Fedeli, fino alla morte (interrotta) di stellabrilla (/viewuser.php?uid=40922)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitoli I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 1 *** Capitoli I ***
Notte fonda, e luna nuova.
Gli uomini erano appostati. Il piano definito nei minimi particolari.
Le condizioni ottimali. Ognuno sapeva esattamente cosa fare.
Non c’era nulla che potesse andare storto... Nulla
oltre, ovviamente, qualche imprevisto.
Perchè la natura umana è imprevedibile, si sa.
Eppure a volte è imprevedibile al di la di ciò
che si riterrebbe lecito. E questo fu ciò che scoprì a sue spese l’Agente Speciale Dinozzo, quella notte.
Se ne stavano nascosti da quasi tre ore in un vecchio stabile abbandonato.
L’adrenalina che all’inizio lo aveva tenuto sveglio
si stava esaurendo. Erano le due del mattino e aveva una fame terribile.
Al suo fianco Ziva era immobile e tranquilla nemmeno fosse nel salotto di casa sua,
sdraiata sul divano. Come faceva poi... con quel freddo e
l’umidità che penetrava fin nelle ossa.
Stavano aspettando dei trafficanti di armi. Avevano ricevuto una
soffiata tre giorni prima, che li aveva informati su dove e su quando
sarebbe avvenuta la transazione.
Una partita sostanziosa, a quanto pareva, armi di grosso calibro che
lasciavano il paese per finire negli stati Arabi.
Tony si guardò attorno per l’ennesima volta.
Niente di anormale, nessuno in vista, neanche il più piccolo
movimento. Già da un po’ si stava convincendo che
la soffiata doveva essere sbagliata. Magari uno scherzo di qualcuno con un pessimo senso
dell’umorismo. Eppure... Gibbs ci aveva creduto. E il fiuto
di Gibbs non sbagliava mai (a meno che non si parlasse di donne, ovviamente).
-Che ore sono?- chiese per l’ennesima volta a Ziva. E per
l’ennesima volta lei guardò l’orologio.
-Sono passati dieci minuti esatti da quando me lo hai chiesto
l’ultima volta- rispose lei spazientita.
Lui sospirò -Secondo quello che ha detto
l’informatore la consegna avrebbe dovuto avere luogo almeno
un’ora fa. E’ ovvio che ormai non si faranno
più vivi.-
Ziva si nosse debolmente a fianco a lui, era appena una forma
nell’oscurità.
-Se ti sei bollito chiedi il permesso a Gibbs di tornare a casa- e gli
allungò un walki-talki.
A Tony non sfiorò nemmeno l’idea di prenderlo -Sì, bell’idea. Così prima mi spara, e poi mi
licenzia. E comunque si dice “stufato”, non
“bollito”.-
Tornò a scrutare il piazzale sotto l'edificio abbandonato -Mi sto congelando.-
Ziva prese un termos che aveva vicino a se e gli versò un
bicchiere di liquido scuro. Tony lo prese e ne bevve un sorso, ma ormai
il caffè era quasi freddo.
Passò un’altra mezz’ora e ancora non si
vedeva nessuno. Ad un tratto la voce di Gibbs risuonò nei
loro auricolari.
-C’è movimento.-
-Si, lo vediamo- rispore Ziva.
Un grosso camion scuro era appena entrato dal cancello dello
stabilimento abbandonato. Dietro di esso due macchine e una moto.
Dalla loro postazione, dietro un mucchio di barili metallici, i due
agenti dell Ncis si tesero e impugnarono i fucili. C’erano
due squadre di federali sparpagliate in tutta la zona, per un totale di
otto elemeni. Ma Tony si rese conto che sarebbero bastati appena.
Guardò gli uomini scendere dai veicoli. Tre dal camion, sei
dalle macchine più il motociclista. Dieci. Tutti
pesantemente armati.
Tre degli uomini scesi dalle macchine rimasero in disparte, gli altri
tre si avvicinarono a quelli scesi dal camion. Il motociclista si
guardava attorno, imbracciando un fucile di grosso calibro, un M16
probabilmente. Tony notò che non si era levato il casco. Lui
e Ziva erano in una posizione sopraelevata rispetto al piazzale dove si
stava svolgendo lo scambio. Avevano una visuale ampia e libera per
diverse centinaia di metri tutt’intorno.
La voce di Gibbs tornò a risuonare nelle loro teste. -A
tutti gli agenti, iniziare la manovra di avvicinamento. Dinozzo, David,
voi mantenete la posizione fino al segnale. Ricordate che è
essenziale prenderli vivi.-
Appena Gibbs ebbe terminato la frase accaddero molte cose.
Il motociclista mandò un grido di allarme. Gli uomini del
camion imbracciarono le armi, quelli delle macchine fecero lo stesso.
Solo che cominciarono a sparasi tra di loro! Evidentemente credevano di
essere caduti gli uni nella trappola degli altri. In men che non si
dica tutti i trafficanti erano a terra. Solo il motociclista non era stato
colpito e si mise a correre verso il suo mezzo, che aveva lasciato a
una ventina di metri di distanza.
-Capo!- gridò Tony -Il motociclista scappa, ce
l’ho sotto tiro.-
-Negativo Tony. Le uscite sono bloccate, non può scappare.- Gli rispose Gibbs.
Ma il motociclista non si dirigeva verso l’uscita. Forse
aveva una via di fuga a loro ignota? Non potevano assolutamente
pernettersi di lasciarlo scappare.
-Gli sparo alle gomme!-
-Negativo Dinozzo. Troppo rischioso. Ci serve vivo.-
Ancora cinque secondi e sarebbe uscito dalla sua visuale.
-Alle gomme!-
-No, Tony!-
Ma a Tony l’istinto diceva sì.
Sparò.
Il colpo centrò in pieno la ruota posteriore della moto
facendola sbandare e cadere. Il motociclista fu sbalzato via, ma si
alzò in un paio di secondi, tenendosi un braccio.
Un sorrisò si stampò sul viso
dell’Agente Speciale Dinozzo, grande da un orecchio
all’altro. Stava per dire qualcosa a Ziva quando...
La testa
del motociclista esplose.
Volò per aria con tutto il casco, staccandosi dal corpo che
stramazzò a terra, esanime.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
- Parte II -
Svegliandosi quella mattina, dopo tre ore scarse di sonno, Antony
Dinozzo pregò che gli avvenimenti della sera precendente
fossero stati un terribile incubo. Purtroppo si rese subito conto che non era così.
Era accaduto tutto esattamente come si ricordava, e valutò
svariate volte, mentre si preparava, l’idea di disertare il
lavoro. Nonché l’idea di cambiare nome ed emigrare in Groenlandia.
Ma sapeva che ritardare l’inevitabile sarebbe servito
solo a peggiorare le cose. Quindi uscì di casa e prese la
macchina come ogni giorno.
Per la prima volta nella sua carriera arrivò nel parcheggio
della sede dell’ Ncis con quindici minuti di anticipo.
Quindici minuti che passò seduto in macchina, con le mani
sul volante. Senza che riuscisse a decidersi a scendere.
Ripensava alla notte precedente. Al suo dito sul grilletto. Al rumore dello sparo. Alla testa
che saltava in aria. Ma, soprattutto, pensava alla reazione del suo Capo. Aveva
creduto che sarebbe stato furioso, che gli avrebbe urlato contro, che
gli avrebbe dato danti di quegli scappellotti da tramortirlo... e
invece niente. Gibbs non gli aveva detto niente. Non lo aveva nemmeno
guardato quando li aveva rimandati a casa.
Ed era proprio questo che sconvolgeva Tony: la mancanza di reazione.
Non se la spiegava.
Era abituato agli eccessi di collera, alle urla... quelli li poteva
gestire. Gli facevano paura (dovette ammettere a se stesso) ma ci era
abituato.
Alla fine si fece coraggio e raggiunse l’ascensore.
Scartò l’idea di portargli il solito
caffè come offerta di pace: con ogni probabilità
Gibbs glielo avrebbe rovesciato sulla testa.
Le sue viscere si contrassero quando l’ascensore si
fermò. Respirò a fondo ed uscì.
Al piano degli uffici regnava un insolito silenzio... come se tutti
parlassero a bassa voce quella mattina. Cosa che non prometteva niente
di buono.
Raggiunse la sua postazione e tirò un momentaneo sospiro di
sollievo, quando vide che Gibbs non c’era. C’erano
invece sia Ziva che McGee, ed entrambi lo guardarono come se non si
aspettassero di vederlo li quella mattina.
-Non credevo che avresti avuto il coraggio di presentarti al lavoro
stamattina.- Fu la frase con cui lo accolse Ziva.
-Buon giorno anche a te, Agente David. Dov’è
Gibbs?-
-Fortunatamente per te è in riunione con il Direttore.- gli
rispose McGee
-Non mi pare di averlo domandato a te Pivello.- Ma subito il suo tono
si trasformò da aggressivo a dubbioso. -Quanto è
nero da uno a dieci?-
-Quindici direi.-
-Già, lo immaginavo.- Stava per sedersi dietro la sua
scrivania, quando un allarmatissimo -No!!- dei suoi colleghi lo
fermò.
-Che c’è?!- chiese sbigottito.
-Devi andare in bagno?- gli chiese Ziva ansiosa.
-Hai fame? Sete?- Gli chiese McGee agitato.
Tony li guardò entrambi allarmato -Ok, adesso spiegatemi
che succede.-
-Gibbs ha lasciato degli ordini per te,- spiegò Tim -ha
detto che non appena fossi arrivato (sempre che tu fossi arrivato),
dovevi piazzare il fondoschiena su quella sedia (Bè, in
realtà l’espressione che ha usato non era proprio
fondoschiena, ma... ok, non divago) e non lasciarla per NESSUNA
ragione al mondo... Fino a nuovo ordine.-
-Inoltre- aggiunse Ziva -Hai il divieto assoluto di accendere il tuo terminale e di produrre qualsiasi tipo di suono. Se non vuoi fare la
fine del suo computer...-
Tony deglutì -perché, cosa è successo
al suo computer? -
McGee indicò la scrivania di Gibbs -Ha fracassato lo
schermo con un pugno stamattina, perché si era bloccato. Si
è anche tagliato con una scheggia di vetro. Duky ha dovuto
mettergli dei punti.-
Quella, si disse Tony, sarebbe stata la peggiore giornata di tutta la
sua vita. “Divieto di alzarsi, di parlare, di fare rumore...
Peggio di quando stavo in collegio” pensò
sconsolato. Ma decise di arrendersi al suo destino.
Si sedette. Almeno aveva avuto il permesso di tenere la sedia. Una
volta McGee era dovuto rimanere in ginocchio davandi al computer per
tutta la mattina, perchè Gibbs credeva che non
“avesse il diritto di star seduto”. Fu quella volta
in cui un ex fidanzato di Abby la molestava, ricordò.
I suoi pensieri furono interrotti bruscamente dall’arrivo del
Capo, che si sedette alla sua scrivania senza guardare nessuno. Un
pesante silenzio piombò tra le quattro scrivanie, perfino la
tastiera di McGee sembrava avesse il silenziatore.
Ognuno era intento la proprio lavoro, senza la solita interazione,
senza i soliti scherzi.
Dopo un ora, che parvero dieci, squillò il telefono di Gibbs. Appena ebbe riattaccato si alzò -Era Ducky,- disse
asciutto -ha terminato l’autopsia del motociclista.- e
senza aggiungere altro si avviò verso l’ascensore.
Timothy e Ziva si guardarono, poi guardarono Tony e si alzarono per
seguirlo.
L’agente Dinozzo rimase da solo con il ronzio dei
computers... avrebbe dato qualsiasi cosa per andare con loro e scoprire
cosa aveva trovato il Dr. Mallard.
****
Gibbs e gli altri due agenti vennero accolti da un Ducky molto agitato.
-Oh, mio caro Jethro, vieni. Ho trovato qualcosa di veramente
sconcertante. In tanti anni che disseziono cadaveri non mi era mai
capitato di vedere qualcosa di simile!-
Si avvicinò al tavolo di metallo su cui era disteso un uomo
di altezza media, con la carnagione che doveva
essere stata molto scura. Aveva un corpo statuario, con i muscoli
definiti di un atleta.
-Ecco Jethro, guarda.- Mostrò le mani del cadavere -le
dita e i palmi delle mani di quest’uomo sono prive di impronte digitali. Come se
le avesse immerse in un qualche tipo di soluzione acida per cancellarle. Anche le
piante dei piedi hanno subito la stessa sorte. I denti. -si diresse
alle lastre che erano appese alla parete illuminata -I denti sono
stati modificati con un intervento molto sofisticato e hanno una
conformazione che non avevo mai visto in un essere umano. Chiunque sia,
si sono dati un bel dafare per impedire che venisse identificato.-
-E cosa mi dici della causa della morte. Perché la sua
testa è esplosa?- Chiese Gibbs con un tono indecifrabile.
-Ecco, questa è la parte più strana e
più interessante della faccenda. Guarda questo.- Porse
a Gibbs una vaschetta di alluminio in cui era contenuto
quello che sembrava un anello di metallo chirurgico.
-Quest’oggetto,- riprese il medico legale -era inserito
attorno alla colonna vertebrale del cadavere. Sulla settima vertebra
cervicale, per la precisione. Detta anche vertebra prominente,
poiché molto evidente alla palpazione. In ogni caso il mio
sospetto è che quel congegno fosse stato messo lì per tenere
ferma una carica esplosiva. Questo spiegherebbe perché la
testa è saltata via così nettamente dal resto del
corpo.-
-Sta dicendo che quel tipo aveva un meccanismo di autodistruzione
incorporato, Dottore?- Intervenne
McGee. Ma si pentì subito di aver aperto bocca, quando Gibbs
lo fulminò con un’occhiata assassina.
-In effetti, Timothy, la conclusione a cui sono arrivato non
è molto discostante dalla tua.-
-Questo significa,- intervenne Ziva -Che forse sarebbe esploso
comunque, e che non è colpa di Tony.-
Gibbs si voltò di scatto a guardarla -E’inutile
che tenti di difenderlo Ziva David. L’Agente Dinozzo ha
volontariamente e deliberatamente disobbedito ad un mio ordine diretto.
E questa è una cosa che io non posso tollerare da uno miei
uomini. Se fossimo stati nell’esercito l’avrei
amdato alla corte marziale!- Parve riacquistare il controllo. -Dottore, manda ad Abby tutti i residui di questa presunta carica
esplosiva. Voglio vederci chiaro.- Uscì di corsa
dall’obitorio, seguito a ruota dai suoi sottoposti.
****
Tony si era messo, nel frattempo, a rivedere alcuni rapporti. Compito
che detestava, ma non aveva altro da fare, quindi...
Era intento a leggere, quando vide con la coda dell’occhio
Gibbs che letteralemente marciava verso di lui. Cercò di
fare finta di niente, continuando a leggere il fascicolo che aveva tra
le mani. Ci riuscì fino a quando il Capo non
assestò un calcio portentoso contro la sua scrivania. Tony
scattò in piedi, -Sì, Capo!- disse d’istinto,
poi, ricordandosi degli ordini ricevuti, si risedette immediatamente.
Gibbs si chinò su di lui -Con me. Ora!- Sibilò.
E si diresse all’ascensore senza nemmeno girarsi a
controllare che Tony lo stesse seguendo.
Ziva e McGee arrivarono giusto in tempo per vedere una manica della
camicia di Tony e le porte dell’ascensore che si chiudevano.
Si guardarono.
-Credi che Tony ne uscirà vivo?- Domandò Tim
alla collega.
