“I’ll never let them hurt you” di ART RevolveR (/viewuser.php?uid=220085)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1: “I can’t drown my demons: they know how to swim.” ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2: “We fear that which we cannot see.” + BONUS CONTENT: ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3: “And if they get me...” ***
Capitolo 1 *** CAPITOLO 1: “I can’t drown my demons: they know how to swim.” ***
I’ll never let them hurt
you
CAPITOLO 1: “I can’t drown
my demons: they know
how to swim.”
“Perchè
siamo dovuti tornare qui? Io non ci volevo venire!”
piagnucolò Mikey non appena il taxi li scaricò
brutalmente con armi e bagagli
davanti al maniero.
”Come ve lo devo dire che non è colpa mia?
Neanch’io sono particolarmente
felice!” sbottò secco Gerard
“Ma lo
sapete com’è fatto il nostro produttore! Lui
sostiene che a seconda del luogo
in cui si registrano delle tracce, la sonorità cambia
leggermente. Visto che
dobbiamo incidere delle B-sides, ci ha costretti a tornare nel luogo
dove
abbiamo registrato l’album! E’ fissato con
‘ste cose lui!”
”Daiiii, ragazzi! Guardate che ‘sto posto non
è poi così male! Ci divertiremo!”
esclamò entusiasta Frank, saltellando sul posto.
”Per me tu sei l’unico che si diverte in un posto
del genere, Frank...” disse
Ray scuotendo la testa con tanto di voluminosa chioma afro e
appoggiando
pesantemente una mano sulla spalla del piccolo chitarrista cercando di
calmarlo
un po’.
Bob si limitò
ad osservare con sguardo tetro l’edificio che
svettava imponente di fronte a loro: il Paramour Mansion,
l’antica villa
coloniale di Los Angeles, trasformata in studio di registrazione.
Il guardiano del maniero,
un ometto di mezza età curvo e dall’aria
stanca, si avvicinò a loro strascicando i piedi.
“Oh, siete di nuovo voi...”
mormorò con appena una punta di sorpresa nella voce
gracchiante.
”Sì, ma ci fermiamo solo pochi giorni questa
volta.” Gli comunicò Gerard serio.
”Molto bene. Molto bene. Vi mostro la strada per le vostre
camere...
...o forse ormai la conoscete da soli.” Aggiunse
l’uomo, leggermente divertito.
Ogni membro della band afferrò le proprie valigie e si
avviarono tutti insieme
verso l’ingresso della gigantesca villa.
”Non mi piace questo posto...” continuava a
squittire Mikey guardandosi freneticamente
intorno con aria atterrita, non appena furono entrati nel grande salone
d’ingresso “Non mi piace per niente. Ha sempre
avuto un’atmosfera strana.”
Gerard appoggiò un attimo le valigie sul pavimento per
stringere il fratello
minore in un abbraccio rassicurante.
”Lo so che questo posto ti porta alla mente brutti ricordi...
“ mormorò piano,
accarezzandogli dolcemente i capelli castani “Ma ormai
è tutto passato.
Dobbiamo stare qui solo per pochi giorni, cerca di resistere ti
prego... Ci
siamo tutti noi al tuo fianco a sostenerti, lo sai.”
Frank, che era già arrivato trotterellando in cima alla
scalinata che si
trovava in fondo al salone, si voltò un attimo ad osservare
la scena, mentre un
piccolo sorriso intenerito sbocciava sulle sue labbra piene. Aveva
sempre
trovato molto bello il rapporto speciale che legava i due fratelli Way.
***
Il Paramour Mansion non
era una villa come tutte le altre. Giravano parecchie
voci su di essa, tra cui quella più accreditata, che la
riteneva stregata.
Ed effettivamente quando erano stati lì poco più
di un anno prima per
registrare il loro ultimo album, “The Black
Parade”, erano successe parecchie
cose inquietanti. Ciascun membro della band aveva notato qualcosa di
strano.
Beh, tutti a parte Frank in realtà.
Lui sembrava essere l’unico a trovarsi a proprio agio in
quell’ambiente tetro,
anzi! Pareva addirittura che lo rendesse particolarmente allegro il
trovarsi in
quel luogo.
Ormai pensavano tutti che forse la diceria secondo la quale chi
è nato il 31 di
Ottobre, quella notte magica in cui il regno dei morti e quello dei
vivi
entrano in contatto temporaneamente, sia in qualche modo
‘protetto’ dagli
spiriti e da tutto ciò che è soprannaturale. Non
c’era davvero nessun’altra
spiegazione logica del perchè quel piccoletto si trovasse
così a proprio agio,
tanto da essere quasi euforico, in un luogo che metteva tristezza ed
inquietudine a qualunque altro essere umano.
Invece Gerard era decisamente agitato da quando aveva messo piede
lì dentro. Si
sentiva come se fosse costantemente seguito da qualcuno, gli sembrava
di
avvertire materialmente uno sguardo posato sulle proprie spalle ed ogni
volta
un lungo brivido freddo percorreva la sua schiena, come il tocco
leggero di
dita gelide che risalivano tutta la lunghezza della spina dorsale,
vertebra
dopo vertebra.
In particolare lo disturbava stare da solo, quindi cercava il
più possibile di
passare il tempo insieme ai suoi compagni, specialmente accanto a
Frank: la sua
allegria e spensieratezza lo tranquillizzavano leggermente.
Per questo cercava di
stargli accanto il più possibile. Cosa
che a Frank sembrava non dispiacere affatto.
Il
primo pomeriggio di registrazioni trascorse senza
problemi.
In realtà, nonostante tutte le preoccupazioni di Gerard, non
accadde proprio
nulla di strano.
Ma il cantante non riusciva a farsi passare la costante inquietudine
che si era
impadronita di lui da quando erano entrati nella villa.
Anzi, il fatto stesso che non fosse accaduto assolutamente nulla di
strano era
di per sè... ‘strano’!
Trovare strano il fatto che non ci fosse nulla di strano...
Aaaaah... Di questo passo sarebbe diventato paranoico, se lo
sentiva.
E infatti, nonostante stesse scorrendo tutto tranquillamente, Gerard
non riusciva
a liberarsi in alcun modo dell’inquietudine che aveva preso
possesso del suo
animo.
Scrutò con sospetto il maestoso quadro posto sopra il camino
nel tinello. Il
dipinto rappresentava un angelo, vestito di leggiadri abiti dalle tinte
chiare,
le ampie ali appena spalancate, pronto a spiccare il volo verso i
cieli. Lo sfondo
era completamente invaso da nuvole, che sembravano quasi vorticare ed
avvolgersi intorno all’angelo ed i cui toni andavano da tinte
aranciate nella
luce del tramonto fino a toni rossastri ed infine decisamente cupi
verso la
parte bassa del quadro. Ed era proprio qui che stava la parte
inquietante.
Gerard si ricordava bene di quando avevano scoperto cosa si celava nel
dipinto,
proprio ai piedi dell’angelo, quando erano stati in quel
maniero l’anno
precedente e Frank aveva accidentalmente fatto cadere il vaso che lo
nascondeva.
Una volta sgridato il piccolo chitarrista iperattivo per la sua
imbranataggine,
Gerard si era avvicinato al camino per raccogliere i cocci di ceramica.
E
quando aveva sollevato lo sguardo verso la mensola su cui era
originariamente
appoggiato il vaso ed aveva scrutato il quadro sovrastante,
l’aveva visto.
Avvolto tra le ombre,
quasi dello stesso colore delle rocce,
tanto da confondersi con esse, c’era un demone con i lunghi
artigli scuri tesi
ad insidiare i candidi piedi nudi dell’angelo.
Gerard si ricordava di aver provato un fortissimo senso di
inquietudine a quella visione, come una qualche specie di dolore
intorno alla
bocca dello stomaco, molto simile alla morsa della paura. Era una cosa
che non
riusciva a spiegarsi razionalmente, ma quell’immagine gli
suscitava nella mente
sensazioni estremamente sgradevoli. Eppure era solamente un dipinto!
Come se
lui stesso non avesse disegnato cose ben più inquietanti in
vita sua.
Nonostante ciò quel particolare quadro lo infastidiva a tal
punto che l’avevano
coperto con un telo, in modo da non doverlo più vedere ogni
fottuta volta che
passavano dal salotto col camino. E così era rimasto durante
tutto il tempo
della loro precedente permanenza nella Paramour Mansion.
E fu solamente in quel momento, osservando nuovamente il dipinto a
distanza di
quasi un anno, che Gerard capì.
Capì perchè quel quadro l’avesse sempre
inquietato così
tanto: era una sorta di monito.
Comprese che per quanto possiamo cercare di scrollarci di
dosso i nostri demoni, per quanto possiamo combatterli o tentare di
annegarli
nelle tenebre da dove provengono, alcuni di questi troveranno sempre un
modo
per tornare a galla ed insidiare nuovamente i nostri piedi, scalzi ed
indifesi
nella nostra sensazione di apparente libertà.
Alcuni demoni sanno
fottutamente nuotare.
E liberarsene è praticamente impossibile.
***
La sera a cena ci fu un
momento di confusione perchè nessuno
si era ricordato di avvisare la cuoca del fatto che Gerard e Frank
fossero
vegetariani, di conseguenza lei aveva preparato un’ottima
cena...
...solo che era presente carne praticamente ovunque ad
esclusione del dolce.
In tutto ciò anche Frank, con le sue mille restrizioni alla
dieta a causa della gastrite cronica, non poteva praticamente toccare
cibo.
Ray, Mikey e Bob, invece, non avendo problema alcuno si stavano
abbuffando di
prelibatezze.
Anche se, nel caso di Mikey, dire ‘abbuffando’
è un po’ un controsenso: il
ragazzo piluccava a malapena, poichè da quando avevano messo
piede nella casa
gli si era chiuso lo stomaco per via del nervosismo e dello stress
emotivo. Non
che fosse uno che solitamente mangiava molto, comunque.
Visto che erano entrambi affamatissimi, e guardare i
compagni rimpinzarsi non attenuava di certo i brontolii degli stomaci
praticamente vuoti, Gerard e Frank decisero di andare in cucina a
prepararsi un
panino o comunque a cercare qualcosa che potessero mangiare senza
andare contro
le proprie restrizioni morali o di salute.
Quando giunsero in cucina, la cuoca si era già dileguata,
quindi la trovarono
deserta. Quella mattina il guardiano gli aveva spiegato che
tendenzialmente il
personale di servizio, ad esclusione di lui stesso, tendeva a lasciare
la villa
prima del calare del sole per poi rimettersi al lavoro la mattina
presto del
giorno successivo, alle prime luci dell’alba.
“Sapete, la gente del luogo è
parecchio superstiziosa...” aveva puntualizzato
l’uomo.
Gerard rabbrividì al ricordo di quelle parole, ma decise di
evitare di pensarci
e scrollò le spalle, dirigendosi poi verso il grande
frigorifero a caccia di
qualcosa di commestibile.
Frank zompettava al suo fianco come un cagnolino sotto anfetamine.
In frigorifero trovarono del formaggio e dei pomodori
freschi, mentre dalla dispensa recuperarono del pane ed una scatola di
biscotti
al cioccolato. Okay non sarebbe stata la cena più
dieteticamente bilanciata del
mondo ma poteva starci.
“Frankie.”
Lo chiamò, con voce tranquilla, allontanando la
sedia dal grosso tavolo in legno massiccio al centro della cucina, per
potersi
alzare in piedi.
”Frankie. É ora di mettere via e raggiungere gli
altri giù!”
”Okay!” rispose entusiasticamente il chitarrista,
sfoggiando un largo sorriso
pieno di briciole di biscotto.
Gerard scosse la testa, sorridendo tra sè: a volte quel
ragazzo non sembrava
proprio un adulto, gli avresti dato al massimo dieci anni.
