Ninjitsu 2012

di NightWatcher96
(/viewuser.php?uid=449310)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Haruhiko Murakami ***
Capitolo 3: *** Alex Roux ***
Capitolo 4: *** Liam Johnson ***
Capitolo 5: *** Liu Ling ***
Capitolo 6: *** Nat Xu ***
Capitolo 7: *** Io Come Lupo ***
Capitolo 8: *** La Prima Notte a Berlino ***
Capitolo 9: *** Uniformi ***
Capitolo 10: *** Problemi in Mensa ***
Capitolo 11: *** Dove Sei Liu? ***
Capitolo 12: *** Serata in Quattro ***
Capitolo 13: *** Benvenuto, Fratellino! ***
Capitolo 14: *** Una Movimentata Mattina ***
Capitolo 15: *** Piccoli Colloqui ***
Capitolo 16: *** L'Arte del Combattimento (Parte I) ***
Capitolo 17: *** L'Arte del Combattimento (Parte II) ***
Capitolo 18: *** L'Arte del Combattimento (Parte III) ***
Capitolo 19: *** L'Arte del Combattimento (Parte IV) ***
Capitolo 20: *** Famiglia Riunita ***
Capitolo 21: *** Iniziano i Problemi ***
Capitolo 22: *** Il Mondo in Pericolo ***
Capitolo 23: *** Prima della Partenza ***
Capitolo 24: *** New York ***
Capitolo 25: *** Un Giorno Sfortunato ***
Capitolo 26: *** Catastrofi (Parte I) ***
Capitolo 27: *** Catastrofi (Parte II) ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Non era solo la NASA a dirlo: centinaia di studiosi preannunciavano tutti la medesima cosa; la distruzione del mondo il 21 dicembre 2012. Migliaia di scienziati studiavano senza sosta l'universo, alla ricerca di risposte in quei minuscoli puntini luminosi, denominati stelle o pianetini... cannocchiali, satelliti e sonde viaggiavano intorno all'orbita terrestre alla disperata ricerca di localizzare segnali radio provenienti da altri mondi, altre specie, altri esseri. Molti erano stati gli avvistamenti di UFO; miliardi le foto che mostravano in diverse parti del mondo, dischi ovali neri fissi in cielo... ma mai c'erano stati contatti con gli Extra-terrestri. C'erano troppe domande da scoprire, era tutto avvolto dal mistero...
Seppur mancassero circa venti giorni alla cosiddetta "fine del mondo", pochissime erano le persone che effettivamente ci credevano: spendevano più che potevano i soldi per soddisfare i desideri più ingordi; ladri che rapinavano senza sosta, sperando di morire immersi nei soldi, politici che, ormai, speravano di potersi imbarcare su un qualche mezzo speciale e allontanarsi dal pianeta Terra, o quello che ne rimaneva. Non era il caso di elencare tutti i problemi che l'affliggevano: le scorie nucleari erano al primo posto e poi, a seguire con il rigonfiamento eccessivo della crosta terrestre... Tutto non andava.
E c'erano documenti top-secret che creavano l'ipotesi di grosse arche che raccogliessero i maggiori monumenti e creazioni dei secoli precedenti, dal Rinascimento, prima e dopo e persone importanti, per scongiurarli dalla morte certa. Loro avrebbero potuto salvarsi... E gli altri 6 miliardi di persone? Non potevano di certo essere messi in tasca! Il mondo non era da solo... C'erano, in quattro diverse parti del mondo, quattro sconosciuti eroi e un'organizzazione segreta, li avrebbe aiutati a ritrovare il loro legame di fratellanza...

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Haruhiko Murakami ***


Giappone, 1 dicembre, ore 16.20

Una figura avvolta da un mantello blu notte passeggiava lentamente in un bosco innevato, costeggiato da abeti verde smeraldo, ornati da sciarpe di neve candida; il pallido tramonto invernale aveva già sfumato di un rosa spento, striato dal blu gelido della sera, il cielo infinito e nubi gonfie fissavano divertite il paesaggio circostante. C'era solo il silenzio lì intorno e ben presto, una selvaggia folata di gelido vento invernale, riuscì a mostrare il volto della figura, il cui aspetto era quello di un sedicenne. Capelli fino alla nuca ramati, come gli occhi dolci; un kimono azzurro sul busto, nero sulle maniche, così come l'aderente pantalone e le "ballerine" ai suoi piedi. Dalla spalla destra fino al fianco sinistro, capeggiava una fascia corvina di cuoio, sostegno di un fodero contenente due katana gemelle. La determinazione e il coraggio erano sfumature del suo volto da giovane avventuriero. 
Si fermò e osservò i solchi nella neve candida sotto i suoi piedi: sorrise lievemente e sospirò; voltò lo sguardo al cielo e cominciò a correre, senza curarsi dei crampi dei muscoli delle gambe, provocate dal freddo intenso.

Una casa giallino chiaro, composta da due piani con dei tetti ramati spioventi, comparve sullo sfondo, immersa fra abeti alti e maestosi; il giovane sorrise ancora e si diresse all'entrata, sfilandosi le scarpe umide di neve sciolta: -Sono a casa!- espresse, in lingua giapponese.

Da una porta spalancata, che affacciava su una cucina interamente blu tenue, comparve un ragazzino più basso e vivace, di dodici anni. Occhi corvini, capelli corti: -Ciao, fratellone!- ridacchiò, abbracciandolo affettuosamente.

Il giovane gli strofinò la mano fra i capelli ribelli, scompigliandoli: -Tutto a posto, Doi?- domandò sempre con un calmo sorriso fraterno sulle labbra.

Il dodicenne annuì e si staccò dall'abbraccio; lentamente il sorriso si dissolse, mentre un'ombra di tristezza avvolse i profondi occhi a mandorla corvini -Haruhiko... sento che... qualcosa non va...- ammise con un profondo sospiro.

Haruhiko ebbe un battito mancante; non poté far a meno di nascondere una nota di preoccupazione sul suo pallido viso. In qualità di fratello maggiore sapeva che avrebbe dovuto capire cosa non andava con il suo fratellino; i due si sedettero su alcuni cuscini blu notte nel salotto, pronti per parlare. Una stanza non molto grande, pareti di cartongesso giallino chiarissimo, pavimento di toghe lucide di legno, un tavolo rettangolare basso di noce lucido, una televisione in un angolo, una finestra ampia, accompagnata da tende in tono con l'arredamento. Piccoli bonsai rallegravano lo scarno arredamento orientale. 
I due si sedettero in ginocchio su quei cuscini e Haruhiko rimase in silenzio, senza mai smettere di guardare Doi, piuttosto nervoso.

-Haru... la mamma non sta bene... Ho sentito che tosse spaventosa aveva questa notte... Stamattina è uscita molto presto e non è ancora rincasata...- spiegò con occhi lucidi, stingendo i pugni sulle cosce; si mordicchiò il labbro inferiore e trattenne le lacrime: Ho paura, Haru... Che cosa possiamo fare?- domandò.

Haruhiko rimase in silenzio; non ne sapeva nulla... ma quando la sua mente connesse la bocca per la risposta, ecco che la porta d'entrata si aprì e si richiuse. I due si guardarono negli occhi e corsero immediatamente a vedere. Una donna dai lunghi capelli lisci e neri, occhi azzurri, un cappotto bianco addosso, che lasciava trasparire le gambe protette dalla morsa del gelo, sotto un kimono rosa pesco, costeggiato da piccoli fiorellini lilla. 

-Mamma!- esclamò Doi, correndo ad abbracciare la donna sorridente, alias Makoto: -Ci sei mancata molto!- proseguì, affondando la testa sul seno materno.

Ella annuì e guardò Haruhiko, che notò come reggesse a fatica delle buste bianche, contenenti della spesa; senza dir nulla, le afferrò delicatamente e le portò in cucina, evitandole sforzi inutili. Vi erano del pane, formaggio e verdure; qualche frutto e caffè.

-Tutto a posto, mamma?- chiese il sedicenne, notando come un lampo mutò per una frazione di secondo gli occhi materni: -Mi sembri molto stanca- ammise con preoccupazione.

Makoto si tolse il cappotto e si aggiustò una ciocca dietro l'orecchio destro; assieme a Doi, entrò in cucina, consapevole di non poter sfuggire allo sguardo penetrante del figlio. Tentò di cimentarsi in altre faccende, sperando di contraddire Haru, che aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne ebbe il coraggio. Guardò la schiena di sua madre e sospirò internamente, non volendo indagare; afferrò la mano di Doi e si diressero verso la scala di toghe di legno, che li avrebbero condotti alla zona notte. 
Un bagno interamente verde chiarissimo, due camere da letto. La prima era di Haruhiko; un armadio di noce scuro, un letto singolo, un piccolo sostegno di metallo per le sue katana. Era piccola, ma piuttosto spaziosa. Quella di Doi era un po' più "infantile": armadio e comodini di un blu acceso, un lettino singolo, una scrivania, pupazzi tigrati sparsi dappertutto.

Entrarono nella stanza di Haru e chiusero la porta; Doi si sedette sul letto del fratello maggiore, attendendo la frase tipica: -La mamma ci nasconde qualcosa!-.

Doi annuì e si grattò la testa, pensieroso: nessuno poteva mentire al maggiore, perché era in grado di percepire la menzogna dalla verità... era una specie di sesto senso che gli dava un certo orgoglio, ben imbottigliato nel profondo del suo cuore. Haruhiko era un ragazzo dolce, forte e determinato; avrebbe dato volentieri la sua vita pur di vedere salva quelle delle persone che amava... Per questo motivo continuava a maledirsi per aver lasciato morire suo padre...

Notte. Freddo. Neve. Akira Murakami festeggiava la nascita del suo piccolo Doi, sostenendo in braccio un Haruhiko di soli tre anni. Sorrisi, gioia, amore, vagiti... E poi un colpo forte alla porta; una schiera di uomini dal volto coperto, armati di mitra e armi da fuoco; Akira brandisce le katana dai foderi e combatte, incassando un proiettile alla spalla, per evitare che colpisse Doi o Makoto. Haru decide di intervenire, ma uno degli uomini lo stordisce con la canna della pistola sul capo... Grida, dolore e lacrime... Poi un solo colpo e un gemito strozzato... Occhi verdi vuoti, un tonfo, un lago rosso... Morte, dolore, lacrime... Gli uomini vanno via e Haru vede suo padre ormai morto...

Haru si perse nei pensieri... le lacrime e la rabbia cominciavano a farsi strada nei suoi occhi, ma prima che potesse effettivamente rendersene conto, il suo nome pronunciato da Doi lo riportò alla realtà. Cercò di ricomporsi e sbatté gli occhi un paio di volte, prima di capire all'ultimo secondo cosa avesse detto il suo fratellino.

-Io non voglio perdere anche la mamma, Haru... Papà dov'è? Ci ha lasciati, vero? Perché ci ha abbandonati?- piagnucolò Doi, senza mai smettere di guardare il fratello maggiore, che chinò sconfitto lo sguardo, mordicchiandosi il labbro per tacere sulla verità dell'eroico Akira.

Come promesso alla mamma, egli non poté mai dire come stessero effettivamente le cose.

Haru sospirò e circondò in un abbraccio il suo fratellino, strofinandogli la mano sul suo maglione bianco, in tono con il pantalone nero e la cintura di stoffa che lo sorreggeva alla vita; appoggiò il mento sui capelli corvini, fissando il vuoto, rivedendo i frammenti dei suoi ricordi spezzati... Il cuore batteva intensamente... 

Katana. Addestramento. Città. Azzurro. Rame. Buio. Dolore. Neve.

Ricordi confusi vorticavano nella testa del giovane sedicenne, che non si accorse del tremore del suo corpo fino a quando Doi si staccò dall'abbraccio; lo guardò attentamente prima di scuotere negativamente il capo, asciugandosi gli occhi. Sul suo volto vi era determinazione.

-Scusami, Haru... Hai ragione, devo pensare positivo! Non so che mi sia preso...- ridacchiò Doi ancora con voce incrinata dal pianto: -Aiutiamo la mamma?- propose, scattando dal letto quando sentirono il campanello della porta.

Si scambiarono una sguardo confuso e scesero rapidamente le scale, raggiungendo l'entrata, dove, Makoto stava parlando con uno strano tizio con una maschera sul volto bianca a strie nere, che si torcevano come alghe marine. Due fori erano per gli occhi, troppo nella penombra per essere identificati. Indossava un pantalone aderente di pelle corvino, un giubbino dello stesso colore, stivali a metà polpaccio idrorepellenti e guanti dello stesso colore e materiale. Suppergiù, doveva avere una profonda attrazione per quel colore. I capelli erano corti e ribelli, di un castano scuro. Era sicuramente un ragazzo di... quattordici anni o quindici... Non si capiva.

Entrò e sembrò guardare soprattutto Haku, il quale rimase impassibile, avvertendo come Doi gli stringesse paurosamente la mano destra, ben nascosta dal suo corpo schiacciato contro il braccio dell'altro. Flesse in busto in avanti rispettosamente e parlò nella lingua madre dei presenti, ovvero il giapponese.

-Buonasera- salutò educatamente, con voce lineare e molto cristallina, nonostante fosse camuffata dalla maschera sul volto: -Mi scuso per la mancanza di avviso, ma ho bisogno di parlare con Haruhiko Murakami- proseguì, sempre molto educatamente.

Makoto annuì e dette uno sguardo d'intesa al giovane, il quale deglutì e ricambiò con la voglia di privacy. Desiderava avere una discussione in privato e sua madre, donna estremamente intelligente, afferrò per mano Doi esi chiuse in cucina, lasciando soli i due ragazzi.

Il ragazzo misterioso annuì lentamente, avendo apprezzato in modo particolare il gesto: -Ti ringrazio, Haruhiko- mormorò, rimanendo fermo, con le spalle alla porta, senza mai staccare gli occhi dal viso del suo interlocutore, che dette un lieve sorriso di rimando.

Ci fu un brevissimo silenzio, prima che Haruhiko, alquanto stufo di quell'attesa snervante, lo rompesse: -Posso chiederti chi sei e cosa vuoi?-.

La sua voce risuonò leggermente aggressiva, ma tentò di ricomporsi per non essere scortese.

Il ragazzo annuì una seconda volta e parlò: -Sei stato ingaggiato in un'organizzazione segreta, per un motivo più che valido. Salvare il mondo- spiegò, interrompendosi di proposito, notando un certo smarrimento sul volto dell'altro.

Haruhiko aprì la bocca, cercando di mantenere il sangue freddo: -Io? Salvare il mondo? Temo di non capire...- ammise, quasi tachicardico.

Non riusciva proprio a comprendere il motivo di quella visita.

-21 dicembre 2012. Questa è una data fatidica. Non è un obbligo, ma... puoi combattere non solo per il tuo passato- proseguì con le mani dietro la schiena: -Haruhiko, questa vita non ti appartiene. C'è qualcosa di molto più grande lì fuori... Hai bisogno di risposte-.

L'altro era più confuso che mai... muoveva rapidamente le iridi ramate, alla disperata ricerca di un nesso logico il quelle vaghe parole, avvolte dal mistero più totale. Non sapeva cosa rispondere, i suoi occhi assunsero una luce triste e la rabbia precedente, lasciò il posto all'angoscia... sapeva che, dopotutto, quel tipo non aveva tutti i torti...

-Io...- mormorò Haru avvilito; strinse i pugni nervosamente: -Mi dispiace... ma non posso lasciare la mia famiglia... anche se si tratta del mondo...- fu la risposta concreta.

Mai come quella volta, si era sentito un autentico vigliacco... Era un egoista, ma in fondo era per la famiglia, no? Perché il suo cuore gridava il contrario? Che cosa c'era che non andava in lui? 

Katana. Addestramento. Città. Azzurro. Rame. Buio. Dolore. Neve.

Di nuovo quelle immagini... la mente di Haru sembrò esplodere, ma il ragazzo aprì la porta e un soffio gelido di vento si posò selvaggiamente sul suo viso, costringendolo a guardare...

-So che non è la tua risposte definitiva. Quando capirai il momento- e gli consegnò una strana fascia azzurra, con due fori per gli occhi, alquanto logora: -Segui il cuore e mi troverai- e una nuova folata di vento, cancellò la figura dello strano ragazzo.

Haruhiko rimase a fissare la fascia che danzava sul vento che galleggiava nella casa; un brivido indefinibile correva lungo la sua schiena... aveva la netta impressione che aveva già visto quella bandana, ma dove? Scavò nel libro dei suoi ricordi, senza trovare nulla... Fissò la neve fuori la porta e senza rendersene conto, i suoi piedi lo trascinarono al freddo, piantandolo nella neve, mentre la luna piena brillava nel cielo solitario, frastagliato dalle cime oscure degli abeti, scossi dal vento. Nel fruscio che riempiva l'aria, Haruhiko avvertì qualcosa scorrere sulle sue guance... guardò ancora la fascia nelle sue mani, ma tentava di respingere faticosamente la vera risposta nel suo cuore...

-Haru...- chiamò debolmente Makoto, uscendo fuori dalla casa, abbracciandolo: -Devi fare quello che devi. Non sentirti obbligato- le ricordò, strofinandogli le lacrime dalle guance.

Il ragazzo sorrise debolmente e gli strinse le mani fra le sue: -Mamma... Io... mi dispiace tanto... però sento che, devo farlo- sospirò, incapace di trattenere le nuove lacrime sul suo viso fiammeggiante.

Perché si sentiva ancora più confuso?

Doi, fermo accanto all'infisso della porta, piangeva in silenzio, avendo compreso che suo fratello sarebbe andato via... Tentò di auto-convincersi che non li stava abbandonando, che era per salvare il mondo... eppure la rabbia cresceva nel suo cuore... non desiderava quello... il presentimento che aveva avuto era dunque quello? Si mordicchiò nervosamente il labbro e corse in camera sua, sbattendo la porta con rabbia.

-Amore mio... sono orgogliosa di te e... sono certa che lo sarebbe stato anche tuo padre- pianse Makoto, con il sorriso sulle labbra; lo abbracciò e i due andarono nuovamente in casa.

Haruhiko si accorse della tensione in casa e pensò bene di cercare il suo fratellino, avendo la risposta dai singhiozzi che proverinono dalla sua casa; salire quelle scale, per la zona notte, sembrava molto faticoso. La lama dell'egoismo ma dell'onore penetrava a fondo, lacerando la sua anima, già in parte distrutta per quella sofferta decisione. Si avvicinò alla porta della stanza di Doi e girò la maniglia, vedendolo steso supino sul letto, con il viso affondato nel cuscino e i singhiozzi più forti e costanti. Entrò e si trascinò lentamente accanto a lui, strofinandogli la schiena affettuosamente.

Doi lasciò fare, odiando sé stesso per aver creduto che Haru lo avesse voluto abbandonare: -Io... mi dispiace... Haru... non voglio che tu te ne vada!- gridò fra le lacrime che avevano già creato una macchia scura all'altezza del viso.

Il sedicenne prese un respiro profondo e lasciò che il fratellino lo abbracciasse selvaggiamente, ben consapevole che quello sarebbe stato l'ultimo: -Sta a te, adesso, proteggere la mamma, Doi- gli sussurrò, accarezzandogli i capelli.

Il ragazzino ebbe un battito mancante; spalancò gli occhi e continuando a versare silenziose lacrime, alzò il capo, indirizzando lo sguardo umido a quello apparentemente calmo del maggiore, il cui cuore martellò di tristezza, nel petto. Si mordicchiò il labbro, ma esibì il sorriso migliore che aveva... Doi aveva un gran cuore, dopotutto.

-Ok... ti prometto che, da adesso, sarò il l' uomo di casa... però... promettimi che tornerai...- singhiozzò ancora, scrollandolo per le spalle, malgrado l'altezza dell'altro, che annuì deciso.

Haruhiko ebbe un'idea: si accovacciò sotto il suo letto e ne tirò fuori una valigetta rossastra, di pelle e rialzatosi in piedi, la porse con orgoglio a Doi, che titubante, l'afferrò nelle mani. Alquanto titubante la osservò, per poi voltare gli occhi corvini a quelli ramati del fratello, che annuì, chiedendogli con lo sguardo, di aprirla. Doi l'appoggiò sul letto del fratello e sciolse il nastro dorato che sorreggeva strettamente le estremità della valigetta; quando vide il contenuto, non credette ai suoi occhi. Si voltò con sguardo felino a suo fratello, che sorrise.

-Fratello... io... questo è stato il tuo pugnale... perché me lo vorresti dare?- chiese meravigliato a tal punto di esitare perfino a lisciare la lama liscia e affilata che rifletteva la sua persona, in quel metallo pulito e prezioso: -Te lo ha dato papà, ricordi?- mormorò, con tristezza.

Era un bellissimo pugnale, non molto grande. L'impugnatura era bordata da una fascia bianca, la lama liscia e affilata era stata la protagonista delle sere d'allenamento di Haruhiko, desideroso di imparare la nobile arte, per vendicare suo padre... Doi era molto felice per l'arma, ma triste in quanto sapeva il sudore, il sangue e la fatica che racchiudeva quel riflesso argenteo, che ora sembrava fissarlo. Non voleva che suo fratello se ne separasse...
Sentì la mano fraterna sulla spalla e la tensione che pulsava in tutto il suo corpo, scomparve velocemente, lasciando spazio alla pace interiore.

-Ho le katana. Credo che un ninja come te, abbia bisogno di un'arma, se vuole proteggere, no? Ti ho insegnato il ninjitsu e adesso, proprio come farebbe nostro padre, ti nomino "Guerriero" e ti dono la stessa arma che mi ha aiutato a crescere. Sono orgoglioso di te, Doi- e s'inchinarono rispettosamente.

Haruhiko afferrò una piccola borsa a tracollo blu notte, avendola riempita con kunai e shuriken, qualche soldo, alcuni vestiti. Afferrò l'inseparabile mantello e se lo allacciò al collo: la katana erano già sulla sua schiena, a croce. Si allacciò alla spalla ben muscolosa la fascia ninja datogli da quel misterioso ragazzo mascherato e si fermò sulla soglia della porta. Si voltò un'ultima volta, abbracciando sua madre e suo fratello... Sorrise con il cuore pesante e aprì la porta, pronto a intraprendere quel viaggio, che gli avrebbe dato risposte e cambiato la vita...
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Alex Roux ***


Parigi, 2 dicembre, ore 18.00

Le strade di Parigi erano gremite di persone che passeggiavano allegramente sui marciapiedi; nonostante fosse scuro, i numerosi negozi dalle più famose marche non solo di cosmetici, illuminavano a giorno l'intera città. Gli allegri chiacchierii delle persone senza una metà precisa, erano il sottofondo di una normale serata invernale.
Il cielo bluastro, striato di nero, verso l'orizzonte, ben nascosto dagli enormi palazzi scuri, freddo e nuvoloso, osservava con inquietudine un gruppo di quattro ragazzi ventenni, che davano l'aria di tipi poco raccomandabili. Partendo dai loro capelli impomatati per bene, indossavano lo stesso giubbino di pelle castano scuro, un paio di jeans sfilacciati, secondo una nota moda, scarpe da ginnastica. Sarebbero stati normali teppistelli di strada, se non fossero stati armati di pugnali, coltelli a serramanico e catene. I loro percing brillavano sotto le luci fredde dei vari lampioni e la loro ombra, era proiettata lateralmente, grazie alla bell'illuminazione di una gioeielleria, esattamente dinanzi a loro.

Il tipo che sembrava il loro capo, ghignò e si sfilò gli occhiali scuri che indossava; si passò una mano sui capelli rossicci e corti ricoperti di gel e gli occhi ramati si rifletterono per bene nella vetrina: -Ok, ragazzi, si balla!- pronunciò in francese.

La Tour Eiffel che si vedeva in lontananza, rischiarava l'orizzonte oscuro con il sistema d'illuminazione che formava un manto di perle dorate; era un bello spettacolo e a quanto pare, un ragazzo sedicenne la pensava in questo modo. Seduto su una verde panchina, in un parco circolare, osservava sorridente la punta molto piccola dell'antica costruzione francese, ignorando il lento scorrere del tempo. Indossava un cappotto nero all'addome e rosso sulle maniche; il cappuccio con tanto di bianca pelliccia, proteggeva il collo e sfumava di bianco i suoi capelli corti e corvini, in tono con degli occhi miele. Un pantalone nero proteggeva dal freddo le gambe, mentre i piedi giacevano in scarpe da ginnastica corvine, dalla punta bianca, così come i lacci. Aveva un braccio penzolante sul bordo della panchina e una gamba sull'altra... sembrava attendesse qualcuno.

Un urlo femminile echeggiò nell'aria, giungendo perfino nel parco di sempreverdi dove molte persone erano rimaste all'erta; il giovane ghignò e si passò il pollice sotto al naso: si alzò dalla panchina e s'incamminò con le mani nelle tasche del giubbino, verso sud, in corrispondenza della gioielleria. 

-Coraggio, donna! Ti ho detto di mettere i soldi in questa borsa o ti sparo in testa!- intimò aggressivamente Maurice, alias il capo della banda, dai capelli rossi.

Teneva nella mano destra una revolver lucida, che rifletteva la luce prismatica delle "tendine" disposte in file di vetro Swaroski; il ghigno che allargava le sue labbra, non prometteva nulla di buono. La povera vittima sotto tiro era una donna di circa venti anni, dai lunghi capelli biondo platino e gli occhi nocciola. Indossava un pullover bianco panna su dei jeans attillati, con un paio di stivali con tacco spesso e punta sul davanti, cioccolato scuro. La paura, oramai, l'aveva paralizzata a tal punto da non riuscire a muovere un solo muscolo. Questo fu un problema grave, dato che Maurice stava innervosendosi sempre più... 

-Non hai sentito? Ho detto: metti i soldi in questa borsa!- urlò, mentre i suoi scagnozzi stavano svaligiando le varie vetrinette, intascando anelli preziosi e pietre di valore, incutendo paura alle persone sfortunate in quel negozio: -MUOVITI!- e le puntò la canna proprio all'altezza del suo pallido viso.

La donna tremava... chiuse gli occhi per non guardare la sua tragica fine, quando un piccolissimo oggetto, colpì all'istante la mano di Maurice, disarmandolo. Il ragazzo, furibondo, scattò all'indietro per vedere chi fosse il folle che avesse osato tanto... le sue iridi correvano nelle palpebre senza sosta e notando come un gonfiore rosso sul dorso della mano, lasciava spazio a una pozza rossa gocciolante, identificò quella specie di proiettile. Era un semplice anello d'oro con un duro rubino, in terra, nemmeno ammaccato.

-CHI SEI?!- strillò a pien polmoni, notando il ragazzo dagli occhi miele, che sedeva solitario sulla panchina del parco, a godersi la Tour Eiffel: -Come hai osato, ragazzino!- e immediatamente, brandì dal pavimento marmoreo chiaro, l'arma da fuoco corvina, ignorando il pulsare nella mano.

Si avvicinò al giovane, il quale si limitò semplicemente a ghignare, consapevole di portare la rabbia avversaria a un livello incontrollabile; rimase a fissare con la coda dell'occhio e con le mani in tasca, le persone terrorizzate che vedevano in lui l'eroe pronto a salvarli. La donna che aveva rischiato di morire, era schiacciata in un angolo del muro e lo fissava con profonda gratitudine, ben distorta dalla fifa tremenda nei suoi occhi vitrei.

