Butterflies and hurricanes.

di Jules_Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Battle of Hogwarts. ***
Capitolo 2: *** Endless summer. ***



Capitolo 1
*** The Battle of Hogwarts. ***


The Battle of Hogwarts.

This could be the end of everything, so why don’t we go somewhere only we know?
[Somewhere only we know, Keane]
 

2 Maggio 1998, Sala Grande

 
– Ostendete vos nobis, sanguinis portae! Revelate regiam prosapiam et regis nomen! Conclavis cancellos aperio. Accipi tuum regem, Magice Munde.
La voce del Signore Oscuro risuonò cupa e profonda nella Sala Grande, amplificata dalla magia. Maghi e streghe, fantasmi, Mangiamorte e mostri deposero le armi al suono di quell’antica formula. Spaventati da quelle parole che risuonavano vuote e vaghe, si addossarono contro le pareti della Sala Grande. Solo Harry Potter rimase a fronteggiare, con la bacchetta pericolosamente puntata verso il suo petto, il Signore Oscuro.
Mostratevi a noi, porte del sangue! Rivelate la discendenza regale e il nome del re! Apro i cancelli della Camera. Accetta il tuo re, Mondo Magico.
Nel momento in cui il Signore Oscuro terminò di pronunciare la parole che avrebbero cambiato il destino del mondo, il pavimento della Sala Grande sembrò sparire sotto i piedi dei suoi occupanti.
Tremeranno tra la polvere, quando sarà eletto il nuovo Re.
 I più giovani strillarono, gli anziani guardarono con occhi increduli quella trasformazione. Galleggiavano in aria, apparentemente ancora legati a un pavimento che sotto i loro piedi non esisteva più.
­– Allora esiste davvero – mormorò la McGranitt, vicepreside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, e le sue parole rimbombarono contro il soffitto stregato come se fosse stato fatto di ferro. Vitious, accanto a lei, annuì con reverenza.
Il potere della sapienza e della conoscenza. La capacità di comprendere con lungimiranza ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi minuti.
Harry Potter, che, dall’altro lato della stanza, fino a pochi momenti prima aveva fronteggiato il Signore Oscuro, rimase scioccato nel vedere che i muri che avevano sostenuto Hogwarts stavano crollando come castelli di sabbia, per essere sostituiti da pareti nere dalla superficie incisa. La risata tetra del Signore Oscuro risuonò in quel luogo ormai privo di spazio e tempo.
– Vi inginocchierete ai miei piedi per chiedere pietà – urlò,  la voce ancora magicamente amplificata. Nagini, l’ultimo Horcrux che restava da sconfiggere, nella sua bolla protettiva sibilò sinistramente accanto al suo padrone. Addossati alle nuove pareti, i ragazzi di Hogwarts e i loro genitori, le creature magiche e i fantasmi, i Mangiamorte e i membri dell’Ordine della Fenice, tremarono di terrore nel momento in cui il soffitto incantato della Sala Grande – che rifletteva la luce di stelle lontanissime – si chiuse sopra le loro teste. Poi una voce ancestrale parlò.
– Avete aperto la Camera dei Re e delle Regine, depositaria da mille e più anni dell’albero genealogico di questo mondo.
Un sorriso – anche se si stentava a definirlo tale – incurvò la bocca senza labbra del Signore Oscuro. Il potere, immenso, reale, lo stesso di cui nemmeno Silente conosceva l’esistenza, era lì, nella Camera dei Re e delle Regine; e sarebbe stato suo nel momento in cui la voce millenaria lo avrebbe elevato a sovrano della stirpe magica.
– Le vostre voci osanneranno il nome del nuovo re, dopo duemila anni di anarchia. Vi inginocchierete al Suo cospetto e avrete timore del Suo potere senza limiti. Percorrete con me secoli di storia, perdendovi lungo le fila confuse della memoria e di storie lontane, per poi “comprendere”. Il filo d’oro guiderà il vostro percorso.
Come se avesse ubbidito alla voce ancestrale – impossibile dire se fosse di uomo o di donna – una sottile striscia dorata iniziò a colorare rami sulle pareti graffiate, partendo dal punto più alto, là dove un tempo il soffitto della Sala Grande rifletteva il cielo. Il filo d’oro si intrecciò lungo nomi e date – quelli che erano stati ritenuti i segni che deturpavano le pareti – e scese fino a far sì che la maggior parte dei presenti potesse leggere proprio quei nomi, adesso illuminati da un giallo accecante.
Antares, Lissa, Electra…
Nomi che risplendevano nel buio assoluto della Camera dei Re e delle Regine, a indicare un percorso a senso unico, lo stesso che avrebbe condotto dal nome del nuovo Re del Mondo Magico. Una nuova consapevolezza si fece largo tra la folla.
– Dove siamo? – mormorò una voce irriconoscibile tra i combattenti che si erano scontrati nella Sala Grande. Il mormorio rimbalzò tra quelle mura millenarie per divenire un rumore assordante.
Stendete drappi porpora e inchinatevi. Il Re verrà eletto.
Il filo d’oro continuava il suo percorso lungo le pareti, unendo nomi e date di nascita e di morte, segnando il percorso che la dinastia imperiale aveva seguito attraverso i secoli
Il Signore Oscuro rise.
– La Camera dei Re e delle Regine venne costruita dal primo Re del Mondo Magico che di questo luogo aveva fatto la sua dimora. Per secoli ha raccolto i nomi di tutti i maghi esistenti al mondo, eleggendo, per diritto di nascita, Re e Regine, decenni dopo decenni. Il Mondo Magico non ha ascoltato la voce di questa Camera e si è ribellato. Ora il nuovo Re sta per essere eletto, per riprendere il proprio trono.
La voce ancestrale cessò di parlare. Il filo d’oro, che aveva dunque stabilito chi fossero, nei secoli dei secoli, gli appartenenti alla famiglia reale, si stava avvicinando a nomi conosciuti. I tre fratelli Peverell, i depositari dei Doni della Morte, aspettavano il verdetto della Camera. Poi, il filo d’oro, piuttosto che deviare verso il nome di Cadmus Peverell, deviò verso il nome di Ignotus Peverell.
Un urlo di rabbia deformò il volto del Signore Oscuro.
Cadmus Peverell non venne elevato dal filo d’oro a sovrano e nemmeno i suoi discendenti, i Gaunt. E, a dispetto dei suoi piani, nemmeno l’Oscuro Signore – unico discendente di Serpeverde – sarebbe mai potuto essere eletto Re.
Il filo d’oro proseguì la sua discesa. Elevò al rango di sovrano Phineas Nigellus Black – e, i presenti che lo avevano conosciuto avrebbero potuto giurare che lui sapesse – e a quello di regina Ursula Flint. Poi, illuminò Cygnus Black e Violetta Bulstrode.
Hermione Granger, che aveva letto febbrilmente i nomi che seguivano quello di Cygnus Black, capì all’istante che le possibilità a quel punto non potevano essere che due: se quella colata aurea avesse proseguito a picco verso il nome di Dorea Black, l’ultimo discendente della Famiglia Reale non poteva essere che Harry James Potter.
La vittoria suprema della vita contro la morte. Una corona posata su arruffati capelli corvini.
Se invece – e pregò con tutta se stessa che ciò non accadesse – il filo d’oro avesse proseguito verso Pollux Black non c’era alternativa. Ninfadora Tonks giaceva – spezzata – in un corridoio di Hogwarts. Aveva chiaramente visto Arthur portarne via il corpo, insieme a quello del professor Lupin. Lei, che sarebbe stata per diritto di nascita la nuova Regina, essendo morta, lasciava la corona al suo diretto successore, figlio di Narcissa Black in Malfoy: Draco Lucius Malfoy.
E il filo d’oro deviò proprio verso Pollux Black, illuminandone il nome.
***
La maggior parte dei presenti si voltò verso Draco Malfoy che, sfregiato e bruciato, aveva osservato febbrilmente la discesa del filo d’oro. Il ragazzo dagli occhi chiari aveva evidentemente compreso l’enormità di ciò che stava accadendo. Già ghignava.
E, invece, piuttosto che illuminare i nomi di Cygnus Black e Druella Rosier, il filo d’oro inaspettatamente svoltò verso il nome di Walburga Black, la madre di Sirius.
Feccia, Sanguesporco. Orrore e raccapriccio nella mia casa.
Di nuovo, Hermione Granger, che prima fra tutte aveva compreso il meccanismo del filo tessitore, sgranò gli occhi. Quella parte della famiglia Black si era evidentemente estinta nel momento in cui sia Regulus Arcturus Black sia Sirius Black erano morti, senza lasciare eredi.
Harry Potter tremò di speranza. L’Oscuro Signore agitò la bacchetta e mormorò la Maledizione Senza Perdono che avrebbe ucciso il ragazzo, ma non accadde nulla. Nella Camera dei Re e delle Regine i poteri magici si annullavano.
E il filo d’oro illuminò poi un nome soltanto, che in linea di successione veniva prima di quello di Regulus e quello di Sirius: Castor Artemius Black.
Un nome sconosciuto alla totalità del Mondo Magico.
Un fratello che Sirius non aveva mai menzionato e di cui, forse, non aveva mai nemmeno conosciuto l’esistenza.
Un fratello il cui nome venne unito dal filo d’oro a quello della sua sposa, Berenike Prewett.
Un mormorio di comprensione di diffuse tra gli studenti e gli insegnanti presenti. Severus Piton fu il primo a voltarsi verso la ragazza che – avrebbe potuto giurarci – il filo d’oro avrebbe indicato a breve.
Elinor Prewett, sporca di sangue e polvere, a pochi passi di distanza da Severus Piton, vide il filo d’oro ricamare a grandi lettere il suo nome.