Raccolse il piatto che aveva utilizzato per cenare ed andò a
posarlo
nell’acquaio, sopra il tagliere di legno consumato che aveva
utilizzato per
tagliare il pane.
Frank rubò un ultimo biscotto al cioccolato dalla scatola,
poi lo imitò,
mettendo nel lavello le proprie stoviglie.
Quando lo raggiunse, il cantate era già alla porta della
cucina. Gliela tenne
cortesemente aperta.
”Prego, prima le signore!”
”Dannato Way, questa me la paghi!” rispose Frank
ridendo. Varcò comunque la
porta per primo, voltandosi a mostrargli il medio con la doppia L
tatuata ed un
largo sogghigno di sfida a stirargli le labbra.
”Ahahah, con molto piacere, Iero!”
ridacchiò di gusto Gerard, seguendolo nel
corridoio che portava verso l’atrio.
“Non vedo l’ora!” rispose Frank con un
pizzico di malizia a
fine frase, trotterellando tranquillo sul lungo tappeto porpora, pochi
passi
avanti a lui.
Gerard pensò che invidiava la spensieratezza e la
vitalità
del suo chitarrista. Era sempre così solare da quasi emanare
fisicamente luce
intorno. E non si sarebbe mai detto che fosse un appassionato sfegatato
di film
horror, a vederlo costantemente così allegro.
Gettò un’occhiata di sfuggita al grande specchio
che
campeggiava a metà dell’ampio corridoio.
Un’ombra!
C’era una fottuta ombra nello specchio!
Sarà stata anche solo una frazione di secondo, ma Gerard era
sicurissimo di
averla vista passare.
“Frank...” chiamò, la voce incerta a
causa del leggero
tremito che si era impadronito di lui “Frankie... Hai visto
anche tu...?”
“Che cosa?” domandò candidamente il
piccoletto, sfoderando
uno dei suoi sorrisoni che avrebbero fatto sciogliere
l’intero ghiacciaio del
Monte Bianco in cinque nanosecondi.
“Quella... Quella cosa...”
Di fronte alla sincera espressione interrogativa di Frank, aggiunse
parole
sconnesse per tentare di spiegarsi.
“L’ombra... Lo specchio... Oddio...”
”Quello specchio?” chiese Frank tranquillo,
indicando l’oggetto incriminato ed
avvicinandosi di qualche passo per osservarlo con maggiore attenzione
tramite i
suoi grandi occhi di quel colore non ben definito tra il verde ed il
nocciola.
“Ma io non vedo niente. Guarda!” aggiunse,
afferrando Gerard
per un braccio e trascinandolo, riluttante, proprio davanti al grande
specchio,
al proprio fianco.
Il cantante si spostò immediatamente dietro la sua schiena
minuta, tenendogli le mani sulle spalle, timoroso di guardare nella
superficie
riflettente.
“Io vedo soltanto un grande specchio, vedi?” lo
additò
nuovamente il piccolo chitarrista.
Gerard trovò il coraggio di sbirciare oltre i ciuffi di
capelli corti del suo
compagno, per vedersi semplicemente restituire uno sguardo verde colmo
di
paura.
“Non c’è nulla a parte i nostri
riflessi. E questo specchio
è grande abbastanza per noi due.” Concluse Frank
con un piccolo sorriso soddisfatto
per la citazione, voltando il viso per guardare il più
grande.
Gerard distolse lo sguardo spaventato dallo specchio per tuffarlo
negli occhi del
ragazzo davanti a sè. Sembrava
così tranquillo. Lo guardava dal basso con le sue grandi
iridi nocciola ed il
suo sguardo sorrideva incoraggiante, come a dirgli che non
c’era nulla da
temere.
Il piercing a lato del labbro inferiore scintillava nella
scarsa luce delle lampade poste ad intervalli regolari nel corridoio.
Era così invitante.
Per un momento Gerard provò un fortissimo impulso di
chinarsi in avanti, in modo da poter colmare la distanza ridotta tra i
loro visi.
Sarebbe bastato pochissimo, davvero, giusto una manciata di centimetri.
La
posizione in cui si trovavano, il modo in cui Frank lo guardava...
Sembrava che
stesse aspettando solo quello.
‘No, non è possibile.’ Si disse,
scacciando a fatica il
pensiero e soffocando tristemente l’impulso.
‘Questa casa mi sta davvero
facendo uscire di senno.’
Non era come quando erano sul palco ubriachi o strafatti nel
backstage. Adesso era diverso. Non
avrebbe
avuto nessuna scusante per giustificare la sua azione. E in ogni caso
teneva
troppo al proprio legame con Frank per rischiare di rovinare tutto
quanto.
”Hai ragione, Frankie.” Mormorò, senza
distogliere gli occhi dai suoi. “Non so
cosa cavolo mi sia preso.”
Per un attimo gli sembrò di veder balenare un fugace lampo
di delusione sul
viso del più piccolo, ma non fidandosi più di
quanto vedeva ultimamente, poichè
non sembrava essere attendibile, pensò di esserselo
semplicemente immaginato.
”Grazie, piccoletto.” Disse, scompigliandogli i
capelli, già normalmente
disordinati e scatenando una risatina acuta di Frank. “Ora
andiamo a
raggiungere gli altri. Scommetto che si staranno chiedendo dove siamo
finiti e
Mikey verrà a lamentarsi che siamo in ritardo, mentre Ray
vorrà interrogarci
per capire se gli abbiamo svuotato tutta la dispensa...”
”Okay.” Rispose Frank, stranamente con meno
entusiasmo del normale. Poi
aggiunse “Gee...”
”Dimmi.”
”Non lo diciamo a Ray che abbiamo trovato la sua scorta
segreta di biscotti al
cioccolato, vero?”
”Naaaah... Tanto se ne accorgerà da solo prima o
poi!”
“Bene!” esultò il chitarrista con
ritrovata vitalità “Biscotti
gratis!”
Gerard scosse la testa ridendo e lo seguì verso la sala dove
avrebbero raggiunto i compagni.
***
”Hhhhhhhh!!!”
Gerard si svegliò di soprassalto, ritrovandosi seduto nel
proprio letto ad
ansimare affannato, il sudore freddo che colava dalla fronte lungo le
gote fino
ad aggregarsi in piccole gocce sul suo mento.
Un incubo.
Era tanto che non ne faceva uno.
Non era un buon segno.
Percorse con lo sguardo tutta la camera in cui si trovava.
L’oscurità avvolgeva
ogni cosa, e i contorni dello scarso
e
semplice mobilio presente erano appena visibili grazie alla luce della
luna che
giungeva tenue attraverso la piccola finestra posta alle sue spalle.
Non capiva perchè, ma si sentiva circondato da
un’atmosfera decisamente
inquietante.
Gli sembrava che l’aria fosse divenuta una sostanza densa e
gelatinosa, il che
rendeva estremamente difficile respirare.
La gola secca gli bruciava ogni volta che l’aria vi passava
attraverso.
Decise di andare in bagno per bere e per sciacquarsi la
faccia.
Scostò piano le coperte, rabbrividendo al contatto dei piedi
scalzi con il
pavimento di marmo gelato. Cercò a tentoni nel buio le
proprie ciabatte,
tastando cauto il terreno con i piedi. Nulla.
Che strano. Eppure era sicurissimo di averle lasciate ai piedi del
letto.
Con un sospiro rassegnato decise di avviarsi scalzo, alzandosi dal
letto ed
aprendo con cautela la porta della stanza.
Regnava un silenzio innaturale in tutto il maniero: non si udiva alcun
suono,
tanto che il rumore che Gerard produceva respirando con la bocca,
rimbombava
assordante nelle sue orecchie.
E il buio.
Il buio lo avvolgeva pesante come una coperta di velluto. Ne sentiva
quasi il
peso fisico sulle spalle, come se fosse stato un cappotto invernale.
Percorse il corridoio fino in fondo, dove si trovava il bagno di quel
piano
della villa, camminando cauto in punta di piedi, timoroso di rompere
quello
strano silenzio.
Spinse la porta del bagno che si aprì producendo un lieve
cigolio, facendolo sobbalzare. Aveva ancora i tutti i nervi a fior di
pelle a
causa dell’incubo.
Che poi non rammentava nemmeno che cosa avesse sognato. I ricordi erano
spariti
completamente, ma le sensazioni sgradevoli gli erano rimaste addosso
come un
profumo persistente, vivide.
Girò rapidamente la manopola del rubinetto, lasciando che
l’acqua fredda
scorresse copiosa nel rubinetto. Ci ficcò immediatamente le
mani sotto a mò di
scodella e si gettò l’acqua gelata in faccia,
sperando di riuscire a lavare via
con essa l’ansia e la paura.
Sollevò piano
il viso bagnato per osservarsi nello specchio
e trasalì.
Quella cosa era alle sue spalle. Vicinissima. E lo stava
guardando
attraverso il riflesso.
Anche se non era sicuro che quei due punti luminosi al
centro della massa sfocata fossero occhi, avrebbe potuto giurare che lo
stesse
fissando.
”Chi... Chi sei...?” riuscì ad esalare
appena, mentre anche respirare sembrava
essersi fatto insostenibilmente difficile. L’essere non
rispose.
”P-p-pace.” Accennò alzando lentamente
una mano aperta, per dimostrare di non
essere ostile alla creatura, che continuò a limitarsi ad
osservarlo.
Deglutì rumorosamente, raccolse tutto il coraggio di cui
disponeva ed iniziò a
voltarsi. Lentamente. Lentamente.
Finchè con uno scatto fulmineo si voltò del tutto.
La cosa era sparita.
Gerard ansimava affannosamente e sentiva che se il proprio cuore avesse
accelerato ancora un po’ avrebbe finito per esplodergli
all’interno del petto.
Le gambe gli cedettero e si accasciò come un palloncino
sgonfio ai piedi del
lavandino.
Cosa cazzo era quella cosa? Perchè era sparita? Se
l’era solo sognata?
Era nel panico. Nel panico più totale.
Temeva che quell’essere sarebbe ricomparso da un momento
all’altro, pronto a
ghermirlo con le sue propaggini di fumo scuro, per trascinarlo con
sè nelle
tenebre. Per sempre.
Non se ne parlava di ritornare in camera sua a dormire da solo.
No. No. No. Assolutamente no.
Non se ne parlava proprio.
Sarebbe sicuramente morto di paura prima di poter vedere i primi
bagliori
dell’alba fare capolino attraverso la finestra.
Quando siamo terrorizzati da qualcosa la nostra mente fa black-out,
eccetto che
per un solo pensiero. C’è sempre una persona che
ci viene in mente. Qualcuno
che ci fa sentire al sicuro. Qualcuno a cui rivolgiamo i nostri
pensieri ogni
volta che ci troviamo in difficoltà. E’ una cosa
naturale. La nostra anima ci
si aggrappa istintivamente. E’ qualcosa di estremamente umano.
Anche a Gerard venne immediatamente in mente da chi andare, da chi
rifugiarsi.
Si mise a camminare velocemente per il corridoio, atterrito persino dal
leggero
scalpiccio che i suoi piedi scalzi producevano sul pavimento di marmo
liscio, il
cuore che batteva più veloce di una mitragliatrice,
picchiando sui suoi timpani
come se fossero stati due tamburi.
Quando le sue dita si chiusero attorno al freddo pomello di ottone
della porta
della sua camera
provò un leggero senso
di sollievo. Si lanciò intorno qualche occhiata
terrorizzata, prima di girare
lentamente la maniglia ed aprire piano la porta, giusto quel tanto che
bastava
perchè ci potesse passare attraverso. Sgusciò
velocemente dentro la stanza e
richiuse immediatamente la porta alle proprie spalle, appoggiandovisi
contro
con la schiena, sfinito. Solo allora riuscì ad abbandonarsi
ad un sottile
sospiro di sollievo, lasciando che l’aria fluisse agevolmente
fuori dalla
bocca, svuotando completamente i polmoni.
