Heartbreak

di Arte_P
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sento la sveglia. Faccio una smorfia e allungo la mano per spegnerla. Resto qualche secondo ferma, poi mi giro dall'altra parte, dando la schiena a quel diabolico marchingegno. Abbraccio il cuscino e aspiro il mio stesso odore. Mi sento così bene, vorrei tanto continuare a dormire. Vorrei svegliarmi tardi, come quel pelandrone del mio socio. Piagnucolo da sola e mi metto a pancia all'aria. Guardo il soffitto bianco, inondato da quei pochi raggi del sole che filtrano dalle tapparelle. Mi stropiccio gli occhi e cerco da qualche parte, in me, la forza di alzarmi. Oggi è uno di quei giorni in cui vorrei poltrire tutto il giorno, fare come se non mi dovessi occupare di niente. Come se non avessi nessun pensiero per la mente...
Scatto a sedere, scosto il lenzuolo e decido di alzarmi. Basta un secondo di indecisione ed è la fine. Mi stiracchio e al contempo mi stropiccio gli occhi, sbadigliando. Mi gratto un prurito a una natica, spostando leggermente in alto l'orlo dei pantaloncini del pigiama. A piedi nudi, e continuando a sbadigliare, mi dirigo alla finestra e libero il sole dalla sua restrizione. Socchiudo gli occhi, accecati da tanta luce, e infine apro del tutto la finestra. Con ancora la voglia di vivere pari a quella di un verme, apro la porta e mi ritrovo in corridoio. Volto il viso in direzione della sua stanza. La porta è aperta, intravedo una gamba sotto il lenzuolo e sento quella sua tipica russata, molto nasale. Già me lo immagino con la faccia beata, sorridente, che sbava per chissà quale sogno erotico.
Scendo le scale e nel farlo mi godo il nostro salotto inondato dal sole del mattino. È così piacevole, da un senso di familiarità, di casa, di pace.
Entro in cucina, prendo il contenitore del caffè e lo verso nella caffettiera. Rimango in piedi, mentre osservo quel liquido ambrato riempire la brocca. Un dolce odore si fa spazio nelle narici. Appena vedo che ce n'è abbastanza, mi verso una tazza. Mi siedo al tavolo della cucina, sorseggiando e guardando fuori dalla finestra. Mi perdo a pensare alle cose che devo fare prima di mezzogiorno: prima di tutto una doccia per svegliarmi del tutto, poi faccio un salto a vedere se c'è qualche annuncio, dopo scappo da Miki a drogarmi di altro caffè e infine, tornando a casa, mi fermo a fare la spesa. Per l'ora di pranzo il 'brunch' sarà in tavola, così non dovrò sorbirmi Ryo che sbraita per del cibo.
Poso la tazza sul tavolo. Mi crogiolo ancora per qualche istante nel dolce far niente, ancora riluttante a svegliarmi del tutto e iniziare la giornata. In me c'è ancora quella voglia pazza di tornare in camera e gettarmi sul letto.
Aaah, basta. Mi alzo.

È estate e a Tokyo fa caldo. Molto caldo. Anche alle prime luci del mattino, dall'asfalto, sale un'afa terribile. Non si riesce neanche a respirare, meno male che di tanto in tanto, dalla baia, arriva qualche folata di vento fresco. Poi l'attimo passa e torni a sudare come prima.
Aggirandomi tra le vie, osservo la città svegliarsi: studentesse mattiniere che nelle loro divise camminano pigre. Negozianti che aprono le loro attività con un moto tale da ricordare delle api al lavoro. Donne con abiti succinti che con sguardo stanco, spento, traballano sui loro tacchi alti. Shinjuku si sta svegliando. Sta lasciando la notte alle spalle, come un amante dimenticato.
Entro nella stazione. Un getto di aria condizionata mi inonda, facendomi gelare i sudori. Mi percorre un brivido di godimento.
Mi lascio alle spalle la tranquillità delle viuzze. Qui è uno sciamare di uomini d'affari in giacca e cravatta, donne in tailleur, madri che portano i figli alle scuole, orde di studenti e ignari turisti. Mi compiaccio di questa vitalità, che non abbandona mai questa città.
Mi avvicino al tabellone sovrappensiero, quasi per abitudine. Durante l'estate non riceviamo mai richieste di lavoro. Sembra che anche la vita criminale si prenda una vacanza, che le coppie non bisticcino più, che le aziende non abbiano nessun tipo di problema di spionaggio interno. Nada. Quindi non c'è da stupirsi se guardo sbalordita quel 'XYZ' sulla lavagna, intralciando il passaggio alla gente. Dopo l'ennesima spinta, mi decido ad avvicinarmi e a leggere il messaggio: 'XYZ. Incontriamoci per cena al Baycity Hotel, ore 20:00. Abito obbligatorio. Firmato: Ryo Saeba.'
"Ma che diavolo..."

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Capitolo 2
*** Primo capitolo ***


HEARTBREAK
Primo Capitolo

"Se un piatto o un bicchiere cadono a terra senti un rumore fragoroso.
Lo stesso succede se una finestra sbatte, se si rompe la gamba di un tavolo o se un quadro si stacca dalla parete.
Ma il cuore, quando si spezza, lo fa in assoluto silenzio." *