Elinor Prewett, nella Camera dei Re e delle Regine, venne infine designata con il suo vero nome, lo stesso che la madre le aveva nascosto, consapevolmente o inconsapevolmente: Elinor Vega Prewett Black.
Sua Maestà, Elinor Vega Prewett Black.
***
– Sua Maestà, Elinor Vega Prewett Black, ecco il suo regno.
La voce ancestrale parlò di nuovo, questa volta piena di reverenza e di rispetto. Il Signore Oscuro urlò una Maledizione che non raggiunse la ragazza, ora sola tra le due ali di folla che la circondavano.
Tremava.
Non era bella, non era sfolgorante come una Regina. I capelli che sfioravano appena le spalle erano impolverati, gli occhi verdi saettavano impotenti sulla folla. Aveva lunghe mani bianche con cui stringeva convulsamente la sua bacchetta. Gli abiti babbani che indossava erano nascosti dal mantello nero della divisa di Hogwarts, su cui campeggiavano le spire del serpente di Serpeverde.
Nel momento in cui Elinor Prewett fece un passo avanti, la folla iniziò a rumoreggiare. Severus Piton guardò quella ragazza – la stessa che aveva seguito con attenzione le sue lezioni, che era diventata Prefetto di Serpeverde e che più e più volte aveva ricevuto delle punizioni per la sua innata capacità di vincere duelli – con occhi sgranati.
Immobile, Elinor Prewett fece scorrere lo sguardo sui maghi e le streghe che la circondavano. Il suo sguardo verde dardeggiò contro il Signore Oscuro, il quale, il volto da serpente ridotto a una maschera di un pallore mortale, ripeteva febbrilmente Anatemi contro di lei.
Le formule che pronunciava rimanevano sospese in aria, irrealizzate.
Minerva McGranitt, che nella sua lunga vita aveva conosciuto nel profondo il significato della parola “rispetto”, all’improvviso, davanti alla visione di quella ragazza fiera e determinata, ma anche completamente scioccata, si inginocchiò.
– Sua Maestà – mormorò poi al suo indirizzo, chinando la testa. Elinor Prewett si voltò verso di lei, verso la donna che più di tutte l’aveva spronata a mettere a frutto le sue indiscusse capacità magiche, e un sorriso le incurvò le labbra rosse.
– Professoressa, non è necessario… – mormorò, ma la sua protesta venne tacitata dal gesto ripetuto dal centinaio di maghi e streghe presenti.
Il Mondo Magico, nella Camera dei Re e delle Regine, si inginocchiò davanti al nuovo sovrano.
Regina per diritto. Regina.
Elinor Vega Prewett Black osservò, quasi distante, le persone che chinavano la testa davanti a lei, sentendo i germogli di un nuovo potere prendere possesso di lei. Alzò la mano sinistra – con la destra impugnava ancora saldamente la bacchetta – e osservò il suo stesso pallore tramutarsi in magia.
Una pioggia di scintille verdi scaturì dalle dita della sua mano, a testimonianza dell’immenso potere che scorreva nelle sue vene.
Potere e paura. Indecisione, dubbio, scoperta. Serena accettazione di un destino che certo non aveva mai immaginato.
Un lampo di vittoria si accese nei suoi occhi verdi.
– Sua Maestà, accetta il regno e il potere, la corona e la dominazione?
***
Elinor Black poteva dirsi semplicemente spaventata mentre, con passo incerto, si avvicinava alla parete sulla quale, con caratteri dorati, era stato tessuto il suo vero nome. I combattenti di Hogwarts erano inginocchiati intorno a lei, pronti ad accettarne il dominio e il potere. Il Signore Oscuro aveva radunato intorno a sé i suoi Mangiamorte e, al contrario dei restanti, erano in piedi, ritti e fieri, pronti ad attaccare non appena l’incanto della Camera dei Re e delle Regine fosse stato sciolto.
Il primo pensiero che attraversò la mente di Elinor fu quello di rifiutare. Cresciuta nella ricchezza esorbitante dei Prewett, allevata alla Magia Oscura dal nonno, senza aver mai conosciuto il suo vero padre, Elinor voleva realmente rifiutare.
Non era nata per essere Regina, né tantomeno per scoprirlo in una calda notte di inizio Maggio, quando si combatteva per le sorti del Mondo Magico nel castello millenario di Hogwarts. Aveva combattuto anche lei, che aveva compiuto diciassette anni quell’inverno; aveva combattuto, a dispetto di quanto avrebbe voluto per lei la sua famiglia, con l’Ordine e accanto all’Ordine.
Sto combattendo per un mondo migliore.
Ora, investita del suo nuovo ruolo, stentava a pronunciare quell’unica sillaba, fosse essa affermativa o negativa, che avrebbe cambiato il suo destino per sempre.
– Mia Regina, parli.
Sua Maestà Elinor Vega Prewett Black strinse il pugno sinistro, abbandonato mollemente lungo il fianco, e quello destro intorno alla sua bacchetta.
La sottile arte del decidere, per la sua vita e per la vita altrui. Troppo giovane per essere chiamata Sua Maestà.
Elinor rabbrividì visibilmente, mentre l’ombra ben delineata di un “no” le incurvava le labbra. Avrebbe rifiutato, per la sua vita e per la vita altrui. Avrebbe rifiutato, mettendo fine all’appena risorta dinastia regale e lasciando il trono, la corona, lo scettro e il potere al suo diretto successore o a chiunque avesse voluto prendere un peso così grande sulle spalle.
La necessità della decisione le aveva seccato la gola, riarsa e bruciante. Si sentiva sporca e arruffata, una ragazzina indifesa che era stata chiamata a scegliere in fretta.
Per la sua vita e per la vita altrui.
– Ho scelto di non scegliere.
Un silenzio profondo e abissale calò nella Camera dei Re e delle Regine, mentre Elinor Vega Prewett Black scrutava la parete che aveva dinnanzi, quasi stregata.
La folle risata del Signore Oscuro ricoprì qualsiasi altro rumore; indecoroso, strillò la sua vendetta.
– Sua Maestà, ha un anno di tempo a partire da oggi per scegliere. Se, tra un anno, la Sua risposta sarà affermativa, otterrà il titolo e il potere. Altrimenti, la dinastia reale potrà dirsi estinta per sempre.
La voce proclamò la sua sentenza e, pian piano, le pareti della Camera dei Re e delle Regine cominciarono a ritrarsi per far posto alle pietre solide della Sala Grande della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
***
L’Oscuro Signore aveva già pianificato il suo attacco. Nel momento in cui sentì la mano formicolare – segno evidente del ritorno dei suoi poteri – fece segno ai suoi Mangiamorte di attaccare i membri dell’Ordine per tenerli lontani da Harry Potter.
Elinor Black, con uno sforzo di volontà enorme, in meno di un secondo si ritrovò a scartare di lato, per evitare che due o tre Maledizioni senza Perdono la colpissero. Alzò la bacchetta, pronta a difendersi, ma già due Mangiamorte l’avevano puntata.
Stupeficium! – strillò, sperando di colpire almeno uno dei due assassini incappucciati. Invece entrambi furono abili a scansare il suo incantesimo. Una figura completamente vestita di nero si affiancò a lei, tanto che Elinor si voltò per fronteggiare quest’ultimo nemico. Con un moto di gratitudine, scoprì che Severus Piton si era affiancato a lei per aiutarla a contrastare i nemici.
– Attacca per uccidere – fu l’unico suggerimento del Preside, che aveva preso a duellare abilmente contro uno dei due Mangiamorte, Avery probabilmente.
Pochi passi più a destra, Harry Potter tentava di difendersi dagli Anatemi del Signor Oscuro, supportato dall’ovvio potere della sua bacchetta, mentre Minerva McGranitt insieme a una sconvolta Hermione Granger tentava in ogni modo di rompere la sfera protettiva in cui Nagini, pericolosa e letale, era rinchiusa.
 Ron Weasley, con una lunga ferita che gli squarciava il braccio sinistro, continuava a lottare abilmente contro Nott, la cui maschera d’argento era volata via.
Dissolvo! – strillò, disperata, Hermione Granger, all’indirizzo della pallida sfera di energia che custodiva, con la sua potenza, Nagini. La McGranitt vide quell’incantesimo potente infrangersi contro la gabbia protettiva del serpente. Un lampo di luce verde andò a frantumarsi a pochi centimetri dal suo piede e lei velocemente si gettò di lato, sul pavimento, per poi rialzarsi pochi secondi dopo. Mulciber ghignava a pochi passi da lei.
Protego!
Neville Paciock lanciò la sua protezione magica, potente come non lo era mai stata, tra Hermione e Mulciber, per evitare che qualche fattura mettesse fuori combattimento l’ardita Grifondoro. Hermione lo ringraziò con un cenno del capo, prima di spedire Mulciber a rantolare in aria con un potente “Levicorpus”. Minerva McGranitt lo finì con uno “Stupeficium” ben assestato.
– La gabbia! – strillò poi Hermione, all’indirizzo di Neville, il quale venne sorpreso da una Maledizione senza Perdono. Bellatrix Black gli aveva scagliato contro una Maledizione Cruciatus e ora lo osservava mentre si dimenava e contorceva.
Urla di dolore. Affetto negato e vendetta subita.
Minerva McGranitt si voltò per fronteggiare Bellatrix, mentre questa rivolgeva la propria attenzione a Ginevra Weasley.
Carcer Orribilis! – l’incantesimo di Hermione Granger colpì di nuovo la gabbia del serpente; spire nere si abbarbicarono intorno alla sfera di luce, stringendo con forza sempre crescente. La superficie luminescente si incrinò, sottili righe azzurre che si intrecciavano e si ricorrevano la percorsero. Poi, si infranse. Nagini cadde a terra con un tonfo sordo e un sibilo. Elinor apparve nel campo visivo di Hermione Granger e si ritrovò a fronteggiare il serpente.