Lui stava dormendo tranquillamente.
Il suono del suo respiro regolare era molto
piacevole per le orecchie di Gerard, dopo tutto quel silenzio che
avvolgeva il
resto della casa.
Gli si avvicinò con cautela, lasciandosi sfuggire un sorriso
quando vide i suoi
lineamenti delicati illuminati dalla luce della luna. Già
solo il fatto di
vederlo aveva lo straordinario potere di calmare la sua anima.
Afferrò le coperte, scostandole per sdraiarsi adagio al suo
fianco, cercando di
non svegliarlo.
Si beò nel sentirsi avvolgere dal suo profumo e
nell’avvertire il calore del
suo piccolo corpo tiepido.
Sì. Lì sarebbe stato al sicuro. Non sarebbe mai
potuto accadergli nulla di male
quando era accanto a lui. Accanto a Frank.
Si appallottolò come un gatto, cercando di non occupare
troppo spazio nel
letto, pensato per una persona sola, e piano piano si arrese al
torpore,
scivolando in un sonno profondo e senza sogni.
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Buonasera, gente!
Questa volta vi presento una storia completamente diversa da quelle che
ho pubblicato fin'ora: sarà una storia decisamente
inquietante! °w°
Vi piacciono le storie di paura?
Spero che questa sia di vostro gradimento, allora. ^^
Lo spunto iniziale è stato un incubo che ho fatto a
dicembre... Lo ammetto: ho ancora un po' di inquietudine all'idea di
alzarmi per andare in bagno la notte...
Anche se scriverne, mi ha aiutato ad esorcizzare un po' la paura.
Comunque mi è successo pari pari ciò che ho fatto
accadere a Gerard nell'ultima parte del capitolo (solo che io non ho
nessun Frankie da cui andare a rifugiarmi... c.c)
Mi aveva terrorizzata tantissimo, perchè possiamo affrontare
ciò che vediamo, per quanto spaventoso possa
essere...
...ma come puoi affrontare qualcosa
che non sei in grado di vedere ad occhio nudo?
Potrebbe attaccarti da un momento all'atro.
E tu non puoi difenderti, perchè NON puoi vederla.
E, boh, da questa cosa ho deciso di svilupparci una storia intorno, e,
dopo averla mollata e ripresa più volte nel corso dei mesi,
eccola qui.
Non saranno molti capitoli. Tre o quattro, credo.
Attenti: molte cose non sono come sembrerebbero essere.
Cos'è la 'cosa' e cosa vuole? Esiste? O è
solamente Gerard a vederla, perchè in realtà
è la casa che lo sta facendo impazzire?
Più avanti scoprirete anche questo.
E sappiate che c'è anche chi ne sa qualcosa in
più, ma per ora non ha alcuna intenzione di rivelarlo.
Boh,
spero di avervi incuriositi almeno un minimo e di rivedervi nei
prossimi capitoli! ^^
Ringrazio tantissimo chi mi segue da tanto, nonostante la mia
incostanza, chi è capitato qui per caso e ha letto per pura
curiosità e anche chi legge silenzionsamente le mie storie
senza farsi vedere. Mi fate tutti bene, sappiatelo!
Keep
running!
xoxo
Lù
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Capitolo 2 *** CAPITOLO 2: “We fear that which we cannot see.” + BONUS CONTENT: ***
WARNING: Bonus content a fine capitolo.
CAPITOLO 2:
“We fear that which we cannot see.”
“Mmmmgh...
Gerard?!?”
Fu svegliato dall’esclamazione di sorpresa di
Frank. Aprì gli occhi
lentamente per lasciare che si abituassero alla luce del mattino che
filtrava
dalla piccola finestra.
“Buongiorno, Frankie!” lo salutò con un
sorriso assonnato,
come se il fatto che si trovasse nel suo letto fosse la cosa
più naturale di
questo mondo.
”Che... Che è successo, Gee? Perchè ti
trovi qui?” gli domandò esitante il
piccolo chitarrista, accarezzandogli una guancia affettuosamente,
mentre i suoi
occhi di quel colore indefinito tra il verde ed il nocciola lo
osservavano con
preoccupazione.
”N-niente. Ho solo fatto un incubo...”
cercò di giustificarsi, sperando di
autoconvincersi di quanto aveva appena dichiarato.
Frank ridacchiò.
“Sei come un bambino che s’infila nel letto dei
genitori! Solo che sono io il
più giovane qui, non dovrebbe essere il contrario? Vieni
qui, stupidone!” Allungò
un braccio ricoperto di tatuaggi per poterlo abbracciare e stringere a
sè.
Gerard si abbandonò molto volentieri a
quell’abbraccio tiepido e rassicurante, lasciando
che i corpi combaciassero e avvertendo le narici venire invase dal
profumo del
ragazzo che lo stava stringendo tra le braccia.
”...però stai meglio adesso?” aggiunse
Frank, facendosi serio, mentre gli
accarezzava delicatamente i capelli corvini.
”Sì...” mormorò appena il
cantante, affondando il viso nella sua spalla.
”Mmmmh.” mugugnò il piccolo, poco
convinto. “OHCCAZZO!” esclamò non appena
notò
l’ora segnata dalla sveglia appoggiata sul comodino: le nove
e un quarto.
”Merdamerdamerda! Siamo in ritardissimo! Gli altri saranno
già in sala di
registrazione ad aspettarci!” saltò fuori dal
letto come un grillo.
”Perchè questa cazzo di sveglia non ha
suonato?” inveì, tirandole un calcio che
la spedì a fracassarsi sul pavimento.
”Fanculo, avrei voluto avere il tempo di fare
colazione...” continuò a lagnarsi
borbottando e dirigendosi verso l’armadio per recuperare dei
vestiti.
Gerard non potè fare a meno di osservare che la
quantità di energia che Frank
dimostrava fin da quando era appena sveglio era sempre sbalorditiva.
Probabilmente al suo interno era inserita una qualche specie di molla
eterna o
qualcosa di simile, altrimenti non sarebbe stato umanamente spiegabile
come
fosse possibile che da quando si svegliava a quando si coricava non
stesse
fermo un secondo che fosse uno. Sì, doveva avere un qualche
generatore di moto
perpetuo o di energia inesauribile, ne era fermamente convinto.
”Cosa fai lì impalato, Gee? Muoviti!” lo
incalzò, mentre si era già levato al
volo maglietta e pantaloni del pigiama ed ora vagava innocentemente in
boxer
per la camera con in mano un paio di jeans strappati sulle ginocchia ed
una
t-shirt nera.
Si riscosse dallo stato semi-comatoso in cui era caduto mentre lo stava
osservando ed arrossì leggermente per la pessima figura.
“S-sì! Scusami!” esclamò,
alzandosi in piedi e dirigendosi stancamente
verso l’armadio, quando improvvisamente si ricordò
che quella non era camera
sua.
Si avvicinò cautamente alla porta. Aveva paura di uscire da
solo fuori da quell’ambiente
a lui così rassicurante. Spinse leggermente la porta, in
modo da creare uno
spiraglio abbastanza grande per poter osservare il corridoio con
circospezione.
Nulla.
Ma forse la cosa c’era ancora.
Forse era lì ad aspettarlo, in agguato.
Solo che lui non poteva vederla.
Frank notò subito il suo comportamento insolito. Conosceva
Gerard troppo bene
per non notarlo. Era come un libro aperto per lui, uno di quei libri
che ormai
sai quasi a memoria, dal frontespizio al retro di copertina, ma che
rileggeresti
comunque altri milioni di volte.
Gli si avvicinò, ancora a torso nudo, e lo cinse da dietro
in un abbraccio,
appoggiando una guancia sulla sua schiena. “Davvero va tutto
bene, Gee?”
mormorò preoccupato.
”...
Non ne sono sicuro...” ammise, accarezzando le mani di Frank
posate sul proprio
petto.
“Ma non preoccuparti, “aggiunse poco dopo
“Forse mi devo
solo riprendere dall’incubo.”
”Lo sai che ci sono io con te, vero?”
sussurrò piano il piccolo, il viso
appoggiato sulla sua nuca, le labbra morbide che gli solleticavano la
pelle. Il
piercing freddo lo fece rabbrividire appena.
”Lo so.” Annuì pacatamente.
Quell’abbraccio l’aveva un po’
tranquillizzato. Ora si sentiva pronto per
affrontare il corridoio.
Scostò gentilmente le braccia di Frank dal proprio corpo ed
uscì dalla stanza,
dirigendosi camminando velocemente verso la propria stanza.
Aprì la porta e ci s’infilò
dentro come un fulmine. Salvo!
Non si rese conto di essere stato sotto lo sguardo vigile di Frank per
tutto il
tragitto.
***
”Sei in ritardo.”
Gli fece notare Mikey quando il fratello raggiunse il resto
della band nella sala di registrazione al pianterreno della vecchia
villa
coloniale.
”Ah-ha. Mezz’ora di ritardo come una star che si
rispetti.” Puntualizzò Ray
ridacchiando ed indicando l’ora sul grande orologio a pendolo
in un angolo
della stanza.
”Uffa, non è colpa mia se la notte gli incubi non
mi fanno dormire, quindi la
mattina non sento la sveglia!” sbottò secco
Gerard, decisamente irritato.
Avrebbe voluto fingersi calmo per evitare di far agitare anche gli
altri, ma,
davvero, non ci riusciva. Aveva ancora i nervi a fior di pelle dalla
sera precedente
e gli era impossibile tenerli sotto controllo.
Sperava solo che non fosse troppo evidente...
Già gli bastava che Frank se ne fosse accorto.
Che poi, era strano – riflettè Gerard tra
sè – ma a quel ragazzo non sfuggiva
mai nulla. Notava sempre tutto quanto lo riguardava e Gerard non
riusciva mai a
nascondergli niente.
Per un attimo prese in considerazione l’ipotesi che quel
piccoletto diabolico fosse in grado di leggere nel pensiero e
rabbrividì. Uuuuh...
Sarebbero stati grossi problemi, enormi, se Frank avesse davvero potuto
leggere
quanto gli passava nella testa in certi momenti, quando il piccolo
chitarrista
gli stava accanto. Perchè un conto era fare quel tipo di
pensieri quando era
ubriaco o impasticcato...
Ma adesso che era ormai sobrio da un po’, non era davvero
più il caso di farli.
O, meglio, non erano più giustificabili in alcun modo.
No, decisamente meglio che Frank non lo sapesse.
‘Non credo si comporterebbe ancora così con me se
sapesse di
certi pensieri che faccio a volte...’ concluse sollevato,
tirando un grosso
sospiro di sollievo.
”Che succede,
Gee?”
La voce di Frank lo fece trasalire,
inaspettata.
”Gah! Uh... Io... Niente!” rispose, agitato.
”Oh! Ma sei arrossito!” gli fece notare il
tappetto, scoppiando poi in una
delle sue tipiche risatine acute “A cosa stavi pensando, eh,
Gerard? Cose
sconce? Uh???”
”M-ma no! Che cavolo ti salta in mente, Frankie!”
esclamò Gerard, mulinando le
mani e rendendo ancora più palese la sua agitazione ed
imbarazzo.
”Ma guarda un po’ il nostro cantante! Prima ci fa
fretta per terminare presto
le registrazioni e poi, non solo si presenta in ritardo, ma si perde
pure a
fare pensieri da pervertito!” rincarò la dose Ray.
Maledetto capellone. Gerard si appuntò mentalmente
l’idea di andare a piastrare
i capelli nel sonno al chitarrista per vendetta. Così,
d’orai in poi ci avrebbe
pensato due volte prima di schierarsi col nemico.
