Skins di Astrea_ (/viewuser.php?uid=144693)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Liam ***
Capitolo 2: *** Margaret ***
Capitolo 3: *** Louis ***
Capitolo 4: *** Millicent ***
Capitolo 5: *** Harry ***
Capitolo 6: *** Brianne ***
Capitolo 7: *** Niall ***
Capitolo 8: *** Audrey ***
Capitolo 9: *** Zayn ***
Capitolo 10: *** Charlotte ***
Capitolo 11: *** Harry ***
Capitolo 12: *** Brianne ***
Capitolo 13: *** Louis ***
Capitolo 14: *** Audrey ***
Capitolo 15: *** Zayn ***
Capitolo 16: *** Charlotte ***
Capitolo 17: *** Liam ***
Capitolo 18: *** Margaret ***
Capitolo 19: *** Niall ***
Capitolo 20: *** Millicent ***
Capitolo 21: *** Louis ***
Capitolo 22: *** Audrey ***
Capitolo 23: *** Zayn ***
Capitolo 24: *** Brianne ***
Capitolo 25: *** Niall ***
Capitolo 26: *** Margaret ***
Capitolo 27: *** Harry ***
Capitolo 28: *** Millicent ***
Capitolo 29: *** Charlotte ***
Capitolo 30: *** Liam ***
Capitolo 1 *** Liam ***
LIAM
Liam
James Payne era uno dei ragazzi più popolari del Kensington
& Chelsea College. In
poco tempo era riuscito ad emergere dalla massa di centinaia di
studenti che
affollavano i corridoi della scuola ad ogni suono della campanella,
distinguendosi per il suo carisma e la sua
sicurezza. L’ultimo anno del college
si prospettava per lui come l’apice della sua
notorietà, il momento in cui
tutto il suo lavoro avrebbe prodotto i frutti da lui tanto attesi. Liam
era un
ragazzo intelligente, acuto, sveglio, delle volte sin troppo da
riuscire a
vedere cose che gli altri neppure immaginavano. Amava organizzare la
sua
giornata, la sua vita, pianificare ogni sua mossa e prevedere quelle
altrui in
modo da poterne sapientemente gestire le conseguenze. Liam sentiva il
bisogno,
quasi ancestrale ed innato, di mantenere sotto il suo stretto controllo
qualsiasi cosa potesse interferire, seppur soltanto minimamente, con la
sua
vita. La sua famiglia non gli aveva offerto alcuna sicurezza economica,
non si
era imposta socialmente affinché il loro unico figlio fosse
trattato con
estremo riguardo, ma lui era riuscito ugualmente ad ottenere tali
risultati con
il suo impegno e la sua perseveranza. Afferrò lo zaino e con
un abile e veloce
gesto ne poggiò una tracolla sulla spalla destra, poi si
affrettò ad
oltrepassare il portone di una delle casette che si affacciava su una
piccola e
sobria stradina marginale del quartiere.
Il
college era
piuttosto lontano, dunque al mattino era costretto a svegliarsi di buon
ora per
riuscire a raggiungere la meta in orario per la prima lezione della
giornata.
Mise
le mani nelle
tasche dei pantaloni beige che indossava e strinse le spalle per
contrastare
l’aria fredda e tagliente che avvolgeva quotidianamente
Londra alle prime ore.
Solo
quando ebbe
raggiunto la metro si decise a sfilare il cellulare per poter
effettuare una
chiamata.
Velocemente
cercò nella
rubrica il nome dell’amico, poi premette sul tasto che
riportava una cornetta
verde e portò l’apparecchio
all’altezza
del viso.
Una
voce femminile
falsamente cordiale lo infornò
dell’impossibilità di mettersi in contatto con
l’utente da lui richiesto.
Sbuffò
irritato,
afferrando con vigore il palo di ferro che si ergeva al centro di una
cabina
affollata e maleodorante della metro.
Compose
nuovamente il
numero dell’amico, sperando che questa volta rispondesse alla
sua chiamata.
Sorrise
al suono del
primo squillo e subito ebbe la certezza che pochi attimi dopo avrebbe
sentito
la voce di Harold Edward Styles dall’altro capo
dell’apparecchio.
“Si?”,
esordì ancora
assonnato, arricchendo quella semplice sillaba con uno sbadiglio.
“Andiamo
coglioncello!
Sono le otto meno uno quarto ed oggi è il primo giorno di
scuola, muoviti!”, lo
incitò Liam.
“Non
dirmi che sei
ancora a letto, anche perché non ho intenzione di aspettarti
stamattina.”, lo
intimorì poi.
Harry
non rispose, si
lasciò solo scappare un altro leggero sbadiglio mentre
passava una mano tra la
scura chioma disordinata ed indomabile.
“Dammi
dieci minuti e
sono lì.”, asserì, costringendosi a
scostare il lenzuolo di cotone dal suo
corpo.
“Lo
spero.”, concluse
l’altro, interrompendo poi la chiamata un istante prima che
la metro si
arrestasse ad una nuova fermata.
Liam
controllò la sua
immagine riflessa in una delle scure vetrate. I capelli castani e corti
erano
perfettamente ordinati. I suoi occhi color nocciola erano chiara
espressione
della sua determinazione, bilanciato dal sorriso affabile e genuino in
cui le
labbra erano incrinate. Indossava una leggera maglietta bianca, coperta
in
parte da una di quelle camice a quadri che tanto adorava e dei
pantaloni,
rigorosamente stretti e a vita bassa. Si compiacque nel verificare che
il breve
spostamento non aveva per nulla alterato il suo aspetto. Con pochi
decisi passi
uscì dalla cabina e si diresse alla fermata del pullman.
Detestava dover
prendere tutti quei mezzi pubblici già di primo mattino, ma
purtroppo gli
impegni lavorativi dei suoi genitori gli impedivano di poter
raggiungere il
college comodamente con l’auto.
Liam
cercava di non dar
mai peso a quel piccolo dettaglio e, soprattutto, preferiva non doverne
mai
parlare in pubblico.
Quando
finalmente
giunse a destinazione un ampio e sincero sorriso prese forma sul suo
viso. Era
tutto esattamente come ricordava. La strada, l’ingresso
principale, il
cancello, gli alberi che si scorgevano ai lati del possente edificio,
gli
studenti intenti a parlottare in attesa del suono della prima
campanella.
Sapeva che quello che si accingeva ad iniziare era l’ultimo
anno ed era consapevole
di come, al termine di esso, la sua vita sarebbe radicalmente cambiata.
Non ci
sarebbe stato più tempo per i festini, la discoteca, le
serate con gli amici,
le cazzate e le bravate. Avrebbe dovuto solo pensare a come costruire
il suo
futuro, a lavorare per il suo avvenire, a studiare perché
esso si potesse
realizzare.
“Buongiorno
amore!”,
trillò una voce allegra che subito riconobbe come quella di
Millicent Grace
Wood, la sua fidanzata ufficiale da ormai oltre sei mesi.
Millie
gli circondò le
spalle con le braccia, lasciando un leggero bacio alla base del collo
del
ragazzo.
“Ciao
piccola!”,
ricambiò lui, voltandosi in sua direzione così da
poterla avvolgere per poi
poggiare le labbra sulle sue, coinvolgendola in un bacio passionale e
poco
casto.
Millicent
era dotata di
una singolare bellezza, forse era per quel motivo che Liam
l’aveva scelta come
sua ragazza, o forse in realtà si erano scelti a vicenda.
La
sua pelle chiara
contrastava adorabilmente con i lunghi capelli scuri che le scendevano
in
ordinati boccoli sulle spalle. Il suo aspetto era sempre curato in ogni
minimo
dettaglio, non trascurava mai nulla. Ogni ombretto, lipgloss, bracciale
o
collana veniva scelto con dedizione, affinché potesse
abbinarsi al meglio con i
vestiti, le scarpe, la borsa e tutti gli accessori da lei scelti. Era
una
perfezionista in campo di moda. Adorava vestire bene ed adorava anche
essere
notata per il suo stile. Il suo corpo era esile, forse troppo, la sua
statura
nella media, ma falsata dai tacchi che quotidianamente si imponeva di
indossare.
“Avete
finito di
pomiciare? Millie, mi fai venire il voltastomaco!”, li
interruppe disgustata
Audrey Lilian Wood, osservandoli con sufficienza e disprezzo.
Liam
si scansò di poco,
sorridendo beffardo alle parole della ragazza.
“Sempre
educata e
cordiale tua sorella, vero?”, chiese ironico
all’indirizzo di Millie.
Lei
fece spallucce, non
avendo nulla da dire in risposta.
Sarebbe
stato davvero
difficile agli occhi di un estraneo riconoscere in Millie ed Audrey due
gemelle. Il volto della prima valorizzato da colori tenui e rosati che
ne
mascherassero le piccole e lievi imperfezioni, mentre quello della
seconda era
nascosto da colori scuri e forti. Doppi strati di matita nera
circondavano gli
occhi, rendendoli tenebrosi ed oscurando la luce che usciva da essi. Le
labbra
erano messe in risalto da un rossetto intenso e scuro ed i suoi capelli
ricadevano disordinati e mossi. Audrey indossava sempre degli abiti
dalle
tonalità buie, come il nero che spiccava dalle sue unghie
smaltate.
“Eccomi
Liam!”, esclamò
un affannato e sudaticcio Harry, giungendo a pochi passi
dall’amico.
Aveva
un aspetto
trasandato e sciatto. I capelli erano prevalentemente coperti da un
berretto di
lana che ne lasciava intravedere solo le punte arruffate. La fronte era
imperlata
di alcune gocce di sudore, probabilmente dovute alla corsa appena fatta
per
poter arrivare in orario. Indossava dei jeans neri, di qualche taglia
in più
della sua, una maglietta arancione ed una grande felpa grigia le cui
maniche
erano alzate fino ai gomiti.
I
suoi occhi verdi e
luminosi quasi erano oscurati da quella massa riccia e senza forma dei
suoi
capelli.
“Ciao
Millie, ciao
Audrey!”, salutò poi rivolgendo due ampi sorrisi
alle ragazze, le quali
risposero con un poco partecipativo cenno della mano tanto simile da
far
intuire qualche somiglianza nel loro patrimonio genetico.
“Harry,
ho un’ottima
notizia per te.”, esordì Liam passando un braccio
intorno alle spalle della
ragazza per poi girarsi completamente in direzione dell’amico.
Come
al solito gli
erano bastate poche parole per catturare non solo
l’attenzione di Harry, ma
anche quella delle gemelle Wood.
“Ho
saputo da fonti
certe ed irrivelabili che quest’anno ci sarà una
nuova ragazza nel nostro
corso.”, iniziò con un sorriso soddisfatto.
Harry
corrucciò il
viso, non avendo compreso quale fosse il messaggio subliminale di
quelle
parole.
Pendeva
completamente
dalle labbra di Liam.
“Insomma,
sarà
difficile per lei ambientarsi ed integrarsi in una nuova scuola proprio
all’ultimo anno e tu, caro amico mio, la
aiuterai.”, dichiarò dandogli una
leggera pacca sulla schiena.
“Se
tu credi che uno
sfigato come lui possa riuscire a portarsi a letto una qualsiasi
ragazza
semplicemente con due moine, allora credo proprio che non ci conosci
affatto.”,
lo screditò prontamente Audrey, incrociando le braccia al
petto in chiaro tono
di sfida.
Harry
non replicò a
quelle parole, impegnato a riflettere su esse.
“Vedremo
Audrey,
vedremo.”, controbatté Liam con tono pacato,
sicuro delle sue affermazioni.”Millie,
che ne dici di darci una mano? Ti va di andarla a
conoscere?”, chiese poi alla
sua ragazza, ammiccando al suo indirizzo.
“Sai
già chi è?”,
domandò lei di rimando, aspettando di capire di chi si
trattasse prima di
accettare una simile richiesta.
“Quella
che fissa la
bacheca.”, annunciò indicandole la direzione.
Millie
la osservò per
qualche istante, prima di acconsentire.
“E
va bene.”, concesse
un attimo prima che Liam la travolgesse in un altro bacio che costrinse
Harry a
distogliere lo sguardo.
“Io
vado.”, si congedò
poco dopo Millie e con passi decisi si avvicinò alla ragazza
in questione.
“Ciao!”,
la salutò
cordialmente con un sorriso amichevole. “Sembra che tu abbia
un’aria spaesata.
Sei nuova?”, riprese cercando di avviare una conversazione.
Conosceva
perfettamente
la risposta alla sua domanda, ma chiedendo alla diretta interessata
avrebbe
potuto recuperare del tempo per pensare a come mantener vivo il dialogo
tra le
due.
“Si,
sono appena
arrivata.”, spiegò ricambiando il sorriso.
La
sua voce era dolce e
delicata, esattamente come il suo viso.
“Mi
chiamo Margaret.”,
si presentò poi porgendole una mano che Millie strinse.
“Io
sono Millie.”,
ricambiò. “Allora, da dov’è
che vieni?”, le chiese squadrandola meglio.
Margaret
aveva i
capelli mossi di un biondo scuro, la carnagione ambrata ed un corpo
esile e
slanciato. Era alta nonostante indossasse delle ballerine ai piedi.
“Da
Manchester, ci
siamo trasferiti per il lavoro di mio padre.”, rispose non
scendendo in
ulteriori dettagli.
“Sono
sicura che qui ti
troverai bene, davvero!”, la incoraggiò.
“Che hai alla prima ora?”, domandò poi
per cambiare discorso.
In
realtà conosceva la
risposta anche a quella domanda. Liam le aveva detto che erano nello
stesso
corso, dunque avrebbe frequentato la classe di filosofia, ma ancora una
volta
preferì omettere quei dettagli.
“Filosofia.
Sai per
caso dove devo andare?”, le chiese dopo aver letto su un
foglietto che
riportava l’orario delle sue lezioni.
“Certo,
anche io ho
filosofia. Possiamo andarci insieme!”, propose entusiasta,
avviandosi
all’ingresso del grande edificio.
Entrate
in aula, Millie
prese posto in una delle ultime file, poi fece segno a Margaret di
accomodarsi
accanto a lei. Subito dopo anche Liam ed Harry fecero il loro ingresso
nella
classe, seguiti da Audrey e la sua immemorabile migliore amica Brianne
Liberty
Collins.
Erano
ormai
inseparabili dai tempi dell’asilo, nonostante fossero
così apparentemente
diverse. Bree era più espansiva, talvolta eccessivamente
pacata e tranquilla,
tanto da risultare irritante. Sembrava vivesse in una dimensione
parallela, in
cui tutto era perfetto, una sorta di fiaba di cui era la protagonista.
Bree non
aveva la piena percezione della realtà e spesso finiva con
il discostarsi
completamente da essa per rifugiarsi nel suo mondo sicuro, fatto di
nuvole,
fiori colorati, cieli azzurri ed immensi prati verdi. Bree non
ricordava
neppure com’era arrabbiarsi, sentire il sangue pulsare nelle
vene e le tempie
scoppiare. Con il tempo l’aveva rimosso e quelle pillole,
quelle medicine che
la madre la costringeva ad ingurgitare per risolvere chissà
quale inesistente
problema psichico, ne erano state la causa. Audrey amava il nero, Bree
il rosa.
Audrey
amava la musica
heavy rock, Bree la classica. Audrey amava il silenzio, il buio,
l’inquietudine
e la paura. Adorava vedere thriller e mettere il suo i-pod a tutto
volume. Bree
amava la gioia, la tranquillità, la serenità, il
suono delle risate e il calore
dei raggi di sole sulla pelle. Adorava leggere di amori impossibili che
divenivano realtà e ballare.
Quando
Niall James
Horan varcò la soglia della porta immediatamente
cercò con lo sguardo gli occhi
di Millie. Le sorrise d’istinto, felice di rivederla dopo
appena una settimana
che a lui era parsa estremamente lunga ed odiosamente interminabile.
Niall
si avvicinò fino
ad occupare il banco davanti a quello della ragazza, poi si
voltò in sua
direzione per poterle parlare anche solo per pochi attimi.
“Ciao
Millie!”, la
salutò poggiando il gomito destro sulla superficie di legno
che li divideva.
“Ciao
Niall!”, ricambiò
lei, sporgendosi fino a lasciargli un bacio sulla guancia che fece
gongolare il
ragazzo dalla soddisfazione.
Niall
era uno dei
pochissimi amici fidati di Millie. Si conoscevano da tanto, forse da
talmente
troppo che lui aveva iniziato a provare qualcosa di più
inteso e profondo.
“Lei
è Margaret.”,
continuò Millie, presentandogli la ragazza al suo fianco.
“Mentre lui è Niall.
Quello alla mia sinistra è Liam, al suo fianco
c’è Harry.”, disse introducendo
gli altri due ragazzi nella conversazione che sorrisero al sentire i
loro nomi.
“Davanti
ci sono Audrey
e Bree.”, riprese Liam. “E quelli che stanno
entrando ora sono Charlie, Louis e
Zayn.”, concluse poi, dando un cenno agli ultimi arrivati,
esattamente un
attimo prima dell’ingresso del professore.
Millie
non riusciva
proprio a sopportare la presenza di Charlotte Olivia Phillips, la
odiava, la
detestava con tutte le sue forze. Trovava irritanti le sue arie da
prima donna
vissuta o i suoi tentativi di apparire perennemente diversa. Avrebbe
volentieri
dato fuco a quei suoi capelli biondi colorati da numerose ciocche rosa.
L’unica
cosa che avrebbe volentieri salvato di quella ragazza erano i suoi
bellissimi
occhi azzurri, tanto chiari da ricordare il cielo quando è
sereno. Tutt’altro
discorso riguardava, invece, Louis William Tomlinson, il fidanzato di
Charlie.
Louis era un tipo socievole, scherzoso e burlone, sempre pronto a far
ridere
gli altri con una delle sue squallide battute. Non era propriamente
simpatico,
ma riusciva sempre a strappare un sorriso forse grazie
all’ingenuità dei suoi
intenti. Infine, c’era Zayn Javaad Malik. Nessuno di loro
aveva mai realmente
capito chi Zayn fosse. Aveva la carnagione scura, gli occhi ambrati e
della
barba che gli ricopriva parzialmente il mento. I capelli erano sempre
alzati in
una curata cresta, mentre le sottili labbra si adagiavano perennemente
intorno
ad una sigaretta. Forse era il suo aspetto a renderlo scontroso, o
forse era il
suo carattere schivo, introverso e riservato. Non amava parlare solo
per il gusto
di farlo, si limitava all’essenziale. Era piuttosto risaputo
che tra lui e Liam
non corresse buon sangue, si vociferava per questioni di donne e soldi,
ma in
realtà tra i due non era mai accaduto nulla. La gente
preferiva creare delle
storie sul loro conto, aggiungendo dettagli raccapriccianti, ma chi li
conosceva sapeva dire con certezza che nessuno dei due avrebbe mai
ricorso alle
mani per risolvere una disputa. Più che altro le loro
divergenze si basavano su
incompatibilità caratteriali. Zayn era sveglio, acuto ed
intelligente e
detestava il modo in cui Liam riusciva a prendersi gioco della gente,
portandole a comportarsi esattamente secondo la sua volontà.
Il
professore si
schiarì la voce, intimando alla classe di ricomporsi con un
solo sguardo. Tutti
lo conoscevano, tutti eccetto Margaret ovviamente. L’anno
scorso era stato lui
a schierarsi per primo in una campagna contro il degrado delle scuole,
finendo
per scontrarsi apertamente con Louis e i suoi modi poco delicati di
mettere in
chiaro le sue idee.
Quell’anno,
era
evidente, Louis avrebbe scontato le conseguenze derivanti dal suo
carattere
poco riflessivo ed impulsivo.
“Che
ne dici di
organizzare una festa stasera?”, chiese Liam con un filo di
voce alla sua
ragazza, schiarendo bene il labiale così da poterle rendere
più facile la
comprensione.
Millie
sorrise
complice. In una qualsiasi altra occasione avrebbe immediatamente messo
a
disposizione la sua enorme villa, ma quella sera ci sarebbe stato suo
padre con
un importante socio d’affari e per una volta decise che non
sarebbe stata
d’intralcio.
“Andiamo
al Sound?”,
propose allora, sperando in una risposta affermativa.
Il Sound
era una delle
discoteche più famose di Londra, situata nel cuore della
città, a circa
mezz’ora dal loro quartiere.
“Va
bene, piccola.”,
apostrofò Liam prima di riportare l’attenzione sul
professore, il quale aveva
preso ad introdurre il programma del corso di filosofia.
Lo
sguardo del castano
passò in rassegna tutti i presenti, indeciso sulla sua
prossima mossa. Aveva
già le idee piuttosto chiare su come organizzare la serata.
Doveva
assolutamente procurarsi della roba, ma per quello avrebbe chiesto a
Millie di
intercedere presso Zayn. Ad allietare la notte ci avrebbe poi pensato
Louis
che, strafatto come il suo solito, avrebbe bighellonato allegramente in
giro
per il club, facendo innervosire una permalosa e poco tollerante
Charlie. Niall
ci avrebbe provato con Millie per poi ubriacarsi, Harry avrebbe vagato
cercando
di farsi notare, Bree avrebbe iniziato a far finta di essere una
farfalla,
Audrey avrebbe fumato canne in un angolo poco visibile del locale, Zayn
avrebbe
fissato tutti con aria di superiorità e la sua ragazza
sarebbe finita nuda e
strafatta sul suo letto.
Liam
li conosceva, li
conosceva tutti talmente bene che avrebbe potuto tranquillamente
predire le
reazioni di ognuno di loro. Era un buon osservatore, non lasciava mai
nulla al
caso e riusciva facilmente ad immedesimarsi nei panni altrui,
comprendendone
paure, desideri, segreti.
“Ci
pensi tu a Zayn?”,
chiese poi a Millie, catturando nuovamente la sua attenzione.
La
ragazza non rispose,
si limitò ad annuire sotto lo sguardo soddisfatto di Liam.
La
mattinata procedette
lenta e noiosa, scandita solo dal suono della campanella che annunciava
lo
scorrere delle ore. Ritornare sui libri era sempre stato difficoltoso
per gli
studenti, soprattutto per quelli che ancora non riuscivano a
comprendere
l’utilità e l’importanza
dell’istruzione.
Louis,
ad esempio, era
perfettamente consapevole dell’impossibilità di
realizzarsi all’interno della
società. Lui era un cazzone. In anni ed anni di studi non
era mai riuscito ad
ottenere voti decenti e non perché non fosse bravo. Louis
era convinto che
chiunque, applicandosi con dedizione, avrebbe potuto raggiungere
brillanti
risultati. Il punto, tuttavia, era che Louis non voleva o, comunque,
non poteva
più. Aveva perso i migliori anni della sua vita in risse,
alcool, feste ed
erba. Nulla e nessuno gli avrebbe consentito di tornare indietro nel
tempo per
modificare ciò.
Sperava
solo che, con
un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a trovare un lavoro
stabile e ben pagato
che gli avrebbe permesso di condurre uno stile di vita medio. Non era
ambizioso
o idealista, ma realista.
Allo
squillare della
campanella che segnava l’inizio dell’intervallo
Zayn si catapultò fuori
dall’aula, bisognoso di assaporare il gusto della nicotina
che tanto gli era
mancato sentire sulle labbra in quelle poche ore.
Con
passi svelti
percorse il lungo corridoio, poi si avvicinò ad una porta
sulla sinistra. La
spalancò ed in un attimo fu nel bagno dei maschi. Estrasse
il pacchetto di
sigarette dalla giacca di pelle nera che ancora indossava e ne prese
una tra le
dita, poi cercò nell’altra l’accendino.
L’accese e la portò con urgenza alle
labbra, inspirando profondamente.
Chiuse
gli occhi, nel
tentativo di rilassarsi, mentre l’odore di tabacco iniziava
ad aleggiare nella
piccola stanza.
Quasi
sobbalzò quando
sentì la porta sbattere con prepotenza, per poi essere
frettolosamente
richiusa.
Millie,
con le braccia
incrociate al petto ed un sorrisetto malizioso disegnato sulle labbra,
lo
fissava con aria di sfida.
“Cosa
ci fai qui? Per
caso stanotte ti è cresciuto il cazzo?”,
sbottò Zayn rude, infischiandosi di
quanto volgare e grezzo potesse apparire.
Magari,
in quel modo
l’avrebbe allontanata ancora più facilmente.
Millie
lo ignorò. Si
avvicinò sinuosamente a lui, ancheggiando, mentre spostava
gli occhi sulle
labbra sottili del ragazzo. Gli sfilò la sigaretta e la
portò alla bocca, poi
ne fece un tiro.
“Stasera
andiamo
al Sound.”, esordì avvolgendo il volto
del ragazzo con una piccola nuvola di
fumo. “Ci sarai?”, gli domandò
riposizionando la sigaretta tra le labbra di
Zayn.
Lui
sbuffò, infastidito
dalle subdole moine della ragazza. L’unico motivo per il
quale continuava
ancora a parlare con Millie erano i soldi che puntualmente lei gli dava
in
contanti per procurarsi qualche pasticca di ecstasy o dei grammi di
erba. Non
gli interessava quanto male quelle sostanze potessero fare a quella
ragazza,
del resto non se ne preoccupava neppure lei. Zayn aveva i giusti
contatti e
Millie amava fare le cose nella maniera più semplice
possibile.
“Cosa
vuoi?”, le chiese
schietto, tornando a fumare la sua sigaretta.
Millie
fece spallucce,
poi con una mano iniziò a giocare con una ciocca di capelli.
“Io
non faccio le liste
della spesa. Pensaci tu.”, terminò estraendo
un’unica grande banconota dalla
tasca degli shorts blu che indossava.
Senza
esitazione
alcuna, la infilò in quella dei jeans scuri di Zayn.
Sorrise
compiaciuta
sotto lo sguardo attento del ragazzo.
“A
stasera, Zayn.”, lo
salutò con un occhiolino, prima di voltarsi e uscire dal
bagno soddisfatta.
“Tutto
bene?”, le
chiese Liam non appena Millie giunse nel piccolo giardino retrostante.
La
ragazza annuì appagata,
poi si sedette sulle gambe del fidanzato.
“Allora
Harry, sei
pronto per stasera?”, domandò beffarda al ragazzo
riccio seduto di fronte a
loro.
Harry
era come l’ombra
di Liam. Bastava trovare uno dei due per rintracciare anche
l’altro.
“Certo
che lo è.”,
rispose Liam al suo posto, sfoderando quella sicurezza di cui
l’amico era
privo.
Harry
sorrise.
“E
stanotte ce lo
dimostrerà.”, concluse ancora il castano, prima di
concentrare tutta la sua
attenzione su Millie.
In
un attimo le loro
lingue furono a contatto, le loro mani scivolavano, i loro corpi
bramavano un
contatto maggiore.
“Ragazzi,
io…”, provò a
dire Harry, ma entrambi non parvero accorgersi del suo tono imbarazzato.
Sospiro
lievemente, poi
rassegnato si alzò e tornò in classe.
Harry
lo sapeva, ognuno
di loro lo sapeva. Sapevano che erano esattamente come tante piccole
mine
vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano
per sopravvivere,
che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano
increspato della vita. Si
sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore
ed affetto.
Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per
l’altro, di essere uniti, ma in
realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un
gruppo, ma solo
l’unione di individualità problematiche, di
adolescenti troppo presi ad
affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si
rinchiudevano. Erano
fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento
per
raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da
mascherare
le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che
sentivano nei loro petti e
nelle loro menti. Un oncia di fumo non sarebbe stata sufficiente a far
dimenticare loro quella opprimente sensazione, ma l’avrebbe
alleviata anche
solo per qualche attimo. Non era un rifugio, quello, ma solo il modo,
seppur
sbagliato, di riuscire ad esprimere un pezzettino di se stessi. Le loro
storie
erano intrecciate, ingarbugliate, li risucchiavano in un vortice senza
fine o
tregua. Erano destinati, o forse dannati.
---
Angolo Autrice
Ed eccomi qui con un nuovo esperimento: Zayn, Louis, Liam, Niall ed
Harry in verione Skins!:D
Lo so, devo ancora terminare l'altra storia, che tra l'altro non
aggiorno da troppo tempo,
ma proprio non sono riuscita a resistere!!!xD
Ho scoperto questa serie appena una settimana fa, così ho
letteralmente divorato in tre giorni le sette stagioni prodotte,
fino al finale trasmesso ieri su E4 e che, ovviamente, ho visto in
diretta.
Non so se qualcuno l'ha già visto, io dico solo che mi sono
messa a piangere
quando ho realizzato che quello era davvero "Skins: the last ever episode"!!
E poi Cook... Ok, direi che non è il caso di perdersi in
chiacchiere.
Piuttosto, torniamo al primo capitolo di questa nuova
fanfiction.
So che è particolarmente lunghetto, quindi grazie
già solo per essere arrivate all'ultimo rigo!;)
Ho preferito non tagliarlo, così da riuscire ad introdurre
tutti i personaggi.
Questa volta sono davvero molti e a dir la verità
un po' mi spaventa.
Insomma, certe volte è già difficile parlare di
quattro/cinque persone e bilanciare gli spazi,
figuramoci quindi narrare le vicende di dieci ragazzi!xD
...
Uff, dovevo dire tante di quelle cose ed ora non mi ricordo
più nulla... -.-
Vabbé, ogni capitolo, come in Skins, sarà
dedicato ad un
personaggio; nel primo ho scelto Liam,
ma con il tempo cercherò di approfondire le
personalità di ognuno di loro.
Come avrete notato Harry qui non è il solito dongiovanni,
Niall non è l'amicone e Liam non è il tenerone.
Per quanto riguarda Zayn e Louis, devo dire che i loro caratteri sono
ancora in costruzione,
anche se un'idea generale c'è anche per loro.
Taglio qui, anche perché già il capitolo è lungo,
quindi non credo sia il caso di eccedere anche qui!xD
Fatemi sapere cosa ne pensate, commentate, lasciate una recensione!!
Scappo ad aggiornare l'altra storia, finalmente. xD
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 2 *** Margaret ***
s2
MARGARET
Millie
entrò con
sicurezza nel locale, seguita da un’insicura e spaesata
Margaret. A Manchester
non frequentava posti tanto grandi ed affollati come quello. Non
adorava la
vita mondana, fatta di festini e trasgressioni, preferiva limitarsi al
suo giro
ristretto di amicizie affidabili. Tuttavia, quella volta aveva fatto
un’eccezione. Aveva visto Millie, appena la mattina
precedente, ed aveva subito
capito quanto sarebbe stato facile per ambientarsi con
l’aiuto di una come lei.
Millie era bella, popolare, sicura, audace e per qualche strana ragione
alla
gente piaceva. La musica inondava l’enorme sala, gremita di
giovani che
ballavano senza troppo grazia nei loro movimenti.
“Andiamo
di là, gli
altri sono sicuramente già arrivati.”,
esordì Millie trascinandola sul lato
destro del locale.
L’aria
era pesante,
l’atmosfera soffocante, le luci si mischiavano stordendo i
sensi e la musica
rimbombava nelle orecchie. C’era un forte odore di tabacco ed
alcool. Margaret
non era abituata a ciò, ma per la prima volta
pensò che una vita del genere le
sarebbe potuta piacere. Avrebbe potuto gradire il divertimento, lo
spasso, la
leggerezza con la quale quel gruppo di adolescenti che aveva appena
conosciuto
si godeva la vita, senza preoccuparsi per neppure un istante delle
conseguenze
delle loro malsane azioni.
“Ragazze,
finalmente
siete arrivate!”, le salutò Liam, fiondandosi
immediatamente sulla sua ragazza
per poterla baciare.
La
sua voce era
melliflua e la sua espressione più vacua del solito,
entrambi chiari segni del
fatto che avesse bevuto. Non era ubriaco, ma brillo e tanto bastava a
disinibirlo.
Niall
li fissava,
incapace di smuovere anche solo di poco lo sguardo. Si interrogava,
rimuginava
su come Millie potesse pensare di meritare così poco. A
Niall piaceva Liam, ma
detestava il modo in cui trattava la sua ragazza. Per lui Millie era
quel
genere di donna alla quale andavano riservate tutte le attenzioni
possibili,
carinerie, parole dolci, sorprese e complimenti.
“A
chi va di ballare?”,
propose un pimpante Louis, giungendo alle spalle dell’amico
biondo.
Le
sue pupille erano
palesemente dilatate, gli occhi assenti, le labbra piegate in un
perenne
sorriso ebete.
“Si
può sapere chi
cazzo ha invitato Zayn?”, sbottò inviperita
Charlotte che si affannava per non
perdere mai di vista Louis.
“Non
è colpa mia se il
tuo ragazzo si impasticca.”, controbatté
quest’ultimo con voce raschiata e
dura, sibilando quasi.
Charlie
stava per
rispondere a quell’affermazione davvero poco carina ed
educata, ma fu distratta
dalle urla gioiose di Louis che si immergeva nella folla di gente e che
danzava
sventolando la maglia tra le mani.
Sbuffò,
era stufa di
doversi prendere cura di lui ogni qualvolta uscissero. Delle volte
aveva la
sensazione di comportarsi esattamente come una madre con il figlio
adolescente.
Doveva accudirlo, rincuorarlo, tenergli la fronte quando vomitava. Ma
Charlie aveva
appena diciassette anni e non era pronta per tutto ciò. Lei
voleva solo un
ragazzo da baciare e con il quale poter fare l’amore, ne
voleva uno da amare
con il quale poter essere felice. Tuttavia Charlie sapeva di non essere
una
ragazza fortunata, lei non lo era mai stata.
“Vado
da lui.”,
bofonchiò rassegnata, dirigendosi verso il punto esatto in
cui lo aveva visto
scomparire.
“Allora
Harry, vuoi
chiedere a questa bella ragazza di bere qualcosa?”, lo
incitò Liam, lanciando
una furtiva occhiata a Margaret.
La
ragazza sorrise
appena, mentre annuiva in un gesto tanto meccanico da far trasparire
chiaramente l’imbarazzo.
“Ciao!”,
trillò
briosamente Bree, scuotendo la testa al ritmo dettato dal dj.
Dietro
di lei, avvolta
in una bolla di silenzio, si scorgeva la minuta figura di Audrey.
“Stasera
è pieno di
tante persone zuccherose.”, commentò ancora Bree
sorridendo.
Aveva
gli occhi puntati
verso il cielo ed un’espressione sognante, assente, leggera.
Volava, con le ali
immaginarie che teneva ben saldate sulla schiena. Gli occhi di quel
verde scuro
tanto liquido parevano vagare in altre realtà, in un mondo
di cui Bree era la
padrona.
Margaret
la squadrava
in ogni minimo dettaglio, cercando di carpire quale fosse il segreto di
quella
bellissima ragazza dai capelli rossicci. Il suo viso era disarmante,
quello
strano fiocco dei colori dell’arcobaleno che fermava un
ciuffo sulla nuca le conferiva
un’aria sbarazzina, ma ingenua.
“Audrey,
porta via
questa pazza psicopatica.”, ordinò Millie alla
sorella, indicando con aria di
sufficienza la ragazza che ancora sorrideva.
“Non
prendo ordini,
benché meno da te.”, replicò senza
scomporsi eccessivamente puntando la gemella
con lo sguardo.
“Millie,
balliamo?”,
intervenne prontamente Niall, deciso ad evitare uno scontro aperto tra
le due.
Era risaputo che le gemelle Wood tendessero a rivolgersi la parola solo
per
inveire l’una contro l’altra. Lei
indugiò qualche attimo sulla risposta, poi
regalò un sorriso beffardo ad Audrey ed ancora fissandola
accettò l’invito del
ragazzo.
Liam
non batté ciglio,
si limitò ad osservare la scena dall’esterno.
“Margaret,
Harry!”,
chiamò Millie, rivolgendosi principalmente alla ragazza.
“Venite con noi!”,
esclamò afferrando per un polso Margaret.
In
pochi istanti furono
al centro della pista. Millie fece un mezzo giro, poi iniziò
a muoversi. Subito
Niall le prese la mano e la portò verso l’alto,
con l’altra avvicinò il corpo
della ragazza al suo. Voleva sentirla vicina, anche solo per un ballo.
Avrebbe
dato tutto, avrebbe fatto tutto pur di poterla stringere tra le sue
braccia e
non come amico. Avrebbe scalato montagne, attraversato oceani pur di
poterla
vedere addormentarsi e poi svegliarsi sul suo petto. Con una mano
scivolò sulla
schiena di Millie, premendola contro il suo busto. La musica li
assordava,
riempiva il vuoto dei loro corpi, scorreva nelle loro vene. Niall
poteva
sentire il profumo della pelle della ragazza infrangersi nelle sue
narici, più
forte dell’odore di fumo, sudore, vodka e rum. Gli occhi
scuri di Mille
brillavano, sorrideva mentre sensualmente dimenava le braccia.
Margaret
si limitava a
mosse meno audaci, mentre Harry la faceva volteggiare. Trovava carino
quel
ragazzo tanto bizzarro e silenzioso. Quell’aria impacciata e
quel viso pulito
le apparivano così dannatamente sexy. Scosse il capo,
facendo ondeggiare la
chioma di lunghi capelli ed incrociò gli occhi verdi del suo
cavaliere. Con un
unico passo si voltò, facendo scontrare la sua schiena
contro il petto del
ragazzo dai capelli ricci. Afferrò la sua grande mano e la
portò sulla sua
vita, poi riprese a muoversi insieme a lui, dettando il ritmo. Harry
sorrise,
sorpreso. Non pensava di riuscire ad ottenere un riscontro tanto
positivo da
quella serata. Non era pratico in questioni di ragazze, ma era ansioso
di
saperne di più.
Forse
a Margaret
iniziava già a piacere più del lecito il modo in
cui quei ragazzi si
divertivano.
Liam,
intanto,
continuava a tenere lo sguardo fisso sulla sua ragazza ed il suo amico
che si
dimenavano in sala. Non era geloso di Millie, sapeva di avere sotto
controllo
l’intera situazione. Era certo che nell’esatto
momento in cui le sudice mani di
Niall si fossero insinuate ben oltre dove gli fosse consentito, sarebbe
intervenuto per portar via Millie, lasciando il ragazzo con una
pulsante
erezione insoddisfatta nei pantaloni.
“Non
ti da fastidio?”,
la voce di Audrey interruppe il flusso dei suoi pensieri.
“Cosa?”,
chiese Liam
fingendo di non aver compreso la domanda della ragazza.
Audrey
soffocò una
leggera risata ironica.
“Lo
sai.”, dichiarò
lei, puntellando con le dita sulla sbarra di metallo sulla quale teneva
appoggiati i gomiti.
Liam
non rispose. Si
passò una mano tra i capelli ed inspirò
profondamente.
“A
lui piace giocare
con le persone.”, commentò Bree, seduta poco
dietro di loro su un divanetto.
A
quelle parole il
ragazzo ammiccò al suo indirizzo, sorridendo beffardo.
“Guardate
ed imparate.”,
annunciò incamminandosi in direzione di Millie.
Iniziò
a fissarla già
da lontano, procedendo con passo cauto e mordicchiandosi il labbro
inferiore.
Gli
sguardi di Audrey,
Bree, Niall e Millie erano tutti per lui.
In
poche falcate fu
dietro alla sua ragazza. Poggiò una mano sui suoi fianchi ed
iniziò ad
ondeggiare. Con l’altra spostò i capelli che le
pendevano sul lato destro, per
lasciarle libero il collo e con le labbra si fiondò su di
esso, baciandolo,
mordendolo, leccandolo.
Niall
ancora lo
squadrava indignato, scombussolato, deluso da tale prepotenza. Era
palese
quanto lui tenesse a Millie, ma Liam non aveva avuto scrupoli
nell’infrangere
tanto duramente le sue speranze.
Spinta
dall’esigenza di
approfondire il contatto con Liam, Millie si voltò alla
ricerca delle sue
labbra, lasciando l’amico alle spalle, senza degnarlo neppure
di uno sguardo o
un cenno di scuse.
La
ragazza che Niall
amava era lì, davanti ai suoi occhi, che baciava Liam. Ogni
volta quella
patetica storia si ripeteva. Niall si imponeva che fosse
l’ultima, ma
puntualmente ricadeva in quel circolo vizioso. Non riusciva a
rinunciare a quei
pochi attimi in cui poteva sentire Millie sua, ma poi, come una gelida
secchiata d’acqua, Liam tornava a rivendicare ciò
che di fatto era suo,
spezzandogli il cuore ancora una volta.
Si
chiedeva perché
ancora non riuscisse a darci un taglio netto, perché
continuasse a vivere di
illusioni e false speranze, ma poi nella sua mente balenavano gli occhi
color
nocciola di Millie.
Si
allontanò di fretta
dalla pista, diretto al bancone, con un unico semplice intento: bere
qualcosa.
“Audrey,
voglio ballare
e volteggiare.”, sentenziò Bree scattando come una
molla dal divanetto sul
quale era adagiata.
“Bree,
quanti
tranquillanti hai preso prima di uscire?”, le
domandò costatando le condizioni
poco lucide dell’amica.
Bree
alzò le spalle,
lasciandosi andare in una risata cristallina.
“Non
mi ricordo.”,
ammise iniziando ad ondeggiare con le braccia.
Chiuse
gli occhi e
sorrise. Tutto quel rumore le appariva come lontano, ma allo stesso
tempo più
intenso. Sentiva il pulsare della musica, percepiva
l’incalzante ritmo, le
sarebbe potuta scoppiare la testa per quanto rimbombasse in essa. Tutto
era
così abbagliante, accecante che preferiva affidarsi al buio
della sua mente e
al suo istinto.
Audrey
la guardava con
espressione rapita. Bree era lì, a pochi metri da lei, che
ballava in un angolo
poco affollato, sperimentando quanto quella prigione, quella vita, la
rendesse
libera.
“Ti
va se ci fumiamo
qualcosa?”, una voce piombò alle sue spalle.
Audrey
si voltò
incontrando gli occhi ambrati di Zayn. Nonostante non fossero amici,
Audrey non
fu sorpresa di trovare proprio lui. Era capitato, poche altre volte,
che in
serate come quella si ritrovassero in corridoi deserti, parcheggi
inquietanti o
bagni luridi. Non c’erano parole tra loro, solo quel subdolo
e superficiale
desiderio di sentirsi meno soli.
Zayn
era riservato,
Audrey incurante.
“Ci
sto, ma portiamo
anche lei. Non mi va di lasciarla sola.”,
contrattò lanciando un’occhiata a
Bree che aveva preso a far ruotare la lunga chioma di capelli rossicci.
Zayn
sogghignò a quella
scena.
“Andiamo.”,
concluse.
Uscirono
dalla porta secondaria
situata sul retro del locale e subito una ventata di aria gelida li
colpì.
“Audrey,
lo senti anche
tu il freddo ?”, chiese Bree con gli occhi persi nel cielo
cupo e buio.
Né
Zayn, né Audrey
sorrisero a quella domanda.
“Sì,
se vuoi puoi
tornare dentro a prendere la giacca.”, le concesse.
Bree
scosse il capo.
Aveva ancora le labbra piegate in un sorriso e lo sguardo rivolto verso
l’alto.
“Il
freddo al cuore.”,
sospirò con tono ingenuamente infantile.
Audrey
trattenne il
fiato, lo stesso fece Zayn.
“Si
riscalderà, prima o
poi.”, la rincuorò gettando le spalle contro il
muro, poi fece un tiro dalla
canna che Zayn le aveva appena ceduto.
La
suoneria del
cellulare del ragazzo interruppe il silenzio che era calato tra i tre.
Zayn
lo estrasse
frettolosamente dalla tasca dei pantaloni e rispose.
“Hai
visto Louis?”, la
voce preoccupata e ansimante di Charlie gli assordò
l’orecchio.
“No.”,
rispose secco. “Che
succede?”, chiese poi, immaginando già la risposta
che avrebbe ricevuto di lì a
qualche secondo.
“Mi
sono allontanata un
attimo ed è sparito!”, urlò per cercare
di sovrastare tutto il rumore che la
circondava.
Charlotte
era
palesemente scossa.
“Non
lo trovo, Zayn!”,
gridò agitata. “Non lo trovo da nessuna
parte!”, ripeté in preda ad una crisi
nervosa.
“Aspettami
all’ingresso
principale, lo cercheremo insieme.”, borbottò Zayn
prima di chiudere la
chiamata.
Volse
un veloce sguardo
ad Audrey, che aveva il viso rivolto altrove.
“Devo
andare.”, disse a
mo’di saluto, senza tuttavia ricevere risposta alcuna.
Rientrò
nel locale e a
passo di marcia si diresse nel punto in cui avrebbe dovuto incontrare
Charlie, stando
attento a tutti i volti che incontrava durante il breve tragitto.
“Niall!”,
urlò Zayn,
sbracciandosi per catturare l’attenzione del ragazzo che
barcollava poco
distante da lui.
Zayn
lo afferrò per le
spalle e lo scosse, come per risvegliarlo dallo stato penoso in cui
verteva.
Puzzava
terribilmente
di alcool e probabilmente non sarebbe potuto essere d’aiuto
in alcun modo.
“Dov’è
Louis?”, gli
chiese con tono duro.
Niall
lo guardava senza
capire cosa Zayn volesse da lui. Era ubriaco, troppo ubriaco.
“Louis,
Louis!”, ripeté
il ragazzo, sperando di riuscire a cavar qualcosa da quella testa
bionda. “Dov’è?”,
domandò ancora una volta.
“È
andata via con Liam.”,
balbettò con aria sommessa Niall.
Zayn
non ci mise molto
a capire che in realtà stesse parlando di Millie e non di
Louis. Lo liberò
dalla sua ferrea presa e riprese a camminare in direzione di Charlie,
imprecando per il nervoso.
“Zayn,
finalmente!”,
esultò la ragazza non appena lo vide.
Aveva
la fronte
corrugata e gli occhi spaventati. Era terrorizzata all’idea
che Louis stesse
facendo chissà quale delle sue cazzate.
“Ho
visto Niall, ma non
ha saputo dirmi niente.”, la informò.
“Che ne dici se vado a cercarlo con
Harry?”, propose. “Credo sia meglio che tu vada a
casa, sei troppo scossa.”,
spiegò poi.
Charlie
si buttò sul
petto di Zayn e con una mano afferrò il tessuto della
maglietta che il ragazzo
indossava.
“Non
voglio si metta in
pericolo.”, piagnucolò cercando malamente di
trattenere le lacrime.
“Non
accadrà.”, provò a
rincuorarla Zayn passandole una mano sui capelli con un gesto
impacciato.
Non
era bravo a
consolare le persone, era uno di poche parole lui.
“Andiamo
a cercare
Harry.”, disse prima di trascinarla nuovamente tra la folla.
Poco
dopo Zayn li vide,
Margaret ed Harry erano di spalle, appoggiati al bancone che
scherzavano
allegramente, coadiuvati dall’effetto di qualche cocktail.
Margaret
si stava
divertendo come una delle poche volte nella sua vita. Il suo giudizio
riguardo
al trasferimento era ancora incerto. Da una parte sapeva perfettamente
che la
sua vita di Manchester le sarebbe continuata a mancare, ma forse aveva
trovato
qualcosa di nuovo a Londra. Quelle persone, quei luoghi, quei
comportamenti la
intrigavano, l’avevano già inconsapevolmente
conquistata.
Persino
la compagnia di
Harry le risultava stramente piacevole. Era abituata a frequentare
membri delle
squadre di calcio e rugby della sua vecchia scuola, non dei tipi
anonimi incitati
dai loro amici e se quella sera aveva fatto un’eccezione era
solo perché
effettivamente lei non credeva affatto nei pregiudizi tra i quali aveva
sempre
vissuto. Forse quella sarebbe stata l’occasione giusta per
trascurare le
assurde regole della popolarità delle scuole strapiene di
adolescenti ed andare
oltre le apparenze dettate da una stupida e riduttiva etichetta.
“Harry!”,
una voce
maschile e forte catturò l’attenzione di entrambi,
facendoli voltare nella
direzione presso cui veniva.
Il
viso di Zayn non
lasciava trapelare alcuna emozione, mentre quello di Charlie era
contratto in
una smorfia di angoscia.
“Cosa
succede?”,
domandò il riccio scrutando meglio il volto afflitto della
ragazza.
Charlotte
non riuscì
neppure a rispondere a quella semplice domanda. Nella maggior parte dei
casi al
suo ragazzo non capitava mai nulla di grave, ma la consapevolezza che
lui fosse
solo o chissà con chi e chissà dove, sotto
l’effetto di chissà cosa la
intimoriva. Lo aveva visto inghiottire una pasticca, ma non poteva
avere la
certezza che quella fosse stata l’unica.
“Credo
sia ora di
andare a cercare Louis.”, sentenziò Zayn al suo
posto.
Harry
comprese
all’istante, mentre lo sguardo di Margaret saettava spaesato
da Charlie, a Zayn
e ad Harry, per poi riprendere dall’inizio.
“Potreste
spiegarmi?”,
provò a chiedere allora con cautela.
“Devo
andare, tu rimani
con Charlie.”, disse prontamente Harry, senza perdersi in
spiegazioni. “Ciao.”,
la salutò frettolosamente prima di allontanarsi con Zayn.
Margaret
lo vide sparire
tra la folla, scombussolata da quel repentino cambiamento che aveva
assunto la
sua serata.
Charlotte,
invece,
sembrava avere tutta l’intenzione di rimanere nel suo
mutismo, troppo presa
dalle sue mille preoccupazioni.
“Perché
sono andati a
cercare Louis?”, le chiese Margaret tutto d’un
tratto, bisognosa di fare
chiarezza.
Charlie
si mordicchiò
il labbro. Era raro vederla tanto vulnerabile come in quel momento.
“Ha
preso delle
pasticche, non so dove sia finito.”, confessò con
un filo di voce e lo sguardo
basso.
Senza
aggiungere altro,
Margaret le fece cenno di dirigersi verso i divanetti, così
da potersi sedere e
restare tranquille nell’attesa che sopraggiungessero notizie.
“Lo
fa spesso?”,
domandò ancora.
Probabilmente
quello
non era il genere di conversazione che Charlie avrebbe voluto
sostenere, ma
Margaret voleva provare ad essere d’aiuto e per farlo
necessitava conoscere
qualche dettaglio in più.
“Sì.”,
confermò
Charlotte iniziando a giocare con le dita delle mani, strusciandole
sulle
cosce.
“Perché?”
Quell’unica
parola
spiazzò completamente la bionda dalle ciocche rosa.
Boccheggiò un paio di
volte, riscoprendosi incapace di rispondere a
quell’interrogativo. Aveva
trascorso due anni con Louis senza mai conoscerlo davvero ed era stata
una
sconosciuta a farglielo realizzare per la prima volta. Charlie si
preoccupava
delle conseguenze, di mettere in ordine i casini che Louis procurava in
giro,
come quella volta che si era introdotto furtivamente nella casa
dell’anziana
signora che viveva a pochi isolati da lei. Non si interrogava sul
motivo, non
più. I primi tempi ci aveva provato, ma non aveva ottenuto
alcun risultato
discreto. Così alla fine aveva finito per abituarsi alla
vita stravagante,
impulsiva e immotivata del suo ragazzo.
Margaret
si rese conto
di aver esagerato, con le sue domande curiose ed invadenti.
“Sono
sicura che sta
bene.”, affermò accennando ad un sorriso.
Quando
il cellulare di
Charlotte squillò, dopo un lasso incommensurabile di tempo,
le due ragazze
trattennero il fiato.
Ogni
volta si ripeteva
la stessa stupida agonia.
Non
esitò neppure un
attimo e con un gesto fulmineo Charlie portò il telefono
all’orecchio.
“Come
sta?”, domandò
impaziente di avere sue notizie.
“Ha
un gomito
sbucciato, ma sta alla grande.”, la voce di Harry le giunse
serena, non stava
mentendo.
Charlotte
tirò un
sospiro di sollievo e Margaret le sorrise, avendo intuito perfettamente
la
risposta giunta dall’altro capo.
“Dove
siete adesso?”,
riprese Charlie, continuando l’interrogatorio.
“A
Trafalgar Square.
L’abbiamo trovato sul cornicione della fontana che giocava a
fare
l’equilibrista. È caduto ed ora è
ancora steso al suolo, Zayn sta provando a
rialzarlo.”, spiegò.
“’Fanculo
a lui e le
sue stronzate! Ed io che sto anche a preoccuparmene!”,
sbottò Charlotte
irritata, scaricando tutta la tensione che aveva accumulato.
“Fami un favore
Harry, mandalo a ‘fanculo da parte mia!”,
sbraitò ancora prima di chiudere la
telefonata.
Era
stanca, stremata da
tutto ciò. Louis la stava distruggendo lentamente.
“Chiamo
un taxi, ce ne
andiamo?”, propose Margaret, senza far alcun riferimento alla
sua reazione.
Da
un certo punto di
vista poteva dire di comprenderla.
Charlotte
annuì ed
insieme lasciarono il Sound.
---
Angolo Autrice
Ehi, c'è nessuno??xD Ok, sono un po'... boh, titubante forse.
In realtà questo silenzioso inizio mi ha lasciata perplessa. xD
Insomma, non che pretendessi chissà cosa, ecco, però almeno un commentino anche se negativo,
anche per dirmi cosa cambiare, migliorare... u.u
Comunque, partiamo da tutte le cose che l'altra volta ho dimenticato di dire. xD
Allora, Skins è ambiantato a Bristol, mentre qui siamo a Londra visto che,
invece di Sid (*.*), Tony (*.*) e company (*.*), qui si parla degli One Direction (**.** <3).
Per chi conosce ed ha visto Skins potrà sembrare che ci siano delle somiglianze,
ma vi assicuro che la storia si evolverà in modo completamente diverso. ;)
Tratterò esclusivamente dell'ultimo anno di un gruppo di ragazzi in un f. e. college, non degli ultimi due
come avviene per ogni generazione di Skins, anche perché vorrei dedicare più spazio ad ogni personaggio.
Ed ora parliamo del capitolo. Con questa storia sto superando davvero ogni mio limite,
i capitoli iniziano e non finiscono mai e la cosa comincia a diventare preoccupante. xD
Non so, forse sarebbe meglio dividerli in più parti? Che ne dite?
Ed i personaggi come vi sembrano?
Questa volta è stato il turno di Margaret, il suo mi è sembrato il punto di vista migliore
per dare un'inquadratura generale, visto che siamo appena al secondo capitolo.
Ok, vediamo di fare un po' di ordine. Nel capitolo Niall balla con Millie ed Harry con Margaret.
Ma mentre i primi due vengono divisi dall'arrivo di Liam, Margaret sembra piuttosto interessata al riccio.
E non dimentichiamoci di Louis e Charlotte! Lui che come al solito si sballa e lei che se ne preoccupa,
chiedendo l'aiuto di Zayn al momento impegnato con Audrey e Bree.
Ho dimenticato qualcuno?? Bah, mi pare di no. xD
Nel prossimo capitolo parleremo di... -rullo di tamburi- LOUIS! :D
Ok guys, scappo a rivedere tutti gli Stydia moments prima dell'episodio di lunedì!*.*
Che ne dite di lasciare un veloce piccolo commentuccio???????
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 3 *** Louis ***
s3
LOUIS
“Louis, Louis!”, la
voce di Zayn riecheggiava nella stanza. “Louis,
cazzo!”, imprecò alzando il
tono di voce. “Svegliati!”, gli ordinò
tirando con un unico e secco gesto le
coperte tra le quali il corpo dell’amico era avvolto.
Le
tapparelle delle
grandi finestre della camera di Zayn erano quasi del tutto abbassate,
lasciavano entrare solo qualche fioco raggio di luce. La testa di Louis
pulsava
maledettamente ed anche quel lieve bagliore sembrava irritare gli occhi
ancora
socchiusi. Faceva fatica persino a spalancare le palpebre e, in questo,
le
conseguenze degli eccessi della sera precedente non lo avrebbero
aiutato
affatto.
Avrebbe
voluto continuare
a poltrire su quel materasso, fregandosene della scuola, fregandosene
della
madre che probabilmente lo aspettava preoccupata a casa.
“Voglio
dormire.”, si
lamentò in un mugolio contro il cuscino che sapeva di fresco.
“Potevi
pensarci prima,
ora è tardi.”, tagliò corto Zayn
avvicinandosi alle finestre per aprirle del
tutto.
“Spegni
quella cazzo di
luce.”, bofonchiò a denti stretti, rigirandosi su
se stesso.
“Si
chiama sole, è
quella sfera che sorge all’alba. Ne hai mai sentito
parlare?”, lo prese in giro
Zayn, mentre si avvicinava al grande e capiente armadio della sua
camera per
estrarne degli indumenti puliti che avrebbe poi prestato al suo amico.
“Che
ore sono?”, chiese
Louis in uno sbadiglio che non si preoccupò di coprire.
“Le
sette e mezzo.”,
gli comunicò l’altro afferrando lo zaino nero dal
pavimento.
“Cos’è
successo ieri
sera?”, domandò ancora il castano, probabilmente
realizzando di non trovarsi a
casa sua.
“Siamo
andati in
discoteca, sei sparito. Io ed Harry ti abbiamo cercato, eri a Trafalgar
Square.
Charlie ti ha mandato a ‘fanculo. Ho chiamato tua madre,
l’ho rassicurata e ti
ho portato a casa mia. Fine della storia.”,
raccontò Zayn quasi come se stesse
facendo un dettato, essenziale e chiaro almeno quanto un comunicato
stampa.
Il
suo resoconto era
breve e conciso, nessun fronzolo.
“Ho
ancora la memoria
annebbiata.”, confessò con rammarico grattandosi
la nuca.
“Avrai
tempo per
rifletterci, per ora pensa a prepararti.”, replicò
duro, gettandogli i vestiti
che aveva precedentemente scelto per lui.
Louis
aveva decisamente
bisogno di una doccia fredda, ghiacciata. Seppur controvoglia si
alzò dal letto
e si diresse in bagno, deciso a rendersi quantomeno presentabile.
Nonostante
fosse stato
piuttosto veloce nel sistemarsi, Louis e Zayn arrivarono con un
discreto
ritardo a scuola. Gli studenti erano già tutti entrati e le
lezioni erano
cominciate da circa una quindicina di minuti quando oltrepassarono la
porta
d’ingresso principale del Kensington & Chelsea
College.
Louis
non era affatto
preoccupato di ciò, piuttosto temeva l’imminente
incontro con Charlotte.
Avevano già litigato decine e decine di volte per quello
stesso ed identico
motivo, ma quella mattina c’era qualcosa di strano
dell’aria. Charlie non
l’aveva chiamato di buon ora, facendolo sobbalzare per lo
spavento, solo per
assicurarsi delle sue condizioni fisiche. In alcune occasioni non si
erano
parlati per giorni a causa della stronzata di turno commessa da Louis
in un
momento di particolare euforia, altre erano finiti per fare sesso nel
primo
luogo appartato. Controllò la scheda contenente gli orari
dei corsi,
rallegrandosi nel verificare che non l’avrebbe incontrata
prima della pausa.
Aveva
bisogno di tempo
per trovare le giuste parole, per preparare un discorso decente intriso
d’amore
per la sua ragazza.
Louis
amava con tutto
il cuore Charlie, l’amava talmente tanto che ne sarebbe morto
d’amore. Tuttavia
era perfettamente consapevole del fatto che lei non meritasse una vita
del genere,
ricolma di strazio e angosce.
Una
volta Charlotte le
aveva descritto la loro relazione: era come andare sulle montagne
russe. Non
c’erano previsioni che tenessero. Un attimo prima era la cosa
più bella e
divertente del mondo, mentre quello successivo diventava terrorizzante.
C’era
sempre una discesa improvvisa pronta a lasciarla con il fiato sospeso,
il cuore
in gola per la paura e lo stomaco aggrovigliato. E subito dopo
c’era un sorriso,
quel sorriso che seguiva ogni piccola grande emozione che nasceva
quando il
panico l’abbandonava. Ma quel momento,
quell’apparente tranquillità era
destinata ad infrangersi nuovamente. Era un pendolo, il loro. Un
pendolo che oscillava
tra il riso e la tensione.
Louis
si chiedeva
ancora come Charlie riuscisse a sostenere una situazione del genere con
tanta
maestria. Probabilmente qualsiasi altra ragazza lo avrebbe mollato,
lasciato
solo ad affrontare la sua fottuta ed incasinata vita, ma lei no.
Charlotte era
rimasta. Non aveva chiesto nulla in cambio, ma si era offerta, gli
aveva
offerto il suo amore, il dono più grande che potesse fargli.
Al
suonare della quarta
campanella Louis sobbalzò, consapevole che fosse giunto il
momento. Si alzò
senza neppure salutare Harry, che lo aveva affiancato durante il corso
di
francese, e si diresse verso i giardinetti dove erano soliti
incontrarsi.
Charlotte
era già lì ad
attenderlo. Indossava una semplice maglietta bianca, dei jeans chiari
ed uno
strano giacchetto grigio. Era seduta sul muretto che costeggiava il
prato.
Aveva le gambe accavallate ed il viso rivolto verso il basso. Con una
mano
giocherellava con l’estremità rosa di una ciocca
dei suoi capelli. Era
bellissima.
“Ciao.”,
esordì Louis
con un sorriso, mentre prendeva posto accanto a lei.
Sapeva
perfettamente
che una delle parole d’ordine con Charlie era la cautela. La
sua ragazza era
come un ordigno, una piccola, ma potente bomba che doveva essere
maneggiata con
cura per non farla esplodere.
Charlotte
non rispose,
ma si pietrificò all’istante nel percepire la
presenza di Louis alla sua
sinistra. Non aveva affatto dormito quella notte, mille pensieri le
avevano
affollato la mente, mille pensieri che non era riuscita a zittire e che
l’avevano resa insonne.
“So
che ieri sera io…”,
iniziò a dire lui, ma fu bloccato dallo sguardo gelido della
ragazza.
“Sono
stanca delle tue
scuse.”, sentenziò a labbra serrate, compiendo un
palese sforzo per rimanere
tranquilla e stemperare la rabbia furente che cresceva dentro di lei.
“Hai
ragione, io…”,
provò nuovamente Louis dopo qualche secondo di assoluto
silenzio.
“Sono
stanca anche
delle tue promesse.”, aggiunse senza permettergli di
continuare.
Il
battito del cuore di
Louis rimbombava nel petto del ragazzo. Sapeva che prima o poi quel
momento
sarebbe giunto.
“Mi
stai distruggendo,
Lou. Il tuo amore, il mio amore mi sta annientando.”, ammise
con un filo di
voce, spaventata dalle sue stesse parole.
Le
continue attese, le
pene, la mancanza di spiegazioni le stavano divorando
l’anima, la rendevano
debole e vulnerabile.
“Quando
ci siamo messi
insieme pensavo di aver trovato un ragazzo, non un bambino da
controllare a
vista d’occhio.”, spiegò.
Quelle
parole,
maledettamente vere, facevano male ad entrambi.
“Credo
di non essere
pronta per tutto questo, credo di non poter reggere ulteriormente
questa
situazione.”, aggiunse provando a guardare di sottecchi Louis.
Voleva
leggere sul suo
viso una reazione, voleva capire cosa stesse pensando, ma tutto
ciò che vide fu
un sorriso sbieco e rassegnato.
“Mi
stai lasciando?”,
chiese allora per fare chiarezza su quel breve discorso.
Charlie
non rispose.
Louis
si chiese se era
quella la sensazione che si provava quando si moriva. Quella sensazione
di
vuoto, di insensibilità, di buio che lo attanagliava.
“’Fanculo.”,
sbottò
poi, all’improvviso.
Si
alzò di scatto e
corse, corse. Non gli importava dove, non gli interessava della scuola
o delle
assenze. L’unica persona che lo avesse mai amato,
l’aveva appena piantato.
Louis
non ricordava
neppure più com’era essere soli al mondo. Ci aveva
impiegato una vita per
scacciar via quella sensazione ed ora avrebbe voluto non averlo mai
fatto. Sentiva
la mancanza, sentiva il dolore, sentiva il cuore frantumarsi e tutto
ciò faceva
male.
Non
ricordava neppure
più cosa significasse perdere qualcuno, non sapeva come si
piangesse. Lui aveva
combattuto arduamente per diventare quel ragazzo giocherellone, il
cazzone,
quello pronto a far battute, a ridere e scherzare, che non sapeva cosa
fosse la
tristezza.
Ma
in realtà Louis la
conosceva bene. L’aveva incontrata per la prima volta una
domenica mattina di
molti anni fa, quando si era recato nella stanza dei suoi genitori, si
era
tuffato sul materasso del letto matrimoniale ed aveva trovato solo sua
madre
che piangeva, cercando di soffocare i singhiozzi nel cuscino.
Suo
padre li aveva
abbandonati, era fuggito via con un’altra. L’ultima
volta che Louis aveva
veramente sentito qualcosa di forte era stato quando suo padre era
tornato, ma
con lui c’erano la sua nuova compagna e la loro piccola ed
adorabile
figlioletta. La visione di quel quadretto idilliaco lo aveva
perseguitato per
mesi. Continuava a domandarsi perché fosse andato via,
perché preferisse quella
nanerottola appena nata a lui, l’unico figlio maschio al
quale aveva persino
insegnato ad andare in bici e a giocare a calcio. Dopo quella volta non
lo
aveva mai più visto e, forse, in parte si era anche
rassegnato all’idea.
Non
sapeva neppure come
ci fosse entrato in quel dannato giro che Charlie odiava tanto. Non
riusciva a capacitarsi
di come la sua vita fosse gradualmente degenerata, fino a raggiungere i
limiti
della decenza. L’unico punto saldo, fisso nella sua
scombussolata ed altalenante
vita era stato Zayn. Certo, fino a pochi attimi prima avrebbe dovuto
aggiungere
anche Charlotte, ma se ne era appena tirata fuori. Zayn era stato un
amico
fidato per lui. Lo aveva difeso, aiutato, si era preoccupato per lui e
continuava a farlo, esattamente come durante la notte precedente. Non
era un
ragazzo di molte parole, i loro caratteri erano diametralmente opposti,
ma per
qualche strana ragione riuscivano a comprendersi sempre.
Louis
corse e corse
ancora, ormai aveva il fiato corto, ma continuava a muovere un passo
dopo
l’altro.
“’Fanculo!”,
urlò al
cielo. “’Fanculo!”, ripeté
più convinto di prima, beccandosi l’occhiataccia
della signora che passeggiava con in braccio una bambina.
“Vaffanculo.”,
sussurrò
liberandosi, anche se in minima parte, dell’opprimente peso
che incombeva su di
lui.
Charlotte
si sentiva
profondamente in colpa per le parole dette a Louis. Sapeva quanto
fragile fosse
e sapeva quanto egoista fosse stato il suo comportamento, ma se ne
vedeva
costretta.
Magari
avrebbe potuto
continuare a vegliare a distanza su di lui, poi a tempo debito si
sarebbero
riavvicinati da amici.
“Hai
chiarito con
Louis?”, le chiese Margaret in un sussurro, ignorando
completamente la
spiegazione del professoressa del corso di storia.
Tra
le due si era
subito instaurata un’innata e sincera complicità
che le aveva spinte ad
avvicinarsi l’una all’altra.
“Ci
siamo lasciati.”,
ammise Charlie, giocherellando con la matita.
Ogni
qualvolta fosse
nervosa Charlie prendeva a concentrare l’attenzione sugli
intrecci frenetici
delle sue dita, sulle punte dei suoi capelli o sulle matite che trovava
a
portata di mano.
Quella
notizia sorprese
Margaret. Per quanto poco conoscesse quella storia ed i suoi
protagonisti, di
certo non si sarebbe aspetta un finale del genere, ma comprendeva
perfettamente
le ragioni di Charlotte.
“Lui
come l’ha presa?”,
domandò con un filo di voce, stando attenta a non farsi
sentire da nessuno
eccetto Charlie.
“È
corso via.”, rispose
con rammarico l’altra, prendendo a scarabocchiare sul foglio
ancora bianco del
quaderno a righe che teneva aperto sul banco.
“Dagli
tempo, capirà.”,
la rassicurò Margaret, accennando appena ad un sorriso di
supporto.
Harry
continuava a
sbirciare dall’esterno la figura di Margaret, seduta in terza
fila, vicino alla
finestra.
Era
uscito di proposito
dalla sua aula per vederla. Certo, Liam aveva giocato un ruolo
piuttosto
importante in quella decisone, ma alla fine era lui che aveva optato
per
recarsi realmente presso la meta stabilita. Avrebbe potuto fingere,
rintanandosi semplicemente nel bagno, ma per quella volta
pensò che sarebbe
stato meglio rischiare ed essere sconfitti, piuttosto che sventolar
bandiera
bianca ancor prima di averci provato.
Aspettava
il momento
perfetto, quello in cui i loro sguardi si sarebbero incontrati. Lui le
avrebbe
fatto cenno con la mano di uscire dalla classe, lei lo avrebbe
raggiunto e si
sarebbero dati appuntamento per la sera stessa.
Nella
mente di Harry
tutto si ripeteva come le scene di un film, progettate e non ancora
girate.
Gli
piaceva Margaret,
ma, soprattutto, gli piaceva l’idea che a lei piacesse lui.
“Hai
intenzione di
fissarla ancora per molto prima di rivolgerle la parola?”, la
voce fredda di
Audrey fece trasalire Harry, che quasi perse l’equilibrio sul
muretto sul quale
era salito per avere una visuale migliore.
“Potresti
evitare di
spuntare alle spalle? Mi hai quasi fatto prendere un
infarto.”, si lamentò,
consapevole di essere stato colto in flagrante.
Audrey
fece spallucce e
si avvicinò al muro dell’edificio.
“Eri
troppo intento ad
osservare la tua bella per accorgerti dell’arrivo di
chiunque.”, gli fece
notare con tono che non ammetteva repliche.
Con
un balzo Harry
scese dal muretto, poi si passò una mano tra i capelli con
fare nervoso.
“Perché
non sei in
classe?”, le chiese arricciando gli occhi.
“Pausa
sigaretta.”,
rispose tirandone fuori una dal pacchetto che teneva nella tasca del
giubbino
che indossava.
Audrey
la accese e ne
ispirò il tabacco in un primo profondo tiro.
“Vuoi?”,
disse poi, per
offrirne una anche al ragazzo.
“No,
grazie.”, rifiutò
Harry, ancora preoccupato.
Non
conosceva bene
Audrey e non sapeva quanto e cosa avrebbe potuto raccontare di
ciò che aveva
appena visto. Aveva già fatto troppe volte la figura
dell’idiota e non voleva
dover aggiornare l’elenco.
“Ti
piace Margaret?”,
domandò Audrey, spezzando il silenzio che si era creato.
Aveva
il vizio di
giungere subito al succo della questione, alla sostanza delle cose.
Harry
deglutì, incerto
sulla risposta che avrebbe dovuto dare.
“Credo
di sì.”, ammise
infine.
Audrey
fece un mezzo
sorriso, insoddisfatta, mentre portava nuovamente la sigaretta alle
labbra.
“Piace
a te o è Liam
che l’ha deciso?”, lo provocò ancora con
un ghigno.
Quello
era un altro dei
tanti difetti di Audrey: dire esattamente ciò che pensava
nell’esatto momento
in cui quel pensiero veniva concepito. Era una discreta osservatrice,
ma
conosceva fin troppo bene il ragazzo di sua sorella.
Quelle
parole fecero
riflettere Harry. Era da tempo che ci pensava, che rimuginava su quanto
ed in
quale misura Liam influisse sulle sue decisioni. Margaret era una bella
ragazza, ma non era stato lui a notarla. Le era piaciuto ballare con
lei, ma
non era stato lui ad invitarla ed ora si ritrovava a pochi metri dalla
finestra
che dava sulla sua aula in attesa che potesse parlare, esattamente come
Liam
gli aveva suggerito.
“A
me piace.”, borbottò
senza rispondere in modo esaustivo.
L’espressione
di Audrey
si piegò in una strana smorfia che Harry non
riuscì a decifrare.
Continuò
a fumare la
sua sigaretta senza aggiungere altro, rimanendo in silenzio, con lo
sguardo
perso nel poco verde che li circondava.
Quando
l’ebbe terminata
gettò la cicca a terra, poi puntò i suoi occhi
scuri in quelli chiari di Harry.
“Lascia
perdere i suoi
consigli. La vita è la tua, fai le tue scelte, commetti i
tuoi errori, almeno
sarai stato tu a volerli.”, disse abbandonando per la prima
volta quei suoi
modi scontrosi.
Gli
sorrise appena, poi
si voltò decisa a rientrare in classe.
Harry
ancora la
guardava mentre camminava verso la porta del corridoio
dell’ala sinistra.
“Audrey,
finalmente ti
ho trovata!”, trillò entusiasta Bree, parandosi
davanti alla vista dell’amica.
Il
suo umore cambiò
repentinamente, trasformandosi da gioioso a riflessivo in pochi
secondi.
Gli
occhi di Bree erano
più sgranati del solito e le pupille saettavano da destra a
sinistra, dall’alto
al basso.
“Credo
che il
professore si stia chiedendo dove siamo.”,
dichiarò con espressione assente,
come se lei fosse fisicamente lì, ma la sua mente fosse
completamente altrove.
“Torniamo
in classe, ti
va?”, propose allora Audrey, afferrandola per un braccio.
Le
labbra di Bree si
piegarono in un sorriso. Ultimamente era più lunatica del
solito e ciò
preoccupava non poco Audrey.
“Certo.”,
asserì
l’altra. “Ma perché parlavi con
Harry?”, chiese alla sua migliore amica, avendo
notato la presenza del riccio poco più in là.
Audrey
si sorprese di
quanto assente, ma allo stesso tempo presente Bree riuscisse ad essere.
Quella
risposta risultò
più complicata del previsto. In realtà non
esisteva alcun buon motivo che
spiegasse il perché di quella breve conversazione. Audrey lo
aveva visto, con la
sua solita aria impacciata e aveva pensato di avvicinarsi. Il resto era
poi
venuto da sé.
“L’ho
incontrato per
caso.”, si giustificò facendo spallucce.
Rientrarono
nell’edificio, poi si accinsero a salire la prima rampa di
scale che portava all’aula
del corso di psicologia.
“Oggi
pomeriggio ci
vediamo?”, domandò Audrey alla sua amica per
cambiare intenzionalmente
discorso.
Bree
storse il labbro,
facendo presagire una risposta negativa.
“Devo
vedermi con il
mio analista. Mia madre questo mese ha intensificato le sedute. Dice
che con la
ripresa della scuola si accumula più stress.”,
spiegò. “Magari domani, che ne
dici?”, provò a rimediare poco dopo, sorridendole.
“Ci
sto.”, confermò
Audrey con lo stesso entusiasmo di Bree.
Non
voleva farle pesare
in alcun modo quella assurda terapia a cui la madre la costringeva
ormai quasi
da anni.
“Carino
Zayn ieri sera,
però.”, commentò Bree d’un
tratto, prima di spalancare la porta della loro
aula.
Rientrarono
e, non
ascoltando neppure la ramanzina che il docente aveva riservato loro,
ripresero
posto all’ultima fila di banchi.
“Carino,
certo, ma troppo
criptico per capire anche solo fino a che punto è
incasinato.”, controbatté
Audrey in un sussurro quando l’attenzione si
focalizzò nuovamente sulla
spiegazione tenuta dal professore.
“E
quale sarebbe la
novità?”, ironizzò allora Bree.
“Qui siamo tutti fottutamente incasinati.”,
dichiarò quasi in un sospiro, come se quella fosse la cosa
più ovvia del mondo,
ma allo stesso tempo la più difficile da comprendere.
Ma aveva ragione. Bree
aveva
decisamente ragione.
---
Angolo Autrice
Hola!:D ...terzo capitolo postato e questa volta si parla di Louis!:D
Finalmente si è capito qualcosa in più rigurado alla sua
personalità.
Innanzitutto c'è da dire che Zayn, tralasciando l'aspetto
scontroso, si è dimostrato un buon amico e lo sarà anche
in futuro. ;)
Charlie ha messo fine alla sua relazione con Louis, mentre Harry sembra sempre più impacciato!:3
Ed Audrey non perde occasione per cercare di farlo riflettere, ma poi c'è l'arrivo di una lunatica Bree.
Va bene, non credo di avere molto da dire... xD
Comunque, ringrazio chi silenziosamente legge e boh... se vi va lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate!!
Anche le critiche costruttive sono ben accette!:D
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 4 *** Millicent ***
s4
MILLICENT
Millie
sorrise alla sua
immagine riflessa dallo specchio del bagno privato della sua stanza,
mentre con
i polpastrelli continuava a spalmare delicatamente della crema
idratante sulla
pelle chiara del suo viso. Le piaceva prendersi cura del suo corpo,
valorizzare
i suoi punti di forza e camuffare le piccole imperfezioni.
Quando
ebbe terminato
tornò nella sua stanza, intenta a trascorre lì il
tempo necessario affinché il
prodotto che aveva appena utilizzato si assorbisse. La sua camera era
in
perfetto ordine, ogni cosa era al suo posto, persino i quattro cuscini
dai
colori sgargianti adagiati sulle coperte. La stanza era grande, troppo
per
essere destinata ad una sola ragazza diciassettenne. Su una parete era
sistemato il letto, su un’altra si trovavano
un’ampia scrivania, una piccola
libreria e un enorme specchio. In un angolo c’era una
poltrona, affiancata
dalle due ante della cabina armadio. Sul comodino Millie aveva posto
una
cornice, la cui foto la ritraeva in compagnia di suo fratello. Ridevano
entrambi, abbracciandosi ed i loro sguardi erano complici. A Millie
avevano
sempre fatto sorridere quelle espressioni buffe. Risaliva a circa tre
anni fa,
l’ultima vacanza estiva che avevano trascorso insieme.
Ricordava ancora troppo
vividamente il viaggio in Messico, le escursioni, i bagni notturni, i
primi
drink, suo fratello, sua madre. La sua vita allora era del tutto
differente.
Adorava sua madre, per esempio. Andavano continuamente a fare compere
insieme,
frequentavano il club sportivo solo per poter indossare qualche
completino da
tennis che avevano comprato in una delle tante sedute di shopping. Una
volta
avevano persino voluto provare il corso di equitazione, ma alla fine
avevano
preferito optare per rilassarsi in una delle saune o delle vasche
idromassaggio
fornite dalla struttura. Millie aveva lo stesso fisico di sua madre,
gli stessi
lineamenti, lo stesso colore dei capelli. All’inizio aveva
pensato di rasarli,
per evitare che ogni qualvolta si guardasse allo specchio il suo viso
fosse
sostituito da quello della donna, ma non aveva mai avuto il coraggio di
farlo
davvero. Del resto quei capelli, quegli occhi erano tutto
ciò che le rimaneva
di lei, tutto ciò che le permetteva di ricordarla. Era morta
e nessuno
gliel’avrebbe ridata. Ma il destino era stato doppiamente
crudele con lei,
decidendo di portarle via anche il suo adorato fratello maggiore,
Duncan.
Avevano un rapporto speciale, erano affiatati, solidali. Era Millie che
lo
copriva quando faceva ritardo e la mamma si preoccupava, o quando era
in
punizione e doveva uscire con qualche ragazza.
Le
cose, ora, erano
decisamente cambiate. Suo padre neppure le chiedeva come fosse andata
la
giornata, figuriamoci quindi interessarsi dei suoi programmi.
Duncan
era andato a
prendere sua madre a lavoro quella sera. Lei aveva fatto
particolarmente tardi
a causa di una pratica che doveva inderogabilmente ultimare,
così aveva
chiamato a casa, avvisando che avrebbe preso un taxi il prima
possibile, ma
Duncan si era offerto di passare in ufficio. Stavano tornando,
ascoltavano
musica, canticchiando il ritornello di una delle canzoni passate alla
radio.
Erano felici, quando un camion li travolse, trascinandoli fuori strada.
Nell’impatto la donna perse la vita. Duncan, invece,
combatté contro la morte
per poco meno di un mese. Millie andava a trovarlo in ospedale ogni
giorno dopo
la scuola, così assiduamente che persino le infermiere
avevano imparato il suo
nome. Quando un girono suo padre la venne a prendere due ore prima
della fine
delle lezioni capì che era successo qualcosa. Non
osò chiedere, aspettò
impaziente che qualcuno le fornisse ulteriori informazioni.
Ricordava
ancora la
domanda appena sussurrata di Audrey, appena due piccole parole, le
lacrime di
suo padre, la porta della stanza dove fino al giorno prima
c’era suo fratello
ora chiusa.
“Ciao
dolcezza!”, la
salutò Liam cogliendola di soprassalto nella sua stanza,
tanto da far sobbalzare
Millie dallo spavento.
La
raggiunse e la
baciò, cingendole la vita con le mani.
“Credo
che tua sorella
mi detesti.”, commentò poco dopo, lasciandosi
cadere sul letto della sua
ragazza.
Millie
fece una
smorfia, poi piegò le labbra in uno strano ed
incomprensibile sorriso.
“Audrey
detesta
praticamente tutti.”, spiegò stendendosi accanto
al suo ragazzo.
Poggiò
la testa sul suo
petto ed adagiò una mano sul suo stomaco, mentre Liam le
circondava le spalle
con un braccio.
“Tutte
le volte è
sempre la stessa storia: sbraita come una dannata prima di farmi
salire.”, si
lamentò sogghignando.
“Non
darle peso, è solo
una frustrata sfigata.”, sminuì Millie, per poi
cercare con le sue labbra quelle
del ragazzo.
Le
fece combaciare ed
approfondì il bacio. Puntò il gomito sul
materasso per poter sorreggere il suo
busto ed avvicinò il suo corpo a quello di Liam. Il castano
spostò uno dei
cuscini sul quale era sdraiato per sistemarsi meglio, poi fece
pressione sul
bacino di Millie, così da poterlo sentire più
vicino. Ed in un attimo lei fu a
cavalcioni su di lui, con il viso calato all’altezza del
collo del ragazzo e le
labbra che tracciavano gentilmente i lineamenti del suo volto,
lasciando leggeri
baci sulla pelle.
Liam
sapeva che avrebbe
potuto farla sua in qualsiasi momento senza ricevere neanche una minima
obbiezione. Non era superiorità o arroganza, ma una semplice
ed ovvia
constatazione. Del resto probabilmente anche Millie avrebbe detto la
stessa
cosa di lui. Non parlavano molto per essere una coppia. In
realtà loro
chiacchieravano, quasi come fossero appena due conoscenti. A Liam non
interessavano veramente i problemi di Millie, nonostante fosse certo
che quella
ragazza fosse tormentata da qualcosa. Si era convinto che tutto
derivasse dalla
morte della madre e del fratello maggiore, ma non aveva mai provato ad
andare
oltre, a chiedere qualcosa su quell’argomento. Per Millie,
invece, Liam era il
ragazzo perfetto. Era popolare, bello, piaceva alla gente, scopava
divinamente
e, soprattutto, non faceva domande.
Non
voleva una storia
seria, la loro di certo non lo era. Quella tra Liam e Millie non poteva
affatto
considerarsi una di quelle relazioni in cui ci si augura di trascorrere
insieme
il resto della vita, di fare progetti, di metter su famiglia. A loro
bastava la
certezza di avere qualcuno con cui poter uscire, farsi vedere e con cui
condividere le lenzuola, nulla di più.
Millie
fece scivolare
le mani su tutto il petto di Liam, per poi salire all’altezza
delle spalle.
Infilò le dita sotto il tessuto morbido del cardigan che
indossava e lo fece
scendere lungo le braccia del ragazzo, fino a sbarazzarsene del tutto.
Sorrise
maliziosamente
a Liam, mordicchiandosi il labbro per comunicargli le sue intenzioni.
Lui
ricambiò il sorriso, ammiccando.
Portò
le grandi mani
sulle cosce della ragazza, insinuandole sotto il corto pantaloncino
rosa che
portava e riprese a baciarla, mentre lei cercava di giungere
all’orlo della
maglietta di cotone del ragazzo.
La
suoneria del
cellulare di Millie distrasse entrambi, anche se solo per un minuto. La
ignorarono e Liam ne approfittò per afferrare i lembi del
top di seta di Millie
e toglierlo. Sorrise soddisfatto nel constatare che non portasse il
reggiseno.
Con le labbra le sfiorò il petto, lasciandole umidi baci su
quella parte di
pelle tanto sensibile. Finalmente Millie si decise a sfilargli la
maglietta,
poi prese ad armeggiare con la chiusura dei pantaloni del ragazzo.
Ancora
una volta il
telefono della ragazza squillò, facendola sbuffare. Si
fermò per un attimo,
incrociando i suoi occhi con quelli cioccolato di Liam.
Non
voleva ulteriori
interruzioni, quindi si decise a sporgersi sul comodino per afferrare
il
cellulare e spegnerlo, ma quando sullo schermo lesse il nome di Niall
esitò.
“Chi
è?”, chiese Liam
avendo notato la sua reazione.
“Niall.”,
borbottò
Millie, scuotendo in una mano il telefono.
Liam
sogghignò, risollevandosi
in parte dal materasso fino a poggiare la schiena contro la spalliera
dell’ampio letto.
“Non
rispondi?”,
domandò con un’espressione criptica disegnata sul
volto.
Millie
corrucciò la
fronte, sorpresa da simili parole. Avrebbe di certo preferito un invito
a
tornare immediatamente tra le braccia del ragazzo, non
un’esortazione di cui
non conoscesse lo scopo.
“Non
ti darebbe
fastidio?”, il suo tono di voce era serio ora.
“No.”,
rispose l’altro
sorridendo beffardo.
Millie
avrebbe voluto
dargli uno schiaffo in quel momento, ma si limitò a
fissarlo. Non riusciva a
comprendere le intenzioni di Liam, se stesse scherzando, se fosse
sincero, se
si trattasse di un test del cazzo.
“Ah.”,
disse. “Non sei
geloso?”, provò ancora, sperando in una risposta
affermativa.
Voleva
soltanto che
Liam le ribadisse quanto lei fosse importante. Avrebbe accettato anche
una
bugia, in fondo Millie non chiedeva molto.
“No.”,
ripeté ancora
Liam.
“Perché
è Niall o
perché…?”, riprese Millie.
Voleva
che continuasse,
che spiegasse, o forse inconsciamente voleva solo che si rendesse conto
delle
parole appena pronunciate e di ciò che esse implicassero.
Ma
Liam non era una
persona impulsiva, sapeva perfettamente ciò che diceva.
“Perché
essere gelosi
vuol dire essere vulnerabili, deboli e a me non interessa.”,
la interruppe.
Millie
non era
innamorata di Liam, non nella misura nella quale sentisse le farfalle
nello
stomaco e le ginocchia vacillare, non lo era mai stata di nessuno, ma
sentirsi
dire una cosa del genere le fece comunque male.
Annuì,
forzando un
sorriso. Senza pensare ulteriormente, prese il top che era caduto sul
parquet
della sua stanza e se lo infilò, poi ancora con il cellulare
in mano si alzò
dal letto.
“Chiudi
la porta della
mia stanza quando esci.”, lo ammonì con sguardo
duro, prima di scendere al
piano inferiore per richiamare Niall.
Si
sedette sul grande e
comodo divano bianco in pelle della sala, con lo sguardo fisso sul
pianoforte
nero e luccicante che non veniva suonato da troppo. Era Audrey
l’unica della
famiglia in grado di riprodurre una qualsiasi melodia,
l’unica a saper posare
le dita sui tasti di quello strumento.
Si
accoccolò meglio,
portando le ginocchia all’altezza del petto. Non avrebbe mai
voluto farsi
vedere in quelle condizioni da nessuno. Millie era forte, decisa,
altezzosa e
superba, esattamente come la gente la giudicava. Cercare di apparire
costantemente inattaccabile l’aveva indotta a credere che in
realtà lei lo
fosse davvero, ma era in momenti come quello, quando Millie rimaneva da
sola
con la sua coscienza, che si riscopriva estremamente fragile.
Scrollò la testa,
poi si decise ad effettuare quella telefonata.
“Millie,
finalmente!”,
esultò Niall dopo appena uno squillo. “Stiamo
andando al Bluebird, quel locale
a King’s Rd, vieni?”, la invitò.
Ci
rifletté per qualche
secondo. Aveva proprio bisogno di uscire, di svagarsi, di distrarsi, di
non
pensare, ma non aveva alcuna voglia di rivedere Liam ancora sdraiato
sul letto
della sua camera. Un sorriso di sollievo prese largo sulle sue labbra
quando
sentì il rumore della porta d’ingresso sbattere.
Sicuramente Liam era appena
andato via.
“Mi
vesto e vi
raggiungo.”, accettò mentre già si
dirigeva al piano superiore.
“Non
metterci
un’eternità.”, la incitò il
ragazzo dall’altro capo del telefono.
“Mi
sbrigherò in
fretta, promesso.”, concluse, terminando la chiamata.
“Allora?”,
chiese Harry
all’indirizzo dell’amico biondo con il quale stava
passeggiando per le trafficate
strade del quartiere di Chelsea.
“Verrà.”,
trillò
allegramente sorridendo all’amico.
“Potresti
almeno
mascherare tutto quell’entusiasmo? Il suo ragazzo
è il mio migliore amico!”,
gli ricordò Harry.
“Rilassati
amico!”,
sbottò Niall. “Millie non ha occhi che per Liam,
purtroppo.”, bofonchiò
arricciando il viso in una smorfia.
“Piuttosto,
hai
invitato Margaret?”, gli domandò poi, imboccando
Beaufort St.
“Sì,
certo. Ha detto
che sarebbe venuta con Charlotte.”, confermò il
riccio.
Niall
sgranò gli occhi,
arrestandosi all’istante.
“Cosa?”,
il suo tono alterato
non faceva presagire nulla di buono.
Harry
fece spallucce,
non riuscendo a capire il perché di quella reazione.
“Non
pensavo ti stesse
antipatica. Ho solo pensato che aveva bisogno di uscire di
casa.”, si
giustificò riprendendo a camminare lungo il marciapiede.
“Certo
che mi sta
simpatica.”, controbatté il biondo. “Il
punto è che io ho invitato Zayn e Zayn
ha chiamato Louis.”, confessò saggiando bene le
parole.
“Cosa?”,
questa volta
fu Harry a chiedere spiegazioni.
“Cazzo.”,
imprecò
Niall. “Spero solo che Louis non
l’aggredisca.”, borbottò poi, prima di
svoltare l’angolo.
“Charlie
saprebbe
comunque difendersi.”, sottolineò Harry,
ricordando l’indole fiera e dura della
ragazza.
Pochi
minuti dopo
giunsero alla meta.
Margaret
e Charlotte
erano già sedute ad uno dei pochi tavoli lasciati
all’esterno del locale,
intente a chiacchierare animatamente.
“Salve
ragazze!”, le
salutò Niall, prendendo posto accanto a Charlotte, subito
imitato da Harry che,
invece, preferì sedersi alla destra di Margaret.
“Avete
già ordinato?”,
chiese poi per rompere il ghiaccio.
Margaret
scosse il
capo.
“Veramente
aspettavamo
gli altri.”, spiegò Charlie. “Ah,
abbiamo chiamato anche Audrey e Bree.”,
aggiunse notando la presenza delle due sul ciglio della strada.
“Ciao!”,
salutarono
anche loro, prima di prendere posto.
“Ciao
Bree! Bella borsa,
davvero! È favolosa”, dichiarò
Margaret, continuando a squadrare quell’oggetto,
quasi bramandolo.
Bree
sorrise
educatamente.
“Grazie,
l’ho fregata a
mia madre prima di uscire. Credo che non la rivedrà mai
più.”, spiegò con una
finta espressione ingenua.
“Sbaglio
o Louis si sta
dirigendo proprio a questo tavolo?”, chiese Charlie,
preoccupata da
quell’eventualità.
“Ecco,
vedi… Noi…”,
provò a dire Harry, senza riuscire a concludere nulla di
senso compiuto.
Lo
sguardo della bionda
incrociò quello del ragazzo, pietrificandolo. Zayn lo prese
sottobraccio,
costringendolo ad avanzare.
“Ciao.”,
salutò Zayn. “Ma
che bello, ci siamo tutti.”, commentò con tono
falsamente cordiale.
“Sedetevi,
dai.”,
incalzò Niall, stringendo le sedie così da creare
spazio anche per loro.
“Dovremmo
organizzare
più spesso pomeriggi come questo.”,
esordì Margaret per smorzare il silenzio
che aveva avvolto il tavolo nell’esatto momento in cui Louis
era arrivato.
In
realtà nessuno di
loro aveva nulla da dire, nessuno di loro sapeva di cosa poter parlare
con gli
altri, nessuno aveva esperienze da voler condividere.
Quell’incontro era quasi
imbarazzante, ma tutti finsero di concordare con il commento di
Margaret.
Di
cosa avrebbero mai
potuto disquisire delle anime solitarie come le loro? Qual era quella
cosa che
avevano tutti in comune ed intorno alla quale avrebbero potuto
argomentare?
Nulla, o meglio nulla di cui avrebbero voluto far parola.