In un attimo, due Anatemi vennero scagliati. Il primo, di Elinor, colpì il serpente di Voldemort con una forza devastante. Il secondo, dell’Oscuro Signore diretto contro la Regina, si infranse a metà strada. Un suono cupo risuonò dalla bocca del mago, mentre si portava le mani simili a ragni sul viso e crollava a terra.
Un’altra parte della sua anima era morta.
Harry Potter, prontamente, alzò la bacchetta.
Expelliarmus! – gridò il Ragazzo Sopravvissuto, disarmando il Signore Oscuro. La bacchetta di Sambuco rotolò verso il suo vero proprietario. Harry la agguantò al volo, rapido, come se stesse afferrando il Boccino d’Oro, con l’abilità e la prontezza che solo un Cercatore esperto poteva possedere.
– Una bacchetta, Lucius! Una bacchet-…
Il Signore Oscuro si rivolse a Lucius Malfoy, il Mangiamorte che gli era più vicino. Lucius Malfoy ascoltò la supplica del suo padrone, mentre un sorriso gli incurvava le labbra pallide.
Lucius Malfoy, per un attimo, esitò nell’obbedire. E Harry Potter, accecato dall’odio e dal dolore del ricordo, dall’amore smisurato che provava per Ginny, Ron ed Hermione, per la famiglia Weasley, accecato dall’amore smisurato che aveva provato per i suoi genitori, per Sirius, per Fred, per Lupin e Tonks, attaccò.
Avada Kedavra.
L’urlo di Harry Potter rimbombò nella Sala Grande e un lampo di luce verde, tanto forte da spingerlo indietro per il contraccolpo, colpì in pieno petto Tom Orvoloson Riddle, che cadde sul pavimento della Sala Grande, nello stesso castello dove era cresciuto, dove era diventato grande e dove si era sentito per la prima volta a casa.
Tom Orvoloson Riddle morì, senza più vincoli terreni che lo salvassero dalla morte. Crudele, il suo volto dagli occhi rossi spalancati, fissava il soffitto incantato della Sala Grande, che ora rifletteva la luce di una nuova alba.
***
Nel momento della morte del Signore Oscuro accaddero molte cose contemporaneamente: i Mangiamorte superstiti quasi impazzirono e Harry Potter venne salvato da diversi Anatemi che volarono contro di lui.
Bellatrix Black venne trucidata da una brutale Molly Prewett Weasley, la quale scagliò senza pietà un Anatema che Uccide contro il luogotenente di Lord Voldemort.
Il sangue si paga con il sangue.
Lavanda Brown venne salvata dall’ira di Greyback, il quale aveva già spalancato le fauci, da un’inferocita Hermione Granger. Ron Weasley, al suo fianco, lottava ancora contro Nott, almeno fino a quando questo non venne incatenato da un incantesimo particolarmente potente di Luna Lovegood.
Neville Paciock ebbe la gloria di salvare la McGranitt da Amycus Carrow, scagliando a difesa della Vicepreside un Sortilegio Scudo così potente da respingere l’Avada Kedavra di quella bestia feroce che aveva dominato Hogwarts insieme alla sorella.
L’Ordine della Fenice, compatto, incarcerò i restanti Mangiamorte, ma ebbe particolare compassione per Lucius Malfoy, la cui indecisione premeditata di non offrire all’Oscuro Signore la sua nuova bacchetta aveva praticamente determinato le sorti della Battaglia.
Severus Piton, il quale aveva offerto tutti i propri ricordi a Harry Potter consentendogli di capire la verità sul suo essere l’Horcrux nascosto, si rifugiò nei Sotterranei, con la scusa di dover preparare delle Pozioni utili ai feriti.
Draco Malfoy, completamente estraniatosi dal mondo, osservava con distacco l’avvicendarsi degli eventi sotto il soffitto incantato, incurante del blaterale confuso di Pansy Parkinson e delle occhiate furtive che Blaise Zabini gli riservava.
Elinor Black, ancora stranita, rimase a guardare il caos della Sala Grande con una sorta di senso di appartenenza crescente, mentre maghi e streghe abbassavano con reverenza la testa quando le passavano davanti. A rincuorarla ulteriormente fu Hermione Granger, la quale, dopo qualche minuto, la ringraziò per l’aiuto nella sconfitta di Nagini, stringendola affettuosamente.
Infine, Harry Potter, divenuto ormai Salvatore del Mondo Magico, si godeva gli abbracci familiari e le strette di mano un po’ formali, con un senso di rottura sempre maggiore: da un lato c’era la bellezza della vita e dell’essere sopravvissuti, dall’altro il senso opprimente della morte, condensatosi negli occhi vitrei di Fred, fissi su stelle che non poteva più vedere.
– Ce l’abbiamo fatta, insomma – mormorò Ginevra Weasley, accostandosi a Elinor Black, che la guardò per poi stringerle amichevolmente il braccio. Ginny sembrò accorgersi solo in quel momento di chi aveva davanti, tanto che abbassò la testa e mormorò qualche scusa indistinta.
– Andiamo, Ginevra! Tenti di lanciarmi una fattura da quando, durante il primo anno, ti ho rovesciato quelle alghe addosso! Non è il caso di essere così formali – ribatté Elinor, sinceramente divertita. Ginny si aprì in un sorriso quasi riluttante che si spense subito.
– Era tuo fratello, vero? – mormorò Elinor, accennando al corpo di Fred, nascosto da tutti i suoi familiari con rassicuranti capelli rossi. Ginny non si prese nemmeno la briga di annuire. Elinor le posò una mano pallida sulla spalla e strinse appena, quasi per infonderle quel coraggio che a lei per prima mancava. Un movimento al margine del campo visivo, costrinse Elinor ad alzare la testa. Harry Potter la stava guardando per la prima volta in sei anni ed Elinor colse nel suo sguardo qualcosa che somigliava molto alla gratitudine. Gli sorrise, incoraggiante.
– Grazie per l’aiuto, Maestà – mormorò il Salvatore del Mondo Magico, con la delicatezza e l’innocenza che gli erano consone. Elinor trattenne a stento l’impulso di scoppiare a ridere.
– Andiamo, Potter… Hai salvato il mondo intero questa sera, io ho solo aiutato! E poi, ti prego, chiamami Elinor o come ti è più consono – ridacchiò la ragazza, tendendogli una mano in segno di amicizia e di rispetto. Harry Potter si sentì sopraffare da una strana emozione: strinse quella mano liscia e fredda, con rispetto e reverenza, prima di venire letteralmente sommerso dall’abbraccio, seppur gelido, di Elinor.
– Qui si saltano persino i convenevoli… – mormorò Ginny, che aveva assistito a tutta la scena provando una sorta di lieve punta di gelosia, subito smorzatasi quando Elinor tese il braccio destro per includere anche lei nella stretta.
– Non sapevo che le regine fossero così affettuose con i sudditi – rilevò Hermione Granger, avvicinatasi al terzetto con un sorriso immenso stampato sul viso pallido. Elinor sciolse delicatamente l’abbraccio con Harry e Ginny, lasciandoli a guardarsi imbarazzati, completamente rossi in volto.
– Granger, noi Serpi sappiamo riconoscere la grandezza – rispose la ragazza, con uno sguardo ammiccante.
– Piuttosto, vuoi venire ad aiutarmi con i feriti? Da quel che ho capito, sei fenomenale in Incantesimi – la invitò Hermione, indicandole il luogo della Sala Grande dove una serie di maghi e streghe, accasciati lungo le pareti, aspettavano di essere medicati.
– Certo, sarò ben lieta di darti una mano. Almeno fino a quando la McGranitt o Piton non mi chiameranno per rivelarmi tutto ciò che c’è da svelare sulle mie origini – sbuffò Elinor, passandosi una mano sul volto stanco.
– Saranno clementi, ci sono già passato – mormorò Harry, dandole una pacca comprensiva sulla spalla.
– Piuttosto – proseguì Hermione, con uno sguardo indagatore – vuoi una Pozione per l’ustione che hai sul viso?
Elinor si strinse nelle spalle, saggiando con la punta delle dita la parte infetta.
– Un Mangiamorte ha voluto lasciarmi un ricordino – sibilò, affranta – Tuttavia, andiamo. La resa dei conti è sempre più vicina e vorrei curare un paio di persone prima di scoprire che mio padre era in realtà un Dorsorugoso di Norvegia.
***
Hermione Jean Granger era perfettamente soddisfatta, quando uscì dall’ufficio di Silente –  di Piton, si corresse mentalmente – dopo aver ascoltato insieme ad Harry e Ron le ultime delucidazioni circa l’avventura secolare appena compiuta. Con una nota di lieve tenerezza, aveva notato come l’untuoso preside evitasse con decisione di incontrare gli occhi verdi di Harry e come, nonostante la vittoria, fosse più brusco del solito. La novella Salvatrice del Mondo Magico avrebbe potuto giurare anche di aver sentito i rimbrotti scherzosi del quadro di Silente volti proprio a Piton. Quando superò, insieme a Ron, che la teneva teneramente per mano, e a Harry, il gargoyle di pietra, non si stupì di trovarsi davanti Elinor, la quale, vagamente nervosa, stava camminando avanti e indietro, in attesa della fine del loro colloquio.
– Siete vivi! – esultò la giovane, quando si rese conto che il Trio dei Miracoli la stava osservando da un bel pezzo, pieno di profondo rammarico per quanto aveva scoperto solo poche ore prima. Elinor, nell’osservare quelle espressioni solidali, si sentì invadere da un accenno non molto ben mascherato di rabbia.
– Non sto andando alla ghigliottina – sibilò, all’indirizzo dei tre, che si ritrassero impercettibilmente davanti alla sua reazione fuori luogo. Come se si fosse accorta del suo passo falso, Elinor si allontanò bruscamente e incrociò le braccia sul seno.