”Che hai fatto stanotte, eh, Gee? Non è che sei
stato sveglio a guardare
porno?” si aggiunse alla persecuzione anche Mikey.
Dannato fratello! Ma lui non doveva sostenerlo?
Aaaaah... Gliel’avrebbe fatta pagare cara questa.
”Ehy ma anche Frank è arrivato in ritardo
stamattina!” fece notare Bob.
Il silenzio calò istantaneo e si voltarono tutti verso il
batterista, perchè
era praticamente la prima volta che apriva la bocca da quando avevano
messo
piede in quel maniero.
“Nel senso... Sono arrivati tutti e
due in ritardo.” Puntualizzò,
sottolineando le parole con
la voce ed indicando i due incriminati con un dito accusatore.
Gerard raggelò.
”Che avete fatto, ragazzi?” domandò il
biondone, come se fosse stata la domanda
più innocente del mondo.
’Duh. Okay, Gerard. Calma e sangue freddo. Basta non
menzionare il fatto che ti
sei rintanato in camera da Frank.’ Si disse mentalmente il
cantante, sudando
freddo, mentre sentiva gli occhi di tutti puntati su di sè
‘E comunque non
abbiamo fatto niente, quindi non c’è da
preoccuparsi.’
“Abbiamo
scopato, ovviamente!”
”Frank!” Urlò, sconvolto, mentre questi
gli rivolgeva un sorrisetto furbo.
Il piccoletto scoppiò a ridere di gusto, seguito poco dopo
dal resto della
band, nell’enorme imbarazzo di Gerard.
”Aaaah... Dannati! La volete piantare?!? Basta! I giochi sono
finiti... Finiti!
Ora si registra!” sbraitò per mettere a tacere i
componenti del suo gruppo, che
a volte sembrava seriamente un’accozzaglia di bambini di
cinque anni e non una
rock band di trentenni (a parte Frank che aveva ancora venticinque
anni, e a
volte si sentiva la differenza, davvero!)
”Uuuuuh... Come siamo permalosi stamattina.”
Cantilenò Ray “Si vede proprio che
non hai dormito!”
”Ray. Ba-sta.” lo fulminò il cantante
con lo sguardo, scandendo bene ogni
sillaba.
Il chitarrista finalmente capì l’antifona e se ne
andò ridacchiando a
raccogliere il proprio strumento.
’Però...’ si rese conto Gerard, mentre
prendeva posto davanti al microfono e
ripassava con lo sguardo il testo su un foglio di quanto avrebbe dovuto
cantare
di lì a breve ‘E’ la prima volta da
quando siamo qui dentro che li vedo ridere
tutti quanti così...’
Sorrise tra sè a questo pensiero.
Forse le cose non sarebbero poi andate così male dopotutto.
Passarono praticamente tutta la giornata a registrare le parti da
montare per
le nuove tracce, facendo solo una pausa per il pranzo. Nonostante i
suoi
compagni fossero decisamente stanchi, Gerard li spronò a
resistere per
registrare il più possibile quel giorno, finchè
non si fece ora di cena. Era
più che evidente che avesse fretta di finire quel lavoro,
come se ogni minuto
in più passato in quella villa fosse un minuto in
più in cui respirava veleno.
Mikey, dal canto suo, assecondava volentieri la fretta del fratello:
trovarsi
in quell’edificio metteva particolarmente a disagio anche
lui, cosa più che
comprensibile, visto che l’ultima volta che era stato in quel
posto era quasi
caduto in depressione ed era stato costretto ad allontanarsi dalla band
per un
po’ per potersi curare.
Trascorsero la cena in silenzio, tutti troppo spossati persino per aver
la
forza di parlare, mentre l’argenteria sui piatti di
porcellana produceva
un’armonia disordinata.
***
Gerard si
versò l’ennesima tazza di caffè della
giornata.
Ormai aveva perso il conto di quante ne avesse trangugiate, ma poco
importava.
Resistere al richiamo della sua adorata caffeina era fottutamente
impossibile.
Probabilmente era anche per
questo che soffriva di insonnia, ma se ne sarebbe fatto una ragione.
Non era nemmeno sicuro di voler dormire, dopotutto...
Non con quella specie di ‘cosa’ in giro per la casa.
Tenendosi occupato a lavorare
senza sosta per tutto il giorno era riuscito a non pensarci
più. Ma adesso che
la giornata volgeva al termine e non aveva più nulla da
fare...
...la consapevolezza e la paura
cominciavano a prendere prepotentemente posto nel suo animo.
Tentò di analizzare brevemente la situazione, mentre
sorseggiava la sua
gigantesca tazza di caffelatte.
Era sicurissimo di non essersi semplicemente sognato la
‘cosa’ la notte
precedente: la prova era nel fatto che al mattino si fosse svegliato
nel letto
di Frank e, per quanto ne sapesse lui, non era mai stato un sonnambulo.
Trangugiò un altro lungo sorso di caffelatte.
Quella ‘cosa’ era stata visibile solamente negli
specchi, ma ogni volta che si
era girato sembrava essere sparita. Ma Gerard sentiva che
c’era ancora. Non
sapeva giustificare razionalmente il perchè lo sapesse: lo
percepiva e basta.
Non era andata via. Era semplicemente invisibile
ad occhio nudo.
Come diamine affrontare qualcosa
che non puoi vedere?
Si sentì così indifeso al pensiero che dischiuse
involontariamente le labbra in
un sospiro tremolante.
Avrebbe potuto attaccare lui o un altro membro della band da un momento
all’altro e nessuno se ne sarebbe accorto... Non prima che
fosse troppo tardi.
”WAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH!”
Un urlo giunse
alle orecchie di Gerard dal fondo del corridoio.
Si spaventò così tanto che perse la presa sulla
tazza che precipitò a terra,
frantumandosi rumorosamente e spargendo caffelatte ovunque sul
pavimento e
schizzando un po’ anche i suoi pantaloni. La pulizia dei
vestiti era comunque
la sua ultima preoccupazione al momento.
Aveva riconosciuto
immediatamente a chi appartenesse quella voce. Non poteva non
riconoscerla, la
conosceva così bene.
”Mioddio, Frank!”
Ancor prima di aver formulato il pensiero razionalmente si stava
già precipitando
verso la camera del chitarrista. Oddio, forse la creatura si era
manifestata di
nuovo ed aveva attaccato Frank! Lui era così spensierato e
perso nel suo
piccolo mondo, che magari non si
era
accorto di quell’essere prima che fosse
troppo tardi.
”Frankie!” Urlò, irrompendo trafelato in
camera sua.
Frank era appollaiato sopra una sedia, le braccia avvolte attorno alle
ginocchia magre, come a volersi istintivamente proteggere, mentre
fissava
terrorizzato un punto imprecisato sul pavimento.
Gerard accorse subito al suo fianco, poggiandogli le mani sulle spalle
e
scrutandogli il viso preoccupato.
”Cos’è successo, Frankie?”
chiese ansiosamente.
Il più piccolo si limitò a continuare a fissare
il pavimento con un’espressione
di puro terrore dipinta in faccia.
”E’ lì!”
squittì semplicemente, gli
occhi ancora puntati per terra.
”Lì dove?” Domandò il
cantante, abbassando lo sguardo per cercare cosa stesse
spaventando Frank.
Fu così che lo notò.
Un ragno piuttosto grosso stava sgambettando per la propria strada,
seguendo
pigramente la linea tra due piastrelle, completamente ignaro del panico
che
aveva appena scatenato.
”Oh!” Esclamò Gerard sorpreso non appena
lo vide, tirando subito dopo un
sospiro di sollievo.
Meno male. Macchè mostro! Si era preoccupato per niente!
Okay, era bello grosso, ma era pur sempre un ragno.
Frank non sembrava affatto sollevato quanto lui, anzi,
lanciò un urletto acuto quando
il ragno si avvicinò ulteriormente alla sua sedia. Gerard si
lasciò sfuggire un
risolino – che soffocò immediatamente con la mano
- perchè a volte Frank era
davvero molto poco virile.
”Portalo via, ti prego...” pigolò al suo
orecchio, con voce a malapena udibile,
stingendo con forza una manica della sua felpona nera e strattonandolo
leggermente.
Gerard gli rivolse un sorriso intenerito, prima di raccogliere con cura
il
ragno da terra in un fazzoletto e di posarlo al sicuro sul davanzale
fuori
dalla finestra.
Quando tornò verso di lui, il
piccoletto scese dalla sedia e si fiondò ad abbracciarlo,
ringraziandolo un
milione di volte e facendo mille promesse di sdebitarsi per averlo
salvato, del
tipo preparargli litri e litri di caffè ogni giorno ed
aiutarlo a riordinare la
sua sconfinata collezione di fumetti.
Ma Gerard non lo stava ascoltando. Si era già perso nei suoi
cupi pensieri.
Questa volta era andata bene. Era stato soltanto un falso allarme per
fortuna.
Ma quella ‘cosa’ era ancora là fuori da
qualche parte e non sapeva se avrebbe
mai deciso di attaccarli.
Come difendesi da qualcosa di invisibile ad occhio nudo? Come?
Per un attimo prese in considerazione l’idea di trovare il
modo di tappezzare
tutta la casa di specchi e superfici riflettenti...
Ma si rese conto che, forse, avrebbe vissuto ancor di più
nel terrore di veder
apparire quell’ombra da un momento all’altro, senza
contare il fatto che una
casa del genere, riempita di specchi, sarebbe risultata ancora
più inquietante
e spettrale.
Non sapeva assolutamente cosa
inventarsi per affrontare questa ‘cosa’ e
ciò lo stava facendo impazzire.
Forse avrebbe potut-
”Ahia!”
Frank gli aveva appena tirato con forza una ciocca di capelli ed ora lo
osservava dal basso con aria leggermente risentita.
”Ma mi stai ascoltando o no, Gee?”
”Cos- Perchè l’hai fatto? Mi hai fatto
male!” protestò il cantante,
massaggiandosi la testa all’attaccatura della ciocca.
“Avresti potuto
strapparmi i capelli!”
”Tu non mi stavi ascoltando ed io non sapevo come richiamare
la tua
attenzione.” Si giustificò il chitarrista.
“Ma non potevi semplicemente
chiamarmi?”
”L’ho fatto! Non mi rispondevi mica,
però! Così ho pensato di passare
all’artiglieria pesante per riportarti sulla terra.”
Gerard spostò nuovamente lo sguardo su di lui e si accorse
di stare ancora
reggendo Frank per la vita con l’altra mano. Oh, beh, a
quanto pare poteva
anche perdersi nei propri pensieri che ci avrebbe pensato comunque il
suo
inconscio a tenergli quel piccoletto il più vicino possibile.
E si rese conto di essere fottuto. Oh, sì, era fottutamente
fottuto se questo
era ciò che faceva il suo inconscio perchè adesso
era più che evidente quanto
si sentisse attratto da Frank. Sperò solamente che lui non
se ne fosse accor-
”Gerard!”
“Ahi! Uh... Scusa.”
S’era di nuovo perso nei propri pensieri, fantastico.
”Eri di nuovo in catalessi...”
“Lo so. Scusami.”
”Che cosa ti succede, Gee? Non ti ho mai visto
così. Sono preoccupato...”
mormorò il più piccolo, portando la mano libera a
sfiorare delicatamente una
guancia del cantante..
”No, va tutto bene, Frankie. Davvero...”
”E’ una bugia e tu lo sai.”
Gerard abbassò nuovamente lo sguardo su di lui ed
incontrò i suoi occhi. Lo
stava guardando con risolutezza e la cosa lo mise un po’ a
disagio. Si sentì
come scrutato dentro, come se fosse diventato improvvisamente
trasparente.
“Cosa?”
”Me l’hai già detto anche stamattina e
io non ci credo. Cos’è che ti
turba, Gee?”