Maurice gli puntò la canna al cuore, ringhiando come un leone in gabbia: -Chi ti ha detto d'intrometterti? Adesso lo sai che cosa ti farò, bastardo?- imprecò avvicinandosi al viso del calmo giovane, il quale ridacchiò di gusto.

Questo provocò un sobbalzo da parte del ladro dai rossi capelli... allentò la pressione della pistola dal petto del giovane, per poi sbattere le palpebre e puntargliela sotto al mento, non volendo affatto cedere.

-Carina la pistola! Sembrano quelle ad acqua che usano i bambini al mare!- ghignò il giovane, mollandogli un pugno bello forte dritto allo stomaco: -E scommetto che non ti servirà a nulla in prigione!- la sua voce risuonò grave e minacciosa, mentre eseguiva una ginocchiata perfetta allo sterno, completando con una torsione delle braccia nemiche, dietro la schiena.

Lo sconosciuto eroe avvicinò le labbra il più possibile all'orecchio destro del nemico, piuttosto incredulo, il quale ne percepì il fiato caldo contro la sua sua pelle. Una perla di sudore colò lungo la fronte, così come il sangue scivolò oltre la ferita sulla mano, finendo in terra.

-Chi sei?- chiese ancora una volta il ladro, consapevole che la sua voce era intrisa di paura, perché nessuno lo aveva colpito e messo K.O. così facilmente: -Dimmelo...- sembrò implorare, annullando la resistenza corporea per sgusciare da quella presa così da agente della polizia.

Il giovane ridacchiò ancora: -Non sono un poliziotto, se lo hai pensato. Sono semplicemente Alex e tu sei finito- gli mollò un colpettò con il dorso della mano alla nuca e il mondo del ladro si oscurò, si piegò in avanti, ormai svenuto.

Alex, il nome del ragazzo, lasciò che dei ladri, se ne occupasse la polizia, chiamata da uno degli ostaggi, segretamente. Il suo volto si tinse d'indifferenza e ormai compreso che non vi era più pericolo, si rimise le mani in tasca e uscì come un normale sconosciuto dalla gioielleria. Ignorò gli sguardi colmi di gioia e ammirazione delle povere persone, ancora turbate da quelle immagini tipicamente da film americani e s'incamminò nuovamente in direzione del parco. La giovane donna che aveva rischiato di perire per mano di un Maurice in manette, assieme alla sua banda, uscì dal suo negozio, fermandosi accanto alla vetrina, che le illuminò parzialmente il lato sinistro del corpo. Si strinse le mani giunte al petto, persa nell'oscurità che avvolgevano le strade cittadine, alla disperata ricerca di quel ragazzo che l'aveva salvata.

Sai. Rabbia. Passione. Fuoco. Addestramento. Lotta. Lacrime. Collera.

Una notte d'inverno lo trovò a Parigi. Lo tenne come figlio suo e lo crebbe. Alex Roux era un giovanotto che odiava l'ingiustizia. Amava la lotta e il suo passato vero era un mistero. Jonathan Roux, ex-pugile, lo aveva addestrato bene... lo amava... e vegliava su di lui...

Alex non si rese nemmeno conto di aver superato abbondantemente il parco; si fermò dinanzi a un palazzo solitario, piuttosto logoro dal tempo. I suoi occhi spenti fissavano il portone di metallo chiuso, riflettendo in trasparenza la sua immagine forte; un forte senso di stordimento lo prese... piccole immagini sfuocate vorticavano nella sua mente, consumandogli ogni energia. Era qualcosa che non riusciva a comprendere in alcun modo; non riusciva a dominare quelle strane emozioni che apparivano e scomparivano senza un nesso logico. Si ritrovò a giocherellare con le dita nell'anello di chiavi metalliche nella sua tasca; sbatté le palpebre e sospirò scuotendo il capo.

"Devo smetterla di preoccuparmi per niente. Speriamo che papà mi dia un nuovo tipo di allenamento!", pensò tra sé Alex, all'oscuro di essere stato adottato.

Jonathan non gli aveva mai detto nulla... sapeva che, se avesse adottato un'altro tipo di scelta, avrebbe incrinato il rapporto padre-figlio creatosi. E non desiderava la sofferenza di Alex.

Il sedicenne salì rapidamente quattro scalini e s'infilò in un ascensore; pigiò un bottone con il numero cinque e si appoggiò stancamente con la schiena alla parete di metallo, fissando il soffitto rettangolare dela cabina. I piani avanzavano in pogressione, alternando con un debole arancione, i numeri sul quadrante dei pulsanti. Si sentiva stanco senza un motivo e dette un rapido sguardo, quasi distratto, all'orologio che indossava sul polso destro: erano appena le venti in punto. Che precisione, per tornare a casa!

"Chissà papà che faccia farà quando gli racconterò di quello che ho fatto alla gioielleria!", pensò con un debole sorriso, mentre i suoi occhi stanchi si accorsero delle porte che si aprirono cigolando; Alex uscì e s'incamminò verso una porta, l'ultima sulla parete destra.

Bussò il campanello e attese di entrare. Il 56enne Jonathan si alzò zoppicando, per un vecchio infortunio che distrusse la sua brillante carriera di pugile, dal divano e si diresse verso la porta, sbloccandone la serratura. Quando riconobbe nel buio del pianerottolo del quinto piano, suo figlio, il suo cuore si calmò e lo lasciò entrare. Era piuttosto apprensivo... del resto, quando perdi tua moglie e tuo figlio al momento della nascita, è normale che fai di tutto per evitare che la storia si ripeta. Il destino era stato magnanimo con lui: gli aveva dato la possibilità di una vita paterna quando trovò Alex in una cesta, circa sedici anni fa, nello stesso parco dove vi era stato il giovane.

-Ciao, papà!- sorrise stancamente Alex, abbassando la zip del suo giubbino, per appenderlo a un attaccapanni di legno: -Come promesso, sono rincasato- aggiunse, aggiustandosi la felpa nera che indossava.

Un salotto non molto grande; una parete attrezzata con una tv a cristalli liquidi, un divano di pelle beige, un tavolino porta riviste di cristallo e un tappeto sul parquet. Una camera matrimoniale, una stanzetta, un bagno e una cucina di noce chiaro. Questo era l'appartamento dei Roux.

Alex si gettò sul divano e brandì il telecomando, pronto per un po' di noioso ozio serale, fatto di zapping tra i canali. Jonathan si accorse dell'aria felice che nascondeva sotto quella finta maschera d'indifferenza e ridacchiò sottovoce, dirigendosi lentamente in cucina, per preparare la cena. Avrebbe cucinato una veloce spaghettata con pomodoro, una fetta di carne ciascuno e un po' d'insalata. 

-Alex!- chiamò Jonatha dalla cucina; il giovane girò il capo e scostò la schiena dal divano, sul quale giaceva comodamente sdraiato: -Mi aiuteresti, per favore?- chiese, rendendosi conto che avrebbe avuto non pochi problemi a prendere ii vari ingredienti e le stoviglie.

La sua gamba doleva e le terapie erano lunghe e costose. Alex, in segreto, aveva cercato molti lavori da fare, sperando di raccimolare abbastanza denaro per una possibile operazione chirurgica... ma, nonostante avesse mollato la scuola, dopo essersi diplomato in terza media, non aveva avuto fortuna. E la rabbia gli bruciava dolorosamente in corpo.

-Qual'è il problema, papà?- chiese Alex, varcato la soglia della cucina, vedendo come suo padre era perso nei ricordi, mentre girava distrattamente il cucchiaio di legno nella pentola per gli spaghetti.

Sapeva a cosa stava pensando... e preferì aiutarlo, senza tempestarlo di domande.

Ultimo round! Jonathan Roux colpisce ancora! Una scarica di pugni al ventre dell'avversario! Un calcio! La tensione è alta, signori e signore! Se vincerà quest'incontro, diverrà campione del mondo! Aspettate, ma cosa succede? Richmond si sta riprendendo! Oh, no! Un colpo alla mascella! Roux è un difficoltà! Non riesce a contrattaccare! L'arbitro monitora ma... NO! Richmond sembra abbia spezzato una gamba a Roux! Cerca di rialzarsi... no... non ce la fa...! L'arbitro conta! 10! 9! 8! 7! 6! Niente! Roux è nel dolore! 5! 4! 3! 2! 1! L'incontro è concluso! Richmond è il campione! Roux... ha perso... 

"Non importa, amore mio! Diverremo genitori! Sì! Un bambino! E tutto nostro!"...

"Mi dispiace, signor Roux... ci sono state complicazioni al momento del parto... sua moglie e suo figlio... non ce l'hanno fatta..."...


-Papà?-

"La mia vita... è rovinata..."...

-Papà?-

"Non voglio perdere anche Alex... No..."...

-Papà! Guarda! Gli spaghetti!-.

Jonathan sbatté le palpebre, ritornato in se; Alex era accanto a lui e aveva dominato le fiamme alte che stavano carbonizzando la ghisa con le fette di carne: -Alex... Scusa, ero in sovrappensiero...- ammise, cercando di sdrammatizzare la situazione.

Il giovane dette un sorriso e lo accompagnò al tavolo apparecchiato, per sedersi; su una tovaglia bianca, giacevano una bottiglia d'acqua minerale, una di birra, due piatti per gli spaghetti e altri due, quadrati per la carne. Tovaglioli e posate.

-Hai apparecchiato tu?- domandò l'uomo dagli occhi verdi profondi e i capelli corti, noce scuro: -A quanto pare, credo debba farmi da parte, ragazzo mio! Sei più bravo di me in cucina!- ridacchiò.

Alex servì due generose porzioni di spaghetti nei piatti e si sedette di fronte a suo padre, attendendo che la prima forchettata fosse dell'altro. Notando come una nota di ammirazione comparve nel "mmh!" paterno, egli non poté fare a meno di rallegrarsi. Amava essere così vicino per suo padre. Detestava vederlo nella depressione, però. Tutte le notti in cui il ragazzo sentiva dei singhiozzi, sapeva che si trattava di suo padre. Ed era doloroso da sentire.

-Ti vedo particolarmente felice, Alex. Raccontami!- chiese dolcemente Jonathan, asciugandosi la bocca con il tovagliolo.

D'altronde, Alex non attendeva altro! Annuì e cominciò a spiegargli per filo e per segno la vicenda in gioielleria, senza omettere la parte della pistola puntata dapprima contro il cuore, poi sotto al mento. Felice e orgoglioso com'era, non si accorse dell'aria cupa che comparve sul volto paterno. Jonathan attese che suo figlio concludesse il suo racconto, per dare la sua risposta.

-E così, se diventato un eroe, eh?- domandò senza più il solare sorriso che possedeva; egli fissò accigliato un Alex, che rimase in silenzio, dubitando sul racconto appena detto: -E se ti avessero ferito?- cominciò, incrociando le dita sotto al mento.

Alex inarcò un sopracciglio, attendo il proseguimento di quel discorso.

-Sai bene che non voglio che tu ti cimenti in queste cose, Alex! Se ti fossi fatto male, non me lo sarei mai perdonato! Devi capire che ci sono cose in cui non puoi intrometterti! Quindi, ti proibisco di uscire, domani sera!-.

La rabbia illuminò gli occhi miele del sedicenne, che sbatté nervosamente la forchetta sul tavolo, facendo vibrare le stoviglie: -Papà! Praticamente mi stai dicendo che avrei fatto meglio a impicciarmi dei miei affari? E lasciar morire quella donna? E' assurdo!- tuonò con il tono della voce alzato.

Jonathan sospirò e scosse il capo in diniego; sapeva che aveva scatenato una "guerra" che avrebbe ammesso un solo vincitore. Guardò il suo giovane uomo e si ritrasse nella durezza delle sue iridi miele.

-Sono affari miei come gestisco la mia vita, hai capito? Tu non puoi impormi niente! Dannazione!- urlò, quando il campanello dell'appartamento squillò.

Il litigio si fermò all'istante e Alex, ignorato suo padre, andò ad aprire. Sull'uscio vi era un ragazzo dal volto coperto, da una maschera bianca a strie nere... il suo abbigliamento nero era simile allo stesso tizio di Haruhiko. Entrò e rimase in silenzio, attendendo che l'attenzione ricadesse su di lui.

Sembrò osservare Alex, in silenzio: -Sei tu Alex Roux?- domandò con una voce da quindicenne e in francese.

Il giovane annuì e sbatté le palpebre, inarcando un sopracciglio per la situazione stramba; si mise a braccia conserte e attese il seguito.

Il ragazzino annuì e consegnò al giovane dinanzi una fascia con dei fori per gli occhi rosso fuoco: -Sei stato ingaggiato per salvare il mondo. 21 dicembre 2012. Puoi tranquillamente accettare o rifiutare. Sei in cerca di risposte: vuoi cambiare e lo so. Se accetti, saprai trovarmi. A presto, Alex- e prima che potesse ricevere la risposta, il misterioso ragazzo si diresse nell'ascensore e svanì.

Alex fissò a lungo la fascia rossa e alla fine dell'estremità destra, trovò alcune parole... Le lesse e la sua mente le elaborò lentamente: Berlino, 18, Germania... un indirizzo? In quell'istante, decise cosa fare. Si voltò verso suo padre e lo guardò quasi con delusione; non disse nulla, ma andò in camera sua e afferrò uno zaino piccolo e nero, infilandoci pochi oggetti, come un piccolo coltello e una vecchia fotografia. Si diresse all'attaccapanni e s'infilò il giubbino.

Jonathan ebbe un battito mancante: -Alex... cosa vuoi fare?- chiese quasi temendo la risposta... i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma non avrebbe pianto.

Ciò che aveva sempre temuto, si stava realizzando...

-Parto per una giusta causa: lottare per il mondo!- e in quelle fredde parole, il giovane di fermò di spalle dinanzi all'uscio della porta: -Non puoi fermarmi. Non questa volta. Papà, ti voglio bene... Addio- e scappò via, ignorando le grida disperate paterne...

Berlino 18, Germania...
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Liam Johnson ***


Australia, 3 dicembre, ore 19.35

Un caldo sole riscaldava una sterminata distesa d'erba, dove bazzicavano zebre e antilopi; fra gli alti fili erbosi, uno spesso alberoo accoglieva un giovanotto sedicenne dai capelli arancioni lunghi fino alle spalle e un paio di occhi azzurri; indossava una polo aderente nera che mostrava i muscoli scolpiti e gli addominali. Un paio di pantaloni lunghi violacei e delle scarpe bianche e nere, fino a metà polpaccio con tanto di lacci. Stava cercando di studiare un cucciolo di koala, ferito a una zampa. 

-Sta fermo, piccolo! Così ti curo!- pronunciò con dolcezza, in austrialiano; si avvicinò, dondolandosi sul ramo più spesso e alto dell'albero sempreverde e riuscì a bloccare delicatamente l'animale all'altezza dello stomaco.

Lo accarezzò sul dorso, notando come quella pallina di morbido pelo castana, con varie strie grigie, si fosse rilassata sul suo braccio. Era molto grazioso, malgrado avesse la zampa fradicia di sangue; Liam si avvicinò megliò e notò, effettivamente, che quella profonda ferita era stata causata da un ramo appuntito, di cui una parte era rimasta intrappolata nella pelle, causandogli dolore. Dai suoi versi, il ragazzo comprese che doveva soffrire molto. 
Liam si portò una mano al piccolo borsello nero che capeggiava sul lato destro del fondoschiena, sistemato sulla cintura e prese un disinfettante, delle garze, del cotone e pinzette sterili. Prese la giacca bianco panna sospesa sul ramo e ci adagiò sopra il koala; lo accarezzò ancora e cominciò a pulire la ferita.

-Bravo... così... accidenti se sei in gamba, piccolino!- gli sussurrava con dolcezza, mentre avvolse sottili garze sulla zampa; Liam alzò il capo e i suoi occhi nocciola si persero in quelli grandi e corvini di un altro koala, immobili su un ramo più alto: -Scommetto che lei dev'essere la tua mamma, vero?- ridacchiò, mentre aiutò il suo piccolo amico ad arrampicarsi sulla spessa corteccia.

Ben presto, mamma e figlio, adagiato sulla schiena, si arrampicarono, mimetizzandosi fra le folte foglie verde smeraldo. Liam riamase a guardare per un pò i rami che si agitavano per il venticello lieve e sospirò; riposizionò per bene, in modo ordinato, i suoi attrezzii nel kit di pronto soccorso. Appoggiò la schiena contro la corteccia e si adagiò la nuca sulle mani, dietro la testa, appunto; le sue gambe penzolavano nel vuoto e il silenzio, interrotto dal mormorio dell'acqua e del cinguettare degli uccellini nel cielo rosso da tramonto, regnò sovrano sullo splendido e calmo paesaggio. 
Il cielo rosso fuoco aveva delle strie violacee e alcuni nubi, sfumate di giallo per gli ultimi raggi del sole, creavano degli splendidi giochi di luce.

"Che pace...", pensò Liam, perso nei suoi pensieri: "Chissà se...".

Non continuò la frase mentale: Liam sobbalzò quando un uomo cinquantenne lo chiamò per due volte; aveva i capelli castano scuro corti, un paio di miti occhi verde prato e dalle spesse lenti che indossava, sprizzava una grande intelligenza. Una camicia bianca a quadroni cobalto, un jeans che mostrava le esili gambe e un paio di stivali adatti a lavorare in una stalla. Sembrava alquanto preoccupato.

-LIAM!- chiamò una terza volta, guardandosi intorno; era di spalle dinanzi a una casetta graziosa, non molto grande: -LIAM! DOVE SEI?- urlò con maggior preoccupazione.

Un tetto spiovente di logore tegole più scure che rossastre, muri screpolati bianchi, una porta di legno, finestre e un mulino. Dietro di essa, tre alti alberi erano la casa di uccellini e koala, mentre intorno si estendevano kilometri di praterie.

Il giovanotto fece sbucare la testa da alcune foglie grandi e sorrise alla preoccupazione del padre: -Padre! Quassù!- chiamò a gran voce, attirando l'attenzione paterna.

L'uomo alzò finalmente il capo e il sollievo si accese sul suo volto; alzò il braccio per segnalare la sua posizione e attese che scendesse. Liam annuì e scese per forza di gravità; giunse al suolo e attutì l'inerzia corporea con una capriola veloce; si rimise in piedi e tentò di sorridere per sdrammatizzare la paura che aveva angosciato suo padre, Max Johnson.

Entrarono dentro casa e Max chiuse la porta, senza sbatterla, con la chiave: -Dove eri finito, figliolo? Ti ho cercato dappertutto!- ammise, strofinando con forza i capelli del giovanotto, che protestò ridendo.

Un'autentica acconciatura da riccio e un tenero broncio: -Ho curato un cucciolo di koala ferito, padre! Ho messo in pratica i tuoi insegnamenti e mi sono serviti! Grazie!- raccontò velocemente, annusando l'invitante profumino che galleggiava in cucina.

La casa non era grande; era divisa in: cucina, bagno, due camere da letto. Una donna 46enne dalla lunga treccia sulla nuca ramati e gli occhi azzurri era appena uscita dalla porta lignea che divideva la zona notte da quella giorno. Indossava una camicia rosso fuoco e un jeans blu, con un paio di stivali con un leggero tacco castani. Era molto dolce e bella: il suo nome era Emily.

-Liam! Di nuovo a esplorare la natura?- rimproverò con dolcezza, dando un leggero buffettino sulla guancia destra, con tenerezza: -Che cosa ha fatto di bello il mio piccolo genio?- domandò, mentre una bambina dai capelli corti e biondi e gli occhi nocciola attirò la loro attenzione con un violento colpo di tosse.

Giaceva sul divano, con una coperta sul corpo e un cuscino sotto la nuca; era febbricitante e dal suo visino pallido, si deduceva che non doveva avera più di otto anni. Indossava un pigiama giallo sole con una farfalla viola sul magro sterno. Aveva leggere lentiggini e occhi vitrei.

-Ebony...- mormorò tristemente Liam, spingendosi verso la sorellina malata di tubercolosi: -Non sforzarti... stai giù...- sospirò, accarezzandole i capelli imperlati di sudore; la bimba desiderava alzarsi per abbracciare il fratello maggiore, ma dovette rimanere distesa per la forte debolezza.

Ebony annuì e fissò gli occhi umidi di Emily e quelli rammaricati di Max; era piccola ma sapeva bene che la sua salute era davvero cagionevole... si mordicchiò il labbro con rabbia, consapevole che era lei la causa della tristezza che regnava in casa. Con un semplice sguardo, Liam intuì tali pensieri e sorrise; s'infilò una mano nel piccolo marsupio sulla schiena e ne tirò fuori un minuscolo oggetto semplice ma bello. 

-Non dovresti reputarti la causa della nostra apprensione, sorellina. Sai che non è così. Noi ti vogliamo bene e faremmo di tutto per te!- gli sussurrò dolcemente, afferrando la sua bollente mano nella sua: -E io ho un regalo speciale per un fiore di sorella-.

Gli porse un ciondolo splendido: aveva una sfera di vetro cristallina, che rifletteva in modo prismatico la luce del sole; una catenina d'oro fine era agganciata ad essa con un piccolo gancio dorato. Era molto bello, tanto che la bambina sgranò gli occhi vitrei per l'emozione. Si mise seduta, sostenuta dal fratello, che le mise il ciondolo al collo.

-Principessa, sei molto bella!- ridacchiò Liam, lasciando che Ebony le buttasse le braccia al collo, affondando la testa sul suo petto: -E ora mettiti distesa perché devi riposare, piccola!- e la rimise coricata, nonostante la bimba avesse mutato la sua espressione raggiante in una sofferta.

Sua madre e suo padre erano piuttosto cupi: Ebony non era come le altre bambine della sua età; non poteva andare in una scuola normale perché era molto malata; non poteva uscire a giocare essendo cagionevole... perfino nel cibo doveva seguire una dieta prescritta dal medico, che la veniva a visitare ogni venerdì pomeriggio. Max ed Emily sapevano che, nonostante Ebony fosse triste nel rimanere la maggior parte del suo tempo bloccata in un letto, Liam riusciva sempre a farla sorridere e di questo ne andavano fieri... anche se c'èra un profondo segreto che non avrebbero mai potuto rivelargli...

Liam si accorse che, nel raccontare la storia del cucciolo di koala ferito, Ebony si era addormentata con un sorriso e l'avrebbero svegliata più tardi per la cena; il giovane sorrise e le accarezzò dolcemente i morbidi capelli, scostandole via una ciocca selvaggia dal naso. Le stampò un lieve bacio sulla guancia e si alzò, rattristandosi. Non gli era mai piaciuto vedere Ebony in quelle condizioni... per questo desiderava trovare medinali più potenti che l'aiutassero a guarire ed era il motivo principale delle sue escursioni nei boschi...

Bo. Addestramento. Luci. Libri. Risate. Intelligenza. Dolcezza. Attrezzi.

Era una calda serata estiva quando, circa sedici anni fa, Max e Emily trovarono un neonato che piangeva, sotto un grosso albero, nascosto dalle alte distese erbose. Aveva una piccola cicatrice sul braccio e decisero di adottarselo... non avrebbero avuto figli... ma, il destino non era d'accordo con i vari referti medici... e otto anni dopo aver trovato il piccolo Liam, nacque la loro figlia naturale, alias Ebony. Vedendoli crescere insieme, nessuno della coppia Jonathan avrebbe avuto il coraggio di rivelare a Liam la verità sulla sua misteriosa esistenza. Il giovane sapeva di essere australiano, di essere loro figlio e di avere una sorellina...

"Vorrei che mia sorella stesse bene... non voglio vederla mai pù soffrire in quel modo...", pensava Liam, accigliato, mentre sedeva sul divano, a fianco di Ebony, con uno spesso libro di medicina nelle mani, dato che suo padre era un medico eccezionale, costretto a vivere isolato dalla piccola cittadina a circa quattordici kilometri dalla loro casa, per la salute di Ebony.

L'aria malsana urbana non l'avrebbe mai giovata.

Sospirò mentre spinse pesantemente la testa contro lo schienale del divano cioccolato di pelle sintetica; fissava il basso soffitto e si perse nel camino spento, dove sulla canna fumaria, battevano insistemente le lancette di un orologio a cucù... erano le venti e cinque minuti. Fuori il tramonto era diventato un cielo serale blu e una falcia di luna pallida, già aveva parzialmente illuminato le solitarie praterie, dove si poteva intravedere ancora qualche vispo leprotto in cerca di cibo. La cucina rustica era il regno di Emily; la donna canticchiava una canzone sottovoce mentre mescolava delle uova per una frittata in una terrina... Max, al contrario, era chiuso nel piccolo laboratorio che si trovava dietro la casa.

Liam si strofinò la vecchia cicatrice sul braccio: in sedici anni non gli aveva mai dato alcun fastidio... gli bruciava lievemente e non riusciva a capirne il motivo. Decise di indagare e passò delicatamente il polpastrello dell'indice su la lesione visibile ma sottocutanea e dalle sue labbra uscì un grugnito involontario. Sospirò ancora e decise di ignorare il pulsare della ferita che nemmeno lui sapeva come l'aveva avuta. Non aveva mai chiesto.

Emily che aveva visto tutto, decise di approfondire la questione di Liam e lo chiamò dolcemente, agitando la mano, per farlo arrivare da lei: -Tesoro, vieni qui, per favore!- e il giovane non se lo fece ripetere due volte.

Liam appoggiò sul tavolino di legno alla sua destra, il libro e senza svegliare Ebony, si diresse dalla madre, che socchiuse la porta della cucina, cercando di fare il meno rumore possibile. Mobili rustici, in tono con il pavimento verde e una grande finestra, dove penetrava un raggio d'argento lunare. Emily rovesciò le uova sbattute in una grande padella e cominciò a versarci un pizzico di sale e alcune foglie di basilico profumato; gettò una rapida occhiata alle pennette che cuocevano in una pentola d'acciaio e si rivolse al figlio che attendeva.

-Amore ho notato come prima esaminavi la cicatrice- cominciò, prendendogli il braccio, scrutando attentamente il taglio: -Amore, ti fa male? Ricorda che non puoi mentirmi su queste cose- proseguì la donna, con voce dolce che non ammetteva bugie.

Liam deglutì e fissò il pavimento; ma alzò lo sguardo e annuì: -Sì... è vero, mamma... mi ha bruciato- ammise, con estrema semplicità.

Il suo cuore batté velocemente; una strana sensazione fuori posto gli stava annebbiando la testa e percepì distintamente uno sdoppiamento visivo. Si portò una mano sul viso e rimase in silenzio, cercando di calmarsi il più possibile... era di nuovo lei...

La claustrofobia.