– Qualunque verità ti abbiano nascosto, sappi che l’hanno fatto per il tuo bene – sussurrò, comprensivo, Harry Potter, il quale stringeva tra le mani la sua bacchetta e la più temibile Bacchetta di Sambuco. Elinor gli rivolse un sorriso teso e poi assunse un’espressione vagamente annoiata, quasi disturbata. A Hermione Granger ricordò molto Draco Malfoy.
– Qualunque verità abbiano in serbo per me, – asserì, con voce tagliente, la giovane donna – spero non abbiano dimenticato chi sono in realtà. Ho solo rinunciato al trono, momentaneamente.
Harry Potter sentì un brivido scorrergli lungo la schiena. Lo sguardo determinato di quella ragazza sembrava incendiare l’aria. Era una Serpeverde, Purosangue, Prefetto, eccelleva nei duelli e, per di più, era una sorta di Regina. Insomma, aveva tutte quelle caratteristiche che un buon Grifondoro, Salvatore del Mondo Magico per di più, avrebbe dovuto odiare. Eppure, agli occhi attenti di Harry, non sfuggì il barlume di terrore e di incertezza che fendette gli occhi di Elinor nel momento in cui, stranamente rigida, iniziò a salire lungo la scala a chiocciola.
– E’ estremamente spaventata – mormorò Hermione, assorta. Ron le strinse delicatamente la mano, segno del fatto che fosse perfettamente d’accordo con lei. La Grifondoro osservò le loro mani unite con una certa delicatezza che le addolciva i lineamenti, ancora vagamente incredula per il bacio appassionato che si erano scambiati durante l’infuriare della battaglia.
– Non è mai facile scoprire verità che ti cambieranno la vita per sempre – rispose Harry, quasi contemplativo, mentre si dirigeva verso la Sala Comune, nella torre circolare, per cercare un po’ di meritato riposo oltre le cortine purpuree del suo letto.
– Insomma, è finita – concluse Ron, con un tono estremamente definitivo. Hermione, al suo fianco, sospirò e poi annuì.
– Niente più maghi folli che tenteranno di uccidermi né cicatrici brucianti – asserì Harry, compiaciuto e al tempo stesso distrutto.
– Credo proprio che abbiamo tutti bisogno di una bella dormita. Anche se, forse è meglio tornare in Sala Grande. Mamma sarà distrutta – mormorò Ron, tra uno sbadiglio e l’altro, stringendo Hermione contro il suo petto, con delicatezza estrema, come se temesse di vederla sgretolarsi tra le sue braccia.
– Fred – bisbigliò Harry, appoggiandosi contro la parete come se avesse bisogno di sostegno – e altri cinquanta che sono morti per me. Per causa mia.
Hermione gli tese una mano che lui afferrò come se fosse l’unica ancora di salvezza. Camminarono stretti per qualche metro, prima di giungere in prossimità della scalinata principale.
– Allora, io vado a tentare di rimettere insieme i pezzi della mia vita – sussurrò Harry, guardando gli amici con affetto incredibile.
– E noi a fare i conti con quello che resta – sussurrò Ron, passandosi una mano sugli occhi; poi si guardò intorno – Mi mancherà questo posto.
– Andiamo, Ronald! Non fare il melodrammatico, adesso. Tra qualche mese saremo di nuovo qui – lo rimbeccò Hermione, ferma nel suo proposito di diplomarsi anche avendo perso un anno alla ricerca degli Horcrux. Doveva essere evidentemente molto stanca e provata, perché le sfuggirono le espressioni di puro terrore che si dipinsero sui visi di Harry e Ron.
***
– Con permesso.
Elinor aprì la porta che immetteva nell’ufficio del Preside ed entrò, altezzosa e incurante degli sguardi che gli occupanti dei vari quadri le lanciavano. Fuori dalle finestre, albeggiava. La strana consapevolezza di far parte della cerchia dei pochi eletti, dei sopravvissuti, invase le vene di Elinor, riscaldandola. Solo poche ore prima, quando la battaglia stava ancora nascendo e lei si era schierata automaticamente a difesa del castello, contravvenendo alle inclinazioni naturali dei Serpeverde e al volere della sua famiglia, aveva osservato con attenzione il suo riflesso nello specchio del Dormitorio femminile del sesto anno e, avendo cura di indossare un pantalone e una camicia, si era drappeggiata sulle spalle, piuttosto accuratamente, il mantello nero della divisa, su cui spiccava nitido lo stemma della Casa di Serpeverde.
Aveva avuto il netto presentimento che, di lì a poche ore, si sarebbe ritrovata morta, a fissare soffitti e ragnatele inesistenti.
Invece era sana e salva, lievemente ustionata, pronta a fare i conti con una realtà che si era fatta spazio dentro di lei a forza antichi misteri e parole pronunciate dall’Oscuro Signore, inconsapevole di starle offrendo poteri e onori al di là dell’immaginabile. Si riscosse dai suoi pensieri quando Minerva McGranitt, guardandola con incredibile dolcezza, le fece segno di accomodarsi su una delle due sedie imbottite davanti alla scrivania. Elinor le riservò uno sguardo quasi gelido prima di addolcire la sua freddezza con un sorriso di circostanza.
– Allora, Sua Maestà, – mormorò Piton, da dietro la scrivania, dove sedeva in maniera piuttosto rigida – credo che sua madre arriverà qui a breve per spiegarle la situazione. Purtroppo, con il caos venutosi a creare, non è stato facile creare una Passaporta dell’ultima ora. Senza considerare che l’orario è piuttosto indecente.
– Si figuri, professore. Mi è stata negata la verità per più di diciassette anni. Aspettare una manciata di minuti in più non mi cambierà la vita – sbuffò la ragazza, incrociando le braccia sul petto e scrutando la stanza con aria affranta. Un applauso partì da Phineas Black, l’ex–Preside di Hogwarts nonché Re a sua insaputa, il quale squadrò la nipote con fiero compiacimento. Minerva McGranitt lo zittì con un’occhiata gelida ed Elinor ebbe la netta sensazione che nessuno lo avesse avvisato del fatto che sarebbe potuto essere un re.
– Ti senti bene, cara? – si informò dopo qualche istante di silenzio la vicepreside, stringendo un braccio rigido della ragazza. Elinor alzò gli occhi su quel viso stranamente gentile ed ebbe la netta sensazione che avrebbe potuto avere un crollo emotivo lì, davanti alla McGranitt, la Donna di Pietra, se il suono dell’arrivo di una Passaporta non l’avesse distratta.
Sua madre, imponente e ingioiellata, si tuffò letteralmente su di lei, stringendola fino a farle mancare l’aria.
Berenike Prewett non era una donna che poteva sicuramente dire di passare inosservata. Era di certo abbondante, e per di più, con i suoi capelli rosso fiamma e i suoi tacchi vertiginosi, sembrava svettare al di sopra del comuni esseri umani.
– Madre, ti prego – sbottò la ragazza, tentando di spingerla lontano da sé.
– Tesoro, tu sei ferita! – strillò la donna, guardando il viso sfregiato della figlia con una certa apprensione. Elinor si strinse nelle spalle e tentò di allontanarsi da lei.
– Hermione Granger mi ha già medicato – mormorò, inflessibile. La madre, Berenike Prewett, le lanciò un’occhiata piuttosto preoccupata.
– Allora, madre, – e sottolineò per bene quell’appellativo – siamo giunte alla resa dei conti. Chi è mio padre?
Berenike Prewett, anche in quella situazione, apprezzò la nota mancanza di tatto della figlia. La guardò, gli occhi che si riempivano lentamente di lacrime, e con voce spezzata iniziò a parlare.
– Castor Artemius Black era tuo padre.
– Questo lo so. Il Signore Oscuro, con le sue folli manie di grandezza, ha provveduto inconsapevolmente a farmelo sapere.
Berenike le lanciò un’occhiata a metà tra un fulmine e una dolce carezza.
– Castor era il figlio di Walburga Black, avuto fuori dal matrimonio – proseguì la donna, come se il sarcasmo della figlia non l’avesse punta nel vivo – Non fare quella faccia, tua nonna non aveva di certo tradito il suo futuro marito. Anche perché il padre del bambino era lui. Erano solo troppo giovani per crescere un figlio. Lo spedirono a Durmstrang quando aveva appena un anno e lì rimase, sepolto tra libri e Pozioni, troppo intelligente per non divenire professore. Io lo incontrai a Londra diciotto anni fa e fu amore a prima vista.
Un sospiro estatico accompagnò le parole della donna; Elinor alzò educatamente un sopracciglio, gelida.
– Fu un’avventura – proseguì l’abbondante Berenike, prima di guardarsi intorno, certa di avere l’attenzione di tutta la sua platea, umani e quadri – Una splendida avventura. E poi sei nata tu. Non ti ho nascosto nulla, tesoro mio. Tuo padre era davvero un professore ed è realmente vissuto e morto a Durmstrang. Lui ti amava, amore mio. Mi ha sempre chiesto di te nelle sue lettere. Ti amava quanto ti amo io, tesoro.
Elinor la freddò con lo sguardo. Di certo, l’abbondante utilizzo da parte della madre di appellativi quali “amore mio” o “tesoro” non l’avevano scalfita, semmai indispettita.
– Tutto qui? – domandò, ironica, Elinor – Niente draghi, maledizioni, morti accidentali, tesori nascosti? Mio padre era solo un figlio non voluto? Una specie di topo di biblioteca che non poteva mollare i suoi studi per venire a trovare sua figlia?
– Tesoro, Castor per la comunità magica non sarebbe dovuto esistere. L’onta si sarebbe abbattuta sulla Casata dei Black se lui fosse tornato – spiegò Berenike, con un sospiro tragico.
