Dimentica di Nike93 (/viewuser.php?uid=33395)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nei silenzi - Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Passeggeri distratti - Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Il nodo - Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Dimentica - Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Epilogo - Superstiti ***
Capitolo 1 *** Nei silenzi - Capitolo uno ***
Ciao!
Questa è la mia seconda long, la prima sui Tokio Hotel
(che, per inciso, non mi appartengono). E’ ancora in fase di
scrittura, anche
se so già più o meno come si
svilupperà. Non so quanto sarà lunga, ma
sarà
divisa in quattro o cinque parti, ognuna composta di un paio di
capitoli e
incentrata su una canzone di Raf (tutti i testi che leggerete, dunque,
sono
suoi). Il personaggio di Haylie, la protagonista, è frutto
della mia fantasia,
così come gli avvenimenti qui descritti. Con questo mio
scritto non intendo
dare rappresentazione veritiera del carattere di nessuno dei personaggi
realmente
esistenti, e la storia non è scritta a scopo di lucro.
Spero
che sarà di vostro gradimento!
Vittoria
Parte
I – Nei silenzi
Capitolo
uno
“Scorrono
morbide curve di una strada da percorrere
vanno via ruvidi giorni di un novembre senza nuvole
la rugiada è un velo di pellicole che avvolge luci
e prospettive surreali”
Il grande
portone appena verniciato si chiuse con un tonfo sordo nello stesso
momento in
cui un piccolo sbuffo di fiato caldo andò ad insinuarsi
nell’aria fredda di
dicembre.
Lo sguardo
di Haylie vagò un paio di volte da destra a sinistra,
lasciando trasparire il
lieve disagio che si era impadronito di lei non molti minuti addietro.
Scrutò
velocemente la strada di fronte a lei, quasi sollevata nel rendersi
conto che
non vi era una sola anima viva.
Chiuse
gli
occhi e sospirò profondamente, forse nel tentativo di
riscaldarsi o, più
probabilmente, di riordinare le idee.
Si sforzò
di sorridere, e questo le venne molto più facile quando le
parole che aveva
sentito prima di scendere in strada presero il posto del timore,
dell’assurda
preoccupazione che provocava in lei il non sapere cosa avrebbe detto lui.
Si
strinse
nel vecchio cappotto che mai avrebbe fatto intendere quale fosse la sua
professione e si decise ad attraversare, ben felice di poter lasciare i
propri
occhiali da sole in borsa. Non che ce ne fosse realmente bisogno
–in quella
mezz’ora non si era neanche accorta delle nuvole grigie che
si erano condensate
nel cielo fino a poco prima azzurro-, ma conosceva fin troppo bene la
faccia di
lui quando gli bloccavano la porta
d’uscita se prima non si era nascosto
dietro un paio di grandi occhiali scuri –troppo per il suo
viso minuto- e sotto
un brutto cappello recuperato da qualche armadio che di sicuro non era
suo.
Sbuffava,
alzava gli occhi al cielo, imprecava sottovoce. Ma poi si calcava il
berretto
sulla testa e metteva gli occhiali a posto sul naso, che quasi
scompariva sotto
le due grosse lenti.
Era un
vero peccato, perché quegli occhiali andavano a nascondere
proprio la parte più
bella del suo viso.
I suoi
occhi…
Occhi
leggermente a mandorla.
Occhi
dalle lunghe ciglia scure.
Occhi
color del legno. Di un legno giovane, fresco, pulito.
Haylie
s’infilò
velocemente in macchina e rubò solo qualche secondo per
darsi una rapida
occhiata nello specchietto retrovisore, poi accese il motore e
partì, senza
fretta, con la sua solita calma.
Calma che
calma non era.
Era
buffo
pensare che tutto il tempo che toglieva alla cura del proprio aspetto
lo dedicava
a quello degli altri.
Già, ma
loro non erano “altri” qualsiasi… Haylie
era ben felice di dedicare loro il
proprio tempo.
Se non
altro, era sicura che non fosse perso, quel tempo.
Nonostante
l’agitazione, non riuscì a non sorridere tra
sé.
Come poteva
essere perso, il tempo che passava con lui? Certo, non c’era
solo lui… Ma, in
certi momenti, era come se lo fosse.
Con il
tempo aveva imparato a stare anche con gli altri, ma
all’inizio non c’era stato
che lui.
Lui che
esigeva più tempo e cura degli altri, lui che sembrava
vivere in una dimensione
tutta sua, lui che invece era stato il primo ad accoglierla e con il
tempo
l’aveva inserita nel gruppo.
Per Haylie era
un po’ triste non
poter vedere fino in fondo il frutto del proprio lavoro, ma la sua
natura mite,
come al solito, aveva prevalso sulla parte di lei che avrebbe voluto
protestare.
Però era ingiusto che, dopo aver
passato ore a scegliere, provare e scartare vestiti non potesse
assistere al
servizio fotografico.
Era anche vero che lui le aveva detto
di non amare particolarmente quei servizi… Meno gente
c’era, meglio era. Non
che non amasse stare al centro dell’attenzione
–d’altra parte vi si era dovuto
abituare-, ma gli ricordavano troppo quelle tranquille passeggiate
sacrificate
per una seduta di due ore a base di foto e autografi con decine di
ragazze.
Quel giorno, però, sembrava davvero
soddisfatto.
- Non mi sembra che sia stato così
snervante! – osservò lei, vedendolo sorridere.
Quando sorrideva, sembrava che
tutto il suo volto s’illuminasse…
- No, per fortuna è stato breve. E
poi oggi sono di buon umore! –
Già, lui era lunatico.
Incredibilmente, irrimediabilmente lunatico. Non gli si poteva
rivolgere la
parola se aveva la luna storta, ma, quando lo si vedeva sorridere a
quel modo,
era impossibile non lasciarsi trascinare. Questo Haylie aveva avuto
occasione
di impararlo in meno di un mese che lavorava con il gruppo.
- E poi i vestiti che ci hai scelto
sono fantastici! –
Se Haylie fosse stata un filino più
sfacciata, gli avrebbe detto ciò che pensava di lui quando
se ne usciva con
affermazioni del genere: che, nonostante le malelingue, con una donna
non aveva
da condividere altro che la vanità. Ma anche quella, prima o
poi, sarebbe
passata in secondo piano.
- Non ho mica fatto tutto da sola.
Non posso certo prendere quattro stracci e metterveli addosso
così! –
- Però sembra che tu conosca i miei
gusti come se fossimo amici da una vita, sai? –
Non erano da lui tali
manifestazioni di confidenza.
Infatti Haylie ci aveva messo un
po’ per apprezzarle.
In quel momento, non aveva saputo
fare altro che arrossire.
- Oh, beh… -
- Credo che anche gli altri la
pensino così. Mio fratello, per lo meno, è
abbastanza esplicito da farlo
intendere. –
Rise. Era una risata diversa da
tutte quelle che Haylie aveva sentito.
Limpida, cristallina, come il
tintinnio di un bicchiere urtato gentilmente contro un altro in un
delicato
brindisi.
I suoi occhi, né scuri né chiari,
si socchiudevano, e le pupille quasi scomparivano sotto
l’alone di denso trucco
nero.
Quel trucco gli si addiceva.
Stranamente.
La sua risata scopriva dei denti
non perfettamente diritti, ma bianchi, senza alcun bisogno dei soliti
ritocchi
fotografici che spesso si applicavano a persone del suo stesso
“rango”.
Lui era diverso.
Lui era lui.
Lui era semplicemente Bill. Bill
Kaulitz.
Haylie
quasi si stupì nel ricordare le prime volte che aveva
lavorato con lui e gli
altri.
Quasi non
le sembrava possibile di essersi sentita fuori posto in un contesto
così…
normale. E adesso? Adesso quell’espressione non bastava a
rendere il suo stato
d’animo.
Cercò di
non distrarsi per non uscire di strada. Era già abbastanza
confusa per conto
proprio, meglio non peggiorare la situazione.
Certo,
tante volte si era sentita confusa, e non raramente si era sbagliata.
Come quella
volta… quel primo bacio…
Il concerto
era stato un successo.
Anzi no, meglio. Ma, d’altra parte, cosa ci si poteva
aspettare da quattro
ragazzi così pieni d’entusiasmo? Sapevano
trasmetterlo al pubblico meglio di
chiunque altro… Erano proprio quel che si dice
“animali da palcoscenico”.
Essendo parte dello staff, Haylie
non aveva potuto allontanarsi né mescolarsi tra il pubblico.
La sua presenza
non era necessaria dietro le quinte, ma contro le regole era inutile
combattere.
Non era la prima volta che Haylie
assisteva ad un loro concerto, o meglio, che avrebbe potuto assistervi.
Si era
sempre tenuta in disparte, si era limitata ad ascoltare la loro musica
da
lontano.
Ma ormai erano quattro mesi che
lavorava con loro, che si preoccupava di curare la loro immagine prima
di una
qualsiasi uscita pubblica. Era anche il momento di vedere parte del
frutto del
proprio lavoro.
Così si era appostata dietro le
quinte e l’aveva seguito tutto, dal primo
all’ultimo minuto, canzone per
canzone.
Non era la prima volta che le
sentiva. Ma fu come se.
Era ancora lì a chiedersi come
quelle note non avessero solleticato prima le sue orecchie e la sua
anima,
quando Bill le si avvicinò di corsa.
- Hai visto? – Sprizzava entusiasmo
da tutti i pori. – Cavoli, non avrei mai pensato che sarebbe
stato così… così! –
Era sudato, aveva ancora il
fiatone, gli era anche colato un po’ di trucco, ma era felice.
Come al solito, Haylie non poté
fare a meno di lasciarsi contagiare.
- E cosa ti aspettavi? – gli chiese
trattenendo a stento una risata.
La risposta non era giunta da lui,
ma da un’altra voce alle sue spalle.
- Figurati, ogni volta entra in
paranoia. Che gli lancino i pomodori addosso, ecco cosa si aspetta!
–
Al sorriso di Bill se n’era
aggiunto un altro.
Quello di Tom, il suo gemello.
Un sorriso che poteva sembrare
uguale al suo, ma che non lo era affatto.
Era un sorriso ugualmente ampio, ma
disegnato da labbra più carnose e piene e messo in risalto
dal discreto
luccichio di un piccolo piercing di metallo. Stampato su un viso
ugualmente
sudato, ugualmente minuto, solo leggermente più paffuto e
abbronzato. Un viso
incorniciato da lunghi dread biondi che spuntavano da dietro un
cappellino a
rombi bianchi e azzurri e che andavano ad adagiarsi dolcemente su due
spalle
non troppo larghe, ma possenti.
Un viso di una bellezza diversa da
quella di Bill, ma che avrebbe potuto colpire, affascinare e rapire
allo stesso
modo chiunque lo osservasse.
Ma in quel momento Haylie non gli
aveva badato più di tanto. Forse perché si era
bene o male abituata a vederlo
ogni giorno, forse perché la sua naturale riservatezza le
imponeva di non
fissarlo troppo a lungo, forse perché era catturata
dall’entusiasmo di Bill.
Entusiasmo talmente puro e sincero
da togliergli il desiderio di rispondere a suo fratello con una battuta
ancor
più pungente, come faceva di solito.
- Sono felice che sia andata come
speravi. –
Bill si morse il labbro inferiore
senza smettere di sorridere e, in uno scatto istintivo, le prese le
mani tra le
proprie.
Haylie non avrebbe mai creduto che
mani così fredde e bagnate potessero provocare una
sensazione così piacevole.
- Comincio a credere che sia tu a
portarmi fortuna. –
Il dopo fu piuttosto confuso.
Bill sorrise di nuovo. Sembrava
quasi che cercasse di trattenersi. Poi rafforzò la presa
sulle mani di Haylie,
inclinò la testa di lato, la guardò per meno di
un secondo prima di sporgersi
in avanti e posare un leggero e furtivo bacio sulle sue labbra.
Meno di un secondo.
Un secondo che Haylie non avrebbe
saputo riempire in un’intera giornata.
Realizzò quanto fosse appena
successo solo quando si rese conto di aver esaurito completamente le
riserve di
ossigeno.
Riprese a respirare con una certa
irregolarità, e il lieve annebbiamento della vista che
quell’attimo le aveva
provocato non le impedì di constatare che il sorriso era
ancora al suo posto
sulle labbra di Bill.
Ma era cambiato.
Era un sorriso misurato. Tenero.
Trattenuto a stento, appena accennato, rivelato solo dalla luce che ora
gli
ravvivava gli occhi.
Ma, come al solito, il commento
arrivò da dietro le sue spalle.
- Era un modo implicito di
ringraziarti per averlo sopportato meglio di noi tre messi insieme!
–
Haylie
si meravigliò
nel ritrovare lo stesso sorriso ancora stampato sulle proprie labbra.
Beh, in
fondo era anche un po’ “colpa” di Bill se
si trovava così spesso a sorridere,
apparentemente senza motivo.
Avevano
tante cose in comune, tra cui la poca espansività. Certo,
era un aspetto che si
manifestava diversamente in entrambi, ma non per questo passava
inosservato.
Era
fantastico stare a guardare i due gemelli, in qualsiasi momento della
giornata.
Battute a
volte divertenti e a volte quasi da bambini, finti calci e finte
gomitate,
sguardi enigmatici. Talvolta amichevoli. Talvolta taglienti.
Ma
fraterni, sempre.
Era
all’uscita del tourbus che Haylie poteva constatare quanto
Bill e Tom fossero
diversi.
Era una
diversità sottile, ben lontana dalla semplice distinzione
“l’ambiguo-e-il-piacione” che,
puntualmente, ogni fan o osservatore esterno
assumeva.
Non
avrebbe saputo spiegarlo.
Ma,
in
quei casi, non si sentiva poi tanto uguale a Bill.
Era
davanti al pubblico che lui tirava fuori il suo scudo, la sua
– per molti
dubbia- timidezza, quasi la sua “maschera”,
l’elemento che lo differenziava dal
fratello.
Haylie si
era sempre protetta dietro quello scudo, e non lo avrebbe certo messo
da parte
a ventun anni.
Ventun
anni che non dimostrava.
Per un
verso, chiunque la vedesse per la prima volta, senza conoscerla, e
scambiasse
giusto qualche parola con lei, avrebbe potuto tranquillamente
attribuirgliene
almeno cinque o sei in più.
Forse per
quelle poche parole che uscivano –come a volerle forzare-
dalle sue labbra,
pronunciate a bassa voce, quasi con vergogna, o puro e semplice
riserbo, ma che
contenevano l’essenza di un intero discorso, la poesia di
un’esistenza.
Forse per
quelle piccole e delicate rughe agli angoli della bocca, lievissimi
segni che
avevano preso quel posto già un paio di anni prima, e che
potevano portare con
loro ricordi e immagini di un sorriso così come di una
smorfia di dolore.
Espressioni di una bocca che parlava anche senza proferire alcun suono.
Per un
altro verso, poteva anche sembrare una bambina.
Un po’ per
il fisico longilineo e dalle forme appena accennate; un po’
per i lunghi ciuffi
ramati sempre scompigliati, un dispetto, quasi, a quella che era la sua
professione, la sua immagine –che tuttavia risultava sempre
impeccabile,
sebbene fosse chiaro che la ragazza le prestasse la minima attenzione
necessaria-; un po’ per il calore emanato da due occhi color
delle castagne e
resi, se possibile, ancor più misteriosi
dall’arcata di lunghe ciglia nere,
senza bisogno di trucco, che li ornava.
Ma
non era
certo a quei pensieri che Haylie rivolse la propria mente quando
fermò la
macchina accanto all’ormai familiare sagoma del grande
tourbus.
Il tourbus
dei Tokio Hotel.
Casa sua,
in effetti.
Haylie
provava sempre un certo imbarazzo anche solo nel pensarlo.
Tecnicamente, non
era affatto casa sua. Ma se si pensava che da circa due anni ne usciva
solo un
paio di volte al giorno e che i punti “essenziali”
della sua vita si erano
svolti proprio lì dentro, le veniva naturale considerarla
casa propria.
Trasse un
profondo respiro prima di salire sulla scaletta che l’avrebbe
condotta
all’interno del tourbus e istintivamente, senza quasi
accorgersene, posò una
delle sue esili mani infreddolite sul proprio ventre.
“E penso a te,
solo tu puoi sentire,
puoi comprendere…”
(Raf, "nei silenzi")
|
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Capitolo due
Salve!
Innanzitutto grazie per i commenti, la prossima volta spero di
trovarne qualcuno in più…ecco il brutto delle fic
sui Tokio hotel, ce ne sono
troppe e si finisce in terza pagina senza neanche accorgersene.
Vabbuò. Ah,
volevo aggiungere che al momento sto lavorando al quarto capitolo, e,
dato che
io vado molto a periodi, non so ogni quanto
aggiornerò…Detto questo, vi lascio
al secondo capitolo!
Capitolo
due
Haylie era
ancora impegnata a scuotersi via la neve dalle scarpe quando
una voce vellutata, proveniente dall’interno del tourbus,
attirò la sua
attenzione.
- Fuori si gela, eh? –
La ragazza alzò lo sguardo, ancora piegata su se stessa.
A pochi centimetri di distanza, una figura alta e longilinea
–acerba,
diceva qualcuno storcendo la bocca- appoggiata alla parete. Un viso
incorniciato da folti e lisci capelli neri, con qualche ciocca
più chiara
sparsa qua e là, le cui punte sfioravano un paio di spalle
appuntite e non
molto larghe. Vestiti scuri, non ricercati come quelli che solitamente
sfoggiava –non come quelli che solitamente lei
sceglieva per lui, anche
se mai senza la sua immancabile approvazione.
- Così sembra. –
Bill non poté fare a meno di sorridere.
Sorridere senza dire nulla.
Le tese una mano e l’attirò gentilmente a
sé, mentre con l’altra si premurava
di chiudere la porta alle spalle della ragazza, evitando di trasformare
il
tourbus in una cella frigorifera.
Haylie
si trovò ad aderire completamente con il corpo a quello di
lui,
abbandonata contro il suo petto, lasciando che fosse la sua mano a
sostenerla.
Chiuse gli occhi, e non poté evitare di fare suo il
piacevolissimo odore
che non ci si sarebbe mai aspettati di sentir emanare da capelli
continuamente
messi a dura prova da lacca, tintura e altri mille prodotti, come erano
quelli
di Bill.
Sapevano di neve e di pino, anche se, molto probabilmente, Bill non
aveva neanche osato mettere il naso fuori. In giornate gelide come
quelle, non
era raro che rimanesse rinchiuso nel tourbus, protestando ogni
qualvolta un
componente del gruppo si azzardasse a lasciare uno spiraglio aperto,
anche solo
per respirare un’aria diversa dal solito.
La sua voce non ammetteva leggerezze.
Forse
era anche per questo che Bill parlava così raramente di
propria
volontà.
-
Devo dirti una cosa. – esalò Haylie, le labbra
ancora affondate tra le
ciocche scure.
Sentì le mani di Bill scivolare sui suoi fianchi prima che
l’allontanassero dal suo petto.
Corrugò appena la fronte, ma sorrideva.
C’è
qualcosa che non va?,
sembrava stesse chiedendole, mentre le sue dita affusolate correvano
dalla vita
ai fianchi sottili di Haylie. I loro sguardi si incrociarono nuovamente.
No,
niente, parve
rispondergli lei.
Si mordicchiò le labbra e sbatté più
volte le palpebre. Paura?
Felicità…?
Non lo sapeva più neanche lei.
-
Dimmi tutto. –
…Occhi di un bambino che presto avrebbe dovuto cominciare a
crescere,
senza sapere che avrebbe dovuto farlo molto prima…
Haylie
cominciò a sentire una calura poco piacevole pizzicarle il
collo
e le guance, a dispetto della stagione.
- Non so se… - cominciò, prima di fermarsi,
bloccata da chissà quale
forza interna. Bill inclinò la testa di lato.
- Ehi, piccola. Tutto ok? –
Chissà perché, le veniva più difficile
rispondere quando domande del
genere le venivano poste a voce. Perlomeno da Bill.
Annuì nervosamente, ma distolse lo sguardo subito dopo.
Bill le strinse la mano non più fredda, richiamando la sua
attenzione.
Fece un cenno verso il tavolino situato a poca distanza da loro.
Ci
sediamo lì?
Haylie lanciò uno sguardo nervoso alle sedie che lo
circondavano. Deglutì.
Sì,
sediamoci.
Così fecero.
Un braccio di Bill scivolò silenziosamente
dietro le spalle di lei, attirandola con dolcezza, l’altra
mano andò a posarsi
sul suo ginocchio.
Chinò nuovamente la testa, cercando di
incrociare lo sguardo di Haylie, ostinatamente fisso a terra.
-
Allora? –
La sua breve domanda fu appena più percettibile di un
sussurro.
…del rumore di una goccia che si infrange su una superficie
liscia…
…degli spifferi di cui aveva sempre così tanta
paura.
Eppure, la voce che pronunciò la risposta era ancora
più bassa.
- E’… è un po’ difficile da
spiegare. –
- Difficile, ma niente di terribile… no? –
Haylie rialzò il capo e i loro sguardi si incrociarono
nuovamente.
Avrebbe voluto fargliela lei, quella domanda. Ma lui, certo, lui non
sapeva
ancora.
La stava facendo più tragica di quanto, in
realtà, non fosse?
Non era certo la prima volta che capitava.
Accovacciata
sul letto di Bill, Haylie sfogliava freneticamente una delle molte
riviste che
formavano una pila mediamente alta al suo fianco. Era talmente occupata
da non
essersi nemmeno accorta che i due gemelli, seduti di fronte a lei sul
letto di
Tom, avevano smesso di scandagliare minuziosamente il nuovo testo
scritto da
Bill e la stavano ora osservando stranizzati.
Dopo
qualche secondo le giunse alle orecchie la voce di Tom.
- Hay,
va tutto bene? –
- Come?
Oh… sì, sì… stavo
solo… niente. – farfugliò lei,
improvvisamente paonazza.
- Stavi
cosa? – Tom la fissava sorridendo, incuriosito.
-
Niente, stavo solo… leggendo. –
- E sei
così veloce da spolparti trenta riviste in un colpo solo?
– ridacchiò lui.
Bill,
che non aveva ancora detto nulla, accennò un sorriso.
Semplicemente divertito.
Alle volte, Haylie gli faceva una tenerezza infinita, con quel suo modo
di
fare. Sembrava che si vergognasse di ogni parola che pronunciava, ogni
mossa
che faceva.
- No, è
che… Oh, va bene! – cedette alla fine,
abbandonando le braccia lungo i fianchi
e lanciando un ultimo sguardo apprensivo alla pila di giornali.
– Sono… riviste
che vado comprando nelle nostre soste. – Si
attorcigliò nervosamente una ciocca
di capelli fra le dita. Parlare di quell’argomento mai
sfiorato la imbarazzava
da morire! – Non è raro che ci siano pezzi sulla
band. Su voi due, soprattutto.
–
Tom
corrugò la fronte, confuso.
- Ed è
così sconvolgente? – Bill alzò gli
occhi al cielo e sospirò, prima di lanciare
ad Haylie uno sguardo che diceva chiaramente “Lascialo
perdere, vai avanti”.
La
ragazza tornò a sentirsi bollente.
- Non
scrivono cose molto carine. –
Tom alzò
le sopracciglia. Classica espressione da “storia
vecchia”.
- Oh,
sì, ci siamo abituati… -
- Ma
dicono che voi… insomma, hanno insinuato che… Mio
Dio, non avete mai sentito
parlare del “twincest” ? –
sbottò con una certa agitazione, quasi schifata da
quell’ultima parola che era stata costretta a pronunciare.
Ma la
reazione che suscitò non corrispondeva affatto a quella che
avrebbe pensato di provocare
con quella notizia: Tom scoppiò a ridere senza ritegno, Bill
si limitò a
sorridere. Haylie li guardò spiazzata.
- Beh?
Che c’è di tanto divertente? –
Bill
scoccò uno sguardo di disapprovazione verso il fratello, che
continuava a
sghignazzare, facendo sentire Haylie vagamente fuori posto, e
andò a sedersi
accanto a lei.
- Penso
che Tom rida perché ormai ci siamo abituati al fatto che le
nostre fan… beh,
insomma, a loro piace immaginare il twincest. –
Haylie
lo guardò come se avesse appena detto che il giorno del
giudizio sarebbe
arrivato entro una settimana.
- Alle
fan piace immaginare
che voi…? –
A
quel punto, neanche Bill poté trattenersi dal ridacchiare.
- Così pare. –
Haylie si voltò a guardare Tom, che aveva appena
smesso di ridere e ora stava cercando di riprendere fiato.
- Scusami, davvero… E’ che ci ho fatto
l’abitudine,
come dice Bill. Se per sbaglio capita che in pubblico lui mi sfiori con
un
dito, le ragazze vanno in estasi. Scrivono milioni di storie su di
noi… -
- …che puntualmente si concludono con il suicidio
di uno di noi due, il mio nel novantotto per cento dei casi.
– aggiunse Bill
con disappunto.
- …e invadono il web di fotomontaggi, disegni e
cose così. – continuò
l’altro. – Non ho mai visto nessuno scandalizzarsi
così a
questa notizia, a parte Bill, la prima volta che a un intervista gli
hanno
chiesto se per caso non se la facesse con il suo amato gemellino. Gli
sono
venuti i capelli dritti. Tra parentesi, questo spiega anche le torture
che Bill
fa alla sua povera chioma ogni giorno, dopo quell’intervista
si è accorto che
gli piaceva da matti il suo nuovo look! –
Nonostante lo shock iniziale, Haylie non poté
trattenere una risatina. Bill scosse la testa.
- Non farci caso. –
- Insomma, non ti biasimo, se ti sono venuti sul
serio i capelli dritti! Io morirei se la gente pensasse di me una cosa
del
genere. – ammise lei.
- Beh, dopo un po’ ci fai l’abitudine. E
soprattutto impari a tenere lontano tuo fratello come se avesse la
peste. –
aggiunse Tom, ripiegando pigramente il foglio che teneva in mano.
- Mah. Non capisco come fate a ignorarlo così… -
- Anche se ci scandalizzassimo, dubito che
servirebbe a qualcosa. – rispose semplicemente Bill.
Seguì una breve pausa di silenzio, prima che la
squillante e giocosa risata di Tom riempisse nuovamente il tourbus.
- E comunque non mi dispiace affatto che le fan mi
giudichino talmente affascinante da avere il potere di sedurre anche
mio
fratello! –
Certo,
la situazione era un po’ diversa.
Anche perché, questa volta, il problema
riguardava lei, in prima persona.
No.
Haylie scosse impercettibilmente la testa.
Non era un problema.
Doveva poterne essere felice anche senza il
consenso di Bill.
Consenso… che parola grossa.
Ma non riuscì a trovare un termine più
adatto, perché, spinta da quella consapevolezza, lo disse.
Solo che le parole uscirono lievemente
ingarbugliate. Poteva capirlo dall’espressione stranita di
Bill.
- C-come? –
Oddio,
è sconvolto perché non ha capito o
perché…
ha capito benissimo?
Prese un bel respiro e riformulò la frase.
- Sono incinta, Bill. –
Rimase
a guardarlo, in attesa di una reazione
–qualsiasi reazione-, per pochi attimi che
le sembrarono più lunghi di
un’eternità, torcendosi nervosamente le mani.
Sulle labbra di Bill si disegnò un sorriso
che, però, non ebbe il potere di darle un po’ di
sollievo.
- Dio, Haylie… e me lo dici così? –
La ragazza avrebbe giurato di sentire le ossa
delle proprie mani scricchiolare.
- Perché, come avrei dovuto dirtelo? –
squittì.
- Ma… con un sorriso, almeno! E’…
è
semplicemente fantastico! – esclamò Bill, mentre
il suo sorriso si faceva più
largo e le sue mani andavano a stringere quelle di Haylie. Lentamente,
il cuore
della ragazza rallentò i battiti.
Levò lo sguardo fino a incrociare quello del
suo ragazzo.
Quel
sorriso, quegli occhi che quasi
luccicavano, non potevano essere frutto della sua immaginazione.
Aveva pensato a mille cose quando aveva
saputo che dentro di lei c’era una nuova vita.
Aveva pensato ai continui viaggi. Al non
potersi mai fermare. Alla casa che non avevano. Alle persone che
dipendevano da
quella vita, da quegli spostamenti. Alla sua giovane età,
giovane quanto quella
di Bill e degli altri tre ragazzi che con lui formavano il gruppo.
Tutti quei pensieri si aggrovigliarono, si mischiarono
e si confusero quando Haylie sentì le esili braccia di Bill
stringerla in un
abbraccio che non avrebbe pensato di ricevere.
Nella sua mente si erano proiettate, come in
un film, le infinite reazioni che si sarebbe aspettata da parte di
Bill, meno
quella.
Felicità.
Pura e semplice felicità.
Riusciva a leggere solo quello,
nell’abbraccio di Bill, nel battito agitato del suo cuore,
nelle sue mani
tremanti.
Si
sarebbe aspettata mille domande, e forse
anche mille obiezioni.
O forse un silenzio, un silenzio di ghiaccio
che l’avrebbe senz’altro distrutta.
Haylie tremò nel pensarlo, e si strinse più
forte a Bill, affondando il viso nei suoi capelli e aggrappandosi alle
sue
spalle. Come aveva potuto aspettarsi una reazione negativa?
Lei amava Bill.
E Bill amava lei.
Se lo ripeté mille e più volte, cercando di
scacciare il desiderio che Bill dicesse qualcosa, almeno una parola,
che non
lasciasse nulla in sospeso.
“Nei
silenzi,
dentro le parole che non ti ho mai detto
é chiaro quanto t'amo
e non saprei immaginare la mia vita senza te” (Raf, "Nei silenzi")
-
Quando lo diciamo agli altri? –
|
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Ollè,
altre tre recensioni! Non male, non male… cresceranno XD
Allora, ringrazio _emosoul_, valux91, ale, enlil e la mia sore
Temperance_Booth per i commenti, e noirfabi per avermi messa tra i
preferiti…
Avevo dimenticato di precisare che non inserisco i
“credit” delle
canzoni che uso nei vari capitoli, perché sono proprio
queste canzoni a dare il
titolo alle parti in cui è suddivisa la storia. Per esempio,
in questa prima
parte userò solo “Nei silenzi” di Raf, e
metterò i credit alla fine.
Spero che anche questo cap vi piaccia!
Capitolo
3
- Tom,
per l’amor del cielo, controllati! –
- Ma guarda nel tuo piatto, Georg! Ora c’ho
pure il dietologo a domicilio… -
- Chiamalo “domicilio”… -
- Era per dire! –
Haylie sospirò sorridendo.
Non sapeva davvero come sarebbe stata la vita
senza quei battibecchi giornalieri, senza quelle risate e quella
confusione –se
così poteva chiamarsi il sovrapporsi di quattro voci in
contemporanea, tutte
abbastanza alte.
Era talmente persa nei meandri dei suoi
pensieri che sobbalzò quando Georg le rivolse la parola.
- Beh? Che è successo stasera? – le chiese
ridacchiando e indicando il suo piatto. Haylie alzò le
spalle, senza neanche
abbassare lo sguardo.
- Niente, non ho molto appetito. –
- Oddio, allora quando sarai affamata sarà il
caso di nascondersi sotto i tavoli! –
Lo sguardo di lei cadde sul proprio piatto,
praticamente lucido come appena uscito dalla lavastoviglie, e solo
allora
realizzò che doveva aver divorato in un batter
d’occhio tutto quanto le fosse
passato tra le posate, senza nemmeno rendersene conto.
Fu Bill a rispondere per lei, mollando una
poco amichevole gomitata tra le costole di Georg.
- Ha ragione Tom, ci manca solo il dietologo
in tourbus e poi siamo al completo! –
Tom rivolse al fratello uno sguardo
falsamente meravigliato.
- Bill… sei d’accordo con me! Oh Gott…
sono
commosso! –
Bill sorrise e scosse la testa. Poi il suo
sguardo guizzò verso Haylie.
Uno
sguardo eloquente, senza dubbio.
Haylie si mordicchiò le labbra ma non poté
fare a meno di sorridere.
Giocherellò con le punte dei propri capelli,
respirando profondamente.
Ricevette un altro sorriso in risposta.
Solo allora si rese conto che intorno a loro
era calato il silenzio. Si guardò intorno, imbarazzata. Lo
sguardo inquisitorio
di Tom si spostava velocemente da lei a Bill.
- Beh? In questa famiglia non si usa più
comunicare a voce? – indagò. Gustav
ridacchiò.
- Famiglia… - ripeté, quasi a
volerlo
prendere in giro.
La mano di Bill si posò su quella di Haylie.
- No, ha detto bene, Gusty. – Tom guardò il
fratello con gli occhi sbarrati.
- Mi dai ragione due volte? Caspita, è
grave! –
Bill scosse la testa. – Non c’è bisogno
che
ti sconvolgi tanto. – Mise le braccia intorno alla vita di
Haylie e la sollevò,
facendola sedere sulle proprie gambe. La guardò sorridendo.
– La signorina qui
presente ha qualcosa da dirvi… vero, amore? –
- Dio santo! – gemette Tom. – Siamo sulla via
del picci-picci! –
Ma Bill non gli prestò attenzione, né tanto
meno lo fece Haylie. Passò un braccio dietro le spalle di
Bill, lo strinse a sé
e poi si rivolse agli altri con un timido, bellissimo sorriso.
-
Io e Bill aspettiamo un bambino. –
L’unica reazione umana fu quella di Gustav,
perlomeno rispetto a Georg, che fece cadere il proprio bicchiere,
cospargendo
il tavolo di vino rosso, e a Tom, che fu costretto a smettere di
dondolarsi
sulla sedia da Georg, che gli mollò inavvertitamente una
gomitata, facendolo
cadere rovinosamente e sparire dalla visuale degli altri quattro.
- Sono vivo! – ululò, agitando una mano sopra
il tavolo.
Ma
a quel punto nessuno stava più badando a
lui.
Georg fissava Bill e Haylie come se non li
riconoscesse.
- No! Non ci credo! –
Bill lo squadrò con finta aria di
sufficienza.
- E’ così terribile? –
- No, diamine… E’… è
magnifico! – balbettò,
prima di accorgersi del danno provocato dalla macchia di vino che
continuava ad
espandersi inesorabilmente, inzuppando la tovaglia. Afferrò
un tovagliolo e
prese a strofinare la macchia senza staccare gli occhi di dosso ai due
ragazzi.
- Sono davvero commosso dalla partecipazione
che dimostrate vedendomi soccombere penosamente! – si
lamentò Tom, riemergendo
e tornando a sedersi al proprio posto.
- Senza offesa, Tom, ma la notizia che
abbiamo appena ricevuto mi sembra un filino più importante.
– lo riprese
scherzosamente Gustav, prima di rivolgersi ad Haylie e Bill: - Sono
felicissimo
per voi, ragazzi. A che mese sei? –
- Questo non lo so neanche io. – osservò
Bill.
- Beh, non me l’hai chiesto! – replicò
Haylie.
- Vabbè, bando alle ciance! Spara il numero!
– intervenne molto meno formalmente Tom.
- Esattamente all’inizio del secondo mese. –
- Beh, dài, siamo a buon punto. – A
quell’osservazione, Tom ricevette da parte di Georg uno
sguardo scettico.
- Tom, parla come mangi. Secondo me non sai
neanche quanto dura la gravidanza. –
- Certo che lo so, dura sette mesi! Giorno
più giorno meno… -
- Ecco, appunto… -
- Mentecatti! –
- Ragazzi, finitela! – Bill cercò di
riportare la calma, impresa non facile, data l’euforia che la
notizia aveva
suscitato.
- Ma lasciali, poveri… - ridacchiò Haylie.
A quel punto intervenne Georg.
- Beh, dài, era ora che uno di voi mettesse
su un po’ di ciccia. Siete praticamente anoressici!
– Avvicinò a sé una mano di
Bill e una di Haylie, mettendole una accanto all’altra, in
modo che risultasse
evidente la magrezza di entrambe. Effettivamente non si poteva dire
quale delle
due fosse più scarna. – Però potevi
anche essere tu a mettere incinto Bill. Il
pancione gli dona. –
- E tu come lo sai? – Haylie soffocò una
risata.
- Una volta, su Internet, abbiamo trovato un
fotomontaggio… - Georg si interruppe, scosso da un attacco
di risa isteriche. –
No, non ce la faccio… -
Haylie guardò Tom con aria interrogativa.
- Sì, insomma, hanno creato un fotomontaggio
in cui io abbracciavo amorevolmente il mio fratellino, misteriosamente
incinto.
–
- Beh, l’importante è che questo non
comprometta le sue corde vocali, no? – intervenne Gustav.
Il tutto si concluse con una risata
collettiva.
Haylie
amava questo loro modo di essere,
nessuno escluso.
Quella capacità di tenere vivo il gruppo con
poche battute…
Di far sì che nessun giorno fosse uguale a un
altro…
E senza fare mai grandi sforzi.
A loro bastavano poche parole, qualche
risata, per trascinare tutti.
Haylie li ammirava, li invidiava, quasi.
Lei non aveva questa capacità. Non l’aveva
mai avuta e dubitata che avrebbe mai imparato a padroneggiarla.
Anzi, spesso il suo era il problema opposto.
Si sentiva, ed era, così diversa da
quei ragazzi così spensierati, così allegri,
così esuberanti.
Forse era anche, soprattutto, per quello che
si trovava così bene con loro. Avevano un loro equilibrio,
una convivenza
armoniosa e piacevole che non peccava mai di invadenza o, al contrario,
indifferenza.
Tom
era l’argento vivo della compagnia, il
più chiacchierone, il più spensierato, ma non per
questo superficiale.
Georg era abbastanza simile a lui, solo,
cercava di darsi un certo contegno, di sembrare
l’“adulto” del gruppo. Ma lui e
Tom erano d’accordo su molti argomenti.
Gustav era il più tranquillo, un ragazzo pacifico
e semplice, che amava stare per i fatti propri. Non chiedeva mai nulla
e non
incoraggiava gli altri a farlo. Forse con lui c’era un
po’ meno confidenza, ma
Haylie non avrebbe saputo immaginare come sarebbero stati i Tokio Hotel
senza
di lui.
E poi Bill…
Bill era, insieme a Tom, il più giovane di
tutti. Ma non lo dimostrava.
Era il “silenzioso”, ma in modo diverso da
Gustav.
Gustav era sempre stato un tipo di poche
parole, Bill invece alternava lunghi momenti di silenzio ad attacchi di
irrefrenabile parlantina. Ma i suoi sbalzi d’umore erano
imprevedibili.
Lui comunicava in un altro modo. Non con le
parole.
Non sempre, perlomeno. Anzi, quasi mai.
Bill parlava con gli occhi.
Parlava con le mani, quando abbozzava un
testo per una nuova canzone. Haylie si era spesso fermata a guardarlo,
raggomitolato sul divanetto, con un quaderno aperto sulle ginocchia e
una penna
in bocca. Quando buttava giù qualche riga, lo faceva
soprappensiero, senza
neanche rileggere quanto aveva scritto.
Eppure i suoi testi erano perfetti.
Coinvolgenti. Toccanti.
La mano di Bill doveva essere direttamente
collegata al suo cuore, per trasmettere emozioni così forti.
“Io
sarò là dove sei tu
che sai leggere nei miei pensieri
e non ho più misteri”
…
Haylie sorrise
tra sé e gli scostò una ciocca
di capelli dal viso, attenta a non svegliarlo.
Respirava piano, con un suono lieve e
irregolare, come i bambini.
Gli era bastato toccare il cuscino con la
testa per crollare addormentato, e adesso Haylie non poteva fare a meno
di
osservarlo incantata.
O semplicemente innamorata.
Era così bello…
Istintivamente, si toccò la pancia ancora
piatta con la punta delle dita, come quella mattina. Ma in quel gesto,
ora, vi
era un’emozione del tutto diversa.
Sollievo, non più timore.
Chiuse
gli occhi e si chinò a baciarlo
lievemente sulla fronte, prima di allontanarsi da lui, a malincuore, e
uscire
dalla stanza.
La sistemazione in tourbus non era delle
migliori, ma almeno Haylie e Bill avevano una stanza tutta per loro
(dopo
settimane di organizzazione e spostamenti) e non erano costretti a
dormire
insieme agli altri. Non che l’idea le desse particolarmente
fastidio, ma
preferiva avere un po’ di privacy, almeno di notte.
Socchiuse silenziosamente la porta e
attraversò il piccolo corridoio a passo felpato.
Oltre all’appetito smisurato, ora aveva anche
una sete terribile.
Constatò immediatamente che la luce era
accesa: qualcuno doveva essere ancora in piedi.
Infatti, quando si avviò verso il piccolo
frigorifero sistemato in un angolo, vide Tom intento a sparecchiare la
tavola.
- Chiedo scusa – esordì. Tom alzò lo
sguardo
verso di lei.
- Oh, ancora in piedi? –
- Potrei farti la stessa domanda – osservò
lei, prendendo in mano una bottiglia d’acqua e un bicchiere.
Tom si strinse
nelle spalle.
- E’ sempre la solita storia, sono i più
piccoli a dover sbrigare le faccende di casa. Più che altro
mi seccava dover
sentire ancora per molto la puzza che fa questa tovaglia da quando
Georg ce
l’ha gentilmente decorata con il vino – aggiunse,
indicando la macchia.
- Coraggio, presto non sarai più tu il
“piccolo”, anche se, a dire il vero, hai comunque
un anno più di me –
A quelle parole, Tom non poté evitare di ridacchiare.
In realtà, stava proprio aspettando che il
discorso si presentasse… lontano dagli altri, almeno.
- Già, non ci avevo pensato. Però, se fossi
in te, eviterei di scaricare questo complesso sulle spalle del vostro
erede.
Perlomeno aspetta qualche anno prima di affidargli le incombenze che
gli
spetteranno! –
Haylie rise e per poco l’acqua non le andò di
traverso.
- Stupido… - balbettò tossendo.
- Grazie, lo so –
La ragazza si schiarì la voce, riponendo il
bicchiere e la bottiglia.
- Beh, che dire… Sono felice che voi… beh,
che l’abbiate presa bene –
Tom fece una faccia buffa.
- Cosa avremmo dovuto fare, scusa? Mettervi
una valigia e una coperta davanti alla porta con un biglietto
d’addio? –
- Santo cielo, no… - sospirò lei, sorridendo
con una punta d’imbarazzo. – Ma insomma, non so,
non ero neanche sicura se Bill
sarebbe stato contento, quindi… -
- Quindi devo pensare che non conosci né lui,
né noi –
Haylie si voltò a guardarlo.
Sorrideva, sincero come alle volte solo lui
sapeva essere.
- Senti, non ti ho detto niente prima sia
perché sono stato distratto dalla mia fantastica figura di
merda quando sono
cascato dalla sedia, sia perché… insomma, certe
cose preferisco dirle in
separata sede. –
Haylie sorrise, in attesa.
- Insomma, sono felicissimo per voi… se voi
lo siete, naturalmente –
- Qualcosa lascia credere che non lo siamo? –
- No, assolutamente. Anche se non mi abituerò
mai al vostro modo di fare. Non parlate quasi mai… -
- Certe cose si capiscono anche senza parole,
sai, Tom? – disse lei, dolcemente.
Tom la guardò con affetto e le scompigliò i
capelli con una mano.
- Forse hai ragione. In proporzione, sei la
più grande del gruppo –
- Non temere, presto lo sarò anche
fisicamente! –
Scoppiarono a ridere simultaneamente, senza
pensare ai tre ragazzi che, al contrario di loro, dormivano
profondamente.
Ma, anche se ci avesse pensato, Haylie
avrebbe dubitato che si sarebbero svegliati a quel rumore.
- Sei proprio un bel tipo, sai? – ridacchiò
Tom.
- Anche tu –
Le labbra del ragazzo si allungarono in un
altro sorriso, più bello del solito, se possibile.
- Allora, visto che siamo alle
congratulazioni ufficiali, posso abbracciarti? – le chiese
scherzosamente.
Haylie arrossì. Per quanto fosse in
confidenza con lui, le manifestazioni d’affetto la
imbarazzavano sempre, senza
però mancare di rallegrarla.
Annuì e si lasciò stringere forte.
- Ti voglio bene, Hay –
Sorrise e appoggiò il viso sulla spalla di
lui, ricambiando l’abbraccio.
- Anch’io. Voglio bene a tutti voi – Rimasero
in silenzio per qualche secondo, poi Haylie ebbe come un flash.
– Tom… -
- Sì? –
- Davvero pensavi che la gravidanza durasse
sette mesi? –
Lo sentì ridere sommessamente, ancora stretto
a lei.
- Certo che no, volevo solo verificare a che
livello sia la stima che avete della mia intelligenza. Ricorda che io
ero il
primo della classe! – Haylie si sciolse
dall’abbraccio, ridacchiando.
- Ok, non me lo scorderò –
La canzone è sempre "Nei silenzi" di Raf^^
|
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Oggi sono ben
disposta, quindi rispondo alle recensioni una per una^^
(ammettiamo che non mi costi poi una gran fatica XD) E, per la cronaca,
il
fotomontaggio di Bill incinto esiste davvero!
Ah, ci tengo a precisare che non ho la più pallida idea di
come si
svolga la vita in tourbus, dunque non stupitevi se, andando avanti a
leggere,
vi sembra che Haylie e i Tokio Hotel vivano su una semplice villetta
con le
ruote. <_<
Temperance_Booth:
sì, lo
so che Tom è fantastico, checché se ne dica
(cioè, checché TU ne dica…cof coff)!
Chissà… forse sei una veggente, o forse
no… Chi leggerà, vedrà!
Valux91:
io AMO la
famiglia del mulino bianco!!! Chissà, forse nel mio
inconscio
era proprio a quella che pensavo… Per quanto riguarda la
reazione a catena,
beh, non ho dovuto fare un grande sforzo…è
proprio così che io mi immaginerei
una scena simile!
Ale: che, hai letto
la mia “Cry - Don’t wanna be alone”? XD
Gioia, ti consiglio di non farti prendere
dall’ansia… Ancora ci saranno un bel
po’ di capitoli (credo^^), può succedere di tutto!
Capitolo
mooooolto di transizione:
Capitolo
4
La mattina seguente, ad Haylie bastò
socchiudere gli occhi per vedere un sottile filo di luce intrufolarsi
nella
stanza attraverso uno spiraglio di finestra aperto.
Voltò lentamente la testa: Bill dormiva
ancora profondamente, raggomitolato su se stesso e con una gamba
penzoloni
fuori dal letto.
Gli sfiorò i capelli con una carezza prima di
infilare i piedi infreddoliti nelle pantofole ed alzarsi
silenziosamente.
Attraversò il corridoio in punta di piedi, chiedendosi se
fossero ancora tutti
a letto.
Si affacciò cautamente dalla porta socchiusa,
constatando che le luci erano spente e quella parte di tourbus era
ancora
vuota.
Dopo due anni, spesso si ritrovava a
chiedersi come facessero quei quattro a dormire fino all’ora
di pranzo, per di
più con il bus in movimento.
Riscaldò un po’ di latte e ne riempì la
propria tazza, poi scostò la tenda e si sedette accanto al
finestrino, bevendo
lentamente.
Fuori il sole splendeva già alto,
rischiarando l’interno del tourbus con la sua luce ancora non
troppo calda.
Haylie si strinse nel suo maglione, finendo di bere il latte.
Posò la tazza sul tavolo, poi la sua mano
scivolò sulla sua pancia, ripetendo quel gesto che
più volte le era venuto
spontaneo.
L’accarezzò
delicatamente, sperando di
trasmettere quel calore alla creatura che, silenziosamente, aveva
cominciato a
crescere lì, di nascosto.