Liam, da piccolo, era rimasto chiuso all'interno di un baule molto vecchio e rischiando di morire, all'età di due anni, rimase profondamente traumatizzato. Temeva i luoghi chiusi da porte e finestre, così come gli spazi molto piccoli... non riusciva nemmeno a spiccicare parola: cominciò a tremare e lentamente si strinse le mani incrociate sulle braccia, mentre si accasciava sulle ginocchia, fissando con occhi vuoti in terra, ansimando e sudando. Emily sgranò gli occhi e si ricordò immediatamente dell'incidente e del trauma: si maledisse per quello stupido errore e aprì la finestra e la porta, aiutandolo a uscire dalla casa. Lo condusse fuori e si sedettero sulla panca di legno che giaceva sotto la finestra della cucina... Emily gli fece appoggiare la testa sulle gambe e lo accarezzò lentamente, mentre i suoi occhi umidi incontrarono quelli di Max, ritornato con un piccolo cigno intagliato nel legno per Ebony.

-Che succede?- domandò apprensivamente, mentre si accovacciò dinanzi a un Liam completamente paralizzato dalla paura, perso nella gabbia mentale di quella fissa: -Liam?- lo chiamò cercando di individuare il suo piccolo uomo.

Liam era troppo spaventato per parlare, ma riuscì almeno a incrociare lo sguardo preoccupato di Max, che lo strinse in un abbraccio: -P... pau... ho paura...- ammise, scoppiando in lacrime.

Lo lasciarono piangere, sperando che tutto il dolore covato per la difficile salute di Ebony, liberasse la sua anima e attesero che si calmasse... Liam respirava un po' a fatica, scosso dai tremori del corpo, con il mento appoggiato sulla spalla destra di suo padre, che senza pensarci, lo prese in braccio, dal momento che non pesava molto. Max era un uomo molto forte, nonostante fosse magro e prediligeva un talento naturale per la falegnameria e la tecnologia: era un genio. E lo stesso era per Liam, molto intelligente, tanto da non frequentare le superiori.. nessuna scuola lo voleva: la sua mente era troppo avanzata per rimanere con un branco di comuni stupidi della sua età. Fin da piccolo, aveva avuto un'infanzia difficile, legata non solo alla claustrofobia, ma anche alle continue prese in giro dei cretini delle varie scuole. 
Lo deridevano dandogli del "Mostro", non d'intelligenza, ma uno autentico per la cicatrice che portava... che motivazione stupida, no?

Max aveva deciso di istruirlo a modo suo: e Liam era cresciuto splendidamente, ancora più intelligente di quando costruì a quattro anni, il suo primo circuito elettrico. Molte erano state le persone che avrebbero desiderato comprarlo per la sua grande intelligenza e per questo motivo, principalmente dopo la salute di Ebony, si erano trasferiti da Sidney.

-Papà...?- chiamò debolmente Liam, scollandosi dal calmo abbraccio paterno.

Aveva gli occhi lustri e arrossati e la sua voce risultava piuttosto tremolante; si portò una mano sulla cicatrice, massaggiandosela lentamente. Una brezza di vento scosse i suoi capelli, mentre si mordicchiava il labbro inferiore, con una rabbia che cresceva nel suo corpo. Non avrebbe scattato: le urla e le parole pungenti non erano nel suo stile. Rimase in silenzio finché Ebony uscì dalla porta principale.

-Mamma... la pentola sta bruciando!- richiamò, mentre tossì violentemente. 

Max guardò suo figlio, ancora piuttosto scosso e fissò la sua bambina, mentre rientrava in casa, tenuta per mano da Emily; i due maschi rimasero ancora fuori e accennarono ad andarsene, quando il solito ragazzo dalla maschera bianca e la passione per il nero, nei suoi abiti, li fermò.

-Scusate- disse, mentre i due si voltarono di scatto: -Dovrei parlare con Liam Johnson!- chiese, senza la minima emozione nella voce.

Liam sbatté un paio di volte le palpebre, piuttosto confuso e notò come la sua cicatrice avesse smesso di bruciare; notò lo sguardo di rabbia di suo padre, ma preferì rimanere in silenzio. 

Max, furibondo per i ricordi passati che volteggiavano dinanzi ai suoi occhi, scattò: -Se è venuto per togliermi Lian, allora potrà anche tornarsene da dove è venuto! A mani vuote, capito?- tuonò con grande sorpresa di Liam, che non riusciva a credere che la dolce e calma figura paterna fosse divenuta pari a un leone in gabbia.

Il ragazzo che aveva già convinto Haruhiko Murakami e Alex Roux ad andare a "Berlino 18, Germania", era rimasto immobile dov'era, senza la minima paura; atono come sempre, egli non sembrò dar peso alle taglienti parole di Max; s'infilò una mano in tasca, notando come i due Johnson avessero innalzato la guardia ed esitò a scoprire il misterioso oggetto... o arma.

-Stia tranquillo. Non sono venuto per questo, ma solo perché suo figlio è stato ingaggiato per un'importante decisione- ammise il misterioso ragazzo mascherato, creando non pochi dubbi in Max, che strinse nervosamente i pugni e si spostò rapidamente dinanzi a suo figlio, come uno scudo.

-Le ripeto che se ne andrà senza Liam!- imprecò furibondo.

Liam non sapeva cosa pensare... c'erano molti dubbi nella sua mente; aveva sempre vissuto isolato dal resto del mondo e adesso... che importante decisione era da prendere? E soprattutto in cosa era stato ingaggiato? Non riusciva a trovare le risposte, nonostante fosse estremamente brillante.

-Salvare il mondo- continuò a voce bassa il ragazzo, compiendo un passo in avanti: -Liam è la tua scelta. Avrai le risposte che cerchi: questa tua vita non è che un'illusione di un'altra. E sono certo che, vedendo questa, capirai- in fretta, gli lanciò una piccola matassina viola, che il suo interlocutore catturò nel pugno destro.

Una fascia viola con due fori per gli occhi...

Bo. Addestramento. Luci. Libri. Risate. Intelligenza. Dolcezza. Attrezzi.

Viola.


Il cuore di Liam sobbalzò nel petto... perché di nuovo quel turbinio misterioso di confuse immagini? Avevano un significato? Egli non seppe cosa rispondere e lesse l'indirizzo all'estremità destra del retro della fascia... Berlino 18, Germania. Guardò suo padre i cui occhi guizzavano di paura... e fissò ancora la fascia... era troppo eccitato all'idea di conoscere quello che c'era oltre la sua casa... a malapena ricordava Sidney... e non aveva mai capito cosa ci fosse oltre l'Australia... era la sua occasione, ma... 

"Non potrei mai abbandonare la mia famiglia...", pensò con occhi lucidi e le lacrime che pizzicavano il suo naso: "Ma... questo ragazzo mi ha detto che questa non è che l'illusione di un'altra vita... che significa?", si chiese, alzando gli occhi ancora una volta.

-Liam!- chiamò Ebony, uscita con Emily dalla casa: -So che ci mancherai... però, mi farebbe piacere se tu diventassi un eroe! Meriti questa scelta!- sorrise la bimba, mentre la mamma piangeva, con una mano sulle labbra.

Liam era ancora più confuso... Ebony gli aveva dato l'opportunità di partire... ma non era felice e come avrebbe potuto esserlo?

-Quando capirai il momento, saprai dove trovarmi- e il ragazzo svanì dietro un fumogeno bianco.

Rimasti soli, Max poggiò entrambe le mani sulle spalle del figlio; sapeva bene che quella non avrebbe mai potuto essere una scelta dipesa da lui. Era di Liam soltanto. Anche se aveva faticato per ben undici anni, cercando di tenerlo lontano dalle grinfie di un mondo orribile, stavolta non avrebbe potuto più custodirlo nell'affetto familiare. Emily piangeva senza sosta, mentre Ebony saltò al collo di suo fratello maggiore, abbracciandolo teneramente.

-Non essere triste, Liam!- gli sussurrò dolcemente, mentre l'interlocutore sgranò gli occhi alla semplicità e l'ingenuità di quelle parole; la strinse a sé, piangendo silenziosamente.

-Io...- piagnucolò, quando suo padre, a malincuore, lo interruppe.

Prese un profondo respiro e annuì, chiudendo per un breve lasso di tempo i suoi occhi: -Liam... Ebony ha ragione: se devi andare, vai... non pensare a noi! Hai bisogno di esplorare e... solo ora comprendo che non avrei potuto tenerti qui per tutta la vita...-

Liam deglutì un groppo in gola e si strofinò con l'indice una goccia di lacrima sotto il suo naso; guardò sua madre che annuiva piangendo e suo padre che si sforzava di sorridere, nonostante fosse avvolto da un velo di rabbia e dolore... ma poi c'era lei... Ebony sorrideva e gli strofinava la mano...

Il giovane afferrò una borsa da viaggio dalla sua camera e la riempì con il suo piccolo kit medico, alcuni attrezzi da lavoro e vestiti; afferrò il suo libro di medicina tascabile e si diresse in salotto, pronto per il grande viaggio. Sapeva bene che avrebbe potuto raccimolare soldi per aiutare la sua famiglia e se da un lato era felice per questo, conosceva a fondo la possibilità di non poter mai più rivedere la sua adorata famiglia. Era come partire per andare in guerra... era un viaggio senza un possibile ritorno... e lo spaventava. Eppure per Ebony, pur di vederla sana e forte, avrebbe donato la sua vita per lei. 

Guardò dapprima in silenzio i suoi genitori e Ebony, in piedi, dinanzi a Liam, con le spalle contro la porta d'entrata: -Ci mancherai, figliolo- sospirò Max, abbracciando un'ultima volta il suo amato figlio adottivo; lo strinse a sé, inspirando il suo profumo di legno e gli strofinò la mano fra i capelli.

Emily gli porse un pacchetto contenente qualche soldo e un po' di cibo; gli sorrise e lo strinse al petto, accarezzandolo dolcemente: -Sii prudente, Liam... la mamma ti vuole bene... Ricordalo- singhiozzò, nonostante cercasse di trattenersi.

Era dura veder partire il proprio figlio.

Liam abbracciò Ebony: -Principessa... fai la brava e guarisci, ok?- gli sussurrò, mentre la bimba annuì e lo lasciò andare.

-A presto- salutò, varcando la stessa porta che era stato il suo mondo per circa undici anni...

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Liu Ling ***


Cina, Sud-Occidentale, 4 dicembre, ore 17.45

La Foresta di Pietra della Cina Sud-Occidentale era un luogo molto calmo, considerando che era costantemente bombardato da orde di turisti multicolore, provenienti da tutto il mondo e dall'unica città più vicina, alias Kunming. La sterminata distesa inalberata era considerata poco più che un labirinto; intere strade di annodavano fra loro, conducendo a diversi posti incantevoli, come lo Stagno delle spade, il Mare dell’amore, il Lago della felicità… o "Qian Jun Yi Fa", o “Mille chili appesi ad un capello”, un grande macigno sospeso tra due spuntoni di roccia che, da millenni, sembra in procinto di cadere. 
Cuccioli di panda giocavano sospesi su alte canne di bambu, divorando le foglie longinee con gusto, mentre carpe saltatrici nuotavano contro le correnti dei ruscelletti di acqua dolce. C'era molta pace, considerando che un lupo bianco, dalla folta pelliccia, correva velocissimo lungo un sentiero che conduceva a una caverna rocciosa, più nelle profondità della Foresta.
Mosse rapidamente l'orecchio destro, mentre guardò i fitti rami degli alberi che mimetizzavano per bene la caverna in questione; l'aria era fresca e il cielo grigio minacciava tempesta; una distesa di foglie rossiccie creavano un manto profumato sul terriccio fradicio e un fiume limpido, scorreva a poca distanza. Lo splendido animale annusò e si addentrò nella bocca antica del luogo, agitando la coda.

Ci fu uno sbadiglio e un paio di occhi azzurri si spalancarono; quelli corvini del lupo, si avvicinarono; ci fu una risata e simpatiche coccole: -Ok! Ti va di giocare, eh?- ridacchiò in cinese una voce.

Il lupo leccò sulla guancia quello che sembrava un ragazzo... entrambi uscirono dalla grotta e la fioca luce grigia, prima di ogni temporale, mostrò chiaramente un giovanotto di circa quattordici anni e mezzo, dal folto ciuffo ribelle e biondo sulla fronte e una coda di cavallo lunga fino alle spalle; occhi azzurri, una perfetta muscolatura. Indossava un kimono privo di maniche color crema, così come il pantalone che copriva sino alle caviglie; i suoi piedi erano nudi e alla vite indossava una spessa cintura nera, così come i polsini e i bottoni frontali sul petto.

-Sei affamato, Tan Tan?- domandò il giovanotto, mentre accarezzò la pelle del suo amico a quattro zampe, raro nella Foresta di Pietra.

Lo splendido animale mostrò la lingua e leccò ancora una volta il ragazzo, costringendolo a cadere in terra, giocosamente; erano molto teneri. Si rotolarono nelle fogne, causando un fruscio di sottofondo, ma erano troppo contenti per rendersene conto e solo quando lo stomaco del giovane brontolò sonoramente, causando una certa titubanza in Tan Tan, si fermarono. Il lupo si sedette sulle foglie, scodinzolando senza sosta; inclinò il morbido capo e chinò l'orecchio destro.

-Scusami, non intendevo spaventarti!- gli sussurrò Liu, mentre gli accarezzò dolcemente il dorso candido; il biondino alzò lo sguardo ai fitti alberi che s'intrecciavano come una rete fitta di vegetazione e cominciò ad annusare: -Uhm... sento uno stranissimo odore e non mi piace per niente- disse con una nota di rabbia.

Ben presto, uno stormo di uccelli si librò nell'aria, gracchiando con terrore: Liu aggrottò la fronte e si arrampicò meglio di una scimmia, su uno spesso tronco d'albero; raggiunse in un batter d'occhio il ramo più alto e sgranò gli occhi, quando intravide un principio d'incendio. La cosa abbastanza buona era che avesse notato tre figure piccole, considerando la lontananza, che fuggivano con aria sospetta. Che fossero dei piromani? Liu non lo sapeva, ma essendo "mezzo-lupo", si sentiva in dovere di proteggere la sua casa e lo avrebbe fatto senza esitazione. Ringhiò, mettendo in evidenza i canini bianchi abbastanza appuntiti naturalmente e voltò lo sguardo a Tan Tan, che guaiva preoccupato. 

Liu era troppo arrabbiato per rendersi conto che le fiamme aveva già innescato un incendio; saltò giù dall'albero e attutì la caduta, con rapidi scatti sui rami più bassi, atterrando con una verticale e successivamente con una capriola si rimise in piedi. 

-Andiamo, Tan Tan! Dobbiamo salvare la nostra casa!- ordinò furente, prendendo a correre il più velocemente possibile.

Liu Ling era più veloce del suo amico; molto più agile del normale e praticamente conosceva il linguaggio degli animali. Questo perché aveva sempre vissuto in una foresta, sin dall'età di due anni...

Una notte. Un temporale. Un vagito infantile ruppe il silenzio della Foresta di Pietra, malgrado il rombo dei tuoni del temporale, coprisse ogni suono. Una mamma lupo candida, spinta dall'odore del bambino di soli pochi giorni, si ritrovò dinanzi a lui, seguita da cinque lupacchiotti. Stette a fissarlo e conquistata dall'istinto materno, afferrò fra i denti la piccola cesta di paglia con il piccolo e lo condusse nella sua tana... lo crebbe e gli insegnò a cacciare come un vero lupo e a contare sulle proprie forze. Il piccolo diventava forte e agile... poi, un giorno... i suoi fratelli lupo e sua mamma, perirono per mano di un cacciatore... e le fiamme che rovinarono la tana, lasciarono un ricordo indelebile in Liu Ling... Rimasero solo lui e Tan Tan...

Giunsero in meno di cinque minuti: come in passato, le fiamme stavano già divorando la flora, propagandosi senza sosta. Molti animali, come panda e caprioli, fuggivano dappertutto, sperando di non perire in quelle bocche rosse e calde; Liu si guardò intorno e il suo cuore mancò un battito quando vide un cucciolo di panda bloccato sotto un pesante tronco. Guidato dal suo istinto, il biondo si gettò sull'animale e riuscì a salvarlo, liberandolo prima che uno spesso tronco bruciato, gli piombasse sulla testa. Non era ferito e raggiunta la sua mamma, scomparvero in fretta.

-Dannazione!- imprecò Liu, ringhiando come non mai: -C'è troppo fumo! Non vedo nulla!- e iniziò a tossire selvaggiamente, intravedendo, nella coltre di nebbia grigia, tre vaghe figure indefinite corvine, che si stavano avvicinando.

Tan Tan ringhiò e fece sbucare dalle esili ma forti zampe, i suoi micidiali artigli; questo catturò l'attenzione del ragazzo, che identificò la minaccia: erano i tre uomini che aveva visto sull'albero. Avevano i capelli corti rossicci e corvini, indossavano una tenuta da caccia, tendente al rosso e al marrone e sulle spalle capeggiavano dei fucili. Erano in una zona protetta e cacciavano? Liu cominciò a tremare di rabbia: strinse i denti e assunse la stessa posa di Tan Tan; si mise a quattro zampe e flesse il busto verso il terreno umidi... era preda della collera.

-Fucili... mamma... fratelli...- ringhiò a voce impercettibile, mentre lo stesso fu per il lupo; calde lacrime bagnarono le suo guance e nel fine udito sviluppato, riuscì a capire dei discorsi flebili.

Il primo cacciatore sulla sinistra, iniziò a parlare con voce rauca dal fumo di troppe sigarette; sembrò ridere: -Ehi, Alan! Secondo te, abbiamo causato un "distrastro naturale"?- e le ultime due parole suonarono in una nota sarcastica.

Quello al centro, che guardava nel mirino del fucile, lo rispose divertito: -Ma certo che no! Basta che piova e addio fiamme! Siamo venuti qui per cacciare l'ultimo esemplare di lupo bianco, ricordi? E non ce ne andremo a mani vuote!-.

Liu non era d'accordo e velocissimo, si avvicinò ai tre uomini, mimetizzandosi dietro a folti cespugli smeraldo; il fruscio di foglie, attirò l'attenzione del terzo uomo sulla destra. Brandì il fucile dalla spalla e con aria impaurita, guardò alle sue spalle, dove un paio di occhi azzurri violenti, lo fissavano con odio. Indietreggiò di due passi e cercò di far valere l'idea di andarsene il prima possibile.

-Non fare l'idiota, Jake! Non ho speso una barca di soldi solo per un viaggio turistico qui! Voglio quel lupo a tutti i costi! CHIARO?- tuonò, mentre captò un sinistro ringhio: -Forse è il lupo!- ridacchiò sottovoce, malgrado il senso d'inquietudine nel suo stomaco.

Liu era balzato su un altro ramo ed era praticamente sopra le teste dei tre cacciatori; ghignò e dette un rapido sguardo a Tan Tan, nascosto dietro a enormi foglie verde prato, pronto ad assalirli. Ridusse gli occhi a due fessure e attese impaziente l'attimo di distrazione: desiderava vendicarsi, ma senza essere notato.

Un altro ringhio lupino: Alan, ossia il cacciatore con la pessima idea di uccidere Tan Tan, scattò, girandosi proprio in direzione del lupo bianco; puntò il fucile a "puntamento laser" verso le uniche foglie che si muovevano lentamente e ghignò. Un puntino rosso capeggiò sulla fronte di Tan Tan...

-NO!- gridò Liu, saltando dal ramo, atterrando proprio dietro all'uomo con Tan Tan nel mirino; senza nemmeno essere visto, gli mollò un calcio alle costole e calciò via il fucile, emettendo un ululato che fece allontanare da quel nascondiglio il suo "fratellone bianco".

Liu passò al secondo cacciatore, alias Jimmy: gli fece intravedere solo i suoi occhi azzurri furenti, prima di stordirlo con un pugno in pieno viso. Prima che potesse rendersene conto, un fiume scarlatto prese a tingere del noto colore il naso e gran parte del labbro. Nel frattempo, Alan si era rialzato e aveva ritrovato il suo fucile: era ancora carico di munizioni e ciò lo rallegrò; si avvicinò a un impaurito Jake e alzò la guardia, per conoscere la furia dagli occhi azzurri.

-Coraggio, maledetto chiunque tu sia! Mostra la tua faccia, così te la riduco in brandelli!- imprecò Alan, muovendo rapidamente le iridi nei bulbi oculari; le fiamme li stavano circondando sempre più e il fumo irrespirabile nonché fitto, rendeva arduo scorgere movimenti sospetti.

Liu ringhiò di piacere; avrebbe potuto finalmente vendicarsi. Innanzitutto, mollò un forte colpo alla nuca di un Jimmy supino in terra, spedendolo nel mondo dei sogni. Con una ruota fulminea, si ritrovò alle spalle di Jake e lo tirò nella nebbia; con le mani sulla bocca, per impedirgli di urlare e di catturare l'attenzione del nemico principale, Liu senza mai farsi riconoscere, lo sbatté violentemente contro la corteccia di un albero, causandogli una dolorosa commozione celebrale. Guidato dalla rabbia, gli sferrò tre pugni nello stomaco e lo legò per bene a un tronco dell'albero, grazie a delle forti liane, che pendevano dai rami più bassi. 

Era rimasto solo lui... Alan il folle.

Liu ridusse ancora una volta gli occhi a due fessure e ghignò; stavolta si limitò a passeggiare, consapevole che in quella nebbia, il nemico in trappola non lo avrebbe mai potuto notare. Alan si rese conto dalla morsa di paura nel suo stomaco che avrebbe fatto meglio ad ascoltare Jake... il pensiero del suo compagno gli ricordò di essere rimasto solo, anche se armato. 

-Sono in vantaggio, però- si ricordò, caricando il fucile, guardando attraverso il mirino: -E posso difendermi da questo mostro- ben presto, un puntino rosso capeggiò oltre la barriera di fumo e un colpo partì.

Lo sparo fece sobbalzare Tan Tan, che non era nella traiettoria nemica; ululò disperatamente, credendo che il suo fratellino fosse stato ferito... Liu sgranò gli occhi... il proiettile aveva bucato la corteccia dell'albero che gli aveva fatto da scudo. Guardando la resina che scorreva fluida da essa, il ricordo della morte della mamma e dei suoi fratellini lo perseguitò. Una grande rabbia gli crebbe in corpo e ben presto, si accorse di Tan Tan dinanzi ad Alan.

L'uomo ghignò: -Bene, bene... e così sei uscito dal nascondiglio, eh? Peggio per te!- gli puntò il fucile, ma Tan Tan fu più rapido e schivò, scattando di lato.

Liu si rallegrò alla faccia inquieta del cacciatore e notando come il lupo lo stesse distrendo, egli pensò bene di comparire alle sue spalle e bloccarlo con un kunai al collo... Aveva quell'arma infilata nella cesta e da sempre era stata il suo portafortuna. Gli aveva permesso di prevalere su animali feroci o cacciatori peggiori, moltissime volte. In quattordici anni e mezzo della sua vita, aveva imparato moltissime cose da solo e per imitazione.

Alan rabbrividì al contatto del coltello affilato contro la sua gola e sgranò gli occhi corvini quando avvertì il suo stesso sangue scorrere lungo il collo: -FERMO! FERMO!- implorò, ma Liu non era della stessa opinione.

Premette ancora più violentemente il kunai al collo nemico e avvicinò le labbra alle sue orecchie: -Questo è per aver ucciso la mia famiglia- sfilò il coltello dalla gola e lo colpì all'altezza del braccio destro, avendone precedentemente compreso che era l'arto più pericoloso.

Un grido di dolore si levò nell'aria, mentre un temporale dette sfogo alla rabbia di Madre Natura; miliardi di aghi d'acqua bucarono la nebbia, diradandola e le fiamme, cominciarono ad assopirsi. Alan, in un lago di sangue, intavide Liu e ne identificò i lineamente umani... ma era troppo stanco per rendersi conto che gli occhi azzurri lo fissavano con profondo odio. Si strinse l'arto dolorante e svenne. Tan Tan era ritornato dal suo fratellino pensieroso; gli leccò il palmo destro, attirandone la sua attenzione.

-Abbiamo vinto, fratellone- gli mormorò stancamente, mentre le lacrime scorrevano senza sosta: -Ma... malgrado io li odi dal profondo...- e Liu, dal semplice udito, riconobbe il classico avvicinarsi di un pullman gremito di turisti.

Sospirò e mise in bella mostra i tre uomini legati a tre cortecce di alberi, cosicché potessero portarseli via senza addentrarsi nella Foresta di Pietra. Liu, appoiallato su uno spesso ramo si godeva la scena di uomini della polizia che li arrestavano per violazione della salvaguardia delle specie protette; misero loro le manette e li trascinarono in sicure prigioni.

-Mamma... fratelli... siete stati vendicati...- sospirò Liu, mentre balzò di ramo in ramo, per ritornare alla sua caverna, da Tan Tan.

Un dolore insistente pulsò nella sua gamba; Liu perse l'equilibrio e sbatté violentemente con il viso in terra... perse immediatamente conoscenza...

Nunchaku. Città. Vivacità. Allegria. Gioco. Colori. Ombra. 

"Proteggerò sempre la Foresta di Pietra... è la mia casa, è l'unico posto dove mi sento me stesso... odio gli umani... sono malvagi, uccidono per divertimento... mi hanno portato via la mamma e i miei fratellini... se non fosse per Tan Tan... Io sarò sempre per loro..."...

Un guaito si fece strada nell'orecchio di Liu. Il giovane aprì stancamente gli occhi e mise a fuoco l'immagine della sua caverna. Era ormai buio e il temporale aveva smesso. Si percepiva fortemente l'odore di terreno bagnato e le fiamme che divoravano le case naturali della fauna, non erano che un ricordo. Il ragazzo spostò leggermente la gamba destra e piagnucolò; si strinse la caviglia e in parte la parte inferiore del polpaccio: alzò il pantalone, liberandolo dai nastri elastici che lo stringevano alle caviglie e mise ben in evidenzia una profonda e vecchia cicatrice.
Sorrise malinconicamente al ricordo sulla pelle.

-Ricordi, Tan Tan? La mamma... e i nostri fratelli... Questa cicatrice è stata colpa di quei cacciatori...- sospirò debolmente, mentre il suo fratellone bianco voltò di scatto il capo, iniziando a ringhiare con ferocia.

Al che, Liu sbatté un paio di volte le palpebre e un fuoco rosso si accese misteriosamente, mostrando ancora una volta il tizio con la maschera bianca e la passione per il nero. Sedeva dietro le scoppiettanti fiamme rosse su dei legnetti, a gambe incrociate e le mani stringevano le ginocchia. 

-Ciao- disse in cinese, in modo che potesse avere un conversazione con Liu, che balzò in pieni e ringhiò aggressivo: -Calmati. Non ho cattive intenzioni- ammise con semplicità.

Il biondo non si fidava e mostrava i canini affilati, quando una forte fitta lo fece trasalire; ma non mostrò il dolore e rimase fermo dov'era, con una mano sul capo di un Tan Tan in silenzio. Non stava più ringhiando, avendo capito che il ragazzo non aveva cattiveria nel cuore. 

-Che vuoi? Portarmi via Tan Tan?- imprecò Liu, sbattendo un pugno contro la parete destra della caverna, causando un rimbombo che provocò un sussulto nel lupacchiotto; se ne accorse e s'inginocchiò al suo fianco, accarezzandolo dolcemente: -Scusami, fratellone... non intendevo spaventarti...- sospirò.