– Ora mi toccherà dividere con Malfoy, con madama Narcissa e con la filobabbana Andromeda il grande privilegio di essere l’ultima persona rimasta in vita con il sangue dei Black nelle vene – sbuffò Elinor, accavallando le gambe.
– Tesoro, non parlare in questo modo. Sei una rispettabilissima Purosangue, discenti da due famiglie nobilissime e hai appena scoperto di essere una regina – la rimproverò la donna, lisciandosi le pieghe della veste azzurra che indossava.
– In ogni caso – proseguì Elinor, alzandosi con un rapido scatto – ha finito di rifilarmi la verità?
Berenike annuì, quasi costernata. Dopo qualche istante di silenzio la donna parlò di nuovo.
– Tesoro, torni a casa con me? Hai sofferto tanto e hai una grande decisione da prendere. Il Castello Prewett ti attende – Berenike le sorrise, quasi per invitarla a seguirla. Elinor scosse il capo.
– Il mio posto è questo, madre. E sarò molto più d’aiuto qui che non al Castello, a subire le vostre coercizioni. Se accetterò il trono, non sarà certo per le smanie di potere altrui.
Il sorriso sul volto di Berenike si congelò. Con un sbuffo, si voltò verso Severus Piton.
– La Polvere Volante, Preside – ordinò, semplicemente. Severus Piton le tese un barattolo chiuso per bene. La donna lo aprì, prese una manciata di polvere verde e la gettò nel camino.
– Quando vorrai tornare, io sono a casa – disse, rivolta alla figlia, che annuì brevemente – Castello Prewett!
Berenike sparì tra le fiamme smeraldine in un’unica vampata, mentre Severus Piton e Minerva McGranitt riportavano lo sguardo su Elinor Black, finalmente sorridente.  

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Capitolo 2
*** Endless summer. ***


Endless summer.
Summer has come and passed, the innocent can never last; wake me up when September ends. Like my father’s come to pass, seven years has gone so fast; wake me up when September ends.
[Wake me up when September ends, Green Day]
 
2 Agosto 1998, Diagon Alley
 
Hermione Granger entrò da Madama McClan con un’espressione truce dipinta sul volto di solito serafico. Aveva passato le ultime due settimane e mezzo a cercare di convincere il Salvatore del Mondo Magico e il suo fido compare, il Re Scudiero Ron Weasley, a frequentare – grazie alla gentile concessione del Preside Severus Piton – l’ultimo anno di scuola, avendolo saltato per cause che potevano tutte ricondursi alla millenaria lotta del bene contro il male. In verità, complici della risposta affermativa dei due, erano state le lettere inviate dalla vicepreside Minerva McGranitt contenenti rispettivamente una spilla da Caposcuola per il giovane e baldanzoso Weasley e una spilla da Capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro per l’Eroe di questa generazione. Anche lei aveva ricevuto una spilla da Caposcuola e aveva tentato di ignorare i commenti sarcastici di George, il quale aveva rilevato come due Caposcuola fidanzati non avrebbero di certo passato le notti a fare ronde noiose e inconcludenti su e giù per il castello. Ron era arrossito sulle orecchie e lei aveva borbottato qualche parola di rimprovero al fratello del suo ormai ragazzo, senza contare che l’intimità con Ron, nell’affollata Tana, era pari a zero così come pari a zero erano i loro progressi su quel fronte. Vagamente irritata da quei pensieri, si addentrò nel labirinto di scaffali alla ricerca dell’elegante e tarchiata Madama McClan, chiedendosi durante quale fuga rocambolesca avesse perso la sua vecchia divisa, custodita gelosamente nella borsetta di perline.
– La prego, faccia piano. Non sono un puntaspilli! – sibilò una voce strascicata che Hermione Granger conosceva bene. Evidentemente la giornata non era esattamente delle migliori, in quanto, svoltato l’angolo dell’ultimo scaffale, si trovò davanti a un irato Draco Malfoy che, bloccato da una miriade di spilli, aveva avuto la sua stessa brillante idea: ricomprare la divisa scolastica. Segno oltretutto del fatto che il giovane rampollo di Casa Malfoy (ora divenuta una famiglia rispettabilissima) – Lucius era diventato una specie di eroe per aver deliberatamente dato a Harry Potter il tempo di uccidere il Signore Oscuro – aveva deciso di frequentare anche lui l’ultimo anno, per ottenere i tanto attesi M.A.G.O.
– Lei è un’incompetente! Potrebbe evitare di infilarmi questi spilli ovunque? – sbottò il ragazzo, osservando con un certo disgusto la strega che armeggiava con la stoffa della camicia.
– Buongiorno – salutò Hermione, rivelando finalmente la sua presenza. Due reazioni opposte seguirono il suo saluto: Draco Malfoy alzò sarcasticamente gli occhi al cielo e non la degnò di una risposta, mentre la strega squittì di gioia, prendendola per un braccio e facendola accomodare sul piedistallo accanto a quello di Malfoy.
– Salvatrice del Mondo Magico – la salutò, beffardo, Malfoy, inchinando appena il capo. Hermione alzò un sopracciglio.
– Buongiorno a te, figlio del nuovo Eroe Redento – sibilò la ragazza, con un sorriso quasi perfido a incresparle il volto.
– Noto con piacere che la notorietà ti sta dando alla testa – rispose Draco, arrotolandosi le maniche della camicia, evidentemente accaldato. Lo sguardo di Hermione saettò rapido verso il suo avambraccio sinistro, conscia del fatto che, con la morte del Signore Oscuro, anche il segno tangibile della suo potere doveva aver finalmente cessato di esistere; infatti notò che la pelle di Malfoy era candida e bianca, come se non fosse mai stata incisa da incantesimo alcuno.
– Sì, Granger. Il Marchio è sparito. Vuoi che mi stacchi il braccio sinistro così che tu possa analizzarlo con calma? – domandò il ragazzo, porgendole il braccio in questione con un sorriso soddisfatto. Hermione si allontanò di qualche centimetro, udendo i gemiti affranti di Madama McClan.
– Non preoccuparti, non mordo, non puzzo e non ho nessuna malattia mortale che si diffonda per contatto o per etere – sbuffò Malfoy, ritraendo il braccio e osservando con una certa stizza la strega che stava tentando di prendere le misure per la piega dei pantaloni, strega le cui mani tremavano impercettibilmente in quanto costretta ad ascoltare la candida ammissione del signorino Malfoy di essere stato un Mangiamorte.
– Vedo che la rinnovata posizione di tuo padre ha sortito gli effetti desiderati; sei tronfio quanto un tacchino mascherato da pavone – sibilò in risposta la Grifondoro, alzando la testa boriosamente, in una sorta di maldestra imitazione del Serpeverde. Uno scampanellare allegro annunciò che un nuovo cliente era entrato nel negozio.
– Stai facendo arrossire di imbarazzo i pavoni albini di Villa Malfoy, strega – ringhiò Draco, gli occhi chiari pericolosamente socchiusi.
– Siete uno spettacolino davvero interessante, voi due – commentò una voce nuova, nascosta dietro gli scaffali straripanti di stoffe. Elinor Black fece la sua comparsa nel negozio, causando una sorta di attacco apoplettico a Madama McClan, non abituata a veder vagare tutte quelle celebrità nel suo negozio in un colpo solo.
– Elinor, che sorpresa! – esclamò Hermione, sinceramente felice di rivedere, dopo quasi due mesi, la ragazza.
– Sua Maestà – la salutò, irriverente, Draco Malfoy, sondandola con i suoi occhi chiari. Elinor sorrise a entrambi, prima di accomodarsi, con le gambe tornite accavallate, su una delle poltroncine del negozio.
– Vi prego, risparmiamoci i convenevoli – sibilò la strega, rivolgendosi in particolar modo a Draco Malfoy. Un incredibile rossore sembrò tingere le guance della giovane Elinor, tanto che, per mascherarlo, si sventolò come se si fosse trovata nel deserto a mezzogiorno.
– Fa piuttosto caldo, vero? – domandò la ragazza, rivolta a nessuno in particolare, pregando che quella recita mal imbastita che stava facendo non tradisse le sue vere emozioni. Dannato Malfoy. Lo stesso dannato Malfoy che ora stava guardando con occhi accesi da scintillante curiosità malsana Hermione Granger, tutta intenta a giocherellare con un filo sporgente della stoffa.
– Dissimuli, Granger? – la richiamò, facendole alzare la testa di scatto. Lei, per tutta risposta, gli riservò un’occhiata agghiacciante.
– Il fastidio che provo nei tuoi confronti proprio non riesco a dissimularlo, no – rispose la strega, in maniera piuttosto aggressiva e pure vagamente divertita.
– Tempo perso – sussurrò Elinor Black, senza tuttavia essere sentita da nessuno. Si alzò, lanciando un’occhiata quasi triste ai due che stavano continuando a battibeccare. L’unica a essersi accorta di lei fu Madama McClan.
– Signora… Vostra Altezza, ehm… Signorina Black! Non starà andando via, spero! – la richiamò, evidentemente timorosa del fatto che Elinor potesse uscire di lì senza salutarla.
– Madama, non si preoccupi, ripasserò dopo! Lei è impegnata con quei due e io ho altre commissioni da svolgere. Ha la mia parola che tra un’ora sarò di ritorno – declamò la giovane, con insolita reverenza e bizzarra formalità. Madama McClan sembrò deliziata dalle sue parole. Qualche minuto e molti insulti dopo, Hermione spostò il proprio sguardo sulla poltroncina ormai vuota.
– Dov’è andata Elinor? – domandò a Malfoy, che alzò le spalle in risposta – Dannato Malfoy, insultarti mi fa sempre perdere la cognizione della realtà!