-Devo essere sincera? Non credo. Non avevo mai visto Gibbs
così infuriato. Nemmeno con Tony. Secondo me se non gli spara
lo ammazza a suon di scappellotti.–
Si andarono a sedere. Non gli restava che attendere.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
- Parte III -
L’ascensore si bloccò quando Gibbs fece scattare
la levetta. Si accesero le luci di emergenza.
Mai come quel giorno a Tony parve che quel cubo di alluminio fosse una
trappola claustrofobica.
Stava appoggiato con la schiena a uno dei corrimano. In attesa che il
suo Capo dicesse qualcosa.
Non sapeva dove indirizzare lo sguardo. Era a disagio. Molto a disagio.
Eppure, una cosa strana, di cui si rese conto solo in quel momento, era
che non sentiva alcuna necessità di chiedere scusa. Un
pò perchè conoscendo Gibbs, quella sarebbe stata
una mossa più che sbagliata. Ma soprattutto
perché, in realtà, non si sentiva di doverlo
fare. Era convinto di aver agito nella maniera giusta, sparando quel
colpo. Certo non era fiero di aver disobbedito ad un ordine del suo
Capo. Anzi, quel pensiero gli era insopportabile, lo faceva stare quasi male. Ma la
verità era che Tony sapeva di aver seguito il suo istinto, e che il suo istinto era stato giusto.
Quindi tecnicamente aveva fatto una cosa sbagliata e giusta allo stesso
tempo. Disobbedire, ma seguendo l’istinto. Magari le due cose
si annullavano a vicenda... No, eh?
Passò quasi un minuto prima che Gibbs i secidesse a parlare.
Gli si piazzò di fronte e lo guardò fisso negli
occhi. Tony ricambiò lo sguardo per qualche istante. Occhi
verdi in quelli azzurri.
Ma era troppo. Quello sguardo era duro, carico di rimprovero, di rabbia e... si,
di delusione. Avrebbe preferito farsi sparare piuttosto che dover
sopportare quello sguardo. Abbassò gli occhi fino a terra.
- Vuoi dirmi cosa ti è passato per la testa? - Il primo
scappellotto, piuttosto violento, arrivò a segno.
Gibbs stava trattenendosi dal gridare, aveva la mascella talmente
contratta che quasi gli scricchiolavano i denti.
- Di tutte le persone. Di tutti gli agenti. Tu sei l’ultimo
da cui mi sarei aspettato un comportamento simile! E tu dovresti essere
il mio Agente Anziano? Tu, che agisci senza riflettere. Che ignori i
miei ordini. Non so che farmene di uno come te!
- Io ho bisogno di la vorare con persone di cui so di potermi fidare.
Con persone che non decidono di agire di testa propria in un momento
critico, mettendo a repentaglio la vita dei compagni! Dammi una sola
buona ragione per cui non ti dovrei sbattere fuori a calci, Diozzo.
Dammene una sola. -
Tony si contrasse, e strinse gli occhi, pronto a ricevere un secondo
colpo. Ma per il momento evidentemente non doveva arrivare.
Aveva subìto la paternale a capo chino, ma adesso era
fermamente intenzionato a difendersi. Anche se non era facile, con
Gibbs che incombeva su di lui.
- Senti Capo, lo so di aver sbagliato. Ho fatto di testa mia,
è vero. Ma non è stato un gesto dettato
dall’impulso. Questo te lo posso giurare. Ho riflettuto prima
di sparare. Ero convinto che fosse la cosa giusta da fare. Tu non avevi
la stessa visuale che avevo io. Non eri li con me. Ero convinto che
quel tizio conoscesse un’uscita che noi ignoravamo. Sarebbe
stato meglio se fosse scappato? Non credo. Il mio istinto mi diceva che
dovevo fermarlo. E sei stato proprio tu ad insegnarmi che bisogna
seguire l’istinto. Io non so perchè la testa di
quel tizio sia esplosa come un petardo. Ma di sicuro questo non ha a
che fare con il colpo che ho sparato io. Non puoi accusarmi di questo.
Di averti disobbedito si, ma non di averlo ammazzato. –
Finita la sua arringa Tony attese il verdetto. Gibbs continuava a
scrutarlo da vicino.
- E la prossima volta? Cosa farai la prossima volta che il tuo istinto
ti dirà una cosa, mentre io te ne dirò
un’altra? –
Tony lo guardò... non sapeva proprio che rispondere.
- Io... se devo essere sincero, Capo, non lo so. Tu mi hai insegnato a
pensare con la mia testa. Non a essere un fantoccio che esegue gli
ordini. Francamente non credo di poterti promettere che non lo rifarei.
E se questo di indurrà a licenziarmi... allora fallo.
–
Gibbs parve valutare a fondo quella risposta. Poi si voltò e
fece ripartire l’ascensore.
Tony rimase interdetto. “E dunque?” si chiese.
- Capo? -
- Si, Dinozzo. -
- Non credo di aver capito... Sono licenziato? -
- Solo se non vai a prendermi un caffè, Tony -
Tony sorrise per la prima volta nella giornata, e la cabina
dell’ascensore parve diventare più lumimosa (o
forse erano le luci che si erano riaccese?).
- Ai tuoi ordini Capo! –
****
Gibbs uscì dall’ascensore e si trovò di
fronte qualcosa di veramente sconcertante.
Due uomini vestiti di nero, armati con pesanti mitragliatrici erano di
guardia fuori dalle porte. Altri due erano posizionati vicino
alle scrivanie della sua squadra. Una donna e un quinto uomo erano
fermi nel mezzo del corridoio.
- Agente Speciale Gibbs, presumo. - Disse la donna con una voce morbida
e profonda.
- Io e lei abbiamo molte cose da dirci. Lei ha qualcosa che appartiene
a me. -
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
- Parte IV -
- Chi è lei. Perchè i suoi uomini girano armati
in un edificio federale? - Chiese Gibbs più irritato che
agitato.
La donna guardò i cinque uomini vestiti di nero, - Le armi
la disturbano? Molto bene. - Fece un gesto con la mano e le armi furono
depositate sul pavimento. Poi gli uomini si misero in posizione di
riposo.
- Meglio così? –
- No! Niente affato. Voglio sapere chi siete e come siete entrati!
–
La donna sorrise, con uno di quei sorrisi a cui un uomo difficilmente
sa resistere.
Era molto bella, dal portamento eretto e dal fisico piacevolmete
armonico. Indossava un semplice e succinto tauiller nero, con la gonna
al ginocchio. Eppure, nonostante il vestito castigato, trasudava
femminilità. Si avvicinò a Gibbs fino aquando non
si trovarono l’uno di fronte all’altro. E lui non
poté fare a meno di notare il colore dei suoi occhi.
D’un verde sconcertante.
- Sarò lieta di spiegarle tutto, e di rispondere a tutte le
sue domande. Agente speciale Gibbs. Ma prima deve mostrarmi
l’obitorio. -
- Io non le mostro un bel niente, a parte l’uscita. Risponda
alla mia domanda. CHI siete? -
La donna parve valutarlo per qualche istante. Poi sorrise di nuovo, - credo che lei mi piaccia Agente Speciale Gibbs. E’ un uomo di
grande spirito e tempra morale. Lo vedo dai suoi occhi -
Ggli porse la mano, ma Gibbs la ignorò.
- Mi chiamo Nikita. Comandante in capo della Squadra Operativa
Fantasma. -
- Mai sentito parlare di un’agenzia federale che abbia
squadre con questo nome. A chi appartenete? -
- Non siamo federali Agente Gibbs, e nemmeno militari. Non siano
agenti... convenzionali, per così dire. Ma serviamo
l’America. Di questo può essere certo. –
Nikita vide che Gibbs non cedeva di un millimetro.
- Lei è un osso duro, vero? E va bene, senta. Non so se si
rende conto che sono in una posizione di netto vantaggio. Sto chiedendo
il permesso a lei per pura e semplice cortesia. Se dovessi usare tutta
l’autorità di cui dispongo, potrei far mettere
sotto assedio l’intero edificio, portar via quello che mi
serve e poi farla accusare di alto tradimento, senza nemmeno fare molta
fatica. - Lo guardò ancora per valutarne le reazioni. Ma
Gibbs non parve minimamente impressionato da quelle parole, e il suo
sguardo era rimasto duro.
- Mi rendo conto che le minacce non sono il modo giusto per ottenere le
cose da lei. -
- Infatti. - replicò lui pacato - Che cosa vuole? Cosa
c’è nel mio obitorio che le preme così
tanto avere? - anche se in effetti un’idea se l’era
già fatta.
- Un cadavere ovviamente. Cos’altro si aspettava. Il cadavere
di un uomo a cui è saltata la testa. E mi servono anche
tutti gli oggetti che avete estratto dal corpo, e i campioni ne che
avete prelevato. -
Gibbs rise di gusto - E’ fuori discussione. Sono le prove di
un caso. -
- Sciocchezze. Quella roba non vi servirà certo a
riantracciare dei trafficanti di armi. Qui si gioca a ben altri livelli
Agente Gibbs. Cose di cui non sa niente, e di cui, probabilmente,
preferirebbe continuare a non sapere niente. -
In quel momento le porte dell’ascnsore si aprirono, e Tony ne
uscì con un bicchiere di caffè fumante tra le
mani. Si immobilizzò appena uscito, con gli occhi sgranati e
la bocca semiaperta. Per poco il caffè non gli
sfuggì dalle mani.
L’oggetto di tutto il suo stupore era proprio la donna di
fronte a lui.
Lei gli sorrise - Ciao Tony, come stai? -
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
- Parte V -
- Tu sei morta! - Fu la prima cosa che Tony
riuscì a dire.
Lei rise dolcemente. - Non ci vediamo da sei anni e questo è
tutto quello che sai dirmi? Ti ricordavo più galante. -
Tony si avvicinò a Gibbs e gli porse il caffè. -
Cosa vuoi che ti dica? Che hai un bell’aspetto per essere un
cadavere? - Si passò una mano tra i capelli. - Sono venuto al
tuo funerale. Io me lo ricordo! Mi ricordo la bandiera sulla bara. Il
saluto. Mi ricordo tuo figlio che piangeva!! Com’è
possibile? -
Si voltò verso il suo Capo, come per cercare una conferma.
- Non guardare me, - gli disse lui - non ho idea di cosa stiate
parlando. -
- Scusa Capo, hai ragione. Lei è Diane Dark, era a capo del
mio dipartimento a Baltimora. Rimase uccisa (o almeno lo credevo) in
un’esplosione. Qualcuno le mise una bomba
nell’auto. Successe pochi mesi prima che lasciassi la
polizia. -
Gibbs guardò il suo agente, poi guardò la donna -
Diane Dark? - le chiese.
- Si, all’epoca era la mia identità. È
con quel nome che Tony mi conosce. Fu un bel periodo... la vita di
Diane mi piaceva. -
Tony era ovviamente molto confuso - Per tutto questo tempo io ho
creduto che tu fossi morta. Fu per quello che lasciai la polizia, lo
sai? -
- Si, Tony. Lo so. Ho seguito le tue vicende da allora. Ho sempre
ritenuto che tu fossi un ragazzo molto preomettente... nonostante i
tuoi eccessi dal punto di vista comportamentale. E a quanto pare non mi
sbagliavo. -
- Ma se non sei Diane. Allora chi sei? -
- Sono un agente governativo. Ma non faccio parte di nessuna agenzia
ufficiale. Sono qui perchè sto portando avanti
un’indagine molto importante. Ma a quanto pare il tu Capo non
vuole collaborare. Temo non si fidi dime. Forse ha paura che sia una
specie di terrorista, venuta qui per minare la sicurezza nazionale. -
Parve fermarsi qualche secondo a riflettere, poi guardò
l’orologio.
- Credo che potrò farvi parlare con una persona che
farà luce sulla faccenda. C’è un posto
dal quale possa fare una videochiamata? -
****
Gibbs e Tony, seguiti a quel punto anche da Ziva e McGee, che avevano
ascoltato la conversazione da lontano, guidarono la donna nella sala
conferenze, lasciando però fuori gli uomini armati.
Dentro la zona ristretta trovarono il Direttore Shepard.
- Jethro! Speravo mi raggiungessi. Sono qui quasi da un ora, sto
cercando informazioni su questa gente che ha invaso l’Ncis.
Ma nessuno sembra saperne niente. Perfino al ministero della difesa non
mi hanno saputo dare risposte chiare. L’unica cosa che ho
capito è che sono intoccabili. Hanno un potere quasi
illimitato. Vogliono che gli consegnamo un corpo e tutte le prove a
esso connesse. Francamente la faccenda mi puzza.-
In quel momento Jen si accorse della presenza di Nikita, - Cosa ci fa
lei qui dentro? - chiese a Gibbs.
Ma fu la stessa Nikita a rispondere. - Gli ho detto che potevo farvi
parlare con qualcuno che avrebbe appianato la situazione. Credo che a
quest’ora sarà disponibile a parlare con noi. -
Porse un biglietto al Direttore. - Faccia comporre questo numero.
È un interno diretto. -
Jen studiò il biglietto per un attimo. Poi un lampo di
comprensione le attraverò il viso. - Non è
possibile. Come può lei... -
- Faccia comporre quel numero, e chiariremo tutto. -
Jen portò il biglietto all’operatrice che compose
il numero. - Mi chiede un codice, signora -
Jen guardò Nikita - 000 5 000 1 - dettò
quest’ultima. L’operatrice eseguì.
Attesero alcuni istanti, poi sullo schermo comparve
un’immagine. Un piccolo studio, si vedeva chiaramente una
libreria, e una scrivania che rimase vuota per qualche secondo... Fino
a quando non vi si sedette un uomo.
- Allora mia cara. Cosa posso fare per te? Ah, ma non sei sola vedo.
Con chi ho il piacere? -
Un silenzio sbigottito era precipitato addosso a tutti i presenti.
- Buon giorno George, perdona il disturbo. Sono alla sede
dell’Ncis di Washington, ma non riesco a convincerli che
stiamo tutti dalla stessa parte. Se tu potessi... -
- Ma certo. - Rispose il presidente degli Stati Uniti - Chi
è al comando? -
Il direttore Shepard si riscosse dal torpore. - Io, Signor presidente,
Jennifer Shepard. Sono il direttore dell’ Ncis. Sono dolente
che sia stato incomodato per una questione così sciocca. -
Il presidente sorrise. - Nessun incomodo. Mi rendo conto che spesso i
miei Fantasmi possano suscitare una certa diffidenza. Certo non usano
mezzi convenzionali, e spesso nemmeno gentili. Ma sarò lieto
di sapere che avrete concesso loro tutta la collaborazione che vi
sarà richiesta. -
- Può esserne certo Signor presidente. - Si
affrettò a rispondere Jen.
- Molto bene, se non c’è altro tornerei alle mie
scartoffie. - Il Presidente mostrò una penna e alcuni fogli.
- No, non c’è altro George. Ti ringrazio. Ti
informerò degli sviluppi del caso. - Disse Nikita in tono di
congedo.
- Allora vi auguro buona giornata, signori. -
La comunicazione venne interrotta.
Vi fu qualche qualche secondo di silenzio. Poi la voce di Nikita.
- Credo che adesso mi piacerebbe visitare la vostra sala autopsie. -
|
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
- Parte VI -
Erano tutti riuniti nell’ufficio del direttore.
Gibbs, Tony, Ziva, McGee, Ducky, Abby e il Direttore. C’era
la squadra al completo. Perfino Jimmy Palmer. Stavano cercando di
stabilire un piano d’azione. Tutti erano decisi ad arrivare
in fondo a quella faccenda. Nessuno era disposto a mollare la presa sul
caso senza almeno provare a combattere. In fondo gli era stato detto
che dovevano collaborare... non che dovevano restarne fuori del tutto!
