Ci sono anch'io

di jaki star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Incontro, orrende visioni. ***
Capitolo 3: *** Altre visioni, verità nascoste, aggrappati alla vita shinigami, altrimenti… ***
Capitolo 4: *** Gravi ferite, una misteriosa ragazza, una segretaria e un becchino: bel risveglio, eh? ***
Capitolo 5: *** Scontro, ricordi perduti e strane visioni. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei: Verità nascoste, passato oscuro, ricordi bruciati ***
Capitolo 7: *** Lite, risposte negate, predica: qual è la verità? ***
Capitolo 8: *** Ascolta te stesso ***
Capitolo 9: *** Ricordati chi sei ***
Capitolo 10: *** Shinigami, che cosa provi veramente in fondo al cuore? ***
Capitolo 11: *** Mezzosangue ***
Capitolo 12: *** La vera storia di Alfred. Sei capace di amare, shinigami? ***
Capitolo 13: *** Claire de Lune: dichiarazione ***
Capitolo 14: *** Benvenuti a casa Phantomhive ***
Capitolo 15: *** Imboscata ***
Capitolo 16: *** La vendetta è dettata dal rancore ***
Capitolo 17: *** Terrore: la vita appesa ad un filo ***
Capitolo 18: *** Spiacevoli incontri ***
Capitolo 19: *** Risveglio, confidenze e una lite: la storia di Alfred è completa ***
Capitolo 20: *** Nel limbo, rivelazioni, incontro fra due fratelli ***
Capitolo 21: *** Lutto: i ricordi del passato ***
Capitolo 22: *** I ricordi di un tempo lontano, strani incontri e riflessioni ***
Capitolo 23: *** Uno spiraglio di luce nell’oscurità della menzogna ***
Capitolo 24: *** Un’altra storia: qual è la verità? ***
Capitolo 25: *** Lasciala vivere… Torna ad esistere ***
Capitolo 26: *** I ricordi di un altro passato ***
Capitolo 27: *** Zio: vivi in me… O vivi in TE? ***
Capitolo 28: *** La guerra sotto la pioggia, circondato dal fuoco: sei un dio, usa il tuo potere ***
Capitolo 29: *** Spannung ***
Capitolo 30: *** La fine… Dell’inizio ***
Capitolo 31: *** L’aiuto degli angeli, un meritato riposo. ***
Capitolo 32: *** Coincidenze, spiegazioni. Torna da noi e non dimenticarci: ti aspetteremo. ***
Capitolo 33: *** Suspance ***
Capitolo 34: *** Sensi di colpa, il dolore del passato. Chi sei, Fabian Schonberg? ***
Capitolo 35: *** Alice, il passato. ***
Capitolo 36: *** Alice, il presente. ***
Capitolo 37: *** Ti sposerò. ***
Capitolo 38: *** Il dolore di una madre, la follia di un demone ***
Capitolo 39: *** Lui vive in te ***
Capitolo 40: *** La donna del mistero, arrivederci: dove portano le vie del cuore? ***
Capitolo 41: *** Incontro. Un’unica realtà. ***
Capitolo 42: *** Allenamento, segreti e decisioni. ***
Capitolo 43: *** Ad un passo dal burrone. Sulle spine. ***
Capitolo 44: *** Ci sono anch’io. La determinazione di un dio. ***
Capitolo 45: *** La verità brucia nell’anima. Sentirsi tradito. ***
Capitolo 46: *** Figlio di chi è padre. Il ritorno di un assassino. ***
Capitolo 47: *** Il coraggio di un uomo, la fedeltà di un demone: il sangue reale di un Phantomhive. ***
Capitolo 48: *** L’ultimo tassello. Cosa manca nel quadro, William? ***
Capitolo 49: *** Figli dello stesso sangue. Orgoglio della stessa madre. Dannati per il mondo. ***
Capitolo 50: *** Discorso motivazionale. Finire come la tempesta? ***
Capitolo 51: *** Pianificazione. Tu sei come noi: tu sei UNO di noi. Il ritorno di un amico. ***
Capitolo 52: *** Empatia fraterna, il mare e il suo destino. L’alba porterà con sé il resoconto. ***
Capitolo 53: *** Esorcismo. L’inizio della battaglia? ***
Capitolo 54: *** Strategia. Partenza. Sentimenti. Anton Von Clay. ***
Capitolo 55: *** L’inizio della fine: corsa contro il tempo. ***
Capitolo 56: *** Kovu: eroe. ***
Capitolo 57: *** Disperazione. La follia di un amore sradicato? ***
Capitolo 58: *** Speranza. L’ultima battaglia per la vita? ***
Capitolo 59: *** Scontro finale ***
Capitolo 60: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Ehilà!
Sono Jaki Star, e questa è la prima fic che pubblico!
Ci sono alcuni avvertimenti che sono costretta a dirvi, al fine di poter comprendere al meglio la storia: Ciel Phantomhive non è morto e soprattutto non è un demone.
La fic è ambientata dopo la seconda stagione.
Alan ed Eric sono ancora in vita (avevo bisogno di personale).
Molti personaggi che compariranno nella trama, sono di mia invenzione, senza riferimenti ad alcuna persona esistente.
Detto questo, penso di poter lasciarvi alla storia, con un'ultima nota: questa fic è dedicata ad una mia carissima amica.
E' una sorta di omaggio per tutto ciò che ha fatto per me, a dimostranza dell'affetto che mi lega a lei.
Grazie di tutto, questa è per te, Julia 98!




“Questo mondo crede che io non riesca a trovare la forza necessaria per andare avanti, ma si sbaglia.
Dopo tutto questo ho fatto una promessa a me stesso: diventerò grande, troverò risposte guardando avanti, senza alcun rimpianto.
Eccomi, sono pronto sen-sei: ti farò vedere chi sono.
Non ti chiedo null’altro che insegnarmi tutto ciò di cui ho bisogno… Perché a questo modo ci sono anch’io e combatterò fino all’ultimo!”.


Occhi verdi, smeraldi che splendono all’interno di un forziere nell’oscurità, cercano un contatto con quelli dell’uomo che li sovrasta in altezza.
Gli occhi di quest’ultimo sono eclissati da un’ombra scura, il colore è impossibile da decifrare perché essi sono coperti da una lunga frangia.
L’espressione dell’adulto è indecifrabile, quella del ragazzo è determinata e dura: il fuoco della tenacia arde in lui come un incendio indomabile.
Un sorriso sghembo compare sul volto del più anziano.

“Sei sicuro di ciò che hai detto? Dovrai sopportare tutto in silenzio, dovrai lavorare sodo e…”

“Non mi importa niente! Non ho nulla da perdere perché io non ho più nulla! Io non sono più nessuno! Ma non ho nessuna intenzione di arrendermi: CI SONO ANCH'IO!”.

L’adulto sorrise ancora: sì, quel ragazzo sarebbe diventato grande…
Dalle sue stesse ceneri, la fenice rinasce, analogamente lui sarebbe diventato un uomo.
Da quell’episodio, il giovane avrebbe smesso per sempre di essere un bambino.






La cadenza ritmica dei passi del dio risuonava per i corridoi del Dispacht.
Tutti i suoi movimenti sembravano essere decisi in precedenza, con rigorosa logica, niente in lui era fuori posto, tutto ordinato, perfetto, impeccabile.
Sguardo puntato dritto davanti a sé, verso la sua destinazione.

Alto, capelli castani, molto scuri, corti ed ordinatamente tirati all’indietro.
Occhi: verde brillante, inquietanti, freddi come il ghiaccio e vitrei, sembravano fatti apposta per gelare il sangue nelle vene della gente. 
Viso scarno, lineamenti raffinati e virili, mascella decisa e naso dritto.
La pelle diafana bianca come il latte mentre le labbra, sottili e piegate sempre in una linea perfettamente orizzontale, erano vagamente più rosee rispetto al resto del viso.

Proseguendo la marcia raggiunse il suo obbiettivo: un giovanotto era intento a flirtare con un impiegata durante il suo ipotetico turno di lavoro.

“Raccogliere anime? Uno scherzo, di solito finisco tutto il lavoro prima della fine del turno e…”

“Knox”.

Il ragazzo si irrigidì.

“Ah… Ah… Sp… Spe…”

Non riuscì ad articolare neanche mezza frase perché era già stato afferrato per il colletto della divisa e trascinato a forza lontano dalla sua “preda”.



“Vuoi proprio costringermi a dimezzarti lo stipendio eh, Knox? Non mi risulta che flirtare con le colleghe rientri nelle tue mansioni, giusto?”. 

Calma e freddezza.

“M... Ma… Ecco vede io… Mi... Mi sono preso una pausa e...”

“La pausa è alle 12 in punto, né un minuto di più, né un minuto di meno. Questo vale per  tutti i lavoratori, te compreso razza di scansafatiche”.


Fra un corridoio ed un altro i due arrivarono allo studio dell’uomo che, lasciato cadere di faccia il collega, si sedette alla scrivania, spostando momentaneamente l’attenzione sui documenti sparsi sul tavolo.
Mentre Ronald Knox si riprendeva dalla facciata massaggiandosi il mento, una donna fece irruzione nello studio: alta, capelli bianchi ed un vestito azzurro con rifiniture argento.
Gli occhi azzurro molto chiaro, lo sguardo intenso.

“Buongiorno supervisore, ciao Ronald, stavi flirtando ancora con quella della cassa 3 al reparto vicino? Come è andata oggi?” esordì la donna

“Giudica tu..”

“Ahhh e così ti sei fatto beccare un’altra volta dal tuo bel superiore? Vedo che le maniere buone non le conosce.. Dico bene signor S-” 

“Vedo che il rispetto verso i superiori e la divisa sono un optional per te, dico bene, Hylda Cavendisch?”

“Dice bene, supervisore dell’associazione Invio dei della morte, William T. Spears ” rispose ad alta voce la dea.

“Tsk, a volte sei veramente irrispettosa, cara segretaria”.


Hylda si avvicinò al dio e gli prese il mento fra le dita, costringendolo a guardarla negli occhi.

“Sai, io sono fermamente convinta che siano i bambini a dover portare rispetto agli adulti, caro il mio superiore” sibilò lei.

Will si liberò dalla morsa e le puntò gli occhi addosso, glaciale.

”Per quanto possa  essere valida la sua educazione, questa legge non vale nell’ambito lavorativo” rispose, con finta cortesia.


La donna indietreggiò con un sorriso beffardo e Ronald credette che di lì a poco si sarebbe scatenata una battaglia a suon di Death Schyte.
Ma Hylda porse invece al giovane una busta.

”Dalla sezione amministrativa, per te”

“Che vogliono ancora questi? Se sono ancora straordinari giuro che, prima la straccio e poi la brucio, mi hanno già costretto a farli la scorsa settimana e per di più non retribuiti”.

Lesse velocemente l’infame lettera e, finito ciò, fissò Knox .

“Bene, tu e Humphreis. A Londra. In periferia. Ora”

“Sissignore!” esclamò Ron, che girò i tacchi pronto a partire, ma si bloccò dopo aver udito una femminile risata molto beffarda.

“Cavolo, non sai nemmeno che devi fare e già parti? Voi bambini del giorno d’oggi siete davvero strani, ahahahh!” dietro la segretaria, Spears si massaggiava le tempie con aria sconsolata.

“Quando mai ho deciso di accettare questo lavoro, quando mai…”

“Ehm… Oh che figura… Allora… Che dobbiamo fare io e…”

“…E io, capo ”

“Ma tu quando sei arrivato, Alan?”

un forte sbuffo da parte di William fece zittire all’istante tutti i presenti.

“Ronald, Alan, voi due dovete andare nella periferia di Londra a caccia di un demone… Non è relativamente forte ma non abbassate la guardia: è bravo ad ingannare con le parole, per questo ci sta soffiando un’ingente quantità di anime. Meglio eliminare subito il problema, prima che quelli dell’amministrazione inizino ad essere una spina nel fianco come al solito: non voglio fare straordinari, intesi?!”

“Signorsì signore!”.

Cavendisch scrutò i due giovani andarsene.

+++++++++++++++++++++++++++++++

Più o meno venti minuti dopo, Hylda decise di rompere il silenzio.
Dopotutto, lei lo odiava a morte, il silenzio.  

“Dì un po’ William… Vai ancora a cavalcare?”

“Da cosa nasce la necessità sapere ciò?”

“Così…Tanto per dire...” fissò le scartoffie burocratiche sulla scrivania “Lavoro, lavoro, lavoro, lavoro… Tu vivi per questo Spears, non trovi mai un diversivo, non hai hobby, non vuoi la compagnia di nessuno, non parli mai con i colleghi, niente feste… Sei proprio solitario bambino mio”

“Ti conosco, dove vuoi arrivare? E non chiamarmi bambino mio, non sono tuo figlio e non sono un moccioso. Di solito o parli a sproposito oppure vuoi avere delle informazioni ”

“Quanto mi conosci bene… Sai… A volte, ho sentito dire che un allievo dovrebbe ritornare dal maestro, anche dopo aver raggiunto la virilità (perciò anche volendo, non siamo nel tuo caso)”

“Ah, ah, ah” fu la risposta apatica di William alla provocazione da parte della bianca.

“Non solo per rispetto… Ricordati che non si ha mai finito di imparare” terminò la perla di saggezza con un’occhiata al ragazzo “Dovresti prenderti un po’ di ferie, Will”

“Non chiamarmi con quel sopran-”

“William! William!”

Eric piombò nella stanza con irruenza, inciampando nel tappeto per poi cadere rovinosamente sul pavimento.

“Che volo aggraziato Eric” fece Hylda.

Il giovane era pallido e tremante, come se avesse visto la propria morte a due centimetri dal viso.

“Che succede Slingby?” chiese William, serio.

Dopotutto se lo shinigami l’aveva chiamato per nome, doveva essere accaduto qualcosa di veramente grave.


“Ron e Al… Sono in pericolo”. 

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Capitolo 2
*** Incontro, orrende visioni. ***


Salve a tutti! Ecco a voi il nuovo capitolo, spero che vi piaccia :)
Se volete lasciare una recensione, gradirei molto :)
Attenzione però: son ben accette le critiche costruttive, ma NON gli insulti.

Alla prossima 




“Ero in perlustrazione, li ho visti… Ho cercato di aiutarli… Grell se ne è andato non so dove durante la missione: ha urlato qualcosa a proposito di un maggiordomo-Chan ed è scomparso con gli occhi a forma di cuore. Quando li ho trovati, dopo aver lottato per un po’, mi hanno mandato a chiedere aiuto perché potevo muovermi: stanno combattendo contro un demone terribile, non quello della missione, un altro, è incredibile!
Si è messa parecchio male, li sta ammazzando!”


Spears sgranò gli occhi e solo allora si accorse dello squarcio sulla spalla del collega.
La Cavendisch lo guardò intensamente, scura in volto.



“Vai in infermeria, subito…” mormorò l’uomo con voce grave.

“Cosa?”

“Vai immediatamente in infermeria e avvisa l’amministrazione che io e lei ci assentiamo per tempo indeterminato… Ora! Muoviti!!”.


Eric sparì nel corridoio del Dipartimento.

“…Dove andiamo, capo?”

“A caccia”.


+++++++

Ombre silenti che si muovevano a velocità impressionante sopra i tetti di Londra.
Shinigami, Reapers, Tristi mietitori, Dei della morte… Molteplici nomi, per identificare una razza: i cacciatori di demoni.

I demoni, maledetti, schifosi segugi infernali.
Non aveva la minima intenzione di lasciar morire altri colleghi.
Se ciò fosse accaduto, avrebbe dovuto fare gli straordinari per mancanza di dipendenti nell’ufficio.


Lui gli straordinari non li faceva.
Manco morto.

++++++++++

La segretaria non parlava, stranamente, ma si limitava solamente a correre, balzare da un tetto all’altro e scoccare qualche occhiata irrequieta nei dintorni, occhiata che poi si posava sul bel superiore.

Sorrise, un sorriso furbo, quasi maligno: sapeva molto di più sul  conto del “collega ” di quanto Spears stesso credesse.

Il soggetto in questione si arrestò bruscamente: ormai erano in periferia, non si sentiva nulla.
Nessun rumore, nessun segno.
Solo la quiete della notte e qualche civetta solitaria…



Poi il cacciatore avvertì qualcosa: il suo istinto non sbagliava mai, per questo scrutò attentamente nel buio, dopodiché annusò l’aria.
Eccolo: puzza di demone, odio puro e profondo, odore di sangue non umano.

Paura e rancore, brama di anime.  



William saltò giù dal tetto e corse su per il pendio della collina: era sicuro di quello che aveva percepito, era lì vicino il luogo dello scontro.
I nervi tesi, tutti i sensi all’erta.


Addentrandosi sempre più nella boscaglia, una sensazione strana invase Spears: come un déjà-vu.
Era sicuro di non essersi mai trovato in una situazione come questa prima d’ora, però si sentiva a disagio, strano: in fondo al cuore avvertiva uno strano senso di paura, qualcosa di inspiegabile.

La donna percepì la tensione del compagno e si rabbuiò: lei capiva, lei sapeva.
Conosceva alcune cose che l’altro nemmeno immaginava.
Scacciò i pensieri, anche se il suo sesto senso femminile le diceva di stare attenta, che stava sbagliando.

Sì, prima o poi anche lui avrebbe saputo.
Forse, ma solo forse, più prima che poi. 


++++++++++++++++++++++++++++

In una frazione di secondo, William vide la scena.
Le death schyte insanguinate e mal ridotte: quella di Alan rovinata, quella di Ronald nelle mani del demone.

Vestito con un inusuale abito nero, unghie lunghe, tenebrose, affilate come gli artigli di una bestia, canini affilati, sorriso assassino eperverso, occhi cremisi, nei quali si riflettevano le fiamme degli inferi, capelli corvini, corti ed ondulati, tirati all’indietro.

Humphries non si reggeva più in piedi: rantolava coperto di sangue, tagliato in più punti specialmente sul braccio e la gamba destra.
No, a guardare meglio la gamba destra era trafitta ed inchiodata al tronco di un albero: se qualcuno non lo avesse sorretto di lì a poco sarebbe stramazzato al suolo e di conseguenza poteva dire addio al suo prezioso arto. L’equilibrio di Ronald era visibilmente precario: una lama lambiva la sua carne, un pugnale si era conficcato nella scapola dello shinigami. Però dimostrava grande coraggio: sebbene fosse gravemente ferito rimaneva lì, a sfidare il demone per proteggere il collega alle sue spalle.
Per proteggere 
l’amico alle sue spalle.


La schifosa creatura si stava preparando all'attacco quando un paio di cesoie gli causarono un profondo taglio al braccio sinistro.
“Ma chi…” “Sono qui per spedirti all’inferno: a noi due demone!” William piombò dal cielo in picchiata, tanto forte che le scarpe lasciarono un solco nel terreno, che vibrò a causa del colpo e dal ragazzo partì un’onda d’urto: Knox lo guardò a bocca aperta.
Diciamo spalancata.



Il demone levò lo sguardo su i due nuovi arrivati, ma lo soffermò più a lungo sul maschio.
La donna levò con un colpo secco il pugnale dall’arto di Alan (che si impegnò a non urlare) e lo adagiò comodamente al suolo.

Sfidò con lo sguardo il diavolo: il vestito bianco sporco di sangue, i suo occhi di ghiaccio iniettati di odio.
Era incredibilmente infuriata, anzi: a William parve che, appena messo a fuoco il brutto muso del demone, lo avesse riconosciuto.

In quel preciso istante, il sangue aveva iniziato a ribollirle.

Strano, alquanto.

“Bene bene, altri due shinigami da squartare” sul pallido viso del verme si dipinse un sorrido diabolico, maligno.

“Così eccovi qua… Di nuovo”  l’ultima parola la sussurrò, tanto piano che Will non fu sicuro di averla udita.


Hylda sguainò la lancia e si preparò.
Spears rinsaldò la presa sulla falce mentre si riassettava gli occhiali sul naso.

“Ho la brutta sensazione che nemmeno stasera tornerò a casa…” pensò, con rammarico.



Il demone fletté le ginocchia.
I tre si slanciarono con impeto verso il rispettivo bersaglio.

Le armi cozzavano fra di loro, creando rumori assordanti e scintille, nessuno si fermava, tutti i combattenti continuavano a muoversi come posseduti, e William, in un angolo del suo cuore di ghiaccio sapeva che non doveva fermarsi.
Se lo avesse fatto, se la sarebbe vista brutta.

Avevano il fiatone, gli mancava l’aria ma non importava: da quanto tempo nessuno di loro combatteva in quel modo?
Forse da mai.

S
pears era talmente assorto nella battaglia da non pensare ad altro: schiva, para, contrattacca, affonda, arretra.

Quando la luna illuminò la radura, mettendo in luce la scena, il cacciatore si fermò di botto.


Hylda combatteva con il cane infernale, che non degnava più il ragazzo di nessuna attenzione, assorto com’era nel combattere con la donna.

“Sei bella e letale, cara shinigami, sono incantato di scontrarmi con te, anche se preferirei incontrarti amichevolmente in un luogo più appartato” disse il diavolo, con un velato tono di malizia.

“TACI MALEDETTO ASSASSINO!!” rispose con odio la Cavendisch.


William iniziò a sudare freddo, il suo sangue si gelò nelle vene, il cuore sembrò ibernarsi mentre il corpo non rispondeva più ai comandi che lo shinigami gli impartiva.
Voleva arrabbiarsi, lanciarsi verso il nemico e decapitarlo con un colpo netto della falce, voleva muoversi ma non ci riusciva.
Ad un tratto la sua mente sembrò lacerarsi.

Gridando, portò le mani al capo, mentre il cervello sembrò sconquassarsi sotto dei colpi invisibili: alla faccia dell’emicrania.
Spalancò gli occhi ma non vide il combattimento, bensì un’altra scena.



Un bambino giocava con un piccolo puledrino marrone scuro, con quattro balzane bianche e una lista sul muso, la corta criniera e la coda dello stesso colore, due occhi  scurissimi: una tonalità talmente densa che appariva quasi nera.
Non era un cavallo del mondo umano, era una bestia del mondo shinigami: degli animali che combattevano, profondamente leali verso i padroni che li rispettavano.
Un uomo, molto bello con capelli corti, scuri, una lunga e dritta cicatrice che divideva in due l’occhio destro, partendo da metà fronte e terminando a metà guancia, uscì correndo dal bosco, tenendosi un braccio e chiamando a gran voce la moglie ed il figlio.
Aveva gli occhi profondi e verdi.
William non riusciva a distinguere le parole, ma le voci gli sembrarono famigliari, eppure non ricordava di avere mai incontrato quella famiglia.
Ombre nere emersero dalla boscaglia, ringhiando mentre spalancavano le fauci. I
l cavallino s’imbizzarrì e scappò nella prateria dietro al cortile con uno stallone nero, che, dopo aver affidato il piccolo ad una giumenta baia, imponendole imperiosamente di scappare e nascondersi, galoppò a fianco dell’uomo, il quale gli circondò il collo con un braccio.
Una donna dalla bellezza indescrivibile, capelli lunghi, lisci, corvini ed occhi di una sfumatura verde screziata d'oro comparve nel bel mezzo della scena: prese il bambino e fece per portarlo via quando un’ombra nera l’agguantò per il polso.
Essa fissò gli occhi cremisi in quelli del piccolo e gli sorrise. Un sorriso sadico e diabolico.
Lo stallone si caricò l’uomo in groppa e galoppò verso la donna che urlava e si dimenava per sfuggire alla presa del diavolo.
In quel momento, venne colpita da un pugnale alla coscia, ma riuscì ad assestare una calcio nello stomaco del demone che indietreggiò, mollando la presa. Successivamente, mentre era piegato in due, il diavolo venne travolto dalla furia della bestia nera.
Blackjack, così si chiamava il cavallo. Come avesse fatto a percepirlo, Will non lo sapeva.
Un uomo ed una donna irruppero nello scontro e mentre la seconda reggeva l’altra donna sanguinante, il primo si affiancava all’uomo del cavallo.
Il ragazzino respirava pesantemente, guardando il fuoco che stava bruciando il cortile in cui era nato, in cui avrebbe dovuto compiere gli anni quella sera. Era decisamente magro e alto per uno della sua età. Il cavallo se lo caricò sul dorso.
L’uomo che era appena entrato in scena era famigliare: capelli colore della cenere, lunghi fino alle spalle, una frangia che gli ricopriva trasversalmente la faccia, in modo da nascondere gli occhi, ma non le cicatrici che solcavano il suo viso, pallido come la morte.
Indossava un elegante abito nero dalle rifiniture viola, unghie lunghe e scure. Impugnava una falce da mietitore di considerevole grandezza.
La donna che sorreggeva la madre del bambino aveva i capelli lunghi come quelli del collega sopracitato, bianchi e lisci come quelli di un angelo, pantaloni, giacca e cravatta neri, camicia candida.
Era la divisa degli shinigami del Dispatch.
Il demone e l’uomo dai capelli scuri si scontrarono. 


“William!! Svegliati William! Scansati! Salta di lato!” il ragazzo sobbalzò sentendo la voce disperata di Knox.



Alzò lo sguardo e vide una lama brillare sopra di lui. 

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Capitolo 3
*** Altre visioni, verità nascoste, aggrappati alla vita shinigami, altrimenti… ***










Fece appena in tempo a spostarsi per non finire trafitto come uno spiedino.
Nell’istante successivo Hylda era già addosso al demonio.

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Spears indietreggiò per un paio di metri, mentre Ronald lo guardava confuso: ma che stava accadendo al suo superiore?

Il re di ghiaccio che tutti temevano si stava sciogliendo come neve al sole.

Il piede di Hylda si era incastrato nelle radici di un albero ed il demone si chinò su di lei, il viso a pochi centimetri dal suo.

“Mi piace fare a fettine e squartare quelli della tua razza ma voglio essere clemente… Inoltre non sei il mio obbiettivo e poi sei ancora molto attraente, sai? Quando avrò finito il lavoretto, faremo una bella chiacchierata davanti ad una tazza di the al lume di candela… D’accordo?” sorrise, un sorriso di falsa cortesia.

“Non osare toccarlo! Prova solo a torcergli un capello e giuro sulla mia vita che ti ammazzo! Tanto lo sai, lui non può morire, appartiene a quella casa! È uno di loro, ti ammazzerà, non è più colui che ricordi”

“Bla bla bla, quanto parli, bambola” disse il diavolaccio, agitando una mano con noncuranza “Io posso uccidere chiunque, non mi interessa chi sia, coloro che intralciano i miei progetti finiscono in cenere, baby, e non vengo mai a meno a questo impegno... Tu sei un caso a parte, ovvio".


Il demone fissava la donna intensamente negli occhi, quasi fosse veramente interessato a lei.
Nessuno avrebbe saputo decretare se  quella bestia, incapace di provare sentimenti all’infuori dell’odio, almeno secondo la teoria comune, provasse qualche emozione nei confronti della dea.
Improvvisamente, guardando quegli occhi freddi come un iceberg, l’uomo ebbe un lieve fremito.

“Ogni volta che ti incontro, non posso fare a meno di non rimanere incantato nell’ammirare la tua bellezza”.

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Alan aveva la faccia striata di sangue e terra rivolta verso il terreno.

Ronald si era accasciato fra un albero ed un cespuglio: aveva la vista annebbiata, la fronte imperlata di sudore, la testa rivolta verso la sfocata figura di William, il quale sentiva che il corpo non ne voleva sapere di muoversi.

L’affascinante demone avvicinò le labbra al quelle della donna, la quale tentò di scansarsi, invano: quella diabolica creatura era comodamente seduta a cavalcioni sopra di lei, impedendo qualsiasi movimento della parte inferiore del suo corpo tramite la morsa possente delle gambe. Le braccia, invece, erano bloccate da una forza tanto misteriosa quanto sinistra.

Will non vedeva la scena che aveva davanti: i suoni gli giungevano da lontano, i sensi si stavano intorpidendo sempre più.

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“Non sei altro che un maledetto assassino, A-”.

Il diavolo soffocò una risata.

“I nomi sono potenti. Non dovresti dirli ad alta voce, bellezza…Quanto sei attraente” le sussurrò sulle labbra.


Lei  rispose prontamente ”Non accetterò mai un assassino come te, demone”.
Poi, gli sussurrò, sprezzante 
“Spero che tu muoia per mano di colui la cui anima è stata marchiata per sempre da te”.

Lui scoppiò in una risata diabolica mentre, seduto comodamente sopra di lei, premeva il suo corpo muscoloso contro quello della shinigami: incastrata fra le radici e con la schiena premuta contro il tronco dell’albero alle sue spalle, non aveva una via di fuga.

”Ricordati che tu sarai per sempre mia, dopo quel giorno… NON PUOI RINNEGARE IL PASSATO, NON PUOI RINNEGARE CHI SEI STATA E NON PUOI RINNEGARE CIO' CHE È STATO!”


“Col cavolo” riuscì a malapena a rispondere seccamente prima che il demone l’afferrasse e la baciasse con passione.

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La cacciatrice non riusciva a staccarsi da quel maledetto omicida che la teneva stretta a sé con tutte le sue forze, buttandosi di peso su di lei, facendola cadere a terra.

Terminato l’atto, il demone si sollevò sui gomiti continuando a fissare la donna ansante.
Sorrise beffardamente.


“Vuoi ancora proteggerlo? Non ci riuscirai mai, io sono più forte sia di te che di lui… E stavolta non c’è il suo paparino a salvarlo, ne tantomeno la sua odiosa famiglia”

“Bastardo…” lo fissò con odio, mentre lui le depositava un altro bacio sulle labbra.


“Vado e torno, non ti preoccupare... Lo ammazzo subito, indolore il più possibile… Non come la fine che ho riservato a sua madre” si alzò, incurante delle urla disperate e degli insulti, che avrebbero fatto rabbrividire il più rude dei marinai, lanciategli dietro dalla dea.

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“William scappa!!”

Il Reaper si riscosse di colpo dal torpore con una scrollata di spalle.

Il segugio veniva verso di lui con un sorriso sadico.

“Che piacere rivederti, piccolo William” lo squadrò “Rispetto a me, però, anche se sei cresciuto, sei ancora uno sbarbatello… Chissà quale sarebbe il parere di tuo padre in questo momento” lo osservò, falsamente pensieroso.

“Chi sei, diavolo? Io non ti conosco”

“Bene bene bene… Cos’è che devo fare con te? Ah sì, giusto…Prima il discorsetto, e poi…” scosse la testa e lo osservò nuovamente 
“Bene, il concetto è semplice: tu-devi-morire”

“Tzé, perché mai dovrei? Non prendo ordini ne tantomeno mi curo di ciò che esce dalla tua bocca, schifoso verme infernale”

“Oh Spears, Spears, Spears… Voi siete sempre i soliti: anche tua madre aveva detto esattamente le stesse parole prima di morire!” il diavolo ruggì e mille fiamme circondarono gli sfidanti, mente l’inferno si rifletteva nelle iridi scarlatte del demone.


“Fa caldo… Troppo caldo… Non riesco a coordinare il respiro… Ma che diavolo mi sta succedendo, non riesco a muovermi! Dannazione, perché?!” una fitta lacerò ancora la testa dello shinigami, che urlò di dolore.

“Mia madre…? Io non so chi sia…Come fai a conoscerla…?!” un rivolo di sangue gli scese dalle labbra fini e spalancò gli occhi.

Fuoco.

Fiamme.

L’inferno intorno a lui.

Il caldo.

Il sangue.

Le urla.


La bestia afferrò saldamente per il polso il cacciatore e lo fissò negli occhi.

“AVANTI RICORDA!!RICORDA!” urlò il demone.


Will gridò di dolore mentre un fiume in piena di immagini gli passò davanti agli occhi.


La madre del piccolo tossiva violentemente sangue ed aveva il petto squarciato.
L’altra donna dai capelli bianchi, il viso insanguinato, piangeva lacrime di sangue mentre annuiva disperata alle parole che le stava riferendo la prima.

Il marito di quest’ultima era in ginocchio, piegato dalla fatica, sfinito a causa del sangue perso, al fianco della moglie.
Il bimbo, che aveva un taglio sul piccolo petto ed uno sul bicipite destro piangeva sommessamente, aggrappato al collo di Blackjack.
Il cavallo dopo aver fissato intensamente il padre del bambino, voltò le spalle alla scena ed iniziò a galoppare.

La corsa disperata durò poco.


Il sangue scarlatto dell’animale colava lento dalla ferita.
Mentre annaspava, tentava di proteggere il suo prezioso cavaliere in miniatura.


Una spada.
L’arma si levò sopra il suo collo.
Il bambino riuscì a scappare.

Il cavallo no
.


“Ti ho preso finalmente, piccolo erede” gli artigli neri del demone si levarono sopra il ragazzino che si dimenava furiosamente, come stava facendo Blackjack qualche minuto prima.
“Ora capirai perché…Ti sta accadendo tutto questo” proseguì “Quando delle persone e la sua dinastia potrebbero mettermi in pericolo…Essi vengono eliminati” fece una pausa.
“Vedi tua madre, tuo padre e chi, fino poco tempo fa, ti stava proteggendo?” fece scorrere lo sguardo, che l'altro seguì, sulla scena.

Il ragazzino non riusciva a staccare gli occhi da chi aveva perso e da chi stava perdendo.
Sua madre.
L’aveva sempre protetto, era coraggiosa e pragmatica, ma anche gentile e dolce.

E lui l’adorava perché lo aveva cresciuto quando papà non c’era.

Perché suo padre era forte.
Tanto forte.
Uno degli shinigami che reggevano la colonna della loro razza, uno dei più illustri.

Per questo, a papà e al suo amico dai capelli grigi venivano affidate le missioni più lunghe, terribili ed estenuanti che esistessero.

Una volta, gli avevano narrato, erano quasi scesi all’inferno per riprendersi delle anime importanti.
Non conosceva il nome di quello sconosciuto amico di famiglia, e quando lo chiedeva, papi non rispondeva mai.
L’avrebbe scoperto a tempo debito, rispondeva sempre, scuro in volto.
Suo padre l’amava molto, quando tornava a casa sfinito dal lavoro o dopo gli straordinari che tanto odiava e lo vedeva, una luce si accendeva nei suoi occhi verdi.
Ora stava perdendo anche lui.
E Blackjack era morto a causa sua, a causa della sua debolezza.
Per proteggerlo, perché lo amava anche lui.

Suo padre lacrimava, e non solo per il fumo.
Stava morendo anche lui, trafitto dal dolore e da lame imbevute di sangue.
Il suo sangue.
Il ragazzino voleva ribellarsi.
Alzò una mano: le unghie si conficcarono nella pelle lattea del suo aguzzino e gli sfigurarono una piccola parte del volto, da cui iniziò a colare sangue vermiglio.

Fece per correre da sua madre ma, a metà percorso il demone lo fermò.
Si era arrabbiato.

La ferita gli bruciava più di qualsiasi altra cosa e pulsava, pulsava tremendamente. Forse perché era stato quel maledetto microbo a procurargliela.
Lo afferrò dal dietro per le braccia e spinse la gamba nella sua schiena, costringendolo a mettersi in ginocchio, con il viso rivolto verso la madre che moriva.
Prima di spirare, la donna rivolse a suo figlio un debole sorriso ed uno sguardo dolcissimo, che solo lei sapeva fare.

“Ti amo figlio mio, veglierò per sempre su di te… Ti proteggeremo e ti proteggeranno…Fino a che…Non ci rincontreremo…In un mondo… Migliore…” sospirò, stanca, e chiuse gli occhi.


Stavolta, per sempre.
Da quel momento, il fanciullo iniziò ad odiare il rosso e le sue tonalità. 

“No!” l’orfano gridò alla luna tutto il suo dolore e pianse, più forte di quanto avesse mai fatto.

Lui non piangeva mai, ma adesso doveva lasciarsi andare, dare libero sfogo alla sua furia!
Tentò di liberarsi, nei suo occhi una rabbia omicida.

Un sentimento mostruoso, che gli deturpò il bel viso innocente di solo pochi minuti prima, quando giocava con Joey, il suo puledrino.
Il suo amico, il figlio di Blackjack, il più coraggioso tra i “Figli del vento” del mondo degli shinigami.

Il piccolo tentò di mordere le mani che lo tenevano fermo mentre saltava, si portava in avanti con il peso e scalciava il nulla.
I suo vestiti erano laceri e sporchi di sostanza vermiglia, come il suo viso. Però, ora il diavolo ne aveva abbastanza.

Con uno strattone volse il moccioso verso di sé, e con altrettanta bruschezza lo spinse all’indietro, facendogli mancare l’equilibrio.
Le ultime cose che vide furono il viso congestionato di sua madre, il terrore negli occhi dell’altra donna, il padre che urlava la sua disperazione senza poter fare nulla perché ferito alla gamba, che si stava lacerando sempre più, e l’uomo dai capelli cinerei che scattava verso di lui, con un ombra di timore sul viso.

Vide anche gli occhi di quest’ultimo: gialli, come due topazi che risplendono nel buio.

Le unghie del demone lacerarono in profondità il viso del ragazzino.
Tre solchi orizzontali che partivano dall’inizio dell’occhio sinistro e finivano dopo l’occhio destro.

Un pugnale si conficcò nel suo petto, tremendamente vicino al cuore.
Il piccolo cadde a terra.



William aprì gli occhi: vide una lama conficcarsi vicino al cuore che sentiva battere in fase di tachicardia e degli artigli che gli solcavano il viso.
Questi ultimi non erano nulla di cui preoccuparsi perché erano poco profondi e non avevano toccato gli occhi, i suoi preziosi occhiali li avevano protetti.
Dopo questa constatazione si sorprese a tossire violentemente e sentì il sapore ferroso del sangue in bocca.

Il prezioso liquido prese a scorrergli dalle labbra sottili per poi giungere fino al  mento e da lì accarezzargli il collo candido.


Quando abbassò lo sguardo, vide che al posto della lama c’era un taglio profondo dal quale sgorgava una cascata di prezioso liquido scarlatto.

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Capitolo 4
*** Gravi ferite, una misteriosa ragazza, una segretaria e un becchino: bel risveglio, eh? ***


Ecco a voi il quarto capitolo, sperando che vi piaccia :)
Se volete lascaire una recensione, la cosa non mi dispiacerebbe: riguardo alle critiche, ricordate che son ben accette solo quelle costruttive :)
Alla prossima!




Lui odiava quel colore.

Lui non sapeva nulla dei suoi genitori.

Non sapeva nulla del suo passato, ma sapeva che una volta ci vedeva benissimo, occhio di falco lo aveva chiamato qualcuno a cui lui voleva bene.

Perché non ricordava chi?

Perché tutto ad un’tratto sentiva un vuoto dentro di sé?



Poi incontrò gli occhi del demone e vide qualcosa dentro di essi che diceva: “Sì, sei tu. Sogni d’oro”.

Il segugio infernale sparì dalla sua vista quando scorse due sagome che saltavano: capelli color della cenere molto lunghi svolazzavano nel cielo notturno e poi un’altra siluette piuttosto sinuosa (doveva trattarsi di una ragazza) che veniva verso di lui.
Vide solo dei capelli chiari, una specie di castano rossiccio e due occhi limpidi, bellissimi.

Poi, la sua realtà divenne il buio. 



Dalla finestra, coperta in parte da una tenda immacolata e finemente ricamata, filtrava una calda luce. William socchiuse poco a poco gli occhi, scoprendo di avere delle bende sopra di essi.
Si trovava in un letto matrimoniale, fra delle lenzuola candide e coperto da una coperta di pile azzurra, ricamata anch’essa.
Tentò di sollevare una mano molto lentamente per toccarsi il viso.
Arrivato all’altezza dell’occhio destro avvertì una fitta al petto, ma prima che potesse farsi ancora più male, una mano morbida, dalla pelle vellutata prese con estrema delicatezza la sua, che stava per andare a sbattere contro lo spigolo del comodino: aveva perso tutte le forze nella frazione di un secondo.

“Fermo, vuoi peggiorare, forse? Aspetta… Ecco, senti? Il tuo cuore batte regolarmente… Ora prova ad ingoiare un po’ di questa brodaglia…”

Will non era del tutto cosciente, ma era abbastanza sveglio da poter sentire la sua mano e quella di una ragazza (a giudicare dalla voce) sul proprio cuore, e qualcosa che sapeva di erbe alpine finirgli in gola.
Tuttavia, anche se riusciva ad articolare mezzo pensiero, non riusciva ancora a muoversi.
Stava per cedere al torpore del sonno quando si svegliò di colpo.
La persona accanto a lui, avvertendo il suo repentino cambiamento di stato d’animo gli afferrò i polsi e gli impose calma.
William respirava affannosamente, e la ragazza aveva paura che potesse andare ancora in arresto, ma constatò con sollievo che, quando gli disse di rilassarsi e stare fermo, lui ubbidì. Aveva capito il comando.

Con flemma si indicò le bende sugli occhi e disse, a fatica “Potresti… Togliermele per favore?”.

Spears sentì quella mani di seta armeggiare fra i suoi capelli.
Per un attimo, credette di averle sentite dargli una lieve carezza sulla zazzera castana.

Forse si era sbagliato, ma quando aveva sentito quelle mani passargli dolcemente nella chioma scura si era sentito bene, in pace.
Inizialmente vide un bagliore, poi le bende sollevate sopra il suo viso ed infine, lei.
Più la osservava, più qualcosa, dentro di lui, gli urlava che la conosceva.

“Bentornato fra noi, Will…iam”.

Inizialmente lo aveva chiamato Will, ma poi, velocemente, aveva aggiunto “iam”. 

Aveva i capelli lunghi fino alle spalle… Anzi, per la precisione dove finiva il collo. Una tonalità di una specie di castano rossiccio, molto chiaro e lucente. La carnagione era chiara e risaltava il colore ambrato dei suoi occhi.
Il viso era curato, le labbra sottili e rosee: perfette, perfino più di quelle di Hylda, che si vantava sempre per queste sue caratteristiche fisiche.
Era alta, non come lui certo, era più o meno sicuro che gli arrivasse al petto ed aveva un corpo niente male. Gambe sottili, mani affusolate con lunghe dita, seno florido e ben disegnato…William era assorto nella sua analisi quando sobbalzò.

Lo scontro.

Il demone.

Le visioni.

Hylda, Ronald, Eric, Alan.

Le sue ferite e le misteriose figure che aveva visto prima di svenire.

Si portò una mano alle tempie e sul suo volto apparì una smorfia di dolore. 





“Presto! Presto! Non posso lasciarlo morire! Lui è l’unica speranza! Io cosa potrò fare, senza una gamba?! Spiegamelo! Meglio così, credimi… Mi mancherai, amico mio, fratello, anche se non abbiamo sangue in comune: ora, devo salvare mio figlio… Vivrò per sempre in lui” .
William si sentì intrappolato nel corpo del bambino delle precedenti visioni.

Dolore.

Sangue.

Morte.

Paura.

Sentiva il liquido vitale colargli dagli occhi, fuoriuscire dal petto a fiotti. Sentiva il caldo di quella sostanza ed il freddo della morte. Stava andando in arresto cardiaco, lo sentiva. Una forza gli opprimeva il petto, annaspava in cerca di aria, non riusciva a respirare. Si rese conto di essere cieco, di avere gli occhi completamente lacerati. Stava per morire. “Addio fratello… Avrò cura di lui” era la voce dell’uomo dai capelli grigi. All’’improvviso, il ragazzino sentì un senso di beneficio sulle ferite. Gli occhi si stavano ricostruendo, il petto si stava rimarginando. Sentì ancora la voce del padre che parlava con l’amico “Ti prego, promettimi… No, anzi: giurami che lo alleverai come avrei fatto io… Insegnagli… I trucchi del mestiere… I miei, trucchi del mestiere e proteggilo: fa si che nulla lo possa far soffrire più di quanto… Non abbia sofferto già…” “Per i suoi occhi non possiamo far nulla più di così…”

“Sì, lo so: non potremo più chiamarlo occhio di falco”

William sentì che il padre del bambino si stava chinando su di lui e percepì chiaramente una lacrima solcargli il viso.


“Addio, figlio mio… Ti ho sempre amato, protetto e continuerò a farlo… Ricordati chi sei…”
 




William si alzò di scatto: quanto altro tempo aveva dormito?

E la ragazza che fine aveva fatto? Se l’era sognata?

Cosa gli stava accadendo?

“E soprattutto… Dove sono i miei amici… No no no volevo dire colleghi?” si ritrovò a parlare ad alta voce.
“Ih ih ih ih loro stanno benone, non ti devi preoccupare, non li ho ancora seppelliti… E del demone, ti starai chiedendo, che ne è stato? Ih ih ih ih”.

Spears alzò lo sguardo e si portò una mano alla fronte.


“No, no non può essere, sto sognando di nuovo o sto avendo altre visioni, prima la ragazza e adesso…”

“Non stai sognando William… Ti ho solo tolto le schegge di vetro dagli occhi ih ih… Sono proprio io, dovresti essere grato a chi ti ha salvato e ti ha permesso di essere un suo allievo, cioè all’ umile… ”

“Undertaker” disse sospirando Will.


Ad un tratto trasalì, toccandosi il viso, all’altezza degli occhi. Sentiva la pelle non più liscia, tre solchi orizzontali ben definiti, le croste calde e fragili.
Non vedeva bene, come di consueto: ma allora perché, era riuscito a scorgere alla perfezione i tratti di quella bella ragazza? Abbassò la mano sul petto nudo, e la posò all’altezza del cuore.
Dopo aver ascoltato i propri battiti in religioso silenzio, Spears fece scorrere lentamente le dita un po’ più a destra. Sentiva il dislivello della pelle, deturpata dalla lama del demone.

“Ci è andato vicino, ma non ti ha preso il cuore… In quanto alle cicatrici, non preoccuparti, su di esse ho spalmato un unguento speciale, spariranno, una volta che sarai guarito, perciò potrai fare ancora colpo su qualche ragazza ih ih ih… ”.

Will lo fulminò con lo sguardo: certo, era cieco come una talpa e lo sapeva, però, per compensare la vista, aveva tutti gli altri sensi molto sviluppati. Per questo, riusciva a percepire la posizione di Undertaker, in più, almeno i colori che lo caratterizzavano riusciva a distinguerli.

“Gli altri… I miei sottoposti… Ok stano benone ma dove sono? Che ne è stato di loro? E io? Dove sono? Cosa mi è successo? Perché ho quegli incubi o visioni che siano? I miei dipendenti che sono vivo…?”

“Sì… Lo sappiamo che sei vivo… Almeno, lo so io” mormorò una voce.

Nello stesso istante, due mani affusolate gli misero un paio di occhiali. Erano tondi, da apprendista, non i suoi squadrati, ai quali era tanto affezionato anche se sapeva, con rammarico, che erano sul comodino al suo fianco, completamente distrutti.
Fu allora che la vide.

“Hylda…”

la sua segretaria era lì, in piedi davanti a lui.

I pugni serrati, le braccia lungo i fianchi, il viso oscurato dalla frangia.
Lei, indecifrabile e lui, in quel momento, stupito come non mai.
Aveva proprio l’espressione di un bambino quando vede una cosa completamente nuova.


“Tu… Brutto stupido, incapace…” la voce era rotta e le tremava. W

illiam scorse il proprio riflesso nello specchio alle spalle della donna. Sembrava un ragazzo, molto più giovane di quello che era.

Per un singolo istante, vide riflessa l’immagine di un diciottenne senza occhiali e senza cicatrici. Poi capì.
Con quel completo da lavoro e quegli occhiali sembrava un giovane uomo esperto e serio, ma appena si scrutava più a fondo, vedeva ancora un ragazzo. Ecco perché, Hylda lo chiamava “Bambino mio”.

“Sei.. Sei proprio un… Disperato, ti sembrava il momento di sognare ad occhi aperti quello? Ti… Ti…”

Will vide delle lacrime rigare il viso della Cavendisch, subito dopo delle braccia circondargli il collo e dei capelli candidi come la neve coprirgli il viso.


Stupido… Cos’avrei fatto, se non fossi riuscita a proteggerti…? Non si può infrangere un giuramento, Will, non si può…” sussurrò, quasi materna.


Un’altra visione ad occhi aperti.


Il bambino, nella sua incoscienza sentì qualcuno abbracciarlo.
“Ho promesso a tua madre che ti avrei protetto e così farò. Starò sempre un gradino sotto di te, per aiutarti, per spingerti ancora più in alto*… D’ora in poi, sarai unito a me, “Bambino mio”… Non si può infrangere un giuramento, non si può…”. 



Hylda si staccò, guardando William, alquanto scosso dalla cosa.

“Dillo a qualcuno e ti impicco. Non fraintendere, è stata la tensione a dettare le mie azioni” gli ringhiò contro.


Udì dei passi leggeri, e tutti si voltarono.

“Questa è Jane, colei che ti ha accudito nella tua convalescenza” disse sospirando Undertaker, mentre William (non sapeva come avesse fatto a ritrovarsi in piedi davanti a lei, ma pazienza) la guardava intensamente negli occhi.

Lei rispondeva con lo stesso sguardo.
Poi parlò. 

”A quanto pare, quella brodaglia ti ha fatto effetto, se sei già in piedi… Molto piacere, William, come già sai, io sono Jane: dammi del tu” ed allungò la mano nella direzione del ragazzo.

“Il piacere è tutto mio, milady” disse educatamente, inchinandosi un poco.

“Bene, dopo tutte queste smancerie cavalleresche possiamo arrivare al dunque…”.


William si riprese ed iniziò ad ascoltare. Eppure, lui sapeva, ma soprattutto sentiva nel profondo del cuore, di conoscere quella ragazza.

“Dovrai stare qui fino a tempo indeterminato, fino a MOLTO dopo la tua guarigione, intendiamoci”

“Ma perché?” chiese Will, piuttosto adirato.

Ora indossava vestiti più comodi, pratici e semplici.
Una maglietta verde pallido, a mezze maniche e dei pantaloni neri.


“Perché è sì, non discutere… Insomma, hai rischiato di farti ammazzare, fino a che non sappiamo cosa ti sia successo, non possiamo lascarti andare: niente lavoro, niente Dispatch, anzi, non sognarteli nemmeno, niente straordinari, scartoffie, pratiche burocratiche e  colleghi rompi scatole” annunciò Undertaker.

“Con i superiori sono a posto io e il consiglio non deve sapere un cavolo di niente…” il becchino era più nervoso del solito.

William se ne era accorto: era irrequieto, e questa sua inquietudine aumentava ogni qual volta che lui si avvicinava di più a Jane.

Spears era seduto a gambe incrociate, la schiena curva in avanti, i gomiti sulle ginocchia e le mani a pugno sotto il mento.

“Voglio essere informato di ciò che mi succede… Cosa sono quegli incubi? O visioni, è lo stesso…”

“Se lo sapessi te lo direi, no? Quanto sei noioso” tagliò corto il becchino.


Ma non riusciva ad ingannarlo: il ragazzo sentiva una nota stonata in quella falsa melodia, ed iniziò a mangiare la foglia.
Avrebbe fatto finta di abboccare all’amo tirando il filo da pesca.


“D’accordo…”

“Ascolta, William” la voce di Undertaker mutò.

Non era più stridula e frivola, ma profonda e seria: da uomo potente qual era in realtà. Da shinigami leggendario.


"Tu fai parte di un disegno, sei la chiave per capire il significato dell’opera: senza di te nulla ha senso… Per questo mondo non esisti, ce ne sono molti della tua specie, ma tu sei diverso. Avanti, dimostra che ci sei, e che non sei uno qualsiasi” fece una pausa scrutandolo negli occhi, leggendogli l’anima.

Tuttavia, il ragazzo rimase impassibile, di ghiaccio: sia fuori, che dentro.


“Se qualcuno non fosse intervenuto in tempo e se non ti avessimo curato, tutto avrebbe iniziato a sgretolarsi, perciò, ora, se vuoi farti e farci un favore, dacci retta e non fare domande, ci siamo intesi? Vedi di non provocare intoppi e di eseguire gli ordini…” intervenne Jane, fissandolo seriamente.

Will scorse una luce decisa negli occhi di quella ragazza e provò un  briciolo di rispetto per lei.
Undertaker ricominciò.


“Ora dovrai ristabilirti e dopo quello allenarti duramente: dovrai sopportare tutto in silenzio, dovrai lavorare sodo e…”

“Non mi importa niente! Non ho nulla da perdere e non ho nessuna intenzione di arrendermi… Troverò risposte guardando avanti, senza alcun rimpianto… Eccomi sono pronto sen-sei: ti farò vedere io chi sono… 
Perché, a questo modo, ci sono anch’io” .

Le parole gli erano uscite di bocca da sole.

Occhi verdi, smeraldi che splendono all’interno di un forziere nell’oscurità, cercavano un contatto con quelli del più anziano. Undertaker sorrise: sì, quel ragazzo stava diventando grande.
Un vero uomo.  






* La frase del misterioso personaggio della visione, è la stessa che Maes Hughes dice a Roy Mustang durante la guerra di Ishval in "Full metal alchemist: Brotherhood"


Alla prossima ragazzi! Fatemi sapere i vostri pareri sulla storia con qualche piccola recensione, please! Arrivederci!

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Capitolo 5
*** Scontro, ricordi perduti e strane visioni. ***


Buonanotte a tutti voi, lettori e recensori: vi lascio con quest'ultimo capitolo, prima di sprofondare nel mondo dei sogni



Jane era confusa: camminava per i lunghi corridoi della casa in silenzio.
Da quando aveva visto William, nella sua mente iniziavano a delinearsi delle immagin ed una in particolare l'aveva colpita: lei, bambina e con un largo sorriso, che chiacchierava sull’ampio dondolo bianco nel giardino sul retro con un ragazzino.
Il misterioso personaggio pareva avere solamente un anno in più di lei, era alto e magro per uno della sua età: il viso pacifico, rilassato e gli occhi socchiusi che scrutavano il cielo. 
Doveva avere all’incirca 10 anni, se non meno. 
Credeva fosse solo uno sciocco ricordo d'infanzia, seppur strano, quando un dettaglio la fece rabbrividire: le immagini nella sua mente iniziarono a muoversi, delineando scene  che mai si sarebbe sognata di immaginare.
All'improvviso infatti, il volto rilassato del suo "amico" cambiò e vide che era sfigurato. 
Tre tagli appena rimarginati gli solcavano il tenero viso, che tutt’ad un tratto era diventato ombroso e serio, un’espressione cupa che ogni insegnante avrebbe bollato come ribelle.
Gli occhi, dapprima limpidi e caldi, ora erano freddi e vitrei. Le maniche corte dell’abito rivelavano un profondo graffio sul bicipite destro.
La cosa più spaventosa era il petto: la camicia era aperta rivelando uno squarcio all’altezza del cuore. La ferita trasudava plasma, aveva i bordi terribilmente rossastri, la crosta era calda e fragile.
Il bambino si fissò la ferita con il fiato grosso e la rabbia che bruciava nei suoi occhi di ghiaccio: faceva quasi paura.
Jane poteva giurare quasi di vedere il cuore battere qualche centimetro, o millimetro, addirittura, più in là. 

“Chi può aver fatto una cosa simile ad un bambino?! È orribile… Eppure… Mi ricorda così tanto…” immersa nei suoi pensieri, non si rese nemmeno conto che stava andando a sbattere contro qualcuno.


Tre. Due. Uno…


”Ehi!”
“…William!” vide il ragazzo portarsi una mano sul cuore e gemere.
Si sentì in colpa: doveva essergli andata a sbattere contro il petto.

“Scusami tanto, io non volevo, ero distratta… Scusami…” 
“Non fa niente, per fortuna che avevo messo davanti il braccio, almeno ha attutito il colpo” disse il giovane, a denti stretti: i suoi occhi lampeggianti tradivano la sua apparente freddezza. 

Per rimediare le venne un’idea: erano le sei e mezza del pomeriggio e l’aria era fresca, non più afosa come quella delle ora precedenti...

"Ho un’idea: vuoi venire a fare una passeggiata? Si sta bene fuori a quest’ora...” Will la osservò, stupito: nella discussione di prima si era dimostrata una ragazza forte e decisa ed ora sembrava dolce e timida.
“Bè, meglio che tornarmene a letto… Ho bisogno di un po’ d’aria, dopotutto”  rispose, distaccato e con il suo solito tono freddo: forse accettò più per cortesia, che per vero interessamento.
“E poi… Lei mi ricorda tanto qualcuno… Qualcosa mi dice che io la conosco, e anche molto bene” si ritrovò a pensare, poco dopo.

Il  venticello spirava da prati lontani, portando l’aroma di fiori e piante profumate, tipico della primavera.
Eppure non erano in quella stagione.
Si trovavano in un enorme villa con ettari e ettari di prato davanti a sé: una tenuta davvero regale.
Il giardino era bellissimo: una grandiosa fontana distava ad una decina di metri dalla porta d’ingresso, i sentieri erano ricoperti di sassolini bianchi, l’erba tagliata all’inglese, Azalee e piante colorate varie a costeggiare il ciglio del prato.
C’era anche qualche fontanella per gli uccellini, sparsa qua e là.

“Che ambiente gradevole… Non lo ricordavo così ricco di ornamenti floreali e fontane” esclamò William, stupendosi egli stesso della sua loquacità e del suo entusiasmo improvviso “Ho sempre amato la tranquillità e il silenzio di questo posto, sono alquanto rilassanti… Ottimo mix per una vacanza in solitudine… Concordi?”
“Pienamente, William”. 

Calò nuovamente il silenzio fra i due.
L’attimo in cui essi sembravano aver mostrato della premura e docilità nei loro confronti si era dissolto.

“Vuoi vedere il retro della magione? È un panorama molto bello, a quest’ora”.

Will scrutò il cancello grigio scuro che segnava l’inizio della tenuta, poi si voltò ed annuì.

"Sì, così almeno inizio a relazionare con il posto… E' da molto tempo che non ci vengo”
“Bene, mi fa piacere che tu abbia capito come funzionano le cose, qui. Sei un tipo sveglio” rispose Jane.

Era seria e composta, ma si rivolgeva a lui come ad un infante.
Lo shinigami avvertì il fastidio salirgli in gola: lo aveva preso per uno stupido, per caso? 

“Grazie” disse, a denti stretti.

La ragazza gli rivolse un’ultima occhiata, avvertendo il nervosismo dell’altro: se si fosse arrabbiata, lo avrebbe battuto con tranquillità.
Ma solo perché era ferito, si disse.
Lo temeva un poco e poi era più grande di lei. Decise di non farlo irritare, però, non sapeva spiegarsi il perché, provava una strana simpatia per lui.
Per questo il suo cervello l’aveva messa sulla difensiva: per impedirle di apparire troppo dolce, come una ragazzina.
Era una questione d'orgoglio!
Inoltre, sapeva per certo una cosa: William era uno shinigami freddo, anzi glaciale. Distaccato, amante dell’ordine, svolge i suoi compiti senza controbattere, a mente fredda: odiava il caos, le persone stupide e frivole, che non svolgevano il loro dovere, che bighellonavano.
Amava il rispetto, per lui era importante: ovviamente, è da precisare che lui amava il rispetto che la gente aveva verso di lui.
Eppure, una frase continuava a rimbombarle in testa:

“Anche il ghiaccio più freddo e spesso, alla fine si scioglie al calore del fuoco. Un fuoco chiamato amore. Ricordatelo sempre: l’amore vince su tutto”.

La prima volta, l’aveva sentita dire da sua madre, morta, molto tempo addietro.
Non sapeva che fine avesse fatto, non sapeva come era morta: lei era davvero piccola, ricordava nitidamente solo il funerale.
Poi era arrivato quel ragazzo: di lui non ricordava nulla, ma era sicura che fosse lo stesso che continuava a vedere nelle sue visioni.

Ma lo erano davvero, delle visioni? 

Guardò William, mentre la voce nella sua testa ripeteva sempre la stessa nenia.
Arrossì di colpo: la stessa frase gliela aveva ripetuta suo padre, esattamente dopo averle spiegato il carattere della persona che aveva al fianco, per prepararla come si deve.
Sì, perché lei era figlia di quell’uomo. 
Giunti sul retro, lo shinigami rimase stupito, con la bocca leggermente socchiusa. Davanti a lui si spalancava uno scenario pazzesco: un immenso prato verde scintillante si estendeva per molti ettari, fino ad incontrare il bosco che abbracciava dal dietro la casa. Uscendo dalla porta sul retro ci si trovava sotto un ampio portico. C’era un albero di ciliegio da fiore e vicino ad esso un dondolo bellissimo: era verniciato di un bianco candido ed elaborato finemente.
La recinzione, bianca anch’essa, si interrompeva in un ampio cancello, aperto in quel momento, che dava sulla scuderia per eventuali cavalli, sulla selleria, sul recinto per la doma e su due rettangoli di allenamento: uno aperto ed uno scoperto.
Era vissuto lì per la maggior parte della sua infanzia, ma non si ricordava un posto così bello.
Il cielo si stava tingendo di una sfumatura rossastra che sarebbe presto passata al violaceo: i colori abituali del crepuscolo.
Erano già le sette e un quarto: la magione era immensa e, usando la strada più lunga per godersi maggiormente le bellezze del giardino, ci avevano messo più tempo del previsto. Inoltre, William era reduce da  uno scontro quasi mortale con un demone: la sua andatura non era sostenuta come sempre, ma lenta ed irregolare. Tornando indietro, il ragazzo osservò meglio e più da vicino il dondolo: lo aveva già visto, da qualche parte.

“Dopotutto c’è molta gente che ama questo genere di cose, sia nel mondo degli umani che nel mi-” si portò una mano alle tempie strizzando gli occhi: se c’era una cosa che odiava, oltre agli straordinari e Grell Sutcliff, erano le fitte improvvise.

Udì una cosa che lo fece sobbalzare e si girò di scatto.

No, non poteva essere, non poteva crederci.

Uno scalpiccio di zoccoli si diffuse nell’aria accompagnato da un nitrito. Un giovane stallone galoppava verso di lui: marrone scuro, con quattro balzane, ed una lista bianca. Criniera folta, di lunghezza media, dello stesso colore del pelo, ondulata, come la coda lunga ed ordinata.

Due occhi che sembravano fissarlo: castano intenso, talmente scuro da sembrare nero. 

Di fronte a lui, si fermò: William avvertiva l’aria calda sbuffata dalle froge dilatate dell’animale accarezzargli la pelle, facendogli un leggero solletico.

“Ah!” un’altra fitta gli raggiunse il cranio, rompendoglielo in due.

Spalancò gli occhi, mentre Jane lo afferrava alle bell’è meglio circondandogli il petto con le braccia, facendo attenzione a non fargli male.
Lo stallone restava lì, impassibile.

“William! Ti prego, che ti succede? Reagisci!”.
Al ragazzo cedettero le gambe e la ragazza non riuscì più a sorreggerlo.

Risultato?

Lo shinigami si ritrovò seduto sul dondolo con la ragazza sulle ginocchia. Al muso del cavallo si sovrapponeva la scena in cui il ragazzino delle visioni giocava con il suo puledrino, nel momento in cui gli abbracciava il collo e rideva.
Poi, si sovrapponeva velocemente, oltre alle altre due, una terza immagine: Will un paio di anni prima, quando era all’accademia, che, dopo aver battuto il record della scuola in sella al suo cavallo lo abbracciava, soddisfatto, cingendogli il collo. 
Quei ricordi gli stavano fracassando la testa: il suo cavallo si chiamava Joey, il suo cavallo era lì davanti a lui, il cavallo del bambino delle visioni si chiamava come il suo.
Stesso colore stessi occhi, stessi crini e stesso pattern*.

Ma che diavolo stava succedendo?! 

“Basta! Non ce la faccio più!!”.

Stava esplodendo, non sentiva un mal di testa così forte da moltissimo tempo. Forse da mai.

“William!! Guardami!” lo shinigami socchiuse gli occhi, ma non riuscì a sollevare la testa, ostinatamente piegata verso il basso.

“Will, guardami, non pensare a niente, concentrati su di me… Guardami negli occhi” .

Il dio sentì una presa decisa ma allo stesso tempo dolce sulla mascella e, a poco a poco, le mani della ragazza riuscirono a fargli alzare il capo.

Poi, con lentezza, le obbedì.

Si ritrovò a fissare assente gli occhi gialli di Jane, che riflettevano i suoi.

Si stava concentrando sul colore delle iridi della ragazza: erano… Bellissimi.
Ma li aveva visti già da qualche parte: due topazi che risplendono nel buio…

Dove? 

Piano a piano, lo sguardo di William da assente, si rianimò un poco.
La sua mente si stava svuotando: finalmente, era libero da quel dolore.

Per merito suo, di quella shinigami. 

I loro sguardi erano persi inevitabilmente nella persona che avevano di fronte.

Quello di William in quello di Jane.

Quello di Jane in quello di William. 

Le mani della giovane donna, dal viso dello shinigami si abbassarono lentamente lungo il collo, fino ad arrivare alla sua base, per poi spostarsi sulle ampie spalle di lui.
Le mani di quest’ultimo, che si erano ritrovate sui fianchi della ragazza, si spostarono sulla schiena per cingerle la vita.
Poi, una certezza si fece largo nel loro cuore.
Simultaneamente, ebbero una visione.
Questa volta dolce, senza dolore.


Due ragazzini.
Si fissavano negli occhi.


Lui aveva un espressione ombrosa in volto, gli occhi smeraldo freddi, di chi non ha nulla all’infuori di sé stesso, che ha perso tutto e tutti, anche le sue stesse emozioni.
Lo sguardo era duro, la sua aurea era glaciale e distaccata.
Aveva corti capelli castano scuro scompigliati sulla testa. 


Lei aveva capelli castano rossiccio, mossi, che le arrivavano fino alla base del collo.
L’espressione era seria e gli occhi gialli, indugiavano curiosi ma allo stesso tempo attenti sulla figura della persona che aveva di fronte.
La sua aurea era forte e decisa, anche se in quel momento era totalmente assorta a studiare quell’ospite inatteso. 


“Piacere… Piacere di conoscerti: a quanto pare resterai qui per molto tempo, fino a che non ti sarai rimesso, almeno” .
Il ragazzino annuì, fissandola con quegli occhi che facevano gelare il sangue nelle vene .
“Piacere ricambiato, milady” disse lui, inchinandosi lievemente.

Si studiarono ancora.
“Voi due avete intenzione guardarvi ancora per molto? Sembra quasi che vi stiate per prendere a botte… Avanti, presentatevi come si deve” esclamò un uomo.
Il silenzio dominò ancora qualche istante.
Stufo di tutto ciò,  l’adulto parlò “Bene ragazzino, ora ti svelerò un paio di cosette, visto che dovrai stare qui per un bel pezzo… Ih ih ih …” .
Quella risatina isterica fece innervosire il più giovane, che però si astenne dall’esternare il nervosismo.
“Io sono una persona importante, hai mai sentito parlare di shinigami leggendario? Ecco, io sono uno di loro… Capito? E lei ” proseguì il più anziano appoggiando le mani sulle spalle esili della ragazzina “E' mia figlia, Jane… Avanti, dì il tuo nome, se vuoi sapere altro”.
Il ragazzino sollevò gli occhi su di lui e disse, con voce atona, ma al contempo seria e dura “Io sono William T. Spears”.
L’altro ghignò.
“Bene, io invece mi chiamo…” un rombo di tuono squarciò l’aria “…Undertaker”.

“Posso chiamarti Will?”
“No”.


I due ragazzini camminavano per il prato della residenza, diretti alle scuderie.
“Che noia, William è troppo lungo, e ti fa troppo serio… Insomma, sei peggio di un iceberg… Posso chiamarti mister ghiacciolo allora? General inverno?”
“Assolutamente no, smettila di dire cavolate”
“Uffa, come vuoi William T. Spears” la bambina si arrese.

Quel bambino che aveva di fianco era peggio di un pupazzo di neve, però, doveva ammetterlo, aveva un carisma tutto suo.


“Questo è Joey” disse, indicando il puledrino scuro che scorrazzava “Il tuo cavallo”. 
 




*Il pattern è il colore del mantello del cavallo, per chi non lo sapesse

 

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Capitolo 6
*** Capitolo sei: Verità nascoste, passato oscuro, ricordi bruciati ***


Salve a tutti! Vi informo che fino  sabato/domenica non potrò più aggiornare perché, causa forze maggiori, dovrò passare un po' di tempo fra prati e cavalli senza connessioni internet. Fatemi sapere quello che pensate con una piccola recensione, se vi va :) 
Alla prossima!

Quando i due giovani si ripresero completamente dalla visione e si ritrovarono semi-abbracciati arrossirono.
Mentre Jane era leggermente rossa, Will era vagamente roseo, per cui non appariva tanto imbarazzato, come invece era.

Eppure, non si decidevano a muoversi.

Loro si conoscevano, ed il padre della ragazza era lui.
Lo shinigami non poteva crederci: chi era quella povera disgraziata che si era condannata a sopportare quel becchino? Una donna attraente, visto il fascino della figlia.

Rimosse questo ultimo pensiero.

“Ehm…” entrambi distolsero lo sguardo e la ragazza chinò un poco la testa, voltandosi verso la sua sinistra, per non tornare a perdersi nei lineamenti del giovane.
Il cavallo dietro di loro sembrò sbuffare scocciato, mentre pestava uno zoccolo a terra.
Poi, con una strana espressione maliziosa (per quanto possa sembrare malizioso un cavallo) spinse l’imponente testa contro la schiena di Jane, che andò inevitabilmente fra le braccia di Will.

Poteva sentire il suo cuore battere, i pettorali irrigidirsi e le sue braccia che, timidamente, la circondavano.

Will lanciò un’ occhiataccia a Joey, che rispose nitrendo piano. Assomigliava ad una risata.

Anzi, potenzialmente, lo era di sicuro.

L’hunter avvertì nelle narici il profumo di quei capelli, così morbidi da sembrare seta appena filata.

Poi, tutt’ad un tratto, una voce brusca rovinò tutto.

“Spears! Jane!” i due si riscossero, la ragazza saltò in piedi mentre William (per quanto rientrava nelle sue possibilità) tentò di alzarsi nel modo più veloce possibile.
Dall’angolo della casa sbucò Undertaker, avvolto nella sua solita tunica e con il suo bizzarro cappello nero calcato sui capelli cinerei.

Cinerei…

Si sforzò di non pensare più a quelle visioni e di non pensare più nemmeno alla persona che aveva di fianco.
Che imbarazzo.
Odiava sentirsi così indifeso.
Lo disgustava sapere di avere dei punti deboli.
Lo disgustava ancora di più non sapere nulla del suo passato e di sé stesso.

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Undertaker scrutava la magione dall’alto del tetto. Scrutava la sua magione.

Osservava sua figlia che portava a fare un giretto Spears. L’aveva salvato per miracolo.

Di nuovo.

E così, il grande demone aveva sbagliato mira.

Ancora.

Sì, aveva sbagliato mira solo due volte nella sua lunga carriera. Doveva farsi un corso d’aggiornamento in campo di medicina, se voleva capire che il cuore è un pelo più a sinistra.
E un corso di sviluppo mentale, se voleva capire che gli occhiali degli shinigami sono resistenti e non permettono all’avversario di colpire gli occhi di uno della sua razza con uno schiocco di dita.
Inutile, sbuffò.
Per fortuna non ha ancora capito queste cose. Se quel demonio avesse ucciso William, niente avrebbe più avuto senso. Doveva addestrarlo e proteggerlo per un po’. Sua figlia l’avrebbe aiutato.
Già… Ma solo ad una condizione: non doveva in nessun modo legare con il ragazzo, sarebbe stato un guaio.
Purtroppo però, stavano scoprendo la verità. Riscoprendo il passato.
Loro due erano conoscenti, si disse, per non dire amici affezionati. Ecco, l’aveva detto, ma allora era proprio stupido, a volte.
Il giovane shinigami era già stato lì, da piccolo. Ma non ricordava più niente di quando aveva conosciuto Jane. E Jane, dal canto suo, non pensava di aver mai conosciuto William.

Almeno, fino a prima.

Se lo ricordava bene, lui: i due ragazzi, durante l’apprendistato di Will, si trovavano sempre lì, sotto a quel ciliegio, seduti sul dondolo, con i puledrini che pascolavano. Parlavano, si allenavano, ridevano… Insieme. Poi, più grandi avevano iniziato a sorridersi, qualche volta. Infine, Per il ragazzo era venuta l’ora di essere spedito in accademia. Undertaker ricordava benissimo quel settembre.




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Faceva un freddo pungente, l’aria era gelida.
William attendeva il maestro e Jane, sulle soglie del cancello grigio, con i bagagli in mano, gli occhiali calcati sul viso.

Adorava il freddo.

Forse perché lo rispecchiava.
Il suo cavallo era lì al suo fianco, come sempre: non era molto dell’idea di partire, e ciò lo rendeva piuttosto nervoso, però, ormai, era giunto il momento di lasciare il nido.
Jane gli arrivò incontro: una figura minuta avvolta in un soprabito beige. Lei lo avrebbe raggiunto l’anno successivo.
“Papà è stato chiamato per una missione… Ha detto di salutarti e di augurarti in bocca al lupo… Mal che vada, ha già preso le misure: ti costruirà una bara coi fiocchi…” Will sorrise, al pensiero del becchino che riferiva i suoi frettolosi saluti alla figlia.
Poi lo sguardo si posò di nuovo sulla ragazza.
“William… Ecco, io volevo dirti che, insomma… Stare alla villa non sarà più la stessa cosa senza te” disse con un sospiro Jane.
Will sorrise dolcemente “Dai, non essere così triste… Dopotutto, ci sono le vacanze ed i giorni in cui puoi venirmi a trovare…” “Io… Io non lo so perché, ma ho un’angosciante sensazione che non ti rivedrò più, che mi dimenticherò di te se te ne andrai via!!” urlò, mentre alcune lacrime le solcavano il viso.
Spears la fissava sgomento: ma che le era preso?
Non l’aveva mai vista in quello stato.
Subito dopo si sentì un po’ in imbarazzo ed intenerito, così  l’abbracciò timidamente, mentre il viso della ragazza sprofondava nel caldo tessuto della sua giacca marrone.
“Q… Qual… Qualunque co… Cosa succeda… Noi… Noi non… Non ci dimenticheremo mai!” disse, balbettando.

Balbettando?!
Ma da quando il freddo, calcolatore ed impassibile William T. Spears balbettava?

Si staccarono.
“Tieni, questo è per te” gli disse Jane, mentre gli dava un cofanetto contenente una collana.
“Consideralo un regalo… Sì, insomma... Non so perché ma un giorno papà me lo ha dato, e ha detto di… Cavolo, ha detto che quella collana l’avresti potuta indossare tu e nessun altro, poi ha aggiunto che te l’avrei data al momento opportuno”.
La catenina era di un materiale resistentissimo, una specie di tessuto nero.
Il ciondolo era un drago d’argento finemente elaborato: l’occhio in smeraldo, gli artigli e le zanne in diamante puro.
Si attorcigliava attorno ad una lancia argento dalla punta affilata in diamante.
A Will sembrò di averla già vista, da qualche parte, ma non diede troppa importanza alla cosa.
“Grazie…” sussurrò “è bellissima”.
La ragazza arrossì un poco, ma, grazie al suo ferreo autocontrollo, la cosa non si mostrò, idem per il ragazzo.
“Allora… Vedi di far carriera, mi raccomando: non farti mettere i piedi in testa, non farti passare per un secchione senza speranze, vinci tanti concorsi con Joey, sii forte, attento ai bulli e teppistelli, non farti fuorviare, ricordati di me, di noi e non fare lo stupido con le solite ed immancabili ochette della scuola!” elencò frettolosamente la figlia di Undertaker, contando il tutto sulle dita.
Successivamente si era accorta delle ultime stupide cose che doveva tenersi per sé: non fare lo stupido con le solite ed immancabili ochette della scuola.

Ma questa volta entrambi avvamparono per un’altra frase: ricordati di me, di noi…

Di me... Di noi...

William si sentì strano, come svegliato di colpo, come se la realtà gli si presentasse per quello che era solo adesso.
Il suo viso si scurì, tornò quell’espressione ombrosa di sempre. Una tristezza ed una strana consapevolezza lo raggiunse come uno schiaffo: ora, non sapeva perché, condivideva le preoccupazioni dell’amica, uno strano amaro gli salì in gola.
I due adolescenti si fissarono intensamente: lui doveva andare, anche se, più guardava gli occhi lucidi di Jane, più gli veniva voglia di restare.
Fu lei, questa volta ad abbracciarlo.
Si strinsero fortissimo, affondando il viso nei vestiti/capelli dell’altro/a.
Non dimenticarmi Will, ti prego, non farlo…” singhiozzò.
I loro visi erano vicinissimi e William le rivolse le ultime parole sussurrandogliele sulle labbra .
“Non lo farò mai, te lo giuro… Ti voglio bene”.
Erano così tremendamente vicini, le labbra di lui erano così morbide e delicate: perché indugiava?
Il cocchiere era già pronto e fischiò, prendendo Joey, che si era messo in disparte più in là, per le briglie.
Mentre il ragazzo le accarezzava la base del collo Jane prese coraggio: si alzò in punta di piedi e fece scorrere le proprie labbra su quelle di William, per poi posargli un lieve bacio sull’angolo di quest'ultime.
Si osservarono un’ultima volta: uno sguardo valeva più di mille parole.
Avevano imparato a comprendersi.
“Addio…” sussurrò la ragazza, mentre lui le asciugava le lacrime.
“Ciao…” mormorò lo shinigami, prima di voltarsi e caricare i bagagli sulla carrozza, dove Bartholomew lo aspettava con sguardo triste e spento: tutti avrebbero sentito la mancanza di quel freddo ragazzo, perfino il lupo da guardia, Wayne.
Will montò su Joey, mentre il cocchiere faceva schioccare la frusta.
Il primo si girò un’ultima volta, sorridendo tristemente e sistemandosi gli occhiali sul naso dritto.
Poi mandò un bacio all’amica e si voltò, stavolta senza girarsi.

“Ricordati di me, William…” sussurrò al vento, Jane, prima che la sua figura sparì oltre la sua vista.

Un’ombra nera scattò, saltando via dal tetto: ora poteva agire liberamente.
Aveva visto quei due: no, non andava bene, doveva farlo subito, il lavoro sporco: doveva cancellargliela dalla mente.
Si appostò ai lati del bosco, come un brigante: fare cadere il cavallo e il cavaliere, stordire leggermente il vecchio Bart, e, infine, cancellare ogni suo ricordo della ragazza dalla sua testa.
Il manico della sua falce picchiò sulle ginocchia della bestia che cadde, mentre veloce, con un colpo dietro la nuca, faceva svenire il cocchiere. Mentre Will si stava per mettere seduto, l’aggressore gli piombò in ginocchio sul petto, costringendolo a terra.

“Mi dispiace, ma devo farlo, per il suo bene… Per il vostro bene… Dimenticati di lei, cancellala dalla tua mente”

Così fu.

Vedendo il ciondolo appeso al suo collo glielo strappò.
A lavoro finito, lasciò il ragazzo a terra, svenuto, e scappò prima che potesse rinvenire: era fatta, aveva eliminato tutto.
Poi avrebbe pensato ai servi.
Infine, avrebbe pensato a sua figlia.
Jane guardava fuori dalla finestra della biblioteca , sconsolata: era appena andato via, e già gli mancava.
Sospirò: faceva freddo, piovigginava leggermente, nulla di cui preoccuparsi.
Prese un libro a caso:  “Romeo e Giulietta”.
Shakespeare.
Lo osservò, strizzò gli occhi per non piangere e lo appoggiò sulla scrivania.
Erano i suoi preferiti.
Ne prese un altro.
Un altro e un altro ancora.
Shakespeare.
Shakespeare.
Shakespeare.  
“Uffa! Ma che diavolo!” strillò, con voce incrinata.
Li rimise a posto, accarezzandone la copertina, ricordando tutte le volte che lui leggeva quei libri per ore e ore, e lei lo stuzzicava.
Lui freddo, lei calda. Come le sue lacrime.
Sentì bussare e si ricompose più in fretta che poté. “Posso?” “Ah, ciao papà, già di ritorno?” “Sì, infondo non era nulla di così importante come credevo…”. Si sedette sul divanetto che faceva da davanzale alla finestra, accanto alla figlia.
“Era ora che andasse, l’anno prossimo toccherà anche a te, dovete crescere, non si può sempre restare qui… Vedrai, lo dimenticherai” “NO! IO GLIEL’HO PROMESSO E LUI HA RICAMBIATO IL PATTO! NON CI DIMENTICHEREMO MAI! MAI!” ammutolì di botto: non aveva mai urlato contro suo padre.
“Mi dispiace molto, Jane, ma devo farlo. Per proteggerti, per proteggervi. L’amore porta solo guai”
“Ma chi ha detto che lo amo?” disse, imporporandosi appena “Per me è come un fratello, l’unico amico che ho avuto, mi è stato al fianco quando è arrivato, dopo che mamma è morta!”.
Undertaker era visibilmente seccato “Lasciati il passato alle spalle, così come quel ragazzo: fa parte di un disegno, e se lo seguirai ti arrecherà solo morte e dolore… Mi dispiace doverlo fare, bambina mia, ma ora è necessario… Dimenticalo”.

Detto questo, Jane non capì più nulla: vide tutti i momenti che aveva passato con l’amico, allungò la mano per sfiorare quelle immagini, anche se erano inconsistenti. Momenti magici ed importanti. Momenti che avrebbe custodito nel suo cuore. Momenti che in quello stesso istante, venivano brutalmente cancellati.


Undertaker riaprì gli occhi: si era stufato di restarsene appollaiato sul tetto della villa, e si era tufato di vedere sua figlia fra le braccia di quell’impiegato.
Ormai, avevano scoperto di essersi conosciuti, e poi, era ora di cena.
“E' ora di cenare! Oh, ciao Joey: ritorna al tuo posto”  poi si accostò alla figlia e le passò un braccio intorno alle spalle portandola (o meglio, trascinandola) con sé, mentre il cavallo, esitante, guardava con i suoi occhioni espressivi il suo padrone.
William, si girò verso di lui, e gli passò dolcemente la mano sul muso.
Il cavallo si avvicinò nitrendo e gli si strinse contro, mettendogli il muso dietro la spalla*, mentre Will lo abbracciava e gli strofinava le spalle con vigore ”Mi sei mancato tanto, amico mio… Come hai fatto a ritrovarti qui? Non importa… Ubbidisci, ci troviamo dopo”. 
Will si affrettò a raggiungere gli altri due. 




*Avete presente la scena finale di Spirit, quando il cavallo e l’indiano si abbracciano prima che il mustang ritorni al branco con Pioggia? Ecco, immaginate lo stesso abbraccio fra Will e Joey.
 

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Capitolo 7
*** Lite, risposte negate, predica: qual è la verità? ***


Salve a tutti! So di essere mancata solamente ai piccoli cactus sostanti sulla mensola sopra il pc, ma sono tornata dalla "vacanza" fra prati e cavalli più intraprendente di prima! In sintesi, son qui a rompervi ennesimamente le scatole postando un altro capitolo. 
Vi chiedo cortesemente di venirmi incontro: avrei bisogno dei vostri pareri per poter modificare la storia! Senza di voi, non riesco a capire se vi piace, se la ritenete uno schifo scarabocchiato (data la mia inesperienza dovrebbe essere tale), se è piena di errore o ha qualche cosa che non va. 
Se volete lasciare qualche recensioncina, renderete felice una povera scarabocchiatrice! Ed ora, vi lascio alla lettura! Buonanotte a tutti, lettori e recensori! :)


Appena entrò nel familiare salone da pranzo Hylda lo guardò di sottecchi: sollevando un sopracciglio gli rivolse un rapido sorriso che sapeva tanto di malizia e gli fece l’occhiolino.
Il suo superiore, di rimando, inarcò un sopracciglio e la guardò come se fosse un tantino… Strana, diciamo(per non dire fuori come un balcone).

Lei gli fece un altro sorrisino e, per una frazione di secondo, spostò lo sguardo sulla ragazza al fianco di Undertaker.

Ognuno si sedette ai propri posti: il “padrone di casa” ovvero il becchino, a capotavola, la figli alla destra e William di fronte a lei, con la segretaria al fianco. 
Nella stanza c’era uno strano silenzio: Spears stava pensando alla sua infanzia trascorsa lì.
Quando era bambino, la villa non era così lussuosa e all’avanguardia: il giardino era spoglio, non si ricordava delle strutture scuderia/selleria.
Era certo che al loro posto ci fosse un enorme stalla con uno stanzino a parte dove tenere l’attrezzatura per la monta.
Insomma: ai suoi tempi non c’erano nemmeno i vialetti con la ghiaietta bianca, e forse iniziava a sospettare, dopo aver scavato a fondo nella propria memoria, che quel complesso ippico era appena in costruzione quando lui andò all’accademia.

“Cavolo, mi sento spaesato, qui è cambiato tutto dall’ultima volta che ci sono stato… Odio sentirmi così, devo riesplorare il tutto… Ma ora come ora non ne ho la forza: maledetto cagnaccio infernale, giuro sul mio orgoglio che quando ci re incontreremo ti rispedirò a calci nel sedere fino alle porte degli inferi!”. 

Mentre si accigliava su quest’ultimo pensiero, Undertaker prese la parola. 

“William”. 

L’interessato alzò lo sguardo dalle polpette immerse nel sugo e lo puntò negli occhi dell’interlocutore.
“Appena ti sarai ristabilito, inizierai ad allenarti. Non avrai alcun collegamento con l’esterno, abbiamo già provveduto a prelevare da casa tua tutto ciò che ti sarà necessario per la tua permanenza: se mai avrai bisogno di qualcosa, andremo nei dintorni, almeno nessuno ti conosce, poi…”
Will iniziava ad irritarsi.
“Ma si può sapere cos’è questa storia della segretezza sul mio conto? Non capisco niente, non sono un ricercato, esigo alcuni piccoli chiarimenti” disse a denti stretti, alzando un pochino la voce ma sforzandosi di mantenere un certo contegno: quella situazione lo innervosiva più di Sutcliff. Maledizione.
Undertaker lo squadrò, alquanto seccato di essere stato interrotto.
Jane gli lanciò uno sguardo di ammonimento: non fare domande, saprai tutto a tempo debito.
Le stesse parole che il becchino gli rivolse subito dopo, facendo infuriare ancora di più lo shinigami in nero.
“Sei stato portato qui per uno scopo ben preciso, cioè guarire ed allenarti” “Ma va? Ma perché mi devo allenare, perché devo restarmene chiuso qui e non posso andarmene in ufficio?”.
La ragazza che aveva di fronte iniziò a sentire la rabbia che le montava dentro e si sporse verso Will.
“Apri bene le orecchie: a meno che tu non vogli farti infilzare come uno spiedino da quel demone, stai zitto ed esegui gli ordini”
“Ehi, qui si sta parlando di me, voglio sapere cosa sta accadendo, aver perso un duello contro quel demone non vuol dire che sia talmente forte da non poter essere spedito all’inferno a calci!” “Ah, parli proprio tu che ti stavi facendo ammazzare!” “è stato un piccolo incidente, ma quanto credi di sapere su ciò che mi è successo? Non eri lì, non puoi sapere nulla!” “Ehi, guarda che io so molto più di quanto credi amico mio, e ti assicuro che, così come sei, non saresti in grado di battere un demonio neonato a braccio di ferro!” ”Sì, come no, e adesso mi dirai che conosci pure il demone” “Potrei sapere qualcosa in più di te, credimi, sei ancora un ignorante, specialmente sul campo di battaglia” “Non è colpa mia se sono perseguitato da delle orrende visioni che comportano:  una radura che brucia, il sangue che inzacchera tutto, l’orrenda morte della madre di un ragazzino, la morte di un cavallo nero, una specie di ombra assassina che strappa quasi la gamba al padre del bambino, mentre a quest’ultimo successivamente viene lacerato il viso e trafitto il cuore!”.

Silenzio.

Un silenzio improvviso, di ghiaccio. 


“… Un uomo dai capelli grigi e una giovane donna con i capelli bianchi e la divisa del Dispatch…Che teneva fra le braccia… Prima la madre e poi… Il bambino” mormorò William, fissando prima Jane, per poi passare ad Undertaker ed infine posare lo sguardo sulla sua segretaria.

La prima si ritirò, allontanandosi dal viso del ragazzo fino a risedersi, mentre suo padre rispondeva con uno sguardo serio e severo.
I due non battevano ciglio.  
La Cavendisch aveva incurvato la schiena, gli occhi oscurati dalla frangia candida.
“Dimenticati…” sibilò.
“Dimenticati di quello che hai visto fin ora bambino, te ne ricorderai quando servirà…” ringhiò rabbiosamente la donna.
In poco tempo, il pranzo fu consumato.
Hylda andò in camera sua a riposare prima di ripartire. Avrebbe preso lei le redini del comando in ufficio.
“Andiamo bene” aveva commentato fra sé il suo superiore.
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Lo shinigami leggendario era girato di spalle e scrutava fuori dalla finestra, imperscrutabile.
Jane aveva riservato per William uno sguardo penetrante prima di imboccare le scale.
Per quanto riguarda il giovane supervisore, lui si limitò a restare chino al suo posto, con un’espressione indecifrabile in viso.
Poi, corrugò la fronte e parve solo in quel momento far intravedere parte della frustrazione che provava: lasciato all’oscuro di tutto, ferito e con un milione di ombre che avvolgevano il suo passato, una ventina (ma anche un centinaio) di domande senza risposta, incubi terribili, un becchino snervante che si era messo a fare il misterioso, in combutta con la sua segretaria e sua figlia per non fargli scoprire niente… Inoltre gli aveva aizzato contro quest’ultima, facendoli litigare.
Ah, giusto: meno di un quarto d’ora prima l’aveva abbracciata e aveva scoperto che erano pure stati amici, che si conoscevano.
Ma che diavolo, lui non se la ricordava, non ricordava nulla di quando era piccolo, dei suoi genitori, della sua infanzia! Non aveva mai conosciuta Jane, ne era sicuro!
“Basta” si disse a bassa voce, dopodiché si alzò, erigendosi in tutta la sua altezza.
Rifilò ad Undertaker un’occhiata fredda e distaccata.
O meglio: la rivolse alla sua schiena, visto che si ostinava a restare voltato verso la finestra.
Ma tanto Will lo sapeva: il suo sen-sei aveva captato il suo sguardo, a volte sembrava che avesse gli occhi anche sulla schiena.
“Come mai tutto questo odio, William? Non ti ho mai trattato in questo modo, ti ho sempre considerato come un… Figlio adottivo, diciamo”.
Si girò lentamente, fino a trovarsi faccia a faccia con il suo allievo.
Si scostò la frangia dal volto, scoprendo gli occhi gialli: gli stessi della figlia, solo che lei aveva una tonalità… Più… Come dire… Dorata, ecco.
William si aggiustò gli occhiali sul naso, senza abbassare lo sguardo.
“Una volta li abbassavi più facilmente gli occhi, ora invece sei pieno d’orgoglio, non vuoi cedere… Ma forse lo sei sempre stato, e non mi ricordavo di questo tuo particolare… Eh sì, voi giovani quando crescete, quando vi spunta un pelo in più sulla faccia vi credete già grandi, vero?”
Will tacque.
“Se mi comporto così, è per il tuo bene. Per la tua sicurezza, credimi… E la nostra” lo shinigami leggendario lo osservò, studiando quei lineamenti che aveva imparato a conoscere ed apprezzare.
“Lo so, tu pensi di non essere più un bambino, di non avere bisogno di niente e di nessuno, di essere perfetto ed efficiente ma…” “Perché non mi ha detto di lei?” “Lei chi?” “Di sua figlia, di Jane: non sapevo che lei avesse una figlia, eppure ho passato una vita, qui”.

Silenzio. 

Teso. Molto teso. 

“Perché lei ha passato la sua infanzia da sua madre, ed io non volevo che…” “Balle” “Come prego?”

William si affrettò a ricomporre il suo self control: gli era scappata una parola non molto galante.
“Non menta, non è mai stato troppo bravo a farlo”.

Ancora silenzio. 

“Io la conoscevo, io e lei siamo cresciuti insieme in qualche modo, ma poi, prima che io lasciassi questo posto, qualcosa ha fatto si che lei si dimenticasse di me, e che io mi dimenticassi di lei. Perché?”.

Perché… 

“Perché lei sarebbe stata in pericolo con te, e lo è ancora adesso. Ora vattene, riposati e lasca che il sonno ti lenisca le ferite. Devono cicatrizzare” dettò questo si rigirò.

“… E poi… L’amore fa male, porta solo guai, William…” mormorò fra sé e sé, mentre scrutava il suo protetto che saliva le scale ed imboccava l’oscuro corridoio che l’avrebbe portato alla sua stanza.
Ritornò a fissare fuori dalla finestra.
L’autunno era alle porte. 
Dalla finestra aperta a ribalta entrò un fastidioso odore di fumo.

Il passato lo investì come uno schiaffo improvviso

Faceva freddo quella notte.
Tanto freddo.
Per lo meno, è quello che i presenti sentivano. Era stata una battaglia durissima, nessuno si sarebbe immaginato un assalto di quella violenza, nemmeno da parte delle tenebre: dopotutto, anche in guerra ci sono dei codici da rispettare.

Ah, giusto: qui si parlava di demoni.

“Dobbiamo farlo amico mio, non posso permettere che mio figlio muoia” “Ascolta, ragiona: non può farcela, lo scoveranno prima o poi, ed il minimo che gli possano fare è scuoiarlo vivo! Tu invece sei preparato a tutto, sei un grande guerriero, sei uno shinigami leggendario! Come me! Non possiamo permetterci che tu muoia!”  l’altro lo scrutò, severo e triste.
“È mio figlio, anche tu faresti la stessa cosa per la tua, nevvero?“
l’interlocutore tacque un istante.
“Ascolta: sono sicuro che il mio bambino diventerà un grade uomo, uno degli shinigami che contribuiranno a formare la nostra storia. Lui è sangue del mio sangue: sarà uno shinigami leggendario… Anzi: già lo è”
“D’accordo, lo è solo per ereditarietà… Ma che diavolo sto dicendo: non che non lo è già, i leggendari non si eleggono in base al sangue!” “Ma lui è LUI! Lo shinigami della profezia… Guardami: non sono io! Deve distruggere quel demone, nessun altro può farlo se non lui… Nemmeno tu potresti ucciderlo, guarda in faccia la realtà! Fidati di me!”

“… D’accordo…” 

l’uomo dai capelli cinerei si chinò sul viso del ragazzino, esaminando attentamente le ferite.
Il piccolo respirava a fatica ed in modo irregolare: il viso era ricoperto di sangue fresco e giovane, gli occhi erano spasmodicamente chiusi.
Già il volto innocente inondato di quella viscosa sostanza scarlatta non era un bello spettacolo, con quei tre squarci, figuriamoci se avesse pure aperto gli occhi.
Qualcosa lo induceva a pensare che forse i bulbi oculari fossero ridotti a brandelli.
Gli aprì una palpebra: la situazione era grave, ma non come pensava, dopotutto.

Se ne stava andando.

Stava per morire. 

Ironico, un ironia sadica e malsana: fra pochi minuti sarebbe scoccata l’ora in cui il giovanissimo ferito era nato.

In quella stessa ora ci stava per morire. 

Si voltò verso la scena alle sue spalle: quella povera ragazza era traumatizzata.
Tremava, era ricoperta di schizzi di sangue: faceva pietà.
Quasi tanta quanta ne suscitava la donna che aveva fra le braccia, ormai morta da un pezzo.
Attingendo la forza necessaria per alzarsi, la giovane posò delicatamente la  donna sul terreno secco e bruciacchiato, per poi dirigersi verso il bambino in fin di vita.
Si chinò su di lui, piangendo qualche lacrima. Poi, lo abbracciò, mormorando qualcosa, mentre il grigio distoglieva lo sguardo e si girava verso l’amico.
Spirò un vento freddo, tipico di quel mese: febbraio, uno dei mesi più freddi dell’anno, anche se, a dirla tutta, quel giorno, per una volta sembrava una limpida giornata di settembre.
Incredibile, in un secondo, tutto si era tinto di scarlatto, come il sangue innocente che era stato versato.
Il suo amico era distrutto: sua moglie, il suo cavallo, la sua casa, la sua vita.
Ora, stava perdendo anche suo figlio.

Che ingiustizia. 

Ragionò su quello che gli aveva appena scongiurato di fare: lo fissava in quegli occhi verdi, che ardevano di una tenacia inaudita.
Si slegò il pugnale dalla vita e lo afferrò, sollevandolo sopra il palmo nudo della sua mano. Con uno scatto felino, se lo passò sulla mano, dove si aprì un lungo graffio orizzontale.
L’uomo dai capelli castano sorrise tristemente: ”Questa è l’ultima volta che lo facciamo, vero? Mi mancherà tutto, ma devo seguire il mio destino… E far si che mio figlio viva la sua vita”.
Detto questo, spostando tutto il peso sulla gamba buona, afferrò fulmineo il pugnale che gli veniva lanciato, ripetendo il gesto che aveva fatto il compare.
Dopodiché, con il sangue che colava dalla mano, misero le mani ferite palmo contro palmo, facendo combaciare gli squarci, mischiando il proprio sangue con quello dell’altro.
“Giura, sul tuo sangue e sulla tua vita, che manterrai per sempre fede al giuramento che stai per fare, rispettando tutte le condizioni imposte” pronunciò solennemente il castano. 

“lo giuro” rispose serio l’altro.

Mentre il primo stava per aprire la bocca per parlare, entrambi sentirono un grido e si voltarono.
La ragazza dai capelli bianchi aveva le mani sul petto del ragazzino, che annaspava in cerca d’aria, mentre le sue lacrime si mescolavano al sangue che gli sgorgava in continuazione.

“Presto! Presto! Non posso lasciarlo morire! Lui è l’unica speranza! Io cosa potrò fare, senza una gamba?! Spiegamelo?! Meglio così, credimi… Mi mancherai, amico mio… Fratello, anche se non abbiamo sangue in comune: ora, devo salvare mio figlio… Vivrò per sempre in lui”.

Il bambino avvertiva poche cose e sensazioni.
Dolore.
Sangue.
Morte.
Paura.
Sentiva il liquido vitale colargli dagli occhi, fuoriuscire dal petto a fiotti.
Sentiva il caldo di quella sostanza ed il freddo della morte.
Stava andando in arresto cardiaco, lo sentiva. Una forza gli opprimeva il petto, annaspava in cerca di aria, non riusciva a respirare.
Si rese conto di essere cieco, di avere gli occhi completamente lacerati.
Stava per morire.

“Addio fratello… Avrò cura di lui” era la voce dell’uomo dai capelli grigi.
Il padre, con l’aiuto dell’amico, aveva tracciato dei simboli specifici sulle mani, sul cuore e sul viso.
Il secondo si avvicinò alla piccola vittima e disegnò gli stessi simboli sul corpo di quest’ultimo.
Poi, una calda luce avvolse tutto.
All’’improvviso, il ragazzino sentì un senso di beneficio sulle ferite.
Gli occhi si stavano ricostruendo, il petto si stava rimarginando. Sentì ancora la voce del padre che parlava con l’amico
“Ti prego… lo alleverai come avrei fatto io… Insegnagli i trucchi del mestiere… I miei, trucchi del mestiere e proteggilo… Fa si che nulla lo possa far soffrire più di quanto… Non abbia sofferto…” “Per i suoi occhi non possiamo far nulla più di così…” “Sì, lo so… Non potremo più chiamarlo occhio di falco” il bambino sentì che il padre si stava chinando su di lui e percepì chiaramente una lacrima solcargli il viso.
“Addio, figlio mio: ti ho sempre amato e protetto e continuerò a farlo… Un giorno… Ricordati chi sei…”.
Poi si voltò verso il compagno, che ora lo teneva fra le braccia.

“Addio… Undertaker” .

Silenzio.

Anche lui era morto, ma aveva salvato suo figlio.
Sembrava sorridere, adesso, fra le braccia del mancato fratello. 


“… Anche io avrei fatto lo stesso per mia figlia, sappilo…”. 

Prese il piccolo in braccio e la ragazza lo seguì.
Arrivarono davanti ad un enorme magione, ma prima di varcare la soglia del cancello,  Undertaker si arrestò.
“Datti una ripulita senza farti vedere da mia figlia, assicurati che dorma, e se così non fosse tienila occupata in camera, raccontale una fiaba oppure fate quelle stranezze che fanno le femmine fra di loro, io devo curare il ragazzo, non morirà, per ora, ma non è salutare lasciarlo in questo stato pietoso” disse senza voltarsi.
La giovane donna annuì in silenzio e poi corse a svolgere il suo compito.
“Non ricorderai più nulla, saresti in pericolo se sapessi il segreto dentro di te... Preparati a non sapere più chi sei… Ti taglierò il cinematic record… Tanto non farai domande… Ci vediamo quando ti svegli, ragazzino”. 

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Un altro ricordo.

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Sua figlia si era alzata, aveva finito di fare colazione, si era riassettata, cambiata d’abito ed ora seguiva il suo papà, che la conduceva dal “nuovo coinquilino”.
Si fermò sulla soglia lasciando che la bambina lo precedesse, fino a che lei non si trovò di fronte al misterioso ospite.
Faceva freddo, la pioggia stava per arrivare, ed il vento sferzava gli alberi. Si vedeva qualche lampo, ma nulla di cui preoccuparsi.
Osservò la scena, in silenzio.
Due ragazzini.
Si fissavano negli occhi.
Lui aveva un espressione ombrosa in volto, gli occhi smeraldo freddi, di chi non ha nulla all’infuori di sé stesso, che ha perso tutto e tutti anche le sue stesse emozioni.
Lo sguardo era duro, la sua aurea era glaciale e distaccata.
Aveva corti capelli castano scuro scompigliati sulla testa.
Lei, aveva capelli castano rossiccio, lisci, che le arrivavano fino alla base del collo.
L’espressione era seria e gli occhi gialli indugiavano curiosi ma allo stesso tempo attenti sulla figura della persona che aveva di fronte.
La sua aurea, però, era forte e decisa, anche se in quel momento, era totalmente assorta a studiare quell’ospite inatteso.
“Piacere… Piacere di conoscerti, a quanto pare, resterai qui per molto tempo, fino a che non ti sarai rimesso almeno” il ragazzino annuì, fissandola con quegli occhi che facevano gelare il sangue nelle vene e nelle arterie della gente “Piacere ricambiato, milady” disse lui, inchinandosi lievemente.
Si studiarono ancora.
“Voi due avete intenzione guardarvi ancora per molto? Sembra quasi che vi stiate per prendere a botte… Avanti, presentatevi come si deve” esclamò un uomo.
Il silenzio dominò ancora qualche istante. Stufo di tutto ciò,  l’adulto parlò “Bene ragazzino, ora ti svelerò un paio di cosette, visto che dovrai stare qui per un bel pezzo… Ih ih ih …”  quella risatina isterica fece innervosire il più giovane, che però si astenne dall’esternare il nervosismo.
“Io sono una persona importante, hai mai sentito parlare di shinigami leggendario? Ecco, io sono uno di loro… Capito? E lei ” proseguì il più anziano appoggiando le mani sulle spalle esili della ragazzina “È mia figlia, Jane… Avanti, dì il tuo nome, se vuoi sapere altro”.
Il ragazzino sollevò gli occhi su di lui e disse, con voce atona, ma al contempo seria e dura “Io sono William T. Spears”

l’altro ghignò.
“Bene, io invece mi chiamo…” un rombo di tuono squarciò l’aria “…Undertaker”. 


La sera dopo, Undertaker portò William sulla collina poco distante dalla casa, sopra la quale c’era un enorme cipresso: un gigante scuro nell’ombra della sera.
“Non hai nulla ragazzo mio, che vuoi fare? Andartene in città, farti mettere in uno di quei collegi dove ti incarcerano come un fuorilegge, o accetti la mia proposta? Per il mondo non sei nulla, non esisti, nessuno sa di te… Allora? Nello stato in cui sei, nessuno crederà che tu riesca ad andare avanti… Sei solo adesso… Ma chi sei? Sai cosa sei, non chi sei…Allora? Che vuoi fare?”.
 
“ Questo mondo crede che io non riesca a trovare la forza necessaria per andare avanti, ma si sbaglia… Dopo tutto questo ho fatto una promessa a me stesso: diventerò grande, troverò risposte guardando avanti, senza alcun rimpianto, senza voltarmi… Eccomi sono pronto sen-sei: ti farò vedere io chi sono… Non ti chiedo null’altro che insegnarmi tutto ciò di cui ho bisogno, niente di più… Perché a questo modo ci sono anch’io e combatterò fino all’ultimo!”.
Occhi verdi, smeraldi che splendono all’interno di un forziere nell’oscurità, cercano un contatto con quelli dell’uomo che li sovrasta in altezza.
Gli occhi di quest’ultimo sono eclissati da un’ombra scura, il colore è impossibile da decifrare perché essi erano coperti da una lunga frangia.
L’espressione dell’adulto è indecifrabile, quella del ragazzo è determinata e dura, il fuoco della tenacia arde in lui, come un incendio indomabile.
Un sorriso sghembo compare sul volto del più anziano “Sei sicuro di ciò che hai detto? Dovrai sopportare tutto in silenzio, dovrai lavorare sodo e…”
“Non mi importa niente! Non ho nulla da perdere perché io non ho più nulla! Io non sono più nessuno, neanche un cane! Ma non ho nessuna intenzione di arrendermi  ”.
L’adulto sorrise ancora: sì, quel ragazzo sarebbe diventato grande… Dalle sue stesse ceneri, la fenice rinasce, analogamente lui sarebbe diventato un uomo. 
a quell’episodio, il giovane avrebbe smesso per sempre di  essere un bambino. 



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Undertaker sospirò: per quanto ancora sarebbe riuscito a recitare la sua parte?  William si aggiustò gli occhiali sul naso, senza abbassare lo sguardo.
“Una volta li abbassavi più facilmente gli occhi, ora invece sei pieno d’orgoglio, non vuoi cedere… Ma forse lo sei sempre stato, e non mi ricordavo di questo tuo particolare… Eh sì, voi giovani quando crescete, quando vi spunta un pelo in più sulla faccia vi credete già grandi, vero?”
Will tacque.
“Se mi comporto così, è per il tuo bene. Per la tua sicurezza, credimi… E la nostra” lo shinigami leggendario lo osservò, studiando quei lineamenti che aveva imparato a conoscere ed apprezzare.
“Lo so, tu pensi di non essere più un bambino, di non avere bisogno di niente e di nessuno, di essere perfetto ed efficiente ma…” “Perché non mi ha detto di lei?” “Lei chi?” “Di sua figlia, di Jane: non sapevo che lei avesse una figlia, eppure ho passato una vita, qui”.

Silenzio.

Teso. Molto teso.

“Perché lei ha passato la sua infanzia da sua madre, ed io non volevo che…” “Balle” “Come prego?”

William si affrettò a ricomporre il suo self control: gli era scappata una parola non molto galante.
“Non menta, non è mai stato troppo bravo a farlo”.

Ancora silenzio.

“Io la conoscevo, io e lei siamo cresciuti insieme in qualche modo, ma poi, prima che io lasciassi questo posto, qualcosa ha fatto si che lei si dimenticasse di me, e che io mi dimenticassi di lei. Perché?”.

Perché…

“Perché lei sarebbe stata in pericolo con te, e lo è ancora adesso. Ora vattene, riposati e lasca che il sonno ti lenisca le ferite. Devono cicatrizzare” dettò questo si rigirò.

“… E poi… L’amore fa male, porta solo guai, William…” mormorò fra sé e sé, mentre scrutava il suo protetto che saliva le scale ed imboccava l’oscuro corridoio che l’avrebbe portato alla sua stanza.
Ritornò a fissare fuori dalla finestra.
L’autunno era alle porte. 
Dalla finestra aperta a ribalta entrò un fastidioso odore di fumo.

Il passato lo investì come uno schiaffo improvviso

Faceva freddo quella notte.
Tanto freddo.
Per lo meno, è quello che i presenti sentivano. Era stata una battaglia durissima, nessuno si sarebbe immaginato un assalto di quella violenza, nemmeno da parte delle tenebre: dopotutto, anche in guerra ci sono dei codici da rispettare.

Ah, giusto: qui si parlava di demoni.

“Dobbiamo farlo amico mio, non posso permettere che mio figlio muoia” “Ascolta, ragiona: non può farcela, lo scoveranno prima o poi, ed il minimo che gli possano fare è scuoiarlo vivo! Tu invece sei preparato a tutto, sei un grande guerriero, sei uno shinigami leggendario! Come me! Non possiamo permetterci che tu muoia!”  l’altro lo scrutò, severo e triste.
“È mio figlio, anche tu faresti la stessa cosa per la tua, nevvero?“
l’interlocutore tacque un istante.
“Ascolta: sono sicuro che il mio bambino diventerà un grade uomo, uno degli shinigami che contribuiranno a formare la nostra storia. Lui è sangue del mio sangue: sarà uno shinigami leggendario… Anzi: già lo è”
“D’accordo, lo è solo per ereditarietà… Ma che diavolo sto dicendo: non che non lo è già, i leggendari non si eleggono in base al sangue!” “Ma lui è LUI! Lo shinigami della profezia… Guardami: non sono io! Deve distruggere quel demone, nessun altro può farlo se non lui… Nemmeno tu potresti ucciderlo, guarda in faccia la realtà! Fidati di me!”

“… D’accordo…”

l’uomo dai capelli cinerei si chinò sul viso del ragazzino, esaminando attentamente le ferite.
Il piccolo respirava a fatica ed in modo irregolare: il viso era ricoperto di sangue fresco e giovane, gli occhi erano spasmodicamente chiusi.
Già il volto innocente inondato di quella viscosa sostanza scarlatta non era un bello spettacolo, con quei tre squarci, figuriamoci se avesse pure aperto gli occhi.
Qualcosa lo induceva a pensare che forse i bulbi oculari fossero ridotti a brandelli.
Gli aprì una palpebra: la situazione era grave, ma non come pensava, dopotutto.

Se ne stava andando.

Stava per morire.

Ironico, un ironia sadica e malsana: fra pochi minuti sarebbe scoccata l’ora in cui il giovanissimo ferito era nato.
In quella stessa ora ci stava per morire.

Si voltò verso la scena alle sue spalle: quella povera ragazza era traumatizzata.
Tremava, era ricoperta di schizzi di sangue: faceva pietà.
Quasi tanta quanta ne suscitava la donna che aveva fra le braccia, ormai morta da un pezzo.
Attingendo la forza necessaria per alzarsi, la giovane posò delicatamente la  donna sul terreno secco e bruciacchiato, per poi dirigersi verso il bambino in fin di vita.
Si chinò su di lui, piangendo qualche lacrima. Poi, lo abbracciò, mormorando qualcosa, mentre il grigio distoglieva lo sguardo e si girava verso l’amico.
Spirò un vento freddo, tipico di quel mese: febbraio, uno dei mesi più freddi dell’anno, anche se, a dirla tutta, quel giorno, per una volta sembrava una limpida giornata di settembre.
Incredibile, in un secondo, tutto si era tinto di scarlatto, come il sangue innocente che era stato versato.
Il suo amico era distrutto: sua moglie, il suo cavallo, la sua casa, la sua vita.
Ora, stava perdendo anche suo figlio.

Che ingiustizia.

Ragionò su quello che gli aveva appena scongiurato di fare: lo fissava in quegli occhi verdi, che ardevano di una tenacia inaudita.
Si slegò il pugnale dalla vita e lo afferrò, sollevandolo sopra il palmo nudo della sua mano. Con uno scatto felino, se lo passò sulla mano, dove si aprì un lungo graffio orizzontale.
L’uomo dai capelli castano sorrise tristemente: ”Questa è l’ultima volta che lo facciamo, vero? Mi mancherà tutto, ma devo seguire il mio destino… E far si che mio figlio viva la sua vita”.
Detto questo, spostando tutto il peso sulla gamba buona, afferrò fulmineo il pugnale che gli veniva lanciato, ripetendo il gesto che aveva fatto il compare.
Dopodiché, con il sangue che colava dalla mano, misero le mani ferite palmo contro palmo, facendo combaciare gli squarci, mischiando il proprio sangue con quello dell’altro.
“Giura, sul tuo sangue e sulla tua vita, che manterrai per sempre fede al giuramento che stai per fare, rispettando tutte le condizioni imposte” pronunciò solennemente il castano. 