“Non lo so...” sussurrò, quasi
avesse paura di essere sentito da qualcun’altro “E
anche se capissi cos’è, temo
non mi crederesti...”
”Perchè non dovrei? Lo sai che io mi fido di
te!”
”Perchè è una cosa troppo assurda...
Davvero, Frankie, non stare a
preoccuparti. Si sistemerà tutto, te lo prometto.”
”Mh.” Disse Frank, riportando l’altra
mano dietro la schiena del cantante per
stringerlo a sè un po’ più forte ed
appoggiando il viso sulla sua spalla.
Non sapendo bene cosa fare,
Gerard strinse a sua volta a sè il chitarrista e gli
passò le dita tra i
capelli, piano.
Pensò che ultimamente si trovava sempre più
spesso in una situazione del genere
con Frank e non sapeva se gioirne internamente o dannarsi per quanto si
sentisse perso per quel piccoletto.
Ma in quel momento si sentiva come paralizzato.
Paralizzato dalla paura, che gli attanagliava il cuore e incatenava i
sentimenti, rendendogli impossibile esprimerli ed agire.
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Buonasera, lettori! ^^
Ecco finalmente a voi, il capitolo 2!
Speravo di finirlo e pubblicarvelo prima, ma, un po’ sono io
lenta a scrivere,
un po’ sono stata via una settimana (la mia unica settimana
di vacanza) un po’
appena sono tornata mi sono trovata un parente stretto in ospedale,
quindi in
questi giorni sto facendo avanti e indietro. E’ un anno
decisamente no per la
mia famiglia questo. E, come sempre, mi sono rifugiata in
“The Black Parade”,
perchè quell’album ha poteri curativi per
l’anima ed ancora una volta ne avevo
bisogno.
Insomma, in tutto questo, trovare sia il tempo di sistemare il capitolo
che di
fare l’illustrazione è stato meno di quel che
pensassi, anche se in realtà
scrivere e disegnare sono cose che mi fanno molto bene, quindi
l’ho fatto ogni
volta che ho potuto.
In questo capitolo la ‘cosa’ non si è
manifestata, eh?
Ma non temete, nel prossimo succederanno un bel po’ di
cosette mooolto
interessanti!
Quindi, niente spero di trovarvi ancora qui! ^^’
Ah, dopo questo mio angolo dell’autore, trovate
un’aggiunta bonus al capitolo.
L’avevo scritta di getto, ma poi ho deciso di non inserirla,
perchè anche se
tutta la storia è in terza persona, si concentra comunque
esclusivamente sul
punto di vista di Gerard. Questo pezzettino è invece un
piccolo episodio dal
punto di vista di Frank.
Spero che vi piaccia anche questo.
E spero di ritrovarvi anche al prossimo capitolo.
Ora mi metto a rispondere a tutte le recensioni al capitolo precedente,
che ho
lasciato lì come una scema e me ne scuso.
Vi ringrazio tantissimo se state continuando a seguire questa storia e
spero di
rivedervi rpesto col prossimo capitolo!
xoxo
Lù
PS: il titolo
del capitolo è la versione in inglese della frase che si
trova all'inizio del primo volume di "BLEACH".
BONUS CONTENT: "Creamy heart"
Finito di
cenare, Frank stava tornando verso la propria
camera quando si sentì chiamare.
”Frank!”
Ray gli corse incontro, i capelli ricci che ondeggiavano leggeri
intorno alla
testa al ritmo dei suoi passi.
”Ehi!” gli sorrise gioviale il secondo chitarrista.
”Frank,” gli disse lui, appena gli fu vicino
“ immagino avrai notato anche tu
lo strano comportamento di Gerard oggi.”
”Sì.” Annuì col capo
“Sono un po’ preoccupato in realtà...
Anche per Mikey.
Sappiamo bene che questo posto non è affatto salutare per
lui.”
”Già.” Concordò
l’amico “Cosa possiamo fare?”
”Non so... Io pensavo di provare a parlare direttamente con
Gerard, più tardi.
Meno male che con la quantità di materiale che abbiamo
registrato oggi siamo
già a buon punto: magari riusciamo a finire in un paio di
giorni...”
“Grande! Allora conto su di te, fratello!”
esclamò Ray
sorridendo e battendo il pugno al compagno con aria complice.
“Io, invece,
credo che proverò a chiacchierare con Mikey:
chissà che non riesca a distrarlo
proponendogli una partita a Mario Kart!”
”Va bene. Allora vado a farmi una doccia, che penso proprio
di essere in
condizioni imbarazzanti... E poi passo da Gerard e cercare di capire
che cavolo
gli prende a quello schizzato!” disse ridacchiando e
cominciando ad avviarsi in
direzione della propria camera.
“Okay. Ah... Frank!” lo richiamò il
riccioluto.
“Uh? Dimmi!” rispose il piccoletto, voltandosi a
guardarlo,
leggermente perplesso.
“Frankie...” pronunciò nuovamente il suo
nome Ray,
avvicinandosi con un sorrisetto che non sembrava precedere nulla di
buono.
“...che cos’è successo stanotte,
eh?”
”Uh... Niente. Cioè... Gerard è venuto
da me, o meglio, quando mi sono
svegliato era nel mio letto. Ha detto di aver fatto un incubo. O
qualcosa del
genere...”
“E...?”
”E, cosa?!?”
Ray sollevò un sopracciglio, con uno sguardo che sembrava
dire ‘Non prendermi
in giro, tappetto. Sai di cosa parlo’.
”E niente! Non abbiamo fatto niente, se è questo
che ti interessa sapere,
pervertito!”
”Ma comeee??? Avevi Gerard Way nel tuo letto e non ne hai
approfittato?”
“Ma, uh.... Stavo dormendo! E poi che avrei dovuto fare,
eh?!?” disse Frank, spalancando le braccia, esasperato.
”Devo farti un disegnino, Frank?”
”Non sono così, scemo, Ray...” lo
ammonì, fulminandolo con lo sguardo.
“E comunque non... Non avrei potuto fare niente.
Cioè, era
Gerard dopotutto. Ed adesso è sempre sobrio...
Cioè, io non credo che lui...”
mormorò piano, abbassando lo sguardo a terra.
”Frankie... Ascoltami bene.” Lo richiamò
il compagno, appoggiandogli le mani
sulle spalle e chinandosi leggermente in modo da appianare la
differenza di
altezza e poterlo guardare negli occhi “Il fatto che tu sbavi
dietro a Gerard
fin dalla prima volta che l’hai visto non è un
segreto, anche perchè è
abbastanza evidente, sai?”
Frank si lasciò sfuggire un risolino nervoso,
perchè sapeva bene di non essere
una persona capace di mettere un filtro alle proprie emozioni e non
amava che
gli ricordassero la cosa.
”Ma io sono sicuro che anche tu non gli stai propriamente
indifferente.”
Proseguì Ray con
un tono serissimo. “Solo
che voi due siete due cacchio di timidoni impacciati quando siete sobri
e
davvero, mi fare salire il nervoso!”
“Uh... Scusa, vorrei vedere te al mio posto...”
mugugnò il
piccoletto, sporgendo il labbro, leggermente offeso.
”Non è questo il punto! Il punto è che
Gerard è cieco come pochi su queste
cose! Quindi o tu“ e qui puntò il dito con
decisione sul petto di Frank per
rimarcare meglio il concetto “fai qualcosa di concreto ed
inequivocabile, o ti
scordi di concludere qualsivoglia cosa con lui!”
”Ma io-“
”Non c’è ‘ma’ che
tenga!” lo interruppe Ray “Cacchio, Frank! Fai lo
spaccone
tutto il tempo e quando arriva il momento di agire ti spaventi e ti
tiri
indietro? Certo che sei proprio un bel tipetto complicato anche
tu!”
”Ma la band...” tentò nuovamente di
obiettare Frank.
”Lascia stare la band! Non ci conosciamo noi? A me non
creerebbe nessun
problema se voi due foste insieme e sono sicurissimo che anche Mikey
capirebbe.
Quanto a Bob, tanto quello non commenta mai in ogni caso, quindi puoi
stare
tranquillo anche sul suo conto.”
Frank esitò un po’ a quelle parole, ma infine
rispose “Non so, Ray... Davvero
forse non è il caso che io...”
”Frank. Piantala di farti paranoie e muovi quel culetto da
checca che ti
ritrovi! Voglio che gli salti addosso prima della fine della nostra
permanenza
qui o giuro che se non lo fai ti picchio personalmente!”
”Non ho il culetto da checca!” saltò su
il piccoletto, punto nell’orgoglio.
”Noooooo...” cantilenò sarcasticamente
Ray.
”Ehi! Che fai, mi guardi il culo?!?” rise Frank,
portando le mani a pararselo
istintivamente, come una ragazzina a cui hanno appena spalancato la
porta dello
spogliatoio mentre si sta cambiando.
”Io? Assolutamente no! E’ Gerard che lo
fa!” rispose prontamente il primo
chitarrista, facendogli l’occhiolino.
Frank non sapeva se esserne felice o imbarazzato o se Ray lo stesse
semplicemente prendendo in giro. Ma si fidava di lui. Ormai erano anni
che si
conoscevano e sapeva che Ray aveva un cuore troppo buono per fare
scherzi
giocando con i sentimenti delle persone. A volte si chiedeva che ci
facesse
quel cuore di panna in mezzo ad una manica di stronzi come loro.
“Vabbè, senti, io vado a far la
doccia, eh!” lo salutò, con un ampio gesto del
braccio.
”Va bene!” annuì “Vado ad
avvisare Gerard, in modo che ti raggiunga?”
”La pianti?!? Ho detto che a parlare con lui ci vado dopo la
doccia!”
”Va bene, va bene... Non fare la checca isterica, stavo solo
scherzando.” Si
difese Ray, alzando le grandi mani in segno
di resa.
“Sarà meglio.” Lo
fulminò Frank con lo sguardo, tentando di mantenere
un’aria seria e minacciosa: fallì miseramente.
Aveva già fatto qualche passo nel corridoio,
quando si voltò nuovamente verso
di lui.
”E piantala di guardarmi il culo mentre me ne
vado!” gli urlò dietro , scoppiando
immediatamente a ridere, per poi sparire dentro la propria camera, con
ancora
gli echi della sonora risata di Ray nelle orecchie.
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Capitolo 3 *** CAPITOLO 3: “And if they get me...” ***
WARNING: colpo di scena a fine capitolo!!! °^°
CAPITOLO 3: “And if they get
me...”
Quella notte Gerard non chiuse occhio.
Non sapeva per quanto tempo fosse rimasto abbracciato a Frank la sera
prima.
Sapeva solo che erano trasaliti entrambi quando l’orologio a
pendolo aveva
iniziato improvvisamente a rintoccare, segnalando la mezzanotte.
Non sapeva nemmeno con quale sovrumana forza di volontà
aveva trovato il modo
di sciogliere l’abbraccio e di salutare Frank per poi
dirigersi verso la
propria camera. L’aveva salutato sottovoce, come se temesse
che anche il più
piccolo sussurro potesse metterli in pericolo.
Ma l’inquietudine e la sensazione istintiva di essere
osservato non l’avevano
mai abbandonato. E poi c’era quel silenzio. Completo.
Pesante. Quasi tangibile.
Lo detestava.
Doveva assolutamente colmarlo con qualcosa. Colmare quel vuoto sonoro
che tanto
lo spaventava.
Non appena si chiuse la porta della
camera alle spalle,
ansimando per la corsa e la paura, si cambiò ed
indossò il suo adorato pigiama
dei Misfits il più in fretta possibile, come se ogni secondo
perso fosse un
secondo in meno di vita.
Una volta sotto le coperte, tentò di rilassarsi e di
scacciare il silenzio
ascoltando un po’ di musica attraverso gli auricolari
dell’iPod, in modo da
calmare i nervi ed assopire la mente, scacciandone tutti i pensieri
negativi...