Ma purtroppo nessuno sembrava a vere un’idea valida, e ben
presto la discussione arrivò ad un punto morto.
Gibbs discuteva di burocrazia con Jen. Ziva e Tim seguivano
attentamente la loro conversazione.
Ducky raccontava ad Abby dei vari metodi di decapitazione in uso nel
medioevo. Tony invece restava in disparte pensoso, cercando ancora di
capacitarsi del fatto che una persona che credeva morta da anni fosse
ritornata alla vita... con una nuova identità!!
- Non intendo essere messo da parte in questo modo Direttore! -
Sbottò ad un tratto Gibbs. Era chino con le mani poggiate
sulla crivania di Jen. E il tono della sua voce zittì tutti
gli astanti, che tornarono a concentrarsi sulla questione presente.
- Non mi importa un accidente di chi sono questi tizi! Il caso
è nostro, e intendo seguirlo fino in fondo. E che quella
donna corra pure ad attaccarsi alle sottane del Presidente. -
Jen, da dietro la scrivania, stava per perdere la calma. Anche
perché, in fondo, la pensava come Jethro. Ma purtroppo il
suo ruolo le imponeva di dire tutt’altro.
- Qui si tratta di qualcosa di veramente grosso Jethro. Non di
competenza dell’Ncis. Noi abbiamo il nostro lavoro. Lascia
che questi signori facciano il loro! -
Gibbs sbattè i pugni sulla scrivania e urlò di
rabbia. Poi si alzò di scatto. Come se avesse preso una
risoluzione. Prese la giacca che aveva poggiato sullo schienale di una
sedia. - Dove vai? - gli chiese Jen.
- A parlare con quella donna. - Rispose lui, asciutto.
Tony si riscosse dal suo torpore. - Vengo con te, Capo. -
- Niente da fare Dinozzo. Ho bisogno di parlare con lei da solo. -
- Ma io la conosco. So come ragiona. Potrei esserti utile. -
Gibbs guardò il suo Agente Anziano. - Quella Tony, non
è la persona che conoscevi tu. Quella persona non
è mai esistita. Continua a pensare che sia morta. Ti
sentirai meglio. - e detto questo uscì
dall’ufficio.
****
Quasi tutto era stato caricato nel furgone nero. A breve sarebbero
partiti. Ma Nikita non era soddisfatta, il tutto aveva richiesto molto
più tempo del previsto. E non era un bene: i loro tempi
erano molto stretti.
Stava per ordinare la partenza quando vide l’Agente Gibbs che
marciava verso di lei. Quell’uomo le piaceva, era uno tosto.
Forse fu per quello che decise di aspettare. Per sentire cosa aveva da
dire.
- Che gentile, - gli disse quando fu a portata d’orecchio -
è venuto a salutarmi Agente Gibbs? -
- No. Sono qui perchè pretendo delle informazioni. Mi avete
tagliato fuori dal caso, il minimo che possiate fare è
spiegarmi cosa sta succedendo. -
Il tono poco gentile della sua voce mise in allarme gli uomini di Nikita, che si
avvicinarono di qualche passo. Gibbs li guardò bene per la
prima volta. Erano facce che non avrebbe dimenticato facilmente, volti
duri e inespressivi, con occhi freddi, che non mosravano sentimenti.
Sembravano macchine, non esseri umani.
- Calma ragazzi. Sono certa che l’Agente Gibbs è
un gentiluomo, e non aggredirebbe una donna indifesa. Dico bene?
Facciamo così. Concedo ai miei uomini quindici minuti per
mandare giù un boccone, nel frattempo io e lei andiamo a
prenderci un caffè e parliamo. Cosa ne dice? -
Gibbs annuì. - Sta bene. -
Salirono con l’ascensore al piano dei distributori, e presero
due grossi bicchieri di caffè.
Bevvero i primi sorsi in silenzio, poi Gibbs domandò - Di
cosa si tratta? -
- Armi chimiche. Un nuovo tipo. Non ne sappiamo molto di
più. -
- Chi è l’uomo decapitato? Uno dei vostri? -
- No. Lui stava dalla parte dei cattivi. -
- E chi sono i cattivi, stavolta? -
- Sempre gli stessi: gente senza scrupoli, pronta a tutto per denaro. -
- Già. Sempre la stessa storia. -
Nikita sorseggiò ancora il suo caffè in silenzio.
- Lei non ha famiglia Agente Gibbs. - non era una domanda. - Non ha
legami affettivi. -
- No, infatti. -
- Sarebbe disposto a mollare tutto per una missione sotto copertura? -
Un’idea folle si era appena formata nella testa di Nikita.
- Con voi? -
- Si, come membro operativo della mia squadra. -
- Sotto il suo comando, immagino. -
- E’ una condizione necessaria. Altrimenti non se ne fa
niente. -
Gibbs siflettè per qualche istante - E la mia squadra? -
- Mi spiace, ma non è possibile. Con lei saremmo
già in sette. Il rischio di far saltare il piano aumenta con
ogni elemento in più. - Bevve un paio di sorsi - Uno. -
disse infine.
- Può sceglierne uno da portre con se. Ma non
l’agente David, - si affrettò ad aggiungere -
Sopporterei la presenza di un’altra donna nella mia squadra come
dell’ortica nella biancheria intima. -
Gibbs si disse che non l’avrebbe scelta comunque, anche se
forse sarebbe stata la più idonea per una missione del
genere. Non aveva abbastanza confidenza con lei. Gli serviva qualcuno
di cui si fidasse ciecamente e che si fidasse ciecamente di lui. Ma una
persona così non esisteva...
“A parte Tony”.
Quel pensiero era sgusciato fuori, evaso, da quel luogo oscuro e remoto
dove l’Agente Speciale Leroy Jethro Gibbs segregava i
sentimenti molesti. Quei sentimenti che, se fossero trapelati,
avrebbero abbattuto i muri di stolida indifferenza che negli anni si
era costruito attorno. Quel pensiero, che si era formato prima che lui
potesse impedirlo, lo infastidì alquanto.
Cercò di
giustificarlo in qualche modo: in fondo Tony restava comunque la scelta
più ovvia.
Sempre che avesse deciso di accettare... ma si rese conto che, in
effetti, aveva già deciso.
Tese la mano alla donna di fronte a lui. Lei sorrise e gliela strinse.
- Allora sarà il caso di cominciare a darci del tu. Puoi
chiamarmi Kiki, Jethro. Come pensi di fare con il tuo direttore? Mi
pare che abbia un bel caratterino. -
- Dopo che il Presidente in persona si è raccomandato di
darvi tutto il nostro appoggio, non credo sarà difficile
convincerla. -
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
- Parte VII -
Fu, infatti, relativamente facile convincere il Direttore ad accettare
quella collaborazione. Non trovò nulla da obiettare, e dopo
le dovute raccomandazioni, diede la sua benedizione.
Fu molto più difficile, invece, spiegare a Ziva a McGee che
loro sarebbero rimasti indietro.
Gibbs e Tony sarebbero scomparsi per giorni, forse settimane. Avrebbero
potuto esser feriti, o morire senza che loro lo sapessero, o potessero
fa niente pr aiutarli.
Alla fine, dopo che Gibbs si fu imposto con tutta la sua
autorità, i due non poterono far altro che accettare la
cosa, sebbene molto a malincuore.
- Non Posso crederci! Gibbs, perchè hai scelto
Tony e non me? - Disse Ziva piuttosto arrabbiata. - Io sono certamente
molto più qualificata di lui per una missione di questo
tipo. Conosco cinque lingue, so combattere molto meglio di lui, so
usare anche molte più armi, di lui. Al Mossad ci addestrano
proprio per affrontare cose del genre! -
- Stai insinuando che non sono qualificato per affrontare missioni
sotto copertura, agente David? -
La ribeccò Tony. - Si da il caso che io abbia molta
esperienza nel campo dei travestimenti e delle identità
false. E comunque è evidente che il Capo si fida di me molto
di più di quanto non si fidi di te. La sua scelta
è stata ovvia. Sono o non sono l’agente
più anziano? - Tony ovviamente stava gongolando. Sembrava un
adolescente che pregusta una gita scolastica.
Ma Gibbs lo stroncò in pieno. - L’unica ragione
per cui non porto con me l’Agente David, Dinozzo,
è che Nikita si è opposta. A quanto pare non
gradisce altre donne nella sua squadra. Altrimenti sarebbe stata lei la
scelta più ovvia. - Non era vero... ma non
c’era bisogno che qualcun’altro lo
sapesse.
- Adesso muoviti. Prima che cambi idea e decida di andare da solo. -
Prese lo zaino e si avviò all’uscita.
- Arrivo Capo. - Tony prese le sue cose e lo raggiunse correndo. Prima
di entrare nell’ascensore si girò e fece un ultimo
saluto ai sui compagni, che stavano fermi a metà del
corridoio, sconsolati ed abbattuti.
- Cercate di non dare fuoco all’edificio, mentre non ci
siamo. Prometto di portarvi qualche souven... - ma la voce gli si
strozzò in gola quando Gibbs lo afferrò per la
collottola e lo trascinò dentro.
- Scherzi a parte, Capo. Ti sono grato per questa tua dimostrazione di
fiducia. - Disse Tony non appena le porte si furono chiuse. Gibbs non
lo guardava. - Insomma, soprattutto dopo quello che è
successo ieri. Ti prometto che non te ne pentirai. -
- Ecco, bravo. Cerca solo di non farmene pentire. -
Le porte dell’ascensore si aprirono. Nel parcheggio il
furgone li attendeva con il motore acceso. Nikita e i suoi uomini erano
già a bordo. Mancavano solo loro due.
Gli fu fatto spazio nel retro del furgone, tutti li guardavano in
maniera strana. Forse non approvavano la decisione del loro capo di
farli partecipare alla missione.
In ogni caso, fecero le dovute presentazioni: se dovevano lavorare
insieme era almeno il caso che tutti si conoscessero per nome.
Il primo a presentasi fu quello dai capelli rosso fiamma, si chiamava
Demian.
Poi un ragazzo molto avvenente, dai capelli biondi e gli occhi di un
azzurro violetto, Devon.
Il terzo era un vero e proprio energumeno, alto quasi due metri e dalle
spalle imponenti, disse di chiamarsi Lobo.
Al contrario, Max, era un tipetto piccolo e smilzo, e aveva
delle strane venature gialle negli occhi castani.
L’ultimo fu Aaron, che era alla guida del furgone, aveva i
capelli e le sopracciglia completamente bianchi, ma a dispetto di
ciò non poteva essere più vecchio dei suoi
compagni, e nessuno degli altri dimostrava più di
trent’anni.
Gibbs notò che quella gente aveva la curiosa abitudine di
omettere il proprio cognome. O più probabilmente quelli
erano solo i loro nomi in codice.
In conclusione, comunque, si trattava di un gruppo piuttosto vario ed
etrogeneo... e taciturno.
Fu infatti un viaggio silenzioso, che durò per quasi due
ore.
Dietro i finestrini erano oscurati, per cui i due agenti
dell’Ncis poterono farsi un’idea molto vaga di dove
fossero diretti. Nelle campagne attorno alla città,
probabilmente.
A un certo punto il furgone scese in una specie di strada sotterranea e
percorse un tunnel lungo almeno un paio di chilometri. Al termine del
tunnel c’era un cancello blindato, che venne aperto
con un codice vocale. Dietro il cancello c’era quello
che sembrava a tutti gli effetti un parcheggio, con alcune macchine e
altri furgoni, dove finalmente il veicolo si fermò.
Tutti scesero, sempre mandenedo un religioso silenzio. Addossati alla
parete c’erano degli armadietti, ogni uomo si tolse la
propria tuta nera, restando in abiti civili, e la depose nel proprio scomparto, insieme alle armi. Poi Gibbs e Tony li seguirono lungo un
corridoio e per una rampa di scale.
Si ritrovarono in un cortile di quella che sembrava una tenuta di
campagna. Con il prato all’inglese e le siepi potate in forme
originali.
Nikita tirò fuori le chiavi e aprì il grosso
portone. Entrarono.
Per qualche secondo Tony rimase senza fiato: aveva appena messo piede
in una delle case più belle e moderne che mai gli fosse
capitato di vedere.
Da fuori sembrava una villa, ma era a tutti gli effetti un loft, anzi,
tre loft uno sopra l’altro... visto che la palazzina aveva
tre piani, ognuno dei quali doveva misurare almeno 250 mq. Con oggetti
d’arte moderna ed elettrodomestici tra i più
avanzati sul mercato disseminati in ogni angolo.
Quadri astratti, sculture bizzarre, schermi al plasma grandi come
divani, stereo giganteschi, consolle per videogiochi d’ultima
generazione e perfino una penisola bar.
- Ma questo è un paradiso. - sbottò, senza
riuscire più a trattenersi.
- Ti piace? - chiese una voce alle sue spalle.
Tony si voltò, era stato Demian a parlare. Eppure non era lo
stesso Demian dall’espressione truce che si era presentato
poche ore prima... Stava sorridendo, mostrando una schiera di denti
bianchissimi, la postura del suo corpo era rilassata e gli occhi
castano-arancio brillavano.
- Ci puoi scommettere che mi piace, amico. Quanto darei per potermi
permettere un posto del genere. Ma davvero è la vostra base? - Gli rispose Tony, piacevolmente sorpreso dall’atteggiamento
amichevole del suo interlocutore.
- Veramente noi qui ci abitiamo. - Demian sorrise ancora.
Tony diede un’occhiata agli altri membri della squadra.
Riscontrando in ognuno gli stessi sconvolgenti cambiamenti: quegli
uomini che dieci minuti prima sembravano degli androidi, inespressivi e
insondabili si erano trasformati in normali ragazzi di
trent’anni. Parlavano tra di loro e scherzavano, perfino
Devon si era fiondato dietro il bar. - Chi si fa una birra con me,
ragazzi? -
Lobo aveva acceso lo stereo, facendo partire un disco dei Beatles. Max,
che si era accasciato sul divano levandosi le scarpe, rispose
affermativamente alla proposta di Devon, per poi afferrare al volo una
birra che gli venne lanciata con precisione. Aaron aveva acceso la
consolle e si accingeva a continuare una partita di calcio lasciata in
sospeso - Io mi prendo qualcosa di più forte Devon, ci pensi
tu? -
- Come no! - rispose Devon - È sempre bello vederti ubriaco
a metà giornata. E vedre Nikita che ti liscia il pelo... -
Nel giro di pochi secondi sembrò di trovarsi, non in una
base operativa di agenti governativi, ma in una casa studenti di
Barcellona.
Tony e Gibbs rimasero sulla porta, leggermente disorientati. A quel
punto intervenne Nikita.
- Ragazzi! - li richiamò acida - ma vi pare questo il modo
di comportarvi? Abbiamo ospiti, ve lo siete scordato? - Calò
un silenzio imbarazzato, la musica fu spenta, il videogioco messo in
pausa e i sorsi di birra lasciati a metà.
- Benvenuti, - disse Max, alzando la bottiglia - fate come se foste a
casa vostra. -
- Qualcosa da bere? - chiese Devon da dietro il bar.
- Io ho un altro joystik... - propose Aaron.
- Preferite “Shine on” dei Jet? -
domandò Lobo.
La donna alzò gli occhi al cielo.
