Skins

di Astrea_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Liam ***
Capitolo 2: *** Margaret ***
Capitolo 3: *** Louis ***
Capitolo 4: *** Millicent ***
Capitolo 5: *** Harry ***
Capitolo 6: *** Brianne ***
Capitolo 7: *** Niall ***
Capitolo 8: *** Audrey ***
Capitolo 9: *** Zayn ***
Capitolo 10: *** Charlotte ***
Capitolo 11: *** Harry ***
Capitolo 12: *** Brianne ***
Capitolo 13: *** Louis ***
Capitolo 14: *** Audrey ***
Capitolo 15: *** Zayn ***
Capitolo 16: *** Charlotte ***
Capitolo 17: *** Liam ***
Capitolo 18: *** Margaret ***
Capitolo 19: *** Niall ***
Capitolo 20: *** Millicent ***
Capitolo 21: *** Louis ***
Capitolo 22: *** Audrey ***
Capitolo 23: *** Zayn ***
Capitolo 24: *** Brianne ***
Capitolo 25: *** Niall ***
Capitolo 26: *** Margaret ***
Capitolo 27: *** Harry ***
Capitolo 28: *** Millicent ***
Capitolo 29: *** Charlotte ***
Capitolo 30: *** Liam ***



Capitolo 1
*** Liam ***



LIAM

Liam James Payne era uno dei ragazzi più popolari del Kensington & Chelsea College. In poco tempo era riuscito ad emergere dalla massa di centinaia di studenti che affollavano i corridoi della scuola ad ogni suono della campanella, distinguendosi per il suo carisma e la sua sicurezza. L’ultimo anno del college si prospettava per lui come l’apice della sua notorietà, il momento in cui tutto il suo lavoro avrebbe prodotto i frutti da lui tanto attesi. Liam era un ragazzo intelligente, acuto, sveglio, delle volte sin troppo da riuscire a vedere cose che gli altri neppure immaginavano. Amava organizzare la sua giornata, la sua vita, pianificare ogni sua mossa e prevedere quelle altrui in modo da poterne sapientemente gestire le conseguenze. Liam sentiva il bisogno, quasi ancestrale ed innato, di mantenere sotto il suo stretto controllo qualsiasi cosa potesse interferire, seppur soltanto minimamente, con la sua vita. La sua famiglia non gli aveva offerto alcuna sicurezza economica, non si era imposta socialmente affinché il loro unico figlio fosse trattato con estremo riguardo, ma lui era riuscito ugualmente ad ottenere tali risultati con il suo impegno e la sua perseveranza. Afferrò lo zaino e con un abile e veloce gesto ne poggiò una tracolla sulla spalla destra, poi si affrettò ad oltrepassare il portone di una delle casette che si affacciava su una piccola e sobria stradina marginale del quartiere.
Il college era piuttosto lontano, dunque al mattino era costretto a svegliarsi di buon ora per riuscire a raggiungere la meta in orario per la prima lezione della giornata.
Mise le mani nelle tasche dei pantaloni beige che indossava e strinse le spalle per contrastare l’aria fredda e tagliente che avvolgeva quotidianamente Londra alle prime ore.
Solo quando ebbe raggiunto la metro si decise a sfilare il cellulare per poter effettuare una chiamata.
Velocemente cercò nella rubrica il nome dell’amico, poi premette sul tasto che riportava una cornetta verde e portò  l’apparecchio all’altezza del viso.
Una voce femminile falsamente cordiale lo infornò dell’impossibilità di mettersi in contatto con l’utente da lui richiesto.
Sbuffò irritato, afferrando con vigore il palo di ferro che si ergeva al centro di una cabina affollata e maleodorante della metro.
Compose nuovamente il numero dell’amico, sperando che questa volta rispondesse alla sua chiamata.
Sorrise al suono del primo squillo e subito ebbe la certezza che pochi attimi dopo avrebbe sentito la voce di Harold Edward Styles dall’altro capo dell’apparecchio.
“Si?”, esordì ancora assonnato, arricchendo quella semplice sillaba con uno sbadiglio.
“Andiamo coglioncello! Sono le otto meno uno quarto ed oggi è il primo giorno di scuola, muoviti!”, lo incitò Liam.
“Non dirmi che sei ancora a letto, anche perché non ho intenzione di aspettarti stamattina.”, lo intimorì poi.
Harry non rispose, si lasciò solo scappare un altro leggero sbadiglio mentre passava una mano tra la scura chioma disordinata ed indomabile.
“Dammi dieci minuti e sono lì.”, asserì, costringendosi a scostare il lenzuolo di cotone dal suo corpo.
“Lo spero.”, concluse l’altro, interrompendo poi la chiamata un istante prima che la metro si arrestasse ad una nuova fermata.
Liam controllò la sua immagine riflessa in una delle scure vetrate. I capelli castani e corti erano perfettamente ordinati. I suoi occhi color nocciola erano chiara espressione della sua determinazione, bilanciato dal sorriso affabile e genuino in cui le labbra erano incrinate. Indossava una leggera maglietta bianca, coperta in parte da una di quelle camice a quadri che tanto adorava e dei pantaloni, rigorosamente stretti e a vita bassa. Si compiacque nel verificare che il breve spostamento non aveva per nulla alterato il suo aspetto. Con pochi decisi passi uscì dalla cabina e si diresse alla fermata del pullman. Detestava dover prendere tutti quei mezzi pubblici già di primo mattino, ma purtroppo gli impegni lavorativi dei suoi genitori gli impedivano di poter raggiungere il college comodamente con l’auto.
Liam cercava di non dar mai peso a quel piccolo dettaglio e, soprattutto, preferiva non doverne mai parlare in pubblico.
Quando finalmente giunse a destinazione un ampio e sincero sorriso prese forma sul suo viso. Era tutto esattamente come ricordava. La strada, l’ingresso principale, il cancello, gli alberi che si scorgevano ai lati del possente edificio, gli studenti intenti a parlottare in attesa del suono della prima campanella. Sapeva che quello che si accingeva ad iniziare era l’ultimo anno ed era consapevole di come, al termine di esso, la sua vita sarebbe radicalmente cambiata. Non ci sarebbe stato più tempo per i festini, la discoteca, le serate con gli amici, le cazzate e le bravate. Avrebbe dovuto solo pensare a come costruire il suo futuro, a lavorare per il suo avvenire, a studiare perché esso si potesse realizzare.
“Buongiorno amore!”, trillò una voce allegra che subito riconobbe come quella di Millicent Grace Wood, la sua fidanzata ufficiale da ormai oltre sei mesi.
Millie gli circondò le spalle con le braccia, lasciando un leggero bacio alla base del collo del ragazzo.
“Ciao piccola!”, ricambiò lui, voltandosi in sua direzione così da poterla avvolgere per poi poggiare le labbra sulle sue, coinvolgendola in un bacio passionale e poco casto.
Millicent era dotata di una singolare bellezza, forse era per quel motivo che Liam l’aveva scelta come sua ragazza, o forse in realtà si erano scelti a vicenda.
La sua pelle chiara contrastava adorabilmente con i lunghi capelli scuri che le scendevano in ordinati boccoli sulle spalle. Il suo aspetto era sempre curato in ogni minimo dettaglio, non trascurava mai nulla. Ogni ombretto, lipgloss, bracciale o collana veniva scelto con dedizione, affinché potesse abbinarsi al meglio con i vestiti, le scarpe, la borsa e tutti gli accessori da lei scelti. Era una perfezionista in campo di moda. Adorava vestire bene ed adorava anche essere notata per il suo stile. Il suo corpo era esile, forse troppo, la sua statura nella media, ma falsata dai tacchi che quotidianamente si imponeva di indossare.
“Avete finito di pomiciare? Millie, mi fai venire il voltastomaco!”, li interruppe disgustata Audrey Lilian Wood, osservandoli con sufficienza e disprezzo.
Liam si scansò di poco, sorridendo beffardo alle parole della ragazza.
“Sempre educata e cordiale tua sorella, vero?”, chiese ironico all’indirizzo di Millie.
Lei fece spallucce, non avendo nulla da dire in risposta.
Sarebbe stato davvero difficile agli occhi di un estraneo riconoscere in Millie ed Audrey due gemelle. Il volto della prima valorizzato da colori tenui e rosati che ne mascherassero le piccole e lievi imperfezioni, mentre quello della seconda era nascosto da colori scuri e forti. Doppi strati di matita nera circondavano gli occhi, rendendoli tenebrosi ed oscurando la luce che usciva da essi. Le labbra erano messe in risalto da un rossetto intenso e scuro ed i suoi capelli ricadevano disordinati e mossi. Audrey indossava sempre degli abiti dalle tonalità buie, come il nero che spiccava dalle sue unghie smaltate.
“Eccomi Liam!”, esclamò un affannato e sudaticcio Harry, giungendo a pochi passi dall’amico.
Aveva un aspetto trasandato e sciatto. I capelli erano prevalentemente coperti da un berretto di lana che ne lasciava intravedere solo le punte arruffate. La fronte era imperlata di alcune gocce di sudore, probabilmente dovute alla corsa appena fatta per poter arrivare in orario. Indossava dei jeans neri, di qualche taglia in più della sua, una maglietta arancione ed una grande felpa grigia le cui maniche erano alzate fino ai gomiti.
I suoi occhi verdi e luminosi quasi erano oscurati da quella massa riccia e senza forma dei suoi capelli.
“Ciao Millie, ciao Audrey!”, salutò poi rivolgendo due ampi sorrisi alle ragazze, le quali risposero con un poco partecipativo cenno della mano tanto simile da far intuire qualche somiglianza nel loro patrimonio genetico.
“Harry, ho un’ottima notizia per te.”, esordì Liam passando un braccio intorno alle spalle della ragazza per poi girarsi completamente in direzione dell’amico.
Come al solito gli erano bastate poche parole per catturare non solo l’attenzione di Harry, ma anche quella delle gemelle Wood.
“Ho saputo da fonti certe ed irrivelabili che quest’anno ci sarà una nuova ragazza nel nostro corso.”, iniziò con un sorriso soddisfatto.
Harry corrucciò il viso, non avendo compreso quale fosse il messaggio subliminale di quelle parole.
Pendeva completamente dalle labbra di Liam.
“Insomma, sarà difficile per lei ambientarsi ed integrarsi in una nuova scuola proprio all’ultimo anno e tu, caro amico mio, la aiuterai.”, dichiarò dandogli una leggera pacca sulla schiena.
“Se tu credi che uno sfigato come lui possa riuscire a portarsi a letto una qualsiasi ragazza semplicemente con due moine, allora credo proprio che non ci conosci affatto.”, lo screditò prontamente Audrey, incrociando le braccia al petto in chiaro tono di sfida.
Harry non replicò a quelle parole, impegnato a riflettere su esse.
“Vedremo Audrey, vedremo.”, controbatté Liam con tono pacato, sicuro delle sue affermazioni.”Millie, che ne dici di darci una mano? Ti va di andarla a conoscere?”, chiese poi alla sua ragazza, ammiccando al suo indirizzo.
“Sai già chi è?”, domandò lei di rimando, aspettando di capire di chi si trattasse prima di accettare una simile richiesta.
“Quella che fissa la bacheca.”, annunciò indicandole la direzione.
Millie la osservò per qualche istante, prima di acconsentire.
“E va bene.”, concesse un attimo prima che Liam la travolgesse in un altro bacio che costrinse Harry a distogliere lo sguardo.
“Io vado.”, si congedò poco dopo Millie e con passi decisi si avvicinò alla ragazza in questione.
“Ciao!”, la salutò cordialmente con un sorriso amichevole. “Sembra che tu abbia un’aria spaesata. Sei nuova?”, riprese cercando di avviare una conversazione.
Conosceva perfettamente la risposta alla sua domanda, ma chiedendo alla diretta interessata avrebbe potuto recuperare del tempo per pensare a come mantener vivo il dialogo tra le due.
“Si, sono appena arrivata.”, spiegò ricambiando il sorriso.
La sua voce era dolce e delicata, esattamente come il suo viso.
“Mi chiamo Margaret.”, si presentò poi porgendole una mano che Millie strinse.
“Io sono Millie.”, ricambiò. “Allora, da dov’è che vieni?”, le chiese squadrandola meglio.
Margaret aveva i capelli mossi di un biondo scuro, la carnagione ambrata ed un corpo esile e slanciato. Era alta nonostante indossasse delle ballerine ai piedi.
“Da Manchester, ci siamo trasferiti per il lavoro di mio padre.”, rispose non scendendo in ulteriori dettagli.
“Sono sicura che qui ti troverai bene, davvero!”, la incoraggiò. “Che hai alla prima ora?”, domandò poi per cambiare discorso.
In realtà conosceva la risposta anche a quella domanda. Liam le aveva detto che erano nello stesso corso, dunque avrebbe frequentato la classe di filosofia, ma ancora una volta preferì omettere quei dettagli.
“Filosofia. Sai per caso dove devo andare?”, le chiese dopo aver letto su un foglietto che riportava l’orario delle sue lezioni.
“Certo, anche io ho filosofia. Possiamo andarci insieme!”, propose entusiasta, avviandosi all’ingresso del grande edificio.
Entrate in aula, Millie prese posto in una delle ultime file, poi fece segno a Margaret di accomodarsi accanto a lei. Subito dopo anche Liam ed Harry fecero il loro ingresso nella classe, seguiti da Audrey e la sua immemorabile migliore amica Brianne Liberty Collins.
Erano ormai inseparabili dai tempi dell’asilo, nonostante fossero così apparentemente diverse. Bree era più espansiva, talvolta eccessivamente pacata e tranquilla, tanto da risultare irritante. Sembrava vivesse in una dimensione parallela, in cui tutto era perfetto, una sorta di fiaba di cui era la protagonista. Bree non aveva la piena percezione della realtà e spesso finiva con il discostarsi completamente da essa per rifugiarsi nel suo mondo sicuro, fatto di nuvole, fiori colorati, cieli azzurri ed immensi prati verdi. Bree non ricordava neppure com’era arrabbiarsi, sentire il sangue pulsare nelle vene e le tempie scoppiare. Con il tempo l’aveva rimosso e quelle pillole, quelle medicine che la madre la costringeva ad ingurgitare per risolvere chissà quale inesistente problema psichico, ne erano state la causa. Audrey amava il nero, Bree il rosa.
Audrey amava la musica heavy rock, Bree la classica. Audrey amava il silenzio, il buio, l’inquietudine e la paura. Adorava vedere thriller e mettere il suo i-pod a tutto volume. Bree amava la gioia, la tranquillità, la serenità, il suono delle risate e il calore dei raggi di sole sulla pelle. Adorava leggere di amori impossibili che divenivano realtà e ballare.
Quando Niall James Horan varcò la soglia della porta immediatamente cercò con lo sguardo gli occhi di Millie. Le sorrise d’istinto, felice di rivederla dopo appena una settimana che a lui era parsa estremamente lunga ed odiosamente interminabile.
Niall si avvicinò fino ad occupare il banco davanti a quello della ragazza, poi si voltò in sua direzione per poterle parlare anche solo per pochi attimi.
“Ciao Millie!”, la salutò poggiando il gomito destro sulla superficie di legno che li divideva.
“Ciao Niall!”, ricambiò lei, sporgendosi fino a lasciargli un bacio sulla guancia che fece gongolare il ragazzo dalla soddisfazione.
Niall era uno dei pochissimi amici fidati di Millie. Si conoscevano da tanto, forse da talmente troppo che lui aveva iniziato a provare qualcosa di più inteso e profondo.
“Lei è Margaret.”, continuò Millie, presentandogli la ragazza al suo fianco. “Mentre lui è Niall. Quello alla mia sinistra è Liam, al suo fianco c’è Harry.”, disse introducendo gli altri due ragazzi nella conversazione che sorrisero al sentire i loro nomi.
“Davanti ci sono Audrey e Bree.”, riprese Liam. “E quelli che stanno entrando ora sono Charlie, Louis e Zayn.”, concluse poi, dando un cenno agli ultimi arrivati, esattamente un attimo prima dell’ingresso del professore.
Millie non riusciva proprio a sopportare la presenza di Charlotte Olivia Phillips, la odiava, la detestava con tutte le sue forze. Trovava irritanti le sue arie da prima donna vissuta o i suoi tentativi di apparire perennemente diversa. Avrebbe volentieri dato fuco a quei suoi capelli biondi colorati da numerose ciocche rosa. L’unica cosa che avrebbe volentieri salvato di quella ragazza erano i suoi bellissimi occhi azzurri, tanto chiari da ricordare il cielo quando è sereno. Tutt’altro discorso riguardava, invece, Louis William Tomlinson, il fidanzato di Charlie. Louis era un tipo socievole, scherzoso e burlone, sempre pronto a far ridere gli altri con una delle sue squallide battute. Non era propriamente simpatico, ma riusciva sempre a strappare un sorriso forse grazie all’ingenuità dei suoi intenti. Infine, c’era Zayn Javaad Malik. Nessuno di loro aveva mai realmente capito chi Zayn fosse. Aveva la carnagione scura, gli occhi ambrati e della barba che gli ricopriva parzialmente il mento. I capelli erano sempre alzati in una curata cresta, mentre le sottili labbra si adagiavano perennemente intorno ad una sigaretta. Forse era il suo aspetto a renderlo scontroso, o forse era il suo carattere schivo, introverso e riservato. Non amava parlare solo per il gusto di farlo, si limitava all’essenziale. Era piuttosto risaputo che tra lui e Liam non corresse buon sangue, si vociferava per questioni di donne e soldi, ma in realtà tra i due non era mai accaduto nulla. La gente preferiva creare delle storie sul loro conto, aggiungendo dettagli raccapriccianti, ma chi li conosceva sapeva dire con certezza che nessuno dei due avrebbe mai ricorso alle mani per risolvere una disputa. Più che altro le loro divergenze si basavano su incompatibilità caratteriali. Zayn era sveglio, acuto ed intelligente e detestava il modo in cui Liam riusciva a prendersi gioco della gente, portandole a comportarsi esattamente secondo la sua volontà.
Il professore si schiarì la voce, intimando alla classe di ricomporsi con un solo sguardo. Tutti lo conoscevano, tutti eccetto Margaret ovviamente. L’anno scorso era stato lui a schierarsi per primo in una campagna contro il degrado delle scuole, finendo per scontrarsi apertamente con Louis e i suoi modi poco delicati di mettere in chiaro le sue idee.
Quell’anno, era evidente, Louis avrebbe scontato le conseguenze derivanti dal suo carattere poco riflessivo ed impulsivo.
“Che ne dici di organizzare una festa stasera?”, chiese Liam con un filo di voce alla sua ragazza, schiarendo bene il labiale così da poterle rendere più facile la comprensione.
Millie sorrise complice. In una qualsiasi altra occasione avrebbe immediatamente messo a disposizione la sua enorme villa, ma quella sera ci sarebbe stato suo padre con un importante socio d’affari e per una volta decise che non sarebbe stata d’intralcio.
“Andiamo al Sound?”, propose allora, sperando in una risposta affermativa.
Il Sound era una delle discoteche più famose di Londra, situata nel cuore della città, a circa mezz’ora dal loro quartiere.
“Va bene, piccola.”, apostrofò Liam prima di riportare l’attenzione sul professore, il quale aveva preso ad introdurre il programma del corso di filosofia.
Lo sguardo del castano passò in rassegna tutti i presenti, indeciso sulla sua prossima mossa. Aveva già le idee piuttosto chiare su come organizzare la serata. Doveva assolutamente procurarsi della roba, ma per quello avrebbe chiesto a Millie di intercedere presso Zayn. Ad allietare la notte ci avrebbe poi pensato Louis che, strafatto come il suo solito, avrebbe bighellonato allegramente in giro per il club, facendo innervosire una permalosa e poco tollerante Charlie. Niall ci avrebbe provato con Millie per poi ubriacarsi, Harry avrebbe vagato cercando di farsi notare, Bree avrebbe iniziato a far finta di essere una farfalla, Audrey avrebbe fumato canne in un angolo poco visibile del locale, Zayn avrebbe fissato tutti con aria di superiorità e la sua ragazza sarebbe finita nuda e strafatta sul suo letto.
Liam li conosceva, li conosceva tutti talmente bene che avrebbe potuto tranquillamente predire le reazioni di ognuno di loro. Era un buon osservatore, non lasciava mai nulla al caso e riusciva facilmente ad immedesimarsi nei panni altrui, comprendendone paure, desideri, segreti.
“Ci pensi tu a Zayn?”, chiese poi a Millie, catturando nuovamente la sua attenzione.
La ragazza non rispose, si limitò ad annuire sotto lo sguardo soddisfatto di Liam.
La mattinata procedette lenta e noiosa, scandita solo dal suono della campanella che annunciava lo scorrere delle ore. Ritornare sui libri era sempre stato difficoltoso per gli studenti, soprattutto per quelli che ancora non riuscivano a comprendere l’utilità e l’importanza dell’istruzione.
Louis, ad esempio, era perfettamente consapevole dell’impossibilità di realizzarsi all’interno della società. Lui era un cazzone. In anni ed anni di studi non era mai riuscito ad ottenere voti decenti e non perché non fosse bravo. Louis era convinto che chiunque, applicandosi con dedizione, avrebbe potuto raggiungere brillanti risultati. Il punto, tuttavia, era che Louis non voleva o, comunque, non poteva più. Aveva perso i migliori anni della sua vita in risse, alcool, feste ed erba. Nulla e nessuno gli avrebbe consentito di tornare indietro nel tempo per modificare ciò.
Sperava solo che, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a trovare un lavoro stabile e ben pagato che gli avrebbe permesso di condurre uno stile di vita medio. Non era ambizioso o idealista, ma realista.
Allo squillare della campanella che segnava l’inizio dell’intervallo Zayn si catapultò fuori dall’aula, bisognoso di assaporare il gusto della nicotina che tanto gli era mancato sentire sulle labbra in quelle poche ore.
Con passi svelti percorse il lungo corridoio, poi si avvicinò ad una porta sulla sinistra. La spalancò ed in un attimo fu nel bagno dei maschi. Estrasse il pacchetto di sigarette dalla giacca di pelle nera che ancora indossava e ne prese una tra le dita, poi cercò nell’altra l’accendino. L’accese e la portò con urgenza alle labbra, inspirando profondamente.
Chiuse gli occhi, nel tentativo di rilassarsi, mentre l’odore di tabacco iniziava ad aleggiare nella piccola stanza.
Quasi sobbalzò quando sentì la porta sbattere con prepotenza, per poi essere frettolosamente richiusa.
Millie, con le braccia incrociate al petto ed un sorrisetto malizioso disegnato sulle labbra, lo fissava con aria di sfida.
“Cosa ci fai qui? Per caso stanotte ti è cresciuto il cazzo?”, sbottò Zayn rude, infischiandosi di quanto volgare e grezzo potesse apparire.
Magari, in quel modo l’avrebbe allontanata ancora più facilmente.
Millie lo ignorò. Si avvicinò sinuosamente a lui, ancheggiando, mentre spostava gli occhi sulle labbra sottili del ragazzo. Gli sfilò la sigaretta e la portò alla bocca, poi ne fece un tiro.
“Stasera andiamo al Sound.”, esordì avvolgendo il volto del ragazzo con una piccola nuvola di fumo. “Ci sarai?”, gli domandò riposizionando la sigaretta tra le labbra di Zayn.
Lui sbuffò, infastidito dalle subdole moine della ragazza. L’unico motivo per il quale continuava ancora a parlare con Millie erano i soldi che puntualmente lei gli dava in contanti per procurarsi qualche pasticca di ecstasy o dei grammi di erba. Non gli interessava quanto male quelle sostanze potessero fare a quella ragazza, del resto non se ne preoccupava neppure lei. Zayn aveva i giusti contatti e Millie amava fare le cose nella maniera più semplice possibile.
“Cosa vuoi?”, le chiese schietto, tornando a fumare la sua sigaretta.
Millie fece spallucce, poi con una mano iniziò a giocare con una ciocca di capelli.
“Io non faccio le liste della spesa. Pensaci tu.”, terminò estraendo un’unica grande banconota dalla tasca degli shorts blu che indossava.
Senza esitazione alcuna, la infilò in quella dei jeans scuri di Zayn.
Sorrise compiaciuta sotto lo sguardo attento del ragazzo.
“A stasera, Zayn.”, lo salutò con un occhiolino, prima di voltarsi e uscire dal bagno soddisfatta.
“Tutto bene?”, le chiese Liam non appena Millie giunse nel piccolo giardino retrostante.
La ragazza annuì appagata, poi si sedette sulle gambe del fidanzato.
“Allora Harry, sei pronto per stasera?”, domandò beffarda al ragazzo riccio seduto di fronte a loro.
Harry era come l’ombra di Liam. Bastava trovare uno dei due per rintracciare anche l’altro.
“Certo che lo è.”, rispose Liam al suo posto, sfoderando quella sicurezza di cui l’amico era privo.
Harry sorrise.
“E stanotte ce lo dimostrerà.”, concluse ancora il castano, prima di concentrare tutta la sua attenzione su Millie.
In un attimo le loro lingue furono a contatto, le loro mani scivolavano, i loro corpi bramavano un contatto maggiore.
“Ragazzi, io…”, provò a dire Harry, ma entrambi non parvero accorgersi del suo tono imbarazzato.
Sospiro lievemente, poi rassegnato si alzò e tornò in classe.
Harry lo sapeva, ognuno di loro lo sapeva. Sapevano che erano esattamente come tante piccole mine vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano per sopravvivere, che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano increspato della vita. Si sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore ed affetto. Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per l’altro, di essere uniti, ma in realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un gruppo, ma solo l’unione di individualità problematiche, di adolescenti troppo presi ad affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si rinchiudevano. Erano fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento per raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da mascherare le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che sentivano nei loro petti e nelle loro menti. Un oncia di fumo non sarebbe stata sufficiente a far dimenticare loro quella opprimente sensazione, ma l’avrebbe alleviata anche solo per qualche attimo. Non era un rifugio, quello, ma solo il modo, seppur sbagliato, di riuscire ad esprimere un pezzettino di se stessi. Le loro storie erano intrecciate, ingarbugliate, li risucchiavano in un vortice senza fine o tregua. Erano destinati, o forse dannati.
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Angolo Autrice
Ed eccomi qui con un nuovo esperimento: Zayn, Louis, Liam, Niall ed Harry in verione Skins!:D
Lo so, devo ancora terminare l'altra storia, che tra l'altro non aggiorno da troppo tempo,
ma proprio non sono riuscita a resistere!!!xD
Ho scoperto questa serie appena una settimana fa, così ho letteralmente divorato in tre giorni le sette stagioni prodotte,
fino al finale trasmesso ieri su E4 e che, ovviamente, ho visto in diretta.
Non so se qualcuno l'ha già visto, io dico solo che mi sono messa a piangere
quando ho realizzato che quello era davvero "Skins: the last ever episode"!!
E poi Cook... Ok, direi che non è il caso di perdersi in chiacchiere.
Piuttosto, torniamo al primo capitolo di questa nuova fanfiction. 
So che è particolarmente lunghetto, quindi grazie già solo per essere arrivate all'ultimo rigo!;)
Ho preferito non tagliarlo, così da riuscire ad introdurre tutti i personaggi.
Questa volta sono davvero molti e a dir la verità un po' mi spaventa.
Insomma, certe volte è già difficile parlare di quattro/cinque persone e bilanciare gli spazi,
figuramoci quindi narrare le vicende di dieci ragazzi!xD
...
Uff, dovevo dire tante di quelle cose ed ora non mi ricordo più nulla... -.-
Vabbé, ogni capitolo, come in Skins, sarà dedicato ad un personaggio; nel primo ho scelto Liam,
ma con il tempo cercherò di approfondire le personalità di ognuno di loro.
Come avrete notato Harry qui non è il solito dongiovanni, Niall non è l'amicone e Liam non è il tenerone.
Per quanto riguarda Zayn e Louis, devo dire che i loro caratteri sono ancora in costruzione,
anche se un'idea generale c'è anche per loro.
Taglio qui, anche perché già il capitolo è lungo, quindi non credo sia il caso di eccedere anche qui!xD
Fatemi sapere cosa ne pensate, commentate, lasciate una recensione!!
Scappo ad aggiornare l'altra storia, finalmente. xD
Alla prossima,
                                                   
Astrea_



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Capitolo 2
*** Margaret ***


s2






MARGARET



Millie entrò con sicurezza nel locale, seguita da un’insicura e spaesata Margaret. A Manchester non frequentava posti tanto grandi ed affollati come quello. Non adorava la vita mondana, fatta di festini e trasgressioni, preferiva limitarsi al suo giro ristretto di amicizie affidabili. Tuttavia, quella volta aveva fatto un’eccezione. Aveva visto Millie, appena la mattina precedente, ed aveva subito capito quanto sarebbe stato facile per ambientarsi con l’aiuto di una come lei. Millie era bella, popolare, sicura, audace e per qualche strana ragione alla gente piaceva. La musica inondava l’enorme sala, gremita di giovani che ballavano senza troppo grazia nei loro movimenti.
“Andiamo di là, gli altri sono sicuramente già arrivati.”, esordì Millie trascinandola sul lato destro del locale.
L’aria era pesante, l’atmosfera soffocante, le luci si mischiavano stordendo i sensi e la musica rimbombava nelle orecchie. C’era un forte odore di tabacco ed alcool. Margaret non era abituata a ciò, ma per la prima volta pensò che una vita del genere le sarebbe potuta piacere. Avrebbe potuto gradire il divertimento, lo spasso, la leggerezza con la quale quel gruppo di adolescenti che aveva appena conosciuto si godeva la vita, senza preoccuparsi per neppure un istante delle conseguenze delle loro malsane azioni.
“Ragazze, finalmente siete arrivate!”, le salutò Liam, fiondandosi immediatamente sulla sua ragazza per poterla baciare.
La sua voce era melliflua e la sua espressione più vacua del solito, entrambi chiari segni del fatto che avesse bevuto. Non era ubriaco, ma brillo e tanto bastava a disinibirlo.
Niall li fissava, incapace di smuovere anche solo di poco lo sguardo. Si interrogava, rimuginava su come Millie potesse pensare di meritare così poco. A Niall piaceva Liam, ma detestava il modo in cui trattava la sua ragazza. Per lui Millie era quel genere di donna alla quale andavano riservate tutte le attenzioni possibili, carinerie, parole dolci, sorprese e complimenti.
“A chi va di ballare?”, propose un pimpante Louis, giungendo alle spalle dell’amico biondo.
Le sue pupille erano palesemente dilatate, gli occhi assenti, le labbra piegate in un perenne sorriso ebete.
“Si può sapere chi cazzo ha invitato Zayn?”, sbottò inviperita Charlotte che si affannava per non perdere mai di vista Louis.
“Non è colpa mia se il tuo ragazzo si impasticca.”, controbatté quest’ultimo con voce raschiata e dura, sibilando quasi.
Charlie stava per rispondere a quell’affermazione davvero poco carina ed educata, ma fu distratta dalle urla gioiose di Louis che si immergeva nella folla di gente e che danzava sventolando la maglia tra le mani.
Sbuffò, era stufa di doversi prendere cura di lui ogni qualvolta uscissero. Delle volte aveva la sensazione di comportarsi esattamente come una madre con il figlio adolescente. Doveva accudirlo, rincuorarlo, tenergli la fronte quando vomitava. Ma Charlie aveva appena diciassette anni e non era pronta per tutto ciò. Lei voleva solo un ragazzo da baciare e con il quale poter fare l’amore, ne voleva uno da amare con il quale poter essere felice. Tuttavia Charlie sapeva di non essere una ragazza fortunata, lei non lo era mai stata.
“Vado da lui.”, bofonchiò rassegnata, dirigendosi verso il punto esatto in cui lo aveva visto scomparire.
“Allora Harry, vuoi chiedere a questa bella ragazza di bere qualcosa?”, lo incitò Liam, lanciando una furtiva occhiata a Margaret.
La ragazza sorrise appena, mentre annuiva in un gesto tanto meccanico da far trasparire chiaramente l’imbarazzo.
“Ciao!”, trillò briosamente Bree, scuotendo la testa al ritmo dettato dal dj.
Dietro di lei, avvolta in una bolla di silenzio, si scorgeva la minuta figura di Audrey.
“Stasera è pieno di tante persone zuccherose.”, commentò ancora Bree sorridendo.
Aveva gli occhi puntati verso il cielo ed un’espressione sognante, assente, leggera. Volava, con le ali immaginarie che teneva ben saldate sulla schiena. Gli occhi di quel verde scuro tanto liquido parevano vagare in altre realtà, in un mondo di cui Bree era la padrona.
Margaret la squadrava in ogni minimo dettaglio, cercando di carpire quale fosse il segreto di quella bellissima ragazza dai capelli rossicci. Il suo viso era disarmante, quello strano fiocco dei colori dell’arcobaleno che fermava un ciuffo sulla nuca le conferiva un’aria sbarazzina, ma ingenua.
“Audrey, porta via questa pazza psicopatica.”, ordinò Millie alla sorella, indicando con aria di sufficienza la ragazza che ancora sorrideva.
“Non prendo ordini, benché meno da te.”, replicò senza scomporsi eccessivamente puntando la gemella con lo sguardo.
“Millie, balliamo?”, intervenne prontamente Niall, deciso ad evitare uno scontro aperto tra le due. Era risaputo che le gemelle Wood tendessero a rivolgersi la parola solo per inveire l’una contro l’altra. Lei indugiò qualche attimo sulla risposta, poi regalò un sorriso beffardo ad Audrey ed ancora fissandola accettò l’invito del ragazzo.
Liam non batté ciglio, si limitò ad osservare la scena dall’esterno.
“Margaret, Harry!”, chiamò Millie, rivolgendosi principalmente alla ragazza. “Venite con noi!”, esclamò afferrando per un polso Margaret.
In pochi istanti furono al centro della pista. Millie fece un mezzo giro, poi iniziò a muoversi. Subito Niall le prese la mano e la portò verso l’alto, con l’altra avvicinò il corpo della ragazza al suo. Voleva sentirla vicina, anche solo per un ballo. Avrebbe dato tutto, avrebbe fatto tutto pur di poterla stringere tra le sue braccia e non come amico. Avrebbe scalato montagne, attraversato oceani pur di poterla vedere addormentarsi e poi svegliarsi sul suo petto. Con una mano scivolò sulla schiena di Millie, premendola contro il suo busto. La musica li assordava, riempiva il vuoto dei loro corpi, scorreva nelle loro vene. Niall poteva sentire il profumo della pelle della ragazza infrangersi nelle sue narici, più forte dell’odore di fumo, sudore, vodka e rum. Gli occhi scuri di Mille brillavano, sorrideva mentre sensualmente dimenava le braccia.
Margaret si limitava a mosse meno audaci, mentre Harry la faceva volteggiare. Trovava carino quel ragazzo tanto bizzarro e silenzioso. Quell’aria impacciata e quel viso pulito le apparivano così dannatamente sexy. Scosse il capo, facendo ondeggiare la chioma di lunghi capelli ed incrociò gli occhi verdi del suo cavaliere. Con un unico passo si voltò, facendo scontrare la sua schiena contro il petto del ragazzo dai capelli ricci. Afferrò la sua grande mano e la portò sulla sua vita, poi riprese a muoversi insieme a lui, dettando il ritmo. Harry sorrise, sorpreso. Non pensava di riuscire ad ottenere un riscontro tanto positivo da quella serata. Non era pratico in questioni di ragazze, ma era ansioso di saperne di più.
Forse a Margaret iniziava già a piacere più del lecito il modo in cui quei ragazzi si divertivano.
Liam, intanto, continuava a tenere lo sguardo fisso sulla sua ragazza ed il suo amico che si dimenavano in sala. Non era geloso di Millie, sapeva di avere sotto controllo l’intera situazione. Era certo che nell’esatto momento in cui le sudice mani di Niall si fossero insinuate ben oltre dove gli fosse consentito, sarebbe intervenuto per portar via Millie, lasciando il ragazzo con una pulsante erezione insoddisfatta nei pantaloni.
“Non ti da fastidio?”, la voce di Audrey interruppe il flusso dei suoi pensieri.
“Cosa?”, chiese Liam fingendo di non aver compreso la domanda della ragazza.
Audrey soffocò una leggera risata ironica.
“Lo sai.”, dichiarò lei, puntellando con le dita sulla sbarra di metallo sulla quale teneva appoggiati i gomiti.
Liam non rispose. Si passò una mano tra i capelli ed inspirò profondamente.
“A lui piace giocare con le persone.”, commentò Bree, seduta poco dietro di loro su un divanetto.
A quelle parole il ragazzo ammiccò al suo indirizzo, sorridendo beffardo.
“Guardate ed imparate.”, annunciò incamminandosi in direzione di Millie.
Iniziò a fissarla già da lontano, procedendo con passo cauto e mordicchiandosi il labbro inferiore.
Gli sguardi di Audrey, Bree, Niall e Millie erano tutti per lui.
In poche falcate fu dietro alla sua ragazza. Poggiò una mano sui suoi fianchi ed iniziò ad ondeggiare. Con l’altra spostò i capelli che le pendevano sul lato destro, per lasciarle libero il collo e con le labbra si fiondò su di esso, baciandolo, mordendolo, leccandolo.
Niall ancora lo squadrava indignato, scombussolato, deluso da tale prepotenza. Era palese quanto lui tenesse a Millie, ma Liam non aveva avuto scrupoli nell’infrangere tanto duramente le sue speranze.
Spinta dall’esigenza di approfondire il contatto con Liam, Millie si voltò alla ricerca delle sue labbra, lasciando l’amico alle spalle, senza degnarlo neppure di uno sguardo o un cenno di scuse.
La ragazza che Niall amava era lì, davanti ai suoi occhi, che baciava Liam. Ogni volta quella patetica storia si ripeteva. Niall si imponeva che fosse l’ultima, ma puntualmente ricadeva in quel circolo vizioso. Non riusciva a rinunciare a quei pochi attimi in cui poteva sentire Millie sua, ma poi, come una gelida secchiata d’acqua, Liam tornava a rivendicare ciò che di fatto era suo, spezzandogli il cuore ancora una volta.
Si chiedeva perché ancora non riuscisse a darci un taglio netto, perché continuasse a vivere di illusioni e false speranze, ma poi nella sua mente balenavano gli occhi color nocciola di Millie.
Si allontanò di fretta dalla pista, diretto al bancone, con un unico semplice intento: bere qualcosa.
“Audrey, voglio ballare e volteggiare.”, sentenziò Bree scattando come una molla dal divanetto sul quale era adagiata.
“Bree, quanti tranquillanti hai preso prima di uscire?”, le domandò costatando le condizioni poco lucide dell’amica.
Bree alzò le spalle, lasciandosi andare in una risata cristallina.
“Non mi ricordo.”, ammise iniziando ad ondeggiare con le braccia.
Chiuse gli occhi e sorrise. Tutto quel rumore le appariva come lontano, ma allo stesso tempo più intenso. Sentiva il pulsare della musica, percepiva l’incalzante ritmo, le sarebbe potuta scoppiare la testa per quanto rimbombasse in essa. Tutto era così abbagliante, accecante che preferiva affidarsi al buio della sua mente e al suo istinto.
Audrey la guardava con espressione rapita. Bree era lì, a pochi metri da lei, che ballava in un angolo poco affollato, sperimentando quanto quella prigione, quella vita, la rendesse libera.
“Ti va se ci fumiamo qualcosa?”, una voce piombò alle sue spalle.
Audrey si voltò incontrando gli occhi ambrati di Zayn. Nonostante non fossero amici, Audrey non fu sorpresa di trovare proprio lui. Era capitato, poche altre volte, che in serate come quella si ritrovassero in corridoi deserti, parcheggi inquietanti o bagni luridi. Non c’erano parole tra loro, solo quel subdolo e superficiale desiderio di sentirsi meno soli.
Zayn era riservato, Audrey incurante.
“Ci sto, ma portiamo anche lei. Non mi va di lasciarla sola.”, contrattò lanciando un’occhiata a Bree che aveva preso a far ruotare la lunga chioma di capelli rossicci.
Zayn sogghignò a quella scena.
“Andiamo.”, concluse.
Uscirono dalla porta secondaria situata sul retro del locale e subito una ventata di aria gelida li colpì.
“Audrey, lo senti anche tu il freddo ?”, chiese Bree con gli occhi persi nel cielo cupo e buio.
Né Zayn, né Audrey sorrisero a quella domanda.
“Sì, se vuoi puoi tornare dentro a prendere la giacca.”, le concesse.
Bree scosse il capo. Aveva ancora le labbra piegate in un sorriso e lo sguardo rivolto verso l’alto.
“Il freddo al cuore.”, sospirò con tono ingenuamente infantile.
Audrey trattenne il fiato, lo stesso fece Zayn.
“Si riscalderà, prima o poi.”, la rincuorò gettando le spalle contro il muro, poi fece un tiro dalla canna che Zayn le aveva appena ceduto.
La suoneria del cellulare del ragazzo interruppe il silenzio che era calato tra i tre.
Zayn lo estrasse frettolosamente dalla tasca dei pantaloni e rispose.
“Hai visto Louis?”, la voce preoccupata e ansimante di Charlie gli assordò l’orecchio.
“No.”, rispose secco. “Che succede?”, chiese poi, immaginando già la risposta che avrebbe ricevuto di lì a qualche secondo.
“Mi sono allontanata un attimo ed è sparito!”, urlò per cercare di sovrastare tutto il rumore che la circondava.
Charlotte era palesemente scossa.
“Non lo trovo, Zayn!”, gridò agitata. “Non lo trovo da nessuna parte!”, ripeté in preda ad una crisi nervosa.
“Aspettami all’ingresso principale, lo cercheremo insieme.”, borbottò Zayn prima di chiudere la chiamata.
Volse un veloce sguardo ad Audrey, che aveva il viso rivolto altrove.
“Devo andare.”, disse a mo’di saluto, senza tuttavia ricevere risposta alcuna.
Rientrò nel locale e a passo di marcia si diresse nel punto in cui avrebbe dovuto incontrare Charlie, stando attento a tutti i volti che incontrava durante il breve tragitto.
“Niall!”, urlò Zayn, sbracciandosi per catturare l’attenzione del ragazzo che barcollava poco distante da lui.
Zayn lo afferrò per le spalle e lo scosse, come per risvegliarlo dallo stato penoso in cui verteva.
Puzzava terribilmente di alcool e probabilmente non sarebbe potuto essere d’aiuto in alcun modo.
“Dov’è Louis?”, gli chiese con tono duro.
Niall lo guardava senza capire cosa Zayn volesse da lui. Era ubriaco, troppo ubriaco.
“Louis, Louis!”, ripeté il ragazzo, sperando di riuscire a cavar qualcosa da quella testa bionda. “Dov’è?”, domandò ancora una volta.
“È andata via con Liam.”, balbettò con aria sommessa Niall.
Zayn non ci mise molto a capire che in realtà stesse parlando di Millie e non di Louis. Lo liberò dalla sua ferrea presa e riprese a camminare in direzione di Charlie, imprecando per il nervoso.
“Zayn, finalmente!”, esultò la ragazza non appena lo vide.
Aveva la fronte corrugata e gli occhi spaventati. Era terrorizzata all’idea che Louis stesse facendo chissà quale delle sue cazzate.
“Ho visto Niall, ma non ha saputo dirmi niente.”, la informò. “Che ne dici se vado a cercarlo con Harry?”, propose. “Credo sia meglio che tu vada a casa, sei troppo scossa.”, spiegò poi.
Charlie si buttò sul petto di Zayn e con una mano afferrò il tessuto della maglietta che il ragazzo indossava.
“Non voglio si metta in pericolo.”, piagnucolò cercando malamente di trattenere le lacrime.
“Non accadrà.”, provò a rincuorarla Zayn passandole una mano sui capelli con un gesto impacciato.
Non era bravo a consolare le persone, era uno di poche parole lui.
“Andiamo a cercare Harry.”, disse prima di trascinarla nuovamente tra la folla.
Poco dopo Zayn li vide, Margaret ed Harry erano di spalle, appoggiati al bancone che scherzavano allegramente, coadiuvati dall’effetto di qualche cocktail.
Margaret si stava divertendo come una delle poche volte nella sua vita. Il suo giudizio riguardo al trasferimento era ancora incerto. Da una parte sapeva perfettamente che la sua vita di Manchester le sarebbe continuata a mancare, ma forse aveva trovato qualcosa di nuovo a Londra. Quelle persone, quei luoghi, quei comportamenti la intrigavano, l’avevano già inconsapevolmente conquistata.
Persino la compagnia di Harry le risultava stramente piacevole. Era abituata a frequentare membri delle squadre di calcio e rugby della sua vecchia scuola, non dei tipi anonimi incitati dai loro amici e se quella sera aveva fatto un’eccezione era solo perché effettivamente lei non credeva affatto nei pregiudizi tra i quali aveva sempre vissuto. Forse quella sarebbe stata l’occasione giusta per trascurare le assurde regole della popolarità delle scuole strapiene di adolescenti ed andare oltre le apparenze dettate da una stupida e riduttiva etichetta.
“Harry!”, una voce maschile e forte catturò l’attenzione di entrambi, facendoli voltare nella direzione presso cui veniva.
Il viso di Zayn non lasciava trapelare alcuna emozione, mentre quello di Charlie era contratto in una smorfia di angoscia.
“Cosa succede?”, domandò il riccio scrutando meglio il volto afflitto della ragazza.
Charlotte non riuscì neppure a rispondere a quella semplice domanda. Nella maggior parte dei casi al suo ragazzo non capitava mai nulla di grave, ma la consapevolezza che lui fosse solo o chissà con chi e chissà dove, sotto l’effetto di chissà cosa la intimoriva. Lo aveva visto inghiottire una pasticca, ma non poteva avere la certezza che quella fosse stata l’unica.
“Credo sia ora di andare a cercare Louis.”, sentenziò Zayn al suo posto.
Harry comprese all’istante, mentre lo sguardo di Margaret saettava spaesato da Charlie, a Zayn e ad Harry, per poi riprendere dall’inizio.
“Potreste spiegarmi?”, provò a chiedere allora con cautela.
“Devo andare, tu rimani con Charlie.”, disse prontamente Harry, senza perdersi in spiegazioni. “Ciao.”, la salutò frettolosamente prima di allontanarsi con Zayn.
Margaret lo vide sparire tra la folla, scombussolata da quel repentino cambiamento che aveva assunto la sua serata.
Charlotte, invece, sembrava avere tutta l’intenzione di rimanere nel suo mutismo, troppo presa dalle sue mille preoccupazioni.
“Perché sono andati a cercare Louis?”, le chiese Margaret tutto d’un tratto, bisognosa di fare chiarezza.
Charlie si mordicchiò il labbro. Era raro vederla tanto vulnerabile come in quel momento.
“Ha preso delle pasticche, non so dove sia finito.”, confessò con un filo di voce e lo sguardo basso.
Senza aggiungere altro, Margaret le fece cenno di dirigersi verso i divanetti, così da potersi sedere e restare tranquille nell’attesa che sopraggiungessero notizie.
“Lo fa spesso?”, domandò ancora.
Probabilmente quello non era il genere di conversazione che Charlie avrebbe voluto sostenere, ma Margaret voleva provare ad essere d’aiuto e per farlo necessitava conoscere qualche dettaglio in più.
“Sì.”, confermò Charlotte iniziando a giocare con le dita delle mani, strusciandole sulle cosce.
“Perché?”
Quell’unica parola spiazzò completamente la bionda dalle ciocche rosa. Boccheggiò un paio di volte, riscoprendosi incapace di rispondere a quell’interrogativo. Aveva trascorso due anni con Louis senza mai conoscerlo davvero ed era stata una sconosciuta a farglielo realizzare per la prima volta. Charlie si preoccupava delle conseguenze, di mettere in ordine i casini che Louis procurava in giro, come quella volta che si era introdotto furtivamente nella casa dell’anziana signora che viveva a pochi isolati da lei. Non si interrogava sul motivo, non più. I primi tempi ci aveva provato, ma non aveva ottenuto alcun risultato discreto. Così alla fine aveva finito per abituarsi alla vita stravagante, impulsiva e immotivata del suo ragazzo.
Margaret si rese conto di aver esagerato, con le sue domande curiose ed invadenti.
“Sono sicura che sta bene.”, affermò accennando ad un sorriso.
Quando il cellulare di Charlotte squillò, dopo un lasso incommensurabile di tempo, le due ragazze trattennero il fiato.
Ogni volta si ripeteva la stessa stupida agonia.
Non esitò neppure un attimo e con un gesto fulmineo Charlie portò il telefono all’orecchio.
“Come sta?”, domandò impaziente di avere sue notizie.
“Ha un gomito sbucciato, ma sta alla grande.”, la voce di Harry le giunse serena, non stava mentendo.
Charlotte tirò un sospiro di sollievo e Margaret le sorrise, avendo intuito perfettamente la risposta giunta dall’altro capo.
“Dove siete adesso?”, riprese Charlie, continuando l’interrogatorio.
“A Trafalgar Square. L’abbiamo trovato sul cornicione della fontana che giocava a fare l’equilibrista. È caduto ed ora è ancora steso al suolo, Zayn sta provando a rialzarlo.”, spiegò.
“’Fanculo a lui e le sue stronzate! Ed io che sto anche a preoccuparmene!”, sbottò Charlotte irritata, scaricando tutta la tensione che aveva accumulato. “Fami un favore Harry, mandalo a ‘fanculo da parte mia!”, sbraitò ancora prima di chiudere la telefonata.
Era stanca, stremata da tutto ciò. Louis la stava distruggendo lentamente.
“Chiamo un taxi, ce ne andiamo?”, propose Margaret, senza far alcun riferimento alla sua reazione.
Da un certo punto di vista poteva dire di comprenderla.
Charlotte annuì ed insieme lasciarono il Sound.
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Angolo Autrice
Ehi, c'è nessuno??xD Ok, sono un po'... boh, titubante forse.
In realtà questo silenzioso inizio mi ha lasciata perplessa. xD
Insomma, non che pretendessi chissà cosa, ecco, però almeno un commentino anche se negativo,
anche per dirmi cosa cambiare, migliorare... u.u
Comunque, partiamo da tutte le cose che l'altra volta ho dimenticato di dire. xD
Allora, Skins è ambiantato a Bristol, mentre qui siamo a Londra visto che,
 invece di Sid (*.*), Tony (*.*) e company (*.*), qui si parla degli One Direction (**.** <3).
Per chi conosce ed ha visto Skins potrà sembrare che ci siano delle somiglianze,
ma vi assicuro che la storia si evolverà in modo completamente diverso. ;)
Tratterò esclusivamente dell'ultimo anno di un gruppo di ragazzi in un f. e. college, non degli ultimi due
come avviene per ogni generazione di Skins, anche perché vorrei dedicare più spazio ad ogni personaggio.
Ed ora parliamo del capitolo. Con questa storia sto superando davvero ogni mio limite,
i capitoli iniziano e non finiscono mai e la cosa comincia a diventare preoccupante. xD
Non so, forse sarebbe meglio dividerli in più parti? Che ne dite?
Ed i personaggi come vi sembrano?
Questa volta è stato il turno di Margaret, il suo mi è sembrato il punto di vista migliore
per dare un'inquadratura generale, visto che siamo appena al secondo capitolo.
Ok, vediamo di fare un po' di ordine. Nel capitolo Niall balla con Millie ed Harry con Margaret.
Ma mentre i primi due vengono divisi dall'arrivo di Liam, Margaret sembra piuttosto interessata al riccio.
E non dimentichiamoci di Louis e Charlotte! Lui che come al solito si sballa e lei che se ne preoccupa,
chiedendo l'aiuto di Zayn al momento impegnato con Audrey e Bree.
Ho dimenticato qualcuno?? Bah, mi pare di no. xD
Nel prossimo capitolo parleremo di... -rullo di tamburi- LOUIS! :D
Ok guys, scappo a rivedere tutti gli Stydia moments prima dell'episodio di lunedì!*.*
Che ne dite di lasciare un veloce piccolo commentuccio???????
Alla prossima,
                                                             Astrea_



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Capitolo 3
*** Louis ***


s3





LOUIS



“Louis, Louis!”, la voce di Zayn riecheggiava nella stanza. “Louis, cazzo!”, imprecò alzando il tono di voce. “Svegliati!”, gli ordinò tirando con un unico e secco gesto le coperte tra le quali il corpo dell’amico era avvolto.

Le tapparelle delle grandi finestre della camera di Zayn erano quasi del tutto abbassate, lasciavano entrare solo qualche fioco raggio di luce. La testa di Louis pulsava maledettamente ed anche quel lieve bagliore sembrava irritare gli occhi ancora socchiusi. Faceva fatica persino a spalancare le palpebre e, in questo, le conseguenze degli eccessi della sera precedente non lo avrebbero aiutato affatto.
Avrebbe voluto continuare a poltrire su quel materasso, fregandosene della scuola, fregandosene della madre che probabilmente lo aspettava preoccupata a casa.
“Voglio dormire.”, si lamentò in un mugolio contro il cuscino che sapeva di fresco.
“Potevi pensarci prima, ora è tardi.”, tagliò corto Zayn avvicinandosi alle finestre per aprirle del tutto.
“Spegni quella cazzo di luce.”, bofonchiò a denti stretti, rigirandosi su se stesso.
“Si chiama sole, è quella sfera che sorge all’alba. Ne hai mai sentito parlare?”, lo prese in giro Zayn, mentre si avvicinava al grande e capiente armadio della sua camera per estrarne degli indumenti puliti che avrebbe poi prestato al suo amico.
“Che ore sono?”, chiese Louis in uno sbadiglio che non si preoccupò di coprire.
“Le sette e mezzo.”, gli comunicò l’altro afferrando lo zaino nero dal pavimento.
“Cos’è successo ieri sera?”, domandò ancora il castano, probabilmente realizzando di non trovarsi a casa sua.
“Siamo andati in discoteca, sei sparito. Io ed Harry ti abbiamo cercato, eri a Trafalgar Square. Charlie ti ha mandato a ‘fanculo. Ho chiamato tua madre, l’ho rassicurata e ti ho portato a casa mia. Fine della storia.”, raccontò Zayn quasi come se stesse facendo un dettato, essenziale e chiaro almeno quanto un comunicato stampa.
Il suo resoconto era breve e conciso, nessun fronzolo.
“Ho ancora la memoria annebbiata.”, confessò con rammarico grattandosi la nuca.
“Avrai tempo per rifletterci, per ora pensa a prepararti.”, replicò duro, gettandogli i vestiti che aveva precedentemente scelto per lui.
Louis aveva decisamente bisogno di una doccia fredda, ghiacciata. Seppur controvoglia si alzò dal letto e si diresse in bagno, deciso a rendersi quantomeno presentabile.
Nonostante fosse stato piuttosto veloce nel sistemarsi, Louis e Zayn arrivarono con un discreto ritardo a scuola. Gli studenti erano già tutti entrati e le lezioni erano cominciate da circa una quindicina di minuti quando oltrepassarono la porta d’ingresso principale del Kensington & Chelsea College.
Louis non era affatto preoccupato di ciò, piuttosto temeva l’imminente incontro con Charlotte. Avevano già litigato decine e decine di volte per quello stesso ed identico motivo, ma quella mattina c’era qualcosa di strano dell’aria. Charlie non l’aveva chiamato di buon ora, facendolo sobbalzare per lo spavento, solo per assicurarsi delle sue condizioni fisiche. In alcune occasioni non si erano parlati per giorni a causa della stronzata di turno commessa da Louis in un momento di particolare euforia, altre erano finiti per fare sesso nel primo luogo appartato. Controllò la scheda contenente gli orari dei corsi, rallegrandosi nel verificare che non l’avrebbe incontrata prima della pausa.
Aveva bisogno di tempo per trovare le giuste parole, per preparare un discorso decente intriso d’amore per la sua ragazza.
Louis amava con tutto il cuore Charlie, l’amava talmente tanto che ne sarebbe morto d’amore. Tuttavia era perfettamente consapevole del fatto che lei non meritasse una vita del genere, ricolma di strazio e angosce.
Una volta Charlotte le aveva descritto la loro relazione: era come andare sulle montagne russe. Non c’erano previsioni che tenessero. Un attimo prima era la cosa più bella e divertente del mondo, mentre quello successivo diventava terrorizzante. C’era sempre una discesa improvvisa pronta a lasciarla con il fiato sospeso, il cuore in gola per la paura e lo stomaco aggrovigliato. E subito dopo c’era un sorriso, quel sorriso che seguiva ogni piccola grande emozione che nasceva quando il panico l’abbandonava. Ma quel momento, quell’apparente tranquillità era destinata ad infrangersi nuovamente. Era un pendolo, il loro. Un pendolo che oscillava tra il riso e la tensione.
Louis si chiedeva ancora come Charlie riuscisse a sostenere una situazione del genere con tanta maestria. Probabilmente qualsiasi altra ragazza lo avrebbe mollato, lasciato solo ad affrontare la sua fottuta ed incasinata vita, ma lei no. Charlotte era rimasta. Non aveva chiesto nulla in cambio, ma si era offerta, gli aveva offerto il suo amore, il dono più grande che potesse fargli.
Al suonare della quarta campanella Louis sobbalzò, consapevole che fosse giunto il momento. Si alzò senza neppure salutare Harry, che lo aveva affiancato durante il corso di francese, e si diresse verso i giardinetti dove erano soliti incontrarsi.
Charlotte era già lì ad attenderlo. Indossava una semplice maglietta bianca, dei jeans chiari ed uno strano giacchetto grigio. Era seduta sul muretto che costeggiava il prato. Aveva le gambe accavallate ed il viso rivolto verso il basso. Con una mano giocherellava con l’estremità rosa di una ciocca dei suoi capelli. Era bellissima.
“Ciao.”, esordì Louis con un sorriso, mentre prendeva posto accanto a lei.
Sapeva perfettamente che una delle parole d’ordine con Charlie era la cautela. La sua ragazza era come un ordigno, una piccola, ma potente bomba che doveva essere maneggiata con cura per non farla esplodere.
Charlotte non rispose, ma si pietrificò all’istante nel percepire la presenza di Louis alla sua sinistra. Non aveva affatto dormito quella notte, mille pensieri le avevano affollato la mente, mille pensieri che non era riuscita a zittire e che l’avevano resa insonne.
“So che ieri sera io…”, iniziò a dire lui, ma fu bloccato dallo sguardo gelido della ragazza.
“Sono stanca delle tue scuse.”, sentenziò a labbra serrate, compiendo un palese sforzo per rimanere tranquilla e stemperare la rabbia furente che cresceva dentro di lei.
“Hai ragione, io…”, provò nuovamente Louis dopo qualche secondo di assoluto silenzio.
“Sono stanca anche delle tue promesse.”, aggiunse senza permettergli di continuare.
Il battito del cuore di Louis rimbombava nel petto del ragazzo. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe giunto.
“Mi stai distruggendo, Lou. Il tuo amore, il mio amore mi sta annientando.”, ammise con un filo di voce, spaventata dalle sue stesse parole.
Le continue attese, le pene, la mancanza di spiegazioni le stavano divorando l’anima, la rendevano debole e vulnerabile.
“Quando ci siamo messi insieme pensavo di aver trovato un ragazzo, non un bambino da controllare a vista d’occhio.”, spiegò.
Quelle parole, maledettamente vere, facevano male ad entrambi.
“Credo di non essere pronta per tutto questo, credo di non poter reggere ulteriormente questa situazione.”, aggiunse provando a guardare di sottecchi Louis.
Voleva leggere sul suo viso una reazione, voleva capire cosa stesse pensando, ma tutto ciò che vide fu un sorriso sbieco e rassegnato.
“Mi stai lasciando?”, chiese allora per fare chiarezza su quel breve discorso.
Charlie non rispose.
Louis si chiese se era quella la sensazione che si provava quando si moriva. Quella sensazione di vuoto, di insensibilità, di buio che lo attanagliava.
“’Fanculo.”, sbottò poi, all’improvviso.
Si alzò di scatto e corse, corse. Non gli importava dove, non gli interessava della scuola o delle assenze. L’unica persona che lo avesse mai amato, l’aveva appena piantato.
Louis non ricordava neppure più com’era essere soli al mondo. Ci aveva impiegato una vita per scacciar via quella sensazione ed ora avrebbe voluto non averlo mai fatto. Sentiva la mancanza, sentiva il dolore, sentiva il cuore frantumarsi e tutto ciò faceva male.
Non ricordava neppure più cosa significasse perdere qualcuno, non sapeva come si piangesse. Lui aveva combattuto arduamente per diventare quel ragazzo giocherellone, il cazzone, quello pronto a far battute, a ridere e scherzare, che non sapeva cosa fosse la tristezza.
Ma in realtà Louis la conosceva bene. L’aveva incontrata per la prima volta una domenica mattina di molti anni fa, quando si era recato nella stanza dei suoi genitori, si era tuffato sul materasso del letto matrimoniale ed aveva trovato solo sua madre che piangeva, cercando di soffocare i singhiozzi nel cuscino.
Suo padre li aveva abbandonati, era fuggito via con un’altra. L’ultima volta che Louis aveva veramente sentito qualcosa di forte era stato quando suo padre era tornato, ma con lui c’erano la sua nuova compagna e la loro piccola ed adorabile figlioletta. La visione di quel quadretto idilliaco lo aveva perseguitato per mesi. Continuava a domandarsi perché fosse andato via, perché preferisse quella nanerottola appena nata a lui, l’unico figlio maschio al quale aveva persino insegnato ad andare in bici e a giocare a calcio. Dopo quella volta non lo aveva mai più visto e, forse, in parte si era anche rassegnato all’idea.
Non sapeva neppure come ci fosse entrato in quel dannato giro che Charlie odiava tanto. Non riusciva a capacitarsi di come la sua vita fosse gradualmente degenerata, fino a raggiungere i limiti della decenza. L’unico punto saldo, fisso nella sua scombussolata ed altalenante vita era stato Zayn. Certo, fino a pochi attimi prima avrebbe dovuto aggiungere anche Charlotte, ma se ne era appena tirata fuori. Zayn era stato un amico fidato per lui. Lo aveva difeso, aiutato, si era preoccupato per lui e continuava a farlo, esattamente come durante la notte precedente. Non era un ragazzo di molte parole, i loro caratteri erano diametralmente opposti, ma per qualche strana ragione riuscivano a comprendersi sempre.
Louis corse e corse ancora, ormai aveva il fiato corto, ma continuava a muovere un passo dopo l’altro.
“’Fanculo!”, urlò al cielo. “’Fanculo!”, ripeté più convinto di prima, beccandosi l’occhiataccia della signora che passeggiava con in braccio una bambina.
“Vaffanculo.”, sussurrò liberandosi, anche se in minima parte, dell’opprimente peso che incombeva su di lui.
Charlotte si sentiva profondamente in colpa per le parole dette a Louis. Sapeva quanto fragile fosse e sapeva quanto egoista fosse stato il suo comportamento, ma se ne vedeva costretta.
Magari avrebbe potuto continuare a vegliare a distanza su di lui, poi a tempo debito si sarebbero riavvicinati da amici.
“Hai chiarito con Louis?”, le chiese Margaret in un sussurro, ignorando completamente la spiegazione del professoressa del corso di storia.
Tra le due si era subito instaurata un’innata e sincera complicità che le aveva spinte ad avvicinarsi l’una all’altra.
“Ci siamo lasciati.”, ammise Charlie, giocherellando con la matita.
Ogni qualvolta fosse nervosa Charlie prendeva a concentrare l’attenzione sugli intrecci frenetici delle sue dita, sulle punte dei suoi capelli o sulle matite che trovava a portata di mano.
Quella notizia sorprese Margaret. Per quanto poco conoscesse quella storia ed i suoi protagonisti, di certo non si sarebbe aspetta un finale del genere, ma comprendeva perfettamente le ragioni di Charlotte.
“Lui come l’ha presa?”, domandò con un filo di voce, stando attenta a non farsi sentire da nessuno eccetto Charlie.
“È corso via.”, rispose con rammarico l’altra, prendendo a scarabocchiare sul foglio ancora bianco del quaderno a righe che teneva aperto sul banco.
“Dagli tempo, capirà.”, la rassicurò Margaret, accennando appena ad un sorriso di supporto.
Harry continuava a sbirciare dall’esterno la figura di Margaret, seduta in terza fila, vicino alla finestra.
Era uscito di proposito dalla sua aula per vederla. Certo, Liam aveva giocato un ruolo piuttosto importante in quella decisone, ma alla fine era lui che aveva optato per recarsi realmente presso la meta stabilita. Avrebbe potuto fingere, rintanandosi semplicemente nel bagno, ma per quella volta pensò che sarebbe stato meglio rischiare ed essere sconfitti, piuttosto che sventolar bandiera bianca ancor prima di averci provato.
Aspettava il momento perfetto, quello in cui i loro sguardi si sarebbero incontrati. Lui le avrebbe fatto cenno con la mano di uscire dalla classe, lei lo avrebbe raggiunto e si sarebbero dati appuntamento per la sera stessa.
Nella mente di Harry tutto si ripeteva come le scene di un film, progettate e non ancora girate.
Gli piaceva Margaret, ma, soprattutto, gli piaceva l’idea che a lei piacesse lui.
“Hai intenzione di fissarla ancora per molto prima di rivolgerle la parola?”, la voce fredda di Audrey fece trasalire Harry, che quasi perse l’equilibrio sul muretto sul quale era salito per avere una visuale migliore.
“Potresti evitare di spuntare alle spalle? Mi hai quasi fatto prendere un infarto.”, si lamentò, consapevole di essere stato colto in flagrante.
Audrey fece spallucce e si avvicinò al muro dell’edificio.
“Eri troppo intento ad osservare la tua bella per accorgerti dell’arrivo di chiunque.”, gli fece notare con tono che non ammetteva repliche.
Con un balzo Harry scese dal muretto, poi si passò una mano tra i capelli con fare nervoso.
“Perché non sei in classe?”, le chiese arricciando gli occhi.
“Pausa sigaretta.”, rispose tirandone fuori una dal pacchetto che teneva nella tasca del giubbino che indossava.
Audrey la accese e ne ispirò il tabacco in un primo profondo tiro.
“Vuoi?”, disse poi, per offrirne una anche al ragazzo.
“No, grazie.”, rifiutò Harry, ancora preoccupato.
Non conosceva bene Audrey e non sapeva quanto e cosa avrebbe potuto raccontare di ciò che aveva appena visto. Aveva già fatto troppe volte la figura dell’idiota e non voleva dover aggiornare l’elenco.
“Ti piace Margaret?”, domandò Audrey, spezzando il silenzio che si era creato.
Aveva il vizio di giungere subito al succo della questione, alla sostanza delle cose.
Harry deglutì, incerto sulla risposta che avrebbe dovuto dare.
“Credo di sì.”, ammise infine.
Audrey fece un mezzo sorriso, insoddisfatta, mentre portava nuovamente la sigaretta alle labbra.
“Piace a te o è Liam che l’ha deciso?”, lo provocò ancora con un ghigno.
Quello era un altro dei tanti difetti di Audrey: dire esattamente ciò che pensava nell’esatto momento in cui quel pensiero veniva concepito. Era una discreta osservatrice, ma conosceva fin troppo bene il ragazzo di sua sorella.
Quelle parole fecero riflettere Harry. Era da tempo che ci pensava, che rimuginava su quanto ed in quale misura Liam influisse sulle sue decisioni. Margaret era una bella ragazza, ma non era stato lui a notarla. Le era piaciuto ballare con lei, ma non era stato lui ad invitarla ed ora si ritrovava a pochi metri dalla finestra che dava sulla sua aula in attesa che potesse parlare, esattamente come Liam gli aveva suggerito.
“A me piace.”, borbottò senza rispondere in modo esaustivo.
L’espressione di Audrey si piegò in una strana smorfia che Harry non riuscì a decifrare.
Continuò a fumare la sua sigaretta senza aggiungere altro, rimanendo in silenzio, con lo sguardo perso nel poco verde che li circondava.
Quando l’ebbe terminata gettò la cicca a terra, poi puntò i suoi occhi scuri in quelli chiari di Harry.
“Lascia perdere i suoi consigli. La vita è la tua, fai le tue scelte, commetti i tuoi errori, almeno sarai stato tu a volerli.”, disse abbandonando per la prima volta quei suoi modi scontrosi.
Gli sorrise appena, poi si voltò decisa a rientrare in classe.
Harry ancora la guardava mentre camminava verso la porta del corridoio dell’ala sinistra.
“Audrey, finalmente ti ho trovata!”, trillò entusiasta Bree, parandosi davanti alla vista dell’amica.
Il suo umore cambiò repentinamente, trasformandosi da gioioso a riflessivo in pochi secondi.
Gli occhi di Bree erano più sgranati del solito e le pupille saettavano da destra a sinistra, dall’alto al basso.
“Credo che il professore si stia chiedendo dove siamo.”, dichiarò con espressione assente, come se lei fosse fisicamente lì, ma la sua mente fosse completamente altrove.
“Torniamo in classe, ti va?”, propose allora Audrey, afferrandola per un braccio.
Le labbra di Bree si piegarono in un sorriso. Ultimamente era più lunatica del solito e ciò preoccupava non poco Audrey.
“Certo.”, asserì l’altra. “Ma perché parlavi con Harry?”, chiese alla sua migliore amica, avendo notato la presenza del riccio poco più in là.
Audrey si sorprese di quanto assente, ma allo stesso tempo presente Bree riuscisse ad essere.
Quella risposta risultò più complicata del previsto. In realtà non esisteva alcun buon motivo che spiegasse il perché di quella breve conversazione. Audrey lo aveva visto, con la sua solita aria impacciata e aveva pensato di avvicinarsi. Il resto era poi venuto da sé.
“L’ho incontrato per caso.”, si giustificò facendo spallucce.
Rientrarono nell’edificio, poi si accinsero a salire la prima rampa di scale che portava all’aula del corso di psicologia.
“Oggi pomeriggio ci vediamo?”, domandò Audrey alla sua amica per cambiare intenzionalmente discorso.
Bree storse il labbro, facendo presagire una risposta negativa.
“Devo vedermi con il mio analista. Mia madre questo mese ha intensificato le sedute. Dice che con la ripresa della scuola si accumula più stress.”, spiegò. “Magari domani, che ne dici?”, provò a rimediare poco dopo, sorridendole.
“Ci sto.”, confermò Audrey con lo stesso entusiasmo di Bree.
Non voleva farle pesare in alcun modo quella assurda terapia a cui la madre la costringeva ormai quasi da anni.
“Carino Zayn ieri sera, però.”, commentò Bree d’un tratto, prima di spalancare la porta della loro aula.
Rientrarono e, non ascoltando neppure la ramanzina che il docente aveva riservato loro, ripresero posto all’ultima fila di banchi.
“Carino, certo, ma troppo criptico per capire anche solo fino a che punto è incasinato.”, controbatté Audrey in un sussurro quando l’attenzione si focalizzò nuovamente sulla spiegazione tenuta dal professore.
“E quale sarebbe la novità?”, ironizzò allora Bree. “Qui siamo tutti fottutamente incasinati.”, dichiarò quasi in un sospiro, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo, ma allo stesso tempo la più difficile da comprendere.
Ma aveva ragione. Bree aveva decisamente ragione.
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Angolo Autrice
Hola!:D ...terzo capitolo postato e questa volta si parla di Louis!:D Finalmente si è capito qualcosa in più rigurado alla sua personalità.
Innanzitutto c'è da dire che Zayn, tralasciando l'aspetto scontroso, si è dimostrato un buon amico e lo sarà anche in futuro. ;)
Charlie ha messo fine alla sua relazione con Louis, mentre Harry sembra sempre più impacciato!:3
Ed Audrey non perde occasione per cercare di farlo riflettere, ma poi c'è l'arrivo di una lunatica Bree.
Va bene, non credo di avere molto da dire... xD
Comunque, ringrazio chi silenziosamente legge e boh... se vi va lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate!!
Anche le critiche costruttive sono ben accette!:D
Alla prossima,
                                                             Astrea_







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Capitolo 4
*** Millicent ***


s4



MILLICENT



Millie sorrise alla sua immagine riflessa dallo specchio del bagno privato della sua stanza, mentre con i polpastrelli continuava a spalmare delicatamente della crema idratante sulla pelle chiara del suo viso. Le piaceva prendersi cura del suo corpo, valorizzare i suoi punti di forza e camuffare le piccole imperfezioni.
Quando ebbe terminato tornò nella sua stanza, intenta a trascorre lì il tempo necessario affinché il prodotto che aveva appena utilizzato si assorbisse. La sua camera era in perfetto ordine, ogni cosa era al suo posto, persino i quattro cuscini dai colori sgargianti adagiati sulle coperte. La stanza era grande, troppo per essere destinata ad una sola ragazza diciassettenne. Su una parete era sistemato il letto, su un’altra si trovavano un’ampia scrivania, una piccola libreria e un enorme specchio. In un angolo c’era una poltrona, affiancata dalle due ante della cabina armadio. Sul comodino Millie aveva posto una cornice, la cui foto la ritraeva in compagnia di suo fratello. Ridevano entrambi, abbracciandosi ed i loro sguardi erano complici. A Millie avevano sempre fatto sorridere quelle espressioni buffe. Risaliva a circa tre anni fa, l’ultima vacanza estiva che avevano trascorso insieme. Ricordava ancora troppo vividamente il viaggio in Messico, le escursioni, i bagni notturni, i primi drink, suo fratello, sua madre. La sua vita allora era del tutto differente. Adorava sua madre, per esempio. Andavano continuamente a fare compere insieme, frequentavano il club sportivo solo per poter indossare qualche completino da tennis che avevano comprato in una delle tante sedute di shopping. Una volta avevano persino voluto provare il corso di equitazione, ma alla fine avevano preferito optare per rilassarsi in una delle saune o delle vasche idromassaggio fornite dalla struttura. Millie aveva lo stesso fisico di sua madre, gli stessi lineamenti, lo stesso colore dei capelli. All’inizio aveva pensato di rasarli, per evitare che ogni qualvolta si guardasse allo specchio il suo viso fosse sostituito da quello della donna, ma non aveva mai avuto il coraggio di farlo davvero. Del resto quei capelli, quegli occhi erano tutto ciò che le rimaneva di lei, tutto ciò che le permetteva di ricordarla. Era morta e nessuno gliel’avrebbe ridata. Ma il destino era stato doppiamente crudele con lei, decidendo di portarle via anche il suo adorato fratello maggiore, Duncan. Avevano un rapporto speciale, erano affiatati, solidali. Era Millie che lo copriva quando faceva ritardo e la mamma si preoccupava, o quando era in punizione e doveva uscire con qualche ragazza.
Le cose, ora, erano decisamente cambiate. Suo padre neppure le chiedeva come fosse andata la giornata, figuriamoci quindi interessarsi dei suoi programmi.
Duncan era andato a prendere sua madre a lavoro quella sera. Lei aveva fatto particolarmente tardi a causa di una pratica che doveva inderogabilmente ultimare, così aveva chiamato a casa, avvisando che avrebbe preso un taxi il prima possibile, ma Duncan si era offerto di passare in ufficio. Stavano tornando, ascoltavano musica, canticchiando il ritornello di una delle canzoni passate alla radio. Erano felici, quando un camion li travolse, trascinandoli fuori strada. Nell’impatto la donna perse la vita. Duncan, invece, combatté contro la morte per poco meno di un mese. Millie andava a trovarlo in ospedale ogni giorno dopo la scuola, così assiduamente che persino le infermiere avevano imparato il suo nome. Quando un girono suo padre la venne a prendere due ore prima della fine delle lezioni capì che era successo qualcosa. Non osò chiedere, aspettò impaziente che qualcuno le fornisse ulteriori informazioni.
Ricordava ancora la domanda appena sussurrata di Audrey, appena due piccole parole, le lacrime di suo padre, la porta della stanza dove fino al giorno prima c’era suo fratello ora chiusa.
“Ciao dolcezza!”, la salutò Liam cogliendola di soprassalto nella sua stanza, tanto da far sobbalzare Millie dallo spavento.
La raggiunse e la baciò, cingendole la vita con le mani.
“Credo che tua sorella mi detesti.”, commentò poco dopo, lasciandosi cadere sul letto della sua ragazza.
Millie fece una smorfia, poi piegò le labbra in uno strano ed incomprensibile sorriso.
“Audrey detesta praticamente tutti.”, spiegò stendendosi accanto al suo ragazzo.
Poggiò la testa sul suo petto ed adagiò una mano sul suo stomaco, mentre Liam le circondava le spalle con un braccio.
“Tutte le volte è sempre la stessa storia: sbraita come una dannata prima di farmi salire.”, si lamentò sogghignando.
“Non darle peso, è solo una frustrata sfigata.”, sminuì Millie, per poi cercare con le sue labbra quelle del ragazzo.
Le fece combaciare ed approfondì il bacio. Puntò il gomito sul materasso per poter sorreggere il suo busto ed avvicinò il suo corpo a quello di Liam. Il castano spostò uno dei cuscini sul quale era sdraiato per sistemarsi meglio, poi fece pressione sul bacino di Millie, così da poterlo sentire più vicino. Ed in un attimo lei fu a cavalcioni su di lui, con il viso calato all’altezza del collo del ragazzo e le labbra che tracciavano gentilmente i lineamenti del suo volto, lasciando leggeri baci sulla pelle.
Liam sapeva che avrebbe potuto farla sua in qualsiasi momento senza ricevere neanche una minima obbiezione. Non era superiorità o arroganza, ma una semplice ed ovvia constatazione. Del resto probabilmente anche Millie avrebbe detto la stessa cosa di lui. Non parlavano molto per essere una coppia. In realtà loro chiacchieravano, quasi come fossero appena due conoscenti. A Liam non interessavano veramente i problemi di Millie, nonostante fosse certo che quella ragazza fosse tormentata da qualcosa. Si era convinto che tutto derivasse dalla morte della madre e del fratello maggiore, ma non aveva mai provato ad andare oltre, a chiedere qualcosa su quell’argomento. Per Millie, invece, Liam era il ragazzo perfetto. Era popolare, bello, piaceva alla gente, scopava divinamente e, soprattutto, non faceva domande.
Non voleva una storia seria, la loro di certo non lo era. Quella tra Liam e Millie non poteva affatto considerarsi una di quelle relazioni in cui ci si augura di trascorrere insieme il resto della vita, di fare progetti, di metter su famiglia. A loro bastava la certezza di avere qualcuno con cui poter uscire, farsi vedere e con cui condividere le lenzuola, nulla di più.
Millie fece scivolare le mani su tutto il petto di Liam, per poi salire all’altezza delle spalle. Infilò le dita sotto il tessuto morbido del cardigan che indossava e lo fece scendere lungo le braccia del ragazzo, fino a sbarazzarsene del tutto.
Sorrise maliziosamente a Liam, mordicchiandosi il labbro per comunicargli le sue intenzioni. Lui ricambiò il sorriso, ammiccando.
Portò le grandi mani sulle cosce della ragazza, insinuandole sotto il corto pantaloncino rosa che portava e riprese a baciarla, mentre lei cercava di giungere all’orlo della maglietta di cotone del ragazzo.
La suoneria del cellulare di Millie distrasse entrambi, anche se solo per un minuto. La ignorarono e Liam ne approfittò per afferrare i lembi del top di seta di Millie e toglierlo. Sorrise soddisfatto nel constatare che non portasse il reggiseno. Con le labbra le sfiorò il petto, lasciandole umidi baci su quella parte di pelle tanto sensibile. Finalmente Millie si decise a sfilargli la maglietta, poi prese ad armeggiare con la chiusura dei pantaloni del ragazzo.
Ancora una volta il telefono della ragazza squillò, facendola sbuffare. Si fermò per un attimo, incrociando i suoi occhi con quelli cioccolato di Liam.
Non voleva ulteriori interruzioni, quindi si decise a sporgersi sul comodino per afferrare il cellulare e spegnerlo, ma quando sullo schermo lesse il nome di Niall esitò.
“Chi è?”, chiese Liam avendo notato la sua reazione.
“Niall.”, borbottò Millie, scuotendo in una mano il telefono.
Liam sogghignò, risollevandosi in parte dal materasso fino a poggiare la schiena contro la spalliera dell’ampio letto.
“Non rispondi?”, domandò con un’espressione criptica disegnata sul volto.
Millie corrucciò la fronte, sorpresa da simili parole. Avrebbe di certo preferito un invito a tornare immediatamente tra le braccia del ragazzo, non un’esortazione di cui non conoscesse lo scopo.
“Non ti darebbe fastidio?”, il suo tono di voce era serio ora.
“No.”, rispose l’altro sorridendo beffardo.
Millie avrebbe voluto dargli uno schiaffo in quel momento, ma si limitò a fissarlo. Non riusciva a comprendere le intenzioni di Liam, se stesse scherzando, se fosse sincero, se si trattasse di un test del cazzo.
“Ah.”, disse. “Non sei geloso?”, provò ancora, sperando in una risposta affermativa.
Voleva soltanto che Liam le ribadisse quanto lei fosse importante. Avrebbe accettato anche una bugia, in fondo Millie non chiedeva molto.
“No.”, ripeté ancora Liam.
“Perché è Niall o perché…?”, riprese Millie.
Voleva che continuasse, che spiegasse, o forse inconsciamente voleva solo che si rendesse conto delle parole appena pronunciate e di ciò che esse implicassero.
Ma Liam non era una persona impulsiva, sapeva perfettamente ciò che diceva.
“Perché essere gelosi vuol dire essere vulnerabili, deboli e a me non interessa.”, la interruppe.
Millie non era innamorata di Liam, non nella misura nella quale sentisse le farfalle nello stomaco e le ginocchia vacillare, non lo era mai stata di nessuno, ma sentirsi dire una cosa del genere le fece comunque male.
Annuì, forzando un sorriso. Senza pensare ulteriormente, prese il top che era caduto sul parquet della sua stanza e se lo infilò, poi ancora con il cellulare in mano si alzò dal letto.
“Chiudi la porta della mia stanza quando esci.”, lo ammonì con sguardo duro, prima di scendere al piano inferiore per richiamare Niall.
Si sedette sul grande e comodo divano bianco in pelle della sala, con lo sguardo fisso sul pianoforte nero e luccicante che non veniva suonato da troppo. Era Audrey l’unica della famiglia in grado di riprodurre una qualsiasi melodia, l’unica a saper posare le dita sui tasti di quello strumento.
Si accoccolò meglio, portando le ginocchia all’altezza del petto. Non avrebbe mai voluto farsi vedere in quelle condizioni da nessuno. Millie era forte, decisa, altezzosa e superba, esattamente come la gente la giudicava. Cercare di apparire costantemente inattaccabile l’aveva indotta a credere che in realtà lei lo fosse davvero, ma era in momenti come quello, quando Millie rimaneva da sola con la sua coscienza, che si riscopriva estremamente fragile. Scrollò la testa, poi si decise ad effettuare quella telefonata.
“Millie, finalmente!”, esultò Niall dopo appena uno squillo. “Stiamo andando al Bluebird, quel locale a King’s Rd, vieni?”, la invitò.
Ci rifletté per qualche secondo. Aveva proprio bisogno di uscire, di svagarsi, di distrarsi, di non pensare, ma non aveva alcuna voglia di rivedere Liam ancora sdraiato sul letto della sua camera. Un sorriso di sollievo prese largo sulle sue labbra quando sentì il rumore della porta d’ingresso sbattere. Sicuramente Liam era appena andato via.
“Mi vesto e vi raggiungo.”, accettò mentre già si dirigeva al piano superiore.
“Non metterci un’eternità.”, la incitò il ragazzo dall’altro capo del telefono.
“Mi sbrigherò in fretta, promesso.”, concluse, terminando la chiamata.
“Allora?”, chiese Harry all’indirizzo dell’amico biondo con il quale stava passeggiando per le trafficate strade del quartiere di Chelsea.
“Verrà.”, trillò allegramente sorridendo all’amico.
“Potresti almeno mascherare tutto quell’entusiasmo? Il suo ragazzo è il mio migliore amico!”, gli ricordò Harry.
“Rilassati amico!”, sbottò Niall. “Millie non ha occhi che per Liam, purtroppo.”, bofonchiò arricciando il viso in una smorfia.
“Piuttosto, hai invitato Margaret?”, gli domandò poi, imboccando Beaufort St.
“Sì, certo. Ha detto che sarebbe venuta con Charlotte.”, confermò il riccio.
Niall sgranò gli occhi, arrestandosi all’istante.
“Cosa?”, il suo tono alterato non faceva presagire nulla di buono.
Harry fece spallucce, non riuscendo a capire il perché di quella reazione.
“Non pensavo ti stesse antipatica. Ho solo pensato che aveva bisogno di uscire di casa.”, si giustificò riprendendo a camminare lungo il marciapiede.
“Certo che mi sta simpatica.”, controbatté il biondo. “Il punto è che io ho invitato Zayn e Zayn ha chiamato Louis.”, confessò saggiando bene le parole.
“Cosa?”, questa volta fu Harry a chiedere spiegazioni.
“Cazzo.”, imprecò Niall. “Spero solo che Louis non l’aggredisca.”, borbottò poi, prima di svoltare l’angolo.
“Charlie saprebbe comunque difendersi.”, sottolineò Harry, ricordando l’indole fiera e dura della ragazza.
Pochi minuti dopo giunsero alla meta.
Margaret e Charlotte erano già sedute ad uno dei pochi tavoli lasciati all’esterno del locale, intente a chiacchierare animatamente.
“Salve ragazze!”, le salutò Niall, prendendo posto accanto a Charlotte, subito imitato da Harry che, invece, preferì sedersi alla destra di Margaret.
“Avete già ordinato?”, chiese poi per rompere il ghiaccio.
Margaret scosse il capo.
“Veramente aspettavamo gli altri.”, spiegò Charlie. “Ah, abbiamo chiamato anche Audrey e Bree.”, aggiunse notando la presenza delle due sul ciglio della strada.
“Ciao!”, salutarono anche loro, prima di prendere posto.
“Ciao Bree! Bella borsa, davvero! È favolosa”, dichiarò Margaret, continuando a squadrare quell’oggetto, quasi bramandolo.
Bree sorrise educatamente.
“Grazie, l’ho fregata a mia madre prima di uscire. Credo che non la rivedrà mai più.”, spiegò con una finta espressione ingenua.
“Sbaglio o Louis si sta dirigendo proprio a questo tavolo?”, chiese Charlie, preoccupata da quell’eventualità.
“Ecco, vedi… Noi…”, provò a dire Harry, senza riuscire a concludere nulla di senso compiuto.
Lo sguardo della bionda incrociò quello del ragazzo, pietrificandolo. Zayn lo prese sottobraccio, costringendolo ad avanzare.
“Ciao.”, salutò Zayn. “Ma che bello, ci siamo tutti.”, commentò con tono falsamente cordiale.
“Sedetevi, dai.”, incalzò Niall, stringendo le sedie così da creare spazio anche per loro.
“Dovremmo organizzare più spesso pomeriggi come questo.”, esordì Margaret per smorzare il silenzio che aveva avvolto il tavolo nell’esatto momento in cui Louis era arrivato.
In realtà nessuno di loro aveva nulla da dire, nessuno di loro sapeva di cosa poter parlare con gli altri, nessuno aveva esperienze da voler condividere. Quell’incontro era quasi imbarazzante, ma tutti finsero di concordare con il commento di Margaret.
Di cosa avrebbero mai potuto disquisire delle anime solitarie come le loro? Qual era quella cosa che avevano tutti in comune ed intorno alla quale avrebbero potuto argomentare? Nulla, o meglio nulla di cui avrebbero voluto far parola.
“Allora, quando mi mostrerete le meraviglie di Londra?”, chiese Margaret, giocando la carta della nuova arrivata.
Dei presenti di certo lei era la più propositiva.
“Magari il prossimo fine settimana potremmo farti fare un giro.”, propose allora Harry, sorridendole.
“Certo e magari finire a Trafalgar Square alle tre e mezzo di notte.”, bofonchiò a labbra serrate Charlie.
Nonostante il tono basso e ruvido della sua voce, tutti riuscirono a comprendere distintamente le sue parole.
Louis sorrise, limitandosi a stringere le mani in due pugni ferrei sotto al tavolo.
“Potremmo portarla al London Eye. Si ha la sensazione di poter volare da lassù.”, suggerì Bree.
“Ed il panorama è spettacolare.”, aggiunse Niall, accreditando l’idea della rossiccia.
Audrey avrebbe voluto mandare tutti malamente a ‘fanculo, in quel momento. Non riusciva a capacitarsi di quanto riuscissero ad essere falsi ed ipocriti. A nessuno di loro interessava veramente del London Eye e delle attrazioni di Londra e se quel pomeriggio aveva accettato l’invito di Margaret e Charlotte era stato solo per le interminabili suppliche di Bree. Le aveva assicurato la sua presenza, ma non aveva fatto promesse riguardo alla sua partecipazione attiva.
“Sarebbe un problema, visto che Zayn soffre di vertigini.”, se ne uscì Louis.
L’amico inchiodò il suo sguardo tenebroso su di lui. Quella piccola rivelazione sul suo conto l’aveva infastidito.
“Il tuo commento è inappropriato. Ci sarebbero milioni di soluzioni.”, ribatté Charlie non dando neppure il tempo a Zayn di replicare a quell’affermazione.
Non era riuscita a trattenere le parole, a rinchiuderle nella sua bocca. Forse era ancora troppo presto per frequentarsi amichevolmente, forse era ancora troppo risentita e scossa.
“Certo, tu sei la regina delle soluzioni.”, l’accusò Louis poggiando una mano sul tavolino in metallo smaltato di bianco.
“Che vorresti dire?”, gli chiese la ragazza sfidandolo con lo sguardo.
“Ragazzi, credo sia meglio darsi una calmata.”, intervenne Niall.
“Giusto, magari potremmo ordinare.”, seguì a ruota Margaret.
“No, lascia pure che si spieghi.”, controbatté la bionda dalle ciocche rosa e gli occhi color del ghiaccio.
“Vuoi che mi spieghi? Vuoi che mi spieghi, cazzo?”, sbraitò Louis con un tono di voce troppo alto per trovarsi in un luogo pubblico.
Charlie non rispose, gli fece solo cenno di continuare.
“Me ne sbatto altamente delle tua patetiche scuse del cazzo! Quello che so è che tu non sei diversa dagli altri. Te ne sei andata, è questo quello che conta.”, inveì contro di lei.
I suoi occhi azzurri ora ardevano di rabbia.
“Sei tu che mi hai allontanata, tu e le tue stronzate!”, obiettò Charlotte, agitandosi a sua volta.
“E tu non ci hai messo un attimo a decidere di andar via, vero?”, l’accusò.
“Sei crudele, Louis.”, quasi mormorò Charlie. “Ti sono stata vicina per molto più di un anno, aspettando che qualcosa cambiasse.”, disse abbandonando definitivamente il tono acuto di poco prima.
“Credo di non essere pronto per essere tuo amico.”, sentenziò calmandosi di colpo anche lui. “Me ne vado.”, dichiarò poi alzandosi dalla sua sedia.
“Andiamo bello, non fare il permaloso. Vieni qui!”, provò Niall, nel tentativo di fermarlo.
“Scusate ragazzi, davvero.”, borbottò Louis a mo’di saluto, prima di allontanarsi.
“Mi dispiace per aver perso il controllo.”, esordì Charlotte qualche secondo più tardi. “Forse è meglio che vada anche io.”, aggiunse.
“Charlie, non devi. Rimani qui con noi.”, le suggerì Margaret afferrandole una mano.
“Sì, rimani qui.”, ripeté Bree sorridendole.
“Ho bisogno di riflettere.”, si scusò alzandosi. “Ci vediamo domani a scuola, ragazzi.”, salutò. “Ciao Millie.”, aggiunse notando l’arrivo della ragazza.
“Ciao.”, ricambiò guardandola stranita.
Si avvicinò al tavolo, occupando il posto che fino a pochi attimi prima era stato di Charlotte.
“Perché è andata via?”, chiese dopo aver salutato l’intera combriccola.
“C’era anche Louis ed hanno litigato.”, le riferì Niall.
“Ah, poverini.”, commentò fintamente rammaricata. “Allora, aspettavate me per ordinare?”, domandò afferrando uno dei menù presenti al centro del tavolo.
Quando quello straziante pomeriggio giunse al termine, Niall si offrì di far compagnia a Millie fino a casa. Fortunatamente Audrey era diretta da Bree, dunque avrebbe potuto trascorrere del tempo in compagnia della ragazza che amava senza doverla dividere con altri.
“Non è stato male uscire tutti insieme.”, iniziò Niall fissando Millie intenta a guidare la sua auto appena acquistata.
“Stai scherzando?”, ironizzò lei con una smorfia. “Tra mia sorella in modalità Mercoledì Addams e la sua amica schizzata che sembrava essere la reincarnazione di Luna Lovegood ho temuto davvero il peggio.”, scherzò.
Niall sorrise per quegli strambi paragoni.
“Senza dimenticare Jigen e la versione maschile di Bridget Jones.”, sogghignò aggiungendo all’elenco anche Zayn ed Harry.
“Potresti essere simpatica, se solo lo volessi.”, le fece notare Niall con tono estremamente serio.
Era vero. Millie era dotata di un forte senso dell’umorismo, ma il più delle volte lo mascherava con commenti poco carini riguardanti persone che non riteneva alla sua altezza.
Deglutì a quelle parole, concentrando la sua attenzione sulla strada.
“Perché Liam non è venuto?”, le chiese il biondo, non avendo ricevuto risposte.
Niall le aveva fatto una domanda. Quella ovvia costatazione la sorprese. Certo, era pur sempre banale, ma il tono della sua voce aveva fatto trasparire le mille emozioni che quelle poche parole racchiudevano: speranza che qualcosa fosse finalmente cambiato, preoccupazione per le condizioni di Millie, amore per quei suoi grandi occhi vuoti e persi. Forse era davvero interessato, non solo al suo fisico. Millie aveva sempre saputo quanto Liam differisse da Niall, ma delle volte sembrava dimenticarlo.
“So che ti piaccio, Niall.”, sentenziò Millie, regalandogli una fugace occhiata.
Il biondo si schiarì la voce, impreparato ad affrontare una situazione del genere.
Proprio in quell’istante Millie parcheggiò sotto casa del suo amico. Sganciò la cintura di sicurezza e si voltò per poterlo guardare negli occhi.
“Ti va di farlo con me?”, propose.
Non era affatto sicura di aver fatto la cosa giusta, ma voleva. Voleva capire cosa si provava ad avere un rapporto più intimo con qualcuno che l’amasse.
Niall sbatté le palpebre incredulo. Aveva aspettato quel momento per mesi ed ora che stava per accadere quasi non riusciva a crederci.
Millie prese quel silenzio come imbarazzo misto a timore di aver interpretato male quella già ovvia domanda.
“Ti va di fare sesso con me, Niall?”, gli chiese avvicinando il suo volto a quello del ragazzo.
Niall annuì, senza riuscire a spiccicar parola. Sorrise soltanto, prima che le labbra della ragazza si fiondassero sulle sue.
---