Ma anche dopo un’ora ininterrotta di musica, Morfeo sembrava
ben lontano
dall’essere disposto a scendere a fargli visita.
Decise dunque di levarsi le cuffie per lasciarle sul comodino accanto
al letto
e tentare di addormentarsi nel silenzio che regnava incontrastato sulla
casa di
notte.
Ma era il silenzio stesso a spaventarlo.
Temeva di udire un rumore, anche piccolissimo, da un momento
all’altro, a tradire la presenza di quella
‘cosa’ nelle vicinanze. Quando sei
immerso in un completo ed innaturale silenzio, speri con tutto il cuore
che quella
situazione finisca. Ma allo stesso tempo sei terrorizzato
all’idea di un
qualsiasi rumore che potrebbe infrangere quella stasi.
Gerard rabbrividiva persino per i lievi fruscii che la
stoffa produceva ogniqualvolta si rigirava nel letto, incapace di
trovare una
posizione comoda.
E temeva che quella creatura misteriosa, qualsiasi cosa essa
fosse, si nascondesse nelle tenebre proprio di fronte a lui. Si sentiva
come
osservato e non era
in grado di
comprendere se lo fosse stato realmente o se si trattasse solamente di
una sua
sensazione sgradevole.
Aveva passato l’intera
notte così, con l’inquietudine che
possedeva il suo animo e gli incatenava i pensieri, senza lasciarlo
dormire.
E non era preoccupato esclusivamente per se stesso e la
propria salute mentale. Ammesso che lui stesso non fosse uscito di
testa
completamente, era comunque evidente il fatto che fosse
l’unico in grado di
vedere quella ‘cosa’. Se mai avesse deciso di
attaccare gli altri, loro non se
ne sarebbero nemmeno accorti...
Se lui era davvero l’unico in grado di vederla doveva
proteggerli. Doveva essere lui a farlo, perchè gli altri,
ignorandone
l’esistenza, non sarebbero mai stati in grado di difendersi
dal soli.
Ma, davvero, come affrontare un essere che non sai
cos’è e
non puoi nemmeno fottutamente vedere?
Tormentato da questa domanda, Gerard continuava a rigirarsi nel letto,
le
lenzuola che gli sembravano pesare addosso come una cotta di maglia
anzichè del
morbido tessuto.
‘Ma...’
riflettè tra sè e sè, in preda ad una improvvisa
illuminazione ‘Sono
davvero l’unico in grado di vedere quella cosa...?
Non l’aveva mai vista prima di allora. Non prima di aver
messo piede nella
casa, ormai due giorni prima...
Ciò poteva significare che forse
quell’entità si trovasse esclusivamente in
quella villa coloniale...
...e che, molto probabilmente, vagava lì dentro fin da prima
dell’arrivo della band.
Se davvero quella cosa era lì da tanto era impossibile che
lui fosse l’unica
persona in grado di vederla.
Forse la casa era davvero stregata come dicevano...
E, se c’era una cosa che Gerard aveva imparato dalle
innumerevoli
nottate passate sul divano di casa a guardare film horror con Mikey (e
a volte
anche con Frank, che si autoinvitava sfacciatamente a casa Way non
appena
sentiva la parola horror fuoriuscire dalle labbra di uno dei due
fratelli)
quando una casa è infestata, sicuramente
c’è più di una persona in grado di
vedere i fantasmi o comunque gli esseri sovrannaturali che vi dimorano.
E,
soprattutto, se una casa è infestata, il motivo è
da ricercare nella storia
della casa stessa. Il che a volte, permette anche di indagare la natura
e
l’origine delle presenze che la infestano.
Quindi la cosa migliore da fare era scoprire qualcosa di più
su quella casa...
Gerard raccolse tutto il coraggio di
cui disponeva ed estrasse il braccio
destro dalle coperte per poi estenderlo nel buio pesto verso il muro
per
cercare a tentoni l’interruttore.
Gli ci volle qualche secondo, ma infine il tasto scattò con
un sonoro schiocco e la luce improvvisa gli trafisse dolorosamente le
cornee.
”Ggggh...” si lasciò sfuggire, parandosi
inizialmente il viso con la mano, per
poi ammutolire immediatamente e portarsi il palmo davanti alla bocca,
timoroso
che anche quel minimo gemito potesse aver portato la misteriosa
creatura fin da
lui.
Passò qualche secondo ad osservare febbrilmente ogni piccolo
angolo della
stanza, le pupille che dardeggiavano in tutte le direzioni, ma non vide
nulla
che potesse tradire la possibile presenza della
‘cosa’ e si tranquillizzò
leggermente.
Si sporse verso il comodino al fianco del letto. L’antina di
legno si aprì con
un cigolio sinistro quando ne afferrò la maniglia, ma Gerard
ingoiò un respiro
e decise di non badarci. Tirò fuori con cautela la custodia
del computer
portatile e se la posò sulle gambe.
Decise comunque di non richiudere l’antina: meno rumore
faceva e meglio era, o
almeno così pensava.
Il pc si accese con un ronzio basso, il piccolo schermo che gli
inondava il
viso di luce, conferendogli un malsano pallore verdognolo.
Aprì immediatamente la homepage di Intenet, impostata su
Google e posò le dita
sulla tastiera, digitando lieve, in modo da non fare troppo rumore:
Paramour Mansion
Osservò
per un momento le lettere nere risaltare sullo
schermo bianco, poi premette “invio” e attese che
il motore di ricerca facesse
il suo lavoro...
...e non trovò un gran che, a dir la verità.
Giusto un paio di informazioni su Wikipedia: Paramour Mansion non era
il nome
originario della villa coloniale, bensì Canfield-Moreno
Estate, appartenuta ad
un certo Antonio Moreno, e sua moglie Diasy Canfiled. Ma la pagina
parlava
anche della morte di Daisy nel 1933, in
circostanze poco chiare... Qualcosa che aveva a che
fare con un incidente d’auto.
Quando però cercò delucidazioni si questo fatto
non trovò
altro e la cosa lo insospettì.
Tornò a studiare la storia della casa sulla pagina di
Wikipedia: apparentemente aveva passato diversi proprietari. Prima era
divenuta
proprietà dell’erede di Daisy, una certa miss
Chloe P. Canfeild, che l’aveva
trasformata in un istituto per ragazze per bene.
Gerard sbuffò.
Ecco! Se la cosa si fosse venuta a sapere chissà quanti
altri epiteti femminili saprebbero piovuti su di lui e sulla sua band!
Come se
già non ne avessero ricevuti abbastanza...
Tirò un lungo sospiro, pensando al fatto che effettivamente
nessuno di loro era
propriamente uno stereotipo di virilità, e tornò
a piantare gli occhi sullo
schermo del pc.
Dopo essere diventata un collegio per Signorine, la villa
era stata venduta alle suore e trasformata in convento.
Di male in peggio! Per un momento Gerard ebbe una fugace visione di
tutti i
componenti della band vestiti da suore, con tanto di abito nero ampio e
velo
bianco.
Inorridito, scacciò l’immagine dalla mente e
riprese a leggere: nel 1987 un
violento terremoto si era abbattuto sulla California ed aveva
danneggiato
seriamente la casa, costringendo le suore a venderla e poi...
Nulla.
Assolutamente nulla!
Undici anni di vuoto totale.
Il cantante si stropicciò
gli occhi per la stanchezza dovuta alla mancanza di
sonno e gettò uno sguardo alla finestra, dalla quale
cominciavano a fare
capolino i primi bagliori dell’alba, mentre il cielo aveva
assunto una morbida
sfumatura rosata. Tornò a concentrarsi sullo schermo del pc,
sapendo che tra
non molto avrebbe dovuto alzarsi comunque e che quindi a questo punto
tanto
valeva tirare avanti fino a quel momento.
Le notizie sulla villa riprendevano dal 1998, quando era stata
acquistata da
una certa Ms. Dana Hollister, che aveva ristrutturato la
proprietà e ne aveva
fatto uno studio di registrazione.
Ma che cosa diamine era successo in quegli undici anni?
Gerard provò a setacciare Google, alla ricerca di
informazioni, lessandosi gli occhi a furia di fissare lo schermo del
computer,
ma non trovò assolutamente niente.
Era come se la casa fosse letteralmente sparita per undici anni...
***
Erano ormai le
sette quando Gerard decise che era stufo di
stare in camera propria incollato allo schermo del pc e si
trascinò stancamente
fuori dal letto e verso l’armadio per raccattare qualcosa da
indossare quel
giorno. Aprì l’antina e trovò ad
accoglierlo una vasta gamma di felpe, giacche
e t-shirt, tutti rigorosamente neri.
‘Certo che sono diventato proprio qualcosa di
deprimente.’
Riflettè amaramente. ‘Non che prima non fossi di
certo più allegro: il nero è
sempre stato il mio colore. Però almeno qualche elemento di
rosso lo indossavo.
Ultimamente ho iniziato a vestire esclusivamente di nero, quasi senza
accorgermene...’
Scelse un paio di jeans attillati e una maglietta senza
porvi troppa attenzione e poi
aprì il
cassetto della biancheria per estrarne un paio di boxer e uno di
calzini. La
visione che gli si presentò
aprendo il
cassetto fu nuovamente completamente nera.
‘Sono depresso persino nei paesi bassi!’
ridacchiò tra sè e
si domandò se anche il resto della band fosse stata
influenzata da The Black
Parade ad un livello così profondo. ‘Questa
faccenda della Parata Nera ci è
seriamente sfuggita di mano. Chissà se anche gli altri
indossano solo
biancheria nera...”
L’improvvisa visione di Frank che vagava per la camera con
addosso esclusivamente un paio di boxer neri aderenti gli invase
completamente e
repentinamente la scatola cranica, scacciando qualsiasi altro pensiero.
Si sentì avvampare e cercò invano di scacciare
quell’immagine dalla mente, mentre si dirigeva verso il letto
e cominciava a
vestirsi stancamente.
Beh, quella volta Frank indossava sicuramente dei boxer
neri, ma solitamente il chitarrista portava i jeans moooolto bassi e,
beh...
Effettivamente lo aveva visto portare anche boxer bianchi o grigi,
forse blu
una volta. Non che gli guardasse il culo ogni due per tre, eh! No, non
era
così! Davvero!
E’ che l’occhio cade su certe cose, capite...
Scosse la testa rendendosi conto di quanto sembrasse un cacchio di
vecchio
pervertito in quel momento. Quando gli sembrò di essersi
ricomposto abbastanza,
indossò una leggera felpa col cappuccio –
ovviamente nera – lasciando la zip
aperta, perchè non faceva poi così fresco per
essere ottobre, ed uscì dalla
propria camera.
‘Come prima cosa ci vuole
un caffè.’ Stabilì, avviandosi con
decisione verso la cucina, per prepararsene una caffettiera intera. Il
che non
era molto diverso dal primo pensiero che gli si affacciava alla mente
ogni
mattina, di solito.
Quando si fu finalmente colmato una grande tazza di ceramica
dell’amaro liquido scuro e d averlo allungato generosamente
con del latte,
decise che non aveva intenzione di starsene in cucina, ma che sarebbe
stata
un’ottima idea andare a sorseggiarlo fuori, nel patio,
lasciandosi carezzare il
volto dai primi raggi del sole e godendo del fresco mattutino.
Fu mentre apriva la porta a vetri ed usciva in cortile,
accolto immediatamente da una folata di vento gelido – okay,
non faceva poi
così fresco, ma non faceva nemmeno caldo, dopo tutto - e da
qualche foglia
secca, che vide il custode.
Si trovava all’angolo opposto del cortile, oltre la piscina,
e stava
raccattando pigramente le foglie cadute con una scopa di saggina. Non
sembrava
essersi accorto dell’inusuale presenza di Gerard
così presto la mattina.