Il ragazzo rimase a guardare in silenzio, poi afferrò un solitario bastoncino di legno, in un incavo della parete sinistra piuttosto rugosa e cominciò a ravvivare meglio il fuoco; Liu osservava ogni suo movimento, non intendeva né fidarsi, né tanto meno abbassare la guardia. Eppure la caviglia doleva... il suo Tan Tan leccò il palmo della sua mano, facendogli comprendere con occhi quasi d'imploro, che non doveva rimanere alzato. Perlomeno, non quando c'era temporali... le basse radiazioni ultraviolette che provenivano da essi, erano nemici di vecchie fratture e Liu lo sapeva. Si sedette a gambe incrociate, con un broncio diffidente.

-Liu Ling, tu sei stato ingaggiato per uno scopo ben preciso- cominciò il ragazzo, continuando a muovere i legnetti che bruciavano; si fermò un attimo e proseguì, dando l'impressione di guardarlo oltre la maschera: -E' per salvare il mondo-.

Il biondo inclinò il capo e mostrò nuovamente un ringhio lupino; non era affatto d'accordo con quello che aveva appena sentito.

-Cosa ti fa credere che voglia salvare il mondo?- tuonò con voce alta, echeggiata nel riverbero della profonda caverna: -Proprio gli umani che ci hanno portato via la mamma e i nostri fratelli?- proseguì, stringendo le braccia attorno al collo folto di Tan Tan, accucciato al suo fianco.

Sembrava trattenere a fatica le lacrime... troppi ricordi tristi nel cuore... perché avrebbe dovuto salvare un mondo popolato da persone bramose di potere ed egoista... scosse nervosamente il capo, mordicchiandosi il labbro.

-Il mondo non ha solo persone malvagie- mormorò il ragazzo, come se avesse letto i pensieri di un Liu accigliato: -25 dicembre 2012. Liu Ling, ascoltami... questo non è un'imposizione. Sei libero di scegliere- gli ricordò atono.

Il biondo ridusse gli occhi a due fessure, incapace di trattenere la rabbia; ringhiò aggressivamente, ma ricordò tutti i bambini che aveva salvato da morte certa, quando giocherellava con Tan Tan, fra i rami della Foresta di Pietra... aveva ragione... eppure, quei cacciatori... e le fiamme... e l'ululato disperato della mamma... e i suoi fratelli... NO! Mai!

Il giovane mascherato gli porse qualcosa di arancione; Liu Ling, parecchio diffidente, si avvicinò cautamente e annusò lo strano oggetto, che rivelò essere una fascia con due fori per gli occhi. Notò che ci fossero delle parole, ma sfortunatamente, non sapeva leggere... Ancora una volta, il misterioso tipo, lesse la sua lacuna.

-Berlino 18, Germania- gli disse, rimettendosi in piedi, dirigendosi verso la bocca della caverna, fermandosi sulla soglia: -Ricorda, segui il tuo istinto e mi troverai-.

Liu scattò nuovamente in piedi; strinse le palpebre e gridò a pieni polmoni, alimentato dalla forte collera dei suoi ricordi: -HO DETTO CHE NON VENGO! Ho la mia casa da proteggere dai cacciatori! Perché dovrei abbandonarla? Per quale scopo?!-.

Un lampo precedette un tuono; un nuovo temporale stava iniziando: -Puoi anche non venire; ma se il mondo finirà, non ci sarà più alcuna foresta da proteggere- e prima che Liu Ling potesse riaprire gli stessi occhi che minacciavano lacrime, svanì così com'era venuto.

Il silenzio ricadde nella foresta; si potevano sentire solo i singhiozzi di Lin e i guaiti di un Tan Tan che sembrava volesse rincuorarlo. L'animale gli mostrò la zampa e la lingua rosea oltre le labbra: sembrò abbaiare e lo leccò affettuosamente sulla guancia. Ululò e Lin spalancò gli occhi.

-Dici... dici che... dovrei andare?- la sua voce risuonò parecchio tremolante e tirò su con il naso: -Ma... Tan Tan... se davvero me ne andassi... poi...- ma il lupo non volle ascoltare altro e lo leccò ancora, causandogli il solletico sul viso.

Si levò una dolce risata... il fuoco sfumava di rosso l'intera tana e un tepore piacevole scaldava il cuore scuro di dolore.

-Ok: allora farò come mi hai detto! Però, promettimi che proteggerai tu la Foresta!- proseguì Liu, molto più calmo.

Il lupacchiotto abbaiò come risposta e dopo un ultimo abbraccio, Liu si arrampicò su alcuni rami e svanì fra il temporale e le foglie scosse dal vento...
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Nat Xu ***


Berlino 18, Germania

Per quanto grande fosse la Germania, nessuno era a conoscenza di un luogo segreto, dove sbucavano misteriosamente delle persone in maschera e viaggiavano in ogni singola parte del mondo, alla ricerca di nuove reclute, futuri membri. Si narrava che, oltre una grande foresta innevata, dove il gelo era il sovrano, nascosto fra le cime di alti e folti abeti, vi fosse un muro che circondava una fortezza. Nessuno sapeva cosa celasse tale luogo, ma la paura narrava che chi vi entrasse, non ne usciva più. Eppure, chi vi viveva, non la pensava allo stesso modo. 
Il mondo correva un grande pericolo e malgrado i media e tutti i telegiornali mondiali avessero costantemento ricordato la possibile "fine del mondo", le guerre continuavano, così come la fame e le ingiustizie. Che dire, l'essere umano era troppo cieco per rendersi conto che ciò che proteggeva così ardentemente, sperando di ottenere la supremazia sul prossimo, avrebbe dovuto lasciarlo. 
La natura era in una continua evoluzione: secondo la storia, i dinosauri hanno dominato la Pangea per ben 65 milioni di anni fa; per cause sconosciute, sono periti. Questo perché una specie non poteva dominare in eterno. Per l'essere umano era ben diverso: la specie discendente dall'evoluzione dell'uomo Sapiens, poteva definirsi "giovane". Rispetto all'età dei dinosauri, egli aveva poche ore di vita. E questo discorso valeva anche per il sistema solare; la Terra avrebbe potuto vivere ancora per 8,5 milioni di anni, a meno che il Sole, stella piuttosto giovane, sarebbe imploso o esploso. 
Tutto ciò era molto affascinante, peccato che a nessuno importasse.

Il misterioso muro alto più di venti metri, in metallo e cemento, dotato dei più sofisticati sistemi di sicurezza, sembrava essere in fermento. Sì, quest'oggi, avrebbe accolto nuovi futuri membri; e del movimento si registrava nello spazioso quadrato innevato che circondava la fortezza grigia e in parte corvina, parecchi "agenti" avanzavano senza sosta, con cellulari nei palmi e armi nelle cinture. Qualcuno, però, sembrava in disparte dal movimento generale, di parecchi e solo uomini vestiti di tute completamente nere. Il noto ragazzo dalla maschera bianca.
Era dinanzi al grande cancello a prova di bombe della fortezza e fissava con aria assente, se così si può dire, il cielo nuvoloso, che non minacciava temporali. Ci sarebbe stato un forte gelo nei prossimi giorni; il vento aveva già iniziato a soffiare insistemente e la neve sarebbe scesa nuovamente. Sembrava attendere qualcosa.

-Uhm... A quanto pare, non dovrebbe essere così male. Dopotutto, malgrado sia troppo giovane, mi sono guadagnato il posto- mormorò impercettibilmente, mentre un uomo dal viso mite, con indosso un kimono lungo castano, bordato di nero, come le ballerine e i pantaloni, gli si avvicino.

Un paio di occhi castani spiccavano su un viso non molto giovane, in tono con i capelli non lunghi brizzolati, così come il piccolo ciuffo di barba sotto il mento: -Ti vedo pensieroso- gli disse con calma.

Il giovanotto non sussultò e voltò il capo verso il mite uomo alla sua destra: -Oggi è il giorno in cui decideremo le sorti del mondo- rispose sul vago, nonostante l'esclamazione fosse stata un'altra.

L'uomo annuì e fissò il portone, mentre un piccolo suono rapì l'attenzione del ragazzo mascherato; in fretta, si portò l'indice e il medio all'orecchio destro, dove capeggiava un piccolo ricevitore radio. Una voce bassa tedesca dette istruzioni precise.

-Vai a Potsam e accogli le tue reclute alla stazione. Vai e non perdere tempo- ordinò la voce classica di un ex-nazista. 

Il giovane s'inchinò dinanzi all'uomo, che flesse rispettosamente il capo e atteso che le grandi porte corazzate si aprissero, svanì in un lampo, pronto a saltare il sella a una motocicletta potente, scattante, verniciata di un nero lucido, in tono con i cerchioni cromati e lucenti. Un rombo si levò nell'aria e le ruote corvine slittarono nella neve, sparendo fra i sinuosi percorsi, interrotti da file di alberi secolari.

****************************************

Stazione di Potsam, 5 dicembre, ore 14.35

Una stazione come tutte le altre, pilastri candidi, linee ferroviarie, una moltitudine di persone che attende un proprio caro o imbarcarsi; panchine smeraldo dove sedersi, treni che fischiavano... un certo movimento pomeridiano vi era, malgrado il freddo pungente. Sciarpe, guanti, cappotti e cappelli erano la caratteristica d'obbligo di un dicembre tedesco, specialmente a Berlino. 
Un treno bianco, piuttosto gremito di vagoni, con alcune strie bluastre, si fermò esattamente al binario 9, sbuffando una nube di vapore; i freni bloccarono le ruote e lentamente, una campanella permise alle varie porte di aprirsi, in modo da svuotare i vagoni e accogliere altre persone, come sempre. Fra tanti volti, quattro, nonostante alquanto inosservati, scesero in tempi e vagoni diversi dalle carrozze ferroviarie; i loro occhi non sembravano affatto come tutti gli altri... erano di quattro diverse nazioni. 
Il primo, un ragazzo giapponese, dai capelli e gli occhi ramati, scrutò la stazione in solitaria, mentre s'incamminò accanto a un pilastro, attendendo magari qualcuno che lo scortasse a destinazione. Piuttosto calmo ma diffidente, sospirò quando la sua schiena si schiacciò contro un rugoso cilindro di cemento armato, che sosteneva un arcuato soffitto, sfumato di bianco per l'intonaco, ramato per i vari tubi che convogliavano dei riscaldamenti e nero per le ombre. S'infilò una mano in tasca e ne estrasse la fascia azzurra con due fori per gli occhi; la fissò per un tempo indeterminato, finché qualcuno non lo urtò ad una spalla.

-Ma che...- imprecò, bloccando magistralmente la fatidica caduta sul pavimento, con un rapido allungamento della gamba destra: -Ehi!- protestò in giapponese, notando come l'altro dai capelli corvini e gli occhi miele lo stesse fissando con rabbia.

Haruhiko era faccia a faccia con Alex: avevano una vaga somiglianza, ma prima che potessero rendersene conto, un rombo di una motocicletta, che sfrecciava nella stazione, sebbene fosse categoricamente proibito, si avvicino loro. Era il giovane mascherato; scese dalla moto e con aria fredda, incurante dei mormori di disapprovazioni delle varie persone che lo fissavano quasi con odio, si fermò dinanzi ai due giovani sedicenni. 

-Io so tu chi sei!- esclamò perplesso Alex, con forte accento francese, mentre Haruhiko inclinò verso destra il capo, non avendone capito affatto il significato; un ciuffo dei suoi capelli cascò dinanzi ai suoi occhi, ma non se la scostò.

Il giovane annuì e s'infilò la mano in tasca; stette a guardarli per un po' di tempo, finché non notò una certa impazienza soprattutto nel focoso Alex. Prima che potesse imprecare, egli consegnò nei loro palmi due piccolissimi auricolari neri, da infilare nell'orecchio destro, o sinistro, a seconda dei casi. Notò come i due sedicenni fossero particolarmente curiosi e in buona parte perplessi; dette un piccolo sorriso, che non fu notato a causa della sua maschera.

-Che dobbiamo farci?- domandò in giapponese Haruhiko, mentre l'altro al suo fianco inarcò un sopracciglio, senza aver compreso una singola parola.

Come risposta, il giovane mascherato si girò di profilo, tamburellandosi l'esile indice sull'orecchio, lo stesso dove capeggiare un auricolare simile. Sembrò ghignare e i due giovani che si scambiarono una rapida occhiata, non poterono far altro che imitare. S'infilarono l'oggetto sul lato destro e immediatamente, un piccolo bip, permise l'accensione di esso.

-Senti un po', amico... ma tu quante lingue parli?- domandò Alex, mentre Haru scattò verso di lui con occhi sgranati quanto sorpresi; gli strinse le mani sulle spalle e dette il classico sorriso di un bambino dinanzi al suo regalo di Natale: -Che c'è? Ho qualcosa fra i denti?- chiese, inarcando la testa.

-Io ti ho capito!- sorrise placidamente, cercando di ricomporsi, assumendo nuovamente l'atteggiamento serio quanto dolce che lo caratterizzava: -E scommetto che anche tu mi comprendi, giusto?- chiese a braccia conserte, con un certo sorrisino furbetto.

Ci volle un po' per Alex ad abituarsi a quell'ingegnoso oggettino; ma una volta che la sua mente replicò circa una decina di volte la frase appena dettogli da Haru, si limitò ad annuire e a spostare l'attenzione sul ragazzo mascherato.

-Tanto per rispondere, questi sono sofisticati sistema radio che possono tradurre all'istante tutte le lingue del mondo. Quindi è sufficiente parlare in modo che voi due mi e vi capiate. Compreso?- rispose il ragazzo, portandosi la mano sul fianco, mentre l'altra scivolò lungo il fianco.

I due annuirono, ma Haruhiko aveva un'altra domanda da porre e una volta elaborato l'insieme di parole nella mente, la ripeté a voce: -Permettimi una domanda... come ti chiami?-.

Il giovanotto sembrò ridacchiare e annuì: -Nat Xu-.

Alex sgranò gli occhi, senza contenere una stupida affermazione che tese i nervi d'acciaio del ragazzino, alias Nat: -Che razza di nome! Vieni per caso dalla Cina?-.

Haruhiko scosse nervosamente il capo e quasi come un fratello maggiore, gli mollò un leggerissimo pugno sul braccio, senza fargli il minimo male; si guadagnò un'occhiata gelida da parte dell'altro, che gli ringhiò sonoramente in viso. Nat sospirò pesantemente e si voltò di spalle, lisciando lentamente il manubrio cromato della moto. 

-No. Vengo da Cape Horn. E poi, le mie origini sono miste- rispose quasi con un sussurro, in cui si evidenziò perfettamente un disgusto in quella risposta: -Ma se la prossima volta non controllerai la tua arroganza...- e quasi fulmineamente, Alex si ritrovò una punta di un affilatissimo kunai d'acciaio, sotto la gola.

Alex sgranò gli occhi e alzò le mani all'altezza dello sterno, fissando stupido Nat dinanzi a lui, che premeva l'arma sulla pelle, comprendendo il seguito di quella frase... la sua arroganza avrebbe ricevuto una punizione esemplare, non piacevole. Deglutì, mentre l'evidente "pomo di Adamo" si mosse verso il basso e ritornò in posizione di risposo; come in un'occhiata gelida, Nat ripose il coltello nella manica del suo giacchino di pelle e indietreggiò di un passo. Sembrò guardare Haruhiko, che inspirò silenziosamente, senza nemmeno parlare. 
Non immaginava che quel ragazzo fosse molto veloce... forse, come un killer da temere.

-Ok... scusami...- mormorò Alex, strofinandosi turbato la nuca, mentre l'altro annuì e voltò il capo verso un secondo treno, che con un altro sbuffo bianco, stava lasciando scendere o salire altre persone. 

-Tu chi sei?- chiese Alex con voce scocciata, mentre guardava imbronciato l'altro sedicenne, il quale si presentò con nome e nazionalità e riformulò la stessa domanda, in cui il focoso rispose senza problemi.

Nat, ignorando i discorsi che stavano facendo i due alle sue spalle, intravide una familiare testa arancione e un paio di occhi nocciola. Sembrava proprio lui... l'australiano Liam Johnson; aveva una borsa appoggiata sulla spalla e sembrava un solitario sconosciuto in mezzo a quei freddi volti ostili che i tedeschi mostravano per gli estranei... Nat scosse il capo e s'incamminò con passo fermo verso di lui, mentre i due sedicenni non poterono far altro che seguirlo.
Con la mente fissa su Liam, ugualmente Nat udì lievi discorsi sulle fasce che si mostrarono Haru e Axel; ci sarebbe stato il tempo di raccontarsi tutto, ma per il momento no. 
Liam era come un cucciolo sperduto, ma nonostante si guardasse nervosamente in giro, alla disperata ricerca di qualcuno che lo avrebbe accolto, manteneva un'apparente aria calma. Più si avvicinavano al giovane pel di carota, più i due sedicenni erano titubanti; gettarono una rapida occhiata sul Nat, più minuto di loro, che avanzava silenzioso. La gente sembrava temere quel quindicenne che arrivava alle spalle dei due giganti di Paesi diversi; eppure Nat non ne dava peso... si avvicinò a Liam, il quale esibì un lieve sorriso.

-Liam Johnson. Sapevo che mi avresti trovato- disse Nat, consegnandoli senza cerimonie, l'auricolare, radio-traduttore, spiegandogli brevemente il suo utilizzo: -Molto bene. Tre su quattro. Adesso, dobbiamo trovare solo l'ultimo- proseguì alquanto frettoloso.

Haruhiko e Axel salutarono con un semplice inchino del capo il sedicenne, alquanto a disagio; ma quando fece intravedere la familiare fascia ninja che stringeva nervosamente nel pugno destro, i due sembrarono rompere la barriera fra loro e si dimostrarono estroversi e cordiali. Questo fece accrescere un'ondata di sicurezza dal profondo del giovanotto, il quale sorrise dolcemente. Ben presto, approfittando dell'attesa di, stando a quello che avevano capito, un altro ragazzo, ebbero modo di scambiarsi qualche chiacchiera. 
Innanzitutto, si presentarono, poi passarono all'età e alla nazionalità.

-Caspita! Vieni dall'Australia? E com'è lì?- chiese affascinato Axel, mentre i suoi occhi s'ingrandivano emozionati; Haruhiko, al contrario, preferì mascherare l'evidente curiosità in un'apparente maschera di calma e compostezza.

-Beh... in realtà, sono nato a Sidney... ma... un po' per mia sorella Ebony, un po' per me, abbiamo traslocato. Viviamo lontano, in una prateria- raccontò a voce bassa, come non volesse essere udito da orecchie indiscrete, anche se optò per l'ipotesi, che seppur avesse chiacchierato normalmente, nessuno lo avrebbe capito.

I due sedicenni annuirono e passarono alle loro presentazioni; il primo fu Alex, che ci teneva a raccontarsi, forse con un pizzico di superbia: -Io vivo con mio padre a Parigi... e nonostante possa sembrare una noia, esci alle sette di sera e ti capita sempre l'occasione di menare le mani. Mio padre è un ex-pugile e mi ha insegnato qualche mossa. Mi piace combattere quando occorre!- ghignò, stringendo dapprima i pugni con adrenalina crescente, per poi colpirsi il palmo sinistro con il pugno destro.

E venne il turno di Haruhiko: -In Giappone vivo con mia madre e mio fratello Doi. Mio padre è... morto... ed ero io l'uomo di casa... finché non ho scelto di proteggere questo mondo... perché la stessa proposta è stata fatta anche a voi, no?- domandò dopo il folle senso di colpa che gli strinse lo stomaco; non lo dette a vedere, ma i suoi occhi si erano già velati di lacrime amare.

Nat si lisciava con aria assente il bordo della sua maschera, mentre attendeva che giungesse l'ultimo ragazzo; non si era prolungato molto sull'ultimo del trio, preferendo di rimanere sul vago. Scrutava attento ogni singola persona che sbucava dalla moltitudine di treni che si fermavano sulle linee ferroviarie, mentre alte partivano; un orologio, accanto a un cartello di lamiera pubblicitario, batteva già le 15.30... il tempo volava anche quando non ti divertivi.Il freddo pungeva insistentemente, ma nessuno sembrava curarsene, troppo eccitati all'idea di essere i "salvatori del mondo".

Eppure l'attesa si concluse; ci furono un coro di mormorii generali, misti fra stupore e rabbia dei presenti in quella stazione sterminata. Nat e i tre ragazzi scattarono; riuscirono a farsi strada fra l'anello umano colorato, incurante delle proteste di alcuni stupidi che si erano spostati a suon di gomitate. Nel grande cerchio, simile a una barriera, c'era un ragazzino biondo, con i piedi nudi e gli occhi azzurri; un kimono e un pantalone crema e polsini corvini. Liu Ling. 
Non indossava nemmeno un cappotto; il freddo gelido premeva sulla sua pelle nuda, ma ciò non sembrava preoccuparlo.
Il ragazzo guardava con ostilità gli occhi di coloro che lo tenevano isolato, insinuando pensieri negativi sul suo conto; sembrava ringhiare, ma prima che la situazione potesse degenerare con possibili imprecazioni colorite, Nat uscì dall'anello umano e si dispose faccia a faccia con il giovane occhi azzurri.

-Ciao- disse in cinese, mentre Liu si ritrasse un po', troppo diffidente per ragionare; odiava ogni singolo essere umano, salvo i bambini che non maltrattavano i poveri animali, per avergli ucciso "mamma lupo" e i suoi fratelli: -Ti ricordi di me?- chiese Nat.

Liu continuava a ringhiare alle persone che lo accerchiavano; prima che potesse rispondere, uno dei tedeschi, mostrò il suo brutto viso da ventenne brufoloso e parlò, sebbene il tedesco non fosse una lingua capita dal cinese biondo. Divaricò le gambe e si poggiò entrambe le mani sui fianchi muscolosi; i suoi occhi azzurri, in tono con la capigliatura bionda e la sua altezza esagerata contribuivano a gonfiarlo come un pallone. Indossava una giacca marrone, un maglione nero, un jeans strappato sulle ginocchia e un paio di scarpe da ginnastica blu.

-Guardate come quello straniero disgustoso calpesta la nostra fiera nazione di combattenti! Hitler aveva ragione a rimuovere simili fecce! Perché non seguiamo i suoi meravigliosi principi?- gridò con voce giovanile, allargando le braccia, esaltando l'orribile epoca del nazismo.

La gente cominciò ad appoggiarlo e gridò orribili insulti al povero Liu, il quale non capiva; ma li fissava in cagnesco, ringhiando. Il tipo, che sembrava chiamarsi Karl, si avvicinò a lui e lo fissò ghignando, pavoneggiandosi per i suoi due metri di altezza e un metro e settanta per l'altro, che divaricò le gambe, rabbiosamente. Haru, Alex e Liam sgranarono gli occhi e riuscirono ad avere un posto in prima fila in mezzo a quella moltitudine di tedeschi razzisti.

-Allora, cinese schifoso, come osi snobbare la nostra Germania?- gli ringhiò, mollandogli un fulmineo calcio all'altezza dello sterno, stupendosi del salto mortale all'indietro del giovane quattordicenne: -COSA?!- gridò per l'evidente figura penosa.

Liu schivò, con una spaccata, un gancio al viso; si rimise in piedi con una ruota e pensò bene di aggrapparsi alla punta più estrema di un pilastro che sosteneva il pesante soffitto della ferrovia, per sfuggire alla furia nemica. Il freddo gli aveva provocato un bruciore doloroso alla vecchia cicatrice. Liu non temeva Karl che aizzava i tedeschi contro di lui, ma prima che la sua pistola revolver potesse colpirlo, accadde qualcosa.

-Tutti gli stranieri che osano calpestare la nostra nazione meritano di morire!- gridò ancora una volta, mentre ottenne un coro di approvazione generale; ghignò e rivolse la canna dell'arma da fuoco su Liu, il quale sgranò gli occhi impaurito, ma permise alla rabbia di abbagliargli la vista.

Prima che il colpo potesse partire, Liu scattò su Karl e lo scaraventò pesantemente in terra, frantumando con un violento pugno l'arma distruttiva, nonostante si fosse graffiato in malo modo le nocche delle mani. Fissò con uno sguardo demoniaco il tedesco intimorito; la paura lo aveva completamente paralizzato. Notò come l'avversario si fosse nuovamente lanciato su di lui, seduto sul suo ventre, con il kunai stretto nella mano destra, alzata oltre la sua testa. Karl chiuse gli occhi, ma non avvertendo il minimo dolore, ne schiuse solo il destro e successivamente il sinistro. I denti affilati di Liu erano stretti dinanzi al suo viso.

-Sei la distruzione! Però... non meriti di morire... non per mano mia, almeno- gli ringhiò con tutto l'odio possibile in cinese, anche se l'altro non lo capì.

Nonostante i tedeschi avessero completamente fatto il tifo per Karl, più della metà stava applaudendo il povero Liu, che seduto in terra, si stava leccando come farebbe un lupo, la nocca della mano ferita. Liam, Haru e Alex sgranarono gli occhi: mai vista una cosa del genere. Era in un certo senso piacevole in quanto fuori dalla norma... il ragazzo si comportava come un animale! Nat gli si avvicinò e parlandogli dolcemente in cinese, riuscì a fargli indossare l'auricolare nell'orecchio destro; Liu si rialzò e sussultò alla sua vecchia cicatrice.

-Dove andiamo ora?- chiese con le pochissime parole che conosceva; Liu comprendeva meglio il dialogo di versi degli animali piuttosto che un discorso "umano"; egli, infatti, non si reclutava un ragazzo, bensì un lupo.

Nat condusse l'ultimo delle quattro reclute dai tre sedicenni e tutti notarono come Liu ringhiò diffidente; strinse i pugni e dette loro uno sguardo di odio. Sfuggendo dalla loro traiettoria visiva, egli annusò loro soprattutto i capelli e si calmò, ritornando al fianco di Nat. I suoi piedi facevano schioccare le dita che tamburellavano sul pavimento gelido della stazione e senza nemmeno sapere cosa fosse, Liu starnutì per il troppo freddo preso.

-Non hai delle scarpe o una giacca?- chiese bonariamente Liam, non potendo fare a meno di sentirsi stranamente a proprio agio assieme a quei ragazzi che nemmeno conosceva... era come se avesse condiviso una parte della sua infanzia... ma non poteva essere, no?

Liam sapeva che aveva una famiglia. E allora perché quella sensazione?

Liu inclinò la testa e i suoi occhi da bambino si strinsero confusamente: -Che vuol dire?- domandò, strofinandosi la nuca con una marea di dubbi.

Alex e Haru si scambiarono una rapida occhiata; trattennero a fatica una debole risatina alla sua ingenuità e spinti da uno stranissimo senso fraterno, gli avvolsero intorno alle spalle una coperta e Axel si propose di portarlo sulla schiena. Quest'ultimo, ebbe quasi un batticuore... Liu aveva qualcosa di troppo familiare... ma cosa? Non sapeva nemmeno che esistesse!

I cinque ragazzi vennero accolti da un'auto nera, con varie strie grigio metallizzato; salirono, dopo il consenso di Nat e furono scortati dinanzi all'immenso cancello di Berlino 18...

