“I’ll never let them hurt you”

di ART RevolveR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1: “I can’t drown my demons: they know how to swim.” ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2: “We fear that which we cannot see.” + BONUS CONTENT: ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3: “And if they get me...” ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1: “I can’t drown my demons: they know how to swim.” ***


I’ll never let them hurt you




CAPITOLO 1: “I can’t drown my demons: they know how to swim.”

“Perchè siamo dovuti tornare qui? Io non ci volevo venire!” piagnucolò Mikey non appena il taxi li scaricò brutalmente con armi e bagagli davanti al maniero.
”Come ve lo devo dire che non è colpa mia? Neanch’io sono particolarmente felice!” sbottò secco Gerard  “Ma lo sapete com’è fatto il nostro produttore! Lui sostiene che a seconda del luogo in cui si registrano delle tracce, la sonorità cambia leggermente. Visto che dobbiamo incidere delle B-sides, ci ha costretti a tornare nel luogo dove abbiamo registrato l’album! E’ fissato con ‘ste cose lui!”
”Daiiii, ragazzi! Guardate che ‘sto posto non è poi così male! Ci divertiremo!” esclamò entusiasta Frank, saltellando sul posto.
”Per me tu sei l’unico che si diverte in un posto del genere, Frank...” disse Ray scuotendo la testa con tanto di voluminosa chioma afro e appoggiando pesantemente una mano sulla spalla del piccolo chitarrista cercando di calmarlo un po’.

Bob si limitò ad osservare con sguardo tetro l’edificio che svettava imponente di fronte a loro: il Paramour Mansion, l’antica villa coloniale di Los Angeles, trasformata in studio di registrazione.

Il guardiano del maniero, un ometto di mezza età curvo e dall’aria stanca, si avvicinò a loro strascicando i piedi. “Oh, siete di nuovo voi...” mormorò con appena una punta di sorpresa nella voce gracchiante.
”Sì, ma ci fermiamo solo pochi giorni questa volta.” Gli comunicò Gerard serio.
”Molto bene. Molto bene. Vi mostro la strada per le vostre camere...
...o forse ormai la conoscete da soli.” Aggiunse l’uomo, leggermente divertito.
Ogni membro della band afferrò le proprie valigie e si avviarono tutti insieme verso l’ingresso della gigantesca villa.
”Non mi piace questo posto...” continuava a squittire Mikey guardandosi freneticamente intorno con aria atterrita, non appena furono entrati nel grande salone d’ingresso “Non mi piace per niente. Ha sempre avuto un’atmosfera strana.”
Gerard appoggiò un attimo le valigie sul pavimento per stringere il fratello minore in un abbraccio rassicurante.
”Lo so che questo posto ti porta alla mente brutti ricordi... “ mormorò piano, accarezzandogli dolcemente i capelli castani “Ma ormai è tutto passato. Dobbiamo stare qui solo per pochi giorni, cerca di resistere ti prego... Ci siamo tutti noi al tuo fianco a sostenerti, lo sai.”
Frank, che era già arrivato trotterellando in cima alla scalinata che si trovava in fondo al salone, si voltò un attimo ad osservare la scena, mentre un piccolo sorriso intenerito sbocciava sulle sue labbra piene. Aveva sempre trovato molto bello il rapporto speciale che legava i due fratelli Way.

***

Il Paramour Mansion non era una villa come tutte le altre. Giravano parecchie voci su di essa, tra cui quella più accreditata, che la riteneva stregata.
Ed effettivamente quando erano stati lì poco più di un anno prima per registrare il loro ultimo album, “The Black Parade”, erano successe parecchie cose inquietanti. Ciascun membro della band aveva notato qualcosa di strano.
Beh, tutti a parte Frank in realtà.
Lui sembrava essere l’unico a trovarsi a proprio agio in quell’ambiente tetro, anzi! Pareva addirittura che lo rendesse particolarmente allegro il trovarsi in quel luogo.
Ormai pensavano tutti che forse la diceria secondo la quale chi è nato il 31 di Ottobre, quella notte magica in cui il regno dei morti e quello dei vivi entrano in contatto temporaneamente, sia in qualche modo ‘protetto’ dagli spiriti e da tutto ciò che è soprannaturale. Non c’era davvero nessun’altra spiegazione logica del perchè quel piccoletto si trovasse così a proprio agio, tanto da essere quasi euforico, in un luogo che metteva tristezza ed inquietudine a qualunque altro essere umano.
Invece Gerard era decisamente agitato da quando aveva messo piede lì dentro. Si sentiva come se fosse costantemente seguito da qualcuno, gli sembrava di avvertire materialmente uno sguardo posato sulle proprie spalle ed ogni volta un lungo brivido freddo percorreva la sua schiena, come il tocco leggero di dita gelide che risalivano tutta la lunghezza della spina dorsale, vertebra dopo vertebra.
In particolare lo disturbava stare da solo, quindi cercava il più possibile di passare il tempo insieme ai suoi compagni, specialmente accanto a Frank: la sua allegria e spensieratezza lo tranquillizzavano leggermente.

Per questo cercava di stargli accanto il più possibile. Cosa che a Frank sembrava non dispiacere affatto.

 Il primo pomeriggio di registrazioni trascorse senza problemi.
In realtà, nonostante tutte le preoccupazioni di Gerard, non accadde proprio nulla di strano.
Ma il cantante non riusciva a farsi passare la costante inquietudine che si era impadronita di lui da quando erano entrati nella villa.
Anzi, il fatto stesso che non fosse accaduto assolutamente nulla di strano era di per sè... ‘strano’!
Trovare strano il fatto che non ci fosse nulla di strano...
Aaaaah... Di questo passo sarebbe diventato paranoico, se lo sentiva.
E infatti, nonostante stesse scorrendo tutto tranquillamente, Gerard non riusciva a liberarsi in alcun modo dell’inquietudine che aveva preso possesso del suo animo.
Scrutò con sospetto il maestoso quadro posto sopra il camino nel tinello. Il dipinto rappresentava un angelo, vestito di leggiadri abiti dalle tinte chiare, le ampie ali appena spalancate, pronto a spiccare il volo verso i cieli. Lo sfondo era completamente invaso da nuvole, che sembravano quasi vorticare ed avvolgersi intorno all’angelo ed i cui toni andavano da tinte aranciate nella luce del tramonto fino a toni rossastri ed infine decisamente cupi verso la parte bassa del quadro. Ed era proprio qui che stava la parte inquietante.
Gerard si ricordava bene di quando avevano scoperto cosa si celava nel dipinto, proprio ai piedi dell’angelo, quando erano stati in quel maniero l’anno precedente e Frank aveva accidentalmente fatto cadere il vaso che lo nascondeva.
Una volta sgridato il piccolo chitarrista iperattivo per la sua imbranataggine, Gerard si era avvicinato al camino per raccogliere i cocci di ceramica. E quando aveva sollevato lo sguardo verso la mensola su cui era originariamente appoggiato il vaso ed aveva scrutato il quadro sovrastante, l’aveva visto.

Avvolto tra le ombre, quasi dello stesso colore delle rocce, tanto da confondersi con esse, c’era un demone con i lunghi artigli scuri tesi ad insidiare i candidi piedi nudi dell’angelo.
Gerard si ricordava di aver provato un fortissimo senso di inquietudine a quella visione, come una qualche specie di dolore intorno alla bocca dello stomaco, molto simile alla morsa della paura. Era una cosa che non riusciva a spiegarsi razionalmente, ma quell’immagine gli suscitava nella mente sensazioni estremamente sgradevoli. Eppure era solamente un dipinto! Come se lui stesso non avesse disegnato cose ben più inquietanti in vita sua.
Nonostante ciò quel particolare quadro lo infastidiva a tal punto che l’avevano coperto con un telo, in modo da non doverlo più vedere ogni fottuta volta che passavano dal salotto col camino. E così era rimasto durante tutto il tempo della loro precedente permanenza nella Paramour Mansion.
E fu solamente in quel momento, osservando nuovamente il dipinto a distanza di quasi un anno, che Gerard capì.
Capì perchè quel quadro l’avesse sempre inquietato così tanto: era una sorta di monito.
Comprese che per quanto possiamo cercare di scrollarci di dosso i nostri demoni, per quanto possiamo combatterli o tentare di annegarli nelle tenebre da dove provengono, alcuni di questi troveranno sempre un modo per tornare a galla ed insidiare nuovamente i nostri piedi, scalzi ed indifesi nella nostra sensazione di apparente libertà.

Alcuni demoni sanno fottutamente nuotare.
E liberarsene è praticamente impossibile.

 

***

 

La sera a cena ci fu un momento di confusione perchè nessuno si era ricordato di avvisare la cuoca del fatto che Gerard e Frank fossero vegetariani, di conseguenza lei aveva preparato un’ottima cena...
...solo che era presente carne praticamente ovunque ad esclusione del dolce.
In tutto ciò anche Frank, con le sue mille restrizioni alla dieta a causa della gastrite cronica, non poteva praticamente toccare cibo.
Ray, Mikey e Bob, invece, non avendo problema alcuno si stavano abbuffando di prelibatezze.
Anche se, nel caso di Mikey, dire ‘abbuffando’ è un po’ un controsenso: il ragazzo piluccava a malapena, poichè da quando avevano messo piede nella casa gli si era chiuso lo stomaco per via del nervosismo e dello stress emotivo. Non che fosse uno che solitamente mangiava molto, comunque.
Visto che erano entrambi affamatissimi, e guardare i compagni rimpinzarsi non attenuava di certo i brontolii degli stomaci praticamente vuoti, Gerard e Frank decisero di andare in cucina a prepararsi un panino o comunque a cercare qualcosa che potessero mangiare senza andare contro le proprie restrizioni morali o di salute.
Quando giunsero in cucina, la cuoca si era già dileguata, quindi la trovarono deserta. Quella mattina il guardiano gli aveva spiegato che tendenzialmente il personale di servizio, ad esclusione di lui stesso, tendeva a lasciare la villa prima del calare del sole per poi rimettersi al lavoro la mattina presto del giorno successivo, alle prime luci dell’alba. “Sapete, la gente del luogo è parecchio superstiziosa...” aveva puntualizzato l’uomo.
Gerard rabbrividì al ricordo di quelle parole, ma decise di evitare di pensarci e scrollò le spalle, dirigendosi poi verso il grande frigorifero a caccia di qualcosa di commestibile.
Frank zompettava al suo fianco come un cagnolino sotto anfetamine.
In frigorifero trovarono del formaggio e dei pomodori freschi, mentre dalla dispensa recuperarono del pane ed una scatola di biscotti al cioccolato. Okay non sarebbe stata la cena più dieteticamente bilanciata del mondo ma poteva starci.