Una donna dai capelli rossi, corti e arruffati stava guardando con fastidio crescente il suo collega. L'uomo era in tenuta 'estiva', la quale consisteva in un paio di boxer a strisce bianche e blu. Stava guardando con interesse la meteorologa che stava per l'appunto annunciando l'ennesima ondata di caldo tropicale. Ma a lui non interessavano di certo le previsioni...
Kaori, così si chiamava la donna in questione, pestò con forza il piede sul pavimento. Un vano tentativo di attirare l'attenzione di Ryo, il suddetto uomo. Lui dal canto suo la guardò per un secondo, con faccia palesemente deformata in una smorfia di sofferenza, per poi tornare alle curve della donna nel piccolo schermo.
"Quindi mi stai dicendo che non è un tuo stupido scherzo?" chiese, di nuovo. Quando lesse l'annuncio per un attimo rimase stordita. Fu pervasa da una serie non definita di emozioni. Prima rimase stupefatta, poi si scocciò pensando che Ryo le volesse fare qualche stupido scherzo – o che semplicemente in preda ai fumi dell'alcol avesse deciso di scrivere quella richiesta – e infine avvampò, pensando a tutt'altro. Che fosse un invito a una cena galante? Loro due da soli? Come quella volta, tanto tempo fa? Dopo il matrimonio di Miki le cose erano tornate alla normalità, alla triste normalità. Quindi era normale che un barlume di speranza le si accendesse in fondo al cuore. Ma questo desiderio fu destinato a dissolversi quando lui, con i suoi soliti modi da uomo delle caverne, le disse che non ne sapeva niente. Rimase delusa. Non ci poteva credere.
"No, per l'ennesima volta no. Non sono stato io a scrivere quel messaggio" borbottò, non staccando gli occhi di dosso alla conduttrice.
"Fammi capire... e non verrai nemmeno con me all'appuntamento?" oltre al danno anche la beffa. Dopo la sua prima negazione, il suo cervello aveva abbandonato una visione romantica della situazione e aveva palesato le scene più drammatiche. La questione risultava poco chiara. C'era qualcosa di losco sotto. Se lo sentiva.
"Ryo Saeba ti sembra un nome di donna?"
"Diavolo Ryo! Non è questo il punto. Potrebbe esserci qualsiasi cosa sotto. Potrebbe essere una sfida nei tuoi confronti, un messaggio, un agguato, magari..."
"...un caso di omonimia?" starnazzò scocciato, spegnendo la televisione. Lo vide dirigersi pigramente verso le scale. La stava trattando come se non gli stesse parlando di questioni di vita o di morte, di intrighi, di sfide, di minacce. La trattava come se gli stesse chiedendo di che colore dipingere il soggiorno la prossima volta che verrà distrutto. Come a voler dire: perché chiedi a me? Non è importante.
"Ryo"
"Quindi niente cena? Vorrà dire che farò un salto da Miki. Uh-uh-uh"
"Non starai dicendo sul serio? Non vorrai DAVVERO mandarmi da sola..."
Inutile, l'unica cosa che vide era lui che correva in camera sua, saltellando e urlando "Questa sera... mokkori!! Uh-uh-uh"
"RYO!!"
Il martello 'VERGOGNA DELLA NAZIONE' sfondò la porta, conficcandolo nel muro.

Lasciò che il getto dell'acqua, strategicamente tiepida, le scorresse addosso. Quella era la seconda doccia della giornata. La usava anche come una sorta di valvola di sfogo, almeno così riusciva a mettere in chiaro i pensieri, calmandosi. A pensare alle cose con razionalità e a sopprimere gli istinti omicidi nei confronti di Ryo. Dopo, a suo dire, l'inutile chiacchierata, aveva passato tutto il pomeriggio a dormire. Lei invece, non avendo preso per niente bene l'annuncio sulla lavagna della stazione, aveva passato tutto la giornata a camminare su e giù per il soggiorno. Come un leone in gabbia, cercando di capire che mosse adottare. Pensare a tutte le variabili, facendo ipotesi. Era arrivata sul punto di impazzire dall'ansia. Alla fine aveva deciso di farsi una doccia terapeutica e a quanto poteva constatare, aveva funzionato.
Uscì, prese un asciugamano e se lo legò al petto. Ancora a piedi nudi aprì la porta del bagno e sbirciò fuori. C'era assoluto silenzio. La casa sembrava vuota.
"Ryo?" non ricevendo risposta, si diresse verso camera sua. Mise dentro la testa e vide che era vuota. Corse velocemente verso le scale, guardò verso il soggiorno. Anche questo sembrava deserto.
"RYO!" urlò, ma l'unica cosa che sentì era l'eco della sua voce. Quel maledetto aveva sfruttato il suo bagno per svignarsela. Uuh, come l'avrebbe pagata cara. Voleva la guerra? Bene. Anche lei era City Hunter e aveva le abilità necessarie per affrontare qualsiasi situazione. Non si sarebbe di certo tirata indietro, gli avrebbe fatto vedere quanto valeva e che per lui era un onore averla come assistente.

Si poteva dire che Kaori non fosse propriamente femminile. Preferiva la comodità all'eleganza, quindi non c'era da stupirsi se nel suo armadio non ci fosse assolutamente NULLA di adatto da mettere per una serata del genere. L'unica cosa di lusso era una specie di tailleur color cachi, che, tra l'altro, non le stava affatto bene.
Sbuffò, guardando oltre il muro. Non le piaceva per niente la piega che stava prendendo la serata. Se solo avesse avuto il buon gusto di arricchire il guardaroba con almeno un vestito da sera decente, non sarebbe dovuta arrivare fino a questo punto.
Respirò a fondo, prese coraggio e si diresse versa la camera attigua alla sua. Era quella che di solito occupava se dovevano ospitare una cliente – ovviamente quando non doveva proteggerla dalle grinfie del collega. Era una stanza molto semplice: un letto singolo, un comodino e un enorme armadio a muro. Lì venivano conservati tutti i vestiti, che altrimenti avrebbero riempito troppo gli armadi dei due soci.
Aprì l'anta dell'armadio e automaticamente fece una smorfia. In fila, a seconda del colore, c'era una schiera di vestiti fin troppo femminili ed eleganti, regalo poco gradito di Eriko. La sua amica aveva questa mania di volerla cambiare e quindi quando le capitava, la rimpinzava di vestiti. Se fossero solo vestiti, ma Eriko esagerava. Ad ogni vestito abbinava scarpe, borsa e accessori. Forse era deformazione professionale, ma di questo passo tutta quella roba avrebbe riempito non solo un armadio, ma la casa intera.
Scacciò questi pensieri e iniziò a vedere 'cosa avesse di bello' a disposizione. Ovviamente ciò significava che avrebbe scartato tutto quello eccessivamente scollato o appariscente. Alla fine l'occhio le cadde su un abito. Era nero, senza maniche, con un fiocco color oro sulla spalla sinistra che era in tinta con i strass che fasciavano il petto. Aveva uno spacco vertiginoso sulla coscia destra, ma rispetto agli altri abiti era meno sgambato. E poi... sapeva come sfruttare lo spacco.
Si guardò ancora una volta allo specchio. L'abito era perfetto, le calzava a pennello e per fortuna gli accessori erano fattibili.Un paio di perle alle orecchie, tacchi neri, non troppo alti e una pochette, color oro, capiente. Si rimirò per l'ultima volta, maledicendo i capelli che avevano deciso di arricciarsi in strane posizioni. D'estate e con l'afa i suoi capelli diventavano indomabili. Ma nonostante questo, l'effetto non sembrava troppo trasandato.
Mise su un altro strato di rossetto – aveva optato per un trucco molto semplice ed elegante – e decise di concentrarsi sullo spacco. Aveva deciso che per sicurezza si sarebbe portata dietro la sua pistola e quale posto migliore nel nasconderla se non tra le cosce? Prese la fondina e se la legò per bene. Si specchiò nuovamente per vedere il risultato: drammatico. Il vestito era troppo attillato e quindi la pistola faceva l'effetto di un enorme palla tra le pieghe. Anche ruotare la pistola verso l'interno coscia era una pessima idea: così non riusciva a camminare, sembrava che le scappasse di andare in bagno.
Strappò la fondina e optò per un'altra idea. Qualche tempo prima, per il suo compleanno, Saeko le regalò un set di coltelli, come quelli che adoperava lei. Kaori si era lamentata che non le sarebbero stati utili, dato che non aveva la mira della poliziotta, ma per tutta risposta le venne detto che intanto aveva a portata di mano dei coltelli. Che avesse mira, aveva poca importanza. Poteva semplicemente 'distrarre' il nemico lanciandoli contro.
Guardò la fondina dei coltelli, se così si poteva chiamare. Saeko, nel suo stile personale, camuffava le sue in modo tale che ad un occhiata veloce risultasse un reggicalze. Ovviamente non aveva badato al fatto che la rossa non aveva di queste tendenze, di conseguenza Kaori si dovette sistemare un reggicalze sulla coscia. Ma nonostante lo scetticismo, l'idea base della poliziotta, funzionava. Prima di tutto i coltelli non si vedevano e anche se si muoveva, si intravedeva solo una leggera striscia di pizzo nero.
Guardò l'ora, il taxi doveva essere già arrivato. Mise la pistola nella pochette, scese le scale e si affacciò alla finestra del soggiorno. Come aveva previsto, il tassista la stava aspettando.