-E' immenso..!- esclamò senza nemmeno formulare di meglio, il giovane Liam, schiacciando il naso e la mano destra, contro il freddo finestrino del seggiolino destro posteriore.

-Benvenuti nella vostra nuova casa- disse Nat...

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Io Come Lupo ***


-Benvenuti nella vostra nuova casa- disse Nat, scendendo con eleganza dalla motocicletta; notò come i quattro giovani fossero particolarmente eccitati e pensò bene di dar loro un gran bell'avvertimento: -Vi ricordo che questa non sarà una vacanza. Prendetelo come un campo d'addestramento. Chiaro?- e si allontanò.

Uno sterminato spiazzale candido di neve, dove un muro recintava e mascherava alcuni alberi e un'alta fortezza, simile al famoso carcere di Alkatraz. Era una grossa struttura di cemento armato, a prova di bombe aeree, dove capeggiavano file di finestre; solo una grossa porta corazzata nera permetteva l'accesso. Una bandiera nera con una testa di falco bianca, sventolava sulla torre di vedetta più alta della struttura. Dietro l'imponente fortezza, un piccolo bosco rendeva ancor più tetro la situazione; grossi abeti secolari stavano ondeggiando al passaggio del vento invernale. 
Haru, Liam ed Alex scesero dall'auto, mentre l'ultimo, alias Liu, si mise praticamente a quattro zampe, rabbrividendo al contatto delle gelida neve sotto i piedi. Aggrottò la fronte e con un balzo agilissimo, si sistemò accovacciato sulla tettoia dell'auto. I tre giovanotti risero sotto i baffi, tanto era buffo.

-Rimettiti la coperta addosso! O ti ammalerai!- protestò giocosamente Liam, notando che il quadrato di lana era ancora sul sedile di pelle nera posteriore: -Ok, te la prendo io!- e s'infilò per acciuffarla.

D'altro canto, Liu sembrò parecchio a disagio; non era mai stato abituato a ritrovarsi assieme agli umani, così come vedere tante cose nuove e strane. Vivere in una foresta con un lupo, per quattordici anni e mezzo, aveva i suoi pregi e i suoi difetti. Sviluppavi un'agilità e una velocità mostruosa, ma eri completamente all'oscuro delle "comodità" moderne.
Liam sorreggeva nelle mani fredde la coperta e attendendo che il giovane Liu scendesse nuovamente dal suo rifugio, gliela porse sulle spalle, nonostante avesse ricevuto un ringhio di diffidenza. D'altronde, il quattordicenne temeva gli umani e farsi "toccare" da solo era un ribollimento continuo di rabbia di ricordi. 
Liam se ne accorse così come gli altri e storse il labbro inferiore; gli avrebbe battuto una leggiadra pacca di conforto sulla spalla, ma preferì non farlo.

-Se vuoi puoi risalirmi sulle spalle, tanto non sei pesante, malgrado la tua muscolatura!- si offrì Alex, indicandosi bonariamente con il pollice la sua schiena; Liu lo fissò a lungo e negò con il capo: -Dicci un po', ragazzino... ma, tu vivevi davvero in Cina, in una zona sperduto e da solo?-.

L'arroganza del focoso provocò un ringhio del giovane, il quale scattò rapidamente la testa, voltata a fissare il cielo nuvoloso delle 17.15: -La mia casa è la Foresta di Pietra. Vivevo con mio fratello- raccontò, scurendosi in viso.

Haruhiko gli si avvicinò dolcemente e lo guardò con dolcezza; Liu stava trattenendo a fatica le lacrime e dal modo in cui stringeva i bianchi denti affilati, sembrava essere molto nervoso: Liu, non sapevamo avessi un fratello. Non è con te?- chiese con una strana nota fraterna.

"Perché mi sento come se lui fosse... un fratellino per me?", si domandò mentalmente, cercando di respingere le parole oltre la sua mente.

Liu alzò lo sguardo profondo e scosse nuovamente il capo, lentamente: -Lui è rimasto a proteggere la nostra casa. Non credo che Tan Tan avesse apprezzato venire qui... lui preferisce rimanere ad annusare le piante e a divorare la frutta-.

Quest'esclamazione accigliò i tre ragazzi; in qualche modo, avevano avuto l'impressione che "Tan Tan" non fosse un ragazzo... ma un animale. Forse un cane. Liam, si lisciò il mento con fare curioso e sorrise dolcemente; desiderava conoscere a fondo quel ragazzino... era come se avesse un legame con lui e con gli altri. E ancora una volta credeva fermamente nell'ipotesi che era solo una vaga impressione.

-Tuo fratello è un cane?- domandò Alex, messosi a braccia conserte.

Liu s'imbronciò e scosse energicamente il capo, lasciando dondolare la folta coda di cavallo sulla coperta; sospirò e fissò la bianca neve in terra. Un forte odore di polvere da sparo galleggiava nell'aria, ma in quell'istante, egli non se ne curò. Desiderava tornare a casa... però, aveva promesso a Tan Tan che avrebbe salvato la Foresta di Pietra e il mondo anche dov'era ora. Non voleva mancar fede alla sua promessa e decise di non mollare. Si strinse la coperta sulle spalle, assaporandone il piacevole tepore sul corpo; non aveva mai creduto che un qualcosa fatto di chissà che, fosse dieci o cento volte meglio delle foglie degli alberi.

-Io e Tan Tan siamo dei lupi- ammise alla fine, lasciando di stucco i tre sedicenni, i quali non credettero alle loro orecchie: -E non tornerò a casa senza aver salvato la Foresta di Pietra- ringhiò con convinzione.

Haruhiko sorrise stranito, così come Liam, ma Alex lo guardò letteralmente scioccato: i suoi occhi miele erano sgranati al massimo, così come le mani ciondolanti lungo i fianchi; sbatté un paio di volte le palpebre e non riuscì a trattenere un'energica risata.

Liu inclinò il capo ingenuamente; guardò Haruhiko che si limitò a inspirare con la pazienza al limite e Liam che tamburellava le dita sulle braccia conserte: -Dai! Tu sei un lupo? Ah! Ah! Ah! A chi vorresti prendere in giro!- rise sguaiatamente, portandosi le braccia sullo stomaco.

Come tutta risposta, Liu gli saltò addosso e gli mostrò la faccia più feroce che aveva; premette saldamente le mani sulle sue spalle, impedendogli la fuga e si sedette sul suo stomaco. Lo costrinse a guardarlo negli occhi, cosicché da farlo smettere. Alex, in effetti, abbandonò la risata e rimase in silenzio, aggrottando la fronte rabbiosamente. Non aveva mai potuto soffrire lasciarsi mettere facilmente al tappeto da un mocciosetto di due anni più giovane. 

-Sta zitto! O ti sbrano la faccia! Io sono un lupo, chiaro? La mia mamma e i miei fratelli sono morti per mano vostra! E Tan Tan mi ha protetto! ZITTO!- urlò, lasciandosi abbagliare dalla rabbia atroce, incurante del bloccaggio del suo sterno e delle braccia da parte di Haru e Liam, prontamente intervenuti: -Lasciatemi! E' colpa vostra! VI ODIO! VI ODIO!- urlava fra le lacrime, dibattendosi violentemente, finché giunse Nat per risolvere la situazione critica.

Notò come Alex stesse ancora in terra, con il busto sollevato dalle braccia a 90° e gli altri due ragazzi che bloccavano un furibondo Liu. Nat scosse il capo e si avvicinò a un Liu spaventato e singhiozzante; la coperta era nuovamente finita nella neve e una schiera di giovani matricole sedicenni, si erano avvicinate, tenendosi anche a debita distanza. Guardavano con disprezzo il povero Liu, che ansimava pericolosamente; nella specie di parentesi che avevano formato alle spalle di Nati, mormoravano sottovoce insulti offensivi verso il cinese.

Liu fissò Nat e tentò di saltargli addosso, nonostante Liam e Haru lo stessero trattenendo energicamente: -Mi hai mentito! Dicevi che il mondo non era completamente malvagio! C'erano persone da salvare! Non è vero! NON E' VERO! La mia mamma è morta per mano vostra! Siete tutti cacciatori!- gridava a pieni polmoni, mentre Liam, Haru e Alex ebbero un battito mancante.

E dunque era quello il motivo perché Liu si definisse un lupo... era stato adottato da un animale, logico che si considerasse tale. Avendo visto la morte della sua famiglia, per mano di cacciatori, diffidava selvaggiamente da tutti. E questo, i tre sedicenni lo avevano compreso, a malincuore. Prima che potessero rendersene conto, Liu si strattonò dalle loro prese e galoppò via, arrampicandosi abilmente sulla corteccia dell'albero più vicino. Si nascose sui rami più alti e proseguì il solitaria il suo dolore. Appoggiò la schiena al tronco e acciambellò le braccia sulle ginocchia; incurante del freddo, affondò la testa nelle piccole tenebre che si era creato con quella posizione e ripensò a Tan Tan.

-Bravo! Bel colpo!- replicò alquanto furibondo Haru, porgendogli la mano per rialzarsi; Alex non accettò l'aiuto e si rimise in piedi da solo, con tanto di broncio, ma con il cuore trafitto per il dolore che Liu aveva lasciato trasparire: -Ora sta a te porgli le scuse dovute!- proseguì, notando come anche Liam gli stesse dando torto con lo sguardo contrariato.

Alex sospirò e s'infilo le mani in tasca; fissò l'albero molto alto dove giaceva Liu e condusse lo sguardo sulla neve... era stato davvero molto stupido. Avrebbe dovuto imparare a tenere chiusa la bocca; anche se lo seccava ammetterlo, si sentiva piuttosto in colpa e avrebbe dovuto rimettere le cose a posto. Dopotutto, Liu era stato abituato a vivere immerso nella natura e il suo atteggiamento era più che comprensibile, no? Era come un bimbo piccolo nel freddo mondo e aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse.

Quel qualcuno era lui.

"Perché mi sento responsabile di Liu? Lui non è mio fratello! Eppure... non posso fare a meno di percepire una certa simbiosi con lui... Perché? Cos'è che non so? Perché mi sento come se fossi a casa mia con Haruhiko, Liam e Liu? Perché, invece, ho sempre avuto l'impressione di essere sempre stato nel posto sbagliato?", pensava Alex, fissando con lo sguardo perso un Haruhiko piuttosto triste.

-Ok, ok... ho capito! Gli chiederò scusa!- bofonchiò animatamente, sbuffando, anche se un leggiadro sorrise comparve sull'angolo destro della sua bocca, nonostante fosse di profilo.

I due ragazzi sorrisero e guardarono Nat che annuì; notarono benissimo il mormorio indecente delle reclute in nero che fissavano l'albero che mimetizzava alla grande il povero Liu, incurante delle pesanti offese che ne seguirono.

-Quella specie di Tarzan dovrebbe tornarsene nella jungla, assieme alle bestie come lui!-.

-Infatti! E' come un menomato, solo senza cervello!-.

-E i tipi come lui, vanno sterminati, come avrebbe fatto il grande Führer!-.

Sfortunatamente, Nat aveva udito ogni cosa e senza preavviso, scagliò loro alcune stelle ninja e brandì la pistola che portava il un alloggiamento di pelle nere, sotto il suo giacchino; coloro che avevano osato tanto, guardavano impauriti i tre brillanti shuriken, incastrati nella stessa corteccia dell'albero che accoglieva Liu. Una mira e precisione infallibile: Haru, Liam e Alex non poterono far a meno di ammirare Nat che si diresse a passo fermo verso i tre spilungoni che lo guardavano con disprezzo; afferrò il primo sulla sinistra, il quale indossava una felpa grigio topo e un pantalone classico dello stesso colore, di una gradazione più scura. Essendo molto più alto, gli afferrò il colletto della maglia e lo avvicinò al suo viso mascherato. 

-Ti diverti, vero?- ringhiò a voce bassa, incutendo una certa paura, quando lo stesso kunai che aveva fatto vederei cosiddetti "sorci verdi" ad Alex, premette sotto il suo mento da ventiduenne: -Vedrai come riderai quando assaggerai il Campo di Addestramento- e notando come il tizio sotto tiro si fosse praticamente inginocchiato sotto la sua forte presa, gli altri deglutirono il silenzio.

Nat guardò gli altri due spilungoni dai capelli neri e rossi, che tremavano; lasciò il colletto del ragazzo biondo e stette a fissarli quasi con aria di superiorità, come un perfetto Leader, che colpì molto Haruhiko...

Leader.

"Io... ho come la vaga impressione di... essere stato... un leader... Ma cosa dico! Non lo sono mai stato!", protestò nella sua mente, ignorando il cuore che sosteneva ben altra verità.

Anche se non voleva, non riusciva a smettere di guardare Nat che proteggeva il povero Liu, il quale stava fissando la scena dal suo nascondiglio; sulle sue labbra era appena comparso un leggero sorriso di gratitudine, anche se le lacrime continuavano a scendere sulle sue guance gelide. L'aria gelida che congelava il respiro del biondo cinese era meno intensa in basso...

-TU NON PUOI DARCI ORDINI, MOCCIOSO!- tuonò il biondo tedesco che aveva fatto una pessima figura per mano di Nat: -HAI CAPITO? CHI TI CREDI DI ESSERE?- imprecò, rimessosi in piedi, mentre il suo interlocutore non gli dette peso e continuò a incutere terrore agli due deficienti dinanzi a lui. 

Sentendosi ignorato e nuovamente offeso, il tedesco, alias Adolf Kastenberg, non ci pensò due volte e tentò di colpire un ignaro (apparentemente) Nat con un coltellino a serramanico, estratto dalla cintura di cuoio che sosteneva il suo pantalone; ghignò e si avventò sull'avversario, anche se si bloccò all'istante, quando qualcosa lo colpì dritto sulla testa, facendolo finire con il viso sulla neve. L'arma scivolò sotto un candido cumolo e si perse.
Haruhiko, Alex, Liam e tutti gli altri, fissarono l'albero dove vi era ancora un Liu nella stessa posizione di chi aveva appena scagliato una pesante pigna... con una mira eccezionale. Il cinese si mise in piedi, ignorando la folle altezza, dove i visi all'insù dei presenti, non erano che piccole chiazze rosa e nere. Le gambe leggermente divaricate e le mani sui fianchi, mentre un ghigno si levò sulla sua bocca. 
Liu scosse il capo e saltò nella gravità, nonostante gli altri temessero per lui... Prima che potesse atterrare pesantemente e causarsi una rottura parziale degli altri inferiori, egli attutì la caduta su un ramo, utilizzandolo come una trave parallela e atterrare con un salto mortale.

Nat sorrise dietro la maschera e gli si avvicinò, seguito dai tre sedicenni: -Mi hai salvato. Perché?- chiese alquanto atono.

Liu si grattò con fare imbarazzato la guancia gelida e inclinò il capo, mentre un soffio di vento scosse il ciuffo biondo e i suoi capelli ribelli: -Uhm... ho pensato che... tu non mi sembri cattivo... e nemmeno voi...- indicò soprattutto Liam.

Quelle poche e faticose parole, scaldarono il cuore di coloro che avevano fatto parte della lista di buoni di Liu, che starnutì, come protesta del suo corpo contro il gelo. Haruhiko ridacchiò e afferrò la coperta nella neve, spazzandone via le bianche chiazze, rimettendogliela sulle spalle. Alex era un po' in disparte, aveva le mani nelle tasche e fissava colpevolmente la neve sotto i suoi piedi; non riusciva a guardare negli occhi un Liu, che non sembrava più arrabbiato con lui, anzi, gli andò vicino e lo guardò abbastanza intensamente, da costringere l'altro a ricambiare.
Le due paia di occhi s'incrociarono: qualcosa scattò in loro... era come se avessero condiviso molto in passato... Alex, storse le labbra e si preparò a parlare, quando notò Liu trasalire.

-Qualcosa non va?- domandò con una certa apprensione, vedendo come il giovanotto stesse spostando il peso corporeo sulla gamba sinistra: -Ti sei fatto male?- proseguì, poggiandogli le mani sulle spalle.

Liu sussultò al contatto, ma decise di provare a fidarsi e scosse il capo negativamente; fu solo un momento e ritornò in sé stesso. Sbadigliò, strofinandosi gli occhi con i pugni delle mani e ignorò il brontolio sonoro del suo stomaco. Alex senza nemmeno rifletterci, si fece guidare da un istinto fraterno mai avuto e lo fece salire sulle spalle, avvertendone il respiro leggero contro la sua nuca... si rese conto, dalla completa tranquillità di Liu, che si era già addormentato. Sorrise e Nat, assieme a una gran folla di nuove reclute di Paesi e colori diversi, si avvicinarono al grande portone corazzato, il quale si aprì con un cigolio.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La Prima Notte a Berlino ***


Pavimenti di marmo opachi, scale dai gradini molto alti, porte di noce scuro, grossi pilastri che sostenevano l'intera struttura, finestre dalla quale filtrava una fioca luce. Corridoi di tufo con enormi arcate come ingressi; focolai appesi sulle pareti per illuminare. Un enorme sala comune... Questo era la grande Base Segreta Berlino 18.
Tutte le matricole erano ammassate in un enorme spazio illuminato a giorno, dalle altissime pareti lisce, corridoio e scale. Anche i nostri quattro amici erano vicini e stavano osservando stupiti l'imponenza della struttura; a bocca aperta, cominciavano a considerare il vero peso di ciò che aveva detto loro Nat. Non sarebbe stata una vacanza. Ben presto, da un enorme portone corazzato corvino, comparvero circa cinque uomini, più... Nat! Indossavano lo stesso medesimo abito. Occhiali neri, giubbotto corvino di pelle, con una cerniera sul davanti; pantalone dello stesso colore e materiale aderente, stivali a metà polpaccio a strappi (sempre neri e anche idrorepellenti). Beh, che dire, che fantasia, no? Ognuno di loro, avevano delle pistole legati elegantemente in un fodero sulla cintura che portavano in vita.
Si disposero in file orizzontale, con Nat come ultimo; gambe divaricate e mani dietro la schiena.

-Benvenuti, allievi! Siete qui, oggi, per un motivo più che valido: salvare il mondo dalla catastrofe imminente!- spiegò il primo uomo venticinquenne, sulla sinistra; aveva i capelli rossicci.

Il secondo, proseguì: -Abbiamo un compito molto importante: impedire la profezia dei Maya. Tutti i dati che sono stati raccolti in questi decenni di segreti, sono stati utili per comprendere un punto ben definito!-.

E parlò il terzo: -Frammenti di meteore, di Ufo, cadaveri di alieni, hanno permesso di compiere un grande passo nella scienza. Da Plutone, poco più che una nana gelata, cadde un frammento di meteorite molto particolare: possedeva eccellenti proprietà magnetiche e lo stesso materiale era di alcune piccole astronavi. Nell'Area 51, sono depositati tali scoperte-.

Il quarto annuì e si aggiustò gli occhiali sul naso: -Non abbiamo mai potuto stabilire un contatto con questi alieni perché la nostra tecnologia era inferiore. Eppure, nonostante ciò, partendo da un'analisi a quel frammento di meteora, abbiamo compreso qualcosa di veramente incredibile-.

Il quinto guardò tutti i visi curiosi dei presenti: -Ma non possiamo lavorare da soli, abbiamo bisogno di voi; vi sottoporremo a un addestramento particolare in cui solo i più forti prevarranno. La fatica e lo sforzo sono i nostri motti. Chi cederà, potrà tornare a casa-.

Notando un lieve sgomento generale, fu il turno di Nat: -Bene. Vi spiegheremo ogni dettaglio in tutti i corsi che seguirete. Addestramento sì, ma anche cultura. Per ora, vi mostreremo i vostri dormitori!-.

Liu che era ancora sulle spalle di Alex, si risvegliò, sbadigliando; sbatté le palpebre ed ebbe un leggero fremito del corpo. Rabbrividì all'odore dell'aria urbana, carica di smog e si strinse maggiormente al sedicenne corvino, il quale ebbe un battito mancante. Osservò il biondo ciuffo del quattordicenne che svolazzava su lievi correnti d'aria e si ritrovò a sorridere bonariamente. Ecco che un leggero tamburellio da parte di Liam, gli fece notare come fosse giunto il momento di smistarsi nei dormitori.

-Chissà se saranno singole o a coppia le stanze!- mormorò Liam fra sé, mentre attendeva, così come i suoi nuovi amici, che gli altri entrassero, in modo da non rimanere travolti da quell'onda di giovani matricole: -Sperando sempre di arrivarci, ovvio!-.

Non appena il nostro quartetto entrò e s'incamminò in un lungo corridoio di muratura, dove dei tizzoni con delle fiamme, sfumavano di un rosso pastello il pavimento e le mura assai alte, dove un grande arco fungeva da entrata. C'erano molte scale, che conducevano in ali diverse, ma quando i giovanotti, per poco non si scontrarono con Nat, sbucato chissà da dove, ebbero le idee un po' più chiare. Il giovane mascherato porse ad Haruhiko un mazzo con quattro chiavi d'acciaio, dal cui anello, pendeva un piccolo rettangolo di cuoio, con un grosso 2105.

-Questa è la vostra stanza. Dormirete assieme- spiegò brevemente, spostando il viso su Alex e Liu: -Sta male?- domandò senza la minima preoccupazione nella voce calma.

Alex scosse negativamente il capo, ma prima che potesse rispondere, lo fece Liu, sceso dalla comoda posizione; rabbrividì alla sensazione di freddo sotto i suoi piedi, ma non se ne curò. Si guardò dapprima intorno e annusò, proprio come farebbe un lupo; gli altri non compresero affatto, ma si limitarono a studiarlo attentamente.

-C'è uno strano odore in questo castello- disse, riducendo gli occhi a due fessure: -Però, volevo dirti che io sto benissimo!- rispose, stringendosi la coperta sul petto.

Nat annuì come risposta e se ne andò, senza più spiegare nulla.

Rimasti da soli, i quattro ragazzi, decisero di cimentarsi nel cercare la loro stanza; con ogni sorta di probabilità, avrebbero dovuto salire i piani più alti per trovare la 2105. Eppure, nonostante avrebbero dovuto dividere una stanza in quattro, essi non trovarono la minima obiezione. Erano d'accordo e non seppero decidersi se quello fosse stato un caso o una piccola dritta di chi monitorava quel maestoso palazzo. Si scambiarono delle fugaci occhiate e salirono una scala, sulla loro destra, di circa ventiquattro gradinate di porfido.

Più saliva, più Liu si sentiva stranamente a disagio; sembrava fosse il più lento e i tre sedicenni dovettero fermarsi parecchie volte, per assicurarsi che il loro nuovo amico li stesse seguendo. Aveva una grande tristezza negli occhi e non ci voleva un'enorme intelligenza per comprendere che gli mancava la sua vita. Così, era lo stesso per gli altri tre.

-Scusate...- mormorò stancamente Liam, il cui fuso orario non corrispondeva al solito orario in Australia: -Anche se sono appena le 19.00, casco dal sonno... Manca ancora molto alla nostra camera? Non vedo l'ora di gettarmi sul letto e riposare- ammise, placando un altro sbadiglio con la mano.

Haruhiko sorrise, stranamente consapevole di quanto stesse bene assieme a quei tre ragazzi; dette una rapida occhiata ad Alex, che giocherellava con le dita nelle tasche e notò come la scalinata, avesse dato loro l'accesso a un nuovo piano. Mura bianche e alte, una fila di porte di metallo con cartellini sull'architrave con i numeri, scorrevano mentre una moquette bordò, attutiva l'odioso tacchettio delle scarpe. C'era poco silenzio perché le matricole che avevano già preso posto nelle rispettive camere, stavano gridando gioiosamente. Alquanto eccitati.

Haru guardò nuovamente il mazzo di chiavi nel palmo destro e lesse il numero di quattro cifre; la 2105 non era in quel piano: -Qui ci sono stanze che vanno dal numero uno al numero cento. Credo che dovremo salire ancora. Liam, ce la fai?- chiese con una nota preoccupata.

Il pel di carota, malgrado avesse le palpebre pesanti, annuì con un debole sorriso: -Certo, non preoccuparti...- e sbadigliò una terza volta.

Una nuova rampa di scale, condusse loro al secondo piano, dove le stanze partivano dal numero centouno arrivando fino al duecento. E così per il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l'ottavo e il nono piano. Oramai, i muscoli dei poveri sedicenni, pulsavano di stanchezza e di acido lattico; ansimavano un po', ma Liu sembrasse ancora fresco come una rosa. Quest'ultimo, ridacchiava al contatto della moquette pelosa sotto i suoi piedi e salire di piano in piano, per lui era una specie di divertimento. Anche se, avrebbe preferito salire un bell'albero, magari assieme al suo Tan Tan. Eppure, i tre sedicenni, che erano rimasti sempre indietro, notarono benissimo un fremito del quattordicenne, fermo al primo gradino. Era di spalle e sembrava stesse soffrendo. Alex, guidato da un'irrefrenabile impulso protettivo, accelererò il passo, mandando al diavolo i muscoli delle gambe che stringevano come in una morsa.

Gli appoggiò una mano sulla spalla e cercò i suoi occhi: -Liu, cosa c'è che non va?- chiese a bassa voce, notando come il ragazzino si fosse spaventato al tocco sulla sua pelle; non rispose e abbassò gli occhi gonfi di lacrime.

Anche Haruhiko e Liam vollero partecipare e si strinsero in una mezzo cerchio, sperando in un qualche approccio più amichevole; sapevano fin troppo bene quanto Liu fosse restio a parlare di sé con gli "umani", ma adottarono l'ipotesi che egli avesse già dimostrato una vena più estroversa, nei loro confronti. Salvo il piccolo incidente sulla neve, ma Alex si era ripromesso di frenare la sua lingua lunga e tagliente.

-Ti fa male da qualche parte?- fu la domanda apprensiva di Haru, il quale sentì alcuni passi lenti avvicinarsi: -Dovremmo cercare l'infermeria, però!- e il suo cuore batté violentemente quando si ritrovò un uomo dinanzi a loro, lo stesso che aveva parlato della profezia Maya.

Capelli rossi ed occhiali.

-Problemi?- domandò con voce atona, fermandosi soprattutto dinanzi a Liu, il quale non nascose un ringhio di diffidenza: -La vostra stanza è al decimo piano- ricordò, continuando a mantenere un'odiosa aria di superiorità e mani lungo i fianchi.

Il suo lungo soprabito di pelle nera ondeggiò dietro le sue gambe, quando scese le stesse scale che i quattro giovani perplessi avevano faticosamente salito. Scossero all'unisono le teste e ritornarono di nuovo a Liu.

-Sto bene- ammise, senza sorridere: -Ho solo fame- e s'imbronciò teneramente.

Liam, Haru e Alex si guardarono negli occhi e ridacchiarono; in qualche modo, quel ragazzino riusciva a tenerli uniti e anche di buon umore. Proseguirono e finalmente, al decimo piano appunto, riuscirono a trovare la fatidica stanza 2105. Haru infilò la chiave nella serratura di nichel-cromo e la girò in senso orario; la porta di metallo finalmente si aprì e i quattro gradirono molto il tipo di arredamento.
Quattro letti, disposti in due coppie a destra e a sinistra; una sola scrivani lunga e di noce con quattro sedie; un'ampia finestra che affacciava su un barcone piccolo di muratura grigia, pavimento di moquette rossiccia, un grosso armadio. La visuale che si godeva era ottima; il cielo era cupo e le nubi giganti che si addensavano contro di esso, era talmente vicine che l'illusione sembrava potesse permettere il loro tocco.