 “Frankie.” Lo chiamò, con voce tranquilla, allontanando la sedia dal grosso tavolo in legno massiccio al centro della cucina, per potersi alzare in piedi.
”Frankie. É ora di mettere via e raggiungere gli altri giù!”
”Okay!” rispose entusiasticamente il chitarrista, sfoggiando un largo sorriso pieno di briciole di biscotto.
Gerard scosse la testa, sorridendo tra sè: a volte quel ragazzo non sembrava proprio un adulto, gli avresti dato al massimo dieci anni.
Raccolse il piatto che aveva utilizzato per cenare ed andò a posarlo nell’acquaio, sopra il tagliere di legno consumato che aveva utilizzato per tagliare il pane.
Frank rubò un ultimo biscotto al cioccolato dalla scatola, poi lo imitò, mettendo nel lavello le proprie stoviglie.
Quando lo raggiunse, il cantate era già alla porta della cucina. Gliela tenne cortesemente aperta.
”Prego, prima le signore!”
”Dannato Way, questa me la paghi!” rispose Frank ridendo. Varcò comunque la porta per primo, voltandosi a mostrargli il medio con la doppia L tatuata ed un largo sogghigno di sfida a stirargli le labbra.
”Ahahah, con molto piacere, Iero!” ridacchiò di gusto Gerard, seguendolo nel corridoio che portava verso l’atrio.
“Non vedo l’ora!” rispose Frank con un pizzico di malizia a fine frase, trotterellando tranquillo sul lungo tappeto porpora, pochi passi avanti a lui.
Gerard pensò che invidiava la spensieratezza e la vitalità del suo chitarrista. Era sempre così solare da quasi emanare fisicamente luce intorno. E non si sarebbe mai detto che fosse un appassionato sfegatato di film horror, a vederlo costantemente così allegro.
Gettò un’occhiata di sfuggita al grande specchio che campeggiava a metà dell’ampio corridoio.

Un’ombra!
C’era una fottuta ombra nello specchio!
Sarà stata anche solo una frazione di secondo, ma Gerard era sicurissimo di averla vista passare.
“Frank...” chiamò, la voce incerta a causa del leggero tremito che si era impadronito di lui “Frankie... Hai visto anche tu...?”
“Che cosa?” domandò candidamente il piccoletto, sfoderando uno dei suoi sorrisoni che avrebbero fatto sciogliere l’intero ghiacciaio del Monte Bianco in cinque nanosecondi.
“Quella... Quella cosa...”
Di fronte alla sincera espressione interrogativa di Frank, aggiunse parole sconnesse per tentare di spiegarsi.
“L’ombra... Lo specchio... Oddio...”
”Quello specchio?” chiese Frank tranquillo, indicando l’oggetto incriminato ed avvicinandosi di qualche passo per osservarlo con maggiore attenzione tramite i suoi grandi occhi di quel colore non ben definito tra il verde ed il nocciola.
“Ma io non vedo niente. Guarda!” aggiunse, afferrando Gerard per un braccio e trascinandolo, riluttante, proprio davanti al grande specchio, al proprio fianco.
Il cantante si spostò immediatamente dietro la sua schiena minuta, tenendogli le mani sulle spalle, timoroso di guardare nella superficie riflettente.
“Io vedo soltanto un grande specchio, vedi?” lo additò nuovamente il piccolo chitarrista.
Gerard trovò il coraggio di sbirciare oltre i ciuffi di capelli corti del suo compagno, per vedersi semplicemente restituire uno sguardo verde colmo di paura.
“Non c’è nulla a parte i nostri riflessi. E questo specchio è grande abbastanza per noi due.” Concluse Frank con un piccolo sorriso soddisfatto per la citazione, voltando il viso per guardare il più grande.
Gerard distolse lo sguardo spaventato dallo specchio per tuffarlo  negli occhi del ragazzo davanti a sè. Sembrava così tranquillo. Lo guardava dal basso con le sue grandi iridi nocciola ed il suo sguardo sorrideva incoraggiante, come a dirgli che non c’era nulla da temere.
Il piercing a lato del labbro inferiore scintillava nella scarsa luce delle lampade poste ad intervalli regolari nel corridoio.
Era così invitante.
Per un momento Gerard provò un fortissimo impulso di chinarsi in avanti, in modo da poter colmare la distanza ridotta tra i loro visi. Sarebbe bastato pochissimo, davvero, giusto una manciata di centimetri. La posizione in cui si trovavano, il modo in cui Frank lo guardava... Sembrava che stesse aspettando solo quello.
‘No, non è possibile.’ Si disse, scacciando a fatica il pensiero e soffocando tristemente l’impulso. ‘Questa casa mi sta davvero facendo uscire di senno.’
Non era come quando erano sul palco ubriachi o strafatti nel backstage. Adesso era diverso. Non avrebbe avuto nessuna scusante per giustificare la sua azione. E in ogni caso teneva troppo al proprio legame con Frank per rischiare di rovinare tutto quanto.
”Hai ragione, Frankie.” Mormorò, senza distogliere gli occhi dai suoi. “Non so cosa cavolo mi sia preso.”
Per un attimo gli sembrò di veder balenare un fugace lampo di delusione sul viso del più piccolo, ma non fidandosi più di quanto vedeva ultimamente, poichè non sembrava essere attendibile, pensò di esserselo semplicemente immaginato.
”Grazie, piccoletto.” Disse, scompigliandogli i capelli, già normalmente disordinati e scatenando una risatina acuta di Frank. “Ora andiamo a raggiungere gli altri. Scommetto che si staranno chiedendo dove siamo finiti e Mikey verrà a lamentarsi che siamo in ritardo, mentre Ray vorrà interrogarci per capire se gli abbiamo svuotato tutta la dispensa...”
”Okay.” Rispose Frank, stranamente con meno entusiasmo del normale. Poi aggiunse “Gee...”
”Dimmi.”
”Non lo diciamo a Ray che abbiamo trovato la sua scorta segreta di biscotti al cioccolato, vero?”
”Naaaah... Tanto se ne accorgerà da solo prima o poi!”
“Bene!” esultò il chitarrista con ritrovata vitalità “Biscotti gratis!”
Gerard scosse la testa ridendo e lo seguì verso la sala dove avrebbero raggiunto i compagni.

 

***


”Hhhhhhhh!!!”
Gerard si svegliò di soprassalto, ritrovandosi seduto nel proprio letto ad ansimare affannato, il sudore freddo che colava dalla fronte lungo le gote fino ad aggregarsi in piccole gocce sul suo mento.
Un incubo.
Era tanto che non ne faceva uno.
Non era un buon segno.
Percorse con lo sguardo tutta la camera in cui si trovava. L’oscurità avvolgeva ogni cosa, e i contorni dello scarso  e semplice mobilio presente erano appena visibili grazie alla luce della luna che giungeva tenue attraverso la piccola finestra posta alle sue spalle.
Non capiva perchè, ma si sentiva circondato da un’atmosfera decisamente inquietante.
Gli sembrava che l’aria fosse divenuta una sostanza densa e gelatinosa, il che rendeva estremamente difficile respirare.
La gola secca gli bruciava ogni volta che l’aria vi passava attraverso.
Decise di andare in bagno per bere e per sciacquarsi la faccia.
Scostò piano le coperte, rabbrividendo al contatto dei piedi scalzi con il pavimento di marmo gelato. Cercò a tentoni nel buio le proprie ciabatte, tastando cauto il terreno con i piedi. Nulla.
Che strano. Eppure era sicurissimo di averle lasciate ai piedi del letto.
Con un sospiro rassegnato decise di avviarsi scalzo, alzandosi dal letto ed aprendo con cautela la porta della stanza.
Regnava un silenzio innaturale in tutto il maniero: non si udiva alcun suono, tanto che il rumore che Gerard produceva respirando con la bocca, rimbombava assordante nelle sue orecchie.
E il buio.
Il buio lo avvolgeva pesante come una coperta di velluto. Ne sentiva quasi il peso fisico sulle spalle, come se fosse stato un cappotto invernale.
Percorse il corridoio fino in fondo, dove si trovava il bagno di quel piano della villa, camminando cauto in punta di piedi, timoroso di rompere quello strano silenzio.
Spinse la porta del bagno che si aprì producendo un lieve cigolio, facendolo sobbalzare. Aveva ancora i tutti i nervi a fior di pelle a causa dell’incubo.
Che poi non rammentava nemmeno che cosa avesse sognato. I ricordi erano spariti completamente, ma le sensazioni sgradevoli gli erano rimaste addosso come un profumo persistente, vivide.
Girò rapidamente la manopola del rubinetto, lasciando che l’acqua fredda scorresse copiosa nel rubinetto. Ci ficcò immediatamente le mani sotto a mò di scodella e si gettò l’acqua gelata in faccia, sperando di riuscire a lavare via con essa l’ansia e la paura.

Sollevò piano il viso bagnato per osservarsi nello specchio e trasalì. 
Quella cosa era alle sue spalle. Vicinissima. E lo stava guardando attraverso il riflesso. 
Anche se non era sicuro che quei due punti luminosi al centro della massa sfocata fossero occhi, avrebbe potuto giurare che lo stesse fissando.
”Chi... Chi sei...?” riuscì ad esalare appena, mentre anche respirare sembrava essersi fatto insostenibilmente difficile. L’essere non rispose.
”P-p-pace.” Accennò alzando lentamente una mano aperta, per dimostrare di non essere ostile alla creatura, che continuò a limitarsi ad osservarlo.
Deglutì rumorosamente, raccolse tutto il coraggio di cui disponeva ed iniziò a voltarsi. Lentamente. Lentamente.
Finchè con uno scatto fulmineo si voltò del tutto.

La cosa era sparita.
Gerard ansimava affannosamente e sentiva che se il proprio cuore avesse accelerato ancora un po’ avrebbe finito per esplodergli all’interno del petto.
Le gambe gli cedettero e si accasciò come un palloncino sgonfio ai piedi del lavandino.
Cosa cazzo era quella cosa? Perchè era sparita? Se l’era solo sognata?
Era nel panico. Nel panico più totale.
Temeva che quell’essere sarebbe ricomparso da un momento all’altro, pronto a ghermirlo con le sue propaggini di fumo scuro, per trascinarlo con sè nelle tenebre. Per sempre.
Non se ne parlava di ritornare in camera sua a dormire da solo.
No. No. No. Assolutamente no.
Non se ne parlava proprio.
Sarebbe sicuramente morto di paura prima di poter vedere i primi bagliori dell’alba fare capolino attraverso la finestra.
Quando siamo terrorizzati da qualcosa la nostra mente fa black-out, eccetto che per un solo pensiero. C’è sempre una persona che ci viene in mente. Qualcuno che ci fa sentire al sicuro. Qualcuno a cui rivolgiamo i nostri pensieri ogni volta che ci troviamo in difficoltà. E’ una cosa naturale. La nostra anima ci si aggrappa istintivamente. E’ qualcosa di estremamente umano.
Anche a Gerard venne immediatamente in mente da chi andare, da chi rifugiarsi.
Si mise a camminare velocemente per il corridoio, atterrito persino dal leggero scalpiccio che i suoi piedi scalzi producevano sul pavimento di marmo liscio, il cuore che batteva più veloce di una mitragliatrice, picchiando sui suoi timpani come se fossero stati due tamburi.
Quando le sue dita si chiusero attorno al freddo pomello di ottone della porta della  sua camera provò un leggero senso di sollievo. Si lanciò intorno qualche occhiata terrorizzata, prima di girare lentamente la maniglia ed aprire piano la porta, giusto quel tanto che bastava perchè ci potesse passare attraverso. Sgusciò velocemente dentro la stanza e richiuse immediatamente la porta alle proprie spalle, appoggiandovisi contro con la schiena, sfinito. Solo allora riuscì ad abbandonarsi ad un sottile sospiro di sollievo, lasciando che l’aria fluisse agevolmente fuori dalla bocca, svuotando completamente i polmoni.
Lui stava dormendo tranquillamente.
Il suono del suo respiro regolare era molto piacevole per le orecchie di Gerard, dopo tutto quel silenzio che avvolgeva il resto della casa.
Gli si avvicinò con cautela, lasciandosi sfuggire un sorriso quando vide i suoi lineamenti delicati illuminati dalla luce della luna. Già solo il fatto di vederlo aveva lo straordinario potere di calmare la sua anima. 
Afferrò le coperte, scostandole per sdraiarsi adagio al suo fianco, cercando di non svegliarlo.
Si beò nel sentirsi avvolgere dal suo profumo e nell’avvertire il calore del suo piccolo corpo tiepido.
Sì. Lì sarebbe stato al sicuro. Non sarebbe mai potuto accadergli nulla di male quando era accanto a lui. Accanto a Frank.
Si appallottolò come un gatto, cercando di non occupare troppo spazio nel letto, pensato per una persona sola, e piano piano si arrese al torpore, scivolando in un sonno profondo e senza sogni.