“lo giuro” rispose serio l’altro.

Mentre il primo stava per aprire la bocca per parlare, entrambi sentirono un grido e si voltarono.
La ragazza dai capelli bianchi aveva le mani sul petto del ragazzino, che annaspava in cerca d’aria, mentre le sue lacrime si mescolavano al sangue che gli sgorgava in continuazione.

“Presto! Presto! Non posso lasciarlo morire! Lui è l’unica speranza! Io cosa potrò fare, senza una gamba?! Spiegamelo?! Meglio così, credimi… Mi mancherai, amico mio… Fratello, anche se non abbiamo sangue in comune: ora, devo salvare mio figlio… Vivrò per sempre in lui”.

Il bambino avvertiva poche cose e sensazioni.
Dolore.
Sangue.
Morte.
Paura.
Sentiva il liquido vitale colargli dagli occhi, fuoriuscire dal petto a fiotti.
Sentiva il caldo di quella sostanza ed il freddo della morte.
Stava andando in arresto cardiaco, lo sentiva. Una forza gli opprimeva il petto, annaspava in cerca di aria, non riusciva a respirare.
Si rese conto di essere cieco, di avere gli occhi completamente lacerati.
Stava per morire.

“Addio fratello… Avrò cura di lui” era la voce dell’uomo dai capelli grigi.
Il padre, con l’aiuto dell’amico, aveva tracciato dei simboli specifici sulle mani, sul cuore e sul viso.
Il secondo si avvicinò alla piccola vittima e disegnò gli stessi simboli sul corpo di quest’ultimo.
Poi, una calda luce avvolse tutto.
All’’improvviso, il ragazzino sentì un senso di beneficio sulle ferite.
Gli occhi si stavano ricostruendo, il petto si stava rimarginando. Sentì ancora la voce del padre che parlava con l’amico
“Ti prego… lo alleverai come avrei fatto io… Insegnagli i trucchi del mestiere… I miei, trucchi del mestiere e proteggilo… Fa si che nulla lo possa far soffrire più di quanto… Non abbia sofferto…” “Per i suoi occhi non possiamo far nulla più di così…” “Sì, lo so… Non potremo più chiamarlo occhio di falco” il bambino sentì che il padre si stava chinando su di lui e percepì chiaramente una lacrima solcargli il viso.
“Addio, figlio mio: ti ho sempre amato e protetto e continuerò a farlo… Un giorno… Ricordati chi sei…”.
Poi si voltò verso il compagno, che ora lo teneva fra le braccia.

“Addio… Undertaker” .

Silenzio.
Anche lui era morto, ma aveva salvato suo figlio.
Sembrava sorridere, adesso, fra le braccia del mancato fratello.


“… Anche io avrei fatto lo stesso per mia figlia, sappilo…”.

Prese il piccolo in braccio e la ragazza lo seguì.
Arrivarono davanti ad un enorme magione, ma prima di varcare la soglia del cancello,  Undertaker si arrestò.
“Datti una ripulita senza farti vedere da mia figlia, assicurati che dorma, e se così non fosse tienila occupata in camera, raccontale una fiaba oppure fate quelle stranezze che fanno le femmine fra di loro, io devo curare il ragazzo, non morirà, per ora, ma non è salutare lasciarlo in questo stato pietoso” disse senza voltarsi.
La giovane donna annuì in silenzio e poi corse a svolgere il suo compito.
“Non ricorderai più nulla, saresti in pericolo se sapessi il segreto dentro di te... Preparati a non sapere più chi sei… Ti taglierò il cinematic record… Tanto non farai domande… Ci vediamo quando ti svegli, ragazzino”. 
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Un altro ricordo.
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Sua figlia si era alzata, aveva finito di fare colazione, si era riassettata, cambiata d’abito ed ora seguiva il suo papà, che la conduceva dal “nuovo coinquilino”.
Si fermò sulla soglia lasciando che la bambina lo precedesse, fino a che lei non si trovò di fronte al misterioso ospite.
Faceva freddo, la pioggia stava per arrivare, ed il vento sferzava gli alberi. Si vedeva qualche lampo, ma nulla di cui preoccuparsi.
Osservò la scena, in silenzio.
Due ragazzini.
Si fissavano negli occhi.
Lui aveva un espressione ombrosa in volto, gli occhi smeraldo freddi, di chi non ha nulla all’infuori di sé stesso, che ha perso tutto e tutti anche le sue stesse emozioni.
Lo sguardo era duro, la sua aurea era glaciale e distaccata.
Aveva corti capelli castano scuro scompigliati sulla testa.
Lei, aveva capelli castano rossiccio, lisci, che le arrivavano fino alla base del collo.
L’espressione era seria e gli occhi gialli indugiavano curiosi ma allo stesso tempo attenti sulla figura della persona che aveva di fronte.
La sua aurea, però, era forte e decisa, anche se in quel momento, era totalmente assorta a studiare quell’ospite inatteso.
“Piacere… Piacere di conoscerti, a quanto pare, resterai qui per molto tempo, fino a che non ti sarai rimesso almeno” il ragazzino annuì, fissandola con quegli occhi che facevano gelare il sangue nelle vene e nelle arterie della gente “Piacere ricambiato, milady” disse lui, inchinandosi lievemente.
Si studiarono ancora.
“Voi due avete intenzione guardarvi ancora per molto? Sembra quasi che vi stiate per prendere a botte… Avanti, presentatevi come si deve” esclamò un uomo.
Il silenzio dominò ancora qualche istante. Stufo di tutto ciò,  l’adulto parlò “Bene ragazzino, ora ti svelerò un paio di cosette, visto che dovrai stare qui per un bel pezzo… Ih ih ih …”  quella risatina isterica fece innervosire il più giovane, che però si astenne dall’esternare il nervosismo.
“Io sono una persona importante, hai mai sentito parlare di shinigami leggendario? Ecco, io sono uno di loro… Capito? E lei ” proseguì il più anziano appoggiando le mani sulle spalle esili della ragazzina “È mia figlia, Jane… Avanti, dì il tuo nome, se vuoi sapere altro”.
Il ragazzino sollevò gli occhi su di lui e disse, con voce atona, ma al contempo seria e dura “Io sono William T. Spears”

l’altro ghignò.
“Bene, io invece mi chiamo…” un rombo di tuono squarciò l’aria “…Undertaker”.


La sera dopo, Undertaker portò William sulla collina poco distante dalla casa, sopra la quale c’era un enorme cipresso: un gigante scuro nell’ombra della sera.
“Non hai nulla ragazzo mio, che vuoi fare? Andartene in città, farti mettere in uno di quei collegi dove ti incarcerano come un fuorilegge, o accetti la mia proposta? Per il mondo non sei nulla, non esisti, nessuno sa di te… Allora? Nello stato in cui sei, nessuno crederà che tu riesca ad andare avanti… Sei solo adesso… Ma chi sei? Sai cosa sei, non chi sei…Allora? Che vuoi fare?”.
 
“ Questo mondo crede che io non riesca a trovare la forza necessaria per andare avanti, ma si sbaglia… Dopo tutto questo ho fatto una promessa a me stesso: diventerò grande, troverò risposte guardando avanti, senza alcun rimpianto, senza voltarmi… Eccomi sono pronto sen-sei: ti farò vedere io chi sono… Non ti chiedo null’altro che insegnarmi tutto ciò di cui ho bisogno, niente di più… Perché a questo modo ci sono anch’io e combatterò fino all’ultimo!”.
Occhi verdi, smeraldi che splendono all’interno di un forziere nell’oscurità, cercano un contatto con quelli dell’uomo che li sovrasta in altezza.
Gli occhi di quest’ultimo sono eclissati da un’ombra scura, il colore è impossibile da decifrare perché essi erano coperti da una lunga frangia.
L’espressione dell’adulto è indecifrabile, quella del ragazzo è determinata e dura, il fuoco della tenacia arde in lui, come un incendio indomabile.
Un sorriso sghembo compare sul volto del più anziano “Sei sicuro di ciò che hai detto? Dovrai sopportare tutto in silenzio, dovrai lavorare sodo e…”
“Non mi importa niente! Non ho nulla da perdere perché io non ho più nulla! Io non sono più nessuno, neanche un cane! Ma non ho nessuna intenzione di arrendermi  ”.
L’adulto sorrise ancora: sì, quel ragazzo sarebbe diventato grande… Dalle sue stesse ceneri, la fenice rinasce, analogamente lui sarebbe diventato un uomo. 
a quell’episodio, il giovane avrebbe smesso per sempre di  essere un bambino.

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Undertaker sospirò: per quanto ancora sarebbe riuscito a recitare la sua parte? 

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Capitolo 8
*** Ascolta te stesso ***


Ehilà ragazzi! Ecco a voi l'ottavo capitolo, se volete lasciare un'infimissima recensione, ve ne sarei grata! Son accette le critiche, ma solo se costruttive! Niente insulti, grazie :)
Questo Chappy è tutto per Alois24, che mi supporta ogni volta, GRAZIE! :)

Ps: per questo capitolo, ho scelto una canzone, durante la lettura capirete perché. Vi posto qua sotto il link: se volete il mio consiglio, ascoltatela mentre leggete... E' suggestiva, a mio dire :)

http://www.youtube.com/watch?v=na9Hjydf10g
 

La notte è silenziosa, e porta consiglio. Almeno, così dicono.
Per William, è tutto il contrario. Aveva dormito abbastanza: senza volerlo si era assopito, ed ora non aveva più sonno. O almeno, non aveva più voglia di fare l’invalido a letto.
Si alzò e si cambiò d’abito: non sarebbe stato virile gironzolare in giardino o sul tetto in pigiama. Dopo essersi infilato dei pantaloni ed una camicia a caso, uscì al fresco della notte.
La magione si trovava in campagna ed era deserta, tutti dormivano.
Lo shinigami sospirò: era stanco di tutte quelle ombre, non sopportava l’idea di vivere un altro giorno senza risposte. Purtroppo, così com’era, conciato per le festa da un maledetto diavolo, non aveva neppure la forza di opporsi.
Gli rimaneva solo la forza di volontà.
“La cosa più importante, che ti fa andare avanti… Sì, come no” sospirò ancora: per la prima volta, si sentiva affranto. Sentiva la tristezza invaderlo, e nulla, al momento, l’avrebbe alleviata. 
Si stese sulle tegole fredde del tetto, a rimuginare sulla sua prima giornata trascorsa lì. O meglio: la prima giornata trascorsa non in stato vegetativo.

Il risveglio.
Jane.
Una mezza verità (diciamo un infima quantità rincarata da una buona dose di mezze frasi).
Visioni raccapriccianti e misteriosi comportamenti.
Ancora Jane.
Ricordi smarriti.
Joey.  T
roppe coincidenza fra una visione ed un ricordo.
Un passato misterioso.
La lite.
Undertaker.
Lui e Jane.


Scosse con energia la testa, scocciato: doveva cercare di trovare il filo logico in tutto, ma quando si trattava della ragazza, non riusciva a controllarsi come al solito.
Si alzò.
Aveva un solo indizio: se stesso.
Poco dopo passeggiava nel prato sul retro della magione, alla ricerca di qualcosa di utile.
Osservò il dondolo bianco: questa volta non gli diceva nulla, pareva solo invitante, doveva essere comodo.
William si stropicciò gli occhi e la frangia che gli ricadeva sulla fronte.
I suoi capelli castani si erano spettinati, durante il sonno.
Via via che si allontanava, l’erba si faceva più fresca e folta. L’estate stava finendo.
Alzando il capo vide una collina, con un cipresso dalle tante fronde. Un ventina-trentina di metri più in là c’era un fiume che scorreva placido nel bosco. Si inerpicò su per la salita ansimando, si sdraiò nel prato e si rese conto di quanto fosse sfinito. Era stato stupido, a lasciare la sua stanza: Undertaker aveva ragione, era ancora troppo debole. Debole… Quanto lo disgustava quella parola. Regnava il silenzio. Il vento muoveva le foglie dell’albero, l’erba danzava, sotto quei colpi invisibili. Will avvertiva il fresco, il solletico sulla pelle. Udiva in lontananza lo scorrere del fiume. Chiuse gli occhi. Avanti, ricorda… Ricorda…  


Ascolta, il vento asciugare l'erba...
Senti cantar la Luna*...
Ascolta... GUarda... Respira...
Ascolta, l'acqua e la sua memoria...
Ascolta, dentro te stesso...
Ascolta, fatti stupire... Cambiare... Guarire...  
Ascolta, quello che hai dentro al petto.... E che non hai mai detto...                                                                                       
  

                                                                    


Quello che hai dentro al petto… E che non hai mai detto…

Cercò negli anfratti più remoti della sua memoria, scandagliò tutto quello che riguardava lui e il suo lavoro… Risvegliò ricordi che aveva rimosso…

Quello che hai dentro al petto e che non hai mai detto…

Provò ad ascoltare i battiti del suo cuore.
Provò a concentrarsi sul suo passato, su quello che ricordava, ed in contemporanea ascoltare il suo battito cardiaco.

Dolore.
Paura.
Solitudine.
Rabbia.
Freddezza.
Sofferenza.


Ciò che non sapeva era forse il mix di tutte queste gelide emozioni?
Ciò che cercava?
Forse era meglio non sapere nulla?
Ma che senso aveva arrendersi ora, se voleva scoprire chi fosse?
Avvertiva tutte queste sensazioni e vedeva il buio. Temeva di star per sprofondare nell’orrido abisso delle visioni, quando avvertì caldo.

Questa volta sentì il caldo della fiducia, della simpatia, della bellezza...

Dell’amore.

Vedeva un tenue bagliore, una sensazione tiepida sulla pelle.
Stava per addormentarsi quando udì un fruscio.
Spalancò gli occhi e si sollevò di scatto. Si mise all’erta. P
oi avvertì un movimento alle sue spalle.
Stette immobile, preparandosi al peggio, ignorando le stilettate di dolore al viso e al petto.
Proprio quando la figura alle sue spalle stava per parlare, William si girò e le fece perdere l’equilibrio.

Conseguenza?

La prima si aggrappò alla sua camicia e caddero entrambi sul soffice tappeto verde.
Quando il ragazzo aprì gli occhi si trovò, ad un soffio dal suo, il viso di Jane.
“Non è che potresti spostarti per favore? Non è che sei poi così leggero” disse con una certa nota di sarcasmo nella voce, che però le era leggermente tremata. “Scusami” rispose gelido Will.
La ragazza si alzò e si mise al suo fianco. “Che ci fai qui, in piena notte? Vuoi ammalarti? Le tue difese sono già basse, se poi ci aggiungiamo anche questa bella arietta…” “Pensavo. Comunque, non dovrebbero essere affari e problemi tuoi”.
Calò il silenzio. I
l ragazzo era ancora indispettito per la lite di qualche ora prima, e non si azzardava a spiccicare parola.
“Scusa per prima… Non avrei dovuto parlarti in quel modo… Avresti tutte le ragioni del mondo per sapere che cosa sta succedendo, il perché ed il per come di tutto ma vedi… Io credo che nessuno di noi lo sappia con certezza. Sappiamo solo che c’è qualcosa di pericoloso e oscuro che ti reclama, che ti vuole uccidere. Nemmeno io ho capito il perché, ma quel demone… Ti sta cercando, e se ti trova saranno guai. Allora abbiamo fatto questo collegamento: se per Al- ehm, per il diavolo sei così importante, non dobbiamo permettergli di metterti le mani addosso. Mio padre ha la strana sensazione che solo tu lo possa uccidere. Vedi, siamo stati noi ad intervenire per salvare te e i tuoi sottoposti, ma Undertaker non ha voluto che mi avvicinassi a quell’essere, non voleva che mi guardasse in viso. Difatti, papà l’ha ferito, ma non è riuscito ad ucciderlo, è come se non potesse. I demoni hanno i nostri stessi tempi di recupero, ma tu sei più giovane, perciò, credo che per un po’ sarai al sicuro, e riuscirai ad allenarti. Ti terremo nascosto…” “Come si chiama quel cane? Hai detto Al… Per intero?” calò ancora il silenzio.
“Non dovrei dirtelo. Mio padre mi ha comandato di tenere la bocca chiusa, di non dirti niente”.
La ragazza fissò negli occhi verdi William, e lui rispose allo stesso modo.
La poca luce che offriva la Luna permetteva ad entrambi di scrutarsi in volto.
“William… Per favore, non chiedermi troppo” sussurrò Jane, piegando la testa di lato, scrutando il volto impassibile dell’altro.
Le ferite erano ancora più spaventose del solito, ma il viso dello shinigami aveva qualcosa di gentile ed aveva un effetto rassicurante immediato su di lei. Le  ricordava qualcosa di bello, qualcosa che le piaceva, ma non sapeva esattamente cosa.
Dopo il piccolo “incidente” sul dondolo, riusciva a vedere la sua faccia senza tagli vari. Probabilmente se la ricordava.
Undertaker non le aveva ancora detto perché non se lo ricordava, e probabilmente non ne aveva la minima voglia di farlo.
Will aspettò ancora un po’ in silenzio, prima di parlare.
“Ti chiedo solo questo, poi cercherò di collegare i pezzi da solo, cercherò di ricordare… Non ti chiederò più nient’altro, per favore, Jane…” sentire il suo nome pronunciato da lui la fece rabbrividire.

Le piaceva la sua voce.

Sospirò, guardandolo ancora una volta negli occhi. Le sembrava di vederli splendere nel buio, come quelli di un gatto.
“Alfred, si chiama Alfred… Ma non dirlo mai, i nomi sono potenti, con essi puoi evocare chiunque”.

Alfred…

Al momento non gli diceva niente, gli dava solo una sensazione di timore.
Alzò il capo, guardando la shinigami negli occhi.
Entrambi li avevano socchiusi, come se ci fosse troppa luce per guardarsi in faccia.
“Grazie...” le sussurrò all’orecchio. J
ane avvertì un altro brivido, e si allontanò di scatto. Si sentiva strana, aveva paura di avvicinarsi troppo a lui, ma allo stesso tempo voleva stargli vicino.
Sì era sentita male dopo la lite, come se le fosse stata strappata una parte di sé.
Lo stesso valeva per l’altro.

“Non… Non capisco più niente. Io non mi sono mai sentito così, con una persona. È illogico: io, William T. Spears, provare dei sentimenti così sconvolgenti? Non è da me. Cosa mi succede? Che strano effetto ha quella ragazza su di me? Mi sento come una caldaia, e io odio sentirmi così, tuttavia…”.

Tuttavia non riusciva ad allontanarsi di un millimetro. Erano vicini, sdraiati sull’erba una di fronte all’altro. Si osservavano, in silenzio. Ogni secondo che trascorrevano insieme, entrambi parevano ricordare qualche lembo in più della propria vita trascorsa insieme.
Calò un silenzio imbarazzato, nessuno dei due osava fiatare.
All’improvviso, la ragazza avvertì una sensazione sgradevolissima, ad un tratto era terrorizzata.
Lo shinigami  notò la sua rigidità e le chiese se stesse bene.
La shinigami non sapeva cosa rispondere, aveva bisogno di un appiglio sicuro, così decise di provare ad aggrapparsi all’unica cosa solida che vedeva in quel momento.  
Jane si strinse al compagno, poggiando la fronte sul  suo petto, attenta a non fargli male.
Aveva paura, non sapeva di che cosa, ma aveva paura, lì nel prato di casa sua. Temeva che qualcosa di brutto si stesse per abbattere su di loro di lì a poco.
Il dio non sapeva che cosa fare, non si era mai trovato in una situazione simile, e non aveva mai voluto sperimentarla.
C’era una parte remota (molto remota) di lui che sapeva come muoversi, che era sicura di essersi già trovata in una situazione del genere, invece l’altra parte di lui, quella prevalente, era totalmente scombussolata.
Alla grande.
Alla fine, con un impeto d’orgoglio, William si decise.
Sentì la ragazza irrigidirsi, come se avesse paura di qualcosa.
Abbassò lentamente il capo, poggiando il mento nei capelli rossi di lei, mentre una mano si appoggiava dolcemente sul suo fianco.
Chiusero gli occhi e videro loro da ragazzini, videro brandelli di passato, ricordi.
Poi Jane aprì gli occhi di scatto e di scatto si alzò.
Will spalancò gli occhi rendendosi conto di ciò che era appena successo e si mise a gattoni nell’erba, scrollando il capo e guardandosi in giro, completamente attivo.
Dopo che ebbe scandagliato la zona intorno, afferrò un lembo dei pantaloni della shinigami e la costrinse ad accucciarsi insieme a lui.
In silenzio, le fece segno di strisciare in un punto dove l’erba era più alta. Arrivati al punto, si appiattirono, tendendo le orecchie per percepire il minimo rumore.
Entrambi videro una sagoma nera muoversi nell’oscurità. Non capivano cosa fosse. Un piccolo ticchettio alla sinistra di Jane le fece intuire che William aveva evocato la sua Death Schyte e che si era sistemato con essa gli occhiali sul ponte del naso.
La creatura si avvicinava sempre di più. Era grossa e galoppava… Galoppava?
Strano, non era così grossa per essere un cavallo eppure aveva un andatura che pareva proprio un galoppo.
Si misero in ginocchio.
Tre… Due… Uno…  
“Bau!” una specie di cagnone gigante balzò in grembo a Jane, facendola cadere all’indietro. Aveva il pelo liscio, nero e grigio con una spruzzata di bianco sotto il muso, sulla pancia e sotto il collo.
Quando Spears lo guardò meglio, si rese conto di aver di fronte un lupo. La ragazza rideva, mentre quell’animale la leccava affettuosamente. Lo shinigami ebbe un flashback.
Ma certo, come aveva fatto a dimenticarsi di lui? Era uno dei pochi animali che gli erano mai andati a genio.
“Wayne!” il bestione si girò verso di lui, fissandolo con due bellissimi occhi a mandorla color oro.
Dopo un attimo che parve un infinità, il lupo si alzò.
Sempre fissandolo, rimase immobile, dritto al suo posto, con le orecchie tese. A
ll’improvviso uggiolò fortissimo e si buttò di peso sul ragazzo.
Menava la coda talmente forte che si poteva usare per sbattere le uova, e spingeva la fronte pelosa sul petto dello shinigami mentre uggiolava, e di tanto in tanto lo leccava sulla guancia.
“Ciao bello, che ci fai qui?”  chiese Will, accarezzandolo.
La ragazza al suo fianco trasalì: Wayne doveva essere chiuso nella scuderia a quell’ora, ed era sicura di averlo chiuso lei stessa.
Chi lo aveva liberato, e perché?
Forse il vecchio Bart, il cocchiere/stalliere della magione, era entrato a controllare i cavalli e lui era sgattaiolato fuori.
Strano, era piuttosto stanco in quel periodo, e tutti gli avevano consigliato di riposarsi e PROIBITO di lavorare oltre il turno, quindi se ne andava sempre nella casetta a lui riservata vicino alla villa, quando non faceva compagnia alla ragazza.
Lei gli voleva molto bene, era come un vecchio zio, l’aveva curata lui, quando suo padre era assente per motivi di lavoro.
Le aveva insegnato a cavalcare, a capire gli animali, ad orientarsi nel bosco, a sopravvivere, a ragionare ed indagare, a dedurre ed analizzare i fatti, a riconoscere le piante mediche e ad usarle.
Quell’uomo non era solamente un servo, era stato un precettore per lei.
Lì intorno era tutto tranquillo, la sagoma di casa sua si stagliava nella notte, ed apparentemente non aveva nulla di anormale.
Eppure lei non era tranquilla. Wayne si era acquattato ai piedi dei due giovani, che non osavano guardarsi negli occhi.
“C’è qualcosa che ti preoccupa?” domandò Will, mentre guardava il cielo stellato.
“No William, non è niente…” “Sicura? A me non sembra… Non sei mai stata molto brava a mentire, sei come Undertaker” disse, fissandola negli occhi e facendola arrossire.
“Meno male che è notte” pensò la shinigami, cercando una via di fuga dallo sguardo magnetico dell’altro. Poi s’imbronciò: non le piaceva più di tanto essere paragonata a suo padre.
“No, non è niente” dopodiché si buttò per terra, scrutando il cielo.

Poi sbuffò.
Ancora.
E ancora.


“Ma basta così poco per farti arrabbiare? Sei davvero permalosa”.
Lei non rispose e si voltò ostinata verso il cielo. Poi non resse più e sbuffò ancora, voltandosi involontariamente di nuovo verso il ragazzo.
“Non ti permettere di criticarm-” trovandosi naso contro naso con lo shinigami, arrossì e smise di parlare di colpo.
Era troppo vicina.
Aveva il cuore a mille, batteva talmente forte da farle male, era sicura di vederselo uscire dal petto da un momento all’altro.
Un latrato da parte di Wayne la convinse a girarsi verso di lui.
“Che c’è? Stai guardando le stelle?” il lupo la guardò annuendo e si rimise a scrutare il cielo, un po’ corrucciato, emettendo qualche brontolio di tanto in tanto.
“Oh, neanch’io ci capisco molto, non riesco a riconoscere il grande carro e compagnia bella” “Non è poi così difficile, ti insegno, se vuoi” disse William, affiancandosi a lei.
“Figurati, ci hanno già provato in tanti, io non riesco nemmeno a capire qual è la stella polare”.
“Scommettiamo che io ci riesco?” ripeté pacato Will, con un velato tono di sfida.
“Ah sì? E cosa scommetteresti, tu? Non saresti in grado nemmeno di tornare a casa sulle tue gambe, figuriamoci scommettere contro di me” “Se vinci tu, ti porto alla villa in spalla, se vinco io… Avrò la soddisfazione di vedere che ho ragione, come sempre… Ovviamente adesso ti atterrai ai miei metodi” “Ci sto, qua la mano” era sicura di vincere, nessuno era mai riuscito a non farle raggiungere il proprio scopo, a parte suo padre, qualche volta.
Eppure, la sicurezza nello sguardo di Spears la fece vacillare: quello era tosto, sapeva come raggirare chiunque gli capitava a tiro, era furbo.
Non per niente non l’avevano ancora licenziato.
Quando gli diede la mano sentì una scossa elettrica pervaderla: doveva darsi una controllata, non riusciva a contenere i propri sentimenti.
William le fece cenno di sedersi accanto a lui.
Quindi le circondò con un braccio la vita, mentre con l’altro le prese una mano, usandola per indicare precisamente le stelle. Aveva la sua guancia fredda vicinissima a quella di lei, che bolliva come una pentola d’acqua.

“Peggio di una stufa a legna” pensò Will, che adorava il freddo.

“Vedi quella? Adesso sposta lo sguardo mentre sposti la mano, seguila: uno due, tre, quattro… Le vedi?” “Ok, ci sono, vai” “Cinque sei e sette… Vedi la figura? Quella è il grande carro, e quella è la stella polare, quindi stiamo guardando a nord”.
Continuarono così per un po’, fianco a fianco, guancia contro guancia.
Si sdraiarono di nuovo, guardandosi negli occhi, una un po’ imbronciata e l’altro pienamente soddisfatto, con un mezzo sorrisetto di superiorità.
Si alzarono e si incamminarono verso casa, in silenzio.
Inutile dire che Jane aveva perso la scommessa.

*Ok, so benissimo che in realtà, nella canzone “Ascolta” dei Pooh si dice senti cantare il sole, ma siamo in piena notte quindi ho fatto una piccola modifica… Dettagli xD

Buona partita per quelli che stanno guardando Milan-PSV Eindhoven, FORZA MILAN <3
William: Ritirati.
Grazie amico, il migliore di sempre -.-"
Ciao raga!

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Capitolo 9
*** Ricordati chi sei ***


Ehilà ragazzi! Un grazie a chi recensisce e a tutti i numerosissimi lettori silenziosi (una recensione al giorno leva il medico di torno ricordate! xD, ma vi voglio bene lo stesso :) )


La stanza era buia, fuori infuriava la tempesta. Nel sontuoso letto a baldacchino d’ebano, circondato di tappeti rossi sopra un parquet di teak, giaceva il vero e unico simbolo del rancore.
L’incendio del risentimento, del  livore ardevano nel petto di uno dei re dei demoni.
Perfino i suoi stessi simili lo temevano: aveva fatto fuori chi lo intralciava, chi gli non gli andava a genio o che aveva espresso un’opinione diversa dalla sua.

Anche se si trattava di un suo stesso fratello, della stessa razza. Rantolava fortemente, con rabbia infinita.
Uno dei suoi “prediletti” entrò per controllare il suo stato.

“Signore, non riusciamo a localizzare quella piccola divinità, né lui, né i suoi protettori”.


Un feroce ringhio provenne dall’oscurità.

“Quei maledetti cagnacci! Quel piccolo bastardo mi è sfuggito un'altra volta, maledetto! E quell’irritante becchino… Spero che la maledizione gli si rivolti contro, che muoia per mano sua! Anche se ammetto che sarebbe bello ucciderlo, dopo aver riservato al suo caro protetto un’agonia terribile! Sua moglie… Non è bastata la sua perdita a causa della nascita di quel piccolo dio per farlo desistere, giuro che appena riuscirò a scorgere il suo punto debole, lo perseguiterò a tal punto da costringerlo alla morte. Per quanto riguarda quella bella meticcia…” il diavolo si leccò le labbra.

“… Deve pagare per avermi ingannato e tradito, però non intendo ucciderla, non riuscirei a farlo dopotutto… Infondo… Posso cambiarla… Con le buone o con le cattive. Non sappiamo nemmeno in che mondo quella famigliola di bastardi si trova? Umano, Shinigami, Angelico… Se quei pennuti immacolati vengono a sapere dei reali poteri di quel ragazzino e che minaccia rappresenta per me, potrebbero agire, e questo non mi va… Dirigi questa operazione per ora, fa sì che riesca a mettergli le mani addosso e stringergli il collo prima che possa riprendersi seriamente… Vai e lasciami in pace, Ray”

“Subito”.


Il silenzio ritornò a piombare nella sinistra stanza, l’unico rumore era l’ansimare dello stanco diavolo.
Tutti dovevano pensare che lui fosse scomparso, ma non malato.
Specialmente doveva assicurarsi che nessuno venisse a conoscenza del suo segreto e che fosse ferito, altrimenti sarebbe stata una seccatura.
I suoi stessi simili lo avrebbero cercato e, una volta fatto, lo avrebbero ridotto a brandelli. Però, anche se fosse successo, non lo avrebbero potuto uccidere.
Lui era invincibile, nessuno, angelo, dio o diavolo avrebbe potuto fermargli il core.  
Nessuno tranne l’ultimo membro di quella sciagurata famiglia.  
Aveva ancora il graffietto che gli aveva lasciato molti anni prima.
Minuscolo, insignificante: però, per lui era stato il più insopportabile e fastidioso dei graffi.
Alzò gli occhi cremisi, talmente ardenti da brillare nell’oscurità, mentre l’essenza stessa delle fiamme infernali si proiettava sulle pareti.

“Morirai piccolo dio, morirai per mano mia, come ho fatto con i tuoi genitori, come farò con coloro che ti hanno protetto e che ti proteggono”. 

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La quiete regnava sovrana nella villa, niente si muoveva o faceva rumore, il sole faceva capolino dalle tende ricamate, ma non disturbava il sonno ricostituente degli abitanti della casa.

Gl’incubi sembravano lontani, niente apparentemente poteva turbare la tranquillità di quella giornata di settembre.
Ormai era passato quasi un mese e le ferite si erano rimarginate: ora restavano solo delle cicatrici, che, trattate con una speciale crema inventata dal padrone di casa, sarebbero scomparse completamente.
William dormiva, finalmente sentiva di nuovo la forza scorrere nelle sue vene. Riusciva a sopportare sforzi normali e non aveva più problemi riguardo alla mobilità del busto.
Qualcuno entrò di soppiatto nella stanza e lo osservò mentre si cullava beato nel sonno: era bello anche quando dormiva, sembrava un angioletto.
Lentamente, la figura gli mise una mano sulla spalla, scrollandola delicatamente.

“Avanti pigrone, è ora di svegliarsi, oggi c’è la tua prima lezione”
“No… Vattene, sono stanco” farfugliò Will, mentre una lacrimuccia gli affiorò all’occhio durante un piccolo sbadiglio.

“Eddai, non fare l’invalido… Adesso ti faccio vedere io” detto questo, la persona si diresse alla tenda e la tirò, lasciando che i raggi del sole infastidissero prepotenti gli occhi dello shinigami, che prontamente mugugnò qualcosa e cacciò la testa sotto al cuscino.
“Avanti alzati!” esclamò la figura, strappando a forza le coperte al povero dio.
"Adesso mi vendico…" mormorò Spears, che si immobilizzò all’istante.

Il misterioso individuo tolse il cuscino dal capo del ragazzo.

“Avanti, per favore… Svegliati ” gli sussurrò all’orecchio la voce.

Con uno scatto felino, William si girò di colpo ed afferrò l’intruso, buttandolo sul letto sotto di lui, schiacciandolo con il proprio peso.


“Vendetta, Jane” ridacchiò il supervisore.
“Non è divertente, stupido ghiro!” ringhiò la ragazza, che però si stava divertendo mentre si dimenava dalla presa ferrea del più grande.

Sì, lei era forte, ma lui era un uomo: potevano stare lì anche tutto il giorno, la shinigami non sarebbe riuscita a liberarsi.

“Avanti lasciami andare, è ora di fare colazione, o vuoi restare a digiuno?” gli sussurrò all’orecchio, mentre avvertiva la presa farsi sempre più debole.


Ultimamente, con William andava molto d’accordo, sembravano aver ritrovato l’affiatamento di una volta, erano diventati amici.
Certo, a volte, (diciamo la maggior parte delle volte) era freddo, distaccato e dannatamente impassibile, però stava iniziando a mostrare un lato gentile di lui in cui, per un attimo, toglieva la maschera e giocava con lei, le teneva compagnia, come anni  prima.
Ormai, aveva preso l’abitudine di svegliarlo così da quando non era più in convalescenza.

L’interessato sbuffò

“Volevo dormire ancora un attimo, me lo devi, ieri sono dovuto stare alzato fino a tardi perché TU, come scherzo stupido, hai messo in disordine i documenti che tuo padre doveva portare oggi alla riunione, e visto che lui dormiva, ho dovuto farlo io perché non sei capace nemmeno di impilarli”

lei gli fece una linguaccia.


“Ehi, non fare tanto il superiore, hai solo un anno in più di me e non se il padrone di casa”
“E allora? Non bisogna essere tanto grandi per essere più intelligenti di te”
“Ma brutto…”

Will fece appena in tempo a mettere le braccia davanti al viso prima di venir colpito da una cuscinata DOC.


“Ti faccio vedere io chi è il più stupido qui!” lui rideva e, dopo una serie di colpi ben assestati cadde addosso all’amica, schiacciandola di nuovo.
“Non mi batterai mai, cara”  le sussurrò sulle labbra Spears
“Vedremo, caro” rispose lei di rimando.


Rimasero fermi così, perdendosi nello sguardo dell’altro.
All’improvviso, William si portò una mano alla fronte corrugata, mentre, perdendo l’equilibrio, stava letteralmente spappolando la ragazza sotto al suo peso.

“Ehi impiegato statale, levati! Non sei poi così leggero! William?! Ehi ma mi senti Will- ”

quando vide che digrignava i denti pensò al peggio: non poteva avere delle visioni, non ne aveva da molto tempo e suo padre, dopo averle ascoltate una per una, aveva detto che, se non aveva ommesso niente, dovevano essere finite.


Anche se non aveva spiegato il perché.



Lo sentiva tremare, ed il respiro era spezzato.
Jane, agì come meglio poté, d’istinto.
Si liberò le braccia e lo abbracciò, mentre lui farfugliava qualcosa in preda al mal di testa.



“Ti aspetto… Quando ti avrò trovato, niente e nessuno potrà più fermarmi… Morirai, e porterò la tua testa all’inferno come un trofeo! ”

una risata malvagia da premio Nobel si levò dall’oscurità che offuscava la mente di William.


Bastarono solo le quattro parole finali a spaventarlo: “Ti odio, ti ucciderò”.

Spalancò gli occhi, tremante, con qualche goccia di sudore che gli imperlava la fronte bianca.
Appena sentì le braccia di Jane che lo stringevano e la sua voce sussurrargli qualcosa, si calmò.
Avvertì la mano della ragazza passargli fra i capelli, accarezzargli il viso, la cicatrice sul cuore e le cicatrici sugli occhi, ancora ostinatamente chiusi.

“Ti prego William, svegliati, non posso permettermi che ti accada qualcosa, smettila di cedere a queste visioni, sei forte, le puoi combattere… Se ti perdessi non so che farei, sei l’ultimo amico che mi è rimasto, io ti a- voglio bene, tanto”.

Will era immobile.
Non si muoveva più, non riusciva a controllare i muscoli, però si stava riprendendo, ma Jane non lo sapeva e si preoccupava, perché era freddo e non reagiva a niente.

Sembrava morto, non riusciva a sentire il battito del suo cuore.
Lo girò e se lo mise in grembo, con il viso accostato al suo.
Quando Spears avvertì qualche lacrima bagnargli il viso si sentì male, come se gli avessero tirato un calcio nello stomaco.

“Svegliati…” si sentì sussurrare sulle labbra, “Ti prego…”.

Piano piano, aprì gli occhi e, orai quasi del tutto rinsavito, le asciugò le lacrime dal volto.

Sorrise debolmente “Non devi piangere, non è niente, lo sai, ormai ci sono abituato, sto male sul momento ma poi guarisc-” Jane gli ruppe un paio di costole mentre lo stritolava in un abbraccio.

“Non stavo piangendo zuccone, è l’allergia alla polvere ce c’è in questa polverosa stanza!” William sospirò, per niente convinto, mentre rispondeva all’abbraccio (con meno forza).

Quando si trovarono ad un centimetro di distanza si bloccarono.
Le loro labbra erano vicinissime, si sfioravano, e per un singolissimo istante, Will fece scorrere le proprie labbra su quelle della ragazza, le desiderava, voleva provare la loro morbidezza.
Jane provava le stesse emozioni.
Voleva abbracciarlo ancora più forte, assicurarsi che non gli capitasse nulla, far sì che fosse sempre insieme a lei, al suo fianco.

Suo e di nessun altra.

La ragazza gli stava ancora accarezzando il viso, mentre lui le accarezzava il collo, la fronte appoggiata a quella dell’altro, il naso che si strofinava.
Ad un certo punto, avvertirono una specie di spiacevole déjà-vu, che ebbe l’effetto di una secchiata d’acqua gelida.
Sbatterono due volte le palpebre dicendo qualcosa del tipo: “Ecco io… Non…” “Bè forse è meglio che...” “Sì… Dopotutto… Andiamo?” “D’accordo, andiamo”.

La castana rossiccia si diresse fuori dalla camera, mentre l’altro si cambiava.
Appena richiusa la porta vi si riappoggiò con un sospiro, mordendosi il labbro inferiore mentre guardava il legno dietro di sé.
Spears mollò anch’esso un sospiro di sollievo, abbandonandosi alla sedia, più vicina, a petto nudo.
Stava iniziando a fare più freddo, ultimamente.

Si diresse verso l’armadio, scelse gli abiti, si diede una pettinata e scese le scale.



Undertaker non c’era, era assente per altri noiosi motivi di lavoro (una riunione fuori programma, visto che era in “pensione”) e poi, doveva pur aprire le pompe funebri.

O crogiolarsi in barili di sale.

Certo, lo rispettava molto, era uno dei più grandi shinigami di tutti i tempi, (nonché eccentrico, strano, noioso, isterico, snervante, macabro, sadico, pazzo, maniaco e masochista d'un becchino) ma, a volte, William credeva che fosse veramente scemo.

A colazione, la figlia dell’assente padrone di casa aveva invitato Bartholomew, che, dopo molte insistenze, si era visto costretto a cedere.
Il giovane shinigami era sinceramente felice di vederlo: non aveva ancora avuto modo né di salutarlo, né di incrociarlo, né di parlarci.
Insomma, non l’aveva ancora visto, chissà se il suo volto iniziava a portare i segni dell’età.

Quando se lo trovò davanti, sorrise apertamente, mentre l’altro impazzì di gioia.

“Ahahah, ragazzo che bello vederti! Mamma mia quanto sei cresciuto, mi ricordo che mi arrivavi al petto, ora mi superi addirittura! Sei diventato proprio un bell’uomo, dimmi hai fatto colpo su qualcuna? Il lavoro? Avanti, voglio vedere se sei ancora il ragazzo che vedevo allenarsi senza sosta! Ahah!” era veramente entusiasta, il vecchio Bart: rideva e continuava a porre domande a più non posso.

Era sempre lo stesso: un vocione tonante, la pelle abbronzata, i capelli neri folti e spettinati, una barba e dei baffoni arruffati, due occhi piccoli, un cuore grande.

Le mani erano grandi e ruvide, segnate dal duro lavoro di ogni giorno.

Era piuttosto tarchiato, robusto e grosso due volte William: forse non era alto come lui, ma largo due lui, sì.

Quando Jane propose a William una passeggiata a cavallo per dargli una svegliata prima degli allenamenti, il vecchio trangugiò quello che gli rimaneva nel piatto e corse fuori, urlando qualcosa del tipo: “Vi metterò i migliori finimenti della magione, sembrerete due regali, alla faccia di quegli aristocratici di Londra!”.

William scosse la testa, con l’ombra di un mezzo sorriso sul volto: non era cambiato, per nulla.
P
oi, un pensiero lo turbò: Londra… Era sotto la sua giurisdizione, doveva tenere sempre d’occhio quel demone che rispondeva al nome di Sebastian Michaelis… Forse si doveva preoccupare di più per la sua enorme seccatura in rosso: per quello scemo di Grell Sutcliff, era di vitale importanza spendere ogni secondo della sua inutile ed insensata vita a correre dietro al suo Sebas-Chan, e a lui toccava recuperalo sempre.

Ancora un po’ e il conte gli avrebbe dato una copia delle chiavi di casa: almeno non doveva stare lì ad aprirgli il portone ogni volta. 

Sospirò: chissà quali enormi casini stavano succedendo in ufficio, sotto la guida di quella festaiola, cioè della sua segretaria.
A dire il vero, gli mancava il suo lavoro: le liti, gli stupidi commenti dei sottoposti, i rimproveri…

“Avanti, sei ancora lì in piedi? Sbrigati o fra un po’ è ora di pranzo” gli disse la ragazza facendogli l’occhiolino.

William si irrigidì: ok, doveva darsi una regolata, i rapporti stavano diventando 
più intimi, di quanto lui potesse permettersi.
Un vero shinigami non prova sentimenti, non deve, deve obbedire agli ordini a mente fredda.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

I
n poco tempo, il ragazzo era pronto: pulito e ordinato.
Undertaker gli aveva procurato un’attrezzatura fantastica, taglia perfetta (ci credo, lo misurava con la scusa di vedere se la bara intarsiata di madreperla che gli aveva preparato fosse giusta per lui…
Il tutto accompagnato da una risatina isterica, ovvio) era come quella che aveva da ragazzo: una sontuosa giacca nera con un camicia bianca, la prima aveva uno strano stemma (forse la marca) color argento molto piccolo, somigliante ad uno spillo sul colletto, mentre la seconda lo aveva cucito sul cuore.

Anche i pantaloni erano rigorosamente neri, e gli stivali pure. Però, doveva dirsi, era davvero un completo elegante e di ottima fattura.

Quando si guardò allo specchio, gli capitò una cosa strana: al posto del suo riflesso ne comparve un altro.
Sembrava ancora lui, ma aveva qualche particolare: non aveva gli occhiali, era un po’ più vecchio… Era un uomo, più grande di lui.
Aveva i capelli castano scuro, molto più chiaro rispetto al suo.
Gli occhi erano verdi, il naso dritto e la mascella decisa, la carnagione pallida e le labbra più rosee rispetto al resto del viso.
Era curato, con la sua stessa pettinatura.
Sorrideva ed era appoggiato ad una cancellata alle sue spalle, dove l’acqua limpida riluceva come uno specchio.

Era il mare?

O un lago?

“William…” la voce dell’uomo era bella, calda e rassicurante.

Lo chiamò mentre gli sorrideva.

Il ragazzo si ritrovò sull’acciottolato grigio chiaro, sentiva la brezza marina fra i capelli, il rumore delle onde che si infrangevano sul parapetto dove era appoggiato l’uomo.
Barcollò incerto per un attimo, prima di trovare stabilità ed avvicinarsi allo strano individuo.
Continuava a sorridergli.

“William!” chiamò più forte, ridendo.
Indossava una semplice camicia bianca, con dei jeans.
Gli pareva strano vederli: era talmente abituato alle sue divise… Tornare alla sera in divisa, mettersi in pigiama e rialzarsi per andare al lavoro, ancora in divisa.
Forse poteva provare ad usare qualche volta quegli indumenti, dopotutto anche Jane li metteva quasi sempre: non l’aveva mai vista in gonna, era convinto che le odiasse a morte.

"Sono roba per signorine fru-fru, non per tipe come me!" diceva sempre.


Senza volerlo, si ritrovò a camminare in direzione dello strano personaggio.
Indossava una strana collana, un drago avvolto ad una lancia.

“Avanti William, vieni qui, coraggio!” disse ancora, spalancando le braccia.

Stava per toccarlo quando sembrò essersi allontanato di sette metri.
Vide un ragazzino corrergli fra le braccia, mentre lui lo sollevava, facendolo volteggiare in aria.
Non riusciva a distinguere i lineamenti del piccolo, era come se la sua faccia fosse sfocata.
Si sentiva felice, come se fosse proprio lui a  volteggiare fra le braccia di quell’uomo.

Poi, avvertì un interferenza, e smise di sorridere.

Si sentì triste.

Lui non aveva mai avuto nessuno che lo abbracciasse, che gli dicesse che gli voleva bene, che era il suo bambino, che lo avrebbe protetto, che gli avrebbe insegnato tanto.

Nessuno che lo facesse ridere e lo facesse roteare in aria.

Senti un gelido rancore penetrare nel cuore.

Odiava i suoi genitori.

Lo avevano abbandonato a se stesso, non lo avevano voluto con loro.

Erano spariti così, con uno schiocco di dita, lasciandolo solo ad affrontare la vita avversa, a soffrire come il peggiore dei cani randagi.

Aveva il fiato corto e le mani strette a pungo.
Iniziò a guardare con puro livore quell’uomo e quel bambino. 


“No William, è sbagliato” sentì la voce dell’uomo forte e profonda nella sua mente.
“Guarda oltre l’odio, non farti ingannare, non combattere il tuo cuore, lascia che ti comandi. Il passato fluirà coma acqua limpida. Ora è troppo presto, capirai… Ricordati chi sei”.

Lentamente si calmò, e fissò in viso quella persona.
Aveva uno di quei bei sorrisi beffardi.
“Io credo in te, so che ce la farai, mi racc-” spalancò gli occhi e un’ombra di terrore gli passò sul viso.
“Attento William!!”.

All’improvviso, dopo un rombò di tuono il cielo si tinse di rosso come l’acqua, mentre il resto, nuvole, alberi e selciato diventavano neri.
Una risata malefica rimbombò nell’aria.
Spears si coprì la faccia dal vento improvviso che si era levato, mentre sentiva l’aria tagliarlo.
Il bambino rideva, ancora sollevato in aria, ma il padre no.
Gradualmente il bel viso cambiò completamente.
La pelle divenne bianca, mentre i canini iniziavano ad allungarsi ed appuntirsi, i denti si trasformarono in zanne.
Gli occhi divennero scarlatti, con la pupilla tagliata come quella di una bestia feroce, mentre le fiamme di tutto l’inferno fiammeggiavano nelle iridi cremisi.
I capelli diventarono nero corvino, più corti ed ondulati.
Le unghie iniziarono ad allungarsi, fino a trasformarsi in artigli nero tenebra.
Le mani afferrarono il collo del bambino, ancora a mezz’aria che iniziò a comprendere tutto.
Strinse la presa sulla fragile gola.
Il piccolo si dimenava, tentando di urlare, scalciando, mentre William, tremante guardava quella terrificante scena.
Era sconvolto, atterrito come mai nella sua vita, non riusciva a muoversi.
Alfred si voltò verso di lui, mentre strozzava il ragazzino.
Rideva, rideva il bastardo, di lui, della sua paura della sua sorte ormai segnata.
Poi, non seppe come si ritrovò al posto del bambino.

“Muori, muori, muori William!! Muooooriiii!!! Ahahahahah” “Ahh! Lasciami bastardo di un demone! Non sei altro che un vile assassino! Un codardo! Ahh!” gli mancava il respiro.

Nessuno lo avrebbe salvato.
Stava scivolando nell’incoscienza più buia quando avvertì la voce dell’uomo di prima.

“Avanti, reagisci, è solo un sogno, invoca l’aiuto di chi ami, delle persone cui vuoi bene, e loro verranno. Fidati dei tuoi amici e del tuo cuore. Questo è il mio regalo per te. Non ti posso aiutare, ma se potrò, cercherò di guidarti” si ritrovò il suo viso vicino al proprio.

“Avanti William, fallo, dì il nome di chi ti può aiutare… Di chi ami e di chi ti ama...”.

Una certezza si fece largo nel cuore di William.

“Padre… Non riesco, non ho aria…”

“Mi hai riconosciuto, quindi… Figlio mio, è tutto falso, ce la puoi fare, è una trappola, non stai soffocando. Fidati di me. Ho dato tutto ciò che avevo per salvarti, volevo vederti crescere e crescerti, volevo insegnarti tutto e sollevarti in aria tutte le volte che volevi. Volevo abbracciarti e sussurrarti che tutto andava bene. Ti amo figlio mio, questo non cambierà, nemmeno se sono morto ”

“Padre…” sussurrò Will, mentre sentiva qualcosa scivolargli sul viso.


Erano lacrime. 

Lui non aveva mai pianto, ora non poteva farlo davanti al genitore.

Non si trovava con la mano del diavolo sulla gola, era nel nulla, in un ombra circondata di nebbia.
Suo padre era lì davanti a lui, che pareva allontanarsi ogni secondo di più.
Non sapeva cosa significasse quello che gli aveva detto.
Poi capì, ed un’ espressione decisa si dipinse sul suo volto.
Spears senior rispose allo sguardo e scomparve.
Alfred lo stava ancora strozzando quando lo guardò e sorrise.
Un sorriso beffardo.
Prese quella poca aria che gli rimase e gridò. 



Bene ragazzi, forse, e dico forse, siamo vicini ad una svolta. Vi do un consiglio: non dimenticatevi il nome di Ray, a lungo andare, vi sarà una sorpresa. Alla prossima belli!

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Capitolo 10
*** Shinigami, che cosa provi veramente in fondo al cuore? ***









“JAAAANEEEE!!!” il demone lo fissò, stranito.
“E questa chi è? Su rispondi” “JAAAANEEEE!!!” William chiamava la ragazza a gran voce, ed ogni volta, sentiva che i suoi polmoni riuscivano ad avere sempre più aria.
Mentre Alfred perdeva sempre più potere.
Lo shinigami si sentì strattonare dal dietro e il diavolo mollò la presa indietreggiando inorridito, come se si fosse scottato, proteggendosi gli occhi, come se ci fosse troppa luce.
Quando il dio si girò, vide una donna bellissima, in jeans e camicia. Aveva lunghi capelli lisci e neri, come la notte più oscura, profondi occhi verdi screziati di giallo, pelle di porcellana e labbra perfette.
Era una perfetta sconosciuta che gli sorrideva dolcemente. Ma William sapeva già chi fosse.
“Madre…” disse con un filo di voce, soffocando il pianto. Ma una lacrima gli sfuggì, e venne prontamente asciugate dalla donna.
“Vai William, ti sta aspettando… A presto” di colpo, si sentì come se qualcosa lo stesse risucchiando.
Alfred ruggì e tentò di afferrarlo, ma non ce la fece, perché lui era già stato trascinato via da qualcuno.
Sentiva gli occhi asciutti, sapeva che erano spalancati, ma non vedeva nulla.
Nella sua mente, ora completamente vuota, aveva l’immagine dei suoi genitori. Dunque, non l’avevano abbandonato.
Poi, sentì un colpo fortissimo, come un schiaffo, raggiungerlo alla guancia destra.
Anzi, quello era uno schiaffo.
“SVEEEEGLIATIII!!” .

Jane.

Appena la vide, le bloccò la mano prima che potesse colpirlo e poi fece una cosa di cui si stupì lui stesso.
L’abbracciò.
Avvertì il profumo di pulito che l’accompagnava sempre, la morbidezza dei suoi capelli.
All’inizio lei non aveva la più pallida idea di cosa fare, ma poi, conscia del pericolo che il suo compagno avesse corso, rispose all’abbraccio, stringendosi al suo ampio petto, affondando nella sua divisa, appoggiando la testa nell’incavo della sua spalla.
“Stupido, era quasi riuscito a scoprirti, e io che ti aspettavo giù di sotto, avevo voglia ad attenderti...” mormorò, inspirando il suo profumo di menta.
“E' successo tutto all’improvviso, non capivo nulla. Ho visto i miei genitori, sai? Ho parlato con mio padre e ho visto il demone. Voleva strozzarmi, ma mio padre mi ha detto che era tutto falso, che dovevo dire il nome di una persona che amavo, a cui volevo bene… Così ho chiamato te” disse, mentre lei gli tirava un buffetto sulla testa, avendo avvertito un pizzichino di malizia.
”Scemo…” mormorò, rigirandosi tra le sue forti braccia.
“Uff, era per scherzare…” sbuffò l’altro.
“Wiliam T. Spears che fa delle battute? Mi devo preoccupare” disse staccandosi leggermente, per scrutarlo con finta aria allarmata. L’interpellato sbuffò risentito e voltò la testa.
“Basta! E io che volevo essere carino per una volta, ma a quanto pare non gradisci, bene allor-” sentì le labbra della ragazza sfiorare le proprie e depositargli un leggero bacio sull’angolo desto della bocca.
Poi lei si voltò “Guai a te se ti fai strane idee”, ma prima che potesse fere un altro passo William l’agguantò per un polso, con una stretta forte, ma gentile.
“Tocca a me ringraziarti” disse, freddo, mentre deglutiva. I
l cuore di Jane iniziò ad accelerare, e quando si trovò a pochi millimetri dalle labbra di William si fermò. Sentiva il suo respiro sopra la pelle, tuttavia, non aveva abbastanza coraggio per guardarlo in faccia.

Si avvicinò sempre di più, e di più…

Finché…

Le depositò un bacio sulla fronte.

“Grazie” disse “Vogliamo andare adesso?” proseguì, indicandole con un cenno la porta.
La ragazza lo guardò, spiazzata, e poi uscì dalla stanza: il ragazzo la seguì con un sorriso beato e soddisfatto stampato sulla faccia.


Bart stava fissando l’orologio, sbuffando e controllando che tutto andasse bene, che l’attrezzatura fosse a posto. Stava stringendo per l’ennesima volta il sottopancia, quando vide arrivare i due giovani.
William si fermò: non aveva mai visto una giumenta con un pelo così bello. Era un manto Palomino, lucente e dorato. La criniera, la coda, le corte balzane e la lista allungata immacolate, faceva contrasto con il resto del corpo, d’oro.
Jane aveva i pantaloni bianchi, come la giacca, la camicia invece era nera.
Erano due opposti, completamente diversi, anche nel vestire.
Ma, dopotutto, secondo le leggi dell’elettricità, due opposti si attraggono.
“Allora, sei pronto? Vedi di restarmi dietro, Will” disse Jane, mentre saliva, aveva la sella nera ricamata d’oro, come i finimenti.
Per quanto riguardava Joey, la situazione era diversa. Sottosella bianco, sella e finimenti neri e argento.
Bartholomew borbottò qualcosa a proposito del lavoro con i cavalli, e scappò via dopo le sue solite raccomandazioni.
“Ti sta bene quel completo, sei carina” la ragazza era girata di spalle, così l’amico non la vide arrossire.
“G… Grazie” “Guarda che parlavo con la cavalla” lei, incavolata nera si girò di scatto, fulminandolo “Ma sei stro-” “Scherzo, parlavo di te, che permalosa” disse con un accenno di sorriso l’altro.
Jane s’imbronciò, osservando William che la superava.
Poi, con uno schiocco di lingua, spronò la sua giumenta, che si mise davanti a Joey.
“Prima le presentazioni, lei si ricorda di te, tu  no” Will parve incupirsi quando lo disse, e, con la sua solita freddezza, si sporse dalla sella per guardare negli occhi la cavalla.
“Con chi ho il piacere…?” “Sandia, ora possiamo andare, guai a te se mi superi, davanti sto io” “Vedremo” pensò William,  mentre si accingeva a trottarle dietro.
Si sentiva un po’estraneo, era fuori allenamento, ma dopo poco si abituò, iniziava a ricordare.
Si ritrovarono in aperta campagna, molto più avanti c’era il cipresso…
Will sorrise furbescamente, mentre aumentava l’andatura e si affiancava alla ragazza.
“Allora… Sei ancora arrabbiata per prima? Ti chiedo scusa, però era una battuta inevitabile” lei sbuffò.
“Allora non riesco proprio a farti parlare, eh? Bene, vorrà dire che ti costringerò”.
All’improvviso, mentre l’amica si girava verso di lui, spronò Joey, che partì al galoppo, tutto esaltato.
“Williaaam! Smettila di fare il cretino, vieni qua, non conosci i sentieri!” urlò l’amazzone, mentre Sandia accorciava le distanze.
“Invece sì! Io sono cresciuto qua, ricordi?! Avanti, prendimi!” ridendo, sfidò il vento ad una gara di velocità.
Salì sulla collina e la ridiscese, per puntare sull’ampio sentiero nel bosco
. Poi, per una viuzza secondaria, si ritrovò a costeggiare il torrente, dove era solito fare il bagno estivo da ragazzo.
Rallentò un poco per controllare che Jane lo seguisse ma non la vide.
Poi udì uno scalpiccio di zoccoli e ripartì alla volta del laghetto, dove si fermò per far bere il suo amico.
Si sfilò la giacca e si slacciò qualche bottone della camicia, borbottando qualcosa a proposito del caldo.
In quel preciso istante, mentre stava sfilando i piedi dalle staffe e mollare le redini, qualcosa gli andò a battere contro.
Joey ebbe un sussulto e fece una piccola impennata. Il suo cavaliere cadde in acqua.
“Ma che…?” “Così impari a fare il grande, caro il mio impiegato”.
William si accigliò: nessuno, e ripeto, nessuno lo poteva umiliare in quel modo.

Né Jane.
Né Undertaker.
Né Sebastian.
Né Ciel. C


on i denti digrignati, vide che la ragazza gli stava offrendo la mano.
Esaminò la situazione: piedi fuori dalle staffe, cavallo placido e non irrequieto, amazzone assorta.
Perfetto.
Allungò la mano guantata e strinse quella di Jane, che fece una  piccola smorfia.
Però, ne aveva di forza, Will.
Con gli occhi nascosti dal riflesso degli occhiali, sorrise improvvisamente, guardandola.
Con uno strattone la fece cadere come un sacco di patate in acqua.
Mentre lui sghignazzava divertito, lei riemerse furente, lanciandogli qualche maledizione.
“Tu! Maledetto codardo come ti sei permesso?!” “Nello stesso modo in cui ti sei permessa tu” ribatté freddo, ma con un velato tono sarcastico.
“Io… Io ti…”
“Distruggo? Accartoccio come un giornale? TI defenestro dall’ultimo piano? Ti spacco in due? Ti do in pasto ad Alfr-” si sentì abbracciare, stretto, mentre sentiva una risata cristallina invadere l’aria.
“Io ti odio William T. Spears, sei uno stupido, vendicativo, amabile compagno, non chiedo di meglio” gli sussurrò, stingendosi al suo petto, terribilmente calda.
Lui si irrigidì a quel contatto, cercando aiuto negli occhi di Joey, il quale si girò mostrandogli il didietro mentre nitriva.
Sembrava un’orribile risata.
Era, una pseudo, orribile risata.
“Ehm… Ti senti bene?” chiese, nervoso.
“Sai che ti dico… Will?” sussurrò lei, languida, mentre gli pungolava con l’indice il petto, con l’altra mano sul suo viso e le labbra vicine alle sue.
“Ehm… No, n…Non lo so per niente” balbettò l’altro, che stava andando in tilt.

“O cavolo, ma che mi succede? Non mi agito mai, quante volte Sutcliff e Undertaker l’hanno fatto, e io mi sono al massimo seccato, mai vergognato/imbarazzato così? Ma che razza di sentimenti ho? Mi sento male, sento che sto avvampando poco a poco… Io odio il caldo, io sono freddo! Non voglio il caldo! Io son-” smise di articolare il pensiero quando sentì due paia di labbra che sfioravano le sue, troppo vicine.

Vedere William T. Spears accendersi così violentemente era raro (ed unico) quanto vedere la Madonna fare la spesa alla Coop.

Praticamente nemmeno lui credeva di essere in grado di farlo, non gli era mai successo.
E si era trovato, in situazioni come quelle, almeno un centinaio di volte, con diverse persone che popolavano il suo ambiente lavorativo.
Non c’era bisogno di nominarle, affatto.
Sentì il dito della ragazza risalire dal petto, accarezzargli il collo candido per poi prendergli il viso, lasciandosi dietro una scia bollente.
“William…” mormorò lei, stringendoglisi contro “Io credo… Anzi so di provare qualcosa per te, un sentimento intenso che non mi permette di vivere senza pensarci ogni singolissimo minuto della mia esistenza. Io lo penso, lo sogno lo desidero. E desidero solo poterlo vivere con te. Non ho mai avvertito nulla di simile per nessuno, nemmeno per me stessa” continuò, mormorando dolcemente.
Poi, poggiando la fronte contro quella del ragazzo, che si stava surriscaldando, fece per poggiare anche le labbra su quelle dello shinigami ma si fermò, sfiorandole ogni secondo che passava, bramandole.
Sentiva il cuore di lui battere talmente forte che forse fra un attimo gli sarebbe schizzato fuori dal petto e le sarebbe balzato in braccio.
Lo vide deglutire mentre arrossiva ancora di più, con le braccia lungo i fianchi, inermi.
“Io credo di sapere il nome di quello che sento, voglio sapere se tu ricambi…” si morse il labbro inferiore.
William non riusciva ad articolare mezzo pensiero, figuriamoci mezza frase.

Forse gli era venuto fuori un suono strano simile a: “Ehm…Uhm…?Ah…?”.

“Ora ti dico io come si chiama: quel sentimento… Si chiama…”.
Una gamba si mosse fulminea dietro il ragazzo e lo falciò, mentre una mano gli agguantava la spalla e un braccio faceva leva per sbatterlo in acqua*.
E ci riuscì, eccome.

“…Vendetta” concluse Jane, soddisfatta, guardandolo dall’alto in basso mentre sputacchiava e tossiva.

Poi si chinò prendendogli il mento fra le mani “Non si scherza con me William T. Spears, ricordati: dopo un’ azione c’è sempre una reazione, o almeno questo è il mio modo di pensare” gli sorrise, mentre si alzava.
Ma William non rispose.
Inizialmente rimase stupito, poi si sentì umiliato: questa volta lo aveva ferito, aveva giocato con i suoi sentimenti, e lui non aveva intenzione di prenderla con filosofia.
Iniziò ad arrabbiarsi: in un istante aveva pensato che lei… Insomma che gli volesse bene, che stesse dicendo quelle cose perché ci credeva veramente, e lui…

Basta.

Si alzò fradicio, e le scoccò un’occhiata gelida, una delle migliori che avesse nel repertorio.
Per un momento il sorriso della ragazza parve vacillare: forse si era resa conto di aver calcato un po’ troppo la mano.
Si sentì in colpa: forse, veramente lui poteva provare…?
Inarcò le sopracciglia e si tolse la giacca, stendendola su un masso caldo.
Senza girarsi, per paura che lui potesse vedere la debolezza sul suo viso, parlò con tono distaccato.
“Ti conviene fare la stessa cosa, non si va a cavallo bagnati, si rovina l’attrezzatura…” William non rispose e si avviò verso un albero poco distante, con un ramo basso senza foglie.
Si sbottonò la camicia e la appese, facendo mostra dei suoi bei muscoli.
Sì, li aveva, non passava tutto il tempo in ufficio a firmar carte, ci teneva alla sua salute e non poteva farsi trovare impreparato in qualche scontro.
Poi, dopo essersi scrollato i capelli bagnati, si sfilò gli stivali e le calze, che rispose su un masso, quindi si sedette su di un sasso ad osservare il laghetto.
L’estate era finita, sebbene non fosse ancora cambiata la stagione, e l’autunno si insidiava lentamente nella vegetazione, macchiandola con i suoi bellissimi colori.
Le montagne erano brune, gialle, rosse, arancioni, così come le foglie, l’erba un po’ più secca e le castagne chiuse nei ricci.
L’ora di pranzo doveva essere passata già da un pezzo, ma nessuno sentiva i morsi della fame.
William, chiuso nel suo gelido silenzio, osservava l’acqua limpida, che specchiava la natura lì intorno.
Jane imprecò: la camicia nera era ancora molto umida, così come la giacca.
Almeno i pantaloni, le calze e gli stivali erano asciutti.
Rabbrividì: si era alzato un vento freddo, e ora lei stava gelando.
Iniziò a tremare, spostandosi al sole: forse sarebbe riuscita a scaldarsi.
Will si girò di traverso, guardandola mentre si riscaldava.
“Ti conviene toglierti la camicia, non si asciugherà mai, se te la tieni addosso umida, finirai solo per ricavarci un malanno… Non ho la minima intenzione di guardarti” disse, mentre, ancora gelido, la fissava.
Era davvero bello.
Aveva un fisico scultoreo, con la pelle bianca come il latte, sembrava una di quella statue greche, in marmo bianco levigato.
Jane credeva che, in fondo, fosse una brava persona, gentile, anche se era sempre freddo e distaccato, quasi cinico, a volte.
Ma c’era qualcosa in lui, a cui lei non sapeva resistere: si sentiva attratta come una mosca lo è dal miele, e questo ancora non riusciva a spiegarselo.
Aggrottò le sopracciglia, triste: suo padre non voleva che loro fossero così vicini, lo aveva capito bene. Non le avrebbe mai permesso di poter diventare sua amica, non sapeva perché, sembrava che se fosse stata con lui, il suo destino sarebbe stato segnato per sempre.
Non riusciva a sopportare l’idea di non poter stare più con lui, d’altronde, dopo la morte di sua madre quando lei era piccola, non aveva frequentato più nessuno: nessun servitore, nessun tutore e nemmeno suo padre le regalavano gioia.
Non aveva neppure degli amici, aveva studiato a casa fino all’accademia, dove legò con qualcuno, che poi perse, perché il lavoro li aveva separati.
Undertaker non l’aveva mai lasciata lavorare al Dispatch, il dipartimento “Invio Dei della Morte”, che l’attirava, dove lavorava anche William.
Forse proprio per quel motivo.
William era stato il suo unico amico, e l’aveva rallegrata, prendendo un po’ del suo carico sulle spalle, alleggerendola.
Le era stato grato, e più gli anni erano passati, più era diventato simpatico e sempre meno freddo…

Poi, quando se ne era andato…

Non ricordava niente del suo ultimo saluto, aveva solo una sensazione di sconforto infinito, come se una parte di sé, non solo del suo cuore, l’avesse abbandonata.
Mentre ripensava a tutto ciò, William le si avvicinò.
Poco dopo sentì la sua mano fredda, come quella di una morto, passarle sul viso. A
lzò gli occhi sorpresa, e si accorse che le era scesa una lacrima solitaria, che le aveva asciugato nonostante quello che lei gli aveva fatto.
Lui la guardò, con le labbra piegate in una linea perfettamente orizzontale, inespressiva.
Era una persona imperscrutabile, il suo sguardo era indecifrabile, e lei, per la prima volta, non sapeva come guardarlo, ne cosa dirgli.
La osservava come se sapesse tutto quello che aveva pensato e che stava pensando.
Ma lei non ne era sicura, affatto. Abbassò lo sguardo, dispiaciuta, ma non riuscì a proferir parola.
Poi, avvertì il calore di un tessuto, e si ritrovò davanti una giacca nera, un paio di taglie in più della sua.
“Non credo sia salutare che tu resti senza nulla con cui coprirti, rientrerebbe nei tuoi interessi accettare la mia proposta…” disse, freddo.
Lei annuì e si girò.
Con la coda dell’occhio vide che lo shinigami si stava togliendo gli occhiali e girava la faccia, tendendo il braccio con la giacca.
Jane sorrise debolmente: aveva preso tutte le precauzioni per non guardare in nessun modo, mentre lei si cambiava.
Mentre rabbrividiva senza la camicia umida, afferrò il vestito e lo indossò, chiudendolo accuratamente, stringendosi nelle spalle sentendo la stoffa morbida contro la pelle, inspirando quel profumo di bosco e menta che lui aveva sempre.
Si girò, grata, e lo tirò per la manica.
Quando anche lui si voltò gli si strinse contro, dandogli un veloce quanto timido bacio sulla guancia.
“Grazie…” sussurrò “Scusami tanto per prima sono stata cattiva” detto questo, si allontanò, improvvisamente interessata per un castagno che pendeva sul laghetto.
Lo shinigami restò immobile per un po’, fin quando non si decise a muoversi, dirigendosi verso Joey.
Guardò l’orologio: le quattro e mezza.
Come aveva fatto il tempo a volare così? Sì, erano partiti tardi, alle undici, però… Bah, meglio lasciar perdere. Si voltò verso la sagoma di Jane, china ad osservare il proprio riflesso nell’acqua.
Se non sbagliava, di lì a poco, ci sarebbe stato l’anniversario della morte della madre di Jane… Fissò le foglie del castagno che ricadevano nello specchio liquido e la ragazza che vi si specchiava.
Era sicuro che prima stesse pensando anche a quello, quando le aveva detto di togliersi la camicia, o meglio: stava pensando alla morte di sua madre… E che lui le era stato vicino.
Tutta la tristezza che aveva accumulato in quegli anni… Può essere davvero pesante se ci si pensa tutt’ad un tratto, se viene a presentarsi un bel giorno nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Affilò lo sguardo, aggrottando la fronte: chissà che aspetto aveva…?
Di cos’era morta?
Le assomigliava?
Se era stata assassinata, chi aveva osato farlo?
Chi aveva sfidato Undertaker?
Non erano affari suoi, però certe volte i dubbi gli venivano spontanei e prepotenti, ma non osava chiedere niente.
Alzò il capo, osservando le nuvole passeggere nel cielo terso.
I suoi genitori… Chi li aveva fatti fuori?
Non lo avevano abbandonato, e a quanto pare gli volevano bene… Ma come avevano fatto a contattarlo?
Suo padre non gli aveva spiegato niente, come poteva uno shinigami morto comunicare con suo figlio, vivo?
Perché non lo aveva fatto prima?
E se fosse stata tutta una farsa?
Se fosse stato un diabolico piano di Alfred?
Lo stava cercando, ed era quasi riuscito a scovarlo, però doveva essergli costato uno sforzo immane, era ancora debole, ma se lo avesse scovato e si fossero incontrati, uno dei due sarebbe morto.
Dopo venti minuti il vento si intensificò: erano quasi le cinque, forse era meglio andare, se facevano il giro ci avrebbero messo un’ora circa, e lui non aveva voglia di ripetere lo stesso percorso dell’andata.
William si diresse verso la sua camicia.
Dopo averla tastata per bene, la prese e se la infilò.
Si sedette nell’erba e si rimise calze e stivali.
Udì dei passi ed alzò lo sguardo: Jane lo stava imitando, in religioso silenzio, con lo sguardo basso.
La vide rabbrividire e dirigersi verso la sua camicia.
Mentre la stava scuotendo, sentì due braccia calde abbracciarla.
Will, appoggiando il mento sulla sua spalla le sussurrò all’orecchio “Scuse accettate, vedi di non prenderti un raffreddore” il tono era distaccato, ma la sua voce era piacevolmente calda come la sua stretta.
Poggiò il suo capo a quello dello shinigami, avvertendo un’immediata sensazione di pace. Chiuse gli occhi  e rimase in silenzio, sorridendo debolmente.
“Grazie, non lo farò più, ti ho fatto una cattiveria e non si ripeterà, perché io…” silenzio.
Si rigirò fra le sue braccia e poggiò la testa sul suo petto, ascoltando i battiti del suo cuore.
“… Ti voglio bene, amo- ehm, amico mio” avrebbe voluto restare così per sempre, quando percepì la stoffa della sua camicia sulla pelle.
Il ragazzo aveva sciolto l’abbraccio, e lei, a malincuore, prese la camicia. Mentre lo shinigami si abbottonava la sua, (girato e senza occhiali) iniziò  ad allacciarsela, togliendosi la giacca calda.
Per fortuna il vento l’aveva asciugata, anche se la sua giacca era ancora umida.
Decise di legarla alla sella, durante il viaggio.
Porse il vestito a William che però rimase immobile.
“Se hai freddo, visto che la tua è ancora bagnata puoi pure tenerla almeno sulle spalle il tessuto della camicia è molto leggero ti ammalerai, io amo il freddo e non lo soffro sto bene così” detto questo si voltò, dirigendosi verso Joey, che alzò la testa di scatto e gli trottò in contro baldanzoso.
Montò in sella, aggiustandosi gli occhiali e guardando la ragazza con i suoi soliti occhi gelidi, aspettando che montasse per andarle dietro.
Lei assicurò la giacca e salì , dando una carezza a Sandia.
“Andiamo” disse dirigendosi verso il bosco, con la giacca nera che spiccava sulle sue spalle come un mantello.
Avanzarono al passo per un po’, ammirando la natura.
Jane era persa nei suoi pensieri, con la quiete che c’era nel bosco, riusciva sempre a schiarirsi le idee.
Guardò il cielo e provò una fitta di malinconia. Fra due giorni sarebbe stato l’anniversario di morte di sua madre, Arianne.
Sempre, in autunno, la portava a cavallo su quella stessa strada nel bosco, che portava alla magione. Lei era piccolina, allora sua madre la metteva davanti a lei, sulla sella, e guardavano il cielo insieme, mentre suo padre era al loro fianco, quando non lavorava.
Era dolce e sensibile, ma decisa e testarda, se doveva affrontare un problema.
Le assomigliava, da suo padre aveva ereditato solo gli occhi.
Sospirò: le mancava tanto, lei era così piccola…
All’improvviso sentì una mano stringergli la spalla: William la guardava, indecifrabile, ma  nei suoi occhi parve scorgere un’ombra di  compassione.
Lei lo fissò, con la bocca dischiusa, poi cercò di sorridere, invano.
Lui le sorrise tristemente, con un po’ di compassione, facendo partire al trotto Joey, imitato da Sandia.
Uscirono dal bosco ed imboccarono la strada che li avrebbe portati a casa.
“Da domani dovrai lavorare sodo. Mio padre ha già in mente un programma preciso… E non del tutto sicuro. Quando arriverà dovrai raccontargli di quello che ti è capitato stamattina, se Al ha tentato di scoprire dove sei, vuol dire che non sa neppure da che parte iniziare…”
“Come ha fatto? Non ho mai letto articoli riguardo il saper entrare improvvisamente nel subconscio di altre persone, di capire la loro posizione entrandogli nella mente o apparire negli specchi altrui… e mio padre? Anche lui deve possedere gli stessi poteri, non trovi? Come ha fatto ad aiutarmi…? E poi, perché non mi ha mai fatto sapere nulla, sulla sua scomparsa e su quella di mia madre?” “Perché è morto, i morti di solito non ci contattano… Devi parlarne con mio padre, io non me ne intendo molto…”
“Ho paura che se parlerò con lui otterrò solamente altri rifiuti, non vuole dirmi niente… Forse nella tua biblioteca c’è qualcosa di simile… Altrimenti… L’alternativa è…” seguì un momento di silenzio in cui i cavalli si arrestarono.
“…L’archivio del Dispatch, libreria interna scaffale 14, lo scaffale proibito. È sorvegliato quasi interamente ventiquattro ore al giorno, il suo patrimonio è davvero immenso, viene considerato importante tanto quanto la biblioteca delle anime, e al luogo segreto dove ci sono le copie dei nostri cinematic record, con la nostra storia…” si bloccò di colpo, spalancando gli occhi. “Ma certo! Il mio cinematic record è stato tagliato, in pratica io non ho più “un pezzo” della mia vita, quindi, se potessi mettere le mani sul mio “diario di bordo” potrei recuperare tutto ciò che mi è stato brutalmente strappato! Potrei scoprire la verità sul mio passato, e sul perché non ti ricordavo! Sul perché non ci ricordavamo! Ma è ovvio…” mormorò “…Ma Undertaker non mi permetterà mai di tornare al lavoro, almeno finché la minaccia del diavolo non sarà scongiurata… Ma per combatterlo devo sapere cosa mi è capitato ed imparare a sfruttare a pieno tutte le mie potenzialità…” “Prima prova ad allenarti, poi, vedremo cosa succederà. Tutto dipende da te, fai le mosse giuste. Ora sbrighiamoci, dobbiamo tornare presto, sta facendo buio” detto questo la shinigami incitò la cavalla al galoppo, che rispose immediatamente con la sua leggera andatura.
William la seguì: forse per lui c’era una vaga speranza di sapere chi era.

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“Ti ucciderò piccolo erede… Non mi scapperai per sempre… Perché io ti osservo dalle tenebre più oscure…” sussurrò maligno il diavolo, mentre si leccava le labbra nella penombra della sua stanza. 

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Capitolo 11
*** Mezzosangue ***


Grazie mille a tutti i lettori silenziosi che leggono la storia: le vostre visualizzazioni sono vertiginose! :) ringrazio Alois24 per il supporto, ne ho davvero bisogno, grazie :) Lasciate una piccola recensione, se vi va!


La cadenza ritmica degli zoccoli dei cavalli risuonava nella notte, l’unico rumore esistente.
I due Dei della Morte galoppavano verso casa, ognuno immerso nei propri pensieri, troppo occupati per alzare lo sguardo verso la propria magione.
Poi, tutt’ad un tratto, i cavalli rallentarono al trotto, sollevando di scatto la testa e tirando le orecchie indietro, mentre frenavano di botto: qualcosa non andava.
William alzò gli occhi verso la villa: nella notte non si vedeva nulla, eppure erano solo le sette di sera.
Alla fine, avevano ritardato di molto.
Eppure, qualcosa intimoriva i cavalli.
Jane inspirò l’aria fredda, mentre il ragazzo assottigliava lo sguardo.
Poi trasalì: volute di fumo si innalzavano dalla casa.
Con un’esclamazione, la ragazza incitò di nuovo Sandia, che non accennò a muoversi, scartando di lato.
“No… Avanti vai Sandia, è  un ordine! Sento odore di fumo, un incendio! È sicuramente successo qualcosa di grave! AH!!” William incoraggiò Joey e richiamò la sua Death Schyte, sistemandosi gli occhiali mentre l’animale partiva al galoppo.
Voleva terribilmente sbagliarsi: quello che aveva sentito non era solo odore di fumo.

C'era anche puzza di demone.

Iniziarono con un trotto veloce molto incerto, e poi, dopo le urla rabbiose di Jane i cavalli ubbidirono, galoppando lentamente verso il pericolo.
“Jane, richiama la Death Schyte, ho sentito puzza di demone, spero di essermi sbagliato” “Lo spero anch’io William” poi richiamò la sua arma: era una spada piuttosto lunga, finemente lavorata. L’elsa era in diamante nero, un minerale resistentissimo, intarsiata di diamante bianco con motivi somiglianti a draghi, o qualcosa del genere, mentre un teschio poco rassicurante brillava all’inizio dell’impugnatura. La lame era a doppio taglio e, nonostante la lunghezza, era molto leggera e maneggevole. Splendeva fiocamente di un’innaturale luce bianca. Notò anche un altro dettaglio: l’elsa terminava con due ali simili a quelle degli angeli, attorcigliate attorno alla lama. Il galoppo si intensificò, fino a diventare selvaggio.
Man mano che i due si avvicinavano, scorgevano un bagliore sempre più intenso. “Avanti Joey, più veloce, più veloce!!” pensò William, che faticava a stare dietro alla ragazza, che galoppava sfrenata verso la propria abitazione, con la spada sguainata. “Sì padrone, vedrò di fare quello che posso, il fumo mi da fastidio: lasciami un po’ di redini e cercherò di prendere più fiato, per correre meglio” Will sbarrò gli occhi: poteva veramente parlare con il pensiero al proprio cavallo? Prima d’ora non era mai successo. Allungò le briglie e Joey alzò la testa, sbuffando dalle froge e prendendo fiato.
“Ora va molto meglio, grazie, padrone” “Figurati” pensò imbarazzato William. Il cancello era aperto: dovevano aver fatto irruzione con la forza.
“Bart! Bart! Che diamine è successo?! Bart rispondi! Papà!! Dove sei?! PAPA'!!!” Jane cercava di scorgere qualcuno oltre la coltre di fumo, ma non riusciva a vedere quasi nulla.
William la raggiunse parandosi davanti a lei “Fermati! Ci vuole calma, non puoi andare in giro così senza un metodo, rischi solo di girare in tondo! Facciamo così: andiamo sul retro, dove, a quanto pare, dovrebbe esserci il fuoco. Se non viene estinto può giocare a nostro sfavore, intanto, non urlare: se ci sono dei nemici ci potrebbero sentire, cerca di sfruttare l’effetto sorpresa, finché puoi” terminò, aggiustandosi gli occhiali sul ponte del naso.
“Avanti, andiamo: stai dietro di me, tagliamo per il prato” William partì al galoppo, tuffandosi nella nebbia piena di fumo.
Saltò cespugli e panchine, fontanelle e siepi: giocare in casa aveva i suoi vantaggi. Appena svoltato l’angolo, però, rimase di sasso, tanto  che Joey si arrestò di botto.
La scena che aveva davanti, non se la sarebbe mai aspettata.
“Ma perché diavolo ti sei fermato?!!” urlò Jane, che aveva tamponato Joey ed era finita spiaccicata sulla schiena di William.
Lui, per tutta risposta si richiuse la bocca ed indicò l’intera situazione.

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Sandia si guardava sconcertata in torno, tanto quanto lo era la sua padrona. In un angolo della tenuta bruciava un enorme falò, fatto di foglie secche, alcune ammuffite e paglia inmangiabile: questo spiegava il grande fumo che popolava il davanti della magione.
Esattamente sul retro, a qualche metro di distanza dal dondolo e dal ciliegio in fiore,  c’era una tavolata, con delle persone, alcune sconosciute ed alcune fin troppo note, sedute apparentemente a chiacchierare.
Vicino ad esso c’era un enorme barbecue, cinque metri per cinque strapieno di carne che Bart stava grigliando.
Undertaker gli stava venendo in contro con la bocca piena di cibo “Ciao ragazzi, andate a cambiarvi e venite a cena, dovete venire a sapere di alcune cose alquanto importanti” poi si infilò un’altra salsiccia in bocca e girò i tacchi, tornando nella mischia.
Portarono i due cavalli nelle scuderie e li dissellarono, lasciandoli all’aperto, mentre loro si cambiavano nelle rispettive stanze.
Specchiandosi, William vide riflessa l’immagine di suo padre.
“Fidati di loro, per ora… Ricordati che sei” una lieve brezza gli scompigliò i capelli e sparì, così com’era venuto.
Quando Will si girò, trovò un paio di occhiali squadrati sul comodino, nuovi di zecca.
Li prese in mano: la fattura era quella del Padre, il grande maestro costruttore di occhiali, ed erano come i suoi che si erano rotti.
Aprì il bigliettino che era lì a fianco:

“Ti donavano troppo per buttarli in spazzatura, sono sempre loro, non so come ha fatto, ma quel vecchio barbogio li ha sistemati, alla prossima bambino! Da: la tua segretaria preferita.”.

Sorrise: Hylda non si smentiva mai, e mai l’avrebbe fatto.
Li indossò e scese, incrociando Jane sulle scale, che lo fissò per un po’, mai poi abbassò lo sguardo.
“Li conosci William?” chiese lei, mentre si incamminavano.
“Mi sembra di aver riconosciuto qualche volto… Sono più che sicuro che un paio di loro sono demoni…”.
Arrivarono nel cortile con la loro migliore maschera di ghiaccio.ù
“Avanti, sedetevi, venite qui” li invitò Undertaker.
Arrivarono al tavolo e William si accigliò.
Un demone dai capelli corvini lo salutò, con un sorriso di falsa cortesia.
“Salve, sono felice di rivedervi, è da molto che non avevamo sue notizie, ci stavamo persino preoccupando quando non l’abbiamo vista arrivare a prendere quel depravato del suo collega alla magione”
“Sì, quello è stato il momento in cui abbiamo iniziato a sospettare che fossi in guai seri… E infatti…”.
Un ragazzo dai capelli blu terminò la frase, dandogli del tu con un sorriso beffardo.
“Ciel Phantomhive e Sebastian Michaelis…” sussurrò William, assottigliando gli occhi.
“Esatto, li  hai riconosciuti… Ih ih ih…” ghignò il becchino.
“Che bello rivederti in salute, è alquanto divertente comandare in ufficio, l’altra sera abbiamo fatto festa fino al giorno dopo, in pratica non siamo tornati a casa, abbiamo timbrato i cartellini e abbiamo iniziato a lavorare… Per modo di dire”
“Hylda Cavendisch…” mormorò lo shinigami, quando la vide.
Poi, un’altra figura si fece avanti: era un giovane uomo, alto, qualche anno in più di lui, completamente sbarbato con i capelli arancioni lisci che gli arrivavano alla base del collo.
Aveva gli occhi oro, con qualche spruzzata di blu, con delle fiamme verdi che si agitavano intorno alla pupilla, con l’iride contornata di rosso.
“Piacere di conoscerti, è la prima volta che ci incontriamo” gli tese la mano ma lo shinigami esitò, squadrandolo.
L’altro sorrise, benevolo.
“Puoi pure toccarmi, non sono un purosangue come questo qui” disse, indicando Sebastian “Sono un incrocio, meticcio o bastardo, come ci chiama certa gente che crede di essere superiore perché appartiene ad una sola razza, ma io sono più che soddisfatto di essere un mezzosangue, all’inizio è difficile, ma poi ci convivi: io posseggo più caratteristiche, appartengo a diverse razze e sono unico nel mio genere, mi piace l’idea di non essere uguale a tutti gli altri… Sono Federik, Federik Jones” William strinse la mano, provando un pizzico di rispetto ed ammirazione: sentiva che quel giovane un po’più grande di lui, nell’animo non era un demone.
Aveva sempre avuto quel dono, da quando era nato: saper distinguere un persona.
Se Sebastian, Claude o Alfred avessero detto le stesse parole, lui avrebbe capito che mentivano.
Quindi, si fece avanti un ragazzo vestito rigorosamente con jeans e camicia neri: era più grande di lui forse di un anno, più piccolo di Federik, ma era completamente diverso.
Aveva i capelli corti ed ondulati nero corvino, un po’ spettinati, la pelle lattea con alcune ombre scure sotto gli occhi, un alternarsi di cremisi e oro, con fiamme infernali blu mare che danzavano, l’iride contornata di verde .
Erano piuttosto inquietanti, e, anche se dietro di essi c’era una persona buona e di fiducia, all’apparenza davano un senso di fastidio, di nervosismo.
Doveva essere bravo a lottare, visto che aveva un fisico scolpito.
“Ciao amico, io sono Jason Blaik, un mezzosangue come l’altro, sono un incrocio un po’strano… Sono figlio di un purosangue e una mezzosangue, perciò non so come definirmi” gli porse la mano e lui la strinse, non trovando colpevolezza in quegli strani occhi, che, visti da vicino, erano contornati di verde.
“Bene, ora che sono finite le presentazioni, direi di sederci al tavolo e discutere di affari” disse Undertaker.
“Bene, ci siamo tutti: come ben sapete, forze tanto terribili quanto arcane si sono risvegliate, e sono in cerca di vendetta. L’unico modo che abbiamo per ucciderle, è farlo nel modo giusto con la persona giusta” si interruppe, e William sentì gli occhi di tutti puntati addosso.

Imbarazzante. Alquanto.

“Alfred è un essere terribile, immorale e spietato, ha ucciso brutalmente esseri di tutte le razze: shinigami, umani, angeli, e perfino i suoi stessi fratelli, i demoni” Will vide Sebastian stringere i pugni, con la testa bassa e le fiamme nei suoi occhi accese di  odio puro.
“Lui vuole scovare ed ammazzare l’unica persona che lo può uccidere, inoltre vuole vendicarsi per la magra figura di oramai duecento anni fa. Ora siamo giunti ad una sola conclusione: dobbiamo accelerare i tempi, e ucciderlo prima che sia troppo tardi”.
Federik Jones intervenne “Noi possiamo essere di supporto, siamo pronti a mettere fine a questa minaccia: va elaborato il piano, inoltre dobbiamo accertarci della veridicità delle informazioni che ci sono state recapitate… Giusto Blaik?” Jason annuì “Sì, quel cane ha spie dappertutto, ma non tutti gli sono fedeli. Ci sono dei corrotti alla sua corte, ma comunque, non possiamo fidarci di nessuno: i suoi servi vengono educati alla menzogna, sono falsi e perfidi. Infimi avversari, quasi quanto lui” Hylda teneva lo sguardo basso, con le mani intrecciate strette.
Lanciò un’occhiataccia a Jason Blaik, che però si spense subito, diventando triste poco dopo  che il ragazzo l’aveva intercettata.
Spears assottiglio lo sguardo, mentre tutti continuavano a mangiare: gli sembravano strani, il conte sembrava l’unico “normale” della compagnia, perché si comportava come al suo solito.
“Buono però il cibo degli umani” commentò Federik, fra sé e sé: l’altro meticcio gli diede ragione.
Gli sembrava di essere in una di quelle riunioni che si facevano a casa Phantomhive, quando Vincent era ancora vivo.
Avrebbe dovuto e voluto giudicare lui la sua anima, ma non era riuscito ad impedire che lui e sua moglie Rachel morissero.
Undertaker era un’ospite d’onore in quella casa, e quando era un ragazzo, alcune volte lo aveva portato.
Ciel gli somigliava molto, peccato che avesse fatto un patto con quel cane e, che almeno all’apparenza fosse totalmente diverso di carattere.
“Ora, ci sarà una tregua fra demoni e Dei della Morte, giusto il tempo di fare fuori quella spina nel fianco” affermò Undertaker “Tzé, quei presuntuosi degli angeli se ne fregano altamente di questo problema: per loro non ha importanza, credono di essere immortali, riceveranno la batosta, quegli uccelli spiumati” rispose Jason, con schifo (scarsamente) malcelato “Mi fanno pena” concluse.
“Jason!” esclamò Hylda, autoritaria, riprendendolo.
Lui la guardò.
“Ricordati che sono un gradino più alto di noi, Blaik, non provocarli, anche se si meritassero quello che pensi”.
“Quindi” li interruppe Federik “Ora dobbiamo procedere all’addestramento del nostro amico: sei pronto? Accetti questo incarico, a tuo rischio e pericolo?” lo fissò, serio, ma con un ombra di  sicurezza.
Will rispose allo sguardo allo stesso modo.
“Accetto” disse, fermo.
L’altro sorrise, compiaciuto “Bene, allora, io suggerisco di ritrovarci prossimamente e di non frequentarci tutti insieme per un po’, per vedere lo svolgimento della situazione e per preservare la segretezza dell’intera operazione” poi si voltò verso il conte, che era rimasto stranamente zitto, senza obbiettare o intervenire.
“Avrei preferito non coinvolgerla, ma è necessario anche l’aiuto di alcuni demoni, e Sebastian ha un conto in sospeso che vuole saldare, inoltre è valido, come aiutante. Dobbiamo impedire a quel maledetto di completare il suo disegno, altrimenti anche il mondo degli umani sarà in pericolo. È nel vostro mondo dove si compiono le battaglie più distruttive, perché voi, siete sempre stati carne da macello per loro, cibo, niente più. Avrete il compito si sorvegliare il sottile confine che separa bene e male, ragione e follia, mondo terreno e aldilà*… Siete disposto?” Ciel si alzò, fissandolo con entrambi gli occhi: su quello sinistro, spiccava il contratto.
Era cresciuto molto, all’incirca doveva avere ormai diciassette anni, ma era più basso di Jones e William .
“Io sono il conte Ciel Phantomhive, e come mio padre prima di me, ho questo compito: Vincent vi aveva aiutato la prima volta, ora tocca a me farlo, è un dovere al quale non posso mancare”.

Stop.
Fermi tutti.

William alzò di scatto la testa: come, la prima volta?

Lanciò un’occhiata di sbieco verso Undertaker, una meno veloce verso Jane, che la intercettò facendogli segno di stare zitto, ed infine portò la sua attenzione sull’umano e sul mezzosangue.
Jason si alzò, proiettando un’ombra nera sui presenti, fissandoli truce con i suoi occhi inquietanti.
Sembrava arrabbiato, avrebbe terrorizzato chiunque.
Tutti attesero la sua reazione... Quindi....

Sbadigliò, mentre due lacrimucce gli affioravano agli occhi.
“Bene, ora che ci siamo intesi, io direi che possiamo andarcene a dormire, stiamo facendo tardi. Direi che il consiglio si aggiornerà” “Già, confermo: la seduta è sciolta” Michaelis e il suo padrone si affrettarono a tornare nel proprio mondo, dopo essersi congedati da tutti.
Il conte aveva molto lavoro da sbrigare, l’indomani mattina.
Compresa anche una cavalcata con Elizabeth, un’impresa assai ardua.
Federik e Jason si sarebbero intrattenuti alla magione ancora per un po’, stavano chiacchierando con  Undertaker del più e del meno.
Dopo cena, Hylda gli si avvicinò.
“Ciao bimbo, sono di riposo per qualche giorno, l’ufficio l’ho affidato a Grell” l’altro si girò di scatto, stranito.
Poi la incenerì con un’occhiataccia terribile.
“Sto scherzando, l’ho affidato ad Alan, si è dimostrato un bravo shinigami, può sopravvivere per tre o quattro giorni… Sembra quasi te, a volte, sicuro di non esserne parente?” “Mpf, sicuro al cento per cento…” “Vedrò come vanno i tuoi allenamenti, ma, se solo lo vuoi, diventerò invisibile… Specialmente quando sei con lei… Non vorrei intromettermi o dare fastidio a voi due piccioncini… Sta sbocciando un bel fiore, eh?” “Non capisco a cosa tu ti stia riferendo, Cavendisch, lei è una conoscente e basta” rispose alla provocazione con gelida calma.
“Sì come no, almeno dovresti avere la decenza di dire che è un’amica…” “Uff, basta con queste frivolezze, me ne vado a fare quattro passi” si alzò, mentre lei lo guardava divertita.
Poi, però, appena le voltò la schiena, si rattristò di colpo.

“Poveri ragazzi… Non sanno, cosa il destino ha in serbo per loro, se proseguiranno la loro strada insieme”.




* Sì ragazzi, questa frase bellissima è l'introduzione del manga numero 11 di Black Butler :)

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Capitolo 12
*** La vera storia di Alfred. Sei capace di amare, shinigami? ***


Ehilà ragazzi! Mi duole annunciarvi che sarò assente per una settimana, causa: il mio fratellone ha deciso di portarmi al mare :) so che adesso starete saltando tutti davanti allo schermo, mentre fate i cori da stadio xD
Detto questo, ringrazio MicuChan, Madame_Green eAlois 24 per il supporto morale! :D
Ciao belli, ci si vede!




L’aria fresca della notte spazzava via i resti del fumo del falò di poco prima.
Appena fuori dalla visuale dei membri del consiglio rimasti, William tirò un sospiro di sollievo.
Non aveva scoperto molto, di nuovo: alla fine, tutti giravano sempre intorno allo stesso argomento, al problema centrale, ma non davano mai spiegazioni.
Bè, almeno Will non era più al centro dell’attenzione.

“William”

Il ragazzo si voltò, sperando di trovare Jane.
“Oh, salve, Jason” rispose sorpreso lo Shinigami. Il mezzosangue rise “Puoi darmi del tu, non abbiamo molto di differenza, per quanto riguarda l’età”.
Will buttò un’ultima occhiata alle sue spalle e vide Undertaker che stava parlando con la figlia.
Appena il primo si voltò per rispondere a Federik, lei guardo l’amico, e gli fece capire quanto fosse scocciata e quanto avesse voglia di parlare con lui.
Mimò un “Ci vediamo dopo” con le labbra prima di essere trascinata via dal padre e da Jones, che le sorrideva cortesemente.
Quando quest’ultimo si era avvicinato troppo alla ragazza, si erano allertati tutti i sensi di Spears, che si era irrigidito, provando una strana rabbia verso di lui.

Ma che diavolo… ?

“Allora, ti va di venire a fare una passeggiata? Giusto quattro passi qui in torno” chiese tranquillamente Jason. “D’accordo” rispose Will, incamminandosi dietro Blaik.
Poco dopo si trovarono sotto il cielo stellato, nell’ampia tenuta sul retro.
“Immagino che tu voglia spiegazioni dettagliate sull’operazione, vero? Sei all’oscuro di molto” esclamò improvvisamente il mezzosangue. “In effetti non mi dispiacerebbe avere dei chiarimenti” l’altro rise, dirigendosi verso il bosco.
“Tu… Fai parte di una profezia. Non posso spiegarti tutti i dettagli, a dir la verità non saprei nemmeno spiegarti la profezia: devo ancora capirne una parte, hanno detto poco anche a me, per quanto riguarda questo… Non so perché, forse pensano che compirei una stupidata, se sapessi tutta la verità. In parole povere, nessuno può uccidere totalmente quel demone: si può solamente ridurlo in fin di vita, ma non eliminarlo. Almeno questo si credeva fino a quando non si è scoperto che qualcuno appartenete ad un’antica e specifica dinastia, la prima casata della razza Shinigami, lo avrebbe ucciso. E quel qualcuno, dovresti essere tu. Comunque, ora vorrei parlarti di qualcos’altro” “Di cosa?” “Di Alfred”.
Un vento gelido smosse le fronde degli alberi, penetrando nelle ossa dei due.
Quel diavolo era terribile, eppure, Jason non aveva la minima paura di nominarlo: lo sfidava continuamente, ripetendo il suo nome con sicurezza e senza timore.
Iniziò il racconto, ed il tempo parve fermarsi.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++

“Quando nacque, tutti dissero che era benedetto (o maledetto, dipende dai punti di vista ) che sarebbe diventato un grande, uno dei più grandi demoni della storia”. Non era perfido né cattivo, a quei tempi. Poi, durante quel periodo ci fu una guerra interna nel mondo dei demoni, e per salvarlo, i suoi genitori lo spedirono in un’altra dimensione, mascherando la sua vera natura, trasformandolo, temporaneamente, in uno shinigami. Sua madre e suo padre vennero assassinati dai loro stessi simili davanti agli occhi del ragazzino, che giurò vendetta prima di essere “cambiato”. Molto triste, davvero” fece una pausa, scrutando il cielo, con il volto nascosto nell’ombra.
“Successivamente, venne adottato da una famiglia, amica della propria. Devi sapere, che i genitori di Alfred non erano esattamente i demoni che pensi tu, non erano molto crudeli, andavano avanti nutrendosi di poche anime, loro stessi, nell’animo, erano diversi. Può capitare, a volte.
Purtroppo, non sapevano che il figlio avesse un’altra faccia, che, poco a poco, il rancore verso gli assassini e la gente che gli aveva distrutto la vita la avrebbe fatta emergere. Infatti, il suo cuore era: da una parte nero, come i suoi avi, dall’altra bianco, come suo padre e sua madre. Ma la natura di una razza, resta sempre nascosta negli anfratti del più profondo di un animo. E la natura di Alfred era quella demoniaca, lui era un essere infernale, discendente fra i più crudeli della sua stirpe. Torniamo all’arrivo nell’altro mondo: dopo l’adozione, venne educato come uno shinigami, anche se non era molto bravo nella pratica, era intelligente, piacente, educato e bendisposto. Forse a volte era un po’ ombroso e riservato, ma prevaleva la sua parte “buona”, diciamo” si fermò ancora, tirando un profondo respiro, con gli occhi chiusi, come se gli fosse costato uno sforzo enorme raccontare il resto.
“Sua coetana, era una shinigami mezzosangue: metà Dea della Morte, e metà Angelo. Era “diversa”, da tutte le altre ragazze della scuola, anche perché non aveva molto l’aspetto di una di voi, gli occhi non erano bicolore, erano blu mare.

Lei si sentiva diversa dagli altri, come lui.

Erano in classe insieme, vicini di banco, ma non si erano mai scambiati più di due parole, anche se erano attratti l’uno dall’altra. Alfred era davvero carismatico, e provava una strana simpatia per la compagna, che ricambiava.
Anche lei aveva quella strana bellezza, diversa da quelle di tutte le altre. Inutile dire che si innamorarono senza accorgersene. Inizialmente si evitavano, negavano il loro rapporto, il loro interesse così palese. Iniziarono a frequentarsi a poco a poco, negando la loro amicizia, dicendo di essere conoscenti, ignorando le battutine degli altri. L’attrazione divenne sempre più forte, tanto che si cercavano continuamente, non potevano restare l’uno lontano dall’altra per troppo tempo. Iniziò ad arrivare anche la gelosia, una strana rabbia quando un’altra o un altro si avvicinava troppo a lui o a lei.
Si dichiararono, senza farlo sapere a nessuno, e così iniziarono la loro storia d’amore.

Poi…

Un giorno…

Mentre erano sotto il cielo stellato, in una notte limpida come questa, però di fine estate… Sigillarono il loro amore, marchiandosi per sempre.
La scuola era finita, e, quando decisero di sposarsi in segreto, si scoprì la lieta sorpresa: sarebbe nato loro figlio mesi più tardi. Nessuno seppe della loro relazione, il loro subconscio gli suggerì di non dirlo a neppure una singolissima persona.
In una missione, sparirono improvvisamente, senza lasciare traccia. Il bambino nacque e fu la gioia dei genitori. Si costruirono un’abitazione, tornarono al lavoro, facendo a turno, non rivelando l’identità della creatura che insieme avevano generato: un incrocio che, cresciuto, sarebbe diventato un grande, diverso da tutti, come loro. Assomigliava di più alla madre che al padre, sembrava maggiormente uno shinigami, anche se il colore degli occhi era insolito. Il piccolo crebbe, sotto la loro completa protezione, educato alla fedeltà, all’amore e a tutti i sentimenti buoni possibili.
Stravedevano per lui, che era nato con il cuore candido, puro. Aveva tre anni quando Alfred, iniziò a sentire, molto ma molto raramente, dei sintomi strani, come un cancro che gli divorava l’anima.
Ebbe degli incubi, che non erano nient’altro che lembi del suo passato che stavano venendo a galla, per ricucirsi e tornare ad avere un senso. Si allontanò per due lunghi anni, tentando di capire la fonte del suo malessere, non rendendosi conte che la sua vera natura, quella di demone, stava affiorando, la stessa natura che lo avrebbe reso il crudele, infido e maledetto demone che gli astri avevano predetto.

L’amore aveva solo ritardato l’inevitabile.

Tornato a casa, riabbracciò il figlio e la moglie. Sentì la passione che provava per lei risvegliarsi. Nel periodo più freddo dell’anno, si amarono come una volta, ma non era la stessa cose: Alfred era più ombroso, non dolce come prima, più violento in tutto anche nell’amare.
Il suo essere demone, ormai era allo scoperto.
Sua “moglie” rimase ancora incinta, ma il figlio che sarebbe nato, non sarebbe stato come il fratello primogenito, sarebbe stato il figlio di un’attrazione violenta, con una ridotta percentuale di affetto rispetto a quell’altro…
Assomigliava di più al padre, e, anche se era fortunatamente puro…

Sul suo cuore e sulla sua nascita ci sarà per sempre un ombra nera che incombe minacciosa…

Che potrebbe portare ad atteggiamenti pericolosi”  terminò il racconto con il viso in ombra, per non far trapassare alcuna emozione.

“Domani sera ci ritroveremo ancora alla stessa ora qui, e finirò di raccontarti tutto… Buona notte, William” e si dissolse nella nebbia, sparendo come un miraggio nel deserto.

Will era scosso: la storia di Alfred non era assolutamente rose e fiori o scalate al potere, come si era aspettato.
Magari se fosse stato curato di più dai suoi genitori…

Si era innamorato…

Sollevò la testa e vide Jane che avanzava verso di lui, camminando tranquilla.
Poi, se la  trovò di fronte si fermò, intenta a sbuffare e a maledire suo padre e quell’altro “Bell’imbusto rompiscatole”.
Però William non l’ascoltava: si era bloccato, impallidendo, iniziando a sudare freddo: no, non poteva essere, ma andiamo, era uno scherzo.            

“Non si erano mai scambiati più di due parole…”

“Posso chiamarti Will?” chiese una piccola shinigami ad un suo simile di undici anni. 
“No” .
Silenzio.
La bambina riattaccò.
“Cosa fai?” “Leggo, non vedi?” “Che cosa leggi?” “Shakespeare” rispose apatico il bambino, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Ah. Che noia… Ti va di giocare?” “No”.

Un ragazzo, che dimostrava dodici-tredici anni, anche se era molto più vecchio visto che era un Dio della Morte, camminava per i corridoi della magione, diretto alla biblioteca.
Stava sfogliando un saggio storico sulla prima grande guerra fra angeli e demoni, quando una bella ragazza più o meno della sua stessa età gli si avvicinò.
“Mio padre ti chiama, è pronta la cena” “Grazie”.
Silenzio.
Non si parlavano, non scambiavano mai più di due parole al giorno.      

“Inizialmente si evitavano, negavano il loro rapporto, il loro interesse così palese. Iniziarono a frequentarsi a poco a poco, negando la loro amicizia, dicendo di essere conoscenti, ignorando le battutine degli altri”                                                                                                                                                            

“Vedrò come vanno i tuoi allenamenti, ma, se solo lo vuoi, diventerò invisibile… Specialmente quando sei con lei… Non vorrei intromettermi o dare fastidio a voi due piccioncini… Sta sbocciando un bel fiore, eh?” “Non capisco a cosa tu ti stia riferendo, Cavendisch, lei è una conoscente e basta” rispose alla provocazione con gelida calma.
“Sì come no, almeno dovresti avere la decenza di dire che è un’amica…” “Uff, basta con queste frivolezze, me ne vado a fare quattro passi” si alzò, mentre lei lo guardava divertita.              

 “L’attrazione divenne sempre più forte, tanto che si cercavano continuamente, non potevano restare l’uno lontano dall’altra per troppo tempo”                                                                                                                                              

“Dov’è Will? Andiamo a fare una cavalcata nella foresta”.

“Dov’è Jane?” “Di sopra, ti stava cercando… Mamma mia sembra che moriate se non state insieme” rispose annoiato Undertaker.
“Mi spiace maestro, avevamo un appuntamento per una cavalcata, a dopo”.      
Il becchino sollevò lgi occhi al cielo "Bah, l'adolescenza".

 “Iniziò ad arrivare anche la gelosia, una strana rabbia quando un’altra o un altro si avvicinava troppo a lui o a lei”     

Quando quest’ultimo si era avvicinato troppo alla ragazza, si erano allertati tutti i sensi di Spears, che si era irrigidito, provando una strana rabbia verso di lui.
Ma che diavolo… ?

 Prossimo passo del racconto: dichiarazione d’amore.                                                                        

Rimase lì, imbambolato, soppesando quello che il suo cervello aveva prodotto.
Possibile che forse, per una volta, avesse ragione il cuore?
Ma lui era William T. Spears, lo shinigami di ghiaccio, che non provava sentimenti, che agiva sempre a mente fredda…
Lui era così, o forse era una sua convinzione formata dall’abitudine?
E se sotto, in verità fosse completamente il suo opposto?              

“Ricordati chi sei, William” disse una voce, dentro la sua testa “Sei mio figlio, non un automa, tu non eri così rigido figliolo, riscopri i sentimenti e la bellezza di amare, ama, Will!” .

“Ehi Will ma mi stai ascoltando?! Ci sei…?”.
Lui la guardò, dischiudendo appena le labbra. Jane lo fissò negli occhi interrogativa, restandone ammaliata: le piacevano troppo le sue iridi, poi, in quel momento, rispecchiavano il cielo stellato, come se tutto il firmamento si fosse staccato per andare a posarsi nel mare verde dei suoi occhi.              
 “Will… Io ti… Devo… Dire… Che…” “Shh” le prese il viso fra le mani, portandolo vicino al suo.
“Mi piacciono i tuoi occhi Jane, sono… Diversi, da quelli degli altri, TU sei diversa dalle altre, in senso buono. Sei l’unica persona verso la quale mi sento in dovere di proteggere, di starle accanto e di tenerle compagnia, amandola e rallegrandola… Non so cosa mi succede, sei la mia prima e unica amica, non sono esperto di queste cose, perché non ho mai provato nulla di simile”.    
                                                                                                                                                                                                                                              

Questo è quello che avrebbe voluto dire e che avrebbe voluto accadesse.

Questo è quello che disse e fece.

“Ehm, scusa, stavo riflettendo su delle cose che mi ha detto Jason… Ma non ha importanza, che hai scoperto, tu, invece?” “Ecco… Mio padre ha invitato Federik e Jason a stare qui da noi, per elaborare dei piani e per insegnarti qualcosa di nuovo… Anche se penso che questo compito spetti a Blaik… Inoltre la tua segretaria resterà qua per tutta la durata del suo riposo. Non so di preciso a fare cosa, forse tenerti d’occhio: sembra quasi che tu sia un serial Killer. Comunque ho un’altra novità: domani andremo a Londra”.  
L’altro spalancò gli occhi: “A fare che, a Londra?” “Oltre a bere un tè a casa Phantomhive? Non lo so, in gita: ci accompagneranno quei due mezzosangue a fare shopping…”
“A fare shopping?!” “Tradotto: a caccia di demoni” rispose lei, con un sorriso strano sulle labbra, mentre si allontanava nel fitto del bosco.

Mentre lo shinigami le trottava dietro per raggiungerla, un’ombra, accovacciata nell’oscurità delle fitte fronde degli alberi li osservava.
Aveva i capelli neri e gli occhi, di solito screziati di tre o più colori, erano rosso scarlatto, con delle fiamme fucsia acceso che danzavano furiose, piene d’odio verso ciò che ricordavano.
Ringhiava piano, con i canini acuminati, le unghie scure e lunghe.
“Farò di tutto per aiutarti, non è solo la tua battaglia, anche io mi devo vendicare, come qualcun altro nella nostra compagnia, ma io ne ho più diritto di tutti, anche di chi ha il mio stesso sangue… Quel bastardo la pagherà… Peccato che nemmeno io lo possa uccidere” osservò i due dei che camminavano, parlando dell’incontro di quella sera mano nella mano, senza rendersene conto.
Si accigliò, e sbuffò, avvertendo un po’ di compassione verso quei due giovani.
“Oh, William… Mi dispiace, io sono un bastardo dal cuore in ombra, ma so cosa vuol dire sentirti confuso, sentirti perso, sentirti attratto… Se fossi un altro ti avrei detto di lasciare scorrere quel dolce sentimento… Ma… Se continuerai così la condannerai, sua madre è già morta coinvolta in questa missione, e lei la seguirà, se l’amerai”.



Chi si nasconde nell'obra? Qual'è il finale della vera storia di Alfred? Ma soprattutto: cosa si nasconde nell'oscurità della profezia?
Ci si vede alla prossima puntata, capitolo tredici!

Claire de Lune: dichiarazione

Qual'è la canzone di un cuore che canta sotto le stelle?

Buonanotte ragazzi, spero di sentirvi tramite qualche piccola recensione quando torno!

Alla prossima, la vostra Jaki Star!
 

 
 
 
 
 

                                                                                                                                                                       

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Capitolo 13
*** Claire de Lune: dichiarazione ***


Ehilà ragazzuoli! Sono tornata fra voi!