Angolo Autrice
Okay, oggi sono davvero di fretta, quindi non mi dilungo. Per questa volta vi lascio semplicemente il nuovo capitolo, tutto dedicato a Millie. :D
Ringrazio chi legge la storia, chi l'ha inserita tra le ricordate, seguite e preferite e ringrazio chi l'ha commentata! *.*
Bene, non aggiungo altro. Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!;)
Alla prossima,
                                                             Astrea_

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Capitolo 5
*** Harry ***







HARRY


“Harold, tesoro, hai fatto i compiti?”, gli chiese la madre irrompendo nella stanza disordinata e caotica del figlio.
“Ho diciotto anni, mamma.”, le ricordò con tono seccato, alzando la testa dal volume di filosofia che stava leggendo.
“Ci penso da solo ai miei compiti.”, aggiunse sbuffando sonoramente.
“Non rispondermi così, ragazzino. Sono tua madre!”, lo sgridò la donna facendosi strada tra i vestiti, le scarpe ed i libri che cospargevano il freddo e chiaro pavimento.
Harry fece roteare gli occhi e si impose che non le avrebbe risposto, sacrificio che sarebbe valso a far terminare quanto prima quella tortura.
“E sistema la tua stanza.”, gli ordinò prendendo tra le mani una camicia con un alone di birra all’altezza del petto.
“Ultimamente sei troppo distratto. Non mi piace il gruppo che frequenti.”, sentenziò la madre, sedendosi sul letto sfatto del figlio con l’indumento sudicio stretto in grembo.
“Non devono piacere a te, infatti.”, sottolineò prontamente Harry, facendo mezzo giro sulla sedia, per poterla guardare in volto.
“Non sei neanche più tu: prima non avresti mai usato questo tono con me.”, commentò affranta.
Harry prese un lungo respiro, avendo tutta l’intenzione di rimanere calmo e non mandarla a ‘fanculo, come avrebbe di certo fatto Louis.
“Mamma, sto solo crescendo.”, provò a dire, sperando che una tale giustificazione sarebbe stata sufficiente a fugare ogni dubbio.
La donna accennò ad un sorriso, poi sporse il volto in direzione del figlio.
“E, dimmi, c’è qualche ragazza?”, domandò curiosa.
Harry borbottò qualcosa in maniera disconnessa, senza che la madre riuscisse a comprendere una parola.
Era imbarazzante avere quel genere di conversazione con i propri genitori. Harry era un ragazzo e non voleva di certo lagnarsi con la madre di quanto fallimentare fosse la sua vita sessuale.
Avrebbe potuto parlare di Margaret e dei suoi patetici tentativi di chiederle di uscire insieme, ma poi sarebbe stato costretto ad ulteriori spiacevoli interrogatori, così preferì negare anche quel piccolo dettaglio della sua vita.
“Nessuna.”, rispose infine.
In realtà sarebbe stato disposto a tutto pur di poter raccontare qualcosa di avvincente e vero, ma la sua scarsa esperienza non glielo consentiva. Si consolava nella speranza che presto sarebbe toccato a lui, anche se ormai non ne era più certo come una volta.
Il cellulare di Harry vibrò sul legno del tavolo della scrivania. Lesse frettolosamente il nome sullo schermo, rilevando che si trattava di un messaggio di Liam che lo informava sull’appuntamento per la serata.
“Scusami mamma, devo andare.”, annunciò alzandosi di scatto.
“Ma dove Harry? Sono già le nove.”, esclamò irritata la madre.
“Gruppo di studio serale. Leggiamo dei passi di Shakespeare e vediamo l’Amleto.”, mentì schioccandole un veloce bacio sulla guancia.
Prese la giacca e si catapultò per il corridoio.
“Torno tardi, non aspettarmi in piedi.”, disse prima di uscire di casa.
In realtà quella sera non ci sarebbe stata alcuna sessione di ripasso scolastico. Tuttavia, non aveva completamente mentito. In effetti non era del tutto da scartare l’eventualità che vedessero un film, seppur non avesse alcun legame con le opere di Shakespeare.
Quando giunse in strada notò immediatamente l’auto del padre di Liam posteggiata sul margine della strada.
“Ciao Liam.”, salutò salendo dal lato del passeggero.
Il castano gli sorrise, poi rimise in moto.
“Stasera a casa di Millie ci divertiremo.”, esordì con sguardo sognante.
Harry non era mai stato a casa delle gemelle Wood. In realtà nessuna delle due lo aveva invitato prima di quella occasione e probabilmente non lo sarebbe stato neppure quella volta se non fosse intervenuto Liam.
“Lo spero.”, replicò Harry non troppo sicuro di quelle parole. “Credi che Margaret verrebbe a letto con me?”, chiese al suo amico.
Temeva la risposta a quella domanda, perché Harry , per quanto poco sveglio potesse apparire, era un ragazzo profondo e razionale. Sapeva di non essere bello o affascinate come Liam, di non avere l’aria da cattivo ragazzo tipica di Zayn, di non essere simpatico quanto Louis e di non avere quell’espressione angelica di Niall.
Lui era semplicemente Harry, il tipo che vestiva male e portava i capelli un po’ lunghi ed arruffati. Aveva conosciuto Liam al primo anno di elementari. A quel tempo erano entrambi bambini, i loro caratteri non erano ancora ben definiti, le loro personalità non delineate. Harry ricordava come il primo giorno Liam si era avvicinato a lui e si era presentato. Quello successivo, invece, Harry gli aveva ingenuamente chiesto di diventare migliori amici. Non sapeva quanto quella promessa si sarebbe protratta nel tempo, intensificandone gli effetti. Con gli anni, tuttavia, Liam era cambiato, si era trasformato in un ragazzo sicuro, carismatico, eclettico, mentre Harry era rimasto terribilmente uguale a se stesso.
“Devi lavorarci un po’, ma puoi farcela.”, rispose Liam concedendogli un mezzo sorriso di incoraggiamento.
Harry sbuffò, poi poggiò il gomito sul finestrino.
“Cosa devo fare?”, domandò con tono scoraggiato e dismesso.
“Hey, Harry.”, lo richiamò Liam. “Abbi fiducia in te stesso, andrà tutto bene.”, lo rincuorò dandogli una leggera pacca sulla spalla.
“E se dovesse rifiutarmi?”, chiese con una smorfia.
“Allora ne cercheremo un’altra.”, rispose prontamente Liam, oltrepassando l’enorme cancello della villa Wood che era stato lasciato aperto.
“Questa casa è favolosa!”, esclamò osservando l’imponente struttura.
“Dovresti vedere la piscina interna.”, rincarò l’altro parcheggiando ai margini della stradina che portava all’ingresso principale.
“Wow!”, sì lasciò sfuggire Harry appena scese dall’auto, ammirando il giardino che la circondava.
“Andiamo, seguimi.”, lo incitò Liam, facendogli strada.
Suonò al campanello del possente portone e poco dopo una raggiante Millie li accolse.
“Ciao!”, salutò spostandosi di lato per farli entrare.
Erano passati appena due giorni da quando aveva messo piede in casa della sua ragazza per l’ultima volta.
Aveva pianificato anche quello, Liam: quella sera avrebbero fatto pace.
“Gli altri?”, chiese sfiorando pericolosamente il corpo della ragazza con il braccio, mentre la oltrepassava.
Il corpo di Millie fu sconvolto da un leggero tremolio, ma si sforzò di apparire impassibile.
“Sono tutti in sala.”, rispose indicando loro la direzione da seguire.
“Ragazzi, questo posto è sballo puro!”, gridò Louis girando su se stesso come fosse una trottola, palesemente ubriaco.
“Chi non ha mai fatto il bagno nudo?”, urlò Niall con un bicchiere di rum in mano.
“Ma così non vale, tutti l’hanno fatto.”, piagnucolò Bree dall’alto della sua posizione, in piedi sul tavolinetto sistemato tra i divani.
“Appunto!”, trillò il biondo, ingurgitando altro alcool.
Bree, Louis e Margaret bevvero un altro sorso dalle loro rispettive bottiglie.
“Millie, posso parlarti?”, propose Liam, sussurrando all’orecchio della ragazza.
Millie trasalì, non immaginando che fosse già giunto il momento dei chiarimenti.
“Chi non ha mai visto un porno?”, domandò Louis continuando quel subdolo gioco che aveva come unico scopo farli ubriacare tutti allegramente.
“Andiamo.”, acconsentì Millie spostandosi in cucina. “Allora? Cosa volevi dirmi?”, chiese al ragazzo, mentre incrociava le braccia sotto al seno.
Liam aveva provato due volte quel discorso. La prima per averne un’idea generale, la seconda per assicurarsi che tutto funzionasse, che ogni parola fosse al posto giusto, che nulla rimanesse trascurato.
Tuttavia ebbe qualche difficoltà quando incontrò gli occhi scuri e grandi di Millie.
Boccheggiò prima di iniziare e, seppur quella reazione non fosse stata prevista, pensò che avrebbe reso ancora più verosimile il suo discorso.
“Mi dispiace.”, esordì con sguardo affranto.
In realtà Liam non era sicuro di provare rammarico per ciò che aveva detto. Era stato sincero e per ore si era interrogato su quanto realmente necessarie fossero le sue scuse. Ma poi si era convinto della sensibilità ostentata da ogni ragazza e del fatto che Millie fosse quella perfetta per lui. Non ne era innamorato, non l’avrebbe sposata, ma erano fatti della stessa pasta. Era per quella ragione che continuavano a stare insieme. Non cercavano il grande amore delle loro vite, ma condividevano quel piccolo frangente della loro esistenza senza troppe preoccupazioni, senza aspettare quel “per sempre” che non sarebbe ai giunto.
“Sono geloso, terribilmente geloso.”, affermò corrugando la fronte, come se quelle parole avessero richiesto chissà quale sforzo. “E vorrei averti tutta per me, sempre. Non ci ho più visto quando hai preso il cellulare e hai letto il suo nome.”, spiegò avvicinandosi lentamente e con pochi passi alla sua ragazza.
“E?”, Millie lo invitò a proseguire, ancora non soddisfatta.
“E sono un idiota perché ci ho messo ben due giorni per tornare da te.”, concluse sfiorandole la guancia con un dito.
Millie accennò ad un sorriso, cercando di camuffare il disagio che incombeva in lei. Aveva fatto sesso con Niall appena due sere prima ed il ricordo era ancora troppo vivido, tanto da poter sentire ancora i loro gemiti strozzati. Era stata una debolezza, quella, un’unica sola insignificante debolezza di cui mai nessuno sarebbe venuto a conoscenza.
Era Liam il suo ragazzo, era Liam la persona con cui era destinata a stare, Millie ne era certa.
“Mi sei mancato.”, sussurrò con gli occhi languidi.
“Anche tu, piccola.”, replicò prima di baciare nuovamente quelle labbra che aveva tenuto lontane per troppo tempo.
Harry si avviò alla ricerca del bagno, già abbastanza brillo nonostante fosse arrivato da appena una mezz’oretta. Aveva bisogno di qualche minuto di tranquillità prima di sferrare la mossa finale con Margaret, la quale non aveva fatto altro che lanciargli segnali positivi per tutto il tempo che avevano trascorso insieme.
Forse, si disse Harry, quella sarebbe stata davvero la grande serata per lui.
Salì al piano di sopra e vagò per il largo e silenzioso corridoio, poi si decise ad aprire una delle tante porte, sperando di trovare al primo colpo quella di cui necessitava.
“Cosa stai cercando?”, la voce dura e severa di Audrey lo fece sobbalzare per lo spavento.
“Smettila di sbucarmi alle spalle.”, si lamentò Harry, rassicurato dal fatto che si trattasse solo di una delle gemelle Wood.
“Chiudi immediatamente quella porta.”, ordinò Audrey, non prestando minimamente attenzione alle sue parole.
“Cercavo il bagno.”, si giustificò lui facendo spallucce, intimorito dal suo tono aggressivo.
“E io ti ho detto di chiudere quella porta.”, ripeté con fare intimidatorio avvicinandosi con sguardo omicida.
“E va bene, va bene.”, borbottò Harry, facendo come gli era stato detto. “Perché ti scaldi tanto?”, domandò poi, incuriosito dalla reazione di Audrey e dall’espressione vuota che ora aveva assunto il suo viso.
“Non siamo amici Harry.”, bofonchiò.
“Hai ragione.”, asserì il ragazzo lasciandosi cadere di peso sul pavimento in parquet del corridoio.
Non aveva bevuto molto, ma la testa iniziava ugualmente a pesargli.
“Perché ti sei seduto a terra?”, gli chiese avvicinandosi per studiare meglio i lineamenti del suo volto.
“Non avevo voglia di camminare.”, improvvisò alzando il viso in direzione di quello di Audrey.
"Questa sì che è una bella risposta.", ironizzò Audrey piegando le labbea in un sorrisetto sornione. "E cosa ti andrebbe di fare, allora?", lo provocò pentendosi immediatamente dopo di quella domanda tanto, facilmente equivocabile.
Harry sogghignò, per la prima volt per nulla imbarazzato. Non sapeva se fosse l'alcool a sortire su di lui uell'effetto o se fosse la presenza di Audrey. In qualsiasi caso avrebbe voluto che quella sensazione si prolungasse nel tempo, diventsse permanente.
"Mi piacerebbe parlare, per esempio.", propose.
S iera ubriacato tante di quelle volte da avere la certezza assoluta che non era l'alcool ad averlo disinibito quella sera in quel preciso momento. Se era davvero Audrey la causa di ciò, avrebbe volto scoprirlo e per farlo aveva bisogno di trascorrere altro tempo in sua compagnia.
"Margaret ha dato forfait?", lo provocò lasciandosi cadere al suo fianco.
Quella domanda non lo lasciò perplesso, sapeva che le sue intenzioni con Margaret erano chiare a tutti. Harry era talmente inesperto in quel campo che gli risultava difficile procedere con discrezione. Scosse il capo, sorridendo nel notare che Audrey non aveva respinto la sua richiesta.
"Ancora non le ho detto nulla.", confessò poggiando la testa alla parete color crema.
"Dovresti, accetterebbe.", sentenziò lei con aria convinta, prontat a dissuaderlo nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
In fin dei conti Harry era un bravo ragazzo. Per quanto poco Audrey lo conoscesse, lo avrebbe comunque definito una persona sensibile, altruista e generosa. Certo, aveva pure sempre i suoi difetti, ma tutti avevano delle caratteristiche poco tollerabili. Harry aveva i capelli disordinati, non curava la sua immagine e mostrava una sincerità disarmante.
Nessuno avrebbe mai dubitato del suo dolce faccino e dei suoi luminosi e trasparenti occhi verdi. Ma Harry stava diventando un discreto bugiardo, un abile ingannatore. All'inizio era stato terribilmente difficile. Le sue espressioni, le sue fossette, i suoi occhi parlavano per lui, ma ora aveva imparato a controllarli, a gestirli secondo le sue esigenze. Non gli piaceva dover mntire, soprattutto se le bugie erano rivolte a persone a lui care. Tuttavia, la vita gli aveva insegnato che chiunque era disposto a farlo fuori alla prima occasione possibile, che la verità non sempre paga. Ed Harry si era adattato, aveva imparato a sopravvivere, esattamente come quelle specie a cui Darwin faceva riferimento nei suoi studi. Harry era forte, aveva vinto quella battaglia ed aveva ottenuto il diritto alla vita, o meglio a vivere nel migliore dei modi possibile. Stava ancora lavorando a quel "migliore", ma intanto si era assicurato la possibilità di fare esattamente ciò che desiderava senza doverne affrontare le conseguenze.
"Non so se ora mi va.", ammise con un sospiro.
Aveva atteso intrepido la sua prima volta da quando Liam gli aveva raccontanto di averlo fatto con una certa Jen durante il viaggio in Francia a metà del terzo anno. Con molta probabilità quella sera gli si sarebbe presentata l'occasione e lui, proprio ora, era titubante al riguardo.
Era stata Audrey a far scaturire in lui mille inutili dubbi. Lei ed i suoi discorsi su Liam, la vita e le scelte La detestava per avergli messo quell'insensata pulce nell'orecchio.
"Guarda, sta salendo Margaret.", lo avvertì avendo scorto la figura della ragazza salire sulla rampa di scale.
Audrey sorrise ad Harry, alzandosi.
"Va' e divertiti.", gli suggerì prima di avviarsi in direzione delle scale.
"Harry, sai per caso dove potrei stendermi? Sai, la testa mi scoppia.", esordì con fare civettuolo.
Audrey si voltò un'ultima volta verso Harry. Gli fece cenno di aprire la terza porta, quella della stanza degli ospiti, poi gli fece un occhiolino di incoraggiamento e tornò in sala, dove la piccola festicciola stava proseguendo.
In realtà dei presenti ne erano rimasti ben pochi. Di Liam e Millie non si avevano avute più tracce da quando erano spariti in cucina, cinque minuti dopo l'arrivo del ragazzo, mentre Harry e Margaret si erano appartati. Rimanevano solo Louis, Zayn, Niall, Bree ed Audrey, Charlotte per quella volta aveva preferito rimanere a casa ed evitare un altro scontro aperto con il suo ex ragazzo, ancora poco incline al dialogo civile.
"Che si fa?", domandò Bree sdraiata comodamente sul divano.
"Voglio giocare a calcio con il mondo!", urlò Louis balzando in piedi. "Voglio mangiare un cupcake grande quanto una piramide e gridare 'fanculo se qualcuno mi dice che non è possibile!", sbottò battendo le mani chiuse in pugni sul petto nudo.
"Ma non è davvero possibile, Lou.", gli fece notare un pacato ed ancora piuttosto sobrio Zayn, adagiato su una delle due poltrone.
"'Fanculo!", imprecò con vigore e convinzione il ragazzo, facendo ridere gli altri tre.
"Sei ubriaco.", gli ricordò Niall ondeggiando le braccia sopra la sua testa.
"Anche tu lo sei.", ricambiò prima di condividere con lui l'ennesima risata.
"Chi ha voglia di altro gin?", chiese Audrey afferrando una bottiglia dal mobiletto sulla sinistra, per poi prendere posto accanto a Bree, in un angolo del divano.
"Io!", si prenotò immediatamente Louis sventolando una mano in aria.
E ripresero a bere, ripresero a bere ancora una volta. Era una serata importante quella, lo era stata per davvero in fin dei conti. Audrey sorrise, pensando a quanto beffarda ed ingrata fosse a vita. Probabilmente tre anni fa non avrebbe concesso a nessuno di sfiorare il suo pianoforte, mentre ora era ricolmo di bicchieti di vetro vuoti e bottiglie di ogni tipo e forma.
Era una serata di cambiamenti, di prime volte. Harry ci era finalmente riuscito e tutto ora gli appariva diverso, nuovo. In realtà quell'euoria sarebbe durata ben poco, Harry lo sapeva, per questo aveva deciso che ne avrebbe goduto ogni più piccolo istante, per assaporarla meglio, imprimere quelle immagini di felicità nella sua memoria. Avrebbe avuto di che ricordare ora e avrebbe avuto un qualcosa a cui potersi appigliare. C'era una prima volta anche per Charlie, quella sera. Stava iniziando a crescere, a cambiare, a maturare. Seduta sul suo divanto ingurgitava patatine guardando qualche programma trasmesso in televisione. Louis non era più nella sua vita, ma lei sì. Avrebbe ricominciato da se stessa per ricostruirne le basi, avrebbe contato solo sulle sue decisioni ed avrebbe affrontato solo i suoi problemi. Sarebbe stato più semplice, pensava, ma sarebbe stato anche più triste. Charlotte sapeva di aver fatto la cosa giusta e non lo rimpiangeva per nulla, ma riprendere in mano le redini della propria vita significava cambiare e a Charlie i cambiamenti non piacevano affatto.
C'era una prima anche per Louis, che affogava nel suo dolore, lacerava nuovamente in quella odiosa sensazione di abbandono e c'era una prima volta per Niall che finalmente iniziava a realizzare quanto infondata fosse la sua infatuazione per Millie. Era innamorato di una ragazza che aveva tradito l'uomo che diceva di amare, di quella che quasi per gioco si era concessa a lui, che non prendeva mai nulla seriamente, che viveva tra la superficialità ed i capi d'alta moda. Aveva creduto di aver intravisto dell'altro in lei, ma per la prima volta quella sera aveva pensato di aver sbagliato. C'era una prima volta anche per Bree, che seduta su quel divano, circondata da quelle persone, si sentiva stranamente normale, come mai era accaduto prima. Attorniata da tanta stravaganza, le sue stramberie quasi passavano inosservate. C'era un prima volta per Zayn che provava ad abbassare le sue barriere difensive e, nonostante il suo fosse solo un tentativo, era già un grande inizio.
Era una grande serata anche per Millie e Liam, intenti a riscoprire il piacere della riappacificazione.
Ed era una grande serata anche per Audrey che sorrideva, guardando Louis che fingeva di essere una scimmia gattonando sul tappeto della sala.
Forse non erano poi tanto soli come credevano.

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Angolo Autrice
Salve!:D Allora, che dire... Sono appena rientrata a casuccia e rieccomi ad aggiornare!:D
Purtroppo, sono di frettissima, visto che è sabato e devo uscire!
Anyway, capitolo dedicato al pucciosissimo (?) Harry!:D Allora, cosa ve ne pare?:D
Ringrazio chi segue, preferisce, ricorda, legge e soprattutto lascia commenti!*.*
Okay, ci risentiamo al prossimo capitolo che, annuncio, sarà tutto per.... Brianne!;)
Bene, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, ci terrei molto!:D
A presto!
                                                                               Astrea_

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Capitolo 6
*** Brianne ***






BRIANNE

Bree sbuffò sommessamente, dall’ultimo banco dell’aula. Si concentrò per l’ennesima volta sull’assurda traccia che il docente aveva dato loro. La rilesse, cercando di comprenderne il significato, decisa a superare quella situazione di stallo. Doveva scrivere un semplice componimento sull’analisi caratteriale di una persona che aveva colpito la sua attenzione. Non era difficile, ma il compito non si prospettava neppure semplice. Inizialmente Bree si era soffermata a riflettere sul significato delle ultime quattro parole, trovandole estremamente vacue. Le persone colpivano la sua attenzione per motivi diversi, troppo diversi, e quello era un tema assegnato dal professore di psicologia. Non riusciva a capire se fosse meglio trattare di un modello da imitare o di uno da screditare. Bree si chiese se quello dell’insegnante fosse stato un modo carino per chiedere a tutti loro di parlare di qualcuno che soffrisse di qualche problema psicologico, tipo lei, per esempio.
Bree sapeva che la maggior parte degli studenti la considerava solo come una pazza schizzata a cui i farmaci avevano dato alla testa, ma non si curava di loro. Aveva smesso di ascoltarli quando un giorno, appena due anni prima, le avevano fatto sparire dei libri. Lei li aveva cercati in giro, ingenuamente aveva persino allarmato la professoressa, ma proprio quando stava per accusare un ragazzo, li aveva ritrovati esattamente sotto il suo banco. Nessuno le aveva creduto. In fin dei conti era sempre stata un po’ stramba per tutti e, in quell’occasione, avevano avuto prova delle loro teorie. Sua madre l’aveva costretta a segnarsi al corso di psicologia, nonostante lei avesse provato più volte a dissuaderla da quell’idea che ai suoi occhi appariva tanto malvagia. Non voleva ancora essere presa in giro per i suoi capelli rossicci, fragola, o per le espressioni buffe del suo viso. Aveva imparato a fingere di non vedere, ma poteva ancora distintamente sentire le risatine o le battutine che gli altri si scambiavano al suo passaggio.
Partecipare a quelle lezioni, inoltre, era stato un suggerimento della sua analista, una donna sulla quarantina che continuava ad estorcere cifre esorbitanti alla madre per darle consigli infondati e non risolvere alcun problema.
Rimuginò ancora sul concetto espresso nelle poche righe della traccia a lei assegnata. Conoscere, per lei, era un processo che avveniva per gradi. Quando una cosa estranea risultava rientrare nei parametri imposti dalla mente, essa veniva immediatamente categorizzata e si aveva la fallace sensazione di averne compreso tutto. Non sorprendeva, non eccitava, non trasmetteva nulla di nuovo. Era quando si entrava in contatto con il diverso, quando esso spezzava gli schemi prestabiliti della conoscenza che si percepiva realmente qualcosa, si imparava, ci si confrontava, si cresceva. Bree concluse, dunque, che qualsiasi cosa ci apparisse anormale diventasse lampante ai nostri occhi, costringendoci a parlarne, a discuterne per cercare di venirne a capo.
A quel punto si poteva provare fino allo strenuo a comprendere quella diversità, fino a tramutarla in normalità o additarla come stranezza. E Bree sapeva quanto le persone fossero riluttanti nei confronti delle stranezze. Le temevano, non sapevano come gestirle ed allora preferivano schernirle, denigrarle.
Bree era una stranezza, Bree poteva essere una di quelle persone che colpivano l’attenzione.
Così finalmente si decise: decise che avrebbe parlato di lei, della sua storia, della sua vita.
Strinse forte la penna tra il pollice e l’indice della mano destra, poi ne poggiò la punta sulla pagina ancora bianca del quaderno e scrisse.
Quando ebbe terminato mancavano ancora una quindicina di minuti al suono della campanella. Non era una verifica, quella che si stava svolgendo, ma solo un esercizio. Rilesse il suo elaborato, correggendo le lievi imperfezioni che non aveva notato durante la stesura, poi si preparò per consegnarlo.
Si domandò quante altre persone, in quella classe, avessero trattato di lei. Sorrise a quell’eventualità, mentre usciva con un lieve anticipo dalla classe.
“Ciao Louis.”, salutò il ragazzo, intento a scegliere uno snack tra quelli offerti dai distributori del piano.
Il castano fece un mezzo salto, leggermente scosso dal tono acuto che lo aveva preso alla sprovvista.
“Ciao Bree.”, ricambiò digitando una combinazione di due numeri sulla piccola tastiera ed inserì delle monete.
“Come ti senti oggi?”, gli chiese avvicinandosi di qualche passo al ragazzo, per poi poggiarsi di schiena alla macchinetta delle bibite, situata accanto a quella che Louis stava utilizzando.
“Che intendi dire?”, domandò di rimando corrugando la fronte.
Bree esitò qualche attimo, dandosi mentalmente della stupida per avergli posto proprio quel quesito. Louis si accovacciò per prelevare un pacchetto di patatine, poi puntò gli occhi azzurri sul volto appena tormentato di Bree.
“L’altra sera a casa di Millie hai detto di stare uno schifo.”, ricordò.
Avevano bevuto davvero molto quella notte e probabilmente Louis non era neppure consapevole di tutte le parole che erano uscite dalla sua bocca.
“Ah.”, bofonchiò aprendo la bustina che teneva tra le mani. “Uno schifo anche oggi, allora.”, confessò iniziando a sgranocchiare qualche patatina.
Quando Bree si sentiva triste sua madre le consigliava di prendere degli antidepressivi. Il suo bagno ne era pieno. Tra i vari scaffali erano stipate le più svariate confezioni di pillole, ognuna  per una precisa occasione. Era il suo particolare modo per risolvere i problemi ed ora stava diventando anche quello della figlia.
“Se vuoi posso darti qualcosa che ti renda felice.”, propose pensando che non sarebbe stato un problema prendere alcune delle pillole di sua madre per darle a lui.
Louis storse il viso, in segno di diniego, poi le porse il pacchetto di patatine, facendole cenno di prenderne alcune. Bree ne prese solo una e la mangiò.
“Tu non smetti mai di prendere quelle schifezze?”, le domandò studiando l’espressione del suo viso.
Bree fece spallucce e cercò di incurvare le labbra in un sorriso, ma le uscì solo una piccola e brutta smorfia.
“Mamma dice che fanno bene e che…”, iniziò a dire per giustificarsi.
“E tu cosa dici, Bree?”, la interruppe Louis intensificando il suo sguardo.
Bree aveva le labbra schiuse, gli occhi sgranati ed un’espressione sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata che qualcuno le facesse apertamente una simile domanda, non a lei, la schizzata senza cervello.
“Non lo so, è come se atrofizzassero tutto. Non mi fanno sentire niente.”, ammise con un filo di voce, giocando con le mani che aveva intrecciato sulla pancia.
Louis annuì, decidendo che si sarebbe accontentato di quelle parole e non avrebbe scavato ulteriormente. Aveva visto qualcosa al di là dell’aria svampita di Bree, ma ci sarebbe voluto del tempo prima di riuscire ad andare oltre quella.
“Lou, cazzo! Sono dieci minuti che ti cerco!”, esordì Zayn, procedendo a passo spedito verso di loro.
“Ehi, calma amico.”, scherzò il castano sorridendogli allegramente.
“Calma un corno!”, inveì l’altro tirando un pugno al distributore sul quale era poggiata Bree, facendola tremare. “Stasera devo fare un servizio.”, borbottò con voce ora più calma. “Mi accompagni?”, gli chiese infine guardandolo dritto in quegli occhi azzurri.
Louis aveva capito chiaramente cosa il suo sguardo significasse. Avrebbero dovuto svolgere una di quelle commissioni di cui Zayn si prendeva carico.
Annuì, tentando di nascondere il velo di preoccupazione.
“Io devo andare.”, annunciò Bree scollando le spalle dalla superficie metallica delle macchinette.
In realtà non le sarebbe dispiaciuto trascorrere dell’altro tempo in compagnia di quei due ragazzi, ma sentiva il bisogno di rinfrescarsi. Giunta in bagno, guardò la sua espressione allo specchio notando quanto pesanti fossero le sue occhiaie. Fece scorrere l’acqua, poi ne raccolse una piccola quantità tra le mani disposte a coppe e bagnò il viso.
“Sta’ zitto, c’è qualcuno di là.”, una voce che Bree non riconobbe borbottava dall’interno di uno dei bagni.
“Non me ne frega!”, sbottò un ragazzo.
Bree chiuse il rubinetto e trattenne il fiato.
“Cosa cazzo significa che sei tornata con Liam?”, chiese ancora quello che a Bree pareva essere Niall.
Ed, ovviamente, dedusse che la ragazza in questione fosse Millie.
“Significa che quello che è successo quella sera è stato un errore.”, borbottò lei.
“Fare sesso con me è stato un errore?”, le chiese sconvolto il ragazzo.
“Abbassa la voce!”, lo zittì con tono inviperito. “Dimenticalo, ok?”, tuonò.
Bree stava per uscire da quella stanza, ormai aveva già sentito abbastanza, ma la porta dell’ultimo bagno si aprì per poi essere richiusa con forza, tanto da farla sussultare.
In un attimo si trovò faccia a faccia con una Millie spaesata, ma allo stesso tempo adirata.
“Io…”, iniziò Bree sbattendo freneticamente le palpebre.
“Tu non hai sentito niente.”, decretò Millie con voce perentoria.
La incenerì con lo sguardo, poi con passo deciso la sorpassò, lasciando Bree alle sue spalle.
“Allora, grande uomo, com’è andata con Margaret?”, chiese un entusiasta Liam all’indirizzo dell’amico, durante la pausa tra la terza e la quarta ora.
Harry sorrise, sollevando l’angolo destro delle labbra ed una fossetta si scavò sulla sua guancia.
“È andata.”, annunciò con aria sognante, perso tra i ricordi avvincenti di quella notte.
“Ma bravo!”, si congratulò sornione. “Ed è meglio o peggio di quello che sembra?”, domandò poi, volendo i particolari piccanti.
“Oh, è decisamente meglio.”, confessò. “Molto meglio.”, precisò portando una mano tra la massa di ricci.
“Parlavate di me?”, intervenne giocosamente Margaret, avvicinandosi al muretto sul quale erano seduti Liam ed Harry.
Non sapeva quanto avesse ragione.
“Ciao Harry.”, salutò il riccio schioccando un sonoro bacio all’angolo delle sue labbra, poi si sedette accanto a lui.
“Ciao.”, ripeté anche Charlotte seguendo l’amica con la quale aveva trascorso i minuti precedenti.
“Come va Charlie?”, chiese Liam all’indirizzo della ragazza che ultimamente aveva preso ad essere stranamente taciturna.
“Non sono nel mezzo di una fase critica in cui mi maledico per essere single, se è questo che volevi sapere.”, esordì palesemente tesa. “Noi donne sappiamo cavarcela anche senza un fidanzato.”, aggiunse ancora.
“Non lo metto in dubbio.”, rispose Liam, sulla difensiva. “Qualche volta tu e Margaret potreste unirvi a me e Millie.”, propose poi rivolgendosi all’amico, deciso a cambiare discorso.
Harry sorrise appena, cercando di camuffare quanto irritante trovasse quell’invito. Era stufo di ricevere consigli da Liam, voleva fare a modo suo per una volta. Inoltre, era convinto che Liam avrebbe concentrato su di sé tutta l’attenzione, distogliendo Margaret da una tranquilla passeggiata in compagnia di Harry.
“Questo è il problema di voi maschi!”, sbottò Charlotte.
Era ormai chiaro a tutti quanto nervosa fosse quel giorno. Solitamente tendeva a controllare i suoi impulsi, mettendo a tacere il suo senso critico ed i suoi acuti giudizi. Quella mattina, tuttavia, sembrava non riuscire a tenere a freno la lingua.
“Come se fosse obbligatorio essere in coppia per uscire!”, sbraitò gesticolando come una forsennata.
“Andiamo Charlie, io non intendevo…”, iniziò a spiegare Liam, prima di essere interrotto dalla bionda.
“Tu intendevi proprio questo, invece!”, controbatté. “Il mondo ruota intorno al sesso, diamine!”, tuonò riducendo gli occhi a due piccole fessure.
Charlotte non sopportava i pregiudizi, non sopportava le discriminazioni e le iniquità. Era una di quelle ragazze determinate, pronte a battersi per le proprie idee, a non tacere davanti a un’ingiustizia. Solitamente lottava per il rispetto degli animali o della parità delle donne, ma quella volta si era appigliata ad un cavillo quasi insignificante. Forse aveva solo bisogno di sfogarsi e Liam le aveva servito su un piatto d’argento un’opportunità irripetibile.
“Qual è il tuo problema nell’uscire con persone non accoppiate? Che ad una certa ora non ci si può appartare? È questo che ti infastidisce?”, lo accusò iniziando a muovere piccoli passi.
“Ma certo che no!”, rispose con trasposto, ma le sue parole non bastarono a placare l’ira di Charlie.
“Il punto è che siamo una generazione malata. Fingiamo di aver sconfitto l’apartheid e la segregazione, ma siamo pronti a puntare il dito contro chiunque appare diverso da noi.”, blaterò.
Margaret la guardava spaesata, non immaginando affatto quanto potesse infervorarsi per un semplice invito. Harry, invece, aveva corrugato la fronte, avendo perso il filo logico del discorso.
“Abbiamo combattuto lotte molto più impegnative e feroci, simuliamo che tutto vada bene, ma in realtà non è così!”, riprese.
“Charlotte, forse stai esagerando.”, provò a dire con cautela Margaret.
“Esagerando? Esagerando? Sai quanti animali hanno ucciso per la tua borsa? Lo sai?”, tuonò sempre più scossa, puntando l’oggetto di pelle che l’amica aveva lasciato cadere sul muretto.
Margaret si alzò, affiancandola. Con un braccio circondò le sue spalle, nonostante l’opposizione fatta da Charlotte.
“Va tutto bene, Charlie.”, sussurrò abbracciandola.
Finalmente la bionda si calmò, godendo del calore di quella stretta. Si lasciò cullare e chiuse gli occhi. Quando li riaprì erano umidi e le sue guance erano solcate da lacrime.
“Mi dispiace.”, balbettò poggiando la testa sulla spalla di Margaret.
“È tutto ok, tranquilla.”, ripeté la ragazza, aumentando la presa intorno al busto di Charlotte.
Aveva represso quel pianto per giorni, sforzandosi di non cedere, perché lei era forte, ma alla fine era scoppiata proprio nel momento in cui meno se l’aspettava. Louis l’avrebbe assimilata ad una bomba ad orologeria che era non era stata disinnescata in tempo.
Al termine delle lezioni Audrey uscì dall’edificio e si incamminò verso l’auto della sorella, parcheggiata ad uno dei primi posti. Per almeno un’altra decina di giorni avrebbe dovuto fare affidamento su  Millie per gli spostamenti. Audrey aveva da poco dato l’esame di guida per la patente, conseguendola. Tuttavia non disponeva ancora di una macchina di sua proprietà. Ne aveva ordinata una appena qualche giorno prima, ma il colore della vernice che aveva scelto non era disponibile nell’immediato, così si era ritrovata senza una vettura capace di assicurare ogni suo movimento.
Poggiò la schiena alla portiera del lato del passeggero ed incrociò le braccia al petto, sperando che l’attesa non si fosse protratta eccessivamente nel tempo.
“Quante volte ti ho detto di non appoggiarti alla mia auto?”, sbottò Millie, piombando all’improvviso alle sue spalle.
Audrey sbuffò, voltandosi in direzione della sorella.
“Anche io ti ho detto centinaia di volte di non urlare come una gallina, ma tu continui a farlo.”, sibilò con un ghigno sulle labbra.
Millie aprì l’auto ed entrambe presero posto nell’abitacolo.
“Sei insopportabile, è per questo che non hai amici.”, sentenziò mentre girava la chiave nel quadro.
“Certo, invece tu sì che ne hai.”, ironizzò Audrey. “Sei patetica.”, affermò poi con aria sprezzante.
“Tu invece mi fai pena.”, ribatté Millie, non preoccupandosi neppure di rivolgere un veloce sguardo alla sorella. “Ti vesti di nero, ti ricopri di matita, ti nascondi da tutto e da tutti. Non potresti provare ad essere un po’ più femminile e socievole?”, continuò.
Audrey scosse il capo, sfinita da quei continui battibecchi.
“E tu, invece, potresti semplicemente smetterla di rivolgermi la parola?”, bofonchiò, sperando di dare un taglio a quella inutile discussione.
“Certo, anzi meglio. Non parliamo.”, borbottò Millie con una smorfia.
“Bene.”, terminò soddisfatta Audrey, prima di ricadere nel suo silenzio.
Bree si sedette esattamente di fronte alla scrivania della sua analista. Quel pomeriggio aveva una delle frequenti sedute in cui non si sarebbe tassativamente potuta assentare.
“Ciao Brianne.”, la salutò la donna con voce pacata e gentile.
“Salve.”, ricambiò la ragazza piegando le labbra in un sorriso appena accennato.
“Cosa mi racconti oggi?”, le chiese la donna, sistemando meglio gli occhiali sul naso.
Bree fece spallucce, non avendo molto da raccontarle. Per lo più la sua vita era scandita da ritmi tranquilli ed abituali che non le riservavano alcuna novità eclatante.
“Credo di aver trovato dei nuovi amici.”, disse dopo interminabili secondi, quando le immagini di quella mattina le si pararono davanti agli occhi.
“Vuoi dirmi come si chiamano?”, domandò l’analista, temendo stesse mentendo o si trattasse di personaggi fittizi.
“Louis e Zayn.”, rispose. “Frequentando la mia scuola.”, spiegò.
Tutto quel silenzio la faceva sentire a disagio, tanto che era costretta a giocherellare con l’orlo della camicetta dalla tonalità pastello che indossava. Era snervante dover parlare di sé ad una donna estranea che continuava a fissarla come fosse un esemplare unico al mondo degno dei più accurati studi scientifici.
Non sentiva quella sensazione di conforto, supporto e comprensione che pensava di poter trovare presso uno studio del genere.
“E sono gentili con te?”, continuò la donna, proseguendo il suo rituale interrogatorio.
“Sì.”, confermò Bree puntando lo sguardo in quello della signora seduta a poco più di un metro da lei.
Quello strazio sarebbe continuato per almeno un’altra ventina di minuti, il necessario affinché poi l’analista potesse sentirsi perfettamente in regola per pretendere i soldi della visita dalla madre di Bree.
“Hai voglia di dirmi altro?”, le chiese dopo qualche minuto di assoluto silenzio.
Agli inizi Bree trovava estremamente irritante l’atteggiamento di quella signora, così ogni qualvolta le porgesse quella domanda Bree raccontava storie surreali di avventure esotiche e di esperienze inimmaginabili. L’analista l’ascoltava, facendo finta di credere a tutto ciò che diceva, poi la salutava con fare affettuoso. Ma puntualmente il girono seguente Bree si vedeva aumentata la dose quotidiana di pillole. Così, alla fine, aveva deciso di dare un taglio netto a quello stupido giochetto, ma ormai era troppo tardi. La prima volta che Bree era stata da uno psicologo era perché aveva dato uno schiaffo ad un bambino. Aveva appena dodici anni e quel tipo aveva cercato in tutti i modi di darle un bacio. Lei non voleva, quel ragazzo non le piaceva affatto. Un giorno, dopo il suo ennesimo tentativo mal riuscito, gli aveva stampato una cinquina sulla guancia sinistra. Nessuno aveva creduto alla sua versione dei fatti. Tutti avevano preferito additarla come la ragazza violenta la cui madre prendeva antidepressivi. Aveva iniziato con colloqui mensili, ma sua madre aveva pensato bene di intensificarli, fino a quando, l’anno scorso, l’aveva portata dalla sua analista. Da quel momento era iniziato per Bree un lento e graduale declino.
“No.”, rispose senza abbassare lo sguardo.
Non aveva davvero voglia di raccontarle della sua vita, probabilmente non ne aveva mai avuta.
Louis salì sull’auto che Zayn stava guidando. Sapeva che il suo amico, quella sera, sarebbe dovuto andare a consegnare dell’erba per conto di uno di quei tipi che di tanto in tanto gliene forniva qualche oncia a buon prezzo.
“Sei sicuro di volerlo fare?”, gli domandò voltandosi verso l’amico.
Louis non era un fifone, ma sapeva quanto rischioso potesse essere immischiarsi in un giro del genere.
“Devo, lo sai.”, sentenziò con lo sguardo fisso sulla strada.
“Ok, allora facciamo questa cosa e torniamocene a casa.”, borbottò Louis.
“Grazie.”, mormorò Zayn prima di spingere il piede sul pedale dell’acceleratore.

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Angolo Autrice
Wow, non ci credo, torno finalmente ad aggiornare! *.*
Credo sia passata un'eternità dall'ultima volta, ma, sapete, tra traslochi e borsoni vari è stato un po' difficile trovare il tempo... :/
Anyway, che ve ne pare di questo capitolo? :D
Bree e Louis... L'avreste mai immaginato? D:
Dai, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. ;)
A presto (sarò più regolare d'ora in poi),  
                                                                                 Astrea_ 










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Capitolo 7
*** Niall ***


s

NIALL

“Buongiorno pa’.”, mugolò Niall entrando nella piccola cucina della sua modesta abitazione.
“Eh, Niall.”, ricambiò l’uomo di mezz’età, sollevando lo sguardo dal quotidiano che teneva tra le mani per posarlo sul figlio.
“Novità?”, chiese quest’ultimo riferendosi alle informazioni che venivano elargite ogni mattina dai giornali.
“Per fortuna no.”, sospirò il padre socchiudendo leggermente gli occhi.
Quello di aggiornarsi il prima possibile sugli ultimi avvenimenti di maggiore rilevanza del mondo era uno dei più assidui e sacri rituali di casa Horan. Ogni giorno, dopo essersi preparato per la scuola, Niall raggiungeva il padre che, svegliatosi di buon ora, aveva già acquistato e letto un intero quotidiano. Quando un particolare titolo li allarmava, facendo trarre loro inopportune ed erronee conclusioni, Niall afferrava il telefono e digitava frettolosamente il numero della madre per accertarsi che stesse bene.
Inoltre, da quando suo padre era stato licenziato, appena due settimane fa, la tensione al mattino sembrava essere aumentata, complice l’assenza di programmi e rigidi orari dell’uomo.
Niall sapeva che il loro comportamento era del tutto eccessivo e paranoico, ma entrambi non riuscivano a fare a meno di quei piccoli gesti che ormai rientravano nella routine quotidiana.
Sua madre, la stimata e determinata signora Horan, era arruolata nelle forze armate britanniche da oltre dieci anni. Per i primi anni aveva cercato di conciliare il lavoro con il ruolo d madre, soprattutto quando Niall era piccolo. Per questo motivo aveva sempre chiesto di rimanere in base, evitando allontanamenti da casa che avrebbero acuito le difficoltà nel prendersi cura del figlio. A quei tempi, inoltre, anche il padre di Niall trascorreva tutta la giornata in ufficio, occupandosi della direzione logistica in una fabbrica automobilistica.
Negli ultimi tempi, tuttavia, la crisi aveva reso meno sicura la prospettiva lavorativa futura dell’uomo, costringendo l’intera famiglia ad abituarsi all’idea della precarietà di quell’impiego. La ditta, infatti, appena l’anno precedente aveva iniziato una trafila burocratica attraverso cui si avviava a dichiarare il fallimento.
Così, preventivamente, la madre di Niall si era dovuta far peso delle esigenze economiche familiari. Sapeva quanti cambiamenti comportasse vivere esclusivamente del suo stipendio e, per quanto suo marito fosse intenzionato a cercare un nuovo lavoro, lei era ben consapevole di quanto difficile fosse diventato trovare qualcuno disposto ad assumere del personale.
Alla fine aveva deciso di recarsi in missione, un modo semplice ed immediato per incrementare le entrate.
Niall e suo padre non approvavano quella decisione, ma quando la donna aveva firmato per l’accettazione definitiva dell’incarico avevano deciso che fosse giunto il momento di sostenerla.
I primi tempi erano stati i più duri. Non erano affatto abituati a telefonate tanto rare e brevi. Avevano organizzato le loro attività giornaliere così da rendersi completamente disponibili nell’arco di tempo in cui solitamente ricevevano una sua chiamata. Durava poco, il necessario per rassicurali sulle sue condizioni, raccontare qualche breve esperienza e ricordare loro quanto gli volesse bene. Quando Niall riagganciava, dopo aver parlato con sua madre, riprendeva il conto alla rovescia per poter nuovamente sentire la voce della madre.
Una volta avevano letto di un incidente che c’era stato in una delle basi situate poco lontano da quella dove era stata inviata la madre. L’ansia li aveva completamente travolti, l’agitazione, la preoccupazione, la paura li aveva divorati. Avevano chiamato immediatamente la donna, ma lei non aveva risposto. Avevano provato con il numero di una sua collega, ma era risultato irraggiungibile, così avevano optato per chiamare direttamente il responsabile del campo, ma persino lui aveva il cellulare staccato. Avevano atteso per ore, Niall davanti al computer, cercando continui aggiornamenti, ed il padre con lo sguardo fisso su un canale che trasmetteva esclusivamente notizie di cronaca, poi quando alla solita ora era squillato il telefono si erano pietrificati.
Niall aveva pianto nel sentire la voce serena, ma esausta della madre, aveva pianto dalla gioia che fosse ancora viva.
“Io vado a scuola, questa mattina sono già piuttosto in ritardo.”, annunciò poi, afferrando la tracolla che la sera prima aveva lasciato su una sedia del tavolo della cucina.
“Va bene, buona giornata figliolo.”, lo salutò il padre, sorridendogli.
“Ciao.”, ricambiò Niall con poco entusiasmo.
Ancora non aveva completamente accettato la nuova situazione familiare. Sapeva quanto infantile fosse incolpare suo padre dell’assenza di sua madre, ma delle volte non riusciva a fare altrimenti. Era a causa della perdita del suo lavoro che lei era stata costretta a partire, era a causa di quel fottuto licenziamento se sua madre non era più a casa con lui appena finito il turno in caserma.
Ma Niall era un ragazzo maturo. Sapeva quanto anche suo padre soffrisse per quegli avvenimenti, sapeva quanto gli era costato dover salutare sua moglie e trovare vuoto il posto accanto a lui nel letto alle prime luci dell’alba e la sera prima di andare a dormire. Non era dipeso da lui, perdere il posto presso quella fabbrica. Era stata la crisi, il mercato praticamente fermo e la mancanza di capitali da investire a determinare il suo licenziamento, avvenuto dopo mesi di altalenanti periodi di attività lavorativa e ferie obbligate.
Uscito di casa, notò immediatamente l’auto nera e lucida di Zayn in sosta proprio a pochi metri da lui. Louis, seduto dal lato del passeggero, lo salutava con la mano, sorridendogli allegramente.
La sera precedente, infatti, si era trovato a parlare del suo malcontento nel non disporre di un auto propria e dell’orario tassativo dell’unico autobus che raggiungesse direttamente la strada in cui abitava. Louis si era immediatamente offerto di passarlo a prendere, di tanto in tanto, la mattina per andare a scuola, vista la vicinanza delle loro case. Ma poi aveva ricordato che lui, dall’esatto giorno successivo a quello del conseguimento di Zayn della patente, aveva sempre approfittato dell’indole generosa che il suo amico nascondeva, convincendolo ad accompagnarlo a scuola praticamente tutti i giorni. Così, alla fine, Louis aveva premuto affinché Zayn allungasse di poche centinaia di metri la strada per poter includere anche casa di Niall tra le fermate d’obbligo nel percorso per raggiungere il
Kensington & Chelsea College.
“Buongiorno ragazzi.”, esordì cordialmente Niall, prendendo posto sui sedili posteriori della vettura.
“Ciao bello!”, trillò Louis, forse già troppo attivo sin di primo mattino.
“Ciao.”, fu il più discreto saluto di Zayn.
Rimise in moto ed in un attimo si ritrovarono a sfrecciare per le strade di Londra, non percependo neppure la velocità alla quale quell’auto consentiva loro di andare. Zayn era stanco, quel giorno. Era stanco perché la notte precedente non aveva dormito granché e neppure in condizioni ottimali. Aveva dovuto fare da corriere per un tizio che aveva incontrato poche sere prima con Louis. Tuttavia, quella notte, non aveva chiesto all’amico di accompagnarlo. Sapeva quanto rischiosa potesse diventare una presenza costante, avrebbe finito per coinvolgere troppo anche Louis, per questo motivo non gli aveva detto nulla di quella faccenda. Del resto la vita aveva insegnato a Zayn che risultava favorevole non essere a conoscenza di determinate situazioni. Aveva trascorso più di quattro ore sul sedile di un’auto che neppure sapeva da dove provenisse, aveva preferito non fare domande a riguardo. Si era appisolato circa una decina di volte, ma puntualmente aveva spalancato gli occhi appena pochi minuti dopo, consapevole che se l’avessero trovato dormiente di certo non ne sarebbero stati entusiasti. Tuttavia, l’uomo che avrebbe dovuto incontrare non si era presentato. Al suo posto era venuta una donna, incurante delle tre ore di ritardo con le quali aveva raggiunto il luogo prestabilito. Quando era rientrato in casa i suoi genitori ancora dormivano, così era stato costretto ad aspettare che suo padre si svegliasse, per poi scavalcare il cancello sul retro e sgattaiolare in camera sua senza farsi sentire. Sapeva, infatti, che suo padre attivava tutte le sere l’impianto di sicurezza, per disattivarlo poi il mattino successivo, dunque non aveva alcuna possibilità di oltrepassare il cancello senza essere scoperto.
“Avete visto la partita del Chelsea ieri sera?”, chiese Louis, con la chiara intenzione di intraprendere una conversazione con gli altri due. “È stata a dir poco vergognosa!”, commentò con aria indignata.
“Sono d’accordo. Insomma, ci hanno davvero stracciati.”, aggiunse Niall, sbucando con la testa tra i due sedili anteriori.
“Zayn, hai visto il primo goal?”, domandò Louis, pretendendo la partecipazione dell’amico.
Zayn, secondo Louis, era così: necessitava della spinta di qualcuno per socializzare con persone nuove.
“Certo.”, disse indeciso, non avendo la minima idea di cosa quei due stessero parlando.
Zayn amava il calcio, quasi come ogni ragazzo della sua età, ma la sera precedente era stato impegnato a fare altro.
Fortunatamente il breve tragitto fu colmato dal capillare resoconto di Niall, che si scoprì essere un accanito e ben informato tifoso, interrotto solo dai commenti poco educati di un furente Louis.
Zayn parcheggiò ad uno degli ultimi posti lasciati ancora liberi nel parcheggio riservato agli studenti, poi scesero dall’auto e si avviarono all’ingresso.
“Ciao Louis! Ciao Zayn! Niall!”, esclamò briosa Bree, notando l’arrivo dei tre ragazzi che in quel momento stavano passando proprio accanto a lei.
Audrey, che era perennemente con lei, sbuffò senza preoccuparsi affatto che potessero notare la sua reazione.
“Bree, che bello vederti!”, la salutò Louis, ricambiando l’entusiasmo, subito imitato da Niall.
Zayn, invece, si limitò ad un cenno della mano ed un’occhiata fuggevole.
“Devi proprio salutare tutte le persone e fare la carina?”, sbottò Audrey quando i ragazzi furono abbastanza lontani da evitare che la sentissero.
Bree corrugò la fronte, confusa da quell’insinuazione. Per lei, Louis e Zayn potevano essere considerati degli amici, dunque le appariva un’azione normale salutarli quando li intravedeva tra i corridoi e i vari spazi della scuola. Era bastato poco a far decidere a Bree che quei due ragazzi non fossero malvagi o meschini. Ci aveva parlato poche volte e per poco tempo, ma qualcosa l’aveva convinta a non dubitare per neppure un istante della loro bontà d’animo. Si era fidata, aveva scorto dietro le loro all’apparenza impenetrabili espressioni dei sentimenti positivi, delle intenzioni oneste. Audrey era convinta che Bree vedesse del buono anche dove non ve n’era neppure la traccia, era un piccolo difetto che da sempre aveva attribuito all’amica.
“Sono miei amici.”, si difese Bree, stringendo al petto quel raccoglitore azzurro che portava con sé.
L’espressione di Audrey si tramutò in una smorfia quasi beffarda che la ragazza cercò di mascherare con uno sguardo scettico.
“E loro lo sanno?”, domandò fissando i suoi occhi scuri e penetranti in quelli verdi e titubanti dell’amica.
In un attimo l’aria spaesata di Bree si tramutò, i suoi lineamenti si indurirono, le sopracciglia si inarcarono e gli occhi si assottigliarono.
Si stava innervosendo, Audrey poteva capitolo anche solo dall’intensità del suo sguardo e dalle ciglia che continuava a sbattere.
Si rese conto che aveva esagerato porgendole quel quesito. Aveva messo in dubbio le sue capacità di giudizio e, soprattutto, aveva messo in dubbio il parere e le parole di Bree. Spesso le persone lo facevano e Bree, nella maggior parte dei casi, incurante del pensiero altrui, lasciava correre. Ma quando era una sua amica a trattarla esattamente come un qualsiasi estraneo, a non ritenerla pienamente consapevole e ragionevole, non riusciva ad ignorare quella voragine che si scavava nel suo petto.
“Non sei simpatica, Audrey.”, sottolineò Bree con tono seccato, muovendo qualche passo in direzione dell’aula presso la quale si sarebbe tenuta la sua prima lezione della giornata.
L’altra strizzò gli occhi, pentita per ciò che aveva detto, ma troppo orgogliosa per ammetterlo.
“Non è detto che tutto quello che esce dalla mia bocca sia pura follia solo perché il mio nome è Brianne Liberty Collins.”, sentenziò risentita.
Audrey concentrò lo sguardo sulla fila di armadietti alla loro destra, incapace di guardarla direttamente in volto. Si era resa conto di aver detto una cazzata quando ancora stava ultimando quella stupida domanda.
“Io ho spagnolo, adesso. Tu dovresti avere francese avanzato, giusto?”, riprese Bree bloccandosi davanti ad una delle tante aule del primo piano.
L’amica annuì, teneva i denti conficcati nel labbro inferiore e di sottecchi scrutava l’espressione della ragazza dai capelli rossicci.
“Allora vai, se non ci tieni ad arrivare in ritardo. A me non serve la balia.”, borbottò con un filo di ironia, cercando di darsi un tono altezzoso e perentorio a cui non era di certo abituata.
“Ci vediamo dopo.”, la salutò Audrey, piegando le labbra in un lieve ed impacciato sorriso.
Camminava per il lungo ed affollato corridoio con la testa bassa ed una mano avvolta intorno alla tracolla del suo zaino, poggiata sulla spalla destra. Quasi neppure percepiva quel vociferare euforico degli studenti che si affrettavano a raggiungere le rispettive classi, scherzando allegramente tra di loro. Chiusa nel suo mondo silenzioso e desolato, Audrey neppure si accorse della presenza di Liam esattamente dietro l’angolo che aveva appena svoltato. Sentì il suo corpo scontrarsi contro qualcosa ed il tonfo sordo causato da un libro che precipitò sul pavimento.
“Guarda dove cammini, idiota!”, inveì Audrey che ancora non aveva riconosciuto l’identità del ragazzo.
“Audrey.”, disse semplicemente Liam, facendole un cenno della mano, ignorando il tono acido ed accusatorio che gli aveva appena rivolto.
La ragazza fece roteare gli occhi al cielo, ancora più irritata dal fatto che tra tanti ragazzi, era dovuto finire proprio contro quello di sua sorella.
Con un passo scansò il libro che ancora era a terra, decisa a riprendere il cammino verso la classe di francese avanzato.
Liam, tuttavia, la bloccò afferrandole prontamente il polso. Audrey si voltò di scatto, sorpresa, ma soprattutto irritata da quel gesto.
“Cosa vuoi?”, sbottò a denti stretti, quasi ringhiando.
Il castano sorrideva, un ghigno sornione disegnato sulle sottili labbra rosse.
“Raccoglilo.”, le ordinò con voce falsamente cordiale, riferendosi ovviamente al libro di testo che gli era caduto nell’impatto.
Audrey fece una smorfia, per nulla disposta ad ascoltare le idiozie che Liam andava blaterando. Si dimenò, cercando di liberare il braccio dalla presa ferrea del ragazzo, ma lui non se la fece scappare.
L’avvicinò maggiormente al suo viso, tanto che Audrey poteva sentire il respiro di Liam cadere fresco sulle sue guance.
“Mi hai sentito.”, sibilò Liam con gli occhi fissi in quelli di Audrey.
Nonostante vestisse diversamente, nonostante si truccasse diversamente e si comportasse diversamente, Audrey era terribilmente simile alla sorella. Gli occhi scuri, il naso, le labbra, il viso, Liam riuscì a rivedere ogni tratto di Millie nel viso di Audrey.
“E tu senti questo, Liam.”, lo sfidò prima di sferrare una forte ginocchiata nelle parti intime del ragazzo, costringendolo a raggomitolarsi su se stesso per il dolore che gli aveva appena procurato. Sul viso di Audrey spuntò un sorriso soddisfatto, mentre con le braccia incrociate al petto osservava quella deliziosa ed idilliaca scena.
“Sei una stronza.”, l’accusò Liam, che ancora non era riuscito a tornare in posizione eretta.
“Lo so.”, gli rispose lei, facendo spallucce.
Si girò nella direzione opposta, ancora sorridente, lasciando il ragazzo dolorante alle sue spalle, poi si decise ad entrare finalmente in classe.
Liam fu costretto a raccogliere il libro, avendo appena incassato un duro colpo e non solo alla sua autostima. Avrebbe accuratamente taciuto su quell’episodio, desideroso che nessuno ne venisse a conoscenza. Scrollò le spalle e proseguì in direzione dell’aula della sua ragazza. Aveva un’ora buca a causa dell’assenza improvvisa del professore del corso di letteratura ed aveva tutta l’intenzione di trascorrerla con Millie, magari appartati in qualche angolo della scuola.
Da ultima arrivata quale era, Audrey fu costretta ad accontentarsi di uno dei pochi posti rimasti liberi, preferendo la vicinanza di Margaret a quella degli altri due ragazzi, il primo così apparentemente tonto e sciocco, il secondo studioso ed impeccabile.
“Ciao.”, la salutò Margaret con un sorriso che ad Audrey parve sincero.
Ricambiò con un cenno della mano, lasciandosi cadere sulla sedia di legno. Il professore aveva già introdotto la lezione del giorno quando lei aveva bussato alla porta con una scusa plausibile già inventata per l’occasione. Lui non aveva posto particolari obbiezioni, trattandosi di una delle ragazze in assoluto più brave e preparate del suo corso. Audrey parlava benissimo il francese, soprattutto grazie alle continue vacanze che annualmente ripeteva a Parigi.
“Hai sentito la novità?”, le chiese la sua provvisoria compagna di banco, non prestando attenzione alla conversazione che veniva riprodotta da un registratore e che fungeva da evidente esercitazione all’ascolto.
Audrey spostò la sua attenzione dalla voce della donna che continuava a parlare dei suoi gusti in fatto di moda a quella della ragazza dai capelli biondo miele.
Aggrottò la fronte, non sapendo a cosa si stesse riferendo.
“Venerdì prossimo Jason, il ragazzo del corso di filosofia, darà una festa. Ha invitato praticamente tutti.”, sussurrò sorridendole, mentre armeggiava con una matita, scarabocchiando di tanto in tanto per fingere di prendere appunti.
Ne aveva sentito parlare il giorno precedente, ma non aveva prestato eccessiva attenzione a quelle chiacchiere.
“Spero che Harry mi chieda di andarci con lui.”, continuò Margaret ricalcando il cerchio che aveva appena disegnato.
Audrey aveva migliaia di dubbi riguardo alla loro relazione. In pubblico Margaret ed Harry sembravano solo due amici piuttosto in confidenza, ma da quelle parole e dall’ultima chiacchierata che aveva avuto proprio con il ragazzo, poteva chiaramente intuire che in privato avessero un’intimità maggiore.
Margaret sembrava attendere una sua risposta, così Audrey si premurò di pensare cosa fosse il caso di dire, in tali circostanze.
Non era interessata affatto a quella festa, né alla vita sentimentale di Margaret ed Harry, ma si costrinse a partecipare a quella conversazione.
“State insieme?”, domandò spostando lo sguardo sull’astuccio rosso che aveva poggiato sul suo banco poco prima.
“Certo che no!”, sbottò prontamente l’altra, trovando qualche apparente difficoltà nel modulare il tono di voce.
Margaret si ricompose e prese un lungo e profondo respiro.
“Ci stiamo solo conoscendo meglio.”, chiarì con un’espressione maliziosa dipinta sul volto che sconcertò Audrey.
Certo, la vita sapeva essere terribilmente ingiusta delle volte. Margaret ed Harry avevano fatto sesso senza complicazione alcuna, senza l’implicazione di sentimenti, promesse, delusioni. C’erano stati solo i loro corpi caldi a contatto ed un profondo e grande piacere che li aveva soddisfatti. E a loro stava bene così, persino ad Harry che con lei aveva perso la sua verginità, diventando uomo a tutti gli effetti. Eppure la loro storia non sarebbe stata affatto complicata. Per Harry ci sarebbe stata solo Margaret, per Margaret solo Harry. Niall avrebbe venduto l’anima per trovarsi nella stessa situazione, ma con Millie al posto di Margaret. Anche Millie e Niall erano stati insieme, ma purtroppo lei non aveva voluto parlare neppure una volta di ciò che era successo tra di loro. Diceva di amare Liam, di aver sbagliato, che Niall era solo un buon amico e, ad ogni parola, un pezzo del cuore del biondo si frantumava, fino a ridurlo in tanti piccoli cocci che difficilmente sarebbero stati riassemblati. Forse Millie non era come lui l’aveva da sempre dipinta nella sua mente, forse non era più quella ragazza vitale e solare che conosceva da tempo. Era cambiata e Niall non era sicuro che quella nuova Millie continuasse a piacergli. Per mesi aveva pensato che era solo colpa della nuova scuola, del suo nuovo fidanzato, ma quando quella notte l’aveva stretta tra le sue braccia e l’aveva guardata negli occhi, aveva capito che c’era qualcosa di diverso in essi, qualcosa che andava ben oltre le sue ipotesi. Non c’erano spontaneità, sincerità, generosità nelle sue azioni, nei suoi discorsi, nei suoi sguardi. Non c’era bontà nei gesti o nelle parole che riservava alle persone, ma soltanto bisogno di primeggiare, di sentirsi migliore, di ottenere sempre ciò che desiderava. Si diede dello stupido per non essersi accorto prima di quanto Millie non fosse più quella persona di cui si era innamorato. L’aveva idealizzata, quasi come una dea dalle fattezze angeliche, ma quando l’aveva sentita tanto vicina da percepire il battito del suo cuore Niall aveva pensato che fosse solo dannatamente bella e nulla di più.
Niall si diresse verso il parcheggio, cercando con lo sguardo l’auto di Zayn. Quando la vide, notò Charlotte che, appoggiata alla portiera posteriore, giocherellava con le dita tra i capelli.
“Ehi.”, esordì facendosi più vicino.
Di Louis e Zayn non c’era ancora traccia, dunque avrebbe dovuto aspettarli.
“Cercavi Louis?”, chiese alla ragazza che ancora non aveva proferito parola.
Charlie annuì, alzando il volto per scontrarsi con gli occhi azzurri e limpidi di Niall.
“Volevo parlargli, ma non credo più sia una buona idea.”, spiegò con un’espressione affranta, ma allo stesso tempo tormentata.
“Non dirgli che ero qui, per favore.”, implorò imbarazzata mordendo forte il labbro inferiore.
“Ok, ma credo che tu…”, non fece neppure in tempo a completare la frase che Charlie era già corsa via.
Vide la sua figura farsi sempre più piccola, fino a quando non scomparve dietro l’angolo dell’edificio.
“Allora, si torna a casa?”, esordì un solare Louis, seguito da Zayn che faceva roteare le chiavi dell’auto intorno all’indice destro.
“A casa.”, ripeté Niall.

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Angolo Autrice
Ok, finalmente ci sono!:D Ecco il nuovo capitolo e questa volta scompramo qualcosa in più sulla vita di Niall.
Wow, mi sembra quasi surreala riuscire ad aggiornare!XD
Comunque sia, siamo già a Niall, ormai abbiamo conosciuto quasi tutti i protagonisti da vicino!
Prevedo tre capitoli per ognuno di loro, per un totale di ben trenta capitoli, quindi devo darmi da fare!xD
Che dire, sembra proprio che nessuno di questi ragazzi se la passi bene, eh!
Volevo ringraziare la splendida Hazzamlmlml
che ha recensito lo scorso capitolo:
non ho ancora avuto modo di risponderti e ti chiedo scusa per questo, ma ti ringrazio infinitamente, davvero!
Non puoi capire quanto sia stata immensamente felice di leggere il tuo commento!!*.*
Anyway, ringrazio chi segue, preferisce, ricorda e legge!:D
Bene, se vi va lasciate un commento...!;)
Alla prossima con *rullo di tamburi*.... *suspance*....AUDREY!;)
                                                                                                      Astrea_ 

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Capitolo 8
*** Audrey ***


f

AUDREY

Con un gesto secco Audrey ricoprì la tastiera del pianoforte che era stata lasciata scoperta dalla domestica che quotidianamente si recava in quella casa per svolgere delle faccende. Odiava quando lasciava lo strumento in quelle condizioni, era come se la stesse sfidando nonostante le numerose volte in cui Audrey le avesse ribadito di non toccarlo. Entrambe sapevano bene che nessuno l’avrebbe mai suonato ancora, ma la donna lasciava ripetutamente i tasti scoperti, come se metterli in bella vista avesse potuto riprodurre la sensazione delle dolci note che aleggiavano per la grande sala. Le piaceva poter ricordare quando in quella famiglia regnava la serenità, la tranquillità. Audrey, invece, percepiva quel gesto come un continuo inopportuno invito a prendere posto su quello sgabello e sfiorare con le sue dita sottili quei tasti tanto lucidi che lei conosceva bene. Era come se ogni volta, nel guardare quel pianoforte, i suoi ricordi tornassero a galla, procurandole un forte dolore, quello stesso dolore che ancora non era riuscita a superare.
“Vuoi che questo scherzetto del cazzo ti costi il lavoro?”, Audrey minacciò la domestica che ormai conosceva bene con tono burbero ed autoritario.
Non avrebbe mai permesso che la donna lasciasse quella casa, ma sperava di convincerla a smetterla di pulire quel piano tutti i giorni, come se qualcuno continuasse ancora a suonarlo e ad esercitarsi.
“Audrey, piccola mia, i tuoi occhi ti tradiscono ancora. Non stai dicendo sul serio, io lo so.”, fu la risposta che ricevette, mentre la donna le accarezzava una guancia con fare amorevole.
Audrey si scansò, aumentando la distanza che intercorreva tra i loro corpi. Temeva quello sguardo perforante che ancora riusciva a leggerle l’animo.
“Vado a studiare.”, tagliò corto, dirigendosi poi verso le scale che portavano al piano superiore.
In realtà non aveva davvero nulla studiare, complice il fatto che il giorno seguente non ci sarebbe stata scuola. Ma quel pomeriggio, visto il suo pessimo umore, non avrebbe fatto nulla a prescindere. Si lasciò pesantemente cadere sul letto ed afferrò il cuscino rosso carminio tra le braccia, poi lo strinse forte. Su una parete era appesa una foto dalle grande dimensioni raffigurate lei a Parigi, sotto la torre Eiffel sulla quale era salita tante di quelle volte da perderne il conto. Sua madre adorava il francese e Audrey avrebbe fatto di tutto affinché sua madre adorasse anche lei. Con Millie era diverso, loro condividevano i pettegolezzi, lo shopping, i film strappalacrime ed i commenti poco casti su qualsiasi personaggio maschile. Ma Audrey odiava tutte quelle cose. Preferiva il pianoforte che sua madre aveva comprato solo perché l’affascinava, nonostante non sapesse suonarlo. Ci aveva pensato Audrey a prendere delle lezioni, così da poter finalmente produrre della musica di buona qualità. E poi c’era il francese, la lingua che sua madre amava e che Millie era troppo pigra per imparare. Audrey aveva finito per detestare anche quello, con il tempo. Erano tutti piccoli e dolorosi ricordi di un’infanzia non troppo rosea e di un’adolescenza spezzata da quel terribile lutto. Persino i perenni litigi e le continue incomprensioni con Duncan avevano lasciato una profonda cicatrice sul suo cuore. Non era riuscita a godere del tempo che avevano trascorso insieme, l’aveva sprecato in inutili insulti e battutine maligne. Avrebbe tanto voluto avere anche solo cinque minuti in più per abbraccialo e dirgli che gli voleva bene, gliene aveva sempre voluto, anche se aveva un modo del tutto alternativo per dimostrarlo. Ricordava ancora quando Duncan le aveva fatto sparire il cd dei Three Days Grace e lei, per dispetto, aveva inserito del colorante per capelli nello shampoo del fratello. Le urla furiose di Duncan riecheggiavano ancora nella sua testa, costringendo Audrey a strizzare forte gli occhi per non piangere.
Il suo cellulare squillò, costringendola a riscuotersi da quel mare di ricordi in cui era annegata.
“Ciao Bree.”, biascicò, avendo letto il nome della ragazza sullo schermo del telefono un attimo prima di accettare la chiamata.
“Ciao!”, gongolò l’altra. “Preparati, stasera c’è una festa, ricordi?”, esordì con tono allegro e vivace.
Audrey non era certo dell’umore adatto per divertirsi, ma dare delle spiegazioni non rientrava affatto nelle prospettive da prendersi in considerazione.
“Sono a piedi, la mia auto ancora non arriva.”, inventò, sperando che bastasse a scoraggiare l’amica, ma conosceva abbastanza bene Bree da avere la certezza che disponesse già di una soluzione.
“Tranquilla, passano a prenderci Zayn e Louis.”, rispose prontamente con le labbra incurvate in un sorriso compiaciuto.
“Non ho scelta, vero?”, chiese retorica accennando ad una smorfia.
“No. Tra due ore siamo da te.”, concluse Bree, trionfante.
Quando finalmente giunse l’orario prestabilito Audrey era già pronta da molto. Stretta nei suoi shorts neri, coperti in larga parte da una maglia grigia che nascondeva le sue forme femminili, aveva impiegato ben poco per ricoprire gli occhi di un nuovo strato di matita e dare una veloce sistemata ai capelli mossi. Persino le particolari calze che coprivano le sue snelle gambe erano scure.
Si sorprese di trovare anche Niall con loro, ma solo perché la sua presenza implicava dover condividere con altre due persone i sedili posteriori, riducendo così lo spazio a lei disponibile. Il breve viaggio fu piuttosto silenzioso. Nonostante Bree fosse particolarmente disposta a socializzare e Louis continuasse a scherzare senza preoccuparsi del fatto che nessuno ridesse delle sue battute, ogni argomento di conversazione veniva stroncato dall’intervento di Audrey, la quale, obbligata a rispondere ad una domanda, finiva per freddare l’entusiasmo degli altri. Giunti a casa di Jason, il ragazzo che aveva organizzato la festa in occasione di chissà quale ricorrenza, probabilmente il suo compleanno, Audrey, Bree, Niall, Louis e Zayn si trovarono catapultati nel vortice travolgente della musica assordante che proveniva dal salone. Louis afferrò Bree per mano e la portò al centro, dove un consistente gruppo di ragazzi ballava, seguendo il ritmo della canzone che rimbombava attraverso le casse.
“Divertiamoci un po’, dolcezza!”, le disse quasi all’orecchio, per sovrastare il volume assordante.
Bree sorrise, facendo una giravolta su se stessa, prima di lasciare che il corpo si muovesse liberamente.
In un attimo anche Zayn e Niall sparirono tra la folla. Il primo alla ricerca di qualcuno che necessitasse di lui, qualcuno come Millie, il secondo alla vista di Charlotte che affiancava Margaret ed Harry su uno dei tre divani.
“Ehi, amico!”, lo salutò Harry porgendogli una mano che prontamente Niall afferrò.
“Fatemi un po’ di posto, va.”, esordì facendo segno a Charlie di stringersi così che potesse sedersi anche lui.
“Sei venuto con gli altri?”, chiese Margaret, le cui spalle erano avvolte dal braccio di Harry, fermato dalla mano di lei che stringeva quella grande del ragazzo proprio all’altezza della scapola.
“Sì, Zayn mi ha dato un passaggio.”, confermò dando una veloce occhiata all’amico che, con un’espressione contrariata sul volto, parlava con un ragazzo di media statura, puntandogli un dito all’altezza del petto.
“Ma ha sempre un’aria così tenebrosa quello là?”, chiese ancora la ragazza, incuriosita dal moro che conosceva ancora così poco.
“Devi vedere quando si arrabbia!”, s’intromise sogghignando Charlie, ricordando quella volta che Louis aveva vomitato nell’auto di Zayn, rischiando quasi la vita.
Non le faceva più male come qualche giorno fa ricordare quel volto, quegli occhi, quel nome. Sentiva di non essere ancora pronta per voltare completamente pagina, ma qualcosa dentro di lei le diceva che era sulla buona strada, che ora stava facendo la cosa giusta, per lei ed anche per Louis, in un certo senso.
“Ma dai, non è poi così male.”, lo difese Niall, cercando di convincere gli altri.
Il suo tono, tuttavia, apparve talmente  riluttante che neppure lui riuscì a credere alla sua stessa affermazione, facendo scaturite una risata collettiva.
“Ok, ci hai provato.”, scherzò Margaret, accavallando le gambe lasciate scoperte da un vestitino di seta rosa.
Si voltò in direzione di Harry, incrociando gli occhi verdi e luminosi del ragazzo, e gli sorrise. Margaret aveva un unico obiettivo per quella serata ed includeva anche Harry. Non voleva fare ancora del sesso con lui, ma semplicemente parlare e scherzare, magari ballare e divertirsi. Harry era davvero un ragazzo perbene, rispettoso, educato e gentile e lei l’aveva capito appena erano rimasti da soli, quella sera a casa Wood.
“Andiamo?”, propose ad Harry alzandosi, mentre un sorriso prendeva forma sulle sue labbra.
“Ma certo!”, asserì lui, afferrando la mano per gettarsi nella mischia di ragazzi che ballavano.
Charlotte li vide allontanarsi e per qualche istante fu colta da un leggero imbarazzo causato dalla sola presenza di Niall al suo fianco.
Temeva il giudizio del ragazzo sul suo comportamento poco maturo di cui aveva dato sfoggio appena pochi giorni prima nel parcheggio del
Kensington & Chelsea College. Si chiese chissà cosa Niall potesse pensare sul suo conto, a quali conclusioni fosse autonomamente giunto, magari ritenendola persino una stalker o affini.
“Sei sempre così silenziosa?”, domandò Niall, interrompendo quel silenzio che, come una bolla di sapone, li aveva avvolti, escludendoli dal caos che li circondava.
Le labbra si Charlie si incresparono, accennando ad un leggero e spontaneo sorriso.
“A dir il vero no, ma stasera non so davvero cosa mi prenda.”, confessò scontrando i suoi occhi di ghiaccio con quelli color del cielo di Niall.
“Non devi darmi spiegazioni, va bene così.”, la tranquillizzò il ragazzo, sfiorando la mano di Charlotte con la sua.
Lei sussultò per quell’inatteso contatto, ma non ritirò il braccio. Al contrario, intrecciò le dita con quelle di Niall.
“Beviamo qualcosa, ti va?”, suggerì allora lui, sperando di riuscire ad alleggerire l’atmosfera tesa che aleggiava.
Charlie scosse il capo, decisa a non toccare alcunché di alcolico per quella sera.
“Parlami un po’ di te,  piuttosto.”, lo incitò, mettendosi più comoda sul divano, curiosa di conoscere meglio quel ragazzo dalla chioma bionda.
Millie seguiva con lo sguardo ogni minimo movimento di Zayn. Sapeva che era solo questione di tempo, poco tempo, prima che i loro occhi si incrociassero, dando vita ad una tacita conversazione il cui epilogo era già ben noto ad entrambi.
Liam le afferrò i fianchi, stringendola maggiormente al suo corpo, mentre insieme si muovevano sinuosamente a ritmo di musica. Ballavano da oltre una ventina di minuti e Millie era piuttosto stanca di quei movimenti tanto peccaminosi. Lei e Liam danzavano come un unico corpo, erano talmente vicini che neppure un filo d’aria sembrava passare tra loro. Con una mano Liam scese fino a sfiorare le cosce della sua ragazza, mentre le lasciava scie di umidi baci che partivano dal collo per poi sfiorare la mascella e il lobo dell’orecchio.
Non le interessava in quel momento il gioco di seduzione che Liam stava inutilmente provando sul suo corpo, era decisamente interessata ad altro. Quasi aveva imprecato quando aveva visto Zayn sparire dietro una delle tante porte in compagnia di una ragazza, timorosa che avrebbe impiegato molto più tempo del previsto. Fortunatamente, invece, neppure una decina di minuti Zayn era riapparso nella sala, con le labbra piegate in un ghigno beffardo. Lo vedeva parlare con dei ragazzi, ogni volta sempre gli stessi, per poi muoversi furtivamente, evitando sguardi indiscreti. Erano pochi quelli che riuscivano a procurarsi ciò che cercavano direttamente da lui, si trattava solo di una piccola cerchia di persone ristrette a cui faceva un ottimo prezzo per chissà quali ragioni che a Millie non interessavano. Aveva ragionato già troppo quella sera, tanto che il suo cervello si rifiutava di farlo ancora, di pensare. Sentiva il rumore degli ingranaggi, il rumore dei pensieri, delle voci, della coscienza e le dava tutto terribilmente fastidio. Lo trovava insopportabile e si chiedeva come ancora riuscisse a trattenersi dallo sbattere veementemente il corpo di Zayn contro il muro e pretendere ciò di cui aveva bisogno.