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Buonasera, gente!
Questa volta vi presento una storia completamente diversa da quelle che ho pubblicato fin'ora: sarà una storia decisamente inquietante! °w°
Vi piacciono le storie di paura?
Spero che questa sia di vostro gradimento, allora. ^^
Lo spunto iniziale è stato un incubo che ho fatto a dicembre... Lo ammetto: ho ancora un po' di inquietudine all'idea di alzarmi per andare in bagno la notte...
Anche se scriverne, mi ha aiutato ad esorcizzare un po' la paura.
Comunque mi è successo pari pari ciò che ho fatto accadere a Gerard nell'ultima parte del capitolo (solo che io non ho nessun Frankie da cui andare a rifugiarmi... c.c)
Mi aveva terrorizzata tantissimo, perchè possiamo affrontare ciò che vediamo, per quanto spaventoso possa essere... 

...ma come puoi affrontare qualcosa che non sei in grado di vedere ad occhio nudo?
Potrebbe attaccarti da un momento all'atro. 
E tu non puoi difenderti, perchè NON puoi vederla.

E, boh, da questa cosa ho deciso di svilupparci una storia intorno, e, dopo averla mollata e ripresa più volte nel corso dei mesi, eccola qui.
Non saranno molti capitoli. Tre o quattro, credo.
Attenti: molte cose non sono come sembrerebbero essere.
Cos'è la 'cosa' e cosa vuole? Esiste? O è solamente Gerard a vederla, perchè in realtà è la casa che lo sta facendo impazzire?
Più avanti scoprirete anche questo.
E sappiate che c'è anche chi ne sa qualcosa in più, ma per ora non ha alcuna intenzione di rivelarlo.

Boh, spero di avervi incuriositi almeno un minimo e di rivedervi nei prossimi capitoli! ^^
Ringrazio tantissimo chi mi segue da tanto, nonostante la mia incostanza, chi è capitato qui per caso e ha letto per pura curiosità e anche chi legge silenzionsamente le mie storie senza farsi vedere. Mi fate tutti bene, sappiatelo!

Keep running!

xoxo

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2: “We fear that which we cannot see.” + BONUS CONTENT: ***


WARNING: Bonus content a fine capitolo. 



CAPITOLO 2: “We fear that which we cannot see.”

 

“Mmmmgh... Gerard?!?”
Fu svegliato dall’esclamazione di sorpresa di Frank. Aprì gli occhi lentamente per lasciare che si abituassero alla luce del mattino che filtrava dalla piccola finestra.
“Buongiorno, Frankie!” lo salutò con un sorriso assonnato, come se il fatto che si trovasse nel suo letto fosse la cosa più naturale di questo mondo.
”Che... Che è successo, Gee? Perchè ti trovi qui?” gli domandò esitante il piccolo chitarrista, accarezzandogli una guancia affettuosamente, mentre i suoi occhi di quel colore indefinito tra il verde ed il nocciola lo osservavano con preoccupazione.
”N-niente. Ho solo fatto un incubo...” cercò di giustificarsi, sperando di autoconvincersi di quanto aveva appena dichiarato.
Frank ridacchiò.
“Sei come un bambino che s’infila nel letto dei genitori! Solo che sono io il più giovane qui, non dovrebbe essere il contrario? Vieni qui, stupidone!” Allungò un braccio ricoperto di tatuaggi per poterlo abbracciare e stringere a sè.
Gerard si abbandonò molto volentieri a quell’abbraccio tiepido e rassicurante, lasciando che i corpi combaciassero e avvertendo le narici venire invase dal profumo del ragazzo che lo stava stringendo tra le braccia.
”...però stai meglio adesso?” aggiunse Frank, facendosi serio, mentre gli accarezzava delicatamente i capelli corvini.
”Sì...” mormorò appena il cantante, affondando il viso nella sua spalla.
”Mmmmh.” mugugnò il piccolo, poco convinto. “OHCCAZZO!” esclamò non appena notò l’ora segnata dalla sveglia appoggiata sul comodino: le nove e un quarto.
”Merdamerdamerda! Siamo in ritardissimo! Gli altri saranno già in sala di registrazione ad aspettarci!” saltò fuori dal letto come un grillo.
”Perchè questa cazzo di sveglia non ha suonato?” inveì, tirandole un calcio che la spedì a fracassarsi sul pavimento.
”Fanculo, avrei voluto avere il tempo di fare colazione...” continuò a lagnarsi borbottando e dirigendosi verso l’armadio per recuperare dei vestiti.
Gerard non potè fare a meno di osservare che la quantità di energia che Frank dimostrava fin da quando era appena sveglio era sempre sbalorditiva. Probabilmente al suo interno era inserita una qualche specie di molla eterna o qualcosa di simile, altrimenti non sarebbe stato umanamente spiegabile come fosse possibile che da quando si svegliava a quando si coricava non stesse fermo un secondo che fosse uno. Sì, doveva avere un qualche generatore di moto perpetuo o di energia inesauribile, ne era fermamente convinto.
”Cosa fai lì impalato, Gee? Muoviti!” lo incalzò, mentre si era già levato al volo maglietta e pantaloni del pigiama ed ora vagava innocentemente in boxer per la camera con in mano un paio di jeans strappati sulle ginocchia ed una t-shirt nera.
Si riscosse dallo stato semi-comatoso in cui era caduto mentre lo stava osservando ed arrossì leggermente per la pessima figura.
“S-sì! Scusami!” esclamò, alzandosi in piedi e dirigendosi stancamente verso l’armadio, quando improvvisamente si ricordò che quella non era camera sua.
Si avvicinò cautamente alla porta. Aveva paura di uscire da solo fuori da quell’ambiente a lui così rassicurante. Spinse leggermente la porta, in modo da creare uno spiraglio abbastanza grande per poter osservare il corridoio con circospezione. Nulla.
Ma forse la cosa c’era ancora.
Forse era lì ad aspettarlo, in agguato.
Solo che lui non poteva vederla.
Frank notò subito il suo comportamento insolito. Conosceva Gerard troppo bene per non notarlo. Era come un libro aperto per lui, uno di quei libri che ormai sai quasi a memoria, dal frontespizio al retro di copertina, ma che rileggeresti comunque altri milioni di volte.
Gli si avvicinò, ancora a torso nudo, e lo cinse da dietro in un abbraccio, appoggiando una guancia sulla sua schiena. “Davvero va tutto bene, Gee?” mormorò preoccupato.
”...
Non ne sono sicuro...” ammise, accarezzando le mani di Frank posate sul proprio petto.
“Ma non preoccuparti, “aggiunse poco dopo “Forse mi devo solo riprendere dall’incubo.”
”Lo sai che ci sono io con te, vero?” sussurrò piano il piccolo, il viso appoggiato sulla sua nuca, le labbra morbide che gli solleticavano la pelle. Il piercing freddo lo fece rabbrividire appena.
”Lo so.” Annuì pacatamente.
Quell’abbraccio l’aveva un po’ tranquillizzato. Ora si sentiva pronto per affrontare il corridoio.
Scostò gentilmente le braccia di Frank dal proprio corpo ed uscì dalla stanza, dirigendosi camminando velocemente verso la propria stanza. Aprì la porta e ci s’infilò dentro come un fulmine. Salvo!
Non si rese conto di essere stato sotto lo sguardo vigile di Frank per tutto il tragitto.


***

”Sei in ritardo.” Gli fece notare Mikey quando il fratello raggiunse il resto della band nella sala di registrazione al pianterreno della vecchia villa coloniale.
”Ah-ha. Mezz’ora di ritardo come una star che si rispetti.” Puntualizzò Ray ridacchiando ed indicando l’ora sul grande orologio a pendolo in un angolo della stanza.
”Uffa, non è colpa mia se la notte gli incubi non mi fanno dormire, quindi la mattina non sento la sveglia!” sbottò secco Gerard, decisamente irritato. Avrebbe voluto fingersi calmo per evitare di far agitare anche gli altri, ma, davvero, non ci riusciva. Aveva ancora i nervi a fior di pelle dalla sera precedente e gli era impossibile tenerli sotto controllo.
Sperava solo che non fosse troppo evidente...
Già gli bastava che Frank se ne fosse accorto.
Che poi, era strano – riflettè Gerard tra sè – ma a quel ragazzo non sfuggiva mai nulla. Notava sempre tutto quanto lo riguardava e Gerard non riusciva mai a nascondergli niente.
Per un attimo prese in considerazione l’ipotesi che quel piccoletto diabolico fosse in grado di leggere nel pensiero e rabbrividì. Uuuuh... Sarebbero stati grossi problemi, enormi, se Frank avesse davvero potuto leggere quanto gli passava nella testa in certi momenti, quando il piccolo chitarrista gli stava accanto. Perchè un conto era fare quel tipo di pensieri quando era ubriaco o impasticcato...
Ma adesso che era ormai sobrio da un po’, non era davvero più il caso di farli.
O, meglio, non erano più giustificabili in alcun modo.
No, decisamente meglio che Frank non lo sapesse.
‘Non credo si comporterebbe ancora così con me se sapesse di certi pensieri che faccio a volte...’ concluse sollevato, tirando un grosso sospiro di sollievo.

”Che succede, Gee?”