*un cespuglio solitario svolazza in mezzo alla strada deserta*

D'accordo, penso che starete per buttarvi dalla finestra per il mio ritorno, ma non posso farci niente: ecco a voi il capitolo tredici, buona lettura!

Ringrazio MikuChan, Alois24 e Madame_Green per aver recensito i miei capitoli: vi adoro ragazze, il caso è chiuso! *.*
Ringrazio tutti coloro che seguono la storia: grazie lettori silenziosi!
Vi ricordo che una piccola recensione non fa mai male: ora vi lascio definitivamente al Chap, ci sentiamo belli!





“Ma scusami, non c’era un tregua fra di noi?” chiese William, guardando gli occhi bicromatici del mezzosangue.
“Vogliamo vedere come te la cavi sul campo dopo la malattia: sì, ci sarebbe una tregua ma questo demone si è prestato… E' un conoscente  di Undertaker, non molto forte, però se la cava. Perché a Londra?
Semplicemente perché è un luogo talmente ovvio dove cercarti che gli scagnozzi del diavolo non ti romperanno le scatole… E anche perché David non si può muovere da lì.
I leccapiedi del “Traditore” hanno già setacciato la zona e non ve né più traccia, abbiamo spie in tutta la metropoli, Sebastian ne è a capo, non ti arrecheranno danni. Appena gli alleati ti vedranno, si scosteranno al tuo passaggio” rispose pacatamente Federik, osservandolo pacifico con i suoi occhi oro e blu.
Detto questo sorseggiò la camomilla, per poi ritornare a fissarlo.
“Ovviamente dobbiamo sembrare come gli umani, dobbiamo passare in mezzo a loro, vestiti come loro, chi a cavallo e chi in carrozza: c’è talmente tanto traffico di individui che nasconderanno completamente il tuo odore, puzzerai d’umano”
“Ti consiglio una doccia: sanno di vaniglia, non si addice ad un uomo” commentò sarcasticamente Jason, facendogli un veloce occhiolino.
“Bene, io direi che possiamo ritiraci, se avete finito tutti di bere: domani dobbiamo essere in forze” decretò Jones, e tutti si alzarono, dirigendosi verso le camere.
Will e Jane si scambiarono un’occhiata.

“In camera tua Spears, quando tutti dormono: possiamo andare sul balcone ed arrivare più facilmente sul tetto”

diceva lo sguardo.

Quando tutte le luci nelle camere si furono spente, William avvertì un fruscio dietro la sua porta che si aprì subito dopo, rivelando la magra figura di Jane.
“Buonasera” disse, lui, calmo.
“Ciao…” mormorò lei, sedendosi vicino a lui sul letto pulito.
"Che c’è?” chiese, insospettito dalla voce spenta e triste della ragazza. Lei sospirò “Lascia stare, vieni”.
Si avviò verso la finestra e l’aprì, rabbrividendo mentre veniva investita dall’aria gelida. Will comparve al suo fianco come un’ombra, chiudendola.
“Fa freddo, restiamo qui, non ti conviene ammalarti ora che si riprende a combattere” “Vieni a sederti, devo raccontarti delle novità” ritornarono sul letto, sedendosi una di fianco all’altra.
“Sai già della storia di Alfred?” “Me ne hanno raccontata una parte, sono arrivato alla nascita del secondo figlio… Domani mi racconteranno la fine” “Bene, può bastare” stette in silenzio per un momento che parve interminabile.
“Vogliono trovare l’amante di Alfred ed i loro figli” “Perché? Li vogliono uccidere?” “No, sostengono che potrebbero essergli d’aiuto… Inoltre, il secondogenito è pericoloso, ha un ruolo importante nella partita. È quello che più si avvicina alla natura del padre, potrebbe essere influenzato da lui, diventare COME lui, non so se mi spiego… Si dice che abbia dei poteri simili ai suoi, che sia invulnerabile, tranne che in certi punti. Insomma, ha dei talloni d’Achille. Comunque, non sappiamo che fine abbiano fatto”
“Parlami della profezia” “Non posso” “Si che puoi farlo” rispose pronto William avvicinandosi a lei.
“La tua discendenza è l’unica che può uccidere quel cane, TU sei l’unico che può farlo, tuo padre ci aveva già provato a suo tempo, ma non ce la fece. Quel demone è leggendario, ed appartiene ad una delle più antiche casate che siano mai esistite, tutti i suoi antenati erano leggendari. La tua famiglia dovrebbe essere il suo opposto buono, non so se hai capito” “Stai dicendo che siamo le due facce della stessa moneta? Loro sono i cattivi  e noi Spears i buoni?” “Esattamente” “Ma io queste cose le so già, io voglio sapere il PERCHE'”

“Non lo so, la nostra razza esiste perché deve combattere i demoni, giusto? Penso allora che la tua famiglia abbia avuto il compito in passato di combattere la famiglia di Alfred! Esiste per quello scopo e ne ha i poteri, a differenza delle altre. Le altre casate non hanno le vostre stesse capacità… Ma che ne so io! La storia penso che dovrebbe essere più o meno così, credo!” “Sei carina quando ti arrabbi”.

Ammutolirono entrambi, e William si morse la lingua: ma che cavolo andava a dire, adesso?

Dopo un minuto di silenzio, il ragazzo ebbe il coraggio di sussurrare qualcosa.

“In che senso la prima volta? Avevano già sfidato Al-” “Sì, ma non ne voglio parlare… Non voglio sapere: Hylda, mio padre, i tuoi genitori, Vincent Phantomhive, Jacob Michaelis e  … E… E mia madre… L’unica a non essere tornata… Indietro” la sentì singhiozzare, mentre parlava tentando di trattenere le lacrime.

Lui l’abbracciò e la tenne stretta.

“Mi dispiace non volevo farti ricordare nulla io…” “Non è colpa tua, non potevi sapere…” lei piangeva in silenzio, e William si sentiva morire.

Che CRETINO!

Oltretutto il suo ricordo era più vivo in quel periodo: l’anniversario della morte della donna era nientemeno che dopodomani.

“Avanti, fatti forza: è in questi momenti che devi dimostrare la ragazza decisa e forte che sei veramente, io lo so che puoi farlo, credo in te. Ti voglio bene, forse sei la prima persona alla quale ne voglio, non pensavo che sarei mai stato capace di provare alcun sentimento buono prima di incontrarti di nuovo: sono più che sicuro che se ci siamo trovati sullo stesso cammino, un motivo c’è” “Grazie… Anche io provo le stesse identiche cose, per te…”.

Silenzio assoluto.

“Vogliono separarci, in tutti i modi. Non vogliono più che ci frequentiamo. Quel damerino ha appoggiato mio padre per tutto il tempo del discorso…
Io dovevo solamente aiutarlo ad allenarti, non dovevo essere tua amica, non dovevo conoscerti meglio, non dovevo fare nulla con te, nemmeno ricordare il passato…
Ma io NON VOGLIO lasciarti, non lo farò mai”
“Non ti preoccupare… Non ci dimenticheremo mai, stai tranquilla… è scientificamente imposs-” improvvisamente si bloccò, sgranando gli occhi.

Si fissarono.

La stessa scena di un giorno passato, più o meno: stavano per ricordare qualcos’altro, lo sapevano.
Infatti poco dopo, ebbero un calo di pressione e caddero sul letto, storditi.  

“Papà è stato chiamato per una missione… Ha detto di salutarti e di augurarti in bocca al lupo… Mal che vada, ha già preso le misure: ti costruirà una bara coi fiocchi…”
Will sorrise, al pensiero del becchino che riferiva i suoi frettolosi saluti alla figlia.
Poi lo sguardo si posò di nuovo sulla ragazza.
William… Ecco, io volevo dirti che, insomma… Stare alla villa non sarà più la stessa cosa senza te” disse con un sospiro Jane.
Will sorrise dolcemente “Dai, non essere così triste… Dopotutto, ci sono le vacanze ed i giorni in cui puoi venirmi a trovare…”
“Io… Io non lo so perché, ma ho un’angosciante sensazione che non ti rivedrò più, che mi dimenticherò di te se te ne andrai via!!” urlò, mentre alcune lacrime le solcavano il viso.

Spears la fissava sgomento: ma che le era preso?
Non l’aveva mai vista in quello stato.

Subito dopo si sentì un po’ in imbarazzo ed intenerito, così  l’abbracciò timidamente, mentre il viso della ragazza sprofondava nel caldo tessuto della sua giacca marrone.

“Q… Qual… Qualunque co…cosa succeda… Noi… Noi non… Non ci dimenticheremo mai!” disse, balbettando.

Balbettando?!

Ma da quando il freddo, calcolatore ed impassibile William T. Spears balbettava?

Si staccarono.

“Tieni, questo è per te” gli disse Jane, mentre gli dava un cofanetto contenente una collana.
“Consideralo un regalo… Sì, insomma... Non so perché ma un giorno papà me lo ha dato, e ha detto di… Cavolo, ha detto che quella collana l’avresti potuta indossare tu e nessun altro, poi ha aggiunto che te l’avrei data al momento opportuno”.
La catenina era di un materiale resistentissimo, una specie di tessuto nero.
Il ciondolo era un drago d’argento finemente elaborato: l’occhio in smeraldo, gli artigli e le zanne in diamante puro.
Si attorcigliava attorno ad una lancia argento dalla punta affilata in diamante.
A Will sembrò di averla già vista, da qualche parte, ma non diede troppa importanza alla cosa.
“Grazie…” sussurrò “È bellissima”
(…)
“Non dimenticarmi Will, ti prego, non farlo…” singhiozzò.
I loro visi erano vicinissimi e William le rivolse le ultime parole sussurrandogliele sulle labbra “Non lo farò mai, te lo giuro… Ti voglio bene”
(…)

Mentre il ragazzo le accarezzava la base del collo Jane prese coraggio: si alzò in punta di piedi e fece scorrere le proprie labbra su quelle di William, per poi posargli un lieve bacio sull’angolo di queste ultime.
Si osservarono un’ultima volta: uno sguardo valeva più di mille parole.
Avevano imparato a comprendersi.
“Addio…” sussurrò la ragazza, mentre lui le asciugava le lacrime.
“Ciao…” mormorò lo shinigami, prima di voltarsi e caricare i bagagli sulla carrozza, dove Bartholomew lo aspettava con sguardo triste e spento
(…)
Si girò un’ultima volta, sorridendo tristemente e sistemandosi gli occhiali sul naso dritto.
Poi mandò un bacio all’amica e si voltò, stavolta senza girarsi. 

“Ricordati di me, William…” sussurrò al vento, Jane, prima che la sua figura sparì oltre la sua vista.

 
Poi i due tornarono alla realtà: quello che successe dopo era stato brutalmente reciso dalla loro mente, non riuscivano a ricordare nulla, ma, in quel vuoto totale, William sapeva che si celava la causa della sua perdita di memoria
Si guardavano incapaci di dire alcun’ché.
La loro mente era vuota, non sapevano né cosa dire, né cosa fare.
“E'… E' tardi, sarà meglio che riposiamo… Ci attende una lunga giornata… A domani” disse la shinigami.
Si girò e si avviò in silenzio verso la porta.

“Jane".

Lei si arrestò con la mano a mezz’aria, che stava per chiudersi sul pomello.
Lui voleva dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Gli era venuto in mente solo di chiamarla.
Doveva parlare,ma non riusciva a spiccicar parola.
“Io…” lei si girò appena, osservandolo in silenzio di sbieco.
“Io… Voglio dire qualcosa, ma non so… Non riesco a parlare chiaramente” pensò stizzito.
Poi le si avvicinò, osservandola in silenzio, mentre lei attendeva paziente una risposta.

Prese fiato e…

Rimase in silenzio.

“DEATH!” pensò.
La ragazza stava per aprire la porta quando udì dei passi.
Si allontanò di scatto e guardò William, terrorizzata.
Poi, arretrò e andò alla finestra, aprendola.
Mentre lei si slanciava per afferrare la grondaia e lanciarsi al sicuro sul tetto, Will chiuse la finestra e si buttò sul letto di peso, picchiando lo zigomo sinistro contro la  testiera in legno.

“Ma porca…” si immobilizzò all’istante, avvertendo l’impercettibile rumore della serratura che scattava.
La porta si aprì a poco a poco, e il misterioso individuo che vi entrò si soffermò a lungo sulla soglia, per poi avvicinarsi al ragazzo.

Restò immobile a fissarlo.

Dannazione: si era dimenticato di cambiarsi, era in pantaloni e maglietta, piuttosto scoperto, con il lenzuolo e la coperta spiegazzati.

“Ti prego fai che non mi scopra….” pensò, angosciato.

“Il pigiama è un optional, per te, vero? Sei proprio come tuo padre…” sentì un paio di dita gelide, con lunghe unghie passargli nei capelli, impacciate, quasi timorose.

“Undertaker… Avrà visto che sua figlia non sta dormendo?” pensò Will, con una punta di panico.

L’uomo sospirò “Se solo fosse ancora vivo… Io… Ho fatto tutto il possibile per aiutarlo, ma alla fine… Si è sacrificato per proteggerti, perché ti amava. Gli assomigli molto, sai?
Però assomigli anche a tua madre, una splendida donna…
Sia fuori che dentro…
Mi ricordo, quando eri in fasce, sai?
Mia moglie ti teneva in braccio con Jane, sembra che voi due siate destinati a stare insieme fin dalla nascita…
Mi dispiace, non volevo giungere a questi punti, ma se è necessario, attuerò il mio ultimo asso nella manica: tu e lei… Non potete stare insieme,  ho già perso mia moglie…
Basta.
Dormi bene, voglio solo che tu sappia che…
Sei sempre stato come un figlio e lo sarai: il migliore dei miei allievi… Il bambino del fratello che non ho mai avuto.
Ti dirò la verità sul tuo passato… Solamente… Fra un poco” si voltò e si chiuse la porta alle spalle.

William aveva la faccia schiacciata contro il cuscino: si era sognato tutto?
Possibile che la sua famiglia sia sempre stata così attaccata a quella del becchino?
La madre di Jane lo aveva tenuto in braccio…
Jane.
Appena il rumore dei passi svanì, il ragazzo aspettò qualche minuto: voleva essere sicuro che non tornasse più.
Si alzò di scatto e andò alla finestra, con il cuore a mille: ma perché batteva così forte…
Che scemo: certo che lo sapeva perché, solo non lo voleva ammettere.
”Io… Non posso più aspettare, basta con le esitazioni: ora io le parlerò e farò quel che devo fare… Anche se dovessi mettermi in ginocchio o metterci ore, io ce la farò” aprì la finestra, prese due felpe ed uscì sul cornicione.
“Jane?” “Sono qui sopra, vieni, sbrigati! Chi era?” “Tuo padre” rispose il ragazzo, mentre si dava la spinta con le gambe e si sorreggeva sulla braccia, sollevandosi sul tetto.
Le porse l’indumento che gli era sembrato più piccolo: doveva essere congelata, lì fuori.
“Tieni, non voglio responsabilità” disse sornione, con un mezzo sorriso “Uff, non ne risponderesti tu” ribatté la ragazza sbuffando, mentre voltava la testa di lato, indispettita.
Ma poi sorrise dolcemente, guardandolo con i suoi occhi d’oro, che riflettevano la luna.
“Grazie mille, stavo congelando, qui fuori.. Fa freddo… Però… Il cielo di fine settembre è bellissimo: limpido… Lo guardavo con mia mamma, prima che se andasse… Poi… L’ho sempre fatto da sola, o con Wayne. Era il nostro momento…” rabbrividì, ma prima che potesse intristirsi ancora di più, un paio di braccia calde la avvolsero.
“Così va meglio?” “Sì, grazie… William, quanto vorrei che non fosse mai accaduto nulla…” lui la guardò indecifrabile, come sempre, poi iniziò a parlare con un tono che non tradiva nessuna emozione, come di consueto.
“Devi guardare avanti, adesso: i ricordi… Sono belli o brutti, possono essere fiabe o disgrazie, ma ora hai altre persone che darebbero la vita per te, che ti proteggeranno sempre, a qualsiasi costo, che daranno tutto il loro amore solo per vedere il tuo splendido sorriso… Persone che ti amano e ti ameranno sempre…” le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire e arrossire.
Sentì i battiti del suo cuore velocizzarsi.
Ora ricordava tutto: dall’arrivo di quel ragazzo freddo, alla scoperta del suo lato gentile, alla sua dolorosa partenza.
E al suo improvviso ritorno.
“E chi sono queste persone, io non le ho, accanto a me…” sussurrò debolmente, aspettando una risposta che voleva da tanto tempo.
“Io sono il primo di loro” ribatté fermo, ma dolce.

Lei trattenne il respiro: non poteva essere vero lui…

E…

Lei…

Adesso…

“Non si può vivere senza passato, tienilo sempre presente: lo so che è dura ma io ho visto chi sei veramente, hai una grande forza, e tua madre… Sarebbe fiera di te, come lo sono io, ti amerebbe… Come ti amo io”
“Will, senti io…” “Ascolta: io non sono un grande oratore, non ho mai provato nulla di così sconvolgente, tu sei la prima, la prima e l’unica, ora e sempre. Io… Insomma: io non ti prometto che sarò sempre bello ed eccezionale, non ti prometto niente che non ho, non posso essere ciò che non sono. Però io ci sarò, sarò al tuo fianco anche nelle difficoltà più impervie.… Perché… Io…”.

Erano in piedi sotto le stelle, abbracciati, i visi vicinissimi, si guardavano negli occhi.
William era agitato: non avrebbe mai e poi mai creduto di avere un altro lato, di dire, un giorno o l’altro quelle semplici sillabe.
Ma le disse dirette, senza giri di parole, chiaro e preciso, come gli apparteneva, del resto.
“Io ti amo” Jane spalancò gli occhi: era tutto vero.
L’aveva detto, senza essere melenso, senza giri di parole: William T. Spears, lo shinigami in nero, freddo, insensibile, calcolatore, cinico, sempre diretto, in tutto.
Lo shinigami che amava.
Sorrise, beffarda: “Sarà una bella sfida, sei sicuro che riuscirai a mantenere tutte le belle promesse che hai fatto?” “Ma tu sei sempre così simpatica?” “Ti ci dovrai abituare, Wi-” le labbra di William si posarono dolcemente su quelle di Jane, mentre la stringeva a sé.
Era dolce, quasi timido.
L’amava.
Erano morbide e fresche, in contrasto con le sue, calde e soffici.
Niente da fare, erano due poli opposti: ma dopotutto, gli opposti si attraggono e forse quello era ciò che aveva sempre cercato, l’amore che le era stato negato.
Anzi, ne era certa. Le loro labbra erano le due parti di un cuore rotto a metà che combaciavano perfettamente, come se non potessero congiungersi con nessun altro. Incrociò le sue dita dietro la nuca del ragazzo, stringendolo a sé.
Quando si staccarono, la shinigami abbassò lo sguardo, arrossendo. Lui la guardava in viso, un po’roseo. “Finalmente ti ho trovato, Giulietta*” “Ma come sei romantico Romeo… Leggi troppi libri” “E tu leggi troppo poco, tesoro” la strinse a sé “Non abituarti troppo a tutte queste smancerie, dopotutto, io sono…”
“… Un noioso shinigami pieno di sé che si ritiene freddo e calcolatore ma che alla fine si scioglie come neve al sole. Ah giusto, dimenticavo la cosa più importante: rispondente al nome di William T. Spears” “Molto divertente signorina Jane” “Abituati” rispose secca, posando il capo sul suo petto, guardando la Luna. “è bellissima…” “Già… Ma io ritengo che tu lo sia ancora di più” “lo dici tanto per fare il cascamorto” “Io non mento mai” “Ma sparisci” disse, mentre lui la stringeva ancora di più, baciandole i capelli.
Rimasero lì soli, a contemplare il cielo, stretti l’uno all’altra. “è tardi, andiamo a dormire, altrimenti… Domani chi ti alza?” mormorò William, anche se voleva restare lì con lei.
“Senti chi parla…” rispose a tono l’altra. Lui ridacchiò: “Avanti, andiamo…” ritornarono nella stanza del ragazzo e lei gli restituì la felpa, dirigendosi verso la porta.
“Tuo padre non lo approverà mai…” mormorò lui, affranto, mentre l’abbracciava dal dietro. “Quando tutto sarà finito, se ne farà una ragione… Buonanotte” “Sogni d’oro”.

“Ho il terrore che uno di noi due non ci sarà, quando sarà tutto finito” pensò angosciato, mentre osservava la sagome della persona che amava scomparire nell’ombra del corridoio. 
 

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Capitolo 14
*** Benvenuti a casa Phantomhive ***


Ehilà ragazzi!
Vi lascio un nuovo capitolo: ringrazio coloro che seguono la storia, lettori e recensori silenziosi. 
Come sempre, devo ringraziare MikuChan, Alois24 e Madame_Green: grazie ragazze, mi tenete su di morale <3
Lasciate una piccola recensione, se volete!
Ora vi lascio alla storia...
... Infondo... 
... Cosa potrebbe succedere... A casa Phantomhive...





I membri del gruppo erano tutti in fila davanti all’entrata della villa, vestiti in abiti vittoriani: Spears e Blaik avevano insistito per non apparire “sfarzosi aristocratici variopinti” come avevano detto poco prima, all’unisono.

“Niente colori, nero e bianco, punto e stop” dichiararono, fermi.

Jones si era arreso al loro volere. Lui risultava un nobile molto importante, vestito d’azzurro e bianco.
Hylda era vestita di tutte le tonalità esistenti tra azzurro e blu, mentre Jane…
Quando William la vide, ci rimase di stucco.  
Icapelli non erano più lisci, come di solito: erano più mossi, quasi riccioli, con due boccoli lunghi che le incorniciavano il viso.
Non aveva parole per descriverla.
Lei invece, per descriversi ne aveva di parole, eccome.
“Questo stupido vestito con questa stupida, scomoda, gonna maledetta,  non riuscirò neanche a montare su un pony, mi domando come facciano quei trogloditi dell’ottocento ad andare in giro con questi obbrobri…
Che fortuna nascere uomo nel loro mondo e soprattutto nel loro periodo, quanto mi dispiace questo vestito!”
Will sorrise rassegnato e divertito, mentre Jason ridacchiava, mettendo i canini in bella mostra.
Nel tempo in cui la ragazza, imbronciata, accarezzava Sandia, Will si avvicinò a Joey, che lo saluto con un nitrito eccitato. Aveva le orecchie pelose dritte in avanti: pronto per una missione.

Quando Bart andò dal resto del gruppo per capire come preparare la carrozza che si era procurato il giorno prima, Will si rivolse alla ragazza.

“Sei carina… Ti dona particolarmente quel vestito” l’altra sbuffò, incenerendolo con lo sguardo “Taci, se non vuoi morire” “Dico sul serio” “Smettila” replicò arrossendo, mentre lui la guardava serafico.

“Bene! Allora: Jane, io e Hylda, andremo in carrozza, mentre William e Jason, ci seguiranno a cavallo” “Che cosa?! E Sandia? Nessuno l’ha mai cavalcata tranne me, non è abituata ad avere  qualcun altro sulla groppa, potrebbe agitarsi, ha paura di chi ha…”

“…Il sangue di un demone? L’avevo previsto, per questo ho un asso nella manica: non ti preoccupare Jane. Bartholomew, puoi pure metterla nel paddock: ho già una cavalcatura, ed è anche abbastanza gelosa di me” disse Jason, per poi fischiare.

Un immenso stallone nero, già sellato, galoppò verso di loro.
Joey si agitò un poco. Era più grande di lui, massiccio, in netto contrasto con il suo fisico solido, ma slanciato.
Le iridi erano di un castano sorprendentemente chiaro.
Jason montò in sella senza nemmeno usare le staffe, con nonchalance, aiutandosi solo con le braccia.
“Avanti, andiamo! Esordì lui” “Forza, tutti in carrozza” disse Federik, mentre porgeva la mano a Hylda per salire, e successivamente a Jane, che rifiutò, dopo aver  guardato William per una frazione di secondo.

Lui si sentì la gelosia salirgli al cuore.

“So cosa stai pensando amico: toccala ancora e ti spacco la testa” disse Blaik, con tono noncurante “Fidati, non ha nessuna intenzione di rubartela” “Credo che tu abbia preso un granchio, amico: lei non mi interessa affatto, è solo un’amica, è cresciuta con me” mentì spudoratamente con fredda tranquillità, mentre nella sua mente c’era solo l’immagine del loro bacio sotto la Luna.
 “Aah… Allora questa che sento è gelosia fraterna” “Esattamente” ripeté gelidamente calmo l’altro.
“Avanti, andiamo!” esclamò Bart, che aveva messo via Sandia e sistemato la carrozza, trainata da due cavalli sauri.
“Certamente… Andiamo Shade” disse Jason avviandosi verso il portale.
“È ora di andare a trovare i miei quasi-simili” disse sorridendo, mostrando le zanne mentre i suoi occhi si accendevano.
Nelle vie di Londra, Will e Jason cercarono di confondersi con gli umani, però c’era qualcosa in loro che li rendeva diversi.
Spears era stato perfino costretto a cambiare pettinatura, scompigliandosi i capelli come quando era un ragazzo.
Almeno la frangia gli avrebbe coperto in parte gli occhi.
Non c’erano demoni, buon segno.
Presero un’altra via per arrivare a casa Phantomhive rispetto alla carrozza: non dovevano far capire a nessuno che la stavano seguendo.

Si trovarono sulla riva del Tamigi.

“Strano, ogni volta che passo di qui ho la fortuna di trovare sempre un cadavere” “Cavolo, allegro. Allora vuol dire che oggi sei più fortunato del solito” “Quando da queste parti accade qualcosa diverso dalla monotonia, o c’è un gran fermento, oppure sta per accadere qualcosa di grave” “Io non avverto nulla nell’aria, nemmeno l’odore di consanguinei… Probabilmente oggi gli umani hanno deciso di non scannarsi fra di loro come delle bestie” “Forse hai ragione”.
I due procedevano ad un passo sostenuto, in silenzio.
“Vuoi sapere che tipo di bastardo sono?” “Non sono affari miei, ma se hai voglia di parlarne… Ci conosceremo un po’ di più, visto che voi dovreste sapere tutto su di me, presumo” rispose educato, ma freddo. L’altro rise.
“Hai ragione, amico: comunque, io sono un ibrido alquanto singolare, come ti ho già detto in precedenza. Posso dirti che ho il sangue di tre razze: due da parte di mia madre, una da parte di mio padre. Lei, era per metà una shinigami ed  un angelo, lui invece…” fece una pausa, con lo sguardo basso, mentre si faceva passare nelle lunghe dita delle ciocche di crini neri, appartenenti a Shade.
“Era un demone. Un bel mix, eh?” l’altro non rispose, intento a pensare quali oscuri poteri potesse avere quel ragazzo all’apparenza divertente e coraggioso.
“I miei genitori sono vivi, ma non so dove siano… Ho un fratello, però… Nemmeno lui so che fine abbia fatto. Assomiglio  molto a mio padre, d’aspetto, e a mia madre, di carattere. Per fortuna… Mi vien da dire. Toh, ecco, imbocchiamo quella strada e arriveremo nel sentiero nel bosco, da lì potremo galoppare per velocizzare i tempi, la carrozza dovrebbe essere già arrivata” “L’invito per stasera è ancora valido?” chiese William, mentre iniziava a trottare, ricordatosi improvvisamente della storia di Alfred lasciata a metà.

“Certamente William, certamente…” sussurrò quasi, iniziando a galoppare selvaggiamente verso villa Phantomhive.

Shade era davvero l’incarnazione del cavallo selvaggio: sbatteva la testa su e giù, quasi volendo disarcionare il suo cavaliere, che restava in sella come se fosse stato il più tranquillo dei pony.
Era completamente rilassato, mentre lo stallone (secondo William mezzo pazzo) saltava e correva velocissimo mettendo in bella mostra i suoi muscoli tesi nello sforzo e il temperamento alquanto “esagitato”.
Joey era un po’ intimidito, e quasi faticava a restargli dietro: non era più abituato a “competere” con soggetti così… Ehm… Massicci.
“Padrone, è veloce” “Lo so… Ma non ti preoccupare, non è una gara, comunque… L’importante è che tu non ti infortuni o sbagli strada” Joey era più slanciato ed aveva un galoppo leggero ma non aveva gli stessi muscoli dell’altro: era grosso ma filava.
Frenarono bruscamente quando ormai erano davanti al cancello, e Joey ne approfittò per riprendere fiato. Ma poi alzò la testa, orgoglioso: non voleva dare a vedere la sua stanchezza, in fondo, non se l’era cavata troppo male.
L’altro lo fissò, ergendosi in tutta la sua statura. Poi si voltò, osservando il giardiniere che potava le rose. Lo indicò con il testone, nitrendo forte, per attirare l’attenzione.
“Finnian!” chiamò William, ricordandosi del nome del biondino. L’altro alzò lo sguardo. “Chi devo annunciare al Conte?” “Facci entrare immediatamente, siamo ospiti…” “Aspetta, tu sei quel tipo che viene sempre a recuperare quel tizio strano dai capelli rossi che sembra una donna!” “Esatto, facci entrare, di cortesia” disse il ragazzo a denti stretti. “Subito signori: conoscendo il Conte, vi starà attendendo con ansia” aprì il cancello ed entrarono trottando.
“Noooo non ci credo!! Che bellissimi esemplari di stalloni! Li adoro!” esclamò tutto contento, mentre i due cavalli si guardavano come per dire “Ma questo da dove è spuntato?”.
“Prego, affidateli a me, ci penserò io mentre voi discorrete con il conte… è già arrivata una carrozza, prima di voi, spero che non dobbiate attendere troppo per incontrare il padrone… Tanaka! Portali dal signore”
“Oh oh oh…” Jason studiò curioso il vecchietto, mentre William lo guardava di sbieco.
“Da questa parte, giovani signori” esordì l’ex maggiordomo dei Phantomhive.
Arrivarono di fronte all’ampia scalinata, dove li aspettava Sebastian.
“Prego, venite da questa parte” disse inchinandosi leggermente, con il solito sorriso che aveva sempre, anche quando stava massacrando una persona.
“Risparmia i convenevoli” replicò ringhiando Spears, mentre Jason faceva spallucce, con le mani in tasca “Avanti, portaci dagli altri”.
Michaelis fece strada per i corridoi fino al salottino. Appena entrarono, trovarono i loro compagni nella stanza. “Finalmente siete arrivati” disse con un sorriso Federik, che stava guardando fuori dalla finestra.
Sebastian fece sedere lo shinigami  su un divanetto, vicino a Jane, mentre Jones si accomodò su una poltrona.
Hylda e Bart erano seduti su un altro divano.
Il conte li osservava in silenzio, come se stesse cercando le parole adatte.

Era davvero cambiato: molto più alto, robusto e spallato. La crescita aveva aiutato notevolmente la sua saluta, molto meno cagionevole rispetto agli anni prima. Negli occhi aveva la stessa espressione seria di anni prima: in quello, non era cambiato. Vederlo lì, seduto su una poltrona a gambe incrociate, con le mani congiunte davanti al viso, sembrava la copia sputata di Vincent. Nei suoi lineamenti, si poteveno leggere la forza e lo spirito di suo padre. I grandi occhi blu riflettevano l'animo nobile di Rachel, sua madre. Non c'è che dire: il nuovo signore del casato Phantomhive incuteva timore e rispetto, come il suo predecessore. Ma, infondo, si sapeva: in lui albergava una personalità del tutto sua, dissimile da quella dei genitori. Ciel Phantomhive, era un caso a parte, forse era proprio questo, il suo punto di forza.

“Sebastian! Mere-da, fai servire immediatamente il tè” “Yes, my lord”.

Will allungò un mezzo sorriso: il ragazzo dai capelli blu non era affatto cambiato.

“Non abbiamo registrato alcun tipo di caso anomalo o di rilevante importanza, tutti i miei informatori non hanno notato niente, ed i demoni non trovano traccia alcuna dei servitori del nemico. Ne deduco, che abbiano già perlustrato la città e che non vogliano ritornare. Almeno, questo è ciò che abbiamo decretato io e gli alleati” “Perfetto conte, avete svolto un lavoro eccellente e minuzioso” “E' il mio compito, comunque… David non è ancora pronto, ci vorrà del tempo prima che torni da una missione che gli è stata affidata… Nel frattempo, vi prego di accettare il tè pomeridiano”.
Era tè nero, forte come piaceva al ragazzo.
Improvvisamente, tutti trasalirono e si voltarono verso la finestra: uno scalpiccio di zoccoli di cavallo echeggiava in lontananza.
Ciel non aveva udito perché dopotutto era un umano, ma quando il rumore si fece più intenso, Blaik si accostò alla finestra, imitato dal conte.
Improvvisamente il nobile sbiancò, imprecando fra i denti.
“Dannazione, doveva arrivare proprio ora?! Cavolo…” si girò verso i “colleghi”, cercando frenetico una soluzione.
“Bocchan, qualcosa non va?” chiese Sebastian “E' arrivata Elizabeth, maledizione” “Oh oh” disse il maggiordomo, scrutando allarmato i presenti “E non è sola: ci sono anche quello stupido di suo fratello e i suoi genitori”.
“E questa chi è?” chiese perplesso Jason.
“E' la fidanzata del conte” rispose atono William, ricevendo un’occhiataccia da quest’ultimo.
“Non andate bene così, dannazione! Sebastian, fai qualcosa, presto: verranno etichettati come una banda di depravati da zia Francis” “Dovete tirarvi all’indietro i capelli, signori… Dopo vi spiego… Presto! Io vado ad intrattenerli” disse agitato Sebastian, mentre il conte gli correva dietro, per la prima volta, notò William, senza tacchi.
A quanto pare, non ne aveva più bisogno.
“Mi associo!” gridò Ciel, prima di sparire oltre la porta.
“Sono persone un po’ strane, mi secca dirlo ma dobbiamo fare come ha detto il can- ehm, come ha detto il maggiordomo” disse Will, che si girò verso la finestra.
Jason, mentre si girava anch’esso, prese uno dei pettini lasciati prontamente (non si sa come) da Sebastian, lo intinse nella bacinella d’acqua e se lo passò in testa, cambiando istantaneamente pettinatura.
Bart e l’altro mezzosangue lo imitarono, risiedendosi composti.
William fu l’ultimo a pettinarsi, guardandosi nella finestra.
Rispose il pettine e lo fece sparire dietro un mobile, con la bacinella. Si sedette di fianco a Jane, che lo guardò interrogativa, alzando un sopracciglio.
Lui fece spallucce e si accomodò meglio, sfiorandole la mano. Jason rimase in piedi, accanto all’imponente finestra, con la sua solita, inquietane, espressione seria, quasi truce, fissando improvvisamente interessato il panorama.
Si udirono uno strillo eccitato che assomigliava ad un “Cieeeeeel!!!!”, un rimprovero e un insulto verso il conte.
Jason fissò Spears stranito, che sospirò: aveva incontrato lady Elizabeth qualche volta, mentre recuperava Grell, e la sua famiglia pure.
Inoltre, aveva dovuto leggere il loro “curriculum” per controllare che tutto fosse regolare e per le solite noiose pratiche burocratiche.
Ciò era bastato per conoscere lo strambo temperamento di ogni  componente della famiglia Middleford.
Sebastian entrò, intimando a tutti di comportarsi adeguatamente per evitare “spiacevolezze”, con alcune strane smorfie del viso.  
Quindi, fece accomodare i marchesi e la loro progenie, prima del conte, che era stato assalito dalla sua “promessa sposa”.

“Zii, questi sono miei conoscenti, erano venuti per una visita di piacere e per discutere di affari, ma possiamo pure rimandare… Sono onorati di conoscervi” si presentarono uno ad uno, seguendo quelle “inutili”(secondo Jane) formalità e procedimenti vari.
“Signori, vado a preparare il tavolo in giardino dove potrete godere del piacevole calore di questo pomeriggio, davanti ad una tazza di tè e pasticcini, con permesso” disse il maggiordomo congedandosi dal gruppo.
“Ebbene, voi di cosa vi occupate, esattamente?” si rivolse la marchesa a William, che si apprestò ad inventarsi una buona scusa.
“Noi ci occupiamo della produzione di tessuti, imbottiture e materiale di prima qualità per la creazione di giocattoli” rispose prontamente il ragazzo.
“Esattamente” continuò Jason, “Io e i miei colleghi, mr. William e miss. Jane, ci occupiamo di produrre ciò che servirà poi a costruire balocchi di prima qualità, per la felicità di ogni bambino. I signori e la signora di fronte a me, Federik, Bartholomew e Hylda, si occupano invece dell’assemblaggio dei nostri materiali, per “creare”, appunto, nuovi gingilli” dichiarò il mezzosangue, con aria solenne.
“Molto interessante, per questo collaborate con Ciel” disse Elizabeth, tutta contenta. “Esattamente, Milady, siete molto arguta” rispose Jones, gentilmente, con un sorriso angelico.
Sebastian li chiamò, guidandoli per i corridoi.
Mentre il marchese Alexis attaccava bottone con Bart, che riuscì a sviare il discorso sui cavalli, dal quale ne derivò una discussione accesa ed appassionata, William udì dei fruscii provenienti da fuori.
Si mise all’erta, con l’orecchio teso, mentre Lizzy discorreva con Jane, Francis con Hylda ed Edward parlava con Federik.
Jason lo fissò interrogativo: anche lui aveva sentito.
“Maggiordomo” sussurrò Will, mentre l’interpellato si voltava, con aria corrucciata.
“I dipendenti si trovano tutti in cucina…” mormorò, guardando in avanti, fermandosi.
“Ehi, servo, perché ci siamo fermati?!” inveì Edward.
“Sebastian, che cosa accade?” domandò scocciato il conte, che si calmò subito dopo, vedendo che Spears era bloccato sul posto, immobile, ad ascoltare qualcosa, fissando insistentemente fuori dalla finestra.
Si girò e vide gli altri suoi ospiti sovrannaturali imitarlo. Poi William vide qualcosa scintillare fra i cespugli e gridò.
Era la canna di un fucile.

“Tutti a terra presto!”.
I non umani scattarono, facendo abbassare i nobili prima che qualche proiettile li potesse colpire.
“Un agguato!” esclamò Ciel, riparando Elizabeth.
“Presto bocchan, dobbiamo raggiungere l’ala della servitù, non ci sono finestre, i lord saranno al sicuro!” “Pensaci tu!” rispose di rimando Ciel “Noi penseremo al contrattacco!” William fece segno a Jane e Hylda di seguirli, con Bart: non avrebbero destato sospetti. “Proteggete i marchesi” sussurrò Jason fra i denti “Conte, nasconditi, non ti devono ferire, forse è meglio che tu vada con loro, noi siamo immortali, tu moriresti alla prima pallottola” sussurrò Will “Fidati umano” “Conte, vada anche lei con lor signori, ci pensiamo noi al resto” esclamò Sebastian, mentre faceva strada.
“Aspettate, noi vogliamo combattere!” protestò Edward.
Ma appena si girò sbiancò: c’erano nemici da tutte le parti, una trentina di persone in tutti armate di spada e pistole.
“Conte, marchesi: presto, mettetevi in salvo, qui ci pensiamo noi, siamo combattenti esperti, non potete rischiare la vita!” esclamò Jason, mettendosi in posizione d’attacco.
“Ma…”  protestò Alexis “Zio, non vi preoccupate: quei manigoldi sono spacciati… La mia servitù ed i miei conoscenti li metteranno fuori gioco in poco tempo” affermò Ciel, portando via i parenti.
“Mere-da fatti dire cosa vogliono, e uccidili tutti” disse l’earl a Sebastian, dopo avergli mostrato il contratto.

"Yes,  my lord”.

Appena i nobili sparirono, lo shinigami, il demone ed i due mezzosangue si girarono verso gli assalitori.
Jason si scrocchiò le dite, fissandoli beffardo, con gli occhi fiammeggianti.
"Bene…" disse mentre i suoi canini si allungavano, la pupilla si restringeva e le unghie si allungavano.
“Facciamo pulizia” commentò Federik, con le fiamme nelle sue iridi oro-blu, tirando fuori una specie di lancia, una Death Schyte.
Ma come diavolo ce l’aveva? Pensò stizzito Will.

“All’attacco” ordinò fermo il diavolo.
Con un ruggito selvaggio, Blaik si buttò contro i suoi avversari.
Un boato da parte degli umani segnò l’inizio dell’inferno.

Will colpiva a destra e a manca, senza uccidere, stordendo. Non era un assassino.
Fermò Sebastian prima che potesse ammazzare uno di quegli uomini.
“Rifletti, non farlo: cosa succederebbe se quegli aristocratici vedessero questo scempio? Magari sono pure ricercati dalla polizia, aspetta prima di ucciderli… Dillo anche al tuo padrone” poi scattò verso Federik, e  vide che seguiva il suo esempio.
Ma, voltandosi, rimase paralizzato: Jason li stava ferendo gravemente, lasciandoli agonizzanti.
Lo osservò mentre proseguiva, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta.
Corti capelli nero corvino ondulati, occhi che riflettono l’inferno, zanne affilate ed artigli oscuri… Jason assomigliava moltissimo ad Alfred.
Si riscosse quando sentì una spada trafiggergli la spalla.
Provava dolore anche lui. Strinse i denti, trattenendo qualunque gemito. Si girò lentamente, per guardare il suo avversario con gli occhi splendenti.

Avevano qualcosa di terrorizzante, quegli occhi: come se rispecchiassero la morte stessa.

L’umano indietreggiò, con gli occhi grandi di paura e cadde per terra.
Era un ragazzo, avrà avuto si e no diciotto anni.

Gli occhi dello shinigami lo facevano tremare: dentro di esse scorgeva la morte, la propria fine.

“O Dio…” sussurrò.

William lo guardò per un attimo, prima si assestargli un colpo secco dietro la nuca, facendolo svenire.
Lo prese e lo buttò in un angolo: sarebbe stato al sicuro, gli avrebbe chiesto il perché dell’attacco a villa Phantomhive.
Si sfilò la spada dalla spalla e corse a bloccare Blaik.
“Jason! Fermo! Non sei un assassino, non li devi uccidere! Stordiscili e basta!” gli urlò contro. Q
uando lo scrutò negli occhi rabbrividì, trovandoli completamente cremisi.
Lui parve non ascoltarlo, ma poi, dopo aver fissato le sue iridi verde contornate di giallo si fermò.
“Hai ragione…”  disse con voce roca, osservando il ragazzo di vent’anni che aveva appena sfregiato, guardarlo con immenso orrore.
“Sono solo ragazzi… Ma che diavolo sta succedendo?” si domandò, per poi chinarsi sul ventenne.

Gli passò una mano  sul viso e l’emorragia si fermò.

“Bene… non sei andato male, William, non hai perso la tua lucidità in battaglia… Riesci a percepire le posizioni dei tuoi avversari in modo discreto, ma non perfetto. Ci lavoreremo” poi si girò verso il suo simile.
“Federik, sei a posto?” “Li ho sistemati tutti, non erano trenta, venti in tutto, compreso i tre cecchini li di fuori… Sono tutti giovani, con qualche uomo… Ci erano sembrati una marea perché hanno attaccato tutti insieme”.
Spears si avvicinò al ragazzo che aveva “messo da parte” poco prima, e si chinò alla sua altezza.
“Che ci facevate qu-” una pallottola lo colpì in pieno petto, e lui digrignò i denti, strizzando gli occhi. Stava iniziando ad innervosirsi. Si estrasse la pallottola e la mise davanti alla faccia del ragazzo.
“Vedi questa? Te la impianterò nel cuore, se non dirai quello che vorrò” dichiarò lo shinigami, con voce fredda.
L’umano buttò la pistola e si ritirò ancora di più, se possibile, contro la parete. Gli altri gli si erano fatti intorno.
“Avanti umano, parla” ruggì Jason, fissandolo, mentre metteva in mostra le zanne.
“Perché avete teso un agguato a villa Phantomhive?” “Noi… Ci è stato ordinato, c’è un’organizzazione, qui, in questa città, che attira noi giovani: siamo delle famiglie più povere di Londra, senza lavoro e senza soldi. Non riusciamo a tirare avanti e occuparci dei genitori, fratelli e sorelle. Questi ci offrono lavoro, protezione, riparo e pasti gratis. Purtroppo, una volta entrati non si può più uscirne: questo lo scopri dopo, però. A quelli che non va bene e che si oppongono…” deglutì, con gli occhi sbarrati, persi.
“Vengono brutalmente assassinati. Io li ho visti… Ci hanno ordinato questo per eliminare il cane, il cane della regina, che ficcanasava nei loro affari” “Come si chiama il vostro capo? Dov’è il suo nascondiglio?” lui esitò, tremando e rantolando, schiacciandosi contro la parete.
“Non ti faremo nulla, tornerai con la fedina penale a posto, e loro li manderemo a Yard” “Tu non sei umano. Ne… Nessuno di voi lo è!” si nascose la faccia dietro le mani, come se attendesse una punizione.
“Nessuno sopravvive dopo essere stato trafitto o sparato al cuore!”.

Un silenzio di tomba scese nella sala.

“Hai ragione, non lo siamo. Contento? Diciamo che… Siamo venuti per… Fare giustizia: avanti, rispondi alla mia domanda” “Fra un’ora nella sala più interna del loro nascondiglio: il pub “The old boat”. Lui si chiama James Brecht… Vi prego, eravamo costretti! Ci hanno mandato qua a morire, sapevano che a guardia della magione di Ciel Phantomhive c’erano… Delle persone fortissime. Lasciatemi tornare dalla mia famiglia” William lo fissò, imperscrutabile.
“Sebastian, vai ad informare il conte: noi provvederemo a risanarli e cancellare parte dei ricordi” “D’accordo ” “As… Aspetta! Come… Ti chiami?” chiese spaurito il ragazzo a Will.
“William” disse lui, dirigendosi verso i feriti.

Jason e Federik erano due incroci: avevano il sangue degli angeli nelle vene, per cui riuscivano, anche se avevano imparato da poco, e per loro era un grande sforzo, a rimarginare le ferite gravi e non.
Mentre loro curavano i feriti, William cancellava loro i ricordi. In breve ebbero finito, Sebastian provvide a pulire le tracce di sangue dal pavimento. I ragazzi vennero tutti riportati nelle loro abitazioni.
Tutto, possiamo dire, in cinque minuti buoni. Una squadra molto efficiente. Spears coprì le ferite a lui inflitte dagli umani, che già stavano guarendo. “Bene, fra mezz’ora ci sarà la riunione di quei manigoldi, il ragazzo, Richard, ha detto che non sono in molti, una ventina anche loro, niente di più: stavano ancora arruolando giovani, per creare una vera e propria preoccupazione per la città. Andiamo dal conte” disse freddo lo shinigami.
“D’accordo, avete ragione: andiamo dal bocchan”.
I marchesi sospirarono di sollievo, nel vedere i loro “eroi” ancora vivi.
Anche Jane lo fece, guardano William con evidente conforto.
Poi sbuffò, stizzita per non aver potuto combattere.
Ciel ascoltò il racconto in silenzio, davanti ad un tè.
Will ommise solo i momenti in cui usavano i loro poteri.
Glielo fece intendere con alcuni sguardi significativi, e Sebastian lo specificò attraverso il loro linguaggio a doppio senso.
“Bene, andiamo ad incastrarli ed ad alleviare le preoccupazioni di sua maestà la regina” disse alzandosi.
“Caro futuro figliuolo, noi togliamo il disturbo: non diremo nulla a nessuno, come promesso. Spero che ci incontreremo in una situazione più fausta… E sarà un piacere colloquiare di nuovo con i signori…” esordì il marchese
“… E le signore” concluse la marchesa.
Dopo che ebbero lasciato campo libero, Ciel si voltò, serio, verso i suoi “alleati”.
“Troviamoli” disse freddamente “Quanto tempo abbiamo?” domandò, lievemente preoccupato.
“Circa dieci minuti per raggiungere l’altro lato della città” rispose William, mentre si girava verso la finestra.
“Ce la facciamo?” chiese inquieto il conte “Si vede che non hai mai avuto a che fare con noi, Ciel Phantomhive” replicò beffardo Jason, staccandosi dal muro.
Poco dopo, delle ombra silenti si muovevano veloci sui tetti di Londra.
Il nobile ragazzo sentiva l’aria schiantarglisi sulla faccia: correvano veloci, gli esseri ultraterreni.
Era in braccio a Sebastian, e, per quanto il demone fosse grande, Ciel era cresciuto, ed ora il povero maggiordomo faticava a tenerlo fra le braccia: d’altronde, lui era un umano, non aveva i loro poteri.

“Sono passati i vecchi tempi in cui era facile tenerlo a bada” pensò Sebastian, mentre sbuffava osservando la schiena degli shinigami davanti a sé.

“Quando tutto tornerà come prima… Credo che me la vedrò brutta se lo intralcerò… Sempre che lui riesca a sopravvivere” pensò, mentre fissava la sua più grande spina nel fianco di razza shinigami: William T. Spears.








 

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Capitolo 15
*** Imboscata ***


Ehilà! Ciao ragazzi, vi lascio con il quindicesimo capitolo!
Un grazie a chi segue la storia, a chi l'ha messa fra i preferiti, a chi la legge in silenzio!
Un ringraziamento particolare va alle mie "supporter":
Madame_Green, MikuChan e Alois 24: siete uniche :')
Un ringraziamento speciale va anche a  XAniuEX_lol per la bella recensione :)
Ci si sente ragazzi! Recensite, se vi va :)





Il cielo si era oscurato, ed il tempo non stava diventando dei migliori: ma dopotutto si sa com’è la gran Bretagna, di lì a poco sarebbe arrivata una pioggia violenta.
Le nuvole nere e cariche di pioggia sarebbero sopraggiunte sopra le teste dei sempiterni, infradiciandoli.
Il vento gelido che spirava dal mare gli penetrava nelle ossa e William iniziò ad agitarsi un pochettino: c’era qualcosa, in qualche angolo sperduto della sua mente che lo stava mettendo in guardia, che avvertiva un pericolo imminente nell’aria.
E quel vento, era, sempre per quel cantuccio, un segnale di morte.
Si appostarono sul tetto malandato, spiando da una finestrella scalcagnata e crepata.
Venti uomini in tutto, svolgevano diverse attività: alcuni giocavano a biliardo, altri a carte mentre bevevano Brandy.
Un tipo tozzo batté le mani, radunando i compari. William non riusciva a percepire esattamente le parole, ma capiva più o meno il senso generale della discussione leggendo il labiale: soldi, corruzione in Scotland Yard, minacce a nobili.
Eliminazione del cane della regina, l’ultimo loro ostacolo.
“A quanto pare, lui deve essere James Brecht, il capo. Parlano della tua eliminazione Ciel, di corruzione a Yard, conquiste e cose del genere: gli umani litigano per cose stupide come i soldi… Senza offesa” disse Will, mentre stava ancora fissando la combriccola di mafiosi. “Avanti, uccidiamoli subito” disse senza troppi complimenti Sebastian, che aveva rischiato di perdere il suo “futuro” pasto.
Anche se, per qualche strana convinzione che ormai aveva quasi accettato, credeva che quel pasto non sarebbe arrivato mai.
“Hylda, Jane: non avete i vestiti adatti per combattere, rimanete a fare il palo, e ripescate quei malavitosi… Una volta morti. Bart, tu rimani con loro: non è il caso che tu sforzi più di tanto, noi basteremo… La tua schiena è…” cercò di spiegare Federik
“Posso benissimo farcela, non trattarmi come un invalido, ho tutta la forza necessaria per combattere contro quei malviventi, sono solo un branco di-” “Ti prego Bartholomew, in caso di pericolo tu dovrai scappare con loro, portarle da Undertaker e spiegare la situazione! Starai qui con le ragazze ed il conte Phantomhive, non possiamo permettere che si ferisca durante una colluttazione: è il collegamento fra i nostri mondi e la dimensione umana” replicò Jones.
“Bene ora…” “Ehi bellimbusto, non credere di farla così tanto facile: noi non abbiamo abiti adatti? E chi se frega, possiamo combattere anche in minigonna o in tutù se vuoi una dimostrazione, non fare il grande perché sei un uomo!” lo interruppe alquanto infastidita, per usare un eufemismo, Jane.  “Mi associo” si limitò a commentare Hylda, che lo guardava con rimprovero.
“Suvvia per favore, in caso di-” “Ma che cavolo di caso vuoi che ci sia in un branco di miseri umani?! Sono solo dei maledetti…” mentre la discussione procedeva, William si sporse sempre più verso la finestrella.
Era crepata, si sentiva l’aria calda che filtrava dalla rottura mista all’odore di alcool e sigari…
Poi, improvvisamente si irrigidì, iniziando a tremare appena, con gli occhi sgranati: il suo naso non l’aveva mai tradito, ma ora desiderava che lo facesse.
Aveva sentito odore di zolfo.
L’aroma che stagnava negli inferi.
“Oh, dannazione…” sibilò, osando sporgersi verso il  vetro. Alcuni uomini non c’erano più.
William si alzò di scatto, facendo zittire tutti all’istante. Si mise in posizione di guardia, guardandosi intorno, molto nervoso.
Jason lo imitò, con più calma, mentre faceva segno agli altri di seguire il suo esempio “Compari, qui c’è qualcosa che puzza…” mormorò, teso.
Federik si rivolse alle ragazze, al conte ed al vecchio “Andate via subito, prima che accada qualcosa” “Bart, vai con l’umano, corri alla magione e mettiti in contatto con i demoni alleati e Undertaker… Qui c’é…” disse Jane, cupa.
“Odore di demoni!” esclamò William mentre saltava verso il cornicione.
“Maledizione: si sono mischiati con gli umani, bastardi!” imprecò, mentre Jason ruggiva.
“Credo che stiano per salire, ci vogliono accerchiare! Questi non sono alleati, si può sapere dove cavolo è la sicurezza?!” gridò rabbioso Blaik, rivolgendosi a Sebastian, il quale, appena visto il contratto che il conte gli aveva appena mostrato, rispose, irato “Non lo so, mi avevano assicurato che avrebbero pattugliato tutta Londra!” poi vide una colonna di fumo levarsi molto più a nord, rispetto alla loro postazione.
“Schifosi, maledetti, subdoli consanguinei!! Hanno organizzato un diversivo per prenderci! Qualcuno gli ha rivelato i nostri piani, eppure quei ragazzi erano tutti umani, li hanno usati come carne da macello!” imprecò il demone.
“Dannati disgraziati… Shinigami! Presto, muoviti! E voi due, donne: avanti, datevi una mossa, dobbiamo riorganizzare la difesa!” sbraitò il Phantomhive “Andate voi due, noi restiamo” disse risoluta Jane.
“Jane! Se ti ferissi, Undertaker andrebbe su tutte le furie! È pericoloso! Vieni via! C’è bisogno anche dell’intelligenza difensiva, non solo dell’attacco in una battaglia, avanti: vieni con me e loro due” gridò Hylda, mentre vedeva qualche elemento arrampicarsi sul tetto e lanciarsi urlante nella loro direzione.
"Ma io…” “Jane” disse William, mettendosi di fronte a lei, fissandola negli occhi: aveva un tono calmo e gentile, ma autoritario. Lei lo guardò, stranita.
“Ti prego, fai quello che ti hanno detto: va con Hylda, Bart e Ciel. Ce la possiamo cavare benissimo da soli, voi non dovete rischiare” “Sei TU quello importante che non deve rischiare in nessun modo, William!” urlò lei.
“Per favore” ripeté lui, fermo.
“Will…” lui sorrise, per poi indossare una maschera di orrore.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

“A terra!!” urlò, facendole lo sgambetto.
Evitarono per un pelo la lama di un coltello, e Spears cadde di schiena, per poi voltarsi vero il vetro crepato, tossendo.
Era rimasto solo l’uomo tozzo, nella sala. Era lì in piedi, con il capo chino.
William lo osservò, incurante della battaglia che infuriava intorno. Di scatto, il soggetto alzò la testa, guardandolo con uno sguardo sadico e perverso, un sorriso malefico, mettendo in mostra gli occhi cremisi e le zanne.
Con una mano spaccò il vetro, afferrando William per la camicia e cercando di tirarlo all’interno della costruzione. Lo shinigami non riusciva ad aggrapparsi alle tegole per cercare di sfuggire alla morsa del cane, e picchiava la faccia contro la cornice.
“Maledetto bastardo mollami!!” urlò, con il viso insanguinato e livido, sia per la rabbia che per le botte: il vetro lo stava tagliando in profondità.
“William!!” Jane stava combattendo contro un demone più grande di lei a mani nude, non aveva molte chance, apparentemente.
Anche se voleva con tutta sé stessa soccorrere l’unico ragazzo che aveva mai amato, non poteva permettersi di distrarsi.
“Dio, ti prego fa che resista!” pregò la shinigami, parando un pugno piuttosto energico.
Il demone tirò con più forza, e Will, sentì il vetro infrangersi completamente contro la sua faccia.
Forse il verme non aveva ancora capito che non ci sarebbe passato mai, da lì.
Venne scosso ulteriormente, e stavolta sentì un osso nella sua spalla intrappolata al di fuori del pub scrocchiare.
Con la coda dell’occhio, vide la SUA ragazza venire colpita da un diavolo.
“Arrenditi William T. Spears, morirai, ma prima… Moriranno loro dinnanzi ai tuoi occhi! Iniziamo dalla ragazza” Jane era sorretta dal demone forzuto di prima, che la teneva dal dietro per le braccia. Sorrise ed alzò la spada della Grimm Reapers, pronta a trafiggerla.
La maschera di William era terrore puro, come mai ne aveva provato in vita sua.
Con il volto livido, tremante di livore, si liberò con un energico strattone, sfondando la parte di tetto in cui era incastrato, strappandosi la camicia e la giacca. Si girò di scatto, con gli occhi infuocati di odio, nei quali si rifletteva la morte.
Vide un’immensa ombra nera catapultarsi dietro il demone. La guardò negli occhi e capì immediatamente il piano.
Si sfilò la giacca mentre spiccava un balzò, lanciandosi contro il diavolo. Bartholomew afferrò le braccia del gigante, rigirandole all’indietro, mentre Will gli serrava la testa in una morsa, avvolgendola con la giacca nera.
Strinse fortissimo, ed il demone gli graffiò la parte scoperta del petto mentre tentava di liberarsi.
Una mazza chiodata, in contemporanea al rombo di un tuono, calò sul capo del nemico, sfracellandolo.
L’indumento di William iniziò a macchiarsi, diventando sempre più scuro.
Sebastian voltò la testa: un suo simile ucciso con la stessa brutalità di quante ne avesse inferta lui stesso. Per lui, era una cosa insopportabile da vedere, gli dava la nausea.
Will, ansimante, con le nuvolette di fiato ghiacciato che gli uscivano dalla bocca, rimase immobile.
Bart sollevò la mazza chiodata, la sua Death Schyte.
“Lo so che avrei dovuto restituirla, ma Undertaker mi ha fatto il regalo di compleanno, quando mi sono congedato, da ragazzo… Oltre che ad avermi assunto, mi ha pure dato il permesso di tenere la mia falce” William, rimase immobile, con gli occhi sbarrati, a fissare le tegole verdastre del tetto.
La temperatura era cambiata in pochissimo tempo, si era abbassata, e si era alzato di nuovo un vento niente male.
La pioggia sarebbe arrivata, meglio sbrigarsi. Si diresse verso Jane, che provò a fiorare il sangue che usciva dalle sue ferite, ma venne fermata, perché Will la bloccò per il polso.
La guardò negli occhi, porgendole la spada.

“Vattene” sussurrò, fermo, con il sangue che colava dal labbro spaccato.
Lei lo fissò atterrita, mentre il ragazzo si scostava, un pochino barcollante, dirigendosi verso la mischia.
“Segui Bart, vai con Ciel Phantomhive e Hylda Cavendisch, mi aspetto che tu torni a casa sana e salva, e che organizzi la difesa in modo impeccabile” disse, freddo come il clima.
Lei lo abbracciò dal dietro, controllando che nessuno guardasse.
Ma erano tutti troppo impegnati nella battaglia.
“Vai” ripeté, camminando lentamente verso la mischia.
“Cerca di tornare…” mormorò, a testa bassa, poco prima di correre verso Ciel, che la stava aspettando girato di spalle, impaziente.
William T. Spears si sistemò gli occhiali sul ponte del naso con la sua falce della morte.
Poi si piegò sulle ginocchia e si buttò contro il nemico, dando il via ad una furiosa battaglia.




Avanti, shinigami, mezzosangue, demonio: scatenate l’inferno. 

 

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Capitolo 16
*** La vendetta è dettata dal rancore ***


Salve ragazzi! Ho deciso di aggiornare due volte oggi, per il fatto che domani non sono sicura di riuscire a regalarvi un altro capitolo... Ultimamente il vento cambia, e si sente il fermento prima di un nuovo inizio anno!
Scusate, ma settembre ormai porta novità ed impegni, quindi non sono sicura di essere costante con gli aggiornamenti. Perdonatemi, se così dovesse essere!
Vi lascio al sedicesimo capitolo: le uniche avertenze? 
Chi non ama particolarmente la drammaticità, abbandoni la sala. Chi adora questa storia, continui a leggere.
Ciao belli! <3



Colpiva, ed ogni volta che lo faceva, uccideva uno di quei cani. Sebastian uccideva con meno facilità degli altri, e solitamente lasciava Jason a finire il lavoro.
Blaik non si faceva scrupoli: ringhiava e ammazzava, a volte anche in modo selvaggio, come i demoni.
Odiava la sua parte demoniaca, ma doveva conviverci, in qualche modo.
Ruggì poco prima di lanciarsi su un nemico, impiantandogli le unghie nelle spalle ed un pugnale nel collo.
Una mini falce della morte: piccola e letale.
Non possedeva ancora una falce grande e completa, come Federik.
Primo: era un mezzosangue.
Secondo: era stato addestrato a tutte le tecniche di combattimento possibili, specialmente in quelle da contatto fisico.
Il pugnale, era lo strumento perfetto, per svolgere il suo lavoro.

Con quello, aveva protetto tutte le persone che aveva amato.

Quell’arma, aveva salvato la vita della sua compagna.

Quell’arma, aveva troncato la vita del suo amore.


Pioveva violentemente quella sera.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Il freddo si sente dieci volte di più, quando sei infradiciato completamente, con il vento gelido che spazza via ogni cosa. 

Lui ride.

È scomparso, ridendo sadicamente, diabolico.

Il pugnale è in terra, insanguinato. La lama riflette la luce fredda della Luna, solitaria e silenziosa testimone.
Lui è inginocchiato, immerso nel suo sangue, che, scarlatto, scorre dallo squarcio del suo petto candido.
Lei è lattea, trema, ha freddo, ha paura: sa, che di lì a poco, l’angelo della morte verrà a prenderla, strappandola dal suo mondo, strappandola da lui.
Ansima, guardando negli occhi il suo compagno, sconvolto, sporco, che la fissa con occhi terrorizzati ed increduli.

“Ti prego… Dimmi la verità: sto morendo, amore mio…” sussurrò, rantolando.
“Shhh… Non è vero, tu vivrai, sarai al mio fianco… Io ti salverò” “Non è possibile, lo sai: stanno venendo a prendermi… Quel pugnale… Mi sta strappando da questo mondo, lo so. Non buttarlo e non distruggerlo… Tienilo in ricordo di noi…”
“Non morire amore, ti prego” “Voglio andarmene da qui felice. Vieni qui accanto a me” sussurrò, sempre più debole.
Lui si trascinò vicino al suo corpo, bagnato di lacrime e pioggia, sporco di sangue.
Si sdraiò nel sangue, al suo fianco, per starle vicino.
La baciò sulle labbra fredde, consapevole che non avrebbe più potuto farlo.
“E dai, abbracciami, Jason” disse lei, sorridendo. Lui lo fece piangendo.
La strinse, fino a che non avvertì più il suo respiro contro la pelle, finché non l a sentì immobile.

“Addio, Hilary…”

disse piangendo.

Si alzò, urlando il suo dolore al cielo, maledicendo quel cane che l’aveva ammazzata.
Prima che potesse tirare un altro pugno contro il muro, peggiorando ancora di più le ferite sulle nocche, qualcuno lo bloccò, prendendolo per il polso e mettendolo saldamente contro la parete.
Jason abbandonò ogni resistenza, sentendo le lacrime solcargli il viso.
Il nuovo venuto, più grande di lui di un paio d’anni, lo sorresse per le spalle, guardandolo con triste tenerezza.
“Mi dispiace… Non sono riuscito ad arrivare in tempo…” mormorò, stringendo il ragazz, che, inerme, appoggiò il capo sul petto dell’altro, con gli occhi vuoti come la sua mente, come il suo cuore polverizzato.
Il maggiore era asciutto, aveva i vestiti che profumavano di pulito, era pulito.
Anche nel cuore.
Lui invece, Jason Blaik, era fradicio, era lurido, coperto di sangue, macchiato a vita.
Marchiato a vita.
“È stato lui, quel maledetto… E' tornato per me, mi voleva vedere… L’ha uccisa senza pietà… E io cos’ho fatto? Niente…” il suo umore cambiò all’improvviso.

Iniziò a ringhiare, come una bestia.

“Grrr… Quel maledetto bastardo… Lo odio, lo voglio uccidere… Dov’è… dov’è?!” ruggì, feroce, mentre iniziava a dimenarsi, con gli occhi tricolore iniettati di sangue.
Piano a piano, stavano iniziando a tingersi di scarlatto e fucsia, rilucendo nel buio.
L’altro lo strinse, calmo, con un sorriso tranquillo stampato inviso, gli occhi serenamente chiusi.
“Fratello ti prego… Non devi serbare rancore, non fare il suo gioco: lui vuole che tu reagisca così… Sai cosa farà, se ti prende? Ti trasformerà in una bestia sua pari…” sentì una risata diabolica pervadere l’aria, mentre un’ombra nera era comodamente accovacciata sulla sponda del tetto, che li fissava compiaciuto.
“Oh, come sono contento Jason: finalmente il mio figlio prediletto sta mostrando la sua vera  essenza… La mia essenza, quella demoniaca” “Padre” rispose l’altro giovane, che stringeva Blaik, il quale, tremante di livore, voleva liberarsi per uccidere il bastardo che aveva ucciso la sua ragazza.
“Non ero io il vostro figlio preferito? Poco importa, ormai, visto che siete scomparso… Lasciate in pace questo povero ragazzo: per colpa vostra ha perso la persona che amava, non è nelle condizioni migliori per discorrere con voi”
“Oh, Federik: il mio primogenito! Quanto sei diventato grande, proprio un bellissimo giovane, non c’è che dire, assomigli a tua madre in modo sorprendente: ti abbiamo fatto proprio bene, e con tanto amore per giunta. Volevamo essere sicuri che saresti diventato così.
Sei anche beneducato!” “Bastardo! Perché l’hai uccisa?!” urlava ancora Jason, in preda al furore.
Federik aumentò ancora di più la stretta “Padre, mi lusingate: ora, però, potremmo rimandare a più tardi la discussione? Noi abbiamo altro da fare, e purtroppo temo che le nostre intenzioni non coincidano, anzi siano addirittura opposte”
“Oh, figliolo, resta ancora un po’ con me, lascia andare tuo fratello: che si sfoghi… Per molto tempo tu sei stata la luce dei miei occhi, il mio preferito! Alla nascita di Jason, ho avvertito che lui mi somigliava di più, e allora ho cambiato partito.
Ma voglio bene a lui tanto quanto ne voglio a te. Ubbidisci, Federik: lascia andare tuo fratello” disse, tendendo le mani “Fallo venire da me” continuò, con un sorriso.
“No, padre” rispose il maggiore, con la stessa identica espressione del genitore.
Un falsissimo sorriso di cortesia.
Con sorriso che il più vecchio manteneva anche quando massacrava una persona.
L’uomo parve rattristarsi “Oh, e così non vuoi che il tuo vecchio padre abbracci il suo secondogenito? Federik, mi deludi: non hai un cuore, sei crudele” disse, intristito.
“Allora vorrà dire che lo prenderò... Con la forza!!” esclamò, ruggendo, con gli occhi luminescenti, mentre balzava verso i figli.
“Non volevo arrivare a questo punto, ma visto che siete intenzionato a combattere, ben venga: ma non crediate che sia tanto facile” rispose Federik, calmo, mentre colpiva suo fratello dietro al collo, facendolo svenire, e se lo caricava in spalla.
Il genitore gli si avventò contro, con una daga, puntando alla base del collo.
Quando, all’ultimo secondo, pensò di aver vinto, rimase completamente stupito: la sua lama era stata bloccata da un’altra, molto più lunga.
Fissò suo figlio, immobile, mentre, con facilità, bloccava la lama del suo avversario.
Improvvisamente scoppiò a ridere, guadando gli occhi oro-blu del giovane e le fiamme che, placide, si muovevano nelle iridi.
“Oh, quanto sono lieto: hai imparato a maneggiare un’arma come si deve, sarai diventato un maestro nel combattimento con le spade… Piuttosto singolare, però, come spada… E' strana… Sembra un fioretto, ma molto più lungo…
Bravo, comunque: sono orgoglioso di te” disse, compiaciuto.
“È la mia Death Schyte, padre, sono felice che l’apprezziate” disse, sorridendo, mentre l’altro incredulo, sentiva il sangue scorrergli sulla guancia.
Federik l’aveva ferito senza che lui se ne accorgesse.
Davvero notevole.
L’adulto lo guardò negli occhi: peccato che suo figlio, dotato di talento, era votato al bene… La sua natura aveva un’infima parte demoniaca.
Era per metà shinigami e per metà angelica.
Come sua madre… Lo avevano allevato troppo bene.
Ma quando nacque Jason… Lui sentiva che qualcosa era cambiato, che quel neonato sarebbe potuto diventare un signore degli inferi e re delle tenebre come lui.
Aveva il cuore sì puro, ma gli assomigliava tantissimo, perciò la sua natura conteneva quasi la metà o più demoniaca, anche se era “assopita”: sospettava che potesse estinguersi, se avesse provato amore, come lui in passato.
Allora, visto che aveva iniziato ad avere  un rapporto troppo intimo con quella ragazza, era intervenuto, uccidendola.
Ora mancava solo il marchio.
Purtroppo, in tutti i piani migliori c’è sempre qualche guastafeste.
E quel qualcuno, ora era il suo “amato” primogenito.
Sorrise, eccitato: in quel preciso istante, avrebbe verificato che fosse veramente degno di suo padre, anche se era completamente uguale alla sua adorata amante.
Assottigliò gli occhi, sempre sorridente.
“In guardia, Federik” disse, mettendosi in posizione.
“Alé” rispose il ragazzo, sistemandosi il fratello in spalla e parando un attacco.

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Le lame sferragliavano, facevano scintille ogni volta che si scontravano.
L’adulto non concedeva nemmeno un minuto di pausa, voleva finirla lì e subito, non lasciava trasparire nemmeno uno spiraglio, nella sua guardia.
Il ragazzo era più  impacciato e lento nei movimenti, ma si difendeva, senza dare troppo peso a Jason, che, inerme, gravava sulle sue spalle.
Sbagliò un mossa, ed il padre ne approfittò per ferirlo al braccio, lacerandogli la carne.
Federik arretrò con un balzo, e, sempre con l’ombra di una sorriso in volto, poggiò Blaik contro la parete.
Si girò, lentamente, portando la mano sulla ferita, che smise di sanguinare all’istante.
Prese un profondo respiro, mentre suo padre lo aspettava, proiettando la sua ombra minacciosa contro la parete del vicolo.
Erano all’ultimo colpo: uno dei due, sarebbe stato trafitto dall’altro. Federik si piegò sulle ginocchia.
Respirò profondamente, lanciando un’occhiata al fratello.
“Stai lì e aspettami, dopo torniamo a casa” dopo che ebbe sussurrato questo, si lanciò contro il nemico, che lo imitò.

Tutto sembrò fermarsi.

I due avevano ancora l’arma in mano, immobili.
Il sangue schizzò dalla ferita, una lunga linea rossa sotto il vestito stracciato.

Federik crollò in avanti e si inginocchiò, per non cadere.

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Sentiva il taglio bruciare, strizzava convulsamente gli occhi tentando di alzarsi.
Tossì, e si sorprese nel vedere alcune gocce di sangue uscirgli dalla bocca. Avrebbe potuto ucciderlo senza problemi.

Un padre. 
Che uccideva suo figlio.
Una cosa orrenda.

L’altro si diresse verso Jason, che aveva socchiuso gli occhi.
Guardò Federik, che tentava di alzarsi, invano, tossendo.
Poi vide suo padre che avanzava con la sua daga verso di lui.
Dalla lama colava lenta una sostanza rossiccia, che ricadeva sul selciato in gocce. S
palancò gli occhi e capì: aveva ferito suo fratello, che lo stava proteggendo.
Aveva rischiato di ucciderlo, come aveva fatto con Hilary.

Iniziò a fremere di rabbia, ringhiando e mostrando i canini.
Si alzò, sempre ringhiando, e lo fissò con i suoi occhi rossi e oro, con le fiamme verdi che iniziavano ad agitarsi.
“Jason, figlio mio. Vieni qui da papà! È da quando eri molto piccolo che non ti vedo!” “No Jason! Non ubbidire fratello, quello un solo un mostro fatto d’odio! Io mi ricordo il nostro vero padre: era un brav’uomo, che mai aveva fatto soffrire la mamma, che mai ci aveva abbandonato, per niente e nessuno. Noi, la sua famiglia eravamo il suo bene più prezioso- ah” una fitta gli raggiunse il costato e gli spezzò il respiro, facendo gemere di dolore.
A quanto pare, la sua ferita era peggio di quanto pensava, non faceva altro che aggravarsi sempre di più.
Strinse i denti, e continuò a parlare “Poi, una specie di cancro ha iniziato ad invaderlo, e lui… Ah, è lui è andato via per due lunghissimi anni, tentando di trovarne la cura… Ma esso non fece altro che peggiorare, tanto che, quando ritornò, io stentai a riconoscerlo veramente, ma non per l’aspetto esteriore, bensì per quello interiore. Io… Non avvertivo più il calore dei suoi abbracci, la gioia che sprizzava dai suoi pori…
Anche la mamma era del mio stesso parere: anche nell’amarla era diventato più ombroso, era diventato perfino un poco violento. Grazie a Dio, però, non violento a tal punto di alzare le mani, questo no, non ancora…” gemette ancora
“Dì la verità, c’è del veleno sulla tua lama?” chiese l’arancione, fissando la sua sagoma immobile nell’ombra.
Lo vide annuire, in silenzio, con il sangue che iniziava a formare una piccola macchia sull’acciottolato.
“Anche nell’amare nostra madre era diventato più violento, più possessivo: infatti, tu non venni generato come me… Ma con molta più cattiveria. Ma io lo so che tu non sei crudele, fratellino: non ubbidire a lui, ubbidisci a me. Vattene via, non ti deve prendere” .
“SCAPPA!” gridò all’improvviso, vedendo loro padre balzargli contro, afferrandogli la gola.
Jason era rimasto fermo, con tutti i muscoli tesi.
Improvvisamente sollevò di scatto la testa e prese il polso del padre, stritolandolo finché non sentì le sue ossa scricchiolare. Aveva i muscoli del collo talmente forti e tesi che il genitore non riusciva a fargli mancare il respiro.
“Toglimi le mani di dosso, lurido cane: non sei mio padre, sei solo uno schifoso assassino” sibilò, velenoso.
Gli sferrò un calcio in pieno stomaco, facendolo arretrare, successivamente, gli assestò un sinistro sotto la mascella, facendogli sbattere i denti e, probabilmente, spaccandogliela.
Federik credette che, data la violenza del colpo, la mascella si sarebbe staccata dal resto della faccia.
Purtroppo, il giovane, ancora bloccato saldamente per il polso, cadde sopra l’uomo.
Federik gridò un “No!” disperato.
Jason vide tutto a rallentatore.
Suo fratello che cercava di buttarsi contro di lui, il viso di suoi padre, serio, e la punta della sua daga immobile sotto di lui, che mirava al costato.

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Urlò con tutto il fiato che aveva, come non aveva mai fatto. Lo spadino penetrò nella carne fino all’elsa. Il sangue del ragazzo schizzò su tutto il corpo del padre, che finalmente sorrise, compiaciuto.
Estrasse la daga, provocando altro dolore nel figlio, che gemette e si accasciò a terra.
“Anche questa è una Death Schyte ragazzo mio… Scusa se ti ho fatto troppo male, ma, credimi, è per il tuo bene. Per il nostro bene” si incamminò nella sua direzione, con la mano destra aperta, tesa verso di lui.
“Padre… Lascialo! Prendi me, non lui, io…” “No Federik. È Lui che voglio, non te. Lui mi assomiglia di più, lui è un demone, io lo so” “Non dire certe cose, non sono altro che ipotesi, non hanno fondamenta sicure per affermare ciò che vai dicendo!” rantolò, alzandosi in piedi a fatica, mentre il sangue fluiva lento.
Ecco, cos’era successo: la lama era avvelenata, lo aveva trapassato e poi lo aveva tagliato come se fosse una bistecca, un pezzo di carne qualunque.
Si buttò sul genitore che perse l’equilibrio, sbilanciandosi in avanti, e cadde in ginocchio davanti a Jason, che aveva le spalle contro il muro.
Lo guardò negli occhi, e per un attimo si rivide lui da ragazzo.
Era quasi uguale, d’aspetto, ma aveva anche un carattere simile.
Di buon cuore, inconsapevole della sua vera essenza, che aveva finto di essere uno shinigami, un povero orfano gentile, piacente e beneducato.
In quel momento, però, le iridi multicolore, un misto fra le sue e quelle della madre del ragazzo, esprimevano tutt’altro: odio, rancore puro, paura, debolezza, scoraggiamento.
Ma c’era qualcosa che traspariva ancor di più del resto: delusione.
La delusione verso un padre degenerato come lui, verso uno spietato assassino che l’ha creato con rabbia, senza amore.
Un fallimento su tutti i fronti.

“Sei deluso di me?” domandò, sussurrando, dopo aver colpito Federik una seconda volta, stendendolo a terra.
“Sì… Non sei niente per me… Non sei mio padre, io non sono figlio tuo” rispose biascicando, allo stremo delle forze.
“Bene…” mormorò “Allora… Ora ti legherai a me, sarai orgoglioso di essere frutto della mia progenie!” gridò, ridendo.
Sul palmo destro si disegnò un simbolo nero, che si incendiò. Federik tentava di trascinarsi verso il padre, per fermarlo.
Il demone, mettendo in bella mostra la sua vera forma, strappò la camicia del mezzosangue moro, e premette contro la pelle lattea il pentacolo, fra il collo e la spalla.
Jason urlò, sentendo il corpo sciogliersi a quella temperatura.

Era il dolore più intenso che avesse mai sentito.

D’un tratto sentì qualcosa strisciare sulla sua schiena.
Con orrore provò a guardare, e vide che il tatuaggio si stava diramando.
Poi, un’ombra nera si stagliò nella notte: sembrava la sagoma di un uomo.
Aveva gli occhi gialli, profondi, un bel viso sfigurato da un’ orrenda cicatrice, i capelli grigio cenere.
Suo fratello si alzò, e sferrò un vigoroso pugno alla mascella del diavolo, che mollò la presa, poi lo tagliò sul viso con la Death Schyte.
Il padre, infuriato, lo colpì con la daga, infilzandogli lo stomaco.
Federik cadde supino e non di mosse più.
Il diavolo fece per rimettersi all’opera quando, poco prima che le sue dita potessero toccare la pelle del suo secondogenito, venne ferito al braccio da una specie di grande falce.
“Non sei altro che un dannato, hai ridotto il tuo primo figlio come se fosse solamente carne da macellare, e ora, stai destinando l’altro alla morte, ad una condanna eterna, al seguire i tuoi stessi passi! Arrenditi e vattene, o sarà peggio per te” disse l’ultimo arrivato, fissandolo truce.
“Undertaker… Vattene e non intrometterti negli affari di famiglia”
“Ora basta, hai ucciso tutto ciò che avevo di caro, non voglio nessun altra perdita, questo è il mio territorio: fatti da parte” disse, duro e deciso.
“Caro becchino io non-” “Conto alla rovescia a partire dal tre. Poi alzerò le mani sul serio”

“Smettila di fare il gradasso tu non-”
“Tre…” “

Non mi fai paura, Jason diverrà come me, che tu lo voglia o no compirò il rituale”
“Due…” lo fissò, funereo, incenerendolo con lo sguardo.


“Ora, torniamo a noi…”


“Uno”.  






 

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Capitolo 17
*** Terrore: la vita appesa ad un filo ***


Ehilà ragazzi!
Scusate se aggiorno solo adesso, ma sono stata molto occupata: son dovuta scappare in città per impegni urgentissimi e non previsti, quindi se nel capitolo riscontrerete eventuali errori, è perché i miei occhi sono troppo
stanchi per fare una corretta correzione... Mi dispiace!
Un grazie a chi legge, ed un doppio grazie a chi recensisce e a chi ha messo la storia fra le preferite e/o le seguite!
XAniuEX_Lol
Madame_Green
MikuChan
Alois24
zeze3000
Questo capitolo è tutto per voi!
Alla prossima!
Ps: vi lascio il link dell'immagine di CIel cresciuto: nella mia fic, il suo aspetto sarà questo :)

http://elinmeong.files.wordpress.com/2011/05/vlcsnap-2011-05-15-18h38m56s112.png



I demoni erano stati decimati.
I cadaveri giacevano sul tetto, mentre una decina di sopravvissuti, disposti a falange, stavano decidendo se attaccare o darsela a gambe.
Gli “eroi” (Sebastian, William, Federik e Jason) avevano un aspetto selvaggio, ma non davano segno di stanchezza, come gli avversari: si limitavano a riprendere un po’ il fiato.
Per fortuna non soffrivano il freddo ed erano immuni alle malattie, altrimenti Will si sarebbe preso un accidente con i fiocchi: non aveva più la giacca, il camicia era ridotta a poco più di uno straccio

(notare bene: solo le maniche erano rimaste intatte, *leggasi sbrindellate*, il retro portava gli squarci dovuti alle unghie dei demoni, mentre il davanti era tutto scoperto, offrendo agli spettatori la celestiale visione dei suoi muscoli candidi e scultorei ricoperti di graffi vari).

“Non possiamo lasciarli andare, devono morire: se riveleranno qualcosa ad Alfred…” disse Jason, con voce roca.
Federik fece un sospiro stanco: era stufo di uccidere, ma doveva farlo. “D’accordo Jason…” mormorò, con aria assente.
Sebastian  non aveva la minima voglia di ammazzare ancora, ma era costretto.
“Mere-da, uccidili tutti”.
Il comando arrivò puntuale e preciso nella sua testa: Ciel gli aveva intimato di farli fuori e lui doveva ubbidire al bocchan.
Si preparò ancora allo scontro, sospirando.
William assottigliò gli occhi, preoccupato e con la testa da tutta un’altra parte: chissà come stava Jane...
Qualcuno dei demoni gridò.

“Ritirata!!”

tutti si voltarono per scappare, mentre Michaelis, furibondo per la scelta dei propri simili, si scagliava contro di loro sibilando un'unica frase.

“Yes, my lord”.

Il primo diavolo si buttò dal tetto…
Per poi rivolarci sopra, sfracellandosi senza vita sulle tegole.
Una grassa risata si sparse nell’aria “Caro vecchio Sebastian, non ti permetterò di sporcarti le mani con questi infimi codardi: sono dei traditori, e meritano una punizione… Ma sono troppo viscidi, per il figlio del povero Jacob: che qualcuno mi fulmini, se ti darò mai il permesso di insozzarti con loro” esordì un voce spuntata dal nulla.
Un uomo con corti capelli leggermente riccioli nero corvino ed un pizzetto che gli ricopriva il mento per poi incorniciargli la bocca*, era comodamente appollaiato su un camino, fissando tutti con un sorriso sbeffeggiatore.
Gli occhi scarlatti, brillanti ed intelligenti, scrutavano divertiti la situazione.
Altri suoi simili salirono sul tetto, e tutti finalmente capirono come mai il malcapitato di prima avesse fatto un volo di sei metri prima che potesse toccare terra per fuggire.

Una bella contromossa, niente male.

“David, da quanto tempo, sono onorato di rivederti” esordì per una volta sinceramente felice, il maggiordomo.
“Ahah, per il mio figlioccio questo e altro! Allora vediamo chi abbiamo qui… Toh, guarda: l’allievo di Undertaker, e figlio di LUI… William T. Spears!
Perdinci, assomigli in modo inquietante a tuo padre, non c’è dubbio! Piacere di conoscerti, giovanotto! Uhm, vediamo… Ah, giusto: Federik Jones e Jason Blaik, bello rincontrarvi! Mi dispiace, ma dev’esserci stata qualche incomprensione da parte dei miei uomini, altrimenti non vi sareste mai trovati in una situazione analoga a questa” si alzò, con una smorfia “AH! Che male la mia povera vecchia schiena: a volte quando piove provo uno strano dolore e scricchiola tutta…Mah, lasciamo stare… Dov’eravamo rimasti…
Ah, sì: bene uomini, facciamoli fuori tutti e poi andiamo a fare merenda, ho voglia di tè e biscotti davanti ad una camino! A volte è piacevole trastullarsi con il mangime degli esseri umani: alcuni prodotti sono di ottima fattura”. 
“Allora Spears: sei contento della controffensiva? È abbastanza impeccabile per i tuoi sofistici gusti?” domandò una voce beffarda e sarcastica, mentre il ragazzo sentiva un peso sulla spalla.
Si sciolse in un sospiro di sollievo, mentre girava la testa, trovando Jane placidamente appoggiata a lui.
“Non potevate fare di meglio… Dove sono Hylda, Bart e Ciel Phantomhive?” “Esattamente qui, dio” disse una voce, il cui proprietario era l’ earl in persona.
David li scrutò, soffermandosi su Hylda, che rispose allo sguardo con un sorriso “Ma guarda chi si rivede, sei ancora vivo, eh?”
“Ovvio, cara… I ragazzi sono davvero di buona conformazione: hanno spazzato via i bocconi più succulenti lasciandoci solo questi miseri ossicini” disse sghignazzando, mentre sfondava il cranio di un tizio con un sonoro pugno.

Poi, un demone si fece avanti fra tutti, colpendo gli uomini di David, che esitavano ad attaccarlo, mentre i suoi alleati ghignavano.

Era quello che aveva tentato di far passare William dalla finestra sgangherata.

David si girò verso di lui, guardandolo curioso e sorpreso, con le mani in tasca.
Nel suo impeccabile completo nero, appariva ancora più alto di quanto non fosse.
Will lo fissò, gelido, mentre copriva Jane: aveva dato lui l’ordine di ucciderla, prima, era meglio che non la notasse.
Lei arretrò, restando dietro al compagno, aggiustandosi i pantaloni (sì, si era cambiata: le dispiacevano i vestiti ottocenteschi, assai).
“William t. Spears, sappi una cosa: ho intenzione di metterti in catene e portarti dal padrone, quindi non opporre resistenza o i tuoi amichetti moriranno” l’interpellato assottigliò lo sguardo, mostrando i denti e ringhiando quasi fosse un demone.
“Taci lurido verme: non sei altro che il cane di un assassino, non torcerai un capello a nessuno dei miei colleghi”  disse, freddo.
David rise sonoramente “Avanti Brecht: smettila di fare il grande, se non vuoi finire un’altra volta con il culo per terra” disse, sprezzante, mostrando le zanne e le notevoli unghie “A questo ragazzo hanno detto che io non ero niente di che per vedere se mi sottovalutasse, ma tu lo sai chi e come sono, quindi, volatilizzati” ringhiò, raddrizzandosi in tutta la sua altezza.
TU non sottovalutarmi, io sono migliorato, non sono più il leccapiedi scadente del padrone, sono la sua guardia personale” un’altra fragorosa risata accolse la sua nuova affermazione, irritandolo.
“Tappati quel buco e non farmi più sentire cavolate di questo calibro, la tua voce mi irrita: puoi essere forte quanto ti pare, ma sarai costantemente lo stesso lecchino di sempre” l’altro si infuriò, cominciando a camminare verso di lui.
“Ragazzi, occupatevi degli altri, io penso a lui” disse, imitando l’avversario.
La battaglia ricominciò, ma era inutile dire chi stesse vincendo, anche se i tirapiedi di Alfred avevano riacquistato un po’ di colorito in più.
David parava tutti gli attacchi di Brecht, che si stava innervosendo.
Improvvisamente adocchiò Jane: ora aveva capito chi fosse, la figlia di Undertaker…
Sorrise, maligno, mentre guardava Spears fare fuori un suo sottoposto che stava colpendo la ragazza alle spalle.
Lo vide sorriderle, e in quel momento capì cosa dovesse fare per distruggere completamente quel moccioso in una sola mossa.
David lo incalzò, ma di colpo la sua schiena scrocchiò, cedendo e facendolo cadere in ginocchio sulle tegole.
L’avversario non perse tempo si portò alle spalle di Jane, mentre William era occupato a prendere a cazzotti un avversario piuttosto nerboruto, che non voleva cedere.
Ciel si girò di scatto, inavvertitamente, e vide l’intenzione del demonio.
“JANE!!!!”urlò con quanto fiato avesse in gola, attirando l’attenzione del maggiordomo, di Federik e dell’interessata.
William si accorse troppo tardi.
La lama di una death Schyte recuperata chissà dove apparì sopra il collo della ragazza.

Tutto al rallentatore: Will correva verso di lei, imitato da Jason e Federik.
Hylda scagliava la sua lancia tentando di colpire il demone.
Bart urlava, il conte imprecava.
Sì, avete capito bene: imprecava coloritamente, seguito a ruota dal suo servo, mentre sparava un colpo di pistola.
Brecht rise mentre la lama scintillava: aveva iniziato a piovere violentemente, le gocce fredde cadevano lente su di lei, bagnandola.
Sentì il gelido metallo lacerarle in profondità la pelle del collo.
Mentre il suo stesso sangue la ricopriva cadde per terra, con gli occhi sbarrati e pieni di orrore.
Poi, il buio si impossessò del suo mondo.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

“NO!!” urlarono William e Jason, accorrendo, mentre una grassa risata demoniaca invadeva l’aria.
Will si inginocchiò sollevando lentamente Jane, macchiandosi del sangue della sua amata.
“No…” sussurrò, scuotendo la testa.
Abbassò il capo, in silenzio mentre non avvertiva più polso.
Blaik gli si avvicinò, incredulo: stessa scena, in un contesto diverso.
Si sentì male, sentì la nausea, sentì rabbia, dolore, tristezza: come quando la sua Hilary lo aveva lasciato.
Spears aveva gli occhi assenti fissi sul corpo esanime della ragazza, della SUA ragazza.
David era sconcertato, mentre si reggeva puntellandosi sulle mani, con la schiena ricurva.
Il silenzio regnava sovrano. Ciel si avvicinò incerto allo shinigami e alla vittima. Si chinò su di essa.
“Non ha più polso. Se ciò vale anche per voi…”disse, lentamente, con gli occhi chiusi ed una smorfia di rabbia mista a rassegnazione sul volto.
William la depose a terra, alzandosi, sempre con il capo chino.
Brecht rise, mentre gli sguardi pieni d’odio di tutti gli si puntavano contro.
“Hai visto cosa succede a chi intralcia il padrone? Guarda moccioso: tutti loro moriranno se tu non mi darai retta! Avanti! Vieni con me e-”.
“Taci bastardo” ruggì il dio, fissandolo con i suoi occhi gelidi, in cui la morte faceva capolino, guardano maligna il demone.
“E ora cosa vuoi fare? Aspetta, che ti squarto il collo, poi vedremo a chi darai del bastardo” “HO DETTO TACI, LURIDO PORCO!” “Te la sei cercata!”.
Brecht non fece neppure un passo.
Non fece in tempo.
La cesoia di William penetrò nel suo petto, sotto il cuore.
Da lì, risalì tranciandolo a metà.
Poi cambiò leggermente direzione, spuntando per metà dalla pelle.
Percorse tutto il collo, il viso ed il cranio, macellandolo completamente.
Il tutto nel giro di pochi secondi.
La sua falce della morte non aveva mai compiuto qualcosa di così orrendo e sanguinario.
In un sol colpo, aveva recuperato tutte quelle volte che  in precedenza non aveva attaccato.

Tutti i demoni erano stati sconfitti, tutti morti.

William restò lì, in piedi, fermo.
Sebastian coprì gli occhi al conte, il quale era leggermente scioccato per ciò che aveva visto: il giovane scostò il suo servo, voltandosi verso il cadavere luciferino.

Tutto così veloce…

Diluviava.
Improvvisamente, un rombo di tuono illuminò una figura che osservava la scena incredulo e disperato.

“Jane…” sussurrò.
“JANE!!” urlò, correndole al fianco.
“Undertaker…” disse David, avvicinandosi a lui, sorretto da un bastone reperito chissà dove.
“Chi è stato… ? Cos’è successo a mia figlia…?” chiese, con la voce rotta, ridotta ormai ad un flebile sussurrò.
Si voltò verso il suo allievo “Perché… Perché tu…? Lei… Tu…” era disperato, come il supervisore, del resto.
"E'  tutta colpa… Dell’amore… Dell’amicizia… Colpa… Tua” parlò talmente piano, che solo William e David riuscirono a sentirlo.
“Adesso basta!” gridò il demone, inginocchiandosi di fianco a lei.
Gli tasto il polso, nulla.
Gli tastò il petto, nulla.
Si rimboccò le maniche, e posò due dita sulla carotide, concentrandosi al massimo.
Eccolo lì, ancora debole, ma deciso.
“E' viva!” esclamò, serioso e leggero allo stesso tempo.
Undertaker lo guardò, come per chiedergli che cavolo avesse in mente.
“Razza di vecchio barbogio: vuoi salvare sì o no tua figlia? Il battito più affidabile è sempre il carotideo, l’ultimo a scomparire se si muore: lei è viva, dobbiamo solo trovare il modo di fermare l’emorragia qui e siamo a cavallo, possiamo salvarla!”.
William si avvicinò, rianimato, seguito a ruota dagli altri.
“Da dove proviene l’epistassi?” chiese, riacquistando il suo autocontrollo: non poteva permettersi altro, se voleva salvarla.
“Da questa arteria” “Bene, allora io la bloccherò con le dita fino all’arrivo all’ospedale, l’ho già fatto ad un collega, in passato” “Hai studiato medicina, ragazzo?” “Una passione, può sempre servire”
“Bene, salviamola!” esclamò Jason, mentre apriva un portale.
Will, osservò per un istante la carne lacerata di Jane, notando il piccolo flusso di sangue che ne usciva.
Si era già trovato in una situazione simile, con un collega, ma si era sempre augurato di non doverla riviverla un’altra volta.
Le voltò con delicatezza il viso, mentre David allargava un pochino i due lembi della ferita. 
Infilò due dita nella piaga, mentre il conte, nauseato, tentava di non distogliere lo sguardo e giocherellava nervoso con l’orlo della benda, che poi tolse, stropicciandola infastidito.
Che razza di situazione gli era capitata, dannazione.
Will sentì l’arteria e la bloccò definitivamente, terminando l’emorragia.
La sua mente era vuota, aveva un unico pensiero.

“Ti salverò amore: a qualunque costo”. 


*Avete mai visto Huntik? Ecco:  il pizzetto di David è lo stesso di Dante Vale




 

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Capitolo 18
*** Spiacevoli incontri ***


Ehilà ragazzi. Scusate se aggiorno solamente ora, ma ieri ho ricevuto delle brutte notizie, per tanto mi sono dovuta assentare per risolvere dei problemi.
Se poi ci mettiamo delle persone particolarmente festaiole che ti trascinano alle feste folcloristiche la sera, bè...
Eccovi il diciottesimo capitolo: è un po' corto, ma spero che vi piaccia!
Un ringraziamento al mio team di supporter, grazie!
Alla prossima



Non seppero come riuscirono ad arrivare in ospedale, non seppero cosa fecero per tenere la ragazza in vita.
David era sì, un demone, ma anche un grandissimo esperto nel campo della medicina.
In TUTTO il campo della medicina.

++++++++++++++++++++++++++

“Be in quattrocento anni di cultura te ne fai parecchia, se sei invogliato: sono medico di base, chirurgo, infermiere, cardiologo, ortopedico... Tutto quello che vuoi” disse, con un sorriso per allentare la tensione, mentre nella sala d’aspetto stavano discorrendo su qualcosa che non fosse ciò che era accaduto nelle ultime ore.
Bè, almeno non sembravano più dei poveri reduci di un’imboscata: erano puliti e medicati, con vestiti nuovi.
William finalmente era potuto tornare nel suo adorato appartamento, per cambiarsi e lavarsi (ovviamente aveva dovuto “prestare” la doccia ed un cambio a Jason, ma questo per lui non era stato un gran problema).
Era in religioso silenzio, non aveva nessuna intenzione di parlare, anche perché non sapeva cosa dire.
Era preoccupato, si sentiva in colpa e responsabile dell’accaduto.
Fissava il pavimento del reparto, di un marroncino chiaro, quasi potesse dargli consolazione.
David, da buon medico, cambiava continuamente discorso, tentando di alleviare il già grave peso dell’intera faccenda.
Undertaker fissava la porta della sala operatoria, senza degnare niente e nessuno di uno sguardo.
Aveva continuato a guardare William, serio, incupito ed inquietante.
Wiliam sospirò, chiudendo gli occhi, mentre Jason, anche lui insolitamente silenzioso e perso nei suoi pensieri, lo guardava con compassione.

“Ronnie! This situation non mi piace neanche un po’! Non voglio fare la visita! Anche se, mostrarmi ad un bel maschione non è male… Ma io sono una virginea fanciulla, non devo soffrire! Non mi si può toccare nemmeno con un fiore, figuriamoci con l’ago di una siringa!”

una stridula voce vagamente femminea risuonò nell’ambiente, e William, drizzatosi tutto d’un colpo, sbiancò, mentre si abbassava di scatto trascinando Blaik con sé.

“Ehi! Che dico ma ti sei impazzito?!” inveì Jason, massaggiandosi la nuca.
L’altro tremava, preoccupato, tenendo d’occhio i due nuovi arrivati che stavano gironzolando per il reparto.
“Dannazione… C’è Grell!!” “Chi?!” chiese stranito Jason.
“Grell Sutcliff, quell’idiota di un mio sottoposto!” “Ah, quel tizio strano che va in giro vestito di rosso e con una motosega?! È alquanto bislacco, mi fa ribrezzo quando parla… Mi vien la pelle d'oca quando mi fissa” “Ovvio, è dell’altra sponda!” “Oddio, svelato il mistero” replicò Jason rabbrividendo.
Hylda fece appena in tempo a vedere le gesticolazioni di William per buttarsi “al sicuro” con loro.
“Maledizione! Ma che cavolo ci fa quel depravato qui?!” imprecò, mentre avvertivano Sebastian: dopotutto era quello che correva il maggior rischio, dopo Will.
“Oh no!” esclamò sottovoce Phantomhive, acquattandosi dietro la panchina, mentre fissava oltre il bordo del vaso di una pianta i due shinigami.
“Quel dannato pervertito in rosso ed il suo leccapiedi! Di tutti i tuoi sottoposti, dovevano proprio capitare loro?!” chiese a Spears, che, innervosito, fulminava la coppia con uno sguardo.
“Se mi vedono è la fine” decretò il dio “E se vede me allora? Inizierà con la solita tiritera: Sebas-chan! Sei troppo figo! Troppo sexy! Ti amo!! Dammi un bacio con la lingua, avanti! Ti voglio tutto per me, voglio che questa notte sia infuocata di piacere! Oh, sei un bel maschione, voglio avere dei figli con te! Bleah, che schifo! Razza di maniaco sessuale, anzi omosessuale!” disse Sebastian, imitando la voce di Grell, mentre Ciel e gli altri lo guardarono leggermente sconvolti.

“Bè, che ho detto di male? È la pura verità! Con te fa le stesse cose!”

“Tzé, figurati, la prima volta che ci siamo visti la ricorda come: “la prima notte con te!” poi inizia con le sue fantasticherie erotiche e tu mi toccavi di là, e io ti toccavo di qua… Oh, che calvario!”. 

Ciel ora guardava tutti e due, ancora sconvolto mentre Jason tratteneva la nausea.

“Ma che ti prende, umano?! Tu non sai COSA VUOL DIRE avercelo continuamente dietro!” gli disse lo shinigami.

Hylda lo tirò per una manica “Sarà meglio che tu, Sebastian e il conte smammiate da qui, altrimenti non oso pensare cosa succederebbe!” esclamò la Cavendisch “Io posso passare, sono in malattia: gli dirò che devo fare un controllo medico, ma tu…
Non sanno nemmeno che sei vivo! Inoltre, cosa penserebbero se vedessero un demone ed un umano qui?! Andate ai distributori automatici, nell’edicola al piano di sotto, basta che scappiate da qui! Io e Federik vi copriremo la fuga!”
“Li accompagno io!” si offrì Jason “Non posso espormi ai discorsi “dell’altra sponda” e perversi di quello lì! Mi rovinerebbero la salute mentale!” esclamò, leggermente preoccupato.
Il quartetto si avviò verso l’angolo, ma prima che potessero svoltarlo, Sutcliff si girò di scatto.
“WILL!!”strillò, vedendolo di schiena.

“O porca…!” “Non girarti scappiamo!!!” gridò Jason spingendolo verso le scale.
“Amore vieni qui!!!!” urlò il rosso, correndogli dietro.
“Sempai! Non faccia così! Non può essere il capo, lo sa anche lei che non è più qui!!” gli abbaiò Knox, seguendolo a ruota.
William e Sebastian si fiondarono direttamente nella tromba delle scale, senza usare i gradini o l’ascensore.
Jason scivolò sulla ringhiera, con il conte in braccio.
Operazione piuttosto difficile, ma plausibile.

Grell non riusciva a vedere in faccia i fuggitivi, ma sapeva che la schiena di quell’uomo era la schiena di Will, e poi…
Profumava di menta e bosco!
Il suo profumo che lo rendeva ancora più accattivante di quanto non lo fosse già.
Arrivarono al piano terra dell’ospedale, ma non sapevano come orientarsi.
“Allora, dove si va?” chiese Sebastian, ansante “Non lo so… Proviamo per di là, ci dovrebbe essere l’uscita per gli operai della manutenzione, con un po’ di fortuna possiamo seminarli, e rientrare per la porta principale, dove ci confonderemo nei reparti…
Oppure… Andiamo nel bar qui di fronte” Ciel lo interruppe, sentendo i passi dei due reaper dietro l’angolo “Non c’è più tempo, ci vedranno!”.
“Presto, andate là, nei gabinetti e nella lavanderia!” esclamò Jason  “William! Dammi la tua giacca, presto! Hai la boccetta del tuo profumo alla menta?” “Sì mi è rimasta nella tasca ma a che ti servono?” chiese, mentre si sfilava la giubba
“Svegliati, mi spaccio per te!”.
Michaelis ed il bocchan erano già nascosti nella lavanderia e Spears fece appena in tempo ad infilarsi nell’angolo buio del soffitto, quando i suoi due sottoposti irruppero nel corridoio.
Blaik era girato di spalle, con la giacca dello shinigami e mezzo litro di profumo addosso.
“Wiiiiiiiil!!!!” strillò eccitato Grell, ma si disperò non appena il mezzosangue si girò verso di lui, fulminandolo.
“Visto Sempai? Mi ha fatto correre per tutto il ospedale e non era neppure lui. Te l’ho detto: dopo la missione è scomparso, potrebbe anche essere morto! Quel demone…
Brrr era terribile. Io stesso sono scampato per miracolo, grazie al suo intervento…” si rabbuiò “Non l’avrei mai detto, ma spero che, in qualche modo, lui sia salvo, che ritorni una mattina, così, d’improvviso: varcando la porta serio e composto, trascinandomi per il colletto, dopo avermi scoperto a flirtare con quella della cassa tre, rimproverandoci per il ritardo, incavolandosi con te per i tuoi vestiti, per il tuo comportamento, lamentarsi per gli straordinari gratis, battibeccando con Hylda…”
si fermò, intristito, quando vide Grell trattenere le lacrime.
“WIIIILL!!!” strillò, appiccicandosi al braccio di Knox, che tentava di staccarselo in ogni modo e maniera.
“Avanti Sempai, non faccia il bambino, su! Non è detto che il capo sia morto, insomma! È solo che era questo tizio! Allora, perché lui non permette che ci accada qualcosa?”
“Perché non avrebbe più sottoposti a causa della carenza di personale e sarebbe costretto a fare gli straordinari?”
“Sì, anche, ma rifletti: lui aveva un barlume (grande quanto un microbo) di fiducia in noi, quindi, lui vorrebbe che la sua squadra, i suoi uomini, si comportassero bene in sua assenza! Perché dobbiamo svolgere il nostro dovere di shinigami!”
“Umm… Mi sembra logico. Logico, ma noioso. Come Will!” “Lasciamo perdere” sospirò Ronald “Andiamo a fare la visita” “Ma io NON VOGLIO!!” “Avanti, non faccia il bambino!”.
Jason sorrise, e sospirò di sollievo quando la coppia si chiuse nell’ascensore.
William cadde perfettamente in piedi, producendo un tonfo che risuonò per il piano, completamente vuoto.
Era rimasto in silenzio, fissando il pavimento.
“Hai visto? Gli manca il loro capo… Sembra che, dopotutto, ci tengano a te… A parte quel rosso pervertito che vorrebbe…” non finì la frase, rabbrividendo ancora.
“Sapranno cavarsela: forse non mi vedranno più, se non riuscirò nel mio intento” “Bè, se sarà così, allora mi sa che la nostra razza si estinguerà”
“… Dopotutto… Non sono poi così inutili, se uniscono i loro cervelli… Hylda riuscirà a tenere tutti a freno, conto anche su Alan, che a sua volta è protetto da Eric”
“Di la verità, ti ha fatto piacere vederli, dopotutto… Sono i tuoi uomini”.
William, girato di spalle, non rispose, ma Jason poté scommettere di aver immaginato un accenno di sorriso sulle sue labbra.
“Muoviamoci… Voglio andare da Jane” disse, incamminandosi verso l’uscita, prontamente seguito da Blaik.
“Ehi!” fece una voce da ragazzo “Avete intenzione di lasciarci qui in lavanderia?” chiese Ciel, sarcastico, con un leggero sorriso.
“Sbrigatevi” disse solamente lo shinigami, sospirando.
Il conte sembrò intuire il suo stato d’animo e non replicò, intimando a Sebastian di seguirlo, il quale naturalmente ubbidì.
Questa volta stettero attenti e non incontrarono nessun conoscente, anche perché l’ospedale non era molto popolato, quel giorno. 
Raggiunsero i loro compagni e videro che stavano ascoltando il resoconto di un dottore dall’aria stanca, uno dei chirurghi che avevano operato Jane.
David chiuse gli occhi, appoggiandosi al muro.
Federik sorresse per le spalle Hylda, che si coprì la bocca con una mano, mentre una lacrima le solcava il viso.
La fece sedere sul divanetto mentre sospirava, chiudendo anch’esso gli occhi, appoggiando il capo sulla spalla della donna.
Jason accorse dai due e domandò qualcosa al chirurgo.
William rimase bloccato sul posto, mentre Michaelis andava a parlare con David.
“Allora? Che cos’hai intenzione di fare? Restare qui finché non metterai le radici, quattrocchi?” chiese Ciel, mentre lo fissava truce “Avanti, vai da lei, no? È in quella stanza… credo che Undertaker ti stia guardando maluccio. Ti corpo io” sussurrò impercettibile,
mentre fingeva di guardare la sala operatoria.
Will si riscosse, incrociando lo sguardo gelido e serio del suo maestro.
Sembrava pieno di dolore e risentimento.  

Oh no… Che Jane fosse…?

Non era possibile.
Impallidì, sentendosi male al pensiero.

“Andiamocene da questo posto” ordinò Undertaker HO una bara da costruire, non ci metterò due minuti, inoltre, tutti voi avete dei lavori da compiere… TU” esclamò il becchino indicandolo, accusatore
“Ti recherai alla magione con le valige nuove, si inizierà a sputare sangue, da domani. Per quanto riguarda gli altri… Jason avrò bisogno di te dopodomani, perciò fatti vivo, nel frattempo andrai ad indagare con Hylda e Federik.
David, Sebastian: trovate i responsabili, estorcetegli informazioni ed uccideteli tutti di sana pianta, senza lasciare tracce!
Conte… Tenga d’occhio ogni singolo movimento, anche il più banalissimo ed irrilevante cambiamento!
Ora andiamocene” ordinò, autoritario e rabbioso, mentre si incamminava seguito dagli altri verso l’uscita.
William li seguì fino all’incrocio in cui svoltò, salutando: imboccò spedito la strada che faceva da scorciatoia per raggiungere casa sua.
Appena tutti sparirono, iniziò a correre più veloce che poté, con il cuore che batteva a mille.
Arrivò all’ospedale, e in un secondo raggiunse il reparto di prima.
Senza dare nell’occhio si spostò verso la sala in cui la ragazza era distesa su un letto, cerulea.
Le si avvicinò, osservandola incredulo.
I suoi capelli rossicci erano sparsi sul cuscino, il suo petto era immobile.
“No…” sussurrò William curvandosi su di lei. 

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Capitolo 19
*** Risveglio, confidenze e una lite: la storia di Alfred è completa ***


Ehilà! 
Oggi pubblico il diciannovesimo capitolo per la grandissima gioia di Alois24: mi spiace averti fatto prendere male... Adesso goditi il capitolo tutto dedicato a te!
Come sempre ringrazio chi segue e recensisce la storia!
Recensite se vi va :)







“Non si sveglierà più…” pensò il giovane, ingoiando le lacrime, tentando di trattenersi.
Era distrutto: per colpa sua era morta.
Una lacrima le cadde sul viso e lui , asciugandosi rudemente gli occhi, strinse con rabbia le sbarre di metallo del letto mentre digrignava i denti.

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Poi, all’improvviso, un debole schiaffo lo raggiunse.
“Ahi! Ma che diavolo…” ammutolì, trattenendo il respiro.
Due occhi ambrati lo fissavano, severi “Razza di cretino, si può sapere cosa stai facendo?” ringhiò la voce “Piangere… Stupido: noi siamo nella camera post- operatoria, in cui i pazienti si svegliano, non nella camera mortuaria!
Ho sentito il tuo sguardo sul mio petto: razza di depravato, lo so che sono (e tu mi trovi) interessante, ma non ti stai dimenticando forse che noi shinigami dormiamo senza respirare?” Jane lo fissò, intollerante.
“E dai non fare quella faccia! Ti fa sembrare sveglio come uno stoccafisso, che diamine! Era un graffio, non è grave come è apparso a tutti voi! Vedi che riesco pure a mettermi seduta, se mi appoggio al cuscino?” continuò, imperterrita, mentre Wiliam restava immobile, con la bocca dischiusa, scioccato.

Aveva la mente vuota, non riusciva a dire né fare niente.

Sentiva solo qualche lacrima scendergli ancora dagli occhi.

Sentì le mani della ragazza asciugargliele, mentre lui le si avvicinava.

“Jane… Sei viva…” le sussurrò sulle labbra, guardandola negli occhi “Io credevo che… Tuo padre aveva detto che… Andava a costruire una bara… E… Io pensavo che fossi morta!” “Ma è ovvio che sono viva, non mi vedi?” mormorò, attirandolo a sé.

Will l’abbracciò forte, stando attento a non farle male.
“Ho avuto paura… Per la prima volta ho avuto paura di perdere qualcuno” disse accarezzandole la schiena, con sguardo spento.
“Che progressi…” commentò lei, carezzandolo. 
Spears udì i passi di qualcuno che si avvicinava e si staccò da lei, allontanandosi dal letto di mezzo metro.
Un dottore in camice bianco entrò, seguito a ruota da David, che guardò lo shinigami con pura perplessità.
Poi gli sorrise facendogli l’occhiolino, e si concentrò sulla figlia di Undertaker.
In uno strano modo, David aveva gli stessi comportamenti di Jason.
Gli assomigliava molto perfino di fisico.
Bah, basta fantasticare su cose tanto inutili quanto impossibili.