“Allora,
quando mi
mostrerete le meraviglie di Londra?”, chiese Margaret,
giocando la carta della
nuova arrivata.
Dei
presenti di certo
lei era la più propositiva.
“Magari
il prossimo
fine settimana potremmo farti fare un giro.”, propose allora
Harry,
sorridendole.
“Certo
e magari finire
a Trafalgar Square alle tre e mezzo di notte.”,
bofonchiò a labbra serrate
Charlie.
Nonostante
il tono
basso e ruvido della sua voce, tutti riuscirono a comprendere
distintamente le
sue parole.
Louis
sorrise,
limitandosi a stringere le mani in due pugni ferrei sotto al tavolo.
“Potremmo
portarla al
London Eye. Si ha la sensazione di poter volare da
lassù.”, suggerì Bree.
“Ed
il panorama è
spettacolare.”, aggiunse Niall, accreditando l’idea
della rossiccia.
Audrey
avrebbe voluto
mandare tutti malamente a ‘fanculo, in quel momento. Non
riusciva a capacitarsi
di quanto riuscissero ad essere falsi ed ipocriti. A nessuno di loro
interessava veramente del London Eye e delle attrazioni di Londra e se
quel
pomeriggio aveva accettato l’invito di Margaret e Charlotte
era stato solo per
le interminabili suppliche di Bree. Le aveva assicurato la sua
presenza, ma non
aveva fatto promesse riguardo alla sua partecipazione attiva.
“Sarebbe
un problema,
visto che Zayn soffre di vertigini.”, se ne uscì
Louis.
L’amico
inchiodò il suo
sguardo tenebroso su di lui. Quella piccola rivelazione sul suo conto
l’aveva
infastidito.
“Il
tuo commento è
inappropriato. Ci sarebbero milioni di soluzioni.”,
ribatté Charlie non dando
neppure il tempo a Zayn di replicare a quell’affermazione.
Non
era riuscita a
trattenere le parole, a rinchiuderle nella sua bocca. Forse era ancora
troppo
presto per frequentarsi amichevolmente, forse era ancora troppo
risentita e
scossa.
“Certo,
tu sei la
regina delle soluzioni.”, l’accusò Louis
poggiando una mano sul tavolino in
metallo smaltato di bianco.
“Che
vorresti dire?”,
gli chiese la ragazza sfidandolo con lo sguardo.
“Ragazzi,
credo sia
meglio darsi una calmata.”, intervenne Niall.
“Giusto,
magari
potremmo ordinare.”, seguì a ruota Margaret.
“No,
lascia pure che si
spieghi.”, controbatté la bionda dalle ciocche
rosa e gli occhi color del
ghiaccio.
“Vuoi
che mi spieghi?
Vuoi che mi spieghi, cazzo?”, sbraitò Louis con un
tono di voce troppo alto per
trovarsi in un luogo pubblico.
Charlie
non rispose,
gli fece solo cenno di continuare.
“Me
ne sbatto altamente
delle tua patetiche scuse del cazzo! Quello che so è che tu
non sei diversa
dagli altri. Te ne sei andata, è questo quello che
conta.”, inveì contro di
lei.
I
suoi occhi azzurri
ora ardevano di rabbia.
“Sei
tu che mi hai
allontanata, tu e le tue stronzate!”, obiettò
Charlotte, agitandosi a sua
volta.
“E
tu non ci hai messo
un attimo a decidere di andar via, vero?”,
l’accusò.
“Sei
crudele, Louis.”,
quasi mormorò Charlie. “Ti sono stata vicina per
molto più di un anno,
aspettando che qualcosa cambiasse.”, disse abbandonando
definitivamente il tono
acuto di poco prima.
“Credo
di non essere
pronto per essere tuo amico.”, sentenziò
calmandosi di colpo anche lui. “Me ne
vado.”, dichiarò poi alzandosi dalla sua sedia.
“Andiamo
bello, non
fare il permaloso. Vieni qui!”, provò Niall, nel
tentativo di fermarlo.
“Scusate
ragazzi,
davvero.”, borbottò Louis a mo’di
saluto, prima di allontanarsi.
“Mi
dispiace per aver
perso il controllo.”, esordì Charlotte qualche
secondo più tardi. “Forse è
meglio che vada anche io.”, aggiunse.
“Charlie,
non devi.
Rimani qui con noi.”, le suggerì Margaret
afferrandole una mano.
“Sì,
rimani qui.”,
ripeté Bree sorridendole.
“Ho
bisogno di
riflettere.”, si scusò alzandosi. “Ci
vediamo domani a scuola, ragazzi.”,
salutò. “Ciao Millie.”, aggiunse notando
l’arrivo della ragazza.
“Ciao.”,
ricambiò
guardandola stranita.
Si
avvicinò al tavolo,
occupando il posto che fino a pochi attimi prima era stato di Charlotte.
“Perché
è andata via?”,
chiese dopo aver salutato l’intera combriccola.
“C’era
anche Louis ed
hanno litigato.”, le riferì Niall.
“Ah,
poverini.”,
commentò fintamente rammaricata. “Allora,
aspettavate me per ordinare?”,
domandò afferrando uno dei menù presenti al
centro del tavolo.
Quando
quello straziante
pomeriggio giunse al termine, Niall si offrì di far
compagnia a Millie fino a casa.
Fortunatamente Audrey era diretta da Bree, dunque avrebbe potuto
trascorrere
del tempo in compagnia della ragazza che amava senza doverla dividere
con
altri.
“Non
è stato male
uscire tutti insieme.”, iniziò Niall fissando
Millie intenta a guidare la sua
auto appena acquistata.
“Stai
scherzando?”,
ironizzò lei con una smorfia. “Tra mia sorella in
modalità Mercoledì Addams e
la sua amica schizzata che sembrava essere la reincarnazione di Luna
Lovegood
ho temuto davvero il peggio.”, scherzò.
Niall
sorrise per
quegli strambi paragoni.
“Senza
dimenticare
Jigen e la versione maschile di Bridget Jones.”,
sogghignò aggiungendo
all’elenco anche Zayn ed Harry.
“Potresti
essere
simpatica, se solo lo volessi.”, le fece notare Niall con
tono estremamente
serio.
Era
vero. Millie era
dotata di un forte senso dell’umorismo, ma il più
delle volte lo mascherava con
commenti poco carini riguardanti persone che non riteneva alla sua
altezza.
Deglutì
a quelle
parole, concentrando la sua attenzione sulla strada.
“Perché
Liam non è
venuto?”, le chiese il biondo, non avendo ricevuto risposte.
Niall
le aveva fatto
una domanda. Quella ovvia costatazione la sorprese. Certo, era pur
sempre
banale, ma il tono della sua voce aveva fatto trasparire le mille
emozioni che
quelle poche parole racchiudevano: speranza che qualcosa fosse
finalmente
cambiato, preoccupazione per le condizioni di Millie, amore per quei
suoi
grandi occhi vuoti e persi. Forse era davvero interessato, non solo al
suo
fisico. Millie aveva sempre saputo quanto Liam differisse da Niall, ma
delle
volte sembrava dimenticarlo.
“So
che ti piaccio,
Niall.”, sentenziò Millie, regalandogli una fugace
occhiata.
Il
biondo si schiarì la
voce, impreparato ad affrontare una situazione del genere.
Proprio
in
quell’istante Millie parcheggiò sotto casa del suo
amico. Sganciò la cintura di
sicurezza e si voltò per poterlo guardare negli occhi.
“Ti
va di farlo con me?”,
propose.
Non
era affatto sicura
di aver fatto la cosa giusta, ma voleva. Voleva capire cosa si provava
ad avere
un rapporto più intimo con qualcuno che l’amasse.
Niall
sbatté le
palpebre incredulo. Aveva aspettato quel momento per mesi ed ora che
stava per
accadere quasi non riusciva a crederci.
Millie
prese quel
silenzio come imbarazzo misto a timore di aver interpretato male quella
già
ovvia domanda.
“Ti
va di fare sesso
con me, Niall?”, gli chiese avvicinando il suo volto a quello
del ragazzo.
Niall
annuì, senza
riuscire a spiccicar parola. Sorrise soltanto, prima che le labbra
della
ragazza si fiondassero sulle sue.
---
Angolo Autrice
Okay, oggi sono davvero di fretta, quindi non mi dilungo.
Per questa
volta vi lascio semplicemente il nuovo capitolo, tutto dedicato a
Millie. :D
Ringrazio chi legge la storia, chi l'ha inserita tra le ricordate, seguite e preferite e ringrazio chi l'ha commentata! *.*
Bene, non aggiungo altro. Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!;)
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 5 *** Harry ***
HARRY
“Harold,
tesoro, hai
fatto i compiti?”, gli chiese la madre irrompendo nella
stanza disordinata e caotica
del figlio.
“Ho
diciotto anni,
mamma.”, le ricordò con tono seccato, alzando la
testa dal volume di filosofia
che stava leggendo.
“Ci
penso da solo ai
miei compiti.”, aggiunse sbuffando sonoramente.
“Non
rispondermi così,
ragazzino. Sono tua madre!”, lo sgridò la donna
facendosi strada tra i vestiti,
le scarpe ed i libri che cospargevano il freddo e chiaro pavimento.
Harry
fece roteare gli
occhi e si impose che non le avrebbe risposto, sacrificio che sarebbe
valso a
far terminare quanto prima quella tortura.
“E
sistema la tua
stanza.”, gli ordinò prendendo tra le mani una
camicia con un alone di birra
all’altezza del petto.
“Ultimamente
sei troppo
distratto. Non mi piace il gruppo che frequenti.”,
sentenziò la madre,
sedendosi sul letto sfatto del figlio con l’indumento sudicio
stretto in
grembo.
“Non
devono piacere a
te, infatti.”, sottolineò prontamente Harry,
facendo mezzo giro sulla sedia,
per poterla guardare in volto.
“Non
sei neanche più
tu: prima non avresti mai usato questo tono con me.”,
commentò affranta.
Harry
prese un lungo
respiro, avendo tutta l’intenzione di rimanere calmo e non
mandarla a ‘fanculo,
come avrebbe di certo fatto Louis.
“Mamma,
sto solo
crescendo.”, provò a dire, sperando che una tale
giustificazione sarebbe stata
sufficiente a fugare ogni dubbio.
La
donna accennò ad un
sorriso, poi sporse il volto in direzione del figlio.
“E,
dimmi, c’è qualche
ragazza?”, domandò curiosa.
Harry
borbottò qualcosa
in maniera disconnessa, senza che la madre riuscisse a comprendere una
parola.
Era
imbarazzante avere
quel genere di conversazione con i propri genitori. Harry era un
ragazzo e non
voleva di certo lagnarsi con la madre di quanto fallimentare fosse la
sua vita
sessuale.
Avrebbe
potuto parlare di
Margaret e dei suoi patetici tentativi di chiederle di uscire insieme,
ma poi
sarebbe stato costretto ad ulteriori spiacevoli interrogatori,
così preferì
negare anche quel piccolo dettaglio della sua vita.
“Nessuna.”,
rispose
infine.
In
realtà sarebbe stato
disposto a tutto pur di poter raccontare qualcosa di avvincente e vero,
ma la
sua scarsa esperienza non glielo consentiva. Si consolava nella
speranza che
presto sarebbe toccato a lui, anche se ormai non ne era più
certo come una
volta.
Il
cellulare di Harry
vibrò sul legno del tavolo della scrivania. Lesse
frettolosamente il nome sullo
schermo, rilevando che si trattava di un messaggio di Liam che lo
informava
sull’appuntamento per la serata.
“Scusami
mamma, devo
andare.”, annunciò alzandosi di scatto.
“Ma
dove Harry? Sono
già le nove.”, esclamò irritata la
madre.
“Gruppo
di studio
serale. Leggiamo dei passi di Shakespeare e vediamo
l’Amleto.”, mentì
schioccandole un veloce bacio sulla guancia.
Prese
la giacca e si
catapultò per il corridoio.
“Torno
tardi, non
aspettarmi in piedi.”, disse prima di uscire di casa.
In
realtà quella sera
non ci sarebbe stata alcuna sessione di ripasso scolastico. Tuttavia,
non aveva
completamente mentito. In effetti non era del tutto da scartare
l’eventualità
che vedessero un film, seppur non avesse alcun legame con le opere di
Shakespeare.
Quando
giunse in strada
notò immediatamente l’auto del padre di Liam
posteggiata sul margine della
strada.
“Ciao
Liam.”, salutò
salendo dal lato del passeggero.
Il
castano gli sorrise,
poi rimise in moto.
“Stasera
a casa di
Millie ci divertiremo.”, esordì con sguardo
sognante.
Harry
non era mai stato
a casa delle gemelle Wood. In realtà nessuna delle due lo
aveva invitato prima
di quella occasione e probabilmente non lo sarebbe stato neppure quella
volta
se non fosse intervenuto Liam.
“Lo
spero.”, replicò
Harry non troppo sicuro di quelle parole. “Credi che Margaret
verrebbe a letto
con me?”, chiese al suo amico.
Temeva
la risposta a
quella domanda, perché Harry , per quanto poco sveglio
potesse apparire, era un
ragazzo profondo e razionale. Sapeva di non essere bello o affascinate
come
Liam, di non avere l’aria da cattivo ragazzo tipica di Zayn,
di non essere
simpatico quanto Louis e di non avere quell’espressione
angelica di Niall.
Lui
era semplicemente
Harry, il tipo che vestiva male e portava i capelli un po’
lunghi ed arruffati.
Aveva conosciuto Liam al primo anno di elementari. A quel tempo erano
entrambi
bambini, i loro caratteri non erano ancora ben definiti, le loro
personalità
non delineate. Harry ricordava come il primo giorno Liam si era
avvicinato a
lui e si era presentato. Quello successivo, invece, Harry gli aveva
ingenuamente chiesto di diventare migliori amici. Non sapeva quanto
quella
promessa si sarebbe protratta nel tempo, intensificandone gli effetti.
Con gli
anni, tuttavia, Liam era cambiato, si era trasformato in un ragazzo
sicuro,
carismatico, eclettico, mentre Harry era rimasto terribilmente uguale a
se
stesso.
“Devi
lavorarci un po’,
ma puoi farcela.”, rispose Liam concedendogli un mezzo
sorriso di
incoraggiamento.
Harry
sbuffò, poi
poggiò il gomito sul finestrino.
“Cosa
devo fare?”,
domandò con tono scoraggiato e dismesso.
“Hey,
Harry.”, lo richiamò Liam. “Abbi
fiducia in te stesso, andrà tutto bene.”, lo
rincuorò
dandogli una leggera pacca sulla spalla.
“E
se dovesse
rifiutarmi?”, chiese con una smorfia.
“Allora
ne cercheremo
un’altra.”, rispose prontamente Liam, oltrepassando
l’enorme cancello della
villa Wood che era stato lasciato aperto.
“Questa
casa è
favolosa!”, esclamò osservando
l’imponente struttura.
“Dovresti
vedere la
piscina interna.”, rincarò l’altro
parcheggiando ai margini della stradina che
portava all’ingresso principale.
“Wow!”,
sì lasciò
sfuggire Harry appena scese dall’auto, ammirando il giardino
che la circondava.
“Andiamo,
seguimi.”, lo
incitò Liam, facendogli strada.
Suonò
al campanello del
possente portone e poco dopo una raggiante Millie li accolse.
“Ciao!”,
salutò
spostandosi di lato per farli entrare.
Erano
passati appena
due giorni da quando aveva messo piede in casa della sua ragazza per
l’ultima
volta.
Aveva
pianificato anche
quello, Liam: quella sera avrebbero fatto pace.
“Gli
altri?”, chiese
sfiorando pericolosamente il corpo della ragazza con il braccio, mentre
la
oltrepassava.
Il
corpo di Millie fu
sconvolto da un leggero tremolio, ma si sforzò di apparire
impassibile.
“Sono
tutti in sala.”,
rispose indicando loro la direzione da seguire.
“Ragazzi,
questo posto
è sballo puro!”, gridò Louis girando su
se stesso come fosse una trottola,
palesemente ubriaco.
“Chi
non ha mai fatto
il bagno nudo?”, urlò Niall con un bicchiere di
rum in mano.
“Ma
così non vale,
tutti l’hanno fatto.”, piagnucolò Bree
dall’alto della sua posizione, in piedi
sul tavolinetto sistemato tra i divani.
“Appunto!”,
trillò il
biondo, ingurgitando altro alcool.
Bree,
Louis e Margaret
bevvero un altro sorso dalle loro rispettive bottiglie.
“Millie,
posso
parlarti?”, propose Liam, sussurrando all’orecchio
della ragazza.
Millie
trasalì, non
immaginando che fosse già giunto il momento dei chiarimenti.
“Chi
non ha mai visto
un porno?”, domandò Louis continuando quel subdolo
gioco che aveva come unico scopo
farli ubriacare tutti allegramente.
“Andiamo.”,
acconsentì
Millie spostandosi in cucina. “Allora? Cosa volevi
dirmi?”, chiese al ragazzo,
mentre incrociava le braccia sotto al seno.
Liam
aveva provato due
volte quel discorso. La prima per averne un’idea generale, la
seconda per
assicurarsi che tutto funzionasse, che ogni parola fosse al posto
giusto, che
nulla rimanesse trascurato.
Tuttavia
ebbe qualche
difficoltà quando incontrò gli occhi scuri e
grandi di Millie.
Boccheggiò
prima di
iniziare e, seppur quella reazione non fosse stata prevista,
pensò che avrebbe
reso ancora più verosimile il suo discorso.
“Mi
dispiace.”, esordì
con sguardo affranto.
In
realtà Liam non era
sicuro di provare rammarico per ciò che aveva detto. Era
stato sincero e per
ore si era interrogato su quanto realmente necessarie fossero le sue
scuse. Ma
poi si era convinto della sensibilità ostentata da ogni
ragazza e del fatto che
Millie fosse quella perfetta per lui. Non ne era innamorato, non
l’avrebbe
sposata, ma erano fatti della stessa pasta. Era per quella ragione che
continuavano a stare insieme. Non cercavano il grande amore delle loro
vite, ma
condividevano quel piccolo frangente della loro esistenza senza troppe
preoccupazioni,
senza aspettare quel “per sempre” che non sarebbe
ai giunto.
“Sono
geloso,
terribilmente geloso.”, affermò corrugando la
fronte, come se quelle parole
avessero richiesto chissà quale sforzo. “E vorrei
averti tutta per me, sempre.
Non ci ho più visto quando hai preso il cellulare e hai
letto il suo nome.”,
spiegò avvicinandosi lentamente e con pochi passi alla sua
ragazza.
“E?”,
Millie lo invitò
a proseguire, ancora non soddisfatta.
“E
sono un idiota
perché ci ho messo ben due giorni per tornare da
te.”, concluse sfiorandole la
guancia con un dito.
Millie
accennò ad un
sorriso, cercando di camuffare il disagio che incombeva in lei. Aveva
fatto
sesso con Niall appena due sere prima ed il ricordo era ancora troppo
vivido,
tanto da poter sentire ancora i loro gemiti strozzati. Era stata una
debolezza,
quella, un’unica sola insignificante debolezza di cui mai
nessuno sarebbe
venuto a conoscenza.
Era
Liam il suo ragazzo,
era Liam la persona con cui era destinata a stare, Millie ne era certa.
“Mi
sei mancato.”,
sussurrò con gli occhi languidi.
“Anche
tu, piccola.”,
replicò prima di baciare nuovamente quelle labbra che aveva
tenuto lontane per
troppo tempo.
Harry
si avviò alla
ricerca del bagno, già abbastanza brillo nonostante fosse
arrivato da appena
una mezz’oretta. Aveva bisogno di qualche minuto di
tranquillità prima di
sferrare la mossa finale con Margaret, la quale non aveva fatto altro
che
lanciargli segnali positivi per tutto il tempo che avevano trascorso
insieme.
Forse,
si disse Harry,
quella sarebbe stata davvero la grande serata per lui.
Salì
al piano di sopra
e vagò per il largo e silenzioso corridoio, poi si decise ad
aprire una delle
tante porte, sperando di trovare al primo colpo quella di cui
necessitava.
“Cosa
stai cercando?”,
la voce dura e severa di Audrey lo fece sobbalzare per lo spavento.
“Smettila
di sbucarmi
alle spalle.”, si lamentò Harry, rassicurato dal
fatto che si trattasse solo di
una delle gemelle Wood.
“Chiudi
immediatamente
quella porta.”, ordinò Audrey, non prestando
minimamente attenzione alle sue
parole.
“Cercavo
il bagno.”, si
giustificò lui facendo spallucce, intimorito dal suo tono
aggressivo.
“E
io ti ho detto di chiudere
quella porta.”, ripeté con fare intimidatorio
avvicinandosi con sguardo omicida.
“E
va bene, va bene.”,
borbottò Harry, facendo come gli era stato detto.
“Perché ti scaldi tanto?”,
domandò poi, incuriosito dalla reazione di Audrey e
dall’espressione vuota che
ora aveva assunto il suo viso.
“Non
siamo amici Harry.”,
bofonchiò.
“Hai
ragione.”, asserì
il ragazzo lasciandosi cadere di peso sul pavimento in parquet del
corridoio.
Non
aveva bevuto molto,
ma la testa iniziava ugualmente a pesargli.
“Perché
ti sei seduto a
terra?”, gli chiese avvicinandosi per studiare meglio i
lineamenti del suo
volto.
“Non
avevo voglia di
camminare.”, improvvisò alzando il viso in
direzione di quello di Audrey.
"Questa sì che è una bella risposta.",
ironizzò Audrey piegando le labbea in un sorrisetto
sornione. "E cosa ti andrebbe di fare, allora?", lo provocò
pentendosi immediatamente dopo di quella domanda tanto, facilmente
equivocabile.
Harry sogghignò, per la prima volt per nulla imbarazzato.
Non sapeva se fosse l'alcool a sortire su di lui uell'effetto o se
fosse la presenza di Audrey. In qualsiasi caso avrebbe voluto che
quella sensazione si prolungasse nel tempo, diventsse permanente.
"Mi piacerebbe parlare, per esempio.", propose.
S iera ubriacato tante di quelle volte da avere la certezza assoluta
che non era l'alcool ad averlo disinibito quella sera in quel preciso
momento. Se era davvero Audrey la causa di ciò, avrebbe
volto scoprirlo e per farlo aveva bisogno di trascorrere altro tempo in
sua compagnia.
"Margaret ha dato forfait?", lo provocò lasciandosi cadere
al suo fianco.
Quella domanda non lo lasciò perplesso, sapeva che le sue
intenzioni con Margaret erano chiare a tutti. Harry era talmente
inesperto in quel campo che gli risultava difficile procedere con
discrezione. Scosse il capo, sorridendo nel notare che Audrey non aveva
respinto la sua richiesta.
"Ancora non le ho detto nulla.", confessò poggiando la testa
alla parete color crema.
"Dovresti, accetterebbe.", sentenziò lei con aria convinta,
prontat a dissuaderlo nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
In fin dei conti Harry era un bravo ragazzo. Per quanto poco Audrey lo
conoscesse, lo avrebbe comunque definito una persona sensibile,
altruista e generosa. Certo, aveva pure sempre i suoi difetti, ma tutti
avevano delle caratteristiche poco tollerabili. Harry aveva i capelli
disordinati, non curava la sua immagine e mostrava una
sincerità disarmante.
Nessuno avrebbe mai dubitato del suo dolce faccino e dei suoi luminosi
e trasparenti occhi verdi. Ma Harry stava diventando un discreto
bugiardo, un abile ingannatore. All'inizio era stato terribilmente
difficile. Le sue espressioni, le sue fossette, i suoi occhi parlavano
per lui, ma ora aveva imparato a controllarli, a gestirli secondo le
sue esigenze. Non gli piaceva dover mntire, soprattutto se le bugie
erano rivolte a persone a lui care. Tuttavia, la vita gli aveva
insegnato che chiunque era disposto a farlo fuori alla prima occasione
possibile, che la verità non sempre paga. Ed Harry si era
adattato, aveva imparato a sopravvivere, esattamente come quelle specie
a cui Darwin faceva riferimento nei suoi studi. Harry era forte, aveva
vinto quella battaglia ed aveva ottenuto il diritto alla vita, o meglio
a vivere nel migliore dei modi possibile. Stava ancora lavorando a quel
"migliore", ma intanto si era assicurato la possibilità di
fare esattamente ciò che desiderava senza doverne affrontare
le conseguenze.
"Non so se ora mi va.", ammise con un sospiro.
Aveva atteso intrepido la sua prima volta da quando Liam gli aveva
raccontanto di averlo fatto con una certa Jen durante il viaggio in
Francia a metà del terzo anno. Con molta
probabilità quella sera gli si sarebbe presentata
l'occasione e lui, proprio ora, era titubante al riguardo.
Era stata Audrey a far scaturire in lui mille inutili dubbi. Lei ed i
suoi discorsi su Liam, la vita e le scelte La detestava per avergli
messo quell'insensata pulce nell'orecchio.
"Guarda, sta salendo Margaret.", lo avvertì avendo scorto la
figura della ragazza salire sulla rampa di scale.
Audrey sorrise ad Harry, alzandosi.
"Va' e divertiti.", gli suggerì prima di avviarsi in
direzione delle scale.
"Harry, sai per caso dove potrei stendermi? Sai, la testa mi scoppia.",
esordì con fare civettuolo.
Audrey si voltò un'ultima volta verso Harry. Gli fece cenno
di aprire la terza porta, quella della stanza degli ospiti, poi gli
fece un occhiolino di incoraggiamento e tornò in sala, dove
la piccola festicciola stava proseguendo.
In realtà dei presenti ne erano rimasti ben pochi. Di Liam e
Millie non si avevano avute più tracce da quando erano
spariti in cucina, cinque minuti dopo l'arrivo del ragazzo, mentre
Harry e Margaret si erano appartati. Rimanevano solo Louis, Zayn,
Niall, Bree ed Audrey, Charlotte per quella volta aveva preferito
rimanere a casa ed evitare un altro scontro aperto con il suo ex
ragazzo, ancora poco incline al dialogo civile.
"Che si fa?", domandò Bree sdraiata comodamente sul divano.
"Voglio giocare a calcio con il mondo!", urlò Louis balzando
in piedi. "Voglio mangiare un cupcake grande quanto una piramide e
gridare 'fanculo se qualcuno mi dice che non è possibile!",
sbottò battendo le mani chiuse in pugni sul petto nudo.
"Ma non è davvero possibile, Lou.", gli fece notare un
pacato ed ancora piuttosto sobrio Zayn, adagiato su una delle due
poltrone.
"'Fanculo!", imprecò con vigore e convinzione il ragazzo,
facendo ridere gli altri tre.
"Sei ubriaco.", gli ricordò Niall ondeggiando le braccia
sopra la sua testa.
"Anche tu lo sei.", ricambiò prima di condividere con lui
l'ennesima risata.
"Chi ha voglia di altro gin?", chiese Audrey afferrando una bottiglia
dal mobiletto sulla sinistra, per poi prendere posto accanto a Bree, in
un angolo del divano.
"Io!", si prenotò immediatamente Louis sventolando una mano
in aria.
E ripresero a bere, ripresero a bere ancora una volta. Era una serata
importante quella, lo era stata per davvero in fin dei conti. Audrey
sorrise, pensando a quanto beffarda ed ingrata fosse a vita.
Probabilmente tre anni fa non avrebbe concesso a nessuno di sfiorare il
suo pianoforte, mentre ora era ricolmo di bicchieti di vetro vuoti e
bottiglie di ogni tipo e forma.
Era una serata di cambiamenti, di prime volte. Harry ci era finalmente
riuscito e tutto ora gli appariva diverso, nuovo. In realtà
quell'euoria sarebbe durata ben poco, Harry lo sapeva, per questo aveva
deciso che ne avrebbe goduto ogni più piccolo istante, per
assaporarla meglio, imprimere quelle immagini di felicità
nella sua memoria. Avrebbe avuto di che ricordare ora e avrebbe avuto
un qualcosa a cui potersi appigliare. C'era una prima volta anche per
Charlie, quella sera. Stava iniziando a crescere, a cambiare, a
maturare. Seduta sul suo divanto ingurgitava patatine guardando qualche
programma trasmesso in televisione. Louis non era più nella
sua vita, ma lei sì. Avrebbe ricominciato da se stessa per
ricostruirne le basi, avrebbe contato solo sulle sue decisioni ed
avrebbe affrontato solo i suoi problemi. Sarebbe stato più
semplice, pensava, ma sarebbe stato anche più triste.
Charlotte sapeva di aver fatto la cosa giusta e non lo rimpiangeva per
nulla, ma riprendere in mano le redini della propria vita significava
cambiare e a Charlie i cambiamenti non piacevano affatto.
C'era una prima anche per Louis, che affogava nel suo dolore, lacerava
nuovamente in quella odiosa sensazione di abbandono e c'era una prima
volta per Niall che finalmente iniziava a realizzare quanto infondata
fosse la sua infatuazione per Millie. Era innamorato di una ragazza che
aveva tradito l'uomo che diceva di amare, di quella che quasi per gioco
si era concessa a lui, che non prendeva mai nulla seriamente, che
viveva tra la superficialità ed i capi d'alta moda. Aveva
creduto di aver intravisto dell'altro in lei, ma per la prima volta
quella sera aveva pensato di aver sbagliato. C'era una prima volta
anche per Bree, che seduta su quel divano, circondata da quelle
persone, si sentiva stranamente normale, come mai era accaduto prima.
Attorniata da tanta stravaganza, le sue stramberie quasi passavano
inosservate. C'era un prima volta per Zayn che provava ad abbassare le
sue barriere difensive e, nonostante il suo fosse solo un tentativo,
era già un grande inizio.
Era una grande serata anche per Millie e Liam, intenti a riscoprire il
piacere della riappacificazione.
Ed era una grande serata anche per Audrey che sorrideva, guardando
Louis che fingeva di essere una scimmia gattonando sul tappeto della
sala.
Forse non erano poi tanto soli come credevano.
---
Angolo Autrice
Salve!:D Allora, che dire... Sono appena rientrata a casuccia e
rieccomi ad aggiornare!:D
Purtroppo, sono di frettissima, visto che è sabato e devo
uscire!
Anyway, capitolo dedicato al pucciosissimo (?) Harry!:D Allora, cosa ve
ne pare?:D
Ringrazio chi segue, preferisce, ricorda, legge e soprattutto lascia
commenti!*.*
Okay, ci risentiamo al prossimo capitolo che, annuncio, sarà
tutto per.... Brianne!;)
Bene, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, ci terrei molto!:D
A presto!
Astrea_
|
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Capitolo 6 *** Brianne ***
BRIANNE
Bree sbuffò
sommessamente, dall’ultimo banco
dell’aula. Si concentrò per l’ennesima
volta sull’assurda traccia che il
docente aveva dato loro. La rilesse, cercando di comprenderne il
significato,
decisa a superare quella situazione di stallo. Doveva scrivere un
semplice
componimento sull’analisi caratteriale di una persona che
aveva colpito la sua
attenzione. Non era difficile, ma il compito non si prospettava neppure
semplice. Inizialmente Bree si era soffermata a riflettere sul
significato delle
ultime quattro parole, trovandole estremamente vacue. Le persone
colpivano la
sua attenzione per motivi diversi, troppo diversi, e quello era un tema
assegnato
dal professore di psicologia. Non riusciva a capire se fosse meglio
trattare di
un modello da imitare o di uno da screditare. Bree si chiese se quello
dell’insegnante fosse stato un modo carino per chiedere a
tutti loro di parlare
di qualcuno che soffrisse di qualche problema psicologico, tipo lei,
per
esempio.
Bree sapeva che la maggior parte degli
studenti la considerava solo come una pazza schizzata a cui i farmaci
avevano
dato alla testa, ma non si curava di loro. Aveva smesso di ascoltarli
quando un
giorno, appena due anni prima, le avevano fatto sparire dei libri. Lei
li aveva
cercati in giro, ingenuamente aveva persino allarmato la professoressa,
ma proprio
quando stava per accusare un ragazzo, li aveva ritrovati esattamente
sotto il
suo banco. Nessuno le aveva creduto. In fin dei conti era sempre stata
un po’
stramba per tutti e, in quell’occasione, avevano avuto prova
delle loro teorie.
Sua madre l’aveva costretta a segnarsi al corso di
psicologia, nonostante lei
avesse provato più volte a dissuaderla da
quell’idea che ai suoi occhi appariva
tanto malvagia. Non voleva ancora essere presa in giro per i suoi
capelli rossicci,
fragola, o per le espressioni buffe del suo viso. Aveva imparato a
fingere di
non vedere, ma poteva ancora distintamente sentire le risatine o le
battutine
che gli altri si scambiavano al suo passaggio.
Partecipare a quelle lezioni, inoltre, era
stato un suggerimento della sua analista, una donna sulla quarantina
che
continuava ad estorcere cifre esorbitanti alla madre per darle consigli
infondati e non risolvere alcun problema.
Rimuginò ancora sul concetto espresso nelle
poche righe della traccia a lei assegnata. Conoscere, per lei, era un
processo
che avveniva per gradi. Quando una cosa estranea risultava rientrare
nei parametri
imposti dalla mente, essa veniva immediatamente categorizzata e si
aveva la
fallace sensazione di averne compreso tutto. Non sorprendeva, non
eccitava, non
trasmetteva nulla di nuovo. Era quando si entrava in contatto con il
diverso,
quando esso spezzava gli schemi prestabiliti della conoscenza che si
percepiva
realmente qualcosa, si imparava, ci si confrontava, si cresceva. Bree
concluse,
dunque, che qualsiasi cosa ci apparisse anormale diventasse lampante ai
nostri
occhi, costringendoci a parlarne, a discuterne per cercare di venirne a
capo.
A quel punto si poteva provare fino allo
strenuo a comprendere quella diversità, fino a tramutarla in
normalità o
additarla come stranezza. E Bree sapeva quanto le persone fossero
riluttanti
nei confronti delle stranezze. Le temevano, non sapevano come gestirle
ed
allora preferivano schernirle, denigrarle.
Bree era una stranezza, Bree poteva essere una
di quelle persone che colpivano l’attenzione.
Così finalmente si decise: decise che avrebbe parlato
di lei, della sua storia, della sua vita.
Strinse forte la penna tra il pollice e
l’indice della mano destra, poi ne poggiò la punta
sulla pagina ancora bianca
del quaderno e scrisse.
Quando ebbe terminato mancavano ancora una
quindicina di minuti al suono della campanella. Non era una verifica,
quella
che si stava svolgendo, ma solo un esercizio. Rilesse il suo elaborato,
correggendo le lievi imperfezioni che non aveva notato durante la
stesura, poi
si preparò per consegnarlo.
Si domandò quante altre persone, in quella
classe, avessero trattato di lei. Sorrise a
quell’eventualità, mentre usciva
con un lieve anticipo dalla classe.
“Ciao Louis.”, salutò il ragazzo,
intento a
scegliere uno snack tra quelli offerti dai distributori del piano.
Il castano fece un mezzo salto, leggermente
scosso dal tono acuto che lo aveva preso alla sprovvista.
“Ciao Bree.”, ricambiò digitando una
combinazione
di due numeri sulla piccola tastiera ed inserì delle monete.
“Come ti senti oggi?”, gli chiese
avvicinandosi di qualche passo al ragazzo, per poi poggiarsi di schiena
alla
macchinetta delle bibite, situata accanto a quella che Louis stava
utilizzando.
“Che intendi dire?”, domandò di rimando
corrugando la fronte.
Bree esitò qualche attimo, dandosi mentalmente
della stupida per avergli posto proprio quel quesito. Louis si
accovacciò per
prelevare un pacchetto di patatine, poi puntò gli occhi
azzurri sul volto
appena tormentato di Bree.
“L’altra sera a casa di Millie hai detto di
stare uno schifo.”, ricordò.
Avevano bevuto davvero molto quella notte e
probabilmente Louis non era neppure consapevole di tutte le parole che
erano
uscite dalla sua bocca.
“Ah.”, bofonchiò aprendo la bustina che
teneva
tra le mani. “Uno schifo anche oggi, allora.”,
confessò iniziando a
sgranocchiare qualche patatina.
Quando Bree si sentiva triste sua madre le consigliava
di prendere degli antidepressivi. Il suo bagno ne era pieno. Tra i vari
scaffali erano stipate le più svariate confezioni di
pillole, ognuna per
una precisa occasione. Era il suo particolare
modo per risolvere i problemi ed ora stava diventando anche quello
della
figlia.
“Se vuoi posso darti qualcosa che ti renda
felice.”, propose pensando che non sarebbe stato un problema
prendere alcune
delle pillole di sua madre per darle a lui.
Louis storse il viso, in segno di diniego, poi
le porse il pacchetto di patatine, facendole cenno di prenderne alcune.
Bree ne
prese solo una e la mangiò.
“Tu non smetti mai di prendere quelle
schifezze?”, le domandò studiando
l’espressione del suo viso.
Bree fece spallucce e cercò di incurvare le
labbra in un sorriso, ma le uscì solo una piccola e brutta
smorfia.
“Mamma dice che fanno bene e che…”,
iniziò a
dire per giustificarsi.
“E tu cosa dici, Bree?”, la interruppe Louis
intensificando il suo sguardo.
Bree aveva le labbra schiuse, gli occhi
sgranati ed un’espressione sorpresa. Non si sarebbe mai
aspettata che qualcuno
le facesse apertamente una simile domanda, non a lei, la schizzata
senza
cervello.
“Non lo so, è come se atrofizzassero tutto.
Non mi fanno sentire niente.”, ammise con un filo di voce,
giocando con le mani
che aveva intrecciato sulla pancia.
Louis annuì, decidendo che si sarebbe
accontentato di quelle parole e non avrebbe scavato ulteriormente.
Aveva visto
qualcosa al di là dell’aria svampita di Bree, ma
ci sarebbe voluto del tempo
prima di riuscire ad andare oltre quella.
“Lou, cazzo! Sono dieci minuti che ti cerco!”,
esordì Zayn, procedendo a passo spedito verso di loro.
“Ehi, calma amico.”, scherzò il castano
sorridendogli allegramente.
“Calma un corno!”, inveì
l’altro tirando un
pugno al distributore sul quale era poggiata Bree, facendola tremare.
“Stasera
devo fare un servizio.”, borbottò con voce ora
più calma. “Mi accompagni?”, gli
chiese infine guardandolo dritto in quegli occhi azzurri.
Louis aveva capito chiaramente cosa il suo
sguardo significasse. Avrebbero dovuto svolgere una di quelle
commissioni di
cui Zayn si prendeva carico.
Annuì, tentando di nascondere il velo di
preoccupazione.
“Io devo andare.”, annunciò Bree
scollando le
spalle dalla superficie metallica delle macchinette.
In realtà non le sarebbe dispiaciuto
trascorrere dell’altro tempo in compagnia di quei due
ragazzi, ma sentiva il
bisogno di rinfrescarsi. Giunta in bagno, guardò la sua
espressione allo
specchio notando quanto pesanti fossero le sue occhiaie. Fece scorrere
l’acqua,
poi ne raccolse una piccola quantità tra le mani disposte a
coppe e bagnò il
viso.
“Sta’ zitto, c’è qualcuno di
là.”, una voce
che Bree non riconobbe borbottava dall’interno di uno dei
bagni.
“Non me ne frega!”, sbottò un ragazzo.
Bree chiuse il rubinetto e trattenne il fiato.
“Cosa cazzo significa che sei tornata con
Liam?”, chiese ancora quello che a Bree pareva essere Niall.
Ed, ovviamente, dedusse che la ragazza in
questione fosse Millie.
“Significa che quello che è successo quella
sera è stato un errore.”, borbottò lei.
“Fare sesso con me è stato un errore?”,
le
chiese sconvolto il ragazzo.
“Abbassa la voce!”, lo zittì con tono
inviperito. “Dimenticalo, ok?”, tuonò.
Bree stava per uscire da quella stanza, ormai
aveva già sentito abbastanza, ma la porta
dell’ultimo bagno si aprì per poi
essere richiusa con forza, tanto da farla sussultare.
In un attimo si trovò faccia a faccia con una
Millie spaesata, ma allo stesso tempo adirata.
“Io…”, iniziò Bree sbattendo
freneticamente le
palpebre.
“Tu non hai sentito niente.”, decretò
Millie
con voce perentoria.
La incenerì con lo sguardo, poi con passo
deciso la sorpassò, lasciando Bree alle sue spalle.
“Allora, grande uomo, com’è andata con
Margaret?”,
chiese un entusiasta Liam all’indirizzo dell’amico,
durante la pausa tra la
terza e la quarta ora.
Harry sorrise, sollevando l’angolo destro
delle labbra ed una fossetta si scavò sulla sua guancia.
“È andata.”, annunciò con
aria sognante, perso
tra i ricordi avvincenti di quella notte.
“Ma bravo!”, si congratulò sornione.
“Ed è
meglio o peggio di quello che sembra?”, domandò
poi, volendo i particolari
piccanti.
“Oh, è decisamente meglio.”,
confessò. “Molto
meglio.”, precisò portando una mano tra la massa
di ricci.
“Parlavate di me?”, intervenne giocosamente
Margaret, avvicinandosi al muretto sul quale erano seduti Liam ed Harry.
Non sapeva quanto avesse ragione.
“Ciao Harry.”, salutò il riccio
schioccando un
sonoro bacio all’angolo delle sue labbra, poi si sedette
accanto a lui.
“Ciao.”, ripeté anche Charlotte seguendo
l’amica con la quale aveva trascorso i minuti precedenti.
“Come va Charlie?”, chiese Liam
all’indirizzo
della ragazza che ultimamente aveva preso ad essere stranamente
taciturna.
“Non sono nel mezzo di una fase critica in cui
mi maledico per essere single, se è questo che volevi
sapere.”, esordì
palesemente tesa. “Noi donne sappiamo cavarcela anche senza
un fidanzato.”,
aggiunse ancora.
“Non lo metto in dubbio.”, rispose Liam, sulla
difensiva. “Qualche volta tu e Margaret potreste unirvi a me
e Millie.”,
propose poi rivolgendosi all’amico, deciso a cambiare
discorso.
Harry sorrise appena, cercando di camuffare
quanto irritante trovasse quell’invito. Era stufo di ricevere
consigli da Liam,
voleva fare a modo suo per una volta. Inoltre, era convinto che Liam
avrebbe
concentrato su di sé tutta l’attenzione,
distogliendo Margaret da una
tranquilla passeggiata in compagnia di Harry.
“Questo è il problema di voi maschi!”,
sbottò
Charlotte.
Era ormai chiaro a tutti quanto nervosa fosse
quel giorno. Solitamente tendeva a controllare i suoi impulsi, mettendo
a
tacere il suo senso critico ed i suoi acuti giudizi. Quella mattina,
tuttavia,
sembrava non riuscire a tenere a freno la lingua.
“Come se fosse obbligatorio essere in coppia
per uscire!”, sbraitò gesticolando come una
forsennata.
“Andiamo Charlie, io non intendevo…”,
iniziò a
spiegare Liam, prima di essere interrotto dalla bionda.
“Tu intendevi proprio questo, invece!”,
controbatté. “Il mondo ruota intorno al sesso,
diamine!”, tuonò riducendo gli
occhi a due piccole fessure.
Charlotte non sopportava i pregiudizi, non
sopportava le discriminazioni e le iniquità. Era una di
quelle ragazze
determinate, pronte a battersi per le proprie idee, a non tacere
davanti a
un’ingiustizia. Solitamente lottava per il rispetto degli
animali o della
parità delle donne, ma quella volta si era appigliata ad un
cavillo quasi
insignificante. Forse aveva solo bisogno di sfogarsi e Liam le aveva
servito su
un piatto d’argento un’opportunità
irripetibile.
“Qual è il tuo problema nell’uscire con
persone non accoppiate? Che ad una certa ora non ci si può
appartare? È questo
che ti infastidisce?”, lo accusò iniziando a
muovere piccoli passi.
“Ma certo che no!”, rispose con trasposto, ma
le sue parole non bastarono a placare l’ira di Charlie.
“Il punto è che siamo una generazione malata.
Fingiamo di aver sconfitto l’apartheid e la segregazione, ma
siamo pronti a
puntare il dito contro chiunque appare diverso da noi.”,
blaterò.
Margaret la guardava spaesata, non immaginando
affatto quanto potesse infervorarsi per un semplice invito. Harry,
invece,
aveva corrugato la fronte, avendo perso il filo logico del discorso.
“Abbiamo combattuto lotte molto più
impegnative e feroci, simuliamo che tutto vada bene, ma in
realtà non è così!”,
riprese.
“Charlotte, forse stai esagerando.”,
provò a
dire con cautela Margaret.
“Esagerando? Esagerando? Sai quanti animali
hanno ucciso per la tua borsa? Lo sai?”, tuonò
sempre più scossa, puntando
l’oggetto di pelle che l’amica aveva lasciato
cadere sul muretto.
Margaret si alzò, affiancandola. Con un
braccio circondò le sue spalle, nonostante
l’opposizione fatta da Charlotte.
“Va tutto bene, Charlie.”, sussurrò
abbracciandola.
Finalmente la bionda si calmò, godendo del
calore di quella stretta. Si lasciò cullare e chiuse gli
occhi. Quando li
riaprì erano umidi e le sue guance erano solcate da lacrime.
“Mi dispiace.”, balbettò poggiando la
testa
sulla spalla di Margaret.
“È tutto ok, tranquilla.”,
ripeté la ragazza,
aumentando la presa intorno al busto di Charlotte.
Aveva represso quel pianto per giorni,
sforzandosi di non cedere, perché lei era forte, ma alla
fine era scoppiata proprio
nel momento in cui meno se l’aspettava. Louis
l’avrebbe assimilata ad una bomba
ad orologeria che era non era stata disinnescata in tempo.
Al termine delle lezioni Audrey uscì
dall’edificio e si incamminò verso
l’auto della sorella, parcheggiata ad uno
dei primi posti. Per almeno un’altra decina di giorni avrebbe
dovuto fare
affidamento su Millie
per gli
spostamenti. Audrey aveva da poco dato l’esame di guida per
la patente,
conseguendola. Tuttavia non disponeva ancora di una macchina di sua
proprietà.
Ne aveva ordinata una appena qualche giorno prima, ma il colore della
vernice
che aveva scelto non era disponibile nell’immediato,
così si era ritrovata
senza una vettura capace di assicurare ogni suo movimento.
Poggiò la schiena alla portiera del lato del
passeggero ed incrociò le braccia al petto, sperando che
l’attesa non si fosse
protratta eccessivamente nel tempo.
“Quante volte ti ho detto di non appoggiarti
alla mia auto?”, sbottò Millie, piombando
all’improvviso alle sue spalle.
Audrey sbuffò, voltandosi in direzione della
sorella.
“Anche io ti ho detto centinaia di volte di
non urlare come una gallina, ma tu continui a farlo.”,
sibilò con un ghigno
sulle labbra.
Millie aprì l’auto ed entrambe presero posto
nell’abitacolo.
“Sei insopportabile, è per questo che non hai
amici.”, sentenziò mentre girava la chiave nel
quadro.
“Certo, invece tu sì che ne hai.”,
ironizzò
Audrey. “Sei patetica.”, affermò poi con
aria sprezzante.
“Tu invece mi fai pena.”, ribatté
Millie, non
preoccupandosi neppure di rivolgere un veloce sguardo alla sorella.
“Ti vesti
di nero, ti ricopri di matita, ti nascondi da tutto e da tutti. Non
potresti
provare ad essere un po’ più femminile e
socievole?”, continuò.
Audrey scosse il capo, sfinita da quei
continui battibecchi.
“E tu, invece, potresti semplicemente
smetterla di rivolgermi la parola?”, bofonchiò,
sperando di dare un taglio a
quella inutile discussione.
“Certo, anzi meglio. Non parliamo.”,
borbottò
Millie con una smorfia.
“Bene.”, terminò soddisfatta Audrey,
prima di
ricadere nel suo silenzio.
Bree si sedette esattamente di fronte alla
scrivania della sua analista. Quel pomeriggio aveva una delle frequenti
sedute
in cui non si sarebbe tassativamente potuta assentare.
“Ciao Brianne.”, la salutò la donna con
voce
pacata e gentile.
“Salve.”, ricambiò la ragazza piegando
le
labbra in un sorriso appena accennato.
“Cosa mi racconti oggi?”, le chiese la donna,
sistemando meglio gli occhiali sul naso.
Bree fece spallucce, non avendo molto da
raccontarle. Per lo più la sua vita era scandita da ritmi
tranquilli ed abituali
che non le riservavano alcuna novità eclatante.
“Credo di aver trovato dei nuovi amici.”,
disse dopo interminabili secondi, quando le immagini di quella mattina
le si
pararono davanti agli occhi.
“Vuoi dirmi come si chiamano?”, domandò
l’analista, temendo stesse mentendo o si trattasse di
personaggi fittizi.
“Louis e Zayn.”, rispose. “Frequentando
la mia
scuola.”, spiegò.
Tutto quel silenzio la faceva sentire a
disagio, tanto che era costretta a giocherellare con l’orlo
della camicetta
dalla tonalità pastello che indossava. Era snervante dover
parlare di sé ad una
donna estranea che continuava a fissarla come fosse un esemplare unico
al mondo
degno dei più accurati studi scientifici.
Non sentiva quella sensazione di conforto,
supporto e comprensione che pensava di poter trovare presso uno studio
del
genere.
“E sono gentili con te?”, continuò la
donna,
proseguendo il suo rituale interrogatorio.
“Sì.”, confermò Bree puntando
lo sguardo in
quello della signora seduta a poco più di un metro da lei.
Quello strazio sarebbe continuato per almeno
un’altra ventina di minuti, il necessario affinché
poi l’analista potesse
sentirsi perfettamente in regola per pretendere i soldi della visita
dalla
madre di Bree.
“Hai voglia di dirmi altro?”, le chiese dopo
qualche minuto di assoluto silenzio.
Agli inizi Bree trovava estremamente irritante
l’atteggiamento di quella signora, così ogni
qualvolta le porgesse quella
domanda Bree raccontava storie surreali di avventure esotiche e di
esperienze
inimmaginabili. L’analista l’ascoltava, facendo
finta di credere a tutto ciò
che diceva, poi la salutava con fare affettuoso. Ma puntualmente il
girono
seguente Bree si vedeva aumentata la dose quotidiana di pillole.
Così, alla
fine, aveva deciso di dare un taglio netto a quello stupido giochetto,
ma ormai
era troppo tardi. La prima volta che Bree era stata da uno psicologo
era perché
aveva dato uno schiaffo ad un bambino. Aveva appena dodici anni e quel
tipo
aveva cercato in tutti i modi di darle un bacio. Lei non voleva, quel
ragazzo non
le piaceva affatto. Un giorno, dopo il suo ennesimo tentativo mal
riuscito, gli
aveva stampato una cinquina sulla guancia sinistra. Nessuno aveva
creduto alla
sua versione dei fatti. Tutti avevano preferito additarla come la
ragazza
violenta la cui madre prendeva antidepressivi. Aveva iniziato con
colloqui
mensili, ma sua madre aveva pensato bene di intensificarli, fino a
quando,
l’anno scorso, l’aveva portata dalla sua analista.
Da quel momento era iniziato
per Bree un lento e graduale declino.
“No.”, rispose senza abbassare lo sguardo.
Non aveva davvero voglia di raccontarle della
sua vita, probabilmente non ne aveva mai avuta.
Louis salì sull’auto che Zayn stava guidando.
Sapeva che il suo amico, quella sera, sarebbe dovuto andare a
consegnare dell’erba
per conto di uno di quei tipi che di tanto in tanto gliene forniva
qualche
oncia a buon prezzo.
“Sei sicuro di volerlo fare?”, gli
domandò
voltandosi verso l’amico.
Louis non era un fifone, ma sapeva quanto
rischioso potesse essere immischiarsi in un giro del genere.
“Devo, lo sai.”, sentenziò con lo
sguardo
fisso sulla strada.
“Ok, allora facciamo questa cosa e
torniamocene a casa.”, borbottò Louis.
“Grazie.”, mormorò Zayn prima di
spingere il
piede sul pedale dell’acceleratore.
---
Angolo Autrice
Wow, non ci credo, torno finalmente ad aggiornare! *.*
Credo sia passata un'eternità dall'ultima volta, ma, sapete,
tra traslochi e borsoni vari è stato un po' difficile
trovare il tempo... :/
Anyway, che ve ne pare di questo capitolo? :D
Bree e Louis... L'avreste mai immaginato? D:
Dai, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. ;)
A presto (sarò più regolare d'ora in poi),
Astrea_
|
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Capitolo 7 *** Niall ***
s
NIALL
“Buongiorno
pa’.”, mugolò Niall entrando nella
piccola cucina della sua modesta abitazione.
“Eh, Niall.”, ricambiò l’uomo
di mezz’età,
sollevando lo sguardo dal quotidiano che teneva tra le mani per posarlo
sul
figlio.
“Novità?”, chiese quest’ultimo
riferendosi
alle informazioni che venivano elargite ogni mattina dai giornali.
“Per fortuna no.”, sospirò il padre
socchiudendo leggermente gli occhi.
Quello di aggiornarsi il prima possibile sugli
ultimi avvenimenti di maggiore rilevanza del mondo era uno dei
più assidui e
sacri rituali di casa Horan. Ogni giorno, dopo essersi preparato per la
scuola,
Niall raggiungeva il padre che, svegliatosi di buon ora, aveva
già acquistato e
letto un intero quotidiano. Quando un particolare titolo li allarmava,
facendo
trarre loro inopportune ed erronee conclusioni, Niall afferrava il
telefono e
digitava frettolosamente il numero della madre per accertarsi che
stesse bene.
Inoltre, da quando suo padre era stato licenziato,
appena due settimane fa, la tensione al mattino sembrava essere
aumentata,
complice l’assenza di programmi e rigidi orari
dell’uomo.
Niall sapeva che il loro comportamento era del
tutto eccessivo e paranoico, ma entrambi non riuscivano a fare a meno
di quei
piccoli gesti che ormai rientravano nella routine quotidiana.
Sua madre, la stimata e determinata signora
Horan, era arruolata nelle forze armate britanniche da oltre dieci
anni. Per i
primi anni aveva cercato di conciliare il lavoro con il ruolo d madre,
soprattutto quando Niall era piccolo. Per questo motivo aveva sempre
chiesto di
rimanere in base, evitando allontanamenti da casa che avrebbero acuito
le
difficoltà nel prendersi cura del figlio. A quei tempi,
inoltre, anche il padre
di Niall trascorreva tutta la giornata in ufficio, occupandosi della
direzione
logistica in una fabbrica automobilistica.
Negli ultimi tempi, tuttavia, la crisi aveva
reso meno sicura la prospettiva lavorativa futura dell’uomo,
costringendo
l’intera famiglia ad abituarsi all’idea della
precarietà di quell’impiego. La
ditta, infatti, appena l’anno precedente aveva iniziato una
trafila burocratica
attraverso cui si avviava a dichiarare il fallimento.
Così, preventivamente, la madre di Niall si
era dovuta far peso delle esigenze economiche familiari. Sapeva quanti
cambiamenti comportasse vivere esclusivamente del suo stipendio e, per
quanto
suo marito fosse intenzionato a cercare un nuovo lavoro, lei era ben
consapevole di quanto difficile fosse diventato trovare qualcuno
disposto ad
assumere del personale.
Alla fine aveva deciso di recarsi in missione,
un modo semplice ed immediato per incrementare le entrate.
Niall e suo padre non approvavano quella
decisione, ma quando la donna aveva firmato per
l’accettazione definitiva
dell’incarico avevano deciso che fosse giunto il momento di
sostenerla.
I primi tempi erano stati i più duri. Non
erano affatto abituati a telefonate tanto rare e brevi. Avevano
organizzato le
loro attività giornaliere così da rendersi
completamente disponibili nell’arco
di tempo in cui solitamente ricevevano una sua chiamata. Durava poco,
il
necessario per rassicurali sulle sue condizioni, raccontare qualche
breve
esperienza e ricordare loro quanto gli volesse bene. Quando Niall
riagganciava,
dopo aver parlato con sua madre, riprendeva il conto alla rovescia per
poter
nuovamente sentire la voce della madre.
Una volta avevano letto di un incidente che c’era
stato in una delle basi situate poco lontano da quella dove era stata
inviata
la madre. L’ansia li aveva completamente travolti,
l’agitazione, la
preoccupazione, la paura li aveva divorati. Avevano chiamato
immediatamente la
donna, ma lei non aveva risposto. Avevano provato con il numero di una
sua
collega, ma era risultato irraggiungibile, così avevano
optato per chiamare
direttamente il responsabile del campo, ma persino lui aveva il
cellulare
staccato. Avevano atteso per ore, Niall davanti al computer, cercando
continui
aggiornamenti, ed il padre con lo sguardo fisso su un canale che
trasmetteva
esclusivamente notizie di cronaca, poi quando alla solita ora era
squillato il
telefono si erano pietrificati.
Niall aveva pianto nel sentire la voce serena,
ma esausta della madre, aveva pianto dalla gioia che fosse ancora viva.
“Io vado a scuola, questa mattina sono già
piuttosto in ritardo.”, annunciò poi, afferrando
la tracolla che la sera prima
aveva lasciato su una sedia del tavolo della cucina.
“Va bene, buona giornata figliolo.”, lo
salutò
il padre, sorridendogli.
“Ciao.”, ricambiò Niall con poco
entusiasmo.
Ancora non aveva completamente accettato la
nuova situazione familiare. Sapeva quanto infantile fosse incolpare suo
padre
dell’assenza di sua madre, ma delle volte non riusciva a fare
altrimenti. Era a
causa della perdita del suo lavoro che lei era stata costretta a
partire, era a
causa di quel fottuto licenziamento se sua madre non era più
a casa con lui
appena finito il turno in caserma.
Ma Niall era un ragazzo maturo. Sapeva quanto
anche suo padre soffrisse per quegli avvenimenti, sapeva quanto gli era
costato
dover salutare sua moglie e trovare vuoto il posto accanto a lui nel
letto alle
prime luci dell’alba e la sera prima di andare a dormire. Non
era dipeso da lui,
perdere il posto presso quella fabbrica. Era stata la crisi, il mercato
praticamente
fermo e la mancanza di capitali da investire a determinare il suo
licenziamento, avvenuto dopo mesi di altalenanti periodi di
attività lavorativa
e ferie obbligate.
Uscito di casa, notò immediatamente l’auto
nera e lucida di Zayn in sosta proprio a pochi metri da lui. Louis,
seduto dal
lato del passeggero, lo salutava con la mano, sorridendogli
allegramente.
La sera precedente, infatti, si era trovato a
parlare del suo malcontento nel non disporre di un auto propria e
dell’orario
tassativo dell’unico autobus che raggiungesse direttamente la
strada in cui
abitava. Louis si era immediatamente offerto di passarlo a prendere, di
tanto
in tanto, la mattina per andare a scuola, vista la vicinanza delle loro
case. Ma
poi aveva ricordato che lui, dall’esatto giorno successivo a
quello del
conseguimento di Zayn della patente, aveva sempre approfittato
dell’indole
generosa che il suo amico nascondeva, convincendolo ad accompagnarlo a
scuola
praticamente tutti i giorni. Così, alla fine, Louis aveva
premuto affinché Zayn
allungasse di poche centinaia di metri la strada per poter includere
anche casa
di Niall tra le fermate d’obbligo nel percorso per
raggiungere il Kensington &
Chelsea College.
“Buongiorno
ragazzi.”, esordì cordialmente
Niall, prendendo posto sui sedili posteriori della vettura.
“Ciao bello!”, trillò Louis, forse
già troppo
attivo sin di primo mattino.
“Ciao.”, fu il più discreto saluto di
Zayn.
Rimise in moto ed in un attimo si ritrovarono
a sfrecciare per le strade di Londra, non percependo neppure la
velocità alla
quale quell’auto consentiva loro di andare. Zayn era stanco,
quel giorno. Era
stanco perché la notte precedente non aveva dormito
granché e neppure in
condizioni ottimali. Aveva dovuto fare da corriere per un tizio che
aveva
incontrato poche sere prima con Louis. Tuttavia, quella notte, non
aveva
chiesto all’amico di accompagnarlo. Sapeva quanto rischiosa
potesse diventare
una presenza costante, avrebbe finito per coinvolgere troppo anche
Louis, per
questo motivo non gli aveva detto nulla di quella faccenda. Del resto
la vita
aveva insegnato a Zayn che risultava favorevole non essere a conoscenza
di
determinate situazioni. Aveva trascorso più di quattro ore
sul sedile di un’auto
che neppure sapeva da dove provenisse, aveva preferito non fare domande
a
riguardo. Si era appisolato circa una decina di volte, ma puntualmente
aveva
spalancato gli occhi appena pochi minuti dopo, consapevole che se
l’avessero
trovato dormiente di certo non ne sarebbero stati entusiasti. Tuttavia,
l’uomo
che avrebbe dovuto incontrare non si era presentato. Al suo posto era
venuta
una donna, incurante delle tre ore di ritardo con le quali aveva
raggiunto il
luogo prestabilito. Quando era rientrato in casa i suoi genitori ancora
dormivano, così era stato costretto ad aspettare che suo
padre si svegliasse,
per poi scavalcare il cancello sul retro e sgattaiolare in camera sua
senza
farsi sentire. Sapeva, infatti, che suo padre attivava tutte le sere
l’impianto
di sicurezza, per disattivarlo poi il mattino successivo, dunque non
aveva
alcuna possibilità di oltrepassare il cancello senza essere
scoperto.
“Avete visto la partita del Chelsea ieri sera?”,
chiese Louis, con la chiara intenzione di intraprendere una
conversazione con
gli altri due. “È stata a dir poco
vergognosa!”, commentò con aria indignata.
“Sono d’accordo. Insomma, ci hanno davvero
stracciati.”, aggiunse Niall, sbucando con la testa tra i due
sedili anteriori.
“Zayn, hai visto il primo goal?”,
domandò
Louis, pretendendo la partecipazione dell’amico.
Zayn, secondo Louis, era così: necessitava
della spinta di qualcuno per socializzare con persone nuove.
“Certo.”, disse indeciso, non avendo la minima
idea di cosa quei due stessero parlando.
Zayn amava il calcio, quasi come ogni ragazzo
della sua età, ma la sera precedente era stato impegnato a
fare altro.
Fortunatamente il breve tragitto fu colmato
dal capillare resoconto di Niall, che si scoprì essere un
accanito e ben
informato tifoso, interrotto solo dai commenti poco educati di un
furente
Louis.
Zayn parcheggiò ad uno degli ultimi posti
lasciati ancora liberi nel parcheggio riservato agli studenti, poi
scesero
dall’auto e si avviarono all’ingresso.
“Ciao Louis! Ciao Zayn! Niall!”, esclamò
briosa Bree, notando l’arrivo dei tre ragazzi che in quel
momento stavano
passando proprio accanto a lei.
Audrey, che era perennemente con lei, sbuffò
senza preoccuparsi affatto che potessero notare la sua reazione.
“Bree, che bello vederti!”, la salutò
Louis,
ricambiando l’entusiasmo, subito imitato da Niall.
Zayn, invece, si limitò ad un cenno della mano
ed un’occhiata fuggevole.
“Devi proprio salutare tutte le persone e fare
la carina?”, sbottò Audrey quando i ragazzi furono
abbastanza lontani da
evitare che la sentissero.
Bree corrugò la fronte, confusa da
quell’insinuazione.
Per lei, Louis e Zayn potevano essere considerati degli amici, dunque
le
appariva un’azione normale salutarli quando li intravedeva
tra i corridoi e i
vari spazi della scuola. Era bastato poco a far decidere a Bree che
quei due
ragazzi non fossero malvagi o meschini. Ci aveva parlato poche volte e
per poco
tempo, ma qualcosa l’aveva convinta a non dubitare per
neppure un istante della
loro bontà d’animo. Si era fidata, aveva scorto
dietro le loro all’apparenza
impenetrabili espressioni dei sentimenti positivi, delle intenzioni
oneste. Audrey
era convinta che Bree vedesse del buono anche dove non ve
n’era neppure la
traccia, era un piccolo difetto che da sempre aveva attribuito
all’amica.
“Sono miei amici.”, si difese Bree, stringendo
al petto quel raccoglitore azzurro che portava con sé.
L’espressione di Audrey si tramutò in una
smorfia quasi beffarda che la ragazza cercò di mascherare
con uno sguardo
scettico.
“E loro lo sanno?”, domandò fissando i
suoi
occhi scuri e penetranti in quelli verdi e titubanti
dell’amica.
In un attimo l’aria spaesata di Bree si
tramutò, i suoi lineamenti si indurirono, le sopracciglia si
inarcarono e gli
occhi si assottigliarono.
Si stava innervosendo, Audrey poteva capitolo
anche solo dall’intensità del suo sguardo e dalle
ciglia che continuava a
sbattere.
Si rese conto che aveva esagerato porgendole
quel quesito. Aveva messo in dubbio le sue capacità di
giudizio e, soprattutto,
aveva messo in dubbio il parere e le parole di Bree. Spesso le persone
lo
facevano e Bree, nella maggior parte dei casi, incurante del pensiero
altrui,
lasciava correre. Ma quando era una sua amica a trattarla esattamente
come un
qualsiasi estraneo, a non ritenerla pienamente consapevole e
ragionevole, non
riusciva ad ignorare quella voragine che si scavava nel suo petto.
“Non sei simpatica, Audrey.”, sottolineò
Bree
con tono seccato, muovendo qualche passo in direzione
dell’aula presso la quale
si sarebbe tenuta la sua prima lezione della giornata.
L’altra strizzò gli occhi, pentita per
ciò che
aveva detto, ma troppo orgogliosa per ammetterlo.
“Non è detto che tutto quello che esce dalla
mia bocca sia pura follia solo perché il mio nome
è Brianne Liberty Collins.”,
sentenziò risentita.
Audrey concentrò lo sguardo sulla fila di
armadietti alla loro destra, incapace di guardarla direttamente in
volto. Si
era resa conto di aver detto una cazzata quando ancora stava ultimando
quella
stupida domanda.
“Io ho spagnolo, adesso. Tu dovresti avere
francese avanzato, giusto?”, riprese Bree bloccandosi davanti
ad una delle
tante aule del primo piano.
L’amica annuì, teneva i denti conficcati nel
labbro inferiore e di sottecchi scrutava l’espressione della
ragazza dai
capelli rossicci.
“Allora vai, se non ci tieni ad arrivare in
ritardo. A me non serve la balia.”, borbottò con
un filo di ironia, cercando di
darsi un tono altezzoso e perentorio a cui non era di certo abituata.
“Ci vediamo dopo.”, la salutò Audrey,
piegando
le labbra in un lieve ed impacciato sorriso.
Camminava per il lungo ed affollato corridoio
con la testa bassa ed una mano avvolta intorno alla tracolla del suo
zaino,
poggiata sulla spalla destra. Quasi neppure percepiva quel vociferare
euforico
degli studenti che si affrettavano a raggiungere le rispettive classi,
scherzando allegramente tra di loro. Chiusa nel suo mondo silenzioso e
desolato, Audrey neppure si accorse della presenza di Liam esattamente
dietro
l’angolo che aveva appena svoltato. Sentì il suo
corpo scontrarsi contro
qualcosa ed il tonfo sordo causato da un libro che precipitò
sul pavimento.
“Guarda dove cammini, idiota!”, inveì
Audrey
che ancora non aveva riconosciuto l’identità del
ragazzo.
“Audrey.”, disse semplicemente Liam, facendole
un cenno della mano, ignorando il tono acido ed accusatorio che gli
aveva
appena rivolto.
La ragazza fece roteare gli occhi al cielo,
ancora più irritata dal fatto che tra tanti ragazzi, era
dovuto finire proprio
contro quello di sua sorella.
Con un passo scansò il libro che ancora era a
terra, decisa a riprendere il cammino verso la classe di francese
avanzato.
Liam, tuttavia, la bloccò afferrandole
prontamente il polso. Audrey si voltò di scatto, sorpresa,
ma soprattutto
irritata da quel gesto.
“Cosa vuoi?”, sbottò a denti stretti,
quasi
ringhiando.
Il castano sorrideva, un ghigno sornione disegnato
sulle sottili labbra rosse.
“Raccoglilo.”, le ordinò con voce
falsamente
cordiale, riferendosi ovviamente al libro di testo che gli era caduto
nell’impatto.
Audrey fece una smorfia, per nulla disposta ad
ascoltare le idiozie che Liam andava blaterando. Si dimenò,
cercando di
liberare il braccio dalla presa ferrea del ragazzo, ma lui non se la
fece
scappare.
L’avvicinò maggiormente al suo viso, tanto che
Audrey poteva sentire il respiro di Liam cadere fresco sulle sue
guance.
“Mi hai sentito.”, sibilò Liam con gli
occhi
fissi in quelli di Audrey.
Nonostante vestisse diversamente, nonostante
si truccasse diversamente e si comportasse diversamente, Audrey era
terribilmente simile alla sorella. Gli occhi scuri, il naso, le labbra,
il
viso, Liam riuscì a rivedere ogni tratto di Millie nel viso
di Audrey.
“E tu senti questo, Liam.”, lo sfidò
prima di
sferrare una forte ginocchiata nelle parti intime del ragazzo,
costringendolo a
raggomitolarsi su se stesso per il dolore che gli aveva appena
procurato. Sul
viso di Audrey spuntò un sorriso soddisfatto, mentre con le
braccia incrociate
al petto osservava quella deliziosa ed idilliaca scena.
“Sei una stronza.”, l’accusò
Liam, che ancora
non era riuscito a tornare in posizione eretta.
“Lo so.”, gli rispose lei, facendo spallucce.
Si girò nella direzione opposta, ancora
sorridente, lasciando il ragazzo dolorante alle sue spalle, poi si
decise ad
entrare finalmente in classe.
Liam fu costretto a raccogliere il libro,
avendo appena incassato un duro colpo e non solo alla sua autostima.
Avrebbe
accuratamente taciuto su quell’episodio, desideroso che
nessuno ne venisse a
conoscenza. Scrollò le spalle e proseguì in
direzione dell’aula della sua
ragazza. Aveva un’ora buca a causa dell’assenza
improvvisa del professore del
corso di letteratura ed aveva tutta l’intenzione di
trascorrerla con Millie,
magari appartati in qualche angolo della scuola.
Da ultima arrivata quale era, Audrey fu
costretta ad accontentarsi di uno dei pochi posti rimasti liberi,
preferendo la
vicinanza di Margaret a quella degli altri due ragazzi, il primo
così
apparentemente tonto e sciocco, il secondo studioso ed impeccabile.
“Ciao.”, la salutò Margaret con un
sorriso che
ad Audrey parve sincero.
Ricambiò con un cenno della mano, lasciandosi
cadere sulla sedia di legno. Il professore aveva già
introdotto la lezione del
giorno quando lei aveva bussato alla porta con una scusa plausibile
già
inventata per l’occasione. Lui non aveva posto particolari
obbiezioni,
trattandosi di una delle ragazze in assoluto più brave e
preparate del suo
corso. Audrey parlava benissimo il francese, soprattutto grazie alle
continue
vacanze che annualmente ripeteva a Parigi.
“Hai sentito la novità?”, le chiese la
sua
provvisoria compagna di banco, non prestando attenzione alla
conversazione che
veniva riprodotta da un registratore e che fungeva da evidente
esercitazione
all’ascolto.
Audrey spostò la sua attenzione dalla voce
della donna che continuava a parlare dei suoi gusti in fatto di moda a
quella
della ragazza dai capelli biondo miele.
Aggrottò la fronte, non sapendo a cosa si
stesse riferendo.
“Venerdì prossimo Jason, il ragazzo del corso
di filosofia, darà una festa. Ha invitato praticamente
tutti.”, sussurrò
sorridendole, mentre armeggiava con una matita, scarabocchiando di
tanto in
tanto per fingere di prendere appunti.
Ne aveva sentito parlare il giorno precedente,
ma non aveva prestato eccessiva attenzione a quelle chiacchiere.
“Spero che Harry mi chieda di andarci con lui.”,
continuò Margaret ricalcando il cerchio che aveva appena
disegnato.
Audrey aveva migliaia di dubbi riguardo alla
loro relazione. In pubblico Margaret ed Harry sembravano solo due amici
piuttosto in confidenza, ma da quelle parole e dall’ultima
chiacchierata che
aveva avuto proprio con il ragazzo, poteva chiaramente intuire che in
privato
avessero un’intimità maggiore.
Margaret sembrava attendere una sua risposta,
così Audrey si premurò di pensare cosa fosse il
caso di dire, in tali
circostanze.
Non era interessata affatto a quella festa, né
alla vita sentimentale di Margaret ed Harry, ma si costrinse a
partecipare a
quella conversazione.
“State insieme?”, domandò spostando lo
sguardo
sull’astuccio rosso che aveva poggiato sul suo banco poco
prima.
“Certo che no!”, sbottò prontamente
l’altra,
trovando qualche apparente difficoltà nel modulare il tono
di voce.
Margaret si ricompose e prese un lungo e
profondo respiro.
“Ci stiamo solo conoscendo meglio.”,
chiarì
con un’espressione maliziosa dipinta sul volto che
sconcertò Audrey.
Certo, la vita sapeva essere terribilmente
ingiusta delle volte. Margaret ed Harry avevano fatto sesso senza
complicazione
alcuna, senza l’implicazione di sentimenti, promesse,
delusioni. C’erano stati
solo i loro corpi caldi a contatto ed un profondo e grande piacere che
li aveva
soddisfatti. E a loro stava bene così, persino ad Harry che
con lei aveva perso
la sua verginità, diventando uomo a tutti gli effetti.
Eppure la loro storia
non sarebbe stata affatto complicata. Per Harry ci sarebbe stata solo
Margaret,
per Margaret solo Harry. Niall avrebbe venduto l’anima per
trovarsi nella
stessa situazione, ma con Millie al posto di Margaret. Anche Millie e
Niall
erano stati insieme, ma purtroppo lei non aveva voluto parlare neppure
una
volta di ciò che era successo tra di loro. Diceva di amare
Liam, di aver
sbagliato, che Niall era solo un buon amico e, ad ogni parola, un pezzo
del
cuore del biondo si frantumava, fino a ridurlo in tanti piccoli cocci
che
difficilmente sarebbero stati riassemblati. Forse Millie non era come
lui l’aveva
da sempre dipinta nella sua mente, forse non era più quella
ragazza vitale e
solare che conosceva da tempo. Era cambiata e Niall non era sicuro che
quella
nuova Millie continuasse a piacergli. Per mesi aveva pensato che era
solo colpa
della nuova scuola, del suo nuovo fidanzato, ma quando quella notte
l’aveva
stretta tra le sue braccia e l’aveva guardata negli occhi,
aveva capito che
c’era qualcosa di diverso in essi, qualcosa che andava ben
oltre le sue ipotesi.
Non c’erano spontaneità, sincerità,
generosità nelle sue azioni, nei suoi
discorsi, nei suoi sguardi. Non c’era bontà nei
gesti o nelle parole che riservava
alle persone, ma soltanto bisogno di primeggiare, di sentirsi migliore,
di
ottenere sempre ciò che desiderava. Si diede dello stupido
per non essersi
accorto prima di quanto Millie non fosse più quella persona
di cui si era
innamorato. L’aveva idealizzata, quasi come una dea dalle
fattezze angeliche,
ma quando l’aveva sentita tanto vicina da percepire il
battito del suo cuore
Niall aveva pensato che fosse solo dannatamente bella e nulla di
più.
Niall si diresse verso il parcheggio, cercando
con lo sguardo l’auto di Zayn. Quando la vide,
notò Charlotte che, appoggiata
alla portiera posteriore, giocherellava con le dita tra i capelli.
“Ehi.”, esordì facendosi più
vicino.
Di Louis e Zayn non c’era ancora traccia,
dunque avrebbe dovuto aspettarli.
“Cercavi Louis?”, chiese alla ragazza che
ancora non aveva proferito parola.
Charlie annuì, alzando il volto per scontrarsi
con gli occhi azzurri e limpidi di Niall.
“Volevo parlargli, ma non credo più sia una
buona idea.”, spiegò con un’espressione
affranta, ma allo stesso tempo
tormentata.
“Non dirgli che ero qui, per favore.”,
implorò
imbarazzata mordendo forte il labbro inferiore.
“Ok, ma credo che tu…”, non fece neppure
in
tempo a completare la frase che Charlie era già corsa via.
Vide la sua figura farsi sempre più piccola,
fino a quando non scomparve dietro l’angolo
dell’edificio.
“Allora, si torna a casa?”, esordì un
solare
Louis, seguito da Zayn che faceva roteare le chiavi dell’auto
intorno
all’indice destro.
“A casa.”, ripeté Niall.
---
Angolo Autrice
Ok, finalmente ci sono!:D Ecco il nuovo capitolo e questa volta
scompramo qualcosa in più sulla vita di Niall.
Wow, mi sembra quasi surreala riuscire ad aggiornare!XD
Comunque sia, siamo già a Niall, ormai abbiamo conosciuto
quasi tutti i protagonisti da vicino!
Prevedo tre capitoli per ognuno di loro, per un totale di ben trenta
capitoli, quindi devo darmi da fare!xD
Che dire, sembra proprio che nessuno di questi ragazzi se la passi
bene, eh!
Volevo ringraziare la splendida Hazzamlmlml
che
ha recensito lo scorso capitolo:
non ho ancora avuto modo di risponderti e ti chiedo scusa per questo,
ma ti ringrazio infinitamente, davvero!
Non puoi capire quanto sia stata immensamente felice di leggere il tuo
commento!!*.*
Anyway, ringrazio chi segue, preferisce, ricorda e legge!:D
Bene, se vi va lasciate un commento...!;)
Alla prossima con *rullo di tamburi*.... *suspance*....AUDREY!;)
Astrea_
|
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Capitolo 8 *** Audrey ***
f
AUDREY
Con
un gesto secco Audrey ricoprì la tastiera
del pianoforte che era stata lasciata scoperta dalla domestica che
quotidianamente si recava in quella casa per svolgere delle faccende.
Odiava
quando lasciava lo strumento in quelle condizioni, era come se la
stesse
sfidando nonostante le numerose volte in cui Audrey le avesse ribadito
di non
toccarlo. Entrambe sapevano bene che nessuno l’avrebbe mai
suonato ancora, ma
la donna lasciava ripetutamente i tasti scoperti, come se metterli in
bella
vista avesse potuto riprodurre la sensazione delle dolci note che
aleggiavano
per la grande sala. Le piaceva poter ricordare quando in quella
famiglia
regnava la serenità, la tranquillità. Audrey,
invece, percepiva quel gesto come
un continuo inopportuno invito a prendere posto su quello sgabello e
sfiorare
con le sue dita sottili quei tasti tanto lucidi che lei conosceva bene.
Era
come se ogni volta, nel guardare quel pianoforte, i suoi ricordi
tornassero a
galla, procurandole un forte dolore, quello stesso dolore che ancora
non era
riuscita a superare.
“Vuoi che questo scherzetto del cazzo ti costi
il lavoro?”, Audrey minacciò la domestica che
ormai conosceva bene con tono
burbero ed autoritario.
Non avrebbe mai permesso che la donna
lasciasse quella casa, ma sperava di convincerla a smetterla di pulire
quel
piano tutti i giorni, come se qualcuno continuasse ancora a suonarlo e
ad
esercitarsi.
“Audrey, piccola mia, i tuoi occhi ti
tradiscono ancora. Non stai dicendo sul serio, io lo so.”, fu
la risposta che
ricevette, mentre la donna le accarezzava una guancia con fare
amorevole.
Audrey si scansò, aumentando la distanza che
intercorreva tra i loro corpi. Temeva quello sguardo perforante che
ancora
riusciva a leggerle l’animo.
“Vado a studiare.”, tagliò corto,
dirigendosi
poi verso le scale che portavano al piano superiore.
In realtà non aveva davvero nulla studiare,
complice il fatto che il giorno seguente non ci sarebbe stata scuola.
Ma quel
pomeriggio, visto il suo pessimo umore, non avrebbe fatto nulla a
prescindere.
Si lasciò pesantemente cadere sul letto ed
afferrò il cuscino rosso carminio
tra le braccia, poi lo strinse forte. Su una parete era appesa una foto
dalle
grande dimensioni raffigurate lei a Parigi, sotto la torre Eiffel sulla
quale
era salita tante di quelle volte da perderne il conto. Sua madre
adorava il
francese e Audrey avrebbe fatto di tutto affinché sua madre
adorasse anche lei.
Con Millie era diverso, loro condividevano i pettegolezzi, lo shopping,
i film
strappalacrime ed i commenti poco casti su qualsiasi personaggio
maschile. Ma
Audrey odiava tutte quelle cose. Preferiva il pianoforte che sua madre
aveva
comprato solo perché l’affascinava, nonostante non
sapesse suonarlo. Ci aveva
pensato Audrey a prendere delle lezioni, così da poter
finalmente produrre
della musica di buona qualità. E poi c’era il
francese, la lingua che sua madre
amava e che Millie era troppo pigra per imparare. Audrey aveva finito
per
detestare anche quello, con il tempo. Erano tutti piccoli e dolorosi
ricordi di
un’infanzia non troppo rosea e di un’adolescenza
spezzata da quel terribile
lutto. Persino i perenni litigi e le continue incomprensioni con Duncan
avevano
lasciato una profonda cicatrice sul suo cuore. Non era riuscita a
godere del
tempo che avevano trascorso insieme, l’aveva sprecato in
inutili insulti e
battutine maligne. Avrebbe tanto voluto avere anche solo cinque minuti
in più
per abbraccialo e dirgli che gli voleva bene, gliene aveva sempre
voluto, anche
se aveva un modo del tutto alternativo per dimostrarlo. Ricordava
ancora quando
Duncan le aveva fatto sparire il cd dei Three Days Grace e lei, per
dispetto,
aveva inserito del colorante per capelli nello shampoo del fratello. Le
urla
furiose di Duncan riecheggiavano ancora nella sua testa, costringendo
Audrey a
strizzare forte gli occhi per non piangere.
Il suo cellulare squillò, costringendola a
riscuotersi da quel mare di ricordi in cui era annegata.
“Ciao Bree.”, biascicò, avendo letto il
nome
della ragazza sullo schermo del telefono un attimo prima di accettare
la chiamata.
“Ciao!”, gongolò l’altra.
“Preparati, stasera
c’è una festa, ricordi?”,
esordì con tono allegro e vivace.
Audrey non era certo dell’umore adatto per
divertirsi, ma dare delle spiegazioni non rientrava affatto nelle
prospettive
da prendersi in considerazione.
“Sono a piedi, la mia auto ancora non arriva.”,
inventò, sperando che bastasse a scoraggiare
l’amica, ma conosceva abbastanza
bene Bree da avere la certezza che disponesse già di una
soluzione.
“Tranquilla, passano a prenderci Zayn e Louis.”,
rispose prontamente con le labbra incurvate in un sorriso compiaciuto.
“Non ho scelta, vero?”, chiese retorica
accennando ad una smorfia.
“No. Tra due ore siamo da te.”, concluse Bree,
trionfante.
Quando finalmente giunse l’orario prestabilito
Audrey era già pronta da molto. Stretta nei suoi shorts
neri, coperti in larga
parte da una maglia grigia che nascondeva le sue forme femminili, aveva
impiegato ben poco per ricoprire gli occhi di un nuovo strato di matita
e dare
una veloce sistemata ai capelli mossi. Persino le particolari calze che
coprivano le sue snelle gambe erano scure.
Si sorprese di trovare anche Niall con loro,
ma solo perché la sua presenza implicava dover condividere
con altre due
persone i sedili posteriori, riducendo così lo spazio a lei
disponibile. Il
breve viaggio fu piuttosto silenzioso. Nonostante Bree fosse
particolarmente
disposta a socializzare e Louis continuasse a scherzare senza
preoccuparsi del
fatto che nessuno ridesse delle sue battute, ogni argomento di
conversazione
veniva stroncato dall’intervento di Audrey, la quale,
obbligata a rispondere ad
una domanda, finiva per freddare l’entusiasmo degli altri.
Giunti a casa di
Jason, il ragazzo che aveva organizzato la festa in occasione di
chissà quale
ricorrenza, probabilmente il suo compleanno, Audrey, Bree, Niall, Louis
e Zayn
si trovarono catapultati nel vortice travolgente della musica
assordante che
proveniva dal salone. Louis afferrò Bree per mano e la
portò al centro, dove un
consistente gruppo di ragazzi ballava, seguendo il ritmo della canzone
che
rimbombava attraverso le casse.
“Divertiamoci un po’, dolcezza!”, le
disse
quasi all’orecchio, per sovrastare il volume assordante.
Bree sorrise, facendo una giravolta su se
stessa, prima di lasciare che il corpo si muovesse liberamente.
In un attimo anche Zayn e Niall sparirono tra
la folla. Il primo alla ricerca di qualcuno che necessitasse di lui,
qualcuno
come Millie, il secondo alla vista di Charlotte che affiancava Margaret
ed
Harry su uno dei tre divani.
“Ehi, amico!”, lo salutò Harry
porgendogli una
mano che prontamente Niall afferrò.
“Fatemi un po’ di posto, va.”,
esordì facendo
segno a Charlie di stringersi così che potesse sedersi anche
lui.
“Sei venuto con gli altri?”, chiese Margaret,
le cui spalle erano avvolte dal braccio di Harry, fermato dalla mano di
lei che
stringeva quella grande del ragazzo proprio all’altezza della
scapola.
“Sì, Zayn mi ha dato un passaggio.”,
confermò
dando una veloce occhiata all’amico che, con
un’espressione contrariata sul
volto, parlava con un ragazzo di media statura, puntandogli un dito
all’altezza
del petto.
“Ma ha sempre un’aria così tenebrosa
quello
là?”, chiese ancora la ragazza, incuriosita dal
moro che conosceva ancora così
poco.
“Devi vedere quando si arrabbia!”,
s’intromise
sogghignando Charlie, ricordando quella volta che Louis aveva vomitato
nell’auto di Zayn, rischiando quasi la vita.
Non le faceva più male come qualche giorno fa
ricordare quel volto, quegli occhi, quel nome. Sentiva di non essere
ancora
pronta per voltare completamente pagina, ma qualcosa dentro di lei le
diceva
che era sulla buona strada, che ora stava facendo la cosa giusta, per
lei ed
anche per Louis, in un certo senso.
“Ma dai, non è poi così
male.”, lo difese
Niall, cercando di convincere gli altri.
Il suo tono, tuttavia, apparve talmente
riluttante che neppure lui riuscì a credere
alla sua stessa affermazione, facendo scaturite una risata collettiva.
“Ok, ci hai provato.”, scherzò Margaret,
accavallando le gambe lasciate scoperte da un vestitino di seta rosa.
Si voltò in direzione di Harry, incrociando
gli occhi verdi e luminosi del ragazzo, e gli sorrise. Margaret aveva
un unico
obiettivo per quella serata ed includeva anche Harry. Non voleva fare
ancora
del sesso con lui, ma semplicemente parlare e scherzare, magari ballare
e
divertirsi. Harry era davvero un ragazzo perbene, rispettoso, educato e
gentile
e lei l’aveva capito appena erano rimasti da soli, quella
sera a casa Wood.
“Andiamo?”, propose ad Harry alzandosi, mentre
un sorriso prendeva forma sulle sue labbra.
“Ma certo!”, asserì lui, afferrando la
mano
per gettarsi nella mischia di ragazzi che ballavano.
Charlotte li vide allontanarsi e per qualche
istante fu colta da un leggero imbarazzo causato dalla sola presenza di
Niall
al suo fianco.
Temeva il giudizio del ragazzo sul suo
comportamento poco maturo di cui aveva dato sfoggio appena pochi giorni
prima
nel parcheggio del Kensington
& Chelsea College. Si
chiese chissà cosa Niall potesse pensare sul suo conto, a
quali conclusioni
fosse autonomamente giunto, magari ritenendola persino una stalker o
affini.
“Sei sempre così silenziosa?”,
domandò
Niall, interrompendo quel silenzio che, come una bolla di sapone, li
aveva
avvolti, escludendoli dal caos che li circondava.
Le labbra si Charlie si incresparono,
accennando ad un leggero e spontaneo sorriso.
“A dir il vero no, ma stasera non so
davvero cosa mi prenda.”, confessò scontrando i
suoi occhi di ghiaccio con
quelli color del cielo di Niall.
“Non devi darmi spiegazioni, va bene
così.”, la tranquillizzò il ragazzo,
sfiorando la mano di Charlotte con la sua.
Lei sussultò per quell’inatteso
contatto, ma non ritirò il braccio. Al contrario,
intrecciò le dita con quelle
di Niall.
“Beviamo qualcosa, ti va?”, suggerì
allora lui, sperando di riuscire ad alleggerire l’atmosfera
tesa che aleggiava.
Charlie scosse il capo, decisa a non
toccare alcunché di alcolico per quella sera.
“Parlami un po’ di te, piuttosto.”,
lo incitò, mettendosi più comoda
sul divano, curiosa di conoscere meglio quel ragazzo dalla chioma
bionda.
Millie seguiva con lo sguardo ogni
minimo movimento di Zayn. Sapeva che era solo questione di tempo, poco
tempo,
prima che i loro occhi si incrociassero, dando vita ad una tacita
conversazione
il cui epilogo era già ben noto ad entrambi.
Liam le afferrò i fianchi, stringendola
maggiormente al suo corpo, mentre insieme si muovevano sinuosamente a
ritmo di
musica. Ballavano da oltre una ventina di minuti e Millie era piuttosto
stanca
di quei movimenti tanto peccaminosi. Lei e Liam danzavano come un unico
corpo,
erano talmente vicini che neppure un filo d’aria sembrava
passare tra loro. Con
una mano Liam scese fino a sfiorare le cosce della sua ragazza, mentre
le
lasciava scie di umidi baci che partivano dal collo per poi sfiorare la
mascella
e il lobo dell’orecchio.
Non le interessava in quel momento il
gioco di seduzione che Liam stava inutilmente provando sul suo corpo,
era
decisamente interessata ad altro. Quasi aveva imprecato quando aveva
visto Zayn
sparire dietro una delle tante porte in compagnia di una ragazza,
timorosa che
avrebbe impiegato molto più tempo del previsto.
Fortunatamente, invece, neppure
una decina di minuti Zayn era riapparso nella sala, con le labbra
piegate in un
ghigno beffardo. Lo vedeva parlare con dei ragazzi, ogni volta sempre
gli
stessi, per poi muoversi furtivamente, evitando sguardi indiscreti.
Erano pochi
quelli che riuscivano a procurarsi ciò che cercavano
direttamente da lui, si
trattava solo di una piccola cerchia di persone ristrette a cui faceva
un ottimo
prezzo per chissà quali ragioni che a Millie non
interessavano. Aveva ragionato
già troppo quella sera, tanto che il suo cervello si
rifiutava di farlo ancora,
di pensare. Sentiva il rumore degli ingranaggi, il rumore dei pensieri,
delle
voci, della coscienza e le dava tutto terribilmente fastidio. Lo
trovava
insopportabile e si chiedeva come ancora riuscisse a trattenersi dallo
sbattere
veementemente il corpo di Zayn contro il muro e pretendere
ciò di cui aveva
bisogno.
Liam fece voltare
Millie tra le sue braccia,
distraendola dalla lunga operazione nella quale era impegnata. La
baciò con
foga, come se avesse atteso troppo prima di farlo. Spostò
una mano dietro la
nuca della ragazza, approfondendo il contatto che si era da poco creato
tra le
loro lingue. Liam voleva di più e quel messaggio subito
divenne chiaro a Millie
quando il suo ragazzo iniziò ad accarezzarla con movimenti
lenti effettuati
dalla mano che fino a pochi attimi prima era sul suo fianco.
Millie sapeva
che se avessero abbandonato la
festa in quel preciso istante, lei avrebbe perso l’occasione
di incontrare Zayn
e non poteva affatto permettere che ciò accadesse.
“Scusa
Liam, devo andare in bagno.”, mentì
allontanando il viso del suo ragazzo dal suo, assumendo una finta
espressione
desolata.
Il viso di
Liam si piegò in una smorfia di
incredulità mista a disapprovazione, con gli occhi scrutava
il volto di Millie
per cercare di comprendere cosa non andasse.
“Prometto
che torno in un attimo, amore.”, lo
rassicurò stampandogli un bacio sulle labbra, per poi
dileguarsi velocemente.
Era quello il
momento, lo aveva intuito quando
Millie aveva intravisto Zayn nel corridoio a sinistra. Era stata
fortunata, ora
di certo non gli sarebbe potuto scappare. Lo raggiunse a testa alta, la
sua
immagine era chiara espressione di sicurezza e audacia.
“Ti
stavo cercando.”, dichiarò con tono cauto.
Sapeva che il
moro l’aveva vista arrivare,
dunque non c’era alcun bisogno di cordiali saluti e
presentazioni educate.