La voce di Frank lo fece trasalire, inaspettata.
”Gah! Uh... Io... Niente!” rispose, agitato.
”Oh! Ma sei arrossito!” gli fece notare il tappetto, scoppiando poi in una delle sue tipiche risatine acute “A cosa stavi pensando, eh, Gerard? Cose sconce? Uh???”
”M-ma no! Che cavolo ti salta in mente, Frankie!” esclamò Gerard, mulinando le mani e rendendo ancora più palese la sua agitazione ed imbarazzo.
”Ma guarda un po’ il nostro cantante! Prima ci fa fretta per terminare presto le registrazioni e poi, non solo si presenta in ritardo, ma si perde pure a fare pensieri da pervertito!” rincarò la dose Ray.
Maledetto capellone. Gerard si appuntò mentalmente l’idea di andare a piastrare i capelli nel sonno al chitarrista per vendetta. Così, d’orai in poi ci avrebbe pensato due volte prima di schierarsi col nemico.
”Che hai fatto stanotte, eh, Gee? Non è che sei stato sveglio a guardare porno?” si aggiunse alla persecuzione anche Mikey.
Dannato fratello! Ma lui non doveva sostenerlo?
Aaaaah... Gliel’avrebbe fatta pagare cara questa.
”Ehy ma anche Frank è arrivato in ritardo stamattina!” fece notare Bob.
Il silenzio calò istantaneo e si voltarono tutti verso il batterista, perchè era praticamente la prima volta che apriva la bocca da quando avevano messo piede in quel maniero.
“Nel senso... Sono arrivati tutti e due in ritardo.” Puntualizzò, sottolineando le parole con la voce ed indicando i due incriminati con un dito accusatore.
Gerard raggelò.
”Che avete fatto, ragazzi?” domandò il biondone, come se fosse stata la domanda più innocente del mondo.
’Duh. Okay, Gerard. Calma e sangue freddo. Basta non menzionare il fatto che ti sei rintanato in camera da Frank.’ Si disse mentalmente il cantante, sudando freddo, mentre sentiva gli occhi di tutti puntati su di sè ‘E comunque non abbiamo fatto niente, quindi non c’è da preoccuparsi.’

 “Abbiamo scopato, ovviamente!”

”Frank!” Urlò, sconvolto, mentre questi gli rivolgeva un sorrisetto furbo.
Il piccoletto scoppiò a ridere di gusto, seguito poco dopo dal resto della band, nell’enorme imbarazzo di Gerard.
”Aaaah... Dannati! La volete piantare?!? Basta! I giochi sono finiti... Finiti! Ora si registra!” sbraitò per mettere a tacere i componenti del suo gruppo, che a volte sembrava seriamente un’accozzaglia di bambini di cinque anni e non una rock band di trentenni (a parte Frank che aveva ancora venticinque anni, e a volte si sentiva la differenza, davvero!)
”Uuuuuh... Come siamo permalosi stamattina.” Cantilenò Ray “Si vede proprio che non hai dormito!”
”Ray. Ba-sta.” lo fulminò il cantante con lo sguardo, scandendo bene ogni sillaba.
Il chitarrista finalmente capì l’antifona e se ne andò ridacchiando a raccogliere il proprio strumento.
’Però...’ si rese conto Gerard, mentre prendeva posto davanti al microfono e ripassava con lo sguardo il testo su un foglio di quanto avrebbe dovuto cantare di lì a breve ‘E’ la prima volta da quando siamo qui dentro che li vedo ridere tutti quanti così...’
Sorrise tra sè a questo pensiero.
Forse le cose non sarebbero poi andate così male dopotutto.
Passarono praticamente tutta la giornata a registrare le parti da montare per le nuove tracce, facendo solo una pausa per il pranzo. Nonostante i suoi compagni fossero decisamente stanchi, Gerard li spronò a resistere per registrare il più possibile quel giorno, finchè non si fece ora di cena. Era più che evidente che avesse fretta di finire quel lavoro, come se ogni minuto in più passato in quella villa fosse un minuto in più in cui respirava veleno.
Mikey, dal canto suo, assecondava volentieri la fretta del fratello: trovarsi in quell’edificio metteva particolarmente a disagio anche lui, cosa più che comprensibile, visto che l’ultima volta che era stato in quel posto era quasi caduto in depressione ed era stato costretto ad allontanarsi dalla band per un po’ per potersi curare.
Trascorsero la cena in silenzio, tutti troppo spossati persino per aver la forza di parlare, mentre l’argenteria sui piatti di porcellana produceva un’armonia disordinata.


***

Gerard si versò l’ennesima tazza di caffè della giornata.
Ormai aveva perso il conto di quante ne avesse trangugiate, ma poco importava.
Resistere al richiamo della sua adorata caffeina era fottutamente impossibile.
Probabilmente era anche per questo che soffriva di insonnia, ma se ne sarebbe fatto una ragione.
Non era nemmeno sicuro di voler dormire, dopotutto...
Non con quella specie di ‘cosa’ in giro per la casa.
Tenendosi occupato a lavorare senza sosta per tutto il giorno era riuscito a non pensarci più. Ma adesso che la giornata volgeva al termine e non aveva più nulla da fare...
...la consapevolezza e la paura cominciavano a prendere prepotentemente posto nel suo animo.
Tentò di analizzare brevemente la situazione, mentre sorseggiava la sua gigantesca tazza di caffelatte.
Era sicurissimo di non essersi semplicemente sognato la ‘cosa’ la notte precedente: la prova era nel fatto che al mattino si fosse svegliato nel letto di Frank e, per quanto ne sapesse lui, non era mai stato un sonnambulo.
Trangugiò un altro lungo sorso di caffelatte.
Quella ‘cosa’ era stata visibile solamente negli specchi, ma ogni volta che si era girato sembrava essere sparita. Ma Gerard sentiva che c’era ancora. Non sapeva giustificare razionalmente il perchè lo sapesse: lo percepiva e basta.
Non era andata via. Era semplicemente invisibile ad occhio nudo.
Come diamine affrontare qualcosa che non puoi vedere?
Si sentì così indifeso al pensiero che dischiuse involontariamente le labbra in un sospiro tremolante.
Avrebbe potuto attaccare lui o un altro membro della band da un momento all’altro e nessuno se ne sarebbe accorto... Non prima che fosse troppo tardi.

”WAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH!”

Un urlo giunse alle orecchie di Gerard dal fondo del corridoio.
Si spaventò così tanto che perse la presa sulla tazza che precipitò a terra, frantumandosi rumorosamente e spargendo caffelatte ovunque sul pavimento e schizzando un po’ anche i suoi pantaloni. La pulizia dei vestiti era comunque la sua ultima preoccupazione al momento.
Aveva riconosciuto immediatamente a chi appartenesse quella voce. Non poteva non riconoscerla, la conosceva così bene.
”Mioddio, Frank!”
Ancor prima di aver formulato il pensiero razionalmente si stava già precipitando verso la camera del chitarrista. Oddio, forse la creatura si era manifestata di nuovo ed aveva attaccato Frank! Lui era così spensierato e perso nel suo piccolo mondo, che magari non  si era accorto di quell’essere prima che fosse  troppo tardi.
”Frankie!” Urlò, irrompendo trafelato in camera sua.
Frank era appollaiato sopra una sedia, le braccia avvolte attorno alle ginocchia magre, come a volersi istintivamente proteggere, mentre fissava terrorizzato un punto imprecisato sul pavimento.
Gerard accorse subito al suo fianco, poggiandogli le mani sulle spalle e scrutandogli il viso preoccupato.
”Cos’è successo, Frankie?” chiese ansiosamente.
Il più piccolo si limitò a continuare a fissare il pavimento con un’espressione di puro terrore dipinta in faccia.
”E’ lì!”  squittì semplicemente, gli occhi ancora puntati per terra.
”Lì dove?” Domandò il cantante, abbassando lo sguardo per cercare cosa stesse spaventando Frank.
Fu così che lo notò.
Un ragno piuttosto grosso stava sgambettando per la propria strada, seguendo pigramente la linea tra due piastrelle, completamente ignaro del panico che aveva appena scatenato.
”Oh!” Esclamò Gerard sorpreso non appena lo vide, tirando subito dopo un sospiro di sollievo.
Meno male. Macchè mostro! Si era preoccupato per niente!
Okay, era bello grosso, ma era pur sempre un ragno.
Frank non sembrava affatto sollevato quanto lui, anzi, lanciò un urletto acuto quando il ragno si avvicinò ulteriormente alla sua sedia. Gerard si lasciò sfuggire un risolino – che soffocò immediatamente con la mano - perchè a volte Frank era davvero molto poco virile.
”Portalo via, ti prego...” pigolò al suo orecchio, con voce a malapena udibile, stingendo con forza una manica della sua felpona nera e strattonandolo leggermente.
Gerard gli rivolse un sorriso intenerito, prima di raccogliere con cura il ragno da terra in un fazzoletto e di posarlo al sicuro sul davanzale fuori dalla finestra.
Quando tornò verso di lui, il piccoletto scese dalla sedia e si fiondò ad abbracciarlo, ringraziandolo un milione di volte e facendo mille promesse di sdebitarsi per averlo salvato, del tipo preparargli litri e litri di caffè ogni giorno ed aiutarlo a riordinare la sua sconfinata collezione di fumetti.
Ma Gerard non lo stava ascoltando. Si era già perso nei suoi cupi pensieri.
Questa volta era andata bene. Era stato soltanto un falso allarme per fortuna.
Ma quella ‘cosa’ era ancora là fuori da qualche parte e non sapeva se avrebbe mai deciso di attaccarli.
Come difendesi da qualcosa di invisibile ad occhio nudo? Come?
Per un attimo prese in considerazione l’idea di trovare il modo di tappezzare tutta la casa di specchi e superfici riflettenti...
Ma si rese conto che, forse, avrebbe vissuto ancor di più nel terrore di veder apparire quell’ombra da un momento all’altro, senza contare il fatto che una casa del genere, riempita di specchi, sarebbe risultata ancora più inquietante e spettrale.
Non sapeva assolutamente cosa inventarsi per affrontare questa ‘cosa’ e ciò lo stava facendo impazzire.
Forse avrebbe potut-
”Ahia!”
Frank gli aveva appena tirato con forza una ciocca di capelli ed ora lo osservava dal basso con aria leggermente risentita.
”Ma mi stai ascoltando o no, Gee?”
”Cos- Perchè l’hai fatto? Mi hai fatto male!” protestò il cantante, massaggiandosi la testa all’attaccatura della ciocca. “Avresti potuto strapparmi i capelli!”
”Tu non mi stavi ascoltando ed io non sapevo come richiamare la tua attenzione.” Si giustificò il chitarrista.
“Ma non potevi semplicemente chiamarmi?”
”L’ho fatto! Non mi rispondevi mica, però! Così ho pensato di passare all’artiglieria pesante per riportarti sulla terra.”
Gerard spostò nuovamente lo sguardo su di lui e si accorse di stare ancora reggendo Frank per la vita con l’altra mano. Oh, beh, a quanto pare poteva anche perdersi nei propri pensieri che ci avrebbe pensato comunque il suo inconscio a tenergli quel piccoletto il più vicino possibile.
E si rese conto di essere fottuto. Oh, sì, era fottutamente fottuto se questo era ciò che faceva il suo inconscio perchè adesso era più che evidente quanto si sentisse attratto da Frank. Sperò solamente che lui non se ne fosse accor-
”Gerard!”
“Ahi! Uh... Scusa.”
S’era di nuovo perso nei propri pensieri, fantastico.
”Eri di nuovo in catalessi...”
“Lo so. Scusami.”
”Che cosa ti succede, Gee? Non ti ho mai visto così. Sono preoccupato...” mormorò il più piccolo, portando la mano libera a sfiorare delicatamente una guancia del cantante..
”No, va tutto bene, Frankie. Davvero...”
”E’ una bugia e tu lo sai.”
Gerard abbassò nuovamente lo sguardo su di lui ed incontrò i suoi occhi. Lo stava guardando con risolutezza e la cosa lo mise un po’ a disagio. Si sentì come scrutato dentro, come se fosse diventato improvvisamente trasparente.
“Cosa?”
”Me l’hai già detto anche stamattina e io non ci credo. Cos’è che ti  turba, Gee?”
“Non lo so...” sussurrò, quasi avesse paura di essere sentito da qualcun’altro “E anche se capissi cos’è, temo non mi crederesti...”
”Perchè non dovrei? Lo sai che io mi fido di te!”
”Perchè è una cosa troppo assurda... Davvero, Frankie, non stare a preoccuparti. Si sistemerà tutto, te lo prometto.”
”Mh.” Disse Frank, riportando l’altra mano dietro la schiena del cantante per stringerlo a sè un po’ più forte ed appoggiando il viso sulla sua spalla.
Non sapendo bene cosa fare, Gerard strinse a sua volta a sè il chitarrista e gli passò le dita tra i capelli, piano.
Pensò che ultimamente si trovava sempre più spesso in una situazione del genere con Frank e non sapeva se gioirne internamente o dannarsi per quanto si sentisse perso per quel piccoletto.
Ma in quel momento si sentiva come paralizzato.
Paralizzato dalla paura, che gli attanagliava il cuore e incatenava i sentimenti, rendendogli impossibile esprimerli ed agire.