Automaticamente, i suoi pensieri volarono a qualche
mese più avanti.
Si vide diversa. Si vide con il pancione, che
non avrebbe mai lasciato immaginare la sua silhouette prima della
gravidanza
–ma non era certo quello che la preoccupava-, ma soprattutto
si vide felice.
O meglio, così le piaceva immaginare, in
mancanza di esperienza e fantasia.
Già… esperienza.
Haylie preferì non ripetersi quella parola
dal suono vagamente inquietante.
Decise di non affrettare i tempi e di provare
a rilassarsi. Dopotutto, ce n’era ancora, da aspettare.
Si alzò, sentendosi una strana smania
addosso, e cominciò a tirare fuori da un mobiletto tazze,
piatti e quant’altro
servisse per la colazione. Qualcosa le diceva che avrebbe dovuto
aspettare
ancora un po’ per veder spuntare fuori qualcuno, e tanto
valeva darsi da fare.
Non si accorse neanche che, mentre era
indaffarata a sistemare la tavola, Georg le era passato silenziosamente
accanto.
- Buongiorno – la salutò con voce impastata
di sonno.
- Buongiorno – rispose lei. – Come mai
già in
piedi? –
Georg sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere
su una sedia e stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani.
- Lasciamo perdere – mugugnò. – Gustav
è
sveglio da due ore e non ha smesso un attimo di rigirarsi come
un’anguilla nel
letto. Piuttosto che sentire un terremoto… - Si
passò una mano tra i capelli,
solitamente lisci come il mare di luglio, ma che ogni mattina
assomigliavano
stranamente a un cespuglio piuttosto intricato. Come evocato dai suoi
pensieri,
Gustav fece il suo ingresso pochi minuti dopo, allegro e pimpante.
- ‘giorno a tutti! –
- Parla per te – bofonchiò Georg.
- Ragazzi, non fate macello, Bill sta ancora
dormendo – li ammonì Haylie.
- Ah, non preoccuparti – rispose Georg. –
Visto che mi sono alzato dieci minuti fa, entro un quarto
d’ora arriverà anche
lui. E’ sistematico, abbiamo gli stessi orari. E’
Tom che ogni tanto si
volatilizza. –
- Beato lui… Ancora non capisco come faccia.
– disse lei, cominciando a sciacquare la propria tazza nel
lavandino. In quel
momento, si sentì la porta scricchiolare e nella stanza
comparve una figuretta
alta e magra con i capelli arruffati.
- Ecco, che ti avevo detto? Largo al demone
dei bassifondi urbani! – scherzò Georg.
La risposta di Bill non andò oltre una
smorfia assonnata, poi Haylie se lo ritrovò accanto.
- Buongiorno –
- ‘giorno… Scusa, che stai facendo? –
- Lavo la mia tazza, perché? – Haylie non
ebbe il tempo di rispondere, perché Bill gliela tolse dalle
mani.
- Lascia stare, ci penso io dopo. O Tom, o
Gustav… -
- Ma perché, non posso? –
- Non nelle tue condizioni – decretò lui,
riponendo la tazza nel lavandino e guidando Haylie verso il tavolo.
- Ma non sono mica malata! – protestò lei,
sedendosi accanto a Georg.
- Non devi stancarti comunque – Haylie alzò
gli occhi al cielo.
- Lavare quattro cose non è stancarsi…
-
- Lascialo perdere – intervenne Georg,
lanciando un’occhiata di sbieco a Bill come se fosse stato un
caso disperato. –
E’ paranoico fino alla morte, lo sai. Armati di santa
pazienza per i prossimi
mesi. –
Bill gli allungò una pedata mentre prendeva
posto accanto alla sua ragazza e pescava un biscotto dal pacchetto
messo al
centro del tavolo. In quel momento, si sentì una voce
provenire da dietro le
loro spalle:
- Sono sempre più commosso… vedo che non
riuscite neanche a mangiare senza di me! –
- Buongiorno, Tom – risposero tutti in coro
senza neanche voltarsi. Tom fece il suo ingresso nella sua classica
versione-risveglio, con indosso una tuta per una volta della sua misura
esatta
e con i rasta raccolti sotto un berrettone lavorato ai ferri che non
mancava
mai di suscitare i commenti ironici degli altri tre ragazzi, e si fece
spazio
accanto a Gustav.
- Non mettetevi in testa di farmi alzare a quest’orario
indecente anche negli altri giorni liberi. Avete fatto un tale casino
che mi è
passata la voglia di dormire. – annunciò
versandosi una generosa quantità di
latte.
Certo, il suo concetto di “orario indecente”
era abbastanza diverso da quello di Haylie: per lui era semplicemente
inconcepibile alzarsi prima delle dieci, per lei lo era rimanere a
letto oltre
le sette.
- Ragazzi, sto congelando – disse Gustav,
stringendosi nella propria felpa.
- Eppure io muoio dalla voglia di uscire –
rispose Haylie, sgranocchiando una fetta biscottata.
- Scherzi? Con questo freddo? – ribatté Bill.
- Ma se c’è un sole bellissimo…!
–
- Oggi il tourbus dovrebbe fermarsi per l’ora
di pranzo – disse Gustav, senza badare al battibecco.
Effettivamente, lui era
quello che per primo, appena il bus si fermava, usciva a prendere un
po’ d’aria
e a fare lunghe passeggiate.
- Fantastico! – si entusiasmò la ragazza.
–
Non vedo l’ora. –
- Haylie, lascia perdere, puoi uscire un
altro giorno… - tentò di convincerla Bill, ma
tutto ciò che ottenne in risposta
fu un lungo sospiro.
- Va bene, ho capito – sbuffò, alzandosi e
facendo per raccogliere tazze e bicchieri dal tavolo, ma Bill la
bloccò.
- Lascia, faccio io. –
- Grazie, Bill, non c’è bisogno –
- Davvero, lascia stare! Tu puoi riposarti un
po’, se vuoi. –
In quel momento, Haylie avrebbe voluto
essergli grata, ma le sue osservazioni di prima l’avevano
già innervosita,
senza contare l’incredibile smania che si sentiva addosso da
quando si era
svegliata.
Ritrasse energicamente la mano sulla quale
Bill aveva posato la propria.
- Per l’amor del cielo, Bill! Sono solo
incinta di due mesi, mi sono appena svegliata da un sonno
sufficientemente
lungo e mi sento benissimo! Tutto quello che desidero è
muovermi un po’, chiedo
troppo?! – esclamò.
Bill la guardò a metà tra lo stupito e
l’imbarazzato.
- Scusa, amore, non volevo dire che… -
- Lo so, lo so. – rispose lei
sbrigativamente. Non avrebbe voluto rivolgersi a lui in quel modo, ma
non aveva
proprio potuto trattenersi.
D’altra parte, con Bill, bastava dire
chiaramente ciò che c’era da dire, e cercare di
non lasciarsi contagiare troppo
dalle sue abitudini.
Come aveva detto Gustav, il tourbus si fermò
intorno all’una.
A quell’ora, Haylie era già vestita e ben
coperta. Mise in borsa un paio di panini e uscì, godendosi
la meravigliosa
sensazione del vento freddo che le pizzicava il viso.
Fortunatamente, quando il tourbus
interrompeva i suoi giri, era sempre circondato da una fitta schiera di
camion
e sostava in posti piuttosto isolati, per far sì che i
membri del gruppo
fossero al sicuro senza venire assaliti da orde di fan impazzite.
Quel giorno, il tourbus si fermò davanti a un
grande prato, reso ancora più verde e luminoso dai raggi del
sole.
Haylie si era appena seduta sull’erba quando
dal tourbus uscì Tom.
- Ehi. Tutta sola? –
La ragazza annuì senza dire nulla, al che Tom
le venne accanto e si sedette con lei.
- Posso? –
- Certo. –
- Non ti preoccupare per Bill, ogni tanto gli
piglia di fare il rompipalle, ma poi gli passa. Capisco che due anni
siano
pochi per abituarsi a lui. –
Se c’era una cosa che non si poteva
rimproverare a quel ragazzo, era di non essere diretto.
- Oh, figurati. E’ anche colpa mia, ho
reagito male. –
- Ma no… Ti capisco. –
- E’ che stamattina mi sento un po’ nervosa.
– sospirò, stringendosi nelle spalle. –
Saranno gli effetti collaterali… -
aggiunse ridacchiando.
- Già – Tom sorrise. – Ma tu che
programmi
hai? Nel senso… hai intenzione di startene come una mummia
per sette mesi, come
ti ha suggerito lui? –
- Non ho idea di come mi sentirò. Ma Bill
capirà sicuramente. Dopotutto, non posso pretendere che
capisca sempre cosa
voglio. –
- Come, non dicevi che voi vi capite anche
senza parlare? – le chiese Tom in modo sottilmente ironico.
- Appunto, ho detto anche… -
replicò
lei, ridacchiando. – Beh, comunque la novità non
è soltanto per me, non sono
solo io che devo abituarmici. Spero che non dovrete essere voi ad
abituarvi ai
miei sbalzi d’umore! –
- Mah… In due anni non ti ho mai vista
arrabbiata, ma qualcosa mi dice che, se succedesse, potrebbe essere un
segno
dell’imminente fine del mondo. –
- Sì, vabbè… Mica sono una santa.
–
- Come no, sei ancora viva e con la mente a
posto dopo due anni passati in mezzo a noi… più
di così non so cosa tu possa
fare – disse Tom, sogghignando.
Haylie rise e si strinse nel suo maglione,
sentendo un leggero brivido di freddo.
- Spero di non impazzire giusto in questi
mesi! – Tom scosse la testa e alzò gli occhi al
cielo, senza però smettere di
sorridere.
- Haylie, aspetti solo un bambino… Non credo
che questo porti alla pazzia! Al massimo qualche sbalzo
d’umore… -
- Io non ne ho idea, Tom. Mi sento ancora un
po’ spaventata, a essere sincera. –
A quella parole, il sorriso di Tom cambiò.
Non che l’avesse mai vista come una semplice
ragazzina capricciosa, ma, in quel momento, sentì come un
moto di tenerezza
verso di lei.
Come se volesse trovarsi al suo posto, anche
solo per un attimo, per capire cosa provasse…
- Te la caverai egregiamente, ne sono sicuro.
–
Haylie lo guardò con riconoscenza.
- Spero che tu abbia ragione. –
- Io non sbaglio mai. – replicò Tom con una
finta aria di superiorità.
- Buon per te, Tom, buon per te… -
…
La porta si aprì e richiuse con un rumore tanto debole da
essere appena
percettibile.
Haylie non raccolse neanche le forze necessarie per alzare la testa,
anche perché sapeva benissimo chi era appena entrato.
Era calata la sera, e per tutto il pomeriggio lei e Bill non si erano
neanche visti. Aveva passato qualche ora in compagnia di Tom,
chiacchierando
tranquillamente del più e del meno –stranamente,
quel ragazzo le faceva venire
voglia di parlare più di quanto non fosse abituata a fare-,
prima di appartarsi
e stare un po’ per conto proprio, in compagnia dei suoi
pensieri e della creatura
che si sarebbe portata dentro per mesi.
…Come se volesse cominciare a prendere confidenza, per non
trovarsi
impreparata quando il momento sarebbe arrivato.
Haylie sentì le lenzuola frusciare quando Bill le
alzò e poi ci si
infilò sotto.
Subito dopo, una sensazione molto più bella… la
sua mano fresca sul
fianco, con quel tocco delicato che solo lui aveva, e il suo viso tra i
capelli.
- Scusami per stamattina – sussurrò a fior di
labbra, baciandola dalla guancia alla spalla e riscaldandola con il suo
fiato.
- Non è niente – mormorò lei, non
potendo
trattenere un sorriso appena accennato. Istintivamente,
cercò la sua mano, al
che Bill l’attirò dolcemente a sé,
trovandosi faccia a faccia con lei.
Quel viso gli era mancato per tutto il
pomeriggio.
Scivolò silenziosamente sopra di lei,
continuando a baciarla e segnando delicatamente il suo profilo con la
punta
delle dita.
Haylie sentì il suo respiro farsi più
affannoso mentre cominciava a spogliarla, e si aggrappò alle
sue spalle,
stringendolo forte.
Sì,
lo amo.
Bill
si fermò solo un attimo, contemplandola
con quei suoi occhi nei quali non aveva mai brillato nessuna luce di
malizia.
- Sei bellissima –
Haylie nascose il viso nell’incavo tra il suo
collo e la spalla quando avvertì Bill cominciare a farsi
spazio tra le sue
gambe, cercando di raggiungere il suo intimo con gentilezza non priva
di
bramosia.
Tutto si confuse.
Bill, i suoi baci, le sue mani, le sue gambe,
l’odore della sua pelle, la carezza dei suoi
capelli…
Ti
amo Bill… Dimmelo anche tu…
Nel suo respiro veloce forse vi era un
qualcosa in più, le parole che Haylie cercava, ma, se era
così, quella volta
non riuscì a sentirle.
Non
aveva mai chiesto niente.
Non aveva mai preteso niente.
Ma quella notte sentì la mancanza di quel ti
amo sottinteso, e che sempre lo era stato, senza averle mai dato alcuna
preoccupazione.
“Nei
silenzi,
in un'emozione rotta da un respiro
é chiaro quanto t'amo
e non saprei immaginare la mia
vita senza te .”
(Raf,
“Nei silenzi”)
|
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Capitolo 5 *** Passeggeri distratti - Capitolo cinque ***
Sempre un
milione di grazie alla mia sore (per stavolta ti perdono, ma
ho paura che la tua lettera si sia persa), a noirfabi e a Kristine per
il suo
bellissimo commento. Purtroppo in questi giorni ho problemi con il
computer, e
oltretutto non riesco a buttare giù il capitolo
7… Insomma, potrei ritardare
nell’aggiornamento. Intanto spero che anche questo capitolo
vi piaccia e...vi lascio un po' in sospeso!
Parte
II – Passeggeri distratti
Capitolo
5
“Facendo
finta di perderti
io mi tormento pensandoti…”
Si
svegliò così come si era svegliata quella
mattina, un mese prima.
Sbadigliando e allungando già una mano verso destra,
cercando tra le
lenzuola ancora sfatte qualcuno che evidentemente era già in
piedi.
Haylie socchiuse di poco le palpebre, quanto bastava per controllare
che
l’altra metà del letto fosse veramente vuota.
Sì, lo era.
Il suo sorriso aveva qualcosa di meno allegro, meno disteso ma non meno
bello a vedersi, quando si fece strada a poco a poco sulle sue labbra.
…un sorriso che sopravviveva solo al pensiero di chi avrebbe voluto trovare accanto a
sé ogni mattina…
- Ciao, Gustav… -
- Buongiorno, Haylie. Tutto bene? –
- Sì, sì, grazie. Sai dov’è
Bill? –
La risposta del batterista fu un cenno di assenso, con la sua solita
aria pragmatica.
- Sì, lui e Tom sono a un’intervista. Credo che
dopo di questa, Bill ne
abbia un’altra. Tom sarà qui nel pomeriggio,
penso. Bill non so quando torna. –
Haylie annuì, distogliendo lo sguardo e mordicchiandosi le
labbra.
- Okay… Io… beh, penso che tornerò a
letto… non mi sento granché bene. –
Gli occhi di Gustav la scrutarono per qualche istante.
- Va bene. Se ti serve qualcosa, io sono qui. –
Haylie sorrise, cercando di non badare al leggero fastidio che
l’aveva
colpita allo stomaco qualche minuto prima e che ancora non accennava a
sparire.
…paura? O delusione?
- Grazie, Gustav. E’ tutto a posto. –
Haylie
si lasciò cadere di schiena sul letto.
Si sentiva strana.
Non avrebbe saputo dire se fosse un qualcosa di fisico o,
più
semplicemente, disagio, si rendeva solo conto che, quel giorno,
c’era qualcosa
che non andava.
Sono ad
un’intervista…
Non
gliel’aveva mai nascosto, le dava un po’ fastidio
questo fatto che
chiamassero solo lui e Tom –o solo lui, e basta- per le
interviste, molto più
spesso di quanto chiamassero tutti e quattro i membri del gruppo.
Chi erano, gli altri?
Bill aveva risposto che sì, effettivamente era un
po’ strano, e che
sarebbe stato meglio partecipare tutti, al completo, ma non aveva mai
rifiutato
un’intervista o un qualsiasi altro evento che escludesse uno
o più componenti
della band.
Non gli dispiaceva poi così tanto stare al centro
dell’attenzione.
Nonostante tutto, Haylie riuscì ancora una volta a
sorridere. Sorridere
da sola, per se stessa e nessun altro.
Chissà che bambino era stato, Bill.
Tom le aveva raccontato qualcosa in proposito –dopotutto, in
due anni e
con una tale parlantina, gli argomenti di conversazione non potevano
essere
sempre gli stessi-, ma non si era soffermato più di tanto
nel raccontarle
quanto, adesso, Haylie avrebbe voluto sapere.
Solo di una cosa era certa.
Di quel bambino, era rimasto qualcosa.
Aveva avuto tempo sufficiente per accorgersene.
Haylie
dubitava che potessero trovare un tempo peggiore.
La
pioggia batteva insistentemente contro i vetri dell’hotel
dove sarebbero
rimasti per due giorni, e il sibilo che produceva il vento freddo
insinuandosi
in ogni minima fessura aperta era a dir poco inquietante.
Anche
l’umore di Bill era “nuvoloso”.
Non
aveva detto nulla tutto il pomeriggio, e le rare volte che si era
alzato dalla
sedia le aveva usate per stazionare davanti alla finestra, sospirando
per poi
allontanarsi subito dopo.
Era
così.
Ad ogni
inizio di tournée era sempre così.
Agitato.
Suscettibile. Rinchiuso nel suo ostinato mutismo.
Poi
aveva tirato fuori un quaderno che Haylie non gli aveva mai visto
passare tra
le mani –in effetti, stavano insieme da poco, anche se ormai
erano più di sei
mesi che lavoravano assieme- ed era rimasto chino su di esso per minuti
che non
avevano tardato a trasformarsi in ore.
Haylie
sbirciò un’ennesima volta nella sua direzione.
Non che
fosse curiosa, ma non sopportava di vederlo così.
Mosse
pochi, silenziosi passi, e si posizionò dietro di lui.
- Ehi… -
Gli
poggiò le mani sulle spalle e inclinò la testa di
lato, per poterlo finalmente
guardare negli occhi.
- Che
fai? –
Bill si
strinse nelle spalle.
-
Provavo a sistemare un bozzetto… -
Dicendo
ciò, accennò al quaderno poggiato sul tavolino e
aperto a una pagina su cui
spiccavano poche linee tracciate a matita e salvate dagli ultimi colpi
di gomma
con cui Bill aveva aggredito il foglio. Accanto ad esso, un altro
foglietto
che, a giudicare dai profondi segni incisi dai numerosi piega e spiega
e dagli
angoli colorati di un leggero color ocra, doveva essere piuttosto
vecchio.
Era un
disegno. Una felpa, disegnata da una mano giovane ma non per questo
inesperta.
Vista da due lati, fronte e retro, bianca e nera. Sul davanti,
campeggiava il
disegno di una stella a cinque punte, la stessa che Bill aveva tatuata
su un
fianco, sulla schiena si poteva vedere un simbolo per niente
sconosciuto.
Una T e
una H incrociate a formare quella sigla con cui in seguito tutti li
avrebbero
riconosciuti.
- L’hai
fatto tu? –
- Sì…
l’ho disegnata due anni fa, più o meno. Tom
continua a dire che dovrei farmela
fare, insomma… beh, hai capito, no? …e
così stavo cercando di sistemarla, ma
non mi viene niente. –
Haylie
sfiorò il foglio con la punta delle dita.
Dopotutto
quello era il suo mestiere.
- Non ti
viene niente perché non c’è nulla da
sistemare. E’ perfetta così. –
Bill la
guardò stupito.
- Dici?
–
- Certo.
La versione originale è sempre la migliore. –
- Non
so, a me sembrava… boh… è che
l’ho creata quando ero piccolo, e così…
-
- …e
così ti è venuta fuori spontaneamente. Fidati,
non ha bisogno di modifiche.
Specialmente adesso che sei così irrequieto. –
Bill le
lanciò uno sguardo fulmineo.
Poi
chinò la testa e sospirò.
-
Scusami. Non posso farci niente, sono nervoso. –
Haylie
sorrise, sentendo un improvviso moto di tenerezza per quello che ora
sembrava
solo un bambino spaventato.
Spaventato
e insicuro.
Si
chinò
in avanti e lo abbracciò, poggiando la testa sulla sua
spalla.
- Devi
stare tranquillo. E’ sempre andato tutto bene, e
andrà tutto bene anche
stavolta. –
Lui non
rispose. Si limitò ad abbracciarla a sua volta, poggiando la
testa sulla sua e
lasciandosi andare a un lungo sospiro.
Un
sospiro dal suono diverso.
Come… di
sollievo.
Poi si
allontanò di qualche centimetro, portando le mani tra i
capelli di Haylie,
lunghi e setosi. Era una delle sensazioni che amava di più,
quella dei suoi
capelli tra le dita.
Inclinò
la testa di lato e dischiuse le labbra, accostandole a quelle di lei.
In cerca
di un conforto, di una speranza…
O, più
semplicemente, in cerca di lei.
Della
sua essenza e del suo amore incondizionato.
Quel
bacio durò a lungo, o, perlomeno, molto di più
rispetto a quelli che finora
aveva ricevuto o le aveva regalato.
E non
poté fare a meno di ridere. Amaramente.
Quella
risata gli venne spontanea, e non poté fermarla in alcun
modo.
Haylie
lo guardava incuriosita, stranita, quasi.
- Sai, a
volte mi sento… strano. Inadeguato, ecco. E’ una
sensazione ricorrente. E
sembra che io non possa farci nulla. –
Chiuse
gli occhi e cercò la sua mano, per poi portarsela sulla
guancia e tenerla ferma
lì, unico conforto in quello che sembrava un giorno vuoto e
senza prospettive.
Il suo
viso era freddo come il vento che scivolava silenziosamente fuori da
quella
finestra.
Haylie
lo accarezzò lentamente, cercando di mettere in quel gesto
tutte le parole che
non riusciva a cavare fuori dalla bocca.
- Mi
sento incredibilmente, orribilmente fuori posto… -
I suoi
occhi nocciola non la guardarono, non volevano mostrare quel bisogno
d’aiuto.
- Tu sei
perfetto così. –
Forse
non avrebbe voluto dirlo.
Era quel
genere di cose che, per principio, non diceva mai a nessuno, che
classificava
come sbagliate, inadatte.
Ma le
venne naturale.
Forse
perché lui aveva bisogno di sentirselo dire, o forse
perché era lei ad aver
bisogno di dirlo.
- Se
davvero fossi inadeguato, come dici tu, o fuori posto, qualcuno te
l’avrebbe
fatto notare. Non saresti arrivato fin qui. Te ne saresti accorto, non
credi? –
Finalmente
Bill sorrise. Haylie si sedette sulle sue ginocchia e gli prese il viso
tra le
mani, regalandogli un altro sorriso.
- Io ti
amo. E ti amo perché sei come sei. –
Si sentì
incredibilmente stupida nel dirlo, ma lo disse.
Non
c’erano parole più adatte per esprimere quello che
sentiva dentro di sé.
Già…
Se prima non c’erano parole più adatte, ora
sembrava che non ci fossero più,
le parole adatte.
Quel ti amo era stato pronunciato poche volte, ma sentito ogni giorno,
alimentato e custodito gelosamente.
Forse troppo gelosamente.
Haylie si toccò nuovamente la pancia. Sembrava che quel
fastidio non
volesse passare, anzi, che si accentuasse ogni minuto di più
e non tardasse a
trasformarsi in dolore. A quel punto cominciava a dubitare che si
trattasse
solo di pura e semplice nostalgia.
Cercò di spostare altrove la propria attenzione.
Decise che non avrebbe più dato peso a quel loro parlare
senza parole.
In realtà, non gliene aveva mai dato, ma in quelle ultime
settimane il pensiero
ricorreva abbastanza spesso.
Erano così diversi, quei quattro ragazzi…
Ma evidentemente Bill era il più compatibile a lei, simile
per certi
aspetti, completamente diverso per altri. Anche se quegli altri erano
davvero
pochi.
Haylie strizzò gli occhi e s’irrigidì.
Distrarsi cominciava ad essere difficile.
Cercò di scacciare quel vago senso di panico che cominciava
ad
impadronirsi di lei. Ma, anche se ci fosse riuscita, ciò non
sarebbe servito a
far sparire il dolore.
Subito dopo sentì un rumore indistinto. Biascicò
un debole “avanti” dopo
aver realizzato che doveva essere qualcuno che stava bussando alla
porta della
sua camera.
- Haylie? –
La ragazza deglutì, cercando di non alterare troppo il suo
tono di voce,
e si mise a sedere sul letto.
- Sono qui –
- Bill mi manda a dire che non può liberarsi prima di
stasera. Ha
un’altra intervista e non so quale altro impegno. Comunque io
sono di là, ok? –
Era talmente concentrata a non lasciar intendere quanto disperatamente
stesse lottando per nascondere il dolore, che capì che si
trattava di Tom solo
dalle parole che gli sentì pronunciare.
Annuì, come se le costasse uno sforzo immane.
- D’accordo… -
- Va tutto bene? –
- S-sì… oddio, no! – Nonostante tutti i
suoi sforzi, si lasciò sfuggire
un lamento soffocato, portandosi entrambe le mani sul ventre e
stringendolo
convulsamente. Tom si precipitò accanto al suo letto,
afferrandola per un
braccio.
- Haylie, che succede? – esclamò con una non poco
evidente nota di ansia
nella voce.
- N-non lo so… è da stamattina che… -
cominciò, ma le parole le morirono
in gola quando sentì un’altra fitta al basso
ventre. Istintivamente si aggrappò
al braccio di Tom per non perdere l’equilibrio. –
Oddio Tom… - ansimò, sentendo
piccole gocce di sudore cominciare a scenderle giù dalle
tempie lungo le
guance.
- Haylie, mio Dio, che hai?! –
- Non lo so… non lo so! –
Non si poteva dire chi dei due fosse più terrorizzato, se
Haylie, mentre
mille e più tragiche ipotesi si facevano strada nella sua
mente, o Tom,
completamente preso alla sprovvista. La ragazza lo fissò con
occhi colmi di
angoscia.
- Tom… -
Sentiva che il pensiero che almeno non fossero in viaggio, ma fermi in
chissà qual città della Germania, non sarebbe
servito a confortarla, tanto più
che, proprio in quel momento, veniva a mancare quella che era una
presenza
essenziale, l’unica, forse, che avrebbe avuto il potere di
rassicurarla.
- Stai tranquilla, Hay, adesso chiamiamo un medico, o vediamo se
c’è un
ospedale nelle vicinanze, ma tu cerca di stare calma, ok? –
La voce di Tom
cercava di mascherare un leggero balbettio dovuto alla paura, ma i suoi
occhi
sbarrati e le mani tremanti, se Haylie non fosse stata tanto occupata a
cercare
un modo per alleviare gli spasmi di dolore, lo avrebbero certamente
tradito.
Istintivamente, la sua mano cercò quella del ragazzo.
- Ho paura Tom… - mormorò cercando di trattenere
le lacrime.
- Tranquilla… andrà tutto bene, ok? –
Haylie avrebbe dato qualunque cosa pur di sentirlo ripetere
“Fidati, io
non sbaglio mai”.
Ma, se lo disse, non ebbe il tempo di sentirlo, perché si
accasciò
nuovamente sul letto, in lacrime, non sapendo se attribuire quella
disperazione
alla paura di perdere qualcosa –qualcuno- che già aveva cominciato a sentire parte
di sé, o per la mancanza di
quelle mani, di quegli occhi, di quella voce a tranquillizzarla, e che
invece,
ovunque fossero in quel momento, erano comunque troppo lontane.
Indovinate quale canzone ho usato stavolta? Esatto! "Passeggeri distratti" di Raf! |
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Mmm…strani
fenomeni… aumentano le letture e le aggiunte ai preferiti,
ma
diminuiscono le recensioni… Bah, i casi della vita XD
Sono riuscita a finire il benedetto capitolo 7 e mi sto già
triturando
il cervello in cerca di un’idea per il successivo. Nel
frattempo, buona lettura
^^
Capitolo
6
Raggomitolata tra coperte ancora troppo fredde per darle conforto,
Haylie stentava tuttora a credere a quanto aveva sentito.
Certo che, però, quel sorriso appena accennato e ancora un
po’
tremolante, ma sincero, che si vedeva davanti, in qualche modo la
distraeva
dalla sua incredulità.
- Hai sentito, Haylie? E’ tutto a posto. Solo una stupida
intossicazione. –
In altre circostanze sarebbe persino riuscita a ridere, ma in quel
momento si sentiva ancora stordita. Il dolore non era passato, ma una
piccola
dose di pillole e la notizia che non fosse successo nulla di
irreparabile erano
servite ad alleviarlo almeno un po’.
- Una stupida intossicazione che mi ha quasi procurato un infarto e una
crisi isterica… cominciamo bene –
Nonostante l’agitazione ancora non del tutto smaltita, Tom
rise.
- Non so se l’infarto abbia minacciato più te o
me… meno male che ci
hanno mandato subito un medico dall’ospedale, altrimenti non
so cosa avrei
potuto fare. Vedi cosa fa essere “quello dei Tokio
Hotel”? –
Haylie chiuse gli occhi e sospirò.
- Dio, Tom… non puoi capire la paura che mi ha
preso… -
Il ragazzo le accarezzò i capelli, sorridendo.
- Dài, non pensarci più. Con le schifezze che
mangiamo qui, era
inevitabile che succedesse, prima o poi. L’importante
è che non ci siano stati
danni gravi. –
Haylie riaprì gli occhi e lo scrutò per qualche
istante, non ancora
tranquilla.
… quegli occhi innocenti e spaventati sembravano ancora
più grandi.
- Per un attimo l’ho temuto. –
Le sfuggì un altro lungo e penoso sospiro, poi
chinò la testa.
- Credo che sia stato peggio del dolore… quello fisico,
intendo. –
Tom, seduto sul bordo del letto, rimase a guardarla in silenzio. Il suo
non era imbarazzo, solo, sentiva che quello non era il momento adatto
per
parlare. In fondo, per quanto si fosse trovato coinvolto, la paura che
aveva
provato di certo non poteva essere paragonata a quella di Haylie.
Sembrava che covasse qualcosa, che si tenesse dentro un
segreto…
…o, più semplicemente, che volesse esternare i
sentimenti che le si
erano accumulati dentro in quella mezz’ora, sfogarsi, parlare
di quello che
aveva provato.
-
Riesci a immaginarlo? –
Ecco.
Tom rimase ancora qualche secondo in silenzio, rendendosi conto di non
avere una risposta a quella domanda.
- Potrei dirti di sì… -
…lei si attorcigliava i capelli tra le dita, segno che era
nervosa, che
c’era un qualcosa che non sapeva o non poteva
spiegare…
- …ma credo che sarebbe una bugia. –
Finalmente smise di torturarsi i capelli. Lo guardò di
nuovo, e a lui
sembrò che quegli occhi non fossero più
così colmi di paura. Solo un po’ stanchi,
forse.
- In questo momento mi sento… incredibilmente stupida, sai?
Per un
attimo ho davvero creduto che avrei potuto perderlo… - Si
portò le lunghe dita
sottili sulla pancia, giocherellando nervosamente con la lana del
maglione
color panna. – Ed è stata una sensazione orribile,
insopportabile. Non credevo
che… insomma, non pensavo che avrei potuto sentirmi
così in una circostanza
simile. –
- Ma non avevi neanche pensato che sarebbe potuto succedere, vero?
–
La ragazza lo guardò di sottecchi.
Non aveva neanche avuto il tempo di realizzarlo, che lui aveva reso
parole i suoi pensieri.
- In realtà non è successo. Non è che
ho rischiato di abortire… -
- …ma l’hai creduto… -
- …ed è più o meno la stessa cosa.
–
- Già –
Haylie si strinse nelle spalle, sospirando ancora.
A Tom parve di vedere un timido accenno di sorriso comparire sulle sue
labbra.
Non certo un sorriso allegro, ma pur sempre un sorriso.
- Però continuo a sentirmi stupida. –
- Non ne hai motivo. – Ricevette in risposta uno sguardo
scettico. O
confuso. O… Non avrebbe saputo dirlo, in realtà.
– Davvero, Haylie. E’ stata
una coincidenza, un imprevisto, una cosa che sarebbe potuta capitare in
ogni
momento, e che ha scelto quello sbagliato. E’ normale che ti
abbia preso la
paura, no? Chiunque, al tuo posto… -
- No, non è per quello che mi sento stupida. – lo
interruppe a bassa
voce. Fece una pausa. Poi evitò il suo sguardo,
chinò la testa, come se si
vergognasse di esprimere a parole i pensieri che covava in quel
momento. – E’
perché solo così ho cominciato a
sentirlo… importante. Come parte di me.
Cioè…
- Si interruppe, imbarazzata. - E’ parte
di me, ma è come se prima non
lo sentissi abbastanza. –
Il silenzio che riceveva in risposta le fece capire che Tom stava
ascoltando, e che forse non trovava le parole adatte per rispondere.
Era raro che Tom Kaulitz non ribattesse, che mancasse di rispondere.
Fu questo a darle il coraggio di proseguire.
- Qualcuno diceva che ci si accorge dell’importanza delle
cose solo
quando si perdono. Io non l’ho perso, non ho neanche
rischiato di perderlo, ma…
ma mi sono accorta di quanto sia vera quella frase. Ho solo creduto
di poterlo
perdere… E solo così mi sono accorta di quanto io
ci tenga, a questo bambino. –
Deglutì, stringendosi nel proprio maglione.
Al contrario di quanto aveva pensato, pronunciare quelle parole non le
era costato alcuna fatica, nessuna vergogna.
Anzi, era stato più facile raccontare così, di
getto, quello che aveva
provato piuttosto che stare a scegliere le parole più adatte
per rendere bene
l’idea.
Sentì la mano di Tom sfiorarle una guancia, ma non
aprì gli occhi. Restò
lì a godersi quel contatto, breve, ma caldo e rassicurante.
- Va meglio, adesso? Sei più tranquilla? –
Riaprì gli occhi e finalmente riuscì a
stiracchiare le labbra in un
sorriso.
Come non ricambiare Tom, la sua gentilezza, la sua
disponibilità, la sua
innata semplicità?
- Sì, per fortuna sì. Grazie di tutto. –
Ma poi ebbe come un flash. Improvviso e violento.
Bastarono pochi attimi di silenzio per riportarla a una domanda che
aveva smesso di porsi circa una mezz’ora prima.
- Dov’è Bill? –
Tom parve doverci riflettere un momento.
- Ehm… Avrò fatto male, ma l’ho
chiamato mentre il medico stava venendo
qui. Ha detto che avrebbe fatto il possibile per liberarsi, ma non so
quando
riuscirà a venire. –
Haylie annuì, distogliendo lo sguardo.
- No, non hai fatto male. Ma si sarà preoccupato…
immagino. –
- Beh, certo, contento non era… -
Seguì un breve ma pesante silenzio.
- Avresti voluto averlo qui con te, vero? –
La voce di Tom, per quanto carica di dolcezza, non poté
farle rendere
conto che le sue parole rispecchiavano la pura e semplice
verità. La ragazza annuì
lentamente.
- Sì… credo di sì… -
Notando che l’espressione e il tono di Haylie erano cambiati
radicalmente, Tom cercò di sdrammatizzare.
- Vabbè, dài, forse è meglio
così. Quello lì è ansioso da far
paura,
magari ti avrebbe solo fatta agitare di più. –
- Sì, forse è vero… -
Tom le lanciò uno sguardo fugace.
- Accidenti, scusami… E’ ovvio che avresti voluto
averlo accanto. –
- Tom, lascia perdere. Non è successo niente. Hai ragione,
è stato
meglio così, abbiamo risolto tutto in poco tempo. Mi sono
spaventata per niente
e sto facendo storie per niente.
Tutto qui. – Si impose di sorridere, ma preferì
non sapere se il risultato
fosse più o meno convincente. – Grazie di tutto.
Mi… mi ha fatto bene parlarne.
–
Proprio come aveva pensato.
“Mi ha fatto bene parlarne”.
Non aveva detto “Mi ha fatto bene parlarne con te”.
Tom scacciò in fretta quel pensiero, cosa che tuttavia non
gli impedì di
occupare la sua mente per un certo numero di secondi.
Doveva smetterla di essere così egocentrico. Era ovvio
che Haylie
volesse parlarne con qualcuno, ed era capitato che fosse presente lui.
Certo, Bill non si sprecava mai troppo con le parole, ma se andava bene
a entrambi…
Bill non
aveva potuto fare a meno di ridere della sua faccia perplessa, anche se
era
ovvio che Tom non aveva poi tanta voglia di scherzare.
Perlomeno,
non per i suoi standard.
-
Davvero, Tomi, mi sorprendi. Non è da te! –
Il
biondo sbuffò sonoramente.
Se c’era
una cosa che detestava, era il non essere preso sul serio.
- Direi
piuttosto che non è da te –
Bill lo
guardò falsamente stupito.
- Cosa?
Innamorarmi? –
La
risposta di Tom fu una semplice alzata di spalle.
- Allora
di questo passo possiamo fare notte. Posso tranquillamente rigirarti la
domanda. Non mi pare che nessuna delle tue, chiamiamole
così, infatuazioni sia
durata più di due giorni. Di due notti, volevo dire.
–
- Sì,
vabbè, se la metti così… -
- La
metto così. –
Tom si
lasciò scappare una seconda sbuffata. Alle volte, Bill
sapeva rendersi
veramente antipatico.
Non che
lo facesse apposta, era semplicemente un rompiballe nato che non si
rendeva
conto di essere tale.
Era
giunto alla conclusione che bisognava solo compatirlo, sorvolando sul
fatto che
fossero gemelli e che non passassero un giorno l’uno lontano
dall’altro.
- Ma io
non mi sono mai portato una ragazza nel tourbus. –
-
Infatti io non mi sto portando nessuno sul tourbus. Nessuno che non ci
sia già
stato. Ti ricordo che lavoriamo insieme da cinque mesi. Non pensavo che
la sua
presenza ti risultasse scomoda. –
- Bill,
per carità! Nessuno ha detto che mi stia scomoda. –
- Ah, mi
sembrava. –
- Ecco,
sì, ti sembrava. –
Tom si
fissò le mani per qualche istante, cercando di non perdere
la calma. Non era la
questione in sé ad innervosirlo, ma il fatto che Bill
riuscisse quasi sempre a
rigirare i discorsi a proprio favore stava al secondo posto nella lista
di cose
che detestava.
Forse
era per questo che aveva imparato ad imporsi, senza farsi troppe
domande e
soprattutto senza che se le facesse nessun altro.
- Non è
che covi un certo quale… interesse nei suoi confronti?
–
Altro
segno che Bill cominciava a dare i numeri.
Quando
si parlava di ragazze, Bill passava direttamente al “Non
è che te la sei fatta
prima di me?”.
Se ora
ricorreva a termini così delicati, voleva dire che da parte
sua c’era davvero
qualcosa di più che un “certo quale
interesse”.
- Ma per
favooore! -
- Come
se non ti conoscessi. –
- Bill,
sai che non mi piacciono le ragazze con i capelli rossi. –
Tom lo
disse con il tono di chi voleva concludere in fretta il discorso, ma il
fratello gli rivolse un’occhiata educatamente stupita.
- Oh,
bene. Ti consiglio di ricordartelo quando comincerai a imparare cosa
vuol dire
“innamorarsi”. Santo cielo… Potresti
innamorarti di una bella biondina che poi
si rivelerà semplicemente una rossa tinta. Mi raccomando,
assicuratelo, o
potresti cadere nel letto sbagliato. –
Lo
stupore dipinto sul volto di Tom non era educato, né
malcelato, né discreto.
Era
meraviglia vera e propria.
Quando
mai Bill gli si era rivolto con quel tono? Con quelle parole? Con
quella
faccia?
Nonostante
ciò, non poté frenare la sua naturale
inclinazione a non farsi mettere i piedi
in testa e a non mancare mai di avere l’ultima parola.
-
Complimenti Bill. E’ proprio vero che un fratello ha sempre
qualcosa da
insegnarti. Se innamorarsi vuol dire diventare così, penso
che diventerò
puttaniere di professione. –
- No,
aspetta, Tom. –
Si era
voltato e aveva fatto come per allontanarsi, ma poi sentì la
mano fredda di
Bill trattenerlo per il polso.
-
Scusami, non volevo essere acido –
- E allora
fatti curare da uno bravo –
Bill
evitò di ribattere. Sapeva che, se l’avesse fatto,
la discussione si sarebbe
protratta all’infinito.
- Lo so
che è strano. E’ strano anche per me. Finora sono
stato talmente preso dal
lavoro che non ho mai avuto neanche il tempo di guardarmi intorno. Ma
ora mi
sembra di… non so, mi sento più libero, come se
la mia giornata durasse di più,
o come se potessi viverla meglio di prima. Mi dispiace se mi vedi
diverso, Tom,
ma io mi sento… migliore. Semplicemente, mi sento bene.
–
Tom non
rispose. Si limitò ad annuire, evitando il suo sguardo e
mantenendo un’aria
sostenuta.
- Ohi,
non sarai mica geloso? – ridacchiò Bill. Tom lo
guardò con gli occhi
spalancati.
- Io?
Per carità, Bill, ci manca solo questa, e poi sai come
saranno felici le nostre
twincester? –
Seguì
qualche istante di silenzio, rotto solo dal continuo ridacchiare di
Bill.
- La ami
davvero, eh? –
Stavolta
fu Bill a non rispondere. Si limitò a stringersi nelle
spalle, sorridendo con
una punta di imbarazzo.
In quei
momenti, a Tom sembrava di rivedere il bambino di non più di
sei anni che
confessava al fratellone di essersi preso una cotta per la compagna di
scuola
che ogni giorno gli regalava una caramella.
- Lo
prendo per un sì. –
Il flusso di
ricordi fu interrotto dallo sbattere di una porta
accompagnato da un’esclamazione carica
di angoscia:
- Dov’è? Sta bene?! –
Tom si rivolse ad Haylie con un sorriso a metà fra
l’esasperato e il
rassegnato.
- Eccolo qui. Mi raccomando, tranquillizzalo. Mi sa che si è
spaventato
più di te. –
La salutò con un bacio sulla guancia prima di uscire dalla
camera,
lasciando la porta aperta.
Haylie lo sentì parlare con Bill per non più di
un minuto, con voce calma e pacata, per una volta non canzonatoria. Ma,
a giudicare dal tono di
Bill, ciò non bastò a calmarlo.
Infatti Haylie se lo vide piombare davanti in un tempo tanto breve da
non riuscire a calcolarlo.
- Haylie! Haylie, stai bene? –
- Sì, Bill, sto bene, non ti preoccupare. E’ stato
solo un falso
allarme… -
Ma non poté continuare la frase, perché si
ritrovò stretta fra le sue
braccia prima ancora di poter elaborare un’altra frase.
- Dio, quando Tom ha chiamato mi ha preso una paura… -
Haylie si lasciò abbracciare, trovando piacevole persino il
contatto con
la sua pelle fredda.
Lui era
lì, finalmente.
Poteva raccontargli tutto, poteva dirgli le stesse parole che aveva
detto a Tom, poteva stare lì a sentirlo mentre la consolava.
Si lasciò sfuggire
un sospiro di sollievo, accoccolandosi contro il suo petto.
- Anche io ho avuto paura. Non puoi immaginare cosa… -
Ma non appena proferì quelle poche parole, Bill la strinse
più forte a
sé, poggiando la guancia sulla sua testa.
- Sssh… Non dire niente… - sussurrò
appena.
Haylie avrebbe voluto dire di tutto e di più.
Raccontare, anche se non c’era poi tanto da raccontare.
Sfogarsi, anche se in fondo non ce n’era motivo.
Ma le mancò il coraggio, e si odiò. Soprattutto
perché non riusciva a
capire perché quella forza fosse venuta
a mancare.
“Io
giro a piedi e mi perdo,
non so dove vado.
C'è confusione,
il mondo sembra andare avanti anche senza noi.
Se me ne andassi via da qui
chi mi verrebbe a
cercare?”
E la canzone è sempre "Passeggeri distratti" di Raf..... |
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
Ancora
una volta, grazie a chi recensisce, a chi legge e a chi mi ha
aggiunta ai preferiti… Se poi mi lasciaste un
commentinoinoino sarei davvero
felice! Questa storia si sta rivelando una vera sfida per me, e se
conoscessi
qualche opinione in più, positiva o negativa che sia, non mi
farebbe male ^^
Capitolo
7
Haylie
strinse per l’ennesima volta la mano di Bill, respirando
più velocemente del
solito.
E il
guaio era che neanche lei sapeva perché.
Bill si
voltò a guardarla e cercò di trattenersi dal
ridacchiare. Nella sua ingenuità,
nel suo essere bambina era così tenera…
- Mi
spieghi perché ti stai agitando così? –
Haylie
non aveva intenzione di nascondere il suo stato d’animo, ma,
anche qualora
avesse voluto, sarebbe stato pressoché impossibile.
- Perché
mi sto chiedendo se sia la cosa giusta –
Bill
scosse la testa sorridendo, senza però aver cuore di
prenderla in giro, come
normalmente avrebbe fatto con chiunque altro.
-
Haylie, stai solo… cambiando residenza, diciamo. Sarai
sempre su un tourbus,
unica differenza, non con gli altri membri dello staff, ma con noi
–
- Forse
non è poi una così grande idea –
Bill
mise su un finto broncio.
-
Preferisci stare con lo staff piuttosto che con me? –
Haylie
sospirò e le sue labbra si incresparono in un timido sorriso.
- No,
stupido. Se non me lo avessi chiesto tu, non mi sarebbe mai saltato in
mente –
- E
allora fidati. Meglio stare con me, Georg, Gusty e Tom piuttosto che
con quei
quattro bacucchi –
- Ecco,
giusto lui –
- Lui
chi? –
- Lui
Tom –
- La sua
presenza ti disturba? – le chiese Bill, confuso. Il fastidio
non era certo
incluso tra le reazioni che suo fratello suscitava solitamente in una
ragazza.
Certo,
lei non era “una” ragazza.
Era la sua ragazza.
La
gelosia e la possessività erano tra i difetti che gli
venivano rimproverati più
spesso, ma a quel punto aveva deciso di non dare peso ad osservazioni
del
genere. Tanto, che ne potevano sapere gli altri?
- No,
per carità, semmai sarà lui a non gradire la mia
– Bill la guardò come se
avesse parlato arabo.
- Ma
figurati! Scusa se mi permetto, ma lo conosco da più tempo
di te, ho diviso con
lui tutti i miei preziosi spazi e so come è fatto. Non
è mica un bambino di due
anni, anche se a volte lo sembra… -
- Sì, ma
insomma, sono pur sempre un’intrusa… -
- Allora
per lo stesso motivo dovresti preoccuparti anche per Gustav e Georg,
no? –
A quelle
parole, Haylie spalancò gli occhi, più agitata
che mai. - E questo che vorrebbe
dire? –
Bill la
guardò con una finta espressione canzonatoria.
Sì, l’ingenuità di Haylie era
decisamente paragonabile a quella di un bambino.
- Che ti
stai preoccupando per niente, che devi stare tranquilla e che il mondo
intero
ti adora, ok? –
La
ragazza sospirò, sorridendo e vergognandosi per la sua
stupidità.