***
Harry Potter camminava gioviale per le vie di Diagon Alley, salutando allegramente maghi e streghe che gli rivolgevano sorrisi e occhiate benevole in continuazione. Ron, al suo fianco, guardava con estremo astio un gruppo di ragazzine che potevano si e non avere dodici anni, le quali avevano deciso di inseguirlo da quando aveva messo piede a Diagon Alley. Alla testa del gruppo di fan, c’era una ragazzina magra e piuttosto slanciata, con corti capelli castani e una sciarpa di Corvonero arrotolata intorno al collo nonostante il caldo asfissiante di quella strana estate londinese. La ragazzina rivolse ai due maghi un cenno di saluto e poi la sua attenzione si focalizzò tutta su Ron, al quale stava lanciando sguardi ammiccanti e infuocati, intervallati da un gesto piuttosto equivoco: il passarsi lentamente la lingua sulle labbra.
– Non le facevano santarelline quelle di Corvonero? – sbottò Ron, voltando le spalle allo spettacolo indegno e proseguendo con passo deciso lungo la strada principale, incurante delle occhiate che le ragazzine ancora gli rivolgevano, perforandogli la schiena.
– Questo accadeva secoli orsono – rispose Harry, troppo occupato a stringere con forza il lungo pacchetto che teneva tra le mani; il sospiro estatico che seguì la poco convincente affermazione del Salvatore del Mondo Magico fu segno del fatto che la sua attenzione si era di nuovo spostata sull’oggetto che aveva tra le mani: nemmeno fosse stata l’ultimo Dono della Morte, Harry Potter, in quel momento, avrebbe giurato di poter rischiare la vita per la Firebolt Turbo che stringeva tra le mani.
– Tra l’altro, hanno sostituito la vernice adamantina della versione precedente con una vernice aurea e l’Incantesimo Frenante è stato potenziato – continuò Harry, che da circa un quarto d’ora a quella parte stava elencando morbosamente tutte le caratteriste strutturali del suo nuovo manico di scopa.
– Dici che la adotteranno durante il prossimo campionato? – domandò, piuttosto agitato, Ron, come se da quella domanda potesse originarsi il destino del mondo. Harry fece spallucce, per poi tornare a esibirsi in uno sospiro estatico.
– Già immagino come sarà volare e sfiorare le chiome degli alberi della Foresta Proibita – declamò, in estasi; la sua affermazione fu seguita dal sospiro trascendente di Ron.
 – Amico, chiaro che me la farai provare, no? – domandò Ron, anche se il suo tono fermo sembrava nascondere una velata minaccia.
– Certo – si affrettò a rispondere Harry, sorridendo genuinamente davanti all’espressione di puro giubilo che si dipinse sul volto di Ron.
– Consideriamo questo prestito come la controparte per aver amato Ginny, mia sorella – ridacchiò Ron, tenendo in particolar modo a sottolineare il fatto che la Ginny in questione fosse sua sorella.
– Qualcuno mi sta nominando invano?
La ragazza chiamata in causa, che era appena uscita dalla farmacia con le braccia cariche di pacchetti, si fermò davanti ai due, un cipiglio adirato perfettamente scolpito sul suo volto.
– Ron pretendeva soltanto il pagamento della nostra passata relazione – spiegò Harry, imbarazzato, togliendo dalle braccia di Ginny qualche pacchetto.
– Un giro sulla sua nuova Firebolt Turbo – ci tenne a specificare Ron, piuttosto altezzoso. Ginevra gli riservò un’occhiata gelida.
– Dov’è Hermione? – domandò poi la ragazza, guardandosi intorno.
– Aveva bisogno di una divisa nuova – rispose Ron, indicandole il negozio di Madama McClan, dal quale, proprio in quel momento, stava uscendo con un’espressione del tutto soddisfatta, Draco Malfoy. Ron divenne paonazzo e si irrigidì, ma il rampollo di Casa Malfoy, che evidentemente non aveva notato la loro presenza, non si voltò dalla loro parte e proseguì con passo spedito verso la Gringott. Qualche secondo dopo, assolutamente compiaciuta, uscì dalla stessa porta anche Hermione. Ron si sbracciò nella sua direzione.
– Non serve che tu sia così teatrale – sibilò la ragazza, tra i denti, avvicinandosi – So riconoscere il mio ragazzo quando lo vedo.
Ron, forse lievemente ferito dal commento sarcastico della ragazza, assunse un’aria del tutto offesa.
– Cosa ci facevi con Malfoy? – sbraitò, qualche secondo dopo, accennando alla chioma bionda che stava scomparendo tra la folla assiepata per la strada principale.
– Se tu avessi un minimo di cervello, che sospetto tu non abbia, capiresti che evidentemente anche Malfoy aveva bisogno di una divisa nuova – ringhiò Hermione, freddandolo di nuovo con lo sguardo.
– E perché era con te? – insistette Ron, gonfiando il petto, quasi a voler dimostrare la sua immensa virilità. Hermione, per nulla intimorita, alzò un sopracciglio.
– Si chiamano coincidenze, Ronald – spiegò, assumendo un’aria piuttosto seccata – E oggi, una sciocca coincidenza ha voluto che io e Malfoy ci trovassimo nello stesso posto per lo stesso motivo.
Ron arrossì vistosamente e poi sbuffò, incrociando le braccia al petto.
– Non farci caso, Hermione – sibilò Ginny, lanciando un’occhiata malevola al fratello – Semplicemente il suo cervello ancora non ha ben capito chi sia la sua ragazza, se tu o la nuova scopa di Harry.
Ron, se possibile, divenne ancora più rosso. Harry tentò di tacitare il battibecco con futili proteste, ma Ron ormai sembrava profondamente offeso ed Hermione terribilmente adirata.
– Salve!
Furono la voce gioviale e provvidenziale saluto di Dean Thomas a interrompere il battibecco. Al suo fianco, una stralunata Luna Lovegood, sorrise ai quattro ragazzi.
– Abbiamo interrotto qualcosa? – mormorò la Corvonero, lasciando vagare il suo sguardo trasognato sui volti dei quattro ragazzi.
– Stavamo, ehm, discutendo di Quidditch – mormorò Ron, nel disperato tentativo di salvare la propria reputazione. Luna alzò educatamente un sopracciglio.
– La nuova Firebolt Turbo di Harry, no? Harry, mostrala a Dean – proseguì, scarlatto, Ron; Harry, con freddezza quasi micidiale, porse il pacchetto semiaperto a Dean Thomas, il quale sobbalzò.
– Cavolo, Harry! Gran bell’acquisto! – esclamò, dando una pacca amichevole sulla spalla del Salvatore del Mondo Magico. Ginny, al suo fiancò, forse rendendosi conto dell’attaccamento ossessivo di tutti i suoi fidanzati per il Quidditch, sospirò rumorosamente.
– Sono fatti così – esalò Luna, comprensiva, riservando uno sguardo accorato a Dean.
– Anche Dean ha deciso di tornare per il settimo anno? – domandò educatamente Hermione alla ragazza, la quale annuì.
– Credo proprio – decretò Luna – che quest’ultimo anno sarà molto interessante. Sembra che quasi tutti gli studenti abbiano deciso di tornare.
– Beh, considerato che abbiamo passato l’ultimo anno in balia dei Mangiamorte di Faccia–da–serpente, era il minimo – commentò Ginny, avendo particolare cura di far seguire al nomignolo del Signore Oscuro un adeguato improperio.
– Quantomeno non dovremmo aspettarci “casuali” apparizioni di Riddle alla fine dell’anno – ridacchiò sarcasticamente Hermione, la quale aveva preso la buona abitudine di evitare di conferire al Signore Oscuro un appellativo troppo nobile come “Lord” Voldemort.
– Siamo sicure che abbia rinunciato al suo fantasma? Non sarebbe carino vederlo spuntare in Sala Grande durante il banchetto di inizio anno – mormorò Luna, quasi divertita da quella ipotesi. Hermione scoppiò in una risatina nervosa.
– A venire a mettere il naso nei nostri festeggiamenti? – domandò la Caposcuola Grifondoro, cercando disperatamente di non scoppiare a ridere.
– Se davvero ha deciso di fare l’ectoplasma, – proruppe Ginny, con una luce malevola negli occhi – lo pregherò di infilarsi nel letto di Ron.
Il diretto interessato si voltò verso il gruppo delle ragazze, avendo evidentemente fiutato il pericolo.
– Cosa succede qui? – esordì, con uno sguardo indagatore.
– Progettano la tua dipartita – rispose candidamente Luna Lovegood, con un sorriso innocuo a incresparle il viso. Ron gelò entrambe le Grifondoro con lo sguardo prima di rivolgersi nuovamente a Dean Thomas.
– Beh, amico, io ho ancora qualche acquisto da fare! Ci si rivede a Settembre, allora – esclamò, gioviale, all’indirizzo del compagno. Dean strinse in maniera molto cameratesca la mano a lui e ad Harry, prima di volgersi verso Luna.
– Andiamo? – le mormorò dolcemente, prendendola sottobraccio. Lei annuì.
– Allora ciao! – salutò la Corvonero, con un sorriso indefinibile stampato sul volto. Un coro allegro di “ciao” rispose al suo saluto. Si allontanò, saldamente ancorata al braccio di Dean, lungo la strada principale.
– Stanno… Insieme? – domandò Ron, quando i due si furono sufficientemente allontanati.
– Escono soltanto insieme – rispose Ginny, intrecciando la mano a quella di Harry – Noi andiamo un attimo in farmacia! Ho dimenticato il sangue di drago!
Ron e Hermione annuirono brevemente, prima di rivolgere nuovamente il loro sguardo a Dean e Luna che camminavano ormai in lontananza.
– Che poi – sospirò Ron – non c’è proprio differenza tra lo stare insieme e l’uscire insieme…
Hermione gli scoccò l’ennesima occhiata di ghiaccio puro.