Il cantante appoggiò la tazza fumante su un tavolino di
metallo verniciato di nero vicino all’ingresso e si
allacciò la felpa fino al
collo per proteggersi dall’aria frigida, poi riprese la tazza
ed iniziò a
sorseggiarne il caldo contenuto, continuando ad osservare il custode e
riflettendo tra sè.
Quell’uomo...
Sembrava saperla lunga.
Indubbiamente non era per niente giovane, o almeno portava
male la sua età. Inoltre sembrava essere in quella villa da
molto molto
tempo...
Quindi se c’era qualcuno che poteva sapere qualcosa in
più su quella casa,
qualcosa che non si trovava su internet, era indubbiamente lui.
Gerard finì di bere il
caffelatte e, dopo un momento di
esitazione, decise di abbandonare semplicemente la tazza sul tavolino,
poi si
avvicinò cautamente all’uomo, che stava ancora
spazzando stancamente le foglie
secche, ammucchiandole in tanti piccoli cumuli.
“Ehm... Mi scusi...” tentò di
approcciarlo timidamente
Gerard.
”Cosa c’è!?!”
sbottò secco il custode, sollevando la testa di scatto con
aria
ostile. Poi, sembrò come mettere a fuoco la figura di Gerard
e cambiò
atteggiamento.
”Ah, è lei.” Disse, cercando di
mascherare con un sorriso cordiale
un’espressione di sincero disappunto. “Come mai
già in giro a quest’ora del
mattino?”
”Uh, io... Non riuscivo a dormire e mi sono alzato per farmi
un caffè.” Tentò
di giustificarsi Gerard, un po’ a disagio, sentendosi
squadrato da capo a piedi
da quell’uomo.
“Ehm... Ecco io avrei una domanda da farle, se non la
disturbo.”
“Affatto.” Rispose il guardiano, posando a terra la
scopa ed
osservandolo in attesa. “Domandi pure.”
”Dunque, io mi chiedevo se lei saprebbe dirmi qualcosa in
più su questa
casa...” chiese Gerard, sperando con tutto il cuore che il
custode fosse
disponibile a fugare i suoi dubbi.
”In che senso?” domandò
l’uomo, evidentemente colto alla sprovvista da una
richiesta del genere “C’è qualche sala
in particolare che vorrebbe visitare o
ha qualche dubbio sulle condizioni di affitto poste agli artisti per
quanto
riguarda lo studio?”
”No. No. Non intendevo in quel senso!” si
affrettò a precisare gerard, agitando
le mani davanti a sè e dando più enfasi al
diniego “Io mi chiedevo se lei
potesse raccontarmi qualcosa proprio su questa villa... Che so... Sulla
sua
storia, sui proprietari del passato...”
”E’ la prima volta che qualcuno mi chiede una cosa
del genere! Come mai questo
interesse per il passato della villa?” gli chiese il custode,
osservandolo con
sospetto.
”C’è... C’è una
cosa che vorrei capire. E forse saperne di più su questo
luogo
potrebbe aiutarmi...”
”Quanto sa lei già della storia di questa casa?
C’è qualcosa in particolare che
vorrebbe sapere?”
“Veramente ho già fatto qualche ricerca. Ma non ho
trovato
molto... Cosa sa dirmi dei primi proprietari? Intendo
dire...” e qui prese un
profondo respiro “...Daisy Canfileld.”
“Mi sta chiedendo... della sua morte?”
“Si.” Rispose Gerard, in un soffio.
“Ebbene, immagino lei sappia com’è
venuta a mancare la
signora Canfield.”
”So che è stato un incidente d’auto. Ma
c’è dell’altro vero? Le informazioni
sono poche e confuse...”
”Infatti è sicuramente successo qualcosa. Deve
sapere che quella sera del 1933,
Daisy non era in macchina da sola, ma stava tornando verso questa casa
dopo
essere stata ed un party insieme ad un’amica, una certa Rene
Dussac. Quella
donna è sopravvissuta all’incidente che ha ucciso
la signora Canfield, ma i
suoi racconti dell’accaduto sono sempre stati piuttosto
confusi, sa...”
Gerard trattenne il respiro e tenne gli occhi incollati
sull’uomo, aspettando
che continuasse a raccontare.
”Secondo Rene, comunque, pare che quella tarda sera di
febbraio ci fosse una
fitta nebbia, che rendeva molto difficile vedere la strada e pericoloso
mettersi alla guida. Ma Daisy aveva insistito molto per tornare verso
casa,
perchè diceva di non sentirsi bene, quindi, nonostante le
continue proteste
dell’amica, si era messa alla guida...
Ma, mentre stavano percorrendo Mulholland Drive, la povera Daisy ha
perso il
controllo della macchina e il veicolo è volato per un
centinaio di metri giù
dalla curva panoramica...
L’amica si è miracolosamente salvata, anche se
è rimasta gravemente ferita. Per
la povera donna invece non ci fu nulla da fare: aveva il petto
schiacciato ed i
polmoni spappolati dalle lamiere dell’auto.”
L’uomo fece una pausa drammatica e si lasciò
andare ad un sorrisetto
compiaciuto nel vedere l’espressione sconvolta dipinta sul
viso di Gerard, che
si era fatto, se possibile, ancora più pallido del suo
naturale biancore
malaticcio.
”Secondo l’autopsia non aveva contusioni in testa.
E’ molto probabile che la
donna sia morta dopo una lenta agonia, per soffocamento, dato dallo
schiacciamento
dei polmoni.”
”Oddio...” gemette Gerard, portandosi una mano alla
bocca, sconvolto al solo
pensiero di una morte tanto orribile. Sentiva la nausea nascere dalla
profondità delle viscere e crescere lentamente fino ad
arrivargli alla gola.
“Ma non è finita
qui!!” esclamò il custode senza preavviso,
facendo prendere letteralmente un colpo a Gerard, che per poco non fece
un
salto all’indietro dallo spavento, il che lo avrebbe portato
a ruzzolare dritto
nella piscina che si trovava alle sue spalle.
“C-c’è
dell’altro...?” domandò il cantante, una
volta
ripreso l’equilibrio, per quanto in cuor suo sapesse
già che la risposta
sarebbe stata affermativa.
”Certamente.” Riprese l’uomo, con
un’espressione estremamente seria in volto.
“Come ho detto prima l’amica di Daisy si
è salvata. Ma
quando finalmente riuscirono ad estrarla dalla carcassa
dell’auto era in un
profondo stato confusionale. Dai pochi brandelli di frasi comprensibili
che
sono riusciti a cavarle di bocca, si è scoperto che la donna
avesse cercato di
aumentare la luminosità dei fari, per vedere meglio
attraverso la fitta
nebbia... Ma quando la polizia analizzò l’auto,
scoprì che al momento
dell’incidente i fari erano spenti.
Mentre, invece, l’interruttore era posto sui
fendinebbia...”
”Oh!” si lasciò sfuggire Gerard, con
un’esclamazione acuta che stentò a
riconoscere come la propria voce.
“E’ per questo che c’è chi
dice che non si sia trattato di
un semplice incidente, ma di un omicidio.
Alcune persone insinuarono che potesse essere stato lo stesso marito do
Daisy,
l’attore Antonio Moreno, a sabotare l’auto. Anche
perchè la morte avvenne
giusto un paio di settimane dopo la fine del loro matrimonio.
Ma,ovviamente, la
cosa non fu mai provata.”
“E l’amica? Rene...? Che fine ha fatto?”
”Non si è più ripresa. Anche se le sue
ferite sono guarite lentamente nel corso
degli anni successivi, è rimasta in uno stato mentale
confusionario molto a
lungo...”
”E ora dove si trova?”
”E morta nel 1985 in
manicomio. Aveva quasi 100 anni. Ha trascorso tutta la vita
là dentro.”
***
La
conversazione di quella mattina presto lasciò a Gerard un
turbamento profondo, che lo accompagnò nel corso di tutta la
giornata.
Continuava a ripensarci, il che lo portava ad essere sempre distratto o
assente, con conseguenze disastrose sulle registrazioni, visto che non
riusciva
a cantare come avrebbe dovuto, mancando di concentrazione. Tutte le
parti
vocali registrate quel giorno, vennero cancellate, perchè
non ritenute
sufficientemente valide nemmeno per delle B-sides.
A nessun componente della band sfuggì il suo comportamento
insolito, ma ogni
volta che qualcuno gli si avvicinava per chiedere spiegazioni, Gerard
lo
scacciava in malo modo. Scacciò involontariamente anche
Frank, allo stesso modo
e l’espressione ferita che gli restituirono gli occhioni del
chitarrista bastò
a farlo sentire tremendamente in colpa per tutto il resto della
giornata.
S’era fatta ormai sera
inoltrata quando stava andando in
cucina per prepararsi una tazzona di tisana. La carenza di sonno si
faceva
sentire con tutti i suoi fastidiosi effetti collaterali. Stanotte
doveva
assolutamente riuscire a dormire o sarebbe sicuramente collassato il
giorno
successivo. E forse una buona tazza di camomilla lo avrebbe aiutato a
calmare i
nervi e a prendere sonno.
Stava nuovamente percorrendo il largo corridoio al
pianterreno della villa quando adocchiò il grande specchio
dove aveva visto
comparire la cosa per la prima
volta.
Aveva una fottuta paura a passarci nuovamente davanti, ma era
l’unico modo per
raggiungere la cucina. Per un momento, soppesò mentalmente
l’idea di rinunciare
alla tisana e ritornare sui propri passi, ma infine si decise a muovere
qualche
passo avanti.
E quando gettò un’occhiata timorosa nello
specchio...
...la cosa
era di
nuovo lì!
Fluttuava nell’aria proprio
alle sue spalle, senza agire,
senza toccarlo in alcun modo, ma era lì. Era fottutamente
lì, vicinissima a
lui, riflessa nel grande specchio.
A Gerard si mozzò letteralmente il respiro e
passò quella che credette essere
un’eternità, pietrificato, ad osservare il proprio
riflesso pallido come un
cencio nello specchio e la cosa che continuava a fluttuare direttamente
alle
sue spalle. E sembrava nuovamente osservarlo con quelle sottospecie di
punti
luminosi, al centro della massa di fumosa oscurità...
“Gee?”
La voce di Frank gli giunse dal fondo del corridoio, liberandolo dalla
paralisi.
Bastò la frazione di secondo in cui aveva spostato lo
sguardo sul proprio chitarrista, che stava giungendo tranquillamente
dal fondo
del corridoio, e poi nuovamente sullo specchio, a far sparire la cosa dalla sua vista.
Di nuovo. Come l’altra volta, non appena aveva chiamato
Frank, la cosa era sparita.
Cosa significava?
”Gee, che succede?” domandò il ragazzo,
ormai ad una decina di passi da lui.
Senza nemmeno avere il tempo di
pensarci razionalmente,
Gerard si era fiondato tra le sue braccia. Lui stesso se ne rese conto
ad
azione avvenuta, quando avvertì il calore del piccolo corpo
di Frank contro il
proprio ed il profumo dello shampoo che aveva utilizzato emanare dai
capelli
morbidi, che ora gli stavano solleticando il volto.
Ma era così spaventato... Troppo per lasciare andare quel
piccoletto, che aveva l’incredibile potere di
tranquillizzarlo con la sua
semplice presenza.
Sentì Frank irrigidirsi inizialmente in
quell’abbraccio inaspettato, ma dopo
qualche istante le mani del chitarrista scivolarono sulla sua schiena e
ricambiò la stretta.
“Gerard...?” pronunciò nuovamente il suo
nome, quasi in un
sussurro.
Per tutta risposta il cantante lo strinse un po’ di
più a sè.
"Gee, che cos'hai..?" chiese di nuovo Frank, questa volta con un tono
molto preoccupato.