- Vuol
dire che non hai visto poi così tanto del mondo…
Ok, andiamo, o cambierò idea.
–
- Non ci
provare neanche – la rimbeccò lui, attirandola a
sé e baciandola.
Al
contrario di quanto aveva pensato, quando Bill spalancò la
porta d’entrata al
tourbus, Haylie lo trovò stranamente accogliente, sensazione
forse derivata dal
fatto che la sua precedente sistemazione lasciasse parecchio a
desiderare.
Haylie
cercò di stare tranquilla e non rimuginare troppo, ma il
lasso di tempo che
passò fra la loro entrata e la sistemazione dei suoi pochi
effetti personali
nella sua nuova “camera” le sembrò
più breve di un nanosecondo.
- Come
vedi, neanche questa è una reggia – disse Bill, -
ma ci si arrangia. –
- Invece
è fantastico – replicò sinceramente
Haylie. – Ma dove sono tutti? –
- Beh,
oggi è giornata libera – rispose Bill con
espressione meditabonda. – Gustav
l’abbiamo sguinzagliato in giro per la città, non
ce la fa a stare tutto il
giorno rinchiuso, e presumibilmente Georg sarà con lui. Tom
dorme, penso. –
aggiunse dando uno sguardo all’orologio.
- Dorme?
Ma se è l’una! –
- Oh,
figurati, certe volte tira pure fino alle quattro del pomeriggio.
– Haylie lo
guardò stranizzata.
-
Problemi del metabolismo o cosa…? –
-
Problemi di un bambino viziato, suppongo. – Bill le sorrise
scompigliandole i
capelli.
Fantastico,
pensò Haylie. Speriamo che lui e Bill non si somiglino poi
così tanto.
Scrutò
per qualche secondo il suo ragazzo prima di tornare a sorridere.
No, non
era possibile. Bill era semplicemente unico.
Era
passato talmente tanto tempo da quel giorno che Haylie si
stupì di
riuscire a ricordarlo in ogni minimo particolare.
Beh, in effetti i punti essenziali della sua vita li aveva trascorsi su
quel tourbus, accanto a loro. Era inevitabile che la sua memoria
conservasse
gelosamente ogni immagine e ogni parola.
Come, per esempio, la settimana successiva al suo trasferimento su
quella sorta di casetta con le ruote…
Da una
parte era convinta di aver fatto la scelta giusta. Diamine, stare
accanto al
suo ragazzo ventiquattro ore su ventiquattro era il meglio che potesse
chiedere!
Ma
dall’altra…
Impossibile.
Doveva essere colpa sua se dopo sette giorni abbondanti continuava a
sentirsi a
disagio.
In
momenti come quelli si sarebbe presa a schiaffi da sola.
Gustav
era il miglior “coinquilino” che si potesse
desiderare, Georg era un tipo
divertente, qualsiasi parola che uscisse dalla bocca di Tom aveva il
potere di
provocare un attacco di risa collettivo…
…e
allora perché cavolo si
sentiva ancora a disagio?
Arrovellandosi
continuamente su quella domanda, si convinceva sempre di più
di essere una
specie di reincarnazione della Principessa sul pisello.
Ma
questa sua strana sindrome del “sarò
giusta?” sembrava ricorrere anche fin
troppo spesso. Per motivi futili, stupidi, impensati. Ma
c’era, e persisteva.
Alle
volte le bastava guardare Bill per cominciare a porsi mille domande.
Anzi, per
cercare il coraggio di cominciare a porsele, quelle domande.
Cosa
poteva aver trovato Bill in lei?
Cosa
poteva aver provato per lei quel ragazzo strano e affascinante,
tormentato dai
ricordi di un’infanzia da cui era scappato appena la fama
gliel’aveva permesso,
ma così carismatico?
L’avesse
chiesto a Tom o a Georg, la risposta non gli avrebbe risparmiato una
carrellata
di complimenti: lui era anche ansioso, paranoico, impenetrabile,
perfezionista,
egocentrico.
Bello,
sì, bello da morire. Bello fuori e dentro, bello in tutto e
per tutto.
E
allora… davvero, cosa aveva trovato in lei?
Haylie
non glielo aveva mai chiesto.
Forse
era anche questo uno dei fili conduttori del loro quieto vivere, del
loro
parlarsi senza parlare.
Lei non
gliel’aveva mai chiesto, e lui non gliel’aveva mai
detto.
Convinto
che lei lo sapesse da sé. Attribuendole una percezione di
sé stessa che lei non
aveva.
In
futuro, chissà, magari sarebbero stati come una grande
famiglia, ma in quel
momento…
…in quel
momento aveva solo lui, e si sentiva sola. Sola con lui, certo.
Ma lui
non era solo.
Eppure
quel loro piccolo universo privato, tenuto gelosamente lontano dagli
occhi dei
loro milioni di fan, l’aveva affascinata sin dal primo giorno
in cui vi aveva
messo piede. Si sentiva come se, se fosse riuscita ad inserirsi, poi
tutto
sarebbe tornato come prima. Loro con la loro musica, lei con Bill.
Non
poteva certo immaginare che, due anni dopo, raggomitolata su quello che
non
avrebbe mai pensato che sarebbe poi diventato il
“suo” letto, si sarebbe
aggrappata proprio alla consapevolezza di essere in un gruppo, che al
mondo non
c’era soltanto “lui”, per sopravvivere.
Tom per
esempio.
Era
senza dubbio quello con cui si poteva parlare più
facilmente. Non di argomenti
seri, parlare e basta.
Qualsiasi
problema ci fosse, lui aveva la capacità di farlo passare in
secondo piano
senza però sminuirlo.
Sì,
suonava come un controsenso. Ma era così. Teneva viva la
compagnia anche in
quei giorni che altro non potevano definirsi che apatici, riusciva ad
alleggerire anche la più pesante delle atmosfere.
Ma
Haylie lo sentiva lontano.
Più lui
si mostrava espansivo, più lei percepiva come una barriera a
dividerli. Forse
era proprio quella sua esuberanza, il muro invisibile.
Quel
giorno lui era raggomitolato sul divanetto della zona relax, con la sua
chitarra sotto il braccio. A dire il vero, quella era praticamente la
sua unica
occupazione. Se ai concerti la sua presenza equivaleva a qualche minuto
di cabaret,
quando era solo con la sua chitarra diventava un’altra
persona.
E
assomigliava incredibilmente a Bill.
- E’
bella – mormorò Haylie sul finire di una melodia
che non aveva mai ascoltato
prima. Tom le rispose con un largo sorriso.
- Grazie
–
- Non…
non è una delle vostre canzoni, vero? –
continuò imbarazzata.
- No,
infatti. Ogni tanto ho bisogno di qualcosa che sia solo mio –
Le
labbra di Haylie si curvarono in un timido accenno di sorriso. Lei lo
sentiva
ogni giorno, il bisogno di qualcuno che fosse solo suo…
- Ma non
è più bello condividere le tue emozioni con gli
altri…? Con tuo fratello, per
esempio? –
Si morse
le labbra dopo aver pronunciato quelle parole. Non sarebbe mai guarita
da
quella sua ritrosia esagerata, ma in quel momento le parve di aver
davvero
azzardato troppo, e la risposta epigrafica di Tom non fece che
confermarlo: da
quando si conoscevano, Tom non aveva mai dato riposte lapidarie se non
ai
giornalisti troppo invadenti.
- Non
siamo mica la stessa persona – rispose stringendosi nelle
spalle, prima di
ricominciare a suonare. Haylie sospirò per darsi coraggio e
prese posto sul
divanetto, a una decina di centimetri di distanza da Tom. Si torse
nervosamente
le mani per un po’. La imbarazzava che ora Tom si comportasse
come se lei non
fosse presente.
- Tom…
c’è qualche problema? –
-
Problema? No – fu la secca risposta che lui le diede senza
neanche guardarla.
-
Davvero. Sono venuta qui solo perché Bill ha insistito, ma
speravo che non
sarebbe stato difficile stare tutti insieme –
-
Infatti stiamo benissimo –
- Io
potrei stare meglio. E anche tu – A quelle parole, Tom
alzò finalmente la testa
e la guardò stranito.
- Dici?
– replicò con una sfumatura di sarcasmo nella
voce. Haylie sospirò.
-
Credimi, Tom, non so con che faccia potrei dirtelo, ma io…
beh, io non mi sento
a mio agio. E’ come se non ci dovessi stare, qui. Non voglio
dare fastidio a
nessuno, neanche a te –
- Ho… ho
detto qualcosa di sbagliato? – chiese Tom, confuso.
- No, ma
vorrei sapere se è vero quello che penso. Che qui non dovrei
starci –
Quella
volta fu Tom a sospirare. Si appoggiò la chitarra sulle
ginocchia, e parlò
sfiorandone le corde con le dita, senza incrociare lo sguardo di Haylie.
- No,
Haylie, è tutto a posto, davvero. Non è un
problema se stai in tourbus con noi,
anzi mi stupisce che tu ti sia adattata così bene. Agli
orari, alle scomodità,
intendo. Io ci ho messo molto di più –
- E
allora…? – Tom sospirò nuovamente e si
strinse nelle spalle.
- Ma
niente… in fondo non è cambiato nulla. Forse mi
ero abituato ai nostri ritmi…
prima –
- Ma se
hai detto che non è cambiato nulla… -
- Lo so,
lo so. Te l’ho detto, mi dispiace se hai pensato di essere un
problema. Forse,
più che alla vita di prima, mi ero abituato a Bill prima –
Haylie
rimase a guardarlo, le sopracciglia alzate in una manifestazione di
sorpresa, non
capendo a fondo cosa volesse dire il suo interlocutore. A dire il vero,
era la
prima volta che si parlavano sul serio.
- Non lo
so, è diverso. O forse sono io che me l’immagino
così, so solo che lo vedo… in
un altro modo –
- Oh, mi
dispiace… - mormorò imbarazzata Haylie,
sentendosi vagamente in colpa senza
neanche sapere perché.
- No,
non è colpa tua. Non so, è come se volesse
dimostrare che ora è grande, è un
uomo… -
Se
glielo avesse detto anche solo un anno dopo, Haylie avrebbe saputo come
rispondere: non era raro che Bill sentisse il bisogno di dimostrare
qualcosa a
qualcuno…
- Non so
cosa dirti, Tom. Mi dispiace. Non potevo immaginare… -
Tom
voltò di poco la testa e le lanciò
un’occhiata veloce.
Non era
antipatica. Non era saccente. Era solo timida, infinitamente timida,
sperduta
in un modo che non era il suo.
I suoi
occhi chiedevano solo di sapere. Non chiedevano aiuto, né
protezione, né
affetto.
Non
chiedevano nessuna delle cose di cui molto probabilmente aveva bisogno.
Fu lì
che Tom decise di guardarla sotto un’altra luce. Anzi, di
guardarla e basta,
visto che fino a quel momento si era sforzato di far finta che lei non
ci
fosse.
- Non
dire così, non è colpa tua –
- Se
vuoi posso provare a parlare con lui… -
Tom
sospirò, ma non poté trattenere un sorriso. Il
primo che le regalò. Il primo di
quella che sarebbe stata una lunga serie. – Davvero, non
farlo. Se no poi i
suoi capricci da primadonna me li devo sorbire io. Cioè, non
volevo dire che… -
si affrettò ad aggiungere, confuso, ma troncò a
metà la frase. Sembrava quasi
che volesse parlare male di suo fratello davanti a lei. Non si sarebbe
mai
sognato di farlo –non per davvero-, ma quella ragazza era
così… strana, così
lontana. – Insomma, passerà – concluse
imbarazzato.
Haylie
sorrise, sollevata. Tom la studiò per qualche istante.
Sollevata di cosa? Era
quello il suo gran problema?
- Sì,
passerà… - mormorò alzandosi
lentamente dal divano, il sorriso ancora stampato
sulle labbra.
Un
sorriso diverso, non esagerato, non allegro, solo… un
sorriso come di sollievo,
accompagnato da uno sguardo non meno strano, perso nel vuoto.
Quasi
non si accorse delle ultime parole che lei gli rivolse prima di uscire
dalla
zona relax.
-
Grazie, Tom –
No, non
l’avrebbe mai capita.
Haylie chiuse
gli occhi e insinuò le dita nel piccolo spiraglio di
finestrino aperto, per sentire un soffio di vento sfiorarle i
polpastrelli, un
soffio di vita accarezzarla piano e darle la forza che inspiegabilmente
le
mancava.
Era stata lei a non capire.
Neanche adesso le era poi così chiaro.
- Posso? –
Quella domanda posta da un tono basso e gentile fu accompagnata da un
leggero bussare al muro. Haylie si voltò di poco e vide
Georg fermo sulla
soglia della camera. Sorrise appena. – Ehi, ciao –
Georg le si avvicinò con passo lento. – Come va?
–
La ragazza si strinse nelle spalle. Non aveva molta voglia di parlare.
–
Così… -
- Oggi Bill non c’è, così
pensavo… -
- Scusami, Georg – lo interruppe pacatamente lei. –
Non voglio essere
scortese, ma… vorrei stare un po’ da sola
– Il ragazzo rimase interdetto.
- Mi dispiace, non volevo… - Haylie lo fermò
nuovamente con un gesto
della mano.
- Scusa, Ge’… davvero, non è per te.
Sono io il problema – Georg si
lasciò sfuggire un sorriso.
- Sono due anni che ti sento ripetere questa cavolata. Comunque ok, non
preoccuparti – Abbandonò la stanza senza
aggiungere altro. Haylie appoggiò
nuovamente la testa sul braccio piegato. Non le dava alcun fastidio il
venticello freddo che le punzecchiava il viso. A dire il vero, non
sentiva
nulla.
Non sentì neanche il breve e confuso confabulare dietro la
porta dopo
che Georg la lasciò sola. Si toccò la pancia con
una mano, ma neanche lì sentì
nulla, il più piccolo segno di vita. Forse il mondo non
voleva comunicare con
lei.
- Hay… -
Il mondo no, ma qualcun altro sì.
In effetti non era lui, il suo mondo. Ma la sua voce fu
l’unico suono
che riuscì a percepire.
E la sua mano sfiorarle i capelli…
- Torna presto… – le sussurrò
all’orecchio. Quel “torna” non era una
richiesta né un comando. Era un’affermazione,
un’affermazione senza soggetto,
perché quel soggetto lo conoscevano benissimo entrambi.
Haylie sorrise
amaramente.
- Lo so –
- Non preoccuparti. Lo so che non è piacevole, ma la nostra
vita è
questa. E tu sai che quando può, lui
c’è sempre -
- Comincio a pensare che dovrei prendermi un’altra
intossicazione o
rischiare di abortire sul serio per avere almeno un
abbraccio… - Tom sospirò e
le rivolse uno di quegli sguardi a cui lei non sapeva mai come
rispondere.
- Ma allora fallo tu! Parlagli, diglielo, oppure vai e abbraccialo tu
stessa! –
- Non posso… Sarebbe come dirgli che non mi dà
abbastanza, o che non è
presente… e finora non è mai stato
così. Non posso farlo, Tom –
- Io non vi capisco, Haylie. Cosa c’è di difficile
nel parlare? –
Lei distolse lo sguardo e non rispose. Appoggiò la testa
sulla spalla di
Tom mentre il suo braccio ancora le cingeva la vita, e chiuse gli
occhi,
cercando di non ripetersi quella domanda, ben sapendo che non vi
avrebbe mai
trovato risposta.
Era sicura solo di una cosa.
Adesso non voleva più stare sola.
“Se
me ne andassi via da qui
chi mi verrebbe a cercare?
Dimmi che tu lo faresti
e che non siamo passeggeri distratti
di questa vita in vetrina…”
***
Mi rendo conto che questo cap è un po' inutile, vi
sembrerà che la storia si trascini... Spero di riuscire a
coinvolgervi di più nei prossimi. Nel frattempo, non
disdegno recensioni^^
Canzone usata: non indovinerete mai. "Passeggeri distratti" di Raf... |
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
Ooollè…
Finalmente posso coronare il mio sogno: rispondere a più di
due
recensioni!!!
noirfabi:
mi
dispiace che il
commentare ti provochi tanto fastidio XD ma sappi che adoro le tue
recensioni…
non è un piccolo incentivo a continuare? (occhioni
luccicanti) Sai, Haylie è un
po’ un mistero anche per me. Non è come nella
prima fic a capitoli che scrissi,
in cui la protagonista era praticamente uguale a me se non nel nome e
nel
fisico. Elaborare il suo personaggio forse è stato
più difficile che elaborare la
storia stessa. P.s. ma sei iscritta al forum dei TH? Sono contenta che
ti sia
piaciuta “Don’t wanna hurt you”, peccato
non poterla pubblicare qui.
moonwhisper:
Cla’
(posso chiamarti
così?) anche tu qui! Ma come? Io sono troppo superiore per
fare sponsorizzazione!
XD No, vabbè… vero che ti avevo proposto una
lettura veloce della mia ff, ma
non pensavo di finire tra i preferiti della grande moonwhisper!
Davvero, non
sto sfottendo, per me è un onore! Eh, Bill…
d’altronde, l’ho scritto pure nella
presentazione… Comunque grazie per i complimenti,
soprattutto considerato che
non è la scrittura la mia prima passione, ma il
disegno… ^^ kiss
bluebutterfly:
Cara… lo so, la
domanda che hai citato può sembrar stupida, ma,
così come tante volte me lo son
chiesto io, tante altre è stato chiesto a me. Ti ringrazio
per avermi detto che
so scrivere bene dei sentimenti, credo dipenda dal fatto che, a parte
Haylie,
ogni personaggio richiama il carattere di qualcuno che mi è
o mi è stato caro.
Baci.
FuckedUpGirl:
Bia
*_*
Mi fa piacere sentirti dire questo. Sto scrivendo questa storia quasi
partecipando dall’esterno, ovvero come se non fossi io a
scriverla… E quasi mi
dispiace averla programmata in non più di 15 capitoli. Ma
capirai più avanti che
sarebbe stato difficile dilungarmi oltre… Temperance_booth: Sore *.* Aggiungo il ringraziamento solo adesso, dato che hai commentato un po' in ritrado. Beh, sì, effettivamente io mi gioco tutto sui finali XD Sono contenta che il personaggio di Tom ti piaccia, a dire il vero volevo renderlo diversamente, ma mi è venuto fuori così...e così lo lascio ^_*
Ok,
diciamo che in questo capitolo si comincia a entrare nel
vivo… a voi
qualsiasi interpretazione! Bacibaci.
Capitolo
8
E
così erano passati quasi due mesi.
Due mesi fatti di giorni strani e confusi, tranquilli se visti
dall’esterno, inquietanti se vissuti in prima persona.
Dopo quel pomeriggio, Haylie si era trovata a porsi domande che avrebbe
preferito non avessero mai neanche sfiorato la sua mente.
Ma
Bill… questo bambino lo vuole?
Si
odiava profondamente per aver anche solo azzardato un pensiero del
genere.
Ma lui non c’era quasi mai. E quando c’era, era
sempre troppo stanco,
aveva sempre troppo da fare e troppa poca voglia di parlare. E questo,
lei non
poteva cambiarlo.
Forse aveva ragione Tom.
Doveva essere lei a fare il primo passo, a parlargli. In fondo, non
c’era nulla di difficile.
Bill,
ti sento lontano. C’è qualcosa che non va?
Si prese la testa tra le mani e sospirò. No, non poteva. Non
poteva
proprio.
Come aveva potuto Tom suggerirle una cosa del genere? Forse non ne
capiva poi così tanto come voleva far credere.
Eppure quelle chiacchierate di pochi minuti o interi pomeriggi la
risollevavano. La tenevano viva nelle giornate in cui non avrebbe
voluto altro
che chiudersi in camera e abbracciare il cuscino, facendo finta che al
posto di
quel mucchio di ovatta ci fosse Bill.
Esaminò
per la ventesima volta la possibilità di dare ascolto a
quanto
le avesse detto, ma aveva paura che, facendo ciò, si sarebbe
trovata di fronte
a una realtà scomoda.
No.
No, no, dannazione, no!
Bill era sempre perso nel suo mondo, magari non dotato di una certa
elasticità mentale, perlomeno quella necessaria, ma era
sincero.
Anche se non avesse voluto, quando qualcosa gli dava fastidio, lo
turbava o lo metteva in agitazione, era impossibile non accorgersene.
Quindi,
perché avrebbe dovuto preoccuparsi?
Era stato felice quando lei gli aveva detto di essere incinta.
L’aveva abbracciata.
Le sue mani erano state scosse da un tremore appena percettibile.
Avevano riso insieme.
Si erano precipitati a raccontarlo agli altri tre.
E
allora…?
Un
altro motivo per cui Haylie si odiava era che persino i suoi desideri
ora le sfuggivano di mano.
Si ritrovava a dipingere scene immaginarie nella propria mente, scene
che non avrebbe mai pensato di poter elaborare, scene che non si
riproiettavano
nella realtà.
Avrebbe voluto sentirsi dire che per lui era bella
anche con
qualche chilo in più, e che lo sarebbe stata anche in
seguito, anche di più.
Avrebbe voluto sentire la sua mano sfiorare lo stesso punto che ormai
le
veniva istintivo proteggere con quel gesto ricorrente, anche solo la
metà delle
volte in cui era stata lei a farlo; fermarsi e provare a sentire
qualcosa, un
qualcosa che ancora non era affiorato in superficie, e vederlo
sorridere e
aspettare insieme a lei.
Avrebbe voluto semplicemente vederlo più spesso, sentirgli
dire che
avrebbe spostato almeno qualche impegno, che avrebbe annullato qualche
intervista, che sarebbe tornato prima del solito, solo per stare
accanto a lei.
Forse pretendeva troppo.
Anche perché non gli aveva mai chiesto niente del genere.
Non ne aveva mai sentito il bisogno.
Ma quella vita che era nata in lei stava pian piano sconvolgendo quella
che era “lei” un tempo, un tempo non troppo
lontano, appena qualche mese prima.
Probabilmente Bill non era nemmeno cambiato. Anzi, era sempre stato
così.
E il guaio era proprio quello.
Haylie avrebbe voluto che cambiasse. Almeno un po’.
Per lei.
Era vero, si
sarebbe trovata di fronte ad una
realtà scomoda. Ma lei non poteva neanche immaginare quale.
Chinò
la testa, lanciando uno sguardo veloce verso quella parte di lei
fonte di tutte le sue ansie, ma anche delle sue poche certezze.
Avrebbe voluto che fosse uno sguardo veloce.
Ma rimase a contemplare la propria vita visibilmente ingrossata e la
pancia appena arrotondata.
Era stata mesi ad aspettare il minimo segnale, la più
piccola spia che
dicesse che lì era tutto a posto, che quella creatura
continuava a vivere
dentro di lei, aspettando di farlo fuori, un giorno.
E infatti, eccola lì.
Eccolo, il segnale.
Si tirò su dal letto, con un’agilità
che presto sarebbe venuta meno, ma
questo non le importava, non in quel momento.
Raggiunse a passo lento il grande specchio ovale appeso alla parete
della loro camera d’albergo.
Le ricordava tanto lo specchio in cui Bill controllava scrupolosamente
il proprio aspetto prima di ogni concerto e di ogni intervista. Il
grande pezzo
di vetro –sì, non era altro che questo, in fondo-
in cui aveva visto il
riflesso dei suoi giorni più felici, delle mattinate di
coccole e baci che
sapevano ancora di sonno, delle notti d’amore lontane dal
resto del mondo,
protagoniste davanti alle loro uniche spettatrici, la Luna e le stelle.
Dove altro avrebbe potuto vedere l’immagine della speranza?
Si vide, lì, in piedi, la vita non più
così segnata, le gambe ancora
lunghe e magre, il viso, seppur ancora quasi scavato, più
luminoso, la pelle
più liscia, i capelli più lucenti.
E il sorriso meno timido, più sincero, più convinto.
Aprì in fretta la propria valigia, così piccola
da poter essere
sistemata sulla scrivania, e cominciò a cercare un vestito
da indossare per il
concerto. Avrebbe assistito da dietro le quinte, come sempre, ma non
importava.
Voleva sentirsi bella, voleva sentirsi bene.
L’avrebbe fatto per il suo bambino, per Bill, per
sé stessa, per
chiunque le fosse venuto in mente, ma l’avrebbe fatto.
Sì, aveva ragione Tom.
E quella era l’occasione migliore per rendersene conto,
dimostrarlo a se
stessa.
Quella sera si sarebbe tenuto il primo concerto di una delle
più brevi
tournée della loro carriera. Quei momenti erano alcuni dei
pochi in cui si
poteva parlare: solitamente Bill era
così nervoso da non desiderare
altro.
Nella
stanza accanto, pensieri non molto diversi si erano annidati nella
mente di Tom.
Lui e Bill si erano parlati non più di mezz’ora
prima, ed era stata la
solita conversazione pre-concerto.
E’
tutto
pronto, Tom, vero? Gli strumenti sono tutti a posto, sì?
Gustav e Georg stanno
bene, sono in forma? Non è che ho la voce rauca?
Sì,
Bill, stiamo tutti bene. Cioè, quasi tutti. Se ti prendessi qualche goccia di Valium,
poi, almeno staremmo
bene tutti e quattro.
Che vuol
dire?! Io sto benissimo!
Sì, lo
so che stai benissimo. Stai sempre
benissimo, quindi cerca di convincertene anche tu.
Sorrise tra sé, provando ancora qualche accordo con la
propria chitarra.
Facevano quella vita da quando puzzavano ancora di latte, e ancora Bill
non aveva capito che era difficile che una chitarra o una batteria
andassero
perdute nelle ventiquattro ore che precedevano un concerto.
Soprattutto contando che la collezione di Tom e Georg contava almeno
venti pezzi fra bassi, chitarre classiche ed elettriche.
Si ritrovò a chiedersi cosa stesse facendo Haylie, ovunque
fosse in quel
momento.
Se fosse con Bill, o da sola, come ormai era da quasi due mesi.
Suo fratello era adorabile, quando voleva, ma a certe cose proprio non
ci arrivava.
Non ci voleva molto per capire che Haylie aveva bisogno di lui. O anche
solo di compagnia, di qualcuno che parlasse un po’ con lei,
che condividesse la
sua gioia.
Ma
era poi davvero una gioia…?
Per
un attimo, Tom scosse la testa, dandosi mentalmente
dell’idiota.
Se
una non vuole un figlio, abortisce, testa di
rapa! Vogliamo ricordarci della famosa intossicazione?
Eppure…
Eppure lui non aveva capito fino in fondo quali fossero i pensieri di
Haylie al riguardo.
Non era così silenziosa come sembrava con Bill. Certo,
quando gli
prendevano i cinque minuti –che potevano anche diventare
quindici o trenta- e
decideva di chiudere le porte al mondo, non c’era verso di
fargli dire pio. Però…
…sembrava che lei avesse un bisogno disperato di parlare.
Di cosa, Tom non l’aveva ancora capito.
Sembrava che, qualunque fosse il sentimento che Haylie volesse
esternare, la prendesse alla lontana, ne accennasse quasi con timore.
Certo, finì col pensare Tom sospirando, per come era
abituata con Bill,
era ovvio che parlare le facesse paura.
Lui era sicuro che Bill
neanche immaginasse cosa passasse per la testa di Haylie. A dire il
vero,
neanche lui lo immaginava precisamente, ma pareva che Bill desse un
po’ tutto per…
scontato.
Dio, doveva
proprio essere impazzito per fare discorsi del genere.Era
solo che… non avrebbe saputo spiegarlo.
Gli sembrava ingiusto che Haylie dovesse rimanere sola in un momento
del
genere. E se Bill non faceva quello che era giusto…
Haylie finì di sistemarsi i capelli
nell’istante stesso in cui la porta
della loro camera si aprì scricchiolando.
Voltò la testa di scatto e non poté trattenere un
sorriso quando vide
Bill entrare chiudendosi la porta alle spalle. La sua aria non era
delle più
felici, ma d’altra parte Haylie non l’aveva mai
visto contento prima di
andare in scena.
Gli andò incontro e lo baciò, cingendogli il
collo con le braccia. – Ma
dove eri finito? –
Bill stiracchiò le labbra in un sorriso e
ricambiò la stretta. –
Scusami. Ero… in giro. Cercavo di non pensare –
Haylie fece un passo indietro e
gli sorrise.
- Beh? Non mi dici niente? – Lo sguardo di Bill
vagò dal suo viso fino
ai piedi, poi rialzò la testa e accennò un
sorriso confuso.
- Cosa dovrei dirti? –
- Non so… che sto bene, che ti piaccio… -
azzardò lei, cercando di non
smettere di sorridere. Bill le passò un braccio intorno alla
vita,
avvicinandola a sé.
- Non è forse sottinteso? – Haylie
sospirò.
- Niente è mai sottinteso, Bill
– rispose con un velo di
malinconia nella voce.
- Amore, lo sai che sei sempre bellissima… -
- No, non c’entra – lo interruppe lei, lasciandosi
però sfuggire una
risatina. Bill era incredibile, a volte… - Non mi interessa
quello, era così
per dire. Volevo dirti solo… beh, spesso non è
così ovvio quello che si dà per
scontato – Il sorriso scomparve dalle sue labbra e, senza che
lo volesse, il
suo viso assunse un’espressione pensierosa. Bill
aggrottò le sopracciglia.
- Haylie… - C’è qualcosa che
non va?
Il suo tono lo sottintendeva, ma lui, naturalmente, non glielo chiese.
- Bill, stavo pensando… - La ragazza fece una pausa, in
cerca delle
parole più adatte per spiegargli i dubbi che
l’avevano assalita negli ultimi
giorni. L’entusiasmo di pochi minuti prima sembrava averla
abbandonata. – Tu…
insomma, tu questo bambino lo vuoi? –
Bill sgranò gli occhi di fronte a quella domanda, e Haylie
cercò di
sostenere il suo sguardo, in attesa. Le mani di Bill scattarono
automaticamente
in avanti e presero quelle della ragazza. – Haylie, cosa
dici? –
- Non lo so… me lo sono semplicemente chiesto –
mormorò lei, abbassando
la testa. Bill le mise una mano sotto il mento e gliela
alzò, così che i loro
occhi si incontrarono nuovamente, e Haylie quasi trasalì
quando successe. Nello
stesso istante in cui vide lo sguardo di Bill puntato su di lei, si
chiese come
avesse potuto domandargli una cosa del genere.
- Haylie, perché me lo chiedi? Certo che lo voglio!
–
Bastarono quelle poche parole a ridarle un po’ di coraggio, a
far
tornare quell’entusiasmo che sembrava aver perso. Bill le
prese il viso tra le
mani.
- Davvero hai pensato che io non…? – Lei sorrise,
posando una mano sul
suo braccio.
- Non importa. Non importa Bill, davvero. Scusami. Avevo solo bisogno
di
sentirtelo dire – Anche Bill sorrise, e posò un
bacio delicato sulle sue
labbra.
- Ti amo – Haylie si strinse più forte a lui. Ora
sì, ora si sentiva
bene.
- Anch’io ti amo – Confermò le sue
parole con un secondo bacio, più
lungo, più profondo. – Domani mattina ho
un’ecografia. Sapremo se è maschio o
femmina – Bill le strinse le mani fra le sue.
- Vuoi che venga? – Haylie sorrise di nuovo e gli
sfiorò una guancia con
una carezza. Come aveva potuto mettere in dubbio il suo amore?
- Lascia perdere. Riposati come si deve, così quando
tornerò
festeggeremo a dovere. E poi non voglio darti in pasto a branchi di fan
impazzite – Bill ridacchiò.
- Hai ragione, forse è meglio. Allora stanotte
cercherò di dormire
meglio possibile – Posò un bacio delicato sulla
fronte di Haylie. – Non vedo
l’ora di saperlo –
Haylie si lasciò abbracciare, tranquilla come non si sentiva
da mesi.
Sì, la felicità completa, quella perfetta, stava
per arrivare.
Tom si torse nervosamente le mani sudate, sentendo le ossa
scricchiolare. Mancava pochissimo, ormai, e Bill ancora non era sbucato
fuori.
Cavolo, stava prendendo la sua stessa sindrome.
Eppure era anche sicuro che quel concerto sarebbe andato bene. Aveva
provato gli accordi, si sentiva in forma, Gustav e Georg erano
più vispi che mai.
Però si sentiva in ansia lo stesso.
La porta della camera accanto alla sua si aprì di scatto, e
ne uscì
Bill, allegro come non l’aveva mai visto prima di un
concerto. Squadrò uno ad
uno i suoi compagni, in fila nel corridoio, prima di sfoderare un
sorriso a 32
denti.
- Beh? Siete ancora qua? –
Perfetto. Bill era di buon umore. Roba da sparare i fuochi
d’artificio.
Tuttavia, non riuscì a tirare un sospiro di sollievo.
Bill lo salutò con un’amichevole pacca sulla
spalla, anche se si erano
visti appena mezz’ora prima, poi lo superò a passo
spedito, raccogliendo la
compagnia con un perentorio: - Avanti, o David ci farà
scontare ogni singolo
minuto di ritardo! – Georg e Gustav lo seguirono a ruota, Tom
si trattenne un
istante di più, senza sapere bene perché. Era
come se si aspettasse qualcosa.
Nello stesso momento in cui ricevette un sonoro richiamo da parte di
Georg, la porta della camera di Bill si aprì nuovamente e ne
uscì Haylie.
Raggiante.
Non avrebbe saputo in che altro modo descriverla.
Indossava un paio di skinny e una maglietta rossa asimmetrica che
sottolineava i chili assunti in quei cinque mesi di gravidanza. Ma era
splendida. Forse era solo quel sorriso, o forse tutto
l’insieme, ma a Tom
riuscì difficile ricordare un’occasione in cui
l’avesse trovata così bella.
Lei ammiccò nella sua direzione e alzò il pollice
della mano destra.
- Buona fortuna! –
Nel momento in cui lo disse, Tom sentì una strana sensazione
di
sollievo. Non si preoccupò neanche di capire a cosa dovesse
attribuirla,
soffiandole un “Grazie!” in risposta e
affrettandosi a raggiungere il resto
della band.
Sì, quella sera sarebbe andato decisamente
tutto bene.
“Dimmi
che tu rifaresti se potessi tutto quanto,
che nonostante il mondo noi siamo fino in fondo
fino in fondo noi.”
Vi presento Haylie... vi piace? *_*
Ormai vi sarete pure scocciata a sentirlmelo dire, ma no si è mai troppo sicuri: la canzone è sempre di Raf, "Passeggeri distratti" |
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
Capitolo
9
“Col
tempo le cose cambiano
e anche gli slanci si placano…”
Haylie
lanciò uno sguardo veloce all’orologio. Veloce, ma
non ansioso.
Le sue labbra adesso disegnavano un sorriso che per la sua bellezza
avrebbe
meritato di essere mostrato a qualcuno, ma lei si sentiva
così felice che non
le importava. Tutto quello che voleva era tornare in albergo e riferire
a Bill
il risultato dell’ecografia.
Femmina.
A dire il vero, si sarebbe sentita ugualmente felice anche se avesse
scoperto di aspettare un maschio, o persino due gemelli
–anche se quella
notizia avrebbe sicuramente strappato una battutina pungente da parte
di Tom…
ma perché continuava a chiedersi quale avrebbe potuto essere
la sua reazione?-,
ma era come se quell’ulteriore esame avesse reso la sua gioia
ancora più
consapevole, più palpabile, più vera.
Il concerto della sera prima era andato alla grande, il pubblico era in
delirio, Bill era soddisfatto. Era andato a letto mezz’ora
dopo la fine dello
spettacolo, voleva essere ben sveglio il giorno dopo, aveva detto.
Oh, sì…!
Per
un attimo, Haylie ebbe la tentazione di passare al bar
dell’albergo.
Era quasi ora di pranzo, non aveva mangiato nulla per colazione e stava
letteralmente morendo di fame.
Decise di lasciar perdere. Mancava poco al pranzo, sicuramente i
ragazzi
la stavano aspettando. Superò a tutta velocità la
gente che incrociò per i
corridoi, tra cui le parve di scorgere anche Georg e, poco
più avanti, Tom, ma
non si fermò e procedette verso la camera sua e di Bill, con
la cartelletta
azzurra stretta fra le braccia.
Non bussò, non si annunciò, si limitò
solo ad afferrare la maniglia e
aprire di scatto la porta. – Bill, non
immaginerai… -
Rimase ferma sulla soglia, la mano che ancora stringeva la maniglia, i
capelli scompigliati dal vento fresco di marzo.
Bill dormiva. Anche piuttosto profondamente.
Aveva il lenzuolo attorcigliato intorno alla vita, si teneva
abbracciato
a un cuscino, il suo viso era nascosto quasi del tutto dalla folta
capigliatura
corvina. Il suo respiro era leggermente irregolare, Haylie poteva
sentirlo a
quasi due metri di distanza.
E, inspiegabilmente, sentì tutto il suo entusiasmo venire
meno.
Quando Bill era in ansia o particolarmente felice per qualcosa,
praticamente non chiudeva occhio, e si alzava prestissimo, alle prime
luci del
sole.
Haylie lo guardò cercando di non far spegnere il suo
sorriso, almeno
dentro di sé. Ma le riuscì difficile.
Maledettamente difficile.
Forse si era entusiasmata per troppo poco. E ora il semplice fatto che
Bill avesse dormito fino all’ora di pranzo e che non fosse
già sveglio e pronto
a sapere se quattro mesi dopo avrebbe avuto un figlio o una figlia,
bastò a
farla sentire come se l’avessero presa a mazzate.
Strinse al petto la cartellina azzurra. Forse importava davvero solo a
lei.
Tom sporse la testa poco oltre il muro, in direzione della
camera di
Haylie e Bill. A quanto aveva sentito la sera prima, Haylie sarebbe
andata a
fare un’ecografia per sapere se aspettava un maschio o una
femmina.
Chissà se per Bill avrebbe fatto differenza…
Si sentiva una strana ansia addosso. E l’inspiegabile bisogno
di saperlo
anche lui, quello che presumibilmente Haylie stava dicendo a suo
fratello.
Quasi sobbalzò quando la porta della loro stanza si
aprì lentamente,
accompagnata da un leggero cigolio. Ne uscì Haylie, con una
cartelletta azzurra
sotto un braccio, la sua piccola borsa bianca ancora appesa a una
spalla e il
capo chino, una strana espressione triste in viso. Quando lo vide, gli
angoli
della sua bocca si alzarono impercettibilmente.
Le andò incontro a passo lento, sorridendole. Non poteva
fare a meno di
sorridere di fronte a lei, anche se non riusciva ancora a spiegarsi il
perché
di quella malinconia dipinta sul suo viso.
- Ehi – la salutò. Lei accennò un gesto
con la mano libera. Tom si
schiarì la voce. Si sentiva come se avesse dovuto
provare disagio. –
Allora, com’è andata? Maschio o femmina?
–
La voce di Haylie era appena udibile. – Femmina –
- Oh, bene – rispose Tom. Dannazione, perché
doveva sempre uscirsene con
quelle risposte cretine? Era chiaro che c’era qualcosa che
non andava. Ma
questo non doveva interessargli. Era la fidanzata di Bill,
non la sua. –
Probabilmente non ne potevi più di stare in mezzo agli
uomini – Non riuscì
neanche a dare un tono scherzoso alla sua supposizione. Le cose erano
due: o
chiudeva il becco, o si defilava. Inaspettatamente, non
seguì nessuno dei due
propositi. – E Bill che dice? –
– Dorme –
Haylie abbozzò un sorriso triste, quello di Tom si spense
all’istante.
- Oh – Si passò una mano fra i dread. Ora
sì che si sentiva a disagio.
Diamine,
Haylie, non guardarmi così…
- Non importa – si affrettò ad aggiungere lei.
- Non devi preoccuparti – Tom parlò più
velocemente del normale. – Cioè…
scusami, non volevo dire… -
- Non importa – ripeté lei, in tono poco
più convinto. Distolse lo
sguardo e fece per andarsene, ma, prima ancora che Tom avesse il tempo
di
rendersi conto che stava per allontanarsi, si ritrovò a
tenerla stretta per un
polso.
Haylie
voltò la testa indietro e lo guardò stupita.
Tom sentì la bocca seccarsi e le parole morirgli in gola.
Perché
mi fai quest’effetto?
No,
era meglio non chiederselo… Qualcosa gli
diceva che stava per commettere un errore madornale, un errore che
avrebbe
ferito qualcuno, ma i suoi desideri erano così
confusi…
Haylie non poteva essere sola, non in quel
momento.
E perché non c’era Bill accanto a lei?
Tom si rese conto con non poca sorpresa che
questo non gli importava. Non come avrebbe dovuto.
- Haylie… - Si stupì lui stesso di essere
riuscito a pronunciare il suo nome senza sprofondare sotto il fardello
della
vergogna. Quella vergogna che non aveva mai provato, e che non avrebbe
nemmeno
dovuto provare, non in quel momento, non in quel luogo, non per lei.
–
Beh… Per Bill sei la cosa più importante
e… sta’ certa che si dedicherà a te
con tutto se stesso –
Stupido,
cretino, idiota!
Sentì
un rumore che non riuscì ad
identificare.
Forse era stata Haylie a tirare su col naso.
- Sono solo una bambina… una stupida bambina…
- mormorò con la voce spezzata.
Una
bambina non riuscirebbe a farmi rincretinire
così.
-
Hay… -
Non
fare così, non essere triste, non mettermi in
subbuglio lo stomaco!
La ragazza ebbe appena il tempo di lanciare
uno sguardo apprensivo alla mano di Tom, ancora stretta sul suo polso,
che si
sentì tirare bruscamente in avanti.
La cartellina azzurra cadde a terra, i pochi
fogli che la riempivano si sparsero con grazia sul pavimento quando Tom
le
lasciò andare i polsi solo per prenderle il viso tra le mani
ed avvicinarla a
sé.
Pensare era impossibile, dunque perché
provarci?
Cercare di vederci chiaro era impensabile…
…e allora perché non chiudere gli occhi e
lasciarsi trasportare da quel turbine di emozioni, emozioni sbagliate,
ma così
prepotenti?
Tom la trattenne con gentilezza, certamente
non meno di quella che usò per posare un tremante, veloce
bacio sulle sue
labbra.
Non voleva rubarle niente, non voleva
costringerla, solo, ne aveva bisogno.
La mano di Haylie scattò in avanti, afferrò
il polso di Tom e, per pochi, interminabili secondi, nessuno dei due
capì se
fosse con l’intenzione di allontanarlo o aggrapparglisi.
Non vi fu più di un semplice movimento.
Non si udì neppure un rumore, il minimo
suono.
L’unico fu quello del sospirare di Tom quando
la sua bocca si allontanò di qualche centimetro da quella di
Haylie, ma lei,
presumibilmente, non lo avvertì.
Lo guardò quasi con terrore. Terrore di
quello che lei aveva accettato, non di quello che
lui aveva fatto.
- Hay, io… -
La ragazza si chinò e raccolse rapidamente i
fogli sparsi sul tappeto, li ficcò frettolosamente nella
cartellina e schizzò
via cercando di lasciarsi la sua voce alle spalle.
- Haylie, aspetta, non andartene! –
Tom si accasciò contro il muro, sospirando penosamente.
Si coprì la faccia con le mani, quasi graffiandosi con le
sue stesse unghie.
- Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo! –
Non avrebbe saputo trovare un termine più
appropriato.
Cosa cazzo gli era saltato in mente?
E perché cazzo aveva baciato la
fidanzata di suo fratello?
Solo il pensiero di quanto era costato il
soggiorno in quell’hotel lo trattenne dal mollare un calcio
alla parete.
Non poteva innamorarsi di lei.
Nella sua vita non aveva mai provato
sentimenti degni di tale nome, quindi, perché proprio lei?
Fosse stata un’altra ragazza, lo avrebbe
chiesto a Bill. Già la sua voce gli riecheggiava nella
mente…
“Vuol
dire che è una ragazza speciale, Tomi!”
Già.
Lo era.
Purtroppo.
Haylie si fermò solo quando si rese conto di
essere finita fuori dall’hotel. Respirò
profondamente un paio di volte,
cercando di rimettere ordine nella propria mente.
Scosse la testa e si coprì il viso con le
mani.
Impossibile.
Forse si era immaginata tutto… Forse non era
successo niente… Forse cinque minuti dopo avrebbe incontrato
Tom di ritorno da
qualsiasi posto che non fosse il corridoio del secondo piano, lui
l’avrebbe
salutata e le avrebbe chiesto com’era andata
l’ecografia.
Ma questo non successe.
Haylie dovette trattenersi per non darsi un
pugno sulla fronte. Come faceva a pensare a Tom in
quel momento?
Beh, le suggerì una vocina dentro di sé dal
tono vagamente maligno, forse perché Tom è il
fratello del tuo fidanzato, e tu
l’hai appena baciato.
No,
non è vero, non sono stata io! Non è colpa mia!
E allora perché non l’aveva respinto?
Perché
non si era allontanata da lui e non gli aveva stampato cinque dita in
faccia?
Dubitava di poter essere capace di un simile atto, ma doveva ammettere
che le
circostanze avevano tutto il diritto di richiederlo.
Tirò un altro profondo sospiro.
Era stato un errore. Punto. Tom l’aveva solo
baciata, non le era saltato addosso né niente di simile.
Nonostante l’immagine
di sé che presentava agli occhi della gente, aveva un senso
della moralità non
indifferente e sicuramente anche lui si era reso conto di aver avuto,
per un
attimo, la mente un po’ annebbiata.
Un po’ troppo, in effetti.
Dio, perché l’aveva incontrato proprio in
quel momento di debolezza?
Forse sarebbe stata debole anche in qualsiasi
altro momento, si ritrovò a pensare con orrore.
Strinse i pugni e serrò gli occhi, come a
voler cancellare il mondo attorno a sé.
Doveva semplicemente smettere di pensarci.
Non ne avrebbe parlato con nessuno, meno che mai con Bill, avrebbe
aspettato
che lui si svegliasse e gli avrebbe comunicato che aspettava una
bambina.
Dopodiché, avrebbe fatto del suo meglio per ignorare Tom
fino a che entrambi
non avrebbero dimenticato quanto era successo.
Dimenticare.
Sì, era l’unica soluzione possibile.
Dimentica,
Haylie, dimentica, dimentica!
Cercando di mantenere una certa disinvoltura,
mise la cartelletta azzurra nella borsa e si diresse verso il
ristorante
dell’albergo. Non ci volle molto perché scorgesse
Gustav e Georg, seduti a un
tavolo con altri tre posti vuoti, intenti a parlare fitto con Tom, in
piedi
accanto a loro.
Haylie sbiancò. Di cosa stavano
parlando?
Sforzandosi di convincersi che Tom non poteva
essere tanto stupido da andare a dire ai suoi amici che aveva baciato
la
ragazza di suo fratello, si avvicinò al tavolo e
attirò l’attenzione dei
ragazzi con un leggero colpo di tosse. – Ehm… ciao
–
Gustav e Georg le risposero con due sorrisi
smaglianti, Tom si limitò a sbirciarla di sottecchi.
– Haylie, eccoti
finalmente! – disse Georg. – Mancate solo tu e
Bill. Digli di sbrigarsi, sto
morendo di fame –
- L’ho già chiamato io – intervenne
frettolosamente Tom, ma a voce piuttosto bassa. – Ci
siamo… ehm… incontrati di
sopra e ha detto che scenderà entro cinque minuti –
- Oh, sì, conosco i cinque minuti di Bill –
borbottò Gustav. – Georg, comincia pure a
masticare il tavolo, qui prima delle
due non si mangia – Haylie prese posto accanto a Georg e
posò la borsa sulla
sedia libera alla sua sinistra. Tom, dopo averla lanciato un altro
sguardo
fugace, si sedette dall’altro lato del tavolo, sospirando.