“Bene, ti sei svegliata!” esclamò il primario “A quanto pare, sei proprio di costituzione forte, abbiamo contato molto anche su questo. La ferita che ti hanno inflitto non è molto grave, la cosa preoccupante era l’arteria che perdeva.
La lama non è andata a fondo, non ha toccato nervi o punti vitali, era tutta una questione di emorragia e  potenziale infezione. Inoltre…
Sei stata fortunata ad avere degli esperti in medicina improvvisati. Il loro intervento è stato decisivo. Puoi tornare a casa” il medico si  congedò.
Nonappena la porta si chiuse, David sospirò, guardando bonario i due ragazzi.
“Undertaker sarà contento di sapere che stai bene… Ma non altrettanto contento che tu, Spears sia qui. Comunque, ora possiamo farti tornare a casa, ma dovrai stare tranquilla per un po’.
William… Dirò che ti avrò incontrato mentre stavi tornando alla magione, e che ti ho offerto di accompagnarmi.
Forza andiamo… Ah giusto: Jason ha detto che l’appuntamento per stasera è ancora valido, mancano tre quarti d’ora all’incontro, possiamo farcela, direi” concluse, aiutando la ragazza ad alzarsi.
“Sorreggila tu, ti porto a casa a prendere le valige e poi voliamo… Vado alla cassa, prendete pure l’ascensore” disse, consegnando Jane a William, il quale l’attirò dolcemente a sé.
“Comunque… Hai organizzato una difesa impeccabile, c’è stato solo un piccolo contrattempo…” disse, serafico “Ah ah, che simpatico…” rispose lei, dandogli un veloce bacio sulle labbra.
“Avanti, portami in ascensore, servo!” ordinò, mentre imitava la voce di chissà quale aristocratico londinese.
“Yes my lady” asserì il castano, sollevandola e portandola in ascensore.

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L’appartamento di William non era né piccolo, né grande: era piuttosto sobrio,  ma accogliente.
Ogni cosa era al suo posto, esattamente come l’aveva lasciata.
Aprì le finestre per cambiare l’aria, fece accomodare i due sul divano e il demone iniziò a raccontare qualcosa alla ragazza.
Will andò in camera sua, a preparare il borsone, mentre la conversazione continuava, facendosi via a via più seria…

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“Tuo padre non vuole che lo frequenti. Dopo questo incidente… Ho paura che voglia mettere la parola FINE alla vostra conoscenza.
Vi vuole separare, ti manderà da qualche parte, ne sono sicuro” disse il diavolo, grattandosi il pizzetto.
“Ma perché? Perché non vuole che io lo veda?!” chiese lei, mentre iniziava ad avvilirsi.

“C’è qualcosa che riguarda William… Se tu gli starai al fianco… Morirai”.

Silenzio.

La ragazza si coprì la bocca, spaventata.
“Hai visto che ti è successo, oggi? Per fortuna qualcuno ha vegliato su di te… Undertaker crede che tu ora, sia in vero pericolo di vita.
Penso che stia cercando una soluzione per spedirti da qualche parte e credo che si stia inventando una bella scusa per allontanarti da casa… E da William”.

Lei andò sul balcone, appoggiandosi al parapetto, lasciando che il vento le passasse addosso.
David la seguì, sistemandosi al suo fianco.

“… Io non so più cosa pensare: non so più di chi fidarmi, non so un bel nulla della missione, ho rischiato di farmi ammazzare, se voi non foste intervenuti, se Will non mi avesse infilzato due dita nel collo e bloccato un’arteria, sarei morta!
Papà non mi ha mai detto nulla: né di come è morta mai madre, né perché non ricordo nulla, né perché William è l’unico che può uccidere quel cane…
Credevo di sapere tutto, di sapere tanto, quando è iniziato tutto questo, ma ora mi rendo conto di non sapere niente.
Gli ordini erano pochi e precisi: “Aiutami ad addestrare il  futuro assassino del re dei demoni, non legarti a lui, anche perché è una persona che non ha cuore, o che l’ha completamente fatto di calotta polare. È crudele, cinico e freddo”.
Non è vero niente: lui non è né cinico, né tantomeno crudele… Inoltre, ho vissuto la mia infanzia insieme a lui.
All’inizio, non ci parlavamo neppure, almeno: io tentavo di interagire…
Poi ha iniziato a rivolgermi la parola e a darmi retta…
Successivamente ha iniziato a giocare con me, a scherzare ed essere un po’ più gentile… Perfino timido, a volte!
Si è abituato al mio carattere e stava iniziando a cambiare, un pochettino: abbiamo iniziato ad andare sempre più d’accordo ed infine…” “… Ti sei innamorata” disse lui.
Lei sussultò, e il demone vide nei suoi occhi la paura.
“Sì, l’ho capito, ma stai tranquilla. Io non dirò niente a nessuno” “Tu sei un demone” “E allora?” “Allora adesso ti comporti così perché sei nostro alleato temporaneamente, e io so che appena il pericolo verrà eliminato, non ti faresti troppi problemi ad ucciderci, se intralciassimo i tuoi piani” “Ma tu ne sei così sicura? Ricordati una cosa: io ti ho tenuta in braccio sin da quando portavi il pannolino, cara. Io ero lì, quando sei nata, e anche quando è nato William…
Io conoscevo molto bene suo padre, il grande Spears… Quando ho saputo che era morto…” guardò il cielo, nostalgico, mentre il vento gli scompigliava i corti riccioli.
“Mi sono recato sul posto dell’assassinio e ho visto quello scempio. Lui, sua moglie… Pensavo che anche il piccolo William fosse morto, e invece, il fato ha deciso diversamente.
Andai da Undertaker, e mi venne incontro un ragazzino smunto, ferito: aveva dei bei lineamenti, ma il suo viso… Solcato da tre profonde piaghe sopra gli occhi, con uno squarcio orribile sul cuore.
Chiesi a tuo padre da dove l’avesse pescato, ma lui non rispose, mi disse di osservarlo meglio: occhi verdi, capelli castano talmente scuro da sembrare nero, carnagione candida… Questo è il figlio di Spears, William T.”
“Ma allora lui è…! O mio Dio!...Qual è il suo secondo nome?” chiese la ragazza.
“Chi lo sa…? Forse, non lo sa nemmeno lui” rise piano, inspirando l’aroma serale d’autunno.
“Ah, giusto: ricordati, che io sono un diavolo di umano” disse, beffardo.

“CHE COOOSA??” esclamò lei, con gli occhi fuori dalle orbite.

“Precisamente: io sono un mezzosangue, mia madre era una donna, mio padre, invece… Era un diavolo della peggior specie, per questo i miei simili mi hanno accettato lo stesso: perché io ho solo poco di umano, però…
Diciamo che la bontà di cuore l’ho ereditata da loro.
I sentimenti… Ora capisci perché non sono come i miei simili? Io non farò mai del male a nessuno di voi: ero molto amico dei vostri genitori, con Undertaker lo sono tutt’ora, perché è vivo.
Son amico anche di Jason, Federik, Hylda… Di Sebastian e Jacob Michaelis, suo padre, morto durante “La prima impresa”… E conosco molto bene anche Alfred” disse, guardandola.
“Vedi la mia forma umana?” lei annuì: aveva gli occhi blu, non se ne era accorta…

D’un tratto si incendiarono, diventando cremisi, e digrignò i denti, che diventarono zanne.
“… E questo sono io, vedi?” lei rabbrividì, per il cambio improvviso.

“Mi ricordi tanto qualcuno, ma non riesco a ricordare chi” “È meglio che tu non mi associ a nessuno, lo dico per il tuo bene… Non è una minaccia…
Ti svelerò di più successivamente, però ora ascoltami, dopotutto… Sai che io ti ho curato, a volte, quando eri piccolina? Ti ho visto camminare per la prima volta, però non puoi ricordare, eri minuscola” sorrise, ricordando il passato
“Bè, non divaghiamo. Ora ti dico una cosa: per te, sono come uno zio, quindi, prendilo come un consiglio. Jason, spiegherà la situazione al ragazzo di là, stasera.
Allontanati progressivamente, da lui: è per il vostro bene.
Se riuscirete a resistere, possiamo arrivare tutti interi alla fina dell’impresa. Dopodiché, potrete tornare di nuovo insieme, felici, e contenti.
Io non ti dico di non guardarlo più in faccia, di non farvi tutto quello che… Insomma, che vi fate di solito” disse, leggermente imbarazzato, mentre si grattava la nuca.

Sì: sembrava proprio lo zio che alle feste si siede al tavolo dei bambini ed inizia a comportarsi come loro.

“E non voglio nemmeno adottare il brutale metodo della separazione. Fatelo progressivamente, senza mostrare niente a nessuno” William li chiamò con un colpo secco di tosse: era pronto.
Con due borsoni se la poteva cavare: con le valige che gli avevano fatto, mentre era in convalescenza, aveva ormai svuotato l’appartamento.
“Bene, possiamo andare” affermò David, dirigendosi verso la porta principale.
Alla cena erano presenti Jones e Blaik, con la segretaria.
Jason fece cenno a William di sedersi vicino a lui, mentre David andava ad occupare l’altro posto a capotavola, di fronte al becchino.
Trascorse per lo più in silenzio, tranne qualche frase di Federik, che tentava di rompere la tensione con qualche chiacchera, ma non duravano molto.
Undertaker mangiava e fissava davanti a sé, David non se ne curava.
Mangiava tranquillo e rilassato, con un accenno di sorriso sulle labbra, facendo i complimenti ai cuochi.
“Jane” disse, scuro, mentre la ragazza si stava per alzare “Domani te ne andrai da qui”.
“COSA?!?” urlò, fissandolo incredula: William alzò la testa di scatto, mentre Jason, sconcertato, si voltava verso di lui.
Hylda abbassò lo sguardo triste, mentre Federik guardava la ragazza, dello stesso umore.
Will li osservò per una frazione di secondo: sembravano uguali…
Poi volse la testa verso Jane “PADRE! NON PUOI FARMI QUESTO!” urlò, adirata e frustrata.
“Si che posso, sono tuo padre, e tu mi devi ubbidire. NON DISCUTERE!” “NON HO NESSUNA INTENZIONE DI ANDARMENE DA QUI ORA CHE SI DEVE AGIRE! NON SONO UNA CODARDA!” “Non mi interessa” replicò gelido Undertaker.
Un boato irruppe nella sala, e tutti si girarono verso David, che si era alzato di scatto, provocando la caduta della sedia e aveva sbattuto le mani sul tavolo.
Aveva gli occhi chiusi, ed un sorriso sulle labbra.
Iniziò a parlare piano, apparentemente tranquillo e con finta calma, rivolgendo i suoi occhi blu contro il collega.
“Credo che tu stia sbagliando, shinigami. Tua figlia non merita di essere scacciata solamente perché ha rischiato la vita, qui tutti abbiamo sfiorato la morte, ricordatelo.
E dove vorresti mandarla? Alfred andrebbe a cercarla comunque, in qualsiasi posto, se ne avesse voglia.
E chi la proteggerebbe, allora? Avanti, dimmelo: noi potremmo sempre pararle le spalle, se è sotto il nostro controllo, e soprattutto nelle zone sotto la giurisdizione dei nostri alleati”
“Non è tua figlia che ha rischiato di morire! Lei è sotto la MIA responsabilità! Non la TUA o di qualsiasi sporco demone che si aggira per le dimensioni! Lei deve ubbidire a ME!”
“Ti avviso, non insultare persone che non conosci, stai offendendo anche me. Lo ribadisco: stai sbagliando, così la ferirai e basta” “Sì, la ferirò: mi ringrazierà quando gli ALTRI non l’avranno ferita!” “A cosa ti riferisci?”
“Gli altri… Le lame, i pugnali, le falci della morte, le armi: quando loro non la feriranno sarà riconoscente… E poi: amore, amicizia… a cosa portano? Alla morte! Al dolore! Alla sofferenza!” “Se la privi di questo soffrirà eccome! Io-”
“STA ZITTO! NON MI INTERESSA COSA PENSI TU! Parli di sentimenti buoni, ma non sei altro che uno di LORO!” “TI AVVERTO SHINIGAMI! NON SFIDARMI!”
“La verità brucia è? Che c’è, l’hai forse dimenticato? TU SEI IL FRATELLO ILLEGITTIMO DI UN’ASSASSINO!!” un ruggito lacerò l’aria, e David si mise faccia a faccia con Undertaker.
Era nella sua vera forma, e faceva paura: gli occhi cremisi ed iniettati di sangue, le fiamme ardevano come se fossero alimentate da raffiche impetuose.
La camicia era lacera, perché delle enormi ali nere e piumate sbucavano da essa.
GLi artigli da bestia lunghissime ed affilate, mente le zanne… Peggio di quelli di una belva.
“RICORDATI CHE NON SEI L’UNICO LEGGENDARIO QUI! PORTAMI RISPETTO ANCHE SE TI SERVO!” ruggì, facendo arretrare di un passo il beccamorto.
“Undertaker” disse Jason, alzandosi per guardarlo negli occhi.
Si accostò al demone e scrutò in faccia il dio: era più alto di lui.
“Non penso sia proficuo ciò che vuoi fare: rifletti, sarà in pericolo” “No che non lo sarà, moccioso: sarà protetta da persone competenti” “Ah si? E chi?” “I migliori purosangue che ci siano in circolazione” disse, portandosi una mano sul fianco della tunica.
“E se vuoi ostacolarmi anche tu, accomodati. Pensavo che avessi un po’ più di cervello, invece sei stolto come tuo padre!” Blaik parve irritarsi alla cosa.
“Non nominarlo… Non è assolutamente vero…” sussurrò, incollerito.
“E invece sì! Lo dimostra ciò che hai sul corpo! Sei marchiato a vita! Se io non ti avessi salvato… Chi lo avrebbe fatto? Tuo fratello?! Saresti come lui!” Federik si alzò, e per la prima volta William lo vide arrabbiato, con le fiamme dorate che danzavano possedute.
“Che vuoi, anche tu? Siediti, sei l’unico che può capire” “Non li puoi separare” disse fermo Jason, fissandolo negli occhi “Saresti solo un mostro” “Cioè un tuo simile?” prima che il ragazzo potesse colpirlo una lama gli sfiorò la gola.
“Non azzardarti” “Ora basta! Stai tirando la corda becchino!” esclamò Hylda, alzandosi in piedi.
La incenerì con uno sguardo, ma lei lo sostenne, senza vacillare.
“Padre” Jane si alzò “Io ubbidirò, ma loro… Non c’entrano, lasciali in pace. Ma una cosa resta: tu sei un mostro, e io ti odio!” voltò le spalle a tutti e corse su per le scale.

Il silenzio invase la stanza.

William resistette all’impulso di correrle dietro e rimase  fermo, con gli occhi spalancati ad osservare dove fino a poco prima lei era seduta.
David arretrò, ritornando normale.
“Mi ritiro” disse, voltando le spalle a tutti.
Rivolse uno sguardo sconfortato a William e varcò la soglia, scomparendo oltre il portone. J
ason  lanciò un’occhiata al ragazzo e sparì nell’oscurità della notte.
Federik si congedò, con Hylda al seguito.
“Vattene nella tua stanza. Domani iniziamo presto” Undertaker si voltò verso la finestra, e Will corse su per le scale.

Quando si girò, il becchino era sparito.

Bussò alla porta di Jane e non ottenne risposta.

L’aprì, e vide la ragazza stesa sul letto, con il viso premuto contro il cuscino.
Si sedette sulla sponda, carezzandole i capelli.
“Sembra che Romeo e Giulietta non sia solo il frutto di una fantasia. Succedono realmente, quelle cose” “Jane…” “Domani me ne andrò, e chissà per quanto. Potrei non vederti mai più. Potrei morire. Potresti morire tu”
“Che Dio non voglia” “Oh… Io non voglio” disse, abbracciandolo.
“Nemmeno io… perché?” “Ti spiegherà Jason. Io… Vai adesso, mio padre potrebbe venire… Dopo, quando hai finito di parlare con lui… Torna”.
Il ragazzo uscì dalla finestra, e corse a perdifiato dove, la sera prima, il passato di Alfred aveva iniziato a venire alla luce.

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Era tutto come l’altra notte: stessa atmosfera inquietante, stesso vento gelido.
Blaik era girato di spalle.
“Andiamo a fare due passi” disse, mentre si avviava.
“Alfred voleva uccidere la sua famiglia, la reputava pericolosa, per lui.
Però, non riusciva per qualche strano motivo ad alzare definitivamente le mani su di loro: sua moglie… Era troppo attratto da lei, il suo primogenito… Si tratteneva sempre, alla fine.
Ma per il secondo era del tutto diverso. Aveva iniziato a camminare, e aveva visto da subito che lui era la sua copia: non solo d’aspetto. Capì che la sua indole buona, poteva trasformarsi nella sua…
E tentò di marchiarlo, per legarlo a sé: se un giorno lui avesse rischiato la vita, avesse rischiato di morire… Attraverso quel pentacolo avrebbe potuto vivere in suo figlio.
Per impedire che ciò accadesse, il mezzosangue deve morire.
Siccome si dice che lui sia in parte invulnerabile come il padre, bisogna colpirlo in certi punti che solo lui sa…
Comunque: il cane tentò di uccidere la sua famiglia e salvare solo ciò che gli interessasse, ma non ci riuscì, perché suo fratello illegittimo, un demone, due shinigami leggendari con le loro mogli e la sua donna… Lo fermarono.
Giurò vendetta, ed un giorno uccise la mogie di uno dei due leggendari ed il demone.
Successivamente, trovò la casa dell’altro shinigami, uccise sua moglie, il suo cavallo e cercò di ammazzare anche lui, ma non ci riuscì, per il semplice motivo che due membri dell’ ”alleanza” arrivarono in suo soccorso.
Il figlio dello shinigami era gravemente ferito e rischiava di morire da un momento all’altro.
Suo padre, allora, decise di sacrificarsi per rendergli salva la vita, e pregò il suo simile di allevarlo e proteggerlo, affinché il ragazzino potesse crescere e diventare come lui avrebbe voluto” fece una pausa, scrutando il cielo stellato.
“Veniamo al dunque: la tua famiglia è l’unica che ha i poteri e le possibilità per uccidere la stirpe di Alfred. Su di te grava una profezia: colui che sarà l’ultimo shinigami della sua casata, sarà in grado di uccidere L’ULTIMO PUROSANGUE suo nemico…
Se per disgrazia, però, dovesse innamorarsi ed essere ricambiato, lei morirà per mano dell’assassino dei genitori del prescelto”
“… Io la prenderei come una maledizione, non come una profezia… E chi sarebbe quello iettatore che l’ha formulata?” “Non si sa, era un tuo simile” “Eppure qualcosa non mi torna… L’ultima parte stona con il contesto! Perché mai una ragazza dovrebbe morire?”.
Jason alzò le spalle “Non so dirti più di così…”.
Si bloccò, in mezzo al bosco, come se fosse indeciso sul confessargli un terribile segreto.

“William… Io…” sospirò, chiudendo gli occhi.

“Nei giorni successivi ti insegnerò qualcosa di combattimento.
Comunque… Dovrò svelarti altre cose.
Adesso è meglio che rientri, devi salutare Jane… Mi dispiace” prima che l’altro potesse ribattere, lui era già sparito nella nebbia, dissolto come un fantasma.

Corse sul retro della casa, dove si affacciava la finestra di Jane.
Si fermò a qualche metro della parete, per calcolare le distanze.
Un debole fischio lo raggiunse: la ragazza era ben coperta, lo guardava dal suo balcone, in silenzio.
Lui ansimò un pochino, ricordandosi improvvisamente di alcuni versi del primo libro di Shakespeare che aveva letto: “Romeo e Giulietta”.
Spiccò un balzo, atterrò di fronte a lei e l’abbracciò. Rimasero in silenzio, ascoltando i rumori della notte.
“Fra soltanto poche ore, dovrò dirti addio” disse la ragazza, guardando la Luna.
“E io dovrò dirti ciao” rispose, calmo.
“Dissi la stessa cosa, quando partisti per l’accademia” “Ed infatti ho fatto bene, ci siamo incontrato di nuovo, dicendoci ciò che dovevamo dirci quel giorno. Scoprirò la causa della nostra perdita di memoria, sconfiggerò Alfred e verrò a prenderti.
Metterò una buona parola per te, in ufficio… Sarai sotto la mia giurisdizione” “E chi ti dice ha io accetterò?” “Il mio cuore”.

Il ragazzo poggiò lentamente le sue labbra su quelle della ragazza, per l’ultima volta.

“Addio Will” sussurrò lei.
“Ciao Jane…” mormorò Spears, mentre, saltando dal balcone, correva verso la sua finestra.
Sospirò, mentre guardava la Luna piena.
Picchiò un piede per terra, mentre ringhiava.
Poi, dopo essersi appoggiato al muro, sconsolato, si premette una mano sulla fronte e sugli occhi.
Un improvviso sbuffo di aria calda lo fece saltare per aria, e si voltò di scatto.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

“Che ci fai qui?” chiese a Sandia, che, con il  manto che scintillava nel buio lo guardava.
Improvvisamente nitrì piano, e lui la zittì.
“Shh! Farai svegliare tutti” la cavalla si strinse contro di lui.
“Anche tu devi partire, vero? Sei venuta a salutarmi?” lei lo guardò.

“Esattamente” lui sobbalzò: si dimenticava sempre che poteva comunicare con gli animali, lo faceva sempre con i piccioni quando doveva mandare i rapporti ai superiori durante le missioni.
Sospirò “Lo so che è difficile, almeno sarai vicino a Jane: proteggila…” “Joey non la prenderà bene, per favore, pensaci tu” “Non sa ancora nulla? D’accordo… Ciao bella” fece per darle una pacca ma le si scostò, fissandolo negli occhi.
“Aspetta! È da non so quando che ti conosco, ma non ti ho mai lasciato salirmi in groppa” gli mostrò il dorso “Sali, per favore: oltre a questo, devo mostrarti una cosa: è raccapricciante per me, ma siccome domani vado via, ho bisogno di farla vedere a qualcuno”.
Will le saltò in groppa e lei, dopo qualche metro di passo, iniziò a trottare.
“Cavolo, sei molto comoda” “Lo so, grazie… Ehi, ti ricordi ancora come si galoppa a pelo, Mr. Freddezza?” “Che simpatica… Non sottovalutarmi” premette le ginocchia e lei si lanciò al galoppo, nella prateria.
 
 

















 

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Capitolo 20
*** Nel limbo, rivelazioni, incontro fra due fratelli ***


Ehilà ragazzi! 
Oggi si stappa una bottiglia di Coca Cola: son venti capitoli, finalmente!
Recensite se vi va, ringrazio chi spende il suo tempo a recensire la storia, a leggerla o semplicemente seguendola :)
recensite se vi va, alla prossima!
Ps: Avviso importante! D'ora in poi non prometto la continuità periodica degli aggiornamenti, poiché ricominciano gli impegni più duri! Mi spiace, perdonatemi!
Baci!




“Padre?” chiese Will, trovandosi improvvisamente in un grande viale alberato, con il selciato coperto di foglie dorate.
“Ragazzo mio, vieni qui… E' molto che non ti vedo, avevo voglia di parare con te: vieni, passeggiamo un po’” lo incitò l’uomo, incamminandosi.
“Ah! L’autunno è  bellissimo con questi colori, non trovi, William?” “Pienamente, padre. Perché mi contatti ora? Come fai a contattarmi?” “Eh eh eh… Magia figliolo, magia. Finché tutto non sarà finito, ed io e tua madre non potremo riposare in pace, ti saremo al fianco…
È come se fossimo in un limbo e potremo raggiungere la pace eterna quando avrai eliminato l’ostacolo che ci separa dalla tanto agognata meta. Anche se… Preferirei esseri lì con te, giovanotto… Bè almeno hai buongusto: quella Jane è davvero carina!
E anche forte, di carattere! E poi, è figlia di un mio grande amico!”.

L’erede fremette, e la sua espressione s’increspò.

“Quel tuo grande amico me la sta portando via! Altro che amicizia e amore!” “Ahah, stai tranquillo Will: lui non lo farà, ci penserò io! E poi, hai alleati importanti: Jason, Federik, Hylda… Anche quello scienziato pazzo di David!
Inoltre, non devi trascurare Sebastian Michaelis e  Ciel Phantomhive…” “Vorrei non dover sopportare tutto questo” “Eh… Anch’io l’ho fatto ai miei tempi, figliolo. Solamente, che il mio è stato un parziale fallimento…
Jacob e Arianne sono morti, così come tua madre e io…” “Ma… Jane mi aveva detto che era morta solo sua madre…” “No, lei non fu la sola. Jacob…
Alfred aveva deciso di sbarazzarsi di tutti noi, e lui ha deciso di sacrificarsi al fine di impedire che ciò accadesse” “Jacob… Ma lui non è-”
“Esattamente: lui era il padre di Sebastian. Gli assomigliava da matti, solo che aveva una barbetta corta. Io lo chiamavo “barbetta da capra”, quando mi chiamava quattr’occhi: era il mio grande rivale demoniaco, in moltissime occasioni.
Diciamo che è un po’ come suo figlio per te” “Rivale… Io svolgo solo il mio lavoro” “Ehehe… Anche io dicevo così. Lui era la mia spina nel fianco, ed io ero la sua: ci detestavamo reciprocamente…
Ah, adoravo il mio lavoro al Dispatch, anche se, le cose… Iniziarono a precipitare…” chiuse gli occhi, ed iniziò a ricordare il passato, narrando al figlio la sua avventura… 


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"Avanti Spears! Corri!” “E' quello che sto facendo avvoltoio!”
I due correvano per gli intricati corridoi del “Death Castel”, ovvero la residenza di Alfred.
“Michaelis! Questi corridoi sono tutti uguali: come facciamo a capire qual è quello giusto?” “Si va alla casaccio: vediamo se ci va di culo!” rispose, ansimante, mentre sfrecciava per la reggia,
“Ma perché cavolo ci siamo cacciati in un guaio simile?! Come abbiamo fatto a farci scoprire e ritrovarci in una situazione spiacevole come questa?!” “E che ne so io! So solo che se ci beccano siamo morti! Abbiamo un esercito alle calcagna…
Vorrei soltanto sapere da che parte sono saltati fuori… Io credevo di averli uccisi tutti!” continuarono a corre, fino a che lo shinigami non si bloccò.
“Ma che fai, impedito?!!” “Taci e ascolta, demone: non sento rumore di passi! Non li abbiamo più alle calcagna…” mormorò il dio, tendendo l’orecchio, dubbioso e preoccupato.
Seguì un attimo di silenzio, poi udirono la voce di qualcuno, ed un lieve rumore di passi.
“Ahaha, cosa credete di fare, semplici sempiterni? Avete pochi minuti, dopodiché, sarete per sempre chiusi qua dentro, fino a che non vi troverò… L’unica via d’uscita rimasta si sta progressivamente ostruendo…
Avanti: vediamo chi per primo riuscirà a raggiungere il resto della combriccola” ai due sembrò di vedere una sagoma avanzare verso di loro, e si misero in guardia.
Poi, Jacob, con un’improvvisa ondata di terrore in corpo, trascinò l’altro in un corridoio.
“Fermati! Dobbiamo proseguire con logica, o non ci arriveremo mai!” “Se… Se ci fermiamo troppo a riflettere perderemo tempo prezioso, e rimarremo chiusi qui!” “Dobbiamo trovare gli altri… Alfred ci è alle costole!
Prova a vedere se riesci a rintracciare l’aura demoniaca di David, io proverò con quella di Undertaker e mia moglie!” “D’accordo… ” chiuse gli occhi e li strizzò.
Il Grimm Reapers lo imitò, ma sembrava molto più rilassato.
“AH! Maledizione! Stanno interferendo! Sento migliaia di altre auree demoniache, ma non lui! Mi sta scoppiando la testa!” “Avanti… Fai uno sforzo Michaelis!” “Ecco… L’ho trovato! Di là, presto! Alfred sta arrivando!” ricominciarono a correre come forsennati, nel buio più completo, mentre qualcuno di oscuro e potente li inseguiva camminando, con un sorriso sadico in volto.

“E ora?” chiese il demonio, frenando davanti ad un bivio.
“Undertaker… Da questa, credo… È  debole il segnale…” “Bè, meglio di niente!” “Hai paura, Jacob?” “Per la prima volta in vita mia… Avverto qualcosa di simile… Anche tu, vero?” “Devo tornare a casa da William, ho paura di perderlo”
“E io devo tornare da Sebastian… Anche se sta diventando già grandicello e può cavarsela da solo… Su coraggio compare: manca poco!” “Hai ragione… Corri!” strillò lo shinigami, avvertendo l’agghiacciante rumore di passi del loro nemico.

Cominciò ancora una volta la fuga disperata dei due fuggitivi.

“Spears!!” urlò Undertaker, correndogli incontro.
“David!” esclamò Jacob, fermandosi.
“Presto, dobbiamo scappare! È l’unica via di scampo!” disse, indicando il passaggio oscuro alle loro spalle.
Si avviarono tutti verso di esso, felici di essersela cavata ancora una volta.
Mentre erano a pochi metri dalla salvezza, sentirono una risata famigliare.
Jacob si voltò appena in tempo per scostare Spears, prima che una freccia potesse trafiggerlo.
“Salve a tutti… Come siete splendidamente terrorizzati, mi fa piacere!” “Nessuno ha paura di un pazzo come te, Alfred” disse glaciale il padre di William.
“Oh, allora quello che vedo nei vostri occhi è puro divertimento, shinigami! Ma guarda… Le mie più vecchie conoscenze sono venute a trovarmi, ed ora se ne vogliono andare? Non posso permetterlo, va oltre i miei principi”
“Smettila di giocare! Non ho tempo da perdere con un traditore come te” ringhiò Jacob.
“Traditore… Io direi che il traditore è un altro qui, giusto, David? Mi hai voltato le spalle, portandomi via le persone che amavo…”
“Se per te amare vuol dire tentare di assassinare la propria amante ed i propri figli, allora credo proprio di avere fatto la scelta giusta: sono orgoglioso di averti tradito!” “Una volta non lo avresti mai fatto” “
Neanche tu eri così, fino a poco tempo fa: guarda come ti sei ridotto, sei solo un assassino che merita la morte!”
Alfred si accigliò, e quando scoprì le zanne, una freccia raggiunse il riccio, ferendolo alla spalla.
“AH! MALEDETTO CODARDO!” imprecò, portandosi la mano alla ferita.
“Il tempo è scaduto… Arianne, Undertaker, David, Isabel, Jacob, Hylda e tu… Spears! Sarete i miei ospiti… Fino alla morte! AHAHAH!!” una porta iniziò a calare dal soffitto, mentre una pioggia di frecce si riversava sul gruppo.
“Dannazione, scappiamo!” urlò Michaelis, mentre tutti correvano verso il passaggio.
Alfred si buttò contro di loro, ma prima che potesse afferrare alcuno, Jacob tese un braccio, colpendolo usando la forza del suo impatto.
I due caddero a terra, tentando di dominare sull’altro.
“Levati, demonietto!” “Fallo tu, traditore!” “JACOB! NON FARE IL CRETINO, VIENI!!” urlò Spears, accorgendosi della scena.
“Vai razza di stupido, o rimarrai qui!”. 
Alfred si liberò, ma l’altro diavolo lo placcò ancora una volta.
“Michaelis, datti una svegliata!” strillò Isabel, la moglie dello shinigami dagli occhi verdi.
Il demone riuscì a colpire Alfred, che cadde a terra.
Si catapultò verso la porta, ma si arrestò, quando vide che Arianne era a terra, colpita da una freccia.
La caricò sulle spalle e si avviò verso gli altri. Undertaker tentava di reggere la porta, aiutato dall’altro dio.
Jacob era a cinque metri dalla salvezza, quando sentì una freccia raggiungerlo nel dorso scoperto, infilzandosi nella sua spina dorsale.

Urlò di dolore, cadendo faccia a terra.

“Reggi qua Spears!” gridò il becchino, passando sotto il passaggio momentaneo.
Hylda Cavendisch si inginocchiò accanto a lui, aiutandolo a sopportare il peso della porta: era ferita gravemente ad una gamba, ma voleva rendersi utile.
Michaelis tentò di alzarsi, ma si rese conto di avere una sottospecie di falce della morte nella schiena.

Alfred si stava avvicinando a loro.

“Non gli torcerai un capello” disse Undertaker, mentre correva in loro aiuto.

Arianne si stava alzando, ma un calcio la raggiunse in pieno stomaco, facendole sputare sangue.
“Maledetto…” sibilò velenoso Jacob, mettendosi a carponi.
“E tu pensavi di sconfiggermi, di fare l’eroe? Mi dispiace, non andrà così” prese un pugnale e glielo conficcò nel petto, affondando fino all’elsa.
L’impatto fu così forte che lo alzò, per poi farlo ricadere all’indietro.

“NO!” urlò Spears, mentre tentava di tenere sollevata la porta,  ed Isabel, impotente, sorreggeva David il quale stava peggiorando.

“Veleno… I suoi trucchi non sono cambiati” mormorò il ricciuto. Undertaker si lanciò contro il nemico, ma prima che potesse farlo, sua moglie si mise in mezzo a loro.
Ci fu un momento in cui tutto sembrò essersi fermato.
Jacob gridò, moribondo ed indifeso.
Isabel strillò disperata, Spears spalancò gli occhi, gridando un inutile avvertimento.
David non riuscì a fare altro se non qualche verso strozzato.
Undertaker, si accorse troppo tardi di ciò che aveva provocato.
Una sottile lama di vetro era retta in mano da Alfred.
Un improvviso fiotto di sangue schizzò sul corpo di Undertaker e nell’area circostante.
Il becchino non si era accorto che, quando si stava lanciando sul nemico, esso aveva estratto due armi di vetro: una sottilissima lama, ed una più consistente daga.
Erano due Death Schyte, una che mirava alla sua gola, ed una che mirava al suo cuore.
Sua moglie si era improvvisamente accorta della terribile imboscata, e si era messa in mezzo.
Il bersaglio, alla fine, era diventata lei.

Il demone fece un balzò all’indietro, sconcertato ed infastidito.

“Arianne…” sussurrò Undertaker, mentre la donna si accasciava fra le sue braccia.

“Perché…?” mormorò, soffocando le lacrime, mentre Jacob si alzava, barcollante.
“Te l’ho sempre detto che eri troppo impulsivo… Avanti, va: voglio che tu cresca nostra figlia al meglio, giuramelo… Un giorno, riuscirai a sconfiggere questo male… Veglierò su di voi, amori miei…” sussurrò, mentre carezzava il volto del marito con una mano.

Chiuse gli occhi, per sempre.

Quando la sua mano fredda cadde per terra, Undertaker gridò, piangendo.
L’aveva fatto poche volte, in tutta la sua vita.

“VIENI QUI BASTARDO! IO TI AMMAZZO LURIDO ASSASSINO!” prima che potesse muoversi, Jacob gli sbarrò la strada.
“Scemo, scappa: hai un giuramento da mantenere, se non te ne vai adesso, non te ne andrai mai più. Hai una figlia, da crescere” si sfilò la freccia dalla schiena e la lanciò con tutta la propria forza su Alfred, che, preso alla sprovvista venne colpito.
“AVANTI, ADESSO!!!!” urlò, arrancando più veloce che poté verso l’uscita.

“MALEDETTO CANE!!” gli urlò dietro l’altro demonio, rialzandosi.

Undertaker passò sotto la porta con il cadavere della moglie, dove Spears, in ginocchio, tentava di tenerla aperta.

“Avanti, è pesante…” ansimò “Forza Michaelis, ce l’hai fatta ormai!”.

Un’ultima freccia raggiunse Jacob  per pura disgrazia, mentre scivolava sotto il passaggio.

Si accasciò appena la porta si chiuse, stringendosi la camicia imbrattata di sangue.

“Resisti stupido! Devi tornare da tuo figlio!” gridò Spears, prendendolo in braccio.

“Scappiamo!” esclamò David, dirigendosi verso la fine di quell’incubo.

Un bambino dai capelli corvini gli corse in contro. Gli occhi cremisi li osservarono, increduli.
“Mancava così poco…” sussurrò Undertaker, soffocando il pianto.

Il portale era lì a pochi metri da loro.

“Sebas… tian” biascicò Jacob, fissando con un mezzo sorriso il figlio.
“… Padre…?” chiese incerto il piccolo, fissando il genitore moribondo.
“Che bravo, ci hai aspettato fino alla fine…” sussurrò, mentre allungava una mano per scompigliargli i capelli.
“Perché… Perché ti sta tenendo in braccio quel signore?” domandò, mentre delle lacrime gli affioravano agli angoli degli occhi.
Lo shinigami dagli occhi verdi depose il demone a terra, con cura.
“Figliolo… Mi dispiace: d’ora in poi, dovrai ubbidire a David… Sarà come uno zio, va bene? Farai tutto ciò che ti dirà, e apprenderai tutto ciò che ti insegnerà” “Perché, tu dove vai…?” mormorò, rendendosi conto di dove volesse andare a parare.
“Via, dove andiamo tutti noi alla fine della nostra esistenza. Ci ritroveremo, prima o poi, piccolo…” “Michaelis! Non dire cacchiate!” esclamò David, trascinandosi vicino a lui.
“Basta, David: non ho più forza… Il mio sangue si sta esaurendo” sussurrò, carezzando la zazzera nera di suo figlio.
“Papà… Non andare!” strillò, abbarbicandosi a lui.
“Mi dispiace piccolo… Non piangere, non voglio che tu lo faccia più. Avanti, sorridi… Ci ritroveremo… In un posto… Migliore… Me lo prometti?” “Sì…” mormorò, sforzandosi di non piangere.

“Bravo il mio figliolo… Posso riposare… In pace… Spears: vinci, mi raccomando… Addestra bene William, o le prenderai…”  spirò, con il sorriso sulle labbra.

“Anche tu dovevi tornare a casa vivo da tuo figlio… Stupido idiota di un cane codardo” sussurrò il castano, portandosi una mano al volto, coprendoselo.


“Arianne e Jacob si sacrificarono per salvare la vita a noi, per permetterci, un giorno, di uccidere Alfred…” scrutò il cielo, imperscrutabile, mentre William lo fissava in silenzio.
“Padre… Non sei stato un codardo, se è questo a cui pensi” “Lo so figliolo… Ma a volte, non riesco a non pensarci. Cavolo, era davvero eroico, per essere un demone, Jacob. Aveva dei lati positivi…
Non credevo che un demone potesse provare dei sentimenti positivi, ma quando ho visto il piccolo Sebastian che piangeva aggrappato a suo padre, mentre Jacob gli diceva quelle cose scompigliandogli i capelli…
Bè, in quel momento ho pensato che loro provano sentimenti, ma che questa capacità sia nascosta nel più profondo del loro animo nero, come la cattiveria che li caratterizza…
Ho disprezzato per anni lui e la sua razza, ed ora mi accorgo di essere stato un ignorante. Ignorante, nel senso che ho “ignorato” le piccole particolarità che fanno la differenza” “Sai molte cose, sei saggio…” “Ahaha, William… Io ho avuto molti più anni d’esperienza di te, se solo aprissi meglio i tuoi occhi, vedresti quello che ti è attorno sotto una nuova luce… Capisci?”  “Credo di sì… Ma cambiando discorso: ho saputo che… David è lo zio di Jason…” l’altro parve rabbuiarsi.
“Esattamente, David è lo zio di Jason. È fratello illegittimo di suo padre…” “Quale dei due genitori hanno in comune?” “Il padre…” “Quindi fa Blaik di cognome?” “No, non fa Blaik di cognome” serrò le labbra, incupendosi e stringendo i pugni.
“Certe cose è meglio non saperle, anche se muoio dalla voglia di svelarti un terribile segreto, non posso, senza l’autorizzazione di chi lo condivide… Tanto lo saprai di qui a poco, non temere…” mormorò, scrutando il cielocon vaga nostalgia.
“Cosa mi sai dire, invece, di Federik e Hylda?” il padre lo scrutò, pensieroso, poi fece un sorrisino malinconico.
“Formula meglio la domanda, figlio mio: so che sei intelligente e che ci metterai poco, per rifarmi la domanda giusta” rispose, sorridendo amabilmente.
L’altro si accigliò un poco, ma poi trovò la soluzione: “Cosa mi PUOI dire, di Federik e Hylda…?” “Bravo, figliolo. Ebbene, cosa ti induce a farmi questa domanda?”
“Bè… Oltre alla curiosità? Ho iniziato a sospettare che ci fosse qualcosa di strano in quei due: stanno sempre in coppia, si comportano allo stesso modo, lui le sta un po’ troppo vicino… Anche se non sembra amore…” “Sei davvero arguto, complimenti: sono orgoglioso che tu sia cresciuto così bene. Comunque, ora vedrò di risponderti, o meglio: di dirti quello che posso. Vedi… Tu credi che veramente non possa essere amore?” “No, io e Jane…” arrossì un pochino, mentre il suo papà lo guardava divertito, ricordando quando lui era nella stessa posizione con suo padre.
“Vi comportate in modo diverso, forse? Dipende anche dal carattere, ed il tuo e quello di Hylda, o quello di Jane e quello di Federik è totalmente differente” “Sì lo so ma…” “Ma tu per qualche strano motivo percepisci qualcosa di diverso… Molto perspicace”.
Rise debolmente.
“Ecco, cosa posso dirti: loro sono parenti… Non hai notato la forma del viso di Hylda, i lineamenti delicati di Federik, la liscezza dei suoi capelli…? Bene: questo è quello che ti sfuggiva, ragazzo mio“ disse, sedendosi su una panchina in riva al lago.
“Anche se… La cortesia, la calma, la compostezza… Quel sorriso cortese anche nei momenti più critici, quel sorriso che può essere anche di FALSA cortesia… L’ha ereditato da suo padre.
È un sorriso, a volte, da demone.
Hai mai visto Sebastian che massacra qualcuno, con quel sorrisetto stampato in volto?
Ecco: quello è il sorriso del demonio. Federik… È  un incrocio come Jason, dello stesso tipo… Jones… Se ha sangue demoniaco nelle vene se ne fa una ragione, per quanto riguarda Blaik… Ti ricordi come ha massacrato quei diavoli?
Lui odia appartenere a quella razza, non sopporta l’idea di assomigliargli, per questo, li ha “cancellati” come se ciò potesse negare il suo rapporto di sangue…” “Io sto dormendo?” “Esattamente… Sei in un dormiveglia” “Quanto tempo è passato?”
“Relativamente poco, non ti preoccupare: puoi tornare da lei quando vuoi, non sarà mai troppo tempo… Comunque… Stai riposando troppo poco, Undertaker ti ammazzerà di fatica, se non ti fai qualche ora di sonno in più-”
“Non posso dormire stanotte, anche se sono sfiancato: Jane se ne andrà fra poco e io rimarrò di nuovo solo… Non la vedrò più…” l’altro ridacchiò.
Il giovane si girò verso il padre, guardandolo stranito.
“Ma che hai da ridere?” sbottò, improvvisamente infastidito dalla leggerezza con cui l’uomo prendeva la cosa.
“Niente, è che mi ricordi tanto tua madre… E ricordi anche me…” allungò una mano e gliela passò fra i capelli, carezzandoli.
“Fini e lisci… Corti e castano scuro, quasi nero… Anzi: oserei dire che più cresci più si scuriscono… Forse diventerai moro, un giorno, come tua mamma… Sei proprio uno di noi” sorrise ancora.
“Hai il sorriso facile, papà” “Sì William, hai ragione. Comunque… Mi ricordi quando io e tua madre… Eravamo fidanzati… Stai tranquillo: io non permetterò che te la porti via adesso: posso provare a ritardare la sua partenza…”
“L’affossatore è un osso duro… Non ha dato ascolto a nessuno, te l’ho già detto” “Sarà difficile… È  piuttosto caparbio… Per te tutto, figliolo: te l’ho già dimostrato…”.
Rimasero in silenzio, ad osservare il paesaggio dorato, rosso, marrone, arancione: i colori dell’autunno erano davvero spettacolari.
Poi, Will avvertì il bisogno impellente di fare una domanda: aveva conosciuto più o meno suo padre ma…

“Com’è la mamma?”

Spears senior lo guardò stupito, ma poi si sciolse in un altro dei suoi radiosi sorrisi.
“Tua madre… La mamma è la donna più bella e forte che ci sia a questo modo: devi essere orgoglioso di essere suo figlio, come io sono orgoglioso di essere suo marito… Un po’ le assomigli, sai?
Più che io… È  lei la riservata della famiglia, quella che impone ordini, quella che sa usare al meglio la freddezza anche a suo vantaggio: non che io sia frivolo ma… Lei è molto più brava di me, a volte.
In ufficio, appena qualcuno cominciava a ronzarle intorno, lei reagiva al tuo stesso modo, anche picchiando il malcapitato con la falce o con pugni in testa… Ma forse è meglio che parli direttamente con lei”
“Aspetta papà!” lo tirò per una manica, mentre lui si stava alzando.
Improvvisamente, gli sembrò una scena infantile, ma decise di soprassedere: non aveva mai sperimentato cose simili…
“Chi è il bambino nelle visioni? Vedo tutti i lineamenti contorti, a volte le sogno quelle scene, ma non fanno più male, sono incubi e basta! Non riesco a riconoscere nessuno, a volte mi esasperano, mi perseguitano, mi fanno impazzire!”
l’altro, improvvisamente serio, sembrò rabbuiarsi, e la sua espressione divenne dura.
“Quelle visioni… Sono proprio visioni? O sono qualcos’altro? Te lo sei chiesto, Wiliam T. Spears? Un giorno non molto lontano scoprirai l’orrore di un passato che è stato tagliato, scoprirai la vera essenza dell’odio, del rancore, della paura…
Ma fino ad allora…
Cerca di concentrarti al massimo per raccogliere quante più informazioni possibili, ragiona sui ragguagli che possiedi… Ora tua madre ti vuole vedere”

“Come ti chiami? Qual è il tuo nome?!”

“Il mio nome… Non posso pronunciarlo, ma ti dirò l’iniziale, così mi identificherai in quel modo”
“Qual è?” ripeté il ragazzo.
L’uomo lo fissò con due gelidi occhi verdi “T.. A presto, William” un alito di vento si levò improvvisamente, e quando Will alzò gli occhi, suo padre era scomparso.

Un toccò gentile lo fece voltare.

Un donna lo fissava, con due occhi verdi screziati di verde, i capelli lunghi, sottili e neri, che le arrivavano poco sotto le spalle.
La carnagione era molto pallida, le labbra erano chiuse in una linea perfettamente verticale ed inespressiva.
Il giovane si girò completamente verso di lei, dapprima stupito, poi assunse la stessa espressione della shinigami.

“Isabel…?” chiese, un po’ incerto, ma sapendo che non si poteva sbagliare.
Lei si aprì in uno sfolgorante sorriso e lo abbracciò.
“William… Sono felice di vederti” “Madre…” anche il ragazzo si abbandonò ad un sorriso, staccandosi per guardarla.
“Sei davvero un bel giovanotto… So che le cose non si stanno mettendo bene per te, ma devi farti forza: tu sei coraggioso ed intelligente, puoi benissimo cavartela, ho fiducia in te”
“Mi fa piacere” rispose, sempre con l’ombra di un sorriso, ma si accorse di non avere molto da chiedere, o qualcosa di intelligente da proporle come discussione.
Lei rise “So a cosa pensi: non sai cosa dire, giusto? Eh solo tuo padre è capace di attaccare bottone… Lo farebbe anche con un sordo muto”
“Ahah, mamma… Io… È  colpa mia se sta accadendo tutto questo?” chiese, voltandosi affranto verso la superficie piatta del lago.
Lei lo fece voltare sollevandogli il mento “Assolutamente no: perché dici questo, figlio mio? Se non ci fossi tu…” “A quest’ora nessuno sarebbe nei guai” sospirò
“Ho messo in pericolo la vita delle uniche persone alle quali ero attaccato, i miei sottoposti hanno rischiato di morire per la mia incoscienza e imbecillità, Jane ha rischiato di morire perché io sono stato così stupido da mostrare i miei sentimenti in campo, mi sono messo in repentaglio da solo, e…” uno schiaffetto gli raggiunse la guancia.
“Non dire cavolate, William: se non ci fossi tu, tutti sarebbero morti, Alfred dominerebbe su tutti i fronti, tu sei mio figlio, l’unico che può opporsi e sconfiggere il male che affligge i nostri mondi da più di quattrocento anni! Lo capisci questo?
Pensi che forse se io e tuo padre fossimo sopravvissuti, se Jacob e Arianne fossero ancora in vita, saremmo riusciti ad uccidere Alfred?! TU sei quello che può farlo, non io o T.!” il suo sguardo si addolcì.
“Io… Mi sono sacrificata per le persone che amo, per il mio bambino, perché sapevo, che una volta grande, sarebbe riuscito a salvare chi io non sarei stata in grado di proteggere. Ho dovuto aspettare…
Ed ora il tuo momento è arrivato: fatti onore, William” terminò accarezzandogli il volto.
Lo guardò negli occhi, e lui si raddrizzò, improvvisamente. Il suo sguardo era fiero e coraggioso, la sua espressione non tradiva alcuna debolezza.
Gli occhi verdi spiccavano sulla sua pelle pallida, (come la sua), rilucendo di una nuova determinazione.
“Allora, figlio? Cosa vuoi fare?” lui sorrise, beffardo “A questo mondo ci sono anch’io! Se sono l’eroe che lo deve salvare, e sono il primo che si ritira, chi lo farà, al posto mio?
È il mio compito, e non posso evitarlo. Forse non dovrò più fare straordinari, se riuscirò nella missione potrebbero esonerarmi dal…” “Sei come tuo padre, niente da fare” sospirò Isabel, con un sorriso. William si irrigidì “Maledizione! Devo tornare nel mio mondo! Devo impedire che Jane parta e-” “D’accordo ti lascio andare, ho capito! Eh, manco di esperienza nel fare raccomandazioni al figlio a proposito delle ragazze…” sospirò, sconsolata “Mamma!” lei rise
“Avanti vai… Ti faremo un regalo, prima o poi… Ma stai attento: il male è dietro ogni angolo del tuo cammino, non dimenticarlo. E poi… La verità sta per venire a galla” lui annuì. “Corri senza voltarti indietro, mi raccomando… Ti vogliamo bene, figlio nostro” William iniziò a correre verso un punto indefinito, mentre un uomo ed una donna lo guardavano, soddisfatti e speranzosi di quello che avevano creato.
“Spero che non reagirà male, quando scoprirà la totale verità…” disse la moglie, stringendosi al marito “Lo spero anch’io…Però… C’è qualcosa che non mi torna, riguardo alla profezia… Dobbiamo fermare quel testardo di un necroforo ” “T… Quel mistero non siamo riusciti a risolverlo quel giorno” “No, purtroppo… Ci penserà questo mondo, a guidare nostro figlio”.

Spears si riscosse di soprassalto. SI raddrizzò, aprendo totalmente gli occhi e passandosi una mano sul viso.
“Che diavolo di ore sono? Maledizione, non posso fare tardi” senza curarsi di coprirsi con qualcosa, si precipitò alla porta, incamminandosi silenzioso come un ladro nel buio corridoio. Undertaker si stava dirigendo ad ampie falcate verso la camera di sua figlia: doveva prendere una decisione, alla svelta. Aveva intenzione di cacciarla via per evitare la sua morte, ma un dubbio aveva iniziato ad insinuarsi nella sua mente.
“E se stessi veramente sbagliando…?” fece per aprire la porta della camera della figlia quando una mano gli serrò la spalla in una stretta morsa. Il becchino si girò, pronto a colpire, ma quello che vide lo fece sbiancare, e cadde sul pavimento.
“Mi riconosci?” fece beffarda la figura “Lo so, lo so, non te lo aspettavi, ma non mi piace il modo in cui tratti mio figlio, e nemmeno cosa vuoi fare a TUA figlia.
Credo che dovremmo parlarne da uomo a uomo, magari fuori all’aria fresca” l’altro era ancora pietrificato così T. sospirò, riflettendo una luce argentata nell’oscurità del pianerottolo. “… Tu? È impossibile, sei…” “Pallido? Affascinante? Piacente? Grazie, me lo dicono in molti… O… Forse intendevi dire morto? Esattamente, non sono più vivo. Mi sto sforzando molto per interagire con voi, quindi non rendere il mio sacrificio vano”
“Che vuoi, Spears?” chiese spaventato l’altro, ostentando con scarsissimi risultati sicurezza e spavalderia. “Che c’è, il re dei morti ha paura della morte stessa? Sarebbe un vero e proprio controsenso” “Che cosa vuoi? Sei venuto qui per tormentarmi?” “Perché dovrei tormentare mio fratello?” “Non chiamarmi così, non siamo parenti” “Perché mi stai trattando in questo modo, Undertaker?” “Io… Non lo so” l’altro lo fissò severamente. “Qualcosa non quadra nella profezia, secondo me, è stata inventata, o meglio: è stata inventata la seconda parte” “Questa è una bestemmia, T-” “Non pronunciare il mio nome!” ruggì furente l’altro “Potrebbe attirare gente poco raccomandabile” aggiunse, mentre si sfiorava il volto.
“Ogni volta che ritorno su questo pianeta… Mi sento male, sento bruciare tutte le ferite” “Non si potrebbe farvi resuscitare, in qualche modo? Non sei completamente morto, e questo lo sai-” “Isabel è morta, William è diventato grande, non ha più bisogno di me” “Non dire idiozie! Quel ragazzo ha bisogno di un padre!” “è cresciuto senza di me, oramai… è tardi” “Ti sei messo in contatto con lui?” “No, ma lo osservo sempre…” mentì “Una volta è stato intrappolato a causa di Alfred, te l’ha raccontato, giusto?” proseguì, stando attento a non tradirsi. “Sì, la sera in cui ha conosciuto Jason e Federik” “Come sta il ragazzo?” “Male, ha avuto un rigetto… Eri tu quello bravo con le maledizioni” l’altro sospirò “Lo so, ma era il prezzo da pagare per sottrarre alla morte colui che ci avrebbe salvato… Comunque: quando Alfred stava per scoprire la sua posizione, sono riuscito a parlargli, ma non mi ha conosciuto” “In effetti quella sera non mi ha parlato di te… Mi ha parlato di strane voci maschili” “Non far muovere tua figlia da qui: è pericoloso. Ho fatto un giro di ricognizione fra le dimensioni, mentre venivo in questo posto… E ho avvertito tante di quelle presenze, che paragonato il regno dei morti è disabitato” “Brutte notizie… Sei il solito uccellaccio del malaugurio” “Già… Ehi, William non ha ancora capito che è…” “No” “Quando vuoi dirglielo?” “Non lo so, forse è meglio che non lo sappia” “Lo deve sapere prima o poi” “Perché non glielo hai detto tu, che sei suo padre?” “Perché non lo so nemmeno io cosa fare” “Dovresti farti vedere da lui…” mormorò “E forse, se vedrà quella cicatrice che ti nascondi sulla faccia, potrebbe capire” T. gli girò le spalle, mentre, ansimando guardava fuori dalla finestra, seguendo la retta dello sfregio che aveva sul viso: una linea perfetta che divideva a metà l’occhio destro.
Da mezza fronte a metà guancia.
Sospirò. “Non capisco perché tutti noi shinigami leggendari dobbiamo avere una cicatrice sulla faccia” l’amico fece spallucce “Non lo so… Almeno tu ce l’hai piccola e pallida, non come la mia” “Anche Will ha una cicatrice… La puoi nascondere, la puoi far andare via con creme e impasti, ma ti resta dentro: sparisce il segno, non il dolore”. Seguì un momento di silenzio, mentre lo shinigami proveniente dall’aldilà ricordava il giorno in cui aveva perso la possibilità di vivere. Digrignò i denti. “Undertaker… Io devo andare. Non posso intrattenermi più di così” “Ma…” “Ascoltami!” esclamò, improvvisamente rabbioso “Questo è un ordine: non permettere a Jane di lasciare questa compagnia, se lo farà, non sarà più al sicuro! Devi sfidare la sorte, non scappare, combatti il male e vinci… Questo è un messaggio da parte di Arianne… Domani è il suo anniversario, porta un mazzo di fiori sulla sua tomba da parte nostra” “Arianne… La mia Arianne ti ha parlato?”
“Tu lo sai chi sono io?” “Sei il guardiano… Il guardiano della morte” “Fai la cosa giusta” disse, prima di dissolversi. Undertaker rimase paralizzato per un lasso di tempo che gli parve infinito.
Non riusciva a pensare, non riusciva a muoversi, non riusciva a spiccicare parola. Si era sognato tutto? Incredibile… “Che c’è, il re dei morti ha paura della morte stessa?” si passò una mano sul viso, sentendosi stanco e provato. Quel maledetto lo aveva fregato ancora una volta. Eppure, improvvisamente sentiva che una parte di sé gli dava ragione. Quando erano più giovani, dei ragazzi, tutti dicevano che il più assennato era proprio Spears, non lui.
Uno aveva la testa sulle spalle, l’altro molto di meno: era più spillato, meno ligio alle regole ed al dovere, molto più bravo in pratica che in teoria(aveva una c meno in etica), senza avversari degni di lui.
Però, un giorno tutto era cambiato: un ragazzo era arrivato all’accademia. Nessuno sapeva niente sul suo conto, doveva arrivare dalla campagna: le voci di corridoio dicevano che era molto bello, che le ragazze cadevano ai suoi piedi, e, ancor più importante, che creava scalpore, era che vedeva benissimo anche senza occhiali. Un giorno stava camminando quando vide il soggetto in questione girato di spalle, mentre dei ragazzi più grandi e grossi avevano iniziato ad insultarlo. Videro solo il bagliore dei suoi occhiali e un sorriso beffardo dipingerglisi sul viso. Dopodiché sui ritrovarono sul pavimento, a gemere, mentre il “piccoletto” (al loro confronto, ovvio: non era molto piccolo, era alto per la sua età, e magro) continuava con nonchalance, per la sua strada. Un giorno, durante la lezione di combattimento, si era ritrovato contro di lui: decise che l’avrebbe disfatto. Gli diede filo da torcere: erano praticamente in parità, finalmente, il grande Undertaker aveva un concorrente. Combatteva usando anche l’ingegno, non solo i muscoli.
Prima che l’insegnante potesse fischiare la fine dell’incontro, il futuro becchino stramazzò a terra: lo aveva battuto facendogli uno sgambetto, colpendo consecutivamente lo stomaco e la mascella con due ganci davvero potenti. Rimase steso a terra, stordito, mentre il ragazzo sorrideva e gli porgeva la mano. Lui accettò l’aiuto: non per sportività, ma perché stava davvero male. Non le prendeva così da un mucchio di tempo. Da quella stretta, iniziò la loro amicizia, che li avrebbe portati fino alla morte del giovane T.
“Tu lo sai chi sono io?” “Sei il guardiano… Il guardiano della morte”
aveva trovato un posto onorevole anche nell’aldilà, quello sfrontato. Si sfiorò la grande cicatrice che aveva sulla faccia: quando se l’era procurata, era stato fortunato ad avere l’amico al fianco.
Se non l’avesse trovato, forse non sarebbe stato lì a maledirsi per non essere riuscito a proteggerlo. “D’accordo, mia amata Arianne: farò come tu e tutti mi avete detto” si voltò, entrando nella stanza di sua figlia. Stavolta, l’avrebbe protetta.
William si arrestò appena in tempo per non farsi sgamare in pieno dal mentore. “Cazz-” pensò, appiattendosi contro la parete: dietro l’angolo il beccamorto stava uscendo dalla camera di sua figlia.
L’uomo sbadigliò, “Sarà meglio che io vada a letto, altrimenti sarò troppo stanco per ammazzare di fatica quello sfaticato… Ih ih ih ih” ridacchiò, sadico, mentre si incamminava verso la sua stanza da letto. Lo shinigami sospirò, e si diresse verso la porta dischiusa di Jane, entrando di slanciò nella camera, mentre Jane sobbalzava, tappandosi la bocca per non gridare. “Bussare no? Ma sei fuori? Mi è venuto un infar-“ si bloccò, rendendosi conto che il ragazzo era a dorso nudo.
Lui corse ad abbracciarla e lei arrossì “Scusa… Ti ho fatto aspettare tanto? Mi sono addormentato, i miei genitori-” prima che potesse continuare, lei gli mise le mani sulla bocca, spingendolo sul letto.
“Aspettare? Sarà passata si e no un quarto d’ora… Ora calmati e raccontami tutto…” disse, tentando di distogliere lo sguardo dai suoi pettorali. Si sedette al suo fianco e lui iniziò a narrarle.

Seguì il silenzio più completo.

Siccome quella strana assenza di rumore stava iniziando ad allarmare il ragazzo, qualcosa lo spinse a voltarsi verso la fidanzata.
Un singhiozzo gli arrivò alle orecchie e vide che lei stava piangendo. “Non mi aveva mai detto che le cose erano… Andate in questo modo… Mia madre si è sacrificata per… Salvarci tutti” singhiozzò, tentando di calmarsi. Due paia di braccia forti la avvolsero, facendo in modo che lei potesse appoggiare il capo sul petto ampio. “Tua madre era davvero coraggiosa, un’eroina: e tu sei come lei. Non so se le assomigli anche in aspetto, ma so per certo che tu sei forte e valorosa, questo è ciò che conta” le asciugò le lacrime.
Smise di colpo di piangere. “Hai ragione… Per una volta” sussurrò, sorridendo. “Grazie, Will” disse, prima di dargli un lungo bacio sulle labbra. “Senza di te… Tutto è niente” sussurrò, prima di immergersi in un altro pegno d’amore.
Dopo quella che parve un’eternità, passata in silenzio ad accarezzarsi, William parlò. “Tuo padre è stato qui?” chiese, guardandola negli occhi “Sì… Da cosa lo hai capito?” “Oltre dall’odore di incenso e di cadavere?” “Ehi! Oggi non è stato al lavoro!”
“Sto scherzando. Forse. Comunque, ne ero quasi certo, è stato da me… Che cosa  ti ha detto?” “Che devo partire” “Cosa? Anche dopo che…” lei annuì, grave e triste. Il giovane restò a fissare davanti a sé, con il volto in ombra, gli occhi oscurati dalla frangia che di solito teneva tirata da parte con la brillantina. Poi si alzò di scatto, facendo sussultare la ragazza, tendendo tutti i muscoli “Uno. Tu sei la MIA ragazza, è compito MIO proteggerti, non di qualche estraneo.
Due. William T. Spears, quando fa una promessa, la tratta con la stessa serietà con il quale il proprio lavoro: nessuno, dico NESSUNO mi impedisce di portarlo a termine.
Tre. In seguito a tutto sopra citato, NIENTE E NESSUNO oserà toccarti o portarti via. Né tuo padre, né tanto meno qualche idiota di un cane, lecchino, di Alfred!” esclamò, furibondo, mentre, girato di spalle, fissava la porta che avrebbe varcato di lì a poco.
Nei suoi occhi si rifletteva la morte, ogni qualvolta che una vittima li incontrasse, capiva già di essere destinata a sperimentarla. Prima che potesse fare un passo, Jane si mise di fronte a lui, guardandolo decisa.
Poi un sorriso a trentadue denti comparve sul suo volto, ed iniziò a ridacchiare, gettandogli le braccia al collo, stringendolo forte, premendo il proprio corpo contro il suo. Abbastanza confuso, il ragazzo la guardò interrogativo, con un sopracciglio inarcato.
“Razza di stupido! Tu credi fermamente in tutto quello che dico?” esclamò, mentre rideva “Mio padre… ha cambiato idea! Non me ne vado via! Resto qui! Almeno per ora” disse, mentre Will, puramente stupito, la guardava con la bocca dischiusa.
Poi, per la prima volta, un VERO sorriso gli illuminò il viso, e Jane lo maledisse, perché non lo faceva mai così… Splendido. “Non ci posso credere” mormorò, abbracciandola. Guardò fuori dalla finestra, cercando la Luna con lo sguardo.
“Padre… Madre… Grazie mille, di tutto. Siete i genitori che ho sempre desiderato” pensò intensamente, sorridendo dolcemente verso la volta stellata. Un’improvvisa brezza, arrivata da chissà dove, gli accarezzò il volto e gli scompigliò leggermente i capelli.
Jane alzò la testa allarmata, ma lui la rassicurò, accarezzandola: per un volta, forse la PRIMA volta, sorrise con tenerezza. Odiava mostrare quella parte di sé, ma in quel momento, si sentiva in pace con tutto e tutti.

Non sapeva, chi fosse in realtà… E quale fosse il suo destino.

“William… Ti consiglio di andare a dormire, altrimenti… Ho già visto persone stramazzare per terra dopo solo MEZZ’ORA di allenamento con il becchino…
E poi, io devo essere lucida: voglio sapere cosa gli passa per la testa, e perché ha rimandato la mia partenza” “D’accordo…” disse, senza accennare a staccarsi.
Lei sbuffò, falsamente infastidita “Will…” ripeté, mentre lui, per dispetto la stringeva ancora di più. “Sono troppo euforico per dormire” “E' un ordine” “Io gli ordini non li ricevo, li impartisco” disse, sfregando il mento sulla guancia della ragazza.
“Rompiscatole… Te la sei cercata” mormorò, mentre gli tirava un destro nello stomaco.
Lui, sorpreso, perse l’equilibrio e cadde sul letto. “Ahia!” esclamò la shinigami, mentre si massaggiava la mano e il polso. L’altro ridacchiò “Sei proprio furba, lo sai? Con tutti i punti deboli dove mi potresti colpire facendomi male, mi prendi in pieno gli addominali?” disse, con sfrontata ironia, tendendo i muscoli, per mostrarli alla ragazza in tutta la loro bellezza. “Ti odio… Avanti, sparisci” “Va bene, a domani…” disse, incamminandosi verso la porta. 
 

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Capitolo 21
*** Lutto: i ricordi del passato ***












“Questa notte è interminabile… Boh, mi sembrava quasi l’alba, invece… Sono solamente le tre…” pensò Spears, rigirandosi ancora fra le coperte del matrimoniale.

Si mise a fissare il soffitto: doveva essere stanco morto, ma, stranamente, dopo il suo “ritorno” dal limbo in cui aveva visto i suoi genitori, era abbastanza fresco e lucido.
L’eco lontano che segnalava la caduta di una saetta, giunse alle orecchie del dio, il quale sospirò.
Chiuse gli occhi e si mise ad ascoltare il ticchettio della pioggia, che finiva il suo corso sul tetto e sulla finestra.
Era rilassante a suo modo, e ogni tanto la caduta di qualche folgore dal cielo variava il ritmico picchiettare dell’acqua.
Non aveva mai avuto paura dei temporali, neanche dei più furiosi: secondo lui, erano una cosa naturale, non si poteva aver paura della natura stessa, soprattutto se tu la devi affrontare ogniqualvolta che devi mietere una vittima.
Improvvisamente, iniziò a ricordare qualcosa che si era rintanato nel più profondo della sua memoria.

Un bambino dai corti capelli castani stava ascoltando ad occhi chiusi il suono (sì, perché per lui era un suono piacevole, non rumore) della pioggia che tamburellava sulle tegole del tetto.

La sua stanza era proprio nel sottotetto: gli era sempre piaciuta, in gran parte aveva insistito per ottenerla.
Stava aspettando che i suoi genitori rientrassero: erano andati a svolgere delle commissioni urgenti, e gli avevano intimato di non aspettarli alzato e di non andare a cercarli.
Era sgattaiolato fuori dalla finestra per passare il tempo nelle stalle con i cavalli, poi era rientrato, si era lavato e si era messo in camera a leggere un libro di un autore umano, un certo Shakespeare.
Sua madre gli aveva raccomandato di andare a letto presto e di non aver paura di nulla, perché qualcuno sarebbe arrivato immediatamente a proteggerlo, appena fosse stato in pericolo.
Non aveva paura né del buio, né delle tempeste.
Non riusciva a prendere sonno, quella sera: sentiva che qualcosa non andava, in tutta quella falsa quiete.
Continuava a chiedersi che fine avessero fatto i suoi genitori.
Sentì il flebile cigolio della porta d’entrata che si apriva.
Si girò a guardare la sveglia: mezzanotte e mezza.
Si alzò, e camminò a piedi scalzi fino alla porta della sua camera, la socchiuse ed osservò, mentre si accucciava sulla sommità delle scale, le ombre dei suoi genitori che si proiettavano sulla parete.

“Non posso credere che sia successo davvero… Eravamo solamente a pochi metri dal portale…” questa era sua madre: stava singhiozzando.
“Jacob… Quello stupido… Si è sacrificato per cosa? Per che scopo?! Spiegamelo, Isabel, spiegamelo!” suo padre era adirato, ma notò che la sua voce era rotta, e tremava.
“Arianne… Non è possibile… Avrei voluto vegliarla… Ma…” “Vai pure, se vuoi: penserò io a William… Gli dirò la verità l’indomani, quando si alzerà” “Non posso, devo esserci anch-”
“Ascolta: Arianne per te era come una sorella, giusto? Io voglio che tu le tenga compagnia… A che ora sarà, domani?” “Verso le dieci e mezza…” “Bene: porterò lì Will… Devo aiutare a portare il feretro…”.
Il feretro.
La cassa da morto.
“Che succede…?” pensò il piccolo Spears, iniziando a sospettare una cruda verità.
“No… Non può essere… Zia Arianne… Non era malata, non aveva nulla, stava benissimo… Non può essere morta… E Jacob... Non era quel demone dai capelli neri e la barbetta da capra? Sì, senza ombra di dubbio…”
“Allora… Io vado a vegliare su Arianne… Oh, T. : come la prenderà William?” “Non lo so… Devo inventarmi qualcosa per non dirgli che l’hanno assassinata al posto di Undertaker”.

Fu come se un fulmine lo colpisse in pieno, dividendogli il cuore a metà.
“Zia Arianne…” sussurrò, soffocando le lacrime che, prepotenti, gli pungevano gli occhi.
L’acqua iniziò a sgorgare dai suoi occhi verdi, che quasi mai avevano incontrato il pianto.
Raccolse le ginocchia e se le strinse al petto, piangendo in silenzio, nascondendosi il volto, premendo la fronte sulle braccia.
“No…” mormorò, affranto e triste.
“Vado a vedere se dorme, lo saluto, prima di andare”.
Sentì i passi di sua madre che salivano le scale e  balzò in piedi.
Arretrò, entrò nella stanza socchiudendo la porta e si buttò sul letto, sperando che non l’avessero scoperto.
Tentò alla bell’è meglio di asciugarsi le lacrime e regolarizzare il respiro.
Strizzò gli occhi e serrò i pugni, stringendo la trapunta: se in quel momento le coperte del suo letto avessero potuto gridare di dolore, lo avrebbero fatto fino a perdere la voce.
Isabel entrò in camera sua, avanzando a passi incerti verso il suo letto matrimoniale.
La sentì fare un respiro profondo, per calmarsi, e poco dopo le sue labbra morbide gli sfiorarono la guancia.
“Buonanotte Will, mi dispiace tanto… Ci vediamo domani” sentì un singhiozzo sfuggito al suo ferreo autocontrollo, e strinse ancora di più il piumino.

Suo padre restò chino su di lui per più di cinque minuti.

T. era un tipo duro da ingannare, e lui non riusciva più a trattenersi.
Continuava a vedere nella sua mente tutti i momenti che aveva vissuto con la “zia adottiva”, Arianne, e si domandava il perché: perché tutto era così ingiusto?
Perché pagano sempre gli innocenti?
Perché nessuno rispetta mai le regole?!
Perché bisogna trasgredirle, perché bisogna uccidere?!

Una lacrima gli scese dagli occhi chiusi, tentò di sospirare, ma gli uscì solo un verso tremante.
Il padre si sedette accanto a lui ed iniziò a carezzargli i capelli, scuotendolo poco, per svegliarlo.
Lui aprì gli occhi verdi, mugugnando (era un bravo attore, sapeva come non farsi beccare) e li puntò in quelli dell’adulto, identici ai suoi.
“Stavi facendo un incubo?” lui annuì, sforzandosi di non piangere o tradirsi.
“Non ti preoccupare, non è niente, sono solo brutti sogni” “Ho… Ho sognato che… La zia… Arianne” scoppiò a piangere, però senza urlare: le lacrime erano accompagnate solamente da qualche singhiozzo.
Si strinse a suo padre, bagnandogli la camicia.
L’espressione dell’uomo cambiò, diventando addolorata ed affranta.
Abbracciò suo figlio.
“William… Quando sarai grande, imparerai a sopportare dolori come questi, capirai che la vita finisce per ognuno di noi, dimmi, cosa deve fare, un bravo shinigami? Deve eseguire gli ordini, giusto?”
“Allora è vero! Non l’ho solo sognato, la zia Arianne è morta!!” l’altro rimase in silenzio, serio.
“Sì, Arianne è morta. È morta di una brutta malattia che non sapeva di avere” mentì, sperando che il piccolo se la bevesse.
Improvvisamente, smise di piangere.
Si staccò, fissando T. negli occhi.
“Un giorno mi hai detto che non ci saremmo mai detti bugie” “Sì, e allora?” “Perché adesso mi stai mentendo?” sibilò, rabbioso, mentre un’altra lacrima scivolava sui suoi lineamenti.  
“Padre, te lo si legge in faccia che non è vero! Mi stai prendendo in giro! Credi che io non possa sapere la verità perché sono troppo piccolo!” “Vuoi sapere la verità, William T. Spears?!” tuonò improvvisamente il genitore, zittendolo.

Il ragazzino annuì.

“Zia Arianne è stata uccisa da un demone, per proteggere tutti noi, compreso tu! Domani ti sveglierò per andare al funerale, sulla sedia c’è un completo nuovo: indossalo. Ora dormi” ordinò, imperioso, mentre si voltava.
Quando stava per varcare la porta, udì una vocina sottile chiamarlo.

“Scusa papà” “Dormi, piccolo mio”.      


Wiliam Pov:                                                                                                                                                                    

Anche il cielo stava piangendo.
Poco prima il tempo era incerto, l’azzurro aveva fatto posto al grigio, ma non minacciava pioggia: quando la bara varcò la soglia del cimitero, sorretta da papà, il suo amico dai capelli grigi, un demone strano di nome David e un altro dio della morte, iniziò a gocciolare. Non mi interessava se pioveva, non mi interessava se mi infradiciavo fino alle ossa: la zia era morta, e io, un futuro dio della morte, non potevo farci niente.
Mamma è sempre forte, in precedenti funerali non ha mai pianto, ma oggi è diverso: lei e Arianne erano cresciute insieme.
Iniziai ad avvertire l’acqua che mi scivolava sul viso…

O forse erano lacrime?

Volevo essere forte, ma non riuscivo a trattenermi: ero straziato, distrutto.

La verità faceva male, e tanto.

Alzai lo sguardo, scostandomi le ciocche fradice dagli occhi e dalla fronte, scacciandole indietro.
Vidi una bambina che piangeva disperata, i suoi capelli castano rossiccio talmente bagnati da sembrare della mia stessa scura tonalità.
Doveva essere la figlia della zia: strano, non l’avevo mai vista, ma lei, di sicuro, stava molto peggio di me.
Le era morta la mamma, poverina.
Perché, la gente deve soffrire così? È ingiusto.
Ancora un volta, i ricordi tornarono a fluire, facendomi scoppiare come un palloncino.
Pestai un piede a terra, stringendo i pugni fino a che le unghie non mi si conficcarono nella carne.
Continuarono a lacerarmi la pelle, disegnando complicati disegni con il sangue.
Alzai ancora lo sguardo da terra, respirando affannosamente, come se avessi appena finito di fare cento metri di corsa in salita.
Mi ero discostato dai miei parenti, non volevo vederli continuamente piangere.
Mamma Isabel era accanto ad una donna molto giovane, più di lei sicuramente.
Aveva i capelli bianchi e lisci fino alle spalle, gli occhi blu e lo sguardo vitreo.
Quando i quattro deposero la bara su un tavolino di marmo, per osservarla un’ultima volta, una lacrima le rigò il volto, e i suoi occhi di mare si incendiarono di odio.
La bambina di poco fa si attaccò alla bara, in pianto, disperata.
L’uomo dai capelli grigi le si avvicinò, mormorandole qualcosa all’orecchio.

“Ma sì, il becchino è suo padre! Povera cara, da sola con quello! Se Arianne non lo avesse sposato, forse a quest’ora non sarebbe in quel feretro!” sentii una signora che parlava con una pettegola sua pari, e mi stupii io stesso della rivelazione: quindi la piccola era figlia della zia e dell’amico di papà… Ma quindi, è lui il mio fantomatico izo?
Quando avanzai verso mia madre, ero bianco come un lenzuolo, avevo la mia miglior espressione infuriata e addolorata, tutti mi guardarono.

“Il figlio di Spears! Assomiglia a suo padre!” “Sì, sì! È propri lui! Povero caro, mi fa pena… ” “Avete visto?! È il piccolo William! Il nipote di-” scoccai una rapida occhiata alla gente lì intorno, quando li sentii mormorare: cos’avevo di tanto speciale?

Mi trattavano tutti come se fossi una bestia rara.

La donna dai capelli bianchi mi porse una rosa, e mia madre mi mise una mano sul capo, per poi incamminarsi verso la bara.
Mio padre mi scoccò un’occhiata triste, mentre si girava ad ammirare l’epitaffio in marmo bianco.
Due ragazzi, più grandi di me, si avvicinarono alla giovane con gli occhi blu, che mi stava contemplando.
Il più anziano, con i capelli insolitamente arancioni, l’abbracciò, mentre lei gli accarezzava la testa.
L’altro, più piccolo e con i capelli corvini, si limitò a prendere una rosa bianca, in silenzio, mentre tirava su con il naso.
Rimase ad osservare le spine, poi, in un impeto di rabbia, le strinse, digrignando i denti.
Un tuono lacerò l’aria, e tornò a piovere più forte di prima.
Il cielo stava diventando nero, come se fosse sera.
Quando il ragazzo con i capelli neri aprì il palmo, vidi il sangue scarlatto colare lento dalle spine e dalle piaghe.
Lui lo contemplò, e mi lanciò un’occhiata disinteressata.
Poi sembrò triste, e tornò a fissare il buco nella terra.
Mi fece un cenno impercettibile, ed io mi riscossi, incamminandomi verso la bara.
Lasciai scivolare dalle dita il fiore, che atterrò sulla bara ormai calata.
Il moro la lanciò con grazia, e volteggiò fino a posarsi accanto alla mia
. Mi fissò ancora, con l’ombra di un sorriso sul volto e mi si accostò: era alto alcuni centimetri in più di me.
“La morte… Noi che la comandiamo, che la decretiamo per gli esseri umani, alla fine siamo sue vittime” disse, guardando davanti a sé.
“Mi chiamo Jason, e tu?” “William… Lei… Era mia zia, adottiva” “Tua mamma è quella signora con i capelli neri, vero? È la superiore di mia madre, nonché la sua maestra quando ha fatto l’esame”
“Arianne era una sua collega… Conosce me da non so quanto tempo… Mi dispiace per lei: è stata uccisa da un demone… Quanto li odio, quei cani!” ringhiò, ed improvvisamente mi resi conto di non avere al fianco un dio della morte uguale a me.
Aveva qualcosa di strano, che mi sfuggiva…
Restammo a fissare la bara, sotto la pioggia scrosciante: non ci preoccupavamo di ripararci, la accettavamo con noncuranza.
La gente iniziò a scemare piano a piano, andando a fare le condoglianze.
Sentivo il braccio del ragazzo premere contro il mio.
“Mi dispiace, condoglianze… Tutto inutile, lei non è più qui” mormorò, guardando la gente attorno alla tomba.
Rimasi in silenzio, fino a che il ragazzo dai capelli arancioni non chiamò Jason.
“Andiamo” “D’accordo, Federik” rispose il moro “Spero di re incontrarti, prima o poi” mi voltò le spalle.
“Ciao…” sussurrai.
Lui annuì e si incamminò.
Mi avvicinai alla tomba, osservando la foto della zia.
Era sorridente, una sua consuetudine.
Mio padre mi chiamò: era giunto il momento di andare.
Mandai un bacio ad Arianne, e mi voltai.
Guardai indietro, mentre salivo le scale per uscire dal cimitero: vidi la bambina dai capelli rossicci scrutarmi, stupita.
Ora che non strillava era persino carina.
Rimasi imbambolato a fissarla e lei fece lo stesso, con aria affascinata: mi ricordava tanto la zia.
Mio padre mi chiamò spazientito e corsi verso di lui, senza voltarmi indietro.


William spalancò gli occhi, nella notte: aveva sonnecchiato più o meno per un quarto d’ora.
A quanto pare, veramente aveva conosciuto Arianne, ed era stato anche al suo funerale.
Si toccò una guancia, avvertendo il solco lasciato da una lacrima.
Maledizione, l’aveva fatto di nuovo.
Sospirò, cercando di cedere al sonno, ma non riusciva.

Non era l’unico in quella casa.                      


Bart POV                                                                                                                                                                          

“Quanti anni sono passati, oramai? Quando la signora Isabel è morta, questa magione ha iniziato ad essere vuota e tetra…” mi ritrovo a pensare, adesso, sul balcone della mia stanza, al passato.
È autunno, un periodo malinconico, per me.
Non solo perché è la stagione in cui molti affetti sono morti: tutta quest’atmosfera così innocentemente calma, non succede nulla di eclatante, la natura sembra perire piano a piano, lentamente, come le foglie secche che si staccano dai rami.
Questi colori bellissimi e vivaci, sono in netto contrasto con la quiete e la sonnolenza che si sono create.
La padrona amava passeggiare, ed io avevo il mio bel da fare tutti i giorni: non solo dovevo sellarle sempre ad una specifica ora la giumenta, ma dovevo sprecare tempo e fatica a rastrellare tutte le foglie che continuavano a cascare.
A volte, con la mia immancabile bandana rossa da cow boy americano stretta sul collo, mi fermavo ad osservare il cielo terso con qualche soffice nuvola bianca.
Sbuffavo ogni volta che ritornavo alla realtà, mi asciugavo la fronte e riprendevo a lavorare, a testa china.
All’epoca ero più giovane, e sicuramente meno massiccio di adesso, ma lo stesso un po’ brontolone.
Sapevo distinguere il suono degli zoccoli di ogni cavallo: per me non era un fastidioso rumore, ma un dolce scalpiccio.
Grazie a questo, nessuno poteva mai cogliermi di sorpresa, ed io correvo dai padroni per occuparmi delle cavalcature, stanche dopo la passeggiata.
Sono alle dipendenze di Isabel e Undertaker da quando mi sono congedato.
Incontrai T. Spears per i corridoi del dipartimento: dopo avermi adocchiato, mi propose di entrare a far parte della sua squadra.
Io accettai: non mi piaceva il mio posto di lavoro, ed ogni giorno di più mi trovavo sempre più contrariato e spossato nello svolgere il mio impiego.
Era un uomo straordinario, T., dotato di grande intelligenza e furbizia.
Non sapevo il suo vero nome, mi aveva svelato solo il suo soprannome: Tim.
Il suo nome per completo era: T. W. Spears.

“Ti basti sapere solamente che questo è il modo in cui mi chiamano” mi disse, una volta, “E sarà il modo in cui mi chiamerai… Eppure… Ho la sensazione che tu non ti trovi bene qui, a fare il lavoro per cui siamo destinati… Dico bene?
Hai un grande ingegno nelle riparazioni e nel costruire qualcosa, sei forte, sai come trattare le bestie, le piante: potresti avere un incarico piacevole da qualche altra parte” .

Conobbi Undertaker ed Isabel quando ancora non si accorgevano che si amavano: lui, senza accorgersene, la lusingava e la corteggiava, e lei rispondeva.
Ma a nessuno ho mai detto la verità: ho sempre detto che io sono uno scapolo incallito, ho sempre detto di non avere amato nessuna donna, ho sempre detto che l’amore era una cosa inutile.

Tutte menzogne.

Io sono stato innamorato: io avevo una donna.

Io ho un figlio.

Ero, appunto, alle dipendenze di Tim, quando scoprii che lei era incinta: ero felice, ma anche insicuro e timoroso.
Di una cosa ero sicuro: mi sarei assunto le mie responsabilità a pieno.
Iniziammo a fantasticare sui nostri progetti futuri, decidemmo la data del matrimonio.
Ma il destino non concordava affatto con le nostre prospettive.

“Quando una vita viene creata e nasce, venendo al mondo, un’altra lo abbandona e muore, è un processo naturale. Rammentati sempre una cosa, Bartholomew von Clay: una persona smette di vivere quando viene dimenticata. Ricordati di  lei” quelle parole, pronunciate davanti alla lapide di mia moglie, mi sono rimaste impresse nel cuore.
Eravamo nel camposanto, io avevo in braccio mio figlio, avvolto in coperte bianche, mentre Tim (seppur più giovane di me, era più alto) mi circondava fraternamente le ampie spalle con un braccio.
“Allora, come lo vuoi chiamare?” “Io… Non lo so… A lei piaceva Anton, se fosse stato un maschio” mugugnai.
Lui parve riflettere per un momento, indeciso, poi, sempre guardando in avanti con le labbra piegate all’insù, mi disse “Anton von Clay: suona bene, aveva un buon gusto, Annabel” “Onorerò la sua memoria chiamandolo Anton. Grazie mille, Sempai”
“Ti aiuterò, ma non penso che riuscirai ad allevarlo decentemente, con il lavoro che svolgi. In compenso, credo di avere un’idea su come risolvere la questione: devo parlarne con Undertaker… Allora: vogliamo andare a battezzarlo?” annuii, seguendolo.
Gli sarei sempre stato riconoscente: lui per i suoi sottoposti faceva e avrebbe fatto di tutto.
Mio figlio nacque grazie al sacrificio della mia amata, che morì dandolo alla luce.
“Io proteggo chi sta sotto di me, e chi sta sopra di me protegge chi sta sotto di esso: noi miseri shinigami dovremmo riuscire almeno a fare questo*” ancora una volta, la brillantezza di quel giovane supervisore, avrebbe segnato l’inizio di un mio obbiettivo.
Il piccolo aveva i capelli lisci biondo scuro: si vedeva dai tre ciuffi che aveva in testa.
Gli occhietti erano grandi e dorati, come quelli di un lupo.
“Avanti, porgimelo” miordinò Arianne.
Io, titubante, le diedi il fagotto che lei imbracciò senza problemi, iniziando a cullarlo, mentre Isabel, da sopra una spalla commentava le caratteristiche fisiche di mio figlio.
Non durò molto, la sua solita compostezza: si sciolse nello stesso istante in cui lo fece l’amica, e tutte e due iniziarono a fare facce buffe  e strani balletti, coccolando il piccolo in tutti i modi.
Tim, seduto sopra una scrivania sorrideva pacato, mentre Undertaker, seduto su una sedia guardava Arianne con una strana espressione, piuttosto… Ehm… Stranita  e leggermente preoccupata.
Si schiarì la voce ”Ho bisogno di un uomo di fiducia nella mia magione: sono solo, e non ho nessun servo con il quale ho un rapporto stretto. Nessuno è in grado di badare decentemente alle cavalcature, al giardino, alle riparazioni.
Mi serve un uomo d’ingegno ed arguto che mi stia al fianco, che mi giuri fedeltà” puntò i suoi occhi ambrati nei miei, incutendomi un certo timoroso rispetto.
Il mio superiore dagli occhi verdi mi lanciò un’occhiata cospiratrice, ed io accettai.
Con un gesto lento, mi sfilai gli occhiali.
Li rimirai per un momento, mentre sentivo lo sguardo di tutti puntato addosso: davanti agli occhi mi passò tutta la vita, quei graffi sulle asticelle rappresentavano le mie avventure.
Stesi le braccia molto lentamente, e T. W. Spears, ora in piedi di fronte a me, serio ma rilassato, con le braccia incrociate, aspettava.
“Sei sicuro?” “Sì, Sempai” “Bene…” abbassò lo sguardo e per una frazione di secondo sembrò triste.
Mi tolsi la giacca, mi allentai la cravatta e richiamai la mia Death Schyte.
La posai sopra il mucchio di indumenti e la porsi al mio superiore, che li prese.
Vedevo un po’ sfuocato, e inizialmente non capii quello che T. stava facendo.
Appoggiò il caricò sulla scrivania dietro di lui e scattò in avanti, premendo una mano suoi miei occhi mentre io gridavo per la sorpresa.
Sentivo male, a ebbi l’impulso di levarmelo di dosso. Lui mi serrò in una strana presa, mentre tentavo di stritolargli il braccio.
Quando si staccò, mi sorpresi: vedevo benissimo.
“Sei congedato, shinigami” “Grazie…” “Aspetta Tim” lo interruppe Undertaker “QUESTA… Senza questa come fa ad essere la mia guardia del corpo?” “Non potrei…” “Ma lo farai” concluse la discussione il grigio, sorridendo.
L’altro sospirò, bonario “Buona fortuna Bart” mi disse “Sono sicuro che nonostante tutto, sarai un buon padre”.
Stavo rastrellando le foglie in giardino: era autunno, ed ultimamente avevo molto lavoro da fare.
Arianne veniva alla “reggia”, come la chiamavo io, molto spesso, e non perdeva occasione per coccolare mio figlio.
Anton era forte e di ottima costituzione, dimostrava sei anni ed era già molto caparbio e pragmatico.
Era sagace e brillante, stava delle ore ad osservare il mio lavoro, ma passava tanto tempo a leggere.
Prendeva un libro e si arrampicava su qualche albero, restandovi per ore. Quotidianamente, ad un orario preciso, esercitava i muscoli, affermando di volere diventare forte come me.
“Se è così a quest’età, quando diverrà grandicello, che cosa sarà?” commentava qualche volta Undertaker, mentre lo vedeva studiare da autodidatta la tecnica della scherma e del combattimento.
“Padrone, ascolti, vorrei chiederle un grosso favore” “Dimmi, ma smettila con questa storia del padrone” disse lui, agitando una mano con noncuranza.
“Vorrei… Vorrei che voi insegnaste ad Anton tutto ciò di cui ha bisogno per diventare un bravo shinigami. La prego” dissi, chinandomi, mentre stringevo convulsamente il rastrello.
“Anton von Clay… Avrà tutta l’istruzione che merita, ma solo se si applicherà con interesse e dedizione” “Grazie infinite, Sempai“ “Sì ma prima… Mi devi accompagnare in città, e deve venire anche Anton, dovete trovarvi due abiti decenti”
“Chi viene, questa volta?” chiesi, mentre ammucchiavo le foglie “Non viene nessuno: mi sposo”.
Rimasi fulminato sul posto, spalancando la bocca: già una volta, Tim mi aveva fatto lo stesso scherzo quando mi aveva dato la notizia delle sue nozze, e ora quel maledetto Undertaker, da burlone suo pari lo ripeteva.
Credo che il mio cuore riprese a battere dopo cinque minuti di puro shock.
Anton, che si era appollaiato sul ramo di un albero lì vicino, si buttò giù dalla pianta, atterrando al fianco del padrone.
Undertaker fissò i suoi occhi gialli, che stavano leggermente cambiando, colorandosi un pochino di verde.
Lo squadrò per bene, osservando la sua aria scarmigliata, ed i suoi capelli castano biondiccio/biondo scuro che si erano schiariti molto a furia di restare all’aria aperta.
Qualche graffio da curare, una passata dal parrucchiere, un vestito nuovo… Ma sì, potevano cavarsela tutti e due.
“Bene!” esordì, “Sbrigatevi, andatevi a mettere qualche vestito pulito che andiamo a farci belli, dopotutto domani mi sposo!” “CHE COOOOSA??!! DOMANI?! E LO DITE SOLO ORA??!!” gridammo contemporaneamente io e mio figlio, con la mascella a terra.
“Esattamente! Avanti, sbrigatevi, vi aspetto alla porta d’ingresso” “Sì signore!” rispondemmo, mentre correvamo in casa.

La mia vita andava benissimo… Fino a quando… Uno dopo l’altro, se ne sono andati.
Alfred mi ha portato via quanto di più caro avevo.
Arianne…
Isabel…
Tim…

Anton.

Non so che fine abbia fatto mio figlio.
Non so se è vivo, non so se sta bene, non so se si ricorda di me.
Rimembro ancora quel momento…


“Anton von Clay, mio caro: tu non sai qual è il terribile segreto che tutti ti hanno tenuto nascosto” “Non mi curo di ciò che esce dalla tua bocca! Ho già litigato con il mio vecchio, sono nervoso, perciò non fare storie: arrenditi e non sparare cazzate” rispose rabbioso il giovanotto, dimostrante quindici anni, ma molto altro e robusto per la sua età.
“Sei solo un povero incosciente, se credi di potermi uccidere… Comunque: tuo padre non ti ha detto perché sei vivo?” lo vidi arricciare le sopracciglia “Ho detto che non voglio sentire cacchiate!”
“Anton! Scappa!” “TU! Che cosa ci fai qui padre?! Questo bastardo ha ucciso zia Arianne, zia Isabel, Jacob e…” digrignò i denti, ringhiando come un demone “… E ZIO TIM! IO QUESTA NON GLIELA CONCEDO!”
“Smettila di dire cavolate! Pensi che Tim sia d’accordo con il tuo comportamento? Non onorerai la sua memoria spargendo altro sangue! TU NON PUOI UCCIDERLO! PERCHE' NON MI ASCOLTI?!”
“Anton! Sai perché tu sei vivo? Perché tua madre è morta dandoti alla luce! Dovevi morire TU al suo posto, ma quell’egoista di tuo padre non ha voluto, condannando sua moglie alla morte!".
Anton si voltò verso di me, guardandomi con gli occhi grandi e smarriti come quelli di un cucciolo.
“Dimmi che non è vero…” sussurrò, con voce strozzata.
“NO! NON ASCOLTARLO! È LUI IL PRIMO ASSASSINO QUI! TUA MADRE… LEI NON LO SAPEVA ANTON! NON SAPEVA CHE SAREBBE MORTA! TI PREGO: DAMMI RETTA!” “Troppo tardi!” esclamò Alfred.
Una lancia si conficcò nel fianco del mio ragazzo, che crollò in ginocchio, tossendo sangue.
“Anton!” “No padre, lascia” disse, allontanandomi, mentre si estraeva l’arma.
“Non ha calcolato il rapporto peso/forza quando l’ha scagliata: male, non mi ha penetrato di molto” disse, con gli occhi bassi.
Poi mi fissò in faccia.
“Mi dispiace” si lanciò contro Alfred.
Prima che i due potessero entrare in contatto, uno scoppio di polvere azzurra e bianca mi impedì di vedere cosa fosse successo.
In mezzo a tutto quel fumo, mi sembrò di vedere l’ultima persona che mi sarei immaginato.
Tim W. Spears che mi sorrideva, afferrando Anton per la bandana americana, rossa, un tempo mia, che gli avevo regalato.


Da allora, non ho mai più visto mio figlio.
Un altro pezzo del mio cuore se ne era andato.
Iniziai ad invecchiare precocemente, a sentire il peso del lavoro che avevo fatto in tutti quegli anni.
Dimostro molti più anni di quelli che ho grazie alla perdita della mia famiglia.
Mi restò solo Jane: a lei ho trasmesso il mio sapere.
Forse è meglio che io rientri: fa freddo, non mi posso ammalare.

Domani porterò un mazzo di rose bianche alla tomba della signora: erano i fiori preferiti di Anton. 



*  Per chi non lo sapesse, questa frase appartiene a Maes Hughes, un personaggio di Fullmetal Alchemist, manga e anime a cui sono per altro molto affezionata 

 

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Capitolo 22
*** I ricordi di un tempo lontano, strani incontri e riflessioni ***


Un grazie a chi legge, un grazie a chi segue "Ci sono anch'io", un grazie a chi supporta la storia (e l'autrice) recensendo le mie parole: siete i migliori.






Undertaker era seduto su di una panchina nel suo giardino, in piena notte, vicino ad un albero.
Una figura gli si avvicinò, senza fare rumore.
“Quanti ricordi… Dimostravo quindici anni, l’ultima volta che sono stato qui… Che nostalgia” “Finalmente sei ritornato… Perché? Per vendetta?” chiese il becchino, con una risata isterica.
“Vendetta… Mi piacerebbe molto, ma va contro i principi di chi mi ha salvato. Non posso farlo, ma in compenso ho intenzione di riaggregarmi alla congrega” “Ihihi, e con lui come vuoi metterla?”
“Credo che se mi ripresentassi al vecchio senza alcun preavviso, morirebbe sul posto: il cuore cederebbe” “Per ora limitati ad osservare, poi vedremo quello che sai fare” “Ah, fidati. Ne ho imparate di cose in tutti questi anni...”
“Quello scellerato ti ha salvato… Chi ti ha addestrato?” “I maestri dell’aldilà, sono vissuto fra loro… Ma dimmi: il mio bel destriero c’è ancora? Mi manca, il mio cavallo” 
“Non ti preoccupare, è ancora in buono stato, ma non accetta nessuno: morde se ti avvicini. Quindi… Sei diventato… Il lupo…” “A presto, Undertaker”.

Si volatilizzò nella boscaglia, così com'era venuto. “A presto, giovane uomo… Ihih e pensare che… Eri poco più di un bambino… Solamente poco tempo in più di William” mormorò il becchino, osservando il punto dove poco prima c’era il misterioso uomo.

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Il sole iniziò a filtrare fra le tende bianche della stanza, illuminando il fagotto di coperte blu dentro le quali c’era il supervisore del dipartimento invio dei della morte.
Improvvisamente, l’aria gelida della stanza lo riscosse dal torpore e si alzò di scatto.
David lo guardava sorridendo.
“Non ti svegliavi con le buone” disse, ridendo, mentre appoggiava il lembo del piumino che aveva brutalmente strappato a William.
Inizialmente lo shinigami faticò a riconoscerlo: non aveva più la barba, solo un paio di baffetti che facevano capolino sopra le labbra.
“Ti aspetta un gran giorno, avanti: vestiti, si comincia subito dopo colazione… Sarò nei paraggi”.
Will osservò la piaga che sfigurava il bel volto dell’uomo.
“Oh, ti riferisci a questi?” esclamò David, vedendo che il ragazzo era particolarmente interessato ai suoi tre sfregi (come quelli di Shank il rosso nda).
“Dettagli, in missione ti succedono queste cose, ogni tanto… niente di preoccupante, guarirò” disse, sfoderando quel sorriso di demone, che molte persone in quella strana banda di “eroi” avevano.
Lo shinigami fece una smorfia, ma non parlò: non poteva tradirsi, anche se moriva dalla voglia di dire: “Ehi, non dire cavolate, te li ha fatti tuo nipote quei bei disegnini, mentre tu e il necroforo gli facevate una specie di esorcismo!”.
Si alzò, andando a prendere la camicia.
“Non ti conviene William, prendi una tuta da ginnastica, te lo consiglio…” disse David, prima di imboccare le scale.


Dolore.

Caldo.

Sudore. 



Il mondo di William T. Spears si era ridotto a questo da più o meno… Da molto tempo, ecco.  
Aveva preso un sacco di botte.
Aveva corso nel bosco e nei rovi.
Si era inerpicato per una montagna irta di rocce.
Ora era lì, naso a terra, nella polvere, a fare flessioni su un dito.

“Bene, per ora può bastare” un colpo sulla schiena lo fece cedere del tutto.
Cadde riverso sul terreno polveroso, mentre la terra gli si appiccicava in faccia appena entrava in contatto con il sudore.

“Riprenderemo l’allenamento sul tardi, circa… Alle otto e mezza, per adesso sei libero: vai a farti la doccia, non profumi di rose ihihih”.

“Grrr… Malefico, sadico becchino dei miei stivali” pensò Will, intanto che riprendeva fiato.

Si sentì sollevare per le spalle.
“Avanti amico, non è ora di dormire” socchiuse gli occhi per poi spalancarli, trovandosi davanti la faccia insolitamente sorridente di Jason.

Non era il suo solito viso, ombroso e vagamente truce: sembrava un ragazzo qualunque, con la faccia pulita e la spensieratezza dei suoi anni.

“Ti ho portato qualcosa da bere, ho aspettato che il beccamorto se ne andasse” disse, ridacchiando.
“Grazie, effettivamente avrei bisogno di bagnarmi le labbra” disse lo shinigami, tossicchiando.
“E siamo ancora all’inizio! Domani combatterai con me, fidati: non esigo la perfezione, ma solo un po’ d’impegno. Diciamo che sarò leggermente meno rigido con te” “Quel pazzoide ha finito di trucidarti?”
“Direi di sì, per ora, David” “Credo di doverti sciacquare qualche graffio: nel combattimento di prima avete usato anche le falci, giusto? Sentivo l’eco della battaglia anche in mezzo al bosco” disse l’uomo, passandosi le dita sui corti baffetti che si era fatto crescere, mentre posava a terra la valigetta del pronto intervento.
Finito di disinfettare tutto, i due mori si sedettero ai lati di Will, ed iniziarono a bere il tè che Blaik aveva portato.
In silenzio, guardavano il panorama oltre le colline, persi nei propri pensieri.
Spears osservò l’espressione serena dei due mezzosangue: erano identiche, stesso sorriso, stesso sguardo.

“Eh, avrei intenzione di tagliarmi un po’ i capelli, secondo voi faccio bene?” chiese tutt’ad un tratto David, mentre attorcigliava un tirabaci con l’indice.

“Boh, fai quello che vuoi… Forse non sembreresti un vecchio montone cotonato” “Ehi ragazzo, portami rispetto o questo vecchio montone cotonato te la fa pagare, e anche salata!” disse l’uomo, mentre lo bloccava, sfregandogli energicamente il pugno sulla testa.

“Ahia vecchio caprone!”  disse il giovane,  massaggiandosi il capo.

“Inizia a correre sbarbatello!” esclamò David, mentre si alzava di scatto, con la valigetta del pronto soccorso ancora in mano.
“Aspetta David!” gridò Will, mentre il demone stava per correre dietro al nipote che, furbescamente, se l’era svignata.
“Dimmi! Veloce, però” “Qual è il tuo cognome?!” l’altro parve incupirsi, abbassando lo sguardo.
“Jones, mi chiamo David Jones”  disse, prima di catapultarsi verso Jason.
Il ragazzo dagli occhi smeraldini sospirò, troppo stanco per alzarsi in piedi.
Aveva circa tre ore per riposarsi, mangiare e tornare al lavoro.
Quel maledetto aveva deciso di vendicarsi nel migliore (o peggiore, dipende dai punti di vista) dei modi.
Chiuse gli occhi, tentando di riordinare i pensieri: era da un po’ che non stava più solo, facendo il punto della situazione…

“Ho solo bisogno di sapere il duo nome, Jane: per il resto cercherò di collegare il tuto da solo, ti prego” “Non posso farlo” “Ti prego” “Va bene William, ma poi non chiedermi più niente”

“E invece, di cose gliene ho chieste tante altre, e lei mi ha detto sempre tutto, o quasi” pensò il dio, appoggiandosi mollemente al tronco dietro la sua schiena.

Lui era l’ultimo della sua famiglia, colui che possiede i poteri per sconfiggere Alfred.

C’era una maledizione sospetta, che, chissà per quale regola, diceva che la persona che si fosse innamorata di lui sarebbe morta.
Suo padre, sua madre, Jacob Michaelis, Undertaker e Arianne, David, Hylda e perfino Bart, anche se da dietro le quinte, avevano già tentato di uccidere il demone, senza riuscirci, anzi: era stato lui ad uccidere i suoi genitori, più la madre di Jane e il padre di Sebastian.

Lui era vivo, non si sa perché, non ricordava nulla del passato, aveva strani incubi che non sapeva interpretare.

Già, le visioni…

Da quanto tempo non ne aveva più?

E ancora, PERCHÉ LE AVEVA?

Passando oltre: David a quanto pare è lo zio di Jason, ma, anche se è il fratello illegittimo di suo padre, non porta lo stesso cognome, ma si chiama David Jones.
Hylda, è una parente (non si sa di che grado) di Federik, che le assomiglia molto…
Federik e Jason sono due incroci dello stesso tipo…
Storia piuttosto contorta, non c’è che dire.
Un piccolo dettaglio, una insignificante particolarità gli sfuggiva: ma quale?
Era sicuro, che se avesse avuto qualche elemento in più, avrebbe fatto luce sulle ombre che, perennemente, gravavano sulle loro sorti.
Una sola, strana sensazione gli ronzava per la testa e gli dava un pesante senso di morte: qualcuno di loro, non sarebbe arrivato vivo fino alla fine dell’avventura.
“È tutto così contorto, perché le cose non devono mai essere facili, almeno per una singolissima volta potrebbe esserci un’eccezione! Peggio di essere in ufficio…” sospirò, incrociando le braccia dietro la testa mentre chiudeva gli occhi.
L’arietta fresca gli accarezzava il viso, il sole lo scaldava: avrebbe voluto stare così per sempre.
Un leggero fruscio lo fece scattare, e, in men che non si dica, si era ritrovato in piedi: aveva tutti i sensi molto sviluppati, che attutivano la penalità della vista.
Rimase immobile, prima guardandosi intorno con la coda dell’occhio.
Girò intorno al tronco, osservando il bosco: non c’era niente di strano, per il momento.
Udì il suono di un rametto che si spezzava, e si irrigidì, evocando la sua falce. Si sistemò gli occhiali ed assottigliò lo sguardo: niente di niente, solo lo sbattere d’ali di qualche uccello.
Si incamminò per il bosco che aveva sempre conosciuto, che aveva imparato a conoscere palmo per palmo.
Avanzò guardingo, fino a che non imboccò uno strano sentiero, che lo condusse in una strana radura che non ricordava: un piccolo torrentello scorreva nel terreno verso il fiume molto più in là, un laghetto contornato di giunchi ed erba verde e fresca risplendeva cristallino, mosso appena da una piccola cascata che scendeva dalla montagna.
Improvvisamente, vide un cavallo dal pelo rossiccio con la criniera e la coda bionda brucare tranquillo.
Aveva una lista e quattro balzane bianche, che risaltavano sul manto fulvo. Appena lo sentì, alzò di scatto la testa, masticando nervoso.
Quando si accorse di lui, gli nitrì contro, incenerendolo con lo sguardo e assumendo un atteggiamento piuttosto aggressivo(almeno apparentemente).
William mosse qualche passo nella sua direzione, posizionandosi a meno di dieci metri da lui, che pestò lo zoccolo a terra più volte e sempre con più stizza.
Lo shinigami si chinò, richiamando la falce, e lo fissò negli occhi bruni, tentando di leggergli nel pensiero.
Non vedeva molto: solo un profondo rancore, frustrazione, delusione e tanta, tanta tristezza, mutata in violenza.
“Che ti succede?” domandò, sempre guardandolo: adorava poter comunicare con gli animali.
“Non sono affari tuoi!” gli rispose, iniziando a girare in tondo, picchiando a terra le zampe, minaccioso. 
“Può darsi che io sappia come curarti, amico. Avanti, parla: di dove sei, cos’hai?” lui masticò nervosamente dell’erba, fissandolo truce. Poi parve calmarsi un pochino.
“Sono scappato dalla scuderia dello shinigami Undertaker per galoppare fin qui, dove posso mangiare in pace cibo fresco… Non ho più un padrone: mi ha abbandonato.
Non ho più voluto nessuno, hanno tentato in tutti i modi di domarmi ma non ce l’hanno fatta: io mordo chiunque mi costringa. Il padroncino mi ha abbandonato poco dopo avermi giurato di restarmi al fianco: mi ha tradito e non si è fatto più vedere.
Lo odio: non è diverso dalla gente che, dopo aver fatto si che io venissi al mondo, mi hanno maltrattato finché non sono riuscito a scappare. Il becchino ed i suoi mi hanno salvato… Per poi abbandonarmi”. 

Will corrugò le sopracciglia: di chi potesse mai essere quello stallone?
Non lo aveva mai visto.

“Chi era il tuo padrone?” “Uno shinigami, un ragazzo. Allora molto più giovane di te, straniero” “Sai dirmi com’era? Era un servo, per caso?”
“Era alto, bello. Gli occhi strani, gialli, ma velati di verde. I capelli castano biondiccio. Andava sempre in giro con una strana bandana rossa, con dei motivi neri… Non si faceva vedere da nessuno”
“Voi siete davvero forti: potete vedere anche i colori… Strano: io sono cresciuto lì, ma non ricordo nessuno che corrisponde-” “Mi stai dando del bugiardo?” “No” “Credimi dio, io non sbaglio mai: ho una bella memoria.
Sì, era un servo piuttosto strano: non lavorava tanto come gli altri, ma si dava da fare nel portare carichi pesanti, nel lavorare in giardino, nel riparare… Come un suo famigliare, che svolgeva lo stesso mestiere” “Bartholomew?!” “Sì, quel famigliare si chiamava esattamente così… Aspetta… Ma certo! Il padrone era suo figlio!” “Non è possibile! Non ha mai avuto figli, non si è mai sposato! Si vanta di essere uno scapolo!” il cavallo nitrì rumorosamente, impennando per poi ricadere pesantemente a terra.
“TI DICO CHE E' COSì! E io mi ricordo di te: eri il ragazzino ferito! Il padrone non ti ha mai rivolto la parola, ma ti osservava da lontano! Commentava qualcosa del tipo: assomiglia tanto a… è strano… Pensavo che… Ma non concludeva mai una frase.
È tardi, adesso straniero: devo tornarmene a casa” “Anche io devo andare alla magione, facciamo la strada insieme” “Straniero, camminare con te vuol dire che sei parte del mio branco, e io non ti ho riconosciuto come uno di esso”
“Ti ho aiutato, non voglio entrare nel tuo branco, se non vuoi: ti sto chiedendo solamente di percorrere la via del ritorno con me” “STRANIERO!” improvvisamente il cavallo impennò, nitrendo furioso “Solo perché mi hai detto qualche parola non puoi far parte della mia famiglia!” iniziò a grattare il terreno con lo zoccolo, mettendosi in posizione per caricarlo. William si irrigidì appena, ma subito ritrovò la calma. “STRANIERO! VATTENE! NON MI INTERESSA CHI TU SIA!” iniziò a correre verso di lui. 
“Adesso basta mi stai sfid-” rallentò un secondo, udendo qualcosa e rimanendone sorpreso. Si mise a trottare e quasi si fermò, incredulo. Voltò la testa a destra e a manca, ma non vide nessuno. Rimase spiazzato, poi però cominciò ad avanzare di nuovo verso lo shinigami, ma con più incertezza. Quando iniziò a galoppare di nuovo, un’immensa ombra scura volò sopra di lui ed atterrò di fronte allo stallone rosso, arrestando la sua corsa. Will sospirò, appoggiandosi al tronco di un albero: era salvo.
Joey iniziò a nitrire e scalpitare, inferocito, mentre l’altro arretrò, sorpreso. Lo stallone scuro si impennò, per calmarsi e fissare gli occhi del simile. “Joey” chiamò Spears, mettendosi al suo fianco. Il cavallo si girò, strofinando il muso sui capelli del ragazzo.
“Padrone, io lo conosco… Perché sei qui, fratello di branco?” “Tu… da quanto tempo. Preferiresti restare rinchiuso in un lurido buco oscuro pieno di paglia secca e sporca, o scappare e venire qui? Rispondi Joey! Allora ti ricordi ancora di avere qualcuno, nel tuo branco!” “Alec! Io non ti ho mai dimenticato! Ti hanno separato da noi perché non avevi più un cavaliere! Mordevi chiunque ti si avvicinasse, ti imbizzarrivi!” “Mi hanno tradito! Non faccio più parte della famiglia di nessuno! Il mio padrone… mi ha abbandonato!
Ha lasciato che venissi frustato, che qualcun altro mi montasse!” “Le cose non vanno così, credimi! Ho cercato in lungo ed in largo, ma del tuo padrone… Nessuna traccia. Dev’essere morto: hanno detto così.
È nelle grandi praterie… così mi ha detto Sandia: non ti ha abbandonato! Hanno sbagliato a volerti montare senza dirti nulla, ma tu non devi fare così” l’altro emise un suono poco rassicurante, fissando truce il compagno.
Improvvisamente alzò la testa, drizzando le orecchie. Joey si agitò un po’ sul posto, guardandosi in giro.
“È lui…” Alec guardò i due spettatori e se ne andò via nel bosco galoppando selvaggiamente, mentre seguiva una pista invisibile che nessun’altro avrebbe mai potuto individuare. “Joey…” lui voltò la testa, con due occhi grandi e tristi “Non chiedermi nulla padrone: io non so molto. Sono triste: Alec prima non era così. Mio fratello… Non c’è più da quando il suo padrone è sparito.
In lui ora c’è un grande fuoco, che non accenna a spegnarsi: come una febbre incurabile, che, prima o poi, conduce alle grandi praterie” “Torniamo a casa, sono stanco” poi si fermò, prima di salire in groppa al suo destriero.
“Dimmi, capo” “Andiamo alla tomba di zia Arianne”
“Ho visto dei bellissimi fiori, poco distante da casa: potresti raccoglierli, sono molto più belli di quanto lo siano da qualsiasi fioraio, parola d’intenditore”
“Vado a sciacquarmi e poi cogliamo i fiori: non voglio andare lassù a mani vuote” la bestia annuì, mentre si dirigeva verso la magione. 