“Anche
il mio portafogli ti cercava.”, ribatté
Zayn.
Aveva la
schiena poggiata al muro, le gambe
appena incrociate all’altezza dei polpacci, la mano destra
nei jeans chiari che
indossava, mentre nella sinistra stringeva una sigaretta ancora spenta.
Il suo
sguardo divertito era riservato esclusivamente a Millie.
“Le
tue squallide battute mi danno la nausea.”,
commentò lei, avvicinandosi pericolosamente al busto del
ragazzo.
“Non
siamo qui per fare conversazione.”, le
ricordò concentrando la sua attenzione sulle labbra della
ragazza.
Millie
sorrise, soddisfatta dell’effetto che
sembrava sortire su di lui, e poggiò una mano sul petto di
Zayn. Con le dita
iniziò a percorrere la linea dei pettorali che
s’intravedevano al di sopra del
tessuto della maglietta bianca che contrastava con la sua carnagione
particolarmente colorita.
“Hai
le pasticche?”, gli chiese Millie, non
riuscendo a prolungare ulteriormente quello scambio obbligato di
battute.
“Una.”,
rispose Zayn, cercando già nella tasca
la bustina che le aveva riservato.
Millie non
gradì affatto la parola che era
appena giunta al suo orecchio. Non avrebbe ceduto tanto facilmente,
soprattutto
perché ormai aveva compreso quando Zayn le mentisse. Portava
lo sguardo
altrove, poi lo puntava verso l’alto ed infine tornava a
fissare i suoi occhi,
esattamente come aveva appena fatto.
Millie
avvicinò le sue labbra a quelle del
ragazzo, facendo leva sulla mano che ancora teneva poggiata sul busto
di Zayn.
“Solo
una?”, replicò ad un soffio dalle sue
labbra.
Zayn la
scansò di poco, afferrandola per le
spalle. L’ultima cosa che davvero volesse fare era scopare
con una sua cliente.
“Due
e sparisci all’istante.”, la ricattò
mostrandole le due agognate pillole dalla forma circolare.
“Tieni.”,
annunciò Millie, sfoderando una
delle sue solite grandi banconote. “È sempre un
piacere fare affari con te.”,
concluse sfilando il pacchetto dalle sottili dita di Zayn.
Il moro
ghignò, piegò i soldi e li ripose
nella tasca posteriore dei jeans.
“Alla
prossima.”, lo salutò Millie, prima di
voltarsi per tornare ancheggiando nell’altra sala.
Zayn si
concesse un altro lungo sguardo,
concentrato principalmente sulle linee del corpo di Millie messe in
evidenza da
un’elegante e sexy vestito dorato.
“Il
tuo bagno si chiama Zayn Malik adesso?”,
l’accusò Liam, chiaramente nervoso, spuntando alle
spalle di Millie.
La ragazza
sbuffò, indignata dalla
consapevolezza sopraggiunta a quelle parole: Liam non si era fidato di
lei,
l’aveva seguita e spiata ed ora di permetteva persino di
farle la morale.
Preferì
ignorarlo, una discussione con lui era
tutto ciò che voleva evitare in quel momento, soprattutto se
le cause erano le
sue frequentazioni e le sue decisioni.
“Fermati,
cazzo!”, sbottò Liam, trattenendo
Millie per il braccio
“Cosa
vuoi Liam? Che ti dica perché ho
comprato delle pasticche?”, inveì contro di lui,
cercando senza successo di
svincolarsi dalla presa del ragazzo.
Ed ancora una
volta, dopo pochi giorni, Liam
si trovò a dover bloccare una gemella Wood ad appena due
spanne del suo viso.
La
liberò di scatto, facendola traballare per
la perdita di equilibrio.
“Non
farlo mai più, Liam.”, lo minacciò.
“Non
azzardarti a farlo mai più.”, ripeté
ancora scossa e con il fiato corto, prima
di correre via con ancora quella bustina stretta forte in una mano.
Audrey era
uscita sul retro poco aver visto i
suoi accompagnatori allontanarsi uno alla volta. Era rimasta sola per
un po’,
cercando di ambientarsi o di fare qualche conoscenza per riuscire ad
integrarsi,
ma non ci era riuscita. Così, umiliata ed in un certo senso
abbandonata, aveva
scovato un posto isolato nel quale rifugiarsi ed attendere la fine
della
serata. Avrebbe fumato una canna, se solo si fosse ricordata di portare
con sé
il fumo e le cartine. Audrey si era accasciata su uno dei tre gradini
ed aveva
avvolto le ginocchia con le sue esili braccia. Teneva la testa china e
lo
sguardo assorto nel nulla.
“Sembri
pensierosa e triste.”, affermò una
voce maschile alle sue spalle.
Sgranò
gli occhi per lo spavento e si voltò
alla ricerca del viso di colui che tanto l’aveva spaventata.
Il sorriso
premuroso e caldo di Harry
l’accolse, tranquillizzandola all’istante.
Tirò
un respiro di sollievo, rilassandosi.
“Ora
sai cosa significa piombare alle spalle.”,
scherzò avvicinandosi fino a sedersi accanto a lei.
Le labbra di
Audrey si piegarono in un sorriso,
ricordando le due volte in cui le parti erano state invertite.
“Allora,
che ci fai tutta sola qui fuori?”, le
chiese Harry, cercando di farle proferir parola.
Audrey
sollevò le spalle e boccheggiò un paio
di volte, prima di limitarsi ad un nuovo sorriso, questa volta appena
accennato.
“Non
parlerai per tutta la serata?”, continuò
il ragazzo, non sembrando per nulla scoraggiato dal mutismo di Audrey.
“Scusa,
ero solo distratta.”, balbettò
finalmente lei, ritrovando la parola. “Avevo bisogno di
riflettere.”, si trovò
a dire ed il suo tono apparve persino troppo cordiale per appartenerle
realmente.
“Su
cosa?”, domandò Harry.
Audrey sorrise
sorniona.
“Ricordi
Harry?”, iniziò ironica. “Noi non
siamo amici.”, gli rammentò con sarcasmo.
Harry
trattenne una piccola risata, ormai non
ci faceva neppure più caso al cinismo che Audrey ostentava.
“E
tu perché non sei con Margaret?”, riprese
la ragazza.
Ad Harry non
importava della precedente
affermazione di Audrey, a lui non interessava creare
quell’alone di mistero e
freddezza intorno a lui. Gli piaceva parlare con Audrey e non era
affatto un
ragazzo orgoglioso.
“Non
mi andava. Non ho mai trascorso tanto
tempo con una ragazza come in questi ultimi giorni.”, ammise
appoggiando gli
avambracci sulle ginocchia, per poi intrecciare le dita delle mani.
“Ne
hai già abbastanza?”, lo provocò
concedendogli un’unica occhiata beffarda.
Lui
soffocò una risata e due piccole fossette
si scavarono sulle sue guance.
“Ci
vuole del tempo per abituarsi all’idea.”,
disse per sviare il discorso, evitando una risposta chiara.
Ed ad Audrey
quella risposta bastò. Capì che
per quanto sola potesse apparire, per quanto cattiva, egoista e
menefreghista
gli altri potessero giudicarla, c’era sempre qualcosa che le
persone non
avrebbero mai potuto comprendere a prima vista. C’era la
fragilità di una
ragazza che non era mai del tutto riuscita a fare i conti con se stessa
e con
le sue insicurezze.
C’era
l’Audrey che con tutti quegli strati di
matita nera nascondeva la luce che emanavano i suoi occhi e che ancora
sorrideva nel vedere la copertina della copia in lingua originale di
sua madre
di Madame Bovary sulla scrivania della sua camera.
---
Angolo Autrice
Ehilà, c'è nessuno qui??? Buon salve a tutti!:D
Bene, che dire, ecco il nuovo capitolo, in parte focalizzato su Audrey.
Finalmente scopriamo qualcosa in più sul suo bel
caratterino.
E la storia prosegue con un tenebroso Zayn, un'audace Millie e un Liam
che vuole farsi valere.
Poi ci sono Charlotte e Niall ed un tenerissimo Harry. :3
Ed all'appello non manca di certo l'euforica Bree, mentre Louis e
Margaret li vediamo quasi solo di passaggio.
Bene, non mi dilungo, per prima cosa perché stranamente non
so proprio cosa poter dire !ù.ù
Okay, spero in un vostro commento, o critica che sia, così
da avere un parere...
Ringrazio chi segue, preferisce e ricorda!<3 E ringrazio chi
legge!<3
Alla prossima!:*
Astrea_
|
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Capitolo 9 *** Zayn ***
f
ZAYN
Zayn uscì di casa
presto, quella domenica
mattina. Era stato svegliato dall’aria umida e pungente e
dalle prime luci
dell’alba che entravano dalla finestra che la sera prima
aveva sbadatamente
lasciato aperta. Non aveva neppure atteso che i suoi genitori
scendessero in
sala da pranzo per fare colazione o che le sue due sorelline
iniziassero a
litigare sul cartone che avrebbero voluto vedere in televisione. Aveva
voluto
accuratamente evitare tutto ciò. Così, dopo
essersi velocemente cambiato, aveva
afferrato la borsa che conteneva tutto il materiale necessario per
andare in
palestra ed era uscito.
Fumava stancamente una sigaretta, poggiato
alla saracinesca ancora abbassata del luogo che ormai frequentava
sempre più
assiduamente. Delle volte, quando non aveva impegni, trascorreva
lì interi
pomeriggi, lavorando sulla sua forza e i suoi muscoli che si
sviluppavano a
vista d’occhio. Qualche volta si distraeva con un sacco da
boxe. Nonostante non
spiccasse per abilità in quella disciplina, Zayn adorava la
sensazione di forza
che prendeva forma in lui quando vedeva quel sacco traballare
nell’aria.
Ricordava a se stesso che era stato lui a farlo muovere, il suo pugno
serrato
premuto contro quella superficie e si sentiva ogni volta meno debole
della
precedente.
Anche quella mattina la trascorse così, tra
gli esercizi per i suoi muscoli e qualche tiro con i guantoni. Quando
si
concentrava sul punto da colpire, sul suo obiettivo, sembrava che tutto
il
resto del mondo scomparisse. Sembrava che non ci fossero più
voci, sguardi,
tocchi, odori, pensieri, parole, persone. Tutto si affievoliva, si
allontanava,
dilatava fino a scomparire del tutto. Poi il rumore del pugno appena
scagliato
lo riportava alla realtà con un unico e secco colpo.
La domenica era uno dei pochi giorno che
ancora poteva riservare esclusivamente a se stesso, a rilassarsi,
distrarsi, a
far finta di essere una persona che in realtà non era.
Negli ultimi giorni detestava l’idea di dover
accompagnare Niall a scuola. In realtà la questione era
più complicata di
quanto potesse superficialmente apparire. Zayn temeva le idee a cui
quel
piccolo gesto avrebbe condotto. Non voleva essere simpatico, generoso,
disponibile o altruista. Zayn preferiva essere quel tipo di ragazzo a
cui
veniva rivolta la parola solo per estrema necessità. Aveva
paura dei rapporti,
delle amicizie, dei legami. Sapeva di non essere in grado di gestirli,
ma
soprattutto era consapevole della precarietà di essi. Non si
fidava delle
persone, viveva in un mondo in cui l’unico su cui realmente
potesse contare era
proprio se stesso. Gli altri, in un modo o nell’altro, chi
prima, chi dopo, si
sarebbero tutti tirati indietro lasciandolo solo davanti ad
un’eventuale difficoltà.
Solo Louis sarebbe rimasto, anzi, in verità lui aveva
già più volte dato prova
di non aver alcuna intenzione di abbandonare il suo amico. Gli piaceva
Niall,
era un ragazzo affabile e spiritoso, ma sapeva che più
persone si avvicinassero
a lui, più Zayn diventava fragile e lui non poteva
permettersi una tale
debolezza.
Sollevò l’ennesimo set di pesi, osservando la
sua immagine riflessa nella parete di specchi. I suoi muscoli erano
tesi, tanto
che Zayn si compiacque della forma definita che stavano assumendo.
Persino quelle gocce di sudore che grondavano
dalla sua fronte e che inumidivano la sua canotta blu erano per lui un
vanto,
simbolo del duro lavoro che stava effettuando non solo sul suo corpo,
ma anche
sulla sua mente. Zayn sapeva di dover essere un ragazzo forte, lo
doveva alle
sue due piccole sorelline a ai suoi apprensivi ed ignari genitori.
Quando suo fratello maggiore Jamal era
partito, tanto repentinamente da far dubitare della
veridicità delle sue
motivazioni, era spettato a lui cercare di rimettere insieme i pezzi
del puzzle
che lui aveva completamente distrutto. Aveva annunciato il suo
trasferimento appena
una settimana prima dell’inizio di un corso che si sarebbe
tenuto presso una
prestigioso università con sede a New York di cui Zayn non
aveva mai voluto
conoscere il nome.
Era una famiglia benestante la loro, forse
talmente tanto da permettere che i figli potessero concedersi qualche
desiderio
in più.
Il padre di Zayn era un affermato chirurgo, la
cui lista d'attesa per le prenotazioni di interventi privati era
interminabile.
Sua madre, invece, era un affermato avvocato specializzato sui divorzi,
affidamento di minori ed affini. Tuttavia, indipendentemente dalla
natura della
causa, la signora Malik non ne aveva mai persa una e ciò
contributiva a rendere
esorbitanti le cifre da lei richieste per un suo parere o intervento.
Conducevano uno stile di vita agiato, ma Zayn non ne faceva mai vanto e
probabilmente, a giudicare da come vestiva, nessuno avrebbe mai pensato
che i
suoi genitori fossero i titolari della percentuale di azioni maggiore
di una
piccola catena di negozi londinese. A Zayn non interessava di quanto la
sua
famiglia fosse ricca, per lui erano sufficienti un'auto ed un pacchetto
di
sigarette, il resto sarebbe venuto vivendo.
Scaraventò un destro micidiale contro il
sacco, facendolo volteggiare per la stanza, legato al soffitto solo da
quella
sottile catena di metallo.
Quello era il momento che preferiva, quello in
cui sentiva il vuoto e poi, un attimo dopo, tutto tornava a galla. Era
il
momento in cui l'odore del sudore che aveva versato si mescolava con
quello
della sua pelle, diventando un'unica nuova fragranza.
Jamal ci aveva perso la testa in quel fottuto
mondo di vizi e trasgressioni, ci aveva rimesso il futuro, la fiducia e
l'amore,
ma più di ogni altra cosa ci aveva rimesso suo fratello.
Zayn era con lui quella sera in cui l'incubo
ebbe inizio, lo stesso incubo che ancora lo tormentava.
Tirò ancora un pugno, questa volta con tanta
forza da sentire le nocche dolere. Jamal era scappato, Zayn era rimasto
a
combattere una lotta impari che mai avrebbe potuto vincere. Pagava i
debiti che
qualcun'altro aveva contratto e non saldato, quelli di Jamal.
Ancora un pugno, sempre più forte, sempre più
doloroso, tanto da ricordargli la delusione che lo aveva colto la sera
in cui
aveva appreso dell'imminente partenza del fratello per gli Stati Uniti.
Jamal
era un vigliacco, questo Zayn lo aveva imparato a sue spese. Sapeva che
suo
fratello facesse continuo uso di droghe di ogni genere, aveva persino
provato a
parlare più volte con lui, non ricevendo tuttavia segnali
positivi. Quello che
Zayn non sapeva e che neppure avrebbe mai immaginato era che Jamal
avesse preso
l'abitudine di comprare droga a credito, dopo aver terminato tutti i
suoi risparmi
ed il modesto conto che i signori Malik mettevano a completa
disposizione dei
figli per eventuali emergenze. Aveva accumulato debiti su debiti, senza
riuscire a trovare neppure un penny per ripagarli. Inoltre, l'effetto
degli
stupefacenti diventava sempre più evidente nei suoi
comportamenti e nelle
dipendenza che si era quasi stabilita. Una sera Jamal era rincasato con
il
volto livido ed il labbro gonfio, quella successiva aveva chiesto a
Zayn di
accompagnarlo per svolgere una commissione. Lo avevamo risucchiato nel
loro
giro, lo avevano inglobato a tal punto da dargli il compito di
presenziare ad
una trattativa. Jamal aveva avuto paura sin dal primo istante, per quel
motivo
aveva chiesto a Zayn di recarsi con lui all'appuntamento per poi farlo
attendere
in auto, pronto a scappare al volante della macchina del fratello in
caso di
pericolo. Ma Zayn era stato notato da sin troppi occhi e quando Jamal,
stufo di
quei doveri da cui non si sarebbe mai potuto sottrarre,
partì, si rivolsero
proprio a Zayn, obbligando a terminare ciò che il fratello
aveva cominciato.
L’ennesimo pugno partì, ricordando a Zayn che
lui non aveva versato mai una sola lacrima, mai. Suo fratello, quegli
uomini,
quella storia, nessuno le meritava.
Ed ancora un altro, tanto che le dita tremavano
per il dolore ed il sangue pulsava forte nelle vene. Non sarebbe mai
stato in
grado di dimenticare, quelle immagini non sarebbero mai scompare dalla
sua
memoria. Quando svolgeva bene quei piccoli e modesti compiti che gli
venivano
assegnati, Zayn riceveva qualche oncia di erba o qualche busta di
ecstasy come
ricompensa, quella stessa roba che lui poi rivendeva a qualche
disperato,
qualcuno come Millie ad esempio.
Un altro
assordante e profondo tonfo, ancora un altro, Zayn non riusciva mai a
fermarsi
quando iniziava. La catena vibrava, il sacco ondeggiava sempre di
più, Zayn
continuava a colpirlo tenendo alta la difesa.
Era
stanco, completamente distrutto quando finalmente si decise ad uscire
dalla
palestra, ma per quanto necessitasse di riposare, aveva ancora la forza
per distendere
le labbra in un sorriso.
Anche quel pomeriggio sarebbe dovuto passare a
prendere Niall e Louis, i quali lo avevano convinto ad unirsi agli
altri per
una partita di bowling. Zayn aveva accettato solo per non dover essere
costretto a trascorrere altro tempo in casa a raccontare bugie.
“Ehi bello!”, lo salutò Louis con una
sonora
pacca sulla spalla.
“Ciao Zayn!”, aveva esordito Niall appena
qualche minuto dopo, mentre il moro già ripartiva.
Avevano appuntamento alla sala da bowling di
Queensway per quella che si prefigurava essere la partita
più disastrosa di
sempre. Erano stati Louis e Margaret ad organizzare l’evento,
cercando di
coinvolgere quante più persone possibile par assicurare
quantomeno il
divertimento.
“Io non gioco.”, annunciò Millie con lo
sguardo fisso sulle unghia smaltate di un verde acqua intenso.
Era seduta su uno delle tante sedie in
plastica che erano poste ai bordi della pista, con le gambe accavallate
e
l’aria assorta.
“Ma come? Sei venuta per questo!”,
esordì
Margaret nel tentativo di convincerla.
Millie non era affatto brava in alcun tipo di
sport, non era agile, né brava in quel gioco che tante volta
l’aveva vista non
riuscire a buttar giù neppure un birillo.
“Meglio così, fidati.”,
s’intromise Audrey con
sarcasmo.
Lo sguardo irritato di Millie si posò su di
lei, ma Audrey non ci fece caso.
“Chi gioca in squadra con me?”, domandò
Louis,
volendo immediatamente porre fine a quella sfida silenziosa che stava
per
nascere tra le due gemelle.
“Ma siamo dispari ora!”, si lamentò
Harry,
forse non avendo neppure realizzato quanto quelle sue parole potessero
apparire
rivolte proprio a Millie.
“Farò io compagnia a Millie.”, si
offrì
Charlotte sforzandosi di sorridere. “Sono davvero impedita a
bowling e poi
vorrei proprio con lei del suo fantastico cappottino.”,
aggiunse adocchiando
quell’indumento che Millie aveva appena piegato e riposto su
un altro sedile.
Guardò il tessuto, ricordando i principi
animalisti della bionda, poi puntò gli occhi su Charlie e
piegò le labbra in un
ghigno.
“Allora credo che sarà un pomeriggio lungo ed
interessante.”, disse sfiorando con le dita il colletto del
suo cappotto.
“Bene, parlate pure di animali, pelle e
pellicce, noi abbiamo una partita da iniziare.”,
decretò infine Margaret, catturando
l’attenzione dei presenti.
“Io sono in squadra con Zayn!”, si
prenotò
Louis, avvicinandosi all’amico.
“Io pure!”, lo imitò Niall sbracciandosi.
“Io voglio stare con Liam.”, continuò
Harry.
“Ok, basta.”, li interruppe Margaret. “Le
squadre devono essere equilibrate, quindi…”,
pensò per qualche attimo alla
soluzione migliore, rimuginando sui vari possibili accoppiamenti.
“Quindi sarebbe meglio mettere me e Zayn in
una squadra e Niall, Louis ed Harry nell’altra.”,
decretò Liam con
un’espressione indecifrabile.
Liam trovava detestabile l’idea di dover
trascorrere qualche ora a stretto contatto con Zayn, ma sperava che
quella
forzata vicinanza gli avrebbe permesso di comprendere meglio gli
intenti del
ragazzo, soprattutto dopo quel venerdì sera in cui lo aveva
visto tanto vicino
a Millie. Non ne era geloso, ma voleva che anche quel tassello
rimanesse al suo
posto, incastrato nel puzzle che Liam aveva creato e di cui teneva in
mano le
redini. Voleva capire come funzionassero le cosa tra lui e Millie,
voleva
vedere in maniera più chiara i meccanismi e voleva anche
testare le intenzioni
di Zayn riguardo alla sua ragazza.
Le parole di Liam lasciarono Louis e gli altri
del tutto perplessi, ma preferirono non farlo notare.
“Va bene, allora.”, borbottò Harry,
affiancando
i suoi nuovi compagni di squadra.
Tutti avevano notato quanto poco Zayn e Liam
si sopportassero reciprocamente, quindi la richiesta di Liam era
apparsa del
tutto insensata agli occhi dei presenti.
“Io allora mi aggiungo a voi tre!”,
esclamò
Margaret sorridendo al terzetto che si era appena composto.
“Io ed Audrey giocheremo con Liam e Zayn,
allora.”, concluse Bree, affiancando Zayn con un labile
sorriso sulle labbra.
“Andiamo,
non vedo l’ora di stracciarvi.”, scherzò
Niall con un sottile velo d’ironia,
contento di essere nella squadra avversaria di Liam.
Si era trattenuto talmente tante volte dal
tiragli un pugno in faccia per tutta la faccenda di Millie, che per una
volta,
pensò, sarebbe stato ben lieto di distruggerlo, anche se si
trattava solo e
soltanto di una semplice partita di bowling. Liam sorrise calmo, senza
affatto
farsi coinvolgere da quelle parole che avevano come unico scopo toccare
le leve
del suo orgoglio maschile. Apprezzava il patetico tentativo di Niall di
rendere
più competitiva quella partita, ma non si fece trascinare
dall’agonismo che,
invece, aveva travolto il biondo.
Il primo a scendere in pista fu Harry, il
qualche con un colpo stese i primi tre birilli, poi altri quattro.
“Dai!”, lo incoraggiò Margaret,
regalandogli
un ampio sorriso.
“Che entusiasmo.”, commentò Louis
sornione,
guardando la ragazza seduta proprio accanto a lui.
Margaret fece spallucce, i suoi occhi
brillavano di vitalità e il suo viso era pura espressione di
vitalità.
“Sono di buon umore, sono quasi sempre di buon
umore.”, spiegò incontrando gli occhi azzurri di
Louis.
Erano così azzurri e chiari che a Margaret
parve di perdersi nell’immensità del cielo per
qualche attimo.
“E sei brava a bowling?”, chiese il ragazzo.
Non era realmente interessato a quella risposta,
ciò che Louis voleva era continuare a sentire la voce di
quella ragazza, quella
voce che gli era parsa così delicata, ma allo stesso tempo
solare.
“Insomma, ma ho la mia tecnica segreta.”, lo
rassicurò con un occhiolino, cercando di trattenere una
risata.
“Sarebbe?”, domandò ancora Louis,
curioso di
scoprire il motivo di quel sorriso soffocato.
“La fortuna del principiante, ovvio!”,
trillò
lei allegra.
“Sì, cazzo!”, esultò Niall al
suo primo tiro,
un preciso e pulito strike.
“Grande amico!”, si complimentò Louis,
alzandosi dal suo posto per avvicinarsi alla pista.
“Vediamo quello che riesco a fare.”,
borbottò
afferrando una delle bocce tra le mani.
“Ottimo Niall!”, ripeté Harry quando il
biondo
l’ebbe affiancato sulle sedie, dopo che il suo turno fosse
terminato.
Niall sorrise, battendo il cinque all’amico.
“Chi vince?”, gli chiese facendo cenno al
segnapunti che Harry stava gestendo.
“Per il momento loro, ma solo perché il primo
a tirare è stato Liam.”, spiegò
ricordando i continui strike che aveva segnato
il castano.
“Uhm.”, bofonchiò Niall a denti stretti.
“Tutto bene?”, la domanda di Harry lo fece
quasi sobbalzare e sudare freddo.
Avrebbe voluto dirgli che nulla andava bene,
che la ragazza che lui amava non era quella che realmente esisteva, che
aveva
fatto sesso con Millie mentre stava con Liam, che il doverlo rinnegare
lo stava
uccidendo, che due sere prima aveva parlato con Charlie e che la
trovava
estremamente carina, nonostante fosse l’ex di Louis.
“Tutto bene.”, si ritrovò invece a dire
con lo
testa china e lo sguardo che di sottecchi cercava Charlotte che,
chissà per
quale assurdo motivo, era seduta proprio vicino a Millie.
“Oh, guarda!”, lo richiamò Harry.
“Ora tocca
ad Audrey!”, esclamò, ma il suo entusiasmo fu
repentinamente spento dalla
figura di Zayn, troppo vicina al corpo della ragazza.
“Non è difficile, Audrey,”, le
ripeté mentre
lei sceglieva una boccia.
“Lo so.”, disse secca, afferrandone una verde
tra le piccole mani. “Non ho bisogno dei consigli di
nessuno.”, sentenziò
avvicinandosi alla sua postazione.
Audrey tenne gli occhi fissi sul bersaglio per
qualche secondo, memorizzandone la posizione nella mente.
Divaricò di poco le
gambe, poi perfezionò l’impugnatura delle sue dita
intorno alla boccia. Prese
un ultimo respiro e poi lanciò. la sfera correva veloce
lungo la corsia, al
centro di essa, fino a colpire i birilli.
“Strike.”, fece notare Audrey a Zayn, con un
sorrisetto beffardo disegnato sulle labbra ed un’aria
soddisfatta.
Zayn aveva le labbra schiuse e gli occhi
sgranati, sorpreso dalle capacità di quella ragazza dalla
corporatura tanto
esile da immaginare sarebbe bastato uno stuzzicadenti per spezzarla.
“Sei brava.”, le concesse il moro che con le
braccia incrociate ancora la fissava.
“Non sono brava, mi avevi solo sottovalutata.”,
lo corresse Audrey.
Il suo sorriso vittorioso non accennava a
spegnersi, il suo tono soddisfatto che tanto stava divertendo Zayn era
ben
chiaro nella sua voce. Harry la osservava rapito dal suo posto, senza
essere
notato. La sua espressione compiaciuta aveva stregato Harry,
impedendogli di
concentrarsi su altro. Rimase sconcertato dalla reazione che quella
ragazza
aveva suscitato in lui, non era mai successo prima di quel momento. Era
stato
attratto dalle forme generose di varie ragazze, dai modi maliziosi di
altre,
persino dalla vivacità e spontaneità di Margaret,
ma mai da un semplice viso
che di particolare non aveva nulla oltre un eccesso di matita nera.
Audrey ancora parlava con Zayn quando sua
sorella Millie lo notò.
“Non posso crederci.”, sbottò
interrompendo
quel battibecco sulla discutibile utilità dei test di
cosmetici sugli animali
con un’infervorata Charlotte.
“Cosa?”, le domandò l’altra
seguendo la
direzione dello sguardo di Millie fino ad incontrare le figure di
Audrey e Zayn
intenti in una conversazione.
“Ma allora anche lei forse è umana!”,
esclamò
Millie incredula, facendo sorridere Charlie al suo fianco.
“Non dovresti essere così severa nei suoi
confronti.”, sottolineò con cautela la bionda,
pensando a tutte quelle volte
che le gemelle si fossero insultate ed accusate reciprocamente in sua
presenza.
“Non la conosci.”, la screditò Millie,
tornando ad osservare la partita che proseguiva.
“Probabilmente neppure tu.”, si lasciò
scappare Charlotte in un sussurro che, tuttavia, Millie
riuscì a percepire
distintamente.
No, non esisteva persona che potesse dare
tanto apertamente giudizi su Millicent Grace Wood in sua presenza. Non
accettava di parlare dei suoi problemi con le sue amiche ed il suo
ragazzo, il
parere di un’estranea era ciò che mai avrebbe
voluto sentire.
“Tu fatti i cazzi tuoi.”, le intimò con
voce
dura e gli occhi ridotti a due piccole fessure.
Charlie annuì, riscoprendo quando anche la
corazza di Millie fosse spessa, esattamente come quella di Audrey. Lei
lo
sapeva, le gemelle Wood erano più simili di quanto loro
stesse volessero
credere.
“Liam.”, lo chiamò Bree con un pizzico
di
imbarazzo nella voce.
Lei non era per nulla brava a giocare a
bowling ed in quel momento si pentì di non essersi tirata
indietro. L’ultima
volta aveva finito per lanciare la boccia ripetutamente nel canale,
così dopo
una serie infinita di tentativi, si era lanciata a metà
pista ed aveva tirato
da lì per cercare di abbattere almeno un birillo, ma aveva
fallito anche con
un’agevolazione simile. Era negata, lo sapeva, e per di
più le due squadre
erano in parità in quel momento. Mancavano solo lei e
Margaret al termine del
primo turno.
“Sì?”, il tono di Liam le parve
leggermente
infastidito e ciò non fece altro che aumentare il disagio di
Bree.
“Potresti venire qui un attimo?”, gli
domandò
incrociando le dita che teneva nascoste dietro la schiena.
Liam aggrottò la fronte ed inarcò le
sopracciglia, mentre con pochi passi si avvicinava a Bree.
“Allora?”, la incalzò posando il suo
sguardo
interrogatorio sull’espressione insicura della ragazza.
“Non so giocare.”, ammise con un filo di voce
ed un mezzo sorriso sulle labbra.
Il castano ghignò, prendendo una delle bocce
dallo scaffale. La rigirò tra le mani, poi la porse a Bree.
“Questa dovrebbe andare bene.”, annunciò.
Bree annuì, afferrandola saldamente.
“Prendi la boccia con la mano destra e porta
quella sinistra indietro per bilanciare il peso.”,
spiegò con voce talmente
bassa che persino Bree ebbe qualche difficoltà ad ascoltare.
Fece come Liam le aveva detto e sorrise nel
notare che la stava aiutando, proprio lui tra tutti.
All’inizio aveva pensato
di chiedere ad Audrey, ma stava ancora parlando con Zayn,
così aveva dovuto
optare per il quarto ed ultimo componente della sua squadra.
Aveva temuto fino all’ultimo istante il suono
della risata fragorosa di Liam in risposta alla sua richiesta, ma lui
l’aveva
decisamente sorpresa.
“Mantieni le spalle parallele alla linea di
lancio ed il braccio destro perpendicolare.”, aggiunse per
correggere la
posizione assunta dalla ragazza.
“La boccia deve rotolare, non devi
semplicemente tirarla. Concentrati, mira e stabilisci la
traiettoria.”,
continuò. “Ora devi solo coordinare la ricorsa con
il lancio, deve essere un
unico movimento, né troppo veloce, né troppo
lento.”, concluse.
Bree deglutì, annuendo con fare nervoso e
seguì alla lettera i consigli di Liam. La boccia
iniziò a rotolare lungo la
corsia della pista ad una velocità controllata, senza
sbandare eccessivamente,
poi colpì i birilli, facendone cadere tre.
“Sì!”, esultò Bree con un
salto.
Liam sorrise nel vederla tanto entusiasta per
quel lancio appena discreto.
“Brava Bree.”, la incoraggiò, facendosi
travolgere per un attimo dall’euforia e
dall’allegria che quella ragazza dai
capelli rossicci era stata appena in grado di trasmettergli.
---
Angolo Autrice
Buongiorno guys!:D E con questo nuovo chap siamo finalmente arrivati a
Zayn!:D
Nel prossimo capitolo, che dedicheremo alla nostra Charlotte, avremo
un'idea generale su tutti i personaggi!:D
Comunque sia, le cose cominiciano a farsi interessanti, ma non mi
sbilancio molto,
anche perché è tutto ancora in fase di sviluppo!;)
Ci tenevo partivolarmete a ringraziare chi segue, preferisce e
ricorda!:D
E volevo anche ringraziare chi legge!:D
Che ne dite di farmi sapire cosa ne pensate?? Insomma, accetto tutto,
anche perché ci tengo a migliorare!:D
Bene, questo è quanto allora!:D
Alla prossima!:*
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Capitolo 10 *** Charlotte ***
g
CHARLOTTE
“Audrey,
Zayn, spegnete quelle sigarette.”,
ordinò Charlotte unendosi al resto del gruppo che si era
già sistemato sul
prato incolto e poco curato che si apriva sul retro
dell’edificio.
Si trattava di
uno spazio piuttosto ristretto
e poco frequentato, noto solo a quei pochi che avevano cercato almeno
una volta
di sottrarsi a lezioni o compiti. Audrey fece un altro tiro ed una
piccola
nuvola di fumo grigio fuoriuscì dalla sua bocca, incurante
delle parole appena
proferite dalla bionda.
Charlie
sbuffò, allungò una mano fino a prendere
quel piccolo cilindretto dalle mani di Audrey e ne strofinò
un’estremità
sull’erba, spegnendolo.
“È
vietato fumare a scuola, vi ricordo.”, si
giustificò allo sguardo sconvolto ed infuriato di Audrey,
per poi alzarsi e
gettare ciò che restava di quella sigaretta nel cestino a
pochi passi da loro.
Zayn
ghignò portando alle labbra la sua
sigaretta ancora integra. Attese il ritorno di Charlie per avvolgerla
con una
soffiata di fumo, poi gettò la cicca a terra.
“I
rifiuti si buttano negli appositi
contenitori.”, gli ricordò canzonatoria.
“Andiamo
Charlie, non essere così puntigliosa.”,
si lamentò Margaret che fino a quel momento aveva dovuto
arduamente combattere
contro una sonora risata che premeva per uscire dalle sue labbra.
“Ma
lei è così, le piace far rispettare le
regole.”, ribatté Louis seguendo con lo sguardo i
passi della sua ex ragazza
che gettava nel cestino la cicca al posto di Zayn.
“Ora
va decisamente meglio.”, affermò
soddisfatta tornando a sedersi vicino agli altri.
“Allora,
avete deciso qualcosa riguardo alla
partita del Chelsea?”, chiese Niall, riprendendo il discorso
che era stato
bruscamente interrotto dall’arrivo di Charlie.
“Io
passo, di calcio non ci capisco proprio
niente.”, fu l’immediata risposta negativa di
Margaret che inorridì al solo
nominare quello sport.
“Io
sono impegnata, quel pomeriggio.”, si
aggiunse Bree, tenendo lo sguardo basso.
Avrebbe dovuto
vedere la sua analista, era
quello il motivo che le impediva di trascorrere del tempo con le
persone che
ormai sentiva sempre di più suoi amici.
“Ed
io non ne ho voglia.”, borbottò Audrey
vagamente, evitando di fornire dettagli.
“Tu,
Charlie, che dici?”, le domandò Niall
puntando i suoi occhi azzurri in quelli di ghiaccio della ragazza.
Fece una
smorfia e si costrinse a riflettere
prima di dare una risposta. In realtà neppure a lei
interessava il calcio, ma
la prospettiva di trascorrere del tempo con Niall non le dispiaceva
affatto.
Inoltre era stato proprio lui ad estenderle l’invito e
rifiutare avrebbe potuto
assumere un ambiguo significato.
“Uomini
sudati che corrono dietro un pallone…”,
blaterò facendo finta di rifletterci su.
“Perdonatemi, ma questa volta non
posso proprio accettare.”, concluse infine con lo sguardo
ancora incatenato a
quello del biondo.
Niall ebbe la
sensazione che quelle parole
fossero rivolte solo a lui, che davvero le dispiacesse non partecipare
a quel
pomeriggio allo stadio e si sciolse completamente nel contemplare
l’espressione
rammaricata di Charlie.
“A
quanto pare saremo solo noi maschietti.”,
commentò Louis. “Millie non porterebbe mai il suo
fondoschiena regale alla
partita del Chelsea.”, scherzò ipotizzando
già la reazione che l’altra gemella
Wood avrebbe avuto ad una proposta del genere.
“Cazzo,
Louis!”, imprecò Liam. “Stai parlando
della mia ragazza!”, sbottò poco dopo stringendo
le mani in due ferrei pugni
per cercare di controllare l’irritazione che cresceva dentro
di lui.
Millie era
l’unica non presente in quel
momento e, probabilmente, se anche li avesse visti in quelle
condizioni,
appollaiati sull’erba, li avrebbe guardati con le labbra
piegate in una smorfia
di disgusto, avrebbe girato i tacchi e sarebbe andata altrove.
“Allora
prendo cinque biglietti, va bene?”,
chiese conferma Niall, osservando ad uno ad uno gli altri quattro
ragazzi.
Liam
annuì, poco convinto, Louis gli sorrideva
con il pollice alzato in segno di approvazione, Harry aveva
un’espressione
entusiasta, mentre Zayn si limitò ad un cenno della mano.
“Amico,
il tuo entusiasmo mi sconvolge.”, lo
prese in giro Louis.
Liam si
voltò in direzione del moro per
studiare la sua espressione. Era la seconda volta che lo faceva, la
prima era
stata quel pomeriggio alla sala da bowling. Quella volta lo aveva visto
parlare
con Audrey e si era chiesto come una conversazione tra due persone
tanto poco
loquaci potesse durare così a lungo. Non aveva cattive
intenzioni Zayn, Liam
poteva capirlo dalla profondità dei suoi occhi ambrati e dai
sorrisi appena
accennati che la maggior parte delle volte erano mascherati da ghigni o
smorfie.
Ciò che spaventava Liam era l’eccessiva vicinanza
di Zayn e Millie, per
questioni in cui lui non voleva entrare in merito. Li aveva visti
quella sera,
quando Millie lo aveva seguito nel corridoio. Aveva percepito
l’eccitazione dei
loro corpi, l’intensità dei loro sguardi, la
tensione nelle loro voci profonde.
“Louis,
non tirare la corda.”, bofonchiò
sperando che il suo amico comprendesse quanto già ardui
fossero i suoi sforzi.
Era seduto con
persone alle quali fino a poche
settimane non aveva mai rivolto la parola, con le quali non aveva mai
trascorso
del tempo se non quello delle lezioni. Era una grande novità
per Zayn
frequentare una comitiva tanto grande quale quella che lentamente si
stava
formando, nonostante tutti i problemi e tutti i segreti.
“Liam,
ecco dov’eri!”, esordì Millie sbucando
dalla piccola porta che dava sul retro.
I suoi occhi
erano furenti, la mascella
serrata, teneva la mano destra poggiata su un fianco, mentre con la
sinistra reggeva il suo cellulare.
“Allora?”,
lo interpellò con la chiara aria di
chi pretendesse delle spiegazioni più che esaustive.
“Allora
cosa?”, domandò lui di rimando,
incrociando i suoi occhi più scuri del solito.
“Dovevamo
vederci, ricordi?”, l’accusò non
muovendosi
di neppure un passo. “Oppure adesso preferisci passare del
tempo con questo
branco di sfigati che si chiamano amici tra di loro?”,
inveì ancora con parole
dure e taglienti che fecero trattenere il fiato a tutti i presenti.
“Ma
noi siamo amici.”, mormorò dopo un lasso
di tempo indecifrabile Bree, con gli occhi che ora fissavano Millie ed
un’espressione sincera dipinta sul volto.
L’altra
piegò le labbra in un ghigno,
constatano che a parlare era stata proprio la ragazza dai capelli
rossicci.
“Certo,
detto da te è davvero molto credibile.”,
controbatté con voce aspra.
Bree
boccheggiò più volte, profondamente
ferita da quelle parole. Era piuttosto risaputo quanto lei fosse
suscettibile
su quell’argomento, ma Millie non si era fatta alcuno
scrupolo a tirarlo fuori
per sfruttarlo a suo vantaggio nel bel mezzo di una discussione.
“Ma
come cazzo ti permetti, eh?”, tuonò Audrey
in difesa dell’amica, alzandosi di scatto dal prato sul quale
era rannicchiata.
L’espressione
di Millie non mutò per neppure
un istante, continuava ad ostentare fierezza e sicurezza.
Bree
afferrò per un braccio la sua amica,
costringendola a risedersi. Non voleva che per causa sua litigasse con
Millie.
“Audrey,
non devi difendermi. Se lo volessi,
potrei farlo da sola.”, disse calma al suo indirizzo,
mostrando molto più
autocontrollo di quanto lei stessa pensasse di possedere.
“Millie,
sei libera di pensare ciò ritieni
opportuno.”, affermò con voce calma e cordiale.
Millie
sbuffò, iniziando a ticchettare con le
dita della mano sinistra sulla superficie nera del cellulare.
“Liam,
possiamo andarne ora?”, chiese al suo
ragazzo, ignorando volutamente le parole di Bree.
Le considerava
solo un’ulteriore perdita di
tempo e lei non ne aveva a disposizione così tanto da
poterlo sprecare a
discutere con lei.
“Credo
tu stia esagerando, Millie.”, sentenziò
Liam, non accennando a muoversi neppure di un passo.
Gli sguardi
dei presenti saettarono tutti
sulla figura del castano, sorpresi dalla sua reazione. Chiunque di
loro,
persino la stessa Millie, avrebbe scommesso su una battuta che
rincarasse le
già pesanti insinuazioni della sua ragazza, incorniciata dal
suo sorriso
beffardo e dall’espressione impenetrabile.
Millie
sbatté più volte le palpebre,
incredula.
“Cosa
hai detto?”, domandò scandalizzata con
la fronte aggrottata.
“Hai
sentito. Smettila.”, sibilò a labbra
serrate, sapendo quanto care gli sarebbero costate quelle poche parole.
Millie era
orgogliosa, vendicativa, non
dimenticava tanto facilmente. Erano quelle le caratteristiche che Niall
detestava
di lei e, mentre guardava ad occhi sgranati la scena che stava avendo
luogo
proprio in quel momento, aveva capito che della Millie di cui si era
innamorato
tempo addietro non ne era rimasto che il ricordo. Non avrebbe mai
potuto amare
una persona tanto maligna, egoista e sfacciata, non avrebbe mai potuto
affidare
alle sue mani, artigli taglienti, il suo cuore. Lo avrebbe lacerato in
pochi
attimi per poi gettarlo chissà dove.
“Bene.”,
borbottò ironica. “Anche tu fai parte
della cricca adesso?”, chiese con tono derisorio.
Liam stava
già per risponderle, ma fu
preceduto da una voce serena e allo stesso tempo decisa.
“Amici,
noi siamo amici.”, ripeté ancora una
volta Bree accompagnando quell’affermazione con un sorriso
genuino.
“Chiamali
pure come vuoi, ma dubito che
qualcuno di loro sarà presente la prossima volta che darai
di matto.”, concluse
Millie soddisfatta, voltandosi per andare via, lasciando alle sue
spalle il
silenzio assoluto.
“Vado
a parlarle.”, propose Audrey, mentre
ancora accarezzava la schiena di Bree.
“Non
serve.”, si ribellò l’altra.
Era
già stata umiliata abbastanza per quel
giorno, non aveva bisogno di altri insulti o battute sulla sua evidente
instabilità psicologica.
“Per
quanto possa contare, io credo che tu sia
una persona fantastica.”, esordì Louis sorridendo
all’indirizzo di Bree,
contagiandola.
Era
così solare e pieno di vitalità che
chiunque con lui avrebbe ritrovato il buon umore.
“Grazie.”,
sussurrò Bree, stringendosi meglio
nelle braccia di Audrey.
Lei era
così, un attimo prima era la persona
più allegra e svitata del mondo, l’attimo
successivo la più fragile e insicura.
“Mi
dispiace per quello che ha detto, delle
volte farnetica senza pensare.”, si scusò Liam,
facendo le veci anche della sua
ragazza, ora nuovamente assente.
“Non
è colpa tua.”, sottolineò facendo
spallucce.
“Che
ne dite di cambiare argomento?”, suggerì
allora Harry, cercando di focalizzare l’attenzione su
qualcosa che non fosse
Bree.
Aveva
chiaramente percepito il suo disagio, ma
soprattutto aveva letto nei suoi occhi il desiderio di concentrare la
conversazione altrove.
Margaret
annuì, cogliendo immediatamente le
intenzioni di Harry.
“Potremmo
andare a fare un giro al centro
commerciale, quando i ragazzi andranno alla partita.”,
propose, optando per la
prima cosa che le balenasse per la testa.
“Certo,
sarà divertente impedirti di comprare
qualsiasi cosa derivi da un animale.”, accettò
Charlie, sorridendole
maliziosamente.
“Cioè,
scusa, io avevo intenzione di fare
shopping, non di andare alla fiera degli animalisti.”, si
lamentò piegando le
labbra in una buffa espressione.
“Vengo
anche io.”, s’intromise Audrey,
sperando che la sua presenza servisse a coinvolgere maggiormente anche
Bree.
“Scusate
ragazze, ma io davvero non posso.”,
mormorò con un’espressione desolata.
Margaret
all’inizio aveva pensato che quel
presunto impegno fosse solo una scusa per poter saltare una noiosa
partita di
calcio, mentre ora era indecisa sulla veridicità di esso. Da
una parte poteva
ancora essere una scusa, del resto Bree aveva tutto il diritto di
nutrire vari
dubbi, soprattutto perché la proposta fosse stata fatta dopo
le parole
enunciate da Millie. Dall’altro, invece, poteva davvero dover
svolgere una
faccenda.
“Un
altro giorno?”, chiese allora.
“Un
altro giorno.”, concesse sorridente Bree.
E Margaret
aveva letto in quel sorriso la
risposta che cercava. Bree non aveva inventato alcuna scusa, ormai ne
era
certa.
“Ragazzi,
è ora di tornare in classe. La pausa
lunga è finita.”, ricordò Niall dando
un veloce sguardo all’orologio che teneva
allacciato al polso.
Tra i vari
mugolii e le lamentele, si
alzarono, pronti a recarsi ognuno nell’aula del proprio corso.
“Io
ho sociologia ora.”, borbottò Liam
controllando la scheda che portava sempre nella tasca più
piccola del suo
zaino.
“Anche
io.”, fu la replica poco entusiasta di
Zayn.
“Wow.”,
commentò allora il castano, avviandosi
con l’altro verso la classe del secondo piano dove si sarebbe
tenuta la loro
prossima lezione.
Charlotte,
invece, si diresse con Audrey e
Niall verso la classe di arte al primo piano, mentre Bree e Louis
avrebbero
avuto psicologia. Harry, infine, inorridì nel constatare che
avrebbe trascorso
le successive due ore a svolgere esercizi di matematica.
Audrey avrebbe
incenerito sua sorella con la
sola forza dello sguardo se solo le fosse stato possibile. Odiava i
suoi modi
altezzosi, la sua aria snob, la superiorità che non
possedeva, ma che ostentava
con naturalezza. Ancora continuava a chiedersi come fosse stata in
grado di
dire simili cose proprio Bree che era
una ragazza tanto buona e comprensiva che non si era neppure arrabbiata
con lei
per quello che le aveva detto. Se fosse stata al posto di Bree, Audrey
ne era
certa, le avrebbe tirato un pugno in pieno viso, poi avrebbe provveduto
a
staccarle tutti i suoi adorati capelli dalla testa, uno ad uno, in una
lunga e
fastidiosa tortura. Aveva apprezzato la risposta secca di Liam.
Nonostante
nutrisse davvero poca stima nei confronti di quel ragazzo, in quel
momento
aveva preso le difese della sua amica, in un certo senso, e di questo
Audrey gli
era profondamente grata.
“Tutto
bene?”, le chiese Niall, avendo notato
la sua aria assorta dal banco accanto al suo.
Entrambi non
stavano affatto prestando
attenzione alla serie di immagini che venivano proiettare sulla parete.
“Sì.”,
bofonchiò con voce troppo riluttante da
far comprendere a Niall che la sua mente stesse ancora riflettendo su
ciò che
era accaduto poco prima.
“Millie
sa essere davvero stronza, ma non è
sempre così.”, provò a dire.
Niall avrebbe
voluto dire che in realtà in
passato Millie era stata diversa, ma si limitò a non
specificare il lasso di
tempo a cui faceva riferimento.
Certo, essere
la sorella della cogliona
patentata che aveva tirato fuori parole senza neppure pensare non era
di certo
un vanto per Audrey.
Accennò
un sorriso, incapace di replicare ad
un’affermazione del genere.
Charlotte li
aveva sentiti. Seduta al banco
davanti a quello di Niall era riuscita a cogliere quelle poche battute
che si
erano scambiati ed aveva sorriso con lo sguardo basso sulla superficie
chiara
del banco. Niall era stato premurono nei confronti di Audrey, era stato
dolce
esattamente come un amico avrebbe dovuto essere e ciò fece
riempire di gioia il
cuore di Charlie.
Quando
Charlotte varcò la porta d’ingresso del
suo appartamento gettò lo zaino a terra, esausta dopo una
giornata di scuola
tanto intensa quanto quella che aveva appena vissuto.
“Ciao
Charlie!”, trillò suo fratello venendole
incontro.
Quella piccola
peste aveva appena sette anni
ed un innaturale attaccamento alla sorella maggiore, senza la quale
sembrava
non riuscire a sopravvivere.
“Ciao
piccolo.”, ricambiò lei scombinandogli i
capelli chiari con una dolce carezza.
Lo prese in
braccio, rilevando che ormai stava
crescendo e che presto non sarebbe stata più in grado di
sollevarlo, e
raggiunse la cucina.
“Ciao
mamma.”, salutò Charlotte, sedendosi al
suo posto.
La tavola era
già apparecchiata ed i piatti
già pronti.
“Ciao
amore!”, esclamò la madre, avvicinandosi
per lasciare un sonoro bacio sulla guancia destra.
“Papà
è a lavoro?”, chiese poi la ragazza,
notando che il posto del padre era stato lasciato vuoto.
“Sì,
torna direttamente stasera. Ha avuto un
imprevisto con un progetto per un nuovo cantiere.”,
spiegò.
Il padre di
Charlotte era un discreto
ingegnere che lavorava per un’agenzia che raccoglieva
contratti per tutta la
zona meridionale dell’Inghilterra, concentrandosi
prevalentemente nell’area tra
Londra, Bristol e Cardiff.
“E a
te com’è andata la mattinata?”, le
domandò la donna prendendo posto di fonte a lei, ultimando
di portare in tavola
le ultime cose.
“Bene,
solite cose.”, la liquidò Charlie
iniziando a mangiare.
Sua madre
sospirò, consapevole che non sarebbe
riuscita a farle dire altro.
Per i suoi
genitori Charlotte era solo un
adolescente nella sua fase critica, prima di raggiungere la
maturità. Le
battaglie animaliste, le lotte contro le ingiustizie e i privilegi,
tutto era
riconsiderato dai suoi genitori nell’ottica della ragazza che
si stava formando
e che, ricevendo continui impulsi e stimoli, finiva per intraprende una
serie
di attività a cui in futuro non avrebbe prestato
più attenzione. Ma Charlie non
combatteva solo per il gusto di farlo, non proclamava
l’uguaglianza tra i sessi
solo perché fosse di moda. Lei percepiva distintamente quei
forti e saldi principi
ancorati al suo cuore e che non avrebbe potuto mai ignorare. Era come
se solo
attraverso essi Charlie potesse realizzarsi, potesse giungere a
conoscersi
nella più intima dimensione, comprendendo chi volesse essere
e chi, invece, era
in realtà. L’adolescenza contribuiva a rendere
più difficile la ricerca,
ponendole continui dubbi a cui Charlie non sempre sapeva rispondere. Si
sentiva
maledettamente viva quando riusciva a far trionfare la giustizia. La
sensazione
che fosse quello il suo percorso, ciò per cui fosse
destinata, la travolgeva
ogni qualvolta non chiudesse gli occhi davanti ad una norma non
rispettata o
aggirata. Ognuno aveva i propri diritti ed i corrispettivi doveri e
Charlotte,
seppur su piccola scala, voleva solo assicurarsi che venissero
rispettati.
Lei era
così, corretta, e non riusciva in
alcun modo a tollerare ogni qual forma di slealtà. Non
mentiva, non ne aveva
bisogno. In fono lei sapeva di essere superiore a quei giochetti troppo
vecchi
che alla fine non portavano mai a nulla di buono. Perché
Charlie l’aveva
capito, aveva intuito a chiare lettere che dalle bugie, dalla
falsità non
potesse derivare nulla di positivo. Del male non poteva nascere del
bene e non
esistevano mezzi termini o sconti. Delle volte aveva vacillato,
pensando di
essere eccessivamente categorica nella sua visione delle cose, ma poi
era
ritornata sui suoi passi. Almeno, si diceva, in quel modo lei non
avrebbe mai
potuto fare del male a qualcuno, ma ignorava quanto proprio la
verità, delle
volte, potesse ferire.
---
Angolo Autrice
Salve!:D
Anche se con un bel po' di ritardo, sono tronata ad aggiornare questa
storia!:D
Ormai siamo al decimo capitlo, quindi abbiamo avuto modo di scoprire
qualcosa in più su tutti i personaggi.
Dal prossimo le cose cominceranno a delinearsi meglio!;)
Anyway, volevo ringraziare le persone che leggono la storia, chi la
segue e chi la ricoda!:D Grazie!<3
Bene, che ne dite di lasciarmi una piccola recensione?
Insomma, solo per sapere cosa ne pensate ecco... Se sia il caso di
modificare qualcosa, di miglioare...Non so, ditemi voi!!
Alla prossima!:*
Astrea_
|
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Capitolo 11 *** Harry ***
d
HARRY
“Tu,
amico mio, sei il diciottenne più fortunato del
mondo!”, esordì Liam con voce
entusiasta, raggiungendo Harry che lo precedeva di appena qualche passo.
Harry
voltò il viso in direzione di quello dell’amico,
mentre il braccio del castano
gli avvolgeva le spalle con fare amichevole.
“Che
vuoi dire?”, gli chiese con espressione chiaramente confusa.
“Ti
ho appena organizzato il miglior appuntamento di sempre con
Margaret.”,
annunciò con un ampio sorriso disegnato su quelle sottili
labbra.
Harry
sgranò gli occhi, spiacevolmente sorpreso da quella notizia.
Apprezzava il
continuo interessamento del suo amico per le sue faccende private, ma
ultimamente poco tollerava la sua mania di prendere decisioni che non
spettassero a lui.
“Ah,
bene.”, bofonchiò cercando di apparire quantomeno
riconoscente.
“Harry,
sembrerebbe quasi che tu non ne sia felice.”,
scherzò Liam, liberando l’amico
dalla presa del suo braccio.
Harry
deglutì, forzando un’espressione allegra sul viso
nel tentativo di mascherare
la titubanza che quella notizia aveva fatto scaturire nella sua mente.
Liam era
sempre stato il suo più caro amico, l’unico se si
escludeva il gatto che Harry
aveva tenuto con sé per oltre tre anni e che poi era morto,
e Niall, con il
quale aveva scambiato qualche parola da quando era arrivato al college.
Era
stufo della situazione di cui era succube. Avrebbe voluto fare le sue
scelte, i
suoi errori, organizzare autonomamente la propria vita, ma allo stesso
tempo
non voleva deludere Liam. Era a lui che doveva parte di ciò
che era diventato,
ai suoi incitamenti, agli incoraggiamenti con i quali aveva sempre
provato a
scuoterlo, a renderlo partecipe di qualche iniziativa.
Si
sentiva un ingrato Harry, un egoista nel non volere più suoi
consigli proprio
ora che le cose sembravano volgere per il verso giusto.
“Ci
sarete anche tu e Millie?”, domandò saggiando il
terreno.
Per
quell’uscita voleva quanti più dettagli possibili,
per prepararsi a qualsiasi
eventualità, anche quella che Liam monopolizzasse la serata
con il suo carisma ed
il suo carattere delle volte eccessivamente egocentrico.
Il
castano sbuffò, mentre insieme oltrepassavano
l’aula del corso di filosofia.
“Ancora
si ostina a non volermi parlare.”, borbottò
sedendosi al suo solito banco con
Harry accanto.
“Hai
provato a chiederle scusa?”, suggerì
l’altro, preparando sul tavolo il
materiale necessario per la lezione.
Liam
storse il labbro, soffermandosi sulla figura di Millie che proprio in
quell’istante stava varcando la soglia della classe con passo
deciso e sguardo
fiero.
Non
si diresse presso il suo solito posto, preferì optare per
uno dei banchi in
seconda fila, ancora completamente libero e di gran lunga
più distante da
quello di Liam.
“Non
sono io che dovrei chiedere scusa.”, controbatté
contro il palmo della mano con
la quale sosteneva il mento. “Ricordi la sfuriata insensata
dell’altro giorno?”,
lo provocò puntando ancora una volta l’attenzione
sullo spiacevole evento che
aveva visto Millie e Bree come protagoniste.
Harry
abbassò il capo, incapace di ribattere a quelle parole.
Persino lui era stato
sorpreso dall’imprevedibile reazione di Liam. Solitamente il
castano era pronto
a schierarsi dalla parte della sua ragazza, anche quando esagerava o si
lasciava scappare qualche insulto troppo pesante o delle battutine
denigratorie,
ma quella volta non aveva assecondato il suo gioco. Al contrario, le
aveva
fatto notare quanto improprie ed inadeguate fossero le sue
insinuazioni. Liam
non aveva affatto granito il tono perentorio con il quale si era
rivolto
persino a lui, seguito da quel ghigno beffardo che non preannunciava
nulla di
buono. Così, lui non ci aveva messo molto a decidere di
metterla in minoranza
davanti a tutti, avvantaggiando di conseguenza la posizione di Bree.
“Ciao
Liam! Buongiorno Harry!”, salutò proprio
quest’ultima sorridendo ad entrambi,
mentre prendeva posto esattamente davanti a Liam, seguita da Audrey.
“Ciao
Bree.”, ricambiò Harry con un cenno della mano,
soffermandosi con lo sguardo
sulla figura della castana che si stava sedendo al banco accanto a
quello della
sua amica.
Liam,
invece, si limitò ad un piccolo sorriso rivolto alla rossa.
“Ehi,
Audrey!”, la chiamò Harry, ticchettando con un
dito sulla spalla della ragazza
ora china sullo zaino.
“Cosa
c’è Harry?”, chiese quasi in un sibilo,
mentre portava sul banco dei libri e
dei quaderni le cui copertine erano completamente scarabocchiate.
Il
riccio rimase per un attimo spaesato dal tono freddo e distaccato che
la
ragazza le aveva riservato. Sapeva quanto Audrey sapesse essere cinica
e
sgarbata, ma ormai pensava di essere riuscito a superare quella fase
con lei.
“Volevo
solo salutarti e chiederti come stai.”, rispose con un
sussurro, sperando che
Liam non stesse prestando attenzione alla conversazione che lui stava
tenendo
con Audrey.
In
realtà, infatti, il suo compagno di banco era del tutto
assorto nei suoi
tormentati e poco chiari pensieri, indeciso sul futuro della sua
relazione con
Millie e sula strana sensazione che aveva percepito quando i suoi occhi
nocciola per un attimo erano entrati in contatto con quelli verdi,
impauriti,
spaesati e profondi di Bree.
Audrey
sbuffò, lasciando pesantemente cadere sulla superficie del
banco uno degli
ultimi libri che ancora teneva tra le mani. Con un gesto repentino
voltò le
spalle, incrociando immediatamente lo sguardo di Harry.
“Sto
bene.”, decretò a denti stretti, forzando appena
un sorriso ricolmo di
irritazione.
“Bene.”,
replicò lui, annuendo ripetutamente con il capo.
Aveva
parlato altre volte con Audrey e solitamente era riuscito ad ignorare
quella
sensazione di disagio che aleggiava nella sua mente quando lei lo
attaccava con
i suoi toni aggressivi e i suoi modi scortesi. Tuttavia, in quel
momento gli
occhi scuri di Audrey sembravano essere riusciti a metterlo a tacere in
pochi
attimi.
“Audrey,
allora domani vieni a fare compere?”, s’intromise
Bree, attirando l’attenzione
dell’amica.
“Andiamo
Bree, non vorrai andarci sul serio?”, domandò con
una smorfia Audrey, per poi
voltarsi in direzione della cattedra, richiamata
dall’ingresso del professore
in aula.
Bree
dovette attendere l’inizio della lezione prima di poter
rivolgere nuovamente la
parola alla sua compagna di banco, sicura che nessuno le avrebbe notate.
“Ci
saranno solo Margaret e Charlie, sono simpatiche.”, la
supplicò avvicinandosi
di poco al suo orecchio.
Audrey
socchiuse gli occhi, probabilmente immaginando già come
quella storia si
sarebbe conclusa.
“Bree,
non puoi fidarti di loro. Non sono nostre amiche.”,
sbottò in un sussurro,
sperando con qualche ultimo disperato tentativo di persuadere la rossa.
Scrollò
le spalle, sorridendo mentre fingeva di scrivere qualcosa sul quaderno.
“Dobbiamo
solo provare qualche vestito e passare un pomeriggio
tranquillo.”, le fece
notare.
“Perché
tieni tanto a farti delle nuove amicizie?”, le chiese con un
velo di acidità
nella voce che non sfuggì all'orecchio attento di Bree.
Scosse
leggermente il capo, come a voler sorvolare sull'argomento, incapace di
parlare
tanto apertamente delle sue continue insicurezze, della paura di essere
presa
in giro e dell'incubo di essere rifiutata da tutti.
Bree
sapeva che Audrey, per quanto potesse provare, non l'avrebbe mai
pienamente
compresa. Audrey sceglieva quotidianamente di essere schiva, restia a
qualsiasi
tipo di socializzazione. Aveva preferito costruire una corazza intorno
a lei
capace di non fare avvicinare nessuno, ma era stata Audrey, seppur
inconsciamente o inconsapevolmente, a desiderare ciò. Per
Bree, invece, non si
poteva affatto dire la stessa cosa. Lei era socievole, sorridente,
cordiale,
affabile e avrebbe tanto voluto essere circondata da persone che
scherzassero
con lei, che le chiedessero di uscire per bere qualcosa o per andare al
cinema.
Bree voleva soltanto una vita normale in cui non era quella ragazza con
i
capelli rossicci ed il ciclo perenne che le causava continui sbalzi
d'umore.
Audrey non avrebbe mai compreso quanto bello fosse sentirsi cercati,
quanto
rassicurante potesse essere avere qualcuno volenteroso di conversare e
trascorrere parte del proprio tempo proprio con lei. Era per questo che
Bree si
sforzava sempre di essere gentile, di apparire come una normale
diciassettenne
alle prese con i problemi banali, ma allo stesso tempo abnormi
dell'adolescenza.
Lo
sguardo di Audrey si posò leggero sul viso di Bree per
studiarne i delicati e
dolci lineamenti ora piegati in un'espressione pensierosa. Audrey non
sapeva a
quali strane congetture stesse lavorando il suo acuto cervello, ma
poteva
leggere dai suoi occhi quanto tutto ciò la spaventasse. Non
voleva assecondare
Bree solo per il desiderio di vederla felice per qualche istante,
Audrey voleva
il suo bene, cercava di proteggerla dal mondo ingrato e meschino che la
circondava, trascurando quanto lei stessa fosse forte.
Bree,
con la sua candida ingenuità e la sua infinita fantasia,
forse sarebbe riuscita
a difendersi molto meglio di quanto avrebbe fatto Audrey stessa,
impegnata a
combattere una doppia lotta, di cui la più importante era
proprio quella con se
stessa.
“Domani
dopo le lezioni direttamente al centro commerciale? “,
esordì Margaret affiancando
Bree ed Audrey all'uscita dall'aula del corso di filosofia.
“Certo.”,
confermò Bree con entusiasmo, non attendendo neppure la
risposta dell'amica.
Audrey
prese un respiro profondo, sapeva che non avrebbe potuto lasciare Bree
sola in
quella sottospecie di nuova vita nella quale si stava impelagando,
dunque si
preparò a quello che, ne aveva la più assoluta
certezza, sarebbe stato uno dei
peggiori pomeriggi della sua esistenza.
“Anche
per me va bene.”, asserì con voce riluttante e le
labbra incurvate in una
smorfia.
“Davvero
Audrey Wood ha accettato un invito?”, domandò
incredula Charlie alle loro
spalle.
Audrey
serrò la mascella, imponendosi di non rispondere a quella
provocazione. I suoi
occhi, ormai ridotti a due fessure, sfidavano l'espressione spavalda ed
ironica
della bionda.
Charlie
conosceva Audrey da tempo, ormai. Abitavano nello stesso quartiere ed
avevano
frequentato quasi sempre le stesse scuole. Non si erano mai rivolte la
parola
prima del college, ma Charlotte aveva potuto chiaramente intuire
l'indole solitaria
e riservata della ragazza.
“Vuol
dire che mi darete tutte una mano per scegliere qualcosa da indossare
all'appuntamento con Harry.”, annunciò gioiosa
Margaret, alleviando la tensione
che si era precedentemente creata.
“Ma
certo, sarà fantastico.”, commentò
euforica Bree, forse persino troppo per un
semplice pomeriggio di shopping. “Ci divertiremo tanto e
faremo tante belle
cose e compreremo tanti bei capi.”, farneticò
mentre ancora camminava accanto a
Margaret, ma la sua espressione era repentinamente diventata vacua ed
assente.
“Tutto
bene?”, le chiese Audrey, leggermente preoccupata.
Bree
al suono di quella voce a lei tanto familiare parve rinsavire
all'istante.
“Magnificamente.”,
disse soltanto con le labbra incurvate in un sorriso angelico.
“Quindi
ora esci con Harry?”, riprese poi Charlotte, soffermandosi
sulla piccola
rivelazione di Margaret.
“In
realtà é stato Liam a chiedermi di uscire con lui
ed io ho accettato.”, chiarì
lei, mentre insieme salivano le scale che le avrebbero condotte alle
rispettive
classi.
“E
perché?”, si lasciò scappare Audrey
incuriosita dall'argomento che stavano
affrontando.
Margaret
si voltò in sua direzione, sorpresa dal suo improvviso
interessamento. Charlie,
al contrario, continuò a fissare il corridoio davanti ai
suoi occhi, senza
tuttavia riuscire a trattenere un piccolo ghigno.
Bree,
infine, sorrise e dentro di lei prese forma una nuova consapevolezza,
quella
che anche Audrey in fondo avesse un disperato bisogno degli altri per
distruggere quelle difese che impedivano a chiunque di avvicinarla.
“Perché
suppongo lui sia troppo timido per farlo.”,
ipotizzò Margaret ricordando il
viso dolce del ragazzo.
“No,
cioè, insomma, mi chiedevo come tu potessi accettare
l’invito di uno che ha
bisogno dell’amico per proporti di uscire.”,
precisò trovandosi particolarmente
in imbarazzo in quell’assurda situazione.
Non
aveva notato tanto interesse da parte di Harry durante la loro ultima
chiacchierata, dunque non si aspettava che proprio lui avesse
organizzato un
appuntamento con Margaret, piuttosto preferiva credere che Liam avesse
nuovamente preso il sopravvento sulle decisioni dell’amico.
Quel
particolare la irritava notevolmente, proprio non riusciva a tollerare
il modo
in cui Liam riuscisse ad influire sulla vita di Harry e non tollerava
neppure
che Harry glielo permettesse senza troppi problemi.
“Harry
è carino ed è tanto dolce.”, si
giustificò Margaret. “Ora devo andare, ci
vediamo dopo.”, salutò un attimo prima di entrare
in aula.
“Sorridi
Audrey, sorridi.”, la canzonò Charlie, in quegli
ultimi metri prima che le loro
strade si dividessero. “Non sei male quando
sorridi.”, aggiunse portando i suoi
occhi di ghiaccio in quelli scuri della ragazza.
Charlotte
sapeva che sotto quella spessa e dura corazza si nascondesse qualcosa,
voleva
solo capire quanto in profondità e se ne valesse la pena
scavare oltre la
superficie.
Audrey
ricambiò con una smorfia, indispettita da tutta la
sfrontatezza ostentata da
Charlie.
“Ciao
Charlotte.”, la salutò infine, prima di voltarsi e
proseguire nella sua
direzione, lasciando una Charlotte sorridente e soddisfatta.
“Tranquilla,
si comporta così solo con le persone che le stanno
simpatiche.”, la rincuorò
Bree rivolta alla bionda.
Charlie
trattenne una risata a quelle parole, mentre Bree si costringeva a
rimanere
impassibile.
“Scappo
da Audrey, a dopo.”, salutò infine la rossa, prima
di raggiungere a passo di
marcia l’amica che era già a qualche metro di
distanza.
Charlotte
entrò in classe, squadrando attentamente i banchi ormai
quasi tutti occupati.
Trattenne il fiato quando constatò che l’unico
ancora libero fosse proprio
quello accanto a Louis, in terza fila.
Quello
era uno dei pochi corsi che condividevano. Non avrebbe mai immaginato
che
sarebbe arrivata a trovare detestabili quelle ore in cui era costretta
a
trascorrere del tempo con lui. Si avviò con passo lento e
cadenzato, studiando
l’espressione di Louis intento a copiare degli esercizi dal
quaderno del
ragazzo del primo banco.
Il
rumore della sedia costrinse Louis ad alzare gli occhi per verificare
l’identità della persone che gli si era seduta
accanto, scoprendo con
meraviglia che si trattasse proprio della sua ex ragazza.
“Ciao.”,
balbettò quasi stupito di trovarla proprio al suo fianco.
Charlotte
accennò ad un timido sorriso, incapace di dire
alcunché. Era una situazione
imbarazzante quella, la tensione tra loro era palpabile, quasi
Charlotte
riusciva a sentire il suo corpo sudare freddo.
L’arrivo
del professore attenuò quella sensazione e si costrinse a
concentrate la sua
attenzione sulla spiegazione che stava tenendo l’uomo. Era
incredibile pensare
a quanto il rapporto tra lei e Louis fosse cambiato nell’arco
di un così breve
tempo e, per giunta, per sua volontà.
Stava
giocando un una ciocca bionda dei suoi capelli quando vide le dita di
Louis
sporgersi sul suo banco per lasciarle un piccolo pezzo di carta.
Mi
dispiace,
c’era scritto
con la sua calligrafia disordinata e quasi illeggibile.
Charlotte
spostò lo sguardo su di lui, notando l’espressione
affranta, perdendosi per un
attimo in quegli occhi azzurri e limpidi che tanto aveva amato.
Afferrò
il foglio e prese una penna tra le mani, affrettandosi a rispondere.
Anche
a me, per tutto quello che ho
detto,
erano le parole che Louis riuscì ad interpretare da quella
scrittura tanto
piccola.
Sapeva
che quella non era una riconciliazione, che non stavano tornando
insieme.
Quello era solo il modo di Charlotte di fargli capire che lei ci
sarebbe
comunque stata per lui, magari come amica, ma avrebbe continuato a
tirarlo
fuori dai guai.
Non
avevi mai chiesto scusa prima,
le fece notare
allora, riporgendole quella striscia di carta.
Non
ce n’era mai stato bisogno,
scherzò lei,
mimando una piccola linguaccia quando Louis posò il suo
sguardo sul volto di
Charlotte.
Era
bello vederla nuovamente scherzare con lui, sorridergli. Le sarebbe
mancata
Charlie, lo sapeva, lo sentiva nel battito ancora accelerato del cuore,
ma
avrebbe imparato ad esserle amico per non perderla, per godere ancora
della sua
compagnia.
Amici?,
scrisse infine, ma in risposta
ricevette l’ampio e sincero sorriso di Charlotte che annuiva
e a Louis ciò
bastò.
“Millie!”,
la chiamò Niall, accelerando per raggiungerla.
L’aveva
intravista nel corridoio alla fine dell’ennesima lezione
della giornata ed ora
aveva tutta l’intenzione di parlare con lei durante la pausa
lunga.
La
voce del biondo fece sussultare Millie, tanto da costringerla a
velocizzare il
passo per evitare di incontrarlo. Non voleva parlare con lui, a dir il
vero non
voleva parlare con nessuno. Il suo unico desiderio era di trascorrere
quel
breve lasso di tempo in compagnia di qualche ragazza
conosciuta tra i vari corsi e spettegolare
con loro di qualsiasi cosa. Voleva solo non essere costretta a pensare,
perché
in tal caso non sarebbe riuscita a sopportare il rumore dei suoi
pensieri.
“Aspetta,
diamine!”, imprecò cercando di superare un gruppo
di ragazzi che si
intratteneva lungo il corridoio.
Millie
fu costretta ad arrestarsi solo quando la mano di Niall le
circondò il polso,
costringendola a voltarsi in direzione del biondo.
“Allora
?”, sbottò lei irritata dal comportamento del
ragazzo.
Niall
sospirò, mentre la trascinava oltre l'atrio, in un luogo
più tranquillo ed
appartato. Millie lo lasciò fare, arrendendosi all'idea di
dover affrontare una
conversazione con lui.
In
fondo, Millie l'aveva notato immediatamente, Niall era stata l'unica
persona a
preoccuparsi per lei, ad avvicinarla per pretendere delle risposte e
presumibilmente a rimproverarla per il suo atteggiamento. Forse era
l'unico a
cui Millie avrebbe mai fornito delle spiegazioni in quel momento.
“Allora,
che ti succede? Sono giorni che provo a parlarti, ma tu continui a
scappare, a
sparare cazzate e non capisco cosa ti prenda!”,
iniziò quasi aggredendola,
cercando di contenere per quanto possibile quella sensazione di rabbia
che
montava nel suo corpo.
Era
stufo di subire ancora con tanta intensità il fascino di
Millie, era stufo di
essere sempre disponibile per lei.
Millie
abbassò lo sguardo, stringendosi forte nelle spalle. Non
aveva una risposta a
quella domanda, non aveva la risposta alla maggior parte delle domande
che le
venivano poste. Non sapeva perché all'improvviso il suo
solito comportamento
fosse risultato insopportabile persino a lei stessa.
“Non
dici nulla?”, incalzò Niall dopo qualche secondo,
non avendo ricevuto alcuna
risposta dalla ragazza.
Per
una volta Niall giurò di aver visto i suoi occhi impauriti e
spiazzati, ma quell'impressione
durò appena qualche attimo.
“É
stato un periodo particolare.”, mormorò stringendo
forte tra le mani la tracolla
dell'enorme borsa che teneva poggiata su una spalla.
Millie
continuava a rimuginare sulla sua vita, sulle scelte che aveva fatto e
sulle
persone che ne facevano parte. Era terrorizzata dalla
superficialità nella
quale si era rifugiata, dal modo subdolo con il quale aveva preso ad
affrontare
i problemi da qualche tempo, dal numero sempre maggiore di pasticche
che
ingurgitava per vivere anche solo per qualche attimo in quel mondo
incantato
che la isolava dal resto del mondo.
“Eravamo
ottimi amici una volta.”, le ricordò sperando di
spronarla a continuare.
Millie
non riuscì a sorridere a quelle parole, nonostante avesse
tentato. Aveva sempre
saputo del particolare affetto di Niall e lo aveva ignorato per la
maggior
parte del tempo, fingendosi un'amica all'oscuro dei reali sentimenti
del
biondo. Inoltre, la situazione era precipitata dopo quella volta in cui
si
erano visti a casa di Niall, quell'intimità che c'era stata
tra loro aveva
scombussolato il già precario equilibrio.
“Vuoi
parlarne?”, domandò Niall sfiorandole il viso con
un dito.
Millie
arricciò il viso in una smorfia di riconoscimento, scuotendo
la testa in segno
di diniego.
Il
ragazzo annuì comprensivo, sorridendole appena. Con un cenno
della mano la
salutò, poi lentamente si allontanò da Millie,
lasciandola ancora leggermente
scossa in quell'angolo del cortile.
“Wow,
scenetta a dir poco commovente.”, commentò Zayn
sbucando di soprassalto alla
sua destra.
Millie
puntò immediatamente lo sguardo su di lui. Aveva una
sigaretta tra le dita della
mano destra, mentre quella sinistra era nascosta nella tasca dei jeans
grigi e
stretti che gli fasciavano perfettamente le gambe. Le sue labbra erano
piegate
in un piccolo ghigno beffardo ed i suoi occhi ambrati studiavano
l'espressione
fintamente sicura di Millie.
“Non
si origliano le conversazioni.”, controbatté
cercando di ritrovare la sua
solita fierezza nel suo tono di voce.
Zayn
scrollò le spalle, portando il filtro della sigaretta alle
labbra per farne un
altro tiro.
“Troppo
tardi.”, disse soltanto prima di avviarsi anche lui
all'interno dell'edificio,
lasciando nuovamente Millie sola ed indifesa contro quella miriade di
pensieri
che ormai non riusciva più a mettere a tacere.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti!:D Lo so, sono terribilmente in ritardo nel pubblicare
questo capitolo,
ma tra lo studio, l'ultimo capitolo dell'altra mia storia, i regali di
Natale, il presepe e l'albero... proprio non sono riuscita a fare prima!
Comunque, si ricomincia con il giro... questa volta si parte da
Harry!:D Diciamo che è lui a dare il via al capitolo,
anche se poi si seguono diversi filoni, generalmente incentrati sul
tema dell'amicizia.
Da una parte lo stranissimo rapporto tra Harry e Liam, poi abbiamo Bree
ed Audrey,
si passa per Louis e Charlie che decidono di darsi un'altra
possibilità, ma questa volta solo come amici,
per poi concludere in bellezza (?) con Niall e Millie, che invece
sembrano essere ad un punto morto.
In effetti ci sarebbe anche lo scambio di battute finali tra Zayn e
Millie, ma quello davvero non saprei come classificarlo!xD
Anyway, volevo ringraziare chi segue, preferisce e ricorda!!!<3
Siete fantastiche! E volevo ringraziare chi legge!*.*
Bene, se vi va, lasciate qualche commentuccio, giusto per sapere se
vale la pena continuare,
se questa storia ha un senso, cosa dovrei migliorare... boh, dite
voi!!!!
Vorrei aggiornare prima di Natale, almeno lo spero, però nel
caso non dovessi farcela...
Buon Natale a tutti!:* Mangiate tanto, divertitevi e passate una
fantastica giornata!;)
Alla prossima!!:*
Astrea_
|
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Capitolo 12 *** Brianne ***
f
BRIANNE
“Il
verde ti sta d'incanto, ma anche il lilla
é sublime.”, commentò Bree osservando
l'ennesimo vestito provato da Margaret.
Audrey era appoggiata alla parete del
camerino, aveva le braccia incrociate al petto ed un'espressione
infastidita.
Era quasi un'ora che quella patetica scena si ripeteva sotto i suoi
occhi. Al
contrario, Charlotte si limitava a smorfie riluttanti e commenti non
troppo
entusiasti legati per la maggior parte alla superficialità
femminile nell'agghindarsi
solo per un semplice appuntamento.
“Potresti anche provare qualcosa che non dica
soltanto saltami addosso dove e quando preferisci?”,
bofonchiò all'indirizzo
dell'amica che ancora fissava la sua immagine riflessa dallo specchio.
“Ma Harry é talmente gentile che non lo
penserebbe comunque.”, replicò Margaret con un
sorriso soddisfatto disegnato
sulle labbra.
Audrey rimase colpita da quelle parole, tanto
da decidersi a prestare attenzione a quella serie di scontati
convenevoli che
procedeva ad oltranza da chissà quanto tempo ormai.
“Quel suo faccino é davvero
dolcissimo.”, si
lasciò sfuggire Bree, concordando con l'altra.
“Andiamo, parliamo dello stesso ragazzo che
segue alla lettera ogni parola di Liam?”, le
provocò Charlie, puntando il suo
sguardo indagatore su entrambe.
Audrey le osservava, immobile nella sua
posizione e con gli occhi e le orecchie vigili. Non sapeva
perché quel discorso
la incuriosisse tanto o perché fosse interessata a conoscere
quanti più
dettagli le fosse dato sapere.
“In effetti é decisamente meglio quando
é
solo.”, spiegò Margaret, tirando la tendina del
camerino per potersi cambiare.
Audrey sospirò, fantasticando su come Harry
potesse essere in momenti di maggiore intimità come quelli
che aveva vissuto
con Margaret. Lo aveva conosciuto come il ragazzo impacciato, un po'
insicuro e
per nulla orgoglioso e trovava difficile immaginarlo in contesti che
richiedessero iniziativa e sicurezza.
Il suono del cellulare di Bree costrinse le
ragazze ad interrompere quella breve conversazione appena intrapresa.
La rossa
estrasse frettolosamente il cellulare dalla borsa e accettò
la chiamata, non
nutrendo alcun dubbio sull'identità di chi la stesse
cercando.
“Ciao mamma.”, esordì uscendo dal
negozio alla
ricerca di un luogo più appartato.
“Sì può sapere dove diavolo sei
finita?”, la
voce stridula ed alterata della donna costrinse Bree ad allontanare il
telefono
dall'orecchio per qualche istante.
“Sono la centro commerciale con delle amiche.”,
la informò con tono calmo e pacato, rifugiandosi nel largo
ma corto corridoio
che dava accesso ai bagni.
“Ti ho detto mille volte che devi avvisarmi!”,
la sgridò sua madre.
Bree poteva distintamente vedere i suoi occhi
adirati, i capelli tirati indietro, i lineamenti tesi del volto della
donna e
l'indice che usualmente in occasioni del genere puntava contro di lei.
“Ma io te l'ho detto, mamma.”, si
giustificò
la ragazza con un sussurro, per evitare che la donna all'altro capo del
telefono si innervosisse ulteriormente.
“Non giocare con me, signorina. Sono
abbastanza giovane da ricordare ancora tutto alla
perfezione.”, controbatté
lei.
Bree era sicura di ciò che diceva, ricordava
perfettamente il breve dialogo che avevano avuto appena era rincasata
da
scuola, ma ricordava perfettamente anche il piccolo contenitore
giallastro che
la madre stringeva in una mano e nel quale erano conservate circa una
dozzina
di pillole.
“Torna immediatamente qui.”, ordinò alla
figlia con tono autoritario.
“No.”, fu la secca risposta di Bree.
“Mi hai sentita? Ti ho detto torna
immediatamente qui.”, ripeté lei.
“No.”, fu l'unica e decisa sillaba che
uscì
dalla bocca della rossa.
“Ragazzina, io sono tua madre e...”,
iniziò ad
urlare, indispettita dal comportamento insolente dimostrato dalla
figlia.
Bree non ci pensò due volte prima di riattaccarle
il telefono in faccia e spegnerlo un attimo dopo per non essere
nuovamente disturbata.
Voleva solo una vita normale, delle amiche con cui uscire e divertirsi
ed una
madre che non la costringesse a continui incontri con l'analista.
Bree percepiva il suo cuore battere forte nel
petto, tanto che te mette di perderne il controllo. Le tempie pulsavano
e la
testa pareva voler scoppiare da un momento all'altro. Sapeva che
sarebbero
stati sufficienti pochi altri secondi prima che fosse travolta da una
nuova
crisi, ma Bree non voleva, non in quel momento. C'erano le sue amiche
ad
aspettarla in quel negozio e c'era un pomeriggio fantastico che si
prospettava
proprio davanti a lei e non voleva assolutamente rinunciare a tutto
ciò. Con
foga cercò nella borsa la piccola scatoletta d'acciaio che
portava sempre con
sé per occasioni come quella. La osservò
minuziosamente rigirandola tra le
sottili dita. Stava esitando e ciò metteva ancora
più a rischio la sua
condizione. Così si decise e con un veloce gesto prese
un'unica piccola pillola
e la porto alle bocca, poi la ingoiò. Una sensazione di
calma inondò il suo
corpo, facendo distendere le sue labbra in un ampio sorriso stralunato.
I suoi
occhi erano vacui, tanto da conferire alla sua espressione un'aria
assente e
pressoché inquietante.
Quando
tornò nel negozio dove aveva lasciato le sue amiche, le
trovò in coda alla cassa.
Margaret teneva tra le mani uno dei vestiti che aveva provato poco
prima,
sorrideva raggiante. Charlie e Audrey erano accanto a lei, con delle
espressioni meno entusiaste della prima, ansiose di uscire da
lì.
“Allora,
alla fine hai scelto quello blu?”, iniziò
richiamando l'attenzione delle
ragazze.
Audrey
accennò ad un lieve sorriso in direzione
dell’amica, rassicurata dal suo
ritorno, mentre Margaret la guardava con aria soddisfatta
dell’acquisto che si
accingeva a fare. L’avrebbe indossato per la serata con Harry
e l’avrebbe
stupito con quell’abito che aderiva perfettamente al suo
corpo, conferendole un
aspetto più sexy e maturo. Ancora nutriva dei forti dubbi
sul suo eventuale ed
effettivo interesse per Harry. Margaret trovava quella situazione
particolarmente intricante e divertente, forse era per quel motivo che
aveva
prontamente accettato l’invito che Harry le aveva fatto per
mezzo di Liam.
Tuttavia, in un certo senso sapeva che tra lei e quel ragazzo non
sarebbe mai
potuto nascere nulla di serio e duraturo. Erano troppo diversi, troppo
distanti
per comprendersi con un solo sguardo. Aveva stabilito che la sera
stessa
dell’appuntamento avrebbe preso una decisione riguardo alla
sua relazione con
Harry, determinando in maniera chiara e precisa la loro situazione, al
momento
ancora troppo confusa ed ambigua.
Così,
quando finalmente la grande serata giunse, Margaret aveva
già un accurato piano
per valutare quanto e in che misura fosse coinvolta da Harry.
“Ciao.”,
salutò lui non appena Margaret salì
sull’auto che il padre di Harry gli aveva
prestato per la speciale occasione.
“Ciao.”,
ricambiò lei, posandogli un leggero bacio sulla guancia.
“Hai già pensato a
dove andare?”, chiese Margaret, mentre il ragazzo metteva in
moto.
“A
dir il vero pensavo al cinema, ma se non ti va possiamo sempre
cambiare.”,
affermò cercando di camuffare quel velo di imbarazzo che
ancora gli increspava
la voce.
In
realtà anche quello era stato un acuto suggerimento di Liam,
ottimale sia per
contrastare il disagio dovuto alla mancanza di interesse che per
favorire la
vicinanza nel caso contrario. Il film avrebbe riempito eventuali
silenzi
imbarazzanti, mentre il buio avrebbe favorito contatti ravvicinati.
“Perfetto.”,
commentò Margaret, annotando già mentalmente
quanto quella scelta fosse per lei
sbagliata.
Insomma,
nessuna ragazza avrebbe mai desiderato un luogo scuro ed affollato, in
cui
sarebbe stato difficile conversare proprio per il primo appuntamento.
Margaret
ricevette un’ulteriore conferma quando insieme scelsero il
film. Nessun horror
o storia d’amore drammatica, ma una commedia esilarante e
davvero poco
romantica. Sorrise quando Harry la prese sotto braccio per condurla
all’interno
della sala. Il riccio per tutta la durata del film non fece altro che
ridere e
commentare le battute squallide dei personaggi che si stagliavano dal
grande
schermo, coinvolgendo anche Margaret nel vortice della sua allegria. La
ragazza
sorrise nel vederlo finalmente se stesso. Quella volta, ne era certa,
non c’era
margine della presenza di Liam nel comportamento di Harry. Lui gli
avrebbe
detto di circondarle le spalle con un braccio, di sussurrarle qualcosa
di
carino all’orecchio, di prendere i popcorn per entrambi e si
far casualmente
sfiorare le loro ginocchia. Invece Harry era lì, con il suo
sorriso e le due
fossette scavate sulle guance che faceva saettare lo sguardo dallo
schermo al
viso di Margaret, non curandosi di come potesse apparire ai suoi occhi.
Era
bello, con quei ricci sfatti, quella camicia e quei jeans stretti a cui
non era
abituato. I suoi occhi verdi splendevano nel buio della sala e Margaret
fu
completamente travolta dalla inondante luce che emettevano. Trovava
piacevole
trascorrere del tempo con lui, a commentare tanto scioccamente le scene
di
quell’assurdo film che si susseguivano una dopo
l’altra, tanto che accettò di
buon grado la proposta di Harry di fare una passeggiata
all’uscita dal cinema.
“Mi
sono divertita.”, gli disse, avvolgendosi meglio nel cappotto
nero che
indossava quella sera.
Harry
sorrise a quelle parole, cercando di camuffare la tensione che cresceva
dentro
di lui.
Sapeva
quale doveva essere il suo obiettivo al termine della serata, ma
all’improvviso
si trovò a rimuginare su quanto realmente volesse quel bacio.
“Anche io, davvero.”, replicò Harry
rallentando per accostare poco distante dalla staccionata che
delimitava il
prato di un parco.
“Che c’è?”, domandò
Margaret, fermandosi
accanto a lui.
Corrugò la fronte, mentre con gli occhi
studiava l’espressione tormentata di Harry, che con il capo
chino continuava a
picchiettare a terra con il piede destro.
“Io…”, iniziò, ma non
riuscì a terminare
quella frase.
Doveva baciarla, doveva solo baciarla e
Margaret molto probabilmente sarebbe diventata la sua ragazza. Eppure
qualcosa
lo induceva ad esitare, a temporeggiare. Harry si chiese se senza
l’intervento
di Liam, lui avesse provato comunque dell’interesse nei
confronti di quella
ragazza tanto carina e simpatica. La risposta era sicuramente
affermativa,
Margaret era davvero splendida, forse persino troppo per Harry, ma non
riusciva
a farle mancare il fiato. Il riccio si sentiva terribilmente infantile
e
schifosamente romantico nel soffermarsi su quelle piccolezze. Liam gli
avrebbe
detto che l’amore non era necessario a
quell’età, che sarebbe venuto con il
tempo e che avrebbe dovuto approfittare di un’occasione
irripetibile come
quella, ma Harry non era Liam. Harry aveva baciato Margaret, aveva
fatto sesso
con lei e gli era piaciuto da morire, ma non aveva percepito le
farfalle allo
stomaco.
“Dillo Harry, dì qualsiasi cosa.”, lo
incoraggiò Margaret, sfiorando con la mano il braccio teso
del ragazzo.
“Mi dispiace.”, si scusò lui, facendo
scivolare i suoi occhi verdi in quelli di Margaret.
Lei non era arrabbiata o delusa, al contrario
gli sorrideva rassicurante e comprensiva, tanto che proprio da quel
viso Harry
riuscì a trovare la forza di cui necessitava per continuare
quel discorso.
“Mi dispiace perché tu sei la ragazza
più
incredibile con la quale io sia mai uscito, a dir il vero sei anche
l’unica e
questo ti rende ancora più incredibile.”, riprese
estraendo le mani dalle
tasche per muoverle freneticamente a mezz’aria.
Margaret lo guardava gesticolare, con il viso
contratto in un’espressione concentrata e la voce ancora
insicura, e non
riusciva a vedere in lui nessuno di quei difetti che Harry stesso
pensava di
nascondere grazie ai consigli di Liam.
“Mi dispiace perché sei solare, allegra,
vivace, ridi persino alle mie battute senza senso e non mi giudichi per
quanto
male mi vesta o per quanto i miei capelli siano
disordinati.”, continuò
passando istintivamente una mano tra i ricci per dargli una veloce
sistemata.
“Mi dispiace perché sei davvero fantastica,
sul serio, e perché potrei tranquillamente uscire ancora con
te, ma purtroppo
io....”, s’interruppe d’un tratto.
Aveva la bocca socchiusa e gli occhi sgranati
puntati in quelli della ragazza.
“Purtroppo non è scattato, non è
scattato quel
qualcosa, non so perché, ma ti giuro che se esistesse un
metodo per farlo, lo
farei all’istante.”, terminò, mentre la
sua voce si spegneva in un sussurro.
“Lo so, Harry. Lo so.”, confessò
Margaret in
un sussurro. “Se fosse possibile, anche io farei di tutto per
riuscire ad amare
una persona come te.”, ammise con un triste sorriso appena
accennato sulle
labbra sottili ancora coperte di rossetto.
“Sceglierei sempre e comunque te, se potessi
scegliere di chi innamorarmi.”, ricambiò Harry,
avvicinandosi a Margaret fino
ad avvolgerla tra le sue braccia.
“Ma non si può scegliere,
sfortunatamente.”,
mormorò lei contro il petto di Harry, stringendo le braccia
intorno al busto
del ragazzo.