Haylie sobbalzò quando sentì una voce
squillante esclamare: - Buongiorno a tutti! –
Bill aveva raggiunto il resto del gruppo e
ora esibiva un sorriso a 32 denti. – Scusate il ritardo,
avevo un po’ di sonno
arretrato – Haylie gli sorrise e spostò la borsa,
facendogli posto. Bill
sedette accanto a lei e le schioccò un bacio sulle labbra.
– Dormito bene? –
- Sì, meravigliosamente – Haylie cercò
di
mascherare il leggero tremolio assunto dalla sua voce.
- Non vedo l’ora di mettere qualcosa sotto i
denti – disse lui. Georg gli allungò il cestino
del pane.
- Anche noi, ma stavamo aspettando che
vossignoria illustrissima finisse il suo riposino di bellezza
– lo canzonò,
mentre Bill arraffava una fetta di pane.
Haylie aspettò che Bill le chiedesse
qualcosa, stringendo febbrilmente la borsa in grembo, ma lui
continuò solo a
punzecchiarsi con Georg. Quando le rivolse la parola, non se ne accorse
che
dopo qualche istante.
- Amore, scusami se mi sono alzato così tardi
– Haylie sorrise. Ecco, ora glielo avrebbe detto…
- Di sicuro tu sei in piedi
da ore. Cos’hai fatto stamattina? –
La ragazza conficcò inavvertitamente le
unghie nella tracolla di cuoio della borsa. In che senso…
cosa aveva fatto
quella mattina?
- Beh, lo sai… - azzardò a voce bassissima.
- Sei stata un po’ in compagnia del mio fratellino,
eh? – Haylie si sentì gelare il sangue nelle vene.
Non poteva sapere… non se
aveva quel sorriso… - Si sveglia presto solo dopo i
concerti, lui. E si vede,
ha una faccia…! – Haylie lanciò uno
sguardo apprensivo in direzione di Tom: il
ragazzo le restituì un’occhiata perplessa ma
altrettanto preoccupata, poi si
rivolse cautamente al fratello:
- Ehm… Bill, non… non stai dimenticato
niente? – Bill sembrò pensarci per qualche secondo.
- Ah, già! – esclamò, dandosi una
manata
sulla fronte. – Abbiamo il sound check! Cavolo, me
n’ero completamente scordato
– Haylie non riuscì a staccargli lo sguardo di
dosso, le unghie ancora
conficcate nella tracolla della borsa. – Alle tre, giusto?
Uffa però, non si
può neanche pranzare con calma… -
- Chi è che dorme fino al tramonto? – lo
rimbeccò Georg, lanciandogli un tovagliolo in faccia.
Continuarono a battibeccare e a ridere, e non
si accorsero della lunga occhiata che si scambiarono Haylie e Tom nel
frangente.
E’
stato lui a dimenticare… E’ stato lui a
dimenticare…
“…e
non è più esattamente come tu
immaginavi.”
Vi ringrazio
per le recensioni, anche se queste comportano uno sforzo
disumano (a noirfabi ora fischieranno le orecchie XD). Spero che la mia
ff
continui a piacervi, soprattutto adesso che per me diventa sempre
più difficile
mandarla avanti. Haylie è un personaggio strano, che mi
sfugge, e mi sono trovata più volte a chiedermi se
riuscirò a mandare avanti questo storia...come voglio io,
perlomeno.
Commenti bene accetti! ^^ (ho modificato per la millesima volta l'introduzione...a me piace decisamente di più adesso)
Ebbene sì: ancora "passeggeri distratti". Grazie Raf!! |
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
Ragazze, le
vostre recensioni mi hanno lasciata a dir poco di stucco e
ci tengo a rispondervi, cercando di non essere troppo prolissa, prima
di
lasciarvi a questo capitolo che forse coronerà i vostri
sogni. Noirfabi: eh, happy
and… Più avanti
capirai da te se questo sarà possibile o no. Un bacio. FuckedUpGirl:
Bia,
tesoro… Davvero vedi Bill come un personaggio odioso e
raccapricciante? Beh, vedo che è un elemento comune a voi
che recensite e
sicuramente io non faccio molto per sfatare il mito… Ma non
dirò le mie
personali opinioni su Bill finché la storia non
sarà finita. Allora potremo
parlarne ^_^ Tvb anch’io. Bluebutterfly:
Per quanto riguarda Bill, vale
lo stesso che ho detto a Bia. Mi fa piacere che apprezzi il mio stile
di
scrittura, faccio di tutto per rifinirlo e renderlo più
gradevole.
L’inconveniente è che, al termine di una storia,
sembra quasi che il primo e
l’ultimo capitolo siano stati scritti da due persone diverse.
Grazie ancora! Kristine:
Dio, dio, dio! Rispondere alle tue recensioni è complicato!
Ti assicuro che non
mi hai annoiata, anzi mi fa piacere che tu abbia voluto raccontarmi
questo tuo
aneddoto e che ti sia sentita vicina ai personaggi. Personalmente, amo
molto il
fatto di ritrovarmi in una storia non mia. Non so e non posso dirti se
la tua
situazione e quella dei miei personaggi coincida in punti
più profondi, lo
scopriremo più avanti. Spero che fra te e il tuo ragazzo
tutto vada per il
meglio e che continuerai a seguire e recensire la mia storia. Un
abbraccio. Valux91:
bentornata!!!
Beh, mi pare che non sei la sola a
tifare per Tom! Sì, il disegno l’ho fatto
io… ho illustrato ogni parte di
questa storia (anzi, ho appena postato l’illustrazione
relativa a “Nei
silenzi”… la famiglia del Mulino Bianco, ricordi?
XD) Spero che continuerai a
seguirmi… baci. Sore: (ormai mi hai
attaccato la sindrome di ‘sto
nomignolo) eeeh, un’altra fan del “mio”
Tom! Sono felice che a te, piccola
grande scrittrice, piaccia la mia ff! Ti adoVo!
Capitolo
10
Haylie
non toccò cibo. Continuava a ripetersi
che probabilmente, anzi no, molto probabilmente, se
la stava prendendo
per nulla…
No!
Bill…
Si trattava di sua figlia. Come aveva
potuto dimenticarsi…?
Come se non ne avessero parlato.
Haylie chiuse gli occhi. Perché, quando mai
avevano parlato davvero?
Sentì una mano poggiarsi sul suo braccio e
scuoterla leggermente. – Haylie, tutto bene? –
Si riscosse improvvisamente e vide Bill che
la scrutava incuriosito.
- Eh? Sì… sì, tutto bene –
Cercò di non fare caso all’occhiata
apprensiva che le rivolse Tom quando tutti e cinque si alzarono da
tavola.
Gustav diede uno sguardo all’orologio.
- Ragazzi, sono le due e mezza. Dovremmo
darci una mossa –
- Sì, andiamo – rispose Bill, rimettendosi la
sua giacca di pelle nera e saltando giù dalla sedia. Quando
si avviarono su per
le scale, Haylie, un po’ indietro rispetto a lui, lo
sentì canticchiare
allegramente. Dunque, se l’era scordato davvero.
- Haylie, aspetta un attimo… -
Si rese conto con sorpresa che era stato Tom
a chiamarla sottovoce. Procedette a passo sostenuto e si
sforzò di non
guardarlo. Se davvero non gliene fosse importato nulla, evitarlo non
sarebbe
stato così difficile… Tom la raggiunse e le
posò una mano su una spalla. – Hay,
volevo dirti… -
- No! – lo interruppe seccamente lei,
arrossendo. Guardò in direzione di Bill, ma non sembrava che
l’avesse sentita.
– No – ripeté a voce più
bassa. – Non voglio sapere quanto sono importante per
tuo fratello, né quanto si prenderà cura di me,
né niente! Andate pure
tranquilli al vostro sound check! –
- Se mi facessi almeno parlare… -
- Ti ho detto che non voglio sentire niente!
– sibilò, scostandosi bruscamente e accelerando il
passo. Affiancò Bill, che la
guardò con espressione colpevole.
- Mi dispiace se oggi non ci vedremo
praticamente per tutto il giorno – In altre circostanze,
Haylie avrebbe adorato
quei suoi occhi così dolci.
- Fa niente – rispose. – Penso che
rimarrò
tutto il pomeriggio in camera. Non me la sento di uscire –
- Sicura che posso lasciarti sola? –
insistette Bill con voce preoccupata.
Haylie levò lo sguardo sul suo viso ed ebbe
la tentazione di rispondergli “Tanto l’hai
già fatto”, ma non mancò di sentirsi
subito in colpa. In realtà, in due anni non
l’aveva mai fatto…
- Sì, non preoccuparti – rispose, sforzandosi
di sorridere. – Vai tranquillo –
Bill sorrise e la baciò sulla fronte. Haylie
stava per entrare in camera, quando sentì la voce di Tom
dire:
- Bill, scusami, io… penso che non verrò
–
Si voltò a guardarlo stupita, come del resto
fecero gli altri tre.
- E perché? – gli chiese il gemello,
inclinando la testa di lato. Tom si passò una mano fra i
dread e si grattò la
testa.
- Io, uhm, non mi sento bene –
- Non ti senti bene – ripeté Bill, in tono
vagamente scettico.
- No – aggiunse Tom, poi si accorse di aver risposto
troppo velocemente. Cercò di non guardare in direzione di
Haylie, che
sicuramente doveva aver messo su un’espressione
scandalizzata, e proseguì: - Mi
fanno male le dita. Io… ho lasciato la finestra aperta
stanotte e… devo aver
preso freddo. Non posso suonare – Bill aggrottò le
sopracciglia.
- Ma Tom, oggi abbiamo la seconda serata! Non
puoi… -
- Non ti preoccupare – lo interruppe il
biondo. – Abbiamo provato ieri, me la caverò. Ma
adesso non me la sento.
Davvero, Bill, se potessi, verrei, lo sai –
Bill lo guardò meditabondo per qualche
istante, poi sospirò.
- Spero che David non se la prenderà con me.
Vabbè. Allora… mi raccomando – Gli
gettò un’altra occhiata poco convinta prima
di girarsi verso Haylie e baciarla. – E tu riguardati. Non mi
piacciono le
vostre facce -
Già,
neanche a me,
pensò la ragazza.
Tom simulò un colpo di tosse.
- Sarà meglio che io, uhm… me ne torni in camera
–
Haylie sperava che fosse la sua reale
intenzione, ma ne dubitava fortemente. Si chiuse nella propria stanza
quando
Bill, Gustav e Georg si dileguarono. Fantastico. Si prospettava un
pomeriggio
di pietosa solitudine.
Haylie sentì bussare leggermente. – Posso
entrare? – chiese una voce dal timbro inconfondibile.
Sospirò. Adesso, il
pensiero di un pomeriggio solitario le sembrava ancora più
insopportabile.
- E’ meglio di no – si sforzò di
rispondere,
ma un momento dopo aveva già aperto. Sbuffò,
maledicendo in cuor suo la sua
discutibile forza di volontà. - …ma tanto, per
me, tutte le guerre sono perse.
Cosa vuoi? – Tom si schiarì nervosamente la voce.
- Beh, lo sai… -
- Forse posso offrirti un paio di guanti, per
non intorpidirti le dita, sai… - disse aspramente lei. Tom
sospirò, lasciando
ricadere le braccia lungo i fianchi.
- Dici che l’ho sparata troppo grossa? –
- Sono fatti tuoi. Quando stasera farai flop,
non venire a piangere da me – Haylie si stupì di
essere riuscita a risultare
tanto acida. Normalmente, non rientrava nei suoi standard, ma stava
lottando
disperatamente per non far capire a Tom quanto le costasse anche solo
sostenere
il suo sguardo.
E continuò a ripeterselo: se non
t’importasse nulla di lui, l’avresti già
chiuso fuori…
- Haylie, per favore, possiamo almeno
parlarne? –
- Di cosa? –
- Di quello che è successo prima di pranzo –
Haylie socchiuse gli occhi.
- Non è successo niente prima di pranzo. Non
c’è niente di cui parlare –
- Se fosse vero, a quest’ora mi avresti già
fatto entrare –
Tom parlava a voce bassa, misurata. Rimase
fermo sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta, le braccia
incrociate
sul petto. Certo, era del tutto diverso da come si mostrava in
pubblico, ma
raramente Haylie l’aveva visto così tranquillo.
La prima volta, avevano parlato di lei, di
Bill, del gruppo. Ed erano diventati amici.
Cosa sarebbe successo se l’avesse fatto
entrare e ne avessero parlato?
Sapeva solo che la calma di Tom era
preoccupante.
- Entra, dài – sospirò, facendosi da
parte
per farlo passare. Tom entrò a passo lento, poi si
fermò al centro della
stanza, guardandosi intorno cercando di apparire indifferente.
– Puoi sederti,
se vuoi –
- No, grazie, non ce n’è bisogno –
Seguì
qualche minuto di imbarazzato silenzio. – Haylie, io non so
da dove cominciare…
-
- Allora non cominciare – mormorò lei,
stringendosi le braccia intorno alla vita, scossa da un leggero brivido
di
freddo. Tom scosse lentamente la testa prima di rispondere.
- No – Haylie levò lo sguardo su suo viso.
Era inaspettatamente, spaventosamente serio.
– Io non voglio fare come
Bill. Non voglio fare come voi. Io parlo, Haylie.
Quando c’è un
problema, lo dico. Così come quando sono felice per
qualcosa, ne parlo con
qualcuno. Io non… non riesco a tenermi tutto dentro, come
voi – Un’altra pausa.
– Perché non hai ricordato a Bill del tuo esame?
–
Haylie abbassò lo sguardo. – Non
voglio…
stargli addosso. Deve essere lui a ricordarsi delle cose importanti
–
- E se non lo facesse? –
- Lo farà –
- Davvero? E avete mai parlato del vostro
futuro? Avete pensato a come sistemarvi dopo che sarà nata
la bambina? Non
credo che sia il massimo della felicità farsi una famiglia
su un tourbus o
portarsi una figlia di pochi mesi in giro per concerti. Ne avete
parlato, di
questo? –
Haylie trasalì quando Tom pronunciò quelle
parole. Improvvisamente, la realtà la colpì nel
modo più doloroso possibile. No,
non ne avevano mai parlato. Chinò la testa e chiuse gli
occhi, stringendosi la
pancia fra le braccia, come a voler proteggere l’esserino che
vi aveva trovato
rifugio. Non si ritrasse quando Tom la afferrò per le
spalle. – Come potete
vivere senza sapere niente l’uno dell’altra?!
–
- Non è vero! – gemette lei, scuotendo la
testa senza guardarlo. – No… io…
noi… oh, Tom… - mormorò con la voce
rotta.
Quando sentì la sua presa allentarsi a poco a poco, si
nascose il viso tre le
mani, sentendo già gli occhi bruciare. – Sono una
stupida… sono solo una
stupida… - singhiozzò, cominciando a tremare. Non
smise nemmeno quando Tom la
circondò con le braccia e la strinse a sé.
- Haylie, io… scusami, non volevo… Oh dio,
scusami – mormorò, nascondendo il viso tra i suoi
capelli.
Tutt’a un tratto si sentiva un verme.
Sembrava quasi che… che volesse metterli l’uno
contro l’altra. Come poteva
farlo, se voleva a entrambi un bene dell’anima?
Peccato che uno di questi suoi affetti avesse
bisogno di essere rivisto e compreso più a fondo.
Haylie
continuò a piangere silenziosamente,
lasciandosi cullare.
Era stufa dei sensi di colpa.
Era stufa di dover continuare a prevedere
ogni mossa.
Tanto, alla fine, sbagliava sempre… dunque
perché farsi tanti scrupoli?
La verità era una sola, sebbene accettarla
fosse faticoso oltre l’immaginabile: in quei pochi mesi, Tom
le era stato molto
più vicino di quanto non lo fosse stato Bill. Detta
così, sarebbe potuta
sembrare una verità stupida, una giustificazione non valida,
ma era così.
Forse semplicemente perché quello di Tom non
era un dovere… e Bill era sempre stato allergico ai
doveri…
Si distaccò lentamente da Tom, asciugandosi
le lacrime con il dorso della mano. Lui la guardò con
espressione ferita. –
Haylie, mi dispiace… -
- No – mormorò lei, tirando su col naso.
–
Hai ragione. Io… mi sembra di non capire più
niente… -
- Anche a me – sussurrò lui, guardandola
intensamente. Haylie rabbrividì quando le mani di Tom si
posarono sulle sue
guance. – Anche a me sembra… di non capire
più niente – Il suo viso si avvicinò
a quello di Haylie fino a che le loro labbra quasi si sfiorarono, ma
Tom si
fermò a pochi millimetri dal suo naso, e la ragazza si
ritrovò a boccheggiare
come se in quella
stanza fosse finito l’ossigeno.
Tom chiuse gli occhi. Cosa stava facendo? No… non
poteva… ma doveva… No,
baciare la fidanzata di suo fratello, per giunta incinta, non poteva
essere
classificato come “dovere”. Ma questo era il
cervello a dirglielo, mentre il
cuore, probabilmente, ne era ignaro. – Io… io non
voglio ferire nessuno… -
sussurrò.
Haylie si aggrappò ai suoi polsi, trattenendo
il fiato. – E allora non andartene… non lasciarmi
sola –
Riaprì
gli occhi e levò lo sguardo verso di
lui. Negli occhi di Tom c’era qualcosa a cui, in altre
circostanze, avrebbe
dato certamente la giusta interpretazione, ma ora una piccola ed
egoistica
parte di lei le imponeva di non curarsene. La mano sinistra di Tom si
spostò
indietro, tra i capelli bronzei di Haylie, mentre la destra scese lungo
la sua
schiena, trattenendola gentilmente contro il suo petto.
Non la costrinse in alcun modo ad
approfondire il contatto.
I suoi occhi cercarono una risposta che fu la
bocca di Haylie a dargli, quando annullò quella piccola
distanza sfiorando la
sua. Poi le labbra di Tom schiusero dolcemente quelle di lei, in un
movimento
lento, delicato, impaurito. Non sapeva se avrebbe avuto la forza
necessaria a
fermarsi, né gli importava.
Fu cancellando
ogni suo scrupolo che Haylie
si lasciò andare a quel bacio. In lui c’era
qualcosa di nuovo e di diverso, di
familiare e al tempo stesso sconosciuto. Improvvisamente non fu
più il viso di
Bill a dominare la sua mente, non fu più la consapevolezza
che stava per
ferirlo irreparabilmente.
Si rese semplicemente conto che tutto quello
che cercava era una presenza stabile nella propria vita, un sorriso che
non
fosse accompagnato da promesse intangibili, una persona che la amasse e
scegliesse di starle accanto indipendentemente dal fatto che lei
aspettasse un
bambino… una persona come Tom.
Semplicemente Tom.
Haylie gli
cinse il collo con le braccia,
rifugiandosi nella fresca morbidezza delle sue labbra. La mano del
ragazzo
scivolò dalla schiena di lei lungo i suoi fianchi, e poi le
accarezzò la pancia
ormai visibilmente arrotondata, in un gesto che non l’aveva
ancora sfiorata e
che probabilmente non l’avrebbe mai
sfiorata se avesse continuato a
stare con Bill, o perlomeno non nel modo che lei desiderava.
Era dolcezza.
Dolcezza disinteressata, pura.
Fu in quel
preciso istante che Haylie sentì
qualcosa, come un guizzo, che arrivò direttamente dal suo
interno. Quel
movimento coincise con l’allontanarsi delle loro labbra e il
fermarsi della
mano di Tom sulla sua pancia. – Hai sentito? –
mormorò, a metà tra l’incredulo
e lo spaventato.
Haylie annuì lentamente, troppo sorpresa per
dire qualsiasi cosa. Tom stava quasi per baciarla di nuovo, quando
sentì un
altro guizzo sul palmo della mano. La ritirò di qualche
centimetro, mentre
Haylie chinava la testa e si guardava il ventre, sorridendo senza
nemmeno
accorgersene.
Eccolo, il segno.
Quel movimento che non aveva mai sentito e
che aspettava con tanta ansia.
I suoi occhi, improvvisamente illuminati di
una nuova luce, incontrarono un’altra volta quelli di Tom.
– Ti sei spaventato?
– Tom sorrise imbarazzato. Lui, certo, non poteva
sapere…
- Forse ha cercato di cacciarmi… - La
accarezzò goffamente.
Haylie posò una mano sulla sua, sperando che
lui potesse sentire le stesse cose che lei sentiva da mesi
–anche se non in quel
modo-, che le capisse e le rendesse anche sue.
- Non può cacciarti – mormorò
sorridendo. –
Io e lei viviamo in simbiosi… - Le labbra di Tom si
curvarono in un sorriso e
Haylie gli cinse nuovamente il collo con le braccia. Si scambiarono un
altro
bacio, Haylie chiuse gli occhi e cominciò a ridere
apparentemente senza motivo.
– L’ho sentita Tom… l’ho
sentita… io l’ho sentita!
– esclamò
abbracciandolo, mentre i suoi occhi si bagnavano di nuovo, ma stavolta
per un
sentimento ben diverso.
Era
stato lui… era grazie a lui se l’aveva
sentita, se lei le aveva mandato un
messaggio…
Si persero in un altro bacio, e poi un altro,
e un altro ancora, fino a che persero il conto e si ritrovarono
abbracciati sul
letto ancora disfatto, assaggiando l’uno il gusto
dell’altra, quel sapore nuovo
per entrambi, tinto di un peccato inconsapevole di essere tale.
Le labbra di Tom asciugarono le sue lacrime,
le sue mani le infondevano sicurezza, le sue braccia la proteggevano
dal resto
del mondo, quel mondo che non capiva e che non l’avrebbe
fatto mai.
Haylie rabbrividì quando lo sentì baciarle il
collo, e poi più giù, sbottonarle rapidamente la
camicetta e nascondere il viso
nel suo seno, facendo suo quel profumo dolce e delicato, quel profumo
che sapeva
di innocenza, di purezza, di qualcosa che non aveva mai sentito.
Haylie riaprì gli occhi solo quando non
avvertì più il calore del corpo di Tom sopra di
lei, rimase a guardarlo
attraverso le ciglia mentre lui si spogliava. Voleva averlo vicino,
voleva quel
calore.
Non provò nessun imbarazzo fino a quando Tom
non la privò dell’ultimo indumento che separava i
loro corpi, solo allora sentì
un brivido correrle lungo la schiena e si aggrappò alle sue
spalle, ma lui
l’allontanò da sé subito dopo. Percorse
interamente il suo corpo con lo sguardo
e la sua mano si posò ancora una volta sul suo ventre.
- Sei… oh, Haylie, sei stupenda –
Arrossì violentemente e si rifugiò tra le sue
braccia, imponendosi di non pensare, di estraniarsi almeno per quel
momento che
non sapeva se si sarebbe mai ripetuto.
Il suo tocco era caldo, confortevole,
attento. Le loro mani non si lasciarono per un solo istante, le dita
rimasero
intrecciate, le loro anime si aggrapparono morbosamente l’una
all’altra.
Non se l’era immaginato così, il SexGott.
Non in un’occasione del genere. Non con lei.
Ci volle poco perché quel loro semplice
bisogno, quella fuga dalla realtà, si macchiasse di peccato.
Quella camera d’albergo si colorò di emozioni
nuove e proibite, emozioni che non sarebbero state tali se non vissute
così,
protette da ogni precedente paura, ignare di quello che avrebbero
provocato,
emozioni nascoste e silenziose.
Era dunque quello, il suo destino.
Haylie chiuse gli occhi e sospirò quando Tom
si rannicchiò accanto a lei e poggiò un orecchio
sulla sua pancia. Gli
accarezzò stancamente i capelli, mentre il suo fiato la
solleticava
leggermente. Poco dopo, Tom si stese al suo fianco, intrecciando le
dita con le
sue. I loro sguardi si incontrarono, e ad Haylie parve di scorgere un
velo di
preoccupazione oscurare i suoi occhi nocciola.
- Haylie, io… non ti ho fatto male, vero? –
Gli sembrava quasi di essere Bill. Tom
scacciò velocemente quell’idea dalla propria
mente, pensando che, quasi
sicuramente, Bill quella domanda non gliel’aveva mai posta.
Haylie sorrise appena, e fu lì che Tom si
rese conto del tutto della sua bellezza. Con i
capelli arruffati, lo
sguardo stanco e le guance arrossate era ancora più
incantevole, ancora più lei.
– No… sto bene –
Anche lui sorrise, e si sporse in avanti per
sfiorarle le labbra con un bacio.
- Haylie, ti amo –
Non pensava che sarebbe stato così dirlo per
la prima volta. Pensava che avrebbe dovuto tirare un bel respiro e
chiudere gli
occhi, invece gli venne così naturale che lui stesso se ne
stupì. Haylie chiuse
gli occhi e appoggiò la fronte sulla sua spalla, sorridendo
tra sé. Forse era
felicità, forse era rassegnazione.
Non lo sapeva, e forse non l’avrebbe mai
saputo.
“Ma
se sparissi adesso chi mi verrebbe a cercare?
Dimmi che tu lo faresti e che non siamo passeggeri
distratti,
due prigionieri in gita senza una via d'uscita.
Dimmi che tu rifaresti se potessi tutto quanto,
che nonostante il mondo noi siamo fino in fondo
fino in fondo noi”
(Raf,
“Passeggeri distratti”)
...Ho
aggiunto un’illustrazione al capitolo tre, se può
interessarvi ^^
|
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Capitolo 11 *** Il nodo - Capitolo undici ***
Inutile,
è diventata una malattia: devo per forza rispondervi. Noirfabi: ma deciditi! Chi vuoi,
Haylie-Bill o Haylie-Tom? (io me li prenderei in blocco. Sono poligama
per
natura x°D) Moonwhisper:
no, ora mi
dici come facevi a sapere che sono un’artista di fama
internazionale (e partì
il coro di pernacchie). Forse hai letto “Cry –
don’t wanna be alone”? Oppure…
boh, vabbè, ormai lo sanno pure i sassi che io vivo per il
disegno. E tieni giù
le mani da Tom, che quando questa storia finirà, in
qualsiasi modo finisca,
sarà mio. FuckedUpGirl:
Bia,
io non ti avviso più quando aggiorno perché so
che mi segui, giuoia della mia
vita! Però anche tu, eh… ti piace
“Don’t wanna hurt you”, ti piace la parte
in
cui Hay e Tom “consumano”… dillo che non
te ne frega niente di come scrivo! XD Valux91:
che ne dici di mettere su il
club dei Mulino Bianco family’s fan? Però i
tesserini li facciamo col mio
disegno! Kristine: Kris, Kris, che
bello trovare un’altra tua recensione! Però tu,
gioia, mi fai venir voglia di
dire cose che non posso dire… di rivelare il mio punto di
vista, che vi
rovinerebbe il gusto di seguire la storia. Sai che hai tirato in ballo
un
elemento interessante? Quello che dici a proposito di Bill…
può essere, Kris,
può essere. Come noterai anche più avanti, il suo
personaggio sarà ben
focalizzato pochissime volte, ho involontariamente lasciato molto
più spazio
alla psiche di Hay e di Tom. Forse neanch’io capisco questo
mio Bill, forse gli
so dando un ruolo che non mi aspettavo di attribuirgli. Non lo so.
E’
difficile. E spero di riuscire sempre ad appassionarti così.
Sore: uno dei lavori più
belli? Se lo
dici tu mi fido! Però confesso di averla scritta almeno due
mesi fa questa
parte, prima ancora di aver deciso come sviluppare la storia.
E’ un
prefabbricato XD Beh, anche per le altre mie storie sui TH hai detto
che
preferisci la versione più “matura” di
Tom, no? Lilylemon: ohi, piccoletta
a chi?! XD Benebene, me è felice di
trovare una new entry!
Vi
avviso che questo capitolo non mi piace per niente, soprattutto la
prima metà: doveva essere qualcosa di più
“poetico”, invece è solo dialogo. Se
non altro, stavolta non potete dirmi che miglioro ogni giorno di
più. Però in
compenso il prossimo capitolo è (al momento) il mio
preferito!
Un
grazie speciale agli 11 utenti che tengono la mia storia tra i
preferiti!
Parte
III – Il nodo
Capitolo
11
“Il
tuo nome è una vecchia ferita che giace profonda
e la sabbia ha coperto il passaggio di fiamme e furori,
tutto sembra pulito e quieto a vederlo da fuori…
tutto sembra finito”
Haylie tirò un profondo sospiro e si lasciò
cadere sul minuscolo pouf
sistemato in un angolo della stanza. Ci stava a malapena per
metà, ma non
importava. Si sentiva talmente stanca che si sarebbe accontentata anche
di
sedersi sul pavimento.
Stanca, stremata.
Per il lavoro? Per la gravidanza…? O… No. Neanche
lei voleva saperlo.
Bill si separò dagli altri tre ragazzi, che ora
confabulavano tra loro
su quanto li annoiasse l’idea dell’ennesimo
servizio fotografico, si accovacciò
accanto a lei e sorrise piegando la testa di lato.
- Stanca, vero? –
Haylie stiracchiò le labbra in un sorriso che ad occhi
più attenti non
sarebbe sembrato tale. Annuì.
- Tesoro, non puoi continuare ad affaticarti così. Devi
staccare –
La ragazza annuì una seconda volta, sporgendosi a baciarlo
lievemente su
una guancia. – Lo so, Bill. Non preoccuparti. Non faccio
niente di
particolarmente stancante – Con la testa gli fece cenno di
tornare dai ragazzi,
sforzandosi di non incrociare lo sguardo di Tom.
Pure lui ultimamente sembrava anche troppo tranquillo. Haylie sperava
che nessuno si chiedesse il perché.
Bill le strinse una mano, prima di alzarsi in piedi.
- Mi raccomando. Non voglio più vederti con questi occhi
tristi, eh? –
Haylie sospirò mentre lui si allontanava. Da quel
pomeriggio in
albergo, sorridere di fronte a lui –soprattutto se nelle
vicinanze c’era Tom-
era diventato più complicato. Sia perché non
sapeva più neanche lei se quei
sorrisi fossero sinceri, sia perché è difficile
mostrarsi sereni e rilassati
quando si ha la coscienza sporca.
Doveva smetterla di giustificarsi. A Bill non era sfuggita la sua
espressione stanca. Già, meglio lasciare che la credesse
tale, piuttosto che
colpevole…
Ma non poteva farne a meno. Ogni volta che i suoi ricordi volavano a
quel pomeriggio, sentiva lo stomaco stringersi e le mai diventare
ghiacciate.
Rimasero
così, abbracciati e in silenzio per minuti interminabili.
Quel
silenzio che aveva un qualcosa di rassicurante e inquietante nello
stesso
tempo.
A Tom
non riuscì difficile accorgersi che Haylie non faceva altro
che sospirare. –
Piccola, c’è qualcosa che non va? –
In altre
circostanze, Haylie avrebbe riso di fronte a quella domanda.
Più ovvio di così…
- Tu che
dici? – Tom assunse un’espressione ferita.
- Haylie,
io… - Il suo braccio rafforzò istintivamente la
presa intorno alla sua vita,
mentre l’altra mano le sfiorava una guancia. – Lo
so. E’ tutto… maledettamente
complicato –
- No,
non è complicato – mormorò lei.
– Sei il fratello di Bill. Ecco tutto –
-
Haylie… - Gli venne naturale pronunciare il suo nome una
seconda volta. Si
sentiva incredibilmente idiota a non poter formulare una frase o un
pensiero
coerente, ma quella era la reazione che Haylie provocava in lui e ora
aveva il
sospetto che avrebbe dovuto tenere a freno quell’istinto.
– Dio santo – riuscì
solo a dire, chiudendo gli occhi e sfregandoseli con le mani.
- Lo so
– Quella volta fu Haylie a dirlo, appoggiando la testa sulla
sua spalla. Quella
conversazione –sempre se avesse potuto essere definita tale-
non aveva alcun
senso, ma entrambi provavano un bisogno disperato di parlare. Non
sapevano di
cosa –o forse sì, era semplicemente troppo
imbarazzante sfiorare l’argomento-,
né avevano idea di come affrontare l’argomento,
tutto quello che volevano era…
parlare.
- Che
casino – mormorò Tom, senza aprire gli occhi.
– Non… non riesco neanche a
isolare l’unico pensiero che potrebbe farmi felice. Mi
scoppia la testa –
Haylie
alzò la testa dalla sua spalla e lo guardò.
- E
quale sarebbe questo pensiero? – Tom le sorrise e
posò un bacio sulla sua
fronte.
- Che ho
fatto l’amore con te. Che ti amo –
Haylie
si strinse più forte a lui, rifugiandosi tra le sue braccia.
Quelle parole
avrebbero dovuto renderla felice.
La
rendevano felice, sì… ma era una
felicità strana.
Una felicità
che sapeva di non poter essere assaporata fino in fondo.
Non
poteva essere felice a spese di qualcun altro. Non poteva costruirsi
una nuova
vita se quella vecchia non era ancora finita.
-
Dev’essere per questo che non riesco a pensare che abbiamo
sbagliato – continuò
Tom, a voce bassa. Guardò Haylie di sottecchi. –
Perché abbiamo sbagliato,
vero? –
- Sì – La
ragazza sospirò, tirandosi il lenzuolo fin sotto il mento.
– Sì, abbiamo
sbagliato –
Tom si
voltò su un fianco, appoggiandosi su un gomito e guardandola
fisso negli occhi.
– Haylie, io… voglio che tu sappia una cosa
–
Haylie
non recepì subito le sue parole. Rimase a contemplarlo per
qualche secondo,
spostando lentamente lo sguardo dal viso di Tom alle sue spalle, alle
sue
braccia, al suo petto, al suo piede che sbucava fuori dal lenzuolo
attorcigliato intorno al suo corpo. Era… No,
“bello” era un termine
eccessivamente riduttivo. Lo era sempre stato, e chissà per
quanto tempo lo
sarebbe stato ancora…
E allora
perché non si era innamorata subito di lui?
Perché
non aveva evitato quella sofferenza a cui ora sarebbe inevitabilmente
andata
incontro?
Si
scosse dai suoi pensieri e tornò a fissare il proprio
sguardo in quello di Tom.
Annuì appena, come per incitarlo a proseguire. Sinceramente,
non sapeva cos’altro
potesse aggiungere. Avevano detto e fatto anche troppo.
Tom
distolse lo sguardo per un istante prima di proseguire, e Haylie non
poté non
provare un moto di tenerezza sconfinata verso di lui.
- Volevo
solo dirti che non pensavo che sarebbe potuta andare così
–
Lei lo
guardò confusa, aggrottando le sopracciglia. –
In… in che senso? –
- Nel
senso che… che io non ho mai pensato…
cioè, voglio dire, non è che io
volessi…
prima, perlomeno… Io non pensavo che mi sarei mai potuto
innamorare di te, ecco
– Haylie chinò il capo, arrossendo. Lo capiva fin
troppo bene. – Se avessi
pensato che un giorno sarebbe potuto succedere, io… oh, non
lo so. So solo che
non avrei mai voluto fare… questo… a Bill
– Pronunciò le ultime parole come se
gli costasse un’immensa fatica. La sua mano cercò
quella di Haylie e la
strinse. – Non voglio che tu pensi che io… che io
l’abbia fatto per… per
separare voi – Ad altre orecchie, quel discorso sarebbe
sembrato carico di
egoismo e, forse, anche di ipocrisia, ma Haylie sapeva che non era
così. Le
bastava guardarlo negli occhi per esserne certa. – Non ho mai
pensato che avrei
potuto provocare questo, e quando stavi con Bill io non ti ho mai
desiderata di
nascosto –
La
ragazza rialzò lo sguardo, turbata. Non era stata
l’ultima parte della frase a
colpirla.
- Perché
dici che “stavo”? – sussurrò,
riuscendo a malapena a sentirsi lei stessa. – Io
e lui non ci siamo lasciati –
Tom la
guardò con un’intensità tale da
mozzarle il fiato, una tristezza che sfociava
nella bellezza, e non una bellezza dannata.
- Ma
stai con lui anche col cuore? –
Quella
domanda la colpì dritta al petto, a quel cuore che Tom
chiamava in causa. Si
passò una mano tra i capelli.
“Che
casino, che casino, che casino…”
- Non
hai detto di non volerlo ferire? – mormorò a voce
ancora più bassa.
Quella
volta fu Tom a chinare il capo. – E’ vero,
ma… oh dio, Haylie, non lo so. Non
lo so – mormorò abbracciandola. Haylie nascose il
viso nel suo collo, non
voleva sentire più niente da nessuno, voleva solo sparire,
perché era tutto
così difficile? Perché anche quella che avrebbe
dovuto essere una gioia si
trasformava in un dolore insopportabile? – Se non ti amassi,
non farei mai
tutto questo –
Haylie
si lasciò cullare da quella promessa che promessa non era,
anche se le piaceva
pensare che lo fosse.
Un
giorno tutto sarebbe finito.
Già… ma
cosa?
Si erano
rivestiti in silenzio, in quella camera in cui persino l’aria
era diventata
incredibilmente pesante.
Si erano
salutati con un bacio che racchiudeva in sé tutte le
promesse che l’uno poteva
dare all’altra, tutte le incertezze che entrambi avrebbero
voluto cancellare,
tutto l’amore che non sapevano a chi era più
giusto donare.
Haylie
non volle immaginare cosa si fossero detti Bill e Tom al ritorno del
gruppo dal
sound check, non voleva immaginare la faccia di Tom quando
l’aveva rivisto dopo
avergli fatto il torto più grande che potesse rivolgergli.
Non ne
ebbe neanche il tempo, perché, quando tornò, Bill
irruppe nella loro camera con
un’espressione a dir poco angosciata.
-
Haylie, Haylie, scusami! –
Lei lo
guardò sorpresa. Di cosa doveva scusarsi? Al momento la sua
mente era pressoché
vuota: meglio cancellare tutti i pensieri, per evitare la fatica di
allontanare
quelli sbagliati.
- Come,
scusa…? – mormorò a fior di labbra,
mentre Bill si precipitava accanto a lei e
le prendeva il viso tra le mani.
- Amore,
stamattina mi sono dimenticato che avevi l’ecografia! Dio,
scusami, ti prego,
non volevo, mi è passato di mente! –
Fantastico.
La cosa
che quella mattina aveva desiderato più ardentemente ora
quasi non le
interessava più.
Mise una
mano su quella di Bill, scostandola dal suo viso. – Non
preoccuparti Bill, non
è successo niente –
- Come
non è successo niente? Io… io l’ho
dimenticato! – esclamò scandalizzato Bill,
come se non riuscisse a capacitarsene. Haylie sospirò,
cercando di non lasciar
trasparire il leggero fastidio che provava di fronte a quella reazione
esagerata.
- Bill.
Non fa niente – ripeté, scandendo bene le parole.
Bill si
morse il labbro inferiore e sorrise, prendendole le mani tra le sue.
– Allora?
Maschio o femmina? –
-
Femmina –
Bill la
abbracciò, baciandola a lungo, ma Haylie quasi non se ne
accorse.
- E’ fantastico! Sono così felice… - La
baciò di nuovo. Nei suoi occhi brillava
la stessa luce degli occhi di un bambino che scarta il suo regalo di
Natale, il
più grosso, il più atteso. – Scusami se
me ne sono dimenticato – Haylie si
sforzò di sorridere. In fondo, chi era lei per smorzare il
suo entusiasmo?
- Non fa
niente, Bill. Smettila. E’ tutto ok –
La
placava saperlo sereno e tranquillo. Ma non poté evitare che
le tornassero in
mente le parole di Tom.
“Avete mai parlato del vostro futuro? Avete pensato
a come sistemarvi dopo che sarà nata la bambina? Non credo
che sia il massimo
della felicità farsi una famiglia su un tourbus o portarsi
una figlia di pochi
mesi in giro per concerti. Ne avete parlato, di questo?”
Era fatto così, Bill.
Rassicurato dalla consapevolezza che lei gli aveva
concesso il suo perdono, non pensava più a cosa lei avesse
potuto provare prima.
Haylie
cercò di non pensarci. Tanto, era inutile.
Non sarebbe stata lei a farlo cambiare.
Haylie
affondò i denti nel panino che Gustav
le aveva portato, dopo averlo ringraziato calorosamente.
- Grazie, Gustav… Anche se dovrei limitarmi,
sono mesi che non faccio altro che mangiare –
Il ragazzo le sorrise.
- Beh, hai bisogno di stare in forze, no? -
Era molto più simpatico di quanto, in quei
due anni, non avesse avuto modo di scoprire.
Forse perché adesso cercava di allontanarsi
gradualmente da Bill e, di conseguenza, si ritrovava più
spesso in compagnia
degli altri.
A quel pensiero, il pezzo di panino che stava
masticando le andò di traverso e attaccò a
tossire. Gustav sobbalzò.
- Però calma, eh! –
Lo disse in tono scherzoso, ma Haylie non
riuscì a ridere.
Come poteva voler allontanarsi da Bill? Dal
ragazzo con cui aveva passato due anni, da cui aspettava una
figlia… Dal
ragazzo che…
…amava?
- Non… non ti preoccupare… - balbettò,
arrossendo per la vergogna di aver anche solo pensato una cosa del
genere.
Anche se, certo, non era stata lei ad allontanarsi da lui. –
E’ che… beh,
sembra quasi che mi sia disabituata a lavorare… - Prese un
gran respiro e quasi
si costrinse ad aggiungere: - …con Bill che tenta di
barricarmi in tourbus o in
hotel per farmi stare ferma. Basta poco così di tensione e
mi prende la fame –
Gustav sospirò, stiracchiandosi.
- Non dirlo a me – sbuffò. – Detesto
questi
servizi fotografici. Non capisco come facciano quei tre a divertirsi,
io mi
sento un idiota davanti a una macchina fotografica – Si
sfilò il cappellino da
baseball, uno dei tanti che portava di solito, e lo fissò
per qualche istante.
– Se fossi Bill, impazzirei. Adesso lui ha un altro servizio,
da solo –
- …che non è giusto – ribadì
Haylie. Non
cercò di trattenersi dal dirlo, tutti sapevano come la
pensava sul fatto che
Bill, spesso e volentieri, fosse considerato come “i Tokio
Hotel”.
- Ma per me va benissimo – disse Gustav. – A
me basta la mia batteria per essere contento. Non è la
pubblicità che mi serve –
Tirò un profondo sospiro e si tirò su dalla
sedia. – Beh, noi qui abbiamo
finito. Penso che farò un giretto fuori –
Spostò lo sguardo su Haylie, ancora
seduta sul pouf con il panino tra le mani. – Tu che fai?
–
- Ehm… non so – rispose, incerta. Per un
attimo, il suo sguardo indugiò su Tom, ma poi si impose di
non guardarlo. –
Anch’io avrei finito, qui. Penso che aspetterò
Bill –
E invece non fu quello che fece.
Poco meno di due minuti più tardi, si trovava
chiusa nel bagno degli uomini.
Con Tom.
Con Tom che la teneva stretta a sé e la baciava
e sospirava tra i suoi capelli, mentre Bill era troppo occupato a
sorridere
davanti a un obiettivo per accorgersene.
Haylie tentò di allontanarlo, ma, non sapeva
mai perché, non ne trovò la forza. –
Tom, dài… -
Lui le prese il viso tra le mani e le sfiorò
le labbra con le sue. – Non ci vede nessuno –
- Ma torneranno tra poco… - Le parole le
morirono in gola nel momento in cui le labbra di Tom schiusero le sue,
rifugiandosi in un bacio che era sempre troppo difficile aspettare. Si
aggrappò
alle sue spalle, appoggiando la schiena al muro, mentre le mani di Tom
già si
insinuavano sotto la sua maglietta e la accarezzavano bramosamente.
– Tom – mugolò,
chiudendo gli occhi. Tom le baciò il collo, continuando a
trascinare le proprie
mani da un punto all’altro sulla sua pelle.
- Sssh… Non preoccuparti, Hay. Ti amo –
Haylie sentì il suo corpo premere contro il
proprio. Lo sentì voglioso.
- Non possiamo fare questa vita – gemette,
mentre i suoi baci si facevano più prepotenti.
- Possiamo farcela – ansimò Tom, stringendola
più forte a sé. Tutto cominciò a
confondersi. – Possiamo… farcela… oh,
Haylie…
sei così bella… sei… -
Haylie affondò le unghie nelle sue braccia.
Lo sentiva. Lo sentiva ancora di più, ancora più
a fondo…
- Come fai… a dirlo? – boccheggiò,
aggrappandosi
a lui. – Con... con questa pancia, e… - Tom si
staccò da lei e posò un dito
sulle sue labbra. Sorrise e la baciò in fronte, e Haylie
sentì piccole gocce di
sudore cadere dal suo viso fino al proprio…
- Metà della tua vita è qui – La mano
di Tom
si posò sul suo ventre. – Non devi…
mai… pensarlo come un motivo di vergogna –
Ricominciò ad accarezzarla, prima con delicatezza, poi con
ancora più forza e
desiderio. La baciò. – Sei splendida. Devi essere
orgogliosa di te stessa –
E di nuovo confusione che si sovrapponeva
alla paura.
Stordimento che non dava spazio al pudore.
Solo una consapevolezza si fece strada nella
mente di Haylie, mentre il loro peccato si consumava in fretta, al
riparo dagli
occhi di tutti.
Non era affatto orgogliosa di se stessa. Non
lo sarebbe stata mai.
Sììì, cambiamo i credits! Stavolta la canzone è "Il nodo" di Raf...che, l'avevate capito?' |
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Capitolo 12 *** Capitolo dodici ***
Beh? Che
è sto calo di recensioni?! Guardate che se mi viziate io poi
ne
pretendo almeno 6-7 a capitolo! XD Comunque…
Lascio un ringraziamento veloce a tutte le ragazze che commentano (in
particolar modo alla new entry Freiheit) e a chi continua a tenermi tra
i preferiti.
Ecco qui un nuovo capitolo, un capitolo che mi piace particolarmente
perché è
strano, pieno di contraddizioni… come me.
Entro dopodomani posterò il capitolo 13, dato che ho avuto
problemi con
il mio account e voglio subito rimettermi in pari. E vedrò
comunque di
velocizzarmi, perché vorrei finire di aggiornare la ff entro
gli inizi di
luglio, perché dopo sarò senza computer per due
mesi e, anche se c’è la mia
sore disponibile a fare le mie veci, vorrei arrivare a postare i
ringraziamenti! Baci a tutte!!!
Questo
capitolo è per Bianca, che l’ha già
letto in anteprima… e lei sa perché.
Ti voglio benissimo!
Capitolo
12
“Da
lontano
il nodo non cede per niente, è un serpente
che stringe e respira…”
- No!
Così non va bene! –
Bill accartocciò i fogli che teneva in mano e li
gettò sulla poltrona
vuota accanto a sé.
- Le canzoni non vanno, il cd viene praticamente uguale a
“Schrei”! Non
siamo più bambini, dannazione! –
Gustav tentò cautamente di calmarlo.
- Bill, se per ora non ne viene fuori nulla, forse è meglio
rimandare –
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo. – Abbiamo un
contratto,
Gustav. Contratto, hai presente? Vuol dire che se non facciamo un
lavoro come
si deve, la Universal ci
sbatte fuori a calci nel… -
- Va bene, va bene – intervenne repentinamente Tom.
– Abbiamo afferrato
il concetto. Gustav non diceva mica di rimandare di sei mesi!
–
- Quello che è – ribatté seccamente
Bill.
- Ma scusa, dici che le canzoni non vanno, abbiamo una marea di inediti
e di altri pezzi che non abbiamo mai pubblicato, perché
non… -
- No! No, Tom, non è così che si fa! –
Bill sbatté un pungo sul tavolo.