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Capitolo 23
*** Uno spiraglio di luce nell’oscurità della menzogna ***





William guardava indecifrabile la lapide marmorea, ricordando il passato, pensando al presente.

Un mazzo di rose bianche, uno di rose rosse ed un altro di gigli candidi, erano state portate in precedenza sulla tomba di una delle persone che aveva contribuito alla sua sopravvivenza.
Si chinò, con la testa bassa, mentre appoggiava il suo mazzo di fiori accanto a quello di gigli chiari: erano i preferiti di sua madre, sapeva che qualcuno li aveva lasciati lì come omaggio da parte dei suoi genitori.
“Io… Sono la causa della vostra morte, della TUA sofferenza. Se solo fossi stato più forte… Più grande… Consapevole… A quest’ora tutto sarebbe diverso.
Per causa mia non hai sofferto solo tu, ma anche i tuoi cari: tua figlia, tuo marito, i tuoi amici… Il resto della tua famiglia” improvvisamente, si sentì il bambino di secoli prima, che piangeva sotto la pioggia.
“Io… Io non volevo, zia. Io non volevo che tutto andasse così! Perché è tutto così ingiusto, contro le regole?!” alzò gli occhi e si mise a fissare la foto che ritraeva la donna sorridente, stringendo nelle mani la terra e l’erba del prato, mentre digrignava i denti, tentando di non piangere.
“Un uomo non piange mai… Ma allora, è veramente tale?!” una voce gli risuonò nelle orecchie.
“È nella natura di ognuno di noi, dimostrare i sentimenti. Sul lavoro fai quello che vuoi, ma sai quante volte fa male tenersi tutto dentro?
Non commettere lo stesso errore di quelli che vogliono fare i duri: non è salutare per nessuno non piangere, è contro la natura stessa. Piangi fin che vuoi, sfogati per tutti questi anni che hai subito inconsapevolmente, cancella il dolore che provi buttandolo fuori dalla tua anima” “Zia… Com’eri saggia” “Come sono saggia, William: una persona smette di vivere quando viene dimenticata, mi sembra proprio che nessuno lo voglia fare qui”.
Improvvisamente, a William sembrò che l’aria prendesse forma, ed avvertì un tocco sul viso simile ad una carezza.
Si riscosse, alzandosi in piedi e spazzolandosi i vestiti.
“Che stupido, mi metto a parlare da solo…” si voltò verso il cavallo al suo fianco e lo vide impaurito.
“Padrone! Lei era qui!” “Ma cosa dici? È stata solo un’effimera impressione” “Sarà… Perché ora è qui? In questo cimitero poco distante dalla magione?
Non è quello principale, queste tombe attorno sono vecchie, nessuno viene a pulirle o adornarle: probabilmente i parenti di questa gente sono morti da un pezzo”
“Appunto per questo: non c’è nessuno che può disturbare il suo sonno… Undertaker non voleva che nessuno venisse ogni cinque minuti a scocciare sua moglie”
“Davvero strano come comportamento…” rimasero in silenzio, contemplando la tomba di Arianne.
“Chissà dov’è la tomba dei miei genitori…?” pensò William.
“Padrone…” fece improvvisamente triste il cavallo.
“Cosa c’è Joey?” Will lo squadrò per bene e si rese conto che, infondo, era ancora molto giovane.

“Dov’è la mia mamma?”.

William si irrigidì, all’improvvisa domanda.
“Perché me lo chiedi?” “Non lo so… Io sono nato in inverno, quando sei nato tu. Andava tutto bene, io crescevo con mia mamma e mio papà, un cavallo bello, forte e dal pelo nero e lucido.
Giocavo con un cucciolo di dio della morte, ti assomigliava tanto, padrone. Una sera… è arrivato un demone… è sbucato dal bosco, ha attaccato, ha appiccato fuoco per tutto il cortile.
Fuoco, fiamme, sangue…
Sono scappato con la mia mamma… Il demone ha ucciso mio papà e la madre del tuo simile con brutalità inaudita… Io sono scappato, la mia mamma mi guidava per la foresta, ma eravamo inseguiti da esseri infernali.
Ci siamo divisi, sono finito sulla sponda di un burrone.
L’ultima cosa che vidi era mia madre che si dibatteva, combattendo contro i nemici, mentre mi vedeva precipitare con il terrore negli occhi.
Quando mi svegliai, cercai di mettermi in piedi, ma ero in equilibrio precario: avevo l’osso di una zampa rotto o qualcosa del genere, ero pieno di lividi, botte.
Girovagai, in cerca di aiuto.
Il bosco era bruciato: l’erba verde si interrompeva lasciando il posto alla cenere ed al grigio del prato incenerito.
I tronchi degli alberi erano neri: mi sfregai per sbaglio contro di essi, persi l’equilibrio e caddi nella povere di legno carbonizzato.
Quando mi alzai, il mio pelo era completamente nero: mi ricordavo mio padre. Alzai gli occhi sul posto in cui ero cresciuto e scappai, non potetti intrattenere quell’impulso: avevo il terrore che tutto si ripetesse.
Cercai mia madre, in lungo e in largo: nessun risultato.
Fu lì che trovai Alec: era leggermente più grande di me, robusto e sano.
Mi chiese se avevo bisogno di aiuto e giunse alla conclusione che sarei stato sicuramente meglio in una stalla, piuttosto che in quel bosco pericoloso.
Arrivammo alla magione di Undertaker, mi curarono.
Lì ti incontrai, e da allora io sappi che eri tu, quello che dovevo servire, me lo sentivo…
Cercai la mia mamma, usai il nostro richiamo… nulla.
Non so se sia morta, ne se sia viva…
Dicono che dopo la morte, andiamo nelle grandi preterie, un posto in cui possiamo trovare la pace…
L’ho detto prima ad Alec, ma non sono d’accordo… Vero padrone?” non udendo risposta, Joey si girò verso il suo cavaliere e sobbalzò.

William ansimava, fissando il terreno con occhi sbarrati, stringendo la terra del cimitero.
Tutte le visioni gli scorsero davanti al volto.
Alzò lo sguardo sul suo cavallo, sconvolto, poi lo posò sulla lapide.
“Non può essere… Tu sei… Il cavallo di quel ragazzino… Puoi far luce sul mistero… O svelare una verità che preferisco non osare immaginare…” mormorò.
“Padrone, stai bene? Dici che io possa avere le soluzioni?” l’altro annuì, fissandolo. “Sai dov’è la vecchia casa bruciata? Mi puoi portare là?” “Certo, è-” improvvisamente, cavallo e cavaliere sentirono un lancinante dolore alla testa.

Joey tentò di muovere le mascelle, di comunicare con il padrone attraverso al pensiero, ma ogni connessione fra le loro menti era stata tagliata.

“Cerca Alec! Mio fratello… Ti può aiutare… Potrei non essere più lo stesso d’ora in poi… Ho parlato troppo”.

William si girò di scatto, vedendo una sagoma nera con una mano protesa verso di loro.
Scattò in piedi, per poi correre contro la misteriosa figura.
Appena essa lo vide, gli voltò le spalle e scappò. L’inseguimento fu breve: Will era stremato a causa del duro allenamento, per cui non riuscì a tenere testa all’uomo oscuro.
Si piegò sulle ginocchia, ansante.
Provò a chiamare Joey, ma non gli rispose: tornò in dietro per vedere cosa fosse successo e vide in lontananza qualcosa che non gli piacque per niente.
Joey scuoteva la testa e la criniera, sgroppava furioso, scalciava come un pazzo: quello non era il suo cavallo, quella era una bestia selvaggia completamente fuori controllo.  
Si avvicinò, provando con un richiamo che usava quando era ragazzo.
L’animale lo fissò, aveva gli occhi leggermente arrossati, uno sguardo cattivo: no, non poteva essere il suo cavallo.
Tese la mano e lui brontolò un avvertimento.
Poi, fulmineo, gli morse la mano e lo trascinò per mezzo metro.
Spears riuscì ad alzarsi, piegato sulle ginocchia.
Afferrò il ciuffo del cavallo e gli impedì di trainarlo ulteriormente, ma lui non voleva sentirne di mollargli la mano, ormai blu, che stava iniziando a sanguinare.
“Mollami Joey! Sono io, non mi riconosci?!” provò a comunicare con lui, ma era come se la mente del giovane stallone fosse isolata.
Gli scappò un grido di dolore ed il cavallo né approfittò per rinsaldare la presa sull’arto e cominciare a galoppare.
Lo shinigami aspettò un colpo che non giunse a destinazione.
Vide il suo cavallo mollarlo e venire travolto da una furia fulva, per poi cadere sul terreno rotolando per qualche metro.
Uno stallone più grande e robusto di lui lo sfidò, impennandosi.
Il dio si prese la mano ferita, fissando incredulo lo stallone rossiccio.
“Alec?” mormorò, incredulo ma sorridente, mentre la bestia piombava su Joey, che aveva tentato di mordergli le zampe.
Lo  morse sul collo e l’atro gli assestò una zoccolata sulla spalla.
Alec arretrò, girandosi di spalle ed iniziando a galoppare: aveva in testa uno schema ben pratico, William lo sentiva.
Joey lo rincorse, furioso ed indignato, proprio quello che l’avversario voleva: quando il primo fu a due metri da lui, frenò di colpo, scalciando con tutta la forza che gli era rimasta, centrando in pieno i pettorali dell’amico, che venne sbalzato all’indietro. Atterrò brutalmente sul prato e non si mosse più: Alec aveva vinto.
Si diresse verso Will, guardandolo negli occhi “Io non dimentico chi mi ha aiutato, per me, non sei più uno straniero William: sei uno del mio branco.
Mio fratello… è impazzito di dolore, non sa più nulla, non ti può più parlare: qualcuno ha annullato la comunicazione fra di voi, per impedirti di venire a conoscenza di qualcosa di sanguinario, orrido ed oscuro. 
Ti aiuterò, sono delle disposizioni che mi ha dato una persona e poi, come ho già detto, non dimentico chi mi ha aiutato: ora tocca a me, guidarti fuori dalle tenebre…” “Cosa gli faranno…?” chiese lo shinigami, accarezzando con la mano buona il muso della sua cavalcatura. “Non lo so… Spero che non decidano di fargli del male… Ora è meglio tornare a casa: devi medicarti e riposare prima di stasera… Ecco, sono arrivati i miei collaboratori” “William! Che è successo?!” sbraitò Jason, accorrendo con Shade e Sandia, che trainavano un carretto. “Jason… Portiamo Joey alla magione, svelto… Ti spiegherò tutto lungo il percorso, andiamo” disse, atono, fissando davanti a sé, con la mano lacera che penzolava inerme.
Blaik non rispose, caricò il cavallo sul carro, mentre Spears si sedeva.
Alec era al suo fianco.
“Sarò io la tua cavalcatura, fratello… Ma non prenderò il posto di Joey, né tu prenderai quello del mio ex padrone… Però mi ispiri fiducia: voglio tentare” disse, senza guardarlo in volto “Vedrai, guarirà: Joey è forte” “Lo so, Alec: non sarebbe degno di me, se non fosse affatto forte e tenace. Avanti, andiamo Jason: voglio riposarmi prima di affrontare il medesimo straordinario” disse lo shinigami, freddo e glaciale, mentre iniziava a raccontare gli avvenimenti del pomeriggio. 

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Capitolo 24
*** Un’altra storia: qual è la verità? ***


Scusate il ritardo, ma d'ora in poi, non posso più garantirvi di riuscire ad aggiornare giornalmente.
Mi scuso in caso i ritardi si protenderanno più a lungo del previsto.
Grazie a chi recensisce e spreca il suo tempo per leggere la fic.
Alois24: questo capitolo è tutto per te, te lo dedico, grazie mille per il sostegno morale!



“Qualcuno ha tagliato la vostra connessione mentale per impedire a Joey di divulgare informazioni proibite, oppure pericolose… Per quanto mi risulta, le soffiate che ha fatto il cavallo, sono troppo forti per essere affrontate adesso: prenditi un po’ di tempo, amico” disse Jason, mentre provvedeva a medicare il suo interlocutore.
“Mi manca pochissimo per svelare il mistero, è come se mancasse una singola mossa, per sciogliere un nodo complicato…” rispose il dio.
“Avrei bisogno di un consiglio di mio padre” aggiunse poi, sussurrando.
A quelle parole, il moro si irrigidì, ed un ombra oscura invase i suoi occhi splendenti.
“Perché?” chiese improvvisamente il supervisore, facendo sobbalzare l’amico, che francò la benda sulla sua mano.
“Perché cosa, William?” “Cos’hai contro tuo padre, cosa è successo? Non sono affari miei, ma è impossibile non notare il tuo comportamento, in questo frangente” Jas si rabbuiò, abbassando la testa.
“Mio padre è un assassino: io sono il risultato di una violenza, sono perennemente oppresso dalla sua presenza, che grava su di me come un’ombra… Sono sempre stato solo, escluso da tutti, il contrario di mio fratello, che non assomiglia per niente a nostro padre. Ha tentato di uccidermi, ha ucciso la persona che amavo … Sono marchiato a vita per colpa sua. Mi ha strappato dalla mia casa, mi ha impedito di crescere: avrei voluto essere come gli altri, avrei voluto vedere i miei genitori invecchiare… Mi sarebbe bastato un padre come si deve…” sibilò, con un rancore infinito, ma anche con una punta di amarezza.
“Puoi fare due cose: continuare a fuggire e a tormentarti, oppure imparare dal tuo passato, affrontando il presente con serenità. Ora non sei più solo, Jason: hai delle persone che ti sostengono, che ti stimano e ti rispettano. Hai tutto quello di cui hai bisogno” “No, non tutto” affermò seccamente l’altro, alzandosi per andare chissà dove.
William rimase in silenzio, con le mani puntate sul tavolo e lo sguardo abbassato.
“Ti va un po’ di tè?” una voce lo fece sobbalzare, facendolo girare di scatto.
David era appoggiato allo stipite della porta, con un’espressione indulgente in volto, la quale aveva un nonsoché di rassegnazione.
William ammutolì, fissandolo leggermente sconcertato: già senza barba era abbastanza irriconoscibile, adesso si era anche tagliato i capelli!
A testimoniare l’esistenza passata dei suoi riccioli, c’erano mille onde corvine, come se la sua testa fosse un mare d’inchiostro in tempesta.
Era un'acconciatura molto inquietante e facsinosa.
Il mezzo demone rise sommessamente, passandosi una mano fra la capigliatura ondulata.
“Oh, all’inizio fa sempre questo effetto: eri così abituato a vedere un vecchio caprone con il pizzo e una foresta in testa, che vedermi mezzo pelato ti ha completamente scioccato”.
L’ombra di un sorriso passò sul volto del più giovane per una frazione di secondo, per poi lasciare la scena ad un’espressione un pochettino affranta.
“Che ti succede supervisore?” “Vorrei sapere chi sono in realtà, cosa mi è successo: è un chiodo fisso. Stavo per scoprire qualcosa che avrebbe fatto luce sull’intera faccenda, e qualcuno ha tagliato tutte le connessioni fra me ed il mio informatore” l’espressione del più vecchio s’addolcì, e si sedette si fronte a lui, reggendo in mano due tazze fumanti.
Spears lo guardò contrariato.
“Sì, lo so che ti dà fastidio vedere qualcuno manifestare potere da demoni, ma il tempo stringe, ti conviene dormire un po’” disse David, fissandolo con i suoi occhi mutevoli.
In quel momento erano blu oltremare.
“Jason non ha avuto un’infanzia rosea, come tutti in questa congrega, io compreso. Voglio molto bene a quel ragazzo”  “È tuo nipote”.
L’altro si stupì leggermente, ma poi sorrise, socchiudendo gli occhi “Sì, hai ragione, ma evito di indagare su chi te l’abbia detto” “Nella foga del discorso ha detto di avere un fratello, chi è?” “Non gli somigliava per niente… Mio nipote maggiore è scomparso, non so che fine abbia fatto: si è ribellato a suo padre ed è scappato. Vuoi che ti racconti di me?” “Mi farebbe piacere”.

“Bene, preparati ad ascoltare la mia storia: sarò breve.
Sono nato in primavera, una settimana prima di mio fratello, che mi assomiglia molto. Anzi, forse dovrei dire fratellastro, visto che abbiamo solo il padre in comune: mia madre era umana, e fu la prima donna di mio padre. Si separarono affinché lei non corresse pericoli, però subito dopo, il demone si innamorò di una sua simile. La donna che mi mise al mondo, invece, morì di parto.
Nascemmo quando la primavere iniziava ad insidiarsi nel gelido dominio invernale, eravamo molto simili, ma io ero diverso: avevo gli occhi blu oltremare, per il resto sembravo “normale”, per fortuna. Appena sprigionavo la mia aura demoniaca, i miei occhi cambiavano istantaneamente colore. Ero serio, ma anche sarcastico e disponibile. Mio fratello aveva un’espressione perennemente scontrosa, quasi truce, accentuata da perenni ombre sotto gli occhi, tutto in netto contrasto con il carattere. I nostri genitori erano sì demoni, ma un po’ diversi dalla norma: non sembravano così crudeli e spietati, e noi non venimmo educati alla perfidia. Poi, un giorno d’autunno…” si interruppe, mentre le fiamme nei suoi occhi scarlatti prendevano a danzare, indemoniate.
“…Dei nemici della nostra famiglia ci attaccarono: appiccarono fuoco alla nostra casa, entrarono di gran carriera armati fino ai denti. Mia madre mi buttò in una porta segreta, e mi trovai in un buco oscuro. Dallo spioncino nella parete vidi il suo assassinio. Prima che morisse, però, ella riuscì, con l’aiuto di mio padre, a spingere mio fratello in un varco dimensionale. Da allora, non lo vidi più. Prima che mi scoprissero, scappai nel corridoio alle mie spalle di cui avevo ignorato l’esistenza, lasciando dietro di me una scia di sangue ed i cadaveri dei miei genitori. Il corridoio mi portò in una caverna ma avevo troppa paura di essere braccato, così corsi ancora per non so quanto tempo. Arrivai sul limitar del bosco, udii qualcuno gridare alle mie spalle e temetti che mi stessero inseguendo ancora. Diluviava, il terreno era scivoloso, il fango ovunque: ero a piedi nudi, tutti tagliati e sanguinanti. Arrivai sul bordo di un burrone, ed il terreno sotto i miei piedi franò. Caddi e rotolai per il pendio, pensando che non sarebbe mai finita, quella caduta. Svenni, non so per quanto tempo. Qualcuno mi fece rinsavire per pochissimo tempo, giusto per scorgere il volto del mio salvatore: era un ragazzo, più o meno della mia età. Mi disse qualcosa, ed io risposi nel delirio. Scosse la testa e mi sollevò, caricandomi in spalla, per poi correre nella boscaglia, veloce ed agile sulle rocce nere e taglienti come uno stambecco in montagna. Poi venni meno nuovamente. Mi svegliai medicato in un letto: il mio salvatore era niente di meno che Jacob Michaelis. Suo padre decise di tenermi, aveva notato delle particolari abilità in me. Crebbi con suo figlio, che diventò per me come un fratello. D’altro canto, io divenni un membro ufficiale della famiglia, mi adottarono. Sono sempre stato al fianco di Jacob, anche quando incontrò la ragazza ostinata che sarebbe diventata, in futuro, sua moglie. D’improvviso, un giorno…
” chiuse gli occhi, ricordando il passato, narrando la fine della sua storia.

“Ehi, Dave: secondo te quei quattrocchi ci stanno ancora alle costole?” “Non so Jaco, non riesco a sentirli, penso che non siano molto lontani…” “Si mimetizzano peggio dei camaleonti…” “Strano, c’è qualcosa che non torna… E' tutto troppo calmo, gli uccelli non cinguettano: siamo nella dimensione umana, ricordatelo” “Eh, che rottura... AH!” una freccia lo graffiò ad un braccio, facendolo sobbalzare.
Sul tetto alle loro spalle, due shinigami li stavano osservando: uno di loro impugnava un arco, teso verso di loro.
“Maledetti, sempre alle spalle!” “Siete voi che attaccate sempre alle spalle, infidi disonorati” disse un bel ragazzo moro, mentre impugnava una daga argentata.
“Ah, ha parlato il santarello!” rispose David, mentre i suoi canini si allungavano.
“Preparati a morire” ringhiò il ragazzo, facendo un cenno all’impassibile arciere al suo fianco.
Aveva i capelli di media lunghezza, viola e mossi: due occhi giallo ambra.
“Occupati di quello spilungone sfrangiato, io penso a quest’altro” mormorò, saltando fulmineo dal tetto.
“Jaco, occupati dell’arciere” l’altro annuì, lanciandosi verso l’edificio.
David parò un affondo con i bracciali neri che indossava sull’avambraccio, contrattaccando con una spada sottile (simile ad un fioretto, ma con la lama più spessa a doppio taglio) d’ossidiana, con il manico d’osso ed avorio.
I due danzavano, senza deconcentrarsi o perdere un colpo.
D’improvviso entrambi si ferirono sulla guancia sinistra, disegnando una retta rossa sulla carne pallida, mentre le armi cadevano lontane.
Iniziarono a lottare a mani nude, finche non caddero a terra.
Si trovarono uno sopra all’altro: lo shinigami era inchiodato a terra e David era a pochi centimetri dal suo viso.
Improvvisamente perse tutte le forze, sgranò gli occhi, incredulo, spalancando la bocca.
Il dio della morte continuò a spingere per liberarsi, fino a che non guardò il suo avversario negli occhi, ora di un blu oltremare.
Rimase anch’esso con la stessa identica espressione.
Dave si alzò in ginocchio, permettendo all’altro giovane di imitarlo.
“Al…?” “David… Sei proprio tu? Ma com’è possibile…?” dopo un attimo di smarrimento, i due iniziarono a ridacchiare nervosamente, fissandosi, per poi esplodere completamente in una fragorosa risata, accompagnata da lacrime di gioia.
Si abbracciarono, fortissimo, mentre i due “colleghi”, che stavano lottando, si fermarono, uno che stringeva la maglia dell’altro, mentre si scambiavano uno sguardo alquanto perplesso.
“Sei vivo! Sei vivo! Come stai fratello?!” Al si portò una mano alla testa, corrugando la fronte.
“Fratello… Perché lotti con i demoni?” “Come perché? Io sono un demone… Per più di metà” “Ma… E' sbagliato, io sono uno shinigami… Bè, sono un demone shinigami…” “Ma che stai dicendo? Tu sei un demone” “NON E' VERO! I DEMONI SONO CRUDELI, E IO NON MI COMPORTO COME LORO!” “Al… Tu sei stato cambiato, i nostri genitori l’hanno fatto per salvarti: sei un dono, ti hanno salvato affinché non crescessi come gli assassini che hanno tentato di ucciderci”
“Ma tu…” “Io sono stato cresciuto come un demone ma non sono come loro, fratello. Ma che importa ora? Tu sei vivo, sei sano e salvo!” lo abbracciò, sorridente. J
aco e l’altro shinigami non capivano affatto quello che si stavano dicendo, e decisero, di comune accordo, di sfidarsi un’altra volta.
Concordato ciò, si allontanarono.
Il dio dai capelli viola fischiò “Io me ne vado… Ti sta arrivando compagnia Al!” gli urlò, facendogli l’occhiolino.
L’altro sorrise, diventando, per pochissimo, vagamente roseo “D’accordo, a dopo Robin!”.
Jacob si avvicinò a David, squadrando il “cacciatore” dall’alto in basso.
“Io torno a casa: fatti vivo, il vecchio voleva che facessimo qualche riparazione al tetto” corse via, scomparendo nel bosco lì a fianco.
“C’è qualcosa che non so, fratellino?” domandò vagamente divertito Dave, osservando il volto giovane ed imporporato dell’altro.
“AL! BRUTTO INCAPACE CHE STAI FACENDO?! ALLONTANATI E' UN DEMONE PERICOLOSO!” una voce femminile lo apostrofò, ed una figura con i capelli bianchi fino alla base del collo si eresse sul tetto dell’edificio lì vicino, per poi atterrare al fianco del falso shinigami.
David rimase stupido nel vedere la ragazza e ritrovarsi una lancia puntata al collo.
“Ehi aspetta, ma che fai Hylda? Lui è mio fratello, David” lei abbassò la falce, scrutando negli occhi blu del demone, per trovare qualcosa di criminoso.
Dave era rimasto stupito dalla bellezza di quella donna.
“Ma tu sei mezzo umano…” “Piacere” disse il mezzosangue, sorridente.
"Sì, sono sicura: tua madre è umana… Si chiamava Evelyn Blaik, ho visto la sua scheda”.
Al si schiarì la voce “Bene, lei è la mia… Collega, siamo compagni di classe… Ho così tante cose da raccontarti, ma se i superiori ci scoprono, ti faranno fuori!”
“Eheh, abbiamo tutto il tempo del mondo, adesso. È meglio che rincasi, ci troveremo domani, qui, quando finisci il turno”.


“Che fine ha fatto ora, tuo fratello?” chiese Will.
L’altro si rabbuiò, improvvisamente ombroso “Mio fratello è morto, molto tempo fa. Si chiamava…” fece una pausa, strizzando gli occhi “... Alphonse, era il padre di Jason e suo fratello… Federico” si alzò “Riposati e mangia, dopodiché, inizierà… L’allenamento notturno” William alzò lo sguardo sulla tavola improvvisamente imbandita e sgranò gli occhi, mentre David, o “Dave”, era scomparso oltre la soglia della cucina. 







Ringrazio mio fratello per essere nato con i capelli a "onda di mare" come quelli di David: dedico il mio personaggio a te.

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Capitolo 25
*** Lasciala vivere… Torna ad esistere ***


Ringrazio i recensori e i lettori. 
Alla prossima.

AVVISO: ad un certo punto del capitolo, inserirò il link di una colonna sonora. Vi consiglio di averla come sottofondo mentre leggete la scena sottostante il link.




“Alphonse… Se solo avessi sottomano l’archivio del reparto, potrei scoprire l’identità del fratello di David… Jason e Federico: che strani nomi, uno in inglese, l’altro in italiano… C’è qualcosa che non quadra, ci sono troppe coincidenze: ognuno mi racconta la sua storia, ed ogni volta, tutte si assomigliano, come se fosse la stessa, o come se fossero tutte inventate…  Un piano collettivo per mandarmi fuori di testa… Mio padre muore dalla voglia di dire la verità, Undertaker morirebbe se invece io la scoprissi: non c’è nessuno di cui io possa fidarmi ciecamente, che mi può dare delle informazioni certe… Ahhh è tutto così contorto!”.

Il cervello di William si stava arrovellando su questi pensieri, quando la porta della sua stanza si aprì, facendo entrare uno spiraglio di luce nella penombra.
“Mi duole interrompere il tuo riposo, ma volevo informarmi sulle tue condizioni” la voce cortese di Federik risuonò nella camera e William sospirò: i suoi modi di fare gli ricordavano troppo Sebastian e tutta la sua avventura degli anni scorsi, in cui aveva fatto la conoscenza di nemici terribili e spine nel fianco di tutte le razze.
“Sto meglio, grazie” aveva parlato poco con il ragazzo dai capelli arancioni, aveva più confidenza con Jason.
Lui, sempre sorridente, adocchiò la garza che avvolgeva la sua mano “Credo di riuscire a risolvere il problema in poco tempo… Non sono io l’esperto, però conosco molta brava gente… Bart ci sta già lavorando: è come se la sua memoria si fosse azzerata, nessuno riesce a stabilire un contatto con lui. Appena vede qualche altro esemplare, morde e scalcia, perfino con Sandia: oggi ha fatto ancora a botte con Alec, quando lo vede passare non è più spavaldo come prima” ridacchiò.

Improvvisamente gli si avvicinò, guardandolo con due occhi da demone, con un sorriso sarcastico sulle labbra, mentre le fiamme danzavano inquietanti.

“Sono venuto a dirti anche qualcos’altro: stai attento, questa notte, nel bosco. Non so perché, ma sento che c’è qualche pericolo, specialmente nell’ala nord-ovest… Ah, a proposito: combatterai come non hai mai fatto prima d’ora, non affidarti alla vista. A dopo, William” concluse, tornando tranquillo e sorridente come sempre.
Disse “A dopo” come se dicesse “La tua morte è in agguato”.

http://www.youtube.com/watch?v=oeLOCDVXCe0

Il giovane dagli occhi verdi, supino sul letto, ormai quasi completamente riposato fissava immobile il soffitto della stanza, attendendo la sua “tortura”.
“Chissà cosa avrà in mente, quello scellerato…?” pensò, inforcandosi gli occhiali.
Un leggero picchiettare alla finestra lo distolse dai suoi pensieri, facendolo voltare di scatto.
“Ma che cavolo…?” assottigliò lo sguardo, scorgendo un’ombra che picchiettava sul vetro, ma non riusciva a vederlo in faccia.
Qualcosa in lui gli consigliava di non avvicinarsi, cosa che, meccanicamente, fece.
Si ritrovò ad un metro di distanza alla finestra, e l’ombra indistinta sembrò sorridere.
Will si sporse verso l’apertura.
Improvvisamente, due fiamme fucsia si accesero e la figura di Alfred si proiettò sulla finestra, sorridendo perversamente e facendo ciao con la mano.
William lanciò un urlo e cadde all’indietro, per poi allontanarsi subito dopo, con il cuore in gola.
Spears arretrò ancora, ritrovandosi con la schiena premuta contro la parete.
Il demone ruppe il vetro per poi cominciare a camminare verso di lui, continuando a sorridere, maligno.
Lo shinigami urlò ancora, strizzando gli occhi, terrorizzato: una specie di panico arcano si era impossessato di lui, non sapeva perché.
Si portò un braccio davanti a sé, coprendosi il viso.
La sua porta si spalancò, ed un giovane uomo fece irruzione nella stanza, con Undertaker al fianco e David subito dietro.
Alfred sorrise nuovamente, ma poi lo sguardo del becchino ed un improvviso bagliore azzurrino alle sue spalle lo spaventò, così decise di battere in ritirata.
Il mezzo demone si accovacciò di fronte a William, mettendogli le mani sulle spalle.
“E' finito, non c’è più nulla, era solo un’illusione” disse, cercando di apparire rassicurante.
Undertaker godette compiaciuto della paura del più piccolo, poi si rivolse all’uomo misterioso.
“Fabian, corrigli dietro, segui la traccia e dimmi da dove proviene” l’interpellato annuì, buttandosi dalla finestra spalancata.
Aveva capelli corti, dritti e biondicci, una cortissima barbetta incolta, due occhi gialli, come quelli di un lupo.
Era alto, con un fisico atletico.
Uno schiaffo in piena faccia lo raggiunse improvviso.
“Ma ti vuoi svegliare sì o no?” la voce di Jane svegliò completamente il dio, che si alzò, con la gola secca.
“Jane, ma sei impazzita?” chiese, con voce impastata “Io? Sei impazzito tu, piuttosto, dalla mia camera ti ho sentito gridare e sono arrivata, no? Credo che stavi avendo un incubo…” “Un incubo?” ripeté, incredulo, poco prima di stringersi violentemente le braccia attorno al corpo.
Voltò di scatto la testa, i suoi occhi si dilatarono dalla paura, arretrò istintivamente, premendo la schiena contro la testiera del letto: la finestra era spalancata, le tende svolazzavano.
Jane seguì lo sguardo di William, incamminandosi lentamente verso il davanzale.
“No, ferma! Non farlo!” la ragazza si girò verso il compagno, guardandolo sorpresa.
Lo shinigami aveva avuto pochissime volte paura, nella sua vita, ma non gli era mai capitato di avvertire un così immediato terrore, davanti alla figura di un demone.
Imprecò fra i denti, digrignandoli e strizzando gli occhi: doveva contenersi e combattere quella scomoda sensazione.
Mentre Jane stava esaminando il davanzale, la serratura ed il vetro rotto una voce stridula risuonò nella stanza.
“Ihihih, che cosa cerchi, figlia mia? Non troverai nulla… ci abbiamo già pensato noi” il beccamorto sorrise all’altro dio della morte, lanciandogli un’occhiata maliziosa “Se hai paura del tuo nemico, come farai ad affrontarlo? Scapperai ancor prima di averlo visto in faccia”  rise sguaiatamente, scostandosi i capelli dal viso, mostrandolo.
Gli prese il volto fra le mani, stritolandogli la faccia.
“Sarà meglio che tu inizi a capire come gira il mondo, qui, ragazzino, o non sarai mai pronto: sarai una maledizione, e tutti si saranno sacrificati per nulla… Anche se…” gli strinse i capelli, facendo ricadere la frangia sulla sua fronte “… Vedere la tua morte sarebbe divertente Ihihihih” rise ancora, conficcando le unghie nella carne di Will, per poi abbassare improvvisamente la mano, con i suoi artigli neri ancora dentro il viso del giovane.
Il Reapers gridò di rabbia e dolore, fissando truce il suo maestro: i suoi occhi verdi, che si intravedevano dalla frangia castana, rispecchiavano frustrazione e rancore, un dolore sordo ed inestinguibile.
Il sangue prese a colargli sulla pelle nivea, macchiandola di scarlatto.
Il becchino sghignazzò, stritolando il volto di William che non riusciva ad opporsi.
Improvvisamente una mano affusolata si appoggiò su quella del leggendario.
“Che succede, Jane…?” chiese, con una punta di incertezza.
La ragazza fissò seria suo padre e l’uomo si rese conto, per la prima volta da quando l’aveva tenuta in braccio appena nata, che gli assomigliava: aveva la stessa carnagione, la stessa forma del viso, gli stessi occhi dorati…

“Caro, vuole giocare con te”.
Arianne poggiò delicatamente sua figlia sul divano, regalandole un dolce sorriso.
“Io non sono bravo a giocare con in bambini” disse Undertaker, grattandosi la testa imbarazzato, mentre la sua “piccola” gli gattonava incontro.
La consorte rise, cristallina “Se ci riesce Tim, e se ci è riuscito Bart, non vedo ragion per cui tu non possa farlo: è l’istinto di padre, che conta, Undertaker…” si fermò a rimirare la sua bimba, mentre giocava con le treccine di suo marito: osservò il suo viso delicato, i suoi occhi d’oro, la sua pelle nivea…
“Ti assomiglia” sentenziò, poggiando la schiena contro il divano.
“Ma che dici, è la tua copia: lo dicono tutti” l’altra rimase in silenzio, guardandolo tenere a bada la bambina.
“Tutti prestano attenzione agli aspetti d’insieme, non si soffermano a guardare i particolari: osserva il suo visino, la sua forma è come la tua, ha solamente i lineamenti più gentili e raffinati, gli occhi sono uguali, ha la stessa carnagione…”
“I capelli sono i tuoi” borbottò l’uomo, esaminando il ciuffetto castano rossiccio che faceva capolino sulla testolina rosa.
“Io direi che abbiamo bisogno di un terzo parere… Non sei convinto…” disse ridacchiando.
Una zazzera scarmigliata di capelli biondicci fece capolino nella stanza.
Anton salutò i due, soffermando lo sguardo sulla piccola.
“Ah, il piccolo Von Clay, come va?” il giovincello fissò il “padrone” con i suoi grandi occhi gialli: era piuttosto scompigliato, aveva le unghie lunghe sporche di terra, era completamente impolverato, con qualche graffietto sulle braccia e sulle gambe.
“Sto benissimo padrone, stavo esplorando l’ala nord-ovest del bosco, ho trovato un posto nuovo… Poi ho portati i puledri al paddock” “Non dovresti lavorare… Eh, se Tim o Isabel lo vengono a sapere cominceranno con quelle solite ramanzine burocratiche…” mormorò fra sé, sospirando.
“Io mi diverto, padrone: voglio aiutare mio padre” affermò convinto il ragazzino.
“Vieni qui, piccolo” disse Arianne, tendendo le braccia verso il suo “figlio acquisito” lui fece una passo, incerto: la luce felice che aveva illuminato quegli occhi “da lupo” (come in molti sostenevano) fuggì immediatamente, perdendosi nel mare di ambra fusa delle iridi del piccolo.
“Non posso: sono sporco, vi insozzerei, zia” la donna sorrise benevola, alzandosi “Vai a darti una ripulita e torna immediatamente qua, ho bisogno del tuo aiuto”.
Poco dopo, il piccoletto si trovava disteso su di una poltrona circolare a fissare la piccola che, talvolta, gli afferrava ciocche di capelli chiari, smettendo per un secondo di gonfiare le guance paffute.
“Zia… Io dico che assomiglia al padro-” ricevette un’occhiataccia dal becchino, così si interruppe, cambiando sostantivo, mentre tossicchiava “Allo zio, però… Insomma, solo se si va a guardare i dettagli: in uno sguardo d'insieme sarebbe la tua copia”. Lei rise, guardando il marito “Visto Undertaker? Avevo ragione… Ti assomiglia, se si guarda attentamente”.
“MA” esclamò il ragazzino, sorridendo a trentadue denti “Certe espressioni sono le tue, zio Undertaker! Specialmente quando si imbroncia o è cocciuta, Ahaha! Però… Quando è severa è come te zia! È un bel miscuglio!” terminò, ridendo mentre la piccolina lo imitava, lasciandosi sollevare in aria ed abbracciare dal “fratellastro adottivo”.


Interdetto, il beccamorto guardò sua figlia mentre lo fissava con il cipiglio severo uguale a quello di sua madre.
Ritrasse la mano, senza distogliere lo sguardo.
Abbassò gli occhi, confuso, mentre si stringeva la mano al petto.
“Ti… Ti lascio un’altra mezz’ora di riposo, visto che…. Sei ferito e… Hai avuto un incontro… scioccante” farfugliò, arretrando “Vai nella stanza di mia figlia a riposarti, dirò a Bartholomew di ripararti il vetro… Al… Più presto…” se ne andò a passo svelto, chiudendo la porta.
“William… Vieni… Oh, hai sporcato il pavimento, ed anche i vestiti…” Jane si abbassò, passando un fazzoletto pulito sui suoi squarci, strofinandolo dalle guance al collo.
Lui le sorrise, grato: le fermò gentilmente la mano, che posò sulla sua spalla, mentre l’altra si bloccava sul suo petto.
Lei alzò leggermente il capo, unendo le sue labbra a quelle del ragazzo.
Qualcuno, però, non approvava quel gesto.  

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“Perché?! Perché a me?! Dimmi Arianne: che cosa devo fare?! Ho perso te, il mio migliore amico, sua moglie, tutti i miei cari… Non sopporterei di perdere anche lei!”.
Il becchino aveva assistito alla scena: era arretrato, inorridito, con il respiro spezzato.
Era corso via, sino alla tomba dell’unica donna che aveva mai amato.
Ora era lì, per la prima volta nella sua vita, in singhiozzi, con le mani premute sul viso, che prendevano a pugni l’erba fredda.
“Non voglio che lei muoia…” due mani inconsistenti gli si posarono sugli occhi.
“Oh, Undertaker… Lasciala vivere, te l’ha detto anche Tim… Lasciala vivere: il destino se lo costruiscono da soli, non è una profezia a decidere le loro sorti…” “Ma William n-” “William è un bravo ragazzo, per quanto possa essere gelido, ha un buon cuore ma è troppo orgoglioso per accorgersene, come Isabel: sono felice che sia capitato lui a nostra figlia. È un grande, sarà leggendario, ci salverà: ho fiducia in lui… Saranno loro, la speranza di questo mondo” le mani si erano abbassate, fino ad accarezzare le guance ed il collo.
“Arianne… Sai, lui è tornato…” “Ho visto… Com’è che l’ha chiamato quello scellerato? Fabian Schonberg… Avrei voluto rivederlo, ma il destino non ha voluto così… Undertaker, siamo una famiglia, tutti noi: se ci dividiamo non ci rimane nulla. Ci vediamo… Amore”.

Il silenzio dominò nel cimitero.

“Ihihi… Ihihi… IHIHI!! Hai proprio ragione, moglie, è il loro turno, adesso: tocca a loro ammazzarsi di fatica! ARIANNE MI HAI SENTITO?! HAI PROPRIO RAGIONE!!” le urla del becchino risuonarono nel vuoto, rompendo l’atmosfera gelida della notte. Improvvisamente, lo shinigami si alzò, scrutando il cielo, togliendosi i capelli dal viso.
“Caro guardiano, ci penserò io, a crescere tuo figlio. Grazie a tutti voi… Ihihi… Mi svegliate più di un bagno in un barile pieno di sale ihihihih!” un’insolita brezza fresca e profumata lo accarezzò, donandogli un sorriso.

“Alla prossima, compagni della mia anima…”

Ghignò, poco prima di correre verso la propria casa: doveva accertarsi che tutte le sue tagliole fossero al proprio posto.

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“Credo che ti voglia distruggere” affermò Jane, con noncuranza, mentre stava sostituendo le bende sulla mano ferita di Will, applicandone di più leggere e pulite.
“Questo pensiero mi rassicura…” mormorò sarcasticamente il dio, mentre cercava una garza medica da tagliare, della giusta misura per i tagli provocati dal becchino: quanto lo odiava, a volte, quello schizofrenico…
Anche se era uno dei più grandi shinigami di tutti i tempi.
Spears si guardò allo specchio, applicandosi un paio di cerotti giganti che miracolosamente era riuscito a trovare stipati nell’angolo di una cassetta del pronto soccorso di David.
Il reaper si alzò, sfilandosi la camicia ed andando ad aprire l’armadio, in cerca di qualcosa da mettere.
I suoi polpastrelli sfiorarono un tessuto a lui estraneo, così afferrò l’indumento e lo distese sul letto: era una specie di tuta da ginnastica.
Una felpa, una maglia a maniche lunghe, un’altra a maniche corte, una canottiera smanicata, un paio di pantaloni con il polsino sulle caviglie, tutti totalmente neri, e due polsini verde brillante, come i suoi occhi.
Frugò ancora nell’armadio e nello stesso punto in cui aveva trovato la divisa trovò delle bende pulite per fasciarsi le mani, diverse fasce elastiche per polsi, ginocchia, caviglie, bacino, spalle…
“Ma che diamine… Sembra che ci sia un intero equipaggiamento per fare sport come si deve…”.
La sua fidanzata gli si avvicinò, puntando la torcia sulla parete interna dell’armadio.
Will assottigliò lo sguardo, notando i contorni in rilievo di un rettangolo, come se fosse un tutt’uno con il legno del guardaroba.
Istintivamente spinse quella strana protuberanza, ed uno scatto rimbombò nella stanza, come se degli ingranaggi avessero iniziato a muoversi all’interno del legno.
Lentamente, dalla parete uscì un cassetto segreto.
William lo fissò, titubante, sentendo che dentro di esso c’era qualcosa di importante.
Si tolse gli occhiali, infilando la mano nel cassetto, avvertendo il freddo di un metallo, la liscezza di un foglio…
Estrasse gli oggetti senza nemmeno guardarli, appoggiandoli sul letto.
Si pulì le lenti con una pezza bianca, dopodiché si spinse gli occhiali sul naso.
Jane era rimasta indietro, nella penombra “Will… Io ti aspetto fuori”.
Lui la ringraziò con lo sguardo e lei se ne andò, chiudendo la porta.
Il giovane sospirò, abbassando lo sguardo sul “tesoro nascosto”.
Sgranò gli occhi e trattenne il respiro, osservando gelosamente ciò che non si sarebbe mai aspettato. 
 

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Capitolo 26
*** I ricordi di un altro passato ***





Una scatola di metallo.

Una semplicissima e banalissima scatola metallica, che conteneva segreti e memorie di una persona defunta.

Quella persona era suo padre.

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Un plico di fogli rilegati scritti a mano, una foto di lui da ragazzo, un’altra di sua madre Isabel, lui e Undertaker, Undertaker e Arianne, Bart e una bambino biondo dagli occhi ambrati…

Una foto di lui, William T. Spears, da bambino.

Stava scorrendo l’album fotografico quando si fermò su una fotografia in particolare: suo papà e sua mamma nel giorno del loro matrimonio.
Il giovane sentì gli occhi pizzicare, e li chiuse, sospirando affranto.
Fece scorrere ancora le pagine del raccoglitore, soffermandosi su due volti giovani e piacenti: suo padre, con la tuta nera che aveva ritrovato poco prima, sorrideva a trentadue denti con il braccio appoggiato sulla spalla di Undertaker, il quale aveva un sorriso, se possibile, ancora più grande.
Faceva il segno della vittoria con le dita, come se avessero appena finito di completare la sfida più grande della loro vita.
Vide qualcosa in controluce ed estrasse la foto: dietro di essa c’era un foglio spiegazzato.
Iniziò a leggere, desideroso di apprendere qualcosa della vita di suo padre.

“Oggi abbiamo completato l’impresa.
Dopo anni e anni di intenso lavoro, fatica, sottomissione, dopo aver subito da chi sta sopra di noi, dopo aver affrontato le guerre e le battaglie più dure, abbiamo raggiunto la nostra meta: ora, noi, siamo ufficialmente degli shinigami leggendari. Abbiamo duecentoquattro anni, siamo giovani, tutti ci hanno guardato storto, ma poi si sono arresi all’eventualità: la nostra forza è pari se non maggiore alla loro.
Probabilmente crederanno che siamo incoscienti, che commetteremo un passo falso: non sarà così.
Appena mi sarò ambientato mi farò avanti, devo aspettare solamente una o due settimane: chiederò ad Isabel di sposarmi appena sarà passato l’inverno, quando la primavera si insedia nel dominio ghiacciato della stagione precedente.
La neve è quasi andata via, iniziano a cinguettare gli uccelli.
Quando tutto sarà finito, vivremo in pace, come una grande famiglia, con i nostri figli… Come una grande famiglia.
Alfred non si è più fatto sentire: meglio così, lo potrò uccidere prima... Anche se ho l’angosciante dubbio di non essere io quello della profezia”.


Il testo si interrompeva con un punto secco.
Suo padre era suo coetaneo quando era diventato un leggendario, in inverno, ed in primavera si era sposato con Isabel, sua madre.
Restò immobile a fissare quella foto, in silenzio, mentre mille pensieri gli riempivano la testa.
Improvvisamente gli venne un fortissimo dubbio e sfilò la foto in cui era raffigurato lui da piccolo, trovandovi, infilato dietro di essa, un foglio spiegazzato.

“Questo è mio figlio, William T. Spears.
Lo amo moltissimo, più della mia stessa vita.
E' il mio unico erede, nonché primogenito: diventerà un grande, uno shinigami leggendario.
Ma ho paura per lui: non sono io quello della profezia, non sono riuscito ad uccidere Alfred, lui era quasi riuscito a farmi fuori.
Gli ho dato un colpo preciso di Death Schyte dritto dritto nel cuore.
Niente.
Gli ho sfondato il cranio.
Niente.
Mio figlio sta rischiando la vita ogni minuto che passa, può morire prima di crescere e compiere il suo destino.
Continuo ad avere incubi: le ombre ci avvolgono, uccidono Isabel, feriscono Will mortalmente ed io non posso fare nulla per salvarlo.
Non voglio che tutto questo accada: è un gioco pericoloso ed io non mi tiro indietr.
Giocherò tutte le mie carte, perfino quella proibita”.


Serrò le labbra, fremendo di rabbia e tristezza: gliela avrebbe fatta pagare a quell’assassino, una volta per tutte.
Erano a dicembre: due mesi o meno, e ci sarebbe stata la battaglia finale. S
olamente uno di loro sarebbe tornato vivo.
Si alzò di scatto in preda ad un attacco d’ira, accarezzando la foto del matrimonio dei suoi genitori e la didascalia.
Sospirò e decise di sedersi, per potere leggere in tutta comodità la descrizione.

“Il giorno più felice della mia vita, a pari merito soltanto con la nascita di mio figlio.
Loro sono la metà del mio cuore, li amo con tutto me stesso e li proteggerò, come d’altra parte ho giurato.
Ricordo ancora il giorno in cui nacque Will.
Eravamo all’ospedale…
“Ma perché ci vuole così tanto?” dissi, poco prima che l’intera faccenda del parto iniziasse.
“Ahah, se ti vedessi, fratello… Chiunque passi, capirebbe immediatamente che è il tuo primo figlio” “Voglio vedere quando toccherà a te… Ti conviene tagliarti un po’ i capelli altrimenti il o la (perché io sono convinto che avrai una figlia) cadrà in uno shock perenne o ti scambierà per la madre” “Adesso li ho abbastanza corti, non rompere! Mi arrivano alle spalle…” “Chiamalo poco… Oh, guarda chi c’è!”
Anton mi raggiunse, guardandomi negli occhi: simili ad un mare quando il sole dorato tramonta, erano troppo saggi e troppo profondi per appartenere ad un bambino.
In quel momento, l’intera operazione del parto iniziò.
Fui cacciato fuori dalla stanza, ma Von Clay vi si intrufolò, nascondendosi in un angolo.
Aspettai interminabili ore (almeno, a me parvero così) torturandomi le mani, camminando nervoso per il corridoio.
Undertaker restava in silenzio, con una perenne aria perplessa, Bart stava zitto.
“Zio! Zio è un maschio! Un maschio!” urlò Anton, uscendo dalla sala parto con un sorriso sincero e due lacrimucce di gioia agli angoli degli occhi.
Undy sorrise, gratificato.
“Mio figlio!” esclamai, correndo verso la mia famiglia.
“Non è incredibile ‘pa? Zia Isabel ha avuto un bambino, proprio il giorno in cui è morto-” “Direi che è un miracolo, figliolo…” lo interrupe Bart.
“È bellissimo, Tim. Ti assomiglia” mi sorrise Isabel, stanca  e provata.
“Hai ragione, è bellissimo…” mormorai, accarezzando il suo visino pallido.
“…MA io direi che è un misto… Guarda i suo capelli lisci e la sua carnagione marmorea…” “Gli occhi sono i tuoi…”.
Io e mia moglie continuammo a battibeccare “amorevolmente” ancora per un po’, prima che uno strillo indignato da parte del piccolo ci fece riportare l’attenzione sull’argomento principale.
“Come lo vuoi chiamare…?” mi chiese incerta Isabel.
“Non  so… Un nome bello e serio…” “E se lo chiamassimo William? Come mio fratello…” mormorò amaramente mia moglie, ricordando il parente deceduto.
“William… Sì William! Come il mio unico e preferito cognato! Era uno shinigami leggendario, ed oggi è il suo anniversario di morte! Sì, William mi piace, e gli renderà onore! Porterà il suo nome in alto…”.
Lei mi sorrise, grata: probabilmente aveva pensato già a questa eventuale proposta, aveva amato molto suo fratello, ed ora che guardavo meglio, il piccolo aveva la faccia seria e composta di William James Ford.
Egli era stato uno dei più grandi e giovani shinigami leggendari di tutti i tempi: era nostro coetaneo ma diventò uno dei “capi” prima di noi, era un vero e proprio leader…
Un gran bel ragazzo serio, composto, rispettoso e dotato di una mente geniale e brillante: non gli sfuggiva nulla, era riflessivo, arguto.
Sperai ardentemente che mio figlio gli assomigliasse.
“Mi piacerebbe dargli un secondo nome… Che ne pensi di chiamarlo come una persona che tutti amano?” “Ah sì? E chi?” chiesi, incuriosito “Mi sembra ovvio, sto parlando di t-”. 


La didascalia finiva bruscamente, come se il resto fosse stato bruciato.
O come se Tim non avesse fatto in tempo a finire di scrivere.
Altro tassello: aveva uno zio da cui aveva ereditato il nome, ed un’altra persona da cui aveva ereditato il suo secondo nome.

William James Ford… 

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Capitolo 27
*** Zio: vivi in me… O vivi in TE? ***




Era sicuro di averlo già sentito nominare, da qualche parte.
La sua finestra era stata rimossa ed un vento freddo spirò nella stanza, movendo le pagine del plico di fogli rilegati con uno spago.
Due mani gli coprirono gli occhi, ed una voce giovane gli sussurrò all’orecchio, facendolo rabbrividire.
“I ricordi di una persona sono molto importanti usali bene, caro omonimo”.
Will si girò giusto in tempo per vedere un uomo pallido, con lisci capelli neri ed occhi verdi screziati d’oro dissolversi nel buio al di là del vetro.
Iniziò a tremare e si mise sotto le coperte, avvertendo un calo di energie: sapeva cosa significasse.
Chiuse gli occhi, mentre la voce del giovane misterioso gli risuonava nelle orecchie.

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“James, che fine hai fatto? Devo dirti una cosa importante!” una ragazza dai capelli lisci e gli occhi verde-dorato correva per il boschetto dietro casa sua, urlando a più non posso.
“Willia-” due mani le tapparono la bocca e lei si spaventò, ma poi, una voce rassicurante la calmò.
“Eh, Isabel: non sarai mai una shinigami leggendaria se non ti dai una svegliata… Ahaha” “William sei impazzito?! Io devo parlarti di cose serie e tu mi assali a tradimento?! Ti odio! E cosa me ne importa di diventare leggendaria!” s’imbronciò la ragazza, con un velato tono di ironia.
Il giovane l’abbracciò, ridendo “Ahah, ma come siamo nervosette! Avanti sorellina, dimmi tutto” la incitò lo shinigami, trascinandola per un braccio verso il suo “posto segreto”: un ampio prato verde brillante sulle rive di un laghetto, con un enorme salice che pendeva, con i suoi rami, sullo specchio d’acqua.
“Parla” la incoraggiò, sorridendo: lui era una persona seria ed inquadrata, poche volte sorrideva, però quando lo faceva, aveva un sorriso stupendo ed ammaliante.
Riservava quel trattamento solare solamente per sua sorella Isabel: con tutti gli altri era più diplomatico, anche con i suoi genitori e parenti vari.
Era fine, beneducato, riservato, solitamente freddo e distaccato.
Odiava le persone frivole, coloro che lo chiamavano con sciocchi diminutivi (Isabel a parte, che poteva chiamarlo tranquillamente Will) e che trasgredivano gli ordini.
Non avrebbe mai permesso che qualcuno mettesse in pericolo chi era sotto la sua giurisdizione, così come non avrebbe mai permesso che torcessero un capello a sua sorella.
"Ecco… Io ti devo presentare una persona…" mormorò la shinigami, titubante.
“Ah sì? E chi sarebbe? Un’amica, una compagna di scuola…?” “Ehm… Si tratta di un ragazzo, James, è nella mia classe, la sezione opposta rispetto alla tua. È un amico…” “Un amico…?” ripeté lui, perplesso e scettico.
“Ecco… Tu mi dovresti aiutare, se i nostri genitori fraintendono, chissà che cosa potrebbero pensare! Ti prego Will!”.

La ragazza lo fissò negli occhi e lui rispose, con gelida calma e considerevole tatto: “ Questo qui ti piace, per caso?”.

La shinigami diventò decisamente fucsia fino alla radice dei capelli “MA SE HO APPENA FINITO DI DIRE CHE È UN MIO AMICO!!”.
Lui alzò il sopracciglio destro e Isabel dovette arrendersi all’evidenza.
“D’accordo hai ragione, mi piace… un pochino”.
Ford alzò il sopracciglio sinistro, apparendo ancora più scettico di quanto non lo fosse prima.
“… Ok, tanto va bene?! Adesso farai lo spione, ti atterrai alle regole di questa casa e spiffererai tutto come è tuo dovere in questo frangente a nostro padre?” chiese la dea, irata, mentre l’altro taceva.
“No. Presentami questa persona, se la reputerò degna della mia stima, allora potrò chiudere un occhio sull’intera faccenda. Ma bada: Se ti farà soffrire, dovrà vedersela con me” si girò, con le braccia dietro la schiena, incamminandosi verso casa.

“Grazie James, non te ne pentirai”.


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“Ciao, io sono Tim W. Spears, è un piacere conoscerti”.
Il ragazzo dai capelli neri e gli occhi screziati guardò il coetaneo con uno sguardo penetrante “Piacere mio, se non sono invadente, potrei chiedere per cosa sta la W?” prima domanda molto stupida, ma era stato più forte di lui.
“Sta per Will, è il mio secondo nome… Tim è un soprannome” “Perfetto, siamo quasi omonimi! Io sono William James Ford, il fratello di Isabel”.
“So chi è, sorellina: lo conosco di fama” disse  il giovane, senza scrutare in volto né la sorella, né l’altro dio.
“Se voi due vi amate…” proseguì, sibilando minaccioso, voltandosi verso  i due “Allora…” li fissò, rancoroso, mentre Isabel tentava di ribattere.
Fulmineo, prese la mano della ragazza e del suo amato, mettendole una sopra l’altra “Allora Io non posso far nient’altro che acconsentire” disse, con tono freddo ma velato di dolcezza.“
Vogliate scusarmi, ma devo andare ad affrontare l’esame più importante della mia vita” esordì, incamminandosi a testa alta, dritto e fiero, verso la porta.
Isabel lo rincorse fin fuori dall’abitazione.
“Will!!” gridò, senza ottenere una risposta.
Gli saltò addosso, abbracciandolo dal dietro e scoccandogli un bacio sulla guancia.
“Buona fortuna fratello mio” lui annuì senza voltarsi, dirigendosi verso la città. 
Lo shinigami in nero non sapeva che da quel giorno, dopo l’incontro con Tim e la cerimonia di investitura, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.


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Nero.
Come ciò che vedeva.
Freddo, come ciò che sentiva.
Rosso, come il sangue che scorreva prepotente.
Dolore, paura.
Il suo mondo era ridotto a questo.

Il proprio respiro spezzato era l’unico rumore che percepiva.
Stavolta aveva oltrepassato il limite, ma non avrebbe assolutamente permesso che un vile demone assassino, potesse uccidere sua sorella e suo cognato.
Isabel lo stava chiamando, stava tirando con tutte le sue forza quella corda sfilacciata che lo teneva legato alla vita.
La gioia di vivere… In quel momento la percepì in tutta la sua magnificenza.
“Non sono mai stato così attaccato alla vita…” sussurrò William, agonizzante: gli squarci sulla sua faccia erano troppo profondi, stavolta.
“Non morirai James!” strillò sua sorella mentre gli teneva la mano “Devi vivere e vedere mio figlio nascere! DEVI FARE LO ZIO!!”.
“Presto zio Tim! Da questa parte! Avanti possiamo salvarlo!!”
“Bravo Anton! Dammi una mano!”
“È tardi Tim… È ora Isabel…”  fece lo shinigami morente.
“NO! MI RIFIUTO!” “Basta… Così…” sussurrò William James Ford, mentre la luce in fondo al corridoio d’oscurità svaniva poco a poco.
“Vivrò in mio nipote…” sorrise a quel pensiero, trovando la forza necessaria per appoggiare una mano sul ventre di sua sorella.
“Quando lui si preparerà per venire alla luce e sarà dentro qui, la mia benedizione lo proteggerà da ogni male: suo zio veglierà sempre su di lui. Lasciami qui, me la caverò come ho sempre fatto: mettetevi in salvo” quando il suo palmo toccò terra, la sua famiglia scomparì, teletrasportata chissà dove.


Ora poteva morire in pace.



“Zio William, sei sempre il solito: vuoi tutto il carico sulle spalle” “ANTON?! Perché sei qui…?” “Per renderti la vita: posso lenire le tue ferite, ed è quello che farò in ogni caso, indipendentemente dalle tue disposizioni”.
L’altro rise debolmente “A quanto pare me la cavo sempre…” “Hai un vero e proprio angelo custode… Ci vorranno anni per salvarti la vita, non puoi restare qui, devo portarti dai parenti di mia madre…” “Perché devo restare dagli angeli?”
“Perché per metà la tua anima è dall’altra parte… È come se fossi morto solamente per metà. Puoi ancora cavartela, se ti fiderai di me: sei un leggendario, gli angeli ti salveranno, ti riconoscono come uomo importante… L’operazione di recupero dell’anima dura un centinaio d’anni, credo duecentoquattro, più o meno… Veglierai tuo nipote da lassù”.
William chiuse gli occhi, sentendo le forze scivolare via come il sangue che lo bagnava.

“Andiamo, veloce: sto morendo
Prima però aspetta: questo bracciale in diamante nero e smeraldo verde… Dallo al mio unico erede, il figlio di mia sorella: lo proteggerà dal male… Giurami che lo farai”.
James chiuse gli occhi ed il suo angelo custode lo trasportò nell’unico posto in cui si sarebbe potuto salvare.

“Io giuro che presterò fede a questa promessa, come è vero che mi chiamo Anton Von Clay: il figlio Bartholomew Von Clay”.


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William T. Spears si svegliò di soprassalto, balzando fuori dalle coperte.
Restò in piedi a fissare gli oggetti che aveva trovato.
Spostò lo sguardo sul comodino e trovò un bracciale di diamante nero e smeraldo.
Corrugò le sopracciglia, assumendo un’espressione decisa.
Afferrò il bracciale, lo fece chiudere con uno scatto sul suo avanbraccio, dopodiché prese la collana che si era tolto e se l’allacciò.
Si guardò allo specchio ed afferrò la tuta nera, indossandola.
Finalmente, era pronto.
Si chiuse la porta alle spalle, desideroso di cominciare a farsi valere: avrebbe dimostrato di essere all’altezza degli shinigami leggendari della sua famiglia. 



 

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Capitolo 28
*** La guerra sotto la pioggia, circondato dal fuoco: sei un dio, usa il tuo potere ***


Ringrazio il mio "Team di Supporters" per le recensioni: siete fantastiche, questo capitolo è per voi!
Naturalmente ringrazio chi spende i propri minuti preziosi per leggere questa storia: un grazie anche a voi, lettori silenziosi. 
Lasciate una piccola recensione, se volete.




Nel vedere il giovane shinigami agghindato in quel modo Undertaker sbiancò: tutte le ombre del suo passato tornarono a perseguitarlo, al viso del ragazzo si sovrapponevano i volti di tutti quelli che gli assomigliavano:  Tim, Isabel… Ed infine lui: William James Ford.
Quel bracciale prezioso era di quest'ultimo il becchino aveva sperato che non venisse a conoscenza dell’esistenza di suo zio e della sua tragica morte.
Si schiarì la voce, un po’ a disagio “Bene, ho preparato per te una specie di prova di resistenza: vedi questo sacco? Contiene dieci tonnellate di peso: non dovrai fartelo cadere dalle spalle, in nessun modo a maniera. Verrà assicurato con delle corde abbastanza fragili perché possano reggere il peso: ci saranno degli “imprevisti” che potranno buttarlo a terra, quindi, fai attenzione. Dovrai correre nella boscaglia fino ai piedi della montagna che dovrai scalare a metà percorso: so bene che la sua roccia è tagliente, l’ho fatto appunto per questo motivo. Arrivato in cima, dovrai correre per la valletta piena di fango, che ti porterà vicino alla grotta della sorgente: arrivato lì dovrai addentrarti nella grotta, uscire dall’altra parte e calarti dalla parete di roccia umida e bagnata ai lati della cascata. Qui hai due opzioni: o ti butti in acqua e nuoti, o ti butti sulla riva senza toccare il laghetto. Qualora tu metta piede in acqua, devi per forza nuotare, ricordatelo bene: infondo, hai dieci tonnellate di peso in più e sicuramente sarai sfiancato a causa delle prove precedenti. Ci saranno dei nemici sulla strada, non potrai vederli in faccia: i tuoi amici non ti potranno aiutare in nessun modo, devi contare sulle tue sole forze. Ti prometto un allenamento molto più soft domani… Se riuscirai ad arrivarci, a domani” sogghignò, mentre lo girava bruscamente.
Quando gli poggiò il sacco di iuta sulle spalle, Will riuscì a stento a non piegarsi in due: qualcosa gli suggeriva che fossero molto più di dieci tonnellate.
Uno sguardo al bracciale bastò per ridargli fiducia: si raddrizzò immediatamente, con cipiglio fiero.
Il becchino gli assicurò con delle cinte il carico, poi ghignò, maligno.
Con un gesto fulmineo gli rubò gli occhiali.
“Ops, mi ero dimenticato di dirti che il tutto si svolgerà… Completamente al buio! Ihihihih! Avanti, da quella parte: benvenuto alle porte degli incubi”.
Con un gesto teatrale gli indicò l’entrata del bosco “Vai e cerca di tornare”.
Will iniziò a correre, senza guardarsi indietro.
Si assicurò che gli occhiali fossero nella tasca della camicia.

“La caccia è aperta” disse Undertaker, prima che tre ombre silenti scattassero da dietro il suo corpo.

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Cinque rovi, tre radici e sette rami.
Nel giro di venti minuti, dei roveti gli avevano tagliuzzato le gambe, delle radici lo avevano fatto inciampare faccia a terra, dei rami gli avevano colpito improvvisamente il costato ed il viso, spezzandogli il respiro.
Il gelo gli penetrava nelle ossa, procurandogli brividi continui, ed i suoi occhi spesso lo ingannavano, come facevano gli altri sensi, intorpiditi dal freddo.
Si bloccò, avvertendo qualcosa di diverso nell’aria.
Per una frazione di secondo, un’aurea estranea e molto forte era comparsa nel bosco.
Tese al massimo le orecchie, chiudendo gli occhi.
Un enorme peso gli atterrò sulla schiena, afferrando il sacco.
“Eh, no! Il sacco no!”.
Lo shinigami si girò di scatto e con una forza incredibile (di cui si stupì egli stesso) colpì con un pugno la faccia del suo nemico, che atterrò con un tonfo.
Poco dopo sentì una risata famigliare, ed arretrò, sconcertato.
“JASON?!” esclamò, stupito, mentre il moro si rotolava dalle risate.
“Ahaha! Non so se è quel bracciale stranissimo oppure è stata la sorpresa, ma mi hai veramente fatto male! Ahaha, davvero, non mi prendevo un pugno così forte da non so quanto tempo! Avanti, ti accompagno un pezzo: ma quando diamine te li sei fatti quei muscoli? In un solo pomeriggio? Non ci poso credere! Ahaha”.
Fecero un tratto di strada insieme, fino ai piedi della montagna.
“Cavolo quanto fango, mi inzacchererò le scarpe nuove… Ti dico una cosa: hai ancora due nemici da combattere, io sarei stato il primo ma sono stato troppo colpito dalla tua mossa, ergo, non ti farò del male… Oh, che rottura: sta iniziando a piovere… Fossi in te mi sbrigherei a scalare la montagna… Sai che è pericoloso, stare qui, nell’ala nord-est…” sussurrò, mentre i suoi canini si allungavano a dismisura ed i suoi occhi divenivano fucsia, mentre le fiamme prendevano a danzare, indemoniate. “WILLIAM SCAPPA!!!!” Will sbiancò, riconoscendo la voce di colui che si sarebbe dovuto trovare alle sue spalle.
Si mise a correre poco prima di rischiare di venire ghermito da artigli demoniaci, ed un potente ruggito risuonò nel bosco, facendolo trasalire.
Si inforcò gli occhiali d scorta che teneva nella tasca interna della tuta, scorgendo la figura di Jason che si scapicollava giù per il fianco della montagna, verso di lui. T
rasalì, realizzando chi avesse alle spalle.

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“Avanti Spears: non mi dirai che hai paura!” una lama lo raggiunse, ferendogli la spalla.
Gridò, ma non smise di correre: non era così stupido da fermarsi e farsi catturare come un babbeo.
“WILLIAM NON FERMARTI! VAI OLTRE LA MONTAGNA E SARAI AL SICURO!” uno scalpiccio di zoccoli invase l’aria e lo shinigami riconobbe la voce: era di Fabian, l’uomo che era entrato nella sua stanza per inseguire Alfred.
Lo stesso Alfred che ora aveva alle calcagna.

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Il nitrito di Alec invase l’aria e fu il primo grido di battaglia che si udì.
Dal bosco spuntarono demoni, seguaci dell’assassino che aveva alle calcagna: erano un centinaio.
Cento contro tre, senza contare Alfred, che valeva più di tutti i suoi lacchè messi assieme: un disastro.
Will avvertì un altro pugnale centrargli una coscia ed urlò.
Si accorse di non avere più Alfred alle calcagna, perché era stato bloccato all’interno della battaglia.
Erano spacciati.

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Jason, Fabian e lui contro quella masnada di mostri: sconfitta assicurata.

Altre urla si sparsero nell’aria ed i tre combattenti guardarono i fianchi della montagna riempirsi di gente.
In prima linea, sul fianco destro, Sebastian Michaelis, per la prima volta con la “divisa” nera dei demoni (quella che aveva indossato durante il suo primo incontro con Ciel Phantomhive, ma con anfibi al posto degli stivali coi tacchi) seguito da un battaglione di demoni.
Sulla sinistra, schierati come soldati, stavano: Hylda, Federik, Bartholomew, Undertaker, moltissimi sconosciuti dei della morte, Wayne e David: appena gli occhi di quest'ultimo incrociarono quelli di Alfred si incendiarono, diventando fucsia acceso.
Si buttò senza esitazioni contro di lui, esattamente come fece l’altro demone: la loro somiglianza era impressionante.

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Il campo di battaglia era gremito di avversari pronti ad uccidersi l’un l’altro: William aveva sempre sperato che questo momento fosse lontano, ma, a quanto pare, non era così.
Non si aspettava di combattere contro Alfred così presto e senza allenamento.
Evocò la sua Death Schyte e si buttò nella mischia, iniziando a trucidare avversari: li riconosceva dall’aura.
Ad un tratto si sentì strattonare per la maglia: Undertaker lo teneva ben saldo, per evitare che scappasse.
“Ascoltami bene, tu! Alfred è venuto per ammazzarti, devi assolutamente scappare, non puoi rovinare tutto ora facendo l’eroe! Avanti vattene: appena arrivi sulla sommità buttati senza esitazione nel sentiero in discesa, quell'immenso canale di roccia e fango: devi correre fino a che non arrivi dall’altro lato, lì una speciale barriera ti proteggerà! Vai scappa! Jane e Ciel ti aspettano con i cavalli ai piedi del monte! Ci vediamo dopo!” lo girò bruscamente e lo spinse fuori dal gruppo.
Jason, nella sua vera forma, occhi, zanne, artigli da demone ed ali nere d’angelo abbatteva nemici su nemici, Federik li trafiggeva uno a uno, combattendo in coppia con Hylda.
Sebastian piombava dall’alto e ogni volta che tornava in aria si portava dietro una scia di morte.

Will si voltò e corse, deciso a non farsi catturare.
Ben presto si ritrovò lontano: diluviava, la terra era una marea di fango che gli arrivava alle caviglie, l’acqua lo bagnava ed il vento lo gelava.
Un tuono incendiò un albero, scatenando una pericolosa reazione a catena.
Era arrivato in cima, doveva buttarsi nel sentiero, una colata unica di fango.
O questo, o la morte: dietro aveva i demoni, a lato gli spuntoni di roccia, davanti la salvezza.
Doveva lanciarsi.

Prima che potesse farlo, una freccia lo colpì, mettendolo in ginocchio.

“FINALMENTE TI HO PRESO, PICCOLO EREDE! È GIUNTA ANCHE LA TUA ORA!” Alfred era a pochi metri da lui.

Un tronco incendiato cadde sull’imboccatura del sentiero, bloccandolo.
Era in trappola.

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“NO!” urlò, prima che la risata demoniaca del suo avversario invadesse l’aria.
“Porca puttana!” imprecò William, forse la prima volta in vita sua che lo faceva seriamente.
“È inutile che inveisci, non hai mai avuto via di scampo! Ora che ti ho bloccato ogni via d’uscita… SEI MIO!” evocò una daga d’argento piuttosto lunga e gli si lanciò contro.
Spears chiuse gli occhi.

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“Non puoi scappare figlio mio: attaccalo ora! Adesso sveglierò quei poteri assopiti che hai dentro di te, di cui hai sempre ignorato l’esistenza! Essi valgono molto più di tutto l’allenamento che non hai fatto e che avresti dovuto fare! Ricordati che la fiducia in te stesso vale molto di più della migliore Death Schyte che si trovi in circolazione!”.

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Il giovane si voltò, minaccioso, stanco di sentirsi preda: adesso si faceva sul serio.

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Parò con convinzione l’affondo di Alfred e rispose a sua volta, attaccando ancora, ancora e ancora un’altra volta.
Danzavano implacabili in un duello mortale: uno di loro due sarebbe morto.
William sentiva tutta l’energia dei suoi cari defunti scorrergli nelle vene, sentiva di potercela fare.
Il demone perse un colpo e Will penetrò la sua difesa, disegnando un arco di sangue sul petto dell’avversario.
Alfred barcollò e lo shinigami lo colpì ancora, squarciandogli un fianco.
L’essere infernale gridò e saltò all’indietro, sollevandosi in aria per non farsi colpire dalla falce del suo avversario.
Appena i suoi piedi toccarono terra, si scagliò a testa bassa contro Will, che si buttò di lato.
Sollevandosi su di un braccio quest'ultimo allungò la Death Schyte che trovò la parata della daga argentea.
Vide Alfred arrivargli contro con un calcio volante ed appoggiò anche l’altro braccio, slanciandosi all’indietro.
Piroettò in volo ed atterrò a carponi, rotolando di lato prima che un pugnale gli trafiggesse la testa.
Si alzò, accumulando l’energia in un braccio: il destro, quello in cui portava il bracciale di suo zio.
Il drago verde intarsiato nel diamante nero rilucette nell’oscurità come se possedesse vita propria.
Alfred lo imitò, con il braccio opposto.
Quando i due pugni si scontrarono, provocarono un’onda d’urto che raggiunse il campo di battaglia, fermando i due eserciti per un secondo.
Undertaker sbiancò, realizzando che Alfred si stava battendo con il suo protetto.

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“Dannazione!!” urlò, mentre la guerra ricominciava più furiosa di prima.
Fece per buttarsi al di fuori della mischia per correre in aiuto del suo allievo quando un’esplosione azzurra e bianca lo sbalzò all’indietro, facendolo atterrare di faccia sul terreno duro.
L’immagine di un drago alato si levò nel cielo che, subito dopo aver ruggito, si fiondò in picchiata sui suoi avversari.
Di tutti quelli colpiti dalla bestia, solo molti degli alleati di Alfred rimasero senza vita.
Il becchino si alzò, rimanendo a bocca aperta.

Solo una persona aveva il potere di eseguire quella mossa…

E quella persona era morta da un pezzo.


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I due avversari presero cinque metri di rincorsa e si fiondarono uno contro l’altro.
Alfred riuscì a ferire William sulla guancia ma lo shinigami l’aveva bloccato: ora era una prova di forza bruta.
Nessuno dei due cedeva: sembrava che le loro forze fossero uguali.
Will aveva sempre avuto paura del demone ed ora si chiedeva il perché.

“Avevo perso la fiducia e la determinazione, mi ero fatto spaventare da tutte le cose orribili che aveva fatto in passato, non capendo che io ho la forza di volontà pari a quella fisica e psichica per metterlo in ginocchio”.

Con questo pensiero tirò un calcio sul ginocchio dell’avversario e poi, facendo leva su di esso si staccò completamente da terra rompendo in due la gamba del demone, il quale urlò di dolore.
A testa bassa, lo shinigami circondò il petto del diavolo con le braccia e lo scaraventò contro un tronco infiammato.
Una folgore gli atterrò a quattro metri dal viso e lo accecò: ciò che Alfred aspettava.

Gli balzò contro e sguainò gli artigli.

Un’altra saetta.

Sangue scarlatto schizzò in aria ed il demone sorrise. 

 

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Capitolo 29
*** Spannung ***


Essendo a casa da sola e malata, vi lascio questo cortissimo capitolo, spero che vi possa piacere.
Vi anticipo che, visto il mio momentaneo lutto per la sconfitta del Milan, non aggiornerò per un po'.
Spero di riuscire a pubblicare un nuovo capitolo prima di due giorni.
Fatemi sapere cosa ne pensate con qualche piccola recensione.
Alla prossima.





William arretrò, con la faccia coperta di sangue.
Gridò di dolore, si dimenò, cadendo in ginocchio.
Alfred gli si avvicinò, sorridendo sadicamente.

+++++++++++++++++++++++++++++++++

Si chinò su di lui, beffardo.
“Adesso ti faccio fuori caro mio… Mi dispiace: tutto quello per cui hai lottato… Provvederò io stesso a distruggerlo ahaha!” rise fragorosamente, fissandolo dall’alto in basso.
Spears si alzò, barcollante ed arretrò.
“Ah! Ah non ci vedo più! Ah!” continuava ad urlare.
Il demonio gli si avvicinò, fermandosi ad un metro da lui, ridendo: la sua daga era lontana ma non gli interessava, avrebbe ucciso lo shinigami lì e subito.
“Ah! Ah… SCHERZAVO!!”.

++++++++++++++++++

William sorrise beffardo ed il demone non fece in tempo a scansarsi.
Uno squarcio si aprì sulla spalla e sul collo del demone, che volò all’indietro, atterrando con un tonfo ed un urlo disumano.
Will ghignò “Bisogna anche usare l’intelligenza in una battaglia, non solo i propri poteri e la propria forza fisica!”.
Alfred era a dir poco furioso: appena percepì il freddo metallo della sua falce sotto i polpastrelli scattò in piedi.
“HAI FINITO DI RIDERE RAGAZZINO! ADESSO RAGGIUNGERAI TUTTI I TUOI CARI ALL’ALTRO MONDO: PREPARATI, QUESTO È IL COLPO FINALE!!!”.
Le urla del demone raggiunsero il campo di guerra e tutti i più stretti alleati del dio alzarono il capo verso la sommità della cresta: erano agli sgoccioli. 

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

William guardò il suo avversario negli occhi: una lunga linea rossa, precisa e dritta gli solcava il viso, da mezza fronte a mezza guancia, dividendogli a metà l’occhio destro.
Raccolse tutta la sua concentrazione e tutta la sua forza.
Si pulì le mani insanguinate sulla maglia, scostandosi i capelli dal volto.
Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, evocando la sua falce e reggendola saldamente in mano.
La pioggia lambiva la sua pelle fredda come la morte.

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Uno dei due sarebbe morto.

Entrambi scattarono verso il proprio nemico. 
 

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Capitolo 30
*** La fine… Dell’inizio ***


Ehilà! Ecco a voi il trentesimo capitolo!
Vorrei dedicare queste righe a Miss_Uriel: spero che ti possano piacere!
Mentre vado a festeggiare per la meta raggiunta (i miei primi trenta capitoli! *___*) vi lascio alla storia! 
Un grazie a tutti!


Il sangue esplose dallo stomaco, inondando l’avversario.
L’arma affondò tutta, cadendo dall’altra parte.
Il ferito cadde a terra e si dissolse in una nube nera.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++

William T. Spears cadde in ginocchio, mentre il diluvio cessava e l’incendio si estingueva.
Respirò profondamente per un paio di volte, incredulo.
Alzò gli occhi al cielo, coperto di sangue non suo, con la Death Schyte tinta di scarlatto.
Era sull’orlo del burrone, sotto il quale c’era una foresta di spuntoni di roccia tagliente ed appuntita.
ERA VIVO.

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“Ho vinto…” sussurrò con un filo di voce.
Improvvisamente la terra sotto i suoi piedi cedette ma prima che potesse cadere inerme e morire impalato, una presa forte e decisa lo agguantò per il braccio, tirandolo su.
Una mano era stretta sulla spalla mentre l’altra stringeva il suo arto.
Alzò lo sguardo ed incrociò due paia di occhi verdi screziati d’oro.
Capelli corti, lisci e neri, carnagione marmorea, espressione seria e composta.
“Sono tornato” mormorò l’uomo, alzandosi in piedi e trascinando con sé il ragazzo.

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“Non è possibile… Tu…” l’altro gli mise due dita sulle labbra.
“Hai sconfitto Alfred ma la guerra non è ancora finita: andiamo a mostraci al pubblico” sorrise il più grande, ed insieme si misero a correre verso il campo di battaglia.

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Erano tutti stremati: Undertaker, Fabian, Jason, Hylda, Federik, Bartholomew, Wayne, Alec, Joey.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono quando vide dei nuovi arrivati alla festa: Jane e Sandia...
Ma soprattutto rise quando vide Ciel Phantomhive con una mitragliatrice che abbatteva un sacco di nemici.
“E non è neppure una Death Schyte omologata!” pensò il giovane, continuando a sorridere.
L’altro uomo gli si affiancò “È giunta l’ora dell’entrata in scena a sorpresa: la mia deve ancora arrivare” disse, sorridendo furbescamente, per poi sparire nell’ombra.
William si avvicinò all’inizio della discesa, osservando con occhi colmi d’orgoglio i suoi alleati che stavano combattendo valorosamente.

“SONO TORNATO!!!!” urlò, con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Gli sguardi di tutti i presenti si puntarono su di lui, che sorrise.
Un boato risuonò nell’aria e tutti i suoi amici risero, fissandolo con immensa gioia.
“William!” urlò Jane, guardandolo con sollievo.
“AVANTI, RISPEDIAMOLI TUTTI ALL’INFERNO!” gridò un’altra voce.
Un drago alato nero e verde, con le zanne e la cresta platinate ruggì, sollevandosi in cielo.
Undertaker rimase a bocca aperta, fissando l’uomo sulla sommità della collina, che era piegato con le mani a terra.
Da egli s'allungava l'ombra di una bestia alata. mentre una luce smeraldina gli colorava la pelle bianca.
La smisurata bestia oscura piombò sul campo di battaglia, decimando i suoi avversari.
Era tutto finito, non rimaneva nessun servo di Alfred in vita.

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William James Ford guadava tutti dall’alto in basso, ghignando soddisfatto.
Guardò fiero suo nipote, invitandolo a scendere.
Lentamente, William T. Spears inizio a discendere il pendio, fermandosi a cinque metri dai suoi compagni.
Suo zio lo superò, arrestandosi davanti al figlio di sua sorella.

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“Se qualcuno si starà chiedendo come mai io sia ancora vivo, gli basti sapere che quando io dico di potermela cavare da solo, è perché sono sicuro di continuare a vivere. Nel triste episodio in cui avrei dovuto perdere la vita, sono stato protetto da un angelo custode…” si interruppe, ridacchiando “Perché non mi sono fatto vivo prima? Perché ci ho messo duecentoquattro anni per guarire completamente la mia anima e solo ora, nel momento del bisogno, ho potuto continuare a combattere, ho potuto, per la prima volta, abbracciare mio nipote, colui che oggi, su questa montagna, in questa terra senza età, ha sconfitto Alfred Jones!” gridò, voltandosi verso William.
Uno a uno, lentamente, dalla prima all’ultima fila, si inginocchiarono davanti a lui, che rimase spiazzato.
Suo zio mise un pugno sul cuore e piegò il busto, flettendo un ginocchio, osservandolo con un occhio, sorridente.
Gli fece un cenno con il capo e lo shinigami iniziò a parlare.

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“Alfred non è morto. È stato ridotto in fin di vita, ma è ancora vivo: sarà fuori combattimento per molto tempo, e noi dobbiamo sfruttare questi giorni preziosi per prepararci alla guerra che seguirà il suo ritorno. Per tutti coloro che sono morti quest’oggi, magari abbandonando la propria famiglia per inseguire il sogno di un futuro senza l’oscura presenza di quell’assassino, il quale ha ucciso senza pietà soggetti di ogni specie, e per tutti coloro che sono morti in precedenza nel tentativo di eliminare Alfred, noi ci batteremo per cancellare definitivamente la sua esistenza dalle nostre vite e da quelle future.
Oggi, non è la fine: questo giorno è un nuovo inizio, l’alba di un nuovo futuro: tocca a noi costruirlo” il silenzio di pochi secondi prima si infranse e mille grida rimbombarono per la zona.

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Tutti si abbracciarono, esultando, rincuorati dalle parole del loro “eroe”.
Gli abitanti e gli amici della magione di Undertaker andarono incontro a Spears, guardandolo sorridendo, mentre suo zio gli aveva circondato le spalle con un braccio.
Lo fece voltare verso di lui, fissandolo negli occhi.
“Mi sono perso gli anni più belli della tua vita, non ho potuto vederti crescere e starti al fianco, sorreggendoti durante il tuo cammino, nei giorni difficili. Tua madre pregava perché venisse questo momento, ed io, nel recupero della mia anima la imitavo: ora che ti ho qui e vedo l’uomo che sei diventato, non posso far altro che esser orgoglioso di te” lo abbracciò, per la prima volta in vita sua, stringendolo forte, per non allontanarlo da sé.
Seguì un attimo di confusione generale, in cui il povero supervisore si ritrovò immerso in un mare di  abbracci, pacche, complimenti, insulti ironici, provenienti da tutta la sua compagnia.
Ciel lo guardò, sorridendo compiaciuto, mentre Michaelis lo fissava sollevato.
La piccola folla si divise su due lati, facendo spazio a Jane, che si fermò di fronte al ragazzo ed a suo padre, l’unico ostacolo fra lei ed il suo amore.
“Credo che la profezia debba essere studiata molto più seriamente… E soprattutto debba essere riscritta” annunciò il becchino, mentre il resto della congrega si abbracciava, esultando ancora.
Undertaker si scostò, sorridendole ed andando ad abbracciare “l’altro William”.
La ragazza osservò il suo shinigami sorriderle: una nuova cicatrice gli solcava il viso.
“Bè… A quanto pare ce l’hai fatta… Almeno per ora” “Già, e credo che per un po’ staremo in pace: potremmo goderci il Natale in santa pace” sussurrò, prendendole le mani.
“Spero che per una volta sia proprio così” disse, mentre finalmente potevano unirsi in un bacio che desideravano da tanto tempo. 

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Capitolo 31
*** L’aiuto degli angeli, un meritato riposo. ***


Questo è per tutti quelli che mi han seguito fino ad ora: grazie mille, senza lettori e recensori, non ci sarebbero gli scrittori.




Fabian si era allontanato di qualche metro per osservare il prato che poco prima aveva ospitato una battagli epica.
I cadaveri di nemici ed alleati, orribilmente mutilati o squartati, giacevano sul prato insanguinato: stavano svanendo in un denso fumo nero.
Alcuni shinigami e demoni si stavano occupando del recupero dei feriti, messi malissimo: erano quasi tutti in fin di vita, non ci sarebbe stato scampo per loro.
Jason e Federik erano troppo deboli per guarire altra gente, Hylda idem.
Assottigliò lo sguardo, mentre i capelli biondi gli ricadevano davanti agli occhi: doveva escogitare qualcosa per salvare quelle vite…
Alzò gli occhi gialli al cielo, congiungendo le mani, chinandosi a terra.

“Madre… Aiutali: hanno dato la vita per sconfiggere una minaccia che incombe anche sul vostro mondo, meritano di aver resa la vita” pensò intensamente, abbassando le palpebre.

Si rialzò, sperando che qualcuno lo ascoltasse, pregando perché i suoi consanguinei mettessero da parte l’orgoglio e la ripugnanza verso razze ritenute inferiori.
Pose la sua attenzione su William, intento ad abbracciare Jane.
Sospirò, vedendo Bart discutere con l’altro William (che sarebbe divenuto James, per non essere confuso con il nipote).

“Siamo cresciuti tutti, sono passati moltissimi anni: io mi ricordo di loro, ma loro non si ricordano di me…” mormorò, fissando la figura dei due shinigami che si parlavano.

Il suo sguardo ambrato incrociò quello di Bartholomew, che rimase impietrito sul posto.
Restò lì a fissarlo, bianco in volto.
Sul suo viso abbronzato e vecchio si dipinse un’espressione di tristezza e sgomento.

“Anton…” mimò con le labbra, poco prima che James gli afferrasse la spalle.

Fabian sobbalzò, facendo un passo indietro.
Vide lo shinigami dai capelli neri scuotere la testa.
“Anton non è più qui, lo sai anche tu: ho passato anni ed anni aspettando di recuperare la mia anima, ma quando si è verificata la sua scomparsa… Da quel giorno non ho più avvertito la sua aurea”
“Credi che io non sappia riconoscere mio figlio?!” esclamò furioso il vecchio spingendo bruscamente il più giovane “Ti dico che quello è lui! Sono praticamente identici! È-” “BASTA! Lui si chiama Fabian Schonberg, era un membro del dipartimento della Germania, a Berlino: ora è con noi a Londra ed è un incrocio fra uno shinigami ed un angelo!” Bart si arrese e si incamminò verso i cavalli che pascolavano più in là: a quanto pare solo loro potevano capirlo.
Allungò una mano verso il pelo fulvo di Alec, titubante.
Lo stallone lo guardò, pentito: per anni aveva scalciato e morso, per anni non aveva accettato la sua mano, sapendo benissimo che lui era l’ultimo legame che aveva avuto con il suo unico discendente, Anton.
Avvicinò il muso alla sua mano incerta, lascandosi accarezzare.
L’uomo, turbato dai ricordi, lo abbracciò, lasciando che una lacrima incontrollata, di pura sofferenza, bagnasse il manto del cavallo di suo figlio.

Fabian voltò la testa, deluso ed arrabbiato con sé stesso, con il suo orgoglio: quanto dispiacere avrebbe ancora provocato, ad un cuore straziato dalla morte di un figlio?

“Quando ti deciderai a confessare la verità? Non resisterà ancora per molto” James era appoggiato contro la sua spalla, con le braccia incrociate.
Dall’altra parte, Undertaker, nella stessa posa, fece spallucce “Ti sta associando ad una persona che conosci molto bene: soffre per il litigio avvenuto prima della scomparsa definitiva-” “NON LO SO! Basta con questa storia! Piuttosto occupiamoci dei feriti” “I demoni stanno morendo tutti, così come gli shinigami, anche se sono messi meglio”.

Fabian levò ancora lo sguardo al cielo, pestando un piede per terra, fremendo di indignazione.

“MADRE! CONSIGLIERI, DOTTORI: MI VOLETE ASCOLTARE?!” pensò, un’altra volta ancora.

Aprì gli occhi appena in tempo per vedere una schiera di bianchi uomini e candide donne alate volare verso il campo di battaglia.

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“Ti abbiamo sentito, Fabian” disse una voce nella sua testa, mentre l’alba finalmente sorgeva su di loro “Mi raccomando, scegli ciò che è giusto… Ascolta il cuore, non l’orgoglio, la paura o la vergogna” “Grazie mamma…” mormorò il giovane, mentre un vento fresco gli scompigliava i fini capelli biondi “Farò quel che devo, ho solo bisogno di tempo… Resta al mio fianco”.

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Will guardò gli angeli che curavano i feriti, con immenso stupore.
“Che ci fanno loro qui? Sono sempre in prima fila, quando finisce la battaglia” sibilò Jason, al fianco dello shinigami.
“Non lo so… Non saprei dirti…” videro Fabian avanzare a passi lenti, mentre la folla si discostava al suo passaggio, formando un corridoi apposta per lui.
Il passo prima era piuttosto malconcio, con i vestiti sporchi e la barbetta incolta, il passo dopo, era totalmente diverso: un bellissimo giovane, con i vestiti immacolati e splendenti, sbarbato e pettinato a dovere.
Gli occhi ambrati risaltavano sul candore del corpo, e le grandi ali piumate apparivano soffici e delicate.
Procedeva lentamente, con gli occhi fissi davanti a sé: sembrava un’altra persona.
Alcuni angeli chinarono il busto al suo passaggio, timorosi e riverenti.
Un uomo di mezza età, con capelli bianchi ed occhi viola lo fissò con sguardo severo.
“Fabian Schonberg, ci hai fatto scomodare per… Questi?!” inveì, indicando un demone ferito gravemente “È un oltraggio alla nostra natura, un sacrilegio! Noi siamo superiori a questi vermi, i demoni sono la reincarnazione del male e noi li dobbiamo combattere, non aiutare!” concluse, sbraitando in faccia al giovane.
L’angelo/shinigami aprì lentamente gli occhi, fissando il suo simile, con tutta la gelida calma di questo mondo.
“Loro hanno combattuto valorosamente per liberarci dalle tenebre di Alfred e dei suoi seguaci, hanno fatto le stesse cose che abbiamo fatto noi, non vedo perché non meritino lo stesso riguardo che state riservando a questi shinigami”
“LORO SONO DEMONI! LORO SON-” “LORO NON SONO DEI CODARDI COME TE! HANNO COMBATTUTO PER LA PACE, INVECE DI RESTARSENE RINTANATI NELL’ELISIO MENTRE QUI SI SPARGEVA SANGUE DI TUTTE LE RAZZE!” Jason aveva preso ad avanzare, minaccioso, verso l’uomo, con una pericolosa luce negli occhi.
“Frena la lingua, bastardo!” rispose il vecchio, con il timore nella voce.
“Io sarò pure un bastardo, ma voi non siete altro che dei codardi e-” con un gesto della mano, Fabian fece cenno al mezzosangue di tacere.
“Scostati dal mio cammino, Joseph: è tempo di mettere da parte i rancori e collaborare. Quando tutto sarà finito, potrai combattere contro chi vuoi” “E ti voglio vedere sul campo di battaglia…” ringhiò Jason.
“Se permettete la mia opinione” li interruppe la voce melodiosa di una ragazza “Io sono d’accordo con il signor Schonberg ed il moretto”.
Una giovane della stessa età di Blaik si fece avanti, sostando l’angelo più vecchio.

“Non possiamo permetterci di comportarci da vigliacchi, è il tempo di agire: molte vite stanno scomparendo, mentre noi siamo qui a litigare, lo trovo ingiusto e scorretto verso chi si è prestato, conscio di poter morire, per fermare uno spietato assassino”.

Gli occhi tricolore di Jason si dilatarono dallo stupore, mentre si stringeva la spalla e si premeva il petto, per fermare il sangue: quei capelli così biondi da sembrare bianchi, quegli occhi azzurri così intensi e limpidi, quella carnagione di porcellana…

“HILARY! TI PROIBISCO ASSOLUTAMENTE DI-” “È Fabian che comanda, non tu: io non ho paura di ammettere che me ne sono stata rintanata in casa mia, al sicuro, mentre qui si scatenava l’inferno. Voglio rimediare ai miei errori, ed è quello che farò”.
Fra lei e Jason c’erano ormai solamente pochi centimetri di distanza, ed il mezzosangue continuava a vedere in quell’angelo, la ragazza che aveva amato e che aveva perso a causa di suo padre.

Gli prese gentilmente una mano insanguinata, macchiando la sua pelle nivea di scarlatto, la allontanò dallo squarcio già infettato e premette le sue mani sul petto del ragazzo.
Una luce bianca, e della ferita rimase solo una lunga linea pallida.
Ripeté l’operazione anche sulla spalla del giovane, che tornò sana come un tempo.
Afferrò un angelo con i capelli neri e lo affiancò all’incrocio, poi si rivolse al più anziano “Dimmi Joseph: che differenze vedi? Per una volta, andiamo d’accordo”.
Il veterano scosse la testa, fissando il terreno.
Rimase immobile ed alzò gli occhi su William, che Fabian aveva fatto avvicinare.
Fissò i due ragazzi in silenzio, sospirando pesantemente “E va bene! Facciamo questo esperimento, ma che sia la prima e l’ultima volta” sentenziò, guardando di traverso la ragazza che sorrideva soddisfatta, senza accorgersi che stava tenendo ancora la mano del mezzosangue.
“Avanti angeli, c’è molto da fare: mettete tutti fuori pericolo di morte, dopodiché, dovete trasportarli in un posto asciutto e sicuro” esordì Schonberg “Se permettete, io avrei una proposta” tutti si voltarono verso Undertaker, timorosi davanti ad uno shinigami così illustre.
L’uomo si teneva una mano sul viso, dal quale colava sangue, ma il suo solito sorrisetto ambiguo troneggiava “Portateli nel mio secondo capannone per la servitù, dove si trasferiscono in estate, e se ciò non bastasse anche nel retro della stalla: non ci sono bestie ed è attrezzata”.
Joseph annuì ed iniziò a gridare ordini a destra e a manca.
Il campo fu sgombrato in meno di cinque minuti.
Nel prato rimasero solo William, suo zio, David, Jane, suo padre, Fabian, Hylda, Federik, Jason, Ciel, Sebastian e Bartholomew.
“E adesso noi che facciamo?” chiese Jason, con lo sguardo perso fisso sul terreno.
“Direi di tornare alla villa e di medicarci, meritiamo anche noi un po’ di riposo” propose Federik, con il suo fioretto in mano.
“È stata una battaglia lunga ed estenuante, specialmente per te, William: abbiamo ferite poco gravi, rispetto a tanti altri, ma non vanno trascurate. Per esempio il tuo viso, Will, continua a sanguinare, così come quello di Undertaker, la gamba del conte o il polso di Sebastian… Inoltre, altri hanno qualcosa di fratturato ed io ho la schiena a pezzi: torniamo a casa, ragazzi” decretò il medico David, alzando lo sguardo sul sol levante.
“Quando tutti saranno andati via, potremmo finalmente poterci godere un sonno beato… Conte Phantomhive, se non hai impegni urgenti, potresti restare con noi, alla magione c’è posto” mormorò Undertaker, fissando il ragazzo, insolitamente docile. L’Earl annuì, grato “Non farà male a nessuno una dormita, io ho detto alla mia servitù che sarei partito per un viaggio di lavoro: accetto volentieri la tua proposta” disse, fissando il cielo.
Poi si rivolse a William, prendendolo in disparte “Hai tutto il mio rispetto, ora, quattr’occhi” disse, sorridendo “Ne sono felice, cagnolino” rispose di rimando Will, canzonatorio.
“Avanti compari: andiamo a riposarci” propose Hylda, e tutti levarono lo sguardo al firmamento, dove l’alba lo tingeva di rosso.
I dodici si incamminarono verso la magione, lieti di aver portato a termine la loro missione.

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Rosso scarlatto, colore della passione, dell’amore ma anche dell’inferno, del fuoco, delle fiamme.
Del sangue.
Il demone rantolava, con il respiro spezzato, in fin di vita.

“William T. Spears… Hai vinto la battaglia ma non la guerra: preparati piccolo erede, verrò a cercarti, questa volta non ci sarà una via di fuga” Alfred tossì ancora liquido carminio, maledicendo l’ennesima volta quell’insopportabile dio. 



“Guardati le spalle: io sono lì, nelle tenebre… E ti osservo… Sempre”. 
 

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Capitolo 32
*** Coincidenze, spiegazioni. Torna da noi e non dimenticarci: ti aspetteremo. ***





Il silenzio regnava su tutta la magione: gli eroi della “Battaglia d’autunno” dormivano beatamente, immersi in un sonno rilassante e ricostituente.
Gli angeli se ne erano andati, così come i feriti: erano tornati tutti alle proprie case, dalle proprie famiglie.
William era immerso in un sogno strano: forse erano brandelli di memoria? Non avrebbe saputo dire, era troppo stanco per svegliarsi.

“Padre! Padre sei tornato!” “Ma certamente piccolo: nessuno può permettersi di sfidare tuo padre! Io tornerò sempre piccolo mio… Vieni: Blackjack vorrebbe portarti fino al limitare del bosco!” disse l’uomo, prendendo in braccio il figlio.
Il bambino, però, arretrò inorridito, puntando le mani sul petto del papà.
“Chi ti ha fatto questo…? È rosso, è grande… Fa male?” “Oh, suvvia figliolo, non è niente… Solo un graffietto, il tuo papà è forte: me l’ha fatto un demone ma non ti preoccupare, guarirò subito” il volto dell’uomo era sfregiato: una lunga linea verticale che gli divideva a metà l’occhio destro, partendo da mezza fronte ed arrivando a mezza guancia.


Will si sentì scuotere dolcemente: mugugnò qualcosa, mettendosi supino ed infilando la testa sotto il cuscino.
“Avanti non fare storie. Sono le quattro di pomeriggio e siamo andati a dormire alle cinque di mattina: hai dormito nove ore, ti puoi anche svegliare” borbottò una voce contrariata.
L’avrebbe riconosciuta fra mille: dopotutto era la sua.
“Sono reduce da un duello mortale con Alfred: lasciami dormire in santa pace” bofonchiò lo shinigami, stremato.
“Allora te le cerchi…” mormorò Jane, assottigliando pericolosamente lo sguardo.
Prese due passi misurando le distanze.

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“AHIA!”
L’urlo di Will, schiacciato da cinquanta chili di dea della morte, risuonò nella stanza.
"Così impari a fare il lavativo… Buongiorno, amore” gli sussurrò all’orecchio, mentre si sdraiava più comodamente sulla schiena del suo ragazzo.
“Se ti togli non piango… Perché mi devo alzare? Lasciami dormire fino all’ora di cena…” mugugnò il giovane, sbadigliando sonoramente.
“Avanti, sbrigati: dobbiamo festeggiare” “Festeggiare cosa? La mia vittoria? Non si può festeggiare finché lui non sarà morto! Mi ha strappato dalla mia casa, non ho potuto dire addio a mia madre, non ho potuto vedere mio padre invecchiare…” sibilò William, furioso ed amareggiato.
Il silenzio tornò a dominare nella stanza.
"…Ma ora sei qui: hai una casa, degli amici, una ragazza che ti ama… Avanti vieni con noi: festeggeremo il ritorno di tuo zio… È un miracolo che sia ancora vivo: ha sofferto in questi duecento anni, vuole recuperare tutto il tempo perso con te” la shinigami si sollevò sulle braccia e ricadde sul materasso.
Il dio rimuginò in silenzio e si girò verso di lei, prendendole una ciocca di capelli fra le dita “D’accordo, dopotutto sono stato a letto abbastanza: stare troppo lontano dal mio ufficio mi ha impigrito… Fammi cambiare ed arrivo subito…” mormorò, socchiudendo gli occhi  e sbadigliando un’altra volta.
Sentì un polpastrello morbido percorrergli il lungo sfregio disegnato sul suo viso: i bordi della ferita erano arrossati e ciò non gli conferiva un’aria raccomandabile.
“Avrebbe potuto ucciderti” “Ma non è successo: se mi fossi tirato indietro, avrebbe continuato a mietere vittime. Avrebbe potuto uccidere gli altri… Avrebbe potuto uccidere te: non me lo sarei mai perdonato. Vai pure: arrivo immediatamente” Jane capì che voleva prepararsi nel più totale silenzio, per assimilare in solitudine gli eventi delle ultime ore, quindi gli diede un bacio sulla guancia ed andò in salone ad avvisare gli altri.
Spears si alzò, togliendosi la maglietta del pigiama e guardandosi allo specchio: era pieno di sfregi.
Si rimirò nel vetro osservandosi: la cicatrice più larga (quattro centimetri) ed irregolare era quella che gli scendeva in diagonale, vicino al cuore.
Si accarezzò il mento, osservando i tre solchi che gli attraversavano gli occhi, poi spostò lo sguardo sulla “nuova venuta”, la terza procuratagli dal Alfred.
Ridacchiò: segnato in quel modo, sembrava uno zombie.
Fu in quel momento che si accorse di una cosa strana: sul pettorale sinistro c’era un’altra linea, più piccola e sottile.
Tese il bicipite, anch’esso sinistro e si accorse di avere un’altra cicatrice biancastra irregolare, a forma di fulmine anche piuttosto spessa.
“Strano, non me ne sono accorto fino ad ora…” rimase stupito a guardarsi nello specchio, finché non si ricordò di dover scendere.
Corse in bagno e si pettinò: non aveva tempo di mettersi il gel, quindi lasciò la frangia.
Si mise una camicia nera, dello stesso colore dei pantaloni: aveva lo stesso aspetto di quando andava in accademia.
Sembrava suo zio: si era vestito allo stesso modo, aveva lo stesso cipiglio severo e glaciale…

“Mi sono perso gli anni più belli della tua vita, non ho potuto vederti crescere e starti al fianco, sorreggendoti durante il tuo cammino, nei giorni difficili. Tua madre pregava perché venisse questo momento, ed io, nel recupero della mia anima la imitavo: ora che ti ho qui e vedo l’uomo che sei diventato, non posso far altro che esser orgoglioso di te”.

Il giovane sorrise: suo zio l’amava moltissimo e dopotutto, meritava di essere festeggiato dal suo unico “figlio”.
Si mise il bracciale e la collana: era ora di entrare in scena.

Un passo, due passi.
Tutti erano intenti a chiacchierare.
Tre passi, quattro passi.
William si girò verso William: tutti e due vestiti di nero, tutti e due con la pelle lattea, tutti e due con sguardo gelido e severo.
Cinque passi: qualcuno della compagnia si gira verso il William più giovane.
L’ombra di un sorriso compare sui loro volti lieti.
Sei passi.
Jane si volta verso il suo ragazzo, fissandolo negli occhi, fiera ed orgogliosa di lui.
In quel momento lo ama più di quanto abbia mai fatto.
Sette passi.
Undertaker si gira, scrutando i cambiamenti di quel ragazzo che aveva cresciuto: aveva trovato un bambino fragile ed insicuro, ora era un giovane uomo forte e deciso.
Otto passi.
Ciel Phantomhive si toglie la benda dall’occhio, china la testa ed il suo servitore sospira: un altro alleato formidabile che all’occasione si sarebbe trasformato in un nemico mortale.
Nove passi.
William T. Spears è quasi alla fine della scalinata e ogni singolo presente lo fissa, in silenzio, aspettando che sia davanti a lui, per convincersi che tutto ciò che è accaduto nella scorsa nottata fosse vero.
Dieci passi.
Will scende anche l’ultimo gradino, trovandosi di fronte a suo zio.
Si osservano in silenzio, senza parlare, con la stessa espressione in viso.
Un ampio sorriso si apre sui volti degli “eroi” che si esibiscono in un abbraccio di gruppo.


“AVANTI FACCIAMO FESTA!” gridò Jason, euforico, appoggiato da Hylda.
David, un po’ ricurvo, si sosteneva con una stampella ed osservava suo nipote e la donna che si divertivano, con un sorriso sulle labbra: la schiena gli doleva, lo scontro con Alfred era stato duro ma nonostante tutto ce l’avevano fatta, a salvarsi la pelle. “Allora: direi che siamo qui riuniti per uno scopo ben preciso…” “Festa!” gridò Jason dall’angolo della stanza: al suo fianco c’era l’angelo che lo aveva appoggiato, Hilary.
La ragazza sorrideva e Blaik ne era compiaciuto.
“Sì, festaiolo che non sei altro: faremo anche quello, non ti preoccupare” sospirò il becchino “Allora: fra di noi, si nasconde uno dei più grandi shinigami di tutti i tempi… Non sto parlando di me. Io sono IL più grande, non uno dei tanti”
“Viva la modestia” mormorò Jason.
Risatina generale. 
“Sebbene sia mio coscritto, lui è diventato un leggendario molto prima di me, quindi, anche se tutti parlano di me come il migliore, devo riconoscere che devo portare rispetto a questa persona. È sfuggito dalla morte ed ha ribaltato le sorti della battaglia. Avanti, un bell’applauso e un inchino al re degli Dei della morte: William James Ford, il drago del nord!” l’uomo sogghignò, squadrando il becchino “Ma guardati, il re degli shinigami? Ahah, a quanto pare ti reputi ancora superiore, re dei morti: ricordati che abbiamo una grande sfida in sospeso Undertaker, e chi la vincerà sarà davvero il principe dei due mondi!” sogghignò il moro.
“Ah, sì? E chi sarebbe il RE dei due mondi?” ghignò il becchino “Il re è LUI beccamorto, lo sai benissimo” sussurrò il corvino “Colui che ora ci sta guardando dal suo trono con la regina”.
Spears inarcò un sopracciglio: non capiva a cosa si riferissero i due.
Si guardò intorno: tutti erano intenti a festeggiare, tutti erano felici.
Sorrise, paziente: dopo tutto quello che avevano passato, dopo tutte quelle sofferenze, un po’ di relax calzava a pennello.
Una mano sulla sua spalla lo fece voltare di scatto: Jane gli sorrideva, anche lei finalmente rilassata.
“Ne abbiamo passate tante… Non posso credere che ora finalmente ci sarà la pace” disse, facendo scorrere lo sguardo su quella che ormai era diventata la sua famiglia.
Lo shinigami si rabbuiò per un secondo e la ragazza lo guardò preoccupata.
“Che c’è, Will?” “Lui non è morto: la pace non ci sarà finché non l’avrò eliminato definitivamente” “Come fai a sapere che non è morto?” “Lo sento sulla pelle… Lo sento nel mio cuore” rispose il giovane, portandosi la mano all’occhio destro e poi al cuore. “Sai, vorrei credere che ti stai sbagliando… Ma so che non è vero. Mi piacerebbe credere che tutto sia finito… Invece siamo solo all’inizio…” “A metà percorso” disse improvvisamente William, accarezzandole il viso: i suoi occhi verdi brillavano di una nuova certezza, di una nuova felicità.
“Ora capisco una cosa: questa è stata solo una prova, un’esperienza che mi è servita per acquistare fiducia in me e per convincermi che Alfred non è poi così forte” “Ed hai completamente ragione, William”.
L’eroe si girò, trovandosi di fronte Federik “Quando sono venuto a trovarti, ti ho detto che avresti combattuto molto perché ero al corrente dell’allenamento di Undertaker: ti stavo aspettando nella grotta della cascata quando ho captato una fortissima energia provenire dal bosco: cautamente mi sono sporto da una crepa nella roccia ed ho intravisto dei demoni che marciavano. Non erano nostri alleati, non erano venuti per portarci un mazzo di fiori: mi sono messo a correre e mi sono buttato dalla roccia della cascata, dove ho preso una scorciatoia ed ho pregato che i miei piedi mi reggessero fino alla magione. Quando stavo rallentando il passo ho avuto un incontro fortunato: Wayne ed il conte Phantomhive, che aveva dovuto nascondersi nella boscaglia per evitare i demoni di Alfred. Il nobile era sbucato dal portale proprio quando stava arrivando il nemico e per non mettere in pericolo gli abitanti della magione aveva galoppato con il suo cavallo fino a raggiungere il bosco. Non poteva comunicare con il suo demone perché lo avrebbero scoperto. Comunque sia, il lupo ha avvisato i suoi simili comandandogli di far giungere il messaggio di pericolo alla magione. Quanto a Ciel, lui-” “Con il mio cavallo mi offrii di dare un passaggio al mio alleato per giungere prima alla villa, riuscendo così ad avvisare gli altri, organizzando una bella e pronta difesa” continuò il giovane Earl, fissando William.
“A metà percorso abbiamo avuto la coincidenza di trovare Shade che pascolava: abbiamo potuto proseguire con due cavalli, impiegandoci meno tempo” finì il giovane londinese.
“Non hai trovato l’avversario nel bosco perché Fabian si era accorto della presenza dei demoni e si è dovuto nascondere: questo è quanto… Lui e Jason, che era il tuo secondo avversario, sono accorsi in tuo aiuto, dandoti un po’ di sicurezza. Hai combattuto contro Alfred e l’hai sconfitto… Meriti il rispetto di tutti noi, nonché la nostra gratitudine: la prossima volta, se combatterai ancora con la stessa mente fredda e la stessa fiducia trionferai definitivamente” gli disse con un gran sorriso Federik, mentre Hylda lo chiamava.
“Liberandomi così da questa eterna maledizione” aggiunse sussurrando, mentre si voltava e correva verso la donna.
“Conte, posso chiederti una cosa?” chiese Will, mentre increspava la bocca e le sopracciglia, con gli occhi chiusi.
“Dimmi pure” rispose Ciel, guardandolo interrogativo.
“Chi ti ha dato quella Death Schyte NON OMOLOGATA?!” chiese, mentre una vena pulsante gli appariva in fronte.
“Ehm… Un tuo sottoposto… Nel.. Ehm nel tuo reparto” “Di CHI si tratta?” sibilò William, stringendo i pugni e parlando con gelida calma, trattenendo a stento la rabbia.
Il ragazzo si agitò, dondolandosi avanti ed indietro, a disagio.
“Ecco, vedi, si tratta di…” “Me” fece una voce, con molta nonchalance “Guarda come ho arredato bene l’ufficio, adesso non sembra più quella sottospecie di prigione grigia e noiosa di una volta!” esordì sempre la voce, mostrando al giovane delle fotografie.