Liam si gettò stancamente sul letto del lato destro, accanto alla finestra e in breve, i suoi occhi si chiusero pesantemente.

-A quanto pare non scherzava quando diceva di essere stanco, eh?- commentò Alex ironizzando, gettando il suo zaino in terra; si tolse il giubbino, mettendo ben in mostra una calda felpa nera.

Liu sembrava demoralizzato e da come girava selvaggiamente il suo capo, sembrava stesse cercando qualcosa di molto importante: -Come si fa a dormire senza un albero o una caverna? E le foglie? E la frutta?- chiese.

Haruhiko inarcò un sopracciglio e si grattò la testa con fare pensieroso: -Uhm... a dire il vero, da noi non si usano alberi o caverne per dormire. Ci accomodiamo in quelli!- indicò il lettino dove giaceva Liam, beatamente nel mondo dei sogni.

Liu aggrottò la fronte sempre più perplesso; si avvicinò a un altro letto e lo annusò. Ci salì sopra con un rapido balzo e affondò l'indice nel cuscino. Si avvicinò meglio e osservò il piccolo incavo che aveva fatto; preso da una rabbia incontrollabile mollò una serie di pugni al povero tessuto spugnoso e alla fine, lo prese perfino a morsi. Come un cane, riuscì a strapparne la federa candida, lasciando perplessi i due sedicenni.

-Perché hai massacrato quel cuscino?- chiese Alex, indicandolo: -Ti serviva per poggiarci sopra la testa, razza di tontolone che non sei altro!- imprecò con una certa rabbia, che ottenne il ringhio accompagnato da occhi indemoniati di Liu.

Calcolando in nanosecondi la terribile lite che si sarebbe manifestata, Haru intervenne: -Non fa nulla, Liu... non sei abituato a queste cose, giusto? Beh... adesso ti mostro io come devi fare per dormire. Innanzitutto ti siedi sul materasso...- e lo aiutò a distendersi, rimboccandogli amorevolmente le coperte.

Notò il piccolo elastico che legava i capelli sulla nuca del cinese e pensò di sciogliergli la lunga coda: -E appoggi la testa sul cuscino, mentre lasci che i tuoi capelli ondeggino lievemente- e senza nemmeno accorgersene, si ritrovò ad accarezzargli il ciuffo ribelle sulla fronte.

Gli occhi ramati di Haruhiko viaggiavano il quelli socchiusi e azzurri del giovane, il quale, si rilassò al tocco calmo e costante della mano dell'altro e ben presto, si addormentò. Un sorriso bonario caratterizzò le labbra dei due e alla fine, Alex ridacchiò, sfilandosi le scarpe per accomodarsi sul suo letto, accanto a Liam; si portò le mani dietro la nuca e sistemò la gamba destra sull'altra.

-Da quello che ho capito, mi toccherà dormire accanto a Liu, no?- domandò con finta rabbia il giapponese, sedendosi sul suo letto, per sfilarsi le ballerine dai piedi: -Non che mi dispiaccia, ovviamente- mormorò, strofinandosi una mano sul viso stanco per le numerose ore trascorse nel treno.

Alex, con un ghigno sulla bocca, schiuse solo l'occhio destro: -Sì, infatti. Sei tu quello che riesce a calmarlo, quindi sei tu a dovergli stare accanto. Fine del discorso e buonanotte- s'infilò sotto le coperte e si adagiò sul fianco sinistro.

Haru scosse il capo sorridendo; assaporò la pace creatasi e osservò le sue splendide katana. Ti tolse la fascia che capeggiava sul suo kimono e fissò la lama lucente della spada; in essa, riflessero i suoi occhi ramati, mentre un fiume di ricordi scorse dinanzi ad essi. Dette una rapida occhiata ai suoi nuovi amici e sorrise un'ultima volta, prima di coricarsi, stringendo sull'addome la katana che suo padre gli aveva regalato prima della sua morte.

"Papà... ora che sono qui... proteggerò le persone e sarò pronto a sacrificare la mia vita per loro, così come tu hai fatto per noi..."...

"Stupendo! Però, non ci riesco, padre! I katà sono difficili!"

"Lo so, figliolo mio. Però, è necessario che tu affronti le tue paure, per far sì che il blocco che stringe la tua mente, si sciolga."

"Eppure, ho già provato mille volte, maestro! Mi arrendo...".

"Non è affatto così. Ricorda, dovrai essere un capo in futuro e come tale, nulla dovrà ostacolarti! Tu sei forte e so per certo che quest'arresa che stai firmando, non sia del tutto veritiera!".

"Ma... io... Padre... perché io dovrei essere il migliore, secondo te?".

"E' molto semplice, figliolo mio: tu dovrai sempre proteggere i tuoi..."...

-Haru?-.

"Proteggere...".

-Bellissimo ragazzo?-.

"Proteggere chi?".

-HARUHIKO MURAKAMI o come cavolo ti chiami, ALZATI!-.

Il giovane spadaccino, schiuse i suoi occhi ramati e mise lentamente a fuoco; una capigliatura nera gli dette la risposta all'ovvia domanda di chi avesse gridato così all'improvviso. Furente e scocciato, Alex gli gettò un cuscino sul viso.

-Muoviti o prenderanno tutti i cornetti alla Nutella! E giacché ne vado pazzo, non posso permettere di rimanere a bocca asciutta per causa tua!- imprecò, infilandosi una nuova felpa nera, dal momento che era con il busto nudo.

Il giovane giapponese si scostò il cuscino dal viso e guardò stancamente il candido soffitto, dove un neon circolare, irradiava la sua fredda luce bianca; aveva sognato, ma ricordava solo la parola "proteggere". Era tutto molto confuso e lui sapeva fin troppo bene che i sogni non potevano essere sempre ricordati. La sua mente non riusciva a identificare la voce dolce e quella da bambino che aveva udito... quel sogno, gli aveva lasciato un lieve malessere nello stomaco. Voltò lo sguardo alla sua destra: Liu dormiva placidamente, con lo stomaco schiacciato sul materasso.

-E' questo il modo di svegliare una persona?- sbuffò Liam, avendo praticamente assistito alla scenata di fame di Alex: -Haru hai avuto un incubo, stanotte?- domandò, sedendosi a gambe incrociate sul letto.

Il giovane Haru, seduto sul bordo del suo letto, fissò il pavimento e i suoi occhi viaggiarono alla ricerca della katana gemella; notando la nota di paura, Liam si alzò e gli si avvicinò, raccogliendo la spada finita sotto il letto.

-Ecco qui. Sono le tue armi?- domandò con curiosità, mentre si sedette accanto a lui.

Haruhiko accarezzò il manico della katana e annuì: -Sì, è un ricordo molto importante per me- sospirò, mentre ridacchiò quando Liu spalancò di colpo gli occhi e fissò i presenti con uno sguardo impaurito.

Le ciocche lunghe e bionde dei suoi capelli, ricaddero come un manto sul suo viso.

-Ho l'impressione che non solo l'unico ad aver avuto un incubo, eh?- scherzò Haru, mentre Liam, storse le labbra, massaggiandosi il mento: -A che pensi?- gli chiese, notando la sua espressione curiosa.

L'altro si alzò e si avvicinò a Liu, strofinandogli energicamente la testa, notando come il cinese si fosse rilassato e stesse facendo le fusa! Avvicinò la sua testa bionda al petto di Liam e si strusciò in segno di gratitudine, spingendo a tal punto di finire entrambi sul pavimento. Un coro di risate fra Haru e Alex si levarono nell'aria, conquistando perfino un imbronciato Liam, nel cui abbraccio si ritrovò Liu.

-A quanto pare abbiamo una mascotte!- rise Alex, quando un singhiozzare proveniente da Liu, lo bloccò all'istante.

Il quattordicenne stava versando silenziose lacrime amare.

Liu lo aiutò a sederlo sul letto e si sistemò accanto a lui, brandendo l'elastico per legargli i capelli dietro la nuca; senza rifletterci, lo strinse in un abbraccio quasi fraterno, essendo abituato a farlo con la sua sorellina Ebony. Lo cullava dolcemente, mentre appoggiò il suo mento sulla testa tremante del giovane cinese.

-Se te la sei presa per la mia battuta, scusami. Non era mia intenzione offenderti- si accigliò Alex, accovacciandosi dinanzi a un Liu, che negò il capo come risposta.

-Ti fa male da qualche parte? Come ieri sera, forse?- azzardò Haruhiko, a braccia conserte, alla destra di Alex: -Se è così, per favore, devi dircelo- implorò dolcemente.

Liu negò una seconda volta con il capo e tirò su con il naso; guardò con occhi vitrei Liam e si mordicchiò il labbro: -Ti manca la Cina?- domandò l'australiano, ottenendo un sì dal quattordicenne.

-Mi manca Tan Tan e la mia casa... sono in gabbia qui- ammise fra le lacrime, mentre un certo gridare di una moltitudine di voci, attirò la loro attenzione.

Alex si rimise in piedi e aprì la porta, notando come alcuni ragazzi indiani stessero trotterellando giù per le scale, pronti per abbuffarsi con una buona colazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Uniformi ***


-Perché c'è tutta questa confusione?- chiese Haruhiko, lasciato un triste Liu all'affetto di Liam, seduto accanto a lui: -Non mi dirai che c'è una specie di terremoto o roba del genere!-.

Alex gli diede uno sguardo interrogatorio, ma avendo a disposizione quel mitico traduttore auricolare, fu in grado di capire il motivo di quel trambusto; un ragazzo bello robusto, infatti, stava correndo in discesa per le scale, con la lingua fuori dalla bocca e la bava lungo il mento. Un aspetto rivoltante, oserei dire.

-COLAZIONE! SI MANGIA!- gridò nel modo più euforico possibile.

Il ragazzo in questione aveva corti capelli castani e occhi dello stesso colore; era un francese, senza dubbio, a giudicare dal forte accento parigino che Alex riconobbe nello stesso momento in cui sfilò l'auricolare dall'orecchio destro. Roux ghignò e si appoggiò allo stipite della porta a braccia conserte; si mise ad osservare la folla di matricole che galoppava giù per i piani e scosse il capo.

-Se ogni volta si fa questa gara di cavalli, io preferisco aspettare qui!- osservò Liam, intelligentemente, osservando Liu, con lo sguardo chino ai suoi piedi nudi: -Ehi, Liu!- chiamò, strofinandogli delicatamente il braccio destro.

Il cinese gli dette un muto sguardo malinconico e attese il resto della frase; Liam sorrise, mentre, con il semplice sguardo, chiese ad Haruhiko di prendergli l'elastico per i lunghi biondi capelli del compagno. Gli occhi nocciola australiano erano pieni di bontà e ciò non poté che tirare un angolo della bocca di Liu, costringendolo a dare un lieve sorriso.

-Nessuno di noi vuol vederti triste. Hai fame?- chiese pel di carota, alzandosi in piedi; si avvicinò alla borsa da viaggio sul pavimento ed estrasse una felpa viola chiaro abbinata a un jeans corvino, come i suoi stivali a mezzo polpaccio: -Non hai qualche altro abito, Liu?-.

Il cinese scosse il capo in diniego e giocherellò con le dita delle mani nervosamente: -Io ho solo questi... ehm... abiti, come hai detto tu- mormorò con altrettanto disagio.

Haruhiko si portò un pugno al mento e ridusse gli occhi a due fessure; squadrò l'esile ma muscolosa figura di Liu e inclinò il capo: -Uhm... forse qualcuno dei miei vestiti potrebbe starti bene... oppure, quelli di Liam- indicò.

L'australiano inarcò il sopracciglio destro e annuì; si alzò per ritornare al suo borsone, quando Liu gli bloccò strettamente il polso destro: i loro sguardi si incrociarono e un profondo abisso di disperazione avvolse il cinese.

-Lascia perdere. Sto bene così- sussurrò lievemente, quando Alex chiacchierò con la misteriosa figura di Nat, fermo sull'uscio della porta.

-Buongiorno, ragazzi- salutò senza la minima espressione nella voce lineare: -Ieri sera non siete venuti a cena. Come mai?- chiese, mentre dietro di lui apparvero due uomini dai capelli neri e castani con gelatina, occhiali scuri, come il resto dell'abbigliamento.

Senza farsi intimorire dalle irritanti figure mute dei due uomini, Alex annuì: -Primo, eravamo molto stanchi per mangiare e secondo, nessuno ci ha detto niente- ringhiò con evidente fastidio.

Nat voltò la bianca maschera agli altri ragazzi della stanza 2150 e guardò nuovamente un perplesso Alex: -Bene. Per prima cosa, fatevi una doccia, poi indosserete le nostre uniformi- e detto questo schioccò le dita della mano destra, comandando i due uomin di porre ai quattro degli abiti completamente neri e di pelle.

-Aspetta, Nat! Dicci almeno dove si trovano il bagno e la mensa!- protestò nuovamente il francese, mentre il ragazzo mascherato, indicò la sua destra.

-Girate quell'angolo, prima porta a destra. E ora sbrigatevi: posso chiudere un occhio perché siete nuovi, ma da domani, la vostra sveglia suonerà alle sei in punto! Buona giornata- e sparì con i due uomini, quando i quattro ragazzi fissarono gli abiti nelle loro mani. 

Rimasti da soli, i giovani non riuscirono a frenare la voglia matta di vedere che tipo di uniforme fosse quella ricevuta: una canottiera aderente di cotone nera, un pantalone elasticizzato aderente dello stesso colore, stivali a metà polpaccio con gli strappi (idrorepellenti e dalla suola di gomma), una giacca di pelle nera, con una zip di metallo e bordature azzurre, rosse, viola e arancione per ognuno di loro. Una cintura spessa dello stesso colore e materiale, con una fibbia di metallo lucente.

-Dal momento che il colore delle rifiniture non sono le stesse, che ne dite di sceglierci i nostri colori?- suggerì Haruhiko, mentre guardava le quattro uniformi sul suo letto.

-Buona idea- tagliò corto Alex, alla sua destra, mentre optò per quella con le bordature rosse.

Non appena toccò il tessuto, qualcosa accadde...

Sai. Rabbia. Passione. Fuoco. Addestramento. Lotta. Lacrime. Collera.

Come un mix di emozioni, ricordi indelebili e indefiniti... così sconosciuti eppure tanto familiari. Una parte della memoria mai scoperta... come un capogiro, un groppo alla gola, una profonda passione, una rabbia incontrollabile... Alex sgranò gli occhi e digrignò i denti. Avvertì una morsa di dolore stringergli lo stomaco e chiuse gli occhi, per evitare che agli angoli degli occhi potessero formarsi indesiderate lacrime. Cosa gli stava accadendo? Perfino il suo respiro era cambiato: duro, irregolare, un ronzio nelle orecchie. Tutto divenne ovattato, così come le voci preoccupati di Liam e Haruhiko... ma non svenne... quando sentì la rassicurante mano del giapponese sulla sua spalla, sbatté due volte le palpebre e lo guardò a lungo.

-Alex... cos'hai?- gli domandò Haru apprensivamente.

Il francese scosse il capo in diniego e sospirò: -Va tutto bene, non preoccuparti... ho avuto un...- ma non gli andò di completare la frase; scivolò dalla presa dell'altro e si mise di spalle, con lo sguardo ancora perso nella sua reazione anomala.

Fu il turno di Liam: -Sento che il viola è il mio colore. Non chiedetemi perché, però... mi sa che questo colore ed io andremo molto d'accordo!- ridacchiò, afferrando il suo abito.

Haruhiko annuì con un calmo sorriso, notando come la sua mano avesse già raggiunto la divisa dalle bordature azzurro cielo; si chiese il perché di quello strano gesto insolito della sua mano verso un colore come tanti e poi, si ricordò della fascia azzurra con due fori per gli occhi che gli aveva dato inizialmente Nat. Ridusse gli occhi a due fessure, mentre le sue iridi ramate scorsero senza sosta alla ricerca di una soluzione, ma si arrese, quando la flebile voce di Liu, chiese qualcosa riguardo all'uniforme.

-Che cosa dovrei farci? Però mi piace questo colore... come si chiama?- domandò ancora una volta, inginocchiato sul suo lettino: -E' una coperta?- e inclinò ingenuamente il capo verso destra.

Liam rise bonariamente e gli strofinò il ciuffo ribelle sulla fronte, avendo già intuito che con quel gesto, il cinese quattordicenne si rilassava moltissimo; sospirò internamente mentre non riuscì a sopprimere un'altra risatina. Liu, infatti, stava annusando la divisa, con parecchia diffidenza.

-Tranquillo, Liu! Non ti farà del male! E' del tutto innocua!- ridacchiò ancora, mentre Alex uscì senza nemmeno una parola dalla stanza, dirigendosi verso il corridoio, sulla destra, alla ricerca della prima porta per il bagno; stringeva nel pugno destro l'uniforme e si diresse a passo deciso sul pavimento marmoreo che conduceva alle possibili docce.

Rimasti in tre, Haruhiko si scambiò uno sguardo perplesso con Liam, che fece le spallucce, non sapendo cosa pensare. Il punto era che da quando Alex aveva scelto il colore rosso, aveva subito una strana reazione... come se qualcosa in lui fosse cresciuto dopo anni di fuga. La sua mente aveva dunque permesso di rilevare profondi segreti? Era tutto un mistero.

-Che dite, andiamo anche noi a lavarci?- chiese Haruhiko, poggiandosi una mano sul fianco, mentre un guizzo di luce illuminò le iridi umide di Liu, il quale balzò dal lettino.

Con tutta la gioia possibile, il cinese saltellò alquanto impazientemente: -C'è un fiume? Ditemi di sì, vi prego! Magari posso pescarmi del pesce per la colazione!- ridacchiò contento.

Haru e Liam si guardarono negli occhi e sospirarono sorridenti; quel ragazzino aveva il potere di farli sempre sorridere, malgrado tutto e nonostante piccole divergenze con Alex, aveva conquistato anche lui. Era molto vivace e la sua completa ignoranza di un mondo tecnologico quanto ostile, era una carta vincente per un carattere ancora più forte di qualto non avesse già dimostrato precedentemente. Aveva una rara forza travolgente e questo avrebbe potuto essere anche un problema per tutti i non pochi nemici che si era già creato. Aveva bisogno di protezione e gli unici di cui egli si fidava, erano proprio i tre sedicenni.

Liam gli diede una risposta contraria: -Spiacente, Liu. Temo che qui si adoperino altri sistemi per lavarsi... e per mangiare-.

A tali parole, il biondo aggrottò la fronte, inarcando il sopracciglio destro; s'imbronciò e preferì andare a controllare personalmente. Era davvero fin troppo curioso e anche con questo scatto, Haru e Liam risero bonariamente, seguendolo. Chiusero a chiave la loro stanza e si diressero, nella solitudine del piano, al bagno. 
Varcarono il corridoio e una porta di metallo, con tanto di vetro che permetteva di affacciarsi all'interno, attirò l'attenzione dei tre. I piedi nudi di Liu erano un piacevole tintinnio e quando spinse rabbiosamente la porta, una vampata di caldo vapore lo invase frontalmente. Mattonelle dieci per dieci candide, circa quindici piccole docce, nascoste da un vetro opaco, aperto verso il soffitto bianco e alto, sulla sui parete destra, compariva una piccola finestrelle che aspirava tutti i vapori caldi dell'acqua. Lo scroscio dell'acqua, della prima doccia che a quanto pare, stava ospitando Alex, catturò l'attenzione del più giovane, che rimase fermo dov'era, osservando estasiato il contatto dell'acqua calda che si mischiava con il freddo delle mattonelle e la sua pelle che si ammorbidiva sempre più.

-Attendi il semaforo, Liu?- scherzò Liam, poggiandosi affettuosamente la mano sulla spalla.

Il cinese, il quale ignorò fortemente il giro di parole, guardò incuriosito gli occhi nocciola del suo amico e sorrise: -Ci si lava così? E come si fa?- chiese, portandosi un indice al labbro inferiore.

Haruhiko rise sotto i baffi e cominciò a sfilarsi il suo kimono, mettendo ben in mostra i pettorali lievemente scolpiti e le braccia muscolose, così come lo stomaco piatto; guardò la seconda doccia sulla sinistra, dopo quella di Alex e aprì il pannello di vetro, mostrando ai due amici un piatto sul pavimento bianco, una serie di mattonelle azzurrine sulle pareti e un braccio di metallo dal quale sarebbe piovuta l'acqua calda.

-E' semplice, ti spogli e ti posizioni qui sopra- gli rispose il giapponese, indicando la doccia: -E lasci che l'acqua ti accarezzi la pelle. Tutto qui- e sorrise, chiudendosi dentro la doccia per spogliarsi e lavarsi.

Eppure il giovane Liu non sembrava parecchio convinto; i suoi occhi ebbero una strana espressione imbronciata e si grattò la testa, parecchio confuso. Sospirò e guardò Liam, il quale era solo con dei box azzurri addosso; prima che il suo amico potesse entrare nella doccia, egli gli bloccò con entrambe le mani il polso destro, costringendolo a rimanere con lui ancora un po'.

-Per favore... dimmi come si fa...- piagnucolò con un tenero sguardo da cucciolo: -Io sono sempre stato abituato all'acqua del fiume con Tan Tan...- e la semplice pronuncia del "fratellone" a quattro zampe, gli provocò una profonda nostalgia, che colpì parecchio l'australiano.

Quest'ultimo annuì e sospirò, sempre con un sorriso; si strofinò la nuca ed elaborò qualcosa nella sua mente brillante: -Ok... ti mostrerò io come fare, però... promettimi che non lo dirai a nessuno che ci siamo fatti il... "bagno insieme"... Chiaro?- e sussurrò la parola in virgolette, ottenendo una sonora risata specialmente da Alex.

-Che hai da ridere?- ringhiò aggressivamente Liu, mutando il suo sguardo eccitato in uno furente, quasi da belva: -Io non sono abituato a queste cose strane!- evidenziò.

Dalla doccia e con il forte scroscio dell'acqua, la risposta di Alex si udì benissimo: -Rido perché sei davvero incredibile, Liu! Come hai vissuto per quattordici anni senza conoscere tutte le comodità a cui siamo abituati da secoli?- e con ciò, il malumore precedente legato al rosso della divisa, sembrò essere completamente svanito.

-Che significa?- chiese perplesso Liu, mentre Liam roteò gli occhi ridacchiando, spingendolo nella doccia assieme a lui: -Ok, dopo ti spiegherò un paio di cosette sul "nostro mondo", ma nel frattempo, spogliamoci e insaponiamoci per bene.

-Cos'è il sapone?- chiese ancora il cinese, mentre l'altro sbuffò giocosamente, aprendo il rubinetto dell'acqua calda, ridacchiando alla faccia meravigliata del minore, mentre lingue trasparenti gli colavano senza sosta sul viso e su tutto il corpo.

****************************************

La mensa era una sala davvero molto grande. Alle pareti est ed ovest, capeggiavano delle enormi finestre, prive di tende. Agli angoli nord, sud, ovest ed est, comparivano degli spessi pilastri di cemento armato, con delle decorazioni che sostenevano il candido soffitto, avvolto dalla penombra. Dei lampadari a neon rischiaravano di fredda luce l'intera sala. Il pavimento di marmo blu notte scuro rifletteva abbastanza le lunghe tavole lignee ben imbandite che raccoglievano tutti e solo maschi su sterminate panche resistenti. Un ben di Dio campeggiava sul tavole; dal latte al caffé, il thè non poteva mancare, ciambelle, Nutella, croaissant, mele, banane e molto altro ancora. Verso nord, una quarta lavola, disposta non in verticale, come quelle degli allievi, bensì in orizzontale, raccoglieva i "maestri", che osservavano visi e caratteri di ogni allievo.

Un mite uomo non molto giovane, dai non lunghi capelli brizzolati e occhi castani, con addosso un kimono castano, bordato di nero, così come i pantaloni e le ballerine, sedeva all'ultimo posto, sulla destra, con accanto un Nat in piedi e attento.

-Dimmi, Nat- iniziò dolcemente, catturando l'attenzione del giovane guerriero di Cape Horn, il quale voltò il capo verso di lui: -Come procedono quei quattro giovani ragazzi che ti hanno affidato?- domandò, strappando un pezzo di una morbida ciambella dorata, portandosela in bocca.

Il giovane annuì e dette la risposta: -Molto bene, maestro Sen! Si stanno ambientando bene, suppongo. E da quello che ho visto, pare siano parecchio affiatati- raccontò con l'assoluta verità.

Il maestro giapponese annuì e sorseggiò del thè alla pesca caldo: -E che mi dici del più giovane?- domandò ancora, mostrando un certo interesse che non infastidì per niente Nat.

-Intende Liu Ching? Ha bisogno di molta istruzione, sensei- disse lentamente: -Ma credo, che con degli amici come Murakami, Roux e Johnson, imparerà tutto e piuttosto in fretta. E' dotato di un cuore d'oro, malgrado abbia molta rabbia nel cuore. Un po' di addestramento specializzato e imparerà a dominarla- spiegò, dirigendosi verso l'enorme arco che fungeva da porta per la mensa; scomparve non appena Sen alzò gli occhi dal suo thè.

****************************************

La doccia si concluse per Alex; chiuse il rubinetto dell'acqua e fissò le sue mani, come se fossero state rovinate o livide. I suoi occhi seri quanto confusi caddero nella sua anomala reazione e la grande rabbia nel suo cuore, creò una carica di adrenalina, che lo costrinse a sferrare un forte pugno alle mattonelle, ghignando alla profonda crepa che aveva creato. Sbuffò e cominciò a vestirsi con quell'uniforme che, malgrado priva di colori, era piacevole. S'infilò la canottiera, passando alla giaccia, tirando su la zip fino al petto, aggiunse la cintura, s'abbottonò gli stivali e indossò il pantalone incredibilmente leggero e caldo.
Brandì un fono, appoggiato su alcuni lavandini, sulla parete sinistra e si asciugò i corti capelli e si dette una rapida occhiata agli specchi ovali che capeggiavano sui lavandini marmorei chiari, quasi azzurrati.

-Non male, eh?- ridacchiò sottovoce, mentre anche Haruhiko uscì dalla doccia, vestito, che gli dava un aspetto davvero niente male; Alex ghignò e gli passò il fono corvino.

-Mi ci voleva proprio... mi sento molto carico!- disse, mentre Alex inarcò un sopracciglio, in quanto aveva rimosso l'auricolare per lavarsi le orecchie; l'afferrò dalla tasca della sua giacca il traduttore e se l'infilò all'interno del padiglione auricolare, accendendolo.

-Che hai detto?- chiese il giovane francese, notando come Liam fosse appena uscito vestito di tutto punto, con i capelli umidi, le cui gocce d'acqua brillavano ai riflessi della luce fredda del neon.

Haruhiko scosse il capo e sorrise: -Semplicemente che avevo bisogno di una doccia e ora sono carico. Potrei combattere per ore, lo sai?-.