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Buonasera, lettori! ^^
Ecco finalmente a voi, il capitolo 2!
Speravo di finirlo e pubblicarvelo prima, ma, un po’ sono io lenta a scrivere, un po’ sono stata via una settimana (la mia unica settimana di vacanza) un po’ appena sono tornata mi sono trovata un parente stretto in ospedale, quindi in questi giorni sto facendo avanti e indietro. E’ un anno decisamente no per la mia famiglia questo. E, come sempre, mi sono rifugiata in “The Black Parade”, perchè quell’album ha poteri curativi per l’anima ed ancora una volta ne avevo bisogno.
Insomma, in tutto questo, trovare sia il tempo di sistemare il capitolo che di fare l’illustrazione è stato meno di quel che pensassi, anche se in realtà scrivere e disegnare sono cose che mi fanno molto bene, quindi l’ho fatto ogni volta che ho potuto.
In questo capitolo la ‘cosa’ non si è manifestata, eh?
Ma non temete, nel prossimo succederanno un bel po’ di cosette mooolto interessanti!
Quindi, niente spero di trovarvi ancora qui! ^^’
Ah, dopo questo mio angolo dell’autore, trovate un’aggiunta bonus al capitolo.
L’avevo scritta di getto, ma poi ho deciso di non inserirla, perchè anche se tutta la storia è in terza persona, si concentra comunque esclusivamente sul punto di vista di Gerard. Questo pezzettino è invece un piccolo episodio dal punto di vista di Frank.
Spero che vi piaccia anche questo.
E spero di ritrovarvi anche al prossimo capitolo.
Ora mi metto a rispondere a tutte le recensioni al capitolo precedente, che ho lasciato lì come una scema e me ne scuso.
Vi ringrazio tantissimo se state continuando a seguire questa storia e spero di rivedervi rpesto col prossimo capitolo!

xoxo

PS: il titolo del capitolo è la versione in inglese della frase che si trova all'inizio del primo volume di "BLEACH".

 

BONUS CONTENT: "Creamy heart"

Finito di cenare, Frank stava tornando verso la propria camera quando si sentì chiamare.
”Frank!”
Ray gli corse incontro, i capelli ricci che ondeggiavano leggeri intorno alla testa al ritmo dei suoi passi.
”Ehi!” gli sorrise gioviale il secondo chitarrista.
”Frank,” gli disse lui, appena gli fu vicino “ immagino avrai notato anche tu lo strano comportamento di Gerard oggi.”
”Sì.” Annuì col capo “Sono un po’ preoccupato in realtà... Anche per Mikey. Sappiamo bene che questo posto non è affatto salutare per lui.”
”Già.” Concordò l’amico “Cosa possiamo fare?”
”Non so... Io pensavo di provare a parlare direttamente con Gerard, più tardi. Meno male che con la quantità di materiale che abbiamo registrato oggi siamo già a buon punto: magari riusciamo a finire in un paio di giorni...”
“Grande! Allora conto su di te, fratello!” esclamò Ray sorridendo e battendo il pugno al compagno con aria complice. “Io, invece, credo che proverò a chiacchierare con Mikey: chissà che non riesca a distrarlo proponendogli una partita a Mario Kart!”
”Va bene. Allora vado a farmi una doccia, che penso proprio di essere in condizioni imbarazzanti... E poi passo da Gerard e cercare di capire che cavolo gli prende a quello schizzato!” disse ridacchiando e cominciando ad avviarsi in direzione della propria camera.
“Okay. Ah... Frank!” lo richiamò il riccioluto.
“Uh? Dimmi!” rispose il piccoletto, voltandosi a guardarlo, leggermente perplesso.
“Frankie...” pronunciò nuovamente il suo nome Ray, avvicinandosi con un sorrisetto che non sembrava precedere nulla di buono.
“...che cos’è successo stanotte, eh?”
”Uh... Niente. Cioè... Gerard è venuto da me, o meglio, quando mi sono svegliato era nel mio letto. Ha detto di aver fatto un incubo. O qualcosa del genere...”
“E...?”
”E, cosa?!?”
Ray sollevò un sopracciglio, con uno sguardo che sembrava dire ‘Non prendermi in giro, tappetto. Sai di cosa parlo’. 
”E niente! Non abbiamo fatto niente, se è questo che ti interessa sapere, pervertito!”
”Ma comeee??? Avevi Gerard Way nel tuo letto e non ne hai approfittato?”
“Ma, uh.... Stavo dormendo! E poi che avrei dovuto fare, eh?!?” disse Frank, spalancando le braccia, esasperato.
”Devo farti un disegnino, Frank?”
”Non sono così, scemo, Ray...” lo ammonì, fulminandolo con lo sguardo.
“E comunque non... Non avrei potuto fare niente. Cioè, era Gerard dopotutto. Ed adesso è sempre sobrio... Cioè, io non credo che lui...” mormorò piano, abbassando lo sguardo a terra.
”Frankie... Ascoltami bene.” Lo richiamò il compagno, appoggiandogli le mani sulle spalle e chinandosi leggermente in modo da appianare la differenza di altezza e poterlo guardare negli occhi “Il fatto che tu sbavi dietro a Gerard fin dalla prima volta che l’hai visto non è un segreto, anche perchè è abbastanza evidente, sai?”
Frank si lasciò sfuggire un risolino nervoso, perchè sapeva bene di non essere una persona capace di mettere un filtro alle proprie emozioni e non amava che gli ricordassero la cosa.
”Ma io sono sicuro che anche tu non gli stai propriamente indifferente.” Proseguì Ray  con un tono serissimo. “Solo che voi due siete due cacchio di timidoni impacciati quando siete sobri e davvero, mi fare salire il nervoso!”
“Uh... Scusa, vorrei vedere te al mio posto...” mugugnò il piccoletto, sporgendo il labbro, leggermente offeso.
”Non è questo il punto! Il punto è che Gerard è cieco come pochi su queste cose! Quindi o tu“ e qui puntò il dito con decisione sul petto di Frank per rimarcare meglio il concetto “fai qualcosa di concreto ed inequivocabile, o ti scordi di concludere qualsivoglia cosa con lui!”
”Ma io-“
”Non c’è ‘ma’ che tenga!” lo interruppe Ray “Cacchio, Frank! Fai lo spaccone tutto il tempo e quando arriva il momento di agire ti spaventi e ti tiri indietro? Certo che sei proprio un bel tipetto complicato anche tu!”
”Ma la band...” tentò nuovamente di obiettare Frank.
”Lascia stare la band! Non ci conosciamo noi? A me non creerebbe nessun problema se voi due foste insieme e sono sicurissimo che anche Mikey capirebbe. Quanto a Bob, tanto quello non commenta mai in ogni caso, quindi puoi stare tranquillo anche sul suo conto.”
Frank esitò un po’ a quelle parole, ma infine rispose “Non so, Ray... Davvero forse non è il caso che io...”
”Frank. Piantala di farti paranoie e muovi quel culetto da checca che ti ritrovi! Voglio che gli salti addosso prima della fine della nostra permanenza qui o giuro che se non lo fai ti picchio personalmente!”
”Non ho il culetto da checca!” saltò su il piccoletto, punto nell’orgoglio.
”Noooooo...” cantilenò sarcasticamente Ray.
”Ehi! Che fai, mi guardi il culo?!?” rise Frank, portando le mani a pararselo istintivamente, come una ragazzina a cui hanno appena spalancato la porta dello spogliatoio mentre si sta cambiando.
”Io? Assolutamente no! E’ Gerard che lo fa!” rispose prontamente il primo chitarrista, facendogli l’occhiolino.
Frank non sapeva se esserne felice o imbarazzato o se Ray lo stesse semplicemente prendendo in giro. Ma si fidava di lui. Ormai erano anni che si conoscevano e sapeva che Ray aveva un cuore troppo buono per fare scherzi giocando con i sentimenti delle persone. A volte si chiedeva che ci facesse quel cuore di panna in mezzo ad una manica di stronzi come loro.
“Vabbè, senti, io vado a far la doccia, eh!” lo salutò, con un ampio gesto del braccio.
”Va bene!” annuì “Vado ad avvisare Gerard, in modo che ti raggiunga?”
”La pianti?!? Ho detto che a parlare con lui ci vado dopo la doccia!”
”Va bene, va bene... Non fare la checca isterica, stavo solo scherzando.”  Si difese Ray, alzando le grandi mani in segno di resa.
“Sarà meglio.” Lo fulminò Frank con lo sguardo, tentando di mantenere un’aria seria e minacciosa: fallì miseramente.
Aveva già fatto qualche passo nel corridoio, quando si voltò nuovamente verso di lui.
”E piantala di guardarmi il culo mentre me ne vado!” gli urlò dietro , scoppiando immediatamente a ridere, per poi sparire dentro la propria camera, con ancora gli echi della sonora risata di Ray nelle orecchie.




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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3: “And if they get me...” ***


WARNING: colpo di scena a fine capitolo!!! °^°



CAPITOLO 3: “And if they get me...”

Quella notte Gerard non chiuse occhio.
Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto abbracciato a Frank la sera prima. Sapeva solo che erano trasaliti entrambi quando l’orologio a pendolo aveva iniziato improvvisamente a rintoccare, segnalando la mezzanotte.
Non sapeva nemmeno con quale sovrumana forza di volontà aveva trovato il modo di sciogliere l’abbraccio e di salutare Frank per poi dirigersi verso la propria camera. L’aveva salutato sottovoce, come se temesse che anche il più piccolo sussurro potesse metterli in pericolo.
Ma l’inquietudine e la sensazione istintiva di essere osservato non l’avevano mai abbandonato. E poi c’era quel silenzio. Completo. Pesante. Quasi tangibile.
Lo detestava.
Doveva assolutamente colmarlo con qualcosa. Colmare quel vuoto sonoro che tanto lo spaventava.