– Non possiamo mettere adesso in un cd
canzoni che abbiamo fatto due
anni fa! Ci sarà stato un motivo per cui non le abbiamo
inserite nei cd
precedenti, no? –
Le reazioni che suscitò nel resto della tavolata non furono
tanto
diverse tra loro: Georg, sbuffando, si passò una mano tra i
capelli, gesto che
non compieva se non quando i suoi nervi venivano messi a dura prova;
Gustav
aveva messo su l’espressione fissa di quando voleva
trattenersi dal rispondere
a tono, cosa che gli capitava di fare molto raramente; Tom tamburellava
nervosamente le dita sul tavolo ed era chiaro che aveva qualcosa da
dire, se le
sue opinioni non fossero state stroncate sul nascere dallo sbuffare di
Bill,
dalle sue esclamazioni rabbiose o dai pugni che mollava sul tavolo.
Haylie
sospirò, massaggiandosi le tempie. Avevano appena finito di
cenare e già si erano messi a discutere per quel maledetto
nuovo album. Per loro,
era più facile accapigliarsi per quattro canzoni piuttosto
che per avere il
posto al bagno di prima mattina –il che era tutto dire.
Certo, lei non faceva testo: a mettersi in quelle cento messe, sarebbe
impazzita.
Non che quelle altre cento in cui si era messa fossero tanto
più facili
da gestire.
Il vedere Bill e Tom battibeccare così per la realizzazione
del nuovo
album le faceva stringere lo stomaco, ma forse era meglio vederli
fermarsi a
litigare solo per un cd. Non si azzardava ad
immaginare cosa sarebbe
potuto succedere se… oh, no, non osava neanche cercare le
parole adatte.
La relazione clandestina con Tom andava avanti ormai da un mese, e Bill
non dava il minimo segno di essersene accorto. Haylie si ritrovava
spesso a
chiedersi se non fosse stato meglio che lui li scoprisse.
Almeno i sensi di colpa sarebbero finiti una volta per tutte o,
perlomeno, si sarebbero rivolti in una sola direzione.
Non che loro offrissero grandi possibilità di farglielo
capire –d’altra
parte, sarebbe stata solo una pazzia.
Erano notti fatti di piccole fughe nel bagno o nella zona relax,
giornate le cui ore erano scandite dall’alternarsi di sguardi
incerti e sorrisi
falsi. Haylie non riusciva ancora a credere di essersi ridotta a
ingannare Bill
a quel modo.
Se a ventun anni la sua vita era quella, cosa
sarebbe stata a
trenta? O dopo?
Ora era lì, a rimettere a posto i piatti sullo scaffale,
mentre i
ragazzi continuavano a litigare. O meglio, mentre Bill continuava a
litigare
con il resto del gruppo.
- E’ inutile, non avete capito niente –
sbuffò Bill, alzandosi
bruscamente. – Mi domando perché sia tanto
difficile per voi afferrare un
concetto così semplice – -
Magari, se invece di strillare come una gallina parlassi
normalmente…
- azzardò Georg. Le labbra di Gustav si incresparono in un
sorriso e Tom celò
una risatina dietro un finto colpo di tosse. Bill li guardò
in cagnesco prima
di dirigersi verso Haylie, abbracciarla da dietro e appoggiare una
guancia
sulla sua testa.
- Non ne posso più – le soffiò in un
orecchio.
- Dài, Bill, prova almeno ad ascoltarli… -
A Tom scappò da ridere per la seconda volta. Forse era una
risata
nervosa, dato che quella vicinanza quasi morbosa di suo fratello e
Haylie lo
portava a stringere i pugni fino a che le nocche non sbiancavano.
Tuttavia, sapeva
bene che la cosa migliore era far finta di niente, soprattutto quando
Bill era
così isterico.
- E poi, su, lascia in pace quella poverina! – lo prese in
giro. Haylie
si morse il labbro inferiore senza neanche accorgersene. –
Non scaricare le tue
nevrosi su di lei! –
Lo disse chiaramente scherzando, con un sorriso ironico stampato sulle
labbra, ma, a quelle parole, le braccia di Bill lasciarono la vita di
Haylie e
il ragazzo si voltò di scatto verso il gemello, guardandolo
con astio.
- Non perché tu sei solo come un cane io
devo privarmi di stare con lei! –
Calò il silenzio.
Gelo.
Bill aveva serrato i pugni e le sue labbra si erano assottigliate, come
se avesse voluto trattenersi, come se però la rabbia glielo
impedisse.
- Raccattare quattro groupie e portarsele a letto non
è avere
qualcuno, Tom! –
Forse avrebbe pure continuato, avrebbe detto di peggio, ma fu bloccato
da un agente esterno che nessuno dei cinque identificò
subito.
Haylie si ritrovò in piedi di fronte a lui, con un braccio
alzato e
piegato di lato e uno strano calore che le pizzicava le gote. Vide Bill
con il
viso rivolto a sinistra e un segno rosso ben visibile sulla pelle
chiara.
Lo schiaffo era partito senza neanche poterlo calcolare, senza poter
capire il perché.
Forse perché si era involontariamente sentita parte del
gruppo di
“quelle quattro groupie”.
O forse perché era stanca, semplicemente stanca di tutto.
Tom non mise a posto il fratello con una delle sue rispostacce, come
tutti –o quasi- si sarebbero aspettati da lui. Dopo aver
fissato Bill per
qualche secondo, si alzò rumorosamente e
abbandonò la zona relax senza dire una
parola.
L’unico rumore che si udì fu lo sbattere di una
porta. Poi, silenzio.
Gustav cercò di spostare lo sguardo altrove,
benché la zona relax del
tourbus non offrisse molte distrazioni, Georg non si curò
neanche di staccare
lo sguardo di dosso agli altri due, come paralizzato.
Haylie si morse le labbra, il braccio ancora piegato di lato.
- Bill, perché? –
Bill voltò lentamente il viso, portandosi una mano dove lei
l’aveva
colpito.
Haylie non gli diede il tempo di alzare lo sguardo, o sarebbe di nuovo
caduta in trappola. Le sarebbe bastato guardarlo negli occhi per
sentirsi
subito in colpa. E lo schiaffo aveva contribuito a rendere
più veloce questo
processo.
Si limitò a voltargli le spalle e abbandonare la zona relax
a grandi
passi, fermandosi davanti alla porta che la separava dalle cuccette.
Non bussò, non chiese permesso. Tirò un profondo
sospiro e aprì la
porta, entrò senza guardarsi intorno e se la richiuse
silenziosamente alle
spalle.
Tom, seduto a gambe incrociate sul suo letto, levò lo
sguardo su di lei.
Haylie ebbe la tentazione di distogliere il suo.
Il silenzio fu spezzato pochi secondi dopo.
- Cos’è, mio fratello non ha abbastanza fegato per
riconoscere quanto
sia, diciamo così, acido? Deve per forza mandarmi la sua
postina? –
Haylie sospirò. La voce le uscì fuori
più bassa di quanto avrebbe
voluto. - Non prendertela con me, Tom
– Lui sospirò, passandosi una mano sul
viso.
- Scusa. Non me la sto prendendo con te –
Guardandolo, ad Haylie sembrò di vedere un’altra
persona, qualcuno che
non aveva niente a che vedere con il Tom Kaulitz di… di
quando? Anche solo due
o tre mesi prima.
Era dunque colpa sua se stava cambiando?
Qualcosa dentro di lei le impediva di pensare che ciò si
limitasse a una
semplice maturazione.
Si sedette lentamente sul bordo del letto e fissò il proprio
sguardo in
quello di Tom. – Cosa ti succede, Tom? Sei
diverso… - mormorò, posando una mano
sulla sua. Tom chinò la testa.
- Lo so –
- Un tempo gli avresti risposto. Non gli avresti permesso di trattarti
così. Perché ti ha detto quelle cose? –
- Io… non lo so, Hay – ammise lui, scuotendo la
testa. – So solo che
quando è incazzato basta niente per farlo esplodere, e
stavolta… è capitato così
– Alzò lo sguardo verso di lei. – E tu?
Perché l’hai preso a schiaffi? – Haylie
fu scossa da un impercettibile tremito.
- Non lo so – sussurrò. – Mi
è venuto… così. Io…
forse… non avrei dovuto.
Non ho mai fatto niente del genere, con nessuno – Strinse
involontariamente la
mano di Tom nella sua.
- Visto, Haylie? Non sono il solo a cambiare –
Haylie gli lanciò un’occhiata veloce, sentendosi
stringere lo stomaco.
- Cosa stiamo facendo, Tom? –
- Preferisco non chiedermelo –
Il ragazzo la guardò in silenzio per qualche secondo. Poi
lei lo guardò
negli occhi, e le sembrò quasi che la supplicasse.
– Hay… vieni qui, abbracciami –
Sì, era cambiato. Se lo ripeté e se ne convinse
quando lo circondò con
le braccia e lasciò che lui facesse lo stesso. In altri
tempi, Tom Kaulitz non
avrebbe mai tollerato di rivolgere a qualcuno una richiesta
d’aiuto.
Perché quella era una richiesta
d’aiuto.
Tom piegò leggermente la testa di lato, quanto
bastò perché le loro
labbra si trovassero a pochi millimetri di distanza. Haylie
cercò debolmente di
allontanarlo, con una mano sul suo mento, ma il suo tocco era talmente
dolce e
delicato che quasi le mancò il coraggio.
- Tom, no… -
- Non entrerà – Tom appoggiò la fronte
sulla sua. – Solo un bacio, Hay…
Solo uno. Ne ho bisogno –
Le sue labbra si dischiusero senza che dal cervello partisse un comando.
Tom la trattenne contro il proprio petto in una stretta che ebbe il
potere di riscaldarla.
Fu un bacio casto, morbido, un bacio che non ci si sarebbe mai
aspettati
da Tom Kaulitz. Ma Haylie stava lentamente imparando che non poteva, e
non
avrebbe più potuto aspettarsi niente da nessuno. Era una
continua scoperta, che
questo le piacesse o no. Non poteva impedirlo.
Si separarono con una lentezza sofferta, quasi esasperante.
Haylie gli sfiorò il viso con una carezza.
- Si sistemeranno mai le cose, Tom? –
Tom posò una mano sulla sua, trattenendola sulla propria
guancia,
imprigionando quella carezza da cui non voleva essere abbandonato.
- Non lo so, piccola… Non lo so –
Quando Haylie lasciò la stanza, li trovò ancora
in zona relax, tutti
nella stessa posizione dove li aveva lasciati: Bill appoggiato da
dietro al
lavandino, Gustav e Georg seduti dietro il tavolo che, però,
era stato
sgombrato da tutti i fogli e le cianfrusaglie che prima lo occupavano.
Questi ultimi si alzarono.
- Io… credo che andrò a letto – disse
Georg con un sorriso nervoso.
- Sì, anch’io – rincarò
Gustav.
Haylie sorrise e fece un cenno con la mano. – Buona notte,
ragazzi –
- ‘notte – risposero all’unisono prima di
sparire dietro la porta.
Bill non si era mosso. Le aveva solo rivolto uno sguardo fugace quando
era nuovamente apparsa accanto a lui, poi era tornato a guardare fisso
davanti
a sé.
Haylie gli si avvicinò lentamente, le braccia strette
intorno alla vita.
Sentiva dei piccoli movimenti, là sotto. Forse lei
si stava ribellando,
aveva sentito che c’era qualcosa che non andava.
- Bill… -
Per tutta risposta, lui le rivolse uno sguardo vacuo. Sembrava che non
la vedesse.
- Io… non so perché l’ho
detto… -
- Se l’avessi saputo, non l’avresti fatto
– Haylie si morse le labbra,
sfregandosi le mani lungo i fianchi. Sentiva quasi freddo.
- E’ vero – mormorò lui, abbassando lo
sguardo. Haylie gli si avvicinò
ancora di più.
- Scusami per quello schiaffo. Non volevo… -
- No – Per la prima volta nella serata, Bill sorrise. Ma era
un sorriso
tirato, stanco. – Hai fatto bene a darmelo. Sono…
sono stato uno stronzo con
Tom – Haylie non ebbe la forza di dissentire.
- Va’ a chiedergli scusa, Bill –
mormorò. Lui sospirò e si strinse nelle
spalle.
- Forse è meglio che lo faccia domani… magari
adesso non ha tanta voglia
di parlarmi –
Haylie non poté trattenersi dal rispondere: - Posso capirlo
–
Lui la guardò con una punta di stupore. Poi
sospirò una seconda volta, e
le sfiorò una guancia con la punta delle dita.
- Non litighiamo, Haylie. Ti prego. E’ l’ultima
cosa che voglio – Haylie
si morse le labbra e annuì. Bill posò un bacio
tra i suoi capelli, stringendole
una spalla con una mano. Lei chinò il capo.
- Andiamo a letto, dài – sospirò.
…
Non aveva idea
di che ora fosse. Avrebbe preferito avere almeno un
orologio in quella stanza, avrebbe sopportato il ticchettare delle
lancette che
si inseguivano sul quadrante, piuttosto che restare immerso in quel
silenzio
insopportabile.
Sospirò e calciò via il lenzuolo. Poi si
voltò, con il timore di averla
svegliata. Sporse la testa poco oltre la sua spalla.
No, Haylie dormiva. I capelli erano sparsi disordinatamente sul cuscino
e le coprivano parzialmente il viso. Bill ne scostò via una
ciocca e sfiorò la sua
fronte con un bacio delicato prima di alzarsi silenziosamente.
Attraversò il tourbus a passi felpati e aprì la
porta senza far rumore.
Dormivano tutti e tre. O almeno, così sembrava.
- Tom – sussurrò. Doveva parlargli, ne aveva
bisogno, ma non voleva svegliare
anche gli altri. Suo fratello non si mosse. – Tom –
lo chiamò ancora, a voce
appena più alta. Georg grugnì e si
girò su un fianco, Tom non diede segni di
vita. Bill si lasciò sfuggire un verso
d’impazienza e si avvicinò al suo letto.
Vi salì a gattoni e scosse leggermente il gemello per una
spalla. – Tom! –
Finalmente, il biondo si riscosse. – Mmm, che
c’è? – mugugnò senza
aprire gli occhi.
- Svegliati – mormorò Bill, senza togliere la mano
dalla sua spalla. Tom
socchiuse gli occhi e impiegò qualche secondo per mettere a
fuoco la sua
figura.
- Oh, sei tu – constatò, con la voce impastata di
sonno. – Che vuoi, fammi
dormire… -
- Ho bisogno di parlarti – Tom sospirò e si
stropicciò gli occhi prima
di mettersi faticosamente a sedere sul letto. Si guardò
intorno e, dopo aver
appurato che Gustav e Georg dormivano ancora, si voltò verso
Bill. Fece un
cenno con la testa, troppo intontito per parlare. – Scusami
–
- Ah – Tom annuì lentamente senza guardarlo.
– E’ per quello – Bill gli
rivolse uno sguardo implorante.
- Per favore Tom, scusami. Io non volevo dirti quelle cose. Ero solo
arrabbiato, ma non ce l’avevo con te. Lo sai che
quand’è così do i numeri e…
-
Tom lo zittì con un cenno della mano.
- Lo so, Bill, lo so. Non fa niente, davvero –
- Ma io… -
- Non fa niente! – insistette, ma si interruppe, essendosi
accorto di
aver alzato troppo la voce. Continuò, abbassando il tono: -
Non fa niente. E
poi hai ragione, sai? Portarsi a letto quattro groupie non è
avere qualcuno –
Lo disse senza pensarci, e se ne pentì immediatamente:
Haylie non era affatto
una di quelle.
Bill sospirò senza staccargli gli occhi di dosso, con
espressione ancora
colpevole.
- Mi dispiace –
- Dài, smettila – Tom si costrinse a sorridere e
gli diede un buffetto
dietro la nuca. Non poteva essere arrabbiato con lui, non dopo quello
che gli
stava facendo a sua insaputa. Bill si morse le labbra.
- Tomi, abbracciami – Tom deglutì quando Bill
gattonò vicino a lui e lo
abbracciò nascondendo il viso nell’incavo tra il
suo collo e la spalla. Aveva chiesto
la stessa cosa ad Haylie poche ore prima.
Come poteva tradire così suo fratello?
Chiudendo gli occhi, lo circondò con le braccia e lo strinse
a sé. Bill
si rannicchiò contro il suo petto, come faceva sempre da
bambino, quando
sentiva i loro genitori litigare al piano di sotto.
- Io… mi sento così… -
farfugliò, quasi tremando sotto la sua stretta.
- Lo so – rispose Tom, senza che Bill dicesse come realmente
si sentiva.
Lo sapeva e basta. Loro erano uguali, l’uno il completamento
dell’altro.
E se le due metà del suo cuore si fossero divise e avessero
cominciato a
lottare tra loro? In fondo, era questo che Tom, indirettamente, stava
facendo.
- Forse sto sbagliando tutto… –
sussurrò il moro. Tom lo strinse più
forte.
- No. No, Bill. Non è vero, non stai sbagliando –
Ma ne era poi così
sicuro? Lo allontanò leggermente da sé,
sorridendogli. – Dài, ora torna di là.
Non è da me che devi venire quando ti senti solo –
Bill sorrise a sua volta e
saltò giù dal letto, facendo come per andarsene.
Ma poi si bloccò a due
centimetri dalla porta e tornò indietro per abbracciare
un’altra volta il
gemello.
- Ti voglio bene, Tomi… lo sai, vero? –
Tom si morse le labbra e nascose il viso tra i capelli di Bill,
chiudendo gli occhi. Da quanto tempo non si abbracciavano
così? Voleva davvero
perderlo? Perché era questo che sarebbe successo.
- Anch’io ti voglio bene, fratellino –
Mise in quelle parole tutta la sincerità di cui era capace.
Perché aveva
il presentimento che, presto o tardi, gli sarebbe mancato il coraggio
di dirgli
quanto gli voleva bene.
“Da
lontano
quel nodo non cede non molla
come colla ogni giorno più dura
anche quando mi nomini a mente si sente”
E' in momenti come questi che ringrazio Raf di aver creato la sua meravigliosa canzone "il nodo", da me indegnamente usata... *sospira* |
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Capitolo 13 *** Capitolo tredici ***
valux91: eh, i
sensi di colpa son l’ingrediente principale ^^’. Il
contorno dei disegni lo
faccio con l’inchiostro di china (pennino e calamaio,
sìsì O_O), poi
scannerizzo e coloro con Photoshop… diciamo che mi arrangio.
_emosoul_: ohi, bentornata!
^^ Grazie del complimento
Ragà,
va bene che non vi ho dato molto tempo per commentare,
però… Mi
raccomando, anche se questa fic vi fa schifo voglio saperlo, per me
è
importante. Soprattutto perché ci
sono novità in vista (e non lo dico per
incuriosirvi, noooo): ma se non ricevo almeno
5-6 recensioni per questo capitolo non vi dico niente!!! XD
E comunque, grazie ai 13 che mi tengono tra i preferiti!
Capitolo
13
“La
lontananza sai è come il cielo
distanza così grande che non serve l'aeroplano
ma questa leggerissima farfalla sulla mano
fa rivivere il pensiero
delicato messaggero”
Tom aveva
ripensato tante volte a quella notte. Tante, troppe per venti
soli giorni, o poco più.
Si era chiesto semplicemente perché.
Perché non avesse detto la verità a Bill.
Quella verità che non era “Bill, io ti ho tradito
con la tua ragazza”,
ma che si limitava al solo dirgli cosa pensava che Bill stesse
effettivamente
sbagliando.
Perché, quando lui aveva espresso la sua confusione, Tom non
aveva
saputo fare altro che dirgli “Stai tranquillo Bill, non stai
sbagliando”?
Forse stava diventando come loro.
Forse stava per entrare in quella spirale che lui non aveva realmente
mai capito e che aveva sempre cercato di distanziare, la spirale del
silenzio,
un tunnel di sotterfugi e incomprensioni.
Si sarebbe pentito, se si fosse fermato?
E se avesse continuato, il risultato non sarebbe forse stato
più di un
semplice pentimento?
Come aveva potuto abbracciarlo e consolarlo con gesti così
ipocriti? E
poi, quella frase…
“Non è da me che devi venire quando ti senti
solo”. Era arrivato
all’autodistruzione?
No, non erano gesti ipocriti. Lui voleva bene a
Bill.
Probabilmente era la persona più importante per lui. O lo
era stato…? L’unica
cosa che era certa, era che adesso Tom si sentiva come se un chiassoso
sciame
di api si fosse stabilito nella sua testa, trapanandogli i timpani e il
cervello. Quanto ci sarebbe voluto perché arrivassero dritte
al suo cuore,
sgonfiando ogni sua ormai infinitesimale certezza?
Da una parte, non riusciva più a contare tutte le accuse che
avrebbe
voluto rivolgere a suo fratello. Era distante, egocentrico, distratto,
assente.
Dall’altra, aveva solo voglia di gettargli le braccia al
collo e confessargli
tutto.
Da un’altra ancora, c’era Haylie.
Haylie…
I giorni in cui l’aveva guardata con diffidenza,
all’inizio del suo
trasferimento sul tourbus, non erano che un lontano ricordo. Se frenava
l’impulso di dire tutto a Bill, era per lei, solo per lei.
E non ci volle molto perché cominciasse a chiederselo: per
lei… o per
me?
Già, forse lo faceva solo per se stesso. Per non perderla.
Ecco un’altra cosa che lo frenava dall’elencare
tutte le mancanze di
Bill nei confronti di Haylie. Forse suo fratello non era poi tanto
più egoista
di lui.
Da quel giorno
era passato quasi un mese, ed era tornato tutto normale.
Beh, normale per i loro standard.
Haylie non aveva visto Bill fare le sue scuse a Tom, come gli aveva
chiesto, ma aveva notato un lieve –ma non impercettibile-
cambiamento. Forse
era un qualcosa nello sguardo di Tom. Una sfumatura di malinconia che
non
avevano mai avuto, una malinconia strana, quasi… colpevole.
E Bill.
Bill era semplicemente debole. Si aggrappava
silenziosamente a
lei, sembrava sempre che cercasse qualcosa nei suoi occhi, o nei suoi
movimenti, qualcosa che Haylie non conosceva e non poteva dargli.
Anche nei confronti di Tom era cambiato, seppur in una
quantità talmente
piccola da insinuare in lei il dubbio che avesse solo immaginato tutto.
E Haylie non poteva fare a meno di chiederselo… se quel suo
tradimento
serviva solo a farla stare ancora peggio… che senso aveva?
Purtroppo, per sua naturale inclinazione, scacciava sempre
quell’interrogativo dalla propria mente, senza sapere che si
sarebbe
ripresentato continuamente, ogni volta con maggiore insistenza.
Cominciò a convincersi che non avrebbe potuto farci niente.
Maggio era appena iniziato, e avrebbe dovuto portare con sé
più
allegria, o, perlomeno, spensieratezza.
Haylie avrebbe dato qualsiasi cosa perché fosse
così.
Inspirò ed espirò profondamente un paio di volte,
stringendo in un pugno
il piccolo rettangolino di carta che ormai stava quasi per
disintegrarsi.
Sulla superficie bianca, una data e un orario. Nel suo cuore, il
tormento.
Uscì dalla stanza e si affacciò nella zona relax.
C’erano solo Bill e
Tom, seduti al tavolino, l’uno di fronte all’altro.
Bill stava scrivendo
qualcosa mentre Tom sfogliava altre carte. Erano tranquilli, distesi.
Ogni
tanto, Tom mostrava un foglio a Bill, indicandogli una qualche riga,
confabulavano a bassa voce, Bill cancellava qualcosa sul proprio foglio
e uno
dei due ridacchiava.
Deglutì. Come poteva distruggere tutto questo?
Nessuno dei due l’aveva notata, e lei sarebbe rimasta
nascosta lì ad
osservarli se Tom non si fosse alzato per poi dirigersi verso di lei,
con il
fascio di fogli sotto il braccio. Notò la sua presenza solo
quando fu a pochi
metri da lei, e per un attimo sembrò che volesse fare un
qualche cenno in sua
direzione, ma alla fine si trattenne e si limitò a
sorriderle appena.
Lei si morse le labbra e rispose con un nervoso cenno della mano, prima
di entrare nella zona relax, attirando l’attenzione di Bill
con un colpo di
tosse. Il ragazzo alzò gli occhi dalle sue carte e le
sorrise.
- Ehi… non ti avevo vista –
Haylie si fermò di fronte a lui, le labbra tese in quello
che avrebbe
dovuto essere un sorriso. – Sì, scusami se sono
spuntata così all’improvviso.
Volevo solo dirti che… beh, oggi pomeriggio non ci sono
–
Bill la guardò incuriosito. – Come mai?
– Haylie si attorcigliò una
ciocca di capelli tra le dita.
- Ho… un appuntamento dal dottore. Un controllo –
Da un paio di mesi a quella parte, il tourbus non aveva mai superato i
confini della Germania. Haylie preferiva essere seguita sempre dallo
stesso
medico, piuttosto che scovarne uno nuovo in ogni città. Al
massimo, poteva
capitare che per raggiungere lo studio dovesse perdere più
di un’ora,
facendovisi portare in taxi. Bill corrugò la fronte.
- E’ tutto ok? –
A quella domanda, la ragazza non poté non sorridere.
Sorridere per
davvero.
- Certo, Bill, tutto ok. E’ solo un controllo per vedere come
va avanti
la situazione – Non appena si appoggiò al bordo
del tavolo, la mano di Bill
scattò sulla sua e il suo volto assunse
un’espressione decisa.
- Ti accompagno –
- Ma no, non c’è bisogno… -
- Certo che c’è. Vengo con te –
insistette. Haylie gli accarezzò la
mano.
- Bill, non è necessario. Non voglio costringerti a uscire
camuffandoti
per non farti… -
- Ti ho detto che ti accompagno – la interruppe lui,
convinto. Haylie
serrò le labbra, indecisa. Era quello che voleva?
– Non mi dimenticherò l’ora
né niente, e verrò con te, come è
giusto che io faccia – La sua espressione,
sebbene fosse decisa, era anche distesa, serena, ma Haylie
avvertì un qualcosa
di inquietante nelle sue parole.
- Non devi farlo per forza –
mormorò a fior di labbra. Bill
sorrise, guardandola intenerito. La tirò dolcemente verso di
sé, facendole
cenno di sedersi. Quando lei lo fece, Bill le circondò le
spalle con un braccio
e la strinse a sé, baciandola sulla fronte.
- Non lo faccio perché devo
– La guardò intensamente, e Haylie
sentì uno strano calore salirle su per la
gola. – Lo faccio perché lo voglio –
Lei sospirò, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte
contro la sua.
Bill le prese una mano e le loro dita si intrecciarono insieme.
– Amore, non mi
dimenticherò più di niente, te lo giuro.
Qualsiasi cosa tu voglia, io sono qui.
Sono qui per te, perché ti amo e ho bisogno di te. Ovunque
tu andrai, ti starò
sempre accanto –
Bill le risparmiò la fatica di rispondere sporgendosi a
baciarla
dolcemente sulle labbra. Haylie chiuse gli occhi e sentì il
cuore stringersi.
Cosa
ti sto facendo, Bill?
Perché…
perché in quel momento? Perché quelle parole,
perché quelle
promesse?
Haylie non ne voleva più, di promesse, non ne voleva
più per paura di
attaccarsi ad esse con troppa forza e rimanerci peggio di quanto
potesse
prevedere.
E alle cinque del pomeriggio sembravano mancare minuti,
secondi…
Durante il pranzo, Haylie dovette sostenere lo sguardo interrogativo di
Tom che si sovrapponeva a quello sprizzante felicità di
Bill. Dopo, Bill crollò
addormentato sul suo letto, come succedeva sempre, e Tom non
aspettò un minuto
di più per chiedere spiegazioni ad Haylie.
- Beh? Che è successo? – indagò, con
tono ansioso.
Lei sospirò stancamente.
- Niente. Non è successo niente. Siamo semplicemente
tranquilli e
rilassati e ci stiamo comportando come persone normali.
C’è qualcosa di strano
in questo? – Le sue parole non risultarono taglienti
né aggressive, solo
cariche di amarezza. Tom non nascose il suo stupore.
- Che… che significa questo? –
- Significa che alle cinque ho un’ecografia e Bill viene con
me – Lo
disse così, schiettamente, perché non avrebbe
saputo in che altro modo
spiegarglielo. Ma di certo non si aspettava la reazione di Tom, che
assunse
improvvisamente un’aria cupa e pensierosa. – Che
c’è? –
- Niente! – si schermì lui. –
Niente… -
- Tom, per favore – Suonò quasi come una supplica.
– Non farla così
difficile –
- Io non la faccio difficile. Permettimi di non essere propriamente
felice… -
- Invece no, non te lo permetto! – sbottò lei
improvvisamente. Fece una
pausa, sotto lo sguardo stupito di Tom, e si rese conto di aver alzato
troppo
la voce. – E’ sua figlia, Tom.
Non posso fargli questo –
- Glielo stai già facendo – ribatté lui
a
denti stretti. Non poté trattenersi dal dirlo, quella
situazione gli pesava
così tanto che perdeva sempre più spesso il
controllo di quello che diceva o,
addirittura, pensava.
Haylie lo guardò senza dire nulla, le
sopracciglia aggrottate, per almeno un minuto. Si accorse di aver
cominciato a
respirare più velocemente.
- Ah, io glielo sto facendo? E chi sei
tu, eh? Chi sei, un amico, un estraneo? O forse sei semplicemente il
mio amante?
– Pronunciò quell’ultima parola come se
le costasse un grande sforzo. – E’
questo che sei? Non sei suo fratello?! –
Si interruppe, il respiro
affannoso, le guance infuocate. – Io…
lui… tu non capisci…
sei… - Le sue
mani scattarono in avanti, come se avesse voluto prenerlo a schiaffi,
ma Tom la
afferrò per i polsi, rivolgendole uno sguardo implorante.
- No, Haylie, no, ti prego… non prenderla
così, per favore… mi dispiace, non volevo
– Lei non disse niente, seguitò solo
a guardarlo. Tom sospirò. – Scusami, non dovevo
dirlo. Hai ragione, hai…
perfettamente ragione, lo so –
- Siamo tutti nel torto. Tutti… -
mormorò lei, abbassando lo sguardo. Tom esitò per
qualche istante, poi lasciò
al presa sui suoi polsi e la abbracciò, nascondendo il viso
tra i suoi capelli.
- Io… non voglio metterti contro di lui, Hay,
capisci?, è che… -
- Io non ho mai avuto niente da rimproverargli
– lo interruppe lentamente lei, il viso nascosto nel suo
petto, la voce come
una cantilena. – E’ stato sempre presente, non ha
mai fatto nulla di sbagliato…
-
Tom non disse niente, ma Haylie poteva
immaginare fin troppo bene cosa avrebbe voluto rispondere.
”Ma
è proprio adesso che dovrebbe esserci”
Levò lo sguardo verso di lui, implorante.
- Aiutami Tom… - mormorò flebilmente. –
Io
non ce la faccio… -
Tom sentì una strana sensazione guardandola,
come se stesse per scoppiare a piangere o qualcosa di simile. Aveva
pianto così
poche volte nella sua vita, e quelle volte c’era sempre stato
Bill accanto a
lui.
Le prese il viso tra le mani e appoggiò la
fronte sulla sua.
- Ce la faremo, Haylie. Ce la faremo. Te lo
prometto, amore –
Amore.
Parola pronunciata dolcemente da Bill, detta
nella totale inconsapevolezza.
Parola pronunciata quasi con disperazione da
Tom, parola che non sapeva in quale bocca stare.
Le due facce di quel termine avevano un suono
così simile, eppure così diverso.
E poi… altre promesse, ancora. Giuramenti su
giuramenti. Chissà che fine avrebbero fatto.
…
Haylie
quasi si stupì di scoprirsi tanto nervosa, una volta
arrivata
allo studio con Bill.
Vi erano arrivati dopo mezz’ora di taxi, lui nascosto da un
paio di
enormi occhiali da sole e da un cappello calato fin sopra il naso, lei
con lo
sguardo basso e le mani aggrappate alle ginocchia.
Era una tortura, uscire. La sua gravidanza non aveva potuto rimanere
segreta oltre il quarto mese, e ne pagavano le conseguenze
ogniqualvolta
osassero mettere il naso fuori. Bill aveva sempre cercato di tenere
Haylie
lontana dai riflettori, ma lei aveva il vago sospetto che, se la
situazione
fosse stata diversa, sfuggire ai flash non sarebbe diventato questione
di vita
o di morte.
Un leggero fastidio, forse, ma niente di più.
Qualcosa di paragonabile alla sensazione sgradevole che le suscitava il
passare della sonda sulla sua pancia ricoperta di gel freddo. Strinse
la mano
di Bill. Ogni volta stava in ansia più del dovuto.
- Procede tutto perfettamente.
E’ all’inizio della ventottesima settimana, giusto?
–
Haylie annuì nervosamente
mentre il dottore tornava a guardare nello schermo.
- La bambina è ancora un po’
piccola per essere al settimo mese, ma non c’è
niente di cui preoccuparsi.
Volete guardare? –
Haylie trattenne il fiato
quando il medico le indicò la sagoma dai contorni chiari
sulla schermata nera.
Non sapeva come chiamare la
sensazione che risvegliò in lei. Semplicemente, aveva perso
il senso di sé
stessa e delle proprie emozioni.
Istintivamente, si voltò verso
Bill, che ancora le stringeva la mano fra le sue.
I suoi occhi brillavano
mentre il dottore forniva
ulteriori spiegazioni. – Ecco, vedete, qui
c’è la testa… e qui
c’è il cuore –
Bill guardò lo schermo
un’ultima volta prima di voltarsi verso Haylie, con un
tremulo ed emozionato
sorriso disegnato sulle labbra. – Hai visto, amore?
– mormorò, accarezzandole
goffamente le mani.
Haylie sorrise con un velo di
malinconia. – Sì… -
Bill deglutì e strinse più
forte le sue mani prima di portarle vicino alle labbra e baciarle.
Tornò a
sorridere, accarezzandole i capelli, con un velo di commozione sul
viso. – E’
tutto così… bello, Haylie…
E’ tutto perfetto – sussurrò, chinandosi
a baciarla.
Lei lo sentì tremare appena a
quel contatto.
La sua emozione era vera,
autentica.
E il suo dolore sarebbe stato
altrettanto vivo quando… avrebbe saputo?
- Complimenti. Siete una
bellissima coppia -
Haylie chiuse gli occhi,
aggrappandosi alle sue spalle e stringendolo forte.
Cosa
sto facendo, cosa?
La
sua mente si riempì di immagini. Bill e Tom che litigavano
per le canzoni da
mettere nel nuovo album, Bill e Tom che scherzavano come bambini, Bill
e Tom
che si inchinavano davanti a uno stadio in delirio facendosi cenno di
vittoria,
Bill e Tom che erano fratelli e che avrebbero dato la vita
l’uno per l’altro…
Bill
e Tom che non avrebbero festeggiato insieme quella nascita imminente.
Lo
sentiva, lo sapeva, non poteva che essere così. Per un
motivo o per l’altro,
non l’avrebbero fatto. Non entrambi. Non insieme.
E
cosa avrebbe fatto, una volta tornati in tourbus?
Avrebbe
riso con gli altri, avrebbe parlato di tutto e di più,
avrebbe abbracciato e
baciato Bill sotto uno sguardo ferito, combattuto, sofferente?
Non
poteva fargli questo.
Ma
perché “fargli”? Farlo a chi? Chi era
quel lui sottinteso, Bill o Tom?
Sarebbe
stata una serie infinita di “Perdonami” e
“Mi dispiace”, e di chissà quali e
quante altre frasi che non avrebbero dovuto esistere in quelle
circostanze, non
in amore.
Ma
era amore, quello?
Se
lo chiese per l’ennesima volta quando incrociò di
nuovo lo sguardo di Tom.
Lo
sguardo che si era aspettata: ferito, combattuto, sofferente.
Lo
sguardo che non avrebbe mai voluto incontrare.
Lo
sguardo di quella persona che lei aveva reso diversa, quella persona da
cui non
riusciva a staccarsi, quella persona che era l’esatta
metà e il riflesso di
colui che, almeno davanti agli occhi della gente, sarebbe stato
–per sempre?-
al suo fianco.
Non
glielo disse, non mimò quelle parole con le labbra.
Avrebbero fatto più male di
una coltellata.
E
lei non era disposta a riceverne altre. Non quando doveva proteggere la
vita
che sarebbe sbocciata entro due mesi.
“Mi
dispiace, Tom”.
“La
lontananza sai è come il mare
fermo sulla riva con un vaso da riempire,
distanza così grande che è difficile spartire
tra chi ha fede di aspettare e chi vuole sparire”
(Raf, "il nodo")
p.s.
D'ora in poi inserirò sempre i credits della canzone a fine
capitolo, perchè la mia sore Tempe ha avuto brutte
esperienze in proposito ^^'
|
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Capitolo 14 *** Capitolo quattordici ***
valux91:
eheh…
se vorrai fare un viaggetto a Catania (a spese tue naturalmente -.- )
sarò
lieta di insegnarti! E comunque grazie: meglio deprimere che rompere le
scatole! :P
noirfabi: tu mi
dai una grande soddisfazione! Il mio intento è proprio il
finale inaspettato. E
poi continuo a ripeterlo: in verità, Haylie è un
personaggio che non capisco
neanche io. Ogni cosa che dice e che fa, esce spontaneamente sulla
pagina
bianca, senza che io lo programmi… vive di vita propria,
diciamo.
bluebutterfly: ma se
funzionano solo le minacce io che ci posso fare? XD E comunque,
è nel mio
interesse non tardare troppo, entro fine giugno devo completare ^_*
moonwhisper: è
valsa la pena di aspettare *_* Sai, adesso sono in crisi. Sto scrivendo
uno dei
più difficili capitoli di questa ff, il penultimo, e le
parole non escono
fuori. Poi, per favore, non facciamo paragoni. Sono ben lungi dal
superarti
nella scrittura (e d’altra parte io non amo la competizione,
dico solo che, semplicemente,
non ti raggiungerò mai). Ora ti minaccerò fino a
che non mi dirai come ti
immagini il finale *_* (ho già torchiato Bia anche troppo, e
lei mi ha fornito
la sua versione dei fatti XD tanto io ho le labbra cucite). Ti dico
solo che di
Tom hai capito tutto. Sorprendente, quello che io ho messo su carta per
settimane tu me lo riassumi in una riga. Per quanto riguarda le scene
melense,
non posso garantirti che non ne troverai qualcuna… Un
baciozzo! Ti voglio
assidua, eh XD
Danny_Phantom:
io elemosinare
recensioni? Ma non bestemmiamo, suvvia XD Sì, effettivamente
il tradimento
riguarda più i due fratelli che l’intero
“triangolo”…almeno per ora
Freiheit:
me è felice di avere
un’altra commentatrice assidua XD Ma no, la novità
è un’altra:
aaaattenzione
attenzione:
molto probabilmente a
settembre tornerò con un’altra fic a capitoli
e… non è escluso che tornino
anche gli stessi protagonisti!
Ah,
vi avviso che non mi piace per nietne questo capitolo u_u a mio parere
è il peggiore che abbia scritto, assieme al 15
Capitolo
14
Maggio volgeva
ormai al termine, portando via con sé il ricordo di
giornate serene come di notti insonni.
Alla fine, il cd era nato.
“Zimmer 483”.
Haylie era stata una delle prime ad ascoltarlo, e per quasi
un’ora si
era lasciata cullare da quelle note forti, perdendosi nei meandri
dell’immaginaria
stanza 483. Quel numero che, presto, molti avrebbero cominciato a
chiedersi da
dove saltasse fuori.
Era
lì,
stesa sul suo letto, con le orecchie coperte dalle cuffie del suo
I-pod, dove
12 nuove canzoni avevano trovato posto prima del tempo.
Si era
concessa un’ora, quella mattina, solo per ascoltarle.
Era
passata dalla forte “Übers ende der Welt”
all’orecchiabile “Totgeliebt”, alla
disperata “Spring nicht”, e ora si stava lasciando
cullare dai primi accordi di
una dolce “Heilig”. Aveva persino una certa
assonanza con il suo nome. Haylie…
Heilig.
Sacro.
Cos’era
sacro, ormai, per lei?
Si
ritrovò ad ascoltare le prima 10 canzoni una dietro
l’altra, quasi divorando
quelle note, fino a sentire uno strano vocio all’inizio della
traccia 11.
Lanciò uno
sguardo al piccolo schermo dell’I-pod.
“Vergessene
Kinder”.
Bambini
dimenticati.
Rimase
qualche secondo a contemplare quelle due parole così
stranamente familiari,
mentre la voce di Bill cominciava a cantare dolcemente.
In
fondo, il testo non aveva quasi nulla a che vedere con quello che
provava lei
in quel momento. Ma quel titolo… Bambini
dimenticati… Non poté fare a meno di
ripeterselo continuamente, cercando di capire perché
quell’assonanza le
risultasse così familiare, così parte di
lei… o forse cercando proprio di non
capirlo, di far finta di non saperlo.
-
Davvero pensavi che venisse simile a “Schrei”?
– chiese a Bill, una volta che
ebbe finito di ascoltare. Lui sorrise appena e si strinse nelle spalle.
- Sì,
effettivamente lo pensavo. Anche se adesso mi rendo conto che non ha
niente a
che vedere con quel cd –
- Non è
affatto la stessa cosa. E’… è
più maturo, più studiato… -
- Lo so,
hai ragione. Sarà che quel giorno ero un po’ fuori
di testa e non ho visto cose
che avrei dovuto vedere… -
Bill
proseguì a parlare di quel disco, di quanto in
realtà gli piacesse, di quanto
gli dispiacesse non aver ascoltato il resto del gruppo, ma per Haylie
fu come
se si fosse fermato a quel “cose che avrei dovuto
vedere”.
Era
rimasta come gelata.
Ormai
non passava giorno senza che, alla vista di Bill, non cominciasse a
ripetersi
“L’ha scoperto, l’ha scoperto,
l’ha scoperto”. E allora, cos’avrebbe
fatto?
Ma Bill
non l’aveva scoperto.
Era così
tranquillo, così sereno, così… felice.
Chissà,
forse se li avesse colti in flagrante, poi Haylie avrebbe avuto la
coscienza a
posto. Non avrebbe dovuto nascondere più niente.
Seppellì
il viso tra le mani e sospirò. No, stava veramente
impazzendo. Come poteva
anche solo pensare di trovarsi con la coscienza a posto?
Fintanto
che Bill non avesse saputo niente, lei non avrebbe mai avuto la
coscienza a
posto.
E cosa
doveva fare, allora, raccontargli tutto?
Sì,
stava impazzendo sul serio.
A quel
punto, Bill l’aveva praticamente costretta a smettere di
lavorare. Lei gliel’aveva ripetuto mille volte che avrebbe
potuto benissimo
continuare, che non si stancava, ma lui non aveva voluto sentire
ragioni.
- Haylie, mancano meno di due mesi, non facciamo scherzi –
In fondo il lavoro la teneva viva, la distraeva, non le permetteva di
autodistruggersi psicologicamente. E quella di Bill non era altro che
una
manifestazione d’amore, un’attenzione…
no?
Era come se, in quegli ultimi tempi, Haylie si stesse costringendo
a pensare che Bill era sempre lo stesso, sempre distratto, sempre
incostante.
Come se la stesse maltrattando, come se l’avesse lasciata.
E invece lui era lì… Perso nel suo mondo, ma era
lì.
Poco dopo la pubblicazione dell’album, era cominciata la
promozione con
annessa tournée. Bill aveva chiesto che questa non li
portasse a spostarsi fuori
dell’Europa. Certo, non era il massimo per promuovere il
cd…
- …ma non possiamo allontanarci troppo da casa proprio adesso
–
Un’altra frase che si era aggiunta alla già troppo
consistente massa di
ricordi che affollavano la mente di Haylie.
L’unica cosa positiva della tournée era che
fossero tornati a passare la
maggior parte del tempo tra un hotel e l’altro piuttosto che
in tourbus, dove
ormai Haylie si sentiva soffocare.
Le sembrava di essere costantemente sotto accusa, anche se neanche
Gustav e Georg sembravano aver intuito qualcosa riguardo a lei e Tom.
Del resto, come avrebbero potuto?
Era un continuo alternarsi di sorrisi e musi lunghi,
un’altalena senza
fine che Haylie sopportava solo per… no, non lo conosceva
neanche lei, il
motivo.
Per Tom, per il suo amore incondizionato, per i suoi baci e le sue
carezze?
Per la sua bambina, quella creatura innocente che forse un giorno
avrebbe ascoltato con stupore quella sorta di triste favola?
Per Bill, per quello che era stato ma che non era ancora finito?
Per se stessa, per la sua anima sperduta e confusa?
- Ehi –
Quasi sobbalzò a quel richiamo fatto a voce talmente bassa
da essere
appena percettibile. Haylie alzò la testa e lo riconobbe
solo per il contorno
di un cappellino con visiera e dei lunghi dread che si stagliava netto
contro
la luce abbagliante del sole. Socchiuse gli occhi.
- Ciao – disse sorridendo incerta. Tom si sedette sul gradino
accanto a
lei e fece come per sfiorarle le labbra con un bacio, ma lei
voltò rapidamente
il viso, così la bocca di Tom andò a posarsi
sulla sua guancia. Quando si
separarono, lui si schiarì nervosamente la voce.
- Scusa –
- Nulla – Haylie scosse la testa, sforzandosi di sorridere.
– E’ che…
beh… -
- Sì, lo so – Tom non aveva un’aria
particolarmente cupa, sembrava solo
che gli frullasse chissà quale pensiero in testa.
– Bill. Anzi, credo che ti
stesse cercando –
- Davvero? – Haylie deglutì quando
sentì Tom pronunciare quel nome. Le
faceva uno strano effetto.
- Sì, per dirti che… che stasera non
c’è. Deve andar… -
- Okay – lo interruppe bruscamente Haylie. – Va
bene… va bene – Non
voleva sapere cosa avesse da fare Bill quella sera, né il
giorno dopo, né
quello dopo ancora. Non voleva più rimuginare su nulla, non
voleva aggiungere
altri pensieri e altre domande inutili, non voleva sentirsi la testa
scoppiare.
Tom la guardò leggermente confuso, ma non fece in tempo a
rispondere.
- Ehi, vi stavo cercando! –
Alzarono contemporaneamente la testa e guardarono nella direzione da
cui
proveniva la voce. Bill li stava raggiungendo a passo svelto e
sorrideva. –
Possibile che vi debba sempre inseguire? –
Haylie non seguì quello che venne dopo. Era come in trance.
Realizzò che Bill si era chinato a baciarla e le aveva
sussurrato
qualcosa, al che lei aveva annuito senza aver recepito una sola parola.
Poi
Bill si era rialzato e aveva cominciato a parlare con Tom. Di cosa? Non
lo
sapeva, e non le importava.
Era uno di quei giorni in cui avrebbe fatto meglio a rimanere a letto,
raggomitolata sotto le lenzuola, a non pensare a niente. In
realtà, non capiva
se stesse realmente pensando a qualcosa, o se la sua mente fosse
completamente
vuota.
Vide Bill sorridere raggiante al fratello e dargli
un’amichevole pacca
sulla spalla prima di allontanarsi.
Vide Tom rimanere in piedi accanto a lei, immobile per quella che le
sembrò un’eternità.
Vide di nuovo la luce del sole battere ai suoi piedi quando Tom
tornò a
sedersi accanto a lei.