Liam fece voltare Millie tra le sue braccia, distraendola dalla lunga operazione nella quale era impegnata. La baciò con foga, come se avesse atteso troppo prima di farlo. Spostò una mano dietro la nuca della ragazza, approfondendo il contatto che si era da poco creato tra le loro lingue. Liam voleva di più e quel messaggio subito divenne chiaro a Millie quando il suo ragazzo iniziò ad accarezzarla con movimenti lenti effettuati dalla mano che fino a pochi attimi prima era sul suo fianco.
Millie sapeva che se avessero abbandonato la festa in quel preciso istante, lei avrebbe perso l’occasione di incontrare Zayn e non poteva affatto permettere che ciò accadesse.
“Scusa Liam, devo andare in bagno.”, mentì allontanando il viso del suo ragazzo dal suo, assumendo una finta espressione desolata.
Il viso di Liam si piegò in una smorfia di incredulità mista a disapprovazione, con gli occhi scrutava il volto di Millie per cercare di comprendere cosa non andasse.
“Prometto che torno in un attimo, amore.”, lo rassicurò stampandogli un bacio sulle labbra, per poi dileguarsi velocemente.
Era quello il momento, lo aveva intuito quando Millie aveva intravisto Zayn nel corridoio a sinistra. Era stata fortunata, ora di certo non gli sarebbe potuto scappare. Lo raggiunse a testa alta, la sua immagine era chiara espressione di sicurezza e audacia.
“Ti stavo cercando.”, dichiarò con tono cauto.
Sapeva che il moro l’aveva vista arrivare, dunque non c’era alcun bisogno di cordiali saluti e presentazioni educate.
“Anche il mio portafogli ti cercava.”, ribatté Zayn.
Aveva la schiena poggiata al muro, le gambe appena incrociate all’altezza dei polpacci, la mano destra nei jeans chiari che indossava, mentre nella sinistra stringeva una sigaretta ancora spenta. Il suo sguardo divertito era riservato esclusivamente a Millie.
“Le tue squallide battute mi danno la nausea.”, commentò lei, avvicinandosi pericolosamente al busto del ragazzo.
“Non siamo qui per fare conversazione.”, le ricordò concentrando la sua attenzione sulle labbra della ragazza.
Millie sorrise, soddisfatta dell’effetto che sembrava sortire su di lui, e poggiò una mano sul petto di Zayn. Con le dita iniziò a percorrere la linea dei pettorali che s’intravedevano al di sopra del tessuto della maglietta bianca che contrastava con la sua carnagione particolarmente colorita.
“Hai le pasticche?”, gli chiese Millie, non riuscendo a prolungare ulteriormente quello scambio obbligato di battute.
“Una.”, rispose Zayn, cercando già nella tasca la bustina che le aveva riservato.
Millie non gradì affatto la parola che era appena giunta al suo orecchio. Non avrebbe ceduto tanto facilmente, soprattutto perché ormai aveva compreso quando Zayn le mentisse. Portava lo sguardo altrove, poi lo puntava verso l’alto ed infine tornava a fissare i suoi occhi, esattamente come aveva appena fatto.
Millie avvicinò le sue labbra a quelle del ragazzo, facendo leva sulla mano che ancora teneva poggiata sul busto di Zayn.
“Solo una?”, replicò ad un soffio dalle sue labbra.
Zayn la scansò di poco, afferrandola per le spalle. L’ultima cosa che davvero volesse fare era scopare con una sua cliente.
“Due e sparisci all’istante.”, la ricattò mostrandole le due agognate pillole dalla forma circolare.
“Tieni.”, annunciò Millie, sfoderando una delle sue solite grandi banconote. “È sempre un piacere fare affari con te.”, concluse sfilando il pacchetto dalle sottili dita di Zayn.
Il moro ghignò, piegò i soldi e li ripose nella tasca posteriore dei jeans.
“Alla prossima.”, lo salutò Millie, prima di voltarsi per tornare ancheggiando nell’altra sala.
Zayn si concesse un altro lungo sguardo, concentrato principalmente sulle linee del corpo di Millie messe in evidenza da un’elegante e sexy vestito dorato.
“Il tuo bagno si chiama Zayn Malik adesso?”, l’accusò Liam, chiaramente nervoso, spuntando alle spalle di Millie.
La ragazza sbuffò, indignata dalla consapevolezza sopraggiunta a quelle parole: Liam non si era fidato di lei, l’aveva seguita e spiata ed ora di permetteva persino di farle la morale.
Preferì ignorarlo, una discussione con lui era tutto ciò che voleva evitare in quel momento, soprattutto se le cause erano le sue frequentazioni e le sue decisioni.
“Fermati, cazzo!”, sbottò Liam, trattenendo Millie per il braccio
“Cosa vuoi Liam? Che ti dica perché ho comprato delle pasticche?”, inveì contro di lui, cercando senza successo di svincolarsi dalla presa del ragazzo.
Ed ancora una volta, dopo pochi giorni, Liam si trovò a dover bloccare una gemella Wood ad appena due spanne del suo viso.
La liberò di scatto, facendola traballare per la perdita di equilibrio.
“Non farlo mai più, Liam.”, lo minacciò. “Non azzardarti a farlo mai più.”, ripeté ancora scossa e con il fiato corto, prima di correre via con ancora quella bustina stretta forte in una mano.
Audrey era uscita sul retro poco aver visto i suoi accompagnatori allontanarsi uno alla volta. Era rimasta sola per un po’, cercando di ambientarsi o di fare qualche conoscenza per riuscire ad integrarsi, ma non ci era riuscita. Così, umiliata ed in un certo senso abbandonata, aveva scovato un posto isolato nel quale rifugiarsi ed attendere la fine della serata. Avrebbe fumato una canna, se solo si fosse ricordata di portare con sé il fumo e le cartine. Audrey si era accasciata su uno dei tre gradini ed aveva avvolto le ginocchia con le sue esili braccia. Teneva la testa china e lo sguardo assorto nel nulla.
“Sembri pensierosa e triste.”, affermò una voce maschile alle sue spalle.
Sgranò gli occhi per lo spavento e si voltò alla ricerca del viso di colui che tanto l’aveva spaventata.
Il sorriso premuroso e caldo di Harry l’accolse, tranquillizzandola all’istante.
Tirò un respiro di sollievo, rilassandosi.
“Ora sai cosa significa piombare alle spalle.”, scherzò avvicinandosi fino a sedersi accanto a lei.
Le labbra di Audrey si piegarono in un sorriso, ricordando le due volte in cui le parti erano state invertite.
“Allora, che ci fai tutta sola qui fuori?”, le chiese Harry, cercando di farle proferir parola.
Audrey sollevò le spalle e boccheggiò un paio di volte, prima di limitarsi ad un nuovo sorriso, questa volta appena accennato.
“Non parlerai per tutta la serata?”, continuò il ragazzo, non sembrando per nulla scoraggiato dal mutismo di Audrey.
“Scusa, ero solo distratta.”, balbettò finalmente lei, ritrovando la parola. “Avevo bisogno di riflettere.”, si trovò a dire ed il suo tono apparve persino troppo cordiale per appartenerle realmente.
“Su cosa?”, domandò Harry.
Audrey sorrise sorniona.
“Ricordi Harry?”, iniziò ironica. “Noi non siamo amici.”, gli rammentò con sarcasmo.
Harry trattenne una piccola risata, ormai non ci faceva neppure più caso al cinismo che Audrey ostentava.
“E tu perché non sei con Margaret?”, riprese la ragazza.
Ad Harry non importava della precedente affermazione di Audrey, a lui non interessava creare quell’alone di mistero e freddezza intorno a lui. Gli piaceva parlare con Audrey e non era affatto un ragazzo orgoglioso.
“Non mi andava. Non ho mai trascorso tanto tempo con una ragazza come in questi ultimi giorni.”, ammise appoggiando gli avambracci sulle ginocchia, per poi intrecciare le dita delle mani.
“Ne hai già abbastanza?”, lo provocò concedendogli un’unica occhiata beffarda.
Lui soffocò una risata e due piccole fossette si scavarono sulle sue guance.
“Ci vuole del tempo per abituarsi all’idea.”, disse per sviare il discorso, evitando una risposta chiara.
Ed ad Audrey quella risposta bastò. Capì che per quanto sola potesse apparire, per quanto cattiva, egoista e menefreghista gli altri potessero giudicarla, c’era sempre qualcosa che le persone non avrebbero mai potuto comprendere a prima vista. C’era la fragilità di una ragazza che non era mai del tutto riuscita a fare i conti con se stessa e con le sue insicurezze.
C’era l’Audrey che con tutti quegli strati di matita nera nascondeva la luce che emanavano i suoi occhi e che ancora sorrideva nel vedere la copertina della copia in lingua originale di sua madre di Madame Bovary sulla scrivania della sua camera.

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Angolo Autrice
Ehilà, c'è nessuno qui??? Buon salve a tutti!:D
Bene, che dire, ecco il nuovo capitolo, in parte focalizzato su Audrey. Finalmente scopriamo qualcosa in più sul suo bel caratterino.
E la storia prosegue con un tenebroso Zayn, un'audace Millie e un Liam che vuole farsi valere.
Poi ci sono Charlotte e Niall ed un tenerissimo Harry. :3
Ed all'appello non manca di certo l'euforica Bree, mentre Louis e Margaret li vediamo quasi solo di passaggio.
Bene, non mi dilungo, per prima cosa perché stranamente non so proprio cosa poter dire  !ù.ù
Okay, spero in un vostro commento, o critica che sia, così da avere un parere...
Ringrazio chi segue, preferisce e ricorda!<3 E ringrazio chi legge!<3
Alla prossima!:*
                                                                   Astrea_

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Capitolo 9
*** Zayn ***


f

ZAYN

Zayn uscì di casa presto, quella domenica mattina. Era stato svegliato dall’aria umida e pungente e dalle prime luci dell’alba che entravano dalla finestra che la sera prima aveva sbadatamente lasciato aperta. Non aveva neppure atteso che i suoi genitori scendessero in sala da pranzo per fare colazione o che le sue due sorelline iniziassero a litigare sul cartone che avrebbero voluto vedere in televisione. Aveva voluto accuratamente evitare tutto ciò. Così, dopo essersi velocemente cambiato, aveva afferrato la borsa che conteneva tutto il materiale necessario per andare in palestra ed era uscito.
Fumava stancamente una sigaretta, poggiato alla saracinesca ancora abbassata del luogo che ormai frequentava sempre più assiduamente. Delle volte, quando non aveva impegni, trascorreva lì interi pomeriggi, lavorando sulla sua forza e i suoi muscoli che si sviluppavano a vista d’occhio. Qualche volta si distraeva con un sacco da boxe. Nonostante non spiccasse per abilità in quella disciplina, Zayn adorava la sensazione di forza che prendeva forma in lui quando vedeva quel sacco traballare nell’aria. Ricordava a se stesso che era stato lui a farlo muovere, il suo pugno serrato premuto contro quella superficie e si sentiva ogni volta meno debole della precedente.
Anche quella mattina la trascorse così, tra gli esercizi per i suoi muscoli e qualche tiro con i guantoni. Quando si concentrava sul punto da colpire, sul suo obiettivo, sembrava che tutto il resto del mondo scomparisse. Sembrava che non ci fossero più voci, sguardi, tocchi, odori, pensieri, parole, persone. Tutto si affievoliva, si allontanava, dilatava fino a scomparire del tutto. Poi il rumore del pugno appena scagliato lo riportava alla realtà con un unico e secco colpo.
La domenica era uno dei pochi giorno che ancora poteva riservare esclusivamente a se stesso, a rilassarsi, distrarsi, a far finta di essere una persona che in realtà non era.
Negli ultimi giorni detestava l’idea di dover accompagnare Niall a scuola. In realtà la questione era più complicata di quanto potesse superficialmente apparire. Zayn temeva le idee a cui quel piccolo gesto avrebbe condotto. Non voleva essere simpatico, generoso, disponibile o altruista. Zayn preferiva essere quel tipo di ragazzo a cui veniva rivolta la parola solo per estrema necessità. Aveva paura dei rapporti, delle amicizie, dei legami. Sapeva di non essere in grado di gestirli, ma soprattutto era consapevole della precarietà di essi. Non si fidava delle persone, viveva in un mondo in cui l’unico su cui realmente potesse contare era proprio se stesso. Gli altri, in un modo o nell’altro, chi prima, chi dopo, si sarebbero tutti tirati indietro lasciandolo solo davanti ad un’eventuale difficoltà. Solo Louis sarebbe rimasto, anzi, in verità lui aveva già più volte dato prova di non aver alcuna intenzione di abbandonare il suo amico. Gli piaceva Niall, era un ragazzo affabile e spiritoso, ma sapeva che più persone si avvicinassero a lui, più Zayn diventava fragile e lui non poteva permettersi una tale debolezza.
Sollevò l’ennesimo set di pesi, osservando la sua immagine riflessa nella parete di specchi. I suoi muscoli erano tesi, tanto che Zayn si compiacque della forma definita che stavano assumendo.
Persino quelle gocce di sudore che grondavano dalla sua fronte e che inumidivano la sua canotta blu erano per lui un vanto, simbolo del duro lavoro che stava effettuando non solo sul suo corpo, ma anche sulla sua mente. Zayn sapeva di dover essere un ragazzo forte, lo doveva alle sue due piccole sorelline a ai suoi apprensivi ed ignari genitori.
Quando suo fratello maggiore Jamal era partito, tanto repentinamente da far dubitare della veridicità delle sue motivazioni, era spettato a lui cercare di rimettere insieme i pezzi del puzzle che lui aveva completamente distrutto. Aveva annunciato il suo trasferimento appena una settimana prima dell’inizio di un corso che si sarebbe tenuto presso una prestigioso università con sede a New York di cui Zayn non aveva mai voluto conoscere il nome.
Era una famiglia benestante la loro, forse talmente tanto da permettere che i figli potessero concedersi qualche desiderio in più.
Il padre di Zayn era un affermato chirurgo, la cui lista d'attesa per le prenotazioni di interventi privati era interminabile. Sua madre, invece, era un affermato avvocato specializzato sui divorzi, affidamento di minori ed affini. Tuttavia, indipendentemente dalla natura della causa, la signora Malik non ne aveva mai persa una e ciò contributiva a rendere esorbitanti le cifre da lei richieste per un suo parere o intervento. Conducevano uno stile di vita agiato, ma Zayn non ne faceva mai vanto e probabilmente, a giudicare da come vestiva, nessuno avrebbe mai pensato che i suoi genitori fossero i titolari della percentuale di azioni maggiore di una piccola catena di negozi londinese. A Zayn non interessava di quanto la sua famiglia fosse ricca, per lui erano sufficienti un'auto ed un pacchetto di sigarette, il resto sarebbe venuto vivendo.
Scaraventò un destro micidiale contro il sacco, facendolo volteggiare per la stanza, legato al soffitto solo da quella sottile catena di metallo.
Quello era il momento che preferiva, quello in cui sentiva il vuoto e poi, un attimo dopo, tutto tornava a galla. Era il momento in cui l'odore del sudore che aveva versato si mescolava con quello della sua pelle, diventando un'unica nuova fragranza.
Jamal ci aveva perso la testa in quel fottuto mondo di vizi e trasgressioni, ci aveva rimesso il futuro, la fiducia e l'amore, ma più di ogni altra cosa ci aveva rimesso suo fratello.
Zayn era con lui quella sera in cui l'incubo ebbe inizio, lo stesso incubo che ancora lo tormentava.
Tirò ancora un pugno, questa volta con tanta forza da sentire le nocche dolere. Jamal era scappato, Zayn era rimasto a combattere una lotta impari che mai avrebbe potuto vincere. Pagava i debiti che qualcun'altro aveva contratto e non saldato, quelli di Jamal.
Ancora un pugno, sempre più forte, sempre più doloroso, tanto da ricordargli la delusione che lo aveva colto la sera in cui aveva appreso dell'imminente partenza del fratello per gli Stati Uniti. Jamal era un vigliacco, questo Zayn lo aveva imparato a sue spese. Sapeva che suo fratello facesse continuo uso di droghe di ogni genere, aveva persino provato a parlare più volte con lui, non ricevendo tuttavia segnali positivi. Quello che Zayn non sapeva e che neppure avrebbe mai immaginato era che Jamal avesse preso l'abitudine di comprare droga a credito, dopo aver terminato tutti i suoi risparmi ed il modesto conto che i signori Malik mettevano a completa disposizione dei figli per eventuali emergenze. Aveva accumulato debiti su debiti, senza riuscire a trovare neppure un penny per ripagarli. Inoltre, l'effetto degli stupefacenti diventava sempre più evidente nei suoi comportamenti e nelle dipendenza che si era quasi stabilita. Una sera Jamal era rincasato con il volto livido ed il labbro gonfio, quella successiva aveva chiesto a Zayn di accompagnarlo per svolgere una commissione. Lo avevamo risucchiato nel loro giro, lo avevano inglobato a tal punto da dargli il compito di presenziare ad una trattativa. Jamal aveva avuto paura sin dal primo istante, per quel motivo aveva chiesto a Zayn di recarsi con lui all'appuntamento per poi farlo attendere in auto, pronto a scappare al volante della macchina del fratello in caso di pericolo. Ma Zayn era stato notato da sin troppi occhi e quando Jamal, stufo di quei doveri da cui non si sarebbe mai potuto sottrarre, partì, si rivolsero proprio a Zayn, obbligando a terminare ciò che il fratello aveva cominciato.
L’ennesimo pugno partì, ricordando a Zayn che lui non aveva versato mai una sola lacrima, mai. Suo fratello, quegli uomini, quella storia, nessuno le meritava.
Ed ancora un altro, tanto che le dita tremavano per il dolore ed il sangue pulsava forte nelle vene. Non sarebbe mai stato in grado di dimenticare, quelle immagini non sarebbero mai scompare dalla sua memoria. Quando svolgeva bene quei piccoli e modesti compiti che gli venivano assegnati, Zayn riceveva qualche oncia di erba o qualche busta di ecstasy come ricompensa, quella stessa roba che lui poi rivendeva a qualche disperato, qualcuno come Millie ad esempio.
 
Un altro assordante e profondo tonfo, ancora un altro, Zayn non riusciva mai a fermarsi quando iniziava. La catena vibrava, il sacco ondeggiava sempre di più, Zayn continuava a colpirlo tenendo alta la difesa.
Era stanco, completamente distrutto quando finalmente si decise ad uscire dalla palestra, ma per quanto necessitasse di riposare, aveva ancora la forza per distendere le labbra in un sorriso.

Anche quel pomeriggio sarebbe dovuto passare a prendere Niall e Louis, i quali lo avevano convinto ad unirsi agli altri per una partita di bowling. Zayn aveva accettato solo per non dover essere costretto a trascorrere altro tempo in casa a raccontare bugie.
“Ehi bello!”, lo salutò Louis con una sonora pacca sulla spalla.
“Ciao Zayn!”, aveva esordito Niall appena qualche minuto dopo, mentre il moro già ripartiva.
Avevano appuntamento alla sala da bowling di Queensway per quella che si prefigurava essere la partita più disastrosa di sempre. Erano stati Louis e Margaret ad organizzare l’evento, cercando di coinvolgere quante più persone possibile par assicurare quantomeno il divertimento.
“Io non gioco.”, annunciò Millie con lo sguardo fisso sulle unghia smaltate di un verde acqua intenso.
Era seduta su uno delle tante sedie in plastica che erano poste ai bordi della pista, con le gambe accavallate e l’aria assorta.
“Ma come? Sei venuta per questo!”, esordì Margaret nel tentativo di convincerla.
Millie non era affatto brava in alcun tipo di sport, non era agile, né brava in quel gioco che tante volta l’aveva vista non riuscire a buttar giù neppure un birillo.
“Meglio così, fidati.”, s’intromise Audrey con sarcasmo.
Lo sguardo irritato di Millie si posò su di lei, ma Audrey non ci fece caso.
“Chi gioca in squadra con me?”, domandò Louis, volendo immediatamente porre fine a quella sfida silenziosa che stava per nascere tra le due gemelle.
“Ma siamo dispari ora!”, si lamentò Harry, forse non avendo neppure realizzato quanto quelle sue parole potessero apparire rivolte proprio a Millie.
“Farò io compagnia a Millie.”, si offrì Charlotte sforzandosi di sorridere. “Sono davvero impedita a bowling e poi vorrei proprio con lei del suo fantastico cappottino.”, aggiunse adocchiando quell’indumento che Millie aveva appena piegato e riposto su un altro sedile.
Guardò il tessuto, ricordando i principi animalisti della bionda, poi puntò gli occhi su Charlie e piegò le labbra in un ghigno.
“Allora credo che sarà un pomeriggio lungo ed interessante.”, disse sfiorando con le dita il colletto del suo cappotto.
“Bene, parlate pure di animali, pelle e pellicce, noi abbiamo una partita da iniziare.”, decretò infine Margaret, catturando l’attenzione dei presenti.
“Io sono in squadra con Zayn!”, si prenotò Louis, avvicinandosi all’amico.
“Io pure!”, lo imitò Niall sbracciandosi.
“Io voglio stare con Liam.”, continuò Harry.
“Ok, basta.”, li interruppe Margaret. “Le squadre devono essere equilibrate, quindi…”, pensò per qualche attimo alla soluzione migliore, rimuginando sui vari possibili accoppiamenti.
“Quindi sarebbe meglio mettere me e Zayn in una squadra e Niall, Louis ed Harry nell’altra.”, decretò Liam con un’espressione indecifrabile.
Liam trovava detestabile l’idea di dover trascorrere qualche ora a stretto contatto con Zayn, ma sperava che quella forzata vicinanza gli avrebbe permesso di comprendere meglio gli intenti del ragazzo, soprattutto dopo quel venerdì sera in cui lo aveva visto tanto vicino a Millie. Non ne era geloso, ma voleva che anche quel tassello rimanesse al suo posto, incastrato nel puzzle che Liam aveva creato e di cui teneva in mano le redini. Voleva capire come funzionassero le cosa tra lui e Millie, voleva vedere in maniera più chiara i meccanismi e voleva anche testare le intenzioni di Zayn riguardo alla sua ragazza.
Le parole di Liam lasciarono Louis e gli altri del tutto perplessi, ma preferirono non farlo notare.
“Va bene, allora.”, borbottò Harry, affiancando i suoi nuovi compagni di squadra.
Tutti avevano notato quanto poco Zayn e Liam si sopportassero reciprocamente, quindi la richiesta di Liam era apparsa del tutto insensata agli occhi dei presenti.
“Io allora mi aggiungo a voi tre!”, esclamò Margaret sorridendo al terzetto che si era appena composto.
“Io ed Audrey giocheremo con Liam e Zayn, allora.”, concluse Bree, affiancando Zayn con un labile sorriso sulle labbra.
 “Andiamo, non vedo l’ora di stracciarvi.”, scherzò Niall con un sottile velo d’ironia, contento di essere nella squadra avversaria di Liam.
Si era trattenuto talmente tante volte dal tiragli un pugno in faccia per tutta la faccenda di Millie, che per una volta, pensò, sarebbe stato ben lieto di distruggerlo, anche se si trattava solo e soltanto di una semplice partita di bowling. Liam sorrise calmo, senza affatto farsi coinvolgere da quelle parole che avevano come unico scopo toccare le leve del suo orgoglio maschile. Apprezzava il patetico tentativo di Niall di rendere più competitiva quella partita, ma non si fece trascinare dall’agonismo che, invece, aveva travolto il biondo.
Il primo a scendere in pista fu Harry, il qualche con un colpo stese i primi tre birilli, poi altri quattro.
“Dai!”, lo incoraggiò Margaret, regalandogli un ampio sorriso.
“Che entusiasmo.”, commentò Louis sornione, guardando la ragazza seduta proprio accanto a lui.
Margaret fece spallucce, i suoi occhi brillavano di vitalità e il suo viso era pura espressione di vitalità.
“Sono di buon umore, sono quasi sempre di buon umore.”, spiegò incontrando gli occhi azzurri di Louis.
Erano così azzurri e chiari che a Margaret parve di perdersi nell’immensità del cielo per qualche attimo.
“E sei brava a bowling?”, chiese il ragazzo.
Non era realmente interessato a quella risposta, ciò che Louis voleva era continuare a sentire la voce di quella ragazza, quella voce che gli era parsa così delicata, ma allo stesso tempo solare.
“Insomma, ma ho la mia tecnica segreta.”, lo rassicurò con un occhiolino, cercando di trattenere una risata.
“Sarebbe?”, domandò ancora Louis, curioso di scoprire il motivo di quel sorriso soffocato.
“La fortuna del principiante, ovvio!”, trillò lei allegra.
“Sì, cazzo!”, esultò Niall al suo primo tiro, un preciso e pulito strike.
“Grande amico!”, si complimentò Louis, alzandosi dal suo posto per avvicinarsi alla pista.
“Vediamo quello che riesco a fare.”, borbottò afferrando una delle bocce tra le mani.
“Ottimo Niall!”, ripeté Harry quando il biondo l’ebbe affiancato sulle sedie, dopo che il suo turno fosse terminato.
Niall sorrise, battendo il cinque all’amico.
“Chi vince?”, gli chiese facendo cenno al segnapunti che Harry stava gestendo.
“Per il momento loro, ma solo perché il primo a tirare è stato Liam.”, spiegò ricordando i continui strike che aveva segnato il castano.
“Uhm.”, bofonchiò Niall a denti stretti.
“Tutto bene?”, la domanda di Harry lo fece quasi sobbalzare e sudare freddo.
Avrebbe voluto dirgli che nulla andava bene, che la ragazza che lui amava non era quella che realmente esisteva, che aveva fatto sesso con Millie mentre stava con Liam, che il doverlo rinnegare lo stava uccidendo, che due sere prima aveva parlato con Charlie e che la trovava estremamente carina, nonostante fosse l’ex di Louis.
“Tutto bene.”, si ritrovò invece a dire con lo testa china e lo sguardo che di sottecchi cercava Charlotte che, chissà per quale assurdo motivo, era seduta proprio vicino a Millie.
“Oh, guarda!”, lo richiamò Harry. “Ora tocca ad Audrey!”, esclamò, ma il suo entusiasmo fu repentinamente spento dalla figura di Zayn, troppo vicina al corpo della ragazza.
“Non è difficile, Audrey,”, le ripeté mentre lei sceglieva una boccia.
“Lo so.”, disse secca, afferrandone una verde tra le piccole mani. “Non ho bisogno dei consigli di nessuno.”, sentenziò avvicinandosi alla sua postazione.
Audrey tenne gli occhi fissi sul bersaglio per qualche secondo, memorizzandone la posizione nella mente. Divaricò di poco le gambe, poi perfezionò l’impugnatura delle sue dita intorno alla boccia. Prese un ultimo respiro e poi lanciò. la sfera correva veloce lungo la corsia, al centro di essa, fino a colpire i birilli.
“Strike.”, fece notare Audrey a Zayn, con un sorrisetto beffardo disegnato sulle labbra ed un’aria soddisfatta.
Zayn aveva le labbra schiuse e gli occhi sgranati, sorpreso dalle capacità di quella ragazza dalla corporatura tanto esile da immaginare sarebbe bastato uno stuzzicadenti per spezzarla.
“Sei brava.”, le concesse il moro che con le braccia incrociate ancora la fissava.
“Non sono brava, mi avevi solo sottovalutata.”, lo corresse Audrey.
Il suo sorriso vittorioso non accennava a spegnersi, il suo tono soddisfatto che tanto stava divertendo Zayn era ben chiaro nella sua voce. Harry la osservava rapito dal suo posto, senza essere notato. La sua espressione compiaciuta aveva stregato Harry, impedendogli di concentrarsi su altro. Rimase sconcertato dalla reazione che quella ragazza aveva suscitato in lui, non era mai successo prima di quel momento. Era stato attratto dalle forme generose di varie ragazze, dai modi maliziosi di altre, persino dalla vivacità e spontaneità di Margaret, ma mai da un semplice viso che di particolare non aveva nulla oltre un eccesso di matita nera.
Audrey ancora parlava con Zayn quando sua sorella Millie lo notò.
“Non posso crederci.”, sbottò interrompendo quel battibecco sulla discutibile utilità dei test di cosmetici sugli animali con un’infervorata Charlotte.
“Cosa?”, le domandò l’altra seguendo la direzione dello sguardo di Millie fino ad incontrare le figure di Audrey e Zayn intenti in una conversazione.
“Ma allora anche lei forse è umana!”, esclamò Millie incredula, facendo sorridere Charlie al suo fianco.
“Non dovresti essere così severa nei suoi confronti.”, sottolineò con cautela la bionda, pensando a tutte quelle volte che le gemelle si fossero insultate ed accusate reciprocamente in sua presenza.
“Non la conosci.”, la screditò Millie, tornando ad osservare la partita che proseguiva.
“Probabilmente neppure tu.”, si lasciò scappare Charlotte in un sussurro che, tuttavia, Millie riuscì a percepire distintamente.
No, non esisteva persona che potesse dare tanto apertamente giudizi su Millicent Grace Wood in sua presenza. Non accettava di parlare dei suoi problemi con le sue amiche ed il suo ragazzo, il parere di un’estranea era ciò che mai avrebbe voluto sentire.
“Tu fatti i cazzi tuoi.”, le intimò con voce dura e gli occhi ridotti a due piccole fessure.
Charlie annuì, riscoprendo quando anche la corazza di Millie fosse spessa, esattamente come quella di Audrey. Lei lo sapeva, le gemelle Wood erano più simili di quanto loro stesse volessero credere.
“Liam.”, lo chiamò Bree con un pizzico di imbarazzo nella voce.
Lei non era per nulla brava a giocare a bowling ed in quel momento si pentì di non essersi tirata indietro. L’ultima volta aveva finito per lanciare la boccia ripetutamente nel canale, così dopo una serie infinita di tentativi, si era lanciata a metà pista ed aveva tirato da lì per cercare di abbattere almeno un birillo, ma aveva fallito anche con un’agevolazione simile. Era negata, lo sapeva, e per di più le due squadre erano in parità in quel momento. Mancavano solo lei e Margaret al termine del primo turno.
“Sì?”, il tono di Liam le parve leggermente infastidito e ciò non fece altro che aumentare il disagio di Bree.
“Potresti venire qui un attimo?”, gli domandò incrociando le dita che teneva nascoste dietro la schiena.
Liam aggrottò la fronte ed inarcò le sopracciglia, mentre con pochi passi si avvicinava a Bree.
“Allora?”, la incalzò posando il suo sguardo interrogatorio sull’espressione insicura della ragazza.
“Non so giocare.”, ammise con un filo di voce ed un mezzo sorriso sulle labbra.
Il castano ghignò, prendendo una delle bocce dallo scaffale. La rigirò tra le mani, poi la porse a Bree.
“Questa dovrebbe andare bene.”, annunciò.
Bree annuì, afferrandola saldamente.
“Prendi la boccia con la mano destra e porta quella sinistra indietro per bilanciare il peso.”, spiegò con voce talmente bassa che persino Bree ebbe qualche difficoltà ad ascoltare.
Fece come Liam le aveva detto e sorrise nel notare che la stava aiutando, proprio lui tra tutti. All’inizio aveva pensato di chiedere ad Audrey, ma stava ancora parlando con Zayn, così aveva dovuto optare per il quarto ed ultimo componente della sua squadra.
Aveva temuto fino all’ultimo istante il suono della risata fragorosa di Liam in risposta alla sua richiesta, ma lui l’aveva decisamente sorpresa.
“Mantieni le spalle parallele alla linea di lancio ed il braccio destro perpendicolare.”, aggiunse per correggere la posizione assunta dalla ragazza.
“La boccia deve rotolare, non devi semplicemente tirarla. Concentrati, mira e stabilisci la traiettoria.”, continuò. “Ora devi solo coordinare la ricorsa con il lancio, deve essere un unico movimento, né troppo veloce, né troppo lento.”, concluse.
Bree deglutì, annuendo con fare nervoso e seguì alla lettera i consigli di Liam. La boccia iniziò a rotolare lungo la corsia della pista ad una velocità controllata, senza sbandare eccessivamente, poi colpì i birilli, facendone cadere tre.
“Sì!”, esultò Bree con un salto.
Liam sorrise nel vederla tanto entusiasta per quel lancio appena discreto.
“Brava Bree.”, la incoraggiò, facendosi travolgere per un attimo dall’euforia e dall’allegria che quella ragazza dai capelli rossicci era stata appena in grado di trasmettergli.

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Angolo Autrice
Buongiorno guys!:D E con questo nuovo chap siamo finalmente arrivati a Zayn!:D
Nel prossimo capitolo, che dedicheremo alla nostra Charlotte, avremo un'idea generale su tutti i personaggi!:D
Comunque sia, le cose cominiciano a farsi interessanti, ma non mi sbilancio molto,
anche perché è tutto ancora in fase di sviluppo!;)
Ci tenevo partivolarmete a ringraziare chi segue, preferisce e ricorda!:D
E volevo anche ringraziare chi legge!:D
Che ne dite di farmi sapire cosa ne pensate?? Insomma, accetto tutto, anche perché ci tengo a migliorare!:D
Bene, questo è quanto allora!:D
Alla prossima!:*
                                                                   Astrea_















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Capitolo 10
*** Charlotte ***


g

CHARLOTTE

“Audrey, Zayn, spegnete quelle sigarette.”, ordinò Charlotte unendosi al resto del gruppo che si era già sistemato sul prato incolto e poco curato che si apriva sul retro dell’edificio.
Si trattava di uno spazio piuttosto ristretto e poco frequentato, noto solo a quei pochi che avevano cercato almeno una volta di sottrarsi a lezioni o compiti. Audrey fece un altro tiro ed una piccola nuvola di fumo grigio fuoriuscì dalla sua bocca, incurante delle parole appena proferite dalla bionda.
Charlie sbuffò, allungò una mano fino a prendere quel piccolo cilindretto dalle mani di Audrey e ne strofinò un’estremità sull’erba, spegnendolo.
“È vietato fumare a scuola, vi ricordo.”, si giustificò allo sguardo sconvolto ed infuriato di Audrey, per poi alzarsi e gettare ciò che restava di quella sigaretta nel cestino a pochi passi da loro.
Zayn ghignò portando alle labbra la sua sigaretta ancora integra. Attese il ritorno di Charlie per avvolgerla con una soffiata di fumo, poi gettò la cicca a terra.
“I rifiuti si buttano negli appositi contenitori.”, gli ricordò canzonatoria.
“Andiamo Charlie, non essere così puntigliosa.”, si lamentò Margaret che fino a quel momento aveva dovuto arduamente combattere contro una sonora risata che premeva per uscire dalle sue labbra.
“Ma lei è così, le piace far rispettare le regole.”, ribatté Louis seguendo con lo sguardo i passi della sua ex ragazza che gettava nel cestino la cicca al posto di Zayn.
“Ora va decisamente meglio.”, affermò soddisfatta tornando a sedersi vicino agli altri.
“Allora, avete deciso qualcosa riguardo alla partita del Chelsea?”, chiese Niall, riprendendo il discorso che era stato bruscamente interrotto dall’arrivo di Charlie.
“Io passo, di calcio non ci capisco proprio niente.”, fu l’immediata risposta negativa di Margaret che inorridì al solo nominare quello sport.
“Io sono impegnata, quel pomeriggio.”, si aggiunse Bree, tenendo lo sguardo basso.
Avrebbe dovuto vedere la sua analista, era quello il motivo che le impediva di trascorrere del tempo con le persone che ormai sentiva sempre di più suoi amici.
“Ed io non ne ho voglia.”, borbottò Audrey vagamente, evitando di fornire dettagli.
“Tu, Charlie, che dici?”, le domandò Niall puntando i suoi occhi azzurri in quelli di ghiaccio della ragazza.
Fece una smorfia e si costrinse a riflettere prima di dare una risposta. In realtà neppure a lei interessava il calcio, ma la prospettiva di trascorrere del tempo con Niall non le dispiaceva affatto. Inoltre era stato proprio lui ad estenderle l’invito e rifiutare avrebbe potuto assumere un ambiguo significato.
“Uomini sudati che corrono dietro un pallone…”, blaterò facendo finta di rifletterci su. “Perdonatemi, ma questa volta non posso proprio accettare.”, concluse infine con lo sguardo ancora incatenato a quello del biondo.
Niall ebbe la sensazione che quelle parole fossero rivolte solo a lui, che davvero le dispiacesse non partecipare a quel pomeriggio allo stadio e si sciolse completamente nel contemplare l’espressione rammaricata di Charlie.
“A quanto pare saremo solo noi maschietti.”, commentò Louis. “Millie non porterebbe mai il suo fondoschiena regale alla partita del Chelsea.”, scherzò ipotizzando già la reazione che l’altra gemella Wood avrebbe avuto ad una proposta del genere.
“Cazzo, Louis!”, imprecò Liam. “Stai parlando della mia ragazza!”, sbottò poco dopo stringendo le mani in due ferrei pugni per cercare di controllare l’irritazione che cresceva dentro di lui.
Millie era l’unica non presente in quel momento e, probabilmente, se anche li avesse visti in quelle condizioni, appollaiati sull’erba, li avrebbe guardati con le labbra piegate in una smorfia di disgusto, avrebbe girato i tacchi e sarebbe andata altrove.
“Allora prendo cinque biglietti, va bene?”, chiese conferma Niall, osservando ad uno ad uno gli altri quattro ragazzi.
Liam annuì, poco convinto, Louis gli sorrideva con il pollice alzato in segno di approvazione, Harry aveva un’espressione entusiasta, mentre Zayn si limitò ad un cenno della mano.
“Amico, il tuo entusiasmo mi sconvolge.”, lo prese in giro Louis.
Liam si voltò in direzione del moro per studiare la sua espressione. Era la seconda volta che lo faceva, la prima era stata quel pomeriggio alla sala da bowling. Quella volta lo aveva visto parlare con Audrey e si era chiesto come una conversazione tra due persone tanto poco loquaci potesse durare così a lungo. Non aveva cattive intenzioni Zayn, Liam poteva capirlo dalla profondità dei suoi occhi ambrati e dai sorrisi appena accennati che la maggior parte delle volte erano mascherati da ghigni o smorfie. Ciò che spaventava Liam era l’eccessiva vicinanza di Zayn e Millie, per questioni in cui lui non voleva entrare in merito. Li aveva visti quella sera, quando Millie lo aveva seguito nel corridoio. Aveva percepito l’eccitazione dei loro corpi, l’intensità dei loro sguardi, la tensione nelle loro voci profonde.
“Louis, non tirare la corda.”, bofonchiò sperando che il suo amico comprendesse quanto già ardui fossero i suoi sforzi.
Era seduto con persone alle quali fino a poche settimane non aveva mai rivolto la parola, con le quali non aveva mai trascorso del tempo se non quello delle lezioni. Era una grande novità per Zayn frequentare una comitiva tanto grande quale quella che lentamente si stava formando, nonostante tutti i problemi e tutti i segreti.
“Liam, ecco dov’eri!”, esordì Millie sbucando dalla piccola porta che dava sul retro.
I suoi occhi erano furenti, la mascella serrata, teneva la mano destra poggiata su un fianco, mentre con la sinistra  reggeva il suo cellulare.
“Allora?”, lo interpellò con la chiara aria di chi pretendesse delle spiegazioni più che esaustive.
“Allora cosa?”, domandò lui di rimando, incrociando i suoi occhi più scuri del solito.
“Dovevamo vederci, ricordi?”, l’accusò non muovendosi di neppure un passo. “Oppure adesso preferisci passare del tempo con questo branco di sfigati che si chiamano amici tra di loro?”, inveì ancora con parole dure e taglienti che fecero trattenere il fiato a tutti i presenti.
“Ma noi siamo amici.”, mormorò dopo un lasso di tempo indecifrabile Bree, con gli occhi che ora fissavano Millie ed un’espressione sincera dipinta sul volto.
L’altra piegò le labbra in un ghigno, constatano che a parlare era stata proprio la ragazza dai capelli rossicci.
“Certo, detto da te è davvero molto credibile.”, controbatté con voce aspra.
Bree boccheggiò più volte, profondamente ferita da quelle parole. Era piuttosto risaputo quanto lei fosse suscettibile su quell’argomento, ma Millie non si era fatta alcuno scrupolo a tirarlo fuori per sfruttarlo a suo vantaggio nel bel mezzo di una discussione.
“Ma come cazzo ti permetti, eh?”, tuonò Audrey in difesa dell’amica, alzandosi di scatto dal prato sul quale era rannicchiata.
L’espressione di Millie non mutò per neppure un istante, continuava ad ostentare fierezza e sicurezza.
Bree afferrò per un braccio la sua amica, costringendola a risedersi. Non voleva che per causa sua litigasse con Millie.
“Audrey, non devi difendermi. Se lo volessi, potrei farlo da sola.”, disse calma al suo indirizzo, mostrando molto più autocontrollo di quanto lei stessa pensasse di possedere.
“Millie, sei libera di pensare ciò ritieni opportuno.”, affermò con voce calma e cordiale.
Millie sbuffò, iniziando a ticchettare con le dita della mano sinistra sulla superficie nera del cellulare.
“Liam, possiamo andarne ora?”, chiese al suo ragazzo, ignorando volutamente le parole di Bree.
Le considerava solo un’ulteriore perdita di tempo e lei non ne aveva a disposizione così tanto da poterlo sprecare a discutere con lei.
“Credo tu stia esagerando, Millie.”, sentenziò Liam, non accennando a muoversi neppure di un passo.
Gli sguardi dei presenti saettarono tutti sulla figura del castano, sorpresi dalla sua reazione. Chiunque di loro, persino la stessa Millie, avrebbe scommesso su una battuta che rincarasse le già pesanti insinuazioni della sua ragazza, incorniciata dal suo sorriso beffardo e dall’espressione impenetrabile.
Millie sbatté più volte le palpebre, incredula.
“Cosa hai detto?”, domandò scandalizzata con la fronte aggrottata.
“Hai sentito. Smettila.”, sibilò a labbra serrate, sapendo quanto care gli sarebbero costate quelle poche parole.
Millie era orgogliosa, vendicativa, non dimenticava tanto facilmente. Erano quelle le caratteristiche che Niall detestava di lei e, mentre guardava ad occhi sgranati la scena che stava avendo luogo proprio in quel momento, aveva capito che della Millie di cui si era innamorato tempo addietro non ne era rimasto che il ricordo. Non avrebbe mai potuto amare una persona tanto maligna, egoista e sfacciata, non avrebbe mai potuto affidare alle sue mani, artigli taglienti, il suo cuore. Lo avrebbe lacerato in pochi attimi per poi gettarlo chissà dove.
“Bene.”, borbottò ironica. “Anche tu fai parte della cricca adesso?”, chiese con tono derisorio.
Liam stava già per risponderle, ma fu preceduto da una voce serena e allo stesso tempo decisa.
“Amici, noi siamo amici.”, ripeté ancora una volta Bree accompagnando quell’affermazione con un sorriso genuino.
“Chiamali pure come vuoi, ma dubito che qualcuno di loro sarà presente la prossima volta che darai di matto.”, concluse Millie soddisfatta, voltandosi per andare via, lasciando alle sue spalle il silenzio assoluto.
“Vado a parlarle.”, propose Audrey, mentre ancora accarezzava la schiena di Bree.
“Non serve.”, si ribellò l’altra.
Era già stata umiliata abbastanza per quel giorno, non aveva bisogno di altri insulti o battute sulla sua evidente instabilità psicologica.
“Per quanto possa contare, io credo che tu sia una persona fantastica.”, esordì Louis sorridendo all’indirizzo di Bree, contagiandola.
Era così solare e pieno di vitalità che chiunque con lui avrebbe ritrovato il buon umore.
“Grazie.”, sussurrò Bree, stringendosi meglio nelle braccia di Audrey.
Lei era così, un attimo prima era la persona più allegra e svitata del mondo, l’attimo successivo la più fragile e insicura.
“Mi dispiace per quello che ha detto, delle volte farnetica senza pensare.”, si scusò Liam, facendo le veci anche della sua ragazza, ora nuovamente assente.
“Non è colpa tua.”, sottolineò facendo spallucce.
“Che ne dite di cambiare argomento?”, suggerì allora Harry, cercando di focalizzare l’attenzione su qualcosa che non fosse Bree.
Aveva chiaramente percepito il suo disagio, ma soprattutto aveva letto nei suoi occhi il desiderio di concentrare la conversazione altrove.
Margaret annuì, cogliendo immediatamente le intenzioni di Harry.
“Potremmo andare a fare un giro al centro commerciale, quando i ragazzi andranno alla partita.”, propose, optando per la prima cosa che le balenasse per la testa.
“Certo, sarà divertente impedirti di comprare qualsiasi cosa derivi da un animale.”, accettò Charlie, sorridendole maliziosamente.
“Cioè, scusa, io avevo intenzione di fare shopping, non di andare alla fiera degli animalisti.”, si lamentò piegando le labbra in una buffa espressione.
“Vengo anche io.”, s’intromise Audrey, sperando che la sua presenza servisse a coinvolgere maggiormente anche Bree.
“Scusate ragazze, ma io davvero non posso.”, mormorò con un’espressione desolata.
Margaret all’inizio aveva pensato che quel presunto impegno fosse solo una scusa per poter saltare una noiosa partita di calcio, mentre ora era indecisa sulla veridicità di esso. Da una parte poteva ancora essere una scusa, del resto Bree aveva tutto il diritto di nutrire vari dubbi, soprattutto perché la proposta fosse stata fatta dopo le parole enunciate da Millie. Dall’altro, invece, poteva davvero dover svolgere una faccenda.
“Un altro giorno?”, chiese allora.
“Un altro giorno.”, concesse sorridente Bree.
E Margaret aveva letto in quel sorriso la risposta che cercava. Bree non aveva inventato alcuna scusa, ormai ne era certa.
“Ragazzi, è ora di tornare in classe. La pausa lunga è finita.”, ricordò Niall dando un veloce sguardo all’orologio che teneva allacciato al polso.
Tra i vari mugolii e le lamentele, si alzarono, pronti a recarsi ognuno nell’aula del proprio corso.
“Io ho sociologia ora.”, borbottò Liam controllando la scheda che portava sempre nella tasca più piccola del suo zaino.
“Anche io.”, fu la replica poco entusiasta di Zayn.
“Wow.”, commentò allora il castano, avviandosi con l’altro verso la classe del secondo piano dove si sarebbe tenuta la loro prossima lezione.
Charlotte, invece, si diresse con Audrey e Niall verso la classe di arte al primo piano, mentre Bree e Louis avrebbero avuto psicologia. Harry, infine, inorridì nel constatare che avrebbe trascorso le successive due ore a svolgere esercizi di matematica.
Audrey avrebbe incenerito sua sorella con la sola forza dello sguardo se solo le fosse stato possibile. Odiava i suoi modi altezzosi, la sua aria snob, la superiorità che non possedeva, ma che ostentava con naturalezza. Ancora continuava a chiedersi come fosse stata in grado di dire simili cose proprio  Bree che era una ragazza tanto buona e comprensiva che non si era neppure arrabbiata con lei per quello che le aveva detto. Se fosse stata al posto di Bree, Audrey ne era certa, le avrebbe tirato un pugno in pieno viso, poi avrebbe provveduto a staccarle tutti i suoi adorati capelli dalla testa, uno ad uno, in una lunga e fastidiosa tortura. Aveva apprezzato la risposta secca di Liam. Nonostante nutrisse davvero poca stima nei confronti di quel ragazzo, in quel momento aveva preso le difese della sua amica, in un certo senso, e di questo Audrey gli era profondamente grata.
“Tutto bene?”, le chiese Niall, avendo notato la sua aria assorta dal banco accanto al suo.
Entrambi non stavano affatto prestando attenzione alla serie di immagini che venivano proiettare sulla parete.
“Sì.”, bofonchiò con voce troppo riluttante da far comprendere a Niall che la sua mente stesse ancora riflettendo su ciò che era accaduto poco prima.
“Millie sa essere davvero stronza, ma non è sempre così.”, provò a dire.
Niall avrebbe voluto dire che in realtà in passato Millie era stata diversa, ma si limitò a non specificare il lasso di tempo a cui faceva riferimento.
Certo, essere la sorella della cogliona patentata che aveva tirato fuori parole senza neppure pensare non era di certo un vanto per Audrey.
Accennò un sorriso, incapace di replicare ad un’affermazione del genere.
Charlotte li aveva sentiti. Seduta al banco davanti a quello di Niall era riuscita a cogliere quelle poche battute che si erano scambiati ed aveva sorriso con lo sguardo basso sulla superficie chiara del banco. Niall era stato premurono nei confronti di Audrey, era stato dolce esattamente come un amico avrebbe dovuto essere e ciò fece riempire di gioia il cuore di Charlie.
Quando Charlotte varcò la porta d’ingresso del suo appartamento gettò lo zaino a terra, esausta dopo una giornata di scuola tanto intensa quanto quella che aveva appena vissuto.
“Ciao Charlie!”, trillò suo fratello venendole incontro.
Quella piccola peste aveva appena sette anni ed un innaturale attaccamento alla sorella maggiore, senza la quale sembrava non riuscire a sopravvivere.
“Ciao piccolo.”, ricambiò lei scombinandogli i capelli chiari con una dolce carezza.
Lo prese in braccio, rilevando che ormai stava crescendo e che presto non sarebbe stata più in grado di sollevarlo, e raggiunse la cucina.
“Ciao mamma.”, salutò Charlotte, sedendosi al suo posto.
La tavola era già apparecchiata ed i piatti già pronti.
“Ciao amore!”, esclamò la madre, avvicinandosi per lasciare un sonoro bacio sulla guancia destra.
“Papà è a lavoro?”, chiese poi la ragazza, notando che il posto del padre era stato lasciato vuoto.
“Sì, torna direttamente stasera. Ha avuto un imprevisto con un progetto per un nuovo cantiere.”, spiegò.
Il padre di Charlotte era un discreto ingegnere che lavorava per un’agenzia che raccoglieva contratti per tutta la zona meridionale dell’Inghilterra, concentrandosi prevalentemente nell’area tra Londra, Bristol e Cardiff.
“E a te com’è andata la mattinata?”, le domandò la donna prendendo posto di fonte a lei, ultimando di portare in tavola le ultime cose.
“Bene, solite cose.”, la liquidò Charlie iniziando a mangiare.
Sua madre sospirò, consapevole che non sarebbe riuscita a farle dire altro.
Per i suoi genitori Charlotte era solo un adolescente nella sua fase critica, prima di raggiungere la maturità. Le battaglie animaliste, le lotte contro le ingiustizie e i privilegi, tutto era riconsiderato dai suoi genitori nell’ottica della ragazza che si stava formando e che, ricevendo continui impulsi e stimoli, finiva per intraprende una serie di attività a cui in futuro non avrebbe prestato più attenzione. Ma Charlie non combatteva solo per il gusto di farlo, non proclamava l’uguaglianza tra i sessi solo perché fosse di moda. Lei percepiva distintamente quei forti e saldi principi ancorati al suo cuore e che non avrebbe potuto mai ignorare. Era come se solo attraverso essi Charlie potesse realizzarsi, potesse giungere a conoscersi nella più intima dimensione, comprendendo chi volesse essere e chi, invece, era in realtà. L’adolescenza contribuiva a rendere più difficile la ricerca, ponendole continui dubbi a cui Charlie non sempre sapeva rispondere. Si sentiva maledettamente viva quando riusciva a far trionfare la giustizia. La sensazione che fosse quello il suo percorso, ciò per cui fosse destinata, la travolgeva ogni qualvolta non chiudesse gli occhi davanti ad una norma non rispettata o aggirata. Ognuno aveva i propri diritti ed i corrispettivi doveri e Charlotte, seppur su piccola scala, voleva solo assicurarsi che venissero rispettati.
Lei era così, corretta, e non riusciva in alcun modo a tollerare ogni qual forma di slealtà. Non mentiva, non ne aveva bisogno. In fono lei sapeva di essere superiore a quei giochetti troppo vecchi che alla fine non portavano mai a nulla di buono. Perché Charlie l’aveva capito, aveva intuito a chiare lettere che dalle bugie, dalla falsità non potesse derivare nulla di positivo. Del male non poteva nascere del bene e non esistevano mezzi termini o sconti. Delle volte aveva vacillato, pensando di essere eccessivamente categorica nella sua visione delle cose, ma poi era ritornata sui suoi passi. Almeno, si diceva, in quel modo lei non avrebbe mai potuto fare del male a qualcuno, ma ignorava quanto proprio la verità, delle volte, potesse ferire.

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 Angolo Autrice

Salve!:D Anche se con un bel po' di ritardo, sono tronata ad aggiornare questa storia!:D
Ormai siamo al decimo capitlo, quindi abbiamo avuto modo di scoprire qualcosa in più su tutti i personaggi.
Dal prossimo le cose cominceranno a delinearsi meglio!;)
Anyway, volevo ringraziare le persone che leggono la storia, chi la segue e chi la ricoda!:D Grazie!<3
Bene, che ne dite di lasciarmi una piccola recensione?
Insomma, solo per sapere cosa ne pensate ecco... Se sia il caso di modificare qualcosa, di miglioare...Non so, ditemi voi!!
Alla prossima!:*

                                                                   Astrea_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Harry ***


d

HARRY

“Tu, amico mio, sei il diciottenne più fortunato del mondo!”, esordì Liam con voce entusiasta, raggiungendo Harry che lo precedeva di appena qualche passo.
Harry voltò il viso in direzione di quello dell’amico, mentre il braccio del castano gli avvolgeva le spalle con fare amichevole.
“Che vuoi dire?”, gli chiese con espressione chiaramente confusa.
“Ti ho appena organizzato il miglior appuntamento di sempre con Margaret.”, annunciò con un ampio sorriso disegnato su quelle sottili labbra.
Harry sgranò gli occhi, spiacevolmente sorpreso da quella notizia. Apprezzava il continuo interessamento del suo amico per le sue faccende private, ma ultimamente poco tollerava la sua mania di prendere decisioni che non spettassero a lui.
“Ah, bene.”, bofonchiò cercando di apparire quantomeno riconoscente.
“Harry, sembrerebbe quasi che tu non ne sia felice.”, scherzò Liam, liberando l’amico dalla presa del suo braccio.
Harry deglutì, forzando un’espressione allegra sul viso nel tentativo di mascherare la titubanza che quella notizia aveva fatto scaturire nella sua mente. Liam era sempre stato il suo più caro amico, l’unico se si escludeva il gatto che Harry aveva tenuto con sé per oltre tre anni e che poi era morto, e Niall, con il quale aveva scambiato qualche parola da quando era arrivato al college. Era stufo della situazione di cui era succube. Avrebbe voluto fare le sue scelte, i suoi errori, organizzare autonomamente la propria vita, ma allo stesso tempo non voleva deludere Liam. Era a lui che doveva parte di ciò che era diventato, ai suoi incitamenti, agli incoraggiamenti con i quali aveva sempre provato a scuoterlo, a renderlo partecipe di qualche iniziativa.
Si sentiva un ingrato Harry, un egoista nel non volere più suoi consigli proprio ora che le cose sembravano volgere per il verso giusto.
“Ci sarete anche tu e Millie?”, domandò saggiando il terreno.
Per quell’uscita voleva quanti più dettagli possibili, per prepararsi a qualsiasi eventualità, anche quella che Liam monopolizzasse la serata con il suo carisma ed il suo carattere delle volte eccessivamente egocentrico.
Il castano sbuffò, mentre insieme oltrepassavano l’aula del corso di filosofia.
“Ancora si ostina a non volermi parlare.”, borbottò sedendosi al suo solito banco con Harry accanto.
“Hai provato a chiederle scusa?”, suggerì l’altro, preparando sul tavolo il materiale necessario per la lezione.
Liam storse il labbro, soffermandosi sulla figura di Millie che proprio in quell’istante stava varcando la soglia della classe con passo deciso e sguardo fiero.
Non si diresse presso il suo solito posto, preferì optare per uno dei banchi in seconda fila, ancora completamente libero e di gran lunga più distante da quello di Liam.
“Non sono io che dovrei chiedere scusa.”, controbatté contro il palmo della mano con la quale sosteneva il mento. “Ricordi la sfuriata insensata dell’altro giorno?”, lo provocò puntando ancora una volta l’attenzione sullo spiacevole evento che aveva visto Millie e Bree come protagoniste.
Harry abbassò il capo, incapace di ribattere a quelle parole. Persino lui era stato sorpreso dall’imprevedibile reazione di Liam. Solitamente il castano era pronto a schierarsi dalla parte della sua ragazza, anche quando esagerava o si lasciava scappare qualche insulto troppo pesante o delle battutine denigratorie, ma quella volta non aveva assecondato il suo gioco. Al contrario, le aveva fatto notare quanto improprie ed inadeguate fossero le sue insinuazioni. Liam non aveva affatto granito il tono perentorio con il quale si era rivolto persino a lui, seguito da quel ghigno beffardo che non preannunciava nulla di buono. Così, lui non ci aveva messo molto a decidere di metterla in minoranza davanti a tutti, avvantaggiando di conseguenza la posizione di Bree.
“Ciao Liam! Buongiorno Harry!”, salutò proprio quest’ultima sorridendo ad entrambi, mentre prendeva posto esattamente davanti a Liam, seguita da Audrey.
“Ciao Bree.”, ricambiò Harry con un cenno della mano, soffermandosi con lo sguardo sulla figura della castana che si stava sedendo al banco accanto a quello della sua amica.
Liam, invece, si limitò ad un piccolo sorriso rivolto alla rossa.
“Ehi, Audrey!”, la chiamò Harry, ticchettando con un dito sulla spalla della ragazza ora china sullo zaino.
“Cosa c’è Harry?”, chiese quasi in un sibilo, mentre portava sul banco dei libri e dei quaderni le cui copertine erano completamente scarabocchiate.
Il riccio rimase per un attimo spaesato dal tono freddo e distaccato che la ragazza le aveva riservato. Sapeva quanto Audrey sapesse essere cinica e sgarbata, ma ormai pensava di essere riuscito a superare quella fase con lei.
“Volevo solo salutarti e chiederti come stai.”, rispose con un sussurro, sperando che Liam non stesse prestando attenzione alla conversazione che lui stava tenendo con Audrey.
In realtà, infatti, il suo compagno di banco era del tutto assorto nei suoi tormentati e poco chiari pensieri, indeciso sul futuro della sua relazione con Millie e sula strana sensazione che aveva percepito quando i suoi occhi nocciola per un attimo erano entrati in contatto con quelli verdi, impauriti, spaesati e profondi di Bree.
Audrey sbuffò, lasciando pesantemente cadere sulla superficie del banco uno degli ultimi libri che ancora teneva tra le mani. Con un gesto repentino voltò le spalle, incrociando immediatamente lo sguardo di Harry.
“Sto bene.”, decretò a denti stretti, forzando appena un sorriso ricolmo di irritazione.
“Bene.”, replicò lui, annuendo ripetutamente con il capo.
Aveva parlato altre volte con Audrey e solitamente era riuscito ad ignorare quella sensazione di disagio che aleggiava nella sua mente quando lei lo attaccava con i suoi toni aggressivi e i suoi modi scortesi. Tuttavia, in quel momento gli occhi scuri di Audrey sembravano essere riusciti a metterlo a tacere in pochi attimi.
“Audrey, allora domani vieni a fare compere?”, s’intromise Bree, attirando l’attenzione dell’amica.
“Andiamo Bree, non vorrai andarci sul serio?”, domandò con una smorfia Audrey, per poi voltarsi in direzione della cattedra, richiamata dall’ingresso del professore in aula.
Bree dovette attendere l’inizio della lezione prima di poter rivolgere nuovamente la parola alla sua compagna di banco, sicura che nessuno le avrebbe notate.
“Ci saranno solo Margaret e Charlie, sono simpatiche.”, la supplicò avvicinandosi di poco al suo orecchio.
Audrey socchiuse gli occhi, probabilmente immaginando già come quella storia si sarebbe conclusa.
“Bree, non puoi fidarti di loro. Non sono nostre amiche.”, sbottò in un sussurro, sperando con qualche ultimo disperato tentativo di persuadere la rossa.
Scrollò le spalle, sorridendo mentre fingeva di scrivere qualcosa sul quaderno.
“Dobbiamo solo provare qualche vestito e passare un pomeriggio tranquillo.”, le fece notare.
“Perché tieni tanto a farti delle nuove amicizie?”, le chiese con un velo di acidità nella voce che non sfuggì all'orecchio attento di Bree.
Scosse leggermente il capo, come a voler sorvolare sull'argomento, incapace di parlare tanto apertamente delle sue continue insicurezze, della paura di essere presa in giro e dell'incubo di essere rifiutata da tutti.
Bree sapeva che Audrey, per quanto potesse provare, non l'avrebbe mai pienamente compresa. Audrey sceglieva quotidianamente di essere schiva, restia a qualsiasi tipo di socializzazione. Aveva preferito costruire una corazza intorno a lei capace di non fare avvicinare nessuno, ma era stata Audrey, seppur inconsciamente o inconsapevolmente, a desiderare ciò. Per Bree, invece, non si poteva affatto dire la stessa cosa. Lei era socievole, sorridente, cordiale, affabile e avrebbe tanto voluto essere circondata da persone che scherzassero con lei, che le chiedessero di uscire per bere qualcosa o per andare al cinema. Bree voleva soltanto una vita normale in cui non era quella ragazza con i capelli rossicci ed il ciclo perenne che le causava continui sbalzi d'umore. Audrey non avrebbe mai compreso quanto bello fosse sentirsi cercati, quanto rassicurante potesse essere avere qualcuno volenteroso di conversare e trascorrere parte del proprio tempo proprio con lei. Era per questo che Bree si sforzava sempre di essere gentile, di apparire come una normale diciassettenne alle prese con i problemi banali, ma allo stesso tempo abnormi dell'adolescenza.
Lo sguardo di Audrey si posò leggero sul viso di Bree per studiarne i delicati e dolci lineamenti ora piegati in un'espressione pensierosa. Audrey non sapeva a quali strane congetture stesse lavorando il suo acuto cervello, ma poteva leggere dai suoi occhi quanto tutto ciò la spaventasse. Non voleva assecondare Bree solo per il desiderio di vederla felice per qualche istante, Audrey voleva il suo bene, cercava di proteggerla dal mondo ingrato e meschino che la circondava, trascurando quanto lei stessa fosse forte.
Bree, con la sua candida ingenuità e la sua infinita fantasia, forse sarebbe riuscita a difendersi molto meglio di quanto avrebbe fatto Audrey stessa, impegnata a combattere una doppia lotta, di cui la più importante era proprio quella con se stessa.
“Domani dopo le lezioni direttamente al centro commerciale? “, esordì Margaret affiancando Bree ed Audrey all'uscita dall'aula del corso di filosofia.
“Certo.”, confermò Bree con entusiasmo, non attendendo neppure la risposta dell'amica.
Audrey prese un respiro profondo, sapeva che non avrebbe potuto lasciare Bree sola in quella sottospecie di nuova vita nella quale si stava impelagando, dunque si preparò a quello che, ne aveva la più assoluta certezza, sarebbe stato uno dei peggiori pomeriggi della sua esistenza.
“Anche per me va bene.”, asserì con voce riluttante e le labbra incurvate in una smorfia.
“Davvero Audrey Wood ha accettato un invito?”, domandò incredula Charlie alle loro spalle.
Audrey serrò la mascella, imponendosi di non rispondere a quella provocazione. I suoi occhi, ormai ridotti a due fessure, sfidavano l'espressione spavalda ed ironica della bionda.
Charlie conosceva Audrey da tempo, ormai. Abitavano nello stesso quartiere ed avevano frequentato quasi sempre le stesse scuole. Non si erano mai rivolte la parola prima del college, ma Charlotte aveva potuto chiaramente intuire l'indole solitaria e riservata della ragazza.
“Vuol dire che mi darete tutte una mano per scegliere qualcosa da indossare all'appuntamento con Harry.”, annunciò gioiosa Margaret, alleviando la tensione che si era precedentemente creata.
“Ma certo, sarà fantastico.”, commentò euforica Bree, forse persino troppo per un semplice pomeriggio di shopping. “Ci divertiremo tanto e faremo tante belle cose e compreremo tanti bei capi.”, farneticò mentre ancora camminava accanto a Margaret, ma la sua espressione era repentinamente diventata vacua ed assente.
“Tutto bene?”, le chiese Audrey, leggermente preoccupata.
Bree al suono di quella voce a lei tanto familiare parve rinsavire all'istante.
“Magnificamente.”, disse soltanto con le labbra incurvate in un sorriso angelico.
“Quindi ora esci con Harry?”, riprese poi Charlotte, soffermandosi sulla piccola rivelazione di Margaret.
“In realtà é stato Liam a chiedermi di uscire con lui ed io ho accettato.”, chiarì lei, mentre insieme salivano le scale che le avrebbero condotte alle rispettive classi.
“E perché?”, si lasciò scappare Audrey incuriosita dall'argomento che stavano affrontando.
Margaret si voltò in sua direzione, sorpresa dal suo improvviso interessamento. Charlie, al contrario, continuò a fissare il corridoio davanti ai suoi occhi, senza tuttavia riuscire a trattenere un piccolo ghigno.
Bree, infine, sorrise e dentro di lei prese forma una nuova consapevolezza, quella che anche Audrey in fondo avesse un disperato bisogno degli altri per distruggere quelle difese che impedivano a chiunque di avvicinarla.
“Perché suppongo lui sia troppo timido per farlo.”, ipotizzò Margaret ricordando il viso dolce del ragazzo.
“No, cioè, insomma, mi chiedevo come tu potessi accettare l’invito di uno che ha bisogno dell’amico per proporti di uscire.”, precisò trovandosi particolarmente in imbarazzo in quell’assurda situazione.
Non aveva notato tanto interesse da parte di Harry durante la loro ultima chiacchierata, dunque non si aspettava che proprio lui avesse organizzato un appuntamento con Margaret, piuttosto preferiva credere che Liam avesse nuovamente preso il sopravvento sulle decisioni dell’amico.
Quel particolare la irritava notevolmente, proprio non riusciva a tollerare il modo in cui Liam riuscisse ad influire sulla vita di Harry e non tollerava neppure che Harry glielo permettesse senza troppi problemi.
“Harry è carino ed è tanto dolce.”, si giustificò Margaret. “Ora devo andare, ci vediamo dopo.”, salutò un attimo prima di entrare in aula.
“Sorridi Audrey, sorridi.”, la canzonò Charlie, in quegli ultimi metri prima che le loro strade si dividessero. “Non sei male quando sorridi.”, aggiunse portando i suoi occhi di ghiaccio in quelli scuri della ragazza.
Charlotte sapeva che sotto quella spessa e dura corazza si nascondesse qualcosa, voleva solo capire quanto in profondità e se ne valesse la pena scavare oltre la superficie.
Audrey ricambiò con una smorfia, indispettita da tutta la sfrontatezza ostentata da Charlie.
“Ciao Charlotte.”, la salutò infine, prima di voltarsi e proseguire nella sua direzione, lasciando una Charlotte sorridente e soddisfatta.
“Tranquilla, si comporta così solo con le persone che le stanno simpatiche.”, la rincuorò Bree rivolta alla bionda.
Charlie trattenne una risata a quelle parole, mentre Bree si costringeva a rimanere impassibile.
“Scappo da Audrey, a dopo.”, salutò infine la rossa, prima di raggiungere a passo di marcia l’amica che era già a qualche metro di distanza.
Charlotte entrò in classe, squadrando attentamente i banchi ormai quasi tutti occupati. Trattenne il fiato quando constatò che l’unico ancora libero fosse proprio quello accanto a Louis, in terza fila.
Quello era uno dei pochi corsi che condividevano. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivata a trovare detestabili quelle ore in cui era costretta a trascorrere del tempo con lui. Si avviò con passo lento e cadenzato, studiando l’espressione di Louis intento a copiare degli esercizi dal quaderno del ragazzo del primo banco.
Il rumore della sedia costrinse Louis ad alzare gli occhi per verificare l’identità della persone che gli si era seduta accanto, scoprendo con meraviglia che si trattasse proprio della sua ex ragazza.
“Ciao.”, balbettò quasi stupito di trovarla proprio al suo fianco.
Charlotte accennò ad un timido sorriso, incapace di dire alcunché. Era una situazione imbarazzante quella, la tensione tra loro era palpabile, quasi Charlotte riusciva a sentire il suo corpo sudare freddo.
L’arrivo del professore attenuò quella sensazione e si costrinse a concentrate la sua attenzione sulla spiegazione che stava tenendo l’uomo. Era incredibile pensare a quanto il rapporto tra lei e Louis fosse cambiato nell’arco di un così breve tempo e, per giunta, per sua volontà.
Stava giocando un una ciocca bionda dei suoi capelli quando vide le dita di Louis sporgersi sul suo banco per lasciarle un piccolo pezzo di carta.

Mi dispiace, c’era scritto con la sua calligrafia disordinata e quasi illeggibile.
Charlotte spostò lo sguardo su di lui, notando l’espressione affranta, perdendosi per un attimo in quegli occhi azzurri e limpidi che tanto aveva amato.
Afferrò il foglio e prese una penna tra le mani, affrettandosi a rispondere.

Anche a me, per tutto quello che ho detto, erano le parole che Louis riuscì ad interpretare da quella scrittura tanto piccola.
Sapeva che quella non era una riconciliazione, che non stavano tornando insieme. Quello era solo il modo di Charlotte di fargli capire che lei ci sarebbe comunque stata per lui, magari come amica, ma avrebbe continuato a tirarlo fuori dai guai.

Non avevi mai chiesto scusa prima, le fece notare allora, riporgendole quella striscia di carta.
Non ce n’era mai stato bisogno, scherzò lei, mimando una piccola linguaccia quando Louis posò il suo sguardo sul volto di Charlotte.
Era bello vederla nuovamente scherzare con lui, sorridergli. Le sarebbe mancata Charlie, lo sapeva, lo sentiva nel battito ancora accelerato del cuore, ma avrebbe imparato ad esserle amico per non perderla, per godere ancora della sua compagnia.

Amici?, scrisse infine, ma in risposta ricevette l’ampio e sincero sorriso di Charlotte che annuiva e a Louis ciò bastò.
“Millie!”, la chiamò Niall, accelerando per raggiungerla.
L’aveva intravista nel corridoio alla fine dell’ennesima lezione della giornata ed ora aveva tutta l’intenzione di parlare con lei durante la pausa lunga.
La voce del biondo fece sussultare Millie, tanto da costringerla a velocizzare il passo per evitare di incontrarlo. Non voleva parlare con lui, a dir il vero non voleva parlare con nessuno. Il suo unico desiderio era di trascorrere quel breve lasso di tempo in compagnia di qualche ragazza  conosciuta tra i vari corsi e spettegolare con loro di qualsiasi cosa. Voleva solo non essere costretta a pensare, perché in tal caso non sarebbe riuscita a sopportare il rumore dei suoi pensieri.
“Aspetta, diamine!”, imprecò cercando di superare un gruppo di ragazzi che si intratteneva lungo il corridoio.
Millie fu costretta ad arrestarsi solo quando la mano di Niall le circondò il polso, costringendola a voltarsi in direzione del biondo.
“Allora ?”, sbottò lei irritata dal comportamento del ragazzo.
Niall sospirò, mentre la trascinava oltre l'atrio, in un luogo più tranquillo ed appartato. Millie lo lasciò fare, arrendendosi all'idea di dover affrontare una conversazione con lui.
In fondo, Millie l'aveva notato immediatamente, Niall era stata l'unica persona a preoccuparsi per lei, ad avvicinarla per pretendere delle risposte e presumibilmente a rimproverarla per il suo atteggiamento. Forse era l'unico a cui Millie avrebbe mai fornito delle spiegazioni in quel momento.
“Allora, che ti succede? Sono giorni che provo a parlarti, ma tu continui a scappare, a sparare cazzate e non capisco cosa ti prenda!”, iniziò quasi aggredendola, cercando di contenere per quanto possibile quella sensazione di rabbia che montava nel suo corpo.
Era stufo di subire ancora con tanta intensità il fascino di Millie, era stufo di essere sempre disponibile per lei.
Millie abbassò lo sguardo, stringendosi forte nelle spalle. Non aveva una risposta a quella domanda, non aveva la risposta alla maggior parte delle domande che le venivano poste. Non sapeva perché all'improvviso il suo solito comportamento fosse risultato insopportabile persino a lei stessa.
“Non dici nulla?”, incalzò Niall dopo qualche secondo, non avendo ricevuto alcuna risposta dalla ragazza.
Per una volta Niall giurò di aver visto i suoi occhi impauriti e spiazzati, ma quell'impressione durò appena qualche attimo.
“É stato un periodo particolare.”, mormorò stringendo forte tra le mani la tracolla dell'enorme borsa che teneva poggiata su una spalla.
Millie continuava a rimuginare sulla sua vita, sulle scelte che aveva fatto e sulle persone che ne facevano parte. Era terrorizzata dalla superficialità nella quale si era rifugiata, dal modo subdolo con il quale aveva preso ad affrontare i problemi da qualche tempo, dal numero sempre maggiore di pasticche che ingurgitava per vivere anche solo per qualche attimo in quel mondo incantato che la isolava dal resto del mondo.
“Eravamo ottimi amici una volta.”, le ricordò sperando di spronarla a continuare.
Millie non riuscì a sorridere a quelle parole, nonostante avesse tentato. Aveva sempre saputo del particolare affetto di Niall e lo aveva ignorato per la maggior parte del tempo, fingendosi un'amica all'oscuro dei reali sentimenti del biondo. Inoltre, la situazione era precipitata dopo quella volta in cui si erano visti a casa di Niall, quell'intimità che c'era stata tra loro aveva scombussolato il già precario equilibrio.
“Vuoi parlarne?”, domandò Niall sfiorandole il viso con un dito.
Millie arricciò il viso in una smorfia di riconoscimento, scuotendo la testa in segno di diniego.
Il ragazzo annuì comprensivo, sorridendole appena. Con un cenno della mano la salutò, poi lentamente si allontanò da Millie, lasciandola ancora leggermente scossa in quell'angolo del cortile.
“Wow, scenetta a dir poco commovente.”, commentò Zayn sbucando di soprassalto alla sua destra.
Millie puntò immediatamente lo sguardo su di lui. Aveva una sigaretta tra le dita della mano destra, mentre quella sinistra era nascosta nella tasca dei jeans grigi e stretti che gli fasciavano perfettamente le gambe. Le sue labbra erano piegate in un piccolo ghigno beffardo ed i suoi occhi ambrati studiavano l'espressione fintamente sicura di Millie.
“Non si origliano le conversazioni.”, controbatté cercando di ritrovare la sua solita fierezza nel suo tono di voce.
Zayn scrollò le spalle, portando il filtro della sigaretta alle labbra per farne un altro tiro.
“Troppo tardi.”, disse soltanto prima di avviarsi anche lui all'interno dell'edificio, lasciando nuovamente Millie sola ed indifesa contro quella miriade di pensieri che ormai non riusciva più a mettere a tacere.

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 Angolo Autrice
Salve a tutti!:D Lo so, sono terribilmente in ritardo nel pubblicare questo capitolo,
ma tra lo studio, l'ultimo capitolo dell'altra mia storia, i regali di Natale, il presepe e l'albero... proprio non sono riuscita a fare prima!
Comunque, si ricomincia con il giro... questa volta si parte da Harry!:D Diciamo che è lui a dare il via al capitolo,
anche se poi si seguono diversi filoni, generalmente incentrati sul tema dell'amicizia.
Da una parte lo stranissimo rapporto tra Harry e Liam, poi abbiamo Bree ed Audrey,
si passa per Louis e Charlie che decidono di darsi un'altra possibilità, ma questa volta solo come amici,
per poi concludere in bellezza (?) con Niall e Millie, che invece sembrano essere ad un punto morto.
In effetti ci sarebbe anche lo scambio di battute finali tra Zayn e Millie, ma quello davvero non saprei come classificarlo!xD
Anyway, volevo ringraziare chi segue, preferisce e ricorda!!!<3 Siete fantastiche! E volevo ringraziare chi legge!*.*
Bene, se vi va, lasciate qualche commentuccio, giusto per sapere se vale la pena continuare,
se questa storia ha un senso, cosa dovrei migliorare... boh, dite voi!!!!
Vorrei aggiornare prima di Natale, almeno lo spero, però nel caso non dovessi farcela...
Buon Natale a tutti!:* Mangiate tanto, divertitevi e passate una fantastica giornata!;)
Alla prossima!!:*
                                                               Astrea_

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Capitolo 12
*** Brianne ***


f

BRIANNE

“Il verde ti sta d'incanto, ma anche il lilla é sublime.”, commentò Bree osservando l'ennesimo vestito provato da Margaret.
Audrey era appoggiata alla parete del camerino, aveva le braccia incrociate al petto ed un'espressione infastidita. Era quasi un'ora che quella patetica scena si ripeteva sotto i suoi occhi. Al contrario, Charlotte si limitava a smorfie riluttanti e commenti non troppo entusiasti legati per la maggior parte alla superficialità femminile nell'agghindarsi solo per un semplice appuntamento.
“Potresti anche provare qualcosa che non dica soltanto saltami addosso dove e quando preferisci?”, bofonchiò all'indirizzo dell'amica che ancora fissava la sua immagine riflessa dallo specchio.
“Ma Harry é talmente gentile che non lo penserebbe comunque.”, replicò Margaret con un sorriso soddisfatto disegnato sulle labbra.
Audrey rimase colpita da quelle parole, tanto da decidersi a prestare attenzione a quella serie di scontati convenevoli che procedeva ad oltranza da chissà quanto tempo ormai.
“Quel suo faccino é davvero dolcissimo.”, si lasciò sfuggire Bree, concordando con l'altra.
“Andiamo, parliamo dello stesso ragazzo che segue alla lettera ogni parola di Liam?”, le provocò Charlie, puntando il suo sguardo indagatore su entrambe.
Audrey le osservava, immobile nella sua posizione e con gli occhi e le orecchie vigili. Non sapeva perché quel discorso la incuriosisse tanto o perché fosse interessata a conoscere quanti più dettagli le fosse dato sapere.
“In effetti é decisamente meglio quando é solo.”, spiegò Margaret, tirando la tendina del camerino per potersi cambiare.
Audrey sospirò, fantasticando su come Harry potesse essere in momenti di maggiore intimità come quelli che aveva vissuto con Margaret. Lo aveva conosciuto come il ragazzo impacciato, un po' insicuro e per nulla orgoglioso e trovava difficile immaginarlo in contesti che richiedessero iniziativa e sicurezza.
Il suono del cellulare di Bree costrinse le ragazze ad interrompere quella breve conversazione appena intrapresa. La rossa estrasse frettolosamente il cellulare dalla borsa e accettò la chiamata, non nutrendo alcun dubbio sull'identità di chi la stesse cercando.
“Ciao mamma.”, esordì uscendo dal negozio alla ricerca di un luogo più appartato.
“Sì può sapere dove diavolo sei finita?”, la voce stridula ed alterata della donna costrinse Bree ad allontanare il telefono dall'orecchio per qualche istante.
“Sono la centro commerciale con delle amiche.”, la informò con tono calmo e pacato, rifugiandosi nel largo ma corto corridoio che dava accesso ai bagni.
“Ti ho detto mille volte che devi avvisarmi!”, la sgridò sua madre.
Bree poteva distintamente vedere i suoi occhi adirati, i capelli tirati indietro, i lineamenti tesi del volto della donna e l'indice che usualmente in occasioni del genere puntava contro di lei.
“Ma io te l'ho detto, mamma.”, si giustificò la ragazza con un sussurro, per evitare che la donna all'altro capo del telefono si innervosisse ulteriormente.
“Non giocare con me, signorina. Sono abbastanza giovane da ricordare ancora tutto alla perfezione.”, controbatté lei.
Bree era sicura di ciò che diceva, ricordava perfettamente il breve dialogo che avevano avuto appena era rincasata da scuola, ma ricordava perfettamente anche il piccolo contenitore giallastro che la madre stringeva in una mano e nel quale erano conservate circa una dozzina di pillole.
“Torna immediatamente qui.”, ordinò alla figlia con tono autoritario.
“No.”, fu la secca risposta di Bree.
“Mi hai sentita? Ti ho detto torna immediatamente qui.”, ripeté lei.
“No.”, fu l'unica e decisa sillaba che uscì dalla bocca della rossa.
“Ragazzina, io sono tua madre e...”, iniziò ad urlare, indispettita dal comportamento insolente dimostrato dalla figlia.
Bree non ci pensò due volte prima di riattaccarle il telefono in faccia e spegnerlo un attimo dopo per non essere nuovamente disturbata. Voleva solo una vita normale, delle amiche con cui uscire e divertirsi ed una madre che non la costringesse a continui incontri con l'analista.
Bree percepiva il suo cuore battere forte nel petto, tanto che te mette di perderne il controllo. Le tempie pulsavano e la testa pareva voler scoppiare da un momento all'altro. Sapeva che sarebbero stati sufficienti pochi altri secondi prima che fosse travolta da una nuova crisi, ma Bree non voleva, non in quel momento. C'erano le sue amiche ad aspettarla in quel negozio e c'era un pomeriggio fantastico che si prospettava proprio davanti a lei e non voleva assolutamente rinunciare a tutto ciò. Con foga cercò nella borsa la piccola scatoletta d'acciaio che portava sempre con sé per occasioni come quella. La osservò minuziosamente rigirandola tra le sottili dita. Stava esitando e ciò metteva ancora più a rischio la sua condizione. Così si decise e con un veloce gesto prese un'unica piccola pillola e la porto alle bocca, poi la ingoiò. Una sensazione di calma inondò il suo corpo, facendo distendere le sue labbra in un ampio sorriso stralunato. I suoi occhi erano vacui, tanto da conferire alla sua espressione un'aria assente e pressoché inquietante.
Quando tornò nel negozio dove aveva lasciato le sue amiche, le trovò in coda alla cassa. Margaret teneva tra le mani uno dei vestiti che aveva provato poco prima, sorrideva raggiante. Charlie e Audrey erano accanto a lei, con delle espressioni meno entusiaste della prima, ansiose di uscire da lì.
“Allora, alla fine hai scelto quello blu?”, iniziò richiamando l'attenzione delle ragazze.
Audrey accennò ad un lieve sorriso in direzione dell’amica, rassicurata dal suo ritorno, mentre Margaret la guardava con aria soddisfatta dell’acquisto che si accingeva a fare. L’avrebbe indossato per la serata con Harry e l’avrebbe stupito con quell’abito che aderiva perfettamente al suo corpo, conferendole un aspetto più sexy e maturo. Ancora nutriva dei forti dubbi sul suo eventuale ed effettivo interesse per Harry. Margaret trovava quella situazione particolarmente intricante e divertente, forse era per quel motivo che aveva prontamente accettato l’invito che Harry le aveva fatto per mezzo di Liam. Tuttavia, in un certo senso sapeva che tra lei e quel ragazzo non sarebbe mai potuto nascere nulla di serio e duraturo. Erano troppo diversi, troppo distanti per comprendersi con un solo sguardo. Aveva stabilito che la sera stessa dell’appuntamento avrebbe preso una decisione riguardo alla sua relazione con Harry, determinando in maniera chiara e precisa la loro situazione, al momento ancora troppo confusa ed ambigua.
Così, quando finalmente la grande serata giunse, Margaret aveva già un accurato piano per valutare quanto e in che misura fosse coinvolta da Harry.
“Ciao.”, salutò lui non appena Margaret salì sull’auto che il padre di Harry gli aveva prestato per la speciale occasione.
“Ciao.”, ricambiò lei, posandogli un leggero bacio sulla guancia. “Hai già pensato a dove andare?”, chiese Margaret, mentre il ragazzo metteva in moto.
“A dir il vero pensavo al cinema, ma se non ti va possiamo sempre cambiare.”, affermò cercando di camuffare quel velo di imbarazzo che ancora gli increspava la voce.
In realtà anche quello era stato un acuto suggerimento di Liam, ottimale sia per contrastare il disagio dovuto alla mancanza di interesse che per favorire la vicinanza nel caso contrario. Il film avrebbe riempito eventuali silenzi imbarazzanti, mentre il buio avrebbe favorito contatti ravvicinati.
“Perfetto.”, commentò Margaret, annotando già mentalmente quanto quella scelta fosse per lei sbagliata.
Insomma, nessuna ragazza avrebbe mai desiderato un luogo scuro ed affollato, in cui sarebbe stato difficile conversare proprio per il primo appuntamento. Margaret ricevette un’ulteriore conferma quando insieme scelsero il film. Nessun horror o storia d’amore drammatica, ma una commedia esilarante e davvero poco romantica. Sorrise quando Harry la prese sotto braccio per condurla all’interno della sala. Il riccio per tutta la durata del film non fece altro che ridere e commentare le battute squallide dei personaggi che si stagliavano dal grande schermo, coinvolgendo anche Margaret nel vortice della sua allegria. La ragazza sorrise nel vederlo finalmente se stesso. Quella volta, ne era certa, non c’era margine della presenza di Liam nel comportamento di Harry. Lui gli avrebbe detto di circondarle le spalle con un braccio, di sussurrarle qualcosa di carino all’orecchio, di prendere i popcorn per entrambi e si far casualmente sfiorare le loro ginocchia. Invece Harry era lì, con il suo sorriso e le due fossette scavate sulle guance che faceva saettare lo sguardo dallo schermo al viso di Margaret, non curandosi di come potesse apparire ai suoi occhi. Era bello, con quei ricci sfatti, quella camicia e quei jeans stretti a cui non era abituato. I suoi occhi verdi splendevano nel buio della sala e Margaret fu completamente travolta dalla inondante luce che emettevano. Trovava piacevole trascorrere del tempo con lui, a commentare tanto scioccamente le scene di quell’assurdo film che si susseguivano una dopo l’altra, tanto che accettò di buon grado la proposta di Harry di fare una passeggiata all’uscita dal cinema.
“Mi sono divertita.”, gli disse, avvolgendosi meglio nel cappotto nero che indossava quella sera.
Harry sorrise a quelle parole, cercando di camuffare la tensione che cresceva dentro di lui.
Sapeva quale doveva essere il suo obiettivo al termine della serata, ma all’improvviso si trovò a rimuginare su quanto realmente volesse quel bacio.
“Anche io, davvero.”, replicò Harry rallentando per accostare poco distante dalla staccionata che delimitava il prato di un parco.
“Che c’è?”, domandò Margaret, fermandosi accanto a lui.
Corrugò la fronte, mentre con gli occhi studiava l’espressione tormentata di Harry, che con il capo chino continuava a picchiettare a terra con il piede destro.
“Io…”, iniziò, ma non riuscì a terminare quella frase.
Doveva baciarla, doveva solo baciarla e Margaret molto probabilmente sarebbe diventata la sua ragazza. Eppure qualcosa lo induceva ad esitare, a temporeggiare. Harry si chiese se senza l’intervento di Liam, lui avesse provato comunque dell’interesse nei confronti di quella ragazza tanto carina e simpatica. La risposta era sicuramente affermativa, Margaret era davvero splendida, forse persino troppo per Harry, ma non riusciva a farle mancare il fiato. Il riccio si sentiva terribilmente infantile e schifosamente romantico nel soffermarsi su quelle piccolezze. Liam gli avrebbe detto che l’amore non era necessario a quell’età, che sarebbe venuto con il tempo e che avrebbe dovuto approfittare di un’occasione irripetibile come quella, ma Harry non era Liam. Harry aveva baciato Margaret, aveva fatto sesso con lei e gli era piaciuto da morire, ma non aveva percepito le farfalle allo stomaco.
“Dillo Harry, dì qualsiasi cosa.”, lo incoraggiò Margaret, sfiorando con la mano il braccio teso del ragazzo.
“Mi dispiace.”, si scusò lui, facendo scivolare i suoi occhi verdi in quelli di Margaret.
Lei non era arrabbiata o delusa, al contrario gli sorrideva rassicurante e comprensiva, tanto che proprio da quel viso Harry riuscì a trovare la forza di cui necessitava per continuare quel discorso.
“Mi dispiace perché tu sei la ragazza più incredibile con la quale io sia mai uscito, a dir il vero sei anche l’unica e questo ti rende ancora più incredibile.”, riprese estraendo le mani dalle tasche per muoverle freneticamente a mezz’aria.
Margaret lo guardava gesticolare, con il viso contratto in un’espressione concentrata e la voce ancora insicura, e non riusciva a vedere in lui nessuno di quei difetti che Harry stesso pensava di nascondere grazie ai consigli di Liam.
“Mi dispiace perché sei solare, allegra, vivace, ridi persino alle mie battute senza senso e non mi giudichi per quanto male mi vesta o per quanto i miei capelli siano disordinati.”, continuò passando istintivamente una mano tra i ricci per dargli una veloce sistemata.
“Mi dispiace perché sei davvero fantastica, sul serio, e perché potrei tranquillamente uscire ancora con te, ma purtroppo io....”, s’interruppe d’un tratto.
Aveva la bocca socchiusa e gli occhi sgranati puntati in quelli della ragazza.
“Purtroppo non è scattato, non è scattato quel qualcosa, non so perché, ma ti giuro che se esistesse un metodo per farlo, lo farei all’istante.”, terminò, mentre la sua voce si spegneva in un sussurro.
“Lo so, Harry. Lo so.”, confessò Margaret in un sussurro. “Se fosse possibile, anche io farei di tutto per riuscire ad amare una persona come te.”, ammise con un triste sorriso appena accennato sulle labbra sottili ancora coperte di rossetto.
“Sceglierei sempre e comunque te, se potessi scegliere di chi innamorarmi.”, ricambiò Harry, avvicinandosi a Margaret fino ad avvolgerla tra le sue braccia.
“Ma non si può scegliere, sfortunatamente.”, mormorò lei contro il petto di Harry, stringendo le braccia intorno al busto del ragazzo.
“Mi dispiace.”, ripeté Harry, sfiorando con la guancia i capelli biondi di Margaret.
“Anche a me.”, concluse lei, perdendosi nel calore di quell’abbraccio che lasciò ad entrambi l’amaro in bocca.
Quando la mattina successiva Harry raggiunse il
Kensington & Chelsea College, trovò ad attenderlo all’ingresso Liam che gli sorrideva con sguardo complice.
“Buongiorno bello!”, esordì Liam, dando una leggera pacca sulla spalla di Harry.
Il riccio si costrinse a forzare le labbra in un sorriso, sperando di riuscire a sorvolare l’interrogatorio che di certo l’amico aveva preparato per lui.
“Dov’è la tua ragazza, grande uomo?”, chiese cercando Margaret con lo sguardo, senza tuttavia trovarla.
Harry deglutì, preparandosi ad affrontare quella situazione. Si chiedeva ancora come fosse riuscito a ficcarsi in una situazione del genere. Sarebbe semplicemente bastato dire che lui non era interessato a Margaret e che avrebbe provveduto autonomamente alla sua fallimentare vita sentimentale. Tuttavia, quando si trattava di Liam, Harry non era mai abbastanza bravo nel far emergere la sua opinione. Lo aveva visto e continuava a vederlo come un punto di riferimento per lui troppo importante per poter essere ignorato, ma che spesso finiva per oscurarlo completamente.
“Non stiamo insieme.”, disse tutto d’un fiato.
Non voleva deludere il suo amico, ma non voleva neppure mentirgli. Harry era sincero in fin dei conti, forse persino troppo per essere circondato da persone che, invece, non facevano altro che mentire anche a se stessi.
“Come?”, gli chiese Liam sgranando gli occhi per la sorpresa. “Ti ha detto forse di no? Ora vado a parlare.”, riprese con foga, avviandosi già verso il corridoio delle aule del primo piano.
Harry lo raggiunse in poche falcate e lo bloccò afferrando il braccio di Liam.
“No, non mi ha detto di no.”, spiegò allora, per evitare chissà quale prossima mossa del castano.
Liam corrucciò la fronte, come se quelle parole gli risultassero particolarmente difficili da comprendere.
“Non gliel’ho chiesto, Liam.”, ammise infine.
Il castano sgranò gli occhi, sorpreso da quella piccola confessione. Non aveva agito per cattiveria o con secondi fini quando aveva pianificato quella che doveva essere la prima grande storia d’amore di Harry, ma aveva completamente ignorato il suo parere a riguardo. Aveva pensato che lui avrebbe fatto i salti di gioia e che avrebbe goduto di questa sua prima esperienza senza troppe complicazioni.
“Io e Margaret vogliamo solo essere amici.”, spiegò scrollando le spalle, sperando in una reazione positiva del suo amico.
Era la prima volta che Harry non si lasciava abbindolare da una delle magnifiche soluzioni proposte da Liam, era la prima volta che rifiutava il suo intervento nella sua vita privata e non aveva la benché minima idea di come lui potesse prendere quella sua opposizione.
“Capito.”, bofonchiò riluttante.
Non era ferito, era soltanto sorpreso. Ma ad Harry quel suo tentennare parve molto più grave di quanto in realtà fosse.
“Ne parliamo meglio dopo, va bene? Ora devo scappare in classe.”, si liquidò frettolosamente Liam.
Aveva bisogno di riflettere, di comprendere cosa non avesse funzionato nel suo schema. Aveva calcolato ogni margine di errore, ma non quello. Non era infastidito dal comportamento di Harry, non ne avrebbe avuto alcun motivo per esserlo. Liam doveva comprendere quali fattori non aveva preso in considerazione, cosa fosse sfuggito al suo occhio vigile. Si allontanò, continuando ad interrogarsi sui mille dubbi che affollavano la sua astuta mente, e solo quando varcò la soglia della classe la persona che avrebbe potuto aiutarlo gli si parò letteralmente davanti.
“Ciao Niall.”, salutò prendendo posto accanto al ragazzo.
“Ciao.”, rispose l’altro, palesemente spiazzato dalla presenza del castano proprio al suo fianco.
“Devo chiederti un favore.”, sentenziò Liam, sistemandosi meglio nel banco.
Il biondo storse il labbro, ancor più sorpreso da quella richiesta. Dopo quello che era successo tra lui e Millie, di cui ovviamente Liam non era a conoscenza, conversare amabilmente con lui era davvero una delle cose che Niall si augurava di non dover mai fare. Aiutarlo, inoltre, non era affatto tra le sue priorità, ma rifiutare a prescindere avrebbe infastidito Liam, magari a tal punto da continuare ad importunarlo anche solo con la sua presenza fisica, fino a farlo cedere ed ottenere comunque ciò che desiderava. Liam otteneva sempre ciò che voleva ed era disposto anche ad aspettare il tempo necessario per la realizzazione dei suoi piani, mentre Niall voleva soltanto assicurarsi che il castano mantenesse le distanze da lui. Prima o poi, ne era certo, avrebbe finito per urlargli in faccia quanto la sua ragazza fosse brava a letto e a quel punto sicuramente ne sarebbe venuta fuori una discreta rissa. Se continuava a trattenersi, evitando di sbattere in faccia a Liam la cruda e nuda verità, era solo per Millie e per il bene che dopotutto ancora nutriva per lei.
“Dimmi.”, borbottò mentre la lezione iniziava.
“Cosa si prova ad essere innamorati?”, chiese Liam di getto, lasciando sconcertato il biondo al suo fianco. “Insomma, so che sei innamorato di Millie, voglio solo capire cosa c’è di diverso dal semplice farsi piacere una persona.”, spiegò con una calma che rese Niall ancora più nervoso.
“Ero.”, lo corresse stringendo forte la mano sinistra in un pungo. “Ero innamorato di lei.”, specificò evitando accuratamente di pronunciare quel nome.
Liam scrollò il capo, come se quei dettagli non avessero alcun peso per lui. Il suo obiettivo, ora, era capire come una persona potesse innamorarsi di un’altra, come potesse amarla profondamente.
“È un qualcosa di totalizzante, travolgente.”, provò a dire Niall, trovando estrema difficoltà nel rispondere a quel quesito.
“Cioè?”, lo incalzò Liam, per nulla soddisfatto di quelle poche parole.
“Cioè lo percepisci, lo senti. Sai che non potresti fare a meno di lei e che faresti di tutto solo per vederla sorridere.”, aggiunse con lo sguardo vacuo, ricordando quando quel vuoto che ora regnava nella sua mente veniva riempito dal viso di Millie.
“Sembra brutto.”, commentò Liam, soffermandosi a riflettere sulle informazioni che Niall gli aveva appena fornito.
“Invece è la cosa più bella del mondo.”, controbatté l’altro in un sussurro.
Louis e Zayn erano seduti in uno dei banchi in ultima fila. Accovacciati sulla superficie di legno cercavano di non farsi notare mentre ignoravano bellamente la lezione che la professoressa stava tenendo in classe. Avrebbero volentieri fatto a meno di uno dei tanti corsi che erano costretti a frequentare, ma purtroppo erano consapevoli della necessità di terminare quell’ultimo anno di college.
“Zayn, il cellulare continua a vibrarti nell’astuccio.”, lo informò per l’ennesima volta Louis, lanciando un fugace sguardo al telefonino il cui schermo era illuminato.
“Prima o poi smetterà.”, sentenziò l’altro, poggiando meglio la testa sul braccio che teneva piegato sul banco.
“Dovresti rispondere.”, borbottò Louis, in palese disaccordo con il comportamento dell’amico.
Zayn socchiuse gli occhi, cercando di ignorare la vocina odiosa di quello che riteneva essere un suo amico.
“Saranno circa le cinque da lui, magari è successo qualcosa.”, continuò il ragazzo dagli occhi azzurri, nel tentativo di convincere Zayn a seguire il suo consiglio.
“Che se li risolvesse da solo i suoi nuovi problemi, io ho già quelli vecchi a cui dover pensare.”, sbottò irritato.
Era Jamal a chiamarlo. Ormai lo faceva sempre più spesso e ai più svariati orari, come se davvero volesse contattare il suo piccolo ed adorato fratello di cui non aveva notizie da troppo tempo.
Ma Zayn non avrebbe mai più voluto sentire la sua voce, né le sue false scuse.