"Io... Io non lo so." riuscì finalmente a trovare la voce
Gerars, continuando a tenersi stretto a Frank. "Non capisco
più niente. Forse sto davvero impazzendo..." gemette, ormai
sullìorlo di una crisi di panico. Non riusciva a calmarsi,
nonostante stesse stringendo Frank tra le braccia. Non appena si rese
conto che nemmeno quella che pensava essere la sua unica speranza
sembrava funzionare in alcun modo, si agitò ancora di
più. Cosa cacchio stava succedendo?
"Gee... Gee... Gerard!" Esclamò infine il piccoletto,
facendo forza dulle braccia per allontanarlo a fatica da sè,
giusto quanto bastava per poterlo scrutare in viso. E quello che vide
non gli piacque: era pallico come un cencio e gocce di sudore freddo
gli imperlavano la fronte. Gli occhi erano spalancati elucidi, tanto
che pareva potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro.
Fu questa la patetica immagine che Gerard vide specchiarsi negli occhi
di Frank. Patetico. Era patetico. Non poteva mostrarsi in quello stato
pietoso. Non così. Non da lui.
Si strofinò una mano sul viso, tentando di ricomporsi un
minimo e dischiuse le labbra per cercare di mettere in fila due parole,
in modo da formare almeno una frase di senso compiuto.
"Frank, io... I-io ho visto di nuovo quella cosa. Nello specchio e-
Oddio, non so cosa fare... Che cos'è? Perchè la
vedo soltanto io?"
Frank aggrottò le sopracciglia, in un'sepressione
preoccupatissima, che Gerard giurava di non avergli mai visto in viso,
come se ci fosse dell'altro dietro. Come se non fosse preoccupato
esclusivamente per le sue condizioni pietose, ma ci fosse qualcosa di
più grande, che a lui ancora sfuggiva.
Sentì il chitarrista
stringere un po' di più le mani sulle sue spalle, come a
volergli dare un segno tangibile della propria presenza, del fatto che
fosse lì con lui, in quell'esatto momento.
"Gerard... Gerard, calmati." Mormorò, scuotendolo
leggermente e cercando di farsi guardare in faccia "Gerard, guardami,
ehi! Va tutto bene, ma devi calmarti adesso. Ci sono io con te, quindi
calmati..."
"Non ci riesco... Non ci riesco!" sbottò Gerard
all'improvviso, spaventando Frank che fece un piccolo passo indietro
"Sono così confuso... Non capisco più niente... E
quella cosa mi preoccupa." si lamentò, prendendosi la testa
tra le mani, tirando ciocche di capelli neri, che stavano finalmente
ricominciando a crescere.
Frank cercò nuovamente di
rassicurarlo ”Secondo me sei solo molto stanco. In
queste notti non stai dormendo quasi per niente, vero? Come quando sei
venuto da me l'altroieri...Sei sicuramente molto stanco. E forse i vari
impegni della band ti stanno stressando. Stiamo facendo davvero un
sacco di
cose ultimamente. E tu stai anche lavorando ad un fumetto. E’
più che
comprensibile che tu sia stanco.
Hai solo bisogno di distrarti un po’.” Concluse
sorridendogli dolcemente.
”E se vuoi... Posso fare io qualcosa per distrarti.”
Sussurrò Frank al suo orecchio con voce sottile,
sottolineando l’ultima parola
e facendo scorrere una mano dal petto di Gerard lungo la sua pancia
fino a
fermarsi a giocare col bottone dei suoi jeans.
Al cantante qusi prese un colpo. Frank non s'era mai comportato
così da sobrio. ”F-Frankie... Veramente non mi
sembra il momento. Davvero
non capisci? Ho troppa paura. Ho paura che quella cosa
ritorni.”
Frank sospirò, evidentemente deluso dalla non-reazione di
Gerard, anche se poi gli dedicò un'occhiata se possibile
ancora più preoccupata delle precedenti. Solo che questa
volta c'era qualcosa in più dentro. Sembrava... tristezza?
”Ehi... Ma non eri tu quello che adorava i vampiri ed i
mostri? Li disegni
sempre, praticamente ovunque! Com’è che adesso sei
così spaventato, Gee?” provò a
riprendere, con tono
scherzoso, aggiungendo una delle sue tipiche risatine acute alla fine
della
frase. Solo che questa volta la sua risata, solitamente coì
cristallina e spontanea, sembrava fredda e forzata in mezzo a
quell'atmosfera pesante.
”L-lo so, ma.... Ah! Aaaaaaaah!” Gerard si
allontanò di scatto, lasciandosi
sfuggire un urlo strozzato, gli occhi spalancati dal terrore. Quella
cosa.
Quella cosa era visibile ad occhio nudo ed era alle spalle del suo
amico. Così
vicina a lui, che alcune sue propaggini quasi lo avvolgevano,
ondeggiando
leggere nell’aria come fanno i capelli lunghi
sott’acqua.
”E-ehi? Cosa... Cosa succede, Gee...?” chiese,
raggelando.
Ma il cantante non riusciva a parlare, schiuse le labbra, boccheggiando
senza
emettere suono. Alzò lentamente un braccio, puntando un dito
tremante verso la creatura.
”Ge-Gerard...? S-se mi stai prendendo in giro non
è divertente, smettila subito...”
Adesso la sentiva anche lui la paura. Oh sì che la sentiva,
ghermirgli il cuore
in una morsa con i suoi freddi artigli.
”C-c-c’è qualcosa dietro di
me?” chiese, aspettando una risposta che non
arrivò.
Si voltò lentamente per
guardarsi alle spalle e Gerard lo
vide chiaramente fare un salto all’indietro per lo spavento,
alla vista della
fumosa creatura fluttuante.
“C-cosa... Cosa sei? Cosa vuoi da me?”
domandò in uno
squittio terrorizzato il chitarrista, muovendo un piccolo passo cauto
all’indietro, verso Gerard.
Bastarono quelle poche parole a colpire Gerard come una
frustata: Frank stava parlando con quella cosa! Frank la vedeva!
Com’era possibile? Per tutto quel tempo aveva sempre pensato
di essere l’unico a vedere e percepire la sua presenza. Ma
allora...
”N-non avvicinarti... Vattene via!”
intimò arretrando ancora di un paio di
passi, quando la creatura si avvicinò fluttuando a lui.
Gerard si trovava ancora a quattro o cinque passi da lui, senza poter
fare
altro che osservare la scena, pietrificato dalla paura.
Perchè la cosa era
visibile, adesso? E soprattutto perchè se la stava prendendo
con Frank?
“Aaaah! No! Vattene!” quasi urlò il
ragazzo quando l’essere
si avvicinò nuovamente a lui, allungando una propaggine di
foschia oscura verso
il suo viso.
Gerard visse gli attimi successivi in
maniera molto confusa.
Avvertì il proprio braccio scattare in avanti, anche se non
ricordava di aver
pensato in alcun modo di farlo e spiccò una specie di salto
verso Frank.
Afferrò il polso del suo compagno e con uno strattone
improvviso se lo tirò
addosso, allontanandolo da quella cosa, e lo
abbracciò strettissimo. Lo strinse a sè con
tutta la forza che aveva, come se fosse stato il tesoro più
prezioso al mondo,
come se ne andasse della sua stessa vita.
Probabilmente lo stava stringendo così forte da fargli male
o impedirgli di
respirare, ma lui stesso non si rendeva quasi conto di cosa stesse
facendo.
Sapeva solo che quella cosa stava per fargli qualcosa e lui doveva
proteggerlo.
O almeno provarci.
Ma la cosa era ancora lì di fronte a loro, lui lo sapeva. Lo
percepiva, anche
se non aveva il coraggio di guardare, perchè aveva serrato
strettamente le
palpebre non appena si era ritrovato Frank contro il petto e tra le
braccia.
Era letteralmente terrorizzato da ciò che sarebbe potuto
succedere di lì a
poco, anche se non ne aveva davvero la più pallida idea.
Riusciva solamente a
immaginare che sarebbe stato qualcosa di orribile e tutto
ciò che riusciva a
fare era respirare a fatica e tenersi stretto il piccolo chitarrista.
Non l’avrebbe lasciato andare per nulla al mondo.
Non sapeva se la cosa era
interessata
ad entrambi o esclusivamente a lui, ma qualsiasi cosa fosse successa,
l’avrebbero
affrontata insieme.
Strinse le palpebre così forte da veder spuntare tante
piccole stelline all’interno delle orbite ed attese...
Attese per quella che gli parve
un’eternità, ma non successe
proprio nulla.
Udì un piccolo gemito soffocato provenire da qualche parte
all’altezza del proprio petto, dove stava ancora premuto il
viso di Frank ed
iniziò a schiudere cautamente gli occhi, ancora molto
timoroso di qualsiasi
scena gli si sarebbe potuta presentare davanti...
...invece trovò solamente il largo corridoio deserto e
scarsamente illuminato ad accoglierlo.
La cosa era sparita nuovamente. Misteriosamente come era
comparsa.
Quasi trasalì quando una
sottospecie di rantolo gli giunse
alle orecchie ed abbassò lo sguardo su Frank.
”Gee... Gee, non respiro...”
“Wah! S-scusa!” esclamò il cantante,
allentando la presa. Ma
solo un po’, quel tanto che bastava per lasciar emergere il
viso di Frank dal
proprio petto. Non si sentiva per niente al sicuro, quindi non aveva
ancora
intenzione di lasciarlo andare.
Il piccoletto emerse dal suo abbraccio, inalando avidamente
l’aria che gli era mancata fino a quel momento.
“Frankie? Stai... Stai bene?”
E si sentì stringere il cuore in una morsa quando finalmente
incontrò gli occhi
del chitarrista: erano enormi e spaventati...
Ma fu lo sguardo ciò che lo colpì di
più. C’era una muta richiesta di aiuto in
quegli occhi così grandi, nei quali si stava specchiando e
per un attimo
temette di annegarci letteralmente dentro.
“Gerard...
Io...” disse Frank in
un gemito appena udibile, abbassando lo sguardo,
“C’è una cosa che devo
raccontarti...”
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Buonsalve, lettori! =D
Speravo davvero di riuscire a pubblicarvi questo capitolo entro la
settimana scorsa, ma per una serie di contrattempi e incasinamenti ho
dovuto rimandare di una settimana, sigh...
Comunque la cosa è ricomparsa, visto?!?
Questo è un capitolo molto molto denso, ed importante per la
storia. Anche la prima parte, per quanto magari possa sembrare un po'
lenta (e temo sia anche un po' pesante, scusate! ^^'), in
realtà sarà molto importante e più
avanti scoprirete il perchè.
Una cosa: tutte le informazioni sulla storia della Paramour Mansion che
trovate in questo capitolo sono VERE.
Sono tutte vere, dalla prima all'ultima. Mi sono documentata e ho fatto
ricerche prima di scrivere questo capitolo... Anche la vicenda della
misteriosa morte di Daisy Canfield. L'unica informazione
inventata è quella sulla fine di Rene, sulla quale non ho
trovato nessuna informazione in giro. Ma anche questa sarà
funzionale alla storia, come vedrete...
Comunque TAN-TAN-TAAAN!!! Colpo di scena, visto??? =)
Il FrankoH sa più di quanto paresse, uh!
Quanti se l'aspettavano?
E secondo voi che cosa dirà Frankie a Gee nel prossimo
capitolo?
Ci saranno grandi rivelazioni!
E, forse, ci avvicineremo un po' di più alla risoluzione di
questo mistero...
Vi ringrazio per la vostra pazienza se mi state seguendo ancora
nonostante i miei tempi biblici nell'aggiornare.
Se vi va, fatemi sapre che ne pensate di questo capitolo e cosa vi
aspettate dai prossimi!
A presto! ^^
Keep running. Keep shinig. Mean something.
xoxo
Lù
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