“Mi dispiace.”, ripeté Harry, sfiorando
con la
guancia i capelli biondi di Margaret.
“Anche a me.”, concluse lei, perdendosi nel
calore di quell’abbraccio che lasciò ad entrambi
l’amaro in bocca.
Quando la mattina successiva Harry raggiunse
il Kensington &
Chelsea College, trovò
ad attenderlo all’ingresso Liam che gli sorrideva con sguardo
complice.
“Buongiorno
bello!”, esordì Liam, dando
una leggera pacca sulla spalla di Harry.
Il riccio si
costrinse a forzare le
labbra in un sorriso, sperando di riuscire a sorvolare
l’interrogatorio che di
certo l’amico aveva preparato per lui.
“Dov’è
la tua ragazza, grande uomo?”,
chiese cercando Margaret con lo sguardo, senza tuttavia trovarla.
Harry
deglutì, preparandosi ad
affrontare quella situazione. Si chiedeva ancora come fosse riuscito a
ficcarsi
in una situazione del genere. Sarebbe semplicemente bastato dire che
lui non
era interessato a Margaret e che avrebbe provveduto autonomamente alla
sua fallimentare
vita sentimentale. Tuttavia, quando si trattava di Liam, Harry non era
mai
abbastanza bravo nel far emergere la sua opinione. Lo aveva visto e
continuava
a vederlo come un punto di riferimento per lui troppo importante per
poter
essere ignorato, ma che spesso finiva per oscurarlo completamente.
“Non
stiamo insieme.”, disse tutto d’un
fiato.
Non voleva
deludere il suo amico, ma non
voleva neppure mentirgli. Harry era sincero in fin dei conti, forse
persino
troppo per essere circondato da persone che, invece, non facevano altro
che
mentire anche a se stessi.
“Come?”,
gli chiese Liam sgranando gli
occhi per la sorpresa. “Ti ha detto forse di no? Ora vado a
parlare.”, riprese
con foga, avviandosi già verso il corridoio delle aule del
primo piano.
Harry lo
raggiunse in poche falcate e lo
bloccò afferrando il braccio di Liam.
“No,
non mi ha detto di no.”, spiegò
allora, per evitare chissà quale prossima mossa del castano.
Liam
corrucciò la fronte, come se quelle
parole gli risultassero particolarmente difficili da comprendere.
“Non
gliel’ho chiesto, Liam.”, ammise
infine.
Il castano
sgranò gli occhi, sorpreso da
quella piccola confessione. Non aveva agito per cattiveria o con
secondi fini
quando aveva pianificato quella che doveva essere la prima grande
storia
d’amore di Harry, ma aveva completamente ignorato il suo
parere a riguardo.
Aveva pensato che lui avrebbe fatto i salti di gioia e che avrebbe
goduto di
questa sua prima esperienza senza troppe complicazioni.
“Io
e Margaret vogliamo solo essere
amici.”, spiegò scrollando le spalle, sperando in
una reazione positiva del suo
amico.
Era la prima
volta che Harry non si
lasciava abbindolare da una delle magnifiche soluzioni proposte da
Liam, era la
prima volta che rifiutava il suo intervento nella sua vita privata e
non aveva
la benché minima idea di come lui potesse prendere quella
sua opposizione.
“Capito.”,
bofonchiò riluttante.
Non era
ferito, era soltanto sorpreso.
Ma ad Harry quel suo tentennare parve molto più grave di
quanto in realtà
fosse.
“Ne
parliamo meglio dopo, va bene? Ora
devo scappare in classe.”, si liquidò
frettolosamente Liam.
Aveva bisogno
di riflettere, di
comprendere cosa non avesse funzionato nel suo schema. Aveva calcolato
ogni
margine di errore, ma non quello. Non era infastidito dal comportamento
di
Harry, non ne avrebbe avuto alcun motivo per esserlo. Liam doveva
comprendere
quali fattori non aveva preso in considerazione, cosa fosse sfuggito al
suo
occhio vigile. Si allontanò, continuando ad interrogarsi sui
mille dubbi che
affollavano la sua astuta mente, e solo quando varcò la
soglia della classe la
persona che avrebbe potuto aiutarlo gli si parò
letteralmente davanti.
“Ciao
Niall.”, salutò prendendo posto
accanto al ragazzo.
“Ciao.”,
rispose l’altro, palesemente
spiazzato dalla presenza del castano proprio al suo fianco.
“Devo
chiederti un favore.”, sentenziò
Liam, sistemandosi meglio nel banco.
Il biondo
storse il labbro, ancor più
sorpreso da quella richiesta. Dopo quello che era successo tra lui e
Millie, di
cui ovviamente Liam non era a conoscenza, conversare amabilmente con
lui era
davvero una delle cose che Niall si augurava di non dover mai fare.
Aiutarlo,
inoltre, non era affatto tra le sue priorità, ma rifiutare a
prescindere
avrebbe infastidito Liam, magari a tal punto da continuare ad
importunarlo
anche solo con la sua presenza fisica, fino a farlo cedere ed ottenere
comunque
ciò che desiderava. Liam otteneva sempre ciò che
voleva ed era disposto anche
ad aspettare il tempo necessario per la realizzazione dei suoi piani,
mentre
Niall voleva soltanto assicurarsi che il castano mantenesse le distanze
da lui.
Prima o poi, ne era certo, avrebbe finito per urlargli in faccia quanto
la sua
ragazza fosse brava a letto e a quel punto sicuramente ne sarebbe
venuta fuori
una discreta rissa. Se continuava a trattenersi, evitando di sbattere
in faccia
a Liam la cruda e nuda verità, era solo per Millie e per il
bene che dopotutto
ancora nutriva per lei.
“Dimmi.”,
borbottò mentre la lezione
iniziava.
“Cosa
si prova ad essere innamorati?”,
chiese Liam di getto, lasciando sconcertato il biondo al suo fianco.
“Insomma,
so che sei innamorato di Millie, voglio solo capire cosa
c’è di diverso dal
semplice farsi piacere una persona.”, spiegò con
una calma che rese Niall
ancora più nervoso.
“Ero.”,
lo corresse stringendo forte la
mano sinistra in un pungo. “Ero innamorato di
lei.”, specificò evitando
accuratamente di pronunciare quel nome.
Liam
scrollò il capo, come se quei
dettagli non avessero alcun peso per lui. Il suo obiettivo, ora, era
capire
come una persona potesse innamorarsi di un’altra, come
potesse amarla
profondamente.
“È
un qualcosa di totalizzante,
travolgente.”, provò a dire Niall, trovando
estrema difficoltà nel rispondere a
quel quesito.
“Cioè?”,
lo incalzò Liam, per nulla
soddisfatto di quelle poche parole.
“Cioè
lo percepisci, lo senti. Sai che
non potresti fare a meno di lei e che faresti di tutto solo per vederla
sorridere.”, aggiunse con lo sguardo vacuo, ricordando quando
quel vuoto che
ora regnava nella sua mente veniva riempito dal viso di Millie.
“Sembra
brutto.”, commentò Liam,
soffermandosi a riflettere sulle informazioni che Niall gli aveva
appena
fornito.
“Invece
è la cosa più bella del mondo.”,
controbatté l’altro in un sussurro.
Louis e Zayn
erano seduti in uno dei
banchi in ultima fila. Accovacciati sulla superficie di legno cercavano
di non
farsi notare mentre ignoravano bellamente la lezione che la
professoressa stava
tenendo in classe. Avrebbero volentieri fatto a meno di uno dei tanti
corsi che
erano costretti a frequentare, ma purtroppo erano consapevoli della
necessità
di terminare quell’ultimo anno di college.
“Zayn,
il cellulare continua a vibrarti
nell’astuccio.”, lo informò per
l’ennesima volta Louis, lanciando un fugace
sguardo al telefonino il cui schermo era illuminato.
“Prima
o poi smetterà.”, sentenziò
l’altro, poggiando meglio la testa sul braccio che teneva
piegato sul banco.
“Dovresti
rispondere.”, borbottò Louis,
in palese disaccordo con il comportamento dell’amico.
Zayn socchiuse
gli occhi, cercando di
ignorare la vocina odiosa di quello che riteneva essere un suo amico.
“Saranno
circa le cinque da lui, magari
è successo qualcosa.”, continuò il
ragazzo dagli occhi azzurri, nel tentativo
di convincere Zayn a seguire il suo consiglio.
“Che
se li risolvesse da solo i suoi
nuovi problemi, io ho già quelli vecchi a cui dover
pensare.”, sbottò irritato.
Era Jamal a
chiamarlo. Ormai lo faceva
sempre più spesso e ai più svariati orari, come
se davvero volesse contattare
il suo piccolo ed adorato fratello di cui non aveva notizie da troppo
tempo.
Ma Zayn non
avrebbe mai più voluto
sentire la sua voce, né le sue false scuse.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti!:D Come procedono le adorate vacanze? Come vanno i
festeggiamenti?
Io sto mangiando talmente tanto che credo che per la befana
diventerò una palla completa!xD
Comunque, nel capitolo si parte con Bree! D iciamo che le parti
fondamentali sono proprio quella su di lei, all'inizio, e quella su
Harry...
Anche se Liam non è del tutto da sottovalutare, ma non
aspettavevi grandi cose da lui.
Liam rimane un tipo piuttosto razionale, ma crescerà anche
lui, anche se non so ancora in che misura.:D
Okay, per ora ci fermiamo con Zayn che proprio non vuole saperne di
rispondere al cellulare,
Audrey che presta attenzione alla discussione e Margaret ed Harry che
decidono di rimanere amici.
Bene, vi chiedo, se vi va, di lasciare qualche commento... Insomma, mi
farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Anche se si tratta di critiche, almeno saprò come potermi
migliorare!
Okay, ringrazio chi legge, segue, ricorda, preferisce!*.*
Alla prossima!:*
Astrea_
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Capitolo 13 *** Louis ***
d
LOUIS
Louis
quella mattina decise di recarsi a scuola con
al collo la sciarpa del Chelsea, come ogni buon tifoso avrebbe fatto
dopo
l’avvincente partita che la squadra si era aggiudicata appena
la sera precedente
e alla quale lui aveva assistito direttamente dagli spalti dello
stadio.
“Oggi
sì, che è un bel
giorno!”, esclamò entusiasta
varcando la soglia dell’edificio scolastico con Zayn e Niall
al seguito.
“Louis,
era solo una partita.”, borbottò
Zayn,
ricordando all’amico quanto eccessiva fosse la sua reazione.
“Non
distruggerai i miei sogni di gloria, non
oggi.”, controbatté l’altro, prima si
sventolare in aria la sciarpa che aveva
appena slegato.
Niall sorrise,
osservando Louis volteggiare per il
piccolo atrio, mentre Zayn si sbracciava per fermarlo ed immobilizzarlo
in
qualsiasi modo gli fosse possibile.
“Che
gli prende ora?”, esordì Charlotte
avvicinandosi sorridente a Niall.
“Ieri
il Chelsea ha vinto.”, spiegò il
biondo,
spostando la sua attenzione sui lineamenti delicati del viso di Charlie.
“Dev’essere
stata una gran bella vittoria,
allora.”,
ipotizzò osservando Louis che in quel momento aveva preso ad
intonare qualche
coro d’incoraggiamento.
“Oh
sì, favolosa direi.”, commento Niall
sforzandosi
di trattenere una risata.
“Sembra
stia meglio.”, constatò
all’improvviso
Charlie.
Il suo tono di
voce era diventato estremamente serio
ed i suoi occhi chiari erano puntanti in quelli di Niall, quasi volesse
leggere
in essi una conferma a quella sua affermazione.
“Continui
a preoccuparti per lui.”, quella di Niall
non era una domanda, ma un’ulteriore osservazione.
“Tengo
a lui, tengo a lui come ad un fratello.”,
spiegò allora la ragazza.
Charlotte non
era tenuta a dare delle
giustificazioni a Niall, ma in quel momento aveva ritenuto opportuno
chiarire
la sua posizione, specificando il legame che ancora la univa a Louis.
“E
hai intenzione anche di continuare a controllarlo
da lontano?”, chiese quasi come per provocarla.
Charlie
scrollò le spalle, iniziando a giocherellare
con le dita delle mani.
“Non
credo di potermi avvicinare ulteriormente.”,
ammise mentre Louis si allontanava in direzione delle scale principali.
“Sei
una buona amica, in fondo.”,
commentò allora
Niall, soffermandosi a riflettere sull’espressione
preoccupata di Charlie e su
quanto si stesse impegnando per tenere vicina una persona che in
realtà
continuava a farsi sempre più lontana.
“Ci
sto solo provando.”, sminuì con un
mezzo sorriso
che prontamente Niall ricambiò.
Gli piacevano
i sorrisi di Charlotte, appena
accennati, ma rischiarati dal suo sguardo perforante e luminoso.
“Ci
vediamo in giro, Horan.”, lo salutò
lei,
interrompendo quel breve attimo di silenzio.
La sua voce
era tornata sicura ed ironica, come al
solito, mascherando quella sincerità disarmante che gli
aveva appena mostrato
di possedere qualche attimo prima. E mentre ancora lo superava, Charlie
si
voltò per concedergli un ultimo sguardo e sorridergli, per
poi avviarsi verso
la classe.
Anche Niall
sorrise e continuò a farlo per altri
interminabili secondi, con lo sguardo assorto nella direzione in cui
aveva
visto Charlotte allontanarsi.
“Charlie!”,
la chiamò Margaret, cercando
di
catturare la sua attenzione con un cenno della mano.
“Ciao!”,
ricambiò l’altra,
raggiungendola lungo il
corridoio.
“Ho
conosciuto un ragazzo, ieri sera.”,
raccontò
frettolosamente Margaret all’amica.
Charlotte le
lanciò un’occhiata complice,
attendendo
che proseguisse per conoscere maggiori dettagli.
“Ieri
sera sono venuti dei colleghi di mio padre a
cena da noi, con le famiglie. A dir il vero l’atmosfera era
piuttosto tesa e
persino mio padre, che è una persona davvero cordiale,
sembrava a disagio.”,
iniziò per dare un’ambientazione a quel fortuito
incontro. “Comunque, arrivati
a metà cena, ho chiesto ai miei di poter fare un giro, non
ce la facevo più a
reggere quella tensione e lui si è offerto di
accompagnarmi.”, riassunse con
voce allegra.
“Wow,
certo che dopo la storia di Harry, non perdi
occasione.”, scherzò Charlie, ricordandole
l’appuntamento che aveva avuto
appena pochi giorni prima.
Margaret fece
spallucce, ignorando quel commento
poco carino, poi preferì continuare il suo resoconto.
“Si
chiama Jean Paul, è francese, ha
vent’anni e
studia qui a Londra.”, terminò con aria sognante.
“Lo
conosci appena.”, le fece notare Charlie per
smorzare l’entusiasmo, a suo parere eccessivo, che poteva
chiaramente leggere
negli occhi dell’amica.
“Io,
piuttosto, mi preoccuperei degli sguardi assassini
che suo padre continuava a lanciare al mio, chissà cosa gli
sia preso a
quello.”, borbottò Margaret, ricordando ancora
quanto avesse apprezzato lo
sforzo del padre di ignorarlo completamente.
“Non
curartene, negli uffici è sempre
così.”, le
suggerì Charlotte, mentre insieme varcavano la porta
dell’aula, pronte ad
affrontare una nuova giornata.
Millie si
decise ad uscire dal bagno nel quale era
nascosta ormai da più di una decina di minuti solo quando fu
certa che tutte le
lezioni fossero iniziate. Era andata a scuola come suo solito quella
mattina,
ma quando aveva varcato la soglia dell’ingresso aveva sentito
un’irrefrenabile
crisi di pianto minacciare il suo viso, così era corsa a
rifugiarsi, per
evitare che qualcuno potesse vederla in quelle patetiche condizioni.
Aveva gli
occhi gonfi e le guance ancora rosse, il trucco era completamente
sparito dal
suo viso. Dopo che fosse colato a causa delle lacrime versate, Millie
aveva
provveduto ad eliminarne ogni traccia dalla sua pelle con delle
salviettine che
portava sempre al seguito nella sua borsa. I corridoi erano stranamente
silenziosi e vuoti, tanto che diedero a Millie l’impressione
di trovarsi in un
posto a lei sconosciuto. Non aveva alcuna voglia di recarsi in classe
per
seguire le lezioni, era troppo sconvolta per farlo. Aveva pianto quella
mattina
e per Millie si trattava di un evento raro, quasi unico. Era sola,
Audrey aveva
avuto ragione nel sostenere quanto superficiali ed occasionali fossero
le
amicizie di cui Millie si era circondata. D’istinto si
recò verso il
retro della scuola, trovandosi poi nel
cortile doveva aveva visto riuniti Liam e tutto il resto del suo nuovo
gruppetto. Da quel giorno lei ed il suo presunto ragazzo non si erano
più
rivolti la parola, entrambi troppo orgogliosi per muovere il primo
passo.
“Cazzo,
sei tu.”, imprecò Zayn,
scaraventando un
pugno contro la superficie murata sulla quale era appoggiato di schiena.
Nell’altra
teneva stretta la sua solita sigaretta
che portava ritmicamente alle labbra con fare dismesso.
Millie
sobbalzò al suon della voce del moro, non
aspettandosi affatto di trovarlo lì. In realtà,
lei stava solo cercando un
posto tranquillo nel quale potersi rilassare, possibilmente senza la
presenza
altrui. La ragazza si avvicinò al prato ancora umido dalla
notte precedente. Si
accovacciò, fino a sfiorare con le dita l’erbetta
fresca, infine si lasciò
cadere su di esso. Zayn la osservava senza batter ciglio, rapito dai
suoi
movimenti.
“Perché
sei sempre solo, Zayn?”, gli
chiese con lo
sguardo chino su quei pochi metri quadrati di erba che la circondavano.
Lui trattenne
il fiato per un indefinito istante,
prima di riuscire a riprendere completamente il controllo del suo corpo
attraverso la ragione.
“Non
mi piace la compagnia.”, rispose secco,
aspirando dalla sua sigaretta.
Millie non era
soddisfatta di quelle parole, non lo
era per nulla. Lei adorava la compagnia, ma nonostante ciò
finiva sempre per
non avere nessuno accanto a sé nei momenti difficili.
“E
se ti piacesse stare in compagnia, credi che
staresti mai solo?”, domandò ancora, con il volto
arricciato in un’espressione
di titubanza ed incertezza.
Zayn dovette
concentrarsi per capire ciò che
realmente Millie volesse dire, il motivo di tutte quelle parole che
quella
mattina aveva deciso di riservare proprio a lui.
“Suppongo
dipenda dalla compagnia.”, si decise a
dire infine, optando per una risposta piuttosto vaga.
Millie
ghignò appena, constatando quanto
diplomatiche fossero state le parole del ragazzo.
“Sei
furbo, Malik.”, osservò con un
sussurro,
scostando con le dita una ciocca di capelli che le era caduta sul viso.
Le labbra di
Zayn si incurvarono in un sorriso
beffardo, quasi lusingato da quello che aveva tutta l’aria di
essere un
complimento.
“Millie,
finalmente! Dobbiamo parlare!”,
esordì Liam
avvicinandosi frettolosamente alla ragazza, non avendo neppure notato
la
presenza di Zayn a qualche metro di distanza.
Millie si
alzò di scatto, cercando di ricomporsi.
Con un gesto fulmineo sistemò i capelli ed i vestiti, poi si
costrinse a
sorridere con un’espressione sicura disegnata sul volto.
Zayn, ora, la guardava
divertito da quel repentino cambiamento con il quale aveva visto
risorgere la
solita Millie.
Solo quando
Liam si accorse degli occhi di Millie,
ancora fissi sulla figura di Zayn, si voltò fino ad
incrociare il viso del
moro.
“Perché
siete qui da soli?”, chiese
cercando di dare
una spiegazione plausibile alla presenza di Zayn e Millie nel cortile
sul
retro.
“Fumava
una sigaretta, io sono venuta per caso.”,
spiegò prontamente Millie, rivolgendo per la prima volta
dopo giorni la parola
al suo ragazzo.
Zayn non
aggiunse altro. Lanciò un ultimo sguardo di
sfida a Liam, poi ancora con la sigaretta, ormai quasi del tutto
consumata tra
le dita, rientrò nell’edificio scolastico.
“Ci
ignoriamo da giorni.”, iniziò il
castano,
puntando gli occhi in quelli scuri di Millie.
Aveva
riflettuto bene su quella decisione ed era
giunto alla conclusione che era la soluzione migliore per entrambi.
Ultimamente
erano sempre più distanti, tanto che nessuno dei due si era
preoccupato di
chiarire ciò che era successo giorni prima in quello stesso
posto. Liam sapeva
che non avrebbe mai potuto amare Millie, in realtà pensava
di non poter amare
nessuno. Tuttavia, la relazione con Millie durava da troppo ormai ed
era
diventato difficile riuscire a gestirla. Per una qualsiasi coppia
quello
sarebbe stato il momento giusto per dare una svolta positiva alla
propria
storia, di conferirle maggiore importanza ed ufficialità, ma
per loro era solo
un’ulteriore complicazione.
“Se
ti penti di quello che hai detto e vuoi tornare
con me…”, iniziò Millie con la sua
usuale espressione soddisfatta, ma non
riuscì neppure a terminare quella frase.
“Non
voglio tornare con te.”, la interruppe Liam.
Pronunciare
quelle parole gli era risultato più
difficile del previsto. Con Millie, in fondo, aveva condiviso un
periodo
relativamente lungo, aveva vissuto delle belle esperienze con lei ed
aveva
imparato ad apprezzare quel suo carattere così particolare.
Ma Liam sapeva che
quello era il momento, che superata quella soglia rischiava di perdere
la sua
solita concretezza ed il suo pragmatismo
in materia di amore.
Millie rimase
impassibile a quelle parole, solo i
suoi occhi apparvero a Liam ancora più grandi e scuri del
solito. Non disse
nulla, apparentemente il suo corpo pareva essere dominato dalla calma,
come se
quella notizia non l’avesse minimamente toccata. Nella sua
mente, invece,
Millie riusciva solo a vedere il vuoto, mentre percepiva il forte
battito
accelerato del cuore rimbombare all’interno del petto. Non
era una stupida
ragazzina superficiale, Millie aveva sempre saputo che ciò
che legava lei e
Liam non era amore puro, ma interesse misto a chissà cosa.
Era la
consapevolezza di essere ormai completamente sola a spaventarla,
terrorizzarla.
Non avrebbe neppure più avuto la possibilità di
rifugiarsi nel mondo fatto di
bugie che aveva costruito attorno a lei. Non aveva amiche di cui
potersi
fidare, quelle che frequentava erano solo un branco di ragazze che non
sapevano
parlare che di moda e ragazzi, ed ora non aveva neanche più
un ragazzo.
“Cosa
ti fa pensare che io, invece, lo voglia?”, lo
provocò riempiendo il silenzio assordante che li aveva
avvolti.
Il suo viso si
era tramutato in una smorfia
denigratoria, i suoi occhi erano puntati in quelli di Liam. Millie
voleva apparire
forte in quel momento, non aveva alcuna intenzione di passare per colei
che era
stata lasciata da Liam Payne durante la pausa tra una lezione e
l’altra.
Almeno, si disse, avrebbe fatto finta di condividere quella decisione.
Liam
piegò le labbra in un ghigno, trovandosi ad
annuire sistematicamente. Millie era quel genere di ragazza che neppure
un
uragano sarebbe riuscito ad abbattere.
“Bene,
allora…”, stava per dire, ma
questa volta fu
Millie ad interrompere lui.
“Allora
è finita.”, concluse al suo
posto.
Era stata lei
a dirlo, era stata lei a decretare la
fine della loro relazione. Millie sapeva quanto inutile fosse
soffermarsi su un
simile dettaglio, ma in quel momento aveva percepito la
necessità di pronunciare
quelle poche parole al posto del castano. Non voleva essere costretta a
sentirle, per quel motivo si era affrettata a dirle. Millie sorrise,
ostentando
una sicurezza di cui non era assolutamente in possesso, poi
superò Liam. Non si
sarebbe voltata, del resto lo aveva detto proprio lei che era finita e,
quella
volta, lo era per davvero.
Harry
continuava a percorrere e ripercorrere quei
pochi metri dell’aula di matematica nella quale si era
rintanato durante
l’intervallo. Quando si era avviato per il corridoio, al
termine della lezione
con l’intento i raggiungere Liam, aveva intravisto, nel
flusso di studenti che
si sperdeva tra il cortile principale e le macchinette, la chioma scura
di
Audrey. D’istinto aveva pensato di affiancarla per scambiare
qualche parola con
lei, ma poi era stato soprafatto dall’indecisione e
dall’insicurezza che lo
avevano spinto a rintanarsi in classe. Aveva già parlato
altre volte con quella
ragazza, ma era accaduto sempre e solo per una fortuita coincidenza,
mai
intenzionalmente. Quella prospettiva lo rendeva riluttante, temeva una
reazione
negativa di Audrey. Lei aveva degli occhi perforanti, capaci di
lasciarti
interdetto solo con un semplice sguardo, ma, soprattutto, Audrey aveva
una
lingua tagliente ed un’espressione davvero poco affabile.
Ancora una volta
Harry mosse qualche passo verso la finestra e, quando la raggiunse, si
girò in
direzione della porta per poi ripetere il medesimo tragitto. Teneva una
mano
tra i capelli, li stringeva forte tra le dita, l’altra,
invece, si muoveva
frenetica a mezz’aria. Avrebbe voluto parlare degli ultimi
avvenimenti, di come
Harry avesse finalmente preso le sue scelte, magari commettendo persino
degli
errori. Non gli interessava di quelli, voleva solo dire ad Audrey che
aveva
ragione, che far sentire la propria voce era la sensazione
più entusiasmante
del mondo, che per una volta Harry aveva ascoltato se stesso e non Liam
e si
era sentito forte e potente come non mai. Ma temeva che Audrey, con il
suo
ghigno e le sue poche frasi, avrebbe ridicolizzato
quell’insignificante episodio
di cui, invece, Harry andava fiero. L’avrebbe raggiunta,
pensò, le avrebbe
sorriso e le avrebbe detto che aveva ascoltato il suo consiglio. Harry
non
sapeva neppure perché tenesse tanto a parlare proprio con
lei, forse voleva
solo condividere con qualcuno quel suo nuovo inizio, quel suo primo
piccolo
successo.
Uscì
dall’aula con passo svelto, alla ricerca del
volto di Audrey tra quello dei vari studenti che affollavano la
struttura. Ad
un tratto la vide, appoggiata alla lunga fila di armadietti, a braccia
conserte
ed espressione stanca, mentre si intratteneva in compagnia di Bree.
“Ciao
ragazze!”, salutò con entusiasmo,
lo stesso
che Bree impiegò nel ricambiare.
Audrey,
invece, lo squadrò con aria severa,
soffermandosi poi sul suo viso.
“Audrey,
volevo…”, annunciò
Harry, mentre la voce
già iniziava ad incrinarsi per l’imbarazzo.
“C’è
Louis!”,
esclamò Bree, interrompendolo, avendo
notato la presenza del ragazzo a pochi metri da lei.
Bree aveva
compreso perfettamente la prima parola
pronunciata da Harry, intuendo che il suo discorso, o comunque
ciò che aveva da
dire, fosse del tutto indirizzato alla sua amica, dunque
preferì allontanarsi
per conferir loro maggiore tranquillità.
“Io
vado a salutarlo”, aggiunse subito dopo,
avviandosi in direzione di Louis, senza lasciare ad Audrey neppure il
tempo di
replicare.
“Dicevi?”,
incalzò Audrey, facendo
trapelare dal suo
tono una certa fretta.
Harry
deglutì, ancora non del tutto a suo agio nel
conferire con una ragazza.
“Alla
fine ho fatto come mi avevi suggerito.”,
sbottò tutto d’un fiato, sorridendo
all’indirizzo di Audrey.
Lei
piegò il viso in una smorfia, non capendo a cosa
il riccio si stesse riferendo, ma allo stesso tempo per nulla
interessata a
scoprirlo. Audrey aveva appena preso l’ennesima insufficienza
ed in quel
momento voleva solo restare da sola. Sapeva che un solo altro passo
falso le
avrebbe assicurato i corsi di recupero e lei non aveva alcuna voglia di
dover
trascorrere altro tempo a scuola.
“Bene,
sono contenta per te, anche se non vedo come questo
possa interessarmi.”, borbottò con freddezza,
mentre sistemava lo zaino sulla
spalla. “Ora devo andare, ciao.”, lo
liquidò infine.
Harry la
osservò allontanarsi, spiazzato e deluso
dalla reazione tanto cinica ed indifferente di Audrey. Forse si era
sbagliato
nel vedere in lei una possibile amica.
“Ehi,
Louis!”, esordì Bree non appena
ebbe raggiunto
il ragazzo.
“Ciao
doclezza.”, ricambiò lui,
riservandole un
ampio e dolce sorriso. “Come va la giornata?”, le
chiese poi, prendendola a
braccetto mentre insieme si avviavano verso le macchinette.
“Solite
cose, solita noia.”, rispose lei,
scrollando
le spalle con enfasi.
“Bree,
oggi sei strana.”, constatò
Louis,
soffermandosi ad osservarla più attentamente.
Aveva gli
occhi persi nel vuoto che di tanto in tanto
saettavano verso l’alto, l’espressione assente e
continuava a ticchettare con
le dita della mano sinistra sulla coscia, come a voler scaricare la
tensione.
Sembrava sul punto di esplodere, un concentrato di agitazione in un
corpo
minuto come il suo.
“Sono
solo stanca.”, mentì aumentando il
passo.
Era chiaro che
quella mattina avesse preso
nuovamente una dose eccessiva di farmaci. Louis non sapeva molto in
materia, ma
svariate volte aveva sentito di neurolettici che avessero come effetto
collaterale l’acatisia, l’iperattività o
l’ansia generale.
“Te
l’ho già detto, Bree.”, la
rimproverò Louis.
“Dovresti smetterla con quelle schifezze.”,
chiarì sperando che gli desse
ascolto.
“Sto
bene Louis, sto bene.”, controbatté
con tono
troppo pacato per poter essere naturale.
Louis si
fermò all’istante, facendo bloccare anche
Bree al suo fianco. L’espressione spaurita di Bree si
parò davanti agli occhi
chiari di Louis, provocandogli una leggera fitta al cuore.
“Bree,
sul serio, smettila.”, mormorò
con la voce
spezzata.
La ragazza
abbassò il capo, immobilizzandosi
all’istante. Prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, senza
riuscire a
trovare il coraggio di dire nulla. Sapeva che non ne avrebbe potuto
fare a meno
tanto facilmente, ormai per lei era quasi un’abitudine.
“Ce
la puoi fare, Bree.”, sussurrò
ancora.
La voce
carezzevole di Louis fece sorridere la
ragazza, poi lui portò una mano sul suo volto per
accarezzarle una guancia.
Bree non disse nulla, preferendo non rovinare quel magico momento che
fu
interrotto solo dal fastidioso suono della campanella che annunciava
l’inizio
delle successive lezioni.
Louis
sospirò, mentre si dirigeva insieme a Bree in
classe, senza voglia alcuna di seguire il corso di psicologia. Lui e
quella
ragazza, in fondo, non erano poi tanto diversi. Bree non sapeva
rinunciare ad
una buona dose di farmaci che la aiutassero a mantenere stabile il suo
umore,
mentre Louis non poteva astenersi da quelle serate intense trascorse a
sballarsi sotto l’effetto di una pasticca di ecstasy. Non
aveva mai completamente
compreso le ragioni di Charlotte, non prima di aver visto lo sguardo di
Bree
quella mattina. Louis aveva percepito la sua fragilità, la
sua impossibilità di
difendersi, di farsi valere, di essere forte e combattere contro tutto
e tutti
e ne aveva sofferto. Forse era quella la sensazione che Charlie provava
ogni
qualvolta lo vedesse poco lucido, del tutto distaccato dalla
realtà. Era la
condizione di impotenza ad averlo scosso. Non avrebbe potuto fare nulla
per
Bree in quel momento, se non tenerla sotto controllo, ma nella sua
mente Louis
sapeva che si stesse tenendo una della battaglie più
importanti. Era quello,
ora ne era quasi certo, che Charlotte aveva ripetutamente patito a
causa sua. E,
ad esso, Louis doveva aggiungere l’irreperibilità,
la perenne preoccupazione
che potesse succedergli qualcosa ed il timore che esagerasse.
Pensò che Charlie
era stata coraggiosa ad affrontare tutto ciò da sola e per
così tanto tempo e
d’un tratto tutto il rancore che aveva provato per lei
sembrava essere svanito.
Forse non lo aveva abbandonato come lui si ostinava a credere. Forse
voleva
soltanto liberare entrambi da quelle per nulla auspicabili circostanze,
concedendo così un’alternativa a se stessa, ma
anche a Louis.
---
Angolo Autrice
Bene, bene, bene... eccomi tornata!!!:D Sì, lo so,
è passata una vita... Questo periodo è stato
davvero stressante!
Sto studiando come una matta disperata e per di più ho anche
avuto dei problemucci con il pc. Ma tralasciamo le mie disavventure e
veniamo al capitolo!:D
Questa volta si parla di Louis... in realtà si parla di
tutti, ma mi serviva sottolinerare in qualche modo la scena iniziale e
quella finale,
che per lo sviluppo della sua personalità sarano piuttosto
importanti.
Liam e Millie hanno rotto e, che dire, Millie sembra proprio voler
sempre avere l'ultima parola su tutto, eh?
Ed Audrey non ci mette neppure mezzo secondo a far morire tutto
l'entusiasmo di Harry... poverino!!!
Zayn lo vediamo poco qui, lo stesso vale per Niall, Charlie si mostra apprensiva, ma abbiamo una nuova
notizia su Margaret: un nuovo ragazzo in vista, forse??
Vabbè dai, ci tenevo a ringraziare le persone che leggono,
che seguono, ricordano e preferiscono!*.*
Okay, non mi dilungo che stasera sono in modalità "quasi
quasi scrivo qualcosuccia"!xD
Dai, se ne avete voglia lasciate un commentuccio... ne sarei davvero
felicissima!!
Alla prossima!:*
Astrea_
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Capitolo 14 *** Audrey ***
a
AUDREY
Audrey
socchiuse gli occhi, lasciandosi
trasportare dal ritmo forte e dal rumore assordante che proveniva dalle
cuffie
poggiate alle orecchie. Sdraiata sul letto, con le gambe stese in alto
lungo la
parete della camera, ascoltava musica dalla sua playlist preferita
salvata
sull’ipod azzurro. Con le dita ticchettava sul morbido
materasso, seguendo la
cadenza della canzone e ne intonava le parole in un flebile mormorio.
Il suo
cellulare vibrò per l’ennesima volta sul comodino,
ma Audrey non poté sentirlo.
Aveva rifiutato un invito in discoteca quella sera, per godersi la
tranquillità
della casa. Bree le aveva proposto di andare con gli altri a ballare in
un
locale del quale neppure ricordava il nome, ma Audrey non si era
lasciata
persuadere dell’entusiasmo dell’amica. Non aveva
alcuna voglia di sforzarsi di
sembrare cordiale e di scambiare chiacchiere di circostanza. Il suo
respiro era
profondo e regolare, la sua mente sembrava farsi sempre più
leggera grazie
all’assenza di ogni pensiero. Le forti note la distraevano,
concedendole dei
momenti di puro relax che Audrey avrebbe voluto non finissero mai.
D’un tratto
la musica si bloccò, facendo mugolare Audrey per la
seccatura. Spostò lo
sguardo sullo schermo ormai completamente nero dell’ipod e lo
afferrò tra le
mani, provando a riaccenderlo. Sbuffò, nel constatare che
ormai era del tutto scarico,
poi si girò su se stessa e si sporse in direzione del
comodino per cercare il
caricabatterie. Solo allora Audrey si accorse della spia rossa del suo
cellulare che lampeggiava. Storse il labbro in una smorfia e,
nonostante non
avesse alcuna intenzione di mettersi in comunicazione con il resto del
mondo,
decise ugualmente di controllare chi l’avesse cercata.
Notò sei chiamate perse,
tutte effettuate dallo stesso numero che Audrey non aveva salvato nella
sua
rubrica. Sospirò, ora indecisa sulla prossima mossa, e
mentre ancora rimuginava
a gambe incrociate sul suo letto, il telefono vibrò ancora
una volta. Riconobbe
immediatamente la stessa sequenza di cifre e, seppur svogliatamente,
accettò la
chiamata.
“Si?”, esordì portando il dispositivo
all’orecchio con una mano, mentre con l’altra
continuava a cercare il
caricabatterie dell’ipod dal groviglio di fili presenti sul
suo comodino e nel
primo cassetto di esso.
“Sei la sorella di Millie?”, una voce
femminile e giuliva raggiunse l’orecchio di Audrey.
Aggrottò la fronte, mentre le labbra si
piegavano in una smorfia di fastidio ed irritazione.
“Sì.”, confermò acidamente
Audrey. “E se
chiami per qualche scherzo del cazzo sappi che…”,
iniziò con tono duro, ma fu
prontamente interrotta dalla ristata briosa della ragazza.
“No, no.”, provò a dire quella,
probabilmente cercando di trattenere le risa che ancora le riempivano
la bocca.
Era palesemente ubriaca e quel dettaglio
infastidiva maggiormente Audrey. Fece roteare gli occhi, poi prese un
respiro
profondo e cercò dentro di lei la forza per non agganciare
immediatamente la
chiamata.
“Tua sorella direi che non sta granché
bene.”, riprese sempre quella voce, questa volta con fare
riluttante. “Puoi
venirla a prendere?”, le chiese con voce quasi languida che
fece raccapricciare
Audrey.
“Non me ne fotte un cazzo.”, sbottò
allora, ormai esausta di quella patetica scenetta.
Già riusciva a vedere il volto
soddisfatto di Millie, mentre insieme a quella tipa che
l’aveva appena chiamata
se la spassavano alle sue spalle, deridendola per chissà
quale sua inspiegabile
reazione.
“Uhm.”, fu l’unico suono che Audrey
ricevette in risposta.
In sottofondo Audrey poteva chiaramente
percepire il rumore di musica techno riecheggiare chissà
dove, coprendo a
tratti anche i vaneggiamenti della ragazza con la quale stava
accidentalmente
parlando.
“Senti Aubrey o come cazzo ti chiami,
sono talmente ubriaca che tra poco vomito anche la mia fottuta
anima.”, sbottò
ancora con tono ilare, quasi come se tutta quella situazione la
divertisse.
“Quindi o vieni a prendere quella cazzo di tua sorella prima
che qualcuno se la
scopi mentre dorme o vaffanculo.”, concluse infine, urlando.
“Dove siete?”, chiese Audrey dopo
qualche istante di esitazione.
Si era convinta, infatti, che non si
potesse trattare di uno scherzo. Quella ragazza era davvero ubriaca,
chiunque
ella fosse, inoltre neppure una volta le era parso di sentire la voce
di Millie
proprio lì accanto.
“A Brixton, Stockwell Park Estate.”,
gracchiò
tentennando sulle ultime parole.
“Va bene, arrivo.”, terminò Audrey,
chiudendo la telefonata.
Lei non conosceva neppure la zona in
questione. Londra era una città tanto grande e vasta e lei,
di certo, non si
poteva dire che l’avesse vista tutta. Si alzò dal
letto, afferrò il cellulare
in una mano e con ancora indosso la tuta grigia si avviò
giù per le scale.
Prese le chiavi della sua auto, che finalmente le era stata recapitata,
ed uscì
di casa senza neppure informare suo padre. Non aveva la
benché minima idea di
dove quel posto fosse ubicato. Conosceva la zona per sentito dire e
generalmente nessuno aveva mai riservato delle parole di riguardo per
l’area di
Brixton, soprattutto di notte. Continuava a chiedersi come sua sorella
fosse
potuta finire lì, per quale assurda ragione avesse preferito
proprio quel
quartiere ai locali alla moda che solitamente frequentava. Quando
Audrey fu
nella sua macchina, seduta alla guida, cercò sul cellulare
il nome del
complesso che quella ragazza le aveva fornito, scoprendone
l’indirizzo che poi
rapidamente impostò sul navigatore. Quella zona non era
conosciuta di certo per
essere tranquilla, soprattutto se la si frequentava di notte. Audrey
preferì
non pensare, non pensare neppure a come avrebbe fatto a trovare Millie,
una
volta giunta lì, a cosa poteva esserle successo di tanto
grave da giungere
persino a chiamare lei. Mise in moto e per una volta
desiderò con tutta se
stessa che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto.
Louis teneva gli occhi chiusi e le
braccia al cielo, quasi potesse immaginare di arrivare a sfioralo con
le dita.
Seguiva con dei movimenti fluidi ed energici il ritmo dettato dal dj,
la musica
gli pulsava nelle vene, la testa quasi aleggiava per quanto la
percepisse
leggera e le labbra erano incurvate in un perenne sorriso sereno. Le
due sfere
argentate che spiccavano dal cerchietto che teneva poggiato sul capo
rimbalzavano continuamente, seguendo i passe di Louis.
“Margaret!”, esclamò afferrando per un
braccio la ragazza che ballava accanto a lui.
Lei sorrise, divertita dalla buffa
espressione che il viso di Louis aveva assunto.
“Dimmi.”, lo incitò, facendo una
giravolta introno a lui.
Louis perse la percezione dello spazio,
ormai tutto sembrava muoversi, ruotare tanto vorticosamente da
confondergli i
sensi. Lanciò un urlo entusiasta che all’orecchio
di Margaret parve molto più
simile ad un ululato giocoso.
“Sono felice!”, gridò poi, dopo aver
ripreso fiato.
Sorrideva, ballava, urlava, si
divertiva. E a Louis non importava della testa che iniziava a pulsare
per il
lancinante dolore che lo aveva colpito, non dava peso alla stanchezza
che
percepiva nelle gambe, al fiato corto e alle gocce di sudore che
imperlavano la
fronte ed inumidivano le punte di qualche ciocca di capelli. Persino la
vista
annebbiata era un dettaglio che per Louis poteva essere bellamente
trascurato.
Se quello era il prezzo da pagare per sentirsi tanto leggero e sereno,
Louis
sarebbe stato pronto a farlo in qualsiasi momento. Aveva bevuto
qualcosa, poi era
riuscito a recuperare una pasticca di ecstasy e l’aveva
presa. Non pensava, non
ragionava, nella sua mente c’era il nulla totale.
“No, sei andato.”, lo corresse lei, con
tono leggermente canzonatorio.
Louis scrollò le spalle, con fare
confuso.
“Fa lo stesso.”, borbottò.
“Sono il re
del mondo, cazzo!”, sbottò poi in un impeto di
ebbrezza, con la mano sinistra
stretta in un pugno che tendeva verso l’alto.
Margaret rise, stringendo prontamente il
pugno di Louis nella sua mano, per poi portarlo verso il basso.
“Va bene, campione.”, lo assecondò.
“Ora
però diamoci una calmata.”, riprese cercando di
trattenerlo mentre già si
avviava verso un gruppetto di ragazze.
“Balla con me, Margaret.”, propose
allora, avvicinandosi alla ragazza tanto da far scontare i loro bacini.
“Stiamo già ballando, Louis.”, gli fece
notare lei, sorridendogli amichevolmente.
I loro copri erano ora vicini, le loro
mani ancora intrecciate ed i loro visi separati solo da qualche spanna.
“Evvai!”, esultò allora, ammiccando in
direzione di Margaret, riprendendo a ballare con lei.
Zayn li guardava, nascosto in un angolo
poco affollato del locale. In realtà voleva solo assicurarsi
delle condizioni
di Louis e controllare che non facesse danni o si allontanasse da solo,
soprattutto dopo l’ultima volta. Una strana e fastidiosa
sensazione lo
costrinse a spostare gli occhi altrove, alla ricerca di qualcosa, ed
immediatamente incontrò lo sguardo intenso di Jennifer, una
ragazza dai lunghi
capelli ricci e castani, che di tanto in tanto lo contattava per un
po’ di
fumo.
Lei gli si avvicinò con passo felpato, i
suoi occhi chiari rimanevano fissi in quelli ambrati di Zayn.
“Ciao.”, lo salutò lei, mantenendo una
certa distanza dai loro corpi.
Zayn tendenzialmente incuteva un certo
timore nelle persone, per questo motivo la maggior parte di esse
preferiva
mantenere un discreto distacco. L’unica eccezione che Zayn
avesse mai incontrato
era Millie, quella presuntuosa, arrogante, superficiale ed egocentrica
ragazza
che non aveva esitato neppure una volta ad infrangere quella barriera.
“Che vuoi?”, le domandò con voce dura e
sguardo severo.
Lei lo fissava con gli occhi impauriti e
spaesati, completamente a disagio, e con il labbro inferiore conficcato
tra i
denti. Zayn si chiedeva sempre perché una ragazza come lei
continuasse a
cercare uno come lui. Era timida, seria, aveva l’aria
intelligente ed il callo
dello scrittore al dito medio della mano destra.
“Hai…”, iniziò con un filo di
voce.
Teneva la testa bassa e le mani nascoste
nelle tasche dell’enorme felpa nera che indossava. Zayn
rimase impassibile,
continuava a studiare ogni suo movimento senza lasciar trapelare
emozione
alcuna dal suo viso.
“Sì, insomma, hai dell’erba?”,
chiese
infine lei, alzando di scatto il volto in direzione di quello del
ragazzo.
Zayn piegò le labbra in quello che
doveva essere un sorriso di conferma, infilò una mano nella
tasca interna del
giubbino di pelle e ne estrasse una piccola bustina contenete appena
qualche
grammo di fumo. Se solo avesse riflettuto su ciò che stava
facendo, probabilmente
Zayn si sarebbe preso a pugni da solo, indignato dal suo medesimo
comportamento. Non trovava alcuna motivazione plausibile per
giustificare ciò
che aveva preso a fare. Era il messaggero del diavolo, non avrebbe mai
potuto
far del bene a qualcuno e questo lui lo sapeva bene. Se ne pentiva,
ogni volta
che sentiva la solita tasca svuotarsi, e pensava a come avrebbe potuto
dare un
taglio netto a tutta quella storia che lo stava facendo completamente
impazzire. Lottava, Zayn lottava perennemente contro i suoi principi,
ormai
corrotti e degenerati. Quella battaglia non avrebbe mai potuto vincerla
solo
con la forza delle idee, serviva un qualcosa di concreto, un qualcosa
che gli
assicurasse la fine di ogni contatto con quel gruppo di squilibrati a
cui era costretto
a far riferimento.
Solo quando quella ragazza di allontanò,
soddisfatta, Charlotte di decise ad avvicinarsi a Zayn. Lo aveva visto,
aveva
visto quello sguardo tormentato e l’aria di chi non avesse
scelta, ma di certo
non riusciva a provar pena o compassione. Zayn, per lei come per tutti,
era
solo quel ragazzo viziato e ricco che per divertirsi faceva girare un
po’ di
roba alle feste. Charlie lo odiava per questo, odiava che per mesi
avesse dato
a Louis quello che gli chiedeva, che non avesse provato a fermarlo, che
continuava a fare esattamente la stessa cosa con tutti, senza curarsi
delle
conseguenze che le sue azioni procurassero sugli incoscienti che si
affidavano
a lui.
“Ciò che fai è illegale.”,
esordì lei,
affiancandolo a braccia incrociate e aria di sfida.
Zayn ghignò, mentre riponeva
ordinatamente dei soldi nella tasca dei jeans. Poteva chiaramente
immaginare a
cosa si riferisse Charlie, ma soprattutto poteva prevedere la sua
reazione ed
intuire il suo giudizio critico.
“Tante cose lo sono.”, replicò lui con
quel tono vago che irritò ulteriormente Charlotte.
“Tu sei solo un egoista senza
cervello.”, lo accusò puntando il suo sguardo di
ghiaccio negli occhi ambrati
di Zayn.
Il moro fece un cenno del capo, quasi
come fosse lusingato da quel commento, poi aggrottò la
fronte e fece finta di
riflettere su quelle poche parole. Il suo viso era arricciato in una
smorfia
ironica e derisoria.
“Teoria interessante, davvero.”, si
complimentò annuendo, con gli occhi puntati oltre il viso di
Charlotte. “Peccato
che non abbia il tempo di analizzarla.”, concluse con le
labbra incurvate in un
sorriso beffardo, mentre già si allontanava dalla bionda.
Charlie arricciò il naso, trattenendosi
dal rincorrere il moro e rispondere a tono a quella sua provocazione.
Aveva più
volte provato ad avere una conversazione civile con lui, ma
puntualmente Zayn
la troncava, seccato dal tono moralista di Charlotte. La ragazza
sbuffò, mentre
faceva vagare lo sguardo alla ricerca di qualche viso a lei noto. Era
arrivata con
Margaret, ma poi le loro strade si erano divise. La prima, infatti,
aveva
preferito bere qualcosa, la seconda si era subito fatta trascinare in
un
vortice di danze da Louis. Charlie li aveva visti, mentre si
scatenavano in
pista, e per un attimo aveva sentito una strana sensazione al petto,
come se
qualcosa stesse facendo pressione sul suo cuore, strizzandolo. Si era
detta che
non sarebbe stata mai gelosa del suo ex ragazzo, ma quando Louis aveva
sorriso
a Margaret, Charlie aveva distintamente percepito un filo di amarezza.
“Charlie, ma dove ti eri cacciata?”, la
riscosse Niall, attirando l’attenzione della ragazza.
Charlie accennò ad un sorriso e si avviò
per raggiungere Niall ed Harry, da cui prima si era allontanata per
qualche
minuto. Avevano trascorso insieme l’intera serata,
chiacchierando e
sorseggiando qualche drink.
“Scusate, ero andata in bagno e poi ho
visto Zayn.”, spiegò posizionandosi tra i due, con
i gomiti poggiati sul
bancone del bar.
“Ma Bree non era con te?”, domandò
allora Harry, sorpreso dall’assenza della ragazza dai capelli
rossi.
Il viso di Charlie si corrugò in
un’espressione scettica, facendo chiaramente intuire ai due
che non avesse
compreso a cosa si stessero riferendo.
“Non tornavi, così è venuta a
cercarti.”, chiarì il biondo.
Per qualche istante il silenzio si
impadronì di loro. Solitamente era Audrey ad occuparsi di
Bree, ad assicurarsi
che stesse bene e che non esagerasse, ma ora che lei era assente
nessuno di
loro sapeva come comportarsi. In realtà non conoscevano
neppure le abitudini di
Bree, i suoi limiti, avevano solo una vaga idea sul fatto che eccedesse
nell’uso di psicofarmaci.
“Credete che dovremmo andare a
cercarla?”, la voce di Charlie era quasi un impercettibile
sussurro.
Harry scrollò le spalle, mentre Niall si
limitò a piegare le labbra in una smorfia insicura.
“Probabilmente si sta solo divertendo.”,
ipotizzò quest’ultimo.
Harry non era del tutto convinto di
quelle parole, in realtà neppure Charlie e lo stesso Niall
lo erano, ma
preferirono credere che il biondo avesse ragione. Sarebbe stato di
certo più
semplice per loro convincersi del fatto che Bree stesse bene e che se
la stesse
spassando a poca distanza da loro e, per quanto loro ne potessero
sapere, forse
era davvero così.
“Altro giro?”, propose Charlie, adocchiando
il bicchiere vuoto di Harry, prima di ordinare per entrambi.
Bree era seduta sul marciapiede di
fronte all’uscita di emergenza del locale, avvolta da
un’atmosfera scura e
silenziosa. Dall’interno proveniva della musica chiassosa ed
assordante, mista
al cattivo odore di alcool e sudore. Con una mano continuava a sfregare
sulle
braccia e sulle cosce, cercando di faresi calore, mentre con
l’altra teneva tra
le dita una sigaretta accesa che non accennava ad avvicinare alla
bocca. Non
era la sua, l’aveva chiesta ad un ragazzo che aveva
incontrato uscendo e lui
era stato ben lieto di offrirgliela. L’aveva accesa, pensando
che l’avrebbe
fumata per rilassarsi, ma non era riuscita a farne neppure un tiro. La
avvicinava alle labbra, la poggiava su di esse e poi, quando veniva il
momento
di fare un tiro, scuoteva il capo inorridita e l’allontanava
nuovamente. Si
consumava, ma a Bree non interessava affatto. Quando era andata a
cercare
Charlie non aveva trovato la sua amica nei bagni, bensì una
ragazza in preda ad
un attacco di panico. Bree l’aveva vista dimenarsi, le mani e
le labbra le
tremavano, gli occhi si perdevano nel vuoto, incapaci di concentrarsi
su
qualsiasi cosa, mentre fiumi di lacrime le coprivano il viso. Una sua
amica
provava a rassicurarla, avvolgendola in un caldo abbraccio, marcando il
suo
respiro per fornirle un ritmo a cui adeguarsi. Quella scena
l’aveva scossa,
tanto che aveva preferito allontanarsi per prendere una boccata
d’aria,
piuttosto che tornare da Niall ed Harry.
“Ciao.”, una voce maschile la fece
sussultare per lo spavento, costringendola a voltarsi nella direzione
da cui
essa proveniva.
Bree sgranò gli occhi quando distinse
nel buio il volto di Liam. Il ragazzo avanzava a passo lento, fino a
sedersi a
pochi centimetri da Bree, su quel marciapiede freddo e sporco.
L’espressione
scettica e perplessa con la quale Bree continuava a fissare Liam fece
sorridere
il ragazzo. Era davvero sorpresa, di certo non si aspettava che proprio
lui, il
ragazzo di Millie, si avvicinasse a lei con tanta naturalezza. In
realtà Audrey
le aveva detto che quei due si erano lasciati appena qualche giorno
prima, me
per Bree quelli erano solo degli inutili dettagli. Sapeva che Millie e
Liam
fossero fatti l’uno per l’altra, erano
pressoché identici dal punto di vista
caratteriale e, soprattutto, si chiedeva chi altri avrebbe potuto
sopportare
dei tipi come loro. Neppure Liam sapeva come in realtà fosse
finito proprio
accanto a Bree. I suoi piani per la serata prevedevano una ragazza sexy
da
conquistare, tramite la quale comunicare la fine definitiva della sua
relazione
con Millie, e qualche bicchiere di troppo per renderlo più
euforico. Invece,
Liam aveva rinunciato ai suoi progetti nell’esatto momento in
cui la bionda con
la quale stava ballando aveva provato ad avvicinare la sua bocca a
quella del
ragazzo. Era uscito dal locale, deciso a voler tornare a casa, ma poi
aveva
notato Bree e l’aveva raggiunta. La testa di Liam voleva
scoppiare per quante
fossero le domande ed i dubbi che in quel momento la riempivano.
“Ciao.”, il labile sussurro di Bree lo
fece ridestare dai suoi pensieri.
I grandi occhi chiari di lei erano
puntati in quelli nocciola del ragazzo, Bree li scrutava attentamente
per
carpire da essi delle informazioni. Conosceva abbastanza Liam da
intuire che
dietro a quel casuale incontro ci fosse un motivo ben preciso che
ancora non
riusciva a spiegarsi. In realtà, forse per la prima volta,
Liam non aveva alcun
secondo fine da raggiungere.
“La sigaretta.”, notò il castano,
lanciando un’occhiata al cilindretto che Bree ancora teneva
in mano. “È
finita.”, continuò accennando ad un lieve sorriso,
con il solo scopo di
apparire più cordiale.
Aveva notato quanto restia fosse Bree
nel rivolgergli la parola, del resto quello della ragazza era un
atteggiamento
piuttosto comprensibile. Bree la gettò a terra, poi
chinò il capo in direzione
delle ginocchia, mentre affondava i denti nel labbro inferiore, per
mascherare
il nervosismo che l’aveva colta.
“Ne vuoi un’altra?”, chiese Liam, per
smorzare la lieve tensione che l’imbarazzo aveva creato.
Bree scosse il capo.
“In realtà non ho fumato neppure
quella.”, spiegò alzando il volto fino ad
incontrare quello di Liam.
Il ragazzo sorrise, alzandosi di scatto,
per poi porgere una mano a Bree.
“Andiamo, ti porto a casa.”, propose
allora, fissando gli occhi verdi di Bree.
Lei rimase spiazzata da quella offerta,
tanto che in un primo momento non ne comprese neppure il significato.
Tutto le
appariva così strambo, assurdo per essere vero. Continuava a
chiedersi che fine
avesse fatto quello stesso Liam che fino a qualche tempo fa sogghignava
sornione quando Millie le riservava dei nomignoli poco carini. Si
interrogava
su come quegli occhi tanto limpidi potessero non essere sinceri in quel
momento. Così, senza indugiare oltre, afferrò la
mano di Liam e si fece
accompagnare da lui a casa. Bree non percepì neppure
più imbarazzo, in quel
silenzio che regnò sovrano durante il tragitto.
Audrey aveva vagato per ore, alla
disperata ricerca di sua sorella. Aveva passato in rassegna
l’intero Stockwell
Park Estate senza trovare traccia alcuna di Millie tra la miriade di
ragazzi
che inondava quel posto. Audrey aveva provato a non fare caso al
terribile ed
inebriante odore di alcool, aveva ignorato quel tipo che
l’aveva avvolta con
una nuvola di fumo ed aveva fatto finta di non vedere quelle siringhe
ammucchiate in un angolo poco visibile. Audrey continuava a sbattere le
palpebre, era terrorizzata, si chiedeva come sua sorella fosse potuta
finire lì
e, soprattutto dove si trovasse in quel momento. Sussultava ad ogni
sguardo che
le veniva rivolto, tremava quando qualcuno per sbaglio la sfiorava. La
musica
era alta, talmente tanto che non sarebbe riuscita a sentire la voce di
Millie
ad appena pochi metri di distanza. Quell’ambiente era sporco,
lurido, lo
percepiva persino dagli occhi assenti, sofferenti e maligni che si
stagliavano
dai visi spenti o scuri di quelle persone.
Provò a rintracciare per l’ennesima
volta sua sorella, chiamandola sul cellulare, ma nuovamente
risultò non
raggiungibile. Voleva solo accertarsi che stesse bene, per poi poter
tornare a
dedicarsi alla sua serata, quella magnifica serata che era stata
interrotta
dalla telefonata di quella ragazza che Audrey neppure conosceva. Solo
quando
stava per perdere le speranze, Audrey notò sul lato destro
dell’atrio di uno
dei tanti edifici una ragazza castana, dai lunghi capelli mossi. Si
avvicinò,
fino a riconoscere in quel volto pallido e gli occhi rossi, i
lineamenti di
Millie. Se ne stava seduta a terra, con le gambe stese e la tesa
reclinata
all’indietro. Farneticava qualcosa che Audrey non riusciva a
comprendere e con
una mano giocava con i laccetti dei tacchi che aveva tolto. Audrey
tirò un
sospiro di sollievo, mentre la raggiungeva, chinandosi su di essa.
“Millie, cosa cazzo ci fai qui?”, tuonò
e nella sua voce poté scorgere tutta la tensione che aveva
raccolto in quelle
ore di disperata ricerca.
L’altra mugolò soltanto, senza riuscire
a proferir parola.
“Millie, Millie!”, la richiamò
preoccupata Audrey.
Le sue condizioni erano decisamente
troppo gravi per essere dovute ad una semplice sbornia.
“Millie!”, esclamò ancora, scuotendo
leggermente il corpo della sorella.
“Le luci, ci sono tante luci.”, blaterò
con un filo di voce, mentre con le mani sembrava voler allontanare
qualcosa da
lei.
“Alzati, dai.”, la incitò Audrey,
afferrando il braccio della sorella per poi passarselo sulla spalla.
Con un po’ di fatica riuscì ad alzarla
da quella superficie fredda e sporca che l’aveva ospitata per
troppo tempo.
“Ma tu sei Audrey?”, le chiese Millie,
aggrappandosi maggiormente al corpo della sorella.
Audrey barcollò, prima di riuscire a
ristabilire l’equilibrio.
“Sì, sono io.”, confermò
mentre cercava
di portarla fuori di lì.
“E perché sei qua? Tu non mi odi?”, le
domandò studiandola con fare circospetto, senza
però riuscire ad avere un’aria
credibile.
“No, Millie. Io non ti odio.”, confessò
di getto Audrey. “Io non ti odio.”,
ripeté in un sussurro appena udibile.
Millie le sorrise, poi chinò il capo e
chiuse gli occhi, esausta, affidandosi completamente alla sorella.
---
Angolo Autrice
Ed oggi aggiornamento lampo! Insomma, erada un po' che non riuscivo ad
aggiornare tanto presto!! Bene, buongiorno a tutti!:D
Okay, questo capitolo è dedicato ad Audrey, del resto non
potevo non mettere in evidenza quel rapporto che, comunque, la lega
all'altra gemella Wood.
E mentre Audrey contina a cercare Millie, vediamo cosa succede agli
altri ragazzi, che se la spassano ad una festa.
Bene, bene... aria di gelosia per Charlie? O solo effetto "poco fa
c'ero io al suo posto, ma ora sono felice che anche lui possa andare
avanti"?xD
E mentre Zayn osserva tutto da lontano, Harry, Niall e Charlie si
perdono Bree, ma poi ci pensa Liam a lei, il quale
è persino gentile!
Che dire, le cose sono ancora piuttosto confuse... voi cosa ne pensate?
Insomma, se vi va, fatemi sapere, ne sarei davvero felice!
Ringrazio chi segue, preferisce e ricorda... thanks!!<3 E
ringrazio chi legge!*.*
Alla prossima!:*
Astrea_
|
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Capitolo 15 *** Zayn ***
f
ZAYN
Zayn
tamburellava con la penna sula
superficie di vetro del tavolino del salotto. Era seduto a gambe
incrociate sul
pavimento, fingeva di leggere alcune pagine di un libro preso a caso
dallo
zaino poco prima. Da oltre dieci minuti era fermo sempre alla stessa
facciata,
allo stesso rigo, alla stessa parola, la prima in alto a sinistra.
Teneva il
volto chino in direzione del testo, impedendosi qualsiasi movimento, ma
il suo
sguardo sbieco era tutto rivolto al cellulare che continuava a vibrare.
Zayn
sapeva perfettamente chi fosse, non aveva avuto neppure bisogno di
leggere quel
nome lampeggiare sul display del suo cellulare per intuire
l’identità della
persona che lo cercava. Proprio per quel motivo aveva deciso di
ignorare
deliberatamente quei patetici tentativi di contattarlo, non aveva
alcuna voglia
di sentire quella finta voce cordiale riempirlo di bugie per
l’ennesima volta.
Cercò di concentrarsi sullo studio, esultando quando
riuscì a terminare la
prima frase del primo paragrafo, ma ancora una volta fu distratto da
quella
fastidiosa vibrazione. Non avrebbe risposto, Zayn continuava a
ripeterselo
nella mente come se avesse bisogno di convincersi di quelle parole. Era
combattuto, devastato, tormentato dal desiderio di volerlo risentire ed
il
rancore che ancora nutriva nei suoi confronti. Erano sempre stati
legati da un
rapporto speciale, confidenziale ed amichevole. Zayn aveva cercato di
aiutarlo
sempre, in ogni modo possibile, e di supportarlo in tutte le sue
iniziative,
anche quelle che si preannunciavano fallimentari. In cambio, lui aveva
ricevuto
solo tante delusioni. Zayn non era quel tipo di ragazzo che donava per
ricevere, non si era comportato bene con lui solo nella speranza che un
giorno
quel favore potesse essere ricambiato. Zayn lo aveva fatto per amore,
affetto,
fiducia, quegli stessi sentimenti che erano stati traditi. Non avrebbe
perdonato tanto facilmente i torti che lui gli aveva fatto. Poco
importava se
Zayn fosse costretto a saldare il suo debito, ciò che lo
aveva ferito era stata
la lontananza e la sensazione di abbandono. Zayn non avrebbe
dimenticato tanto
facilmente il modo in cui Jamal aveva deciso di partire, con tanta
leggerezza e
superficialità, non gli avrebbe perdonato la negligenza e
l’indifferenza che
proprio Jamal aveva dimostrato nei suoi confronti. Non avrebbe risposto
alla
chiamata, Zayn cercava di imprimere quelle poche parole a caratteri
cubitali
nella mente, come un promemoria che non avrebbe mai dovuto dimenticare.
Quella
ferita era ancora troppo aperta sul suo cuore, per poter essere
ignorata. Zayn
la sentiva bruciare ogni volta che leggesse quel nome sullo schermo del
telefono, ogni volta che quel nome venisse pronunciato dalle sue
sorelle o dai
suoi genitori.
“Zayn, tesoro, ti cerca Louis. Dice che
ti aspetta all’ingresso.”, esordì
frettolosamente sua madre, mentre si aggirava
per casa con in mano una decina di fogli che avrebbe dovuto esaminare.
Non le piaceva trascorrere molto tempo
fuori casa, dunque ogni qualvolta le fosse possibile, raccoglieva
dall’ufficio
tutte le pratiche di cui necessitava e le portava lì,
cosicché tra una pausa e
l’altra potesse vedere i figli e non gli odiosi, assillanti
ed arrivisti
assistenti.
Zayn annuì, lanciando una veloce
occhiata alla figura della madre, concentrata ora a decifrare la
scrittura di quello
che aveva tutta l’aria di essere un verbale, mentre alla
cieca cercava di
raggiungere la cucina. Sorrise nel vedere sua madre, quella donna che
tutti
consideravano perennemente perfetta in tutto, che si districava tra il
lavoro e
la famiglia.
Con un gesto secco lasciò cadere la
penna sul tavolino e chiuse il libro, rinunciando definitivamente ad
ogni
tentativo di leggerne degli stralci. Si alzò e
recuperò il cellulare che
finalmente aveva cessato di vibrare.
“Io esco, ci vediamo più tardi.”,
salutò
mentre si avviava verso il portone.
Sua madre non riuscì neppure a
rispondere che Zayn aveva già preso il cappotto, le chiavi
ed il portafogli che
teneva all’ingresso ed era andato via.
“Ciao bello!”,
esclamò Louis entusiasta.
“Ehi.”, fu il saluto decisamente acceso
di Zayn.
Louis ormai non faceva più neppure caso
ai toni sempre poco allegri e vitali di Zayn. Aveva un carattere
particolare,
era piuttosto difficile relazionarsi ad un tipo come lui, schivo,
riservato e
davvero poco affabile, ma era un ottimo amico. Sapeva ascoltare, anche
se era
pessimo a dare consigli, ma riusciva a comprendere, sembrava arrivare a
capire
esattamente cosa Louis provasse in determinate circostanze. Zayn era di
poche
parole, ma il suo viso, per chi sapesse leggerlo, era una continua
fonte di
forti emozioni e reazioni, i suoi occhi ambrati e limpidi parlavano al
suo
posto, comunicando solo con quei pochi eletti che avevano avuto il
privilegio
di avvicinarsi tanto a lui da riuscire ad intuire i suoi pensieri anche
solo
con uno sguardo.
“Ci sono Margaret, Bree e Niall allo Starbucks,
quello all’angolo tra Kensington High St e Allens
St.”, gli comunicò Louis,
ricordando ciò che Margaret gli aveva riferito appena poco
prima con una breve
telefonata.
“Quindi?”, replicò Zayn, riservando
all’amico
uno sguardo interrogativo.
Louis fece spallucce, mentre entrambi si
avviavano lungo il vialetto che conduceva al garage dove Zayn teneva
parcheggiata la sua auto.
“Potremmo raggiungerli se ti va.”,
propose allora, cercando di dare poco credito a
quell’alternativa.
In realtà, Louis moriva dalla voglia di
raggiungere Margaret immediatamente. Da quando avevano ballato due sere
prima
in discoteca, Louis non riusciva a pensare ad altro. Nonostante
ricordasse
molto poco di quella notte, gli occhi della ragazza erano rimasti
impressi
nella sua memoria, tanto che avrebbe potuto descriverne le pagliuzze in
ogni
minimo particolare, trovando una precisa tonalità per ognuna
di esse.
“Non mi va.”, rispose secco il moro, non
trovando per nulla allettante quella prospettiva.
Aveva provato a trascorrere del tempo in
compagnia, a cercare di essere gentile, cordiale ed amichevole, ma
aveva
soltanto finto di essere qualcun altro e non semplicemente Zayn.
“Mh.”, fu l’unico suono che
uscì dalle
labbra di Louis.
Zayn entrò nel garage, per poi uscirne
qualche minuto dopo alla guida della sua auto. Louis lo
seguì a ruota,
prendendo posto sul sedile del passeggero, poi Zayn si diresse verso il
cancello. Lo oltrepassò e si immise nelle larghe e
trafficate strade londinesi.
“Ti accompagno da Margaret.”, sentenziò
Zayn tutto d’un tratto, con voce impassibile.
Louis istintivamente piegò il viso in
una smorfia di confusione, basito. Non aveva ancora detto nulla a Zayn,
non gli
aveva riferito quanto trovasse simpatica Margaret, ma lui aveva capito
lo
stesso. Aveva visto quel lieve bagliore di luce negli occhi azzurri di
Louis
quando aveva pronunciato il nome della ragazza. Sorrise
all’amico che guidava,
concentrando lo sguardo sulla strada davanti ai suoi occhi.
“Tu, però, vieni con me.”, lo
ricattò
giocoso.
Zayn sbuffò a quell’affermazione.
Avrebbe volentieri accompagnato Louis, magari si sarebbe fatto un giro
nei
dintorni in attesa che lui si liberasse ed infine sarebbero andati
insieme a
bere una birra in qualche pub poco affollato in una delle tante
traverse che
costeggiavano Kensington High St.
“Guarda che hai centinaia di buoni
motivi per accettare.”, provò a convincerlo Louis,
non scoraggiatosi affatto
per quel primo rifiuto.
Era certo, infatti, che di lì a poco lo
avrebbe convinto ad unirsi al resto del gruppo.
“Non mi interessa.”, borbottò.
“Ah, no?”, la domanda retorica di Louis
era una chiara sfida. “Niall ti sta simpatico, Bree anche,
inoltre Millie non
vede l’ora di toglierti i vestiti di dosso!”,
esclamò indignato dall’indifferenza
dell’amico.
Zayn soffocò una ristata, cercando di
mantenere una maschera di distacco sul viso.
“Non avevi detto che ci sarebbe stata
anche Millie.”, sottolineò con voce impenetrabile,
tanto che Louis ebbe serie
difficoltà nel comprendere il motivo di quella frase.
“Allora hai deciso che vieni?”, gongolò
compiaciuto della vittoria che credeva di aver appena conquistato.
“A dir il vero è una ragione in più per
restare lontano.”, chiarì l’altro con le
labbra appena incurvate in un ghigno
ironico, affondando il piede sul pedale dell’acceleratore.
“Ehilà!”, trillò Louis quando
circa
mezz’ora più tardi varcò la soglia
dello Starbucks e si avvicinò al tavolo dove
era seduta la restante parte della comitiva.
Subito lo sguardo del ragazzo si posò
sulla sorridente figura di Margaret che gli faceva cenno di accomodarsi
accanto
a lei. Non c’era ancora stata occasione in cui Louis avesse
visto Margaret
triste, stanca, svogliata o silenziosa. Era sempre così
allegra, vivace,
gioiosa e spiritosa da far pensare che forse esistesse davvero qualcosa
di
bello nella vita. Assaporava quel gusto genuino e salubre che la vita
le
offriva, cogliendone solo il meglio e vivendo al massimo ogni istante.
Louis la invidiava,
invidiava quel suo
modo di sorridere persino con gli occhi a tutto ciò che la
circondava. Quella
di Margaret non era una reazione alla paura di sentire nuovamente
l’anima
affogare nella tristezza, nella solitudine, nell’amarezza e
nella delusione. La
sua era un’aspettativa per il futuro, il guardare al domani
con positività, il
cogliere del buono da ogni situazione.
Louis passò velocemente in rassegna gli
altri presenti, volgendo ad ognuno un cenno di saluto. Charlotte era
avvolta in
un caldo maglione bianco che sembrava quasi mischiarsi con la pelle
candida del
suo viso. L’espressione serena del volto, rimasta tale anche
dopo l’arrivo di
Louis, era chiaro segno della sua predisposizione amichevole nei suoi
confronti. Niall la guardava di sottecchi, per verificare ogni sua
minima
reazione all’arrivo di Louis. In realtà Niall
aveva preso ad osservarla
piuttosto di frequente, affascinato da quegli occhi di ghiaccio, dalla
carnagione candida e le labbra rosa e sottili. Probabilmente se non
fosse stata
proprio la ex ragazza di Louis, le avrebbe già chiesto di
uscire. Già diverse
volte negli ultimi giorni era stato sul punto di chiedere a Louis come
avrebbe
preso una simile notizia, ma puntualmente le parole gli erano morte in
bocca.
Louis, infatti, si era rivelato davvero un buon amico per Niall,
disponibile in
ogni momento e pronto ad aiutare in caso di necessità. Non
avrebbe voluto
creargli scompiglio, non dopo così poco tempo. Del resto
quella con Charlotte
era stata una storia importante per lui, tanto intensa e profonda
quanto lunga.
D’altro lato, Niall non attendeva altro che lasciarsi
definitivamente alle
spalle tutta la storia di Millie, ormai esausto e, soprattutto, deluso
dalla
faccenda. Bree se ne stava tranquilla al suo posto, con il suo solito
sorriso
ingenuo disegnato sulle labbra e l’aria distratta. Con la
mano destra
continuava a girare il cucchiaino all’interno della grande
tazza ricolma di
cioccolata calda, ormai non più fumante. Non ne aveva ancora
bevuto neppure un
sorso, impegnata a guardare il panno che si creava a causa del calore e
che poi
lei prontamente distruggeva con quei lenti movimenti circolatori. Non
aveva
prestato molta attenzione alla conversazione intavolata da Margaret al
loro
arrivo, in realtà aveva trovato difficoltà nel
riuscire a seguirla.
L’opprimente sensazione che le mancasse sempre il significato
di una parola, di
una frase, le impediva di partecipare alla discussione, costringendola
al
silenzio. Così, quando le ordinazioni erano giunte, Bree
aveva chinato la testa
coperta dalla chioma rossa ed aveva iniziato a giocherellare con la sua
cioccolata. Harry aveva provato a chiederle di Audrey, ma lei aveva
risposto
semplicemente scrollando le spalle, così anche il riccio si
era rassegnato
all’impossibilità di chiacchierare con Bree e
all’improbabilità di rivedere
Audrey nell’immediato. Infine Liam, sorseggiando un
caffè macchiato, allietava
il tavola raccontando alcune delle esperienze avute durante le ultime
vacanze.
Era bravo nel raccontare storie, tanto da risultare simpatico a tutti,
riusciva
a far sorridere anche Niall che ancora nutriva risentimento nei suoi
confronti.
La sua voce chiara era piacevole da ascoltare, l’enfasi con
la quale narrava
ogni singolo episodio riusciva a coinvolgere tutti, tanto che persino
Bree
aveva alzato la testa un paio di volte, ma poi aveva preferito tornare
a
concentrarsi sulla sua tazza ancora piena. Le pause scandite in tempi
giusti,
l’espressione sveglia ed ironica del suo viso, gli occhi
vispi e luminosi di
Liam sembravano riuscire a conquistare sempre tutti. Era proprio per
questo
motivo che Harry svariate volte aveva temuto di combinare un
appuntamento con
una ragazza con un’uscita con Liam.
“Ciao.”, salutò Audrey accennando appena
ad un sorriso, mentre si avvicinava a loro con passo spedito.
Il volto di Harry si illuminò, quasi si
trattasse di una reazione automatica all’arrivo della ragazza.
Bree alzò il volto, richiamata da quella
voce tanto familiare e rassicurante che milioni di volte le aveva
fornito il
sostegno di cui necessitava ed in un attimo le sue labbra si distesero
in un
nuovo sorriso, questa volta più sincero.
“Ciao Audrey!”, ricambiò prontamente
Harry, scuotendo la mano destra a mezz’aria.
Lei aggrottò la fronte, prima di
sforzarsi di trattenere una leggera risata dovuta
all’espressione buffa che il
viso di Harry aveva assunto.
Il ragazzo la incitò a prendere posto
accanto a lui e lei, seppur riluttante, lo assecondò.
“Pensavo non saresti più venuta.”,
ammise sincero Harry all’orecchio di Audrey.
Liam aveva ripreso il suo sproloquio,
dunque tutta l’attenzione, ad eccezione di Bree, era
concentrata su di lui ed i
suoi intriganti modi di parlare. Nessuno avrebbe mai notato quello
scambio di
battute appena sussurrate tra i due, inoltre Harry premeva per
conoscere il
motivo del cambiamento dell’atteggiamento di Audrey nei suoi
riguardi.
“Complicazioni.”, mormorò soltanto,
senza scomporsi.
Audrey era riservata, fredda, chiusa,
Harry lo aveva notato sin dal prima istante, ma mai una volta aveva
pensato al
riserbo ed al cinismo della ragazza come a degli ostacoli nella loro
amicizia.
“Credi che un girono inizierai a
rispondere a qualche domanda?”, chiese il riccio.
Audrey a quelle parole puntò il suo
sguardo sugli occhi verdi e trasparenti di Harry. Il suo tono di voce
era
giunto all’orecchio della ragazza come affranto, forse quasi
rassegnato,
rammaricato dal constatare quanto continuamente lui si sforzasse di
avvicinarsi
a lei, vendendo tuttavia sempre respinto. Da quando avevano parlato per
la
prima volta Audrey non si era sbottonata su nulla, rimaneva come un
forziere
impossibile da aprire, il cui contenuto non sarebbe stato mai rivelato
a
nessuno.
“Sono venuta con mia sorella, aveva
bisogno di uscire. Non le ho detto dove l’avrei portata,
così quando siamo
arrivate si è opposta. Credo non volesse vedere Liam e alla
fine ha preferito aspettare
in auto.”, spiegò con un filo di voce,
non riuscendo neppure a controllare quel
fiume di parole che fuoriusciva dalle sue labbra.
Audrey voleva essere aperta, voleva che
qualcuno guardasse all’interno di quel forziere, che andasse
oltre gli strati
di matita ed i vestiti scuri che indossava anche quel giorno. Aveva
paura,
aveva paura di rimanere sola, che nessuno l’avrebbe mai
ricordata in futuro o
soltanto menzionata in chissà quale buffo racconto di
episodi passati.
Sulle labbra di Harry prese forma un ampio
sorriso, incorniciato da due piccole fossette scavate appena su ambedue
le
guance. Non si aspettava una simile reazione da parte di Audrey, non
così
all’improvviso. Sarebbe stato pronto ad aspettare mesi per
cavar fuori qualcosa
da lei, ma sorprendentemente lei aveva deciso almeno per quella volta
di
deporre le barriere difensive e lasciare che Harry entrasse nel suo
piccolo ed
incasinato mondo.
Millie aspettava la sorella appoggiata
allo sportello della sua auto, mentre stancamente fumava una sigaretta.
Aveva
apprezzato il tentativo di Audrey di includerla in quel falsamente
adorabile
pomeriggio, ma non era ancora pronta per affrontare tutti. Ricordava
poco della
notte in cui Audrey era andata a recuperarla a Brixton, ma le era
profondamente
grata. Aveva pensato di essere sola, aveva creduto che dopo la rottura
con Liam
tutto fosse finito, ed invece aveva riscoperto una piccola ed
intrascurabile
parte della sua vita. Sua sorella, per quanto poco si tollerassero, era
pur
sempre parte della sua famiglia. Audrey non aveva esitato ad aiutarla
nel
momento del bisogno, era stata l’unica, nonostante tutti i
litigi e gli insulti
che avevano caratterizzato il loro rapporto negli ultimi anni.
Inspirò a pieni
polmoni l’aria gelida di quel tardo pomeriggio londinese. Le
macchine
inondavano le strane, rilasciando gas inquinanti nell’aria.
Portò la sigaretta
alle labbra e fece un altro tiro. Con lo sguardo vagò sulle
vetrine che si
affacciavano su quel tratto, soffermandosi poi sui volti dei passanti
che camminavano
spediti alla ricerca di chissà cosa. Trasalì
quando scorse la figura di Zayn a
pochi metri di distanza, immobile nella sua stessa identica posizione.
Il
ragazzo sorrise quando gli occhi scuri di Millie si scontrarono con i
suoi.
L’aveva intravista appena era arrivata, accompagnata da
Audrey, ma aveva
preferito attendere che fosse lei ad accorgersi di lui. Con un gesto
fluido
Zayn si staccò dalla portiera della sua auto e si
avviò in direzione di Millie.
Se Louis aveva ragione, si disse, almeno avrebbe potuto ricavare
qualcosa di
buono da quel noioso pomeriggio.
“Gira alla larga, Malik.”, esordì Millie
fissandolo con sguardo truce.
Zayn ghignò. Avrebbe dovuto provare
timore ed, invece, era soltanto divertito dal tono intimidatorio della
ragazza.
“ La strada è abbastanza ampia da
permettere il passaggio di entrambi.”, osservò
ammiccando in direzione della
mora.
Zayn poggiò la sigaretta sulle labbra
con fare sensuale, i suoi occhi erano fissi in quelli di lei e non
accennavano
ad interrompere quel contatto visivo, neppure quando fece un profondo
tiro. Millie
lo guardava cercando di non far trapelare alcuna emozione dalla sua
espressione. Aveva perfettamente intuito il gioco appena iniziato da
Zayn, era
lo stesso a cui lei ricorreva ogni qualvolta dovesse comprare qualcosa
da lui.
I loro incontri erano fatti di occhiate languide, movimenti lenti e
seducenti,
voci roche ed accaldate che si soprapponevano in sussurri. Millie tese
la mano
sinistra in direzione di Zayn, afferrandolo per la tasca anteriore dei
jeans
neri che portava indosso e lo fece avanzare. I loro petti quasi
potevano
toccarsi, Millie percepiva sulla pelle il respiro di Zayn,
più alto di lei di
almeno una decina di centimetri, nonostante indossasse dei tacchi anche
in
quell’occasione. Era una sensazione che conoscevano bene
entrambi, quella di
sentirsi tanto vicini, ma nessuno dei due aveva mai provato ad
annullare del
tutto le distanze.
Zayn avrebbe potuto provare a baciarla
in quell’istante, probabilmente lei lo avrebbe lasciato fare
senza troppi
problemi, ma non lo fece. La vibrazione del cellulare di Zayn riscosse
entrambi
da quel momento, costringendo Zayn ad indietreggiare di qualche passo.
Prese il
cellulare e nel farlo sfiorò impercettibilmente la mano di
Millie, ancora
ancorata alla stoffa dei suoi jeans. In un attimo la ragazza
ritirò il braccio,
mentre con gli occhi seguiva i movimenti meccanici di Zayn. Millie
notò i suoi
muscoli irrigidirsi e la sua espressione farsi cupa.
“Chi è?”, domandò curiosa di
scoprire
l’identità di colui che riuscisse a sortire un
tale effetto sull’impassibile
Zayn.
“Mio fratello.”, sussurrò intimorito,
sconcertato ed allo stesso tempo sofferente.
Forse fu proprio la debolezza dettata da
quel momento, l’insicurezza, l’indecisione e
l’insorgere di numerosi dubbi
nella mente di Zayn, a fargli pronunciare quelle due semplici parole,
dimenticandosi del suo usuale riserbo e del tono scontroso che lo
denotava.
“Dovresti rispondere, allora.”, suggerì
Millie, ormai particolarmente sensibile alle questioni di famiglia.
Zayn si lasciò scappare un mezzo
sospiro, come a volerle silenziosamente dire che lei non conosceva
affatto
quella storia e che, dunque, non avrebbe mai potuto comprendere quanto
complicata fosse la situazione. Puntò lo sguardo sul
marciapiede, rifiutando la
chiamata. Millie non avrebbe mai pensato di poterlo vedere tanto
indifeso e
combattuto.
“Meglio di no.”, borbottò soltanto,
ancora con lo sguardo basso e l’aria afflitta.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti!!:D Ecco il nuovo capitolo di Skins!:D
Sì, sto rpocedendo a rilento, ma purtroppo in questo periodo
non riesco a fare di meglio...
Piuttosto, voi che mi dite? Come va? Avete visto il video, vero??
Adorabili è dire poco, eh?!*.*
Anyway, torniamo a parlare di Zayn qui... personalmente mi piace il suo
rapporto con Louis!!:D
E poi c'è Harry che è davvero dolcissimo!! Voi
che ne pensate??
Fatemi sapere se vi va, mi piacerebbe davvero tanto leggere le vostre
opinioni!!:D
Ringrazio chi ricorda, segue e preferisce!! Grazie mille!<3 E
ringrazio ch legge!!*.*
Bene, spero di riuscire ad aggiornare presto, molto presto!;)
Alla prossima!:D
|
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Capitolo 16 *** Charlotte ***
f
CHARLOTTE
“Mi
passi il verde, per favore?”, la
richiesta di Charlie era appena un sussurro.
Concentrata sul lavoro che stava
compiendo su quella piccola tela, non concesse neppure uno sguardo a
Niall, nel
chiedergli di passarle il tubetto che lui teneva poggiato sulla sua
tavolozza.
La lezione di arte era una delle preferite di Charlie, soprattutto
quando la
professoressa decideva di dedicare l’ora alla pratica,
piuttosto che ai video o
ai fotogrammi che di frequente faceva vedere.
“Wow.”, fu il commento stupito di Niall
quando intravide la bozza del disegno che Charlie era intenzionata a
svolgere.
Charlie indietreggiò di due passi, il
necessario per poter avere una visione completa del suo dipinto. Erano
soltanto
un mucchio di schizzi che si accavallavano fino quasi a confondersi, ma
si
potevano distinguere le linee di alcuni alberi e piante le cui radici
si
confondevano con il cemento delle fondamenta di qualche edificio
urbano. La
professoressa aveva detto loro di seguire le proprie emozioni, di
lasciare che
fosse il cuore a dettare i movimenti della matita, senza censurarsi o
obbligarsi a tendere verso un determinato oggetto. Charlotte aveva
ascoltato il
suo consiglio, aveva chiuso gli occhi ed aveva immaginato una scena,
poi li
aveva riaperti ed aveva iniziato a muovere a raffica la mano lungo la
tela,
lasciando dei tratti chiari, ma decisi. Era come se in quella bozza
avesse
rappresentato se stessa, uno spirito libero intrappolato negli schemi
rigorosi
e rigidi della società, ma allo stesso tempo aveva trattato
delle sue idee,
delle sue convinzioni morali, ponendo come soggetto principiale proprio
quella
natura che quotidianamente veniva distrutta dall’azione
dell’uomo. Era un
acritica alla società quella, ma era anche un monito contro
l’abuso di cantieri
e costruzioni, di foreste abbattute ed animali privati dei loro habitat
naturali. Quel disegno era ancora un groviglio, colorarlo avrebbe
richiesto
tempo, impegno e dedizione per quanto apparisse complicato.
“È fantastico.”, commentò
Niall, senza
fiato, mentre lo osservava con gli occhi sgranati per la meraviglia.
Charlotte sorrise, portò una matita
all’altezza delle labbra ed iniziò a mordicchiarne
l’estremità. Mancava
qualcosa, poteva chiaramente percepirlo da quel lieve senso di
insoddisfazione
che aleggiava in lei. Studiò per qualche istante la tela,
immaginando di
colorarla. Nella sua mente già poteva vedere il verde
intenso delle foglie, il
grigio spento e cupo del cemento, il marrone del tronco degli alberi
ricoperto
dal fogliame e il
cuore scuro della
foresta. Avvicinò la mano destra al margine sinistro del
dipinto e dall’altro
fece calare delle linee trasversali che giungevano proprio al centro
del
foglio. Era la luce, ciò che mancava. La luce dei suoi occhi
di un chiarissimo
azzurro, la luce della speranza, la stessa luce che colorava anche le
pupille
di Niall. Si mordicchiò il labbro, mentre ultimava
l’aggiunta, poi sorrise
compiaciuta.
“Sei davvero brava.”, si complimentò
Niall, porgendole il tubetto di verde che Charlie gli aveva chiesto.
Avrebbe iniziato proprio dalla natura,
per colorarlo.
“Grazie.”, rispose in un sussurro,
mentre poggiava del colore sulla sua tavolozza.
Niall la osservava completamente rapito
dalla sua espressione concentrata. Aveva notato una piccola piega
scavarsi
sulla fronte della ragazza, il cui sguardo si era assottigliato sulle
miscele
di colori che si accingeva ad utilizzare.
“Tu hai già pensato a cosa disegnare?”,
chiese lei, imbarazzata dallo sguardo del biondo ancora rivolto a lei.
Charlie non era il tipo di ragazza
abituata a ricevere attenzioni o lusinghe, quella che i ragazzi
seguivano con
lo guardo solo per le sue forme sensuali. Non era neppure quella che
passava
del tutto inosservata, totalmente invisibile agli occhi degli altri.
Charlotte
era capace di farsi rispettare, di difendersi da sola, di dire sempre
la sua,
anche quando nessun altro pareva appoggiarla. E, nonostante Niall
sapesse
quanto Charlie detestasse essere osservata, non riusciva a toglierle
gli occhi
di dosso per nessun motivo, per neppure un istante. Non sapeva dire
cosa
legasse il suo sguardo al viso ora interrogativo di lei, ma gli piaceva
studiare ogni dettaglio del suo volto minuziosamente.
“No.”, rispose scrollando le spalle ed
in un attimo Niall si trovò catapultato nella
realtà.
La sua tela era ancora completamente
bianca ed il tempo continuava a scorrere, facendogli accumulare un
sempre
maggiore ritardo. Non avrebbe mai preparato la bozza entro la fine di
quell’ora
di lezione, dunque con ogni molta probabilità avrebbe dovuto
prepararla a casa
per poi consegna la volta successiva.
“E dove hai imparato a disegnare così?”,
domandò il biondo, ormai rassegnatosi all’idea di
non poter concludere nulla in
quel momento.
Del resto, si disse Niall, nessuno
sarebbe riuscito a concentrarsi su un qualsiasi oggetto da
rappresentare con
Charlie al proprio fianco.
“Mio padre mi ha svelato qualche trucco
sulla parte tecnica dello schema compositivo, ma il resto è
venuto da solo.”,
spiegò intingendo il pennello nel colore, per poi provare
quest’ultimo su un
pezzo di carta.
Charlie storse il labbro, non convinta
affatto da quella tonalità, a suo parere troppo liquida ed
inconsistente.
Niall annuì, avvicinandosi di qualche
passo alla bionda.
“E che mi dici di questo?”, chiese poi,
indicando la tela con la mano destra.
Charlie sorrise appena, divertita dallo
sguardo ancora sbigottito che Niall aveva rivolto al suo disegno.
“Ti piace davvero, allora?”, domandò con
un filo di ironia, senza neppure rispondere al ragazzo.
“È bellissimo.”, mormorò lui
scontrandosi con gli occhi di ghiaccio di lei.
L’intensità della sua voce e del loro
contatto visivo fece quasi vacillare Charlotte. Quelle parole appena
sussurrate, con quel tono sincero e disarmante, sembravano essere
rivolte ad
altro, non a quella tela appena iniziata. Charlie si chiese se fosse
possibile
che quell’apprezzamento fosse rivolto a lei e nel farlo si
sentiva anche
piuttosto infantile e patetica.
“Natura contro città, o qualcosa di
simile.”, borbottò con fare disconnesso, cercando
di mascherare l’enorme
sensazione di disagio che aveva travolto il suo corpo.
Niall le sorrise e Charlie dovette
sforzarsi di non arrossire, di mantenere la calma. L’effetto
che quel biondo
aveva iniziato a suscitare in lei non le piaceva affatto. Era un
qualcosa di
travolgente, intenso, penetrante, tanto che l’imbarazzo
prendeva il sopravvento
sul suo solito sarcasmo.
“Sembra piuttosto profondo.”, ipotizzò
sorridendole.
Avrebbe dovuto parlare con Louis, Niall
nutriva un’urgente esigenza di comunicare all’amico
quello che gli stava
accadendo. Voleva essere sincero, non come Millie che ancora continuava
a
tenere nascosta a Liam la volta in cui era stata con lui. Voleva che
Louis
sapesse dell’interesse che lentamente stava crescendo in
Niall, voleva dirgli
quanto trovasse gradevole la compagnia di Charlie e voleva poterle
chiedere di
uscire senza provare senso di colpa.
Il suo della campanella fece quasi
sobbalzare Niall, il quale si affrettò a salutare Charlie e
si precipitò fuori
dall’aula. Ormai non avrebbe potuto attendere oltre e quello
gli appariva come
il momento adatto per poter portare a termine il suo intento. Aveva
imparato a
conoscere Louis in quel breve lasso di tempo, così senza
indugiare si diresse
verso i distributori. Quando giunse alla meta sorrise nel costatare che
Louis
fosse proprio lì, come lui aveva predetto, indeciso su
qualche snack prendere.
“Ehi!”, lo salutò con enfasi,
affiancandolo
“Ehi, biondo!”, replicò lui, dando una
lieve pacca sulla spalla dell’amico. “Sono indeciso
tra noccioline e patatine.