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 Angolo Autrice
Salve a tutti!:D Come procedono le adorate vacanze? Come vanno i festeggiamenti?
Io sto mangiando talmente tanto che credo che per la befana diventerò una palla completa!xD
Comunque, nel capitolo si parte con Bree! D iciamo che le parti fondamentali sono proprio quella su di lei, all'inizio, e quella su Harry...
Anche se Liam non è del tutto da sottovalutare, ma non aspettavevi grandi cose da lui.
Liam rimane un tipo piuttosto razionale, ma crescerà anche lui, anche se non so ancora in che misura.:D
Okay, per ora ci fermiamo con Zayn che proprio non vuole saperne di rispondere al cellulare,
Audrey che presta attenzione alla discussione e Margaret ed Harry che decidono di rimanere amici.
Bene, vi chiedo, se vi va, di lasciare qualche commento... Insomma, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Anche se si tratta di critiche, almeno saprò come potermi migliorare!
Okay, ringrazio chi legge, segue, ricorda, preferisce!*.*
Alla prossima!:*
                                                            Astrea_








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Capitolo 13
*** Louis ***


d

LOUIS

Louis quella mattina decise di recarsi a scuola con al collo la sciarpa del Chelsea, come ogni buon tifoso avrebbe fatto dopo l’avvincente partita che la squadra si era aggiudicata appena la sera precedente e alla quale lui aveva assistito direttamente dagli spalti dello stadio.
“Oggi sì, che è un bel giorno!”, esclamò entusiasta varcando la soglia dell’edificio scolastico con Zayn e Niall al seguito.
“Louis, era solo una partita.”, borbottò Zayn, ricordando all’amico quanto eccessiva fosse la sua reazione.
“Non distruggerai i miei sogni di gloria, non oggi.”, controbatté l’altro, prima si sventolare in aria la sciarpa che aveva appena slegato.
Niall sorrise, osservando Louis volteggiare per il piccolo atrio, mentre Zayn si sbracciava per fermarlo ed immobilizzarlo in qualsiasi modo gli fosse possibile.
“Che gli prende ora?”, esordì Charlotte avvicinandosi sorridente a Niall.
“Ieri il Chelsea ha vinto.”, spiegò il biondo, spostando la sua attenzione sui lineamenti delicati del viso di Charlie.
“Dev’essere stata una gran bella vittoria, allora.”, ipotizzò osservando Louis che in quel momento aveva preso ad intonare qualche coro d’incoraggiamento.
“Oh sì, favolosa direi.”, commento Niall sforzandosi di trattenere una risata.
“Sembra stia meglio.”, constatò all’improvviso Charlie.
Il suo tono di voce era diventato estremamente serio ed i suoi occhi chiari erano puntanti in quelli di Niall, quasi volesse leggere in essi una conferma a quella sua affermazione.
“Continui a preoccuparti per lui.”, quella di Niall non era una domanda, ma un’ulteriore osservazione.
“Tengo a lui, tengo a lui come ad un fratello.”, spiegò allora la ragazza.
Charlotte non era tenuta a dare delle giustificazioni a Niall, ma in quel momento aveva ritenuto opportuno chiarire la sua posizione, specificando il legame che ancora la univa a Louis.
“E hai intenzione anche di continuare a controllarlo da lontano?”, chiese quasi come per provocarla.
Charlie scrollò le spalle, iniziando a giocherellare con le dita delle mani.
“Non credo di potermi avvicinare ulteriormente.”, ammise mentre Louis si allontanava in direzione delle scale principali.
“Sei una buona amica, in fondo.”, commentò allora Niall, soffermandosi a riflettere sull’espressione preoccupata di Charlie e su quanto si stesse impegnando per tenere vicina una persona che in realtà continuava a farsi sempre più lontana.
“Ci sto solo provando.”, sminuì con un mezzo sorriso che prontamente Niall ricambiò.
Gli piacevano i sorrisi di Charlotte, appena accennati, ma rischiarati dal suo sguardo perforante e luminoso.
“Ci vediamo in giro, Horan.”, lo salutò lei, interrompendo quel breve attimo di silenzio.
La sua voce era tornata sicura ed ironica, come al solito, mascherando quella sincerità disarmante che gli aveva appena mostrato di possedere qualche attimo prima. E mentre ancora lo superava, Charlie si voltò per concedergli un ultimo sguardo e sorridergli, per poi avviarsi verso la classe.
Anche Niall sorrise e continuò a farlo per altri interminabili secondi, con lo sguardo assorto nella direzione in cui aveva visto Charlotte allontanarsi.
“Charlie!”, la chiamò Margaret, cercando di catturare la sua attenzione con un cenno della mano.
“Ciao!”, ricambiò l’altra, raggiungendola lungo il corridoio.
“Ho conosciuto un ragazzo, ieri sera.”, raccontò frettolosamente Margaret all’amica.
Charlotte le lanciò un’occhiata complice, attendendo che proseguisse per conoscere maggiori dettagli.
“Ieri sera sono venuti dei colleghi di mio padre a cena da noi, con le famiglie. A dir il vero l’atmosfera era piuttosto tesa e persino mio padre, che è una persona davvero cordiale, sembrava a disagio.”, iniziò per dare un’ambientazione a quel fortuito incontro. “Comunque, arrivati a metà cena, ho chiesto ai miei di poter fare un giro, non ce la facevo più a reggere quella tensione e lui si è offerto di accompagnarmi.”, riassunse con voce allegra.
“Wow, certo che dopo la storia di Harry, non perdi occasione.”, scherzò Charlie, ricordandole l’appuntamento che aveva avuto appena pochi giorni prima.
Margaret fece spallucce, ignorando quel commento poco carino, poi preferì continuare il suo resoconto.
“Si chiama Jean Paul, è francese, ha vent’anni e studia qui a Londra.”, terminò con aria sognante.
“Lo conosci appena.”, le fece notare Charlie per smorzare l’entusiasmo, a suo parere eccessivo, che poteva chiaramente leggere negli occhi dell’amica.
“Io, piuttosto, mi preoccuperei degli sguardi assassini che suo padre continuava a lanciare al mio, chissà cosa gli sia preso a quello.”, borbottò Margaret, ricordando ancora quanto avesse apprezzato lo sforzo del padre di ignorarlo completamente.
“Non curartene, negli uffici è sempre così.”, le suggerì Charlotte, mentre insieme varcavano la porta dell’aula, pronte ad affrontare una nuova giornata.
Millie si decise ad uscire dal bagno nel quale era nascosta ormai da più di una decina di minuti solo quando fu certa che tutte le lezioni fossero iniziate. Era andata a scuola come suo solito quella mattina, ma quando aveva varcato la soglia dell’ingresso aveva sentito un’irrefrenabile crisi di pianto minacciare il suo viso, così era corsa a rifugiarsi, per evitare che qualcuno potesse vederla in quelle patetiche condizioni. Aveva gli occhi gonfi e le guance ancora rosse, il trucco era completamente sparito dal suo viso. Dopo che fosse colato a causa delle lacrime versate, Millie aveva provveduto ad eliminarne ogni traccia dalla sua pelle con delle salviettine che portava sempre al seguito nella sua borsa. I corridoi erano stranamente silenziosi e vuoti, tanto che diedero a Millie l’impressione di trovarsi in un posto a lei sconosciuto. Non aveva alcuna voglia di recarsi in classe per seguire le lezioni, era troppo sconvolta per farlo. Aveva pianto quella mattina e per Millie si trattava di un evento raro, quasi unico. Era sola, Audrey aveva avuto ragione nel sostenere quanto superficiali ed occasionali fossero le amicizie di cui Millie si era circondata. D’istinto si recò verso  il retro della scuola, trovandosi poi nel cortile doveva aveva visto riuniti Liam e tutto il resto del suo nuovo gruppetto. Da quel giorno lei ed il suo presunto ragazzo non si erano più rivolti la parola, entrambi troppo orgogliosi per muovere il primo passo.
“Cazzo, sei tu.”, imprecò Zayn, scaraventando un pugno contro la superficie murata sulla quale era appoggiato di schiena.
Nell’altra teneva stretta la sua solita sigaretta che portava ritmicamente alle labbra con fare dismesso.
Millie sobbalzò al suon della voce del moro, non aspettandosi affatto di trovarlo lì. In realtà, lei stava solo cercando un posto tranquillo nel quale potersi rilassare, possibilmente senza la presenza altrui. La ragazza si avvicinò al prato ancora umido dalla notte precedente. Si accovacciò, fino a sfiorare con le dita l’erbetta fresca, infine si lasciò cadere su di esso. Zayn la osservava senza batter ciglio, rapito dai suoi movimenti.
“Perché sei sempre solo, Zayn?”, gli chiese con lo sguardo chino su quei pochi metri quadrati di erba che la circondavano.
Lui trattenne il fiato per un indefinito istante, prima di riuscire a riprendere completamente il controllo del suo corpo attraverso la ragione.
“Non mi piace la compagnia.”, rispose secco, aspirando dalla sua sigaretta.
Millie non era soddisfatta di quelle parole, non lo era per nulla. Lei adorava la compagnia, ma nonostante ciò finiva sempre per non avere nessuno accanto a sé nei momenti difficili.
“E se ti piacesse stare in compagnia, credi che staresti mai solo?”, domandò ancora, con il volto arricciato in un’espressione di titubanza ed incertezza.
Zayn dovette concentrarsi per capire ciò che realmente Millie volesse dire, il motivo di tutte quelle parole che quella mattina aveva deciso di riservare proprio a lui.
“Suppongo dipenda dalla compagnia.”, si decise a dire infine, optando per una risposta piuttosto vaga.
Millie ghignò appena, constatando quanto diplomatiche fossero state le parole del ragazzo.
“Sei furbo, Malik.”, osservò con un sussurro, scostando con le dita una ciocca di capelli che le era caduta sul viso.
Le labbra di Zayn si incurvarono in un sorriso beffardo, quasi lusingato da quello che aveva tutta l’aria di essere un complimento.
“Millie, finalmente! Dobbiamo parlare!”, esordì Liam avvicinandosi frettolosamente alla ragazza, non avendo neppure notato la presenza di Zayn a qualche metro di distanza.
Millie si alzò di scatto, cercando di ricomporsi. Con un gesto fulmineo sistemò i capelli ed i vestiti, poi si costrinse a sorridere con un’espressione sicura disegnata sul volto. Zayn, ora, la guardava divertito da quel repentino cambiamento con il quale aveva visto risorgere la solita Millie.
Solo quando Liam si accorse degli occhi di Millie, ancora fissi sulla figura di Zayn, si voltò fino ad incrociare il viso del moro.
“Perché siete qui da soli?”, chiese cercando di dare una spiegazione plausibile alla presenza di Zayn e Millie nel cortile sul retro.
“Fumava una sigaretta, io sono venuta per caso.”, spiegò prontamente Millie, rivolgendo per la prima volta dopo giorni la parola al suo ragazzo.
Zayn non aggiunse altro. Lanciò un ultimo sguardo di sfida a Liam, poi ancora con la sigaretta, ormai quasi del tutto consumata tra le dita, rientrò nell’edificio scolastico.
“Ci ignoriamo da giorni.”, iniziò il castano, puntando gli occhi in quelli scuri di Millie.
Aveva riflettuto bene su quella decisione ed era giunto alla conclusione che era la soluzione migliore per entrambi. Ultimamente erano sempre più distanti, tanto che nessuno dei due si era preoccupato di chiarire ciò che era successo giorni prima in quello stesso posto. Liam sapeva che non avrebbe mai potuto amare Millie, in realtà pensava di non poter amare nessuno. Tuttavia, la relazione con Millie durava da troppo ormai ed era diventato difficile riuscire a gestirla. Per una qualsiasi coppia quello sarebbe stato il momento giusto per dare una svolta positiva alla propria storia, di conferirle maggiore importanza ed ufficialità, ma per loro era solo un’ulteriore complicazione.
“Se ti penti di quello che hai detto e vuoi tornare con me…”, iniziò Millie con la sua usuale espressione soddisfatta, ma non riuscì neppure a terminare quella frase.
“Non voglio tornare con te.”, la interruppe Liam.
Pronunciare quelle parole gli era risultato più difficile del previsto. Con Millie, in fondo, aveva condiviso un periodo relativamente lungo, aveva vissuto delle belle esperienze con lei ed aveva imparato ad apprezzare quel suo carattere così particolare. Ma Liam sapeva che quello era il momento, che superata quella soglia rischiava di perdere la sua solita concretezza ed il suo  pragmatismo in materia di amore.
Millie rimase impassibile a quelle parole, solo i suoi occhi apparvero a Liam ancora più grandi e scuri del solito. Non disse nulla, apparentemente il suo corpo pareva essere dominato dalla calma, come se quella notizia non l’avesse minimamente toccata. Nella sua mente, invece, Millie riusciva solo a vedere il vuoto, mentre percepiva il forte battito accelerato del cuore rimbombare all’interno del petto. Non era una stupida ragazzina superficiale, Millie aveva sempre saputo che ciò che legava lei e Liam non era amore puro, ma interesse misto a chissà cosa. Era la consapevolezza di essere ormai completamente sola a spaventarla, terrorizzarla. Non avrebbe neppure più avuto la possibilità di rifugiarsi nel mondo fatto di bugie che aveva costruito attorno a lei. Non aveva amiche di cui potersi fidare, quelle che frequentava erano solo un branco di ragazze che non sapevano parlare che di moda e ragazzi, ed ora non aveva neanche più un ragazzo.
“Cosa ti fa pensare che io, invece, lo voglia?”, lo provocò riempiendo il silenzio assordante che li aveva avvolti.
Il suo viso si era tramutato in una smorfia denigratoria, i suoi occhi erano puntati in quelli di Liam. Millie voleva apparire forte in quel momento, non aveva alcuna intenzione di passare per colei che era stata lasciata da Liam Payne durante la pausa tra una lezione e l’altra. Almeno, si disse, avrebbe fatto finta di condividere quella decisione.
Liam piegò le labbra in un ghigno, trovandosi ad annuire sistematicamente. Millie era quel genere di ragazza che neppure un uragano sarebbe riuscito ad abbattere.
“Bene, allora…”, stava per dire, ma questa volta fu Millie ad interrompere lui.
“Allora è finita.”, concluse al suo posto.
Era stata lei a dirlo, era stata lei a decretare la fine della loro relazione. Millie sapeva quanto inutile fosse soffermarsi su un simile dettaglio, ma in quel momento aveva percepito la necessità di pronunciare quelle poche parole al posto del castano. Non voleva essere costretta a sentirle, per quel motivo si era affrettata a dirle. Millie sorrise, ostentando una sicurezza di cui non era assolutamente in possesso, poi superò Liam. Non si sarebbe voltata, del resto lo aveva detto proprio lei che era finita e, quella volta, lo era per davvero.
Harry continuava a percorrere e ripercorrere quei pochi metri dell’aula di matematica nella quale si era rintanato durante l’intervallo. Quando si era avviato per il corridoio, al termine della lezione con l’intento i raggiungere Liam, aveva intravisto, nel flusso di studenti che si sperdeva tra il cortile principale e le macchinette, la chioma scura di Audrey. D’istinto aveva pensato di affiancarla per scambiare qualche parola con lei, ma poi era stato soprafatto dall’indecisione e dall’insicurezza che lo avevano spinto a rintanarsi in classe. Aveva già parlato altre volte con quella ragazza, ma era accaduto sempre e solo per una fortuita coincidenza, mai intenzionalmente. Quella prospettiva lo rendeva riluttante, temeva una reazione negativa di Audrey. Lei aveva degli occhi perforanti, capaci di lasciarti interdetto solo con un semplice sguardo, ma, soprattutto, Audrey aveva una lingua tagliente ed un’espressione davvero poco affabile. Ancora una volta Harry mosse qualche passo verso la finestra e, quando la raggiunse, si girò in direzione della porta per poi ripetere il medesimo tragitto. Teneva una mano tra i capelli, li stringeva forte tra le dita, l’altra, invece, si muoveva frenetica a mezz’aria. Avrebbe voluto parlare degli ultimi avvenimenti, di come Harry avesse finalmente preso le sue scelte, magari commettendo persino degli errori. Non gli interessava di quelli, voleva solo dire ad Audrey che aveva ragione, che far sentire la propria voce era la sensazione più entusiasmante del mondo, che per una volta Harry aveva ascoltato se stesso e non Liam e si era sentito forte e potente come non mai. Ma temeva che Audrey, con il suo ghigno e le sue poche frasi, avrebbe ridicolizzato quell’insignificante episodio di cui, invece, Harry andava fiero. L’avrebbe raggiunta, pensò, le avrebbe sorriso e le avrebbe detto che aveva ascoltato il suo consiglio. Harry non sapeva neppure perché tenesse tanto a parlare proprio con lei, forse voleva solo condividere con qualcuno quel suo nuovo inizio, quel suo primo piccolo successo.
Uscì dall’aula con passo svelto, alla ricerca del volto di Audrey tra quello dei vari studenti che affollavano la struttura. Ad un tratto la vide, appoggiata alla lunga fila di armadietti, a braccia conserte ed espressione stanca, mentre si intratteneva in compagnia di Bree.
“Ciao ragazze!”, salutò con entusiasmo, lo stesso che Bree impiegò nel ricambiare.
Audrey, invece, lo squadrò con aria severa, soffermandosi poi sul suo viso.
“Audrey, volevo…”, annunciò Harry, mentre la voce già iniziava ad incrinarsi per l’imbarazzo.
“C’è Louis!”, esclamò Bree, interrompendolo, avendo notato la presenza del ragazzo a pochi metri da lei.
Bree aveva compreso perfettamente la prima parola pronunciata da Harry, intuendo che il suo discorso, o comunque ciò che aveva da dire, fosse del tutto indirizzato alla sua amica, dunque preferì allontanarsi per conferir loro maggiore tranquillità.
“Io vado a salutarlo”, aggiunse subito dopo, avviandosi in direzione di Louis, senza lasciare ad Audrey neppure il tempo di replicare.
“Dicevi?”, incalzò Audrey, facendo trapelare dal suo tono una certa fretta.
Harry deglutì, ancora non del tutto a suo agio nel conferire con una ragazza.
“Alla fine ho fatto come mi avevi suggerito.”, sbottò tutto d’un fiato, sorridendo all’indirizzo di Audrey.
Lei piegò il viso in una smorfia, non capendo a cosa il riccio si stesse riferendo, ma allo stesso tempo per nulla interessata a scoprirlo. Audrey aveva appena preso l’ennesima insufficienza ed in quel momento voleva solo restare da sola. Sapeva che un solo altro passo falso le avrebbe assicurato i corsi di recupero e lei non aveva alcuna voglia di dover trascorrere altro tempo a scuola.
“Bene, sono contenta per te, anche se non vedo come questo possa interessarmi.”, borbottò con freddezza, mentre sistemava lo zaino sulla spalla. “Ora devo andare, ciao.”, lo liquidò infine.
Harry la osservò allontanarsi, spiazzato e deluso dalla reazione tanto cinica ed indifferente di Audrey. Forse si era sbagliato nel vedere in lei una possibile amica.
“Ehi, Louis!”, esordì Bree non appena ebbe raggiunto il ragazzo.
“Ciao doclezza.”, ricambiò lui, riservandole un ampio e dolce sorriso. “Come va la giornata?”, le chiese poi, prendendola a braccetto mentre insieme si avviavano verso le macchinette.
“Solite cose, solita noia.”, rispose lei, scrollando le spalle con enfasi.
“Bree, oggi sei strana.”, constatò Louis, soffermandosi ad osservarla più attentamente.
Aveva gli occhi persi nel vuoto che di tanto in tanto saettavano verso l’alto, l’espressione assente e continuava a ticchettare con le dita della mano sinistra sulla coscia, come a voler scaricare la tensione. Sembrava sul punto di esplodere, un concentrato di agitazione in un corpo minuto come il suo.
“Sono solo stanca.”, mentì aumentando il passo.
Era chiaro che quella mattina avesse preso nuovamente una dose eccessiva di farmaci. Louis non sapeva molto in materia, ma svariate volte aveva sentito di neurolettici che avessero come effetto collaterale l’acatisia, l’iperattività o l’ansia generale.
“Te l’ho già detto, Bree.”, la rimproverò Louis. “Dovresti smetterla con quelle schifezze.”, chiarì sperando che gli desse ascolto.
“Sto bene Louis, sto bene.”, controbatté con tono troppo pacato per poter essere naturale.
Louis si fermò all’istante, facendo bloccare anche Bree al suo fianco. L’espressione spaurita di Bree si parò davanti agli occhi chiari di Louis, provocandogli una leggera fitta al cuore.
“Bree, sul serio, smettila.”, mormorò con la voce spezzata.
La ragazza abbassò il capo, immobilizzandosi all’istante. Prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, senza riuscire a trovare il coraggio di dire nulla. Sapeva che non ne avrebbe potuto fare a meno tanto facilmente, ormai per lei era quasi un’abitudine.
“Ce la puoi fare, Bree.”, sussurrò ancora.
La voce carezzevole di Louis fece sorridere la ragazza, poi lui portò una mano sul suo volto per accarezzarle una guancia. Bree non disse nulla, preferendo non rovinare quel magico momento che fu interrotto solo dal fastidioso suono della campanella che annunciava l’inizio delle successive lezioni.
Louis sospirò, mentre si dirigeva insieme a Bree in classe, senza voglia alcuna di seguire il corso di psicologia. Lui e quella ragazza, in fondo, non erano poi tanto diversi. Bree non sapeva rinunciare ad una buona dose di farmaci che la aiutassero a mantenere stabile il suo umore, mentre Louis non poteva astenersi da quelle serate intense trascorse a sballarsi sotto l’effetto di una pasticca di ecstasy. Non aveva mai completamente compreso le ragioni di Charlotte, non prima di aver visto lo sguardo di Bree quella mattina. Louis aveva percepito la sua fragilità, la sua impossibilità di difendersi, di farsi valere, di essere forte e combattere contro tutto e tutti e ne aveva sofferto. Forse era quella la sensazione che Charlie provava ogni qualvolta lo vedesse poco lucido, del tutto distaccato dalla realtà. Era la condizione di impotenza ad averlo scosso. Non avrebbe potuto fare nulla per Bree in quel momento, se non tenerla sotto controllo, ma nella sua mente Louis sapeva che si stesse tenendo una della battaglie più importanti. Era quello, ora ne era quasi certo, che Charlotte aveva ripetutamente patito a causa sua. E, ad esso, Louis doveva aggiungere l’irreperibilità, la perenne preoccupazione che potesse succedergli qualcosa ed il timore che esagerasse. Pensò che Charlie era stata coraggiosa ad affrontare tutto ciò da sola e per così tanto tempo e d’un tratto tutto il rancore che aveva provato per lei sembrava essere svanito. Forse non lo aveva abbandonato come lui si ostinava a credere. Forse voleva soltanto liberare entrambi da quelle per nulla auspicabili circostanze, concedendo così un’alternativa a se stessa, ma anche a Louis.

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Angolo Autrice
Bene, bene, bene... eccomi tornata!!!:D Sì, lo so, è passata una vita... Questo periodo è stato davvero stressante!
Sto studiando come una matta disperata e per di più ho anche avuto dei problemucci con il pc. Ma tralasciamo le mie disavventure e veniamo al capitolo!:D
Questa volta si parla di Louis... in realtà si parla di tutti, ma mi serviva sottolinerare in qualche modo la scena iniziale e quella finale,
che per lo sviluppo della sua personalità sarano piuttosto importanti.
Liam e Millie hanno rotto e, che dire, Millie sembra proprio voler sempre avere l'ultima parola su tutto, eh?
Ed Audrey non ci mette neppure mezzo secondo a far morire tutto l'entusiasmo di Harry... poverino!!!
Zayn lo vediamo poco qui,  lo stesso vale per Niall, Charlie si mostra apprensiva, ma abbiamo una nuova notizia su Margaret: un nuovo ragazzo in vista, forse??
Vabbè dai, ci tenevo a ringraziare le persone che leggono, che seguono, ricordano e preferiscono!*.*
Okay, non mi dilungo che stasera sono in modalità "quasi quasi scrivo qualcosuccia"!xD
Dai, se ne avete voglia lasciate un commentuccio... ne sarei davvero felicissima!!
Alla prossima!:*
                                                             Astrea_












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Capitolo 14
*** Audrey ***


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AUDREY

Audrey socchiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dal ritmo forte e dal rumore assordante che proveniva dalle cuffie poggiate alle orecchie. Sdraiata sul letto, con le gambe stese in alto lungo la parete della camera, ascoltava musica dalla sua playlist preferita salvata sull’ipod azzurro. Con le dita ticchettava sul morbido materasso, seguendo la cadenza della canzone e ne intonava le parole in un flebile mormorio. Il suo cellulare vibrò per l’ennesima volta sul comodino, ma Audrey non poté sentirlo. Aveva rifiutato un invito in discoteca quella sera, per godersi la tranquillità della casa. Bree le aveva proposto di andare con gli altri a ballare in un locale del quale neppure ricordava il nome, ma Audrey non si era lasciata persuadere dell’entusiasmo dell’amica. Non aveva alcuna voglia di sforzarsi di sembrare cordiale e di scambiare chiacchiere di circostanza. Il suo respiro era profondo e regolare, la sua mente sembrava farsi sempre più leggera grazie all’assenza di ogni pensiero. Le forti note la distraevano, concedendole dei momenti di puro relax che Audrey avrebbe voluto non finissero mai. D’un tratto la musica si bloccò, facendo mugolare Audrey per la seccatura. Spostò lo sguardo sullo schermo ormai completamente nero dell’ipod e lo afferrò tra le mani, provando a riaccenderlo. Sbuffò, nel constatare che ormai era del tutto scarico, poi si girò su se stessa e si sporse in direzione del comodino per cercare il caricabatterie. Solo allora Audrey si accorse della spia rossa del suo cellulare che lampeggiava. Storse il labbro in una smorfia e, nonostante non avesse alcuna intenzione di mettersi in comunicazione con il resto del mondo, decise ugualmente di controllare chi l’avesse cercata. Notò sei chiamate perse, tutte effettuate dallo stesso numero che Audrey non aveva salvato nella sua rubrica. Sospirò, ora indecisa sulla prossima mossa, e mentre ancora rimuginava a gambe incrociate sul suo letto, il telefono vibrò ancora una volta. Riconobbe immediatamente la stessa sequenza di cifre e, seppur svogliatamente, accettò la chiamata.
“Si?”, esordì portando il dispositivo all’orecchio con una mano, mentre con l’altra continuava a cercare il caricabatterie dell’ipod dal groviglio di fili presenti sul suo comodino e nel primo cassetto di esso.
“Sei la sorella di Millie?”, una voce femminile e giuliva raggiunse l’orecchio di Audrey.
Aggrottò la fronte, mentre le labbra si piegavano in una smorfia di fastidio ed irritazione.
“Sì.”, confermò acidamente Audrey. “E se chiami per qualche scherzo del cazzo sappi che…”, iniziò con tono duro, ma fu prontamente interrotta dalla ristata briosa della ragazza.
“No, no.”, provò a dire quella, probabilmente cercando di trattenere le risa che ancora le riempivano la bocca.
Era palesemente ubriaca e quel dettaglio infastidiva maggiormente Audrey. Fece roteare gli occhi, poi prese un respiro profondo e cercò dentro di lei la forza per non agganciare immediatamente la chiamata.
“Tua sorella direi che non sta granché bene.”, riprese sempre quella voce, questa volta con fare riluttante. “Puoi venirla a prendere?”, le chiese con voce quasi languida che fece raccapricciare Audrey.
“Non me ne fotte un cazzo.”, sbottò allora, ormai esausta di quella patetica scenetta.
Già riusciva a vedere il volto soddisfatto di Millie, mentre insieme a quella tipa che l’aveva appena chiamata se la spassavano alle sue spalle, deridendola per chissà quale sua inspiegabile reazione.
“Uhm.”, fu l’unico suono che Audrey ricevette in risposta.
In sottofondo Audrey poteva chiaramente percepire il rumore di musica techno riecheggiare chissà dove, coprendo a tratti anche i vaneggiamenti della ragazza con la quale stava accidentalmente parlando.
“Senti Aubrey o come cazzo ti chiami, sono talmente ubriaca che tra poco vomito anche la mia fottuta anima.”, sbottò ancora con tono ilare, quasi come se tutta quella situazione la divertisse. “Quindi o vieni a prendere quella cazzo di tua sorella prima che qualcuno se la scopi mentre dorme o vaffanculo.”, concluse infine, urlando.
“Dove siete?”, chiese Audrey dopo qualche istante di esitazione.
Si era convinta, infatti, che non si potesse trattare di uno scherzo. Quella ragazza era davvero ubriaca, chiunque ella fosse, inoltre neppure una volta le era parso di sentire la voce di Millie proprio lì accanto.
“A Brixton, Stockwell Park Estate.”, gracchiò tentennando sulle ultime parole.
“Va bene, arrivo.”, terminò Audrey, chiudendo la telefonata.
Lei non conosceva neppure la zona in questione. Londra era una città tanto grande e vasta e lei, di certo, non si poteva dire che l’avesse vista tutta. Si alzò dal letto, afferrò il cellulare in una mano e con ancora indosso la tuta grigia si avviò giù per le scale. Prese le chiavi della sua auto, che finalmente le era stata recapitata, ed uscì di casa senza neppure informare suo padre. Non aveva la benché minima idea di dove quel posto fosse ubicato. Conosceva la zona per sentito dire e generalmente nessuno aveva mai riservato delle parole di riguardo per l’area di Brixton, soprattutto di notte. Continuava a chiedersi come sua sorella fosse potuta finire lì, per quale assurda ragione avesse preferito proprio quel quartiere ai locali alla moda che solitamente frequentava. Quando Audrey fu nella sua macchina, seduta alla guida, cercò sul cellulare il nome del complesso che quella ragazza le aveva fornito, scoprendone l’indirizzo che poi rapidamente impostò sul navigatore. Quella zona non era conosciuta di certo per essere tranquilla, soprattutto se la si frequentava di notte. Audrey preferì non pensare, non pensare neppure a come avrebbe fatto a trovare Millie, una volta giunta lì, a cosa poteva esserle successo di tanto grave da giungere persino a chiamare lei. Mise in moto e per una volta desiderò con tutta se stessa che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto.
Louis teneva gli occhi chiusi e le braccia al cielo, quasi potesse immaginare di arrivare a sfioralo con le dita. Seguiva con dei movimenti fluidi ed energici il ritmo dettato dal dj, la musica gli pulsava nelle vene, la testa quasi aleggiava per quanto la percepisse leggera e le labbra erano incurvate in un perenne sorriso sereno. Le due sfere argentate che spiccavano dal cerchietto che teneva poggiato sul capo rimbalzavano continuamente, seguendo i passe di Louis.
“Margaret!”, esclamò afferrando per un braccio la ragazza che ballava accanto a lui.
Lei sorrise, divertita dalla buffa espressione che il viso di Louis aveva assunto.
“Dimmi.”, lo incitò, facendo una giravolta introno a lui.
Louis perse la percezione dello spazio, ormai tutto sembrava muoversi, ruotare tanto vorticosamente da confondergli i sensi. Lanciò un urlo entusiasta che all’orecchio di Margaret parve molto più simile ad un ululato giocoso.
“Sono felice!”, gridò poi, dopo aver ripreso fiato.
Sorrideva, ballava, urlava, si divertiva. E a Louis non importava della testa che iniziava a pulsare per il lancinante dolore che lo aveva colpito, non dava peso alla stanchezza che percepiva nelle gambe, al fiato corto e alle gocce di sudore che imperlavano la fronte ed inumidivano le punte di qualche ciocca di capelli. Persino la vista annebbiata era un dettaglio che per Louis poteva essere bellamente trascurato. Se quello era il prezzo da pagare per sentirsi tanto leggero e sereno, Louis sarebbe stato pronto a farlo in qualsiasi momento. Aveva bevuto qualcosa, poi era riuscito a recuperare una pasticca di ecstasy e l’aveva presa. Non pensava, non ragionava, nella sua mente c’era il nulla totale.
“No, sei andato.”, lo corresse lei, con tono leggermente canzonatorio.
Louis scrollò le spalle, con fare confuso.
“Fa lo stesso.”, borbottò. “Sono il re del mondo, cazzo!”, sbottò poi in un impeto di ebbrezza, con la mano sinistra stretta in un pugno che tendeva verso l’alto.
Margaret rise, stringendo prontamente il pugno di Louis nella sua mano, per poi portarlo verso il basso.
“Va bene, campione.”, lo assecondò. “Ora però diamoci una calmata.”, riprese cercando di trattenerlo mentre già si avviava verso un gruppetto di ragazze.
“Balla con me, Margaret.”, propose allora, avvicinandosi alla ragazza tanto da far scontare i loro bacini.
“Stiamo già ballando, Louis.”, gli fece notare lei, sorridendogli amichevolmente.
I loro copri erano ora vicini, le loro mani ancora intrecciate ed i loro visi separati solo da qualche spanna.
“Evvai!”, esultò allora, ammiccando in direzione di Margaret, riprendendo a ballare con lei.
Zayn li guardava, nascosto in un angolo poco affollato del locale. In realtà voleva solo assicurarsi delle condizioni di Louis e controllare che non facesse danni o si allontanasse da solo, soprattutto dopo l’ultima volta. Una strana e fastidiosa sensazione lo costrinse a spostare gli occhi altrove, alla ricerca di qualcosa, ed immediatamente incontrò lo sguardo intenso di Jennifer, una ragazza dai lunghi capelli ricci e castani, che di tanto in tanto lo contattava per un po’ di fumo.
Lei gli si avvicinò con passo felpato, i suoi occhi chiari rimanevano fissi in quelli ambrati di Zayn.
“Ciao.”, lo salutò lei, mantenendo una certa distanza dai loro corpi.
Zayn tendenzialmente incuteva un certo timore nelle persone, per questo motivo la maggior parte di esse preferiva mantenere un discreto distacco. L’unica eccezione che Zayn avesse mai incontrato era Millie, quella presuntuosa, arrogante, superficiale ed egocentrica ragazza che non aveva esitato neppure una volta ad infrangere quella barriera.
“Che vuoi?”, le domandò con voce dura e sguardo severo.
Lei lo fissava con gli occhi impauriti e spaesati, completamente a disagio, e con il labbro inferiore conficcato tra i denti. Zayn si chiedeva sempre perché una ragazza come lei continuasse a cercare uno come lui. Era timida, seria, aveva l’aria intelligente ed il callo dello scrittore al dito medio della mano destra.
“Hai…”, iniziò con un filo di voce.
Teneva la testa bassa e le mani nascoste nelle tasche dell’enorme felpa nera che indossava. Zayn rimase impassibile, continuava a studiare ogni suo movimento senza lasciar trapelare emozione alcuna dal suo viso.
“Sì, insomma, hai dell’erba?”, chiese infine lei, alzando di scatto il volto in direzione di quello del ragazzo.
Zayn piegò le labbra in quello che doveva essere un sorriso di conferma, infilò una mano nella tasca interna del giubbino di pelle e ne estrasse una piccola bustina contenete appena qualche grammo di fumo. Se solo avesse riflettuto su ciò che stava facendo, probabilmente Zayn si sarebbe preso a pugni da solo, indignato dal suo medesimo comportamento. Non trovava alcuna motivazione plausibile per giustificare ciò che aveva preso a fare. Era il messaggero del diavolo, non avrebbe mai potuto far del bene a qualcuno e questo lui lo sapeva bene. Se ne pentiva, ogni volta che sentiva la solita tasca svuotarsi, e pensava a come avrebbe potuto dare un taglio netto a tutta quella storia che lo stava facendo completamente impazzire. Lottava, Zayn lottava perennemente contro i suoi principi, ormai corrotti e degenerati. Quella battaglia non avrebbe mai potuto vincerla solo con la forza delle idee, serviva un qualcosa di concreto, un qualcosa che gli assicurasse la fine di ogni contatto con quel gruppo di squilibrati a cui era costretto a far riferimento.
Solo quando quella ragazza di allontanò, soddisfatta, Charlotte di decise ad avvicinarsi a Zayn. Lo aveva visto, aveva visto quello sguardo tormentato e l’aria di chi non avesse scelta, ma di certo non riusciva a provar pena o compassione. Zayn, per lei come per tutti, era solo quel ragazzo viziato e ricco che per divertirsi faceva girare un po’ di roba alle feste. Charlie lo odiava per questo, odiava che per mesi avesse dato a Louis quello che gli chiedeva, che non avesse provato a fermarlo, che continuava a fare esattamente la stessa cosa con tutti, senza curarsi delle conseguenze che le sue azioni procurassero sugli incoscienti che si affidavano a lui.
“Ciò che fai è illegale.”, esordì lei, affiancandolo a braccia incrociate e aria di sfida.
Zayn ghignò, mentre riponeva ordinatamente dei soldi nella tasca dei jeans. Poteva chiaramente immaginare a cosa si riferisse Charlie, ma soprattutto poteva prevedere la sua reazione ed intuire il suo giudizio critico.
“Tante cose lo sono.”, replicò lui con quel tono vago che irritò ulteriormente Charlotte.
“Tu sei solo un egoista senza cervello.”, lo accusò puntando il suo sguardo di ghiaccio negli occhi ambrati di Zayn.
Il moro fece un cenno del capo, quasi come fosse lusingato da quel commento, poi aggrottò la fronte e fece finta di riflettere su quelle poche parole. Il suo viso era arricciato in una smorfia ironica e derisoria.
“Teoria interessante, davvero.”, si complimentò annuendo, con gli occhi puntati oltre il viso di Charlotte. “Peccato che non abbia il tempo di analizzarla.”, concluse con le labbra incurvate in un sorriso beffardo, mentre già si allontanava dalla bionda.
Charlie arricciò il naso, trattenendosi dal rincorrere il moro e rispondere a tono a quella sua provocazione. Aveva più volte provato ad avere una conversazione civile con lui, ma puntualmente Zayn la troncava, seccato dal tono moralista di Charlotte. La ragazza sbuffò, mentre faceva vagare lo sguardo alla ricerca di qualche viso a lei noto. Era arrivata con Margaret, ma poi le loro strade si erano divise. La prima, infatti, aveva preferito bere qualcosa, la seconda si era subito fatta trascinare in un vortice di danze da Louis. Charlie li aveva visti, mentre si scatenavano in pista, e per un attimo aveva sentito una strana sensazione al petto, come se qualcosa stesse facendo pressione sul suo cuore, strizzandolo. Si era detta che non sarebbe stata mai gelosa del suo ex ragazzo, ma quando Louis aveva sorriso a Margaret, Charlie aveva distintamente percepito un filo di amarezza.
“Charlie, ma dove ti eri cacciata?”, la riscosse Niall, attirando l’attenzione della ragazza.
Charlie accennò ad un sorriso e si avviò per raggiungere Niall ed Harry, da cui prima si era allontanata per qualche minuto. Avevano trascorso insieme l’intera serata, chiacchierando e sorseggiando qualche drink.
“Scusate, ero andata in bagno e poi ho visto Zayn.”, spiegò posizionandosi tra i due, con i gomiti poggiati sul bancone del bar.
“Ma Bree non era con te?”, domandò allora Harry, sorpreso dall’assenza della ragazza dai capelli rossi.
Il viso di Charlie si corrugò in un’espressione scettica, facendo chiaramente intuire ai due che non avesse compreso a cosa si stessero riferendo.
“Non tornavi, così è venuta a cercarti.”, chiarì il biondo.
Per qualche istante il silenzio si impadronì di loro. Solitamente era Audrey ad occuparsi di Bree, ad assicurarsi che stesse bene e che non esagerasse, ma ora che lei era assente nessuno di loro sapeva come comportarsi. In realtà non conoscevano neppure le abitudini di Bree, i suoi limiti, avevano solo una vaga idea sul fatto che eccedesse nell’uso di psicofarmaci.
“Credete che dovremmo andare a cercarla?”, la voce di Charlie era quasi un impercettibile sussurro.
Harry scrollò le spalle, mentre Niall si limitò a piegare le labbra in una smorfia insicura.
“Probabilmente si sta solo divertendo.”, ipotizzò quest’ultimo.
Harry non era del tutto convinto di quelle parole, in realtà neppure Charlie e lo stesso Niall lo erano, ma preferirono credere che il biondo avesse ragione. Sarebbe stato di certo più semplice per loro convincersi del fatto che Bree stesse bene e che se la stesse spassando a poca distanza da loro e, per quanto loro ne potessero sapere, forse era davvero così.
“Altro giro?”, propose Charlie, adocchiando il bicchiere vuoto di Harry, prima di ordinare per entrambi.
Bree era seduta sul marciapiede di fronte all’uscita di emergenza del locale, avvolta da un’atmosfera scura e silenziosa. Dall’interno proveniva della musica chiassosa ed assordante, mista al cattivo odore di alcool e sudore. Con una mano continuava a sfregare sulle braccia e sulle cosce, cercando di faresi calore, mentre con l’altra teneva tra le dita una sigaretta accesa che non accennava ad avvicinare alla bocca. Non era la sua, l’aveva chiesta ad un ragazzo che aveva incontrato uscendo e lui era stato ben lieto di offrirgliela. L’aveva accesa, pensando che l’avrebbe fumata per rilassarsi, ma non era riuscita a farne neppure un tiro. La avvicinava alle labbra, la poggiava su di esse e poi, quando veniva il momento di fare un tiro, scuoteva il capo inorridita e l’allontanava nuovamente. Si consumava, ma a Bree non interessava affatto. Quando era andata a cercare Charlie non aveva trovato la sua amica nei bagni, bensì una ragazza in preda ad un attacco di panico. Bree l’aveva vista dimenarsi, le mani e le labbra le tremavano, gli occhi si perdevano nel vuoto, incapaci di concentrarsi su qualsiasi cosa, mentre fiumi di lacrime le coprivano il viso. Una sua amica provava a rassicurarla, avvolgendola in un caldo abbraccio, marcando il suo respiro per fornirle un ritmo a cui adeguarsi. Quella scena l’aveva scossa, tanto che aveva preferito allontanarsi per prendere una boccata d’aria, piuttosto che tornare da Niall ed Harry.
“Ciao.”, una voce maschile la fece sussultare per lo spavento, costringendola a voltarsi nella direzione da cui essa proveniva.
Bree sgranò gli occhi quando distinse nel buio il volto di Liam. Il ragazzo avanzava a passo lento, fino a sedersi a pochi centimetri da Bree, su quel marciapiede freddo e sporco. L’espressione scettica e perplessa con la quale Bree continuava a fissare Liam fece sorridere il ragazzo. Era davvero sorpresa, di certo non si aspettava che proprio lui, il ragazzo di Millie, si avvicinasse a lei con tanta naturalezza. In realtà Audrey le aveva detto che quei due si erano lasciati appena qualche giorno prima, me per Bree quelli erano solo degli inutili dettagli. Sapeva che Millie e Liam fossero fatti l’uno per l’altra, erano pressoché identici dal punto di vista caratteriale e, soprattutto, si chiedeva chi altri avrebbe potuto sopportare dei tipi come loro. Neppure Liam sapeva come in realtà fosse finito proprio accanto a Bree. I suoi piani per la serata prevedevano una ragazza sexy da conquistare, tramite la quale comunicare la fine definitiva della sua relazione con Millie, e qualche bicchiere di troppo per renderlo più euforico. Invece, Liam aveva rinunciato ai suoi progetti nell’esatto momento in cui la bionda con la quale stava ballando aveva provato ad avvicinare la sua bocca a quella del ragazzo. Era uscito dal locale, deciso a voler tornare a casa, ma poi aveva notato Bree e l’aveva raggiunta. La testa di Liam voleva scoppiare per quante fossero le domande ed i dubbi che in quel momento la riempivano.
“Ciao.”, il labile sussurro di Bree lo fece ridestare dai suoi pensieri.
I grandi occhi chiari di lei erano puntati in quelli nocciola del ragazzo, Bree li scrutava attentamente per carpire da essi delle informazioni. Conosceva abbastanza Liam da intuire che dietro a quel casuale incontro ci fosse un motivo ben preciso che ancora non riusciva a spiegarsi. In realtà, forse per la prima volta, Liam non aveva alcun secondo fine da raggiungere.
“La sigaretta.”, notò il castano, lanciando un’occhiata al cilindretto che Bree ancora teneva in mano. “È finita.”, continuò accennando ad un lieve sorriso, con il solo scopo di apparire più cordiale.
Aveva notato quanto restia fosse Bree nel rivolgergli la parola, del resto quello della ragazza era un atteggiamento piuttosto comprensibile. Bree la gettò a terra, poi chinò il capo in direzione delle ginocchia, mentre affondava i denti nel labbro inferiore, per mascherare il nervosismo che l’aveva colta.
“Ne vuoi un’altra?”, chiese Liam, per smorzare la lieve tensione che l’imbarazzo aveva creato.
Bree scosse il capo.
“In realtà non ho fumato neppure quella.”, spiegò alzando il volto fino ad incontrare quello di Liam.
Il ragazzo sorrise, alzandosi di scatto, per poi porgere una mano a Bree.
“Andiamo, ti porto a casa.”, propose allora, fissando gli occhi verdi di Bree.
Lei rimase spiazzata da quella offerta, tanto che in un primo momento non ne comprese neppure il significato. Tutto le appariva così strambo, assurdo per essere vero. Continuava a chiedersi che fine avesse fatto quello stesso Liam che fino a qualche tempo fa sogghignava sornione quando Millie le riservava dei nomignoli poco carini. Si interrogava su come quegli occhi tanto limpidi potessero non essere sinceri in quel momento. Così, senza indugiare oltre, afferrò la mano di Liam e si fece accompagnare da lui a casa. Bree non percepì neppure più imbarazzo, in quel silenzio che regnò sovrano durante il tragitto.
Audrey aveva vagato per ore, alla disperata ricerca di sua sorella. Aveva passato in rassegna l’intero Stockwell Park Estate senza trovare traccia alcuna di Millie tra la miriade di ragazzi che inondava quel posto. Audrey aveva provato a non fare caso al terribile ed inebriante odore di alcool, aveva ignorato quel tipo che l’aveva avvolta con una nuvola di fumo ed aveva fatto finta di non vedere quelle siringhe ammucchiate in un angolo poco visibile. Audrey continuava a sbattere le palpebre, era terrorizzata, si chiedeva come sua sorella fosse potuta finire lì e, soprattutto dove si trovasse in quel momento. Sussultava ad ogni sguardo che le veniva rivolto, tremava quando qualcuno per sbaglio la sfiorava. La musica era alta, talmente tanto che non sarebbe riuscita a sentire la voce di Millie ad appena pochi metri di distanza. Quell’ambiente era sporco, lurido, lo percepiva persino dagli occhi assenti, sofferenti e maligni che si stagliavano dai visi spenti o scuri di quelle persone.
Provò a rintracciare per l’ennesima volta sua sorella, chiamandola sul cellulare, ma nuovamente risultò non raggiungibile. Voleva solo accertarsi che stesse bene, per poi poter tornare a dedicarsi alla sua serata, quella magnifica serata che era stata interrotta dalla telefonata di quella ragazza che Audrey neppure conosceva. Solo quando stava per perdere le speranze, Audrey notò sul lato destro dell’atrio di uno dei tanti edifici una ragazza castana, dai lunghi capelli mossi. Si avvicinò, fino a riconoscere in quel volto pallido e gli occhi rossi, i lineamenti di Millie. Se ne stava seduta a terra, con le gambe stese e la tesa reclinata all’indietro. Farneticava qualcosa che Audrey non riusciva a comprendere e con una mano giocava con i laccetti dei tacchi che aveva tolto. Audrey tirò un sospiro di sollievo, mentre la raggiungeva, chinandosi su di essa.
“Millie, cosa cazzo ci fai qui?”, tuonò e nella sua voce poté scorgere tutta la tensione che aveva raccolto in quelle ore di disperata ricerca.
L’altra mugolò soltanto, senza riuscire a proferir parola.
“Millie, Millie!”, la richiamò preoccupata Audrey.
Le sue condizioni erano decisamente troppo gravi per essere dovute ad una semplice sbornia.
“Millie!”, esclamò ancora, scuotendo leggermente il corpo della sorella.
“Le luci, ci sono tante luci.”, blaterò con un filo di voce, mentre con le mani sembrava voler allontanare qualcosa da lei.
“Alzati, dai.”, la incitò Audrey, afferrando il braccio della sorella per poi passarselo sulla spalla.
Con un po’ di fatica riuscì ad alzarla da quella superficie fredda e sporca che l’aveva ospitata per troppo tempo.
“Ma tu sei Audrey?”, le chiese Millie, aggrappandosi maggiormente al corpo della sorella.
Audrey barcollò, prima di riuscire a ristabilire l’equilibrio.
“Sì, sono io.”, confermò mentre cercava di portarla fuori di lì.
“E perché sei qua? Tu non mi odi?”, le domandò studiandola con fare circospetto, senza però riuscire ad avere un’aria credibile.
“No, Millie. Io non ti odio.”, confessò di getto Audrey. “Io non ti odio.”, ripeté in un sussurro appena udibile.
Millie le sorrise, poi chinò il capo e chiuse gli occhi, esausta, affidandosi completamente alla sorella.

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Angolo Autrice
Ed oggi aggiornamento lampo! Insomma, erada un po' che non riuscivo ad aggiornare tanto presto!! Bene, buongiorno a tutti!:D
Okay, questo capitolo è dedicato ad Audrey, del resto non potevo non mettere in evidenza quel rapporto che, comunque, la lega all'altra gemella Wood.
E mentre Audrey contina a cercare Millie, vediamo cosa succede agli altri ragazzi, che se la spassano ad una festa.
Bene, bene... aria di gelosia per Charlie? O solo effetto "poco fa c'ero io al suo posto, ma ora sono felice che anche lui possa andare avanti"?xD
E mentre Zayn osserva tutto da lontano, Harry, Niall e Charlie si perdono Bree, ma poi ci pensa Liam a lei, il quale è persino gentile!
Che dire, le cose sono ancora piuttosto confuse... voi cosa ne pensate?  Insomma, se vi va, fatemi sapere, ne sarei davvero felice!
Ringrazio chi segue, preferisce e ricorda... thanks!!<3 E ringrazio chi legge!*.*
Alla prossima!:*
                                                                   Astrea_

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Capitolo 15
*** Zayn ***


f

ZAYN

Zayn tamburellava con la penna sula superficie di vetro del tavolino del salotto. Era seduto a gambe incrociate sul pavimento, fingeva di leggere alcune pagine di un libro preso a caso dallo zaino poco prima. Da oltre dieci minuti era fermo sempre alla stessa facciata, allo stesso rigo, alla stessa parola, la prima in alto a sinistra. Teneva il volto chino in direzione del testo, impedendosi qualsiasi movimento, ma il suo sguardo sbieco era tutto rivolto al cellulare che continuava a vibrare. Zayn sapeva perfettamente chi fosse, non aveva avuto neppure bisogno di leggere quel nome lampeggiare sul display del suo cellulare per intuire l’identità della persona che lo cercava. Proprio per quel motivo aveva deciso di ignorare deliberatamente quei patetici tentativi di contattarlo, non aveva alcuna voglia di sentire quella finta voce cordiale riempirlo di bugie per l’ennesima volta. Cercò di concentrarsi sullo studio, esultando quando riuscì a terminare la prima frase del primo paragrafo, ma ancora una volta fu distratto da quella fastidiosa vibrazione. Non avrebbe risposto, Zayn continuava a ripeterselo nella mente come se avesse bisogno di convincersi di quelle parole. Era combattuto, devastato, tormentato dal desiderio di volerlo risentire ed il rancore che ancora nutriva nei suoi confronti. Erano sempre stati legati da un rapporto speciale, confidenziale ed amichevole. Zayn aveva cercato di aiutarlo sempre, in ogni modo possibile, e di supportarlo in tutte le sue iniziative, anche quelle che si preannunciavano fallimentari. In cambio, lui aveva ricevuto solo tante delusioni. Zayn non era quel tipo di ragazzo che donava per ricevere, non si era comportato bene con lui solo nella speranza che un giorno quel favore potesse essere ricambiato. Zayn lo aveva fatto per amore, affetto, fiducia, quegli stessi sentimenti che erano stati traditi. Non avrebbe perdonato tanto facilmente i torti che lui gli aveva fatto. Poco importava se Zayn fosse costretto a saldare il suo debito, ciò che lo aveva ferito era stata la lontananza e la sensazione di abbandono. Zayn non avrebbe dimenticato tanto facilmente il modo in cui Jamal aveva deciso di partire, con tanta leggerezza e superficialità, non gli avrebbe perdonato la negligenza e l’indifferenza che proprio Jamal aveva dimostrato nei suoi confronti. Non avrebbe risposto alla chiamata, Zayn cercava di imprimere quelle poche parole a caratteri cubitali nella mente, come un promemoria che non avrebbe mai dovuto dimenticare. Quella ferita era ancora troppo aperta sul suo cuore, per poter essere ignorata. Zayn la sentiva bruciare ogni volta che leggesse quel nome sullo schermo del telefono, ogni volta che quel nome venisse pronunciato dalle sue sorelle o dai suoi genitori.
“Zayn, tesoro, ti cerca Louis. Dice che ti aspetta all’ingresso.”, esordì frettolosamente sua madre, mentre si aggirava per casa con in mano una decina di fogli che avrebbe dovuto esaminare.
Non le piaceva trascorrere molto tempo fuori casa, dunque ogni qualvolta le fosse possibile, raccoglieva dall’ufficio tutte le pratiche di cui necessitava e le portava lì, cosicché tra una pausa e l’altra potesse vedere i figli e non gli odiosi, assillanti ed arrivisti assistenti.
Zayn annuì, lanciando una veloce occhiata alla figura della madre, concentrata ora a decifrare la scrittura di quello che aveva tutta l’aria di essere un verbale, mentre alla cieca cercava di raggiungere la cucina. Sorrise nel vedere sua madre, quella donna che tutti consideravano perennemente perfetta in tutto, che si districava tra il lavoro e la famiglia.
Con un gesto secco lasciò cadere la penna sul tavolino e chiuse il libro, rinunciando definitivamente ad ogni tentativo di leggerne degli stralci. Si alzò e recuperò il cellulare che finalmente aveva cessato di vibrare.
“Io esco, ci vediamo più tardi.”, salutò mentre si avviava verso il portone.
Sua madre non riuscì neppure a rispondere che Zayn aveva già preso il cappotto, le chiavi ed il portafogli che teneva all’ingresso ed era andato via.
“Ciao bello!”, esclamò Louis entusiasta.
“Ehi.”, fu il saluto decisamente acceso di Zayn.
Louis ormai non faceva più neppure caso ai toni sempre poco allegri e vitali di Zayn. Aveva un carattere particolare, era piuttosto difficile relazionarsi ad un tipo come lui, schivo, riservato e davvero poco affabile, ma era un ottimo amico. Sapeva ascoltare, anche se era pessimo a dare consigli, ma riusciva a comprendere, sembrava arrivare a capire esattamente cosa Louis provasse in determinate circostanze. Zayn era di poche parole, ma il suo viso, per chi sapesse leggerlo, era una continua fonte di forti emozioni e reazioni, i suoi occhi ambrati e limpidi parlavano al suo posto, comunicando solo con quei pochi eletti che avevano avuto il privilegio di avvicinarsi tanto a lui da riuscire ad intuire i suoi pensieri anche solo con uno sguardo.
“Ci sono Margaret, Bree e Niall allo Starbucks, quello all’angolo tra Kensington High St e Allens St.”, gli comunicò Louis, ricordando ciò che Margaret gli aveva riferito appena poco prima con una breve telefonata.
“Quindi?”, replicò Zayn, riservando all’amico uno sguardo interrogativo.
Louis fece spallucce, mentre entrambi si avviavano lungo il vialetto che conduceva al garage dove Zayn teneva parcheggiata la sua auto.
“Potremmo raggiungerli se ti va.”, propose allora, cercando di dare poco credito a quell’alternativa.
In realtà, Louis moriva dalla voglia di raggiungere Margaret immediatamente. Da quando avevano ballato due sere prima in discoteca, Louis non riusciva a pensare ad altro. Nonostante ricordasse molto poco di quella notte, gli occhi della ragazza erano rimasti impressi nella sua memoria, tanto che avrebbe potuto descriverne le pagliuzze in ogni minimo particolare, trovando una precisa tonalità per ognuna di esse.
“Non mi va.”, rispose secco il moro, non trovando per nulla allettante quella prospettiva.
Aveva provato a trascorrere del tempo in compagnia, a cercare di essere gentile, cordiale ed amichevole, ma aveva soltanto finto di essere qualcun altro e non semplicemente Zayn.
“Mh.”, fu l’unico suono che uscì dalle labbra di Louis.
Zayn entrò nel garage, per poi uscirne qualche minuto dopo alla guida della sua auto. Louis lo seguì a ruota, prendendo posto sul sedile del passeggero, poi Zayn si diresse verso il cancello. Lo oltrepassò e si immise nelle larghe e trafficate strade londinesi.
“Ti accompagno da Margaret.”, sentenziò Zayn tutto d’un tratto, con voce impassibile.
Louis istintivamente piegò il viso in una smorfia di confusione, basito. Non aveva ancora detto nulla a Zayn, non gli aveva riferito quanto trovasse simpatica Margaret, ma lui aveva capito lo stesso. Aveva visto quel lieve bagliore di luce negli occhi azzurri di Louis quando aveva pronunciato il nome della ragazza. Sorrise all’amico che guidava, concentrando lo sguardo sulla strada davanti ai suoi occhi.
“Tu, però, vieni con me.”, lo ricattò giocoso.
Zayn sbuffò a quell’affermazione. Avrebbe volentieri accompagnato Louis, magari si sarebbe fatto un giro nei dintorni in attesa che lui si liberasse ed infine sarebbero andati insieme a bere una birra in qualche pub poco affollato in una delle tante traverse che costeggiavano Kensington High St.
“Guarda che hai centinaia di buoni motivi per accettare.”, provò a convincerlo Louis, non scoraggiatosi affatto per quel primo rifiuto.
Era certo, infatti, che di lì a poco lo avrebbe convinto ad unirsi al resto del gruppo.
“Non mi interessa.”, borbottò.
“Ah, no?”, la domanda retorica di Louis era una chiara sfida. “Niall ti sta simpatico, Bree anche, inoltre Millie non vede l’ora di toglierti i vestiti di dosso!”, esclamò indignato dall’indifferenza dell’amico.
Zayn soffocò una ristata, cercando di mantenere una maschera di distacco sul viso.
“Non avevi detto che ci sarebbe stata anche Millie.”, sottolineò con voce impenetrabile, tanto che Louis ebbe serie difficoltà nel comprendere il motivo di quella frase.
“Allora hai deciso che vieni?”, gongolò compiaciuto della vittoria che credeva di aver appena conquistato.
“A dir il vero è una ragione in più per restare lontano.”, chiarì l’altro con le labbra appena incurvate in un ghigno ironico, affondando il piede sul pedale dell’acceleratore.
“Ehilà!”, trillò Louis quando circa mezz’ora più tardi varcò la soglia dello Starbucks e si avvicinò al tavolo dove era seduta la restante parte della comitiva.
Subito lo sguardo del ragazzo si posò sulla sorridente figura di Margaret che gli faceva cenno di accomodarsi accanto a lei. Non c’era ancora stata occasione in cui Louis avesse visto Margaret triste, stanca, svogliata o silenziosa. Era sempre così allegra, vivace, gioiosa e spiritosa da far pensare che forse esistesse davvero qualcosa di bello nella vita. Assaporava quel gusto genuino e salubre che la vita le offriva, cogliendone solo il meglio e vivendo al massimo ogni istante. Louis  la invidiava, invidiava quel suo modo di sorridere persino con gli occhi a tutto ciò che la circondava. Quella di Margaret non era una reazione alla paura di sentire nuovamente l’anima affogare nella tristezza, nella solitudine, nell’amarezza e nella delusione. La sua era un’aspettativa per il futuro, il guardare al domani con positività, il cogliere del buono da ogni situazione.
Louis passò velocemente in rassegna gli altri presenti, volgendo ad ognuno un cenno di saluto. Charlotte era avvolta in un caldo maglione bianco che sembrava quasi mischiarsi con la pelle candida del suo viso. L’espressione serena del volto, rimasta tale anche dopo l’arrivo di Louis, era chiaro segno della sua predisposizione amichevole nei suoi confronti. Niall la guardava di sottecchi, per verificare ogni sua minima reazione all’arrivo di Louis. In realtà Niall aveva preso ad osservarla piuttosto di frequente, affascinato da quegli occhi di ghiaccio, dalla carnagione candida e le labbra rosa e sottili. Probabilmente se non fosse stata proprio la ex ragazza di Louis, le avrebbe già chiesto di uscire. Già diverse volte negli ultimi giorni era stato sul punto di chiedere a Louis come avrebbe preso una simile notizia, ma puntualmente le parole gli erano morte in bocca. Louis, infatti, si era rivelato davvero un buon amico per Niall, disponibile in ogni momento e pronto ad aiutare in caso di necessità. Non avrebbe voluto creargli scompiglio, non dopo così poco tempo. Del resto quella con Charlotte era stata una storia importante per lui, tanto intensa e profonda quanto lunga. D’altro lato, Niall non attendeva altro che lasciarsi definitivamente alle spalle tutta la storia di Millie, ormai esausto e, soprattutto, deluso dalla faccenda. Bree se ne stava tranquilla al suo posto, con il suo solito sorriso ingenuo disegnato sulle labbra e l’aria distratta. Con la mano destra continuava a girare il cucchiaino all’interno della grande tazza ricolma di cioccolata calda, ormai non più fumante. Non ne aveva ancora bevuto neppure un sorso, impegnata a guardare il panno che si creava a causa del calore e che poi lei prontamente distruggeva con quei lenti movimenti circolatori. Non aveva prestato molta attenzione alla conversazione intavolata da Margaret al loro arrivo, in realtà aveva trovato difficoltà nel riuscire a seguirla. L’opprimente sensazione che le mancasse sempre il significato di una parola, di una frase, le impediva di partecipare alla discussione, costringendola al silenzio. Così, quando le ordinazioni erano giunte, Bree aveva chinato la testa coperta dalla chioma rossa ed aveva iniziato a giocherellare con la sua cioccolata. Harry aveva provato a chiederle di Audrey, ma lei aveva risposto semplicemente scrollando le spalle, così anche il riccio si era rassegnato all’impossibilità di chiacchierare con Bree e all’improbabilità di rivedere Audrey nell’immediato. Infine Liam, sorseggiando un caffè macchiato, allietava il tavola raccontando alcune delle esperienze avute durante le ultime vacanze. Era bravo nel raccontare storie, tanto da risultare simpatico a tutti, riusciva a far sorridere anche Niall che ancora nutriva risentimento nei suoi confronti. La sua voce chiara era piacevole da ascoltare, l’enfasi con la quale narrava ogni singolo episodio riusciva a coinvolgere tutti, tanto che persino Bree aveva alzato la testa un paio di volte, ma poi aveva preferito tornare a concentrarsi sulla sua tazza ancora piena. Le pause scandite in tempi giusti, l’espressione sveglia ed ironica del suo viso, gli occhi vispi e luminosi di Liam sembravano riuscire a conquistare sempre tutti. Era proprio per questo motivo che Harry svariate volte aveva temuto di combinare un appuntamento con una ragazza con un’uscita con Liam.
“Ciao.”, salutò Audrey accennando appena ad un sorriso, mentre si avvicinava a loro con passo spedito.
Il volto di Harry si illuminò, quasi si trattasse di una reazione automatica all’arrivo della ragazza.
Bree alzò il volto, richiamata da quella voce tanto familiare e rassicurante che milioni di volte le aveva fornito il sostegno di cui necessitava ed in un attimo le sue labbra si distesero in un nuovo sorriso, questa volta più sincero.
“Ciao Audrey!”, ricambiò prontamente Harry, scuotendo la mano destra a mezz’aria.
Lei aggrottò la fronte, prima di sforzarsi di trattenere una leggera risata dovuta all’espressione buffa che il viso di Harry aveva assunto.
Il ragazzo la incitò a prendere posto accanto a lui e lei, seppur riluttante, lo assecondò.
“Pensavo non saresti più venuta.”, ammise sincero Harry all’orecchio di Audrey.
Liam aveva ripreso il suo sproloquio, dunque tutta l’attenzione, ad eccezione di Bree, era concentrata su di lui ed i suoi intriganti modi di parlare. Nessuno avrebbe mai notato quello scambio di battute appena sussurrate tra i due, inoltre Harry premeva per conoscere il motivo del cambiamento dell’atteggiamento di Audrey nei suoi riguardi.
“Complicazioni.”, mormorò soltanto, senza scomporsi.
Audrey era riservata, fredda, chiusa, Harry lo aveva notato sin dal prima istante, ma mai una volta aveva pensato al riserbo ed al cinismo della ragazza come a degli ostacoli nella loro amicizia.
“Credi che un girono inizierai a rispondere a qualche domanda?”, chiese il riccio.
Audrey a quelle parole puntò il suo sguardo sugli occhi verdi e trasparenti di Harry. Il suo tono di voce era giunto all’orecchio della ragazza come affranto, forse quasi rassegnato, rammaricato dal constatare quanto continuamente lui si sforzasse di avvicinarsi a lei, vendendo tuttavia sempre respinto. Da quando avevano parlato per la prima volta Audrey non si era sbottonata su nulla, rimaneva come un forziere impossibile da aprire, il cui contenuto non sarebbe stato mai rivelato a nessuno.
“Sono venuta con mia sorella, aveva bisogno di uscire. Non le ho detto dove l’avrei portata, così quando siamo arrivate si è opposta. Credo non volesse vedere Liam e alla fine ha preferito aspettare in auto.”, spiegò con un filo di voce, non riuscendo neppure a controllare quel fiume di parole che fuoriusciva dalle sue labbra.
Audrey voleva essere aperta, voleva che qualcuno guardasse all’interno di quel forziere, che andasse oltre gli strati di matita ed i vestiti scuri che indossava anche quel giorno. Aveva paura, aveva paura di rimanere sola, che nessuno l’avrebbe mai ricordata in futuro o soltanto menzionata in chissà quale buffo racconto di episodi passati.
Sulle labbra di Harry prese forma un ampio sorriso, incorniciato da due piccole fossette scavate appena su ambedue le guance. Non si aspettava una simile reazione da parte di Audrey, non così all’improvviso. Sarebbe stato pronto ad aspettare mesi per cavar fuori qualcosa da lei, ma sorprendentemente lei aveva deciso almeno per quella volta di deporre le barriere difensive e lasciare che Harry entrasse nel suo piccolo ed incasinato mondo.
Millie aspettava la sorella appoggiata allo sportello della sua auto, mentre stancamente fumava una sigaretta. Aveva apprezzato il tentativo di Audrey di includerla in quel falsamente adorabile pomeriggio, ma non era ancora pronta per affrontare tutti. Ricordava poco della notte in cui Audrey era andata a recuperarla a Brixton, ma le era profondamente grata. Aveva pensato di essere sola, aveva creduto che dopo la rottura con Liam tutto fosse finito, ed invece aveva riscoperto una piccola ed intrascurabile parte della sua vita. Sua sorella, per quanto poco si tollerassero, era pur sempre parte della sua famiglia. Audrey non aveva esitato ad aiutarla nel momento del bisogno, era stata l’unica, nonostante tutti i litigi e gli insulti che avevano caratterizzato il loro rapporto negli ultimi anni. Inspirò a pieni polmoni l’aria gelida di quel tardo pomeriggio londinese. Le macchine inondavano le strane, rilasciando gas inquinanti nell’aria. Portò la sigaretta alle labbra e fece un altro tiro. Con lo sguardo vagò sulle vetrine che si affacciavano su quel tratto, soffermandosi poi sui volti dei passanti che camminavano spediti alla ricerca di chissà cosa. Trasalì quando scorse la figura di Zayn a pochi metri di distanza, immobile nella sua stessa identica posizione. Il ragazzo sorrise quando gli occhi scuri di Millie si scontrarono con i suoi. L’aveva intravista appena era arrivata, accompagnata da Audrey, ma aveva preferito attendere che fosse lei ad accorgersi di lui. Con un gesto fluido Zayn si staccò dalla portiera della sua auto e si avviò in direzione di Millie. Se Louis aveva ragione, si disse, almeno avrebbe potuto ricavare qualcosa di buono da quel noioso pomeriggio.
“Gira alla larga, Malik.”, esordì Millie fissandolo con sguardo truce.
Zayn ghignò. Avrebbe dovuto provare timore ed, invece, era soltanto divertito dal tono intimidatorio della ragazza.
“ La strada è abbastanza ampia da permettere il passaggio di entrambi.”, osservò ammiccando in direzione della mora.
Zayn poggiò la sigaretta sulle labbra con fare sensuale, i suoi occhi erano fissi in quelli di lei e non accennavano ad interrompere quel contatto visivo, neppure quando fece un profondo tiro. Millie lo guardava cercando di non far trapelare alcuna emozione dalla sua espressione. Aveva perfettamente intuito il gioco appena iniziato da Zayn, era lo stesso a cui lei ricorreva ogni qualvolta dovesse comprare qualcosa da lui. I loro incontri erano fatti di occhiate languide, movimenti lenti e seducenti, voci roche ed accaldate che si soprapponevano in sussurri. Millie tese la mano sinistra in direzione di Zayn, afferrandolo per la tasca anteriore dei jeans neri che portava indosso e lo fece avanzare. I loro petti quasi potevano toccarsi, Millie percepiva sulla pelle il respiro di Zayn, più alto di lei di almeno una decina di centimetri, nonostante indossasse dei tacchi anche in quell’occasione. Era una sensazione che conoscevano bene entrambi, quella di sentirsi tanto vicini, ma nessuno dei due aveva mai provato ad annullare del tutto le distanze.
Zayn avrebbe potuto provare a baciarla in quell’istante, probabilmente lei lo avrebbe lasciato fare senza troppi problemi, ma non lo fece. La vibrazione del cellulare di Zayn riscosse entrambi da quel momento, costringendo Zayn ad indietreggiare di qualche passo. Prese il cellulare e nel farlo sfiorò impercettibilmente la mano di Millie, ancora ancorata alla stoffa dei suoi jeans. In un attimo la ragazza ritirò il braccio, mentre con gli occhi seguiva i movimenti meccanici di Zayn. Millie notò i suoi muscoli irrigidirsi e la sua espressione farsi cupa.
“Chi è?”, domandò curiosa di scoprire l’identità di colui che riuscisse a sortire un tale effetto sull’impassibile Zayn.
“Mio fratello.”, sussurrò intimorito, sconcertato ed allo stesso tempo sofferente.
Forse fu proprio la debolezza dettata da quel momento, l’insicurezza, l’indecisione e l’insorgere di numerosi dubbi nella mente di Zayn, a fargli pronunciare quelle due semplici parole, dimenticandosi del suo usuale riserbo e del tono scontroso che lo denotava.
“Dovresti rispondere, allora.”, suggerì Millie, ormai particolarmente sensibile alle questioni di famiglia.
Zayn si lasciò scappare un mezzo sospiro, come a volerle silenziosamente dire che lei non conosceva affatto quella storia e che, dunque, non avrebbe mai potuto comprendere quanto complicata fosse la situazione. Puntò lo sguardo sul marciapiede, rifiutando la chiamata. Millie non avrebbe mai pensato di poterlo vedere tanto indifeso e combattuto.
“Meglio di no.”, borbottò soltanto, ancora con lo sguardo basso e l’aria afflitta.