Quando arrivarono a destinazione, un ragazzo le aprì la porta e l'aiutò a scendere. Ringraziandolo, si diresse verso l'entrata del Baycity Hotel. Questo posto la metteva in soggezione, non si sentiva a proprio agio. Era circondata solo da persone facoltose, si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua, anche se al suo passaggio molte teste si erano girate nella sua direzione. In più la cosa che la turbava maggiormente era che l'albergo era situato su un'isola. Era circondata dall'acqua, l'unica via di fuga era il ponte.
Rabbrividì entrando. Forse era troppo tesa, ma questa volta l'aria condizionata non le fece un effetto benefico. L'unica cosa che aveva in mente era incontrare questo fantomatico omonimo, o colui che si firmava così.
Si accostò al maître e gli disse che lo stava aspettando un certo signor Saeba. L'uomo allora chiamò un sottoposto e fece accompagnare Kaori al tavolo.
Per tutto il tempo quel piccolo barlume di speranza, nonostante la negazione di Ryo, rimase acceso in una piccola zona del suo cuore. Ormai era abituata da anni ad aggrapparsi a illusioni e anche quella sera, non fece eccezione. Mentre si avvicinava al tavolo il cuore le andava a mille. Non solo perché aveva paura, ma anche perché più di ogni altra cosa avrebbe desiderato trovarsi faccia a faccia con Ryo, il suo Ryo. Sapeva di essere stupida, ma magari c'era ancora qualche speranza....
Il cuore si fermò, il valletto l'aveva accompagnata ad un tavolo in mezzo alla sala. L'uomo che vi sedeva era nascosto dall'abnorme menù che teneva in mano. Ringraziò il ragazzo e si sedette di fronte a lui. Il cuore le martellava nel petto e sapeva benissimo che le guance le si erano tinte di un leggero rossore. Con le dita torturava la pochette, sperando di non far partire un colpo accidentale. La tensione era nell'aria, quasi non riusciva a respirare. Rimaneva ferma, in silenzio, in attesa. D'improvviso la barriera che divideva i due fu posata sul tavolo.
Un colpo allo stomaco avrebbe fatto meno male. Non c'era il suo socio dall'altra parte del tavolo, ma un estraneo. Che fosse un uomo estremamente affascinante, aveva poca importanza. Anni indefiniti, forse sui trenta, massiccio come Ryo ma con una muscolatura più asciutta. Aveva capelli neri di media lunghezza, ma essendo ricci da fare invidia, risultavano corti e folti. Barba incolta, mascella squadrata, carnagione lievemente più scura della media giapponese, occhi di un marrone profondo. Indossava uno smoking nero, come tutti i presenti d'altronde. Era seduto composto, le dita affusolate sul menù, le sorrideva dubbioso, ma con calore.
Per un attimo Kaori rimase incantata da cotanta bellezza, eleganza e finezza. Poi si ricordò di tutto e si irrigidì tutta. Si rese conto da sola che il suo sguardo divenne duro. "Lei è Ryo Saeba?" tagliò corto. Normalmente non si sarebbe comportata in questo modo, non era nella sua natura, ma quello era un caso eccezionale.
"Sì" rispose cordiale, sorridendo ingenuamente.
"Lei si chiama VERAMENTE Ryo Saeba?"
"Sì, perché?"
L'uomo si appoggiò allo schienale della sedia, allontanandosi da Kaori, segno che prendeva le distanze. Come se non bastasse, la osservava stralunato. Sembrava non essere abituato a un atteggiamento così ostile e diretto. Kaori si morse la lingua, non era proprio in lei. Lei non era così rude e sgarbata, ma non era veramente possibile che fosse un caso di omonimia.
"Se vuole le mostro i documenti..." e nel dirlo cercò nella tasca del vestito il portafogli. Kaori lo bloccò, dicendogli che gli credeva e che non c'era bisogno di ulteriori prove. Almeno così gli aveva detto. Il dubbio e la perplessità rimanevano, ma di certo non avrebbe abbassato la guardia solo perché sembrava sincero e perché il suo istinto le diceva di non essere in pericolo.
"Mi dica pure..." gli sorrise. Infondo era Kaori e di certo la facciata da dura non le si addiceva proprio. Meglio fare buon viso a cattivo gioco e arrivare subito al punto: il motivo della richiesta d'aiuto.
Lo vide studiarla, quasi incredulo. La fissava dritto negli occhi, mettendola un poco a disagio. Era davvero un bell'uomo e sguardi così diretti, non li aveva mai ricevuti. Fu quasi tentata di chinare la testa e interrompere il contatto visivo.
"Lei è" iniziò "City Hunter?" sembrava molto incredulo. Un moto d'irritazione percorse la donna. Cosa voleva dire tanta titubanza? Non credeva che una donna potesse svolgere quel mestiere o che lei lo potesse svolgere? Sembrava il ritornello della propria vita, troppo incapace per fare qualsiasi cosa, troppo sbadata per stare al fianco di Ryo.
"Sì. Sono io. Si aspettava un uomo? Mi dispiace deluderla" sbraitò, afferrando un pezzo di pane e iniziando a sgranocchiarlo. Guardò altrove, si stava innervosendo e quando era nervosa perdeva di vista le cose importanti. In quella situazione doveva rimanere concentrata.
"Mi scusi se l'ho offesa in qualche modo. Ma non mi biasimi se ho erroneamente supposto che di queste faccende se ne occupasse un uomo. Credo sia normale sperare che una donna di tale bellezza non sia immischiata in certi affari. Mi perdoni ancora, signorina....?"
"Ka... Kanako" nonostante le lusinghe – che hanno fatto il giusto effetto, essendo Kaori diventata paonazza – non avrebbe rischiato di rivelare troppo, prima di sapere qualcosa di più su di lui.
"Kanako Murakami" non era proprio brava a inventare nomi falsi su due piedi. Lo vide sorriderle calorosamente, ma con un pizzico di divertimento negli occhi.