- Demian, mentre mostro a Tony e Jethro la loro stanza, prendi tutto
quello che gli può sevire, asciugamani, lenzuola,
spazzolini... -
Si rivolse di nuovo agli altri - E voi. Avete un’ora di tempo
per farvi una doccia e rilassavi. Poi vi voglio tutti in sala
conferenze. -
Ci fu un coro di “OK”, poi la musica, il videogioco
e le birre furono riprese e Nikita fece un cenno ai due agenti
dell’Ncis.
- Dovete scusarli, - disse la donna mentre li guidava al piano di sopra
- ma siamo tornati stamattina da una missione di quattro settimane in
Cile. Non è stata prorpio una vacanza, e si meritano qualche
ora di riposo prima di ripartire domani. -
- Domani? - chiese Gibbs aprendo bocca per la prima volta da quando
erano saliti sul furgone.
- Si. Domani sera. Ho indetto la riunione per mettervi al corrente di
tutto ciò che riguarda la missione. Obbiettivi, rischi e
piani d’azione. In modo che domani abbiate il tempo di
memorizzare tutto. - Entrò in una stanza e accese la luce.
Dentro c’erano due letti, e tutto ciò che un uomo
può desiderare in una stanza, compreso il minibar.
L’espressione di Tony era estasiata.
- Adesso mettetevi a vostro agio, per quanto vi è possibile.
Il bagno è sul piano, seconda porta a destra. Demian vi
porterà l’occorrente. Verrò a chiamarvi
tra un’ora, a meno che non vogliate scendere a fare
amicizia... - Sorrise a Tony, poi uscì lasciandoli soli.
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
- Parte VIII -
L’ora passò in fretta. I due uomini
dell’Ncis si sistemarono nella stanza. Tony tentò
di fare conversazione, ma ottenne in risposta solo qualche grugnito e
la minaccia di un calcio nel sedere, quindi decise di scendere a
socializzare con i suoi nuovi compagni.
Gibbs era molto nervoso. Quando quella mattina aveva accettato di
partecipare alla missione aveva forse tralasciato un piccolo
particolare: da anni ormai era abituato a comandare, ad avere sempre in
pugno la situazione, ad essere sempre un passo avanti. Adesso si
rendeva conto che il non essere al corrente di tutto, il non avere la
possibilità di gestire se stesso, le risorse e le
informazioni lo metteva enormemente a disagio.
Ma davvero era cambiato così tanto da quando aveva
cominciato a fare quel mestiere, da quando era un pivello ed eseguiva a
menadito gli ordini di Mike Franks? Davvero non era più in
grado di giostrarsi in una situazione del genere? Non volle arrendersi
a quell’idea. La prese come una sfida contro se stesso, e
contro i propri limiti.
L’ingresso nella stanza del ragazzo dai capelli biondi,
Devon, interruppe i suoi pensieri. Lo seguì al piano terra e
poi in una specie di seminterrato dove entrarono in una stanza
rettangolare, illuminata da una fredda luce al neon,con un grosso
tavolo ovale in legno di noce nel centro. Tutt’intorno alle
pareti c’erano schermi, piantine topografiche, fotografie
identificative e appunti vari. Gli altri ragazzi, compreso Tony, erano
già seduti attorno al tavolo.
- Molto bene, - esordì Nikita che era seduta ad uno dei
capotavola - visto che ci siamo tutti, possiamo cominciare.
Parlerò prima a favore dei nostri agenti in prestito. -
Si assicurò di avere l’attenzione di tutti, poi
rirpese a parlare. - Da qualche mese abbiamo avuto notizia di
uno strano fermento tra i maggiori trafficanti di morte di tutto il
mondo. A quanto pare una nuova arma biologica, assolutamente
all’avanguardia, è stata prodotta da una non
meglio identificata industria giapponese. Pare che questa sostanza sia
talmente potente e letale che basterebbe possederla per diventare la
persona più potente del globo. Quello che siamo riusciti a
scoprire è che quest’arma è in vendita.
Sarà messa all’asta e ceduta al miglior offerente,
proprio sul suolo americano. -
- Dove e quando avverrà quest’asta? Chi vi
parteciperà? - Chiese Gibbs, sempre molto spiccio.
Fu Aaron a rispondere per primo.
- Sappiamo il dove e il quando. - disse asciutto.
- Nell’albergo MGM Grand di Las Vegas, tra quattro giorni.
- Sappiamo il come. - aggiunse Demian. - Durante una vera e
propria asta di opere d’arte. In occasione di un convegno di
antiquari, che verrà usato come copertura. -
- Ma non sappiamo assolutamente il cosa o il chi... -
Concluse Max.
Nikita riprese la parola - Purtroppo l’affare è
stato organizzato proprio da quest’azienda giapponese, che si è affidata ad una particolare squadra di mercenari, molto specializzati. E devo
ammettere che sono stati abbastanza bravi da metterci seriamente i
bastoni tra le ruote. Abbiamo un elenco più o meno completo
delle organizzazioni che parteciperanno all’asta, ma non abbiamo
idea di chi sarà mandato, per ognuna di esse, a sbrigare
l’affare. E non sappiamo quale oggetto all’interno
dell’asta rappresenti l’arma chimica. In compenso
sappiamo che quest’arma è già in
America. Probabilmente nascosta tra le montagne del Nevada. -
- Qual’è il piano? -
- Mescolarci agli ospiti e agli inservienti dell’albergo.
Individuare gli acquirenti e i venditori. Catturare uno dei venditori e
farci dire dov’è l’arma. Molto
semplice... -
- Come no! - esclamò Tony - Una vera e propria scampagnata...
-
- Devo dire che le cose si sono molto semplificate grazie al vostro
intervento. - disse Nikita.
- Davvero Dia.. Nikita? Perché, cosa abbiamo fatto? -
- Avete fatto saltare la testa a quel Motociclista. - fu
l’enigmatica risposta.
- Non credo di capire. Cosa c’entra il Motociclista? - Tony
lanciò un’occhiata al suo capo. Aveva paura che
quello fosse ancora un’argomento spinoso.
Ma la donna scosse la testa, - Te lo spiego dopo. Adesso concentriamoci
sulla sceneggiatura. -
- Sceneggiatura? - Tony si accostò al tavolo, osservando
Nikita che porgeva alcuni fascicoli a Demian, il quale si
alzò per distribuirli.
- Certo, Tony. Per la riuscita di ogni buon film occorre un buon
regista, che sarei io. Una buona sceneggiatura, dei buoni personaggi e
non ultimo degli ottimi attori. Visto che non sappiamo chi saranno gli
agenti mandati dai trafficanti dovremo avere occhi e orecchie ovunque
all’interno e all’esterno dell’albergo.
Tra il personale, tra gli ospiti. In ogni settore. - Aprì il
fascicolo che aveva tra le mani.
- Devon e Demian. Il Cirque du Soleil che si esibisce all’MGM
ha due acrobati in malattia. Voi sarete una coppia gay di trapezzisti
slavi. Karil Mizki e Jaroslav Bogdan. -
- Ma pechè toccano sempre a noi gli omosessuali? - si
lamentò Devon, poi si girò verso il compagno.
- Ti avverto, stavolta la checca la fai tu. -
- Ma certo mia cara! - gli rispose Demian, facendogli gli occhi dolci.
Nikita riprese - Lobo: addetto alla sicurezza. Ti chiami Robert
Winston, sei divorziato e hai una figlia di sette anni che non vedi da
tre.
- Max, tu sarai un barman. Alfredo Gonzàlez, indebitato fino
al collo a causa del gioco d’azzardo.
- Aaron, invece, sei un giovane imprenditore scapolo, Raimond McRiver.
Hai appena ereditato la fortuna di tuo padre, e non vedi
l’ora di spendertela tutta. -
I ragazzi annuirono e cominciarono a consultare le schede che avevano
davanti.
- E noi - chiese Gibbs. - Che parte dobbiamo recitare? Autisti, cuochi,
addetti alle valigie? -
Nikita gli sorrise ambiguamente - Per noi ho lasciato il meglio. Apri
il fascicolo e leggi. -
Gibbs lo fece, e dopo alcuni tentativi (era senza occhiali)
riuscì a leggere il nome - Thomas Hornett, ricco antiquario
di New York. - recitò.
Anche Tony aprì il proprio fascicolo, ma subito la sua
espressione si fece dubbiosa. - Hei, ci deve essere un errore! Anche
qui c’è scritto Thomas Hornett... - si
fermò di colpo e sgranò gli occhi - ...Junior.
Thomas Hornett Junior! - guardò Gibbs con un gran sorriso. -
Mi compri un’auto nuova... Paparino? -
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Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
- Parte IX -
- Se avessi avuto un figlio come te, ti avrei abbandonato alle porte di
un convento. - Mugugnò Jethro.
- Sei cattivo, capo. Io sono sempre stato un figlio amorevole e
rispettoso. - rispose Tony.
- Ma davvero? È per questo che gli auguri di Natale per tuo
padre li hai mandati a Pasqua! - lo rimbeccò il capo.
- Lo sai come sono le poste americane. Il mio primo biglietto si era
perso, può succedere. E poi, meglio tardi che mai. - fece
uno dei suoi sorrisi più accattivanti, suscitando
l’iralità generale.
Nikita battè una mano sul tavolo per richiamare
l’ordine, nonostante anch’ella stesse sorridendo.
- Ci sono domande, dubbi, perplessità? No? Bene, allora per
adesso abbiamo finito ragazzi. Studiate i profili che vi ho dato, entro
stasera dovrete conoscerli a memoria. -
Tutti i ragazzi si alzarono cominciando a chiaccherare, ed uscirono
dalla stanza. Gibbs, invece, rimase inchiodato alla sua sedia. Tony
attese che il suo capo si alzasse per primo, ma visto che non ne
sembrava intenzionato, rimase anche lui al suo posto.
Nikita guardò Gibbs in maniera interrogativa -
C’è qualcosa che non va, Jethro? -
- Decisamente si. La nostra collaborazione non andrà a buon
fine se non mi dici tutto. Voglio sapere l'intera storia. E’
chiaro che voi non siete normali agenti governativi. -
Nikita sorrise - Ma questo te l’ho detto appena ci siamo
conosciuti... -
- Hai capito benissimo cosa intendo! -
- Già! - intervenne Tony - Partiamo dallo stipendio che
percepite per potervi permettere una casa come questa. Nessun agente
governativo guadagna tanto! - Anche se i suoi argomenti potevano
sembrare frivoli, aveva colto perfettamente nel segno.
Nikita incrociò le dita sul tavolo e respirò a
fondo.
- Molto bene. Vi avverto che quanto sto per
raccontarvi è uno dei segreti meglio conservati
nella storia degli ultimi vent’anni. Conoscere questi fatti
metterà in serio pericolo le vostre vite in futuro. -
- Wow, mi sento come James Bond! - la interruppe Tony - sembra la trama
di un film d’azione! Sapete quando... - Gibbs lo
zittì con uno scappellotto da Guinnes.
Nikita non si scompose e continuò.
- Per farvi capire meglio,
comincerò col raccontarvi la mia storia. -
Parve raccogliere i propri pensieri per qualche istante. - Io sono nata
in Italia nel 1969. - Tony ebbe un sussulto, ma rimase zitto per paura
di ricevere un’altro scapaccione. - Ho avuto
un’inafanzia tribolata. A sedici anni ero una
tossicodipendete, ed entravo e uscivo dagli ospedali e dal carcere
minorile. I mei genitori, allora, mi spedirono in Germania, da alcuni
parenti, nella speranza che lì mi riabilitassi. Purtroppo
non fu così, e nel 1987 sono ufficialmente deceduta per
overdose in un ospedale di Berlino. - Un silenzio surreale regnava
nella stanza.
- Il mio corpo, però, fu trasportato in una
struttura segreta che sorge nel centro dell’europa, e
rianimato. Lì, mi proposero di diventare membro della loro
organizzazione... o di morire. Accettai.
- Da quel giorno la mia vità cambiò radicalmente. Mi fecero disintossicare, mi rimisero in sesto. Poi, assieme ad altri ventiquattro rgazzini come me, fui
sottoposta ad un addestramento feroce e crudele, atto a cancellare
qualsiasi traccia della persona che ero stata prima. Durò un anno. In seguito il gruppo fu
diviso in quattro squadre, e cominciarono ad addestrarci separatamente.
Per altri quattro anni la nostra vita è stato un inferno.
Sottoposti a prove che sfiorano i limiti dell’umana
resistenza, esperiementi e torture psicologiche, ci hanno traformato in
perfette macchine da guerra. - Fece una pausa per sondare le loro
reazioni -
- Ma a che scopo fare questo alle persone? Perché? - Chiese
Gibbs incredulo.
- Per soldi. Una volta che una Squadra Fantasma finisce
l’addestramento diventa un’organismo perfetto e
infallibile. Ogni elemento è la rotella di un ingranaggio,
che si incastra perfettamente con le altre.
- Noi non esistiamo per il
resto del mondo. Non possediamo niente. Non abbiamo un passato, dei legami. Non abbiamo un'identità. Ci hanno tolto tutto. Ma in compenso abbiamo conoscenze e capacità
che ci permettono di arrivare dovunque, di essere chiunque... o di
restare invisibili se vogliamo. Chi possedesse una Squadra di Fantasmi e
la usasse nel modo giusto, potrebbe conquistare il mondo. -
- Possiede? Chi "possiede" una squadra di fantasmi? -
- Esatto. Ogni nazione pagherebbe qualsiasi cifra per avere al suo
servizio gente come noi. In efetti, tecnicamente io e la mia Squadra
“apparteniamo” al presidente degli Stati Uniti. -
- Ma tutto questo è folle! Comprare persone... Lo schiavismo
non è più legale in America da parecchio tempo.
Come posso credere ad una cosa del genere! - L’Agente
Speciale Gibbs era letteralmente basito.
- Ma scusa. - domadò Tony - Se è vero
che voi potete fare qualunque cosa, allora perché non
sparite? Voglio dire, nessuno vi può obbligare a fare
niente, se non lo volete. Giusto? -
- Sbagliato. Credi davvero che delle persone dalle capacità
tali, da essere in grado di creare un’arma potente come noi,
la lascerebbero poi andare in giro senza un robusto guinzaglio? –
- Il Motociclista! - esclamò Gibbs. Adesso tutti i tasselli
combaciavano.
- Esatto Jethro. Il Motociclista. Vedo che la tua fama di investigatore
non è immeritata...
- Quel motociclista era un Fantasma. Proprio come me. PEr la precisione faceva parte della Squadra che serviva l'azienda giapponese che ha fabricato l'arma chimica. Erano loro i mercenari specializzati di cui parlavo prima. -
- Ma questo non spiega per quale ragione gli è esplosa la testa- Interloquì Tony perplesso.
- Prima di consegnarci al nostro nuovo
“proprietario”, per così dire, - cotinuò a spiegare Nikita, - ad ogni Fantasma viene impiantato un congegno esplosivo alla base
del collo. Il possessore dell’unico detonatore esistente,
è quello che controlla la Squadra. Lui ha potere di vita o
di morte su di noi, e se lo tradissimo, o cercassimo di sparire... Booom! - Mimò
un’esplosione con le mani.
