembrava essersi impressa nella mia mente era l'immagine di un ragazzo
dal sorriso più bello che avessi mai visto. Non volevo
nemmeno pensare al fatto che quel tizio lo conoscessi bene visto che si
trattava del darkman preferito dai miei amici. Era davvero fastidioso
constatare che mi stesse perseguitando anche nei sogni! Quando mi alzai
capii che quella giornata sarebbe iniziata con il piede sbagliato,
perché mi sentivo più acida del solito e molto,
ma molto innervosita per via della mancanza di ispirazione e di nessuna
idea per la testa. Avevo bisogno urgentemente di una tazza di
caffé e di stare lontana dai miei amici almeno per qualche
oretta, perché in quel momento sapevo già che li
avrei trattati male senza volerlo davvero. Fui anche fortunata
perché in casa non c'era nessuno, tutti e due erano andati
al lavoro. Meglio così, almeno non avrei rischiato di
ammazzarli anche con un semplice buongiorno. Imprecando contro il
freddo che sentivo ad ogni passo che facevo in casa, mi preparai e
uscii di casa per intraprendere la mia nuova giornata ad Helsinki.
Quando
arrivai al mio bar di fiducia sentii il gelo diminuire, ma le mie mani
erano ancora completamente avvolte da un invisibile manto di ghiaccio.
Aprii il quaderno e allo stesso tempo guardai la gente. C'erano un
gruppetto di ragazzi che potevano avere all'incirca quindici anni e
qualche personaggio solitario e uomini d'affari al bancone. Non era
molto movimentata la giornata. Mentre stavo per scrivere quello che
osservai arrivò Liam con il mio caffé.
"
Buongiorno, mia dolce scrittrice."
"
Buongiorno a te, Liam."- risposi fingendo un sorriso per non essere del
tutto indelicata. Lui mi porse con delicatezza la tazza fumante che
avevo richiesto due secondi prima e mormorai un grazie mettendo da
parte il quaderno.
"
Come vi sentite stamattina?"- domandò restando accanto a me.
Aveva un sorriso smagliante e i suoi occhi esprimevano la dolcezza
più assoluta. Sapevo di essere abbastanza bella da poter
fare questo effetto sui polli, ma non pensavo di poter arrivare a
questi livelli esagerati.
"
Come al solito."- dissi scrollando le spalle e riscaldando le mie mani
toccando la tazza bollente. Adoravo quella sensazione di pura ustione.
"
Spero che voi possiate trovare la pace attraverso l'ispirazione."-
continuò poeticamente. Quelle sceneggiate mi disgustavano
nonostante fossero fatte per scherzo.
"
Chissà."
Feci
il primo sorso e mi accorsi che lui era ancora lì vicino a
me e dalla faccia che aveva cominciai a preoccuparmi. Si stava
torturando le mani mentre aveva il vassoio sotto al braccio e
abbassò la testa ma non potei non notare il suo sguardo
preoccupato e imbarazzato allo stesso tempo. Che cosa gli era preso?
Prima
che potessi dire qualcosa, Liam alzò di scatto la testa e
guardandomi in un sol fiato disse: " mi chiedevo se oggi pomeriggio ti
andava di uscire con me, magari ti porto a visitare un pò
Helsinki."
Stava
pensando a questo! Adesso si spiegava quell'atteggiamento strano che mi
incupiva. Me lo stavo chiedendo da un paio di giorni quando sarebbe
arrivato quel momento e finalmente era successo. Era inutile girarci
intorno, non avrei accettato quell'invito perché non ne
avevo voglia e avrei perso solo tempo. Liam era un ragazzo troppo dolce
per i miei gusti ed ero lì ad Helsinki solo per rilassarmi e
staccare da tutti i rapporti, sentimentali e non, che avevo avuto fino
a quel momento. Non avevo proprio testa per un'altra relazione, che
fosse stata di sesso o meno. Ormai non trovavo più gusto
nemmeno in quello. Che ragazza difficile, vero?
Lo
guardai e con tutto il dispiacere che la mia crudeltà
potesse fornirmi dissi: " mi dispiace, ma ho da fare. Il dovere mi
attende e poi scusami, ma adesso non vorrei essere disturbata."
Ero
stata troppo fredda, ma che volevate farci, io ero fatta
così. Liam con aria sconfitta scrollò le spalle e
sussurrò: " ok.."
Quasi
mi dispiacque il modo con cui lo trattai, ma fu più forte di
me. Era difficile frenare la mia acidità e i miei modi di
fare così maleducati quando la luna era più
storta del solito. Solo in pochissime occasioni ero stata capace di
autocontrollarmi. Prima che si allontanasse del tutto dal mio solito
tavolo lo chiamai per divertirmi ancora qualche secondo.
"
Liam?"
"
Sì?"
Ero
sicura che si aspettasse che io avessi cambiato idea e che fossi pronta
ad accettare la sua proposta. Lo vedevo nei suoi occhi, vedevo quella
luce di speranza che solitamente distingueva i poveri illusi e illuse
dal resto della massa. Inizialmente ero tentata davvero di cambiare
idea, ma poi la parte stronza prese il sopravvento e come se niente
fosse alzai la tazza del caffé e dissi: " grazie per il
caffé."
Il
volto di Liam da pura speranza si trasformò in sconforto e
sforzandosi di sorridere si allontanò con il vassoio sotto
al braccio. Sapevo che Liam era una persona a modo e che non avrei
avuto mille maledizioni contro per il gesto che feci, ma se fosse stato
un altro ragazzo credo che sarei stata spedita direttamente a quel
paese con la stessa facilità con cui si respirava. Non
pentendomi minimamente di quello che avevo fatto tornai sul mio
quaderno e scrissi la scena che avevo appena vissuto sulla mia pelle
senza dichiarare apertamente il volto dei due personaggi. Speravo che
quel modo mi aiutasse a far tornare l'ispirazione e accendesse la
famosa lampadina nel mio cervello mezzo addormentato.
Quel
giorno avevo deciso di conquistare con la forza Lady V.
Il
pomeriggio, come ormai era di abitudine, mi avviai al parco con la
sensazione che Lady V si sarebbe fatta viva. Sorrisi alla sola idea di
rivederla nella mia mente e strinsi a me il quaderno mentre svoltai
l'angolo. Ma quella sensazione di allegria durò due secondi,
poiché una figura incappucciata mi venne contro facendomi
spaventare e allo stesso tempo perdere la mia preziosa reliquia fra le
mani.
"
Ma vuoi stare attento?"- esclamai furiosa senza guardare lo sconosciuto
e chinandomi per raccogliere il mio quaderno e i fogli che uscirono, ma
non avevo notato che anche il tizio si era chinato insieme a me e
quando i miei occhi si riflessero nei suoi fui fottuta. Quel volto era
troppo famigliare purtroppo, perché il tizio in questione
era nientemeno che Ville Valo.
"
Oh ma guarda chi c'è!"- esclamò fingendosi
sorpreso. Se io avevo il cuore in gola per via dello spavento, lo
zombie, invece, sembrava più che altro divertito e a suo
agio e mostrò un sorriso perfetto nel suo essere imperfetto.
"
Ti sei spaventata per caso?"- mi chiese ironico.
"
No, che dici? Era una delle mie insolite manifestazioni di sorpresa e
di affetto."- risposi con il cuore ancora agitato mentre riprendevo il
quaderno e strappavo quasi letteralmente dalle sue mani i fogli che,
gentilmente, lui aveva raccolto per me. Ma non capivo se la durata di
quell'agitazione fosse per lo spavento o per la presenza di Ville.
"
Per me? Oh che gentile!"- esclamò fingendosi colpito. Con
quella faccia lo avrei preso a schiaffi, ma poi pensai che quel gesto
avrebbe fatto radunare una gran bella folla e così mi
limitai a fissarlo del tutto apatica.
"
Dove sei diretta?"- continuò incuriosito.
"
Vuoi seguirmi per caso?"
"
Perché no.."
"
Non sono affari tuoi dove sono diretta io."- dissi spostandolo
bruscamente di lato per poter passare. Ma non avevo fatto i conti con
la sua insistenza e mi ritrovai la sua mano intorno al mio braccio e
chiaramente dovetti mandare a monte ogni mio piano di fuga. Lo guardai
con uno sguardo pieno di odio, ma non potei dire nemmeno una parola, in
quanto lui mi precedette in tutto.
"
Che ne dici se per un giorno metti da parte la tua acidità e
ti fai accompagnare per Helsinki senza protestare? Potrebbe essere un
ottimo modo per trovare l'ispirazione."
Lo
guardai sorpresa. Avevo la chiara impressione che lui sapesse bene chi
fossi o quanto meno cosa fossi e per la seconda volta non seppi cosa
rispondergli.
"
Chi tace acconsente quindi prego, se vuole seguirmi.."- con gesto di
vera galanteria mi porse il suo braccio, ma io tornando in possesso
della parola rovinai quel gran momento.
"Io
non mi fido degli estranei, specie se questi vanno in giro conciati
come organizzatori di messe nere."
Ville
per qualche secondo mi guardò sorpreso e poi
scoppiò a ridere, mentre io cercai in tutti i modi di non
farlo. Quella risata era uno spasso per le mie orecchie e, strano ma
vero, mi era mancata.
"Questa
mi è piaciuta, davvero!"- esclamò quando si fu
ripreso.- " Nessuno fino ad ora mi aveva detto una cosa del genere. E
comunque, giusto per la cronaca, ci stai parlando con l'organizzatore
di messe nere per la seconda volta in due giorni, quindi non credo di
essere proprio un estraneo."
"Non
vuol dir nulla."- risposi leggermente imbarazzata. Dio, quel tizio
riusciva a farmi andare fuori controllo ogni volta che apriva bocca!
"Forse
hai ragione."- rispose pensieroso alzando gli occhi al cielo.-" In
effetti chi ti dice che non abbia cattive intenzioni?"
Dovevo
calcolare la pericolosità di quello sguardo una volta che si
fosse posato nuovamente su di me piuttosto che pensare ai rinoceronti.
Decisamente mi uccise.
"Allora
cosa vuoi fare? Darti alla fuga o seguirmi nel mio tenebroso regno?"-
continuò con la voce più bassa di qualche tono.
Deglutii cercando allo stesso tempo di trovare una frase ad effetto,
una delle mie, ma come al solito, in quei casi non trovai nulla.
"
Che c'è ti si è annodata la lingua?"- mi
domandò con aria maliziosa. Cercai di non arrossire e dissi:
" quella non si annoda mai."
"
L'avevo immaginato."- rispose sorridendo.- " allora che vuoi fare?"
Non
sapevo cosa dirgli, ma essere stronza in quel momento proprio non mi
riusciva. Così gli puntai un dito contro e gli dissi: " va
bene ti seguo, ma ti avverto: se il giro risulterà noioso
non mi sarà difficile andarmene via. Sei di qui immagino,
conosci il posto come le tue tasche suppongo, quindi stupiscimi."
Beh
un pò di Miranda era rimasta in ciò che avevo
detto quindi fui davvero soddisfatta di notare un pò di
sgomento sul suo volto. Ventimila a zero per la stronza! E la cosa che
più mi piacque fu la mia improvvisa ignoranza su chi fosse.
Mi fissò per qualche secondo con un mezzo sorrisino che non
prometteva nulla di buono.
"Ti
avverto che dal mio mondo tenebroso non c'è più
ritorno, quindi a tuo rischio e pericolo."- disse poi avviandosi e
lasciandomi come una stupida indietro.
"
Ehi aspetta!"- esclamai correndogli dietro. Il bastardo si
fermò solo quando io lo raggiunsi con il fiatone.
"
Ti pare normale? Le donne vanno aspettate!"
"
Perché, tu sei una donna?"
"
E tu, un uomo?"
Ci
guardammo, e difficilmente riuscii a sostenere il suo sguardo senza far
trapelare l'imbarazzo assurdo che sentivo immergendomi in quegli occhi,
ma quella sensazione fortunatamente durò poco
poiché entrambi sorridemmo divertiti.
"
Su vieni e stai al passo."- disse riprendendo a camminare con passo
normale. Lo seguii sbuffando.
Visitare
la città con amici che si erano trasferiti da tre anni era
completamente diverso dal farlo con chi ci era nato e cresciuto. Ogni
monumento e quartiere ebbero una spiegazione più lunga di
quella che ebbi in precedenza da Elisabeth e Jonathan. Ville era
innamorato della sua città, si poteva capire dalla passione
che ci metteva nel raccontarmi la storia di tutto quello che era
affascinante e degno di attenzione e i suoi occhi brillavano ad ogni
spiegazione che mi dava. Per la prima volta in vita mia pendevo dalle
labbra di un uomo, ero completamente affascinata da ciò che
sentivo e dai modi di fare di quel ragazzo che più conoscevo
e più credevo fosse simile a me. Cercai di stare attenta a
quello che mi diceva piuttosto che ai lineamenti del suo viso e alle
sue espressioni. Non lo facevo perché mi ero scoperta
follemente innamorata di lui, bensì perché mi
riconoscevo in lui e facevo fatica a crederci.
"
Ehi mi stai ascoltando?"- la sua voce, a cui cominciai ad abituarmi
poco alla volta, mi fece tornare dalla mia trance e scuotendo la testa
risposi: " sì, ti sto ascoltando."
La
mia bugia non era riuscita perché lui mi guardò
con espressione divertita.
"
Con quella faccia tu mi avresti ascoltato?"- mi chiese a braccia
conserte. Lo fulminai e con strafottenza risposi: " sì, ti
ho ascoltato!"
"
E sentiamo, cosa avrei detto?"- continuò divertendosi. E ora
cosa gli dicevo? Che non avevo ascoltato le sue ultime parole
perché ero assorta nei miei pensieri, molti dei quali
riguardavano lui e il suo modo di fare? Iniziai ad odiarlo.
Pensai
bene a cosa rispondergli, ma stavo lasciando che i minuti passassero
senza una mia spiegazione e la cosa non fece che aumentare la risata di
Ville e il mio nervosismo. Mi maledissi per non essere stata
così brava a rimuovere dalla testa tutte le sensazioni che
lui mi trasmetteva ed essere sempre la solita acida.
"
Ecco stavi dicendo che.."- iniziai troppo indecisa. Che cavolo dovevo
dire?
"
Che?"- mi incitò lui.
"
E va bene non ho ascoltato!"- dissi alla fine arrendendomi. Ville
scoppiò a ridere, ma non mi fece pesare la cosa con le
solite battutine che avevano alimentato la nostra visita guidata fino a
quel momento. Si avvicinò a me e prendendomi sotto braccio
mi diresse verso una destinazione ignota dicendo: " ho detto che volevo
portarti al porto. Ci manca solo quello, almeno per oggi."
Lo
sguardai sorpresa. Aveva sottolineato l'ultima frase facendo intendere
che ci sarebbe stato un seguito di quello strano pomeriggio.
"
Cosa ti fa pensare che io possa accettare un altro giro turistico come
questo con te soprattutto?"
"
Sono sensitivo."- rispose staccandosi da me e lasciandomi per
l'ennesima volta indietro. Avevo ormai perso il conto di tutte le volte
che dovetti quasi correre per stargli dietro. Mi rassegnai innervosita
e lo seguii.
Era
come se Lady V fosse stata sempre lì, al porto di Helsinki
ma ora l'unica cosa da capire era se mi stava aspettando a braccia
aperte o con l'intenzione di rimproverarmi per il fatto che l'avevo
raggiunta così in ritardo. In ogni caso sentii finalmente
quel senso di gioia che provavo solamente quando il mio alter ego
tornava a casa. Non potei dunque non amare l'ultima tappa del mio
speciale e improvvisato tour. E poi c'era un'atmosfera davvero
magnifica dovuta soprattutto alla spettacolarità del
paesaggio. Sentii i personaggi prendere forma nella mia testa e ad ogni
passo il blocco di pietra, che per tutto quel tempo mi aveva impedito
di scrivere anche due semplici frasi di senso compiuto, cominciava ad
avere delle crepe. La sensazione di pace che trovavo in quei momenti,
solitamente, mi estraniava dal mondo facendomi sprofondare in un'altra
dimensione che si concentrava tutta in quel quaderno che portavo sempre
con me.
"
Wow!"- esclamai allontanandomi ulteriormente da Ville.
Stetti
attenta a non scivolare dalla ringhiera su cui mi appoggiai e prendendo
i miei utensili iniziai a scrivere le sensazioni che quel posto mi
trasmetteva ignorando quasi del tutto il mio accompagnatore. Finalmente
avevo trovato le parole con cui iniziare la mia nuova storia. Quando
smisi di scrivere mi accorsi di aver riempito ben quattro pagine che
naturalmente dovevano essere sistemate e riviste un sacco di volte, ma
quel lavoro non mi pesava. La cosa più difficile era
solamente iniziare, poi tutto il resto veniva da sé e non
era affatto complicato. Ero davvero soddisfatta di quell'inizio e
sapevo che da quel momento in poi non avrei avuto più
problemi. Quando guardai davanti a me, mi ricordai di aver messo da
parte il mio " salvatore" e morii vedendo quegli occhi fissarmi. Anche
Ville era in bilico sulla ringhiera, ma era più distante da
me, come se avesse avuto paura di avvicinarsi, come se sapesse di cosa
avessi avuto bisogno in quel momento e così aveva deciso di
spegnere la radio che si ritrovava al posto della bocca e di osservami
silenziosamente. Non seppi mai se lo fece dal primo momento in cui
spostai tutta la mia attenzione sul quaderno o solo in quel momento. In
ogni caso non mi sentii irritata e sorrisi sentendomi invece
imbarazzata.
"
So di essere una iena a volte, ma non mangio."- dissi con
più morbidezza nella voce, invitandolo ad avvicinarsi.
"
A volte?"- sottolineò restando al suo posto.
"
Ora che mi ci fai pensare..sempre."- risposi sorridendo. Non mi
sembrava vero di essere ridotta in quel modo, di aver fatto amicizia
con un uomo che non era Jonathan. Sorrise e dopo aver lanciato uno di
quegli sguardi assassini al mare abbandonò il suo posto per
quello accanto a me. Misi da parte il mio occorrente e lo scrutai a
fondo. C'era qualcosa di lui che mi ispirava. Forse era il suo aspetto.
"
Vedo che il posto ti ha ispirato."- disse rompendo il devastante
silenzio che si era creato. Sorrisi un pò imbarazzata e
annuii. Dovevo forse ringraziarlo? In fondo era solo grazie a lui se io
avevo scritto quelle quattro pagine. Ma qualcosa mi impediva di farlo.
"
Era da tanto che non mi sentivo così ispirata. Immagino che
debba ringraziare te per avermi sbloccata."- non riuscii a credere di
aver pronunciato quelle parole.
"
Non è me che devi ringraziare. Io non ho fatto nulla."- mi
rispose senza guardarmi. Era come se si fosse imbarazzato dopo quello
che avevo detto. Un uomo che si imbarazzava? Era la prima volta che
assistevo a tale spettacolo e non sapevo bene se chiamarlo miracolo.
"
Vorrà dire allora che ringrazierò me stessa e la
mia dote super sviluppata."- risposi dandomi arie. Solo in quel momento
ebbi l'onore di avere i suoi occhi su di me e un sorriso divertito.
"
Sei sempre così umile?"
Sorrisi
e risposi: " anche di più."
"
È interessante notare le tue espressioni mentre scrivi. Sei
così buffa a volte."- disse cambiando completamente
argomento e spiazzandomi con il suo sorriso.
"
Il fatto che io al momento non faccia le mie solite sparate acide non
ti permette di allargarti verso orizzonti sconosciuti."- gli ricordai
un pò irritata. Non mi piaceva che la gente mi facesse
notare i movimenti che facevo mentre scrivevo. Quella fu la prima volta
che scrissi con qualcuno vicino, perché solitamente il lupo
solitario che c'era in me si manifestava proprio in quelle circostanze
e restavo sola per ore e ore.
"
Perché devi sempre cercare di essere una donna tutta d'un
pezzo? Tanto ti ho capita e non c'è più bisogno
che tu usi questa maschera con me, mia cara Lady V.."
Sgranai
gli occhi quando sentii l'ultima parola. Allora era vero che mi
conosceva!
"
Sai chi sono?"- chiesi sorpresa.
"
Come tu sai chi sono io."- rispose lui sorridendo.
"
Come fai a sapere che io sono Lady V?"
Quella
volta scoppiò a ridere guadagnandosi un'occhiataccia. Si
ricompose quasi subito e disse: " una mia amica legge i tuoi libri e
non faceva altro che parlarmi di te. Così una volta,
incuriosito, gliene ho rubato uno e l'ho letto. Devo dire che sei
sempre molto gentile con noi uomini."
Quella
volta invece fui io a scoppiare a ridere.
"
Mi viene spontaneo."- dissi quando tornai seria.
"
Sappi che la tua gentilezza mi ha ucciso."
"
Ne sono felice."
A
quel punto scoppiammo entrambi a ridere e per l'ennesima volta mi persi
nei suoi occhi. Sembrava che l'imbarazzo si aggirasse da quelle parti
perché subito dopo calò un silenzio decisamente
nauseante.
"
Ultimamente non avevo più ispirazione."- dissi ad un tratto.
Perchè stavo raccontando i fatti miei ad un estraneo?
"
L'ispirazione è la forma più pura di
spontaneità che viene dalla mente e da ogni fibra del nostro
essere. La stessa cosa vale per una foto e una canzone. La cosa strana
però è che non sai mai fin quando può
restare con te. Bisogna acchiapparla appena si avvicina."
Non
seppi cosa rispondergli, il suo ragionamento mi aveva completamente
stregata e restai a fissarlo meravigliata.
"
Wow!"- risposi abbozzando un sorriso.- " sai credo che tu abbia
ragione."
Mi
sorrise e poi si allontanò dicendo: " sarà meglio
andare. Si sta facendo buio."
"
Sì hai ragione."- dissi notando il cambiamento di luce.
Possibile che fosse passato tutto quel tempo? Lo seguii silenziosa e mi
accorsi che fu molto facile stargli accanto, perché
stranamente non decise di mettere il turbo. Quando giungemmo nel nostro
quartiere fui molto confusa nel vederlo accompagnarmi fino alla porta
di casa.
"
Come mai tutta questa galanteria?"- chiesi sorridendo.
"
E' un modo come un altro per farti sapere che anche gli uomini sanno
essere davvero gentili."- rispose fissandomi. Ebbi paura di quello
sguardo e deglutii. Lui scoppiò a ridere e allontanandosi
disse: " alla prossima, scrittrice."
"
Se ci sarà mai una prossima volta!"- esclamai. Ville si
voltò sorridendo e mi salutò con la mano mentre
io restai come una deficiente bloccata al mio posto con il cervello
completamente fermo. Ma perché avevo quella voglia
improvvisa di conoscerlo meglio e più affondo?
Lady
V era tornata, ma era decisamente strana.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Tell me something ***
Tell me something
Tra le molte cose che odiavo al mondo, le urla da fangirl occupavano il
primo posto. Quindi per due minuti e anche di più odiai
profondamente il comportamento alquanto infantile di Elisabeth, la
quale continuava ad abbracciarmi raggiante e in preda ad attacchi di
saltelli che mi stavano per dare alla nausea.
" Non ci posso credere! Era lui! Era lui!"- continuava ad urlarmi in un
orecchio. Se fosse stata un'altra persona a quest'ora le avrei staccato
la testa a morsi, ma si trattava della mia migliore amica, quindi
dovetti controllarmi dal non farla a pezzi e l'unico modo che trovai
per non scagliarmi contro come una furia, fu quello di contare
all'infinito, o meglio, fino a quando non si sarebbe calmata e io non
avrei esaurito tutti i numeri esistenti.
" Okay, credo che possiamo finirla qui, ti pare?"- chiesi esasperata
vedendo che la situazione non cambiava. Sentendo il tono di voce
completamente opposto a quello suo da fangirl, Elisabeth si ricompose e
guardando la mia faccia non molto felice si schiarì la voce
e disse: " ehm sì..ehm..scusami.."
" Scuse accettate."- dissi una volta che mi liberai della sciarpa e del
cappotto alla Cappuccetto Rosso. Elisabeth prese dunque a marcarmi
stretta facendo ogni passo che facevo io. Quella ragazza era
incredibile quando si metteva in testa di sapere tutto quello che c'era
da raccontare! Ma cosa le dovevo raccontare poi? Non era successo nulla.
Certo!
Anche se il mio subconscio era di tutt'altro parere e voleva indurmi a
dire che invece qualcosa dentro di me era cambiata durante quel
pomeriggio, io testarda, ammettevo tutto il contrario. Ed era
quello che avrei affermato da lì a due minuti apertamente
alla mia amica, ovvero, che non era successo nulla.
Appena Ville scomparve dalla mia vista, come per magia, il mio cervello
si ricollegò al computer centrale ed ebbi modo di pensare di
nuovo e muovermi liberamente e quando entrai in casa la prima cosa che
vidi fu Elisabeth saltarmi letteralmente addosso. Era chiaro che avesse
assistito alla scena come la portinaia assisteva a tutto ciò
che accadeva in un condominio. A volte sapeva essere davvero
un'impicciona di prima categoria!
Mi fermai per l'ennesima volta vedendola dietro di me con l'aria
supplichevole di chi voleva sapere che cosa fosse successo e sbuffando
dissi: " posso andare in bagno o devi venire anche lì per
caso?"
" No vai sola."- mi disse.- " però quando esci mi racconti
che cosa è successo?"
Come potevo dire di no ad un volto così coccoloso e angelico
come il suo? Quindi mio malgrado sorrisi e dissi: " certo, ma non ti
aspettare qualcosa di eccezionale."
Lei si rallegrò e allontanandosi in corridoio
esclamò: " vado a preparare del thé!"
Sorrisi e quando mi chiusi alle spalle la porta del bagno sospirai ad
uno specchio che rifletteva l'immagine di una giovane alta, un
pò pallida, con un paio di occhiali da vista neri, forse un
pò troppo grandi per il suo viso magro, e con una luce
strana negli occhi. Era proprio quel brillio sinistro a preoccuparmi.
Quando tornai in salotto avvolta nel mio morbido pigiamone vidi
Elisabeth seduta accanto alla finestra su un cuscino e mi fece cenno di
imitarla. La raggiunsi sedendomi di fronte e prendendo dalle sue mani
la tazza caldissima contenente il suo speciale thé al
limone. Quello era il posto che solitamente utilizzavamo per
chiacchierare e parlare all'infinito delle nostre questioni
sentimentali, l'unico in cui Jonathan non metteva piede
perché allergico a quel tipo di discorso, anche se ogni
tanto si divertiva a prenderci in giro.
" Sono tutta orecchi!"- esclamò attendendo il mio discorso.
Dopo aver fatto un sorso di thé che mi bruciò lo
stomaco mi lanciai nella descrizione della bizzarra storia che per
protagonisti aveva me e Ville Valo. Quando finii mi accorsi che il
thé era diventato tiepido. Avevo parlato davvero
così tanto?
" Quanto sei stata fortunata!"- sospirò con aria sognante
Elisabeth.
" E' qui che ti sbagli!"- la corressi.-" sono la preda di uno stalker!"
" Ma non dire fesserie!"
Scoppiammo a ridere e quando ci calmammo Elisabeth disse: " posso dirti
una cosa?"
" Certo."
" Secondo me questi incontri bizzarri come li chiami tu ti fanno bene.."
" E per quale ragione?"- chiesi appoggiando la tazza ormai vuota
accanto a me sul davanzale.
" Hai una luce diversa negli occhi. È come se ti
sorridessero. Non ti ho mai vista così per nessuno."
" Ma cosa dici?"- scoppiai a ridere.-" se proprio dobbiamo dirla tutta
l'artefice di questo rarissimo evento è Lady V!"
" Sì certo! Lo sai meglio di me che questa volta Lady V non
centra niente. Centra qualcun altro di cui naturalmente non faremo il
nome."- rispose cocciuta Elisabeth.
"Hai deciso di rubarmi il posto di scrittrice per caso?
Perché la tua è solamente fantasia!"- continuai
ridendo. In realtà quelle parole aprirono una porta che non
pensavo ci fosse nel mio cervello.
"Sicuramente allo specchio lo avrai notato anche tu questo particolare
e in fondo al tuo cervello, visto che non hai cuore, sai perfettamente
che non è per opera di Lady V."- insistette lei. Smisi di
sorridere cercando di mantenere comunque un' espressione neutra.
" E' assurdo.."- sussurrai guardando fuori dalla finestra.
" Assurdo il fatto che un uomo possa averti incuriosita e
affascinata?"- mi suggerì lei. La guardai e sorrisi.
" Assurdo che possa avermi fatto questo effetto in soli due giorni.
Insomma queste cose possono succedere solo nei film! Questa
è la realtà e sinceramente non capisco
perché possa succedere una cosa del genere, a me poi."
Elisabeth rise, ma io non trovai nulla di divertente in quello che
avevo detto.
" Non c'è nulla da ridere."- sbottai.
" Scusami. È che sei così buffa e dolce quando
sei pensierosa."- rispose.- " e poi non devi preoccuparti. Hai molto
tempo avanti a te e avrai modo di sapere se il darkman mio prediletto
continuerà ad avere l'intenzione di stalkerizzarti ancora.
Se lo fa però non devi scappare, non tutti gli uomini sono
uguali e tu stessa ti sei accorta che lui sembra essere proprio
quell'eccezione che stranamente esiste."
Respirai e sussurrai: " non sono del tutto convinta però
okay."
Tornai a guardare fuori dalla finestra e come una sciocca sperai che
dall'unica finestra della torre illuminata spuntasse Ville con la mano
alzata per salutarmi.
Stavo diventando troppo sensibile, era meglio se quella
sensibilità fosse stata per il freddo invece che per la
curiosità nei confronti di un uomo. Un uomo! Stavo
decisamente deludendo me stessa per quei pensieri.
Perché avevo avuto la brillante idea di passare un
pò di tempo in palestra con quel pazzoide di Jonathan? E io
ero altrettanto pazza per essermi fatta convincere a seguire i suoi
passi. L'unica cosa positiva che trovai fu l'assenza di altre persone
nella stanza, almeno non mi sarei sentita in imbarazzo e una stupida.
" Ti prego basta!"- esclamai sconvolta.- " è tutto
così complicato!"
" Sappi che questo per Beyoncé è una passeggiata
fra le acque cristalline delle Barbados."- rispose Jonathan con
semplicità.
" Io sono Jade Watson e non ci trovo nulla di divertente in un ballo
del genere per questo io ti lascio solo."- dissi fermandomi e cercando
di ridare aria ai miei polmoni.
Dopo la chiacchierata con Elisabeth, Lady V si era messa al lavoro e
non volle essere disturbata. Restai dunque per un tempo imprecisato
lontano dal mondo e da tutti, chiusa a chiave nella mia stanza e persa
nel mio universo finalmente ritrovato. Scrissi senza sosta fino a notte
fonda dormendo giusto poche ore nella mattinata. Ero giunta alla
chiusura di quello che poteva essere considerato il nucleo principale
di tutta la storia e il primo capitolo. Quando mi stiracchiai e guardai
l'orologio sulla mensola vidi che erano le tre del pomeriggio.
Staccando gli occhi dal foglio all'improvviso sentii la
necessità di tornare fra gli essere umani, poiché
avevo la strana sensazione che sarei scoppiata. Così decisi
di accettare l'invito di Jonathan e andare in palestra con lui. Era un
modo per spezzare quella monotonia che ero riuscita a crearmi anche
lì ad Helsinki.
Nel frattempo Jonathan prendendo l'asciugamano si asciugò il
sudore dalla fronte e sorrise divertito vedendo la mia faccia
contrariata.
" Che ti ridi?"- chiesi arrabbiata. Odiavo fare esercizi fisici.
" Vuoi sapere cosa ne penso?"- mi chiese appoggiando la mano alla
parete e guardandomi con aria complice. Sapevo perfettamente a cosa si
riferiva con quella domanda. Inutile dire che questa prima donna era
venuta a conoscenza della mia avventura per opera di Elisabeth e
naturalmente mi prese in giro come era solito fare sapendo che quelle
situazioni mi davano fastidio.
" Ma anche no.."- risposi guardando lo stereo.
" Lo so che sei curiosa di sapere la mia sul nuovo evento."
" Hai ragione, fremo dalla voglia di sapere il tuo parere."- esclamai
come una ragazzina al suo primo concerto. Il prezzo che dovetti pagare
fu una tirata di capelli che naturalmente fu vendicata con uno dei miei
famosissimi pugni. Finimmo a terra continuando quella danza contorta,
fino a quando, arrendendoci entrambi, ci sdraiammo sfiniti fissando il
soffitto.
" Vai a fanculo.."- dissi tornando nuovamente a respirare come si
doveva.
" Si va in due, quindi tu verrai con me."- rispose affannato.
" Fidati."- dissi dandogli un ultimo colpo sulla pancia. Dopo aver
imprecato parole senza senso in preda alle convulsioni si
calmò e tornò al suo posto accanto a me. Scoppiai
a ridere appena mi guardò. Era un ragazzo incredibilmente
scemo e gli volevo bene per questo.
" Parliamoci chiaro."- disse tornando nuovamente serio.-" quel Ville
è davvero un gran bel pezzo di uomo quindi scopatelo e
basta."
" Sei assurdo e pessimo e anche un pò gay."- mi misi a
sedere a gambe incrociate e lo osservai mentre fissava il soffitto
sorridendo, ma non poté ribattere poiché la porta
si aprì e nella stanza entrarono Kally e Michelle allegre
come sempre. Erano molto simpatiche e pian piano stavo cominciando ad
apprezzare la loro compagnia. Ma erano ancora lontani i tempi in cui mi
sarei aperta con loro.
" Ragazzi cosa ne dite se stasera andiamo al nostro pub di fiducia per
trascorrere una delle nostre serate divertenti?"- propose Kally
fingendo di prendere a calci Jonathan il quale si alzò
all'istante con finta aria minacciosa.
" E' da tanto che non ne organizziamo una."- aggiunse Michelle
sorridendomi.
" Sì!"- esclamò eccitato Jonathan e io scoppiai a
ridere insieme alle altre ragazze.
" Elisabeth lo sa?"- chiese il soggetto non identificato noncurante
dell'ilarità che si era creata per via del suo modo di
essere.- " e tutti gli altri?"
" Sanno tutto."
" Bene."- disse Jonathan sfregandosi le mani come una sorta di maniaco
in procinto di attaccare con inevitabile successo.
" Tu verrai non è vero?"- mi chiese Michelle. Mi alzai anche
io e sorridendo a mia volta risposi: " sono presa dalla stesura della
mia storia, quindi per stasera me ne starò in camera mia a
scrivere e.."
" Ehi tu! Non credere di scampartela."- Jonathan mi interruppe
avvicinandosi a me e puntandomi un dito contro.- " anche tu verrai con
noi."
" John.."
" Niente bi bo bu, dolcezza. Le scuse non attaccano."- il suo tono di
voce era autoritario e non ammetteva repliche. Era chiaro che non
potevo far altro che seguirlo perché sapevo bene che non ne
sarei uscita viva. Era un pidocchio in quei casi. Alzai le mani in
segno di arresa e dissi: " te la do vinta solo perché ho
scritto una scaletta per ricordarmi il contenuto da scrivere nel
secondo capitolo e alcuni appunti per l'avvenire della storia."
Jonathan sorrise soddisfatto di aver vinto e rivolgendosi alle ragazze
disse: " bene credo che stasera sarà una super seraaaa!"
L'aria di Helsinki lo aveva impazzito più di quanto non lo
fosse già di suo a Londra.
Dovevo essere sincera?
Non avevo voglia di uscire, ma ormai era vincolata dalla risposta
positiva tirata fuori dalla mia bocca con la forza da parte di quel
deficiente di Jonathan. Non sapevo cosa mettere, né tanto
meno cosa inventarmi per non pensare al mio quaderno che tristemente
dovevo lasciare in camera da letto. Quando si facevano le cose
controvoglia il risultato non era dei migliori, per non dire che era da
schifo e questo valeva anche nel caso in cui si dovesse uscire per
passare una serata diversa. Elisabeth mi disse di vestirmi carina,
visto che mi avrebbe presentato qualche suo amico, ma io me ne
infischiai alla grande e mi presentai con il mio solito abbigliamento
semplice, con tanto di occhiali da vista dalla montatura nera e un bel
cappellino sul capo. Ai tacchi preferii un paio di stivaletti chiari e
bassi perché odiavo stare sui trampoli. Li usavo
controvoglia solo per le presentazioni dei miei libri che e per inviti
mondani a cui non potevo proprio dire di no. Ma quando ci presentava
l'occasione ne approfittavo per indossare abiti comodi e più
vicini alla mia personalità.
" Sei sempre la solita."- mi disse Elisabeth appena mi vide entrare in
soggiorno.
" Cosa c'è?"- chiesi guardandomi.
" Un pò più elegante no?"- mi chiese osservando
il mio maglione lungo e i fuseaux pesanti sotto oltre ai miei occhiali
e l'assenza di trucco ad eccezione del lucido sulle labbra. Non amavo
truccarmi quando non mettevo le lenti a contatto.
" Abbiamo un appuntamento con la regina di Inghilterra?"- chiesi seria.
" No ma.."
" Siamo state invitate alla corte di Luigi IV per un ricevimento
importante?"- continuai senza farla parlare.
" No è che.."
" E allora direi che il mio abbigliamento è consono alla
situazione."- conclusi con un sorriso e avvicinandomi a lei le stampai
un bacio sulla guancia.
" Non cambierai mai."- disse Elisabeth scuotendo la testa. Ero un caso
impossibile da studiare, lo sapevo bene e mi divertivo molto a rendermi
ancora più impossibile da decifrare.
" Nessuno può farlo."
" Non esserne così convinta."- rispose sorridendo. Alzai gli
occhi al cielo e quando Jonathan ci raggiunse smettemmo con
quell'argomento che non avrebbe portato a nulla di buono e uscimmo,
nonostante fui sempre dell'idea di restare a casa a rilassarmi e
soprattutto scrivere, scrivere e scrivere.
Ma avevo sottovalutato la compagnia di cui disponevano Elisabeth e
Jonathan lì ad Helsinki. Mi ero fatta un'idea sbagliata, una
sorta di pregiudizio, dovuto forse al fatto che non era andata
lì per stringere amicizia a destra e sinistra, ma per
liberarmi dai miei demoni. Non avevo fatto i conti con il tempo e il
caso che sembravano volermi spingere verso un'altra corrente di
pensiero. Non pensavo quindi che sarei riuscita a sbloccarmi come feci
quella sera. Trovai quei ragazzi molto spassosi, in particolare trovai
Kally e Michelle adorabili e la cosa a quanto pareva divenne reciproca.
Riuscirono addirittura a tenermi lontana dal pensare al mio quaderno
riposto nell'ultimo cassetto chiuso a chiave in camera. Conobbi anche
Roger e Ted, colleghi americani di Jonathan altrettanto divertenti e
decisamente l'opposto di Niko che continuava a provarci sfacciatamente.
Elisabeth moriva dalle risate ogni volta che mi guardava
perché sapeva bene quanto mi desse fastidio
quell'atteggiamento, soprattutto quando non ero in vena di prendere in
giro. La musica pian piano divenne più assordante del dovuto
e mentre gli altri si dirigevano tutti in pista, io decisi di fare come
sempre l'asociale e restare al mio posto a scrutare la gente.
" E tu non vai a ballare?"
Avevo dimenticato la palla al piede e così irrigidendomi di
poco guardai Niko che nel frattempo si era avvicinato a me e dissi: "
non mi piace ballare."
" Neanche a me. Meglio così almeno ci facciamo compagnia."-
rispose facendomi l'occhiolino. Certi tipi dovrebbero solo guardarsi
allo specchio quando si comportano in quel modo. Sono davvero ridicoli!
Non capiscono che quei modi di fare sono decisamente sciocchi e che
ormai alle donne non fanno un grandissimo effetto come loro possono
pensare.
" Ti va di andare a fare due passi?"
" No, preferisco stare qui, grazie comunque dell'invito."- risposi
abbozzando un finto sorriso. Continuava a guardarmi, a perforarmi con
quello sguardo che non mi diceva nulla di particolare, nulla che
potesse incuriosirmi.
" Sai, sei davvero bella. Mi chiedevo perché mai una donna
come te non avesse un ragazzo. Sei così intelligente, molto
colta e assolutamente diversa dalle altre."
Potevi anche farti i fatti tuoi, che pensare a me e al motivo per cui
non stavo con nessuno. Mi limitai a rispondere con un semplice: " sei
molto gentile."
Impercettibilmente lo sentivo avvicinarsi sempre di più e la
cosa mi irritava moltissimo. Così mi alzai e dissi: "
scusami, vado in bagno."
In realtà mi diressi verso il bancone del bar completamente
nascosto agli occhi di quel Casanova improvvisato e mi sedetti sullo
sgabello chiedendo una coca-cola alla quale avrei dato tutto la mia
attenzione.
" Ciao.."- quella voce mi fece sobbalzare e quando mi voltai accanto a
me vidi Ville Valo sedersi e sfoggiare un bellissimo sorriso. Aveva
capito che mi aveva fatto spaventare per questo mi guardava divertito,
ma io feci finta di nulla e schiarendomi la voce risposi: " buonasera!
Qual buon vento ti porta qui?"
" Un paio di rompiscatole che avevano voglia di divertirsi e di non
lasciarmi in pace."- disse guardandomi dritta negli occhi. Un punto a
suo favore, almeno non era il tizio che guardava costantemente altre
parti del mio corpo come aveva fatto Niko.
" Benvenuto nel club."- risposi facendo un sorso della mia coca- cola.
Anche lui ne ordinò una e notai che la barista lo guardava
come se fosse stata sotto l'effetto di un incantesimo.
" E' confortante allora sapere che non sono l'unico che è
venuto controvoglia."- disse senza prestare attenzione a quegli
sguardi.- " sai, i tuoi modi di fare da gentil donna mi sono mancati
oggi."
Lo stava dicendo veramente? Era pazzo, decisamente. A stento riuscii a
trattenere una risata.
" Ne sono lusingata, beh diciamo che ho speso il tempo scrivendo."
" Immaginavo."- fece un altro sorso e poi si accese una sigaretta.
" E tu cosa hai fatto oltre a crogiolarti nella disperazione per via
della mia assenza?"- chiesi osservandolo in ogni suo minimo movimento.
" Sono stato occupato con la band."
" Novità in vista?"
" Chi lo sa.."- con quel mezzo sorriso sulle labbra tutte sarebbero
morte, anche la barista. Io invece fui impassibile.
" Sappi che io non ascolto la vostra musica. Il metal e il rock in
generale non mi piacciono molto, quindi è inutile che fai il
misterioso."- risposi sorridendo.
" Male, molto male!"- esclamò facendo un altro tiro. Quegli
occhi e quell'espressione sul viso all'improvviso mi misero in
imbarazzo, una cosa del tutto innaturale per me che avevo una faccia di
cazzo esagerata. Cercando di fare l'indifferente mi guardai in giro e
mi soffermai su una coppia vicino alla pista. Il ragazzo aveva l'aria
del conquistatore alla riscossa mentre la ragazza aveva l'espressione
del tipo " chi doveva capitarmi a questo giro!" e stava cercando un
modo per licenziarlo. Un sorriso mi comparve sul viso senza volerlo e
si allargò maggiormente quando vidi che il ragazzo aveva
perso la sua battaglia. Quel sorriso non passò inosservato
al caro Valo.
" Stai sorridendo. Che ti prende?"
" Nulla, ho solamente notato che un ragazzo si è appena
beccato un due di picche."
" E l'hai trovato divertente?"- mi chiese fissandomi sorpreso.
" Molto. Questo prova che non tutto il mondo gira intorno a voi."
" Perché dici questo?"
Lo fissai e mi accorsi di come stesse studiando tutti i miei movimenti.
Non seppi se essere lusingata di avere quegli occhi su di me o aver
paura di quello sguardo. Alzai gli occhi e dissi: " semplicemente
perché ci sono molti uomini davvero convinti di saper
conquistare una donna in due secondi. Credono di riuscirla ad ingannare
in poco tempo. Vi sbagliate."
" Non farne di tutta l'erba un fascio."- disse spegnendo il mozzicone
di sigaretta nel posacenere. Era assurdo come avesse finito quella
sigaretta in un minuto.
" Perché non dovrei?"
" Mai sentito parlare di eccezioni?"
" Questa è bella! Gli uomini vedono il sesso ovunque. I loro
occhi poi non vanno al di là di questa sezione del corpo."-
dissi indicando il mio busto. Lui scoppiò a ridere posando
per la prima volta gli occhi sulla parte che avevo indicato.
" Hai sempre la risposta pronta, mia dolce Lady V.."- rispose con un
tono di voce più basso quando smise di ridere.
" Dolce non direi."- risposi deglutendo.
" Per me lo sei."
" Hai una concezione di dolce davvero stramba."- dissi confusa. Lui per
tutta risposta sorrise.
" Se non ho capito male, tu osservando la gente ti fai un'idea generale
di come è.."
" Sì, ma posso anche sbagliare. Anche se, pensandoci bene,
nella maggior parte dei casi ci ho azzeccato sempre."
"Analizza anche me."- disse ad un tratto spiazzandomi.
"Come scusa?"- chiesi ripetendomi se avessi sentito bene. Lui rise e
avvicinandosi di più al mio orecchio disse: "avanti dimmi
quello che pensi su di me a primo impatto."
Ehm..la cosa non mi piaceva, non tanto il fatto che dovessi analizzarlo
quanto piuttosto il fatto di trovarmelo a due centimetri dal mio
orecchio. Sentii per la prima volta il mio cuore intorpidito battere
in modo inusuale.
"Che c'è? Non ne sei più capace?"- mi
punzecchiò con aria divertita allontanandosi. Odiavo quando
assumeva quell'espressione.
"Certo che lo sono! Semplicemente mi hai colto di sorpresa."- risposi
acidamente.
"Beh cosa aspetti?"- mi chiese continuando a guardarmi in quel modo. Lo
fissai a lungo giungendo alla conclusione che era finalmente giunto il
momento per me di dire la mia su quello zombie insopportabile, ma allo
stesso tempo affascinante.
" Ho due idee su di te a dire il vero."
Lui mi guardò sorpreso. Stranamente la musica si era
affievolita e questo mi permise di parlare senza urlare.
" Ah sì?"
" Quale vuoi sapere per prima? Quella futile e internazionale o la
mia?"- chiesi sorridendo.
" Sono curioso di ascoltare quella futile e internazionale per prima."
" Okay. Ville Valo è il darkman tutto fascino degli HIM.
Tutte le donne che lo conoscono pensano che sia bello da morire, sexy
come pochi e che probabilmente è il ragazzo più
romantico di questi giorni, un poeta degno erede di Shakespeare e
l'essere con la voce più sensuale del mondo."- dissi
pensando alle parole di Elisabeth. - " più o meno
è questa l'idea che mi sono fatta sentendo la gente che
stravede per te."
" Tutto molto interessante. Ormai so a memoria ogni singola parola di
quello che hai detto. E' un copione che passa da bocca a bocca
creandone una leggenda. Sapevi anche che qualcuno mi crede un vampiro
solo perché la mia residenza non è una casa
normale ma una torre?"
" Sì, mi ero dimenticata di dirlo."
" Già..ma adesso solo molto curioso di sapere la tua. Per
quel poco che ti conosco credo che sarà qualcosa di molto
originale."
Sorrisi diabolica e finalmente potei dire al diretto interessato
ciò che pensavo io di lui.
" Io credo che tu sia un romantico, nel senso letterale del termine.
Sei uno di quelli che si lascia distruggere da una passione,
perché riesce a viverla fino in fondo. Sai di poterci
mettere il cuore in quello che fai anche se potrai ricevere del male
come contro. Sei una persona che ama isolarsi perché sei
più sensibile e nel tuo isolamento riesci a vedere quello
che gli altri non vedono. In questo modo potresti sembrare asociale ma
a te poco interessa di ciò che dice e pensa la gente.