Non appena si chiuse la porta della camera alle spalle, ansimando per la corsa e la paura, si cambiò ed indossò il suo adorato pigiama dei Misfits il più in fretta possibile, come se ogni secondo perso fosse un secondo in meno di vita.
Una volta sotto le coperte, tentò di rilassarsi e di scacciare il silenzio ascoltando un po’ di musica attraverso gli auricolari dell’iPod, in modo da calmare i nervi ed assopire la mente, scacciandone tutti i pensieri negativi... Ma anche dopo un’ora ininterrotta di musica, Morfeo sembrava ben lontano dall’essere disposto a scendere a fargli visita.
Decise dunque di levarsi le cuffie per lasciarle sul comodino accanto al letto e tentare di addormentarsi nel silenzio che regnava incontrastato sulla casa di notte.
Ma era il silenzio stesso a spaventarlo.
Temeva di udire un rumore, anche piccolissimo, da un momento all’altro, a tradire la presenza di quella ‘cosa’ nelle vicinanze. Quando sei immerso in un completo ed innaturale silenzio, speri con tutto il cuore che quella situazione finisca. Ma allo stesso tempo sei terrorizzato all’idea di un qualsiasi rumore che potrebbe infrangere quella stasi.
Gerard rabbrividiva persino per i lievi fruscii che la stoffa produceva ogniqualvolta si rigirava nel letto, incapace di trovare una posizione comoda.
E temeva che quella creatura misteriosa, qualsiasi cosa essa fosse, si nascondesse nelle tenebre proprio di fronte a lui. Si sentiva come osservato e  non era in grado di comprendere se lo fosse stato realmente o se si trattasse solamente di una sua sensazione sgradevole.

Aveva passato l’intera notte così, con l’inquietudine che possedeva il suo animo e gli incatenava i pensieri, senza lasciarlo dormire.
E non era preoccupato esclusivamente per se stesso e la propria salute mentale. Ammesso che lui stesso non fosse uscito di testa completamente, era comunque evidente il fatto che fosse l’unico in grado di vedere quella ‘cosa’. Se mai avesse deciso di attaccare gli altri, loro non se ne sarebbero nemmeno accorti...
Se lui era davvero l’unico in grado di vederla doveva proteggerli. Doveva essere lui a farlo, perchè gli altri, ignorandone l’esistenza, non sarebbero mai stati in grado di difendersi dal soli.
Ma, davvero, come affrontare un essere che non sai cos’è e non puoi nemmeno fottutamente vedere?
Tormentato da questa domanda, Gerard continuava a rigirarsi nel letto, le lenzuola che gli sembravano pesare addosso come una cotta di maglia anzichè del morbido tessuto.

‘Ma...’ riflettè tra sè e sè, in  preda ad una improvvisa illuminazione ‘Sono davvero l’unico in grado di vedere quella cosa...?
Non l’aveva mai vista prima di allora. Non prima di aver messo piede nella casa, ormai due giorni prima...
Ciò poteva significare che forse quell’entità si trovasse esclusivamente in quella villa coloniale...
...e che, molto probabilmente, vagava lì dentro fin da prima dell’arrivo della band.
Se davvero quella cosa era lì da tanto era impossibile che lui fosse l’unica persona in grado di vederla.
Forse la casa era davvero stregata come dicevano...
E, se c’era una cosa che Gerard aveva imparato dalle innumerevoli nottate passate sul divano di casa a guardare film horror con Mikey (e a volte anche con Frank, che si autoinvitava sfacciatamente a casa Way non appena sentiva la parola horror fuoriuscire dalle labbra di uno dei due fratelli) quando una casa è infestata, sicuramente c’è più di una persona in grado di vedere i fantasmi o comunque gli esseri sovrannaturali che vi dimorano. E, soprattutto, se una casa è infestata, il motivo è da ricercare nella storia della casa stessa. Il che a volte, permette anche di indagare la natura e l’origine delle presenze che la infestano.
Quindi la cosa migliore da fare era scoprire qualcosa di più su quella casa...

Gerard raccolse tutto il coraggio di cui disponeva ed estrasse il braccio destro dalle coperte per poi estenderlo nel buio pesto verso il muro per cercare a tentoni l’interruttore.
Gli ci volle qualche secondo, ma infine il tasto scattò con un sonoro schiocco e la luce improvvisa gli trafisse dolorosamente le cornee.
”Ggggh...” si lasciò sfuggire, parandosi inizialmente il viso con la mano, per poi ammutolire immediatamente e portarsi il palmo davanti alla bocca, timoroso che anche quel minimo gemito potesse aver portato la misteriosa creatura fin da lui.
Passò qualche secondo ad osservare febbrilmente ogni piccolo angolo della stanza, le pupille che dardeggiavano in tutte le direzioni, ma non vide nulla che potesse tradire la possibile presenza della ‘cosa’ e si tranquillizzò leggermente.
Si sporse verso il comodino al fianco del letto. L’antina di legno si aprì con un cigolio sinistro quando ne afferrò la maniglia, ma Gerard ingoiò un respiro e decise di non badarci. Tirò fuori con cautela la custodia del computer portatile e se la posò sulle gambe.
Decise comunque di non richiudere l’antina: meno rumore faceva e meglio era, o almeno così pensava.
Il pc si accese con un ronzio basso, il piccolo schermo che gli inondava il viso di luce, conferendogli un malsano pallore verdognolo.
Aprì immediatamente la homepage di Intenet, impostata su Google e posò le dita sulla tastiera, digitando lieve, in modo da non fare troppo rumore:

Paramour Mansion

Osservò per un momento le lettere nere risaltare sullo schermo bianco, poi premette “invio” e attese che il motore di ricerca facesse il suo lavoro...
...e non trovò un gran che, a dir la verità.
Giusto un paio di informazioni su Wikipedia: Paramour Mansion non era il nome originario della villa coloniale, bensì Canfield-Moreno Estate, appartenuta ad un certo Antonio Moreno, e sua moglie Diasy Canfiled. Ma la pagina parlava anche della morte di Daisy nel 1933, in circostanze poco chiare... Qualcosa che aveva a che fare con un incidente d’auto.
Quando però cercò delucidazioni si questo fatto non trovò altro e la cosa lo insospettì.
Tornò a studiare la storia della casa sulla pagina di Wikipedia: apparentemente aveva passato diversi proprietari. Prima era divenuta proprietà dell’erede di Daisy, una certa miss Chloe P. Canfeild, che l’aveva trasformata in un istituto per ragazze per bene.
Gerard sbuffò.
Ecco! Se la cosa si fosse venuta a sapere chissà quanti altri epiteti femminili saprebbero piovuti su di lui e sulla sua band! Come se già non ne avessero ricevuti abbastanza...
Tirò un lungo sospiro, pensando al fatto che effettivamente nessuno di loro era propriamente uno stereotipo di virilità, e tornò a piantare gli occhi sullo schermo del pc.
Dopo essere diventata un collegio per Signorine, la villa era stata venduta alle suore e trasformata in convento.
Di male in peggio! Per un momento Gerard ebbe una fugace visione di tutti i componenti della band vestiti da suore, con tanto di abito nero ampio e velo bianco.
Inorridito, scacciò l’immagine dalla mente e riprese a leggere: nel 1987 un violento terremoto si era abbattuto sulla California ed aveva danneggiato seriamente la casa, costringendo le suore a venderla e poi...
Nulla.
Assolutamente nulla!
Undici anni di vuoto totale.

Il cantante si stropicciò gli occhi per la stanchezza dovuta alla mancanza di sonno e gettò uno sguardo alla finestra, dalla quale cominciavano a fare capolino i primi bagliori dell’alba, mentre il cielo aveva assunto una morbida sfumatura rosata. Tornò a concentrarsi sullo schermo del pc, sapendo che tra non molto avrebbe dovuto alzarsi comunque e che quindi a questo punto tanto valeva tirare avanti fino a quel momento.
Le notizie sulla villa riprendevano dal 1998, quando era stata acquistata da una certa Ms. Dana Hollister, che aveva ristrutturato la proprietà e ne aveva fatto uno studio di registrazione.
Ma che cosa diamine era successo in quegli undici anni?
Gerard provò a setacciare Google, alla ricerca di informazioni, lessandosi gli occhi a furia di fissare lo schermo del computer, ma non trovò assolutamente niente.
Era come se la casa fosse letteralmente sparita per undici anni...

 
***

Erano ormai le sette quando Gerard decise che era stufo di stare in camera propria incollato allo schermo del pc e si trascinò stancamente fuori dal letto e verso l’armadio per raccattare qualcosa da indossare quel giorno. Aprì l’antina e trovò ad accoglierlo una vasta gamma di felpe, giacche e t-shirt, tutti rigorosamente neri.
‘Certo che sono diventato proprio qualcosa di deprimente.’ Riflettè amaramente. ‘Non che prima non fossi di certo più allegro: il nero è sempre stato il mio colore. Però almeno qualche elemento di rosso lo indossavo. Ultimamente ho iniziato a vestire esclusivamente di nero, quasi senza accorgermene...’
Scelse un paio di jeans attillati e una maglietta senza porvi troppa attenzione e  poi aprì il cassetto della biancheria per estrarne un paio di boxer e uno di calzini. La visione che gli si presentò  aprendo il cassetto fu nuovamente completamente nera.
‘Sono depresso persino nei paesi bassi!’ ridacchiò tra sè e si domandò se anche il resto della band fosse stata influenzata da The Black Parade ad un livello così profondo. ‘Questa faccenda della Parata Nera ci è seriamente sfuggita di mano. Chissà se anche gli altri indossano solo biancheria nera...”
L’improvvisa visione di Frank che vagava per la camera con addosso esclusivamente un paio di boxer neri aderenti gli invase completamente e repentinamente la scatola cranica, scacciando qualsiasi altro pensiero.
Si sentì avvampare e cercò invano di scacciare quell’immagine dalla mente, mentre si dirigeva verso il letto e cominciava a vestirsi stancamente.
Beh, quella volta Frank indossava sicuramente dei boxer neri, ma solitamente il chitarrista portava i jeans moooolto bassi e, beh... Effettivamente lo aveva visto portare anche boxer bianchi o grigi, forse blu una volta. Non che gli guardasse il culo ogni due per tre, eh! No, non era così! Davvero!
E’ che l’occhio cade su certe cose, capite...
Scosse la testa rendendosi conto di quanto sembrasse un cacchio di vecchio pervertito in quel momento. Quando gli sembrò di essersi ricomposto abbastanza, indossò una leggera felpa col cappuccio – ovviamente nera – lasciando la zip aperta, perchè non faceva poi così fresco per essere ottobre, ed uscì dalla propria camera.

‘Come prima cosa ci vuole un caffè.’ Stabilì, avviandosi con decisione verso la cucina, per prepararsene una caffettiera intera. Il che non era molto diverso dal primo pensiero che gli si affacciava alla mente ogni mattina, di solito.
Quando si fu finalmente colmato una grande tazza di ceramica dell’amaro liquido scuro e d averlo allungato generosamente con del latte, decise che non aveva intenzione di starsene in cucina, ma che sarebbe stata un’ottima idea andare a sorseggiarlo fuori, nel patio, lasciandosi carezzare il volto dai primi raggi del sole e godendo del fresco mattutino.
Fu mentre apriva la porta a vetri ed usciva in cortile, accolto immediatamente da una folata di vento gelido – okay, non faceva poi così fresco, ma non faceva nemmeno caldo, dopo tutto - e da qualche foglia secca, che vide il custode.
Si trovava all’angolo opposto del cortile, oltre la piscina, e stava raccattando pigramente le foglie cadute con una scopa di saggina. Non sembrava essersi accorto dell’inusuale presenza di Gerard così presto la mattina.
Il cantante appoggiò la tazza fumante su un tavolino di metallo verniciato di nero vicino all’ingresso e si allacciò la felpa fino al collo per proteggersi dall’aria frigida, poi riprese la tazza ed iniziò a sorseggiarne il caldo contenuto, continuando ad osservare il custode e riflettendo tra sè.
Quell’uomo...
Sembrava saperla lunga.
Indubbiamente non era per niente giovane, o almeno portava male la sua età. Inoltre sembrava essere in quella villa da molto molto tempo...
Quindi se c’era qualcuno che poteva sapere qualcosa in più su quella casa, qualcosa che non si trovava su internet, era indubbiamente lui.