Voltò lentamente la testa, come se avesse ripreso
improvvisamente
coscienza. Tom guardava fisso davanti a sé, le braccia
conserte, le
sopracciglia di poco aggrottate, le labbra strette.
- Che succede? –
Lui non rispose. Continuò a fissare il vuoto.
Haylie lo scosse leggermente per una spalla. – Tom, che
c’è? –
Tom si voltò lentamente a guardarla e la fissò
con occhi privi
d’espressione.
- Mi ha chiesto… di stare con te… stanotte
–
Haylie sbatté le palpebre, corrugando la fronte. Quelle
poche parole
messe insieme così su due piedi non avevano assunto nessun
significato. Nessun
significato che potesse comprendere.
- Come? –
Tom socchiuse appena gli occhi, e il suo sguardo da inespressivo
divenne
quasi arrabbiato.
- Dice che non vuole che tu rimanga da sola. Mi ha chiesto di stare
accanto a te, stanotte, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno,
perché lui… non
tornerà prima di domattina – Parve quasi che si
sforzasse per pronunciare
quelle parole, e il cuore di Haylie saltò un battito.
– Dice che sa di potersi…
fidare di me, che se tu avessi bisogno di qualsiasi cosa, lui sa
che io
ti aiuterei… -
E subita Haylie capì perché Tom appariva tanto
frustrato.
Distolse lo sguardo, andando a posarlo sui propri piedi, liberi dalle
scarpe e illuminati dalla luce mattutina.
Lentamente, chinò la testa e affondò le dita tra
i capelli, quasi
tirandoli. Chiuse gli occhi e provò una violentissima voglia
di piangere.
- Lui si fida di noi, Tom… -
Nascose il viso tra le ginocchia e strinse i denti, come se stesse
provando un dolore acuto e penetrante, una sofferenza insopportabile,
uno
spasimo che doveva allontanare per forza, subito, o sarebbe
impazzita…
Una coltellata dritta al cuore.
- Lui si fida di noi! –
…
Tom chiuse
silenziosamente la porta dietro di sé, mentre Haylie si
sedeva sul bordo del letto e fissava lo sguardo fuori dalla finestra.
Fuori era quasi buio, buio come dentro di lei.
Tom sedette accanto a lei e circondò con un braccio le sue
spalle esili,
avvicinandola a sé.
- Haylie, stai ancora pensando…? –
Non ebbe bisogno di continuare la domanda: gli bastò
guardarla negli
occhi. Sì, ci stava ancora pensando. Tom sospirò,
tenendola ancora stretta a
sé.
Anche a lui faceva una rabbia incredibile, ma non poteva avvelenarsi la
vita per l’ingenuità di suo fratello…
Subito, però, si diede mentalmente della carogna. Stava a
preoccuparsi
per l’ingenuità di Bill?
Non di quello che il loro tradimento avrebbe provocato?
- Hay, ti prego… non pensarci più – Le
prese il viso tra le mani,
fissando il proprio sguardo in quello di lei. Quasi gli fece paura
quello che
vide, o meglio, che non vide nei suoi occhi.
– Mh? – Si chinò per posare
un lievissimo bacio sulle sue labbra socchiuse e sentì il
suo piccolo pugno
chiudersi attorno a un lembo della sua maglia. Per un attimo gli
sembrò di
sentirla irrigidirsi, ma poi le mani della ragazza scivolarono dal suo
petto
fino ai suoi capelli, e lì le sue dita si intrecciarono,
avvicinandolo a lei
mentre quel bacio si approfondiva.
Haylie decise di non pensare più a niente, stavolta
l’avrebbe fatto, sì,
l’avrebbe fatto… Avrebbe cancellato tutto dalla
propria mente, avrebbe fatto
solo quello che le dettava il cuore…
Sì, l’avrebbe fatto…
Continuò a ripeterselo anche quando si ritrovò
distesa sul corpo di Tom,
quando gli sfilò via la maglia e si chinò a
baciargli il collo, l’avrebbe
fatto, sì, avrebbe dimenticato, dimentica, Haylie,
dimentica…
Le dita di Tom si persero tra i suoi capelli mentre
l’attirava più
vicino a sé…
Dimentica…
Da quanto tempo non faceva più l’amore con Bill?
Mesi, ormai…
Fino a che punto le mancava?
Dimentica!
Haylie alzò improvvisamente la testa, le guance rosse e
accaldate e i
capelli scompigliati.
- No, Tom, aspetta – Cercò di regolarizzare il
respiro, ma non era
facile. – Aspetta… - Tom alzò la testa
di qualche centimetro, ansimando
leggermente. – Non… non me la sento –
Istintivamente si portò una mano sulla pancia, anche se non
era quello
il vero motivo per cui si era fermata. Tom inspirò
profondamente, annuendo
appena.
- Certo… non preoccuparti… -
- Scusami, Tom, io… - Lui sorrise appena. Quel suo sorriso
sincero e
aperto…
- Non ti preoccupare, Hay, è normale… Va bene
così, tesoro – Si sporse a
baciarla sulla fronte, e Haylie gli strinse una mano, intrecciando le
dita con
le sue. – Va bene così –
Haylie sospirò, stendendosi accanto a Tom e poggiando la
testa sul suo
petto.
Non poteva… non poteva fare l’amore con lui. Non
di nuovo. Non poteva
vivere un momento così bello come una punizione. Tom non
meritava che lei lo
vivesse così.
Rimase per un po’ a godersi la sensazione della mano di Tom
che passava
e ripassava tra i suoi capelli. Tutto quello che voleva era sentirsi al
sicuro,
confortata.
Il silenzio era tale che avrebbe potuto contare i suoi
respiri…
- A cosa pensi? – La sua voce dolce le arrivò alle
orecchie come in un
soffio.
- A niente – rispose sinceramente. Era davvero meno faticoso
sgombrare
la mente e non pensare a nulla. Ma capì
dall’espressione di Tom che quella
risposta non gli era bastata. Forse, ormai, era diventata davvero poco
credibile. Cercò di pescare qualcosa nella propria mente,
qualsiasi cosa,
l’ultimo pensiero che aveva attraversato la sua
mente… - A Bill – disse, senza
neanche riflettere.
Tom annuì lentamente, distogliendo lo sguardo, e il sorriso
scomparve
dalle sue labbra. – Ah –
Forse aveva sbagliato risposta.
- Non posso farci niente –
Se avesse avuto la facoltà di tornare indietro nel tempo e
chiudersi la
bocca, l’avrebbe fatto all’istante.
Perché doveva rendere la situazione più
pesante di quanto non fosse già?
- Certo, non puoi farci niente –
Tom lo disse cercando quasi di convincersene, ma ormai lui stesso
riconosceva di aver perso una certa dose di razionalità. Si
lasciò andare a un
lungo sospiro, ricadendo con la testa sul cuscino.
- Tom, io… non so come spiegarlo –
Quando lui si voltò a guardarla, lei vide una persona
completamente
diversa da quella che, pochi minuti prima, l’aveva consolata
con un tenero “va
bene così, tesoro”. Era dunque così
terribile quel suo odioso potere di far
cambiare le persone da un minuto all’altro?
- Davvero? Forse so spiegarlo io –
Lei deglutì, guardandolo confusa.
- Cos… - Tom la interruppe.
- Sì, te lo spiego subito – proseguì
convinto. Un lampo di collera
attraversò i suoi occhi. – Quello che stiamo
facendo non ha senso. Tu non stai
bene, Haylie, e questo io lo capisco, lo capisco meglio di quanto tu
creda,
sai? Anch’io mi sento, per così dire, una merda a
tradire mio fratello, ma se sono
arrivato a farlo, vuol dire che c’è…
qualcosa, che per me supera persino il
bene che gli voglio – Haylie stava quasi per fermarlo, aveva
paura di quello
che sarebbe venuto dopo, ma lui continuò imperterrito.
– Il punto è che tu non
stai bene con me, Haylie. Io… sono
settimane che non ti vedo sorridere,
e devo pure sciropparmi una dose extra di sensi di colpa, miei e tuoi
–
Haylie chiuse gli occhi, li serrò, non voleva ascoltare, non
voleva… - Che
senso ha, così? Gli faremo del male. Ma se almeno fossi
certo che tu stai bene,
arriverei a mettere la sofferenza di Bill in secondo piano. Ma tu non
stai
bene, Haylie! –
La ragazza non disse nulla, si limitò ad allontanarsi da
lui, rannicchiandosi
sull’altra metà del letto e stringendo nel pugno
un angolo del cuscino.
Svuotare la mente, ecco cosa doveva fare, svuotare la mente e non
ascoltare,
non pensare, non ricordare…
Ma non poté evitare di sentire la mano di Tom toccarle la
spalla.
- Cosa ho sbagliato, Haylie? Ti prego, dimmelo – Si morse le
labbra,
stringendosi le braccia intorno al busto. No, non voleva più
sentire né
parlare, non voleva più distruggere la vita delle persone
che le stavano
accanto… - Dimmi cosa posso fare per vederti almeno
sorridere! –
Il suo silenzio fu la risposta più chiara. Tom rimase a
guardarla di
spalle per qualche minuto, sperando in un gesto, una parola, qualsiasi
cosa. Ma
lei non si mosse, rannicchiata sul bordo del letto e rinchiusa nel suo
ostinato
mutismo.
Tom si voltò dall’altra parte, sospirando e
tirandosi il lenzuolo fino
alle spalle.
Cos’avrebbe fatto, normalmente, in una situazione come quella?
Ne avrebbe parlato con Bill…
Affondò il viso nel cuscino quasi fino a soffocare.
Era rimasto solo… per il suo stesso volere.
“Non
c'è stato un momento preciso, nemmeno un saluto
un regalo sbagliato, uno sguardo d'intesa
mi hai lasciato in cucina un biglietto scaduto…”
Piccolo
disclaimer: il cd “Zimmer 483”, ovviamente,
è stato creato prima
dei 22 anni dei ragazzi, ma purtroppo non ho ancora la
facoltà di inventarmi un
cd in tedesco di sana pianta ^^’ E la canzone usata
è sempre “Il nodo” di Raf.
Vi consiglio davvero di ascoltarla
|
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Capitolo 15 *** Capitolo quindici ***
valux91: beh,
sono io che vengo dal manicomio,
quindi prima o poi un giretto devono farcelo tutti xD grazie per i
rinomati
complimenti!
EtErNaL_DrEaMEr:
ave, nuova lettrice (me contenta)! Non preoccuparti per i primi
capitoli, anch’io nelle mie ri-letture generali li salto
deliberatamente, anche
perché ora come ora sono in crisi con l’ultimo
^^’ Beh sì, con “alone
together”
la somiglianza sta nel fulcro della storia, ovvero il
“triangolo”, anche se la
psicologia dei personaggi –a mio avviso- è del
tutto diversa. Sì, l’idea di
Bill che affida Hay a Tom mi è piaciuta particolarmente,
anche se ritenevo di
non essere riuscita a buttarla giù come si deve…
però mi fa piacere che tu
abbia apprezzato! Spero che continuerai a seguirmi ^_* un bacio
Freiheit:
come ho già detto, il
senso di colpa regna sovrano in questa fic… E poi,
perché mai abbandonare i
gemelli? Per me possono scappare pure al Polo Nord, tanto io li inseguo
(e li
faccio soffrire, come dice la mia amica a cui ho fatto il resoconto
completo di
questa ff)!
moonwhisper: non
ripeterò che continuo a ritenerti mooolto migliore di me
solo perché i tuoi
complimenti mi fanno gonfiare tutta (annullando gli effetti della dieta
XD).
Riguardo alle crisi, io devo affrontarle fino a un certo punto,
perché quando
inizio una storia, ho già steso una scaletta, dunque non mi
trovo quasi mai
impreparata. E’ che a volte i capitoli non mi vengono come
dico io, tipo
l’ultimo (che ho già scritto). Beh, alla fine di
questo capitolo (che, per
inciso, non mi piace) c’è una scena semi melensa.
FuckedUpGirl: tresor
*_* di te parliamo via mp, non mi lascerò sfuggire
l’occasione di fare la psicologa
ambulante! ^^ Beh, da Efp non sono “sparita”, anzi
cerco di aggiornare
velocemente. E’ che se passa troppo poco tempo tra un
capitolo e l’altro poi
perdo lettori (ehm…). Ed è inutile che io ti dica
che effetto mi fa leggere i
tuoi commenti, perché lo sai. E non ho intenzione di
piangere pure qui. Ti vi
bì!
Anche se la
canzone usata
è sempre “Il nodo” (a proposito,
l’avete ascoltata?), vi consiglio di leggere
la prima parte di questo capitolo usando “Inevitabile
follia”, sempre di Raf,
come sottofondo: http://www.youtube.com/watch?v=Ys-SpdXIWE4
Capitolo
15
“La
lontananza sai è come il mare
distanza che è impossibile da dire
e inutile varcare
si immagina e ti impone di aspettare”
La mattina
dopo, quando Tom si svegliò, per un attimo credette di aver
sognato tutto.
Chiuse gli occhi, strofinandoseli con le dita. No, in vita sua non
aveva
mai fatto sonni tanto agitati. Doveva essere pura fantascienza, un
crudele
scherzo dell’immaginazione.
Si voltò lentamente e vide una figuretta raggomitolata sotto
le
lenzuola, accanto a lui. Capelli rossi scompigliati e un piede che
sbucava
fuori dalla stoffa leggera.
Allora non era stato un sogno.
Subito ripensò a quello che le aveva detto la sera prima.
Avrebbe dovuto
essere una notte speciale, loro due soli, anche semplicemente
abbracciati
davanti alla finestra aperta, e invece…
- Hay… - sussurrò avvicinandosi. Lei non si
mosse. Tom sporse la testa
oltre la sua spalla. Respirava con la bocca semiaperta e teneva una
mano
stretta a pugno nascosta sotto il mento.
Era piccola,
era indifesa. Era bisognosa di protezione.
Le sfiorò una spalla con un bacio prima di districarsi dalle
lenzuola e
alzarsi silenziosamente. La flebile luce che filtrava dalla fessura
lasciata
tra le tende rivelava che non doveva essere ancora mattino inoltrato.
Tom diede
un’occhiata all’orario segnato sul suo cellulare:
le 7;00.
Wow. Erano secoli che non si svegliava così presto senza
venire
brutalmente srotolato dal piumone da suo fratello.
Sospirò, rimettendo il telefonino nella tasca dei jeans.
Gliene aveva fatto una colpa, ad Haylie, ma neanche lui riusciva a non
pensare a Bill. Una domanda gli attraversò la mente come un
lampo: cosa sarebbe
successo il giorno della nascita della bambina? Sarebbe rimasto in
disparte a guardare
Bill emozionato e raggiante nelle vesti di padre? L’avrebbe
preso in giro
quando avrebbe cambiato il suo primo pannolino? Avrebbe fatto le
congratulazioni ad Haylie con una formale stretta di mano?
No, non poteva condannarsi a tutto questo. Non poteva vivere in bilico.
E soprattutto, non poteva più vedere la sofferenza dipinta
sul volto di
Haylie, né sopportare le sue reticenze quando tentava anche
solo di sfiorarle
le labbra con un bacio.
Perché lo allontanava così?
Forse in lui aveva visto solo il riflesso di Bill, e si era illusa di
poterlo ancora avere come desiderava. Ma lui non era Bill. Era Tom.
Era Tom, annientato da quella doppia vita che non sapeva per quanto
ancora avrebbe potuto sopportare.
Sfiorò la custodia della sua chitarra. Era una fissa, doveva
sempre
portarsela dietro, averla continuamente sotto gli occhi. La
tirò fuori dalla
custodia e si sedette dietro la piccola scrivania. Forse,
però, quella volta
non sarebbe riuscito ad esprimersi del tutto attraverso le sue corde.
Erano
sentimenti troppo grandi, troppo complessi per farli passare per sole
sette
note.
Haylie
aprì lentamente gli occhi, in una sorta di stato
confusionale. Un
momento… dove si trovava? Perché aveva quel
terribile mal di testa?
Richiuse gli occhi e cercò di mettere insieme i pezzi.
Bill… “non me la sento”…
Tom… “va bene così,
tesoro”… Uno sguardo
astioso… “tu non stai bene con me,
Haylie”…
Oh, sì, adesso ricordava. Non che fosse necessario. Stava
così bene in
quello stato di semi-incoscienza…
Le parve di sentire qualcosa. Musica. Una melodia delicata.
Alzò
lentamente la testa e lo vide.
Tom era seduto a poca distanza dal letto, chinato sulla sua chitarra, e
le sue dita ne pizzicavano dolcemente le corde, producendo una morbida
serie di
note.
Le immagini nella sua mente si fecero più nitide.
”Dimmi
cosa posso fare per vederti almeno
sorridere…”
Si alzò lentamente e gli si avvicinò con passo
felpato, fino a scivolare
silenziosamente alle sue spalle. Rimase per qualche minuto ad
ascoltarlo, ferma
dietro di lui. Era così concentrato che non si era accorto
della sua presenza…
Poi appoggiò le mani sulle sue spalle e, quando lui
voltò indietro la testa,
sorpreso, chiuse gli occhi e posò un lievissimo bacio sulle
sue labbra.
Fu un bacio strano, per lei.
Un bacio che non aveva mai dato, né a lui né a
Bill.
Un bacio privo di qualsiasi sentimento. Privo di amore, di dolcezza, di
tristezza… di tutto.
Si sentì semplicemente come se avesse dovuto
farlo.
Tom non sembrò aver colto quella sfumatura, e le sorrise
appena. – Ehi…
sono stato io a svegliarti? –
- No, anzi… mi ha fatto piacere svegliarmi con la tua musica
–
Rimasero a guardarsi in silenzio ancora un po’, poi Tom
abbozzò un
sorriso triste, accarezzandole una guancia. – Mi dispiace per
ieri sera. Non
volevo che andasse… così –
Haylie si morse le labbra, chinando appena il capo. – No, non
è niente…
-
Tom ripose la chitarra nella custodia e portò le mani sui
fianchi
arrotondati della ragazza. – Vieni qui –
Lei ridacchiò appena quando Tom la fece sedere sulle sue
ginocchia. –
Non peso troppo? –
- No, Hay – Tom la guardò con tenerezza.
– Tu non pesi mai –
Lei si morse le labbra una seconda volta, cercando di capire
perché il
diverso significato che Tom aveva attribuito a quel verbo le suonasse
così…
opprimente. Ecco sì, opprimente.
- Haylie… - Tom le prese il viso tra le mani, facendo
sì che i loro
sguardi si incrociassero. Ma nei suoi occhi scuri non vide altro che
desolazione. Per quanto ancora sarebbero andati avanti così?
– Ti amo, piccola –
Gli sembrò l’unica cosa giusta da dire.
Non perché lo sentisse come un obbligo. Lo sentiva e basta.
Era la
verità.
Tutto quello che voleva era sentirselo dire anche lui.
Ma Haylie non rispose. Abbozzò un sorriso malinconico, ma
non rispose.
Fu allora che Tom Kaulitz le pose la domanda che non avrebbe mai
pensato
di formulare.
- Mi ami, Haylie? –
Silenzio.
La ragazza distolse lo sguardo, ma Tom la costrinse a guardarlo in
faccia e puntò il proprio sguardo nel suo. Non poteva
più aspettare, aveva
bisogno di una risposta.
- Dimmelo, Haylie. Rispondimi –
Haylie chiuse gli occhi, cercando di non perdere il controllo, di non
piangere. Cosa doveva rispondergli?
Non lo sapeva neanche lei.
O forse sì, lo sapeva ma non voleva più litigi,
non voleva screzi, non
voleva dolore.
Tom la afferrò per i polsi, sentendo la rabbia montargli in
corpo.
Eccolo, era tornato. Era tornato il regime del silenzio. No, questa
volta
l’avrebbe spezzato, non l’avrebbe più
permesso, non…
- Rispondimi! –
Gli uscì fuori come un grido soffocato, sofferente, al quale
Haylie
rispose liberandosi della sua presa e alzandosi dalle sue ginocchia. Si
allontanò di qualche passo, lentamente, dandogli le spalle e
prendendosi la
testa tra le mani.
- Perché… perché…? - gli
parve di sentirla mormorare.
No, non era più disposto ad accettare sotterfugi.
Voleva la verità, e la voleva subito.
Haylie si voltò verso di lui, gli occhi colmi di angoscia, e
giunse le
mani, quasi in una supplica.
- Io… io ti voglio talmente tanto bene, Tom… -
Silenzio.
Silenzio rotto solo da un singhiozzo soffocato.
Haylie non cercò di fermare le lacrime, non ne poteva
più, stava per
esplodere… Era troppo, per lei. Non poteva combattere contro
il mondo intero,
non da sola.
- …ma noi ci stiamo rovinando la vita… me la sto
distruggendo da sola, e
la sto rovinando a te, a Bill, al gruppo… noi… -
Si lasciò sfuggire un altro singulto e si coprì
la bocca con le mani. Le
spalle le tremavano, le gambe presto non l’avrebbero retta
più, sentiva delle
fitte al basso ventre…
Le parole di Tom furono ancora più fredde del silenzio che
spezzarono.
- Ah, mi vuoi bene… -
Ci fu una pausa di pochi, interminabili secondi. Haylie rimase
immobile,
il viso nascosto fra le mani, in attesa. Se avesse potuto, sarebbe
scappata
anche subito, ma ormai… tanto valeva subire fino alla fine
la punizione per i
propri errori.
- Sai che ti dico? – Tom prese un profondo respiro.
– Non vale la pena
di rovinarsi la vita solo per voler bene a una persona –
Il suo tono era calmo, misurato. O meglio, così appariva. Le
sue parole
celavano una rabbia profonda, un dolore cieco che doveva assolutamente
reprimere, o avrebbe potuto scaricarlo addosso ad Haylie fino a ferirla.
Lei non
sentì altro che lo sbattere della porta prima di lasciarsi
andare a un pianto violento e insistente.
Lo stava distruggendo… stava distruggendo la sua vita e
quella degli
altri solo per un capriccio. Per i suoi capricci da bambina viziata, da
bambina
che non sa quello che vuole.
Forse la vita le aveva dato troppo perché lei potesse
comprenderne
l’entità.
Quella storia doveva finire. Doveva finire subito, in qualsiasi modo,
prima che le consumasse tutta l’anima.
Strinse le braccia attorno al pancione, singhiozzando sommessamente.
Doveva farlo per quella bambina… sua figlia non poteva
scontare i suoi
peccati.
Non vide nessuno fino all’ora di pranzo. Rimase chiusa nella
sua camera
finché l’orologio non segnò
l’una, allora si costrinse a tirarsi su dal letto e
si diresse verso la porta, senza neanche guardarsi allo specchio.
Doveva avere
un aspetto orribile, ma preferiva non saperlo. Non le importava poi
così tanto.
Quando scese al ristorante dell’albergo, non le
riuscì difficile
individuare i quattro ragazzi seduti a un tavolo vicino alla finestra.
Cercò di
focalizzare le loro espressioni senza avvicinarsi.
Gustav non sembrava partecipare alla conversazione, come al solito. Se
ne stava in disparte, ogni tanto sorrideva, ma non diceva nulla.
Georg parlava ad alta voce, ridendo di gusto a chissà quale
battuta.
Tom rideva con lui, ma la sua risata era strana, forzata. Poteva
vederlo
a chilometri di distanza.
E Bill… anche lui rideva, e la sua risata era vera,
squillante, genuina…
ignara.
Finalmente si decise ad avvicinarsi. Quando Bill la vide, si
alzò di
scatto e le andò incontro sorridendo.
- Haylie, dov’eri finita? – le chiese allegramente,
circondandole la
vita con le braccia. Lei abbozzò un sorriso.
- Ho… ho tirato tardi, stamattina –
La mano stranamente calda di Bill che andava a posarsi sulla sua
guancia
le donò un immediato sollievo.
- Ehi, ma perché quegli occhi tristi? –
mormorò con dolcezza. Lei non
rispose, realizzò solo che doveva avere ancora gli occhi
rossi, considerato che
era andata avanti a piangere per un bel po’. – Mmh?
–
- Io… non lo so… non mi sento
benissimo… - farfugliò, cercando di
apparire credibile, ma la voce aveva già cominciato a
tremarle. Le attenzioni e
le premure di Bill, invece che rincuorarla, non fecero che aumentare il
suo
senso di colpa.
- Tesoro, cosa c’è? –
Gli altri tre continuavano a parlare dietro di loro…
chissà se Tom li
stava guardando…
- Io… non… - Ma non riuscì neanche a
pensare a una frase di senso
compiuto, che si sentì pizzicare di nuovo gli occhi mentre
le parole le
morivano in gola. Cercò malamente di asciugarsi le lacrime
con il dorso della
mano, ma Bill le rivolse uno sguardo preoccupato.
- Ehi… - Le mise una mano sotto il mento, alzandole il viso.
– Mi dici
cosa c’è? –
- Niente…! Non ho… niente… - Bill la
guardò poco convinto.
- Aspetta un attimo – Si rivolse agli altri tre: - Ragazzi,
torniamo tra
dieci minuti. Cominciate pure a ordinare – Poi di nuovo a
lei: - Vieni, andiamo
fuori –
Quando si trovarono soli sul retro, Haylie non riuscì
più a trattenersi
e le lacrime ricominciarono a uscirle a fiotti dagli occhi. Bill la
abbracciò,
accarezzandola i capelli.
- Amore, perché fai così? –
Haylie cercò di diminuire i singhiozzi, con il viso premuto
sul suo
petto. Non meritava quelle attenzioni, perché Bill si
preoccupava tanto…?
- Io… non lo so… - balbettò.
– Non lo so… -
E’
che vado a letto con tuo fratello da più di tre
mesi, sai…
- Non… forse sono solo stanca… o forse ho
paura… - Bill la allontanò da
sé, prendendola per le spalle.
- Paura? – I suoi occhi erano così sinceri,
così puliti…
- Sì… forse… perché ci
stiamo avvicinando a… - Non seppe come
proseguire, e si toccò la pancia con una mano. Le labbra di
Bill si incurvarono
in un sorriso intenerito.
- Haylie, lo capisco… Ma devi stare tranquilla, ok?
–
Già,
facile a dirsi…
- Lo sai che io ci sono sempre – Haylie deglutì.
Pochi mesi prima,
avrebbe annuito senza esserne convinta. L’avrebbe presa per
una bugia. Fino a
che punto lo era? – Capisco che tu sia nervosa, ma non devi
avere paura, d’accordo?
Ricordatelo, per qualsiasi cosa… io sono sempre qui per te
–
E
io non lo merito, Bill. Non lo merito.
Bill le prese il viso tra le mani e la baciò dolcemente,
asciugandole le
lacrime. – Tom mi ha detto che ieri sera siete piombati
subito nel mondo dei
sogni. Sono più tranquillo se c’è lui
con te, soprattutto adesso –
Haylie si morse le labbra, stringendo forte le sue mani.
Non poteva più sopportare quella fiducia
incondizionata…
Un ragazzo non realmente innamorato gliel’avrebbe mai data?
Adesso ne
dubitava seriamente.
- Ma tu non andartene. Non lasciarmi sola –
mormorò, tirando su col
naso.
Poi ebbe come un flash.
Haylie
rabbrividì quando le mani di Tom si posarono
sulle sue guance. – Anche a me sembra… di non
capire più niente – Il suo viso
si avvicinò a quello di Haylie fino a che le loro labbra
quasi si sfiorarono,
ma Tom si fermò a pochi millimetri dal suo naso, e la
ragazza si ritrovò a
boccheggiare come se in
quella stanza
fosse finito l’ossigeno.
Stava per succedere…
– Io… io non voglio ferire nessuno… -
sussurrò Tom.
Haylie si aggrappò ai suoi polsi, trattenendo il
fiato. – E allora non andartene… non lasciarmi
sola –
- Non ti
lascerò mai, Haylie –
La ragazza rabbrividì e lasciò che Bill
l’abbracciasse cullandola piano,
aggrappandosi a lui come non aveva mai fatto.
L’aveva
più realmente guardato da quando aveva deciso
che Bill
non si dedicava abbastanza a lei?
Di cosa aveva bisogno?
Non di bugie. Non di sotterfugi. Non di tradimenti. Solo di questo era
sicura.
“Da
lontano
tu rimani
come i segni che mi scavan le mani,
anche quando mi nomini a mente si sente.”
(Raf,
“Il nodo”)
|
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Capitolo 16 *** Dimentica - Capitolo sedici ***
Posto prima
del previsto dato che c’è la
possibilità che io sia senza
computer per qualche giorno.
Ragazze, vorrei capire una cosa. Perché sto perdendo
lettori? Non trovo
più tante mie ex affezionate, come moonwhisper
(anche se effettivamente tu hai i tuoi tempi, ehm…
XD), bluebutterfly, Kristine,
noirfabi e Freiheit…
che fine avete fatto? Se la mia ff piace di meno voglio
saperlo, se continua ad appassionarvi non disdegno un commento. E
grazie alle
19 che mi tengono tra i preferiti, ma… perché,
per una volta, non vi fate
sentire anche voi? Ci conto davvero, ragazze. Sapere che ci sono tante
letture
ma che la voglia di recensire viene meno, mi prende un non so che allo
stomaco
che potrei evitarmi semplicemente sapendo cosa ne pensate della mia ff.
Per le bimbe (XD) che hanno recensito:
Temperance_Booth: senti,
non lamentarti, che poi gira e rigira sei sempre tu quella che riceve
un
milione di recensioni! Ecco, ora puoi smettere di girarti i pollici
cara =D
lilylemon: non
preoccuparti, è sempre un piacere riaccogliere una figliol
prodiga ^^ Oddio, “e
vissero tutti infelici e disperati” è una
soluzione che potrebbe allettare
un’umana perversa come me, ma… beh, si
vedrà! (scusami se ho eliminato la tua
fic dai miei preferiti, ma ho avuto problemi circa la falsa
dichiarazione di
maggiore età… cause di forza maggiore dunque.
Spero che non me ne vorrai ^_^)
EtErNaL_DrEaMEr:
già amo le tue recensioni *_* Adoro i trattati di
psicologia, quindi
non trattenerti se ti senti particolarmente ispirata xD Beh, su Bill
per ora
non posso sbilanciarmi. Dico solo che è il personaggio che
capisco di più,
perché rispecchia il mio carattere per molti aspetti. E non
è detto che
“fragile” non sia la parola adatta.
valux91:
aaaaargh!!! Non nominare gelato e suoi affini, che sono a dieta!
L’unica oasi
che ho visto è stata una pizza margherita di tre metri
quadri e poi… fame T_T
Questo
capitolo introduce l’ultima parte
della ff, dunque non manca molto a finire. Da qui in poi la canzone
usata sarà
“Dimentica” di Raf, che, alla fin fine,
è la base di tutta la storia.
Con ancora più ansia di ricevere i vostri (sinceri)
pareri, vi lascio alla lettura ^_^
Parte
IV – Dimentica
Capitolo
16
“Luoghi
inviolabili della memoria
Soltanto gli orli un po’ sfocati
ma così indissolubili
e così…
troppo intensi da dirsi”
Tom aveva
riprovato una sola volta.
Le sue difese erano crollate ormai da molto tempo e ormai, quando
scorgeva la propria immagine riflessa in uno specchio, faticava lui
stesso a
riconoscersi. Dunque, perché non rendere completa quella
metamorfosi?
La maschera di spaccone celava solo un disperato bisogno di sentirsi
dire che era amato. E ormai era giunto alla conclusione che stava per
perdere
l’unica persona che, fin dalla nascita, gli aveva donato il
suo affetto
incondizionato: suo fratello.
E Haylie?
Haylie non aveva mai detto “ti amo”. Non a lui.
E Tom Kaulitz restava sempre Tom Kaulitz: non poteva rovinarsi la vita
per un qualcosa di astratto.
Questa, perlomeno, era la conclusione a cui avrebbe voluto arrivare. In
realtà era molto più difficile, molto
più doloroso piegarsi sotto questa
consapevolezza.
Proprio lui che non si era mai sentito dire di no. Lui che era
l’oggetto
del desiderio di milioni di ragazze.
Ma chi le conosceva, quelle ragazze?
In fondo, avrebbe potuto farsi la stessa domanda per Haylie. La
conosceva davvero?
Era una malattia, una malattia alla quale si era abituato e che
difficilmente avrebbe eliminato con qualche pillola. Il problema era
che non
sapeva fino a che punto volesse davvero eliminarla.
Quindi, aveva riprovato.
Una sola volta.
- Haylie, io non ce la faccio più –
La ragazza lo guardò in tralice, stringendosi il pancione
tra le
braccia. Ormai era entrata nel nono mese, della sua esile figura era
rimasto
ben poco, ma quella sua dannatissima bellezza era ancora lì,
intrappolata nei
suoi occhi, nelle sue labbra, nei suoi capelli, in ogni centimetro del
suo
corpo. Era come se non fosse mai cambiata, da quel punto di vista. Come
se
fosse uguale alla ragazzina spaventata che era entrata per la prima
volta in
quel tourbus, armata solo della sua professione e
dell’appoggio di Bill. La
stessa ragazza che si era adattata a vivere in mezzo a loro fino a non
poterne
più fare a meno. La stessa ragazza che aveva consolato
durante le assenze di
Bill, fino a innamorarsene perdutamente.
- Neanch’io Tom. Neanch’io ce la faccio
più –
Per altri versi, era come se fosse stata sostituita da una persona che
non aveva niente a che fare con lei.
Quella ragazzina semplice, dolce e timida sembrava essere sparita. Al
suo posto c’era l’immagine vivente della
contraddizione, della disperazione,
della confusione.
Haylie che si teneva tutto dentro.
Haylie con i suoi sensi di colpa.
Haylie con i suoi dubbi tormentati.
Era lei e non era lei. Questo, ormai, non lo spaventava più.
Era solo
esausto. Semplicemente ed irrimediabilmente esausto.
- Perché, Haylie? Perché? Perché ci
siamo condannati a questa vita? –
Lei socchiuse gli occhi. Ogni sua parola, ogni suo gesto era pieno
dell’odio che sembrava provare verso se stessa, del disgusto
che le suscitava
il suo essere.
- Perché siamo solo dei ragazzini… solo dei
ragazzini che non sanno
quello che vogliono –
Tom cercava risposte che lei non poteva –o non voleva-
dargli. Voleva
trovare un senso a quello che stavano facendo. O meglio, avrebbe voluto
sentirsi dire che il senso per cui lo faceva era lo stesso di quello di
Haylie.
- No, Haylie. Io non accetto questa risposta – Scosse
lentamente la
testa. L’unico mezzo di sopravvivenza era conservare tutta la
calma e la
razionalità di cui era capace. Peccato che queste
cominciassero a venire meno.
– Non è vero che non sai quello che vuoi
–
Lei lo guardò con astio. Ecco un’altra cosa che
non sopportava più.
Tutto quello che voleva era farla sorridere, alleggerire le sue
giornate. E
invece falliva sempre miseramente. – Davvero? E allora sai
dirmelo tu, quello
che voglio? –
Tom le restituì uno sguardo gelido.
- Sì. So dirtelo – Fece una pausa e strinse i
pugni, cercando di non
perdere la calma. La rabbia repressa era talmente tanta che ne temeva
le
conseguenze. – Tu non vuoi me, Haylie. Forse ti è
sembrato che fosse così, per
un certo periodo. Ma tu vuoi Bill. Diverso da
com’è, ma vuoi Bill, non me. E
io… io non sono lui –
Pronunciò queste ultime parole con una lentezza
pressoché esasperante, quasi come un ringhio sommesso e
sofferente.
E fu lei la prima a perdere la calma.
- Come puoi dirlo con quel tono? – gli gridò
contro, stringendo i pugni
finché le sue nocche non sbiancarono. –
Io… noi… stiamo insieme da due anni e
mezzo, io aspetto una figlia da lui, come puoi pretendere che io metta
da parte
tutto questo?! –
- Io non ho mai preteso niente – ribatté lui,
alzando appena la voce. –
Ma sembrava che tutto questo non ti importasse, fino a pochi mesi fa
–
- Non è vero! Non è
vero! –
Haylie cercò di mantenere il respiro regolare, cosa ormai
difficile date le sue
condizioni, e soprattutto di frenare le lacrime. Erano totalmente
inutili, se
non controproducenti. Stava già abbastanza male, perché Tom non lo capiva?
– Non è vero che non me ne importava!
Credi che io abbia vissuto felice e contenta questa situazione? Che non
mi sia
fatta nessuno scrupolo?! –
- Anche per me è stato così, Haylie, dannazione!
Io non avrei mai
pensato di poter essere capace di tradire così mio fratello,
lo capisci, sì o
no? Forse è stato anche peggio della sensazione di essere...
un ripiego, ecco!
–
- Come… ma cosa dici? Cosa dici?
– Tutto quello che Haylie voleva
in quel momento era scappare, dissolversi, morire, qualsiasi cosa pur
di non
sentirsi dire cose del genere. – Cosa volevi, che lasciassi
Bill e facessi
finta che fossi tu il padre di mia figlia? Secondo
te io avrei potuto
sopportare una cosa del genere?! –
Tom la fissò immobile per qualche istante.
- Forse. Forse all’inizio ci ho sperato. Ho cercato di
ragionare, di
accettare la realtà, mi sono dato dello stronzo, ma ci ho
sperato. E
soprattutto ho sperato che valesse la pena di soffrire come un cane al
pensiero
di quello che ho fatto a mio fratello – Si morse il labbro
inferiore,
stringendo istintivamente i pugni. Presto non sarebbe più
riuscito a ragionare
con lucidità… - Allora… allora sai
cosa ti dico, Haylie? Va’ a dirglielo. Se
questo tuo senso di colpa è così terribile, se il
pensiero di mentirgli è
davvero insostenibile, va’ da Bill e digli quello che abbiamo
fatto – Haylie lo
guardò gelata. Non poteva dire sul serio. – Tanto,
peggio di così cosa vuoi che
succeda? Questo momento sarebbe arrivato comunque. Un giorno
gliel’avresti
raccontato, non è così? Allora fallo adesso.
Liberati da questo peso e non
pensarci più, visto che ti ho provocato solo sofferenza. Non
hai niente da
temere, visto che lo ami. Avanti, vai da lui e diglielo –
Haylie deglutì, sentendo la testa che le girava. Non poteva
finire così.
Non poteva averlo indotto alla pazzia. Perché era pazzia,
quella.
Tom strinse più forte i pugni, un’espressione
sofferente dipinta in
viso.
- VAI A DIRGLIELO! – sbraitò, sbattendo un pugno
sul tavolo tanto
violentemente da farsi male. Ma lui non badò al dolore. Era
solo un piccolo fastidio in più…
nient’altro.
Non vide neanche Haylie uscire di corsa dalla sua stanza sbattendo la
porta.
Forse l’avrebbe fatto. Gliel’avrebbe detto sul
serio. Ma gli importava
davvero?
No. Ormai aveva perso tutto.
“Dimentica
quello che è stato
comunque non ritornerà…”
Haylie
non sapeva bene come chiamare la sensazione che provava. Sempre che
fosse una
sola, e non un miscuglio di molteplici emozioni. Sapeva solo che la
impauriva
quel contatto nuovo, ma che quella era anche la paura più
bella che avesse mai
provato.
Bill la
accarezzò bramosamente un’altra volta, e poi
ancora, e ancora, fino a
riscaldarla con il suo solo fiato e il suo tocco. Haylie si strinse a
lui,
chiudendo gli occhi. La vista le si stava annebbiando, poteva solo
sentire le
mani di Bill percorrere interamente il suo corpo e il suo respiro
affannoso sul
collo.
Erano
soli. Erano giovani. Erano innamorati.
A
diciannove anni, Haylie si sentiva ancora spaventata al pensiero che
quella era
la sua prima volta. Si sentiva anche un po’ stupida, ma
lasciarsi andare con
Bill era stato così semplice… Si fidava di lui,
la faceva sentire protetta. Non
avrebbe potuto immaginare la sua vita insieme a qualcun altro.
- Bill –
gemette, aggrappandosi alle sue spalle esili. Era quasi più
magro di lei, ma
l’essere stretta fra le sue braccia era come guardare la
pioggia battere contro
i vetri dall’interno di una casa calda e accogliente. Era al
riparo da tutto e
da tutti.
- Sì… -
sospirò lui scivolando più in basso e baciandole
la gola. – Oh, Haylie, ti amo –
Avrebbe
voluto rispondergli che anche lei lo amava, ma le parole che uscirono
dalla sua
bocca non furono meno sincere.
- Ho
paura –
Sentì il
fiato di Bill allontanarsi dal suo collo nello stesso istante in cui
una mano
morbida e calda le scostò un ciuffo di capelli dal viso.
Bill non
ebbe bisogno di chiederle se fosse la prima volta. Lo leggeva nei suoi
occhi
spaventati, nelle sue mani chiuse a pugno, nella sua voce flebile e
incerta.
- Non
devi – Le sfiorò una guancia con le labbra,
sentendola sospirare.
- Lo so
– Haylie si mordicchiò il labbro inferiore,
tremando appena.
- Vuoi
che la tua prima volta sia con me? –
La
ragazza riaprì gli occhi, e tutto quello che vide fu un viso
sorridente, quasi
bambinesco, a pochi centimetri dal suo. I suoi occhi nocciola
spiccavano come
pietre preziose, le labbra come petali di rosa sulla sua carnagione
chiara come
l’avorio.
Annuì
piano, riempiendosi gli occhi con un altro suo sorriso.
- E
allora voglio che non te la dimentichi mai. Voglio che per te sia
speciale,
adesso e quando te ne ricorderai, sempre – Si
fermò a pochi millimetri dalla
sua bocca, chiudendo gli occhi e sospirando. – Promettilo
–
Haylie
gli sfiorò le labbra con un bacio. – Te lo
prometto – Si rifugiò in un bacio
più lungo e approfondito prima di staccarsi di nuovo da lui.
– Ma devi dirlo
anche tu –
Bill
sorrise, aderendo con il corpo a quello di lei. Haylie gemette
sommessamente.
- Te lo giuro
–
E allora
sarebbe durata. Se l’aveva detto lui, sarebbe durata. Avrebbe
mantenuto la
promessa.
Haylie
aveva sempre avuto paura che la sua prima volta sarebbe stata con
qualcuno che
l’avrebbe riempita di parole senza poi darle niente di
concreto, niente in cui
credere.
Invece
no. Aveva trovato Bill, e non l’avrebbe lasciato per nulla al
mondo.
Lui e la
sua musica, lui e i suoi piccoli misteri, lui e il suo mondo segreto.
Lui, solo
e semplicemente lui.
Non
seppe quando cominciò, né quanto durò,
né quando finì. Si rese solo conto che
l’essere diventata parte di lui era qualcosa di meraviglioso,
che non lasciava
spazio alla paura né al dolore. Che non avrebbe potuto
desiderare di meglio. Che
lo amava, e lo voleva solo per sé.
Si era
preso parte del suo cuore, e non poteva più allontanarsi da
lui. Avrebbe
mantenuto la promessa.
Non
avrebbe mai dimenticato.
Mai.
Lo vide
muoversi piano sopra di lei, lo sentì sospirare e toccarla
con desiderio,
ascoltò il suo respiro senza perderne un soffio. Voleva
conservare ogni
particolare di quel momento, ogni immagine e suono, ogni sapore e
colore.
Riprese
la cognizione del tempo solo quando lui scivolò al suo
fianco, abbracciandola e
accostando il viso sudato al suo. Bill sorrise, il respiro ancora
affannoso. –
Allora? Te ne ricorderai? –
Haylie
si strinse a lui, rendendosi conto di quanto si sentisse infreddolita
senza il
suo fiato addosso.
- Sempre
– Chiuse gli occhi, respirando il suo profumo. –
Qualsiasi cosa succeda –
- Non
succederà niente, Haylie. Niente che non sia, per me, amarti
ogni giorno –
Cercò la sua piccola mano stretta a pugno e la
baciò. – Qualsiasi cosa che io
non sarò capace di dirti, la troverai qua – Si
appoggiò sul petto la mano di
Haylie, e lei sentì il suo cuore scandire un ritmo rapido ma
regolare.
- Spero
di riuscire sempre a capirlo – mormorò, la voce
rotta dall’emozione.
Bill
posò un bacio sulla sua fronte.
- Lo
capirai –
E invece no.
Non l’aveva capito. O meglio, aveva improvvisamente deciso
di non prestarvi più attenzione.
E aveva mancato alla promessa.
Si sentiva peggio che ignobile a stare lì, sotto le lenzuola
del letto
che quella notte avrebbe condiviso con Bill, ad aspettare che lui
uscisse dal
bagno, in quell’ennesimo anonimo hotel dove avrebbero sostato
per non più di
due giorni. Smise molto presto di ripensare a quello che le aveva detto
poco
prima Tom.
Ormai era tutto finito. Non valeva più la pena di rimuginare.
Quando Bill si infilò sotto le lenzuola, accanto a lei, non
sentì
nemmeno quello che le disse. Riuscì solo a focalizzare
un’informazione:
sorrideva.
Chi era lei, per spegnere quel sorriso?
Ma soprattutto, chi era lei per far sì che quel sorriso
continuasse ad
essere ignaro, inconsapevole?
Le sue labbra si mossero prima che lei potesse realizzarlo. –
Bill, devo
dirti una cosa –
Lui annuì, sempre sorridendo, esortandola a parlare.
Ecco, sì… se solo avessero parlato…
Forse sarebbe stato tutto diverso, o forse non sarebbe cambiato nulla,
ma a quel punto era inutile farsene una malattia. Quel che è
giusto è giusto,
si disse Haylie, e dato che quello che aveva fatto lei non poteva certo
esserlo, tanto valeva che facesse almeno un’azione sensata.
Cominciò a parlare prima di chiedersi se quella fosse davvero un’azione sensata.
Parlò, parlò, parlò di tutto, gli
raccontò di tutto quello che era
stato, da quella mattina in albergo, al giorno dopo, il sound-check,
gli studi
fotografici, le fughe, i litigi, le parole, le promesse, le illusioni.
Lasciò
che le parole venissero fuori da sole perché, se avesse
provato a calcolarle,
non sarebbe riuscita a dire niente.
Bill rimase in silenzio per tutto il tempo, la ascoltò senza
muovere un
muscolo, le sopracciglia appena aggrottate, le labbra socchiuse in una
silenziosa manifestazione di stupore, le mani aggrappate alle
ginocchia. E lei
continuò a parlare, non si fermò neanche un
attimo per paura che improvvisamente
tutto il suo coraggio venisse meno.
Ma era coraggio, quello…?
Non seppe per quale miracolo riuscì a sostenere lo sguardo
di Bill
quando ebbe finito di raccontare. Gli occhi del ragazzo sembravano
privi di
qualsiasi espressione, di qualsiasi sentimento che avrebbero avuto
tutto il
diritto di manifestare: dolore, rabbia, stordimento,
confusione…
C’era solo il vuoto, e forse questa era l’effettiva
immagine di quello
che provava.
Rimase a fissarla in silenzio per qualche altro interminabile secondo
prima di voltarsi, spostare il lenzuolo con una mano, alzarsi dal letto
e
uscire dalla stanza senza dire una parola. Non accelerò il
passo, non sbatté la
porta. Si limitò a chiudersela alle spalle, quasi non
volesse lasciare traccia
di sé.
Anche Haylie avrebbe voluto sparire senza lasciar traccia. Ma
ormai…
Ormai era arrivata la resa dei conti.
Seppellì il viso tra le mani, sprofondando nel cuscino. Non
pianse, non
ne aveva la forza.