Nonostante tu possa sembrare una persona negativa, in realtà
sei leale e generoso. Penso che tu abbia un carattere impulsivo, ma
cerchi sempre di autocontrollarti. È strano che sia io a
dire una cosa del genere, ma sei anche molto sincero in quello che dici
e per dirlo io ce ne vuole."
Quando conclusi il mio discorso tutto quello che ricevetti in cambio fu
uno sguardo disarmato e completamente scioccato. Sentii che le mie
guance erano accalorate e non capii se era per via del caldo che c'era
in quella stanza o per il mio discorso. Ville non parlava, continuava a
guardarmi e così fui io a farlo.
"Questo è quello che al momento penso di te. Non so se ho
azzeccato, ma è quello che ho immaginato vedendo i tuoi
occhi e le tue espressioni. Beh non parli? Ho detto qualcosa di male?
Beh di danni ne faccio parecchi, quindi devo immaginare che ne ho fatti
anche adesso."
" No! È che.."- si fermò un attimo e poi
schiarendosi la voce riprese.- " non avevo mai pensato che al mondo
potesse esistere qualcuno che riuscisse a dire tutto questo
conoscendomi da solo due giorni. Per giunta una ragazza. Come fai?"
" Chiamalo intuito femminile. O forse è meglio dire che
questa analisi è dovuta al fatto che mi sono esercitata a
lungo nell'osservare la gente. Mi piace farlo."
" Quindi capisci molto della gente osservandola..un pò come
me."
" A detta degli altri sembra che io abbia un talento innato nel capire
capire i sentimenti altrui. Invece è piuttosto difficile
capire i miei. Nessuno ci riesce, forse ad eccezione dei miei due
migliori amici."
" Non è detto. Nonostante tu pensi di saper nascondere bene
i tuoi sentimenti, c'è sempre qualcuno che riesce a capirti.
Anche se è un estraneo."
Abbasso il bicchiere e sorriso a quell'ultima frase.
" Vorresti dirmi che qui in questa stanza, c'è qualcuno che
ha capito perfettamente come sono?"
" Forse."- rispose vago facendo un sorso della sua coca. Restai a
guardarlo per un tempo quasi indefinito e poi dissi: " ho dimenticato
di dirti che sei anche di buona compagnia."
Scoppiò a ridere.
" Sono piacevolmente sorpreso da quest'affermazione."
" Non montarti la testa."
" D'accordo."- rispose alzando le mani in segno di arresa.- " e tu
invece sei.."
" Ehi Jade vieni a casa?"
In quel momento l'urlo di Jonathan quasi mi fece sussultare. Mi voltai
e vidi lui ed Elisabeth avvicinarsi. Ma quando si accorsero della
presenza di Ville, si bloccarono pietrificati. Jonathan fu il primo a
cambiare immediatamente espressione e salutò Ville come
fosse un vecchio amico. Elisabeth si limitò ad una stretta
di mano evidentemente imbarazzata.
" Credo che sia il caso di andare, vero John?"
A quelle parole Jonathan annuì e rivolgendosi a me disse: "
voi continuate a divertirvi. Quando vuoi chiamami e io vengo a
prenderti."
" Tranquillo la riaccompagno io a casa."- rispose Ville lasciandomi
completamente senza parole. E la cosa a quanto pareva si estese anche
ai miei due amici che si lanciarono occhiate sorprese.
" Ehm bene, noi andiamo. A dopo."- disse Elisabeth spingendo Johnathan
verso l'uscita. Scossi la testa sorridendo.
"Stavi dicendo?"- chiesi riponendo poi l'attenzione sul finnico.
"Non ricordo. Evidentemente non era poi così importante."-
rispose sorridendo. Ma qualcosa mi diceva che stava mentendo. Feci
finta di niente e restammo ancora un pò a chiacchierare e
poi quando divenne notte fonda decidemmo di tornare insieme a casa. Per
la seconda volta, Ville mi accompagnò davanti alla porta di
casa, ma a farci compagnia questa volta c'era l'imbarazzo. Lui se ne
accorse e sorridendo disse: " non penserai mica che ti
bacerò o cose del genere."
" Cosa? Che genere di film mentali ti fai a quest'ora, Valo? Vai a
dormire forza!"- risposi cercando di non arrossire. Lui
continuò a sorridere divertito e sulla scia di quello strani
gioco disse: " sai, sono solo a casa se vuoi.. "
Era evidente che il suo intento fosse quello di provocarmi imbarazzo.
Purtroppo per lui non ci riuscì, anche se almeno a me stessa
non potei nascondere in quel momento l'incapacità di
intendere e volere. Almeno non riuscivo a farlo se continuavo a
guardarlo negli occhi. Mi bastò distogliere lo sguardo da
lui per tornare la stronza di sempre.
" Bene, allora chiudi bene la porta. Chissà magari passano i
ladri."- dissi sorridendo e altrettanto a voce bassa. Per la seconda
volta lo spiazzai e così notando la sua espressione
disarmata scoppiai a ridere.
" Sei incredibile."- disse a bassa voce. Io abbassai lo sguardo
perché non fui in grado di sostenere quegli occhi
così.maledettamente.sexy!
" Bene, allora io vado. Buonanotte."- disse sorridendo.
" Notte a te."- sorrisi e misi la chiave nella serratura per poter
entrare in casa mentre lui si allontanava.
Era tutto così poco realistico! E quello che mi domandavo
era se dovevo preoccuparmi di questo oppure non prestare minimamente
attenzione a tutta la negatività che quei gesti mi facevo
pensare. Di sicuro era tutto così strano!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Sweet dream or beautiful nightmare? ***
Sweet
dream or beautiful nightmare?
Entrai in casa facendo attenzione a non
fare nessun rumore, un pò come una ladra professionista
pronta ad
evitare qualsiasi ostacolo. Mi accorsi di essere immersa in un
silenzio così profondo da essere quasi strano. Era come se
fossi
stata catapultata in un film horror e che fossi giunta al punto in
cui un pazzo psicopatico e armato di coltello sarebbe sbucato dal
nulla uccidendomi.
Straordinario come la mente di una
scrittrice riuscisse a viaggiare così lontano solamente per
un pò
di silenzio in più!
Mi fermai e tesi l'orecchio per cercare
di cogliere qualche rumore con il timore che quel pazzo di Jonathan
potesse farmi venire un infarto con una delle sue genialate sbucando
all'improvviso. Attesi così in corridoio la mia condanna,
che
sembrava lontana quanto la distanza del Sole dalla Terra.
Oh ma andiamo Jade! Sei stupida o
cosa?
Misi da parte quei
timori e mi diressi in soggiorno. Anche lì non trovai
nessuno pronto
ad uccidermi e ciò fece diminuire quella stupida tensione.
Non
sapevo bene il perchè di quella mia improvvisa agitazione;
forse era
dovuta al fatto che ero tornata a casa accompagnata da un uomo,
dettaglio che di certo avrebbe sfamato per settimane e forse mesi
interi quegli avvoltoi che avevo per amici. Era solo questione di
ore, giusto il tempo di far sorgere il sole e io sarei stata fottuta
a vita dalle loro frecciatine e da tutto ciò che ne poteva
conseguire. In quel momento, sollevata di non aver trovato nessuno ad
ostacolarmi, entrai in camera mia, feci una doccia veloce e mi
cambiai. Quando la mia pelle fu avvolta dal pigiama forgiato dal
fuoco di mille vulcani, guardai l'orologio per vedere se fosse molto
tardi. Era l'una. Pensavo che fosse molto più tardi.
Nel frattempo nei
miei occhi non c'era nessuna traccia di sonno. Sapevo già
che Morfeo
sarebbe stato avvistato da queste zone solo alle prime luci dell'alba
o forse non sarebbe venuto affatto. Decisi che quello era il momento
perfetto per continuare a scrivere; ne avevo bisogno. Così
legai i
capelli e inforcai di nuovo gli occhiali per poi dirigermi alla
scrivania dove, con manie possessive da far invidia a Gollum, presi
il mio tesoro ben nascosto nel cassetto e appoggiai il tutto sulla
tavola. Squadrai gli appunti mentre accesi la lampada e poi li
ordinai cercando, in quel silenzio, di trovare la concentrazione per
rivestire i panni di Lady V che avrebbe portato avanti, anche quella
notte, la crociata con i personaggi che gradualmente stavano
prendendo consistenza. Da qualche giorno l'unico problema che stavo
incontrando era l'assenza di volto e forma del protagonista. Fino a
quel momento aveva scritto poco e niente su di lui, dando uno spazio
decisamente più largo a tutti gli altri personaggi. Sentivo
un vuoto
così come la protagonista stessa che, per quanto potesse
essere
rigida e insensibile, sentiva la necessità di avere qualcuno
al suo
fianco. Che poi fosse sbocciato l'amore, l'odio o un delitto, quello
sarebbe stato un altro paio di maniche e l'avrei gestito con grande
maestria. Il fatto era che da quando Lady V era tornata qualcosa non
quadrava. Era come se fosse cambiata.
Rileggendo ciò che
avevo scritto notai che la punta di sarcasmo con cui alimentavo
solitamente ogni singola virgola era quasi completamente sparita.
Spalancai gli occhi e presi fra le mie mani quei fogli guardandoli
spaventata.
" Jade che
cazzo hai fatto?"- sussurrai. La luce della lampada posizionata
sulla scrivania vicino ai fogli era l'unica fonte di
luminosità
presente in quella stanza. Il resto dello spazio era immerso nel buio
accompagnato giusto da qualche raggio di luna che ogni tanto faceva
capolino dalla finestra e alleggeriva tutta quella oscurità.
Passai
le mani sulla testa e iniziai a massaggiarmi le tempie maledicendomi
a bassa voce. Per i miei canoni tradizionali c'era troppo buonismo
già dalle prime parole e non sapevo bene come fare per
cambiare le
cose, perché nonostante i miei capricci tutto era
fottutamente
perfetto! Era di una perfezione quasi disgustosa e io detestavo
quelle cose che per quanto fossero state precise e ordinate non
appartenevano minimamente ai desideri espressi dal mio cervello.
Sospirai cercando
di non perdere quel filo di pazienza che avevo ancora e iniziai a
fissare un nuovo foglio completamente bianco cercando di buttare
giù
qualche rigo di descrizione sul tanto desiderato protagonista. Pur
volendo iniziare anche dalla sola parte descrittiva, il mio cervello
sembrava non voler rispondere al comando. Si rifiutava proprio,
cazzo!
"
Maledizione!"- sbottai togliendomi gli occhiali che per poco non
volarono in aria per via della rabbia. In quel momento qualcosa
riuscì a dissolvere la mia pochissima attenzione. Era un
rumore che
proveniva dall'esterno. Sorrisi ironica notando quanto fossi capace
in un momento di difficoltà di basso livello come quello di
spostare
tutta la mia attenzione, o quella presunta, dal mio lavoro ad un
misero rumore. Mi avvicinai alla finestra per sbirciare fuori e
capire la provenienza di tale distrazione. Guardai le strade deserte
e poi vagai con lo sguardo sulle case, lasciando per ultima la torre.
Perché? Perché qualcosa dentro di me era
riluttante all'idea che
quel rumore potesse provenire da lì. E poi quasi con timore
la
guardai e ironia della sorte trovai la finestra aperta e Ville che
fissava pensieroso un punto indefinito nel cielo, o almeno
così mi
appariva da quella distanza.
All'improvviso fui
colta dal panico e sentii il mio cuore battere forte e l'impulso di
nascondermi, come se da quella distanza riuscisse a vedermi.
Così mi
allontanai dalla finestra. Ero una stupida; sapevo bene che non mi
avrebbe visto, perchè la mia stanza era completamente al
buio, se
non si contava quella lampada accesa sulla scrivania che riusciva
sì
e no ad illuminare una piccolissima parte invisibile al di fuori
della finestra. Mi avvicinai di nuovo e presi ad osservarlo
affascinata.
Di solito non
prestavo mai attenzione ad un uomo, ma Ville era diverso, lo sentivo
a pelle e riuscivo a percepire i suoi pensieri stando anche lontano
da lui. La figura di un uomo affacciato alla finestra non era altro
che la metafora di un essere infelice, che nascondeva delle grosse
pene nel cuore. Forse mi stavo spingendo troppo in fondo ad una
storia che magari non era affar mio conoscere e dalla quale magari
non sarei riuscita ad uscirne più. Quel modo in cui le sue
braccia
erano piegate e la sua testa in quel momento china, mi spingeva a
volergli stare vicino, e a rassicurarlo qualunque fossero i suoi
pensieri. Restai per tanto tempo a guardarlo e mi allontanai da
lì
solo quando Ville capì forse di essersi congelato abbastanza
e che
era pronto per tornare dentro al caldo. Tornai dunque alla mia
postazione con mille pensieri che vorticavano nella testa. Possibile
che mi facesse questo strano effetto?
Guardai quei fogli
sparsi che sembravano scartoffie inutili da gettare dalla finestra.
Poi ebbi una sorta di lampo di genio e sentii Lady V impossessarsi di
me. Mi sedetti velocemente e seguii quell'immagine che si era fissata
nella mia mente, nitida e chiara come nessun'altra prima. E, strano
ma vero, quell'immagine era proprio Ville Valo, non la rockstar
famosa ma l'uomo che si era affacciato alla finestra pensieroso.
I’m
scared of lonely,
and
I’m scared of being the only shadow I see along the wall.
And
I’m scared the only heartbeat I hear beating is my own.
And
I’m scared of being alone.
I
can’t seem to breathe when I am lost in this dream, I need
you to
hold me.
I’m
scared of lonely..
"A chi importa veramente di me?
Quel che provo? Quel che dico? A nessuno importa realmente. Chi
è
disposto a spendere un pò di tempo per capirmi? Vorrei che
qualcuno
mi aiutasse con un pò di comprensione, ma non riesco a
trovare
proprio nessuno. Forse sono invisibile al mondo. C'è
qualcuno che
almeno mi pensa come più di una causa senza speranza? Forse
non è
il mondo ciò che mi blocca."
Scrissi quelle
parole come inizio senza nemmeno rileggerle e poi come la linea di un
disegno, definii finalmente il protagonista completandolo del tutto.
Quando staccai gli
occhi dal foglio era giunta ormai l'alba. La mia stanza si stava
illuminando gradualmente e l'oscurità pian piano si stava
allontanando. Strizzai gli occhi e lessi ciò che avevo
scritto e
sorrisi. Era uno di quei sorrisi che mai avevo rivolto ad essere
umano esistente sulla Terra. Forse solo una volta in vita mia lo
avevo fatto e per giunta con la persona sbagliata. Sentivo per la
prima volta che quel personaggio avrebbe avuto tanta protezione e
amore dalla sua creatrice, nonostante fosse un uomo. Lui era
così
uguale a me, più di quanto volessi negare. Anzi era
più vero di me.
E fu in quel momento che provai tanta tenerezza, ma non sapevo bene
se era per Ville personaggio o per Ville persona. La risposta in
realtà la sapevo bene, ma non volevo ascoltarla.
" Finalmente!
Ti abbiamo aspettato tanto."- dissi rivolta a quel foglio e
pensando alla protagonista e al fatto che sarebbe stata molto
fortunata ad incontrarlo. Sospirai contenta e con una strana
sensazione nel cuore, come se l'involucro di ghiaccio si stesse
spezzando. Sbadigliai e capii che il mio corpo e la mia mente
reclamavano il diritto di riposare.
" E va bene."-
sbuffai lasciando a malincuore il quaderno sulla tavola.
Quando mi accomodai
fra le coperte, Morfeo era lì ad aspettarmi a braccia
aperte.
I'm
scared of lonely..
Dovevo essere
completamente fuori di testa quando accettai di accompagnare
Elisabeth a fare compere. Ma lei era riuscita a convincermi con i
suoi occhioni azzurri e da cucciola dicendo che non ci avrebbe messo
tanto tempo. E invece non fu così e io fui soltanto una
scema che la
stette ad ascoltare.
Così
mentre mi dirigevo alla scala mobile per raggiungerla, scomparsa da
un pezzo in uno di quei negozi enormi, un giovanotto e una ragazza
molto bella, che mi stavano davanti, precedettero i miei movimenti e
furono i primi a mettere i loro bei piedini sulle scale. Lei parlava
continuamente esaltandosi per l'acquisto che aveva fatto. Cercai con
tutta me stessa di non ascoltare la conversazione, ma la voce della
ragazza era squillante e ciò che mi incuriosì a
quel punto fu la
faccia del ragazzo. Agli occhi degli altri la sua poteva essere una
tipica espressione da innamorato, in realtà ai miei essa
appariva
tutt'altro. Era l'espressione più finta che avessi mai
visto.
Sorrideva e annuiva, ma era evidente quanto non gli importasse nulla
di ciò che la sua fidanzata gli diceva. Cominciò
a guardarsi
intorno quasi fosse impaziente e per ben due volte sfilò il
cellulare dalla tasca per controllarlo, rispondere a qualche
messaggio e rimetterlo al suo posto. Quando riprese il giro
panoramico mi guardò. Io distolsi lo sguardo.
Tranquillo
caro, non stavo guardando il tuo sedere. Stavo giusto pensando di
darti un calcio in mezzo alle gambe.
Riconoscevo
quell'atteggiamento e qui movimenti nascosti. Erano gli stessi
sintomi che aveva avuto quel bastardo di George quando fu il suo
tempo. L'unica persona che era riuscita a far battere di nuovo il mio
cuore, ma che allo stesso tempo era riuscito a calpestare.
Scossi la testa cercando di rimuovere quei ricordi e guardai la
ragazza. La rispettavo e le stavo vicino anche se non la conoscevo. A
dire la verità io rispettavo sempre tutto, dai muri
all'universo e
mi ero sempre sentita in dovere di mobilitarmi quando qualcosa
interferita con quell'equilibrio. Sentivo di doverle dire
qualcosa, ma in fondo cosa le avrei dovuto dire?
Mi
rendevo conto che la ragazza stava bene, o meglio, si illudeva di
essere felice. Cosa potevo fare io per avvertirla che l'incubo era
dietro l'angolo? Aveva quello che per lei era la cosa più
preziosa
del mondo: un uomo tutto suo. Peccato che invece lui appartenesse a
quei messaggi che stava ricevendo continuamente e che di sicuro non
provenivano dagli amici.
Era bello notare quanto la donna non
fosse capace di notare nessuna nota dolente, nessun movimento strano
finché si sentiva felice. Almeno non succedeva fino a quando
quei
gesti nascosti si facevano più evidenti, tanto da non poter
negare
più l'apparenza e all'uomo non restava altro che il
tentativo di
giustificare gli sbagli commessi. Guardai il ragazzo in quel momento
metterle il braccio attorno alla vita mentre fummo quasi al capolinea
della scala mobile. Era un gesto protettivo e lei pensò
forse a
quanto fosse fortunata. Io pensai a quanto lui fosse un maiale e a
chissà quante cose il suo cervello stava pensando
sull'amante.
Ero
così concentrata su quei pensieri che involontariamente mi
scontrai
con qualcuno una volta arrivai al piano superiore. La coppia ormai
era scomparsa. Arrabbiata fissai l'ostacolo pronta a punirlo a mio
modo, ma quegli occhi che mi stavano guardando divertiti mi fecero
cambiare idea. Ville era di fronte a me con un gran sorriso.
Accidenti era veramente alto!
"
Mi scusi tanto donzella acidella."- sussurrò a poca
distanza.
Combattei contro l'imbarazzo e alzai gli occhi al cielo sbuffando.
"
Non è possibile! Ma sei ovunque?"- chiesi cercando di
mantenere
la mia acidità alle stelle, ma un sorriso era apparso
spontaneamente
sul mio volto e questo metteva in discussione tutto. E a quel punto
riprovai la stessa sensazione strana che sentii due notti prima. In
un certo senso mi era mancato.
"
Sei tu che invadi i miei spazi. Sei così fastidiosa!"
"
Cosa?!"- esclamai. Lui per tutta risposta scoppiò a ridere
con
mio enorme fastidio.
"
Ti ho offesa per caso?"- chiese continuando a prendersi gioco di
me.
"
Oh no tranquillo, continua pure. Le tue parole mi rendono sempre
felice."- sbottai incrociando le braccia. Ville a quel punto
smise di ridere e sfoggiò uno dei suoi sguardi profondi, uno
di
quelli che riuscivano ad arrivare al cuore, a sondare quello spazio
che apparteneva solo a te per studiare nei minimi particolari il tuo
essere e i tuoi sentimenti. Improvvisamente mi sentii nuda, letta
dentro e completamente spaesata. Eppure nonostante volessi uscire da
quel tunnel, non riuscivo a distogliere gli occhi da quel volto
misterioso e di indubbio fascino.
"
Sei sola?"- mi chiese alla fine. Aveva sempre l'abitudine di
guardare con occhi assassini la gente prima di fare domande
così
semplici? E io che avevo pensato al peggio.
"
Ehm..no. Sta-stavo andando da Elisabeth che.."- balbettai.
Proprio
in quel momento la diretta interessata fece la sua comparsa senza
notare la presenza di Ville. Stava sistemando la sua borsa e
evidentemente aveva visto solo la mia sagoma senza dare importanza a
chi poteva essere con me.
"
Ti prego non ammazzarmi. Lo so che avresti voglia di cavarmi gli
occhi e dare il mio corpo in pasto alle belve della giungla ma.."
Quando
alzò il capo dalla borsa i suoi occhi si spostarono da me a
Ville e
la sua faccia diventò paonazza mentre le parole le morirono
in
bocca.
"
Ciao Elisabeth."- la salutò allegramente lui.
"
Ville! Ciao!"- tossicchiò lei stampandosi un sorriso un
pò
incerto sul volto. Cercai di non ridere mentre lei assumeva un'aria
meno imbarazzata.
"
Beh allora? Abbiamo finito finalmente?"- esclamai impaziente.
Elisabeth con enorme sforzo staccò gli occhi da Ville e mi
guardò
come se mi vedesse per la prima volta. Possibile che fosse
così
tonda quando era presente il finnico?
"
Ehm sì..cioè no..ma se vuoi puoi lasciarmi qui
sola. Tanto non mi
servi più."
Sapevo
che dietro le sue parole si nascondeva la voglia di lasciarmi sola
con Ville. Lo stava facendo giusto per mettere alla prova i miei
nervi e la parte più buona che possedevo.
"
Mah.."
"
Io vado, ci vediamo dopo. Bye!"
Si
allontanò senza darmi il tempo di aggiungere qualcosa per
difendermi
da quella situazione. E così restai sola con Ville mezza
scioccata e
mezza nervosa.
"
Vatti a fidare delle tue migliori amiche."- sbottai fissando il
punto in cui Elisabeth era scomparsa.
"
Beh, cosa farai ora che sei rimasta sola in compagnia di un lupo
mannaro?"- chiese lui avvicinandosi.
"
Potrei lasciarmi mordere o scappare a gambe levate."- risposi,
sorpresa delle mie stesse parole.
"
A te la scelta allora."
Restò
a guardarmi a braccia conserte con i suoi occhi dritti puntati nei
miei. Disorientare i nemici doveva essere la sua specialità
evidentemente.
"
Difficile."
"
Se vuoi ti aiuto."
Il
sorriso stampato sul suo volto non prometteva nulla di buono. Era
apparentemente diabolico e accentuava quella bellezza che per una
come me che non era abituata era agghiacciante. Era una bellezza
immediata, che riusciva a colpire anche la zona sessuale più
repressa che avevo. Lo fissai senza saper bene cosa dire, togliendo
la parte più sensibile di me che avrebbe fatto tutt'altra
cosa.
"
Beh, hai perso la lingua?"
Scossi
la testa e riprendendo il mio tono altezzoso dissi: " quella
c'è
sempre sfortunatamente."
"
Mi sarebbe apparso strano il contrario."
Prima
che potessi dare fiato alla bocca ed eliminare il mio sorriso dalle
labbra, scorsi fra la gente Niko e sapendo quanto fosse rompiscatole,
l'unica via di fuga era quella di affidarmi e nascondermi nelle
braccia del lupo solitario che era ancora in attesa di una risposta.
"
E ora che ti prende?"- mi chiese curioso. Distolsi lo sguardo da
Niko ignaro ancora per poco della mia presenza su quel piano e
guardando dritta negli occhi Ville dissi: " smaterializziamoci
da questo posto. Accetto tutti i luoghi in cui vorrai portarmi,
l'importante è uscire da qui."
"
Ehm okay, sweetie."
Mi
avvicinai a lui e cercai di tenermi più nascosta che potevo
alla
vista di Niko che si stava avvicinando sempre di più. Quando
uscimmo
da lì sentii il mio cuore diventare più leggero.
Avrei voluto
mettermi in ginocchio e ringraziare Allah per avermi fatto uscire da
quel posto sana e salva. Poi mi ricordai che non potevo farlo
perché
c'era Ville Valo con me. Non ero poi così sana e salva come
avevo
pensato. Lui si limitò a guardarmi, un pò
incuriosito dal mio
strano atteggiamento, ma almeno in quel momento, non disse nulla.
"
Bene, ora che siamo usciti da quel posto che all'improvviso per te
è
diventato un inferno, vuoi seguirmi?"
" Andiamo a fare
messe nere insieme?"- chiesi sorridendo.
"
Certo!"- rispose lui porgendomi il suo braccio. Accettai
l'invito un pò titubante e lo seguii con i battiti del cuore
insolitamente accelerati.
Dopo
aver fatto un lungo giro decidemmo di far sosta strano caso nel mio
bar di fiducia. Jack era come al solito al bancone aiutato da Liam
che appena vide la porta aprirsi guardò nella nostra
direzione. Io
fui la prima ad entrare e a beccarmi il suo sorriso radioso che un
attimo dopo scomparì appena vide che era in compagnia di
Ville.
Qualcosa
era cambiato in Liam. In quel volto gentile e così giovane
qualcosa
si era spezzato. Volevo ridere per questo, ma sarei sembrata alquanto
scortese e poi qualcuno mi avrebbe preso per pazza. Ridere senza un
motivo apparente era piuttosto stupido, no?
Ci
sedemmo vicino alla vetrata e quando arrivò Liam mi sentii
in
imbarazzo, un pò come se lo stessi tradendo. La sua voce era
seria e
la sua faccia restò immune ad ogni tipo di sorriso, nemmeno
l'ombra
di uno di piccolissime dimensioni.
"
Gli hai fatto qualcosa?"- mi chiese Ville guardando Liam andare
via.
"
Perché dici questo?"- chiesi a mia volta allarmata.
"
Così."- rispose scrollando le spalle.
Quel
ragazzo era più attento di una tigre alle prese con la
cattura della
sua preda. Lasciammo cadere il discorso e aspettando in silenzio i
caffé ordinati. Restai sorpresa di vedere Jack al posto di
Liam
servirci. Ma che gli era preso? Non gli avevo di certo promesso
qualcosa né tanto meno l'avrei fatto.
Però
qualcosa dentro di me si sentì in colpa.
"
Fai sempre così quando vuoi scappare da qualche uomo?"-
chiese
lo zombie. Sgranai gli occhi e lo fissai. La sua schiettezza era
così
disarmante che quasi non riuscii ad esprimermi. Come aveva capito le
mie intenzioni? Forse i miei modi di fare erano stati troppo
evidenti, avrei dovuto restare calma e tutta d'un pezzo come sempre.
Era chiaro che si riferisse alla fuga improvvisa dal centro
commerciale.
"
Io non stavo scappando da nessuno."- sbottai acidamente.
"
Certo. Evidentemente io sono cieco, ritardato e ignorante."-
affermò deciso e a braccia conserte. A quel punto restai in
silenzio
e presi a contare lentamente fino a tre. Quando avrei detto tre nella
mia testa mi sarei scaraventata su di lui e lo avrei massacrato.
"
Sei solamente un finnico impiccione."
"
In realtà sono un finnico un pò sensitivo,
carissima Lady V."
Era
evidente che dietro a quella frase si nascondesse qualcosa di molto
più profondo: una sorta di messaggio subliminale. Lo fissai
per
qualche minuto in silenzio e dopo aver fatto un sorso nel mio
caffé
amarissimo dissi: "
vorresti farmi credere che tu riesci a capire Lady V più di
quanto
lo riesca a fare lei stessa?"
"Sei
tu che lo stai pensando, io non ho detto nulla a tal proposito."
Sbuffai
e cercai di non morire sotto il suo sguardo assassino e sensuale.
"Sei
uno sbruffone da quattro soldi."
"Potrei
offendermi, sai?"- chiese cercando i miei occhi. Sentii le
guance andare in fiamme.
"Sono
fatti tuoi. Io dico semplicemente quello che penso."- dissi
continuando a non guardarlo.
"Finendo
per essere odiata."- concluse lui al mio posto. Perché
sapeva
essere così diretto?
Solo
dopo quella frase tornai a guardarlo. Il suo sorriso divertito
mandava in confusione il mio cervello.
"Tutti
gli uomini trovano una ragione per odiarmi."- scrollai le
spalle.
"Vuoi
che finisca per odiarti anche io? Non ci metterei niente."
"Non
saresti né il primo e nemmeno l'ultimo. Sei libero di fare
come più
ritieni opportuno."
Lui
restò colpito da quelle parole. Lo notai dal suo cambiamento
di
espressione.
"Sei
una ragazza particolare, per questo non ti odio. Anzi inizio a
prendere in considerazione l'idea di esserti amico sempre se tu non
sia così allergica come dici di essere."
"Buono
a sapersi che non mi odi."
"E..?"
"E
niente."
"Sei
davvero un caso perso."
Scappò
un sorriso ad entrambi.
"Bene
detto questo, io sto aspettando la tua analisi."- gli ricordai,
aspettando con curiosità il suo verdetto. Più che
altro ero curiosa
di sapere se veramente fosse in grado di fare un quadro generale su
di me.
"Vuoi
che ti dica cosa penso di te?"
"Vediamo
che sai fare. Stupiscimi."
"L'hai
voluto tu."- si schiarì la voce e prese a fissare ogni
centimetro del mio viso fino a quando non decise di posare i suoi
occhi verdi esattamente nei miei.-"C'è chi ha il coraggio di
buttarsi da un palazzo altissimo e chi invece non riesce a buttarsi
tra le braccia di nessuno perché ha paura di essere ferito.
Cerchi
di essere schiva, di non esporti molto e usi come arma l'antipatia
per allontanare gli estranei che cercano di rovinare il tuo
equilibrio. È come se tu fossi in continua contraddizione
con te
stessa: prima vuoi una cosa, ma capisci che puoi farne a meno e poi
torni a pensarci su e finisci per complicarti l'esistenza. Sei onesta
e schietta, questo non posso negarlo."- si fermò e sorrise.
Io
invece continuavo a pendere dalle sue labbra. Non era possibile tutto
questo.- " hai a cuore i sentimenti degli altri, ti identifichi
o cerchi di farlo in quelle che come te non riescono facilmente a
comunicare con noi uomini per una serie di motivi. È come se
tu
fossi bloccata e preferisci nasconderti nel tuo piccolo mondo fatto
di carta e di fantasia perché lì sei capita, ti
senti a tuo agio
con i personaggi che popolano quel castello che tu stessa hai creato
e sicura dei comportamenti da utilizzare. A volte pensi che sia
meglio così perché almeno i personaggi che tu
crei sono quelli che
non ti tradiranno mai. Sei sensibile nonostante vuoi nasconderti e ti
irriti facilmente quando le cose non vanno come tu vuoi e per quanto
tu voglia essere vendicativa, ci riesci solo in parte,
perché sai
che quel male che commetti potrebbe essere il tuo. Non ami la
compagnia degli altri, piuttosto vuoi che siano gli altri a cercate
te. Sei una di quelle ragazze che viene ferita facilmente e hai
bisogno di molto tempo per riprenderti perché non
dimentichi."
Terminò
con una punta di dolcezza nella voce e spostò lo sguardo
fuori dalla
vetrata dove si esibiva un cielo così bianco da far invidia
ad un
cadavere. Era chiaro che da un momento all'altro Helsinki sarebbe
stata colpita da una bufera di neve e cercai mentalmente di farmi
forza, sapendo che il freddo sarebbe stato il doppio. Ma in quel
momento era difficile dare spazio agli altri sentimenti. Anzi, non
capivo nemmeno le emozioni che provavo in quel momento. Una cosa
però
c'era: ero senza parole. Se avessi parlato, di sicuro la mia voce
sarebbe stata spezzata. Nessuno prima di allora era riuscito a
capirmi. E la cosa eccezionale fu che a leggermi dentro non solo era
uno sconosciuto, ma era un uomo. Un maschio, una di quelle persone a
cui ero allergica. Mi sentii
frastornata, confusa e
spossata. Volevo attribuire la colpa di tutto ciò alla voce
maledettamente sexy e al viso all'apparenza angelico che
difficilmente riuscii a guardare senza provare l'impulso di scappare
o, ancora meglio, buttarmi completamente addosso al proprietario che
era in attesa di qualche mia mossa.
" Tutto molto
interessante."- dissi cercando di mantenere una voce neutrale.
" Avanti, puoi
dirlo senza vergogna che ho indovinato."
" Beh..a
malincuore devo dire che hai ragione. Touché!"- alzai le
mani
in segno di arresa. Lui sorrise dolcemente, come se riuscisse a
capire anche ciò che provavo in quel momento. Come se fosse
stato
spinto da qualche forza sconosciuta, si sporse in avanti e
posò
senza esitazione le sue dita sul mio mento, costringendomi a
guardarlo dritto negli occhi. Il mio cuore riprese a battere
furiosamente e sperai con tutto il cuore di non essere arrossita.
Più
che altro sentivo che la mia maschera si stava spostando dal volto
ed ebbi paura che potesse cadere a terra annullandomi. Sperai con
tutta me stessa che Jack non stesse guardando come Liam.
" Mia dolce
Lady V, devi capire che non bisogna lasciarsi vincere dai fantasmi
del passato. Non vivono per sempre..riescono a dissolversi facilmente
se non li si presta attenzione."
" E' facile a
dirlo, ma difficile a farlo."- mi lasciai sfuggire. A quel punto
Ville tolse le sue dita e sentii i punti che aveva toccato bruciare.
Ma fortunatamente riuscii a respirare di nuovo.
" Oh credo
che tu possa riuscirci. Io non sono nessuno per dirti cosa fare. Io
stesso ho sbagliato un sacco di volte e sono stato ad un passo
dall'incontrare Catherine nella brughiera al posto di Heathcliff. Ma
forse posso dirti che non serve a nulla comportarti in questo modo.
Fai del male solo a te stessa. Da ogni esperienza impari qualcosa,
non devi esserne spaventata dalle conseguenze. Puoi trovare sempre
qualcosa di positivo anche nella tempesta."
" Si sente
proprio che sei un compositore."
" Davvero?"-
chiese lasciandosi sfuggire una piccolissima risata.
" Davvero."-
dissi dopo essermi morsa la lingua per quella affermazione uscita
dalla mia bocca spontaneamente.- " sei..poetico."
" Grazie del
complimento."- rispose compiaciuto. Era così..dolce. Mi
lasciai
sfuggire un sorriso che non aveva nulla di sarcastico come lo era di
solito.
" Ecco ora sei
vera."- disse notando il mio sorriso.
Proprio quando
sarei arrossita più di quanto di sicuro fossi in quel
momento e
prima che la mia faccia si trasformasse in quella di una perfetta
ebete, il suo cellulare squillò salvandomi in calcio
d'angolo.
Ringrazia quel santo che ti
protegge.
" Scusami."-
disse prima di rispondere.
" Fai pure."
Quando iniziò il
colloquio telefonico, il tono della voce, che già di per
sé
danneggiava milioni di neuroni, ad un tratto cambiò. Divenne
più
profondo e sentii il sangue arrivarmi al cervello tipo come la lava
di un vulcano risaliva il camino per poi raggiungere la superficie.
Stava parlando in finlandese e vi giuro, che quella voce era
diventata più sexy, sensuale, un misto di emozioni che mi
permisero
di sfociare nei pensieri più perversi che la mente umana
poteva
partorire senza aiuto esterno. Cercai di restare calma e soprattutto
di fantasticare meno, ma la mente sembrava proprio essere partita per
luoghi scabrosi e non accessibili da sobri.
" Scusa devo
andare."- disse quando chiuse la chiamata e tornò a parlare
nel
suo perfetto inglese.
" Oh!"-
esclamai presa alla sprovvista. Quei sentimenti strani si
dileguarono. Era quasi dispiaciuta che potesse andare via. O lo ero
davvero?
" Avrei voluto
restare ancora in compagnia della tua acidità, ma il dovere
mi
chiama."- disse alzandosi.
" Tranquillo,
saprò vivere lo stesso senza la tua presenza."- dissi
giocherellando con il cucchiaio. Lui prese a fissarmi. Quello sguardo
portava con sé una pericolosa carica erotica e io mi sentii
priva
del respiro. Non era possibile!
" Sei dolce
tanto quanto un limone."- disse sorridendo.
" Grazie."-
risposi senza scompormi. Chi mi stesse dando la forza in quel momento
non seppi dirlo di preciso.
" Allora, ciao
donzella acidella."- disse piano con l'aggiunta dell'occhiolino.
Non morii, tranquilli.
" Ciao."-
risposi a mia volta con un piccolo sorriso. Quando la sua presenza
scomparve, il mio animo si sentì improvvisamente leggero. Mi
abbandonai allo schienale della sedia e cercai di calmare il mio
cuore preso dalle convulsioni. Restai ancora un pò in
compagnia di
me stessa e degli sconosciuti.
Per tutto il
tragitto di casa continuai a pensare a Ville e spontaneamente quando
arrivai vicino alla torre guardai le finestre come se potessi
trovarlo lì.
Ah che scema! Ero
diventata decisamente una pappa molle e questa cosa mi irritava
molto. Quando arrivai dinanzi alla porta di casa mi accorsi,
trafficando nella borsa, che non avevo preso le chiavi. Così
mi
toccò bussare e attendere che una delle due anime buone
venisse ad
aprirmi.
" Salve!"-
esclamai sorridendo. Jonathan era piuttosto preoccupato invece.
" Che c'è?"-
chiesi diventando seria quanto lui.
" No..ehm..è
che.."
" Non
farfugliare."
" Ecco..tua.."
" Jade! Amore
mio!"
Quando sentii
quella voce, che proveniva dalle spalle di Jonathan, avrei voluto
sprofondare. Guardai scandalizzata Jonathan che annuì
capendomi al
volo.
" Non è
possibile! Ti prego nascondimi!"
" Inutile che
ti agiti! Entra e affronta il nemico."
Ma prima che
potessi farlo, mia madre uscì fuori e venne ad abbracciarmi.
" Ooh eccola
qui finalmente!"
La abbracciai e
dissi: " mamma! Che bella sorpresa."
Ma di bello non
c'era assolutamente niente.
LA
SOTTILE LINEA ROSSA:
Ma
che ne volete un'altro per caso? Eh dovete aspettare u.u
Vi
annuncio che da ora in poi le cose inizieranno a prendere una piega
diversa muahahhahaha!!
Inoltre
le frasi in inglese sono prese da una canzone di Beyoncé
chiamata " Scared of Lonely" che mi sta molto a cuore e che in questo
caso rispecchia entrambi i giovinetti (?)
La
traduzione è la seguente:
"
Ho paura della solitudine e ho paura di essere l'unica ombra che vedo
riflessa sul muro. E ho paura che l'unico battito di cuore che sento
sia il mio. E ho paura di essere sola. Mi sembra di non riuscire a
respirare. Quando sono persa in questo sogno,ho bisogno che tu mi
abbracci. Ho paura della solitudine.."
Per
ulteriore informazioni rivolgersi qui xD ( traduzione completa per chi
ne è interessato):
https://www.youtube.com/watch?v=5jXPTadTO5c
Ringrazio
come sempre tutti e anche i nuovi arrivati..spero che qualche
fantasmino si faccia avanti per farmi sapere cosa ne pensa. Non mordo
mica :)!
Alla
prossima
Vals
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Behind appearances ***
Behind appearances
Mia madre.
Mia: aggettivo possessivo solitamente usato per affermare il possesso esclusivo di qualcuno o qualcosa. Nel mio caso serviva per specificare un possesso che di certo non avevo scelto nè tanto meno voluto necessariamente, ma non ero Dio e non disponevo dunque della facoltà di poter scegliere a mio piacimento chi o cosa doveva appartenermi.
Madre: ecco la nota dolente. Al mondo esistevano mille aggettivi e forse anche di più utili per la mia spiegazione. Eppure nonostante la grande varietà qualcuno aveva provveduto a svuotare il mio cervello impedendomi di completare il quadro generale che avevo iniziato.
Era anche vero che l'infinita scelta di vocaboli complicava di poco le cose, sarcasticamente parlando.
Lady V avrebbe detto che la madre era quel tipo di donna che un giorno aveva deciso di scopare con
sentimento per dare al mondo un suo contributo. Parole ciniche, degne del mio alter ego.
La piccola e umana Jade invece cosa avrebbe detto?
Secondo lei, solitamente il genere umano un pò come i Guelfi, si divideva fra neri e bianchi. I neri, giusto per sottolinearlo anche se il nome diceva già tutto, erano quei figli che detestavano i comportamenti delle loro madri. Non che le odiassero profondamente, semplicemente questi giovani soffrivano di una forma avanzata di soffocamento e fastidio nei confronti del loro creatore. Lo credevo bene: avere una madre troppo apprensiva, ansiosa, soffocante e capace di far saltare i nervi in pochissimi secondi per via delle sue paure, di certo non aiutava a vivere in un clima sereno. Solitamente a soffrire di queste patologie erano i figli unici. Ma che male avevano fatto questi per meritarsi un amore un pò, come dire, morboso?
Oppure si trattava di quei ragazzi che avevano una famiglia con l'assenza di un padre. A quel punto il ruolo della mamma diventava di vitale importanza, perché doveva assumersi diversi compiti e cercare non solo di essere madre, ma anche padre quando questa figura non c'era. Anche qui le troppe responsabilità finivano per riversare le conseguenze sui figli sempre più cupi e chiusi in se stessi.
E poi c'erano i bianchi, ovvero, i figli che adoravano le loro madri e che, a differenza dei neri, avevano vissuto l'infanzia e l'adolescenza lontano dallo stato di terrore e soffocamento. Sembravano quei soliti tipetti americani che vivevano felici e contenti nelle loro casette di legno ampiamente decorate durante le feste natalizie, che magari iniziavano la giornata con una gran sorriso stampato in faccia, un pò come insegnavano le pubblicità televisive, quelle che tu stesso odiavi perché rappresentavano una realtà completamente paranormale per un essere con te che doveva già ringraziare Jesus e Mary per averti fatto svegliare dalla parte giusta del letto. Oppure celebravano il giorno del ringraziamento davanti ad un bel tacchino aiutando la mamma senza sbuffare e presentare malessere davanti ai fornelli. I bianchi erano quei figli che non potevano lamentarsi di nulla perché la loro vita aveva pensato bene a sistemarli in una famiglia numerosa, amorevole, tranquilla e con una madre perfetta. Se proprio doveva esserci un problema di sicuro poteva riguardare il pericolo che la loro casa venisse distrutta dal passaggio di un uragano. Eppure quel problema nonostante potesse essere bello tosto diventava superfluo se di mezzo c'era l'amore spassionato e dolce a sistemare tutto.
Io non sapevo esattamente dove collocarmi. Ero figlia unica ed ero cresciuta con un amore da perfetta Guelfa Bianca. Certo, non sono mai mancati gli episodi di amore morboso, ma stranamente, furono davvero molto pochi e si erano manifestati tutti durante i difficili anni dell'adolescenza, quando il mio rapporto con gli altri avrebbe potuto vincere perfettamente almeno dieci Razzie Award. Mamma aveva sempre paura che la mia mente potesse partorire idee piuttosto strane e che avrebbero finito per sconvolgere la vita di tutti non solo la mia. Beh non potevo biasimarla. Aveva solo me, e come Guelfa Nera dovevo aspettarmi quelle ansie da parte sua.
Naturalmente non ebbi nessun pensiero di morte violenta nonostante la realtà che sopportavo in quegli anni potesse ispirarmi sul serio. Non ci tenevo ad avere il posto di prima classe nell'Antipurgatorio di Dante. Come diceva Schopenhauer, " il suicidio è un urlo alla vita mancata."
Io la vita ce l'avevo, perché privarmene? Sarei stata solamente una sciocca e dovetti più volte ricordarlo alla mamma che invece diventava paranoica.
Dunque ritornando al presente, Jade cosa poteva dire ora?
Jade non aveva un cuore. Era solita prendersela con se stessa anche per l'errore più banale. E poi era priva di emozioni quanto bastava per non far cadere così su due piedi la maschera che indossava da anni. Eppure esisteva una persona al mondo che riusciva a trasformarla in un batter d'occhio e a farla ritornare, attraverso il semplice utilizzo della magia bianca, la ragazza che era prima dei cambiamenti drastici imposti da una vita bastarda. Quella santa aveva un nome che molto spesso al solo pronunciarlo, Jade si sentiva già diversa: Demetra.
Perché stavo parlando in terza persona?
Perché quando si trattava di mia madre tutto il mio sistema nervoso si gettava completamente nel panico. Avevate presente l'istinto di buttarsi da una finestra perché essa si presentava come l'unica via di scampo? Ecco.
La terza persona mi aiutava per un attimo a rendermi cosciente di quanto fossi fottuta.
Mia madre era l'unica per davvero che riuscisse a distruggere lo stato di apatia in cui mi ero rifugiata da secoli. Era una specie di tzunami e non sapevo ancora come facesse a stanarmi, a denudarmi e alla fine a mettere in bella mostra le mie debolezze facendomi vergognare profondamente.
Perché non mi ribellavo? Potevo comportarmi come al solito, facendo di tutto affinché fra le mie mani non avessi avuto quel biglietto di sola andata per il famoso villaggio turistico " Vaffanculo". La risposta, ahimè, era più semplice di quanto si potesse pensare ed era formata da tre parole: era mia madre. Le solite parole che distinguevano la gente cattiva da quella fin troppo buona.
Avevo sempre pensato che mia madre fosse un modello da seguire. Non perché fosse mia madre, e quindi la persona che era al mio fianco in qualsiasi momento e l'unica che, a differenza del ciarlare degli altri, sarebbe stata capace di buttarsi nel fuoco per me senza esitazione. Semplicemente nella mia mente si era sviluppata un'immagine di lei particolare. Per me era da sempre una donna in fiamme, una specie di super eroe che per sbaglio era uscito da un fumetto e che ora andava in soccorso ai più deboli in una società completamente immersa nel male. Cercava sempre di salvare dalla catastrofe qualsiasi situazione anche quella più banale come ricucire un pezzetto di stoffa di particolare importanza. Si arrabbiava per una giusta causa, era gentile e aveva uno spirito ribelle. Agli occhi di una bambina tutto questo non poteva che sembrare stupendo e super.
Mia madre era un pò come me: difficile da interpretare a volte e sfuggevole all'amore, almeno dopo la separazione da papà. Fu lei ad ispirarmi. Ne adottai il coraggio, la testardaggine e la sicurezza. Ne ero davvero orgogliosa e nei miei trent'anni suonati non conobbi mai una donna come lei.
Per me era stata tutto. E aveva saputo svolgere anche il ruolo di padre che non gli spettava. Purtroppo o per fortuna il mio vero padre aveva deciso di andarsene perché era un vigliacco. Se dovevo ringraziare qualcuno di certo non era il suo spermatozoo, ma la dolcezza, la tenacia, la fragilità e la severità di una donna con le palle che seppe mandare avanti una casa e una figlia con le sue sole forze.
Okay, per un momento mi sono lasciata andare nel descrivere i pregi. E i difetti? Eh sì perché mia madre ne aveva molti.
Come tutte le mamme esistenti al mondo, la mia di certo non poteva non avere una caratteristica in comune con le altre, ovvero, la capacità di far perdere la pazienza e vergognare a morte indipendentemente da chi ti stava intorno. Con il passare degli anni l'immagine di super eroina che mi ero stampata nella mente dovette convivere gradualmente con un'altra immagine: quella della mamma seccante e petulante.