"Onorato di conoscerla signorina Murakami. Mi permetta, dato il disturbo arrecatole, di accompagnarla a casa" scolò il suo bicchiere di vino bianco, prese il tovagliolo e si ripulì con eleganza la bocca. La nostra 'Kanako' si paralizzò sulla sedia, non capendo cosa stesse succedendo. Era convinta di essersi dovuta conciare in quel modo per uno scopo, ricevere un incarico...
"Prego?" balbettò, ancora incredula.
"Deve scusarmi, può additarmi come un maschilista, ma credo lei non sia la persona giusta per la mia richiesta. Mi rivolgerò altrove. Sinceramente non mi sento di affidarle questo incarico. Non me ne voglia, purtroppo sono in un certo senso un uomo vecchio stile e lei è una donna talmente bella che..." lasciò sospesa la frase, mentre lei chinò la testa, paonazza. Parlava con pacatezza, sincerità, calore, non distogliendole mai quegli occhi penetranti di dosso. E poi neanche Mick le aveva detto due volte nel giro di pochi minuti che era bella. Non ci era proprio abituata.
"Prego...." le porse il braccio. La rossa lo seguì, zigzagando tra i tavoli, ancora confusa. Appena fuori dal Baycity, 'Saeba' chiese di farsi mandare una macchina con l'autista di proprietà dell'albergo, ma Kaori, nonostante il suo istinto avesse decretato che quell'uomo non era un pericolo, preferì prendere nuovamente un taxi. Lo vide sorridere, quasi beffardamente e dirle "Ma certo" come se intendesse qualcosa di più. Infine, nonostante la remore di lei, decise di accompagnarla personalmente a casa. A suo dire si sentiva terribilmente in colpa per averla fatta venire per niente. Le aveva anche detto di spedigli la fattura, le avrebbe di certo pagato il disturbo. E su quel punto non voleva sentire ragioni.
Kaorì sbirciò dalla sua parte. Stare a così stretto contatto le aveva permesso di inebriarsi del suo profumo. Era molto buono e piacevole. Nonostante il luogo poco consono, manteneva un'eleganza innata, mentre, muto, osservava dal finestrino. In quel momento, per la prima volta, sul suo viso passò un lampo di malinconia. Chissà a cosa stava pensando. Cominciava a dispiacerle un po' per non averlo potuto aiutare, anche se di certo la colpa non fu sua. Non gli rispose a tono – la aveva praticamente discriminata essendo nata donna – solo per le lusinghe di lui. Su quel punto era particolarmente sensibile. Era il suo tallone d'Achille.
Si voltò di scattò dall'altra parte quando lo vide girarsi e guardarla. Lo sentì sorridere, ma non disse nulla. Nel taxi regnava assoluto silenzio, l'unico rumore era il rombo del motore e i tipici suoni del traffico serale. Osservò i grattacieli, colorati da mille luce, stagliarsi in alto. Persone dai mille colori inondare le strade, le macchine erano sempre quelle: lampi rossi, lampi gialli. D'improvviso riconobbe il quartiere e si rese conto, che infondo, non voleva che lui sapesse dove abitava. Il suo cervello continuava a fabbricare troppe ipotesi verosimili per scacciarle del tutto. Disse al tassista di fermarsi, gli diede un paio di banconote e uscendo, si voltò verso l'uomo all'interno della macchina.
"Grazie mille per la sua offerta, ma io sono arrivata. Casa mia è a pochi passi da qui. Mi dispiace molto per non esserle stata d'aiuto. Se cambia idea, sa come contattarmi. Buona serata" dicendolo chiuse la porta e si avviò verso quel quartiere che conosceva da anni.
"Signorina Makimura, aspetti" si voltò di scatto, era lui, era dietro di lei.
"Come ha detto?" divenne come il ghiaccio, si irrigidì tutta e strinse con forza la sua borsa. Lo vide sorridere, ma non come prima. No. Un brivido le percorse la schiena, anche gli occhi erano cambiati. Era diventato un predatore. Camminava lento verso di lei, e lei, di tutta risposta, arretrava. Se solo si fosse accorta dove stava andando, avrebbe preferito mettersi a correre. Ma ormai era in trappola, come gli occhi dell'uomo le suggerivano. D'improvviso sembrava che fossero rimasti loro due soltanto, con il resto dei passanti in lontananza. Solo allora decise di controllare: era in un vicolo cieco, più avanti dietro di lei, un muro e un paio di cassonetti della spazzatura. No. Avrebbe combattuto, come sapeva fare.
Tutto accadde in pochi secondi. Kaori volle aprire la borsa e tirare fuori la pistola, ma una mano più svelta della sua gliela rubò dalle mani. Lo vide estrarre l'arma e scaricarla. I proiettili caddero a terra, tintinnando. Poi gettò tutto in un angolo. Sorrideva, ma lui non sapeva che lei aveva ancora una chance per 'distrarlo'. Scoprì la coscia e non lo vide scomporsi. Prese uno dei cinque coltellini e glielo gettò al volo. L'azione le risultò familiare: lui fermò la prima lama, bloccandola fra l'indice e il medio, a poca distanza dal viso. Scagliò gli altri quattro, ma non ebbe il risultato sperato. Due caddero a terra, uno volò sopra la sua testa e l'ultimo, l'unico che avesse avuto una mira decente, fu nuovamente bloccato. Lo vide gettare i coltelli a terra. Cominciò ad avvicinarsi.
A mali estremi, estremi rimedi. Non aveva più armi con sé, l'unica cosa che le restava erano le sue forze. Chiedendo schiusa mentalmente a Eriko, strappò il vestito sul lato sinistro, per avere più agilità. Dondolò sulle ginocchia e alzò le mani a pugno. Si sarebbe difesa con le unghie e con i denti.
"Signorina Makimura lei mi stupisce. Nonostante abbia le probabilità di sfuggirmi pari a zero, continua a combattere. Lodevole" sorrise, ironico, sornione.