– Oh, Ronald – sibilò – sei proprio una zucchina.
***
Elinor Black vagava, incerta, per Diagon Alley. Aveva esaurito tutte le commissioni che aveva da fare – divisa nuova da escludersi – e aveva persino speso la bellezza di centoquattordici galeoni per un vestito di seta verde da “Telami e Tarlatane”. Non sapeva nemmeno in quale occasione indossarlo, ma di sicuro prima o poi avrebbero organizzato un qualche festeggiamento per la fine della Seconda Guerra Magica. Al massimo lo avrebbe indossato il giorno della sua incoronazione.
Quel pensiero le incurvò le labbra in un sorriso appena accennato, mentre rivolgeva educati cenni di saluto a chiunque abbassasse rispettosamente il capo al suo passaggio – il che equivaleva praticamente a fare continuamente cenni di saluto. Con una certa stizza, anche per togliersi dalla trafficata strada principale, decise di infilarsi in una viuzza laterale, là dove sapeva che avrebbe trovato una gioielleria piuttosto di moda tra le famiglie Purosangue. Quel vestito necessitava assolutamente di un accessorio complementare.
Vagamente rinfrancata dal proposito, svoltò a destra e percorse qualche metro, prima di notare l’insegna luccicante di “Gold&Strass” ed entrare, con il fermo proposito di alleggerire il sostanzioso patrimonio familiare. Infatti, nemmeno dieci minuti dopo, un pacchetto non molto voluminoso si era unito alla fila di acquisti che la seguiva, magicamente lievitanti dietro di lei. Una lussuosa fascia da braccio a forma di serpente e tempestata di smeraldi e diamanti era rinchiusa nel pacchetto non molto voluminoso, protetta da un Incantesimo Anti–Scippo.
– Acquisti sostanziosi, eh?
Una familiare voce strascicata la costrinse ad alzare gli occhi. Draco Malfoy, del tutto a suo agio, era appoggiato alla parete di pietra viva della strada. Elinor tentò di contrastare il groppo che aveva in gola e si costrinse a evitare di arrossire e a controllare le proprie emozioni.
– Ci conosciamo? – domandò, tagliente, alzando lo sguardo per incontrare gli occhi chiari del ragazzo.
– Vagamente – rispose lui, incrociando le braccia all’altezza del petto. Elinor gli sorrise, malevola.
– Molto bene, allora. Elinor, piacere – e la ragazza gli tese una mano bianca e fredda, quella con cui non impugnava saldamente la bacchetta. Draco la prese e la strinse lievemente.
– Pensavo mi avresti rifilato la manfrina del “Sua Maestà, Elinor Vega Prewett Black” – mormorò, mollando la mano della ragazza dopo quel breve contatto. Lei ridacchiò, piuttosto ironica.
– Quella la riservo solo ai cretini che amano i nomi altisonanti – sbuffò lei, allentando la presa sulla bacchetta.
– Devo dedurre che non mi ritieni un cretino – rispose lui, con un vago senso di compiacimento. Lei alzò un sopracciglio.
– Sostanzialmente no. Ritengo più cretine le tue frequentazioni – sbottò la ragazza, passandosi una mano tra i capelli.
– Se ti riferisci alla Parkinson, sappi che non le ho mai imposto di battersi a duello con te – sbuffò Malfoy, improvvisamente annoiato. Elinor si sentì punta nel vivo.
– E nemmeno l’hai fermata. Il che è inquietante, considerando che avrei potuto farle del male sul serio – sbottò la ragazza, tuttavia estremamente compiaciuta per le sue abilità da duellante.
– In realtà godevo terribilmente a vederla appesa a testa in giù – rivelò Malfoy, cercando a stento di trattenere una risata divertita. Elinor gli sorrise di rimando.
– Non sei il solo. In ogni caso, a cosa devo questo improvviso interesse per la mia persona?
Malfoy la studiò per qualche secondo prima di sospirare.
– Passavo di qui per caso e ti ho vista uscire dal negozio tutta compiaciuta. E dato che, a quanto pare, quest’anno scolastico sarà tutto particolare, ho deciso di iniziare a fare la conoscenza dei miei futuri compagni – spiegò il ragazzo, con un’alzata di spalle. Elinor lo squadrò, insospettita.
– Tu hai bisogno del mio aiuto – decretò, alla fine, come se stesse emettendo una sentenza definitiva. Malfoy si illuminò.
– Sei perspicace – sancì, rivolgendole un’occhiata luminosa. Elinor scrollò le spalle, indifferente.
– Cosa ti serve? – domandò, secca. Malfoy aprì la bocca dalle labbra pallide per rispondere, ma un urlo improvviso interruppe la loro conversazione. A quell’urlo seguirono altri strilli spaventati e poi il terribile risuonare delle formule delle Maledizioni senza Perdono.
– Cosa succede adesso? – domandò Elinor, sinceramente preoccupata. Draco Malfoy scosse il capo, ancora più pallido del solito. La ragazza, con un gesto secco della bacchetta, spedì i suoi acquisti in un angolo della strada, per poi gettarvi sopra un Incantesimo di Disillusione piuttosto efficace. Con passo deciso si incamminò verso la strada principale, la bacchetta puntata dinnanzi a sé. Draco Malfoy la seguì con la bacchetta sguainata, evidentemente teso.
***
Nell'esatto istante in cui Harry Potter sentì una voce che scandiva un "Crucio" piuttosto irato, iniziò a correre verso la Gringott, seguito da Hermione, Ron e Ginny. Il vociare divenne sempre più confuso e ronzante a mano a mano che si avvicinavano al punto dove lampi di luce verde e lampi di luce rossa si alternavano. I fantasmi del passato iniziarono a prendere il sopravvento nella testa del Salvatore del Mondo Magico, il quale, sebbene rinfrancato dal fatto che la cicatrice non facesse male, non poteva evitare di non tremare.
– Ehi, ma sono dei Mangiamorte! – lo strillo acuto di Ron sembrò riportare il Salvatore del Mondo Magico alla realtà. Con uno scatto agile, Harry aumentò l'andatura della propria corsa, fino a ritrovarsi nel mezzo della piazzetta di Diagon Alley, là dove maghi e streghe più anziani si Smaterializzavano in tutta fretta e dove i più giovani tentavano di tener testa a tre uomini interamente vestiti di nero, i quali lanciavano Anatemi a destra e sinistra. Non erano molti in verità coloro che tentavano di difendersi: i più preferivano correre al riparo, lontano dall'eco cupa delle maledizioni.
– Harry, attento! – l'urlo perforante di Hermione si sovrappose alla formula di un potente Sortilegio Scudo, il quale si frappose tra Harry e un lampo di luce verde che sicuramente lo avrebbe colpito. Ginny era stata evidentemente più rapida e agile del Mangiamorte, tanto che, dopo aver salvato Harry, lo prese per un polso, portandolo fuori dalla linea di tiro.
– Grazie, Ginny – sospirò Harry, tentando di riprendere fiato e contemporaneamente di riprendersi dallo spavento. Hermione, con grande abilità, a soli due metri di distanza, tentava di far fronte agli incantesimi scagliati dai tre Mangiamorte.
Stupeficium! – gridò di nuovo la giovane Grifondoro, ma il lampo di luce rossa che scaturì dalla sua bacchetta si infranse sul lastricato di Diagon Alley, a soli pochi centimetri dal Mangiamorte. Ron, al suo fianco, tentò di nuovo di ripetere il medesimo incantesimo, ma anche quello non arrivò a colpire il bersaglio. Harry, nel mentre, si divincolò dalla presa ferrea di Ginny per raggiungere i due amici.
– Harry, cosa fai? Sei pazzo? – strillò la ragazza, tentando di riportarlo al sicuro. Harry non diede segno di aver sentito le proteste di Ginevra Weasley, tanto che si portò direttamente tra Ron e Hermione, pronto a fronteggiare l'attacco successivo.
Sectumsempra! – urlò il Bambino Sopravvissuto, ma anche il suo incantesimo venne schivato abilmente da uno dei tre uomini mascherati.
– Non sapevo fossero rimasti dei Mangiamorte a piede libero – ammise Ron, mentre, con una rapidità sorprendente, schivava uno Schiantesimo. Hermione, al suo fianco, ringhiò sommessamente.
Stupeficium! – gridò di nuovo la ragazza, tornando subito in posizione di difesa. Nemmeno quello Schiantesimo sembrò sortire alcun effetto. Harry si guardò rapidamente intorno. Ben poche persone erano rimaste lungo la via, soltanto qualche ragazzino curioso che si nascondeva per evitare di essere colpito.
– Diavolo, non si arrendono mai! – mormorò una voce quasi estranea. Elinor comparve nel campo visivo dei fratelli Weasley, di Harry e Hermione, con la bacchetta puntata verso i tre uomini incappucciati. Una fiamma dorata scaturì dalla punta della sua bacchetta, ma l'incantesimo venne parato abilmente dal Mangiamorte centrale. Con uno scatto repentino, pur dando l'idea di goffaggine, Elinor lanciò un altro Schiantesimo, parato con un Sortilegio Scudo piuttosto efficace.
– Abbassati, Elinor! – le gridò Hermione, in quanto uno dei tre Mangiamorte aveva puntato la bacchetta contro di lei e aveva sillabato un evidente "Avada Kedavra". Elinor gli sfuggì per un soffio, tanto che sentì i capelli mossi dall'ondata di energia che la sfiorò. Con uno sguardo truce, si rimise in piedi, fronteggiando insieme ai quattro quei tre reietti. Ginny spedì una Fattura Orcovolante contro i tre, ma venne deviata abilmente. In un attimo di confusione accadde l'impensabile: tre Anatemi differenti partirono dalle bacchette dei Mangiamorte. Elinor si difese scartando di lato, Harry invece si gettò a terra, per rialzarsi un secondo dopo. Il terzo era diretto contro Hermione: la ragazza, che con lo sguardo si era preoccupata di seguire le mosse di Harry, si ritrovò a doversi difendere con un secondo di ritardo. Ron e Elinor alzarono in contemporanea la bacchetta, ma qualcuno li anticipò.