L'immagine più pericolosa a parer mio. Mai sottovalutare una madre quando è in quello stato! A pagarne le conseguenze saranno sempre i figli, senza distinzione di bianchi e neri!
Era quell'immagine a farmi paura e a mettere in serio pericolo Lady V e tutta la sua corte. Avevo già testato in passato qualche assaggio di quella potenza e tutt'ora al solo pensiero, come la lava di un vulcano, sentivo la pressione salire e arrivare fino alla testa e uno strano rossore si formava sulle guance e sulle orecchie ed io entravo in uno stato di sudorazione che durava fino a quando con grande forza d'animo non cambiavo la rotta dei miei pensieri. Quante notti pessime passai pensando alla brutte figure che feci per colpa sua!
Ora non sapevo davvero cosa aspettarmi. L'avevo lasciata felice e contenta in America insieme al suo nuovo compagno, Frank, e ora era qui ad Helsinki apparentemente senza un motivo valido, ma in realtà sapevo bene che la presenza di mia madre, qualsiasi fosse stata la città, la nazione o l'oceano, aveva sempre una spiegazione più che esaustiva. La cosa essenziale che speravo con tutto il cuore era che la permanenza non si allungasse. Ne andava della mia vita e soprattutto di quella di Lady V. Non sopportavo che mia madre si facesse gli affari miei cosa che invece prontamente faceva.
Aah questo era un circolo vizioso altro che!
" Tesoro che fai lì imbambolata su attivati!"- esclamò scuotendomi, nella speranza che cambiassi espressione e modo di fare. Era la seconda volta che me lo diceva, ma io non riuscivo a reagire. Ero seduta sul divano accanto a lei insieme a Jonathan e Elisabeth, entrambi curiosi della mia reazione decisamente incomprensibile. Più che altro io sembravo un cadavere che tutti si ostinavano a tenere in vita, vedendola come una persona in piena salute. Nessuno avrebbe capito davvero quello che stavo sentendo. Jade era combattuta fra la felicità di vedere finalmente sua madre lì in carne ed ossa e la voglia di scappare a gambe levate terrorizzata. In un modo o nell'altro io ero sempre stata divisa nei miei pensieri e nelle mie azioni, alter ego e Guelfi a parte.
" Jade cosa ti succede? Sembra che tu abbia visto un fantasma. Santo cielo sono tua madre!"
La guardai questa volta decisa e cosciente del posto in cui mi trovavo.
" Non dirmi che sei dispiaciuta di vedermi qui."
" No, mamma cosa dici? Sono felice di vederti."- le dissi sorridendo e finendo per abbracciarla. In parte era vero. Durante l'abbraccio fissai i miei amici cercando con gli occhi di capire se loro sapessero qualcosa di più di me. Ma non intercettai nessun segno e capii che erano immersi nel buio tanto quanto me.
Mia madre aveva fatto molti lavori ed essendo di spirito ribelle e libero non si era mai legata a nessuno di essi. Diceva che voleva provarli tutti e fino a quando non avesse trovato quello che più le piaceva si sarebbe buttata a capofitto in qualsiasi altro progetto.
Mamma era stata un manager, un avvocato, una giornalista e ora era diventata un'artista. Aveva iniziato da qualche annetto a dipingere. Le sue erano opere post impressioniste. Fu proprio l'arte a farle conoscere Frank e a farla trasferire per circa tre mesi a New York. Ora ero davvero curiosa di sapere cosa fosse successo fra di loro. Non che non sapessi già la risposta. Evidentemente anche questa volta lo spirito libero si sentiva in gabbia e aveva deciso di darsi alla fuga.
" Cosa ci fai qui?"
" Ho avuto un'opportunità irripetibile."- rispose guardando anche Jonathan ed Elisabeth.- " sono qui perché ho modo di mettere in mostra i miei quadri."
" Oh ma è meraviglioso!"- esclamai contenta.- " avrai una mostra tutta per te!"
" Congratulazioni signora Everett."
" Oh su Jonathan! Ci conosciamo da quando eri un microbo, perché devi darmi del lei?"
Jonathan sorrise e annuì un pò imbarazzato. A stento riuscivo a riconoscerlo. Elisabeth invece non aveva problemi. Era sempre stata la prediletta di mia madre, soprattutto per via dell'aiuto che mi aveva dato in passato.
" E dove starai?"- le chiesi sperando che non dicesse " qui con voi".
" Non preoccuparti. Non starò qui se è questo che ti preme sapere."- sorrise notando la mia espressione.- " Te la ricordi Bea?"
" Sì."
" Ecco, lei è sola qui e ci teneva che io le facessi compagnia piuttosto che prendere un squallida camera di un albergo. Che poi non sarebbe stata squallida. Un hotel a cinque stelle è quello più adatto alla mia immagine."
Scossi la testa divertita dagli atteggiamenti da diva di mia madre.
" Beh John cosa ne dici di venire con me a fare la spesa?"- disse Elisabeth bruciando con lo sguardo il bel John Travolta. Sapevo bene che il suo intento era quello di lasciarmi sola con mia madre.
Lui scattò in piedi e dopo essersi preparati uscirono.
Mamma mi riabbracciò e in quella stretta sentii un amore immenso, quello che io continuavo a chiedermi se un giorno sarei stata capace di dare ad un altro essere umano. Mi affidai alle sue braccia mostrando i primi segni della mia debolezza.
" Mi sei mancata davvero in questi mesi."
" Anche tu."- le sussurrai all'orecchio continuando ad abbracciarla. Quando ci districammo dall'abbraccio le chiesi se voleva una bella tazza di thé e così ci spostammo in cucina.
" Hai rotto con Frank, vero?"
Se c'era una cosa che a volte non riuscivo davvero a trattenere, era la mia sfacciataggine e assenza di tatto. Mia madre non si scompose. Restò seduta tranquillamente con le mani appoggiate sul tavolo, mi guardò e sorridendo disse: " non faceva per me."
" Quindi lui non centra niente?"
" No. Come sempre sono io la guastafeste."
" Non sei una guastafeste. Semplicemente sei ancora alla ricerca della persona giusta."- le sorrisi mentre aspettavo che il thé fosse pronto. Anche lei sorrise e disse: " e tu? Cosa combini qui?"
" Mi conosci."
Avrei voluto parlarle dell'incontro con Ville, ma la mia testa si rifiutava categoricamente di farlo. Mi avrebbe presa in giro con amore. Faceva sempre così.
" Con quel " mi conosci" dovrei capire che sei qui sola con la tua Lady V?"
" Esattamente."
" Lo sai, io detesto la tua Lady V. Un grande genio, ma è così stronza!"
" Mamma! Potrei offendermi!"
" Offenditi pure. Io dico quello che sai da un bel pò di tempo."
" Non cominciare."
A quel punto si alzò e si avvicinò a me con aria severa.
" Jade, lo so bene che vuoi difenderti dagli altri, ma non puoi andare avanti così. Hai trent'anni. Non dico che devi mettere su famiglia da un giorno all'altro, ma andare avanti in questo modo credimi non ti porterà da nessuna parte."
" Sei qui per farmi la predica? La so a memoria."- dissi irrigidendomi. Avevo dimenticato di aggiungere che a tempo perso mia madre era anche un prete. Le sue prediche erano così lunghe che molto spesso mi chiedevo se non fosse il caso di dirle che stava esagerando.
" Va bene."- disse alzando le mani in segno di arresa.- " non parlo più. Però prendi in considerazione che non tutti sono uguali."
" Lo so."
" Bene allora inizia a pensarci."
Quando il thé fu pronto ringraziai quei minuti che seguirono nel loro perfetto silenzio. Entrambe ci osservavamo, ma nessuna delle due aveva deciso di parlare. Alla fine fu lei stessa a parlare e a farmi domande su cosa stessi scrivendo, come mi trovassi lì e io nonostante quel giorno fossi di poche parole mi lasciai andare e fra una chiacchiera e l'altra trovai il tempo anche per ridere a crepa pelle.
Quando andò via fu inutile negare il vuoto che sentii dentro.
Entrai in camera e mi chiusi a chiave onde evitare che qualcuno venisse a disturbarmi solo per sentire la solita domanda: " stai bene?".
Meccanicamente avrei risposto " sì, grazie", ma anche quella semplice risposta per me richiedeva un grande sforzo che in quel momento non avevo voglia di fare. Appoggiai la schiena alla porta e sospirai sentendo una grande stanchezza. Non era sonno. Si trattava piuttosto di una stanchezza mentale. Avevo troppi pensieri per la testa che non riuscivano a farmi rilassare come volevo: la mamma, il mio libro, l'ispirazione, l'adattamento della mia vita ad Helsinki e..Ville.
Non volevo ammetterlo, ma quel ragazzo ogni giorno che passava mi dava modo di farmi pensare sempre di più. Era inutile ripetere quanto mi avesse confusa e quanto fosse diverso dagli altri. Erano frasi già fatte, avevo bisogno di altri aggettivi e aforismi per rendere meglio il concetto.
Pensando a lui in quel momento mi avvicinai alla finestra, come ero solita fare quando la sua figura magra si stampava nella mia testa e i suoi occhi fottevano il mio sistema nervoso. Per non parlare della voce che al solo immaginarla sentivo la mia pelle rabbrividire.
Bene adesso basta.
Come una sorta di rito che ancora non capivo, aprii la finestra e respirai l'aria stranamente più morbida degli altri giorni e chiusi gli occhi cercando in quel modo di provare a rilassare la mia mente decisamente affollata di pensieri. Ma perché pensavo troppo?
Stavo per abbandonarmi al nulla, cercando di liberarmi in quel modo di tutto quel vortice che non mi dava tregua, quando sentii un fischio o almeno un rumore che sembrava tale. Aprii immediatamente gli occhi e guardai nella direzione da cui proveniva.
Bene Jade sei fottuta.
Perché fottuta?
Perché si dava il caso che Ville era il responsabile del mio risveglio dal mondo del nulla. E dopo tanti piccoli sotterfugi i due lupi solitari si erano incontrati dalle loro rispettive finestre. Strano il destino, vero? Avevo sempre cercato di evitarlo e ora eccomi qui imbambolata e incapace di fare qualsiasi movimento.
Continuava a sorridermi come se non sapesse fare altro. Sembrava contento di vedermi, o almeno questo era ciò che voleva vedere il mio cervello.
Avevo due possibilità: sorridere di rimando per buona educazione e andare via; sorridere e scappare a gambe levate.
Oh Jade ma smettila! Sei sempre stata sadica, non nasconderti.
Maledetta coscienza.
Alzai la mano salutandolo e decidendomi finalmente di far mostra del mio sorriso sperando che non avessi ancora l'espressione impacciata di prima.
In quel momento mi fece il cenno di aspettarlo e così attesi curiosa. Non ci mise molto. Lo vidi appoggiare sul davanzale dei fogli e scrivere su uno di essi. Quando ebbe finito mi rivolse quel foglio che a grandi lettere diceva: " TORNA DENTRO CHE FA FREDDO!"
Lo guardai sorridere. Era così tenero..
Quella volta fui io a farlo attendere. Tornai dentro e dalla scrivania presi del fogli che avevo lasciato lì per sbaglio.
"POTREI DIRTI LA STESSA COSA."
Lui sorrise divertito e riprese a scrivere. Poco dopo mi ritrovai davanti agli occhi un altro foglio.
" IO SONO FINNICO A DIFFERENZA TUA."
" LA FEBBRE E IL RAFFREDDORE NON FANNO DISTINZIONI."
" LO DICEVO PER IL TUO BENE. E POI IO NON HO IMPEGNI CON LA MUSA: LADY V POTREBBE SCAPPARE DI NUOVO E POI NON SAPREI COME AIUTARTI A RITROVARLA."
" LADY V PUO' ASPETTARE."
Abbassai gli occhi pensando che forse era giunto il momento di metterla per un attimo da parte, almeno isolarla dal mondo reale e utilizzarla solo per scrivere. Mia madre aveva ragione: Lady V mi stava gradualmente fagocitando. In fondo come mi costava provare ad uscire fuori da quella gabbia che avevo costruito con le mie stesse mani?
Alzai di nuovo gli occhi verso Ville, che aveva cambiato espressione. Sembrava preoccupato e immediatamente sul foglio scrisse: " TUTTO BENE?"
Cosa dovevo dirgli? Decisi per la mezza verità. Mentire ad uno come lui era come uscire in bikini sotto la neve. Inutile fare i coraggiosi, tanto la bronchite aspettava dietro l'angolo il momento giusto per fare il suo trionfale ingresso.
"POTREBBE ANDARE MEGLIO."
"PROBLEMI?"
"NIENTE DI IMPORTANTE."
"SE VUOI SFOGARTI FAMMI UN FISCHIO. SONO A TUO COMPLETO SERVIZIO."
"MOLTO CARINO E GENTILE DA PARTE TUA."
" Jade, dove sei?"
La voce di Jonathan era molto vicino alla porta della camera e prima che potesse scoprire ciò che facevo, decisi di troncare immediatamente quello strano colloquio.
" DEVO ANDARE. A PRESTO."
" A PRESTO DONZELLA ACIDELLA."
Sorrisi leggendo quel buffo soprannome e chiusi la finestra. Ero completamente congelata.
" Ehi! Mi apri? Che stai facendo? Ti stai scopando qualcuno! È così, vero?"
Aprii la porta e lo fissai negli occhi. Alla fine entrambi scoppiammo a ridere.
" Mi aiuti in cucina?"
" Elisabeth?"
" Edward mani di forbice l'ha chiamata e lei è letteralmente scappata."- rispose alzando gli occhi al cielo. Lo presi sotto braccio e dissi: " vorrà dire che prepareremo delizie che lei potrà solamente immaginare."
" Ben detto."
Fortuna che avevo John in quell'inferno di ghiaccio.
Quella notte aveva nevicato e il mattino seguente non si era fatto mancare altre spruzzate. Il risultato fu che la città era completamente immersa dalla neve. Ora sembrava che il cielo avesse voluto fare una tregua, ma non sapevo fino a quanto si sarebbe riposato. Amavo restare alla finestra a guardare i fiocchi scendere e depositarsi su tutto ciò che incontravano. Mi sembrava per un attimo di tornare bambina.
Mamma era passata per salutarmi e restò con me a fare qualche chiacchiera. Mi meravigliavo di me stessa ad ogni minuto che passavo con lei. Era come se mi stessi addolcendo.
Guardai l'orologio e decisi di fare due passi per sentirmi libera e a mio agio camminando sulla neve. Mi impacchettai per bene e affrontai il mio destino. Non avevo una meta ben precisa. Avrei girovagato come un'anima in pena infestando le vie di Helsinki senza una giusta spiegazione.
Andai in centro e per perdere un pò di tempo iniziai a guardare le vetrine dei negozi. Stavo pensando che dovevo fare un pò di shopping, giusto per non pensare a niente. Di solito era la medicina perfetta e poi avere Elisabeth al fianco avrebbe avuto anche i suoi pregi.
Ma i negozi che più amavo erano quelli con gli scaffali traboccanti di libri, gli unici posti dove mi sentivo bene. Era come se entrassi in un mondo completamente diverso e ogni volta che entravo in uno di essi mi chiedevo come mai a nessuno veniva ancora in mente di imbottigliare quel profumo meraviglioso che la carta dei libri emanava.
Proprio in quel momento mi fermai di fronte ad una libreria e guardai tutti i libri che erano esposti in vetrina e con grande stupore trovai anche il mio. Erano anni che scrivevo e ogni volta quando vedevo un mio libro in vetrina non riuscivo a crederci e gioivo come una bambinetta davanti al suo regalo di Natale. Lady V a quanto pareva era sempre nei paraggi anche quando cercavo di non pensarla. Era il prezzo che dovevo pagare per averla voluta indietro a tutti i costi e allontanarla di nuovo ora che l'avevo trovata perché avevo capito che mi soffocava. Fissai quel libro e mi chiesi se quello che stavo scrivendo avrebbe avuto lo stesso successo. Ogni tanto la sicurezza che mi distingueva dalla massa andava via ed entravo nel panico più assoluto.
Se quel maledetto libro non avesse avuto successo, avrei sempre potuto continuare il mio sporco lavoro di giornalista o in casi estremi avrei rispolverato la mia laurea iniziando una carriera da insegnante.
Presi dalla borsa un foglietto e lo accartocciai. Se fosse caduto nel tombino avrei fatto bene a ritirarmi dal mercato. Se avesse toccato il suolo avrei continuato prepotentemente a prendermi gli onori della mia discreta fama. Solitamente facevo così a Londra: mi fermavo di fronte ad un negozio di libri e lanciavo dietro dietro di me un pezzetto di carta. Alla sua caduta affidavo il mio destino. Era un gesto scaramantico che continuavo a voler fare nonostante sapessi bene che non serviva a nulla.
Gli uomini a volte erano portati a credere che quei piccoli gesti di superstizione potevano davvero influenzare il corso oggettivo del mondo e della storia che vivevano. E io non ne ero immune. Guardai quel pezzo di carta accartocciato fra le mie mani e chiudendo gli occhi lo avvicinai alle labbra e sospirai.
" Fai il tuo dovere."- sussurrai. Lo lanciai e quasi timorosa aspettai prima di voltarmi.
"Donzella acidella, lo sai che è maleducazione buttare le carte per strada?"
Chi doveva rovinare i miei momenti di pura concentrazione?
Con il cuore che batteva ancora forte mi voltai e lo guardai con il mio solito sguardo incazzato.
"Ma non mi dire."- dissi infastidita.- " dai qua."
Presi dalle sue mani senza guardarlo il pezzo di carta.
"Siamo sempre molto allegre e simpatiche. Sono contento anche io di vederti."
Lo fulminai con lo sguardo.
"Per la cronaca, l'avrei raccolta di nuovo se tu non avessi deciso di intralciare i miei piani."
"I tuoi piani?"
"Lascia perdere."
"Oh no, mi piace conoscere le tradizioni degli altri popoli."
Lo fissai indecisa se scagliarmi contro e ammazzarlo di botte, rispondere a tono o semplicemente fare finta di niente e rispondere tranquillamente.
"Quando devo prendere una decisione, lancio un pezzo di carta dietro di me. In base alla caduta deciso cosa fare."
Senza rendermene conto avevo deciso di rispondere tranquillamente e mi vergognai a morte per avergli detto cosa stessi facendo.
"Ehm okay."- rispose lui confuso.
"Ma che te lo dico a fare? Ciao."- risposi antipatica come sempre.
Stavo per sorpassarlo, quando sentii la sua mano stringere il mio braccio con presa sicura e io come una molla tornai indietro scontrandomi con i suoi occhi.
"Ehi! Ehi! Mi sembra che io non abbia detto niente."
"La tua faccia ha parlato molto di più."
"Ah donzella..tu pensi sempre di sapere tutto. Rilassati! Anche io l'ho fatto qualche volta, ma con una moneta. Non è servito a molto nel mio caso."
Mi rilassai e sentii la presa allentarsi piano piano. L'imbarazzo andò gradualmente via e io ripresi a respirare.
"Che ci fai da queste parti?"- gli chiesi.
"Avevo voglia di fare due passi. Vedere la città e le strade piene di neve mi rilassa."
"Anche a me fa questo effetto."
Per un attimo esitai e poi imbarazzata gli chiesi: "ehm..posso farti compagnia?"
Non seppi il motivo preciso di quella mia scelta. Forse era un modo tutto mio di farmi perdonare per il mio solito carattere burbero e acido anche quando il sole spaccava le pietre e portava buon umore anche ai più rigidi. Ville mi guardo quasi scandalizzato. Ecco, quella era l'ultima cosa a cui avevo pensato.
"Chi sei tu? Che ne hai fatto della mia donzella acidella?"
Sua? Da quando?
"A volte è piuttosto eccitante infrangere le regole." - risposi con un mezzo sorriso.
" Stai mettendo da parte l'ascia di guerra?"
" Non allarghiamoci."
Ville scoppiò a ridere.
" Immaginavo. C'è sempre la fregatura con te."
Gli voltai le spalle e iniziai a camminare senza guardarlo. Poco dopo mi fermai e lo trovai ancora lì a guardarmi.
Jade sono solo due occhi.
Cercai di dar retta alla mia vocina e mettendo le mani sui fianchi dissi:" beh, vuoi muoverti?"
Con il suo solito sorriso sghembo mi raggiunse.
Jade stai calma, è solo Ville.
Già solo Ville.
Come due perfetti amici parlavano tranquillamente mentre passeggiavamo nel parco. Strano ma vero, quegli occhi e quel volto non mi mettevano più imbarazzo e, ancora più strano, mi stavo decisamente aprendo di più. Gli raccontai qualche aneddoto sulla mia vita sentimentale giusto per accontentare la sua curiosità.
Ville in quel momento scoppiò a ridere e disse: " c'è più amore in una lumaca che in te!"
Mi fermai e fingendomi arrabbiata dissi: " cosa?! Mi reputo offesa!"
Presi un pò di neve e gliela lanciai.
"Ehi! Come ti sei permessa?"- mi chiese completamente immobile. La sua espressione cambiò velocemente e gli occhi assassini tornarono a farmi compagnia. Lo vidi prendere lentamente un pò di neve e appallottolarla continuando a fissarmi con aria diabolica. Feci un passo indietro deglutendo.
" Tu non lo farai."- dissi puntandogli un dito e cercando di essere minacciosa.
" Chi te lo dice?"- chiese lui avvicinandosi e giocherellando con la palla.
" Lo dico io."
" Vuoi spaventarmi?"
A quel punto con una velocità che non avevo mai visto in vita mia fui colpita allo stomaco. Per poco non caddi nel tentativo invano di schivare la palla.
" Sai, vorrei che in questo momento un pezzo di meteorite ti centrasse in pieno per vedere che effetto ha su di te."- dissi arrabbiata.
Lui continuò a ridere e poi disse: " lo sai vero che così hai aggravato la situazione?"
Dopo quelle parole fu rapito il passaggio da " tranquilla passeggiata amichevole" a " questa è guerra!"
Iniziammo a rincorrerci cercando di colpire l'avversario con una mira accurata. Riuscii a colpirlo più volte, anche se furono più le volte che fui colpita io e risi a crepa pelle quando lo vidi scivolare.
" Sei disonesta!"
" Che c'è ti sei fatto male?"- gli chiesi divertita avvicinandomi.
" Dammi una mano."- mi disse ancora a terra.
" Te lo puoi scordare."
La conseguenza della mia sfacciataggine fu una bella manciata di neve in bocca.
" Poi sarei io la disonesta."
Lui si alzò e iniziò a rincorrermi. Mi stavo divertendo come non mai. Riuscii a superarlo e mi fermai quando vidi che era scomparso. Iniziai a preoccuparmi. Ero sicura che stesse tramando qualcosa.
" Ville che stai facendo?"- chiesi intorno a me.
Mi avvicinai ad un albero guardando in tutte le direzioni, ma non avevo fatto i conti con l'altra faccia dell'albero. Ville mi sorprese da dietro le spalle e per la sorpresa caddi a terra. Lui perse l'equilibrio e me lo ritrovai a pochi centimetri dal mio volto.
In quel momento persi la concentrazione e la voglia di riempirlo di parolacce svanì. Non sapevo cosa stesse per succedere. Impercettibilmente si stava avvicinando e io all'improvviso fui presa dal terrore. Bloccai l'avanzamento delle sue labbra con due dita e con quel poco fiato che mi restava dissi: " sarà meglio andare. Io non sono finnica come te e potrei davvero ammalarmi."
" Non sia mai! Non voglio che ti ammali per causa mia."- sussurrò lui sorridendo.
Lentamente si allontanò da me e mi aiutò ad alzarmi.
Come mai il mondo intorno a me stava girando?
L'angolo di Vals:
Welllllaaaaaaa sono tornata!!!!!!!
Come state??? O dovrei dire, come state dopo questo finale lasciato in sospeso??? Sono una sensitiva e vedo nei vostri occhi la voglia di ammazzarmi, ma non affrettatevi..ce ne sarà di tempo muahahahhahahhahahahhahah!
Come ogni volta torno a ringraziarvi..pian piano state crescendo e questo non può che farmi contenta *-*
Sono anche qui per lasciarvi degli indizi sui personaggi, o meglio, voglio mostrarveli, così almeno vedete se corrispondono all'immagine che vi siete fatti di loro nella vostra mente :)
Signori e signore questo è Jonathan per tutti John http://www.cucchini.com/media/03112011111904_berr-1.jpg
Questa invece è la dolce Elisabeth http://shechive.files.wordpress.com/2012/05/amanda-seyfried-20.jpg?w=500&h=500
Demetra, ovvero la madre di Jade http://krystalgrant.files.wordpress.com/2010/04/jane-fonda-press-shot.jpg
E adesso teneti pronte..sto per presentarvi la bella signorina, la donzella acidella che il dottor Valo sta curando: Jade http://userserve-ak.last.fm/serve/500/62568563/Nicole+Scherzinger+Killer+Love.png
Che ne pensate di tutti questi gnocchi?? Attendo i vostri commenti!!!!
Alla prossima, Vals.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** What? ***
What?
Avrei voluto tanto azzerare il mio cervello e fare in modo che quel leggero contatto fisico da attacco cardiaco a prima mattina quando la tua piastra stufa di essere usata troppo scoppiava fra le tue mani, l'avessi solo immaginato. Così come quegli occhi troppo vicini e profondi attraverso la quale scorgevo un mondo misterioso e completamente fuori dalla mia portata.
Ville era una di quelle persone affascinanti e piacevoli con cui stare, ma forse anche una di quelle difficili da capire in alcuni momenti. A volte per me sembrava un libro aperto, altre volte invece facevo fatica a capire cosa gli stesse passando per la testa.
Per esempio in quel momento, mentre facevamo la strada di ritorno chiacchierando amabilmente, non riuscivo a capire se anche lui avesse sentito la stessa scarica elettrica che aveva scosso il mio corpo. Ero leggermente confusa, perché mai mi era capitato di provare quella sensazione, quel formicolio lungo il corpo, i brividi alla schiena e alla nuca. I muri di difesa lentamente e ineluttabilmente sembravano cadere e quel poco di freddezza che mi era rimasta stava cercando in tutti i modi di far sì che restassi intatta. In me in quei giorni risiedevano troppe emozioni positive e io non sapevo se esserne felice o angosciarmi più di quanto non lo fossi già.
Avrei voluto evitare quello sguardo che ad ogni parola che usciva dalle nostre bocche sondava la mia anima ancora incorrotta. Era pura, ma allo stesso tempo nera. Quella stessa anima che ora cercava di risvegliarmi da qualsiasi pensiero indecente e positivo su Ville.
Eravamo giunti nei pressi della torre e propri lì trovammo una persona a me fin troppo famigliare intenta a fissare l'abitazione di Ville in modo attento.
Mi fermai facendo arrestare anche l'avanzata del mio zombie del cuore e lentamente e quasi in un sospiro dissi: “ no..non può essere!”
“ La conosci?”- mi chiese a quel punto Ville incuriosito sia dalla mia reazione che dalla presenza di quella donna presso la sua abitazione.
“ Purtroppo sì.”- dissi sospirando senza guardarlo. Ero troppo presa ad osservare mia madre prendendo coscienza man mano dell'apocalisse a cui stavo andando incontro.
Come di incanto, mia madre proprio in quel momento sembrò fiutare la nostra presenza. Distolse lo sguardo dalla torre e spostò la sua attenzione sulla nostra direzione.
Stava per iniziare non solo l'apocalisse, ma uno dei miei peggiori incubi.
“ Tesoro!”- esclamò avvicinandosi e accarezzandomi la guancia felice e contenta.
“ Ciao.”- esordii io quasi con vergogna e sforzandomi al tempo stesso di sorridere da brava figlia. Non dovevo lasciare che le parole che mia madre avrebbe pronunciato in quel momento distruggessero quel che restava della mia positività. Nel frattempo gli occhi di Ville si spostavano da me a mia madre senza capirci effettivamente un cazzo.
A mia madre non sfuggì la sua presenza e, come un avvoltoio, spostò completamente la sua attenzione su di lui. Era in momenti come quelli che Jade doveva prepararsi al peggio.
“Oh e questo bel giovanotto?”- chiese studiandolo attentamente.
Okay Jade questo è semplicemente l'inizio di un incubo.
“Si chiama Ville.”- risposi al suo posto e poi mi rivolsi al diretto interessato per fare le presentazioni.- “Ville lei è Demetra. Mia madre.”
Marcai le ultime due parole come se fossero state dette con minaccia. A quel punto la confusione di Ville andò completamente via cedendo il posto ad un sorriso smagliante.
“Oh piacere di conoscerla.”- disse lui sorridendo e dandole la mano e abbassando di poco la testa come se si stesse inchinando. Quel movimento fu leggero e impeccabile. Come faceva ad essere sempre così..così..così?
“Per favore dammi del tu!”- esclamò mia madre, l'eterna ragazzina, evidentemente compiaciuta da quel gesto.
Sapevo già che la tempesta stava per arrivare più turbolenta e violenta che mai. Era solo questione di minuti e poi avrei detto addio alla mia dignità. Continuò a guardarlo allegramente e poi ad un tratto disse: “ sei davvero un bel ragazzo, Ville.”
Okay, forse la tempesta non era del tutto violenta. Giusto due scosse per scaldare l'atmosfera. In realtà chi fu in imbarazzo in quel momento fu Ville il quale sorrise e ringraziò. Era strano che un tipo famoso come lui, una rockstar dietro alla quale sbavava un intero esercito di donne, si imbarazzasse per quel semplice complimento ricevuto per giunta da mia madre, che probabilmente non sapeva nemmeno con chi stesse parlando.
“ Come hai fatto a fare conoscenza con mia figlia, l'essere più frigido di tutto il pianeta? Ce ne vuole di coraggio.”
“ Mamma!”- esclamai scioccata. Dopo le due scosse iniziali, la tempesta sembrava per iniziare ad attaccare in tutto il suo splendore, dando il meglio di sé.
“ Devi avere delle qualità davvero straordinarie per essere al suo fianco così tranquillo senza aver ricevuto una castrazione immediata, caro figliolo.”- continuò mia madre seria e come se io non ci fossi. Ville era leggermente scioccato, eppure avrei giurato di vedere del divertimento nei suoi occhi e in quel piccolo sorriso. Ero sicura che la mia faccia fosse completamente in ebollizione e non osavo nemmeno toccarla per evitare di ustionarmi. Mi limitai semplicemente ad maledire mentalmente quella lingua senza peli che si ritrovava mia madre.
“Okay, mamma come mai sei da queste parti?”
Quella semplice domanda fatta con decisione, portò alla rottura di quella situazione davvero assurda. A quel punto mia madre spostò l'attenzione su di me e allegramente rispose: “ ero passata da voi, ma nessuno era in casa. Poi mi sono guardata attorno e ho visto questa meravigliosa torre e mi chiedevo se ci abitava qualcuno. È così misteriosa, magari ci vive un bel giovane, sapete uno di quelli che appartiene alle leggende, che si strugge d'amore aspettando nella parte più alta la propria amata mentre magari suona qualche strumento.”
Mia madre si era immersa in un mondo fantastico che a stento riuscivo a capire in quel momento.
“Effettivamente qualcuno ci abita.”- disse Ville piano, interrompendo la sua espressione da tipica sognatrice. Mia madre si voltò verso di lui con occhi brillanti. Per quanto la situazione potesse suscitare ilarità, Ville continuava a sfoggiare quel sorriso senza traccia di presa in giro.
Mia madre non poteva davvero pensare che il bel giovane che si struggeva d'amore era proprio davanti ai suoi occhi.
“Oh, e sai chi è?”- chiese mia madre affascinata. Io al pari di Ville cercavo di restare seria.
" Io."- rispose lui con semplicità e sorridendo. L'espressione di mia madre fu indecifrabile.
“Davvero?”- esclamò senza fiato e con evidente stupore. Lo guardò sospirando e disse: “ a questo punto devo ammettere che fra tutti i ragazzi che mia figlia mi ha presentato tu sei in assoluto il mio preferito.”
“Mamma credo che sia il caso di finirla qui, non ti pare?”- cercai di evitare che la tempesta desse vita ad un uragano in piena regola. Non era proprio l'occasione adatta, non dopo quello che era successo al parco. O forse dovevo dire quello che per poco non succedeva.
“ Jade sei sempre la solita!”
“ Che ci facevi da queste parti oltre a fissare la casa di Ville?”- le chiesi facendo finta di non aver sentito. Lei mi osservò severamente e poi sbuffò.
“ Ero passata per farvi un saluto.”
“ Beh, sono sicura che se passi domani ci troverai tutti e tre. E poi essendo domenica Jonathan non è in palestra ed Elisabeth se tutto va bene almeno nel pomeriggio ci degnerà della sua presenza.”- dissi pensando alla sua scomparsa con il suo bel vampiro.
“ Bene allora passo domani.”
Si avvicinò a me e dopo avermi dato un bacio sulla guancia si rivolse a Ville dicendo: “ è stato un piacere, Ville.”
“ E' stato un piacere anche per me.”
Quando mia madre scomparì dalla nostra vista, mi sentii più leggera. Guardai Ville e dissi: " è un tipo strano mia madre. Parla senza pensare a volte. Non farci caso, fa così con tutti."
Lui scoppiò a ridere, probabilmente per la velocità con cui parlai. Mi succedeva tutte le volte che ero nervosa.
“Io la trovo simpatica. È un pò come te.”- disse lui ridendo.
“No ti prego! Faccio finta di non averti sentito.”
“Ma smettila!”- esclamò divertito.- “in fondo al tuo cuore lo sai meglio di me che il mio era un bel complimento.”
“Ti faccio mangiare altra neve.”- dissi minacciosa. In realtà come aveva detto il veggente fui contenta di quel complimento. Nonostante mia madre a volte fosse un mostro, ero felice di sentirmi dire che ero come lei.
Nel frattempo Ville alzò e disse: “ okay, te la do vinta solo perché qui potrebbero vederci tutti e non credo che ti piacerebbe essere sgridata come una bimbetta di cinque anni da un adulto.”
“Quanto sei simpatico.”
“Ognuno ha i suoi privilegi.”
Aprì con finta aria di superiorità il cancello, ma poi guardandomi di nuovo cambiò immediatamente espressione e dolcemente disse: " comunque oggi al parco mi sono divertito nonostante la botta enorme che ho preso."
Sorrisi leggermente imbarazzata. Era giunta l'ora di essere un pochettino più umana e mostrare che anche Jade disponeva di sentimenti un tantino lontani dalla solita stronzaggine.
" Lo stesso vale per me. Non mi divertivo così da non so quanto. E non mi era mai successo che mi divertissi con un ragazzo che non fosse Jonathan quindi..beh..ti ringrazio."
Avrei voluto tanto scomparire dopo quella frase, ma qualcosa di invisibile mi teneva imprigionata lì, davanti ad un ragazzo chiaramente sorpreso di aver sentito tali parole pronunciate per giunta da una bocca velenosa come la mia.
Restammo a guardarci per qualche minuto. Ma perché tutto quello che stava succedendo mi sapeva tanto di film e quindi di qualcosa di assolutamente inventato?
“Ti fa davvero male?”- chiesi poi alleggerendo la situazione, indicando la sua schiena un pò preoccupata.
Ville si ridestò e disse: “ oh no tranquilla. Ho fatto cadute anche peggiori di questa.”
“Scusami, davvero. È colpa mia. Se c'è qualcosa che posso fare non esitare a chiedermelo.”
A quel punto Ville rimise le chiavi in tasca e tolse la mano dal cancello. Si avvicinò di più e mi guardò a braccia conserte. Non avevo idea di cosa avesse in mente.
Jade, se muori qui sei davvero una gran sfigata.
“ Allora posso chiederti se ora che sei in piedi hai intenzione di riprendere il discorso lasciato in sospeso sulla neve.”
Il suo sguardo divenne più sensuale mentre io sentii tutto il fiato andare via dai polmoni e le gambe iniziare a cedere sotto al mio peso.
“Perché da un dito cerchi sempre di prenderti tutto il braccio?”- gli chiesi cercando disperatamente di riavere la mia saliva ormai persa. Lui ormai a poca distanza da me sussurrò: " perché quando qualcosa mi attira so essere molto testardo e..prepotente."
Non riuscii a parlare. Fui completamente catturata da quel volto da diavolo travestito da angelo. In vita mia non avevo mai visto una bellezza del genere. Avevo sempre giudicato i finlandesi come un gruppo di cinesi tutti biondi. Erano tutti così uguali, alti, slanciati che difficilmente pensavo potessero esistere delle eccezioni del genere. E non sapevo nemmeno che la voce di un finnico potesse far partire i cervelli per la tangente. Mi sbagliavo di grosso.
Sentii la sua mano posarsi sulla mia schiena. La sua presa si fece più salda e le sue labbra si avvicinarono sempre di più alle mie fino a quando non combaciarono perfettamente, come piccoli tasselli di un puzzle che finalmente aveva trovato i pezzi giusti per essere completato.
Fu il bacio più dolce della mia vita e quello che mi sembrò durare in eterno. Non era brutale e violento, era bensì timido. Seguivo i suoi movimenti delicati con altrettanta delicatezza e leggerezza, come se fosse il mio primo vero bacio.
Ma quel contatto ad un tratto cessò e come se fossi stata risvegliata da un incantesimo aprii gli occhi scoprendo che si era staccato dalle mie labbra da un pezzo. Mi stava guardando attentamente, come se stesse aspettando la mia solita reazione sproporzionata.
Ero meravigliata, stupita, ma soprattutto spaventata. Avevo paura per quelle difese le quali ora più che mai mi sembravano completamente fragili e non avevo nessuna intenzione di farle cadere. Così con il cuore che batteva all'impazzata cercai di mantenere la calma.
“ Scusami si è fatto tardi. De-de-devo a-a-andare.”
Non gli diedi modo di parlare. Mi girai e andai via sperando di non essermi messa a correre. In quei momenti era difficile tenere sotto controllo le azioni del mio cervello.
Quando entrai in casa cercai di soffocare l'urlo che prepotentemente voleva uscire dalla mia bocca. Mentre mi tolsi il berretto sentii una specie di fiamma ramificarsi lungo il mio corpo mandandomi in ebollizione. Mi toccai le labbra e mi avvicinai allo specchio dell'ingresso.
Quel brillio negli occhi mi spaventava.
A differenza di quanto avevo pensato di fare, quel giorno andai a dormire presto e non raccontai a nessuno quello che era successo. Non lo feci perché non riuscivo davvero a prendere atto della cosa. Non sapevo quanto fosse grave la situazione, o forse ero pienamente cosciente di quanto mi fosse piaciuta.
L'alba di un nuovo giorno era arrivata e io stranamente ero riuscita a dormire e a svegliarmi di buon orario nonostante il pensiero costante sull'avvenimento eccezionale. Mi sedetti alla scrivania e consentii alla mia mente di navigare su mari sconosciuti e mai solcati. Quei mari doveva essere speciali perché mi permisero di ricordare un bacio senza provare nessun disgusto. Non ebbi nemmeno l'istinto di scagliare la mia testa contro il muro. Mi era piaciuta la sensazione che avevo provato e quel desiderio bramoso finalmente ero riuscita a soddisfarlo. I finnici sapevano davvero baciare. Però Lady V non mi diede il tempo necessario per respirare ancora quel ricordo così fresco come si doveva e la sua apatia tornò prepotentemente su di me.
Era stato solamente un bacio e io non dovevo dargli molto peso. Forse il cinismo del mio alter ego aveva ragione. Così lo immaginai come il solito bacio rubato ad una ragazza giusto per una curiosità verso una donna ancora inesplorata.
Scossi la testa per allontanare quel pensiero e accesi il portatile di Jonathan che gentilmente mi aveva prestato la sera precedente.
Era da molto che le mie adorate lettrici non ricevevano un mio saluto. Mi tenevo in contatto con loro tramite il mio blog che avevo completamente trascurato da quando ero arrivata qui ad Helsinki. Lo usavo soprattutto quando era in fase creativa e sapevo che quelle donne erano le uniche a capirmi in quei momenti. Controllai la posta e risposi a molte domande.
Quel giorno mi sentivo decisamente meno apatica e con qualche sentimento in più nella tasca.
Perché non fai i ringraziamenti dovuti al signorino che ti ha ridotto in questo stato?
Non c'era proprio nessun volontario per l'assassinio della mia coscienza? Avrei pagato profumatamente e in contanti.
Guardai lo schermo del pc e iniziai a scrivere.
Ragazze mie adorate, amazzoni costrette a vivere in una terra di finti leoni dotati, ecco a voi il ritorno di Mister Simpatia, Diva per eccellenza nonché vostra amica virtuale e cartacea.
Ebbe sì, Lady V dopo aver attraversato vari gironi infernali è finalmente tornata per farvi un saluto. Ma chi me l'ha detto di scegliere come meta di riposo una città glaciale come Helsinki? Mi sembra di vivere fra i pinguini umanoidi.
Come me è una città molto fredda, ma bisogna ammettere che la fauna maschile non è proprio da buttare. Insomma se decidete di far prendere aria alla vostra amica, un pensierino su un finnico potete farlo. Non che mi sia sbattuta a più riprese un finlandese, ma basta farli una tac per capire come stiano messi qui. Non sono grigi, sciupati e privi di umorismo come gli inglesi, ecco.
Mi fermai e pensai per un attimo a Ville. Una strana sensazione che non seppi ben definire si fece spazio dentro di me. Come una stupida bambinetta mi sentii imbarazzata e scossi la testa cercando di tornare tranquillamente a scrivere.
Che fine ho fatto vi starete chiedendo voi, vero?
Beh sto cercando di accumulare tutte le mie forze e le mie idee in strati di fogli pronti a partorire il mio nuovo libro. Sì, avete letto bene. Sto lavorando al libro che vi ho promesso l'ultima volta che ci siamo sentite. Non è che sia facile. La Musa sta continuando a fare i capricci nonostante sia tornata a casa come il figliol prodigo.
Non le ho fatto la festa perché l'ho trovata inutile, ma le ho promesso che se fa il suo dovere ne faremo minimo cinque alla quale naturalmente sarete invitate anche voi.
È anche vero che qui ci sono molte distrazioni che provvedono in un certo senso a capovolgere e a stravolgere i miei piani, e quindi sono alla ricerca di un modo per evitare qualche caduta rovinosa. Non bisogna sottovalutare il fascino dei finnici, specie se questi vanno in giro armati di sorrisi disarmanti e visini niente male.
Eeh questa è una storia lunga da raccontare, ma non preoccupatevi! Ve la racconterò.
Ma state tranquille, Lady V al contrario di quello che la vostra mente sta pensando, sta facendo la brava e porta avanti il suo comportamento impeccabile. Forse con meno antipatia, ma lei è qui a comportarsi da ragazza giudiziosa.
Mi raccomando, mentre io sono bloccata qui, voi fate le brave esattamente come lo sto facendo io!
Credo che l'aria di Helsinki mi abbia dato alla testa più del dovuto, ma spero di essermi fatta perdonare per la mia assenza e pregate per me affinché riesca a connettermi più spesso per tenervi compagnia e aggiornarvi sulle dinamiche del libro.
Alla prossima!
Vostra Lady V.
Sorrisi rileggendo quello che avevo scritto e spensi il portatile. Presi poi dal cassetto il mio quaderno decidendo di raccogliere tutta la concentrazione esistente per continuare il mio lavoro. Ma non ci riuscii per via di strani rumori provenienti dal salotto.
" Ma che cos'è questo baccano?"- mi chiesi alzandomi dalla scrivania e avvicinandomi alla porta. Sentii una voce. Di solito Jonathan aveva la brutta abitudine quando si svegliava di buon umore di cantare a squarciagola tutto il repertorio di Beyoncé o nei peggiori dei casi Tina Turner. Nei peggiori dei casi perché le sue stonature avrebbero fatto cadere l'intera Muraglia Cinese e la stessa Tina Turner avrebbe suonato il campanello e si sarebbe scagliata come una furia sul mio tenero amico.
Due giorni prima aveva preso la spazzola di Elisabeth ed era entrato in cucina gridando come un ossesso la sua canzone preferita. Io non seppi se ridere o alzarmi dalla sedia e assestargli un bel calcio fra le gambe. Decisi di restare al mio posto aspettando che finisse l'acuto prima di riempirlo dei miei soliti insulti che lui accettò facendo l'inchino. Così immaginai che anche quel giorno Mister Ballerino si fosse alzato troppo felice. La cosa che mi venne da fare in quel momento fu quella di uscire dalla mia camera e dirigermi in salotto con l'intenzione di strangolare l'usignolo. Scoprii, invece, che quella voce apparteneva ad Elisabeth.
“Questo era il numero cinque o sei?”
“Siete tutti dei bastardi! Bastardi siete! Tutti!”- urlò Elisabeth. Entrai piano in salotto e la vidi sedersi sul divano piangendo. Prima però che potessi parlare qualcuno suonò alla porta. A quel punto come se fosse stata colpita da una scarica, Elisabeth si alzò in piedi.
“Questo potrebbe essere lui!”
Si avvicinò a Jonathan che, in pigiama e avvolto nel suo accappatoio che utilizzava come maglione di lana, allontanò la tazza del caffè da Elisabeth.
“Ridammi l'anello!”- urlò lei arrabbiata.
“Tu non metterai le tue belle dita nel mio caffè!”
Elisabeth afferrò la tazza e ripescò l'anello che aveva buttato pagandone però le conseguenze.
“AHIA!”
Soffiò sulle dita abbrustolite e si rimise l'anello al dito.
“Sei pazza!”- commentò l'altro.
“Si vede che ho pianto?”- chiese asciugandosi gli occhi.
“Sì.”- rispose serio Jonathan.
“Come sto?”- continuò Elisabeth sistemandosi i capelli.
“Male.”
“Fanculo.”
Nel frattempo io decisi finalmente di entrare nell'aria visiva dei due personaggi. Vedendomi Jonathan si toccò la testa con un dito spiegando quanto fosse pazza Elisabeth. Io invece capii quanto fosse innamorata. Evidentemente il bel vampiro l'aveva lasciata.
Lei aveva sperato con tutto il cuore che dietro a quella porta ci fosse stato lui, pronto a farsi perdonare per la sua infinita stupidaggine, e invece si ritrovò faccia a faccia con il postino che aveva un pacco da consegnare al giovane John.
Inutile dire che la disperazione di Elisabeth superò gli acuti dei grandi cantanti di lirica. A quel punto entrai in azione io con tutta la mia dolcezza e sensibilità. Arrabbiata mi avvicinai a lei seduta sul divano e dissi: “ Elisabeth non è così che si affrontano le cose! Diamine, hai letto i miei libri e hai detto che mi avresti preso da esempio e io mi ritrovo invece di fronte ad un polipo che si attacca ad un pezzettino di cibo in putrefazione! È in putrefazione, Cristo! Tu non meriti cibo putrefatto! Questo..”
“Edward vampiro con la forbice.”- suggerì John osservando il suo pacco ed entrando nel discorso per aiutarmi. Lo guardai scioccata e ripresi. - “ ecco.. questo vampiro è un coglione, come tutti gli altri.”
“Grazie eh!”- esclamò indignato il ballerino.
“Smettila di fare la diva offesa. Tu sei un caso a parte.”
Tornai su Elisabeth e prendendo le sue mani fra le mie dissi: “e poi ai vampiri non scorre il sangue..da nessuna parte..si sa..quindi non continuare a disperarti. Non tutti i mali vengono per nuocere. Adesso la smetti di starnazzare, ti cambi d'abito, ti trucchi e mi segui. Adesso si esce e naturalmente verrai anche tu. Come i vecchi tempi dedicheremo qualche ora in più a noi tre.”
“Vado a prepararmi allora.”- disse Jonathan allegramente lasciando il pacco sul divano e scomparendo in bagno.
“Hai ragione.”- disse Elisabeth togliendosi dal volto le ultime lacrime.- “ sono una stupida. Non devo piangere per uno del genere. Dovevo capirlo dall'inizio che era un coglione e non una persona di cui fidarmi.”
Si alzò e guardandomi disse: “non succederà più.”
Mi alzai anche io e l'abbracciai.