"Tsk. Fatti avanti!" sbraitò, calcolando mentalmente come riuscire a fuggire. Sapeva bene di essere fisicamente troppo debole per affrontarlo, non era stupida, ma avrebbe fatto in modo di sfruttare ogni possibilità che le si presentava.
Lo guardò, non si muoveva di un passo. Sembrava che stesse aspettando chissà cosa, poi qualcosa nella sua espressione cambiò. Sembrò quasi che avesse sentito qualcosa, si mosse lievemente in un direzione, un movimento impercettibile, forse neanche Kaori se ne sarebbe accorta, ma con il movimento avevo girato anche gli occhi. Per un istante. Un istante soltanto, poi gli puntò nuovamente in quelli di lei. Sorrise, diabolico. Con passo svelto si scagliò contro di lei, con vergognosa facilità la spalmò sul muro, bloccandola con tutto il corpo. Con una mano le bloccava il braccio sinistro, schiacciandolo contro i mattoni. Teneva il gomito del braccio destro incastrato nella sua spalla, atrofizzandola, mentre la mano le teneva saldamente il mento. Con le dita riuscì a farle socchiudere la bocca, mentre con ancora quel sorriso ironico, di sfida, si impossessava delle sue labbra, esplorandone ogni centimetro. Ogni tentativo di ribellione sembrava inutile, Kaori era inerme contro tanta forza. Non riusciva a muovere un singolo muscolo.
"Mi sto perdendo la festa?" una voce a lei conosciuta risuonò per il vicolo. Non riusciva a capacitarsi dell'effetto rilassante che aveva la sua voce su di lei. La rassicurava, la faceva sentire protetta, in qualsiasi situazione. Anche in questa. Sapeva che Ryo avrebbe fatto di tutto per difenderla e ciò la rasserenava, facendola peccare di arroganza. Guardò il nemico come a voler dire 'ahi ahi, tu non sai in che guaio ti sei messo', ma di certo non si poteva aspettare che lui, anziché essere intimorito, infastidito o scocciato, risultasse divertito, trionfante. Come se se lo aspettasse. Perché?
Si allontanò da lei, ma questo non gli impedì di prenderla per il collo e tenerla bloccata contro il muro. La tensione era nell'aria. Ryo stava fermo, a pochi passi dal via vai di pedoni. Sembrava non stesse prestando attenzione a Kaori, studiava ogni singolo movimento del suo avversario.
"Signor Saeba. Finalmente è arrivato. Avevo quasi pensando che un misero taxi l'avesse seminata, ma la sua fama è degna di lei" scagliò Kaori contro i bidoni della spazzatura, facendola ruzzolare a terra. L'aveva spostata come se fosse una piuma, con un veloce gesto del braccio. Da terra, lo vide aprirsi la giacca e infilarvi dentro la mano. Ryo si irrigidì ancora di più se possibile, ma lo sgradito ospite non aveva strane intenzioni. Tirò fuori un fazzoletto bianco, con il quale si pulì dalla bocca il rossetto rosso fiammante della donna a terra. L'eleganza era la stessa di quella del ristorante. Con molta pazienza ripiegò il fazzoletto e se lo mise nel taschino. Aveva lasciato fuoriuscire un lembo bianco.
Si fissarono. L'uomo in smoking attese, in silenzio, sperando che lo sweeper più famoso di tutta Shinjuku proferisse parola. Ma l'unica cosa che sembrava trapelare da Ryo fu un'ira, purtroppo malcelata. Normalmente sarebbe riuscito a mantenersi calmo, a fingere indifferenza, ma aveva appena visto una cosa che l'aveva sconvolto: le labbra di Kaori, violate. Ahimè non riuscì a trattenersi dal mostrarsi ostile e ciò non sfuggì al riccioluto. Anzi, giacché notò che lo sweeper non aveva nessuna intenzione di fare alcunché, decise di provocarlo. Ma solo un pochino.
"Le chiedo scusa se ha dovuto assistere ad un tale spettacolo di pessimo gusto. Avrei preferito che non arrivasse così presto, magari se fosse arrivato più tardi, si sarebbe goduto lo spettacolo della sua collega, piegata a novanta che urla il nostro nome, godendo..."
Tanto bastò per farlo scattare. Ma questa volta successe una cosa che parve incredibile a tutti i presenti, tranne per uno. Nel momento stesso in cui Ryo prese in mano la sua python, due pallottole riecheggiarono nell'aria. Ma questa volta non rimase il nemico con la mano sanguinante e la pistola scagliata a qualche metro di distanza, no, questa volta, a sanguinare, fu lo sweeper. La pistola del cliente fumava, mentre con un ghigno guardò la sorpresa sugli occhi di quell'uomo ormai non più tanto giovane. La rinfoderò, certo che non ne avrebbe più avuto bisogno.
"Signor Saeba cos'è quella faccia sorpresa? Pensava veramente che LEI sarebbe rimasto il migliore, per sempre?" non ricevette nessuna risposta, come, del resto, si aspettava. Sorrise ancora, soddisfatto di aver provocato un tale sgomento e si girò verso la donna, che con lo stesso sguardo del collega, lo stava fissando. Dando la schiena senza nessuna remora, porse la mano a Kaori, nel tentativo di aiutarla ad alzarsi.
"Signorina Makimura le chiedo perdono per averla usata come pedina e per averla gettata, con così poco garbo, a terra. Non volevo che in una sparatoria lei si facesse del male. Comprende?" e anche a questa domanda, non sentì alcuna parola di risposta. Vide solo la donna alzarsi, senza il suo aiuto. Trattenne l'ennesimo sorriso, d'altronde si aspettava una reazione del genere.
Decise che era il momento di andare. Camminò molto lentamente, guardando davanti a sé, come tutte le persone in quel vicolo stavano facendo. Affiancò lo sweeper, mise nuovamente la mano nella tasca e tirò fuori una busta rettangolare, gialla. La appoggiò sul petto dell'uomo. Attese qualche istante, ma alla fine Ryo si decise a bloccarla con la mano che non gli sanguinava.
"Spero che accettiate il mio incarico" detto ciò, scomparve tra la folla.