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Angolo Autrice

Salve a tutti!!:D Ecco il nuovo capitolo di Skins!:D
Sì, sto rpocedendo a rilento, ma purtroppo in questo periodo non riesco a fare di meglio...
Piuttosto, voi che mi dite? Come va? Avete visto il video, vero?? Adorabili è dire poco, eh?!*.*
Anyway, torniamo a parlare di Zayn qui... personalmente mi piace il suo rapporto con Louis!!:D
E poi c'è Harry che è davvero dolcissimo!! Voi che ne pensate??
Fatemi sapere se vi va, mi piacerebbe davvero tanto leggere le vostre opinioni!!:D
Ringrazio chi ricorda, segue e preferisce!! Grazie mille!<3 E ringrazio ch legge!!*.*
Bene, spero di riuscire ad aggiornare presto, molto presto!;)
Alla prossima!:D
                                                 Astrea_


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Capitolo 16
*** Charlotte ***


f

CHARLOTTE

“Mi passi il verde, per favore?”, la richiesta di Charlie era appena un sussurro.
Concentrata sul lavoro che stava compiendo su quella piccola tela, non concesse neppure uno sguardo a Niall, nel chiedergli di passarle il tubetto che lui teneva poggiato sulla sua tavolozza. La lezione di arte era una delle preferite di Charlie, soprattutto quando la professoressa decideva di dedicare l’ora alla pratica, piuttosto che ai video o ai fotogrammi che di frequente faceva vedere.
“Wow.”, fu il commento stupito di Niall quando intravide la bozza del disegno che Charlie era intenzionata a svolgere.
Charlie indietreggiò di due passi, il necessario per poter avere una visione completa del suo dipinto. Erano soltanto un mucchio di schizzi che si accavallavano fino quasi a confondersi, ma si potevano distinguere le linee di alcuni alberi e piante le cui radici si confondevano con il cemento delle fondamenta di qualche edificio urbano. La professoressa aveva detto loro di seguire le proprie emozioni, di lasciare che fosse il cuore a dettare i movimenti della matita, senza censurarsi o obbligarsi a tendere verso un determinato oggetto. Charlotte aveva ascoltato il suo consiglio, aveva chiuso gli occhi ed aveva immaginato una scena, poi li aveva riaperti ed aveva iniziato a muovere a raffica la mano lungo la tela, lasciando dei tratti chiari, ma decisi. Era come se in quella bozza avesse rappresentato se stessa, uno spirito libero intrappolato negli schemi rigorosi e rigidi della società, ma allo stesso tempo aveva trattato delle sue idee, delle sue convinzioni morali, ponendo come soggetto principiale proprio quella natura che quotidianamente veniva distrutta dall’azione dell’uomo. Era un acritica alla società quella, ma era anche un monito contro l’abuso di cantieri e costruzioni, di foreste abbattute ed animali privati dei loro habitat naturali. Quel disegno era ancora un groviglio, colorarlo avrebbe richiesto tempo, impegno e dedizione per quanto apparisse complicato.
“È fantastico.”, commentò Niall, senza fiato, mentre lo osservava con gli occhi sgranati per la meraviglia.
Charlotte sorrise, portò una matita all’altezza delle labbra ed iniziò a mordicchiarne l’estremità. Mancava qualcosa, poteva chiaramente percepirlo da quel lieve senso di insoddisfazione che aleggiava in lei. Studiò per qualche istante la tela, immaginando di colorarla. Nella sua mente già poteva vedere il verde intenso delle foglie, il grigio spento e cupo del cemento, il marrone del tronco degli alberi ricoperto dal fogliame e  il cuore scuro della foresta. Avvicinò la mano destra al margine sinistro del dipinto e dall’altro fece calare delle linee trasversali che giungevano proprio al centro del foglio. Era la luce, ciò che mancava. La luce dei suoi occhi di un chiarissimo azzurro, la luce della speranza, la stessa luce che colorava anche le pupille di Niall. Si mordicchiò il labbro, mentre ultimava l’aggiunta, poi sorrise compiaciuta.
“Sei davvero brava.”, si complimentò Niall, porgendole il tubetto di verde che Charlie gli aveva chiesto.
Avrebbe iniziato proprio dalla natura, per colorarlo.
“Grazie.”, rispose in un sussurro, mentre poggiava del colore sulla sua tavolozza.
Niall la osservava completamente rapito dalla sua espressione concentrata. Aveva notato una piccola piega scavarsi sulla fronte della ragazza, il cui sguardo si era assottigliato sulle miscele di colori che si accingeva ad utilizzare.
“Tu hai già pensato a cosa disegnare?”, chiese lei, imbarazzata dallo sguardo del biondo ancora rivolto a lei.
Charlie non era il tipo di ragazza abituata a ricevere attenzioni o lusinghe, quella che i ragazzi seguivano con lo guardo solo per le sue forme sensuali. Non era neppure quella che passava del tutto inosservata, totalmente invisibile agli occhi degli altri. Charlotte era capace di farsi rispettare, di difendersi da sola, di dire sempre la sua, anche quando nessun altro pareva appoggiarla. E, nonostante Niall sapesse quanto Charlie detestasse essere osservata, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso per nessun motivo, per neppure un istante. Non sapeva dire cosa legasse il suo sguardo al viso ora interrogativo di lei, ma gli piaceva studiare ogni dettaglio del suo volto minuziosamente.
“No.”, rispose scrollando le spalle ed in un attimo Niall si trovò catapultato nella realtà.
La sua tela era ancora completamente bianca ed il tempo continuava a scorrere, facendogli accumulare un sempre maggiore ritardo. Non avrebbe mai preparato la bozza entro la fine di quell’ora di lezione, dunque con ogni molta probabilità avrebbe dovuto prepararla a casa per poi consegna la volta successiva.
“E dove hai imparato a disegnare così?”, domandò il biondo, ormai rassegnatosi all’idea di non poter concludere nulla in quel momento.
Del resto, si disse Niall, nessuno sarebbe riuscito a concentrarsi su un qualsiasi oggetto da rappresentare con Charlie al proprio fianco.
“Mio padre mi ha svelato qualche trucco sulla parte tecnica dello schema compositivo, ma il resto è venuto da solo.”, spiegò intingendo il pennello nel colore, per poi provare quest’ultimo su un pezzo di carta.
Charlie storse il labbro, non convinta affatto da quella tonalità, a suo parere troppo liquida ed inconsistente.
Niall annuì, avvicinandosi di qualche passo alla bionda.
“E che mi dici di questo?”, chiese poi, indicando la tela con la mano destra.
Charlie sorrise appena, divertita dallo sguardo ancora sbigottito che Niall aveva rivolto al suo disegno.
“Ti piace davvero, allora?”, domandò con un filo di ironia, senza neppure rispondere al ragazzo.
“È bellissimo.”, mormorò lui scontrandosi con gli occhi di ghiaccio di lei.
L’intensità della sua voce e del loro contatto visivo fece quasi vacillare Charlotte. Quelle parole appena sussurrate, con quel tono sincero e disarmante, sembravano essere rivolte ad altro, non a quella tela appena iniziata. Charlie si chiese se fosse possibile che quell’apprezzamento fosse rivolto a lei e nel farlo si sentiva anche piuttosto infantile e patetica.
“Natura contro città, o qualcosa di simile.”, borbottò con fare disconnesso, cercando di mascherare l’enorme sensazione di disagio che aveva travolto il suo corpo.
Niall le sorrise e Charlie dovette sforzarsi di non arrossire, di mantenere la calma. L’effetto che quel biondo aveva iniziato a suscitare in lei non le piaceva affatto. Era un qualcosa di travolgente, intenso, penetrante, tanto che l’imbarazzo prendeva il sopravvento sul suo solito sarcasmo.
“Sembra piuttosto profondo.”, ipotizzò sorridendole.
Avrebbe dovuto parlare con Louis, Niall nutriva un’urgente esigenza di comunicare all’amico quello che gli stava accadendo. Voleva essere sincero, non come Millie che ancora continuava a tenere nascosta a Liam la volta in cui era stata con lui. Voleva che Louis sapesse dell’interesse che lentamente stava crescendo in Niall, voleva dirgli quanto trovasse gradevole la compagnia di Charlie e voleva poterle chiedere di uscire senza provare senso di colpa.
Il suo della campanella fece quasi sobbalzare Niall, il quale si affrettò a salutare Charlie e si precipitò fuori dall’aula. Ormai non avrebbe potuto attendere oltre e quello gli appariva come il momento adatto per poter portare a termine il suo intento. Aveva imparato a conoscere Louis in quel breve lasso di tempo, così senza indugiare si diresse verso i distributori. Quando giunse alla meta sorrise nel costatare che Louis fosse proprio lì, come lui aveva predetto, indeciso su qualche snack prendere.
“Ehi!”, lo salutò con enfasi, affiancandolo
“Ehi, biondo!”, replicò lui, dando una lieve pacca sulla spalla dell’amico. “Sono indeciso tra noccioline e patatine. Tu che mi consigli?”, aggiunse poco dopo, mentre ancora si massaggiava il mento.
“Meglio le patatine.”, gli suggerì lui, indicando un pacchetto azzurro in basso a destra.
Louis ascoltò il suo consiglio, seppur ancora titubante sulla questione.
“Devo dirti una cosa.”, esordì Niall, spostandosi in un angolo più tranquillo con Louis al seguito.
“Avanti.”, lo incitò mentre già apriva la bustina che teneva tra le mani, per sgranocchiare qualche patatina.
“Devo parlarti di Charlotte.”, chiarì allora il biondo, modulando bene il tono di voce, per farlo apparire quanto più calmo e pacato possibile.
“’Fancuolo.”, fu l’esaustiva risposta di Louis a quelle parole.
Stava già per avviarsi in cortile, per nulla interessato a scoprire cosa Niall avesse da dire a riguardo di quella bionda. Avevano deciso di comune accordo che sarebbero stati amici, ma Louis aveva bisogno ancora di tempo prima di poterla veramente considerare come tale. Per ora Charlie rimaneva quella ragazza che gli aveva spezzato il cuore, lasciandolo dopo quasi due anni di fidanzamento. Non voleva che nessuno associasse nuovamente i loro nomi, Louis aveva bisogno di voltare pagina, di andare avanti. Temeva che Niall potesse riferirgli qualcosa che lui avrebbe di certo preferito non sapere, come un eventuale ripensamento da parte di Charlie.
“Voglio chiederle di uscire.”, confessò Niall, trattenendolo per un polso.
Louis si immobilizzò all’istante, del tutto spiazzato da quella rivelazione. Aveva pensato che Niall volesse intromettersi per farli riavvicinare ed, invece, scopriva che era proprio il biondo a voler trascorrere più tempo con Charlie. Louis si voltò, fino ad incontrare il volto dubbioso di Niall.
“Perché me lo dici?”, domandò con un filo di voce.
“Preferivo parlartene prima di fare qualsiasi cosa, per sapere cosa ne pensi.”, spiegò liberando l’amico dalla sua stretta, ormai non più necessaria.
Louis sbatté forte le palpebre, poi scosse il capo cercando di realizzare quella miriade di informazioni che stava giungendo al suo cervello. C’era Niall che quasi gli chiedeva il permesso per uscire con la sua ex ragazza, c’era lui che si preoccupava della sua reazione, del suo stato emotivo, dei suoi sentimenti. Louis pensò che fosse stato davvero onesto e coraggioso nel decidere di parlarne prima con lui, per saggiare il terreno, timoroso che un simile gesto avrebbe potuto rovinare la loro amicizia sul nascere.
“Per me va bene.”, confermò Louis in un sorriso di incoraggiamento. “E non portarle i fiori, li detesta, dice che sono inutili.”, gli consigliò giocoso, facendogli un occhiolino.
Niall sospirò sollevato, prima di distendere le labbra in un ampio sorriso.
“Tu!”, tuonò Liam, dirigendosi a passo di marcia in direzione del biondo.
Il suo tono era tanto alto che con una sola sillaba era riuscito a catturare l’attenzione di un gruppetto di studenti che affollava i corridoi durante la pausa. Niall sgranò gli occhi quando intravide Millie seguire il castano, con andatura lenta e sinuosa, senza sembrare preoccuparsi della rabbia che invece trapelava chiaramente dagli occhi di Liam.
“Tu!”, ripeté afferrando Niall per il colletto della camicia azzurra che indossava quel giorno.
Liam lo trascinò fino alla parete, facendo aderire con un tonfo le spalle di Niall ad essa.
“Sei uno stronzo del cazzo!”, sbottò con sguardo truce ed aria intimidatoria.
Intorno a loro si era formato una sorta di semicerchio, alcuni studenti li osservavano confusi, altri semplicemente divertiti. Millie li raggiunse, scansando a fatica il piccolo gruppetto.
“Non dare spettacolo, Liam.”, lo rimproverò tranquilla incrociando le braccia al petto.
Il castano quasi parve agitarsi ancora di più al suono di quelle parole.
“Avete scopato, cazzo! Siete andati a letto insieme e tu mi dici di non dare spettacolo?”, sbraitò girando il viso in direzione della ragazza.
In realtà Millie aveva perfettamente ragione, forse Liam aveva sottovalutato quanto bene lo conoscesse. Lui non sarebbe mai arrivato a tanto, soprattutto non per inscenare un teatrino in cui lui era la parte lesa. Ma non era riuscito a trovare soluzione migliore. Preso dalla rabbia e dalla vendetta, Liam aveva pensato che una bella scenata pubblica avrebbe messo in sufficiente imbarazzo sia Millie, la ragazza infedele, che Niall, l’amico disponibile che non si era fatto alcuno scrupolo. Liam non lo stava facendo per se stesso, per rivendicare quando ingiusto fosse stato il loro comportamento, lo faceva per loro, affinché tutti potessero sapere ciò che avevano fatto e potessero giudicarli.
“Liam, io…”, provò a dire Niall, ma fu interrotto dal ringhio adirato dell’amico che stingeva la presa all’altezza del suo collo.
“Com’è stato farti la mia ragazza, eh?”, lo provocò con uno sguardo di sfida.
Millie sgranò gli occhi, offesa. Probabilmente tutto il Kensington & Chelsea College non avrebbe parlato di altro per tutta la prossima settimana. Lei sarebbe passata per la sgualdrina senza cuore, Liam per il povero ragazzo tradito e Niall per l’amico infedele ed approfittatore. Lo sguardo di Niall si rabbuiò quando notò la presenza di Charlotte proprio a pochi metri da lui, che silenziosamente osservava la scena, con la bocca schiusa e l’espressione incredula.
“Smettila, Liam.”, intervenne Harry, prendendo l’amico per le spalle con l’intento di allontanarlo.
Liam lo lasciò fare, indietreggiò di qualche passo, ma quando Niall portò la mano alla gola guardandolo di sottecchi, non riuscì a resistere. Con poche falcate si avventò su di lui e gli tirò in pungo in pieno viso, colpendolo sullo zigomo destro.
“Che succede qui?”,la voce del professore di filosofia rimbombò tra le quattro pareti a causa dell’incombete silenzio che era calato.
Avanzò fino a notare Niall piegato in una smorfia di dolore e Liam che si massaggiava la mano. Non impiegò molto a comprendere che ci fosse appena stata una discussione tra i due.
“Horan, Payne, con me.”, decretò con voce dura.
Liam sorrise soddisfatto mentre passava proprio accanto a Millie, che con la testa bassa, sembrava essere caduta in uno stato catatonico. Niall sospirò, poi rassegnato si decise a seguire il docente.
“Il tuo amico ci ha dato dentro.”, commentò Margaret avvicinandosi di poco ad Harry.
“E a quanto pare la tua amica ha fatto sesso con Niall.”, replicò il riccio, ancora scosso da quella rivelazione.
Sapeva quanto Niall teneva a Millie, o almeno quanto in passato fosse stato affezionato a lei, ma mai una volta aveva dubitato del loro rapporto. Mai una volta aveva creduto che Niall potesse averci provato con lei e che, soprattutto, lei avesse potuto cedere.
“Millie non è mia amica.”, ribatté Margaret.
All’inizio, proprio grazie a lei, Margaret era riuscita ad inserirsi tanto facilmente nell’ambiente, ma poi il loro rapporto era cambiato. Forse era stata Margaret a non avere più bisogno di Millie, o forse era stato l’incontro con Charlotte.
“Qualcuno dovrebbe parlarle.”, bofonchiò Harry lanciando una veloce occhiata alla ragazza, ancora immobile nella stessa ed identica posizione di qualche minuto prima.
“Tu sei troppo buono Harry, quella ragazza è solo una vipera.”, controbatté Margaret, accennando un sorriso in direzione dell’amico.
Harry scrollò le spalle, incapace di rispondere a quell’affermazione ed insieme di avviarono per la scale. Harry si concesse solo un ultimo breve sguardo in direzione di Millie e sorrise quando vide Audrey avvicinarsi alla sorella, seguita da una Bree perplessa e timorosa.
“Tutto bene?”, esordì Audrey con un filo di voce, mantenendosi ad una certa distanza dalla sorella.
Millie trasalì, riscuotendosi dal flusso di mille pensieri che avevano invaso la sua mente.
“Vuoi davvero che risponda a questa domanda?”, il suo mormorio ironico ed affranto mise a disagio Audrey.
Il rapporto con una sorella ere piuttosto precario, in quel momento si basava su un equilibrio che facilmente si sarebbe potuto rompere. Negli anni erano cresciute, allontanandosi l’una dall’altra, ed in un attimo si erano ritrovate distanti, ormai come due sconosciute che qualche volta si ritrovavano negli stessi spazi. Audrey rimuginava su cosa fosse opportuno dirle in quel momento. Non voleva rincuorala, ma almeno palesare la sua presenza, ricordarle che nonostante tutto lei fosse ancora lì.
“Non farne una tragedia, Millie.”, s’intromise Bree, irrompendo con un ritrovato entusiasmo. “Non devi pensare a quello che dice la gente.”, le consigliò con un leggero sorriso sulle labbra.
Una qualsiasi altra ragazza avrebbe provato risentimento nei confronti di Millie, per quello che le aveva detto e per i nomignoli che puntualmente le aveva assegnati. Tuttavia, Bree non riusciva a provare rancore, al contrario quasi poteva comprenderla. Per mesi gli altri l’avevano giudicata come la pazza schizofrenica, senza neppure una valida ragione, ed ora avrebbero riservato lo stresso trattamento per Millie, additandola come quella facile che aveva tradito Liam, il ragazzo praticante perfetto che tutti adoravano. E Millie avrebbe voluto davvero ascoltarla, riuscire a seguire il suggerimento della rossa, curarsene delle occhiate che ancora le venivano rivolte di soppiatto. Si pentiva amaramente di aver confessato quell’episodio a Liam. In realtà glielo aveva rinfacciato, quando lui le aveva ammiccato mentre chiacchierava amabilmente con una ragazza, vicino agli armadietti. Liam l’aveva fissata per un po’, con sorriso beffardo sulle labbra e lei non era riuscita a resistere alla tentazione di rispondere alla provocazione del ragazzo. Lo aveva aggredito e lui le aveva risposto con il medesimo tono, alla fine quelle parole le erano sfuggite dalla bocca senza controllo, senza che Millie se ne rendesse davvero conto, inconsapevolmente. Liam aveva boccheggiato per qualche istante, incredulo, cercando di realizzare le parole proferite da Millie. Ci aveva messo un attimo a decidere che tutti avrebbero dovuto saperlo, che Millie meritava una scena plateale di cui essere protagonista. Per certi versi Liam avrebbe potuto addirittura trarre vantaggio dalla storia del tradimento, magari con qualche ragazza o con qualsiasi persona, mostrandosi come parte lesa e sofferente. Ed avrebbe potuto approfittare di quella situazione, mascherando il disappunto che aveva pervaso la sua mente quando Liam aveva appreso quella notizia.
“La troia e la schizzata, sai che bella coppia.”, scherzò Bree facendo spallucce, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
La sua aria spensierata e l’espressione distesa del suo volto indicavano la completa assenza di malizia nelle sue parole. Bree non voleva vendicarsi con qualche battutina di poco gusto, Millie poteva intuirlo dalla sincerità del suo sguardo. Si interrogava su come Bree riuscisse ad essere così naturale in sua presenza, così spensierata e vaga. Millie piegò le labbra in una smorfia vagamente ricordava un sorriso.
“Grazie.”, quasi balbettò infine, con la testa china e le mani intrecciate sulla pancia piatta.
“Andiamo in classe, è tardi.”, annunciò Audrey, ponendo fine a quell’imbarazzante momento.
Non era abituata ai convenevoli con sua sorella, non era neppure abituata a qualche battuta cordiale.
“Ciao Zayn!”, salutò Bree, notando il ragazzo camminare poco davanti a loro, anche lui diretto verso il corridoio delle classi del secondo piano.
“Ragazze.”, ricambiò volgendo loro una rapida e superficiale occhiata.
Aveva perfettamente sentito ciò che era accaduto pochi minuti prima e quella notizia lo aveva lasciato del tutto spiazzato. Decine di volte Millie aveva avuto l’opportunità di baciarlo, di andare oltre con lui, ma non lo aveva mai fatto. Invece, con Niall doveva essere stato tutto completamente diverso, a partire dall’inizio. Si domandava perché non si fossero messi insieme allora, perché dopo la rottura con Liam, Millie sembrasse essere un oggetto in caduta libera, una zattera che le onde si ostinavano a trascinare nel bel mezzo dell’oceano durante una tempesta. Non doveva aver capito molto di quella ragazza. La conosceva a stento, tuttavia delle volte aveva avuto l’impressione di riuscire a leggere i suoi occhi profondi e ricolmi di mille emozioni. Ma in quel momento, spaesato e dubbioso, si convinse di non conoscerla affatto.

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Angolo Autrice

Salve a tutti!:D Allora, lo so che sono mancata per un bel po', però ecco...
si sa, in inverno è sempre un'impresa riuscire a trovare il tempo per fare tutto!! Oggi si "parla" di Charlotte!
In realtà ci sono anche altri eventi piuttosto importanti, ma ci tenevo a sottolineare il suo rapporto con Niall
e poi questi sono tutti avvenimenti che, magari non in prima persona, la riguardano.
Anyway, auguri a tutte le donne!!!*.*
Bene, ringrazio chi ancora mi segue, preferisce, ricorda, legge e lascia commenti... Grazie mille davvero!!!
Alla prossima, che si spera arrivi presto!!;)
                                                   Astrea_


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Capitolo 17
*** Liam ***


l

LIAM

Liam si chiedeva come poteva essere stato così cieco da non aver notato l’interesse che, dunque, Millie aveva provato per Niall. Si sentiva uno stupido per essersi preoccupato tanto inutilmente di Zayn, quel ragazzo che continuava ancora ad essere legato a Millie solo per rifornirla di qualche grammo di erba e qualche nuova pasticca. Era stato cieco e continuava a rimproverarsi per quella sua mancanza. Lui aveva sempre creduto di riuscire a mantenere il controllo su ogni singola faccenda, si era illuso di poter prevedere ogni reazione, persino la più inimmaginabile, ed aveva trascorso ore ad osservare i singoli comportamenti ed atteggiamenti di ognuna delle persone che lo circondava. Era deluso, deluso dalle aspettative troppo alte che aveva imposto a se stesso, deluso dal suo personale fallimento. Inoltre, alla luce di quei fatti, percepiva una fastidiosa sensazione di imbarazzo dovuta a quella chiacchierata che appena pochi giorni prima aveva avuto proprio con Niall, quella in cui Liam gli aveva chiesto cosa si provasse nell’essere legati a qualcuno. Liam aveva usato il presente, Niall lo aveva corretto con un verbo al passato che non ammetteva repliche e lui gli aveva creduto. Si malediceva per non aver dubitato di quella sua risposta pronta e secca, ribadiva a se stesso quanto ingenuo e stolto fosse stato in quell’occasione.
“Liam.”, lo richiamò Harry, seduto accanto a lui durante l’ora del corso di filosofia.
Il castano alzò lo sguardo dalla lettura che fingeva di star seguendo e lo puntò negli occhi verdi dell’amico.
“Mi presti la matita?”, gli chiese con un piccolo sorriso sulle labbra, tanto lieve che le fossette sembravano quasi non essersi scavate.
Liam ne estrasse una a caso dall’astuccio e gliela porse distrattamente. Persino Harry era riuscito a mandare a rotoli uno dei suoi ultimi piani. Aveva organizzato tutto affinché il suo amico potesse finalmente fidanzarsi, ma lui aveva rifiutato, dicendo semplicemente che Margaret non era il suo tipo. Ma Liam aveva capito quale fosse il tipo di ragazza a cui Harry potesse essere interessato. Bassa, tanto bassa che le arrivasse a malapena al mento. Magra, talmente magra da perdersi nei vestiti larghi che indossava. Con i capelli scuri, mossi e lunghi, che le scendevano con naturalezza sulle piccole spalle. Gli occhi velati dalla matita rigorosamente nera e spessa. Le labbra sottili colorate da un leggero rossetto cupo. L’aria disinteressata e cinica, il tono distaccato e menefreghista. 
Liam sorrise, mentre una strana luce illuminava i suoi occhi. Doveva mettersi alla prova, doveva testare fino a che punto riuscisse ancora a dettare la vita altrui.
“Harry.”, lo richiamò, catturando l’attenzione dell’amico riccio.
Se avesse potuto, Liam avrebbe volentieri risparmiato Harry per uno dei suoi esperimenti, ma aveva fretta, in quel momento premeva per conoscere, per comprendere quanto ascendete sortisse ancora sulle persone che lo circondavano. Aveva perso Millie, era stato lui a volerlo e non rimpiangeva affatto quella separazione. Ma ne aveva perso il controllo ancor prima che tra loro finisse, lo aveva perso quando lei aveva deciso di andare da Niall, piuttosto che chiamare lui.
“Sì?”, replicò l’altro con il volto disteso in un’espressione serena.
“Che ne dici di uscire questo pomeriggio?”, propose con un sorriso.
Harry annuì. Era una delle persone più buone che Liam avesse mai incontrato, anzi, probabilmente era la migliore in assoluto. Era sincero nelle sue intenzioni, disponibile con gli amici, ma anche con i semplici conoscenti, tranquillo, cordiale e gentile. L'unico difetto del suo carattere che andava annoverato era un’eccessiva insicurezza, che Liam aveva più volte sfruttato a suo favore.
“Magari tu puoi venire con Margaret.”, continuò con lo sguardo vigile fisso sull’espressione di Harry.
Il ragazzo piegò le labbra in una smorfia di disappunto, portò le mani al centro del banco e le intrecciò.
“Liam,vedi…”, iniziò, cercando di trovare le parole giuste da riferirgli.
Quando avevano parlato della questione di Margaret, Liam quasi non gli aveva fatto spiegare i particolari della storia, al tempo decisamente impegnato a pensare ad altro. Ma ora tutto sembrava avere un peso diverso, tutto sembrava assumere maggiore concretezza e rilevanza.
“Andiamo, Harry.”, provò a persuaderlo. “Sarebbe fantastico.”, aggiunse per rincarare la dose.
Se Harry avesse rifiutato, probabilmente Liam avrebbe dovuto aggiungere anche il suo nome alla lista di persone che parevano sfuggire dal suo controllo.
“Non mi va di uscire con Margaret, ci siamo appena chiariti a riguardo.”, borbottò Harry con lo sguardo chino sul banco laccato di beige.
Liam conficcò con veemenza i denti nel labbro inferiore, trattenendo quel moto d’ira che cercava di prendere il sopravvento sul suo corpo. Ormai, non era più padrone di nulla, di Niall, Millie ed Harry. Quella nuova consapevolezza lo irritava, quasi provasse disgusto per quel misero fallimento. Razionalmente non avrebbe mai potuto incolparsi per una cosa del genere, in realtà non avrebbe mai potuto pretendere per davvero di manipolare le vite altrui, ma nella sua mente Liam si illudeva di poter essere l’unico a muovere i fili legati ai burattini che puntualmente andavano in scena giorno dopo giorno.
“Perché?”, sibilò con lo sguardo assottigliato ed il tono minaccioso.
“Margaret non mi piace, non in quel senso. Ti ringrazio per tutto l’appoggio ed il supporto, ma proprio non…”, chiarì Harry saggiando bene ogni singola parola, nel tentativo di mantenersi diplomatico e neutrale.
“Con il cazzo!”, sbottò Liam in un sussurro rancoroso.
Aveva perso il controllo sulle persone a lui più vicine ed ora lo stava perdendo persino su se stesso.
“Liam, non puoi arrabbiarti solo perché non mi piace Margaret.”, si giustificò con ovvietà Harry.
Lo sapeva, Liam sapeva che il suo comportamento era a dir poco assurdo ed irragionevole, ma un velo di rabbia aveva accecato la sua vista, solitamente sin troppo lucida ed acuta da riuscire a cogliere ogni dettaglio. La situazione era degenerata, Liam l’aveva vista tramutarsi in qualcosa di malsano. All’inizio era solo un ragazzo carismatico ed affabile, poi si era trasformato in un cinico e freddo calcolatore, all’apparenza ancora cordiale e disponibile.
“Tu non puoi dirmi di no.”, decretò Liam, con voce atona.
Non sapeva se stesse parlando ancora con Harry o se fosse una costatazione rivolta a se stesso. Il suo tono era un misto di emozioni. Sorpresa, disorientamento, rabbia, insoddisfazione, rancore, tutto era concentrato in quel viso corrugato in un‘espressione tanto allibita quanto irritata.
“Sai cosa ti dico, invece?”, controbatté Harry, ostentando una sicurezza che né lui, né Liam avevano mai pensato possedesse. “Vaffanculo Liam, vaffanculo.”, inveì contro di lui con enfasi, come se quelle parole fossero state pronunciate dopo un lungo ed interminabile periodo di attesa.
Si alzò di scatto dalla sedia, chiedendo al professore di uscire dall’aula, e pochi minuti dopo Harry si ritrovò solo nel corridoio. Sentiva il suo cuore scalpitare, le mani fremevano dalla voglia di muoversi, di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Era contento, contento di aver finalmente dato un taglio netto a quella morbosa relazione che lo legava a Liam. Prese un respiro profondo, si sentiva terribilmente leggero e vitale e quella sensazione gli piaceva, gli dava forza.
Niall se ne stava accucciato sulle scale, avvolto dal silenzio più totale. Aveva chiesto al professore di uscire dall’aula per recarsi in bagno, ma poi aveva preferito prolungare la sua pausa. In classe avrebbe sicuramente percepito lo sguardo penetrante di Charlie cadere su di lui e Niall non lo avrebbe retto ulteriormente.
“Ciao.”, esordì Millie, fermandosi due gradini più in basso, in piedi davanti a quello che una volta era stato uno dei suoi più cari amici.
Niall riconobbe immediatamente la voce, tanto che non alzò neppure il viso in sua direzione per verificare l’identità della persona che gli aveva appena rivolto la parola.
“Mi dispiace.”, ammise in un mormorio Millie.
Solo allora Niall le concesse un fugace e rapido sguardo. Aveva l’espressione rammaricata, le labbra piegate in una smorfia di amarezza, le mani intrecciate e gli occhi puntanti su di lui.
Niall scrollò la testa, indifferente a quelle parole.
“Ormai è fatta.”, le fece notare con un filo di voce.
Millie annuì, comprendendo perfettamente la sua reazione. Da quando Liam aveva avuto quella discussione con Niall, durante la pausa, a scuola non si parlava di altro. Millie provava ad ignorare le risatine concitate delle ragazze e le occhiate maliziose che le lanciavano i ragazzi, sperando di poter ricevere lo stesso trattamento riservato a Niall. Ma il biondo non era forte quanto lei a mostrarsi indifferente. Odiava quando qualche ragazza gli lanciava qualche sguardo di rimprovero, seguito dalle frecciatine di qualche suo compagno riguardanti Millie. Per di più, non era ancora riuscito a dare una spiegazione a Charlotte. Sapeva che lei non gliene avrebbe mai chiesta una, probabilmente non se la sarebbe neppure mai aspettata, visto che non erano mai neppure usciti insieme. Tuttavia, Niall voleva assolutamente mettere in chiaro le cose con lei, voleva essere sincero, perché Charlie gli interessava per davvero. D’un tratto provò un inarrestabile desiderio di conoscere i motivi che avevano spinto Millie a dirlo a Liam, come se in qualche modo quelle ragioni potessero in parte alleviare la gravità di ciò che aveva fatto.
“Perché?”, domandò in un sussurro. “Perché gliel’hai detto?”, ripeté con la voce increspata.
Millie non rispose. Posò lo sguardo sul passamano grigio della larga scalinata sulla quale erano fermi, senza riuscire a trovare una risposta. Avrebbe potuto dire che lui l’aveva provocata, che era stata solo una stupida ingenua, che gli aveva voluto rinfacciare quella rottura a cui non era ancora palesemente pronta.
“Mi hai chiesto di dimenticare ed io l’ho fatto.”, continuò con gli occhi socchiusi.
Avrebbe voluto urlarle contro, ribadirle quanto la trovasse infantile, vendicativa e subdola, ma non riusciva neppure più ad arrabbiarsi con lei.
“Perché hai di nuovo rovinato tutto?”, l’accusò con voce sprezzante, alzando il tono di voce di un’ottava.
Millie sussultò e per qualche attimo trattenne il respiro. Non aveva scuse, nessuna che potesse competere con gli occhi delusi e sdegnosi di Niall.
“Scusa, continuo a fare la stronza.”, balbettò in un mormorio disconnesso.
Millie non riuscì ad aggiungere altro. Si concesse solo un ultimo sguardo di scuse a Niall, poi lo superò, riprendendo a salire i gradini dello scalone.
Audrey fumava la sua solita sigaretta. Teneva il braccio destro disteso lungo il corpo, mentre quello sinistro le avvolgeva la vita, facendo aderire meglio il largo e caldo maglione alla pelle. I suoi movimenti lenti e stanchi facevano trasparire noia e indifferenza.
“Potresti anche provare ad essere più simpatico qualche volta.”, la voce di Louis attirò l’attenzione di Audrey.
Di sottecchi si guardò intorno, notando le figure di Louis e Zayn oltrepassare la porta che dava accesso al piccolo e poco frequentato retro della scuola.
“Non è nella mia indole.”, ribatté l’altro, senza farsi travolgere dal tono ironico dell’amico.
“Ma guarda un po’!”, scherzò Louis, posando gli occhi su Audrey, ormai a pochi metri di distanza da loro. “La gemella Wood.”, terminò a mo’di salto con un sorrisetto divertito sulle labbra.
Zayn scosse il capo, non dando peso al comportamento dell’amico. Prese una sigaretta dalla tasca dei giubbino di pelle e ne passò un’estremità sulla fiamma dell’accendino che teneva nella mano destra.
“Ciao.”, fu la replica poco entusiasta di Audrey.
Louis sbuffò, mentre a passo deciso affiancava la ragazza, appoggiata al muro dell’edificio.
“Certo che voi due siete proprio l’espressione dell’allegria.”, bofonchiò sarcastico, con il viso arricciato in una smorfia.
Zayn ghignò, prima di fare un tiro dalla sua sigaretta, mentre Audrey si limitò ad ignorarlo.
“Ok, ho capito.”, borbottò allora il castano, spazientito da tutto quel cinismo. “Nessuno dei due è di molte parole, oggi.”, constatò incrociando le braccia al petto.
Sperava di ottenere una risposta, qualcosa che avrebbe potuto alimentare una conversazione, ma tutto ciò che ricevette in risposta fu uno sguardo omicida da parte di Audrey ed una nuvola grigiastra soffiata in aria da Zayn.
“Mhn.”, si lagnò. “Credo che mi dedicherò ad un gran bel monologo, allora.”, sdrammatizzò piegando le labbra in un forzato e ben marcato sorriso, ironico e allo stesso tempo seccato.
“La mia giornata scolastica procede spaventosamente bene e, se ve lo stesse domandando, sì, sono persino stato interrogato.”, blaterò iniziando a gesticolare.
Audrey aggrottò la fronte e spostò i suoi occhi sul viso di Louis, sconcertata da quel suo sproloquio immotivato e al quale non era per nulla interessata. Zayn, invece, lo fissava con fare intimidatorio, nel tentativo che Louis comprendesse il suo tacito invito a tacere all’istante. In pochi secondi Louis percepì l’attenzione di entrambi concentrata sul suo parlottare e sulle espressioni del suo viso, notando quanto poco stessero gradendo quel discorso.
“Sapete che vi dico?”, chiese retorico, riducendo gli occhi a due fessure irritate.
Ovviamente neppure in quel caso ricevette risposta.
“Oh, diamine.”, imprecò sbuffando. “’Fanculo.”, bofonchiò a denti stretti, con un cenno della mano, mentre già si scollava dalla parete per tornare all’interno della struttura.
Margaret e Charlotte chiacchieravano ormai da qualche minuto nei bagni al primo piano. Durante la pausa si erano date appuntamento per ritrovarsi lì all’ultima ora, decise a trascorrere del tempo a conversare tranquille e, soprattutto, lontane dalla classe. Margaret detestava le ultime ore, le percepiva sempre più lunghe di quanto in realtà fossero. Era la sua mente ad ingannarla. Puntualmente pensava che la giornata scolastica volgesse ormai al termine ed allora ogni secondo sembrava trascorrere più lentamente di quello precedente, fino a farle perdere la concezione del tempo.
“E, allora, con quel Jean Paul come va?”, domandò Charlie, poggiata di spalle ad uno dei lavandini.
Margaret storse il labbro, la sua attenzione era tutta rivolta alle ciglia che stava mettendo in risalto con una passata di mascara.
“Non so.”, borbottò del tutto assorta da quella piccola operazione. “A mio padre non piace.”, spiegò controllano l’immagine riflessa dallo specchio davanti a lei. “Quando gli ho detto che era passato a prendermi per uscire per poco non dava di matto.”, ammise sorridendo soddisfatta a se stessa.
“Magari è geloso, come ogni padre in fondo.”, ipotizzò Charlie.
“Non lo so.”, ribatté l’altra, voltandosi in direzione dell’amica. “Questa storia non mi convince affatto.”, sentenziò con un’espressione preoccupata in volto. “E tu che mi dici di Niall?”, chiese poi, cambiando totalmente l’argomento della conversazione.
Charlie sospirò, afflitta. Non aveva poi molto da dire a riguardo. Il suo rapporto con Niall era cambiato troppo e troppo in fretta. Erano passati da sconosciuti ad amici, poi lei aveva iniziato a provare uno strano interesse, che puntualmente era stato stroncato dalla notizia di Niall e Millie.
“È complicato.”, mormorò, mentre con le dita giocherellava con una ciocca dei suoi capelli.
Liam si catapultò fuori dall’aula non appena l’ultima campanella suonò, ansioso di poter tornare a casa. Teneva lo sguardo dritto davanti a sé, per evitare che qualsiasi cosa o persona potesse anche solo minimamente distoglierlo dal suo intento. Varcò il cancello e svoltò a destra. Non avrebbe preso il pullman cittadino proprio alla fermata davanti scuola, preferiva raggiungere quella a qualche isolato da lì. Dei singhiozzi affannosi lo fecero trasalire, tanto che per qualche istante Liam pensò fosse il caso di fermarsi. Nella sua testa, tuttavia, vigeva ancora un’unica grande esigenza, quella di rincasare. Fece ancora qualche passo, ma nuovamente fu travolto da altri singhiozzi, sempre più intensi. Passò velocemente in rassegna il paesaggio intorno a lui, cercando di comprendere da dove provenissero, poi, accucciata tra il muretto ed un auto parcheggiata nell’area riservata agli studenti, notò l’inconfondibile chioma rossiccia di Bree. Esitò ancora qualche attimo, prima di decidere definitivamente di raggiungerla.
“Ehi.”, salutò a qualche metro di distanza, con un lieve cenno della mano.
Bree tirò su con il naso, poi sollevò di poco lo sguardo, il necessario per cogliere di sottecchi la figura di Liam. I suoi occhi erano gonfi e rossi a causa delle troppe lacrime versate, le mani le tremavano per la paura e la sua espressione era spaesata e timorosa.
“Vuoi dirmi cosa è successo?”, chiese premuroso il ragazzo, avvicinandosi con cautela.
Sapeva che Bree fosse estremamente fragile dal punto di vista psicologico ed emotivo e non voleva in alcun modo arrecarle fastidio con il suo atteggiamento. Non sapeva come comportarsi in situazioni simili, ma poteva provare con un sorriso rassicurante e qualche parola amichevole. In realtà ancora una volta Liam non sapeva perché fosse lì e non doveva aveva pianificato di essere. Sapeva solo che quando l’aveva vista, rannicchiata a terra, non era più riuscito a tornare indietro.
Bree scosse lievemente il capo, per poi reclinarlo nuovamente in direzione delle ginocchia che teneva strette al petto. Non aveva voglia di parlare, di sfogarsi proprio con lui che sicuramente non l’avrebbe capita. Liam era agli occhi della gente il cosiddetto ragazzo perfetto, mentre lei era solo una ragazzina incasinata e spesso derisa che non si curava neppure di difendersi da quelle insulse dicerie sul suo conto.
“Vuoi che me ne vada?”, domandò Liam titubante, con gli occhi nocciola fissi sui lineamenti delicati del viso di Bree.
Lei non rispose. Tuttavia Liam la vide alzare il viso e fissare lo sguardo in un punto indefinito davanti a lei.
“Io non sono pazza.”, sussurrò dopo interminabili secondi di profondo silenzio.
Liam restò a fissarla, spiazzato dalle sue parole, ma allo stesso tempo combattuto su ciò che avrebbe dovuto fare. Una parte di lui gli suggeriva di rispondere, di replicare in qualsiasi modo a quell’affermazione, l’altra gli consigliava di rimanere in silenzio ad ascoltare.
“Io non sono pazza.”, ripeté con più enfasi Bree, stringendo la mano destra in un pugno. “Non sono pazza, non sono pazza.”, continuava a dire con voce sempre più nervosa ed isterica.
Aveva il respiro pesante, la fronte arricciata imperlata da qualche gocciolina di sudore, gli occhi impauriti e vacui, le ginocchia avevano preso a tremare.
“Non sono pazza, non sono pazza.”, ribadì ancora una colta, scuotendo il capo in segno di dissenso.
Liam istintivamente l’avvolse in un caldo abbraccio. Bree sussultò, ebbe quasi la sensazione di essersi appena scottata, come se quel contatto l’avesse repentinamente riportata alla realtà.
“Non sei pazza, lo so.”, confermò Liam con un filo di voce al suo orecchio.
Bree sorrise, nonostante le lacrime continuassero a scendere copiosamente lungo le sue guance, e Liam ricambiò quel sorriso. Aumentò la presa intorno al corpo tremolante della ragazza, cosicché potesse percepire la presenza del ragazzo. Bree la trovava familiare, tanto che si lasciò cullare tra le sue braccia, mentre lentamente si tranquillizzava.

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Angolo Autrice
Ed rieccomi qui, dopo un'altra lunga -lunghissima, interminabile- pausa con un nuovo capitolo!:)
Spero ci sia ancora qualcuno che legga la storia o che ne abbia ancora un vago ricordo.
So che è passato parecchio tempo e so bene che gli aggiornamenti non sono stati regolari,
però questo periodo non riesco proprio a fare di meglio, nonostante ci abbia più volte provato. :/
Comunque, per i prossimi capitoli purtroppo non posso dirvi nulla di certo...
Insomma, la buona volontà c'è tutta ed anche qualche capitolo già pronto,
spero solo di riuscire a ritagliarmi il tempo necessario per rileggerli e dargli una sistemata.
Anyway, tanti auguri a tutti/e! Lo so che Pasqua era ieri, ma visto che mi trovo... avete mangiato tanta cioccolata??
Io sì!ù.ù E sono anche già in crisi post-scorpacciata pasquale!!!-.-"
Bene bene, capitolo dedicato a Liamuccio caro che a quanto pare è in crisi anche lui come me!xD
Come vedete lo strano rapporto che si sta creando tra lui e Bree? E con Harry? Si risolverà tutto?
Questione a parte sono Niall e Millie, che in questo capitolo sembra finalmente cedere ad una specie di scuse.
Louis gioca a fare il simpaticone con Zayn ed Audrey, ma con evidente insuccesso.
Non sottovaluterei la chiacchierata tra Margaret e Charlie... chissà cosa implica!;)
Okay, ci tenevo a ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce! Davvero, grazie di cuore!!!<3
E ringrazio immensamente Grauen che mi ha trasmesso una voglia pazzesca di continuare con questa storia! Grazie mille!<3
Alla prossima!;)
                                                                                       Astrea_
 

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Capitolo 18
*** Margaret ***


g

MARGARET

“Mamma, io esco”, la voce spensierata di Margaret riecheggiò tra le pareti del largo corridoio che stava percorrendo.
“Margaret, aspetta”, la richiamò sua madre, spuntando sulla soglia della cucina.
La ragazza si voltò di scatto, incontrando l’espressione preoccupata e pensierosa della donna.
“Tutto bene?”, domandò confusa.
“Dobbiamo parlarti”, esordì suo padre, comparendo alle spalle della madre.
Margaret li osservò per qualche istante, non riuscendo a non notare le loro espressioni afflitte e contrite. Annuì debolmente con il capo, poi seguì silenziosamente i genitori. Sua madre si sedette su una delle sedie del tavolo e lei la imitò subito, suo padre, invece, era in piedi, con le braccia poggiate sulla superficie in marmo del piano accanto ai fornelli.
“Cosa succede?”, la sua voce era appena un sussurro angoscioso.
I suoi genitori erano delle persone tendenzialmente allegre e vivaci, soprattutto quando erano in compagnia di Margaret. Scherzavano, si lasciavano scappare qualche battuta di troppo che aveva il magico potere di far sorridere tutti. Vederli tanto seri, per Margaret, era un evento talmente raro che non poteva farle presagire alcunché di positivo. Non voleva essere pessimista, ma quegli occhi spenti, i visi bui e tristi non erano affatto di incoraggiamento.
“Devi vedere Jean Paul?”, le chiese sua madre, non rispondendo alla domanda che Margaret aveva appena posto loro.
In realtà la donna cercava solo un modo per introdurre l’argomento, per giungere ad esso gradualmente. Sapeva che sua figlia non l’avrebbe presa bene, ma di comune accordo con suo marito avevano deciso di renderla partecipe di quella situazione. Ormai Margaret era grande, non era più quella bambina spensierata, era matura abbastanza da comprendere ed affrontare le problematiche familiari.
“So che non vi piace, ma lui a me sì”, sbottò con voce leggermente più dura, cercando di apparire autoritaria.
Non era intenzionata a smettere di frequentare quel ragazzo solo perché i suoi genitori erano diventati tutto d’un tratto gelosi e possessivi. Non avevano mai polemizzato sulle sue amicizie, si erano sempre fidati del giudizio di Margaret e lei proprio non riusciva a capire il motivo di tanta riluttanza proprio in quel momento. Jean Paul era un semplice ragazzo, nulla di più, e per di più era il figlio di un collega di suo padre.
“Oh sì, certo”, balbettò sua madre, con tono accomodante.
Un improvviso ed opprimente silenzio calò nella stanza. Margaret strinse le mani tra le cosce, piegando le labbra in un sorriso forzato che nascondeva disagio. C’era qualcosa di strano in quella conversazione, poteva percepirlo da come la madre continuava ad inumidirsi le labbra o dalle nocche, ormai bianche, delle mani del padre.
“Forse è meglio che vada, si sta facendo tardi”, borbottò Margaret, sperando di poter mettere fine a quell’atmosfera tanto pesante ad angosciante.
“Aspetta!”, il sussurro acuto del padre la fece immobilizzare.
L’uomo aveva fatto mezzo passo avanti e teneva lo sguardo sul volto della figlia, cercando di trovare in essi la forza e il coraggio per parlarle. Margaret deglutì, la consapevolezza della gravità della questione da affrontare di colpo si impadronì della sua testa.
“Stiamo attraversando un periodo difficile”, iniziò suo padre, poggiando le mani sulle spalle della moglie.
Prese un lungo respiro, mentre la donna portava le mani al viso, per coprirlo come meglio riuscisse. Margaret li fissava attentamente, attendendo che continuassero. In quel momento era incapace di provare qualsiasi emozione. Non c’era paura, timore, delusione, panico o altro, solo un’immensa confusione.
“Stanno facendo delle indagini finanziarie, purtroppo hanno scoperto degli ammanchi nell’ultimo bilancio”, spiegò l’uomo con voce atona.
La sua espressione era un misto di tristezza, amarezza, rabbia e paura. Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva quanto gravi sarebbero state le conseguenze e temeva di poter perdere tutto ciò che negli anni aveva costruito con sacrificio e lavoro. La sua famiglia, il lavoro, la casa, la reputazione, tutto era in gioco, tutto dipendeva da quell’unico grande ed irrazionale errore.
“Cosa significa?”, il sussurro sconcertato di Margaret venne percepito come una pretesa, quella di ricevere spiegazioni, dettagli che la aiutassero a comprendere.
“In ufficio c’erano dei problemi con una delle ultime operazioni di cui ero responsabile. Avremmo perso l’affare e degli ottimi clienti, così ho fatto variare la destinazione di alcuni assegni. Pensavo che sarei riuscito a sistemare le cose prima che qualcuno potesse accorgersene, ma poi ne ho perso il controllo. Ho chiesto il trasferimento a Londra, solo per temporeggiare”, continuò con la voce intrisa di rimpianto.
Margaret vedeva gli occhi lucidi di sua madre, le parole del padre nel rimbombavano in testa.
“Lemoine si è accorto che mancavano dei soldi sul suo conto. Li avevo investiti in un nuovo progetto, li avrei riavuti nel giro di un mese e tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma non ne ho avuto il tempo”, chiarì con tono dismesso ed occhi bassi.
Si vergognava di ciò che aveva fatto, del modo in cui aveva messo a rischio la sua famiglia solo per un altro inutile contratto che di certo non gli avrebbe cambiato la vita. Ma quella mancanza, quell’errore che impulsivamente aveva commesso, avrebbe potuto radicalmente farlo.
“Il cognome di Jean Paul è Lemoine”, la voce di Margaret era appena un sussurro.
Con occhi increduli guardava il padre, poi spostava l’attenzione sul viso straziato della madre, e riprendeva ad oscillare con gli occhi tra quelle due figure. Non voleva crederci, non poteva. Tutto le appariva talmente surreale da farle credere che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto. Le parole di suo padre si ripetevano nella sua mente ed ogni volta Margaret pareva comprendere un qualcosa di nuovo e più profondo. Quei termini vaghi e generici nascondevano una cruda verità che Margaret faceva fatica persino a pensare.
“Hai rubato dei soldi, sei scappato”, balbettò rimuginando sulle sue stesse parole.
Era quello il significato ultimo del discorso che suo padre aveva appena sostenuto. Progetti, buona volontà, problemi, quelle erano solo una serie di scuse attraverso cui presentare meglio l’orribile gesto che aveva compiuto.
“Io…”, provò a dire, come se volesse giustificare il suo operato.
“Hai rubato!”, urlò Margaret alzandosi di scatto dalla sedia.
La calma apparente che aveva avvolto il suo viso era del tutto scomparsa per lasciar spazio allo strazio, alla disperazione e alla stupore.
“Tesoro, stavo solo cercando di fare del mio meglio”, controbatté l’uomo, trovando enormi difficoltà nel terminare quella semplice frase.
“Rubando? Rubando?”, inveì Margaret.
La sua voce era ormai incrinata, tanto che era facile intuire sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro. Tutto le apparve improvvisamente più chiaro. L’improvviso trasferimento, l’antipatia per Jean Paul, la tensione della cena che si era tenuta poche settimane prima proprio in quella stessa stanza, ogni ricordo era come una tessera del puzzle che finalmente trovava il suo posto. Era delusa, ma allo stesso tempo impaurita.
“Cosa succederà ora?”, domandò in un mormorio appena udibile.
Suo padre chinò il capo, desolato ed affranto.
“Ci saranno delle indagini, bisogna attendere. Si potrebbe trattare di un’ingente multa o di reclusione”, la informò sua madre, rispondendo al posto dell’uomo.
“Cosa?”, l’urlo stridulo ed incredulo di Margaret riecheggiò tra le pareti.
La donna sussultò, mentre stringeva forte la mano del marito, poggiata sulla sua spalla quasi a volersi fare forza a vicenda.
Margaret era frastornata, tutte quelle notizie sconcertanti l’avevano pressa alla sprovvista. Avrebbe voluto abbracciare i suoi genitori, fornire loro tutto il sostegno e l’appoggio che una situazione delicata quanto quella richiedessero, ma la rabbia ed il rancore glielo impedivano. Suo padre le aveva mentito, aveva imbrogliato, non si era preoccupato delle conseguenze e, se anche l’avesse fatto, non era stato abbastanza prudente. Era colpa della sua insaziabilità e della sua avventatezza se ora rischiavano di perdere la tranquillità e la stabilità. Sua madre teneva gli occhi socchiusi, le labbra erano piegate in una smorfia di muta sofferenza.
Margaret percepiva il suo corpo fremere, tanto che non sarebbe riuscita a trattenerlo ancora per molto. Gli occhi le pizzicavano, ma lei si sforzava di non piangere, perlomeno non ancora. Era una situazione ambigua, quella. Da un lato avrebbe voluto scaricare tutta la rabbia che montava nel suo copro sui suoi genitori, accusandoli di essere stati eccessivamente superficiali, dall’altro leggeva il tormento nelle loro espressioni disarmate.
“Margaret, io…”, riprese suo padre, ma lei non gli diede neppure il tempo di terminare.
In un attimo di ritrovò a correre verso la porta, per poi uscire di casa. Le sue gambe si muovevano automaticamente, falcata dopo falcata, prestava poca attenzione alla strada che stava percorrendo. Aveva la vista annebbiata a causa delle lacrime che avevano iniziato a scendere sul suo viso, bagnandolo. Non aveva una meta, una destinazione, un luogo in cui rifugiarsi. Voleva solo scappare, allontanarsi per un po’ da quella casa e da quella serie di problemi che aveva scoperto gravassero sulla sua famiglia, il resto non le importava.
Il cellulare di Audrey squillò, distogliendola dal tentativo di lettura di un testo in francese che avrebbe dovuto studiare per il giorno successivo. Allungò lo sguardo, notando una serie di cifre che non conosceva lampeggiare sullo schermo. Sbuffò, ricordando che l’ultima volta che aveva risposto ad una telefonata da un numero sconosciuto si era ritrovata a dover cercare sua sorella per ore. Svogliatamente lo prese con la mano sinistra ed accettò la chiamata, poi portò il dispositivo all’orecchio.
“Sì?”, esordì stancamente.
Audrey teneva il gomito destro poggiato sulla scrivania della sua stanza, con la mano reggeva il capo. Stava studiando da quasi un’oretta ormai, senza riuscire a memorizzare nulla di utile. Continuava a leggere degli estratti del libro, sottolineandoli con evidenziatori di diversi colori, poi quando arrivava a fine pagina si accorgeva di non aver capito nulla ed era costretta a ricominciare. Era completamente distratta quel pomeriggio, completamente distrutta. Pochi minuti prima si era persino appisolata, ma poi il suo senso del dovere l’aveva improvvisamente ridestata, facendola sussultare.
“Ciao Audrey, sono Harry”, salutò cordialmente una voce maschile dall’altro capo del telefono.
Audrey aggrottò la fronte, frastornata. In quel momento avrebbe potuto tollerare di tutto, stanca com’era. Percepiva la pesantezza delle palpebre che spingevano per abbassarsi ed un forte desiderio di stendersi sul letto per concedersi del riposo.
“Ciao”, biascicò con la voce impastata.
“Stavi dormendo?”, fu l’ovvia domanda di Harry.
Il suo tono, al contrario di quello di Audrey, era vivace ed allegro.
“No, tranquillo”, borbottò lei, sforzandosi di apparire più attiva di prima.
Harry soffocò una risata, non avendo creduto neppure per un istante a quelle parole. Con le dita della mano libera giocherellava con i ricci, come se quel gesto potesse aiutarlo a distendere l’ansia e la tensione provocate da quella chiamata e, soprattutto, dalla voce di Audrey.
“Perché hai il mio numero?”, chiese confusa.
Con la mente ripercorse le poche volte in cui si erano parlati, ma non ricordava affatto di avergli lascito il suo recapito telefonico. Del resto Audrey non lo dava quasi mai.
“L’ho chiesto a Bree”, spigò Harry con un leggero imbarazzo.
Voleva parlare con lei, trascorrere del tempo insieme, conoscerla, ma a scuola era sempre così sfuggente e quelle poche volte che venivano organizzate uscite di gruppo non erano di certo sufficienti. Così quella mattina si era deciso a chiedere il numero a Bree, troppo timido per rivolgersi direttamente ad Audrey.
“Mh”, mugugnò lei in risposta. “E perché?”, aggiunse poco dopo, riscoprendosi insoddisfatta di quella piccola spiegazione.
“Volevo sentirti”, ammise Harry, impacciato.
Audrey sorrise, mentre con le dita iniziava a seguire il contorno delle pagine del libro che teneva aperto sulla scrivania. Al sicuro nella sua stanza, protetta dagli sguardi altrui, Audrey non trovava una sola ragione per non sorridere a quell’affermazione e a quel tono dolce e leggermente insicuro. Stava per chiedere ulteriori chiarimenti riguardo a quella risposta, ancora una volta insoddisfacente, ma la voce di Harry le impedì di continuare.
“E non chiedermi perché, perché non lo so e perché sarebbe davvero imbarazzante”, sbottò tutto d’un fiato.
Audrey puntò gli occhi in basso, sorridendo ancora una volta.
“Harry, c’è Liam”, annunciò la madre del ragazzo, con un urlo proveniente da chissà quale stanza.
Il riccio sbuffò, infastidito da quella che si preannunciava già come un’interruzione. Finalmente aveva trovato il coraggio di comporre quella dannatissima serie di numeri ed Audrey non sembrava essere neppure seccata da quella telefonata, ma Liam non poteva che rovinare tutto, questa volta persino inconsapevolmente.
“Audrey, scusa”, esordì con tono dispiaciuto. “È arrivato Liam, devo andare”, bofonchiò a labbra serrate.
“Capito”, riuscì solo a dire, mentre la mano che fino ad allora aveva continuato a scorrere lungo il margine del libro si arrestò all’istante.
“Ciao, allora”, salute Harry, rimpiangendo già la fine di quella telefonata.
“Ciao”, replicò lei in un sussurro, prima di chiudere la linea.
“Chi era al telefono?”, esordì Liam, facendo capolinea nella stanza del riccio.
Quel tono arrogante e presuntuoso apparve insopportabile all’orecchio poco accomodante di Harry. Si chiedeva come non si fosse accorto prima del carattere irritante ed egoista di quello che reputava il suo migliore amico. Era come se, tutto d’un tratto, avesse aperto gli occhi. Anzi, in realtà Harry quelle cose le aveva sempre sapute, ma non aveva mai dato peso a quelli che definiva piccoli difetti. Preferiva ricordare quel Liam che lo aveva appoggiato ed aiutato in innumerevoli situazioni, quello con il quale era cresciuto e di cui si era ciecamente fidato per tutto quel tempo. Ma ora, ora che aveva imparato a dire la propria, non voleva più rimanere in silenzio a guardare da spettatore la vita che Liam pianificava per entrambi.
“Un’amica”, rispose semplicemente, evitando di pronunciare il nome di Audrey.
Non voleva coinvolgere anche lei nella questione, non avrebbe sopportato le battutine di Liam sull’argomento.
“Bene”, constatò l’altro, poggiandosi alla superficie della scrivania. “Perché non dici la verità? Perché non dici che era Audrey?”, chiese, risentito per quella risposta vaga che l’amico gli aveva fornito.
Liam si era chiesto cosa quelle due parole potessero mai significare. Non c’erano mai stati mezzi termini o segreti tra loro ed il fatto che Harry avesse deciso di ricorrere ad essi proprio in quel momento lo rendeva particolarmente nervoso e suscettibile.
“Qual è il tuo problema, eh?”, chiese Harry, alzando il tono di voce.
I suoi occhi erano assottigliati in due fessure fiammeggianti d’ira, mentre Liam lo fissava con apparente serenità ed un sorrisetto beffardo disegnato sulle labbra, quasi si sentisse superiore, come se la rabbia dell’amico non lo scalfisse minimamente.
“Nessuno”, rispose con calcolata calma, tanto da irritare maggiormente Harry.
Liam sapeva che con quel suo atteggiamento gli avrebbe fatto perdere il controllo. La sua tranquillità, paragonata all’irritazione del riccio, non faceva altro che fomentare il crescente rancore che Harry provava nei confronti di Liam.
“Vaffanculo”, imprecò infine Harry, uscendo dalla sua stessa stanza, lasciando che la porta sbattesse alle sue spalle.
Liam sorrise, vittorioso, ma allo stesso tempo amareggiato da quella prevedibile reazione.
“Charlie!”, la richiamò Niall, seguendo la ragazza per i corridoi della scuola.
Quel pomeriggio Charlotte si era attardata a causa di un nuovo progetto scolastico incentrato principalmente sull’educazione ambientale a cui aveva deciso di partecipare. Niall l’aveva aspettata, deciso a voler chiarire con lei quella assurda situazione di stallo che si era creata.
Charlotte si pietrificò all’istante al suono di quella voce che immediatamente riconobbe.
“Niall”, sussurrò sovrappensiero mentre il ragazzo la raggiungeva.
“Non è come pensi”, esordì con fretta ed enfasi, spiazzando completamente la ragazza.
Charlie lo fissava con aria dubbiosa e le labbra incurvate in un mezzo sorriso.
“La storia di Millie, dico”, chiarì poco dopo, puntando i suoi occhi azzurri come il cielo in quelli ghiacciati di lei.
“Non mi devi spiegazioni, Niall”, gli fece notare, cercando di apparire quanto più naturale e sincera possibile.
Ma Charlotte, in realtà, avrebbe davvero voluto approfondire quella questione, tuttavia era consapevole di non poter pretendere nulla a riguardo.
“Invece sì”, controbatté con tono deciso Niall. “È successo prima, all’incirca quando tu e Louis vi siete lasciati. È stata un’unica volta, nulla di più”, chiarì.
“Perché mi dici queste cose?”, domandò allora Charlie.
Era contenta, lo era davvero, ma aveva bisogno di capire. Niall era un ragazzo dal cuore d’oro, dunque poteva tranquillamente immaginare che quelle fossero delle scuse rivolte ad un’amica stretta, ma Charlie non voleva essere un’amica. Non era pronta ad avere una nuova relazione, ma Niall le interessava veramente.
Il biondo le sorrise, incapace di trovare una risposta a quella complicata domanda. Avrebbe potuto dirle che Charlie gli piaceva, che avrebbe voluto conoscerla meglio, ma tutto gli sembrava terribilmente scontato e romantico.
“Perché un giorno di questi ti vorrei chiedere di uscire con me”, dichiarò infine con un sorriso raggiante che Charlotte trovò assolutamente adorabile.
Bree oltrepassò la porta d’ingresso di casa Wood, lasciata aperta da Audrey quando la rossa aveva citofonato dal cancello.
“Audrey, dove sei?”, domandò avanzando lentamente nell’ingresso.
“Di sopra, ti aspetta nella sua stanza”, esordì Millie, catturando l’attenzione di Bree.
Solo allora la rossa notò Millie in compagnia di Zayn, in piedi al centro del salotto. Per qualche secondo li fissò, chiedendosi per quale motivo il moro fosse lì, ma la risposta le si parò letteralmente davanti agli occhi.
“Non ti darò altre pasticche”, tuonò Zayn in un sussurro perentorio.
Millie lo guardava accigliata, infastidita da quel suo rifiuto. Erano minuti che provava ad estorcergli in qualsiasi modo un’altra pasticca di ecstasy, ma lui era categorico.
“Te la pago il doppio”, propose allora, avviandosi già alla ricerca del portafogli.
“Non me ne faccio un cazzo dei tuoi soldi, Millie”, esplose in un impeto di rabbia che fece raggelare le due ragazze.
Zayn prese un profondo respiro, per ritrovare la calma che era appena stata spazzata via dall’impulsività. Non era solito perdere il controllo, soprattutto non a causa di una ragazza che implorava per ricevere un’altra dose di chissà cosa da lui, ma con Millie non era riuscito a resistere. L’aveva vista iniziare con pochi grammi di fumo, che poi erano aumentati sempre di più, fino a trasformarsi in ecstasy, talvolta anfetamine e qualche rara dose di cocaina. In quel preciso istante le parole di Charlie riecheggiarono nella sua memoria e fu costretto a darle ragione. Si chiese come ancora riuscisse a divulgare quella roba, come la sua coscienza glielo permettesse.
“Mi pare non ti abbiano mai fatto schifo”, ribatté lei, sfidandolo con lo sguardo.
Aveva bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non le interessava da dove provenisse o quali danni potesse arrecare al suo sistema nervoso e al suo corpo. Voleva sentire quella sensazione istantanea di benessere, fiducia ed euforia, non le importava altro.
“Non avrai quello che vuoi, la questione è chiusa”, sentenziò Zayn con voce decisa e dura, mentre già si avviava alla porta.
“Vaffanculo!”, urlò Millie, prima che Zayn uscisse definitivamente da quella casa.
Millie sbuffò, lasciandosi rumorosamente cadere sul divano.
“Piaciuto lo spettacolo?”, borbottò poi all’indirizzo di Bree che, immobile, aveva osservato tutta la scena.
Storse il labbro, in un’espressione desolata. Conosceva bene quella sensazione di insoddisfazione, anche se i motivi che conducevano ad essa erano totalmente diversi.
“L’ha fatto per il tuo bene”, provò a dire.
Bree aveva davvero apprezzato il gesto di Zayn e, probabilmente, anche Millie l’avrebbe fatto se non avesse provato del risentimento nei confronti del  moro per quella richiesta inappagata.
“E da quando se ne preoccupa?”, il tono ironico di Millie era una chiara accusa per Zayn.
Bree scrollò le spalle, non conoscendo la risposta a quella domanda. Le rivolse un ultimo sorriso, poi si decise a raggiungere Audrey al piano superiore.
Margaret aveva ormai smesso di correre, lo aveva fatto per talmente tanto che ad un tratto aveva sentito una forte fitta alla pancia ed il fiato corto. Si era raggomitolata su una panchina piuttosto isolata di un parco dove Charlie l’aveva portata qualche giorno prima.
“Margaret”, la voce allegra di Louis la scosse, tanto che trasalì. “Ehi, tranquilla. Sono io”, riprese il ragazzo, palesando la sua presenza alla vista ancora annebbiata di Margaret. “Non volevo spaventarti”, si scusò sedendosi accanto alla ragazza.
Margaret piegò le labbra in una leggera smorfia, per nulla assimilabile ad un sorriso. Louis quasi non riusciva a credere che quella fosse davvero lei, la Margaret sorridente e raggiante che aveva conosciuto. I suoi occhi erano ancora umidi, il suo sguardo preoccupato e disperato allo stesso tempo.
“Che succede?”, la domanda di Louis riportò i pensieri di Margaret alla discussione che aveva avuto con i suoi genitori, facendo riemergere quelle terribili sensazioni.
“Abbracciami, Louis”, mormorò tra i singhiozzi, mentre cercava con le mani il corpo del ragazzo. “Abbracciami”, ripeté affondando la testa sul petto di Louis, che prontamente l’avvolse tra le sue braccia.
Non fece altre domande, ascoltò in silenzio il rumore dei suoi singhiozzi ed il battito sconnesso del suo cuore, cercando di trasmettere attraverso quel contatto tutto il sostegno e l’affetto di cui Margaret necessitava.

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Angolo Autrice
E finalmente rieccomi!! Al solito sono sempre più in ritrado e chiedo infinitamente scusa per questo.
Questa volta ero davvero convinta che ci avrei messo poco ad aggiornare ed, invece, siamo sempre allo stesso punto.xD
Comunque, tornata da Torino -perché sì, sono stata al concerto e ancora non riesco a crederci di averli visti per davvero *.*-
mi sono imposta di rileggere il capitolo e finalmente sono riuscita a pubblicarlo! Sembra quasi un sogno!!!
Bene, spero ci sia ancora qualcuno interessato a seguire la storia e, per quanto ormai io sia diventata davvero poco credibile,
prometto che da oggi in poi gli aggiornamenti saranno più rapidi, anche perché ormai siamo in vacanza!!!;)
Ringrazio chi legge, ricorda, preferisce, segue e chi, dopo tutto questo tempo, avrà ancora la voglia di leggere questo capitolo!<3
E a proposito del capitolo... finalmente facciamo chiarezza su questo Jaan Paul e scopriamo qualcosina in più sulla vita della nostra Margaret.
Harry fa un minuscolo passo avanti verso Audrey e finalmente sembra dire la sua con Liam.
Charlie e Niall sembrano momentaneamente sempre più vicini, mentre tra Zayn e Millie sono scintille.
E, quindi, ora vi chiedo: che ve ne pare?? Non mi dilungo troppo, anche perché proprio ora sto revisionando i capitoli successivi,
quindi... meglio cogliere l'attimo finché ci sono!!!
Lasciate un commento se vi va, qualsiasi consiglio è ben accetto!!;)
Alla prossima!;)
                                                       Astrea_


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Capitolo 19
*** Niall ***


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NIALL

Niall oltrepassò l'ingresso del Kensington & Chelsea College con la sensazione di avere gli occhi sprezzanti di una dozzina di ragazze puntati su di lui. Nonostante fosse ormai trascorsa più di una settimana da quello spiacevole evento, Niall poteva ancora chiaramente ricordare il modo rude con il quale Liam lo aveva afferrato per il colletto della camicia e sbattuto al muro, sbandierando davanti a tutti ciò che c'era stato tra il biondo e Millie. Probabilmente le sue erano solo paranoie, visto che i pettegolezzi ora si concentravano già altrove, ma Niall percepiva ugualmente degli onnipresenti ed insistenti sguardi di rimprovero. Più volte si era voltato alla ricerca di colui o colei che ancora si divertiva a incutere disagio in lui, ma puntualmente non aveva trovato nessuno. Era la sue coscienza a tormentarlo, la consapevolezza di aver commesso un errore di proporzioni esorbitanti. Avanzò ancora, cercando di concentrarsi esclusivamente sul suo percorso. Non c'era nessuno a fissarlo, nessuno che avesse notato la sua presenza lungo il corridoio, ciononostante Niall percepiva i giudizi critici che altri avevano emanato sul suo conto.
"Niall", lo richiamò Harry a modi saluto, piombano alle spalle del biondo.
"Ehi", ricambiò non appena l'ebbe riconosciuto.
L'espressione assonnata del riccio era un misto tra diverse emozioni, tra cui Niall riuscì chiaramente a distinguere la rabbia e la soddisfazione, oltre che un leggero strato di malinconia.
Harry aveva le occhiaie particolarmente marcate e scure, i suoi occhi erano visibilmente stanchi e continuava a sbagliare con una frequenza sempre maggiore.
"Non hai dormito?", domandò Niall puntando il suo sguardo diverto sul volto assopito dell'amico.
"Non molto", si lamentò con voce ancora impastata e roca. "Tutta colpa dei pensieri", borbottò poco dopo per motivare la sua risposta.
Niall annuì, conosceva bene la sensazione a cui il riccio aveva appena accennato. Era la stessa che lui provava quotidianamente per sua madre, la stessa che si era poi aggiunta quando il rimorso aveva preso a tormentarlo, quella che ora lo affliggeva per sapere cosa Charlie pensasse di lui. Avevano parlato e Niall le aveva persino palesato la sua intenzione di uscire con lei, ma Charlie non aveva detto nulla in risposta. Si era limitata ad annuire, lasciando il biondo frastornato ed ancora più confuso di prima.
Harry quella notte l'aveva trascorsa quasi interamente in bianco. Aveva continuato a girarsi e rigirarsi nel suo letto per interminabili ore, con l'intento di trovare una posizione comoda e confacente al sonno. Ma più continuava a muoversi, più si accorgeva di non poter dormire. La sua mente era affollata da decine di dubbi irrisolti. Si era interrogato sul suo rapporto con Liam, aveva cercato di fare chiarezza su ciò che era successo negli ultimi giorni, sperando di trovare la chiave che gli avrebbe permesso di comprendere quella serie di eventi apparentemente del tutto sconclusionati ed irrazionali. Liam era il suo migliore amico da tempi immemori, era colui che aveva sempre provato ad aiutarlo, a proteggerlo, a rassicurarlo. Ma in quei giorni aveva visto in lui solo il ragazzo che lo provocava senza ragione alcuna, quello che voleva far valere su di lui il proprio ascendente indipendentemente dal parere di Harry. Per questo motivo gli aveva risposto in quel modo tanto deciso e forte, ma Liam sembrava non essersi sorpreso neppure di quella reazione. Con il suo sorrisetto beffardo disegnato sulla labbra l'aveva fissato sornione per tutto il tempo e per la prima volta era riuscito a fargli perdere la pazienza, a far destare qualcosa in lui, prima in classe, poi in camera del ragazzo.
"Prevedo una giornata disastrosa, oggi", bofonchiò Niall con una smorfia rassegnata sul viso, mentre si fermava davanti all'aula di informatica dove si sarebbe tenuta la prima lezione della mattinata.
"A chi lo dici", concordò Harry in un sospiro. "Ho un test di matematica tra meno di dieci minuti e non so praticamente nulla", biascicò affranto, grattandosi la nuca con la mano destra.
Niall gli lanciò una breve occhiata comprensiva e rattristata, quasi volesse mostrargli il suo appoggio con quel semplice gesto. Harry scosse lievemente il capo, consapevole che quella verifica sarebbe stata un'ulteriore insufficienza da aggiungere a tutte quelle che continuava a prendere in quasi tutti i corsi che seguiva quell’anno.
"Devo andare", sentenziò infine, accennando ad un mezzo sorriso.
"Buona fortuna.", gli augurò Niall, seppur sapesse quanto inutili fossero quelle parole.
Non era questione di fortuna, ma di bravura, studio, costanza ed impegno. Inoltre, se anche fosse stato possibile che la dea bendata decidesse di aiutare qualcuno, premiandolo con l'innata capacità di saper rispondere a tutte le domande di un test, di certo quel qualcuno non sarebbe stato Harry, Niall o qualsiasi altro di loro. Non erano propriamente quelli che chiunque avrebbe definito dei bravi ragazzi. Ognuno di loro era sommerso da una miriade di problematiche che gli impediva persino di vedere una via d'uscita da quel tunnel buio e caotico in cui vivevano. Niall sapeva quanto la vita potesse essere ingrata ed ingiusta, era per quel motivo che ormai aveva smesso di aspettarsi qualsiasi cosa, persino le più semplici e le più banali.
Le gemelle Wood camminavano l’una accanto all’altra lungo il corridoio del primo piano. Con passo affrettato si dirigevano l’una verso la classe del corso di lingua di francese avanzato, l’altra verso quella di letteratura. Audrey non aveva fatto neppure uno degli esercizi di traduzione che le erano stati assegnati per quel giorno. Ci aveva provato, si era obbligata a tenere la testa china sul libro fino a tarda serata, ma non era riuscita a concludere nulla da quel tentativo di studio disperato. Così, quando una pimpante Bree l’aveva raggiunta, si era finalmente decisa a porre fine a quell’inutile strazio che proseguiva da ore. Era preoccupata, l’immagine di sua sorella distesa sul pavimento, quasi incosciente, la perseguitava da giorni ormai. Non ne aveva parlato con nessuno, neppure con Bree, nonostante si fidasse ciecamente di lei. Audrey aveva notato quanto la sua amica fosse particolarmente fragile in quell’ultimo periodo, dunque preferiva non aggravare le sue condizioni riferendole le sue problematiche. Avrebbe pensato da sola ad un metodo per risolvere quella questione. Se Duncan fosse stato lì, sicuramente avrebbe parlato con Millie e l’avrebbe convinta a darci un taglio netto con un solo, semplice discorso ed un caloroso abbraccio. Ma lei non era Duncan e non aveva neppure quel rapporto tanto speciale che legava suo fratello a Millie. Era quasi un’estranea ormai, ma sapeva di essere l’unica a poter ancora fare qualcosa. Sua madre di certo avrebbe notato il repentino cambiamento di Millie e ne avrebbe ben presto comprese le ragioni, ma suo padre sembrava essere diventato cieco. Quasi neppure si vedeva più all’interno dell’enorme casa Wood. Millie era sua sorella, la sue gemella, quella bambina nata nello stesso istante e, per quanto si detestassero, Audrey non poteva permettere che rovinasse la sua vita solo per un po’ di droga. Già una volta Audrey si era pentita di non essere riuscita a dimostrare in tempo l’affetto che provava nei confronti di una persona a lei tanto cara e vicina, non voleva commettere lo stesso errore anche con Millie. Non voleva svegliarsi una mattina e scoprire che non avrebbe più avuto occasione per rinfacciare a sua sorella quanto fosse superficiale ed egoista, quanto eccessivamente lenta fosse nel truccarsi o quanto le sue frecciatine potessero ferire le persone a cui erano rivolte. Audrey avrebbe voluto poter battibeccare con lei ogni giorno, a tutte le ore.
“Io sono arrivata”, esordì Millie, fermandosi di scatto sulla soglia dell’aula di letteratura inglese.
Audrey annuì appena, indugiando con lo sguardo sulla figura della sorella.
“Ci vediamo all’uscita”, la salutò con un cenno della mano, prima di riprendere a camminare.
Millie la vide allontanarsi, con le labbra piegate in un leggero sorriso. Non avrebbe mai confessato ad Audrey quanto in realtà apprezzasse la sua pazienza, i suoi silenzi ed il modo in cui si stava prendendo cura di lei, seppur da lontano. Le aveva urlato contro talmente tante volte e talmente tante cattiverie da rendere impensabile che proprio Audrey potesse avvicinarsi a lei in una situazione del genere. Le era riconoscente per ciò che aveva fatto e sperava che Audrey riuscisse a leggere dietro quella maschera di impassibilità e freddezza che Millie quotidianamente indossava.
Entrò in classe nell’esatto momento in cui anche la professoressa lo fece. Si guardò intorno alla ricerca di un posto libero e quasi smise di respirare quando si accorse che l’unico a disposizione fosse proprio quello accanto a Charlotte, in seconda fila. Si mordicchiò il labbro, per la prima volta davvero a disagio. Non si curava mai degli sguardi indiscreti degli altri, soprattutto non di quelli invidiosi o canzonatori, ma l’intensità con la quale Charlie continuava a fissarla era impossibile da ignorare. A passo lento si avvicinò al banco, fino a prendere silenziosamente posto alla destra della ragazza bionda. Charlotte aveva sempre un giudizio preciso su ogni cosa e, a giudicare dal modo in cui ancora continuava a scrutare l’espressione del viso di Millie, di certo quello per la mora non era positivo. Millie si passò una mano tra i capelli, per ravvivarli. I suoi gesti erano involontariamente troppo fluidi e sensuali, troppo perfetti, tanto che irritavano Charlotte. Se avesse potuto, probabilmente le avrebbe tagliato all’istante quella chioma ordinata e lucente che terminava in definiti e splendidi boccoli. Charlie non sopportava la sua pelle chiara ed etera, i suoi occhi maliziosi e sicuri, la sua camminata fiera e provocante, la sua voce vellutata, dolce e all’occasione seducente. Millie riusciva ad ottenere sempre ciò che voleva ed in questo il suo fisico e le sue movenze le erano di grande aiuto. Charlotte detestava il modo subdolo attraverso cui riuscisse ad abbindolare chiunque volesse, detestava come poi ricoprisse di stupide battutine quelle stesse persone con le quali il giorno prima era stata falsamente amichevole. Ma più di ogni altra cosa, Charlie detestava il fatto che Millie fosse andata a letto con Niall. Sapeva che non avrebbe mai potuto competere in quel senso con Millie e tutto ciò le infondeva un’immensa insicurezza. Lei, la ragazza forte e determinata che non si curava dei luoghi comune, ora si faceva abbattere proprio dalla regina della superficialità, dei pettegolezzi e della moda. Era snervante, tanto che Charlie strinse forte la mano sinistra in un pugno, conficcando le unghia nel palmo della mano. Non avrebbe combattuto una lotta impari con Millie, non era pronta ad uno scontro aperto di quella portata e, soprattutto, era contro i suoi principi. Non avrebbe indossato gonne, messo più ombretto e lucidalabbra del solito o acconciato i capelli solo per apparire più carina.
“Se continui così, la matita si sgretolerà del tutto”, le fece notare Millie in un sussurro, lanciando un veloce sguardo alla mano destra della ragazza.
Solo allora Charlie notò la presa ferrea attorno a quell’oggetto, la cui punta spingeva contro la superficie liscia e bianca della pagina del quaderno. Charlie lo liberò all’istante, quasi come se percorsa da un’improvvisa scossa.
“Mhm”, mugugnò in risposta, tornando a fissare il leggero solco che si era scavato sul foglio.
Millie ghignò appena, fissandola con aria indecifrabile.
“Suppongo T. S. Elliot non ti piaccia particolarmente”, ironizzò facendo riferimento all’autore dell’opera che la professoressa stava spiegando dalla cattedra. “Oppure…”, riprese con il viso piegato in un’espressione beffarda. “Oppure il problema potrei essere io”, concluse sarcastica, con un ghigno soddisfatto e allo stesso tempo provocatorio.
Charlie strinse forte i denti, decisa a mostrarsi superiore. Non avrebbe concesso a Millie la soddisfazione di vederla perdere il controllo a causa sua.
“A dir il vero mi chiedevo cosa si provasse ad essere traditi dalla propria ragazza”, replicò Charlie, in un mormorio pacato contornato da un leggero sorriso di sfida.
Millie ghignò, quasi sembrava essere divertita da quella risposta. Doveva mostrarsi fredda e sicura, non doveva lasciar trapelare alcuna emozione, Millie lo sapeva bene, se lo ripeteva da talmente tanto ormai che le era completamente entrato in testa. Se Charlie voleva giocare con lei, Millie le avrebbe dato ciò che meritava, senza risparmiarsi. Era popolare, parlava con quasi tutte le ragazze pettegole del college e le voci circolavano piuttosto velocemente in ambienti tanto piccoli come quello.
“La stessa che si prova a sentir gemere Niall”, concluse con tono vittorioso e compiaciuto.
Charlie non avrebbe replicato, ne era sicura. La bionda, infatti, deglutì soltanto, colpita da quelle parole a cui non seppe controbattere.
“Ehi dolcezza”, salutò Louis, circondando la vita di Bree con un braccio quando la vide nell’atrio durante l’intervallo.
“Ciao Louis”, ricambiò lei con enfasi, sorridendogli raggiante.
“Sei di buon umore oggi”, constatò allegro il ragazzo, trascinando Bree nei pressi della grande scalinata che congiungeva il primo ed il secondo piano.
“Sì”, confermò con tono vivace lei, sedendosi sul terzo gradino, subito affiancata da Louis.
“E come mai?”, le chiese quest’ultimo lanciandole un’occhiata curiosa.
“Non lo so.”, ammise Bree con un’espressione spensierata e vaga.
Louis la guardava e non poteva non sorridere. Quei lineamenti delicati, i capelli rossi legati in una treccia che pendeva sulla spalla sinistra, il viso dolce ed ingenuo, l’aria fragile e tenera, gli occhi di un verde splendente persi chissà nel contemplare cosa e quel sorriso leggero e sincero disegnato sulle labbra carnose e soffici. Tutto di Bree sembrava conferirle un tocco di calma e tranquillità, persino quello sguardo assente.
Louis soffocò una risata, i suoi occhi azzurri e luminosi erano concentrati sul volto rilassato di Bree.
“Sei carino”, esordì la ragazza, sorridendo candidamente all’indirizzo di Louis.
Non c’era alcuna traccia di malizia nella sua voce, quelle parole erano uscite dalla sua bocca con talmente tanta naturalezza che Bree neppure se n’era resa conto. Aveva appena fatto un complimento facilmente fraintendibile e all’improvviso sentì una strana sensazione di calore impadronirsi delle sue gote.
“Anche tu lo sei”, ricambiò Louis, accarezzandole dolcemente una guancia.
Il suo tono di voce era pervaso dalla stessa semplicità che aveva caratterizzato quello di Bree.
“Grazie”, sussurrò la ragazza, piegando le labbra in un sorriso, felice.
Mai nessuno le aveva riservato delle parole tanto gentili e sincere come quelle che Louis le aveva appena rivolto. La gente preferiva schernirla, deriderla, sottolineare le sue stranezze, piuttosto che elogiare i suoi pregi. In un unico e veloce gesto, Bree poggiò le sue labbra su quelle di Louis, baciandolo, quasi come con quel gesto volesse ringraziarlo, come se volesse comunicargli quanto gli fosse grata per come Louis si comportasse, per tutto ciò che le dicesse. Il ragazzo quasi si pietrificò a quell’inaspettato contatto che durò appena qualche istante. Bree si allontanò poco dopo, teneva gli occhi puntati in quelli azzurri di Louis e mordicchiava il labbro inferiore.
“Mi hai baciato”, affermò con ovvietà il ragazzo, ancora leggermente scosso per ciò che era appena accaduto.
“Sì”, confermò Bree annuendo. “Volevo ringraziarti”, spiegò scrollando le spalle con la sua solita aria sovrappensiero.
Louis sorrise, comprendendo solo ora le intenzioni della rossa.
“E tu baci tutte le persone a cui vuoi dire grazie?”, scherzò.
Bree aveva dei modi davvero particolari ed eccentrici per dimostrare il suo affetto a qualcuno, dei modi inappropriati ed inusuali che tuttavia non spaventavano Louis. Lui aveva compreso le difficoltà che la ragazza provasse nell’esprimere i propri sentimenti, aveva compreso quanto poco fosse abituata ad avere degli amici e quanto poco fosse incline agli atteggiamenti usuali.
“Solo quelli più simpatici”, trillò allegra Bree, tirando un leggero colpo sulla spalla di Louis, facendo sorridere il suo amico.
Margaret li aveva visti da qualche metro di distanza. Stava camminando lungo il corridoio, diretta ai bagni, quando aveva sentito il suono della ristata cristallina di Louis e si era voltata alla ricerca del viso del ragazzo, trovandolo ad una spanna da quello di Bree. Li aveva osservati per qualche secondo, il tempo necessario per vedere Bree annullare le distanze tra le loro labbra in un bacio. Margaret aveva percepito qualcosa trafiggerle il petto, attraversare il suo già dolorante cuore, che poi si era come smembrato in tanti piccoli pezzi. Aveva stretto forte gli occhi, cercando di eliminare quella immagine dalla sua mentre, e come un fulmine era corsa via. Oltrepassò prima l’ingresso, poi il cancello senza voltarsi indietro neppure per un istante, decisa a voler scappare. Aveva bisogno di tranquillità, di un posto in cui poter riflettere e ricostruire i mille brandelli in cui la sua vita si era frantumata. Pensava di poter contare su Louis, di aver visto qualcosa in lui che andasse ben oltre la semplice amicizia e solo in quel momento ne prendeva pienamente coscienza. Quando lui l’aveva abbracciata in quel parco, su quella panchina, lei si era sentita sicura, protetta, invulnerabile. Un'altra lancinante fitta colpì il suo cuore, costringendola ad aumentare il ritmo della sua già rapida e lunga falcata. La sua famiglia stava cadendo in pezzi e lei si sentiva terribilmente sola e debole e non ci sarebbe stato alcun Louis a stringerla per rassicurarla. Non sapeva se quella che stesse provando fosse gelosia, preferiva definirla un’enorme sensazione di fastidio che le invadeva la testa ed il petto. Si arrestò solo quando notò un piccolo bar, accanto all’ingresso di uno dei principali parchi della zona. Ancora una volta aveva il fiato corto e le gambe doloranti. Era intenzionata a prendere della semplice acqua, con la quale rinfrescare la gola ormai secca, ma quando entrò nel piccolo locale Margaret, senza sapere né come, né perché, si ritrovò ad ordinare una birra. La bevve con avidità, prima di ordinarne un’altra ed un’altra ancora.
Zayn era seduto esattamente dietro Liam durante la lezione di sociologia, l’unica oltre filosofia che condivideva con il castano. Non si erano neppure salutati quando Zayn, un attimo prima dell’arrivo del professore, aveva fatto il suo ingresso in classe. Con espressione distratta e disinteressata Zayn fingeva di sentire il discorso che il docente stava tenendo in quel momento, lo stesso che Liam continuava ad ascoltare attentamente, annotando degli appunti sul quaderno a righe che teneva aperto sul banco. Tutta quella finzione lo irritava. Liam appariva come il ragazzo esemplare, lo studente modello, colui che mai una volta si mostrava in errore, praticamente impeccabile. Ma lui sapeva cosa si nascondesse dietro quella spessa maschera di finta perfezione che Liam si divertiva ad indossare.
“Ottima scelta, quella di sputtanare la tua ex”, sbottò ironico, con l’unico intento di provocare il ragazzo davanti a lui.
Liam drizzò la schiena, quasi scosso dal sussurro del moro. Girò di poco la testa, il necessario per intravedere di sottecchi l’espressione criptica di Zayn.
“Avrei potuto fare di meglio, in realtà”, sminuì con un sorriso beffardo, mentre giocava lentamente con la penna che stringeva tra le dita della mano destra.
Zayn ghignò sarcastico, scuotendo il capo in un’espressione di dissenso e disapprovazione. Lui e Liam non sarebbero mai potuti andare d’accordo, per nessuna ragione al mondo. Zayn era un ragazzo fondamentalmente buono, che si ostinava ad apparire tanto riservato e freddo solo per potersi difendere dal mondo che lo circondava e che non gli avrebbe concesso neppure un lieve margine di errore. Liam, al contrario, necessitava di attenzioni, voleva dettare le regole del gioco, voleva imporsi sugli altri.
 “Magari con qualche tua pasticca ne sarebbe uscita una vera tragedia greca”, lo sfidò Liam con un mormorio.
Aveva la testa reclinata di lato ed il viso piegato in una smorfia tanto arrogante quanto provocatoria.
Zayn sobbalzò sulla sedia, irritato da quell’affermazione del tutto indelicata, ma cercando di mascherare come meglio possibile la sua reazione. Era quella la differenza che sussisteva tra Liam e Zayn: il primo non sapeva controllarsi, il secondo sapeva farlo sin troppo bene. Non avrebbe perso tempo a spiegare a Liam, né tantomeno a controbattere a quell’evidente offesa.
“Sì, la prossima volta chiamami”, lo assecondò con voce atona, con la chiara intenzione di non dar peso all’istigazione di Liam.
Il castano boccheggiò un paio di volte, prima di tornare a seguire la lezione insoddisfatto per quel battibecco mancato.