- Inoltre, come ulteriore, subdola, precauzione, c’è
l’amore e la lealtà che i membri di una Squadra
provano gli uni per gli altri. Nessun membro di una Squadra
Fantasma si sognerebbe di tradire i suoi compagni, perché i congegni esplosivi
sono tutti collegati. Se uno solo tradisce, muoiono tutti. -
- Un meccanismo perfetto e geniale... per non dire malato. -
mormorò Gibbs. - Questo vuol dire che, se il Motociclista
faceva parte della Squadra al servizio dell’Industria
giapponese, tutti gli altri
membri sono morti insieme a lui. -
- Precisamente. Ci avete risolto un sacco di problemi, come potete ben
capire. Quando due Squadre Fantasma entrano in conflitto le cose
possono diventare molto sgradevoli. -
Ma Gibbs era ancora molto pensieroso. - Hai detto che ogni nazione
pagerebbe cifre esorbitanti per avere una Squadra di Fantasmi. Ma
allora com’è possibile che un’anonima
industria giapponese potesse permettersi di averne una? -
- Io veramente ho una domanda ancora migliore - ribattè lei
- Come ha fatto un’anonima industria giapponese a sapere
dell’esistenza delle squadre Fantasma? E’ un
segreto che viene rivelato solo ai capi di stato... e solo a quelli dei
paesi ricchi, per giunta. -
- Questo significa che probabilmente c’è il
governo Giapponese dietro questa storia. Ma perchè allora
non tenersi semplicemente quest’arma e usarla a proprio
vantaggio? - intervenne Tony.
- Abbiamo una teoria in proposito - disse Nikita agganciando
l’attenzione dei due uomini - Ho già avuto a che
fare con Yasao Fukada, il primo ministro giapponese. So che tipo di
persona è. Un uomo tutto d’un pezzo, fissato con
l’onore e le tradizioni dei Samurai. Non rientrerebbe nel suo
stile minacciare il mondo con una letale arma chimica. Sarebbe una
pessima pubblicità per lui e per il suo paese.
Però... - Si fermò per constatare se i due uomini
erano arrivati alle sue stesse conclusioni.
- Però niente gli gioverebbe di più che apparire
come il salvatore dell’umanità... -
cominciò Gibbs.
- ... Scoprendo l’antidoto all’arma chimica! -
finì Tony.
Nikità battè le mani un paio di volte - Sono
impressionata. Ottima deduzione. Sapevo di aver scelto bene portandovi
con me. In effetti sospettiamo che lo scopo del governo giapponese sia
proprio quello di “salvare il mondo” da questo
nuovo male, che loro stessi hanno creato, vendendone a caro prezzo la
cura. –
Restarono in silenzio per qualche secondo mentre metabolizzavano quel
mare di notizie strane e sconvolgenti.
- Spero che ora abbiate un quadro generale della situazione
più chiaro. Con il vostro permesso però, ora devo
andare a organizzarmi per la cena. Devo sbrigarmi se volete mangiare
qualcosa di decente stasera. –
Si alzò e fece per uscire dalla stanza.
- Un Attimo! - la fermò Tony - Non ci hai ancora detto quale
sarà la tua falsa identità in questa missione. -
Nikia si girò - Ha, non ve l’ho detto? - gli
gettò l’ultimo fascicolo che aveva tra le mani.
Tony lo aprì e lesse.
Sul suo viso si formò un sorriso a cinquantasette denti.
- Amanda... Amanda, Maria Hornett. Moglie di Thomas Hornett Senior. A
quanto pare, Capo, hai trovato la tua quinta moglie! -
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Capitolo 10 *** Capitolo X ***
- Parte X -
La cena fu deliziosa.
Cibo italiano cucinato ad arte, ottimo vino e buona compagnia.
I ragazzi erano un gruppo ben affiatato, e si vedeva. Per tutta la
durata della cena fu un continuo scambio di battute scherzose e prese
in giro. Nemmeno Nikita fu esonerata dagli sfottò, ma lei
non pareva aversene amale. Al contrario rispondeva a tono ad ogni
battuta. Perfino Gibbs, alla fine, fu coinvolto e si fece due risate.
Con sommo stupore di Tony, che raramente aveva potuto vedere il suo
capo in una situazione così informale. Si sentì
privilegiato nel poter ammirare il lato meno conosciuto di
quell’uomo dal carattere notoriamente burbero e scostante. Ma
ancor di più lo stupì constatare le occasionali
occhiate di apprezzamento che Gibbs lanciava a Kiki. Molto sospette a
dire il vero.
Però non si sentì di biasimarlo. Lei si era
cambiata per la cena, indossava un maglioncino chiaro dolcevita, che
accentuava il contrasto con la sua pelle ambrata e faceva risaltare gli
occhi verdi; e morbidi pantaloni neri che mettevano in risalto il suo
corpo snello. Aveva sciolto i capelli che ricadevano mossi, lucidi e
neri fino a metà della schiena. L’insieme era
molto gradevole nella sua semplicità, e il suo sorriso era
caldo e dolce.
Già... quel sorriso che anni prima Tony aveva imparato ad
amare, come si ama il sorriso di una madre. Quel sorriso che lo aveva
spesso ricompensato, quando aveva svolto un buon lavoro, che lo aveva
reso orgoglioso di se stesso e spronato a migliorarsi. Quanto gli era
mancato quel sorriso. Aveva creduto che non lo avrebbe rivisto mai
più. Ma adesso gli provocava un tumulto di sensazioni:
felicità, nostalgia, rabbia, malinconia... tutto mescolato.
Mangiò poco (per i suoi standard), e non
partecipò agli scherzi come ci si sarebbe potuto aspettare
da lui. Alla fine della serata, quando si ritirarono nella propria
stanza, anzichè intontire di chiacchiere il suo Capo, come
al solito, Tony rimase in silenzio. Cosa che Gibbs trovò
molto strana, ma non indagò. In genere il suo subalterno
aveva la tendenza a tenere per se le cose che lo turbavano davvero, e a
mascherarle dietro frivole sciocchezze. Per giunta, lui non era uno che
amasse chiedere.
Nessuno dei due aprì bocca fino a quando non furono sotto le
coperte. Poi, dopo una buona mezz’ora che avevano spento la
luce, Tony parlò - Gibbs... Gibbs, sei sveglio? -
- Adesso si, Dinozzo, cosa c’è? - Gli rispose una
voce impastata di sonno.
- Niente... - Disse Tony, già pentito di aver parlato.
- Allora dormi. - Brontolò Jethro girandosi
dall’altra parte.
Passarono un paio di minuti, poi: - Voi due vi somigliate, molto lo
sai? - Tony attese una risposta, che non venne, per cui
continuò - Tu e Diane, intendo. Cioè, tu e
Nikita. Siete molto simili, eppure molto diversi. - Attese ancora che
Gibbs dicesse qualcosa, ma lui rimase muto.
- Voglio dire, nel modo di essere un capo, mi spiego? Ci sono degli
aspetti del vostro carattere che si somigliano in maniera
impressionate, eppure ci sono altre cose in cui non vi assomigliate per
niente. -
Finalmente Gibbs diede segni di vita e si girò a guardarlo
alzandosi su un gomito.
- Senti Tony, - disse con un tono che raramente aveva usato con lui.
Anzi, forse mai. C’era pazienza nella sua voce e quasi,
quasi, quasi... anche una nota di dolcezza, ma quasi eh?
- Tu continui a parlare di questa Diane come se fosse una persona
reale. Anzi, come se Nikita e Diane fossero la stessa persona. Ma
sbagli. Diane non esiste, non è mai esistita. E se non
riesci a vederla così, allora continua a far finta che sia
morta. Te l’ho già detto, è meglio
così. -
- Ma come posso fingere che non sia lei? Come posso far finta che si
tratti di un’altra persona, quando rivedo in lei tanti gesti
che mi erano così familiari. Tu dici che quella persona non
è mai esistita, ma non credo sia vero. Credo ci fosse molto
di Nikita in Diane. E credo che Diane sia ancora nascosta da qualche
parte, dentro Nikita. - il discorso di Tony era piuttosto accorato, e
Gibbs rimase a guardarlo per qualche secondo.
- Hai avuto il mio parere Dinozzo. Adesso fammi dormire o ti scaravento
fuori dalla stanza... e non attraverso la porta. - Tornò a
girarsi nella direzione opposta.
Tony non disse più nulla. Ma dormì poco quella
notte.
****
Il giorno seguente fu tutto dedicato ai preparativi per
l’imminete partenza.
I due agenti dell’Ncis erano ovviamente in situazione di
svantaggio rispetto agli altri, essendo subentrati all’ultimo
momento, quindi ebbero un gran da fare per mettersi al passo:
studiarono profili, memorizzarono topografie della città di
Las Vegas, e piantine dell’MGM.
Ogni cosa che possedevano o indossavano doveva essere perfettamente in
linea con i loro personaggi, quindi abbandonarono ogni loro effetto
personale, dai cellulari ai documenti ai vestiti, e gliene furono
forniti di nuovi. Dovettero finanche immergere i palmi delle mani in
una soluzione leggermente corrosiva, per eliminare momentaneamente le
loro impronte digitali.
Era previsto che i membri della squadra partissero in momenti diversi,
con arei diversi e da aeroporti diversi, e così a
metà del pomeriggio erano rimasti solo in tre dentro la
villa. Gibbs, Tony e Nikita, che sarebbero partiti per ultimi, con un
volo di prima classe.
- Dunque - disse lei - non c’è bisogno che vi dica
che, dal momento in cui usciremo da questa casa, è
assolutamente sconsigliabile pronunciare i nostri veri nomi o anche
solo pensarli! D’ora in poi io sono e sarò sempre
Amanda, o mamma, per te Tony. Tu Jethro, sarai Thomas, o
papà. E tu Tony solo T.J. (diminutivo di Thomas Junior, NdA)
D’accordo? -
Tony corrugò la fronte - Scusate. Io non vorrei fare il
guastafeste, ma è da ieri che ci penso. Non credo davvero
che tu potresti passare per mia madre! Voglio dire, sei troppo giovane!
-
Ma Gibbs per tutta risposta gli appioppò uno scappellotto. -
Dinozzo, ma allora non hai studiato niente! Lei è la mia
seconda moglie. Non è la tua madre biologica. Ma lo
è legalmente, quindi portale rispetto! -
- La tua “seconda” moglie? Ma questo vuol dire che
è la sesta. Cioè... in teoria sarebbe la sesta,
se queste due fossero vere. Cioè... la sesta in fondo
è vera, mentre la quinta no. Ok, ho mal di testa. -
Nikita rise. Indossava un elegante completo verde acqua e nero,
composto da pantaloni e giacca, e i capelli erano acconciati in maniera
sbarazzina. Una perfetta donna dell’alta società
Newyorkse.
Gibbs aveva un completo sportivo grigio che si intonava a pennello con
la sua carnagione e che gli dava un’aria insolitamente
distinta, niente a che vedere col suo consueto aspetto trascurato.
L’abbigliamento di Tony, invece, non differiva di molto dal
solito: pantaloni firmati, una giacca marrone e un lupetto bianco.
Una limousine li attendeva nel cortile della villetta, noleggiata per
l’occasione.
Quando arrivarono si erano perfettamente calati nella parte.
Tony conduceva Nikita a braccetto, e le portava il bagaglio a mano.
Mentre Gibbs leggeva un giornale e sorseggiava caffè.
Dopo il chek-in si erano sistemati nella sala d’aspetto di
prima classe, in attesa della chiamata d’imbarco.
- T.J., tesoro, andresti a prendermi dell’acqua? - chiese lei
dolcemente.
C’erano pochissime altre persone nella sala, ognuno impegnato
nei propri affari. Un uomo in giacca e cravatta che batteva al
computer, una donna molto kich che si metteva lo smalto sulle unghie e
ogni tanto faceva dei versetti al barboncino nella gabbietta affianco a
lei, e un’altro uomo che aveva delle cuffie e scriveva,
sembrava che stesse sbobinando un nastro.
- Vado subito. Naturale? -
- Si grazie, e non troppo fredda. -
Tony esitò un istante guardando il suo Capo, si sentiva
strano e incerto a pronunciare quelle parole.
- Papà, tu vuoi qualcosa? Un altro caffè? -
Gibbs fece segno di no con la testa, ma senza nemmeno alzare lo sguardo
dal giornale. Tony fece spallucce e uscì per andare al bar.
Nikita guardò il “marito” - Thomas, mi
sembri nervoso. C’è qualcosa che non va? -
- Si. Sto leggendo da mezz’ora un giornale di alta finanza,
senza capirci un accidente. - bevve un sorso di caffè.
- Non credo che sia questo. È da quando siamo partiti che
stai rimuginando su qualcosa. Me ne sono accorta, nonostante tu sia un
ottimo dissimulatore. È il mio mestiere, lo sai, capire cose
del genere. Nonché mio dovere di moglie. -
Gibbs la guardò in un modo indecifrabile, a metà
tra la rabbia e l’ammonizione.
- Ah, capisco... - disse lei, analizzando quello sguardo.
Parlò poi con voce più bassa - Si, capisco
qual’è il problema. La famiglia per te
è un argomento difficile, immagino. Conosco la tua storia,
so dei tuoi... precedenti, e posso immaginare che questa situazione ti
riporti alla mente ricordi dolorosi. È per questo che non
riesci neanche a guardare in faccia T.J. quando ti chiama
papà? -
Gibbs tornò al suo giornale. Non aveva nessuna intenzione di
continuare quella conversazione. La sua vita privata riguardava lui e
nessun altro. In particolare dell’argomento Shannon/Kally,
poi, detestava parlare.
Nikita annuì, intuendo i suoi pensieri. Era molto brava nel
sondare l’animo umano, e quello degli uomini in particolare.
- Voglio solo assicurarmi che questi tuoi sentimenti non incrinio... i
nostri rapporti. Se capisci cosa intendo. - Voleva dire che Gibbs non
doveva permettere ai suoi senimenti di rovinare la loro copertura, e
lui capì. La guardò dritto in quei suoi occhi
verde smeraldo.
In quel momento tornò Tony con una bottiglietta
d’acqua e alcuni bicchieri.
- Figliolo, - gli disse Jethro, mentre lui porgeva la bottiglietta a
Nikita, - perchè non vai a prendere al tuo vecchio un altro
caffè? -
Tony stava per sedersi e si bloccò a metà del
movimento. - Ma tu avevi detto che... - l’occhiata del suo
Capo gli fece lasciare la frase a metà. - Vado subito...
papà. - concluse sorridendo forzatamente, e uscì
nuovamente dalla sala.
- Quel ragazzo nutre una vera adorazione nei tuoi confronti. Devi
essere un’ottima guida, per lui, se ti rispetta
così tanto. -
- Fa solo il suo dovere. Niente di più. -
- E’ molto di più. Lo vedo come ti guarda... come
cerca di somigliarti. Sei il suo punto di riferimento. Farebbe
qualunque cosa per te. -
- Deve imparare a tenere a bada la sua personalità. A
concentrarsi di più su quello che fa. A volte il suo
temperamento lo rende inaffidabile. -
- Non ti fidi di lui? -
- Non ho detto questo. -
- E’ maturato molto da quando lo conoscevo io, ha solo
bisogno di esperienza. E di avere più fiducia in se stesso.
-
- E’ fin troppo sicuro di se. In maniera insopportabile a
volte. -
- Apparenza. Mera apparenza, ma credo che tu lo sappia bene quanto me.
Così come credo che tu gli voglia molto bene, nonostante
faccia di tutto per dimostrare il contrario. -
- I sentimenti non devono pregiudicare i rapporti di lavoro. Io esigo
il massimo da lui, così come dagli altri miei uomini e da me
stesso. Devo tenerli sempre in tensione se voglio ottenere questo
risultato, ed essere tenero o affettuoso non servirebbe al mio scopo. -
- Capisco. E non c’entra niente il fatto che tu stesso hai
serie difficoltà nell’esternare i tuoi sentimenti?