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* Cecilia Ahern, Se tu mi vedessi ora

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo ***


HEARTBREAK
Secondo Capitolo

"I cuori spezzati non fanno rumore, ma, il loro rompersi è disarmante. Non è come il correre ad alta velocità di un treno. Non sono come i cristalli che si infrangono né come il rumore delle botte di Capodanno. I cuori infranti sono qualcosa di talmente assordante che persino nel caos più totale riesci a sentirli. Chi crede che un cuore sia delicato, dovrebbe sentirlo esplodere o spezzarsi d’amore. Questo lo rende nulla di meno di un cannone." *




La busta conteneva rispettivamente cinque cartelle. Sopra ad ogni cartella c'erano dei nomi: Ryo Saeba, Kaori Makimura, Hayato 'Umibozu' Ijuin, Miki Ijuin, Mick Angel. I cinque fascicoli erano posati sul tavolo del soggiorno di casa Saeba. Erano presenti quasi tutti i protagonisti, mancava giusto un certo americano che non tardò ad arrivare. Una volta presenti tutti, ognuno prese la cartella con il proprio nome.
Kaori guardò tutti gli altri prendere la loro, seri. Ryo aveva raccontato tutto agli amici: dell'incidente con la pistola, del fatto che dentro alla busta aveva trovato delle cartelle con sopra il loro nome e che insieme a tutto questo c'era un cartoncino con data, luogo e l'orario di un appuntamento. Nessuno sapeva cosa contenessero questi file ed il collega ebbe la decenza di non aprirli. La donna titubava, un po' timorosa e per l'ennesima volta guardò gli amici: erano seri in volto, gravi. Non era un buon segno. Respirò a fondo e aprì la sua.
Dentro c'era la sua vita. Tutta. C'era la data del suo compleanno, il luogo di nascita, Maki, il fatto che non fossero parenti, c'era persino Sayuri... Non mancavano dettagli sulla macchina che guidava, l'arma che usava, le abilità che possedeva, la sua descrizione fisica – con altezza, peso e gruppo sanguigno – e la relazione che intratteneva con Ryo. C'era anche scritto della confessione dopo il matrimonio di Miki e del bacio sulla nave di Kaibara.
Alzò nuovamente lo sguardo verso gli altri, incontrò gli occhi di Ryo. Lui, la sua cartella, l'aveva posata sul tavolo. Miki e Umi bisbigliavano, mentre la donna avidamente controllava i fascicoli del marito. Mick, dal canto suo, aveva una mano nei capelli e continuava a leggere quelle righe, stupefatto.
Chinò la testa, iniziò a sfogliare i vari fogli in allegato: il suo diploma, il referto medico di quella volta che si era operata di appendicite, il necrologio di Hideyuki, articoli di giornali che si riferivano a casi che avevano risolto, la lista delle clienti che avevano aiutato, multe, conti in banca, fatture, foto scattate negli ultimi mesi...
"Oh mio Dio" commentò, senza nemmeno rendersene conto "Questo uomo sa tutto di noi" e ancora perplessa incontrò lo sguardo preoccupato degli altri. Sicuramente in quelle cartelle c'erano gli scheletri nell'armadio di tutti, a giudicare dalle loro espressioni.
"Ryo, ti sei informato su quell'uomo?" domandò Mick, che con disprezzo gettò i suoi file privati sul tavolo, insieme a quelli degli altri.
"Non avrà trovato niente. È furbo" proruppe Falcon.
"Ha usato un nome falso. Cercando Ryo Saeba sapeva che non avremmo trovato niente" finì Miki.
Ci furono minuti di assoluto silenzio. Nessuno osava parlare, ognuno era chiuso nei propri pensieri. Chi era? Cosa voleva? Come DIAVOLO faceva a sapere tutti i più inutili dettagli delle loro vite? C'era forse una falla nel sistema, una talpa?
"Quindi, cosa facciamo adesso?" parlò Kaori, non riuscendo più a sopportare quella tensione nervosa. Vide soltanto Ryo prendere il cartoncino con i dati dell'incontro. Lo gettò con il resto della carta straccia sul tavolino.
"A quanto pare abbiamo un appuntamento con lui..."