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Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! :D E, sorprendentemente, rieccomi qui con un nuovo capitolo!
Insomma, dopo gli ultimi aggiornamenti, sembra un miracolo che questa volta siano passati solo pochi giorni!!*.*
E così eccoci a parlare di Niall! In realtà il capitolo tocca tutti i personaggi,
ma dedicarlo a lui era un po' come cercare di focalizzare sul biondino l'attenzione.
Del resto la prima parte si sofferma proprio sui pensieri e sulle preoccupazioni di Niall,
permettendoci di scoprire qualcosa in più sulla sua personalità.
Bene bene, per il resto vediamo la solita simpaticissima (?) Millie e gli adorabilissimi (??) Zayn e Liam, ormai sempre più amiconi.XD
Per quanto riguarda Louis e Bree... beh, diciamo che Bree è un po' stravagante, forse troppo delle volte,
ma non preoccupatevi perché per Louis ci sono altre cose in arrivo!ù.ù
By the way, Audrey si fa sempre più vicina alla sorellina, sarà che le circostanze lo impongono, però almeno è qualcosa!
Ringrazio immensamente chi legge, segue, ricorda e preferisce!! <3 Grazie mille davvero!!
Vi invito a lasciare un commentuccio o magari dei consigli... insomma, se siete arrivate fin qui, ormai è quasi fatta!xD
Alla prossima,
                                                    Astrea_



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Capitolo 20
*** Millicent ***


f

MILLICENT

Millie si accingeva a fare il suo trionfale ingresso a casa Mailik, dove Louis aveva organizzato, nonostante il chiaro responso negativo di Zayn, quella che si preannunciava essere una festa immemorabile. A testa alta, con la schiena dritta ed il petto all’infuori Millie varcò la porta, avviandosi nella grande sala dove era concentrata la maggior parte delle persone presenti quella sera. Da quello che le aveva detto una ragazza che si definiva sua amica solo perché si scambiavano il rossetto di tanto in tanto, i genitori del moro erano fuori per questioni di lavoro e Louis ne aveva approfittato per fare un po’ di compagnia all’amico. Non era mai stata a casa di Zayn prima di allora e rimase fortemente sorpresa nel constatare quanto fosse grande e spaziosa. Nonostante fosse già in completo disordine e le bottiglie mezze vuote di qualsiasi bevanda alcolica ricoprissero quasi interamente la superficie dei vari mobili, Millie notò la cura e il gusto dell’impeccabile ed elegante arredamento. Si era presentata da sola, senza nessuno che la accompagnasse. Avrebbe potuto chiedere a decine di ragazzi che non avrebbero esitato neppure un attimo per accettare proprio un suo invito, ma aveva preferito mostrarsi indipendente, sicura e forte, a prescindere da chi stesse al suo fianco. Era abituata ad andare alle feste in compagnia di Liam o, quando di rado lui non era stato disponibile, c’era sempre stato Niall a vegliare su di lei. Quella volta, invece, sapeva di essere completamente sola e non ci sarebbe neppure stato Zayn pronto ad offrile un appiglio. Dopo l’ultima discussione che avevano avuto a casa della ragazza, Millie non aveva la benché minima voglia di tornare da lui ad elemosinare con sguardo gentile della roba, era troppo orgogliosa per farlo e Zayn era troppo testardo per cambiare idea a quel riguardo. Scrollò le spalle, poi con lo sguardo passò in rassegna l’ambiente che la circondava. Sorrise quando vide gli occhi spaesati ed intimoriti della ragazza che più volte Millie aveva visto con Zayn. Forse Millie aveva ancora qualche speranza di ottenere ciò che voleva da chi voleva. Sorrise, mentre con passo deciso si avvicinava a lei. Conosceva già il copione che avrebbe seguito quella sera. Avrebbe fatto qualche complimento alla povera malcapitata, l’avrebbe resa partecipe del suo mondo, le avrebbe presentato qualche ragazzo carino, infine le avrebbe chiesto un piccolo enorme favore che lei non avrebbe potuto rifiutare. Sarebbero state contente entrambe, Millie con le sue pasticche e quella ragazza con quella momentanea euforia dovuta al contatto con un mondo di lustrini, cocktail e popolarità che non le apparteneva.
Charlotte era seduta sullo sgabello davanti alla penisola della cucina. La gamba destra era accavallata sulla sinistra, con un gomito poggiato sulla superficie del tavolo reggeva stancamente la testa, mentre con l’altra tamburellava ad un ritmo costante contro la pelle della coscia, coperta dal tessuto del vestito che indossava. Si era rifugiata lì pochi minuti dopo il suo arrivo, esausta di assistere a quelle scene che puntualmente si ripetevano il fine settimana. Ragazzi che ballavano con le mosse più strambe e ridicole, che bevevano fino a vomitare, che ridevano tanto sguaiatamente da rendere quei suoni fastidiosi ed irritanti. Delle volte si domandava come anche lei fosse finita in quel giro, come potesse conoscere e frequentare quelle persone, proprio lei che per principio era contraria ad ogni singola cosa detta o fatta da quel gruppo scalmanato di ragazzi fuori controllo.
“Ti stavo cercando”, esordì una voce che Charlie aveva imparato a conoscere bene.
Niall avanzò in sua direzione con le labbra piegate in un dolce sorriso che Charlie preferì ignorare, sapeva bene che se si fosse concessa di guardarlo anche solo per un attimo, il suo cuore si sarebbe intenerito a quella visione e lei non voleva mostrarsi vulnerabile, soprattutto non davanti ad un ragazzo nei confronti del quale, tra l’altro, nutriva ancora dei dubbi in quanto a sincerità. Il biondo le aveva già spiegato che la storia di Millie fosse antecedente al loro avvicinamento, ma ancora non riusciva a fidarsi ciecamente. Ormai era chiaro persino a lei quanto Niall fosse stato legato a Millie in passato e, dopo ciò che era successo, non poteva avere l’assoluta certezza che lui non si facesse cogliere da una nuova debolezza. Charlie non voleva farsi abbattere o tormentare da drammi amorosi, lei voleva essere autonoma ed indipendente, una donna emancipata e capace di provvedere a se stessa. La vicinanza di Niall ed un’eventuale delusione avrebbero certamente ostacolato il suo obiettivo.
“Mi stai evitando”, riprese Niall, riuscendo finalmente a parlarle dopo giorni di silenzio.
Da quella volta a scuola, nei corridoi, Charlie gli era apparsa sfuggente, tanto che aveva avuto serie difficoltà nel rintracciarla.
“Sono stata impegnata”, mentì con lo sguardo basso, proibendosi di alzare il volto in direzione degli occhi azzurri di Niall.
Li avrebbe solo potuti immaginare, era questo l’ordine categorico che Charlotte si era imposta.
Niall annuì rammaricato, rattristato dal distacco che Charlie gli aveva riservato.
“Suppongo tu non voglia più uscire con me, dunque”, ipotizzò con un soffio affranto, mentre poggiava una mano sulla superficie della penisola della cucina.
Charlie trattenne il fiato a quelle parole. Era combattuta, indecisa e confusa. Sapeva che continuando quella farsa avrebbe rischiato di allontanare definitivamente Niall, ma sapeva anche che un solo sguardo l’avrebbe trascinata in un vortice da cui difficilmente sarebbe poi riuscita a sottrarsi. In entrambi i casi Charlie rischiava. Rischiava di avere troppo e di non saperlo gestire, ma allo stesso tempo rischiava di perdere tutto e di soffrirne. Dopo l’intensa e complicata storia con Louis si era riproposta di dedicarsi esclusivamente a se stessa, di ricominciare lavorando sulla sua personalità, affinché potesse crescere e maturare. Ma Niall era arrivato all’improvviso, Charlie non aveva potuto prevederlo ed ancora non riusciva a prendere piena consapevolezza. Era come se gradualmente stesse scoprendo quanto in realtà fosse già irreversibilmente legata a lui.
Niall sospirò, ormai stava davvero per arrendersi. Sapeva quanto Charlie potesse essere testarda ed ostinata, sapeva quanto potesse essere fragile in un momento come quello e sapeva che non avrebbe potuto pretendere nulla da lei. Aveva solo sperato in un po’ di comprensione e in un’occasione attraverso cui poterle dimostrare le sue sincere e reali intenzioni. Lasciò cadere la mano, una smorfia di amarezza prendeva forma sul suo viso, mentre si preparava a voltarsi. L’avrebbe lasciata andare, avrebbe lasciato a Charlie la possibilità di fare le sue scelte, di andare oltre quella piccola parentesi che Niall aveva costituito e l’avrebbe fatto solo ed esclusivamente per lei.
“No”, la voce di Charlotte era appena un sussurro disperato ed angoscioso.
Gli occhi della ragazza puntarono immediatamente quelli di Niall, facendole riscoprire quanto profondi e chiari essi fossero. Charlie sorrise, mentre si malediceva silenziosamente per non aver alzato prima il volto. Niall era lì, a meno di un metro da lei, con un’espressione affranta e gli occhi spenti che chiedeva solo di essere ascoltato. D’un tratto a Charlie tutto apparve relativo e privo di significato. Non le importava di Millie e delle frecciatine che le aveva rivolto, non le importava delle sue paure e delle sue preoccupazioni, non voleva che queste potessero farla soccombere. C’era solo Niall, Niall ed i suoi occhi azzurro cielo, Niall ed il suo sorriso caldo e familiare, Niall e la sua espressione dolce e giocosa.
“Voglio ancora uscire con te”, aggiunse poco dopo, deglutendo appena, incredula alle sue stesse parole.
Non c’erano scuse che avrebbero tenuto in quel momento, c’erano solo Niall e Charlie, due anime solitarie e dannate che si incontravano per la prima volta. Non sapevano se sarebbe durata, non sapevano neppure se mai sarebbe iniziata, ma Charlie aveva ragione nel dire che nulla importava in quell’istante. Niall sorrise appena, mentre si avvicinava a Charlie fino a stingere forte la mano libera della ragazza tra le sue. Niall poteva solo vedere gli occhi di ghiaccio di Charlie sciogliersi a contatto con i suoi, mentre una mano della ragazza avanzava fino a sfiorargli il viso in un gesto lento e delicato. La sofferenza, il dolore, l’attesa, il timore, tutto era scomparso. Charlie percepiva solo le labbra morbide di Niall che si erano poggiate sulle sue, colmando definitivamente la distanza tra i loro volti. Un bacio che andava oltre le mille convinzioni di Charlie e le ansie di Niall, un bacio che univa due persone, apparentemente tanto distanti: Charlie, con le sue ciocche rosa e gli slogan contro la globalizzazione e la deforestazione, e Niall, con le sue delusioni e la fobia di ricevere notizie negative dall’estero. Nessuno avrebbe mai puntato nulla su di loro, probabilmente neppure gli stessi Charlie e Niall, ma in quell’istante si trovarono, esattamente come le due metà che si ricomponevano ricreando l’unità originaria, una combinazione insolita che stranamente pareva funzionare nel migliore dei modi, una fusione di mondi ed idee che sembravano combaciare alla perfezione.
Margaret era appoggiata alla parete della sala, incastrata tra la finestra ed un tavolino dove erano state depositate circa una quindicina di bottiglie ormai quasi del tutto vuote. Teneva gli occhi socchiusi ed il capo reclinato all’indietro. Con la mano destra continuava a massaggiare le tempie, a causa di una forte emicrania che le rendeva difficoltoso persino reggersi in piedi, con l’altra, invece, stringeva forte un bicchiere di vetro ricolmo di una bevanda di cui Margaret non conosceva neppure il nome. In quello stato non sarebbe stata neppure capace di distinguere del gin dalla vodka, dal rum, dalla tequila o da qualsiasi altro alcolico. Neppure il colore le appariva più tanto chiaramente. Lo percepiva, lo vedeva, ma non sapeva identificarlo. Con un unico lungo sorso ne bevve il contenuto, riscoprendo un sapore forte ed acre che le pareva di conoscere. Un sorriso stanco e privo di significato si formò sulle sue labbra, mentre la testa iniziava a girarle sempre più vorticosamente, causandole una fastidiosa sensazione di instabilità. Con un gesto insicuro e traballante Margaret scollò le spalle dalla parete, decisa a raggiungere il centro della sala, dove aveva notato un viso che ricordava bene, nonostante la vista offuscata e la memoria labile.
“Tu”, sbottò toccando Louis all’altezza del petto con l’indice della mano sinistra.
Il castano corrugò la fronte, intuendo immediatamente le precarie condizioni in cui Margaret verteva. Il suo alito puzzava terribilmente di alcool, il suo corpo continuava ad oscillare alla ricerca di equilibrio ed i suoi occhi erano arricciati come a cercare protezione dalla luce.
Louis, al contrario, era completamente lucido quella sera. Non aveva bevuto, non aveva fumato, non aveva preso nulla. Aveva promesso a Zayn che l’avrebbe aiutato a tenere sotto controllo l’andamento della serata ed aveva mantenuto la parola data al suo amico. In realtà aveva organizzato quella festa preso da un impeto di euforia e dalle circostanze particolarmente favorevoli che si erano prospettate appena pochi giorni prima. Zayn aveva obiettato fermamente, ma Louis aveva bellamente ignorato il suo divieto e le sue lamentele, dunque quando poi Zayn gli aveva chiesto aiuto non aveva potuto rifiutare. Era lucido, quasi neppure lo stesso Louis riusciva a crederci per quanto surreale fosse quella situazione. Era ad una festa, una festa organizzata da lui, ed era riuscito a divertirsi senza ingerire altro che acqua e qualche bibita gassosa.
“Tu sei un pezzo di merda”, l’accusò Margaret con voce stridula.
Louis sgranò gli occhi, spiazzato da quello che aveva tutta l’aria di essere un insulto. Margaret era ubriaca, probabilmente diceva cose che neppure pensava o, probabilmente, diceva cose che non avrebbe mai detto da sobria, mentre la ragione deteneva il pieno controllo sul suo corpo. Ma quella sera ogni suo movimento era dettato dall’alcool che aveva ingerito, ogni suo comportamento, ogni sua parola erano enfatizzati dall’effetto che quel liquido produceva su di lei. Louis per qualche istante si chiese cosa succedeva a lui, quando era ubriaco o fatto, cosa diceva, cosa faceva. Solitamente i suoi ricordi erano sfocati e lui non si preoccupava mai di fare chiarezza su quegli avvenimenti. Del resto lui si sballava per dimenticare, non avrebbe avuto senso cercare di ricomporre le scene sconclusionate che apparivano come flash nella sua mente al mattino successivo.
“Andiamo, ti porto in un posto più tranquillo”, borbottò afferrando Margaret per la vita, quasi trascinandola oltre la sala, diretto verso la stanza adibita a biblioteca.
Louis conosceva bene quella casa, aveva trascorso così tanto tempo con Zayn da poter dire di considerarlo come un vero fratello, forse addirittura migliore dello stesso Jamal. Quando furono arrivati, Louis adagiò Margaret su una delle grandi poltrone in pelle, poi chiuse la porta, per poterle assicurare una maggiore tranquillità. Louis la osservò meglio, soffermandosi sui suoi lineamenti. Era come se guardando quella ragazza riuscisse a rivedere se stesso durante una di quelle serate in cui al posto di Margaret, accudito da Zayn o da Charlie, c’era stato lui. La ragazza aveva il trucco sfatto, la matita leggermente colata ed un’espressione stanca e dolorante dipinta sul viso. Con una mano si reggeva la testa, mentre l’altra sventolava a mezz’aria.
“Mi fai schifo”, borbottò Margaret, ritirando le gambe al petto, come a volersi proteggere.
Louis la guardò stranito, non comprendendo a cosa o a chi si stesse riferendo.
“Va tutto bene, Margaret”, provò a dire scostandole con le dita una ciocca di capelli dal viso.
“Vaffanculo, Louis”, bofonchiò lei a denti stretti, sottraendosi dal tocco gentile e garbato di Louis. “Vaffanculo a te e a Bree”, aggiunse corrucciando il viso in un’espressione rattristata.
Louis per qualche secondo rimuginò sulle sue parole, non riuscendo a comprenderne il vero significato e soprattutto perché Margaret sembrasse essere tanto arrabbiata con lui, poi la scena del bacio gli apparse all’improvviso nella mente. Non era sicuro, ma con molta probabilità era proprio a quel bacio che Margaret si stava riferendo.
“La mia vita fa schifo, la mia famiglia va a pezzi e tu sei uno stronzo”, sbottò con rabbia, mentre delle prime lacrime cominciavano a scendere sulle sue guance. “Oh, ma che cazzo te lo dico a fare?”, inveì poi contro Louis che aveva nuovamente provato ad avvicinarsi a lei, per essere ancora una volta respinto.
“Margaret, io…”, provò a dire il ragazzo, con voce tentennante.
Non era abituato ad essere in quella posizione, solitamente erano gli altri a doversi prendere cura di lui e a dover affrontare le sue crisi dovute alla sbronza.
“Sta’ zitto, lasciami in pace”, sbraitò alzandosi di scatto dalla poltrona, per poi essere costretta ad appoggiarsi al bracciolo per non cadere. “Io vado a divertirmi e tu…”, iniziò con fare minaccioso puntando lo sguardo sugli occhi azzurri di Louis. “Tu non osare seguirmi”, terminò con voce dura ed autoritaria.
Margaret forzò le labbra in un falso sorriso di saluto, poi raggiunse la porta e la oltrepassò, lasciando Louis, confuso e crucciato, alle sue spalle.
Liam era seduto sul grande divano della sala, che per l’occasione era stato spostato sulla parete. Osservava con cura ed attenzione tutte le persone presenti in quell’ampia stanza, soffermandosi su quelle che destavano il suo interesse e la sua curiosità. Era solo, seduto sulla piazza centrale. Non c’era neppure quel mucchio di ragazzi superficiali che solitamente lo attorniava, tutti troppo concentrati a godersi quegli attimi di divertimento per poterli spendere con lui. Neppure Harry aveva deciso di raggiungerlo, preferendo la compagnia altrui a quella del castano.
“Sei solo”, la voce squillante ed allegra di Bree fece trasalire Liam, colpendo in maniera tanto diretta quanto inconsapevole il suo punto debole.
Senza attendere neppure una risposta da parte del ragazzo, Bree si sedette accanto a lui, sorridendogli con fare amichevole, tanto che Liam non riuscì neppure a respingerla come la sua mente gli diceva di fare. C’era qualcosa di sbagliato nel rapporto che si stava creando tra lui e Bree. Già troppe volte era venuto meno ai suoi piani, ai suoi programmi. Bree era una di quelle ragazza a cui Liam non si sarebbe mai dovuto avvicinare, lui era destinato a frequentare gente come Millie, persone popolari che lo avrebbero aiutato ad accrescere la sua notorietà ed il suo carisma. Eppure era lì, seduto accanto a Bree, con le labbra incurvate in un sorriso appena accennato.
“Ora ci sei tu”, constatò con ovvietà.
Il suo tono scherzoso e gentile fece sorridere Bree, che con quella sua aria spensierata ed allegra continuava a guardare Liam, scrutando nei suoi occhi un qualcosa che mai aveva notato prima. C’era gentilezza, bontà, cordialità, quegli stessi aspetti caratteriali che Liam si premurava di mascherare in maniera magistrale.
“Potremmo farci compagnia, allora”, propose ingenuamente Bree.
E Liam per la prima volta fu contento del mondo in cui quella ragazza non si faceva coinvolgere dai pregiudizi e dalle varie dicerie. Lei non gli aveva riservato alcun trattamento particolare, non aveva cercato di farsi notare solo per ricevere qualche sua attenzione, non l’aveva avvicinato per chiedergli un favore, ma solo per trascorrere insieme un breve lasso di tempo. Non serbava rancore Bree, non era orgogliosa, arrogante o presuntuosa. Era l’unica che, in un momento come quello, era riuscita a sorvolare le barriere imposte dalla maschera di Liam ed ad avvicinarsi a lui, facendolo finalmente sorridere.
Audrey era seduta sulle scale, un gradino più in alto di Harry, lontano da quel chiacchiericcio fastidioso e dalla musica commerciale che risuonava tra le pareti della sala. Si erano allontanati poco dopo che Bree avesse annunciato all’amica la sua intenzione di raggiungere Liam, così Harry ne aveva approfittato per sfruttare l’occasione a suo vantaggio.
“Non possono non piacerti proprio i Depeche Mode”, controbatté scandalizzata ed incredula Audrey, replicando all’affermazione che Harry aveva appena fatto.
Il riccio sorrise, scrollando le spalle come ad indicare che non avesse alcuna colpa per ciò.
“Hai dei gusti pessimi in fatto di musica”, borbottò Audrey, fintamente seccata.
Harry in risposta arricciò il viso in una smorfia, nel buffo tentativo di riprodurre l’espressione della ragazza.
“Punti di vista”, scherzò poi, sfiorandole involontariamente il ginocchio con la mano sinistra.
Quell’improvviso ed inaspettato contatto fece sussultare entrambi. In un attimo gli occhi verdi di Harry cercarono quelli di Audrey, fondendosi gli uni negli altri. I loro visi assorti erano persi nella contemplazione dei lineamenti altrui. Harry avrebbe tanto voluto azzerare la spanna che ancora divideva i loro volti, ma era convinto che con molta probabilità Audrey lo avrebbe respinto all’istante. Tuttavia, entrambi non riuscivano a rinunciare a quell’intenso contatto visivo che si era stabilito tra di loro. Audrey aveva quasi l’impressione di poter leggere l’animo di Harry attraverso quelle iridi tanto chiare e trasparenti che le trasmettevano un profondo senso di sicurezza e allo stesso tempo riuscivano a farla smarrire, a farle perdere la cognizione del tempo e dello spazio che la circondava.
“Audrey”, la voce allarmata ed affannata di Zayn riscosse entrambi, ponendo bruscamente fine a quel magico momento.
Di scatto Audrey si voltò in quella che aveva percepito essere la direzione da cui era giunto quel suono ed immediatamente notò Zayn ai piedi della scalinata che teneva tra le braccia Millie.
“Cosa le è successo?”, domandò la ragazza preoccupata, scendendo velocemente i pochi gradini.
“Non lo so, l’ho trovata così in bagno”, spiegò Zayn con tono affranto.
“Portiamola in un posto tranquillo”, propose allora Harry, piombando alle spalle di Audrey.
Zayn annuì, mentre con passo deciso si avviava sulle scale, diretto verso una delle camere riservate agli ospiti.
“Cosa le hai dato?”, chiese Audrey non appena Zayn ebbe adagiato Millie sul materasso del letto della camera situata di fronte a quella del moro.
Il suo tono accusatorio e spregiante lasciava chiaramente intendere il rancore provato nei confronti di Zayn in quel momento. Ad Audrey non importava se era stata Millie ad esagerare, a perdere il controllo e ad assumere più roba di quella che potesse reggere. In quel momento l’unica cosa che poteva fare era prendersela con colui che le procurava quelle schifezze a cui sua sorella sembrava proprio non saper rinunciare.
Zayn scosse il capo, quasi deluso dal modo in cui Audrey era giunta ad affettate ed erronee conclusioni.
“Nulla, ho smesso di venderle qualsiasi cosa”, spiegò ricordando ancora chiaramente quando si era rifiutato di assecondare le richieste di Millie.
“Non ti credo, cazzo”, tuonò Audrey, puntando Zayn con sguardo truce.
Non poteva perdere sua sorella in quel modo, non poteva perderla in nessun modo. Era già stata costretta a troppe rinunce e Millie non doveva essere l’ennesima. Aveva paura, aveva paura che Millie si fosse già addentrata in quel mondo da cui era difficile uscire. Harry poggiò le mani sulle spalle gracili della ragazza, nel tentativo di infonderle la calma di cui necessitava per poter affrontare un momento simile.
“Davvero, Audrey”, la voce di Zayn era un sussurro affranto e desolato, colpevole. “Non le ho dato nulla”, ripeté con un filo di voce.
Sapeva che in parte era anche colpa sua, della vita che faceva, della roba che divulgava in giro. Ed era colpa di Jamal che lo aveva incastrato in quello schifo di vita. Ed era colpa di Zayn che non aveva il coraggio e la forza di porre fine a tutto ciò. Ed era colpa di Millie, che non riusciva mai ad accontentarsi e che ora era sdraiata su quel letto, non del tutto cosciente.
“Mi dispiace”, concluse infine il moro, con il capo chino verso il basso.

Il polso è regolare, non credo ci sarà bisogno di chiamare i soccorsi, annunciò poco dopo Harry, che nel frattempo si era avvicinato a Millie per controllarle il battito.
Audrey sospirò, non del tutto sicura di quella approssimata diagnosi.
Aspetteremo, ma al primo segnale ambiguo chiamo l'ambulanza”, decretò la ragazza, puntando lo sguardo sulla figura assopita della sorella.

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Angolo Autrice
Buonasera a tutti! Bene, ecco il  ventesimo capitolo!:D
Stavolta parliamo di Millie che, purtroppo, perde nuovamente il controllo.
Audrey ancora una volta è preoccupata, Zayn si trova a dover combattere contro i suoi sensi di colpa
ed Harry  finisce automaticamente implicato in questa faccenda.
In realtà, più che di Millie, parliamo del modo in cui gli altri reagiscono alle sue azioni, del ruolo che lei ha nei comportamenti degli altri,
nelle loro decisioni, oltre che analizzare, attraverso gli occhi delle persone a lei più vicine, la sua situazione.
Inoltre, Margaret e Louis litigano ed anche Margaret pare non controllarsi bene ultimamente.
Insomma, questo capitolo non è propriamente espressione di bei momenti, direi!xD
In tutto ciò, l'unica cosa positiva è il riavvicinamento tra Niall e Charlie e qualla specie di nascente amicizia tra Liam e Bree.
Grauen, mi dispiace davvero tanto, ma per ora tra Louis e Charlie pare non andare :/
Ringrazio chi segue, preferisce, ricorda e legge... grazie mille!<3
E, ovviamente, lasciate una recensione se vi va!;)
Alla prossima, allora!:D
                                             Astrea_

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Capitolo 21
*** Louis ***


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LOUIS

Louis girovagava per il parco, senza una reale meta. Era uscito presto di casa, quella mattina, non appena le prime luci del sole avevano timidamente invaso la sua stanza, colpendolo in pieno viso.
Aveva frettolosamente addentato un pezzo della crostata ai mirtilli che sua madre aveva preparato, poi si era dileguato adducendo come scusa un inderogabile appuntamento con Zayn.
Continuava a passeggiare con passo lento, assaporando l’aria fresca e pungente, mentre a pieni polmoni ispirava quel profumo di erba appena tagliata che inondava l’area. La sua mente era affollata da dozzine di dubbi ed incertezze che gli impedivano di pensare ad altro. Era confuso, frastornato ed affranto. Ancora non aveva avuto l’occasione di chiarire con Margaret ciò che era successo la sera prima a casa di Zayn, avrebbe voluto davvero parlare con lei di quella faccenda per cercare di capire cosa l’aveva portata ad inveire contro di lui in quel modo. Non era arrabbiato con Margaret, del resto non avrebbe mai potuto esserlo. Louis aveva intuito che ci fosse qualcosa che la turbasse, qualcosa che la destabilizzasse al punto da perdere il controllo. Margaret aveva bevuto talmente tanto quella sera, che probabilmente neppure ricordava di avergli rivolto la parola. L’aveva vista così spiazzata, assente, impossibilitata a prendersi cura di se stessa che per un attimo aveva provato ad immaginarsi nelle sue stesse ed identiche condizioni. Sospirò, socchiudendo appena gli occhi. La sua andatura lenta e stanca sembrava essere espressione del suo cupo stato d’animo. Teneva le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni blu, nel tentativo di trovare del calore in esse.
Eppure non riusciva mai ad immedesimarsi completamente nei panni di Margaret, nonostante vari sprazzi che pareva ricordare delle sue notti stravaganti gli suggerissero quanto fossero simili.
Louis, tuttavia, sapeva perfettamente di aver fatto di peggio, di aver superato quel limite sul quale si era attestata Margaret. Ed ora non riusciva a trovare delle risposte a quella miriade di domande. Fu come rinsavire all’istante, risvegliarsi da un terribile ed agghiacciante incubo che lo teneva prigioniero fino a qualche attimo prima. Tutto d’un tratto si chiese perché stesse sprecando in quel modo la sua vita, si chiese quali potessero essere le sue aspettative, quali i suoi obiettivi. Suo padre aveva negato la sua famiglia ed ora Louis stava negando un futuro a se stesso. Non poteva avanzare pretese, non ne aveva il diritto. Non era mai stato un ragazzo meritevole, degno di nota, colui che supportava la madre e studiava per diventare qualcuno e riscattarsi. Louis si era rinchiuso nel suo vortice che lo aveva risucchiato fino a spingerlo sul fondo di esso, dove si era stabilizzato, senza alcuna via di fuga. In realtà, Louis non aveva neppure provato a cercane una. Non c’era speranza, non per lui. E, di conseguenza, non c’era neppure alcun futuro, non per chi non confidasse nel domani.
Si lasciò pesantemente cadere su una panchina che costeggiava il piccolo e basso recinto di una aiuola.
Sprecava un istante, un altro e poi quello ancora successivo. Era sufficiente una serata per dimenticare quanto inutile fosse la sua vita, quanto vuoto fosse il cammino che aveva percorso fino a quel momento, quanto incerto si presentasse quello che, invece, lo attendeva. Non poteva capirlo, non durante quelle notti, almeno, che quello era l’ennesimo spreco di tempo. Erano attimi rubati alla felicità, quella vera, alla serenità, alla sua ragazza, a sua madre, ai suoi amici. Erano attimi rubati a se stesso. Non si sarebbe ripromesso di dare un taglio netto a quella vita, sapeva di non essere pronto per un passo tanto importante. Louis non ne era in grado. Sarebbe ricaduto nella stesa trappola alla prima occasione, contento di non poter realmente comprendere, anche solo per poche ore, come stesse continuando a sgretolare il suo avvenire, il suo passato, tutto. L’importante era riuscire a non pensarci, si diceva per convincersi. Era quella la chiave delle sofferenze, i pensieri, i ricordi, le promesse spezzate, il cuore scalpitante.
Il suo sguardo era perso nel vuoto, i suoi occhi azzurri indugiavano su un punto indefinito, fino a perdere la reale consistenza delle immagini percepite.
Forse sarebbe dovuto tornare a casa, avrebbe potuto trascorrere del tempo con sua madre, rendendola con quel semplice gesto la donna più felice del mondo. Ma Louis non era bravo a soddisfare le aspettative delle persone a lui care, lui le deludeva, le annientava. Magari era a causa di un simile motivo che suo padre l’aveva abbandonato senza neppure fornirgli un’adeguata spiegazione.
Millie aprì lentamente gli occhi, mugolando qualcosa di incomprensibile all’orecchio vigile di Zayn. Quando Audrey si era finalmente decisa a rincasare, dando credito ai consigli di Zayn ed Harry, i quali le suggerivano di lasciare che sua sorella restasse a dormire lì, il moro non l’aveva persa d’occhio per neppure un secondo. Non sapeva cosa avesse ingurgitato, dunque non poteva prevedere alcunché. L’aveva solo vista traballante, prima che in un attimo perdesse definitivamente l’equilibrio. Lui l’aveva prontamente soccorsa, avvolgendola con un braccio, ma Millie sembrava non essere più minimamente lucida, neppure per potersi reggere degnamente in piedi.
Zayn si ricompose, sistemandosi meglio sulla larga poltrona in pelle sulla quale aveva trascorso le intere precedenti ore. Allungò lo sguardo sul viso corrugato ed assonnato di Millie, per verificarne le attuali condizioni.
Lei fece vagare gli occhi, non riconoscendo affatto quel luogo come familiare. Prima il grande armadio di legno, poi la porta, un antico comò sormontato da uno specchio ed infine Zayn.
Quasi sussultò quando riconobbe il ragazzo proprio a pochi metri di distanza. Era stesa in un letto che non aveva mai visto prima, in una stanza in cui non era mai stata e Zayn continuava a fissarla come se attendesse una qualsiasi parola. Il cuore di Millie perse un battito, temendo l’eventualità che quella notte fosse successo qualcosa tra di loro. Non ricordava nulla della festa, solo delle immagini sconnesse e sfumate, che terminavano con una luce ambrata particolarmente vicina.
Socchiuse gli occhi per un attimo, costretta a cercare un rimedio al fastidioso e pungente mal di testa che l’aveva appena assalita.
“Stai bene?”, fu la pronta domanda di Zayn, pronunciata con appena un sussurro di preoccupazione.
Millie storse il labbro in una smorfia ironica, ma dolorante, senza tuttavia rispondere in modo esplicito.
“Dove sono? Perché sei qui?”, chiese sforzandosi di mantenere un tono deciso.
Non voleva apparire debole, non in un momento del genere, e non si curava di quanto frastornata fosse, voleva solo che Zayn potesse vedere in lei la solita Millie arrogante e presuntuosa.
Il moro ridacchiò appena, mentre ammiccava in direzione della ragazza. Era sveglio, Zayn. Sapeva esattamente il perché di quelle domande e poteva chiaramente immaginare la confusione regnare sovrana in Millie.
“Vuoi che ti faccia un disegnino?”, sussurrò malizioso, avvicinandosi di qualche passo alla ragazza.
Millie sgranò gli occhi, indignata e allo stesso tempo sorpresa.
Zayn non sapeva neppure perché avesse deciso di provocarla in quel modo, quasi come se stessero giocando. Forse si sentiva in colpa per ciò che le era successo, per ciò che lui più volte aveva fomentato. Per ore si era dato la colpa di quell’incidente, convincendosi che in parte era a causa sua che Millia aveva sviluppato un sempre maggiore attaccamento a quel genere di sostanze. Se lui si fosse rifiutato prima, magari lei avrebbe smesso di cercarle, magari si sarebbe limitata a qualche canna occasionale, come sua sorella Audrey. Ancora una volta Zayn si vergognò silenziosamente della sua vita, di ciò che faceva, di ciò a cui non riusciva a rinunciare per paura, codardia, debolezza. Avrebbe potuto essere forte, per una volta, avrebbe potuto dire la sua, smettere di eseguire passivamente gli ordini che gli venivano dati, ma Zayn non aveva il coraggio di farlo. Temeva le conseguenze, non poteva contare sull’appoggio di nessuno, neppure di Louis. Non avrebbe mai permesso che il suo migliore amico potesse essere implicato in una faccenda del genere, neppure lontanamente.
“Mhm”, mugugnò Millie, con un’espressione scettica. “Che schifo”, commentò con voce disgustata, arricciando il naso.
Zayn soffocò una risata, divertito e allo stesso tempo rassegnato dal modo in cui Millie cercasse di apparire costantemente tanto altezzosa, persino in momenti come quello.
Era palesemente disorientata, spaesata, tanto che Zayn si chiese per quale assurdo motivo ancora non proseguisse con delle domande volte a far chiarezza sulla situazione.
“Non siamo stati insieme”, si decise a dire, inchiodando i suoi occhi ambrati in quelli più scuri della ragazza.
Millie corrugò la fronte, ormai sempre più confusa.
“Chi ti ha dato cosa?”, la domanda di Zayn le giunse come un coltello tagliente all’altezza dello stomaco, tanto improvviso, quanto affilato.
Una serie di flash le invasero la mente, costringendola a rivivere brevi attimi della serata. Non rammentava molto, solo dei volti a lei ben noti con i quali si divertiva. Stranamente ricordava del suo subdolo piano volto ad estorcere con l’inganno ciò di cui necessitava proprio dal moro che si era rifiutato di avere ulteriori contatti con lei. Se c’era una cosa che Liam le aveva insegnato, quella era proprio essere affabile con le persone dalle quali si voleva qualcosa, qualsiasi cosa. E Millie era stata gentile con quella ragazza, l’aveva fatta sorridere, le aveva presentato dei ragazzi carini e poi le aveva chiesto di fare quel piccolo servizio al suo posto. Lei aveva accettato, chiunque l’avrebbe fatto, e Zayn non aveva sospettato che proprio quella ragazza potesse essere diventata complice di Millie.
“Tu, anche se indirettamente”, confessò sfidandolo con lo sguardo.
Questa volta fu il cuore di Zayn a perdere un battito. Aveva ingenuamente pensato di sottrarre dalla portata di Millie qualsiasi pasticca, ma ne aveva comunque dato in giro qualcuna. Avrebbe dovuto prevederlo: non importava a chi le desse, quelle circolavano giungendo a tutti. Aveva fatto una sottospecie di selezione, per limitare quantomeno i danni. Aveva deciso che le avrebbe date soltanto a coloro che si erano dimostrati ancora capaci di controllarsi, negando categoricamente anche solo dell’erba a persone come Millie. Era stato superficiale, forse. Aveva creduto di poter risolvere con quel semplice provvedimento un problema di dimensioni decisamente maggiori. Ed, invece, era lui il problema. Era lui la mela marcia che stava contagiando tutte quelle a contatto con lui. D’un tratto fu travolto da un moto di rabbia e rancore che gli fece indurire i lineamenti del viso e tendere forte i muscoli.
Deglutì, prima di voltarsi in direzione della porta.
“Dove vai?”, la voce seccata di Millie lo richiamò inutilmente.
“Vaffanculo”, borbottò solo prima di uscire definitivamente dalla stanza, bisognoso di riflettere in solitudine e tranquillità.
Charlie attendeva intrepide l’arrivo di Niall nel luogo prefissato per l’incontro da poco più di qualche minuto. In realtà, il biondo aveva più volte insistito, offrendosi di passare a prenderla a casa, ma lei aveva categoricamente rifiutato, preferendo largamente trovare un punto a metà strada tra le loro abitazioni, dal quale avrebbero poi raggiunto gli altri per la colazione.
“Ciao”, la voce allegra di Niall le fece alzare il volto e subito Charlotte fu avvolta dal profondo azzurro degli occhi del ragazzo.
“Ciao”, ricambiò cercando di camuffare l’imbarazzo.
Niall sorrise, avvicinandosi fino a posare un leggero bacio all’angolo delle labbra che lasciò Charlie con il fiato corto ed il cuore in gola. Non era pronta a provare emozioni tanto intense, capaci di destabilizzarla in ogni istante, per ogni minimo gesto. Non era abituata a ciò.
“Hai sentito gli altri?”, chiese allora, nel miserevole tentativo di avviare una conversazione piuttosto generica.
Niall annuì, prendendo a camminare insieme a lei in direzione del bar dove si sarebbero radunati quella mattina. Il biondo continuava ad osservarla raggiante, tanto che Charlie si sentiva decisamente a disagio con quello sguardo entusiasta puntato addosso. Non sapeva cosa dire, cosa fare, come non deludere le sue aspettative.
Non avevano ancora parlato di quel bacio ed, in un certo senso, Charlotte avrebbe preferito eludere l’argomento ad oltranza. Temeva una qualche reazione di Niall, le sue parole, un suo eventuale allontanamento. Era consapevole di quanto poco chiara fosse la definizione che lei stessa aveva dato al loro rapporto, ma non riusciva ad essere più precisa. Aveva appena concluso un’importante storia e le risultava difficile dover ricominciarne, fare nuovamente i conti non i battiti irregolari ed accelerati del suo cuore, con le dita che giocherellavano tra i capelli per l’agitazione e le gote che prendevano colore per il disagio. Inoltre, a ciò si aggiungeva la sostanziale differenza che intercorreva tra Niall e Louis. Louis l’aveva conquistata con il suono della sua risata gioviale e spensierata, Niall con la forza del suo sguardo, la dolcezza del suo sorriso, l’indecisione e la sicurezza che alternava continuamente, le attenzioni che le riservava.
“Dovremmo essere in perfetto orario”, farneticò poi Charlie, per spezzare il breve silenzio, controllando l’orologio con una veloce occhiata.
Niall non rispose, continuava a studiare attentamente la sua espressione cercando di carpirne ogni dettaglio.
“È davvero una bella giornata”, riprese Charlotte adocchiando il cielo poco nuvoloso.
Niall le sorrise dolcemente, decidendosi a passarle un braccio intorno alle spalle, per avvicinarla a sé.
“Non sei costretta a fare conversazione”, esordì con tono rassicurante e caldo.
Charlie d’istinto intrecciò le dita con una ciocca di capelli e abbassò di poco il capo, imbarazzata e nervosa allo stesso tempo.
“Non so che dire, come comportarmi”, ammise con un filo di voce appena udibile.
Niall aumentò la stretta, cercando di trasmetterle attraverso essa l’affetto che provava nei suoi confronti.
“Neppure io, è questo il bello”, affermò cercando il suo sguardo.
Charlie alzò di poco il volto, meravigliata da quelle parole, e subito incontrò gli occhi azzurri e confortanti di Niall.
Sorrise appena all’indirizzo del biondo, ormai ad appena una spanna di distanza dal suo viso, quando la loro attenzione fu richiamata dalla voce trillante di Bree.
“Ehi, ragazzi!”, salutò allegra dall’altro lato della strada, ferma all’ingresso del bar.
Niall si mordicchiò le labbra, ancora fermo nella sua posizione, mentre Charlotte voltò il viso di scatto, alla ricerca di quello della rossa.
“Ciao”, ricambiò con un cenno della mano, apprestandosi già ad attraversare la strada, seguita da Niall.
In pochi attimi si ritrovarono seduti ad un tavolino rotondo insieme a Bree, Audrey ed Harry, intenti a valutare tutte le torte ed i dessert offerti dal menu.
“Come sta Millie?”, chiese d’un tratto Niall, catturando l’attenzione dei presenti.
Charlie trattenne il fiato per interminabili secondi, spiazzata da quell’interesse. Quella domanda gli era sorta spontanea, Niall l’avrebbe fatta a prescindere dal soggetto. Sapeva che la sera prima c’erano state delle complicazioni a casa di Zayn e voleva solo accertarsi delle condizioni di quella ragazza che un tempo era stata molto importante per lui. Tuttavia, solo dopo aver pronunciato quelle parole, si rese conto delle conseguenze di esse. Notò immediatamente lo sguardo sconcertato di Charlie fissarsi su di lui e quello inquisitorio di Audrey.
“Sta bene”, rispose soltanto la gemella Wood, cercando di non far trapelare alcunché dalle sue parole.
Aveva chiamato Zayn quella mattina, chiedendo della sorella, e lui le aveva detto che ancora dormiva. Così aveva chiamato una seconda volta, dopo appena mezz’ora, e Zayn le aveva detto che sì, era nuovamente in gran forma.
“Uhm”, borbottò Niall in risposta. “Meglio così”, aggiunse con un accenno di sorriso disegnato sulle labbra.
“Ma dove sono gli altri?”, chiese Bree, intromettendosi nel discorso di proposito, per sviarlo.
“Tolti Millie e Zayn, Margaret che non risponde e Louis che è irraggiungibile, siamo tutti”, riprese Harry, coadiuvando il tentativo di Bree.
La rossa corrugò la fronte, come se stesse riflettendo su un qualcosa che fino a quel momento le era sfuggito.
“Nessuno ha avvisato Liam?”, domandò qualche istante dopo, passando in rassegna i volti colpevoli, ma per nulla dispiaciuti dei presenti.
“Non ho il numero”, si difese Charlie, scrollando le spalle.
“Io di certo non potevo chiamarlo”, la imitò Niall, giustificando quella mancanza.
“Ed io non chiamo nessuno a prescindere”, bofonchiò Audrey con una smorfia scorbutica sul volto.
“Harry?”, lo chiamò allora Bree.
Del resto era Harry l’unico vero amico di Liam, colui che davvero nutriva affetto per lui, che si preoccupava dei suoi problemi e che gli era sempre stato accanto e non per convenienza.
Il riccio abbassò il capo, scuotendolo leggermente.
Non disse nulla a riguardo, non c’era davvero nulla da dire rispetto a quello schiocco battibecco che avevano avuto e che, tuttavia, sembrava li stesse facendo lentamente allontanare.
Liam non lo avrebbe mai confessato, ma detestava profondamente quella situazione che si stava creando tra loro. Prima della popolarità, prima del carisma, prima della sua forte personalità, prima di ogni cosa, c’era soltanto quel Liam che per caso aveva conosciuto Harry, quei due bambini che, sempre casualmente, erano diventati amici. Non avrebbe fatto alcun passo visibile in direzione di Harry, Liam preferiva agire con calma e cautela. Probabilmente avrebbe escogitato un altro dei suoi innumerevoli piani che avrebbero costretto il riccio a tornare da lui. Perché Liam, ne era certo, non avrebbe lasciato che la sua amicizia con Harry finisse per una banalità simile. Così, seduto sul divano del piccolo salotto di casa sua, guardava uno dei tanti telefilm trasmessi in tv. Sarebbe riuscito nel suo intento o, almeno, se lo augurava con tutto il cuore.
Margaret non sapeva neppure cosa ci facesse lì, allo zoo, seduta su una panchina a qualche metro di distanza da tre esemplari di gorilla che facevano bella mostra di sé, attirando i visitatori. Non si era addentrata all’interno del parco, aveva preferito rimanere nei pressi dell’ingresso, del resto non le importava davvero osservare chissà quale specie catturata e rinchiusa in una gabbia per poterla esibire come un oggetto raro e prezioso. Aveva solo bisogno di distrarsi, di respirare. Non chiudeva occhio da più di ventiquattr’ore ormai, ma sembrava non curarsi delle palpebre gonfie e stanche che premevano per chiudersi. Non voleva trascorrere altro tempo a casa proprio quel fine settimana. Era rientrata tardi, alle prime luci dell’alba e aveva deciso di fare una doccia, per rinfrescarsi. Poi, quando era uscita dal bagno, era stata accolta da una ramanzina della madre e da una nuova ed infelice eventualità: quella di essere costretta a trasferirsi per un indefinito periodo dalla nonna. Non era ancora una certezza, né una necessità, ma sua madre aveva ritenuto opportuno introdurre l’argomento, magari per essere preparati in caso di esigenza. Ma Margaret non aveva sopportato oltre. La sua vita era stata stravolta in poco più che un battito di ciglia: prima Londra, poi il padre, ora un nuovo eventuale spostamento. Era corsa via e si era ritrovata proprio lì, dove era certa nessuno l’avrebbe mai cercata. Un gorilla, quello di stazza media e con il pelo più scuro degli altri, continuava a fissarla e Margaret faceva altrettanto con lui. Avrebbe voluto fosse tutta lì, la sua vita. Avrebbe voluto non avere problemi, ma soprattutto avrebbe voluto essere capace di non pensare, perché, esattamente come Louis, come Zayn, Millie, Liam, Bree, Audrey, Niall, Charlie ed Harry, sapeva che era il rumore dei pensieri, la loro consistenza e ciò che essi implicassero ad incatenarla a quella realtà che non la lasciava respirare, che la teneva prigioniera della sua temibile stretta, non curandosi minimamente del suo piccolo e fragile cuore che continuava a sgangherarsi, attimo dopo attimo.

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Angolo Autrice
Salve a tutti!:D Allora, ecco il 21esimo capitolo pronto!:D
E, se non ho fatto casini con i codici html, dovrebbe anche esserci il banner nuovo!!
Anyway, questa volta iniziamo da Louis, che è ancora un po' scosso e assorto nei suoi pensieri.
Lo vediamo passeggiare e riflettere sul senso della sua vita, in risposta alla precedente serata in cui lui era perfettamente lucido,
mentre Margaret non lo era per nulla. Di lì partono, poi, le sue considerazioni.
Si passa poi a Millie. Fortunatamente per lei, questa volta si è trattato di un falso allarme!
Ed, ovviamente, non poteva non litigare con il piccolo e dolce (?) Zayn al suo risveglio.
Charlie e Niall vanno avanti con il loro rapporto, mentre Liam pare messo momentaneamente da parte.
Concludiamo con una Margaret sempre più persa e disorientata che si ritrova ad osservare un gorilla.
Non dico granché, anche perché ho intenzione di aggiornare presto,
ma posso dire che il prossimo capitolo sarà sulla sensibilissima e timidissima -certo, come no!!!- Audrey!!!
Okay, ringrazio chi legge silenziosamente, chi ricorda, segue o preferisce! Grazie mille davvero!<3
E, se vi va, lasciate un commento! Mi piacerebbe davvero molto conoscere i vostri pareri e magari ricevere consigli.
Alla prossima!;)
                                                                                   
 Astrea_

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Capitolo 22
*** Audrey ***


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AUDREY

Uno, come il numero di volte che aveva fatto sesso nei suoi diciassette anni di vita. Due, i ragazzi che aveva avuto e che puntualmente l'avevano lasciata a causa del suo estremo cinismo. Tre, i pianti che ricordava. Quattro, i dolci preferiti da sua madre che aveva più volte cercato di cucinare, senza mai ottenere risultati quantomeno accettabili. Cinque, le ricorrenti insufficienze nella sua pagella intermedia. Sei, le fughe notturne da casa di cui mai nessuno si era accorto. Sette, le volte in cui aveva rubato in un negozio per un valore totale di poco più di due centinaia di sterline. Otto, le peggiori imprecazioni indirizzate a suo fratello senza neppure una reale e valida motivazione. Nove, come le occhiate rivolte al letto vuoto della camera di Millie appena qualche sera prima. Dieci, le volte in cui aveva pensato di andarla a riprendere, le volte in cui aveva tremato, spaventata, le volte in cui la consapevolezza della drammaticità delle condizioni in cui verteva la sua famiglia l'aveva travolta.
Audrey scosse lievemente il capo, sforzandosi di focalizzare nuovamente la sua attenzione sul foglio ancora bianco destinato al breve saggio in lingua francese che avrebbe dovuto scrivere nel giro di un'oretta. I suoi compagni di classe avevano tutti la testa china sul banco, intenti a buttar giù chissà quali originali idee sul commento di un libro che avevano dovuto leggere durante la scorsa settimana, mentre lei continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore con lo sguardo vacuo fermo sul vetro della finestra.
Avrebbe improvvisato un breve e succinto commento durante gli ultimi venti minuti, potendo contare sulla sua impeccabile conoscenza della grammatica francese e di una vasta gamma di vocaboli da cui attingere.
Si chiese se fosse il caso di informare suo padre dello strano periodo che Millie stava affrontando, magari solo per avere il parere di una presunta persona adulta e responsabile, ma subito fu dissuasa da quell'idea che di certo non avrebbe beneficiato a sua sorella. Al massimo, conoscendo suo padre, lui l'avrebbe fatta seguire da qualche psicologo di sua conoscenza e l'avrebbe obbligata a frequentare qualche corso di chissà cosa in cui non avrebbe imparato nulla.
Sospirò sommessamente, poi passò una mano tra i capelli lunghi e mossi. Solo in quel momento si accorse della presenza di un ragazzo, a qualche metro dalla finestra, per metà nascosto dietro un muretto. Audrey sorrise quando lo vide sbracciarsi per assicurarsi di aver catturato la sua attenzione. Dalla chioma riccia e scomposta riconobbe immediatamente Harry. Per un attimo si domandò se stesse cercando proprio lei o qualcun altro, così indugiò per qualche istante sui volti dei suoi compagni di corso, pensando a chi di loro potesse conoscere Harry, ma la sua ricerca terminò senza aver prodotto alcun risultato. Tornò con lo sguardo sul ragazzo che ora le faceva segno di raggiungerla, con le labbra piegate in un sorriso impacciato che Audrey non riuscì a non ricambiare. Si alzò di scatto, afferrando il figlio bianco della verifica, e con passo deciso si rivolse verso la cattedra. Gli occhi inquisitori del professore la puntarono all'istante, ma Audrey non si fece scalfire affatto. Era sicura di quello che si accingeva a fare. Lasciò cadere il foglio sul tavolo di legno e sorrise con aria compiaciuta. Senza attendere neppure un attimo, si avviò verso la porta.
“Signorina Wood, il suo compito non è svolto”, commentò con tono sorpreso l'uomo, nel tentativo di fermare la ragazza che ormai aveva già poggiato la mano sulla maniglia.
“Pazienza”, borbottò in risposta, lasciando definitivamente l'aula con sguardo fiero e fiammeggiante.
Era sempre così. Ogni volta che si decideva a fare qualcosa che la ragione le sconsigliasse vivamente, sentiva l'adrenalina scorrere nelle sue vene e la pelle elettrizzarsi. Era un po' come tornare indietro nel tempo e ricordare quella sensazione che l'avvolgeva tutte le volte che preparava qualche stupido scherzetto a Duncan. Quei sorrisetti malefici, il passo felpato, la paura mista all'eccitazione. Scrollò le spalle, lasciando che quei ricordi le liberassero la mente. Aveva consegnato un'esercitazione di francese, l'unica materia in cui ancora poteva vantare degli ottimi voti, completamente in bianco. Non aveva scritto nulla su quel foglio protocollo, non si era neppure preoccupata di copiare la traccia o di scrivere qualche frase introduttiva e generica con la quale simulare un iniziale tentativo di svolgere il compito assegnatole. Non ne aveva voglia, non quel giorno perlomeno.
Era insensato e da incoscienti, ma abbandonare la classe nel mezzo dell'ora di lezione era tutto ciò che sentiva di fare in quel momento.
“Ciao”, salutò con un cenno della mano quando ebbe raggiunto Harry.
Il riccio le sorrise, uscendo allo scoperto dal muretto dietro il quale si era rintanato.
“Ciao”, ricambiò portando la mano destra tra i capelli per afferrarne alcune ciocche.
“Allora?”, domandò Audrey incrociando le braccia al petto, mentre i suoi occhi si poggiavano curiosi sulla figura di Harry.
Lui forzò un sorriso eccessivo, cercando di mascherare il disagio che pervadeva il suo corpo. Aveva agito d'impulso, non soffermandosi per neppure un istante su ciò che stava per fare. Sapeva che riflettendoci si sarebbe di certo convinto dell'assurdità di quel gesto. Era in aula, al corso di matematica, quando quella malsana idea gli era balenata in testa. Era d'un tratto giunto alla ovvia ed inequivocabile conclusione di gradire la compagnia di Audrey molto più di quella di qualsiasi altra ragazza, così aveva pensato di invitarla a trascorrere del tempo con lui, non gli interessava per quale precisa occasione. Solo in quel momento, tuttavia, aveva riscoperto l'imbarazzo che quella situazione implicava. Si trattava pur sempre di Audrey, la ragazza scorbutica con la risposta pronta a raggelare i più entusiasti spiriti, con lo sguardo truce ed impassibile ed Harry non aveva la più pallida idea di come fronteggiarla.
Il riccio non rispose, infilò distrattamente le mani nelle tasche dei jeans scuri e larghi che indossava. Audrey sollevò un sopracciglio con aria scettica, mentre un leggero ghigno prendeva forma sulle sue labbra. Trovava divertente e allo stesso tempo estremamente tenera l'espressione disarmata che spiccava dal volto di Harry.
“Non dici nulla?”, la sua domanda retorica suonava quasi come una banale e deludente constatazione.
Lei aveva pur sempre lasciato la classe per raggiungerlo.
Certo, magari aveva approfittato della situazione per evadere, ma aveva comunque deciso di dirigersi proprio da lui. Harry prese un profondo e lungo respiro, quasi parlare gli costasse uno sforzo soprannaturale. Il suo unico desiderio era quello di riuscire ad esprimere i suoi pensieri senza tuttavia risultare infantile o banale.
“Io mi chiedevo…”, iniziò, tentennando con la voce. “Ecco, mi chiedevo…”, riprovò, ma ancora una volta le parole gli morirono in gola.
Audrey corrugò la fronte, squadrandolo attentamente per cercare di cogliere quante più informazioni dall’atteggiamento sospetto del ragazzo. Poggiò le spalle al muro e con un gesto lento estrasse una sigaretta dal pacchetto del largo cardigan scuro che aveva indosso. Harry la guardava quasi ammaliato mentre prendeva l’accendino, con quel piccolo cilindretto incastonato tra le labbra.
“Harry, parla”, gli orinò quasi, facendo un primo tiro. “Non ti mangio mica”, aggiunse ironica mentre una piccola nuvola di fumo grigiastro fuoriusciva dalla sua bocca.
Il riccio deglutì, muovendo un unico e deciso passo in direzione di Audrey.
“Vuoi uscire con me?”, domandò tutto d’un fiato, correndo su ogni singola lettera, come se la velocità potesse lenire il disagio causato da quel semplice invito.
Audrey sgranò gli occhi, evidentemente sorpresa. Rimase immobile, con il fiato sospeso per un tempo indefinito. Aveva le labbra leggermente socchiuse e la mano destra immobile attorno alla sigaretta, sulla cui estremità continuava ad accumularsi della cenere. Le parole di Harry le erano pervenute chiare, nonostante la voce impetuosa e frettolosa del ragazzo. Le aveva appena chiesto l’opportunità di vedersi al di fuori del contesto scolastico e dal giro di amicizie che si era creato e ciò non faceva altro che terrorizzarla. Audrey era sempre stata brava a difendersi, racchiusa nella sua impenetrabile corazza, soprattutto perché nessuno aveva mai provato ad avvicinarsi tanto a lei, la cinica ragazza menefreghista che aveva perso la madre ed il fratello maggiore.
“Cosa hai detto?”, chiese in replica quando finalmente riuscì a ritrovare la capacità di proferir parola.
Harry sorrise, nonostante si stesse mentalmente maledicendo per non aver riflettuto per neppure un istante su quella decisione. Se ne avesse avuto la possibilità, sarebbe tornato indietro nel tempo ed avrebbe assolutamente evitato quella patetica ed imbarazzante scenetta che al momento lo vedeva tra i protagonisti.
“Io volevo solo…”, balbettò, ma il tono deciso ed autoritario di Audrey lo costrinse a fermarsi.
“Io non esco con nessuno, quantomeno con i ragazzini che adottano le stesse tattiche con tutte le ragazze”, sbottò quasi rabbiosa, alludendo chiaramente a quando, mesi prima, aveva trovato Harry che spiava Margaret dalla finestra.
Audrey non ne era gelosa, aveva solo cercato il primo appiglio a cui potersi aggrappare per respingerlo. La verità, invece, era che aveva paura, una fottuta paura di non essere all’altezza, di non essere capace di amare, di pensare a qualcuno, un ragazzo, in maniera totalizzante.
“Io non volevo offenderti. È solo che in queste cose non sono molto bravo e credo che tu mi piaccia davvero”, ammise con il viso piegato in una timida smorfia.
Il cuore di Audrey perse un battito, la sigaretta le cadde dalle mani. Gli occhi verdi e sinceri di Harry erano puntati nei suoi, tanto da riuscire a destabilizzarla, provocandole una certa sensazione di disagio dovuta essenzialmente all’intensità dello sguardo. Due fossette appena scavate incorniciavano le labbra sottili del riccio, mentre i suoi capelli ricoprivano in parte la fronte. Harry era troppo per una come lei, Harry era troppo per Audrey. Harry significava serietà, sentimento, sincerità, sorriso. Significava aprirsi a qualcuno, fidarsi, legarsi ed Audrey aveva troppa paura per concedersi un simile rischio. Sapeva cosa significasse perdere una persona cara, forse era per quel motivo che teneva tutti lontani, che si ostinava a mostrarsi tanto indifferente al resto del mondo. In pochi istanti fece la sua scelta. Con un repentino scatto corse in direzione della porta, poi la varcò con sicurezza, non concedendosi neppure un ultimo sguardo ad Harry.
Era scappata via, fuggita.
“Non puoi esserti scolata due bottiglie a colazione”, la voce disgustata di Charlie era un chiaro rimprovero all’assurdo e poco razionale comportamento di Margaret.
L’altra fece spallucce, non curandosi neppure di rispondere, mentre procedeva a passo deciso lungo il corridoio.
“Ti farà male, rischi di esagerare”, la ammonì la bionda, cercando di metterla in guardia da eventuali spiacevoli conseguenze.
Non sapeva fino a che punto Margaret fosse disposta a spingersi, in realtà Charlotte non conosceva neppure il motivo che l’aveva portata ad iniziare, ma aveva visto le sue precarie condizioni a casa di Zayn. Margaret aveva preferito non raccontare a nessuno dei problemi che attanagliavano la sua famiglia e non solo perché era stato l’avvocato che suo padre aveva ingaggiato ad ordinarglielo. Semplicemente si vergognava di tutta quella situazione, non voleva ammettere neppure a se stessa gli errori commessi da suo padre. Lo aveva sempre stimato per il suo lavoro, per il modo in cui era riuscito ad affermarsi e far carriera all’interno di una società tanto spietata, ambiziosa ed arrivista. Invece, ora aveva la sensazione di non conoscere affatto l’uomo a cui per anni aveva affibbiato l’appellativo papà.
“Smettila di bere”, le ordinò infine Charlie, ridestando Margaret dal fiume di pensieri che l’aveva sommersa in quei pochi secondi.
“Non è così grave, l’ho fatto solo da Zayn”, ribatté allora.
Charlie scosse il capo, fermandosi a pochi metri dall’ingresso dell’aula dove si sarebbe tenuta la sua prossima lezione.
“So che lo fai spesso, il tuo alito puzza alle nove del mattino esattamente come alle cinque del pomeriggio”, sentenziò decisa a non cedere alle piccole bugie dell’amica.
Margaret storse il labbro, quasi innervosita dalla veridicità di cui sapeva quelle parole fossero ricolme.
“Va bene”, concesse senza troppa convinzione.
Charlie, tuttavia, per il momento fu costretta ad accontentarsi di quelle due parole quasi sbuffate, pronunciate con tono esasperato, a causa dell’interruzione provocata dal fastidioso suono della campanella.
“Bree, vola qui!”, la prese in giro un ragazzo alto e nerboruto, mentre giocherellava con l’agenda della ragazza, sventolandola alta in aria, così da renderle impossibile recuperarla.
Bree puntò gli occhi ridotti a due piccole fessure sui tre ragazzi che si erano disposti a triangolo intono a lei.
“Vieni a prenderla, se ci tieni tanto”, esclamò sornione un altro, afferrando l’agenda che il primo gli aveva appena lanciato con mira magistrale.
La rossa si fermò al centro, respirando lentamente per recuperare fiato nel tentativo di regolarizzare il battito accelerato e frenetico del suo cuore.
“Dai, Luke, leggi cosa c’è scritto”, lo incitò uno, sghignazzando sguaiatamente.
Questo non se lo fece ripetere due volte e, sorridendo, fece scorrere il dito tra l’elastico e la copertina, per poi liberarla da quella specie di sigillo.
“Smettetela”, si lamentò Bree, accorrendo in direzione del ragazzo che teneva la sua agendina tra le mani.
Voleva assolutamente riprenderla, desiderava che tutta quella umiliante situazione terminasse all’istante. Si fiondò letteralmente su Luke, ma lui fu molto più veloce di lei nel passare l’agenda al ragazzo rossiccio alla sua destra, Roger.
Bree li odiava, li odiava profondamente. Luke, Roger e Tom erano sempre lì, pronti a giocarle uno scherzetto davvero poco piacevole senza mai preoccuparsi di come lei potesse reagire a quelle loro invadenti iniziative. Una volta aveva provato a spiegar loro quanto mortificante fosse per Bree essere trattata in quel modo, ma quei ragazzi le avevano semplicemente riso in faccia, incapaci di comprenderla.
“Audrey di qui, Audrey di lì: praticamente passate ogni attimo insieme”, la prese in giro Roger, sfogliando distrattamente le pagine dove erano appuntate tutte le attività di Bree.
Era stata la sua analista a consegnarle di fare ordine nella sua vita, di cercare di mantenere ogni cosa sotto il suo controllo, per evitare di essere travolta dal caos. Un'altra fragorosa risata fece socchiudere gli occhi di Bree, avvilita e scoraggiata.
“E non dimentichiamoci della signora A, che poi tutti sappiamo che è quella dove vai per farti curare”, continuò Tom, deridendola, mentre sulle labbra del ragazzo si disegnava un’espressione vittoriosa.
Le prime volte Bree aveva pianto, sfogando così tutta la frustrazione accumulata, la rabbia repressa e l’impossibilità di contrastare quei tre ragazzi. Con il tempo, tuttavia, aveva imparato a trattenere le lacrime. Vederli ancora la rendeva estremamente fragile e vulnerabile, ma almeno ora poteva contare su una reazione pressoché minima. Era lì, ferma al centro, che si voltava seguendo il passaggio dell’agenda che avveniva tra i tre, i quali ne leggevano qualche pagina solo per utilizzarla come arma contro di lei.
“Louis, Liam, da quando hai così tante conoscenze?”, la provocò Tom, ghignando scettico.
Bree sospirò sommessamente, spostando lo sguardo di lato nel tentativo di concentrare altrove la sua attenzione e fu proprio in quell’istante che notò la presenza di Liam, fermo nei pressi del muretto, circondato da un gruppetto di appena un cinque persone. Lo sguardo del castano era puntato in direzione di Bree, tanto che lei si chiese da quanto tempo li stesse già osservando. Bree percepì un crescente imbarazzo montare in lei all’idea che lui l’avesse vista in simili condizioni, mentre si sbracciava o veniva derisa da un gruppo di tre ragazzini vigliacchi e codardi. Era una cosa che Bree, solitamente, teneva per sé, evitando di raccontarla persino ad Audrey. Detestava il fatto che altri potessero sapere del modo in cui quei tre si divertivano a scherzare con lei, era deprimente e degradante. Diffondere quell’informazione sarebbe stato esattamente come ammettere le sue debolezze, la sua incapacità di difendersi e Bree non era assolutamente pronta a ciò.
“Ma guardate!”, la richiamò ironico Luke, per attirare la sua attenzione. “Spera che lui intervenga!”, bofonchiò ridendo poco dopo.
Bree abbassò il capo, conficcando forte i denti nel labbro inferiore. No, sapeva che Liam non sarebbe venuto, l’aveva letto nei suoi occhi, sul suo viso. Liam non si sarebbe mai esposto tanto solo per quella che si poteva considerare una nuova ed inutile conoscenza. Lui progettava, pianificava e nei suoi programmi non c’era spazio per Bree, non ce n’era mai stato. Le volte in cui si erano parlati, erano state del tutto casuali e Liam non sapeva neppure spiegarsi il perché di quegli accaduti.
Per qualche attimo aveva preso in seria considerazione l’idea di piombare da quei tre tipi e intimorirli con qualche frase ad effetto ed uno sguardo truce, ma poi era stato costretto a ripensarci. Bree continuava a dimenarsi dal primo al secondo, poi al terzo per riprendere il circolo vizioso. Era lì, piccola ed indifesa, con il broncio sulle labbra ed un’espressione affranta che aspettava che quei ragazzi la smettessero di giocare con lei e la sua agenda. Il cuore di Liam si strinse in una dolorosa morsa. Bree non aveva esitato neppure un istante prima di avvicinarsi a lui quando era solo, Liam, invece, aveva preferito ignorarla bellamente nel momento del bisogno.
“Ho deciso”, affermò con aria sicura Zayn, sedendosi sul muretto del piccolo cortile durante la pausa lunga della giornata.
Louis lo guardò interrogativo, corrugando la fronte, mentre lo affiancava.
“Parlerò con quei tizi. Questa storia non può continuare”, decretò con gli occhi puntati su un qualcosa di impreciso davanti a lui.
Louis trattenne il fiato a quelle parole. Non aveva ancora ben chiari i progetti di Zayn, ma se le sue intuizioni erano esatte, allora non c’era nulla per cui essere tranquilli.
“Che intendi?”, chiese con un filo di voce, quasi temendo un’eventuale risposta.
Zayn annuì poco convinto. Era sicuro di ciò che stava per fare, non lo era, invece, delle ripercussioni che ci sarebbero state.
“Voglio dire a quegli stronzi che mi hanno già incasinato troppo la vita e che io non voglio far parte della loro merda”, borbottò stringendo forte la mano destra in un pugno all’altezza della coscia.
Zayn non aveva la più pallida idea di cosa si celasse dietro quell’uomo che puntualmente incontrava. Una volta aveva visto una donna, certo, ma non poteva certo giudicare da appena qualche membro le proporzioni e la grandezza del gruppo. Non sapeva chi lo comandasse, né quanti ne fossero e neppure poteva immaginare quale fosse il trattamento riservato a chi, come lui, aveva intenzione di abbandonare definitivamente il giro.
“E loro cosa diranno?”, domandò Louis.
Zayn era l’unica persona che da sempre gli era rimasta accanto, era in un certo senso quasi la sua famiglia, un punto di riferimento, colui a cui sapeva di potersi rivolgere in ogni momento per qualsiasi motivo. Pensare di poterlo perdere era la prospettiva che più lo terrorizzava. Louis non poteva permettersi di perdere l’unica persona che gli era rimasta, quella che davvero lo accettava e lo amava per ciò che era.
“Non lo so”, sussurrò sommessamente il moro, con un sospiro rassegnato.
Millie quasi correva per i corridoi, decisamente in ritardo per la lezione che era ormai iniziata da qualche minuto. Teneva i libri stretti al petto e la borsa sulla spalla destra, mentre con la testa bassa procedeva sicura nella sua direzione. Neppure aveva notato la presenza di un ragazzo che veniva proprio verso di lei. In un attimo la sua spalla si scontrò bruscamente con quella di un biondo, tanto che Millie d’istinto liberò i libri dalla presa, facendoli cadere a terra.
“Ahi”, si lamentò massaggiandosi il punto indolenzito.
“Scusa, non ti ho vista”, si giustificò lui, affrettandosi a prendere quei pochi volumi sparsi sul pavimento.
“Niall”, constatò sorpresa Millie quando i loro occhi si incrociarono.
“Millie”, replicò allora il biondo, porgendole la piccola pila che teneva tra le mani.
Millie sorrise appena, riconoscente per quel gesto. C’era del palpabile imbarazzo tra di loro. Lo si leggeva dagli occhi di Millie fermi sul viso di Niall, alla ricerca di un qualcosa da dire, dalle sue mani tremanti nascoste tra i libri, dall’espressione incerta del ragazzo e dal silenzio che era stranamente piombato in quell’istante.
“Grazie”, quasi balbettò Millie, cercando di camuffare il suo momentaneo disagio.
Niall le sorrise semplicemente, non ritenendo opportuno aggiungere altro. Quell’incontro, per lui, poteva anche terminare all’istante. Non sarebbe stato in grado di sostenere una conversazione con Millie esattamente come avrebbe fatto mesi prima. Erano cambiati, lo erano entrambi e lo erano troppo.
“Ah”, lo richiamò Millie, mentre lui già stava per superarla. “Ho saputo di te e Charlie, sono contenta per voi”, affermò con un sorriso sincero, lo stesso che Niall non vedeva da troppo tempo ormai.

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Angolo Autrice
    Buonasera a tutti!:D Okay, stavolta ci ho messo un po' di più, ma ecco il nuovo capitolo! :D
Partiamo da Audrey e scopriamo come lei, invece di accettare l'invito di Harry, scappa via.
Quella ragazza è davvero incorreggibile!!!-.-"
Anyway, altre cose interessanti (?) sono la reazione di Liam alla piccola "disavventura" di Bree,
Millie che pare essere stranamente amichevole con Niall e Margaret che sembra sempre più assente.
Non sottovaluterei affatto la chiacchierata tra Louis e Zayn, ma non dico nulla in proposito!;)
Okay, stasera sono piuttosto di poche parole, quindi niente, volevo solo ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce.
E poi ci tenevo a ricordare che se vi va di lasciare un commento o un suggerimento, sarei ben lieta di leggerlo!:D
Alla prossima!;)
                                                                      Astrea_

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Capitolo 23
*** Zayn ***


g

ZAYN

Zayn immise con decisione la chiave all'interno del quadro della sua auto. Il cielo notturno era tetro e buio, coperto da una spessa coltre di nubi che oscurava persino la visione della luna. L'aria tagliente penetrava all'interno dell'abitacolo, costringendolo a rabbrividire per il freddo. Aveva fatto in tempo a prendere soltanto la sua giacca di pelle, ormai decisamente insufficiente a tenerlo caldo. Il cellulare gli era squillato all'improvviso, mentre guardava con poca attenzione un film trasmesso in televisione, seduto sul grande divano della sala, circondato dalla sua famiglia. Sua madre si era preoccupata a causa dell'ora tarda di quella inaspettata telefonata, seguita dalla notizia di un'imminente uscita di Zayn. Le aveva detto che doveva raggiungere Louis, ma in realtà la sua metà era un'altra. Quella sera tutto avrebbe avuto fine, ne era certo. Si era sempre dato del codardo per il silenzio con il quale aveva reagito a quell'intera situazione, ma in quel momento Zayn quasi si sentiva orgoglioso di se stesso e delle sue scelte. Non avrebbe potuto continuare ad ignorare le conseguenze delle sue azioni, non ora che ne aveva visto i risvolti da vicino.
L'immagine di Millie dormiente sul letto di una delle camere di casa Malik era ancora troppo nitida nella sua mente.
L'avrebbe riscattata e, soprattutto, avrebbe riscattato se stesso e suo fratello.
Louis aveva seguito Margaret per tutta la sera. Già prima di cena, aveva preso in prestito l'auto della madre ed aveva guidato fino a raggiungere l'abitazione della ragazza. Aveva parcheggiato pochi metri prima della porta d'ingresso e si era accucciato sul sedile, in attesa che succedesse qualcosa. Non sapeva neppure cosa aspettarsi. Da un lato desiderava che non succedesse nulla, in quel caso avrebbe avuto la certezza che Margaret fosse al sicuro in casa e non in giro come ultimamente accadeva. Dall'altro, invece, desiderava vederla e poter parlare con lei. Louis aveva sussultato quando aveva visto la ragazza allontanarsi con passo furtivo, mentre continuava a guardarsi intorno con fare circospetto. Louis era sceso dall'auto e si era incamminato dietro di lei, stando attento a mantenere una debita distanza. Margaret si era spostata di due o tre isolati, poi era entrata in un piccolo pub che si affacciava sul lato destro di una stradina stretta e poco illuminata. Louis aveva sbuffato, stringendosi nel suo cappotto per contrastare l'aria gelida che lo avvolgeva. Aveva indugiato per interminabili minuti prima di decidersi definitivamente ad entrare. Avrebbe aspettato qualche minuto, il necessario per far apparire casuale quell'incontro, e poi finalmente avrebbe avuto l'opportunità di parlare con Margaret.
Quando aprì la porta del piccolo e angusto locale, fu colpito da un forte odore di tabacco e whisky che lo indusse ad arricciare il naso. I suoi occhi vagarono velocemente sulla sala, fino ad incontrare la figura di Margaret. Era di spalle, seduta su uno sgabello, teneva i gomiti poggiati al bancone e la testa china in direzione della superficie di legno scuro. Prima di raggiungerla, volse uno sguardo di perlustrazione. A Louis quel posto non piaceva per nulla. In un angolo c'era un gruppetto di giovani uomini che giocavano a carte, probabilmente poker visto la quantità di gettoni presenti sul tavolo e le loro facce intimidatorie. Dall'altro lato, invece, una combriccola di studenti beveva delle birre, ridendo tanto sguaiatamente da risultare irritanti. Scosse il capo, come a voler cacciare via tutte quelle osservazioni dalla sua testa, e si avviò in direzione di Margaret.
"Ciao!", esordì Louis con voce gioviale, sorridendole amichevolmente.
Lei alzò lentamente lo sguardo, sorpresa dal fatto che qualcuno l'avesse appena salutata. Subito gli occhi azzurri di Louis incontrarono i suoi, lasciandola interdetta. Non voleva che nessuno sapesse di lei e dei luoghi che frequentava, soprattutto se quel qualcuno era proprio Louis. Aggrottò la fronte, spiazzata dalla sua presenza.
"Tu cosa ci fai qui?", gli domandò di getto, mentre il ragazzo prendeva posto sullo sgabello accanto al suo.
Louis fece una smorfia adocchiando il bicchiere vuoto proprio davanti a Margaret, ma in quell'istante preferì ignorare quel dettaglio.
"Ero in giro e ho trovato questo posto", mentì provando a sorriderle affabilmente. "Tu ci vieni spesso?", chiese pochi istanti dopo, curioso e allo stesso tempo bisognoso di chiarire le attuali condizioni della ragazza.
Margaret fece spallucce, mentre con la mano destra iniziava a giocherellare distrattamente con il bicchiere.
"Solo nell'ultima settimana", ammise sincera. "Un altro", ordinò, poi, al barista con una veloce occhiata al bicchiere ormai vuoto.
"E perché?", riprese Louis, inchiodando il suo sguardo sul volto di Margaret per studiarne le espressioni.
Appena qualche mese prima avrebbe approfittato dell'occasione, non avrebbe atteso neppure un attimo prima di ordinare qualcosa da bere con cui ravvivare la serata, in attesa di riuscire a procurarsi qualche droga. Eppure Louis quella sera non aveva fatto nulla di tutto ciò. Si era seduto a quel bancone e aveva pensato al suo unico obiettivo: parlare con Margaret, capirla, magari aiutarla. Nei suoi sorrisi forzati Louis aveva rivisto i suoi. Nel suo entusiasmo, nella voglia di contagiare gli altri, lui riusciva a rintracciare se stesso.
"Non mi piace stare in casa ultimamente", confessò Margaret con un'espressione assorta, quasi persa in chissà quali pensieri o ricordi.
Louis avrebbe voluto porgerle altre domande, ma sapeva che così facendo l'avrebbe intimidita al punto da farla innervosire.
"Una volta mi è capitata la stessa cosa", quasi sussurrò ancor prima di rendersi consapevole delle sue parole.
Margaret puntò immediatamente i suoi occhi in quelli azzurri del ragazzo, come se attendesse ansiosa che continuasse.
Louis sospirò ripensando a quel particolare momento della sua vita.
"Sai quando ho smesso di scappare?", domandò con tono retorico, mentre un amaro sorriso piegava le sue labbra.
Margaret scosse il capo in segno di diniego.
"Quando ho capito che facevo del male anche a chi era rimasto", spiegò con un filo di voce.
Louis ancora ricordava quella volta in cui dopo sere di immotivati rifiuti, finalmente si era deciso a cenare nuovamente con sua madre. Lei lo aveva abbracciato e le aveva ribadito il suo amore tante di quelle volte che Louis ne aveva perso il conto.
Zayn parcheggiò la sua auto nel punto esatto che gli era stato indicato. Non c'era nessuno nei paraggi, quasi riteneva persino inutile controllare. Era lui l'ultimo acquisto del gruppo, colui che doveva arrivare sempre in anticipo, prima di tutti gli altri ed aspettare anche ore, se necessario. Ma a Zayn non importava di quanto tempo avrebbe dovuto attendere prima di poter parlare con chissà quale illustre personalità, lo avrebbe fatto. Avrebbe trascorso anche giorni nella sua auto solo per tentare di tirarsi fuori da quel giro che pareva volerlo risucchiare ed in parte lo aveva già fatto. Spense il motore, poi incrociò le braccia al petto, mentre la sua mente già vagava alla ricerca delle parole che avrebbe potuto inserire nel breve discorso che di lì a poco avrebbe dovuto sostenere.
"Non so cosa pensare", la voce stanca di Audrey trasmessa dal telefono giunse all'orecchio di Bree decisamente troppo poco partecipativa.
La rossa si sdraiò sul letto, poi afferrò un cuscino azzurro con cui iniziò a giocherellare.
"Potresti anche esprimere la tua opinione", borbottò allora, con una piccola smorfia che le increspava le labbra.
Audrey sbuffò sommessamente, sfogliando distrattamente il raccoglitore di cd tra le mani. Non era di certo lei la persona adatta a dare consigli ed ascoltare gli interminabili sfoghi dell'amica. Aveva attentamente seguito il dettagliato resoconto di Bree riguardo al discutibile comportamento di Liam, non del tutto sorpresa. Aveva sempre diffidato di lui e dei suoi simili, gente come Millie, ragazzi viziati, altezzosi e prepotenti che avanzavano stupide pretese su tutto e tutti.
"É Liam", bofonchiò come se quella constatazione bastasse a giustificare l'indifferenza che il ragazzo aveva dimostrato nei confronti di Bree.
La rossa storse il labbro, per nulla soddisfatta da quelle parole.
"E allora?", domandò leggermente irritata.
"Allora non puoi aspettarti granché da uno come lui", chiarì, chiudendo con un gesto deciso il porta cd, senza averne in realtà scelto uno.
Bree incrociò svogliatamente le dita intorno al filo del telefono. Proprio non riusciva a capire come Audrey potesse sorvolare con tanta facilità sugli eventi, curandosene minimamente. Per lei una faccenda del genere era da accantonare all'istante, ormai se ne era già discusso troppo per i suoi gusti. Bree, al contrario, sentiva il bisogno di riflettere, di cercare e trovare una motivazione che potesse spiegare gli avvenimenti, non accontentandosi delle etichette o delle apparenze.
"Audrey, non puoi giudicarlo solo per il suo nome", sottolineò con tono burbero, quasi volesse rimproverarla per i suoi modi sbrigativi.
Tante persone avanzavano giudizi sul suo conto, credendo di conoscerla solo per quella sequenza di lettere che la identificava all'anagrafe, ma pochi erano quelli che davvero potevano vantarsi di sapere chi Bree fosse, di comprendere i suoi sguardi, la sua aria spensierata e la sua voce allegra. Non voleva commettere proprio lei lo stesso errore che attribuiva a tutti coloro che la criticavano con un sorriso beffardo in volto.
"Forse non mi ha vista", provò a dire con un filo di voce, mentendo a se stessa.
Era certa del fatto che Liam l'avesse notata, quello sguardo ne era stato una prova inconfutabile. Tuttavia Bree preferiva creare un'alternativa, concedersi un'eventualità che non la deludesse quanto la realtà stava facendo.
"Ne sei sicura?", chiese Audrey con tono scettico, non avendo creduto per neppure un attimo a quella frase.
"No", ammise con un sussurro, declinando il capo di lato.
Poteva mentire agli altri, ma non a se stessa. Liam l'aveva guardata e l'aveva ignorata. Non era intervenuto, non aveva neppure provato ad aiutarla o a parlarle. Audrey aveva ragione, aveva sempre avuto ragione. Non doveva fidarsi, non con tanta semplicità, non di un ragazzo. Non poteva fidarsi solo perché lui in qualche occasione era stato gentile nei suoi confronti.
Zayn drizzò la schiena all'istante, non appena sentì il rombo di un auto in lontananza e due fari accecanti farsi sempre più grandi e luminosi. Erano arrivati, ormai ne aveva la certezza. Aveva atteso per oltre un'ora che quel momento arrivasse, ma ora poteva sentire i muscoli contrarsi e il respiro farsi sempre più faticoso. Aveva paura, aveva una fottuta paura. Non sapeva chi avrebbe incontrato, in quanti sarebbero stati, cosa avrebbero detto. Non aveva mai contraddetto ad un loro ordine, aveva sempre eseguito con rassegnazione tutti i compiti che gli erano stati assegnati, senza fare domande. Zayn aveva accettato per suo fratello, perché aveva temuto per lui, perché aveva pensato di essere abbastanza grande e maturo da poterlo difendere. Non voleva che il passato potesse travolgerlo nuovamente. Jamal aveva combattuto per uscire da quel giro, aveva stretto forte i denti e non si era guardato indietro neppure una volta, neppure per assicurarsi che Zayn stesse bene. Lo odiava per questo, lo odiava per essersi liberato dei suoi problemi e per averli fatti ricadere interamente su di lui, ma lo ammirava per la tenacia e la determinazione con la quale era riuscito ad evadere da quel miserevole
mondo. Deglutì lentamente, poi portò la mano sinistra sulla maniglia della portiera.
L'auto si era fermata ad appena qualche metro da lui. Doveva scendere, era giunto il momento.
"Stasera si congela", si lamentò Niall, avvolgendo Charlotte in un abbraccio. "Avremmo fatto meglio a restare a casa e guardare un film", aggiunse con tono scherzoso, prima di lasciarle un bacio tra i capelli chiari e sottili.
Erano seduti su una panchina del parco, non lontano dal sentiero di breccia che segnava la strada principale. Il cielo scuro era illuminato dalla fioca luce emanata da appena qualche lampione. Delle folate di vento gelido rendevano il freddo ancor più tagliente, tanto che il respiro di Charlie e Niall veniva evidenziato dall'emissione di piccoli flussi di aria condensata dalle loro bocche schiuse.
"Torniamo a casa?", propose Charlie, sfregando il naso contro la calda sciarpa che avvolgeva il collo di Niall.
Il biondo avrebbe di certo voluto prolungare l'uscita, ma la temperatura avversa glielo impediva. Percepiva distintamente il corpo di Charlie fremere, quasi tremare. Aveva la pelle del viso leggermente più chiara del solito, le labbra secche ed il naso arrossato. Annuì appena, sfregando una mano lungo la schiena della ragazza, nel tentativo di riscaldarla.
Charlie non l'avrebbe mai ammesso apertamente a causa del suo eccessivo orgoglio femminile, ma non avrebbe resistito ancora a lungo al freddo.
"Andiamo", asserì Niall, accingendosi ad alzarsi. "Vuoi la mia sciarpa di lana? É abbastanza larga da coprirti interamente le spalle", si offrì con un sorriso sulle labbra.
Charlie scosse il capo in un convinto gesto di diniego, decisa a non voler accettare alcunché.
"No, grazie. Sto bene", decretò con voce ferma e sguardo impenetrabile, ma appena un istante dopo sussultò istintivamente a causa di una nuova gettata di vento.
Niall sogghignò, sforzandosi di trattenere una risata.
"Non devi rifiutare solo perché io sono un ragazzo e tu una ragazza", chiarì lui, passando un braccio intorno alla vita di Charlie, mentre si incamminavano verso l'uscita.
Lei aggrottò la fronte, i lineamenti del suo volto erano piegati in un cipiglio di disappunto.
"Sto bene, non sono mai stata meglio", mentì cercando di ignorare la sensazione di freddo che le avvolgeva il corpo.
"Neppure sotto un caldo piumone?", scherzò Niall, avendo intuito quanto poco veritiera fosse stata la sua risposta. "Sai perché ti ho offerto la sciarpa?", domandò poi retorico.
Charlie lo guardò titubante, leggermente confusa da quelle parole.
"Ero certo che avresti rifiutato", ammise con un ghigno beffardo. "Non me ne sarei mai separato con questo tempo", confessò sorridendole con aria fintamente ingenua.
Charlie sgranò gli occhi, mentre piegava il viso in un'espressione indignata ed incredula allo stesso tempo.
"Brutto presuntuoso", borbottò a labbra serrate, ma la sua voce fu sovrastata dal suono cristallino dell'allegra e spensierata risata di Niall.
"Dai, ora ti accompagno", esordì poi, prima di lasciare un tenero bacio sulle labbra imbronciate di Charlie.
Quattro paia di occhi erano puntati su di lui, tenendo sotto controllo ogni suo minimo movimento. Zayn era al centro, circondato, come se avessero voluto prevenire ogni eventuale tentativo di fuga. Ma Zayn non sarebbe scappato, non quella sera in cui avrebbe finalmente fronteggiato i suoi problemi.
"Cosa vuoi?", una voce proveniente dalla sua destra attirò la sua attenzione.
La conosceva, conosceva persino il volto di colui che aveva parlato. Era un uomo che aveva già incontrato almeno altre sei volte. Aveva una corporatura robusta, dei muscoli particolarmente accentuati. I suoi occhi erano coperti da occhiali da vista neri, dello stesso colore della larga felpa che indossava.
"Ho pagato i debiti di mio fratello", disse atono, nel tentativo di non far trasparire alcuna emozione dal suo tono di voce.
"E allora?", questa volta fu l'uomo alla sua sinistra a prendere parola.
Era basso e tozzo, ma ugualmente nerboruto. Il suo capo era ricoperto da un cappellino giallo di lana.
Zayn prese un lungo respiro, esitando sulla risposta.
"Pensavo, dunque, di poter smettere", disse infine, con gli occhi puntati su quelli dell'uomo che gli aveva posto la domanda.
Vide i tre uomini sogghignare e, dal suono che proveniva dalla sue spalle, poté immaginare chiaramente che anche il quarto avesse avuto la stessa reazione.
"Non sei tu a decidere. Nessuno di noi può farlo", sentenziò il tipo snello ed alto che gli stava di fronte.
Zayn trattenne il fiato per istanti interminabili. Aveva sperato di non dover udire quelle parole, ma evidentemente le sue preghiere non erano state ascoltate. Era solo, mentre loro erano in quattro. In più, poteva scorgere altri uomini all'interno delle due auto che erano successivamente arrivate. Se avessero voluto, non lo avrebbero lasciato andar via vivo.
"Con chi devo parlare?", chiese allora, deglutendo sommessamente.
Non ci fu risposta, solo un accenno a voltarsi. Chiunque fosse, era esattamente alle spalle di Zayn.
"Che ci fai qui?", la voce di Liam quasi intimidì ancora di più Harry.
Alla fine il riccio aveva ceduto, non era riuscito a rimanere sulla sua posizione. Era stato Liam a sbagliare, era lui a dover chiedere scusa, eppure Harry era andato da lui. Aveva tralasciato la  rabbia, il rancore, l'orgoglio ed i principi e si era recato a casa Payne. Era come se quel rifiuto ricevuto da Audrey fosse stata la prova, l'ennesima conferma che lui da solo non era in grado di riuscire in nulla. Non avrebbe mai potuto avere successo in qualcosa, se non con l'aiuto e l'appoggio di Liam. Ed Harry si sentiva terribilmente debole ed umiliato per questo, ma sapeva che la sua unica speranza era riposta in Liam. Era tutto per lui, era il suo intero mondo, il suo futuro.
"Facciamo pace?", suggerì ingenuamente, con un sorriso imbarazzato sul viso scavato da due lievi fossette all'altezza delle guance.
Liam ricambiò, porgendogli la mano destra che prontamente Harry afferrò.
Per Liam, quella era un'occasione d'oro. Lui era ben consapevole degli errori che aveva commesso e mai avrebbe immaginato di poter risolvere la situazione con tanta facilità in tempi tanto brevi. Non aveva mai neppure preso in considerazione l'idea di rinunciare ad Harry, il suo unico e vero amico. Quelle sere, quelle in cui nera rimasto solo, Liam aveva capito una grande e dolorosa verità. Tutti erano bravi a dichiararsi amici quando c'era da divertirsi o da partecipare a qualche evento esclusivo, ma erano pochi quelli disposti a rimanere nel momento del bisogno, a fornire il proprio supporto in un periodo di difficoltà. Harry, per Liam, era il solo su cui avrebbe sempre potuto contare.
"Amici?", domandò con voce tremante il riccio, ancora con la mano stretta attorno a quella di Liam.
"Amici", confermò l'altro, prima di abbracciarlo calorosamente.
"Non credo di poterti accontentare", il tono derisorio dell'uomo fece rabbrividire Zayn.
"Ho portato a termine il mio compito, non ho altro da fare qui", ribatté il moro, mascherando la tensione con un'espressione pacata.
Mostrarsi debole gli si sarebbe rivolto contro. Doveva mantenere la calma e far valere la sua volontà.
"Sai cosa succede ai ragazzi impertinenti, Zayn Malik?", domandò ironico l'uomo con un ghigno maligno.
Aveva sottolineato il nome ed il cognome del moro con un preciso intento, quello di intimorirlo maggiormente.
"Quanto sei disposto a perdere per la tua libertà?", continuò poco dopo, avvicinandosi pericolosamente a Zayn.
Lui non indietreggiò, nonostante il suo istinto gli avesse suggerito di farlo. Voleva guardarlo a testa alta, senza provare paura, senza temere una ritorsione.
"Tutto", ammise di getto. "Sono disposto a tutto", ripeté più sicuro di prima.
L'uomo annuì ai suoi colleghi, prima di sorridere beffardo a Zayn.
"Noi non siamo cattivi", decretò fissando gli occhi ambrati del moro con un'intensità spaventosa e raccapricciante, poi si voltò ed andò via.
Zayn non ebbe neppure il tempo di tirare un sospirò di sollievo che subito l'uomo più basso gli fu davanti.
"Dì qualcosa alla polizia e sei morto", lo minacciò prima di piazzare un destro esattamente alla bocca dello stomaco del ragazzo.
Zayn strinse i denti, soffocando un gemito di dolore. Non poteva reagire, in realtà non voleva. Se lo avesse fatto, di certo loro non si sarebbero risparmiati. Un altro pugno lo colpì in pieno viso, poi qualcosa gli fece scuotere le spalle, facendogli perdere l’equilibrio. La breccia dell’asfalto gli sfregava il viso in modo fastidioso. Era raggomitolato in posizione fetale, mentre cercava di proteggere il volto con le mani. Erano calci, quelli che sentiva all’altezza dell’addome, del torace e della schiena. Lo avevano circondato. Erano in tre, lui, invece, era solo ed inerme, che subiva in silenzio quella specie di punizione a cui non sapeva dare una vera e propria spiegazione.
Tutto intorno a lui era buio, ancor più scuro del cielo tetro di quella notte. Riusciva solo a distinguere una piccola, ma vivida macchia rossa del suo sangue che spiccava dalla pelle pallida del palmo della mano.
"Ci si vede", lo salutò con vece intimidatoria il più robusto dei tre, mentre già si allontanavano in direzione dell'auto.
Solo quando sentì il rombo del motore rimbombare nel piazzale si fece scappare un gemito di dolore dalle labbra.
Strinse forte le braccia attorno al suo corpo, mentre traballante raggiungeva la sua macchina. Socchiuse gli occhi quando finalmente si lasciò cadere sul sedile. Sapeva di non essere in grado di guidare, né per raggiungere un ospedale, né per tornare a casa. Strinse forte i denti, cercando di resistere a quella sensazione che lo invitava ad abbandonarsi completamente. E mentre Zayn serrava la mascella, Millie sorrideva. Stavano sprofondando entrambi nel buio, quel buio capace di porre fine a tutte le sofferenze. Lei lo faceva immaginando di danzare sulla superficie del mare, lui, invece, riusciva solo a intravedere il volto di suo fratello, mentre veniva richiamato da una voce tanto familiare che, tuttavia, non gli sembrava di riconoscere. Un lampo di vita, uno sprazzo di allegria, un istante di dinamicità di cui Millie era la protagonista. Delle immagini sfocate, dei rumori ovattati, un cellulare da cui si percepiva il bussare irregolare del telefono, Zayn si malediceva per non essere vigile. E poi una luce, la stessa luce che aveva invaso la mente di entrambi quando si erano accorti di essere giunti al fondo dell'oscuro baratro in cui erano precipitati. Ne sarebbero usciti, forse. A fatica ne avrebbero scalato le ripidi pareti e con la fronte grondante di sudore avrebbero potuto nuovamente calpestare l'erba verde e fresca del suolo. Era solo questione di tempo.