Alla parola "combattere", Alex ghignò; lui amava particolarmente menare le mani con ragione perché era uno sfogo e un divertimento personale che, sfortunatamente, suo padre non aveva mai condiviso a pieno. Sbuffò al litigio che ebbe con suo padre, scuotendo energicamente il capo per allontanarne il ricordo rabbioso e in parte, denso di sensi di colpa... aveva abbandonato suo padre... No! Era per una buona causa, dopotutto! E non avrebbe potuto pentirsene.

-Che fine ha fatto Liu?- chiese Haruhiko, passando il fono al compagno austrialiano, che indicò con l'indice la terza doccia, dove l'acqua continuava a scorrere: -E così lo hai aiutato a lavarsi?- ridacchiò, notando come un certo imbarazzo avesse sfumato di un rosa più scuro le gote di Liam.

-Smettila! Non è divertente! Sì, l'ho aiutato semplicemente perché non sapeva farlo! Però questa è l'ultima volta, chiaro?- sbottò, mentre un ricordo gli balenò in testa: -Sapete una cosa? Liu mi è sembrato parecchio diffidente quando ho cercato di sfilargli il pantalone... non ha voluto! E mi avrebbe azzannato se avessi continuato ad insistere!- spiegò con una certa nota nervosa nella voce.

Alex inarcò entrambe le sopracciglia e si appoggiò a braccia conserte al bordo del lavandino: -E così, il caro lupacchiotto cui presente, ha protestato con le zanne?-.

Liam annuì, portandosi l'indice alle labbra, quando l'acqua si chiuse e Liu sbucò dall'apertura della doccia, anziché aprire normalmente la porta. Era nuovamente a piedi nudi e Haruhiko dovette spiegargli l'utilizzo del fono, mentre Liam gli spazzolò dolcemente i lunghi capelli, così come Alex gli infilò gli stivali e glieli allacciò sui polpacci.

-Lo sai, sei una specie di fratellino da badare! Però, la prossima volta che tenterai di azzannarmi, non sarò tanto gentile!- scherzò Liam, legandogli l'elastico ai capelli.

Come risposta, Liu s'imbronciò ma dette dei rapidi abbracci di gratitudine ai tre sedicenni, dirigendosi energicamente alla mensa, attirato dal brontolio del suo stomaco.

-Ok, sarà anche strano... però, mi è simpatico- ridacchiò Alex, scuotendo il capo, uscendo, seguito dagli altri altri, dal bagno, pronti per una buona colazione...

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Problemi in Mensa ***


I quattro amici, seppur non sapevano dove si trovasse la mensa, si lasciarono guidare dall'eccezionale fiuto di Liu, il quale fu meglio di una bussola. Varcarono il grande arco che fungeva da porta e una schiera di ragazzi, seduti a quei lunghi e ben imbanditi tavoli, li fissarono con aria di sfida. Liu si ritrasse e ridusse gli occhi a due fessure, mentre Liam gli poggiò una mano sulla spalla, sperando di calmarlo, in qualche modo. Il giovane cinese era un po' troppo suscettibile, ma la tensione che si respirava nella mensa era un po' troppo alta.

-Ok, troviamo dei posti liberi e sediamoci- sussurrò Haruhiko, mentre il suo sguardo ricadde su Sen e in quell'istante, egli sentì qualcosa di sconosciuto attraversargli l'intero stomaco.

Come un'ondata di ricordi nascosti, il giovane tornò in sé grazie alla discussione che Liam e Alex stavano avendo; scosse debolmente il capo, sperando di allontanare quella specie di malessere e sospirò internamente, non potendo far a meno di notare come quel mite uomo lo stesse osservando attentamente. L'australiano e il francese stavano parlando a proposito di alcuni ragazzacci ventenni che guardavano ostilmente il povero Liu, al contrario, pronto ad azzannare chiunque avesse cattive intenzioni. 
Per fortuna, incamminandosi lungo l'immensa sala, trovarono al tavolo centrale, quattro posti liberi e senza fare storie, si sedettero, fissando il piatto di ceramica bianco.
Alex, senza complimenti, afferrò un cornetto alla Nutella che giaceva in un piatto, versandosi un po' di latte nel suo bicchiere e scelse anche una mela rosso fuoco.

-Ciao- fece un giovanotto seduto accanto ad Haruhiko: -Uhm... ecco...- proseguì timidamente, stringendo nervosamente i pugni sul tavolo.

Era un mite giovane di circa diciassette anni; aveva i capelli neri come Alex e un paio di occhi blu. Sulla sua guancia, capeggiava una vecchia e ben definita cicatrice. La sua pelle era un color alquanto scuro e a giudicare dalla pronuncia che aveva, nonostante i traduttori, sembrava di origine africana. Anche lui, come tutti del resto, indossava la stessa uniforme, priva di bordature colorate; completamente nero. Era molto timido, forse perché molti dei tedeschi da prendere a schiaffi, lo avevano già emarginato.

-Ciao a te!- sorrise Haru, guardandolo curiosamente negli occhi insoliti per un africano, ma ugualmente pieni di scintilla di vita: -Hai bisogno di qualcosa?- domandò gentilmente.

Il giovane annuì, ma gettò lo sguardo su un Liu molto, molto perplesso: -Ecco... lo so, è sciocco... però... qualcuno ha rubato un ciondolo a cui tenevo molto, in quanto regalo della mia mamma malata... lo avete visto?- chiese, mentre un guizzo di tristezza gli velò gli occhi di tristezza.

Alex, la cui bocca era colma di cornetto, deglutì sonoramente e si leccò perfino le dita; guardò ghignante l'africano e si affrettò a rispondergli, dopo aver bevuto tutto d'un fiato il latte: -No, mi spiace. Anche perché non penso affatto che qui siamo in "buona compagnia", se sai a cosa mi riferisco!- e giocò con le parole.

L'africano annuì e sospirò demoralizzato, affondando il viso nelle mani: -Devo trovarlo... è molto importante per me- mormorò ancora una volta, mentre Liu sbattè un pugno sulla tavola, nel modo più aggressivo possibile.

Un tintinnio di stoviglie risuonò nell'intera mensa, attenuando l'odioso mormorio delle matricole che discutevano della loro vita privata. Liam non poté trattenere uno sguardo curioso, ma allo stesso tempo preoccupato. Che cosa aveva in mente il cinese biondo?

Liu, ringhiando si guardò intorno e scrutò ogni singolo viso e paia di occhi con molta attenzione, finché la sua mente non martellò insistentemente un nome tanto odioso: Adolf Kastenberg. Il tedesco biondo, dagli occhi di ghiaccio, che stava seduto al primo tavolo, sulla sinistra, verso la fine. Ricambiava il suo sguardo con un ghigno diabolico e ciò fece maggiormente irritare Liu.

-Guarda, guarda! Tarzan!- rise fortemente, alzandosi dal suo posto, mentre il quattordicenne ringhiò all'offesa e si posizionò nel piccolo spiazzale, esattamente al centro della mensa: -Non mi sarei aspettato di vederti in uniforme. Proprio vero allora, che ingaggiano anche scimmie e cani rognosi, pur di salvare "il mondo"- e si portò le mani sui fianchi.

Occhi diversi osservavano in silenzio la scena, così come Sen, seduto al suo posto e gli altri uomini.

-Tarzan a chi?- ringhiò Liu, che aveva compreso dall'ira negli occhi dell'altro che si trattava di un'intenzionale offesa: -Restituisci il medaglione al mio amico!- tuonò, mutando le sue grandi iridi azzurre in due puntini rabbiosi.

L'africano sgranò gli occhi: Liu lo aveva appena definito "amico" e nemmeno si conoscevano! Un'ondata di gioia gli serrò il cuore e un piccolo sorriso gli tirò gli angoli delle sue labbra rosee e carnose. Anche se era colmo di felicità, una parte di lui temeva qualcosa per il cinese, che sfidava insistemente il tedesco folle e arrogante.

-Non la vedo bene- mormorò Liam, aggrottando la fronte, mordicchiandosi il labbro: -Dobbiamo fare qualcosa- propose, alzandosi, quando Alex gli bloccò il polso e lo costrinse a rivolgergli lo sguardo.

Il francese rimosse il ghigno dalle labbra e trasformò la sua precedente espressione in una seria; negò lentamente con il capo: -No. Vediamo come si svolge e se la situazione degenera, allora interverremo. Fino a quel momento, sediamoci e vediamo come si svolgono le cose-.

Liam guardò Haruhiko che annuì, pienamente d'accordo con Alex e sospirò a malincuore. Si risedette nervosamente e non tolse mai gli occhi dai due ragazzi al centro della sala.

-Mi stai dando del ladro, scimmia bionda?- offese ancora una volta Adolf, avvicinandosi al viso pallido di Liu: -Chiudi il becco e fatit gli affari tuoi, tu che non sai nemmeno come si vive!-.

Liu ringhiò ancora in segno di protesta, ma prima che potesse saltargli addosso, notò come un piccolo rigonfiamento capeggiasse all'altezza della coscia destra del tedesco. Un piccolo bagliore dorato brillò su una piccola perlina sferica e questa fu la prova schiacciante: ma come avrebbe potuto prenderglielo? Pensò in fretta, ma schivò all'ultimo istante uno schiaffo diretto in pieno viso, con un ponte e una verticale agilissima. Un ghigno comparve sulle labbra di Liu e divaricò le gambe, stringendo i pugni, all'altezza dei fianchi esili.

-Maledetto cinese schifoso!- imprecò Adolf, sfoggiando tutta la sua dote di pugile, che non impressionò nemmeno un po' il giovane Alex, seduto a braccia incrociate e una gamba sull'altra.

Adolf pensò bene di cominciare con un forte e preciso gancio destro, che il giovane parò all'istante nella mano e lo tirò con forza verso di lui, fino a quando i loro occhi non furono abbastanza vicini. La mossa di contrattacco di Liu fu la seguente: portò il pugno bloccato del nemico dietro la sua schiena e lo spintonò fortemente in avanti, sfilandogli senza farsi vedere, il ciondolo dalla sua tasca. Non avendo il tempo di adagiarlo altrove, se lo appoggiò in bocca e spiccò un salto con capriola mortale, schivando un calcio a 180° al viso.

-Dannazione!- gridò Adolf, consapevole di star facendo una pessima figura che avrebbe rovinato la sua grande reputazione di miglior pugile di Berlino: -Scimmia! Sai solo scappare, vero? Perché non mi attacchi?!- provocò, avendo un battito mancante, alla vista del ciondolo fra le labbra dell'altro.

D'istinto si controllò la tasca destra del suo pantalone e constatando come fosse vuota, il suo corpo accolse un'eccessiva quantità di adrenalina e rabbia furente; dette un'occhiata di lampi al giovane Liu che attendeva fermo la sua prossima mossa. Adolf digrignò i denti e partì nuovamente alla carica; cominciò il "secondo round", con una potente scarica di pugni, che Liu parò e schivò senza problemi. Rapide inclinazioni del capo, spaccate, rotolamenti e verticali furono alcune delle contromosse del cinese, che si stava proprio divertendo, a giudicare delle mezzelune che erano i suoi occhi, nascosti dagli zigomi, innalzati dal ghigno delle labbra.

"Se continuo così, questo bastardo mi fa fare una figura riprovevole... qui, occorre il gioco sporco!", pensò Adolf, riducendo gli occhi a due fessure, mentre calcolò in fretta, un attacco nella sua mente.

-Attaccami tu, moccioso!- rise sarcasticamente, muovendo le dita della mano destra e Liu non se lo fece ripetere, corse rapidamente, caricando il pugno, anche se all'ultimo istante, si abbassò leggermente e colpì lo stomaco, anziché il viso.

Un ondata di dolore, dovuta a quell'eccezionale finta, travolse in pieno il ventre piatto e scolpito del tedesco, costringendolo a indietreggiare. Perse l'equilibrio e cadde in terra, ma all'ultimo istante, la sua rabbia gli permise di sfoggiare un calcio che colpì la caviglia destra di Liu, il quale ruzzolò in terra con un guaito.

-Non fai più la scimmia ammaestrata, eh?- rise a gran voce Adolf, sputando la saliva dalla sua bocca; si avvicinò sempre più a un Liu dolorante, intenzionato a mollargli un pugno definitivo in viso: -Sei finito...- sghignazzò malignamente.

Dalla manica della sua giacca nera, sbucò un altro coltellino a serramanico e la lama tagliente brillò sotto la luce dei neon: la sua mano destra si alzò e Liu gli dette uno sguardo furioso, ma essendo in dolore e ancora sul pavimento, non poté difendersi. La lama fu pronta a colpire, quando occhi miele pararono il colpo all'istante.

-COSA?!- tuonò Adolf esterrefatto dalla prontezza di riflessi di un Alex rabbioso che serrava il suo polso nella mano: -Fatti gli affari tuoi! E' una questione fra me e lui!- ringhiò ancora.

Alex fece una smorfia e lo guardò pieno di odio: -Sai, razza di fessacchiotto, non sei l'unico pugile qui!- e in un ritmo velocissimo indefinito, lo stordì con un altro colpo allo stomaco; interpose il suo piede destro, dietro al tacco dell'altro e brandì con entrambe le mani il pugno, scaraventadolo in terra, con una curvatura sulla sua schiena. Uno schiamazzo e lievi risatine di sottofondo caratterizzarono la fine del duello. Il francese s'accovacciò accanto a lui e gli strinse così fortemente il polso, che Adolf dovette lasciar cascare in terra il coltello.

Haru, Liam e l'africano si diressero verso Liu e lo aiutarono a rimettersi in piedi, ignari degli sguardi si Nat e Sen, meravigliati da tale bravura e senso di giustizia dei giovani. 

-Come va Liu? Stai bene?- chiese preoccupato il giovane Liam, guardando la caviglia destra del suo amico.

Come risposta, il cinese annuì e sputò sulla mano destra un ciondolo ovale dorato, con una piccola pietra blu al centro; la catena sferica ciondolò dal suo palmo e lo avvicinò all'africano, i cui occhi si spalancarono per il grande stupore e felicità. Con titubanza, afferrò delicatamente il suo amuleto e lo guardò con dolcezza, stringendolo fortemente nella mano destra, avvicinatoselo al petto. Inghiottendo le lacrime di gioia, egli si buttò al collo del basso quattordicenne, il quale s'irrigidì alla stretta e ringhiò appena, ma guardando come Liam sorrideva, decise di lasciarsi trasportare da questo nuovo piacevole gesto d'affetto.

-Grazie! Grazie! Io non so che cosa dire... vi sono debitore... vi prego... ditemi i vostri nomi!- implorò con tutta la gioia che sprizzava dai pori; si staccò dall'abbraccio e un applauso di sottofondo, proveniente dalla stessa tavola che aveva accolto i quattro amici, si levò nell'aria.

Haruhiko, Alex, Liam e l'africano sorrisero, non accorgendosi del fremito che ebbe il giovane Liu, mentre spostò il peso corporeo maggiormente sulla caviglia sinistra. Era in un forte dolore, ma preferì non darlo a vedere. Abbassò lo sguardo ed osservò una mela rossa che l'africano gli stava porgendo; istintivamente, egli l'annusò e assaporata la fiducia che nutriva in colui che aveva definito "amico", la afferrò fra i canini e la divorò in un batter d'occhio. Era davvero affamato!

-Io sono Haruhiko Murakami, Giappone!- si presentò l'azzurro, inchinandosi rispettosamente dinanzi al ragazzo dalla pelle di cioccolata al latte.

-Io, invece, sono Alex Roux, Francia- e si strinse calorosamente la mano, con un sorriso accattivante.

-Piacere, Liam Johnson, Australia!- e anche qui, l'africano ricevette una stretta di mano più un radioso sorriso amichevole.

Notando come Liu stesse divorando un'altra mela, mentre leccava del latte in una ciotola, come un autentico lupo, i quattro non poterono trattenere una risata: -E tu?- chiese l'africano dagli occhi blu notte.

Il cinese si leccò le labbra e sbatté due volte le palpebre, deglutì un ultimo boccone di mela e inclinò il capo, non avendo capito il senso della domanda. Pazientemente, Liam gli spiegò in un modo più accessibile, cosa stesse chiedendo l'africano e il biondo annuì vigorosamente.

-Io mi chiamo Liu Ling e vengo dalla Cina, Foresta di Pietra- disse, per poi magnetizzarsi negli occhi gentili di Sen, che lo osservava con un sorriso dolce: -Come ti chiami, amico?- domandò all'africano, senza mai staccare gli occhi dal maestro alla fine della sala.

-Nim e non ho un cognome... per tradizione del mio villaggio- e allargò un sorriso luminoso, mettendo in risalto la dentatura bianco latte: -Ehm... allora... siamo amici?- chiese con una certa esitazione nella voce.

Fu Haru a rispondere con tutta la convinzione possibile: -Puoi scommetterci! E' sempre bello avere degli amici come te!- e guardando come anche gli altri annuirono, non poté far a meno di rimanere con quel radioso sorriso sulle labbra. 

Mentre risate di gioia si levarono dal gruppetto, Alex divenne pensieroso e fissò Liu, fino a quando egli non lo fissò senza sosta: -Senti un po', ma come avresti fatto a capire che il ciondolo lo aveva quel fessacchiotto che a quanto pare lo stanno portando pure in infermeria?- domandò, guardando come due uomini avessero sollevato il "povero disgraziato", uscendo dalla mensa.

Liu annuì e sospirò: -Odore- ammise.

Liam inarcò il sopracciglio destro, non riuscendo a trattenere una seconda domanda; si avvicinò al biondo e gli accarezzò dolcemente il ciuffo, conoscendo il punto debole. Liu si rilasso e allargò un grosso sorriso, che provocò risatine da parte degli altri tre ragazzi. Gli poggiò le mani sulle spalle e si posizionò dietro la sua schiena, deciso a capirci ancora meglio.

-In che senso?- chiese.

Liu, troppo rilassato, quasi cascò addormentato, ma Alex lo aiutò a sedersi, mentre Nim prese posto a fianco a lui: -Tutti hanno odore. Quello aveva un odore intenso e maligno, più degli altri. Voi no- ammise con non poca confusione nella frase.

Liam comprese e spiegò la giusta traduzione, dicendo che in base all'odore che ogni corpo emanava, per Liu era come leggere un libro. Poteva comprendere le intenzioni di ogni persona, senza difficoltà. Era una qualità rarissima quanto importante.

-Interessante!- esibì Liam, mentre Liu sbadigliò di noia.

Dei leggeri passi si avvicinarono ai cinque amici; Sen era fermo dinanzi a loro e li guardava con uno sguardo quasi paterno. Liam si lasciò ipnotizzare dagli occhi castani dell'uomo e sgranò i suoi; sembrava quasi folgorato da qualcosa d'incredibile, ma non disse nulla e non staccò lo sguardo dalla figura matura. Il maestro si sedette al loro tavolo, di fronte a loro e osservò i cinque ragazzi con un bel sorriso, soffermandosi specialmente su Haruhiko.

-Buongiorno, ragazzi- salutò cortesemente.

I quattro, specialmente, sobbalzarono e ricambiarono con Nim il saluto, flettendo appena il capo, in segno di profondo rispetto. Alex dette una gomitata alla costola di Haru, sperando che lo avrebbe incitato a rompere il nuovo silenzio snervante creatosi fra loro. Il giapponese sorrise e mosse rapidamente le iridi, alla ricerca di qualche argomento da trattare, ma prima che potesse parlare, lo fece nuovamente il maestro.

-Liu, avrei desiderio di averti con me, oggi- sorrise, mentre il biondo guardò Liam troppo paralizzato per parlare: -Deduco di aver usato parole a te sconosciute, ragazzo mio. Eh! Eh! Posso prenderlo per un sì?- proseguì, ridacchiando all'ingenuità del cinese, che annuì in silenzio.

Bo. Addestramento. Luci. Libri. Risate. Intelligenza. Dolcezza. Attrezzi.

"Cosa mi sta succedendo? Perché mi sento completamente spiazzato? E' una sensazione nel corpo che non so spiegare... è come se... mi trovassi dinanzi a una persona a me familiare, la stessa cosa che mi accade con Haru, Alex e specialmente con Liu... Non so... Io... è troppo confuso!", i pensieri profondi di Liam vennero interrotti da un acuto bruciore alla cicatrice sul braccio; egli non trattenne un gemito di dolore e si strinse la mano all'altezza del bruciore, pari al fuoco sulla carne.

-Liam? Che hai?- chiese preoccupato Alex, alzandosi, per sedersi accanto a lui: -Sei pallido!- ammise, notando come il suo amico avesse gocce di freddo sudore sulla fronte e fremiti lungo il corpo.

-Ti accompagno in infermeria, Liam?- si offrì Sen, alzandosi lentamente dal suo posto: -Per favore, non darmi un "no", figliolo- e gli allungò la mano, mentre Liam sgranò gli occhi e un turbinio di immagini vorticò dinanzi alla sua mente.

Le sue gambe divennero troppo molli e cedettero sotto il poco peso corporeo; Liam roteò all'indietro gli occhi e finì dritto nelle braccia di un Alex terribilmente preoccupato. Essendo più forte e muscoloso, se lo caricò sulle spalle e si affrettò a raggiungere l'infermeria assieme a un Sen molto triste per ciò che era accaduto.

-Torneremo presto, ragazzi!- spiegò frettolosamente il francese, sparendo assieme all'uomo, dalla porta arcuata.

Rimasti da soli, Haru, Liu e Nim si scambiarono delle occhiate malinconiche, finché calde lacrime rigarono il pallido volto del cinese, il quale si tuffò fra le braccia di un perplesso Haru, il quale lo strinse a sé con un atto fraterno, mentre guardò Nim, altrettanto preoccupato. Il giapponese gli strofinò dolcemente la nuca, come avrebbe fatto Liam e i singhiozzi soffocati che si levarono dall'abbraccio, colpirono moltissimo "occhi ramati". Aveva appena compreso quanto Liu ci tenesse a loro tre, più Nim... e lo cullò dolcemente, strofinandogli la testa, finché non fu sicuro che il suo "piccolo amico" si fosse calmato.

-Haru...- piagnucolò, mentre i suoi occhi azzurri incontrarono quelli ramati del maggiore: -Starà bene, vero?-.

Per quanto Haru non ne fosse proprio convinto, preferì dare l'illusione di una risposta positiva al suo amico biondo, il quale sgusciò rapidamente dalle sue braccia, per dirigersi nella stessa direzione dell'infermeria.
Haruhiko sospirò e chinò lo sguardo al pavimento, notando come Nim gli avesse battuto dolcemente una pacca affettuosa sulla spalla destra; alzò nuovamente uno sguardo carico di dolore e sorrise malinconicamente all'africano.

-Vedrai, starà meglio. Liam è forte. Lo so- e un silenzio calò fra i due...

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Dove Sei Liu? ***


Una grande stanza dalle mura verde pastello molto tenue, un soffitto bianco dove capeggiavano alcuni neon che rischiaravano debolmente. Una grande finestra luminosa dove filtrava la pallida luce diurna invernale. Alcuni lettini dalle bianche lenzuola, degli armadietti di metallo contenenti riforniture mediche e cose varie, un pavimento di marmo lucido e chiaro. 
Alex aveva appena disteso un Liam privo di sensi in uno dei lettini e gli aveva rimboccato alcune coperte; gli sfilò gli stivali, adagiandoglieli accanto al letto. Stette a fissargli il pallido volto per un po', prima di sospirare e spostargli una ciocca di capelli dalla guancia. Il giovane francese notò come Sen stesse discutendo con una figura di una donna, nascosto dietro alcuni pannelli di cotone bianchi.

"Non mi va molto giù l'idea di tornarmene senza Liam...", ammise mentalmente: "Il punto è che con lui e gli altri, sento di avere un legame molto forte... anche se, non riesco a capire come sia potuto nascere e fortificarsi nell'arco di circa quarantotto ore...", pensò il giovane, strofinandosi la mano sulla fronte, mentre le sue palpebre chiuse, assaporavano il buio parziale creatasi.

Notò uno sgabellino di pelle nera, a fianco al lato destro del lettino dove sonnecchiava Liam e si sedette, appoggiando la schiena al muro gelido; con una gamba sull'altra e le braccia conserte, rimase vigile e in silenzio, ascoltando i mormorii di sottofondo degli altri malati che giacevano in altri letti.

-Allora siamo d'accordo, signorina. La prego di occuparsi di quel ragazzo- spiegò cordialmente Sen, mentre una giovane donna di circa ventisette anni, annuiva sorridente.

Il tintinnio delle sue pantofole gommate era un suono ovattato; la donna aveva i capelli biondo miele, liberi sulle spalle. Il suo fisico snello e formoso, era avvolto in un piccolo camice da dottore bianco, a maniche corte, mentre la gonna bianca che le copriva fino alle cosce era a pieghe e dello stesso colore. Le magre gambe erano avvolte in un paio di calze velate candide e un rossetto trasparente, luccicava sulle labbra. Occhi castani scrutavano amorevolmente i due ragazzi, alias Liam e Alex. 

-Tu sei suo fratello?- domandò sorridente a un Alex che s'incantò a tale bellezza.

I suoi occhi miele si sgranarono, assumendo la classica espressione di chi aveva appena visto un fantasma. Avvertì una vampata di calore avvolgergli l'intero corpo e si rese a malapena conto che stava arrossendo.

Voltando le gote ormai rosse verso Liam, inspirò debolmente e negò con il capo: -No, sono un suo amico- rispose quasi in un mormorio.

Era molto affabile e carina e da come il battito accelerato del cuore di Alex martellava nel petto, era evidente che il sangue freddo che aveva sempre mantenuto, sarebbe ribollito per una bella cotta! La dottoressa, che dal piccolo cartellino che spiccava sul seno abbondante, si chiamava Annette Rousseu; nazionalità Francia, come il nostro amico. Il cognome era una prova schiacciante di tale ipotesi.

Annette s'infilò lo stetoscopio nelle orecchie e tirò fino allo stomaco, la zip della giacca di Liam, poggiandogli il freddo arnese sul petto. Rimase seria e in silenzio, mentre ascoltava il ritmo del cuore. Successivamente, gli controllò la temperatura corporea e gli aprì un occhio, puntandogli una lucina, notando come l'iridi reagisse con un restringimento della pupilla.

-Il battito è leggermente irregolare. Non ha febbre ed è perfettamente in salute; questa perdita di sensi è dovuta a un forte spossamento, legato principalmente a stanchezza e/o forte stupore- spiegò, mentre si sedette a una scrivania lucida castana, tamburellando le sue dita su un notebook Aspire One argenteo.

Alex annuì e tornò a guardare Liam, mentre Sen sbucò da un pannello bianco e guardò entrambi, con un debole sorriso, tradito benissimo dalla tristezza che celavano i suoi occhi. Si avvicinò ad Alex, il quale lo guardò senza dire una sola parola. Trasalì quando l'uomo gli poggiò la mano sulla spalla, in segno di conforto.

-Torna dagli altri. A Liam ci penserà la signorina Rousseu- gli sussurrò con nota paterna, che ad Alex non fece che infondergli un po' di sollievo al groppo di paura che gli stava attanagliando lo stomaco, provocandogli un po' di malessere: -Sono certo che anche gli altri vorrebbero sapere cosa è accaduto di preciso, no?- e gli fece l'occhiolino.