“Se la prossima volta ti vedo così giuro che ti lascio a terra senza vita.”
Lei sorrise e dopo essersi tolta gli ultimi residui umidi dal viso con un fazzoletto che io stessa le avevo passato, andò in camera per cambiarsi. Io invece restai in salotto e portandomi le mani ai fianchi sospirai guardandomi intorno. I mille pensieri tornarono nella mia mente in maniera prepotente e un senso di panico mi travolse all'improvviso.
Sarei uscita, avrei incontrato il mondo la fuori e forse anche Ville e al solo pensiero di quest'ultimo, uscire di casa a quel punto non mi andava più. Come avrei spiegato quel mio improvviso attaccamento al divano?
Sei una stupida.
Cercai di fermare i battiti accelerati del cuore che era diventato in quel momento il portavoce della mia strana paura del mondo esterno.
" Beh che fai? Non ti prepari?"- mi chiese Jonathan entrando in salotto a petto nudo e sventolando la sua camicia.
" Non tenerla in quel modo. Finirai per stropicciarla."- gli dissi avviandomi di nuovo in camera.
Quando tornammo a casa ancora non avevo deciso bene se dire ai ragazzi del bacio fra me e Ville. Ero davvero indecisa, o per meglio dire, spaventata dalla reazione che avrebbero avuto. Ma vedendo la tristezza negli occhi di Elisabeth decisi che le mie seghe mentali erano decisamente superflue in quel momento.
Così mi gettai completamente nel salvataggio della mia amica utilizzando ogni pezzetto del mio intelletto per farla sorridere.
Nel pomeriggio come aveva detto tornò mia madre. Ormai stava diventando una sorta di rito. Restava con noi per qualche chiacchiera, mi riempiva di rimproveri come al solito e poi andava via dandomi un bel bacio sulla guancia. Quel pomeriggio però non fu l'unica ospite della giornata. Infatti mentre noi tutti eravamo immersi nelle nostre risate il campanello suonò.
“Aspettate qualcuno?”- chiesi guardando Elisabeth e Jonathan che assai sorpresi scossero la testa.
“Visto i tanti volontari, vado ad aprire io.”- dissi sospirando.
Avrei dovuto calcolare la pericolosità mentre aprivo la porta. Infatti per poco non fui ad un passo dall'avere un infarto fulminante.
“Ehi, che sorpresa!”- esclamai ritrovandomi a faccia a faccia con Ville e cercando di dare un tono meno alto alla mia voce. Non era quello il momento di mostrare le mie grandissime qualità da cantante lirica.
“ Lo so è strano che io sia qui. Il fatto è che questa mattina mi sono accorto che nel mio cappotto c'era questo e credo che sia il tuo.”
Mi porse un orecchino blu che indubbiamente era mio. Lo presi e guardai confusa Ville.
“Credo che si sia infilato quando abbiamo giocato sulla neve.”- prontamente riuscì a schiarire la mia confusione. Come avevo fatto a non rendermi conto di tale perdita? Per giunta si trattava dei miei orecchini preferiti e io non mi ero accorta di niente.
Ah l'amore.
Cercasi volontario per uccidere la mia coscienza.
“Oh grazie infinite! Sono i miei orecchini preferiti e perderli in questo modo non era proprio il destino che li avevo riservato.”- risposi sorridendo. L'imbarazzo continuava ad aleggiare su di noi come un gas nervino. E quella maledetta neve era ancora lì pronta a farmi ricordare tutto quello che c'era da ricordare.
Prima che potessi dirgli qualcos'altro lui disse: “ senti io..io volevo scusarmi..per..per..ciò che è successo ieri. È che a volte riesco a frenare i miei impulsi.”
Sì passò una mano sul berretto completamente imbarazzato. Lo ero anch'io.
Non sapevo che i finnici fossero anche gli unici esseri al mondo capaci di giustificarsi per qualcosa del genere. Di certo nessun uomo mi aveva chiesto scusa dopo avermi baciato.
Chi mai avrebbe chiesto scusa dopo un bacio? Solo Ville poteva farlo. E quel gesto per quanto potesse sembrare strano, mi era piaciuto. Nella mia indiscussa caduta verso il vuoto Ville stava inesorabilmente acquistando molti punti a suo favore.
“ Sono sicuro che Lady V sta pensando a quanto sia uguale a tutti gli altri uomini. Quelli che colgono l'occasione per sedurre giovani vergini e dopo aver ottenuto ciò che vogliono vanno via senza lasciare tracce di sé.”- disse divertito.
Sorrisi, ma prima che potessi rispondergli una voce scosse entrambi. Inutile dire di chi fosse.
“Ville!” esclamò mia madre avvicinandosi.- “che bella sorpresa! Entra! Entra!”
Ma questa casa non era di Elisabeth e Jonathan? Perché gli onori di casa li stava facendo lei? Era inutile porsi queste domande; ormai era partita.
Ville un pò titubante entrò in salotto salutando gli altri. Elisabeth si era completamente chiusa in un gran mutismo, presa com'era dal contemplarlo. Mia madre, invece, insieme a Jonathan deteneva il potere della parola. Per un bel pò io passai inosservata e in un certo senso fu un gran sollievo per me.
“Perdona la mia deplorevole ignoranza. Non sapevo proprio che tu fossi un cantante, né che avessi fondato una band.”
“Non preoccuparti. Non è un sacrilegio.”- rispose Ville tranquillamente facendo un sorso del caffé che Jonathan stesso aveva fatto.
“Io trovo che il tuo sia un bel lavoro.”
“Grazie.”
“Mia figlia immagino che non ti abbia detto che possiede una chitarra e che ai suoi tempi aveva messo su una rock band tutta al femminile.”
Ecco la mia pausa dalle scene era durata fin troppo.
Ville si voltò verso di me per l'ennesima volta. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che guardarmi e io come una stupida lo avevo imitato alla perfezione. In quel caso invece, avrei voluto che non mi guardasse, perché la mia faccia sicuramente non era delle migliori. Come sempre quando mia madre era in vena di aneddoti sulla mia vita, avrei voluto uccidermi.
“Davvero?”- mi chiese Ville chiaramente interessato e meravigliato.
“Non era niente di importante. Sai, era una di quelle fissazioni a cui se non credi fino in fondo svanisce così come arriva.”- conclusi gentile e sorridendo. Quell'atteggiamento non passò inosservato ai miei aguzzini.
La sua dolcezza in quel momento stava per uccidermi davvero, ma qualcosa di acido che era ancora presente in me, mi fece resistere dallo scioglimento totale.
“Ville mi stavo chiedendo se ti andava di venire alla mia mostra d'arte che si terrà questo giovedì sera. Sia Elisabeth che Jonathan non potranno esserci e Jade odia venirci da sola. Credo che non sarebbe affatto male se voi ci veniste insieme. Sempre se a te faccia piacere.”
Per poco non mi strozzai. L'aveva detto! Aveva detto quello che non mi sarei mai immaginata di sentire con le mie orecchie! Il cuore stava per rompersi insieme alla tazza che per poco non feci cadere a terra.
“Tutto bene tesoro?”- mi chiese la mamma mentre Elisabeth cercava di non ridere.
“Sì..tutto okay.”- risposi con un filo di voce. Ville era scosso quanto me, ma non ci mise molto a dare una risposta fottutamente positiva.
“Sì, mi fa piacere. Sempre se donze..ehm Jade voglia.”- rispose schiarendosi la voce.
Sbaglio o stava per dire donzella acidella? Per un mezzo secondo lo fulminai con lo sguardo, ma cambiai velocemente espressione quando mia madre mi guardò.
“Beh, che ti prende? Rispondi.”
“N-non ci sono problemi.”- risposi nascondendomi dietro la tazza del caffé vuota da un pò.
Oh e invece c'erano parecchi problemi!
" Abbiamo imparato tutti qualcosa oggi."- affermò mia madre dopo che chiusi la porta. Ville dovette andare per via del lavoro. Lo avevo accompagnato alla porta senza sapere bene come comportarmi, ma lui mi rese facile il compito. Mi disse “addio donzella acidella” scherzando e andò via prima ancora di poter avere modo di rispondere alla sua affermazione iniziale.
Prima di guardarla alzai gli occhi al cielo. Sapevo bene che stava per sparare una delle sue assurde idee.
“Cosa?”- chiesi avvicinandomi.
“Non riuscivate a staccarvi gli occhi di dosso. E il tuo cervello è già completamente fuso.”
Arrossi lievemente e iniziai a sorridere nervosa. Odiavo quella maledetta sfacciataggine e ancora di più i sorrisini dei miei due compagni.
“Senti mamma non so cosa tu ti sia messa in testa, ma togliti immediatamente ogni pensiero su me e Ville. Non è possibile che io abbia trovato un amico, solo un amico?”
E il bacio, Jade?
Già il bacio. Prima o poi ai miei cari spettatori dovevo pur dire quello che era successo, ma dicendolo non avrei fatto altro che aggravare quella assurda situazione e mia madre avrebbe avuto la meglio. No non l'avrei detto. Non ora almeno.
“Non ti agitare, cara.”
“Perché l'hai invitato? Nemmeno lo conosci!”- esclamai nervosa.
“Mi sembrava carino farlo. E poi è una persona a modo e mi piace il suo comportamento.”
“Mamma non convinci nemmeno i muri.”
Mia madre alzò gli occhi al cielo e disse: “oh e va bene! Lo sto facendo per il tuo bene.”
“ Tu sei completamente matta!”
Restammo tutti in silenzio. Ma possibile che dovessi avere una madre del genere?
“ Beh una cosa è certa. Di sicuro lì non ha di certo una chiavetta usb.”- commentò mia madre e a quel punto anche Elisabeth e Jonathan la guardarono scioccati e allo stesso tempo divertiti.
“Mamma!”- esclamai.
“Beh che ho detto? Tutte le donne vorrebbero un uomo con un martello pneumatico per amico e un cervello come pochi. Pensi che vorrebbero accontentarsi di uno scemo senza forma? Tu mia cara sei davvero fortunata ad averlo incontrato. Qualsiasi sia la fine.”
Jonathan stava venerando esplicitamente mia madre, mentre Elisabeth sorrideva divertita. Li avrei ammazzati tutti in quel momento se solo avessi avuto un pò più di coraggio.
“Stai parlando troppo.”
Iniziai a camminare velocemente avanti e dietro presa dall'ansia. Perché mi stavo comportando in quel modo? Semplice. Il fatto che ci sarebbe stato anche Ville alla mostra mi metteva in difficoltà.
“Oh su! Lo sai meglio di me.”- continuò mia madre divertita.
“ Io non so quello che sai tu.”
“ E allora perché sei nel panico più totale?”- chiese Elisabeth.
“Io non sono nel panico.”
“Se non lo sei perché continui a fare su e giù?”- chiese invece Jonathan alzandosi dal divano e avvicinandosi a mia madre. Mi fermai e presi a fissare tutti e tre.
Era assurdo. Avevo otto occhi puntati su di me e tre sorrisi che di certo non stavano esprimendo la gioia infinita, bensì l'ironia e il divertimento di sapere che avevano ragione.
“Mi lasciate in pace?”- chiesi infastidita.
“Non possiamo lasciarti in pace. È evidente quanto ti piaccia e non dire “ non è vero” o altre cose simili perché, mi spiace cara, ma non ti crederemo.”- disse Elisabeth a braccia conserte. Guardai sia lei che mia madre e capii che da quella situazione non ne sarei uscita viva. Jonathan sorrideva chiaramente divertito dalla mia difficoltà.
Qualcuno poteva ricordarmi che male avevo fatto per meritarmi quel trattamento?
“Cosa volete?”
“Oh niente di che. Solamente una tua bella trasformazione per quando verrai alla mostra.”- rispose con semplicità mia madre.
“No! Non se ne parla.”
“E invece ne parleremo.”- insistette.
“ Pensate davvero che apparecchiarsi per far colpo su un uomo sia la soluzione migliore?”
“ Beh in questo caso sì. Santo cielo, Jade! Sei una donna, non provi il desiderio di far colpo ulteriormente su di un uomo che è già cotto a puntino?”
“ Non è cotto a puntino.”- chiarii testarda come se lo sapessi per davvero. In realtà io non sapevo bene cosa avesse in mente Ville, o forse non volevo proprio pensarci.
“ Oh questo lo dici tu, tesoro. Eravamo presenti anche noi cinque minuti fa e il signor Valo non sembrava avere la faccia di chi ti vuole essere solo amico. È preso quanto te vuoi capirlo?”
La fissai senza dire una parola. In parte aveva ragione. Farsi bella non era poi un male orribile. Avevo sempre fatto sfoggio della mia bellezza quando era il caso. A quel punto qualcosa dentro di me mi disse che era giunto il momento di agire.
“ Tu sei impazzita e voi siete più pazzi di lei che la assecondate. E io devo essere molto più pazza di voi tutti messi insieme per darvi ascolto. Voglio tornare a Londra.”- sbottai.
“ Ha accettato.”- si dissero in coro guardandosi felici come non mai.
Sono tre mostri. L'unica risposta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Acid Queen ***
Acid
Queen
“ Io
devo dirvi una cosa.”
Insieme
al “ devo parlarti”, era la maniera meno adatta per
iniziare una
conversazione. Era un'affermazione diretta che proiettava la mente
già al peggio e alla ricerca di antiche esperienze negative
che
avevano provocato tale affermazione.
La
maggior parte della popolazione del mondo, o forse tutta, alla
pronuncia di quelle parole cambiava immediatamente espressione. Si
potevano fare un sacco di statistiche e analisi sul territorio e
tutti i risultati avrebbero detto la stessa cosa. Straordinario
quanta inquietudine riuscissero a produrre quelle semplici parole
indipendentemente dal contenuto che portavano con sé!
La
mia espressione di certo non aveva migliorato le cose. Così,
come
predetto, fu immediato il passaggio dall'euforia alla
serietà su
quei volti poco prima divertiti. Eppure la mia notizia non sarebbe
stata negativa. Probabilmente lo era solo per me.
Non
ero mai stata brava nel dare notizie scioccanti facendo un largo giro
di parole. Io ero piuttosto immediata. Il fatto che avessi esordito
in quel modo e in maniera quasi brusca ne dava la conferma. Eppure
era di sicuro una cosa abbastanza strana per una scrittrice. Di
solito gli scrittori avevano sempre la parola giusta in ogni
occasione, un po' come gli avvocati. Gli scrittori al pari di quelli
che io chiamavo gli Spiritosi d'Egitto, sapevano aprire un discorso
scioccante con parole adatte e per niente stupide. Sapevano essere
maturi riuscendo a controllare i sentimenti, gli stessi che
liberavano poi con la musicalità delle parole scelte con
cura.
Io
non ero nulla di tutto questo. Quando non ero a contatto con un
foglio o con un computer io ero impulsiva e parlavo senza pesare le
parole. Ero sempre stata per la chiarezza dei contenuti, i giri di
parole mi procuravano l'orticaria.
Guardai
mia madre, Elisabeth e Jonathan in attesa del mio discorso. Riuscivo
a sentire l'assenza dell'aria dai loro polmoni e la
curiosità. In un
certo senso questo mi divertì. Amavo tenere sulle spine la
gente.
Ma
quella volta le parole pur volendole dire con un gran impulso, non
riuscivano proprio ad uscire dalla mia bocca.
“ Beh?
Dobbiamo preoccuparci?”- chiese mia madre.
“ No.
Cioè forse.”- risposi incerta.
“ Ehi!
Che ti prende?”- chiese invece Jonathan preoccupato.
Sospirai
e tutto d'un fiato dissi: “ io e Ville ieri ci siamo
baciati.”
La
loro faccia fu indescrivibile e il loro mutismo quasi mi fece ridere.
“ Prima
o dopo del mio saluto?”- chiese la mamma andando dritta al
punto.-
“ bacia bene?”
“ Come
è stato?”- chiese Elisabeth avida di sapere.-
“ è stato un
bacio con la lingua? Senza? Ci sa fare?”
“ Oh
su e lasciatela respirare!”- esclamò infastidito
Jonathan
alzandosi e avvicinandosi a me per difendermi.- “ in questo
modo
miss finezza ci manda tutti a fanculo e noi resteremo a bocca
asciutta.”
Il
ballerino aveva ragione. E poi il nervosismo e il fastidio di quelle
domande insopportabili mi stavano logorando, tanto che avrei
preferito farli saltare tutti in aria con una bomba e scappare via.
“ Allora
te l'ha messa mezzo metro di lingua in bocca?”- chiese a quel
punto
Jonathan. Lo guardai indecisa se ridere o arrabbiarmi più di
quanto
la mia parte nascosta già lo fosse.
“ Ma
possibile che con me dobbiate sempre ridurre in questi termini certe
cose?”- sbottai con sorpresa di tutti. La rabbia ebbe la
meglio.- “
Ville non è come gli altri e questo credo che l'abbiamo
capito
tutti. Ed è diverso dagli uomini che ho incontrato finora.
Lo so, io
sono un caso a parte, il caso speciale, la ragazza che non si
è mai
sentita bene e a suo agio con il sesso opposto. Il mettere mezzo
metro di lingua in bocca senza sentimento probabilmente è
per gente
volgare e schifosa che pensa solo ad una cosa. Ville non è
quel tipo
di persona.”
Mi
sedetti quasi senza fiato. Gli altri continuavano a fissarmi con
attenzione, come se stessero valutando il caso di essere di fronte ad
un alieno e quindi erano incerti se allontanarsi o restare senza aver
paura. Ero stufa di quegli atteggiamenti, per questo reagii in quel
modo.
“ Il
suo bacio è stato delicato e passionale allo stesso tempo,
qualcosa
che di certo nemmeno mi aspettavo. È un ragazzo che fa tutto
in
maniera impeccabile anche quando potrebbe fare uno strappo alla
regola e comportarsi come uno zulù. E anche se un po' mi
vergogno a
dirlo, mi è piaciuto. E sì bacia bene e mi ha
baciata dopo che tu
te ne sei andata.”- dissi guardando prima Elisabeth e poi mia
madre. Guardai Jonathan e conclusi dicendo: “ e no non ha
messo
mezzo metro di lingua. Si è anche scusato per avermi
baciata.”
Elisabeth
sospirò, mia madre al suo contrario esclamò:
“ oh Dio esiste!
Solo una persona con del buon senso e sensibile si scuserebbe per una
cosa del genere.”
“ Wow..”-
disse Jonathan indeciso se sospirare anche lui per far compagnia al
duo tutto femminile o restarne completamente fuori.
“ Non
devi lasciartelo sfuggire. È l'uomo perfetto. Fai cazzate e
poi
vedrai come ti sistemerò per le feste.”
“ Mah..”
“ Niente
mah, Jade! Sei mia figlia, ti conosco e so che hai una voglia matta
di sbattertelo, ma con sentimento. Hai paura lo so, ma ti sei aperta
a lui e io l'ho visto. E se tanto mi da tanto non devi preoccuparti
di nulla. Da quando non ti sentivi così?”
Ci
pensai per un istante e poi la risposta mi venne spontanea.
“ Mai.
Non mi sono mai fermata ai sentimenti.”- risposi senza
respiro.
“ Ecco!”-
esclamò trionfante mia madre. Elisabeth e Jonathan
spostavano lo
sguardo da lei a me come se stessero assistendo ad una partita di
tennis.
“ Ecco
cosa?”- chiesi leggermente confusa.
“ Ecco
la prova evidente che ti stai seriamente cuocendo. Non dico
innamorando perché non è ancora il tempo per
dirlo apertamente. Non
siamo in un film, questa è la vita, anche se a volte diventa
romanzata, ma posso dirti che ci sei quasi vicina.”
“ Che
bella cazzata.”- commentai atona avvicinandomi alla finestra.
Era
il mio ultimo giorno di tranquillità.
Penultimo
giorno.
Tranquillità.
Possibile
che quando riuscivo a raggiungere lo stato di atarassia e
rilassamento, qualcuno provvedeva a distruggere tutto?
Quel
giorno sarebbe stato molto lungo e io già lo odiavo. Avrei
fatto
shopping, ma la cosa che odiavo non era tanto quello di entrare nei
negozi e comprare, quanto entrare nei negozi e comprare con mia madre
che avrebbe alitato sul mio collo ad ogni passo. Fortuna che sarebbe
venuta anche Elisabeth; lei mi avrebbe salvata dal peggio, sempre se
mia madre non l'aveva pagata profumatamente. A quel punto sarei stata
fottuta a vita.
Ero
seduta in cucina e fissavo immobile e priva di emozioni la mia tazza
di latte caldo mentre Elisabeth si muoveva tra i fornelli come una
piccola ballerina. Da quando aveva chiuso qualsiasi tipo di rapporto
con il vampiro, aveva preso l'abitudine di tenersi impegnata in tutte
le faccende di casa. Era il suo modo per non pensare troppo.
Invece
io in quel momento preferivo non parlare. Effettivamente dalla sera
precedente mi ero chiusa in un lungo mutismo ed ebbi quasi il timore
che da quel momento in poi non sarei più riuscita a parlare.
Non
riuscivo ad essere tranquilla, non quando vedevo la mia ora fatale
avvicinarsi sempre di più. E poi era in corso una lunga
battaglia
contro sentimenti. Da un lato la diva che era in me non vedeva l'ora
di mostrarsi in tutta la sua bellezza. Molto meno d'accordo invece
era la parte più introversa. Quella acida poi era
completamente in
disaccordo con tutti i patti presi in quei giorni.
A
me non restava che fissare con un'incantata il vuoto e ciò
che stava
per abbattersi su di me.
“ Honey
honey I can see the stars all the way from here..”
Sia
io che Elisabeth in quel momento ci guardammo allarmate appena
sentimmo le indiscusse qualità canore di Jonathan provenire
dal
corridoio. La giornata non poteva che iniziare in maniera
agghiacciante.
Jonathan
entrò in cucina saltellando e con la spazzola in mano
accompagnando
le parole con dei passi di danza. Era uno spettacolo divertente e
avrei anche sorriso se non fossi stata completamente fagocitata dal
mio pessimo umore.
“Baby
it's youuuuuuuuuuuuuu! You're
the one I loveeeeeee! You're the one I neeeeeeeeed! You're the only
one I seeeee! Come on baby it's youuuu! You're the one that gives
your aaaaaaaall! You're the one I can always caaaaall. When I need to
make everything stop finally you put my love on top! Oooooooooh come
on baaaaaaaaby! You put my love on top top top top
tooooooooooooooooooop!”
Finì
la sua performance saltando allegramente ed esclamando: “
buongiornoooooo!”
“
Tu
ti fai di qualche sostanza la notte.”- disse Elisabeth
fissandolo a
bocca aperta. Lui fece finta di non aver ascoltato e si
avvicinò
portando al suo seguito tutta l'allegria che aveva mostrato due
minuti prima.
“
E
su con la vita! Non è mica morto qualcuno!”
Si
sedette di fronte a me con un gran sorriso stampato sul volto,
così
fastidioso da indurmi a commettere un omicidio. Lo fissai arrabbiata
e a bassa voce dissi: “ parla ancora e ti strappo
letteralmente le
gengive a morsi e poi come se non bastasse ti scuoio vivo e do le tue
viscere in pasto ai cani randagi.”
“
Come
sempre sei di un amore disarmante. A qualsiasi ora del giorno poi!
Ville deve spiegarmi come si sia interessato a te. Forse è
lui che
si fa di qualche sostanza.”
“
Vuoi
che lo faccia per davvero?”
“
Mio
dio Jade! E sorridi un po'! Stavo scherzando! E comunque siete due
ingrate! Non mi avete nemmeno fatto i complimenti. Nessuno si
sognerebbe di ricevere queste performance rigorosamente live di
mattina. Le altre donne pagherebbero per vedermi fare questo.”
“
Ma
noi apprezziamo le due doti da ballerino. Solo che quelle da cantante
ancora non entrano nei nostri cuori.”- disse Elisabeth
porgendogli
la sua tazza di caffè e stampandogli un bacio sulla guancia.
Io
invece fissai la sua tazza. Ciò che attirava di essa era la
scritta
grande e rossa, abbastanza volgare: “Kiss my dick.”
Lui
e il suo gusto per l'orrido!
“
E
comunque potresti cambiare tazza.”- gli dissi con la mia voce
da
trans.
“
Che
cos'ha che non va?”- chiese lui confuso. Sospettavo che lo
stesse
facendo apposta. Scossi la testa e dissi: “ lascia
perdere.”
“
Beh
quali sono i vostri programmi per questa bellissima
giornata?”-
chiese poi fissandomi con aria divertita.
“
Fra
poco arriverà Demetra e quando saremo pronte inizieremo con
la
giornata dedicata allo shopping, mentre domani sarà la volta
dei
capelli. Tanto la mostra è di sera.”
Elisabeth
era un ottima segretaria a differenza mia che avevo voglia di
parlare. E poi se l'avessi fatto avrei solamente fatto un uso
esagerato di acidità.
“
Bella
giornata!”- esclamò ridendo lui.- “
condoglianze!”
“
Grazie.”-
sussurrai fissando il latte prima di portarmi la tazza alle labbra e
fare un sorso.
“
E
comunque verrò anche io alla mostra. Sono riuscito ad
organizzarmi e
domani sera sono libero.”
“
Oh!”-
esclamai rallegrandomi di poco. Una bella notizia. Mi sarei
risparmiata l'iniziale imbarazzo con Ville.
“
Ho
detto che vengo, non che farò il candelabro.”-
affermò quasi
minaccioso.
“
L'importante
è che vieni.”- dissi sbuffando.- “ io
non sopporto andarci sola
con lui.”
“
Ti
ricordo che resterai sola con lui.”
“
Un
conto è starci, un conto è la prima impressione.
È quella che mi
da sui nervi.”
“
Tu
sei tutta matta amica mia.”- disse Jonathan scuotendo la
testa.
“
Salute.”-
dissi io decidendo finalmente di bere il mio latte che ormai era
diventato tiepido.
“
Vi
prego fermiamoci!”
“
L'ultimo
negozio e poi facciamo una piccola pausa.”- disse mia madre
sorridendo.
Fino
a quel momento non avevo trovato nulla che mi avesse folgorata e
speravo che quel fottuto negozio avesse tutto quello di cui avevo
bisogno. In questo modo si sarebbe risparmiato tempo e la mia
irritazione gradualmente sarebbe scomparsa. In caso contrario avrei
dato fuoco a tutto ciò che c'era al suo interno.
Sbuffando
entrai nel negozio scelto da mia madre e iniziai a girovagare come un
automa. Quasi dimenticai per un istante perché fossi
lì, ma poi
tutti i vestiti che mia madre iniziò a mettermi fra le
braccia mi
fecero ricordare il motivo di quel patimento.
Provai
quasi disgustata un paio di vestiti completamente lontani anni luce
dalla mia portata.
“
Mamma
ti ricordo che non devo andare in discoteca.”- le dissi
restituendo
un vestito decisamente troppo corto per i miei gusti. Mia madre
sorrise divertita perché sapeva perfettamente che quello non
era il
genere utilizzato da me. Lo sapevo bene: stava cercando di mettere
alla prova i miei nervi. A quel punto fece capolino Elisabeth, la
quale porgendomi la sua scelta disse: “ voglio i diritti
d'autore
nel momento in cui lo comprerai.”
La
guardai un po' confusa e poi mi chiusi in camerino fissando per la
prima volta e con particolare attenzione il nuovo indumento. Era un
vestito corto e bianco. Era semplice e non aveva fortunatamente
nessuna scollatura prorompente. Lo indossai decisamente incuriosita e
quando mi voltai per guardarmi allo specchio capii immediatamente che
sarebbe stato mio e che Elisabeth avrebbe ricevuto la ricompensa che
si meritava.
Nella
sua semplicità, quell'abito riusciva ad essere sensuale
risaltando
le parti giuste, come per esempio il seno, senza metterle in mostra
in maniera volgare e la lunghezza era quella che più
preferivo: né
troppo corto e né troppo lungo. Andava semplicemente a
pennello con
i miei gusti da principessa acida e sempre raffinata. Per la prima
volta in quella giornata un sorriso di soddisfazione affiorò
sulle
mie labbra e fu quello che mostrai anche alle altre una volta che
decisi finalmente di uscire dal camerino.
Anche
la commessa restò a bocca aperta insieme alle mie due
assistenti.
“
Questo
è perfetto.”- dissi con un largo sorriso.
“
Sei
semplicemente stupenda.”- sussurrò mia madre.
“
Ce
l'abbiamo fatta!”- esclamò invece trionfante
Elisabeth.
Il
mio unico timore era quello di vergognarmi a morte il giorno
seguente. Solo quello.
Quando
tornai a casa stanca morta mi buttai sul divano con l'intento di
farmi mangiare dai vermi, mentre Elisabeth andò in camera
sua a
cambiarsi. L'avrei fatto anche io se Jonathan non si fosse parato
davanti a me con l'intenzione di parlare.
“
Mister
Valo ha chiesto di te.”
“
Davvero?”-
chiesi scattando in piedi come una molla.
“
Sì.
Gli ho detto che non c'eri e che non sapevo a che ora saresti
tornata. Lui ha detto che era passato solo per farti un saluto visto
che sarebbe stato impegnato, ma sperava di riuscirsi a liberare
presto. Ma credo che non ci sia riuscito. Ormai è tardi. A
meno che
non ti venga a trovare all'una della notte come un principe delle
tenebre.”
“ Nei tuoi sogni forse.”- dissi abbozzando un
sorriso.
“
Beh
fammi vedere che cosa hai comprato. Il mio giudizio è quello
più
importante.”
Alzai
gli occhi al cielo sorridendo.
L'anima
da diva ogni tanto prendeva il sopravvento sul caro John.
Chiusi
la finestra in salotto dopo aver respirato un po' di aria fresca, o
per meglio dire, fredda che scese nei polmoni infiammandoli. Al solo
pensiero di essere ad un passo dal giorno infernale lo stomaco si
attorcigliava tanto da sentire le sue viscere risalire nell'esofago
pretendendo di voler uscire dalla bocca. Avvolta in un vecchio
cardigan di lana che indossavo nei miei momenti da tipica donna con
il mestruo e depressione e isterismo al massimo, mi sedetti sul
divano e pulii gli occhiali con la stoffa che avevo lasciato sul
tavolino di vetro. Quando accesi la televisione la sintonizzai su un
canale musicale. Abbassai la voce e cercai con tutta me stessa di
rilassarmi ascoltando qualche canzone.
Non
l'avessi mai fatto.
Un
minuto prima di chiudere gli occhi, sullo schermo chi doveva apparire
in tutto il suo splendore? Ville. Era un tantino più giovane
e i
suoi capelli erano mossi ma più corti.
“
Oh
ma guarda chi c'è!”- esclamò
ridacchiando Jonathan sedendosi
accanto a me.
“Memories
sharp as daggers
Pierce into the flesh of today”
Fui
completamente rapita dalla sua bellezza e dalle sue espressioni,
così
naturali e allo stesso tempo magnetiche e sensuali. Per quanto
riguardava la voce di certo a quell'ora non aiutava a pensare in
maniera casta e pura.
“With
the venomous kiss you gave me, I'm killing loneliness
With the
warmth of your arms, you saved me
Oh, I'm killing loneliness with
you
The killing loneliness that turned my heart into a tomb
I'm
killing loneliness”
Quelle
parole erano davvero profonde. Mai in vita mia avevo ascoltato il
testo di una canzone che riuscisse a sondare l'anima e a far
riflettere e da scrittrice non potevo che invidiare la sua vena
artistica.
Quando
la canzone finì sospirai. Perchè quella magia era
durata così
poco?
“
E'
una bella persona Ville. Oggi abbiamo fatto quattro
chiacchiere.”
“
Spero
non su di me.”- dissi scherzando. Era impossibile una cosa
del
genere.
“ Anche.”
Lo
guardai più attentamente e chiesi: “
anche?”
“
Beh
ci siamo conosciuti un po' di più ed è
più che normale che per
rompere il ghiaccio dovessimo parlare anche di te.”
“
E
che vi siete detti?”- chiesi con il cuore che
iniziò a voler fare
i suoi soliti capricci.
“
Niente
di allarmante. E poi è un segreto.”
“
Non
fare l'idiota!”
“
Mi
ha detto che un tipo con te non l'aveva mai conosciuto e altre cose
del genere. Contenta ora?”
“ E nient'altro?”- chiesi curiosa
e incitando Jonathan ad andare avanti, ma lui non rispose.
“
Ehi!
Sto parlando con te!”
“
Te
l'ho detto! Cosa vuoi sapere di più?”- chiese
spazientito.
“
Da
quando sei così riservato?”
“
Non
sono riservato! Sei tu che sei egocentrica!”
Scoppiammo
a ridere. A quel punto decisi di lasciar perdere e morire nella
curiosità.
“ Elisabeth ti ha stirato la camicia.”- gli dissi
poco prima che decidesse di alzarsi.
“
E'
impazzita per caso?”- chiese sconvolto.
“
Credo
che lo faccia per tenersi occupata senza pensare troppo, soprattutto
di notte. Ancora non le passa tutto. Comunque la camicia è
in camera
tua.”
“
Grazie
dell'avviso.”
Sorrise
e poi si diresse in corridoio.
“
Ah
e stai attento! Accidentalmente mi è caduto il flacone della
cera in
corridoio e si scivola!”- esclamai, ma lo avvisai troppo
tardi.
Sentii un rumore assordante e poi lui bestemmiare.
“
PORCA
ZOZZA!”- urlò arrabbiato.
“
Come
non detto.”- sussurrai sorridendo e tornando a guardare la tv.
Giorno
fatale, detto comunemente giorno di possibili suicidi.
Lo
avevo passato come una carcerata consapevole della sua pena di morte
e del fatto che da un momento all'altro l'avrebbero portata sul
patibolo dove avrebbe detto la sua ultima preghiera prima di vedere
il boia con l'ascia desiderosa di sporcarsi di sangue.
Felicità
di vivere stuprami.
Non
ero ancora pronta e lo stavo facendo apposta, ma né
Elisabeth e né
Jonathan l'avevano capito. Stavo perdendo tempo nella speranza di non
evitare tutte le conseguenze.
“
Si
può sapere che stai facendo? È tardi!”-
esclamò Elisabeth
entrando in camera mia. Ero seduta sul letto e l'unica cosa in regola
e già pronta erano i miei capelli, mossi e completamente
irriconoscibili. Mia madre ci teneva che io li tagliassi, ma la mia
occhiataccia le fece capire che insistere non era il miglior modo per
continuare la giornata con me al seguito. Il vestito era a fianco a
me a farmi compagnia con il suo silenzio, mentre le scarpe
probabilmente erano in un angolo oscuro della stanza.
“
Tutto
bene?”- mi chiese avvicinandosi.
“
Sì..cioé
no..nel senso..so che mi vergognerò a morte una volta che
uscirò di
qui e avrò di fronte Ville.”
L'avevo
detto. Ciò che il mio cuore stava cercando di tener nascosto
era
stato spiattellato crudamente alla mia migliore amica. Elisabeth mi
guardò sorridendo e spostò delicatamente il
vestito per farsi
spazio e sedersi vicino a me.
“
Capisco.
Beh è una cosa normale, specie se il tipo in questione
è quel gran
figo, che purtroppo non ti ha mai vista in questo modo.”
“
Ecco.
E poi non capisco perché mi stia facendo mille
problemi.”
“
Lo
sai il perché solo che non vuoi dirlo apertamente.”
Guardai
Elisabeth e sorrisi imbarazzata. Lo ero sempre quando si trattava di
queste complicate situazioni sentimentali. Le odiavo come tutto
ciò
che portava con sé l'amore.
“
Vuoi
fare tardi apposta, così John e Ville vanno via senza di
te.”
Annuii
senza guardarla.
“
E
a cosa ti serve farlo?”
“
Non
sono preparata psicologicamente. Tutto qui.”
“
Io
davvero non ti capisco in questo momento. Sei sempre stata con Ville
e ora ne fai un problema apocalittico e tutto questo per via di un
vestito un po' diverso dal solito e del fatto che appariresti
più
bella ai suoi occhi.”
Questa
volta la guardai ma senza dire nulla.
“
Sto
perdendo la mia amica.”- disse poi scherzando.
“
Quanto
sei scema.”
“
Beh
che vuoi fare? Contemplare ancora il vestito? Lo sai che fra poco lo
zombie è qui?”
“
Lo
so.”
“
E
sai anche che io sarò sempre la tua complice. Quindi stai
tranquilla, ti accompagnerò io alla mostra e poi
andrò alla cena
con i colleghi.”
Mi
alzai sorridendo e prendendo il vestito dissi: “ mi
aiuti?”
“
Certo.”
Mentre
ero immersa nei preparativi, il campanello suonò e insieme a
lui il
cuore iniziò a martellare.
“
E'
lui!”- dissi scioccata.
“
Stai
ferma! Altrimenti sbaglio il trucco e poi tu mi ammazzi e io non ci
tengo.”- disse calma Elisabeth. Come faceva ad essere
così calma?
Sentii
delle voci in salotto e poi dei passi che si avvicinavano sempre di
più.
“Jadeeee!
Ma che stai facendo?”- esclamò Jonathan dopo aver
bussato. Aveva
cercato anche di entrare, ma la porta l'avevo chiusa a chiave. Aprii
di poco senza farmi vedere del tutto e dissi: “ voi
avviatevi. Io
non sono ancora pronta ed è inutile che aspettate. Mi
accompagnerà
Elisabeth, non preoccuparti. Su dai andate.”
Il
tono della mia voce decisamente troppo autoritario evitò a
Jonathan
di replicare. Così disse: “ okay
Miranda.”- poi la sua voce
divenne un sussurro.- “ non posso crederci: io e Ville Valo
in
macchina insieme!”
Scoppiai
a ridere mentre lui scomparì in corridoio. Sentii la porta
chiudersi
e il mio cuore riprese a battere normalmente.
Mi
voltai e vidi Elisabeth con le mie decoltè in mano.
“
Beh,
cara Cenerentola, vogliamo mettere le scarpette di cristallo?”
“
Possiamo
aspettare altri cinque minuti?”- le chiesi quasi supplicando.
“
Non
se ne parla.”- rispose severa.
“
Che
palle!”- esclamai prendendo le scarpe.
Jade
quanto rompi!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** The closer I get to you ***
Volevate il Valo? Bene, prendetene e mangiatene tutti (?)
Io torno dalla mia divah, alias Jared Leto che si sente solo. Quando avete finito ditemelo xD
Ringraziamo tutti insieme Luther Vandross ( Il titolo del capitolo è tratto da una sua canzone) per aver riacciuffato la Musa che stava cercando di scappare. Un giorno di questi l'ammazzo u.u
Pregate Tomo affinché non se ne vada per davvero.
Le dico adesso le mie solite cazzate perché probabilmente sarete troppo scioccate alle fine del capitolo per leggerle xD
Addio <3
Continuavo a ripetermi, lì davanti all'ingresso della mostra, che tutti quei preparativi erano stati un inutile perdita di tempo. Io almeno lo sapevo benissimo, ma la mia cara improvvisata guru del make up e dell'eleganza fu di tutt'altro parere. Nella mia mente era ancora ben stampata l'espressione estatica di Elisabeth quando mi vide finalmente pronta.
Solo io non notavo nulla di eccezionale? Anzi tutto questo mi stava irritando alla grande.
Quando mai?
Sembravo il re leone con un ictus e con l'idea fissa sulla possibilità di perdere una scarpetta prima della mezzanotte battendo il record di Cenerentola. Il trucco, che metteva in risalto i miei lineamenti quasi orientali, era così lontano dai miei gusti che fui tentata da un demone che continuava a sussurrarmi nell'orecchio di togliermelo in quel preciso istante. Ma poi un altro demone molto più calmo mi fece ricordare la dedizione di Elisabeth e non mi sembrò giusto fare una cazzata del genere. Tuttavia l'unica cosa che riusciva a non farmi bestemmiare in un finlandese improvvisato, fu il vestito che decisamente adoravo, ma per il resto ero talmente diversa dalla figura che ogni mattina si guardava allo specchio che forse nemmeno il mio spiccato intuito sarebbe riuscito a riconoscermi in mezzo alla folla.
Continuavo nel frattempo a torturarmi le mani, ancora indecisa se entrare o darmi alla fuga. Elisabeth era scappata perché era in leggero ritardo e io ero liberissima di girare sui tacchi e andare via, tanto non mi avrebbe visto nessuno.
Non che mi mancasse il coraggio, ma l'unico piccolo problema che riscontrai in quel piano apparentemente perfetto fu l'impossibilità di trovare una scusa plausibile e credibile il giorno dopo. Così mi resi conto per la prima volta, che quella sera ero vincolata dalla solenne legge del “ non puoi fare cazzate in stile Watson.”
E questo mi diede ulteriori motivi per cercare di bestemmiare in quella lingua incomprensibile, parente forse del giapponese.
In quel preciso istante mi guardai intorno e scoprii di essere l'oggetto di osservazione analitica di un tizio che stava fumando poco lontano da me. Mi stava studiando con particolare interesse, e i suoi occhi percorrevano il mio corpo coperto dal cappotto. Sembrava un porco in calore.
Iniziamo bene!
Mi girai dandogli le spalle disgustata e alzai gli occhi al cielo.
Gli uomini con poco sale nella zucca non capivano mai i momenti in cui dovevano darci un taglio con gli sguardi da allupati. Continuavano in modo esagerato dimenticando di essere in mezzo alla gente. Innervosita a quel punto entrai non sapendo bene chi mi avesse dato quella forza. Per un attimo mi sentii come un indiano d'America che per la prima volta era a contatto con la civiltà. Tolsi il cappotto e decisi di fare compagnia ai quadri, mettendomi anche io in mostra.
“Santo cielo sei stupenda!”
Mi voltai e ritrovai mia madre vestita elegantemente, guardarmi scioccata. Volevo capire anche io cosa avessi di così speciale.
“ Mamma scusa per il ritardo.”- le dissi cercando di mostrarmi felice e contenta.
“Credevamo che ti fossi persa! Su vieni, gli altri ti stanno aspettando.”
Quando diceva altri intendeva anche Ville? Che stupida! Certo che intendeva pure lui. Mi prese per un braccio e mi guidò con decisione lungo un corridoio pieno di gente. Nel frattempo mi disse quanto fosse emozionata, agitata e completamente fuori di sé dalla gioia. Prima di lasciarmi con Jonathan e Ville mi fece conoscere qualche suo amico e amica e vidi i suoi quadri che erano decisamente stupendi. Ma quello stato di finta tranquillità andò in frantumi nello stesso momento in cui una voce alle mie spalle esclamò: “ alla buon'ora!”
Mi voltai lentamente e quasi con timore. Fu Jonathan a darmi il benvenuto con aria divertita. Lo avrei ammazzato. Ville era al suo fianco e ci mancò poco alla perdita completa del mio ossigeno e per esteso del mio cervello. Sì perché quest'ultimo si spense nello stesso momento in cui la sua figura alta e slanciata, esile e figa quanto bastava per mandare in tilt gente normale, fu davanti ai miei occhi. Solo in quel momento capii di provare un amore esagerato per i suoi capelli mossi e per quella poca barba che gli stava crescendo.
Il suo abbigliamento di certo non migliorava la mia salute mentale. Quel completo scuro era adatto per farlo davvero diventare un bellissimo principe delle tenebre, uno di quelli maledetti e complicati e fottutamente bastardi.
Avevo bisogno di buttarmi in un pozzo d'acqua. Ora. Urgentemente.
La mia espressione piacevolmente scioccata si rifletteva nella sua. Scossi la testa e ritrovai immediatamente la mia parlantina.
“Scusate. Ho avuto qualche problemino ma ora è tutto okay.”
Guardai entrambi cercando di mandare via l'imbarazzo che lo sguardo di Ville continuava a provocarmi.
“John vieni con me voglio farti conoscere un mio amico. Anche lui è un ballerino.”
Mia madre prese per un braccio Jonathan ed entrambi si allontanarono da noi. Notai una punta di divertimento nella voce di mia madre e più che mai in quel momento li odiai. E fu così che il re leone con l'ictus restò in compagnia del mostro di Lockness che continuava ad improvvisarsi medico della mutua. Perché aveva gli occhi e per giunta quel tipo di occhi?
Buttala sullo scherzo, buttala sullo scherzo!
“ Sei stato colpito da un raggio cosmico?”- gli chiesi. Riuscii a strappargli un sorriso mentre con eleganza si avvicinò a me sussurrandomi: “ è che mi hai lasciato piacevolmente sorpreso, my Lady..”
Si guardò intorno continuando a restare a poca distanza da me.
“Sei..bellissima.”- commentò alla fine con la sua voce sensuale e completamente fuori dalla portata degli esseri umani. Quella, signore, fu la botta finale.
Arrossii e dissi: “ grazie. Beh anche tu non scherzi.”
Difficilmente avrei detto apertamente “ sei bellissimo” o nei peggiori dei casi “ sei da stupro.” Non l'avevo mai fatto e quindi dire “ anche tu non scherzi” per me equivaleva all'espressione “ sei un incanto”; fu un modo un po' strambo per privarmi di ogni antipatia, acidità e cinismo.
Colpito da quelle parole, che difficilmente si sarebbe aspettato di sentire da una come me, disse: “ okay, forse davvero sono stato colpito da un raggio cosmico.”
“Scemo.”- dissi sorridendo.- “ questa volta ti è andata più che bene.”
“Quale onore! Lady V sta diventando troppo buona con me.”
“ Non farci l'abitudine.”
Chi mi diede tutta la tranquillità del mondo in quell'istante doveva essere invisibile e probabilmente era accanto a me e mi stringeva la mano. Avevo ripreso a parlare tranquillamente così come lui e l'imbarazzo iniziale sembrò proprio aver fatto le valige per qualche posto a me ignoto. Meglio così.
“Tua madre è davvero un artista eccellente.”
“Lo so. Quando ero piccola ricordo che faceva dei disegni stupendi per me.”
“È una brava donna. Dovresti esserne orgogliosa.”
“Lo sono infatti.”- dissi mentre guardai mia madre avvicinarsi a noi. Jonathan sembrava il suo maggiordomo e a stento riuscii a trattenermi dal non ridere.
Ma in quello scambio di beneducate frivolezze e sorrisi da paralisi totale, non bisognava dimenticare il male che prontamente poteva giungere come un cavallo oscuro a turbare l'atmosfera e l'armonia, quella che io stessa sentivo e per la quale ero riuscita a smettere i panni di Lady V, dando così a Jade lo spazio che più di ogni altra cosa meritava.
Avevo dimenticato che i fantasmi del passato per la quale avevo sofferto potevano presentarsi come becchini alla porta chiedendo il permesso di tornare a tormentare la propria vittima. Arrivavano nei momenti più vari della vita e quella sera ne fu l'esempio.
" Ville, tesoro!"
Fissai scioccata la ragazza che si era quasi completamente avvinghiata a Ville. Per come ero fatta non avevo mai mostrato nessun tipico atteggiamento da donna gelosa, ma quel caso fu completamente diverso. In quel momento, infatti, non solo ebbi un enorme fastidio nel vedere quello sconsiderato approccio e modo di abbracciare la gente, ma il mio cuore stava davvero per cessare di battere. Irritazione e timore si erano appena incontrati per un determinato scontro.Quella chioma bionda e lucente, quel volto bello da tipica fotomodella di Playboy o nei casi più soft di Victoria's Secret e quegli occhi simili per il colore a quelli di Ville, non potevano che appartenere al mio peggior nemico, l'antagonista per eccellenza di quella piccola Cenerentola moderna che passò le pene dell'inferno senza meritarle.
Quel diavolo mascherato da perfetta donna senza scrupoli con indosso un abito da far girare la testa ad un migliaio di uomini era la famosa Amber Rush, colei che odiai più di qualunque altro essere vivente. Mia madre era nuovamente scomparsa e Jonathan aveva fatto conoscenza con una ragazza trasformandosi completamente in un dongiovanni. In quello scontro quindi non avrei avuto aiuti esterni, ma solo io aiutata da me stessa.