Il luogo dell'incontro era uno di quei grattacieli, dove le aziende davano in affitto uffici o piani interi ad altre aziende, principalmente straniere. Tokyo era una città grande e non sempre c'era spazio a sufficienza per trovare o costruire uffici a proprio piacimento.
Mentre salivano velocemente con l'ascensore, il gruppetto di amici si poté godere lo spettacolo che offrivano le pareti di vetro rinforzato. Ad ogni piano saltato nella cabina si espandeva un 'din' fastidioso. Più i 'din' passavano, più la tensione saliva. Ci fu il penultimo 'din' e l'ascensore si aprì al trentacinquesimo piano. Ad ogni porta c'era una guardia, total black, armata e con un auricolare bianco che contrastava evidentemente con il completo. Gli occhiali da sole neri non permettevano di capire le loro intenzioni. Si misero in guardia, contando tutti i 'nemici' presenti su quel piano e individuando in un batter d'occhio la rampa di scale. La loro principale via di fuga in caso di emergenza.
"Benvenuti, seguitemi" a distoglierli dai loro progetti fu un ragazzo giovane, sotto i trent'anni. Era vestito come gli altri: completo nero, camicia nera, cravatta nera, scarpe nere, pistola che si intravedeva sotto la giacca anche se lui, gli occhiali, li teneva nel taschino.
Procedevano lenti per il lungo corridoio, sentendosi osservati da tutte le guardie armate che fiancheggiavano le porte. La tensione salì e Kaori fu inghiottita dal gruppo dei suoi amici, che le fecero da scudo umano. Sapevano che l'unico elemento debole era proprio lei.
Il ragazzo si fermò davanti alla porta in fondo al corridoio. Bussò, la aprì, bisbigliò qualcosa e la richiuse.
"Prego, il signor Saeba vi sta aspettando" dicendolo si voltò e fece un gesto alle restanti guardie. Li videro muoversi all'unisono, spostandosi verso le uscite e lasciandoli completamenti soli. In pochi secondi il piano, che prima era stato sorvegliato, apparve completamente vuoto. Decisero di entrare senza bussare, ovviamente.
L'ufficio era ampio, ben illuminato e elegantemente arredato. Sul muro alla loro sinistra c'era un divano in pelle nera. Di fronte al sofà c'era un tavolo quadrato con un enorme vaso pieno di rose rosse e dal lato opposto due poltrone, sempre di pelle nere, girevoli. Davanti a loro c'era la scrivania in mogano, circondata da delle piante verdi che dava la schiena ad un enorme vetrata da cui si vedeva il centro di Tokyo, con tutti i suoi edifici e tutte le sue pubblicità. Seduto a quella costosa scrivania c'era il loro 'cliente', che se ne stava fermo a fissare lo schermo del computer. D'improvviso parve risvegliarsi e accorgersi della loro presenza.
"Grazie per aver accettato il mio invito" si alzò, accarezzandosi la cravatta nel tentativo di lisciarla.
"Avevamo scelta?" eruttò Umibozu, sedendosi sulla poltrona più vicina alla scrivania. All'altra si accomodò la moglie, mentre Kaori fu praticamente accompagnata con forza al divano, sedendo al centro, circondata da Ryo e Mick. Lo videro sorridere e prendere la sua pistola, una Smith & Wesson modello 19-3. Le mani di tutti andarono a pescare le rispettive armi, ma l'uomo sembrava non avere nessuna intenzione bellica, anzi, aveva alzato le mani – nello stesso momento in cui aveva visto puntarsi addosso quattro canne – e poi posò lentamente la sua SW sulla scrivania.
"Volevo solo mettervi a vostro agio."
"E cosa mi vieta, adesso, di farti fuori?" chiese Mick, l'unico che non aveva rinfoderato l'arma. A casa, Kaori era riuscita a convincere i suoi amici ad ascoltare ciò che l'uomo aveva da dire, ma l'unico che sembrava duro d'orecchi era proprio l'americano. Da quando erano partiti quella mattina, continuava a ripetere che non appena quel tizio gliene avesse dato la possibilità, gli avrebbe sparato un colpo in testa.
"Lei signor Angel? A stento riesce a non far tremare la mano, mentre mi punta la sua Desert Eagle addosso. Conoscendo le lesioni che ha riportato in quel tragico incidente, potrei senza dubbio affermare che, sì, forse potrebbe ferirmi, ma di certo non riuscirebbe ad uccidermi" fece un sorriso di circostanza "Ora la prego, posi la sua arma e mi faccia parlare. Immagino che nessuno di voi voglia restare a lungo in mia presenza. Tanto prima potrò esporre il mio problema, tanto prima potrete andarvene" la mano gli tremò, ma non per lo sforzo, per la rabbia. Digrignò i denti, meditando se fare come diceva o se semplicemente 'ferirlo' come meglio poteva. La calda mano di Kaori, appoggiata sulla sua, gli fece prendere la decisione che più detestava. L'uomo dall'altro lato della canna sorrise.
"Bene, allora possiamo cominciare il nostro colloquio" premette un bottone su un telecomando. Contemporaneamente sulla parete destra scese uno schermo per videoproiettore completamente bianco, mentre la vetrata che dava sulla città veniva oscurata da dei pannelli meccanici. Iniziarono a scorrere delle immagini, raffiguranti campi, città, case...
"Questo è il paese X. La ragione per la quale da anni si combatte una guerra, che non ha portato nulla di più che morte e distruzione è... questa..." sullo schermo comparvero campi sterminati di papaveri da oppio.
"La principale fonte di guadagno dei boss della droga è la coltivazione dell'oppio, che poi smerciano in Giappone, America, Cina, Thailandia, Europa..." foto di file segreti, top secret.
"Il mio paese era rimasto in mano ai mercenari, a degli stranieri, con l'obbiettivo di coltivare droga, distruggendo tutti quelli che tentavano di ostacolarli. Ecco il motivo della guerra. Sembrava che questa smercializzazione non avesse una fine a breve termine. Oltre alla guerra tra l'esercito e gli spacciatori, c'erano anche fin troppe faide tra i vari clan. I morti non si contavano più..." immagini cruente. Bambini, donne, uomini ammazzati. Fori di proiettile nelle tempie, brandelli sparsi sulla terra, amputazioni, sangue.
"Poi..." foto di un uomo "Una decina di anni fa, l'ex generale dell'esercito del paese X, entrato in politica, iniziò una lotta mediatica contro la droga e ai vari boss. Nel corso degli anni riuscì a debellare la maggior parte dei clan, riuscendo a distruggere diverse piantagioni e sensibilizzando l'opinione pubblica mondiale su ciò che stava succedendo nel nostro paese" immagini varie, foto dell'uomo ai comizi, con vari presidenti di paesi stranieri, articoli di giornale...
"Era costantemente nel centro del mirino. Combatteva a volto scoperto e sapeva i rischi che correva, ma come diceva sempre: 'La nostra causa deve avere un volto, senza un volto non sarebbe altro che un articolo sbiadito, tra le ultime notizie del giornale' e nonostante tutti gli sforzi della sua scorta – nella quale, in seguito, scoprimmo ci furono delle talpe – proprio nell'ultimo incontro politico che si svolgeva in Giappone... è stato assassinato" foto del generale morto, del luogo dell'attentato, degli articoli sul giornale.