Protego!
Un Sortilegio Scudo potentissimo si dilatò tra Hermione e il lampo di luce verde, quando questo stava ormai per infrangersi sulla ragazza. Hermione, proprio per la forza inaudita dell'incantesimo, venne sbalzata indietro, atterrando sulla pavimentazione in malo modo. Draco Malfoy si portò davanti a lei, la bacchetta sguainata e uno sguardo indecifrabile a increspargli il grigio degli occhi: osservava con furia i tre Mangiamorte, la mano sinistra che tremava appena. Hermione si rialzò, incurante del sangue che le scorreva lungo la gamba, là dove, cadendo, si era evidentemente escoriata.
– Malfoy! – lo chiamò Potter, evidentemente stupido per quell'apparizione mistica e visibilmente frastornato per il fatto che Malfoy avesse appena salvato la vita a Hermione.
– Non mi pare sia il momento di dedicarsi ai convenevoli – sbottò il ragazzo, senza distogliere lo sguardo da tre che ora lo fissavano.
–Traditore!
Una voce imbestialita dal trio dei Mangiamorte richiamò Malfoy, il quale, con un sorriso beffardo, piegò appena il capo.
– Salute a te,  Goyle – lo sbeffeggiò, senza mollare nemmeno per un secondo la presa ferrea sulla bacchetta. Hermione si era sistemata tra lui e Harry e ora osservava con aria indagatrice quello scambio di battute.
– Siamo qui per uccidere Potter – ringhiò in risposta l'altro, facendo cenno ai compagni di assumere una posizione di attacco. Harry puntò pericolosamente la bacchetta contro di loro.
– Per quanto il proposito mi alletti, devo tuttavia dissentire, fenomeni da baraccone! Stupeficium!
Lo Schiantesimo di Malfoy colpì in pieno petto Goyle Senior, il quale cadde al suolo e batté violentemente la testa. Un furore cieco si impossessò di Elinor, la quale, fatto un passo avanti, puntò la bacchetta contro il Mangiamorte alla sua destra.
Crucio! – sibilò; la Maledizione Cruciatus colpì il Mangiamorte, il quale venne scagliato in aria in preda alle più atroci sofferenze. Elinor non accennava né ad abbassare la bacchetta né a diminuire l'intensità dell'incantesimo. Con gli occhi fissi sull’uomo, lo osservava contorcersi, dilaniato, e urlare.
– Elinor, ora basta! – le intimò Harry, mentre quelle grida sorde riempivano il silenzio surreale in cui Diagon Alley era sprofondata. Elinor si riscosse e lasciò cadere il braccio, ponendo così fine alla tortura estrema. Un secondo dopo, una squadra di Auror scelti invase il campo, accompagnata dal suono secco delle Materializzazioni. L'ultimo Mangiamorte rimasto in piedi crollò a terra, le ginocchia che quasi si sprezzarono contro il selciato di Diagon Alley.
– State bene?
Un mago dai modi bruschi si avvicinò per accertarsi delle loro condizioni di salute, per poi inchinarsi con rispetto dopo aver riconosciuto i cinque ragazzi. Porse loro delle salviette imbevute di pozioni lenitive per ripulirsi dalla polvere e dal sangue. Hermione osservò con una certa curiosità la ferita che si era aperta sul suo ginocchio, per poi posarvi sopra la punta della bacchetta e mormorare per tre volte la formula di un incantesimo: il taglio, qualche minuto dopo, era quasi perfettamente rimarginato.
– Ce la siamo vista brutta – sospirò Elinor, portando le ginocchia al petto e stringendole tra le braccia. Aveva un'aria strana, vagamente intimorita. Emise un flebile suono, a metà tra un sospiro e un singhiozzò, e seppellì la testa tra le gambe. Harry le sorrise, per poi posarle una mano sul capo.
– Non volevo rimproverarti prima – le mormorò, appena udibile; Elinor alzò il capo di scattò e due paia di occhi verdi si scontrarono.
– Se non mi avessi fermato, lo avrei ucciso – rivelò, con tono distaccato, osservando la compassione farsi spazio negli occhi di Harry.
– Per questo ti ho fermato – rispose lui; le diede un ultimo buffetto sul capo per poi allontanarsi, alla ricerca di Ginny, la quale aveva osservato la scena con un sorriso divertito. Harry le si avvicinò, piuttosto soddisfatto.
– Le hai risparmiato futuri incubi – mormorò, all'indirizzo del Salvatore del Mondo Magico, il quale fece spallucce e le passò un braccio intorno alle spalle.
– Perciò l'ho fatto – rispose, prima di stringerla un po' di più contro il suo petto – Malfoy, mio malgrado, ha fatto un buon lavoro – continuò, accennando al ragazzo biondo che, a pochi metri da loro, osservava gli Auror muoversi compatti per il trasporto dei tre ad Azkaban. Hermione gli si avvicinò timidamente, schiarendosi la voce.
– Malfoy? – lo chiamò, quasi temesse di distoglierlo dalla sua opera di contemplazione delle operazioni degli Auror. Il ragazzo si voltò, con lentezza esasperante.
– Sì, Sanguesporco? – sibilò, beffardo, incurante del lampo di tristezza che attraversò per un secondo gli occhi di Hermione.
– Mi hai salvato la vita, grazie – sbuffò lei, anche se ogni singola parola pronunciata sembrava più uno sputo all'indirizzo del biondo Serpeverde, il quale, ora, la guardava ghignando.
– Era l'occasione giusta per proseguire l'opera iniziata da mio padre. Il prossimo passo sarà ottenere una cicatrice. C'è qualche forma di tendenza che tu sappia, a parte la saetta ovviamente? – domandò, ironico, incatenando il proprio sguardo a quello di Hermione.
– Quella del mio pugno – ringhiò Ron Weasley, che aveva assistito al battibecco con un certo disappunto. Malfoy ridacchiò di gusto.
– Quando finalmente ti darai una pulita a quelle manacce da straccione, ne riparleremo – sbottò Draco, prima di voltarsi e iniziare a camminare, allontanandosi dai due in tutta fretta.
***
– Ronald, chiediglielo e basta! – sibilò, inviperita, Hermione, dando una gomitata possente al suo ragazzo. Quello sobbalzò e un po’ di gelato al mirtillo zuccherino di Florian Fortebraccio gli cadde sulla maglietta dei Cannoni di Chudley.
– Hermione, vuoi che ti senta? – sbottò il ragazzo, lanciandole un’occhiata malevola. La ragazza fece spallucce e si rivolse a Elinor, la quale fissava la sua coppa di gelato al limone in maniera piuttosto contemplativa.
– Elinor, – esordì la Grifondoro, sorridendo – Ron deve assolutamente parlarti.
Ron divenne rosso per l’imbarazzo e borbottò qualche parola indistinta. Elinor non diede nemmeno segno di aver sentito che qualcuno l’avesse chiamata.
– Elinor? – riprovò Hermione, toccandole delicatamente un braccio. Quella sobbalzò e si guardò intorno, stranita.
– Sì, ehm, mi sono persa qualcosa? – domandò, passandosi una mano tra i capelli.
– Ron voleva chiederti una cosa – spiegò Hermione, con doverosa lentezza. Elinor sbatté educatamente le palpebre, perplessa.
– Elinor, – esordì Ron, con una vocina flebile – ti andrebbe di passare qualche giorno a casa mia con noi?
La ragazza alzò gli occhi verdi, stranamente fredde e lontani, su di lui. Ron si morse il labbro inferiore, attendendo il verdetto.
– Uhm, va bene – decise infine Elinor, le labbra incurvate in un sorriso sincero. Ron parve sciogliersi sulla sedia per l’emozione.
– Perfetto! – esclamò il ragazzo, battendo un pugno sul tavolinetto e facendo sobbalzare le varie coppe che vi erano posate.
– Quando verrai? – domandò Ginny, portandosi alla bocca un cucchiaio pieno di gelato al cioccolato. Elinor fece spallucce.
– Ho promesso a mia madre di raggiungerla a Parigi tra un paio di giorni – rifletté Elinor – e conto di rimanere con lei almeno fino al venti, giusto per non sentire le sue lamentele.
– Quindi, – proseguì Ginny, facendo mentalmente un rapido calcolo – potresti venire dal venti fino al giorno della partenza per Hogwarts.
Elinor annuì, con gli occhi che sembravano splendere di felicità.
– Sicuri che non disturbo? – domandò, apprensiva, rivolgendosi in particolare a Ron.
– Alla fine sarai tu a voler scappare, quando la signora Weasley ti metterà all’ingrasso – ridacchiò Harry, tentando di stemperare la tensione.
– All’ingrasso? – domandò, incerta, la ragazza.
– Diciamo che la signora Weasley tende ad abbondare con le porzioni – spiegò Hermione, ridendo sotto i baffi.
– Mamma ha uno strano difetto della vista – proseguì Ginny, mimando con le dita una figura sottile. Elinor la guardò con occhi sgranati.
– S-siete cannibali? – sussurrò, ritraendosi con la sedia. Harry scoppiò a ridere.
– Elinor, non devi preoccuparti – le spiegò gentilmente Hermione, posandole una mano sul braccio – Stiamo solo cercando di farti capire che alla Tana si mangia più del dovuto. Ingrasserai.
Elinor fece spallucce e poi posò una mano sullo stomaco.
– Chilo più, chilo meno – mormorò, assorta – In ogni caso, attenti a voi. Potrei essere io, la cannibale.

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