Avrebbe voluto scusarsi, promettere, mostragli il suo pentimento. Ma
aveva già fatto troppo. Rimase semplicemente ferma,
così, finché il buio non
venne a portarsi via tutte le lacrime che avrebbe voluto versare e
tutti i
sogni con cui avrebbe voluto riempire non solo quella notte.
|
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Capitolo 17 *** Capitolo diciassette ***
Grazie
ai 21 che mi tengono tra i preferiti, anche se non faccio
più caso a chi
aggiunge e chi toglie, siete così tanti
°_°’’
Solito
disclaimer. Canzone usata: sempre “Dimentica” di
Raf. Quando arrivate alla soundtrack, prima di cominciare a leggere
cliccate sul link! E ora passiamo ai ringraziamenti singoli:
moonwhisper: sapevo
che non mi avresti abbandonata *_* Non sai quanto tenga alle tue
recensioni.
Bill avrai modo di capirlo anche più avanti, a partire da
questo capitolo per
esempio. Oddio, ti ho comprata? O_O … Grazie a te, con i
tuoi incoraggiamenti e
i complimenti (spero meritati). Un bacio; noirfabi:
povero Tom, prima tutti a difenderlo e ora me lo demolite
così XD Un po’ di
comprensione, su! Mi raccomando, non ti voglio di nuovo dispersa.
Prendilo come
un favore personale ^_* ; bluebutterfly:
dio, fine… che parola strana. Io ho finito di scrivere la ff
un bel po’ di
tempo fa, ma ancora non me ne capacito. Per me sarà davvero
finita solo quando
avrò postato l’ultimo capitolo…
vabbè, niente tristezza, su, che qui ce
n’è già
abbastanza. Ma per quanto riguarda gli arcani… preparati a
soffrire, non sono
una che svela tutto subito (sorrisetto sadico). Spero di ritrovarti
anche la
prossima volta!; valux91:
cara, sono appena tornata dal
dietologo e ho perso 5 centimetri di fianchi, tiè! XD Per
quanto riguarda la
reazione di Bill, non posso fare altro che invitarti a leggere il
capitolo ^^; FuckedUpGirl:
tesora, sei qui! Guarda che non devi sentirti in colpa se non puoi
recensire,
tanto io lo so che ci sei ^_* però certo, sentirti partecipe
non può che farmi
piacere. Vero che già sapevi come sarebbe andata, e per
questo temevo che il
capitolo non ti avrebbe fatto un grande effetto. E invece mi dici che
sono
disarmante. Anche il tuo giudizio lo è. Non sarà
che sei di parte? XD Scherzo,
scherzo. Ma ti ricordi come ti immaginavi che Bill lo scoprisse? 8)
Grazie,
Bia; simmyListing:
benvenuta! Sì, ho avuto
tante volte paura di cadere nella banalità… ma
sono felice che il risvolto
preso dalla storia ti abbia appassionato! Grazie dei complimenti, se
vorrai
continuare a regalarmi un tuo parere per i prossimi capitoli lo
accoglierò con
gioia; lilylemon: io crudele,
sìsì XD No, scherzo… ma ora tenervi un
po’
in ansia mi sembra il minimo! Grazie per i complimenti e scusami ancora
per
quel disguido riguardo la tua fic; EtErNaL_DrEaMEr: ti
dirò
che per me è stato strano scrivere di quella scena. Pensa
che l’avevo
programmata mesi fa, quando stavo ancora scrivendo i primi capitoli
(ebbene sì,
ho un taccuino in cui mi appunto i colpi di genio che mi vengono
andando a
scuola, perché, se scrivo un capitolo in anticipo, poi non
mi raccapezzo più).
E comunque nessuna recensione fa schifo, meno che mai quelle come le
tue; Kristine:
felice di ritrovarti e ricevere i tuoi complimenti ^^ Eh sì,
anche per me è un
periodo “pieno”. Haylie non ti piace, dici?
E’ un personaggio strano, sai? Mi è
sempre sfuggita e ha fatto di testa sua. Neanch’io, spesso e
volentieri, la
capisco
Capitolo
17
“Dimentica
le mie parole,
se puoi
perdonaci
non
sempre c’è un lieto fine”
Quando
riaprì gli occhi, l’altra metà del
letto era vuota. Se Haylie non avesse
sentito quello stesso vuoto dentro di sé, quella sorta di
buco nero che
difficilmente avrebbe riempito, probabilmente avrebbe avuto paura. Ma
le
sembrava anche schifosamente ipocrita star lì in ambasce a
chiedersi dove Bill
avesse passato la notte o dove fosse in quel momento.
No, non
era ipocrisia. Voleva saperlo. Voleva parlargli…
Come se
non avesse già detto più che abbastanza.
Senza
neanche guardare che ore fossero, uscì silenziosamente dal
letto. I vestiti di
Bill erano al loro posto, niente sembrava essersi mosso in quella
stanza.
Haylie abbassò la maniglia e sporse la testa oltre la porta,
percorse tutto il
corridoio con lo sguardo ma non vide anima viva.
Uscì a
passo lento dalla propria camera, in camicia da notte e a piedi nudi.
Si guardò
di nuovo intorno, forse sperando in una miracolosa riapparizione, ma
quel
maledetto corridoio rimaneva vuoto. Lo sguardo le cadde sulla porta
della
stanza accanto alla sua: la camera di Tom. Realizzò solo che
l’uscio era
socchiuso. Non si chiese perché, non si domandò
se le interessasse, si ritrovò
semplicemente a spingere lentamente la porta con una mano. Tutto quello
che
vide fu Tom, in piedi al centro della stanza, già vestito,
che chiudeva la zip
della custodia della sua chitarra. Quando il suo sguardo cadde su di
lei, quasi
trasalì e calciò in un angolo una specie di
borsone che Haylie non aveva ancora
notato.
- Haylie…
-
La ragazza
gli voltò le spalle e uscì in fretta, diretta
nella propria camera, ma non fece
nemmeno in tempo a chiudere la porta che si trovò Tom dietro
le spalle. –
Haylie, aspetta! –
Lei si
voltò, guardandolo con occhi imploranti. – Ti
prego Tom, vattene –
- Perché? –
Era come se la discussione del giorno prima non fosse mai esistita.
- Va’ via
– lo supplicò ancora lei, ma lui rimase fermo
dov’era. Nel momento in cui i
loro sguardi si incrociarono, capì. Capì
perché lo stava mandando via.
Capì che
gliel’aveva detto.
Fece come
per ribattere, quando la vide fare un brusco passo
all’indietro e aggrapparsi
al piccolo scrittoio, al che voltò la testa… e lo
vide.
Bill era
fermo sulla soglia, appoggiato con una mano allo stipite della porta, e
lo
fissava. Lo fissava come se gli costasse un enorme sforzo. Haylie fu
scossa da
un tremito nell’incrociare quello sguardo.
- Tom,
esci di qui, per favore –
~ Soundtrack - Hollow years, Dream
Theater: http://www.youtube.com/watch?v=29qRCzTYg2o ~
Bill
pronunciò lentamente quelle poche parole, a bassa voce, come
se volesse farle
suonare come un comando. Invece risultò molto più
simile a un disperato
appello.
- Bill… -
cominciò Tom, ma l’altro lo interruppe.
- Tom.
Esci – Alzò di poco il tono, così che
il leggero tremore assunto dalla sua voce
risultò più evidente.
Haylie lo
guardò: sembrava lo stesso della sera prima. I capelli erano
a posto, i jeans e
la maglietta non lasciavano intravedere più di qualche
piega, il viso era
pallido come sempre. Solo gli occhi avevano cambiato totalmente
espressione.
Erano colmi dello smarrimento più puro, disperazione
silenziosa che presto
sarebbe uscita fuori con la violenza di un uragano.
Tom gli si
avvicinò solo per chiudere la porta alle sue spalle.
– No, Bill, aspetta - Non
appena la sua mano lo sfiorò per caso, Bill si ritrasse
violentemente.
- Stammi
lontano, cazzo! – gli inveì contro, –
Non devi toccarmi! – Tom lo guardò a
metà
fra lo spaventato e il supplichevole.
- Ti
prego, Bill, non… Parliamone, almeno… - Il moro
strinse i pugni. Le mani gli
tremavano.
- Cos’è
che devi dirmi? – La parole gli uscirono fuori in un soffio,
sembrava che non
avesse neanche la voce per scaricargli addosso tutto il dolore che
teneva
intrappolato dentro di sé. – Che ti dispiace?
Che… è stato uno sbaglio, che non
è colpa di nessuno? Che… che mi
vuoi bene?
–
Bill
deglutì, e improvvisamente Haylie sentì tutta la
pesantezza di quella
situazione direttamente sul cuore. Era come se Bill non
l’avesse neanche vista,
come se fosse troppo preso dal rancore che provava nei confronti di
Tom. Lo
vide puntare il suo sguardo accusatore in quello del fratello, lo
sentì parlare
a scatti, quasi ansimando.
- Quella
notte ero venuto a scusarmi con te, Tom… Perché
mi sentivo un verme per averti
insultato in quel modo, perché avevo paura di poterti
perdere anche solo per…
per una parola sbagliata – Haylie trattenne il fiato. Non
sapeva di cosa stesse
parlando. – Tu mi hai consolato. Mi hai
abbracciato… Mi hai detto che era tutto
a posto, che io non avevo sbagliato, che mi vuoi bene… Erano
bugie, Tom, erano
tutte bugie… - Tom era ammutolito, la mano ferma a
mezz’aria, la mente
annebbiata. Non aveva il coraggio di controbattere, non quando si
rendeva conto
che era colpa sua se suo fratello stava così male.
Bill voltò
lentamente la testa fino a incrociare lo sguardo di Haylie, al che lei
non
desiderò altro che essere inghiottita dalla terra. Non
poteva reggere quello
sguardo.
- Cosa
avete fatto mentre io ero a spaccarmi il culo per la nostra
tournée? –
gridò, mentre le sue guance si tingevano di un insolito rosa
acceso. – Cosa
avete fatto mentre io ero ai sound check, mentre ero a farmi fare
quattro
stupide fotografie, cosa avete fatto mentre io non mi accorgevo di
niente?! –
Haylie non
seppe dove riuscì a trovare la voce per balbettare un debole:
- Bill,
io… mi dispiace… -
- No, non
è vero! – sbraitò Bill, sbattendo un
pugno sullo scrittoio. – Non ci credo, non
è vero che vi dispiace! – Tirò un
profondo respiro e la guardò con rabbia. Una
rabbia disperata, vulnerabile, una rabbia che faceva molto peggio a lui
che a
loro. – Noi aspettiamo un bambino, Haylie! Come hai
potuto… cosa… perché,
Haylie?! –
- Io… -
Haylie lo guardò terrorizzata, non l’aveva mai
visto in quello stato. – Io… non
lo so… -
- Ma tu
non c’eri, Bill! – Haylie alzò lo
sguardo in direzione di Tom. Sembrava che non
potesse più trattenersi, che volesse solo sputargli in
faccia tutte le accuse
che aveva messo da parte durante quei mesi. – Tu non te ne
sei accorto, non hai
visto niente, eri assente! –
Haylie
tremò, avrebbe voluto imporgli di fermarsi, dirgli che non
era vero, che era
colpa sua…
…ma fu
bloccata. Non dal martellante senso di colpa, ma dallo sguardo che Bill
rivolse
a Tom. Non era più disperazione, non era più
rabbia. E non era neanche odio.
Era… una
richiesta d’aiuto. Era un abbandonarsi di fronte alla
realtà più dura.
- Io… io
posso aver fatto tutti gli errori di questo mondo, ma non pensavo di
meritare questo!
– gemette Bill, con la voce spezzata, portandosi le mani
tremanti al petto. Sembrò
che improvvisamente le forze venissero a mancargli. Solo in quel
momento Haylie
scorse uno strano luccichio sul suo viso.
Una
lacrima.
Bill stava
piangendo.
Persino
Tom non ebbe più il coraggio di ribattere, e
lasciò che le braccia gli
ricadessero lungo i fianchi. Dalla bocca di Bill uscì un
singulto soffocato. –
Io mi fidavo di te… mi fidavo di voi…
p-perché l’avete fatto? – Nessuno gli
rispose. Bill si rivolse ad Haylie. – Perché,
Haylie, perché?
– urlò, con la voce rotta dai singhiozzi.
– Forse non sono
mai stato il meglio che tu potessi desiderare, forse meritavi di
più, ma perché
proprio lui? Perché mio fratello?!
–
Haylie
deglutì. Sentiva la gola bruciare e le gambe tremarle.
Non
rispose. Parlare era la cosa peggiore che potesse fare in quel momento.
Eppure…
eppure era l’unica cosa che avrebbero dovuto fare molto prima
per prevenire
tutto quello che stava succedendo.
Chinò
il
capo e affondò il viso tra le mani. Voleva solo che tutto
quello finisse.
Basta,
basta, ti prego, basta… Falli smettere, fammi
morire…
- Bill,
lei non c’entra, non è stata colpa sua!
– Quasi non si accorse
dell’esclamazione di Tom. Alzò la testa solo
quando si rese conto che era
calato il silenzio.
Bill aveva
avanzato pochi, lenti passi in direzione di Tom. Ansimava ancora, le
sue guance
erano rosse e bagnate di lacrime, le mani gli tremavano.
- Tu… tu
non devi parlare. Non devi parlare –
Si fermò
solo a pochi centimetri da lui, stringendo i pugni. Tom lo
guardò quasi
impaurito.
- Bill,
io… - Bill fu scosso da un tremito di rabbia.
- DEVI STARE
ZITTO! – gli urlò contro. Fece un altro passo
vacillante verso di lui, piegò un
braccio e lo colpì con uno schiaffo in pieno viso. Un
po’ per la vista quasi
annebbiata, un po’ per il dolore scottante, un po’
per il tremore che si era
impossessato del suo corpo, la sua mano non centrò
esattamente la guancia di
Tom, ma non per questo mancò di potenza.
Subito
dopo, Haylie vide il biondo chinato in avanti, con entrambe le mani
premute sul
naso, il respiro affannoso.
- Tom! –
Si precipitò accanto a lui, ma quando si trovò a
pochi centimetri di distanza,
le mancò il coraggio di allungare una mano e toccarlo.
Quando Tom spostò una
mano dal viso, vide solo una piccola goccia di sangue scivolargli dal
labbro
spaccato fino al mento, mentre alle sue spalle Bill si lasciava
sfuggire un
singulto soffocato.
Haylie si
voltò verso di lui. Guardava il gemello con
l’orrore e la paura dipinti in
viso, un orrore diverso da quello che aveva manifestato sfogandosi per
il loro
tradimento. Chinò lentamente il capo, guardando la propria
mano arrossata, la
mano con cui aveva colpito suo fratello.
- Io… non
volevo… - balbettò, così piano che
entrambi lo sentirono appena.
Non
c’erano tracce evidenti sul viso di Tom, a parte il piccolo
taglio sul labbro e
la guancia arrossata, ma Bill lo guardava come se l’avesse
appena pestato a
sangue in preda al suo accesso d’ira.
- Non
volevo… - Il suo sguardo e quello di Tom si incrociarono per
un istante, al che
Bill si coprì il viso con le mani e riprese a piangere
sommessamente. – Non
volevo farlo… non volevo! – singhiozzò
senza alzare la testa, mentre le sue
spalle prendevano a tremare incontrollatamente.
Fu
lì che
Haylie si rese completamente conto di quello che lei e Tom gli avevano
fatto.
Se fosse
stato vero che a Bill, in fondo, importava poco e niente di lei, non
avrebbe
visto in lui l’immagine della disperazione. Bill avrebbe
potuto persino sforzarsi di
apparire furioso, ma… ma
non così.
Non era
solo furioso o semplicemente abbattuto. Era incredulo, distrutto,
annientato.
Un bambino a cui avevano tolto un pilastro, il suo punto
d’appoggio, dicendogli
che non l’avrebbe più avuto indietro.
Un bambino
abbandonato dalla mamma e sperduto al centro di un modo sconosciuto, di
un’umanità crudele.
Haylie
ricordò improvvisamente. Si ricordò di quella
sera.
Un
battibecco per le canzoni da mettere in un album.
L’irritazione serpeggiante.
Due parole di troppo. Uno schiaffo. Un senso di colpa, una richiesta di
scuse.
-
Io… non so perché l’ho
detto… -
- Se l’avessi saputo, non l’avresti
fatto –
Haylie si morse le labbra,
sfregandosi le mani lungo i fianchi.
- E’ vero – mormorò lui, abbassando
lo sguardo. Haylie gli si avvicinò di più.
- Scusami per quello schiaffo. Non
volevo… -
- No – Per la prima volta nella
serata, Bill sorrise. Ma era un sorriso tirato, stanco. – Hai
fatto bene a
darmelo. Sono… sono stato uno stronzo con Tom –
Haylie non ebbe la forza di
dissentire.
- Va’ a chiedergli scusa, Bill –
mormorò. Lui sospirò e si strinse nelle spalle,
scuotendo la testa.
- Forse è meglio che lo faccia domani…
magari adesso non ha tanta voglia di parlarmi –
Haylie non poté trattenersi dal
rispondere: - Posso capirlo –
Lui la guardò con una punta di
stupore. Poi sospirò una seconda volta, e le
sfiorò una guancia con la punta
delle dita.
- Non litighiamo, Haylie. Ti prego.
E’ l’ultima cosa che voglio – Haylie si
morse le labbra e annuì. Bill posò un
bacio tra i suoi capelli, stringendole una spalla con una mano.
Lei e Bill
non erano poi così diversi come aveva creduto, o meglio,
come si era sforzata
di credere in quegli ultimi mesi.
Tradirlo
era stato come tradirsi a sua volta. Non era fuggita da una relazione
che non
procedeva come avrebbe voluto, era fuggita da se stessa. Non lo aveva
odiato,
non lo aveva accusato, non gli aveva serbato rancore.
Si era
odiata lei stessa, si era accusata, aveva serbato rancore verso la sua
stessa
persona.
Tom fece
qualche passo avanti, tese una mano verso di lui.
- Bill, ti
prego –
Lui scosse
la testa, il viso ancora sepolto tra le mani. Quando le dita di Tom lo
sfiorarono, ebbe un sussulto, ma non si ritrasse. – Bill,
io… -
Ma gli
impedì di parlare.
- No –
gemette. I singhiozzi erano cessati quasi del tutto, ma il tremore non
lo aveva
ancora abbandonato. Sembrò che volesse riprendere fiato
prima di proseguire.
Alzò la testa e guardò Tom con occhi colmi di
tristezza. – Non dire niente. Non
dirmi che mi vuoi bene – Guardò Haylie.
– Non dirmi che mi ami. Non… non voglio
sentire niente di tutto questo. Io… - Il suo sguardo si
spostò febbrilmente dal
viso del fratello a quello di lei. Fece un passo indietro. Fu un passo
incerto,
e per un attimo Haylie ebbe paura di vederlo cadere a terra, come
ubriaco,
privo di forze. – Mi dispiace… mi dispiace
– mormorò con la voce rotta,
allontanandosi bruscamente e dirigendosi verso la porta.
- Bill,
aspetta, non… - tentò di fermarlo Haylie, ma la
porta si era già richiusa.
Subito
calò il silenzio, il silenzio più opprimente
possibile.
Nessuno
dei due ebbe il tempo di parlare o anche solo rimettere in ordine le
idee, che
sentirono bussare leggermente alla porta. Haylie alzò la
testa di scatto e si
precipitò ad aprire. Quasi si stupì di scoprirsi
tanto delusa quando vide Georg
comparirle davanti.
Si
aspettava forse che Bill tornasse indietro, gettandosi ai suoi piedi?
Deglutì
quando incrociò lo sguardo del ragazzo dai lunghi capelli
castani.
- Io…
perdonami, Haylie, forse non è il momento adatto –
Oh, bene.
Quello era l’eufemismo del secolo. Chissà se
sarebbe mai arrivato, un momento
adatto.
- Non
preoccuparti – mormorò. – Dimmi
–
Georg
sembrava piuttosto imbarazzato.
- Ehm… è
che ho… Cioè, io, scusami, non avrei voluto
ascoltare, ma Bill urlava così
forte che… insomma, mi sono preoccupato – Haylie
non rispose. Si limitò a
mordersi il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. Già,
Tom aveva accusato Bill
di non essersi accorto di loro, ma a nessun altro era saltata la mosca
al naso.
E nessuno, tra le persone con cui avevano a che fare giornalmente,
mancava di
una certa intelligenza. Forse non era stata poi tutta colpa di
Bill… - Haylie? –
La ragazza
alzò di scatto la testa, come risvegliata da un sogno.
- Cosa? –
La voce le uscì fuori più stridula del normale, e
Georg parve più impacciato
che mai.
- Allora…
è così? –
Haylie
deglutì per la seconda volta prima di voltare lentamente la
testa e guardare
dietro di sé. Tom era a pochi passi di distanza da lei,
fermo al centro della
stanza, le braccia incrociate sul petto e il capo chino. Solo quando
calò
nuovamente il silenzio li guardò di sottecchi.
Il suo
sguardo si spostò rapidamente da Haylie a Georg, poi di
nuovo ad Haylie.
- No –
rispose bruscamente, assottigliando le labbra. Attraversò la
camera a grandi
passi e, prima di uscire, li fissò entrambi con rabbia.
– No, non è più così
–
Haylie fu
scossa da un tremito, Georg non era meno intimorito. Tom rimase a
guardarlo in
silenzio per qualche istante, prima di sospirare pesantemente.
- Scusami,
Georg. Scusami. Dimenticalo –
E uscì
dalla stanza senza guardarsi indietro.
Seguì
qualche altro minuto di imbarazzato silenzio, poi Georg si
voltò di nuovo verso
Haylie, e sembrò che solo in quel momento si rendesse conto
della gravità della
situazione.
- Cosa…
cosa ne sarà del gruppo? Di voi… di noi?
–
Haylie non
riuscì neanche a sentirsi egoista di fronte a quella
considerazione. Si sentiva
come se ogni singola emozione che potesse provare fosse arrivata al
limite, e come
se non potesse più aggiungerne altre. Era satura, al limite.
- Non lo
so, Georg… Non so neanche cosa ne sarà di me
–
E richiuse
lentamente la porta, sperando –illudendosi, forse- di poter
lasciare tutti gli
errori e i rimpianti fuori da quella stanza.
ndA:
esasperato, dite? Io non credo, ma... ai posteri l'ardua sentenza! E'
proprio così che volevo i "miei" Bill e Tom in questa scena,
e Haylie.... Haylie mi è sfuggita di mano, e non
è venuta fuori come l'avrei voluta io.
Commentate numerosi!!!
p.s. l'illustrazione c'è ma non la metto perchè
fa schifo :P
|
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Capitolo 18 *** Capitolo diciotto ***
E i
preferiti diventarono 23 °__°'' Mi sono pure stufata di
dire che continuo a usare “Dimentica” di Raf, ma
si sa, non si è mai troppo sicuri. Questo capitolo, a dire
il vero, non mi
piace granché, ma… non è del tutto
inutile. Passando ai singoli ringraziamenti:
EtErNaL_DrEaMEr: devo
deluderti, questa è l’unica canzone dei Dream
Theater che conosco ^^’ Wow, me
felice di averti appassionata così, soprattutto considerato
che le tue
recensioni sono sempre più belle (e dannosissime per il mio
spropositato ego). Anche
a me piace la parte della manata, come la chiami tu XD così
ricca di pathos *.*
(se mi sentisse la mia prof di letteratura…) Perdona la mia
tardoneria, ma non
ho capito a cosa ti riferissi parlando di Tom che “ha mollato
lì Haylie”… sarà
che ho sonno, boh XD E poi ti dico che hai citato un particolare che
forse non
tutti hanno notato… beh, non mi pronuncio, vedrai da te! ^.*
; TVB:
eh, tragedia sì XD Comunque benvenuta, finalmente le famose
“ragazze dei
preferiti” (ovvero le silenziose che hanno messo la mia
storia nei preferiti)
cominciano a farsi sentire!; lilistar:
benvenuta anche a te! Sì, lo so, il classico triangolo. Ma
che ci possiamo
fare? La materia prima scarseggia e poi è inevitabile
riciclare le trame. Bene,
sono contenta di aver soddisfatto le tue aspettative! Resta da vedere
se il
finale (che si avvicina a grandi passi) sarà per te allo
stesso livello… ci
spero veramente! Bacio; moonwhisper:
sì, ora che rileggo, non mi sembra poi così
esagerata. E sappi che il tuo
giudizio su Haylie è lo stesso della mia amica (che
commenterà solo quando avrò
finito di postare, come mi ha promesso). Adesso, quasi la odio, sai?
Della
serie, io ti ho creato e io ti posso distruggere. La verità
è che non la volevo
così come è venuta fuori.
Però… però mi rendo anche conto che
è così che doveva
essere. E, quando la ff sarà terminata e posterò
i ringraziamenti, vi spiegherò
perché. Baciotto; Freiheit:
tutto quello che hai detto mi
è piaciuto moltissimo, sai? E’ anche –e
soprattutto- per questo che spero di
trovare i tuoi interventi fino alla conclusione della mia ff. Quello
che dici
di Bill è vero per certi versi, e per altri… beh,
lo scoprirai andando avanti
con i capitoli. No, Hay non ama Tom. Questo posso dirlo apertamente
perché
penso si sia già capito… Beh, sono contenta che
anche la canzone ti abbia
emozionata, e… vedrai che tra qualche capitolo
l’immagine nella tua mente
cambierà, e magari sarà qualcun altro a cantarla
;) valux91:
grazie dei complimenti… sia per la dieta che per la storia!
XD Eh, porca
miseria sì. Però visto che se non ci fosse stato
Georg, nessuno avrebbe
compreso l’entità del danno? Ihihi… ; simmyListing:
eheh, il Billozzo XD Oddio, dici che non pecco di banalità
però ti aspettavi
questa reazione… vabbè, certo, contento non
poteva essere (Vitto si picchietta
la fronte annuendo come una cretina). Però sono contenta io
dei tuoi
complimenti! *.* E comunque hai ragione: chi, nei panni di Bill, non ce
l’avrebbe con suo fratello? Temperance_Booth:
azzardato nel senso di
fuori luogo? O_O Beh, qualcuno con un po’ di sale in zucca ci
vuole xD
Capitolo
18
“Dimentica
l’amore
forse anche il dolore passerà,
dimentica le cose belle
e tutto il male sai di colpo sparirà”
Haylie era
semplicemente
affascinata.
Era il primo concerto dei Tokio
Hotel a cui assisteva da quando aveva cominciato a lavorare per loro.
Cioè, in
realtà era il primo in assoluto, fino ad allora aveva
praticamente ignorato
l’esistenza di quel gruppo. Beh, non c’era poi
granché di cui stupirsi. I
gemelli Kaulitz avevano solo un anno più di lei, e gli altri
due li superavano
di poco. Sapeva che avevano cominciato da molto piccoli con la musica,
le
pareva addirittura di aver capito che il loro primo singolo era stato
pubblicato quando avevano non più di quindici anni.
Certo, assistere da dietro le
quinte forse non era il massimo della felicità, ma, in
qualche modo, era quasi
meglio quella sistemazione. Niente pubblico, niente ragazzine
impazzite, niente
luci abbaglianti, solo una pesante tenda a separarla dai quattro
ragazzi già al
loro posto sul palcoscenico.
Aveva seguito con grande interesse
il susseguirsi delle canzoni, in qualche modo si sentiva vicina a
quelle
ragazzine in lacrime davanti al palco. Più che altro, non le
riusciva difficile
capire perché andassero in estasi per quel gruppo,
nonostante le madri
storcessero il naso.
Davano un’energia tutta loro, certo
non fuori luogo per dei ragazzi della loro età.
Coinvolgevano il pubblico,
sembrava che conoscessero alla perfezione i desideri delle loro fan,
che
facessero di tutto perché lo spettacolo andasse come
volevano quelle ragazze,
per non deluderle.
Quel Bill, poi, aveva un carisma
tutto particolare.
Era così strano, con il suo fisico
acerbo e i lineamenti quasi femminei messi in risalto dal pesante
trucco nero e
dai capelli lunghi e lisci, neri con qualche ciocca chiara sparsa qua e
là. Con
i suoi vestiti alla moda, i jeans stretti e gli stivali borchiati,
aveva un
fascino che l’aveva subito colpita, sia positivamente che
negativamente.
Suo fratello Tom sembrava così
diverso, e non solo per il modo di presentarsi. Lunghi dread biondi
raccolti
dietro un cappellino con visiera e vestiti extra-large.
Però il feeling che legava quei due
ragazzi era a dir poco invidiabile.
Haylie era figlia unica e pensava
che, se avesse avuto un fratello o una sorella, avrebbe voluto che il
loro
rapporto fosse come quello presente tra i gemelli Kaulitz.
Infatti, qualcosa verso la fine del
concerto attirò la sua attenzione.
Dopo un inchino di gruppo, Gustav e
Georg si allontanarono e lasciarono il palco ai due fratelli. Tra le
braccia di
Tom non c’era più la sua Gibson, ma una semplice
chitarra classica.
Entrambi si accomodarono su due
sgabelli, poi Bill avvicinò il microfono alle labbra e si
rivolse al pubblico.
- Come vedete, ora ci siamo solo io
e Tom – Era imbarazzato, anche se sorridente, sembrava che
non sapesse
esattamente cosa dire, il che gli capitava di rado. – La
prossima canzone è
nata da poco, ma molti di voi la conoscono già. Parla di
noi, di me e di Tom,
del rapporto che ci lega. Questo rapporto è speciale,
è… unico, direi. E… e il
resto è tutto qui, in questa canzone…
“In die Nacht” –
Haylie non ebbe il tempo di
pensare, perché la sua mente fu invasa dai primi accordi e
poi la musica rese
il sopravvento. Rimase come ipnotizzata ad ascoltare quella canzone
dalle
parole così dolci.
“Pian
piano tutto dentro di me sta diventando freddo / Non staremo qui
insieme molto
a lungo / Stai qui / L'ombra vuole prendermi / Quando andiamo / andiamo
soltanto insieme”.
Era…
semplicemente meraviglioso. Qualcosa di indescrivibile.
“Tu sei
/ tutto quello che sono io / e tutto quello che attraversa le mie vene
/ Noi ci
supporteremo l'uno con l'altro / Non importa dove andremo / Non importa
quanto
in profondità”.
Quasi
le mancò il respiro quando Bill pronunciò quelle
parole sulla dolce melodia che
usciva dalle corde della chitarra di Tom.
Il
pubblico era in delirio quando la canzone finì e i due
fratelli si inchinarono.
Poi tornarono in scena anche il bassista e il batterista e il concerto
proseguì
così come era iniziato.
Haylie
continuò a pensarci, finché non si decise a
parlarne con Bill, mentre
scandagliavano il suo guardaroba in vista dell’imminente
servizio fotografico.
- Sai
che mi è piaciuta moltissimo la canzone che hai dedicato a
Tom? –
Bill
sorrise. Amava ricevere riconoscimenti per quello che faceva.
-
Davvero? L’ho scritta da poco, ma pare che già la
conoscano tutti –
- E’
così bella! Mentre la cantavi ero, non so, come
incantata… L’hai scritta
proprio tu? –
Bill
rise.
- Sì,
lo so, non sembra. Ma sì, l’ho scritta io
–
- E Tom
non ti ha detto niente quando l’ha letta? – La
imbarazzava più
dell’immaginabile fargli tutte quelle domande, ma era rimasta
veramente troppo
colpita. Bill si strinse nelle spalle.
- Beh,
sì, diciamo… Dice che può sembrare
equivoca ma che gli piace. Non è molto
sentimentale, lui –
- Se
avessi avuto un fratello e lui mi avesse dedicato una canzone
così, io… Non so
cosa avrei fatto –
- Effettivamente
non pensavo che avrebbe avuto così tanto successo in poco
tempo – ammise Bill,
facendosi meditabondo. – Ma da quando l’ho scritta,
la canto ad ogni concerto,
facendomi accompagnare solo da Tom con la chitarra, e ha sempre portato
fortuna. Penso che d’ora in poi faremo sempre
così! –
E
infatti era stato così.
A metà o alla fine di ogni concerto, Georg e Gustav si erano
sempre
ritirati, lasciando il palco ai gemelli e alla loro “In die
Nacht”.
In qualche modo, la domanda di Georg si ricollegava a quella che ora si
poneva Haylie.
“Che ne sarà del gruppo?”
Già, non ci aveva pensato, a questo. Certo, oltre ai
sentimenti delle
persone, pure il destino dei Tokio Hotel era passato in secondo piano.
Haylie attese il concerto di quella sera con il cuore in gola,
continuando a chiederselo…
Bill
canterà la loro canzone?
Bill non si vide in giro per tutta la giornata. L’ora di
pranzo fu un
momento carico di imbarazzo, una tortura che Haylie si sarebbe
risparmiata più
che volentieri. Bill, naturalmente, non c’era, Tom rimase
zitto per tutto il
tempo mentre Gustav spostava lo sguardo imbarazzato da un punto
all’altro e
Georg cercava di fare conversazione come se non fosse successo niente.
Poi il momento arrivò.
Si erano fatte le 21;00, era quasi ora di andare in scena. Bill era
ricomparso solo pochi minuti prima, vestito di tutto punto ma con la
faccia di
chi avrebbe solo voluto mandare tutti al diavolo e non curarsi
più di nulla.
Haylie ebbe la tentazione di rimanere in albergo, ma quella domanda la
tormentava e decise di fare questo sforzo. Non si avvicinò a
Bill né a Tom,
solo, quando si trovarono allo stadio, si sistemò al suo
solito posto dietro le
quinte… e attese.
Aveva visto Bill tirare una decina di profondi sospiri prima di entrare
in scena. Non riuscì a esprimere un proprio giudizio, non
riuscì a capire se
mise più o meno energia durante il concerto. Rimase
semplicemente ad aspettare
che Gustav e Georg lasciassero il palco e che Tom attaccasse le note
della loro
canzone.
Aspettò, aspettò e aspettò.
Le canzoni si susseguirono a poco a poco, il pubblico li
applaudì, i
ragazzi ringraziarono…
Ma Haylie non sentì quei tanto agognati accordi, e quella
canzone
rimase solo un sogno irrealizzabile.
Vide David saltare praticamente addosso a Bill quando tutti e quattro
si ritirarono dal palcoscenico.
- Cos’è questa storia, Bill? Ma che, stai
dormendo? Ma te la ricordavi
la scaletta o no?! –
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo.
- Sì, Dave. Io ricordo tutto perfettamente
– Per un attimo,
Haylie temette che a quel punto avrebbe guardato nella sua direzione e
avrebbe
incenerito con lo sguardo anche lei, ma Bill continuò solo a
guardare in
cagnesco il manager.
- E allora da quand’è che salti deliberatamente
una canzone della scaletta?!
Hai idea dei casini che combini per un tuo capriccio? –
A quel punto, inaspettatamente, intervenne Tom.
- Ci dispiace David, non succederà più –
Il manager stava quasi per attaccare a inveire anche contro di lui, ma
Bill si voltò lentamente e socchiuse gli occhi.
- Grazie, Tom, non occorre che mi difendi – Il fratello non
ribatté,
guardandolo con astio. Bill si rivolse nuovamente a David. –
Scusami. La
prossima volta ti avvertirò. Anzi, lo faccio adesso
– Tirò un profondo respiro
prima di continuare, sotto lo sguardo imbarazzato degli altri tre.
– Togli
quella canzone dalla scaletta dei prossimi concerti, così
non ci saranno più
problemi. Buonanotte –
Detto questo, si allontanò a passo di marcia, ma a un tratto
Haylie
sentì la propria voce esclamare:
- Bill, aspetta! –
Il ragazzo si bloccò solo per un attimo, il tempo che gli
occorse per
voltare di poco la testa e incrociare lo sguardo di Haylie. Lei si
morse le
labbra e per un istante ebbe la tentazione di andargli dietro, ma Bill,
dopo
averle rivolto un’ultima occhiata che Haylie non seppe come
interpretare, tornò
a guardare avanti e si allontanò a passo di carica.
Haylie si accasciò con la schiena contro la parete,
passandosi una mano
tra i capelli.
Doveva finire. Doveva finire o sarebbe impazzita.
…
Quella sera,
rimase a vagare per i corridoi dell’albergo finché
l’orario più che inoltrato non bastò a
convincerla che Bill doveva essersi
addormentato. Infatti, quando entrò silenziosamente in
camera, scorse una
figuretta raggomitolata su un lato del letto, con il lenzuolo
attorcigliato
intorno ai piedi.
Gli si avvicinò lentamente. Bill non aveva mai dormito sonni
particolarmente tranquilli, anzi, il più delle volte si
rigirava nel letto come
un ossesso, ma quella notte era diverso. Era immobile, sì,
raggomitolato su se
stesso, ma… La sua espressione.
Dormiva, ma sembrava che soffrisse anche nel sonno. Aveva le
sopracciglia aggrottate, e la bocca socchiusa si muoveva leggermente,
come se
stesse parlando. Quando Haylie gli sfiorò la testa con un
bacio, mugugnò
qualcosa e si girò dall’altra parte. La ragazza
scivolò al suo fianco, sotto le
lenzuola.
Chissà cosa stava sognando Bill. Chissà se
sarebbe tornato a sorridere.
Chissà se l’avrebbe perdonata.
Queste domande suonavano come un eco nella testa di Haylie, come se non
fosse realmente lei a pensarle, come se non gliene importasse davvero.
Come se
fosse sospesa, in bilico fra la realtà e una dimensione
parallela.
E così continuò ad essere. Scivolò nel
sonno senza rendersene conto e,
quando aprì gli occhi, le sembrò che fossero
passati pochi istanti da quando li
aveva chiusi. Sussurrò un lieve –
Bill…? -, come se niente fosse successo, come
se si fosse dimenticata di tutto. Ma sotto le lenzuola c’era
solo lei.
Si mise lentamente a sedere sul bordo del letto, guardando fisso
davanti a sé. Improvvisamente ricordò.
Il concerto… “In die Nacht”…
Una lacrima silenziosa rigò il suo volto d’avorio.
Aveva rovinato
tutto. E l’unica persona di cui aveva sempre avuto realmente
bisogno ora stava
male per colpa sua, e forse non sarebbe più guarita.
Chi era lei per fare tutto questo? Nessuno. Solo una stupida,
insignificante bambina capricciosa. Che ci stava a fare lei, in quel
piccolo
mondo?
Chiuse gli occhi e un’altra lacrima scivolò
giù, scomparendo nelle sue
labbra.
Se non vi fosse mai entrata, le note di “In die
Nacht” avrebbero
riempito quello stadio.
…
Tom rimase a
fissare per qualche istante la sua chitarra prima di
chiudere la zip della custodia.
Stupida, inutile chitarra.
No, non la Gibson. L’altra. La cosiddetta “chitarra
classica”.
La sera prima non aveva suonato. E probabilmente non
l’avrebbe più
fatto per molto tempo. Non vi era motivo perché stesse
lì a prendere polvere. La
lasciò cadere con malagrazia sul letto, accanto al borsone.
Maledizione. Maledizione a lui, a lei, al mondo…
No. Non a lei. Lei non c’entrava.
Lei era solo caduta in una trappola che lui stesso le aveva teso,
convinto di farle del bene. E invece l’aveva annientata. E
Bill insieme a lei. Chissà
come sarebbe andata…
Chissà cosa c’era adesso nei suoi occhi scuri.
…
Neanche quei
crampi sempre più forti al basso ventre riuscivano in
qualche modo a riportarla alla realtà. Era come in trance,
sospesa.
Le tende di stoffa celeste svolazzavano di fronte a lei, segno che
ancora qualcosa si muoveva, nel mondo là fuori. E lei voleva
ascoltarlo,
lasciarsi cullare dai suoi rumori, non pensare più a niente.
Non fu facile scavalcare il davanzale. Dovette issarsi con
l’aiuto di
tutt’e due le mani e aggrapparsi a un’anta della
finestra prima di riuscire a
sedervisi. Appoggiò la schiena alla parete e chiuse gli
occhi, raccogliendo le
ginocchia al petto per quanto il pancione glielo permettesse.
La finestra dava sul giardino dell’hotel, per fortuna.
Chissà che
confusione, che vocio, che inutile agitazione, se giù in
strada l’avessero
vista seduta sul davanzale. Ne avesse avuto la forza, sarebbe pure
rimasta in
piedi, per sentire il vento fresco batterle sulle gambe.
No, non avrebbero capito. Le avrebbero detto di stare calma, di non
fare sciocchezze, ma non avrebbero capito. Lei non voleva mica fare di
quelle
sceneggiate. Oh, no… Voleva semplicemente star
lì…
Era forse un reato?
No, certo che no… E non era niente in confronto al resto che
aveva
fatto. Tutto era niente in confronto.
Che buffo paragone. Il tutto e il niente. Due parole così
grandi ma
così piccole, così inutili.
Haylie chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore.
Un’altra fitta,
questa volta più forte.
E se fosse caduta? Non era da escludere. Con quei dolori ficcanti non
era del tutto impossibile che perdesse l’equilibrio e cadesse
di sotto. Erano
al quinto piano. Avrebbe fatto poi così male?
Haylie non si stupì di prendere in considerazione
quell’ipotesi con
tanta indifferenza. Serenità, quasi.
Niente era da escludere, quindi era anche inutile programmare. Quel che
sarebbe successo, lei l’avrebbe accettato. Non poteva
lamentarsi.
…
Aprì la porta con cautela, timoroso di trovarsi di fronte un
Bill più
infuriato che mai per quell’irruzione, ma di certo non era
preparato alla scena
cui si trovò ad assistere.
Focalizzò solo un’informazione: Haylie era seduta
sul davanzale della
finestra aperta, e la stanza si trovava al quinto piano.
Gli ci volle qualche secondo per ritrovare la voce. – C-che
cosa stai
facendo? –
Lei voltò lentamente la testa. Quando lo vide, non disse
nulla e tornò
a guardare fuori. Perché, perché non poteva avere
un attimo di pace? Perché
nessun suo desiderio poteva essere esaudito?
Poco dopo, sentì la voce di Tom avvicinarsi. –
Scendi di lì, Haylie –
Sembrava quasi un comando.
Haylie scosse piano la testa. – Lasciami in pace –
Sentì i muscoli
irrigidirsi quando arrivò un’altra fitta, e la sua
mano sinistra lasciò il
bordo del davanzale per posarsi sul suo ventre.
Fosse stata un’altra circostanza, o un’altra
persona, Tom si sarebbe
imposto di restare calmo. Ma ora non era possibile.
- Haylie, ti ho detto scendi di lì!
– ringhiò, muovendo qualche
passo verso di lei.
- No! – Haylie si lasciò sfuggire un gemito,
stringendosi la pancia tra
le braccia. Non erano normali, quei dolori, e non accennavano neanche a
smettere. – Ti prego… vattene… -
Tom avanzò ancora. La distanza tra di loro ormai era minima,
non più di
qualche centimetro…
- Non fare cazzate – sibilò. Haylie chiuse gli
occhi e si morse le
labbra, quasi non sentiva la sua voce, era troppo presa da quel dolore
insopportabile per farlo… Cosa voleva, lui? Negarle
quell’ultimo atto di
egoismo? Riprese a respirare con più regolarità
quando le sembrò che il dolore
si alleviasse, ma ci fu una pausa tanto breve da non poterla calcolare
prima
che un’altra fitta, ancora più acuta, la facesse
sentire come stretta in
un’enorme tenaglia. E gli avvenimenti si susseguirono a una
velocità
sconvolgente.
Perse l’equilibrio. Una gamba le scivolò fuori
della finestra e per un
attimo si sentì trascinare verso il basso da una forza
invisibile, forse da
quel vento che aveva creduto amico. E si disse “E’
finita”.
Ma nello stesso momento in cui lo pensò, si sentì
afferrare per la vita
e tirare bruscamente indietro, e il suo cervello non riuscì
a mandarle un comando
diverso da quello che le disse di urlare.
- Lasciami! – strillò, aggrappandosi a
un’anta della finestra. –
Lasciami stare, vattene! –
- Cosa volevi fare, eh? – gridò Tom di rimando.
– Pensi che sia una
soluzione farsi un volo dalla finestra e rompersi il collo?!
– Haylie non lo
ascoltò, continuò solo a scalciare disperatamente.
- Ti ho detto… lasciami… - fece per protestare di
nuovo, ma la sua
esclamazione fu stroncata sul nascere dall’ennesima
contrazione, che quasi le
tolse il respiro. – Oh… oh dio, Tom! –
ansimò, aggrappandosi alle sue braccia.
Tom allentò la stretta, ma non la lasciò andare.
- Che succede, che hai? –
- Non… lo so… oh, dio! – Se non ci
fosse stato lui a sorreggerla,
sarebbe certamente caduta. Haylie non cercò più
di tenere a bada il dolore. –
Ti prego Tom… fa’ qualcosa…
oddio… ti prego! –
Sapeva benissimo che lui non poteva fare niente. Ma le venne naturale
chiedergli aiuto, anche se ormai non le era rimasto più
nemmeno lui. La
sofferenza era tale che non riuscì neanche a sentire cosa
lui le disse dopo.
Percepì la sua voce, ma non andò oltre. Distinse
a malapena qualche parola
prima di rendersi conto che Tom l’aveva aiutata a stendersi
sul piccolo divano
e che ora stava chiamando qualcuno dalla porta aperta.
Un nome familiare, ma che non riusciva a ricollegare a una
fisionomia...
Poi un altro nome, il suo… – Haylie! -
…pronunciato da un’altra voce
ancora…
Lei non lo vide finché i loro visi non furono che a pochi
centimetri di
distanza, e anche allora credette di avere le allucinazioni. Non poteva
essere.
Non poteva essere lui…
Eppure poteva sentire quelle mani stringere le sue, quelle mani
più che
conosciute.
- B-Bill… - mormorò con la voce strozzata. Non
ebbe bisogno di
conferme, il calore del suo tocco era la prova che sì, lui
era veramente lì. E
non riuscì a frenare le lacrime. Non più per il
dolore, ma per averlo visto lì
accanto a lei, quando invece… - Perdonami Bill… -
singhiozzò, aggrappandosi a
lui.
Avvertì il suo respiro accelerato, i suoi gesti agitati, la
sua mano
scostarle i capelli dal viso.
- Andrà tutto bene, Haylie –
Come poteva non credergli?
Si aggrappò a quell’ultima speranza forse non del
tutto vana, poi tutto
si confuse.
Sentì una sirena. Non avvertì più il
calore della stanza d’albergo,
anzi, per un attimo le parve di percepire il vento fresco di giugno
punzecchiarle le guance, nello stesso momento in cui vide due porticine
aprirsi
e degli sconosciuti parlare ad alta voce tra di loro.
Poi altre voci, più numerose e insistenti, delle pareti
bianche, dei
camici dello stesso colore.
Si sentì spostare su una barella subito prima che il dolore
al basso
ventre la accecasse un’altra volta, e poi vide le immagini
intorno a sé
scorrere come in una pellicola.
Solo una voce risaltava sulle altre, e con essa una figura che sembrava
non volersi allontanare. La seguì finché non si
vide portata un’altra stanza.
Lo guardò un’altra volta, come se dovesse essere
l’ultima.
- Perdonami Haylie! – sentì urlare Bill prima che
un’altra figura con
il camice bianco lo tirasse via, nel momento in cui due porte bianche
gli si
chiudevano davanti.
Non riuscì a chiedersi il significato di quelle parole, non
riuscì a
sperare di morire perché quello strazio finisse. Solo un
pensiero si fece
strada nella sua mente.
Dà
a
questa bambina il suo destino. Fa’ che non soffra…
ti prego.