Che ti trinceri dietro un muro di indifferenza, e che non permetti a
nessuno di vedere sotto la tua scorza? -
- Ma sei una psicologa? -
- Tra le altre cose. Ma soprattutto, è da più di
quindici anni che trascorro la mia vita a contatto con altri cinque
uomini, ventiquattro ore al giorno. Per me il sesso maschile non ha
segreti, vi leggo come un libro aperto. -
- Adesso capisco perché non sei sposata. -
- Ho già cinque mariti, cinque figli e cinque fratelli. Non
mi servono altri uomini, grazie. Sono al completo. -
- Peccato. Stavo già pregustando la nostra prima notte di
nozze. -
- E chi ha detto che ci devi rinunciare... -
D’un tratto si resero conto di dove li aveva condotti la loro
conversazione, e si zittirono di colpo.
In quel momento arrivò Tony con il caffè e delle
parole crociate.
- Interrompo qualcosa? - chiese incerto, notando la strana atmosfera.
Nessuno dei due gli rispose, ma Gibbs prese il caffè e
tornò al suo giornale.
Quindici minuti dopo si imbacrarono, e partirono alla volta di Las
Vegas.
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Capitolo 11 *** Capitolo XI ***
- Parte XI -
- Ah, la prima classe. Fantastici stuzzichini, schermo al plasma
personale, sedile con massagiatore incorporato... e ottima compagnia. -
Tony offrì un seducente sorriso alla ragazza seduta nel
posto accanto a lui, era molto carina e sembrò compiaciuta
delle attenzioni del suo vicino. Gibbs e Kiki erano seduti un paio di
file più avanti, facevano le parole crociate, lei si era
tolta le scarpe e aveva le gambe raccolte sotto di se. Sembrava dovesse
essere un viaggio tranquillo... fino a quando non si levò un
grido di donna, ci fu trambusto, uno Stuart accorse nella prima classe.
- Porco, sei un porco! Ma come ti permetti? Voglio cambiare posto.
Stuart, mi trovi un posto lontano da questo manicao! -
- Signorina, si calmi, che cosa è successo? Questo signore
l’ha inportunata? - Chiese lo Stuart alla ragazza bionda
seduta vicino a Tony.
- No, senta... - Tentò di difendersi l’agente
dell’ Ncis che, ovviamente, era la causa di tutto quel caos.
- La signorina qui, ha frainteso. Io non ho importunato nessuno. Le ho
solo fatto una semplice domanda. -
Due posti più avanti Gibbs e Nikita si guardarono e poi
rotearono gli occhi.
- A quanto pare tuo figlio ha deciso di attirare l’attenzione
di tutto l’aereo. - Disse lei con un mezzo sorriso, - Non
c’è niente da fare, perde la testa ogni volta che
vede una sottana. Deve aver preso da te. -
- Da me? - sbottò Gibbs, fintamente sconcertato, - Guarda
che io non corro appresso alle sottane! -
- Il tuo stato di famiglia dice il contrario... e anche il tuo dossier.
Cosa mi dici di quella volta che hai inquinato delle prove
perché stavi... -
- Credo che andrò a impedire che T.J. si faccia arrestare
per molestie. -
Gibbs si alzò, e Kiki rise nel vederlo andar via
così di fretta.
Lui invece assunse un’espressione severa e corrucciata. Il
tipico sguardo che sembrava dire “Sei in grossi guai
ragazzo!”, il che fu esattamente quello che pensò
Tony vedendo il suo Capo marciare verso di lui.
- Ti posso spiegare, giuro che non è come sembra. Io non
ho... - uno scapaccione ben assestato sulla nuca lo azzittì.
- Qual’è il problema? - Chiese Gibbs allo Stuart.
- Il signore qui ha molestato questa ragazza. Le ha fatto domande
sconvenienti, e lei adesso vuole cambiare posto. Ma l’aereo
è al completo e non saprei dove farla spostare. -
- Va bene lo stesso se, anziché cambiare lei il posto, lo
cambia il suo vicino? - Propose Jethro alla ragazza.
- Mi va bene qualunque cosa, basta che mi allontani da lui! -
Indicò Tony con astio.
- Allora è molto semplice. T.J., vai a sederti vicino a tua
madre e io mi siederò con la signorina. -
Guardò il suo subalterno fisso negli occhi. - Ci sono
obiezioni? -
- Assolutamente no. Vado. -
Gibbs prese posto vicino alla ragazza bionda, e lo Stuart rassicurato
tornò alle proprie incombenze.
La bionda era ancora stizzita, e si vedeva.
- Colpa della madre - disse Gibbs guardandola. - Lo ha viziato troppo.
- Dopo di che chiuse gli occhi e si mise a dormire.
Tony si dedette con un sospiro al posto di Gibbs. Kiki lo
guardò seriamente ma non disse nulla, gli porse le parole
crociate e si mise a leggere una rivista.
Era la prima volta che si tovavano da soli da quando si erano
incontrati alla sede dell’Ncis, il giorno precedente, e Tony
moriva dalla voglia di farle delle domande, di sapere cosa aveva fatto
in quei dannati sei anni in cui l’aveva creduta morta. Voleva
dirgli quanto aveva sofferto per la sua perdita. Quanto era stato
irrazionalmente furioso con lei, all’inizio,
perché si era sentito abbandonato da una persona che era
stata per lui un punto di riferimento, un guida.
Che diritto aveva avuto di morire e di lasciarlo da solo, abbandonato a
se stesso... di nuovo, come aveva fatto sua madre prima di lei. Questo
era quanto aveva pensato all’epoca. Ma era giovane allora,
fragile. Adesso era un uomo, ne aveva viste tante, aveva guardato in
faccia la morte, subìto altre perdite... e le aveva
accettate.
Non era più arrabbiato, voleva fargli sapere quanto era
felice di averla ritrovata, di sapere che era viva dopotutto.
Un tempo gliele avrebbe dette tutte queste cose, senza problemi. Un
tempo... quando si confidava con lei, e parlarle dei suoi sentimenti
sembrava la cosa più facile del mondo.
Ma adesso, chissà perché, le parole restavano
congelate nella gola. “E’ che passo troppo tempo
con Gibbs”, si disse.
Alla fine parlò: - Venticinque verticale: Popolo nomade del
Kenia, cinque lettere. -
- Masai - fu la fulminea risposta. Tony controllò
velocemente, poi scrisse la parola.
Nikita alzò gli occhi dalla rivista e lo guardò.
Forse intuiva i suoi pensieri, o forse, semplicemente anche lei sentiva
il bisogno di esprimere quello che sentiva - Mi ha addolorato dovermene
andare in quel modo. L’ultima cosa che volevo era provocarti
altra sofferenza. Purtroppo non avevo scelta, come non ce
l’ho adesso. Ma credimi, ti ho sempre voluto molto bene, come
a uno dei miei ragazzi. - Si riferiva agli altri membri della sua
squadra, e Tony si rese conto che era probabilmente la cosa
più bella che potesse dirgli.
Lei gli poggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Non dissero niente altro, e poco dopo si addormentarono.
[continua...]
|
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Capitolo 12 *** Capitolo XII ***
L’aereo
atterrò perfettamente in orario, e un taxi portò
la
famiglia Hornett all’albergo con tutti i loro bagagli.
Le strade di Las Vegas erano uno spettacolo fantastico di
notte, rigogliose di luce e di vita. Un fiume interminabile di insegne
colorate, persone di ogni genere e sorta che si riversavano fuori e
dentro gli
alberghi e i casinò. Un caos gioioso e terribile insieme.
Allo stesso modo anche la Hall dell’MGM era molto
affollata, e c’era un un gran fermeto.
Quando l’autista li ebbe lasciati all’ingresso un
facchino venne a prelevare le valigie.
Intravidero Lobo, vestito con un completo scuro e con un
auricolare nero nelle orecchie. Anche lui li vide, ovviametne, ma non
diede
alcun segno di averli riconosciuti.
Trovarono la prenotazione fatta a nome ti Thomas Hornett:
due suite adicenti. Tra le migliori di tutto l’albergo. E
anche tra le più
costose.
Salirono nelle stanze dove finalmente poterno darsi una
rinfrescata, dopo le 5 ore di volo.
Erano stanchi.
A Washington sarebbero state quasi le due di notte, ma a
Las Vegas erano appena le undici e dovevano mettersi subito
all’opera.
Jethor e Nikita, ovviamente dividevano una matrimoniale,
come due normali coniugi. Mentre Tony si godeva da solo la suite
accanto.
- Ho una fame terribile. Quelle schifezze che propinano
sull’aereo sono immangiabili. - Esordì lei,
uscendo da un bagno traboccante di
vapore. - Perché non chiami il servizio in camera? -
Era scalza, aveva un accappatoio bianco e un asciugamano
a mo di turbante sulla testa.
Per lei avere uomini intorno era assolutamente naturale, ed
era totalmente indifferente a quei consueti dogmi di riservatezza che,
normalmente determinano i rapporti di due persone adulte che si sono
appena
conosciute. Con ogni probabilità non si sarebbe fatta alcun
problema a
spogliarsi e cambiarsi di fronte a Jethro, se fosse stato necessario.
Questo atteggiamento, per certi versi, affascinava Gibbs,
ma per altri lo disorientava. Era a metà tra la
disibinizione totale e la
completa ingenuità.
Di certo Nikita era una donna abituata ad avere gli
uomini ai suoi piedi, ma in certi momenti sembrava comportasi come una
ragazzina spensierata, totalmente ignara delle reazioni che provocava
nell’altro sesso.
Di Leroy Jethro Gibbs tutto si poteva dire, ma certo non
che fosse indifferente al genere femminile! E li c’era una
bellissima donna che
fingeva di essere la sua devota moglie.
Quella situazione fece riaffiorare in lui molti ricordi.
Le lunghe notti delle missioni sotto copertura in Italia, quando era un
semplice agente, insieme a Jenny.
Un discreto brivido di eccitazione lo percorse.
- E cosa desidera mangiare la signora? - Il suo lato
galante si manifestava molto raramente, ma in quelle occasioni sapeva
essere
davvero irresistibile.
Kiki gli si avvicinò lentamente, e lui potè
carpire una
zaffata di profumo provenire dal suo corpo ancora umido per la doccia,
gli
sembrò vaniglia.
- Non saprei. Se devo dirla tutta, mangerei volentieri un
gigantesco piatto di pasta, una bistecca e una fetta di torta... Ma va a finire che poi non mi entra
più il
vestito che dovo mettere stasera! Quindi teniamoci sul leggero: un
“assiette de
fourmage” magari, o della frutta. -
Mentre si avvicinava aveva sciolto il turbante, lasciando
ricadere i capelli bangati e luicidi. Si fermò davanti a
Jethro. Nonostante
fosse a piedi nudi era alta quasi quanto lui.
Si guardarono intensamente per un istante, consci
dell’attrazione che provavano l’uno per
l’altra. Ma senza che nessuno dei due
dicesse niente.
Una posta secondaria si aprì di colpo riportandoli alla
realtà.
- Hei! Guardate, abbiamo le stanze comunicanti! - Tony
fissò perplesso l’imbarazzo dei due, e si rese
conto che aveva scelto un
pessimo momento per entrare.
Ma quella consapevolezza servì solo a farlo gongolare: il
pettegolezzo era una delle sue debolezze.
Nikita tornò di fretta nel bagno, frizionandosi i capelli
con l’asciugamano.
- Nessuno ti ha insegnato a bussare? - gli disse Gibbs
acido.
- Scusa, Capo. Stavo pensando di adare a fare un giro di
perlustrazione. Per... vedere se riconosco qualcuna delle persone che
abbiamo
visto nelle foto identificative che Nkita ci ha mostrato ieri.
Ovviamente. -
- Ecco bravo. Ottima idea. E ti serve il mio permesso,
per andarci?-
- No... certo che no Capo. Cioè, volevo solo avvertirti. Nel
caso mi aveste cercato... Non che voi abbiate bisogno di me.
Assolutamente. Non
penso questo... ma... -
Gibbs lo guardò in modo eloquente, interrompendo quel
flusso di parole senza senso.
- Certo Capo. Vado! - E scomparve chiudendosi la porta
lalle spalle. Gibbs alzò le braccia in un gesto esasperato.
Poi prese il
telefono e ordinò qualcosa da mangiare.
Attese alcuni minuti, durante i quali si cambiò
d’abito,
indossando una camicia pulita, un pantalone nero e una giacca
più elegante.
Prorpio mentre finiva di annodarsi la cravatta bussarono alla porta.
Andò ad
aprire e un cameriere portò un carrello nella stanza.
Dopo un secondo riconobbe Max, che, non appena entrato,
si allentò il papillon sbuffando.
- La stanza è sicura. Ho controllato prima che arrivaste.
-
Sentendo la voce familiare Kiki uscì dal bagno.
Perfettamente vestita e in ordine (certo che aveva fatto presto!).
- Che ci porti di bello Max? -
Il ragazzo sollevò il telo del carrello scoprendo un
altro ripiano, sul quale era riposta una grossa scatola nera di metallo.
- Con gli omaggi della casa. - disse tirandola fuori, e
poggiandola sul pavimento.
La aprì, rivelando il contenuto. Pistole di vario
calibro, coltelli, auricolari, microspie e altri begli oggetti di vario
genere.
- Questo si che si chiama servizio in camera. - si
complimentò Gibbs, prendendo senza esitazione una delle
pistole e inserendovi
un caricatore. - Ma da dove salta fuori tutta questa roba? -
- Abbiamo una piccola base di appoggio, da queste parti.
Per ogni evenienza. - gli rispose Max
- Essere sempre un passo avanti. Ottima filosofia. -
Gibbs caricò un colpo per verificare il funzionamento
dell’arma.
- Hai già trovato qualcosa di interessante? - Chiese
Nikita rivolta al suo uomo.
- Un paio di facce conosciute. Due francesi: Anicet Denise ed Èmile
Théo,
trafficano armi con la Tunisia. Si sono fatti passare per antiquari
canadesi. -
- In
che stanza alloggiano? -
- 7034
e 7036, un piano sotto di voi. Sto per andare a controllarle, sono
appena scesi
al ristorante. -
-
Ottimo Maximilian. Tra poco andremo al casinò e passeremo al
bar. Mi
aggiornerai li. -
Max si
congedò e uscì portando con se il carrello vuoto.
Gibbs
e Kiki sistemarono la scatola con le armi, nascondendola dentro una
valigia
vuota, e la riposero in un armadio.
Si
concessero alcuni minuti per spiluccare qualcosa dal vassoio che Max
aveva
portato loro. E durante i quali Gibbs ebbe modo di ammirare la mise
serale
indossata da lei, per quella sera: un vestito fasciante color bronzo
leggermente
scollato davanti, con lunghe maniche a sboffo. La gonna (strettissima e
notevolmente
corta) lasciva scoperte un paio di gambe lunghe e ben definite. Una
fascia
dello stesso colore del vestito le cingeva la gola. I capelli erano
raccolti
all’indietro, in maniera molto elegante, e i sandali avevano
almeno sette
centimetri di tacco a spillo.
-
Bene. Ho un paio di scarpe scomodissime, un vestito quasi indecente, ma
che ho pagato
una fortuna, un coltello legato alla coscia sinistra e ho messo
la
pistola nella borsetta, insieme al rossetto. Direi che possiamo andare.
-
Proclamò la donna sorridendo. - Che fine ha fatto Tony?-
- Ha
detto che sarebbe andato in “perlustrazione”. -
-
Scommetti che lo troviamo al casinò che beve un drink e
gioca a Black-jack? -
- No
che non scommetto. -
-
Perché hai di lui un’opinione migliore? -
-
No. Perché già so che perderei. –
[Continua...]
|
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Capitolo 13 *** Capitolo XIII ***
Gibbs
e Nikita erano soli
nell’ascensore, e mentre
viaggiavano verso il casinò la donna ne
approfittò per fare un riepilogo veloce
sui dati generali dell’albergo. In modo da avere ben chiaro
l’ambiente in cui
avrebbero agito.