Tu che mi consigli?”, aggiunse poco dopo, mentre ancora si
massaggiava il mento.
“Meglio le patatine.”, gli suggerì lui,
indicando un pacchetto azzurro in basso a destra.
Louis ascoltò il suo consiglio, seppur
ancora titubante sulla questione.
“Devo dirti una cosa.”, esordì Niall,
spostandosi in un angolo più tranquillo con Louis al seguito.
“Avanti.”, lo incitò mentre
già apriva
la bustina che teneva tra le mani, per sgranocchiare qualche patatina.
“Devo parlarti di Charlotte.”, chiarì
allora il biondo, modulando bene il tono di voce, per farlo apparire
quanto più
calmo e pacato possibile.
“’Fancuolo.”, fu l’esaustiva
risposta di
Louis a quelle parole.
Stava già per avviarsi in cortile, per
nulla interessato a scoprire cosa Niall avesse da dire a riguardo di
quella
bionda. Avevano deciso di comune accordo che sarebbero stati amici, ma
Louis
aveva bisogno ancora di tempo prima di poterla veramente considerare
come tale.
Per ora Charlie rimaneva quella ragazza che gli aveva spezzato il
cuore,
lasciandolo dopo quasi due anni di fidanzamento. Non voleva che nessuno
associasse nuovamente i loro nomi, Louis aveva bisogno di voltare
pagina, di
andare avanti. Temeva che Niall potesse riferirgli qualcosa che lui
avrebbe di
certo preferito non sapere, come un eventuale ripensamento da parte di
Charlie.
“Voglio chiederle di uscire.”, confessò
Niall, trattenendolo per un polso.
Louis si immobilizzò all’istante, del
tutto spiazzato da quella rivelazione. Aveva pensato che Niall volesse
intromettersi per farli riavvicinare ed, invece, scopriva che era
proprio il
biondo a voler trascorrere più tempo con Charlie. Louis si
voltò, fino ad
incontrare il volto dubbioso di Niall.
“Perché me lo dici?”, domandò
con un
filo di voce.
“Preferivo parlartene prima di fare
qualsiasi cosa, per sapere cosa ne pensi.”, spiegò
liberando l’amico dalla sua
stretta, ormai non più necessaria.
Louis sbatté forte le palpebre, poi
scosse il capo cercando di realizzare quella miriade di informazioni
che stava
giungendo al suo cervello. C’era Niall che quasi gli chiedeva
il permesso per
uscire con la sua ex ragazza, c’era lui che si preoccupava
della sua reazione,
del suo stato emotivo, dei suoi sentimenti. Louis pensò che
fosse stato davvero
onesto e coraggioso nel decidere di parlarne prima con lui, per
saggiare il
terreno, timoroso che un simile gesto avrebbe potuto rovinare la loro
amicizia
sul nascere.
“Per me va bene.”, confermò Louis in un
sorriso di incoraggiamento. “E non portarle i fiori, li
detesta, dice che sono
inutili.”, gli consigliò giocoso, facendogli un
occhiolino.
Niall sospirò sollevato, prima di
distendere le labbra in un ampio sorriso.
“Tu!”, tuonò Liam, dirigendosi a passo
di marcia in direzione del biondo.
Il suo tono era tanto alto che con una
sola sillaba era riuscito a catturare l’attenzione di un
gruppetto di studenti
che affollava i corridoi durante la pausa. Niall sgranò gli
occhi quando
intravide Millie seguire il castano, con andatura lenta e sinuosa,
senza
sembrare preoccuparsi della rabbia che invece trapelava chiaramente
dagli occhi
di Liam.
“Tu!”, ripeté afferrando Niall per il
colletto della camicia azzurra che indossava quel giorno.
Liam lo trascinò fino alla parete,
facendo aderire con un tonfo le spalle di Niall ad essa.
“Sei uno stronzo del cazzo!”, sbottò con
sguardo truce ed aria intimidatoria.
Intorno a loro si era formato una sorta
di semicerchio, alcuni studenti li osservavano confusi, altri
semplicemente
divertiti. Millie li raggiunse, scansando a fatica il piccolo gruppetto.
“Non dare spettacolo, Liam.”, lo
rimproverò tranquilla incrociando le braccia al petto.
Il castano quasi parve agitarsi ancora
di più al suono di quelle parole.
“Avete scopato, cazzo! Siete andati a
letto insieme e tu mi dici di non dare spettacolo?”,
sbraitò girando il viso in
direzione della ragazza.
In realtà Millie aveva perfettamente
ragione, forse Liam aveva sottovalutato quanto bene lo conoscesse. Lui
non
sarebbe mai arrivato a tanto, soprattutto non per inscenare un teatrino
in cui
lui era la parte lesa. Ma non era riuscito a trovare soluzione
migliore. Preso
dalla rabbia e dalla vendetta, Liam aveva pensato che una bella scenata
pubblica avrebbe messo in sufficiente imbarazzo sia Millie, la ragazza
infedele, che Niall, l’amico disponibile che non si era fatto
alcuno scrupolo.
Liam non lo stava facendo per se stesso, per rivendicare quando
ingiusto fosse
stato il loro comportamento, lo faceva per loro, affinché
tutti potessero
sapere ciò che avevano fatto e potessero giudicarli.
“Liam, io…”, provò a dire
Niall, ma fu
interrotto dal ringhio adirato dell’amico che stingeva la
presa all’altezza del
suo collo.
“Com’è stato farti la mia ragazza,
eh?”,
lo provocò con uno sguardo di sfida.
Millie sgranò gli occhi, offesa.
Probabilmente tutto il Kensington & Chelsea College non avrebbe
parlato di
altro per tutta la prossima settimana. Lei sarebbe passata per la
sgualdrina
senza cuore, Liam per il povero ragazzo tradito e Niall per
l’amico infedele ed
approfittatore. Lo sguardo di Niall si rabbuiò quando
notò la presenza di
Charlotte proprio a pochi metri da lui, che silenziosamente osservava
la scena,
con la bocca schiusa e l’espressione incredula.
“Smettila, Liam.”, intervenne Harry,
prendendo l’amico per le spalle con l’intento di
allontanarlo.
Liam lo lasciò fare, indietreggiò di
qualche passo, ma quando Niall portò la mano alla gola
guardandolo di
sottecchi, non riuscì a resistere. Con poche falcate si
avventò su di lui e gli
tirò in pungo in pieno viso, colpendolo sullo zigomo destro.
“Che succede qui?”,la voce del
professore di filosofia rimbombò tra le quattro pareti a
causa dell’incombete
silenzio che era calato.
Avanzò fino a notare Niall piegato in
una smorfia di dolore e Liam che si massaggiava la mano. Non
impiegò molto a
comprendere che ci fosse appena stata una discussione tra i due.
“Horan, Payne, con me.”, decretò con
voce dura.
Liam sorrise soddisfatto mentre passava
proprio accanto a Millie, che con la testa bassa, sembrava essere
caduta in uno
stato catatonico. Niall sospirò, poi rassegnato si decise a
seguire il docente.
“Il tuo amico ci ha dato dentro.”,
commentò Margaret avvicinandosi di poco ad Harry.
“E a quanto pare la tua amica ha fatto
sesso con Niall.”, replicò il riccio, ancora
scosso da quella rivelazione.
Sapeva quanto Niall teneva a Millie, o
almeno quanto in passato fosse stato affezionato a lei, ma mai una
volta aveva
dubitato del loro rapporto. Mai una volta aveva creduto che Niall
potesse
averci provato con lei e che, soprattutto, lei avesse potuto cedere.
“Millie non è mia amica.”,
ribatté
Margaret.
All’inizio, proprio grazie a lei,
Margaret era riuscita ad inserirsi tanto facilmente
nell’ambiente, ma poi il
loro rapporto era cambiato. Forse era stata Margaret a non avere
più bisogno di
Millie, o forse era stato l’incontro con Charlotte.
“Qualcuno dovrebbe parlarle.”, bofonchiò
Harry lanciando una veloce occhiata alla ragazza, ancora immobile nella
stessa
ed identica posizione di qualche minuto prima.
“Tu sei troppo buono Harry, quella
ragazza è solo una vipera.”,
controbatté Margaret, accennando un sorriso in
direzione dell’amico.
Harry scrollò le spalle, incapace di
rispondere a quell’affermazione ed insieme di avviarono per
la scale. Harry si
concesse solo un ultimo breve sguardo in direzione di Millie e sorrise
quando
vide Audrey avvicinarsi alla sorella, seguita da una Bree perplessa e
timorosa.
“Tutto bene?”, esordì Audrey con un filo
di voce, mantenendosi ad una certa distanza dalla sorella.
Millie trasalì, riscuotendosi dal flusso
di mille pensieri che avevano invaso la sua mente.
“Vuoi davvero che risponda a questa
domanda?”, il suo mormorio ironico ed affranto mise a disagio
Audrey.
Il rapporto con una sorella ere
piuttosto precario, in quel momento si basava su un equilibrio che
facilmente
si sarebbe potuto rompere. Negli anni erano cresciute, allontanandosi
l’una
dall’altra, ed in un attimo si erano ritrovate distanti,
ormai come due
sconosciute che qualche volta si ritrovavano negli stessi spazi. Audrey
rimuginava su cosa fosse opportuno dirle in quel momento. Non voleva
rincuorala, ma almeno palesare la sua presenza, ricordarle che
nonostante tutto
lei fosse ancora lì.
“Non farne una tragedia, Millie.”,
s’intromise
Bree, irrompendo con un ritrovato entusiasmo. “Non devi
pensare a quello che
dice la gente.”, le consigliò con un leggero
sorriso sulle labbra.
Una qualsiasi altra ragazza avrebbe
provato risentimento nei confronti di Millie, per quello che le aveva
detto e
per i nomignoli che puntualmente le aveva assegnati. Tuttavia, Bree non
riusciva a provare rancore, al contrario quasi poteva comprenderla. Per
mesi
gli altri l’avevano giudicata come la pazza schizofrenica,
senza neppure una
valida ragione, ed ora avrebbero riservato lo stresso trattamento per
Millie, additandola
come quella facile che aveva tradito Liam, il ragazzo praticante
perfetto che
tutti adoravano. E Millie avrebbe voluto davvero ascoltarla, riuscire a
seguire
il suggerimento della rossa, curarsene delle occhiate che ancora le
venivano
rivolte di soppiatto. Si pentiva amaramente di aver confessato
quell’episodio a
Liam. In realtà glielo aveva rinfacciato, quando lui le
aveva ammiccato mentre
chiacchierava amabilmente con una ragazza, vicino agli armadietti. Liam
l’aveva
fissata per un po’, con sorriso beffardo sulle labbra e lei
non era riuscita a
resistere alla tentazione di rispondere alla provocazione del ragazzo.
Lo aveva
aggredito e lui le aveva risposto con il medesimo tono, alla fine
quelle parole
le erano sfuggite dalla bocca senza controllo, senza che Millie se ne
rendesse
davvero conto, inconsapevolmente. Liam aveva boccheggiato per qualche
istante,
incredulo, cercando di realizzare le parole proferite da Millie. Ci
aveva messo
un attimo a decidere che tutti avrebbero dovuto saperlo, che Millie
meritava
una scena plateale di cui essere protagonista. Per certi versi Liam
avrebbe
potuto addirittura trarre vantaggio dalla storia del tradimento, magari
con
qualche ragazza o con qualsiasi persona, mostrandosi come parte lesa e
sofferente. Ed avrebbe potuto approfittare di quella situazione,
mascherando il
disappunto che aveva pervaso la sua mente quando Liam aveva appreso
quella
notizia.
“La troia e la schizzata, sai che bella
coppia.”, scherzò Bree facendo spallucce, con un
sorriso appena accennato sulle
labbra.
La sua aria spensierata e l’espressione
distesa del suo volto indicavano la completa assenza di malizia nelle
sue
parole. Bree non voleva vendicarsi con qualche battutina di poco gusto,
Millie
poteva intuirlo dalla sincerità del suo sguardo. Si
interrogava su come Bree
riuscisse ad essere così naturale in sua presenza,
così spensierata e vaga.
Millie piegò le labbra in una smorfia vagamente ricordava un
sorriso.
“Grazie.”, quasi balbettò infine, con la
testa china e le mani intrecciate sulla pancia piatta.
“Andiamo in classe, è tardi.”,
annunciò
Audrey, ponendo fine a quell’imbarazzante momento.
Non era abituata ai convenevoli con sua
sorella, non era neppure abituata a qualche battuta cordiale.
“Ciao Zayn!”, salutò Bree, notando il
ragazzo camminare poco davanti a loro, anche lui diretto verso il
corridoio
delle classi del secondo piano.
“Ragazze.”, ricambiò volgendo loro una
rapida e superficiale occhiata.
Aveva perfettamente sentito ciò che era
accaduto pochi minuti prima e quella notizia lo aveva lasciato del
tutto
spiazzato. Decine di volte Millie aveva avuto
l’opportunità di baciarlo, di
andare oltre con lui, ma non lo aveva mai fatto. Invece, con Niall
doveva essere
stato tutto completamente diverso, a partire dall’inizio. Si
domandava perché
non si fossero messi insieme allora, perché dopo la rottura
con Liam, Millie
sembrasse essere un oggetto in caduta libera, una zattera che le onde
si ostinavano
a trascinare nel bel mezzo dell’oceano durante una tempesta.
Non doveva aver
capito molto di quella ragazza. La conosceva a stento, tuttavia delle
volte
aveva avuto l’impressione di riuscire a leggere i suoi occhi
profondi e ricolmi
di mille emozioni. Ma in quel momento, spaesato e dubbioso, si convinse
di non
conoscerla affatto.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti!:D Allora, lo so che sono mancata per un bel po',
però ecco...
si sa, in inverno è sempre un'impresa riuscire a trovare il
tempo per fare tutto!! Oggi si "parla" di Charlotte!
In realtà ci sono anche altri eventi piuttosto importanti,
ma ci tenevo a sottolineare il suo rapporto con Niall
e poi questi sono tutti avvenimenti che, magari non in prima persona,
la riguardano.
Anyway, auguri a tutte le donne!!!*.*
Bene, ringrazio chi ancora mi segue, preferisce, ricorda, legge e
lascia commenti... Grazie mille davvero!!!
Alla prossima, che si spera arrivi presto!!;)
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Capitolo 17 *** Liam ***
l
LIAM
Liam
si chiedeva come poteva essere stato
così cieco da non aver notato l’interesse che,
dunque, Millie aveva provato per
Niall. Si sentiva uno stupido per essersi preoccupato tanto inutilmente
di
Zayn, quel ragazzo che continuava ancora ad essere legato a Millie solo
per
rifornirla di qualche grammo di erba e qualche nuova pasticca. Era
stato cieco
e continuava a rimproverarsi per quella sua mancanza. Lui aveva sempre
creduto
di riuscire a mantenere il controllo su ogni singola faccenda, si era
illuso di
poter prevedere ogni reazione, persino la più
inimmaginabile, ed aveva
trascorso ore ad osservare i singoli comportamenti ed atteggiamenti di
ognuna
delle persone che lo circondava. Era deluso, deluso dalle aspettative
troppo
alte che aveva imposto a se stesso, deluso dal suo personale
fallimento.
Inoltre, alla luce di quei fatti, percepiva una fastidiosa sensazione
di
imbarazzo dovuta a quella chiacchierata che appena pochi giorni prima
aveva
avuto proprio con Niall, quella in cui Liam gli aveva chiesto cosa si
provasse
nell’essere legati a qualcuno. Liam aveva usato il presente,
Niall lo aveva
corretto con un verbo al passato che non ammetteva repliche e lui gli
aveva
creduto. Si malediceva per non aver dubitato di quella sua risposta
pronta e
secca, ribadiva a se stesso quanto ingenuo e stolto fosse stato in
quell’occasione.
“Liam.”, lo richiamò Harry, seduto
accanto a lui durante l’ora del corso di filosofia.
Il castano alzò lo sguardo dalla lettura
che fingeva di star seguendo e lo puntò negli occhi verdi
dell’amico.
“Mi presti la matita?”, gli chiese con
un piccolo sorriso sulle labbra, tanto lieve che le fossette sembravano
quasi
non essersi scavate.
Liam ne estrasse una a caso
dall’astuccio e gliela porse distrattamente. Persino Harry
era riuscito a
mandare a rotoli uno dei suoi ultimi piani. Aveva organizzato tutto
affinché il
suo amico potesse finalmente fidanzarsi, ma lui aveva rifiutato,
dicendo
semplicemente che Margaret non era il suo tipo. Ma Liam aveva capito
quale
fosse il tipo di ragazza a cui Harry potesse essere interessato. Bassa,
tanto
bassa che le arrivasse a malapena al mento. Magra, talmente magra da
perdersi
nei vestiti larghi che indossava. Con i capelli scuri, mossi e
lunghi,
che le scendevano con naturalezza sulle piccole spalle. Gli occhi
velati dalla matita
rigorosamente nera e spessa. Le labbra sottili colorate da un leggero
rossetto
cupo. L’aria disinteressata e cinica, il tono distaccato e
menefreghista.
Liam
sorrise, mentre una strana luce illuminava i suoi occhi. Doveva
mettersi alla
prova, doveva testare fino a che punto riuscisse ancora a dettare la
vita
altrui.
“Harry.”, lo richiamò, catturando
l’attenzione dell’amico riccio.
Se avesse potuto, Liam avrebbe
volentieri risparmiato Harry per uno dei suoi esperimenti, ma aveva
fretta, in
quel momento premeva per conoscere, per comprendere quanto ascendete
sortisse
ancora sulle persone che lo circondavano. Aveva perso Millie, era stato
lui a
volerlo e non rimpiangeva affatto quella separazione. Ma ne aveva perso
il
controllo ancor prima che tra loro finisse, lo aveva perso quando lei
aveva
deciso di andare da Niall, piuttosto che chiamare lui.
“Sì?”, replicò
l’altro con il volto
disteso in un’espressione serena.
“Che ne dici di uscire questo
pomeriggio?”, propose con un sorriso.
Harry annuì. Era una delle persone più
buone che Liam avesse mai incontrato, anzi, probabilmente era la
migliore in
assoluto. Era sincero nelle sue intenzioni, disponibile con gli amici,
ma anche
con i semplici conoscenti, tranquillo, cordiale e gentile. L'unico
difetto
del suo carattere che andava annoverato era un’eccessiva
insicurezza, che
Liam aveva più volte sfruttato a suo favore.
“Magari tu puoi venire con Margaret.”,
continuò con lo sguardo vigile fisso
sull’espressione di Harry.
Il ragazzo piegò le labbra in una smorfia
di disappunto, portò le mani al centro del banco e le
intrecciò.
“Liam,vedi…”, iniziò,
cercando di
trovare le parole giuste da riferirgli.
Quando avevano parlato della questione
di Margaret, Liam quasi non gli aveva fatto spiegare i particolari
della
storia, al tempo decisamente impegnato a pensare ad altro. Ma ora tutto
sembrava avere un peso diverso, tutto sembrava assumere maggiore
concretezza e
rilevanza.
“Andiamo, Harry.”, provò a persuaderlo.
“Sarebbe fantastico.”, aggiunse per rincarare la
dose.
Se Harry avesse rifiutato, probabilmente
Liam avrebbe dovuto aggiungere anche il suo nome alla lista di persone
che
parevano sfuggire dal suo controllo.
“Non mi va di uscire con Margaret, ci
siamo appena chiariti a riguardo.”, borbottò Harry
con lo sguardo chino sul
banco laccato di beige.
Liam conficcò con veemenza i denti nel
labbro inferiore, trattenendo quel moto d’ira che cercava di
prendere il
sopravvento sul suo corpo. Ormai, non era più padrone di
nulla, di Niall,
Millie ed Harry. Quella nuova consapevolezza lo irritava, quasi
provasse
disgusto per quel misero fallimento. Razionalmente non avrebbe mai
potuto
incolparsi per una cosa del genere, in realtà non avrebbe
mai potuto pretendere
per davvero di manipolare le vite altrui, ma nella sua mente Liam si
illudeva
di poter essere l’unico a muovere i fili legati ai burattini
che puntualmente
andavano in scena giorno dopo giorno.
“Perché?”, sibilò con lo
sguardo
assottigliato ed il tono minaccioso.
“Margaret non mi piace, non in quel
senso. Ti ringrazio per tutto l’appoggio ed il supporto, ma
proprio non…”,
chiarì Harry saggiando bene ogni singola parola, nel
tentativo di mantenersi
diplomatico e neutrale.
“Con il cazzo!”, sbottò Liam in un
sussurro rancoroso.
Aveva perso il controllo sulle persone a
lui più vicine ed ora lo stava perdendo persino su se stesso.
“Liam, non puoi arrabbiarti solo perché
non mi piace Margaret.”, si giustificò con
ovvietà Harry.
Lo sapeva, Liam sapeva che il suo
comportamento era a dir poco assurdo ed irragionevole, ma un velo di
rabbia
aveva accecato la sua vista, solitamente sin troppo lucida ed acuta da
riuscire
a cogliere ogni dettaglio. La situazione era degenerata, Liam
l’aveva vista
tramutarsi in qualcosa di malsano. All’inizio era solo un
ragazzo carismatico
ed affabile, poi si era trasformato in un cinico e freddo calcolatore,
all’apparenza ancora cordiale e disponibile.
“Tu non puoi dirmi di no.”, decretò
Liam, con voce atona.
Non sapeva se stesse parlando ancora con
Harry o se fosse una costatazione rivolta a se stesso. Il suo tono era
un misto
di emozioni. Sorpresa, disorientamento, rabbia, insoddisfazione,
rancore, tutto
era concentrato in quel viso corrugato in un‘espressione
tanto allibita quanto
irritata.
“Sai cosa ti dico, invece?”, controbatté
Harry, ostentando una sicurezza che né lui, né
Liam avevano mai pensato
possedesse. “Vaffanculo Liam, vaffanculo.”,
inveì contro di lui con enfasi,
come se quelle parole fossero state pronunciate dopo un lungo ed
interminabile
periodo di attesa.
Si alzò di scatto dalla sedia, chiedendo
al professore di uscire dall’aula, e pochi minuti dopo Harry
si ritrovò solo
nel corridoio. Sentiva il suo cuore scalpitare, le mani fremevano dalla
voglia
di muoversi, di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Era contento, contento
di aver
finalmente dato un taglio netto a quella morbosa relazione che lo
legava a
Liam. Prese un respiro profondo, si sentiva terribilmente leggero e
vitale e
quella sensazione gli piaceva, gli dava forza.
Niall se ne stava accucciato sulle
scale, avvolto dal silenzio più totale. Aveva chiesto al
professore di uscire
dall’aula per recarsi in bagno, ma poi aveva preferito
prolungare la sua pausa.
In classe avrebbe sicuramente percepito lo sguardo penetrante di
Charlie cadere
su di lui e Niall non lo avrebbe retto ulteriormente.
“Ciao.”, esordì Millie, fermandosi due
gradini più in basso, in piedi davanti a quello che una
volta era stato uno dei
suoi più cari amici.
Niall riconobbe immediatamente la voce,
tanto che non alzò neppure il viso in sua direzione per
verificare l’identità
della persona che gli aveva appena rivolto la parola.
“Mi dispiace.”, ammise in un mormorio
Millie.
Solo allora Niall le concesse un fugace
e rapido sguardo. Aveva l’espressione rammaricata, le labbra
piegate in una
smorfia di amarezza, le mani intrecciate e gli occhi puntanti su di lui.
Niall scrollò la testa, indifferente a
quelle parole.
“Ormai è fatta.”, le fece notare con un
filo di voce.
Millie annuì, comprendendo perfettamente
la sua reazione. Da quando Liam aveva avuto quella discussione con
Niall,
durante la pausa, a scuola non si parlava di altro. Millie provava ad
ignorare le
risatine concitate delle ragazze e le occhiate maliziose che le
lanciavano i
ragazzi, sperando di poter ricevere lo stesso trattamento riservato a
Niall. Ma
il biondo non era forte quanto lei a mostrarsi indifferente. Odiava
quando
qualche ragazza gli lanciava qualche sguardo di rimprovero, seguito
dalle
frecciatine di qualche suo compagno riguardanti Millie. Per di
più, non era
ancora riuscito a dare una spiegazione a Charlotte. Sapeva che lei non
gliene
avrebbe mai chiesta una, probabilmente non se la sarebbe neppure mai
aspettata,
visto che non erano mai neppure usciti insieme. Tuttavia, Niall voleva
assolutamente mettere in chiaro le cose con lei, voleva essere sincero,
perché
Charlie gli interessava per davvero. D’un tratto
provò un inarrestabile
desiderio di conoscere i motivi che avevano spinto Millie a dirlo a
Liam, come
se in qualche modo quelle ragioni potessero in parte alleviare la
gravità di
ciò che aveva fatto.
“Perché?”, domandò in un
sussurro.
“Perché gliel’hai detto?”,
ripeté con la voce increspata.
Millie non rispose. Posò lo sguardo sul
passamano grigio della larga scalinata sulla quale erano fermi, senza
riuscire
a trovare una risposta. Avrebbe potuto dire che lui
l’aveva provocata, che
era stata solo una stupida ingenua, che gli aveva voluto rinfacciare
quella
rottura a cui non era ancora palesemente pronta.
“Mi hai chiesto di dimenticare ed io
l’ho fatto.”, continuò con gli occhi
socchiusi.
Avrebbe voluto urlarle contro, ribadirle
quanto la trovasse infantile, vendicativa e subdola, ma non riusciva
neppure
più ad arrabbiarsi con lei.
“Perché hai di nuovo rovinato tutto?”,
l’accusò con voce sprezzante, alzando il tono di
voce di un’ottava.
Millie sussultò e per qualche attimo
trattenne il respiro. Non aveva scuse, nessuna che potesse competere
con gli
occhi delusi e sdegnosi di Niall.
“Scusa, continuo a fare la stronza.”,
balbettò in un mormorio disconnesso.
Millie non riuscì ad aggiungere altro.
Si concesse solo un ultimo sguardo di scuse a Niall, poi lo
superò, riprendendo
a salire i gradini dello scalone.
Audrey fumava la sua solita sigaretta.
Teneva il braccio destro disteso lungo il corpo, mentre quello sinistro
le
avvolgeva la vita, facendo aderire meglio il largo e caldo maglione
alla pelle.
I suoi movimenti lenti e stanchi facevano trasparire noia e
indifferenza.
“Potresti anche provare ad essere più
simpatico qualche volta.”, la voce di Louis attirò
l’attenzione di Audrey.
Di sottecchi si guardò intorno, notando
le figure di Louis e Zayn oltrepassare la porta che dava accesso al
piccolo e
poco frequentato retro della scuola.
“Non è nella mia indole.”,
ribatté
l’altro, senza farsi travolgere dal tono ironico
dell’amico.
“Ma guarda un po’!”, scherzò
Louis,
posando gli occhi su Audrey, ormai a pochi metri di distanza da loro.
“La
gemella Wood.”, terminò a mo’di salto
con un sorrisetto divertito sulle labbra.
Zayn scosse il capo, non dando peso al
comportamento dell’amico. Prese una sigaretta dalla tasca dei
giubbino di pelle
e ne passò un’estremità sulla fiamma
dell’accendino che teneva nella mano
destra.
“Ciao.”, fu la replica poco entusiasta
di Audrey.
Louis sbuffò, mentre a passo deciso
affiancava la ragazza, appoggiata al muro dell’edificio.
“Certo che voi due siete proprio
l’espressione dell’allegria.”,
bofonchiò sarcastico, con il viso arricciato in
una smorfia.
Zayn ghignò, prima di fare un tiro dalla
sua sigaretta, mentre Audrey si limitò ad ignorarlo.
“Ok, ho capito.”, borbottò allora il
castano, spazientito da tutto quel cinismo. “Nessuno dei due
è di molte parole,
oggi.”, constatò incrociando le braccia al petto.
Sperava di ottenere una risposta,
qualcosa che avrebbe potuto alimentare una conversazione, ma tutto
ciò che
ricevette in risposta fu uno sguardo omicida da parte di Audrey ed una
nuvola
grigiastra soffiata in aria da Zayn.
“Mhn.”, si lagnò. “Credo che
mi
dedicherò ad un gran bel monologo, allora.”,
sdrammatizzò piegando le labbra in
un forzato e ben marcato sorriso, ironico e allo stesso tempo seccato.
“La mia giornata scolastica procede
spaventosamente bene e, se ve lo stesse domandando, sì, sono
persino stato
interrogato.”, blaterò iniziando a gesticolare.
Audrey aggrottò la fronte e spostò i
suoi occhi sul viso di Louis, sconcertata da quel suo sproloquio
immotivato e
al quale non era per nulla interessata. Zayn, invece, lo fissava con
fare
intimidatorio, nel tentativo che Louis comprendesse il suo tacito
invito a
tacere all’istante. In pochi secondi Louis percepì
l’attenzione di entrambi
concentrata sul suo parlottare e sulle espressioni del suo viso,
notando quanto
poco stessero gradendo quel discorso.
“Sapete che vi dico?”, chiese retorico,
riducendo gli occhi a due fessure irritate.
Ovviamente neppure in quel caso
ricevette risposta.
“Oh, diamine.”, imprecò sbuffando.
“’Fanculo.”, bofonchiò a denti
stretti, con un cenno della mano, mentre già si
scollava dalla parete per tornare all’interno della struttura.
Margaret e Charlotte chiacchieravano
ormai da qualche minuto nei bagni al primo piano. Durante la pausa si
erano
date appuntamento per ritrovarsi lì all’ultima
ora, decise a trascorrere del
tempo a conversare tranquille e, soprattutto, lontane dalla classe.
Margaret
detestava le ultime ore, le percepiva sempre più lunghe di
quanto in realtà
fossero. Era la sua mente ad ingannarla. Puntualmente pensava che la
giornata
scolastica volgesse ormai al termine ed allora ogni secondo sembrava
trascorrere più lentamente di quello precedente, fino a
farle perdere la
concezione del tempo.
“E, allora, con quel Jean Paul come
va?”, domandò Charlie, poggiata di spalle ad uno
dei lavandini.
Margaret storse il labbro, la sua attenzione
era tutta rivolta alle ciglia che stava mettendo in risalto con una
passata
di mascara.
“Non so.”, borbottò del tutto assorta da
quella piccola operazione. “A mio padre non
piace.”, spiegò controllano
l’immagine riflessa dallo specchio davanti a lei.
“Quando gli ho detto che era
passato a prendermi per uscire per poco non dava di matto.”,
ammise sorridendo
soddisfatta a se stessa.
“Magari è geloso, come ogni padre in
fondo.”, ipotizzò Charlie.
“Non lo so.”, ribatté l’altra,
voltandosi in direzione dell’amica. “Questa storia
non mi convince affatto.”,
sentenziò con un’espressione preoccupata in volto.
“E tu che mi dici di
Niall?”, chiese poi, cambiando totalmente
l’argomento della conversazione.
Charlie sospirò, afflitta. Non aveva poi
molto da dire a riguardo. Il suo rapporto con Niall era cambiato troppo
e
troppo in fretta. Erano passati da sconosciuti ad amici, poi lei aveva
iniziato
a provare uno strano interesse, che puntualmente era stato stroncato
dalla
notizia di Niall e Millie.
“È complicato.”, mormorò,
mentre con le
dita giocherellava con una ciocca dei suoi capelli.
Liam si catapultò fuori dall’aula non
appena l’ultima campanella suonò, ansioso di poter
tornare a casa. Teneva lo
sguardo dritto davanti a sé, per evitare che qualsiasi cosa
o persona potesse
anche solo minimamente distoglierlo dal suo intento. Varcò
il cancello e svoltò
a destra. Non avrebbe preso il pullman cittadino proprio alla fermata
davanti
scuola, preferiva raggiungere quella a qualche isolato da
lì. Dei singhiozzi affannosi
lo fecero trasalire, tanto che per qualche istante Liam
pensò fosse il caso di
fermarsi. Nella sua testa, tuttavia, vigeva ancora un’unica
grande esigenza,
quella di rincasare. Fece ancora qualche passo, ma nuovamente fu
travolto da
altri singhiozzi, sempre più intensi. Passò
velocemente in rassegna il
paesaggio intorno a lui, cercando di comprendere da dove provenissero,
poi,
accucciata tra il muretto ed un auto parcheggiata nell’area
riservata agli
studenti, notò l’inconfondibile chioma rossiccia
di Bree. Esitò ancora qualche
attimo, prima di decidere definitivamente di raggiungerla.
“Ehi.”, salutò a qualche metro di
distanza, con un lieve cenno della mano.
Bree tirò su con il naso, poi sollevò di
poco lo sguardo, il necessario per cogliere di sottecchi la figura di
Liam. I
suoi occhi erano gonfi e rossi a causa delle troppe lacrime versate, le
mani le
tremavano per la paura e la sua espressione era spaesata e timorosa.
“Vuoi dirmi cosa è successo?”, chiese
premuroso il ragazzo, avvicinandosi con cautela.
Sapeva che Bree fosse estremamente
fragile dal punto di vista psicologico ed emotivo e non voleva in alcun
modo
arrecarle fastidio con il suo atteggiamento. Non sapeva come
comportarsi in
situazioni simili, ma poteva provare con un sorriso rassicurante e
qualche
parola amichevole. In realtà ancora una volta Liam non
sapeva perché fosse lì e
non doveva aveva pianificato di essere. Sapeva solo che quando
l’aveva vista,
rannicchiata a terra, non era più riuscito a tornare
indietro.
Bree scosse lievemente il capo, per poi
reclinarlo nuovamente in direzione delle ginocchia che teneva strette
al petto.
Non aveva voglia di parlare, di sfogarsi proprio con lui che
sicuramente non
l’avrebbe capita. Liam era agli occhi della gente il
cosiddetto ragazzo perfetto,
mentre lei era solo una ragazzina incasinata e spesso derisa che non si
curava
neppure di difendersi da quelle insulse dicerie sul suo conto.
“Vuoi che me ne vada?”, domandò Liam
titubante, con gli occhi nocciola fissi sui lineamenti delicati del
viso di
Bree.
Lei non rispose. Tuttavia Liam la vide
alzare il viso e fissare lo sguardo in un punto indefinito davanti a
lei.
“Io non sono pazza.”, sussurrò dopo
interminabili secondi di profondo silenzio.
Liam restò a fissarla, spiazzato dalle
sue parole, ma allo stesso tempo combattuto su ciò che
avrebbe dovuto fare. Una
parte di lui gli suggeriva di rispondere, di replicare in qualsiasi
modo a
quell’affermazione, l’altra gli consigliava di
rimanere in silenzio ad
ascoltare.
“Io non sono pazza.”, ripeté con
più
enfasi Bree, stringendo la mano destra in un pugno. “Non sono
pazza, non sono
pazza.”, continuava a dire con voce sempre più
nervosa ed isterica.
Aveva il respiro pesante, la fronte
arricciata imperlata da qualche gocciolina di sudore, gli occhi
impauriti e
vacui, le ginocchia avevano preso a tremare.
“Non sono pazza, non sono pazza.”,
ribadì ancora una colta, scuotendo il capo in segno di
dissenso.
Liam istintivamente l’avvolse in un
caldo abbraccio. Bree sussultò, ebbe quasi la sensazione di
essersi appena
scottata, come se quel contatto l’avesse repentinamente
riportata alla realtà.
“Non sei pazza, lo so.”, confermò Liam
con un filo di voce al suo orecchio.
Bree sorrise, nonostante le lacrime
continuassero a scendere copiosamente lungo le sue guance, e Liam
ricambiò quel
sorriso. Aumentò la presa intorno al corpo tremolante della
ragazza, cosicché
potesse percepire la presenza del ragazzo. Bree la trovava familiare,
tanto che
si lasciò cullare tra le sue braccia, mentre lentamente si
tranquillizzava.
---
Angolo Autrice
Ed rieccomi qui, dopo un'altra lunga -lunghissima, interminabile- pausa con un nuovo capitolo!:)
Spero ci sia ancora qualcuno che legga la storia o che ne abbia ancora un vago ricordo.
So che è passato parecchio tempo e so bene che gli aggiornamenti non sono stati regolari,
però questo periodo non riesco proprio a fare di meglio, nonostante ci abbia più volte provato. :/
Comunque, per i prossimi capitoli purtroppo non posso dirvi nulla di certo...
Insomma, la buona volontà c'è tutta ed anche qualche capitolo già pronto,
spero solo di riuscire a ritagliarmi il tempo necessario per rileggerli e dargli una sistemata.
Anyway, tanti auguri a tutti/e! Lo so che Pasqua era ieri, ma visto che mi trovo... avete mangiato tanta cioccolata??
Io sì!ù.ù E sono anche già in crisi post-scorpacciata pasquale!!!-.-"
Bene bene, capitolo dedicato a Liamuccio caro che a quanto pare è in crisi anche lui come me!xD
Come vedete lo strano rapporto che si sta creando tra lui e Bree? E con Harry? Si risolverà tutto?
Questione a parte sono Niall e Millie, che in questo capitolo sembra finalmente cedere ad una specie di scuse.
Louis gioca a fare il simpaticone con Zayn ed Audrey, ma con evidente insuccesso.
Non sottovaluterei la chiacchierata tra Margaret e Charlie... chissà cosa implica!;)
Okay, ci tenevo a ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce! Davvero, grazie di cuore!!!<3
E ringrazio immensamente Grauen che mi ha trasmesso una voglia pazzesca di continuare con questa storia! Grazie mille!<3
Alla prossima!;)
Astrea_
|
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Capitolo 18 *** Margaret ***
g
MARGARET
“Mamma,
io esco”, la voce spensierata di
Margaret riecheggiò tra le pareti del largo corridoio che
stava percorrendo.
“Margaret, aspetta”, la richiamò sua
madre, spuntando sulla soglia della cucina.
La ragazza si voltò di scatto,
incontrando l’espressione preoccupata e pensierosa della
donna.
“Tutto bene?”, domandò confusa.
“Dobbiamo parlarti”, esordì suo padre,
comparendo alle spalle della madre.
Margaret li osservò per qualche istante,
non riuscendo a non notare le loro espressioni afflitte e contrite.
Annuì
debolmente con il capo, poi seguì silenziosamente i
genitori. Sua madre si
sedette su una delle sedie del tavolo e lei la imitò subito,
suo padre, invece,
era in piedi, con le braccia poggiate sulla superficie in marmo del
piano
accanto ai fornelli.
“Cosa succede?”, la sua voce era appena
un sussurro angoscioso.
I suoi genitori erano delle persone
tendenzialmente allegre e vivaci, soprattutto quando erano in compagnia
di
Margaret. Scherzavano, si lasciavano scappare qualche battuta di troppo
che
aveva il magico potere di far sorridere tutti. Vederli tanto seri, per
Margaret, era un evento talmente raro che non poteva farle presagire
alcunché
di positivo. Non voleva essere pessimista, ma quegli occhi spenti, i
visi bui e
tristi non erano affatto di incoraggiamento.
“Devi vedere Jean Paul?”, le chiese sua
madre, non rispondendo alla domanda che Margaret aveva appena posto
loro.
In realtà la donna cercava solo un modo
per introdurre l’argomento, per giungere ad esso
gradualmente. Sapeva che sua
figlia non l’avrebbe presa bene, ma di comune accordo con suo
marito avevano
deciso di renderla partecipe di quella situazione. Ormai Margaret era
grande,
non era più quella bambina spensierata, era matura
abbastanza da comprendere ed
affrontare le problematiche familiari.
“So che non vi piace, ma lui a me sì”,
sbottò con voce leggermente più dura, cercando di
apparire autoritaria.
Non era intenzionata a smettere di
frequentare quel ragazzo solo perché i suoi genitori erano
diventati tutto d’un
tratto gelosi e possessivi. Non avevano mai polemizzato sulle sue
amicizie, si
erano sempre fidati del giudizio di Margaret e lei proprio non riusciva
a
capire il motivo di tanta riluttanza proprio in quel momento. Jean Paul
era un
semplice ragazzo, nulla di più, e per di più era
il figlio di un collega di suo
padre.
“Oh sì, certo”, balbettò sua
madre, con
tono accomodante.
Un improvviso ed opprimente silenzio
calò nella stanza. Margaret strinse le mani tra le cosce,
piegando le labbra in
un sorriso forzato che nascondeva disagio. C’era qualcosa di
strano in quella
conversazione, poteva percepirlo da come la madre continuava ad
inumidirsi le
labbra o dalle nocche, ormai bianche, delle mani del padre.
“Forse è meglio che vada, si sta facendo
tardi”, borbottò Margaret, sperando di poter
mettere fine a quell’atmosfera
tanto pesante ad angosciante.
“Aspetta!”, il sussurro acuto del padre
la fece immobilizzare.
L’uomo aveva fatto mezzo passo avanti e
teneva lo sguardo sul volto della figlia, cercando di trovare in essi
la forza
e il coraggio per parlarle. Margaret deglutì, la
consapevolezza della gravità
della questione da affrontare di colpo si impadronì della
sua testa.
“Stiamo attraversando un periodo
difficile”, iniziò suo padre, poggiando le mani
sulle spalle della moglie.
Prese un lungo respiro, mentre la donna
portava le mani al viso, per coprirlo come meglio riuscisse. Margaret
li
fissava attentamente, attendendo che continuassero. In quel momento era
incapace di provare qualsiasi emozione. Non c’era paura,
timore, delusione,
panico o altro, solo un’immensa confusione.
“Stanno facendo delle indagini
finanziarie, purtroppo hanno scoperto degli ammanchi
nell’ultimo bilancio”,
spiegò l’uomo con voce atona.
La sua espressione era un misto di tristezza,
amarezza, rabbia e paura. Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva
quanto
gravi sarebbero state le conseguenze e temeva di poter perdere tutto
ciò che
negli anni aveva costruito con sacrificio e lavoro. La sua famiglia, il
lavoro,
la casa, la reputazione, tutto era in gioco, tutto dipendeva da
quell’unico
grande ed irrazionale errore.
“Cosa significa?”, il sussurro
sconcertato di Margaret venne percepito come una pretesa, quella di
ricevere
spiegazioni, dettagli che la aiutassero a comprendere.
“In ufficio c’erano dei problemi con una
delle ultime operazioni di cui ero responsabile. Avremmo perso
l’affare e degli
ottimi clienti, così ho fatto variare la destinazione di
alcuni assegni.
Pensavo che sarei riuscito a sistemare le cose prima che qualcuno
potesse
accorgersene, ma poi ne ho perso il controllo. Ho chiesto il
trasferimento a
Londra, solo per temporeggiare”, continuò con la
voce intrisa di rimpianto.
Margaret vedeva gli occhi lucidi di sua
madre, le parole del padre nel rimbombavano in testa.
“Lemoine si è accorto che mancavano dei
soldi sul suo conto. Li avevo investiti in un nuovo progetto, li avrei
riavuti
nel giro di un mese e tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma non
ne ho
avuto il tempo”, chiarì con tono dismesso ed occhi
bassi.
Si vergognava di ciò che aveva fatto,
del modo in cui aveva messo a rischio la sua famiglia solo per un altro
inutile
contratto che di certo non gli avrebbe cambiato la vita. Ma quella
mancanza,
quell’errore che impulsivamente aveva commesso, avrebbe
potuto radicalmente
farlo.
“Il cognome di Jean Paul è Lemoine”, la
voce di Margaret era appena un sussurro.
Con occhi increduli guardava il padre,
poi spostava l’attenzione sul viso straziato della madre, e
riprendeva ad
oscillare con gli occhi tra quelle due figure. Non voleva crederci, non
poteva.
Tutto le appariva talmente surreale da farle credere che si trattasse
di uno
scherzo di cattivo gusto. Le parole di suo padre si ripetevano nella
sua mente
ed ogni volta Margaret pareva comprendere un qualcosa di nuovo e
più profondo.
Quei termini vaghi e generici nascondevano una cruda verità
che Margaret faceva
fatica persino a pensare.
“Hai rubato dei soldi, sei scappato”,
balbettò rimuginando sulle sue stesse parole.
Era quello il significato ultimo del
discorso che suo padre aveva appena sostenuto. Progetti, buona
volontà,
problemi, quelle erano solo una serie di scuse attraverso cui
presentare meglio
l’orribile gesto che aveva compiuto.
“Io…”, provò a dire, come se
volesse
giustificare il suo operato.
“Hai rubato!”, urlò Margaret alzandosi
di scatto dalla sedia.
La calma apparente che aveva avvolto il
suo viso era del tutto scomparsa per lasciar spazio allo strazio, alla
disperazione e alla stupore.
“Tesoro, stavo solo cercando di fare del
mio meglio”, controbatté l’uomo,
trovando enormi difficoltà nel terminare
quella semplice frase.
“Rubando? Rubando?”, inveì Margaret.
La sua voce era ormai incrinata, tanto
che era facile intuire sarebbe scoppiata a piangere da un momento
all’altro.
Tutto le apparve improvvisamente più chiaro.
L’improvviso trasferimento,
l’antipatia per Jean Paul, la tensione della cena che si era
tenuta poche
settimane prima proprio in quella stessa stanza, ogni ricordo era come
una
tessera del puzzle che finalmente trovava il suo posto. Era delusa, ma
allo
stesso tempo impaurita.
“Cosa succederà ora?”,
domandò in un
mormorio appena udibile.
Suo padre chinò il capo, desolato ed
affranto.
“Ci saranno delle indagini, bisogna
attendere. Si potrebbe trattare di un’ingente multa o di
reclusione”, la
informò sua madre, rispondendo al posto dell’uomo.
“Cosa?”, l’urlo stridulo ed incredulo di
Margaret riecheggiò tra le pareti.
La donna sussultò, mentre stringeva
forte la mano del marito, poggiata sulla sua spalla quasi a volersi
fare forza
a vicenda.
Margaret era frastornata, tutte quelle
notizie sconcertanti l’avevano pressa alla sprovvista.
Avrebbe voluto
abbracciare i suoi genitori, fornire loro tutto il sostegno e
l’appoggio che
una situazione delicata quanto quella richiedessero, ma la rabbia ed il
rancore
glielo impedivano. Suo padre le aveva mentito, aveva imbrogliato, non
si era
preoccupato delle conseguenze e, se anche l’avesse fatto, non
era stato
abbastanza prudente. Era colpa della sua insaziabilità e
della sua avventatezza
se ora rischiavano di perdere la tranquillità e la
stabilità. Sua madre teneva
gli occhi socchiusi, le labbra erano piegate in una smorfia di muta
sofferenza.
Margaret percepiva il suo corpo fremere,
tanto che non sarebbe riuscita a trattenerlo ancora per molto. Gli
occhi le
pizzicavano, ma lei si sforzava di non piangere, perlomeno non ancora.
Era una
situazione ambigua, quella. Da un lato avrebbe voluto scaricare tutta
la rabbia
che montava nel suo copro sui suoi genitori, accusandoli di essere
stati
eccessivamente superficiali, dall’altro leggeva il tormento
nelle loro
espressioni disarmate.
“Margaret, io…”, riprese suo padre, ma
lei non gli diede neppure il tempo di terminare.
In un attimo di ritrovò a correre verso
la porta, per poi uscire di casa. Le sue gambe si muovevano
automaticamente,
falcata dopo falcata, prestava poca attenzione alla strada che stava
percorrendo. Aveva la vista annebbiata a causa delle lacrime che
avevano
iniziato a scendere sul suo viso, bagnandolo. Non aveva una meta, una
destinazione, un luogo in cui rifugiarsi. Voleva solo scappare,
allontanarsi
per un po’ da quella casa e da quella serie di problemi che
aveva scoperto
gravassero sulla sua famiglia, il resto non le importava.
Il cellulare di Audrey squillò,
distogliendola dal tentativo di lettura di un testo in francese che
avrebbe
dovuto studiare per il giorno successivo. Allungò lo
sguardo, notando una serie
di cifre che non conosceva lampeggiare sullo schermo.
Sbuffò, ricordando che
l’ultima volta che aveva risposto ad una telefonata da un
numero sconosciuto si
era ritrovata a dover cercare sua sorella per ore. Svogliatamente lo
prese con
la mano sinistra ed accettò la chiamata, poi
portò il dispositivo all’orecchio.
“Sì?”, esordì stancamente.
Audrey teneva il gomito destro poggiato
sulla scrivania della sua stanza, con la mano reggeva il capo. Stava
studiando
da quasi un’oretta ormai, senza riuscire a memorizzare nulla
di utile. Continuava
a leggere degli estratti del libro, sottolineandoli con evidenziatori
di
diversi colori, poi quando arrivava a fine pagina si accorgeva di non
aver
capito nulla ed era costretta a ricominciare. Era completamente
distratta quel
pomeriggio, completamente distrutta. Pochi minuti prima si era persino
appisolata, ma poi il suo senso del dovere l’aveva
improvvisamente ridestata,
facendola sussultare.
“Ciao Audrey, sono Harry”, salutò
cordialmente una voce maschile dall’altro capo del telefono.
Audrey aggrottò la fronte, frastornata.
In quel momento avrebbe potuto tollerare di tutto, stanca
com’era. Percepiva la
pesantezza delle palpebre che spingevano per abbassarsi ed un forte
desiderio
di stendersi sul letto per concedersi del riposo.
“Ciao”, biascicò con la voce impastata.
“Stavi dormendo?”, fu l’ovvia domanda di
Harry.
Il suo tono, al contrario di quello di
Audrey, era vivace ed allegro.
“No, tranquillo”, borbottò lei,
sforzandosi di apparire più attiva di prima.
Harry soffocò una risata, non avendo
creduto neppure per un istante a quelle parole. Con le dita della mano
libera
giocherellava con i ricci, come se quel gesto potesse aiutarlo a
distendere
l’ansia e la tensione provocate da quella chiamata e,
soprattutto, dalla voce
di Audrey.
“Perché hai il mio numero?”, chiese
confusa.
Con la mente ripercorse le poche volte
in cui si erano parlati, ma non ricordava affatto di avergli lascito il
suo
recapito telefonico. Del resto Audrey non lo dava quasi mai.
“L’ho chiesto a Bree”, spigò
Harry con
un leggero imbarazzo.
Voleva parlare con lei, trascorrere del
tempo insieme, conoscerla, ma a scuola era sempre così
sfuggente e quelle poche
volte che venivano organizzate uscite di gruppo non erano di certo
sufficienti.
Così quella mattina si era deciso a chiedere il numero a
Bree, troppo timido
per rivolgersi direttamente ad Audrey.
“Mh”, mugugnò lei in risposta.
“E perché?”,
aggiunse poco dopo, riscoprendosi insoddisfatta di quella piccola
spiegazione.
“Volevo
sentirti”, ammise Harry, impacciato.
Audrey sorrise, mentre con le dita
iniziava a seguire il contorno delle pagine del libro che teneva aperto
sulla
scrivania. Al sicuro nella sua stanza, protetta dagli sguardi altrui,
Audrey
non trovava una sola ragione per non sorridere a
quell’affermazione e a quel
tono dolce e leggermente insicuro. Stava per chiedere ulteriori
chiarimenti
riguardo a quella risposta, ancora una volta insoddisfacente, ma la
voce di
Harry le impedì di continuare.
“E non chiedermi perché, perché non lo
so e perché sarebbe davvero imbarazzante”,
sbottò tutto d’un fiato.
Audrey puntò gli occhi in basso,
sorridendo ancora una volta.
“Harry, c’è Liam”,
annunciò la madre del
ragazzo, con un urlo proveniente da chissà quale stanza.
Il riccio sbuffò, infastidito da quella
che si preannunciava già come un’interruzione.
Finalmente aveva trovato il
coraggio di comporre quella dannatissima serie di numeri ed Audrey non
sembrava
essere neppure seccata da quella telefonata, ma Liam non poteva che
rovinare
tutto, questa volta persino inconsapevolmente.
“Audrey, scusa”, esordì con tono
dispiaciuto. “È arrivato Liam, devo
andare”, bofonchiò a labbra serrate.
“Capito”, riuscì solo a dire, mentre la
mano che fino ad allora aveva continuato a scorrere lungo il margine
del libro
si arrestò all’istante.
“Ciao, allora”, salute Harry,
rimpiangendo già la fine di quella telefonata.
“Ciao”, replicò lei in un sussurro,
prima di chiudere la linea.
“Chi
era al telefono?”, esordì Liam, facendo capolinea
nella stanza del riccio.
Quel tono arrogante e presuntuoso
apparve insopportabile all’orecchio poco accomodante di
Harry. Si chiedeva come
non si fosse accorto prima del carattere irritante ed egoista di quello
che
reputava il suo migliore amico. Era come se, tutto d’un
tratto, avesse aperto
gli occhi. Anzi, in realtà Harry quelle cose le aveva sempre
sapute, ma non
aveva mai dato peso a quelli che definiva piccoli difetti. Preferiva
ricordare
quel Liam che lo aveva appoggiato ed aiutato in innumerevoli
situazioni, quello
con il quale era cresciuto e di cui si era ciecamente fidato per tutto
quel
tempo. Ma ora, ora che aveva imparato a dire la propria, non voleva
più
rimanere in silenzio a guardare da spettatore la vita che Liam
pianificava per
entrambi.
“Un’amica”, rispose semplicemente,
evitando di pronunciare il nome di Audrey.
Non voleva coinvolgere anche lei nella
questione, non avrebbe sopportato le battutine di Liam
sull’argomento.
“Bene”, constatò l’altro,
poggiandosi
alla superficie della scrivania. “Perché non dici
la verità? Perché non dici
che era Audrey?”, chiese, risentito per quella risposta vaga
che l’amico gli
aveva fornito.
Liam si era chiesto cosa quelle due
parole potessero mai significare. Non c’erano mai stati mezzi
termini o segreti
tra loro ed il fatto che Harry avesse deciso di ricorrere ad essi
proprio in
quel momento lo rendeva particolarmente nervoso e suscettibile.
“Qual è il tuo problema, eh?”, chiese
Harry, alzando il tono di voce.
I suoi occhi erano assottigliati in due
fessure fiammeggianti d’ira, mentre Liam lo fissava con
apparente serenità ed
un sorrisetto beffardo disegnato sulle labbra, quasi si sentisse
superiore,
come se la rabbia dell’amico non lo scalfisse minimamente.
“Nessuno”, rispose con calcolata calma,
tanto da irritare maggiormente Harry.
Liam sapeva che con quel suo
atteggiamento gli avrebbe fatto perdere il controllo. La sua
tranquillità,
paragonata all’irritazione del riccio, non faceva altro che
fomentare il
crescente rancore che Harry provava nei confronti di Liam.
“Vaffanculo”, imprecò infine Harry,
uscendo dalla sua stessa stanza, lasciando che la porta sbattesse alle
sue
spalle.
Liam sorrise, vittorioso, ma allo stesso
tempo amareggiato da quella prevedibile reazione.
“Charlie!”, la richiamò Niall, seguendo
la ragazza per i corridoi della scuola.
Quel pomeriggio Charlotte si era
attardata a causa di un nuovo progetto scolastico incentrato
principalmente
sull’educazione ambientale a cui aveva deciso di partecipare.
Niall l’aveva
aspettata, deciso a voler chiarire con lei quella assurda situazione di
stallo
che si era creata.
Charlotte si pietrificò all’istante al
suono di quella voce che immediatamente riconobbe.
“Niall”, sussurrò sovrappensiero mentre
il ragazzo la raggiungeva.
“Non è come pensi”, esordì
con fretta ed
enfasi, spiazzando completamente la ragazza.
Charlie lo fissava con aria dubbiosa e
le labbra incurvate in un mezzo sorriso.
“La storia di Millie, dico”, chiarì poco
dopo, puntando i suoi occhi azzurri come il cielo in quelli ghiacciati
di lei.
“Non mi devi spiegazioni, Niall”, gli
fece notare, cercando di apparire quanto più naturale e
sincera possibile.
Ma Charlotte, in realtà, avrebbe davvero
voluto approfondire quella questione, tuttavia era consapevole di non
poter
pretendere nulla a riguardo.
“Invece sì”, controbatté con
tono deciso
Niall. “È successo prima, all’incirca
quando tu e Louis vi siete lasciati. È
stata un’unica volta, nulla di più”,
chiarì.
“Perché mi dici queste cose?”,
domandò
allora Charlie.
Era contenta, lo era davvero, ma aveva
bisogno di capire. Niall era un ragazzo dal cuore d’oro,
dunque poteva
tranquillamente immaginare che quelle fossero delle scuse rivolte ad
un’amica
stretta, ma Charlie non voleva essere un’amica. Non era
pronta ad avere una
nuova relazione, ma Niall le interessava veramente.
Il biondo le sorrise, incapace di
trovare una risposta a quella complicata domanda. Avrebbe potuto dirle
che
Charlie gli piaceva, che avrebbe voluto conoscerla meglio, ma tutto gli
sembrava terribilmente scontato e romantico.
“Perché un giorno di questi ti vorrei
chiedere di uscire con me”, dichiarò infine con un
sorriso raggiante che
Charlotte trovò assolutamente adorabile.
Bree oltrepassò la porta d’ingresso di
casa Wood, lasciata aperta da Audrey quando la rossa aveva citofonato
dal
cancello.
“Audrey, dove sei?”, domandò avanzando
lentamente nell’ingresso.
“Di sopra, ti aspetta nella sua stanza”,
esordì Millie, catturando l’attenzione di Bree.
Solo allora la rossa notò Millie in
compagnia di Zayn, in piedi al centro del salotto. Per qualche secondo
li
fissò, chiedendosi per quale motivo il moro fosse
lì, ma la risposta le si parò
letteralmente davanti agli occhi.
“Non ti darò altre pasticche”,
tuonò
Zayn in un sussurro perentorio.
Millie lo guardava accigliata,
infastidita da quel suo rifiuto. Erano minuti che provava ad
estorcergli in
qualsiasi modo un’altra pasticca di ecstasy, ma lui era
categorico.
“Te la pago il doppio”, propose allora,
avviandosi già alla ricerca del portafogli.
“Non me ne faccio un cazzo dei tuoi
soldi, Millie”, esplose in un impeto di rabbia che fece
raggelare le due
ragazze.
Zayn prese un profondo respiro, per
ritrovare la calma che era appena stata spazzata via
dall’impulsività. Non era
solito perdere il controllo, soprattutto non a causa di una ragazza che
implorava per ricevere un’altra dose di chissà
cosa da lui, ma con Millie non
era riuscito a resistere. L’aveva vista iniziare con pochi
grammi di fumo, che
poi erano aumentati sempre di più, fino a trasformarsi in
ecstasy, talvolta
anfetamine e qualche rara dose di cocaina. In quel preciso istante le
parole di
Charlie riecheggiarono nella sua memoria e fu costretto a darle
ragione. Si
chiese come ancora riuscisse a divulgare quella roba, come la sua
coscienza
glielo permettesse.
“Mi pare non ti abbiano mai fatto
schifo”, ribatté lei, sfidandolo con lo sguardo.
Aveva bisogno di qualcosa, qualsiasi
cosa, non le interessava da dove provenisse o quali danni potesse
arrecare al
suo sistema nervoso e al suo corpo. Voleva sentire quella sensazione
istantanea
di benessere, fiducia ed euforia, non le importava altro.
“Non avrai quello che vuoi, la questione
è chiusa”, sentenziò Zayn con voce
decisa e dura, mentre già si avviava alla
porta.
“Vaffanculo!”, urlò Millie, prima che
Zayn uscisse definitivamente da quella casa.
Millie sbuffò, lasciandosi rumorosamente
cadere sul divano.
“Piaciuto lo spettacolo?”, borbottò poi
all’indirizzo di Bree che, immobile, aveva osservato tutta la
scena.
Storse il labbro, in un’espressione
desolata. Conosceva bene quella sensazione di insoddisfazione, anche se
i
motivi che conducevano ad essa erano totalmente diversi.
“L’ha fatto per il tuo bene”,
provò a
dire.
Bree aveva davvero apprezzato il gesto
di Zayn e, probabilmente, anche Millie l’avrebbe fatto se non
avesse provato
del risentimento nei confronti del
moro
per quella richiesta inappagata.
“E da quando se ne preoccupa?”, il tono
ironico di Millie era una chiara accusa per Zayn.
Bree scrollò le spalle, non conoscendo
la risposta a quella domanda. Le rivolse un ultimo sorriso, poi si
decise a
raggiungere Audrey al piano superiore.
Margaret aveva ormai smesso di correre,
lo aveva fatto per talmente tanto che ad un tratto aveva sentito una
forte
fitta alla pancia ed il fiato corto. Si era raggomitolata su una
panchina
piuttosto isolata di un parco dove Charlie l’aveva portata
qualche giorno
prima.
“Margaret”, la voce allegra di Louis la
scosse, tanto che trasalì. “Ehi, tranquilla. Sono
io”, riprese il ragazzo,
palesando la sua presenza alla vista ancora annebbiata di Margaret.
“Non volevo
spaventarti”, si scusò sedendosi accanto alla
ragazza.
Margaret piegò le labbra in una leggera
smorfia, per nulla assimilabile ad un sorriso. Louis quasi non riusciva
a
credere che quella fosse davvero lei, la Margaret sorridente e
raggiante che
aveva conosciuto. I suoi occhi erano ancora umidi, il suo sguardo
preoccupato e
disperato allo stesso tempo.
“Che succede?”, la domanda di Louis
riportò i pensieri di Margaret alla discussione che aveva
avuto con i suoi
genitori, facendo riemergere quelle terribili sensazioni.
“Abbracciami, Louis”, mormorò tra i
singhiozzi, mentre cercava con le mani il corpo del ragazzo.
“Abbracciami”,
ripeté affondando la testa sul petto di Louis, che
prontamente l’avvolse tra le
sue braccia.
Non fece altre domande, ascoltò in
silenzio il rumore dei suoi singhiozzi ed il battito sconnesso del suo
cuore,
cercando di trasmettere attraverso quel contatto tutto il sostegno e
l’affetto
di cui Margaret necessitava.
---
Angolo Autrice
E finalmente rieccomi!! Al solito sono sempre più in ritrado e chiedo infinitamente scusa per questo.
Questa volta ero davvero convinta che ci avrei messo poco ad aggiornare ed, invece, siamo sempre allo stesso punto.xD
Comunque, tornata da Torino -perché sì, sono stata al
concerto e ancora non riesco a crederci di averli visti per davvero
*.*-
mi sono imposta di rileggere il capitolo e finalmente sono riuscita a pubblicarlo! Sembra quasi un sogno!!!
Bene, spero ci sia ancora qualcuno interessato a seguire la storia e, per quanto ormai io sia diventata davvero poco credibile,
prometto che da oggi in poi gli aggiornamenti saranno più rapidi, anche perché ormai siamo in vacanza!!!;)
Ringrazio chi legge, ricorda, preferisce, segue e chi, dopo tutto
questo tempo, avrà ancora la voglia di leggere questo
capitolo!<3
E a proposito del capitolo... finalmente facciamo chiarezza su questo
Jaan Paul e scopriamo qualcosina in più sulla vita della nostra
Margaret.
Harry fa un minuscolo passo avanti verso Audrey e finalmente sembra dire la sua con Liam.
Charlie e Niall sembrano momentaneamente sempre più vicini, mentre tra Zayn e Millie sono scintille.
E, quindi, ora vi chiedo: che ve ne pare?? Non mi dilungo troppo,
anche perché proprio ora sto revisionando i capitoli successivi,
quindi... meglio cogliere l'attimo finché ci sono!!!
Lasciate un commento se vi va, qualsiasi consiglio è ben accetto!!;)
Alla prossima!;)
Astrea_
|
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Capitolo 19 *** Niall ***
h
NIALL
Niall
oltrepassò l'ingresso del Kensington
& Chelsea College
con la sensazione di avere gli occhi
sprezzanti di una dozzina di ragazze puntati su di lui. Nonostante
fosse ormai
trascorsa più di una settimana da quello spiacevole evento,
Niall poteva ancora
chiaramente ricordare il modo rude con il quale Liam lo aveva afferrato
per il
colletto della camicia e sbattuto al muro, sbandierando davanti a tutti
ciò che
c'era stato tra il biondo e Millie. Probabilmente le sue erano solo
paranoie,
visto che i pettegolezzi ora si concentravano già altrove,
ma Niall percepiva
ugualmente degli onnipresenti ed insistenti sguardi di rimprovero.
Più volte si
era voltato alla ricerca di colui o colei che ancora si divertiva a
incutere
disagio in lui, ma puntualmente non aveva trovato nessuno. Era la sue
coscienza
a tormentarlo, la consapevolezza di aver commesso un errore di
proporzioni
esorbitanti. Avanzò ancora, cercando di concentrarsi
esclusivamente sul suo
percorso. Non c'era nessuno a fissarlo, nessuno che avesse notato la
sua
presenza lungo il corridoio, ciononostante Niall percepiva i giudizi
critici
che altri avevano emanato sul suo conto.
"Niall", lo richiamò Harry a modi
saluto, piombano alle spalle del biondo.
"Ehi", ricambiò non appena l'ebbe
riconosciuto.
L'espressione assonnata del riccio era un
misto tra diverse emozioni, tra cui Niall riuscì chiaramente
a distinguere la
rabbia e la soddisfazione, oltre che un leggero strato di malinconia.
Harry aveva le occhiaie particolarmente
marcate e scure, i suoi occhi erano visibilmente stanchi e continuava a
sbagliare con una frequenza sempre maggiore.
"Non hai dormito?", domandò Niall
puntando il suo sguardo diverto sul volto assopito dell'amico.
"Non molto", si lamentò con voce
ancora impastata e roca. "Tutta colpa dei pensieri",
borbottò poco
dopo per motivare la sua risposta.
Niall annuì, conosceva bene la sensazione a
cui il riccio aveva appena accennato. Era la stessa che lui provava
quotidianamente per sua madre, la stessa che si era poi aggiunta quando
il rimorso
aveva preso a tormentarlo, quella che ora lo affliggeva per sapere cosa
Charlie
pensasse di lui. Avevano parlato e Niall le aveva persino palesato la
sua intenzione
di uscire con lei, ma Charlie non aveva detto nulla in risposta. Si era
limitata ad annuire, lasciando il biondo frastornato ed ancora
più confuso di
prima.
Harry quella notte l'aveva trascorsa quasi
interamente in bianco. Aveva continuato a girarsi e rigirarsi nel suo
letto per
interminabili ore, con l'intento di trovare una posizione comoda e
confacente
al sonno. Ma più continuava a muoversi, più si
accorgeva di non poter dormire.
La sua mente era affollata da decine di dubbi irrisolti. Si era
interrogato sul
suo rapporto con Liam, aveva cercato di fare chiarezza su
ciò che era successo
negli ultimi giorni, sperando di trovare la chiave che gli avrebbe
permesso di
comprendere quella serie di eventi apparentemente del tutto
sconclusionati ed
irrazionali. Liam era il suo migliore amico da tempi immemori, era
colui che
aveva sempre provato ad aiutarlo, a proteggerlo, a rassicurarlo. Ma in
quei
giorni aveva visto in lui solo il ragazzo che lo provocava senza
ragione
alcuna, quello che voleva far valere su di lui il proprio ascendente
indipendentemente dal parere di Harry. Per questo motivo gli aveva
risposto in
quel modo tanto deciso e forte, ma Liam sembrava non essersi sorpreso
neppure
di quella reazione. Con il suo sorrisetto beffardo disegnato sulla
labbra
l'aveva fissato sornione per tutto il tempo e per la prima volta era
riuscito a
fargli perdere la pazienza, a far destare qualcosa in lui, prima in
classe, poi
in camera del ragazzo.
"Prevedo una giornata disastrosa,
oggi", bofonchiò Niall con una smorfia rassegnata sul viso,
mentre si fermava
davanti all'aula di informatica dove si sarebbe tenuta la prima lezione
della
mattinata.
"A chi lo dici", concordò Harry in
un sospiro. "Ho un test di matematica tra meno di dieci minuti e non so
praticamente nulla", biascicò affranto, grattandosi la nuca
con la mano
destra.
Niall gli lanciò una breve occhiata
comprensiva e rattristata, quasi volesse mostrargli il suo appoggio con
quel
semplice gesto. Harry scosse lievemente il capo, consapevole che quella
verifica sarebbe stata un'ulteriore insufficienza da aggiungere a tutte
quelle
che continuava a prendere in quasi tutti i corsi che seguiva
quell’anno.
"Devo andare", sentenziò infine,
accennando ad un mezzo sorriso.
"Buona fortuna.", gli augurò Niall,
seppur sapesse quanto inutili fossero quelle parole.
Non era questione di fortuna, ma di bravura,
studio, costanza ed impegno. Inoltre, se anche fosse stato possibile
che la dea
bendata decidesse di aiutare qualcuno, premiandolo con l'innata
capacità di
saper rispondere a tutte le domande di un test, di certo quel qualcuno
non
sarebbe stato Harry, Niall o qualsiasi altro di loro. Non erano
propriamente
quelli che chiunque avrebbe definito dei bravi ragazzi. Ognuno di loro
era
sommerso da una miriade di problematiche che gli impediva persino di
vedere una
via d'uscita da quel tunnel buio e caotico in cui vivevano. Niall
sapeva quanto
la vita potesse essere ingrata ed ingiusta, era per quel motivo che
ormai aveva
smesso di aspettarsi qualsiasi cosa, persino le più semplici
e le più banali.
Le gemelle Wood camminavano l’una accanto
all’altra lungo il corridoio del primo piano. Con passo
affrettato si
dirigevano l’una verso la classe del corso di lingua di
francese avanzato,
l’altra verso quella di letteratura. Audrey non aveva fatto
neppure uno degli
esercizi di traduzione che le erano stati assegnati per quel giorno. Ci
aveva
provato, si era obbligata a tenere la testa china sul libro fino a
tarda
serata, ma non era riuscita a concludere nulla da quel tentativo di
studio
disperato. Così, quando una pimpante Bree l’aveva
raggiunta, si era finalmente
decisa a porre fine a quell’inutile strazio che proseguiva da
ore. Era
preoccupata, l’immagine di sua sorella distesa sul pavimento,
quasi
incosciente, la perseguitava da giorni ormai. Non ne aveva parlato con
nessuno,
neppure con Bree, nonostante si fidasse ciecamente di lei. Audrey aveva
notato
quanto la sua amica fosse particolarmente fragile in
quell’ultimo periodo,
dunque preferiva non aggravare le sue condizioni riferendole le sue
problematiche. Avrebbe pensato da sola ad un metodo per risolvere
quella
questione. Se Duncan fosse stato lì, sicuramente avrebbe
parlato con Millie e
l’avrebbe convinta a darci un taglio netto con un solo,
semplice discorso ed un
caloroso abbraccio. Ma lei non era Duncan e non aveva neppure quel
rapporto
tanto speciale che legava suo fratello a Millie. Era quasi
un’estranea ormai,
ma sapeva di essere l’unica a poter ancora fare qualcosa. Sua
madre di certo
avrebbe notato il repentino cambiamento di Millie e ne avrebbe ben
presto
comprese le ragioni, ma suo padre sembrava essere diventato cieco.
Quasi
neppure si vedeva più all’interno
dell’enorme casa Wood. Millie era sua
sorella, la sue gemella, quella bambina nata nello stesso istante e,
per quanto
si detestassero, Audrey non poteva permettere che rovinasse la sua vita
solo
per un po’ di droga. Già una volta Audrey si era
pentita di non essere riuscita
a dimostrare in tempo l’affetto che provava nei confronti di
una persona a lei
tanto cara e vicina, non voleva commettere lo stesso errore anche con
Millie.
Non voleva svegliarsi una mattina e scoprire che non avrebbe
più avuto
occasione per rinfacciare a sua sorella quanto fosse superficiale ed
egoista,
quanto eccessivamente lenta fosse nel truccarsi o quanto le sue
frecciatine
potessero ferire le persone a cui erano rivolte. Audrey avrebbe voluto
poter
battibeccare con lei ogni giorno, a tutte le ore.
“Io sono arrivata”, esordì Millie,
fermandosi
di scatto sulla soglia dell’aula di letteratura inglese.
Audrey annuì appena, indugiando con lo sguardo
sulla figura della sorella.
“Ci vediamo all’uscita”, la
salutò con un
cenno della mano, prima di riprendere a camminare.
Millie la vide allontanarsi, con le labbra
piegate in un leggero sorriso. Non avrebbe mai confessato ad Audrey
quanto in
realtà apprezzasse la sua pazienza, i suoi silenzi ed il
modo in cui si stava
prendendo cura di lei, seppur da lontano. Le aveva urlato contro
talmente tante
volte e talmente tante cattiverie da rendere impensabile che proprio
Audrey
potesse avvicinarsi a lei in una situazione del genere. Le era
riconoscente per
ciò che aveva fatto e sperava che Audrey riuscisse a leggere
dietro quella
maschera di impassibilità e freddezza che Millie
quotidianamente indossava.
Entrò in classe nell’esatto momento in cui
anche la professoressa lo fece. Si guardò intorno alla
ricerca di un posto
libero e quasi smise di respirare quando si accorse che
l’unico a disposizione
fosse proprio quello accanto a Charlotte, in seconda fila. Si
mordicchiò il
labbro, per la prima volta davvero a disagio. Non si curava mai degli
sguardi
indiscreti degli altri, soprattutto non di quelli invidiosi o
canzonatori, ma l’intensità
con la quale Charlie continuava a fissarla era impossibile da ignorare.
A passo
lento si avvicinò al banco, fino a prendere silenziosamente
posto alla destra
della ragazza bionda. Charlotte aveva sempre un giudizio preciso su
ogni cosa
e, a giudicare dal modo in cui ancora continuava a scrutare
l’espressione del
viso di Millie, di certo quello per la mora non era positivo. Millie si
passò
una mano tra i capelli, per ravvivarli. I suoi gesti erano
involontariamente
troppo fluidi e sensuali, troppo perfetti, tanto che irritavano
Charlotte. Se
avesse potuto, probabilmente le avrebbe tagliato all’istante
quella chioma
ordinata e lucente che terminava in definiti e splendidi boccoli.
Charlie non
sopportava la sua pelle chiara ed etera, i suoi occhi maliziosi e
sicuri, la
sua camminata fiera e provocante, la sua voce vellutata, dolce e
all’occasione
seducente. Millie riusciva ad ottenere sempre ciò che voleva
ed in questo il
suo fisico e le sue movenze le erano di grande aiuto. Charlotte
detestava il modo
subdolo attraverso cui riuscisse ad abbindolare chiunque volesse,
detestava
come poi ricoprisse di stupide battutine quelle stesse persone con le
quali il
giorno prima era stata falsamente amichevole. Ma più di ogni
altra cosa,
Charlie detestava il fatto che Millie fosse andata a letto con Niall.
Sapeva
che non avrebbe mai potuto competere in quel senso con Millie e tutto
ciò le
infondeva un’immensa insicurezza. Lei, la ragazza forte e
determinata che non
si curava dei luoghi comune, ora si faceva abbattere proprio dalla
regina della
superficialità, dei pettegolezzi e della moda. Era
snervante, tanto che Charlie
strinse forte la mano sinistra in un pugno, conficcando le unghia nel
palmo
della mano. Non avrebbe combattuto una lotta impari con Millie, non era
pronta
ad uno scontro aperto di quella portata e, soprattutto, era contro i
suoi
principi. Non avrebbe indossato gonne, messo più ombretto e
lucidalabbra del
solito o acconciato i capelli solo per apparire più carina.
“Se continui così, la matita si
sgretolerà del
tutto”, le fece notare Millie in un sussurro, lanciando un
veloce sguardo alla
mano destra della ragazza.
Solo allora Charlie notò la presa ferrea
attorno a quell’oggetto, la cui punta spingeva contro la
superficie liscia e
bianca della pagina del quaderno. Charlie lo liberò
all’istante, quasi come se
percorsa da un’improvvisa scossa.
“Mhm”, mugugnò in risposta, tornando a
fissare
il leggero solco che si era scavato sul foglio.
Millie ghignò appena, fissandola con aria
indecifrabile.
“Suppongo T. S. Elliot non ti piaccia
particolarmente”, ironizzò facendo riferimento
all’autore dell’opera che la
professoressa stava spiegando dalla cattedra.
“Oppure…”, riprese con il viso
piegato in un’espressione beffarda. “Oppure il
problema potrei essere io”, concluse
sarcastica, con un ghigno soddisfatto e allo stesso tempo provocatorio.
Charlie strinse forte i denti, decisa a mostrarsi
superiore. Non avrebbe concesso a Millie la soddisfazione di vederla
perdere il
controllo a causa sua.
“A dir il vero mi chiedevo cosa si provasse ad
essere traditi dalla propria ragazza”, replicò
Charlie, in un mormorio pacato
contornato da un leggero sorriso di sfida.
Millie ghignò, quasi sembrava essere divertita
da quella risposta. Doveva mostrarsi fredda e sicura, non doveva
lasciar
trapelare alcuna emozione, Millie lo sapeva bene, se lo ripeteva da
talmente
tanto ormai che le era completamente entrato in testa. Se Charlie
voleva
giocare con lei, Millie le avrebbe dato ciò che meritava,
senza risparmiarsi.
Era popolare, parlava con quasi tutte le ragazze pettegole del college
e le
voci circolavano piuttosto velocemente in ambienti tanto piccoli come
quello.
“La stessa che si prova a sentir gemere
Niall”, concluse con tono vittorioso e compiaciuto.
Charlie non avrebbe replicato, ne era sicura. La
bionda, infatti, deglutì soltanto, colpita da quelle parole
a cui non seppe controbattere.
“Ehi dolcezza”, salutò Louis,
circondando la
vita di Bree con un braccio quando la vide nell’atrio durante
l’intervallo.
“Ciao Louis”, ricambiò lei con enfasi,
sorridendogli raggiante.
“Sei di buon umore oggi”, constatò
allegro il
ragazzo, trascinando Bree nei pressi della grande scalinata che
congiungeva il
primo ed il secondo piano.
“Sì”, confermò con tono
vivace lei, sedendosi
sul terzo gradino, subito affiancata da Louis.
“E come mai?”, le chiese quest’ultimo
lanciandole un’occhiata curiosa.
“Non lo so.”, ammise Bree con
un’espressione
spensierata e vaga.
Louis la guardava e non poteva non sorridere.
Quei lineamenti delicati, i capelli rossi legati in una treccia che
pendeva
sulla spalla sinistra, il viso dolce ed ingenuo, l’aria
fragile e tenera, gli
occhi di un verde splendente persi chissà nel contemplare
cosa e quel sorriso
leggero e sincero disegnato sulle labbra carnose e soffici. Tutto di
Bree
sembrava conferirle un tocco di calma e tranquillità,
persino quello sguardo
assente.
Louis soffocò una risata, i suoi occhi azzurri
e luminosi erano concentrati sul volto rilassato di Bree.
“Sei carino”, esordì la ragazza,
sorridendo
candidamente all’indirizzo di Louis.
Non c’era alcuna traccia di malizia nella sua
voce, quelle parole erano uscite dalla sua bocca con talmente tanta
naturalezza
che Bree neppure se n’era resa conto. Aveva appena fatto un
complimento facilmente
fraintendibile e all’improvviso sentì una strana
sensazione di calore
impadronirsi delle sue gote.
“Anche tu lo sei”, ricambiò Louis,
accarezzandole dolcemente una guancia.
Il suo tono di voce era pervaso dalla stessa
semplicità che aveva caratterizzato quello di Bree.
“Grazie”, sussurrò la ragazza, piegando
le
labbra in un sorriso, felice.
Mai nessuno le aveva riservato delle parole
tanto gentili e sincere come quelle che Louis le aveva appena rivolto.
La gente
preferiva schernirla, deriderla, sottolineare le sue stranezze,
piuttosto che
elogiare i suoi pregi. In un unico e veloce gesto, Bree
poggiò le sue labbra su
quelle di Louis, baciandolo, quasi come con quel gesto volesse
ringraziarlo,
come se volesse comunicargli quanto gli fosse grata per come Louis si
comportasse, per tutto ciò che le dicesse. Il ragazzo quasi
si pietrificò a
quell’inaspettato contatto che durò appena qualche
istante. Bree si allontanò
poco dopo, teneva gli occhi puntati in quelli azzurri di Louis e
mordicchiava
il labbro inferiore.
“Mi hai baciato”, affermò con
ovvietà il
ragazzo, ancora leggermente scosso per ciò che era appena
accaduto.
“Sì”, confermò Bree annuendo.
“Volevo
ringraziarti”, spiegò scrollando le spalle con la
sua solita aria
sovrappensiero.
Louis sorrise, comprendendo solo ora le
intenzioni della rossa.
“E tu baci tutte le persone a cui vuoi dire
grazie?”, scherzò.
Bree aveva dei modi davvero particolari ed
eccentrici per dimostrare il suo affetto a qualcuno, dei modi
inappropriati ed
inusuali che tuttavia non spaventavano Louis. Lui aveva compreso le
difficoltà
che la ragazza provasse nell’esprimere i propri sentimenti,
aveva compreso
quanto poco fosse abituata ad avere degli amici e quanto poco fosse
incline
agli atteggiamenti usuali.
“Solo quelli più simpatici”,
trillò allegra
Bree, tirando un leggero colpo sulla spalla di Louis, facendo sorridere
il suo
amico.
Margaret li aveva visti da qualche metro di
distanza. Stava camminando lungo il corridoio, diretta ai bagni, quando
aveva
sentito il suono della ristata cristallina di Louis e si era voltata
alla
ricerca del viso del ragazzo, trovandolo ad una spanna da quello di
Bree. Li
aveva osservati per qualche secondo, il tempo necessario per vedere
Bree
annullare le distanze tra le loro labbra in un bacio. Margaret aveva
percepito
qualcosa trafiggerle il petto, attraversare il suo già
dolorante cuore, che poi
si era come smembrato in tanti piccoli pezzi. Aveva stretto forte gli
occhi,
cercando di eliminare quella immagine dalla sua mentre, e come un
fulmine era
corsa via. Oltrepassò prima l’ingresso, poi il
cancello senza voltarsi indietro
neppure per un istante, decisa a voler scappare. Aveva bisogno di
tranquillità,
di un posto in cui poter riflettere e ricostruire i mille brandelli in
cui la
sua vita si era frantumata. Pensava di poter contare su Louis, di aver
visto
qualcosa in lui che andasse ben oltre la semplice amicizia e solo in
quel
momento ne prendeva pienamente coscienza. Quando lui l’aveva
abbracciata in
quel parco, su quella panchina, lei si era sentita sicura, protetta,
invulnerabile. Un'altra lancinante fitta colpì il suo cuore,
costringendola ad
aumentare il ritmo della sua già rapida e lunga falcata. La
sua famiglia stava
cadendo in pezzi e lei si sentiva terribilmente sola e debole e non ci
sarebbe
stato alcun Louis a stringerla per rassicurarla. Non sapeva se quella
che
stesse provando fosse gelosia, preferiva definirla un’enorme
sensazione di
fastidio che le invadeva la testa ed il petto. Si arrestò
solo quando notò un
piccolo bar, accanto all’ingresso di uno dei principali
parchi della zona.
Ancora una volta aveva il fiato corto e le gambe doloranti. Era
intenzionata a
prendere della semplice acqua, con la quale rinfrescare la gola ormai
secca, ma
quando entrò nel piccolo locale Margaret, senza sapere
né come, né perché, si
ritrovò ad ordinare una birra. La bevve con
avidità, prima di ordinarne
un’altra ed un’altra ancora.
Zayn era seduto esattamente dietro Liam
durante la lezione di sociologia, l’unica oltre filosofia che
condivideva con
il castano. Non si erano neppure salutati quando Zayn, un attimo prima
dell’arrivo del professore, aveva fatto il suo ingresso in
classe. Con
espressione distratta e disinteressata Zayn fingeva di sentire il
discorso che
il docente stava tenendo in quel momento, lo stesso che Liam continuava
ad
ascoltare attentamente, annotando degli appunti sul quaderno a righe
che teneva
aperto sul banco. Tutta quella finzione lo irritava. Liam appariva come
il
ragazzo esemplare, lo studente modello, colui che mai una volta si
mostrava in
errore, praticamente impeccabile. Ma lui sapeva cosa si nascondesse
dietro
quella spessa maschera di finta perfezione che Liam si divertiva ad
indossare.
“Ottima scelta, quella di sputtanare la tua ex”,
sbottò ironico, con l’unico intento di provocare
il ragazzo davanti a lui.
Liam drizzò la schiena, quasi scosso dal
sussurro del moro. Girò di poco la testa, il necessario per
intravedere di
sottecchi l’espressione criptica di Zayn.
“Avrei potuto fare di meglio, in
realtà”, sminuì
con un sorriso beffardo, mentre giocava lentamente con la penna che
stringeva
tra le dita della mano destra.
Zayn ghignò sarcastico, scuotendo il capo in
un’espressione di dissenso e disapprovazione. Lui e Liam non
sarebbero mai
potuti andare d’accordo, per nessuna ragione al mondo. Zayn
era un ragazzo
fondamentalmente buono, che si ostinava ad apparire tanto riservato e
freddo
solo per potersi difendere dal mondo che lo circondava e che non gli
avrebbe
concesso neppure un lieve margine di errore. Liam, al contrario,
necessitava di
attenzioni, voleva dettare le regole del gioco, voleva imporsi sugli
altri.
“Magari
con qualche tua pasticca ne sarebbe uscita una vera tragedia
greca”, lo sfidò
Liam con un mormorio.
Aveva la testa reclinata di lato ed il viso
piegato in una smorfia tanto arrogante quanto provocatoria.
Zayn sobbalzò sulla sedia, irritato da
quell’affermazione del tutto indelicata, ma cercando di
mascherare come meglio
possibile la sua reazione. Era quella la differenza che sussisteva tra
Liam e
Zayn: il primo non sapeva controllarsi, il secondo sapeva farlo sin
troppo
bene. Non avrebbe perso tempo a spiegare a Liam, né
tantomeno a controbattere a
quell’evidente offesa.
“Sì, la prossima volta chiamami”, lo
assecondò
con voce atona, con la chiara intenzione di non dar peso
all’istigazione di
Liam.
Il castano boccheggiò un paio di volte, prima
di tornare a seguire la lezione insoddisfatto per quel battibecco
mancato.
---
Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! :D E, sorprendentemente, rieccomi qui con un nuovo capitolo!
Insomma, dopo gli ultimi aggiornamenti, sembra un miracolo che questa volta siano passati solo pochi giorni!!*.*
E così eccoci a parlare di Niall! In realtà il capitolo tocca tutti i personaggi,
ma dedicarlo a lui era un po' come cercare di focalizzare sul biondino l'attenzione.
Del resto la prima parte si sofferma proprio sui pensieri e sulle preoccupazioni di Niall,
permettendoci di scoprire qualcosa in più sulla sua personalità.
Bene bene, per il resto vediamo la solita simpaticissima (?) Millie e
gli adorabilissimi (??) Zayn e Liam, ormai sempre più amiconi.XD
Per quanto riguarda Louis e Bree... beh, diciamo che Bree è un po' stravagante, forse troppo delle volte,
ma non preoccupatevi perché per Louis ci sono altre cose in arrivo!ù.ù
By the way, Audrey si fa sempre più vicina alla sorellina,
sarà che le circostanze lo impongono, però almeno
è qualcosa!
Ringrazio immensamente chi legge, segue, ricorda e preferisce!! <3 Grazie mille davvero!!
Vi invito a lasciare un commentuccio o magari dei consigli... insomma, se siete arrivate fin qui, ormai è quasi fatta!xD
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 20 *** Millicent ***
f
MILLICENT
Millie
si accingeva a fare il suo trionfale
ingresso a casa Mailik, dove Louis aveva organizzato, nonostante il
chiaro
responso negativo di Zayn, quella che si preannunciava essere una festa
immemorabile. A testa alta, con la schiena dritta ed il petto
all’infuori
Millie varcò la porta, avviandosi nella grande sala dove era
concentrata la
maggior parte delle persone presenti quella sera. Da quello che le
aveva detto
una ragazza che si definiva sua amica solo perché si
scambiavano il rossetto di
tanto in tanto, i genitori del moro erano fuori per questioni di lavoro
e Louis
ne aveva approfittato per fare un po’ di compagnia
all’amico. Non era mai stata
a casa di Zayn prima di allora e rimase fortemente sorpresa nel
constatare
quanto fosse grande e spaziosa. Nonostante fosse già in
completo disordine e le
bottiglie mezze vuote di qualsiasi bevanda alcolica ricoprissero quasi
interamente la superficie dei vari mobili, Millie notò la
cura e il gusto
dell’impeccabile ed elegante arredamento. Si era presentata
da sola, senza
nessuno che la accompagnasse. Avrebbe potuto chiedere a decine di
ragazzi che
non avrebbero esitato neppure un attimo per accettare proprio un suo
invito, ma
aveva preferito mostrarsi indipendente, sicura e forte, a prescindere
da chi
stesse al suo fianco. Era abituata ad andare alle feste in compagnia di
Liam o,
quando di rado lui non era stato disponibile, c’era sempre
stato Niall a
vegliare su di lei. Quella volta, invece, sapeva di essere
completamente sola e
non ci sarebbe neppure stato Zayn pronto ad offrile un appiglio. Dopo
l’ultima
discussione che avevano avuto a casa della ragazza, Millie non aveva la
benché
minima voglia di tornare da lui ad elemosinare con sguardo gentile
della roba,
era troppo orgogliosa per farlo e Zayn era troppo testardo per cambiare
idea a
quel riguardo. Scrollò le spalle, poi con lo sguardo
passò in rassegna
l’ambiente che la circondava. Sorrise quando vide gli occhi
spaesati ed
intimoriti della ragazza che più volte Millie aveva visto
con Zayn. Forse Millie
aveva ancora qualche speranza di ottenere ciò che voleva da
chi voleva.
Sorrise, mentre con passo deciso si avvicinava a lei. Conosceva
già il copione
che avrebbe seguito quella sera. Avrebbe fatto qualche complimento alla
povera
malcapitata, l’avrebbe resa partecipe del suo mondo, le
avrebbe presentato
qualche ragazzo carino, infine le avrebbe chiesto un piccolo enorme
favore che
lei non avrebbe potuto rifiutare. Sarebbero state contente entrambe,
Millie con
le sue pasticche e quella ragazza con quella momentanea euforia dovuta
al
contatto con un mondo di lustrini, cocktail e popolarità che
non le
apparteneva.
Charlotte era seduta sullo sgabello davanti
alla penisola della cucina. La gamba destra era accavallata sulla
sinistra, con
un gomito poggiato sulla superficie del tavolo reggeva stancamente la
testa,
mentre con l’altra tamburellava ad un ritmo costante contro
la pelle della
coscia, coperta dal tessuto del vestito che indossava. Si era rifugiata
lì
pochi minuti dopo il suo arrivo, esausta di assistere a quelle scene
che
puntualmente si ripetevano il fine settimana. Ragazzi che ballavano con
le
mosse più strambe e ridicole, che bevevano fino a vomitare,
che ridevano tanto
sguaiatamente da rendere quei suoni fastidiosi ed irritanti. Delle
volte si
domandava come anche lei fosse finita in quel giro, come potesse
conoscere e
frequentare quelle persone, proprio lei che per principio era contraria
ad ogni
singola cosa detta o fatta da quel gruppo scalmanato di ragazzi fuori
controllo.
“Ti stavo cercando”, esordì una voce che
Charlie aveva imparato a conoscere bene.
Niall avanzò in sua direzione con le labbra
piegate in un dolce sorriso che Charlie preferì ignorare,
sapeva bene che se si
fosse concessa di guardarlo anche solo per un attimo, il suo cuore si
sarebbe
intenerito a quella visione e lei non voleva mostrarsi vulnerabile,
soprattutto
non davanti ad un ragazzo nei confronti del quale, tra
l’altro, nutriva ancora
dei dubbi in quanto a sincerità. Il biondo le aveva
già spiegato che la storia
di Millie fosse antecedente al loro avvicinamento, ma ancora non
riusciva a
fidarsi ciecamente. Ormai era chiaro persino a lei quanto Niall fosse
stato
legato a Millie in passato e, dopo ciò che era successo, non
poteva avere
l’assoluta certezza che lui non si facesse cogliere da una
nuova debolezza.
Charlie non voleva farsi abbattere o tormentare da drammi amorosi, lei
voleva
essere autonoma ed indipendente, una donna emancipata e capace di
provvedere a
se stessa. La vicinanza di Niall ed un’eventuale delusione
avrebbero certamente
ostacolato il suo obiettivo.
“Mi stai evitando”, riprese Niall, riuscendo
finalmente a parlarle dopo giorni di silenzio.
Da quella volta a scuola, nei corridoi,
Charlie gli era apparsa sfuggente, tanto che aveva avuto serie
difficoltà nel
rintracciarla.
“Sono stata impegnata”, mentì con lo
sguardo
basso, proibendosi di alzare il volto in direzione degli occhi azzurri
di
Niall.
Li avrebbe solo potuti immaginare, era questo
l’ordine categorico che Charlotte si era imposta.