Rumori,
immagini, odori, tutto si confuse, fino a diventare un enorme
vortice nero, che la trascinò giù, sempre
più giù…
Sì, lo so che sono una
carogna. E sì, lo so che ho esagerato con
l'emotività. Ma la scena della finestra (chiamiamola
così) ce l'avevo in mente già da un po' e sentivo
di doverla mettere. Questo capitolo è stato uno dei
più difficili e infatti il risultato non mi lascia per nulla
contenta ma, siccome sto già lavorando a qualcosa di nuovo,
non mi andava di rifarlo da capo. Perchè sì,
sarebbe cosa di riscriverlo. E io, i vostri commenti, li voglio su
quello che sentivo realmetne di scrivere, non su un capitolo riveduto e
corretto. A voi la parola
|
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Capitolo 19 *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 19
Innanzitutto
mi scuso per il ritardo mostruoso. Giusto adesso che devo postare gli
ultimi
capitoli, Internet è partito! Quindi ora devo aggiornare dal
pc di mio padre
(che mi concede di usarlo solo per le emergenze, umpf…). Mi
scuso soprattutto
con le ragazze le cui fic stanno tra i miei preferiti: mi
rifarò con i commenti
non appena il mio computer sarà tornato dalla clinica XD
Intanto ringrazio chi
ha commentato, sia le mie affezionate che le new entry (non
è mai troppo
tardi!), e vi prego di perdonarmi se l’ultimo capitolo, il
prossimo, tarderà ad
arrivare. Ebbene sì, questo è il penultimo
–e sono già abbastanza immagonata di
mio-, anche se, per vedere svelati tutti gli arcani, dovrete aspettare
il
prossimo. Ok, mi sono già dilungata troppo: vi lascio alla
lettura, nella
speranza di non deludervi e di trovare i vostri commenti –non
sapete quanto mi
mancheranno! Baci
Capitolo
19
Il suo
pensiero volò a lei ancora una volta.
Ora sì, ora sarebbe stata felice.
E anche lui.
Lo meritavano. E, per una volta, fu certo di aver fatto la scelta
giusta. Anche a costo di non assistere al momento che aveva aspettato
per mesi
come se lo riguardasse davvero.
“Ovunque
io sarò
comunque mi resterà qualcosa di te
forse attimi ma… eterni”
…
Haylie
aprì lentamente gli occhi, ma li richiuse subito dopo a
causa
della sgradevole sensazione che le suscitò il suo tornare in
stato cosciente.
Si passò una mano sul viso. Quanto aveva dormito? Ore,
sicuramente.
Forse anche di più…
Ritentò di aprire gli occhi, ma, quando lo fece, credette di
avere avuto
un’altra allucinazione. Non poteva esserci veramente Bill
seduto accanto
al suo letto.
- S-sei tu…? – biascicò. Fu solo la
sorpresa di vederlo ad impedirle di
badare al flebile tono della sua voce.
Quando lui le si avvicinò, non vide che una strana macchia
deforme.
Forse stava sognando.
- Haylie! Oh, Haylie, stai bene? – Anche lui aveva una voce
strana,
rauca. Sì, c’erano tutti i presupposti
perché quella fosse una dimensione
parallela, e non la realtà. Haylie corrugò le
sopracciglia.
- Bill… - riuscì solo a rantolare. – Da
quanto… da quanto sono qui? –
- Un po’ – lo sentì rispondere. Subito
dopo, le sembrò che deglutisse. –
Come ti senti? –
Haylie richiuse gli occhi. Si sentiva come se un trapano le avesse
bucato il cervello da parte a parte.
- Non dovresti… neanche… chiedermelo –
Cercò di pescare qualcosa nella
propria mente, qualcosa che le dicesse perché si trovava
lì, perché si sentiva
così estenuata. Un momento dopo, delle immagini affiorarono,
accompagnate da
pochi, indistinti suoni. Ma bastarono a riportarle tutto in mente.
– Bill… la
nostra bambina… - mormorò, socchiudendo gli
occhi. Questa volta riuscì a
vederlo chiaramente. Riuscì a vederlo mentre la sua
espressione cambiava di
colpo, mentre si mordeva le labbra e distoglieva lo sguardo. Qualcosa
non
quadrava.
Cercò di tirarsi a sedere. – La bambina, Bill.
Dov’è? – insistette,
senza curarsi di nascondere lo sforzo. Il ragazzo non fece altro che
accompagnarla con la testa sul cuscino e dirle:
- Stai giù, Haylie. Per favore –
Tutto ciò non aveva senso. Di certo, non si sarebbe mai
aspettata di
trovare Bill accanto a sé, e adesso…
cos’era quella faccia, cos’era quella
voce, cos’erano quei modi?
- Bill… -
- Ti prego – Bill le rivolse uno sguardo strano, che doveva
aver già
visto. Supplichevole, forse?
- Dimmi dov’è! – sbottò lei
con quel poco di voce che aveva. Lui deglutì
e non rispose. – Bill, ti prego
– lo implorò Haylie, aggrappandosi alla
sua maglietta.
Bill prese le sue mani e le allontanò dalle proprie spalle,
per poi
stringerle tra le dita. Haylie le sentì fredde come non
erano mai state, e
quasi rabbrividì nello stesso istante in cui vide le labbra
di Bill tremare
appena.
- Non c’è – lo sentì
sussurrare mentre la sua mano le accarezzava
lentamente un braccio, ma non riuscì a dare un senso a
quelle parole.
- C-che vuol dire? – Anche quella volta Bill non rispose
subito,
sembrava che la supplicasse di non farlo rispondere, di risparmiargli
qualcosa.
Ma lei non era disposta a questo. – Bill
–
Lui chinò la testa e si coprì il viso con una
mano, ma Haylie lesse in
quel gesto la risposta che non avrebbe mai voluto sentire.
No…
- N-non ce l’ha fatta… E’...
è nata morta –
Un vuoto. Un enorme, infinito buco nero la stava risucchiando,
togliendole la vista, l’udito, tutto. Quella voce non era che
un lontano
ronzio, quelle parole non racchiudevano la verità, no, non
poteva essere…
Quella stanza dalle pareti bianche non era altro che
l’Inferno, e quel
grido, quel grido che sentiva crescere dentro di sé, era il
Diavolo, era la
voce che le ricordava, e le avrebbe sempre ricordato i suoi
peccati…
- No - L’unica reazione che riuscì ad avere fu
quella di scuotere
lentamente la testa.
Semplicemente, non era possibile…
E allora perché Bill le accarezzava i capelli e le teneva
una mano e
aveva gli occhi lucidi? Non aveva senso… - Haylie,
io… -
- No, non è vero – La sua voce non era che un
lievissimo sussurro, ma la
sua affermazione risultò tanto carica di convinzione che
Bill non poté fare a
meno di guardarla sentendo una sensazione molto simile al timore.
Allungò una
mano, incerto, e le sfiorò il viso.
- Haylie, è… è terribile,
ma… ma è vero… – Non sapeva
in che altro modo
dirlo. Qualsiasi espressione gli sarebbe sembrata inappropriata. Haylie
gli
schiaffeggiò via la mano, un’espressione di rabbia
cieca dipinta in volto.
- Non è vero! –
urlò, la voce ancora roca. – Non ti credo, non
è
vero… io… n-non… No!
– gemette poi, coprendosi il viso con le mani e
cominciando a piangere, come se quella verità
l’avesse colpita solo in
quell’istante. Aveva impiegato più del necessario
per assemblarla, e adesso
sembrava dieci volte più dolorosa di quanto avrebbe dovuto
essere.
Non trovò nessun sollievo nell’abbraccio di Bill,
e continuò a
singhiozzare inconsolabilmente.
- Tesoro… - mormorò lui, stringendola forte e
cercando di calmarla.
- Perché? Perché?!
– gemette Haylie, aggrappandosi alle sue
spalle fino a fargli male. Quasi prendendosela con lui, lui che non
aveva fatto
niente, lui che invece era stato ferito, lui che non avrebbe dovuto
essere lì,
non dopo quel che lei gli aveva fatto.
- Non lo so, piccola. Non lo so – sussurrò lui con
la voce spezzata,
cullandola piano. Lei continuò a piangere, i singulti
soffocati sul petto di
Bill.
- E tu… perché sei qui? –
singhiozzò, con tono quasi accusatorio. –
N-non dovresti neanche… esserci… Non per
me… Non dopo… tutto… - Erano frasi
senza senso, se ascoltate dal di fuori, ma racchiudevano tutto il
dolore, tutta
la rabbia accumulata in quei mesi, quello struggimento che ora faceva
più male
di quanto Haylie si sarebbe aspettata.
- E invece sì, Haylie – Bill la strinse
più forte, e provò uno strano
sollievo quando sentì i pugni di lei chiudersi attorno a due
lembi della sua
maglia. – Sono qui. Stai tranquilla –
- Non posso… non posso! – singhiozzò
Haylie. Quelle parole avrebbero dovuto
consolarla, e invece non fecero che aumentare il suo sconforto. Si era
lasciata
sfuggire la situazione di mano ed ecco il risultato. Una vita
sacrificata per
un capriccio, e non una vita qualsiasi. E ora perché Bill
faceva così? Perché
non la mandava al diavolo una volta per tutte? Come poteva essere
lì,
abbracciarla, consolarla…? – Tu non devi essere
qui… non devi essere con me… Ti
ho fatto… troppo male, Bill… -
Lui scosse la testa, accarezzandole i capelli. – Sssh. Non
hai fatto
nulla, piccola. Non hai fatto nulla –
E ne era persino convinto…
Haylie sentì un’ondata di rabbia. Non voleva
niente che non meritasse, e
la presenza di Bill rientrava nell’elenco. Anzi, era al primo
posto.
- Perché dici così? – gemette,
un’evidente nota di sofferenza nella voce.
Stava male abbastanza, non voleva altri sensi di colpa… -
Non è vero… non è
vero… -
Bill la prese per le spalle, allontanandola un po’ da
sé. Haylie notò
che aveva ancora gli occhi lucidi, ma il suo sguardo era deciso,
convinto. –
Basta così, Haylie. Stiamo tutti abbastanza male. Ne
riparleremo dopo, ok? –
Lei tremò appena nel guardarlo, e si asciugò gli
occhi con il dorso
della mano.
- Ne parleremo… vero? –
Bill sorrise. Era un sorriso stanco, malinconico, ma sincero. Sincero
come lui era sempre stato. Le sfiorò il viso con una
carezza. – Sì, parleremo
di tutto. Ma adesso riposati. Per favore –
Lei tirò su col naso e, istintivamente, gli strinse una mano.
- Non andartene – lo supplicò, la voce ancora
vibrante. Lui annuì,
sorridendo ancora, e la accompagnò con la testa sul cuscino.
Posò un bacio
sulla sua fronte.
- Sono qui con te – mormorò a fior di labbra.
Haylie chiuse gli occhi, rasserenata da quella consapevolezza. Era
inutile chiedersi ancora perché lui fosse lì, era
inutile rimuginare. Non
doveva fare altro che credergli, affidarsi a lui… e
ascoltarlo, quando sarebbe
arrivato il momento.
Glielo doveva.
…
Non voleva
svegliarsi.
Sprofondare in un sonno perenne, ecco cosa avrebbe voluto. Morire? No,
forse quello no. Ma lasciarsi andare, chiudere gli occhi e farsi
cullare,
questo sì. Non per spiare il mondo dall’esterno,
non per guardare senza essere
guardata lei stessa. Anzi, non voleva saperne più
niente…
Si costrinse ad aprire gli occhi. Non doveva essere passato molto
tempo:
dalla finestra semi aperta filtrava un sottile fascio di luce non tanto
intensa
quanto quella che aveva lasciato scivolando nel sonno. Forse era
passato un
giorno, o due. Per quel che la riguardava, poteva anche essere
trascorsa una
settimana, lei non sentiva nessun cambiamento.
Una macchia indistinta si mosse accanto alla finestra e
tutt’a un tratto
la stanza si riempì della luce pomeridiana. Haylie
sbatté le palpebre, ma prima
che potesse mettere a fuoco la figura, questa parlò.
- Haylie…! –
Le bastò per capire che Bill era ancora lì.
Chissà se, mentre lei
dormiva, si era allontanato o le era rimasto accanto.
L’unica cosa che sentì quando il ragazzo
tornò a sedersi accanto al
letto fu l’improvviso bisogno di rimanere desta. La sua
vicinanza contribuì ad
allontanare almeno un po’ il desiderio del sonno perenne.
- …sei già sveglia? –
Voleva anche mettersi a sedere, star lì ferma e ben dritta
di fronte a
lui, le aveva promesso che avrebbero parlato… ma si rese
conto che era ancora
presto per raccogliere le forze necessarie e si limitò a
chiamarlo fievolmente
per nome. – Bill… -
Le parve che un angolo della sua bocca si alzasse.
- Come stai? –
Il suo tono era basso, delicato, e in quel momento Haylie non avrebbe
potuto desiderare di sentire altro. Non aveva bisogno di confusione o
di
rumore.
Avrebbe voluto che qualcuno le cantasse una ninna-nanna per farle
dormire sonni tranquilli, per una volta…
Questo pensiero le riportò in mente il motivo per cui non
avrebbe potuto
rispondere positivamente alla domanda di Bill. Tirò un
profondo respiro,
voltando la testa verso di lui. Nel suo sguardo riuscì solo
a leggere il
pentimento per averle posto quella domanda.
- Uno schifo – rispose sinceramente, a voce ancora
più bassa. Sembrava
che avesse urlato per tre ore consecutive, dal bruciore che e aveva
attanagliato la gola.
Deglutì. Non voleva riportare in mente quel pensiero.
Cercò qualche
parola da mettere insieme pur di non parlare di quello.
– Quanto ho
dormito? – sussurrò, lasciandosi sfuggire un
piccolo colpo di tosse.
- Meno di due ore – Bill non sembrava arrabbiato,
solo… imbarazzato,
ecco. – Ma dopo che… beh… che sei
arrivata qui, non hai aperto gli occhi per un
giorno intero. Ti hanno riempita di sedativi. Ero…
preoccupato da morire –
ammise, con una nota di angoscia negli occhi.
Nonostante le forze ridotte al minimo le impedissero persino di provare
emozioni troppo forti, Haylie sentì un’improvvisa
ondata di tenerezza per lui.
Miracolosamente, riuscì a trovare le energie per tirarsi un
po’ su, con le
spalle sui cuscini.
- Non avresti dovuto – mormorò, chinando la testa.
Bill le prese una
mano e sospirò sorridendo.
- Non dire sciocchezze. Non aspettavo altro che tu ti svegliassi
–
Lei alzò lo sguardo verso di lui, non potendo nascondere un
certo
timore.
- Bill, perché sei qui? – si sentì
chiedergli. – Come fai a… parlarmi
così dopo… dopo tutto…? –
Lui sospirò pesantemente e il sorriso scomparve dalle sue
labbra.
- Haylie, sono successe tante cose. Io ho detto la mia, ma…
ma non ho
ascoltato quello che avevi da dire. Non siamo stati in pochi a
sbagliare – Si
costrinse a mettere su un sorriso, ma ebbe l’impressione di
non risultare molto
convincente. – Anch’io ti devo le mie scuse.
Forse… forse quel giorno, in
camera, non avrei fatto la scena madre se non… insomma, se
non ci fosse stato
anche lui –
Haylie trasalì quando gli sentì pronunciare quel
“lui”. Se avesse
chiamato suo fratello per nome, forse il tutto sarebbe risultato meno
pesante.
- Bill, voi… vi siete visti, avete parlato… vero?
–
La sua domanda risultò simile ad un’accorata
richiesta, una ricerca di
conferme, una supplica, quasi. Ma quando Bill sollevò lo
sguardo fino a
incrociare il suo, sentì le sue speranze disintegrarsi di
colpo.
- No – La sua risposta secca e lapidaria fu come un colpo di
frusta. –
Non mi andava di vederlo, ma pare che anche lui fosse dello stesso
avviso –
Lei sbatté le palpebre, incerta. - Che vuoi dire?
–
Bill la guardò in silenzio per qualche istante prima di
voltarsi e
cercare qualcosa nella tasca posteriore dei suoi jeans. Ne estrasse una
busta
da lettere piegata in quattro, aperta. La spiegò senza
guardarla, e Haylie notò
che all’esterno non vi era scritto nulla, né il
mittente né il destinatario,
sebbene non le riuscisse troppo difficile immaginare da parte di chi
fosse. –
E’ così che Gustav me l’ha
data… - Prese un profondo respiro. –
Tom… -
pronunciò lentamente, a voce più bassa, come se
gli costasse un enorme sforzo,
- non si è più fatto vedere dopo che ti hanno
portata qui. Ha lasciato questa a
Gustav – La fissò per pochi attimi, poi
sollevò nuovamente lo sguardo. – Io non
l’ho letta, e… non so se ho intenzione di farlo
–
La mise lentamente in mano ad Haylie, che lo guardò senza
capire.
- Perché no…? – Lui non rispose, si
limitò ad incrociare le braccia sul
petto. – Bill, perché con me
vuoi scusarti e lui non vuoi neanche
vederlo? –
- Aprila tu – disse seccamente Bill, glissando sulla domanda.
–
Sicuramente è per te –
- Se non la leggi anche tu, puoi buttarla nel cestino –
replicò
fermamente Haylie. Per un attimo, fu come se tutto ruotasse attorno a
quella
lettera, come se esistessero solo lei e Bill, come se
quell’avvenimento
drammatico per cui si trovava ancora in ospedale non fosse mai
esistito. La sua
voce tornò a un tono più basso: - Ti prego.
Voglio che anche tu la legga – Si
bloccò per qualche istante. - …tanto non ho
niente da nasconderti –
Bill la guardò in silenzio per pochi attimi prima di annuire
sospirando.
– Va bene –
Fu con mani tremanti che la ragazza tirò fuori dalla busta
un foglio
ricoperto da una grafia piccola e irregolare.
Ragazzi,
non ho
idea di come dovrei cominciare questa lettera, quindi…
comincio e basta. Non
escludo la possibilità di riempirla dei miei deliri, ma
proverò a scrivere
qualcosa di sensato.
Sento
innanzitutto il bisogno di scusarmi con entrambi. Non ho niente da
offrirvi
oltre alle mie scuse, e spero davvero che le accetterete, ma non
pretendo che
voi mi perdoniate. Sarebbe davvero troppo. Ho fatto molti errori e
poche scelte
sensate, ma penso che, se i miei ultimi capricci da bambino
irresponsabile
hanno superato ogni aspettativa, per una volta sarò anche
certo di aver preso
la decisione giusta.
Prima di
tutte, quella di intestare questa lettera a tutti e due. Non al
fratello che ho
tradito, non alla ragazza che ho amato nel modo sbagliato, ma alla
coppia che
formano e che non dovrà sfaldarsi mai. So che siete entrambi
troppo puliti,
troppo onesti per portarvi rancore. Quello che lo meriterebbe sono io,
ma… beh,
decidete voi cosa pensare di me.
Ma io
preferisco facilitarvi questo compito. Come dire…? Parto, me
ne vado per un
po’, cambio aria. Ora starete scuotendo la testa, alzando gli
occhi al cielo e
pensando che cambierò idea in tre giorni perché
non so neanche badare a me
stesso. Forse avete ragione, ma prima o poi dovrò imparare,
no? , e allora
questo è il momento più adatto per farlo. E ora
devo rivolgermi singolarmente a
ognuno di voi.
Bill,
non ti provare a mettere in giro voci del tipo “i Tokio Hotel
si sono presi una
pausa”, perché tanto lo verrò a sapere.
Tu sei i Tokio Hotel, tu sei la voce, tu sei la
musica. Trovati un altro
chitarrista, oppure fate a meno di me per un po’, ma manda
avanti il gruppo.
Tornerò, non ti credere. E’ che… non so
quando. Per allora spero che tu sarai
lì ad accogliermi… ma forse chiedo troppo.
Haylie:
e tu, non provare a colpevolizzarti. E’ vero, forse avresti
potuto renderti più
forte, ma… chi può dirlo? E’ inutile
stare a cercare un responsabile. In te c’è
una nuova vita, e questo deve bastarti. Adesso ce ne sono due che devi
portare
avanti assieme alla tua: quella di Bill e quella della bambina che
nascerà. Io
avei voluto esserci, Haylie, ma… beh, semplicemente non mi
sembra giusto. E’ il
vostro momento, siete voi che dovete festeggiarlo.
Ti ho
amata, Haylie, e ti amo ancora, ma forse non nel modo che credevamo. Ti
amo
come persona, come amica, come la ragazza che farà felice
mio fratello.
Perdonami Haylie, ma sono sicuro che capirai cosa voglio dire e ti
accorgerai
di pensarla come me. Ti ci vorrà meno tempo di quanto
immagini, credimi. E poi…
amare è gioia, no? E allora devo aver sicuramente sbagliato
qualcosa, perché la
tua gioia non è con me.
Non ho
il diritto di togliere alle persone più importanti della mia
vita ciò che per loro
è importante.
Amatevi,
ragazzi. Magari non scordatevi completamente di me, provate a
considerarmi come
il piccolo impiccio che ha messo alla prova il vostro amore. Ora che
sarò
lontano avrete tutto il tempo di spiegarvi e di parlare.
Sì,
parlare. Davvero, è l’unica cosa che dovete fare,
perché il resto… beh, il
resto ce l’avete già.
Un
abbraccio
Tom
“Dimentica
tutti quei giorni, perché l’amore è
fisico,
gli addio e i ritorni, era una storia che viveva in bilico
un sentimento così forte che spesso passa il limite
non vuoi lasciarlo andare
perché in fondo sai che non ti lascerà.
Dimentica il dolore e forse l’amore ti ripagherà
Dimentica, tu fallo per me
che ancora non so dimenticare te”
(Raf,
“Dimentica”)
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Capitolo 20 *** Epilogo - Superstiti ***
Non
voglio rovinarvi con troppe parole la lettura di
quest’ultimo capitolo. Vi rimando ai ringraziamenti in fondo
alla pagina.
Epilogo
– Superstiti
“Senza
incontrare mai gli sguardi
parliamo a lungo dei tuoi sbagli
di storie in cui hai creduto
e foto che poi hai strappato
e di ferite aperte, di parole sempre le stesse,
dette ma svuotate, perciò dimenticate.
Sai che c’è, c’è che prima o
poi
ti accorgerai che
io sono quello che hai voluto,
che da sempre hai cercato…”
Tutto quello
che venne dopo fu silenzio. Un silenzio insopportabile,
rotto solo dal respiro di Bill, regolare anche se un po’
accelerato. Haylie
ripiegò la lettera, in un movimento quasi meccanico.
- Non si è neanche degnato di dirmelo in faccia –
disse infine Bill, la
voce bassa, metallica.
- Bill… - Haylie lo guardò quasi intimorita.
– Non… non essere così
duro. Non hai letto quello che ti ha scritto? – Le sembrava
quasi inopportuno parlare
così, ma non poteva sopportare l’espressione di
Bill. – Ti ha detto di
continuare con i Tokio Hotel, nonostante tutto… -
- Può scommetterci che continuo –
ribatté aspramente lui. – Prima o poi
smetterà di credere che il mondo ruoti attorno a lui
– Haylie sospirò, mettendo
da parte la lettera, e gli rivolse uno sguardo implorante.
- Bill, ti prego – L’espressione del ragazzo era
risoluta, ma sembrò che
si addolcisse quando i loro sguardi si incontrarono. – Non
dire così. Perché te
la prendi solo con lui? E’ anche colpa mia. Anzi no,
è soprattutto colpa
mia – Bill non disse nulla, si limitò a rivolgerle
uno sguardo che chiunque
avrebbe definito combattuto, ma Haylie non vi prestò
attenzione. – Perché
allora non te la prendi anche con me? Non voglio che… che mi
tratti bene solo
per… - La sua voce si abbassò. Non voleva dire
quella parola, ma si costrinse a
cavarla fuori dalla bocca. - …per pena –
Bill aggrottò le sopracciglia. – Come? –
- Hai capito. Non voglio che tu sia gentile con me solo per quello che
è
successo… per la bambina – Le costò un
enorme sforzo dirlo, ma era
effettivamente quello il dubbio che la tormentava. Per un attimo,
sembrò che i
lineamenti di Bill si indurissero di nuovo.
- Quella bambina l’ho persa anch’io –
disse tra i denti. Haylie deglutì,
incapace di parlare, e chinò la testa. Non sapeva come
chiamare la sensazione
che quelle parole risvegliarono in lei, ma di certo non era nulla di
piacevole.
Quando sentì la mano di Bill sfiorarle una spalla, per un
attimo ebbe la
tentazione di allontanarla, ma il bisogno di un conforto era troppo
intenso per
permetterle di rifiutare quel contatto. – Dio, scusami.
Scusami Haylie, non
volevo dire questo – mormorò lui.
- No, hai ragione – bisbigliò impercettibilmente
Haylie, senza neanche
guardarlo. Subito dopo, le dita di Bill le sfiorarono il mento, per poi
sollevarle la testa, facendo sì che i loro occhi si
incrociassero.
E Haylie non vide più la minima traccia di ira sul suo viso.
- Ti prego, smettila di dire che ho ragione. Non lo sopporto
– Bill si
morse il labbro inferiore. – E non è vero
– Haylie non disse nulla. – E’
che…
ho perso da talmente tanto tempo l’abitudine di parlare
che… quando lo faccio,
dico solo cose sbagliate –
Haylie passò oltre quell’affermazione. Bill non
aveva ancora risposto
alla sua domanda.
- Perché non te la prendi anche con me? –
Aveva quasi paura che Bill venisse colto nuovamente dalla rabbia a
quell’ennesima ripetizione, ma, quando lui la
guardò, nei suoi occhi non riuscì
a leggere altro che il senso di colpa.
- Perché sono io che ho sbagliato tutto. Tu… tu
mi hai solo visto
dall’esterno, ci sei stata male e… e hai cercato
conforto. Tom non ne aveva
bisogno, lui non c’entrava niente in questa situazione
–
Anche a quel proposito avrebbe avuto molto da dire. Tom era suo
fratello.
Ma capì anche che, almeno per il momento, era inutile
insistere. Fu il
resto del breve discorso di Bill a colpirla. Dunque aveva capito che
lei aveva
sofferto per qualcosa. E allora…?
- Come fai a sapere che…? –
Non seppe come continuare la domanda. Bill sospirò
lievemente.
- Haylie, non sono tanto diversi i difetti che mi vengono rimproverati.
E’ vero, sono distratto, sono egocentrico. Ma non sono
completamente stupido. O
meglio… - Si interruppe solo per lasciarsi andare a una
strana risata, una
risata debole e carica di amarezza. - …credevo di non
esserlo. Forse dovrei
rivedere un po’ i miei giudizi a questo proposito –
Lei tacque, in attesa.
- Haylie, tu mi conosci. Io… mi sono sempre sentito
inadatto. In questi
anni non è passato giorno senza che io mi chiedessi se era
davvero questo che volevi. Se
volevi questa
vita, questo mondo… se volevi me. Forse è vero
che ho sempre dato tutto per
scontato, ma… del resto, ci si abitua. Dopo un po’
pensi che tutto ti sia
dovuto. Ma se c’è qualcosa che non ho mai, mai
dato per scontato, era… eri tu,
Haylie –
Adesso avrebbe voluto ribattere, ma, stranamente, le mancavano le
parole.
Si limitò a fissarlo, immobile, le labbra socchiuse, ancora
in attesa.
Poteva leggere di tutto nei suoi gesti: paura di cadere nella
banalità,
di peccare di ipocrisia, e chissà quant’altro. Ma
forse, senza rendersene
conto, Bill non stava facendo altro che dirle quelle parole che Haylie,
inconsapevolmente, aspettava da anche troppo tempo.
- Quando mi hai detto che eri incinta, mi sono sentito così
felice che
per un attimo non ho badato a quel tuo timore nel dirmelo. Era qualcosa
che non
aspettavo, sì, anzi forse era l’ultimo dei miei
pensieri… ma quando me l’hai
detto, mi sono sentito come se non avessi bisogno di altro per essere
felice –
Bill proseguiva a parlare a bassa voce, quasi stesse raccontando una
favola,
una storia inventata. Teneva il capo chino, non osava alzare lo sguardo
per
paura di incontrarne uno carico di odio, di disprezzo. Se solo avesse
visto
quale effettivamente fosse lo sguardo di Haylie, non ci avrebbe messo
molto a
ricredersi. – All’inizio vedevo tutto rose e fiori,
tu sembravi contenta, e
anche gli altri lo erano. Certo, per i primi giorni sono stato preso da
uno
strano timore, come se… se non mi fossi reso ancora
completamente conto di
quello che stava succedendo. Ho cominciato a chiedermi come sarei stato
come
padre, e anche lì… per un attimo, anche se avevo
paura ad ammetterlo, ho
sentito odore di fallimento –
Il tono di Bill si abbassò ulteriormente e Haylie trattenne
il respiro.
- Ero felice. Non avevo idea di come avremmo fatto dopo, ma ero felice.
Perché se lo eri anche tu, voleva dire che… che
mi amavi. Che ti bastavo –
Haylie si sentì punta sul vivo, e tutti i suoi sensi di
colpa le si
rovesciarono addosso come un torrente. Era ovvio che la spiegazione di
Bill non
era terminata, anzi, era appena cominciata, ma a quel punto la ragazza
non
riuscì a frenarsi.
- Bill, io non… - Ma lui la interruppe con un gesto della
mano.
- No, Haylie. Lasciami spiegare. Avrei dovuto farlo molto prima
–
Haylie si zittì, vergognandosi –se possibile-
ancora di più, e Bill
riprese a parlare.
- Ti ricordi di quel giorno, quando tu volevi per forza lavare i piatti
e io non te l’ho permesso? – Ne accennò
come se fosse stato un ricordo molto
lontano, un qualcosa di astratto, quasi. Haylie annuì
lentamente. – Quel
giorno… e non per la prima volta, io… ho avuto
paura che non avrei mai capito
cosa tu volessi davvero. Tu volevi muoverti, e io volevo che tu ti
riposassi.
Tu sentivi il bisogno di stare all’aperto, e io volevo che tu
restassi dentro.
Forse era egoismo, forse era paura… chiamala come vuoi. So
solo che era…
qualcosa di insopportabile. Tutto quello che desideravo era che tu
stessi bene,
ma evidentemente lo desideravo in modo diverso da te. E
questo… non lo
sopportavo –
I mesi passati, i primi giorni di tensione, tutto riaffiorò,
come in un
film, forse a causa di quel tono nostalgico e malinconico che riempiva
il vuoto
di quella stanza…
- Avevo una paura folle di sbagliare, di rovinare tutto, di perderti.
Mi
dicevo che era un’esagerazione, ma poi… Poi un
giorno mi hai detto che niente è
sottinteso. Me lo ricordo come se fosse ieri. Credevi che io quel
bambino non
lo volessi, che io non capii perché… Ero stato
anche troppo assillante perché
tu potessi avere questo dubbio. Ed è stato lì che
non ho più avuto paura di
sbagliare. Ormai ne ero certo –
Era come se lo stesse vedendo morire lentamente davanti ai suoi occhi,
sotto le sue stesse mani, per una seconda volta…
- Quel periodo sarebbe stato il più bello della mia vita, e
volevo che
fosse così anche per te. Volevo che tu ti sentissi felice,
libera, tranquilla,
e invece… non riuscivo a vederti così. Era come
se tu covassi qualcosa, un
segreto che ti logorava dentro. Ogni tanto dovevo assentarmi, ma questo
è
successo così tante volte che non pensavo sarebbe stato un
problema… Anche
perché avevo preso la mia decisione. Se non fossi riuscito a
capire e
accontentare i tuoi desideri, io… beh, mi sarei messo da
parte. Era questo che pensavo,
che tu volessi goderti questo momento, senza che io ti mettessi ansia
addosso
con la mia iper protezione. Non volevo che tu ti rovinassi la gioia
dell’attesa… -
Ci fa una breve pausa, e lei si sarebbe messa a urlare. Era davvero
l’unica cosa che l’istinto le suggerisse…
- Però mi mancavi. Avrei voluto passare tutto il giorno
accanto a te,
avrei mandato al diavolo tutte le interviste, tutti i
concerti… alla fine non
era quello che mi importava. Tutto quello che volevo era vederti
sorridere, ma
questo capitava sempre più raramente, e io… mi
disperavo, perché ancora una
volta non riuscivo a interpretare i tuoi pensieri. Eri distante, ogni
tanto mi
sembrava che tutto fosse tornato come prima… e invece non
era così. Non
desideravo altro che entrare nella tua testa e leggerti nel pensiero,
perché
non sapevo in che altro modo avrei potuto… capire. Avevo
quasi paura di
toccarti, perché non sapevo che reazione avresti avuto.
Sembravi ogni giorno
più triste e io ancora non capivo. Le notti in cui sono
rimasto sveglio a
rimuginare le avrei passate a fare l’amore con te,
ma… più ti vedevo lontana,
più mi riusciva difficile fare un passo avanti. Mi chiedevo
cosa potessi fare,
ma non trovavo mai risposta. Ho chiesto aiuto, ho cercato
conforto… -
Ti
prego, dillo. Pronuncia quel nome. Dì che gli
vuoi bene…
- …e ho pure creduto che bastasse. Ma non ce l’ho
fatta. E poi… quando
mi hai detto che… quando mi hai raccontato quello che era
successo, io… non ho
fatto altro che pensare che era vero, che avevo sbagliato tutto -
E
allora dì che mi odi. Dì che ci odi tutti e due.
Bill seppellì il viso tra le mani e fu scosso da un tremito.
Haylie non
riuscì a muovere un muscolo.
L’unico gesto che le riuscì di compiere fu quello
di sbattere le
palpebre e biascicare un debole:
- Perché non mi hai detto niente? –
- Io avevo paura… una fottuta paura di perderti…
- La voce di Bill era
già diversa, incrinata. Le mani gli tremavano leggermente, e
il suo viso rimase
nascosto tra le dita. – E mi sono accontentato… di
averti accanto senza dirti…
senza spiegarti il motivo… che se mi sono allontanato, era
perché credevo
l’avessi fatto tu, e… - Bill alzò la
testa di qualche centimetro, e Haylie si
sentì morire quando vide quella terribile desolazione, quel
vuoto riempire i
suoi occhi. - …ed è bastata una semplice
dimenticanza… una distrazione… per
farti credere che non me ne importasse nulla di te –
E ricordò. Un’ecografia… un impegno
passato di mente. Cosa poteva
importarle del sesso della creatura che aveva portato dentro per mesi?
Ormai
l’aveva persa per sempre.
Haylie si morse le labbra, quasi lacerandosi la carne con i denti. Non
le importava. Anzi no, se si fosse ferita sarebbe stato anche meglio,
dopo
quello che era stata costretta a sentire. – E se sei arrivata
a credere questo
vuol dire che… che devo aver sbagliato per forza,
perché… perché anche se non
sono riuscito a dimostrartelo, tu sei sempre stata la persona
più importante
della mia vita! – gemette Bill, nascondendo
un’altra volta il viso tra le mani,
mentre le sue spalle venivano scosse da un sussulto e la sua voce si
spezzava
in un singhiozzo.
Per pochi, infiniti attimi, Haylie non seppe cosa fare né
cosa dire.
Aveva paura che, se avesse compiuto un qualsiasi gesto o pronunciato
una
sola parola, poi l’avrebbe visto definitivamente annientato,
distrutto. Ucciso
dai suoi errori e dai suoi capricci.
Poi l’istinto le suggerì di compiere quel semplice
e forse inutile gesto
che in quei mesi non aveva mai pensato di fare.
Lo abbracciò. Lo strinse a sé con delicatezza,
tremando, con paura. Paura
che la respingesse. Ma poi lo sentì chinare la testa e
abbandonarsi a un pianto
convulso, nascondendo il viso nel suo seno, lo sentì
aggrapparsi a lei e allora
niente ebbe più senso che stringerlo forte e assorbire il
suo dolore.
Posò le labbra sui suoi capelli, sentendolo sussultare.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma, ancora una volta, le parole non
uscirono fuori. E lei le odiò. Tutte le cose non dette,
tutte le parole
lasciate in sospeso che, giorno dopo giorno, li avevano lentamente
annientati.
Gli accarezzò dolcemente i capelli quando sentì i
suoi singhiozzi
diminuire, e aspettò che la sua testa si alzasse di poco per
prendergli l viso
tra le mani e incontrare il suo sguardo.
Era un bambino. Un bambino con gli occhi rossi e il respiro affannoso,
un bambino dai sogni dispersi.
- E’ stata… tutta colpa mia – disse con
la voce arrochita dal pianto. E
lei non sopportò di sentirglielo dire ancora.
- Non è vero, Bill, non è stata colpa tua
– Cercò di sorridergli,
scostandogli una ciocca di capelli dal viso.
- Anche Tom mi aveva detto così… e invece non era
vero. Non era vero
niente –
- Tom era distrutto dal senso di colpa nei tuoi confronti. E lo era
perché io non ho saputo dargli altro che rabbia, e
risentimento… - Bill la
guardò in silenzio per qualche secondo, poi la sua voce si
levò come un alito
di vento.
- Eri felice con lui? – Lo chiese a voce bassa, come se
neanche lui
volesse sentirsi. Haylie deglutì. Ormai non gli avrebbe
più mentito.
- No, perché credevo di aver perso te – Le mani di
Bill si chiusero sui
suoi piccoli pugni, stringendoli con delicatezza. – Forse
all’inizio ho pensato
di vedere te in lui, ma non era così. Non ho fatto altro che
renderlo infelice
– Bill tirò su col naso, ma quell’ultima
frase non risvegliò in lui nessuna
emozione.
- Non voglio più vederlo – mormorò,
asciugandosi gli occhi con il dorso
della mano. Per Haylie fu come un pugno. Non importava più
cosa potessero
pensare di lei, voleva solo che si abbracciassero.
- Non dire così – lo supplicò, ma Bill
non rispose, seguitando a fissare
il pavimento. Haylie mandò giù il nodo che le si
era formato in gola.
- Se ci fossimo detti tutto quello che c’era da
dire… questo non
sarebbe successo – Bill si strinse il busto tra le braccia,
come se sentisse
freddo. – E ora è troppo tardi – Haylie
fu colta da un improvviso senso di
terrore nel sentirlo parlare così.
- Perché? – Bill alzò la testa e la
guardò. Le bastò quel semplice gesto
per farle girare lo stomaco.
- Cosa senti… adesso… verso di me? – le
chiese lentamente. Haylie esitò
prima di rispondere.
- Rimorso – disse infine. – E senso di
colpa… e rabbia, per quello che
ho fatto… - Tacque per qualche istante. – E tu?
–
- Lo stesso, credo – Bill si torturò le unghie con
i denti per qualche
istante. – Avrei voluto dirti così tante
cose… -
La presa di Haylie sulle sue dita si rafforzò
istintivamente. – Dimmele
adesso –
- Penso di poterle riassumere in una parola – Bill
esitò. – Io… oh, mi sento pure stupido
a dirlo, ma è la verità. Ti amo, Haylie. Ti
amo... più di quanto tu immagini –
Quel ti amo sottinteso, che lo era stato per mesi, impedendole di
dormire la notte, ora se l’era ritrovato davanti. E non ci
volle molto per
capire che quelle erano le uniche parole che aspettava.
Non ebbe il tempo di rispondere, perché Bill prese
nuovamente la parola,
se possibile con ancor più timidezza. –
Tu… mi ami, Haylie? – Ci fu una breve
pausa. Bill interpretò il suo silenzio nel modo sbagliato.
– Non sei costretta
a dirmi niente. Io voglio solo… che tu sia sincera
–
Quel silenzio non era dettato dall’indecisione. Era solo un
confuso
ricordare, un’assemblare immagini che andavano pian piano a
definirsi meglio.
Aveva già sentito quella domanda, e non aveva risposto. Da
lì era cominciato
tutto. O meglio, tutto aveva cominciato a finire.
Se solo si fosse sentita sicura, prima.
Se solo si fosse sentita sicura come lo era adesso.
- Sì, Bill. Ti amo –
Lui sbatté le palpebre, incerto. Sembrò che fosse
incredulo, che
cercasse qualcosa di più nei suoi occhi. Mai come allora
Haylie aveva sentito
il bisogno di donargli sicurezza, una certezza data dal cuore.
- Ti amo. Ho bisogno di te, Bill, e mi odio per quello che ho fatto
passare a tutti prima di riuscire a dirtelo… a far
sì che tu mi creda – Lui
rimase in silenzio, e Haylie sentì il bisogno di riempire
quel vuoto.
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
Lo baciò come non faceva da mesi che si erano lentamente
trasformati in
un’eternità.
Solo poche ore prima lo avrebbe pensato come un insulto nei confronti
della bambina che aveva lasciato quel mondo ancor prima di entrarvi. Ma
in
fondo… era anche a lei che lo doveva.
Si rese conto di quanto le fosse mancato solo quando le loro labbra si
separarono, ma quella volta fu Bill a riempire il vuoto. –
Oh, Haylie… -
sospirò, intrecciando le dita dietro la sua schiena e
annullando la piccola
distanza che si era creata fra loro.
Non sapeva come fosse possibile, ma era successo. Si erano allontanati
per il troppo bisogno di sentirsi vicini. Avevano messo da parte i
ricordi più
belli per paura di dimenticare quelli che avrebbero dovuto accantonare
davvero.
Si erano persi solo per potersi ritrovare.
Anche quando si staccarono, Haylie si trovò a desiderare che
la mano di
Bill non si allontanasse mai dalla sua guancia.
- Promettimi che non dovremo più arrivare a questo punto per
ricordarci
quello di cui abbiamo bisogno – sussurrò lui,
socchiudendo gli occhi e
sfiorandole il viso con le dita. Haylie posò una mano sulla
sua.
Lui non le aveva mai chiesto niente. Non meritava che lei mancasse
ancora una volta a quella promessa.
- Te lo giuro – Rimase in silenzio per qualche istante.
– E tu
puoi promettermi che parlerai con Tom? – Forse era troppo
metterlo davanti a quell'interrogativo, dopo tutto ciò che
era successo, ma non poté farne a meno.
Bill sospirò, chinando la testa.
- Scusami, Haylie. Non credo di poterlo promettere – Fece una
pausa. – E poi è
stato lui ad andarsene –
La ragazza inclinò la testa di lato fino a incrociare il suo
sguardo.
- Solo per far sì che noi potessimo parlare,
ritrovarci… -
Bill rialzò lentamente la testa e, per la prima volta in
quella
giornata, Haylie vide le sue labbra incresparsi in un lieve sorriso.
- Ma noi l’abbiamo già fatto, vero? –
Nonostante tutto, non riuscì a non ricambiare il sorriso. Le sembrò
persino strano, perché fino a poche
ore prima non avrebbe nemmeno potuto immaginare di sorridere.
Ma doveva iniziare a farlo. Per sé stessa, e per lui. Per
tutto il tempo
che avevano davanti.
- Certo – mormorò, lasciando che lui le stringesse
una mano.
Non riuscì a rattristarsi per quella risposta affermativa
che lui non si
era sentito di darle. Non riuscì a insistere
un’altra volta perché,
improvvisamente, le sembrò di avere tutto quello di cui
aveva bisogno: lui.
In fondo, ne avrebbero avuto di tempo, per parlare…
“Sai
non voglio, non pretendo
cose che non mi vuoi dare
non so dire frasi fatte
per un letto da disfare che
poi non ti è rimasto niente,
é solo che io ero già nel tuo futuro,
nel passato nel presente.
Sono qui per farti credere ai miracoli
sono qui per sovvertire i pronostici
l’amore è una marea, come distrugge crea
e tu non puoi respingermi,
lo sanno anche gli angeli.
Sono qui e adesso son venuto a prenderti
sono qui se non mi riconosci guardami
mi amavi già, ora lo sai, non finirà mai
di una specie estinta noi,
unici due superstiti.”
(Raf,
“Superstiti”)
…
Sorrise,
guardando il paesaggio rimpicciolirsi lentamente, accompagnato
dal rombo del motore.
Le parole che aveva impresso su carta gli ronzavano ancora in testa.
Chissà, forse un giorno ci avrebbe creduto anche lui.
Ebbene sì,
la fine è giunta!
Non vi è
piaciuta? Vi ha commosso? Vi ha lasciate perplesse? Qualunque sia il
vostro
giudizio, non trattenetevi dal farmelo sapere. Anche chi ha messo la
storia tra
i preferiti senza mai commentare.
E’ un
finale che non avevo programmato, questo sì. Avevo pensato a
tutt’altra
situazione, quasi un trionfo del non-amore, ma… mi sono resa
conto che era
giusto così. Ho voluto fare un piccolo dispetto a questi
miei personaggi che mi
hanno messo continuamente alla prova: all’inizio erano loro a
non parlare, ora
sono io a non dire nulla. Lascio la parola a loro, voglio che siano
loro stessi
a spiegarvi i motivi delle loro scelte.
Scusatemi
ragazze, scusatemi davvero, ma, per questa volta, mi risparmio i
ringraziamenti
ad personam. Ho troppa paura di
dimenticare qualcuno, o di non rivolgere a ognuno i dovuti
ringraziamenti (e li
meritate tutti). Ringrazio le 30 persone che hanno aggiunto la mia fic
alle
loro “hit parade”, i 7 che mi hanno inserita tra
gli autori preferiti, le
affezionate che mi hanno sempre accompagnata con i loro consigli e
complimenti,
oltre ai tanti che hanno letto senza lasciare traccia. Tengo molto a
questa
storia, e in particolare al “mio” Bill, in cui ho
involontariamente messo un
po’ di me. Sviluppare gli avvenimenti e la psicologia dei
personaggi mi ha
aiutata molto sia nella scrittura che nella vita. Sì,
è vero, ho sempre avuto
una predilezione per Tom, ma… ho cercato di rendere i miei
personaggi quanto
più umani possibile. Spero davvero di esserci riuscita.
Però, ora
ci sono altre due “categorie” da ringraziare:
coloro
che, anche se da lontano, mi hanno ispirata, e cioè il mio
amato Raf, i cui
brani scandiscono le mie giornate, e i gemelli Kaulitz che, per quanto
io non
li conosca, mi hanno offerto uno spunto interessante. Non li immagino
affatto
come li ho descritti, soprattutto Bill, ma mi piace immaginarmeli
così (e
probabilmente non avrò mai il piacere di essere dissuasa da
queste mie
convinzioni).
Poi c’è
chi merita un ringraziamento più
“sentito”. Grazie a mia madre e mia nonna, che
hanno letto questa storia in anteprima e mi hanno incoraggiata ad
andare
avanti, pur non senza qualche sano suggerimento per migliorare. Grazie a Chiara che ha letto la mia fic con un po' di ritardo e (a quanto dice ;) ) l'ha amata, e grazie anche per avermi promesso la lattura del suo racconto. Grazie
a Elisa
che si è sorbita una storia in cui non è stato
presente un solo personaggio che
lei amasse ( XD ), grazie a Valeria che chissà quando
commenterà!, per
sopportarmi continuamente, regalarmi giornate indimenticabili e per
aver
aspettato pazientemente che io finissi questa storia, prima di leggerla
(e soprattutto
per aver goduto segretamente delle angherie appioppate al suo povero
Billino…).
Siete
state tutte indispensabili e mi mancheranno un sacco i piccoli stacchi
alla
giornata per controllare i nuovi commenti e le aggiunte ai preferiti.
Durante
l’estate sarò sprovvista di Internet, ma
comincerò a lavorare a un piccolo
“regalo” per voi: a
settembre tornerò
con “Di pioggia e di sole”, il seguito di
“Dimentica”! Spero di ritrovarvi
tutte e di non deludervi mai! Un bacio!!!!
Vittoria
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