"Cosa ci faceva veramente in Giappone?" chiese Umibozu, mentre lo sweeper, dall'altra parte del tavolino, sbadigliava e guardava il vuoto. Ricevette una dolorosa gomitata alle costole da Kaori che lo riportò alla realtà. Decise di partecipare alla conversazione.
"Ho seguito gli avvenimenti del paese X e so per certo che nonostante gli sforzi per allontanare i mercenari o comunque per eliminare tutte le piantagioni di oppio, il problema persisteva. Ad ogni gruppo eliminato ne comparivano altri due, a ogni ettaro di terra ripulito, la produzione si triplicava..."
"Ha ragione signor Saeba."
"E nonostante questo, il generale Kent venne a fare una visita turistica, perché questo era quello che era, in Giappone? Cosa non ci sta dicendo?"
l'uomo premette il bottone del telecomando, sullo schermo apparve la foto di un altro uomo.
"Non ha tutti i torti signor Saeba. I problemi nel nostro paese, nonostante i tanti passi avanti, sembravano peggiorare. La principale causa di tutto questo è... lui: Hiro Tsuda. Il capo della yakuza di Shinjuku, che sta man mano allungando i tentacoli alle altre regioni del paese. Il più grande clan – e l'ultimo rimasto – presente sul nostro territorio era capeggiato proprio da lui. Il generale Kent non era venuto in Giappone solo per questioni politiche, ma per passare delle informazioni alla polizia di Tokyo. Purtroppo non è riuscito a fornirle, essendo caduto, per l'appunto, in un agguato. L'omicidio è stato ordinato proprio da Hiro Tsuda" ci fu un attimo di silenzio, dove i presenti cercavano di filtrare le informazioni ricevute e cercando di trovarvi un senso. Cosa voleva quell'uomo? Vendetta? Era l'unica cosa che, dalle poche informazioni ricevute, si poteva pensare.
"Però l'omicidio è avvenuto qualche anno fa, o sbaglio?" chiese Miki. Vide il riccio appoggiarsi alla scrivania, stringendo le dita sul duro legno. Sembrava perso in chissà quali pensieri. Poi alzò la testa e andò ad osservare ognuno dei suoi ospiti.
"Quello che ora mi appresto a dirvi, dovrà rimanere strettamente personale" e dicendolo, prese dalla tasca un piccolo aggeggio, con sopra un bottone blu. Lo schiacciò e un rumore acuto perforò i timpani di tutti i presenti.
"Per le possibili microspie..." spiegò e fece passare altre foto di diverse donne. Sembrava sempre la stessa, ma il colore e il taglio dei capelli cambiava. Indossava sempre gli occhiali, cappelli e sciarpe che le coprivano il volto. Identificarla era difficile.
"Il generale Kent, per il rischio che correva portando avanti la sua battaglia, ha reso nota l'esistenza di una figlia a pochi. Io ero uno tra quelli, ero la sua guardia del corpo" altre foto.
"Il generale aveva sempre protetto la figlia, in ogni modo. La fece studiare in Europa, lontano da casa e per non rischiare di coinvolgerla e mettere la sua vita in pericolo, ha sempre negato la sua esistenza. L'unica cosa che voleva era la sua felicità e la sua salvaguardia. Diede precisi ordini: se fosse morto, Sanja, la figlia, doveva espatriare, prendere una nuova cittadinanza e rifarsi la vita altrove. Purtroppo non mise in conto il carattere della figlia. Dopo la morte del padre ebbe la brillante idea di continuare il suo lavoro e di conseguenza, esporsi. Nel corso dei mesi riuscì a recuperare le informazioni che il generale doveva alla polizia giapponese. Lo fece, passò alla polizia di Tokyo tutte le notizie che servivano per bloccare i traffici di Tsuda nel nostro paese. Ci riuscì, in parte. Ovviamente anche lei era ferma sostenitrice del potere del volto pubblico e allora cominciò a fare propaganda nel nostro paese, attirando purtroppo l'attenzione. Nonostante tutte le precauzioni prese..." foto di parrucche, travestimenti "per mantenere la sua identità il più possibile nascosta – per non fare vedere al nemico il suo vero volto – la settimana scorsa, durante una festa privata, è stata assalita dagli uomini di Tsuda..."
"I media non ne hanno parlato" si lamentò Ryo.
"E di questo sono lieto" sorrise tristemente "è stato mio preciso compito insabbiare tutto."
"Perché?" chiese Miki "È triste da dire, ma un fatto del genere avrebbe avuto una grande risonanza nell'opinione pubblica. Non era questo il vostro scopo?"
"Ho fatto di tutto per non far trapelare nulla e per far credere agli esecutori dell'attentato che non avevano portato a termine il loro lavoro. Che avevano fallito... " altro silenzio, alcuni minuti di disorientamento, poi, di colpo, il significato di quelle parole li colpì, a uno a uno. Tutti puntarono lo sguardo verso il cliente, ancora appoggiato alla scrivania, che continuava a guardare il vuoto.
"È rimasta in coma per quarantotto ore, poi il medico ha decretato la morte cerebrale" nessuno osava parlare, non sapendo nemmeno cosa dire. Tutti rimasero chiusi in religioso silenzio: Falcon, con le braccia incrociate, fissava il muro di fronte a sé. Miki e Kaori si guardavano, come se riuscissero a parlare solo con gli occhi. Mick, a gambe divaricate, era appoggiato con i gomiti sulle ginocchia e osservava un punto a terra. L'unico che mostrava apparente noia era Ryo. Gambe accavallate, braccio che reggeva la testa, sguardo annoiato che zigzagava da un amico all'altro. Sapeva che come storia era triste, ma in vita sua aveva visto cose anche peggiori.
"Nessuno sa della sua morte. Gli unici a saperlo siamo noi sei e altre poche persone" li guardò, uno ad uno, con l'implicita richiesta di non farne parola con nessuno. Trovando conferme nei loro sguardi, continuò "Bene, ed ecco che arriviamo all'incarico che vi voglio proporre" fece il giro della scrivania, aprì il primo cassetto e tirò fuori tre fascicoli belli spessi. Ne diede uno a Miki, uno a Ryo e l'ultimo a Mick. Tutti rimasero immobili, quasi a non voler curiosare tra quei referti in sua presenza.
"Spero che accettiate il mio incarico. Verrete lautamente ricompensati. Ma la cosa che vi chiedo maggiormente è quello di pensarci seriamente. Non vi impongo niente, le mie minacce sono servite solo a farvi riunire tutti e cinque in mia presenza. Vi prometto che non userò le informazioni in mio possesso contro di voi in caso di un rifiuto, ma l'unica cosa che vi chiedo e quella di pensarci e di prendere in considerazione l'incarico."
"Ma di cosa si tratta?" chiese Kaori, curiosa. Lo vide sorriderle tristemente, allungare il braccio affusolato verso lo schermo del pc – schermo che aveva fissato intensamente quand'erano entrati – e girarlo verso di loro.
"Questa è Sanja..." c'era una foto, di una donna. Capelli scuri, corti, rasati. Kaori sgranò gli occhi, sentendosi puntare d'improvviso tutti gli occhi addosso. L'unica differenza tra lei e quella donna erano i capelli, per il resto... erano due gocce d'acqua.


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* Alessia Auriemma

Ringrazio tutte le persone che seguono questa fan fiction e quelle che l'hanno messa tra quelle da ricordare (ricordate, vi spio. MUAHAHA).
Al prossimo capitolo.

Arte_P

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