Niall annuì rammaricato, rattristato dal
distacco che Charlie gli aveva riservato.
“Suppongo tu non voglia più uscire con me,
dunque”, ipotizzò con un soffio affranto, mentre
poggiava una mano sulla
superficie della penisola della cucina.
Charlie trattenne il fiato a quelle parole.
Era combattuta, indecisa e confusa. Sapeva che continuando quella farsa
avrebbe
rischiato di allontanare definitivamente Niall, ma sapeva anche che un
solo
sguardo l’avrebbe trascinata in un vortice da cui
difficilmente sarebbe poi
riuscita a sottrarsi. In entrambi i casi Charlie rischiava. Rischiava
di avere
troppo e di non saperlo gestire, ma allo stesso tempo rischiava di
perdere
tutto e di soffrirne. Dopo l’intensa e complicata storia con
Louis si era
riproposta di dedicarsi esclusivamente a se stessa, di ricominciare
lavorando
sulla sua personalità, affinché potesse crescere
e maturare. Ma Niall era
arrivato all’improvviso, Charlie non aveva potuto prevederlo
ed ancora non
riusciva a prendere piena consapevolezza. Era come se gradualmente
stesse
scoprendo quanto in realtà fosse già
irreversibilmente legata a lui.
Niall sospirò, ormai stava davvero per
arrendersi. Sapeva quanto Charlie potesse essere testarda ed ostinata,
sapeva
quanto potesse essere fragile in un momento come quello e sapeva che
non
avrebbe potuto pretendere nulla da lei. Aveva solo sperato in un
po’ di
comprensione e in un’occasione attraverso cui poterle
dimostrare le sue sincere
e reali intenzioni. Lasciò cadere la mano, una smorfia di
amarezza prendeva
forma sul suo viso, mentre si preparava a voltarsi. L’avrebbe
lasciata andare,
avrebbe lasciato a Charlie la possibilità di fare le sue
scelte, di andare
oltre quella piccola parentesi che Niall aveva costituito e
l’avrebbe fatto
solo ed esclusivamente per lei.
“No”, la voce di Charlotte era appena un
sussurro disperato ed angoscioso.
Gli occhi della ragazza puntarono
immediatamente quelli di Niall, facendole riscoprire quanto profondi e
chiari
essi fossero. Charlie sorrise, mentre si malediceva silenziosamente per
non
aver alzato prima il volto. Niall era lì, a meno di un metro
da lei, con
un’espressione affranta e gli occhi spenti che chiedeva solo
di essere
ascoltato. D’un tratto a Charlie tutto apparve relativo e
privo di significato.
Non le importava di Millie e delle frecciatine che le aveva rivolto,
non le
importava delle sue paure e delle sue preoccupazioni, non voleva che
queste
potessero farla soccombere. C’era solo Niall, Niall ed i suoi
occhi azzurro
cielo, Niall ed il suo sorriso caldo e familiare, Niall e la sua
espressione
dolce e giocosa.
“Voglio ancora uscire con te”, aggiunse poco
dopo, deglutendo appena, incredula alle sue stesse parole.
Non c’erano scuse che avrebbero tenuto in quel
momento, c’erano solo Niall e Charlie, due anime solitarie e
dannate che si
incontravano per la prima volta. Non sapevano se sarebbe durata, non
sapevano
neppure se mai sarebbe iniziata, ma Charlie aveva ragione nel dire che
nulla
importava in quell’istante. Niall sorrise appena, mentre si
avvicinava a
Charlie fino a stingere forte la mano libera della ragazza tra le sue.
Niall
poteva solo vedere gli occhi di ghiaccio di Charlie sciogliersi a
contatto con
i suoi, mentre una mano della ragazza avanzava fino a sfiorargli il
viso in un
gesto lento e delicato. La sofferenza, il dolore, l’attesa,
il timore, tutto
era scomparso. Charlie percepiva solo le labbra morbide di Niall che si
erano
poggiate sulle sue, colmando definitivamente la distanza tra i loro
volti. Un
bacio che andava oltre le mille convinzioni di Charlie e le ansie di
Niall, un
bacio che univa due persone, apparentemente tanto distanti: Charlie,
con le sue
ciocche rosa e gli slogan contro la globalizzazione e la
deforestazione, e
Niall, con le sue delusioni e la fobia di ricevere notizie negative
dall’estero. Nessuno avrebbe mai puntato nulla su di loro,
probabilmente
neppure gli stessi Charlie e Niall, ma in quell’istante si
trovarono,
esattamente come le due metà che si ricomponevano ricreando
l’unità originaria,
una combinazione insolita che stranamente pareva funzionare nel
migliore dei
modi, una fusione di mondi ed idee che sembravano combaciare alla
perfezione.
Margaret era appoggiata alla parete della
sala, incastrata tra la finestra ed un tavolino dove erano state
depositate
circa una quindicina di bottiglie ormai quasi del tutto vuote. Teneva
gli occhi
socchiusi ed il capo reclinato all’indietro. Con la mano
destra continuava a
massaggiare le tempie, a causa di una forte emicrania che le rendeva
difficoltoso persino reggersi in piedi, con l’altra, invece,
stringeva forte un
bicchiere di vetro ricolmo di una bevanda di cui Margaret non conosceva
neppure
il nome. In quello stato non sarebbe stata neppure capace di
distinguere del
gin dalla vodka, dal rum, dalla tequila o da qualsiasi altro alcolico.
Neppure
il colore le appariva più tanto chiaramente. Lo percepiva,
lo vedeva, ma non
sapeva identificarlo. Con un unico lungo sorso ne bevve il contenuto,
riscoprendo un sapore forte ed acre che le pareva di conoscere. Un
sorriso
stanco e privo di significato si formò sulle sue labbra,
mentre la testa
iniziava a girarle sempre più vorticosamente, causandole una
fastidiosa
sensazione di instabilità. Con un gesto insicuro e
traballante Margaret scollò
le spalle dalla parete, decisa a raggiungere il centro della sala, dove
aveva
notato un viso che ricordava bene, nonostante la vista offuscata e la
memoria
labile.
“Tu”, sbottò toccando Louis
all’altezza del
petto con l’indice della mano sinistra.
Il castano corrugò la fronte, intuendo
immediatamente le precarie condizioni in cui Margaret verteva. Il suo
alito
puzzava terribilmente di alcool, il suo corpo continuava ad oscillare
alla
ricerca di equilibrio ed i suoi occhi erano arricciati come a cercare
protezione dalla luce.
Louis, al contrario, era completamente lucido
quella sera. Non aveva bevuto, non aveva fumato, non aveva preso nulla.
Aveva
promesso a Zayn che l’avrebbe aiutato a tenere sotto
controllo l’andamento
della serata ed aveva mantenuto la parola data al suo amico. In
realtà aveva
organizzato quella festa preso da un impeto di euforia e dalle
circostanze
particolarmente favorevoli che si erano prospettate appena pochi giorni
prima.
Zayn aveva obiettato fermamente, ma Louis aveva bellamente ignorato il
suo
divieto e le sue lamentele, dunque quando poi Zayn gli aveva chiesto
aiuto non
aveva potuto rifiutare. Era lucido, quasi neppure lo stesso Louis
riusciva a
crederci per quanto surreale fosse quella situazione. Era ad una festa,
una
festa organizzata da lui, ed era riuscito a divertirsi senza ingerire
altro che
acqua e qualche bibita gassosa.
“Tu sei un pezzo di merda”,
l’accusò Margaret
con voce stridula.
Louis sgranò gli occhi, spiazzato da quello
che aveva tutta l’aria di essere un insulto. Margaret era
ubriaca,
probabilmente diceva cose che neppure pensava o, probabilmente, diceva
cose che
non avrebbe mai detto da sobria, mentre la ragione deteneva il pieno
controllo
sul suo corpo. Ma quella sera ogni suo movimento era dettato
dall’alcool che
aveva ingerito, ogni suo comportamento, ogni sua parola erano
enfatizzati dall’effetto
che quel liquido produceva su di lei. Louis per qualche istante si
chiese cosa
succedeva a lui, quando era ubriaco o fatto, cosa diceva, cosa faceva.
Solitamente i suoi ricordi erano sfocati e lui non si preoccupava mai
di fare
chiarezza su quegli avvenimenti. Del resto lui si sballava per
dimenticare, non
avrebbe avuto senso cercare di ricomporre le scene sconclusionate che
apparivano come flash nella sua mente al mattino successivo.
“Andiamo, ti porto in un posto più
tranquillo”, borbottò afferrando Margaret per la
vita, quasi trascinandola
oltre la sala, diretto verso la stanza adibita a biblioteca.
Louis conosceva bene quella casa, aveva
trascorso così tanto tempo con Zayn da poter dire di
considerarlo come un vero
fratello, forse addirittura migliore dello stesso Jamal. Quando furono
arrivati, Louis adagiò Margaret su una delle grandi poltrone
in pelle, poi
chiuse la porta, per poterle assicurare una maggiore
tranquillità. Louis la
osservò meglio, soffermandosi sui suoi lineamenti. Era come
se guardando quella
ragazza riuscisse a rivedere se stesso durante una di quelle serate in
cui al
posto di Margaret, accudito da Zayn o da Charlie, c’era stato
lui. La ragazza
aveva il trucco sfatto, la matita leggermente colata ed
un’espressione stanca e
dolorante dipinta sul viso. Con una mano si reggeva la testa, mentre
l’altra
sventolava a mezz’aria.
“Mi fai schifo”, borbottò Margaret,
ritirando
le gambe al petto, come a volersi proteggere.
Louis la guardò stranito, non comprendendo a
cosa o a chi si stesse riferendo.
“Va tutto bene, Margaret”, provò a dire
scostandole con le dita una ciocca di capelli dal viso.
“Vaffanculo, Louis”, bofonchiò lei a
denti
stretti, sottraendosi dal tocco gentile e garbato di Louis.
“Vaffanculo a te e
a Bree”, aggiunse corrucciando il viso in
un’espressione rattristata.
Louis per qualche secondo rimuginò sulle sue
parole, non riuscendo a comprenderne il vero significato e soprattutto
perché
Margaret sembrasse essere tanto arrabbiata con lui, poi la scena del
bacio gli
apparse all’improvviso nella mente. Non era sicuro, ma con
molta probabilità
era proprio a quel bacio che Margaret si stava riferendo.
“La mia vita fa schifo, la mia famiglia va a
pezzi e tu sei uno stronzo”, sbottò con rabbia,
mentre delle prime lacrime
cominciavano a scendere sulle sue guance. “Oh, ma che cazzo
te lo dico a
fare?”, inveì poi contro Louis che aveva
nuovamente provato ad avvicinarsi a
lei, per essere ancora una volta respinto.
“Margaret, io…”, provò a dire
il ragazzo, con
voce tentennante.
Non era abituato ad essere in quella
posizione, solitamente erano gli altri a doversi prendere cura di lui e
a dover
affrontare le sue crisi dovute alla sbronza.
“Sta’ zitto, lasciami in pace”,
sbraitò
alzandosi di scatto dalla poltrona, per poi essere costretta ad
appoggiarsi al
bracciolo per non cadere. “Io vado a divertirmi e
tu…”, iniziò con fare
minaccioso puntando lo sguardo sugli occhi azzurri di Louis.
“Tu non osare
seguirmi”, terminò con voce dura ed autoritaria.
Margaret forzò le labbra in un falso sorriso
di saluto, poi raggiunse la porta e la oltrepassò, lasciando
Louis, confuso e
crucciato, alle sue spalle.
Liam era seduto sul grande divano della sala,
che per l’occasione era stato spostato sulla parete.
Osservava con cura ed
attenzione tutte le persone presenti in quell’ampia stanza,
soffermandosi su
quelle che destavano il suo interesse e la sua curiosità.
Era solo, seduto
sulla piazza centrale. Non c’era neppure quel mucchio di
ragazzi superficiali
che solitamente lo attorniava, tutti troppo concentrati a godersi
quegli attimi
di divertimento per poterli spendere con lui. Neppure Harry aveva
deciso di
raggiungerlo, preferendo la compagnia altrui a quella del castano.
“Sei solo”, la voce squillante ed allegra di
Bree fece trasalire Liam, colpendo in maniera tanto diretta quanto
inconsapevole il suo punto debole.
Senza attendere neppure una risposta da parte
del ragazzo, Bree si sedette accanto a lui, sorridendogli con fare
amichevole,
tanto che Liam non riuscì neppure a respingerla come la sua
mente gli diceva di
fare. C’era qualcosa di sbagliato nel rapporto che si stava
creando tra lui e
Bree. Già troppe volte era venuto meno ai suoi piani, ai
suoi programmi. Bree
era una di quelle ragazza a cui Liam non si sarebbe mai dovuto
avvicinare, lui
era destinato a frequentare gente come Millie, persone popolari che lo
avrebbero aiutato ad accrescere la sua notorietà ed il suo
carisma. Eppure era
lì, seduto accanto a Bree, con le labbra incurvate in un
sorriso appena
accennato.
“Ora ci sei tu”, constatò con
ovvietà.
Il suo tono scherzoso e gentile fece sorridere
Bree, che con quella sua aria spensierata ed allegra continuava a
guardare
Liam, scrutando nei suoi occhi un qualcosa che mai aveva notato prima.
C’era
gentilezza, bontà, cordialità, quegli stessi
aspetti caratteriali che Liam si
premurava di mascherare in maniera magistrale.
“Potremmo farci compagnia, allora”, propose
ingenuamente Bree.
E Liam per la prima volta fu contento del
mondo in cui quella ragazza non si faceva coinvolgere dai pregiudizi e
dalle
varie dicerie. Lei non gli aveva riservato alcun trattamento
particolare, non
aveva cercato di farsi notare solo per ricevere qualche sua attenzione,
non
l’aveva avvicinato per chiedergli un favore, ma solo per
trascorrere insieme un
breve lasso di tempo. Non serbava rancore Bree, non era orgogliosa,
arrogante o
presuntuosa. Era l’unica che, in un momento come quello, era
riuscita a
sorvolare le barriere imposte dalla maschera di Liam ed ad avvicinarsi
a lui,
facendolo finalmente sorridere.
Audrey era seduta sulle scale, un gradino più
in alto di Harry, lontano da quel chiacchiericcio fastidioso e dalla
musica
commerciale che risuonava tra le pareti della sala. Si erano
allontanati poco
dopo che Bree avesse annunciato all’amica la sua intenzione
di raggiungere
Liam, così Harry ne aveva approfittato per sfruttare
l’occasione a suo
vantaggio.
“Non possono non piacerti proprio i Depeche
Mode”, controbatté scandalizzata ed incredula
Audrey, replicando
all’affermazione che Harry aveva appena fatto.
Il riccio sorrise, scrollando le spalle come
ad indicare che non avesse alcuna colpa per ciò.
“Hai dei gusti pessimi in fatto di musica”,
borbottò Audrey, fintamente seccata.
Harry in risposta arricciò il viso in una
smorfia, nel buffo tentativo di riprodurre l’espressione
della ragazza.
“Punti di vista”, scherzò poi,
sfiorandole
involontariamente il ginocchio con la mano sinistra.
Quell’improvviso ed inaspettato contatto fece
sussultare entrambi. In un attimo gli occhi verdi di Harry cercarono
quelli di
Audrey, fondendosi gli uni negli altri. I loro visi assorti erano persi
nella
contemplazione dei lineamenti altrui. Harry avrebbe tanto voluto
azzerare la
spanna che ancora divideva i loro volti, ma era convinto che con molta
probabilità Audrey lo avrebbe respinto
all’istante. Tuttavia, entrambi non
riuscivano a rinunciare a quell’intenso contatto visivo che
si era stabilito
tra di loro. Audrey aveva quasi l’impressione di poter
leggere l’animo di Harry
attraverso quelle iridi tanto chiare e trasparenti che le trasmettevano
un
profondo senso di sicurezza e allo stesso tempo riuscivano a farla
smarrire, a
farle perdere la cognizione del tempo e dello spazio che la circondava.
“Audrey”, la voce allarmata ed affannata di
Zayn riscosse entrambi, ponendo bruscamente fine a quel magico momento.
Di scatto Audrey si voltò in quella che aveva
percepito essere la direzione da cui era giunto quel suono ed
immediatamente
notò Zayn ai piedi della scalinata che teneva tra le braccia
Millie.
“Cosa le è successo?”,
domandò la ragazza
preoccupata, scendendo velocemente i pochi gradini.
“Non lo so, l’ho trovata così in
bagno”,
spiegò Zayn con tono affranto.
“Portiamola in un posto tranquillo”, propose
allora Harry, piombando alle spalle di Audrey.
Zayn annuì, mentre con passo deciso si avviava
sulle scale, diretto verso una delle camere riservate agli ospiti.
“Cosa le hai dato?”, chiese Audrey non appena
Zayn ebbe adagiato Millie sul materasso del letto della camera situata
di
fronte a quella del moro.
Il suo tono accusatorio e spregiante lasciava
chiaramente intendere il rancore provato nei confronti di Zayn in quel
momento.
Ad Audrey non importava se era stata Millie ad esagerare, a perdere il
controllo e ad assumere più roba di quella che potesse
reggere. In quel momento
l’unica cosa che poteva fare era prendersela con colui che le
procurava quelle
schifezze a cui sua sorella sembrava proprio non saper rinunciare.
Zayn scosse il capo, quasi deluso dal modo in
cui Audrey era giunta ad affettate ed erronee conclusioni.
“Nulla, ho smesso di venderle qualsiasi cosa”,
spiegò ricordando ancora chiaramente quando si era rifiutato
di assecondare le
richieste di Millie.
“Non ti credo, cazzo”, tuonò Audrey,
puntando
Zayn con sguardo truce.
Non poteva perdere sua sorella in quel modo,
non poteva perderla in nessun modo. Era già stata costretta
a troppe rinunce e
Millie non doveva essere l’ennesima. Aveva paura, aveva paura
che Millie si
fosse già addentrata in quel mondo da cui era difficile
uscire. Harry poggiò le
mani sulle spalle gracili della ragazza, nel tentativo di infonderle la
calma
di cui necessitava per poter affrontare un momento simile.
“Davvero, Audrey”, la voce di Zayn era un
sussurro affranto e desolato, colpevole. “Non le ho dato
nulla”, ripeté con un
filo di voce.
Sapeva che in parte era anche colpa sua, della
vita che faceva, della roba che divulgava in giro. Ed era colpa di
Jamal che lo
aveva incastrato in quello schifo di vita. Ed era colpa di Zayn che non
aveva
il coraggio e la forza di porre fine a tutto ciò. Ed era
colpa di Millie, che
non riusciva mai ad accontentarsi e che ora era sdraiata su quel letto,
non del
tutto cosciente.
“Mi dispiace”, concluse infine il moro, con il
capo chino verso il basso.
“Il polso è regolare, non credo ci sarà bisogno di chiamare i soccorsi”,
annunciò poco dopo Harry, che nel frattempo si era avvicinato a Millie per
controllarle il battito.
Audrey
sospirò, non del tutto sicura di quella approssimata diagnosi.
“Aspetteremo, ma al primo segnale ambiguo chiamo l'ambulanza”, decretò la ragazza, puntando lo sguardo sulla
figura assopita della sorella.
---
Angolo Autrice
Buonasera a tutti! Bene, ecco il ventesimo capitolo!:D
Stavolta parliamo di Millie che, purtroppo, perde nuovamente il controllo.
Audrey ancora una volta è preoccupata, Zayn si trova a dover combattere contro i suoi sensi di colpa
ed Harry finisce automaticamente implicato in questa faccenda.
In realtà, più che di Millie, parliamo del modo in cui
gli altri reagiscono alle sue azioni, del ruolo che lei ha nei
comportamenti degli altri,
nelle loro decisioni, oltre che analizzare, attraverso gli occhi delle persone a lei più vicine, la sua situazione.
Inoltre, Margaret e Louis litigano ed anche Margaret pare non controllarsi bene ultimamente.
Insomma, questo capitolo non è propriamente espressione di bei momenti, direi!xD
In tutto ciò, l'unica cosa positiva è il riavvicinamento
tra Niall e Charlie e qualla specie di nascente amicizia tra Liam e
Bree.
Grauen, mi dispiace davvero tanto, ma per ora tra Louis e Charlie pare non andare :/
Ringrazio chi segue, preferisce, ricorda e legge... grazie mille!<3
E, ovviamente, lasciate una recensione se vi va!;)
Alla prossima, allora!:D
Astrea_
|
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Capitolo 21 *** Louis ***
g
LOUIS
Louis
girovagava per il parco, senza una reale
meta. Era uscito presto di casa, quella mattina, non appena le prime
luci del
sole avevano timidamente invaso la sua stanza, colpendolo in pieno
viso.
Aveva frettolosamente addentato un pezzo della
crostata ai mirtilli che sua madre aveva preparato, poi si era
dileguato
adducendo come scusa un inderogabile appuntamento con Zayn.
Continuava a passeggiare con passo lento,
assaporando l’aria fresca e pungente, mentre a pieni polmoni
ispirava quel
profumo di erba appena tagliata che inondava l’area. La sua
mente era affollata
da dozzine di dubbi ed incertezze che gli impedivano di pensare ad
altro. Era
confuso, frastornato ed affranto. Ancora non aveva avuto
l’occasione di
chiarire con Margaret ciò che era successo la sera prima a
casa di Zayn,
avrebbe voluto davvero parlare con lei di quella faccenda per cercare
di capire
cosa l’aveva portata ad inveire contro di lui in quel modo.
Non era arrabbiato
con Margaret, del resto non avrebbe mai potuto esserlo. Louis aveva
intuito che
ci fosse qualcosa che la turbasse, qualcosa che la destabilizzasse al
punto da
perdere il controllo. Margaret aveva bevuto talmente tanto quella sera,
che
probabilmente neppure ricordava di avergli rivolto la parola.
L’aveva vista
così spiazzata, assente, impossibilitata a prendersi cura di
se stessa che per
un attimo aveva provato ad immaginarsi nelle sue stesse ed identiche
condizioni. Sospirò, socchiudendo appena gli occhi. La sua
andatura lenta e
stanca sembrava essere espressione del suo cupo stato
d’animo. Teneva le mani
nascoste nelle tasche dei pantaloni blu, nel tentativo di trovare del
calore in
esse.
Eppure non riusciva mai ad immedesimarsi completamente
nei panni di Margaret, nonostante vari sprazzi che pareva ricordare
delle sue
notti stravaganti gli suggerissero quanto fossero simili.
Louis, tuttavia, sapeva perfettamente di aver
fatto di peggio, di aver superato quel limite sul quale si era
attestata
Margaret. Ed ora non riusciva a trovare delle risposte a quella miriade
di
domande. Fu come rinsavire all’istante, risvegliarsi da un
terribile ed
agghiacciante incubo che lo teneva prigioniero fino a qualche attimo
prima.
Tutto d’un tratto si chiese perché stesse
sprecando in quel modo la sua vita,
si chiese quali potessero essere le sue aspettative, quali i suoi
obiettivi. Suo
padre aveva negato la sua famiglia ed ora Louis stava negando un futuro
a se
stesso. Non poteva avanzare pretese, non ne aveva il diritto. Non era
mai stato
un ragazzo meritevole, degno di nota, colui che supportava la madre e
studiava
per diventare qualcuno e riscattarsi. Louis si era rinchiuso nel suo
vortice
che lo aveva risucchiato fino a spingerlo sul fondo di esso, dove si
era
stabilizzato, senza alcuna via di fuga. In realtà, Louis non
aveva neppure
provato a cercane una. Non c’era speranza, non per lui. E, di
conseguenza, non
c’era neppure alcun futuro, non per chi non confidasse nel
domani.
Si lasciò pesantemente cadere su una panchina
che costeggiava il piccolo e basso recinto di una aiuola.
Sprecava un istante, un altro e poi quello
ancora successivo. Era sufficiente una serata per dimenticare quanto
inutile
fosse la sua vita, quanto vuoto fosse il cammino che aveva percorso
fino a quel
momento, quanto incerto si presentasse quello che, invece, lo
attendeva. Non
poteva capirlo, non durante quelle notti, almeno, che quello era
l’ennesimo
spreco di tempo. Erano attimi rubati alla felicità, quella
vera, alla serenità,
alla sua ragazza, a sua madre, ai suoi amici. Erano attimi rubati a se
stesso. Non
si sarebbe ripromesso di dare un taglio netto a quella vita, sapeva di
non
essere pronto per un passo tanto importante. Louis non ne era in grado.
Sarebbe
ricaduto nella stesa trappola alla prima occasione, contento di non
poter
realmente comprendere, anche solo per poche ore, come stesse
continuando a
sgretolare il suo avvenire, il suo passato, tutto.
L’importante era riuscire a
non pensarci, si diceva per convincersi. Era quella la chiave delle
sofferenze,
i pensieri, i ricordi, le promesse spezzate, il cuore scalpitante.
Il suo sguardo era perso nel vuoto, i suoi
occhi azzurri indugiavano su un punto indefinito, fino a perdere la
reale
consistenza delle immagini percepite.
Forse sarebbe dovuto tornare a casa, avrebbe
potuto trascorrere del tempo con sua madre, rendendola con quel
semplice gesto
la donna più felice del mondo. Ma Louis non era bravo a
soddisfare le
aspettative delle persone a lui care, lui le deludeva, le annientava.
Magari
era a causa di un simile motivo che suo padre l’aveva
abbandonato senza neppure
fornirgli un’adeguata spiegazione.
Millie aprì lentamente gli occhi, mugolando
qualcosa di incomprensibile all’orecchio vigile di Zayn.
Quando Audrey si era
finalmente decisa a rincasare, dando credito ai consigli di Zayn ed
Harry, i
quali le suggerivano di lasciare che sua sorella restasse a dormire
lì, il moro
non l’aveva persa d’occhio per neppure un secondo.
Non sapeva cosa avesse
ingurgitato, dunque non poteva prevedere alcunché.
L’aveva solo vista
traballante, prima che in un attimo perdesse definitivamente
l’equilibrio. Lui
l’aveva prontamente soccorsa, avvolgendola con un braccio, ma
Millie sembrava
non essere più minimamente lucida, neppure per potersi
reggere degnamente in
piedi.
Zayn si ricompose, sistemandosi meglio sulla
larga poltrona in pelle sulla quale aveva trascorso le intere
precedenti ore.
Allungò lo sguardo sul viso corrugato ed assonnato di
Millie, per verificarne
le attuali condizioni.
Lei fece vagare gli occhi, non riconoscendo
affatto quel luogo come familiare. Prima il grande armadio di legno,
poi la
porta, un antico comò sormontato da uno specchio ed infine
Zayn.
Quasi sussultò quando riconobbe il ragazzo
proprio a pochi metri di distanza. Era stesa in un letto che non aveva
mai
visto prima, in una stanza in cui non era mai stata e Zayn continuava a
fissarla come se attendesse una qualsiasi parola. Il cuore di Millie
perse un
battito, temendo l’eventualità che quella notte
fosse successo qualcosa tra di
loro. Non ricordava nulla della festa, solo delle immagini sconnesse e
sfumate,
che terminavano con una luce ambrata particolarmente vicina.
Socchiuse gli occhi per un attimo, costretta a
cercare un rimedio al fastidioso e pungente mal di testa che
l’aveva appena
assalita.
“Stai bene?”, fu la pronta domanda di Zayn,
pronunciata
con appena un sussurro di preoccupazione.
Millie storse il labbro in una smorfia
ironica, ma dolorante, senza tuttavia rispondere in modo esplicito.
“Dove sono? Perché sei qui?”, chiese
sforzandosi di mantenere un tono deciso.
Non voleva apparire debole, non in un momento
del genere, e non si curava di quanto frastornata fosse, voleva solo
che Zayn
potesse vedere in lei la solita Millie arrogante e presuntuosa.
Il moro ridacchiò appena, mentre ammiccava in
direzione della ragazza. Era sveglio, Zayn. Sapeva esattamente il
perché di
quelle domande e poteva chiaramente immaginare la confusione regnare
sovrana in
Millie.
“Vuoi che ti faccia un disegnino?”,
sussurrò
malizioso, avvicinandosi di qualche passo alla ragazza.
Millie sgranò gli occhi, indignata e allo
stesso tempo sorpresa.
Zayn non sapeva neppure perché avesse deciso
di provocarla in quel modo, quasi come se stessero giocando. Forse si
sentiva
in colpa per ciò che le era successo, per ciò che
lui più volte aveva
fomentato. Per ore si era dato la colpa di quell’incidente,
convincendosi che
in parte era a causa sua che Millia aveva sviluppato un sempre maggiore
attaccamento a quel genere di sostanze. Se lui si fosse rifiutato
prima, magari
lei avrebbe smesso di cercarle, magari si sarebbe limitata a qualche
canna
occasionale, come sua sorella Audrey. Ancora una volta Zayn si
vergognò
silenziosamente della sua vita, di ciò che faceva, di
ciò a cui non riusciva a
rinunciare per paura, codardia, debolezza. Avrebbe potuto essere forte,
per una
volta, avrebbe potuto dire la sua, smettere di eseguire passivamente
gli ordini
che gli venivano dati, ma Zayn non aveva il coraggio di farlo. Temeva
le
conseguenze, non poteva contare sull’appoggio di nessuno,
neppure di Louis. Non
avrebbe mai permesso che il suo migliore amico potesse essere implicato
in una
faccenda del genere, neppure lontanamente.
“Mhm”, mugugnò Millie, con
un’espressione
scettica. “Che schifo”, commentò con
voce disgustata, arricciando il naso.
Zayn soffocò una risata, divertito e allo stesso
tempo rassegnato dal modo in cui Millie cercasse di apparire
costantemente
tanto altezzosa, persino in momenti come quello.
Era palesemente disorientata, spaesata, tanto
che Zayn si chiese per quale assurdo motivo ancora non proseguisse con
delle
domande volte a far chiarezza sulla situazione.
“Non siamo stati insieme”, si decise a dire,
inchiodando i suoi occhi ambrati in quelli più scuri della
ragazza.
Millie corrugò la fronte, ormai sempre più
confusa.
“Chi ti ha dato cosa?”, la domanda di Zayn le
giunse come un coltello tagliente all’altezza dello stomaco,
tanto improvviso,
quanto affilato.
Una serie di flash le invasero la mente,
costringendola a rivivere brevi attimi della serata. Non rammentava
molto, solo
dei volti a lei ben noti con i quali si divertiva. Stranamente
ricordava del
suo subdolo piano volto ad estorcere con l’inganno
ciò di cui necessitava
proprio dal moro che si era rifiutato di avere ulteriori contatti con
lei. Se
c’era una cosa che Liam le aveva insegnato, quella era
proprio essere affabile
con le persone dalle quali si voleva qualcosa, qualsiasi cosa. E Millie
era
stata gentile con quella ragazza, l’aveva fatta sorridere, le
aveva presentato
dei ragazzi carini e poi le aveva chiesto di fare quel piccolo servizio
al suo
posto. Lei aveva accettato, chiunque l’avrebbe fatto, e Zayn
non aveva
sospettato che proprio quella ragazza potesse essere diventata complice
di
Millie.
“Tu, anche se indirettamente”, confessò
sfidandolo con lo sguardo.
Questa volta fu il cuore di Zayn a perdere un
battito. Aveva ingenuamente pensato di sottrarre dalla portata di
Millie
qualsiasi pasticca, ma ne aveva comunque dato in giro qualcuna. Avrebbe
dovuto
prevederlo: non importava a chi le desse, quelle circolavano giungendo
a tutti.
Aveva fatto una sottospecie di selezione, per limitare quantomeno i
danni.
Aveva deciso che le avrebbe date soltanto a coloro che si erano
dimostrati
ancora capaci di controllarsi, negando categoricamente anche solo
dell’erba a
persone come Millie. Era stato superficiale, forse. Aveva creduto di
poter
risolvere con quel semplice provvedimento un problema di dimensioni
decisamente
maggiori. Ed, invece, era lui il problema. Era lui la mela marcia che
stava
contagiando tutte quelle a contatto con lui. D’un tratto fu
travolto da un moto
di rabbia e rancore che gli fece indurire i lineamenti del viso e
tendere forte
i muscoli.
Deglutì, prima di voltarsi in direzione della
porta.
“Dove vai?”, la voce seccata di Millie lo
richiamò inutilmente.
“Vaffanculo”, borbottò solo prima di
uscire definitivamente
dalla stanza, bisognoso di riflettere in solitudine e
tranquillità.
Charlie attendeva intrepide l’arrivo di Niall
nel luogo prefissato per l’incontro da poco più di
qualche minuto. In realtà,
il biondo aveva più volte insistito, offrendosi di passare a
prenderla a casa,
ma lei aveva categoricamente rifiutato, preferendo largamente trovare
un punto
a metà strada tra le loro abitazioni, dal quale avrebbero
poi raggiunto gli
altri per la colazione.
“Ciao”, la voce allegra di Niall le fece alzare
il volto e subito Charlotte fu avvolta dal profondo azzurro degli occhi
del
ragazzo.
“Ciao”, ricambiò cercando di camuffare
l’imbarazzo.
Niall sorrise, avvicinandosi fino a posare un
leggero bacio all’angolo delle labbra che lasciò
Charlie con il fiato corto ed
il cuore in gola. Non era pronta a provare emozioni tanto intense,
capaci di
destabilizzarla in ogni istante, per ogni minimo gesto. Non era
abituata a ciò.
“Hai sentito gli altri?”, chiese allora, nel
miserevole tentativo di avviare una conversazione piuttosto generica.
Niall annuì, prendendo a camminare insieme a
lei in direzione del bar dove si sarebbero radunati quella mattina. Il
biondo
continuava ad osservarla raggiante, tanto che Charlie si sentiva
decisamente a
disagio con quello sguardo entusiasta puntato addosso. Non sapeva cosa
dire,
cosa fare, come non deludere le sue aspettative.
Non avevano ancora parlato di quel bacio ed,
in un certo senso, Charlotte avrebbe preferito eludere
l’argomento ad oltranza.
Temeva una qualche reazione di Niall, le sue parole, un suo eventuale
allontanamento. Era consapevole di quanto poco chiara fosse la
definizione che
lei stessa aveva dato al loro rapporto, ma non riusciva ad essere
più precisa.
Aveva appena concluso un’importante storia e le risultava
difficile dover
ricominciarne, fare nuovamente i conti non i battiti irregolari ed
accelerati
del suo cuore, con le dita che giocherellavano tra i capelli per
l’agitazione e
le gote che prendevano colore per il disagio. Inoltre, a ciò
si aggiungeva la
sostanziale differenza che intercorreva tra Niall e Louis. Louis
l’aveva
conquistata con il suono della sua risata gioviale e spensierata, Niall
con la
forza del suo sguardo, la dolcezza del suo sorriso,
l’indecisione e la
sicurezza che alternava continuamente, le attenzioni che le riservava.
“Dovremmo essere in perfetto orario”,
farneticò poi Charlie, per spezzare il breve silenzio,
controllando l’orologio
con una veloce occhiata.
Niall non rispose, continuava a studiare
attentamente la sua espressione cercando di carpirne ogni dettaglio.
“È davvero una bella giornata”, riprese
Charlotte adocchiando il cielo poco nuvoloso.
Niall le sorrise dolcemente, decidendosi a
passarle un braccio intorno alle spalle, per avvicinarla a
sé.
“Non sei costretta a fare conversazione”,
esordì con tono rassicurante e caldo.
Charlie d’istinto intrecciò le dita con una
ciocca di capelli e abbassò di poco il capo, imbarazzata e
nervosa allo stesso
tempo.
“Non so che dire, come comportarmi”, ammise
con un filo di voce appena udibile.
Niall aumentò la stretta, cercando di
trasmetterle attraverso essa l’affetto che provava nei suoi
confronti.
“Neppure io, è questo il bello”,
affermò
cercando il suo sguardo.
Charlie alzò di poco il volto, meravigliata da
quelle parole, e subito incontrò gli occhi azzurri e
confortanti di Niall.
Sorrise appena all’indirizzo del biondo, ormai
ad appena una spanna di distanza dal suo viso, quando la loro
attenzione fu
richiamata dalla voce trillante di Bree.
“Ehi, ragazzi!”, salutò allegra
dall’altro
lato della strada, ferma all’ingresso del bar.
Niall si mordicchiò le labbra, ancora fermo
nella sua posizione, mentre Charlotte voltò il viso di
scatto, alla ricerca di
quello della rossa.
“Ciao”, ricambiò con un cenno della
mano,
apprestandosi già ad attraversare la strada, seguita da
Niall.
In pochi attimi si ritrovarono seduti ad un
tavolino rotondo insieme a Bree, Audrey ed Harry, intenti a valutare
tutte le
torte ed i dessert offerti dal menu.
“Come sta Millie?”, chiese d’un tratto
Niall,
catturando l’attenzione dei presenti.
Charlie trattenne il fiato per interminabili
secondi, spiazzata da quell’interesse. Quella domanda gli era
sorta spontanea,
Niall l’avrebbe fatta a prescindere dal soggetto. Sapeva che
la sera prima
c’erano state delle complicazioni a casa di Zayn e voleva
solo accertarsi delle
condizioni di quella ragazza che un tempo era stata molto importante
per lui.
Tuttavia, solo dopo aver pronunciato quelle parole, si rese conto delle
conseguenze di esse. Notò immediatamente lo sguardo
sconcertato di Charlie
fissarsi su di lui e quello inquisitorio di Audrey.
“Sta bene”, rispose soltanto la gemella Wood,
cercando di non far trapelare alcunché dalle sue parole.
Aveva chiamato Zayn quella mattina, chiedendo
della sorella, e lui le aveva detto che ancora dormiva. Così
aveva chiamato una
seconda volta, dopo appena mezz’ora, e Zayn le aveva detto
che sì, era
nuovamente in gran forma.
“Uhm”, borbottò Niall in risposta.
“Meglio
così”, aggiunse con un accenno di sorriso
disegnato sulle labbra.
“Ma dove sono gli altri?”, chiese Bree,
intromettendosi nel discorso di proposito, per sviarlo.
“Tolti Millie e Zayn, Margaret che non
risponde e Louis che è irraggiungibile, siamo
tutti”, riprese Harry,
coadiuvando il tentativo di Bree.
La rossa corrugò la fronte, come se stesse
riflettendo su un qualcosa che fino a quel momento le era sfuggito.
“Nessuno ha avvisato Liam?”, domandò
qualche
istante dopo, passando in rassegna i volti colpevoli, ma per nulla
dispiaciuti
dei presenti.
“Non ho il numero”, si difese Charlie,
scrollando le spalle.
“Io di certo non potevo chiamarlo”, la
imitò
Niall, giustificando quella mancanza.
“Ed io non chiamo nessuno a prescindere”,
bofonchiò Audrey con una smorfia scorbutica sul volto.
“Harry?”, lo chiamò allora Bree.
Del resto era Harry l’unico vero amico di
Liam, colui che davvero nutriva affetto per lui, che si preoccupava dei
suoi
problemi e che gli era sempre stato accanto e non per convenienza.
Il riccio abbassò il capo, scuotendolo
leggermente.
Non disse nulla a riguardo, non c’era davvero
nulla da dire rispetto a quello schiocco battibecco che avevano avuto e
che,
tuttavia, sembrava li stesse facendo lentamente allontanare.
Liam non lo avrebbe mai confessato, ma
detestava profondamente quella situazione che si stava creando tra
loro. Prima
della popolarità, prima del carisma, prima della sua forte
personalità, prima
di ogni cosa, c’era soltanto quel Liam che per caso aveva
conosciuto Harry,
quei due bambini che, sempre casualmente, erano diventati amici. Non
avrebbe
fatto alcun passo visibile in direzione di Harry, Liam preferiva agire
con
calma e cautela. Probabilmente avrebbe escogitato un altro dei suoi
innumerevoli piani che avrebbero costretto il riccio a tornare da lui.
Perché
Liam, ne era certo, non avrebbe lasciato che la sua amicizia con Harry
finisse
per una banalità simile. Così, seduto sul divano
del piccolo salotto di casa
sua, guardava uno dei tanti telefilm trasmessi in tv. Sarebbe riuscito
nel suo
intento o, almeno, se lo augurava con tutto il cuore.
Margaret non sapeva neppure cosa ci facesse
lì, allo zoo, seduta su una panchina a qualche metro di
distanza da tre
esemplari di gorilla che facevano bella mostra di sé,
attirando i visitatori.
Non si era addentrata all’interno del parco, aveva preferito
rimanere nei pressi
dell’ingresso, del resto non le importava davvero osservare
chissà quale specie
catturata e rinchiusa in una gabbia per poterla esibire come un oggetto
raro e
prezioso. Aveva solo bisogno di distrarsi, di respirare. Non chiudeva
occhio da
più di ventiquattr’ore ormai, ma sembrava non
curarsi delle palpebre gonfie e
stanche che premevano per chiudersi. Non voleva trascorrere altro tempo
a casa
proprio quel fine settimana. Era rientrata tardi, alle prime luci
dell’alba e
aveva deciso di fare una doccia, per rinfrescarsi. Poi, quando era
uscita dal
bagno, era stata accolta da una ramanzina della madre e da una nuova ed
infelice eventualità: quella di essere costretta a
trasferirsi per un
indefinito periodo dalla nonna. Non era ancora una certezza,
né una necessità,
ma sua madre aveva ritenuto opportuno introdurre l’argomento,
magari per essere
preparati in caso di esigenza. Ma Margaret non aveva sopportato oltre.
La sua
vita era stata stravolta in poco più che un battito di
ciglia: prima Londra,
poi il padre, ora un nuovo eventuale spostamento. Era corsa via e si
era
ritrovata proprio lì, dove era certa nessuno
l’avrebbe mai cercata. Un gorilla,
quello di stazza media e con il pelo più scuro degli altri,
continuava a
fissarla e Margaret faceva altrettanto con lui. Avrebbe voluto fosse
tutta lì,
la sua vita. Avrebbe voluto non avere problemi, ma soprattutto avrebbe
voluto
essere capace di non pensare, perché, esattamente come
Louis, come Zayn,
Millie, Liam, Bree, Audrey, Niall, Charlie ed Harry, sapeva che era il
rumore
dei pensieri, la loro consistenza e ciò che essi
implicassero ad incatenarla a
quella realtà che non la lasciava respirare, che la teneva
prigioniera della
sua temibile stretta, non curandosi minimamente del suo piccolo e
fragile cuore
che continuava a sgangherarsi, attimo dopo attimo.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti!:D Allora, ecco il 21esimo capitolo pronto!:D
E, se non ho fatto casini con i codici html, dovrebbe anche esserci il banner nuovo!!
Anyway, questa volta iniziamo da Louis, che è ancora un po' scosso e assorto nei suoi pensieri.
Lo vediamo passeggiare e riflettere sul senso della sua vita, in
risposta alla precedente serata in cui lui era perfettamente lucido,
mentre Margaret non lo era per nulla. Di lì partono, poi, le sue considerazioni.
Si passa poi a Millie. Fortunatamente per lei, questa volta si è trattato di un falso allarme!
Ed, ovviamente, non poteva non litigare con il piccolo e dolce (?) Zayn al suo risveglio.
Charlie e Niall vanno avanti con il loro rapporto, mentre Liam pare messo momentaneamente da parte.
Concludiamo con una Margaret sempre più persa e disorientata che si ritrova ad osservare un gorilla.
Non dico granché, anche perché ho intenzione di aggiornare presto,
ma posso dire che il prossimo capitolo sarà sulla sensibilissima e timidissima -certo, come no!!!- Audrey!!!
Okay, ringrazio chi legge silenziosamente, chi ricorda, segue o preferisce! Grazie mille davvero!<3
E, se vi va, lasciate un commento! Mi piacerebbe davvero molto conoscere i vostri pareri e magari ricevere consigli.
Alla prossima!;)
Astrea_
|
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Capitolo 22 *** Audrey ***
g
AUDREY
Uno,
come il numero di volte che aveva fatto sesso nei suoi diciassette anni
di
vita. Due, i ragazzi che aveva avuto e che puntualmente l'avevano
lasciata a
causa del suo estremo cinismo. Tre, i pianti che ricordava. Quattro, i
dolci
preferiti da sua madre che aveva più volte cercato di
cucinare, senza mai
ottenere risultati quantomeno accettabili. Cinque, le ricorrenti
insufficienze
nella sua pagella intermedia. Sei, le fughe notturne da casa di cui mai
nessuno
si era accorto. Sette, le volte in cui aveva rubato in un negozio per
un valore
totale di poco più di due centinaia di sterline. Otto, le
peggiori imprecazioni
indirizzate a suo fratello senza neppure una reale e valida
motivazione. Nove,
come le occhiate rivolte al letto vuoto della camera di Millie appena
qualche
sera prima. Dieci, le volte in cui aveva pensato di andarla a
riprendere, le
volte in cui aveva tremato, spaventata, le volte in cui la
consapevolezza della
drammaticità delle condizioni in cui verteva la sua famiglia
l'aveva travolta.
Audrey
scosse lievemente il capo, sforzandosi di focalizzare nuovamente la sua
attenzione sul foglio ancora bianco destinato al breve saggio in lingua
francese che avrebbe dovuto scrivere nel giro di un'oretta. I suoi
compagni di
classe avevano tutti la testa china sul banco, intenti a buttar
giù chissà
quali originali idee sul commento di un libro che avevano dovuto
leggere
durante la scorsa settimana, mentre lei continuava a mordicchiarsi il
labbro
inferiore con lo sguardo vacuo fermo sul vetro della finestra.
Avrebbe
improvvisato un breve e succinto commento durante gli ultimi venti
minuti,
potendo contare sulla sua impeccabile conoscenza della grammatica
francese e di
una vasta gamma di vocaboli da cui attingere.
Si
chiese se fosse il caso di informare suo padre dello strano periodo che
Millie
stava affrontando, magari solo per avere il parere di una presunta
persona
adulta e responsabile, ma subito fu dissuasa da quell'idea che di certo
non
avrebbe beneficiato a sua sorella. Al massimo, conoscendo suo padre,
lui
l'avrebbe fatta seguire da qualche psicologo di sua conoscenza e
l'avrebbe
obbligata a frequentare qualche corso di chissà cosa in cui
non avrebbe
imparato nulla.
Sospirò
sommessamente, poi passò una mano tra i capelli lunghi e
mossi. Solo in quel
momento si accorse della presenza di un ragazzo, a qualche metro dalla
finestra, per metà nascosto dietro un muretto. Audrey
sorrise quando lo vide
sbracciarsi per assicurarsi di aver catturato la sua attenzione. Dalla
chioma
riccia e scomposta riconobbe immediatamente Harry. Per un attimo si
domandò se
stesse cercando proprio lei o qualcun altro, così
indugiò per qualche istante
sui volti dei suoi compagni di corso, pensando a chi di loro potesse
conoscere
Harry, ma la sua ricerca terminò senza aver prodotto alcun
risultato. Tornò con
lo sguardo sul ragazzo che ora le faceva segno di raggiungerla, con le
labbra
piegate in un sorriso impacciato che Audrey non riuscì a non
ricambiare. Si
alzò di scatto, afferrando il figlio bianco della verifica,
e con passo deciso
si rivolse verso la cattedra. Gli occhi inquisitori del professore la
puntarono
all'istante, ma Audrey non si fece scalfire affatto. Era sicura di
quello che si
accingeva a fare. Lasciò cadere il foglio sul tavolo di
legno e sorrise con
aria compiaciuta. Senza attendere neppure un attimo, si
avviò verso la porta.
“Signorina
Wood, il suo compito non è svolto”,
commentò con tono sorpreso l'uomo, nel
tentativo di fermare la ragazza che ormai aveva già poggiato
la mano sulla
maniglia.
“Pazienza”,
borbottò in risposta, lasciando definitivamente l'aula con
sguardo fiero e fiammeggiante.
Era
sempre così. Ogni volta che si decideva a fare qualcosa che
la ragione le
sconsigliasse vivamente, sentiva l'adrenalina scorrere nelle sue vene e
la
pelle elettrizzarsi. Era un po' come tornare indietro nel tempo e
ricordare
quella sensazione che l'avvolgeva tutte le volte che preparava qualche
stupido
scherzetto a Duncan. Quei sorrisetti malefici, il passo felpato, la
paura mista
all'eccitazione. Scrollò le spalle, lasciando che quei
ricordi le liberassero
la mente. Aveva consegnato un'esercitazione di francese, l'unica
materia in cui
ancora poteva vantare degli ottimi voti, completamente in bianco. Non
aveva
scritto nulla su quel foglio protocollo, non si era neppure preoccupata
di
copiare la traccia o di scrivere qualche frase introduttiva e generica
con la
quale simulare un iniziale tentativo di svolgere il compito
assegnatole. Non ne
aveva voglia, non quel giorno perlomeno.
Era
insensato e da incoscienti, ma abbandonare la classe nel mezzo dell'ora
di
lezione era tutto ciò che sentiva di fare in quel momento.
“Ciao”,
salutò con un cenno della mano quando ebbe raggiunto Harry.
Il
riccio le sorrise, uscendo allo scoperto dal muretto dietro il quale si
era
rintanato.
“Ciao”,
ricambiò portando la mano destra tra i capelli per
afferrarne alcune ciocche.
“Allora?”,
domandò Audrey incrociando le braccia al petto, mentre i
suoi occhi si
poggiavano curiosi sulla figura di Harry.
Lui
forzò un sorriso eccessivo, cercando di mascherare il
disagio che pervadeva il
suo corpo. Aveva agito d'impulso, non soffermandosi per neppure un
istante su
ciò che stava per fare. Sapeva che riflettendoci si sarebbe
di certo convinto
dell'assurdità di quel gesto. Era in aula, al corso di
matematica, quando
quella malsana idea gli era balenata in testa. Era d'un tratto giunto
alla
ovvia ed inequivocabile conclusione di gradire la compagnia di Audrey
molto più
di quella di qualsiasi altra ragazza, così aveva pensato di
invitarla a
trascorrere del tempo con lui, non gli interessava per quale precisa
occasione.
Solo in quel momento, tuttavia, aveva riscoperto l'imbarazzo che quella
situazione implicava. Si trattava pur sempre di Audrey, la ragazza
scorbutica
con la risposta pronta a raggelare i più entusiasti spiriti,
con lo sguardo
truce ed impassibile ed Harry non aveva la più pallida idea
di come
fronteggiarla.
Il
riccio non rispose, infilò distrattamente le mani nelle
tasche dei jeans scuri
e larghi che indossava. Audrey sollevò un sopracciglio con
aria scettica,
mentre un leggero ghigno prendeva forma sulle sue labbra. Trovava
divertente e
allo stesso tempo estremamente tenera l'espressione disarmata che
spiccava dal
volto di Harry.
“Non
dici nulla?”, la sua domanda retorica suonava quasi come una
banale e deludente
constatazione.
Lei
aveva pur sempre lasciato la classe per raggiungerlo.
Certo,
magari aveva approfittato della situazione per evadere, ma aveva
comunque
deciso di dirigersi proprio da lui. Harry prese un profondo e lungo
respiro,
quasi parlare gli costasse uno sforzo soprannaturale. Il suo unico
desiderio
era quello di riuscire ad esprimere i suoi pensieri senza tuttavia
risultare
infantile o banale.
“Io
mi chiedevo…”, iniziò, tentennando con
la voce. “Ecco, mi chiedevo…”,
riprovò,
ma ancora una volta le parole gli morirono in gola.
Audrey
corrugò la fronte, squadrandolo attentamente per cercare di
cogliere quante più
informazioni dall’atteggiamento sospetto del ragazzo.
Poggiò le spalle al muro
e con un gesto lento estrasse una sigaretta dal pacchetto del largo
cardigan
scuro che aveva indosso. Harry la guardava quasi ammaliato mentre
prendeva
l’accendino, con quel piccolo cilindretto incastonato tra le
labbra.
“Harry,
parla”, gli orinò quasi, facendo un primo tiro.
“Non ti mangio mica”, aggiunse
ironica mentre una piccola nuvola di fumo grigiastro fuoriusciva dalla
sua
bocca.
Il
riccio deglutì, muovendo un unico e deciso passo in
direzione di Audrey.
“Vuoi
uscire con me?”, domandò tutto d’un
fiato, correndo su ogni singola lettera,
come se la velocità potesse lenire il disagio causato da
quel semplice invito.
Audrey
sgranò gli occhi, evidentemente sorpresa. Rimase immobile,
con il fiato sospeso
per un tempo indefinito. Aveva le labbra leggermente socchiuse e la
mano destra
immobile attorno alla sigaretta, sulla cui estremità
continuava ad accumularsi
della cenere. Le parole di Harry le erano pervenute chiare, nonostante
la voce
impetuosa e frettolosa del ragazzo. Le aveva appena chiesto
l’opportunità di
vedersi al di fuori del contesto scolastico e dal giro di amicizie che
si era
creato e ciò non faceva altro che terrorizzarla. Audrey era
sempre stata brava
a difendersi, racchiusa nella sua impenetrabile corazza, soprattutto
perché
nessuno aveva mai provato ad avvicinarsi tanto a lei, la cinica ragazza
menefreghista che aveva perso la madre ed il fratello maggiore.
“Cosa
hai detto?”, chiese in replica quando finalmente
riuscì a ritrovare la capacità
di proferir parola.
Harry
sorrise, nonostante si stesse mentalmente maledicendo per non aver
riflettuto
per neppure un istante su quella decisione. Se ne avesse avuto la
possibilità,
sarebbe tornato indietro nel tempo ed avrebbe assolutamente evitato
quella
patetica ed imbarazzante scenetta che al momento lo vedeva tra i
protagonisti.
“Io
volevo solo…”, balbettò, ma il tono
deciso ed autoritario di Audrey lo
costrinse a fermarsi.
“Io
non esco con nessuno, quantomeno con i ragazzini che adottano le stesse
tattiche con tutte le ragazze”, sbottò quasi
rabbiosa, alludendo chiaramente a
quando, mesi prima, aveva trovato Harry che spiava Margaret dalla
finestra.
Audrey
non ne era gelosa, aveva solo cercato il primo appiglio a cui potersi
aggrappare per respingerlo. La verità, invece, era che aveva
paura, una fottuta
paura di non essere all’altezza, di non essere capace di
amare, di pensare a
qualcuno, un ragazzo, in maniera totalizzante.
“Io
non volevo offenderti. È solo che in queste cose non sono
molto bravo e credo
che tu mi piaccia davvero”, ammise con il viso piegato in una
timida smorfia.
Il
cuore di Audrey perse un battito, la sigaretta le cadde dalle mani. Gli
occhi
verdi e sinceri di Harry erano puntati nei suoi, tanto da riuscire a
destabilizzarla, provocandole una certa sensazione di disagio dovuta
essenzialmente all’intensità dello sguardo. Due
fossette appena scavate
incorniciavano le labbra sottili del riccio, mentre i suoi capelli
ricoprivano
in parte la fronte. Harry era troppo per una come lei, Harry era troppo
per
Audrey. Harry significava serietà, sentimento,
sincerità, sorriso. Significava
aprirsi a qualcuno, fidarsi, legarsi ed Audrey aveva troppa paura per
concedersi un simile rischio. Sapeva cosa significasse perdere una
persona
cara, forse era per quel motivo che teneva tutti lontani, che si
ostinava a
mostrarsi tanto indifferente al resto del mondo. In pochi istanti fece
la sua
scelta. Con un repentino scatto corse in direzione della porta, poi la
varcò
con sicurezza, non concedendosi neppure un ultimo sguardo ad Harry.
Era
scappata via, fuggita.
“Non
puoi esserti scolata due bottiglie a colazione”, la voce
disgustata di Charlie
era un chiaro rimprovero all’assurdo e poco razionale
comportamento di
Margaret.
L’altra
fece spallucce, non curandosi neppure di rispondere, mentre procedeva a
passo
deciso lungo il corridoio.
“Ti
farà male, rischi di esagerare”, la
ammonì la bionda, cercando di metterla in
guardia da eventuali spiacevoli conseguenze.
Non
sapeva fino a che punto Margaret fosse disposta a spingersi, in
realtà
Charlotte non conosceva neppure il motivo che l’aveva portata
ad iniziare, ma
aveva visto le sue precarie condizioni a casa di Zayn. Margaret aveva
preferito
non raccontare a nessuno dei problemi che attanagliavano la sua
famiglia e non
solo perché era stato l’avvocato che suo padre
aveva ingaggiato ad ordinarglielo.
Semplicemente si vergognava di tutta quella situazione, non voleva
ammettere
neppure a se stessa gli errori commessi da suo padre. Lo aveva sempre
stimato
per il suo lavoro, per il modo in cui era riuscito ad affermarsi e far
carriera
all’interno di una società tanto spietata,
ambiziosa ed arrivista. Invece, ora
aveva la sensazione di non conoscere affatto l’uomo a cui per
anni aveva
affibbiato l’appellativo papà.
“Smettila
di bere”, le ordinò infine Charlie, ridestando
Margaret dal fiume di pensieri
che l’aveva sommersa in quei pochi secondi.
“Non
è così grave, l’ho fatto solo da
Zayn”, ribatté allora.
Charlie
scosse il capo, fermandosi a pochi metri dall’ingresso
dell’aula dove si
sarebbe tenuta la sua prossima lezione.
“So
che lo fai spesso, il tuo alito puzza alle nove del mattino esattamente
come
alle cinque del pomeriggio”, sentenziò decisa a
non cedere alle piccole bugie
dell’amica.
Margaret
storse il labbro, quasi innervosita dalla veridicità di cui
sapeva quelle
parole fossero ricolme.
“Va
bene”, concesse senza troppa convinzione.
Charlie,
tuttavia, per il momento fu costretta ad accontentarsi di quelle due
parole
quasi sbuffate, pronunciate con tono esasperato, a causa
dell’interruzione
provocata dal fastidioso suono della campanella.
“Bree,
vola qui!”, la prese in giro un ragazzo alto e nerboruto,
mentre giocherellava
con l’agenda della ragazza, sventolandola alta in aria,
così da renderle
impossibile recuperarla.
Bree
puntò gli occhi ridotti a due piccole fessure sui tre
ragazzi che si erano disposti
a triangolo intono a lei.
“Vieni
a prenderla, se ci tieni tanto”, esclamò sornione
un altro, afferrando l’agenda
che il primo gli aveva appena lanciato con mira magistrale.
La
rossa si fermò al centro, respirando lentamente per
recuperare fiato nel tentativo
di regolarizzare il battito accelerato e frenetico del suo cuore.
“Dai,
Luke, leggi cosa c’è scritto”, lo
incitò uno, sghignazzando sguaiatamente.
Questo
non se lo fece ripetere due volte e, sorridendo, fece scorrere il dito
tra
l’elastico e la copertina, per poi liberarla da quella specie
di sigillo.
“Smettetela”,
si lamentò Bree, accorrendo in direzione del ragazzo che
teneva la sua agendina
tra le mani.
Voleva
assolutamente riprenderla, desiderava che tutta quella umiliante
situazione
terminasse all’istante. Si fiondò letteralmente su
Luke, ma lui fu molto più
veloce di lei nel passare l’agenda al ragazzo rossiccio alla
sua destra, Roger.
Bree
li odiava, li odiava profondamente. Luke, Roger e Tom erano sempre
lì, pronti a
giocarle uno scherzetto davvero poco piacevole senza mai preoccuparsi
di come
lei potesse reagire a quelle loro invadenti iniziative. Una volta aveva
provato
a spiegar loro quanto mortificante fosse per Bree essere trattata in
quel modo,
ma quei ragazzi le avevano semplicemente riso in faccia, incapaci di
comprenderla.
“Audrey
di qui, Audrey di lì: praticamente passate ogni attimo
insieme”, la prese in
giro Roger, sfogliando distrattamente le pagine dove erano appuntate
tutte le
attività di Bree.
Era
stata la sua analista a consegnarle di fare ordine nella sua vita, di
cercare di
mantenere ogni cosa sotto il suo controllo, per evitare di essere
travolta dal
caos. Un'altra fragorosa risata fece socchiudere gli occhi di Bree,
avvilita e
scoraggiata.
“E
non dimentichiamoci della signora A, che poi tutti sappiamo che
è quella dove
vai per farti curare”, continuò Tom, deridendola,
mentre sulle labbra del
ragazzo si disegnava un’espressione vittoriosa.
Le
prime volte Bree aveva pianto, sfogando così tutta la
frustrazione accumulata,
la rabbia repressa e l’impossibilità di
contrastare quei tre ragazzi. Con il
tempo, tuttavia, aveva imparato a trattenere le lacrime. Vederli ancora
la
rendeva estremamente fragile e vulnerabile, ma almeno ora poteva
contare su una
reazione pressoché minima. Era lì, ferma al
centro, che si voltava seguendo il
passaggio dell’agenda che avveniva tra i tre, i quali ne
leggevano qualche
pagina solo per utilizzarla come arma contro di lei.
“Louis,
Liam, da quando hai così tante conoscenze?”, la
provocò Tom, ghignando scettico.
Bree
sospirò sommessamente, spostando lo sguardo di lato nel
tentativo di
concentrare altrove la sua attenzione e fu proprio in
quell’istante che notò la
presenza di Liam, fermo nei pressi del muretto, circondato da un
gruppetto di
appena un cinque persone. Lo sguardo del castano era puntato in
direzione di
Bree, tanto che lei si chiese da quanto tempo li stesse già
osservando. Bree
percepì un crescente imbarazzo montare in lei
all’idea che lui l’avesse vista
in simili condizioni, mentre si sbracciava o veniva derisa da un gruppo
di tre
ragazzini vigliacchi e codardi. Era una cosa che Bree, solitamente,
teneva per
sé, evitando di raccontarla persino ad Audrey. Detestava il
fatto che altri
potessero sapere del modo in cui quei tre si divertivano a scherzare
con lei,
era deprimente e degradante. Diffondere quell’informazione
sarebbe stato
esattamente come ammettere le sue debolezze, la sua
incapacità di difendersi e
Bree non era assolutamente pronta a ciò.
“Ma
guardate!”, la richiamò ironico Luke, per attirare
la sua attenzione. “Spera
che lui intervenga!”, bofonchiò ridendo poco dopo.
Bree
abbassò il capo, conficcando forte i denti nel labbro
inferiore. No, sapeva che
Liam non sarebbe venuto, l’aveva letto nei suoi occhi, sul
suo viso. Liam non
si sarebbe mai esposto tanto solo per quella che si poteva considerare
una
nuova ed inutile conoscenza. Lui progettava, pianificava e nei suoi
programmi
non c’era spazio per Bree, non ce n’era mai stato.
Le volte in cui si erano
parlati, erano state del tutto casuali e Liam non sapeva neppure
spiegarsi il
perché di quegli accaduti.
Per
qualche attimo aveva preso in seria considerazione l’idea di
piombare da quei
tre tipi e intimorirli con qualche frase ad effetto ed uno sguardo
truce, ma
poi era stato costretto a ripensarci. Bree continuava a dimenarsi dal
primo al
secondo, poi al terzo per riprendere il circolo vizioso. Era
lì, piccola ed
indifesa, con il broncio sulle labbra ed un’espressione
affranta che aspettava
che quei ragazzi la smettessero di giocare con lei e la sua agenda. Il
cuore di
Liam si strinse in una dolorosa morsa. Bree non aveva esitato neppure
un
istante prima di avvicinarsi a lui quando era solo, Liam, invece, aveva
preferito ignorarla bellamente nel momento del bisogno.
“Ho
deciso”, affermò con aria sicura Zayn, sedendosi
sul muretto del piccolo
cortile durante la pausa lunga della giornata.
Louis
lo guardò interrogativo, corrugando la fronte, mentre lo
affiancava.
“Parlerò
con quei tizi. Questa storia non può continuare”,
decretò con gli occhi puntati
su un qualcosa di impreciso davanti a lui.
Louis
trattenne il fiato a quelle parole. Non aveva ancora ben chiari i
progetti di
Zayn, ma se le sue intuizioni erano esatte, allora non c’era
nulla per cui
essere tranquilli.
“Che
intendi?”, chiese con un filo di voce, quasi temendo
un’eventuale risposta.
Zayn
annuì poco convinto. Era sicuro di ciò che stava
per fare, non lo era, invece,
delle ripercussioni che ci sarebbero state.
“Voglio
dire a quegli stronzi che mi hanno già incasinato troppo la
vita e che io non
voglio far parte della loro merda”, borbottò
stringendo forte la mano destra in
un pugno all’altezza della coscia.
Zayn
non aveva la più pallida idea di cosa si celasse dietro
quell’uomo che
puntualmente incontrava. Una volta aveva visto una donna, certo, ma non
poteva
certo giudicare da appena qualche membro le proporzioni e la grandezza
del
gruppo. Non sapeva chi lo comandasse, né quanti ne fossero e
neppure poteva
immaginare quale fosse il trattamento riservato a chi, come lui, aveva
intenzione
di abbandonare definitivamente il giro.
“E
loro cosa diranno?”, domandò Louis.
Zayn
era l’unica persona che da sempre gli era rimasta accanto,
era in un certo
senso quasi la sua famiglia, un punto di riferimento, colui a cui
sapeva di
potersi rivolgere in ogni momento per qualsiasi motivo. Pensare di
poterlo
perdere era la prospettiva che più lo terrorizzava. Louis
non poteva
permettersi di perdere l’unica persona che gli era rimasta,
quella che davvero
lo accettava e lo amava per ciò che era.
“Non
lo so”, sussurrò sommessamente il moro, con un
sospiro rassegnato.
Millie
quasi correva per i corridoi, decisamente in ritardo per la lezione che
era
ormai iniziata da qualche minuto. Teneva i libri stretti al petto e la
borsa
sulla spalla destra, mentre con la testa bassa procedeva sicura nella
sua
direzione. Neppure aveva notato la presenza di un ragazzo che veniva
proprio
verso di lei. In un attimo la sua spalla si scontrò
bruscamente con quella di
un biondo, tanto che Millie d’istinto liberò i
libri dalla presa, facendoli
cadere a terra.
“Ahi”,
si lamentò massaggiandosi il punto indolenzito.
“Scusa,
non ti ho vista”, si giustificò lui, affrettandosi
a prendere quei pochi volumi
sparsi sul pavimento.
“Niall”,
constatò sorpresa Millie quando i loro occhi si incrociarono.
“Millie”,
replicò allora il biondo, porgendole la piccola pila che
teneva tra le mani.
Millie
sorrise appena, riconoscente per quel gesto. C’era del
palpabile imbarazzo tra
di loro. Lo si leggeva dagli occhi di Millie fermi sul viso di Niall,
alla
ricerca di un qualcosa da dire, dalle sue mani tremanti nascoste tra i
libri,
dall’espressione incerta del ragazzo e dal silenzio che era
stranamente
piombato in quell’istante.
“Grazie”,
quasi balbettò Millie, cercando di camuffare il suo
momentaneo disagio.
Niall
le sorrise semplicemente, non ritenendo opportuno aggiungere altro.
Quell’incontro, per lui, poteva anche terminare
all’istante. Non sarebbe stato
in grado di sostenere una conversazione con Millie esattamente come
avrebbe
fatto mesi prima. Erano cambiati, lo erano entrambi e lo erano troppo.
“Ah”,
lo richiamò Millie, mentre lui già stava per
superarla. “Ho saputo di te e
Charlie, sono contenta per voi”, affermò con un
sorriso sincero, lo stesso che
Niall non vedeva da troppo tempo ormai.
---
Angolo Autrice
Buonasera a tutti!:D Okay, stavolta ci ho messo un po' di più, ma ecco il nuovo capitolo! :D
Partiamo da Audrey e scopriamo come lei, invece di accettare l'invito di Harry, scappa via.
Quella ragazza è davvero incorreggibile!!!-.-"
Anyway, altre cose interessanti (?) sono la reazione di Liam alla piccola "disavventura" di Bree,
Millie che pare essere stranamente amichevole con Niall e Margaret che sembra sempre più assente.
Non sottovaluterei affatto la chiacchierata tra Louis e Zayn, ma non dico nulla in proposito!;)
Okay, stasera sono piuttosto di poche parole, quindi niente, volevo solo ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce.
E poi ci tenevo a ricordare che se vi va di lasciare un commento o un suggerimento, sarei ben lieta di leggerlo!:D
Alla prossima!;)
Astrea_
|
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Capitolo 23 *** Zayn ***
g
ZAYN
Zayn
immise con decisione la chiave
all'interno del quadro della sua auto. Il cielo notturno era tetro e
buio,
coperto da una spessa coltre di nubi che oscurava persino la visione
della
luna. L'aria tagliente penetrava all'interno dell'abitacolo,
costringendolo a
rabbrividire per il freddo. Aveva fatto in tempo a prendere soltanto la
sua
giacca di pelle, ormai decisamente insufficiente a tenerlo caldo. Il
cellulare
gli era squillato all'improvviso, mentre guardava con poca attenzione
un film
trasmesso in televisione, seduto sul grande divano della sala,
circondato dalla
sua famiglia. Sua madre si era preoccupata a causa dell'ora tarda di
quella
inaspettata telefonata, seguita dalla notizia di un'imminente uscita di
Zayn.
Le aveva detto che doveva raggiungere Louis, ma in realtà la
sua metà era
un'altra. Quella sera tutto avrebbe avuto fine, ne era certo. Si era
sempre
dato del codardo per il silenzio con il quale aveva reagito a
quell'intera
situazione, ma in quel momento Zayn quasi si sentiva orgoglioso di se
stesso e
delle sue scelte. Non avrebbe potuto continuare ad ignorare le
conseguenze
delle sue azioni, non ora che ne aveva visto i risvolti da vicino.
L'immagine di Millie dormiente sul letto di
una delle camere di casa Malik era ancora troppo nitida nella sua mente.
L'avrebbe riscattata e, soprattutto, avrebbe
riscattato se stesso e suo fratello.
Louis aveva seguito Margaret per tutta la
sera. Già prima di cena, aveva preso in prestito l'auto
della madre ed aveva
guidato fino a raggiungere l'abitazione della ragazza. Aveva
parcheggiato pochi
metri prima della porta d'ingresso e si era accucciato sul sedile, in
attesa
che succedesse qualcosa. Non sapeva neppure cosa aspettarsi. Da un lato
desiderava che non succedesse nulla, in quel caso avrebbe avuto la
certezza che
Margaret fosse al sicuro in casa e non in giro come ultimamente
accadeva.
Dall'altro, invece, desiderava vederla e poter parlare con lei. Louis
aveva
sussultato quando aveva visto la ragazza allontanarsi con passo
furtivo, mentre
continuava a guardarsi intorno con fare circospetto. Louis era sceso
dall'auto
e si era incamminato dietro di lei, stando attento a mantenere una
debita
distanza. Margaret si era spostata di due o tre isolati, poi era
entrata in un
piccolo pub che si affacciava sul lato destro di una stradina stretta e
poco
illuminata. Louis aveva sbuffato, stringendosi nel suo cappotto per
contrastare
l'aria gelida che lo avvolgeva. Aveva indugiato per interminabili
minuti prima
di decidersi definitivamente ad entrare. Avrebbe aspettato qualche
minuto, il
necessario per far apparire casuale quell'incontro, e poi finalmente
avrebbe
avuto l'opportunità di parlare con Margaret.
Quando aprì la porta del piccolo e angusto
locale, fu colpito da un forte odore di tabacco e whisky che lo indusse
ad
arricciare il naso. I suoi occhi vagarono velocemente sulla sala, fino
ad
incontrare la figura di Margaret. Era di spalle, seduta su uno
sgabello, teneva
i gomiti poggiati al bancone e la testa china in direzione della
superficie di
legno scuro. Prima di raggiungerla, volse uno sguardo di
perlustrazione. A
Louis quel posto non piaceva per nulla. In un angolo c'era un gruppetto
di
giovani uomini
che giocavano a carte, probabilmente poker
visto la quantità di gettoni presenti sul tavolo e le loro
facce intimidatorie.
Dall'altro lato, invece, una combriccola di studenti beveva delle
birre,
ridendo tanto sguaiatamente da risultare irritanti. Scosse il capo,
come a
voler cacciare via tutte quelle osservazioni dalla sua testa, e si
avviò in
direzione di Margaret.
"Ciao!", esordì Louis con voce
gioviale, sorridendole amichevolmente.
Lei alzò lentamente lo sguardo, sorpresa dal
fatto che qualcuno l'avesse appena salutata. Subito gli occhi azzurri
di Louis
incontrarono i suoi, lasciandola interdetta. Non voleva che nessuno
sapesse di
lei e dei luoghi che frequentava, soprattutto se quel qualcuno era
proprio
Louis. Aggrottò la fronte, spiazzata dalla sua presenza.
"Tu cosa ci fai qui?", gli domandò
di getto, mentre il ragazzo prendeva posto sullo sgabello accanto al
suo.
Louis fece una smorfia adocchiando
il bicchiere vuoto proprio davanti a
Margaret, ma in quell'istante
preferì ignorare quel dettaglio.
"Ero in giro e ho trovato questo
posto", mentì provando a sorriderle affabilmente. "Tu ci
vieni
spesso?", chiese pochi istanti dopo, curioso e allo stesso tempo
bisognoso
di chiarire le attuali condizioni della ragazza.
Margaret fece spallucce, mentre con la mano
destra iniziava a giocherellare distrattamente con il bicchiere.
"Solo nell'ultima settimana", ammise
sincera. "Un altro", ordinò, poi, al barista con una veloce
occhiata
al bicchiere ormai vuoto.
"E perché?", riprese Louis,
inchiodando il suo sguardo sul volto di Margaret per studiarne le
espressioni.
Appena qualche mese prima avrebbe approfittato
dell'occasione, non avrebbe atteso neppure un attimo prima di ordinare
qualcosa
da bere con cui ravvivare la serata, in attesa di riuscire a procurarsi
qualche
droga. Eppure Louis quella sera non aveva fatto nulla di tutto
ciò. Si era
seduto a quel bancone e aveva pensato al suo unico obiettivo: parlare
con
Margaret, capirla, magari aiutarla. Nei suoi sorrisi forzati Louis
aveva
rivisto i suoi. Nel suo entusiasmo, nella voglia di contagiare gli
altri, lui
riusciva a rintracciare se stesso.
"Non mi piace stare in casa
ultimamente", confessò Margaret con un'espressione assorta,
quasi persa in
chissà quali pensieri o ricordi.
Louis avrebbe voluto porgerle altre domande,
ma sapeva che così facendo l'avrebbe intimidita al punto da
farla innervosire.
"Una volta mi è capitata la stessa cosa",
quasi sussurrò ancor prima di rendersi consapevole delle sue
parole.
Margaret puntò immediatamente i suoi occhi in
quelli azzurri del ragazzo, come se attendesse ansiosa che continuasse.
Louis sospirò ripensando a quel particolare
momento della sua vita.
"Sai quando ho smesso di scappare?",
domandò con tono retorico, mentre un amaro sorriso piegava
le sue labbra.
Margaret scosse il capo in segno di diniego.
"Quando ho capito che facevo del male
anche a chi era rimasto", spiegò con un filo di voce.
Louis ancora ricordava quella volta in cui
dopo sere di immotivati rifiuti, finalmente si era deciso a cenare
nuovamente
con sua madre. Lei lo aveva abbracciato e le aveva ribadito il suo
amore tante
di quelle volte che Louis ne aveva perso il conto.
Zayn parcheggiò la sua auto nel punto esatto
che gli era stato indicato. Non c'era nessuno nei paraggi, quasi
riteneva
persino inutile controllare. Era lui l'ultimo acquisto del gruppo,
colui che
doveva arrivare sempre in anticipo, prima di tutti gli altri ed
aspettare anche
ore, se necessario. Ma a Zayn non importava di quanto tempo avrebbe
dovuto attendere
prima di poter parlare con chissà quale illustre
personalità, lo avrebbe fatto.
Avrebbe trascorso anche giorni nella sua auto solo per tentare di
tirarsi fuori
da quel giro che pareva volerlo risucchiare ed in parte lo aveva
già fatto.
Spense il motore, poi incrociò le braccia al petto, mentre
la sua mente già
vagava alla ricerca delle parole che avrebbe potuto inserire nel breve
discorso
che di lì a poco avrebbe dovuto sostenere.
"Non so cosa pensare", la voce
stanca di Audrey trasmessa dal telefono giunse all'orecchio di Bree
decisamente
troppo poco partecipativa.
La rossa si sdraiò sul letto, poi afferrò un
cuscino azzurro con cui iniziò a giocherellare.
"Potresti anche esprimere la tua
opinione", borbottò allora, con una piccola smorfia che le
increspava le
labbra.
Audrey sbuffò sommessamente, sfogliando
distrattamente il raccoglitore di cd tra le mani. Non era di certo lei
la
persona adatta a dare consigli ed ascoltare gli interminabili sfoghi
dell'amica. Aveva attentamente seguito il dettagliato resoconto di Bree
riguardo al discutibile comportamento di Liam, non del tutto sorpresa.
Aveva
sempre diffidato di lui e dei suoi simili, gente come Millie, ragazzi
viziati,
altezzosi e prepotenti che avanzavano stupide pretese su tutto e tutti.
"É Liam", bofonchiò come se quella
constatazione bastasse a giustificare l'indifferenza che il ragazzo
aveva
dimostrato nei confronti di Bree.
La rossa storse il labbro, per nulla
soddisfatta da quelle parole.
"E allora?", domandò leggermente
irritata.
"Allora non puoi aspettarti granché da
uno come lui", chiarì, chiudendo con un gesto deciso il
porta cd, senza
averne in realtà scelto uno.
Bree incrociò svogliatamente le dita intorno
al filo del telefono. Proprio non riusciva a capire come Audrey potesse
sorvolare con tanta facilità sugli eventi, curandosene
minimamente. Per lei una
faccenda del genere era da accantonare all'istante, ormai se ne era
già
discusso troppo per i suoi gusti. Bree, al contrario, sentiva il
bisogno di
riflettere, di cercare e trovare una motivazione che potesse spiegare
gli
avvenimenti, non accontentandosi delle etichette o delle apparenze.
"Audrey, non puoi giudicarlo solo per il
suo nome", sottolineò con tono burbero, quasi volesse
rimproverarla per i
suoi modi sbrigativi.
Tante persone avanzavano giudizi sul suo
conto, credendo di conoscerla solo per quella sequenza di lettere che
la
identificava all'anagrafe, ma pochi erano quelli che davvero potevano
vantarsi
di sapere chi Bree fosse, di comprendere i suoi sguardi, la sua aria
spensierata
e la sua voce allegra. Non voleva commettere proprio lei lo stesso
errore che
attribuiva a tutti coloro che la criticavano con un sorriso beffardo in
volto.
"Forse non mi ha vista", provò a
dire con un filo di voce, mentendo a se stessa.
Era certa del fatto che Liam l'avesse notata,
quello sguardo ne era stato una prova inconfutabile. Tuttavia Bree
preferiva
creare un'alternativa, concedersi un'eventualità che non la
deludesse quanto la
realtà stava facendo.
"Ne sei sicura?", chiese Audrey con
tono scettico, non avendo creduto per neppure un attimo a quella frase.
"No", ammise con un sussurro,
declinando il capo di lato.
Poteva mentire agli altri, ma non a se stessa.
Liam l'aveva guardata e l'aveva ignorata. Non era intervenuto, non
aveva
neppure provato ad aiutarla o a parlarle. Audrey aveva ragione, aveva
sempre
avuto ragione. Non doveva fidarsi, non con tanta semplicità,
non di un ragazzo.
Non poteva fidarsi solo perché lui in qualche occasione era
stato gentile nei
suoi confronti.
Zayn drizzò la schiena all'istante, non appena
sentì il rombo di un auto in lontananza e due fari accecanti
farsi sempre più
grandi e luminosi. Erano arrivati, ormai ne aveva la certezza. Aveva
atteso per
oltre un'ora che quel momento arrivasse, ma ora poteva sentire i
muscoli contrarsi
e il respiro farsi sempre più faticoso. Aveva paura, aveva
una fottuta paura.
Non sapeva chi avrebbe incontrato, in quanti sarebbero stati, cosa
avrebbero
detto. Non aveva mai contraddetto ad un loro ordine, aveva sempre
eseguito con
rassegnazione tutti i compiti che gli erano stati assegnati, senza fare
domande. Zayn aveva accettato per suo fratello, perché aveva
temuto per lui,
perché aveva pensato di essere abbastanza grande e maturo da
poterlo difendere.
Non voleva che il passato potesse travolgerlo nuovamente. Jamal aveva
combattuto per uscire da quel giro, aveva stretto forte i denti e non
si era
guardato indietro neppure una volta, neppure per assicurarsi che Zayn
stesse
bene. Lo odiava per questo, lo odiava per essersi liberato dei suoi
problemi e
per averli fatti ricadere interamente su di lui, ma lo ammirava per la
tenacia
e la determinazione con la quale era riuscito ad evadere da quel miserevole
mondo. Deglutì lentamente, poi portò la mano
sinistra
sulla maniglia della portiera.
L'auto si era fermata ad appena qualche metro
da lui. Doveva scendere, era giunto il momento.
"Stasera si congela", si lamentò
Niall, avvolgendo Charlotte in un abbraccio. "Avremmo fatto meglio a
restare a casa e guardare un film", aggiunse con tono scherzoso, prima
di
lasciarle un bacio tra i capelli chiari e sottili.
Erano seduti su una panchina del parco, non
lontano dal sentiero di breccia che segnava la strada principale. Il
cielo
scuro era illuminato dalla fioca luce emanata da appena qualche
lampione. Delle
folate di vento gelido rendevano il freddo ancor più
tagliente, tanto che il
respiro di Charlie e Niall veniva evidenziato dall'emissione di piccoli
flussi
di aria condensata dalle loro bocche schiuse.
"Torniamo a casa?", propose Charlie,
sfregando il naso contro la calda sciarpa che avvolgeva il collo di
Niall.
Il biondo avrebbe di certo voluto prolungare
l'uscita, ma la temperatura avversa glielo impediva. Percepiva
distintamente il
corpo di Charlie fremere, quasi tremare. Aveva la pelle del viso
leggermente
più chiara del solito, le labbra secche ed il naso
arrossato. Annuì appena,
sfregando una mano lungo la schiena della ragazza, nel tentativo di
riscaldarla.
Charlie non l'avrebbe mai ammesso apertamente
a causa del suo eccessivo orgoglio femminile, ma non avrebbe resistito
ancora a
lungo al freddo.
"Andiamo", asserì Niall, accingendosi
ad alzarsi. "Vuoi la mia sciarpa di lana? É abbastanza larga
da coprirti
interamente le spalle", si offrì con un sorriso sulle labbra.
Charlie scosse il capo in un convinto gesto di
diniego, decisa a non voler accettare alcunché.
"No, grazie. Sto bene", decretò con
voce ferma e sguardo impenetrabile, ma appena un istante dopo
sussultò
istintivamente a causa di una nuova gettata di vento.
Niall sogghignò, sforzandosi di trattenere una
risata.
"Non devi rifiutare solo perché io sono
un ragazzo e tu una ragazza", chiarì lui, passando un
braccio intorno alla
vita di Charlie, mentre si incamminavano verso l'uscita.
Lei aggrottò la fronte, i lineamenti del suo
volto erano piegati in un cipiglio di disappunto.
"Sto bene, non sono mai stata meglio",
mentì cercando di ignorare la sensazione di freddo che le
avvolgeva il corpo.
"Neppure sotto un caldo piumone?",
scherzò Niall, avendo intuito quanto poco veritiera fosse
stata la sua risposta.
"Sai perché ti ho offerto la sciarpa?", domandò
poi retorico.
Charlie lo guardò titubante, leggermente
confusa da quelle parole.
"Ero certo che avresti rifiutato",
ammise con un ghigno beffardo. "Non me ne sarei mai separato con questo
tempo", confessò sorridendole con aria fintamente ingenua.
Charlie sgranò gli occhi, mentre piegava il
viso in un'espressione indignata ed incredula allo stesso tempo.
"Brutto presuntuoso", borbottò a
labbra serrate, ma la sua voce fu sovrastata dal suono cristallino
dell'allegra
e spensierata risata di Niall.
"Dai, ora ti accompagno", esordì
poi, prima di lasciare un tenero bacio sulle labbra imbronciate di
Charlie.
Quattro paia di occhi erano puntati su di lui,
tenendo sotto controllo ogni suo minimo movimento. Zayn era al centro,
circondato, come se avessero voluto prevenire ogni eventuale tentativo
di fuga.
Ma Zayn non sarebbe scappato, non quella sera in cui avrebbe finalmente
fronteggiato i suoi problemi.
"Cosa vuoi?", una voce proveniente
dalla sua destra attirò la sua attenzione.
La conosceva, conosceva persino il volto di
colui che aveva parlato. Era un uomo che aveva già
incontrato almeno altre sei
volte. Aveva una corporatura robusta, dei muscoli particolarmente
accentuati. I
suoi occhi erano coperti da occhiali da vista neri, dello stesso colore
della
larga felpa che indossava.
"Ho pagato i debiti di mio
fratello", disse atono, nel tentativo di non far trasparire alcuna
emozione dal suo tono di voce.
"E allora?", questa volta fu l'uomo
alla sua sinistra a prendere parola.
Era basso e tozzo, ma ugualmente nerboruto. Il
suo capo era ricoperto da un cappellino giallo di lana.
Zayn prese un lungo respiro, esitando sulla
risposta.
"Pensavo, dunque, di poter
smettere", disse infine, con gli occhi puntati su quelli dell'uomo che
gli
aveva posto la domanda.
Vide i tre uomini sogghignare e, dal suono che
proveniva dalla sue spalle, poté immaginare chiaramente che
anche il quarto
avesse avuto la stessa reazione.
"Non sei tu a decidere. Nessuno di noi
può farlo", sentenziò il tipo snello ed alto che
gli stava di fronte.
Zayn trattenne il fiato per istanti
interminabili. Aveva sperato di non dover udire quelle parole, ma
evidentemente
le sue preghiere non erano state ascoltate. Era solo, mentre loro erano
in
quattro. In più, poteva scorgere altri uomini all'interno
delle due auto che
erano successivamente arrivate. Se avessero voluto, non lo avrebbero
lasciato
andar via vivo.
"Con chi devo parlare?", chiese
allora, deglutendo sommessamente.
Non ci fu risposta, solo un accenno a
voltarsi. Chiunque fosse, era esattamente alle spalle di Zayn.
"Che ci fai qui?", la voce di Liam
quasi intimidì ancora di più Harry.
Alla fine il riccio aveva ceduto, non era
riuscito a rimanere sulla sua posizione. Era stato Liam a sbagliare,
era lui a
dover chiedere scusa, eppure Harry era andato da lui. Aveva tralasciato
la rabbia, il
rancore, l'orgoglio ed i principi
e si era recato a casa Payne. Era come se quel rifiuto ricevuto da
Audrey fosse
stata la prova, l'ennesima conferma che lui da solo non era in grado di
riuscire in nulla. Non avrebbe mai potuto avere successo in qualcosa,
se non
con l'aiuto e l'appoggio di Liam. Ed Harry si sentiva terribilmente
debole ed
umiliato per questo, ma sapeva che la sua unica speranza era riposta in
Liam.
Era tutto per lui, era il suo intero mondo, il suo futuro.
"Facciamo pace?", suggerì
ingenuamente, con un sorriso imbarazzato sul viso scavato da due lievi
fossette
all'altezza delle guance.
Liam ricambiò, porgendogli la mano destra che
prontamente Harry afferrò.
Per Liam, quella era un'occasione d'oro. Lui
era ben consapevole degli errori che aveva commesso e mai avrebbe
immaginato di
poter risolvere la situazione con tanta facilità in tempi
tanto brevi. Non
aveva mai neppure preso in considerazione l'idea di rinunciare ad
Harry, il suo
unico e vero amico. Quelle sere, quelle in cui nera rimasto solo, Liam
aveva
capito una grande e dolorosa verità. Tutti erano bravi a
dichiararsi amici
quando c'era da divertirsi o da partecipare a qualche evento esclusivo,
ma erano
pochi quelli disposti a rimanere nel momento del bisogno, a fornire il
proprio
supporto in un periodo di difficoltà. Harry, per Liam, era
il solo su cui
avrebbe sempre potuto contare.
"Amici?", domandò con voce tremante
il riccio, ancora con la mano stretta attorno a quella di Liam.
"Amici", confermò l'altro, prima di
abbracciarlo calorosamente.
"Non credo di poterti accontentare",
il tono derisorio dell'uomo fece rabbrividire Zayn.
"Ho portato a termine il mio compito, non
ho altro da fare qui", ribatté il moro, mascherando la
tensione con
un'espressione pacata.
Mostrarsi debole gli si sarebbe rivolto contro.
Doveva mantenere la calma e far valere la sua volontà.
"Sai cosa succede ai ragazzi
impertinenti, Zayn Malik?", domandò ironico l'uomo con un
ghigno maligno.
Aveva sottolineato il nome ed il cognome del
moro con un preciso intento, quello di intimorirlo maggiormente.
"Quanto sei disposto a perdere per la tua
libertà?", continuò poco dopo, avvicinandosi
pericolosamente a Zayn.
Lui non indietreggiò, nonostante il suo
istinto gli avesse suggerito di farlo. Voleva guardarlo a testa alta,
senza provare
paura, senza temere una ritorsione.
"Tutto", ammise di getto. "Sono
disposto a tutto", ripeté più sicuro di prima.
L'uomo annuì ai suoi colleghi, prima di
sorridere beffardo a Zayn.
"Noi non siamo cattivi", decretò
fissando gli occhi ambrati del moro con un'intensità
spaventosa e
raccapricciante, poi si voltò ed andò via.
Zayn non ebbe neppure il tempo di tirare un
sospirò di sollievo che subito l'uomo più basso
gli fu davanti.
"Dì qualcosa alla polizia e sei
morto", lo minacciò prima di piazzare un destro esattamente
alla bocca
dello stomaco del ragazzo.
Zayn strinse i denti, soffocando un gemito di
dolore. Non poteva reagire, in realtà non voleva. Se lo
avesse fatto, di certo
loro non si sarebbero risparmiati. Un altro pugno lo colpì
in pieno viso, poi
qualcosa gli fece scuotere le spalle, facendogli perdere
l’equilibrio. La
breccia dell’asfalto gli sfregava il viso in modo fastidioso.
Era raggomitolato
in posizione fetale, mentre cercava di proteggere il volto con le mani.
Erano
calci, quelli che sentiva all’altezza dell’addome,
del torace e della schiena.
Lo avevano circondato. Erano in tre, lui, invece, era solo ed inerme,
che
subiva in silenzio quella specie di punizione a cui non sapeva dare una
vera e
propria spiegazione.
Tutto intorno a lui era buio, ancor più scuro
del cielo tetro di quella notte. Riusciva solo a distinguere una
piccola, ma
vivida macchia rossa del suo sangue che spiccava dalla pelle pallida
del palmo
della mano.
"Ci si vede", lo salutò con vece
intimidatoria il più robusto dei tre, mentre già
si allontanavano in direzione
dell'auto.
Solo quando sentì il rombo del motore
rimbombare nel piazzale si fece scappare un gemito di dolore dalle
labbra.
Strinse forte le
braccia attorno al suo corpo, mentre traballante raggiungeva la sua
macchina.
Socchiuse gli occhi quando finalmente si lasciò cadere sul
sedile. Sapeva di
non essere in grado di guidare, né per raggiungere un
ospedale, né per tornare
a casa. Strinse forte i denti, cercando di resistere a quella
sensazione che lo
invitava ad abbandonarsi completamente. E mentre Zayn serrava la
mascella,
Millie sorrideva. Stavano sprofondando entrambi nel buio, quel buio
capace di
porre fine a tutte le sofferenze. Lei lo faceva immaginando di danzare
sulla
superficie del mare, lui, invece, riusciva solo a intravedere il volto
di suo
fratello, mentre veniva richiamato da una voce tanto familiare che,
tuttavia,
non gli sembrava di riconoscere. Un lampo di vita, uno sprazzo di
allegria, un
istante di dinamicità di cui Millie era la protagonista.
Delle immagini
sfocate, dei rumori ovattati, un cellulare da cui si percepiva il
bussare
irregolare del telefono, Zayn si malediceva per non essere vigile. E
poi una
luce, la stessa luce che aveva invaso la mente di entrambi quando si
erano
accorti di essere giunti al fondo dell'oscuro baratro in cui erano
precipitati.
Ne sarebbero usciti, forse. A fatica ne avrebbero scalato le ripidi
pareti e
con la fronte grondante di sudore avrebbero potuto nuovamente
calpestare l'erba
verde e fresca del suolo. Era solo questione di tempo.
---
Angolo Autrice
Buonasera a tutti! Allora, capitolo nuovo e questa volta ci concentriamo su Zayn.
Quello che viene narrato avviene tutto nell'arco di una serata, quasi contemporaneamente.
Spero di essere riusicta a dare l'idea e di non aver solo fatto confusione, cambiando di tanto in tanto la scena.
Dunque, succedono un po' di cosette interessanti. Per prima cosa abbiamo un'altra scena Louis/Margaret,
lui sta cercando di starle vicino, di aiutarla per quanto possibile.