- Come molti hotel di Las Vegas, l'MGM
Grand è basato su un
tema portante.
In particolare è ispirato al tema di Hollywood. Si compone
di
più
edifici: il palazzo centrale è composto da trenta piani ed
è alto circa ottantanove metri. È dotato
di più di settemila
stanze, contando anche quelle degli edifici annessi, il che lo rende
l'edificio
con il più alto numero di stanze al mondo. Il complesso
comprende anche cinque
piscine esterne, collegate da condotti artificiali dotati di cascate,
un centro
congressi, la MGM Gand Arena ,
numerosissimi negozi che vendono prodotti
di vario genere, 16
ristoranti, tra cui Emeril's, Nobhill,
Craftsteak e Joël
Robuchon. Nonché il
più
grande casinò
di
Las Vegas.
-
All'interno dell'area casinò c’è un
habtitat artificiale
in cui vivono e
sono esposti agli occhi del pubblico sei leoni
(il leone è il simbolo
dell’Hotel). Infine, l' MGM Grand
è la casa dello spettacol Kà del Cirque du Soleiel, e
ospita Studio 54, un nightclub
costruito sul modello dello Studio 54 di New York. - Quando ebbe finito di
parlare si rivolse a Gibbs. - Tutto chiaro? -
-
Ma nel tempo libero fai la guida turistica? Quesete cose le avevo
già lette sui
fascicoli che ci hai sottoposto. - Gli fece notare lui.
-
Bhè, di certo riascoltarle non ti avrà fatto
male. -
Non dissero più nulla
fino a quando l’ascensore non li
ebbe portati al piano del casinò.
- Si va in scena. -
Sussurrò Kiki, mentre le porte si
aprirono.
Furono investiti da un assordante
brusio, fatto di rumori
elettronici e un vociare confuso, nettamente contrastante con il
silenzio
musicale dell’ascensore.
Gibbs posre il braccio alla sua
dama e si tuffarono
insieme nel mare affollato di quella sala gigantesca.
Vagarono per qualche tempo tra i
tavoli da gioco e le
slot-machine, chiacchieravano in maniera naturale, dando
l’impessione di essere
totalmente presi dalla loro conversazione, ma in realtà
erano entrambi vigili
ed attenti. Esaminavano con attenzione ogni volto e ispezionavano
accuratamente
l’ambiente.
Dopo poco si diressero al bar,
dove avvistarono
Maximilian che aveva ripreso il suo posto da barman.
Si
avvicinarono al banco e ordinarono due martini secchi con ghiaccio.
Fu
lo
stesso Max a servirgliei, appoggiando i bicchieri su due tovaglioli
binachi,
uno dei quali scivolò discretamente nella borsetta di Nikita.
-
Thomas, devo usare la toilette. Nel frattempo va a cercare quello
scapestrato
di tuo figlio. Prima che dilapidi il patrimonio di famiglia... -
-
Te
l’avevo detto che non era una buona idea la sciargli le carte
di credito. -
Gibbs
si allontanò dal bancone, mentre la
“moglie” si dirigeva alle toalettes, e
cominciò nuovamente a vagare tra i tavoli cercando di
individuare Tony. Lo vide,
o meglio lo “sentì”, visto che la sua
voce sovrastava ogni rumore per parecchi
metri tutt’intorno.
Stava
giocando alla roulette, aveva tra le mani un bicchiere di champagne,
abbracciava due ragazze, una per lato, e dal tono eccitato pareva
proprio che
stesse vincendo.
Gibbs
gli si avvicinò alle spalle e vide che, effettivamete il suo
agente aveva di
fronte a se una bella pila di fische.
-
Ti
stai divertendo... Figliolo? -
La
voce del suo capo ebbe l’effetto si una scossa elettrica.
Tony si irrigidì di
colpo e si girò lentametne per guardare Gibbs.
-
Ciao C... papà. Io stavo... -
-
Lo
vedo cosa stavi facendo. Questo è un casinò, e in
un casinò si gioca. Giusto? -
-
Giusto. Infatti è quel che dico anche io. - Il ragazzo si
rilassò leggermente,
constatando che Gibbs non sembrava affatto arrabbiato.
-
Adesso, però, mi dai tutte le carte di credito. -
-
Cosa? Le mie bambine! Come potrei mai separarmene. Ti prego, non mi
fare
questo. -
-
Le
possiedi da meno di un giorno. - gli fece notare Gibbs.
-
E’
come se fossimo insieme da sempre, sono parte di me! -
Il
Capo rimase immobile, con lo sguardo severo e una mano tesa.
A
malincuore Tony dovette cedere, e gli consegnò le quattro
carte (tra cui una
Gold e una Platinum) che Nikita gli aveva dato la matina precedente,
insieme
agli altri documenti falsi.
-
Prima ti posso spiegare perchè ho scelto proprio questo
tavolo? - Si affrettò a
dire Tony, mentre Gibbs si accingeva a far sparire gli oggetti
requisiti nella
tasca interna della giacca.
-
Sono tutt’orecchi. - Gli rispose quest’ultimo in
tono accondiscendente.
-
Allora.
Mi aggiravo vigile come una faina, perlustrando ogni anglo
dell’edificio in
cerca di indizi. Quando ad un tratto: un metro e mezzo di gambe, bionda
e con
due... - uno scappellotto gli fece lasciare a metà la frase.
- Occhi blu
fantastici... volevo dire. -
-
Non
mi interessa! Non ho tempo da perdere dietro alle storie sulle tue
conquiste. -
Gibbs fece per andarsene.
-
Già. Immagino tu abbia le tue conquiste di cui preoccuparti.
- Tony si pentì
istantaneamente di quelle parole, ma gli erano rotolate fuori dalla
bocca senza
che lui potesse far niente per evitarlo.
Per
tutta risposta Gibbs gli lanciò uno sguardo omicida. Ma
prima che avesse il
tempo di dire qualunque cosa Tony gli sussurrò un nome.
-
Dominik Gerko. –
-
Cosa?
-
Era l’uomo insieme alla biondona... se tu mi avessi fatto
finire di parlare te
lo avrei detto. Era in una foto identificativa. Me lo ricordo bene
perché aveva
una cravatta italiana davvero stupenda. Un pezzo grosso del centro
Europa. È il
proprietrio di almeno dieci industrie chimiche in Germania. Ma pare che
la sua
princiaple attività si a quella di smaltire abusivamente
rifiuti radioattivi.
L’ho seguito dalla Hall fino a questo tavolo, e mi sono messo
a giocare con
lui. Ho notato che a un certo punto si è allontanato, per
parlare con un tizio
che non ho riconosciuto. Hanno confabulato per un po’, poi
Gerko è tornato al
tavolo, e non si è più mosso. -
Gibbs
guardò Tony che lo fissava a sua volta, ansioso di capire se
quelle
informazioni erano valse il suo perdono per la battutaccia di poco
prima sulle
conquiste.
Jethro
fu costretto, suo malgrado, a sorridere. Tirò fuori dalla
tasca una delle carte
e la lanciò a Tony che la prese al volo e la
guardò sorridente.
-
Grazie.
Hei! Aspetta, almeno dammi la Platinum! - Gridò al suo capo
che si allontanava.
Ma
Gibbs
non si girò nemmeno a guardarlo. Vide Nikita venirgli
incontro. Appena furono
vicini lei parlò a voce bassa
-
Max ha trovato molto poco nella stanza di quei due francesi.
L’unica cosa
interessante sembra essere un catalogo degli oggetti che verranno
venduti
all’asta di dopodomani. Lo ha fotografato tutto, ma lo deve
ancora studiare.
Hai trovato T.J.? - fece
l’ultima
domanda tornando ad usare un tono normale.
-
Si, ha riconosciuto un industriale Tedesco. Dominik Gerko, pare che si
accompagni ad una bionda niente male. -
-
Gerko, eh? Non c’era il suo nome nella lista degli ospiti
dell’Hotel.
Ovviamente ne sta usando uno falso. Dirò a Max di scoprire
quale, così potrà
perquisire la stanza. -
Passarono
un’altra ora girovagando per il casinò. Ad un
tratto si trovarono davanti
all’attrazione principale del complesso. Una gigantesca
vetrata separava gli
spettatori da sei creature maestose. Si soffermarono a contemplare i
leoni. Il
loro splendido manto, color della sabbia, si confondeva con le finte
pietre che
componevano il loro Habitat artificiale. Giocavano con palle colorate,
come se
fossero dei mici domestici.
L’espressione
di Nikita la diceva lunga su cosa lei pensasse di
quell’attrazione.
-
Guardali Thomas. Guarda quegli animali. Ti sembrano creature
aggressive, o
pericolose? -
Gibbs
osservò il comportamento dei leoni, che giocavano
amabilmente con il loro
addestratore.
-
No, non mi sembrano pericolosi. Sono abituati al contatto con
l’uomo, li hanno
addestrati a essere socevoli. -
Lei
guardava fisso al di la della parete di vetro.
-
Snaturati. E’ questa la parola giusta. Snaturati. Trasformati
in pupazzi per il
piacere della gente. Sai quanti bambini chiederanno ai loro genitori di
comprargli un leoncino per il loro compleanno, dopo aver visto questa
scena? E
sai quanti sciocchi genitori, ricchi e ignoranti, lo faranno davvero? -
Riamse
in silenzio per qualche attimo.
-
Hai idea di quale sensazione di forza e possenza possa trasmettere un
leone
lanciato in corsa nella savana? È impressionate. Vedere i
muscoli guizzare
sotto il manto, udire lo schiocco delle ossa della sua preda che si
spezzano
sotto la pressione micidiale dei denti. Sentire l’odore del
sangue fresco che
sgorga dalle ferite. I muggiti agonizzanti dell’animale
morente. È uno
spettacolo che non si dimentica. Che rapisce tutti i sensi. -
Gibbs
la fissò ammutolito. Lei continuò a parlare senza
guardarlo.
-
La
natura ha creato queste creature per uno scopo, che non è
certo quello di
essere il giocattolo dell’uomo. Gli basterebbe una semplice
zampata per staccare
la testa di quel pagliaccio li dentro... -
Dalla
sua espressione sembrava che fosse lei stessa, pronta a staccare una
testa con
una zampata.
-
Basta! Questa scena mi disgusta. Credo che per stasera il nostro lavoro
può
ritenersi concluso. Se i ragazzi scopriranno altro possono dircelo
domani.
Andiamocene a letto. -
****
Il
mattino seguente fu Jethro a svegliarsi per primo. Si mosse sotto le
lenzuola,
e si girò a fissare la figura stesa alla sua sinistra.
Nikita gli dava le
spalle, adagiata su di un fianco. Era ancora assopita.
Il
leggero strato di cotone le copriva il corpo nudo solo fiono alla base
della
schiena.
Lo
sguardo dell’uomo corse su e giù per quel corpo
quasi perfetto. Dalla linea
dolce dei fianchi, ai seni rotondi e sodi. Ma, soprattutto, si
soffermò ad
osservare attentamente la superfice della pelle ambrata: quella era
tutt’altro
che perfetta. Era costellata di cicatrici da cima a fondo. Gibbs
decifrò la
causa di alcune di esse. Ustioni, armi da taglio, pallottole. Altre
sembravano
avere origini a lui ignote. Quella donna doveva avere avuto una vita
movimentata, e lui non osò nemmeno immaginare quali
cicartici dovevano invece
deturparle l’anima.
La
sera precedente aveva avuto un piccolo assaggio di quello che si celava
dietro
le maschere di composta pacatezza, o di gioiosa spensieratezza
indossate da
Nikita.
Mentre
osservava i grandi felini intrappolati nella gabbia di vetro, i suoi
occhi
avevano rivelato per qualche frazione di secondo la sua vera natura.
C’era
stato come un lampo, in quelle insondabili iridi verdi.
Anche
lei era un animale in gabbia.
Una
creatura selvatica, imbrigliata e ridotta all’impotenza da
invisibili catene.
Gibbs
allungò un braccio e le sfiorò la base del collo.
Sentì sotto le dita un corpo
estraneo. Ricorò quello che aveva detto Ducky: “un
anello di metallo fissato
alla settima vetebra”. Si sentì sconcertato
pensando a che genere di mente
malata poteva aver concepito un simile orrore.
Nikita
si mosse debolmente, svegliandosi, e si girò lentamente a
guardarlo, con espressione
tranquilla e assonnata.
Aveva
i capelli neri scarmigliati e scomposti. Il trucco si era sciolto,
lasciando
decise macchie nere sotto gli occhi... Nonostante ciò, nuda
in quel letto, sprigionava
una carica erotica e una sensualità ferine che fecero
fremere Jethro.
Pantera.
Ecco la definizione giusta per lei. Una pantera dagli artigli affilati.
I
segni di unghie sulla schiena dell’uomo bruciarono per
qualche momento,
inducendolo ad alzarsi.
-
Credo che andrò a farmi una doccia. - fu l’unica
cosa che disse infilandosi un
paio di boxer, e sparendo nel bagno.
Nikita
guardò l’ora. Erano le otto.
Senza
nemmeno alzarsi prese il telefono e ordinò la colazione.
Moriva di fame, e
necessitava urgentemente di un caffè.
Mentre
aspettava che il bagno si liberasse decise di andare a svegliare Tony.
Dubitava, altrimenti, che si sarebbe alzato prima di mezzo giorno. Si
ricordava
bene quante volte aveva dovuto richiamrlo per essere arrivato al lavoro
con
notevole ritardo. Indossò una vestaglia, un paio di
pantaloni di felpa e
stiracchiandosi si avviò verso la porta comunuicante.
Entrò nella stanza
adiacente senza nemmeno preoccuparsi di bussare.
La
stanza era buia, per cui si mosse a tentoni per andare ad aprire le
tende. Una
volta che fu tatta luce si voltò a guardare il letto, ma
rimase spiazzata,
rendendosi conto che sotto le lenzuola c’erano almeno due
persone!
Il
suo primo istinto fu quello di uscire alla chetichella, esattamente
come era
entrata. Poi, però, pensò che la situazione si
prestava troppo bene ad uno
scherzo, per non coglierla al volo.
Assunse
il peggiore dei suoi sguardi corrucciati, capace di far sciogliere le
pietre, e
con un solo movimento scoperchiò il letto, tirando via il
lenzuolo.
-
TU! RAZZA DI SGUALDRINA! COSA FAI NEL LETTO DI MIO FIGLIO? -
La
graziosa ragazza mora che dormiva vicino a Tony si svegliò
di soprassalto,
mandando un grido. Nellò stesso momento anche Tony si
svegliò di soprassalto...
mandando un grido, e saltando come una molla in piedi sul letto.
-
COME HAI OSATO DEFLORARE IL MIO POVERO BAMBINO! LA MIA CREATURA
INNOCENTE! -
-
Ma
io veramente... Signora, mi perdoni. Non sapevo che avesse una madre! -
tendò
di difendersi la sventurata.
-
RACCOGLI I TUOI IMMONDI ABITI E SPARISCI, DEGENERATA FIGLIA DEL
PECCATO! LUSSURIOSA
VIPERA! BRUCERAI ALL’INFERNO... -
Nel
giro di tre secondi e mezzo la poverina si era infilata il vestito,
senza
nemmeno la biancheria intima ed era sparità urlando nel
corridoio.
Dalla
porta comunicante comparve Gibbs, in accappatoio e con la pistola in
mano.