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Angolo Autrice
Buonasera a tutti! Allora, capitolo nuovo e questa volta ci concentriamo su Zayn.
Quello che viene narrato avviene tutto nell'arco di una serata, quasi contemporaneamente.
Spero di essere riusicta a dare l'idea e di non aver solo fatto confusione, cambiando di tanto in tanto la scena.
Dunque, succedono un po' di cosette interessanti. Per prima cosa abbiamo un'altra scena Louis/Margaret,
lui sta cercando di starle vicino, di aiutarla per quanto possibile. Diciamo però che aiutando lei, Louis aiuta anche se stesso,
perché riesce a comprendersi meglio, come se riuscisse improvvisamente a vedersi da una prospettiva diversa.
E poi Niall e Charlie escono insieme, quasi sembrano due piccioncini senza pensieri.
Audrey e Bree sono impegnate con le confidenze e le lunghe conversazioni tra ragazze,
mentre Harry torna da Liam e i due si riappacificano.
Ovviamente personaggio focale è Zayn, che decide finalmente di fare "il grande passo".
Ho avuto diverse difficoltà nello scrivere questa parte, anche perché non sapevo bene come trattare l'argomento.
Diciamo che per ora Zayn le ha prese, ma ovviamente è una cosa piuttosto delicata e vedremo come si evolverà.
E, nel frattempo, Millie continua ad esagerare.
Detto questo, volevo ringraziare immensamente Grauen,  anche se mi dispiace non poterti annunciare nessuna scena Louis/Charlie al momento. :/
E volevo ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce! Thank you! :D
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate e lasciate consigli!;)
Alla prossima!:*
                     
                              Astrea_

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Capitolo 24
*** Brianne ***


f

BRIANNE

Bree aprì lentamente gli occhi ancora stanchi e gonfi. Aveva dormito male e poco quella notte, complice la malsana idea che le pervadeva la mente da alcuni giorni ormai e che finalmente aveva trovato margine di realizzazione. Sorrise stancamente ricordando quando aveva gettato dalla finestra del bagno le pillole che sua madre le aveva lasciato sul comodino la sera prima. Non le aveva prese, aveva deciso di provare a farne a meno, di seguire il consiglio che settimane prima Louis le aveva dato. Voleva essere forte, voleva riuscire a controllarsi, voleva non dover dipendere da nulla e da nessuno, voleva provare ad essere Bree, la vera Bree.
Si stiracchiò, facendo fuoriuscire le braccia dallo spesso e caldo piumone che ancora le avvolgeva il corpo.
Il cellulare squillò, vibrando sulla superficie chiara del comodino alla sua destra. Bree allungò distrattamente il braccio e rispose alla telefonata senza neppure leggere il nome di colui che la cercava.
“Sì?”, esordì con la voce ancora annaspata dal sonno, sbadigliando quasi.
“Bree, mio dio!”, esclamò con voce sconvolta Louis dall’altro capo del telefono.
La rossa si raddrizzò, richiamata dal tono allarmato dell’amico ed attese che lui aggiungesse altro.
Bree poteva chiaramente percepire il respiro affannato e particolarmente copioso del ragazzo.
“Sono in ospedale, cazzo, dovresti vederlo!”, farneticò lui, ancora troppo scosso per poter dare a Bree delle informazioni chiare.
Lei sgranò gli occhi, iniziando seriamente a preoccuparsi per quell’improvvisa chiamata ricevuta appena pochi istanti dopo il suo risveglio e che aveva tutta l’aria d’essere tutt’altro che di cortesia.
“Cosa? Louis, sta’ calmo e spiegami tutto per bene!”, gli ordinò con voce quanto più decisa possibile, così da essere sicura che lui seguisse le sue indicazioni.
Louis prese un lungo respiro, seguito da una piccola pausa, poi finalmente si decise a spiegare ciò che invano aveva provato a dire precedentemente.
“Zayn è in ospedale, l’hanno pestato a sangue stanotte. Ha la faccia completamente livida, ancora non ha aperto gli occhi. Sono davvero preoccupato, i medici dicono che sta bene, ma lui non si sveglia”, sproloquiò con voce stridula e palesemente agitata. ”Ha quei cazzo di occhi chiusi, cazzo!”, imprecò un istante dopo.
Bree rimase immobile per qualche istante, il necessario per metabolizzare quella sconvolgente e preoccupante notizia che l’aveva appena scombussolata.
“Dove siete ora?”, domandò la ragazza dopo ancora qualche attimo di esitazione.
“Al St. Mary”, la voce di Louis era appena un sussurro difficilmente percepibile.
“Arrivo”, decise istintivamente Bree.
Se Zayn stava male, se Louis aveva bisogno di supporto lei voleva esserci. Voleva poter offrire il suo sostegno a quelle due persone che, nonostante le apparenza ed i loro strambi modi di fare, si erano rivelati essere affidabili. Louis, inoltre, l’aveva chiamata, aveva chiamato lei, proprio lei e Bree non poteva non soffermarsi a riflettere su quel piccolissimo dettaglio. Forse anche lui, come lei aveva già avuto modo di constatare, aveva trovato in Bree un’amica.
“Dammi al massimo dieci minuti e sono lì”, ribadì chiudendo la chiamata mentre già schizzava dal letto con l’intento di prepararsi in quanto meno tempo possibile.
Audrey guardava oltre il vetro, aveva gli occhi fermi sull’esile corpo della sorella, avvolto in un lenzuolo bianco. Solo il viso, stanco e provato, era lasciato in vista. Non era ancora entrata a parlare con lei, nonostante si fosse già svegliata quella mattina. Aveva preferito osservare da lontano suo padre che con aria amareggiata e sguardo di scuse le si era avvicinato con cautela, fino ad abbracciarla delicatamente. Sapeva quanto l’uomo si sentisse in colpa per ciò, sapeva quanto assente si fosse considerato quella notte, quando Audrey terrorizzata si era catapultata in camera sua informandolo dell’impossibilità di rintracciare Millie. Lui non si era accorto di nulla, o meglio aveva finto di non percepire quel lento e graduale processo che aveva condotto a quel radicale cambiamento.
“Ciao”, una voce che proveniva dalle sue spalle la fece quasi sussultare per lo spavento.
Si voltò di scatto, per poi essere accolta da due occhi grandi e verdi a pochi centimetri di distanza dai suoi. Audrey fu costretta a deglutire quasi impercettibilmente, sorpresa dalla presenza di Harry proprio in quel luogo.
Indurì volontariamente i lineamenti del suo volto, quasi attraverso essi avesse voluto intimorire Harry, dissuadendolo dal restare.
“Cosa ci fai tu qui?”, la sua voce era quasi un’accusa rivolta al ragazzo.
Harry fece spallucce, non curandosi del tono che Audrey aveva utilizzato.
“Liam ha saputo tramite una ragazza e lo ha detto a me, così ho pensato di venire”, spiegò avanzando verso il vetro che dava sulla stanza di Millie.
Certo, aveva accuratamente evitato di riferire la parte in cui era stato proprio il castano a consigliarli di raggiungere Audrey, ma solo perché quella notte, dopo tanto, si erano finalmente ritrovati d’accordo sul comportamento che per entrambi Harry avrebbe dovuto assumere in simili circostanze.
“Grazie per essere passato, quando starà meglio te lo farò sapere”, provò a congedarlo Audrey rivolgendogli un sorrisetto forzato e beffardo che aveva tutta l’aria di volerlo deridere.
In risposta Harry non si lasciò scalfire per neppure un istante da quel gesto. Aveva pressoché imparato a conoscere Audrey, le sue reazioni ed i suoi mille ed infiniti tentativi di lasciare che nessuno entrasse nel suo mondo, che nessuno oltrepassasse la barriera che magistralmente aveva costruito attorno a sé.
Con passo sicuro il riccio si avviò verso la fila di divanetti posizionati sul lato del corridoio, ad appena qualche metro da loro. Poteva distintamente sentire lo sguardo perforante di Audrey seguirlo in ogni suo minimo spostamento, fino a quando non prese posto su uno dei sedili azzurri.
I suoi occhi verdi tornarono ad incrociarsi con quelli di Audrey ed Harry si impose di dare un minimo di contegno alla sua immagine, provando a reggere lo sguardo di sfida che Audrey gli aveva riservato.
“Aspetto qui”, sentenziò curvando le labbra in un lieve e soddisfatto sorriso che fece scavare due piccole fossette sulle guance.
Audrey sospirò profondamente, fintamente irritata da quell’atteggiamento.
“Ci vorrà molto”, controbatté incrociando le braccia al petto, sulla difensiva.
“Non ho nulla da fare oggi”, replicò camuffando il tono insicuro che aveva provato a prendere il sopravento.
Audrey scosse il capo, rassegnata, poi tornò a guardare sua sorella, ancora immobile sul letto della sua stanza.
“Zayn!”, la voce stridula di Louis fece nuovamente arricciare gli occhi del moro che li aveva appena leggermente socchiusi.
“Zayn!”, ripeté l’amico con maggiore enfasi, avendo notato i lenti movimenti del suo volto.
Ormai mancava poco, pochissimo, era solo questione di pochi secondi e Zayn si sarebbe finalmente risvegliato dopo quel lungo sonno ristoratore che tanto aveva fatto preoccupare il suo amico.
“Mhm”, mugolò piegando la testa verso sinistra, quasi cercasse di scrollare i muscoli indolenziti per l’eccessivo tempo di inerzia a cui il suo corpo era stato sottoposto.
“Andiamo bello, dì qualcosa”, lo incitò Louis sventolandogli una mano proprio sotto il naso, quasi volesse infastidirlo.
“Zayn, ti ho fottuto la macchina”, provò ancora Louis, sapendo perfettamente quanto il suo amico tenesse alla sua auto.
Cercava una sua reazione, voleva una prova evidente del fatto che Zayn stesse bene e quelle due fessure ambrate non gli parevano sufficienti a dimostrarlo.
“Ho detto a Liam che in caso tu dovessi morire, tutta la tua eredità finirebbe a lui. Millie ha detto che cambierà le sue frequentazioni, visto che i tuoi prezzi sono troppo alti. Jamal ti manda una cartolina dall’università che frequenta, mentre le tue sorelline vanno in giro nude a scuola”, blaterò ancora nel tentativo di far scaturire nel moro una qualsiasi reazione che però ancora non giungeva.
Zayn arricciò leggermente il naso, ancora palesemente frastornato da ciò che gli era capitato.
“Louis, dì solo un’altra stronzata e ti mozzo la lingua”, lo minacciò con ancora gli occhi socchiusi e la voce ridotta ad un lieve sibilo.
Louis sorrise, tirando un forte sospiro di sollievo.
Era quello Zayn, era quello il suo migliore amico ed ora che ne aveva la certezza, avrebbe potuto aspettare anche secoli prima che lui fosse nuovamente pronto a parlare.
“Sembra proprio che tu ti sia ripreso alla svelta”, scherzò allora Bree palesando la sua presenza.
“Ragazzi, lasciatelo riposare”, s’intromise la madre del moro, facendosi spazio tra Bree e Louis per potersi avvicinare al figlio.
“Come stai tesoro?”, chiese con la voce rotta dal pianto.
Immediatamente suo marito le avvolse le spalle con un caldo abbraccio, prima di puntare anch’egli l’attenzione su suo figlio.
“Meglio”, confermò con un lieve sorriso volto a tranquillizzarli. “Grazie per stanotte”, aggiunse poco dopo, ricordando perfettamente quando l’unico numero che era riuscito a digitare fosse proprio quello di casa.
“Tranquillo, non preoccuparti di nulla. Quando starai meglio ci spiegherai tutto”, lo rassicurò il padre, sfiorandogli il braccio con una mano, facendo tuttavia rabbrividire il moro per il dolore.
“Sono messo tanto male?”, chiese allora riferendosi alle sue condizioni fisiche.
Sua madre gli accarezzò la guancia, non riuscendo a rispondere a quella domanda.
“Non tanto”, esordì Louis. “Hai solo una costola incrinata, una contusione al ginocchio, qualche piccola frattura e lividi e sbucciatore ovunque”, chiarì poco dopo facendo spallucce.
Almeno, pensava Louis, non era morto e ciò gli pareva già tanto, un ottimo motivo per essere felici.
“Smettila Millie, smettila con queste puttanate”, esordì Audrey quando finalmente ebbe trovato il coraggio per entrare nella stanza dove da ore ormai la sorella riposava sfogliando distrattamente una rivista di moda che su padre le aveva comprato quella mattina.
Mille si voltò di scatto, sorpresa di riconoscere nella persona ferma sullo stipite della porta i lineamenti della sorella.
“Smettila di fumare, smettila di prendere pasticche, smettila di fare tutto quello che fai”, continuò Audrey avanzando in direzione della sorella. “E non lo dico per te, perché è ormai evidente che non ti importi nulla di te stessa, ma almeno pensa a me, o a nostro padre e a quello che abbiamo già passato come famiglia”, aggiunse ormai ad una spanna dal letto. “Non costringerci a rivivere tutto ancora una volta. Una può capitare, due fa male, tre è insopportabile”, concluse serrando forte i denti e le mani in due pugni.
Il suo corpo fremeva, tremava alla rievocazione di quei ricordi.
Millie abbassò lo sguardo, desolata, mentre il silenzio si impadroniva della stanza.
“Millie!”, la voce affannata e scossa di Niall fece sussultare entrambe le gemelle Wood.
Millie corrucciò la fronte, confusa per quanto stava accadendo.
“Sono venuto appena ho saputo”, spiegò Niall fermandosi solo quando giunse al letto sul quale Millie era stesa.
“Ciao”, salutò con un filo di voce Charlie, ancora ferma sull’uscio.
Millie sgranò gli occhi, del tutto impreparata alla visita di Niall accompagnato da quella che si presumeva essere la sua nuova ragazza.
“Si può sapere cosa diamine ti sta prendendo?”, le domandò Niall, smorzando l’imbarazzo che si era venuto a creare.
Millie e Charlotte non avevano dei precedenti che potevano essere definiti amichevoli. Al contrario erano sempre state pronte a screditarsi vicendevolmente, mettendo in risaluto l’una le debolezze dell’altra. Millie non avrebbe mai pensato di trovare proprio lei al suo capezzale e, allo stesso modo, Charlie non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a fare una visita di cortesia proprio a quella mora tutta rossetti e fondotinta che tanto poco sopportava.
“Come ti senti?”, riprese Niall, travolgendo Millie con il suo fiume di domande e preoccupazioni.
“Ora bene, grazie”, mormorò lei avvolgendo le braccia intorno al suo corpo, quasi avesse improvvisamente bisogno di calore.
“Ci hai fatto tutti preoccupare tantissimo”, riprese Niall. “Ho sentito Louis. Lui è con Zayn, ma è molto dispiaciuto per quello che è successo”, aggiunse poco dopo, ricordando la chiamata fatta per accertarsi delle condizioni dell’amico.
Assurdo come quel giorno, quella mattina, due delle persone che frequentava ormai quasi abitualmente si fossero ritrovate entrambe in ospedale, seppur per motivazioni decisamente differenti.
Millie sussultò quasi al sentire quell’ultimo nome pronunciato dalle labbra di quello che una volta era il suo migliore amico.
“E come sta Zayn?”, si intromise Harry che per tutto quel tempo era rimasto in attesa di una qualsiasi reazione da parte di Audrey, rimanendo però deluso.
“Un po’ ammaccato, ma bene”, lo informò Niall accennando ad un sorriso.
“Perché?”, domandò allora con il fiato in gola Millie. “Cosa gli è successo?”, chiese saettando con lo sguardo sul volto di tutti i presenti.
Charlie teneva la testa bassa, spiacente per aver invogliato talmente tante volte Zayn a fare quel passo. Non si era saputo nulla di ufficiale sull’accaduto, ma era facile da intuire il motivo di quel pestaggio notturno. Zayn aveva fatto la cosa giusta, di questo Charlotte ne era più che convinta, ma per la prima volta si trovava a dubitare di quelle che erano sempre state le sue certezze. Non aveva mai posto alcun limite all’esercizio della giustizia, non aveva mai permesso a nulla e nessuno di ostacolare il giusto fluire delle cose, ma ora per la prima volta si trovava ad interrogarsi su quanto e fino a che punto fosse disposta a rischiare. Zayn lo aveva fatto, aveva messo in gioco tutto, ma lei non sapeva se di fronte all’esigenza sarebbe stata in grado di mostrarsi tanto coraggiosa e determinata.
“L’hanno pestato stanotte”, rispose Niall dopo qualche secondo di titubanza.
Non voleva sconvolgerla più di quanto già non lo fosse, mai suoi occhi spaesati necessitavano una risposta.
“E perché?”, chiese ancora.
Immaginava già la risposta a quella domanda, ma non era capace di concepirla razionalmente.
Il silenzio che ne seguì fu per lei come una lama all’altezza del cuore. Non era solo con lei che Zayn voleva smettere, Zayn voleva smettere con tutti, Millie lo sapeva e forse in realtà lo aveva sempre saputo.
Margaret passeggiava tranquillamente lungo il vialetto che conduceva a casa, sobria. Non aveva toccato neppure un goccio di birra quel giorno, convinta di poter ancora controllare le sue azioni senza il bisogno di ingurgitare liquidi che tendessero a farle perdere il controllo sul suo raziocinio.
Svoltò l’angolo, ormai mancava davvero poco a raggiungere la sua abitazione, quando notò l’auto della polizia parcheggiata proprio davanti al suo portone. Non avevano la sirena accesa, né all’interno dell’abitacolo c’era qualcuno. Accelerò il passo, senza riuscire a elaborare alcun pensiero nella sua mente. Milioni di domande la affollavano, oscurandole quasi la vista, mentre una strana sensazione di pizzichio le costringeva a serrare gli occhi.
“Cosa succede?”, la sua foce affannata ed alta rimbombò per tutto l’ingresso proprio mentre due uomini in divisa scortavano suo padre verso la porta.
Lo stavano portando via, Margaret lo aveva intuito all’istante. Lo stavano portando via con le manette legate intorno ai polsi ed un auto di servizio pronta a condurli chissà dove.
“Margaret, tesoro, stai calma”, immediatamente sua madre la raggiunse, abbracciandola.
“Amore mio, risolveremo tutto, sta’ calma”, provò a tranquillizzarla suo padre con le labbra incurvate in un sorriso per nulla convincente.
“Perché lo portate via, perché?”, gridò lei, scagliandosi d’impeto su uno degli agenti che teneva suo padre per il braccio sinistro.
L’uomo non rispose, ignorò completamente la reazione sconvolta della ragazza, ormai caduta in una crisi di pianto.
“Ci dispiace signorina, ma suo padre è colpevole di…”, provò a spiegare l’unico uomo che non indossava la divisa, bensì un completo nero ed una camicia bianca.
“Mio padre non è colpevole di nulla!”, lo difese con un urlo Margaret, interrompendo l’altro.
L’uomo lanciò una veloce occhiata a sua madre, la quale prontamente gli porse le sue scuse da parte della figlia.
“Andrà tutto bene, risolveremo tutto”, le sussurrò poi in un orecchio, afferrando sua figlia per le spalle come a volerla trattenere dal commettere altre avventatezze che non avrebbero potuto far altro che aggravare la posizione del padre.
I due agenti in divisa ripresero a camminare, oltrepassando la porta di casa, per poi giungere all’auto. Suo padre aveva lo sguardo chino, imbarazzato e dispiaciuto.
Ma a Margaret non importava nulla delle sue scuse, dei suoi pentimenti. Aveva fatto delle cazzate, ora tutti loro ne avrebbero dovuto pagare le conseguenze.
“Andiamo dentro, amore”, provò a suggerire sua madre, cercando di risparmiarle quella visuale, ma i piedi di Margaret erano ben saldi a terra.
Le ginocchia le tremavano, sapeva che non avrebbe retto tanto facilmente, ma voleva rimanere lì, voleva esserci mentre suo padre saliva sulla volante affiancato da due agenti.
Voleva vedere lo sportello dal vetro oscurato chiudersi sotto i suoi occhi a causa di un unico e secco colpo dato dall’uomo dalla camicia bianca, lo stesso che poi aveva preso posto sul sedile del passeggero anteriore. Infine, voleva esserci quando un quarto uomo aveva messo in moto l’auto ed erano partiti alla volta di chissà cosa.
Margaret aveva visto la macchina sparire oltre la linea dell’orizzonte senza batter ciglia. Se fosse arrivata solo qualche minuto dopo avrebbe potuto risparmiarsi quella deplorevole scena, ma lei non sembrava essere molto fortunata in quell’ultimo periodo.
Sentiva le mani di sua madre stringersi sulle sue spalle, come a volerle infondere forza, ma tutto ciò che lei riusciva a provare era soltanto uno sconfinato moto di rabbia, misto a rancore e frustrazione.
“Lasciami in pace”, inveì contro sua madre, interrompendo quel contatto fisico che le aveva tenute unite per quale istante. “Lasciami in pace”, ripeté con più sicurezza, prima di correre via.
“Margaret, aspetta!”, provò a richiamarla sua madre, inutilmente.
Ormai lei era già troppo lontana.
Bree si lasciò cadere sullo scalino che separava il marciapiede dal piccolo cancello che dava accesso alla casa. Sapeva che lui non c’era, ma si decise ad aspettarlo comunque. Audrey diceva che non era affatto una buona idea presentarsi a casa sua, senza preavviso, senza neppure una valida ragione, ma Bree aveva preferito non darle ascolto. Giocava con la cerniera degli stivali marroni che indossava quel giorno, con le spalle strette nel cappotto beige. Sperava solo che quell’attesa non si prolungasse troppo.
Era ormai passata già una mezz’oretta quando Bree percepì dei passi farsi sempre più vicini. Non era una strada particolarmente trafficata quella, al contrario era piuttosto isolata, complice il fatto che non si trattasse affatto di uno dei luoghi più rinomati del quartiere. In realtà neppure ci aveva pensato quando era riuscita ad estorcere l’indirizzo del presunto ragazzo di cui era follemente innamorata alla segretaria della scuola, ma Liam non sembrava affatto essere il tipo di persona che viveva in un posto del genere.
“Spostai, questa è proprietà privata”, esordì una voce che Bree riconobbe all’istante.
Lentamente alzò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi marroni ed irritati di Liam. Il castano quasi sobbalzò quando riconobbe Bree nella persona accovacciata proprio davanti casa sua, tanto da boccheggiare per qualche istante, incapace di proferir parola.
“Ciao”, salutò lei allora, facendo leva sul muretto per aiutarsi ad alzare.
“Ciao”, riuscì infine a ricambiare Liam, ancora non perfettamente lucido. “Come sai dove abito?”, chiese quando finalmente riuscì a riprendere padronanza della sua mente, puntando gli occhi curiosi su quelli chiari e verdi di Bree.
Non sapeva se fosse adirato, irritato o soltanto sorpreso, non riusciva ancora a decifrare il suo confuso stato d’animo.
“Ho chiesto a scuola”, rispose semplicemente lei, facendo spallucce.
Liam annuì, prima di nascondere le mani nelle tasche del cappotto grigio che indossava.
“Volevi qualcosa?”, domandò poco dopo, quasi imbarazzato.
Quella strana sensazione lo innervosì molto più del lecito. Lui era Liam, non era abituato a provare disagio, eppure la sola presenza di Bree in quel momento faceva vacillare la sua abituale strafottenza ed arroganza.
“Mi hai vista quel giorno”, il tono di Bree era chiaramente indice di un’affermazione inconfutabile.
Sapeva che lui l’aveva notata, quando quei tre tipi le avevano preso l’agenda. Certo, lei era sicura non sarebbe mai intervenuto, però si aspettava quantomeno un saluto, un cenno, un qualsiasi segno che desse prova della loro sottospecie di conoscenza.
Liam esitò qualche istante prima di rispondere. Avrebbe potuto provare a dissuaderla, ma il tono sicuro di Bree non sembrava voler ammettere repliche.
“Non avevo idea di come comportarmi”, ammise infine, optando per la verità.
Era sincero in quel momento. Aveva davvero preso in considerazione l’idea di intervenire, ma poi si era tirato indietro, scoprendosi un codardo timoroso del giudizio altrui.
“Se non vuoi che ti vedano mentre parli con me per me va bene”, sussurrò Bree.
Il suo volto affranto e le parole appena udibili sembravano contrastare con quanto aveva appena detto, ma il suo sguardo timoroso e smarrito era allo stesso tempo fiero e deciso.
Liam scosse il capo, facendo intuire a Bree la risposta a quella implicita domanda.
Liam non voleva frequentarla, voleva stare alla larga da lei, era questo ciò che il ragazzo stava cercando di dirle seppur non a parole.
“Bree, non mi vergogno di te”, spiegò dopo poco, ma il suo tono non convinse affatto la rossa. “È di quello che io sono in realtà che mi vergogno”, chiarì con il capo chino in un mormorio.
“Sono stufa delle cazzate che la gente mi rifila, addossandosi colpe che in realtà non ha solo per dirmi di stare alla larga”, sbraitò allora, puntando l’indice all’altezza del petto di Liam. “Sono stanca delle scuse!”, lo aggredì ancora, costringendolo ad arretrare fino a sbattere la schiena contro il cancello.
“Bree, io…”, provò a dire Liam, senza però riuscire a terminare la frase.
“Se non vuoi vedermi basta dirlo, se credi io sia pazza dillo”, lo provocò avvicinandosi sempre di più.
Sentiva in quel momento. Bree sentiva la rabbia ribollire nelle vene, sentiva l’adrenalina scorrere nel suo corpo, sentiva le tempie pulsare forte e la testa scoppiare. Sentiva il cuore battere ad un ritmo irregolare nel suo petto e sentiva la vista annebbiarsi per il nervosismo. Bree sentiva come non sentiva da troppo tempo ormai, ed era tutto merito di quelle pillole che non aveva preso. Si sentiva viva come non lo era mai stata.
“Non m’interessa dei tuoi subdoli giudizi, quindi la prossima volta che ne hai sul mio conto sei pregato di dirmi ciò che pensi di persona, capito?”, sbottò ormai ad una spanna dal viso di Liam. “E sai cosa detesto?”, riprese lasciando poi in sospeso il discorso.
Liam non rispose. Aveva gli occhi inchiodati in quelli verdi di Bree, incorniciati dal rossore che regnava sovrano sulle sue gote e sul suo naso raffreddato, sposandosi alla perfezione con il colore dei capelli che scendevano disordinatamente sulle esili spalle. Era bellissima, arrabbiata, ma bellissima.
“Detesto che ci sia tu proprio mentre questa strana sensazione di energia si propaga in tutto il mio corpo”, ammise con voce decisamente più pacata di prima.
Liam corrugò la fronte, non avendo capito affatto a cosa Bree si stesse riferendo.
“Non ho preso i farmaci, non li sto prendendo da qualche giorno ormai”, chiarì con un sorriso soddisfatto, rasserenato quasi.
Tutta la rabbia che fino a poco fa montava nel suo corpo aveva lasciato ampio spazio alla serenità e alla soddisfazione che quell’affermazione implicasse. Bree ne era orgogliosa ed in un attimo anche Liam lo fu. Era orgoglioso di quella piccola ragazzina rossa e leggermente euforica che cercava di dare un senso concreto e pragmatico alla sua vita e si vergognava per non essere tanto forte quanto lei.
D’istinto sorrise, afferrando le fredde mani della ragazza tra le sue, poi l’avvicinò a sé.
“Mi dispiace per non aver fatto nulla, sono un coglione”, si scusò ad appena qualche centimetro di distanza dalle labbra rosse ed increspate di Bree.
“Anche a me, ma puoi sempre provare a recuperare”, suggerì ingenuamente, alzando gli occhi al cielo.
Liam trattenne una risata, scuotendo il capo. Era quello ciò che le piaceva di Bree: la sua aria spensierata, genuina, il suo non aver paura di mostrarsi per ciò che era, il suo infischiarsi dei giudizi altrui. Non ci pensò per neppure un instante prima di avvolgere la vita di Bree, costringendola a far combaciare i loro petti, poi poggiò le sue labbra su quelle schiuse per la sorpresa della ragazza e la baciò.

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Angolo Autrice
Salve a tutti! Allora, ecco il nuovo capitolo! Avrei voluto pubblicarlo nel pomeriggio, ma tra una cosa e l'altra non ci sono più riuscita.
Così, alla fine, mi tocca farlo ora. Bene bene, Zayn e Millie stanno entrambi bene.
Il primo si ritrova solo quache livido di troppo e una costola incrinata, ma nulla di irreparabile,
mentre Millie deve fare i conti con i suoi problemi e con le paure di Audrey e del padre, che vedremo più presente da questo momento in poi.
Ho voluto sottolineare l'amiciza creatasi tra Louis e Bree, non a caso lui chiama propio lei.
E poi Louis che aspetta che Zayn si riprenda è troppo carino!!
Anyway, problemi in vista per Margaret. Suo padre viene portato via proprio quando lei torna a casa.
Certo, quello che l'aspetta non è affatto un periodo roseo.
In questo capitolo vediamo finalmente un Harry più deciso e grintoso, che tiene testa ad Audrey.
Ed, infine, ci concentriamo su Bree e Liam, tra i quali ci scappa pure un bacio!
E questo è quanto. Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge.
Se vi va, lasciate un commento, sarei ben lieta di leggere i vostri pareri e consigli.
Alla prossima!:*
                                                 Astrea_

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Capitolo 25
*** Niall ***


d

NIALL

Charlotte si accucciò contro la spalla nuda di Niall, percependone il calore emanato dalla pelle. Adorava quella sensazione di familiarità e sicurezza che l’aveva avvolta non appena Niall aveva circondato la sua schiena con un braccio, per stringerla forte a sé. I capelli biondi della ragazza, colorati da delle accese ciocche rosa, si spargevano sulla federa bianca che copriva il cuscino. Niall sfiorò con un dito la sua guancia e lei, quasi come fosse segretamente collegata a lui, voltò di scatto lo sguardo in direzione di quegli occhi azzurri.
“Sto bene”, ammise in un sussurro, quasi sulla pelle di Niall. “Sto bene con te”, chiarì accennando ad un lieve sorriso, subito ricambiato dal biondo.
“L’avevo capito anche quando hai urlato il mio nome appena cinque minuti fa”, scherzò lui, sfiorando i capelli di Charlie con le labbra.
Lei, in reazione, piantò una leggera gomitata nello stomaco del ragazzo, mentre i suoi lineamenti si piegavano in una smorfia.
“Per una volta che dico qualcosa di carino”, si lamentò, prima che la sua voce fosse sopraffatta dalla risata cristallina e gioiosa di Niall.
“Eri carina quando ti preoccupavi per Louis. Eri carina quando da lontano continuai ad osservarlo per accertarti che stesse bene”, iniziò Niall, giocando con una ciocca dei capelli di Charlie.
Il suo tono basso e roco l’aveva completamente rapita, tanto da renderle impossibile pensare ad altro.
“E sei carina tutte le volte che, quando sei agitata, le tue mani si muovono frenetiche, sei carina quando credi di poter salvare il mondo anche solo con la raccolta differenziata e sei carina quando pensi che la cosa migliore da fare sia anche quella più giusta”, continuò scendendo fino ad accarezzarle il viso.
“Sei sempre carina, lo sei sempre stata. E carina è persino riduttivo, ma so benissimo che se anche usassi un aggettivo più appropriato, tu comunque non mi crederesti”, concluse puntando i suoi grandi e chiari occhi azzurri in quelli di ghiaccio della ragazza.
Charlie tratteneva il respiro, emozionata. Sentiva il cuore battere forte nel petto e la vista farsi sempre meno lucida. La dolcezza di Niall era un qualcosa a cui lei ancora non riusciva a fare l’abitudine. Finiva per sconvolgerla ogni volta come la prima e forse ancora di più. Niall sembrava penetrare in lei, nella sua mente, nel suo cuore, giungendo nella parte più intima della sua anima e probabilmente ancora non ne era neppure del tutto consapevole.
Charlie sorrise ancora una volta, prima di far combaciare le loro labbra in un dolce e sentito bacio.
“Finalmente sei tornato in questo inferno!”, esclamò Louis, accogliendo Zayn all’ingresso del Kensington & Chelsea College.
Erano ormai passati già alcuni giorni da quella notte, il necessario affinché Zayn si rimettesse in forze.
Louis aveva atteso con ansia questo momento. Aveva atteso che si risvegliasse, quella notte, e poi aveva atteso che si sentisse nuovamente bene. Voleva vederlo sorridere beffardo come prima, in piedi o, magari, alla guida della sua adorata auto, ma per il momento si doveva accontentare di un viso sul quale i lividi erano ormai quasi del tutto scomparsi.
“Quasi preferivo restare a casa”, borbottò allontanandosi dall’auto del padre che quella mattina lo aveva accompagnato.
Louis sorrise, prima di fiondarsi a braccia aperte sull’amico, per abbracciarlo. Era bello riaverlo lì, poterlo nuovamente vedere tutti i giorni, sentirlo lamentarsi o imprecare cronicamente. Era talmente abituato a condividere ogni attimo della sua vita con il moro che quell’assenza prolungata di Zayn l’aveva quasi reso più vulnerabile, rendendolo consapevole di quanto lui fosse importante nella sua vita. Era il suo migliore amico, il suo unico appiglio, l’unico sul quale avrebbe potuto fare sempre affidamento, indipendentemente da qualsiasi altro fattore.
“Così mi strangoli. Manteniamo le distanze, se nono vuoi rivedermi in un letto d’ospedale a breve”, bofonchiò l’altro, imbarazzato da quel prolungato contatto che si era stabilito tra i loro corpi proprio davanti all’ingresso principale e che, di certo, non stava passando inosservato.
Louis ridacchiò, poi assecondò la sua richiesta.
“Come ti senti?”, chiese mentre si appropinquavano ad entrare.
“Come uno che è stato menato di brutto”, ironizzò Zayn, frugando nelle tasche del giubbino di pelle alla ricerca del suo pacchetto di sigarette.
Quei giorni a casa erano stati particolarmente difficili per lui. Non era abituato a ricevere tutte quelle attenzioni dai suoi genitori. Sua madre si era premurata di fargli avere sempre uno spuntino accanto, così da non costringerlo ad alzarsi qualora avesse avuto fame. Suo padre gli aveva addirittura proposto una sfida con la playstation per distrarlo. Non era rimasto neppure un attimo da solo. All’inizio pensava che la causa di ciò fosse da ricollegare alle sue precarie condizioni fisiche, ma con il passare dei giorni aveva capito che i suoi genitori erano intimoriti. Avevano paura di colui o coloro che lo avevano ridotto in quelle condizioni, temevano che potesse succedere nuovamente, si incolpavano delle loro eccessive assenze.
“Zayn, credo tu debba sapere una cosa”, sentenziò Louis quando il suo sguardo cadde sulla figura esile, ma sicura di Millie.
Aveva preferito tacere su ciò che era successo quella stessa notte alla ragazza. Sapeva quanto Zayn si sentisse responsabile per quello che stava accadendo a Millie e non voleva ulteriormente aggravare le sue condizioni.
Zayn corrugò la fronte, squadrando Louis con fare interrogativo.
Louis chinò d’istinto la testa, indeciso sulle parole che avrebbe dovuto utilizzare. Sapeva che ne avrebbe sofferto, sapeva che si sarebbe maledetto per non aver provato a darci un taglio prima, sapeva che Zayn era molto meno menefreghista di quello che in realtà appariva.
Tuttavia, non aveva scelta. Ora che Zayn era tornato a frequentare i corsi, era certo che ne sarebbe venuto comunque a conoscenza, magari a causa di quegli odiosi pettegolezzi e chiacchiericci che rumoreggiavano tra i corridoi e le aule.
“La stessa notte in cui tu…”, non riuscì neppure a terminare la frase a quel ricordo.
Zayn non se n’era mai andato, non lo aveva abbandonato, era rimasto sempre al suo fianco e Louis non poteva perderlo, non voleva, non proprio lui.
“Anche Millie si è sentita male”, riprese con voce tremante, quasi temesse una sua reazione.
Il moro si irrigidì all’istante, iniziando già ad intuire cosa quella frase volesse in realtà significare.
“Spiegati bene, Louis”, gli ordinò con voce vitrea, fermandosi di scatto proprio davanti alla bacheca degli avvisi dell’atrio.
Louis sospirò, lanciando una nuova e veloce occhiata a Millie. Lei aveva gli occhi ben saldi su Zayn, ne stava studiando l’espressione ed i tratti e, probabilmente, stava cercando anche di capire su cosa vertesse la conversazione tra i due amici.
“Credo abbia di nuovo esagerato. Suo padre l’ha portata in una clinica privata. Ha ripreso a frequentare i corsi solo l’altro ieri. Stanno girando parecchie voci sul suo conto, pare suo padre la voglia far seguire da qualche specialista”, spiegò, intrecciando le dita della mano destra tra i capelli.
Zayn fece vagare lo sguardo, sconcertato da quella notizia, fino a quando le sue iridi ambrate incontrarono il viso crucciato e sovrappensiero di Millie.
Era lì, con il volto scavato, gli occhi persi, l’aria fintamente altezzosa e un vestito d’alta moda indosso. Perfettamente truccata, agghindata come per una grande occasione, tanto bella da poter far invidia a qualsiasi altra ragazza. Zayn strinse forte la mano in un pugno. Millie stava distruggendo ciò che le restava della sua vita. Aveva avuto una bella famiglia, una casa ampia e spaziosa e tanti soldi da poter realizzare con essi tutti i suoi più assurdi capricci. Il destino le aveva portato via una parte, forse la più importate, delle sue ricchezze. Sua madre e suo fratello non c’erano più e con essi neppure la gioia, l’amore e la serenità. Pezzo dopo pezzo, il suo fantastico, grandioso mondo si stava sgretolando e lei, anziché combattere, non faceva altro che velocizzare quella distruzione.
 Di scatto, senza neppure pensare alle conseguenze a cui le sue azioni avrebbero irrimediabilmente condotto, si avviò con passo deciso in direzione di Millie.
“Dove vai?”, domandò Louis, preoccupato da quel repentino gesto. “Zayn, andiamo, non fare cazzate!”, lo richiamò ancora, cercando di trattenerlo.
Tuttavia quelle parole giunsero all’orecchio del moro come un sottofondo ovattato a cui, ne era sicuro, non era affatto intenzionato a dare ascolto.
“Ciao”, salutò quando fu a pochi centimetri da Millie.
La ragazza sobbalzò quasi, sorpresa da quel gesto. Non era per nulla abituata ad essere avvicinata da Zayn, non nel bel mezzo del corridoio in un orario tanto affollato quale quello dell’inizio delle lezioni. Solitamente era lei a cercarlo, era sempre stata lei a cercarlo.
“Non ho bisogno di nulla, grazie”, lo liquidò con un sorriso maligno sulle labbra, alludendo chiaramente alle sostanze che abitualmente comprava proprio dal ragazzo.
Zayn ridusse gli occhi a due fessure per la rabbia, poi non riuscì a trattenere un pugno scagliato contro l’armadietto in metallo, ad appena una spanna dalla superficie sulla quale era appoggiata Millie.
La ragazza sussultò per lo spavento. Mai lo aveva visto tanto arrabbiato, Zayn era quel tipo di persona capace di controllarsi, di reprimere gli istinti, di autoregolarsi.
“Sei egoista”, esordì Zayn, inchiodandola con il suo corpo per evitare che si allontanasse. “Sei tanto egoista da non riuscire a vedere quanto tua sorella stia soffrendo, quanto tutti siano preoccupati, quanto male tu stia procurando alla tua famiglia”, l’accusò ad un soffio dal suo viso.
Millie deglutì. Sentiva le gambe tremare ad ogni lettera, il suo cuore scalpitava impazzito. Non voleva ascoltarlo, non voleva sentire quelle vane insinuazioni sul suo conto.
“Non ho tempo per chiacchierare con te”, provò a dire, nel tentativo di liberarsi dalla soffocante compagnia di Zayn.
“E sei menefreghista, tanto che non t’importa nulla, tanto che non vuoi parlarne, che vuoi far finta di nulla, ignorare”, riprese lui, deciso a non dargliela vinta. “Come se ciò fosse sufficiente a cancellare tutto!”, sbottò poi, facendo rabbrividire Millie per il tono adirato e perentorio della sua voce.
“Va’ via, Zayn. Non voglio sentire le tue cazzate”, riprovò allora, fingendosi calma ed impassibile.
Il moro ghignò, quasi rassegnato dal comportamento ostentato dalla ragazza.
Poteva distintamente vedere i suoi occhi sbattere frenetici nel tentativo di impedire alle lacrime di rigarle il viso, ma le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso spavaldo e sicuro, la testa era alta ed il portamento deciso.
“E sei superficiale, tanto da tenere al tuo aspetto più che di ogni altra cosa”, inveì ancora contro di lei. “Ma dimmi, Millie, credi davvero che sia tutto qui?”, le chiese, sfidandola con lo sguardo. “Credi che sia tutto riconducibile ad una borsa firmata e un bel vestito?”, la schernì.
“Smettila, ho detto smettila”, ripeté Millie, annaspando quasi. “Sta’ zitto, diamine”, gli ordinò, ormai al limite del suo autocontrollo.
“Tu hai continuato a farti e, mentre tu ti facevi, io ero lì fuori perché, cazzo, mi sentivo in colpa!”, quasi urlò in un sussurro.
I lineamenti di Zayn erano duri, la sua mascella tesa, gli occhi ambrati fissi sul viso disorientato di Millie. Aveva il respiro corto, come se non alzare la voce gli avesse richiesto uno sforzo fuori dal comune.
Millie voltò il viso, cercando un qualcosa che catturasse la sua attenzione per distrarla da quegli opprimenti pensieri. Sapeva cosa era successo a Zayn, lo aveva saputo sin dal mattino successivo a quella notte. Si vergognava profondamente di ciò. Lui era riuscito a dire basta, a cercare di cambiare, mentre lei era ancora eccessivamente legata a quella vita che la stava distruggendo, che l’avrebbe condotta alla morte.
“E sei viziata, perché non conosci limiti, perché soddisfare i tuoi subdoli desideri viene prima di ogni cosa, qualsiasi cosa”, continuò Zayn, questa volta con voce più cauta, quasi ferita. “Non credo tua madre e tuo fratello sarebbero orgogliosi di vederti così”, terminò un attimo prima che un sonoro schiaffò risuonò per il corridoio.
In un attimo il palmo della mano destra di Millie era finito sulla guancia di Zayn, colpendola quasi inconsapevolmente, con il fiato sospeso.
La ragazza ritirò la mano, imbarazzata. Aveva esagerato, aveva nuovamente sbagliato. Zayn aveva ragione, era solo una stupida ragazzina egoista, menefreghista, superficiale e viziata di cui nessuno, benché minimo la sua famiglia, sarebbe stato orgoglioso. E lei si era ancora una volta dimostrata immatura. Aveva reagito a quelle parole come un automa, non riuscendo a tollerare quanta verità contenessero. Non avrebbe dovuto mai permettersi di pronunciare quella frase, mai, nonostante fosse intrisa di sincerità.
Zayn boccheggiò, senza tuttavia riuscire a dire nulla. Si era pentito all’istante di ciò che aveva detto, dell’ultima frase con la quale aveva inveito contro Millie. Non aveva il diritto di rinfacciarle una cosa simile, soprattutto viste le circostanze.
Le lanciò un ultimo sguardo. Millie aveva la testa bassa e le mani nascoste dietro la schiena. Si mordicchiava il labbro inferiore, riflettendo su chissà cosa.
Zayn tirò un lungo sospirò, poi si voltò e velocemente andò via, dirigendosi verso l’aula.
“Ehi, Margaret!”, la salutò Bree, avvicinandosi alla ragazza durante la pausa.
Margaret perlustrò velocemente la zona con gli occhi, accorgendosi che era ormai troppo tardi per fingere di non aver notato la rossa che a passo deciso avanzava verso di lei con un ampio sorriso sulle labbra.
“Ciao”, ricambiò tentennante.
“Che fine hai fatto?”, chiese quando finalmente l’ebbe raggiunta. “È da troppo che non ti si vede in giro”, commentò affiancandola sul muretto sul quale era appoggiata.
Margaret forzò un’espressione divertita, che tuttavia somigliava molto più ad una smorfia infastidita.
Era ormai da tre giorni che non si presentava a scuola, ancora sconvolta per ciò che era successo a suo padre. Non ne aveva parlato con nessuno. Sua madre aveva chiesto la massima riservatezza sugli atti e sulle indagini, almeno fino a quando tutto non fosse stato appurato con delle prove tangibili, ma le voci erano già iniziate a correre nel quartiere.
“Ho avuto un po’ di febbre”, mentì. “Mia madre ha preferito tenermi con lei al caldo, a casa”, inventò allora, per dar maggiore credibilità a quella banale scusa.
“Ah, mi dispiace. Però ora stai meglio, vero?”, riprese poco dopo Bree, squadrando con attenzione il viso della ragazza.
Aveva delle occhiaie marcate, gli occhi vuoti ed arrossati, lo sguardo spaurito e spiazzato. Persino il suo aspetto non era dei migliori. Indossava dei semplici jeans ed un maglioncino azzurro, un look troppo semplice per quelli che le piaceva sfoggiare abitualmente.
“Benissimo”, dichiarò provando a sorridere, senza tuttavia riuscire a convincere la rossa, ormai sempre più scettica.
“Bree!”, la voce di Liam giunse all’orecchio della ragazza come un richiamo che non avrebbe mai potuto ignorare.
Si voltò di scatto, alla ricerca del castano che aveva prontamente riconosciuto.
“Non dovevi passare a restituirmi i miei vecchi appunti di francese?”, chiese con tono ilare, palesando il suo buon umore.
Bree sorrise, sventolando il quadernetto che teneva tra le mani per farglielo notare. Stava per raggiungerlo, quando si ricordò di Margaret. Voltò il viso in sua direzione, rimanendo completamente sorpresa nel non ritrovarla più al suo fianco. In appena un attimo di distrazione Margaret era sparita, andata via, scappata.
“Arrivo”, borbottò solo, rimuginando su cosa stesse turbando la ragazza.
“Tutto bene?”, le domandò Liam, avendo notato lo sguardo affranto della ragazza.
“Credo che Margaret stia passando un brutto momento”, confessò in un sussurro, sospirando.
“Beh, lo è per molti, in realtà”, replicò lui, ripensando a tutti quegli eventi che stavano stravolgendo la routine in quell’ultimo periodo.
Il cortile era parecchio affollato, tanto che un chiacchiericcio generale si alzava da quella massa di studenti. Non faceva freddo quel giorno, ragion per cui quasi tutti ne avevano approfittato per trascorrere all’aria aperta quei minuti di intervallo.
“Posso abbracciarti?”, chiese d’un tratto Bree, con un filo di voce e lo sguardo basso, mentre il rossore imporporava le sue guance.
Se ci fosse stato Louis al posto di Liam, non avrebbe neppure fatto quell’assurda domanda. Avrebbe agito senza porsi eccessivi problemi. Ma con Liam era tutto diverso. Bisognava fare i conti con la sua personalità piuttosto articolata, con la sua smania di apparire sempre perfetto, con l’aria altezzosa ed il contegno che si imponeva di rispettare.
Già una volta lo aveva visto preferire ignorarla, piuttosto che avvicinarla, e temeva terribilmente che quel giorno avrebbe fatto la stessa ed identica scelta.
Non sapeva quanto ed in che misura Liam fosse disposto a mettersi in gioco davanti agli altri.
“Vieni qui”, mormorò soltanto lui, prima di avvolgere la rossa tra le sue braccia.
Non gli importava di quello che la gente avrebbe detto, degli snervanti e continui cambi di programma a cui Bree lo costringeva, seppur inconsapevolmente.
Voleva solo alleviare quella sensazione di angoscia che si era impossessata della ragazza dagli occhi verdi, il resto, almeno per quel momento, avrebbe potuto tranquillamente tralasciarlo.
“Volevo parlarti”, la voce sicura di Audrey quasi fece sobbalzare Harry per lo spavento, intento com’era a sistemare i libri nel suo armadietto.
La giornata era trascorsa piuttosto velocemente. Aveva intravisto Audrey più volte per i corridoi, in cortile o nelle varie aule, ma mai una volta era riuscito a trovare il coraggio necessario per salutarla. Era stufo, stufo di doverla aspettare, di doverla comprendere. Ci aveva provato, aveva provato a mettere da parte la sua timidezza e la sua incertezza, aveva persino tentato di andare oltre le barriere di cui Audrey si circondava, ma ciò che aveva ricevuto era solo una serie di no. Era scappata quando lui le aveva chiesto di uscire e lo aveva quasi ignorato quando si era presentato in ospedale.
“Dimmi”, la incitò, mentre poggiava l’ultimo volume sul ripiano.
“Volevo chiederti scusa”, ammise mormorando, quasi quelle parole le costassero troppo.
Harry aggrottò la fronte, spiazzato, poi si voltò finalmente in sua direzione, volgendole lo sguardo.
“Come?”, chiese, per nulla sicuro di ciò che aveva appena udito.
“Volevo chiederti scusa”, ripeté Audrey, cercando di dare un tono dignitoso alla sua voce.
“Scusa per cosa di preciso?”, domandò con un filo di ironia di cui non si credeva neppure capace.
Audrey sbuffò, leggermente seccata dal comportamento del riccio. Se non avesse avuto la più assoluta certezza di essere nel torto e, soprattutto, di essergli riconoscente per ciò che aveva fatto non si sarebbe mai cimentata in una cosa del genere.
“Scusa per come mi sono comportata, sono stata piuttosto stronza”, chiarì allora, con lo sguardo basso e le labbra incurvate in un accenno di un sorriso imbarazzato.
Harry schiuse le labbra per la sorpresa, sgranando leggermente gli occhi. Delle scuse tanto esplicite da parte di Audrey era davvero l’ultima cosa che pensava di poter sentire. Era già piuttosto difficile intercettare delle parole gentili fuoriuscire dalla sua bocca, delle scuse, poi, erano del tutto improbabili.
Ma in quel momento Audrey era lì, a pochi centimetri da lui, che, con lo sguardo incerto ed il viso imbarazzato, chiedeva il suo perdono.
“E grazie”, aggiunse subito dopo, non lasciandogli neppure il tempo di replicare.
Gli occhi verdi, ora nuovamente confusi, di Harry la costrinsero a specificare anche quella volta ciò a cui si stesse riferendo, così si affrettò a parlare prima che fosse il riccio a chiederle spiegazioni. Sapeva che una sola parola di Harry sarebbe stata in grado di interromperla, di farle perdere il filo del discorso e lei non voleva assolutamente rischiare di non dirgli ciò che da troppo rimuginava nella sua testa.
“Grazie per non essertene andato, per essere rimasto”, sussurrò con voce tremante, quasi pronunciare quelle parole ad alta voce richiedesse per lei uno sforzo non indifferente.
“Grazie per non avermi dato ascolto”, terminò riuscendo finalmente ad alzare il volto, per poi incontrare immediatamente il viso di Harry.
Aveva un sorriso rassicurante disegnato sulle sottili labbra e i suoi occhi la fissavano come a cercare di metterla a suo agio, come fremesse per fare qualcosa. Ma tutto ciò che Harry fece fu portare una mano tra i suoi ricci ed indomabili capelli.
“In effetti non sei stata particolarmente convincente”, scherzò allora, per alleggerire quella piega seriosa che aveva preso la loro conversazione.
Audrey soffocò una risata, mordendo con i denti il labbro inferiore.
Forse, si trovò a pensare Harry, non era tutto perduto. Forse Audrey aveva solo bisogno di più tempo, persino più di lui, prima di potersi abituare alla presenza di un’altra persona nella sua vita.
E, forse, quel momento era finalmente arrivato.

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Angolo Autrice
Buongiorno a tutti!:D Stavolta mi sono decisa ad aggiornare di mattina, cosa piuttosto rara,
ma visto che ormai mi sono alzata a causa di un disperato tentativo di studio, almeno ne ho aprofittato per concludere qualcosa.
Comunque, quetsa volta non c'è nessun motivo sul perché il capitlo porti il nome di Niall,
forse l'unica ragione sta nel fatto che ho iniziato a parlare di lui e non sono riuscita proprio a prendere in considerazione gli altri.
Charlie e Niall sono sempre più dolci e teneri e il loro rapporto comincia a solidificarsi.
Zayn torna a scuola ed ad attenderlo c'é Louis con una notizia alla quale Zayn non reagisce affatto bene.
E così eccolo nuovamente a battibeccare con Millie.
Un passo avanti per Liam e Bree, che sembrano decisamente più tranquilli nel gestire il loro rapporto,
ed un passo avanti anche per Audrey ed Harry. Lei finalmente si rende conto del suo comportamento e chiede scusa al riccio.
Infine, Margaret continua ad essere sempre più distante ed assente.
Bene bene, questo è quanto. Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!:D
Se vi va, lasciate pure un commento o un consiglio, ve ne sarei grata!;)
Alla prossima,
                                                                                     
 Astrea_

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Capitolo 26
*** Margaret ***


g

MARGARET

Il suono acuto della sveglia le fece arricciare gli occhi, per poi costringerla a nascondere la testa sotto al cuscino nel banale tentativo di affievolire quel fastidioso rumore che le aveva invaso la testa. Margaret non aveva la forza, né la volontà di spalancare le palpebre, mentre alzarsi dal letto era un'idea che neppure riusciva a prendere in considerazione quella mattina. La testa le pesava, nonostante fosse ancora comodamente sdraiata sul suo letto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per far cessare quel dolore opprimente misto ad un'acuta sensazione di stanchezza. Tutta colpa dell'ingente quantità di alcool che aveva ingurgitato la sera prima, senza riuscire a smaltirla. Non aveva pensato alle conseguenze quando con aria svogliata aveva avvicinato il primo bicchiere di tequila alla bocca. Non si era fermata neppure quando la vista si era fatta sempre più nebulosa e sfocata, neppure quando aveva rischiato più volte di cadere per mancanza di equilibrio, perché le sue gambe erano divenute improvvisamente molli ed incapaci di sorreggerla. Aveva solo pensato che quanto più liquido ci fosse stato nel suo corpo, tanto meno avrebbe dato ascolto alle sue mille preoccupazioni, ai timori da cui nessuno avrebbe potuto difenderla. Probabilmente, anzi, ormai ne era persino certa, quella non costituiva affatto la soluzione ai suoi problemi. Ma Margaret era sola e non avrebbe potuto contare sull'aiuto di nessuno. Non aveva la forza necessaria per combattere e, se anche l'avesse avuta, le sarebbero comunque mancati i mezzi e la capacità di adottare un comportamento consono ad una circostanza tanto delicata quale quella in cui suo padre era incappato.
Ancora con gli occhi chiusi, sospirò, quasi a voler trovare sollievo da un gesto tanto banale, quanto liberatorio.
"Sei sveglia, finalmente!", una voce maschile troppo poco distante dal suo orecchio la fece irrigidire all'istante per lo spavento.
Spalancò gli occhi immediatamente, alla ricerca della persona che aveva parlato e che, dunque, si trovava insieme a lei, in quella stanza.
"Stavo iniziando a preoccuparmi", spiegò ancora il ragazzo, mentre il suo sguardo si incrociò con quello timoroso, ma allo stesso tempo curioso di Margaret.
Quegli occhi azzurri li avrebbe riconosciuti ovunque.
"Louis!", esclamò lei con la voce ancora impastata dal sonno, sorpresa. "Cosa ci fai qui?", chiese poi, mentre cercava di ripercorrere mentalmente la serata appena trascorsa, sperando di poter rintracciare proprio nei suoi ricordi la risposta a quella domanda.
Louis la osservò concentrarsi, mentre una piccola, strana, graziosa pieghetta si scava sulla sua fronte, ora arricciata. Il suo viso, una maschera di quiete, che nascondeva una tempesta interiore, era contratto in una leggera smorfia. Lui l'aveva notato, l'aveva capito che c'era assolutamente qualcosa che Margaret nascondeva, qualcosa che la faceva soffrire, che aveva fatto sparire il caratteristico sorriso luminoso dalle sue labbra. Non voleva costringerla a sfogarsi con lui, a raccontarle ciò che la tormentava a tal punto, ma ormai riusciva a tollerare sempre meno la vista di quei lineamenti tristi, di quello sguardo spento e perso, di quell'aria sommessa.
"Proprio non ti ricordi, eh?", la sua era una domanda retorica.
Aveva perfettamente intuito che quel prolungato silenzio fosse indice del buio totale che regnava nella testa di Margaret.
Lei fece spallucce, chinando il capo fino a far sfregare il naso con il bordo del piumone che la copriva.
Louis accennò ad un sorriso, consapevole che ora sarebbe stato costretto a raccontarle della piacevole nottata appena trascorsa.
"Sono venuto a prenderti in quel pub. Credo fossi già ubriaca quando mi hai chiamato", iniziò avvicinandosi al volto di Margaret
Seduto sul margine destro del letto, la fissava quasi a voler imprimere ogni particolare della favolosa immagine che si stagliava davanti ai suoi occhi. Margaret morse forte il labbro inferiore tra i denti, imbarazzata da quegli occhi così profondi e penetranti.
"A dir il vero mi hai supplicato", specificò poco dopo con un sorrisetto serafico che fece arrossire la ragazza sdraiata al suo fianco.
"Non è divertente", borbottò lei in risposta, arricciando il naso in segno di dissenso.
"Oh, invece sì", controbatté lui con tono scherzoso. "Dovevi sentire quando mi hai pregato di togliermi felpa cosicché tu potessi dormirci! Sembravi un cucciolo!", aggiunse con voce ilare.
Margaret si coprì istintivamente il volto a quelle parole, maledicendosi per essere stata tanto stupida da aver chiamato proprio lui in un momento come quello. Si chiese, poi, quali altre assurde richieste o imbarazzanti dichiarazioni fossero uscite quella notte dalla sua bocca. Sapeva perfettamente che da sobria non avrebbe mai avuto il coraggio di confessare a Louis che, in un certo senso, lui le piaceva. Eppure Margaret non aveva mai trovato alcuna difficoltà nell'esternare i propri sentimenti per un ragazzo, ma con Louis era tutto così maledettamente diverso. Lui aveva già i suoi problemi di cui occuparsi, non era il classico e tipico ragazzo che l'avrebbe portata a fare una passeggiata, non l'avrebbe accompagnata al centro commerciale per consigliarle quali indumenti comprare, non l'avrebbe inviata al ballo o alla partita della squadra di football del college. Louis, al massimo, avrebbe potuto organizzare una serata in qualche posto in voga, magari una discoteca ben frequentata, e si sarebbe potuto procurare qualcosa che avrebbe movimentato le danze, rendendo quelle ore più frizzanti, più piene e allo stesso tempo più vuote.
"Margaret", la richiamò Louis, sfiorandole con un dito la guancia.
Il suo tono ora era serio, aveva perso quella nota giocosa di poco prima.
Lui continuava ad osservarla, a studiarla. Voleva poter capire anche solo con lo sguardo fino a che punto gli fosse concesso spingersi.
"Dimmi", il sussurro della ragazza giunse come un esplicito invito a proseguire, a dar voce ai suoi pensieri.
Louis deglutì, indugiando sulle parole.
"Vuoi dirmi cosa ti succede ultimamente?", domandò tutto d'un fiato.
Aveva preferito rimanere sul vago, imponendosi di non affrontare nessun tipo di conversazione se non quella che Margaret stessa avrebbe introdotto in risposta a quel quesito.
Non avrebbe indagato ulteriormente, se lo era ripromesso nel momento esatto in cui aveva dato voce a quelle parole. Quello sarebbe stato il suo unico, forse banale tentativo.
Margaret trattenne il respiro per un interminabile istante, mentre un fiume di contrastanti idee le inondava la mente. Avrebbe davvero voluto parlarne con qualcuno, ma non sapeva se fosse pronta, non sapeva neppure se Louis fosse la persona giusta.
Alzò il volto, il necessario per incontrare quelle iridi azzurre e chiare che la fissavano trepidanti e preoccupate. Margaret pensava tante cose, ma di certo non pensava, né avrebbe mai potuto immaginare, che proprio in quelle iridi potesse trovare la risposta a quelle domande, a quel bisogno di essere compresa, capita, amata.
"Sì", fu tutto ciò che riuscì a dire in un nuovo sussurro, prima di tirarsi su fino a poggiare la schiena contro la spalliera del letto.
Poi, diede finalmente sfogo al suo dolore e alla frustrazione che la tormentavano.
Liam aprì la porta della stanza di Harry senza preoccuparsi minimamente del cigolio che essa produceva. Il riccio dormiva tranquillo, sdraiato su di un fianco nel letto. Liam scosse il capo, in segno di disappunto.
“Andiamo, Harry!”, lo incitò, avvicinandosi fino a scuotergli una spalla.
In risposta l’amico mugolò qualcosa di incomprensibile, rigirandosi tra le coperte.
Liam alzò lo sguardo in direzione del soffitto, chiedendosi come un ragazzo potesse ridursi in quelle condizioni. La camera di Harry sembrava essere reduce dello scoppio improvviso di una bomba. Dei vestiti sgualciti e probabilmente sporchi erano poggiati per metà sulla sedia, per metà sulla scrivania, mentre due paia di calzini rossi spiccavano sul pavimento chiaro, poco distanti dalle scarpe. Notò qualche libro aperto vicino al computer, su di uno vi era persino poggiato un evidenziatore verde sprovvisto di tappo. Sul comodino, infine, intravide il cellulare che, lampeggiando, segnalava una serie di messaggi e chiamate a cui non aveva evidentemente risposto. Liam aveva provato a rintracciarlo ben quattro volte, prima di piombarsi a casa sua. Fortunatamente era stato accolto dalla madre del suo amico, la quale si accingeva con fretta a recarsi a lavoro.
Il silenzio regnava padrone della casa, tanto che Liam si chiese dove potesse essere il padre di Harry in quel momento. Solo il respiro pesante del riccio disturbava la quiete.
“Harry, diamine! Svegliati!”, lo rimproverò con voce più alta.
Ormai mancava davvero poco all’inizio delle lezioni e, se solo Harry avesse poltrito per qualche altro secondo, sarebbero di certo arrivati in ritardo.
“Forza! Alza immediatamente quel culo dal letto”, ordinò afferrando con forza un lembo della coperta, così da tirarla.
Il riccio borbottò, indispettito, prima di raggomitolarsi meglio, quasi a volersi difendere da quell’ondata di aria fredda che lo aveva improvvisamente colpito.
Solo allora Liam notò che Harry era completamente nudo. Quasi aveva dimenticato quella stramba abitudine dell’amico.
“E che schifo! Vestiti, dai!”, si lamentò, piegando il viso in un’espressione disgustata.
“Ancora cinque minuti, solo cinque minuti”, sussurrò l’altro contro il cuscino.
Liam sbuffò, ormai spazientito.
“Harry Edward Styles!”, tuonò con voce perentoria. “Mancano dieci minuti, quindi o vai a prepararti o stai sicuro che la prossima volta che parteciperai ad una festa sarà quella in occasione del tuo funerale”, lo intimò, puntando il suo sguardo truce sul viso assonnato ed ancora confuso dell’amico.
“E va bene, va bene”, acconsentì il riccio, alzandosi finalmente dal letto.
“E visto che ti trovi, fatti una doccia”, suggerì allora Liam, mentre Harry si allontanava in direzione del bagno. “Puzzi come un maiale”, spiegò con un mezzo sorrisetto disegnato sulle labbra.
“Allora, cosa ci facevi a casa mia questa mattina?”, chiese Harry quando finalmente furono giunti al Kensington & Chelsea College.

Ci aveva messo poco più di cinque minuti a rendersi presentabile. Del resto, non aveva bisogno di molto tempo, Harry, per darsi una sciacquata ed indossare una maglietta ed un jeans. Aveva lasciato i capelli indomati, un enorme cespuglio che aleggiava sulla sua testa, esattamente come ogni mattina, e si era spruzzato qualche goccia di dopobarba, solo per non sentire nuovamente le lamentele di Liam su quanto fosse importante curare la propria immagine.
“Sapevo che non ti saresti svegliato ed oggi hai il compito”, rispose con un sorriso soddisfatto.
Aveva previsto anche quello. La sera precedente erano stati ad una festa ed avevano fatto terribilmente tardi. Probabilmente Harry aveva persino bevuto più di quanto riuscisse a reggere e di certo ricordare gli impegni scolastici non sarebbe stato tra le sue priorità quella mattina.
“Cazzo, il compito”, imprecò allora il riccio tra i denti, dando prova a Liam di non essersi sbagliato affatto. “Lo avevo completamente dimenticato”, continuò Harry, sbuffando sonoramente.
Non aveva studiato, non aveva ripetuto, non aveva preparato nulla. Non era difficile prevedere quali sarebbero stati i risultati di quella verifica.
“Hai più sentito Audrey?”, domandò dopo qualche istante il castano, oltrepassando l’ingresso dell’edificio.
Harry esitò qualche istante, prima di dargli una risposta. Non sapeva quale fosse il motivo di quell’interesse e, soprattutto, non aveva affatto voglia di litigare nuovamente con Liam.
“Non dopo quel giorno”, ammise.
Liam annuì, comprendendo perfettamente a cosa si stesse riferendo. Harry aveva preferito raccontargli tutto, persino dell’ultima conversazione che c’era stata con Audrey, ma si era obbligato a cercare con tutte le forze di non farsi influenzare in alcun modo dal parere, talvolta opprimente, di Liam.
“E tu?”, riprese Harry.
Liam si voltò con uno scatto in direzione dell’amico, facendo scontrare i loro sguardi.
“Tu hai più parlato con Bree?”, aggiunse Harry.
Certo, Liam non gli aveva raccontato di aver trascorso del tempo con lei ultimamente, ma le voci riguardo un loro presunto abbraccio erano ugualmente girate tra i corridoi.
“Non proprio”, sospirò, dissolvendo lo sguardo altrove.
L’aveva vista, certo, la vedeva ogni giorno a scuola. Ma non si era più avvicinato a lei, non come quella volta perlomeno. Lei non lo aveva cercato e lui aveva fatto in modo di non farsi trovare.
“Capito”, borbottò soltanto Harry, lasciando definitivamente cadere il discorso.
Bree abbassò di scatto il viso, trovandosi a fissare improvvisamente il pavimento del corridoio. Lo aveva appena intravisto camminare sicuro al fianco di Harry, sperando che i loro sguardi si incrociassero anche solo per un attimo. Ma ciò non era avvenuto. Si era convinta che dargli spazio e tempo era la scelta giusta, che se fosse stato davvero interessato a lei, sarebbe tornato, che apparire eccessivamente presente lo avrebbe soltanto allontanato. Ma Liam non l’aveva cercata e Bree si era sentita estremamente stupida per aver lasciato che ciò accadesse.
“Ci sei ancora?”, chiese Audrey, come a volerla riscuotere dai suoi pensieri.
“Eh?”, replicò Bree, scrollando il capo, prima di riuscire a comprendere le parole dell’amica. “Sì, certo”, mentì allora, provando a portare nuovamente l’attenzione sulla conversazione che stava tenendo con Audrey.
La mora sorrise nel constatare la reazione che Bree aveva avuto. Per quanto lei stesse tentando di evitare il discorso, Audrey aveva chiaramente compreso quanto Bree avesse risentito del comportamento di Liam. Ma non ne aveva fatto parola con lei, probabilmente intimorita dagli sguardi e dalle parole schiette e decise che la stessa Audrey le aveva rivolto ancor prima che Liam si avvicinasse in qualche modo a lei. Bree non aveva intenzione alcuna di darla vinta ad Audrey, non avrebbe ammesso che aveva avuto ragione sin dall’inizio, non quella volta almeno. Bree non era presuntuosa, ma sapere di aver nuovamente sbagliato, di essersi lasciata trasportare, di aver confidato eccessivamente in una persona, la rendeva fragile. Era come se la piccola, dolce, indifesa Bree fosse stata ingannata ancora una volta, illusa, presa in giro.
“Bree, se vuoi parlarne…”, provò a dire Audrey con un filo di voce.
Non voleva sembrare invadente, ma neppur indifferente. Bree era la sua unica e migliore amica. Non le avrebbe ricordato quante altre volte aveva commesso lo stesso errore, non le avrebbe evidenziato tutto ciò che di sbagliato aveva fatto, ma l’avrebbe consolata, le avrebbe offerto il suo appoggio.
“Beh, se vuoi parlarne sappi non ti dirò che te lo avevo detto”, ironizzò accennando ad un lieve sorriso.
Bree fece spallucce, indecisa e allo stesso tempo rammaricata. Avrebbe voluto parlarne, ma non aveva davvero nulla da dire.
Incrociò per pochi istanti lo sguardo di Audrey, come a volerla ringraziare per quell’offerta che, tuttavia, non avrebbe accettato.
“Va tutto bene”, mentì. “Tu, piuttosto, con Harry?”, chiese nel chiaro tentativo di spostare la conversazione altrove.
Audrey arricciò le labbra in una smorfia.
“Non so”, ammise. “Suppongo questa volta tocchi a me avvicinarmi”, ipotizzò mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Suppongo di sì”, confermò allora Bree, sorridendo complice all’amica. “Non si parla d’altro che di Charlotte e Niall, qui”, constatò la rossa, dando seguito a quel chiacchiericcio poco distante da loro.
La nuova coppia aveva riscosso un discreto successo, soprattutto a causa dei precedenti che c’erano stati tra Niall e Liam a causa di Millie e del repentino ingresso, nella già intricata situazione, della stessa Bree.
“Millie come sta? Come l’ha presa?”, domandò Bree, con il palese intento di alleggerire la conversazione.
Ad Audrey non piaceva rendersi partecipe di quella marea di insani pettegolezzi, ma per quella volta decise di assecondare Bree.
“Tralasciando gli ovvi problemi, credo che ultimamente sia presa da qualcun altro”, affermò con un sorrisetto beffardo dipinto sulle sottili labbra.
“Che vuoi dire?”, il viso sorpreso di Bree e la sua voce entusiasmata furono un chiaro invito a proseguire.
“Voglio dire che non  sottovaluterei troppo Zayn”, si lasciò scappare in un sussurro, per evitare che orecchie indiscrete potessero udire quelle parole.
“Cosa?”, l’incredulità di Bree riecheggiò nell’aria.
Audrey portò d’istinto l’indice sulle labbra, intimandole di abbassare il tono di voce.
“Stai scherzando spero”, il tono ironico di Bree faceva intuire quanto poco veritiera reputasse quella sconvolgente notizia.
Audrey si lasciò scappare un sorriso. In effetti, se lei non avesse notato quegli sguardi, se non avesse sentito sua sorella maledire più volte il moro in preda alla disperazione, probabilmente neppure lei ci avrebbe mai creduto.
“Per il momento ancora non è successo nulla, credo”, continuò. “Ma in futuro…”, ammiccò, lasciando di proposito la frase incompiuta.
“Non posso crederci! È assurdo!”, commentò Bree, ancora con gli occhi sgranati ed un’espressione sorpresa.
“Dai, ora però andiamo in classe. Si è fatto tardi”, incalzò Audrey, afferrando per un braccio l’amica che ancora cercava di metabolizzare l’eventualità che ad una come Millie potesse interessare uno come Zayn.
Così, mentre ancora Bree rimuginava sui suoi pensieri, Audrey la conduceva per i corridoi in direzione dell’aula.
“Zayn, il tuo cellulare vibra”, la voce di Niall, seduto al suo fianco, lo fece sussultare.

Per quanto ancora Zayn si ostinasse a non considerarlo suo amico, Niall si era rivelato, contro ogni previsione, una persona dalle ottime qualità caratteriali. Era comprensivo, non giudicava, sapeva ascoltare e conosceva perfettamente i limiti oltre i quali non poteva spingersi. Aveva sempre una parola buona e sapeva come smorzare la tensione. Era un tipo normale, pensò Zayn, forse persino troppo per frequentare gente come loro.
Zayn scrollò le spalle, sperando che quel semplice gesto bastasse a spiegare la sua totale indifferenza.
“È già la seconda volta in un’ora, magari è una cosa urgente”, ipotizzò allora Niall, mentre il cellulare cessava di lampeggiare.
Zayn scosse il capo. Sapeva chi era a cercarlo e sapeva che non c’era nulla che poteva o doveva essere fatto.
Da quella notte, le chiamate di suoi fratello si erano moltiplicate a dismisura, ma lui aveva continuato ad ignorarle. Non era pronto, forse non lo sarebbe mai stato.
In un attimo la sua mente tornò indietro nel tempo. La stessa scena, ma con Louis al posto di Niall.
Era passato del tempo, ma le cose non erano cambiate. Avrebbe voluto poter credere che sarebbe bastato qualche giorno, delle settimane, mesi, magari anni, ma che trascorsi avrebbero cancellato i brutti ricordi. Ma Zayn non era tanto ingenuo da ritenere che quelle ferite, ancora così vividamente impresse nel suo cuore e nella sua mente, si sarebbero risanate con tanta facilità. Sapeva che non sarebbe stato così.
“Non è importante”, borbottò in un sussurro, con lo sguardo basso fisso sul libro aperto ad una pagina a caso. “Non lo è mai stato”, aggiunse in un flebile bisbiglio che probabilmente neppure Niall riuscì a cogliere.
Ed aveva ragione. Per Jamal, Zayn non era mai stato importante. Non quando lo aveva lasciato, non quando lo aveva abbandonato, non quando era rimasto solo, solo contro tutti, contro un mondo infame e troppo crudele per lui, un semplice ragazzino che evidentemente non era neppure riuscito a tenersi lontano dai guai.
Prese un lungo respiro. In quel momento desiderò soltanto di essere altrove, ovunque, ma non lì, bloccato nel nulla.
“Cosa ci fai a casa a quest’ora?”, la domanda di Millie costrinse il padre a spostare lo sguardo dall’articolo di giornale che stava leggendo al volto stranito della figlia.
Sorrise a modi saluto, poi poggiò il quotidiano sul tavolino e si alzò dal divano.
“Te l’ho detto, sono qui”, spiegò con voce rassicurante, mentre con passo lento, ma deciso, si avvicinava a Millie.
Il suo sguardo era fisso in quello della figlia. Aveva la stessa espressione di sua madre, gli stessi occhi spiazzati, quel viso intimorito da cui si poteva chiaramente leggere la paura di sbagliare e la voglia di vincere. Millie era determinata, ostinata, Millie ce l’avrebbe fatta. Ma Millie non era indistruttibile, non era un pezzo di ghiaccio freddo e privo di sentimenti. Sotto quel trucco, quei capelli acconciati alla perfezione, quelle scarpe portate con tanta leggiadria e quel vestito alla moda, c’era un cuore che aveva bisogno di amore.

“Lotterò con te”, sussurrò infine, prima di avvolgere la figlia in un abbraccio.
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Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! Allora, eccoci con un nuovo capitolo!:D
Questa volta è dedicato a Margaret ed il motivo è che finalmente lei decide di aprirsi con qualcuno, di sfogarsi.
Nella prima parte del capitoli, infatti, lei decide di parlarne con Louis, anche se ho evitato di descrivere quel preciso momento.
Anyway, diciamo che questo è un episodio da non sottovalutare per la story line del suo personaggio.
Per il resto potremmo quasi definire questo quale un capitolo di passaggio.
Harry e Liam sono tornati ad essere amici, anche se per entrambi qualcosa è cambiato.
Diciamo che Liam lascia più spazio ad Harry ed Harry è più autonomo rispetto a prima.
Confidenze anche per Bree ed Audrey, che quasta volta si lasciano andare anche a qualche pettegolezzo in più.
Poi scopriamo che Jamal in reatlà non ha mai smesso di chiamare Zayn e che è proprio lui a continuare ad ignorare le sue telefonate.
Per quanto riguarda il fatto che Zayn abbia tentato di uscire dal giro, c'è da dire che non so alla perfezione come funzionano queste cose
e che una semplice scazzottata non credo sia neanche sufficiente.
Non vorrei dare l'impressione che sia tutto un po' banale, infatti nei prossimi capitoli ci saranno ulteriori dettagli sulla questione.
Okay, concludiamo con Millie: papà Wood vuole essere presente! Credete sia solo la paura del momento o qualcosa di definitivo?
Okay, per oggi credo sia tutto.
Ringrazio chi segue, preferisce e ricorda, oltre chi legge! Thank you very much!:D
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo!;)
Alla prossima!:*
                                                                           
Astrea_

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Capitolo 27
*** Harry ***


f

HARRY

Il silenzio regnava sovrano in quella piccola chiesetta del quartiere. Harry non era mai stato un credente. Certo, aveva sporadicamente partecipato a qualche cerimonia religiosa, ma non poteva definirsi quale assiduo frequentatore della parrocchia e attivo fedele della comunità.
Quel giorno avrebbe preferito persino essere costretto a svolgere un ennesimo e fallimentare compito, piuttosto che dover assistere a quell’evento. In realtà nessuno lo aveva obbligato a partecipare, ma il suo cuore, la sua coscienza lo avevano quasi costretto a svegliarsi presto quella mattina ed indossare quello stupido vestito scuro. Non si sarebbe mai perdonato una sua eventuale assenza.
Un gruppo di sei uomini continuava la lenta avanzata lungo la navata della chiesa, sorreggendo una bara sulle spalle.
Non la conosceva bene, non quanto avrebbe potuto conoscerla Millie, o magari Zayn, ma sapeva che aveva fatto la cosa più giusta presentandosi lì, quella mattina, per commemorarla.
Era successo tutto così in fretta. Aveva sentito delle voci parlare di una festa, di qualcuno che aveva perso il controllo, di alcuni ragazzi che avevano bevuto troppo, altri che avevano fatto uno eccessivo di sostanze stupefacenti. Sul giornale aveva letto di una ragazza, non aveva compiuto neppure diciannove anni, morta di overdose proprio a quella festa.
Audrey alla sua destra rabbrividì quando il corpo inerme di quella giovanissima donna passò a pochi metri di distanza da lei.
Sapeva chi era, l’aveva vista parlare con Millie durante quella fatidica festa organizzata a casa di Zayn qualche settimana prima. Eppure quella sera non le era affatto sembrata la ragazza disposta a tutto, persino a superare i propri limiti fisiologici, pur di riscoprire quello sprazzo di felicità e soddisfazione che quella roba sembrava riuscir ad offrire a chi, come sua sorella Millie, ancora non era in grado di farne a meno. Attimi di pura felicità, attimi di spensieratezza, di follia, il cui prezzo era decisamente troppo alto per poter essere ripagato. Ed allora il distino compiva le sue scelte, passava a riscuotere tutti quei debiti che semplici e piccoli umani continuavano ad accumulare, incoscienti e sopraffatti da quella parvenza di ebrezza di cui i loro istanti venivano temporaneamente riempiti. Era la vita ciò che pretendeva, ciò che portava via. Era la vita il bene più grande che veniva donato ad ogni singola persona ed era quella stessa vita che veniva spazzata via con un semplice, piccolo gesto. Sarebbe bastata una striscia di troppo, una siringa in più, una dose troppo grande e quella vita sarebbe stata interrotta per sempre.
D’istinto Audrey cercò la mano di Harry, sfiorandola con forza, per poi afferrarne appena tre dita.
Il suo era stato un gesto impulsivo, fatto senza averci riflettuto per neppure un istante, così quando gli occhi verdi e limpidi di Harry si scontrarono con i suoi, Audrey sentì una strana sensazione farsi largo alla bocca dello stomaco, mentre le sue guance ribollivano per l’imbarazzo.
“Io…”, la voce di Audrey era un sussurro smorzato, un’unica flebile parola che era scappata dalle sue labbra prima che violentemente abbassasse il capo, per puntarlo esattamente in direzione dei suoi piedi.
Harry percepì la presa di Audrey farsi più debole, aveva perfettamente intuito che nel giro di qualche secondo avrebbe ritirato completamente la mano, lasciando libera quella del ragazzo.
Ma Harry non voleva, non ora che finalmente anche Audrey pareva mostrare un briciolo di interesse nei suoi confronti. Il ricco sorrise, mentre con finta sicurezza intrecciava le sue dita a quelle della ragazza, stingendole forte la mano, così da non poterle permetterle di allontanarsi in alcun modo.
Gli occhi di Audrey furono d’istinto nuovamente catapultati in quelli di Harry. Lui le sorrideva appena, come a volerla incoraggiare. Due tenere fossette gli si erano scavate agli angoli della bocca. Audrey puntò forte i denti sul labbro inferiore, mordendolo indecisa. Quella sensazione di sicurezza che si propagava da quel lieve contatto la confondeva. Non voleva rinunciarci, ma non voleva neppure soccombere a quella subdola debolezza.
Eppure per un istante, in quella bara di legno scuro che ormai era quasi giunta all’altare, Audrey immaginò di vedere Millie. Un brivido le percorse la spina dorsale.
“Andrà tutto bene, tranquilla”, la rincuorò Harry.
Ormai, lo aveva capito, non c’era più spazio per la timidezza e l’incertezza. Lui voleva Audrey e se per averla avrebbe dovuto combattere contro tutte le sue paure, allora lo avrebbe fatto.
Audrey annuì appena, lasciandosi confortare da quel tono di voce tanto familiare e rassicurante, poi fece cadere il suo attento e vigile sguardo sulla figura di Millie.
Aveva la testa bassa, la mascella serrata, l’espressione cupa, gli occhi vuoti. Giocava distrattamente con le mani. Per quanto bene il nero le potesse stare, per quanto splendidamente quel colore si abbinasse con la sua carnagione, quella non era certo l’occasione per la quale aveva in mente di indossare quell’abito. Deglutì forte quando il prete diede inizio alla cerimonia. Sentiva le gambe tremare, sapeva che da un momento all’altro avrebbero potuto cedere, lasciandola rovinosamente cadere sul freddo pavimento. Non ci sarebbe stato nessuno a sorreggerla, né Niall, né Audrey, né suo padre e neppure Zayn.
Aveva preferito andarci da sola, non voleva la compagnia ed il supporto di nessuno. Aveva come la sensazione che avrebbe dovuto affrontare quella situazione da sola. Voleva mettersi in gioco, voleva provare a se stessa fino a che punto sarebbe stata capace di spingersi. Non sapeva, Millie, che proprio in quella piccola chiesetta, in ultima fila, Audrey continuava a scrutarla, assicurandosi che tutto procedesse per il meglio. Non avrebbe mai davvero potuto lasciarla sola, così si era accontentata di un posto ben poco visibile e si era ripromessa di non perderla mai di vista, neppure per un istante.
Louis tirò un respiro di sollievo quando raggiunse finalmente l’esterno di quell’edificio. Aveva promesso a Zayn che gli sarebbe stato accanto, ma quando aveva visto arrivare la signora ed il signor Malik, pochi attimi prima che la cerimonia iniziasse, aveva intuito che non ci sarebbe più stato bisogno della sua presenza, perlomeno non come prima. Così, dopo appena dieci minuti, si era dileguato con fare fortuito e, una volta fuori, si era raggomitolato sulle scalette che si stagliavano davanti all’ingresso.
“Ehi”, la voce affusolata di Charlotte catturò immediatamente Louis, costringendolo a voltarsi nella direzione da cui essa pareva provenire.
“Ehi”, ricambiò con un lieve sorriso sulle labbra, nonostante tutta quella atmosfera lo rendeva piuttosto di cattivo umore.
“Ho saputo solo questa mattina quello che è successo”, mormorò quasi la ragazza, mentre con movimenti lenti si avvicinava a Louis, fino a sedersi al suo fianco.
“Sì, beh, a me l’ha detto Zayn ieri sera”, spiegò allora.
Charlie annuì, incapace di aggiungere altro.
Sapeva perfettamente che al posto di quella malcapitata ci si sarebbe potuto trovare uno qualsiasi di loro, chiunque, e non era per nulla fiera di quella consapevolezza.
Deglutì sommessamente, prima di tornare a puntare lo sguardo negli occhi chiari di Louis.
“Ho parlato con Margaret”, esordì allora, senza aggiungere alcun dettaglio.
Voleva essere sicura che quella conversazione non avrebbe in alcun modo turbato Louis. Dovevano essere già molte le preoccupazioni che vagavano nella sua mente a moltiplicarle per l’ennesima volta non era affatto tra gli obiettivi di Charlie.
Erano stati insieme per così tanto tempo che lei aveva imparato a conoscere ogni sfaccettatura del suo carattere. Sapeva perfettamente riconoscere quel cipiglio affranto, quell’aria assente, lo sguardo spento, quelle labbra leggermente schiuse.
Louis prese un lungo respiro e si sgranchì il collo, muovendo leggermente il capo prima da un lato, poi dall’altro.
Charlie sapeva che era quello il momento, era quello l’istante in cui lei avrebbe dovuto riprendere il discorso.
“Mi ha detto cosa è successo”, mormorò quasi.
Da quando Margaret le aveva riferito di quello che Louis aveva fatto per lei, Charlie non era riuscita a non esserne felice. Sapeva che la presenza di un amico avrebbe notevolmente alleviato il dolore che Margaret serbava. Ma solo allora si rese conto di quello strano fastidio che quell’idea le provocava. Era stato Louis, proprio il suo Louis, ad aiutarla e quasi ne fu gelosa.
Scosse istintivamente il capo, rimproverandosi mentalmente per quei suoi pensieri.
“Voleva ringraziarti ancora di persona, ma stamattina doveva risolvere delle faccende con sua madre, quindi non è potuta venire”, spiegò giocherellando con una ciocca di capelli.
Louis sogghignò, percependo quel tono leggermente nervoso.
“Dice che sua madre ha bisogno di lei, più di quanto lei abbia bisogno della vodka”, aggiunse, riportando le parole che la stessa Margaret le aveva rivolto la sera precedente.
Il ragazzo si lasciò scappare un mezzo sorriso, divertito quasi da quella battuta, ma non accennò a proferir parola.
Eppure, Charlotte non lo ricordava affatto così silenzioso, ma del resto sapeva perfettamente quanto Louis stesse lavorando sul suo carattere, quanto si stesse prodigando per migliorarsi. Magari era davvero cambiato, magari lo era sin troppo.
“Com’è lì dentro?”, si ritrovò a chiedere poi la bionda, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Del resto era quello, il funerale, il motivo che l’aveva spinta a recarsi lì quella mattina. Ma proprio lei, contro ogni aspettativa, non aveva avuto abbastanza coraggio per entrare, aveva preferito aspettare fuori, non vedere con i suoi occhi quella cruda e dura verità.
Louis, invece, ci era stato e l’aveva vista. Aveva visto quella giovane ragazza che più volte aveva incontrato a qualche festa o in giro per locali. Aveva osservato il suo viso diafano, le sue palpebre  abbassate, le mani congiunte in grembo, i capelli sparsi ordinatamente ai lati del suo volto. Immobile, inerme, piatta.
“Un inferno”, si lasciò scappare in un sussurro.
Ed era proprio quella la più sincera verità. Era un inferno, perché a morire non era stata un’estranea, una persona che conduceva uno stile di vita diametralmente opposto al loro, una di quelle che si era semplicemente ritrovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lì dentro, in quella dannata bara, c’era una di loro. Una ragazza con dei sogni infranti ormai già da anni, con nessuna aspettativa, con una routine sregolata e ben poco controllo della sua vita. Era davvero un fottuto inferno ed era un inferno molto più vicino di quanto Louis avrebbe mai potuto immaginare.
Charlotte annuì soltanto, mentre il silenzio tornava padrone dell’atmosfera.
“Eravamo davvero una forza noi due”, si lasciò sfuggire una manciata di minuti dopo, pentendosi automaticamente di quelle parole pronunciate senza troppa cognizione di causa.
“Oh no”, si lamentò Louis, voltandosi in direzione di Charlie.
I suoi occhi, quegli occhi di giacchio di cui si era innamorato tempo addietro, riuscivano ancora a perforarlo.
“Noi eravamo molto di più”, commentò con un leggero sorriso, prima di avvolgere le spalle della ragazza con un braccio.
Liam suonò il campanello di casa Collins ancora non del tutto convinto.
Aveva passeggiato freneticatamene per interminabili minuti, rimuginando su cosa avrebbe dovuto fare. Voleva vedere Bree, voleva parlare con lei e cercare di chiarire quella dubbia situazione in cui vertevano, ma lui era comunque Liam James Payne e dichiarare ad una ragazza, una qualsiasi ragazza, il suo interesse in stile dichiarazione romantica non rientrava affatto tra le sue prospettive.
Ecco il motivo dei suoi mille ripensamenti. Non era nelle sue intenzioni apparire come un docile e affettuoso ragazzo che finalmente si decideva ad esternare i suoi sentimenti. Liam desiderava solo poter trascorrere del tempo con Bree. Non era certo di essere pronto a dare una definizione netta al rapporto che stava nascendo con la ragazza dai capelli rossi, ma era stufo di fuggire ancor prima che qualcosa potesse nascere.
“Salve”, il volto gentile di una donna fece capolinea oltre la porta d’ingresso.
“Buongiorno”, salutò allora Liam, cercando di sorridere in  modo cordiale.
Se la donna di fronte a lui era la madre di Bree, di certo allora non avrebbe voluto apparire come scontroso o maleducato.
“Sono Liam, un amico di Bree”, si presentò allora, sfoggiando i suoi occhi color nocciola che tanto avevano il potere di incantare le persone.
“Finalmente un amico maschio!”, esclamò con soddisfazione la donna, lasciandosi scappare una risata sarcastica.
Liam storse leggermente il labbro, non avendo intuito cosa ella volesse insinuare con quel commento. Sembrava quasi voler schernire Bree, ma a Liam pareva difficile credere che proprio sua madre potesse beffeggiarla davanti a quello che poteva essere anche il suo ragazzo.
“Entra, caro”, lo pregò la donna, facendogli spazio cosicché Liam potesse avanzare all’interno dell’abitazione. “Siediti pure, mettiti comodo”, proseguì accennando con una mano all’accogliente salotto.
Liam annuì soltanto, avvicinandosi con passo lento al divano in pelle beige.
“Vado a chiamarla. Spero solo non ci metta molto”, continuò allora la donna.
Liam la osservò meglio. Il suo volto aveva un’aria familiare. In un attimo si ritrovò a cercare nei suoi lineamenti dei tratti in comune al viso di Bree.
Forse si trattava di quegli occhi chiari e vuoti, dell’espressione svampita, della postura eretta, della pelle candida.
“Non si preoccupi, aspetterò”, ribatté con un sorriso, cercando di mostrarsi disponibile.
Voleva fare una buona impressione, in un certo senso.
La donna gli riservò una veloce occhiata incredula, quasi scettica.
“Non capisco perché un bel ragazzo come te perda il suo tempo così”, borbottò in un mormorio che a Liam giunse appena all’orecchio.
Non era neppure davvero certo di quello che la donna avesse detto, o forse sperava semplicemente che quelle parole appena sussurrate non fossero veramente uscite dalla bocca di quella che presumeva essere la madre di Bree.
“Ti mando mia figlia giù”, concluse infine, regalando un ultimo sorriso a Liam, prima di affrettarsi a salire le scale.
Ora ne era certo. Quella era davvero la madre di Bree e a giudicare dalle apparenze non doveva avere propriamente un buon rapporto con la figlia.
Zayn osservò ancora per un istante la lapide in marmo. Aveva seguito l’intera cerimonia, poi si era recato al cimitero, dove il tutto si era concluso. Non aveva avuto la forza di avvicinarsi alla tomba. Era rimasto piuttosto distante, quasi nascosto da una lunga fila di cipressi. Ormai erano andati via quasi tutti. Dalla sua posizione riusciva solo ad intravedere i volti di quelli che aveva compreso fossero i genitori della ragazza. Da quando aveva avuto notizia dell’infelice evento, Zayn non aveva fatto altro che sentire una morsa stringergli lo stomaco. Mille idee si erano fatte spazio nella sua mente, tormentandolo, non concedendogli neppure un istante di tregua. Sapeva che in parte era responsabile dell’accaduto. Sapeva che era lui che nell’ultimo periodo aveva venduto della roba a quella ragazza. Sapeva che quella dose, quella che l’aveva portata alla morte, probabilmente era passata dalle sue stesse mani. Aveva ancora il volto leggermente livido, i segni di quella notte non erano scoparsi integralmente dal suo corpo, eppure quel mondo continuava a perseguitarlo.
Zayn cominciava a dubitare di poter davvero lasciarsi alle spalle quella terribile esperienza. Qualcosa, forse i rimorsi, forse la sua coscienza, gli urlavano che niente e nessuno avrebbe mai potuto cancellare ciò che lui aveva fatto, ciò che aveva fatto agli altri. Ne avrebbe portato per sempre i segni, le cicatrici sul suo cuore.
Il fastidioso rumore di foglie calpestate lo destò dai suoi cupi pensieri. Deglutì sommessamente, nel vano tentativo di ignorare quel tanto palese indizio. Erano giorni che vedeva sempre quelle stesse persone osservarlo, controllarlo, pedinarlo. Da quando era tornato a scuola non lo avevano lasciato solo per neppure un istante. Non ne aveva parlato con i suoi genitori, non ne aveva parlato neppure con Louis a dir il vero. Zayn credeva soltanto che meno persone fossero a conoscenza di tutto ciò, meno pericoli avrebbe fatto correre ai suoi cari. Temeva che una sola parola avrebbe potuto scatenare l’ira vendicativa, che una sola frase sarebbe stata sufficiente a proseguire ciò che quella notte era stato lasciato in sospeso.
Fece roteare gli occhi, alla ricerca di una via di fuga che gli consentisse di allontanarsi da quegli uomini il prima possibile. Individuò un sentiero, lo avrebbe imboccato, sarebbe uscito dal cimitero ed, infine, si sarebbe diretto velocemente a casa. Aveva bisogno di sentirsi al sicuro e, nonostante ormai nessun luogo lo fosse per lui, percepiva la necessità di rifugiarsi in famiglia, accudito dall’amore dei suoi genitori e dalle risate allegre delle sue sorelle.
Prese un respiro profondo, mentre con la mando destra estraeva una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca del cappotto. Con l’altra recuperò l’accendino ed in pochi attimi l’accese. Ne fece un tiro, poi finalmente si decise a camminare. Sapeva quello che doveva fare, cercava solo di racimolare quel briciolo di forza che gli avrebbe permesso di concretizzare il suo piano.
Quando, dopo quasi un’oretta, chiuse alle sue spalle il portone di casa, Zayn respirò a pieni polmoni, sollevato. Aveva distintamente notato due persone seguirlo sino al cancello della sua abitazione, ma poi li aveva visti fermarsi sull’altro lato della strada. Zayn era anche piuttosto certo del fatto che riusciva a distinguerli solo perché erano loro a voler essere visti. Era come se in quel modo potessero sempre ricordargli di tenere la bocca chiusa, ben sigillata.
“Zayn, amore, tutto bene?”, la voce calda di sua madre giunse all’orecchio del moro come la cosa più dolce e bella del mondo.
Annuì soltanto, sperando di poter mascherare quel velo di tensione e paura che ormai caratterizzava la sua espressione.
“Zayn, figliolo, finalmente sei tornato”, questa volta fu suo padre a parlare, raggiungendolo nell’ampio ingresso.
La sua voce era chiaro segno di quanto straziante quell’attesa gli fosse risultata. Probabilmente aveva pregato per interminabili minuti che Zayn rincasasse, che quella porta si spalancasse rivelando l’immagine serena di suo figlio e poterlo rivedere, in quel momento, sano e salvo era una gioia incommensurabile.
Il moro distolse lo sguardo, mentre con noncuranza lasciava cadere la giacca sullo schienale della poltrona.
“Scusate il ritardo”, borbottò mentre si sedeva scomposto sul bracciolo.
“Vuoi dirci dove sei stato?”, la domanda di sua madre non preannunciava rimprovero alcuno, ma solo un disperato bisogno di sapere suo figlio al sicuro.
“In chiesa, poi al cimitero”, rispose atono, mentre i suoi occhi si fissavano sullo schermo spento del televisore. “Una ragazza che conoscevo è morta”, aggiunse in un sussurro.
In un attimo la mano di Zayn fu avvolta da quella della madre.
“Permettici di aiutarti, tesoro”, la sua voce era quasi una supplica.
“Ormai credo sia rimasto davvero ben poco da poter fare”, il rifiuto di Zayn colpì forte entrambi i suoi genitori.
“Zayn, noi abbiamo capito”, proferì suo padre.
Il moro trattenne il fiato, mentre ruotava lo sguardo in direzione dell’uomo. Aveva gli occhi sgranati, la bocca schiusa e la mente affollata da mille dubbi.
“Cosa?”, chiese soltanto a modi conferma.
Sua madre deglutì, mentre si faceva ancora più vicina a lui.
“Abbiamo parlato con Jamal, sappiamo cosa è successo e sappiamo perché quella notte…”, suo padre lasciò incompleta la frase, incapace di portarla a termine.
“Hai fatto la cosa giusta”, esordì allora la donna, carezzando delicatamente la guancia del figlio. “Ora dobbiamo solo essere certi che tu sia al sicuro”, terminò, accennando ad un lieve sorriso, nel tentativo di tranquillizzarlo.
Probabilmente a Zayn non sarebbe bastato, ma in quell’istante gli parve un ottimo inizio.
Erano seduti da oltre un’ora sul comodo e largo divano dell’enorme sala di casa Wood. Audrey, Harry, Millie, Niall e Charlie erano in silenzio, assorti nei loro pensieri. Era stato Harry a proporre di organizzare qualcosa per quel pomeriggio, ma quando poi si erano ritrovati, nessuno sembrava più essere dell’umore adatto. In realtà quando il riccio aveva chiesto agli altri di incontrarsi, lo aveva fatto per un unico scopo. Non voleva in nessun caso che Millie ed Audrey si trovassero da sole a dover combattere la prima contro i rimorsi ed il senso di colpa che continuava a celare dietro la sua espressione gelida, la seconda contro la paura di poter perdere la gemella in ogni istante. Sarebbe stata sufficiente un’unica piccola distrazione ed Audrey avrebbe potuto tranquillamente dire per sempre addio a Millie.
“Qualcuno ha sete o fame?”, la domanda di Charlie fece riscuotere tutti.
Era quasi una supplica, la sua, un invito a metter fine a quella straziante agonia.
“Ci dovrebbe essere del gelato di là.”, la voce sommessa di Audrey giunse pochi secondi dopo.
Affogare il dispiacere nel cibo non era mai rientrato tra le sue abitudini, né era solita mangiare per noia, ma probabilmente una coppa di cremoso gelato avrebbe potuto alleviare quell’atmosfera così tesa e pesante.
“Mi offro come volontario per prendere i cucchiaini”, si propose immediatamente Harry, sollevandosi di scatto dal divano.
Aveva gli arti quasi atrofizzati per l’eccessivo tempo trascorso immobile nella più totale contemplazione.
“Ed io per prendere le coppette”, lo imitò prontamente Niall, mentre con un balzo lo affiancava.
“Andiamo, allora”, concluse Audrey, facendo strada ai due verso la cucina.
Charlie sospirò non appena ebbe realizzato che era rimasta da sola proprio con Millie e per di più nel salotto di casa sua. Quasi si maledisse per la malsana idea che aveva avuto e per le conseguenze a cui aveva portato.
Si morse fortemente il labbro inferiore tra i denti, chiedendosi se fosse il caso di intavolare una qualsiasi conversazione o di attendere in silenzio il ritorno degli altri.
“Mi fa piacere che tu sia passata”, fu Millie a rompere il ghiaccio, mentre con gli occhi cercava quelli chiari di Charlie.
La maschera di fierezza che solitamente sfoggiava aveva lasciato posto ad un’espressione più amichevole e meno orgogliosa.
Charlie riuscì solo ad accennare un sorriso, prima che Niall si facesse spazio tra le due, porgendo le coppette ricolme di gelato.
“Ecco a voi, signorine”, le offrì con voce giocosa.
“Hai sentito?”, fu la domanda appena sussurrata da Harry all’orecchio attento di Audrey.
Si era immobilizzata sullo stipite della porta nell’esatto istante in cui sua sorella aveva proferito parola.
Annuì, mentre un sorriso si impossessava delle sue labbra.
“Forse questa volta siamo davvero sulla buona strada”, commentò con lo sguardo ancora incatenato alla figura della sorella, prima di afferrare Harry per mano e tornare in sala dagli altri.