Gerard finì di bere il caffelatte e, dopo un momento di esitazione, decise di abbandonare semplicemente la tazza sul tavolino, poi si avvicinò cautamente all’uomo, che stava ancora spazzando stancamente le foglie secche, ammucchiandole in tanti piccoli cumuli.
“Ehm... Mi scusi...” tentò di approcciarlo timidamente Gerard.
”Cosa c’è!?!” sbottò secco il custode, sollevando la testa di scatto con aria ostile. Poi, sembrò come mettere a fuoco la figura di Gerard e cambiò atteggiamento.
”Ah, è lei.” Disse, cercando di mascherare con un sorriso cordiale un’espressione di sincero disappunto. “Come mai già in giro a quest’ora del mattino?”
”Uh, io... Non riuscivo a dormire e mi sono alzato per farmi un caffè.” Tentò di giustificarsi Gerard, un po’ a disagio, sentendosi squadrato da capo a piedi da quell’uomo.
“Ehm... Ecco io avrei una domanda da farle, se non la disturbo.”
“Affatto.” Rispose il guardiano, posando a terra la scopa ed osservandolo in attesa. “Domandi pure.”
”Dunque, io mi chiedevo se lei saprebbe dirmi qualcosa in più su questa casa...” chiese Gerard, sperando con tutto il cuore che il custode fosse disponibile a fugare i suoi dubbi.
”In che senso?” domandò l’uomo, evidentemente colto alla sprovvista da una richiesta del genere “C’è qualche sala in particolare che vorrebbe visitare o ha qualche dubbio sulle condizioni di affitto poste agli artisti per quanto riguarda lo studio?”
”No. No. Non intendevo in quel senso!” si affrettò a precisare gerard, agitando le mani davanti a sè e dando più enfasi al diniego “Io mi chiedevo se lei potesse raccontarmi qualcosa proprio su questa villa... Che so... Sulla sua storia, sui proprietari del passato...”
”E’ la prima volta che qualcuno mi chiede una cosa del genere! Come mai questo interesse per il passato della villa?” gli chiese il custode, osservandolo con sospetto.
”C’è... C’è una cosa che vorrei capire. E forse saperne di più su questo luogo potrebbe aiutarmi...”
”Quanto sa lei già della storia di questa casa? C’è qualcosa in particolare che vorrebbe sapere?”
“Veramente ho già fatto qualche ricerca. Ma non ho trovato molto... Cosa sa dirmi dei primi proprietari? Intendo dire...” e qui prese un profondo respiro “...Daisy Canfileld.”
“Mi sta chiedendo... della sua morte?”
“Si.” Rispose Gerard, in un soffio.
“Ebbene, immagino lei sappia com’è venuta a mancare la signora Canfield.”
”So che è stato un incidente d’auto. Ma c’è dell’altro vero? Le informazioni sono poche e confuse...”
”Infatti è sicuramente successo qualcosa. Deve sapere che quella sera del 1933, Daisy non era in macchina da sola, ma stava tornando verso questa casa dopo essere stata ed un party insieme ad un’amica, una certa Rene Dussac. Quella donna è sopravvissuta all’incidente che ha ucciso la signora Canfield, ma i suoi racconti dell’accaduto sono sempre stati piuttosto confusi, sa...”
Gerard trattenne il respiro e tenne gli occhi incollati sull’uomo, aspettando che continuasse a raccontare.
”Secondo Rene, comunque, pare che quella tarda sera di febbraio ci fosse una fitta nebbia, che rendeva molto difficile vedere la strada e pericoloso mettersi alla guida. Ma Daisy aveva insistito molto per tornare verso casa, perchè diceva di non sentirsi bene, quindi, nonostante le continue proteste dell’amica, si era messa alla guida...
Ma, mentre stavano percorrendo Mulholland Drive, la povera Daisy ha perso il controllo della macchina e il veicolo è volato per un centinaio di metri giù dalla curva panoramica...
L’amica si è miracolosamente salvata, anche se è rimasta gravemente ferita. Per la povera donna invece non ci fu nulla da fare: aveva il petto schiacciato ed i polmoni spappolati dalle lamiere dell’auto.”
L’uomo fece una pausa drammatica e si lasciò andare ad un sorrisetto compiaciuto nel vedere l’espressione sconvolta dipinta sul viso di Gerard, che si era fatto, se possibile, ancora più pallido del suo naturale biancore malaticcio.
”Secondo l’autopsia non aveva contusioni in testa. E’ molto probabile che la donna sia morta dopo una lenta agonia, per soffocamento, dato dallo schiacciamento dei polmoni.”
”Oddio...” gemette Gerard, portandosi una mano alla bocca, sconvolto al solo pensiero di una morte tanto orribile. Sentiva la nausea nascere dalla profondità delle viscere e crescere lentamente fino ad arrivargli alla gola.

“Ma non è finita qui!!” esclamò il custode senza preavviso, facendo prendere letteralmente un colpo a Gerard, che per poco non fece un salto all’indietro dallo spavento, il che lo avrebbe portato a ruzzolare dritto nella piscina che si trovava alle sue spalle.
“C-c’è dell’altro...?” domandò il cantante, una volta ripreso l’equilibrio, per quanto in cuor suo sapesse già che la risposta sarebbe stata affermativa.
”Certamente.” Riprese l’uomo, con un’espressione estremamente seria in volto.
“Come ho detto prima l’amica di Daisy si è salvata. Ma quando finalmente riuscirono ad estrarla dalla carcassa dell’auto era in un profondo stato confusionale. Dai pochi brandelli di frasi comprensibili che sono riusciti a cavarle di bocca, si è scoperto che la donna avesse cercato di aumentare la luminosità dei fari, per vedere meglio attraverso la fitta nebbia... Ma quando la polizia analizzò l’auto, scoprì che al momento dell’incidente i fari erano spenti. Mentre, invece, l’interruttore era posto sui fendinebbia...”
”Oh!” si lasciò sfuggire Gerard, con un’esclamazione acuta che stentò a riconoscere come la propria voce.
“E’ per questo che c’è chi dice che non si sia trattato di un semplice incidente, ma di un omicidio. Alcune persone insinuarono che potesse essere stato lo stesso marito do Daisy, l’attore Antonio Moreno, a sabotare l’auto. Anche perchè la morte avvenne giusto un paio di settimane dopo la fine del loro matrimonio. Ma,ovviamente, la cosa non fu mai provata.”
“E l’amica? Rene...? Che fine ha fatto?”
”Non si è più ripresa. Anche se le sue ferite sono guarite lentamente nel corso degli anni successivi, è rimasta in uno stato mentale confusionario molto a lungo...”
”E ora dove si trova?”
”E morta nel 1985 in manicomio. Aveva quasi 100 anni. Ha trascorso tutta la vita là dentro.”


***

 La conversazione di quella mattina presto lasciò a Gerard un turbamento profondo, che lo accompagnò nel corso di tutta la giornata.
Continuava a ripensarci, il che lo portava ad essere sempre distratto o assente, con conseguenze disastrose sulle registrazioni, visto che non riusciva a cantare come avrebbe dovuto, mancando di concentrazione. Tutte le parti vocali registrate quel giorno, vennero cancellate, perchè non ritenute sufficientemente valide nemmeno per delle B-sides.
A nessun componente della band sfuggì il suo comportamento insolito, ma ogni volta che qualcuno gli si avvicinava per chiedere spiegazioni, Gerard lo scacciava in malo modo. Scacciò involontariamente anche Frank, allo stesso modo e l’espressione ferita che gli restituirono gli occhioni del chitarrista bastò a farlo sentire tremendamente in colpa per tutto il resto della giornata.

S’era fatta ormai sera inoltrata quando stava andando in cucina per prepararsi una tazzona di tisana. La carenza di sonno si faceva sentire con tutti i suoi fastidiosi effetti collaterali. Stanotte doveva assolutamente riuscire a dormire o sarebbe sicuramente collassato il giorno successivo. E forse una buona tazza di camomilla lo avrebbe aiutato a calmare i nervi e a prendere sonno.
Stava nuovamente percorrendo il largo corridoio al pianterreno della villa quando adocchiò il grande specchio dove aveva visto comparire la cosa per la prima volta.
Aveva una fottuta paura a passarci nuovamente davanti, ma era l’unico modo per raggiungere la cucina. Per un momento, soppesò mentalmente l’idea di rinunciare alla tisana e ritornare sui propri passi, ma infine si decise a muovere qualche passo avanti.
E quando gettò un’occhiata timorosa nello specchio...

...la cosa era di nuovo lì!

Fluttuava nell’aria proprio alle sue spalle, senza agire, senza toccarlo in alcun modo, ma era lì. Era fottutamente lì, vicinissima a lui, riflessa nel grande specchio.
A Gerard si mozzò letteralmente il respiro e passò quella che credette essere un’eternità, pietrificato, ad osservare il proprio riflesso pallido come un cencio nello specchio e la cosa che continuava a fluttuare direttamente alle sue spalle. E sembrava nuovamente osservarlo con quelle sottospecie di punti luminosi, al centro della massa di fumosa oscurità...

“Gee?”
La voce di Frank gli giunse dal fondo del corridoio, liberandolo dalla paralisi.
Bastò la frazione di secondo in cui aveva spostato lo sguardo sul proprio chitarrista, che stava giungendo tranquillamente dal fondo del corridoio, e poi nuovamente sullo specchio, a far sparire la cosa dalla sua vista.
Di nuovo. Come l’altra volta, non appena aveva chiamato Frank, la cosa era sparita.
Cosa significava?
”Gee, che succede?” domandò il ragazzo, ormai ad una decina di passi da lui.