Ville non sembrava affatto sorpreso e non le riservò lo stesso trattamento visivo che aveva riservato a me e fu quasi allergico a quell'abbraccio. Non sapevo fino a che punto potessi parlare di situazione maschile positiva. Magari quel gesto nascondeva molte più cose dell'armadio di Narnia. Ville si schiarì la voce e disse: “ ciao Amber.”
Poi guardò me e continuò: “ lei è Jade Watson, la mia mus..amica.”
Okay, che diamine era stata quella piccola interferenza prima dell' aggettivo amica? Inutile chiederselo in quel momento, non quando il mio cervello aveva focalizzato l'attenzione su quel mostro che nel guardarmi restò più scioccato di tutti.
“Oh mio dio! Quale onore per me rivedere la mia vecchia amicona di liceo.”- esclamò con puro sarcasmo. Forse ancora non sapeva con chi aveva a che fare. Io ero la regina per eccellenza del sarcasmo e dell'acidità. Brutta storia.
“Orsacchiotto sei cambiata molto! Cerchi di imitare le dive del cinema ora?”- continuò lasciando Ville leggermente sorpreso. Lui guardò me aspettando una mia risposta evidentemente.
Bene Jade, affronta il nemico a testa alta e senza esitazione. Sei stronza e lo sei anche grazie a lei quindi restituisci i favori.
Sorrisi diabolicamente e celando la fragilità con un gran sorriso, dissi: “ sai, ogni tanto succede di avere dei cambiamenti in positivo cosa che non sempre accade e non a tutti. Qualcuna, per esempio è rimasta sempre uguale. Io ci sono nata diva, non di certo ho bisogno di imitare ciò che so fare alla perfezione a differenza invece di qualcun altro.”- mi fermai e la guardai più attentamente.- “ comunque ti vedo un pò patita. Dovresti fare meno esercizio fisico. Ti può sciupare molto, sai?”
Sorridendo beffarda alla sua reazione irritata sentii il cuore pulsare troppo velocemente ed ebbi paura che la mia fragilità potesse essere scoperta in quel preciso momento. Per la prima volta dopo quelle parole guardai Ville ancora più sorpreso di prima.
“ Scusate un attimo. Torno subito.”- dissi sorridendo dirigendomi verso un posto che fosse lontano da lì e fortunatamente trovai il bagno. Mi chiusi dentro e mi portai la mano al cuore cercando in quel modo di placarlo e farlo tranquillizzare. Stavo lottando contro quei ricordi vecchi e arcaici nella speranza di avere la meglio. Mi avvicinai allo specchio e solo in quel momento mi resi conto non solo di quanto fossi diversa, ma anche e soprattutto di quanto fossi stata coraggiosa e stronza al punto giusto. In quel momento la porta si aprì ritrovandomi faccia a faccia con Ville.
“ Ville!”- esclamai quasi impaurita.
“ Perché scappi?”- mi chiese schietto.
“ Io non scappo.”
“ Sicura?”
Restai in silenzio e poi abbassai gli occhi.
“ E' che non voglio vedere certa gente.”
“ Perfetto.”- disse lui. Si girò e chiuse a chiave il bagno. Lo guardai confusa e con il cuore che iniziò a battere all'impazzata. La sua espressione poi non prometteva nulla di buono e a complicare tutto ci mise anche il sorrisino diabolico. Che cosa aveva in mente?
Bagno.
Io.
Lui.
Bagno.
Qualcuno aiuti la mia testa a restare seria e casta.
“ Che fai?”- chiesi nervosa.
“ Se non vuoi vedere certa gente, vorrà dire che resteremo qui.”
Tutti qui? Non sapevo se esserne sollevata o dispiaciuta. In compenso scoppiai a ridere ed esclamai: “ sei pazzo!”
Lui sorrise, ma allo stesso tempo era serio.
“ Dimmi la verità: tu conosci Amber.”
“ Sì.”- risposi tornando seria. Lo squadrai e ricordandomi il modo in cui la pornostar lo aveva salutato dissi: “ anche tu la conosci e sembra anche molto bene.”
A quel punto Ville sembrò imbarazzato. Evidentemente avevo toccato un tasto dolente e forse la mia teoria non era del tutto da escludere: c'era qualcosa fra i due.
“ Sì..nel senso che una volta ci sono andato a letto.”- raccontò senza guardarmi.
Ecco! Non che fossi sorpresa. Conoscevo Amber e i suoi modi di fare. Ciò che mi sorprese fu sapere che anche Ville era stato una sua vittima. Il senso di delusione mi aveva colpito in faccia come uno schiaffo.
“ Ah!”- esclamai priva di altre parole. Sentendo quel tono pieno di delusione,Ville mi guardò dritto negli occhi.
“ Ehi non ti allarmare! Ero ubriaco e non capivo la maggior parte delle cose che stavo facendo. È successo solo una volta.”
“ Quando è successo?”- chiesi a braccia conserte, decisamente innervosita. Se fosse stato un altro, avrei già provveduto ad infilargli la testa nel water. Una volta lo feci per davvero, ma poi valutai che quell'azione non era adatta ad essere ripetuto con un soggetto finnico.
“ E' passato un secolo. Penso due anni. Ma ogni tanto torna alla carica e mi fa delle proposte.”
“ E..?”
“ Ehi per chi mi hai preso?”
“ Per un uomo?”- chiesi scettica.- “ oh avanti Ville! Probabilmente ci sarai andato più di una volta e adesso vuoi farmi credere che non ci sei più ricascato?”
“ Aaah donzella, così mi offendi! Pensavo che avessi capito come sono fatto io.”
Quelle parole furono seguite da uno sguardo serio e assassino che tolse dal mio viso tutta la schiettezza e l'acidità che avevo. Diventai seria e dissi: “ scusami. È che..”
“ Stai tremando. Sono io la causa?”- chiese interrompendomi e prendo le mie mani nelle sue. Era vero stavo tremando e la causa non era lui, quanto piuttosto tutto quello che stavo sentendo.
“ No..assolutamente no.”- sussurrai.
“ Se vuoi possiamo andare via e mi racconti strada facendo cosa ti è successo.”
“ D'accordo.”
Uscimmo dal bagno e cercai di assumere un'espressione tranquilla mentre salutavo gli altri e seguivo Ville fuori. Non avevo idee di che ore fossero, ma era molto buio e il freddo di certo non mi aiutava.
Restai al fianco di Ville senza parlare. Sentivo solamente un gran magone alla gola e la voglia immensa di piangere. Era quello l'effetto che riusciva a farmi Amber. Lei non era altro che l'unione di tutti i miei incubi. Ci mancava solamente l'entrata in scena di Julian e davvero avrei finito per ricadere nel passato.
“ Jade..tutto bene?”- chiese Ville spezzando il flusso dei miei pensieri. Mi fermai e cercai attraverso quel profondo respiro che feci, di trovare la forza per parlare con tranquillità, ma quei ricordi avevano preso il sopravvento e lo sfogo misto alle lacrime non poté essere represso.
“Ti è mai capitato di sentirti solo, escluso dal mondo circostante e oggetto di mille scherzi squallidi solo perché eri leggermente diverso dagli altri? Ti è mai successo ti stare ad un passo dal vuoto e chiederti continuamente perché Dio ce l'aveva avuta tanto con te? Hai mai provato la voglia di staccare con tutti, non fidarti più di nessuno e chiuderti nel tuo castello di carte?”
Mi accorsi di essere andata oltre le mie difese e le lacrime di certo non aiutavano. Sentivo il bisogno di parlare ancora e così respirando ripresi.
“ Chi mai si sarebbe avvicinata a Jade, l'Orca Assassina, Mamma Orso, Moby Dick e compagnia varia? Chi mai avrebbe fatto amicizia con una tizia che tutto sembrava tranne che una ragazza? E perché non prenderla in giro e illuderla di potersi fidare della gente, solo per il gusto di farsi quattro risate alle spalle di una sfigata, una musona, della degna figlia di Hagrid il guardiacaccia di Hogwarts?”
Mi avvicinai a lui e toccandogli il petto con un dito dissi: “ te lo dico io: nessuno lo avrebbe mai fatto. Nessuno avrebbe mai amato Jade per quello che era e non per quello che sembrava.
Ero obesa. Brutta da far paura. Il cibo prelibato per menti ignoranti.”
Sorrisi sprezzante, mostrando tutto il disgusto che potei provare in quel momento. Ville mi guardava senza parlare, ma con un'aria decisamente dispiaciuta.
“Adesso è bello vero? Tutta carina, meravigliosa, stupenda con una schiera di spasimanti. Così bella da far cadere mascelle a destra e sinistra; una diva che cammina con classe come se stesse governando il mondo, con una bella parlantina e intelligente tanto quanto basta per non farsi fregare. Anche a quei tempi ero intelligente con tante altre buone qualità. Ero anche un'ottima amica. Quella Jade brutta come la morte era uguale a questa Jade con la differenza che la prima aveva voglia di amare e si lasciava illudere facilmente. Ti saresti mai avvicinato a me dieci anni fa allo stesso modo? No, non l'avresti fatto. Non mi avresti nemmeno guardata, anzi se tu fossi stato in compagnia di qualche tuo amico mi avresti presa in giro sottovoce. Non puoi dire il contrario perché non sarebbe nella natura di un maschio e poi io non ti crederei.”
Mi fermai cercando di chiudere i rubinetti e conclusi dicendo: “ è per questo che sono così ora. È per questo che odio gli uomini, le donne come Amber e il mio passato. È per questo che al giorno d'oggi sono Jade stronza e senza pietà. Ed è per questo se nel mio mondo l'amore non esiste.”
Il silenzio calò poco dopo finii di parlare. Era chiaro come il mare quanto mi fossi spinta al di là del muro che avevo costruito in tutti quegli anni. Le difese ora erano state completamente abbattute e sapevo che da quel momento in poi non sarei riuscita a tornare indietro. Come avrei potuto farlo?
Ville si avvicinò a me e con un dito alzò il mio viso in modo da costringermi a guardarlo negli occhi. Aveva l'espressione più dolce che avessi visto in vita mia e riuscivo a percepire un grande amore. All'improvviso fui percorsa da un brivido.
“ Non puoi arrivare a dire che l'amore non esiste. Puoi aver sofferto come un cane, tanto da credere che forse non saresti più tornato quello che eri prima. Puoi essere stato abbandonato e ferito perché hai scoperto che eri circondato da persone stronze. E per questo te la prendi con tutti, te stesso incluso. Scarichi la colpa sugli altri che invece ti amano e ricambiano le tue esigenze sentimentali a differenza di chi invece era al tuo fianco.
L'amore esiste, e nessun essere umano le può sfuggire, nemmeno il più bravo corridore del mondo. È come la peste, si propaga e ti colpisce senza pietà e senza guardarti negli occhi. Altrimenti Cupido sarebbe disoccupato, no?”
Sorrise cercando di infondermi un po' di tranquillità. Il suo dito percorse i lineamenti del mio viso fermandosi poi ai capelli.
“Per te non esiste perché hai smesso di crederci nell'esatto momento in cui la troppa crudeltà della gente si è scagliata contro di te. Hai ragione, sai? Chi non ne uscirebbe lacerato?
Ma tu incoscientemente hai continuato ad amare. Ami i tuoi amici, le lettrici e le fan che ti seguono. Ami anche i tuoi personaggi, anche quelli cattivi. Questo è amore. Non sempre bisogna associarlo al tipico amore sentimentale alla Romeo e Giulietta. Puoi amare anche una matita e sentirti ricambiato nel profondo allo stesso modo di un ragazzo o una ragazza.
Forse hai ragione, se tu fossi stata brutta e grassa, quel giorno probabilmente non ti avrei guardata insistentemente al bar, o forse ti avrei guardata per ripetermi quanto fossi grassa, e non ti avrei salvata al parco dalle grinfie di uno stupido casanova improvvisato come invece ho fatto. Sì, non l'avrei fatto, perché l'aspetto esteriore a volte recita la sua parte più meschina. Eppure avrei perso una grande occasione.”
Sentii la sua mano appoggiarsi sulla mia schiena.
“Ma non puoi pensare al passato e riversare le tue vendette su gente che di te e dei tuoi demoni non sa niente. Ora sei questa Jade. Il brutto anatroccolo si è trasformato, non sei contenta? Sei cresciuta e hai fatto la tua trasformazione, come tutti gli altri anatroccoli. Ora sei un cigno e se l'invidia di queste stupide come Amber non vuole accettarlo poco importa. C'è altra gente oltre a lei pronta ad apprezzarti per come sei.”
A quel punto sospirò e prese fra le sue mani il mio viso. Sentii una scarica elettrica colpirmi in pieno. Le sue mani per quanto fosse strano, erano calde e grandi. Mi sentivo protetta e capii che in quel preciso istante Lady V era completamente scomparsa. Al suo posto venne fuori la Jade che avevo sempre voluto ci fosse.
“Smettila di piangere. Non hai nessun motivo di farlo.”- sussurrò a poca distanza dalle mie labbra.- “E io che pensavo di passare dritto dritto al sesso selvaggio in una stanza d'albergo.”
Scoppiai a ridere mentre lui sorridendo con delicatezza mi tolse le ultime lacrime da volto.
“ Scusa. Non volevo mostrarmi in questo modo. Il trucco sarà andato a puttane. È che..per me..è la prima volta che succede questo. Non so nemmeno perché sia successo. Non amo farmi vedere così debole, specie con un uomo...ma forse è successo perché per la prima volta credo di potermi fidare di qualcuno.”
Here I am, I just want you to come closer
Come a little closer let me whisper in your ear..
Ecco, l'avevo detto. Ora come non mai tutto ciò che provavo quando ero con lui, l'avevo detto in poche e semplici parole. Ero incredula eppure l'avevo fatto. Ville sorrise evidentemente sorpreso e compiaciuto allo stesso tempo. Continuò a guardarmi negli occhi come se stesse mantendendo un contatto importante. Vidi le sue labbra avvicinarsi lentamente alle mie fino a quando per la seconda volta in pochi giorni si toccarono per poi però allontanarsi di nuovo. Ville per un attimo aveva ritratto le sue tornando con i suoi occhi a fissarmi. Fu una questione di secondi e quelle labbra invitanti furono di nuovo sulle mie e da quel momento il mio cervello andò offline mentre una sequenza di baci casti annunciava il preludio di quello che sarebbe stato il bacio senza fiato. Lo sentivo in quel continuo movimento che prendeva consistenza ad ogni secondo che passava.
Le sue mani si spostarono lentamente dal mio viso fino ai miei fianchi per poi strangermi in un abbraccio senza via di uscita. La sua fermezza non solo era evidente nell'abbraccio, ma anche se soprattutto nel bacio.
Avevo dimenticato anche il modo in cui si respirava, forse perché quel bacio nemmeno mi diede il tempo di riprendere il respiro.
Sì, Valo ci sapeva fottutamente fare.
The closer I get to you,
The more you make me see
By giving me what you've got..
MUAHAHAH!
Salve! Eccomi di nuovo qui! Ci siete? Tutto ok??? Muahahhaaha!!
Spero di essermi fatta perdonare :)
Beh che ve ne pare? XD
Ci vediamo alla prossima muahahhaaha
Vostra Vals <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Cinderella, stay awhile with me ***
Cinderella, stay awhile
with me
“ Ehi Watson, oggi cosa ti ha preparato la mamma per il
pranzo? Un maiale?”
Guardai
Amber negli occhi e non risposi. Cercai di fare l'indifferente fallendo
miseramente. Non erano tanto quelle a farmi sentire uno schifo, quanto
piuttosto le risate che suscitarono. Presi i miei libri e chiusi
l'armadietto cercando in quel corridoio, improvvisamente ristretto, un
varco di luce per scomparire immediatamente.
“Andiamo
di corsa?”- continuò Amber fermandomi per
l'ennesima volta.- “oggi sono buona Watson. Volevo invitarti
alla mia festa e non sto scherzando.”
Mi
diede un bigliettino. Lo aprii confusa, ma vidi chiaramente che c'era
il mio nome scritto in una calligrafia perfetta. Diede lo stesso invito
anche alle sue amiche e per la prima volta mi sentii lusingata. Chi non
voleva essere alle feste di Amber Rush? Erano quelle che si dicevano
strepitose, perfette e divertenti. Il mix giusto per far morire di
invidia chi non poteva mai andarci, come me.
“Davvero
posso venire?”- le chiesi ancora sorpresa. Avrei voluto
piangere per la contentezza di essere finalmente presa in
considerazione dalla ragazza più popolare della scuola.
“
Certo!”- disse allegramente. Non mi accorsi, però,
del lampo di cattiveria dei suoi occhi. Se l'avessi davvero visto avrei
rinunciato subito a quel “ sogno”.
Tornai
a casa con un grandissimo sorriso stampato sul volto accompagnato
dall'incredulità. Non potevo davvero credere a
ciò che mi era successo, ma quel biglietto rosa che avevo
ancora stretto in mano, per paura che potesse volare via, rendeva
effettivo il mio sogno. Era meglio del pizzicotto.
Raccontai
tutto a mia madre e dopo mille salti mortali riuscii a trovare un
vestito giusto per la mia taglia. L'aveva realizzato mia madre stessa.
Ci aveva lavorato una notte intera ed era il più bello che
avessi mai visto. Mi faceva sembrare più magra e forse anche
più bella.
Sentivo
che nessuno sarebbe stato in grado di distruggere quell'emozione che
sentivo.
Impaziente
stavo aspettando la famosa limousine di Amber davanti la porta di casa.
Per me era come se stesse passando l'eternità. Ad un tratto
vidi avvicinarsi un auto e il mio cuore iniziò a martellare
contro il torace. Sarei morta lì in quell'istante se non
fosse stata per la mia parte razionale che continuava a ripetermi di
respirare.
Feci
un passo avanti mentre l'auto si avvicinava, ma proprio nel momento in
cui stavo per aprir bocca e raggiungere la vettura che si era fermata,
uscirono due ragazzi, quelli che io chiamavo i gorilla tutto fare di
Amber e iniziarono a lanciarmi delle uova insieme a qualche liquido di
cui ignoravo l'origine.
“Pensavi
davvero che avresti messo piede in casa mia, ammasso di lardo? Povera
illusa!”
Sentii
la voce di Amber provenire dalla limousine e le risate delle sue
amiche. Io invece fra le lacrime continuavo a ripetere:
“basta!”
“BASTA!”
Mi accorsi di
essere tornata alla realtà soltanto quando mi passai una
mano sulla fronte scoprendo quanto fosse imperlata di sudore e mi
accorsi con grande gioia di essere all'interno di una stanza buia
illuminata dai deboli raggi della luna a me famigliare. Non ero quella
Jade giovane e ingenua che aspettava la sua condanna davanti casa. Ero
Jade stronza e adulta e mi trovavo ad Helsinki. Insieme al sudore
intercettai delle lacrime che, oltre alle guance, bagnarono le mie
labbra. Eliminai immediatamente quelle tracce di fragilità e
mi alzai dal letto avvicinandomi alla finestra. Ad ogni passo incerto
verso la debole luce esterna, sentivo il mio cuore tornare ai suoi
battiti normali e gradualmente mi calmai. In quello stesso instante
sentii il freddo che gelava le goccioline di sudore rimaste sulle
pelle. Mi abbandonai al muro accanto alla finestra e iniziai a
piangere. Non era possibile..ero tornata a piangere su me stessa. Era
l'ultima cosa che mi sarei immaginata di fare quella sera, e
più precisamente, quella notte. Quel maledetto fantasma
sembrava proprio che non avesse intenzione di allontanarsi da me per
sempre.
Perché
mai io ero così debole? Io, la ragazza che era riuscita ad
andare avanti solo grazie a se stessa ora stava tornando alle origine.
Qualcuno una
volta mi disse che le uniche persone su cui avrei sempre potuto fare
affidamento erano “ io, me e me stessa”,
poiché sarebbero state le uniche a non tradirti mai. Quel
tale aveva ragione. E ora più che mai dovevo fare
affidamento su loro per non lasciarmi fagocitare da quel male ancora
troppo vivo. Ci sarebbe mai stata una cura adeguata?
Io l'ho capito chi sei.
Chi sarei?
Tu sei la rana delle
favole che aspetta il bacio del principe azzurro per trasformarsi in
principessa.
E sentiamo. Chi sarebbe
il principe in questione?
Non ha un nome ben
preciso. Devi essere brava a riconoscerlo.
Ad un tratto mi
balenarono alla mente quegli occhi intriganti che mi tennero con il
fiato sospeso per tutta la serata. Ricordai il sorriso di Ville e
immediatamente mi asciugai gli occhi.
“ Sei
una stupida.”- mi dissi a denti stretti. Mi alzai e guardai
verso la torre. Vidi una finestra illuminata e sorrisi come una scema
pensando a lui e alla sua musa persi chissà in quale mondo,
lontano dai comuni mortali e dalla razionalità.
Forse avevo
trovato la mia cura, ma ero ancora incapace di saper leggere le
istruzioni per l'uso.
Scoprii di non
aver più sonno. Sembravo pronta per intraprendere la
giornata che ancora non bussava alle porte della notte. Decisi di
andare in cucina per bere un bicchiere d'acqua e sperando in qualche
modo di riacciuffare Morfeo. Quando arrivai in cucina e accesi la luce
feci un balzo degno di una medaglia d'oro. Persa com'ero nei miei
pensieri la vista di Jonathan mi aveva spaventata.
“ Che
cazzo John!”- esclamai portandomi una mano sul petto.
“
Scusa.”
Restammo in
silenzio per qualche minuto e poi decisi di sedermi.
“ Che
ci fai qui a quest'ora?”
“
Stessa cosa che potrei chiederti io.”- rispose lui sedendosi
a sua volta.
“ Ho
fatto un brutto sogno e non riesco più a prendere
sonno.”
Jonathan mi
studiò attentamente quasi mi stesse facendo una radiografia
e in silenzio aspettai che la piantasse.
“ Hai
una brutta c'era. Sicura che non sia solo il sonno la causa?”
“
Troppi pensieri.”- risposi sintetica. Sapevo però
che quella risposta non sarebbe stata sufficiente per placare le
domande.
“
Parliamone davanti ad una bella tazza di latte e cereali.”-
disse deciso, sapendo bene la vastità oceanica che c'era
dietro alle mie parole.
“ Come
ai vecchi tempi!”- esclamai sorridendo. Dopotutto non sarebbe
stato un male sfogarsi. Aiutai John ai fornelli e quando finimmo di
preparare quello che sarebbe stato il nostro spuntino notturno,
tornammo a fissarci.
“ Beh
avanti parla. Abbiamo tutta la notte davanti a noi.”
Sospirai
giocherellando con il cucchiaio e poi con un enorme sforzo raccontai il
mio incontro emozionante non risparmiando nessun aggettivo colorato per
il nemico. Jonathan sorrise a quelle parole da camionista, ma il suo
sguardo restò attento e serio.
“ Per
questo sei andata via!”
Annuii.
“ Jade
ma che cazzo! Dovevi restare! In questo modo avrà pensato
che sei rimasta sempre la solita pappa molle.”
“
Credimi non ci sono riuscita.”- dissi abbassando lo sguardo e
facendomi piccola. Ero semplicemente senza difese e optare per la
verità mi sembrò la soluzione ideale.
“ Beh
come darti torto. Certe cose non si dimenticano. Ma tu sei Jade e
riuscirai a mandare a fanculo anche questi piccoli
inconvenienti.”- disse Jonathan con gentilezza e accarezzando
la mia mano. Guardai prima questa e poi lui e sorrisi incoraggiata dai
suoi occhi vispi e dalla sua aria divertita. John aveva mille difetti,
ma la sua dolcezza e la protezione che dimostrava verso le cose e le
persone a cui teneva davvero li annullavano tutti.
“ Lo
spero.”
Presi la sua
mano nella mia e solo a quel punto notai un piccolo barlume di
tristezza nei suoi occhi. O era preoccupazione? Qualsiasi fosse
l'emozione, di certo in quel momento ero davanti ad un Jonathan
insolito.
“ Ehi
che hai?”
“
Nulla.”
“Se
fosse davvero nulla non avresti la faccia di uno che sta andando ad un
funerale.”
“Sto
bene Miranda!”- esclamò. Mise da parte la sua
tazza e fissò la finestra. Era leggermente incoerente con
quello che diceva.
“Se tu
stai bene io ho raggiunto l'estasi.”
“E va
bene!”- esclamò alzandosi. Ci mise un bel po'
prima di parlare.
“
Mettiamola così: i ragazzi teneri? Piacciono. I ragazzi
stronzi? Conquistano in due secondi. Ed io, indovina? Un cazzo. Io
faccio un cazzo! Sono uno sfigato!”
A quel punto
capii la logica del suo ragionamento. Il mio giovane ballerino era in
piena tempesta ormonale. Evidentemente la ragazza che aveva conosciuto
alla mostra gli aveva illuminato il cervello.
“
Toglimi una curiosità. Si tratta di quella ragazza
vero?”
“Come
hai fatto a capirlo?”- mi chiese scioccato.
Sorrisi e mi
appoggiai allo schienale della sedia.
“Dimentichi
con chi hai a che fare. Ho visto come la guardavi, ma scommetto che lei
non c'è stata.”
“
Smettila di leggermi dentro!”- esclamò tappandosi
le orecchie.
Scoppiai a
ridere.
“Sono
in molti a non sopportarmi, ma io so che tu invece mi ami.”
“
Perché continui a leggermi?”
Questa volta
anche lui si aggregò alla risata.
“Il
tuo non è un caso impossibile da sistemare.”
“Cosa
dovrei fare secondo te?”
“ Hai
il suo numero?”
“ No,
ma so dove abita.”
“ Bene
allora se davvero ti interessa, cerca di fare poco il galletto e la
femminuccia prima di tutto. Le ragazze intelligenti odiano tutto
questo.”
“Seguirò
il tuo consiglio. Ora mi dici che avete combinato tu e Ville?”
“ Non
so di cosa tu stia parlando.”
“ Ma
smettila!”
“ Non
è successo niente.”
“ Su
quel “ niente” ti do ragione. Non saresti qui
altrimenti. Piuttosto cosa è successo durante il
tragitto.”
Lo guardai senza
rispondere.
“ Vi
siete baciati!”- esclamò trionfante.
“ Non
urlare!”- dissi irritata.- “ perché devi
copiarmi?”
“
Ammetto che leggerti dentro non sia facile, ma basta un pò
di impegno per farlo. E ho capito subito ciò che era
successo dal tuo sguardo.”
“A
quanto pare la cerchia si sta allargando..”- dissi a bassa
voce pensando a Ville e al suo modo seppur semplice di capirmi.
“In
che senso?”
“Nulla,
stavo..stavo parlando con me stessa.”
“ Tu
non mi convinci per niente."- disse scuotendo la testa.
“
Capita a volte.”- risposi sorridendo.
Sentii un tocco
leggero dietro le spalle. Non capivo se fosse una causa derivante dal
sogno che stavo facendo o ero piombata senza saperlo di nuovo nella
realtà.
“
Donzella sveglia..”
Quella voce mi
fece muovere di poco sotto le coperte. Quasi mi infastidì a
dirla tutta.
“Domani!”-
dissi scocciata senza seguire una linea logica e poi mi voltai
dall'altra parte.
“Donzella..devi
svegliarti..”
La voce
continuava a risuonare nelle mie orecchie con dolcezza aiutata dal
tocco delicato di una mano sulla mia spalla.sembrava che volesse
richiamarmi dal mondo in cui ero sprofondata. A quel punto aprii un
occhio e poi l'altro con molta lentezza. Vidi una sagoma davanti a me.
Più che altro erano due occhi che mi fissavano teneramente
mentre un profumo che mi parve di menta si insinuò nelle mie
narici dandomi un buongiorno davvero sublime. Alzai di poco la testa
strizzando gli occhi e quando fui in grado di intendere e volere, li
spalancai del tutto scioccata.
“Ville?
VILLE!”
“Lo so
di non essere bellissimo, ma fare quella faccia davanti al diretto
interessato è un pò offensivo, non ti
pare?”
“Non
è possibile..”- sussurrai coprendomi imbarazzata.
“Sei
già coperta, perché ti copri con le
mani?”
Non ero coperta.
L'unica cosa che ricordavo perfettamente prima che il sonno giungesse
in maniera quasi devastante, era il mio cambiamento d'abito. Avevo
sentito un gran caldo e se la logica non era errata, quando si ha caldo
si finisce per dormire in due modi: reggiseno e mutande o maglia a
maniche corte abbastanza lunga con mutande. Io avevo optato per la
seconda scelta. Avevo preso una maglia di Jonathan e mi ero infilata
nel letto ancora caldo in quella tenuta, sicura del fatto che nessun
estraneo sarebbe entrato in camera mia a svegliarmi.
Era anche vero
che non ero del tutto svestita, ma dovevate capirmi: avere Ville
Hermanni Valo vicino mi faceva sentire in un imbarazzo colossale.
“ Sei
un molestatore.”- dissi ancora sconvolta passandomi una mano
fra i capelli.- “ Sei come le sedie di plastica che si
attaccano al sedere quando fa caldo.”
Lui mi
fissò e scoppiò a ridere.
“E non
ridere.”- dissi contrariata spostando le coperte, restando
completamente in esposizione.
“Sei
una cosa assurda.”- commentò inclinando di poco la
testa.
Lo
faccio a pezzi.
“Non
ridere, perché altrimenti finisco per ridere anche io e
mandiamo a fanculo la mia serietà.”- dissi ridendo.
“ Chi
ti ha fatto entrare?”- chiesi poco dopo alzandomi.-
“ e smettila di guardarmi in quel modo!”
Ridacchiò
e disse: “ beh..Elisabeth ha cercato di svegliarti, ma non ci
è riuscita. Così mi sono offerto volontario.
Sapevo che sarei stato bravo a svegliarti.”- rispose dandosi
arie.
Alzai gli occhi
al cielo e sbuffai.
“ E
posso saperne il motivo?”
“ Ma
come! Non ricordi che oggi dovevamo vederci?”
“Sì..ma
è ancora presto. È mattina. Che ore saranno..le
dieci?”
Cercai con gli
occhi la sveglia, ma lui mi precedette dicendo: “ sono le tre
del pomeriggio, darling.”
“Cosa?!
Oh mio dio! Ma quando sono andata a letto?”- esclamai
scioccata.
“Mmh
dunque abbiamo fatto le ore piccole? Con chi sei stata?”
“Ero
con un un uomo di bell'aspetto, biondo, fisico da bave e occhi azzurri
come gli zaffiri. È passato dalla finestra e come per magia
è entrato nella stanza e poi..boom!”
“ E'
morto prima ancora che il suo amico si muovesse nei meandri
oscuri?”- chiese con un sorrisetto per nulla affabile.
“Volgare!”-
esclamai colpendolo con il cuscino. Era ignaro del fatto che i suoi
occhi stessero provocando le forze oscure che si muovevano nel mio
corpo come serpenti alla ricerca di una vittima da mordere.
“Non
ho detto nulla di volgare, sei tu che sei perversa e trovi messaggi
subliminali in ciò che dico.”
Bloccò
il cuscino e me lo rispedì colpendomi in pieno.
La sua finta
aria da innocente complicò il grado di salute della mia
mente. Per evitare il disordine dei miei ormoni, dissi: “ su
esci! Devo prepararmi.”
“Non
vuoi una mano?”- chiese con quel dannato sorrisetto restando
seduto sul letto.
“Due
ora che mi ci fai pensare: una che ti da uno schiaffo e l'altra che ti
strappa via gli occhi.”
A quel punto,
continuando a ridacchiare si alzò e disse: “ va
bene donzella hai vinto tu. Messaggio ricevuto, ma sbrigati! Non voglio
morire su un divano aspettando che tu fossi pronta.”
“Ville,
stai sfidando la mia simpatia.”
“Mi
sta già stuprando..non oso immaginare il finale.”
Ripresi il
cuscino e lo lanciai dicendo: “ esci di qui,
volgare!”
Ma lui fu
più abile e riuscì a schivare il colpo
chiudendosi velocemente la porta alle spalle.
Sorrisi e
portando le mani ai fianchi sospirai. Cosa dovevo aspettarmi da quella
giornata?
“Agli
uomini piacciono le donne semplicemente perché gli opposti
si attraggono. Gli uomini sono stupidi e le donne intelligenti.
C'è una calamita che li unisce nonostante i continui rifiuti
da parte di noi donne di avere a che fare con creature così
sciocche. E' un po' come per te l'amore e la morte. Sono due cose
completamente opposte ma che allo stesso tempo sono legate
indissolubilmente.”
Perché
parlavo sempre a sproposito? Avevo ragione, lo sapevo, ma quella
giornata era iniziata con l'imbarazzo e sembrava che volesse continuare
di questo passo.
“Posso
dirti una cosa?”- chiese Ville sorridendo.
“Spara.”
“Potrei
restare ore ed ore ad ascoltare i tuoi ragionamenti contorti. Sono
interessanti e anche veri.”
Erano queste le
risposte che meno ero in grado di tenere a bada. Non sapevo mai cosa
rispondere e di certo fare la stronza e rispondere con tono da bastarda
non erano i modi più opportuni. Riusciva sempre a
disarmarmi. L'aria fresca, o per meglio dire gelida, proveniva dal mare
e più volte portò scompiglio ai miei capelli.
Avevo dimenticato di prendere il cappello agitata com'ero dalla
presenza di Ville a casa “ mia”. Eravamo seduti su
una panchina al porto, lontano da occhi indiscreti, uno accanto
all'altro e più volte sentii il mio cuore sciogliersi quando
notai di essere fissata ripetutamente.
“Comunque
c'è da dire che non tutti gli uomini sono
stupidi.”- dissi senza guardarlo.
“Era
un complimento?”
“Questo
lo stai dicendo tu.”- continuai fissando un punto nel mare.
Lo sentii ridere.
“Lo
prendo come un complimento allora. Per la cronaca, ne sono
compiaciuto.”
Passò
qualche minuto prima che riprendessi la mia tranquillità. A
quel punto lo guardai e sorridendo dissi: “ sei troppo magro.
Ma mangi? Se ti tocco le tue ossa si sgretolano.”
Toccai un punto
impreciso al livello del suo torace.
“Jade
smettila!”- esclamò colto evidentemente nel suo
punto debole.
“Ho
toccato una costola! Che impressione!”
“
Donzella, non sfidare le forze della natura.”
Mi fermai
continuando a fissarlo divertita.
“Okay,
la smetto.”
Poi tornai seria
e dopo un piccolo momento di silenzio chiesi: “ mi spieghi
per bene le dinamiche che ti hanno portato alla conoscenza di Miss
Silicone Andato A Male?”
Mi
guardò divertito e disse: “ ero in studio e Seppo
mi ha presentato Amber dicendo che sarebbe stata con noi per via di
un'intervista che mi avrebbe fatto. Alla fine sono rimasto solo con lei
che mi disse fin da subito di essere una nostra grande fan. Durante
l'intervista credo che ci abbia provato più volte senza
parlare in modo esplicito. Io naturalmente non ci sono cascato. Odio
queste cose. Poi c'è stata una festa e c'era anche lei.
Quella volta credo di esserci andato giù pesante con il mio
vecchio nemico e alla fine è successo quello che
è successo. Vuoi anche quei particolari per caso? Non posso
aiutarti molto nel ricordo, ma se vuoi improvviso. Sono bravo con
queste spiegazioni.”
Sbuffai
innervosita.
“ Vai
a prenderti un caffè bello lungo a Parigi. Anzi vacci
correndo.”
Ville
scoppiò a ridere.
“Sei
gelosa di una cosa che è successo un secolo fa!”
Forse lo ero un
poco. Dannazione! Quella era andata davvero a letto con lui!
Lo fulminai con
lo sguardo.
“Secondo
me, metti dei cappelli troppo stretti che ti impediscono la
circolazione del sangue al cervello.”
“ Mia
cara Lady V, vuoi provare come ci si sente quando ci si immerge nelle
acque della mia adorata Helsinki? Avanti dimmelo, non essere
timida.”- rispose con un tono serio.
Prima che
potessi replicare iniziò a farmi il solletico e poi mi prese
di peso.
“C-che
stai facendo?”- chiesi divertita, ma allo stesso tempo anche
preoccupata.
Lui non rispose,
caricandomi meglio sulla sua spalla come un sacco di patate.
“Ville!
Mettimi giù!”
“Cosa?
Non ti sento.”
“Ville!”-
urlai. Mi divincolai e dopo continue lotte riuscii a tornare con i
piedi per terra. A mia volta iniziai a pizzicarlo.
“Se mi
fai cadere le sigarette in acqua puoi dire addio alla tua
vita.”- rispose fulminandomi. Non seppi come fece, ma con
grande abilità riuscì a bloccare le mie mani. Le
portò sulla mia testa e iniziò a colpirmi.
“Ehi!
Ehi!”- esclamai.
“Jade
che ti prende? Ti stai picchiando da sola!”
“
Ville!”
“Mi
stai facendo preoccupare! Non credi che sia il caso di
smetterla?”
A quel punto si
fermò e mi lasciò libera. Ripresi il controllo e
gli diedi una piccola spinta.
“Scemo.”
Mi
guardò e nello stesso tempo, con un gesto imparato a memoria
e quindi indegno di ricevere attenzioni varie, sfilò dalla
tasca il suo fedele pacchetto di sigarette e ne prese una.
“Sei
uno stress con queste sigarette.”- sbuffai sedendomi di nuovo.
“Ti da
fastidio se fumo?”- chiese divertito e imitandomi si sedette
ma più vicino.
Lo guardai
indecisa se ridere o dargli una sberla.
“ Ne
hai fumate cinque da quando siamo qui senza dirmi nulla e solo adesso
ti ricordi di fare l'educato.”
Lui
ridacchiò e aspirò la prima boccata di fumo.
Cercai di non rendere evidente il mio sguardo da pesce lesso. Come
faceva ad essere così fottutamente sensuale con una cazzo di
sigaretta in bocca?
Fui abile nel
mascherare i flussi di pensieri impuri scuotendo la testa appena lui si
voltò verso di me.
“
Comunque finché non mi fumi in faccia mi va anche bene. Ma
fai arrivare il fumo alle mie narici e ti ritroverai il resto della
sigaretta su per il..”
“Donzella!
Oggi siamo di una finezza unica.”
“Lo
so.”
“E
come mai?”
“ Sono
nervosa.”
“E per
quale motivo?”
Non potevo di
certo dire che il motivo era un essere umano che stava respirando
ossigeno misto a fumo di fronte a me.
“ Non
riesco ad ottenere la concentrazione giusta per andare avanti con il
mio libro.”- buttai lì a caso.
“ In
queste settimane abbiamo parlato di tutto, ma non mi hai detto fino a
quando resterai qui.”- disse guardando il mare.
“Non
lo so. Quello che so di sicuro è che andrò via..
a meno che..”
“A
meno che?”- ripeté voltandosi immediatamente verso
di me. Sorrisi e guardando il mare a mia volta risposi: “ a
meno che non arrivino gli alieni e mi costringano a restare
qui.”
“ Beh
speriamo che arrivino. Sarei davvero curioso di sapere come reagiranno
alla tua dolcezza.”
“Smettila
di prendermi in giro, stecchino.”
Ci guardammo
divertiti e poi ad un tratto sentii una piccola goccia cadere sulla mia
mano e guardai immediatamente il cielo. In tutto quel tempo non mi ero
accorta che il cielo era mutato per l'ennesima volta in maniera rapida
e che le nubi si erano fatte spazio come regine indiscusse.
“Ville?”
“Mh?”
“Sta
iniziando a piovere!”
“E io
che pensavo a chissà quale genialata volevi dirmi.”
In quel preciso
istante le gocce si fecero più insistenti e lui disse:
“ su andiamo.”
Quando il taxi
ci lasciò quasi vicino alla torre, in quel piccolo tragitto
a piedi la pioggia finì per inzupparci quasi completamente.
Nel frattempo cercai di prendere le chiavi nella mia borsa, ma scoprii
che non c'erano. Mi fermai un secondo ed esclamai: “
maledizione!”
“Cosa
c'è?”- chiese Ville fermandosi.
“Ho
dimenticato le chiavi a casa e a quest'ora non c'è
nessuno.”
“Perfetto!”
“Perfetto?
Vuoi che ti sputi in un occhio?”
Quella volta fu
lui ad alzare gli occhi al cielo.
“ Se
continui a rispondermi in questo modo col cavolo che ti ospito a casa
mia.”
“Ospitarmi..
a casa tua?”- dissi lentamente. Il senso di panico prese il
sopravvento su di me mentre mi avvicinai a lui.
“Preferisci
restare sotto la pioggia? Per me non ci sono problemi.”-
disse con tranquillità mentre apriva velocemente il
cancello.- “ avanti entra.”
“Vuoi
uccidermi, vero?”- chiesi restando sulla soglia del cancello.
“ Se
non ti sbrighi con tutto il cuore.”
“Chi
mi assicura che uscirò sana e salva dalla torre dopo la
pioggia?”- continuai senza saliva nella bocca.
“ Devi
rischiare. Dai muoviti! Di sicuro ti asciugherai e poi male che va
conoscerai solo qualche fantasma.”
“Fantasma?”
“ Su
non fare la timida e seguimi.”
Deglutii
guardandomi intorno e poi dissi: “ okay..”
In fondo non
c'era una vasta gamma di scelta.
Perfetto
Jade, adesso sei fottuta a vita.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** One Plus One ***
Salve DonneH :)
Vi sto facendo penare, vero? Eeeh lo so! Avete tutto il diritto di ammazzarmi, ma prima di commettere il vostro assassinio io credo che sia meglio leggere e poi passare ai fatti xD
Mi rendo conto che la lunghezza non sarà delle migliori, ma questo è un capitolo particolare, progettato in questo modo fin dall'inizio. Ebbene sì, dalla notte dei tempi avevo calcolato tutto u.u
Sono un pò simbolista (?) e da sempre il numero 11 lo interpreto in questo modo: 1+1, o " One Plus One" come il titolo del capitolo. Ovvero due persone o cose che si uniscono. Ora non è sempre detto che sia un unione d'amore! Può essere qualsiasi tipo di unione; un'amicizia, un atto d'odio, qualsiasi cosa.
Alla fine il risultato lo sappiamo qual è, 2 che a sua volta ha per me un altro significato: la riuscita di quell'unione e la consapevolezza che dopo questo non si può tornare indietro. Dunque sta per cambiamento che di solito ha due portate; negativo e positivo. Nei migliori dei casi sarà positivo e nei peggiori negativo. In ogni caso la duplicità è ricorrente.
Duuuuunque lo so di aver sparato diverse cazzate tutte insieme e di cui fra dieci secondi molto probabilmente mi vergognerò a morte per aver detto, ma ci tenevo a dirvelo così capite perché è decisamente più breve rispetto agli altri e decisamente penoso. Io non sono brava con queste cose >.<
Quindi siete liberissime di dirmi che non vi è piaciuto e che vi ha fatto schifo o che ho deluso le vostre aspettative. Non mi offendo :)
Vabbbeh basta, vi ho annoiato fin troppo oggi u.u
Addio <3
Ps. https://www.youtube.com/watch?v=MBK_GqLHEZo Fonte di ispirazione è stata questa canzone spacca ormoni ( non lo dico perché sono di parte, ma perché è così xD) provate per credere xD
One Plus One
Se non fosse stato per l'eccesso di ansia che la mia testa cercava invano di reprimere, da tipica scrittrice avrei giurato che quella che stavo vivendo era una tipica scena da libro horror. Una torre, la pioggia apparentemente incessante e un uomo dal fascino maligno che mi portava nel suo antro, erano di sicuro gli elementi perfetti per un promettente colossal letterario.
A peggiorare la situazione arrivarono i tuoni. Non che li odiassi, semplicemente mi agghiacciavano il sangue nelle vene. Come il lampo che precedette il tuono, Ville inserì velocemente la chiave giusta nella serratura e finalmente la porta principale si aprì. Deglutii e prima di seguirlo mi voltai per l'ultima volta verso l'esterno, quasi fossi certa che una volta entrata nella lugubre torre non sarei più uscita. Ero o no la protagonista sfigata che sarebbe stata uccisa dall'improvvisato mostro dal gran fascino per il suo sadico divertimento nel vedere il pavimento bagnato di sangue?
Una volta aperta la porta e aver messo entrambi i piedi e tutto il resto del corpo all'interno, la casa esalò un alito caldo, che sapeva di accoglienza e benevolenza, in perfetto contrasto con il suo aspetto esteriore. Era un po' come il proprietario. Ville all'apparenza poteva sembrare un giovane strano, ermetico e magari anche amico stretto nella malvagità, ma nel momento in cui si tesseva un dialogo e lo si conosceva quel tanto che bastava per ricredersi sul fatto che non fosse un iniziatico alla magia nera, le cose prima pensate prendevano una piega diversa, arrivando alla consapevolezza che tutte le pippe mentali, le congetture e le fantasie più sfrenate fatte erano state completamente sbagliate.
Respirai quei profumi che sapevano di buono incapace di credere al fatto che avessi per davvero messo piede lì dentro.
“ Dammi la tua giacca. È completamente bagnata.”- consigliò Ville dietro alle mie spalle. Il suo tono di voce basso mi fece salire il sangue al cervello oltre al fatto che i battiti del cuore iniziarono ad accelerare. Eseguii l'ordine quasi come un'automa e mi accorsi solo in quel momento di essere inzuppata. Mi passai una mano fra i capelli giusto per darli un contegno e poi guardai Ville mettere le giacche sull'attaccapanni. Mi sorrise e dopo aver accennato anche io ad un sorriso mi guardai intorno ancora tesa.
Era chiaro che la torre dovesse svilupparsi in tanti labirinti, forse anche fitti. Questo dettaglio era quello che la mia mente aveva partorito dopo aver visto il corridoio. Seguii Ville e procedemmo verso una meta che per me era completamente ignota e poi lo imitai entrando in una stanza di altrettanto ignota identità.
Mi accorsi di essere entrata semplicemente nel salotto dove i residui di quello che doveva essere stato un gran fuoco erano sparsi nel camino. Attorno erano sistemati dei cuscini e, non seppi bene perché, provai immediatamente amore per quel piccolo spazio. Sapeva di rilassamento e di posto sicuro per l'ispirazione urgente. D'altronde ero a casa di un artista e per come ero fatta io, riuscivo a percepire l'ermetismo che vi era dentro. Alla fine era lo stesso che possedevo io, con la differenza che il mio non era poetico ma acido e bastardo. Le finestre erano coperte da tende leggere dietro alle quali si presentò in tutta la sua bellezza un lampo. Con enorme sforzo riuscii a controllare il mio Io di fronte allo spavento e guardai Ville, il quale mi aveva dato tutto il tempo per memorizzare ciò che stavo osservando. Mi chiesi se non gli desse fastidio il mio atteggiamento da impicciona part-time. Evidentemente no; lo notai dalla sua espressione serena e divertita. Si avvicinò al fuoco che alimentò in poco tempo e tornò a guardarmi.
“ Che fai lì impalata, avvicinarti! Credo che anche tu voglia asciugarti e riscaldarti. È anche vero, però, che esiste un altro modo per riscaldarsi..”- disse Ville ridacchiando mentre si sistemò di fronte al camino. Era chiaro quanto in quel momento amasse mettermi più in difficoltà. Ormai dovevo arrendermi al fatto che io per lui fossi un libro aperto. Dimenticava però che anche io sapevo bene da che sentimento scaturivano i suoi gesti. In quel caso specifico si trattava di dispetto. Sapeva quanto fossi imbarazzata e ne approfittava per mettere a dura prova la mia calma.
“ Se era una battuta ti è uscita male.”- dissi dopo aver alzato gli occhi al cielo. Avevo paura di avvicinarmi, ma il mio corpo infreddolito reclamava i suoi diritti e così mal volentieri superai le sedie, il divano e tutto quello che costruiva il mio percorso e mi avvicinai al mostro.
“ Non ti mangio.”- continuò con una punta di divertimento nella voce indicandomi il posto accanto al suo.