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Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! Allora, eccoci con il nuovo capitolo!
Stavolta parliamo di Harry che, insomma, per tutto il capitolo non fa che preoccuparsi per tutti. Ma non è carinissimo in veste di uomo premuroso?
A quanto pare tutta la sua timidezza sembra aver lasciato il posto ad una buona dose di sicurezza.
Ed eccolo che prima cerca di far forza ad Audrey e poi, insieme a lei, continua a tenere sott'occhio Millie.
Il funerale di cui si parla è quello della ragazza che nel 20esimo capitolo Millie avvicina, ecco perché sia per lei che per Zayn la sua morte è piuttosto destabilizzante.
Per quanto riguarda Louis, vediamo un repentino riavvicinamento con Charlie!
Insomma, Margaret e Niall manca per appena un capitolo e quei due subito ne approfittando!
Però non voglio dire nulla a riguardo, potrebbe tranquillamente trattarsi di una chiacchierata tra amici, no?!
Anyway, veniamo a Zaynuccio caro. A quanto pare i suoi problemi non sono finiti ed ora i suoi genitori sono al corrente di tutto.
Vedremo come si evolveranno le cose, perché presto ci sarà anche un gran ritorno.
Ah, quasi dimenticavo: Liam fa conoscenza della signora Collins!! Beh, forse ora finalmente inizia a capire il perché di tutte le insicurezze di Bree.
Okay, credo di aver detto tutto. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo quanto prima!!
Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!!
E, se vi va, lasciate pure un commento, insomma per sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
                                                     Astrea_

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Capitolo 28
*** Millicent ***


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MILLICENT

“Non puoi dirlo sul serio!”, la voce acuta e terrorizzata di Margaret risuonò forte tra le pareti della cucina, mentre con sguardo accusatorio fissava il volto rammaricato della madre.
“Tesoro, mi dispiace”, la sua voce era solo in apparenza calma e piatta.
In realtà lei stessa si stava chiedendo come e chissà per quale ragione riuscisse ancora a trattenere le lacrime di fronte a sua figlia. Era distrutta, il suo animo lo era nel profondo.
Sapeva cosa suo marito aveva fatto, lo aveva saputo due giorni prima che entrambi decidessero di trasferirsi a Londra, ma non aveva mai davvero realizzato quali le conseguenze potessero essere, non prima che degli agenti della polizia suonassero al suo campanello, quel maledetto giorno di qualche settimana prima.
“Non andrò dalla nonna, non mi trasferirò ancora!”, urlò in risposta Margaret, scossa da un’evidente crisi di panico.
Sua madre le si avvicinò di qualche passo, sfruttando quei pochi secondi a sua disposizione per decidersi su cosa sarebbe stato opportuno dire in quel momento. Avrebbe voluto poterle dare la più assoluta e totale certezza che tutto sarebbe andato bene, che nel giro di neppure una settimana suo padre sarebbe tornato a casa e avrebbero ripreso la loro normalissima vita come se nulla fosse mai accaduto. Ma, ormai ne era sempre più certa, probabilmente quell’episodio non avrebbe avuto un’imminente fine, né tanto meno ne avrebbe avuta una positiva.
“Amore, sarà solo per poco”, mentì, sperando che ciò bastasse a rassicurare sua figlia.
Non voleva riempirla di bugie, ma allo stesso tempo sentiva di non essere forte abbastanza per dirle la verità. Era come se cercasse un modo per proteggerla, per tenerla lontana da quel mondo di accuse, scartoffie, bugie ed interessi che stava sommergendo lei e suo marito.
“Io devo concentrarmi esclusivamente su papà, ci sono davvero troppe cose di cui devo occuparmi”, provò a giustificarsi sotto lo sguardo severo di Margaret. “Ho bisogno di saperti fuori da tutto questo, di saperti tranquilla”, aggiunse, forse nel tentativo di motivare ulteriormente la tua decisione.
“Ma io voglio rimanere qui! Voglio restare accanto a papà, accanto a te!”, la voce stridula di Margaret fece rabbrividire all’istante sua madre, costringendola a socchiudere gli occhi per qualche istante.
Non voleva andare via, avrebbe preferito restare e lottare. Non le importava delle conseguenze, dei pettegolezzi e delle dicerie che di sicuro avrebbero accompagnato il suo passaggio a scuola. Margaret voleva solo rendersi utile, voleva non arrendersi, combattere per la sua famiglia finché le fosse stato possibile.
Sua madre abbassò il capo, mentre le sue umani si univano in maniera frenetica. Non avrebbe mai voluto allontanare sua figlia, ma quella le appariva l’unica scarna possibilità di evitare che anche lei venisse sommersa da quella serie di innumerevoli complicazioni dalle quali, almeno per il momento, non riusciva a trovare alcuna via d’uscita.
“Ho già comprato il biglietto”, la informò allora.
Non cercava più l’approvazione o la comprensione di Margaret, al contrario voleva solo essere certa che avrebbe seguito alla lettera i piani.
“Come puoi farmi questo?”, il tono accusatorio ed indignato di Margaret fece sussultare visibilmente sua madre. “Come puoi farlo proprio ora?”, ancora la sua voce graffiante colpì la donna che fu costretta a mordersi il labbro, nel tentativo di trattenere le lacrime che ormai premevano per sgorgare dai suoi occhi.
Non avrebbe pianto. In realtà avrebbe tanto voluto sfogarsi, avrebbe tanto voluto ammettere tutte le sue paure e le sue debolezze, ma doveva essere forte. Doveva esserlo per suo marito, per sua figlia, per la sua famiglia.
“Ormai è deciso, partirai tra tre giorni”, concluse puntando lo sguardo freddo ed inespressivo in quello vuoto e disperato di Margaret.
Lei fu scossa da mille piccoli brividi. La gola le bruciava talmente forte che avrebbe voluto urlare, dar voce alla sua rabbia repressa, a quel silenzioso desiderio che le divorava l’animo.
Sapeva cosa quella repentina ed inaspettata partenza implicasse. Avrebbe abbandonato la sua famiglia, i suoi genitori, i suoi amici, Louis. Sarebbe fuggita al sicuro come la più perfetta delle codarde. Si sarebbe rintanata nella vecchia e triste casa di sua nonna, in attesa che il mondo, lo stesso nel quale in quel momento non riusciva più a trovare un posto, la riaccogliesse.
“Ti odio”, si lasciò scappare in un mormorio risentito, prima di voltarsi e correre fuori da quella casa che ormai di familiare non aveva più nulla.
“Ciao”, la voce calda ed insicura di Millie catturò l’attenzione dei presenti, mentre con passo lento si faceva avanti fino a raggiungere il gruppetto di ragazzi seduti sull’erba fresca.
Liam sgranò gli occhi nel riconoscere proprio Millie a neppure un metro di distanza da lui. Non era il fatto che fosse la ragazza con la quale era stato fino a poco fa a metterlo a disagio o sorprenderlo. Ormai quel capitolo della sua vita, quello che comprendeva Millie, era definitivamente chiuso. A lasciarlo del tutto perplesso fu la sua presenza lì, in quel parco. Aveva sempre immaginato Millie come quel genere di ragazza attenta a non sporcare eccessivamente il tacco delle scarpe, quella che prestava attenzione ad ogni gesto per non rovinare lo smalto che con cura aveva applicato sulle unghie, quella che controllava costantemente la sua immagine in uno specchio che teneva fisso nella borsa firmata. La scrutò accovacciarsi sul terreno, prendendo posto tra Audrey e Niall, senza aggiungere altro. Non solo era lì, in un comunissimo parco per bambini a trascorrere il suo tempo con quelli che entrambi avrebbero definito persone davvero poco interessanti fino a qualche mese prima, ma lo faceva senza opporre nulla. Liam era abituato a vederla dettar legge, ad osservare con quale facilità Millie riuscisse ad ottenere sempre ciò che desiderava, magari anche solo con un semplice battito di ciglia o un’occhiata languida. Eppure ad osservarla ora, in quel preciso istante, le appariva così dannatamente diversa. Aveva lo sguardo assorto nella contemplazione di chissà cosa, mentre fingeva di seguire con interesse i discorsi sconclusionati di Louis, sforzandosi di ridere con naturalezza alle sue battute e alle sue facce buffe. E Liam ebbe quasi l’impressione che per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, Millie stesse semplicemente cercando un modo per farsi accettare, un qualsiasi modo che le permettesse di avvicinarsi, anche solo di poco, a quelli che ora avevano tutt’altro che l’aria di persone poco interessanti.
Si diede dello stupido per non averlo capito prima. Era stato con Millie per un tempo discreto e solo allora si rese conto di quanto poco la conoscesse. Lui aveva imparato a frequentare quella Millie sicura, indistruttibile, fredda, regina di ghiaccio. Ma vederla così fragile, così docile e riservata aveva fatto vacillare ogni sua convinzione.
“Louis, smettila di fare il pagliaccio! Guarda che non sei così divertente come credi!”, lo canzonò Charlie, piantandogli una leggera e scherzosa gomitata sullo stomaco.
“Così ferisci i miei sentimenti”, ribatté lui con tono melodrammatico, mentre il suo volto si piegava in un’espressione fintamente addolorata.
Charlie scosse il capo in segno di rassegnazione. Del resto, per quanto ormai il suo rapporto con Louis fosse radicalmente cambiato, sapeva quanto, invece, lui fosse rimasto esattamente lo stesso. Ne aveva avuto la prova quel giorno, davanti alla chiesa, quando in quell’abbraccio aveva esattamente sentito le stesse emozioni che Louis era solito regalarle.
Lui era quel ragazzo solare, allegro, pronto a sorridere e far sorridere, era questo che tempo addietro l’aveva fatta innamorare di lui. E, nonostante ormai lei fosse impegnata con Niall, Charlie non aveva smesso di preoccuparsi per lui per neanche un istante. Sapeva quanto Louis fosse cresciuto dopo la loro rottura, sapeva quanto fosse maturato e l’eventualità che la causa di tutto fosse Margaret la intristiva in un modo che neanche riteneva possibile.
“Andiamo, sopravvivrai”, scherzò Charlie, sorridendo all’indirizzo di Louis.
Ed in un attimo il loro occhi chiari furono gli uni dentro gli altri.
Louis si pietrificò quasi, dimenticando persino di respirare. Neppure riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che era riuscito a guardare Charlie in quel modo, senza rancore, senza rabbia, senza paura, solo con una sensazione di vuoto che aleggiava all’altezza del suo petto.
“Sì, del resto l’ho già fatto una volta”, si ritrovò a dire inconsapevolmente, in un sussurro talmente lieve che dubitò fortemente che qualcuno dei presenti l’avesse potuto sentire.
Non voleva per nessun motivo iniziare una discussione con Charlie, quelle parole, quella cruda constatazione gli era sfuggita dalle labbra con tale naturalezza che non si era neppure reso conto di averla detta ad alta voce.
Scrutò il volto sereno di Charlotte, cercando nella sua espressione una conferma del fatto che quella stupida ed insulsa frase non fosse giunta al suo orecchio e solo allora si accorse dello sguardo insistente di Bree.
Si voltò di scatto in direzione della rossa e subito fu accolto da un sorriso rassicurante.
Gli altri avevano ripreso a scherzare, probabilmente non avevano neppure notato la titubanza di Louis.
“Tranquillo”, gli mimò allora Bree con le labbra. “Tranquillo”, gli ripeté con quegli occhi grandi e chiari puntati nei suoi ed in quello sguardo Louis riuscì a trovare le risposte ai suoi dubbi.
Si fidava di Bree, si fidava talmente tanto che non percepiva il bisogno alcuno di confermare quell’unica parola che gli aveva rivolto. Se lei gli aveva suggerito di stare calmo, Louis l’avrebbe fatto, perché era stata Bree a dirglielo.
Niall continuava a trascinare lo sguardo tra la figura di Louis, ora sorprendentemente silenziosa, e l’espressione indecifrabile di Charlie. Una strana sensazione si era insinuata nella sua mente nel preciso istante in cui aveva visto gli occhi della sua ragazza cercare quelli di quello che era il suo ex ragazzo e forse anche il più importante che aveva avuto. Una fitta si impadronì del suo stomaco, costringendolo ad una breve apnea. Da un lato nutriva distintamente l’esigenza di fare chiarezza in quello che aveva tutta l’aria di essere un infondato dubbio, dall’altro voleva solo aver immaginato quello strano legame che per qualche millesimo di secondo gli era sembrato riuscire a riportare Charlie e Louis tanto vicini, seppur ancora tanto distanti. Non voleva essere geloso del rapporto che c’era tra loro, sapeva che per Charlotte, qualsiasi cosa sarebbe accaduta in futuro, Louis avrebbe continuato a ricoprire un ruolo importante nella sua vita, ma voleva anche avere la certezza che mai Louis sarebbe potuto tornare ad essere ciò che per lei era stato.
“Credete davvero sia stata una buona idea venire al parco con questo tempo?”, s’intromise Harry, rivolgendo uno sguardo preoccupato al cielo che sembrava ingrigirsi a vista d’occhio.
“Andiamo, non fare l’uccello del malaugurio!”, ribeccò Charlie, storcendo il naso in segno di disappunto.
“Forse faremmo meglio a correre ai ripari, prima che si scateni il diluvio universale”, controbatté Liam, alzando il palmo destro della mano, verso l’altro.
Delle leggere piccole gocce d’acqua gli inumidirono la pelle, dandogli prova che Harry aveva perfettamente ragione riguardo alle imminenti previsioni metereologiche.
“Uff”, sbuffò Bree, mentre già iniziava a raccogliere le sue cose sparse sul prato.
Avrebbe davvero voluto trascorrere dell’altro tempo lì, con loro, in compagnia di quelli a cui mai avrebbe potuto pensare di affibbiare l’appellativo di conoscenti, figuriamoci di amici, dunque.
“Se vuoi posso darti un passaggio”, si offrì prontamente Liam, curvando le labbra in un accenno di sorriso.
La sua proposta era giunta forte e chiara e Bree si ritrovò istintivamente a sorridere, mentre le sue gote si coloravano di un rosso più intenso.
“Sarebbe fantastico”, accordò, annuendo con aria convinta.
“Harry, vieni anche tu?”, chiese ancora Liam, questa volta rivolgendosi all’amico.
Harry rimase in silenzio per qualche attimo. Certo, avrebbe di gran lunga gradito un passaggio, ma voleva anche riuscire a far trascorrere a Liam e Bree del tempo da soli.
“A lui ci penso io, possiamo accompagnarlo io ed Audrey”, esordì allora Millie, lasciando senza parole tutti i presenti.
Harry si sarebbe aspettato di tutto, ma non un favore da Millie. Era come se lei fosse stata fatta con la clausola esplicita di non poter in alcun modo essere gentile con gli altri, eppure Harry si era dovuto ricredere.
“Certo, magari”, borbottò, ancora troppo sorpreso per riuscire a dare una risposta migliore.
Audrey sorrise. Aveva il volto quasi interamente coperto dai lunghi capelli scuri, fatta eccezione per gli occhi che risaltavano in contrato con la sua carnagione chiara.
“Ottima idea”, aggiunse soltanto, mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Beh, allora andiamo anche noi?”, propose allora Niall, rivolgendosi alla bionda al suo fianco.
“Non ho neanche l’ombrello, quindi credo proprio che ci toccherà sbrigarci”, fu la risposta di Charlie, mentre si aggrappava alla mano del ragazzo per tirarsi su.
“Louis, tu che fai?”, chiese Bree, inchiodando lo sguardo azzurro dell’amico.
In un attimo gli occhi di ghiaccio di Charlie puntarono il volto di Louis, attenendo impaziente una risposta che pareva essere forse troppo eccessivamente importante per lei.
“Credo farò un giro, devo schiarirmi le idee”, ammise e le sue parole quasi fecero vacillare Charlotte.
Si chiedeva cosa avesse voluto dire con quella frase, ma non fece in tempo a palesare i suoi dubbi che Louis si era già alzato e con passo svelto si allontanava.
Un  lampo squarciò il cielo, facendola rabbrividire.
“Sarà meglio andare”, concluse Niall, avvolgendo la schiena della sua ragazza con un braccio, accompagnandola lontano da lì.
Millie impiegò meno di una trentina di minuti a raggiungere casa. Aveva osservato Audrey ed Harry, seduti sui sedili posteriori, per tutto il breve tragitto ed era giunta alla ovvia e chiara conclusione che quei due erano fatti l’uno per l’altra. Lo aveva capito dallo sguardo di Harry, dal modo in cui i suoi occhi parevano luccicare quando casualmente si scontravano con quelli di Audrey. Lo aveva intuito dalle loro mani, da come si sfioravano per poi allontanarsi, quasi come se avessero preso la scossa con quel semplice, lieve contatto. Lo aveva compreso dalle labbra di Audrey, piegate in un mezzo sorriso, dalla sua espressione rilassata, quella stessa espressione che non aveva più visto per troppo tempo sul suo volto.
“Siamo arrivati”, fu costretta a dire quando fermò l’auto davanti al cancello.
Pioveva a dirotto, ormai. Avevano fatto appena in tempo a rifugiarsi all’interno dell’abitacolo, che la pioggia li aveva sorpresi.
“Andiamo?”, chiese allora Audrey, notando che sua sorella non accennava a muoversi.
Ci aveva pensato e ripensato, indecisa sul da farsi. Si era maledetta per la sciocchezza che le era balenata in testa e, nonostante fosse consapevole dell’inutilità e della stupidità di cui quel gesto era intriso, non riusciva a liberare la mente da quella malsana idea.
“Avviatevi, io ho una faccenda da sbrigare, credo”, mugugnò con lo sguardo concentrato sul tergicristalli ancora in funzione.
Audrey sussultò a quelle parole, chiaramente spaventata.
“Cosa hai da fare di tanto importante?”, la sua domanda preoccupata esigeva una risposta, una risposta sincera.
Millie abbassò il volto in direzione del volante.
“Credo di dovere delle scuse ad una persona”, confessò con un filo di voce.
 Appena qualche minuto dopo accostò la macchina sul ciglio della strada, a pochi metri di distanza dall’ingresso principale dell’abitazione della famiglia Malik.
Si impose di bloccare il flusso sconnesso di pensieri che si era impadronito di lei. Ormai aveva deciso, niente e nessuno le avrebbe più potuto far cambiare idea, neppure la pioggia torrenziale.
Scese frettolosamente dall’abitacolo caldo e confortevole, per incamminarsi in direzione del cancello. Tirò un sospiro di sollievo nel notare che fosse aperto. Percorse con urgenza il breve vialetto e solo quando fu a pochi metri dal portone notò una figura di lato, accovacciata su uno dei tre gradini che conducevano all’ingresso.
Per un istante pensò si trattasse di Zayn. Aveva la pelle ambrata, i capelli scuri, un fisico snello e muscoloso, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo rimase sorpresa nel constatare che si era sbagliata.
“Ciao”, provò a dire, con la voce ancora affannata.
Il forte rumore della pioggia le parve quasi confortante, sembrò riempire il silenzio che la mancata risposta del ragazzo aveva prodotto. Copiose gocce continuavano a cadere sulla pelle chiara di Millie, bagnandola. Non aveva neppure portato un ombrello, spinta dalla fretta che nutriva di rivedere quegli occhi ambrati.
Millie si concentrò con più attenzione sui lineamenti del ragazzo, erano familiari, nonostante quella fosse di sicuro la priva volta che lo incontrasse.
“Sono Millie, cerco Zayn. È in casa?”, domandò, quasi tremante per il freddo.
“Sì”, una sillaba fuoriuscì dalla bocca del moro dopo interminabili istanti.
Millie sorrise, tirando un sospiro di sollievo.
“Tu sei suo fratello?”, chiese allora, curiosa.
“Sì”, ancora quella stessa ed unica parola prese vita dalle sue labbra.
Millie crucciò la fronte, mentre una leggera sensazione di disagio iniziava a farsi spazio in lei.
“Non mi ha lasciato entrare”, mormorò con gli occhi puntanti nel vuoto.
La sua voce era appena udibile.
“Spero tu sia più fortunata”, aggiunse poco dopo, accennando ad un triste sorriso.
Millie si morse il labbro, frastornata, mentre altri mille dubbi si affollavano nella sua mente.
Non ebbe neppure il tempo di porgere ulteriori domande a quel ragazzo, che lui era già andato via. Lo vide camminare sotto la pioggia con passo lento e malandante, senza curarsi dell’acqua che continuava a scorrergli addosso.
Scosse il capo, poi deglutì, cercando solo di concentrarsi su ciò che si accingeva a fare.
Suonò il campanello senza aspettare ulteriormente ed in pochi istanti la figura della signora Malik comparve sulla soglia della porta.
Millie non seppe mai se quella fu solo una sua impressione, o la donna parve davvero sollevata nel vedere che era lei all’ingresso.
“Salve signora”, salutò educatamente, sorridendo all’indirizzo della donna. “Cerco Zayn, suo fratello mi ha detto che è in casa”, esordì intrecciando le mani tra di loro, in un gesto quasi nevrotico.
La donna sembro deglutire a quelle parole, poi si costrinse a sorridere, invitando Millie ad entrare e fu in quel momento che Millie si chiese cosa i genitori di Zayn sapessero sul suo conto.
“Zayn, tesoro, c’è una ragazza che ti sta cercando”, lo chiamò la donna, sporgendosi in quella che Millie ricordava essere la cucina.
Era stata una sola volta a casa Malik prima di quel momento ed i ricordi di quando si era svegliata, la mattina successiva, in quel letto, con lo sguardo di Zayn puntato addosso, erano ancora troppo vividi nella sua mente.
“Millie”, la voce del moro era un sussurro sorpreso.
“Bene, io torno di là”, concluse la donna, lasciando un ultimo sorriso a Millie, prima di sparire al di là della sua visuale.
“Cosa ci fai qui?”, la domanda di Zayn suonava quasi come un’accusa.
“Dovevo parlarti”, ammise allora, avvicinandosi di qualche passo a Zayn
“Cosa vuoi ancora da me?”, ed ancora il tono intimidatorio del moro aggredì Millie, facendola sussultare.
Doveva farsi forza, sapeva che aveva solo pochi minuti prima che Zayn perdesse la pazienza e le ordinasse di andar via. Prese un lungo respiro, mentre la sua mano destra si stringeva forte in un pugno.
“Volevo chiederti scusa”, mormorò.
Chiara, concisa, diritta al punto, tanto da spazzare visibilmente il ragazzo di fronte a lei.
“Mi dispiace per aver perso il controllo l’altro giorno”, continuò riuscendo finalmente ad alzare il volto in direzione di quello di Zayn. “Mi dispiace per lo schiaffo”, chiarì allora, nello stesso istante in cui i loro occhi si incontrarono.
Il moro rimase in silenzio, con la bocca schiusa e la mente offuscata da un turbinio di domande a cui non riusciva a dare una risposta.
“Ti ho visto al funerale”, confessò poi Millie, con un filo di voce, quasi a voler tastare il terreno.
Non voleva far innervosire Zayn, non ora che finalmente sembrava riuscire ad avere una conversazione civile con lui.
Zayn trasalì a quelle parole e di scatto indietreggiò, mentre stringeva le braccia sotto al petto, come a creare una sorta di corazza che potesse difenderlo dalle parole di Millie.
“So di non essere la persona adatta a dirti certe cose, ma volevo solo che tu sapessi che non è colpa tua”, disse tutto d’un fiato, liberandosi da quel macigno.
Lui sgranò gli occhi, ormai non sembrava neppure più respirare per quanto fosse immobile.
“Cosa vuoi?”, la sua voce roca fece rabbrividire Millie.
A Zayn non interessavano le scuse, i motivi, le ragioni. Lui aveva sbagliato e continuava a pagare le conseguenze di quel suo unico, grande, madornale errore.
In altre circostanza quella domanda strafottente sarebbe stata sufficiente a dissuadere Millie dai suoi buoni propositi, ma non in quella situazione, non con Zayn.
“In un modo o nell’altro si sarebbe comunque procurata ciò che cercava”, riprovò muovendo un passo in direzione di Zayn.
“Io l’ho aiutata, però”, ribatté sarcastico.
I suoi occhi erano velati di tristezza e rimorsi.
“Non è colpa tua”, ripeté allora Millie, facendosi più vicina, fino a poggiare una mano sul braccio di Zayn. “Sarebbe successo comunque, lei non si sarebbe di certo arresa davanti ad un tuo rifiuto. Avrebbe semplicemente chiesto ad un altro”, aggiunse con un sospiro.
Ed in quelle parole, oltre a quella ragazza, c’era anche la stessa Millie, quella che aveva fatto di tutto per racimolare un po’ di roba, quella che non si era fermata davanti ad una discussione e qualche urla.
Zayn scosse il capo. Non faceva altro che rimuginare su ciò che era accaduto, sul grado di responsabilità che ricadeva su di lui, sulle sue innumerevoli colpe.
Millie alzò lentamente la mano, fino a sfiorare i lineamenti duri e tesi del volto di Zayn, lasciandogli una leggera carezza sulla guancia.
“C’era tuo fratello qui fuori, quando sono arrivata. Non so cosa sia successo tra di voi, ma sembrava davvero dispiaciuto”, proferì, incurvando le labbra in un sorriso di incoraggiamento.
“Stanne fuori”, il tono rude di Zayn fece sussultare Millie.
Con uno scatto scansò la mano della ragazza, liberandosi da quel tocco gentile.
Lei sbatté più volte le palpebre, disorientata dal repentino cambiamento che la loro conversazione aveva subito.
“Io…”, provò a giustificarsi, ma Zayn fu più veloce di lei.
“Millie, va’ a casa.”, la pregò quasi, il suo sguardo la supplicava di dargli ascolto.
Lei annuì, avendo intuito che ormai quel magico momento si era interrotto. Era durato solo pochi secondi, ma in quel lasso di tempo era stato come se lei e Zayn si trovassero finalmente sintonizzati sulla stessa frequenza, vicini come non lo erano mai stati. Si avviò con passo lento in direzione della porta, decisa a tornare a casa.
“Millie”, Zayn la richiamò, la sua voce era una preghiera.
Lei si immobilizzò, con la mano a mezz’aria che quasi sfiorava la maniglia. Poi, mossa da chissà quale impeto, si voltò di scatto e con appena due falcate colmò la distanza che ancora la divideva da Zayn. Fu questione di un solo ed unico attimo e le sue labbra premettero su quelle del ragazzo. Un attimo e Millie si trovò a desiderare che quel bacio non giungesse mai a termine, un attimo e le sue mani si trovarono a circondare il collo del ragazzo, un attimo e quelle di Zayn si poggiarono attorno ai fianchi di Millie. L’aveva baciato, Millie aveva davvero baciato Zayn.
Quando i suoi occhi tornarono ad osservare quelli ambrati del moro, Millie percepì le sue guance accaldarsi.
“Devo andare”, riuscì soltanto a dire, prima di correre via.
Se Millie aveva una cosa in comune ad Audrey, allora era quella di fuggire, scappare quando la situazione diventava sentimentalmente troppo complicata. Quello, di certo, era un tratto tipizzante delle gemelle Wood.

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Angolo Autrice
Salve a tutti! Mi dispiace per aver fatto trascorrere così tanto tempo dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo,
ma in questo periodo sono stata piuttosto  impegnata, visto che tra poco si ricomincia.
Comunque, non voglio annoiarvi con la lista delle cose che mi tocca fare, quindi passiamo alla storia.
Margaret pare costretta a doversi traferire un'altra volta, mentre gli altri si vedono e, per la prima volta dopo tanto,
sembrano anche piuttosto tranquilli tutti insieme, o quasi.
Anyway, capitolo dedicato a Millie perché finalmente la vediamo preoccuparsi per qualcuno che non sia se stessa!!
Insomma, è quasi gentile e per di più si decide ad andare da Zayn ed è così che scopriamo che Jamal è tornato!
Insomma, siamo quasi alla fine della storia. Credo ormai manchino solo due capitoli!!
A dir il vero stavo già pensando da un po' a srivere un'altra storia, me per ora sono ferma al prologo ed ho le idee ancora piuttosto confuse,
quindi credo aspetterò ancora un po' e cercherò di delineare meglio le caratteristiche di un'eventuale trama.
Comunque, grazie a chi legge, segue, ricorda e preferisce!
Alla prossima!!

                                                                       A
strea_

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Capitolo 29
*** Charlotte ***


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CHARLOTTE

La radio passava una canzone anni novanta che né Liam, né Bree parevano conoscere. Il castano teneva lo sguardo fisso sulla strada, mentre con le mani stringeva con fin troppo vigore il volante. I suoi muscoli erano leggermente tesi, segno di quella strana sensazione che padroneggiava nell'abitacolo.
"Sicura che tua madre non si arrabbierà per l'auto?", domandò allora, a voler rompere il silenzio che si era creato nell'esatto momento in cui aveva messo in moto la vettura.
Bree fece spallucce, sistemandosi meglio sul sedile del passeggero.
"Non se ne accorgerà neppure", spiegò con un filo di voce, voltando il viso in direzione del finestrino. "Nel peggiore dei casi darà di matto e si riempirà di farmaci", borbottò poi, pentendosi immediatamente di ciò che aveva appena detto.
Non voleva che quella piccola rivelazione potesse in qualche modo influenzare il comportamento di Liam. Avrebbe odiato la sola eventualità che lui provasse commiserazione o pena nei suoi confronti.
Liam deglutì sommessamente. Aveva perfettamente capito ciò che Bree si era lasciata sfuggire, ma aveva accuratamente ignorato quelle parole, consapevole che non erano ancora pronti per affrontare un discorso di tale portata. Sarebbe stato come far crollare ogni barriera tra di loro, come riuscire a vedere finalmente oltre le apparenze, scorgersi nudi davanti a quel mare inspiegabile di emozioni ancora troppo confuse e contrastanti. Avrebbe significato fidarsi e Liam non era sicuro di essere la persona adatta a quel genere di confidenza. Non era Bree il problema, non era lei l'anello debole tra loro due. Nonostante le apparenze, era Liam colui che più si sentiva in difficoltà in quel genere di situazioni.

“Hai pensato a dove potremmo andare?”, questa volta fu Bree ad interrompere quella nuova ventata di silenzio che si era abbattuta all’interno dell’abitacolo.
Non riusciva a sopportare il silenzio, non quello di Liam perlomeno. Voleva sapere cosa gli passasse per la mente, voleva che lui la rendesse partecipe dei suoi dubbi, delle incertezze, delle paure, delle gioie, dei successi, di tutto. Ma era perfettamente cosciente di quanto ipocrita fosse quella tacita richiesta, fatta proprio da colei che ancora non riusciva a parlare apertamente dell’ambiguo rapporto che la legava alla madre. Non poteva pretendere nulla dal castano, se neppure lei riusciva a superare quell’ultimo, seppur apparentemente insormontabile ostacolo.
“A dir il vero no, tu hai qualche idea?”, Liam arricciò il naso, mentre lanciava una veloce occhiata a Bree.
E quelle parole risuonarono all’orecchio di Bree come la più banale delle conversazioni. Non era questo ciò che lei voleva dal suo rapporto con Liam, non era l’ovvietà, l’imbarazzo e la mediocrità. Voleva un qualcosa di unico, quel qualcosa che sapeva perfettamente potesse nascere tra loro, se solo entrambi si fossero decisi a spazzar via quell’ultima maschera che ancora copriva i loro volti. Bree voleva finalmente vederlo, voleva osservare Liam per ciò che realmente era. Non avrebbero tenuto pregiudizi, scuse, luoghi comuni. Ci sarebbero stati solo loro, solo Liam e Bree e sarebbe stata la cosa più bella e speciale al mondo.
Doveva farlo, doveva rischiare. Perché Bree sapeva di non poter attendere che fosse Liam, perché Bree sapeva che, contro ogni aspettativa, era lei la più forte tra i due in quel momento.
Doveva farlo per lei, per Liam, per loro.
Prese un respiro a pieni polmoni, prima di puntare lo sguardo sul viso del castano.
“Puoi accostare?”, chiese gentilmente, seppur nella sua voce trapelasse con chiarezza dell’agitazione.
Liam arricciò la fronte, sorpreso da quella richiesta. Erano partiti da appena pochi minuti e Bree già gli chiedeva di fermarsi.
“Ti senti bene?”, domandò apprensivo, mentre si faceva sempre più di lato, fino a giungere sul ciglio della strada.
“Sì, cioè no, cioè sì”, la voce tremante di Bree non fece altro che preoccuparlo maggiormente.
Slacciò la cintura di sicurezza con un unico gesto, per poi voltarsi in direzione della rossa seduta al suo fianco.
“Ti manca l’aria? Devi vomitare? Hai la nausea?”, il tono ansimante di Liam la metteva ancora più a disagio.
Si mordicchiava nervosamente il labbro, con le mani giunte in grembo ed il capo basso.
“Mi piaci”, esordì tutto d’un fiato, puntando gli occhi verdi in quelli castani di Liam.
Il castano trasalì a quelle parole ed in un attimo tutto gli parve assumere un senso. Tirò un lungo sospiro di sollievo quando finalmente riuscì a metabolizzare il significato di quelle due sole parole che Bree gli aveva rivolto. Sentì tutta l’ansia che aveva provato in quei pochi istanti scaricarsi all’interno del suo corpo e allo stesso tempo percepì l’adrenalina percorrergli veloce tutta la spina dorsale, ancora incredulo.
“Cosa?”, farneticò con gli occhi spalancati e l’espressione sbigottita.
“Mi piaci”, ripeté Bree, questa volta con meno sicurezza della prima.
“Ed io che pensavo ti sentissi male!”, esultò allora Liam, mentre un sorriso rilassato si impadroniva delle sue sottili labbra.
Bree serrò la mascella, spiazzata da quella reazione. Non capiva se stesse cercando di ignorare quella sua dichiarazione o se semplicemente Liam non aveva compreso cosa quelle parole implicassero. In entrambi i casi, quella situazione la irritava.
“Potresti anche rispondermi”, gli fece notare allora, con la fronte aggrottata per il disappunto.
“Ah sì, certo”, disse soltanto, prima di lasciarsi scappare una risata gioiosa.
Se solo Bree non fosse stata così comprensiva e buona, era certa che in quel momento non si sarebbe risparmiata un bel pungo in faccia. Proprio non riusciva a comprendere il suo comportamento, non dopo quello che c’era stato tra di loro.
Stava per riaprir bocca, questa volta per puntualizzare l’inadeguatezza dell’atteggiamento di Liam, ma le parole le morirono in gola quando le labbra soffici del castano di posarono sulle sue, baciandola.
“Ehi”, la voce di Jamal rimbombò nella cucina di casa Malik.
A Zayn era sembrata molto più roca di quanto ricordasse. I lineamenti di quello che biologicamente era suo fratello parevano più duri, più marcati, come se il tempo li avesse accentuati.
Zayn non si preoccupò neppure di ricambiare il saluto, non era uno da convenevoli lui.
“Ho visto la tua ragazza l’altro giorno. È molto carina”, iniziò Jamal, nel patetico tentativo di intavolare una qualsiasi conversazione.
Zayn quel pomeriggio lo aveva lasciato entrare in casa. Non era stata di certo Millie a convincerlo, né le parole di conforto dei suoi genitori o gli sguardi spaesati delle sue sorelle.
Da quando Jamal era tornato a Londra, appena pochi giorni dopo la notte in cui Zayn era stato malamente picchiato, aveva preso l’irritante abitudine di passare tutti i giorni a trovarlo. Non aveva avuto il coraggio di tronare a casa, per il momento si era fatto ospitare da un suo amico, ma non aveva mai mancato un pomeriggio. Zayn puntualmente aveva chiesto ai suoi genitori di farlo andar via, dichiarandosi ogni volta ancora non pronto a parlare con lui. Ma quel giorno non c’era nessuno in casa ed era toccato a Zayn andare ad aprire la porta quando aveva sentito il campanello suonare. Non aveva neppure controllato dallo spioncino, così all’improvviso si era ritrovato l’immagine sorpresa di Jamal e i suoi occhi, così simili ai suoi, puntati addosso.
“Non è la mia ragazza”, finalmente si decise a dire, borbottando con fare scorbutico.
L’aveva lasciato avvicinarsi, certo, ma non sapeva se era pronto anche a perdonarlo. Aveva immaginato così tante volte quel momento. Aveva desiderato urlargli contro, gridare a pieni polmoni del rancore, della rabbia, del dolore che lui gli aveva procurato. Aveva persino immaginato di scagliargli un pugno all’altezza della bocca dello stomaco, giusto per sfogare tutta quella miriade di sensazioni che gli ribolliva nelle vene. Eppure, da quando Jamal aveva messo piede in casa, non aveva fatto altro che scrutarlo attentamente in ogni sua più piccola movenza.
“Beh, cosa aspetti allora?”, provò a scherzare Jamal, sfiorando la spalla di Zayn con la mano chiusa in un leggero pungo.
Il moro indietreggiò, venendo meno a quel tentativo di approccio di suo fratello.
“Cosa vuoi, Jamal?”, quelle parole fuoriuscirono dalla bocca del moro come un ringhio.
Era furioso, ma cercava comunque di darsi un contegno. Suo fratello era lì, a pochi metri da lui, che provava a fare conversazione come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Jamal serrò i denti, a disagio.
“Voglio chiederti scusa”, ammise.
Il suo tono si era repentinamente fatto più profondo e serio.
“Mi pare tu l’abbia già fatto per messaggio”, controbatté fingendosi incurante.
“Non pensavo neanche li leggessi, i miei messaggi”, replicò allora Jamal con amarezza. “Senti, Zayn”, riprese, questa volta con più vigore. “Mi dispiace, se potessi tornare indietro, io…”, iniziò, ma il moro non gli tiene il tempo di terminare.
“Sai cosa, Jamal?”, inveì contro di lui, puntandogli per la prima volta il dito contro.
Jamal si zittì all’istante. Era nel torto, non poteva permettersi di contraddirlo in nessun modo e per di più attendeva da troppo tempo che Zayn gli parlasse, non importava se lo faceva solo per insultarlo.
“Sono stufo della gente che mi chiede scusa, della gente che è dispiaciuta, che si sente in colpa, che prova pietà!”, urlò.
Il sangue pompava forte nelle vene, la voce gli tremava per il nervosismo e un fastidioso groppo gli briciava in gola.
“Tutti non hanno esitato per neppure un istante a puntare il dito contro di me per mesi e sai quando hanno cambiato idea? Sai quando?”, il tono sarcastico ed adirato di Zayn costrinse Jamal ad abbassare il capo. “Quando ci ho quasi rimesso la pelle!”, sbraitò scagliando un pugnò contro la parete.
Zayn portò le mani tra i capelli scuri, poi si massaggiò con calma le tempie. Aveva bisogno di aria fresca, aveva bisogno di darsi una calmata.
“Quindi non me ne faccio un cazzo delle tue scuse ora, un cazzo!”, ringhiò con sguardo truce.
Jamal sussultò, incapace di ribattere. Suo fratello aveva perfettamente ragione, non avrebbe potuto obiettargli nulla.
“Ed ora, gentilmente, vattene a fanculo. L’hai già fatto una volta, nessuno ti impedisce di farlo una seconda”, concluse con un ghigno in volto, prima di sorpassarlo ed uscire di casa.
Audrey alzò il volto quando percepì il rumore di passi avvicinarsi. Aveva chiesto ad Harry di passare da lei, prima di incontrarsi con gli altri. Lo aveva aspettato per interminabili minuti seduta davanti all’ingresso della sua villa, immersa nelle sue riflessioni.
“Ehi, finalmente ce l’hai fatta”, ironizzò la ragazza, sorridendo appena all’indirizzo del riccio.
Harry ricambiò, poi prese poso accanto ad Audrey.
“Allora, dimmi tutto”, esordì con un’espressione serena.
Audrey tentennò per qualche istante. Aveva provato mille volte quel discorso nella sua mente, ma quando finalmente era giunto il momento di esternarlo, le parole erano sembrate bloccarsi sulle sue labbra. Gli occhi verdi e limpidi di Harry avevano lo stramaledetto potere di disarmarla, le fossette agli angoli delle sue labbra erano così tenere che Audrey avrebbe voluto toccarle con un dito. Eppure, per quanto lo desiderasse, non l’avrebbe mai fatto. Lei era la ragazza cinica, fredda, menefreghista e solitaria sulla quale Harry sembrava sortire un certo indesiderato effetto.
La verità è che dopo sua sorella, dopo Zayn, dopo la morte di quella ragazza, dopo che era venuta a conoscenza della triste realtà che il destino aveva in serbo per Margaret, Audrey aveva sentito il terreno sotto i suoi piedi tremare. Non voleva altri rimpianti, non altri.
“Ieri ho riascoltato l’intero ultimo album dei Radiohead”, raccontò giocherellando con le dita delle mani.
Harry corrugò la fronte, spiazzato. Si era precipitato a casa di Audrey non appena lei aveva chiuso la telefonata ed aveva temuto il peggio. Insomma, lo aveva quasi supplicato di raggiungerla quanto prima possibile ed Harry di certo non aveva neanche lontanamente immaginati che sarebbero finiti a parlare di musica.
“Tra qualche mese verranno i Muse in concerto”, proseguì. “Credo sarebbe carino andarci insieme, insomma, è uno dei pochi gruppi che piacciono ad entrambi”, propose allora, mordicchiandosi nervosamente il labbro.
Harry aveva il sopracciglio sinistro particolarmente incurvato, segno del fatto che non riuscisse affatto a seguire il discorso di Audrey.
“Certo, si può fare”, acconsentì scettico, sperando che quella fosse la cosa giusta da fare.
“Oppure potrei accompagnarti a vedere i Coldplay”, farneticò Audrey. “Io non ne sono affascinata, ma almeno avrei la scusa per trascinarti ad un concerto dei Three Days Grace”, vaneggiò con lo sguardo perso a mezz’aria, mentre con le mani aveva preso a gesticolare.
“Audrey”, la voce ferma e rassicurante di Harry la fece sussultare.
In un attimo le sue piccole mani furono raccolte da quelle più grandi e calde di Harry. I suoi occhi verdi si puntarono in quelli della ragazza. Era agitata, quasi tremava ed il riccio non riusciva a capire il motivo di tale turbamento.
“Che succede?”, le chiese e non fece neppure in tempo a scandire l’ultima parola che le labbra di Audrey si scontrarono con le sue.
Louis scese dall’auto insieme a Zayn. Aveva fatto l’impossibile per avvertire tutti. Margaret gli aveva fatto promettere di essere discreto e lui, in un certo qual modo, aveva mantenuto la parola data. Ma non poteva lasciarla andare, non nell’indifferenza più totale ed assoluta. Margaret meritava attenzione, meritava di essere salutata come un’amica, come quella persona che per mesi era stata al suo fianco, al loro fianco.
Ed allora Louis aveva avvisato Charlie, aveva chiamato Bree ed aveva costretto Zayn a seguirlo. In un attimo si erano ritrovati tutti lì, in piedi vicino al muretto che costeggiava il marciapiede. Louis, Zayn, Millie, Audrey, Harry, Liam, Bree, Niall e Charlie, erano tutti lì.
Charlotte giocava con una ciocca rosa dei suoi capelli, lo sguardo basso e le spalle strette. Margaret le sarebbe mancata. L’aveva vista arrivare con una forza tale che avrebbe potuto spazzare via l’intero mondo, con quel sorriso sincero disegnato sulle labbra e quei boccoli biondo cenere che le cadevano ai volti del lato. Aveva inaspettatamente trovato in lei un’amica. Ma qualcosa non era andato per il verso giusto. Charlotte l’aveva vista sgretolarsi a poco a poco, fino a ridursi ad un brandello di cenere. Margaret si era allontanata all’improvviso, chiudendosi a riccio, non permettendo a nessuno di penetrare oltre quella dura corazza che si era costruita attorno. Ed invidiava Louis, lo invidiava perché lui era riuscito a far breccia tra le mille difese di Margaret. Era riuscito a starle accanto nel momento del bisogno, mentre lei era rimasta in un angolino, ad osservare impotente delle immagini confuse della vita di Margaret da spettatrice, da estranea.
La porta di casa Phillips si spalancò, rivelando l’esile e slanciata figura di Margaret. Il suo viso cupo parve illuminarsi non appena notò la presenza dei suoi amici sulla strada. Sorrise, mordicchiandosi il labbro, forse imbarazzata. Aveva chiesto a Louis di essere riservato, ma si trovò a ringraziarlo mentalmente per non averla ascoltata.
Aveva già salutato sua madre ed un taxi la attendeva pochi metri più avanti. Trascinò il trolley e le due valigie fino a raggiungere i ragazzi che automaticamente si chiusero in un semicerchio attorno a lei.
Margaret sorrise nel vedere le mani di Harry e Audrey intrecciate.
“Ma allora è proprio vero che volevi partire senza salutarci?”, scherzò Charlotte.
Margaret abbassò il capo, colpevole. Avrebbe tanto voluto parlare con Charlie di quello che le stava succedendo, eppure non lo aveva fatto.
“Io…”, iniziò con tono di scuse, ma la bionda intervenne prima che potesse continuare.
“Tranquilla, ti capiamo, davvero”, la rincuorò.
E Charlotte la comprendeva per davvero.
Margaret sospirò pesantemente.
“Andrà tutto bene, tu sei troppo forte per non farcela”, provò allora Harry sorridendole.
Quel genere di circostanze lo metteva a disagio. C’era davvero ben poco da dire in un momento come quello, c’era davvero ben poco che loro avrebbero potuto fare per alleviare le sofferenze di Margaret.
“Grazie per il supporto”, la voce di Margaret era incrinata dal tentativo di trattenere le lacrime. “Non che ne sia convinta, ma grazie lo stesso”, continuò per sdrammatizzare.
La tensione era palpabile, tanto che persino Zayn fu costretto a distogliere lo sguardo.
“Abbi cura di te, Margaret”, la raccomandazione di Louis era intrisa di parole non dette, di sentimenti soffocati ancor prima che potessero sbocciare.
Margaret annuì, sforzandosi di sorridere ancora una volta.
“Allora ciao”, salutò dopo istanti di silenzio, alzando la mano destra a mezz’aria.
Margaret doveva farsi forza, Margaret doveva farcela.
Charlotte fremeva, con il piede continuava a ticchettare nervosamente sull’asfalto. Non avrebbe potuto lasciarla andar via così. Ed in un attimo avvolse le sue braccia attorno a quelle della ragazza, stringendola forte a sé.
“Qualsiasi cosa accada, noi siamo qui”, le sussurrò ad un orecchio. “Qualsiasi cosa ti serva, non siamo qui”, aggiunse, con la testa nascosta nell’incavo del collo dell’amica.
“Grazie”, Margaret balbettò, tra i singhiozzi soffocati.
“Grazie a tutti”, ripeté quando Charlie la liberò dall’abbraccio.
Sorrise un’ultima volta, prima di voltarsi in direzione del taxi che ancora la attendeva. Doveva resistere, doveva farlo solo per altri pochi metri, poi si sarebbe lasciata andare ad un pianto liberatorio.
Louis la vedeva allontanarsi di spalle, con passo certo. Non sapeva neppure quando l’avrebbe rivista. In tutta sincerità, Louis non sapeva neppure se l’avrebbe rivista. Ed ancor prima di metabolizzare i suoi pensieri, si ritrovò ad aver già deciso.
“Oh, ‘fanculo”, borbottò, prima che con uno scatto raggiungesse Margaret e l’afferrasse per un polso, costringendola a voltarsi.
La bionda riconobbe istintivamente gli occhi color cielo di Louis, ma non ebbe il tempo neppure di comprendere cosa stesse succedendo, che sentì le labbra del ragazzo sulle sue. Sorrise, mentre lasciava che Louis approfondisse quel bacio, assaporando ogni più piccola parte della sua bocca. Non doveva essere così il loro primo bacio, non doveva avere il retrogusto amaro dell’addio.
Louis la osservò, cercando di carpire ogni dettaglio del viso della ragazza. Avrebbe voluto ricordarla così in eterno.
“Fai buon viaggio”, mormorò, sforzandosi per evitare che le parole gli morissero in gola.
Margaret sorrise appena, poi si voltò e questa volta per sempre.
In silenzio, senza concedersi neppure un ultimo sguardo di saluto, salì nell’auto e lasciò che l’uomo caricasse i bagagli nel cofano.
Il rombo del motore che veniva acceso fece sussultare Bree, costringendola a stringersi meglio al braccio di Liam.
Harry rafforzò la stretta della mano attorno a quella di Audrey, mentre Millie si aggrappò impulsivamente alla spalla di Zayn.
Niall circondò la vita della sua ragazza con un braccio, avvicinandola a lui, ma gli occhi di Charlie erano fissi sul volto perso e vuoto di Louis.
L’auto gialla correva lungo la strada, tanto che in pochi attimi fu al di là della loro visuale, ma loro erano ancora lì, fermi, immobili, quasi attendessero qualcosa, un segno. Quasi quel silenzio potesse colmare quel vuoto che Margaret aveva lasciato alle sue spalle, ma tutto ciò che fece fu scavare delle voragini ancora più profonde in quegli animi feriti, deboli e stanchi.
Margaret era partita e Charlie non poté fare a meno di chiedersi quale parte di Louis avesse portato via con sé.

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Angolo Autrice
Salve a tutti! Insomma, per questo penultimo capitolo ci è voluto un po'.
Era già pronto da giorni, ma non ho davvero avuto un attimo libero per pubbliaarlo.
Comunque, per il prossimo, che sarà l'ultimo, spero di non farvi aspettare molto... al massimo sabato prossimo!;)
Anyway, nel capitolo succedono parecchie cosette: Bree e Liam, Audrey ed Harry, Jamal e Zayn finalmente parlano!
E Margaret, purtroppo, va via, ma senza passare inosservata!!
Bene, volevo brevemente ringraziare chi segue, ricroda, preferisce e legge!
Allla prossima!:*
                                                          A strea_


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Capitolo 30
*** Liam ***


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LIAM

“Ehi”, la voce allegra di Bree fece istintivamente sorridere Liam.
Si voltò, seguendo con lo sguardo i movimenti della rosa che a passo svelto si accingeva a scendere gli ultimi scalini della rampa.
“A cosa devo questa tua visita serale?”, scherzò mentre si avvicinava a lui, fino a poggiare le sue mani sul petto muscoloso di Liam.
Sorrideva, il suo volto era raggiante, i suoi occhi quasi brillavano di luce propria. Liam percepiva il suo tocco delicato sulla pelle tremante.
Lentamente avvicinò il suo viso a quello di Bree. I suoi movimenti erano cauti, quasi come se attendesse il continuo consenso di Bree per proseguire. Era straziante averla così vicina e non poterla baciare, era frustrante averla finalmente sua e doverle dire addio. Gli occhi verdi di Bree lo scrutavano alla ricerca di qualche indizio. Percepiva l’ansia, la preoccupazione, la paura dominare l’animo di Liam, ma non riusciva a capire a cosa fossero dovute. Voleva solo rassicurarlo, voleva in parte poter riuscire a scacciar via tutti quei pensieri che sembravano accumularsi nella mente del castano. E sapeva che lui stava per baciarla, l’aveva intuito dal respiro caldo di Liam che cadeva soffice sulle sue labbra, ma quella attesa la stava distruggendo. Agognava quel contatto come mai aveva desiderato in vita. Ma c’era qualcosa che andava oltre il puro bisogno, la più umana debolezza o necessità. C’era affetto, c’era amore negli enormi occhi castani di Liam, quello stesso amore che trapelava dall’espressione rapita di Bree.
La mano destra del ragazzo si posò dolcemente sulla guancia arrossata di Bree, carezzandola con delicatezza. Lei prese un lungo respiro, quasi a corto di ossigeno, mentre lo sguardo di Liam cadde sulle labbra rosse e carnose della ragazza.
Esitava, esitava come non aveva mai fatto. E non era per il bacio in sé, ma per tutto ciò che quel bacio comportava. Aveva provato a lottare contro quei sentimenti, quelle sensazioni che innumerevoli volte lo avevano portato a Bree. Aveva tentato di ignorare quella strana sensazione all’altezza dello stomaco che si impadroniva di lui ogniqualvolta la figura della rossa comparisse nella sua visuale. E Liam non voleva illuderla, non proprio ora che finalmente aveva smesso di ingannare se stesso.
Trattenne il fiato quando i loro nasi si sfiorarono. Sentiva il respiro affannato di Bree sulla sua pelle, il suo cuore batteva forte ad un ritmo irregolare, le sue mani si erano chiuse ad intrappolare la stoffa della camicia azzurra che indossava.
L’avrebbe fatta soffrire ancora di più, forse le avrebbe spezzato il cuore. Ma Liam non era stato in grado di proteggerla neppure una volta e quella non sarebbe stata un’eccezione.
Bree sussultò quando finalmente sentì le labbra di Liam premere contro le sue e, quando il castano si decise ad approfondire il bacio, a Bree parve quasi di poter toccare il cielo con un dito.
Sentiva, sentiva come aveva sentito davanti casa di Liam, quel giorno che gli aveva urlato contro. Percepiva il suo cuore accelerare, il sangue pompare forte nelle vene e le gambe tremare. Avvertiva la mano di Liam che si intrecciava tra i suoi capelli, mentre l’altra le stringeva forte un fianco. E provava amore, gioia, felicità, vita e allo stesso tempo disperazione, paura, terrore.
Liam indietreggiò di poco, interrompendo quel bacio. I suoi occhi si puntarono di scatto in quelli verdi di Bree.
“Mi hanno accettato a Berkeley”, disse tutto d’un fiato.
Doveva essere felice, era riuscito a realizzare il suo sogno, avrebbe dato una svolta drastica alla sua vita, eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione di incompletezza.
Bree sgranò gli occhi e fu costretta a boccheggiare più volte, prima di essere nuovamente in grado di proferir parola.
Deglutì, sperando che con quel semplice gesto potesse mandar giù il groppo che le si era creato in gola.
“Wow, ma è magnifico”, si ritrovò ad esultare con voce non troppo convinta.
Liam sospirò, mentre con le dita afferrava una ciocca di capelli di Bree, puntando su di essa il suo sguardo completamente svuotato.
“No, non lo è affatto”, ribatté con le labbra umide che sfioravano la fronte di Bree.
La ragazza si morse forte il labbro e chiuse forte gli occhi, temeva sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.
“Ed invece sì! Andiamo, Liam, è della Berkeley che stiamo parlando”, si finse entusiasta, mentre si costringeva a sorridere.
Liam le sarebbe mancato, saperlo oltreoceano era un qualcosa che la uccideva dentro, ma non avrebbe provato a fermarlo in alcun modo.
“Sono contenta per te, davvero”, mormorò sincera, sfiorando con un dito i lineamenti rigidi del ragazzo.
“Partirò tra qualche settimana”, annunciò lasciandosi cullare dal gentile tocco di Bree.
Lei sapeva perfettamente cosa Liam volesse dire con quelle parole. Era una scadenza, un limite dopo il quale tutto sarebbe cambiato.
“Ce la faremo Liam, ce la faremo”, sussurrò soltanto, stringendolo forte tra le sue braccia.
E Liam la baciò, con foga, con passione, come se quello sarebbe stato il loro ultimo bacio. Voleva sentirla, voleva che ogni sua parte del corpo potesse entrare in contatto con quello di Bree. Voleva amarla.
D’impulso afferrò Bree, alzandola fino a permetterle di avvolgere le gambe attorno alla sua vita, poi a tentoni si mosse fino alla parete. Il muro freddo a contatto con la schiena della rossa la fece rabbrividire, ma ben presto quella sensazione fu sostituita dalla bramosia e dall’eccitazione provocati da quella lunga scia di baci che Liam aveva preso a depositare lungo il collo, partendo dalla mascella per poi giungere fino alla scollatura a cuore del top che Bree indossava.
“Li-Liam”, lo richiamò quasi ansimante contro la pelle del ragazzo, mentre le sue mano correvano sul petto di Liam. “In camera mia”, disse soltanto, prima che le labbra del castano furono nuovamente sulle sue.
Lo avrebbe amato, con Liam avrebbe fatto di tutto, per lui avrebbe rischiato, sofferto, perso. Ogni volta che era con lui, Bree si sentiva forte, talmente forte da poter distruggere il mondo intero, ma vulnerabile, perché sarebbe bastata una sola parola, uno sguardo od un semplice gesto a far vacillare le sue sicurezze. Ma quella sera non voleva avere paura, quella sera Bree voleva soltanto amare Liam.
“La ringrazio per l’invito, signor Wood”, esordì Harry, facendo capolinea in sala da pranzo, accompagnato da Audrey.
“È un piacere averti a cena con noi”, ricambiò prontamente, facendogli segno di accomodarsi a tavola.
Audrey lasciò la mano del riccio, mentre con gli occhi allarmati cercava quelli verdi di Harry. Lui le sorrise appena, prima di prendere posto a tavola.
Audrey aveva detestato fin dall’inizio quella ridicola proposta di suo padre. In realtà erano state le circostanze a costringerla ad accettare. Da quando Millie aveva iniziato la terapia, suo padre trascorreva molto più tempo a casa. Era come se, tutto d’un tratto, si fosse risvegliato, se fosse tornato alla vita, alla sua famiglia dopo anni di silenzio ed assenza. Lo vedeva muoversi per casa, lasciare aperta la porta del suo ufficio, sedersi sul divano e guardare quella tv che per mesi era rimasta spenta. Aveva persino ripreso ad aspettare che le sue due figlie si svegliassero per poter fare colazione con loro.
La prima volta che suo padre aveva scoperto lei ed Harry aggirarsi furtivi per il giardino a notte tarda, lui aveva semplicemente finto di non accorgersi di nulla e probabilmente avrebbe continuato a farlo, se non fosse stato per quel cappotto che Harry aveva lasciato sul divano del salone. Il signor Wood aveva controllato tutte le stanze del piano terra, prima di salire le scale a due a due, con fretta, per raggiungere la camera da letto di Audrey. Aveva spalancato con foga la porta chiusa, temendo il peggio, ma si era dovuto ricredere all’istante. Audrey l’aveva visto tirare un sospiro di sollievo alla visione di lei ed Harry, seduti sul tappeto ai piedi del letto che guardavano un film horror.
E, nonostante non ci fosse nulla di equivocabile in quella situazione, il signor Wood aveva capito che non avrebbe più potuto ignorare quello che succedeva sotto i suoi stessi occhi. Audrey era sua figlia e quel giovincello con la testa riccia aveva tutta l’aria di essere il suo ragazzo.
Così aveva chiesto ad Audrey di conoscerlo, di presentargli quell’amico che continuava ad aggirarsi per casa sua senza mai passare per il portone principale. Lei aveva rifiutato per giorni, troppo imbarazzata ed intimorita da quella eventualità, ma quando suo padre l’aveva seguita in giardino, una sera, per accertarsi della presenza di Harry, aveva dovuto cedere, prima che il riccio potesse notarli discutere dietro un albero.
“Finalmente ho l’onore di vederti in faccia”, borbottò sarcastico l’uomo.
In realtà Harry aveva un viso anche piuttosto simpatico, ma il signor Wood non voleva affatto facilitargli il compito solo per quell’espressione affabile e quei modi gentili che parevano distinguerlo.
Seduto a capotavola, il signor Wood scrutava con attenzione il ragazzo seduto alla sua sinistra. Alla sua destra, invece, se ne stavano un’annoiata Millie e una preoccupata Audrey.
“Papà, smettila di metterli a disagio”, lo rimproverò Millie, stufa del silenzio che era caduto nella sala. “Non lo vedi che a stento respira ancora?”, ironizzò lanciando una veloce occhiata all’indirizzo di Harry.
Quella visuale quasi la irritava. Audrey era talmente in ansia che continuava a ticchettare a terra con il piede sinistro, sfiorando di tanto in tanto il ginocchio di Millie e facendo, di conseguenza, tremare anche lei.
“Dimmi, Harry”, esordì allora il signor Wood, catturando l’attenzione del riccio. “Come hai conosciuto mia figlia?”, chiese con sguardo inquisitorio.
Harry deglutì a quella domanda che aveva tutta l’aria di essere la prima di una lunga serie. Era un interrogatorio, quello. Un interminabile test che avrebbe dovuto superare per ricevere il beneplacito del padre di Audrey. Cercò di sorridere, mentre pensava ad una risposta adeguata alle circostanze. Certo non avrebbe potuto raccontargli tutta la verità, ma non voleva neppure inventare tutto di sana pianta.
“Abbiamo degli amici in comune”, proferì con voce chiara e decisa. “Inoltre frequentiamo degli stessi corsi”, aggiunse cercando gli occhi di Audrey come a chiedere conferma.
“Spero ti piaccia il pesce, perché ho fatto preparare una cena a dir poco squisita”, commentò l’uomo, mentre una donna faceva il suo ingresso in sala con dei piatti ricolmi di cibo.
“Lo adoro”, si limitò a dire Harry, dando un’occhiata alla succulenta pietanza che gli veniva servita.
“Hai già pensato a cosa farai l’anno prossimo?”, domandò l’uomo, mentre  si accingeva a prendere la forchetta e dare inizio alla cena.
“Ho fatto domanda per Oxford, Cambridge e Londra, ma ancora non ho ricevuto risposta”, spiegò lui, tentando di mantenere un tono calmo.
“Sbaglio o sono le stesse università per le quali hai fatto richiesta anche tu?”, chiese torvo all’indirizzo di Audrey.
Lei fece spallucce, masticando lentamente. Aveva previsto una conversazione del genere, per questo si era ben preparata all’eventualità.
“Sono le migliori di tutto il Regno Unito”, si giustificò piuttosto soddisfatta della prontezza e dell’insindacabilità della sua risposta.
L’uomo prese un lungo respiro, leggermente scosso da quella notizia.
“Harry, sarò sincero con te”, esordì inchiodando lo sguardo del ragazzo. “Sei il primo ragazzo che Audrey porta a casa”, constatò con voce seria e profonda. “Ne abbiamo già passate tante come famiglia, quindi fai soffrire ancora Audrey e sei finito”, concluse con un sorrisetto minaccioso stampato in volto.
“Signore, tengo davvero a sua figlia”, confessò allora Harry.
Audrey sorrise ed Harry pensò di poter vivere in eterno di quel sorriso.
La cena era da poco finita quando il cellulare di Millie vibrò. Erano seduti in salotto, suo padre ed Harry parlavano di sport sotto lo sguardo vigile di Audrey. Con lo sguardo controllò l’identità di colui che la stesse cercando e per poco non fece un balzo quando lesse sullo schermo il nome di Zayn.
La chiamata terminò ancor prima che lei potesse rispondere. Sbuffò, pensando che aveva appena perso un’altra ottima occasione, ma dovette ricredersi quando la spia rossa del cellulare lampeggiò. Aveva ricevuto un messaggio. Non attese neppure un attimo prima di aprirlo. Era Zayn e le chiedeva di raggiungerlo fuori.
Rilesse in apnea oltre una decina di volte quell’unica semplice riga. Le mani tremavano, sudavano freddo. Da quando Millie lo aveva baciato, lo aveva evitato in tutti i modi. Zayn l’aveva chiamata più volte, l’aveva cercata per i corridoi, ma eccezion fatta per il giorno della partenza di Margaret, non era più riuscito a parlare con lei.
Da un lato Millie sapeva che continuare ad ignorarlo fosse la cosa più giusta da fare, avrebbe evitato ad entrambi discorsi imbarazzanti e una buona dose di delusione, ma dall’altro era come se nutrisse ancora della speranza, come se in un piccolo e remoto angolo del suo cuore sperasse di poter finalmente chiarire con Zayn.
“Ancora lui?”, il sussurro di sua sorella la ridestò dai suoi pensieri.
Millie corrugò la fronte, chiedendosi come Audrey potesse sapere di chi si trattasse. Lei alzò gli occhi al cielo, scrollando le spalle.
“Sono giorni che ti cerca”, spiegò con tono ovvio, cercando di non farsi notare da Harry e suo padre.
Millie sospirò, il suo viso affranto facevano chiaramente intuire quanto quella situazione la turbasse.
“Va’ da lui”, le consigliò Audrey.
Millie si accigliò a quelle parole. Le immagini di quel bacio ancora la perseguitavano.
“Va’ da lui, prima che papà lo veda qui fuori e decida di organizzare una cena anche per lui”, scherzò seguendo con lo sguardo quella luce di fari accesi che proveniva dal vialetto.
Le braccia di Millie si piegarono sotto al seno, in segno di disappunto.
“Lo faccio solo perché voglio risparmiarmi un’altra serata del genere”, borbottò mentre si alzava dal divano.
“Vado a buttare la spazzatura”, disse in direzione del padre, mentre si allontanava sotto lo sguardo compiaciuto di Audrey.
“Ciao”, salutò quando finalmente ebbe raggiunto Zayn all’interno dell’abitacolo della sua auto.
“Ormai stavo iniziando a darmi per vinto”, borbottò sarcastico il moro. “Ho parlato con mio fratello qualche giorno fa”, iniziò per smorzare la tensione.
Non era un argomento a lui congeniale quello, ma tutto in quel momento gli appariva meno straziante del silenzio di Millie.
“Qualunque cosa sia successa tra di voi, credo che tutti meritino una seconda possibilità”, asserì.
Zayn strinse forte il volante tra le mani, di sottecchi osservava Millie farsi sempre più piccola sul sedile della sua macchina.
“Non volevo baciarti, l’altro giorno”, esordì poi con foga, fissando per la prima volta quella sera i suoi occhi in quelli ambrati di Zayn. “Cioè, in realtà io volevo, ma probabilmente tu no, quindi…”, farneticò gesticolando nervosamente.
Le labbra di Zayn si piegarono in un ghigno divertito.
“Smettila di guardarmi cosi”, si lamentò allora Millie, abbassando il capo in direzione delle sue gambe. “Credo di essere già piuttosto a disagio, non c’è bisogno della tua aria derisoria”, borbottò in un mormorio.
“Millie, anche io volevo quel bacio”, confessò Zayn tutto d’un fiato, destabilizzando completamente la ragazza.
Schiuse la bocca, sorpresa, mentre il suo cuore batteva forte. Non aveva mai provato nulla di così intenso per un ragazzo.
“Ma ci ho pensato bene”, riprese e a quelle parole Millie sentì una voragine aprirsi all’altezza del suo petto.
“E?”, il suo era un sibilo appena udibile.
“E credo che per ora sarebbe meglio concederci del tempo”, spiegò con le nocche bianche per la ferrea stretta. “Sono accadute troppe cose in quest’ultimo periodo.”, approfondì cercando lo sguardo di Millie.
In quell’istante desiderò con tutto se stesso poterle leggere la mente.
“Tu hai la terapia ed io devo fare ordine nella mia vita”, proseguì con fare incerto. “Ci sarà tempo per noi, in futuro, ma per ora sarebbe meglio aspettare”, concluse.
Aveva rimuginato prima di prendere una decisone. La sola idea di dover allontanare Millie lo turbava, ma sapeva che entrambi avevano bisogno di rimettere insieme tutti quei frammenti in cui le loro vite si erano sgretolate. Zayn non avrebbe mai potuto aiutarla in quell’impresa, perché anche lui, per quanto continuasse a negarlo, necessitava dell’ausilio di qualcuno. Sapeva che Millie aveva avuto delle crisi, negli ultimi giorni, e avrebbe voluto essere più presente, ma anche lui era intento a cercare un modo per riscattare se stesso. Con lui ci sarebbe stata la sua famiglia, Louis e forse anche Jamal. Millie, invece, avrebbe avuto al suo fianco suo padre ed Audrey. Ce l’avrebbero fatta, Zayn ne era sicuro, ma non l’avrebbero fatto insieme, perché insieme erano ancora troppo deboli per lottare.
Millie annuì. Non le piaceva affatto il significato di quelle parole, ma era consapevole della loro veridicità.
“Aspetteremo, allora”, concordò con tono sommesso. “Aspetteremo”, ripeté, quasi a voler convincere se stessa.
Millie spostò la mano sulla maniglia che permetteva l’apertura della portiera, poi si concesse un ultimo sguardo in direzione di Zayn ed immediatamente incontrò gli occhi ambrati del ragazzo.
“Allora ciao”, salutò, accennando ad un lieve sorriso.
Zayn si morse il labbro, combattuto. Non poteva lasciarla andar via così.
“Millie”, sussurrò afferrando la ragazza per un braccio, per poi avvicinare i loro volti e baciarla.
L’avrebbe lasciata andare, avrebbe concesso ad entrambi tutto il tempo di cui avevano bisogno, ma almeno avrebbe conservato il ricordo di quella serata, il ricordo di Millie.
Lei ricambiò prontamente il bacio, lasciando che Zayn potesse approfondirlo. Avevano giocato per mesi, stuzzicandosi e lanciandosi occhiate languide e seducenti, ma Millie mai aveva pensato di poter desiderare proprio le labbra sottili di Zayn, un giorno, le sue attenzioni, i suoi baci, i suoi occhi.
“Ciao Millie”, la salutò, quando il bacio terminò.
Millie arrancò un sorriso, poi scese dall’auto.
Zayn la seguì con lo sguardo, mentre camminava svelta lungo il vialetto. Si passò una mano sulle labbra, tastandole. Sorrise nel constatare che aveva ancora il sapore di Millie addosso.
Charlie se ne stava seduta sul dondolo del piccolo terrazzo sul retro della casa. Teneva le gambe strette al petto, avvolte tra le braccia, mentre con lo sguardo studiava attentamente il cielo scuro sopra di lei. La sua mente era affollata da mille pensieri. Da quando Margaret era partita l’aveva sentita solo tre volte e le conversazioni non erano neppure durate molto. Si erano concentrate principalmente sulla nuova città, la casa e qualche persona che Margaret aveva avuto modo di conoscere. Le mancava poter chiacchierare con lei come erano solite fare un tempo tra una lezione e l’altra. Aveva impiegato pochissimo tempo ad affezionarsi a quella ragazza ed ora doveva già fare i conti con la sua assenza.
Sussultò quando percepì il rumore di passi sempre più vicino.
“Niall”, sussurrò poi, quando riconobbe la figura del suo ragazzo a pochi metri da lei.
“Ciao”, salutò lui con un cenno della mano. “Tua madre mi ha fatto entrare”, si giustificò subito dopo, quasi a dover dare un valido motivo alla sua presenza lì.
“Siediti”, propose allora Charlie, facendo spazio sul dondolo.
Niall sospirò, mentre si muoveva con passo stanco fino a raggiungerla.
“Ho saputo che ti hanno presa qui a Londra, congratulazioni”, esordì forzando un tono entusiasta.
Charlie sorrise con la testa china e con le dita della mano sinistra iniziò a giocherellare con una ciocca di capelli.
“Mia madre non riesce a mantenere un segreto per neppure dieci secondi”, borbottò. “Avrei voluto dirtelo io”, spiegò.
“Charlie, io ho bisogno di sapere”, annunciò Niall con voce autoritaria.
Era contento per Charlie, lo era davvero, ma quei dubbi continuavano a logorargli l’animo. La bionda alzò di scatto il volto in direzione di Niall, in attesa che continuasse. Lui la osservò per qualche istante. Aveva la fronte corrugata e l’espressione preoccupata. Continuava ad arrotolare quell’unica ciocca di capelli attorno ad un dito, mentre con gli occhi di ghiaccio lo osservava impaziente.
“Riuscirai mai a dimenticare Louis?”, la sua domanda schietta giunse all’orecchio di Charlie come una lama affilata.
Sapeva di aver concesso troppe attenzioni a Louis in quell’ultimo periodo, sapeva di non essersi dedicata abbastanza a Niall, di averlo trascurato e, a dirla tutta, si aspettava anche un discorso simile da parte del biondo.
“Niall”, iniziò, afferrando una mano del ragazzo per poi stringerla tra le sue. “So di essere stata scostante in questi giorni, ti ho dato mille e più motivi per poter dubitare di me e dei miei sentimenti e per un attimo ho tentennato anche io”, iniziò.
Forse avrebbe potuto omettere quel particolare, ma con Niall voleva essere sincera, non voleva nascondergli nulla.
“Ma Louis fa parte del mio passato”, dichiarò con lo sguardo perso negli occhi color oceano di Niall. “Ed in un certo senso fa parte di me, lo farà sempre”, confessò con la voce incrinata. “E mi dispiace se in questi giorni ti ho dato mille motivi per dubitare di me, mi dispiace tantissimo”, ammise, con lo sguardo basso.
Niall sorrise a quelle parole, rassegnato.
“Eppure ora l’ho capito ed al momento è l’unica cosa certa che so”, annunciò, alzando gli occhi in direzione di quelli azzurri e limpidi di Niall.
“Ti amo, ti amo davvero”, confessò con un filo di voce, tremante per l’emozione.
Niall sorrise, disarmato davanti alla sincerità di quella voce e quello sguardo.
“Speravo di sentirtelo dire”, ammise, sogghignando leggermente in direzione della bionda.
All’improvviso si era sentito più leggero, felice, senza pensieri. Tutta l’angoscia che per giorni si era portato dentro era scomparsa ed il merito era tutto di Charlie.
Niall avvicinò lentamente il suo viso a quello della ragazza, ammiccando giocosamente in sua direzione.
“Ti amo anche io”, sussurrò sulle sue labbra, prima di baciarla.
Louis si strinse nelle spalle per il freddo. Era da poco passata l’alba quella mattina e l’aria era ancora gelida e tagliente, tanto che si ritrovò a sfregarsi le spalle con le mani nel tentativo di farsi calore.
“Ehi Louis”, lo chiamò Bree, raggiungendolo.
Si erano dati appuntamento al parco per l’occasione. In realtà ormai lo facevano sempre più spesso, ma quella era davvero una mattina speciale.
“Hai salutato Liam?”, domandò lui, osservando Bree che si lasciava cadere sul prato fresco accanto a lui.
“Sì”, disse soltanto, prima di stendersi completamente sull’erba. “Credi lo rivedrò presto?”, chiese dopo qualche istante, con voce tremante.
I suoi occhi verdi e lucidi vagavano nel cielo, il suo sguardo assente rispecchiava perfettamente il vuoto che sentiva dentro.
“Vuoi la verità, Bree?”, quella di Louis aveva tutta l’aria di essere una domanda retorica. “Non credo proprio”, confessò, sdraiandosi accanto alla ragazza.
“Siamo nella merda, allora”, commentò rammaricata, girandosi su un fianco, così da poter abbracciare l’amico.
E Louis l’avvolse tra le sue braccia. Bree lasciò sprofondare la sua testa rossa nell’incavo del collo del ragazzo, mentre delle lacrime salate le scorrevano lungo le guance.
Liam era partito, Margaret era partita, Charlie aveva lasciato Niall e Louis non sapeva davvero cosa pensare di tutta quella storia.
“’Fanculo, piccola”, imprecò chissà contro cosa o chi. “Ci faremo forza a vicenda”, mormorò poi, stringendo forte Bree contro il suo petto.

Liam si guardò attorno, alla ricerca del gate giusto. Aveva chiesto a Bree di non accompagnarlo all’aeroporto, aveva preferito salutarla lì, a casa sua. La sera prima gli altri erano passati a salutarlo e Liam aveva convinto tutti che quel gesto era sufficiente e dargli un degno arrivederci. Tra pochi minuti sarebbe partito per gli Stati Uniti d’America e Londra, insieme al Kensington & Chelsea College, non sarebbe rimasta altro che un lontano ricordo. Una serie di flashback, mille immagini, gli passarono veloci davanti agli occhi. In quei mesi, in quell’ultimo anno, la sua vita era totalmente cambiata. Avrebbe per sempre conservato quei ricordi, avrebbe per sempre ricordato il volto arrossato di Bree la prima volta che avevano fatto l’amore, l’espressione di Harry quando per la prima volta lo aveva mandato bellamente al diavolo o quella di Millie quando finalmente aveva fatto cadere la maschera. E avrebbe ricordato la sicurezza di Charlie, il volto ombrato di Zayn, le battute senza senso di Louis, il sorriso di Margaret, le risposte secche di Audrey e la sensazione che aveva provato quando aveva colpito Niall in pena faccia. Ma per ora, tutto ciò che doveva fare, era ricominciare tutto daccapo.     

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Angolo Autrice

Buona domenica a tutti!!! Finalmente eccoci con l'ultimo capitolo!!
Allora, che dire, ho pensato di finire la storia così com'era iniziata, con Liam.
Insomma, diciamo che questo non è proprio un lieto fine, fatta eccezione solo per Harry ed Audrey.
Certo, anche a Niall e Charlie va bene, ma non so per quale ragione mi lasciano l'amaro in bocca. Sarà che c'è sempre Louis di mezzo.
Finale aperto per Zayn e Millie, che decidono di aspettare, ma anche per Bree e Liam, tra i quali ci si mette la distanza.
Margaret ormai è partita e non compare affatto ed, infine, c'è Louis... 
beh, non so proprio che dire su di lui, ma mi piaceva l'idea di un'amicizia tra lui e Bree.
Anyway, anche Liam è in partenza, alla volta degli USA. Ed ho pensato che chiudere così era un bel modo per chiudere, perché lasciava aperto quasi tutto...
Okay, non credo che quello che ho appena detto abbia senso, però più o meno era questa l'idea che avevo.
Bene, ora ci tenevo a ringraziare chi ha letto, ricordato, seguito o preferito,
ma soprattutto volevo ringraziare Grauen per il sostegno!!! Grazie mille, davvero!!!*.*
Okay, credo di aver detto tutto!
Alla prossima!:*

                                                          Astrea_


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