Diciamo però che aiutando lei, Louis aiuta anche se stesso,
perché riesce a comprendersi meglio, come se riuscisse improvvisamente a vedersi da una prospettiva diversa.
E poi Niall e Charlie escono insieme, quasi sembrano due piccioncini senza pensieri.
Audrey e Bree sono impegnate con le confidenze e le lunghe conversazioni tra ragazze,
mentre Harry torna da Liam e i due si riappacificano.
Ovviamente personaggio focale è Zayn, che decide finalmente di fare "il grande passo".
Ho avuto diverse difficoltà nello scrivere questa parte, anche perché non sapevo bene come trattare l'argomento.
Diciamo che per ora Zayn le ha prese, ma ovviamente è una cosa piuttosto delicata e vedremo come si evolverà.
E, nel frattempo, Millie continua ad esagerare.
Detto questo, volevo ringraziare immensamente Grauen, anche se mi
dispiace non poterti annunciare nessuna scena Louis/Charlie al momento.
:/
E volevo ringraziare chi legge, segue, ricorda e preferisce! Thank you! :D
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate e lasciate consigli!;)
Alla prossima!:*
Astrea_
|
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Capitolo 24 *** Brianne ***
f
BRIANNE
Bree
aprì lentamente gli occhi ancora stanchi
e gonfi. Aveva dormito male e poco quella notte, complice la malsana
idea che
le pervadeva la mente da alcuni giorni ormai e che finalmente aveva
trovato
margine di realizzazione. Sorrise stancamente ricordando quando aveva
gettato
dalla finestra del bagno le pillole che sua madre le aveva lasciato sul
comodino la sera prima. Non le aveva prese, aveva deciso di provare a
farne a
meno, di seguire il consiglio che settimane prima Louis le aveva dato.
Voleva
essere forte, voleva riuscire a controllarsi, voleva non dover
dipendere da
nulla e da nessuno, voleva provare ad essere Bree, la vera Bree.
Si stiracchiò, facendo fuoriuscire le braccia
dallo spesso e caldo piumone che ancora le avvolgeva il corpo.
Il cellulare squillò, vibrando sulla
superficie chiara del comodino alla sua destra. Bree allungò
distrattamente il
braccio e rispose alla telefonata senza neppure leggere il nome di
colui che la
cercava.
“Sì?”, esordì con la voce
ancora annaspata dal
sonno, sbadigliando quasi.
“Bree, mio dio!”, esclamò con voce
sconvolta
Louis dall’altro capo del telefono.
La rossa si raddrizzò, richiamata dal tono
allarmato dell’amico ed attese che lui aggiungesse altro.
Bree poteva chiaramente percepire il respiro
affannato e particolarmente copioso del ragazzo.
“Sono in ospedale, cazzo, dovresti vederlo!”,
farneticò lui, ancora troppo scosso per poter dare a Bree
delle informazioni
chiare.
Lei sgranò gli occhi, iniziando seriamente a
preoccuparsi per quell’improvvisa chiamata ricevuta appena
pochi istanti dopo
il suo risveglio e che aveva tutta l’aria d’essere
tutt’altro che di cortesia.
“Cosa? Louis, sta’ calmo e spiegami tutto per
bene!”, gli ordinò con voce quanto più
decisa possibile, così da essere sicura
che lui seguisse le sue indicazioni.
Louis prese un lungo respiro, seguito da una
piccola pausa, poi finalmente si decise a spiegare ciò che
invano aveva provato
a dire precedentemente.
“Zayn è in ospedale, l’hanno pestato a
sangue
stanotte. Ha la faccia completamente livida, ancora non ha aperto gli
occhi.
Sono davvero preoccupato, i medici dicono che sta bene, ma lui non si
sveglia”,
sproloquiò con voce stridula e palesemente agitata.
”Ha quei cazzo di occhi
chiusi, cazzo!”, imprecò un istante dopo.
Bree rimase immobile per qualche istante, il
necessario per metabolizzare quella sconvolgente e preoccupante notizia
che
l’aveva appena scombussolata.
“Dove siete ora?”, domandò la ragazza
dopo
ancora qualche attimo di esitazione.
“Al St. Mary”, la voce di Louis era appena un
sussurro difficilmente percepibile.
“Arrivo”, decise istintivamente Bree.
Se Zayn stava male, se Louis aveva bisogno di
supporto lei voleva esserci. Voleva poter offrire il suo sostegno a
quelle due
persone che, nonostante le apparenza ed i loro strambi modi di fare, si
erano
rivelati essere affidabili. Louis, inoltre, l’aveva chiamata,
aveva chiamato
lei, proprio lei e Bree non poteva non soffermarsi a riflettere su quel
piccolissimo dettaglio. Forse anche lui, come lei aveva già
avuto modo di
constatare, aveva trovato in Bree un’amica.
“Dammi al massimo dieci minuti e sono
lì”,
ribadì chiudendo la chiamata mentre già schizzava
dal letto con l’intento di
prepararsi in quanto meno tempo possibile.
Audrey guardava oltre il vetro, aveva gli
occhi fermi sull’esile corpo della sorella, avvolto in un
lenzuolo bianco. Solo
il viso, stanco e provato, era lasciato in vista. Non era ancora
entrata a
parlare con lei, nonostante si fosse già svegliata quella
mattina. Aveva
preferito osservare da lontano suo padre che con aria amareggiata e
sguardo di
scuse le si era avvicinato con cautela, fino ad abbracciarla
delicatamente.
Sapeva quanto l’uomo si sentisse in colpa per ciò,
sapeva quanto assente si
fosse considerato quella notte, quando Audrey terrorizzata si era
catapultata
in camera sua informandolo dell’impossibilità di
rintracciare Millie. Lui non
si era accorto di nulla, o meglio aveva finto di non percepire quel
lento e
graduale processo che aveva condotto a quel radicale cambiamento.
“Ciao”, una voce che proveniva dalle sue
spalle la fece quasi sussultare per lo spavento.
Si voltò di scatto, per poi essere accolta da
due occhi grandi e verdi a pochi centimetri di distanza dai suoi.
Audrey fu
costretta a deglutire quasi impercettibilmente, sorpresa dalla presenza
di
Harry proprio in quel luogo.
Indurì volontariamente i lineamenti del suo
volto, quasi attraverso essi avesse voluto intimorire Harry,
dissuadendolo dal
restare.
“Cosa ci fai tu qui?”, la sua voce era quasi
un’accusa rivolta al ragazzo.
Harry fece spallucce, non curandosi del tono
che Audrey aveva utilizzato.
“Liam ha saputo tramite una ragazza e lo ha
detto a me, così ho pensato di venire”,
spiegò avanzando verso il vetro che
dava sulla stanza di Millie.
Certo, aveva accuratamente evitato di riferire
la parte in cui era stato proprio il castano a consigliarli di
raggiungere
Audrey, ma solo perché quella notte, dopo tanto, si erano
finalmente ritrovati
d’accordo sul comportamento che per entrambi Harry avrebbe
dovuto assumere in
simili circostanze.
“Grazie per essere passato, quando starà
meglio te lo farò sapere”, provò a
congedarlo Audrey rivolgendogli un
sorrisetto forzato e beffardo che aveva tutta l’aria di
volerlo deridere.
In risposta Harry non si lasciò scalfire per
neppure un istante da quel gesto. Aveva pressoché imparato a
conoscere Audrey,
le sue reazioni ed i suoi mille ed infiniti tentativi di lasciare che
nessuno
entrasse nel suo mondo, che nessuno oltrepassasse la barriera che
magistralmente
aveva costruito attorno a sé.
Con passo sicuro il riccio si avviò verso la
fila di divanetti posizionati sul lato del corridoio, ad appena qualche
metro
da loro. Poteva distintamente sentire lo sguardo perforante di Audrey
seguirlo
in ogni suo minimo spostamento, fino a quando non prese posto su uno
dei sedili
azzurri.
I suoi occhi verdi tornarono ad incrociarsi
con quelli di Audrey ed Harry si impose di dare un minimo di contegno
alla sua
immagine, provando a reggere lo sguardo di sfida che Audrey gli aveva
riservato.
“Aspetto qui”, sentenziò curvando le
labbra in
un lieve e soddisfatto sorriso che fece scavare due piccole fossette
sulle
guance.
Audrey sospirò profondamente, fintamente
irritata da quell’atteggiamento.
“Ci vorrà molto”, controbatté
incrociando le
braccia al petto, sulla difensiva.
“Non ho nulla da fare oggi”, replicò
camuffando il tono insicuro che aveva provato a prendere il sopravento.
Audrey scosse il capo, rassegnata, poi tornò a
guardare sua sorella, ancora immobile sul letto della sua stanza.
“Zayn!”, la voce stridula di Louis fece
nuovamente arricciare gli occhi del moro che li aveva appena
leggermente
socchiusi.
“Zayn!”, ripeté l’amico con
maggiore enfasi,
avendo notato i lenti movimenti del suo volto.
Ormai mancava poco, pochissimo, era solo
questione di pochi secondi e Zayn si sarebbe finalmente risvegliato
dopo quel
lungo sonno ristoratore che tanto aveva fatto preoccupare il suo amico.
“Mhm”, mugolò piegando la testa verso
sinistra, quasi cercasse di scrollare i muscoli indolenziti per
l’eccessivo
tempo di inerzia a cui il suo corpo era stato sottoposto.
“Andiamo bello, dì qualcosa”, lo
incitò Louis
sventolandogli una mano proprio sotto il naso, quasi volesse
infastidirlo.
“Zayn, ti ho fottuto la macchina”, provò
ancora Louis, sapendo perfettamente quanto il suo amico tenesse alla
sua auto.
Cercava una sua reazione, voleva una prova
evidente del fatto che Zayn stesse bene e quelle due fessure ambrate
non gli
parevano sufficienti a dimostrarlo.
“Ho detto a Liam che in caso tu dovessi morire,
tutta la tua eredità finirebbe a lui. Millie ha detto che
cambierà le sue
frequentazioni, visto che i tuoi prezzi sono troppo alti. Jamal ti
manda una
cartolina dall’università che frequenta, mentre le
tue sorelline vanno in giro
nude a scuola”, blaterò ancora nel tentativo di
far scaturire nel moro una
qualsiasi reazione che però ancora non giungeva.
Zayn arricciò leggermente il naso, ancora
palesemente frastornato da ciò che gli era capitato.
“Louis, dì solo un’altra stronzata e ti
mozzo
la lingua”, lo minacciò con ancora gli occhi
socchiusi e la voce ridotta ad un
lieve sibilo.
Louis sorrise, tirando un forte sospiro di
sollievo.
Era quello Zayn, era quello il suo migliore
amico ed ora che ne aveva la certezza, avrebbe potuto aspettare anche
secoli
prima che lui fosse nuovamente pronto a parlare.
“Sembra proprio che tu ti sia ripreso alla
svelta”, scherzò allora Bree palesando la sua
presenza.
“Ragazzi, lasciatelo riposare”,
s’intromise la
madre del moro, facendosi spazio tra Bree e Louis per potersi
avvicinare al
figlio.
“Come stai tesoro?”, chiese con la voce rotta
dal pianto.
Immediatamente suo marito le avvolse le spalle
con un caldo abbraccio, prima di puntare anch’egli
l’attenzione su suo figlio.
“Meglio”, confermò con un lieve sorriso
volto
a tranquillizzarli. “Grazie per stanotte”, aggiunse
poco dopo, ricordando
perfettamente quando l’unico numero che era riuscito a
digitare fosse proprio
quello di casa.
“Tranquillo, non preoccuparti di nulla. Quando
starai meglio ci spiegherai tutto”, lo rassicurò
il padre, sfiorandogli il
braccio con una mano, facendo tuttavia rabbrividire il moro per il
dolore.
“Sono messo tanto male?”, chiese allora
riferendosi alle sue condizioni fisiche.
Sua madre gli accarezzò la guancia, non
riuscendo a rispondere a quella domanda.
“Non tanto”, esordì Louis.
“Hai solo una
costola incrinata, una contusione al ginocchio, qualche piccola
frattura e
lividi e sbucciatore ovunque”, chiarì poco dopo
facendo spallucce.
Almeno, pensava Louis, non era morto e ciò gli
pareva già tanto, un ottimo motivo per essere felici.
“Smettila Millie, smettila con queste
puttanate”, esordì Audrey quando finalmente ebbe
trovato il coraggio per
entrare nella stanza dove da ore ormai la sorella riposava sfogliando
distrattamente una rivista di moda che su padre le aveva comprato
quella
mattina.
Mille si voltò di scatto, sorpresa di
riconoscere nella persona ferma sullo stipite della porta i lineamenti
della
sorella.
“Smettila di fumare, smettila di prendere
pasticche, smettila di fare tutto quello che fai”,
continuò Audrey avanzando in
direzione della sorella. “E non lo dico per te,
perché è ormai evidente che non
ti importi nulla di te stessa, ma almeno pensa a me, o a nostro padre e
a
quello che abbiamo già passato come famiglia”,
aggiunse ormai ad una spanna dal
letto. “Non costringerci a rivivere tutto ancora una volta.
Una può capitare,
due fa male, tre è insopportabile”, concluse
serrando forte i denti e le mani
in due pugni.
Il suo corpo fremeva, tremava alla
rievocazione di quei ricordi.
Millie abbassò lo sguardo, desolata, mentre il
silenzio si impadroniva della stanza.
“Millie!”, la voce affannata e scossa di Niall
fece sussultare entrambe le gemelle Wood.
Millie corrucciò la fronte, confusa per quanto
stava accadendo.
“Sono venuto appena ho saputo”, spiegò
Niall
fermandosi solo quando giunse al letto sul quale Millie era stesa.
“Ciao”, salutò con un filo di voce
Charlie,
ancora ferma sull’uscio.
Millie sgranò gli occhi, del tutto impreparata
alla visita di Niall accompagnato da quella che si presumeva essere la
sua
nuova ragazza.
“Si può sapere cosa diamine ti sta
prendendo?”, le domandò Niall, smorzando
l’imbarazzo che si era venuto a
creare.
Millie e Charlotte non avevano dei precedenti
che potevano essere definiti amichevoli. Al contrario erano sempre
state pronte
a screditarsi vicendevolmente, mettendo in risaluto l’una le
debolezze
dell’altra. Millie non avrebbe mai pensato di trovare proprio
lei al suo
capezzale e, allo stesso modo, Charlie non avrebbe mai immaginato di
ritrovarsi
a fare una visita di cortesia proprio a quella mora tutta rossetti e
fondotinta
che tanto poco sopportava.
“Come ti senti?”, riprese Niall, travolgendo
Millie con il suo fiume di domande e preoccupazioni.
“Ora bene, grazie”, mormorò lei
avvolgendo le
braccia intorno al suo corpo, quasi avesse improvvisamente bisogno di
calore.
“Ci hai fatto tutti preoccupare tantissimo”,
riprese Niall. “Ho sentito Louis. Lui è con Zayn,
ma è molto dispiaciuto per
quello che è successo”, aggiunse poco dopo,
ricordando la chiamata fatta per
accertarsi delle condizioni dell’amico.
Assurdo come quel giorno, quella mattina, due
delle persone che frequentava ormai quasi abitualmente si fossero
ritrovate
entrambe in ospedale, seppur per motivazioni decisamente differenti.
Millie sussultò quasi al sentire quell’ultimo
nome pronunciato dalle labbra di quello che una volta era il suo
migliore
amico.
“E come sta Zayn?”, si intromise Harry che per
tutto quel tempo era rimasto in attesa di una qualsiasi reazione da
parte di
Audrey, rimanendo però deluso.
“Un po’ ammaccato, ma bene”, lo
informò Niall
accennando ad un sorriso.
“Perché?”, domandò allora con
il fiato in gola
Millie. “Cosa gli è successo?”, chiese
saettando con lo sguardo sul volto di
tutti i presenti.
Charlie teneva la testa bassa, spiacente per
aver invogliato talmente tante volte Zayn a fare quel passo. Non si era
saputo
nulla di ufficiale sull’accaduto, ma era facile da intuire il
motivo di quel
pestaggio notturno. Zayn aveva fatto la cosa giusta, di questo
Charlotte ne era
più che convinta, ma per la prima volta si trovava a
dubitare di quelle che
erano sempre state le sue certezze. Non aveva mai posto alcun limite
all’esercizio della giustizia, non aveva mai permesso a nulla
e nessuno di
ostacolare il giusto fluire delle cose, ma ora per la prima volta si
trovava ad
interrogarsi su quanto e fino a che punto fosse disposta a rischiare.
Zayn lo
aveva fatto, aveva messo in gioco tutto, ma lei non sapeva se di fronte
all’esigenza sarebbe stata in grado di mostrarsi tanto
coraggiosa e determinata.
“L’hanno pestato stanotte”, rispose Niall
dopo
qualche secondo di titubanza.
Non voleva sconvolgerla più di quanto già non
lo fosse, mai suoi occhi spaesati necessitavano una risposta.
“E perché?”, chiese ancora.
Immaginava già la risposta a quella domanda,
ma non era capace di concepirla razionalmente.
Il silenzio che ne seguì fu per lei come una
lama all’altezza del cuore. Non era solo con lei che Zayn
voleva smettere, Zayn
voleva smettere con tutti, Millie lo sapeva e forse in
realtà lo aveva sempre
saputo.
Margaret passeggiava tranquillamente lungo il
vialetto che conduceva a casa, sobria. Non aveva toccato neppure un
goccio di
birra quel giorno, convinta di poter ancora controllare le sue azioni
senza il
bisogno di ingurgitare liquidi che tendessero a farle perdere il
controllo sul
suo raziocinio.
Svoltò l’angolo, ormai mancava davvero poco a
raggiungere la sua abitazione, quando notò l’auto
della polizia parcheggiata
proprio davanti al suo portone. Non avevano la sirena accesa,
né all’interno
dell’abitacolo c’era qualcuno. Accelerò
il passo, senza riuscire a elaborare
alcun pensiero nella sua mente. Milioni di domande la affollavano,
oscurandole
quasi la vista, mentre una strana sensazione di pizzichio le
costringeva a
serrare gli occhi.
“Cosa succede?”, la sua foce affannata ed alta
rimbombò per tutto l’ingresso proprio mentre due
uomini in divisa scortavano
suo padre verso la porta.
Lo stavano portando via, Margaret lo aveva
intuito all’istante. Lo stavano portando via con le manette
legate intorno ai
polsi ed un auto di servizio pronta a condurli chissà dove.
“Margaret, tesoro, stai calma”, immediatamente
sua madre la raggiunse, abbracciandola.
“Amore mio, risolveremo tutto, sta’
calma”,
provò a tranquillizzarla suo padre con le labbra incurvate
in un sorriso per
nulla convincente.
“Perché lo portate via,
perché?”, gridò lei,
scagliandosi d’impeto su uno degli agenti che teneva suo
padre per il braccio
sinistro.
L’uomo non rispose, ignorò completamente la
reazione sconvolta della ragazza, ormai caduta in una crisi di pianto.
“Ci dispiace signorina, ma suo padre è
colpevole di…”, provò a spiegare
l’unico uomo che non indossava la divisa,
bensì un completo nero ed una camicia bianca.
“Mio padre non è colpevole di nulla!”,
lo
difese con un urlo Margaret, interrompendo l’altro.
L’uomo lanciò una veloce occhiata a sua madre,
la quale prontamente gli porse le sue scuse da parte della figlia.
“Andrà tutto bene, risolveremo tutto”,
le
sussurrò poi in un orecchio, afferrando sua figlia per le
spalle come a volerla
trattenere dal commettere altre avventatezze che non avrebbero potuto
far altro
che aggravare la posizione del padre.
I due agenti in divisa ripresero a camminare,
oltrepassando la porta di casa, per poi giungere all’auto.
Suo padre aveva lo
sguardo chino, imbarazzato e dispiaciuto.
Ma a Margaret non importava nulla delle sue
scuse, dei suoi pentimenti. Aveva fatto delle cazzate, ora tutti loro
ne
avrebbero dovuto pagare le conseguenze.
“Andiamo dentro, amore”, provò a
suggerire sua
madre, cercando di risparmiarle quella visuale, ma i piedi di Margaret
erano
ben saldi a terra.
Le ginocchia le tremavano, sapeva che non
avrebbe retto tanto facilmente, ma voleva rimanere lì,
voleva esserci mentre
suo padre saliva sulla volante affiancato da due agenti.
Voleva vedere lo sportello dal vetro oscurato
chiudersi sotto i suoi occhi a causa di un unico e secco colpo dato
dall’uomo
dalla camicia bianca, lo stesso che poi aveva preso posto sul sedile
del
passeggero anteriore. Infine, voleva esserci quando un quarto uomo
aveva messo
in moto l’auto ed erano partiti alla volta di
chissà cosa.
Margaret aveva visto la macchina sparire oltre
la linea dell’orizzonte senza batter ciglia. Se fosse
arrivata solo qualche
minuto dopo avrebbe potuto risparmiarsi quella deplorevole scena, ma
lei non
sembrava essere molto fortunata in quell’ultimo periodo.
Sentiva le mani di sua madre stringersi sulle
sue spalle, come a volerle infondere forza, ma tutto ciò che
lei riusciva a provare
era soltanto uno sconfinato moto di rabbia, misto a rancore e
frustrazione.
“Lasciami in pace”, inveì contro sua
madre,
interrompendo quel contatto fisico che le aveva tenute unite per quale
istante.
“Lasciami in pace”, ripeté con
più sicurezza, prima di correre via.
“Margaret, aspetta!”, provò a
richiamarla sua
madre, inutilmente.
Ormai lei era già troppo lontana.
Bree si lasciò cadere sullo scalino che
separava il marciapiede dal piccolo cancello che dava accesso alla
casa. Sapeva
che lui non c’era, ma si decise ad aspettarlo comunque.
Audrey diceva che non
era affatto una buona idea presentarsi a casa sua, senza preavviso,
senza
neppure una valida ragione, ma Bree aveva preferito non darle ascolto.
Giocava
con la cerniera degli stivali marroni che indossava quel giorno, con le
spalle
strette nel cappotto beige. Sperava solo che quell’attesa non
si prolungasse
troppo.
Era ormai passata già una mezz’oretta quando
Bree percepì dei passi farsi sempre più vicini.
Non era una strada
particolarmente trafficata quella, al contrario era piuttosto isolata,
complice
il fatto che non si trattasse affatto di uno dei luoghi più
rinomati del
quartiere. In realtà neppure ci aveva pensato quando era
riuscita ad estorcere
l’indirizzo del presunto ragazzo di cui era follemente
innamorata alla
segretaria della scuola, ma Liam non sembrava affatto essere il tipo di
persona
che viveva in un posto del genere.
“Spostai, questa è proprietà
privata”, esordì
una voce che Bree riconobbe all’istante.
Lentamente alzò lo sguardo fino ad incontrare
gli occhi marroni ed irritati di Liam. Il castano quasi
sobbalzò quando
riconobbe Bree nella persona accovacciata proprio davanti casa sua,
tanto da
boccheggiare per qualche istante, incapace di proferir parola.
“Ciao”, salutò lei allora, facendo leva
sul
muretto per aiutarsi ad alzare.
“Ciao”, riuscì infine a ricambiare Liam,
ancora non perfettamente lucido. “Come sai dove
abito?”, chiese quando
finalmente riuscì a riprendere padronanza della sua mente,
puntando gli occhi
curiosi su quelli chiari e verdi di Bree.
Non sapeva se fosse adirato, irritato o
soltanto sorpreso, non riusciva ancora a decifrare il suo confuso stato
d’animo.
“Ho chiesto a scuola”, rispose semplicemente lei,
facendo spallucce.
Liam annuì, prima di nascondere le mani nelle
tasche del cappotto grigio che indossava.
“Volevi qualcosa?”, domandò poco dopo,
quasi
imbarazzato.
Quella strana sensazione lo innervosì molto
più del lecito. Lui era Liam, non era abituato a provare
disagio, eppure la
sola presenza di Bree in quel momento faceva vacillare la sua abituale
strafottenza ed arroganza.
“Mi hai vista quel giorno”, il tono di Bree
era chiaramente indice di un’affermazione inconfutabile.
Sapeva che lui l’aveva notata, quando quei tre
tipi le avevano preso l’agenda. Certo, lei era sicura non
sarebbe mai intervenuto,
però si aspettava quantomeno un saluto, un cenno, un
qualsiasi segno che desse
prova della loro sottospecie di conoscenza.
Liam esitò qualche istante prima di
rispondere. Avrebbe potuto provare a dissuaderla, ma il tono sicuro di
Bree non
sembrava voler ammettere repliche.
“Non avevo idea di come comportarmi”, ammise
infine, optando per la verità.
Era sincero in quel momento. Aveva davvero
preso in considerazione l’idea di intervenire, ma poi si era
tirato indietro,
scoprendosi un codardo timoroso del giudizio altrui.
“Se non vuoi che ti vedano mentre parli con me
per me va bene”, sussurrò Bree.
Il suo volto affranto e le parole appena
udibili sembravano contrastare con quanto aveva appena detto, ma il suo
sguardo
timoroso e smarrito era allo stesso tempo fiero e deciso.
Liam scosse il capo, facendo intuire a Bree la
risposta a quella implicita domanda.
Liam non voleva frequentarla, voleva stare
alla larga da lei, era questo ciò che il ragazzo stava
cercando di dirle seppur
non a parole.
“Bree, non mi vergogno di te”, spiegò
dopo
poco, ma il suo tono non convinse affatto la rossa.
“È di quello che io sono in
realtà che mi vergogno”, chiarì con il
capo chino in un mormorio.
“Sono stufa delle cazzate che la gente mi
rifila, addossandosi colpe che in realtà non ha solo per
dirmi di stare alla
larga”, sbraitò allora, puntando
l’indice all’altezza del petto di Liam.
“Sono
stanca delle scuse!”, lo aggredì ancora,
costringendolo ad arretrare fino a
sbattere la schiena contro il cancello.
“Bree, io…”, provò a dire
Liam, senza però
riuscire a terminare la frase.
“Se non vuoi vedermi basta dirlo, se credi io
sia pazza dillo”, lo provocò avvicinandosi sempre
di più.
Sentiva in quel momento. Bree sentiva la
rabbia ribollire nelle vene, sentiva l’adrenalina scorrere
nel suo corpo,
sentiva le tempie pulsare forte e la testa scoppiare. Sentiva il cuore
battere
ad un ritmo irregolare nel suo petto e sentiva la vista annebbiarsi per
il
nervosismo. Bree sentiva come non sentiva da troppo tempo ormai, ed era
tutto
merito di quelle pillole che non aveva preso. Si sentiva viva come non
lo era
mai stata.
“Non m’interessa dei tuoi subdoli giudizi,
quindi la prossima volta che ne hai sul mio conto sei pregato di dirmi
ciò che
pensi di persona, capito?”, sbottò ormai ad una
spanna dal viso di Liam. “E sai
cosa detesto?”, riprese lasciando poi in sospeso il discorso.
Liam non rispose. Aveva gli occhi inchiodati
in quelli verdi di Bree, incorniciati dal rossore che regnava sovrano
sulle sue
gote e sul suo naso raffreddato, sposandosi alla perfezione con il
colore dei
capelli che scendevano disordinatamente sulle esili spalle. Era
bellissima,
arrabbiata, ma bellissima.
“Detesto che ci sia tu proprio mentre questa
strana sensazione di energia si propaga in tutto il mio
corpo”, ammise con voce
decisamente più pacata di prima.
Liam corrugò la fronte, non avendo capito
affatto a cosa Bree si stesse riferendo.
“Non ho preso i farmaci, non li sto prendendo
da qualche giorno ormai”, chiarì con un sorriso
soddisfatto, rasserenato quasi.
Tutta la rabbia che fino a poco fa montava nel
suo corpo aveva lasciato ampio spazio alla serenità e alla
soddisfazione che
quell’affermazione implicasse. Bree ne era orgogliosa ed in
un attimo anche
Liam lo fu. Era orgoglioso di quella piccola ragazzina rossa e
leggermente
euforica che cercava di dare un senso concreto e pragmatico alla sua
vita e si
vergognava per non essere tanto forte quanto lei.
D’istinto sorrise, afferrando le fredde mani
della ragazza tra le sue, poi l’avvicinò a
sé.
“Mi dispiace per non aver fatto nulla, sono un
coglione”, si scusò ad appena qualche centimetro
di distanza dalle labbra rosse
ed increspate di Bree.
“Anche a me, ma puoi sempre provare a
recuperare”, suggerì ingenuamente, alzando gli
occhi al cielo.
Liam trattenne una risata, scuotendo il capo.
Era quello ciò che le piaceva di Bree: la sua aria
spensierata, genuina, il suo
non aver paura di mostrarsi per ciò che era, il suo
infischiarsi dei giudizi
altrui. Non ci pensò per neppure un instante prima di
avvolgere la vita di
Bree, costringendola a far combaciare i loro petti, poi
poggiò le sue labbra su
quelle schiuse per la sorpresa della ragazza e la baciò.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti! Allora, ecco il nuovo capitolo! Avrei voluto pubblicarlo
nel pomeriggio, ma tra una cosa e l'altra non ci sono più
riuscita.
Così, alla fine, mi tocca farlo ora. Bene bene, Zayn e Millie stanno entrambi bene.
Il primo si ritrova solo quache livido di troppo e una costola incrinata, ma nulla di irreparabile,
mentre Millie deve fare i conti con i suoi problemi e con le paure di
Audrey e del padre, che vedremo più presente da questo momento
in poi.
Ho voluto sottolineare l'amiciza creatasi tra Louis e Bree, non a caso lui chiama propio lei.
E poi Louis che aspetta che Zayn si riprenda è troppo carino!!
Anyway, problemi in vista per Margaret. Suo padre viene portato via proprio quando lei torna a casa.
Certo, quello che l'aspetta non è affatto un periodo roseo.
In questo capitolo vediamo finalmente un Harry più deciso e grintoso, che tiene testa ad Audrey.
Ed, infine, ci concentriamo su Bree e Liam, tra i quali ci scappa pure un bacio!
E questo è quanto. Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge.
Se vi va, lasciate un commento, sarei ben lieta di leggere i vostri pareri e consigli.
Alla prossima!:*
Astrea_
|
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Capitolo 25 *** Niall ***
d
NIALL
Charlotte
si accucciò contro la spalla nuda di
Niall, percependone il calore emanato dalla pelle. Adorava quella
sensazione di
familiarità e sicurezza che l’aveva avvolta non
appena Niall aveva circondato
la sua schiena con un braccio, per stringerla forte a sé. I
capelli biondi
della ragazza, colorati da delle accese ciocche rosa, si spargevano
sulla
federa bianca che copriva il cuscino. Niall sfiorò con un
dito la sua guancia e
lei, quasi come fosse segretamente collegata a lui, voltò di
scatto lo sguardo
in direzione di quegli occhi azzurri.
“Sto
bene”, ammise in un sussurro, quasi sulla
pelle di Niall. “Sto bene con te”,
chiarì accennando ad un lieve sorriso,
subito ricambiato dal biondo.
“L’avevo
capito anche quando hai urlato il mio
nome appena cinque minuti fa”, scherzò lui,
sfiorando i capelli di Charlie con
le labbra.
Lei,
in reazione, piantò una leggera gomitata
nello stomaco del ragazzo, mentre i suoi lineamenti si piegavano in una
smorfia.
“Per
una volta che dico qualcosa di carino”,
si lamentò, prima che la sua voce fosse sopraffatta dalla
risata cristallina e
gioiosa di Niall.
“Eri
carina quando ti preoccupavi per Louis.
Eri carina quando da lontano continuai ad osservarlo per accertarti che
stesse
bene”, iniziò Niall, giocando con una ciocca dei
capelli di Charlie.
Il
suo tono basso e roco l’aveva completamente
rapita, tanto da renderle impossibile pensare ad altro.
“E
sei carina tutte le volte che, quando sei
agitata, le tue mani si muovono frenetiche, sei carina quando credi di
poter
salvare il mondo anche solo con la raccolta differenziata e sei carina
quando
pensi che la cosa migliore da fare sia anche quella più
giusta”, continuò
scendendo fino ad accarezzarle il viso.
“Sei
sempre carina, lo sei sempre stata. E
carina è persino riduttivo, ma so benissimo che se anche
usassi un aggettivo
più appropriato, tu comunque non mi crederesti”,
concluse puntando i suoi
grandi e chiari occhi azzurri in quelli di ghiaccio della ragazza.
Charlie
tratteneva il respiro, emozionata.
Sentiva il cuore battere forte nel petto e la vista farsi sempre meno
lucida.
La dolcezza di Niall era un qualcosa a cui lei ancora non riusciva a
fare
l’abitudine. Finiva per sconvolgerla ogni volta come la prima
e forse ancora di
più. Niall sembrava penetrare in lei, nella sua mente, nel
suo cuore, giungendo
nella parte più intima della sua anima e probabilmente
ancora non ne era
neppure del tutto consapevole.
Charlie
sorrise ancora una volta, prima di far
combaciare le loro labbra in un dolce e sentito bacio.
“Finalmente
sei tornato in questo inferno!”,
esclamò Louis, accogliendo Zayn all’ingresso del Kensington
&
Chelsea College.
Erano
ormai passati già alcuni giorni da
quella notte, il necessario affinché Zayn si rimettesse in
forze.
Louis
aveva atteso con ansia questo momento.
Aveva atteso che si risvegliasse, quella notte, e poi aveva atteso che
si sentisse
nuovamente bene. Voleva vederlo sorridere beffardo come prima, in piedi
o,
magari, alla guida della sua adorata auto, ma per il momento si doveva
accontentare di un viso sul quale i lividi erano ormai quasi del tutto
scomparsi.
“Quasi
preferivo restare a casa”, borbottò
allontanandosi dall’auto del padre che quella mattina lo
aveva accompagnato.
Louis
sorrise, prima di fiondarsi a braccia
aperte sull’amico, per abbracciarlo. Era bello riaverlo
lì, poterlo nuovamente vedere
tutti i giorni, sentirlo lamentarsi o imprecare cronicamente. Era
talmente
abituato a condividere ogni attimo della sua vita con il moro che
quell’assenza
prolungata di Zayn l’aveva quasi reso più
vulnerabile, rendendolo consapevole
di quanto lui fosse importante nella sua vita. Era il suo migliore
amico, il
suo unico appiglio, l’unico sul quale avrebbe potuto fare
sempre affidamento,
indipendentemente da qualsiasi altro fattore.
“Così
mi strangoli. Manteniamo le distanze, se
nono vuoi rivedermi in un letto d’ospedale a
breve”, bofonchiò l’altro,
imbarazzato da quel prolungato contatto che si era stabilito tra i loro
corpi
proprio davanti all’ingresso principale e che, di certo, non
stava passando
inosservato.
Louis
ridacchiò, poi assecondò la sua
richiesta.
“Come
ti senti?”, chiese mentre si
appropinquavano ad entrare.
“Come
uno che è stato menato di brutto”,
ironizzò Zayn, frugando nelle tasche del giubbino di pelle
alla ricerca del suo
pacchetto di sigarette.
Quei
giorni a casa erano stati particolarmente
difficili per lui. Non era abituato a ricevere tutte quelle attenzioni
dai suoi
genitori. Sua madre si era premurata di fargli avere sempre uno
spuntino
accanto, così da non costringerlo ad alzarsi qualora avesse
avuto fame. Suo
padre gli aveva addirittura proposto una sfida con la playstation per
distrarlo. Non era rimasto neppure un attimo da solo.
All’inizio pensava che la
causa di ciò fosse da ricollegare alle sue precarie
condizioni fisiche, ma con
il passare dei giorni aveva capito che i suoi genitori erano
intimoriti. Avevano
paura di colui o coloro che lo avevano ridotto in quelle condizioni,
temevano
che potesse succedere nuovamente, si incolpavano delle loro eccessive
assenze.
“Zayn,
credo tu debba sapere una cosa”,
sentenziò Louis quando il suo sguardo cadde sulla figura
esile, ma sicura di
Millie.
Aveva
preferito tacere su ciò che era successo
quella stessa notte alla ragazza. Sapeva quanto Zayn si sentisse
responsabile
per quello che stava accadendo a Millie e non voleva ulteriormente
aggravare le
sue condizioni.
Zayn
corrugò la fronte, squadrando Louis con
fare interrogativo.
Louis
chinò d’istinto la testa, indeciso sulle
parole che avrebbe dovuto utilizzare. Sapeva che ne avrebbe sofferto,
sapeva
che si sarebbe maledetto per non aver provato a darci un taglio prima,
sapeva
che Zayn era molto meno menefreghista di quello che in
realtà appariva.
Tuttavia,
non aveva scelta. Ora che Zayn era
tornato a frequentare i corsi, era certo che ne sarebbe venuto comunque
a
conoscenza, magari a causa di quegli odiosi pettegolezzi e
chiacchiericci che
rumoreggiavano tra i corridoi e le aule.
“La
stessa notte in cui tu…”, non riuscì
neppure a terminare la frase a quel ricordo.
Zayn
non se n’era mai andato, non lo aveva
abbandonato, era rimasto sempre al suo fianco e Louis non poteva
perderlo, non
voleva, non proprio lui.
“Anche
Millie si è sentita male”, riprese con
voce tremante, quasi temesse una sua reazione.
Il
moro si irrigidì all’istante, iniziando
già
ad intuire cosa quella frase volesse in realtà significare.
“Spiegati
bene, Louis”, gli ordinò con voce
vitrea, fermandosi di scatto proprio davanti alla bacheca degli avvisi
dell’atrio.
Louis
sospirò, lanciando una nuova e veloce
occhiata a Millie. Lei aveva gli occhi ben saldi su Zayn, ne stava
studiando
l’espressione ed i tratti e, probabilmente, stava cercando
anche di capire su
cosa vertesse la conversazione tra i due amici.
“Credo
abbia di nuovo esagerato. Suo padre
l’ha portata in una clinica privata. Ha ripreso a frequentare
i corsi solo
l’altro ieri. Stanno girando parecchie voci sul suo conto,
pare suo padre la
voglia far seguire da qualche specialista”,
spiegò, intrecciando le dita della
mano destra tra i capelli.
Zayn
fece vagare lo sguardo, sconcertato da
quella notizia, fino a quando le sue iridi ambrate incontrarono il viso
crucciato e sovrappensiero di Millie.
Era
lì, con il volto scavato, gli occhi persi,
l’aria fintamente altezzosa e un vestito d’alta
moda indosso. Perfettamente
truccata, agghindata come per una grande occasione, tanto bella da
poter far
invidia a qualsiasi altra ragazza. Zayn strinse forte la mano in un
pugno.
Millie stava distruggendo ciò che le restava della sua vita.
Aveva avuto una
bella famiglia, una casa ampia e spaziosa e tanti soldi da poter
realizzare con
essi tutti i suoi più assurdi capricci. Il destino le aveva
portato via una
parte, forse la più importate, delle sue ricchezze. Sua
madre e suo fratello
non c’erano più e con essi neppure la gioia,
l’amore e la serenità. Pezzo dopo
pezzo, il suo fantastico, grandioso mondo si stava sgretolando e lei,
anziché
combattere, non faceva altro che velocizzare quella distruzione.
Di
scatto, senza neppure pensare alle conseguenze a cui le sue azioni
avrebbero
irrimediabilmente condotto, si avviò con passo deciso in
direzione di Millie.
“Dove
vai?”, domandò Louis, preoccupato da
quel repentino gesto. “Zayn, andiamo, non fare
cazzate!”, lo richiamò ancora,
cercando di trattenerlo.
Tuttavia
quelle parole giunsero all’orecchio
del moro come un sottofondo ovattato a cui, ne era sicuro, non era
affatto intenzionato
a dare ascolto.
“Ciao”,
salutò quando fu a pochi centimetri da
Millie.
La
ragazza sobbalzò quasi, sorpresa da quel
gesto. Non era per nulla abituata ad essere avvicinata da Zayn, non nel
bel
mezzo del corridoio in un orario tanto affollato quale quello
dell’inizio delle
lezioni. Solitamente era lei a cercarlo, era sempre stata lei a
cercarlo.
“Non
ho bisogno di nulla, grazie”, lo liquidò
con un sorriso maligno sulle labbra, alludendo chiaramente alle
sostanze che
abitualmente comprava proprio dal ragazzo.
Zayn
ridusse gli occhi a due fessure per la
rabbia, poi non riuscì a trattenere un pugno scagliato
contro l’armadietto in
metallo, ad appena una spanna dalla superficie sulla quale era
appoggiata
Millie.
La
ragazza sussultò per lo spavento. Mai lo
aveva visto tanto arrabbiato, Zayn era quel tipo di persona capace di
controllarsi, di reprimere gli istinti, di autoregolarsi.
“Sei
egoista”, esordì Zayn, inchiodandola con
il suo corpo per evitare che si allontanasse. “Sei tanto
egoista da non
riuscire a vedere quanto tua sorella stia soffrendo, quanto tutti siano
preoccupati, quanto male tu stia procurando alla tua
famiglia”, l’accusò ad un
soffio dal suo viso.
Millie
deglutì. Sentiva le gambe tremare ad
ogni lettera, il suo cuore scalpitava impazzito. Non voleva ascoltarlo,
non
voleva sentire quelle vane insinuazioni sul suo conto.
“Non
ho tempo per chiacchierare con te”, provò
a dire, nel tentativo di liberarsi dalla soffocante compagnia di Zayn.
“E
sei menefreghista, tanto che non t’importa
nulla, tanto che non vuoi parlarne, che vuoi far finta di nulla,
ignorare”,
riprese lui, deciso a non dargliela vinta. “Come se
ciò fosse sufficiente a
cancellare tutto!”, sbottò poi, facendo
rabbrividire Millie per il tono adirato
e perentorio della sua voce.
“Va’
via, Zayn. Non voglio sentire le tue
cazzate”, riprovò allora, fingendosi calma ed
impassibile.
Il
moro ghignò, quasi rassegnato dal
comportamento ostentato dalla ragazza.
Poteva
distintamente vedere i suoi occhi
sbattere frenetici nel tentativo di impedire alle lacrime di rigarle il
viso,
ma le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso spavaldo e sicuro,
la testa
era alta ed il portamento deciso.
“E
sei superficiale, tanto da tenere al tuo
aspetto più che di ogni altra cosa”,
inveì ancora contro di lei. “Ma dimmi,
Millie, credi davvero che sia tutto qui?”, le chiese,
sfidandola con lo
sguardo. “Credi che sia tutto riconducibile ad una borsa
firmata e un bel
vestito?”, la schernì.
“Smettila,
ho detto smettila”, ripeté Millie,
annaspando quasi. “Sta’ zitto, diamine”,
gli ordinò, ormai al limite del suo
autocontrollo.
“Tu
hai continuato a farti e, mentre tu ti
facevi, io ero lì fuori perché, cazzo, mi sentivo
in colpa!”, quasi urlò in un
sussurro.
I
lineamenti di Zayn erano duri, la sua
mascella tesa, gli occhi ambrati fissi sul viso disorientato di Millie.
Aveva
il respiro corto, come se non alzare la voce gli avesse richiesto uno
sforzo
fuori dal comune.
Millie
voltò il viso, cercando un qualcosa che
catturasse la sua attenzione per distrarla da quegli opprimenti
pensieri.
Sapeva cosa era successo a Zayn, lo aveva saputo sin dal mattino
successivo a
quella notte. Si vergognava profondamente di ciò. Lui era
riuscito a dire
basta, a cercare di cambiare, mentre lei era ancora eccessivamente
legata a
quella vita che la stava distruggendo, che l’avrebbe condotta
alla morte.
“E
sei viziata, perché non conosci limiti,
perché soddisfare i tuoi subdoli desideri viene prima di
ogni cosa, qualsiasi
cosa”, continuò Zayn, questa volta con voce
più cauta, quasi ferita. “Non credo
tua madre e tuo fratello sarebbero orgogliosi di vederti
così”, terminò un
attimo prima che un sonoro schiaffò risuonò per
il corridoio.
In
un attimo il palmo della mano destra di
Millie era finito sulla guancia di Zayn, colpendola quasi
inconsapevolmente,
con il fiato sospeso.
La
ragazza ritirò la mano, imbarazzata. Aveva
esagerato, aveva nuovamente sbagliato. Zayn aveva ragione, era solo una
stupida
ragazzina egoista, menefreghista, superficiale e viziata di cui
nessuno, benché
minimo la sua famiglia, sarebbe stato orgoglioso. E lei si era ancora
una volta
dimostrata immatura. Aveva reagito a quelle parole come un automa, non
riuscendo a tollerare quanta verità contenessero. Non
avrebbe dovuto mai
permettersi di pronunciare quella frase, mai, nonostante fosse intrisa
di
sincerità.
Zayn
boccheggiò, senza tuttavia riuscire a
dire nulla. Si era pentito all’istante di ciò che
aveva detto, dell’ultima
frase con la quale aveva inveito contro Millie. Non aveva il diritto di
rinfacciarle una cosa simile, soprattutto viste le circostanze.
Le
lanciò un ultimo sguardo. Millie aveva la
testa bassa e le mani nascoste dietro la schiena. Si mordicchiava il
labbro
inferiore, riflettendo su chissà cosa.
Zayn
tirò un lungo sospirò, poi si voltò e
velocemente andò via, dirigendosi verso l’aula.
“Ehi,
Margaret!”, la salutò Bree,
avvicinandosi alla ragazza durante la pausa.
Margaret
perlustrò velocemente la zona con gli
occhi, accorgendosi che era ormai troppo tardi per fingere di non aver
notato
la rossa che a passo deciso avanzava verso di lei con un ampio sorriso
sulle
labbra.
“Ciao”,
ricambiò tentennante.
“Che
fine hai fatto?”, chiese quando
finalmente l’ebbe raggiunta. “È da
troppo che non ti si vede in giro”, commentò
affiancandola sul muretto sul quale era appoggiata.
Margaret
forzò un’espressione divertita, che
tuttavia somigliava molto più ad una smorfia infastidita.
Era
ormai da tre giorni che non si presentava
a scuola, ancora sconvolta per ciò che era successo a suo
padre. Non ne aveva
parlato con nessuno. Sua madre aveva chiesto la massima riservatezza
sugli atti
e sulle indagini, almeno fino a quando tutto non fosse stato appurato
con delle
prove tangibili, ma le voci erano già iniziate a correre nel
quartiere.
“Ho
avuto un po’ di febbre”, mentì.
“Mia madre
ha preferito tenermi con lei al caldo, a casa”,
inventò allora, per dar
maggiore credibilità a quella banale scusa.
“Ah,
mi dispiace. Però ora stai meglio,
vero?”, riprese poco dopo Bree, squadrando con attenzione il
viso della
ragazza.
Aveva
delle occhiaie marcate, gli occhi vuoti
ed arrossati, lo sguardo spaurito e spiazzato. Persino il suo aspetto
non era
dei migliori. Indossava dei semplici jeans ed un maglioncino azzurro,
un look
troppo semplice per quelli che le piaceva sfoggiare abitualmente.
“Benissimo”,
dichiarò provando a sorridere,
senza tuttavia riuscire a convincere la rossa, ormai sempre
più scettica.
“Bree!”,
la voce di Liam giunse all’orecchio
della ragazza come un richiamo che non avrebbe mai potuto ignorare.
Si
voltò di scatto, alla ricerca del castano
che aveva prontamente riconosciuto.
“Non
dovevi passare a restituirmi i miei
vecchi appunti di francese?”, chiese con tono ilare,
palesando il suo buon
umore.
Bree
sorrise, sventolando il quadernetto che
teneva tra le mani per farglielo notare. Stava per raggiungerlo, quando
si ricordò
di Margaret. Voltò il viso in sua direzione, rimanendo
completamente sorpresa
nel non ritrovarla più al suo fianco. In appena un attimo di
distrazione
Margaret era sparita, andata via, scappata.
“Arrivo”,
borbottò solo, rimuginando su cosa
stesse turbando la ragazza.
“Tutto
bene?”, le domandò Liam, avendo notato
lo sguardo affranto della ragazza.
“Credo
che Margaret stia passando un brutto
momento”, confessò in un sussurro, sospirando.
“Beh,
lo è per molti, in realtà”,
replicò lui,
ripensando a tutti quegli eventi che stavano stravolgendo la routine in
quell’ultimo periodo.
Il
cortile era parecchio affollato, tanto che
un chiacchiericcio generale si alzava da quella massa di studenti. Non
faceva
freddo quel giorno, ragion per cui quasi tutti ne avevano approfittato
per
trascorrere all’aria aperta quei minuti di intervallo.
“Posso
abbracciarti?”, chiese d’un tratto
Bree, con un filo di voce e lo sguardo basso, mentre il rossore
imporporava le
sue guance.
Se
ci fosse stato Louis al posto di Liam, non
avrebbe neppure fatto quell’assurda domanda. Avrebbe agito
senza porsi
eccessivi problemi. Ma con Liam era tutto diverso. Bisognava fare i
conti con
la sua personalità piuttosto articolata, con la sua smania
di apparire sempre
perfetto, con l’aria altezzosa ed il contegno che si imponeva
di rispettare.
Già
una volta lo aveva visto preferire
ignorarla, piuttosto che avvicinarla, e temeva terribilmente che quel
giorno
avrebbe fatto la stessa ed identica scelta.
Non
sapeva quanto ed in che misura Liam fosse
disposto a mettersi in gioco davanti agli altri.
“Vieni
qui”, mormorò soltanto lui, prima di
avvolgere la rossa tra le sue braccia.
Non
gli importava di quello che la gente
avrebbe detto, degli snervanti e continui cambi di programma a cui Bree
lo
costringeva, seppur inconsapevolmente.
Voleva
solo alleviare quella sensazione di
angoscia che si era impossessata della ragazza dagli occhi verdi, il
resto,
almeno per quel momento, avrebbe potuto tranquillamente tralasciarlo.
“Volevo
parlarti”, la voce sicura di Audrey
quasi fece sobbalzare Harry per lo spavento, intento com’era
a sistemare i
libri nel suo armadietto.
La
giornata era trascorsa piuttosto
velocemente. Aveva intravisto Audrey più volte per i
corridoi, in cortile o
nelle varie aule, ma mai una volta era riuscito a trovare il coraggio
necessario per salutarla. Era stufo, stufo di doverla aspettare, di
doverla
comprendere. Ci aveva provato, aveva provato a mettere da parte la sua
timidezza e la sua incertezza, aveva persino tentato di andare oltre le
barriere di cui Audrey si circondava, ma ciò che aveva
ricevuto era solo una
serie di no. Era scappata quando lui le aveva chiesto di uscire e lo
aveva
quasi ignorato quando si era presentato in ospedale.
“Dimmi”,
la incitò, mentre poggiava l’ultimo
volume sul ripiano.
“Volevo
chiederti scusa”, ammise mormorando,
quasi quelle parole le costassero troppo.
Harry
aggrottò la fronte, spiazzato, poi si
voltò finalmente in sua direzione, volgendole lo sguardo.
“Come?”,
chiese, per nulla sicuro di ciò che
aveva appena udito.
“Volevo
chiederti scusa”, ripeté Audrey,
cercando di dare un tono dignitoso alla sua voce.
“Scusa
per cosa di preciso?”, domandò con un
filo di ironia di cui non si credeva neppure capace.
Audrey
sbuffò, leggermente seccata dal
comportamento del riccio. Se non avesse avuto la più
assoluta certezza di
essere nel torto e, soprattutto, di essergli riconoscente per
ciò che aveva
fatto non si sarebbe mai cimentata in una cosa del genere.
“Scusa
per come mi sono comportata, sono stata
piuttosto stronza”, chiarì allora, con lo sguardo
basso e le labbra incurvate
in un accenno di un sorriso imbarazzato.
Harry
schiuse le labbra per la sorpresa,
sgranando leggermente gli occhi. Delle scuse tanto esplicite da parte
di Audrey
era davvero l’ultima cosa che pensava di poter sentire. Era
già piuttosto
difficile intercettare delle parole gentili fuoriuscire dalla sua
bocca, delle
scuse, poi, erano del tutto improbabili.
Ma
in quel momento Audrey era lì, a pochi
centimetri da lui, che, con lo sguardo incerto ed il viso imbarazzato,
chiedeva
il suo perdono.
“E
grazie”, aggiunse subito dopo, non
lasciandogli neppure il tempo di replicare.
Gli
occhi verdi, ora nuovamente confusi, di
Harry la costrinsero a specificare anche quella volta ciò a
cui si stesse
riferendo, così si affrettò a parlare prima che
fosse il riccio a chiederle
spiegazioni. Sapeva che una sola parola di Harry sarebbe stata in grado
di
interromperla, di farle perdere il filo del discorso e lei non voleva
assolutamente
rischiare di non dirgli ciò che da troppo rimuginava nella
sua testa.
“Grazie
per non essertene andato, per essere
rimasto”, sussurrò con voce tremante, quasi
pronunciare quelle parole ad alta
voce richiedesse per lei uno sforzo non indifferente.
“Grazie
per non avermi dato ascolto”, terminò
riuscendo finalmente ad alzare il volto, per poi incontrare
immediatamente il
viso di Harry.
Aveva
un sorriso rassicurante disegnato sulle
sottili labbra e i suoi occhi la fissavano come a cercare di metterla a
suo
agio, come fremesse per fare qualcosa. Ma tutto ciò che
Harry fece fu portare
una mano tra i suoi ricci ed indomabili capelli.
“In
effetti non sei stata particolarmente
convincente”, scherzò allora, per alleggerire
quella piega seriosa che aveva
preso la loro conversazione.
Audrey
soffocò una risata, mordendo con i
denti il labbro inferiore.
Forse,
si trovò a pensare Harry, non era tutto
perduto. Forse Audrey aveva solo bisogno di più tempo,
persino più di lui,
prima di potersi abituare alla presenza di un’altra persona
nella sua vita.
E,
forse, quel momento era finalmente
arrivato.
---
Angolo Autrice
Buongiorno a tutti!:D Stavolta mi sono decisa ad aggiornare di mattina, cosa piuttosto rara,
ma visto che ormai mi sono alzata a causa di un disperato tentativo di studio, almeno ne ho aprofittato per concludere qualcosa.
Comunque, quetsa volta non c'è nessun motivo sul perché il capitlo porti il nome di Niall,
forse l'unica ragione sta nel fatto che ho iniziato a parlare di lui e
non sono riuscita proprio a prendere in considerazione gli altri.
Charlie e Niall sono sempre più dolci e teneri e il loro rapporto comincia a solidificarsi.
Zayn torna a scuola ed ad attenderlo c'é Louis con una notizia alla quale Zayn non reagisce affatto bene.
E così eccolo nuovamente a battibeccare con Millie.
Un passo avanti per Liam e Bree, che sembrano decisamente più tranquilli nel gestire il loro rapporto,
ed un passo avanti anche per Audrey ed Harry. Lei finalmente si rende conto del suo comportamento e chiede scusa al riccio.
Infine, Margaret continua ad essere sempre più distante ed assente.
Bene bene, questo è quanto. Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!:D
Se vi va, lasciate pure un commento o un consiglio, ve ne sarei grata!;)
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 26 *** Margaret ***
g
MARGARET
Il
suono
acuto della sveglia le fece arricciare gli occhi, per poi costringerla
a
nascondere la testa sotto al cuscino nel banale tentativo di
affievolire quel
fastidioso rumore che le aveva invaso la testa. Margaret non aveva la
forza, né
la volontà di spalancare le palpebre, mentre alzarsi dal
letto era un'idea che
neppure riusciva a prendere in considerazione quella mattina. La testa
le
pesava, nonostante fosse ancora comodamente sdraiata sul suo letto.
Avrebbe
fatto qualsiasi cosa per far cessare quel dolore opprimente misto ad
un'acuta
sensazione di stanchezza. Tutta colpa dell'ingente quantità
di alcool che aveva
ingurgitato la sera prima, senza riuscire a smaltirla. Non aveva
pensato alle
conseguenze quando con aria svogliata aveva avvicinato il primo
bicchiere di tequila
alla bocca. Non si era fermata neppure quando la vista si era fatta
sempre più
nebulosa e sfocata, neppure quando aveva rischiato più volte
di cadere per
mancanza di equilibrio, perché le sue gambe erano divenute
improvvisamente
molli ed incapaci di sorreggerla. Aveva solo pensato che quanto
più liquido ci
fosse stato nel suo corpo, tanto meno avrebbe dato ascolto alle sue
mille
preoccupazioni, ai timori da cui nessuno avrebbe potuto difenderla.
Probabilmente, anzi, ormai ne era persino certa, quella non costituiva
affatto
la soluzione ai suoi problemi. Ma Margaret era sola e non avrebbe
potuto
contare sull'aiuto di nessuno. Non aveva la forza necessaria per
combattere e,
se anche l'avesse avuta, le sarebbero comunque mancati i mezzi e la
capacità di
adottare un comportamento consono ad una circostanza tanto delicata
quale
quella in cui suo padre era incappato.
Ancora
con gli occhi chiusi, sospirò, quasi a voler trovare
sollievo da un gesto tanto
banale, quanto liberatorio.
"Sei
sveglia, finalmente!", una voce maschile troppo poco distante dal suo
orecchio la fece irrigidire all'istante per lo spavento.
Spalancò
gli occhi immediatamente, alla ricerca della persona che aveva parlato
e che,
dunque, si trovava insieme a lei, in quella stanza.
"Stavo
iniziando a preoccuparmi", spiegò ancora il ragazzo, mentre
il suo sguardo
si incrociò con quello timoroso, ma allo stesso tempo
curioso di Margaret.
Quegli
occhi azzurri li avrebbe riconosciuti ovunque.
"Louis!",
esclamò lei con la voce ancora impastata dal sonno,
sorpresa. "Cosa ci fai
qui?", chiese poi, mentre cercava di ripercorrere mentalmente la serata
appena trascorsa, sperando di poter rintracciare proprio nei suoi
ricordi la
risposta a quella domanda.
Louis la
osservò concentrarsi, mentre una piccola, strana, graziosa
pieghetta si scava
sulla sua fronte, ora arricciata. Il suo viso, una maschera di quiete,
che
nascondeva una tempesta interiore, era contratto in una leggera
smorfia. Lui
l'aveva notato, l'aveva capito che c'era assolutamente qualcosa che
Margaret
nascondeva, qualcosa che la faceva soffrire, che aveva fatto sparire il
caratteristico sorriso luminoso dalle sue labbra. Non voleva
costringerla a
sfogarsi con lui, a raccontarle ciò che la tormentava a tal
punto, ma ormai
riusciva a tollerare sempre meno la vista di quei lineamenti tristi, di
quello
sguardo spento e perso, di quell'aria sommessa.
"Proprio
non ti ricordi, eh?", la sua era una domanda retorica.
Aveva
perfettamente intuito che quel prolungato silenzio fosse indice del
buio totale
che regnava nella testa di Margaret.
Lei fece
spallucce, chinando il capo fino a far sfregare il naso con il bordo
del
piumone che la copriva.
Louis
accennò ad un sorriso, consapevole che ora sarebbe stato
costretto a
raccontarle della piacevole nottata appena trascorsa.
"Sono
venuto a prenderti in quel pub. Credo fossi già ubriaca
quando mi hai
chiamato", iniziò avvicinandosi al volto di Margaret
Seduto
sul margine destro del letto, la fissava quasi a voler imprimere ogni
particolare della favolosa immagine che si stagliava davanti ai suoi
occhi.
Margaret morse forte il labbro inferiore tra i denti, imbarazzata da
quegli
occhi così profondi e penetranti.
"A
dir il vero mi hai supplicato", specificò poco dopo con un
sorrisetto
serafico che fece arrossire la ragazza sdraiata al suo fianco.
"Non
è divertente", borbottò lei in risposta,
arricciando il naso in segno di
dissenso.
"Oh,
invece sì", controbatté lui con tono scherzoso.
"Dovevi sentire
quando mi hai pregato di togliermi felpa cosicché tu potessi
dormirci! Sembravi
un cucciolo!", aggiunse con voce ilare.
Margaret
si coprì istintivamente il volto a quelle parole,
maledicendosi per essere stata
tanto stupida da aver chiamato proprio lui in un momento come quello.
Si
chiese, poi, quali altre assurde richieste o imbarazzanti dichiarazioni
fossero
uscite quella notte dalla sua bocca. Sapeva perfettamente che da sobria
non
avrebbe mai avuto il coraggio di confessare a Louis che, in un certo
senso, lui
le piaceva. Eppure Margaret non aveva mai trovato alcuna
difficoltà
nell'esternare i propri sentimenti per un ragazzo, ma con Louis era
tutto così
maledettamente diverso. Lui aveva già i suoi problemi di cui
occuparsi, non era
il classico e tipico ragazzo che l'avrebbe portata a fare una
passeggiata, non
l'avrebbe accompagnata al centro commerciale per consigliarle quali
indumenti
comprare, non l'avrebbe inviata al ballo o alla partita della squadra
di
football del college. Louis, al massimo, avrebbe potuto organizzare una
serata
in qualche posto in voga, magari una discoteca ben frequentata, e si
sarebbe
potuto procurare qualcosa che avrebbe movimentato le danze, rendendo
quelle ore
più frizzanti, più piene e allo stesso tempo
più vuote.
"Margaret",
la richiamò Louis, sfiorandole con un dito la guancia.
Il suo
tono ora era serio, aveva perso quella nota giocosa di poco prima.
Lui
continuava ad osservarla, a studiarla. Voleva poter capire anche solo
con lo
sguardo fino a che punto gli fosse concesso spingersi.
"Dimmi",
il sussurro della ragazza giunse come un esplicito invito a proseguire,
a dar
voce ai suoi pensieri.
Louis
deglutì, indugiando sulle parole.
"Vuoi
dirmi cosa ti succede ultimamente?", domandò tutto d'un
fiato.
Aveva
preferito rimanere sul vago, imponendosi di non affrontare nessun tipo
di
conversazione se non quella che Margaret stessa avrebbe introdotto in
risposta
a quel quesito.
Non
avrebbe indagato ulteriormente, se lo era ripromesso nel momento esatto
in cui
aveva dato voce a quelle parole. Quello sarebbe stato il suo unico,
forse
banale tentativo.
Margaret
trattenne il respiro per un interminabile istante, mentre un fiume di
contrastanti idee le inondava la mente. Avrebbe davvero voluto parlarne
con
qualcuno, ma non sapeva se fosse pronta, non sapeva neppure se Louis
fosse la persona
giusta.
Alzò il
volto, il necessario per incontrare quelle iridi azzurre e chiare che
la
fissavano trepidanti e preoccupate. Margaret pensava tante cose, ma di
certo
non pensava, né avrebbe mai potuto immaginare, che proprio
in quelle iridi
potesse trovare la risposta a quelle domande, a quel bisogno di essere
compresa, capita, amata.
"Sì",
fu tutto ciò che riuscì a dire in un nuovo
sussurro, prima di tirarsi su fino a
poggiare la schiena contro la spalliera del letto.
Poi,
diede finalmente sfogo al suo dolore e alla frustrazione che la
tormentavano.
Liam
aprì la porta della stanza di Harry senza preoccuparsi
minimamente del cigolio
che essa produceva. Il riccio dormiva tranquillo, sdraiato su di un
fianco nel
letto. Liam scosse il capo, in segno di disappunto.
“Andiamo,
Harry!”, lo incitò, avvicinandosi fino a
scuotergli una spalla.
In
risposta l’amico mugolò qualcosa di
incomprensibile, rigirandosi tra le
coperte.
Liam
alzò lo sguardo in direzione del soffitto, chiedendosi come
un ragazzo potesse
ridursi in quelle condizioni. La camera di Harry sembrava essere reduce
dello
scoppio improvviso di una bomba. Dei vestiti sgualciti e probabilmente
sporchi
erano poggiati per metà sulla sedia, per metà
sulla scrivania, mentre due paia
di calzini rossi spiccavano sul pavimento chiaro, poco distanti dalle
scarpe. Notò
qualche libro aperto vicino al computer, su di uno vi era persino
poggiato un
evidenziatore verde sprovvisto di tappo. Sul comodino, infine,
intravide il
cellulare che, lampeggiando, segnalava una serie di messaggi e chiamate
a cui
non aveva evidentemente risposto. Liam aveva provato a rintracciarlo
ben
quattro volte, prima di piombarsi a casa sua. Fortunatamente era stato
accolto
dalla madre del suo amico, la quale si accingeva con fretta a recarsi a
lavoro.
Il
silenzio regnava padrone della casa, tanto che Liam si chiese dove
potesse
essere il padre di Harry in quel momento. Solo il respiro pesante del
riccio
disturbava la quiete.
“Harry,
diamine! Svegliati!”, lo rimproverò con voce
più alta.
Ormai
mancava davvero poco all’inizio delle lezioni e, se solo
Harry avesse poltrito
per qualche altro secondo, sarebbero di certo arrivati in ritardo.
“Forza!
Alza immediatamente quel culo dal letto”, ordinò
afferrando con forza un lembo della
coperta, così da tirarla.
Il
riccio borbottò, indispettito, prima di raggomitolarsi
meglio, quasi a volersi
difendere da quell’ondata di aria fredda che lo aveva
improvvisamente colpito.
Solo
allora Liam notò che Harry era completamente nudo. Quasi
aveva dimenticato
quella stramba abitudine dell’amico.
“E che
schifo! Vestiti, dai!”, si lamentò, piegando il
viso in un’espressione
disgustata.
“Ancora
cinque minuti, solo cinque minuti”, sussurrò
l’altro contro il cuscino.
Liam
sbuffò, ormai spazientito.
“Harry
Edward Styles!”, tuonò con voce perentoria.
“Mancano dieci minuti, quindi o vai
a prepararti o stai sicuro che la prossima volta che parteciperai ad
una festa
sarà quella in occasione del tuo funerale”, lo
intimò, puntando il suo sguardo
truce sul viso assonnato ed ancora confuso dell’amico.
“E va
bene, va bene”, acconsentì il riccio, alzandosi
finalmente dal letto.
“E visto
che ti trovi, fatti una doccia”, suggerì allora
Liam, mentre Harry si
allontanava in direzione del bagno. “Puzzi come un
maiale”, spiegò con un mezzo
sorrisetto disegnato sulle labbra.
“Allora,
cosa ci facevi a casa mia questa mattina?”, chiese Harry
quando finalmente
furono giunti al Kensington
& Chelsea College.
Ci
aveva messo poco più di cinque minuti
a rendersi presentabile. Del resto, non aveva bisogno di molto tempo,
Harry,
per darsi una sciacquata ed indossare una maglietta ed un jeans. Aveva
lasciato
i capelli indomati, un enorme cespuglio che aleggiava sulla sua testa,
esattamente come ogni mattina, e si era spruzzato qualche goccia di
dopobarba,
solo per non sentire nuovamente le lamentele di Liam su quanto fosse
importante
curare la propria immagine.
“Sapevo che non ti saresti svegliato ed
oggi hai il compito”, rispose con un sorriso soddisfatto.
Aveva previsto anche quello. La sera
precedente erano stati ad una festa ed avevano fatto terribilmente
tardi.
Probabilmente Harry aveva persino bevuto più di quanto
riuscisse a reggere e di
certo ricordare gli impegni scolastici non sarebbe stato tra le sue
priorità
quella mattina.
“Cazzo, il compito”, imprecò allora il
riccio tra i denti, dando prova a Liam di non essersi sbagliato
affatto. “Lo avevo
completamente dimenticato”, continuò Harry,
sbuffando sonoramente.
Non aveva studiato, non aveva ripetuto,
non aveva preparato nulla. Non era difficile prevedere quali sarebbero
stati i
risultati di quella verifica.
“Hai più sentito Audrey?”,
domandò dopo
qualche istante il castano, oltrepassando l’ingresso
dell’edificio.
Harry esitò qualche istante, prima di
dargli una risposta. Non sapeva quale fosse il motivo di
quell’interesse e,
soprattutto, non aveva affatto voglia di litigare nuovamente con Liam.
“Non dopo quel giorno”, ammise.
Liam annuì, comprendendo perfettamente a
cosa si stesse riferendo. Harry aveva preferito raccontargli tutto,
persino
dell’ultima conversazione che c’era stata con
Audrey, ma si era obbligato a
cercare con tutte le forze di non farsi influenzare in alcun modo dal
parere,
talvolta opprimente, di Liam.
“E tu?”, riprese Harry.
Liam si voltò con uno scatto in
direzione dell’amico, facendo scontrare i loro sguardi.
“Tu hai più parlato con Bree?”, aggiunse
Harry.
Certo, Liam non gli aveva raccontato di
aver trascorso del tempo con lei ultimamente, ma le voci riguardo un
loro
presunto abbraccio erano ugualmente girate tra i corridoi.
“Non proprio”, sospirò, dissolvendo lo
sguardo altrove.
L’aveva vista, certo, la vedeva ogni
giorno a scuola. Ma non si era più avvicinato a lei, non
come quella volta
perlomeno. Lei non lo aveva cercato e lui aveva fatto in modo di non
farsi
trovare.
“Capito”, borbottò soltanto Harry,
lasciando definitivamente cadere il discorso.
Bree abbassò di scatto il viso,
trovandosi a fissare improvvisamente il pavimento del corridoio. Lo
aveva
appena intravisto camminare sicuro al fianco di Harry, sperando che i
loro
sguardi si incrociassero anche solo per un attimo. Ma ciò
non era avvenuto. Si
era convinta che dargli spazio e tempo era la scelta giusta, che se
fosse stato
davvero interessato a lei, sarebbe tornato, che apparire eccessivamente
presente lo avrebbe soltanto allontanato. Ma Liam non l’aveva
cercata e Bree si
era sentita estremamente stupida per aver lasciato che ciò
accadesse.
“Ci sei ancora?”, chiese Audrey, come a
volerla riscuotere dai suoi pensieri.
“Eh?”, replicò Bree, scrollando il capo,
prima di riuscire a comprendere le parole dell’amica.
“Sì, certo”, mentì
allora, provando a portare nuovamente l’attenzione sulla
conversazione che
stava tenendo con Audrey.
La mora sorrise nel constatare la
reazione che Bree aveva avuto. Per quanto lei stesse tentando di
evitare il
discorso, Audrey aveva chiaramente compreso quanto Bree avesse
risentito del
comportamento di Liam. Ma non ne aveva fatto parola con lei,
probabilmente
intimorita dagli sguardi e dalle parole schiette e decise che la stessa
Audrey
le aveva rivolto ancor prima che Liam si avvicinasse in qualche modo a
lei.
Bree non aveva intenzione alcuna di darla vinta ad Audrey, non avrebbe
ammesso
che aveva avuto ragione sin dall’inizio, non quella volta
almeno. Bree non era
presuntuosa, ma sapere di aver nuovamente sbagliato, di essersi
lasciata
trasportare, di aver confidato eccessivamente in una persona, la
rendeva
fragile. Era come se la piccola, dolce, indifesa Bree fosse stata
ingannata
ancora una volta, illusa, presa in giro.
“Bree, se vuoi parlarne…”,
provò a dire
Audrey con un filo di voce.
Non voleva sembrare invadente, ma neppur
indifferente. Bree era la sua unica e migliore amica. Non le avrebbe
ricordato
quante altre volte aveva commesso lo stesso errore, non le avrebbe
evidenziato
tutto ciò che di sbagliato aveva fatto, ma
l’avrebbe consolata, le avrebbe
offerto il suo appoggio.
“Beh, se vuoi parlarne sappi non ti dirò
che te lo avevo detto”, ironizzò accennando ad un
lieve sorriso.
Bree fece spallucce, indecisa e allo
stesso tempo rammaricata. Avrebbe voluto parlarne, ma non aveva davvero
nulla
da dire.
Incrociò per pochi istanti lo sguardo di
Audrey, come a volerla ringraziare per quell’offerta che,
tuttavia, non avrebbe
accettato.
“Va tutto bene”, mentì. “Tu,
piuttosto,
con Harry?”, chiese nel chiaro tentativo di spostare la
conversazione altrove.
Audrey arricciò le labbra in una
smorfia.
“Non so”, ammise. “Suppongo questa volta
tocchi a me avvicinarmi”, ipotizzò mordicchiandosi
il labbro inferiore.
“Suppongo di sì”, confermò
allora Bree,
sorridendo complice all’amica. “Non si parla
d’altro che di Charlotte e Niall,
qui”, constatò la rossa, dando seguito a quel
chiacchiericcio poco distante da
loro.
La nuova coppia aveva riscosso un
discreto successo, soprattutto a causa dei precedenti che
c’erano stati tra
Niall e Liam a causa di Millie e del repentino ingresso, nella
già intricata
situazione, della stessa Bree.
“Millie come sta? Come l’ha presa?”,
domandò Bree, con il palese intento di alleggerire la
conversazione.
Ad Audrey non piaceva rendersi partecipe
di quella marea di insani pettegolezzi, ma per quella volta decise di
assecondare Bree.
“Tralasciando gli ovvi problemi, credo
che ultimamente sia presa da qualcun altro”,
affermò con un sorrisetto beffardo
dipinto sulle sottili labbra.
“Che vuoi dire?”, il viso sorpreso di
Bree e la sua voce entusiasmata furono un chiaro invito a proseguire.
“Voglio dire che non sottovaluterei
troppo Zayn”, si lasciò
scappare in un sussurro, per evitare che orecchie indiscrete potessero
udire
quelle parole.
“Cosa?”, l’incredulità di Bree
riecheggiò nell’aria.
Audrey portò d’istinto l’indice sulle
labbra, intimandole di abbassare il tono di voce.
“Stai scherzando spero”, il tono ironico
di Bree faceva intuire quanto poco veritiera reputasse quella
sconvolgente
notizia.
Audrey si lasciò scappare un sorriso. In
effetti, se lei non avesse notato quegli sguardi, se non avesse sentito
sua
sorella maledire più volte il moro in preda alla
disperazione, probabilmente
neppure lei ci avrebbe mai creduto.
“Per il momento ancora non è successo
nulla, credo”, continuò. “Ma in
futuro…”, ammiccò, lasciando di
proposito la
frase incompiuta.
“Non posso crederci! È assurdo!”,
commentò
Bree, ancora con gli occhi sgranati ed un’espressione
sorpresa.
“Dai, ora però andiamo in classe. Si è
fatto tardi”, incalzò Audrey, afferrando per un
braccio l’amica che ancora
cercava di metabolizzare l’eventualità che ad una
come Millie potesse
interessare uno come Zayn.
Così, mentre ancora Bree rimuginava sui
suoi pensieri, Audrey la conduceva per i corridoi in direzione
dell’aula.
“Zayn, il tuo cellulare vibra”, la voce
di Niall, seduto al suo fianco, lo fece sussultare.
Per
quanto ancora Zayn si ostinasse a non considerarlo suo amico, Niall si
era
rivelato, contro ogni previsione, una persona dalle ottime
qualità
caratteriali. Era comprensivo, non giudicava, sapeva ascoltare e
conosceva
perfettamente i limiti oltre i quali non poteva spingersi. Aveva sempre
una
parola buona e sapeva come smorzare la tensione. Era un tipo normale,
pensò
Zayn, forse persino troppo per frequentare gente come loro.
Zayn
scrollò le spalle, sperando che quel semplice gesto bastasse
a spiegare la sua
totale indifferenza.
“È già
la seconda volta in un’ora, magari è una cosa
urgente”, ipotizzò allora Niall,
mentre il cellulare cessava di lampeggiare.
Zayn
scosse il capo. Sapeva chi era a cercarlo e sapeva che non
c’era nulla che
poteva o doveva essere fatto.
Da
quella notte, le chiamate di suoi fratello si erano moltiplicate a
dismisura,
ma lui aveva continuato ad ignorarle. Non era pronto, forse non lo
sarebbe mai
stato.
In un
attimo la sua mente tornò indietro nel tempo. La stessa
scena, ma con Louis al
posto di Niall.
Era
passato del tempo, ma le cose non erano cambiate. Avrebbe voluto poter
credere
che sarebbe bastato qualche giorno, delle settimane, mesi, magari anni,
ma che
trascorsi avrebbero cancellato i brutti ricordi. Ma Zayn non era tanto
ingenuo
da ritenere che quelle ferite, ancora così vividamente
impresse nel suo cuore e
nella sua mente, si sarebbero risanate con tanta facilità.
Sapeva che non
sarebbe stato così.
“Non è
importante”, borbottò in un sussurro, con lo
sguardo basso fisso sul libro
aperto ad una pagina a caso. “Non lo è mai
stato”, aggiunse in un flebile
bisbiglio che probabilmente neppure Niall riuscì a cogliere.
Ed aveva
ragione. Per Jamal, Zayn non era mai stato importante. Non quando lo
aveva
lasciato, non quando lo aveva abbandonato, non quando era rimasto solo,
solo
contro tutti, contro un mondo infame e troppo crudele per lui, un
semplice
ragazzino che evidentemente non era neppure riuscito a tenersi lontano
dai
guai.
Prese un
lungo respiro. In quel momento desiderò soltanto di essere
altrove, ovunque, ma
non lì, bloccato nel nulla.
“Cosa ci
fai a casa a quest’ora?”, la domanda di Millie
costrinse il padre a spostare lo
sguardo dall’articolo di giornale che stava leggendo al volto
stranito della
figlia.
Sorrise
a modi saluto, poi poggiò il quotidiano sul tavolino e si
alzò dal divano.
“Te l’ho
detto, sono qui”, spiegò con voce rassicurante,
mentre con passo lento, ma
deciso, si avvicinava a Millie.
Il suo
sguardo era fisso in quello della figlia. Aveva la stessa espressione
di sua
madre, gli stessi occhi spiazzati, quel viso intimorito da cui si
poteva
chiaramente leggere la paura di sbagliare e la voglia di vincere.
Millie era
determinata, ostinata, Millie ce l’avrebbe fatta. Ma Millie
non era
indistruttibile, non era un pezzo di ghiaccio freddo e privo di
sentimenti. Sotto
quel trucco, quei capelli acconciati alla perfezione, quelle scarpe
portate con
tanta leggiadria e quel vestito alla moda, c’era un cuore che
aveva bisogno di
amore.
“Lotterò
con te”, sussurrò infine, prima di avvolgere la
figlia in un
abbraccio.
---
Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! Allora, eccoci con un nuovo capitolo!:D
Questa volta è dedicato a Margaret ed il motivo è che finalmente lei decide di aprirsi con qualcuno, di sfogarsi.
Nella prima parte del capitoli, infatti, lei decide di parlarne con
Louis, anche se ho evitato di descrivere quel preciso momento.
Anyway, diciamo che questo è un episodio da non sottovalutare per la story line del suo personaggio.
Per il resto potremmo quasi definire questo quale un capitolo di passaggio.
Harry e Liam sono tornati ad essere amici, anche se per entrambi qualcosa è cambiato.
Diciamo che Liam lascia più spazio ad Harry ed Harry è più autonomo rispetto a prima.
Confidenze anche per Bree ed Audrey, che quasta volta si lasciano andare anche a qualche pettegolezzo in più.
Poi scopriamo che Jamal in reatlà non ha mai smesso di chiamare
Zayn e che è proprio lui a continuare ad ignorare le sue
telefonate.
Per quanto riguarda il fatto che Zayn abbia tentato di uscire dal giro,
c'è da dire che non so alla perfezione come funzionano queste
cose
e che una semplice scazzottata non credo sia neanche sufficiente.
Non vorrei dare l'impressione che sia tutto un po' banale, infatti nei
prossimi capitoli ci saranno ulteriori dettagli sulla questione.
Okay, concludiamo con Millie: papà Wood vuole essere presente!
Credete sia solo la paura del momento o qualcosa di definitivo?
Okay, per oggi credo sia tutto.
Ringrazio chi segue, preferisce e ricorda, oltre chi legge! Thank you very much!:D
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo!;)
Alla prossima!:*
Astrea_
|
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Capitolo 27 *** Harry ***
f
HARRY
Il
silenzio regnava sovrano in quella piccola
chiesetta del quartiere. Harry non era mai stato un credente. Certo,
aveva
sporadicamente partecipato a qualche cerimonia religiosa, ma non poteva
definirsi quale assiduo frequentatore della parrocchia e attivo fedele
della
comunità.
Quel giorno avrebbe preferito persino essere
costretto a svolgere un ennesimo e fallimentare compito, piuttosto che
dover
assistere a quell’evento. In realtà nessuno lo
aveva obbligato a partecipare,
ma il suo cuore, la sua coscienza lo avevano quasi costretto a
svegliarsi
presto quella mattina ed indossare quello stupido vestito scuro. Non si
sarebbe
mai perdonato una sua eventuale assenza.
Un gruppo di sei uomini continuava la lenta
avanzata lungo la navata della chiesa, sorreggendo una bara sulle
spalle.
Non la conosceva bene, non quanto avrebbe
potuto conoscerla Millie, o magari Zayn, ma sapeva che aveva fatto la
cosa più
giusta presentandosi lì, quella mattina, per commemorarla.
Era successo tutto così in fretta. Aveva
sentito delle voci parlare di una festa, di qualcuno che aveva perso il
controllo, di alcuni ragazzi che avevano bevuto troppo, altri che
avevano fatto
uno eccessivo di sostanze stupefacenti. Sul giornale aveva letto di una
ragazza, non aveva compiuto neppure diciannove anni, morta di overdose
proprio
a quella festa.
Audrey alla sua destra rabbrividì quando il
corpo inerme di quella giovanissima donna passò a pochi
metri di distanza da
lei.
Sapeva chi era, l’aveva vista parlare con
Millie durante quella fatidica festa organizzata a casa di Zayn qualche
settimana prima. Eppure quella sera non le era affatto sembrata la
ragazza
disposta a tutto, persino a superare i propri limiti fisiologici, pur
di
riscoprire quello sprazzo di felicità e soddisfazione che
quella roba sembrava
riuscir ad offrire a chi, come sua sorella Millie, ancora non era in
grado di
farne a meno. Attimi di pura felicità, attimi di
spensieratezza, di follia, il
cui prezzo era decisamente troppo alto per poter essere ripagato. Ed
allora il
distino compiva le sue scelte, passava a riscuotere tutti quei debiti
che
semplici e piccoli umani continuavano ad accumulare, incoscienti e
sopraffatti
da quella parvenza di ebrezza di cui i loro istanti venivano
temporaneamente
riempiti. Era la vita ciò che pretendeva, ciò che
portava via. Era la vita il
bene più grande che veniva donato ad ogni singola persona ed
era quella stessa
vita che veniva spazzata via con un semplice, piccolo gesto. Sarebbe
bastata
una striscia di troppo, una siringa in più, una dose troppo
grande e quella
vita sarebbe stata interrotta per sempre.
D’istinto Audrey cercò la mano di Harry,
sfiorandola con forza, per poi afferrarne appena tre dita.
Il suo era stato un gesto impulsivo, fatto
senza averci riflettuto per neppure un istante, così quando
gli occhi verdi e
limpidi di Harry si scontrarono con i suoi, Audrey sentì una
strana sensazione
farsi largo alla bocca dello stomaco, mentre le sue guance ribollivano
per
l’imbarazzo.
“Io…”, la voce di Audrey era un sussurro
smorzato, un’unica flebile parola che era scappata dalle sue
labbra prima che
violentemente abbassasse il capo, per puntarlo esattamente in direzione
dei
suoi piedi.
Harry percepì la presa di Audrey farsi più
debole, aveva perfettamente intuito che nel giro di qualche secondo
avrebbe
ritirato completamente la mano, lasciando libera quella del ragazzo.
Ma Harry non voleva, non ora che finalmente
anche Audrey pareva mostrare un briciolo di interesse nei suoi
confronti. Il
ricco sorrise, mentre con finta sicurezza intrecciava le sue dita a
quelle
della ragazza, stingendole forte la mano, così da non
poterle permetterle di
allontanarsi in alcun modo.
Gli occhi di Audrey furono d’istinto
nuovamente catapultati in quelli di Harry. Lui le sorrideva appena,
come a
volerla incoraggiare. Due tenere fossette gli si erano scavate agli
angoli
della bocca. Audrey puntò forte i denti sul labbro
inferiore, mordendolo
indecisa. Quella sensazione di sicurezza che si propagava da quel lieve
contatto la confondeva. Non voleva rinunciarci, ma non voleva neppure
soccombere a quella subdola debolezza.
Eppure per un istante, in quella bara di legno
scuro che ormai era quasi giunta all’altare, Audrey
immaginò di vedere Millie.
Un brivido le percorse la spina dorsale.
“Andrà tutto bene, tranquilla”, la
rincuorò
Harry.
Ormai, lo aveva capito, non c’era più spazio
per la timidezza e l’incertezza. Lui voleva Audrey e se per
averla avrebbe
dovuto combattere contro tutte le sue paure, allora lo avrebbe fatto.
Audrey annuì appena, lasciandosi confortare da
quel tono di voce tanto familiare e rassicurante, poi fece cadere il
suo
attento e vigile sguardo sulla figura di Millie.
Aveva la testa bassa, la mascella serrata,
l’espressione cupa, gli occhi vuoti. Giocava distrattamente
con le mani. Per
quanto bene il nero le potesse stare, per quanto splendidamente quel
colore si
abbinasse con la sua carnagione, quella non era certo
l’occasione per la quale
aveva in mente di indossare quell’abito. Deglutì
forte quando il prete diede
inizio alla cerimonia. Sentiva le gambe tremare, sapeva che da un
momento
all’altro avrebbero potuto cedere, lasciandola rovinosamente
cadere sul freddo
pavimento. Non ci sarebbe stato nessuno a sorreggerla, né
Niall, né Audrey, né
suo padre e neppure Zayn.
Aveva preferito andarci da sola, non voleva la
compagnia ed il supporto di nessuno. Aveva come la sensazione che
avrebbe
dovuto affrontare quella situazione da sola. Voleva mettersi in gioco,
voleva
provare a se stessa fino a che punto sarebbe stata capace di spingersi.
Non
sapeva, Millie, che proprio in quella piccola chiesetta, in ultima
fila, Audrey
continuava a scrutarla, assicurandosi che tutto procedesse per il
meglio. Non
avrebbe mai davvero potuto lasciarla sola, così si era
accontentata di un posto
ben poco visibile e si era ripromessa di non perderla mai di vista,
neppure per
un istante.
Louis tirò un respiro di sollievo quando
raggiunse finalmente l’esterno di quell’edificio.
Aveva promesso a Zayn che gli
sarebbe stato accanto, ma quando aveva visto arrivare la signora ed il
signor
Malik, pochi attimi prima che la cerimonia iniziasse, aveva intuito che
non ci
sarebbe più stato bisogno della sua presenza, perlomeno non
come prima. Così,
dopo appena dieci minuti, si era dileguato con fare fortuito e, una
volta
fuori, si era raggomitolato sulle scalette che si stagliavano davanti
all’ingresso.
“Ehi”, la voce affusolata di Charlotte
catturò
immediatamente Louis, costringendolo a voltarsi nella direzione da cui
essa
pareva provenire.
“Ehi”, ricambiò con un lieve sorriso
sulle
labbra, nonostante tutta quella atmosfera lo rendeva piuttosto di
cattivo
umore.
“Ho saputo solo questa mattina quello che è
successo”, mormorò quasi la ragazza, mentre con
movimenti lenti si avvicinava a
Louis, fino a sedersi al suo fianco.
“Sì, beh, a me l’ha detto Zayn ieri
sera”,
spiegò allora.
Charlie annuì, incapace di aggiungere altro.
Sapeva perfettamente che al posto di quella
malcapitata ci si sarebbe potuto trovare uno qualsiasi di loro,
chiunque, e non
era per nulla fiera di quella consapevolezza.
Deglutì sommessamente, prima di tornare a
puntare lo sguardo negli occhi chiari di Louis.
“Ho parlato con Margaret”, esordì
allora,
senza aggiungere alcun dettaglio.
Voleva essere sicura che quella conversazione
non avrebbe in alcun modo turbato Louis. Dovevano essere già
molte le
preoccupazioni che vagavano nella sua mente a moltiplicarle per
l’ennesima
volta non era affatto tra gli obiettivi di Charlie.
Erano stati insieme per così tanto tempo che lei
aveva imparato a conoscere ogni sfaccettatura del suo carattere. Sapeva
perfettamente
riconoscere quel cipiglio affranto, quell’aria assente, lo
sguardo spento,
quelle labbra leggermente schiuse.
Louis prese un lungo respiro e si sgranchì il
collo, muovendo leggermente il capo prima da un lato, poi
dall’altro.
Charlie sapeva che era quello il momento, era
quello l’istante in cui lei avrebbe dovuto riprendere il
discorso.
“Mi ha detto cosa è successo”,
mormorò quasi.
Da quando Margaret le aveva riferito di quello
che Louis aveva fatto per lei, Charlie non era riuscita a non esserne
felice. Sapeva
che la presenza di un amico avrebbe notevolmente alleviato il dolore
che
Margaret serbava. Ma solo allora si rese conto di quello strano
fastidio che
quell’idea le provocava. Era stato Louis, proprio il suo
Louis, ad aiutarla e
quasi ne fu gelosa.
Scosse istintivamente il capo, rimproverandosi
mentalmente per quei suoi pensieri.
“Voleva ringraziarti ancora di persona, ma
stamattina doveva risolvere delle faccende con sua madre, quindi non
è potuta
venire”, spiegò giocherellando con una ciocca di
capelli.
Louis sogghignò, percependo quel tono
leggermente nervoso.
“Dice che sua madre ha bisogno di lei, più di
quanto lei abbia bisogno della vodka”, aggiunse, riportando
le parole che la
stessa Margaret le aveva rivolto la sera precedente.
Il ragazzo si lasciò scappare un mezzo
sorriso, divertito quasi da quella battuta, ma non accennò a
proferir parola.
Eppure, Charlotte non lo ricordava affatto
così silenzioso, ma del resto sapeva perfettamente quanto
Louis stesse
lavorando sul suo carattere, quanto si stesse prodigando per
migliorarsi.
Magari era davvero cambiato, magari lo era sin troppo.
“Com’è lì dentro?”,
si ritrovò a chiedere poi
la bionda, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Del resto era quello, il funerale, il motivo
che l’aveva spinta a recarsi lì quella mattina. Ma
proprio lei, contro ogni
aspettativa, non aveva avuto abbastanza coraggio per entrare, aveva
preferito
aspettare fuori, non vedere con i suoi occhi quella cruda e dura
verità.
Louis, invece, ci era stato e l’aveva vista.
Aveva visto quella giovane ragazza che più volte aveva
incontrato a qualche
festa o in giro per locali. Aveva osservato il suo viso diafano, le sue
palpebre abbassate,
le mani congiunte in
grembo, i capelli sparsi ordinatamente ai lati del suo volto. Immobile,
inerme,
piatta.
“Un inferno”, si lasciò scappare in un
sussurro.
Ed era proprio quella la più sincera verità. Era
un inferno, perché a morire non era stata
un’estranea, una persona che
conduceva uno stile di vita diametralmente opposto al loro, una di
quelle che
si era semplicemente ritrovata nel posto sbagliato al momento
sbagliato. Lì
dentro, in quella dannata bara, c’era una di loro. Una
ragazza con dei sogni
infranti ormai già da anni, con nessuna aspettativa, con una
routine sregolata
e ben poco controllo della sua vita. Era davvero un fottuto inferno ed
era un
inferno molto più vicino di quanto Louis avrebbe mai potuto
immaginare.
Charlotte annuì soltanto, mentre il silenzio
tornava padrone dell’atmosfera.
“Eravamo davvero una forza noi due”, si
lasciò
sfuggire una manciata di minuti dopo, pentendosi automaticamente di
quelle
parole pronunciate senza troppa cognizione di causa.
“Oh no”, si lamentò Louis, voltandosi in
direzione di Charlie.
I suoi occhi, quegli occhi di giacchio di cui
si era innamorato tempo addietro, riuscivano ancora a perforarlo.
“Noi eravamo molto di più”,
commentò con un
leggero sorriso, prima di avvolgere le spalle della ragazza con un
braccio.
Liam suonò il campanello di casa Collins
ancora non del tutto convinto.
Aveva passeggiato freneticatamene per
interminabili minuti, rimuginando su cosa avrebbe dovuto fare. Voleva
vedere
Bree, voleva parlare con lei e cercare di chiarire quella dubbia
situazione in
cui vertevano, ma lui era comunque Liam James Payne e dichiarare ad una
ragazza, una qualsiasi ragazza, il suo interesse in stile dichiarazione
romantica non rientrava affatto tra le sue prospettive.
Ecco il motivo dei suoi mille ripensamenti.
Non era nelle sue intenzioni apparire come un docile e affettuoso
ragazzo che
finalmente si decideva ad esternare i suoi sentimenti. Liam desiderava
solo
poter trascorrere del tempo con Bree. Non era certo di essere pronto a
dare una
definizione netta al rapporto che stava nascendo con la ragazza dai
capelli
rossi, ma era stufo di fuggire ancor prima che qualcosa potesse nascere.
“Salve”, il volto gentile di una donna fece
capolinea oltre la porta d’ingresso.
“Buongiorno”, salutò allora Liam,
cercando di
sorridere in modo
cordiale.