 Angolo Grell: una scrivania rossa  fiammante con irregolari macchie più scure, simili a sangue VERO.
Una miriade di trucchi di tutte le tonalità esistenti del rosso: smalti, rossetti, fard, matite e diavolerie simili sostavano sopra il banco da lavoro.
L’intera parete era stata pitturata di vermiglio: su di essa c’erano un milione di poster di Sebastian Michaelis in varie posizioni, anche mentre potava le piante.
Tutto ciò accompagnato da scritte bordeaux, che spiccavano sulla parete.
“Sebas-chan sei un gran figo” “Sebby sei davvero sexy” “Sei un figone in divisa” “Mi fai avvampare tutta” “Sei più bello di un dio”.
Sotto quest’ultima c’era un’annotazione di Ronald “Sempai questa è una bestemmia!” “Perché, le altre scritte sono preghierine?” commentava la calligrafia di Hylda.


Angolo Ronald: Poster su poster, foto su foto, ritagli di giornale su ritagli di giornale… TUTTI ma proprio TUTTI raffiguranti giovani donne e ragazze in pose osé o in biancheria intima.
Riguardo al portapenne dalla DUBBIA FORMA,
forse è meglio non fare commenti.
La pittura bianca dei muri pareva non esistere più: tutto coperto da tutta quella carta.


“Ma si può sapere chi sono i tuoi sottoposti? Una massa di maniaci sessuali?!” sbraitò Jane, indignata e sconvolta allo stesso tempo.
Hylda sghignazzò, mentre Will aveva il viso coperto dalle fotografie, livido di rabbia, con le mani tremanti.
“Guarda, questo è il “prima”…” disse, mostrando a Jane un immagine dell’ufficio di William, bianco e grigio, perfettamente ordinato “… E questi sono il “dopo”” rise, mostrando le foto che Will teneva in mano.
“IO. VI. UCCIDO.” esclamò il giovane, imbestialito.
“Spero per il vostro posto di lavoro che non abbiate toccato-” l’altra lo bloccò con un gesto della mano, improvvisamente mesta “Il tuo regno? Guarda con i tuoi occhi”.
L’ufficio del supervisore era completamente ordinato: tutto al suo posto, niente che non andava…
Tranne qualche cambiamento: le tende della finestra erano nere e tirate, tutto appariva oscuro, nero come il carbone.
Una cornice faceva capolino sulla scrivania: era una foto di tanto tempo fa, quando lo shinigami in nero era appena diventato supervisore.
Lui era seduto alla scrivania, con le dita intrecciate sotto il mento, un vago sorriso, furbo e beffardo aleggiava sulle sue labbra.
Hylda al suo fianco sorrideva determinata, reggendo in mano delle pratiche da firmare.
Poco più avanti, alla destra destra e alla sinistra del “capo” Grell e Ronald erano in piedi, il primo facendo l’occhiolino, con una mano sul fianco (in una posa decisamente femminea) ed il secondo appoggiato con il mento sul manico della sua Death Schyte mentre ghignava.
Alan era al fianco di Ronald, serio e composto, mentre Eric sghignazzava vicino a Grell, mettendo in mostra la propria sega.
Vicino alla fotografia incorniciata c’era un biglietto.
“Non dimenticarti di noi, ti prego: torna dai tuoi uomini” diceva.
William rimase immobile sul posto, con la bocca socchiusa.
“Da quando te ne sei andato, noi facciamo festa: lo facciamo per nascondere il dolore della tua perdita. Credono che tua sia morto, che un demone ti abbia ucciso: hanno visto e sperimentato tutti i poteri di Alfred… Vedi quelle rose nere sulla scrivania? Ogni mattina, a turno, se ne occupano e quando appassiscono se ne procurano delle altre: sono come un gregge senza pastore, non hanno più un capo. Ogni giorno aspettano che io entri in ufficio e quando apro la porta sobbalzano, per poi tornare mesti: hanno ancora la convinzione che tu possa essere ancora vivo, credono in te e sperano che prima o poi tu varcherai la porta, riprendendoli uno a uno, prendendoli a calci. Hanno provato ad assegnare un nuovo supervisore ma loro si sono ribellati”.

“Bene: vi annuncio ufficialmente che vista la continuata assenza del vostro egregio superiore, tale William T. Spears, abbiamo deciso di eleggere un uovo superv-” “NO!” urlò Grell, alzandosi di scatto e sbattendo le mani sulla propria scrivania.
“William tornerà e non noi abbiamo nessuna intenzione di ubbidire a qualcun altro: sparisci” “Giovanotto, vuoi essere licenziato?” “Se questo servirà a farti sloggiare da questa stanza e a non fartici più entrare sì, vecchio barbogio” il più anziano estrasse una falce ma immediatamente una moltitudine di Death Schyte gli si rivolsero contro, puntate al collo.
Alan, con il viso in ombra ed uno sguardo crudele e pericoloso disse, fermo “Noi siamo stati addestrati a svolgere il nostro lavoro anche senza il nostro capo: lo aspetteremo, anche a costo di restare relegati qui finché non andremo in pensione” “Queste sono le disposizioni e non si discute” aggiunse Eric, avvicinando pericolosamente la sega al collo dell’anziano.
“William T. Spears è vivo e noi lo attenderemo, difenderemo il suo posto pagando anche il prezzo più salato… Correndo il rischio di essere licenziati” ringhiò Knox, fissando negli occhi il superiore.
“La prego, abbia pazienza, attenda fino alla prossima stagione… Aspetti la primavera e non si presenti più nel nostro ufficio” disse Hylda, prima che un giovane dai capelli color grano prendesse per una spalla l’anziano.
“Costoro amano il proprio superiore e gli sono fedeli: ascolti la sua richiesta, io mi occuperò della coordinazione di questo settore, controllando che tutto vada per il meglio” disse il giovane.
“E sia: me ne vado” disse il vecchio, scappando dall’ufficio.
“Ce ne hai messo di tempo per arrivare, Fabian Schonberg!” lo rimproverò ironicamente la Cavendisch.
“La Germania è distante da qui” disse il mezzosangue, sorridendo “William tornerà ed allora tutto sarà finito”.


Il supervisore era rimasto a fissare la foto con aria colpevole, mentre Jane gli accarezzava una spalla.
“Tornerai al più presto ed io sarò al tuo fianco” gli mormorò in un orecchio, lasciandogli un leggerissimo bacio.
“Avanti, basta con i musi lunghi: festeggiamo il nostro eroe ed i nuovi componenti della squadra!” urlò Hylda, mentre tutti sorridevano, brindando soddisfatti.
Gli eroi avevano allargato la squadra, che ormai era la seguente: Undertaker, David Jones, Federik Jones, Jason Blaik, Fabian Schonberg, Hylda Cavendisch, Jane, Bartholomew Von Clay, Sebastian Michaelis, Ciel Phantomhive, Hilary Rain, William James Ford... Ed infine lui.
Il dio della profezia.
William T. Spears. 

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Capitolo 33
*** Suspance ***



William era seduto sulla ringhiera del balcone, tenendosi appoggiato con una mano al ferro, mentre l’altra era posata immobile sopra la sua coscia.
Aveva il viso rivolto lontano, verso il bosco, che ora appariva come una lunghissima chiazza nera.
Il cielo era scuro e tappezzato di stelle: faceva freddo, e la fresca aria notturna gli scompigliava i capelli.
“Hai intenzione di prenderti un accidente?” Will sorrise, riconoscendo la voce “Madre, sai benissimo che non ci possiamo ammalare per il freddo… Mi piace la calma che c’è quassù”.
“Di sotto ti stanno festeggiando, perché non ti unisci a loro?” domandò Isabel, tenendosi alle spalle del figlio.
“C’è troppa confusione, non sono abituato a festeggiare, non sono avvezzo e mi sento soffocare” la donna rise “Eh, già… Strano eh…”.
Improvvisamente Will si irrigidì, mentre i suoi occhi si spalancavano.
“NO!!”.
 

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Capitolo 34
*** Sensi di colpa, il dolore del passato. Chi sei, Fabian Schonberg? ***




Nessuno aveva mai gridato in quel modo.
Un coltello da cucina brillò sopra William.


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Il ragazzo si voltò, trovandosi davanti ad una diavolessa dai capelli blu.
Il suo sorriso era perverso e sadico.
Vide suo zio e gli altri gridare.
La lama stava per toccargli il collo.

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Un’improvvisa luce illuminò la sua collana ed accadde qualcosa di straordinario.

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Un drago alato si proiettò nel cielo, ruggendo possentemente e sfoderando gli artigli: era bianco e lucente come l’alabastro, ma i suoi occhi erano come due smeraldi, mentre le sue zanne erano di un grigio bluastro, brillanti come un diamante.
La sua cresta era appuntita e fiera, così come il suo sguardo.
Mentre tutti lo ammiravano, l’altro William si buttò di peso sulla donna, facendole fare un volo tremendo.
Volse lo sguardo nelle iridi verdi del drago e fece un cenno d’assenso con il capo.
La bestia ringhiò, chinando il capo e rivolse il testone verso Spears.
In un fascio di luce, saettò verso il ragazzo e penetrò nella sua collana.
Un ululato risuonò nella notte, ed un lupo enorme, dal pelo grigio e nero sul dorso, saltò con eleganza sul davanzale in cui tutti erano.
La demone si era alzata, fissando con occhi pieni di rancore la compagnia di eroi.
“Perché non te ne sei andata con gli altri?!” domandò Sebastian, con molto astio.
“Perché voglio vendicarmi di chi ha ucciso la mia famiglia!” “Se cerchi gli assassini che hanno compiuto un atto così sconsiderevole verso i tuoi parenti, dovresti rivolgerti ad Alfred!” esclamò Michaelis, alzando notevolmente la voce.
“Una volta anche tu eri normale, anche tu la pensavi come me, Sebastian, ma poi ti sei fatto intenerire da questi esseri schifosi, perdendo la ragione! Non sei più il re dei demoni da un pezzo! Anzi: non lo sei mai stato! Alfred mi ha salvato e mi ha portato sulla retta via!” Sebastian strinse i pugni, mentre gli artigli gli si conficcavano nella carne, lacerando i guanti da butler.
“LUI NON È ALTRO CHE UN LURIDO ASSASSINO, E TU SEI TALMENTE STUPIDA ED ACCECATA DAL DOLORE CHE NON CAPISCI CHE WILLIAM E LA SUA FAMIGLIA NON HANNO COLPA! TI SEI FATTA SOGGIOGARE COME UNA BAMBINA” “TACI!” urlò di rimando la ragazza: avrà avuto l’età di Sebastian.
“ALICE! RAGIONA CON LA TUA TESTA!” sbraitò il maggiordomo.
Prima che lei potesse avventarsi sul demone, un’enorme bestia la bloccò, azzannandole il polso.
La luna era piena nel cielo, ed era mezzanotte.
Wayne ringhiò, feroce, mentre tutti lo guardavano stupiti.
Il lupo si alzò su due zampe, facendo impallidire i presenti.
“Ma che diavolo sta succedendo qui?” chiese Jason.

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La fiera latrò, fissando con gli occhi gialli e spietati Alice.
Fabian avanzò verso l’animale, che si inginocchiò al suo fianco.
“Alice, ti conviene andartene subito da qui, se sei convinta che Alfred abbia ragione” “Che cosa ne vuoi sapere, tu: sei solo uno stupido incrocio che crede di essere Dio!”.
Wayne ruggì, mostrando le zanne luccicanti di bava, pronto a sbranare quell’insolente.
“Io non credo di essere Dio, ma credo che tu sia solo un’ignorante che sta annegando nella disperazione” “QUEL MALEDETTO ED I SUOI GENITORI HANNO AMMAZZATO LA MIA FAMIGLIA! QUELLA COLLANA A FORMA DI DRAGO DIMOSTRA CHIE LUI È UNO DELLA STIRPE DI QUEGLI ASSASSINI! DEVE PROVARE LA STESSA COSTERNAZIONE CHE HO PROVATO IO! DEVE MORIRE!” strillò la ragazza.
“SMETTILA! MIA SORELLA E SUO MARITO NON HANNO FATTO NIENTE!” intervenne Ford, avanzando a grandi passi verso la diavolessa.
“Se lo vuoi tanto sapere… Isabel e Tim hanno lottato per salvarti la vita, così come gli altri di questa magione! Quel 14 febbraio io ho visto in faccia la morte, ho rischiato di morire combattendo contro Alfred ed i suoi scagnozzi” sibilò lo shinigami, tremante “La collana che porta al collo mio nipote è il simbolo della sua dinastia, è stata tramandata di padre in figlio fin dal capostipite della sua famiglia: il drago rappresenta la saggezza, l’onore e la fierezza, mentre la lancia simboleggia il potere e la forza… NON È UN SIMBOLO DI MORTE!” esclamò, facendo un passo in avanti.
Sebastian si mise di fronte alla simile.
“Alice, ascoltami: io lo so che hai sofferto, mio padre è morto per mano di Alfred, così come tuo fratello, tua sorella, tuo padre e tua madre. Siamo uguali” “Tu non eri così…” sibilò l’altra “Hai ragione: ero stupido e cieco, ora so la verità. Credimi Alice” disse, prendendole i polsi.
Il viso della ragazza venne oscurato dalla sua frangia.
Will mosse qualche passo, affiancandosi a suo zio.
“I suoi genitori sono stati uccisi da Alfred, così come i suoi fratelli: sono stati imputati di alto tradimento e cospirazione contro di lui… Lei è sopravvissuta e quel demonio le ha fatto credere, approfittando della sua momentanea disperazione, che siano stati i tuoi genitori a sterminare la sua famiglia… Le ha mostrato una copia della collana che hai, coperta del sangue dei suoi parenti…” mormorò James allo shinigami più giovane “Non pensavo che quella ragazzina fosse viva, l’ho riconosciuta dopo 204 anni… Mi sento un drago” sdrammatizzò, sorridendo leggermente.
“Ha imitato la voce di mia madre ed ha nascosto la sua aurea demoniaca… Che stupido che sono stato, credevo che tutto fosse finito…” “… Ed io pensavo di aver ucciso tutti gli scagnozzi di quel cane: me ne è sfuggita una”.
Alice si liberò di colpo della leggera presa di Sebastian e gli graffiò il viso, tirandogli un calcio nello stomaco.
Il diavolo cadde all’indietro, spiazzato, mentre il sangue gli colava dalla guancia.
La diavolessa scappò, mimetizzandosi fra le ombre.

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Fabian digrignò i denti e mosse la mano: Wayne si lanciò ringhiando dietro la fuggitiva.
Sebastian si passò una mano sui cinque solchi che aveva sulla guancia destra.
David gli si avvicinò ma l’altro lo bloccò con un secco gesto della mano.
In preda alla frustrazione, il maggiordomo si alzò di scattò, piegandosi sulle ginocchia.
Iniziò a ringhiare anche lui, mentre la sua vera forma emergeva.
Ciel sussultò, avvertendo l’aura demoniaca del suo servitore.
Si strappò la benda dall’occhio, per facilitare la trasformazione.
Il conte impallidì, ricordandosi il giorno in cui lo vide per la prima volta.
Il moro si piegò su sé stesso: le ali stavano spuntando dalla sua schiena.
“Vai a prenderla” disse il bocchan.
"Viva".
“Yes, my lord… ROAR!” ruggì come una bestia, mostrando le zanne, poi scattò, mischiandosi con l’oscurità.
Tutti restarono in silenzio, sconvolti.
Undertaker si voltò verso William “Ringraziamo il cielo e tuo zio: hai rischiato ancora… Alice… Io pensavo che fosse morta, ed invece non è così… Torniamocene dentro: quei due segugi non tarderanno a raggiungere la preda”.
Bartholomew afferrò senza preavviso la spalla di Schonberg, stringendola.
Il giovane si bloccò di colpo, mentre il suo cuore accelerava.
“Chi sei in realtà?! Perché il mio lupo ha subito una metamorfosi?! Ma soprattutto perché ti ubbidisce?!” domandò, con molto sgarbo e a voce alta il tuttofare di “Casa Undertaker”.
Il mezzo angelo lo fissò negli occhi, di sbieco: ambra e oro fuso, con qualche scheggia nera, in un verde pallido, come lo stelo di un fiore che sta iniziando a percorrere la fine della sua vita.
Il giovane si girò completamente, afferrando il polso del vecchio con la sua mano pallida ed affusolata.
I suoi finissimi capelli biondi gli scesero davanti agli occhi, ancora fissi in quelli di Bart.
“Il tuo lupo discende da una razza di animali adibiti a proteggere le altre razze dai demoni e, soprattutto dai vampiri: delle specie di lupo mannari, o licantropi, ma senza alcun gene umano… Mi ubbidisce perché mi riconosce” l’uomo sussultò, mentre i suoi occhi si animavano di una vaga speranza.
“Riconosce in me l’autorità di uno dei giovani capi angelici più importanti sulla piazza, le creature che nominarono la sua stirpe "guardiani del male" ”
“Il mio lupo se ne è sempre fregato di tutti coloro che non conosceva… Anche se essi fossero i bracci destri di Dio… Ha ubbidito così ciecamente solo ad una persona, in tutta la sua vita…” sussurrò, con un filo di voce, indubbiamente rotta
“Ti ripeto la mia domanda: chi sei?”.
Sul volto di Fabian, per un nanosecondo, comparve un’espressione combattuta e sofferente, ma poi tornò la solita calma “Io sono Fabian Schonberg, del dipartimento tedesco, incaricato di mantenere l’ordine nella sezione invio dei della morte, nonché cospiratore ai danni di Alfred Jones” affermò, voltando le spalle all’uomo, che aveva lasciato la spalla del giovane.
David mise le mani sulle spalle del Von Clay “Rassegnati, amico mio: tuo figlio è morto, ma sono sicuro che è fiero di te e ti protegge…” l’uomo non rispose, si chiuse in un ostinato silenzio, mentre due lacrime gli scendevano sulla pelle bruna, scurita dal sole. “Sì cert- NGH!” il vecchio si portò una mano al cuore, stringendo a più non posso la camicia, mentre rantolava in cerca d’aria. David trasalì mentre Fabian, con il terrore sul volto, prendeva al volo il vecchio. “MALEDIZIONE!”  imprecò il demone, tracciandosi dei segni sul palmo delle mani con il suo sangue.
Le congiunse, concentrandosi, mentre i suoi occhi si incendiarono, diventando via via sempre più fucsia.
Schonberg poggiò Bart a terra e posò le mani sul petto dell’uomo nello stesso istante in cui lo fece David.
“Che sta succedendo?” chiese Jane, aggrappata alla spalla di Will, una figura nera e slanciata nella notte.
“Credo che Bartholomew abbia avuto un attacco di cuore, quindi stanno usando la medicina angelica e demoniaca per salvarlo… Solitamente un diavolo stipula un contratto per salvare una vita, ma a quanto pare il nostro Jones è molto più in gamba di me, in questo campo” disse glaciale il ragazzo, mentre i suoi occhi verdi osservavano l’oscurità oltre il bosco, in perfetto silenzio.
Quando il servitore riprese a respirare tranquillamente, il mezzo angelo e il medico demoniaco portarono l’uomo nella sua camera.
Tutti tornarono dentro, tranne William e Jane.
Il ragazzo tornò a guardare le stelle, mentre Jane lo abbracciava dal dietro.
“A che cosa stai pensando, T. Spears?” “Nulla. Sto pensando che abbiamo sbagliato” “A fare cosa?” chiese la ragazza, inarcando un sopracciglio “A festeggiare per la momentanea sconfitta di Alfred: lui è fuorigioco per un po’, ma i suoi scagnozzi sono VIVI. Quella ragazza ne è la pura testimonianza.
Il pericolo è sempre in agguato, ed io  sarò perseguitato come un dannato fino a che non lo eliminerò per sempre” decretò il ragazzo, freddo e glaciale.
Era da molto tempo che non parlava più in quel modo: Jane si era convinta che forse era riuscita a sciogliere la sua barriera di ghiaccio, invece si sbagliava di grosso.
“Will, Alice è sfuggita dallo sterminio per pura e semplice fortuna: dopo quello che hai fatto al suo capo, per un bel po’ ti lasceranno stare e noi potremo vivere in pace. Devi solo avere pazienza e vedere il bicchiere sempre mezzo pieno” disse Jane, sfiorando il viso sfregiato del fidanzato: gli ricordava insistentemente qualcuno, da quando aveva quella cicatrice…
William le prese la mano e se la pose sul cuore “Sei stanca, lo vedo dai tuoi occhi: vai a dormire, veglierò io su di te, stanotte” le disse, poggiando la sua fronte gelida su quella calda dell’altra.
Lei arrossì appena “Allora sono sicura che non mi accadrà niente” sussurrò, poggiando velocemente le sue labbra su quelle dell’altro.
“Buonanotte Will” mormorò la ragazza, rientrando in casa. 

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Capitolo 35
*** Alice, il passato. ***





Lo shinigami sospirò profondamente, scrutando nuovamente il cielo.
“Padre, sei felice del mio lavoro? E tu madre? Sono stato lucido, ardito e ho operato a mente fredda: sei soddisfatta?” chiese, sussurrando alla luna.
Una brezza primaverile lo investì, abbracciandolo.
Sorrise leggermente e sentì dei tacchetti battere sul pavimento del balcone.
Non si girò neppure, sapeva già di chi si trattasse.
“Come mai sei qui, cagnolino?” chiese il giovane, senza distogliere lo sguardo dal bosco nero in cui erano spariti Wayne, Alice e Sebastian.
L’umano gli si affiancò, poggiando le mani sulla ringhiera, seguendo lo sguardo del supervisore.
“Non sento il mio maggiordomo: non sono mai stato in pensiero per Sebastian, dopotutto è colui che un giorno mi prenderà l’anima, che mi strapperà da questo mondo… Una volta che si stipula un contratto, non si possono più varcare le porte del paradiso… È la prima volta in vita mia, che provo qualcosa simile all’apprensione per quel diavolo: sento che quella Alice ha qualcosa di strano, ha uno strano condizionamento su di lui, che lo rende più debole, lento ed indifeso. Spero che il lupo non permetta una distrazione al mio servo” disse il ragazzo, mentre con entrambi gli occhi scrutava l’oscurità.
“Hai mai conosciuto tuo padre e tua madre da piccolo, William?” “No, a quanto rimembro: non ho nessun ricordo dei miei genitori” “Sei fortunato” disse il giovane conte, stringendo la ringhiera.
“Perché?” domandò il Grimm Reaper, notando il tremore del più piccolo.
“Perché non sai cosa vuol dire perderli” mormorò, con la voce rotta, mentre una leggerissima lacrima gli scendeva dagli angoli degli occhi blu.
Will si stupì, irrigidendosi: infondo aveva ragione, non era vissuto con i suoi genitori, a quanto ricordava, invece Phantomhive li aveva goduti per dieci anni.
“Che tristezza” pensò il castano "Almeno non provo nulla ricordando... Ma lui...".
Improvvisamente, una sagoma oscura che si muoveva, attirò l’attenzione dei due.
La figura spiccò un balzo, ringhiando e guaendo.
“WAYNE!” esclamò Will, afferrando il lupo prima che cadesse a terra.
“Sei rimasto incastrato in una tagliola, vecchio mio…?” sussurrò il cacciatore, accarezzando il testone della bestia.
Lui guaì, in segno di risposta.
“SEBASTIAN!” urlò l’earl, correndo incontro al maggiordomo.
L’uomo era lurido di sangue e terra, ma sorrideva “Bocchan, buone notizie…” sussurrò, con un fil di voce “La ragazza si è quasi completamente arresa. Sta dalla nostra parte, ormai…” disse con un sorriso, tossendo “C’è stato un lungo combattimento, poi qualcosa le ha fatto cambiare idea: morale della favola, possiamo stare tranquilli per almeno un mesetto o due, fino a Natale non ci saranno grossi guai… Alice mantiene sempre la parola data ad un altro demone”
“Lo spero per te” aggiunsero William ed il Conte, all’unisono.
“Padroncino, non è salutare per voi restare esposti all’aria fredda della notte: il suo fisico è debole, inoltre siete provato a causa della battaglia, dovete riposarvi” “E tu devi farti una doccia: fatti dare una controllata da David, se non gli scoccia, dopodiché infilati a letto, anche se non avete bisogno di dormire, voi demoni avete bisogno senza dubbio di sdraiarvi e rigenerarvi. Io non ho più bisogno della balia anche per andare a dormire, non mi serve qualcuno che mi dia il bacio della buonanotte… Vai e non disobbedire ad un mio ordine” comandò il ragazzo, mentre il suo maggiordomo scompariva oltre le scale.
“Buon ristoro, shinigami” “Altrettanto, umano” rispose Will, mentre il giovane rientrava in casa.
Il dio sospirò, appoggiandosi alla ringhiera.

“Il drago che hai visto era tuo padre”

Spears sobbalzò, mentre suo zio compariva alle sue spalle, in piedi sulla ringhiera.
L’uomo atterrò di fianco al nipote “Ho portato Wayne da Fabian e tu non ti sei neppure accorto… Sei proprio sulle nuvole” “Mio padre è un drago?” chiese il supervisore, ripresosi dallo spavento.
“Ma va’, che stai dicendo! Mi spiego meglio: io so usare delle tecniche che comportano la padronanza delle anime e degli spiriti dei draghi, come hai potuto vedere in battaglia. Tuo padre sapeva usare questi poteri, ma con minor maestria. Ha evocato un drago e ne ha preso possesso per proteggerti: questa mossa gli è costata energia e per un po’ potrà limitarsi solamente ad accarezzarti con un venticello. Se ti va, potrei anche insegnarti questo genere di trucchetti” gli disse, sorridendo.
Il nipote si illuminò a tale proposta ”Accetterei di buon grado l’invito” rispose, contenuto come al solito.
“Bene, allora prima riposiamo, meglio è” disse l’uomo, circondando con un braccio le spalle del più giovane.
“Andiamo a dormire” esordì Ford, mentre i due sparirono oltre il vano della porta.

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Una figura dai capelli blu scuro fissò la magione di Undertaker, immersa nel più totale silenzio.
“Sebastian, sei fortunato ad avere un corpo ed uno spirito così bello… Altrimenti le tue possibilità di conversione si sarebbero dimezzate da un bel pezzo. Prima o poi, dovrò chiedere scusa a quel dio della morte… E tu dovrai scusarti per il tuo atteggiamento così maledettamente violento… E così maledettamente seducente” sorrise Alice, sfiorandosi le labbra ed il viso.
“Se Alfred mi becca, questa volta non ci sarà scampo,  per noi, Seba… Se non fosse stato per la tua forza e per David, quando eri tra fila del tiranno a quest’ora saresti morto… Già, David: qual è il terribile segreto che si porta dentro al cuore?” sussurrò, prima di sparire.

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Il maggiordomo di casa Phantomhive si buttò sul letto, stremato come non mai: prima la guerra, dopo LEI.
Credeva che non l’avrebbe più rivista, dopo la sua fuga da Alfred: Michaelis dimostrava quattordici anni, ed era stato assoggettato dal “Re dei demoni”, che aveva notato le sue abilità.
David era partito per un lungo viaggio in altre dimensioni, e lui era rimasto solo, con l’allenamento interrotto: aveva bisogno di tenersi preparato e di migliorare.



Un giovane demone, molto attraente, dai capelli corvini e gli occhi cremisi, si portò al cospetto del maestro.
Si inchinò davanti all’uomo con i capelli bianchi.
Una ragazza venne condotta davanti a lui: aveva i capelli lunghi fino alle spalle e blu come il cielo notturno, lo sguardo truce, la pelle diafana, le labbra piene ed invitanti.
Doveva avere la sua stessa età.
“Mi chiamo Alice Richardson” “Sebastian Michaelis” fece il ragazzo, inchinandosi esageratamente e facendo il baciamano, sorridendo in modo ambiguo e seducente, facendole un veloce occhiolino.

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Un ragazzo di diciotto anni si appoggiò allo stipite della porta con fare sensuale, mentre osservava con sguardo languido una ragazza della sua età, che si stava preparando per uscire.
“Avanti, lo so che ti piaccio” disse l’aitante giovanotto.
L’altra fece un verso di scherno, passando davanti al demone, indifferente “Sebastian Michaelis, credo che tu  faccia un po’ troppo il figo: non illuderti, rimarresti a bocca asciutta” replicò Alice, uscendo dalla stanza.
Sebastian assottigliò gli occhi come un felino, ghignando “Non ti nasconderai ancora a lungo, ormai ti conosco da tre anni: mi sono allenato ed ho vissuto con te giorno dopo giorno. So che infondo ti impressiono” sorrise, prendendo il mento della compagna fra le dita “Sì, tanto quanto un pacchetto di crocchette per gatti” sibilò la ragazza, tentando di liberarsi.
Sebastian si chinò su di lei, avvicinando le sue labbra a quelle della ragazza, mentre i suoi occhi s’accendevano di fucsia “Sai, penso che tu, dopotutto, mi interessi”.
Il pendolo suonò improvvisamente, ed Alice s’irrigidì “Dobbiamo andare da Alfred: è ora che anche tu faccia parte dei suoi migliori alleati” disse fredda, mentre il demone sbuffava e s’apprestava a seguirla.
Poi ci ripensò e l’abbracciò dal dietro, stringendola a sé e dandole un lieve bacio sul collo “Mi piacerebbe passare un po’ di tempo con te, dopo: ti va di venire a fare una passeggiata al chiaro di luna” sussurrò, al suo orecchio “D’accordo, ma ora dobbiamo metterci la divisa ed andare” rispose l’altra, con un sorriso che poteva essere scambiato per una piccola contrazione delle labbra.
I due camminavano fianco a fianco, con il giaccone nero ed i pantaloni dello stesso colore.
Le catenelle e i galloni argentati sbattevano sulla giacca, mentre gli anfibi battevano pesantemente per terra.
I demoni entrarono nella sala oscura al cospetto di Alfred, inchinandosi davanti a lui, per poi rialzarsi, rimanendo immobili.
Nell’angolo più recondito della sala, due occhi scarlatti osservavano Sebastian, che si accorse della loro presenza ed aggrottò le sopracciglia.
Poi realizzò, e trasalì, ricordando a chi apparteneva quella luce negli occhi, una luce determinata ed inquietante, che portava rancore.
L’ombra che doveva essere il re dei demoni, discese lentamente le scale, venendo verso di loro.
Piano a piano, si intravide un uomo alto e slanciato, con un fisico atletico e scolpito, sottolineato dalla maglia nera ed attillata.
La sua pelle era bianca come un foglio, i suoi capelli neri ed ondulati, corti e tirati elegantemente all’indietro.
Non aveva mai visto uno sguardo così crudele.
Un sorriso diabolico comparve sulle labbra vagamente rosee e sottili del re.
“Bene, finalmente vedo dei risultati efficienti… Sebastian Michaelis… Sei molto più forte di tuo padre” disse, sorridendo sadicamente.
L’ombra dagli occhi rossi si staccò dalla parete, infuriata, e si portò vicino al trono del re.
“Cosa sa di mio padre? Lui è morto tempo fa” “E' morto perché era un traditore, non era abbastanza forte ed è stato ucciso".
L’ombra dietro il trono ruggì leggermente.
“Chi l’ha ucciso…?” chiese tremante il ragazzo.
Alfred fece per aprir bocca, ma l’ombra lo precedette.
“Alfred! Dì la verità, chi è il colpevole della morte di Jacob Michaelis?!” “DAVID! AHAH, LO VUOI SAPERE RAGAZZO CHI E' STATO?” ci fu una pausa di teso silenzio.
Alfred sorrise  “SONO STATO IO! IO HO UCCISO TUO PADRE! SI ERA AGGREGATO CON QUELLO STUPIDO SHINIGAMI E LA SUA FAMIGLIA! MERITAVA DI MORIRE DA TRADITORE QUAL’ERA!”.
Le pupille di Sebastian si allargarono dallo stupore, Alice si portò le mani alla bocca, sconvolta.
Il giovane demone restò immobile, tremante, mentre ricordava le parole che gli disse suo padre.
Le sue pupille si restrinsero come quelle di una bestia selvaggia, i suoi canini si allungarono, così come le sue unghie, tramutate in strumenti
per uccidere.
Alfred rise sguaiatamente, gli occhi fucsia e crudeli in cui si riflettevano gl’inferi, le zanne lucide e gli artigli neri pronti ad ammazzare.
“Vuoi dimostrarti debole come tuo padre, Sebastian?” come risposta, il giovane si avventò su di lui, stringendogli il collo.
L’altro ruggì e lo allontanò con un calcio, ma il più piccolo tornò alla carica tagliandogli un lembo del vestito con le unghie.
Alfred scartò di lato e gli assestò una gomitata nella schiena, facendogli perdere l’equilibrio, successivamente alzò la mano e gli graffiò le spalle.
Il ragazzo fece un balzo all’indietro, barcollante.
Jones era sopra di lui con una freccia ed un arco, sorrideva “In questo modo ho ucciso tuo padre, ha voluto fare l’eroe per salvare gli altri traditori, ed io l’ho punito per aver disertato”.
Prima che scagliasse una freccia, il ruggito di David risuonò nell’aria e degli artigli colpirono la faccia del re dei demoni.
L’uomo afferrò la mano di Sebastian e si mise a correre per i corridoi, trascinando il ferito verso la salvezza.
Le guardie ed Alice si precipitarono dal maestro, per soccorrerlo.
Lui allontanò bruscamente tutti, tranne Alice.
“INSEGUITELI ED UCCIDETELI! NON VOGLIO CHE VARCHINO LA SOGLIA DI QUESTO MANIERO!” gridò rivolto ai suoi seguaci, che si precipitarono dietro i due fuggitivi.
Prese Alice per un polso, sorridendo “Mia protetta, solo tu puoi uccidere e braccare Sebastian, hai un bell’effetto su di lui, che mi piace molto: prendi il corridoio ad est e continua verso sinistra. Conosco David come le mie tasche e so che userà quel passaggio” disse “Avanti va’!” la ragazza scattò, con il cuore in gola ed un nodo allo stomaco.

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“Sebastian, vai a sinistra e prosegui sempre dritto, non troverai guardie: ci vediamo fuori” disse David, correndo da un’altra parte.
Michaelis continuò a correre, con la schiena sanguinante e dolente.
Qualcosa gli colpì le gambe e lo fece cadere.
Si rialzò, trovandosi di fronte ad Alice.
“Perché hai attaccato il padrone?” “Quell’assassino ha ucciso mio padre, non voglio avere alcun tipo di rapporto con lui” “Jacob era un traditore, e tu lo stai seguendo” “Non è vero, e soprattutto non ho intenzione di scusarmi” disse, avvicinandosi a lei, stringendola fra la parete ed il suo corpo.
“Sei un disertore, meriti la morte: Alfred ti ha accolto e mi ha salvato la vita dagli assassini della mia famiglia, non avresti dovuto osare trattarlo così” “Alfred è un bugiardo, meschino, crudele essere infernale, peggio di tutti noi demoni degli inferi!".
Un destro lo raggiunse in pieno stomaco: gli fece un male cane.
Forse perché era stata Alice a darglielo. 
“Ti devo portare da lui” “Non lo farai” “Perché?” “Perché ti amo” disse, schiacciandola contro la parete, abbracciandola e stringendola contro il suo corpo.
“E allora? Tu non mi interessi” l’altro rise “Smettila di dire cazzate Alice, smettila di mentire a te stessa” le sibilò, sulle labbra.
Lei rimase spiazzata, mentre lui aumentava la presa su di lei.
“Tornerò a prenderti” disse, prima di baciarla con passione.
Premette fortemente le sue labbra si quelle della ragazza, infiammandole di amore.
Approfondì sempre di più il contatto, inebriandosi del sapore speziato ed esotico della ragazza.
“Addio” sussurrò, prima di scaraventarla sul letto di una stanza, chiudendo la porta per guadagnare più tempo nella fuga.
 

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Capitolo 36
*** Alice, il presente. ***


Grazie a coloro che fedelmente recensiscono e leggono la storia.

Grazie di cuore.




Sebastian aprì gli occhi, ricordando con odio quel giorno, ma anche con una punta di soddisfazione: aveva ragione, Alice lo amava, dopotutto.
Richiuse gli occhi sospirando, mentre ripercorreva la sua avventura di pochi minuti prima.

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Sentiva il respiro pesante del lupo ed il suo continuo ringhiare: sfrecciavano dietro la propria preda come dei segugi da caccia.

La sentiva.
Sentiva che lei era vicina, smaniava dal metterle le mani addosso e farle capire che era nel torto più marcio.
Voleva farla ragionare, voleva toccare di nuovo la sua pelle nivea, voleva abbracciarla come quella sera nel palazzo di Alfred.
Voleva gustare ancora il sapore delle sue labbra.

Eccola: il suo corpo era concentrato nella fuga, tutti i suoi muscoli erano tesi nello sforzo, ma lei era ferita, lei necessitava di cure, doveva rimarginare le cicatrici del suo cuore, e solo lui avrebbe potuto guarirla.
Spiccò un balzo ed udì un secco scatto metallico ed un forte guaito: Wayne era bloccato in una tagliola.
Guaiva, ululava e si dimenava: Sebastian stette fermo ad osservarlo per un secondo, però poi si catapultò da lui, aprendo la trappola e liberandolo.
Il lupo gemette, ferito, mentre il sangue sgorgava copioso dalla feria, inondando Sebastian da capo a piedi.
Prese la zampa della bestia, bloccandole l’emorragia dopo qualche minuto.
Si rialzò, mentre Wayne si leccava la ferita e seguiva il demone, zoppicando vistosamente.


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Lei si era fermata e gli girava le spalle, immobile.

Michaelis fece segno al lupo di allontanarsi, il quale ubbidì.

“Non mi avrai Michaelis: sei dello stesso lignaggio degli assassini della mia famiglia” “Smettila di mentire a te stessa” un pugnale gli tagliò la carne, scorrendo orizzontalmente sul suo ventre.
Il demone sorrise  e spinse la ragazza, ridacchiando: voleva divertirsi con lei e farle perdere la pazienza, era il suo sport preferito una volta.
Quel taglio sullo stomaco era doloroso tanto quanto una carezza.
 Lei, visibilmente innervosita, si lanciò ancora contro l’avversario che la schivò abilmente, procurandosi solo un altro taglietto sul costato.
Fece un balzo all’indietro, atterrando sul ramo di un albero: la guardò divertito ed iniziò a togliersi la giacca.
Lasciò cadere l’indumento a terra, dopodiché si tolse il gilet: tese i muscoli e si asciugò il busto sporco di sangue con la camicia, lasciando cadere anch’essa sul prato.
Ricominciò a combattere, facendo capire alla ragazza che con lei poteva combattere a mani e petto nudo, senza armi o corazza: si stava divertendo un mondo.
Alice riuscì a graffiarlo dieci volte di seguito, ma lui non abbandonava il suo sorriso beffardo: le bloccò un colpo e le mandò un bacio mentre arretrava.
Dopo dieci minuti, la ragazza iniziava a rallentare il ritmo, dimostrando evidente stanchezza.
Sebastian decise che forse così poteva bastare: approfittando di una piccola debolezza, il demone disarmò la compagna e la spinse contro il tronco di un albero.
Alice si ricordò del loro ultimo incontro: voleva usare lo stesso trucco.
Gli fece lo sgambetto ma lui la trascinò a terra con sé, schiacciandola con il proprio peso: dalla padella alla brace.
Gli occhi fucsia di Sebastian rifulsero nel buio ed il demone sorrise, prendendole una ciocca di capelli blu fra le dita: ora era sua.
“Traditore, disertore: la famiglia di William ha ammazzato la mia, merita la morte tanto quanto la meriti tu” “Smettila di dire cazzate Alice, smettila di mentire a te stessa” le sibilò, sulle labbra “William è innocente, suo padre era puro, uno shinigami leggendario con i fiocchi, mio padre lo conosceva ed era il suo rivale preferito: perfino quando combatteva con i demoni non trasgrediva le regole del combattimento.
Tim conosceva i tuo i genitori, i quali si erano accorti della malsana malvagità di Alfred: si sono schierati contro di lui, appoggiati da tuo fratello e tua sorella, hanno collaborato con la resistenza perché quel diavolo uccideva i suoi stessi consanguinei, i suoi fratelli, cioè gli altri demoni. Sì, esatto… Lui ha ucciso demoni, angeli e… Shinigami. È mio compito contribuire alla protezione di William: lui è l’unico che può uccidere Alfred. Lui è l’erede” disse, mentre appoggiava il capo sul petto della ragazza, abbracciandola.
“Credimi, Alice” sussurrò, baciandole il collo.
La sentì singhiozzare e tremare sotto di sé.
Si sollevò sui gomiti e le asciugò le lacrime con i polpastrelli.
Si sedette sul terreno freddo, aspettando che si rialzasse: quando si sedette davanti a lui, l’abbracciò nuovamente.
“Oh, Alice, Alice… Mi dispiace, adesso sei dalla parte giusta, resta in piedi e non cadere, ci penserò io a proteggerti” disse, stringendola.
“Ti amo Sebastian” disse, baciandolo e trascinandolo a terra.
“Quanto mi sei mancata, in tutti questi anni…” sussurrò il diavolo “Anche tu… Devo andarmene, adesso: spero di non averti ferito troppo gravemente” “No, non penso… Quando tornerai? Devi schierarti dalla nostra parte, interpretare il ruolo della spia è troppo pericoloso” “Devo recuperare le mie cose e farmi medicare: Alfred sarà tropo preoccupato a leccarsi le ferite per badare a me. William l’ha trapassato parte a parte con la Death Schyte, figurati che perfino il braccio dello shinigami è sbucato dalla schiena del tiranno. La sua falce è scivolata dentro il re ed è caduta sul terreno oltre lo squarcio. È stato spettacolare, io ho visto tutto, ma ero troppo debole per intervenire. Per fortuna, mi vien da dire” incrociò le dita dietro la nuca di Sebastian e lo baciò con passione.
“A dopo” disse, prima di dileguarsi.
Il demone sospirò, estasiato.
Il lupo gli mordicchiò leggermente la mano, e lui tornò alla realtà.
“Che schianto” disse.
Si portò le dita al ventre gemendo.
“Sarà meglio ricomporsi e tornare dal bocchan” mugugnò, mentre si girava per cercare la camicia.
Wayne gliela porse stringendola fra le fauci e il maggiordomo la indossò, per poi infilarsi anche il panciotto e la giacca.
“Torniamo a casa” disse, correndo verso la magione.


Sebastian si coprì con una coperta: forse era meglio dormire e rigenerarsi, domani ricominciava il lavoro.
“Bene, adesso posso dire anche io di avere una ragazza” sghignazzò, chiudendo gli occhi. 

 

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Capitolo 37
*** Ti sposerò. ***


Come sempre parto con il ringraziare chi segue, legge, e recensisce la storia.
Grazie mille, di cuore.
Purtroppo per un po' di giorni non potrò aggiornare a causa di problemi sia scolastici che non piuttosto gravi. 
Spero che il capitolo, anche se corto vi piaccia: quando ritornerò, lo farò in grande stile, non vi preoccupate.
Inoltre mi auguro che continuerete a seguirmi, lasciando qualche recensione, anche se piccola, qua e là.
Alla prossima carissimi lettori e supporters.




Will camminava per i corridoi della magione, diretto nella sua camera: era stanco e le occhiaie che gli solcavano il viso lo facevano sembrare vecchio.
Passò davanti alla stanza socchiusa di Jane ed avvertì il suo respiro: si era addormentata pesantemente sopra le coperte.
Il ragazzo sorrise ed entrò nella stanza, fermandosi davanti alla fidanzata ed osservandola dormire con un dolce sorriso sulle labbra.
La prese in braccio delicatamente e la pose sotto le coperte, in modo da non farle prendere freddo, poi le diede un bacio sulla fronte.
“William” mugugnò la ragazza, sbadigliando e voltandosi pigramente verso di lui, che aveva appena poggiato la mano sul pomello della porta.
Lo shinigami si voltò leggermente, osservandola con aria stanca ma tenera.

“Che c’è? Ti ho detto che avrei vegliato su di te no? Non volevo farti dormire al freddo: sai che quello che dico lo faccio, è come se firmassi un contratto”
“Parli di lavoro anche quando sei con me, adesso? Vieni qua, mi sento sola: questo letto matrimoniale è troppo grande per me… Qualche volta, quando ero piccola, mia madre veniva e restava con me fino a che non mi addormentavo: mi piaceva sentire il calore del suo corpo riscaldare il mio, quando è morta…”
La dea non riuscì a finire la frase.
Il suo ragazzo l’aveva abbracciata teneramente e aveva poggiato le labbra sulle sue dolcemente, per non farle ricordare il passato che la tormentava.

“Aspettami qui, tornerò fra poco: il passato va lasciato alle spalle, non tormentarti, ci sono io adesso: non sei più sola a reggere il fardello del dolore che ti porti dietro…” sussurrò Will.
“Ma non abituarti troppo alla mia versione zuccherosa e smielata, dopotutto sono sempre William T. Spears” dichiarò il giovane, voltandosi verso la porta.

La ragazza rise.
“Già, William T. Spears, supervisore della sezione Invio Dei della Morte” esclamò, mentre il reaper varcava la soglia oscura della camera.

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Il giovane shinigami si lavò e si mise in pigiama, sbadigliando: aveva bisogno di riposare, se gli fosse andata bene, il giorno dopo lo avrebbero lasciato dormire…

Poi sarebbe iniziato l’allenamento: suo zio voleva insegnargli qualche trucco e lui non aveva intenzione di perdersi niente.
Tornò silenziosamente nella camera di Jane e la osservò dormire con un sorriso: non riusciva proprio più a stare in piedi.
Si voltò verso la finestra, assottigliando gli occhi verso le tenebre: là fuori, nel buio, un esercito di assassini potevano assalirli da un momento all’altro.
Si ricordò di quando Alfred lo aveva fatto spaventare comparendo all’improvviso dall’oscurità, affacciato alla finestra.
Non aveva nessuna intenzione che tutto questo accadesse anche a Jane, perché lei non era una sua sottoposta: lei era l’altra metà del suo cuore, era la sua compagna e come tale era compito suo proteggerla e starle al fianco fino alla morte.
Per un secondo pensò a come sarebbe stato vivere sposato con lei e sorrise.



“Quel giorno arriverà quando tutto sarà finito, quando il mio amore trasformerà la tua sofferenza in candide carezze e sarai avvolta da un velo di sposa.
Ti porterò sull’altare: il mio amore sta solo aspettando di trasformare le tue lacrime in splendide rose.
Fino a quel momento, non sarò mai lontano da te: non ho mai amato nessuno, tu sei la prima e l’ultima”





Il suo ultimo dolce pernsiero prima di infilarsi sotto le coperte e sdraiandosi accanto a lei.
Jane si girò nel sonno e si appoggiò contro il petto di Will, respirando leggermente: sembrava così piccola ed indifesa, ma in realtà dietro l’apparenza si nascondeva una giovane donna combattiva e fiera, testarda e determinata.
Lui lo sapeva bene, ed era per quella sua personalità focosa e diversa che l’amava così tanto.
L’abbracciò chiudendo gli occhi: forse era meglio dormire un po’, l’alba era più vicina di quanto pensasse. 




 

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Capitolo 38
*** Il dolore di una madre, la follia di un demone ***


Salve a tutti.
Come promesso, ecco a voi il nuovo capitolo: spero vi piaccia.
Inoltre, avviso che il prossimo aggiornamento tarderà di alcuni giorni, mi dispiace.
Un grazie a chi segue la storia, lasciate una piccola recensione, se vi va.
Alla prossima.






Una figura femminile era in piedi sul tetto della casa di Undertaker: i lunghi capelli aurei erano mossi da un leggero vento, i suoi occhi blu e vacui fissavano la giovane coppia che si teneva per mano.

William e Jane scomparvero nel bosco vicino alla villa, mentre Sandia ed Alec gli trottavano qualche metro più avanti, scalpitando sull’erba fresca: erano felici di non avere più nemici fra gli zoccoli.
Joey non riusciva ancora a comunicare con Will: non era più feroce come prima, ma era lo stesso molto diffidente.
Forse, nessuno si rendeva conto che il peggio doveva iniziare: Alfred era desideroso di stringere le sue mani attorno al collo dell’erede.
E lei lo conosceva bene, quel demone: dopotutto, lo aveva amato, si era unita a lui.
Per ora nessun abitante della magione l’aveva notata: si era accucciata di fianco alla sporgenza del tetto, aveva mascherato la sua aurea.
Erano in dicembre ed un vento nordico investiva i presenti, ma loro sembravano non curarsene: la donna addolcì lo sguardo quando, una figura atletica con un bel fisico scolpito arrivò nel cortile, seguito da un maestoso cavallo nero e da una ragazza dai capelli biondi.
Jason si ravvivò i capelli corvini e prese la mano tremante dell’angelo, posandola insieme alla sua sul manto di Shade, insolitamente mansueto.
La donna sorrise quando Federik sorprese dal dietro il moro, premendo fortemente gli indici nelle sue costole.
Jason si piegò in due ed iniziò ad inseguirlo, saltandogli addosso, spettinandogli i capelli.
Il rosso era più grande di statura e quindi riuscì a bloccare il minore, strofinandogli energicamente un pugno sulla testa: l’altro si dibatteva e lo insultava.
C’era una nuova luce nei suoi occhi multicolore: un affetto che non provava da molto tempo, una luce giovane e spensierata, che ogni suo coetaneo dovrebbe avere.
Federik si chinò all’altezza del suo orecchio e gli sussurrò qualcosa.
Jason arrossì e si dibatté ancora più forte, imprecando ed insultando il suo aguzzino.
Quest’ultimo contò fino a dieci e lasciò d’improvviso il mezzosangue, che cadde a terra: senza pensarci due volte Federik iniziò a correre, mentre Jason lo inseguiva, infuriato ma ridente.
Lo atterrò saltandogli addosso, fecero la lotta per un po’, rotolandosi nell’erba, come due bambini, due cuccioli: DUE FRATELLI.
Alcune lacrime iniziarono a scendere dagli occhi della donna: quanto aveva desiderato vedere quelle scene in compagnia di suo marito, con i suoi figli.

David Jones, con i corti capelli ondulati, sbarbato e con la pelle bianca come quella di un foglio, attaccò improvvisamente a tradimento i due, mettendoli al tappeto uno sopra l’altro.
Li invitò con  un gesto della mano ed i due mezzosangue si scambiarono un’occhiata d’intesa: caricarono un pugno e si slanciarono contro il mezzo demone che li schivò con facilità, facendo lo sgambetto ad entrambi.
I due atterrarono di faccia sul prato, mentre David rideva divertito, incitandoli a continuare.
Quando i ragazzi si guardarono in faccia non poterono trattenere una risata: la loro pelle solitamente lattea era chiazzata di nero e striata di marrone.
Lo sguardo della donna si intristì “Quanto vorrei che i miei figli avessero avuto la possibilità di crescere in quel modo, di poter giocare alla lotta fra di loro, contro loro zio… O contro loro padre. Peccato che con quest’ultimo abbiano dovuto lottare seriamente”.  

+++++++++

“Alfred, io non capisco che cosa ti succede! Due anni, due lunghissimi anni sei stato lontano da me e da tuo figlio per trovare rimedio ai tuoi malori, alla tua aggressività: ora che è nato anche l’altro e che ha ormai qualche anno tu sei cambiato radicalmente! Che cosa diavolo hai fatto in quegli anni?! Cosa ti è successo?! Non ti sei mai comportato così male né con me né con i nostri figli!”.

Il demone dava le spalle alla moglie ed ai due bambini, i SUOI due bambini.

Improvvisamente sorrise sadicamente, malvagio, con le zanne che luccicavano.
“Moglie… Tu non puoi capire... Io son un demone, il RE DEI DEMONI! Tu non capisci cosa è la giustizia! Hanno ucciso i miei genitori senza pietà davanti a me perché dei demoni rammolliti e degli shinigami li hanno etichettati come soggetti pericolosi, anche se non avevano fatto nulla… Io discendo da una delle razze demoniache più antiche dell’inferno, la mia dinastia è la più crudele che sia mai esistita, la più potente! Nessuno può toccarmi, io sono il demone più forte che sia mai esistito, voglio la vendetta… Guarda il nostro figlio minore: lui sarà il mio erede perfetto: puoi negare ma io lo sento, lui è come me… Anche nell’animo! Quando sarà grande, lo addestrerò e lo legherò per sempre a me marchiandolo a vita: se io dovessi morire per mano della famiglia che ha i poteri per farlo, risorgerei in lui. Può morire per mano di qualsiasi membro di qualsiasi razza ma solo se viene colpito in pochissimi specifici punti: è invulnerabile come me, per il resto. Ho intenzione di prendermi il potere che mi spetta, i miei genitori facevano parte del Sommo Consiglio dei Demoni Leggendari: inizierò da loro, dopodiché ucciderò chiunque sarà sulla mia strada, ed eleverò i mie eredi al potere… E tu sarai con me. Nessuno può fermarmi, quando avrò eliminato anche l’ultimo erede dei miei nemici sarò il sovrano indiscusso…” disse il demone, con un sorriso sadico.

“Tu sei pazzo… Non sei più tu, ALFRED! Riprendi il controllo! Che fine ha fatto l’uomo che ho amato? Che fine ha fatto il padre di questi bambini?!” gridò la giovane donna, mentre i due piccoli arretravano, schiacciati contro la porta di servizio della casa.
Il diavolo si girò incredulo “Cara, ma che stai dicendo? Sono io… Il mio piano è perfetto, chiuderò un occhio sull’appartenenza della tua razza: sei mia moglie e loro sono nostri figli…” sussurrò, allungando una mano per accarezzare il viso della consorte, che era indietreggiata.
“NO! NON MI TOCCARE!” gridò, allontanando l’arto con uno schiaffo “Io non so che cosa ti sia successo, ma so soltanto quello che vedo: sei diventato un mostro! Sei un folle, nel tuo cuore c’è solo odio e rancore, una pazzia che ti corrode dal dentro e che ti consumerà l’anima se non la fermi!” disse, mentre il marito si immobilizzava, stranito.
Poi il suo bel viso si trasfigurò in una maschera di furore e mostrò i denti, ringhiando sommessamente.
“E così… Con questo stai dicendo che io sono un folle? Che non m’ami più? Sei TU ad essere cambiata, e so anche chi sia stato a farti cambiare: tutte queste storie… Le ho sentite da altre  persone: Undertaker, William Ford, Arianne, Isabel Ford… E dai lui! Il mio più pericoloso nemico, colui che appartiene alla dinastia di dei della morte che ha il compito di uccidermi: Will Spears! Non conosco il suo primo nome, ma so che è lui! E adesso te la farò pagare per avermi tradito! E insieme a te, perirà anche il figlio che è la tua copia!” disse, alzando una mano artigliata.

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La donna aveva calcolato tutto e fu più veloce: con la sua Death Schyte a forma di lancia trafisse la spalla del marito e con un calcio lo spinse contro dei mobili, facendolo cadere.
Prese per mano i due bambini e li portò via, iniziando a correre al di fuori della magione.
“GIURO CHE VERRO' a prendere ciò che è mio di diritto, un giorno o l’altro: se l’altra metà della mia anima non puoi sfuggirmi in eterno!” sbraitò Alfred, tentando di rincorrere la donna.
Quest’ultima stava per aprire il portale che avrebbe tratto in salvo lei ed i suoi figli, ma una freccia argentea la ferì, facendola cadere.
Jones era ad una decina di metri da lei e stava per balzarle addosso quando qualcosa lo fermò.
Una figura longilinea, avvolta dalle più complete tenebre, sostava nell’aria sopra la sua testa: era circondata da un’aura viola, mentre gli occhi fucsia, in cui si agitavano le fiamme dell’inferno, fissavano alteri Alfred.
“Come ti sei ridotto fratello, fai pena: consumato da un odio senza senso”
“TU! FRATELLO CHE CI FAI QUI? NON IMMISCHIARTI CON GLI AFFARI DELLA MIA FAMIGLIA!”
“Si dà il caso che questa sia anche la MIA famiglia: loro sono i miei nipoti, lei è mia cognata… E tu sei mio fratello: non ti lascerò distruggere ciò che hai costruito in secoli in un secondo, non ti lascerò ammazzare la mia famiglia, non voglio perderla un’altra volta” disse, puntando il suo sguardo duro in quello rabbioso del fratello.
“Guardati e abbi pena: saresti il disonore di nostro padre”
“TACI! Solo perché sei il più grande non vuol dire che tu sia il più forte: sei un bastardo! Non sei mio fratello, sei un fratellastro! Non abbiamo in comune tutti e due i genitori, ne abbiamo soltanto uno, cioè nostro padre! Tu sei mezzo umano!”.
L’altro rimase in silenzio, osservando imperscrutabile il più piccolo.
“E allora?” disse calmo, mentre Alfred sobbalzava “Il sangue è sangue, non puoi negare il nostro rapporto. Ora devi scegliere: se decidi di continuare per questa china e credere in questo stupido odio, io permetterò a tua moglie ed ai tuoi figli di fuggire, e saranno protetti da me. Se invece ti redimi e ammetti la tua follia, potrei aiutarti a tornare come prima”.

Alfred restò immobile per un lunghissimo minuto.
Aveva la mente vuota, non sapeva a cosa pensare.
Osservò i suoi due bambini e la sua donna, dopodiché chiuse gli occhi.
Li aprì.

+++++

Un arco di sangue si disegnò nell’aria, ed un demone sorrise sadico.

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“Non ti permetterò di portare via la mia parentela ed il mio erede: sei tale e quale a quelli che hanno ucciso la nostra famiglia e a quegli stupidi che vogliono eliminarmi, di conseguenza… MORIRAI!” urlò il demone, mentre balzava contro il fratello.

Quest’ultimo si scostò e gli tirò un calcio nelle costole, facendolo cadere a terra, dopodiché estrasse una spada.
“Se proprio non vuoi capire i tuoi errori, non mi rimane che spianare la strada ai tuoi nemici e mettere in salvo gli innocenti: preparati Alfred, perché questa volta non avrò pietà” disse, puntando la sua arma contro l'altro.
Quest’ultimo estrasse una daga argentata.
“Sei tu che devi iniziare a temermi, e sarò IO che non avrò pietà” ribadì, mostrandogli le unghie insanguinate “Vedi questo? Appartiene a te e quando avrò finito non ne avrai più nelle tue vene!” disse indicando il petto dell’altro, su cui vi erano cinque solchi orizzontali che trasudavano sangue.
“Io non ne sarei così sicuro Alfred: non ti conviene cantar vittoria per una misero taglietto. A noi due, fratello: che vinca il migliore”
“Che vinca io, vorrai dire” rise il diavolo, correndo incontro all’avversario.


“Apri il portale e vai alla magione di Undertaker: io ti raggiungo più tardi, l’importante è che tu e i bambini siate salvi. Ho già combattuto contro Alfred un milione di volte: con la spada non è mai riuscito a sconfiggermi” bisbigliò il mezzosangue alla donna, che annuì.

“Stai attento” gli sussurrò, poco prima di cominciare a correre.

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Il fratello maggiore parò con decisione il fendente di Alfred e lo incalzò, facendolo arretrare e rendendogli impossibile attaccarlo.
Il minore ringhiò e con violenza fece cozzare il ferro della sua lama contro quella dell’avversario, per poi sollevare le unghie sopra la sua spalla, graffiandola.
Il maggiore strinse i denti e sorrise, mentre gli occhi fucsia di Alfred si sgranavano: aveva afferrato il suo polso destro, che teneva la spada, e lo aveva rigirato verso l’interno.
Nel mentre gli aveva bloccato il braccio sinistro.
Improvvisamente il più grande lo falciò e con violenza inaudita lo sbatté a terra, mentre la punta della sua daga si avvicinava pericolosamente all’incavo del collo di Alfred.
Il sangue esplose in aria ed in contemporanea un urlo disumano squarciò il silenzio, facendo spaventare i figli del demone, che si girarono a vedere cosa fosse successo mentre la madre tentava di aprire un portale.

"Papà…” mormorò il più grande, con lo sguardo deluso ed una lacrima che gli scendeva dagli occhi.
Lo zio dei due era inginocchiato sopra il petto di Alfred, bloccandolo a terra e mozzandogli il respiro, mentre affondava sempre di più la spada nella sue carni, fino a che l’impugnatura non arrivò in contatto con la carne.

“Guai a te se proverai ancora a mettere le mani su di loro, Alfred… La prossima volta che ci rivedremo non sarò così clemente” sibilò e con uno schiocco secco tagliò la spalla del fratello, movendo rapidamente la lama della spada verso l’esterno, per poi conficcarla nuovamente nel torace del diavolo: lo aveva inchiodato contro il terreno freddo.
Il mezzosangue si alzò di scatto e corse verso i nipoti e la cognata per mettersi in salvo con loro.
Il più piccolo però era piuttosto distante dal portale e non era abbastanza veloce.
Come una pantera Alfred si rialzò e mirò una balestra: voleva ferire il piccolo per portarlo via con sé.
Ne aveva bisogno, era il suo erede.
Lo zio si accorse in ritardo della minaccia, mentre la freccia era in volo.
Afferrò il piccolo e se lo strinse al petto, poco prima di balzare nel portale.
Il dardo fu più veloce di lui e si conficcò nella sua colonna vertebrale.
Il portale si richiuse, lasciando Alfred da solo.

++++++++++++++++++++++++++++++++

Urlò e ruggì, imprecando contro quei traditori.
“Non credete che sia finita qui, verrò a cercarvi e vi ucciderò: quando i miei figli saranno grandi, marchierò il minore indelebilmente e nessuna magia potrà riportarlo indietro… Ora non mi resta che mettermi sulle tracce dei miei nemici ed eliminarli…”.

Alzò lo sguardo al cielo nero, mentre un vento gelido lo avvolse.

 “Tremate Spears: quando vi avrò raggiunto, sarà la fine della vostra dinastia”.



 

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Capitolo 39
*** Lui vive in te ***


Grazie mille per chi recensisce e per voi che leggete la storia, non so quando riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo,
Spero presto ma non assicuro nulla :(
Qui di seguito vi metto un link: consiglio di ascoltare la canzone durante la lettura :)
Buona lettura ragazzi, ci sentiamo nell'angolino a fine capitolo!

http://www.youtube.com/watch?v=dsjHFSOA1m0

William James Ford camminava pacatamente per i giardini della magione, inspirando lentamente ed osservando i colori autunnali che ancora dominavano il paesaggio.
Al suo fianco Fabian lo imitava, restando in silenzio: aveva lasciato crescere nuovamente la cortissima barba bionda sulle guance e sul mento.
Si incamminarono in un sentiero che passava per il bosco, e lo shinigami vide suo nipote e Jane tenersi per mano e sorridersi.
Alla scena si sovrapponeva il ricordo di altri due shinigami: sua sorella aveva le dita intrecciate con quelle di Tim Will Spears, il nome con cui conosceva il fidanzato di sua sorella.
Si sorridevano ed erano felici.
Sospirò, mentre Schonberg scrutò i due giovani.
“Ti ricordano tanto loro, eh?”
L’altro annuì.
“Già, e pensare che per me lui è ancora un bambino”
“Eheh sei rimasto indietro, William… Anzi: sarà meglio chiamarti James, d’ora in poi” rise il mezzo angelo.
“Già… Mi ricordo ancora il giorno in cui nacque, mi ricordo quando lo innalzarono davanti agli altri, qui alla magione: io guardavo tutto dall’alto, sorridevo e lo benedivo”
“Rimembro perfettamente: io ero al suo fianco, fiero, tutti si inchinavano ed applaudivano, un vento tiepido ha abbracciato il piccolo William T. Spears, i genitori, Undertaker, Arianne e gli altri…” mormorò, mentre un leggero venticello gli scompigliò i capelli.
Inspirò profondamente, chiudendo gli occhi ed esponendo il viso al sole.
“Proprio come i coniugi Spears stanno facendo in questo momento”.
Ford lo fissò e sorrise “Hai ragione: sono stato proprio originale… Dovrei chiedere al vecchio Tim i diritti d’autore” ridacchiò, mentre il vento accarezzava anche lui: sapeva che era sua sorella che lo stava abbracciando.
“Che giorno stupendo, quello del suo “battesimo”…” disse, chiudendo gli occhi “Tim… Tu vivi in lui” sussurrò.



Sai, che una guida tu avrai, nella vita…



Al di sotto dell’ampio balcone, c’era un mare di conoscenti della famiglia Spears.
Shinigami, diversi demoni, alcuni umani, qualche angelo, pochi mezzosangue.

Il consiglio degli shinigami leggendari scrutava ansioso il balcone da cui doveva fare l’ingresso trionfante un nuovo shinigami: era il figlio di uno di loro, nato da poco.

Undertaker avanzò a grandi passi e fece segno di avvicinarsi: per una volta non era vestito con la tunica da becchino, ma in un completo elegante e nero.
Volse lo sguardo al cielo, incontrando quello benevolo di uno shinigami passato a miglior vita: sorrideva dolcemente, fiero ed orgoglioso.
Quello che doveva essere “battezzato”, cioè presentato pubblicamente al consiglio, era suo nipote.

Al fianco del becchino comparve sua moglie Arianne, che osservò il volto evanescente dall’amico splendere nel cielo terso.
Un vento improvviso li investì, scompigliandoli leggermente: sorrisero, annuendo nella sua direzione.
“Il nuovo venuto, avrà sempre una guida nella sua vita, anche se andrà incontro a mille ostacoli: non sarà mai solo, è un giuramento che Ford ha prestato, vero?” sussurrò Isabel, ed una nuova folata confermò la sua proposta.




Se, un ostacolo c’è, lui sarà lì con te…



T. W. Spears avanzò a grandi passi verso il becchino, affiancato dalla moglie e neo madre Isabel: reggevano un fagottino e gli sorridevano.
Il bambino aveva gli occhi smeraldini ed i ciuffetti di capelli castano scuro, la pelle era nivea.
Somigliava in modo impressionante a suo padre, e lo shinigami che stava in cielo arricciò il naso: per una frazione di secondo, un futuro orribile gli era passato nella mente.

Quel bambino era speciale, era la fusione di due antichi lignaggi assai potenti… Racchiudeva in sé lo stesso spirito forte del padre.
E l'arcana audacia della madre.

“Piccolo mio, lui, tuo padre, vive in te: se in un futuro lontano ti troverai da solo ad affrontare mille pericoli ed insidie, il suo spirito ti guiderà”.

Un vento primaverile abbracciò i due sposi e mosse i cortissimi capelli del piccolino, facendolo ridere. I
sabel voltò lo sguardo al cielo, mentre una lacrima le solcava la guancia.

“Fratello mio… Anche io ti amo” sussurrò, mentre una folata le asciugava il viso e suo marito sorrideva, incrociando lo sguardo orgoglioso del cognato.

“Si chiamerà William come te, amico mio: il suo secondo nome sarà segreto: diventerà un grande… Ed hai ragione: parte del mio spirito vivrà in lui, quando io ti raggiungerò nell’aldilà”.




Lui vive in te, lui vive in me, è nella mente, sulla terra ed in ciel…



Nell’acqua pura, nei tuoi perché, nel tuo riflesso, lui vive in te…



“Sarò sempre al suo fianco, questo è un giuramento: che il mio spirito non possa trovar pace se non sarà al sicuro.
Sarò accanto a lui in qualsiasi luogo si trovi:
Nella gioia e nel dolore,
Nelle notti di febbre e di terrore,
Nei giorni d'odio e di rancore,
Nei tempi felici e gioiosi,
Negli amori armoniosi,
Nelle battaglie più dure,
Nelle vittorie perenni”

Recitò con trasporto Tim, mentre faceva avvicinare Anton ed Undertaker.

Il primo prese una ciotola contenente uno speciale olio profumato verde e della tintura blu, mentre il secondo sorrideva e faceva giocare il piccolo con uno dei suoi pendagli.
Il ragazzino biondo intinse un dito nell’olio, mentre il becchino lo intinse nella tintura cobalto.
Spears passò il bimbo ad Isabel, fissando i due prescelti.

“Ho scelto voi come testimoni della nascita e del battesimo di mio figlio, sarete i suoi custodi e come tali dovrete indicargli la via nei giorni oscuri: assolverete questo compito?*” chiese, solenne.

I due si guardarono negli occhi ed il ragazzino appoggiò il dito sulla fronte del neonato, tracciando la parola “Dio” con il verde olio profumato.

“Io, Anton Von Clay, giuro sulla mia anima che proteggerò questo bambino dalle insidie della vita”

“Ed io” esclamò il becchino, scrivendo la parola “Morte” al fianco di Dio “Giuro sulla mia vita che guiderò i passi di questo fratello shinigami”.

Tim ed Isabel sorrisero: Anton, il loro nipote adottato, ed Undertaker, loro fratello ed amico di sempre, erano  i custodi perfetti per loro figlio, inoltre…

Volsero lo sguardo al cielo rosso ed arancione, sorridendo per poi scrutare gli alleati della loro famiglia.

Intravidero la sagoma di un uomo corvino con gli occhi cremisi ed il pizzetto che guardava la scena con le braccia incrociate, mentre un bambino nato da qualche mese si agitava fra le braccia di una donna dai capelli scuri e gli occhi fucsia.
Incrociò lo sguardo di Tim e sorrise, annuendo seccamente.

Un altro uomo, moro, con i capelli riccioli ed occhi blu aspettava di vedere il “Piccolo Spears”: si sorreggeva con una stampella, leggermente ricurvo, ma sorrideva lieto.
Al suo fianco due bambini giocherellavano con un paio di sassolini, mentre una donna con lunghi capelli bianchi chiacchierava con uno shinigami leggendario baffuto: Lawrence Anderson, il “Padre”.

Tim sospirò “Quando crescerà, non sapranno che lui è nostro figlio”

“Non ti angustiare per questo: quando sarà il momento, ci penseremo. Oggi è un giorno di festa, festeggiamo”

“Hai ragione, Isabel”.


Undertaker abbracciò suo fratello adottativo.

“Amico mio, oggi è un gran giorno: questo bambino rappresenta la salvezza delle nostre nazioni, presentalo al popolo: gli shinigami leggendari stanno aspettando solo quello… Ah, tanto non sanno che gli cancelleremo la memoria: dovranno sapere la verità quando la minaccia sarà sventata… Ma ora facciamo le corna: non voglio portare sfortuna”
“Già con il vestirti di nero non è che rallegri l’atmosfera” commentò Arianne.

“È giunto il momento” disse Undertaker, ed i coniugi si avvicinarono al balcone.




Lui vive in te!



Tim sollevò il  piccolo sulla folla ed un boato esplose, investendo i due sposi.



Lui vive in te, lui vive in me, è nella mente, sulla terra ed in ciel!



Un raggio di sole illuminò William T. Spears, un vento lo accarezzò, facendolo ridere e sgambettare.
Tim, Isabel, Arianne, Undertaker, Bartholomew, Anton, Jacob, David, Hylda alzarono lo sguardo al cielo, incrociando la figura fiera ed orgogliosa di William James Ford, che sorrideva ed abbracciava tutti con il suo vento caldo.
Il suo nipotino parve vederlo e gli sorrise, sdentato.

“William T. Spears, io ti benedico: veglierò su di te anche da qua, piccolo mio” sussurrò, accarezzando ancora il neonato con le sue mani invisibili.




Nell’acqua pura, nei tuoi perché, nel tuo riflesso, lui vive in te…



Lui vive in te…



Anton, vestito in un completo bianco, osservò fiero la scena: aveva meno di dieci anni e già era il custode di una persona.
Era piccolo, è vero, ma sarebbe cresciuto: di giorno viveva all’aria aperta, aiutava come poteva suo padre, studiava per conto suo, Undertaker e Tim gli insegnavano cosa doveva fare per essere uno shinigami (anche se con il secondo avrebbe smesso per un po’, visto che aveva un figlioletto da accudire) e lo addestravano nel combattimento con le falci.
Voleva diventare un ragazzo forte ed intelligente e nulla lo avrebbe fermato.
In futuro, avrebbe avuto anche l’incarico di proteggere il piccolo William.
Puntò i suo occhi gialli (che avevano appena iniziato a velarsi di verde, somigliando un po’ di più a quelli di Bartholomew) sul piccolo William, che guardava la folla sotto di sé: sembrava quasi compiaciuto.
Sorrise a quel pensiero, ricordandosi come piaceva a William James Ford guardare la gente che si inchinava a lui o che lo riveriva.




Fabian aprì gli occhi da lupo, sorridendo.

“Non vedo l’ora dello scontro finale”

“Non essere impaziente”

Schonberg strinse la mascella.

“Non voglio la vendetta James”.

Seguì un attimo di denso silenzio.

“Non mentire a te stesso: tu vuoi che Will uccida Alfred per avere la vendetta che ti spetta da anni, no? Ti sei allenato così tanto… Sei comparso così all’improvviso, cresciuto e forte: hai lasciato crescere la barba per sottolineare il tuo concetto di maturità”

“Forse hai ragione, è difficile ammettere quello che abbiamo nel cuore”.

I due si incamminarono, cambiando argomento: entrambi volevano rimandare il più possibile la conclusione degli eventi. 




ANGOLO DELL'AUTRICE


Eeeeee rieccomi qua!


Ok, chi di voi non ha mai visto: “Il Re Leone 2”?? Dai ragazzi è un capolavoro!
Io quando ero piccola l’amavo e mi sono scaricata tutta la colonna sonora!
Bè non riuscivo proprio a resistere: è da quando mi è venuta in mente la fic che sogno di scrivere un capitolo come questo e dopo quasi quaranta capitoli, sono riuscita a realizzare il mio sogno!
La canzone “Lui vive in te” l’ho sempre adorata e poi, direi che calza a pennello: sottolinea lo stretto legame sia affettivo che “genetico” fra Will, suo padre e suo zio.
Siccome entrambi hanno il compito di uccidere Alfred, ma solo William ne ha le effettive capacità, ho voluto far capire che il misterioso T. W. Spears, del quale non sappiamo ancora l’effettivo nome (lo so solo io muuuaaaaah!! >:D) vive in suo figlio, nel senso che il suo spirito forte è uguale a quello di Will e che lo guiderà fino alla fine della sua avventura.
E naturalmente William James, avendo la stessa tempra del nipote, sarà il maestro che proteggerà le sue spalle.
Eh, è un po’ difficile da spiegare ma visto che voi avete l’animo sensibile, potete avvertire all’interno di voi stessi il significato di questa canzone dopo averla ascoltata senza che io ve lo chiarisca ulteriormente.
Al prossimo capitolo e grazie di tutto!
Ps: ricordate che una piccola recensione non fa mai male!


 

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Capitolo 40
*** La donna del mistero, arrivederci: dove portano le vie del cuore? ***


Cari lettori, mi scuso per l'assenza: ci sono stati molti imprevisti, ma tempo un paio di giorni e le acque dovrebbero calmarsi.
Vi regalo questo capitolo, sperando che vi piaccia: ringraziano coloro che leggono, seguono, e recensiscono la storia.
Lasciate un piccolo commento, se vi va.
Alla prossima!



“Che ci fai qua?” chiese improvvisamente Undertaker con una risatina, facendo sobbalzare la donna dai capelli aurei.
“Io… Stavo osservando questa famiglia”
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Quando vorrai dire la verità?”

la donna strinse i pugni “Credi che sia così facile?! Perché non dici TU la verità, una buona volta? Non hai ancora capito che tenere William all’oscuro di tutto non farà che peggiorare le cose?!”

l’altro tacque, apparentemente disarmato.

“Perché William non è ancora pronto” rispose, calmo

“E quando lo sarà?! Perfino Tim vorrebbe che tu gli dicessi l’intera verità!”
“Come fai ad esserne certa?”
“Lo sento! E soprattutto lo intuirebbero anche i muri”
“Dire l’intera verità a William significherebbe rivelare anche quello che porti dentro al cuore”.

Scese un silenzio di ghiaccio, in cui la donna iniziò a tremare e a singhiozzare: tutto il suo passato le si stava riversando addosso come una gelida cascata.

“Non piangere cenerentola: un giorno o l’altro arriverà il tuo principe”

“Il mio principe se ne è andato da molto tempo: l’ultimo regalo che mi ha lasciato è stato il mio secondo genito”
“Allora forse ti dovrai accontentare di qualcosa di meno regale di un principe: un cavaliere, magari… Sì, uno di quei cavalieri ribelli e coraggiosi, che combattono per la libertà del proprio paese…”.

Lei lo guardò, spalancando gli occhi “Ma che stai blaterando, becchino?”

“L’amore che ti è stato negato, piccola bambina indifesa, falsa principessa illusa, potrà esserti ridato da coloro che ti amano a loro volta, anche se non rientrano nei criteri di principi azzurri… Torna dai tuoi figli: dovrete darci una mano”.

“Confessare tutto proprio ora… Facciamo un patto: io dirò la verità quando William saprà chi è in realtà” esclamò improvvisamente, afferrando la mano gelida del beccamorto.

Sollevò l’altra mano e spezzò la loro stretta.

“Il patto è fatto Undy: non ti puoi più tirare indietro” si esibì in un sorriso e poi scappò, lasciando il leggendario interdetto.

Egli sospirò, stringendosi la mano e fissando il cielo “Hai proprio addestrato una bella furba, Isabel”.

Sorrise e sparì: era ora di aprire il negozio di pompe funebri.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Erano tutti riuniti allo stesso tavolo, mangiavano insieme, ridevano e scherzavano: sembravano una grande famiglia.

Will osservava con un mezzo sorriso (somigliante ad un ghigno, forse perché non era allenato a sorridere) coloro che ormai erano i suoi primi e veri AMICI: si sentì sollevato ed al sicuro.
Si chiese cosa sarebbe potuto succedere se uno di loro sarebbe morto: avrebbe provato per la prima volta quello strano senso di vuoto, quella strana delusione e quell’amara tristezza…

Il suo sorriso sparì: osservò Jason, Federik, Bart, David, Hylda…

Se uno di loro fosse morto, come si sarebbe sentito?

Si augurò di non provare mai una sensazione simile.

Socchiuse gli occhi un secondo, facendo rigirare l’acqua nel suo bicchiere, assente.
Alzò il capo e vide un’ombra fuori dalla finestra.

Lanciò un rapido sguardo a Sebastian che si girò, fissando l’oscurità della sera.

Jason si alzò in piedi, con i canini leggermente allungati, mentre Hilary si portava una mano al petto.

“Deve essere un demone, sento la sua aura” sussurrò, mentre Sebastian si avvicinava alla porta d’ingresso.

Il butler mise una mano sulla maniglia e si piegò leggermente sulle ginocchia, con un coltello d’argento in mano.

Jason si posizionò a qualche metro da lui, mentre Will evocava la Death Schyte e si metteva a destra della porta.
Sentirono tre colpi secchi e si guardarono negli occhi.

Jason diede il tempo.

Michaelis aprì di scatto la porta e puntò il coltello alla gola del sorpreso sconosciuto, William puntò la falce al petto e Jason il pugnale allo stomaco.

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Il maggiordomo abbassò l’arma, sorpreso, mentre gli altri due facevano sparire le Death Schyte, indietreggiando leggermente.

Alice alzò lo sguardo timido su Sebastian, per poi avanzare verso William, che si sistemò gli occhiali sul naso, nervoso.

La diavolessa lo fissò negli occhi e poi si chinò.

“Scusami. Ero accecata dal dolore per la perdita della mia famiglia ed ho sbagliato clamorosamente. Tu sei la speranza dei nostri mondi… Ed il dio della giustizia. Potrai mai perdonarmi?”

“L’ho già fatto” disse il dio, voltando le spalle “E se sei veramente convinta di quello che dici, unisciti a noi e non cambiare strada”.

La ragazza gioì, mentre gli altri sorridevano allo shinigami.
Alice si voltò verso Sebastian, sorridente: il demone le andò in contro con un sorriso VERO, prendendole una mano e posandola vicino al cuore.

Quando vide i tre sguardi complici ed eloquenti di Will, Jason e Ciel, il maggiordomo si irrigidì: ma che avevano tutti contro di lui?

Jason gli fece un mezzo sorriso malizioso, imitato da Spears, mentre il conte annuì, bonario: il mezzosangue mimò il gesto del baciare ed i tre giurarono di aver visto il diavolo arrossire.

David si alzò dopo aver osservato la scena e sorrise “D’ora in poi, sei nostra compagna: fai parte del nostro gruppo e combatterai al nostro fianco. La tua compagnia ci allieterebbe e  siamo solo agli antipasti: ti andrebbe di sederti a tavola con noi?”

mosse una mano e un nuovo posto si materializzò accanto a quello di Sebastian.

“Vi ringrazio, vi ringrazio di cuore… Signor Ford: ho insultato la vostra famiglia, ho commesso un errore imperdonabile” disse, reclinando il capo.

James chiuse gli occhi, indifferente.

“Hai già riparato al tuo danno. Non tormentarti più” disse, freddo, ma con l’ombra di un sorriso sul viso.

La ragazza si sedette vicino a Sebastian che le prese una mano sotto il tavolo, regalandole uno dei suoi ghigni beffardi.

“Te l’avevo detto, cent’anni fa: ti ho impressionato… Ed anche molto” sibilò, posando la sua mano che stringeva ancora quella della diavolessa, sulla coscia di Alice.

“Frena gli istinti, felino: è ancora tutto da vedere” disse la ragazza, spostando la sua attenzione sui commensali, senza degnare di uno sguardo Sebastian.

Il demone ghignò divertito e le lasciò la mano, concentrandosi sul Conte, che lo aveva chiamato.

“Ditemi, bocchan”

il conte sorrise, mescolando l’acqua nel suo bicchiere, con gli occhi chiusi “Spero che questo non cambierà la qualità dei tuoi servigi”

“Quale QUESTO, padroncino?”

“Il magnetismo che ti attira e ti lega ad Alice… L’amore, Sebastian: sono cresciuto, non sono più il bambino di cinque anni fa, so benissimo capire i sentimenti… Sono un umano, dopotutto: non credi?”
“Bocchan voi non-”
“Smettila, per favore: mere-da fai silenzio ed acconsenti” disse, voltandosi di scatto.

Era una normale serata: per questo tutti erano felici di viverla perché… Quando mai le loro vite erano normali?

“Signori, credo che io vi debba lasciare: ho molto lavoro da sbrigare a Londra. Inoltre… La mia famiglia mi sta aspettando” asserì il Conte, alzandosi.
“Sebastian” disse semplicemente il ragazzo, dando le spalle ai commensali.
“A-… Arrivo subito bocchan” proferì titubante il demone, mentre Alice lo guardava, leggermente triste.
“Sei sicuro di non volerti fermare, Ciel?” chiese David, fissandolo negli occhi.
Il ragazzo sembrò esitare, ma poi strinse i pugni.
“Si staranno preoccupando per me, non posso lasciare nessuna delle mie pedine allo scoperto. Gli avversari potrebbero mangiarle a tradimento” disse, infilandosi la benda.
Il demone sospirò e Sebastian, per la prima volta nella sua carriera, avvertì l’impellente bisogno di disobbedire al bocchan.
Fissò Alice, inspirando profondamente: quando espirò, si stava già dirigendo verso la porta, accompagnato da David.
“Fate un buon viaggio e… Fate correre l’occhio” disse il mezzo demone, stringendo la mano a Sebastian, che gli diede una pacca fraterna.
“Certamente, i miei occhi balleranno a ritmo di tango” rispose il maggiordomo.
Jones avvertì una vibrazione di incertezza nella voce del ragazzo e ne intuì il motivo.
“Non ti preoccupare, la rivedrai presto…” sussurrò, in giapponese.
Ciel inarcò un sopracciglio ma poi fece spallucce: aveva intuito l’argomento.
Michaelis sospirò “Lo spero anche io. Grazie di tutto… Padre” disse, lasciando la mano dell’uomo, interdetto.

Si riprese dopo poco dallo stupore.

“Fai attenzione figlio mio: non voglio che tu finisca come il tuo VERO padre” sussurrò.

Quindi si rivolse al londinese “Ciel Phantomhive: ti auguro un buon proseguimento. Non cacciarti nei guai”
“Non ne ho alcuna intenzione: Londra è il mio dominio, stai tranquillo”
“You father is very proud of you” sussurrò David, nell’orecchio del nobile.
Il giovane sgranò l’occhio blu.
“How… How do you know this?”
il diavolo si mise un dito davanti alle labbra, strizzando l’occhio destro “It’s a secret, my friend”.
Quando il conte alzò gli occhi, David era scomparso: erano rimasti lui e Sebastian davanti ad un portale aperto.
Ciel guardò di sottecchi Sebastian: ecco da chi aveva imparato ad essere così irritante.
 
Il maggiordomo fissava rammaricato la magione di Undertaker: stringeva i pugni ed aveva lo sguardo triste.

“Sebastian: va da lei”.

Michaelis si voltò verso il nobile, incredulo “Bocchan! Che dite? Come potrei abbandonarvi? Da chi dovrei tornare?”
“Tu la ami Sebastian Michaelis, tu ami Alice: smettila di negarlo, non sono stupido. Tu provi lo stesso sentimento che provo io verso la mia Lizzy: devi andare da lei e non lasciarla sola. Potrà venire con noi, quando si sarà ripresa: la mia casa è grande… Se avrò bisogno ti chiamerò e tu verrai”.

Il demone restò impietrito, incredulo: Ciel Phantomhive che si apriva in quel modo?
Aveva espresso i suoi sentimenti in modo gelido, controllato come sempre, ma li aveva espressi.

“Quando tutto questo sarà finito, sposerò Elizabeth: non credo che sarò l’unico a compiere il grande passo, ma di certo non voglio impedire al mio servo di frequentare una così potente alleata… Portami a casa e va da lei: divertiti” disse il ragazzo, girandosi verso il portale.

Il demone sorrise, fissando prima le punte dei piedi, poi la magione ed il suo padroncino: forse quell’appellativo non doveva più usarlo.
Era diventato alto, era cresciuto: stava diventando un uomo.
Doveva chiamarlo padrone.

“Yes, my Lord… La ringrazio, mio signore” disse, prendendolo per mano “Non è dunque più il caso che io vi prenda in braccio?”

il ragazzo sorrise “No, non credo”.

Si avviarono verso il portale: era ora che ognuno dei due seguisse il proprio cuore.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

William era sul terrazzino a godersi il freddo venticello invernale: gli scompigliava leggermente i capelli scuri, solitamente in perfetto ordine.

Guardava le stelle, cercando di trovare una risposta alle sue domande: chi era in realtà?

Che segreti nascondevano i suoi compagni?

I suoi interrogativi erano troppi, ed il tempo gli pareva troppo poco.

“Sei qui” fece una voce.

Il ragazzo nemmeno si girò: aveva imparato a riconoscerle tutte… Specialmente quella.

“Sì, sono qui” rispose laconico, senza smettere di fissare il cielo.

“I tuoi quesiti sono molti, ma non credi che prenderti un po’ di tempo per riposare sarebbe la cosa migliore? Siamo vicini alla verità, lo sento”.

Due braccia sottili e calde avvolsero il ragazzo, che reclinò il capo all’indietro.

“Jane… Non è facile, ma oggi mi sono sentito strano ed ho avvertito il bisogno di  venire qui a rimuginare sulle mie domande”
“Se sapessi qualcosa te lo direi, lo sai”
“Sì, lo-” si portò la mano al cuore, gemendo e piegandosi leggermente in avanti.

Jane trasalì, temendo che Will avesse una visione o qualcosa del genere: era da tempo che non né aveva più.

“Non ti preoccupare, sto bene” mugugnò il ragazzo, aprendo un occhio e facendo un sorriso sforzato “Mi sa che ho sottovalutato le mie condizioni fisiche: non devo essere ancora guarito” disse, passandosi una mano sul viso.

La ragazza addolcì lo sguardo “Will, forse è meglio che tu vada a riposare: hai quasi ammazzato quell’assassino solamente l’altro ieri, sei stato ferito da lui… Non solo qui”

Gli passò una mano sulla ferita arrossata che gli divideva l’occhio destro “Ma anche qui” sussurrò, facendo scorrere l’indice sul viso e sul collo del dio, per poi fermarsi sul suo cuore.

William sorrise debolmente “Come fai ad essere sempre nei miei pensieri?” chiese, chinando il viso verso di lei

“Ti conosco fin troppo bene… Che intendi fare, ora? Non ci sarà la minaccia di Alfred, non avremo bisogno di rischiare la vita tutti i giorni…”

l’espressione del ragazzo si fece più amara: si scostò da lei e si voltò, stringendo la ringhiera fredda fra le mani.

“Devo allenarmi e pianificare la guerra. Devo scoprire chi sono e cosa tutti mi nascondono. Devo scoprire il mio passato e devo decidere l’epilogo di questa trama… È tutta la vita che faccio quello che devo ed è tutta la vita che non faccio quello che voglio: ho sempre obbedito a chi era al di sopra di me, ho sempre lavorato, sono stato reso partecipe di una grossa faccenda che non mi riguardava minimamente e quindi ho dovuto combattere in una battaglia non mia. Io voglio fare altre cose: voglio conoscere tutto, voglio tornare al lavoro, voglio avere una famiglia, voglio essere libero di amare, voglio dedicarmi a te… Ma per uno strano scherzo del destino, sono condannato a svolgere i miei doveri per tutta la mia esistenza” guardò Jane di sbieco, che era rimasta senza parole.


“William: io ti ho scelto perché sei diverso dagli altri. Io ti ho scelto perché ti amo per come sei. Ti osservo mentre sei rassegnato a compiere ciò che non vuoi… Ma davvero preferiresti lasciare perdere? Davvero preferiresti mollare e renderti uno shinigami uguale a tutti gli altri? Avere una famiglia, lavorare, vivere la tua esistenza accanto ad una donna… Se non ci fossi tu, se non saresti quello che sei, chi ci salverebbe? Chi prenderebbe il tuo posto? Chi amerei?”

Will si voltò verso la sua fidanzata, stupito

“I tuoi compiti sono molti, i tuoi doveri vengono prima di qualsiasi cosa… Perfino di me: io aspetterò, ti resterò al fianco ed alla fine di questa avventura, resteremo insieme per sempre”

“Tu non sei una cosa: tu sei l’altra parte della mia realtà” mormorò il giovane, abbracciando Jane.

“Io non ti voglio bene: io ti amo… Per questo aspetterò” sussurrò la dea, inspirando il profumo di William, scaldandosi fra le sue braccia.

“Mi sento solo… Ho bisogno di qualcuno che stia con me, stanotte” sussurrò il ragazzo. 

“Non starò con te solo stanotte: starò con te tutte le notti della nostra esistenza” rispose lei, azzerando le distanze fra le loro labbra.

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Alice camminava lentamente nel lungo e buio corridoio che conduceva alla sua stanza: era immersa nei suoi pensieri ed era stanca.
Aveva un’aria leggermente malinconica e triste: non si aspettava certo che il conte decidesse tutto ad un tratto di tornare nel suo mondo, portandosi dietro Sebastian.
Sospirò: il demone era vincolato da un contratto e non poteva disubbidire, anche se lo desiderava…
Aveva visto la sua espressione triste, mentre le diceva addio con lo sguardo.
Si fermò, dando le spalle alla parete, sospirando ed allungando un debole sorriso: lei voleva stare con Sebastian, certo, però si rese conto delle sofferenza che Ciel aveva provato, rischiando di morire in battaglia, lasciando così incustoditi il casato ed i suoi amici.

Ma soprattutto, capiva il dolore che provava nello stare lontano dalla sua… Com’è che si chiamava? Ah, sì: dalla sua Lizzy.

Due mani fatte d’ombra l’afferrarono del dietro, tappandole la bocca e circondandole la vita: si dibatté, tentando di urlare, invano.

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Un sussurrò caldo le arrivò all’orecchio e si bloccò.

“Non mi riconosci più…?” fece la voce, maschile.

Lei sospirò, sciogliendosi “Sebastian… Che ci fai qui?”

“Sono tornato per te…” sussurrò, iniziando a baciarla.

Lei reagì prontamente e gli fece strada verso la propria stanza: un incantesimo e nessuno li avrebbe disturbati.
 

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Capitolo 41
*** Incontro. Un’unica realtà. ***


Ecco a voi il quarantunesimo capitolo. 
Spero vivamente che le cose da domani si sistemino, mi scuso per le attese più prolungate del previsto.
Grazie mille a chi segue, legge e recensisce.
Alla prossima!




Jason era sul tetto della casa.
Le gambe a penzoloni nel vuoto e lo sguardo perso oltre il bosco nero.
Il vento gli pettinava i capelli corvini, la luce della luna faceva brillare la sua pelle nivea, facendola sembrare evanescente: come un fantasma.
Avvertì l’aria fredda nella schiena e rabbrividì: essa era segnato da cicatrici profonde ed indelebili.
La pelle del dorso era diventata molto sensibile agli sbalzi di temperatura ed anche un po’ al dolore, per questo evitava di dare la schiena a tutti: non solo per rispetto, ma anche per proteggere il suo “punto debole”.

Sospirò: ne erano successe di cose, in quei giorni…

Aveva iniziato a provare il sentimento dell’amicizia: sentiva che lui e William sarebbero andati d’accordo daa quando lo aveva visto per la prima volta, in quel cimitero…



“Ehi, ma non hai freddo a restare qui fuori?” Jason sobbalzò: Hilary era dietro di lui.

“No, il freddo mi piace e non mi tange. Non posso ammalarmi: come voi angeli, del resto” disse, tornando a fissare il “giardino” della magione.

L’angelo si sedette al suo fianco.

“Bello il cielo, vero? Mi piace osservare le costellazioni e le stelle” disse, innocente.

A quelle parole Jason scattò in piedi, con gli occhi sgranati ed il respiro corto: tutto questo gli era famigliare in un modo assurdo.
Si coprì la bocca con una mano, per evitare di far intravedere i suoi canini perlacei: quel ricordo…
Il ricordo di quella notte di sangue gli infuocava il cervello, non riusciva a ragionare lucidamente: una nebbia densa d’ira gli avvolgeva la ragione.
Sentì il tatuaggio sulla sua pelle bruciare e cercò di domarsi: non voleva che in lui si risvegliasse quelle belva che avrebbe potuto compiere una strage senza troppi complimenti.

“Jason, che ti succede?” chiese inconsapevole l’angelo, posandogli una mano sulla spalla.
Lui la fissò con gli occhi fucsia e lucidi, stando attento a non scoprirsi la bocca.

“Nulla, sono solamente un po’ stanco e… Mi è venuto in mente un ricordo spiacevole. Tutto qui” disse, voltandosi “Non ti devi preoccupare” concluse, a denti stretti.

Prese una gran boccata d’aria ed avvertì quello sguardo celeste puntato sulla sua schiena: lei lo stava silenziosamente invitando a parlare.

“Sei uguale ad una persona che conoscevo: stesso aspetto, stesso carattere, stesso nome e cognome, stesso modo di fare…” pronunciò, voltandosi di sbieco “Solamente che non era un angelo: era un umana. Ed è morta, molto tempo fa” mormorò, mascherando il suo dolore: lui aveva amato quella ragazza.


Hilary parve irrigidirsi e sgranare gli occhi: Jason se ne accorse e si girò verso di lei, rimanendo però con il viso in ombra.

“Che ti succede?” chiese, con la voce leggermente più scura: la bestia si stava risvegliando.

“Dannazione…” pensò il ragazzo, mentre un debolissimo ringhio gli usciva dalle labbra “Ancora poco e non riuscirò più a trattenermi: devo farla andare via di qua…”.

“Io… niente, mi dispiace molto per te, Jason: a quanto pare tu.. L’amavi. È molto dura abbandonare la tua metà…” disse, abbassando lo sguardo.
“Ti comprendo…” sussurrò poi, alzando gli occhi su di lui, che aveva iniziato a ringhiare.

“Se solo tu potessi sapere… Chi sono io…” pensò, avvicinandosi al mezzosangue.

“NO! Non farlo” esclamò Jason, bloccandola con un gesto della mano “Va’ via per favore: è per il tuo bene, non voglio fare male… Anche a te…” sussurrò, piegandosi leggermente in due, con il respiro affannato.

Hilary si bloccò, iniziando a capire che qualcosa non andava: appena un freddo raggio di luna illuminò il volto di Jason trasalì, iniziando a tremare.

Quel viso lo aveva già visto: era identico a quello di un assassino.

Del suo assassino.

+++++++++++++

Fabian si svegliò: non riusciva a dormire, c’era qualcosa che lo rendeva inquieto, che lo preoccupava.
Si alzò, stiracchiandosi e sbadigliando: ma si può sapere cosa c’era, ancora?
Si cambiò ed aprì la finestra, prendendo una grande boccata d’aria: la quiete notturna lo tranquillizzava.
Si grattò il mento e si passò una mano sul viso, avvertendo la corta barbetta sfregarsi contro la sua pelle.

D’un tratto si bloccò: gli occhi ambrati sgranati, la schiena dritta ed i nervi tesi.
Rimase immobile, in allerta: l’aria gli penetrava silenziosamente nelle narici, portandogli prepotentemente degli odori preoccupanti.

Si sporse con tutto il busto dalla finestra: i suoi occhi erano sgranati ed immobili, il loro colore ambrato rifulgeva nel buio, ed al loro interno, un mare di lava dorata si rimescolava lentamente.

“Questo odore… Di sangue e morte… Paura e disperazione… Rancore e vendetta…” sussurrò, stringendo il davanzale della stanza.



“UN DEMONE!” urlò, saltando sul davanzale e lanciandosi fuori dalla stanza.

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“Jason! Che ti succede?!”

“Scappa! Io ho una m- malattia! Una grave malattia! Il mio lato demoniaco…” cercò di spiegare, con la voce alterata: Hilary vide il suo viso, si specchiò nei suoi occhi, sanguigni e pericolosi.

“Quel volto… I capelli corti ed ondulati, gli occhi d’assassino, i canini perlacei... Quell’espressione… Tu sei uguale al mio assassino!”.



La bestia ruggì e puntò al collo della vittima.

Hilary urlò di terrore.

++++++++++++++

Jason cadde di schiena, con un tonfo sordo: sentiva il sangue colargli dalla fronte e dal collo.

Un ululato risuonò nella notte ed una maestosa sagoma nera si stagliò nella notte: aveva la forma di un animale a quattro zampe, munito di zanne ed artigli, con due occhi di due colori differenti.

Hilary arretrò fino a trovarsi con le spalle contro il camino: si trovava davanti a due bestie pronte ad ammazzarsi fra di loro.

Jason si alzò, in piedi: aveva le ali d’angelo corvine, le zanne e gli artigli sguainati, uno sguardo folle e qualcosa di…

Animale.

Ringhiò in direzione della belva non identificata.

“Che ci fa… Uno come te, qui?... Aspetta… TU!”

“Finalmente te ne sei accorto” disse la bestia, con voce distorta e profonda “Pensavo che ci fossi arrivato appena mi guardasti negli occhi, Jason Blaik”

“Non pensavo che… Un essere come te potesse esistere”

“Ciò che leggi nei libri non è tutta favola: i signori dell’aldilà sono vivi e bisognosi di giudici e guardiani. Il mio re… Mi ha ordinato di fare ritorno per continuare la mia vita divina ed assolvere il compito che mi è stato incaricato fin da bambino: proteggere il figlio di un dio”

“Io non voglio fare… Alcun male… A nessuno… Non riesco più a controllarmi, aiutami…” tentò di dire il mezzo demone: i suoi tentativi vennero bloccati da un’ondata di dolore, che gli fece perdere la ragione.


Si piegò in due, tentando di combattere la bestia che si stava facendo strada nel suo cuore, invano.


Hilary intravide il volto della bestia e, rassicurata, trovò la forza di avvicinarglisi “Che cosa dobbiamo fare?”

“Per bloccare la maledizione bisogna chiamare gli esperti… Corri da David ed Undertaker prima che sia troppo tardi… Per uno di noi due” mugugnò la bestia, ruggendo: l’angelo scomparve.

“Ti prego, aiutami: picchiami e non risparmiarti” riuscì a dire Jason, in un momento di lucidità.

Subito dopo, i suoi occhi e la sua anima furono avvolti dall’ombra nera dell’odio.


La bestia annuì, alzandosi su due zampe, mostrando la sua altezza di due metri passati “Lo farò, Jason: non permetterò che anche tu venga triturato delle forze del male”.

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Il becchino ed il demone giunsero sul tetto: Undertaker sgranò gli occhi e David corse dal nipote, immergendosi in una pozza scarlatta.

“È vivo” disse a voce alta, forse per rassicurare sé stesso: l’ex shinigami s’avvicinò cauto a quell’ammasso di pelliccia che respirava profondamente e con lentezza, sfiorandogli il pelo sporco ed il muso affilato.

“E così sei tornato veramente…” sussurrò il necroforo, accarezzando il muso da lupo.

La bestia aprì un occhio ambrato “Non ti preoccupare: ora va tutto bene… Non morirai così facilmente…”.

La bestia si alzò, inizialmente barcollante: le sue dimensioni iniziarono a ridursi e la sua forma mutò, diventando quella di un uomo.

“Non ho bisogno della balia: non è stato uno scontro così duro. In realtà… E' stato più facile che rastrellare le foglie in giardino” affermò il giovane, con un mezzo sorriso “Mi basteranno alcune ore di riposo, per tornare normale: pensate a quel povero ragazzo…” disse, sputando un po’ di sangue di lato.


Undertaker lo osservò con scarsa convinzione, dopodiché David parlò.

“Ok, è a posto: era svenuto...” il demone si alzò, mentre Jason si metteva a sedere, stordito.

“Wow, che botte… Grazie amico: avrei combinato un casino, se non ci fossi stato tu… Mi domando come facciano quel testone occhialuto, Jane e gli altri a dormire con tutto il casino che abbiamo fatto”

“Dai, siamo stati indiscreti: figurati, quando hai bisogno, fai un fischio o… Bè, fai avvertire la tua presenza” rise il giovane sconosciuto “Me ne torno nella tana: ci si vede”.

Jason gli mandò un sorrisone a trentadue denti, battendosi una mano sul petto nudo e fasciato  “Come vuoi, fratello di branco” disse.

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Hilary gli si avvicinò ed i due uomini tolsero il disturbo, non volendo importunarli.

“Jason…”
“Mi dispiace, Hilary. A volte, il passato torna a tormentarmi e la malattia dalla quale sono affetto mi impedisce di controllarmi: è come se fosse qualcun altro, a controllare me. Tu sei uguale alla mia ex ragazza, uccisa da…”
“Uccisa da tuo padre” terminò la frase Hilary, guardandolo negli occhi.


L’altro si paralizzò, guardandola con tanto d’occhi.

“Come fai a saperlo…?” chiese, tremante.
“Non lo hai ancora capito, Jason Blaik?” chiese di rimando la ragazza, chinandosi verso di lui.

Ma egli, imperterrito “Te lo ripeto: come fai a saperlo?”

l’angelo strinse i pugni, fissandolo negli occhi, con le lacrime che minacciavano di piovere.

“Forse perché quella ragazza… Sono io” confessò.

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Fu come se un fulmine dividesse a metà il mezzo demone.

“Un angelo mi ha salvato… Non so come, ma Undertaker cedette la mia anima a quell’essere divino, affinché io diventassi una di loro e continuassi a vivere… Ci è voluto del tempo, la mia memoria è riaffiorata dopo anni ma… Sono sempre io: Hilary Rain, l’umana che amavi”.


Jason rimase immobile, scioccato, con la bocca aperta: ora, tutti i tasselli del puzzle combaciavano.


“In quel momento… Quando poco fa mi hai attaccato, io ho rivisto in te il volto del mio assassino: eri uguale a lui, in tutto e per tutto. Allora ho giurato a me stessa che… Appena avrei potuto, ti avrei detto la verità” disse, piangendo qualche lacrima.

Sentì delle dita fredde asciugargliele ed una mano posarsi sul suo volto, accarezzandolo.

“Hilary… Sei proprio tu…?” disse Jason, con la voce soffocata da lacrime che stava trattenendo.

“Sì Jason, sono io…” mormorò la ragazza, con voce rotta.

Improvvisamente il ragazzo l’abbracciò, stringendola forte contro il suo petto “Non sai quanto ho pianto… Non sai quanto ho sofferto nel perderti… Non sai in quale rancore mi sono crogiolato, nell’attesa di vendicarmi: speravo che tu mi guardassi dal paradiso… E in effetti… Un angelo come te non avrebbe potuto essere in un posto diverso” sussurrò, guardandola dolcemente: si era trasformato da bestia in agnellino.

“Anche io ho patito le tue stesse pene… Ti ho osservato, da lassù: continuavo a pensare a te, ogni singolo giorno… Quando ti ho visto, su quel campo di battaglia, quando ho toccato la tua pelle, il mio amore per te ha ricominciato ad accendersi… Io ti amo Jason”

“Anch’io, Hilary… E non sai quanto…” disse, prima di chinarsi sul volto della ragazza.

La baciò teneramente, per cancellare il dolore causato dalla loro separazione, per dimostrarle il suo amore, per unirla a sé e farla sua.

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Da dietro il comignolo, qualcuno si godeva la scena: quattro teste, una allineata sopra l’altra.

“Finalmente ce l’ha fatta, eh? Mamma mia, che fatica che è stata …” sospirò Fabian Schonberg

“Già, è stata davvero una faticaccia: pensavo che la ragazza si sarebbe dichiarata prima, però fa niente: l’importante è che lui non soffra più, ora. Hilary è tornata, ed ora che è anche un angelo, è senz’altro più forte” continuò stancamente Federik Jones, sbadigliando sonoramente

“Ok, però questa ce la dovrete spiegare, eh?” fece un altrettanto assonnato William T. Spears

“In poche parole: la ragazza di Jason è stata ammazzata da un assassino, lei era un’umana londinese, quindi è normale che a Londra muoia qualche donna, vista la bella gente che ci gira…
Niente amore uguale Jason depresso, Jason depresso uguale rancore, rancore uguale voglia di vendetta, vendetta uguale casini su casini. Ora: un’anima buona (angelo pietoso) prese l’anima della ragazza, la trasformò in un angelo e la curò.
L’altro giorno sul campo di battaglia l’ha rimandata qui, sperando che i due si dichiarassero e svelassero la propria identità. Ora noi ci troviamo qui, svegliati nel cuore della notte, a spiare quei due mentre amoreggiano sul tetto di casa: non sappiamo perché ci sembra di avvertire odore di sangue ma fa niente… Torniamo a dormire?” spiegò sbrigativa Jane, sbadigliando e rannicchiandosi contro il petto del suo ragazzo.

“Bene… Che questo segreto resti fra noi, altrimenti penso che se quei due venissero a sapere che li abbiamo spiati in momenti intimi, potremmo dire addio alla vita terrena. Buonanotte” disse Fabian, dirigendosi con passo felpato verso camera sua, imitato dai compagni.

Intanto, i due innamorati si incamminarono verso la propria camera, felici di potersi riunire: erano tornati un’unica realtà. 

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Capitolo 42
*** Allenamento, segreti e decisioni. ***


Ehilà!
Scusate l'attesa, ma ho avuto molti impegni: non so quando riuscirò a postare il prossimo capitolo, purtroppo credo che dovrete attendere quattro giorni, se non più!
Un grande grazie ai miei fedeli recensori :)
Miss_Uriel, Phoenix_619, Sakichan24: questo capitolo è tutto per voi!
Grazie mille per il supporto! <3
Spero che il chap vi piaccia: quando troverete il link di una canzone, vi consiglio di usarlo come sottofondo durante la lettura!
Ovviamente i ringraziamenti vanno anche ai lettori silenziosi: lasciate una piccola recensione, se vi va!
Alla prossima,
Jaki Star




William si svegliò dal coma (sonno) in cui era capitato: sembrava che tutte le fatiche compiute negli ultimi mesi gli si fossero scaricate addosso in un’unica volta.

Sobbalzò quando non avvertì sotto i polpastrelli il corpo di Jane ma poi si rilassò, trovando un bigliettino:

“Buona fortuna”.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, confuso: buona fortuna?


Un improvviso squillo di tromba gli forò i timpani, stordendolo momentaneamente.

“Ma che diavolo…?!” fece Will, massaggiandosi le orecchie.

“Buongiorno! Su forza! Non si batte la fiacca: da oggi, sputerai sangue! Ihihihi” esclamò Undertaker “Fra cinque minuti ti voglio in giardino: niente casacca, solo pantaloni e scarpe… Il tuo peggior incubo è arrivato” disse, ridendo istericamente e dirigendosi verso la porta.

++++++++++++++++++

William T. Spears era senza dubbio un soggetto di grande qualità: il suo fisico giovane e prestante, unito alle sue abilità divine ed alla sua buona salute, gli garantivano ottime prestazioni.
In quei duecento e passa anni di vita, aveva imparato tutto o quasi sull’arte del combattimento di uno shinigami, ma le singole capacità teoriche non bastavano: il compito di Undertaker consisteva nel fargli acquisire tecnica ed efficienza.
Con uno sguardo serio e penetrante esaminò il suo allievo: era a petto nudo, con indosso solo i pantaloni e le scarpe.
Per quanto riguardava il fisico, era quasi completamente a posto: doveva verificare solamente che le ferite inferte dal demone non gli causassero problemi durante un eventuale scontro. C
ontava di fare leva sul suo carattere riflessivo ed furbo, che gli consentiva di avere una maggiore lucidità in battaglia: alla fin fine, i punti su cui doveva lavorare era piuttosto pochi…

Ma essenziali.

“Bene: dovrai imparare qualche trucco sull’arte del combattimento con e senza falce, per non parlare di un ulteriore sviluppo muscolare e di un aumento della resistenza…”
con un ghigno il becchino si tolse tunica e cappello, rimanendo a torso nudo: si portò i capelli dietro le orecchie, impugnando un bastone di metallo.
Ne porse un altro all’allievo “Avanti: combatti” gli ordinò “Ne abbiamo di strada da fare” aggiunse, mettendosi in guardia.

http://www.youtube.com/watch?v=QXAxaeNSK10

Il ragazzo scattò, tentando un affondo: Undertaker lo bloccò e lo costrinse a ripiegare, facendogli perdere terreno.
Il maestro lo colpì allo stomaco era al viso: Will s’abbassò e gli sferrò un calcio, facendo leva sulla sua arma.
Il leggendario arretrò e scattò verso di lui, bloccando un fendente fulmineo e saltando sull’asta di Spears: mentre questi lo guardava sbalordito, il becchino gli sferrò un calcio volante in faccia, facendogli perdere gli occhiali.
William cadde di schiena: la cosa che lo salvò fu la prontezza.
Spostò il collo di lato e si protesse innalzando il bastone di metallo in posizione orizzontale, in modo da bloccare il Sen-sei.  
Will s’alzò con un balzo, ma non appena le punte dei suoi piedi toccarono terra, perse l’equilibrio: Undertaker lo aveva colpito di striscio e lui non l’aveva visto.
Una bastonata lo raggiunse sul collo ed un’altra, violenta, gli calò sulla testa: cadde con il sedere a terra, la vista gli si era offuscata.
Il sangue fuoriusciva dal suo capo, colandogli in mezzo agli occhi.