“ Fai bene. Non sono buona.”- risposi concentrando la mia attenzione sulle fiamme. In quel momento avrei risposto la mia attenzione anche su un gatto morto pur di non guardare Ville. Sentivo ugualmente i suoi occhi puntati su di me e questo non fece altro che aumentare la voglia di scappare. La sua risata adorabile mandò a puttane la mia ostinazione e così finii per perdermi nei suoi occhi allegri e impertinenti.
“ Che ti ridi?”- gli chiesi sorridendo e dandogli una leggera spinta.
“ Dimmi la verità: sei convinta che dopo averti fatto asciugare ti possa portare nella stanza delle torture di sopra.”
“ Come minimo!”
“ Donzella, sei tutta scema.”- disse lui scuotendo la testa e guardandomi nel modo più dolce possibile. Come facevo a quel punto a rispondergli male? Secondo me quella era la sua arma per eccellenza: fare l'espressione più diabetica per fottere qualsiasi forma di acidità e irritazione repressa, specie la mia.
“ E tu sei..sei..”
“ Sono?”
Cercai di pescare dal baule dell'acidità qualche aggettivo appropriato alla situazione, ma tutto quello che ne ricavai furono i cocci di una bottiglia di vetro.
“ Ah lascia perdere.”- sbuffai tornando a guardare il fuoco.
“ Non è possibile che Miss Risposta Pronta non lasci il suo segno. Mi sto seriamente preoccupando!”- esclamò fingendosi serio.
“ Ho freddo e le parole mi si sono congelate.”- spiegai con aria di superiorità. Mi pentii di quello che avevo detto appena le sue braccia mi strinsero. Ero in serio pericolo di vita.
“ Che stai facendo, Valo?”- gli chiesi scherzando nonostante avessi voglia di morire. Quella vicinanza era davvero letale e me ne accorgevo ad ogni secondo che passava. Guardai le sue labbra e deglutii prima che esse modellassero le parole del caro finnico. Possibile che fossi ridotta così male?
“ Andando al punto uno del paragrafo secondo della mia guida personale su “ Modi e altri rimedi per ammazzare le belle ragazze a casa propria”, sto mettendo in pratica la prima mossa per ucciderti.”- rispose serio. Lo guardai e scoppiai a ridere senza staccarmi troppo. Mica ero scema?
“ E quale sarebbe?”
“ Stringere forte fra le proprie braccia la vittima antipatica indebolendo le sue difese corporee.”- recitò seriamente.
“ Ehi! Io non sono antipatica!”
“ Hai ragione. Manchi solamente di tatto.”
Iniziò a ridere beffandosi della mia espressione furente. Mi liberai dalla sua presa, ma prima che potessi alzarmi fui bloccata dalla sua mano forte e decisa che circondò il mio braccio.
“ Non puoi andartene proprio ora che sentivo le tue difese abbassarsi. Ne va della mia reputazione di assassino.”
Un brivido mi percorse la schiena. La sua espressione maliziosa si unì alla voce bassa e sensuale con cui aveva pronunciato quelle semplici parole.
“ A me non interessa.”- dissi a braccia conserte evitando ancora una volta di guardarlo. Perché mai mi imbarazzavo in quel modo? Non mi era mai successo, perché ora sì?
Probabilmente era colpa della vecchiaia.
“ Vediamo se riesco a sbollire la sua irritazione.”- disse alzandosi e facendomi segno di seguirlo. Mi alzai lottando con le mie gambe che erano diventate stranamente molli. Avevo una strana sensazione e più ci pensavo e più i battiti del cuore aumentavano.
La guida mi condusse verso una scala che per me sembrò assolutamente lunga e tortuosa. In realtà non ci misi molto ad arrivare a destinazione. Seguii Ville che prima di aprire la porta annunciò: “ e questa è la mia stanza delle torture.”
Deglutii ed entrai. Era una camera rettangolare dai soffitti alti e il pavimento di legno scuro. La cosa più particolare di tutte era che le sue pareti erano quasi interamente rivestiti da scaffali pieni di libri. Era decisamente la stanza delle torture più bella che avessi mai visto. Dai quattro finestroni posti sui quattro lati potevo osservare il quartiere e il labirinto di strade che si facevano spazio schicciati gli uni sugli altri. Questa era anche la stanza che si affacciava verso la direzione della finestra della mia stanza, la stessa che qualche notte veniva illuminata per un tempo indefinito.
A convicermi che quello fosse l'antro nella quale Ville lavorava con la sua Musa fu la scrivania che dominava il centro dello studio. Su di essa c'erano delle penne e fogli sparsi qua e là; un paio di libri di lettura messi in disordine e pericolosamente in bilico; in un angolo il portatile spento. L'arredamento era in stile antico e a mio parere adatto alla torre.
“ Mio dio..”- dissi sottovoce guardandomi attorno ancora stupita.- “ potrei restare per tutta la vita qui dentro.”
Mi avvicinai alla scrivania e presi in mano un libro. Era “ I Fiori del Male” di Charles Baudelaire. La copertina era leggermente consumata ai lati. Lo misi subito al suo posto, non perché mi facesse schifo, ma perché non era mia intenzione mettere il naso nella privacy altrui. Sentii di essere di troppo in quella stanza nonostante fosse stato Ville stesso a farmela visitare.
Anche se si mosse piano sentii la sua presenza dietro di me. Per un momento mi ero quasi dimenticata di lui.
“ Lo sapevo che avrei calmato il tuo spirito acido.”- il suono della sua voce giunse alle mie orecchie come l'arma più letale esistente al mondo. Il mio assassino sapeva il fatto suo. Mi voltai e sorrisi imbarazzata.
“ Mi piace la tua stanza delle torture.”- dissi arrossendo. Il suo sguardo in quel momento fu letale per me. Sorridendo si avvicinò a me, forse anche più del dovuto. Infatti mi ritrovai i suoi occhi molto vicini ai miei. Nonostante l'assenza di saliva e la difficoltà respiratoria deglutii e continuai a guardarlo. Sentivo di essere al limite della sopportazione terrena.
“ Sei una delle poche “ estranee” che me lo dice. Anzi ora che ci penso sei l'unica.”- disse pensieroso.- “ Di solito è visto come un posto noioso.”
“ Oh no! Non lo è proprio!”- esclamai tornando alla realtà.- “ sono molto invidiosa di questo posto. Potrei restare qui a leggere per tutta la notte.”
“ Sei noiosa quanto me.”- disse lui ridendo.
“ Noiosi entrambi. Ecco perché ci sopportiamo.”
Stavo per finire le risorse per portare avanti il discorso. Ville non sembrava affatto nervoso e imbarazzato come lo ero io.
“ Anche io come te il più delle volte preferisco i libri perché i personaggi di carta sono molto meglio della merda che spesso gira. Mi hanno sempre dato più fiducia e non mi hanno mai fatto sentire una nullità.”- disse guardando accarezzando la copertina del libro.
“ Perché tutti scriviamo per qualcuno. E il più delle volte quel qualcuno non lo sa.”
Le sue labbra si posarono sul mio collo e improvvisamente mi ritrovai bloccata fra la scrivania e Ville. Il mio cuore a quel punto iniziò a galoppare e a dar segno di voler scappare. Ero imprigionata e non c'era nessun modo per salvarmi.
“ Che stai...Ville..a..aspetta..no.”- mormorai confusa.
Mi allontanai avvicinandomi alla finestra. All'improvviso ebbi paura, quella stessa sensazione che tornava a farmi visita ogni volta che sentivo il mio cuore cedere e affidarsi per un mezzo secondo nelle mani di un altro, un estraneo che era riuscito ad indebolire le mie difese, quei muri troppo alti per mettere a nudo chi ero veramente.
Mi voltai cercando di restare calma. Lo guardai dritto negli occhi e scorsi un espressione strana. Era come se si fosse aspettato quella mia reazione.
“ Scusa. Io..io non riesco a..”- mi fermai e tornai a guardare la finestra. Continuava a piovere, ma fortunatamente i lampi avevano cessato di spuntare ogni santo secondo pronti per innervosirmi.
“ Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto?”- chiese serio. Quel tono di voce mi fece rabbrividire. Mi accorsi di essere di fronte ad un Ville diverso, forse addirittura arrabbiato e a darmi prova di questo furono i suoi occhi che mi fulminarono appena indugiai un po' di più su di essi.
“ Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio. Non riesci ad uscire dalla tua visione apocalittica che hai su qualsiasi cosa positiva che ti succede. Consideri forse tutto questo un modo da parte mia per ottenere quello che voglio e poi lasciarti da parte come un magliore ormai dismesso? Penso di averti già rassicurata su questo punto. Tu mi piaci maledizione!”
Dopo quell'esclamazione, Ville si passò le mani sul volto cercando di calmare quell'impeto che non riuscivo ancora bene a classificare. Tornò a fissarmi con la stessa serietà di prima.
“ Sai che ti dico? Che questa gabbia che ti sei costruita con le tue stesse mani è la gabbia dalla quale non uscirai. In qualunque parte del mondo tu cercherai di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.”
“ Non è vero.”- protestai con voce rotta. Feci un passo incerto verso di lui, ma mi arrestai due secondi dopo.
“ Allora dimostrami che sei cambiata.”- disse sfidandomi. Quel suo atteggiamento non faceva altro che aumentare il mio desiderio di baciarlo fino allo sfinimento e quella voglia di stringerlo a me fino a quando non avrebbe implorato pietà. Nel profondo sapevo di affidarmi nelle braccia di una delle persone più sincere e belle di questo mondo, la rarità nascosta di tutto il genere maschile. Di sicuro aveva i suoi difetti. Perché non rischiare anche con quelli compresi?
Una forza sovraumana mi spinse e alla velocità della luce mi ritrovai di fronte a lui e senza parlare lo baciai con foga. Sentii più di qualsiasi altro momento, la voglia di stare con lui, di abbandonare la mia facciata da prossima vecchia zitella paffuta con rare possibilità di trovar marito, per aprirmi in maniera speciale come forse mai avevo fatto in vita all'uomo che con semplicità mi aveva stregata. Passai una mano fra i suoi capelli per sentire quel contatto ancora più vivo e saldo. Non stavo sognando. Ville ricambiava quel mio atto di delirio con altrettanta foga, segno di quanto avesse aspettato quel momento, forse desiderato dalla prima volta che ci eravamo baciati. Continuò a ricoprirmi di baci. Le nostre labbra umide e calde si erano unite formando un legame indissolubile mentre le nostre lingue si cercavano e le sue mani non smettevano di sondare la mia schiena fino a quando con un abile mossa riuscii a mettere le mie gambe intorno ai suoi esili fianchi presa da uno degli attacchi più schizofrenici che avessi mai manifestato in vita mia. A quel punto, tenendomi stretta a sé e senza smettere di baciarmi mi portò via dalla quella stanza per entrare in un altra non molto distante. Capii di essere nella camera da letto solo quando sentii di essere sdraiata su qualcosa di soffice che altri non era che il letto.
I don't know much about algebra, but I know ONE PLUS ONE equals TWO
And it's me and you, that's all we'll have when the world is throught..
Fu allora che le mie labbra si staccarono dalle sue. Sopra di me, quasi fosse il padrone del mondo, Ville mi sorrise con una gran luce negli occhi. Aveva capito il mio grandissimo sforzo e forse si sentiva lusingato per questo. Mi accarezzò i cappelli torturandomi con l'assenza delle sue labbra sulle mie. Avevo bisogno di sentirle ancora una volta. Fui io a cercarlo alzandomi di poco per prendere possesso di ciò che mi era stato tolto, ma lui trasse indietro la testa sorridendo malizioso. Sbottonò il mio cardigan che in un lampo fu a terra seguito due secondi dopo dalla maglia. Mi sedetti e lo aiutai a togliersi la sua. Guardai il suo petto e l'infinità di tatuaggi che una pelle bianca come la sua possedeva. A me i tatuaggi erano sempre piaciuti, peccato che avessi fifa nel farmeli.
Accarezzai il suo petto, e affamata gli baciai poi il collo. La mia testa gradualmente iniziò a svuotarsi di tutti i pensieri riempiendosi del suo profumo e della sua passione.
Cause baby we ain't got nothing without love. Darling you got enough for both of us.
So come on baby, make love to me.
Con delicatezza mi spinse di nuovo con la schiena sul letto e guardandomi dritto negli occhi iniziò a giocherellare con il pizzo del mio reggiseno. Poco dopo anche quest'ultimo seguì gli altri indumenti mentre il finnico pian piano scendeva giù lungo il mio ventre. Approfittai del suo velocissimo minuto di pausa per capovolgere l'azione e cambiare i ruoli. Lo sentivo fremere sotto le mie labbra, mentre i respiri si facevano più affannosi. Lessi il suo desiderio negli occhi lo stesso che bruciava la mia pelle. L'eccitazione era ormai salita alle stelle e la sentivo scoppiare dentro di me come un fuoco d'artificio. Indugiai sui suoi fianchi e poi lo attirai a me giocando con le sue labbra. Di quel passo avremmo finito per scoppiare entrambi senza dar vita alla festa. Arsi dallo stesso fuoco, finimmo per liberarci di tutto quello che continuava a separare ancora la nudità dei nostri corpi permettendo finalmente a quel vero contatto di unirci e legarci ancora di più con una corda invisibile.
Era forse un sogno?
Oh make love to me..me..me
Appoggiai la testa sul suo petto dal quale riuscivo a sentire i battiti del suo cuore che pian piano tornavano ad essere regolari. Io invece credevo di averlo perso. Mentre pensavo a questo la mano di Ville prese ad accarezzare i miei capelli. Mi strinsi più forte a lui privata ancora una volta del coraggio di guardarlo negli occhi.
“ Forse sono stato un po' duro prima.”- esordì interrompendo i flussi dei miei ragionamenti.
“ In qualunque parte del mondo tu cercherai di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.”- recitai accarezzandogli il petto al livello del cuore. Quella fu la frase che più mi aveva colpita del suo discorso e forse fu proprio quella a spingermi ad andare in fondo e raccogliere quella parte vera di me che desiderava tutto questo da molto tempo.
“ Scusa. A volte non penso mai alle parole che dico.”
Sorrisi nascosta dalla sua pelle pensando a quanto fosse dolce. Fu allora che lo guardai dritto negli occhi, mi alzai di poco e gli baciai la punta del naso e poi le labbra.
“ Se mi fossi arrabbiata non credo che adesso staremmo in questa particolare situazione, ti pare?”- dissi sorridendo. Ville annuì poco dopo con un sorriso più largo del mio.
“ Hai ragione, donzella.”- sussurrò avvicinandosi alle mie labbra. I suoi occhi così vicini ai miei ebbero la forza di farmi cedere di nuovo e provare quell'ardore che poco prima avevo assaggiato e che non pensavo fosse così prelibato. Catturai quelle labbra con la stessa ferocia di un leone ridando vita a quella danza senza tempo.
Credevo di non aver mai provato qualcosa del genere come in quel momento lì con Ville.
Oh make love to me..
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Love, lust and afraid ***
Salve ragazze.
Devo farvi un solo
annuncio e poi
sparisco. Al momento sto passando un periodo no, che è
proprio no in
tutti i sensi che si possono trovare.
Ho provato a distrarmi
scrivendo, ma ho
capito che pur continuando a farlo non riesco ad esprimere al meglio
la mia "vena poetica" ( che c'è fortunatamente) e temo che
finirei per odiare i
personaggi che ho creato, in primis Jade. Quindi dopo questo capitolo,
non so di preciso quando posterò il prossimo. Ho troppe cose
per la
testa e troppa rabbia. Se mi ostinassi a scrivere sotto la cattiva
stella e il nervosismo non ne uscirebbe nulla di buono o quanto meno
degno di essere letto almeno fino alla metà. Non so
nemmeno se questo capitolo sarà di vostro gradimento, sta di
fatto
che non potevo lasciarvi così con una trombata e via.
Per chi piace la storia
sia ben chiaro
che non la sto abbandonando semplicemente ci metterò un
pò più di
tempo a postare per una questione mia personale. Non vi libererete
così facilmente di me sia chiaro anche questo!
Grazie come sempre a
quelle povere
anime gentili che mi seguono e recensiscono. Anche se non vi conosco
di persona, mi siete di conforto. Poi boh
cos'altro devo dirvi? Credo nulla più.
Buona lettura.
Vale.
Love,
lust and afraid
Una persona
acida, cinica, molto spesso
apatica con tendenze al pessimismo più catastrofico e
dannatamente
attivo anche nei momenti più tranquilli e sereni, avrebbe
detto che
quella miscela di emozioni a base di infarto provate durante quella
notte, appartenevano ad un sogno, uno di quelli che difficilmente la
gente riusciva a rimuovere dalla propria sostanza grigia dopo aver
aperto gli occhi e rimesso piede in quel mondo troppo reale.
Io li chiamavo
sogni a tradimento. Come
sanguisughe si attaccavano alla mente e risucchiavano tutta la
concentrazione dedicata al lavoro o a qualsiasi altra cosa
perché
deviavano il percorso degli impulsi nervosi e costringevano il
cervello a mandare ripetutamente in onda, quasi si fosse inceppato,
quelle stesse immagini che riuscivano a varcare i limiti della
sopportazione. Nei migliori dei casi tutto questo procurava un
immenso vuoto che si espandeva ulteriormente una volta avuto
l'accesso alla consapevolezza che quella realtà sognata non
combaciava perfettamente con la merda in cui sguazzavi. L'avevate
presente, no? Quel vuoto incolmabile alla fine di ogni desiderio
represso con la quale realizzavi che niente ti sarebbe servito per
riempirlo.
I bei sogni per
me erano un'arma a
doppio taglio, una sorta di dottor Jekyll e Mr. Hyde riprodotti dal
subconscio per renderti più isterica del solito. Per questo
una
volta aperti gli occhi mi sarei mangiata le mani perché ero
più che
sicura di aver sognato tutto. Mi sarei chiesta perché avevo
deciso
di guardare quei film sdolcinati a basso costo di produzione con
tanto di scene d'amore e con il solito lieto fine del cazzo che
solitamente mandavano in onda per sostituire un programma, piuttosto
che restare con la mia Musa e i miei personaggi di carta lasciati a
metà legata alla sedia.
In quello strano
dormiveglia continuavo
a convicermi di tutto questo. Una persona come me non poteva aver
avuto accesso a quei piaceri proibiti, maledizione!
Aprii lentamente
gli occhi cercando con
tutta me stessa di non farmi travolgere dal senso di ansia che si era
già attorcigliato attorno allo stomaco e che naturalmente
aumentò
mettendo in catastrofica discussione le basi fantasiose su cui avevo
eretto il mio castello di stupidate. Non ero in camera mia, non avevo
addosso il pigiama e soprattutto la disposizione della stanza era
completamente diversa rispetto alla mia. A quel punto i residui del
sonno scomparirono lasciandomi in balìa della confusione
più
totale.
Ti vuoi svegliare
scema? Sei davvero
nel letto di Ville. Hai fatto tutto quello che si potesse fare con
lui e ora piantala di fare la bella addormentata del cazzo. Ti
è
tanto difficile? Sei leggermente cogliona a quanto vedo.
“
Cazzarola..”-
sussurrai.
E
così a quella
stessa persona acida e cinica non restava che arrendersi
all'obiettività della situazione e diventare consapevole del
fatto
che nel momento in cui si soffermava sulle scene da sogno che il
cervello le trasmetteva, quello che sentiva non era il vuoto,
bensì
una nuova sensazione che non sarebbe riuscita a descrivere nemmeno
con ventimila aggettivi utilizzati tutti in un sol colpo. E al quel
punto, come una ragazzina di quindici anni rincoglionita ai massimi
livelli, avrebbe sorriso stupidamente, colta in pieno dalla sua prima
cotta adolescenziale.
Come se avessi
risvegliato magicamente i sensori fino a quel momento spenti, sentii
sulla pelle il suo odore, la cosa più buona che i miei sensi
assopiti da tempo immemore erano riusciti a percepire. Annusai le
lenzuola che avvolgevano il mio corpo ancora nudo distinguendo
chiaramente quel profumo che poche ore prima era riuscito a fottere
il mio cervello. Chiusi gli occhi e lo respirai a pieni polmoni e
restai seduta a guardarmi intorno. Oltre al fatto che fossi sola, i
miei vestiti erano stati adagiati accuratamente sulla sedia accanto
ad un maglione blu scuro e i deboli raggi del sole che penetravano
dalla finestra accompagnarono il mio buon umore in evidente stato di
crescita. Non lo ero mai stata in vita mia, nemmeno nei momenti in
cui non ero apparentamente sola. Perché io lo ero sempre,
anche
quando accanto a me c'era un uomo pronto a rendermi felice nel
massimo delle sue capacità. Dopo le varie riflessioni (che
nemmeno
in trent'anni di vita avevo fatto in così pochi minuti dopo
una
dormita), mi alzai e mi avvicinai ai miei vestiti indossando l'intimo
e indugiando per qualche secondo sul maglione. Lo presi fra le mani e
lo accarezzai piano con la guancia. Era morbido e quel profumo
sembrava non volermi lasciare. Senza pensarci lo indossai e
sorridendo decisi finalmente di uscire dalla stanza per attingere
personalmente alla vera sorgente.
Pur volendo
cercarla non avevo fatto i conti con la Torre che più che
casa
sembrava una dimora fatta apposta per confonderti. Non ricordavo
nemmeno quale fossero le scale che mi avevano condotto su quel piano.
A piedi nudi percorsi il corridoio senza sapere di preciso dove
andare.
Poi ad un
tratto,
quasi come un segno divino, sentii un rumore di sotto e come un radar
cercai di catturare qualsiasi frequenza mi facesse capire quale
direzione prendere. A quel punto iniziai a scendere le scale da cui
proveniva il rumore con il cuore che pian piano iniziò a
velocizzare
i battiti. Quando giunsi a destinazione mi guardai intorno e insieme
a quei movimenti iniziai a pensare a quanto tempo ci avrei messo per
sbagliare strada e fare una gran bella figuraccia. In quel preciso
istante dedicato ai rompicapi, la voce di Ville giunse alle mie
orecchie. Stava canticchiando e come il filo di Arianna, seguii
quelle note improvvisate per giungere indenne alla meta.
Il filo mi
condusse
in cucina dove trovai il bel finnico con indosso solo un paio di
jeans che preparava la colazione. Restai sulla soglia ad osservarlo
sicura del fatto che la mia espressione si fosse trasformata in una
delle più dolci che potessi essere in grado di fare.
Fischiettando
allegramente era ancora ignaro del fatto che io fossi lì, a
pochissima distanza da lui. La sua schiena, come una calamita,
attirò
la mia attenzione deviando il percorso naturale dei miei pensieri che
finirono per avere delle interferenze con il mondo proibito. Esse,
però, durarono poco perché il finnico si
voltò e restò a
contemplarmi per due minuti.
“ Sei
coperta!”-
si lamentò deluso.
“
Accidenti!”-
esclamai piagnucolando e portandomi le mani sulle guance. Cosa
voleva, che andassi in giro nuda? Poteva toglierselo dalla testa.
Continuò a studiare attentamente le zone scoperte con uno
dei suoi
sguardi angelici quanto quelli di Satana. Di sicuro non faceva
censura dei pensieri che stava facendo.
“ Fai
poco la
faccia da cobra.”- lo ammonii restando al mio posto a braccia
conserte e sorridendo diabolicamente. Ville ridacchiando
continuò a
guardarmi e io naturalmente dovetti combattere per non imbarazzarmi.
Nonostante tutto, quell'effetto non riusciva a svanire. Fu lui a fare
il primo passo: si avvicinò e immediatamente
costruì la mia
prigione facendo aderire la mia schiena contro il muro. Con le sue
labbra ad un millimetro dalle mie sussurrò: “
buongiorno.”
“
Buongiorno.”-
ripetei perdendomi nei suoi occhi e mettendo le mie braccia attorno
al suo collo.
“ Ti
sta bene il
mio maglione.”
“
Scusa se me ne
sono appropriata..”- spontaneamente abbassai gli occhi
fissando i
nostri piedi scalzi.- “ Ecco..mi piaceva l'idea di tenere
addosso
qualcosa che sapesse..di te..”
Merda, l'avevo
detto. Ero stata troppo romantica. Tornai a guardarlo nella speranza
che non fossi arrossita. Piacevolmente colpito da quello che avevo
detto, Ville mise in atto ciò che sicuramente voleva fare
dall'inizio, ponendo fine alle parole per passare ai fatti.
Adesso gli parte il
“ disturbo”.
Beh più che normale se continua a strusciarsi contro di me
come un
gatto in calore!
“ Valo
attento.
Potrebbero esserci dei disturbi fra esattamente tre
secondi.”- gli
sussurrai all'orecchio dopo essermi liberata dalla
passionalità dei
suoi baci. A quel punto il micio scoppiò a ridere fermando
le sue
manie di conquista del mondo. Mi unii anche io, ma non tanto per
quello che avevo detto, quanto piuttosto per via della sua risata
strana e contagiosa.
“
Volevo svegliarti io, ma come al solito tu rovini tutto.”-
disse
dandomi un bacio sul collo.
“
Grazie per avermi ricordato di essere un disastro. Purtroppo bisogna
accettarmi per come sono.”
“ Per
sfortuna.”
“ Ah!
Simpatico.”
Mi
liberai dalla gabbia che mi aveva creato spingendolo avanti, ma due
secondi dopo ero abbracciata a lui.
Su
smettiamola di fare la ragazza che non ha mai visto uomini in vita
sua e che se ne sta come un polipo sul primo mal capitato.
“
Stasera c'è una festa al Tavastia. Ecco.. mi chiedevo se
volevi
accompagnarmi.”
Il
che cosa?!
Naturalmente
evitai di esprimere sul serio quell'esclamazione. Non
volevo sentirmi ancora più sfigata. Mi sembrava di aver
già sentito
quel nome e forse a parlarne era stata proprio Elisabeth e se la
memoria non mi ingannava doveva essere un locale o qualcosa del
genere.
“
Certo.”
“
Davvero?”
“ No
stavo scherzando.”
“
Effettivamente era una domanda piuttosto stupida. Comunque diglielo
anche a Jonathan ed Elisabeth.”
“
Riferirò.”
“
Perfetto!”
Mi
avvicinai alla tavola, ma prima che potessi prendere posto lui si
schiarì la voce e con cautela disse: “ ci
sarà anche Amber..”
“
Ah.”- fu tutto quello che riuscii a dire.
Sentii
il mondo cadermi addosso. Sapevo che doveva esserci una fregatura.
“ Beh
perché fai quella faccia?”
“
Niente.”
“
Mentire non è il tuo forte.”
“ Non
ti sto mentendo.”
“
Jade.”- mi richiamò serio.
“
Okay! Mi da fastidio vederla!”
Stavo
gesticolando. Stavo davvero gesticolando! Ma che cazzo mi era preso?
“
Viva la sincerità!”- esclamò Ville
imitando il tono della mia
voce. Lo fulminai con lo sguardo. Non sapevo cosa mi tratteneva dal
massacrarlo lì in quell'istante. Forse ciò che mi
trattenne dal
fare mosse azzardate era la sua espressione divertita e dolce. Si
avvicinò e prese fra le sue dita una ciocca dei miei
capelli.
“
Pensa a questo: sai il fatto tuo, rispondi per le rime e
sei..”-
ripassò velocemente con gli occhi il mio corpo deglutendo.-
“ sei
fottutamente sexy! Quale dovrebbe essere il problema? Semmai chi
dovrebbe sentirsi fuori luogo è lei. E poi hai me al tuo
fianco.”
L'ultima
frase fu pronunciata con un tono di voce deciso e profondo e ne fui
piacevolmente colpita. Avevate presente l'ossigeno? Ecco io in quel
momento non ne avevo. Quella frase era riuscita a disarmarmi e
nonostante potesse essere carica di tanti significati spaziando da
quelli più dolci a quelli meno, decisi di non soffermarmi
più di
tanto sulla sua portata quanto piuttosto spostare le mie mani sul suo
petto.
“
E
questo dovrebbe lusingarmi.”- commentai divertita.
“
Come
minimo.”
Dannato
sorrisetto infame!
“
Siamo
molto modesti.”
“
Ho
imparato da qualcuno.”
Il
suo sussurro mi fece rabbrividire ed ebbi immediatamente l'impulso di
baciarlo, cosa che feci un istante dopo. E fu così che la
colazione
fu completamente dimenticata e di quel passo avrei finito per non
tornare più a casa.
“
Allora?!
Come è stato? Ci sa fare? Posso chiedergli qualche consiglio
sull'argomento? Dai parla! È inutile che fai quella faccia
tanto lo
abbiamo capito..non sei stata rapita dagli alieni, hai passato la
notte con Ville, altrimenti mi avresti risposto a tutti i messaggi!
Ammettilo e nessuno si farà male! ALLORA???”
Fu
questa l'accoglienza che ebbi una volta tornata a casa. Jonathan
continuava a starmi col fiato sul collo e attaccato alla mia sottana
con la sua voce che perforava le mie orecchie. Io mi sentivo
decisamente leggera, quasi con la testa fra le nuvole, cosa che
naturalmente non mi era mai successa o forse solo una volta. Guardai
un po' confusa Jonathan che continuava a gesticolare come una checca
isterica.
“
John
hai deciso di morire per caso?”- chiese Elisabeth
avvicinandosi a
lui.
“
Io
voglio sapere!!!”- esclamò imbronciato.
“
Mi
avete andato dei messaggi?”- chiesi completamente
rincoglionita.
Era come se solo in quel momento fossi riuscita a tornare con i piedi
per terra.
“
Lui
ti ha mandato i messaggi. Io ti ho telefonata solo due volte.”
A
quel punto notando la loro impazienza e la curiosità
più esplicita
negli occhi del mio amato ballerino, presi il cellulare dalla borsa
accorgendomi non solo che c'era il silenzioso, ma che era pieno di
letterine e chiamate. Come aveva detto, Elisabeth fu la responsabile
delle chiamate, ma la cosa più assurda furono i messaggi da
mammo/
pettogolo/ maniaco sessuale di John.
“ Jade!!!
Ma dove
sei?!?!? Rispondi a questo cazzo di cellulare!”
“ Jade!!!
Lo so è
il secondo messaggio in nemmeno dieci minuti, ma ci stiamo
preoccupando!”
“ Aspetta
un
momento..sei con LUI vero?!?!!?”
“ Okay,
se non
rispondi sei con lui e ciò vuol dire solo una cosa. CI STATE
DANDO
DENTRO!!!”
“ Oh
mio Dio! Non
voglio crederci!”
“Fate
piano e non
rompete niente!”
“ Elisabeth
mi dice di smetterla..forse è meglio. Aaah mi sento
così..così..così
sfigato! Beata te che sfoghi!”
Guardai
scioccata Jonathan che deglutì all'istante e dopo avergli
riso in
faccia mi avvicinai per stampargli un bacio sulla guancia con sua
grande sorpresa.
“
Mi
sa che resterò in vita..”- disse rivolto ad
Elisabeth.
“
Jade..tutto
bene?”- chiese quest'ultima.
Entrai
nel soggiorno e lanciando sul divano la giacca e la borsa mi misi ad
urlare come una ragazzina che aveva finalmente comprato il biglietto
del suo primo concerto.
“
E'
impazzita..”
Jonathan
mi fissò come se stesse guardando un fantasma.
“
Io
credo che sia..felice.”- convenne invece Elisabeth sorridendo
alla
vista della mia follia.
“
No
no è pazzia questa.”
“
Quanto
non capisci niente!”
Mi
avvicinai ai due abbracciandoli ed esclamando: “ bellissima
giornata, non trovate?”
“
Ma
se fra poco verrà giù il diluvio
universale!”
“
Okay
Jade..”- disse Elisabeth.- “ da tutto questo ci fai
capire che la
serata non solo è andata bene ma è finita alla
grande. Quindi è
vero che siete andati..insomma..”
“
Avete
trombato?!”- chiese Jonathan esplicito rivolgendosi poi ad
Elisabeth.- “ non è una parolaccia e non siamo dei
bambini. Si va
dritti al punto.”
Guardò
di nuovo me e chiese: “ allora Miranda?”
“
Sì!”
“
Ecco
spiegato tutto.”- concluse a braccia conserte. In quella
follia la
parte più razionale mi stava ripetendo quanto fossi una
stupida,
così mi calmai imbarazzandomi leggermente.
“
Okay,
forse è il caso di smetterla.”- dissi tornando
definitivamente
seria.
“
Oh
no! Ci piace vederti così!”
“
Beh
ti va di sederti e parlare di questo con più
tranquillità?
Naturalmente sempre se vuoi.”
Annuii
e seguendo il consiglio di Elisabeth sprofondai nella poltrona.
“
Iniziamo
la seduta spiritica.”- disse Jonathan allegramente.-
“ allora..”
“
Cosa
hai provato?”- lo interruppe Elisabeth emozionata.
“
E'
difficile da spiegare. Vi giuro, durante il tragitto di ritorno mi
sono soffermata più volte su questo cercando di trovare le
parole
giuste per una spiegazione non astratta, ma non ci sono riuscita. La
cosa che so di sicuro è che non mi sono mai sentita
così..amata.”-
sospirai.
Entrambi
mi imitarono e sospirarono e guardando le loro facce mezze sognanti
per poco non scoppiai a ridere.
“
Ah
dimenticavo! Stasera andremo al Tavastia.”
“
Tu
e lui?”
“
E
voi.”
“
C-che
cosa?!”- domandò Jonathan alzandosi di scatto.
“
Siete
stati invitati anche voi.”
“
Non
ci posso credere!”- esclamò Elisabeth portandosi
le mani sulla
bocca.- “ davvero?”
Annuii
divertita. In tutta quell'agitazione evitai di farli partecipi del
fatto che ci sarebbe stata anche Amber. Non avevo voglia di rovinare
tutto e poi come aveva detto Ville, ci sarebbe stato lui e questo mi
bastava per stare più serena.
“
Aaaah
non so che mettermi!”- esclamò Jonathan isterico.
“
Qualcosa
la trovi. Il tuo armadio è più pieno del
mio.”- disse Elisabeth a
braccia conserte. Amavo quelle scene, il fatto che Jonathan a volte
sembrasse più gay e che Elisabeth con la sua calma assassina
fosse
la fonte di sicurezza e consigli. Istintivamente mi alzai e prima che
potessero parlare o semplicemente muoversi li abbracciai nuovamente.
“
Santo
cielo. Se andiamo avanti di questo passo finirò per perdere
la mia
Miranda!”- esclamò Jonathan piagnucolando.
“
Oh
smettila!”
Avevo vissuto
quella giornata con
l'assenza della mia dolce acidità e mancanza di applicazione
alla
mia storia. Di quel passo nemmeno dieci anni mi sarebbe serviti per
portare a termine quel duro lavoro. Il fatto era che
pur cercando di concentrarmi Ville prepotentemente entrava nei miei
pensieri e difficilmente con quell'immagine stampata nella mente
riuscivo a concentrarmi nonostante quella stessa illuminazione aveva
provveduto ad ispirarmi. Anche Ville era un'arma a doppio taglio.
Speravo che non fosse così letale da farmi male..
La sera era
giunta in tutto il suo
splendore suscitandomi una leggera agitazione nonostante non ci fosse
nulla di così grave da farmi stare in quel modo. Era
solamente un
uscita!
Non sapevo se
dare la colpa alla mia
scemenza o ad Amber. In quelle ore non ero riuscita a prepararmi
psicologicamente a tale evento e nonostante cercassi di recuperare in
quel momento, il mio piano risultò fallace. Così
evitando del tutto
le paranoie, mi diressi in salotto anche per capire a che punto
stesse l'allegra brigata.
Trovai Jonathan
vicino alla porta e
incuriosita guardai ciò che stava fissando. Stava osservando
Elisabeth concentrata su delle foto che stava
mettendo in un recipiente.
“ Che
sta facendo?”- sussurrai a
Jonathan. Egli si voltò e a bassa voce disse: “
hai creato un
mostro. Sei contenta?”
Tornai a
guardare Elisabeth tutta presa
nel tagliuzzare l'ennesima foto con gli occhi che avevano un luccichio
sinistro. Poco dopo, quando il recipiente fu degno di attenzione,
prese l'accendino e appiccò un bel fuocherello.
“
Ognuno
di noi ha un modo per esorcizzare il dolore. Lei lo fa così.
Noi non
siamo nessuno per impedirle di farlo. Quando tu diventerai il
più
grande psicologo del mondo allora le darai qualche bel
consiglio.”
Gli
diedi una pacca sulla spalla ed entrai in salotto. Jonathan mi
seguì e appena Elisabeth ci vide, bruciò l'ultima
foto e sorridendo
disse: “ ragazzi! Bene, dopo aver fatto quello che dovevo
fare da
un bel po' di giorni, posso andarmi a preparare per la
serata.”
Dopo
aver spento le fiammelle, buttò il tutto sospirando con
finta
serenità e prendendomi per un braccio disse: “ su
andiamo!”
Quando
fummo in camera mia si avvicinò agli indumenti che avrei
indossato
quella sera. Non erano niente di speciale. Visto la mia leggera
contrarietà per vestitini e compagnia simile, il pantalone e
la
maglia che stava studiando Elisabeth erano decisamente le cose sulle
quali la mia guru non avrebbe avuto nulla da dire specie se erano gli
stessi indumenti che lei adorava.
“
Okay
questa volta mi piaci.”- disse sorridendo. Presi i vestiti
sorridendo e iniziai a prepararmi.
Mi
guardai allo specchio continuando a girarmi e rigirarmi, studiando
con occhio critico la maglia grigia sfumata e i pantaloni neri
leggermente strappati.
"
Mi stai facendo venire mal di testa, fermati!"
Mi
fermai facendo una smorfia. L'unica cosa che non capivo se mi
piacesse o meno erano i capelli. Così lisci sembravano i
degni eredi di
quelli di Raperonzolo con la differenza che a me erano neri.
“Quante
sfumature! Mi sembra di indossare un porno.”- dissi
continuando a
guardare la maglia che ricadeva morbida sulle mie forme scheletriche.
Forse mamma aveva ragione: stavo scomparendo.
“Quanto
sei cretina!”- sospirò sorridendo Elisabeth seduta
sul letto con
le gambe incrociate. Continuò a studiarmi attentamente e poi
disse:
“stai benissimo! Invece.”
“Lo
so, tesoro.”
Suono
schietto, deciso e per niente modesto. Girai sui tacchi e
atteggiandomi a diva, spostai con gesto altezzoso una ciocca di
capelli dalla spalla. Elisabeth mi fissò mezza allibita
mentre io
scoppiai a ridere.
“Modestia
stuprami.”- commentò a bassa voce.
“
Insomma
a parte gli scherzi, dici che vestita così vado bene per un
posto
come il Tavastia?”- le chiesi leggermente preoccupata.
“Fidati!
È un mix giusto. Sei una via di mezzo fra l'abbigliamento
adatto per
un posto che fino a poco tempo fa non conoscevi nemmeno per sentito
nominare e il tuo stile da perfetta acida del cazzo. Sei un gioiello
in pratica.”
“Grazie
della sintesi.”- le dissi ridendo. Stavo per indossare
nuovamente
gli occhiali quando la vidi scendere come una furia dal letto.
“
No
gli occhiali no!”- esclamò categorica. Si
avvicinò e mi strappo
gli occhiali dalle mani.
“
Mah..”
“
No! Qui hai bisogno delle lenti a contatto e non si discute! Fila a
metterle! Corri! Su su!”
Mi
spinse in bagno chiudendomi dentro.
“
Maledetta!”-
esclamai avvicinandomi alla porta.
“
Muoviti!
Non hai tanto tempo!”
“
Perché
sei così rompipalle?”- sussurrai infastidita
guardandomi allo
specchio. Fissai la mia immagine riflessa allo specchio e solo in
quel momento mi resi conto della luce strana che emanavano i miei
occhi.
Sapevo
bene cosa significava. Se non ero un quadro impressionista, tutto mi
faceva pensare a quanto fossi decisamente fottuta; non
simbolisticamente, ma
concretamente. La domanda ora era una: ero pronta alle conseguenze?
Se
qualcuno avesse voluto fare una descrizione di me in quel preciso
istante gli aggettivi utilizzati avrebbero condotto ad una sola
domanda: “ ma è Jade?”
Sì
perché nel preciso istante in cui con i miei fedeli vassalli
entrai
nel Tavastia e incontrai Ville e i suoi fedeli compagni di avventura,
Jade Watson, quella vipera dalle sembianze umane si era trasformata
in un agnellino.
La
cosa era abbastanza strana per me e più ci pensavo e
più capivo di
essere stata ulteriormente fottuta.
“
Piacere
tutto mio..”- terminai salutando Migé. Almeno
credevo che fosse
questo il suo nome. Avevo il cervello completamente azzerato e quei
nomi che apparentemente avevo appreso erano usciti dalle mie orecchie
così come erano entrati. Sapevo già che avrei
fatto qualche figura
di merda. Aspettavo solamente l'occasione propiziatoria.
“
Sei
davvero quella scrittice?”
La
domanda tipica dei maschietti. Ormai la meraviglia aveva ceduto il
posto allo scoppio di una risata che fortunatamente riuscivo a
reprimere.
“
In
carne ed ossa. Beh più ossa che carne.”- risposi
sorridendo.
“
Ragazzi
credo che dovremmo stare attenti. Non si sa mai.”- disse
Migé
rivolgendosi agli altri a cui strappò più di un
sorriso. Sentii
accanto a me la risata di Ville e per me fu difficile restare seria.
“
Fortuna
per voi non sono armata stasera.”
L'atmosfera
che si stava creando non poteva che essere una delle migliori,
peccato che come al solito dovesse rompersi a causa di disturbi
biondi e rifatti dalla testa ai piedi.
In
quel momento mi ero allontanata dagli altri per seguire Jonathan ed
Elisabeth ancora in evidente stato di shock, quando vidi Amber con
passo seducente avvicinarsi agli altri. Immediatamente divenni un
fascio di nervi.
“Mamma
mia guarda quanti denti! Sembra una cerniera lampo.”
“John
smettila! Non posso ridere.”
“Perché
ti sei operata all'appendice e hai paura che ti possano saltare i
punti per le troppe risate?”
“John
ti prego basta.”
“Okay
ho capito. Ti si rovina il trucco. Va beh tanto dopo si
rovinerà lo
stesso.”
“
Scemo."
“
È
la verità.”- restò in silenzio e poi
poeticamente disse: “ con
le lingue intrecciate come un cesto di vimini, i corpi arrotolati
come il sushi, più che amore sembravano sedute di
psicoterapia.”
Era
chiaro a cosa stesse alludendo, anzi a chi. Anche un bambino di dieci
anni l'avrebbe capito. E a quel punto, nonostante l'imbarazzo che
provai, finii per piegarmi in due dalle risate. L'eccesso di
squilibrio di Jonathan quella sera si faceva più letale ad
ogni
minuto che passava e in fondo era anche un bene. Almeno Amber in quei
minuti era diventata una povera sfigata inconsapevole dei suoi
difetti.
“
Sei
un caso impossibile.”- esclamò Elisabeth con le
lacrime agli
occhi. Mentre guardavo in direzione della bionda mi accorsi che Ville
non c'era. Confusa guardai John ed Elisabeth e dissi: “
ragazzi
vado a cercare Ville.”
“
Ho
già capito cosa devi fare.”- disse Jonathan con la
faccia e il
tono di uno che la sapeva lunga.- “ quando si è
nervosi c'è un
solo sfogo.”
“
Piantala
deficiente!”- esclamai ridacchiando.
Stavo
facendo di tutto per non farmi notare dalla Miss, cercando di
nascondermi dietro alla gente, ma era evidente che avesse dei radar
al posto degli occhi. Infatti come un'apparizione demoniaca me la
ritrovai fra i piedi con il suo sorriso beffardo.
“
Guarda chi si vede.”
Quando
i miei occhi si posarono su quel grissino biondo le viscere del mio
corpo presero a contorcersi come non erano mai riuscite a fare e una
rabbia enorme iniziò a farsi spazio nel mio cervello
già di suo
instabile.
“
Che
bella sorpresa! Come mai da queste parti?”
“ Sono stata
invitata.”
“ E chi mai ha
fatto una cosa del genere?”
“
Ville.”-
dissi cercando di simulare indifferenza.
“
Che?
Lui? Ma per favore!”- esclamò scoppiando a ridere.
Le cornacchie
emettevano un suono più dolce a mio parere.
“ Cos'hai contro i
miei inviti?”
San
Michele era arrivato. Il fatto era che invece di entrare nelle vesti
del mio salvatore era entrato nelle vesti del mio personale angelo
della morte. Non era possibile che dovesse sbucare da dietro
facendomi sussultare con la sua voce sexy. Amber immediatamente
cambiò espressione presentando uno dei suoi sorrisi
più finti. Si
trovava in difficoltà.
“
Ah
darling! Finalmente sei qui! Ti stavo giusto aspettando..”
Tono
da gatta in calore. Stavo per partire alla carica, ma Ville
bloccò
il tentativo di buttarmi addosso e massacrarla, non solo con la mano,
ma soprattutto con lo sguardo che stava a significare “
lascia fare
a me.”
Si
rivolse ad Amber e gentilmente le disse: “ credo che dovrai
cercarti come sempre un altro patner. Io sono impegnato.”
“
Beh
quando ti stanchi, perché succederà, mi troverai
di là.”
L'occhiolino
cedette il posto alla sua camminata da pornostar e il mio sangue
salì
completamente nel cervello.
“
Sai
che quando vedo queste cose mi viene da sputare come un lama? Sento
le vene del collo formare la cartina topografica di Miami. Le posso
fare una domanda gentile prima che sparisca dalla mia vista?”
Le
mie gambe si mossero spontaneamente verso di lei.
“Jade!”
Ville
mi bloccò ancora una volta.
“
No
è gentile!”- mi giustificai.
“Jade!”
Lo
guardai e fermando la mia voglia di sangue, chiesi: “ se ne
può
andare a fare in culo?”
Ville
a quel punto allentò la presa e scoppiò a ridere.
“
Vieni
qui. Hai parlato fin troppo.”
Fregandosene
altamente di chi potesse vederci, mi strappò uno dei suoi
baci senza
respiro. Se non ero arrossita in quel momento non sarei arrossita mai
più.
“
Che
cacchio fai?”- chiesi poi guardandomi intorno.
“
Cosa
c'è?”
“
Niente..”
“
Ti
ho messo in imbarazzo.”
“
No!”
“
Sì
invece.”- disse lui sorridendo dolcemente.- “
scusa. Devi capirmi..non potevo
fermarmi..non quando ho davanti donzelle per la quale rischio la
censura.”
“
Scemo.”-
ridacchiai.
“
Bene
prima che finisca per non rispondere delle mie azioni, andiamo dagli
altri.”
Annui
e presi la sua mano. Dovevo semplicemente respirare e stringere la mano
di Ville fino a fargli male nel caso di un possibile ritorno
di dichiarazione di guerra. Erano
questi i due punti su cui stavo lavorando in quel preciso istante.
Il
Demonio aveva mille modi per portare le giovani anime in tentazione,
ma quella che riservò a me probabilmente doveva essere la
tentazione
più forte e spaventosa che potesse avere nel suo vasto
catalogo.
“E
così ora siamo passate da 'sono
un reietto umano' a 'adesso mi scopo i personaggi famosi'.
Perchè è
questo che fate tu e Ville, no? Mio dio..stento a crederci.”
Adesso nemmeno
il bagno era più un posto sicuro. Ero andata semplicemente
per sistemarmi il trucco e ora mi
ritrovavo con stecchino che mi osservava a bracce conserte dallo
specchio. Alzai gli occhi al cielo e voltandomi dissi: “ bene
ora
che hai detto la tua vuoi una somma di denaro?
“Sai
almeno chi è Ville Valo? Sai
davvero tutto di lui?”
Restai in
silenzio prendendo in seria
considerazione l'idea di immergere quella bella chioma nel water.
“Io se
fossi in te starei attenta.
Dopotutto è un uomo, non un santo. Potresti farti del
male.”
Qualcosa in
quelle parole riuscì a paralizzarmi. Quello sguardo lo
conoscevo fin troppo bene e
non prometteva nulla di positivo. Trovai comunque la voce
e dissi: “ lo sai che fine fanno quelle come te? Finiscono
per
cuocere nella loro stessa minestra. Io invece se fossi in te starei
più attenta ai lineamenti di quel bel visino che possiedi.