-
Ma
che diavolo succede? - chiese, guardando confuso la scena che gli si
presentava.
Tony
era in piedi sul letto, con indosso solo dei pantaloncini, e
un’espressione
completamente sbalordita. Nikita invece era appoggiata alla parete e
rideva
fino alle lacrime. - Niente, - disse tra i singulti - non succede
proprio
niente. -
[Continua...]
|
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Capitolo 14 *** Capitolo XIV ***
Erano le nove e mezzo quando, finalmente, la famiglia Hornett fu pronta per scendere. Mentre Nikita e Jethro setacciavano i vari ambienti interni, Tony fu inviato nel perimetro esterno dell’albergo. Probabilmente per tenerlo lontano dal casinò, con la raccomandazione di non lasciarsi distrarre dall’ambiente circostante. Aveva, tutto sommato, preso bene la faccenda dello scherzo di quella mattina. Probabilmente, l’intervento di Nikita lo aveva sgravato dal fastidio di dover scaricare la ragazza di li a breve. Quindi, nonostante avesse rischiato un infarto, per essere stato svegliato a quel modo, e il cuore avesse impiegato diversi minuti per tornare ad un battito normale, alla fine si era fatto anche una risata. Mentre l’agente dell’Ncis vagava attorno all’edificio, nella speranza di riconoscere qualche altro potenziale trafficante, o, quanto meno, di riscontrare anomalie di sorta, fu attaccato inaspettatamente alle spalle. Qualcuno gli pizzicò il sedere! Tony si voltò di scatto, interdetto e sorpreso, e si trovò di fronte un uomo biondo, coi capelli tirati all’indietro e lucidi a causa di un gel brillantinato. Era truccatissimo, e con indosso un bizzarro costume cangiante. - Cjao dolcjezza. Cosa tu faj tutto solo che cammjna per strada? - Lo apostrofò lo sconosciuto con un marcato accento slavo. Tony non sapeva se doveva ridere o picchiarlo, ma proprio mentre stava per optare per la seconda ipotesi, finalmente lo riconobbe… era Devon! La cui copertura era quella di un circense russo omosessuale. Dovette riconoscere che si era calato nella parte alla perfezione. Capì all’istante che doveva reggere il gioco, era probabile che il suo collega avesse delle informazioni da passargli. - Niente di particolare. Passeggiavo. Sai, la persona con cui dovevo incontrarmi non verrà. - - Essa è uno scjocco! Perché essa non vjene a vedere uno bello faccjno come jl tuo? - Sbottò Devon con una costernazione degna di Spielberg. - Jo anche sonjo solo, ora. Jo ljtjgato con mijo compagno. Luj detto me ke jo… come voi djre? Ke jo è “Kecca jsterica”! - Tony rise - Si vede che non sa quello che si perde - fece un occhiolino malizioso. - Piacere, io sono Thomas. Ma puoi chiamarmi T.J. - - Dj molto pjacere T.J., mjo nome è Karil. Jo penso che sarej ljeto se tu prendi mjo numero. Tu kjama me dopo mjo spettacolo, da? - Devon porse a Tony un biglietto da visita, cangiante come il suo costume. E nel metterglielo tra le mani lo fissò con sguardo eloquente. - Wow, Karil. Oh, porca miseria, grazie! Sono lusingato, davvero. Puoi contarci che ti chiamerò. Ma guarda cosa doveva succedere proprio me. Io, uno qualunque, che viene avvicinato da un uomo bello come te, che mi da perfino il suo numero di telefono! Cos’altro mi capiterà oggi? Vincerò alla lotteria? No, perché è evidente che questa è la mia giornata fortunata! Io non so che dire… - Finalmente Tony si rese conto di come Devon lo stava fissando. Perplesso e anche un po’ ansioso. Evidentemente stava esagerando. Pose fine a quello sproloquio con uno smagliante sorriso. - Allora ci sentiamo questa sera. - - Cj conto T.J.. io tj aspetta con molta… Ansja, da? - Devon si allontanò con un passo leggermente ancheggiante. Rimasto solo, e ignorando gli sguardi dei curiosi che avevano assisto alla scena, l’agente dell’Ncis si rigirò il cantorino tra le mani. Sul fronte c’era una scritta in cirillico e un numero di telefono, mentre sul retro erano stampati una serie di simboli fantasiosi, ma senza senso. Tony non riuscì a capire che diavolo di informazioni potesse mai contenere quel rettangolino di carta. Forse un microchip? La soluzione migliore era portarlo subito a Nikita, di sicuro lei avrebbe sciolto il mistero. Entrò nell’albergo attraversando l’enorme ingresso, il sole picchiava quel giorno, e le verdi vetrate dell’enorme edificio baluginavano di riflessi smeraldini. Vagò per qualche tempo alla ricerca dei suoi Capi, e li trovò seduti ad un caffè. “Ma guardali un po’… Io sotto il sole a sgobbare, e loro a ristorarsi comodamente in un bar.” Gibbs lo avvistò da lontano, ma non fece alcun cenno al suo indirizzo. Tony li raggiunse rapidamente e si sedette con loro, senza aspettare un invito. - Spero tu abbia un buon motivo per essere qui, e non li fuori a fare il tuo lavoro… - Fu l’arcigno benvenuto di Gibbs. - Dubiti forse della mia professionalità? - - Una volta tanto hai fatto una domanda intelligente, T.J. e una volta tanto posso risponderti con un si. - - Mi ferisci così! Fino ad ora sono stato un modello di rettitudine, mi pare. Certo se non tieni conto dell’incidente in aereo, e della pollastrella di stamattina, e della cameriera del ristorante, e… - - Meglio che tu non aggiunga altro. Sta per partire lo scappellotto. - - Sto zitto. - - Bravo, e adesso dimmi cosa c’è. - Nikita aveva osservato quel siparietto con un sorriso divertito, e si guardava bene dall’intervenire. Se quel genere di scambi era ordinaria amministrazione per loro, si rammaricava di non poter andare a lavorare all’Ncis. Di sicuro li non ci si annoiava mai! - Allora, - cominciò a raccontare Tony - stavo per finire il giro del perimetro esterno, quando qualcuno mi ha pizzicato il sedere. “Sarà una ragazza che non ha saputo resistere al mio fascino”, penso io, e così mi giro. Ma di fronte mi trovo un tipo biondo tutto brillantinato. - - Fammi capire. Ti sei spaventato per le avance di un omosessuale e sei corso ma mammina e papino? - Il tono di Gibbs era pericolosamente irritato. - Certo che no! Aspetta di sentire il resto. Il fatto è che all’inizio non l’avevo riconosciuto per via del trucco, ma era… - abbassò leggermente il tono della voce. - Devon. Che mi ha dato questo. - Tony mostrò il cartoncino con i simboli. Nikita lo prese e lo osservò per qualche istante. - Dice che ha identificato un Arabo, tale Fahd Abū ‘Abd Allāh. Il braccio destro di un noto mercante di diamanti. Immerso fino al colo in ogni genre di illeciti. Devon lo ha visto confabulare con un uomo la cui descrizione potrebbe corrispondere al tizio che T.J. ha visto parlare con Dominik Gerko. Credo dovremmo cominciare a chiederci chi sia questo individuo. - Porse di nuovo il biglietto da visita a Tony, il quale lo guardò sorpreso, rigirandoselo più volte tra le mani. - Ma tutte queste cose le hai lette… qui sopra? - Domandò perplesso. - Si, vedi quei simboli li dietro? È una specie di alfabeto crittografato. Lo usiamo per scambiarci informazioni scritte, senza il rischio che cadano in mani sbagliate. E’ piuttosto complesso, e fino ad ora non è mai stato decifrato. - - Molto interessante. - li interruppe Gibbs - Ma adesso perché non ci concentriamo sul nostro problema? Tony, cosa ricordi di quel tizio che parlava con Gerko? - Nikita lo guardò storto. Non era abituata a sentirsi parlare in quel modo da un uomo. Ma non disse niente, e si concentrò sulla risposta di Tony. - L’ho guardato di sfuggita. Ero concentrato su Gerko. Mi ricordo solo quello che vi ho già detto: capelli castani, pettinati di lato. Alto più o meno un metro e settantacinque. Era di corporatura media, quindi doveva pesare sui settantadue, settantatre chili. Anche se coi vestiti non posso esserne certo. Aveva un vestito anonimo, non molto costoso, scarpe dozzinali. - - Questo non ci aiuta. - fece notare Gibbs. - La metà degli uomini qui dentro corrisponde alla tua descrizione. - Mi spiace. Se lo vedessi, però, lo riconoscerei. In fondo siamo in una albergo. Prima o poi dovrà passare per la reception, no? - - Il punto è che ci dobbiamo sbrigare. L’asta ci sarà soltanto domani. - Disse Kiki. - Bene, allora diamo ci da fare. - Disse Gibbs alzandosi e gettando nell’immondizia li vicino il bicchiere di caffè. Nikita lo imitò - T.J. Trova una scusa convincente per avvicinarlo, e fatti dire da Lobo quello che ha scoperto. Io e te Thomas, andiamo a cercare Aaron. Adesso che ci penso non l’abbiamo ancora visto da quando siamo arrivati. E la cosa mi preoccupa non poco. Comunque credo di sapere in quale posto cercarlo per primo. - Guardò Jethro con malizia. - Spero che tu abbia messo il costume da bagno in valigia, maritino mio. –
[Continua…] |
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Capitolo 15 *** Capitolo XV ***
I tre si divisero nuovamente, e presero direzioni diverse.
Kiki e Jethro fecero una tappa nella loro camera per indossare i costumi da bagno, per dirigersi poi verso le piscine.
Le cascate artificiali che univano tra loro le varie aree esterne, creavano uno scenario alquanto suggestivo, e la gente si aggirava tra le vasche e i bar con aria tranquilla e beata.
C’era un piacevole schiamazzo di bambini e ragazzi che giocavano e si schizzavano.
Jethro notò, non senza una punta di soddisfazione, che almeno un paio di ragazzi molto più giovani si era girato a guardare la sua compagna. La quale dava certamente nell’occhio! Indossava un costume bianco intero, con la gola coperta e due fori tondeggianti che lasciavano al sole i fianchi ben scolpiti. Una lunga vestaglia verde di seta e ciabattine con un po’ di tacco.
Anche Gibbs, in effetti, non se la cavava male. Nonostante l’età aveva un fisico asciutto e piuttosto definito. Una camminata sicura e prepotente. E fu il turno Kiki, per compiacersi del proprio accompagnatore, ammirando le sue doti… posteriori, mentre le camminava davanti. In effetti si faceva senz’altro notare, tra quella schiera di colletti bianchi vacanzieri: mollicci, semi calvi e dal giro vita abbondante.
Vagarono per alcuni minuti, poi Nikita si fermò, con l’aria di aver trovato quello che cercava. C’era una piccola folla di ragazze radunata attorno ad un’unica sdraio, poco distante dal bordo di una delle piscine. Chiocciavano e schiamazzavano come oche in un pollaio.
- Ray! Andiamo a fare il bagno? -
- Ray! Ti piace il mio costume nuovo? -
- Ray! Mi spalmi la crema solare? -
- Ray! Ray! Ray! -
Aaron, alias Raimond McRiver, se ne stava comodamente sdraiato tra cinque o sei belle figliuole, perfettamente calato nella parte di giovane imprenditore ereditiere e spendaccione.
Si era tinto capelli e sopracciglia di un bel biondo scuro, che sembrava assolutamente naturale, e l’abbronzatura creava un piacevole contrasto con la capigliatura.
- Spero per lui che ci sia andato piano con gli alcolici, e che abbia notizie interessanti da darmi. Altrimenti questa è la volta buona che compio un gesto inconsulto. -
Dietro di lei Jethro sorrise e la seguì verso il gruppetto schiamazzante.
- Mi scusi, le dispiace se ci sistemiamo a fianco a voi? Gli altri posti sono tutti occupati. - La reazione di Aaron non fu particolarmente sorpresa. Si limitò a sorridere e a esclamare un “Prego, fate pure!” molto cordiale.
Quando Gibbs e Kiki si furono sistemati sui lettini ed ebbero ordinato due cocktails analcolici, Aaron si alzò repentino con un sorriso stampato sulla faccia.
- Mie giovani donzelle. Mi è appena venuto alla mente un gioco divertente! Adesso vi darò una carta di credito, poi voglio che vi aggiriate per negozi e vi comperiate il vestito più bello che trovate. Quella che, a mio avviso, avrà scelto il migliore, vincerà il privilegio di una cena a tu per tu con me. Nella mia stanza. Che cosa né dite? -
Le ragazze, nemmeno a dirlo, non se lo fecero ripetere. Presero la carta e si catapultarono verso il centro commerciale.
- Forse avresti dovuto dire che vince chi di loro resta viva. - Commentò Gibbs. - Ragazze avide, una sfida e un premio goloso in palio... Francamente non vorrei essere nessuno dei commessi di quei negozi. -
Kiki rise piano, poi si rivolse al ragazzo che nel frattempo si era sdraiato di nuovo.
- Mr. Raymond. Mi dica che ha delle ottime notizie per me. Non vorrei guastare il mio umore in una giornata così bella. -
- Ho notizie, sicuramente. Se siano ottime lo lascio decidere a lei Mrs. Hornett. - Si interruppe un attimo con l’evidente intento di creare suspense. - Hélder e Gabriela Zacarias. -
- Due vecchie conoscenze. - Commentò Nikita mentre si spalmava di crema, con aria indolente.
- Avete avuto a che fare con loro in passato? - Chiese Gibbs.
- Neanche molto passato, in realtà. Un paio di mesi fa gli abbiamo fatto saltare un magazzino pieno di merce di contrabbando. E rubato due interi carichi di animali che venivano trasportati illegalmente fuori dal Brasile. Pappagalli, soprattutto, e scimmie rare. Non ci sono stati molto grati, come puoi bene immaginare. Evidentemente hanno deciso di cambiare ramo, dal bracconaggio alle armi chimiche. -
- Il padre di Madame Gabriela è un politico brasiliano. Un vero bastardo, perdonate la volgarità. - Aggiunse Aaron, - ha fatto sparire più dissidenti lui, che Houdinì conigli. -
- E si è scelta un marito che non è da meno. Che cosa hanno fatto da quando sono qui? Hanno incontrato qualcuno- Chiese ancora Nikita al suo uomo.
- Sono rimasti qui in piscina, per lo più. Non hanno parlato con nessuno. Tranne che con un omuncolo insignificante, che è venuto da loro stamattina. Ho parlato con Max, al bar, la descrizione corrisponde a quella che T.J. e Karil hanno dato. E’ lo stesso uomo. -
- Sei riuscito a scoprire altro di lui? - chiese Gibbs
- Si. Che ha il toupè. -
- Informazione utilissima. - Lo rimbeccò la donna con sarcasmo.
- Molto bene, dirama l’ordine. Nuova priorità: individuare il soggetto e catturarlo il più discretamente possibile. Entro stanotte lo voglio legato, imbavagliato e depositato ai miei piedi. Chiaro? Non importa se la vostra copertura salta. L’importante è impedire l’asta di domani. Comunicate a Max ogni novità. Mi aspetto di trovarvi alla base in centro per l’una di questa notte. Con un bel pacco sorpresa per me. -
- Sarà fatto, mia dolce dama dallo sguardo fiero e dal truce cipiglio! - il tono di Aaron era lievemente teatrale e canzonatorio.
- Sparisci, prima che mi decida a chiederti quanti alcolici hai bevuto in questi due giorni. Non credo che la risposta mi piacerebbe. -
- Lesto mi dileguo, come una saetta! -
[Continua…]
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