“Ma che cosa fai? Mi deludi William” disse il più grande, inchiodando a terra il più giovane con un piede sul petto.
“Se ti affidi alla vista sei morto. Mi ero dimenticato di questo fatto… Mi dispiace, dobbiamo interrompere il combattimento e cambiare percorso… Una cosa che non ti piacerà” sogghignò, prendendo delle garze bianche ed una valigetta di legno.
Will si rialzò, passandosi una mano sul viso: la sua pelle diafana era chiazzata di sangue.
Sbuffò, mentre il maestro gli si avvicinava, aprendo la valigia: dentro c’erano dei pesi.
Erano messi in modo tale da costruire delle specie di tessuti metallici simile a delle fasce per i muscoli.
Forse erano un tantino più pesanti delle fasce per i muscoli.
“Dobbiamo risparmiare quanto più tempo possibile: allenerai i tuoi sensi imparando a non dipendere più dalla vista, e la tua muscolatura indossando questi attrezzi” spiegò il grigio, mettendogli quegli affare sulle caviglie: quando glieli applicò sui polsi, il peso era talmente elevato che lo fece piegare in due.
Senza troppi convenevoli gli strinse le garze sopra gli occhi e lo spintonò.
“Avanti, para i colpi” disse.
Poco dopo, William avvertì una scarica di dolore per tutto il corpo.

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Avvertiva la polvere penetrargli nella gola riarsa e la freschezza del sottobosco alleviargli l’agonia al capo provocata dalla febbre.
Era a pezzi: il becchino lo aveva menato per ore e ore, non si erano fermati nemmeno per il pranzo.
Chiuse gli occhi, prendendo un bel respiro: poteva scommettere di vedere il rosso scarlatto delle bende imbevute di sangue.
Ascoltò in silenzio la quiete della natura, ma appena avvertì il leggero schiocco di un ramoscello i suoi sensi s’allertarono: si mise carponi, con l’orecchio a terra, coperto dai cespugli.
Forse aveva capito dove era l’avversario.
Scattò in avanti ma qualcosa lo bloccò per i polsi: subito dopo avvertì qualcosa di morbido premere sulle sue labbra rotte e screpolate.

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“Jane, che ci fai qui?” chiese, mettendo le mani sul viso della ragazza: la voce della shinigami non tardò ad arrivare.
“Sapevo che mio padre era rigido, ma non credevo fino a questo punto” disse lei, slegandogli le bende e mettendogli un paio di occhiali.
Spears si stropicciò gli occhi, tornando a vedere qualcosa: l’espressione della ragazza era profondamente contrariata.
“Ah, guarda come ti ha ridotto quel beccamorto”
“Ma che dici? Sto benissimo”.

A questa affermazione seguirono molti “Ahia”: ogni punto del corpo che la ragazza toccava provocava al giovane una scarica di dolore.

“Se ti vedessi ad uno specchio impallidiresti” affermò, sarcastica.

“Già, non hai un bell’aspetto” aggiunse una voce ben conosciuta: Jason rise e gli lanciò un asciugamano pulito ed umido.

“Pulisciti la faccia… È ora della teoria” disse con un sorriso, guidando i due amici verso la magione.
“Teoria?” chiese William, osservando il mezzosangue: indossava una camicia bianca e pulita, aveva i capelli umidi e tirati all’indietro, pantaloni e scarpe nere.
Vestito in quel modo, sembrava un giovane qualunque, pulito ed elegantemente sobrio.
Profumava: probabilmente era appena uscito dalla doccia.
“Esatto: ti insegnerò qualcosa io, un paio di tecniche su teoria… Che poi vanno applicate con la pratica: almeno sono riuscito a rubarti dalle grinfie di Undertaker” spiegò cordialmente, con un sorriso genuino e gentile: Jane e Will si scambiarono uno sguardo stupito, dopodiché alzarono le spalle, continuando a seguire il corvino.
Nessuno poté scorgere un ghigno malsano spuntare fra le zanne del giovane corvino.

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Jason prese una pila di libri e li posò di fronte a William: questi si teneva un pacco di ghiaccio sulla faccia (o quel che ne rimaneva) e si aggiustava continuamente gli occhiali, che gli davano un costante fastidio alle orecchie graffiate.

“Allora, non so se tu abbia mai sentito parlare di questo potere: l’Eim”

Will alzò un sopracciglio “Mi sembra di aver letto qualcosa di simile su un vecchio libro, molto tempo fa… Però non rimembro alcun dato soddisfacente o perlomeno utile”

“Ok…” sussurrò Blaik, facendo combaciare i polpastrelli davanti al viso.

“Ascolta attentamente: l’Eim è una sigla che sta per “Energia interiore mortale”, una speciale forza interiore risiedente in tutti gli shinigami. Con la giusta padronanza di questo elemento potrai rendere la tua Death Schyte un vero sterminio”.

A quel punto, nella mente di Spears sorse un dubbio.

“Ma se è un potere risiedente in tutti gli shinigami, così potente e così letale, perché non se ne sente parlare? Voglio dire: contro una qualsiasi tipologia di bestie nocive fungerebbe da ottimo insetticida” chiese, fissando il “maestro” negli occhi: in quel momento erano stranamente scarlatti ed inquietanti.

“Perché è una capacità altamente difficile da dominare: è letale sia per il nemico… Che per lo shinigami. Ovviamente, solo se è usata scorrettamente”
“Non me la conti giusta Jason: o stai mentendo riguardo alle funzionalità dell’Eim, o stai ommettendo qualcosa”
“È un potere proibito” disse brusco il mezzo demone, mentre le fiamme nelle sue iridi s’agitavano.
William s’irrigidì e sgranò gli occhi: si alzò di scatto, battendo i palmi sulla scrivania, indignato.

“JASON! Non conosci le regole riguardo a QUEI poteri? Sono vietati! Hanno effetti collaterali brutali, possono indurti alla pazzia!”
“Siediti immediatamente” sibilò il mezzosangue, fissandolo con il viso demoniaco.

Lo shinigami non si sedette, ma riacquistò un po’ di calma.


“Tu credi di poter vincere questa battaglia così, con tre colpi di Death Schyte e qualche scazzottata? Non so cosa sia preso la scorsa volta ad Alfred, ma non era per nulla al pieno delle sue forze: inoltre, aveva combattuto con David, quindi era stato parzialmente indebolito… Pensi davvero che lui non abbia nessuna arma proibita? Credi davvero che la partita si giochi così, con le carte già scoperte, senza avere un asso nella manica? È un demone William, un demone: gioca sporco, bara ad ogni respiro, non sarà mai corretto. Secondo te, come ha fatto ad uccidere tuo padre?”

Blaik si tappò la bocca, ma il danno ormai era fatto: Will sgranò gli occhi, arretrando.

Lo sapeva, lo sospettava che fosse stato quel bastardo ad ammazzare suo padre: ma avere la certezza, udire quelle parole così dritte e brutali, faceva tutto un altro effetto.

“Sapevo che non c’era speranza…” sussurrò lo shinigami, scuro in volto.

Un improvviso rumore gli fece aprire gli occhi: David si era materializzato nella stanza, teneva una mano aperta e sollevata.

Jason era a terra, fissava con rabbia gli occhi incandescenti dello zio, mostrando i canini: sul suo viso il segno di uno schiaffo, o comunque di un forte colpo.

“Jason… Perché parli a sproposito? Se non conosci la verità, non puoi affermare ciò che in realtà è ipotesi!” sbraitò, rosso in viso: osservando l’espressione ferita del ragazzo, si calmò, tenendo sempre la mano sollevata, ma abbassando lo sguardo.

“Tim non morì in seguito ad un colpo infieritogli da Alfred…” sussurrò, senza fissare in volto nessuno: ritirò le dita ed abbassò il pugno sul cuore.
“Nessuno sa esattamente come: lui era sempre un passo davanti a tutti noi…” continuò, evitando con tutte le sue forze lo sguardo di Will.

“La verità è che lui usò un potere proibito per garantire un futuro a suo figlio e a tutti noi” fece una voce: una mano si posò sulla spalla di William.

“Pagò a caro prezzo il suo gesto… Ma lo fece per salvare noi…” un paio di labbra fini gli si affiancarono all’orecchio.

“Lo fece per salvare te” sussurrò la voce.

William James Ford ritirò la mano e si fermò davanti alla porta, girato di schiena.

“Ascoltate: non si deve giocare troppo con il fuoco, vi consiglio di partire da qualcosa di più semplice. L’Eim è un potere che va usato con cautela…” tese un braccio ed una sfera blu elettrificata si materializzò sul suo palmo aperto: Will poteva avvertire il calore bruciargli il viso, poteva vedere il suo muscolo dello zio tendersi in uno sforzo immane.

“Vedi? Ti ci vorrà tempo: pensate alle tecniche di combattimento, ora. Per la magia, c’è tempo… Ah, a proposito William: il vento spira nelle ali del drago. È quasi giunta l’ora di spiccare il volo” disse, enigmatico, voltando le spalle e scomparendo.

Jason, con gli occhi bassi, gli chiese scusa.

“Forse è meglio che io ti mostri un paio di mosse come si deve, invece di fantasticare su leggende o scherzare con il fuoco” accennò un mezzo sorriso, levandosi in piedi e guidando William verso uno scaffale.

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“Il ragazzo non mi piace. È troppo instabile”

“E che cosa vuoi fare? Ucciderlo?”.

Due uomini erano in una stanza buia: non si scorgevano i loro volti, solo i colori dei loro occhi.

Verde e fucsia.

“Dovremo farlo, prima che sia troppo tardi”

“Se pensi che io lo ammazzi hai sbagliato tutto a capire: non gli farò del male, non sono un assassino”.

Una risata partì dall’uomo con gli occhi verdi: emanavano una luce fredda e crudele.

“Tu sei un assassino, non mentire a te stesso: solamente non hai il coraggio di uccidere colui che condivide il tuo stesso sangue”

“Fallo tu, il lavoro sporco: sono stufo di svolgerlo io”

“Potrei anche farlo: purtroppo però ho paura che in quel momento sarò occupato a fare altro. Non possiamo permetterci di sbagliare: il piano deve essere perfetto, così come deve esserlo il lavoro”

“Diamogli qualche possibilità: c’è l’eventualità che si redenta”

“Non puoi sfuggire ad una sorte così violenta: quella maledizione è impossibile da sciogliere, nemmeno lui avrebbe potuto fare qualcosa”

“Possiamo provare ad evocarlo”

“Non funzionerebbe: nemmeno Satana o il Redento possono qualcosa, in questo frangente”

“Ed è qui che forse ti sbagli”.

L’uomo dagli occhi verdi si voltò: un paio di occhi dorati rifulsero nel buio, scintillando come quelli di una bestia.
Due canini rifulsero perlacei, mentre un artiglio da lupo scorreva lentamente sulla parete.

“Ebbene…?”

“Caro mio, innanzitutto non nominare il Signore: potrebbe offendersi”

“Avanti: sputa il rospo” fece l’uomo con gli occhi fucsia, indispettito dalle parole del nuovo arrivato.

“Voi avete usato un’espediente piuttosto barbaro per rimuovere quel cancro: e pare funzionare, anche se ci sono stati degli incidenti di percorso. Tuttavia, se il disegno non è completato, c’è la possibilità di fermare le intenzioni dell’angelo delle tenebre: abbiamo a nostra disposizione un lasso di tempo insufficiente rispetto a quello che ci servirebbe, però, se distruggiamo il centro del cancro… Potremmo salvare il ragazzo dalla morte” terminò di spiegare quello con gli occhi d’oro, molto più giovane degli altri due.

L’uomo dagli occhi verdi tentò di dire qualcosa, ma fu preceduto dal collega dagli occhi fucsia.

“Proviamo! Eliminiamo il contratto ed uccidiamo quel mostro! Lo salveremo!” esclamò, rianimato di nuova speranza.

“Non posso dire che funzioni, però può anche darsi che qualcuno ce la mandi buona” commentò il giovane dagli occhi dorati, incrociando le braccia ricoperte di pelo e mostrando le zanne in un mezzo ghigno.  

“Dobbiamo rischiare” fece quello con gli occhi fucsia, eccitato all’idea di poter salvare l’oggetto oggetto della discussione.

“Sei pazzo, SIETE pazzi: se il prescelto muore, non ci sarà nessun altro a poter uccidere quel verme” fece inflessibile l’uomo dagli occhi verdi: si avviò verso la porta, aprendola con  fredda rabbia.

“Jason Blaik deve morire”.

E la porta si chiuse. 

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Capitolo 43
*** Ad un passo dal burrone. Sulle spine. ***


Scusate il ritardo madornale: mi scuso con i lettori e con i recensori... Non volevo lasciarvi per così tanto tempo!
Spero che da domani riuscirò ad aggiornare costantemente!
Grazie mille per le visite al capitolo e la storia in generale, ma soprattutto grazie per le recensioni!
Non abbiate paura ad esprimere il vostro parere :)
Il link della canzone qua sotto è per godere al meglio il chap: l'ho scritto con questo sottofondo, ed è carino, a mio avviso :)
Detto questo vi lascio, 
Alla prossima!
Jaki Star

https://www.youtube.com/watch?v=9P0ChcQaVkU

“Avanti Will! Fammi vedere quello che sai fare!” esclamò Jason, con un sorriso sulle labbra ed una leggera risata.

“Se fossi in te non sottovaluterei un membro dell’amministrazione: se non hai la certezza matematica dei tuoi calcoli, tieni la bocca chiusa” rispose di rimando Will, con un affondo fulmineo della propria arma: Jason schivò il colpo per un pelo.

“Ahah, ma senti lo scienziato! Stai diventando forte, pezzo di ghiacci-” non riuscì a terminare la frase.

William lo colpì alla spalla, poi allo stomaco: si piegò sulle ginocchia e  con il bastone falciò Jason, per poi menare un fendente che s’infranse sul suo capo.

Il mezzo demone cadde a terra, portandosi le mani alla testa.

Qualcuno batté le mani e Will si girò: David e Sebastian erano sul tetto della rimessa.

“Ma che bravi che siamo diventati!” fece il riccio, sorridendogli ed atterrando davanti a lui: si reggeva con un bastone e zoppicava leggermente.
“Avete dato prova di tutta la vostra tecnica, signor Spears: ne sono veramente compiaciuto” recitò Sebastian, avvicinandoglisi con un sorriso falsamente cortese.
William sputò una goccia di sangue di lato.
“Risparmiati i convenevoli demone: non sono qui per farmi prendere in giro da un verme come te. Come mai non sei dal tuo padroncino? Ciel ha forse dimenticato di stringere il collare?” fece scontroso lo shinigami, rigirandosi fra le mani fasciate un bastone di legno: erano passate tre mesi dall’episodio della biblioteca, ed il giovane era migliorato moltissimo.
Sebastian lo osservò: le ferite erano completamente rimarginate, ma le cicatrici che solcavano la sua carne erano alquanto inquietanti.

Era a dorso nudo, con le mani fasciate da garze immacolate e cotone: fungevano da guantoni da pugilato.
Aveva uno sguardo freddo ed aggressivo, le lenti degli occhiali riflettevano la luce del tepido sole: nonostante fosse febbraio, faceva caldo.

“Non vi preoccupate, il bocchan è intento a passare del tempo con la sua adoratissima zia e l’amata futura sposa, rispettivamente la marchesa Francis e lady Elizabeth”
“Oh, quanto mi dispiace per lui” commentò sarcastico Jason, steso supino sul terreno.
Sebastian continuò a sorridere e Will si stava innervosendo: sentiva nell’aria qualcosa che lo infastidiva e la presenza del maggiordomo non lo rilassava.
“Allora, che vuoi?” chiese, nervoso “È successo qualcosa a Londra?”
“Per ora è tutto tranquillo. Non sono venuto qui per voi”
“E allora non dovresti far aspettare la tua dama più di tanto: le donne amano farsi desiderare ma si spazientiscono ad aspettare i propri uomini. Alice è in biblioteca”
“Ho incontrato Grell a Londra”.

Will si bloccò improvvisamente.

“E quindi?”

“Ha chiesto di te. C’erano anche quel biondino fastidioso, quel ragazzino con il machete e l’altro tizio con la sega”

“Ronald, Alan ed Eric. Dunque stanno bene”

“Erano in splendida forma”

“Bene”.

William strinse lo straccio che si era messo sulle spalle e si passò una mano fra i capelli bagnati.

“Sparisci dalla mia vista cane infernale” disse solamente, avviandosi verso le stalle.
Spalancò gli occhi e si buttò di lato, evitando di morire trafitto.
Si sollevò su un braccio e si mise in ginocchio, stringendo il bastone di legno.

“Mi stai sfidando, Sebastian Michaelis?” chiese con un ringhio il dio, buttando un’occhiata alle posate d’argento conficcate nel tronco dell’albero vicino.

“No, volevo solamente testare i vostri riflessi” sorrise il demone: subito dopo spalancò gli occhi, percependo la freddezza del metallo di una Death Schyte sulla guancia.
Ghignò: il piccolo dio era migliorato.
Dannazione, una seccatura in più quando sarebbe tornata la calma.

“Non sfidarmi Sebastian” affermò ringhiando William.

Ritirò la Death Schyte e s’incamminò verso la magione: ne aveva abbastanza di allenarsi.

“Ma guarda un po’ te: ora decide pure che cosa fare” commentò Jason, tirandosi a sedere: le mille cicatrici che solcavano la sua schiena ed il suo petto lo facevano somigliare ad una bambola di pezza.

Cucito brandello per brandello.

“Lasciamolo riposare: oggi è più freddo del solito” asserì David, con un leggero sorriso “Abbandoniamolo nelle mani dell’esperto”

“Già… Suo zio saprà sicuramente come trattarlo” sospirò Jason.

In silenzio, Sebastian si diresse verso la biblioteca: dopotutto, Alice era il suo obiettivo.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

William era seduto sulla cima di una collina: rimirava i prati lontani, mentre il vento gli scompigliava i capelli fini e le fronde degli alberi danzavano, producendo una nostalgica melodia.
Il giovane scrutava lontano, alla ricerca di qualcosa che dentro il suo animo non v’era.
Si sentiva privo di una parte del suo cuore: da quando quella dannata e bizzarra avventura era iniziata, aveva iniziato a riscoprire la bellezza dei sentimenti.
Per anni aveva lavorato a mente fredda, senza provare nessun tipo di emozione: aveva camminato nella selva oscura del proprio io interiore.
Dentro di sé aveva avvertito solo sensazioni di vuoto, di freddo.
Questo forse, proprio perché era stato privato di tutti i sentimenti, di tutto il calore, di tutte le belle cose che conosceva solo in teoria, da quando era un bimbo.
Ora camminava per una nuova via.
La via dell’amore.
Grazie a tutte quelle persone che lo avevano affiancato, aveva cambiato gradualmente strada: era ritornato in un sentiero bruscamente interrotto tempo addietro.
Amicizia.
Amore.
Gioia.
Commozione.
Felicità.
Dolore.
Chiuse gli occhi, portandosi le mani incrociate sulle labbra: sapeva che nel suo inconscio c’erano tutte le risposte alle sue domande, ma nulla gli sembrava chiaro.
Se solo ne avesse avuto il potere, avrebbe potuto riavvolgere il tempo fino al giorno in cui tutto ciò che amava scomparve.

“C’è pace quassù, nevvero?” chiese William James Ford, comparendo alle spalle del nipote.

L’altro si limitò ad annuire, senza distogliere lo sguardo dal suo obiettivo immaginario.

“Sarebbe un ottimo giorno per volare. Il vento spira da Nord”

Will scosse la testa “Na. Fa troppo freddo”.

James lo guardò di sottecchi “Cosa importa se fa freddo? Non ha nessun effetto su di te, sei uno shinigami”

“Fa freddo…”

L’uomo roteò gli occhi, sospirando.

“Stai provando il gelo dell’anima? Sì, è una brutta cosa, figlio mio. Lo so bene”

Will non rispose.

Voleva solamente il silenzio.
Per pensare.
Per scoprire.
Per sapere.

“Voglio sapere zio”
“Na, troppo presto. Devi pazientare. Infondo che cos’è il tempo per quelli come noi? Uno schiocco di dita. Lo so che sei triste ma… Non ha senso cullarsi nel grigiore: si affonda, si affonda… E non si esce più”
“Non sono triste. Sono pensieroso”.

James scosse la testa

“Sei proprio come tua madre. Neghi i tuoi sentimenti e sei sempre freddo. Bene, prima di lasciarti meditare, ti dico un paio di cosette: sei migliorato e sei guarito, ti manca ancora poco da perfezionare. Al termine dell’allenamento, definiremo il piano di attacco”.

Lo shinigami più giovane annuì ed una forte raffica di vento lo fece cadere faccia a terra: l’ombra di un drago etereo si disegnò nell’aria e lo fissò.
Pareva quasi sorridere.
Con un gesto impetuoso ma delicato si girò e spiccò il volo verso l’orizzonte.

William, con il viso rivolto verso il cielo, s’alzò di scatto e si girò: suo zio era sparito.

Si passò le mani sul petto e sobbalzò, avvertendo il tessuto di una camicia bianca: senza farsi domande sul perché la indossasse, si voltò ed iniziò a correre.

Non sentiva più freddo.

+++++++++++++++

Probabilmente non correva più per quei prati da quando era un ragazzino: saliva e scendeva dalle collinette, correva in piano attraverso quelle distese sterminate.
Sentiva che mancava poco alla fine della magione: vide la sagoma del drago mischiarsi con le nuvole e si arrestò, rimanendo con il naso in su.

Improvvisamente calò il buio della sera.

William si guardò in torno stranito: cosa diamine…?

Osservò l’orologio e constatò che erano le sette e mezza di sera.

Alzò gli occhi a vide una sagoma venirgli incontro: Alec gli si avvicinò, sbuffando lievemente dalle froge.

Gli strusciò il muso caldo sulle mani dopodiché gli fece cenno di seguirlo.

Camminarono in silenzio nella quiete della sera, fianco a fianco.

Si fermarono al limitar di un bosco: erano le otto.

“Ora ti farà strada Joey. Non può parlare, però sarà la guida migliore per condurti alla meta” gli disse Alec, immobile.

“William: sii forte” gli disse, prima di scomparire avvolto dalle tenebre.

Will fece un passo in avanti e si sentì come se avesse appena trapassato una solida barriera invisibile.
Aprì gli occhi e si ritrovò vestito con la divisa del lavoro.
Stupito si guardò intorno: si sentiva inquietato dal silenzio e dall’oscurità di quella selva.  
C’era qualcosa, un nodo nel suo stomaco aggrovigliato che pulsava terribilmente, irradiando le sue membra d’ansia: aveva paura.
Paura di qualcosa che non conosceva.
Paura, ma anche eccitazione.

Joey sbucò dall’ombra come un fantasma: si lasciò accarezzare, dopodiché lo condusse per un sentiero costeggiato da pini neri.

Il battito cardiaco di William si velocizzava metro dopo metro: strinse la criniera del cavallo, guardandosi nervosamente intorno.
L’orologio segnava le otto e trenta.

William deglutì e l’oscurità sembrò prendere forma di creature mostruose: camminavano sbavando e ringhiando come cani feroci, seguendo il loro stesso cammino.

Una goccia perlacea scivolò sulla tempia del giovane: che diamine gli stava prendendo, dannazione?

Un improvviso chiarore gli fece alzare lo sguardo: i due arrivarono in una radura.

William guardò l’orologio.

Le nove in punto.

Un incendio improvviso divampò attorno allo shinigami, che sobbalzò senza riuscire a trattenere un grido strozzato.

Stava ansimando ed il cuore andava a mille.
Sudava egli pulsava la testa.
Mille ombre uscirono dal bosco, avventandosi sopra delle figure umanoidi trasparenti.

Will cadde in ginocchio, stringendosi convulsamente la testa fra le mani: gridava, mentre un’emicrania potentissima gli lacerava la mente, togliendogli la lucidità e la capacità di pensare.
Joey rimaneva immobile, impassibile.

“Basta vi prego…” sussurrò Spears: tutto pur di non provar quell’agonia.

“BASTA!!!!!” urlò, in preda al dolore: le immagini delle visioni si sovrapponevano alla situazione sovrannaturale in cui si trovava.

Improvvisamente tutto cessò.

Tornò a regnare il silenzio: le ombre erano scomparse.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Ansante, il giovane shinigami alzò il capo sudato: era tutto finito.
L’unico rumore che udiva era il proprio respiro, affannato come mai lo aveva udito.
Sotto le dita avvertì una sabbia fatta di cenere: il terreno era bruciato, nero e grigio, così come gli alberi.
William si alzò e la sagoma di una villa si stagliò nell’oscurità: era mezza diroccata e leggermente distrutta.
Come attratto da una forza misteriosa, William si avvicinò alla costruzione: gli parve di scorgere una presenza luminescente sulla soglia di quella che fu la porta d’ingresso.

Il cavallo si fermò: ora toccava allo shinigami procedere da solo.

“Nessuno ti farà del male” dicevano i suoi occhi.

William entrò.

+++++++++

La cena ormai era stata consumata, gli abitanti di “Casa Undertaker” erano seduti in salotto: la stanza era semioscura, a rischiararla solo alcune candele e la luce della Luna che filtrava dalla finestra.
Undertaker aveva le mani incrociate davanti al volto, pensieroso.
Jane lanciò un’occhiata nervosa al pendolo: le nove e un quarto.
“Perché William non si fa vivo? È tardi, ormai: dove può essere andato?” chiese, in pensiero.
Jason fece spallucce, rimanendo in silenzio: i suoi occhi rossi brillavano più minacciosi del solito.
Federik si girò verso la figlia di Undertaker.
“Effettivamente non è da lui tardare o andare da qualche parte senza avvisare. È sempre preciso nel rispettare gli orari dei pasti ed è conscio dei pericoli che corre nel girovagare in solitudine. Inizio ad inquietarmi per lui” ragionò a voce alta, rimanendo calmo: non perdeva mai la pazienza, in nessuna situazione si trovasse.
Aveva un’aria ed un portamento nobile: se lo si osservava, la sua bellezza principesca lo faceva assomigliare ad un principe ritratto in mille affreschi medievali.
Nonostante le apparenze, era molto umile ed intelligente, nonché ottimo guerriero, specialmente nell’uso delle armi.
Sebastian, seduto sul divanetto con un braccio attorno alle spalle di Alice, si limitava ad ascoltare senza esprimere il proprio pensiero.
Fabian, comodamente sprofondato in una poltrona, accarezzava la testa di Wayne: sembrava rifulgere di luce dorata.
Ora, senza barba e con i capelli ordinati, sembrava avere l’età di William o di Jason, anche se era molto più grande.
William James Ford sospirava, guardando fuori dalla finestra.

Undertaker alzò lo sguardo “Il ragazzo ha completato l’addestramento” dichiarò improvvisamente.

James si girò sorpreso verso di lui “Pensavo che gli mancasse ancora qualcosa da perfezionare” asserì, stupito.

Undertaker scosse la testa “No. Ha imparato tutto ciò che doveva, me ne sono reso conto in questo preciso istante: è pronto”. 

Il suo tono non ammetteva repliche.

James emise un basso sospiro, abbassando lo sguardo sul pavimento: temeva per la vita di suo nipote.
Si portò le dita al polso, dove aveva un sottile bracciale: era d’acciaio inossidabile placcato di oro bianco e sopra di esso c’era il simbolo dell’infinito, d’argento, con alcune placchette di zaffiro lucente.
Era di sua sorella, glielo aveva regalato tempo addietro, come simbolo della loro unione.
Prima che potesse proferire parola, David irruppe nella stanza, ansimante e spettinato: le gambe gli tremavano e pareva sorreggere il proprio peso con la sua fida stampella.
“I cavalli sono spariti. Ci sono le impronte di Joey ed Alec verso il bosco nero: ce l’hanno fatta, Undertaker” disse tutto d’un fiato.

Undertaker spalancò gli occhi e s’alzò di scatto.

Imprecò coloritamente, passandosi una mano fra i capelli, sull’orlo di una crisi di nervi.

“Chi è stato ad indicargli la via?!” sbraitò, rivolto ai presenti “CHI DIAVOLO è STATO?! CHI?! QUEI CAVALLI ME LA PAGHERANNO, MA HANNO PRESO ORDINI DA QUALCUNO!”

“Doveva sapere la verità” fece una voce maschile.

Il becchino si girò verso la finestra, spalancata da un improvviso vento.

Undertaker corse al davanzale.

Lui era lì.

Lo spettro di uno shinigami si dissolse.

La cicatrice che gli solcava l’occhio destro rifulse nell’oscurità.

“Thomas”. 
 

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Capitolo 44
*** Ci sono anch’io. La determinazione di un dio. ***





“Sen-sei: le devo chiedere una cosa” fece William, correndo incontro al maestro.
Undertaker lo squadrò dall’alto della collina mentre l’allievo lo raggiungeva: era piuttosto esile di corporatura, aveva finito la convalescenza qualche mese prima ed ora era fuori dalla portata di alcun pericolo.
Alticcio, con le spalle strette, la pelle smunta, i capelli corti e gli occhi opachi.
Undertaker scosse la testa, incrociando le braccia: cosa poteva pretendere da un bambino come lui?
Dimostrava lo stesso dieci anni nonostante fosse alto, era piccolo.
Da subito si era applicato con zelo allo studio ed alla riabilitazione fisica, però aveva un difetto: pretendeva troppo.
Voleva sapere.
Senza mutar d’espressione, attese in silenzio che il ragazzino fosse pochi metri a distanza da lui, dopodiché si decise a parlare.

“Che c’è, William?” chiese, guardando negli occhi il piccolo: quelle iridi verdi erano troppo simili a quelli di LUI.

Gli facevano uno strano effetto.

“Vorrei sapere” rispose sintetico, senza peli sulla lingua.

“Che cosa vuoi sapere, di preciso?” rispose di rimando Undertaker, tentando di capire il volere dell’allievo: la sua espressione non faceva carpire alcuna informazione sulle sue intenzioni.

Come la SUA, quella di LUI.

“Vorrei sapere come sono arrivato qui. Come mai lei conosce così tante cose sul mio conto. Come mai lei conosceva mio padre e mia madre. Ma soprattutto, voglio sapere che fine hanno fatto i miei genitori ed il mio passato” disse, scandendo ogni parola: era inespressivo, però i suoi occhi tradivano un ardore bruciante.

Undertaker allungò un mezzo ghigno, ma poi lo ritrasse, anche se la luce nei suo occhi gialli rimaneva sarcastica, quasi derisoria.

“Non intendo dirtelo. Un giorno saprai la verità, ma ora è troppo presto. Torna ad allenarti” disse il becchino, voltandogli le spalle mentre si incamminava verso una meta lontana dal discepolo.

William sospirò, abbassando le spalle.

“Però non è giusto. Ci sono anch’io” disse, irritato, per poi scapicollarsi verso la stalla.


Io

di risposte non ne ho

mai avute mai ne avrò

di domande ne ho quante ne vuoi


Il tempo passava, e Will non otteneva nessuna risposta né dal suo maestro, né da altri.
Si allenava, studiava, si applicava.
Ma nessuno gli dava alcuna risposta.
Ma non per questo si sarebbe fermato.
Non lo avrebbe fatto mai.


e tu

neanche tu mi fermerai

neanche tu ci riuscirai

io non sono        

quel tipo di uomo e non lo sarò mai


Undertaker osservava una ragazzo di dodici-tredici anni che tentava, a petto nudo come un indiano, di domare un cavallo: Will gli lanciò uno sguardo di sbieco, per poi concentrarsi sul puledro.
Il becchino non doveva pensare che si fosse dimenticato delle suo domande. Non aveva la minima idea se mai l’uomo gli avrebbe dato ciò che voleva, non sapeva se stava facendo le cose giuste, ma non gli interessava. Lo avrebbe raggiunto l’obiettivo: ora, o dopo anni.

 
Non so se la rotta è giusta o se

mi sono perduto ed è

troppo tardi

per tornare indietro così

meglio che io vada via

non pensarci, è colpa mia

questo mondo

non sarà mio

Non so

se è soltanto fantasia

o se è solo una follia

quella stella lontana laggiù

Però

io la seguo e anche se so

che non la raggiungerò

potrò dire

ci sono anch'io


Un ragazzo di diciotto anni prendeva a pugni un sacco: si allenava moltissimo, ma era come se nessuno credesse in lui.
Nessuno che voleva dirgli la verità.
Tirò un uppercut violentissimo, ma subito dopo appoggiò la testa madida di sudore contro la plastica dura: non doveva arrendersi.
Poteva farcela: solo in quel momento iniziava a capire quanto ciò a cui anelava, la verità alla quale ambiva, non era una fantasia.
Ce l’avrebbe fatta, perché lui era uno shinigami, un vero dio della morte, e nulla e nessuno gli avrebbe impedito di vincere la sua battaglia.


Ti potranno dire che

non può esistere

niente che non si tocca o si conta o si compra perché

chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te


E so

che non è una fantasia

Non è stata una follia

quella stella

la vedi anche tu

perciò

io la seguo ed adesso so

che io la raggiungerò

perché al mondo

ci sono anch'io

perché al mondo

ci sono anch'io

ci sono anch'io

ci sono anch'io




 

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Capitolo 45
*** La verità brucia nell’anima. Sentirsi tradito. ***


Ehilà! Ecco a voi il quarantacinquesimo capitolo: stappiamo lo champagne ragazzi!

Perdonatemi il ritardo, ma ho avuto molti contrattempi: ringrazio chi segue e recensisce la storia, e naturalmente ringrazio anche voi lettori silenziosi!
Una recensione non fa mai male, tenetelo presente! ;)

Ed ora vi lascio al capitolo... Spero vi piaccia, anche nella sua atmosfera più tetra e oscura...


http://www.youtube.com/watch?v=1jBg0KrmLiA


William si trovò d’innanzi ad un corridoio ampio ed oscuro.
Le pareti recavano danni di bruciature, ma per quanto riguardava il mobilio, in disordine e pieno di ragnatele, esso non era stato ridotto in cenere benché fosse di legno.
Solo l’esterno della casa era bruciato: magia, probabilmente.
William continuò ad avanzare nelle tenebre: solo quando si ritrovò davanti ad una scala che portava al piano superiore si rese conto che i suoi piedi si muovevano da soli.
Si bloccò: era come se una forte attrazione lo spingesse verso una meta precisa.
Iniziò a salire i gradini: sulla parete accanto alla scala c’erano delle cornici piene di polvere e rovinate.
Provò l’impulso di toccarle, ma si trattenne.
Arrivato in cima alle scale guardò a destra e sinistra: nel corridoio c’erano tracce di sangue.
Erano sotto forma d’impronte di piedi, di graffi di belva, di lunghe pennellate.
Le parerti erano graffiate: in ognidove regnavano polvere e disordine.
Cose rotte sparse per terra scricchiolavano sotto i suoi piedi.

“È come il ricordo di un sogno…” pensò il giovane: un bagliore catturò la sua attenzione verso sinistra.

Una folata d’aria gelida gli frustò la schiena, ghiacciandogli le ossa: il clima si era abbassato terribilmente, e fuori era notte fonda.
Will si girò verso destra: un profondo senso di sconforto lo invase, ma decise di resistere e di procedere verso sinistra.
Avvertiva uno strano senso di inquietudine nel cuore, aveva i sensi tesi ed i nervi a fior di pelle: al contempo, però, provava uno avvilimento ed una tristezza immensa.
Arrivò davanti ad una porta: vi era il solco degli artigli di una bestia, con del sangue secco sparso accanto.
Mise la mano tremante sul pomello e premette leggermente: la porta si aprì da sola, lasciandolo interdetto.
L’unica cosa che disturbava il silenzio era il sinistro cigolio del legno.
La finestra era spalancata, i vetri rotti e le tende al vento: erano stracciate, come se fossero state artigliate da una belva.
Avanzò e sentì dei pezzi di vetro infrangersi sotto la suola delle scarpe: si trovava in una stanza nel sottotetto, c’erano piume dappertutto, alcune di esse insanguinate.
Sopra un letto matrimoniale distrutto, vi era un piumone blu notte fatto a pezzi.
William avanzò ancora, osservando il sangue sparso ovunque come macabri graffiti.
Improvvisamente inciampò e cadde faccia a terra fra i vetri e le piume.
Alzò il viso e la sua mano incontrò il  vetro rotto di una cornice.
S’accucciò e la prese in mano.
Accarezzò il vetro.

Un uomo.

Una donna.

Un bambino.

Gli occhi di Will s’allargarono, la sua espressione si distorse, trasfigurandosi in una smorfia mista di stupore, dolore, rabbia ed orrore.

L’uomo aveva capelli scuri e corti, occhi verde brillante, una cicatrice che gli solcava l’occhio destro.
La donna aveva capelli mori e lisci, gli occhi verdi zigrinati d’oro.
Il bambino aveva i capelli castani scuri, gli occhi verdi, un sorriso innocente.
Le persone delle visioni.

Suo padre.

Sua madre.

Lui.

William Thomas Spears.

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“Avanti, manca poco!” gridò James, incitando gli altri a correre più veloci.
Undertaker si fermò, lasciando i lunghi capelli al vento: era troppo tardi ormai.

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William aprì un armadio: vi trovò un vestito elegante, una divisa del dipartimento.
Un vestito fra i preferiti del padre.
Non aveva più bisogno di tornare al lavoro per ottenere la copia del suo record: ora sapeva tutto del suo passato.
Aveva trovato le risposte.
Indossò l’abito, si pettinò i capelli all’indietro e si guardò allo specchio rotto: l’immagine del fantasma di suo padre apparve nel vetro infranto.

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Undertaker corse a perdifiato fino a pochi metri dalla soglia della casa che aveva assistito ad un abominio.
Gli altri lo raggiunsero, mettendosi alle sue spalle.
Erano all’incirca cinque metri dalla porta scardinata.
Il becchino fece un passo avanti, scostandosi i capelli dal viso sfigurato: una sagoma venne incontro al gruppo, uscendo dalle tenebre della casa.
Perfettamente uguale al padre, William avanzò fino a trovarsi di fronte al beccamorto.
Sembrava un fantasma.

“Perché non me l’hai detto prima?” domandò con voce inespressiva il giovane.

Il beccamorto non rispose.

Nel più totale silenzio, senza guardare in faccia nessuno, Will s’incamminò verso la magione di Undertaker.
Gli altri lo seguirono, con la colpa nel cuore.

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Un’ombra evanescente li guardava dall’alto della casa bruciata.
Gli occhi di uno spettro vegliavano su di loro.

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Una donna dalla chioma candida li aspettava sulla soglia di casa: William le passò accanto senza degnarla di uno sguardo.
Era ovvio che perfino lei gli avesse mentito sulle proprie origini.
D’altra parte, ad Hylda si strinse il cuore nel vedere quel ragazzo: era identico a lui.

Uguale a Thomas in tutto e per tutto.

Thomas Will Spears, shinigami leggendario, rivale di Alfred ed eroe.
Nonché magnifico padre: quale genitore sacrifica la propria vita per la sopravvivenza del figlio?
Un genitore pieno d’amore e speranza.


La donna si girò, guardando le spalle larghe del giovane: quante volte aveva guardato la schiena del suo ex superiore, di Thomas?
E quante volte aveva guardato la schiena del superiore attuale, William?
E quante volte, quante volte non si era accorta di quanto fossero simili? S
ospirò, incrociando gli occhi di Federik: il ragazzo fece un sorriso triste e molto tirato, posandole una mano sulla spalla.
Jason evitò lo sguardo della donna, continuando a camminare con espressione colpevole.
I suoi occhi erano scarlatti.
Gli altri colori erano scomparsi.

++++++++++++++++++++++

Il cuore di Hylda si spaccò a metà.

“Jason, vieni qui!” gli intimò.

Il mezzo demone si fermò, ma poco dopo continuò a camminare.

“Jason!”.

Repentino, il giovane si girò e ruggì, con le fauci affilate: sembrava un demone.

David increspò le sopracciglia, e Blaik spostò lo sguardo su di lui: continuò a ringhiare, ma con più prudenza.
L’aurea demoniaca di David placò parzialmente le ire del nipote, che abbassò il capo e si voltò, disgustato dalla situazione in cui era.
Hylda cadde in ginocchio, singhiozzando leggermente.
Federik le si inginocchiò accanto, passandole un braccio attorno alle spalle.
Fece un verso gutturale, simile ad un basso ringhio: Jason si voltò.
L’espressione di Federik era seria e dura.
Il corvino sospirò “Lasciami in pace Federik”.

Una folata di vento.

Come una folata di vento, Federik era comparso di fronte al moro: mai si erano visti i suoi occhi completamente scarlatti.

I suoi capelli ora sembravano rosso carminio, non più arancione.

I suoi canini perlacei fecero capolino dalle sue labbra dischiuse: continuavano ad allungarsi.

Faceva paura: più alto e grande di Jason, lo ammoniva con un’occhiata.
Jason ringhiò insolente ma qualcosa nello sguardo del compagno gli fece cambiare idea.
Girò la faccia quasi dispiaciuto e s’incamminò verso la propria stanza.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

“Io ho fatto la mia parte. Ora tocca a te” disse Undertaker, posando una mano sulla spalla di Hylda.
La donna annuì, alzandosi.
“D’accordo, ma farai meglio a guarire ciò che devi, prima che sia troppo tardi” replicò.

La compagnia si sciolse.

++++++++++++++++++

Jane entrò piano nella stanza di William: le dava le spalle.
Gli circondò le spalle in un abbraccio: lui non si mosse.

“Anche tu sapevi?” chiese: sembrava che non avesse neppure mosso le labbra.

“Non sei contento di sapere?” chiese di rimando Jane, fissando davanti a sé “Volevi sapere la verità. Non eri pronto William: te l’avevo detto che sarebbe stata dura da accettare”

“Tu sapevi…?”.

Più che una domanda, era un’incerta affermazione.

“No. All’inizio non sapevo che tu fossi il figlio di quello shinigami. Giuro. Poi iniziai a sospettare la verità: successivamente, David mi diede un indizio fondamentale. Da allora ho iniziato a capire e supporre. William: ti senti tradito, ma devi comportarti in un altro modo”

“Ho bisogno di pensare da solo” disse, quasi interrompendola.

Sospirò, mentre i capelli castani gli ricadevano sul viso marmoreo.

“Ti fa niente, se dormo da solo questa notte?” chiese tutto d’un fiato, immobile.

Jane dapprima rimase spiazzata, dopo però annuì. 

“Va bene… Buonanotte Will” sospirò, baciandogli i capelli scuri.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Il ragazzo rimase immobile a fissare la pioggia scivolare sul vetro della finestra.
“Tradito…” sussurrò, prima di abbandonare la schiena sul piumone blu.
Will non dormì molto quella notte: appena chiudeva gli occhi, i ricordi della sua morte lo perseguitavano.

Sì.

Lui chiamava quel giorno “La sua morte”.
Perché da quel giorno era rinato.
Il bambino di prima non esisteva più.
Era morto, per l’appunto.

Restò a fissare il soffitto, pensieroso, mentre ascoltava la pioggia.
Ad un certo puntò si sdraiò su di un fianco ed allungò la mano: i suoi polpastrelli incontrarono solamente il lenzuolo blu notte.
Assottigliò gli occhi: Jane non era lì con lui.
L’aveva cacciata.
Si sdraiò sulla parte di letto nella quale solitamente giaceva Jane: con la sua immagine negli occhi, lo shinigami trovò un po’ di pace fra le braccia di Morfeo. 

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Capitolo 46
*** Figlio di chi è padre. Il ritorno di un assassino. ***






William decise di indossare gli stessi vestiti che Thomas aveva il giorno del loro “primo incontro”, durante l’orribile visione in cui credette di morire strozzato: jeans chiari, camicia bianca, capelli pettinati all’indietro.
Controllò il suo immancabile orologio, si mise le scarpe eleganti del lavoro e scese di fretta al piano terra.
Non trovando nessuno, corse sul retro della casa: vide Jane sotto il ciliegio in fiore, intenta ad osservare l’ampia tenuta.
Will fece una smorfia e le si avvicinò senza fare rumore.
Un lieve venticello gli mosse i capelli castani: gli si stavano schiarendo, si notava chiaramente il loro colore naturale.
Quella folata d’aria lo indusse a correre: dopo poco lei imprecava, mente lui, prendendola in braccio come una sposa, la teneva sospesa in aria.

“Credo di doverti delle scuse” disse atono “Non ho avuto un comportamento che si addice ad uno shinigami del mio calibro” terminò, socchiudendo gli occhi, indifferente.

Jane, posata a terra, scosse la testa.

“Ah, smettila di scusarti e di fare l’aristocratico” sbottò, voltando il viso “Torniamocene dent-”

“William!”.

Federik correva verso di loro: aveva perso la sua aria calma ed era stranamente scarmigliato.

“William, Ciel Phantomhive e Sebastian Michaelis portano notizie da Londra: Alfred è tornato”.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

L’aria si fece gelida: Will spalancò gli occhi e prima che il rosso potesse proferir nuovamente parola corse a perdifiato verso il salone della Villa.
Lo shinigami arrivò nell’atrio del maniero e si spaventò: Sebastian, affannato, sorreggeva il padrone, privo di forze.
Ciel respirava a fatica, era sporco di polvere da sparo e fuliggine, visibilmente ferito al costato e con due tagli rispettivamente sopra e sotto l’occhio destro.
Era pieno di lividi e graffi, sanguinante, sul punto di svenire ad ogni respiro.
Ma la luce decisa e forte che viveva in quelle iridi macchiate di sfortuna, dava al giovane un imponenza unica.

Ciel Phantomhive era coraggioso.

Dannatamente coraggioso.

Coraggioso e testardo.

Dannatamente testardo.

Nonostante le sue condizioni pietose, il giovane uomo non mollava.
Sarebbe sopravvissuto, un’altra volta.
I pantaloni blu cobalto e la lacera camicia azzurro scuro erano bruciacchiati: sembrava reduce da un incendio, oltre che da una battaglia.

“Hanno… Tentato di bruciarmi vivo… Sono entrati nella town house, i maledetti…” un colpo violento di tosse lo costrinse a fermarsi.

Fabian lo prese in braccio, mentre Sebastian cadeva in ginocchio.

“Conte, respirate con calma: siete sicuro di quello che avete visto?”

Phantomhive aprì l’occhio con il contratto, sul quale colava del sangue.  

“Come dimenticare il viso di Satana… Quello era Alfred” disse debolmente.
Chiuse gli occhi ed abbandonò il capo fra le braccia dell’alleato.

“BOCCHAN!” chiamò allarmato il maggiordomo: il giovane non dava segno d’aver sentito.

“Non preoccuparti, ci penso io a lui” disse Schonberg, alzandosi in piedi “Con un po’ di fortuna, dovrei riuscire a salvargli la vita: non interrompetemi per nessun motivo”.

Voltò le spalle ai presenti e corse su per le scale: il Conte Ciel Phantomhive non poteva morire.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Sebastian si lasciò trasportare sul divano della sala svago: s’abbandonò sul morbido sofà, privo di forze.
William si pose davanti al demone, fissandolo negli occhi rossi e stanchi.

“Che diamine è successo?” chiese lentamente, scandendo ogni sillaba.

Il diavolo socchiuse gli occhi, troppo affaticato per parlare.

“Stavo adempiendo i miei doveri, quando…”

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“Vediamo… Oggi il bocchan si è alzato di cattivo umore ed è irrequieto, quindi penso che dovrò cucinargli un pranzo rilassante e-” un rumore dal giardino giunge alle mie orecchie: è come un rimbombo soffuso che non riesco ad identificare.

“Deve essere per forza Finni” mi dico, non troppo convinto: la mia voce è insolitamente incerta, non ne capisco il motivo.
Mi asciugo le mani con uno straccio e mi avvio stancamente verso la porta della cucina: quei tre servitori sono un vero disastro.
Eppure c’è qualcosa che mi mette in guardia: un fastidioso allarme proveniente dall’inconscio.
I miei sensi di demone sono in allerta, eppure non percepisco nulla.

Nessuna presenza.

Alle mie narici sale un improvviso odore di fumo: sottile come un filo, un’evanescente traccia di fumo grigio sbuca dalla serratura.

Odo un rumore fortissimo, come quello di una bolla immensa che scoppia: mi tappo le orecchie e cado in ginocchio, urlando.
I miei timpani sensibilissimi si sono ufficialmente sfondati.
Chiudo gli occhi, non per il dolore ma per la miriade di percezioni che mi giungono ai sensi.

Spalanco gli occhi: fumo.
Urla.
Sangue.
Zolfo.
Puzza di demone.

Impreco coloritamente, correndo fuori dalla cucina: ciò che vedo arrivato in alto mi spaventa.

Fiamme.

Fiamme dappertutto.

Cazzo.

+++++

“BOCCHAN!” urlo, riprendendo la corsa: spalanco il portone principale ed una fiammata m’investe.
Per fortuna che io sono immune al fuoco, altrimenti sarei carbonizzato da un pezzo.

Finni è in giardino: sanguinante, non si regge in piedi.
Bard e Mey-Rin sono ridotti allo stesso modo.
Tanaka non c’è.
Corro verso i servitori e li traggo in salvo.

Non vedo ciò che ho alle spalle.

+++++++++++++++++++++++

Sento un dolore lancinante al fianco.

Abbasso lo sguardo e vedo il sangue che schizza dal mio bacino: una lama mi ha trapassato l’osso.
Un demone mi fissa sorridendo.
Rabbrividisco nel vedere ciò che ha sul viso: una daga nera tatuata sotto l’occhio sinistro.

Il marchio di Alfred.

Con una mossa fulminea mi libero di lui e corro verso la town house in fiamme: devo salvare il mio bocchan.

 

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Capitolo 47
*** Il coraggio di un uomo, la fedeltà di un demone: il sangue reale di un Phantomhive. ***


Ehilà bella gente!
Ringrazio i miei fedeli recensori: questo capitolo è per voi, ragazze!
Come di consueto, ringrazio i lettori silenziosi: una recensione non fa mai male, ricordatevelo! :)
Non so quando riuscirò a postare il prossimo capitolo: le vacanze non servono a un tubo, quando ti appioppano mattonate di lavoro!
Alla prossima, 

Jaki Star



“Avanti Ciel… Non ti preoccupare, ti salvo io… Resisti Ciel…”.

Ciel aprì gli occhi, tossendo sangue: come aveva potuto essere così avventato…

Per finire in quella maniera…

+++++++++++++++++++++

La casa va a fuoco.
Il contratto nell’occhio mi brucia, ma Sebastian non risponde.
La porta è bloccata e la finestra non si sfonda.
La maniglia è rovente, non potrei toccarla.
Diamine, non ho via di fuga.
Avanti, devo pensare ad una soluzione: Ciel Phantomhive non può morire così.
Digrigno i denti ma poi mi irrigidisco: sento una presenza orripilante alle mie spalle.
Dei demoni stanno assaltando la mia dimora, ma sono diavoli diversi.

Sento che sono diversi.

Il mio cuore è accelerato improvvisamente: il mio contratto mi trasmette una sensazione di guardia.

“Sebastian… SEBASTIAN! VIENI SUBITO QUI SEBASTIAN! SEBASTIAN!!”

“Suvvia, non ce né bisogno, piccolo conte”.

Quella voce.
Mi giro lentamente, e mi pento subito della mossa.
Sbianco, me lo sento: avverto il sangue defluire dal viso.
E con il mio liquido vitale, avverto la lucidità dissiparsi.
Ho paura, non lo nego.
Ma devo stare calmo.
Oh, no, sono nella melma.
Dannazione.

Quella faccia.

Quella malvagità.

Alfred è venuto a farmi visita.

Il vetro non si rompe, però lui ci sta passando attraverso: sono come un topo in trappola.
Di nuovo.

Come otto anni fa.

No! 

Non posso finire così.
Non mi posso arrendere.

Invoco mentalmente Sebastian come non ho mai fatto: senza rendermene conto, le mie gambe mi stanno portando verso la porta quasi in fiamme.
Non soffro più di alcuna malattia, sono giovane, sano e forte: non mi sono mai reso conto fino ad ora quanto il mio fisico sia notevolmente migliorato in questi anni.
Sto divenendo un uomo.

Inizio a spingere, tirando spallate: il legno cederà prima o poi.
E invece no, non cede il bastardo.
Mi azzardo a fare una cavolata: poggio le mano destra sul pomello incandescente e trattenendo il dolore premo.
Premo, spingo, tiro.
Sta cedendo.

Mi volto ed Alfred è quasi nella stanza.
Con uno sforzo immane rompo la maniglia e la porta si sfonda sotto la pressione del mio corpo.

Libero.

Corro nel corridoio in fiamme: Sebastian arriverà prima o poi.
Sono quasi alle scale.
Improvvisamente mi trovo in aria: un punto della schiena mi fa male.
Atterro di faccia sui gradini: dolore lancinante a tutte le ossa.
Il male si propaga a tutto il corpo ed un impatto fortissimo mi fa volare giù dai restanti gradini con violenza.
Le mie costole sono insensibili ora: sento talmente tanto dolore che probabilmente non proverò mai più sofferenza fisica in vita mia.
Tento di rialzarmi, mentre il sangue mi cola copiosamente dalle labbra squarciate: devo tornare in piedi.

Un vero Phantomhive non si arrende mai.

Non piegherò mai la testa a quel verme.

Vivrò.
Sono un uomo.
Non più un ragazzino.

Con i muscoli doloranti mi metto faticosamente in piedi.

Qualcosa di tagliente mi ferisce la schiena: un lunghissimo graffio che parte dalle scapole ed arriva al bacino.
Posso sentire il sangue scorrermi sulla pelle nivea.
Mi giro di sbieco ed un artiglio mi fa un taglio sullo zigomo, sotto l’occhio del contratto: riesco a scartare all’indietro prima che un altro artiglio d’ombra mi strappi l’occhio maledetto.
In compenso, mi procuro un taglio sopra l’occhio precedentemente nominato: il sangue che cola mi copre la vista, dannazione.

Invoco ancora Sebastian: maledizione, non risponde.

Riesco a non morire soffocato dal fumo per il puro fatto che il portone principale è aperto: entra l’aria dall’esterno.

Strano che nessuno sia stato attirato dal fuoco: i londinesi non riuscivano a vedere cosa stava accadendo?

La porta è stata aperta da Sebastian: avverto la tua essenza amico, ma dove diamine sei, maggiordomo dei miei stivali?!

“Sebastian non può sentirti, conte” mi dice Alfred, fissandomi con i suoi occhi fucsia: non mi piace per niente il suo sguardo.
Mi rivolge un ghigno bastardo: non riesco a sopportarlo.

“Ho creato una speciale barriera che acuisce i suoi sensi: anche se ora è stata disattivata, per il tuo maggiordomo è troppo tardi, non verrà da te. Ciel Phantomhive… Sono felice di darti la morte quest’oggi: sei davvero uguale a tuo padre… Peccato che lui sia perito prima di vedermi sconfitto da Thomas… Il padre di William. Ma ora sono tornato, e mi prenderò l’anima di tutti voi, Ciel. I londinesi non accorreranno a salvare il nobile del male: c’è un’illusione che impedisce loro di vedere il fuoco che divora te e la tua town house. E' la fine, nobile figlio dell’oscurità, anima dannata dall’infanzia”.

Rimango impassibile.

Non so dire se sono un completo idiota, pazzo come il peggiore dei pazzi, o se sono coraggioso come i miei antenati: non muoio di paura di fronte al re degli inferi.

Rimango calmo e ragiono a mente fredda: mi sento quasi uno shinigami.
Mi abbasso lentamente e mi stupisco nel vedere il mio corpo, segnato da mille ferite, prendere in mano una spada: chissà come c’era finita lì.

“Non fare lo scemo Phantomhive: anche tuo padre mi puntò una spada contro, e si fece molto, molto male. Dammi retta, ti prometto di non farti alcun male, nel farti fuor-” non lo lascio nemmeno finire l’ultima sillaba: vedo con soddisfazione la lama della spada trapassargli il petto.

Un tiro perfetto.

Alfred cade all’indietro: l’elsa dell’arma è a contatto con la pelle dei suoi pettorali.
Mi sorprendo della mia forza.
Il cane bastardo si rialza: io mi rendo conto di essere senza fiato.
Sono piegato sulle ginocchia tremanti, non reggono più il peso.
Non riesco più a respirare.
Alfred si rialza lentamente, gli occhi accesi di rabbia ed il sangue che piove copioso dalla sua bocca.
Mi guarda in silenzio, e per un secondo scorgo un’ombra di sfuggente ammirazione nei suoi occhi: raddrizzo la schiena, fiero di me stesso.

“D’accordo Phantomhive… La tua sarà una morte lenta… Per ora mi limiterò solamente ad usare le mani… Poi passeremo alle maniere pesanti” sibilò, tirandosi all’indietro le maniche della camicia nera.

Un secondo dopo il suo pugno si schianta contro il mio stomaco: non riesco a reagire.
Cado lontano, senza fiato: ma non urlo.
Non gli darò mai questa soddisfazione.
Un calcio nelle costole mi fa rotolare pericolosamente verso le fiamme: la mia camicia imbevuta di sangue inizia a bruciacchiare.
Nonostante gli spasmi di dolore, mi sollevo sulle braccia e mi butto di lato, evitando la furia del demone: mi sposto velocemente nella hall, in modo da non farmi prendere.
Gli allenamenti con Sebastian sono serviti.
Alfred si ferma, stufo di prendermi a botte: prende una spada sottile e mi fissa negli occhi.
Io assottiglio i miei, poi li chiudo: devo stare fermo.
Mi vuole infilzare, ma con un po’ di fortuna, dovrei riuscire a salvarmi: appesa alle mie spalle c’è una spada.

Una spada molto speciale.

Solamente grazie all’occhio esperto di James avevo capito di cosa si trattasse: era la mia ultima carta da giocare.

Avverto lo spostamento d’aria: non ancora.
Aspetta e rimani calmo, Ciel.
Spalanco gli occhi e scarto di lato: con la mano sinistra afferro la spada mentre Alfred, incredulo, si sbilancia in avanti.

Stringo l’elsa con ambe due le mani e la conficco nella scapola dell’avversario.
Non riesco ad arrivare molto in profondità, perché le braccia bruciano e i muscoli sono stanchi.
Estraggo fulmineo la spada e corro all’indietro, allontanandomi dal diavolo: lo vedo girarsi, incredulo, mentre si stringe la camicia sozza di sangue sulla schiena.
Mi asciugo il sangue che cola dalle labbra squarciate: l’arma che tengo fra le mani è una Death Schyte.
Un dono da parte del padre di William per il mio predecessore: nel caso in cui la mia vita fosse stata in pericolo, James mi aveva dato il permesso di usarla.

“Maledetto umano… Mi hai ferito… Con una Death Schyte?! Come hai osato?!” sibila il verme, visibilmente arrabbiato

“A quanto pare non mi conosci, satana. Non sottovalutare mai un Phantomhive… Non sottovalutare MAI me” dico spavaldo: sento le energie tornare piano piano.

Alfred mi sfida con lo sguardo e io raccolgo: devo sopravvivere fino all’arrivo di Sebastian.

Paro qualche affondo, mi difendo con un fendente, ma è sempre il diavolo ad attaccare: io sono troppo debole.
Improvvisamente, però, sento la voce che mai e poi mai mi sarei aspettato di sentire.

“CIEL!!!!”.

Mi giro, terrorizzato: Elizabeth mi guarda con gli occhi colmi di terrore.
Vedo Alfred che la punta: corro senza pensare.
La sua lama mi lambisce la pelle del collo e mi trapassa la spalla.
Io grido ed il mio sangue schizza sul corpo del demone.
Non so come, ma con un impeto di coraggio, gli conficco la falce della morte nel fianco: l’avversario si spaventa ed arretra di molti metri.
Mi inginocchio a terra: ho perso l’uso del braccio destro, non riesco più a muoverlo.
Sono ridotto a brandelli.
La spada mi cade dalle mani: non ho più forza.
Avverto il sangue scivolare via dal mio copro martoriato.
Ma non mi lascio sfuggire un lamento.

“Quanto sei stupido Phantomhive” dice Alfred: estrae una pistola.

“Non toccherai mai e poi mai il mio amore, Alfred. Non quello. Per me è troppo importante e-”

“Idiota. Era solamente un’illusione” dice, senza fare una piega.

Io mi giro ed Elizabeth non c’è.
Alfred punta la pistola e fa fuoco: nel mio fianco si apre un buco, e la pallottola sbuca dalla mia carne.

Raccolgo le ultime forze per un’invocazione: ho visto l’ombra alle mie spalle.
Prima che le forze mi abbandonino, grido un solo ordine.

“SEBASTIAN! MERE-DA SALVAMI!”.

Il contratto si illumina.

Sento solo una frase, prima di sprofondare nel buio.

“Yes, my Lord”.


+++++++++++

“Come hai fatto a non percepire la presenza di Alfred nella magione?” chiese William, in piedi di fronte a Sebastian: erano solo loro due nella stanza.
Il demone, sprofondato nel sofà, gli lanciò uno sguardo stanco.
“Magia” sussurrò, prima di chiudere gli occhi: lo sguardo di William voleva spiegazioni.
Gliele avrebbe date.

++++++++++++++

Sono circondato dagli scagnozzi di Alfred: non sono i più forti, per fortuna, ma sono comunque duri a morire.
Devo farli svenire, per liberarmene.
Quando credo di aver fatto fuori anche l’ultimo, qualcuno mi colpisce alle spalle.
Mi giro e sgrano gli occhi: un giovane alto, della mia età, con scintillanti occhi dorati, mi guarda serio.
Ha i capelli neri striati di biondo dorato, corti e lisci: indossa un completo nero e sotto il suo occhio sinistro c’è il marchio di Alfred.
Contrae le labbra e mi fissa duramente.

“Non pensavo che ti avrei ancora rivisto, Sebastian” dice, con voce molto più imperiosa di quanto mi ricordassi.

Allungo un mezzo ghigno, guardandolo quasi con nostalgia

“Non sei cambiato, Ray”

“Nemmeno tu, Michaelis” risponde pronto, continuando a squadrarmi.

“Sono passati anni da quando te ne sei andato, ed ora guardati: sei alleato dei nemici di Alfred”

“Alfred ha ucciso mio padre. Vuole rovinare gli equilibri fra le nostre dimensioni e sta tentando di uccidere ciò a cui tengo”

“Non pensavo potessi provare dei sentimenti. Non dopo aver lasciato Alice quella notte. Non abbiamo più ricevuto tue notizie e David si rifiutò di parlarmi di te”

“Ho fatto ciò che dovevo e non me ne pento”

“Allora dovrei rispettare le tue scelte, amico mio”

“Mi reputi ancora il tuo migliore amico, Ray?”.

Il demone dai capelli bicolore serra le labbra: mi fissa in silenzio.
Estrae una daga d’oro e cristallo nero: blocco il suo affondo con un coltello.

Ottima argenteria, quella di casa Phantomhive.

Senza scomporsi, Ray ritrae l’arma.
La lascia scivolare lentamente dalle dita, ed io ripongo il coltello nella livrea: non capisco come, ma un secondo dopo siamo uniti in un abbraccio fraterno.

“Ti ho aspettato. Ho visto Alice piangere ogni sera per te. Alfred non voleva che il tuo nome, quello del figlio di Jacob Michaelis, venisse più nominato. Non sono alleato di quel maledetto” dice, passandosi la mano sotto lo zigomo sinistro: il tatuaggio scompare, lasciando il posto ad una cicatrice nera.
L’aveva dalla nascita.

“Vai, adesso: ti raggiungerò da Undertaker. Qua ci penso io. Ciel Phantomhive sta per morire” dice: lo guardo negli occhi e capisco ciò che vuole fare.

Addolorato per ciò che potrebbe succedere a Ray se decidesse di giocare il ruolo prescelto, mi volto verso la porta spalancata della town house: la mia mente si stava lacerando sotto colpi invisibili.
Sto ricevendo solo ora tutte le chiamate del signorino.
Lo vedo, il figlio di Vincent: orgoglioso e fiero nonostante tutto.
Lo vedo cadere in ginocchio, lo vedo stupirsi.
Lo vedo alzarsi e cadere all’indietro.
La pallottola si perde nell’ampia hall, mentre il sangue si sparge sul pavimento.
Sento benissimo l’ordine del padrone.
Alfred mi guarda e io rispondo con odio: senza una parola corriamo l’uno verso l’altro.

Continuiamo a prenderci a botte, non ho nemmeno il tempo di riflettere: si vede benissimo che Alfred risente ancora dei colpi inferti da William mesi prima.
Stento perfino a credere che il signorino abbia avuto il coraggio di battersi contro questo mostro, per giunta armato di una Death Schyte.

Ed è pure riuscito a ferirlo.

Incredibile.

“Hai ancora il coraggio di sfidarmi?!” mi chiede Alfred, fra un pugno e l’altro

“Devo eseguire i miei ordini” rispondo, senza fare una piega.

Mi assesta un calcio nel fianco: arretro e mi inginocchio accanto al bocchan.
Sono stanco e ferito.
Stringo i denti e tento l’ultima carta: posso farcela, se ce l’ha fatta William.

“Alfred… Non vincerai mai. William ti ucciderà ed io vendicherò mio padre. David te la farà pagare cara, così come James e gli altri”.

Jones si ferma, rinsaldando la presa sulla daga: mi fissa in silenzio, mentre un ghigno gli si dipinge sul viso dalla crudele bellezza.

“No che non vinceranno. Hanno poche carte da giocare, io ne ho mazzi interi: l’altra volta ero debole, e non comprendevo la forza che il rancore avrebbe generato in lui. Stavolta morirà, così come morirete tutti voi. Eri il migliore allievo della mia gilda, Sebastian: unico ed inimitabile. Coraggioso, beffardo e potente come tuo padre. Infido, traditore e bastardo come tua madre, a quanto pare. I geni non mentono. Ma sono morti tutti e due e tu li seguirai fra breve” dice, preparandosi all’attacco: vuole farla finita.

“Non ne sarei così sicuro, Alfred” dico, prima di prepararmi.

Aspetto immobile che Alfred stia per trafiggermi: afferro la Death Schyte dalle mani del padrone ed allungo disperatamente il braccio.
So di non poter uscire dallo scontro senza ferirmi a mia volta, ma indebolire il nemico per mettere in salvo il bocchan è la mia priorità.
Ci trapassiamo a vicenda: lui mi lacera la parte bassa del bacino, quasi sull’inguine, mentre io lo colpisco in pieno ventre.
Alfred fa una smorfia ed arretra, tossendo sangue: io cado in ginocchio, in preda al dolore.
L’inguine mi fa un male cane e spero di esser riuscito nel mio intento.

“ALFRED! Stanno arrivando i rinforzi dei nemici! David, William James ed Undertaker saranno presto qui! Andiamocene maestro: siamo rimasti solamente noi due!” Ray irrompe nella scena, aiutando il “padrone” a mettersi in piedi.

Alfred, seccato, lo allontana

“La prossima volta non mi sfuggirai…” sussurra: io sento vagamente le sue parole.

Sto già correndo verso la salvezza, con il padrone in spalla.
Corro in un vicolo vicino, lontano dal pericolo: stendo a terra il bocchan e ne verifico le condizioni.
Sta molto male, devo portarlo alla base degli alleati.

“Siete stato coraggioso, bocchan. Vostro padre è orgoglioso di voi. Siete davvero il figlio di Vincent. E se lady Elizabeth sapesse quello che avete fatto in suo nome, non attenderebbe oltre a sposarvi. Resista, conte. Resiti, Ciel” dico, con gli occhi tristi.

“Vincent non è l’unico padre orgoglioso del proprio figlio” fa una voce alle mie spalle.

La riconosco, ma non c’è nessuno: sorrido, pensando al mondo delle anime.

Lo spirito di mio padre aveva parlato da lì.

“Spero di rivederti… Papà”.




 

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Capitolo 48
*** L’ultimo tassello. Cosa manca nel quadro, William? ***


Ehilà ragazzi! Scusate il ritardo, ma ho troppi impegni e non riesco ad aggiornare in modo costante.
Se troverete eventuali errori nel capitolo, perdonatemi: lo posto veramente di fretta, mi spiace.

Grazie mille per le recensioni, per le visite alla storia e per averla messa tra i preferiti e/o fra le seguite.

Invito i lettori silenziosi a lasciarmi un parere, se possibile :)

Alla prossima,

Jaki Star




“Quindi è andata così”

disse semplicemente William: stava seduto a gambe incrociate su una sedia, con una tazza di thè in una mano ed un piattino nell’altra.

“Alfred si è ripreso e siamo alla resa dei conti. Anche se dubito torni presto: Ciel e tu l’avete ferito e non indifferentemente. Ciò ci darà un po’ di tempo, tuttavia dobbiamo sperare che il conte si rimetta. Abbiamo bisogno anche di lui. Le sue ferite sono gravi. Ho inviato una squadra alla town house: si premurerà di cancellare ogni traccia di combattimento. Per quanto riguarda i servitori…”

Sebastian vide Will tirare fuori un quadernetto dalla tasca della giacca.
Grazie al Death Bookmark stava riscrivendo i cinematic record dei tre inservienti di casa Phantomhive.

“… Non ci sono più problemi” disse, chiudendo gli occhi.

“Dobbiamo pensare ad una tattica. Andiamo a verificare le condizioni del conte” dichiarò, alzandosi stancamente “Ti conviene far curare quella ferita all’inguine: è grave”.

Sebastian sorrise maliziosamente.

“Solamente se lo fa Alice” ghignò malizioso, pregustando l’idea.

Lo shinigami roteò gli occhi e senza proferir parola s’avviò verso la camera del nobile.

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“Come sta?” chiese David a Fabian: il conte era sdraiato nel letto, immobile.
Non muoveva un muscolo, il petto si alzava ed abbassava lentamente.
Pallido come un foglio, il giovane combatteva contro la morte.

“Non posso dirlo con certezza: dovrebbe essere fuori pericolo ma non ne sono del tutto sicuro. Dipende molto dal suo fisico e dalla sua forza di volontà. Deve aver preso un sacco di botte, ma a quanto pare si è difeso con denti ed unghie. Ha lottato come un leone, è allo stremo delle sue forze. Merita tutto il rispetto possibile. Spero che si rimetta presto” disse Schonberg, alzandosi “Ormai è quasi sera: lasciamolo tranquillo, poi si vedrà. Lo veglierò io”.

Gli rimboccò le coperte: non si era accorto che William era comparso nella stanza.

Fissava il pallido nobile, il quale respirava a fatica: sul viso del dio non traspariva alcuna emozione.
Si chinò sul viso del giovane: mosse appena le labbra e nessuno sentì ciò che disse.

“Sei stato… Molto coraggioso. Davvero un valoroso alleato Ciel. Spero che potrai riabbracciare sano e salvo Elizabeth. E spero anche di avere il piacere di giocare una partita a scacchi con te”.

Will si rialzò: Ciel strinse impercettibilmente il lenzuolo candido come lui e le sue labbra si contrassero.
Spears si girò, dando le spalle ai presenti: così nessuno poté vedere il mezzo sorriso che gli si dipinse in volto.


+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

“Non trovi che manchi qualcosa?” chiese William: lui e Jason si trovavano in una stanza con pareti candide e finestre ampie.
La chiamavano “La stanza delle arti”: vi erano un pianoforte, un angolo dove poter dipingere, una lavagna per disegnare.
Jason reggeva fra le dita un gessetto bianco: aveva disegnato un panorama bellissimo, ma in un angolo mancava qualcosa.
Sotto un ciliegio in fiore, c’era un dondolo verniciato di bianco: era sfumato sull’interno.
Se si osservava bene, la sfumatura dipingeva le sagome di due persone.

Un uomo ed una donna.

“Sì, amico mio”

“Due persone, giusto? Innamorati, probabilmente”

“Sì”

“Dove mi vuoi condurre, Jason?”

“In tutto questo manca un tassello”

“Su ciò non ci sono dubbi. Manca solamente un filo per collegare il tutto: so che è qualcosa di semplice, apparentemente, qualcosa che posso trovare usando un po’ di fantasia, ammettendo delle ipotesi anche al limite della logica. Le informazioni non mancano. Manca solo che qualcuno… Palesi il vero. Ho bisogno-”

Il gesso cadde per terra, interrompendo il discorso di William.

Il monologo, visto che in apparenza Jason non lo stava ascoltando.

Questi aveva il capo chino, le labbra tirate in un piccolo sorrisino.

“La verità… La verità è qui…” il suo tono di voce sembrava quello di Undertaker: Will increspò le sopracciglia, sospettoso.

Arretrò impercettibilmente, sulla difensiva.

“Tutta davanti a te... Ahaha… La verità che ignori… La verità che ti fa male… Ehehe… Scappa William… Scappa amico mio… Perché non voglio far del male… A una delle persone a cui tengo più di tutte… Al mio… migliore amico…”

Sollevò di scatto la testa, con gli occhi grandi e pieni di terrore.

“SCAPPA WILLIAM!!” urlò a squarciagola, cadendo in ginocchio.

Continuava ad urlare, come posseduto: la testa gli doleva mortalmente, c’era qualcosa a governare la sua mente.

Qualcuno.

Will fece un passo avanti: sentiva già il frastuono dei passi dei compagni sulle scale.

“Che succede Jason?” chiese fermo il ragazzo: attorno all’amico c’era un’aura rossa e terrificante, mentre le ombre infernali scorrevano sulla sua pelle.
Da sotto la camicia semi sbottonata, filtrava una malvagia luce scarlatta.

“Muori prescelto muori!” gridava: la voce non era più la sua.

Sbatté violentemente la fronte sul pavimento, stringendosi convulsamente la camicia.
Negli spasmi di dolore, Jason prese un coltello Uzi da combattimento, tirato fuori da chissà dove: si avvicinò pericolosamente allo shinigami, caricando il colpo.
Gli occhi sanguigni del demone lo fissarono con folle crudeltà: aveva riconosciuto lo sguardo.

“Alfred” sussurrò assente William, collegando l’ultimo filo della verità.


+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Federik spalancò la porta, seguito a ruota da Jane e David.
Videro poche cose.

Jason.
William.
Il sangue.

+++++++

Jane andò ad abbracciare William: era terrea, lo stringeva convulsamente, terrorizzata all’idea di cosa sarebbe potuto succedere.
Federik era inginocchiato accanto al corpo esanime di Jason: il moro aveva gli occhi sbarrati, incarcerati in un tunnel comatoso dal qualedoveva fuggire.
Il prezzo del fallimento sarebbe stata la vita.
Stringeva ancora in mano il coltello lordo di sangue: aveva la bocca semiaperta, dalla quale usciva un fiume carminio.
In pieno petto, la piaga lasciata dalla lama faceva bella mostra di sé: Federik non riusciva a guardarla.
Si alzò lentamente, con le spalle curve, piegate dalle troppe sofferenze.


“Avevo sperato fino alla fine in una cura…” disse, con la voce grave e stanca, propria di chi ha perso la speranza.
“L’unica soluzione sarebbe abbatterlo” disse sospirando: il male che provava al cuore superava il dolore di qualsiasi tortura fisica.


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David e Fabian esaminarono la ferita: William James, appoggiato allo stipite della porta, fissava la scena impassibile.
Lui l’aveva detto subito: era troppo tardi per recidere il marchio del demonio.


++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

William non riusciva a ricambiare la stretta: gli ingranaggi della sua mente lavoravano impazziti, cercando la logica in tutto ciò che aveva visto.
Chiuse gli occhi: Jason Blaik era diventato… Il suo migliore amico.
Ed ora… Era sicuro che in un futuro non troppo prossimo avrebbe dovuto assistere alla sua morte.
Forse, sarebbe stato proprio lui, William Thomas Spears, ad ucciderlo.


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Hylda Cavendisch, sorretta da Undertaker, guardava senza forze il giovane a terra, galleggiante in una pozza di sangue.
In un barlume di lucidità, Jason era riuscito ad acquistare il controllo di sé per deviare la traiettoria del coltello: se l’era impiantato dritto in petto, salvando il migliore amico dalla follia omicida di Alfred.
L’aveva estratto con un colpo secco: nell’ultimo atto di coscienza, aveva sorriso a William.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

“Il sacrificio è il prezzo per la libertà” disse James, tendendo la mano al nipote: lui accettò l’offerta, volgendo lo sguardo sui presenti.
“Voglio delle spiegazioni, ora e subito. Nessuno questa volta mi deve contraddire, intesi? Sia chiaro: ora sono veramente arrabbiato e non accetterò altre menzogne da parte di nessuno. Tutti nella sala svago, quella da biliardo: portate Phantomhive, Michaelis e il semi cadavere di Jason. Nello stato in cui è, può rivelarsi utile. Alfred ha lasciato il suo corpo, medicatelo e non ci sarà da temere. Ha resistito a colpi mortali, questo è solo un graffio al confronto” disse glaciale, con uno sguardo che fece gelare il sangue nelle vene a chiunque.

“Credo che sia proprio l’ora di vuotare il sacco”


affermò Hylda, fissando negli occhi William


“La verità può essere traumatica, ma è stata sepolta nei meandri della mia esistenza… Da troppo tempo”. 

 

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Capitolo 49
*** Figli dello stesso sangue. Orgoglio della stessa madre. Dannati per il mondo. ***


Ehilà! Scusate il ritardo, ma gli impegni mi hanno reso (e mi rendono tutt'ora) le giornate un inferno -.-" 
Ringrazio come sempre chi segue la storia e la legge in silenzio...
E come sempre ringrazio i miei fedeli recensori...
E' inutile fare i vostri nomi: è da quarantanove capitoli che li scrivo in cima al capitolo, ormai siete diventate parte della fic! <3
Posso solo dirvi una cosa: GRAZIE DI TUTTO! <3

Bene, è giunta l'ora di lasciarvi al capitolo: spero che vi piaccia, nonostante sia corto...

Dopotutto... 

State aspettando la verità...


...Da troppo tempo...





Hylda Cavendisch si sedette comoda nella poltrona di velluto verde: prese un respiro profondo, mentre Federik, stranamente nervoso, con i capelli rosso scuro e i canini appuntiti, si sistemò alle sue spalle.

“Come molti sanno, io sono un incrocio fra shinigami ed angelo. Per via della mia natura, esente dalla minima influenza demoniaca, sono stata ammessa al mondo degli shinigami, usufruendo di tutti i diritti riconosciuti alla suddetta razza.
Erano i tempi dell’accademia: ero giovane, piena di aspettative. Anche io, un giorno incontrai l’amore: era un ragazzo semplice, bello, attraente tanto quanto intelligente. La sua vera natura mi era sconosciuta: era sconosciuta ad entrambi.
In realtà, lui non era uno shinigami: era un demone, un demone purosangue, discendente delle colonne reggenti della razza. Ci innamorammo, ci fidanzammo, ci sposammo e generammo due figli. I loro nomi? Federik e Jason.
Il nome del mio amore? Alfred Jones”.

Un fulmine squarciò il silenzio che poco prima regnava nella stanza: tranne coloro che conoscevano la storia (tutti a parte William, Jane, Ciel e Sebastian), il resto dei presenti rabbrividì, inorridendo.
Si leggeva nei loro occhi, il peccato della segretaria.

Federik strinse la poltrona e digrignò i denti, colmo di sofferenza: non alzò lo sguardo, evitando di leggere il disprezzo negli occhi degli altri.
Ne era sicuro che lo disprezzavano per le sue origini.

Nonostante tutto.

Nonostante avesse fatto l'impossibile.
Nonostante li avesse protetti, guidati, aiutati.
Nonstante avesse fatto di loro la sua nuova famiglia.



“La storia non è finita: Alfred si rese conto della sua natura demoniaca quando, suo fratello, lo incontrò in una missione. Il nome di suo fratello? David Jones.
David detto Dave, amico di Jacob Michaelis, era figlio del padre di Alfred e di una prostituta umana, Evelyn Blaik. I miei figli crescevano sani e forti, mentre mio marito… Lui mostrava i segni di una malattia indelebile: il richiamo della sua natura.
Una notte, scappammo dalle sue grinfie grazie all’aiuto di David: riuscimmo a portare in salvo i bambini, portandoli al sicuro nel mondo degli shinigami. Infatti, lì vi era l’alleato più potente in assoluto, colui che era destinato a compiere la profezia: Thomas Will Spears. Grazie a lui, la sua futura sposa, Undertaker e gli altri, potemmo ricominciare una vita. Anni dopo, però, sorsero dei problemi. Vedete, i miei figli avevano caratteristiche precise: il primogenito, ubbidiente, forte, intelligente e buono di cuore, assomigliava a me e trascendeva una natura angelica e divina. Jason, invece… Jason era la copia di suo padre. Uguale in tutto e per tutto a lui: stesso aspetto fisico, stesso modo di sorridere, stessa gelida bellezza, stesso carattere divertente e fiero. Purtroppo nel suo cuore pulito, albergava l’ombra del male, un’impronta lasciata dal padre dannato: Alfred se ne era accorto appena dopo la sua nascita. Il primo figlio, generato dall’amore… Il secondo figlio, generato dal piacere, dalla lussuria, dall’interesse, da un piano malefico. Il contenitore perfetto, per l’anima del re dei demoni. Una notte Jason uscì per le fredde strade di Londra: era quasi inverno. Aveva un appuntamento con la sua fidanzata, un’umana: Hilary Rain.
Ringrazio il Creatore per aver fatto sì che Federik fosse in zona per una missione: se non fosse stato per lui sarebbe tutto finito per il peggio. Quella notte, Alfred si appostò nell’ombra, in attesa che nostro figlio si vedesse con la ragazza.
Come una furia, si precipitò sui due: sbatté Jason al muro e poi uccise senza pietà Hilary, dilaniando le sue carni con un pugnale senza il minimo ritegno. Tutto davanti agli occhi puri di un ragazzino: dimostrava solamente sedici anni. Federik intervenne, lottando fino all’ultimo con il padre: rimase ferito mortalmente, impotente di fronte al re dei demoni. Alfred combatté contro Jason: rimase impressionato dalla forza che il ragazzo dimostrava. Nonostante tutto lo atterrò e gli impresse un marchio: questo, con il tempo, si è diramato ogni giorno di più, come un cancro. Il simbolo fa emergere la parte selvaggia e distruttiva di Jason, la sua essenza demoniaca: grazie alla compatibilità dell’anima di Alfred con il figlio, quando sarà in punto di morte, potrà impossessarsi del corpo di Jason per continuare a vivere. Invincibile. Vi abbiamo tenuto nascosto tutto perché non eravate pronti: abbiamo dato a Jason il cognome della madre di suo zio David, presentandolo come estraneo o solamente buon amico di Federik per allontanare i sospetti. Dave è stato costretto a mentirvi in parte sulle sue origini per proteggere il nostro segreto.
Ora vi prego solo… Di non giudicarmi per aver amato quella bestia.
E di non giudicare i miei figli.
Perché loro non hanno colpa alcuna: sono tutto ciò che mi è rimasto e li amo come nessun altro essere all'universo. Non si meritano il male che ricevono”. 

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Capitolo 50
*** Discorso motivazionale. Finire come la tempesta? ***


Ehilà! 

Ok, so di avervi shoccato con le rivelazioni dello scorso capitolo...
Ma spero continuiate a seguirmi :)

Non so quando riuscirò ad aggiornare, spero vivamente di poterlo fare entro pochi giorni :)

Ringrazio i miei fedeli recensor: Phoenny, Missy e Saki, grazie mille ragazze :)
Questo capitolo è per voi!

Vi consiglio di ascoltare il brano che vi propongo, come sottofondo musicale per la lettura...
Lo trovo molto attinente al discorso che ci sarà nel capitolo...
Spero vi piaccia! :)

Ed ora vi lascio alla magione immersa nella tempesta...

E nelle ombre del passato...



http://www.youtube.com/watch?v=Vr0U0QcTFII


Il silenzio tornò a regnare nella stanza: solo il rumore dell’acqua scrosciante invadeva la pace della falsa quiete.
Ciel  Phantomhive, fasciato e cadaverico, sedeva a fatica sulla poltrona: le sue gravi ferite non si erano completamente rimarginate, ma aveva insistito per venire a conoscenza del segreto.
Come aveva sospettato sin dall’inizio, Jason era l’erede spirituale di Alfred: se William non fosse riuscito ad ammazzare quel verme schifoso in tempo, sarebbero stati fregati.

Per sempre.

Strinse la mano bendata, assottigliando lo sguardo, freddo come il ghiaccio.

“Dobbiamo darci una svegliata!”

Dichiarò, provando ad alzarsi: con un immenso sforzo ci riuscì, e barcollante si diresse alla finestra.

“Fra poco tutto potrebbe essere vano: tutti i nostri sforzi dati al vento…”

Aprì l’enorme finestra con un colpo secco, lasciando che il finimondo entrasse nella stanza

“…Di una tempesta!”.




Un tuono squarciò il cielo: la pioggia entrava, bagnando il viso del giovane conte.
Nella penombra della stanza, il suo profilo longilineo e regale si stagliava sui presenti: sembrava un re.
Già, un sovrano nobile e pieno di forza: perché era questo ciò che trasmettevano i suoi occhi blu oltreoceano.
L'orgoglio e l'onore di una dinastia caduta in disgrazia: la regalità ed il coraggio dell'ultimo dei Phantomhive.




“Dobbiamo agire, e subito: niente più scuse e niente tentennamenti. Non possiamo temporeggiare oltre, altrimenti tutto andrebbe a farsi benedire! William, tu vuoi che ciò che hai passato finisca come cenere trasportata dall’aria?! La tua esistenza è giustificata dal compimento di una profezia: fallire i questo sarebbe rinnegare il tuo stesso essere, ed è questo ciò che vuoi?! Non esiste disonore peggiore per una creatura di quello di bruciare ciò che si è, di perdere il senso della propria esistenza: saresti come questo temporale, un tormento che spaventa chiunque ma che cessa di esistere, fallisce nel suo intento di dominare il cielo e poi viene dimenticato da tutti. Tutti noi rischiamo di fare la fine di questa tempesta: è forse questo che volete?!”.




Le parole del conte finirono dritte nel cuore dei presenti: c’è chi aveva gli occhi lucidi, chi si era riscosso dal torpore, chi tremava in silenzio e chi si era reso conto di ciò che doveva fare.




E poi c’era lui.

Lui, quello diverso da tutti.

Lui, quello con la faccia di pietra e il cuore di ghiaccio.

Lui, che aveva così tanto da imparare.

Lui, che aveva imparato così tanto.





William T. Spears, impassibile ed inespressivo, rimase seduto a gambe incrociate, con le mani congiunte davanti agli occhi chiusi.


“Il tempo per consegnare le pratiche sta per scadere. Chissà quanti pacchi di lavoro arretrato mi ritroverò in ufficio: meglio eliminare subito quella feccia immonda. Dopotutto, io gli straordinari non li faccio. Neanche morto”.  




Chi lo conosceva sul posto di lavoro fece un sorriso sbilenco: finalmente, il vero William T. Spears era tornato. 
 

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Capitolo 51
*** Pianificazione. Tu sei come noi: tu sei UNO di noi. Il ritorno di un amico. ***


Buonasera a tutti!

Mi scuso per il ritardo: non pensavo di riuscire a postare il capitolo solo ora. 
Rignrazio tutti i lettori silenziosi, chi segue la storia e chi l'ha messa fra le seguite e/o fra le preferite. 
Ma soprattutto ringrazio di cuore i miei fedeli recensori: Phoenix_619Miss_Urielsakichan24 e MikuChan questo capitolo è per voi!
Spero che questo capitolo vi piaccia.

Alla prossima,

Jaki Star




“Quindi mi stai dicendo che tutte le truppe a nostra disposizione sono queste?”

fece Ciel Phantomhive, con una leggera nota di disappunto.


La casa di Undertaker si era trasformata in una vero centro operativo militare: il conte londinese coordinava la parte strategica della battaglia, aiutato da Fabian e Bartholomew.

“Fattele bastare, Phantomhive: è tutto ciò che abbiamo e non è molto, c’è solo da ringraziare il cielo che sono in un numero discreto. Al momento giusto, basterà sguinzagliare Spears ed il gioco sarà fatto: ammazzerà Alfred e le truppe del nemico si ritroveranno senza ordini, nel più totale caos” fece il giardiniere tuttofare di casa Undertaker.

Da qui s’accese un piccolo dibattito che andò avanti per venti minuti buoni.
Nel frattanto, William James, il becchino ed Alice organizzavano le difese.

William se ne stava immobile, seduto su una poltrona rivolta verso la finestra aperta: dava le spalle ai presenti e non dava segno di vita.
Fissava la pioggia scrosciante, gli alberi piegati dal vento impetuoso: uno spettacolo a dir poco inquietante ma fantastico.
Chiuse gli occhi: la vera resa dei conti era giunta.
E avrebbe vinto.

Anche solo per poter avere la soddisfazione di punire i suoi sottoposti.

Era sicuro che gli arretrati erano a dir poco numerosi.



Hylda, sprofondata nella poltrona, si copriva il viso con le mani: sembrava sfinita.
Federik non osava alzare lo sguardo: se ne stava lì, con il capo chino, le braccia puntellate sulle gambe.
Hilary abbracciava teneramente la segretaria, sussurrandole parole di conforto: nessuno l’aveva giudicata od aveva intenzione di farlo, era al sicuro.

“Federik”

la voce di Jane scosse il ragazzo, che però si astenne dall’alzare lo sguardo.

“Avanti, sputate tutto il vostro disgusto, fatelo subito: preferisco che mi insultiate ora, piuttosto che sapere che lo fate alle mie spalle… Sono il figlio di un mostro, pazzo ed assassino: potete anche immolarmi, se la cosa vi va. Ormai, mi hanno trattato da schifo talmente tante volte, che morire mi sembrerebbe la cosa più sensata. Morirei con mio fratello… Siamo due abomini” disse, senza alzare la testa.

“Sei uno di noi”.

Il mezzosangue alzò di scatto la testa, spalancando gli occhi.

“Fate parte della nostra grande famiglia. Non vi abbandoneremo e non avete nessuna colpa. Le mancanze appartengono a vostro padre, non a voi: siete innocenti e nessuno può permettersi di giudicarvi. Vi difenderemo a costo della vita: William non lascerà che tu o tuo fratello veniate danneggiati. Farà il possibile per salvarvi”.

Le parole di Jane fecero breccia nel cuore del fulvo: Federik guardò la ragazza con ammirazione.
Sorrise, alzandosi, con una luce beffarda e determinata negli occhi: come quella di suo fratello.

“Ora capisco perché William ti ha scelto. Tocca a me ringraziarti, questa volta” disse: aveva ancora i capelli rosso carminio e gli occhi stranamente fucsia, però l’aura che emanava era rassicurante.

Si voltò verso William impegnato in chissà quale attività.
Probabilmente, stava costruendo una strategia: la sua mente, ingegnosa e furba, stava elaborando un piano tanto fantastico quanto infallibile.
Improvvisamente, Sebastian entrò nella stanza di gran carriera.

“Abbiamo informazioni” disse, scoprendo i denti acuminati: un’aria derisoria popolava il suo volto.

Con eleganza innata, nonostante la ferita all’inguine, si portò al centro della sala: iniziò a parlare, allargando sempre di più il ghigno.

“Fra le fila di Alfred ci sono delle spie. Una di esse, è forse il suo braccio destro più fidato: egli ha accesso ad informazioni delicate e molto, molto utili. E’ un mio fidato compagno: come di certo sapete, sono stato addestrato dalla setta di Alfred, in attesa di trovare l’assassino di mio padre. Quando scoprii la verità, me ne andai: da allora non ho più rivisto colui che definivo il mio “migliore amico”. Fino  a quando… Fino a quando Alfred non ha attaccato la town house: è solamente merito suo se sono riuscito a soccorrere il bocchan. è molto potente e non vede l’ora di poter ammazzare quel verme” spiegò il demone, con una luce assassina negli occhi.

Undertaker fece un sorriso sbilenco.

“Oh, finalmente il piccolo Ray si è svegliato… Dico bene, Ryan Gordon?”.

Le tenebre nell’angolo più buio della stanza parvero addensarsi: due occhi accesi fecero capolino dall’oscurità, seguiti dal brillio perlaceo di due canini affilati.

“Dici bene, Undertaker: ti prego solamente di chiamarmi Ray”.

L’alleato di Michaelis si fece avanti: la cicatrice nera sullo zigomo sembrò quasi muoversi, come delle ombre nebbiose che si rimestano nella notte.
Il suo sguardo dorato intercettò quello oltremare del conte Phantomhive: il demone si avvicinò al nobile, prendendo un pacco dalla uniforme nera.
Il giovane allungò il braccio sinistro, visibilmente dolorante: il cartoccio conteneva una spada letale.

Ciel ghignò, quasi maligno.

“La mia spada… Deve aver fatto male, a quel cane schifoso” disse, con una punta di soddisfazione “Pagherei oro per vedere nuovamente la sua carne lacerata”.

“Tornerà, e quando lo farà vorrà chiudere i conti: gli uomini a sua disposizione sono sempre di meno, ma sono forti. Non dovete sottovalutarlo: ha intenzione di fare un’incursione a Londra, per poi spostare la battaglia dove vi sono radunate tutte le sue forze”.

“E quale sarebbe il luogo?” chiese William James, cupo: ne aveva un vago presentimento, ma voleva accertare il fatto che non si stesse sbagliando.

“Signori miei” fece Ray “Vuole giocare in casa, il fottuto bastardo: la sua reggia, sarà il luogo dello scontro finale”.

A quell’affermazione, Undertaker, Hylda e William James sbiancarono: un improvviso gelo calò nella stanza, si poteva sentire il terrore di un ricordo annebbiare le menti dei reduci della prima battaglia.
Sebastian strinse gli occhi ed abbassò il capo: si ricordava benissimo quando andò incontro al team che doveva sconfiggere Alfred nella reggia.
In quei pochi istanti, aveva visto suo padre morire.
Jacob lo aveva benedetto (per quanto potesse benedire un demone) e gli aveva dimostrato tutto l’amore che possedeva: da quel giorno in poi, suo padre era diventato David.

Lo aveva cresciuto, amato, rispettato.

Jacob viveva in lui, ed avrebbe onorato la sua memoria: a qualsiasi costo.

“Quindi, spera di replicare la partita di anni e anni fa” fece William James: i suoi lineamenti erano piegati in un’espressione tanto minacciosa quanto adirata.

“Esattamente” confermò Ray. 

“Bisogna prendere delle precauzioni: la reggia di Alfred è un labirinto unico ed intricato, solo lui la conosce a menadito… Lui e coloro che fanno parte della sua gilda di assassini, è ovvio” fece David, guardando il nuovo alleato.

Egli fece per dire qualcosa, ma una voce lo bloccò.

“E chi dice che noi dobbiamo giocare in trasferta?”.

William, sprofondato nella poltrona, dava le spalle ai presenti: la sua voce glaciale risuonava tranquilla e pacata nel silenzio.

“Meglio prevenire che curare. Dobbiamo giocare d’astuzia, d’astuzia e d’anticipo: siamo molto più veloci di lui negli spostamenti, non diamo nell’occhio e questo gioca a nostro favore. Staneremo quel verme all’aria aperta, dove non potrà nascondersi nel letame: la sua reggia verrà data alle fiamme mentre lui sarà agonizzante ed impotente”.

William fece un ghigno sadico, che nessuno fortunatamente notò.

“Chiuderemo i conti una volta per tutti: vedremo le sue membra squarciate gridare aiuto alla Luna. Ma per farlo, giocheremo d’anticipo: lo scontro verrà portato fuori Londra il più presto possibile… Magari, nel luogo dove le nostre due falci si sono scontrate per la prima volta: portarlo nella piana della tenuta Undertaker è impossibile, però abbiamo a disposizione una radura immensa. E’ poco più piccola della distesa in cui si è svolta battaglia d’inverno, però è abbastanza grande da contenere due eserciti, anche piuttosto numerosi. Per quanto riguarda la strategia d’attacco, proporrei uno scontro violento: con il fattore sorpresa, creeremo un impatto con il nemico che lo costringerà a chiamare sempre più rinforzi, fino mobilitare quasi tutte le sue unità. In questo modo, la nostra squadra speciale penetrerà nel castello, distruggendolo e appiccando fuoco. Niente prigionieri: tutti coloro che incontreranno sul cammino, verranno eliminati. Nel frattempo… Noi ci occuperemo di quella bestia: una volta eliminato il cane, il suo esercito si trasformerà in un’accozzaglia informe di rottami e pecorelle smarrite. A quel punto… La vittoria sarà nostra”

fece William: si alzò in piedi, mentre alle sue spalle la tempesta imperversava, ammattita, riversando la sua pioggia nella stanza.
Il vento frustava i capelli dello shinigami, le sue cicatrici, pallidi fili di ragno, lo rendevano spaventoso: guardò i presenti con un’espressione determinata.

“Raccogliamo le unità e prepariamo il piano: fra poco, ci sarà la vendetta” dichiarò, mentre un tuono squarciava la notte, illuminando la sua sagoma corvina.

James annuì, soddisfatto.

“Facciamolo” confermò, con la medesima espressione del nipote: i colleghi gli diedero ragione, preparandosi per la battaglia.

William si voltò nuovamente verso la finestra: buttò un’occhiata rapida a Jason, poi saltò sull’ampio davanzale.

“Vado a trovare un amico. Non parlo con Joey da molto tempo”.

Detto questo, scomparve nella notte.

++++++++++++++++++++++++++

Ciel Phantomhive aveva intercettato la sbirciata che lo shinigami aveva rivolto al mezzo sangue: in un millesimo di secondo, i loro sguardi si erano incrociati. Il conte aveva recepito il messaggio.

“Tranquillo Spears, ho capito”.

Già, aveva capito: Jason avrebbe potuto rivelare i loro piani ad Alfred, se fosse stato posseduto da lui.
A quel punto, sarebbero stati nella merda.


+++++++++++++++++++++++++++++++

Will aprì la porta delle scuderie senza esitazione: conosceva quel posto a memoria, poteva girare ad occhi chiusi.

Alla faccia del buio.

Nell’oscurità, scorse la silhouette regale di Joey: era da tanto che non accarezzava il suo pelo scuro.

Si avvicinò al box: il cavallo fece uno scatto, ma subito dopo si rilassò, riconoscendo il padrone.
La sua “follia” era scomparsa, finalmente.

“A volte vorrei poter parlare nuovamente con te…” sussurrò William, accarezzando il muso dell’animale “Mi chiedo come mai tu non parli più… Grazie a te e ad Alec ho scoperto il mio passato. Grazie, amico. Vorrei sapere chi è stato a ridurti in questo stato…” .

Il cavallo lo guardò con i grandi occhi lucidi: gli soffiò un po’ di aria calda dalle froge, dritta sul viso.

“Sono stato io” fece una voce.

Una voce troppo conosciuta.
Una voce che non avrebbe voluto sentire ma che sospettava colpevole.


“Potresti almeno spiegarmi le tue motivazioni per tale atto… Undertaker” ringhiò lo shinigami, a denti stretti.

Il becchino rise istericamente, sbavando come suo solito.

“Avanti, era per il tuo bene: non volevo che scoprissi la verità, ma alla fine, tutto viene a galla… Perciò restituisco la parola al tuo cavallo” detto questo, allungò la mano artigliata: Will avvertì la mente lacerarsi sotto un colpo tanto potente quanto fulmineo.

Cadde in ginocchio, mentre Joey, dolorante, scalpitava.

“Padrone… Mi spiace di avervi aggredito, vi porgo le mie scuse più sentite”.

William s’alzò sorridente: finalmente, avvertiva la voce dell’animale nella testa.

“Non fa nulla, Joey. L’importante, è che ora siamo nuovamente come prima: ora ci dobbiamo preparare… Combatteremo insieme l’ultima battaglia” decretò lo shinigami: dopo qualche carezza si voltò, seguendo Undertaker.

Quella lunga serata per loro non era ancora finita: dovevano prendere delle decisioni importanti.

E dolorose. 

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Capitolo 52
*** Empatia fraterna, il mare e il suo destino. L’alba porterà con sé il resoconto. ***


Ehilà! 
Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto molti impegni e problemi.
Ringrazio come al solito i miei recensori, chi legge e segue la storia.

AVVISO IMPORTANTE:

La storia resterà sospesa per un po' di tempo.
Non so quando riuscirò ad aggiornare, ma spero di potervi regalare il seguito di questa fic
entro il fine settimana, giorno più, giorno meno.

Dopotutto siamo agli sgoccioli... 

E spero che, come avete sopportato l'attesa della verità per ben cinquantadue capitoli, pazienterete ancora un po' :)

Avviso già che non manca molto alla fine, ma non si sa mai :)

E ora vi lascio ai misteri di magione Undertaker, 

Dove uomo e dio accettano le incombenze dei propri casati...






Federik stringeva un lembo della camicia all’altezza del cuore: aveva i denti digrignati dal dolore.
Non era un male fisico, causato da una qualsiasi ferita: quello era un male dell’anima.

Rischiava di perdere suo fratello.

La cosa più importante di tutte oltre sua madre.

“Abbattetelo” fece William James: Will Spears voltava la schiena ad Undertaker, a suo zio, a Federik, Hylda, David, Sebastian, Ciel e Fabian.
Oh, e naturalmente anche al diretto interessato: Jason sostava svenuto sul divano di seta verde, apparentemente inerme.
Jane ed Alice erano rimaste fuori dalla porta ad origliare e consolare Hilary, la quale piangeva in silenzio.

David storse la bocca.

“Il tuo sangue freddo non è cambiato, a quanto vedo”

“Preferisci che il mezzosangue rischi di far fuori il pianeta e le dimensioni divine? Sei un pazzo David. So quanto sia dura firmare la sua condanna a morte, ma è ciò che dobbiamo fare per salvare miliardi di vite innocenti”.

David guardò storto lo shinigami leggendario.

“Smettila!” replicò, non sapendosi difendere “Vorrei vedere se si trattasse di tuo figlio”

“In questo caso mio figlio non può morire, ma morirà se non ucciderai Jason Jones: se Alfred si impadronisse del suo corpo, avrebbe vita eterna! William non potrebbe ucciderlo e saremmo fregati”.

Il silenzio avvolse la stanza.

“Scacco matto” fece Undertaker, con il suo solito ghigno folle “Avanti, dovete decidere… O rischiare. Ma non è una cosa che vi consiglio…” le ultime parole le disse con aria vagamente triste: infondo, si era affezionato a Jason.

William non proferiva parola: non aveva la forza necessaria per decretare la morte del suo migliore amico.

“Uccidetelo”.

La voce era quella di Federik.
Tremante, insicura.
Piena di dolore.


“Avanti, che aspettate? Uccidetelo” disse: era straziato.

“Lui non fa altro che soffrire da anni… Non vuole che continui così! E' vero che sogna una vita libera, è vero che sogna di vivere accanto alla donna che ama, è vero che sogna di avere un figlio! Ma ciò non toglie… Ciò non toglie che lui non voglia sacrificare sé stesso per salvare le persona che ama! Jason non vuole vedere scorrere fiumane di sangue innocente… Ha già visto il nostro sangue… Scorrere… Sulla nostra pelle…”.

Scoppiò in un pianto: mentre parlava, le lacrime scendevano copiose, come un impetuoso torrente di montagna.

“Tu puoi leggere i suoi pensieri”.

Questa frase spiazzò tutti: perfino William si mise ad ascoltare.

“Puoi avvertire i suoi pensieri e le sue emozioni” fece Fabian: guardò con i suoi occhi dorati i colleghi stupiti, per poi soffermare lo sguardo sul rosso.

“Federik, in questo preciso istante si sono risvegliati i tuoi poteri da semi-demone: lo si nota dal tuo cambio d’aspetto. Vedi, i tuoi poteri di demone, combinati a quelli angelici, ti permettono di avere un minimo di Empatia: ciò è rafforzato dalla abilità degli shinigami di interagire con la mente di altri individui, ad esempio, gli animali. In questo momento tu stai esprimendo non solo i tuoi pensieri, ma stai anche riportando le volontà di tuo fratello” spiegò il mezzo angelo, staccandosi dal muro.

A quel punto, fu Ciel Phantomhive a prendere la parola.

“Fare a votazione in un momento del genere può sembrare una cosa stupida, però è l’unica soluzione che abbiamo: da ciò che mi è sembrato di capire, coloro che votano per la morte di Jason costituiscono la maggioranza… Ebbene: io sono custode e protettore della dimensione terrena, quindi… Fatelo fuori" disse, senza troppi giri di parole “Uccidetelo a sangue freddo: in questo modo, non si risveglierà nemmeno dal coma. Già, lo potete uccidere, oppure… Potete giocare l’ultima carta: se non ho capito male…”.

Ciel si portò, a fatica, davanti a Jason: lo scrutò con occhi di ghiaccio, pensieroso.

“… Sebastian, mere-da… Voltalo” fece, facendo segno al maggiordomo di togliergli la camicia.

Da buon inserviente qual era, il corvino ubbidì: il povero mezzosangue si trovò supino e denudato sul sofà.
Tanto dormiva di gran carriera, nessuno l’avrebbe svegliato.
Ciel fece scorrere il dito sulle cicatrici del ragazzo: provava ribrezzo alla vista di quel corpo martoriato.
Assottigliò lo sguardo: solamente un piccolo arabesco nero lo teneva incollato a suo padre.
Uno schizzo, situato fra il collo e la spalla.

“Se ho capito bene, le due anime sono interconnesse tramite questo schifoso scarabocchio: se verrà rimosso, salveremo Jason. Purtroppo per noi, quest’operazione è difficoltosa: abbiamo sei ore di tempo prima dell’alba. Sono sicuro che al termine della nostra sesta ora, la vita sarà difficile: Alfred ci ha avvertito tramite una sottospecie di possessione di terza categoria. Se non lo salviamo subito, la possibilità di abbattere Jason sarà una certezza. Potete farcela? William James, David Jones, Undertaker e Fabian Schonberg: un team vincente. Sarò felice di occuparmi della tattica di guerra: sono certo che mi daranno una mano gli altri. E se avrete bisogno di supporto… Sebastian è esperto in queste arti. Può rendersi utile: se un maggiordomo di casa Phantomhive non è capace di fare questo, non è degno di tale nome”.

Il nobile non aveva paura del giudizio altrui e credeva fermamente nelle proprie proposte: Ciel Phantomhive guardò con quello sguardo agghiacciante i presenti, ansioso di avere una risposta.


“Si può fare”.


Il giovane londinese si girò di scatto verso William: stava dando ancora le spalle a tutti, guardando imperterritamente fuori dalla finestra.
La tempesta imperversava ancora più violentemente di prima: piegava gli alberi ed allagava la terra.

“Sì può fare” ripeté, con tono fermo.

“Se allo scadere di queste sei ore non avrete fatto fuori quel cancro...” qui la sua voce si fece impercettibilmente tremante “In tal caso, dovrete fare fuori Jason. Senza rimorsi. Un colpo che lo faccia secco senza farlo soffrire”.


Avvertendo il silenzio in risposta, si innervosì: si girò di scatto, facendo trasalire i presenti.

“Sono stato chiaro?!” esordì, alzando la voce: suo zio pareva un po’ contrariato, ma poi un soffio d’aria gli fece cambiare idea.

A quanto pare, c’era qualcuno che appoggiava l’idea del proprio figlio.
E non era favoritismo: era giustizia.
David s’alzò, mentre James sospirava: un lieve sorriso gl’impastò le labbra.

“Come vuoi tu Tim… Ci proveremo fin all’ultimo”.

++++++++++++++++++++++++++++++++++

“Userete la cantina come “Sala dell’esorcismo”?” chiese William: lui ed Undertaker stavano passeggiando per i lugubri corridoi della magione, immersi nella semi-oscurità della notte.

Il becchino annuì, restando in silenzio, quasi pensieroso: l’operazione sarebbe stata veramente complicata, anche per uno come lui.

“Non dovresti dubitare di te stesso, sen-sei”

“Io non dubito di me stesso, William”.

Alla parola sen-sei, un sorriso spuntò sulle labbra del beccamorto: era da tanti anni che non lo chiamava più in quel modo.

“La verità è che sono realistico: ci vuole una forza d’animo mostruosa per controbattere quella che Alfred ha usato nell’imprimere la maledizione. Quasi tutte le sere ci recavamo nel bosco per recidere la pelle del ragazzo: è un lavoro che logora temporaneamente l’anima di chi è sottoposto alla terapia, può essere letale se il corpo non sopporta lo strazio. Vi possono essere dei rigetti: sono casi in cui il male racchiuso nel sigillo intacca le onde dell’anima, alterandole. Queste si comportano come cellule impazzite: infettano la coscienza ed il cuore del maledetto, alterando completamente la sua personalità. Lo trasformano in un demonio fuori controllo, in una macchina da guerra, spietata ed assassina”

“Vi ho visto una volta, nel bosco”

“Immaginavo fossi tu, quella notte”

“Mi guidò Sandia…”

“Se non ricordo male Jason aveva avuto un rigetto”

“Esattamente”

“Temi per caso che si possa ripetere, mandando a puttane l’esperimento?”

“… Esattamente”

“Pensavo che non avessi paura di nulla, William”

“Forse il vecchio me avrebbe reagito con la solita insensibilità, ma ora sono nuovo. O forse, sto tornando il William che ero quando avevo una vita: quando avevo una famiglia, quando il sangue non mi aveva ancora maledetto con il suo odore ferroso. Ebbene, una volta un uomo saggio mi disse che solamente gli stolti non avevano paure: se un uomo ha paura, non è un codardo, ma è un eroe. Un eroe, perché tiene cara la vita delle persone amate e farebbe tutto pur di salvaguardarla. Per questo motivo, io ora ho paura di perdere Jason: come ho avuto paura di perdere Jane e molti altri, io in questo momento temo per la vita del mio migliore amico. Tuttavia, anche se ho paura, ripongo la mia totale fiducia in voi e in lui: se Jason lotterà fino all’ultimo, sarà capace di battere il padre. Allora io combatterò per tutti voi, regalandovi una vittoria storica: in questo modo, potrò permettervi di potervi costruire la vita che avete sempre sognato, in un mondo di pace e giustizia. Per tutto questo, io provo paura”.


Undertaker restò a fissare in silenzio Will: ora lo vedeva come un grande e giovane uomo.
In quel momento, capì perché Thomas si era immolato per lui: si sentì orgoglioso del suo allievo, si sentì fiero come…

...Come…

Un padre.

“Sei diventato molto saggio, ragazzo mio. Ora è tempo per me di andare: riusciremo a salvare Jason”.

In un impeto di gioia fece per abbracciarlo, ma poi si bloccò: la sua espressione si fece cupa, così come la sua voce.

“E se l’operazione fallisse?” domandò, con voce tombale.

Will gli rivolse uno sguardo tanto gelido quanto triste: il dolore velava i suoi occhi smeraldini.

“In tal caso… Mi assumerò il compito di eseguire la sua ultima volontà: lo ucciderò con le mie stesse mani” disse, atono: quelle parole spietate aleggiarono nel corridoio ormai vuoto.

Undertaker si era volatizzato, con un’espressione sofferente sul volto: William rimase nel silenzio, con l’eco delle sue stesse parole nelle orecchie.
Rimase solo, solo con il suo dolore.

++++++++++++++++++++++++++

Ciel camminava con lentezza immane: storse il viso all’ennesimo dolore.
Quel dannato lo aveva ridotto male: la ferita sulla schiena lo faceva impazzire.
Entrò nell’ampia biblioteca: era una delle stanze più belle che avesse mai visto.
Gigantesca ed arredata con mobili intagliati, di legno scuro e profumato.
Il pavimento era ricoperto di morbida moquette color erba, mentre le pareti erano ricoperte di verde bosco, con motivetti monocromatici.
Gli scaffali erano immensi: una biblioteca del genere avrebbe fatto invidia a quella della “Bella e la Bestia”.
Ciel alzò il viso marmoreo e perfetto su uno scaffale che aveva attirato la sua attenzione: i capelli blu cobalto gli ricaddero dolcemente sul viso, accostandosi ai suoi occhi oltremare.
Stava sorridendo: amava vedere biblioteche ben tenute come quelle.
Con le dita affusolate prese un libro dalla copertina color oceano: era morbida al tatto, rivestita di un velluto profumato.

“Lettere d’amore di un marinaio” si intitolava il tomo.

Il sorriso si spense: il conte iniziò a rabbuiarsi sempre più.