Posso
anche essere cambiata esteticamente, ma questo non vuol dire che non
abbia il coraggio per strapparti a morsi la carne e fare dei tuoi
capelli un bel scacciaguai.”
“
Hai
dimenticato con chi hai a che fare, Watson.”
“ E tu ancora non
conosci questa Watson. Fidati è meglio non stuzzicarla
perché è
capace di farti fuori in due secondi. Sei monotona, stecchino. Hai
bisogno di cambiare il tuo repertorio, non siamo più al
liceo e non
sei circondata dalla protezione dei tuoi sguatteri. Bisogna
crescere.”
Dopo
aver colpito l'avversario con mia grande soddisfazione, andai via e
deviando il percorso uscii dal
locale per prendere una boccata d'aria.
La
presenza di Amber in quel posto mi aveva per l'ennesima volta
turbata. Appoggiai la schiena al muro e aspettai che mi calmassi.
Di cosa dovevo
aver paura? Forse ero
semplicemente terrorizzata all'idea che potessi perdere qualcosa a
cui mi ero completamente affidata. Non dovevo lasciarmi vincere dalla
paura, lo sapevo bene, ma quel senso di panico e ansia non erano mai
riusciti ad abbandonarmi come io stessa li spronavo a fare. A maggior
ragione in quel momento qualsiasi preghiera o sacrificio a
divinità
sconosciute, non avrebbe di certo migliorato la situazione. In sintesi:
non avevo intenzione alcuna di perdere Ville.
“ Okay
sono figa..sto bene..”
“Non
è bello far venire i complessi
alla gente. Ti ho cercata dappertutto e mi ero seriamente
preoccupato.”
Mi voltai verso
Ville che continuava a
guardarmi serio e abbozzando un mezzo sorriso abbandonai il muro per
avvicinarmi a lui.
“Scusa,
non volevo farti strappare i
capelli per una grande perdita.”
“Una
perdita che per fortuna non è
perdita.”- disse lui sorridendo. Di getto lo abbracciai
appoggiando
la testa sul suo petto. Lo strinsi cercando di sentire sulla mia
pelle il senso di protezione che cercavo per mandare via almeno per
un pò quella fottuta e insensata paura.
“ Ehi,
donzella, che succede?”
Non risposi.
Chiusi gli occhi
continuando a stringerlo. Sentii un bacio leggero sulla testa mentre
le sue braccia costruirono quella gabbia che volevo vedere attorno a
me. Fui cullata per breve tempo insieme alla sua voce che
canticchiò
un motivetto dolce, quasi una specie di ninna nanna improvvisata.
“ Sei
scappata da Amber,
vero?”
Continuai a non
rispondere, sicura che la sua fosse una
domanda retorica. Infatti lo sentii ridacchiare e quando finalmente
mi decisi di staccare la testa dal suo petto lo guardai e restai
semplicemente folgorata dalla dolcezza della sua espressione.
“ Lo
sapevo.”- disse sospirando. Mi
strinse più forte e appoggiò la sua testa sulla
mia spalla.
“ Ma
non per questo devi uscire fuori
a gelarti. Io cosa ci sto a fare?”
“
Scusa.”- dissi dispiaciuta e
quasi sommersa dalla sua spalla. Spostai il viso e gli diedi un
piccolo bacio sul collo. Quel contatto si infranse subito dopo; Ville
tornò a fissarmi e disse: “oggi stranamente la
luna si vede in
tutto il suo splendore. Sai, credo che lei sia come te. È
molto
timida, non ama mostrarsi nella sua totale semplicità
e..bellezza.”
Il dorso della
sua mano accarezzò la
mia guancia. Chiusi ancora una volta gli occhi per sentire meglio
quel contatto fatale.
“
Quando però riesci a rubarle uno
scatto, provi sempre una grande soddisfazione. In quello scatto
c'è
la sua essenza e tutto quello che un altro uomo non riuscirebbe a
cogliere. Tu sei così: estremamente timida e di una
bellezza..unica.”
Sentii un magone
alla gola. Credo che
fosse un rospo morto che aveva bloccato le vie respiratorie.
“
Smettila..mi metti in imbarazzo.”-
dissi con il tono della voce leggermente spezzato.
“
Adesso come nei film dovrebbe
succedere qualcosa di più romantico, quindi..posso
baciarti?”-
chiese ridacchiando.
Ecco, questo a
mio parere era quella
che si doveva chiamare educazione sessuale. Chiedere il permesso per
un bacio e magari dopo dire anche grazie. Non riuscii a trovare nulla
di più sarcastico a cui pensare. In fondo non mi era mai
capitata
una cosa del genere e di certo non avrei detto 'no'.
“Fai
pure.”
Quello scambio
di ossigeno e di
passione finì per riscaldare il ghiaccio che avevo
accumulato stando
lì fuori. Il tremolio che stavo provando non era affatto
dovuto al
freddo, bensì a quella piacevole sensazione.
“ Hai
freddo, entriamo dentro.
Prendiamo le giacche e andiamo via. Ti serve la calma e ci sono un
sacco di posti dove andare dove riuscirai ad essere te stessa in
tutto e per tutto.”- disse dopo che entrambi riprendemmo a
respirare da soli.
“ Va
bene, darling.”- dissi
imitando la voce di Amber.
“ Odio
quella voce. Smettila.”
“ Va
bene.”- continuai allo stesso
modo.
“ Sei
odiosa!”
“ Okay
la smetto.”- dissi
ridacchiando.
Ancora
abbracciata a lui entrai nella
tana dove ad attendermi c'era ancora il lupo, ma dalla mia parte
c'era il cacciatore e la salvezza ormai era completamente dalla mia
parte.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** New Day ***
Lo so! Ho fatto schifo! E' passato un mese e pure di più dall'ultimo aggiornamento >.
Il capitolo fa altamente schifo, ma era necessario, quindi non ammazzatemi :)
Spero che ci sia ancora gente a cui potrà interessare questa vicenda e ringrazio già da ora chi deciderà di spendere un minuto del suo tempo qui con Jade <3
Vals
New Day
Il tempo, da protagonista qual era, scandiva perfettamente ogni attimo della mia vita. L'aveva sempre fatto, ma questa volta si divertiva ad essere più tiranno del solito. Lo era perché sapeva perfettamente quanto ci tenessi a Ville e al fatto di volerlo accanto a me ogni giorno, da perfetta egoista. Erano passati quattro giorni da quando eravamo stati insieme e forse ne sarebbero passati molti altri ancora prima di rivederlo. Non che fosse in Bolivia o in viaggio nello spazio; era più vicino a me di quanto potessi sperare, ma il lavoro, o meglio, la sua Musa si era fatta viva in tutto il suo splendore e, insieme agli impegni lavorativi, aveva provveduto a tenerselo per sé trionfando gloriosamente su di me. Forse dovevo esserne gelosa; essere invidiosa di uno spirito inconscio che aveva catturato e allontanato Ville da me. Cosa c'era di più irritante dell'attesa di rivedere la persona che ti fa stare meglio di quanto tu possa credere?
Solo una fottutissima fonte di ispirazione. Anche io ne possedevo una, ma fin quando si trattava di me, i sentimenti degli altri potevano attendere, ma ora che erano in gioco i miei capivo perfettamente come si fossero sentiti per tutto quel tempo coloro che avevano cercato un pò di attenzione da me, come per esempio i miei amici. Gli artisti in fondo erano tutti dei gran bastardi con tendenza ad un dandismo da far, non solo paura, ma anche schifo. Insomma, erano una gran bella massa di stronzi. Io probabilmente ne ero l'esempio più emblematico, ma allo stesso tempo l'esempio della consapevolezza di aver sbagliato aderendo a tale movimento accettando il contratto che avevo firmato tempo addietro senza aver letto tutti i vincoli. La stessa cosa di Ville, vincolato dalla sua Musa e probabilmente costretto a stare in un angolo a scrivere testi bellissimi, senza aver considerato i dettagli più nascosti di quel dannato contratto che ogni artista era costretto a fare in cambio di un pò di celebrità e della possibilità di vedere le cosiddette " luci della ribalta", le stesse che quando si stancavano di brillare per te, ti fottevano allegramente al primo loro capriccio.
E così in quel momento non mi restava che attendere Ville e affidarmi alla mia Musa e quindi scrivere e allo stesso tempo guardare dalla mia finestra i movimenti del finnico che era riuscito a ridurmi in quello stato di veglia. In fondo la colpa era solo sua se io pensavo a tutto questo! Cercai con tutta me stessa di smetterla di fare quei ragionamenti da stupida filosofa del cazzo per ritornare in me e fregarmene altamente di tutto e tutti come avevo sempre fatto, ma probabilmente ero entrata a far parte di una specie di setta senza che lo volessi, perché pur volendo farlo con tutta la buona volontà, non riuscivo assolutamente a tornare indietro, al tempo in cui Ville non esisteva ancora nei miei sogni e non influenzava la mia scrittura e le mie idee. Ero diventata decisamente troppo dolce per i miei standard e ancora una volta la colpa era da attribuire a quel finnico da strapazzo che, ahimè, mi mancava. A pensarci bene, mi mancava tutto di lui, in primis la sua stramba risata.
Ed erano passati solo quattro.fottutissimi.giorni!
Mi alzai dal letto appena i deboli raggi del sole si posarono con dolcezza sui miei occhi e mi diressi immediatamente alla finestra sperando, come una scema, di trovare qualche traccia di Ville, naturalmente con risultati deludenti. Sospirai e con indosso il pigiama e a piedi nudi entrai in cucina dalla quale proveniva il solito chiasso di prima mattina. Elisabeth era indaffarata come sempre tra i fornelli e Jonathan canticchiava un vasto repertorio di musica di tutti i generi confermandosi per l'ennesima volta jukebox umano. Io invece, ero l'acidità in persona, come sempre del resto. Appena i ragazzi mi videro sorrisero radiosi. Cercai di fare altrettanto, ma ero ben consapevole che quello che avevo fatto non era un sorriso, ma una specie di smorfia deformata.
"Buondì tesoro."- disse Elisabeth sorridendomi appena presi posto.
"Miranda! Buooongiornooo!"- urlò felice Jonathan dandomi un bacio sulla guancia e prendendo posto di fronte a me. Era in perfetto contrasto con la mia faccia da funerale. Mi studiò a fondo e poi schiarendosi la voce disse: " Miranda cos'hai? Avanti dicci tutto. Non ti senti bene? Hai un colorito pallido. È come se tu avessi vomitato. Hai le nausee? Mmh.."- concluse facendo un lungo sorso di caffè e guardandomi di sottecchi divertito. Odiavo quando faceva il cretino in quel modo. Lo fissai con aria assassina e dissi: " Non ho dormito per niente, ho mal di testa, non vedo Ville da quattro giorni, la storia che sto scrivendo sta venendo decisamente uno schifo, ho sonno, prenderei volentieri a calci nel sedere Amber perché non la sopporto e perché così mi gira e non voglio sentire una mosca volare. Quindi non provocarmi."- scandii le ultime parole con gran fermezza, tanto che Jonathan restò per qualche minuto scioccato e muto. Poco dopo, però, ritrovò la sua solita parlantina e guardando Elisabeth disse: " eccola tornata alla sua normalità. Iniziavo a preoccuparmi, sai?"
Elisabeth scosse la testa esasperata e guardandomi, con gentilezza mi chiese: " Cosa preferisci?"
" Un bel caffè bollente, forte e magari corretto con qualche goccia di alcolico a tua scelta."
" Io, invece, credo che un caffè normale sia la cosa giusta."- disse Elisabeth, porgendomi una tazza di caffè che io accettai senza parlare.
" Dovresti essere più tranquilla."- commentò poi sedendosi accanto a Jonathan.
" Non è facile."- cercai di non essere la solita antipatica del cazzo e per questo modulai il tono della voce rendendolo quasi un sussurro mortifero prima che le mie labbra aderissero al bordo della tazza. Il caffè era bollente, come avevo chiesto. Peccato che non ci fosse nessuna traccia della mia richiesta di alcolici.
" Di cosa hai paura?"
Guardai Elisabeth restando nella stessa posizione di prima, ustionandomi la lingua e le dita. Quando decisi di evitare le ulteriori forme di masochismo appoggiai la tazza sul tavolo e sospirai.
"Non lo so."
Quel " non lo so" detto da me era decisamente la fine. Non ero mai stata capace di dire quelle parole da quando era avvenuta la mia personale trasformazione. Avevo sempre avuto qualsiasi situazione sottocontrollo e risposte perfette in ogni momento. Perché proprio adesso tutto stava andando a puttane? Mi sentii quasi imbarazzata da quella risposta, ma se avessi iniziato ad inventare parole a casaccio da trasformare in risposte perfette proprio per questa occasione, avrei fatto ulteriori danni. Come avevo immaginato, Jonathan ed Elisabeth mi guardarono sorpresi prima di guardarsi a vicenda.
" Ecco, proprio perché non lo sai smettila già dall'inizio di sviscerare i pensieri fino a farti del male senza motivo."- disse Elisabeth.
" E per favore non pensare al peggio. Tu sei il pessimismo in persona e stai stufando!"- continuò al suo posto Jonathan puntandomi un dito contro. Non era arrabbiato, né irritato. Era sempre il solito idiota che con serenità mi faceva presente quanto fossi rompiscatole.
Sorrisi e annuendo dissi: " va bene. Per oggi basta."
" Oh! Alleluia!"- esclamò alzando le mani al cielo. Scossi la testa sorridendo, ma proprio in quel momento notai un velo di tristezza negli occhi di Elisabeth.
Lo sapevo perfettamente quanto stesse ancora male, ma io da perfetta egoista avevo messo da parte i suoi bisogni per occuparmi dei miei che non erano minimamente tragici. Le presi la mano fra le mie e guardandola con dolcezza chiesi: " Lizzie?"
Lei mi guardò dritta negli occhi, sorpresa di sentirsi chiamare in quel modo dopo tanto tempo.
" È strano sentirmi chiamare così. Non lo fai dai tempi del liceo."
" Lo vedo che hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a tirare fuori l'anima. Da quando mi sono persa fra le nuvole ho iniziato a pensare solo a me."
"E hai fatto bene."
"No invece! Ho dimenticato di prendermi cura di te. È come se tu nonostante fossi circondata da amici ti sentissi sola."
Passarono alcuni minuti di silenzio. Jonathan come me guardava serio Elisabeth che a sua volta aveva il capo chino.
" Sono una stupida! Non dovrei pensarci più e invece ecco che prontamente i miei pensieri cambiano strada.."
Ah l'amore! Perché non potevo conoscere il suo inventore? Gli avrei fatto la mia domanda gentile con altrettanta gentilezza.
" Oggi sapete cosa facciamo?"- chiesi guardandoli con un gran sorriso.
" Un festino?"- propose Jonathan alzando la mano. Elisabeth ridacchiò.
" Molto meglio!"- esclamai.- " da quanto tempo non trascorriamo una giornata delle nostre come quelle a Londra?"
" Vuoi dire quelle stupende giornate da ragazzi disperati in casa e tempisti cretini in giro?"- chiese Jonathan al quale si accese uno strano e sinistro brillio negli occhi.
" Esattamente."- risposi altezzosa.
" Ci stiamo! Vero, Liz?"- chiese Jonathan eccitato guardando Elisabeth che a sua volta annuì contenta dicendo: " mi mancano quelle giornate. Allora iniziamo?"
Alla velocità della luce ci preparammo e uscimmo fuori dando inizio a quella giornata che mi avrebbe fatto fare un tuffo nel passato, quello però che mi era sempre piaciuto.
Non ricordavo ultima volta che mi ero divertita così tanto. Forse quella volta si perdeva nella notte dei tempi e probabilmente l'avevo dimenticata. Anzi, forse avevo dimenticato per davvero come mi potessi sentire in quel modo, ovvero, senza pensieri asfissianti per la testa e zero fardelli sulle spalle. Avevo lasciato che la Jade più gentile, dolce e scema si facesse avanti allegramente e spontaneamente. Il che era un gran privilegio, qualcosa da scrivere sui libri di storia e tenere bene in mente per tutto il resto dei secoli che si sarebbero succeduti da quel momento in poi, perché tali eventi erano più unici che rari. Questo, però, se non mettevo in conto l'effetto che mi faceva Ville, quella peste bubbonica che mi aveva contagiata, ma non ancora così tanto. Era anche vero, però, che ero ad un passo dal cedere del tutto e mostrarmi anche lui nelle vesti di " cretina del secolo".
Dopo esserci comportati come tre bambini di due anni per le strade di Helsinki, avevamo dato l'avvio a quello che noi definivamo " il pomeriggio perfetto" fatto di racconti idioti, film stupidi e cene a base di caramelle, gelato e tutta quella roba che il giorno dopo avrebbe portato alla depressione qualsiasi donna incline alla famosa dieta, quel nome onnipresente nella sua vita, anche quando non era necessaria. Ormai era diventata la parola d'ordine anche per quelle ragazze che erano magre come una scopa. La donna era sempre a dieta, anche per bere un bicchiere di latte. A me non interessava nulla. Non sempre mi capitava di partecipare a banchetti del genere e quando si presentava un'occasione non ero così stupida da rifiutare.
Eravamo seduti scomposti sul divano, ognuno preso in quel momento a sbranare un pezzo di pizza, con indosso i nostri vestiti peggiori, quelli da tipici casalinghi disperati. Il primo a rompere quel breve silenzio fu Jonathan che disse: " ecco, mi sono ricordato il sogno di stanotte."
Mi sedetti a gambe incrociate imitando Elisabeth e attesi che facesse il suo monologo.
" Allora: sono sempre al liceo.."
" Possibile che tu faccia sempre sogni che riguardino il liceo?"- chiese Elisabeth.
" Taci, donna! Fammi parlare."
Per tutta risposta, il caro John si beccò un cuscino in piena faccia, ma lui fece finta di niente e proseguì.
" Dicevo: sono sempre al liceo e mi trovo nella sala mensa e mi accorgo di essere completamente nudo.."
" Wow!"- esclamammo in coro io ed Elisabeth.
" Poi mi guardo in basso e mi accorgo che c'è un telefono..là."
" Cioè aspetta..invece di.."
" Sì, esatto Jade."- mi interruppe leggermente infastidito. A quel punto scoppiai a ridere.
" Aspetta non ho finito! Ad un tratto il telefono squilla..e allora si scopre che è mia madre. Il che è molto strano perché non mi chiama mai.."
Alla mia risata si aggiunse quella di Elisabeth e successivamente anche quella del ballerino.
" Sei malato!"- esclamai mentre lui finì per sedersi comodamente a terra aprendo l'ultima scatola di gelato.
" Naaa! Sono un genio!"
" Ingordo! Non penserai che quella vaschetta sia tutta per te!"- esclamai buttandomi su di lui.
" Scimmia fermati! Questo gelato non si tocca!"
" Chi te l'ha detto?"- chiese Elisabeth partecipando alla rissa. Così finimmo per rotolarci sul pavimento cercando di rubare dalle mani di John il gelato.
Ad un tratto dalla tv si fece spazio la voce di una donna, la protagonista di un film che non avevo mai visto e che era abbastanza stupido. Naturalmente l'aveva scelto Jonathan e quindi era più che normale.
" Non voglio regali da te. E' inutile che cerchi di corrompermi.."
Calò immediatamente il silenzio tra di noi, poiché tale frase aveva provveduto a spostare la nostra attenzione su un film che fino a dieci secondi prima faceva solamente da sottofondo alle nostre cazzate. Restammo nelle nostre posizioni scomode a guardare la scena.
" Credo che lui le abbia comprato una pelliccia finta e che a lei non piaccia affatto."- spiegò Jonathan senza distogliere lo sguardo.
" Angie aspetta un figlio da te ed è una cosa vergognosa!"
" E' roba di corna, intelligente."- disse Elisabeth, anche lei senza distogliere lo sguardo.- " non dovrebbe usare quei tipi di pantaloni, però."
" Sono d'accordo."- commentai notando l'orrore che fasciava le gambe della donna. La scena si stava svolgendo su una rampa di scale e scoprimmo presto che la protagonista era di spalle.
" Mi sta antipatica. Buttala giù per le scale!"- esclamò Jonathan rivolgendosi al traditore.
" Buttala giù per le scale! Buttala giù per le scale! Buttala giù per le scale!"- urlammo come dei tifosi durante una partita di calcio, fino a quando l'uomo lo fece e a quel punto scattò da parte nostra un grande applauso. Approfittando dell'euforia presi la vaschetta del gelato e mi alzai di scatto.
" Come ti sei permessa!?"- esclamò Jonathan furioso, ma prima che potesse venirmi a prendere Elisabeth lo bloccò afferrandogli una gamba.
" Zitto. Fra poco tornerà da te..quasi vuota."
Lasciai che le mie orecchie si riempissero della sua rabbia mentre continuai a ridere come una matta insieme ad Elisabeth che continuava a tenerlo tra le sue grinfie.
Non solo ad Elisabeth, ma anche a me erano mancati pomeriggi del genere.
" Hai fatto l'amore!"
E poi c'era mia madre, con le sue solite esclamazioni fuori luogo e dei momenti sbagliati. Non capivo come facesse a non provare imbarazzo, lo stesso che procurava alle persone che l'ascoltavano e che si sentivano prese in causa. In quel caso l'imbarazzo colpì in pieno petto la sottoscritta che si guardò intorno sperando con tutto il cuore che nessuno avesse ascoltato.
" Mamma! Ti sembrano esclamazioni da fare in luogo pubblico?"- dissi a bassa voce guardandola mentre faceva un sorso di the.
" Oh andiamo! Si capisce! Sei troppo gentile e tu di solito non lo sei mai o se lo sei lo fai notare di più quando c'è un bambino nei paraggi."
Questo perché avevo sorriso gentilmente a Liam quando si era avvicinato al nostro tavolo per portarci le due tazze di the caldo.
Il colore della mia faccia era indescrivibile, ma sapevo che il viso era andato a fuoco. Perché avevo una madre del genere? I suoi occhi mi stavano fissando insistentemente tanto da indurmi a rimettere la tazza sul tavolo senza aver bevuto. Sospirai e a denti stretti dissi: " sì, okay è successo."
Mia madre non aveva saputo del grande evento e il fatto che se ne fosse accorta osservando i miei gesti mi faceva paura.
" Oh ma è fantastico!"- esclamò contenta.
" Ssh non urlare!"
" Beh allora? Com'era?"
" Cosa?"
" Jade."- mi riprese con un tono più serio.
" Mamma non puoi farmi queste domande. Sono imbarazzanti!"- protestai.
" Oh e che sarà mai! Insomma la prestazione com'era?"
La fissai dritta negli occhi, sicura di aver capito immediatamente il suo messaggio subliminale.
" Quel com'era non si riferisce alla prestazione."
" Ecco, così ti voglio:sveglia!"- poi mi fece cenno di avvicinarmi e in un sussurro disse: " credimi, in generale, i cellulari sono l'unica cosa che gli uomini sono fieri d'avere piccolo! Spero che per Ville valga la stessa cosa. Insomma che stia messo bene."
" Ti prego smettila."- dissi allontanandomi.
" Come vuoi. Sappi solo che hai lasciato una madre soffocare nella curiosità!"
Non risposi. Ripresi la tazza e finalmente riuscii a posare le mie labbra e a fare il primo sorso, ma proprio in quel momento lei disse: "sta messo bene, altrimenti non avresti la faccia da rincoglionita."
Per poco non morivo soffocata. Cercai di restare calma e in quel frangente un senso di ansia mi colpì alle spalle, come un vero traditore. Mi ricordai che quello era il quinto giorno che di Ville non avevo nessuna notizia e ciò mi rendeva nervosa, ma anche arrabbiata. L'ansia ebbe la meglio e così iniziai a ridar vita a tutti i miei timori.
" Mamma?"
"Dimmi tutto."
" Secondo te la bellezza è importante nella vita?"
Era la domanda che mi ero sempre posta e che dal momento in cui Amber aveva fatto la sua comparsa mi stava ossessionando il doppio.
" Non così tanto come può sembrare.."- rispose lei risoluta.
" No! È fondamentale!"- esclamai presa da un mezzo attacco di pazzia.
" Oh su cara! Anche io avrei voluto il sedere di Jennifer Lopez e le tette di Jessica Simpson e invece mi ritrovo con il sedere di Alan Rickman. Dio non può accontentare proprio tutti i nostri capricci."
" Come riesci a sollevare tu il morale, non riesce a farlo nessuno, mamma."
" Non dirmi che in tutto questo centra Amber!"
Perché sapeva leggere nella mente? Come faceva, maledizione?
" Io..oh lascia perdere."- dissi fissando il mio the.
" Tesoro, quella Amber che ti ha fatto del male ha ceduto il posto ad una che è prossima alla lobotomia. L'hai vista? Si crede ancora bella? Ma per favore! Sorridi e goditi quello che ti sta accadendo. Non sei tu quella che deve avere problemi e mi sembra che Ville te lo stia dimostrato."
Guardai quel volto incorniciato da un bellissimo sorriso che mi fece pensare immediatamente a quanto mia madre apparisse fottutamente giovane.
" Mamma, Ville resta lo stesso un uomo. Sì, lo so!"- dissi interrompendo quello che certamente sarebbe stata la solita predica.- " lui è diverso, ma con questo non vuol dire che sia un santo. In fondo io credo di conoscerlo solo attraverso quello che il mio sesto senso ha percepito. C'è ancora un abisso da scoprire...e io inizio ad avere paura di questo."
Finalmente avevo dato voce a quei pensieri repressi, quelli che di solito si affacciavano sulla mia testa quando Ville era lontano da me. Mi madre alzò gli occhi al cielo.
" Non riesco a credere a quello che sto sentendo. Mi chiedo se tuo padre non fosse imparentato con Schopenhauer. Jade! Perché vuoi fasciarti la testa prima di cadere? Noi siamo donne e la cosa positiva che abbiamo nel DNA è che riusciamo ad alzarci più forti di prima. Questo tu lo sai! Riusciamo a superare un ostacolo rafforzandoci. E se anche dovesse succedere che Ville si stufi di te, si fa un altro papa!"
La guardai restando in silenzio. In fondo aveva ragione, ma forse ancora non capiva che qualcosa in me era cambiato; molto probabilmente quello che sentivo non era infatuazione, ma qualcosa che si avvicinava all'amore. Anche lei mi guardò.
" Sei stata lasciata?"- mi chiese.
"No."
"Hai scoperto che Ville ti tradisce?"
"No."
"Quindi?"
"Ma sono le prime volte. È normale che agisca in questo modo. Tutti noi quando siamo all'inizio di una relazione diventiamo angeli scesi dal cielo e non faremmo nulla di male all'altro. Potremmo anche essere cosparsi di panna montata e noi continueremmo a comportarci nello stesso modo."
"Jade, da quanto tempo sei qui?"
"Quasi un mese."- le risposi confusa. Dove voleva arrivare?
"E Ville da quando lo conosci?"
"Quasi un mese."- ripetei sentendomi leggermente stupida.
" Bene. Ora per te un giovane che non solo è famoso, ma anche molto bello e con un seguito di ragazze disposte a tutto per lui, perché avrebbe sacrificato la sua pazienza con te per un mese? In fondo poteva farsi i fatti suoi e mandarti a quel paese subito dopo la prima sparata acida che avevi fatto."
"Perché non ha niente da fare."
"Mi deludi Jade. Non vuoi usare il cervello e non vuoi ammettere a te stessa che provi un sentimento per lui che credevi di non poter provare più e ne hai paura. Ville prova lo stesso e a differenza tua è molto meno timoroso perché lui sa che bisogna buttarsi e fregarsene delle conseguenze. Lui lo fa pensando al presente, a quello che prova in quel preciso momento e dovresti fare lo stesso anche tu."
Mia madre ancora una volta non sbagliava.
" Forse hai ragione."- dissi.- " sì, non dovrei preoccuparmi di nulla."
"Mi prometti che la smetterai con queste riflessioni campate in aria?"
Le sorrisi e annuendo dissi: " promesso."
Aspettai che lei bevesse prima di parlare.
"Sai...ti invidio. Tu riesci sempre a vedere il lato positivo in tutto quello che succede e non ti scoraggi mai. Hai sempre avuto stile e mi sono sempre chiesta dove avessi imparato tutto questo."
L'avevo detto per davvero. Dopo trent'anni le avevo detto quello che avevo sempre pensato. Era sorpresa, ma allo stesso tempo la vidi compiaciuta. Il suo sorriso almeno mi dimostrava questo.
"La cosa di cui sono felice più di ogni altra cosa è che il carattere l'hai preso da me. Tu hai le mie stesse attitudini, Jade, anche se nelle relazioni con gli altri siamo un pò diverse. Quello che al momento ti manca è la sicurezza. Io, però dovrei fare una statua gigante a quel finnico per come ti ha reso più umana. Pensi che Amber possa avere delle speranze anche ora nel distruggerti, ma in realtà non è così. Ville ha occhi solo per te!"
Sorrisi un pò imbarazzata, per poi rivolgere il mio sguardo verso l'esterno. Era super ufficiale: Ville mi mancava da morire.
" Tu volevi sapere cosa si nasconde dietro Demetra."- dissi in quel momento mia madre.-" beh.. ti interesserà sapere che c'è meno di quello che sembra: un paio di battute perfette e vestiti impeccabili, ma a parte questo non c'è niente di eccezionale. Credimi, il 99% lo fanno i vestiti."
"E l'altro 10%?"- chiesi curiosa. Mia madre allungò una mano e la posò sul mio petto all'altezza del cuore.
"L'altro 10% è qui dentro e tu ne hai da vendere, ragazza. Vale molto di più del 99% speso in atteggiamenti da super diva con la puzza sotto al naso."
Annuii convinta e la ringraziai mentalmente per quel momento di grande insegnamento. Non succedeva mica tutti i giorni!
"Beh adesso che ne dici di alzarci e andarcene un pò in giro?"
"Agli ordini!"
Tornai a casa con un gran sorriso stampato sul volto ricordando le parole di mia madre e pensando a Ville che proprio durante quel pomeriggio si era degnato di chiamarmi.
" Stavo per chiamare l'FBI."
" Lo so, sono imperdonabile, ma tu mi perdonerai, vero?"
" Solo se ti presenti davanti casa con un grosso mazzo di rose e minimo dieci scatole di scarpe, possibilmente firmate."
" Magari anche due pellicce con una bella borsa di pelle."
" Credo che tu sia l'uomo giusto per me."
" E tu una sanguisuga."
" Come osi?"
" Oso eccome! Io sto cercando di dirti che mi sei mancata e tu pensi a come farmela pagare."
" Beh, non lo so io! Sparisci per cinque giorni senza farti sentire! Davvero ti sono mancata?"
" No, stavo scherzando. Effetto della canna.."
" Quanto sei simpatico!"
" Da qualcuno dovevo pur imparare."
" Io sono simpaticissima."
" Non stavo parlando di te! Possibile che tu sia così egocentrica?"
" Senti chi parla!"
" Io sono modesto, umile, gentile e non bastardo."
" A questo punto io sarei la dolcezza in persona."
" Mh..mi sa che non ci siamo. Tu dolce! Potrei non farcela."
" Stupido!"
" Comunque spero che tu sia contenta di sapere che domani sarò tutto tuo."
" Non sono contenta.."
" NO!?!?"
" Non urlarmi nelle orecchie! Lasciami finire, no? Dicevo non sono contenta..sono felicissima di questo!"
" Davvero?"
" Certo! Perché tu non lo sei?"
" Beh, mi cogli di sorpresa! Ehm..io..io sono più felice di te.."
" Come sei dolce!"
" Non prendermi in giro."
" Non lo sto facendo!"
" Il tuo tono di voce non era dello stesso parere."
" Quanto sei suscettibile! Bene vorrà dire che domani recupereremo un pò di cose."
" Mh..la cosa si fa interessante!"
" E non sai quanto!"
" Donzella fermati! Così finiamo male.."
" Va bene la smetto.."
" Scusami..devo andare."
" Allora a domani.. Milord."
" A domani..Donzella."
Non credevo di potermi sentire così leggera come in quel momento. Forse ero troppo leggera, perché non mi accorsi del ragazzo che si parò di fronte a me poco prima di raggiungere la mia dimora.
" Jade!"
Dopo essere tornata in me, guardai attentamente quegli occhi azzurri davvero stupendi e indugiai per qualche istante su quel volto fottutamente familiare.
" Antony?!"- esclamai sorpresa. Antony Smith, era l'ultimo ragazzo che mi sarei immaginata di trovare lì. Era un mio collega che anche in maniera sfacciata in tutti quegli anni mi aveva fatto la corte, senza naturalmente ottenere qualcosa in cambio.
" Non sei contenta di vedermi?"
" Che ci fai qui?"- chiesi a mia volta con tono distaccato. In quel modo calai in pochi istanti la crescita del suo ego. Credeva davvero di riuscirmi ad ipnotizzare con quel sorrisino? Ci sarebbe riuscito di sicuro con le altre, ma non con me. Io avevo Ville e il suo sorrisino malizioso era il più bello e decisamente il più sexy. Antony non poteva competere con il mio finnico.
Cercai di restare indifferente ai battiti accelerati scaturiti dai pensieri che ebbi su Ville in quel momento e affrontai con ulteriore e vera indifferenza quell'uomo che mi stava facendo perdere la pazienza. Cosa cazzo voleva?
" Sono qui dai miei parenti. Resterò per Natale, ma stavo già per pentirmi di questa scelta..prima di incontrare te."
Questo non aveva capito proprio un cazzo. Io di certo non sarei stata il suo passatempo, né il regalo anticipato di Natale.
" Scusami devo andare."- dissi senza l'ombra di un sorriso, superandolo.
" Ci possiamo vedere questa sera?"
Mi voltai e lo squadrai a fondo. La sfacciataggine non lo avrebbe abbandonato mai.
" Sono occupata, spiacente."- risposi prima di accelerare il passo.
Quando entrai in casa sentii il cellulare vibrare e vidi un messaggio lampeggiare sullo schermo e che apparteneva a Ville.
Possibile che anche la Musa mi parli di te? Non bastano i miei monologhi con Migé! Vedi che effetto fai alla gente!
Stanotte pretendo di essere presente nei tuoi sogni. Io farò lo stesso.
Tuo Milord.
Rilessi il messaggio per due volte di seguito e sentii gradualmente il mio cuore sciogliersi. Davvero parlava di me con le persone a lui più care?
Iniziai a sorridere come una cretina.
Adesso era chiaro come il sole. Era bastato quel semplice messaggio e quella telefonata per rendermi sicura di una cosa che allo stesso tempo mi incuteva timore: non solo avevo il cervello completamente fuso quando ero con Ville, ma adesso più che mai capii quanto mi fossi innamorata di quel finnico da strapazzo.
Ok rileggendolo è decisamente uno schifo -.-"! Quindi vi capisco perfettamente se vi ha suscitato nausea e forti mal di pancia. Vi giuro che ho cercato con tutta me stessa di immaginare Antony brutto, ma non credo di esserci riuscita..perché?
http://24.media.tumblr.com/tumblr_ljsvfph87L1qa0e9eo1_500.png
Vi prego...immaginiamolo racchio T__T
Voi state tranquille..non si tratta di Beautiful..quindi non ci saranno bordelli enormi..è solamente un altro personaggio che fa la sua comparsa così come è successo per Amber..anche se in questo caso si tratta di mio marito u.u xD
Alla prossima ladies <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** When I first saw you ***
When I first saw you
I miei piedi sembrarono dotati di vita propria nell'esatto momento in cui decisi di mettermi comoda indossando i miei abiti sformati per aspettare il ritorno di Elisabeth e Jonathan per quella sera, l'ultima che avrei trascorso senza Ville. Il fatto che stessi facendo avanti e dietro in salotto accanto alla vetrata, passandomi ogni dieci secondi una mano fra i capelli, spostando il ciuffo da una parte all'altra, tormentandomi le dita e per giunta ferendomene una, mi stava dando alla nausea, ma non riuscivo davvero a smetterla. Era anche vero, però, che se continuavo in quel modo da lì a qualche minuto sarei morta dissanguata. In fondo, non c'era nulla per cui valeva comportarsi in quel modo, nessuno stava per morire. Da quando in qua, quindi, Jade Watson si comportava come un'anima in pena?
Beh da quando il suo cuore era ormai stanco di tenere nascosto quella forte emozione che con tutta l'anima aveva cercato di tenere sottocontrollo chiedendo aiuto alla ragione, la quale ormai era priva di altro coraggio per continuare l'impresa, e Jade in persona era ad un passo dallo sprofondare nel sentimentalismo più totale, quello per eccellenza, odiato a morte dalla sottoscritta e sviscerato fino in fondo per privarlo di quella magia che tante donne aveva conquistato. In altre parole si trattava di quel caro sentimentalismo che sempre la sottoscritta aveva trasformato e tenuto sotto le spoglie del cinismo più accanito e zelante.
Ora però, come tutte le storie del mondo, anche quella era giunta al suo termine, ma io, da fan ostinata della saga, cercavo con tutta me stessa di evitare che l'emittente televisiva smettesse di mandare in onda quel programma. Come avrei fatto senza? Era come privare una donna del suo abito più prezioso dicendole che non l'avrebbe potuto più indossare perché ormai era passato di moda, procurandole infinite ferite con altrettanti infiniti coltelli.
Avevo vissuto per tutto quel tempo nella sicurezza che mai nessuno sarebbe riuscito a cambiare le mie prospettive, i miei pareri sull'amore e mutare il mio cinismo perfetto, e adesso era bastato il primo Spiritoso d'Egitto di passaggio per mandare a puttane tutto quello che avevo costruito!
Udite udite: Jade Watson era stata ufficialmente battuta da un uomo e per giunta si era innamorata. Aaah non dovevo dirlo! Al solo pensiero non solo sentivo la necessità di affogarmi, ma anche il timore che da un momento all'altro l'imbarazzo e la vergogna mi avrebbero soppresso con la loro fottuta potenza.
Ero sempre stata quel tipo di donna che se per un giorno fosse stata onnipotente avrebbe espresso il desiderio di essere per sempre tale. Io volevo tutto, ma senza mettere in ballo i sentimenti. E invece ora dovevo finalmente guardare il mio conto e pagare tutto.
Avevo promesso a me stessa che appena sarei tornata a casa avrei smesso di rovinarmi l'esistenza con le mie stupide domande del cazzo, ma era impossibile gestire tutto. In fondo ero umana anche io, anche se alle volte qualcuno si stupiva di questo. Come facevo a starmene calma, sapendo che era giunto il momento di dire a Ville quello che sentivo? Io ero sempre stata allergica a queste forme di confessione.
Come diceva mia madre, dovevo fregarmene altamente e dire e fare quello che l'istinto mi diceva di seguire. Avrei sofferto? Poco importava. Tanto la mia vita era stata una sofferenza continua ed ero sempre abituata al peggio, quindi, perché essere così problematica?
Forse il mio vero problema era questo: la mia bocca non aveva mai pronunciato a nessun essere vivente di sesso opposto la famosa frase " ti amo". La trovavo estremamente pericolosa, portatrice di malattie infettive ad alto tasso di mortalità, simile all'acqua santa e al suo effetto di acido sulle pelli demoniache. Ed essendo io Satana in persona, era chiaro che stessi a debita distanza dall'acqua santa.
Pronunciare il " ti amo", per tutti gli essere viventi era, a mio parere, la forma conclusiva di quel lungo viaggio fatto dal cuore per giungere alla meta tanto voluta e sognata. Era la ricompensa perfetta dopo tutto quel patimento e tutta la sofferenza che il viaggio portava con sé. Per me era così difficile capire perché gli uomini e le donne la usassero. Insomma come facevano a riporre fiducia in un estraneo e magari dopo un anno, o anche dieci settimane, lasciare tutto e dirglielo ad un altro? Bella domanda.
Qualcuno disse che si ama solamente una volta sola nella vita, le altre sono solamente delle piccole illusioni. Crediamo di riuscire ad amare chiunque ci faccia stare bene dopo un grande amore finito, ma in realtà un nostro pezzo di anima resterà sempre legata a quel sentimento ormai finito. E pronunciare quella parola magica, quel " ti amo" a più persone portava alla perdita del suo significato più profondo. Per me dire quel " ti amo" era come perdere la verginità. Per questo bisognava fare molta attenzione! Le parole, specie queste che portavano con sé una grande carica emotiva, dovevano essere usate con molta cautela e solamente quando si era sicuri al 100%.
Che poi a dire tutto ciò fossi io, questo era un altro paio di maniche.
Secondo il mio punto di vista, il " ti amo" era una delle tante conseguenze portate da quello che io chiamavo " il bacio perfetto". Per le donne il bacio era importante quanto tutto il resto. Non importava quanto potevi essere eccezionale a letto. Se la scintilla non scattava dal bacio il resto non era altro che una barzelletta di pessimo gusto. Anzi, il bacio era importantissimo, perché era da quel gesto che si riusciva a capire che uomo era quello che avevi scelto per tante ragioni non sempre spiegabili.
Un bacio casto voleva dire " scusami, oltre questo non so andare.".
Un bacio rubato invece " sono in astinenza, ti prego assecondami."
Un bacio profondo, sensuale e rubato voleva dire solo una cosa: amore. Era questo quello che per me era " il bacio perfetto" e fu quello che provai nel momento in cui Ville mi baciò per la prima volta, ma volli cercare di reprimere quel pensiero riuscendoci solo in parte. Quel bacio aveva un potere straordinario, una sorta di energia che difficilmente si riusciva a comprimere o peggio ancora ad eliminare reprimendo qualsiasi forma di dolcezza. Ed era, inoltre, quel tipo di bacio che avrebbero dovuto provate tutte quelle donne alla ricerca di un riscatto per fottere chi le aveva fatto del male.
Non si trattava di sesso o di attrazione da tipici scopamici. In fondo il sesso lo si poteva fare dappertutto, un po' come la pipì. L'amore, invece, richiedeva molto di più. L'avevo capito fin da subito che si trattava di qualcosa da cui non sarei riuscita più a fuggire. Anche io ero giunta al capolinea, anche se tutt'ora cercavo ancora quella scusa, quel difetto, quell'appiglio che mi facesse dubitare ancora e restare sulle mie.
No..non c'era nulla del genere. Ville nella sua imperfezione era..perfetto.
La porta in quel momento si aprì ed Elisabeth fece la sua comparsa con un gran sorriso stampato sul volto e, dopo tanti giorni, una luce diversa negli occhi. Forse finalmente quel demone ingordo era riuscito ad andare via da lei e quel vampiro del cazzo che l'aveva fatta soffrire, forse ci aveva lasciato per sempre.
" Che stai facendo?"- mi chiese curiosa osservando il mio comportamento.
" Niente."
Mi squadrò a fondo e poi andò in camera sua a cambiarsi. Quando tornò in soggiorno io avevo provato a rilassarmi sedendomi sul divano. Proprio in quel preciso istante la porta si aprì di nuovo e Jonathan varcò finalmente la soglia completando il trio, ma a differenza di Elisabeth la sua faccia era funerea.
" Ciao."- disse con tono spento e funereo come la sua espressione.
" Quando lui dice ciao, mi viene voglia di uccidermi."- disse Elisabeth sedendosi sulla poltrona e guardandomi. Sorrisi scuotendo il capo e poi mi rivolsi di nuovo a John che si era abbandonato sull'altra poltrona completamente moscio.
" Tutto bene?"
" Sto come se mi avessero messo una mano in gola, preso l'intestino, l'avessero strappato dalla bocca e me l'avessero stretto intorno al collo."
Lo fissai mentre lui sospirò fissandosi le mani. Forse avevo capito il motivo per cui stava così, o meglio, sapevo chi si potesse nascondere dietro quelle parole e quel tono spento.
" Per caso centra quella ragazza che avevi conosciuto alla galleria?"- chiesi con calma avvicinandomi.
Lui mi guardò per un mezzo secondo e poi annuì guardando le sue mani.
" Ho seguito il tuo consiglio e sono stato gentile, carino..perfetto."
" E allora?"
Jonathan restò per due minuti in silenzio fissando il tavolino di vetro e poi sbuffando disse: " è lesbica!"
" Che cosa?!"- esclamammo in coro io ed Elisabeth decisamente sorprese.
" Già."
" C'è bisogno di una bella cioccolata calda."- propose Elisabeth alzandosi e iniziando immediatamente i preparativi. Era il suo modo per esorcizzare i problemi.
" E per tutto questo tempo non l'avevi capito?"- gli chiesi cercando di non essere priva di tatto.
" Beh..no!"- esclamò gesticolando.-" Oh andiamo! Come facevo a capirlo? Avevo gli occhi foderati di prosciutto, dannazione!"
Continuò a sfogarsi fino a quando sedendosi nuovamente disse: " okay, io sto bene. Sto bene!"
" No, che non stai bene."- commentai squadrandolo.
" Infatti! Che andasse al diavolo! Ho sprecato settimane intere senza accorgermi di niente."
Elisabeth tornò con il toccasana preferito di Jonathan e insieme ad esso anche una lettera.
" Questa non l'hai vista? Era sul tavolino del corridoio. Te l'hanno mandata questo pomeriggio, ma tu non c'eri. Non l'ho aperta perché mi avresti ammazzata. Chissà magari ti dicono che sei diventato ultramiliardario."- disse Elisabeth cercando di strappargli un sorriso. Lui fissò la lettera e gliela strappò di mano senza proferire parola. Ad ogni passo che lesse, il suo viso cambiava espressione alla velocità della luce, fino a quando si alzò e iniziò a saltellare come un pazzo urlando come una checca isterica. Io ed Elisabeth ci guardammo senza capire cosa stesse accadendo.
" Guardate! Guardate! Guardateee!"- esclamò gesticolando e urlando.
Io presi la palla al balzo e imitandolo alzai le braccia e rivolendomi ad Elisabeth dissi: " guarda ho i gomiti!"
" Aaaaaaaaah!"- esclamò Elisabeth assecondandomi. A quel punto Jonathan si fermò e ci fulminò con lo sguardo.
" Stupide."
" Se la smettessi di dimenarti come un cretino sventolandoci davanti agli occhi quel foglio a velocità stratosferica, forse e dico forse potremo guardare qualcosa."- lo rimproverai.
" Oh ehm..già. Scusate."- si calmò, ma dopo due secondi eravamo al punto di partenza.
"OHMMMIODIO!"
" John! Ci dici che succede?"- chiese a sua volta Elisabeth.
" Okay. Jonathan concentrati."- disse il ballerino sedendosi. Dopo due secondi era già in piedi.
" Il fatto è che..la Regina HA CHIESTO DI NUOVO DI ME! Lo capite? Se tanto mi da tanto fra un anno sarò di nuovo in tour con LEI!"
Ecco di cosa si trattava! Dovevo capirlo fin da subito che centrava la sua ossessione.
" Ma è fantastico!"- esclamò Elisabeth abbracciandolo. John dopo essersi liberato dall'abbraccio, preso da un attacco di schizofrenia acuta, iniziò ad improvvisare una coreografia, l'unica che mi era famigliare perché di solito veniva utilizzata quando era felice. Era bastata una chiamata della famosa Beyoncé per fargli dimenticare le sue pene. Jonathan era sempre stato così, in fondo. Odiava essere triste e arrabbiato e quando lo era passava interi pomeriggi chiuso in camera o nella sua vecchia palestra a Londra con la musica ad alto volume. Si sfogava ballando ed era così che in quegli anni riuscì a realizzare le coreografie più difficili e belle, invidiate da mezzo mondo.
" Baby it's youuuuuuuu! You're the one I loveeeeee! You're the one I neeeeeeeed! You're the only one I seeeee! Come on baby it's youuu uuu uuu! You're the one that gives your aaaaaall! You're the one I can always caaaaall! I need you make everything stop! Finally you put my love on top! Oooooooooooooooooooh! Come on baby!! You put my love on top, top, top, top, tooooooooooop! You put my love on top!"