Senza nemmeno avere il tempo di pensarci razionalmente, Gerard si era fiondato tra le sue braccia. Lui stesso se ne rese conto ad azione avvenuta, quando avvertì il calore del piccolo corpo di Frank contro il proprio ed il profumo dello shampoo che aveva utilizzato emanare dai capelli morbidi, che ora gli stavano solleticando il volto.
Ma era così spaventato... Troppo per lasciare andare quel piccoletto, che aveva l’incredibile potere di tranquillizzarlo con la sua semplice presenza.
Sentì Frank irrigidirsi inizialmente in quell’abbraccio inaspettato, ma dopo qualche istante le mani del chitarrista scivolarono sulla sua schiena e ricambiò la stretta.
“Gerard...?” pronunciò nuovamente il suo nome, quasi in un sussurro.
Per tutta risposta il cantante lo strinse un po’ di più a sè.
"Gee, che cos'hai..?" chiese di nuovo Frank, questa volta con un tono molto preoccupato.
"Io... Io non lo so." riuscì finalmente a trovare la voce Gerars, continuando a tenersi stretto a Frank. "Non capisco più niente. Forse sto davvero impazzendo..." gemette, ormai sullìorlo di una crisi di panico. Non riusciva a calmarsi, nonostante stesse stringendo Frank tra le braccia. Non appena si rese conto che nemmeno quella che pensava essere la sua unica speranza sembrava funzionare in alcun modo, si agitò ancora di più. Cosa cacchio stava succedendo?
"Gee... Gee... Gerard!" Esclamò infine il piccoletto, facendo forza dulle braccia per allontanarlo a fatica da sè, giusto quanto bastava per poterlo scrutare in viso. E quello che vide non gli piacque: era pallico come un cencio e gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte. Gli occhi erano spalancati elucidi, tanto che pareva potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro.
Fu questa la patetica immagine che Gerard vide specchiarsi negli occhi di Frank. Patetico. Era patetico. Non poteva mostrarsi in quello stato pietoso. Non così. Non da lui.
Si strofinò una mano sul viso, tentando di ricomporsi un minimo e dischiuse le labbra per cercare di mettere in fila due parole, in modo da formare almeno una frase di senso compiuto.
"Frank, io... I-io ho visto di nuovo quella cosa. Nello specchio e- Oddio, non so cosa fare... Che cos'è? Perchè la vedo soltanto io?"
Frank aggrottò le sopracciglia, in un'sepressione preoccupatissima, che Gerard giurava di non avergli mai visto in viso, come se ci fosse dell'altro dietro. Come se non fosse preoccupato esclusivamente per le sue condizioni pietose, ma ci fosse qualcosa di più grande, che a lui ancora sfuggiva.

Sentì il chitarrista stringere un po' di più le mani sulle sue spalle, come a volergli dare un segno tangibile della propria presenza, del fatto che fosse lì con lui, in quell'esatto momento.
"Gerard... Gerard, calmati." Mormorò, scuotendolo leggermente e cercando di farsi guardare in faccia "Gerard, guardami, ehi! Va tutto bene, ma devi calmarti adesso. Ci sono io con te, quindi calmati..."
"Non ci riesco... Non ci riesco!" sbottò Gerard all'improvviso, spaventando Frank che fece un piccolo passo indietro "Sono così confuso... Non capisco più niente... E quella cosa mi preoccupa." si lamentò, prendendosi la testa tra le mani, tirando ciocche di capelli neri, che stavano finalmente ricominciando a crescere.
Frank cercò nuovamente di rassicurarlo ”Secondo me sei solo molto stanco. In queste notti non stai dormendo quasi per niente, vero? Come quando sei venuto da me l'altroieri...Sei sicuramente molto stanco. E forse i vari impegni della band ti stanno stressando. Stiamo facendo davvero un sacco di cose ultimamente. E tu stai anche lavorando ad un fumetto. E’ più che comprensibile che tu sia stanco.
Hai solo bisogno di distrarti un po’.” Concluse sorridendogli dolcemente.
”E se vuoi... Posso fare io qualcosa per distrarti.” Sussurrò Frank al suo orecchio con voce sottile, sottolineando l’ultima parola e facendo scorrere una mano dal petto di Gerard lungo la sua pancia fino a fermarsi a giocare col bottone dei suoi jeans.
Al cantante qusi prese un colpo. Frank non s'era mai comportato così da sobrio. ”F-Frankie... Veramente non mi sembra il momento. Davvero non capisci? Ho troppa paura. Ho paura che quella cosa ritorni.”
Frank sospirò, evidentemente deluso dalla non-reazione di Gerard, anche se poi gli dedicò un'occhiata se possibile ancora più preoccupata delle precedenti. Solo che questa volta c'era qualcosa in più dentro. Sembrava... tristezza?
”Ehi... Ma non eri tu quello che adorava i vampiri ed i mostri? Li disegni sempre, praticamente ovunque! Com’è che adesso sei così spaventato, Gee?” provò a riprendere, con tono scherzoso, aggiungendo una delle sue tipiche risatine acute alla fine della frase. Solo che questa volta la sua risata, solitamente coì cristallina e spontanea, sembrava fredda e forzata in mezzo a quell'atmosfera pesante.
”L-lo so, ma.... Ah! Aaaaaaaah!” Gerard si allontanò di scatto, lasciandosi sfuggire un urlo strozzato, gli occhi spalancati dal terrore. Quella cosa. Quella cosa era visibile ad occhio nudo ed era alle spalle del suo amico. Così vicina a lui, che alcune sue propaggini quasi lo avvolgevano, ondeggiando leggere nell’aria come fanno i capelli lunghi sott’acqua.
”E-ehi? Cosa... Cosa succede, Gee...?” chiese, raggelando.
Ma il cantante non riusciva a parlare, schiuse le labbra, boccheggiando senza emettere suono. Alzò lentamente un braccio, puntando un dito tremante verso la creatura.
”Ge-Gerard...? S-se mi stai prendendo in giro non è divertente, smettila subito...”
Adesso la sentiva anche lui la paura. Oh sì che la sentiva, ghermirgli il cuore in una morsa con i suoi freddi artigli.
”C-c-c’è qualcosa dietro di me?” chiese, aspettando una risposta che non arrivò.

Si voltò lentamente per guardarsi alle spalle e Gerard lo vide chiaramente fare un salto all’indietro per lo spavento, alla vista della fumosa creatura fluttuante.
“C-cosa... Cosa sei? Cosa vuoi da me?” domandò in uno squittio terrorizzato il chitarrista, muovendo un piccolo passo cauto all’indietro, verso Gerard.
Bastarono quelle poche parole a colpire Gerard come una frustata: Frank stava parlando con quella cosa! Frank la vedeva!
Com’era possibile? Per tutto quel tempo aveva sempre pensato di essere l’unico a vedere e percepire la sua presenza. Ma allora...
”N-non avvicinarti... Vattene via!” intimò arretrando ancora di un paio di passi, quando la creatura si avvicinò fluttuando a lui.
Gerard si trovava ancora a quattro o cinque passi da lui, senza poter fare altro che osservare la scena, pietrificato dalla paura. Perchè la cosa era visibile, adesso? E soprattutto perchè se la stava prendendo con Frank?
“Aaaah! No! Vattene!” quasi urlò il ragazzo quando l’essere si avvicinò nuovamente a lui, allungando una propaggine di foschia oscura verso il suo viso.

Gerard visse gli attimi successivi in maniera molto confusa. Avvertì il proprio braccio scattare in avanti, anche se non ricordava di aver pensato in alcun modo di farlo e spiccò una specie di salto verso Frank. Afferrò il polso del suo compagno e con uno strattone improvviso se lo tirò addosso, allontanandolo da quella cosa, e  lo abbracciò strettissimo. Lo strinse a sè con tutta la forza che aveva, come se fosse stato il tesoro più prezioso al mondo, come se ne andasse della sua stessa vita.
Probabilmente lo stava stringendo così forte da fargli male o impedirgli di respirare, ma lui stesso non si rendeva quasi conto di cosa stesse facendo. Sapeva solo che quella cosa stava per fargli qualcosa e lui doveva proteggerlo.
O almeno provarci.
Ma la cosa era ancora lì di fronte a loro, lui lo sapeva. Lo percepiva, anche se non aveva il coraggio di guardare, perchè aveva serrato strettamente le palpebre non appena si era ritrovato Frank contro il petto e tra le braccia.
Era letteralmente terrorizzato da ciò che sarebbe potuto succedere di lì a poco, anche se non ne aveva davvero la più pallida idea. Riusciva solamente a immaginare che sarebbe stato qualcosa di orribile e tutto ciò che riusciva a fare era respirare a fatica e tenersi stretto il piccolo chitarrista.
Non l’avrebbe lasciato andare per nulla al mondo.
Non sapeva se la cosa era interessata ad entrambi o esclusivamente a lui, ma qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata insieme.
Strinse le palpebre così forte da veder spuntare tante piccole stelline all’interno delle orbite ed attese...

Attese per quella che gli parve un’eternità, ma non successe proprio nulla.
Udì un piccolo gemito soffocato provenire da qualche parte all’altezza del proprio petto, dove stava ancora premuto il viso di Frank ed iniziò a schiudere cautamente gli occhi, ancora molto timoroso di qualsiasi scena gli si sarebbe potuta presentare davanti...
...invece trovò solamente il largo corridoio deserto e scarsamente illuminato ad accoglierlo.
La cosa era sparita nuovamente. Misteriosamente come era comparsa.

Quasi trasalì quando una sottospecie di rantolo gli giunse alle orecchie ed abbassò lo sguardo su Frank.
”Gee... Gee, non respiro...”
“Wah! S-scusa!” esclamò il cantante, allentando la presa. Ma solo un po’, quel tanto che bastava per lasciar emergere il viso di Frank dal proprio petto. Non si sentiva per niente al sicuro, quindi non aveva ancora intenzione di lasciarlo andare.
Il piccoletto emerse dal suo abbraccio, inalando avidamente l’aria che gli era mancata fino a quel momento.
“Frankie? Stai... Stai bene?”
E si sentì stringere il cuore in una morsa quando finalmente incontrò gli occhi del chitarrista: erano enormi e spaventati...
Ma fu lo sguardo ciò che lo colpì di più. C’era una muta richiesta di aiuto in quegli occhi così grandi, nei quali si stava specchiando e per un attimo temette di annegarci letteralmente dentro.

“Gerard... Io...” disse Frank in un gemito appena udibile, abbassando lo sguardo, “C’è una cosa che devo raccontarti...”

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Buonsalve, lettori! =D
Speravo davvero di riuscire a pubblicarvi questo capitolo entro la settimana scorsa, ma per una serie di contrattempi e incasinamenti ho dovuto rimandare di una settimana, sigh...
Comunque la cosa è ricomparsa, visto?!?
Questo è un capitolo molto molto denso, ed importante per la storia. Anche la prima parte, per quanto magari possa sembrare un po' lenta (e temo sia anche un po' pesante, scusate! ^^'), in realtà sarà molto importante e più avanti scoprirete il perchè.
Una cosa: tutte le informazioni sulla storia della Paramour Mansion che trovate in questo capitolo sono VERE.
Sono tutte vere, dalla prima all'ultima. Mi sono documentata e ho fatto ricerche prima di scrivere questo capitolo... Anche la vicenda della misteriosa morte di  Daisy Canfield. L'unica informazione inventata è quella sulla fine di Rene, sulla quale non ho trovato nessuna informazione in giro. Ma anche questa sarà funzionale alla storia, come vedrete...
Comunque TAN-TAN-TAAAN!!! Colpo di scena, visto??? =)
Il FrankoH sa più di quanto paresse, uh!
Quanti se l'aspettavano?
E secondo voi che cosa dirà Frankie a Gee nel prossimo capitolo?
Ci saranno grandi rivelazioni!
E, forse, ci avvicineremo un po' di più alla risoluzione di questo mistero...
Vi ringrazio per la vostra pazienza se mi state seguendo ancora nonostante i miei tempi biblici nell'aggiornare.
Se vi va, fatemi sapre che ne pensate di questo capitolo e cosa vi aspettate dai prossimi!
A presto! ^^

Keep running. Keep shinig. Mean something.

xoxo


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