Se la donna di fronte a lui era la madre di
Bree, di certo allora non avrebbe voluto apparire come scontroso o
maleducato.
“Sono Liam, un amico di Bree”, si
presentò
allora, sfoggiando i suoi occhi color nocciola che tanto avevano il
potere di
incantare le persone.
“Finalmente un amico maschio!”, esclamò
con
soddisfazione la donna, lasciandosi scappare una risata sarcastica.
Liam storse leggermente il labbro, non avendo
intuito cosa ella volesse insinuare con quel commento. Sembrava quasi
voler schernire
Bree, ma a Liam pareva difficile credere che proprio sua madre potesse
beffeggiarla davanti a quello che poteva essere anche il suo ragazzo.
“Entra, caro”, lo pregò la donna,
facendogli
spazio cosicché Liam potesse avanzare all’interno
dell’abitazione. “Siediti
pure, mettiti comodo”, proseguì accennando con una
mano all’accogliente
salotto.
Liam annuì soltanto, avvicinandosi con passo
lento al divano in pelle beige.
“Vado a chiamarla. Spero solo non ci metta
molto”, continuò allora la donna.
Liam la osservò meglio. Il suo volto aveva
un’aria familiare. In un attimo si ritrovò a
cercare nei suoi lineamenti dei
tratti in comune al viso di Bree.
Forse si trattava di quegli occhi chiari e
vuoti, dell’espressione svampita, della postura eretta, della
pelle candida.
“Non si preoccupi, aspetterò”,
ribatté con un
sorriso, cercando di mostrarsi disponibile.
Voleva fare una buona impressione, in un certo
senso.
La donna gli riservò una veloce occhiata
incredula, quasi scettica.
“Non capisco perché un bel ragazzo come te
perda il suo tempo così”, borbottò in
un mormorio che a Liam giunse appena
all’orecchio.
Non era neppure davvero certo di quello che la
donna avesse detto, o forse sperava semplicemente che quelle parole
appena
sussurrate non fossero veramente uscite dalla bocca di quella che
presumeva
essere la madre di Bree.
“Ti mando mia figlia giù”, concluse
infine,
regalando un ultimo sorriso a Liam, prima di affrettarsi a salire le
scale.
Ora ne era certo. Quella era davvero la madre di
Bree e a giudicare dalle apparenze non doveva avere propriamente un
buon
rapporto con la figlia.
Zayn osservò ancora per un istante la lapide
in marmo. Aveva seguito l’intera cerimonia, poi si era recato
al cimitero, dove
il tutto si era concluso. Non aveva avuto la forza di avvicinarsi alla
tomba.
Era rimasto piuttosto distante, quasi nascosto da una lunga fila di
cipressi.
Ormai erano andati via quasi tutti. Dalla sua posizione riusciva solo
ad
intravedere i volti di quelli che aveva compreso fossero i genitori
della
ragazza. Da quando aveva avuto notizia dell’infelice evento,
Zayn non aveva
fatto altro che sentire una morsa stringergli lo stomaco. Mille idee si
erano
fatte spazio nella sua mente, tormentandolo, non concedendogli neppure
un
istante di tregua. Sapeva che in parte era responsabile
dell’accaduto. Sapeva
che era lui che nell’ultimo periodo aveva venduto della roba
a quella ragazza.
Sapeva che quella dose, quella che l’aveva portata alla
morte, probabilmente
era passata dalle sue stesse mani. Aveva ancora il volto leggermente
livido, i
segni di quella notte non erano scoparsi integralmente dal suo corpo,
eppure
quel mondo continuava a perseguitarlo.
Zayn cominciava a dubitare di poter davvero
lasciarsi alle spalle quella terribile esperienza. Qualcosa, forse i
rimorsi,
forse la sua coscienza, gli urlavano che niente e nessuno avrebbe mai
potuto
cancellare ciò che lui aveva fatto, ciò che aveva
fatto agli altri. Ne avrebbe
portato per sempre i segni, le cicatrici sul suo cuore.
Il fastidioso rumore di foglie calpestate lo destò
dai suoi cupi pensieri. Deglutì sommessamente, nel vano
tentativo di ignorare
quel tanto palese indizio. Erano giorni che vedeva sempre quelle stesse
persone
osservarlo, controllarlo, pedinarlo. Da quando era tornato a scuola non
lo
avevano lasciato solo per neppure un istante. Non ne aveva parlato con
i suoi
genitori, non ne aveva parlato neppure con Louis a dir il vero. Zayn
credeva
soltanto che meno persone fossero a conoscenza di tutto ciò,
meno pericoli
avrebbe fatto correre ai suoi cari. Temeva che una sola parola avrebbe
potuto
scatenare l’ira vendicativa, che una sola frase sarebbe stata
sufficiente a
proseguire ciò che quella notte era stato lasciato in
sospeso.
Fece roteare gli occhi, alla ricerca di una
via di fuga che gli consentisse di allontanarsi da quegli uomini il
prima
possibile. Individuò un sentiero, lo avrebbe imboccato,
sarebbe uscito dal
cimitero ed, infine, si sarebbe diretto velocemente a casa. Aveva
bisogno di
sentirsi al sicuro e, nonostante ormai nessun luogo lo fosse per lui,
percepiva
la necessità di rifugiarsi in famiglia, accudito
dall’amore dei suoi genitori e
dalle risate allegre delle sue sorelle.
Prese un respiro profondo, mentre con la mando
destra estraeva una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca del
cappotto. Con l’altra recuperò
l’accendino ed in pochi attimi l’accese. Ne fece
un tiro, poi finalmente si decise a camminare. Sapeva quello che doveva
fare,
cercava solo di racimolare quel briciolo di forza che gli avrebbe
permesso di
concretizzare il suo piano.
Quando, dopo quasi un’oretta, chiuse alle sue
spalle il portone di casa, Zayn respirò a pieni polmoni,
sollevato. Aveva
distintamente notato due persone seguirlo sino al cancello della sua
abitazione, ma poi li aveva visti fermarsi sull’altro lato
della strada. Zayn
era anche piuttosto certo del fatto che riusciva a distinguerli solo
perché
erano loro a voler essere visti. Era come se in quel modo potessero
sempre
ricordargli di tenere la bocca chiusa, ben sigillata.
“Zayn, amore, tutto bene?”, la voce calda di
sua madre giunse all’orecchio del moro come la cosa
più dolce e bella del
mondo.
Annuì soltanto, sperando di poter mascherare
quel velo di tensione e paura che ormai caratterizzava la sua
espressione.
“Zayn, figliolo, finalmente sei tornato”,
questa volta fu suo padre a parlare, raggiungendolo
nell’ampio ingresso.
La sua voce era chiaro segno di quanto
straziante quell’attesa gli fosse risultata. Probabilmente
aveva pregato per
interminabili minuti che Zayn rincasasse, che quella porta si
spalancasse
rivelando l’immagine serena di suo figlio e poterlo rivedere,
in quel momento,
sano e salvo era una gioia incommensurabile.
Il moro distolse lo sguardo, mentre con
noncuranza lasciava cadere la giacca sullo schienale della poltrona.
“Scusate il ritardo”, borbottò mentre si
sedeva scomposto sul bracciolo.
“Vuoi dirci dove sei stato?”, la domanda di
sua madre non preannunciava rimprovero alcuno, ma solo un disperato
bisogno di
sapere suo figlio al sicuro.
“In chiesa, poi al cimitero”, rispose atono,
mentre i suoi occhi si fissavano sullo schermo spento del televisore.
“Una
ragazza che conoscevo è morta”, aggiunse in un
sussurro.
In un attimo la mano di Zayn fu avvolta da
quella della madre.
“Permettici di aiutarti, tesoro”, la sua voce
era quasi una supplica.
“Ormai credo sia rimasto davvero ben poco da
poter fare”, il rifiuto di Zayn colpì forte
entrambi i suoi genitori.
“Zayn, noi abbiamo capito”, proferì suo
padre.
Il moro trattenne il fiato, mentre ruotava lo
sguardo in direzione dell’uomo. Aveva gli occhi sgranati, la
bocca schiusa e la
mente affollata da mille dubbi.
“Cosa?”, chiese soltanto a modi conferma.
Sua madre deglutì, mentre si faceva ancora più
vicina a lui.
“Abbiamo parlato con Jamal, sappiamo cosa è
successo e sappiamo perché quella
notte…”, suo padre lasciò incompleta la
frase, incapace di portarla a termine.
“Hai fatto la cosa giusta”, esordì
allora la
donna, carezzando delicatamente la guancia del figlio. “Ora
dobbiamo solo
essere certi che tu sia al sicuro”, terminò,
accennando ad un lieve sorriso,
nel tentativo di tranquillizzarlo.
Probabilmente a Zayn non sarebbe bastato, ma
in quell’istante gli parve un ottimo inizio.
Erano seduti da oltre un’ora sul comodo e
largo divano dell’enorme sala di casa Wood. Audrey, Harry,
Millie, Niall e
Charlie erano in silenzio, assorti nei loro pensieri. Era stato Harry a
proporre di organizzare qualcosa per quel pomeriggio, ma quando poi si
erano
ritrovati, nessuno sembrava più essere dell’umore
adatto. In realtà quando il
riccio aveva chiesto agli altri di incontrarsi, lo aveva fatto per un
unico
scopo. Non voleva in nessun caso che Millie ed Audrey si trovassero da
sole a
dover combattere la prima contro i rimorsi ed il senso di colpa che
continuava
a celare dietro la sua espressione gelida, la seconda contro la paura
di poter
perdere la gemella in ogni istante. Sarebbe stata sufficiente
un’unica piccola
distrazione ed Audrey avrebbe potuto tranquillamente dire per sempre
addio a
Millie.
“Qualcuno ha sete o fame?”, la domanda di
Charlie fece riscuotere tutti.
Era quasi una supplica, la sua, un invito a
metter fine a quella straziante agonia.
“Ci dovrebbe essere del gelato di là.”,
la
voce sommessa di Audrey giunse pochi secondi dopo.
Affogare il dispiacere nel cibo non era mai
rientrato tra le sue abitudini, né era solita mangiare per
noia, ma probabilmente
una coppa di cremoso gelato avrebbe potuto alleviare
quell’atmosfera così tesa
e pesante.
“Mi offro come volontario per prendere i
cucchiaini”, si propose immediatamente Harry, sollevandosi di
scatto dal
divano.
Aveva gli arti quasi atrofizzati per
l’eccessivo tempo trascorso immobile nella più
totale contemplazione.
“Ed io per prendere le coppette”, lo
imitò
prontamente Niall, mentre con un balzo lo affiancava.
“Andiamo, allora”, concluse Audrey, facendo
strada ai due verso la cucina.
Charlie sospirò non appena ebbe realizzato che
era rimasta da sola proprio con Millie e per di più nel
salotto di casa sua. Quasi
si maledisse per la malsana idea che aveva avuto e per le conseguenze a
cui
aveva portato.
Si morse fortemente il labbro inferiore tra i
denti, chiedendosi se fosse il caso di intavolare una qualsiasi
conversazione o
di attendere in silenzio il ritorno degli altri.
“Mi fa piacere che tu sia passata”, fu Millie
a rompere il ghiaccio, mentre con gli occhi cercava quelli chiari di
Charlie.
La maschera di fierezza che solitamente
sfoggiava aveva lasciato posto ad un’espressione
più amichevole e meno
orgogliosa.
Charlie riuscì solo ad accennare un sorriso,
prima che Niall si facesse spazio tra le due, porgendo le coppette
ricolme di
gelato.
“Ecco a voi, signorine”, le offrì con
voce
giocosa.
“Hai sentito?”, fu la domanda appena
sussurrata da Harry all’orecchio attento di Audrey.
Si era immobilizzata sullo stipite della porta
nell’esatto istante in cui sua sorella aveva proferito parola.
Annuì, mentre un sorriso si impossessava delle
sue labbra.
“Forse questa volta siamo davvero sulla buona
strada”, commentò con lo sguardo ancora incatenato
alla figura della sorella,
prima di afferrare Harry per mano e tornare in sala dagli altri.
---
Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! Allora, eccoci con il nuovo capitolo!
Stavolta parliamo di Harry che, insomma, per tutto il capitolo non fa
che preoccuparsi per tutti. Ma non è carinissimo in veste di
uomo premuroso?
A quanto pare tutta la sua timidezza sembra aver lasciato il posto ad una buona dose di sicurezza.
Ed eccolo che prima cerca di far forza ad Audrey e poi, insieme a lei, continua a tenere sott'occhio Millie.
Il funerale di cui si parla è quello della ragazza che nel
20esimo capitolo Millie avvicina, ecco perché sia per lei che
per Zayn la sua morte è piuttosto destabilizzante.
Per quanto riguarda Louis, vediamo un repentino riavvicinamento con Charlie!
Insomma, Margaret e Niall manca per appena un capitolo e quei due subito ne approfittando!
Però non voglio dire nulla a riguardo, potrebbe tranquillamente trattarsi di una chiacchierata tra amici, no?!
Anyway, veniamo a Zaynuccio caro. A quanto pare i suoi problemi non
sono finiti ed ora i suoi genitori sono al corrente di tutto.
Vedremo come si evolveranno le cose, perché presto ci sarà anche un gran ritorno.
Ah, quasi dimenticavo: Liam fa conoscenza della signora Collins!! Beh,
forse ora finalmente inizia a capire il perché di tutte le
insicurezze di Bree.
Okay, credo di aver detto tutto. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo quanto prima!!
Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!!
E, se vi va, lasciate pure un commento, insomma per sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 28 *** Millicent ***
g
MILLICENT
“Non
puoi dirlo sul serio!”, la voce acuta e
terrorizzata di Margaret risuonò forte tra le pareti della
cucina, mentre con
sguardo accusatorio fissava il volto rammaricato della madre.
“Tesoro, mi dispiace”, la sua voce era solo in
apparenza calma e piatta.
In realtà lei stessa si stava chiedendo come e
chissà per quale ragione riuscisse ancora a trattenere le
lacrime di fronte a
sua figlia. Era distrutta, il suo animo lo era nel profondo.
Sapeva cosa suo marito aveva fatto, lo aveva
saputo due giorni prima che entrambi decidessero di trasferirsi a
Londra, ma
non aveva mai davvero realizzato quali le conseguenze potessero essere,
non
prima che degli agenti della polizia suonassero al suo campanello, quel
maledetto giorno di qualche settimana prima.
“Non andrò dalla nonna, non mi
trasferirò
ancora!”, urlò in risposta Margaret, scossa da
un’evidente crisi di panico.
Sua madre le si avvicinò di qualche passo, sfruttando
quei pochi secondi a sua disposizione per decidersi su cosa sarebbe
stato
opportuno dire in quel momento. Avrebbe voluto poterle dare la
più assoluta e
totale certezza che tutto sarebbe andato bene, che nel giro di neppure
una
settimana suo padre sarebbe tornato a casa e avrebbero ripreso la loro
normalissima vita come se nulla fosse mai accaduto. Ma, ormai ne era
sempre più
certa, probabilmente quell’episodio non avrebbe avuto
un’imminente fine, né
tanto meno ne avrebbe avuta una positiva.
“Amore, sarà solo per poco”,
mentì, sperando
che ciò bastasse a rassicurare sua figlia.
Non voleva riempirla di bugie, ma allo stesso
tempo sentiva di non essere forte abbastanza per dirle la
verità. Era come se
cercasse un modo per proteggerla, per tenerla lontana da quel mondo di
accuse,
scartoffie, bugie ed interessi che stava sommergendo lei e suo marito.
“Io devo concentrarmi esclusivamente su papà,
ci sono davvero troppe cose di cui devo occuparmi”,
provò a giustificarsi sotto
lo sguardo severo di Margaret. “Ho bisogno di saperti fuori
da tutto questo, di
saperti tranquilla”, aggiunse, forse nel tentativo di
motivare ulteriormente la
tua decisione.
“Ma io voglio rimanere qui! Voglio restare
accanto a papà, accanto a te!”, la voce stridula
di Margaret fece rabbrividire
all’istante sua madre, costringendola a socchiudere gli occhi
per qualche
istante.
Non voleva andare via, avrebbe preferito
restare e lottare. Non le importava delle conseguenze, dei pettegolezzi
e delle
dicerie che di sicuro avrebbero accompagnato il suo passaggio a scuola.
Margaret voleva solo rendersi utile, voleva non arrendersi, combattere
per la
sua famiglia finché le fosse stato possibile.
Sua madre abbassò il capo, mentre le sue umani
si univano in maniera frenetica. Non avrebbe mai voluto allontanare sua
figlia,
ma quella le appariva l’unica scarna possibilità
di evitare che anche lei
venisse sommersa da quella serie di innumerevoli complicazioni dalle
quali,
almeno per il momento, non riusciva a trovare alcuna via
d’uscita.
“Ho già comprato il biglietto”, la
informò
allora.
Non cercava più l’approvazione o la
comprensione di Margaret, al contrario voleva solo essere certa che
avrebbe
seguito alla lettera i piani.
“Come puoi farmi questo?”, il tono accusatorio
ed indignato di Margaret fece sussultare visibilmente sua madre.
“Come puoi
farlo proprio ora?”, ancora la sua voce graffiante
colpì la donna che fu
costretta a mordersi il labbro, nel tentativo di trattenere le lacrime
che
ormai premevano per sgorgare dai suoi occhi.
Non avrebbe pianto. In realtà avrebbe tanto
voluto sfogarsi, avrebbe tanto voluto ammettere tutte le sue paure e le
sue
debolezze, ma doveva essere forte. Doveva esserlo per suo marito, per
sua
figlia, per la sua famiglia.
“Ormai è deciso, partirai tra tre
giorni”, concluse
puntando lo sguardo freddo ed inespressivo in quello vuoto e disperato
di
Margaret.
Lei fu scossa da mille piccoli brividi. La
gola le bruciava talmente forte che avrebbe voluto urlare, dar voce
alla sua
rabbia repressa, a quel silenzioso desiderio che le divorava
l’animo.
Sapeva cosa quella repentina ed inaspettata
partenza implicasse. Avrebbe abbandonato la sua famiglia, i suoi
genitori, i
suoi amici, Louis. Sarebbe fuggita al sicuro come la più
perfetta delle
codarde. Si sarebbe rintanata nella vecchia e triste casa di sua nonna,
in
attesa che il mondo, lo stesso nel quale in quel momento non riusciva
più a
trovare un posto, la riaccogliesse.
“Ti odio”, si lasciò scappare in un
mormorio
risentito, prima di voltarsi e correre fuori da quella casa che ormai
di
familiare non aveva più nulla.
“Ciao”, la voce calda ed insicura di Millie
catturò l’attenzione dei presenti, mentre con
passo lento si faceva avanti fino
a raggiungere il gruppetto di ragazzi seduti sull’erba fresca.
Liam sgranò gli occhi nel riconoscere proprio
Millie a neppure un metro di distanza da lui. Non era il fatto che
fosse la
ragazza con la quale era stato fino a poco fa a metterlo a disagio o
sorprenderlo. Ormai quel capitolo della sua vita, quello che
comprendeva
Millie, era definitivamente chiuso. A lasciarlo del tutto perplesso fu
la sua
presenza lì, in quel parco. Aveva sempre immaginato Millie
come quel genere di
ragazza attenta a non sporcare eccessivamente il tacco delle scarpe,
quella che
prestava attenzione ad ogni gesto per non rovinare lo smalto che con
cura aveva
applicato sulle unghie, quella che controllava costantemente la sua
immagine in
uno specchio che teneva fisso nella borsa firmata. La scrutò
accovacciarsi sul
terreno, prendendo posto tra Audrey e Niall, senza aggiungere altro.
Non solo
era lì, in un comunissimo parco per bambini a trascorrere il
suo tempo con
quelli che entrambi avrebbero definito persone davvero poco
interessanti fino a
qualche mese prima, ma lo faceva senza opporre nulla. Liam era abituato
a
vederla dettar legge, ad osservare con quale facilità Millie
riuscisse ad
ottenere sempre ciò che desiderava, magari anche solo con un
semplice battito
di ciglia o un’occhiata languida. Eppure ad osservarla ora,
in quel preciso
istante, le appariva così dannatamente diversa. Aveva lo
sguardo assorto nella
contemplazione di chissà cosa, mentre fingeva di seguire con
interesse i
discorsi sconclusionati di Louis, sforzandosi di ridere con naturalezza
alle
sue battute e alle sue facce buffe. E Liam ebbe quasi
l’impressione che per la
prima volta da quando l’aveva conosciuta, Millie stesse
semplicemente cercando un
modo per farsi accettare, un qualsiasi modo che le permettesse di
avvicinarsi,
anche solo di poco, a quelli che ora avevano tutt’altro che
l’aria di persone
poco interessanti.
Si diede dello stupido per non averlo capito
prima. Era stato con Millie per un tempo discreto e solo allora si rese
conto
di quanto poco la conoscesse. Lui aveva imparato a frequentare quella
Millie
sicura, indistruttibile, fredda, regina di ghiaccio. Ma vederla
così fragile,
così docile e riservata aveva fatto vacillare ogni sua
convinzione.
“Louis, smettila di fare il pagliaccio! Guarda
che non sei così divertente come credi!”, lo
canzonò Charlie, piantandogli una
leggera e scherzosa gomitata sullo stomaco.
“Così ferisci i miei sentimenti”,
ribatté lui
con tono melodrammatico, mentre il suo volto si piegava in
un’espressione
fintamente addolorata.
Charlie scosse il capo in segno di
rassegnazione. Del resto, per quanto ormai il suo rapporto con Louis
fosse radicalmente
cambiato, sapeva quanto, invece, lui fosse rimasto esattamente lo
stesso. Ne
aveva avuto la prova quel giorno, davanti alla chiesa, quando in
quell’abbraccio aveva esattamente sentito le stesse emozioni
che Louis era
solito regalarle.
Lui era quel ragazzo solare, allegro, pronto a
sorridere e far sorridere, era questo che tempo addietro
l’aveva fatta
innamorare di lui. E, nonostante ormai lei fosse impegnata con Niall,
Charlie
non aveva smesso di preoccuparsi per lui per neanche un istante. Sapeva
quanto
Louis fosse cresciuto dopo la loro rottura, sapeva quanto fosse
maturato e
l’eventualità che la causa di tutto fosse Margaret
la intristiva in un modo che
neanche riteneva possibile.
“Andiamo, sopravvivrai”, scherzò
Charlie,
sorridendo all’indirizzo di Louis.
Ed in un attimo il loro occhi chiari furono
gli uni dentro gli altri.
Louis si pietrificò quasi, dimenticando
persino di respirare. Neppure riusciva a ricordare quando era stata
l’ultima
volta che era riuscito a guardare Charlie in quel modo, senza rancore,
senza
rabbia, senza paura, solo con una sensazione di vuoto che aleggiava
all’altezza
del suo petto.
“Sì, del resto l’ho già fatto
una volta”, si
ritrovò a dire inconsapevolmente, in un sussurro talmente
lieve che dubitò
fortemente che qualcuno dei presenti l’avesse potuto sentire.
Non voleva per nessun motivo iniziare una
discussione con Charlie, quelle parole, quella cruda constatazione gli
era
sfuggita dalle labbra con tale naturalezza che non si era neppure reso
conto di
averla detta ad alta voce.
Scrutò il volto sereno di Charlotte, cercando
nella sua espressione una conferma del fatto che quella stupida ed
insulsa
frase non fosse giunta al suo orecchio e solo allora si accorse dello
sguardo
insistente di Bree.
Si voltò di scatto in direzione della rossa e
subito fu accolto da un sorriso rassicurante.
Gli altri avevano ripreso a scherzare,
probabilmente non avevano neppure notato la titubanza di Louis.
“Tranquillo”, gli mimò allora Bree con
le
labbra. “Tranquillo”, gli ripeté con
quegli occhi grandi e chiari puntati nei
suoi ed in quello sguardo Louis riuscì a trovare le risposte
ai suoi dubbi.
Si fidava di Bree, si fidava talmente tanto
che non percepiva il bisogno alcuno di confermare quell’unica
parola che gli
aveva rivolto. Se lei gli aveva suggerito di stare calmo, Louis
l’avrebbe
fatto, perché era stata Bree a dirglielo.
Niall continuava a trascinare lo sguardo tra
la figura di Louis, ora sorprendentemente silenziosa, e
l’espressione
indecifrabile di Charlie. Una strana sensazione si era insinuata nella
sua
mente nel preciso istante in cui aveva visto gli occhi della sua
ragazza
cercare quelli di quello che era il suo ex ragazzo e forse anche il
più
importante che aveva avuto. Una fitta si impadronì del suo
stomaco,
costringendolo ad una breve apnea. Da un lato nutriva distintamente
l’esigenza
di fare chiarezza in quello che aveva tutta l’aria di essere
un infondato
dubbio, dall’altro voleva solo aver immaginato quello strano
legame che per
qualche millesimo di secondo gli era sembrato riuscire a riportare
Charlie e
Louis tanto vicini, seppur ancora tanto distanti. Non voleva essere
geloso del
rapporto che c’era tra loro, sapeva che per Charlotte,
qualsiasi cosa sarebbe
accaduta in futuro, Louis avrebbe continuato a ricoprire un ruolo
importante
nella sua vita, ma voleva anche avere la certezza che mai Louis sarebbe
potuto
tornare ad essere ciò che per lei era stato.
“Credete davvero sia stata una buona idea
venire al parco con questo tempo?”, s’intromise
Harry, rivolgendo uno sguardo
preoccupato al cielo che sembrava ingrigirsi a vista d’occhio.
“Andiamo, non fare l’uccello del
malaugurio!”,
ribeccò Charlie, storcendo il naso in segno di disappunto.
“Forse faremmo meglio a correre ai ripari,
prima che si scateni il diluvio universale”,
controbatté Liam, alzando il palmo
destro della mano, verso l’altro.
Delle leggere piccole gocce d’acqua gli
inumidirono la pelle, dandogli prova che Harry aveva perfettamente
ragione
riguardo alle imminenti previsioni metereologiche.
“Uff”, sbuffò Bree, mentre
già iniziava a
raccogliere le sue cose sparse sul prato.
Avrebbe davvero voluto trascorrere dell’altro
tempo lì, con loro, in compagnia di quelli a cui mai avrebbe
potuto pensare di
affibbiare l’appellativo di conoscenti, figuriamoci di amici,
dunque.
“Se vuoi posso darti un passaggio”, si
offrì
prontamente Liam, curvando le labbra in un accenno di sorriso.
La sua proposta era giunta forte e chiara e
Bree si ritrovò istintivamente a sorridere, mentre le sue
gote si coloravano di
un rosso più intenso.
“Sarebbe fantastico”, accordò, annuendo
con
aria convinta.
“Harry, vieni anche tu?”, chiese ancora Liam,
questa volta rivolgendosi all’amico.
Harry rimase in silenzio per qualche attimo. Certo,
avrebbe di gran lunga gradito un passaggio, ma voleva anche riuscire a
far
trascorrere a Liam e Bree del tempo da soli.
“A lui ci penso io, possiamo accompagnarlo io
ed Audrey”, esordì allora Millie, lasciando senza
parole tutti i presenti.
Harry si sarebbe aspettato di tutto, ma non un
favore da Millie. Era come se lei fosse stata fatta con la clausola
esplicita
di non poter in alcun modo essere gentile con gli altri, eppure Harry
si era
dovuto ricredere.
“Certo, magari”, borbottò, ancora troppo
sorpreso per riuscire a dare una risposta migliore.
Audrey sorrise. Aveva il volto quasi
interamente coperto dai lunghi capelli scuri, fatta eccezione per gli
occhi che
risaltavano in contrato con la sua carnagione chiara.
“Ottima idea”, aggiunse soltanto,
mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Beh, allora andiamo anche noi?”, propose
allora Niall, rivolgendosi alla bionda al suo fianco.
“Non ho neanche l’ombrello, quindi credo
proprio che ci toccherà sbrigarci”, fu la risposta
di Charlie, mentre si
aggrappava alla mano del ragazzo per tirarsi su.
“Louis, tu che fai?”, chiese Bree, inchiodando
lo sguardo azzurro dell’amico.
In un attimo gli occhi di ghiaccio di Charlie
puntarono il volto di Louis, attenendo impaziente una risposta che
pareva
essere forse troppo eccessivamente importante per lei.
“Credo farò un giro, devo schiarirmi le
idee”,
ammise e le sue parole quasi fecero vacillare Charlotte.
Si chiedeva cosa avesse voluto dire con quella
frase, ma non fece in tempo a palesare i suoi dubbi che Louis si era
già alzato
e con passo svelto si allontanava.
Un
lampo squarciò il cielo, facendola rabbrividire.
“Sarà meglio andare”, concluse Niall,
avvolgendo la schiena della sua ragazza con un braccio, accompagnandola
lontano
da lì.
Millie impiegò meno di una trentina di minuti
a raggiungere casa. Aveva osservato Audrey ed Harry, seduti sui sedili
posteriori, per tutto il breve tragitto ed era giunta alla ovvia e
chiara
conclusione che quei due erano fatti l’uno per
l’altra. Lo aveva capito dallo
sguardo di Harry, dal modo in cui i suoi occhi parevano luccicare
quando
casualmente si scontravano con quelli di Audrey. Lo aveva intuito dalle
loro
mani, da come si sfioravano per poi allontanarsi, quasi come se
avessero preso
la scossa con quel semplice, lieve contatto. Lo aveva compreso dalle
labbra di
Audrey, piegate in un mezzo sorriso, dalla sua espressione rilassata,
quella
stessa espressione che non aveva più visto per troppo tempo
sul suo volto.
“Siamo arrivati”, fu costretta a dire quando
fermò l’auto davanti al cancello.
Pioveva a dirotto, ormai. Avevano fatto appena
in tempo a rifugiarsi all’interno dell’abitacolo,
che la pioggia li aveva
sorpresi.
“Andiamo?”, chiese allora Audrey, notando che
sua sorella non accennava a muoversi.
Ci aveva pensato e ripensato, indecisa sul da
farsi. Si era maledetta per la sciocchezza che le era balenata in testa
e,
nonostante fosse consapevole dell’inutilità e
della stupidità di cui quel gesto
era intriso, non riusciva a liberare la mente da quella malsana idea.
“Avviatevi, io ho una faccenda da sbrigare,
credo”, mugugnò con lo sguardo concentrato sul
tergicristalli ancora in
funzione.
Audrey sussultò a quelle parole, chiaramente
spaventata.
“Cosa hai da fare di tanto importante?”, la
sua domanda preoccupata esigeva una risposta, una risposta sincera.
Millie abbassò il volto in direzione del volante.
“Credo di dovere delle scuse ad una persona”,
confessò con un filo di voce.
Appena
qualche minuto dopo accostò la macchina sul ciglio della
strada, a pochi metri
di distanza dall’ingresso principale
dell’abitazione della famiglia Malik.
Si impose di bloccare il flusso sconnesso di
pensieri che si era impadronito di lei. Ormai aveva deciso, niente e
nessuno le
avrebbe più potuto far cambiare idea, neppure la pioggia
torrenziale.
Scese frettolosamente dall’abitacolo caldo e
confortevole, per incamminarsi in direzione del cancello.
Tirò un sospiro di
sollievo nel notare che fosse aperto. Percorse con urgenza il breve
vialetto e
solo quando fu a pochi metri dal portone notò una figura di
lato, accovacciata
su uno dei tre gradini che conducevano all’ingresso.
Per un istante pensò si trattasse di Zayn.
Aveva la pelle ambrata, i capelli scuri, un fisico snello e muscoloso,
ma
quando i suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo rimase sorpresa nel
constatare che si era sbagliata.
“Ciao”, provò a dire, con la voce ancora
affannata.
Il forte rumore della pioggia le parve quasi
confortante, sembrò riempire il silenzio che la mancata
risposta del ragazzo
aveva prodotto. Copiose gocce continuavano a cadere sulla pelle chiara
di
Millie, bagnandola. Non aveva neppure portato un ombrello, spinta dalla
fretta
che nutriva di rivedere quegli occhi ambrati.
Millie si concentrò con più attenzione sui
lineamenti del ragazzo, erano familiari, nonostante quella fosse di
sicuro la
priva volta che lo incontrasse.
“Sono Millie, cerco Zayn. È in casa?”,
domandò, quasi tremante per il freddo.
“Sì”, una sillaba fuoriuscì
dalla bocca del
moro dopo interminabili istanti.
Millie sorrise, tirando un sospiro di
sollievo.
“Tu sei suo fratello?”, chiese allora,
curiosa.
“Sì”, ancora quella stessa ed unica
parola
prese vita dalle sue labbra.
Millie crucciò la fronte, mentre una leggera
sensazione di disagio iniziava a farsi spazio in lei.
“Non mi ha lasciato entrare”, mormorò
con gli
occhi puntanti nel vuoto.
La sua voce era appena udibile.
“Spero tu sia più fortunata”, aggiunse
poco
dopo, accennando ad un triste sorriso.
Millie si morse il labbro, frastornata, mentre
altri mille dubbi si affollavano nella sua mente.
Non ebbe neppure il tempo di porgere ulteriori
domande a quel ragazzo, che lui era già andato via. Lo vide
camminare sotto la
pioggia con passo lento e malandante, senza curarsi
dell’acqua che continuava a
scorrergli addosso.
Scosse il capo, poi deglutì, cercando solo di
concentrarsi su ciò che si accingeva a fare.
Suonò il campanello senza aspettare
ulteriormente ed in pochi istanti la figura della signora Malik
comparve sulla
soglia della porta.
Millie non seppe mai se quella fu solo una sua
impressione, o la donna parve davvero sollevata nel vedere che era lei
all’ingresso.
“Salve signora”, salutò educatamente,
sorridendo all’indirizzo della donna. “Cerco Zayn,
suo fratello mi ha detto che
è in casa”, esordì intrecciando le mani
tra di loro, in un gesto quasi
nevrotico.
La donna sembro deglutire a quelle parole, poi
si costrinse a sorridere, invitando Millie ad entrare e fu in quel
momento che
Millie si chiese cosa i genitori di Zayn sapessero sul suo conto.
“Zayn, tesoro, c’è una ragazza che ti
sta
cercando”, lo chiamò la donna, sporgendosi in
quella che Millie ricordava
essere la cucina.
Era stata una sola volta a casa Malik prima di
quel momento ed i ricordi di quando si era svegliata, la mattina
successiva, in
quel letto, con lo sguardo di Zayn puntato addosso, erano ancora troppo
vividi
nella sua mente.
“Millie”, la voce del moro era un sussurro
sorpreso.
“Bene, io torno di là”, concluse la
donna,
lasciando un ultimo sorriso a Millie, prima di sparire al di
là della sua
visuale.
“Cosa ci fai qui?”, la domanda di Zayn suonava
quasi come un’accusa.
“Dovevo parlarti”, ammise allora,
avvicinandosi di qualche passo a Zayn
“Cosa vuoi ancora da me?”, ed ancora il tono
intimidatorio del moro aggredì Millie, facendola sussultare.
Doveva farsi forza, sapeva che aveva solo
pochi minuti prima che Zayn perdesse la pazienza e le ordinasse di
andar via.
Prese un lungo respiro, mentre la sua mano destra si stringeva forte in
un
pugno.
“Volevo chiederti scusa”, mormorò.
Chiara, concisa, diritta al punto, tanto da
spazzare visibilmente il ragazzo di fronte a lei.
“Mi dispiace per aver perso il controllo
l’altro giorno”, continuò riuscendo
finalmente ad alzare il volto in direzione
di quello di Zayn. “Mi dispiace per lo schiaffo”,
chiarì allora, nello stesso
istante in cui i loro occhi si incontrarono.
Il moro rimase in silenzio, con la bocca schiusa
e la mente offuscata da un turbinio di domande a cui non riusciva a
dare una
risposta.
“Ti ho visto al funerale”, confessò poi
Millie, con un filo di voce, quasi a voler tastare il terreno.
Non voleva far innervosire Zayn, non ora che
finalmente sembrava riuscire ad avere una conversazione civile con lui.
Zayn trasalì a quelle parole e di scatto
indietreggiò, mentre stringeva le braccia sotto al petto,
come a creare una
sorta di corazza che potesse difenderlo dalle parole di Millie.
“So di non essere la persona adatta a dirti
certe cose, ma volevo solo che tu sapessi che non è colpa
tua”, disse tutto
d’un fiato, liberandosi da quel macigno.
Lui sgranò gli occhi, ormai non sembrava
neppure più respirare per quanto fosse immobile.
“Cosa vuoi?”, la sua voce roca fece
rabbrividire Millie.
A Zayn non interessavano le scuse, i motivi,
le ragioni. Lui aveva sbagliato e continuava a pagare le conseguenze di
quel
suo unico, grande, madornale errore.
In altre circostanza quella domanda
strafottente sarebbe stata sufficiente a dissuadere Millie dai suoi
buoni
propositi, ma non in quella situazione, non con Zayn.
“In un modo o nell’altro si sarebbe comunque
procurata ciò che cercava”, riprovò
muovendo un passo in direzione di Zayn.
“Io l’ho aiutata, però”,
ribatté sarcastico.
I suoi occhi erano velati di tristezza e
rimorsi.
“Non è colpa tua”, ripeté
allora Millie,
facendosi più vicina, fino a poggiare una mano sul braccio
di Zayn. “Sarebbe
successo comunque, lei non si sarebbe di certo arresa davanti ad un tuo
rifiuto.
Avrebbe semplicemente chiesto ad un altro”, aggiunse con un
sospiro.
Ed in quelle parole, oltre a quella ragazza,
c’era anche la stessa Millie, quella che aveva fatto di tutto
per racimolare un
po’ di roba, quella che non si era fermata davanti ad una
discussione e qualche
urla.
Zayn scosse il capo. Non faceva altro che
rimuginare su ciò che era accaduto, sul grado di
responsabilità che ricadeva su
di lui, sulle sue innumerevoli colpe.
Millie alzò lentamente la mano, fino a
sfiorare i lineamenti duri e tesi del volto di Zayn, lasciandogli una
leggera
carezza sulla guancia.
“C’era tuo fratello qui fuori, quando sono
arrivata. Non so cosa sia successo tra di voi, ma sembrava davvero
dispiaciuto”,
proferì, incurvando le labbra in un sorriso di
incoraggiamento.
“Stanne fuori”, il tono rude di Zayn fece
sussultare Millie.
Con uno scatto scansò la mano della ragazza,
liberandosi da quel tocco gentile.
Lei sbatté più volte le palpebre, disorientata
dal repentino cambiamento che la loro conversazione aveva subito.
“Io…”, provò a giustificarsi,
ma Zayn fu più
veloce di lei.
“Millie, va’ a casa.”, la
pregò quasi, il suo
sguardo la supplicava di dargli ascolto.
Lei annuì, avendo intuito che ormai quel
magico momento si era interrotto. Era durato solo pochi secondi, ma in
quel
lasso di tempo era stato come se lei e Zayn si trovassero finalmente
sintonizzati sulla stessa frequenza, vicini come non lo erano mai
stati. Si
avviò con passo lento in direzione della porta, decisa a
tornare a casa.
“Millie”, Zayn la richiamò, la sua voce
era
una preghiera.
Lei si immobilizzò, con la mano a mezz’aria
che quasi sfiorava la maniglia. Poi, mossa da chissà quale
impeto, si voltò di
scatto e con appena due falcate colmò la distanza che ancora
la divideva da
Zayn. Fu questione di un solo ed unico attimo e le sue labbra
premettero su
quelle del ragazzo. Un attimo e Millie si trovò a desiderare
che quel bacio non
giungesse mai a termine, un attimo e le sue mani si trovarono a
circondare il
collo del ragazzo, un attimo e quelle di Zayn si poggiarono attorno ai
fianchi
di Millie. L’aveva baciato, Millie aveva davvero baciato Zayn.
Quando i suoi occhi tornarono ad osservare
quelli ambrati del moro, Millie percepì le sue guance
accaldarsi.
“Devo andare”, riuscì soltanto a dire,
prima
di correre via.
Se Millie aveva una cosa in comune ad Audrey,
allora era quella di fuggire, scappare quando la situazione diventava
sentimentalmente troppo complicata. Quello, di certo, era un tratto
tipizzante
delle gemelle Wood.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti! Mi dispiace per aver fatto trascorrere così tanto tempo dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo,
ma in questo periodo sono stata piuttosto impegnata, visto che tra poco si ricomincia.
Comunque, non voglio annoiarvi con la lista delle cose che mi tocca fare, quindi passiamo alla storia.
Margaret pare costretta a doversi traferire un'altra volta, mentre gli altri si vedono e, per la prima volta dopo tanto,
sembrano anche piuttosto tranquilli tutti insieme, o quasi.
Anyway, capitolo dedicato a Millie perché finalmente la vediamo preoccuparsi per qualcuno che non sia se stessa!!
Insomma, è quasi gentile e per di più si decide ad andare
da Zayn ed è così che scopriamo che Jamal è
tornato!
Insomma, siamo quasi alla fine della storia. Credo ormai manchino solo due capitoli!!
A dir il vero stavo già pensando da un po' a srivere un'altra
storia, me per ora sono ferma al prologo ed ho le idee ancora piuttosto
confuse,
quindi credo aspetterò ancora un po' e cercherò di delineare meglio le caratteristiche di un'eventuale trama.
Comunque, grazie a chi legge, segue, ricorda e preferisce!
Alla prossima!!
A strea_
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Capitolo 29 *** Charlotte ***
j
CHARLOTTE
La
radio
passava una canzone anni novanta che né Liam, né
Bree parevano conoscere. Il
castano teneva lo sguardo fisso sulla strada, mentre con le mani
stringeva con
fin troppo vigore il volante. I suoi muscoli erano leggermente tesi,
segno di
quella strana sensazione che padroneggiava nell'abitacolo.
"Sicura
che tua madre non si arrabbierà per l'auto?",
domandò allora, a voler
rompere il silenzio che si era creato nell'esatto momento in cui aveva
messo in
moto la vettura.
Bree
fece spallucce, sistemandosi meglio sul sedile del passeggero.
"Non
se ne accorgerà neppure", spiegò con un filo di
voce, voltando il viso in
direzione del finestrino. "Nel peggiore dei casi darà di
matto e si
riempirà di farmaci", borbottò poi, pentendosi
immediatamente di ciò che
aveva appena detto.
Non
voleva che quella piccola rivelazione potesse in qualche modo
influenzare il comportamento
di Liam. Avrebbe odiato la sola eventualità che lui provasse
commiserazione o
pena nei suoi confronti.
Liam
deglutì sommessamente. Aveva perfettamente capito
ciò che Bree si era lasciata
sfuggire, ma aveva accuratamente ignorato quelle parole, consapevole
che non
erano ancora pronti per affrontare un discorso di tale portata. Sarebbe
stato
come far crollare ogni barriera tra di loro, come riuscire a vedere
finalmente
oltre le apparenze, scorgersi nudi davanti a quel mare inspiegabile di
emozioni
ancora troppo confuse e contrastanti. Avrebbe significato fidarsi e
Liam non
era sicuro di essere la persona adatta a quel genere di confidenza. Non
era
Bree il problema, non era lei l'anello debole tra loro due. Nonostante
le
apparenze, era Liam colui che più si sentiva in
difficoltà in quel genere di
situazioni.
“Hai pensato
a dove potremmo andare?”, questa
volta fu Bree ad interrompere quella nuova ventata di silenzio che si
era
abbattuta all’interno dell’abitacolo.
Non riusciva a
sopportare il silenzio, non
quello di Liam perlomeno. Voleva sapere cosa gli passasse per la mente,
voleva
che lui la rendesse partecipe dei suoi dubbi, delle incertezze, delle
paure,
delle gioie, dei successi, di tutto. Ma era perfettamente cosciente di
quanto
ipocrita fosse quella tacita richiesta, fatta proprio da colei che
ancora non
riusciva a parlare apertamente dell’ambiguo rapporto che la
legava alla madre.
Non poteva pretendere nulla dal castano, se neppure lei riusciva a
superare
quell’ultimo, seppur apparentemente insormontabile ostacolo.
“A
dir il vero no, tu hai qualche idea?”, Liam
arricciò il naso, mentre lanciava una veloce occhiata a Bree.
E quelle
parole risuonarono all’orecchio di
Bree come la più banale delle conversazioni. Non era questo
ciò che lei voleva
dal suo rapporto con Liam, non era l’ovvietà,
l’imbarazzo e la mediocrità.
Voleva un qualcosa di unico, quel qualcosa che sapeva perfettamente
potesse
nascere tra loro, se solo entrambi si fossero decisi a spazzar via
quell’ultima
maschera che ancora copriva i loro volti. Bree voleva finalmente
vederlo,
voleva osservare Liam per ciò che realmente era. Non
avrebbero tenuto
pregiudizi, scuse, luoghi comuni. Ci sarebbero stati solo loro, solo
Liam e
Bree e sarebbe stata la cosa più bella e speciale al mondo.
Doveva farlo,
doveva rischiare. Perché Bree
sapeva di non poter attendere che fosse Liam, perché Bree
sapeva che, contro
ogni aspettativa, era lei la più forte tra i due in quel
momento.
Doveva farlo
per lei, per Liam, per loro.
Prese un
respiro a pieni polmoni, prima di
puntare lo sguardo sul viso del castano.
“Puoi
accostare?”, chiese gentilmente, seppur
nella sua voce trapelasse con chiarezza dell’agitazione.
Liam
arricciò la fronte, sorpreso da quella
richiesta. Erano partiti da appena pochi minuti e Bree già
gli chiedeva di
fermarsi.
“Ti
senti bene?”, domandò apprensivo, mentre
si faceva sempre più di lato, fino a giungere sul ciglio
della strada.
“Sì,
cioè no, cioè sì”, la voce
tremante di
Bree non fece altro che preoccuparlo maggiormente.
Slacciò
la cintura di sicurezza con un unico
gesto, per poi voltarsi in direzione della rossa seduta al suo fianco.
“Ti
manca l’aria? Devi vomitare? Hai la
nausea?”, il tono ansimante di Liam la metteva ancora
più a disagio.
Si
mordicchiava nervosamente il labbro, con le
mani giunte in grembo ed il capo basso.
“Mi
piaci”, esordì tutto d’un fiato,
puntando
gli occhi verdi in quelli castani di Liam.
Il castano
trasalì a quelle parole ed in un
attimo tutto gli parve assumere un senso. Tirò un lungo
sospiro di sollievo
quando finalmente riuscì a metabolizzare il significato di
quelle due sole
parole che Bree gli aveva rivolto. Sentì tutta
l’ansia che aveva provato in
quei pochi istanti scaricarsi all’interno del suo corpo e
allo stesso tempo
percepì l’adrenalina percorrergli veloce tutta la
spina dorsale, ancora
incredulo.
“Cosa?”,
farneticò con gli occhi spalancati e
l’espressione sbigottita.
“Mi
piaci”, ripeté Bree, questa volta con meno
sicurezza della prima.
“Ed
io che pensavo ti sentissi male!”, esultò
allora Liam, mentre un sorriso rilassato si impadroniva delle sue
sottili
labbra.
Bree
serrò la mascella, spiazzata da quella reazione.
Non capiva se stesse cercando di ignorare quella sua dichiarazione o se
semplicemente Liam non aveva compreso cosa quelle parole implicassero.
In
entrambi i casi, quella situazione la irritava.
“Potresti
anche rispondermi”, gli fece notare
allora, con la fronte aggrottata per il disappunto.
“Ah
sì, certo”, disse soltanto, prima di
lasciarsi scappare una risata gioiosa.
Se solo Bree
non fosse stata così comprensiva
e buona, era certa che in quel momento non si sarebbe risparmiata un
bel pungo
in faccia. Proprio non riusciva a comprendere il suo comportamento, non
dopo
quello che c’era stato tra di loro.
Stava per
riaprir bocca, questa volta per
puntualizzare l’inadeguatezza dell’atteggiamento di
Liam, ma le parole le
morirono in gola quando le labbra soffici del castano di posarono sulle
sue,
baciandola.
“Ehi”,
la voce di Jamal rimbombò nella cucina
di casa Malik.
A Zayn era
sembrata molto più roca di quanto
ricordasse. I lineamenti di quello che biologicamente era suo fratello
parevano
più duri, più marcati, come se il tempo li avesse
accentuati.
Zayn non si
preoccupò neppure di ricambiare il
saluto, non era uno da convenevoli lui.
“Ho
visto la tua ragazza l’altro giorno. È
molto carina”, iniziò Jamal, nel patetico
tentativo di intavolare una qualsiasi
conversazione.
Zayn quel
pomeriggio lo aveva lasciato entrare
in casa. Non era stata di certo Millie a convincerlo, né le
parole di conforto
dei suoi genitori o gli sguardi spaesati delle sue sorelle.
Da quando
Jamal era tornato a Londra, appena
pochi giorni dopo la notte in cui Zayn era stato malamente picchiato,
aveva
preso l’irritante abitudine di passare tutti i giorni a
trovarlo. Non aveva
avuto il coraggio di tronare a casa, per il momento si era fatto
ospitare da un
suo amico, ma non aveva mai mancato un pomeriggio. Zayn puntualmente
aveva
chiesto ai suoi genitori di farlo andar via, dichiarandosi ogni volta
ancora
non pronto a parlare con lui. Ma quel giorno non c’era
nessuno in casa ed era
toccato a Zayn andare ad aprire la porta quando aveva sentito il
campanello
suonare. Non aveva neppure controllato dallo spioncino, così
all’improvviso si
era ritrovato l’immagine sorpresa di Jamal e i suoi occhi,
così simili ai suoi,
puntati addosso.
“Non
è la mia ragazza”, finalmente si decise a
dire, borbottando con fare scorbutico.
L’aveva
lasciato avvicinarsi, certo, ma non
sapeva se era pronto anche a perdonarlo. Aveva immaginato
così tante volte quel
momento. Aveva desiderato urlargli contro, gridare a pieni polmoni del
rancore,
della rabbia, del dolore che lui gli aveva procurato. Aveva persino
immaginato
di scagliargli un pugno all’altezza della bocca dello
stomaco, giusto per
sfogare tutta quella miriade di sensazioni che gli ribolliva nelle
vene.
Eppure, da quando Jamal aveva messo piede in casa, non aveva fatto
altro che
scrutarlo attentamente in ogni sua più piccola movenza.
“Beh,
cosa aspetti allora?”, provò a scherzare
Jamal, sfiorando la spalla di Zayn con la mano chiusa in un leggero
pungo.
Il moro
indietreggiò, venendo meno a quel
tentativo di approccio di suo fratello.
“Cosa
vuoi, Jamal?”, quelle parole
fuoriuscirono dalla bocca del moro come un ringhio.
Era furioso,
ma cercava comunque di darsi un
contegno. Suo fratello era lì, a pochi metri da lui, che
provava a fare
conversazione come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Jamal
serrò i denti, a disagio.
“Voglio
chiederti scusa”, ammise.
Il suo tono si
era repentinamente fatto più
profondo e serio.
“Mi
pare tu l’abbia già fatto per
messaggio”,
controbatté fingendosi incurante.
“Non
pensavo neanche li leggessi, i miei
messaggi”, replicò allora Jamal con amarezza.
“Senti, Zayn”, riprese, questa
volta con più vigore. “Mi dispiace, se potessi
tornare indietro, io…”, iniziò,
ma il moro non gli tiene il tempo di terminare.
“Sai
cosa, Jamal?”, inveì contro di lui,
puntandogli per la prima volta il dito contro.
Jamal si
zittì all’istante. Era nel torto, non
poteva permettersi di contraddirlo in nessun modo e per di
più attendeva da
troppo tempo che Zayn gli parlasse, non importava se lo faceva solo per
insultarlo.
“Sono
stufo della gente che mi chiede scusa,
della gente che è dispiaciuta, che si sente in colpa, che
prova pietà!”, urlò.
Il sangue
pompava forte nelle vene, la voce
gli tremava per il nervosismo e un fastidioso groppo gli briciava in
gola.
“Tutti
non hanno esitato per neppure un
istante a puntare il dito contro di me per mesi e sai quando hanno
cambiato
idea? Sai quando?”, il tono sarcastico ed adirato di Zayn
costrinse Jamal ad
abbassare il capo. “Quando ci ho quasi rimesso la
pelle!”, sbraitò scagliando
un pugnò contro la parete.
Zayn
portò le mani tra i capelli scuri, poi si
massaggiò con calma le tempie. Aveva bisogno di aria fresca,
aveva bisogno di
darsi una calmata.
“Quindi
non me ne faccio un cazzo delle tue
scuse ora, un cazzo!”, ringhiò con sguardo truce.
Jamal
sussultò, incapace di ribattere. Suo
fratello aveva perfettamente ragione, non avrebbe potuto obiettargli
nulla.
“Ed
ora, gentilmente, vattene a fanculo. L’hai
già fatto una volta, nessuno ti impedisce di farlo una
seconda”, concluse con
un ghigno in volto, prima di sorpassarlo ed uscire di casa.
Audrey
alzò il volto quando percepì il rumore
di passi avvicinarsi. Aveva chiesto ad Harry di passare da lei, prima
di
incontrarsi con gli altri. Lo aveva aspettato per interminabili minuti
seduta
davanti all’ingresso della sua villa, immersa nelle sue
riflessioni.
“Ehi,
finalmente ce l’hai fatta”, ironizzò la
ragazza, sorridendo appena all’indirizzo del riccio.
Harry
ricambiò, poi prese poso accanto ad
Audrey.
“Allora,
dimmi tutto”, esordì con
un’espressione serena.
Audrey
tentennò per qualche istante. Aveva
provato mille volte quel discorso nella sua mente, ma quando finalmente
era
giunto il momento di esternarlo, le parole erano sembrate bloccarsi
sulle sue
labbra. Gli occhi verdi e limpidi di Harry avevano lo stramaledetto
potere di
disarmarla, le fossette agli angoli delle sue labbra erano
così tenere che
Audrey avrebbe voluto toccarle con un dito. Eppure, per quanto lo
desiderasse,
non l’avrebbe mai fatto. Lei era la ragazza cinica, fredda,
menefreghista e
solitaria sulla quale Harry sembrava sortire un certo indesiderato
effetto.
La
verità è che dopo sua sorella, dopo Zayn,
dopo la morte di quella ragazza, dopo che era venuta a conoscenza della
triste
realtà che il destino aveva in serbo per Margaret, Audrey
aveva sentito il
terreno sotto i suoi piedi tremare. Non voleva altri rimpianti, non
altri.
“Ieri
ho riascoltato l’intero ultimo album dei
Radiohead”, raccontò giocherellando con le dita
delle mani.
Harry
corrugò la fronte, spiazzato. Si era
precipitato a casa di Audrey non appena lei aveva chiuso la telefonata
ed aveva
temuto il peggio. Insomma, lo aveva quasi supplicato di raggiungerla
quanto
prima possibile ed Harry di certo non aveva neanche lontanamente
immaginati che
sarebbero finiti a parlare di musica.
“Tra
qualche mese verranno i Muse in
concerto”, proseguì. “Credo sarebbe
carino andarci insieme, insomma, è uno dei
pochi gruppi che piacciono ad entrambi”, propose allora,
mordicchiandosi
nervosamente il labbro.
Harry aveva il
sopracciglio sinistro
particolarmente incurvato, segno del fatto che non riuscisse affatto a
seguire
il discorso di Audrey.
“Certo,
si può fare”, acconsentì scettico,
sperando che quella fosse la cosa giusta da fare.
“Oppure
potrei accompagnarti a vedere i
Coldplay”, farneticò Audrey. “Io non ne
sono affascinata, ma almeno avrei la
scusa per trascinarti ad un concerto dei Three Days Grace”,
vaneggiò con lo sguardo
perso a mezz’aria, mentre con le mani aveva preso a
gesticolare.
“Audrey”,
la voce ferma e rassicurante di
Harry la fece sussultare.
In un attimo
le sue piccole mani furono
raccolte da quelle più grandi e calde di Harry. I suoi occhi
verdi si puntarono
in quelli della ragazza. Era agitata, quasi tremava ed il riccio non
riusciva a
capire il motivo di tale turbamento.
“Che
succede?”, le chiese e non fece neppure
in tempo a scandire l’ultima parola che le labbra di Audrey
si scontrarono con
le sue.
Louis scese
dall’auto insieme a Zayn. Aveva
fatto l’impossibile per avvertire tutti. Margaret gli aveva
fatto promettere di
essere discreto e lui, in un certo qual modo, aveva mantenuto la parola
data.
Ma non poteva lasciarla andare, non nell’indifferenza
più totale ed assoluta.
Margaret meritava attenzione, meritava di essere salutata come
un’amica, come
quella persona che per mesi era stata al suo fianco, al loro fianco.
Ed allora
Louis aveva avvisato Charlie, aveva
chiamato Bree ed aveva costretto Zayn a seguirlo. In un attimo si erano
ritrovati tutti lì, in piedi vicino al muretto che
costeggiava il marciapiede. Louis,
Zayn, Millie, Audrey, Harry, Liam, Bree, Niall e Charlie, erano tutti
lì.
Charlotte
giocava con una ciocca rosa dei suoi
capelli, lo sguardo basso e le spalle strette. Margaret le sarebbe
mancata.
L’aveva vista arrivare con una forza tale che avrebbe potuto
spazzare via
l’intero mondo, con quel sorriso sincero disegnato sulle
labbra e quei boccoli
biondo cenere che le cadevano ai volti del lato. Aveva inaspettatamente
trovato
in lei un’amica. Ma qualcosa non era andato per il verso
giusto. Charlotte
l’aveva vista sgretolarsi a poco a poco, fino a ridursi ad un
brandello di
cenere. Margaret si era allontanata all’improvviso,
chiudendosi a riccio, non
permettendo a nessuno di penetrare oltre quella dura corazza che si era
costruita attorno. Ed invidiava Louis, lo invidiava perché
lui era riuscito a
far breccia tra le mille difese di Margaret. Era riuscito a starle
accanto nel
momento del bisogno, mentre lei era rimasta in un angolino, ad
osservare
impotente delle immagini confuse della vita di Margaret da spettatrice,
da
estranea.
La porta di
casa Phillips si spalancò,
rivelando l’esile e slanciata figura di Margaret. Il suo viso
cupo parve
illuminarsi non appena notò la presenza dei suoi amici sulla
strada. Sorrise,
mordicchiandosi il labbro, forse imbarazzata. Aveva chiesto a Louis di
essere
riservato, ma si trovò a ringraziarlo mentalmente per non
averla ascoltata.
Aveva
già salutato sua madre ed un taxi la
attendeva pochi metri più avanti. Trascinò il
trolley e le due valigie fino a
raggiungere i ragazzi che automaticamente si chiusero in un semicerchio
attorno
a lei.
Margaret
sorrise nel vedere le mani di Harry e
Audrey intrecciate.
“Ma
allora è proprio vero che volevi partire
senza salutarci?”, scherzò Charlotte.
Margaret
abbassò il capo, colpevole. Avrebbe
tanto voluto parlare con Charlie di quello che le stava succedendo,
eppure non
lo aveva fatto.
“Io…”,
iniziò con tono di scuse, ma la bionda
intervenne prima che potesse continuare.
“Tranquilla,
ti capiamo, davvero”, la
rincuorò.
E Charlotte la
comprendeva per davvero.
Margaret
sospirò pesantemente.
“Andrà
tutto bene, tu sei troppo forte per non
farcela”, provò allora Harry sorridendole.
Quel genere di
circostanze lo metteva a
disagio. C’era davvero ben poco da dire in un momento come
quello, c’era
davvero ben poco che loro avrebbero potuto fare per alleviare le
sofferenze di
Margaret.
“Grazie
per il supporto”, la voce di Margaret
era incrinata dal tentativo di trattenere le lacrime. “Non
che ne sia convinta,
ma grazie lo stesso”, continuò per sdrammatizzare.
La tensione
era palpabile, tanto che persino
Zayn fu costretto a distogliere lo sguardo.
“Abbi
cura di te, Margaret”, la
raccomandazione di Louis era intrisa di parole non dette, di sentimenti
soffocati ancor prima che potessero sbocciare.
Margaret
annuì, sforzandosi di sorridere
ancora una volta.
“Allora
ciao”, salutò dopo istanti di
silenzio, alzando la mano destra a mezz’aria.
Margaret
doveva farsi forza, Margaret doveva
farcela.
Charlotte
fremeva, con il piede continuava a ticchettare
nervosamente sull’asfalto. Non avrebbe potuto lasciarla andar
via così. Ed in
un attimo avvolse le sue braccia attorno a quelle della ragazza,
stringendola
forte a sé.
“Qualsiasi
cosa accada, noi siamo qui”, le
sussurrò ad un orecchio. “Qualsiasi cosa ti serva,
non siamo qui”, aggiunse,
con la testa nascosta nell’incavo del collo
dell’amica.
“Grazie”,
Margaret balbettò, tra i singhiozzi
soffocati.
“Grazie
a tutti”, ripeté quando Charlie la
liberò dall’abbraccio.
Sorrise
un’ultima volta, prima di voltarsi in
direzione del taxi che ancora la attendeva. Doveva resistere, doveva
farlo solo
per altri pochi metri, poi si sarebbe lasciata andare ad un pianto
liberatorio.
Louis la
vedeva allontanarsi di spalle, con
passo certo. Non sapeva neppure quando l’avrebbe rivista. In
tutta sincerità,
Louis non sapeva neppure se l’avrebbe rivista. Ed ancor prima
di metabolizzare
i suoi pensieri, si ritrovò ad aver già deciso.
“Oh,
‘fanculo”, borbottò, prima che con uno
scatto raggiungesse Margaret e l’afferrasse per un polso,
costringendola a
voltarsi.
La bionda
riconobbe istintivamente gli occhi
color cielo di Louis, ma non ebbe il tempo neppure di comprendere cosa
stesse
succedendo, che sentì le labbra del ragazzo sulle sue.
Sorrise, mentre lasciava
che Louis approfondisse quel bacio, assaporando ogni più
piccola parte della
sua bocca. Non doveva essere così il loro primo bacio, non
doveva avere il
retrogusto amaro dell’addio.
Louis la
osservò, cercando di carpire ogni
dettaglio del viso della ragazza. Avrebbe voluto ricordarla
così in eterno.
“Fai
buon viaggio”, mormorò, sforzandosi per
evitare che le parole gli morissero in gola.
Margaret
sorrise appena, poi si voltò e questa
volta per sempre.
In silenzio,
senza concedersi neppure un
ultimo sguardo di saluto, salì nell’auto e
lasciò che l’uomo caricasse i
bagagli nel cofano.
Il rombo del
motore che veniva acceso fece
sussultare Bree, costringendola a stringersi meglio al braccio di Liam.
Harry
rafforzò la stretta della mano attorno a
quella di Audrey, mentre Millie si aggrappò impulsivamente
alla spalla di Zayn.
Niall
circondò la vita della sua ragazza con
un braccio, avvicinandola a lui, ma gli occhi di Charlie erano fissi
sul volto
perso e vuoto di Louis.
L’auto
gialla correva lungo la strada, tanto
che in pochi attimi fu al di là della loro visuale, ma loro
erano ancora lì,
fermi, immobili, quasi attendessero qualcosa, un segno. Quasi quel
silenzio
potesse colmare quel vuoto che Margaret aveva lasciato alle sue spalle,
ma
tutto ciò che fece fu scavare delle voragini ancora
più profonde in quegli
animi feriti, deboli e stanchi.
Margaret era
partita e Charlie non poté fare a
meno di chiedersi quale parte di Louis avesse portato via con
sé.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti! Insomma, per questo penultimo capitolo ci è voluto un po'.
Era già pronto da giorni, ma non ho davvero avuto un attimo libero per pubbliaarlo.
Comunque, per il prossimo, che sarà l'ultimo, spero di non farvi aspettare molto... al massimo sabato prossimo!;)
Anyway, nel capitolo succedono parecchie cosette: Bree e Liam, Audrey ed Harry, Jamal e Zayn finalmente parlano!
E Margaret, purtroppo, va via, ma senza passare inosservata!!
Bene, volevo brevemente ringraziare chi segue, ricroda, preferisce e legge!
Allla prossima!:*
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Capitolo 30 *** Liam ***
g
LIAM
“Ehi”,
la voce allegra di Bree fece
istintivamente sorridere Liam.
Si voltò, seguendo con lo sguardo i movimenti
della rosa che a passo svelto si accingeva a scendere gli ultimi
scalini della
rampa.
“A cosa devo questa tua visita serale?”,
scherzò mentre si avvicinava a lui, fino a poggiare le sue
mani sul petto
muscoloso di Liam.
Sorrideva, il suo volto era raggiante, i suoi
occhi quasi brillavano di luce propria. Liam percepiva il suo tocco
delicato
sulla pelle tremante.
Lentamente avvicinò il suo viso a quello di
Bree. I suoi movimenti erano cauti, quasi come se attendesse il
continuo
consenso di Bree per proseguire. Era straziante averla così
vicina e non
poterla baciare, era frustrante averla finalmente sua e doverle dire
addio. Gli
occhi verdi di Bree lo scrutavano alla ricerca di qualche indizio.
Percepiva
l’ansia, la preoccupazione, la paura dominare
l’animo di Liam, ma non riusciva
a capire a cosa fossero dovute. Voleva solo rassicurarlo, voleva in
parte poter
riuscire a scacciar via tutti quei pensieri che sembravano accumularsi
nella
mente del castano. E sapeva che lui stava per baciarla,
l’aveva intuito dal
respiro caldo di Liam che cadeva soffice sulle sue labbra, ma quella
attesa la
stava distruggendo. Agognava quel contatto come mai aveva desiderato in
vita.
Ma c’era qualcosa che andava oltre il puro bisogno, la
più umana debolezza o
necessità. C’era affetto, c’era amore
negli enormi occhi castani di Liam,
quello stesso amore che trapelava dall’espressione rapita di
Bree.
La mano destra del ragazzo si posò dolcemente
sulla guancia arrossata di Bree, carezzandola con delicatezza. Lei
prese un
lungo respiro, quasi a corto di ossigeno, mentre lo sguardo di Liam
cadde sulle
labbra rosse e carnose della ragazza.
Esitava, esitava come non aveva mai fatto. E
non era per il bacio in sé, ma per tutto ciò che
quel bacio comportava. Aveva
provato a lottare contro quei sentimenti, quelle sensazioni che
innumerevoli
volte lo avevano portato a Bree. Aveva tentato di ignorare quella
strana
sensazione all’altezza dello stomaco che si impadroniva di
lui ogniqualvolta la
figura della rossa comparisse nella sua visuale. E Liam non voleva
illuderla,
non proprio ora che finalmente aveva smesso di ingannare se stesso.
Trattenne il fiato quando i loro nasi si sfiorarono.
Sentiva il respiro affannato di Bree sulla sua pelle, il suo cuore
batteva
forte ad un ritmo irregolare, le sue mani si erano chiuse ad
intrappolare la
stoffa della camicia azzurra che indossava.
L’avrebbe fatta soffrire ancora di più, forse
le avrebbe spezzato il cuore. Ma Liam non era stato in grado di
proteggerla
neppure una volta e quella non sarebbe stata un’eccezione.
Bree sussultò quando finalmente sentì le labbra
di Liam premere contro le sue e, quando il castano si decise ad
approfondire il
bacio, a Bree parve quasi di poter toccare il cielo con un dito.
Sentiva, sentiva come aveva sentito davanti
casa di Liam, quel giorno che gli aveva urlato contro. Percepiva il suo
cuore
accelerare, il sangue pompare forte nelle vene e le gambe tremare.
Avvertiva la
mano di Liam che si intrecciava tra i suoi capelli, mentre
l’altra le stringeva
forte un fianco. E provava amore, gioia, felicità, vita e
allo stesso tempo
disperazione, paura, terrore.
Liam indietreggiò di poco, interrompendo quel
bacio. I suoi occhi si puntarono di scatto in quelli verdi di Bree.
“Mi hanno accettato a Berkeley”, disse tutto
d’un fiato.
Doveva essere felice, era riuscito a
realizzare il suo sogno, avrebbe dato una svolta drastica alla sua
vita, eppure
non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione di incompletezza.
Bree sgranò gli occhi e fu costretta a
boccheggiare più volte, prima di essere nuovamente in grado
di proferir parola.
Deglutì, sperando che con quel semplice gesto
potesse mandar giù il groppo che le si era creato in gola.
“Wow, ma è magnifico”, si
ritrovò ad esultare
con voce non troppo convinta.
Liam sospirò, mentre con le dita afferrava una
ciocca di capelli di Bree, puntando su di essa il suo sguardo
completamente
svuotato.
“No, non lo è affatto”,
ribatté con le labbra
umide che sfioravano la fronte di Bree.
La ragazza si morse forte il labbro e chiuse
forte gli occhi, temeva sarebbe scoppiata a piangere da un momento
all’altro.
“Ed invece sì! Andiamo, Liam, è della
Berkeley
che stiamo parlando”, si finse entusiasta, mentre si
costringeva a sorridere.
Liam le sarebbe mancato, saperlo oltreoceano
era un qualcosa che la uccideva dentro, ma non avrebbe provato a
fermarlo in
alcun modo.
“Sono contenta per te, davvero”, mormorò
sincera, sfiorando con un dito i lineamenti rigidi del ragazzo.
“Partirò tra qualche settimana”,
annunciò
lasciandosi cullare dal gentile tocco di Bree.
Lei sapeva perfettamente cosa Liam volesse
dire con quelle parole. Era una scadenza, un limite dopo il quale tutto
sarebbe
cambiato.
“Ce la faremo Liam, ce la faremo”,
sussurrò
soltanto, stringendolo forte tra le sue braccia.
E Liam la baciò, con foga, con passione, come
se quello sarebbe stato il loro ultimo bacio. Voleva sentirla, voleva
che ogni
sua parte del corpo potesse entrare in contatto con quello di Bree.
Voleva
amarla.
D’impulso afferrò Bree, alzandola fino a
permetterle di avvolgere le gambe attorno alla sua vita, poi a tentoni
si mosse
fino alla parete. Il muro freddo a contatto con la schiena della rossa
la fece
rabbrividire, ma ben presto quella sensazione fu sostituita dalla
bramosia e
dall’eccitazione provocati da quella lunga scia di baci che
Liam aveva preso a
depositare lungo il collo, partendo dalla mascella per poi giungere
fino alla
scollatura a cuore del top che Bree indossava.
“Li-Liam”, lo richiamò quasi ansimante
contro
la pelle del ragazzo, mentre le sue mano correvano sul petto di Liam.
“In
camera mia”, disse soltanto, prima che le labbra del castano
furono nuovamente
sulle sue.
Lo avrebbe amato, con Liam avrebbe fatto di
tutto, per lui avrebbe rischiato, sofferto, perso. Ogni volta che era
con lui,
Bree si sentiva forte, talmente forte da poter distruggere il mondo
intero, ma
vulnerabile, perché sarebbe bastata una sola parola, uno
sguardo od un semplice
gesto a far vacillare le sue sicurezze. Ma quella sera non voleva avere
paura,
quella sera Bree voleva soltanto amare Liam.
“La ringrazio per l’invito, signor Wood”,
esordì Harry, facendo capolinea in sala da pranzo,
accompagnato da Audrey.
“È un piacere averti a cena con noi”,
ricambiò
prontamente, facendogli segno di accomodarsi a tavola.
Audrey lasciò la mano del riccio, mentre con
gli occhi allarmati cercava quelli verdi di Harry. Lui le sorrise
appena, prima
di prendere posto a tavola.
Audrey aveva detestato fin dall’inizio quella
ridicola proposta di suo padre. In realtà erano state le
circostanze a
costringerla ad accettare. Da quando Millie aveva iniziato la terapia,
suo
padre trascorreva molto più tempo a casa. Era come se, tutto
d’un tratto, si
fosse risvegliato, se fosse tornato alla vita, alla sua famiglia dopo
anni di
silenzio ed assenza. Lo vedeva muoversi per casa, lasciare aperta la
porta del
suo ufficio, sedersi sul divano e guardare quella tv che per mesi era
rimasta
spenta. Aveva persino ripreso ad aspettare che le sue due figlie si
svegliassero per poter fare colazione con loro.
La prima volta che suo padre aveva scoperto
lei ed Harry aggirarsi furtivi per il giardino a notte tarda, lui aveva
semplicemente finto di non accorgersi di nulla e probabilmente avrebbe
continuato a farlo, se non fosse stato per quel cappotto che Harry
aveva
lasciato sul divano del salone. Il signor Wood aveva controllato tutte
le
stanze del piano terra, prima di salire le scale a due a due, con
fretta, per
raggiungere la camera da letto di Audrey. Aveva spalancato con foga la
porta
chiusa, temendo il peggio, ma si era dovuto ricredere
all’istante. Audrey
l’aveva visto tirare un sospiro di sollievo alla visione di
lei ed Harry,
seduti sul tappeto ai piedi del letto che guardavano un film horror.
E, nonostante non ci fosse nulla di
equivocabile in quella situazione, il signor Wood aveva capito che non
avrebbe
più potuto ignorare quello che succedeva sotto i suoi stessi
occhi. Audrey era
sua figlia e quel giovincello con la testa riccia aveva tutta
l’aria di essere
il suo ragazzo.
Così aveva chiesto ad Audrey di conoscerlo, di
presentargli quell’amico che continuava ad aggirarsi per casa
sua senza mai
passare per il portone principale. Lei aveva rifiutato per giorni,
troppo imbarazzata
ed intimorita da quella eventualità, ma quando suo padre
l’aveva seguita in
giardino, una sera, per accertarsi della presenza di Harry, aveva
dovuto
cedere, prima che il riccio potesse notarli discutere dietro un albero.
“Finalmente ho l’onore di vederti in
faccia”,
borbottò sarcastico l’uomo.
In realtà Harry aveva un viso anche piuttosto
simpatico, ma il signor Wood non voleva affatto facilitargli il compito
solo
per quell’espressione affabile e quei modi gentili che
parevano distinguerlo.
Seduto a capotavola, il signor Wood scrutava
con attenzione il ragazzo seduto alla sua sinistra. Alla sua destra,
invece, se
ne stavano un’annoiata Millie e una preoccupata Audrey.
“Papà, smettila di metterli a disagio”,
lo
rimproverò Millie, stufa del silenzio che era caduto nella
sala. “Non lo vedi
che a stento respira ancora?”, ironizzò lanciando
una veloce occhiata
all’indirizzo di Harry.
Quella visuale quasi la irritava. Audrey era
talmente in ansia che continuava a ticchettare a terra con il piede
sinistro,
sfiorando di tanto in tanto il ginocchio di Millie e facendo, di
conseguenza,
tremare anche lei.
“Dimmi, Harry”, esordì allora il signor
Wood,
catturando l’attenzione del riccio. “Come hai
conosciuto mia figlia?”, chiese
con sguardo inquisitorio.
Harry deglutì a quella domanda che aveva tutta
l’aria di essere la prima di una lunga serie. Era un
interrogatorio, quello. Un
interminabile test che avrebbe dovuto superare per ricevere il
beneplacito del
padre di Audrey. Cercò di sorridere, mentre pensava ad una
risposta adeguata
alle circostanze. Certo non avrebbe potuto raccontargli tutta la
verità, ma non
voleva neppure inventare tutto di sana pianta.
“Abbiamo degli amici in comune”, proferì
con
voce chiara e decisa. “Inoltre frequentiamo degli stessi
corsi”, aggiunse
cercando gli occhi di Audrey come a chiedere conferma.
“Spero ti piaccia il pesce, perché ho fatto
preparare una cena a dir poco squisita”, commentò
l’uomo, mentre una donna
faceva il suo ingresso in sala con dei piatti ricolmi di cibo.
“Lo adoro”, si limitò a dire Harry,
dando
un’occhiata alla succulenta pietanza che gli veniva servita.
“Hai già pensato a cosa farai l’anno
prossimo?”, domandò l’uomo, mentre si
accingeva a prendere la forchetta e dare inizio alla cena.
“Ho fatto domanda per Oxford, Cambridge e
Londra, ma ancora non ho ricevuto risposta”,
spiegò lui, tentando di mantenere
un tono calmo.
“Sbaglio o sono le stesse università per le
quali hai fatto richiesta anche tu?”, chiese torvo
all’indirizzo di Audrey.
Lei fece spallucce, masticando lentamente.
Aveva previsto una conversazione del genere, per questo si era ben
preparata
all’eventualità.
“Sono le migliori di tutto il Regno Unito”, si
giustificò piuttosto soddisfatta della prontezza e
dell’insindacabilità della
sua risposta.
L’uomo prese un lungo respiro, leggermente
scosso da quella notizia.
“Harry, sarò sincero con te”,
esordì
inchiodando lo sguardo del ragazzo. “Sei il primo ragazzo che
Audrey porta a
casa”, constatò con voce seria e profonda.
“Ne abbiamo già passate tante come
famiglia, quindi fai soffrire ancora Audrey e sei finito”,
concluse con un
sorrisetto minaccioso stampato in volto.
“Signore, tengo davvero a sua figlia”,
confessò allora Harry.
Audrey sorrise ed Harry pensò di poter vivere
in eterno di quel sorriso.
La cena era da poco finita quando il cellulare
di Millie vibrò. Erano seduti in salotto, suo padre ed Harry
parlavano di sport
sotto lo sguardo vigile di Audrey. Con lo sguardo controllò
l’identità di colui
che la stesse cercando e per poco non fece un balzo quando lesse sullo
schermo
il nome di Zayn.
La chiamata terminò ancor prima che lei
potesse rispondere. Sbuffò, pensando che aveva appena perso
un’altra ottima
occasione, ma dovette ricredersi quando la spia rossa del cellulare
lampeggiò.
Aveva ricevuto un messaggio. Non attese neppure un attimo prima di
aprirlo. Era
Zayn e le chiedeva di raggiungerlo fuori.
Rilesse in apnea oltre una decina di volte
quell’unica semplice riga. Le mani tremavano, sudavano
freddo. Da quando Millie
lo aveva baciato, lo aveva evitato in tutti i modi. Zayn
l’aveva chiamata più
volte, l’aveva cercata per i corridoi, ma eccezion fatta per
il giorno della
partenza di Margaret, non era più riuscito a parlare con lei.
Da un lato Millie sapeva che continuare ad
ignorarlo fosse la cosa più giusta da fare, avrebbe evitato
ad entrambi
discorsi imbarazzanti e una buona dose di delusione, ma
dall’altro era come se
nutrisse ancora della speranza, come se in un piccolo e remoto angolo
del suo
cuore sperasse di poter finalmente chiarire con Zayn.
“Ancora lui?”, il sussurro di sua sorella la
ridestò dai suoi pensieri.
Millie corrugò la fronte, chiedendosi come
Audrey potesse sapere di chi si trattasse. Lei alzò gli
occhi al cielo,
scrollando le spalle.
“Sono giorni che ti cerca”, spiegò con
tono
ovvio, cercando di non farsi notare da Harry e suo padre.
Millie sospirò, il suo viso affranto facevano
chiaramente intuire quanto quella situazione la turbasse.
“Va’ da lui”, le consigliò
Audrey.
Millie si accigliò a quelle parole. Le
immagini di quel bacio ancora la perseguitavano.
“Va’ da lui, prima che papà lo veda qui
fuori
e decida di organizzare una cena anche per lui”,
scherzò seguendo con lo
sguardo quella luce di fari accesi che proveniva dal vialetto.
Le braccia di Millie si piegarono sotto al
seno, in segno di disappunto.
“Lo faccio solo perché voglio risparmiarmi
un’altra serata del genere”, borbottò
mentre si alzava dal divano.
“Vado a buttare la spazzatura”, disse in
direzione del padre, mentre si allontanava sotto lo sguardo compiaciuto
di
Audrey.
“Ciao”, salutò quando finalmente ebbe
raggiunto Zayn all’interno dell’abitacolo della sua
auto.
“Ormai stavo iniziando a darmi per vinto”,
borbottò sarcastico il moro. “Ho parlato con mio
fratello qualche giorno fa”,
iniziò per smorzare la tensione.
Non era un argomento a lui congeniale quello,
ma tutto in quel momento gli appariva meno straziante del silenzio di
Millie.
“Qualunque cosa sia successa tra di voi, credo
che tutti meritino una seconda possibilità”,
asserì.
Zayn strinse forte il volante tra le mani, di
sottecchi osservava Millie farsi sempre più piccola sul
sedile della sua
macchina.
“Non volevo baciarti, l’altro giorno”,
esordì
poi con foga, fissando per la prima volta quella sera i suoi occhi in
quelli
ambrati di Zayn. “Cioè, in realtà io
volevo, ma probabilmente tu no, quindi…”,
farneticò gesticolando nervosamente.
Le labbra di Zayn si piegarono in un ghigno
divertito.
“Smettila di guardarmi cosi”, si lamentò
allora Millie, abbassando il capo in direzione delle sue gambe.
“Credo di
essere già piuttosto a disagio, non c’è
bisogno della tua aria derisoria”,
borbottò in un mormorio.
“Millie, anche io volevo quel bacio”,
confessò
Zayn tutto d’un fiato, destabilizzando completamente la
ragazza.
Schiuse la bocca, sorpresa, mentre il suo
cuore batteva forte. Non aveva mai provato nulla di così
intenso per un
ragazzo.
“Ma ci ho pensato bene”, riprese e a quelle
parole Millie sentì una voragine aprirsi
all’altezza del suo petto.
“E?”, il suo era un sibilo appena udibile.
“E credo che per ora sarebbe meglio concederci
del tempo”, spiegò con le nocche bianche per la
ferrea stretta. “Sono accadute
troppe cose in quest’ultimo periodo.”,
approfondì cercando lo sguardo di
Millie.
In quell’istante desiderò con tutto se stesso
poterle leggere la mente.
“Tu hai la terapia ed io devo fare ordine
nella mia vita”, proseguì con fare incerto.
“Ci sarà tempo per noi, in futuro,
ma per ora sarebbe meglio aspettare”, concluse.
Aveva rimuginato prima di prendere una
decisone. La sola idea di dover allontanare Millie lo turbava, ma
sapeva che
entrambi avevano bisogno di rimettere insieme tutti quei frammenti in
cui le
loro vite si erano sgretolate. Zayn non avrebbe mai potuto aiutarla in
quell’impresa, perché anche lui, per quanto
continuasse a negarlo, necessitava
dell’ausilio di qualcuno. Sapeva che Millie aveva avuto delle
crisi, negli
ultimi giorni, e avrebbe voluto essere più presente, ma
anche lui era intento a
cercare un modo per riscattare se stesso. Con lui ci sarebbe stata la
sua
famiglia, Louis e forse anche Jamal. Millie, invece, avrebbe avuto al
suo
fianco suo padre ed Audrey. Ce l’avrebbero fatta, Zayn ne era
sicuro, ma non
l’avrebbero fatto insieme, perché insieme erano
ancora troppo deboli per
lottare.
Millie annuì. Non le piaceva affatto il
significato di quelle parole, ma era consapevole della loro
veridicità.
“Aspetteremo, allora”, concordò con tono
sommesso. “Aspetteremo”, ripeté, quasi a
voler convincere se stessa.
Millie spostò la mano sulla maniglia che
permetteva l’apertura della portiera, poi si concesse un
ultimo sguardo in
direzione di Zayn ed immediatamente incontrò gli occhi
ambrati del ragazzo.
“Allora ciao”, salutò, accennando ad un
lieve
sorriso.
Zayn si morse il labbro, combattuto. Non
poteva lasciarla andar via così.
“Millie”, sussurrò afferrando la ragazza
per
un braccio, per poi avvicinare i loro volti e baciarla.
L’avrebbe lasciata andare, avrebbe concesso ad
entrambi tutto il tempo di cui avevano bisogno, ma almeno avrebbe
conservato il
ricordo di quella serata, il ricordo di Millie.
Lei ricambiò prontamente il bacio, lasciando
che Zayn potesse approfondirlo. Avevano giocato per mesi, stuzzicandosi
e
lanciandosi occhiate languide e seducenti, ma Millie mai aveva pensato
di poter
desiderare proprio le labbra sottili di Zayn, un giorno, le sue
attenzioni, i
suoi baci, i suoi occhi.
“Ciao Millie”, la salutò, quando il
bacio
terminò.
Millie arrancò un sorriso, poi scese
dall’auto.
Zayn la seguì con lo sguardo, mentre camminava
svelta lungo il vialetto. Si passò una mano sulle labbra,
tastandole. Sorrise
nel constatare che aveva ancora il sapore di Millie addosso.
Charlie se ne stava seduta sul dondolo del
piccolo terrazzo sul retro della casa. Teneva le gambe strette al
petto,
avvolte tra le braccia, mentre con lo sguardo studiava attentamente il
cielo
scuro sopra di lei. La sua mente era affollata da mille pensieri. Da
quando
Margaret era partita l’aveva sentita solo tre volte e le
conversazioni non
erano neppure durate molto. Si erano concentrate principalmente sulla
nuova
città, la casa e qualche persona che Margaret aveva avuto
modo di conoscere. Le
mancava poter chiacchierare con lei come erano solite fare un tempo tra
una
lezione e l’altra. Aveva impiegato pochissimo tempo ad
affezionarsi a quella
ragazza ed ora doveva già fare i conti con la sua assenza.
Sussultò quando percepì il rumore di passi
sempre più vicino.
“Niall”, sussurrò poi, quando riconobbe
la
figura del suo ragazzo a pochi metri da lei.
“Ciao”, salutò lui con un cenno della
mano.
“Tua madre mi ha fatto entrare”, si
giustificò subito dopo, quasi a dover dare
un valido motivo alla sua presenza lì.
“Siediti”, propose allora Charlie, facendo
spazio sul dondolo.
Niall sospirò, mentre si muoveva con passo
stanco fino a raggiungerla.
“Ho saputo che ti hanno presa qui a Londra,
congratulazioni”, esordì forzando un tono
entusiasta.
Charlie sorrise con la testa china e con le
dita della mano sinistra iniziò a giocherellare con una
ciocca di capelli.
“Mia madre non riesce a mantenere un segreto
per neppure dieci secondi”, borbottò.
“Avrei voluto dirtelo io”, spiegò.
“Charlie, io ho bisogno di sapere”,
annunciò
Niall con voce autoritaria.
Era contento per Charlie, lo era davvero, ma
quei dubbi continuavano a logorargli l’animo. La bionda
alzò di scatto il volto
in direzione di Niall, in attesa che continuasse. Lui la
osservò per qualche
istante. Aveva la fronte corrugata e l’espressione
preoccupata. Continuava ad
arrotolare quell’unica ciocca di capelli attorno ad un dito,
mentre con gli
occhi di ghiaccio lo osservava impaziente.
“Riuscirai mai a dimenticare Louis?”, la sua
domanda schietta giunse all’orecchio di Charlie come una lama
affilata.
Sapeva di aver concesso troppe attenzioni a
Louis in quell’ultimo periodo, sapeva di non essersi dedicata
abbastanza a
Niall, di averlo trascurato e, a dirla tutta, si aspettava anche un
discorso
simile da parte del biondo.
“Niall”, iniziò, afferrando una mano del
ragazzo per poi stringerla tra le sue. “So di essere stata
scostante in questi
giorni, ti ho dato mille e più motivi per poter dubitare di
me e dei miei
sentimenti e per un attimo ho tentennato anche io”,
iniziò.
Forse avrebbe potuto omettere quel
particolare, ma con Niall voleva essere sincera, non voleva
nascondergli nulla.
“Ma Louis fa parte del mio passato”,
dichiarò
con lo sguardo perso negli occhi color oceano di Niall. “Ed
in un certo senso
fa parte di me, lo farà sempre”,
confessò con la voce incrinata. “E mi dispiace
se in questi giorni ti ho dato mille motivi per dubitare di me, mi
dispiace
tantissimo”, ammise, con lo sguardo basso.
Niall sorrise a quelle parole, rassegnato.
“Eppure ora l’ho capito ed al momento è
l’unica
cosa certa che so”, annunciò, alzando gli occhi in
direzione di quelli azzurri
e limpidi di Niall.
“Ti amo, ti amo davvero”, confessò con
un filo
di voce, tremante per l’emozione.
Niall sorrise, disarmato davanti alla
sincerità di quella voce e quello sguardo.
“Speravo di sentirtelo dire”, ammise,
sogghignando leggermente in direzione della bionda.
All’improvviso si era sentito più leggero,
felice, senza pensieri. Tutta l’angoscia che per giorni si
era portato dentro
era scomparsa ed il merito era tutto di Charlie.
Niall avvicinò lentamente il suo viso a quello
della ragazza, ammiccando giocosamente in sua direzione.
“Ti amo anche io”, sussurrò sulle sue
labbra,
prima di baciarla.
Louis si strinse nelle spalle per il freddo.
Era da poco passata l’alba quella mattina e l’aria
era ancora gelida e
tagliente, tanto che si ritrovò a sfregarsi le spalle con le
mani nel tentativo
di farsi calore.
“Ehi Louis”, lo chiamò Bree,
raggiungendolo.
Si erano dati appuntamento al parco per
l’occasione. In realtà ormai lo facevano sempre
più spesso, ma quella era
davvero una mattina speciale.
“Hai salutato Liam?”, domandò lui,
osservando
Bree che si lasciava cadere sul prato fresco accanto a lui.
“Sì”, disse soltanto, prima di stendersi
completamente sull’erba. “Credi lo
rivedrò presto?”, chiese dopo qualche
istante, con voce tremante.
I suoi occhi verdi e lucidi vagavano nel
cielo, il suo sguardo assente rispecchiava perfettamente il vuoto che
sentiva
dentro.
“Vuoi la verità, Bree?”, quella di Louis
aveva
tutta l’aria di essere una domanda retorica. “Non
credo proprio”, confessò,
sdraiandosi accanto alla ragazza.
“Siamo nella merda, allora”, commentò
rammaricata, girandosi su un fianco, così da poter
abbracciare l’amico.
E Louis l’avvolse tra le sue braccia. Bree
lasciò sprofondare la sua testa rossa nell’incavo
del collo del ragazzo, mentre
delle lacrime salate le scorrevano lungo le guance.
Liam era partito, Margaret era partita,
Charlie aveva lasciato Niall e Louis non sapeva davvero cosa pensare di
tutta
quella storia.
“’Fanculo, piccola”, imprecò
chissà contro
cosa o chi. “Ci faremo forza a vicenda”,
mormorò poi, stringendo forte Bree
contro il suo petto.
Liam si guardò attorno, alla ricerca del gate
giusto. Aveva chiesto a Bree di non accompagnarlo
all’aeroporto, aveva
preferito salutarla lì, a casa sua. La sera prima gli altri
erano passati a
salutarlo e Liam aveva convinto tutti che quel gesto era sufficiente e
dargli
un degno arrivederci. Tra pochi minuti sarebbe partito per gli Stati
Uniti
d’America e Londra, insieme al Kensington
& Chelsea College, non sarebbe rimasta altro che un lontano
ricordo. Una
serie di flashback, mille immagini, gli passarono veloci davanti agli
occhi. In
quei mesi, in quell’ultimo anno, la sua vita era totalmente
cambiata. Avrebbe
per sempre conservato quei ricordi, avrebbe per sempre ricordato il
volto
arrossato di Bree la prima volta che avevano fatto l’amore,
l’espressione di
Harry quando per la prima volta lo aveva mandato bellamente al diavolo
o quella
di Millie quando finalmente aveva fatto cadere la maschera. E avrebbe
ricordato
la sicurezza di Charlie, il volto ombrato di Zayn, le battute senza
senso di
Louis, il sorriso di Margaret, le risposte secche di Audrey e la
sensazione che
aveva provato quando aveva colpito Niall in pena faccia. Ma per ora,
tutto ciò
che doveva fare, era ricominciare tutto daccapo.
---
Angolo Autrice
Buona domenica a tutti!!! Finalmente eccoci con l'ultimo capitolo!!
Allora, che dire, ho pensato di finire la storia così com'era iniziata, con Liam.
Insomma, diciamo che questo non è proprio un lieto fine, fatta eccezione solo per Harry ed Audrey.
Certo, anche a Niall e Charlie va bene, ma non so per quale ragione mi
lasciano l'amaro in bocca. Sarà che c'è sempre Louis di
mezzo.
Finale aperto per Zayn e Millie, che decidono di aspettare, ma anche per Bree e Liam, tra i quali ci si mette la distanza.
Margaret ormai è partita e non compare affatto ed, infine, c'è Louis...
beh, non so proprio che dire su di lui, ma mi piaceva l'idea di un'amicizia tra lui e Bree.
Anyway, anche Liam è in partenza, alla volta degli USA. Ed ho
pensato che chiudere così era un bel modo per chiudere,
perché lasciava aperto quasi tutto...
Okay, non credo che quello che ho appena detto abbia senso, però più o meno era questa l'idea che avevo.
Bene, ora ci tenevo a ringraziare chi ha letto, ricordato, seguito o preferito,
ma soprattutto volevo ringraziare Grauen per il sostegno!!! Grazie mille, davvero!!!*.*
Okay, credo di aver detto tutto!
Alla prossima!:*
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