Terminò la canzone piegato a terra fingendo di avere in mano un microfono. Lo guardai scioccata mentre si rialzava saltellando e prendere poi posto sul divano dove restò ad occhi chiusi e con un gran sorriso stampato sul viso, tenendo stretto fra le sue mani il foglio miracoloso.
" Per la prima volta assisto ad una tua scena isterica dal vivo invece che per via telefonica. Elisabeth, mi dici come fai a sopportalo? Dio, ho l'udito rovinato."
" Sparati."- disse lui con semplicità senza guardarmi e con il sorriso ancora in bella mostra.
" Mio dio, John! Quanto siamo suscettibili!"- esclamai sghignazzando. Aprì un occhio e disse: " strega insensibile."
Lo guardai continuando a sorridere. Il mio amico John non poteva ancora sapere che sulla mia insensibilità ora si poteva aprire un forum e discuterne all'infinito. Questo fra l'altro fece risvegliare in me un bel po' di pensieri che avevo accartocciato come fogli inutili, scoprendo invece che servivano.
Non ne sarei uscita viva e il fatidico giorno del ritorno era ormai imminente..
Riuscii a dormire quel tanto che mi bastò per sognare almeno due volte di seguito Ville. Ormai non riuscivo più a fare altro. Quando entrai in cucina non mi accorsi nemmeno che gli altri mi diedero il buongiorno.
" Il mister ti ha mandato qualcosa."- disse Jonathan porgendomi un grande mazzo di rose che immediatamente mi fece risvegliare del tutto da quello stato di torpore in cui ero caduta dopo l'ennesimo sogno strano.
" Sono per me?"- chiesi incredula prendendolo fra le mie mani. Annusai le rose e immediatamente un sorriso largo quanto la vastità oceanica si fece spazio.
" No, sono le mie. Volevo farti rodere un po'."- disse Jonathan a braccia conserte. Scoppiai a ridere come una stupita. Che domande erano?
" Scommetto che uno di voi due ha letto il biglietto."- dissi continuando a guardare le rose, notando la parte leggermente rovinata nella quale sicuramente c'era qualcosa. Guardai prima Elisabeth che immediatamente indicò Jonathan il quale aveva iniziato a fischiettare subito dopo le mie parole e che ora mi guardava sorpreso. Sapevo che era stato lui, come sempre del resto.
" Chi ti dice che possa essere stato io?"
" Avanti dammi il biglietto, ficcanaso."
Lui mi fissò senza muoversi.
" John!"
Vedendo che lui esitava, gli pestai un piede.
"Aaaaaaaahiaaaaaaaaa!"
" Dammi il biglietto."- dissi sovrastando le sue urla di dolore.
" Oooh e va bene!"- disse sconfitto. Gli strappai dalle mani il biglietto e osservai la calligrafia.
Vorrei sfiorare dolcemente il tuo corpo e baciarlo in ogni suo punto..mi manca stare accanto a te e vederti tutti i giorni..
Aaah Ville!
Arrossii immediatamente e sapendo che l'aveva letto anche Jonathan il mio rossore aumentò più del dovuto e subito mi lanciai contro di lui urlando: " L'hai letto anche tu! Come ti sei permesso?! Queste cose tu non devi leggerle! Come hai osato?!"
"Ahiaaaa! Smettilaaa! Jade mi stai ammazzando la spallaaa!"
Mi allontanai solo quando fui sicura di avergli inferto il mio colpo finale. Il risultato fu: due graffi sul braccio e un morso sulla spalla.
" Sei una cretina! Guarda cosa mi hai fatto!"- esclamò lui.- " intanto l'ho letto muahahahah!"
" Ne vuoi ancora? Io non sono stanca."
" Fatti i fatti tuoi. Sto bene così, grazie del pensiero."- rispose massaggiandosi la spalla.- " mi hai fatto male sul serio, porca zozza!"
Non lo ascoltai. I miei occhi e il mio cervello erano piuttosto presi da quella piccola sorpresa che fu più che gradita e che immediatamente fece aumentare la voglia matta di vederlo. Sarei riuscita a sopravvivere quel giorno?
Le ore scorrevano a grande velocità e un altro giorno sembrava che mi stesse abbonando senza Ville. Eppure lui aveva detto che ci sarebbe stato! Continuavo a guardare le rose accuratamente sistemate in un vaso mentre le mie mani giocherellavano con il biglietto e ogni tanto un occhio cadeva su quelle parole che riuscivano a sedarmi, ma allo stesso tempo mi gettavano bel panico.
Quando viene devi dirglielo!
Dirgli che lo amavo?
Volevo spararmi.
Mi alzai per l'ennesima volta dal divano e andai a spiare dalla finestra per vedere se riuscivo ad intercettare qualche rumore o scorgere qualche ombra, ma niente.
Ero decisamente un'anima in pena.
Poi all'improvviso, quando tutto per me sembrava ormai andato a farsi fottere, il campanello suonò e di corsa mi fiondai alla porta. Quando aprii fui completamente rapita da due occhi verdi e profondi che facevano da ciliegina sulla torta a quel viso dai lineamenti perfetti e quasi femminili, di cui mi ero completamente innamorata. Adoravo il suo berretto, i capelli mossi che facevano capolino da sotto e il suo sorriso enorme. Per un attimo sentii che il mondo si era fermato, o forse era il mio cuore ad aver arrestato i suoi movimenti consueti. Avrei tanto voluto che qualcuno mi facesse una foto in quel preciso istante giusto per prendermi in giro da sola in un altro momento.
Ville si mise in ginocchio e con le mani congiunte disse: " perdonami per questo mio deplorevole ritardo, ma ho dovuto fare un'intervista e poi mio fratello Jesse mi ha rotto un po' le scatole. Perdonami, oh potente spirito maligno, donzella dolce quanto un limone."
" Dai alzati scemo!"- gli dissi dandogli un colpetto sulla spalla. Lui si alzò ed entrò dentro. Appena chiusi la porta le sue labbra furono rapidamente sulle mie, mentre le braccia mi circondarono nella famosa stretta fatale. Prima di perdere quella poca sanità mentale che avevo lo fermai e dissi: " tu sei completamente pazzo! Non era necessario che mi mandassi delle rose,che tra l'altro sono bellissime."
Stavo per riprendere possesso delle sue labbra quando lui si fermò guardandomi confuso.
" Rose? Quali rose?"
" Non fare lo scemo! Le rose che mi hai mandato questa mattina."
" Non capisco di cosa stai parlando."
Lo presi per un braccio e gli feci vedere il vaso in soggiorno, contenendo le bellissime rose. Lui si avvicinò ulteriormente sorpreso e a quel punto il grande sorriso che avevo si spense all'istante. Non stava fingendo, era chiaro che non sapesse per davvero di cosa stavo parlando.
" Ma come..non sei stato tu?"
" No."
" E allora chi è stato?"
Lui scrollò le spalle, ma prontamente prese il biglietto e dopo averlo letto mi arrostì con il suo sguardo serio, per poi ripetere in maniera teatrale ad alta voce: " vorrei sfiorare dolcemente il tuo corpo e baciarlo in ogni suo punto..mi manca stare accanto a te e vederti tutti i giorni."
Mi guardò di nuovo accartocciando il biglietto.
" Bene. Qualcuno ha deciso di farsi male ed entrare a far parte del coro delle voci bianche."
" Perché ti agiti? Sono sicura che si sarà una spiegazione."
" Ecco fino a quando questa spiegazione non salta fuori, io resto della mia idea."
" Magari è stato uno sbaglio."- dissi incerta. Poi guardai attentamente la sua espressione e il modo in cui stava stritolando quel pezzo di carta e mi accorsi di quanto fosse strano vedere un uomo in quella situazione.
"Non dirmi che sei geloso."- gli chiesi sorridendo.
"Non sono geloso."- rispose arrabbiato senza guardarmi.
Mi avvicinai guardandolo divertita e gli tolsi piano il berretto che feci volare sul divano.
" Sai, vorrei tanto crederti. Peccato che non ci riesca."- gli dissi con aria angelica. Lui mi guardò facendomi perdere dieci anni di vita con i suoi occhi e sorridendomi disse: " va bene forse un po'.."
" Più di un po' ."- corressi sbottonandogli la giacca.
" Okay sì sono geloso, ma sono soprattutto innervosito. Chi è questo coglione?"
"Sarà un poveraccio. Di cosa devi innervosirti?"
"Di chi c'è dietro al biglietto. E poi quelle parole sono così scontate. Se fossi stato io avrei di sicuro fatto di meglio."- rispose altezzoso.
" E se fosse un uomo ignorante, brutto e maniaco?"
"Non si tocca ciò che è mio. Anche se fosse l'uomo più brutto del mondo proverei la stessa cosa. Se ho il tuo consenso, tu sei mia e di nessun altro."
Mi fermai di colpo sentendo quelle parole. Restai interdetta per due minuti guardandolo intensamente.
" Ville..santo cielo..in questo modo rischi di farmi perdere tutto l'autocontrollo e la stronzaggine che posseggo!"
Lui sorrise soddisfatto di vedere quella reazione da parte mia e avvicinandosi al mio orecchio disse: " meglio così. Sei decisamente più sexy ed erotica senza stronzaggine."
Scoppiai a ridere cercando di non pensare al brivido che avevo appena provato.
" Ma che dici, sei impazzito? Erotica..ma per favore!"
Per tutta risposta mi attirò a sé e iniziò a baciarmi con ardore, quasi come non ci fosse più un domani, come se quella fosse stata l'ultima notte da vivere. Naturalmente lo lasciai fare e seguii la sua scia unendomi alla sua spedizione verso la passione. In poco tempo la sua giacca e la maglia caddero sul divano. Si staccò solo quando restammo senza fiato dopo un bacio durato un secolo.
"Sei sola?"- chiese con l'affanno.
"Sì."- mormorai sopraffatta dall'eccitazione.
"Bene."
Prima che potesse prendere iniziative lo bloccai tornando in me e dissi: " aspetta un attimo."
Presi le rose e le gettai fuori dalla finestra. Esse caddero sull'erbetta del giardinetto silenziose. Chiusi la vetrata e tornando da lui sussurrai: " stavamo dicendo?"
Mi baciò il collo scendendo sempre più giù.
" Che ho un maledetto bisogno di te per sentirmi..bene."- disse fissandomi negli occhi dopo avermi tolto la maglia. Con il cuore che batteva all'impazzata dopo quelle parole, lo condussi nella mia stanza senza smettere di baciarlo. Delicatamente mi distese sul letto e da improvvisato capitano, iniziò le sue manovre baciando ogni centimetro della mia pelle e togliendomi con una lentezza infinita quanto assassina, ciò che ancora mi teneva completamente nascosta ai suoi occhi.
" Qualche giorno mi farai morire, donzella.."- sussurrò guardandomi dritto negli occhi prima di riprendere la sua operazione. Lo guardai e continuai a farlo nonostante stessi ad un passo dal perdere il mio lato razionale.
Mi sento come se il mondo mi stesse intrappolando. Continuo a dormire sempre più profondamente in me stesso e ho paura. Mi sento come se la mia mente stesse costantemente cercando di buttarmi giù. Per quanto ancora dovrò sentirmi così fuori luogo?
Staccai gli occhi dal foglio e tornai a guardare Ville profondamente addormentato. Quell'uomo riusciva ad ispirarmi per un personaggio molto più sensibile della protagonista, tanto che stavo avendo occhi solo per lui e questo di sicuro avrebbe suscitato scalpore e shock fra le mie fan una volta che il libro sarebbe terminato. Continuai a fissarlo seguendo i suoi movimenti e le sue espressioni. Se non fossi stata a conoscenza della sua malizia, in quel momento sembrava davvero un angelo.
Dio, che situazione!
Scrissi un'altra frase e poi misi da parte tutto l'occorrente e alzandomi mi avvicinai alla finestra. Ormai il giorno era arrivato e con sé aveva portato immensi nuvoloni scuri, una goduria per i miei occhi. Per l'ennesima volta mi ero appropriata della maglia di Ville e con indosso solo quella presi ad osservare attentamente il cielo con il cuore che batteva all'impazzata. Ad un tratto sentii un rumore e voltandomi notai che Ville si era svegliato.
" Buongiorno."- dissi piano restando al mio posto.
Lui sorrise e stiracchiandosi rispose con la sua voce calda e profonda.
" Che ci fai lì?"- mi chiese.
" Stavo guardando le nuvole. Oggi mi sa tanto che pioverà."- risposi evitando di guardare la sua nudità.
" C'è qualcosa che non va?"
Lo guardai dritta negli occhi. La sua espressione serena in due istanti si trasformò in preoccupazione.
" Copriti."- risposi senza aggiungere altro.
" Perché dovrei farlo?"
" Perché devo dirti una cosa e se sei nudo non riesco a concentrarmi."- risposi infastidita.
A quel punto Ville alzò le mani in segno di arresa e sorridendo disse: " okay, okay, ma stiamo calmi."
" Scusa."- risposi addolcendomi e allo stesso tempo tormentandomi le mani. Si alzò e indossò i pantaloni, restando solamente a petto nudo.
" Va meglio?"- chiese divertito. Annuii sorridendo. Si avvicinò a me e accarezzò il mio volto con grande dolcezza, la stessa che era presente nei suoi occhi.
" Cosa devi dirmi?"
Lo guardai a lungo deglutendo.
" Non so come dirtelo."- dissi abbassando gli occhi.
" Devo preoccuparmi?"
" No!"
Tornai a guardarlo e lo abbracciai cercando in quel modo di trovare la fonte giusta di coraggio per dirgli quello che andava detto.
" Donzella..non mi convinci. Sicura che non sia nulla di grave?"
Indugiai qualche istante e poi mi allontanai da lui sbuffando. Mi voltai dandogli le spalle, portandomi le mani sul viso che fu completamente nascosto. Quando finalmente sentii di aver trovato di nuovo la voce mi voltai e dissi: " Il fatto è che tu mi hai travolto all'improvviso, senza che io potessi fare qualcosa per tenerti lontano. Ti sei infilato nella mia testa gradualmente come se ci fosse stata la porta aperta, come se qualcuno ti avesse detto di entrare. Il fatto è che però nessuno ti aveva invitato, ma tu lo sapevi che dovevi arrivare. E in fondo lo sapevo anch'io."
Mi guardò confuso, preso forse alla sprovvista.
" Il fatto è che io.."- mi bloccai sentendo un nodo alla gola. Ville fece un passo avanti, ma non si avvicinò. Continuava a guardarmi allarmato. Sbuffai di nuovo e alzai gli occhi al cielo, come se in quel modo riuscissi a catturare le parole giuste da usare.
" Io mi sono innamorata di te."
Abbassai nuovamente la testa e poi respirando a fondo la alzai e guardandolo dritto negli occhi con decisione dissi: " io ti amo."
L'avevo detto. Era come se quella bestia che viveva dentro il mio stomaco, dopo tanto tempo avesse trovato la strada giusta per uscire e andare via. Mi sentii leggera e un silenzio assoluto piombò fra noi due. Ville continuava a fissarmi e io iniziavo ad aver paura della sua espressione indecifrabile, quasi ermetica. Poi però un piccolo sorriso si fece spazio sul suo volto e schiarendosi la voce disse: " La prima volta che ti ho vista, ho detto: mio dio! Questo è un sogno . Eri così..bella..estraniata dal mondo..osservavi la gente intorno a te con un sorriso che non avevo mai visto prima di allora. Io in quel momento avevo bisogno di un sogno, perché tutto sembrava andarmi male. Poi ti ho trovata e non pensavo minimante che i miei sogni in qualche modo il mondo li tenesse in considerazione. Quando ti ho visto per la prima volta ho detto: lei è il mio sogno. Avevo bisogno di un sogno che mi desse forza. Sei diventata la sola ragione che avevo per andare avanti. E sì..tutto questo per dirti che anche io sono arrivato alla mia soluzione proprio grazie a questi giorni così lontano da te."
Si fermò e ad un tratto prese a canticchiare quelle stesse parole, improvvisando una melodia molto dolce.
" When I first saw you I said.. Oh my..That's a dream, that's my dream. I needed a dream when it all seemed to go bad. Then I find you and I have had the most beautiful dreams any mans ever had. I needed a dream to make me strong. You were the only reason I had to go on."
Restai in silenzio sentendo quel nodo alla gola farsi più stretto. Lui sembrò non farci caso e avvicinandosi ancora di più terminò sussurrandomi: " tutto questo per dirti che ti amo anche io.."
A quel punto non ce la feci più a reggere tutte quelle emozioni e scoppiai a piangere.
" " Che fai piangi?"
Cercai di asciugare all'istante quel flusso di lacrime da tipica sentimentale.
" Non solo sono noioso, ma adesso scopro anche di essere capace di far piangere all'improvviso. Sto messo davvero bene."- disse cercando di smorzare l'aria carica di troppe emozioni decisamente forti per me che non ero abituata a ricevere tutto quell'amore. Sentivo di non meritarlo, ma non volevo dirglielo perché in fondo nei suoi occhi era evidente che non stesse scherzando. Forse ero io che da troppo stronza sentivo di non poter meritare quelle parole, quella canzonetta improvvisata giusto per farmi sciogliere del tutto e quell'uomo.
" Sei davvero sentimentale..potrei vomitare."- gli dissi ridendo mentre le lacrime continuavano a scendere senza freno. Anche lui scoppiò a ridere stringendomi fra le sue braccia.
" Non ti è piaciuta?"
" Sì, solo che..come ti è venuta in mente?"
" Non lo so.."- disse lui scrollando le spalle e baciandomi sulla guancia.
Si potevano spendere minuti, ore, giorni, settimane e, se non bastavano, persino mesi ad analizzare una situazione, cercando di mettere insieme i pezzi e comporre il puzzle o giustificando la ricerca lenta dei tasselli mancanti e ora finalmente ritrovati oppure restando in silenzio ad ascoltare le tirate d'orecchie per ciò che non avevi voluto cercare per tutto quel tempo, ma alla fine quando eri davanti alla scelta l'unica cosa che potevi fare era seguirla con decisione e sperare che da quel momento in poi tutto sarebbe andato per il verso giusto, o quanto meno, sperare che nulla potesse farti cambiare idea.
Ho esagerato? Troppo miele? Come state? Devo organizzarvi un viaggio dal dentista?
Perdonate le riflessioni iniziali..è che Jade mi ispira troppo XD
Comunque, vi pare che io possa scrivere versi di canzoni e di questo genere per giunta? Beh se l'avete pensato non fatelo mai più xD
Queste frasi tenere sono state prese da una canzone " When I First Saw You" appartenente ad un film musical intitolato " Dreamgirls" che ho rivisto per tre volte di fila in due giorni, perché avevo bisogno di ispirazione. A cantarla è Jamie Foxx. Comunque sia è come se questa bella canzoncina (visto che è di un film) non appartenesse a nessuno e siamo dunque libere di appioppiarla a qualsiasi altro cantante xD. Noi qui abbiamo Ville, quindi oltre ad essere diverso l'effetto, la morte è più che assicurata xD
Beh ci vediamo alla prossima :D
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Ring the alarm ***
Ring the alarm
La mamma diceva sempre: " Jade, il treno passa una sola volta! Vuoi prenderlo, dannazione?"
E io lasciavo che quella frase penetrasse il mio orecchio destro per poi uscirne da quello sinistro. Non avevo mai prestato attenzione a quelle massime filosofiche. A quei tempi non mi fidavo di nessuno e stupidamente non ascoltavo nemmeno ciò che mia madre mi ripeteva in continuazione. Ero sadica e provavo un gran piacere nel lasciare che gli altri si sgolassero e facessero a gara per farmi cambiare idea su certe situazioni che naturalmente venivano viste da me in prospettive decisamente troppo sbagliate. Ora, mentre mi rivestivo guardando con un sorriso Ville, che faceva lo stesso, come un fulmine mi tornò alla mente quella frase. Strano, ma vero, quel treno era passato sperando che in qualche modo io riuscissi a salirci e, così facendo, lasciarmi andare senza paura alla destinazione che era stata scelta per me.
Il punto era che molto probabilmente ero stata io stessa a privarmi di quel viaggio per la semplice paura di ritrovarmi in un posto non desiderato. Come stava succedendo da un mese a questa parte, notai che anche lì mi ero sbagliata, anzi che molto probabilmente mi ero sbagliata su tantissime cose, sicura invece, che le mie considerazioni e le relative riflessioni accurate fossero state per tutto quel tempo fottutamente giuste.
" Cosa c'è?"- mi chiese Ville scuotendomi dal filo invisibile che in quel momento univa tutti i miei pensieri. Scossi la testa tornando in me.
" Nulla."
Mi diede un bacio sul collo e lasciò a me l'onore di aprire la porta.
La voce di Jonathan era l'unico suono che animava la casa a quell'ora del mattino anche se io sapevo perfettamente che c'era Elisabeth, quella povera anima che lo stava ascoltando in silenzio. Era chiaro che tutto quello che stava dicendo non lo stesse dicendo ai muri. Come al solito parlava a voce molto alta, fregandosene altamente della gente che poteva dormire ancora a quell'ora. Lui era fatto così e il più delle volte lo faceva anche apposta. La sua allegria fu la seconda cosa che quella mattina mi fece sentire su un altro pianeta.
Non era da tutti i giorni svegliarsi e trovare il coraggio di esprimere ciò che il cuore voleva spiegare, e ancora di più, sentirsi dire quelle parole con l'aggiunta di un pizzico, forse anche un po' esagerato, di dolcezza. Fino a quel momento situazioni del genere, le avevo vissute tramite i film che a volte guardavo di malavoglia, ma che erano gli unici compagni che riuscivano ad attutire i lunghi silenzi delle mie grigie serate londinesi, lontane dall'essere riempite dal chiasso di amici e conoscenti o uscite prolungate fino a notte fonda. Tutti quei cambiamenti non avevano fatto altro che aumentare la mia incredulità e l'incapacità di convincermi del fatto che fosse tutto vero. Forse non sarei riuscita ad abituarmi a quell'idea nemmeno fra dieci anni. La cosa speciale che trovai in tutto quel sconvolgimento di emozioni e ormoni, fu la capacità di Ville nel rendere un momento da diabete, perfetto.
Non era da tutti gli uomini. Non tutti erano così bravi con le parole o sinceri nell'esprimere i propri sentimenti. Ville si era mostrato per l'ennesima volta diverso da tutti gli altri e degno sfidante della mia acidità. Le sue parole erano state giuste e rispecchiarono la sua dote poetica. Ciò che in quel momento mi chiesi fu, se lui non fosse un alieno con sembianze umane. Riusciva a comportarsi in maniera impeccabile con ogni sua mossa in qualsiasi situazione. Mi rendevo conto che tali domande e affermazioni lasciate a metà per la mancanza di spiegazioni razionali, non avrebbero trovato risposte chiare e aggettivi specifici e che se avessi continuato di quel passo sarei riuscita solamente a stancarmi mentalmente.
" E poi..hai presente quel tizio di cui ti avevo parlato qualche mese fa?"
Jonathan seguiva Elisabeth come un cagnolino parlando e gesticolando allo stesso tempo e osservando se la ragazza stesse effettivamente seguendo i suoi lunghi sermoni. Ed Elisabeth, rassegnata, lo ascoltava.
"Chi.. lo scimmione?"- chiese mentre preparava la colazione.
"Esatto!"- rispose Jonathan schioccando le dita allegramente.-" l'hanno licenziato su due piedi solo perché aveva fatto un ritardo di tre minuti sulla tabella di marcia. Devi farti il culo se vuoi lavorare con lei, amica mia."
"Tu sei completamente fuori! Come fai? Io mi sarei ammazzata o avrei ammazzato lei."
Per tutta risposta John improvvisò una delle sue tante coreografie riservate a me ed Elisabeth la mattina, come augurio, affinché la giornata potesse essere per noi splendida. Guardai Ville che nel frattempo osservava Jonathan completamente sorpreso e confuso. Era la prima volta che assisteva a quello spettacolo e schiarendomi la voce dissi: " tranquillo, fa sempre così."
Le mie parole fecero voltare entrambi. Elisabeth smise di trafficare con tazze e cucchiai fissando Ville come se avesse visto un fantasma, mentre Jonathan restò in una posizione bizzarra sentendosi leggermente imbarazzato, ma come era suo costume, a differenza di Elisabeth ci mise mezzo secondo per riprendere la sua sfacciataggine.
" Buongiornoooo!"- esclamò sorridendo.
Elisabeth si avvicinò a Jonathan e ancora leggermente imbarazzata disse: " ehm..ragazzi..buondì!"
" Buongiorno."- rispose Ville allegro. Io mi limitai ad esprimere il mio buongiorno con un sorriso.
Jonathan osservò il finnico e puntandogli un dito disse: " ecco spiegato il mistero di chi fosse la giacca lasciata in un modo poco gentile sul divano."
Spostò lo sguardo su di me assumendo un'aria maliziosa e beccandosi da parte di Elisabeth una gomitata.
" Sparati."- gli dissi con semplicità avvicinandomi alla tavola.
" Che ho detto di male?"- chiese con aria innocente. Poi si voltò verso Ville e teatralmente esclamò: " queste donne! Non puoi dire mezza parola che le apri subito la porta verso il doppio senso. Non sei d'accordo?"- ma non gli diede nemmeno il tempo di rispondere. Si avvicinò a lui e prendendolo sottobraccio disse: " Ville, amico! Vieni qui, non essere timido!"
Lo trascinò verso una sedia e lo fece accomodare accanto a lui. Ero sicura che il terzo grado sarebbe iniziato da un momento all'altro. E invece non fu così. Jonathan si comportò in maniera gentile senza nessuna frase maliziosa o altro e questo mise in discussione tutto il progetto che avevo creato nella mia testa. Forse il caro John non voleva sembrare scortese o apparire volgare. In fondo, ora che ci pensavo, non lo avrebbe mai fatto dinanzi al celebre Ville Valo. Dimenticavo sempre che in presenza dei personaggi famosi, Jonathan assumeva tutt'altro comportamento, quello che io chiamavo da leccaculo. Nonostante la buona educazione del momento, la sua ironia, leggermente modificata per evitare le sue solite battutacce, divertì Ville, che a sua volta, si unì in poco tempo al ballerino.
" Accidenti!"- esclamò ad un tratto Jonathan guardando l'orologio.- " devo andare!"
Si alzò di scatto sistemandosi il colletto della maglia.
" Scappo. Ciao bellezze!"
Come un lampo si chiuse la porta alle spalle.
" Che tipo.."- commentò divertito Ville.
" Siamo sicuri che non sia gay, vero?"- chiese Elisabeth dubbiosa guardandomi.
" No, è solamente folle."- risposi saggiamente.
" Come hai detto che si chiama quel ragazzo?"
Ville fece la domanda con gli occhi completamente incollati su Liam che si era appena avvicinato al padre dopo averci servito. Fissai Ville confusa e divertita allo stesso tempo. Era attento, pronto a cogliere ogni suo minimo movimento e per giunta gli occhi stavano gradualmente diventato due fessure. A stento riuscii a trattenermi dal ridere.
" Non l'ho detto. Perché lo vuoi sapere?"- chiesi prendendo fra le mie mani la tazza di tè fumante.
" Così.."- rispose scrollando le spalle e tornando a guardarmi con finta aria ingenua. Lo guardai bere il suo caffè senza distogliere lo sguardo.
" Cosa c'è?"- mi chiese sorridendo. La faccia da angioletto indifeso non era mai stata il suo forte e non riusciva ad ingannarmi con quella che lui voleva far passare per pura curiosità su un individuo che nemmeno conosceva. Sapevo che dietro quella domanda c'era un vasto oceano di altre domande che prontamente si sarebbero susseguite una volta che avessi deciso di assecondarlo e lasciarmi interrogare come se fossi in un commissariato.
" Si chiama Liam e come ti ho già detto parecchio tempo fa, non gli ho fatto niente."- risposi sorridendo, facendo finalmente il primo sorso di tè.
" Ti guarda in modo strano e lo fa anche con me. Sicura che non mi nascondi niente?"
Alzai gli occhi al cielo continuando a sorridere. Non riuscivo a smetterla perché il fatto stesso che Ville cercasse di nascondere quella che probabilmente era gelosia con una calma poco convinta, mi divertiva.
" Cosa dovrei nasconderti? Una notte di passione sconvolgente con Liam?"
Risi per la mia stessa domanda notando il cambiamento di espressione del finnico. Mi guardò serio, quasi fulminò i miei occhi.
" Non trovo niente di divertente in quello che hai detto."- disse serio. Sospirai e accarezzai il dorso della sua mano.
" Credo che lui volesse attaccare bottone i primi tempi che venivo qui. Faceva il carino e a volte si sedeva al mio tavolo. Non è che non sopportassi la sua compagnia..è che..mi conosci, no?"
" Non amavi il fatto che fosse un uomo a farti compagnia. Perché sapevi bene che se tu fossi stata quella di molti anni fa, brutta e obesa, non si sarebbe seduto accanto a te a fare il cascamorto con la sua aria da fesso."
Lo guardai sorpresa. Aveva capito perfettamente il mio comportamento con Liam senza che io gliel'avessi spiegato nei minimi particolari.
" Sei un veggente."
La sua risata stramba fece finalmente la sua comparsa e finii per ridere anche io.
" Però potrebbe essere lo stesso ragazzo che ti ha inviato le rose."- disse ad un tratto con tono accusatorio. I suoi occhi brillarono di una luce sinistra.
" Togliti queste idee assurde dalla testa! Ti assicuro che non è il tipo che fa queste cose. L'aria da fesso, come tu dici, non è un alibi. È proprio come tu lo vedi."- dissi frenando immediatamente l'indole assassina che scorsi fra i suoi occhi. Ville mi guardò a lungo senza parlare. Ero quasi sul punto di sciogliermi a causa della sua espressione maledettamente sexy, quando ad un tratto si schiarì la voce e iniziò a cercare qualcosa nelle tasche del suo cappotto. Lo guardai confusa mentre lui portò alla luce una scatolina nera.
Sorrise e leggermente imbarazzato disse: " questo è per te. Me ne stavo dimenticando."
Mi porse la scatolina, attento alla mia espressione.
" Cosa?"- esclamai fissandolo. Lui scoppiò a ridere e disse: " dai, aprilo!"
Dopo aver indugiato per qualche minuto più del dovuto, presi la scatolina e la aprii. Al suo interno c'era un anello, lo stesso che alcuni giorni prima avevo notato in una vetrina. Mi aveva colpito per la particolarità del colore, un misto fra il verde e il blu. Lo fissai come se mi fosse stato servito un'unghia di drago.
"Tu sei pazzo e poi che cosa.."
" Piantala di scioglierti in lunghi monologhi."- mi interruppe prendendo la mia mano e mettendomi lui stesso l'anello. Rabbrividii appena sentii la sua mano toccare la mia.
Mi guardò, soddisfatto della mia reazione scioccata.
" Ti piaceva e io ho deciso di farti un regalo. Non posso?"- chiese dandosi importanza.
" Non amo particolarmente amoreggiare in pubblico, ma te lo meriti.."
Avvicinai la mia sedia alla sua e mi impossessai delle sue labbra con sua enorme sorpresa.
" Vorrei davvero continuare e continuare, ma donzella direi che sia meglio smetterla e sai il perché.."- sussurrò staccandosi con un grande sforzo da me dopo molti minuti. Scoppiai a ridere e gli diedi un bacio sulla guancia. Annuii e avvicinandomi al suo orecchio sussurrai: " grazie, finnico."
Ero quasi certa che la mia giornata da quel momento in poi si sarebbe svolta nei migliori dei modi, ma dimenticavo quasi sempre che i fastidi si nascondevano dietro l'angolo, in attesa di mostrarsi in qualsiasi momento, o per meglio dire, quando tu pensavi che nulla ti avrebbe turbato.
Una voce dannatamente fastidiosa giunse alle mie orecchie mentre contemplavo il viso di Ville. Cercai di essere indifferente e continuare a comportarmi in maniera naturale come avevo fatto fino a quel momento, ma il nervosismo riuscì ad avere la meglio così strinsi forte la mano di Ville senza rendermene conto.
"Ahia! Mi stai stringendo leggermente troppo la mano."- disse con una piccola smorfia.
"Cos..oh! Scusa."
Dispiaciuta gli lasciai la mano e presi a guardare Amber che si era seduta ad un tavolino non molto lontano dal nostro, con alcune ragazze sciatte quanto lei.
Dopo l'ennesima presa in giro, con passo deciso entro in bagno, sicura di essere al sicuro almeno per un po' dall'intero genere umano, ma mi sbagliavo. Entrata in quelle quattro mura, ritrovo il mio peggior nemico sistemarsi il trucco insieme alle sue due scagnozze. Mi guarda dallo specchio e mostra il suo solito sorriso bastardo.
"Orsacchiotto!"- esclama suscitando le risate delle sue amiche. Il cuore mi batte forte, ma è da codardi scappare. A testa alta mi avvicino allo specchio accanto al suo e cerco con un po' d'acqua di togliere almeno una piccola parte della macchia rossa sulla maglia.
" Lo sai vero che questo è il bagno delle persone normali?"
Faccio finta di non sentirla e continuo a pulire la mia maglia. Poco dopo la guardo e con disgusto i miei occhi si posano su quel sorriso maligno. Le sue amiche sono a braccia conserte e mi osservano dall'altro in basso con la loro aria di superiorità. Non capiscono quanto siano vuote e stupide!
" Da domani utilizzerai il bagno dei disabili. Questo è nostro."
" Ehi..tutto okay?"- chiese Ville scuotendomi leggermente. Tornai in me e lo guardai come se lo vedessi per la prima volta lì.
"Sì, sto bene."
Le voci giunsero di nuovo alle mie orecchie, ma questa volta anche Ville guardò verso la loro direzione. Quando vide Amber lo sentii irrigidirsi. Probabilmente non sopportava il fatto che mi facesse quell'effetto e che per questo l'avrebbe volentieri presa a calci, solo che lei era una donna e lui un gentiluomo.
"Vuoi che andiamo via?"
Mi guardò con dolcezza spostandomi il ciuffo ribelle dagli occhi e dandomi un bacio sulla guancia.
"No..ce la posso fare."- risposi con decisione.
"Sicura?"
Annuii e poi guardando il tavolo sussurrai: " il fatto è che mi da fastidio che respiri. Tutto qui."
" Hai un sorriso da tipica serial killer."
Continuai a sorridere senza guardarlo. Ad un tratto le ragazze iniziarono a strillare. Era quel tipico urlo che le stupide emettevano quando avevano scoperto che la stagione dei saldi era iniziata in largo anticipo.
"Ma che stanno facendo?"
"Sono oche. Fanno quello che fanno le oche."- risposi arrabbiata.
Ville mi guardò e disse: " su andiamo. Io non sopporto questi rumori."
Annuii sorridendo e mi alzai, decisa a seguirlo.
"Cielo! Stavo per dimenticare la borsa."- esclamai poco dopo.
" Prendila, ti aspetto al bancone."- disse lui facendomi l'occhiolino.
Lo vidi avvicinarsi al bancone e poco dopo la voce di Amber come una cornacchia in agonia riempì le mie orecchie nella maniera più brutale che potesse esistere, dandomi la perfetta dimostrazione che essere oche giulive non era un'arte che si apprendeva con il tempo, ma un dono che Madre Natura concedeva alla nascita alle poche predestinate.
"Ville! Anche tu qui! Siediti con noi."
E il modo in cui la sua voce soave quanto quella di una rana stirata da un tir chiamò il mio finnico, provocò il risveglio della belva dalle viscere del mio corpo, pronta a balzare in avanti e afferrare la sua nuova preda leccandosi i baffi ancora prima di averla fra le sue fauci. Mi avvicinai di scatto a Ville tenendo la borsa decisamente troppo stretta fra le mie mani e cercai allo stesso tempo di mascherare quella rabbia e l'impulso da tipica assassina pluriomicida con un perfetto sorriso. Invece il sorriso che Ville mostrava ad Amber e alle sue amiche, tutte attente ad osservarlo e analizzare ogni suo minimo particolare sbavandogli quasi addosso, era quello che di solito utilizzava per essere educato, senza mostrare grande entusiasmo alla gente che lo circondava. Quello stesso sorriso appena avvertì la mia presenza vicino, cambiò mostrandomi quello che era davvero suo e che più che mai in quel momento mi servì da tranquillante. Mi strinse a sé, sotto lo sguardo inorridito e scioccato delle altre che fino a quel momento mi avevano guardato con aria di superiorità.
" Ciao Amber."- disse lui allegramente. Cercai di sorridere più che potevo sentendomi protetta da quella stretta e il premio per i miei servizi resi fu un suo bacio sulla guancia che mandò in evidente ebollizione per via della rabbia, la mia cara amica del culo. Mi sentii al settimo cielo guardando quell'espressione inviperita mentre le sue care amiche sbarrarono gli occhi.
" Abbiamo da fare. Ci vediamo."- disse Ville gentilmente prendendomi per mano e aprendo la porta senza guardare le ragazze. Quando uscimmo di lì mi sentii dieci anni più giovane.
" Visto? Devi essere calma. Il segreto è tutto lì."- disse con semplicità prendendomi per mano. Non ero ancora abituata a questo, ma lui a quanto pareva non si faceva nessun problema nonostante il rischio di essere ammazzato dalle sue fan per quella semplice stretta alla mia mano. O forse ero io quella in pericolo?
" Ma credo che se io non ci fossi stato avresti reagito in maniera diversa. Avresti dato sfogo alla serial killer che è in te."
" No..forse sarei ricaduta semplicemente nel mio incubo e lei avrebbe vinto.."- dissi scoraggiata senza guardarlo. Lui si fermò di colpo, facendo arrestare anche i miei passi. Mi fulminò con lo sguardo e ogni traccia del suo bel sorriso scomparve immediatamente.
" Jade! Non mi piace sentirti dire questo. Perché dovresti farlo? La devi smettere di crogiolarti in quei brutti ricordi. E se non ci riesci, utilizzerò io le maniere forti."
Cercai di sorridere, ma dietro quel sorriso c'era una grande tristezza. Non riuscivo davvero a togliermi di dosso quelle pulci. Ville sospirò e mi abbracciò indifferente al fatto che stesse bloccando il traffico sul marciapiede.
" Devi cercare di lasciare per sempre i fantasmi del passato. Devi liberarti di loro..altrimenti cercherò di farlo io."
Lo strinsi di più e con la faccia immersa nel suo petto dissi: " grazie per le tue parole..Ville."
Un tuono mi fece sussultare e finii per specchiarmi in quei bellissimi occhi che mi osservavano carichi di dolcezza.
" Sarà meglio andare."- disse Ville guardando il cielo pensieroso.- " ma prima dobbiamo fare una cosa."
Mi trascinò con sé in un vicolo e dopo essersi accertato che non ci fosse nessuno fece appoggiare la mia schiena al muro e si passò una mano sul berretto per sistemarselo meglio.
" Con gli occhiali da vista sei più bella."- sussurrò guardando ogni centimetro del mio viso.
" Smettila, non è vero."
" Non capisci niente."
" Tu invece capisci tutto."
" Non siamo qui per dare sfogo alla nostra grande ironia, ma per un'altra cosa.."
Con delicatezza assaporò le mie labbra per poi prenderne direttamente possesso senza chiederne il permesso. La mia mano sfiorò il suo collo e poi la sua guancia per posarsi infine sulla spalla.
" Mi è sembrato un po' scortese averti lasciato a metà dell'opera al bar quindi ho pensato bene di recuperare qui."- disse staccandosi dalle mie labbra, ma restando ad un millimetro da esse. I suoi occhi erano la sola cosa che riuscivo a guardare incantata.
" Sei davvero un tesoro."- dissi ridendo senza smettere di guardarlo dritta negli occhi.
" Grazie, sweetie."- sussurrò con la sua voce diecimila volte più profonda del normale.
Restammo lì ancora per qualche minuto fino a quando il cellulare di Ville suonò riportandoci alla realtà.
" Stasera resterò in famiglia a quanto pare.."
" Beh è bello, no? Almeno tu hai qualcun altro oltre tua madre.."
L'avevo detto per davvero? Dannazione!
Ville mi guardò sorpreso, ma non disse nulla. Mi abbracciò e prendendomi per mano uscimmo dal vicolo.
" Allora, cosa farai stasera senza di me?"- chiese allegramente facendo dondolare le nostre mani saldamente intrecciate.
" Penso che mi taglierò le vene e che piangerò per via della tua assenza. Guarderò oltre la finestra, con sguardo assente, le luci dei lampioni e ripeterò il tuo nome sottovoce.."- risposi tranquillamente.
" Sto morendo di risate. Te lo giuro, a momenti perdo le budella."- disse serio. Ci guardammo e scoppiammo a ridere.
" Penso che resterò in compagnia di Lady V."
" In cattiva compagnia, quindi."- disse lui sorridendo.
" Esatto."
Quando giungemmo a destinazione, colta alla sprovvista, Ville mi strinse a sé con gesto abile e mi uccise con il suo sguardo dannatamente sexy.
" Un giorno di questi vado a denunciarti, Hermanni."- dissi deglutendo.
Lui sorrise divertito.
" Jade!"
Appena sentii il mio nome e la voce che l'aveva pronunciato, avvertii i battiti del mio cuore diventare più veloci. Non seppi bene perché ebbi quella reazione, ma fatto stava che la presenza di Antony non avrebbe portato a niente di buono. Ville mi liberò dalla sua presa e iniziò a guardarlo curioso.
" Antony."- dissi atona. Lui si avvicinò sorridendo ad entrambi.
" Ti ho cercata, sai?"- chiese guardandomi con la sua aria maliziosa che, ero più che sicura, non era sfuggita al mister.
" Per che cosa?"- chiesi infastidita.
" Oh beh volevo invitarti a cena per i nostri progetti lavorativi."
Sentii Ville irrigidirsi e tossire. La cosa non prometteva assolutamente nulla di buono.
Jade, stai calma!
" Io e te non abbiamo nessun progetto. E poi non è con me che dovresti parlare di questo."- dissi innervosita. Antony distolse lo sguardo da me come se non avesse sentito quello che avevo detto e fissò Ville con il suo sorrisetto bastardo.
" Non mi presenti il tuo amico?"
Quando guardai Ville notai che la sua faccia aveva cambiato più di mille colori.
" Ville, lui è Antony Smith, un mio collega di lavoro. Antony, lui è Ville Valo.."
" Il cantante?"- mi interruppe guardandolo con finta sorpresa.
" Sì, il cantante."- rispose Ville piuttosto irritato stringendo in malo modo la sua mano.
" Bella stretta."- commentò Antony sorridendo mentre si massaggiava la mano. Odiavo quel sorriso. Era il più falso che avessi mai visto in vita mia, molto più falso di quelli che usavo io.
Ville lo fissò senza proferire parola. Sapevo che se l'avesse fatto sarebbe scattato come una molla. Per evitare ulteriori ostacoli, mi parai di fronte a lui e gli stampai un bacio sulla fronte. Fu veloce la trasformazione e Ville tornò lo stesso finnico di prima, molto più dolce.
" Mi dispiace non poter stare con te questa sera."- disse prendendomi le mani.
" Hermanni, tu hai degli impegni e devi portarli a termine."- dissi ridendo. Lui bloccò la mia risata con un bacio. Antony era ancora lì ad osservare l'intera scena nonostante facesse finta di avere gli occhi incollati al suo blackberry.
"Quel tizio non mi piace."- sussurrò Ville al mio orecchio, lanciandogli delle occhiate velenose.
"Meglio. Mi sarei preoccupata se tu avessi iniziato a fargli degli apprezzamenti."
"Apprezzo il fatto che tu voglia essere così spiritosa, ma sento che quel ragazzo mi sta antipatico a pelle."
"Ooh su Ville! Antony è stato sempre il solito cascamorto di turno e sai che fine fanno con me tizi del genere."
" Hai ragione. Scusami.."
"Scuse accettate."
"Ma se gli viene ancora in mente di guardarti in quel modo giuro che gli strappo l'apparato riproduttivo senza anestesia."
" Smettila!"- esclamai a denti stretti sorridendo. Mi abbracciò e tornò a togliermi il fiato con i suoi baci assassini.
" Adesso devi andare sennò farai tardi."- dissi a malincuore staccandomi da lui.
" Va bene, ma non credere di liberarti a lungo di me."
Guardò Antony con aria di superiorità mentre mi diede un altro bacio e andò via lasciandomi sola con l'ultima persona che dopo Amber avrei voluto incontrare quel giorno.
" E così ti frequenti con quel tizio."- esordì con un sorrisino da strafottente.
" Si chiama Ville."- risposi seria.
" Il leader degli HIM; se non erro la band si chiama così."
" Non sbagli affatto."
Non sapevo dove lui volesse arrivare, ma qualunque fosse stata la meta lo avrei sistemato per le feste. Ero o no Jade Watson?
Antony sbuffò con la sua solita aria da bastardo e mettendo in tasca il cellulare, posò i suoi occhi azzurri su di me.
" Dolcezza, non capisco che cosa ti passi per la testa. Che fine ha fatto la Jade che conosco? Quella allergica alla sdolcinatezza? Lo sai meglio di me che tu preferisci tipi da botta e via e soprattutto fighi. Quel tizio è uno sfigato alcolizzato, non lo vedi? Sembra la Morte in persona."
Una rabbia senza precedenti si fece spazio dentro di me. Ora era davvero il caso di mettere in atto uno dei miei tanti attacchi. Mi avvicinai con fare sensuale.
" Hai ragione sai? Perché mai dovrei aver a che fare con uno sfigato e potenziale organizzatore di funerali quando davanti a me c'è un uomo sexy.."- passai una mano sul suo petto e lentamente la feci scendere giù.- " sicuro di sé.."- abbassai la voce.-" bello..affascinante.."- quando giunsi al livello del bacino gli sferrai un colpo nelle parti basse con il ginocchio. Antony urlò per il dolore e si piegò cadendo a terra, toccando l'asfalto con la schiena. Lo vidi torcersi mentre io iniziai a prenderlo a calci dicendo: " e così altamente stupido, ottuso e narcisista, con un cervello piccolo quanto il suo amichetto intimo? Già! Gran bella domanda che mi hai posto."
Finii il mio sfogo e senza picchiarlo come, invece, avevo fatto fino a due secondi prima proseguii dicendo: " forse perché quello che tu chiami sfigato è l'uomo più sexy e un gentiluomo di altri tempi. Sai, dovresti prendere esempio da lui, in questo modo la tua deficienza diminuirebbe."
Lui riuscì ad alzarsi con un po' di affanno e disse: " Jade non è così che le cose funzionano. Sai di che pasta sono fatto."
" Sì, sei fatto di pasta frolla."
" Tu cadrai ai miei piedi che ti piaccia o meno."- disse con tono minaccioso. Guardai il suo dito puntato contro di me e iniziai a ridere.
" Al momento chi è caduto sei tu. Ti prego di non rompermi più con le tue scemenze. Grazie."
Andai via senza guardarlo, sentendo la perfida Jade rifarsi strada nel mio corpo. Era da tempo che non usavo quelle maniere forti e in quel momento non seppi esattamente descrivere ciò che stavo provando. Era un misto fra la soddisfazione e la rabbia, ma non volevo che quest'ultima avesse il sopravvento. Tornai con la mente a fantasticare sulla giornata che avevo passato con Ville e gradualmente mi sentii meglio, offuscando per un attimo quell'incidente di percorso appena successo.
Quando entrai in casa, però, un'improvvisa illuminazione colpì in pieno il mio cervello.
E se a mandarmi le rose fosse stato Antony?
Dopo quella domanda fu rapido il passaggio da dubbio esistenziale a dubbio risolto. In due minuti fui più che sicura che dietro a quelle rose si celasse il nome di Antony.
" Fanculo! Londinese di merda."- sussurrai a denti stretti.
ELLAMADONNA! Jade.. sorella, calmati xD
Coooomunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che..insomma..voi capiate Jade :D! Insomma Antony se l'è meritato, no? u.u
Che dite, ci saranno i tempi bui adesso? Boh..vedremo xD
Grazie come sempre per tutto <3
Ci vediamo alla prossima
Vals
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1606497
|