Avvertendo una lieve pulsazione sulla schiena, Ciel si sedette su una poltrona verde: sfogliò il libro con delicatezza, soffermandosi lentamente sulle pagine bianche decorate da miniature blu, richiamanti il mare.
S’immerse nella lettura di un paio di righe, ma poi chiuse il libro: reclinò il capo all’indietro, chiudendo gli occhi.
Il passo che aveva appena letto narrava la nostalgia di un avventuriero coraggioso: attraversava il mare, con la stiva carica di bottini inimmaginabili.
Il viaggio era lungo e molto duro, sentiva la mancanza dell’amata, rimasta a terra ad aspettarlo: quando sarebbe tornato le avrebbe chiesto la mano ed avrebbero atteso la nascita del figlio.
La lettera struggente che il libro riportava, aveva messo a dura prova per un secondo la freddezza del giovane: dopotutto anche lui era un temerario marinaio e la sua avventura era come un mare burrascoso.

Guardando la sua situazione da una prospettiva diversa, la sua storia e quella del marinaio erano uguali: lui era partito per una missione pericolosa…

Per cosa poi?

Per poter riportare a casa il tesoro più grande: la libertà di poter VIVERE.

Vivere in pace, senza minacce.
Sapeva che lei lo stava aspettando: lo amava più di sé stessa, voleva che lui tornasse sano e salvo.
Lei non sapeva i rischi che stava affrontando, non aveva certezza sull’esisto della missione: il suo amato sarebbe potuto morire in battaglia, sarebbe potuto rimaner vittima di un complotto, un incidente.
Ma lei aveva fiducia in lui: non sapeva la guerra che stava combattendo, ma era certa dell’importanza e della lealtà a cui si stava prestando.
Sarebbe tornato, l’avrebbe fatto.

“Tornerò Elizabeth: tornerò e ti sposerò. Vivremo insieme felici e per sempre. Daremo alla luce un erede, figlio di un amore puro e conquistato: tornerò Lizzy. Solo per te, tornerò… Inoltre… Un Phantomhive non può sottrarsi ai propri obblighi” si disse, ad alta voce.

Tornò allo scaffale ed allungò il braccio per rimettere a posto il libro.
Una fitta di dolore lo fece cadere a terra: si tenne stretta la mano al petto, emettendo un verso strozzato.
Con un’immensa forza si alzò in piedi, stringendo i denti: avvertiva il sangue della ferita (probabilmente riaperta) colargli sulla schiena, ma non gli importava più di tanto.

Avrebbe sopportato il dolore, avrebbe vinto la battaglia, come in passato aveva già fatto: lo avrebbe fatto per Lizzy, ma non solo.
L’avrebbe fatto per sé stesso, per William, per tutto il genere umano.

Per suo padre, che lo guardava fiero da un posto migliore.


Prima che potesse cadere una mano lo prese per il braccio: Ciel si ritrovò a fissare gli occhi freddi di William.
Sembravano due pezzetti di vetro, taglienti.


+++++++++++++++++++++++++++++++

“Dovresti riposare: la battaglia non tarderà ad arrivare”

lanciò uno sguardo al libro caduto dalle mani del conte

“Ottimo libro: l’ho letto anni fa, ma ne rimembro varie parti. Di sicuro Lady Elizabeth sarebbe molto lieta nel vedere l’animo romantico che stanzia nelle profondità del vostro cuore”.

Ciel rimase impassibile, ma uno strano velo di sarcasmo scese sul suo viso.

“Shinigami, che ne sai tu del mio amore?”

“Sarò anche uno dio, creatura lungi dall’essere umano, ma sono un uomo, un maschio: perfino una divinità fredda come me conosce l’amore. E se fino a poco tempo fa conoscevo la definizione e l’etimologia, ora riesco a comprendere un significato più profondo: la vera essenza dell’amore”.

William fece una pausa, mentre Ciel, in silenzio, gli dava le spalle.
Improvvisamente si girò, vedendo la mano di Will sulla sua spalla.

“Quando sarà tutto finito, potrà chiederle di fare il grande passo: saremo tutti felici di partecipare al matrimonio dell’ultimo Phantomhive”.

Ciel sorrise.

“E io non vedo l’ora di assistere al matrimonio di uno shinigami” fece: notò del lieve imbarazzo nel viso dell’alleato.

“Affare fatto, allora” disse William: si lasciò andare in un sorriso, mentre una lieve brezza pettinava i suoi capelli castani e quelli blu del conte.

“Quando il sole sorgerà sul nuovo iniziò, parteciperemo ai nostri matrimoni: sia come sposi, che come invitati”.

Ciel rise: una risata fresca, giovanile e pura.

Non rideva in quel modo da tanto tempo ormai.

I due si strinsero solennemente la mano, per poi dirigersi verso il salotto: le ore passavano e l’alba stava ormai per arrivare.


Il cielo sanguigno avrebbe portato con sé la risposta: Jason sarebbe morto? 
 

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Capitolo 53
*** Esorcismo. L’inizio della battaglia? ***


Ehilà!

Vi regalo questo nuovo capitolo, ma vi avviso che non so quando riuscirò ad aggiornare, causa impegni personali.

Ringrazio come al solito lettori e recensori: siete unici!

Lasciate qualche recensione se vi va!

Alla prossima, 

Jaki Star




Dove diavolo sono? Vedo tutto nero, sento caldo e freddo: sono forse stato accecato dalla follia?
Sento che lui mi sta chiamando. No dannazione non adesso! Me lo sento: vuole il mio corpo. Non te lo concederò mai bastardo.
Maledetto cane, vattene! Vattene dalla mia mente! AH! Che dolore insopportabile: sento la pelle che se ne sta andando.
No! Mi stanno facendo a fettine. Reagisci dannazione, reagisci ed ammazzali tutti! Sei tu il più forte! Dominerò il mondo e- NO! NO cazzo no! Non voglio cedere no, non devo cedere!
Concentrati Jason: devi stare calmo. Sì devi stare calmo. Calmo e non pensare a niente. Non pensare al sangue che scorre. Alle arterie che pulsano. Non pensare alla pelle che si strappa. Stringi i denti e sopporta il dolore.
Sto parlando da solo? Ehehehehehe. Parlo da solo con me stesso, perfetto. Eheheheh.
Avanti, ora che ti sei calmato pensa… Pensa a loro… Alla mamma… Quella stupenda donna che nelle notti di febbre dormiva con te. Quella donna che non ti ha fatto mai mancare niente. Quella donna che ti ha abbracciato con il sorriso, nei momenti più bui. Anche fra le lacrime ed i lividi. Pensa a tuo fratello. Federik… La mia guida. Il mio punto di riferimento. Ha sempre voluto fare il grande: lo faceva per alleviare la mancanza di un padre. Di quel dannato cane, sudicio bastardo maledetto, che mi ha donato la vita. Un bastardo assassino, lurido malefico demonio. Pensa a David… Tuo zio… Quello che si è preso cura di te. Pensa a lei. Al suo dolce sorriso, al suo amore, al suo corpo morbido e caldo. Hilary.
Jason, fai così: non ti arrendere. Già, queste sono le sue parole. Le parole di LUI. Grazie Spears. Grazie mille davvero. William: sei il mio migliore amico.
Grazie a te, ora sarò libero. Per sempre.





La cantina era angusta, completamente libera e spoglia: una stanza nera con delle manette piantate nel terreno.

Cinque uomini.

Un ragazzo posseduto inchiodato a terra.

L’aria era rovente: l’intera stanza sembra fatta di carbone incandescente, una sottile polvere nera stanziava sul corpo dei cinque “Esorcisti”.
Mille scariche violette partivano dal corpo del mezzosangue: illuminavano le pareti nere d’un inquietante violaceo.
Il corpo del ragazzo si agitava come se fosse su una sedia elettrica.

Fra le mani di Undertaker c’era un pezzo dell’ultimo brandello di carne: se lo avesse strappato, sarebbe finita.

Il braccio dello shinigami era teso in uno sforzo immane: era soltanto un pezzo di carne, ma era legato al padrone da un’energia scura.
Il sangue scorreva ovunque sulle sue mani, insinuandosi sotto le lunghe unghie: digrignava i denti e tutti i suoi muscoli rilucevano di perlaceo sudore.
Lo stesso valeva per i suoi assistenti: erano tutti a petto nudo, con il corpo dipinto di strani segni.
Sotto il corpo di Jason vi erano infatti tre simboli sovrapposti: il primo, dipinto di viola, rappresentava il simbolo di Satana.
Il secondo, dipinto di verde, rappresentava il simbolo degli shinigami.
Il terzo, dipinto di bianco, rappresentava il simbolo di Dio.
Sebastian, David, James e Fabian erano inginocchiati a terra, con gli occhi chiusi e la faccia piegata in una smorfia di dolore.
William James sollevò lentamente le palpebre e pronunciò una serie di parole in shinigami antico.
Con il sudore che scendeva sulle tempie si alzò in piedi, mentre scariche elettriche partivano dalle sue mani.
Spalancò gli occhi ed urlò una parola antica: un’immensa ombra a forma di drago si stagliò alle sue spalle.
Gli occhi verdi e dorati dell’uomo s’accesero, mentre ruggiva: i suoi denti si erano tramutati in zanne spaventose.

“Undertaker! Tira!” urlò, mentre una scarica di potenza proveniente dalla sua anima illuminava i simboli.

Con un urlo disumano il beccamorto tirò con tutte le sue forze quel pezzo di carne.
Stava quasi cedendo.
L’ultimo strappo.

Forza.

Fallo per lei.

Per garantirle un futuro.

“Per te… JANE!!” sbraitò: un una forza inumana tirò quel pezzo di pelle.
Dai bordi del disegno sul pavimento s’innalzarono fiamme verdi, mentre ombre di draghi e lupi danzavano sulle pareti.
Tutti gli “Esorcisti” urlarono contemporaneamente: la scena si ripeté come al rallentatore.

Le urla che cessavano.
Il sangue che schizzava sugli uomini.
Il brandello di pelle stretto fra gli artigli di Undertaker.
L’urlo di dolore di Jason.
L’ombra di Alfred che si levava nella cantina.
La figura di Thomas che la colpiva dritta al cuore.

William James trafisse la proiezione del demone leggendario con una falce della morte: lo fece in silenzio, con uno sguardo di malcelata rabbia negli occhi.

“NON SARO' MAI TUO BASTARDO ASSASSINO!!” urlò Jason.

Le luci si spensero.

Il caldo svanì, lasciando il posto al freddo tipico delle migliori cantine.

William James si lasciò andare di peso a terra.


“Direi che è fatta” fece, ansimando leggermente: il pezzo con il tatuaggio sostava tra le mani di Undertaker, insozzandolo di sangue.

“David: come leggendario dovrai purificare la mano di Undertaker e bruciare la carne con il fuoco degli inferi” disse James, sospirando.
“Io e Sebastian cicatrizzeremo la ferita di Jason con i nostri poteri: dopotutto il nostro caro maggiordomo è il principe dei demoni, ormai” finì, rivolgendo un rapido sorriso al demone.

Michaelis sembrò stupito a quell’affermazione, ma poi allungò un mezzo sorriso e si sfregò le mani: concentrandosi intensamente, fece apparire il fuoco dei sigilli.
Le sue mani vennero avvolte da brucianti fiamme viola: James invece aveva i palmi avvolti da incendi smeraldini.

“Per il potere degl’inferi: sigilla le carni dannate di un maledetto. Sana la ferita tormentata di questo nefasto condannato” fece solenne il diavolo.

Appoggiò le mani su metà della ferita: Jason urlò di dolore, raspando il pavimento con gli artigli neri.

“Per il potere della morte e della vita, della sorte e della giustizia: salva e purifica le membra di questo schiavo. Proteggile sigillandole con il potere eterno della fine e dell’inizio: sconfiggi la crudeltà instillata violentemente in queste carni martoriate” recitò James: appoggiò la mano sulla ferita di Jason ed i due fuochi bruciarono intensamente.

Jason si dimenò, urlante: spalancò gli occhi fucsia, ruggendo.
La luce demoniaca nelle iridi svanì, lasciando spazio ad altri colori: talmente famigliari ma così… Estranei… come un ricordo confuso.
La sagoma dell’ombra luciferina di Alfred cercò di innalzarsi nella stanza.
Una mano oscura ed evanescente si agitò nell’aria: la nebbia offuscata del demonio si dissolse, scomparendo definitivamente.
Un diabolico sorriso rifulse nell’oscurità.
Una creatura fatta d’ombra avanzò dall’angolo della stanza: i suoi occhi dorati scrutarono Sebastian.
Il maggiordomo chinò il capo in segno di rispetto.
Il demone oscuro sorrise, mentre l’oro dei suoi occhi spariva nel buio.

Tutto svanì: i simboli, i fuochi, le catene.
Il caldo dell’inferno maledetto.
Il silenzio ed il freddo tornarono a regnare in quella stanza.


Le palpebre di Jason si alzarono, facendo spazio ad un bellissimo spettacolo: un alternarsi di cremisi e oro, con fiamme infernali blu mare che danzavano, l’iride contornata di verde smeraldo.
Ansimante, Jason si alzò: sembrava stupito.
Stupito e meravigliato.

“Non lo sento più…” sussurrò, incredulo.

“NON LO SENTO PIù!” urlò, in preda all’entusiasmo più grande.

Corse fuori dalla stanza, fino al salone: era sporco di carbone, a petto nudo, ma non gli importava.

Jane ed Alice si voltarono di scatto: Hilary, racchiusa nel loro abbraccio, voltò la testa.
Spalancò gli occhi cerulei, pieni di lacrime.
Jason esibì un sorriso tanto grande quanto stupendo: allargò le braccia, correndo contro l’amata. L’angelo si staccò dalle amiche e gli saltò al collo.
Jason la strinse a sé, facendola roteare in aria: ridevano, ridevano sinceramente… Le lacrime affioravano agli occhi bicromatici del mezzosangue: Hilary, una volta posata a terra, gli asciugò le lacrime.

Il figlio di Alfred Jones le regalò un meraviglioso bacio senza eguali.

Il giovane si staccò: vide sua madre.
La donna che amava più di tutte e che l’aveva messo al mondo.
S’incamminò lentamente verso di lei, ma poi non si trattenne e si catapultò ad abbracciarla.
Affondò il naso nei suoi capelli candidi, scoppiando in lacrime.
Sentiva le mani di sua madre artigliargli la schiena, ma non importava: ciò che contava, era averla di nuovo al suo fianco, sentirsi amato, senza il minimo influsso di quel folle di suo padre. Sentì le lacrime di Hylda Cavendisch bagnargli il petto segnato: non l’avrebbe mai più lasciata. Sua madre si liberò dalla stretta, facendosi da parte: sulla soglia della porta apparve la figura alta di suo fratello. Aveva un aspetto trasandato ed i capelli rosso carminio lo facevano apparire ancor più scomposto.

“Ciao” disse dolcemente Jason: vide Federik assumere una posiziona seria e schioccare le dita.
Il suo aspetto mutò, tornando quello ordinato di sempre: i canini si ritirarono ma i capelli restavano rosso scuro.

“Mio padre aveva i capelli così…” pensò Hylda: era orgogliosa di vedere i suoi figli finalmente liberi.

“Ciao Jason” fece Federik: le sue ampie spalle tremarono impercettibilmente.
Si slanciò ad abbracciare il fratello, piangendo in silenzio lacrime calde: nessuno lo vide piangere, ma Jason poté percepire chiaramente le gocce salate accarezzargli il collo.

Si staccarono quando sentirono un suono di passi: Ciel lo guardava, soddisfatto.

Gli tese la mano, e dopo aver scambiato una stretta con lui, si fece da parte: alle sue spalle, un’ombra nera fece capolino nella stanza.

William rimase inespressivo: camminò fino a trovarsi di fronte a Jason.
Lo shinigami gli porse la mano: Jason, un po’ disorientato la strinse.
Poco dopo sentì le braccia di William stringerlo in un rude abbraccio fraterno: il mezzosangue ghignò, ricambiando la stretta.
Quel gesto durò un istante, ma fu abbastanza lungo per permettere a Jones di carpire l’amicizia che lo shinigami provava per lui.
E per permettere a William di constatare quanta riconoscenza Jason avesse nei suoi confronti.

“Bene” esordì la voce agghiacciante di Undertaker “Ora che siamo tutti pronti… Che il finimondo abbia inizio”.

Il pendolo batté il termine delle sei ore, mentre un tuono squarciava la tempesta: la battaglia per la libertà era appena iniziata.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Un basso ringhio imperversava nella stanza.
Nonostante non fosse forte come l’eco della tempesta, la sovrastava.
L’odio e l’oscuro potere contenuto in quei suoni faceva vibrare l’aria.
Due occhi fucsia spuntarono fra le onde: più le fiamme contenenti in essi danzavano, più il ringhio aumentava d’intensità.
Nella stanza nera filtrava una luce flebile: dalla finestra, si poteva scorgere la cupa vegetazione piegarsi all’impetuosità del vento e della pioggia.
La porta alle spalle del demone si aprì con un cigolio: una figura arrivòdietro di lui, senza far rumore.

“Padrone, ormai è giunta l’ora”.

Gli occhi dorati del servo scrutarono con tensione la poltrona davanti ad essi: vi stava comodamente seduto il più terribile dei demoni.

“Non ho la minima voglia di parlare…” mormorò il re, con voce arrochita: il suo ringhio persisteva.

“Mi spiace per il tributo che ha perso ma-”.

Il giovane demone non riuscì a finire la frase.
Alfred lo aveva afferrato per la gola, intensificando sempre più la presa.

“Mi hanno strappato anche lui… Anche mio figlio… Il mio tributo! Anzi… Molto più di un tributo, caro Ray… Il mio unico e vero figlio… Non come quello schifo di Federik… Solo bontà e dolcezza…”.

A Ray parve, per un millesimo di secondo, di aver scorto un briciolo di umanità in quei mari scarlatti.
Ora, nelle iridi del re, predominavano il rosso e la violenza.

“Sono desolato, mio signore…” pronunciò, a fatica: non aveva più aria.
Avvertì la presa allentarsi.

“Sai… Mi è capitata una cosa strana, durante l’esorcismo…” disse, in falsetto.

Sembrava quasi uno psicopatico.
Ray si sforzò di restare impassibile: il suo sguardo era assottigliato, i suoi capelli biondi e neri evanescenti.

“Sono stato rispedito definitivamente qui… Grazie ad un potere d’ombra, in quel momento, più forte del mio… Un potere strano… In grado di manipolare l’oscurità… E’ raro… E posseduto da poche persone…”.

Ray s’impegnò per non deglutire, ma un rivolo di sudore tradì la sua apparente calma: Alfred lo stava ancora tenendo sollevato per il collo.
Avvertiva la costante pressione sulla giugulare.

“Mi fido di te, ma…” il diavolo si avvicinò al suo orecchio, stringendogli violentemente la gola.

“Bada di non tradirmi…” sussurrò, in un soffio: Ray rimase criptico, e non proferì parola.

Annuì faticosamente: Alfred lo sollevò ancora, per poi lasciarlo cadere a terra con veemenza.
Il demone minore si portò le mani alla trachea, tentando di respirare normalmente.
Il re dei demoni si girò di sbieco, fulminandolo con gli occhi cremisi.

“Vedi di non indurmi a pensar male di te, Ryan Gordon” disse, prima di sparire oltre la porta.

                                                                      



 

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Capitolo 54
*** Strategia. Partenza. Sentimenti. Anton Von Clay. ***


Mi scuso immensamente per il ritardo, ma ho avuto molti problemi e purtroppo non sono ancora finiti.
Non so quando riuscirò ad aggiornare: la storia ormai è quasi finita, ma mi sento in dovere di dirvi che non riesco a scrivere le ultime righe.
Purtroppo una... Diciamo "persona" ha lasciato questo mondo, quindi non sono nello stato d'animo adatto per mettere mano alla penna.
Ringrazio come sempre tutti coloro che seguono la storia, la recensiscono, la inseriscono fra i preferiti o semplicemente la leggono.
Lasciate una recensione, se vi va.
alla prossima,
Jaki Star



“Alfred si è ripreso, questa sera ho la riunione per gli ultimi dettagli. Per quanto mi ha riferito ieri, vuole prender d’assalto la base del conte: senza di lui, non avremmo i supporti dalla dimensione umana. Se quel cane riuscisse ad uccidere Ciel e Sebastian senza dare nell’occhio, avrebbe in pugno tutte le nostre forze: ora intendo spiegarvi il perché. Come certo sapete, i demoni hanno l’abilità di mutar aspetto, e di conseguenza voce: Alfred ed uno dei suoi scagnozzi prenderanno il posto del conte e del maggiordomo, facendo checkmate. Darà l’ordine ai nostri uomini di spostarsi in tutt’altra parte e dopo aver occupato la manor house, ci trarrà una trappola, in modo d’attirarci al suo castello: lì non avremo via di scampo. Oppure… Oppure ci avvolgerà in una tenaglia qui alla magione, con tutte le forze che possiede” disse cupo Ray.

Dei lividi violacei stanziavano sul suo collo.
Ciel Phantomhive si prese il  mento fra le dita e chiuse gli occhi con fare concentrato: passarono alcuni minuti in assoluto silenzio.

“Allora, se lo stupido piano di quel cane è questo, gli faremo trovare una bella sorpresa”.

Il conte fece cenno agli altri di venirgli intorno: iniziò ad esporre un contrattacco degno di uno scacchista suo pari.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

La giornata stava volgendo al termine, ormai: erano le sei di sera e il nobile del male si trovava sul terrazzo, rimirando i prati fioriti.

“Se il mio piano dovesse fallire…” pensò “Tutto potrebbe finire nel peggiore dei modi. Certo: non è stata tutta un’idea mia, ho solo dato un impulso ma…”.

Il blu si prese la testa fra le mani, inspirando profondamente.

“Ciel”.

I suoi occhi si spalancarono: quella voce…

“Perché ti comporti in questo modo? Non è degno di un Phantomhive: devi credere in ciò che fai, altrimenti non andrai da nessuna parte. Personalmente, trovo la tua strategia fantastica. Credi in te e non sbaglierai mai: guarda dentro te stesso Ciel, sei molto più di quello che sei diventato, molto più di quello che pensi di essere. Ti voglio bene, figlio: i’m so proud of you”.

Tutto ciò che poté vede il ragazzo, fu una leggera nebbiolina evanescente: di Vincent Phantomhive nemmeno l’ombra.

“Padre!” chiamò ad alta voce, facendo qualche passo in avanti: scoprì di avere il fiatone, nel freddo della sera.
Si guardò le mani: non c’era più alcuno squarcio, sul suo corpo.
Completamente risanato: come per miracolo.
Un paio di cicatrici erano le prove dello scontro con Alfred.

“Sei stato tu, vero?” chiese, con voce tremante: due occhi rosso scarlatto si illuminarono.

Le fiamme danzanti ebbero un guizzo, mentre due canini perlacei rilucevano nel buio.
David si staccò dal muro, dando le spalle al giovane: sembrava un tutt’uno con l’oscurità.
“Ha avuto il permesso dalla morte: Thomas ha voluto che Vincent ti facesse un regalo prima della battaglia” disse, tenebroso.
Poi ruggì appena, digrignando le zanne.
“Vedi di non tradire la sua fiducia” disse, per poi scomparire nella notte.
Ciel lasciò penzolare le braccia, mentre le fasce che le ricoprivano si slegavano lentamente.
“Farò tutto ciò che posso, padre. Grazie” disse, guardando le stelle.
Fece cadere tutte le bende a terra, rimirando i graffi pallidi che stavano scomparendo dal suo corpo: li osservò, per poi sorridere a labbra strette.
“Che conte Phantomhive sarei, se non riuscissi a sconfiggere un demone pazzo assetato di sangue?”.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

“Charles, ho bisogno di te, vieni qui”.
Charles si portò al fianco del proprio signore, seguito da Jorgensen.
“Mi dica, mio re” sentenziò Charles, dopo un breve silenzio.

Alfred ghignò.

“Così mi piaci… Obbediente… Fedele… Voglio una congiura”.

Jorgensen sollevò un sopracciglio, meravigliato tanto quanto il collega.

“Una congiura?” ripeté Charles, incerto “Contro chi?”.

“Contro Ryan Gordon”.


Charles vacillò: Ray… Com’era possibile?


“Per quale motivo, signore?” domandò, deglutendo.
“Mi ha stancato: non è più il cagnolino fedele di prima. Alla prima occasione che avrete in battaglia… Uccidetelo. Mentre è di spalle, mentre vi sta porgendo la mano, mentre vi aiuta a rialzarvi: fatelo fuori, fate in modo che le fauci della morte si stringano sulla sua gola fatta d’ombra”.

Charles esitava, rimanendo rigido.

Alfred lo guardò con gli occhi scintillanti.


“Uccidetelo”.

+++++++++ 

“Quindi siamo pronti?” fece James, guardando i colleghi: erano riuniti in una sala segreta della magione, prima della partenza.
“Il conte Phantomhive ha già predisposto il tutto: Ray ha avvisato Sebastian, Alfred partirà fra non molto. Il demonio non è  molto soddisfatto per aver perso il contatto con suo figlio Jason quando lo abbiamo “esorcizzato” una settimana fa: la nostra spia ha rivelato il resoconto di una sceneggiata davvero esagerata per un adulto del suo calibro. Ryan ha dovuto dare tutto sé stesso per non scoppiare a ridere”.

Una piccola risata bastarda partì dalla combriccola: c’era chi beveva un brandy, chi scherzava per allentare la tensione, chi se ne stava svagato con le mani in tasca.
Solo William e Jane mancavano all’appello: i loro colleghi avevano deciso di lasciarli chiarire le ultime cose in privato.
Perché ormai, tutti rischiavano di morire: nessuno escluso.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

William prese un respiro profondo: aveva indossato abiti comodi ed efficaci, quelli che suo padre usò per combattere contro Alfred.
Il completo era completamente nero: maglietta a maniche lunghe, pantaloni e un paio di scarpe molto strane quanto tecniche, che avevano qualche striscia argentea.

“Benvenuto, 007” mormorò, ammirandosi allo specchio.

Sul retro della maglia vi si potevano ritrovare due strani simboli: uno simboleggiante la vita, l’altro la morte.
Afferrò i suoi fedeli guanti neri e li indossò: si tirò all’indietro i capelli con un po’ d’acqua, si mise gli occhiali puliti.
Guardandosi allo specchio, con quella cicatrice pallida (l’unica sopravvissuta delle tante, oltre a quella sul cuore) provava un fortissimo senso di nostalgia.
Fece un sospiro triste, aggiustandosi la collana del drago: se la mise sotto il collo della maglietta, non seppe nemmeno il motivo, di quel gesto.
Si rimboccò la manica sinistra e s’agganciò il bracciale di suo zio al polso.
Lo scandire del tempo delle lancette del suo fidato orologio lo rattristivano sempre di più: non ne capiva il motivo, ma quasi pregava per poter riavvolgere il tempo.

Tic, tac. Tic, tac.

Si strinse il cinturino dell’orologio, con calma nostalgica.
Era come se una cappa di malinconia stesse ricoprendo il suo essere: fece un altro sospiro e si riaggiustò la maglia, osservandosi centomila volte allo specchio.
Un vento profumato filtrò nella stanza tramite la finestra aperta: William provò l’inconsistenza di due mani suoi occhi.
Dolce e silenzioso com’era arrivato, il soffio d’aria se ne andò.
Fu una cosa buffa: Will si era appena ricordato che quando, da bambino, suo padre doveva compiere una missione difficile, gli faceva un regalo.
Non erano sempre cose materiali: a volte, un incoraggiamento o un abbraccio in più gli davano tutta la forza necessaria.
Un gocciolina di sudore gli colò dalla tempia: con le mani tremanti si tolse gli occhiali.
Sorrise.

“Grazie padre” disse, con voce tremolante: un gratitudine infinita si scagliò contro il cielo, fino a raggiungere il cuore di Tim.

Che sorrise.

+++++++++

“Quindi è ora” dichiarò Jane: era appoggiata allo stipite della porta di William e lo guardava indecifrabile.
Will annuì e si voltò verso di lei: i suoi occhi verdi, freddi come la morte, le guardarono nell’anima.
La shinigami rabbrividì: lo sguardo penetrante del suo fidanzato le aveva scatenato qualcosa, nel cuore.

Paura, forse?
Ma paura di cosa?
Di lui?

No, non era quella: era la paura di perderlo, di perdere William Thomas Spears per sempre.
Di vederlo morire.
Di diventare una schiava sotto gli ordini di Alfred.

“Non avere paura. Sii forte”.

Le labbra di Will le sfioravano l’orecchio: sentiva il suo fiato freddo insinuarsi sotto i vestiti che le ricoprivano il collo.
Le prese il viso fra le mani ed iniziò a baciarla: non avrebbe mai più dimenticato il contrasto fra le sua labbra gelide e quelle di Jane, bollenti come lava.
Non avrebbe mai dimenticato il loro sapore, l’armonia che avevano nel muoversi sopra il suo viso.
Non avrebbe mai dimenticato ciò che c’era stato fra di loro.
Non avrebbe mai dimenticato l’amore per quella donna.
La missione era difficile, e lo sapeva: ma se fosse andata in porto, avrebbe fatto il grande passo.

“Sopravvivi ed aspettami: abbiamo cose importanti di cui parlare… Quando tutto sarà finito. Me lo prometti?”

Jane abbassò lo sguardo dorato, per poi ripuntarlo negli smeraldi di William.

“Promettere è poco… Io te lo giuro” affermò la figlia di Undertaker, per poi baciare con trasporto il suo amore.

Fu un bacio lungo, bramato, carico di desideri e sogni: carico di tutta la voglia di ritornare a casa e continuare una vita.
Una vita insieme.
Si avviarono fuori da quella stanza, verso gli altri: ora si iniziava veramente a combattere.

++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

Dopo una breve spiegazione, le armate di schierarono: tutto era predisposto nei minimi dettagli.

“Spero di rivedervi tutti interi, compari: vado a prepararmi e raggiungere le mie truppe, si sta facendo tardi. Stanno per partire, ormai” Ray si volse verso William “Sarà la sua di casa a bruciare questa volta: non la tua. Buona fortuna”.

Lo shinigami s’aggiusto gli occhiali sul ponte del naso con la falce.

“Non dimenticheremo i tuoi sacrifici”.

L’ombra di un sorriso apparve sul volto di Gordon: s’avviò verso l’uscio della porta, prima di scomparire in una nube di tenebre.

+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

William James intercettò lo sguardo di suo nipote: erano così simili, eppure così diversi.
Vestiti entrambi di nero, potevano apparire fratelli: già, nonostante l’età, James pareva molto più giovane di quanto non fosse.
Chiuse gli occhi zigrinati, mandando una preghiera a sua sorella Isabel.

“Proteggici, Isa. Grazie di tutto” pensò, mentre un vento profumato gli scompigliò impercettibilmente i capelli.

“Avanti, andiamo: l’ansia mi sta uccidendo” fece Jason, stiracchiandosi: s’allacciò il giubbotto nero di pelle, stringendo la cintura con le piastre metalliche.

Sembrava un metallaro vestito in quel modo, ma William non espose il suo pensiero: era il suo angelico stile demoniaco, dopotutto.
Un ossimoro.

“FERMI!” Bart irruppe nella stanza “Fuori ci sono due spie, stanno entrando dal retro: hanno già comunicato ad Alfred che siamo tutti qui, così ora non potremmo andare da Ciel e-”

“Calmo, Bart” fece Fabian, guardandolo con i suoi occhi stranamente dorati: ogni traccia di verde era sparita nel nulla.

“Fa tutto parte del piano: fra poco verremo sostituiti dalle illusioni. Tu resterai qui con le truppe rifugiate nel doppio fondo del pavimento”

“Io voglio combattere”

“Tu non combatterai. Il tuo cuore potrebbe non reggere: di nuovo”

“Il mio cuore ha affrontato battaglie ben più dure”

“Eri in condizioni diverse”

“Io voglio combattere”

“NO, TU NON COMBATTERAI!”

“Da quando in qua un bambino pretende di dare ordini ad un adulto?”.

A quel punto il giovane esplose: s’innalzò ad un’altezza di quasi due metri, afferrando Bart per il colletto.
Artigli alle mani e zanne da lupo al posto dei denti.

“PERCHE' VOGLIO PASSARE IL FUTURO CON TE, SCEMO DI UN PADRE!” sbraitò, ruggendo.

Solo dopo si accorse di ciò che era successo.
Vide gli occhi lucidi di Bartholomew, lo stupore nel suo sguardo.
Vide Undertaker ghignare e James socchiudere le labbra.
William sembrò avere una folgorazione e Jane si tappò la bocca con le mani.
Fabian lasciò andare il colletto del tutto fare, ritornando normale.
Si passò una mano sul viso, che cambiò: era abbronzato, con lineamenti più virili: la barba cortissima sul viso, i capelli corti e lisci, di un biondo scuro con riflessi dorati.
Il suo aspetto appariva come quello di un giovane cowboy americano: la bandiera rossa appesa al suo collo, dimostrava la sua vera identità.

“Ti ho cercato per così lungo tempo…” disse il vecchio, portando una mano ruvida e segnata al viso del ragazzo.

Egli si scostò poco dopo, con espressione ombrosa in volto.

“Volevo che lo sapessi più tardi. Non ora. Non prima della battaglia: in questo modo, se fossi morto non saresti stato consapevole della mia definitiva perdita. Ma a quanto pare, l’istinto animale viene prima di tutto. Ebbene sì” si voltò verso il suo pubblico, squadrandolo da cima a fondo.

“Sono Anton Von Clay. Suo figlio”. 

 

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Capitolo 55
*** L’inizio della fine: corsa contro il tempo. ***


Ehilà gente! 
Mi scuso per l'immenso ritardo, ma ora sono pronta per continuare: ringraziate il mio migliore amico, se ora ho trovato la forza necessaria per pubblicare. 
O maledicetelo, se odiate questa storia ahah :)

Ringrazio i miei pazientissimi recensori, chi segue la storia, chi l'ha messa fra le preferite e chi la legge in silenzio: questo capitolo è dedicato a tutti voi.
Perché senza di voi, uno scrittore non è nulla :)

Ora vi lascio al capitolo, sperando di riuscire ad aggiornare al più presto...

Un bacio ragazzi!

Alla prossima,

Jaki Star




“Anton...?” chiese incredula Jane: il biondo le rivolse un sorriso sincero.

“Ciao sorellina” disse, rivolgendole uno sguardo pieno d’affetto.

“Zii” disse, chinando la testa verso Undertaker e William James.

“Figlioccio” esclamò, facendo un cenno a William.

“Padre” disse, unendosi in un abbraccio con Bart.


“Ora posso morire felice…” sussurrò Bart, lasciandosi scappare una lacrima sul volto scuro e segnato.
A quella frase gli occhi di Anton si spalancarono: sentì Bart tossire forte ed allentare la presa su di lui.
“NO! Non devi morire, non adesso! Per cosa hai lottato in questi anni? PER COSA? Rispondimi, padre!” urlò, sorreggendo per le spalle il genitore.
“L’unica cosa da fare è mandarlo da chi lo può curare: riesco a teletrasportarlo fin da tua madre” disse risoluta Hilary.
Anton si ricompose, annuendo: la ragazza appoggiò la mano sul petto forte di Bart e una luce bianca lo avvolse.
“Si trova al sicuro, ora” lo rassicurò Rain: Von Clay annuì, alzandosi in piedi.
“Bene: dopo questa grande rivelazione… Possiamo andare a beve il digestivo da Phantomhive” dichiarò il biondo, avviandosi verso un portale appena aperto da David.

“Che le danze abbiano iniziò” commentò sarcastico Jason, lanciandosi con le mani in tasca verso il portale.

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“È giunta l’ora di ucciderti, Phantomhive…” fece la voce nervosa di Alfred: il predatore dagli occhi scarlatti s’avvicinò silenzioso alla poltrona in cui stava seduto il giovane conte.
Ignaro, l’umano continuava a leggere un libro: dava le spalle al demonio, beandosi del calore proveniente dal caminetto.
Sorseggiò con grande stile un goccio di tè, e si levò la benda dall’occhio: l’appoggiò elegantemente sul tavolino al fianco insieme alla tazza di porcellana, sempre senza voltarsi.
Alfred aveva ormai la prova sicura che si trattasse del figlio di Vincent: Ray aveva preso il posto di Sebastian, in modo tale che quel cane del figlio di Jacob non avrebbe potuto interferire.

“Addio… Akshaku” disse, tranciando con gli artigli d’ombra la poltrona preziosa.

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“Checkmate, dannato schiavo di satana”.

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Un’infinità di lame lo trafissero.
Alfred spalancò gli occhi fucsia, increduli: alle sue spalle, i suoi nemici.
Alle sue spalle, l’unico uomo di cui si era mai fidato veramente.


“Ray… Io…”

“Dannato bastardo… Quest’oggi, tu verrai trucidato dal prescelto, ed il tuo ricordo scomparirà fra le righe di qualsiasi libro di storia. Mi hai raccolto al termine di uno sterminio: ero un bimbo senza fede e senza conoscenza. Ma ero abbastanza intelligente, da poter capire che la causa di quello sterminio fossi tu: hai assassinato tutto il mio clan, hai ucciso la mia famiglia, schiacciato i miei principi, sputato sopra la nostra dignità. In tutti questi anni ho aspettato, ho aspettato ed ho aperto gli occhi: solamente la mia forza d’animo mi ha permesso di rimanere attaccato a quel barlume di sanità che mi ha permesso di emergere dalla tua follia. Perché io sono il “dio” demone… Dell’ombra. Non hai più scampo, Alfred: il grosso delle tue truppe sta bruciando nel tuo castello. La tua residenza sta andando in briciole, proprio come…”

“…Proprio come ridussi in cenere la mia dimora, duecento anni fa. Te lo ricordi, vero?!” esordì una voce profonda.

Alfred, inginocchiato, si girò: mille fiamme blu e bianche avvolgevano il suo carnefice.

William avanzò a passo lento: nei suoi occhi gelidi si scorgeva la morte.
Fu in quel momento, che il terrore si materializzò.
Alfred arretrò fino a trovarsi schiena contro il muro.
Iniziò ad aver paura di lui.

Alle spalle dello shinigami, le luci delle fiamme facevano strani giochi d’ombra: una nebbia evanescente formò l’immagine di Thomas Will Spears.
Aveva uno sguardo severo e spietato: proprio come quello del figlio.

“Arrenditi Alfred: tutti i tuoi uomini sono morti, il tuo castello sta bruciando, le truppe che hai inviato alla magione sono state tutte annientate e Jane, con gli altri, ha appena finito di ripulire i quartieri di Londra dai tuoi squallidi tirapiedi. I nostri alleati hanno conquistato tutte le tue postazioni, giocando d’astuzia: a quest’ora, il conte Phantomhive e Michaelis staranno piantando la nostra bandiera sul tuo territorio. Non ti rimane più niente, sei solo. Completamente SOLO” fece Ray, impietoso.

“Solo…” ripeté Alfred, con la voce spezzata: aveva un’espressione sconvolta.

“Com’è possibile? Giocato da dei ragazzini?! Charles era il comandante delle forze alla fortezza, lui non-”

Ray lanciò il corpo esanime di un uomo ai piedi di Alfred: il presunto Charles atterrò con un tonfo esamine sul pavimento, strappando l’ultima speranza del demone.

“Una congiura… Davvero una bella idea…” commentò il dio delle ombre, sarcastico.

“William…” ringhiò il demonio, fissandolo con furore: Will rispose allo sguardo, freddo ed impassibile come sempre.

“La tua fine è giunta, miserabile cane” disse, senza alcuna emozione “I tuoi luridi occhi non vedranno la luce del giorno, verme bastardo”.

Jason entrò nella stanza, incenerendo il padre con lo sguardo: Alfred lo ammonì, ma in risposta ebbe un ruggito possente come quello di un leone.
“Rimani al tuo posto, padre. Non ho più niente da spartire con te: le tue catene si sono sciolte nel tuo stesso fuoco infernale. Adesso, muori” disse spietato Jason: alle sue spalle Federik fissò il genitore con ben celato schifo.
La luce illuminò i suoi capelli sanguigni, mentre i suoi occhi rossi scarlatti scandagliavano l’anima impura del condannato.
“Tzé, sembri tuo nonno, Federik…” sputò il padre, facendo scorrere lo sguardo sui figli.
Girò la testa verso il minore.
“Tzé, sei la mia copia sputata, Jason… Peccato che il tuo buon cuore ti abbia tradito. Sarebbe stato bello, governare insieme. Avrei potuto darti tutto l’amore che cercavi”.

Il piccolo Jones contrasse le labbra e strinse i pugni, ma non replicò.

"William James, l’ultimo dei Ford, Undertaker e voi altri… David, fratellastro. Il traditore” disse, tenendo lo sguardo fisso sul mezzosangue.
“Addio, Alfred” fece Dave, ingoiando a vuoto.

“E poi c’è lui… Il piccolo del gruppo: William, l’ultimo degli Spears. Ma bene, tutte le forze al completo: mancano solo quel cane pulcioso di Anton, la fidanzatina di mio figlio, Ciel, il figlio di quello snaturato di Jacob e la sua sgualdrina. Oh! Dimenticavo il tassello più importante: la piccola Jane sta facendo l’eroina nel bel mezzo della battaglia londinese… E adesso, dovrei anche morire, eh?” disse sarcastico.

Piegò la testa in modo che nessuno lo potesse vedere in volto.
Poco a poco il suo corpo venne scosso da convulsioni leggere.
Improvvisamente si levò in piedi, ridendo come un pazzo.


“Sciocchi! Se pensate di avermi sconfitto perché avete fatto fuori i miei inutili burattini leccapiedi, avete sbagliato completamente! Vi ucciderò a mani nude uno dopo l’altro! Siete spacciati, l’orario della vostra morte è già stato prestabilito! Ma prima… Facciamoti soffrire, un altro po’, figlio di Thomas!” sbraitò.


Con una velocità inumana si scaraventò fuori dalla finestra, infrangendo il vetro: i suoi nemici si precipitarono al vetro rotto, osservando la figura del nemico addentrarsi a Londra.

“Che diamine vuole fare quel pazzo?! Inseguiamolo!” strillò Jason, fuori di sé dalla rabbia.

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“Facciamolo soffrire un altro po’…” ripeté William, ragionando.
Guardò di sbieco James, che improvvisamente si fece pallido: solo in quel momento capì.

“JANE!” sbraitò William, gettandosi disperato dalla finestra rotta. 


 

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Capitolo 56
*** Kovu: eroe. ***


Ehilà!

Scusate il ritardo ragazzi, ma l'ultima settimana prima delle vacanze, contrario a ciò che si crede, è la più impegnativa di tutte!

 

Ringrazio i miei recensori, i miei lettori silenziosi, chi segue la storia e chi l'ha messa fra le preferite :)

 

Vi invito a lasciare una piccola recensione, se vi va :)

 

Avviso che, purtroppo o perfortuna, mancano pochi capitoli alla fine della fic: spero vi piacciano :)

 

Alla prossima,

 

Jaki Star







L’unico a non seguire il prescelto fu Ray: cadde a terra, vomitando un’ingente quantità di sangue.

Sebastian lo raggiunse: non c’era più anima viva dalla parte di Alfred, tutti morti.

Ciel stava correndo con Alice e gli altri da Jane: il conte sapeva che per Ryan non c’era più scampo, ormai.



Per questo, aveva lasciato che Sebastian andasse da lui.









“Sebas… Tian…” sussurrò il demone dagli occhi oro: piano a piano, la loro luce si stava spegnendo.



“Ray… Che cosa hai fatto…?” domandò tremante il maggiordomo.



“Purtroppo… Le cose sono andate così… Charles… E Jorgensen… Un’imboscata…”.



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http://www.youtube.com/watch?v=xjmU-S8Anjo

Stai scappando.

Devi raggiungere Alfred per ingannare il conte.

Ma stai scappando.



Poco prima di poter indossare le protezioni sul petto, bussano alla tua porta.

Tu rivolgi lo sguardo dorato al legno d’ebano: prendi in mano la tua Death Schyte e ti rintani fra le ombre.

Esse ti avvolgono come una morbida coperta: sei nato fra di esse, ti proteggono.

Tu le governi e le rispetti, loro leniscono le tue ferite e combattono per te.

Solo tu sei il demone delle ombre: lo sai e ne sei orgoglioso.



Ma ti rattristi.



Sì, perché sei l’ultimo del tuo clan.





“Avanti” rispondi, con voce calda: intanto, l’oscurità ti avvolge come un’armatura.



Jorgensen entra: si guarda in giro, circospetto.

Gli uomini dietro di lui osservano impauriti la stanza: sanno con chi hanno a che fare.



“Signore, è l’ora…” pronuncia, guardandosi in torno a spada sguainata.



Ormai, solo i tuoi occhi dorati spuntano dalle tenebre.

Sei un essere fatto d’ombra ed oscura nebbia.



“Per cosa, di grazia? Non devo venire con voi, ma andare con il signor padrone” rispondi, ghignando: essi non riescono ad intravedere i tuoi canini perlacei.



“Il re nostro signore ci ha mandato per chiamarla… La prego, esca dalla sua culla di notte…” tenta di persuaderti, invano.



Tu ridi, ridi forte.

In modo diabolico.



“Ryan Kovu Gordon… Vi sembra così stupido da uscire allo scoperto con voi? E voi siete così stupidi da pensar ch’io cada nel vostro abile tranello? Cosa ordite dunque contro di me? Sono il vostro principe… Pensate forse di potermi abbattere? AH! Sciocchi, poveri illusi”.



Dai loro del filo da torcere, e lo sai.



“ORDUNQUE!” urli, comparendo all’improvviso: la luce d’oro che riflette la tua sporca anima li acceca, mentre tutt’attorno le ombre danzano indemoniate.

“Andate in cerca del nemico, immediatamente: non vorrete mancar di rispetto alle consegne del lord nostro padrone? Alfred ha disposto, e voi obbedirete. Io dispongo, e voi eseguite”.



Il sorriso diabolico che impasta le tue fini labbra tradisce la tua natura: ti stai facendo prendere un po’ troppo la mano dal tuo spirito medievale.

Prendi un profondo respiro: sei pronto per affrontarli, quando succede l’inevitabile.



Il pavimento cola: sabbie mobili di cemento ti incatenano i piedi.

Avverti una lama spessa trapassarti il cuore.

Alzi il capo, vedendo Jorgensen alzare la mastodontica spada a doppio taglio.

La scaraventa su di te come un’accetta nel legno: non riesci nemmeno ad  urlare, talmente è forte il dolore, talmente sei sorpreso.

Archi di sangue si spandono in aria, mentre ti usano come bersaglio: coltelli, lance, daghe, fruste.

Alle tue spalle, Charles ti graffia lentamente.



Dannato bastardo.



Ti sta tenendo sotto tiro con un piccolo crocifisso.





“Traditori…” sussurri: alzi gli occhi e vedi una cosa che ti fa terrore.



Qualsiasi demone, a quella vista, proverebbe terrore.



Ma poi ti rassegni, guardando il pavimento.

Le iridi dorate incrociano lo sguardo di Jorgensen: sembrano trasparire compassione.

Stappa la fatidica bottiglia: solleva il braccio.

L’acqua ti colpisce come lingue di fuoco.



Urli.



Urli come una matto.



Senti i polmoni bruciare per lo sforzo.

Senti la voce esprimere tutto il tuo dolore.



L’acqua santa ti penetra nelle ferite.

Bruci, bruci come un dannato: quelle ferite non si rimargineranno.



E tu morirai.



Di dolore.



Di dissanguamento.





Ma non morirai prima di aver visto l’alba del nuovo giorno spuntare.

L’alba di una nuova era.

La vittoria di William.

Ed è con questa convinzione che ti liberi dal cemento.

È con questa convinzione che urli, ma non di dolore.

La cicatrice fatta d’ombra, sotto il tuo zigomo, si allarga, fino a striarti il viso di nebbia oscura.



Il tuo potere.

La tua vera forma.



Un’esplosione di sangue, ed i tuoi avversari non ci sono più.

Sono morti.

E tu sei vivo.

Ma non lo resterai per molto.



Ti pulisci, indossando l’uniforme sopra gli squarci: devi resistere, per vivere.

E per salvare gli altri.


Ora hai finito di scappare, perché li hai fatti fuori tutti.

Con passo altero raggiungi Alfred: lui ti sorride, ignaro.

Tu ricambi, nonostante il tuo sangue stia colando dalle ferite mortali: devi sbrigarti, o collasserai.

Con un balzo entri nel portale: ormai è giunto il momento.


Salva il mondo, Ryan Kovu Gordon.



+++++++++++++++++++++++++



“Sebastian… Non mi rimane molto tempo… Perciò ascolta quello che ho da dirti…” sussurrò Ray in un rantolo: le sue membra straziate non ce la facevano più.



Era sdraiato, fra le braccia di Sebastian: sangue, sangue ovunque.

Una pozza immensa si stava formando dal corpo del giovane.

Tossiva continuamente liquido scarlatto per non rimanerne soffocato: l’unica cosa che trasmetteva forza, erano gli occhi.



“Dimmi, Ray…” lo invitò il  maggiordomo, mascherando il dolore in un digrigno di zanne.



“Voglio che tu sappia… Che anche dall’aldilà… io ti veglierò. E’ giunta l’ora per me di ricongiungermi al tutto: finalmente potrò riposare con la mia famiglia… E conoscere tuo padre… Voglio che tu ti prenda cura… Di un bambino”.





Michaelis spalancò gli occhi: un bambino?!





Ray sorrise, beffardo come sempre.





“Ho scoperto… Dell’esistenza dell’ultimo vero erede della mia discendenza… Quando io morirò, lui acquisterà la piena forza dei poteri dell’ombra… Vivrò, in mio fratello… Quel bambino è la speranza delle tenebre… Non faticherai a riconoscerlo…”.



“Ma i tuoi genitori non…?”.



Ryan sorrise ancora.



“Mia madre… Fuggì… Al suo posto venne uccisa la sua gemella, mia zia… Solo ora, in una lettera, ho scoperto la verità….”.



Le tenebre plasmarono un foglio.

Sebastian lo prese, chinando il capo.





“Dagli un nome, amico mio… E crescilo…”                                                    

“Lo farò, Ray… Mi prenderò cura di questo tuo fratello… Come se fossi tu stesso”.





Ray abbassò un poco le palpebre: la dolce luce dorata trasmetteva dolcezza e pace.

Una pace infinita.





“Addio… Sebastian Michaelis…”.



Ryan chiuse gli occhi.





“L’acqua santa ti ha diluito sicuramente il cuore… Tutta questa dolcezza…”.





Sebastian rise piano: il riso, si trasformò in singhiozzo.

Il singhiozzo, divenne pianto.





Restò inginocchiato con il cadavere del migliore amico fra le braccia.

Si alzò in piedi improvvisamente: gli occhi fucsia si accesero, con le fiamme dell’inferno più potenti che mai.



Le sue labbra si piegarono in un sorriso: il suo sorriso.

Il sorriso diabolico, da maggiordomo.

Il sorriso falso ed inquietante.





“Ti chiamarono Kovu, la cicatrice… Il rancore, la vendetta… Ora compirò la tua rivalsa… Ed alleverò tuo fratello… Con la maggior cura possibile… Se il maggiordomo di Casa Phantomhive non riesce a fare questo, non è degno di tal nome”.





E con queste parole sparì, dissolvendosi nella notte.

Pochi secondi dopo, era alle spalle del suo padrone.    



L’unico che poté vedere una lacrima trasparente piovergli sul viso perfetto.    




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Capitolo 57
*** Disperazione. La follia di un amore sradicato? ***


Ehilà! 
Scusate il ritardo, ma come sapete, la sessione natalizia è tutt'altro che calma e priva di impegni!

Vi regalo questo capitolo, avvisando che la fine è vicina...

Un grazie a voi lettori silenziosi, ai miei recensori, a chi ha messo la storia fra le preferite e/o le seguite: grazie di cuore :)

Colgo l'occasione per augurarvi un buon natale (anche se in ritardo, ma è il pensiero che conta xD) ed un felice anno nuovo :)

Alla prossima, ora vi lascio...

Ad una corsa contro il tempo...






 
Non importavano i tagli.

Bruciavano a contatto con l’aria fredda: non importava.

Poteva passare oltre a quel dolore.
Non poteva permettersi di perdere tempo.
Non poteva permettersi nuovamente quell’errore idiota.
Non poteva permettersi di perdere Jane, non un’altra volta.

Correva, correva come un matto.
Correva contro il tempo.

In quel momento, le palpitazioni d’amore e d’ansia per lei, raggiungevano le stelle.

Correva, correva e pregava: pregava che in qualche modo si salvasse.
Che Alfred non le torcesse un capello.

Erano così vicini.
COSÌ VICINI.
PERCHÉ?!

Poteva farcela: era veloce, forte, allenato.
Ma non onnipotente.
Già, quello no, per disgrazia.

Percepì l’anima di lei: come un incendio d’amore.
Solo per lui.
Eccola: eccola là.
In un vicolo.
Ormai c’era quasi.
Svoltò per una stradina, imboccando il vicolo.

D’un tratto la speranza si dissolse.
D’un tratto, la sua anima scomparve.
D’un tratto, il mondo di William crollò sulle sue spalle tanto forti quanto stanche.

La distruzione iniziò ad avvolgere la sua anima.

Come un fiume impetuoso.
Come un gelido veleno che s’instilla fra le crepe di un cuore distrutto.
Fra le crepe del cuore di William Thomas Spears.

“NO!!!!”. 


++++++

“Ormai è finita” pensa, volgendo lo sguardo su Londra: i nemici sono morti, tutti morti.
Le truppe si dirigono altrove: rimane solo lei, su quel tetto, a contemplare il macabro paesaggio londinese.
Anton, che poco prima era al suo fianco, l’ha lasciata un minuto da sola: si è spostato nell’altro settore a perlustrare la zona, nel caso in cui ci fosse stato qualche nemico sopravvissuto.
Com’era da programma, dopotutto.

Inoltre, Ciel, Sebastian e gli altri si stavano recando da loro, uniti contro Alfred.

“Chissà se William lo ha già fatto fuori?” si chiede, ignara.

“Mi dispiace rovinarti la sorpresa, ragazzina”.



Jane si volta, pietrificata: il demonio, ferito e sanguinante, le cammina incontro.

“Ormai è troppo tardi, ragazzina: se il tuo grandissimo amore avrà la mia testa, per lo meno vivrà infelice, fra i rimorsi ed i sensi di colpa, per il resto della sua esistenza!” sbraita, ridendo sadicamente.

Lei prova a reagire, ma non sente.
Avverte un dolore immane al petto.
Non riesce più a respirare.

Cade.

Sì: sta cadendo.
Poco prima di crollare al suolo sente una voce.
La SUA voce.

S’accascia a terra, mentre sente il suo nome.
William la sta chiamando.

“Scusa, amore mio” sussurra,  prima di sprofondare nel buio più totale.

Nel buio freddo della morte.


++++++++++++++++++++

“JANE!! JANE!!! JANE!!!!”.

Lo sguardo vitreo, la bocca dischiusa, il sangue cremisi che schizza e bagna il suo corpo perfetto.

Jane è morta.
Lui piange.

Dapprima non si accorge: crolla inginocchio, senza forze, mentre il diluvio piove dai suoi smeraldi.
Urla disperato, nessuno può consolarlo, nessuno può capire il suo dolore.

Si accorge di quello che sta facendo, serra le labbra, mentre l’acqua sgorga dai suoi occhi come il Nilo quando distrugge le argini.
Si rende conto di aver perso il suo self control, si rende contro di star esprimendo i suoi sentimenti, si rende conto di essere indifeso, si rende conto di aver rovinato la sua reputazione.

Chi se ne frega.
Lei è morta.

Continua a urlare, prende il SUO corpo fra le braccia, lo stringe, si insozza di sangue i vestiti neri, si immerge nel lago rosso nel quale galleggia il corpo senza vita del suo amore.
La chiama, lei non sente.
Lei sta scivolando dalle sue braccia, si sta arrendendo all’abbraccio freddo e spietato della morte.

Lui ride, il bastardo, ride, il dannato.

William è senza forze.
Allunga la mano sul petto della ragazza e prova a sentirle il cuore.
Le sue speranze si dimezzano nel sentirlo immobile.
Fa scivolare le sue dita affusolate sulla carotide marmorea: nulla.

Le sue speranze si inceneriscono, volano trasportate dal vento, come granelli di polvere.

Due mani grandi e forti lo spostano: lui è inerte, si lascia fare.
I suoi occhi sono pallidi ed assenti.

“Fatti forza…” sussurra Jason: ha la voce rotta e lo sbatte leggermente per le spalle, tentando di rianimarlo.

Lo fissa negli occhi e non vede nulla: sembrano due scodelle di pittura troppo diluita.
La luce smeraldina delle sue iridi non esiste più.

“Come è potuto accadere a me… Come è potuto accadere a lei…” dice Will, con un filo di voce “Non vedo più niente: solo il buio della solitudine, l’oscurità della morte…”.

Il controllo di Jason si spezza e lo abbraccia.

“Amico mio… Non arrenderti anche tu: combatti… Combatti…”.

Piange anche lui ormai.

“So che cosa provi, lo so… REAGISCI WILL!”

Guarda inutilmente negli smeraldi di William: sono ridotti come due pezzi di scialbo vetro, inespressivi e piatti, levigati dall’acqua del fiume…

Non sono affilati, non sono taglienti.

Non ha più la forza di restare inginocchiato: Jason Jones deve sostenerlo.

Alfred ride, fissando il trio.
Jason appoggia William e si alza di scatto, incenerendo il demonio con uno sguardo assassino.

“PADRE SEI UN BASTARDO! UN LURIDO BASTARDO! TI ODIO, SEI UN MALEDETTO!” urla, fremente di rabbia.

Un fracasso di rumori di passi alla loro spalle: i rinforzi sono arrivati troppo tardi.

Undertaker urla come non ha mai fatto in vita sua: sta impazzendo di dolore.
William James Ford spalanca la bocca, non riesce a fare nulla, non può fare nulla: vede suo nipote prostrato a terra a piangere, a disperarsi, ad annegare nelle sue emozioni.
David sbraita, solleva i suoi occhi fucsia e li punta in quelli di suo fratello.

“Sei un bastardo!” sbraita nuovamente, continuando a ripetere la frase, indicando Alfred, fremendo dalla voglia di farlo a pezzi.

Hylda rimane paralizzata, Federik la scuote, senza capire cosa turbi sua madre: suo fratello Jason gli lancia uno sguardo disperato e rancoroso, allora lui vede suo padre Alfred.
Successivamente fa un passo ed il suo anfibio affonda nella pozza cremisi, schizzando sangue dappertutto.

Vede Jane ed impallidisce, vede William ed il suo cervello gli dà una risposta.

“L’hai uccisa…” sussurra, guardando il padre negli occhi.

Lui annuisce e sorride sadicamente, mostrando le sue mani, le sue braccia, il suo petto coperto di sangue.

“ME L’HAI AMMAZZATA! ME L’HAI AMMAZZATA BRUTTO BASTARDO! MALEDETTO ASSASSINO! NON TI E’ BASTATA MIA MOGLIE: TI SEI PRESO ANCHE LEI! IO TI AMMAZZO BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!” sbraita Undertaker, stringendo il corpo esanime della figlia.

Alfred ride sguaiatamente

“No, Undertaker, non mi è bastata tua moglie ed ora non mi basta nemmeno tua figlia: io vi voglio tutti. Mio figlio Federik, mio figlio Jason, mia moglie Hylda, mio fratello David, TU, il mio peggior nemico William James, il maledetto erede William, l’angelo umano Hilary, il demone Sebastian, l’umano Ciel, la diavolessa Alice: vi voglio TUTTI!”.

 

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Capitolo 58
*** Speranza. L’ultima battaglia per la vita? ***


Buona sera a tutti!

Mi scuso molto per il ritardo, purtroppo ho avuto molto da fare.
Se questi si uniscono ad una marea di probblemi uniti ad un umore pessimo, siamo a cavallo.
Spero che questo capitolo vi piaccia, è l'unico modo che ho per farmi perdonare da voi...
Avviso inoltre che manca pochissimo alla fine, ma non per questo non ci saranno delle belle sorprese...
Ringrazio tutti voi di cuore: lettori silenziosi e recensori, senza di voi, non avrei senso di esistere su questo fandom.

Vi lascio alla storia, augurandovi un buon anno pieno di felicità e fortuna.

Alla prossima, 

Jaki Star






 Il demonio rise nuovamente, mentre si passava le dita sulle labbra.

“Dolce, come quello di sua madre… Amaro, come quello di suo padre! Ahahah”

fece per avventarsi su loro, ma qualcosa lo bloccò.

“E di me non ti curi?” chiese una voce baritonale.

Qualcosa lo azzannò alla giugulare e lui gridò.
Il predatore si staccò e tornò nell’ombra, dalla quale spuntarono due occhi: uno giallo e nero, l’altro verde e corvino.
Un ringhio gutturale placò le urla di dolore del demone: Alfred si girò verso la sagoma umanoide che stava emergendo dall’oscurità.
Via via che si avvicinava la sua forma si faceva sempre più umana.

“Ma naturalmente… Mi dimenticavo di te: Fabian Schonberg, alias Anton Von Clay… Il mezzosangue dell’aldilà, il Dio dei lupi”. 

Il ragazzo scoprì le zanne insanguinate e gli artigli.

Con un balzo atterrò al fianco di Jane.
Scostò con gentilezza Undertaker e si chinò sulla ragazza: le annusò il viso, assottigliò lo sguardo e scoprì i canini.
Accarezzò con una mano ricoperta di pelo grigio e provvista di artigli il viso marmoreo della ragazza, ringhiando il suo dolore.
Si alzò in tutta la sua maestosa altezza: era alto più di due metri.
Del folto pelo nero iniziò a crescere sul suo corpo, spuntando dal colletto della maglietta bianca.
I suoi muscoli si gonfiarono: l’unica cosa umana che aveva era il viso.
Per il resto sembrava una bestia.
I suoi capelli biondi erano spettinati ed assomigliavano ad una corta criniera, così come la sua cortissima barbetta incolta.
Ruggì possentemente, fissando truce Alfred.

“Hai ucciso mia sorella, tu non la passerai mai liscia, morirai e patirai le pene dell’aldilà per sempre!” urlò, mente l’altro lo guardava innervosito.

“Ti aspetto Anton! Ma purtroppo per te, questa punizione non accadrà ogg-.”


Un colpo possente raggiunse il volto di Alfred che cadde all’indietro, scivolando sulle tegole.

Il suo naso era rotto e perdeva sangue: la fulgida luce di un bastone argenteo insanguinato splendette nel buio.




Alfred si alzò, continuando a sanguinare.
William era in piedi: il suo sguardo era ancora perso, ma il suo corpo era teso, fremente di rabbia.
Il suo viso era rivolto verso il basso, dalle sue labbra uscivano strani sibili.
Alzò di scatto il capo: la sua espressione era per metà distrutta, disperata e per metà colma di livore e furia cieca.

“Te ne pentirai amaramente…” sibilò.



Una seconda bastonata raggiunse il demone in testa: cadde nuovamente, in preda al dolore.
Nessuno aveva visto la velocità di quel dio.
Era appollaiato sul tetto affianco a quello di Alfred, lo fissava in preda alla rabbia più pura: il vecchio William non esisteva più, ora c’era una bestia assassina assetata di cruda vendetta e sangue demoniaco.

Jones si alzò, barcollante: quelle ferite erano una autentica agonia.

“Io ti ammazzo…” sibilò il divino, a denti stretti.
Un pugno raggiunse il diavolo sulla guancia sinistra ed un altro si schiantò sul suo occhio destro.
Un altro gli si impiantò nello stomaco ed un altro ancora lo raggiunse sulla gola.

“Io ti uccido…” gli sibilò, nell’orecchio.
Un altro colpo lo raggiunse sul ginocchio.

“Ti faccio a pezzi…”
il dolore si propagò sulle sue costole sinistre.

“Non ne uscirai vivo…”
una potentissima ginocchiata lo raggiunse in mezzo alle gambe, cadde e rotolò sulle tegole, picchiando la testa su di un camino.


William si tese il guanto sinistro
“Io sono la morte: ti strapperò il tuo cinematic record a morsi”.


Sul suo volto bianco apparve un’ombra bieca che gli oscurava gli zigomi: rafforzò la presa sul manico della Death Schyte e Alfred lo guardò, mentre un rivolo di sangue gli colava dall’angolo delle labbra.

“Io sono William Thomas Spears: supervisore della Sezione Invio Dei Della Morte e settimo shinigami leggendario. Preparati: dopo una lunga agonia, la tua anima nera sarà recisa e bruciata nel fuoco infernale”.


Ad Hylda scappò un urlo: William aveva assestato un calcio nello stomaco talmente potente al suo avversario che volò cinque metri più in là.
Il demone era schiacciato contro la parete.

In trappola.

William continuò a prenderlo a calci, dissennato.
Era furioso.
Disperato.
Rancoroso.
Impazzito.

Hylda cacciò un urlo più potente ed i suoi due figli le furono al fianco.

“Madre, che succede?” chiese Federik.
“Mamma, che ti prende? Alfred le sta prendendo, se le è meritate tutte: morirà per mano sua e nulla lo potrà salvare”  
“E’ tuo padre Jason, è VOSTRO padre, Federik: è l’uomo che ho amato, a cui mi sono concessa. Lo odio, è un assassino, un bieco bastardo: ma lo sguardo di William… Il modo in cui sta castigando Alfred… Il suo sguardo è uguale a quello di vostro padre mentre massacrava la sua famiglia” disse la giovane donna, mentre i suoi occhi blu si riflettevano in quelli dei figli.

Non si trattenne e li abbracciò: mentre loro ricambiavano, si ricordarono dello sguardo folle del padre.

Lo aveva quando erano scappati.
Lo aveva quando aveva sterminato la famiglia Spears.
Lo aveva quando aveva ucciso la prima volta Hilary.
Lo aveva quando stava ammazzando William.
Lo aveva quando aveva ammazzato Jane.

La donna sciolse l’abbraccio e fissò il cielo: sbiancò all’improvviso, come se avesse visto un fantasma.
Forse era quello che aveva visto veramente.
Una sagoma lucente, bianca come un foglio, osservava contrariata e seria William che pestava Alfred. 
Il suo volto cambiava costantemente: prima era quello di un uomo sfregiato, poi era il muso di un drago, poi era quello di un lupo, poi era nuovamente quello dell’uomo, ma non sfigurato. 
Si rivolse ai presenti, come se William ed Alfred non esistessero.

“Eroi, il vostro compito non è ancora adempiuto” una voce potente, chiara e tonante raggiunse gli spettatori del massacro del diavolo.

David si alzò massaggiandosi la schiena, d’istinto James dischiuse le labbra, Hylda si coprì la bocca, mentre i due gemelli diversi la spalancavano, stupiti.
Undertaker alzò lo sguardo disperato sulla figura: la sua espressione mutò.
Nei suoi occhi gialli si accese la speranza, sulle sue labbra aleggiò un sorriso.

“Thomas!” esclamò stupito Anton, che sorrise a trentadue zanne e saltò davanti all’uomo: lo fissò esaltato, senza dire una parola.
Il suo cuore batteva ad un ritmo selvaggio, sentiva il bisogno di ululare, di gridare, di abbracciarlo.
Tim ricambiò il sorriso, anche se si limitò a curvare le labbra, beffardo: la sua cicatrice irradiava potere.
Era vestito in modo strano: un mantello avvolgeva la sua figura, indossava degli anfibi, un paio di Jeans, una cintura con piastre metalliche.
Da essa pendevano delle catene sulle quali c’erano incastonati piccoli crocifissi d’ematite, piccoli draghi avvolti ad una lancia, alcune zanne di diamante, sagome di lupi…
Infiniti ideogrammi e simboli legati all’aldilà, alla morte ed alla vita, al bene ed al male.
La sua maglia sembrava l’armatura di un cavaliere: era nera, su di essa erano ricamati degli ideogrammi che si incastonavano in un complesso disegno.

Vita e Morte, Ordine e Caos, Buio e Luce, Giustizia, Re, Aldilà.

Al collo portava una catena d’argento dalla quale pendeva una grande e strana croce: era d’argento e oro, al centro c’erra una grande sfera di rubino.
Risplendeva come se possedesse luce propria: all’interno del globo c’era un drago di smeraldo, con la cresta, le zanne e gli artigli di platino.
Al fianco di esso c’era un lupo: il corpo era fatto di platino, diamante ed alabastro, con una spruzzata di argento, un occhio era di topazio, l’altro di smeraldo.
Le zanne erano di zaffiro, così come gli artigli.

Nessuno sospettava quale immenso potere avesse quella collana.

Sulla cintura era applicata una custodia dalla quale pendeva la sua falce: era sotto forma di un’innocua falcetta.
Anton si inginocchiò davanti a lui: sembrava un cucciolo che si accoccolava ai piedi del padrone.

“Salve maestro” disse piano, con il pugno stretto sul cuore.

Fissò gli occhi smeraldini e face un balzo all’indietro, atterrando accanto al corpo di Jane.

Si accucciò su di lei e le sussurrò “Stai tranquilla: resisti ancora un poco, l’amore ti salverà”.

Thomas Will Spears atterrò davanti alla truppa: tutti si alzarono e lo fissarono.

“Lei non morirà”
“Ma questa volta è già morta” disse cupo Undertaker.
“No, la mia forza la tiene in vita… Ma è anche merito del suo amore e della sua fiducia” disse, senza dare ulteriori chiarimenti.
Il suo crocifisso, intanto, splendeva sempre più.

Sorrise ai gemelli diversi, a Hylda, a Sebastian, a Ciel, a suo cognato, a David… A tutti.

“Guardiani!” tuonò, improvvisamente: Undertaker e Anton si rizzarono repentinamente.

James avvertì un formicolio pervaderlo e sorrise, beffardo.

“Avanti re: fammi vedere che sei ancora quello di un tempo”

“Certamente Will!” ribatté Tim, gonfiando il petto e lanciando uno sguardo di sfida al cognato.

“Guardiani, che state facendo? Vi sembra di star tenendo fede al vostro giuramento? Mio figlio si sta consumando dall’odio e dal dolore, la mia nipotina sta morendo… Il mio miglior nemico sta vincendo: allora, dove è il vostro giuramento?!”.

Anton abbassò lo sguardo, fissandosi le punte dei piedi, mentre Undertaker spostò gli occhi su William: stava prendendo a calci  Alfred.
“Non va bene… La sua anima si sta corrodendo” sussurrò “Se potesse vedere Jane…”.

“È qua il mio giuramento!” esclamò Anton: si morse il dito ed alcune gocce di sangue colarono dal suo pollice.
Si scrisse l’ideogramma dio sul cuore.
Undertaker ghignò.

“Vediamo che hai imparato, nipotino… Ihihihihih!” fissò negli occhi l’amico, sghignazzando.

“Andate a prendere quel ragazzo…” sussurrò Thomas, rivolto ad Anton e al becchino.

“Jason, Federik: andate a prendere vostro padre. Avrò bisogno della collaborazione di tutti voi: mi piacerebbe prendere mio figlio con le mie mani, però devo salvare la vita di questa ragazza. William James e David, voi mi aiuterete per i pentacoli. Hylda: ci sarà bisogno della tua esperienza e della tua precisione. Sebastian, Ciel, Alice, Hilary: voi dovrete guardarci le spalle durante l’operazione… Se vi troverete in difficoltà arriveranno i rinforzi, non preoccupatevi”.

Hylda rise, beffarda.
“Ecco da chi ha preso quello sciamannato a fare il leader” disse, con un sorriso amaro sulle labbra.

“Non ero io il capo in casa” sorrise Tim, voltandosi verso la battaglia.
“Squadra… Let’s go!” gridò lo shinigami castano: tutti si misero in posizione.

Anton si trasformò: il suo viso aveva i tratti umani però sembrava lo stesso una bestia.
Undertaker sguainò la sua immensa falce, ghignando sadicamente.

“Avanti nipotino: andiamo a prendere il cuginetto”
“Con piacere, zio” rispose il lupo: ora era interamente una bestia, anche per il muso.

Si lanciarono sul tetto, seguiti da Jason e Federik: era ora di bloccare quella follia. 




 

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Capitolo 59
*** Scontro finale ***


Buona sera a tutti, mi scuso immensament eper il ritardo. 
E quindi, siamo quasi giunti alla fine: manca poco, alla conclusione del nostro viaggo.
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento: ringrazio come sempre i miei lettori ed i miei recensori.
Vi invito sempre a non essere timidi, facendomi sapere ciò che pensate della storia.
Vi chiedo di ascoltare la "canzone" che ho messo nel testo: nel momento in cui troverete il link, non esitate a cliccarci sopra.
Ora vi lascio a queste righe.
Alla prossima, 

Jaki Star


Prima che William potesse colpire nuovamente Alfred, Jason scaraventò il padre il più lontano possibile dal migliore amico con un possente calcio.
Non appena i suoi piedi toccarono terra, si slanciò verso il genitore per bloccarne i movimenti, ma Federik fu più veloce: assestò una gomitata dietro il collo di Alfred, in modo tale da farlo cadere inerme sul tetto.
William, in preda alla furia, si voltò verso di loro: il suo sguardo arrossato, carico di vendetta, voleva torturare quella feccia immonda.
Non fece in tempo a muoversi che il manico della falce di Undertaker gli calò sul cranio.
Cadde in ginocchio, mentre il becchino lo bloccava: come un lampo, Anton calò su di lui, prendendolo per le spalle.
Will rimase a fissarlo, ringhiando immobile: la lucidità stava tornando, forse.
Anton restò a fissarlo con i suoi occhi stranissimi: irradiavano una luce mistica e rilassante.

Will chiuse gli occhi.

Ricordò quelle scene.
Ricordò sé stesso.
Ricordò chi fosse.



Lui ti innalza al di sopra della folla.
Tu sei quello che aspettavano.
Sono felici per te.
Tu, sei così puro.
Tu li ami.
Loro ti hanno creato.
Nonostante tutto, lui vive in te.
Tu sei il futuro: impegnati a mantenere le tue promesse.
Tu, vivrai.
Tu, ti sposerai.
Tu, creerai figli.
Tu, li crescerai.
Tu, li vedrai diventar grandi.
Tu, invecchierai al loro fianco.
Tu, verrai sorretto da loro.
Tu, sarai un eroe.
Tu SEI un eroe.
Vai a vincere.
Tu, sei William Thomas Spears.
Tu, sei il figlio di una leggenda.
Tu, sei il figlio di Thomas Will Spears.
Forza, William.

Ricordati, chi sei.




Con gli occhi chiusi, si alzò in piedi: il vento lo avvolgeva, scompigliandogli i capelli.
Nelle sue iridi verdi baluginava una luce: una luce calma, una luce vincente.
Anton ed Undertaker saltarono al fianco del corpo inerte di Jane: la ragazza stava guardando William.
Stava sorridendo al suo amore, stava sorridendo alla vita.
Distesa fra le braccia di Thomas, guardò suo padre: lui l’abbracciò in silenzio, per poi riconsegnarla al fantasma.

“Ma tu chi sei veramente?” chiese a Tim, che le sorrise: un sorriso furbo e sincero, come quello di William.

“Io non sono solamente uno shinigami. Io sono uno dei signori dell’Aldilà. Io sono la morte in persona, piccola mia: colui che decide le sorti” fece, con voce calma: il suo crocefisso emanava una luce calda e piacevole.

“Grazie a te, mio figlio ha ritrovato la luce: benedirò la vostra unione, figli miei. Perché il mio spirito, vive in lui” disse, facendosi evanescente: era proprio uguale a Will.



Mentre Jason e Federik tenevano occupato Alfred, William s’avvicinò a passi lenti verso suo padre e la sua ragazza.
Chinò il capo al cospetto di Tim, il quale sorrise: gli consegnò la shinigami, che si riparò nell’abbraccio dell’amato.

“Mi dispiace…” sussurrò Jane “Non sono stata abbastanza forte per-”

“Shh” la interruppe il castano “Non ti devi scusare. Non sono stato in grado di proteggerti… Di nuovo… Aspettami qui: quando tutto sarà finito, devo dirti una cosa”.

Detto questo, William si alzò.

“Jason, Federik: ora tocca a me” disse, fissando negli occhi Alfred.

I due fratelli si scostarono e William atterrò qualche metro dal demone.

“Ti pentirai di non essere morto subito” dichiarò semplicemente lo shinigami.

Il demone rise beffardo, guardandolo con quegli occhi folli.

“Ti conviene scappare, piccolo”.



Iniziò lo scontro.


Will fletté le ginocchia e si lanciò contro il demone: erano talmente veloci, che l’occhio umano non poteva scorgerli.
Le lame stridevano, lanciando scintille sui tetti di Londra.

“Se pensi di poterne uscire vivo, maledetto cane, ti stai sbagliando!” sbraitò Alfred, arretrando fulmineo, mentre la falce di William sfiorava la sua camicia.

Con un artiglio fece un taglio sulla guancia destra dello shinigami.
Il dio si torse su sé stesso e sferrò un calciò alle costole del diavolo.
Il moro arretrò, sputando bava.
Will incalzò ancora, menando un fendente: il demonio lo evitò scartando lateralmente e distese la gamba.
Will alzò il braccio e parò il calcio: cadde all’indietro e si sollevò su una mano, allungando la falce.
Sentì la presa su un osso e chiuse la cesoia: un fiotto di sangue partì dal petto del demone, ma questi si mise a ridere follemente.
Prese l’estremità della falce, attirando a sé William: fulmineo lo morse, ma il ragazzo se lo strappò di dosso, caricandoselo in spalla.
Con una forza inumana lo scaraventò nel bosco, abbattendo qualche albero.
Lo shinigami lo rincorse senza perderlo di vista: i rami lo graffiavano ovunque e le radici lo facevano inciampare, ma lui, tenace, continuava imperterrito a correre.
Alfred si fermò di scatto e si girò, con un pugno d’energia blu: Will non si fece cogliere di sorpresa.
Il bracciale brillò, ed il suo braccio venne ricoperto da una luce verde a forma di drago.
Il dragone d’energia si schiantò furente contro il diavolo, spostandolo di sette metri.
Mille fiamme verdi e nere continuarono ad avvolgere l’arto del ragazzo durante la sua corsa verso il nemico.

“Bella! L’arte di James! Quando l’hai imparata, maledetto bastardo?!” chiese urlando Alfred, mentre si lanciava in avanti grazie ad un ramo robusto: frenò e lanciò un masso nella direzione di Will.
Senza esitare, il ragazzo lo distrusse con un pugno, rimanendo serio.

“Fossi in te non sprecherei il fiato, Alfred!” gridò, per farsi sentire: si abbassò di scatto, evitando delle lame particolarmente affilate.

Si slanciò in avanti, tentando di afferrare il demonio: egli scalciò, colpendolo sulla guancia tagliata.
Quando vide la forza negli occhi dell’essere divino, il diavolo s’intimorì: iniziò a correre a perdifiato, fin quando arrivò là.

In quel posto.

Si fermò nel bel mezzo della radura con gli occhi sbarrati.
Will atterrò con un tonfo possente: onde d’urto partirono dal suo corpo.
I piedi avevano lasciato un solco nel terreno.

“Eh... Eheh”.

William si guardò intorno, prendendo fiato: si trovavano nella radura del loro “primo incontro”.

“Ah! Ahahahha!” rise follemente Alfred, guardando la Luna piena.

“Te lo ricordi ragazzino… Te lo ricordi, vero?!” sbraitò, fissandolo: la follia aleggiante nelle sue iridi faceva accapponare la pelle.

S’asciugò dalla bocca la bava e il sangue che vi colavano con la manica della giacca nera: si voltò verso il giovane dio, che lo osservava guardingo.

“Adesso muori, William” disse, con uno sguardo da maniaco.

“Mpf”

Will si limitò a storcere le labbra.

Con un urlo selvaggio Alfred si lanciò addosso al ragazzo, la daga argentea impugnata.
Lo shinigami s’abbassò e si spinse contro il nemico, colpendo le gambe del diavolo: quest’ultimo cadde in avanti, mentre il dio gli impiantava la falce nella schiena.
Con un urlo disumano il moro si girò, dirigendo gli artigli neri contro il viso del castano: gli occhiali di William volarono lontano, rompendosi.
Will indietreggiò, iniziando a correre: Alfred, ridendo sguaiatamente, lo rincorse.

Sentiva la vittoria sua.



Arrivarono proprio dove lo shinigami voleva: dove iniziò tutto.
E dove tutto sarebbe finito.
William dava le spalle al demone: era in mezzo al cortile d’erba grigia.
Pochi metri alla sua sinistra, la casa bruciata si stagliava nella notte.




“Ricordi, cane bastardo? Era il giorno del mio compleanno, il febbraio di duecento anni fa. Qui tutto iniziò. E qui tutto finirà”

Will si girò verso il demonio: i suoi occhi verdi scintillavano di decisione.

Voleva farla finita. Alfred s’avvicinò a lui barcollante.

“Che diamine vuoi fare, eh?” chiese, in tono strascicato: un misto fra un pazzo, ed un ubriaco.

“Vuoi giocare a fare l’eroe, eh? Ehehe, che pena… Sei cieco, senza occhiali: addio William” disse, con una risatina: era ancora relativamente distante dal dio della morte, ma scagliò lo stesso il suo pugnale.

“E benvenuto, occhio di falco”

sussurrò William, schivando senza fatica il pugnale.




“Com’è bello poter vedere il tuo volto con i miei occhi: mi fai ancora più schifo di prima. A quanto pare, mio padre ha deciso di farmi un bel regalino”.


Sbatté le mani a terra: tutt’intorno, dei simboli blu e rossi s’accesero.

Alfred fece un passo all’indietro.


“Abbiamo giocato d’astuzia. Volevo esattamente portarti qui, dove, con il sangue delle tue vittime e dei tuoi soldati, abbiamo tracciato questi sigilli. Per uccidere la tua immortalità, devo combattere in un certo modo: infondo, l’ho sempre saputo. Sarebbe bastato squartarti con la Death Schyte, ma usando questi suggelli, cancellerò anche il tuo spirito. Non solo avrai una morte fisica, ma anche una morte spirituale: non sarai più niente, non vivrai in eterno nel mondo dei morti. Sarai cancellato, com’è volere di chi sta più in alto di me. Com’è mio dovere, in quanto prescelto. Ed ora…”

Sbatté ancora le mani, per l’ultima volta.

Fuoco e fiamme s’innalzarono dal terreno, draghi alati ruggivano, sputando fiammate contro il cielo, lupi ululavano, danzando con la morte.
William si stagliava imponente fra le ombre, mentre milioni di tatuaggi splendevano sulla sua pelle: Alfred sembrava un moscerino, al confronto.
Si girava inquieto, in preda alla pazzia più pura.

O al terrore, più puro.

Alle sue spalle, l’ombra scintillante ed evanescente di Thomas guardava spietata, a braccia conserte, la scena.



“NO! NON E’ POSSIBILE! FERMO! FERMOOOO!!”



“Ora, per mezzo dei miei poteri, io ti condanno: ti mieterò l’anima”

Dichiarò semplicemente il giovane shinigami.



Afferrò la falce: su di essa sostavano gli stessi simboli che ricoprivano il possessore.
Sulla sua superfice, s’incendiava la forza dell’Eim: il potere proibito non poteva lenire l’anima di William.
Perché lui era la morte stessa.

Il demone impugnò la daga.

L’ultimo colpo.

Ognuno si slanciò contro il nemico, urlante.

La pioggia negli occhi, il sangue sul viso, la forza nel cuore e l’urlo di battaglia in gola.

L’urlo disumano dello sconfitto squarciò la notte.








Cadde.                                                                                                                                                              
Cadde come un peso morto.
Era morto.

William restò in ginocchio, coperto di sangue e ferite.
Il fuoco piano piano si spense, mentre la pioggia bagnava il dio.

Il corpo di Alfred giaceva a terra, irriconoscibile.

La carne dal ventre al collo era squarciata.
Il cuore del demonio, giaceva spappolato fra le ossa rotte.
Il viso era intatto.


William l’aveva voluto preservare: su di esso, si vedeva l’ultima espressione di Alfred.

Il volto era normale: bianco, le labbra contratte, un rivolo di sangue scuro colava da quella bocca perfetta.
Gli occhi, rossi, spalancati in un moto di terrore e rabbia.

William restò inginocchiato, con il volto chino.



Aveva vinto.




Alle sue spalle, tutti i suoi compagni lo avevano raggiunto.
Guardavano la scena immobili, senza fiatare: Undertaker strinse sua figlia, mentre la famiglia Jones rimaneva ad osservare Alfred da lontano.
William James s’inginocchiò accanto al nipote: gli posò una mano sulla spalla, paterno.

“È finita” disse, con voce baritonale.




Poco dopo, si ritrovarono tutti accanto alla magione Undertaker, dove tempo addietro si combatté la prima battaglia, in inverno.
David abbracciò Hylda, mentre ella piangeva in silenzio sul cadavere del marito.
Jason teneva lo sguardo fisso sul corpo martoriato del genitore, mentre la mano di Federik gli stringeva la spalla.
Sebastian provò soddisfazione nel vedere l’assassino di suo padre ridotto in quello stato: mentre abbracciava Alice, volgeva di tanto in tanto lo sguardo verso William, inginocchiato a terra.


Aveva sentito la carne lacerarsi, il sangue schizzargli addosso.
Sangue maledetto che la pioggia stava lavando via.

In silenzio, apparve la figura evanescente di Tim:  stese un braccio sul cadavere e chiuse gli occhi.
Poco a poco, cominciò a polverizzarsi.

I presenti assistettero a quella scena bizzarra: perfino i cavalli osservavano seri.
Joey, finalmente aveva avuto giustizia: gli spiriti di Blackjack e Sahila potevano riposare in pace.
I suoi genitori, erano senz’altro fieri di lui.



Ciel non poté fare a meno di pensare che tutto sarebbe andato per il meglio: si scostò i capelli bagnati dalla fronte, ringraziando William.
Volse lo sguardo blu oceano al cielo: il suo predecessore lo osservava da lassù, ed era orgoglioso.
Lo sentiva attraverso la pioggia gelida: sentiva l’amore di Rachel e di Vincent colare dal paradiso.



“I’m so proud of you, Ciel”


“Thank you, father…”



Will si alzò: andò da Jane e l’abbracciò.
Abbracciò Undertaker.
Hylda.
I fratelli Jones, David.
Anton.
Hilary ed Alice lo abbracciarono in contemporanea.


Phantomhive gli tese la mano: una volta afferratala, il giovane conte lo abbracciò quasi più energicamente di quanto fecero tutti gli altri.


Sebastian chinò il busto: si scambiarono due pacche.
Non si poteva pretendere più di quello, da loro: nemici per la pelle, collaboratori per la vita.

Tutto si svolse in silenzio.


http://www.youtube.com/watch?v=IStGAvESLZc


Thomas Will Spears lo stava aspettando all’inizio della salita: Will gli andò incontro, fino a ritrovarsi di fronte a lui.
Tim lo guardò fiero, mentre la pioggia scivolava sui loro visi identici.
La morte abbracciò suo figlio: un abbraccio desiderato, bramato da troppo tempo.


“Sono orgoglioso di te, figlio mio. Sono felice di aver sacrificato la mia vita per te: mi dispiace tanto di non averti potuto crescere, di non averti potuto regalare il nostro amore, come avremmo voluto io ed Isabel. Tua madre è fiera di te: ti guarda da lassù. Ora va’: io ti veglierò da un posto migliore” disse Thomas.


Poco dopo, Will si ritrovò ad abbracciare il nulla. 
Un rumore metallico fece voltare il giovane shinigami: suo zio gli indicò la rupe.

“Vogliamo fare un finale in stile Disney” commentò sarcastico Jason: alle sue spalle, l’impronta che il cadavere del padre aveva lasciato, disegnava un solco nell’erba.


“È giunta l’ora” fece suo zio James, indicandogli il cammino.


William prese coraggio ed iniziò a camminare: su, su, sempre più su.



La sua espressione decisa lo accompagnò fino alla sommità: i loro alleati, tutti i soldati del suo esercito lo osservavano.

C’erano anche Grell, Ronald, Eric, Alan: avevano combattuto per lui, nel suo battaglione, e neanche lo aveva saputo.




Il Cielo s’aprì, lasciando intravedere un pezzo di lucido paradiso.




“Ricordati… Chi sei…”



La voce dell’amore, che non avrebbe mai dimenticato.



Prese coraggio, serio, mentre la pioggia scivolava sul suo viso.


Inspirò.


E gridò.




“VITTORIAAAAAAA!!!!!!!”



L’urlo estasiato della folla rispose al suo grido vincente: era finita.

 









“Ah… Quindi ce l’ha fatta, eh? Ora… posso anche morire…”.

Quegli stupendi occhi si chiusero definitivamente: Ryan Kovu Gordon spirò, con la pace nel cuore.

Aveva mantenuto la promessa: era morto dopo aver visto l’albore di una nuova era.


 

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Capitolo 60
*** Epilogo ***


Per Miss_Uriel













La cadenza ritmica dei passi del dio risuonava per i corridoi del Dispacht.

Tutti i suoi movimenti sembravano essere decisi in precedenza, con rigorosa logica, niente in lui era fuori posto, tutto ordinato, perfetto, impeccabile.

Sguardo puntato dritto davanti a sé, verso la sua destinazione.

Aprì la porta dell’ufficio, salutando i colleghi.



“Buongiorno” esordì, mentre la sua equipe lo fissava, leggermente stupita.



“Buongiorno a lei. L’abbiamo aspettata per così tanto tempo” fece Grell, con voce rotta.

Ronald si premette le dita sugli occhi, con uno dei suoi soliti sorrisi beffardi.

Eric sorrise grato, strofinandosi il viso, mentre Alan si asciugò le lacrime con un fazzoletto.



“Ecco a lei i suoi documenti” fece la segretaria Hylda Cavendisch, porgendo una pila di documentazioni allo shinigami, seduto compostamente dietro la scrivania.



“Avanti, al lavoro! Spero che in mia assenza non si siano creati arretrati! Non voglio fare straordinari, intesi?!” tuonò, mentre i suoi dipendenti sorridevano, al colmo della gioia.



“AGLI ORDINI, SUPERVISORE DELLA SEZIONE INVIO DEI DELLA MORTE: WILLIAM T. SPEARS!”.

 











“Non pensi sia ora di portare a casa quel bambino?”.



Sebastian si voltò, sorpreso: indossava una camicia candida e dei pantaloni neri.

Il venticello muoveva i suoi fili corvini.

Era seduto in un prato, davanti ad una tomba in marmo bianco.

Ciel guardava il servo con un cipiglio di rimprovero: era vestito con una semplice camicia azzurra con le balze sul petto, i pantaloni bianchi tenuti fermi in vita da una cintura blu.

Aveva i pugni sui fianchi ed osservava il maggiordomo con un’aria critica.

Sebastian volse lo sguardo sul bambino che camminava attorno alla tomba: aveva gli occhi d’oro splendente, i capelli corvini con qualche ciocca bionda sparsa qua e là.

Sotto l’occhio, una sottile linea nera creava un’affascinante contrasto con la pelle candida.

Il bimbo sorrise, mentre si sporgeva curioso sul marmo bianco.






“Avanti, padrone, abbiate un po’ di cuore: voglio solamente fargli incontrare il fratello… Stare all’aria aperta è molto salutare, a quest’età! Le lezioni possono pure essere rimandate” sorrise il demonio, mentre il piccolo si rotolava nel prato.



“Ah! Dannazione maggiordomo dei miei stivali: non accaparrare scuse, è da due ore che è qui! L’ora del tè sta per giungere, ed Elizabeth vuole conoscere il bambino” esclamò seccato il conte: l’occhio gli cadde sull’epitaffio.





Ripensò a quando avevano ritrovato il cadavere di Ryan: Undertaker aveva detto che non aveva mai visto un volto così pacifico, su un morto.

Era deceduto solo poco tempo prima: giusto in tempo per vedere William vincere.

Sebastian aveva raccolto il freddo cadavere: nessuno aveva osato proferire parola.

Il funerale si tenne pochi giorni dopo.

A Ray fu destinata una bellissima tomba: non troppo sfarzosa, ma fine ed elegante.

Era in marmo bianco: il candore simboleggiava la luce di cui ora, il precedente demone dell’ombra, era padrone.






“Pensavo che Elizabeth volesse preoccuparsi di un altro bambino…” fece malizioso il maggiordomo.



Ciel arrossì, voltando di scatto il volto: non era proprio cambiato, in tutti quegli anni.




“Avanti, prendi Scott e non protestare” fece l’akshaku, con ancora l’imbarazzo sul viso.



“Scott Ray Gordon… Un bel nome, eh? Ryan diceva sempre che avrebbe voluto un figlio di nome Scott” cinguettò il maggiordomo: stava ancora godendo per la scena di prima.



“SMETTILA DI GONGOLARTI PER AVERMI MESSO IN IMBARAZZO!” strillò il conte: guardò di sbieco il maggiordomo, mentre questi gli mise in mano il bambino.



“Ma che fai?! Sei impazzito?!” chiese il blu, confuso.



Sebastian Michaelis sorrise.




“Dovrete poi abituarvi, no?” disse, facendo l’occhiolino e portandosi un dito alle labbra: nemmeno lui era cambiato.



“Diavolo dei miei stivali! Arrivami alla distanza di cinque metri, e sarai il mio prossimo oggetto per il tiro al piattello!” sbraitò il conte, mentre il bambino fra le sue braccia rideva.



Ciel si chiese come avrebbe fatto in futuro: senza dubbio, il mestiere del padre era il più duro del mondo.




















Una luce innaturalmente splendente filtrava dal rosone.

I candidi raggi accarezzarono il viso della sposa: il vestito bianco, la faceva assomigliare ad un angelo.

La rara bellezza che la caratterizzava, aveva incantato tutto il pubblico.

Avanzava lentamente, affiancata dalle damigelle ed aggrappata al padre.

I testimoni l’aspettavano: Hilary ed Anton erano pronti ad assisterla anche in questo grande passo.





E poi c’era lui.



Lui, nel suo nobile abito nero.



Lui, una figura scura, principesca, girata di spalle.



Il suo fascino, la sua beltà lo rendevano unico perfino in quel momento.





Il giovane sposo attendeva pazientemente al fianco dei suoi due testimoni.

Jason, nel suo vestito nero elegante, si girò: fece un veloce occhiolino alla sposa, sorridendo.

Ciel voltò leggermente il viso: era affascinante nel suo abito blu, un vero e proprio Lord.

La sua figura longilinea, con il mantello sulle spalle, gli dava un’aria regale.

Incurvò le fini labbra, tornando serio poco dopo.

La sposa arrivò a destinazione.

Le parole del prete, ormai, non venivano più ascoltate dai due promessi.

Senza guardarsi negli occhi, stavano seri e felici, in attesa del grande momento.

La passione che si agitava nei loro cuori, che battevano selvaggiamente, non aveva eguali.

Il loro amore, sbocciato nelle avversità, era il più raro e più bello di tutti: possedeva una purezza senza eguali.



Il momento arrivò.

Si scambiarono le fedi.

Lui le tolse il velo: gli occhi smeraldini incontrarono l’ambra colata delle iridi di lei.





“Vi dichiaro marito e moglie. Ora potete baciare la sposa”.





Tutto al rallentatore.






William sorrise dolcemente, e si chinò su Jane.





Lei, si sporse verso di lui.





Le loro labbra sigillarono la loro unione.





E non ci fu uno spettacolo migliore di questo.




















Cara! Siamo finiti sul giornale!” fece Jason: Hilary comparve alle sue spalle, leggendo il quotidiano.



“Ma guarda un po’: l’evento dell’anno, il conte Ciel Phantomhive e la duchessa Elizabeth Middleford si sono sposati”



“Ed era ora, dannazione! È da un secolo che doveva proporlo! È l’ultimo che si è sposato!”



“Ahaha, calmati, Jas: ognuno deve sentirsi pronto! Ciel è il più giovane, fra noi! In conclusione, mica potevate sposarvi tutti insieme!” fece Federik, sorridente.



“Dopotutto, è stato un periodo davvero pieno! E nozze di qua, e nozze di là, compra regali, ordina torte, cuci vestiti!” fece la nuova signora Michaelis: Alice entrò nel salotto di magione Undertaker, con un sorriso stampato sulle labbra.



“Su questo non posso darti torto… In fin dei conti sembra passato solamente ieri da quel giorno!” fece David.



“Hai ragione, papà” fece Jason, reclinando il capo: Dave gli sorrise teneramente, scompigliandogli i capelli corti.



“Ehi, piano! Non sono mica un bambino! Sono sposato ed ho la barba, che diamine!” si lamentò ironicamente il minore dei Jones.



“Bé figliolo, anche io sono sposato se è per questo: non sapevo che vostra madre sapesse cucinare dolci così buoni. Credo che la mia nuova moglie Hylda Cavendisch mi farà ingrassare!”



“Non ne dubito, padre” fece composto come sempre Federik.



“A quanto pare Fed, dovrai ammogliarti, prima o poi! Carina quella ragazzina con i capelli di fuoco, Rossana” fece Anton, entrando a braccetto con sua moglie.



Federik arrossì appena, grattandosi la testa.



“Bè, almeno io avevo confessato di avere una fidanzata… Mica come te!” si giustificò, buttando un’occhiata alle fedi dei due giovani.



“Bè, nessuno di voi mi ha mai chiesto se avessi una vita sentimentale” si difese pacato Anton: Christine rise leggera.



Era una ragazza graziosa: aveva lisci capelli castano chiaro ed occhi verdi.



“Almeno Bart si divertirà a fare il nonno” esordì il biondo, facendo l’occhiolino ai ragazzi.





“Dunque, avevo azzeccato tutto!” fece la voce stridula di Undertaker: si rivolse a David, ghignando.

“La principessa, delusa dal principe, trova l’amore nel cavaliere” recitò il becchino, ammiccando in direzione di Hylda.



Ella si strinse al braccio del marito.



“Ora ho capito cosa mi volesti dire, quel giorno” la bianca sorrise “David ora è il mio re” disse, mentre i suoi figli ridevano.





“Siamo giovani: possiamo ancora realizzare i nostri sogni!” esordì William James “Non so se diventerò prima zio, o padre” si chiese, falsamente corrucciato.



Mi sembra che Catherine ami tuo nipote William, così come ami tutti noi. Ma dicci la verità: da quanto tempo è che sei fidanzato con questa?” chiese Sebastian, ridendo: al suo fianco stava il conte Phantomhive, sorridente più che mai.



“Già, da quanto? Benedicimi! Siete finiti in foto sul giornale per merito mio” commentò Ciel, ringraziando Hilary per la tazza di tè che gli aveva offerto.



Il giovane era diventato bellissimo.

Assomigliava moltissimo a Vincent, ma nel suo viso c’era un qualcosa di più gentile e raffinato: i due grandi occhi d’oceano rispecchiavano la bontà e lo splendore appartenuti a sua madre.

Il suo fisico, una volta gracile, si esibiva in tutto il suo vigore.



“Bè diciamo che… È una storia che va avanti da quando Anton mi spedì in paradiso! Ahahhaha” confessò James, sorprendendo gli amici.



“CHE COSA?! E NON CE L’HAI MAI DETTO?!” esclamarono tutti all’unisono, stupiti.



“Eh, voi non me l’avete mai chiesto!” si difese, con una risata.



“Comunque… Vedere mio nipote felice… Ripaga tutto ciò che ho subito in duecento anni” disse, con un tenero sorriso.




















“Sei felice, ora?” chiese Jane, con la sua voce vellutata: dall’alto di quella collina che li aveva visti crescere, sotto quell’antico cipresso, Jane e William, abbracciati, osservavano ciò che la primavera stava compiendo a “Magione Undertaker”.



I fiori avvolgevano ogni cosa, più profumati e belli che mai.

Will baciò la testa della giovane donna: le fedi che avevano al dito splendettero alla luce del sole.



“E quindi ce l’hai fatta”



“Ce l’abbiamo fatta” la corresse il marito “Senza di te, non avrei concluso nulla, mi sarei arreso alla morte. Tu mi hai dato la forza per andare avanti: per essere ciò che sono, per vincere contro tutti i mali”.



Le diede un bacio, e lei sorrise contro le sue labbra.

Contro le labbra che amava.



“D’ora in poi, saremo solo io e te, in due”



“In quattro, vorrai dire”.





William strabuzzò gli occhi.





“Che cosa?!” domandò, fuori di sé.



“Esatto, caro il mio Will: fra un po’ ti ritroverai a fare la paternale a due piccoli shinigami” rivelò, ridendo.



“Cioè… Tu mi stai dicendo… Che sei incinta?! Di due gemelli?!” chiese euforico il figlio di Thomas.



“Ma sei duro di comprendonio, eh?!” fece Jane, falsamente irritata.



“Evvai!!” esultò il futuro padre in preda alla più folle gioia: prese Jane e la fece volteggiare, continuando a schiamazzare.







“Mi hai appena fatto… Il regalo più grande che avessi mai potuto farmi” le sussurrò, poggiandola a terra.





“Ti amo, Jane” disse, senza aspettare una risposta.





Le prese il viso fra le mani e la baciò.







Il bacio più bello della loro vita.


















“Ehi”.





Thomas si voltò: le braccia incrociate e la spalla appoggiata al troco dell’albero.

La sua espressione stupita, si dissolse entro poco.





“Ciao, Isabel”.





La moglie lo affiancò, guardando dolcemente Magione Undertaker.





“Non sei contento? Stanno crescendo, stanno realizzando i loro sogni. E l’amore che li unisce, è il fiore più raro e più bello di tutti”



“Sì, cara: sono felice ed orgoglioso di lui” sospirò “Vorrei assistere di persona a tutto questo”



“Ma lo stai già facendo” disse Isabel, guardando il figlio abbracciato alla moglie.





Jason, Ciel, Sebastian e David si avvicinarono ai due sposini, sghignazzando come loro solito.

Tim prese per mano Isabel, guardando commosso gli eroi.

La consorte lo guardò stupita.





“Che fai adesso, piangi?”



“No… Questo non è un pianto… È solamente… Una dimostrazione di affetto!” fece Tim, con aria corrucciata: sembrava un bambino, mentre scendevano quelle fontane dai suoi occhi.



Isabel scosse la testa, e Tim ritornò normale: le sorrise, entusiasta.



“Insomma, fra poco saremo nonni, ti rendi conto?! E poi guarda un po’: gli eroi sono tutti i nostri figli, non trovi?!”



“Bella storiella commovente quattr’occhi”.



Jacob atterrò con un balzo di fianco a Thomas Will, ghignando come al suo solito: il ghigno bastardo ed attraente uguale a quello di suo figlio.



“Spero che tuo figlio non si farà crescere la barba come te, pizzo di capra”



“Vacci piano occhialuto! Sono orgoglioso di lui, anche se non ha il mio pizzetto strafigo. Siamo allineati…”



“Uno al fianco dell’altro, come loro”.





I tre si voltarono verso Vincent: sorrideva con amore infinito verso Ciel.

Scosse la testa.





“Ho condannato mio figlio ad un diavolo, ma se Dio avrà mai pietà di lui, chiuderà un occhio. Almeno il demone è il tuo primogenito, Jacob. Finalmente, possiamo mettere l’anima in pace”



“Già, finalmente è così, ragazzi”.



Arianne si portò al fianco di Vincent.



“Quindi…” fece Jacob, fissando suo “fratello” David.



Ghignò, con un’ombra di felicità.



“L’unico bastardo sopravvissuto è lui, eh? E adesso si è pure sposato. Vecchia canaglia…”.





Erano disposti in fila: Thomas, Isabel, Vincent, Arianne e Jacob. “A quanto pare, eroi della prima battaglia, siete venuti tutti qui per vederci”.





La voce di David spezzò il silenzio che si era creato fra il gruppo di spiriti.

Jacob ghignò nuovamente.





“Ehi bastardello, era da un po’ che non ti vedevo: dannato teppista, troppo orgoglioso per morire” fece, con il suo solito tono da scherno.



David lo guardò sorridendo tranquillamente.

Un’ombra di dolcezza passò sul viso di Michaelis.



“Ci si rivedrà presto, Dave” disse, sorridendo.



Abbracciò il mezzo demone fraternamente, senza pentirsene.

Davanti a loro, c’erano i salvatori dell’universo.

Thomas si rivolse a Isabel: erano di nuovo da soli, su quella collina.

Davanti a loro, solo ettari ed ettari di prato.



“E adesso, cosa faremo?” chiese, guardando negli occhi la moglie.



“Bè, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo: ora guidiamoli da lassù… Ci penserà questa nuova vita, a crescere i nostri figli”.










http://www.youtube.com/watch?v=Z7HOtOdJi0U









Son passati anni, ormai, da quel giorno: il tempo scorre, e la vita continua.

Magione Undertaker non restò solitaria per molto: al fianco, si costruirono delle case fantastiche.

Se guardate dall’alto, le abitazione formavano un cerchio: tutte si congiungevano con la casa in cui tutto ebbe inizio, ed in cui tutto ebbe fine.

La vecchia casa bruciata divenne una casa nuova, fantastica e ben curata: il nuovo alloggio degli Spears, non più isolato nel bosco ma vicino alle proprietà degli amici, era tornato come nuovo.

Se ci si avvicinava, si potevano udire le grida di bambini entusiasti che si divertivano: William si mise ad osservare i figli giocare, mentre teneva per mano sua moglie, Jane.

Due maschietti s’inseguivano, passandosi il pallone a vicenda.

Il primo aveva capelli neri come la notte, un viso serio, la pelle marmorea e gli occhi verdi smeraldini: Thomas James Spears.

Il secondo, più vivace, aveva due occhi dorati screziati di verde, capelli di uno strano castano fulvo, riflettevano un colore rossiccio alla luce del sole: Alexander William Spears.




“Papà! Mamma!” esordirono i gemelli Spears “Arrivano gli zii! E i cugini!” gridarono, precipitandosi verso le persone che gli venivano incontro.



Troppo numerosi, da descrivere.




Si poteva benissimo riconoscere il figlio di Federik dai capelli rossi: Richard, come il nome del nonno shinigami, tanto simile a Federik.



Il figlio e la figlia di Jason dai sorrisi beffardi ed i capelli mossi: David ed Helen.



La figlia di Anton dal particolare colore degli occhi: Angel.  



Il figlio di Sebastian dall’aria furba: Jacob.

Egli, era sempre affiancato ad un ragazzino più grande: Scott Ray Gordon era uguale al fratello deceduto.



I figli di Ciel: Vincente e Rachel. Il primo aveva gli occhi oltreoceano, i capelli blu, il viso gentile che tradiva un’espressione seria e regale. La piccola invece, era la copia di Lizzy: vaporosi capelli biondi incornicianti un viso raffinato, occhi smeraldini.



Infine, potevi riconoscere quei due bambini, i figli di William James Ford.

Will si fece avanti, salutando la piccola Isabel ed il piccolo Daniel: le copie sputate di suo zio e sua madre.


 





“Finalmente… Un’unica famiglia, sotto lo stesso sole” fece William, stringendosi a Jane, prendendo in braccio Thomas ed Alexander.

 



 

“Non vedo l’ora di scoprire… Ciò che ci riserverà il futuro”.



 














La storia termina qua, come è solita terminare: il nostro eroe ha la possibilità di ricostruire tutto da capo, e lo fa egregiamente.

Il frutto del suo amore sta dando i risultati sperati, ed i fiori sbocciati dalla sua passione non lo deluderanno mai.

Un grazie a chi è arrivato fino in fondo,
a chi, in questo momento sta leggendo le mie parole.

Il racconto di William si chiude su questa meravigliosa scena: tutti uniti in una grande famiglia, sotto lo stesso sole.

Ovviamente, le sue gesta non si fermano qui: il suo nome di settimo shinigami leggendario verrà ricordato in eterno, anche per altri motivi.



Ma questa, è tutta un’altra storia.



Vi lascio con quest’ultima perla: credete in voi stessi, sempre.

La perseveranza, può smuovere le montagne.

Lieto di essere sopravvissuto per avervi potuto raccontare questo episodio, vi saluto.






In fede,





Il Narratore.  

















Angolo dell'autrice





Ehilà!



Ed eccoci qui, siamo giunti alla fine di quest'avventura.

Mi scuso per il ritardo, ma oltre agli impegni, credo che il mio subconscio mi abbia ostacolato, impedendomi di pubblicare l'ultimo capitolo...

Sebbene io sia felice e personalmente orgogliosa di questa storia, non posso non dire di essere profondamente triste.



E' strano pensare a quando, mentre guardavo "Il pianeta del tesoro" su un pullman diretto per Gardaland, l'idea di questa fic si è delineata nella mia mente.

Prima pensavo che si trattasse solo di una sciocchezza, che avrei scritto queste righe solo per passare il tempo.

Ma poi, qualcosa dentro di me mi ha fatto cambiare idea: la passione che mettevo in questo racconto, la voglia di poterlo condividere con voi, su questo fantastico sito, mi ha fatto intraprendere questo viaggio.



La mia prima avventura nel mondo di Efp giunge al termine e spero che il mio racconto vi abbia lasciato qualcosa, che vi abbia trasmesso un po' della passione che ho impiegato nello scriverlo.

Ammetto di non essere troppo brava con gli addii e le dediche melense ma...





Devo dirvi GRAZIE.





Grazie a Julia 98, che mi ha incitato a non mollare mai durante la stesura di "Ci sono anch'io".




Grazie a sakichan24, per essere stata la prima a recensire la storia e a supportarmi quando questo sogno sembrava irrealizzabile.



Grazie a Phoenix_619 e la sua simpatia, che mi ha saputo far sorridere in ogni sua recensione.



Grazie MikuChan, che ha perso tempo prezioso per leggere questa fic.


 
Grazie a Kostanze_A_Flinn e XAniuEX_lol, per aver recensito.



Ed infine, non per questo meno importante (anzi) ringrazio Miss_Uriel.



La ringrazio per le fantastiche recensioni, per i consigli, per i complimenti, per il supporto... Per tutto!

Sentire i suoi pareri attraverso i suoi commenti, è sempre stato un piacere, mi ha sempre infuso un grande incoraggiamento e di questo gliene sarò per sempre grata.

Le auguro di poter continuare al più presto la sua storia, provando sempre più passione nello scriverla.

Per questi motivi, questa storia sarà dedicata anche a lei!

Spero che questo gesto possa ricambiare l'aiuto che mi hai dato :)



Ringrazio anche coloro che hanno messo la storia fra le Seguite e/o le Preferite,

E soprattutto ringrazio i lettori silenziosi (Wow, siete davvero tanti!) che si sono soffermati a leggere questa Fic, capitolo dopo capitolo.

Cari lettori, senza di voi, noi scrittori non esisteremmo: continuate a leggere le nostre storie, dandoci la forza di continuare in qualsiasi momento!





...







Ma, purtroppo per voi, le sorprese non finiscono qui!



Credevate seriamente che "Ci sono anch'io" fosse finita così?



Bé, dovrete ricredervi!



Forse non ci sarà un sequel, ma, per ringraziarvi e non lasciarvi troppo con l'amaro in bocca (lo so che in realtà state per tagliarvi le vene, ma perfavore, datemi l'illusione che volete leggere ancora le avventure di Will e company!)



Ho intenzione di fare una piccola Raccolta, in cui approfondirò la natura di alcuni personaggi, racconterò parti della storia dal punto di vista di alcuni di loro e...



Perché no: narrare di piccoli eventi quotidiani che si susseguono in casa Spears, non sarebbe una cattiva idea!



Forse resterete per un po' senza sentir parlare di me ma...



Vi assicurò, che tornerò.

Ho già in mente un'altra storia e chissà... Forse sono più avanti di quello che vi aspettate :)



Vi lascio con la stupenda canzone che, accompagnando le scene del cartone animato "Il pianeta del tesoro", mi ha permesso di scrivere queste righe.




http://www.youtube.com/watch?v=htoP11ox-VU



Spero di potervi sentire ancora, in futuro: vi auguro un buon proseguimento!



Con tanto affetto, alla prossima!



Jaki Star


 





 

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