Il giovane, per quanto fosse riluttante, annuì stancamente e si alzò dal suo posticino, gettando ancora una volta lo sguardo su Liam: -Sì. Ha ragione, signore- ammise, stringendogli fortemente la mano, sperando che quegli occhi sapienti si potessero nuovamente riaprire.

Sen rise annuendo e accompagnò il giovane accanto alla porta, notando come quest'ultima avesse risuonato di un toc esterno. Alex girò la maniglia e tirò internamente la porta, rivelando le facce preoccupate di Haruhiko e Nim. 

-Come sta?- domandò Haru, parecchio preoccupato, mentre i suoi occhi guizzavano di paura: -Sta bene, giusto?- chiese ancora una volta.

-Si, certo- tagliò corto il giovane, un po' infastidito dalle domande insistenti, mitragliate da Haruhiko: -Ad ogni modo... dov'è Liu?- chiese a sua volta, inarcando il sopracciglio destro, non molto contento di non vedere i classici occhi azzurri e ciuffo biondo.

A questa domanda, sia Haru sia Nim si guardarono negli occhi e si girarono, dando le spalle a un Alex parecchio accigliato dal fatto che il loro amico si fosse perso in una fortezza tanto grande. Per tale motivo, si appoggiò allo stipite della porta, a braccia conserte, fissando con rabbia soprattutto un Haruhiko mortificato. Le sue iridi ramate corsero rapidamente alla ricerca di una coda bionda o un paio di occhioni azzurri, ma nulla... dovunque si guardasse intorno, non vedeva che pareti, scale o porte di metallo.

-Lo hai perso?- chiese Alex, con voce bassa, lenta e tagliente.

Per Haru fu come un coltello che si affondava nel suo stomaco e per questo motivo, non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi; deglutì un groppo a fatica e strinse i pugni, con aria colpevole. Nim, che stava vedendo preoccupato la reazione del suo amico giapponese, tentò di dire qualcosa, ma la voce dolce di Sen, gli impedì di farlo. L'uomo, che dallo sguardo preoccupato sul volto, sembrava avesse intuito ogni cosa.

-C'è qualche problema, ragazzi?- domandò, scrutando i visi preoccupati dei tre giovani, che non avevano il coraggio di annuire l'ovvia risposta: -Dov'è il vostro amico Liu?- osservò intelligentemente, notando come Haru si fosse voltato e un sorriso inquieto sul volto stesse nascondendo un'enorme voglia di gridare.

-Sicuramente, sarà in giro... attratto da quelle che per lui sembrano "meraviglie", signore- e flettendo il capo, in segno di rispetto nonché saluto, corse via, scendendo rapidamente le scale, senza aspettare nessuno.

Alex scosse il capo lentamente e sospirò; ma anziché della rabbia, egli lasciò trasparire sul volto un sorriso furbetto. Osservò Sen e si avvicinò a Nim, indicandogli le scale da scendere con un fugace movimento degli occhi e dell'inclinazione del capo. I due giovani salutarono con un inchino rispettoso Sen e svanirono in fretta, mentre alle spalle dell'uomo comparve Nat.

-Perso Liu, vero?- sibilò innocentemente, mentre Sen annuì sorridendo: -Sono certo che lo troveranno- e detto ciò svanì così com'era venuta, dietro un fumogeno corvino.

***************************************

Una chioma bionda era ormai nascosta fra rami candidi di un alto albero, nell'enorme spiazzale del Berlino 18. Era l'unico sempreverde a raggiungere gli ottanta metri d'altezza e la calma galleggiava intorno. L'aria pungeva principalmente sul viso e sulle mani arrossate dal freddo, ma al giovane "lupacchiotto" questo non riscuoteva particolare fastidio. La sua gamba destra penzolava nel vuoto e le braccia formavano un comodo cuscino per la nuca, contro la corteccia castana. Il giovane Liu mosse rapidamente il naso e si guardò gli stivali che indossava.

-Io ho bisogno di respirare... a modo mio!- bofonchiò, sfilandosi gli stivali, avendo opportunamente ricordato come Alex avesse fatto per abbottonarglieli: -E lo stesso vale per questo coso addosso!- ringhio, togliendosi voracemente la giacca nera, incurante dell'impatto gelido sulla pelle delle sue braccia.

Un sorriso si fece strada sul suo viso, mentre si mise a cavalcioni di uno spesso ramo, proprio come su una sella di un cavallo; una folata di gelido vento scosse lievemente i suoi capelli e al cinese ciò ricordò il tocco speciale di Liam... abbassò lo sguardo al ricordo del suo amico crollato fra le braccia di Alex e si appoggiò prono sul suo piccolo rifugio. Il broncio tenero sulle labbra era accompagnato da un dondolio costante della sua gamba.

"Non è giusto, però... perché Liam sta male? E' forse colpa mia?", si ritrovò a pensare, mentre chiuse gli occhi e navigò nei suoi ricordi: "Voglio tornare a casa mia... Tan Tan..." e un lieve singhiozzo sfuggi dalle sue labbra livide di freddo.

Le lacrime che colavano sulle sue guance sembravano strie di rugiada, ma per quanto potessero dar fastidio, Liu, improvvisamente, sobbalzò, stringendosi dolorosamente la caviglia destra, portandosela al sicuro sulla corteccia. Piagnucolò quando alzò il pantalone, arricciandolo sotto il suo ginocchio; mise alle intemperie una grande cicatrice vecchia, arrossata, che andava dal tallone, sino a metà polpaccio. Pulsava troppo sordamente e Liu notò, nonostante la vista acquosa per le lacrime nei suoi occhi, una grossa macchia viola: una possibile emorragia sottocutanea. La caviglia non era gonfia, per fortuna, ma doleva.

-Non deve saperlo nessuno- mormorò stancamente, appoggiandosi al tronco dell'albero, osservando il pallido sole giocherellare fra i rami innevati del suo amico sempreverde.

Un uccellino dallo splendido piumaggio azzurro e becco argenteo, si appoggiò dinanzi a lui e sembrò fissarlo, mentre saltellava, beccando possibile cibo nelle venature lignee; il pennuto volse i suoi occhi corvini a Liu e rimase fermo. Improvvisamente prese a cinguettare.

Liu sbatté le palpebre e s'illuminò in volto: -Davvero Liam sta bene? E che cosa ha detto la donna? Che è stata la stanchezza?- quasi gridò colmo di gioia, pompando i pugni in aria.

L'uccellino pigolò, come cercando di rimanere in tono con quel momento felice e tornò nuovamente a cinguettare.

-Recepito il messaggio, grazie!- annuì Liu, porgendo le mani unite al suo piccolo amico che gli saltò sui palmi e continuò a gorgheggiare: -Hai un messaggio di Tan Tan?- e i suoi occhi sgranarono al massimo, fra l'entusiasmo e la nostalgia.

Un cip cip, quattro cip, altri tre cip. 

-Mi stai dicendo che sta benissimo? E ha chiesto di me? Beh, suppongo che tu l'abbia già intuito la mia condizione! Per favore, puoi dirgli che mi manca e lo saluti da parte mia? Grazie, Pin Pin!- e detto questo, l'uccellino riprese a volare, svanendo nel cielo semi-azzurro della Germania.

Un silenzio ricadde su Liu; egli continuava a fissare il punto dove Pin Pin era svanito e sospirò lievemente, mentre il suo sorriso si mutò in una nota disperata; deglutì e si strinse le mani sulle braccia, schiacciando le ginocchia al petto. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di rivedere Tan Tan, ma in fondo sapeva che suo fratello sarebbe stato molto contrariato nel vederlo abbandonare quella missione. Si massaggiò distrattamente la caviglia e preferì rimanere ancora al freddo.

Liu era in grado di capire ogni verso di qualsiasi animale, permettendogli di dialogare sul serio con essi. Era un'altra rarissima qualità da proteggere...

***************************************

"Dannazione! Non posso fallire anche in questo!", si malediceva Haruhiko, mentre correva disperatamente per i lunghi corridoi, sperando di ritrovarsi dinanzi il suo amico Liu: "Ho già perso mio padre per la mia incompetenza... Non voglio rivivere l'errore ancora!" e inghiottì a fatica le lacrime amare, finché una mano non gli bloccò il polso.

Il giovane, guidato da un istinto di proteggersi, si strattonò l'arto destro, meravigliandosi di ritrovarsi dinanzi un Adolf veramente furibondo. I suoi occhi di ghiaccio fissavano con odio cagnesco il giapponese, la cui fronte era arricciata di tante pieghe quanto era il livello della sua rabbia.

-Che ci fai nel mio territorio, microbo?- tuonò, vantandosi dei due centimetri che aveva a differenza di Haruhiko; il suo braccio destro era ingessato e penzolava a una bandana bianca, legata dietro al collo.

Notando come l'aria fosse piena di tensione, il giovane "azzurro" indietreggiò appena di un passo, notando come altri quattro ragazzi si fossero aggiunti al comitato d'addio del piano, che d'altronde, era identico a tutti gli altri. Forse un labirinto per chi era un novellino in campo.

-Nulla. Stavo cercando solo Liu- rispose seccamente, guardandolo dritto negli occhi.

Adolf ghignò e i quattro ragazzi costeggiarono la sua imponente figura: due di loro erano senza ombra di dubbio gemelli inglesi; indossavano la stessa uniforme, in tono con i corti capelli corvini in gelatina e occhi a mandorla verde smeraldo. Gli altri due, al contrario era sicuramente un senegalese, a giudicare dal colore scuro della pelle e i capelli ricci corvini e un polacco; quest'ultimo, pelle tendente al giallo sbiadito, capelli a caschetto noce scuro e occhi dello stesso colore. Ognuno di loro, aveva un ghigno poco raccomandabile.

-La scimmia della Cina?- derise il polacco, grattandosi la testa e il mento con i caratteristici versi di uno scimpazè; saltellò su sé stesso, mentre gli altri ridevano come pecore.

Haruhiko era sempre più nervoso: -Piantatela! Lui non è una scimmia, capito? Anzi, con il suo modo di fare ha anche più cervello di voi cinque messi insieme!- sputò con voce lineare e furbetta.

L'odio era sempre più intenso per Adolf; ma volle gustarsi degli altri giochetti su Haruhiko.

Con un cenno di testa, la parola passo a uno dei gemelli inglesi; rise e si posizionò dinanzi al giapponese, che non mostrò timore: -Lo sai che a me piacciono le scimmie?- e di nuovo, l'argomento in questione, causò delle altre risate offensive.

-Davvero?- chiese il giapponese a braccia conserte, fintamente interessato.

L'altro gemello parlò: -Esatto e alle scimmie noi facciamo il gioco della Gabbia- sghignazzò, mentre Adolf estrasse un altro piccolo coltellino a serramanico dalla tasca della sua uniforme.

La lama brillava sotto il pallido neon del piano e le ombre che avevano mascherato Haruhiko, resero la scena ancora più intrigante. Adolf strofinò l'arma sulla sua lingua, assaporandone il sapore ferreo e senza pensarci, pensò bene di colpire il giapponese allo stomaco, in modo da vendicarsi dai colpi infertogli da Liu e poi da Alex.

-MUORI!- imprecò, mentre il coltello incontrò un kunai estratto all'ultimo istante dalla cintura di Haru, il quale parò senza difficoltà: -DANNAZIONE!- tuonò, notando come il giovane si fosse liberato dalla sua traiettoria visiva.

Era fermo con l'arma ninja nella mano destra; le sue gambe erano divaricate e il busto piegato leggermente in avanti. Gli occhi ramati minacciavano lampi di vendetta per tutte quelle orribili offese.

-Ted! John! Fatelo nero!- ordinò il biondo tedesco ai due gemelli inglesi, i quale cercarono di colpire con una serie alternata di calci e pugni il giapponese.

Haru seppe fronteggiarli senza problemi: schivò un pugno al viso con una rapida inclinazione del busto verso destra, per poi contrattaccare con una gomitata alla clavicola; parò con il braccio un calcio diretto al viso e mise anche l'altro K.O. con un calcio di 180°. Guardò l'ottimo lavoro svolto e una smorfia di piacere comparve sul suo volto.

-Anche tu pratichi il karate?- domandò accigliato Adolf, maledicendolo mentalmente, augurandogli una fine lenta e dolorosa: -Sei un pugile?- chiese ancora.

Haruhiko rise sottovoce e corse rapidamente, ritrovandosi praticamente dietro la schiena di Adolf; quest'ultimo, in cui sangue gelò nelle vene, riuscì a guardare l'avversario con la coda degli occhi.

Il fiato caldo di Haru sul collo del tedesco, precedette il discorso: -Non pratico il karate e non sono un pugile. Sono un guerriero ninja e adopero le armi ai pugni!- e gli stampò un colpetto dietro al collo, giocando un'importante finta che gli permise di sgusciar via.

Nonostante Adolf si fosse girato con scatto da furia omicida, non era riuscito a vedere l'ombra del giapponese, volato letteralmente via. Ridusse gli occhi a due fessure e si mordicchiò con furia le labbra; i lamenti pietosi che provenivano da Ted e John, ancora sul pavimento, lo fecero innervosire ancora di più. Soffiò di odio, ma ghignò di piacere e si voltò verso il polacco e il senegalese.

-Jan, Charif! Tocca a voi: trovate la scimmia e utilizzate la Gabbia. Fatelo soffrire a modo vostro, ma non uccidetelo. Quello è un piacere che spetta a me di diritto: mio fratello Karl ha dovuto patire una pessima figura per mano di quel piccolo mostriciattolo!- ringhiò ancora, mentre infilzò il suo coltello nella parete, assaporandone l'intonaco che ruzzolava in terra.

***************************************

"Oh! E' stupendo! E con questo posso anche colpire sulla zucca chi mi pare, papà?".

"Sicuro, figliolo mio! Però, ricorda che i ninja combattono solo se provocati!".

"Ho capito, padre! Però è mitico essere come noi!".

"Certo, figliolo. Ricorda che dovrai usare la tua grande dote d'intelligenza per aiutare il prossimo, anche se quest'ultimo talvolta ti sarà ostile. Fino a quel momento, però è bene che tu protegga...".

"Aspetta... padre! Proteggere chi?".

"Figliolo...".

"PADRE!".

Gli occhi di Liam si spalancarono all'istante: egli, completamente sudato e ansimante, scattò dalla posizione distesa in cui giaceva e si mise a sedere, ignorando la lieve nausea nel suo stomaco. Il suo respiro e intenso; deglutì a fatica un groppo di tristezza e paura nella sua gola e spostò lo sguardo umido alla finestra, dove il cielo limpido della mattinata, non era che un'immensa coperta violacea oscura, segno che probabilmente era ormai sera, se non notte. Si guardò intorno e una nuova esplosione di dolore colpì il suo braccio, facendolo trasalire e grugnire all'intenso dolore. Digrignò i denti e strizzò le palpebre, fermando la fuoriuscita di goffe lacrime.

"Perché... perché di nuovo queste parole...", pensò, ignorando il lieve mal di testa che pulsava nella parte più lontana della sua testa arancione.

-Finalmente!- interruppe la voce gentile di Annette, sbucata da dietro il pannello cotonato che lo mascherava dagli altri possibili malati di quella che sembrava l'infermeria.

La donna si sedette sullo stesso sgabello di Alex e accavallò una gamba sull'altra; sempre sorridente, gli porse un bicchiere d'acqua, contenente un'aspirina.
Liam, lievemente imbarazzato, ma ancora parecchio scosso dal sogno che non aveva immagini, mandò giù l'aspro sapore della medicina e fece una smorfia di disgusto. Annette rise e si spostò una ciocca liscia dietro l'orecchio destro, mettendo ben il mostra una coppia di piccoli orecchini a forma di goccia blu tenue.

-Sta tranquillo, Liam Johnson; sei in infermeria e ti ho appena dato qualcosa per il tuo mal di testa- gli sorrise ancora, ridacchiando allo stupore di tale osservazione.

Il giovane le porse gentilmente il bicchiere e sospirò, costatando come si sentisse già molto meglio: fissò ancora la finestra, ma poi non trattenne un'ovvia domanda.

-Signorina... quanto tempo ho dormito?-.

Annette annuì e lasciò che i suoi pollici strusciassero sulla superficie lustra del bicchiere; i suoi occhi s'incontrarono con quegli del sedicenne: -Sono quasi le otto di sera. Quindi, direi circa undici ore-.

Liam sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta per la risposta; ma quando la donna si alzò per scrivere il referto alla sua scrivania, un portamatite giallo sole, con varie strie azzurre, catturò l'attenzione dell'australiano. L'oggetto ricco di penne e matite varie, gli ricordò Liu.
Ancora una volta, si ritrovò a sobbalzare al nome pronunciato mentalmente e la sua mente sembrò riprodurre debolmente un sottile strato di voci, udite quando egli non era preda del sonno profondo. Si ricordò di Alex che sembrava discutere con Haruhiko a proposito di Liu... che non c'era...

"Basta poltrire! E al diavolo il fuso orario dell'Australia! Devo trovare il mio piccolo Liu... il mio fratellino...!" e non appena pronunciò l'ultima parola, per poco non inciampò dal letto, rischiando di sbattere la tempia pesantemente sullo spigolo appuntito del comodino, alla sua sinistra.

-Dove vai?- chiese Annette, quando notò come il giovane si stesse infilando la giacca e gli stivali, nel modo più frettoloso possibile: -Sei ancora debole!-.

Liam si fermò sull'uscio della porta: -Devo andare ora, la ringrazio comunque di tutto!- e sparì in fretta, sfumandosi della penombra del corridoio.

"Fratellino? Cosa mi ha portato a pensare questo?", tornò a pensare ancora, mentre correva distrattamente, scendendo le scale, incurante del forte capogiro che gli stringeva le tempie e ben presto, il suo cuore prese a martellare nel suo petto: "Fratellino o no... sento di essere parecchio legato a Liu e devo aiutarlo!".

Corse ancora fino a quando, il suo sguardo non ricadde su una finestra: una fugace ombra mosse rapidamente uno dei rami più alti dell'abete più alto di tutto il giardino e senza rendersene conto, Liam si trovò a sorridere: forse lo aveva trovato...

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Serata in Quattro ***


Corse ancora fino a quando, il suo sguardo non ricadde su una finestra: una fugace ombra mosse rapidamente uno dei rami più alti dell'abete più alto di tutto il giardino e senza rendersene conto, Liam si trovò a sorridere: forse lo aveva trovato...

Fra le piccole dune candide che sembravano panna montata, il grosso albero attirò nuovamente l'attenzione di Liam, il quale notò benissimo qualcosa di non molto pesante, precipitare. Si scansò per ogni evenienza e ansimando ancora un po', per la sfrenata corsa, si decise a controllare. L'oggetto misterioso era nero e al giovane bastò per capire che si trattasse di uno stivale.

-Questo è sicuramente di Liu- ammise a sé stesso, sbattendo le palpebre: -E sono certo che si trova lassù!- confermò, sorridendo alla rima.

Ridusse gli occhi a due fessure e alzò la testa, lasciando che i suoi occhi corressero fino al cielo, dove la cima verde e bianca, si stagliava contro il cielo scuro per la bufera di neve. Ogni respiro di Liam era una nuvoletta bianca e trasalì quando un faro serale, illuminò abbastanza metà corpo e parzialmente il giardino. Scosse il capo e comprese che avrebbe dovuto scalare quel ripido tronco se desiderava parlare e riportare sulla terraferma il suo amico. Si strofinò la nuca e inspirò profondamente: appoggiò il piede destro su una gola ai piedi dell'albero e si fece leva, con le mani che strusciavano sulla corteccia alquanto abrasiva.

L'altezza era davvero estrema per un albero, ma a Liam non importava più di tanto: -Devo solamente parlare con lui... magari è solo spaventato... forse è scappato quando sono svenuto- e parlando a sé stesso, egli desiderava distrarsi dalla folle paura di una possibile rottura dell'osso del collo, se sarebbe precipitato.

L'australiano si fermò per controllare a che punto era arrivato; fissò il vuoto sotto di lui ed ebbe qualche vertigine. Era solo a un quarto dell'albero e lui già tremava senza sosta. Se una sua parte gli gridava di rinunciare, l'altra sosteneva il contrario. E anche se i muscoli delle braccia tiravano per lo sforzo a cui si stavano sottoponendo, Liam era contento che stava affrontando quella che poteva essere benissimo considerata una sfida. Continuava a ripetersi che doveva scalare l'albero per Liu e non poteva mollare.

E guidato da questa forte ambizione, ignorò il fatto che stava scalando il più velocemente possibile, ritrovandosi già oltre la metà. A sessanta metri dal suolo, il giovane riuscì a identificare un oggetto corvino penzolare da un grosso ramo. 

-Sembra una giacca... come la mia- si disse, fermandosi per un po' di fiato: -Accidenti... ma come fa Liu a scalare alberi del genere e tanto velocemente?- si domandò, per poi sghignazzare all'ovvia risposta e cioè, che il suo amichetto era cresciuto per quattordici anni e mezzo in una foresta, allevato da un lupo.

Proseguì ancora, riuscendo a raggiungere un ramo posizionato poco più in basso di quello dove dormiva pacificamente Liu. Era accoccolato con la faccia schiacciata sulla corteccia; le braccia e le gambe erano penzoloni sul suo duro e freddo giaciglio. I suoi capelli biondi svolazzavano sul freddo vento che soffiava senza sosta: Liam fu estremamente felice che la sua ipotesi si era rivelata giusta e accelerò ancora. In piedi sull'ultimo ramo che lo separava dal suo "fratellino", il suo braccio destro fu paralizzato da un forte bruciore ardente, legato alla cicatrice.

-OH, NO!- gridò, come il nevischio addensato sul ramo fu viscido e gli fece perdere l'equilibrio; guardò verso il basso e gridò di paura: -AIUTO!-.

Liu scattò all'improvviso e si guardò ferocemente intorno; l'urlo lo aveva spaventato, ma quando identificò i capelli di Liam, egli non ci pensò due volte e gli afferrò il braccio destro, salvandolo da morte certa.

-LIU!-urlò Liam fra la felicità, la paura e la voglia di piangere: -Aiutami, ti prego!- implorò, fissando ancora il vuoto sotto i suoi piedi; il suo braccio pulsava di dolore, legato alla cicatrice ed ecco che terribili lacrime amare, sgorgarono dagli angoli dei suoi occhi.

Liu tirò il suo amico con tutta la forza, ignorando il dolore legato alla sua ferita, ora leggermente più gonfia; si mise saldamente in piedi e permise, fortunatamente, a Liam di aggrapparsi con l'altro braccio allo spesso tronco, sistemandosi dapprima a cavalcioni. La paura lo aveva scosso profondamente e Liu si sedette con la schiena contro l'albero, fissandolo preoccupato.

"Liam è salito qui per me?", pensò, inclinando di poco la sua testa: guidato dall'istinto e in parte da piacevoli ricordi, egli strinse l'australiano in un abbraccio dolce, notando come si calmò all'istante.

-L... Liu- balbettò fra le lacrime, sgranando gli occhi quando vide l'enorme affetto che c'era in quella stretta; guardò il cinese che gli strusciava la schiena e sorrise dolcemente: -Grazie- sospirò, asciugandosi gli occhi umidi.

Benché non sapesse come rispondere al ringraziamento, il biondino si limitò a sorridere e ridacchiò, contento per aver fatto una buona azione. Liam si strofinò la testa e la sporse appena oltre il ramo: ebbe un battito mancante all'altezza estrema e si ritrasse un po'. 

-Sei venuto per me?- sussurrò Liu, lasciandosi strofinare il ciuffo da Liam: -Perché?- chiese ancora, mentre i suoi occhi blu persero la luce di gioia, che albergava fino a pochi minuti fa.

Liam fissò la pallida luna che giocava a nascondino dietro soffici nubi nere e una nuova folata di vento cancellò le ultime lacrime dai suoi occhi nocciola; in verità, egli non era sicuro di quale fosse la risposta... il mix di paura e di altre emozioni che aveva provato prima, era fortemente legati a qualcosa che non riusciva a ricordare. Le sue dita arricciavano giocosamente i capelli ribelli di Liu, accoccolato contro il suo petto e ne avvertì i tremori legati al freddo.

-Sì... ero preoccupato. E anche gli altri lo sono, sai?- gli rispose dopo una lunga pausa riflessiva; notò come il suo amico avesse solo la canottiera addosso e aggrottò la fronte al contatto delle sue dita appena tiepide sulle braccia gelide dell'altro: -Perché ti sei tolto la giacca? Sei gelato e l'ultima cosa che voglio è vederti a letto con l'influenza!- protestò.

Liu scosse il capo in diniego e si appoggiò nuovamente alla corteccia: -Non mi piacciono questi vestiti... voglio stare così- ribatté con uno sbadiglio stanco.

Liam sorrise alla risposta semplice e si guardò dietro di sé: per fortuna la giacca di Liu era lì. L'afferrò e la spolverò un po'. 

-Va bene, ho capito- ridacchiò: -Però, almeno mettiti la giacca! Lo faresti per me?- chiese dolcemente e il cinese lo guardò, prima di annuire con un piccolo broncio sulle labbra.

Si avvicinò e si lasciò aiutare a infilare l'indumento, che riscaldò all'istante il suo povero corpo freddo; Liu osservò il cielo e si accigliò non poco. Si arrampicò senza dir nulla fino alla cima dell'albero e osservò la distesa di cielo e vegetazione sotto di lui: il vento soffiava con troppa insistenza e una tempesta potente sarebbe giunta nell'arco di pochi minuti. Liu guardò nella sua mente e l'immagine di Liam che rischiava di cadere per lui, gli strinse il cuore. 

Ritornò dal suo amico e lo fissò attentamente negli occhi: -Ero scappato perché avevo paura che tu non stessi bene. Credevo fosse colpa mia... hanno sempre detto che io ero un demone portatore di malattie e sfortune- raccontò velocemente, mentre Liam scosse il capo in diniego, lentamente, non potendo credere a simili assurdità.

-Ma non è vero! Sono solo stupidaggini, credimi!- protestò l'australiano, mollandosi un pugno sulla coscia: -Ero semplicemente crollato sotto il peso della stanchezza! Non è stata colpa tua!- proseguì, abbracciandolo ancora.

Liu trattenne le lacrime e si ricordò della tempesta; si sciolse dall'abbraccio e s'inginocchiò, offrendo le spalle a Liam.

-Salimi addosso! Non sei molto esperto a scendere da alberi così alti!- ordinò seriamente, nonostante Liam volesse insinuare il contrario: -Adesso!- protestò alla riluttanza dell'amico.

Benché il commento sul fatto delo scalare fosse veritiero, Liam non desiderava schiantare la schiena del cinese con il peso del suo corpo; ma sfortunatamente, dovette ugualmente ricredersi al dolore del suo braccio e alla folle paura delle vertigini. Sospirò e si trascinò, con piccoli saltelli, fino alla schiena di Liu; salì in groppa e il cinese si mise in piedi, osservando l'altezza.

-Liu, non è che vorresti saltare, giusto?- implorò Liam, avendo già intuito dal ghigno dell'altro un indesiderato sì: -Ti prego.... dimmi di no!- lagnò e gridò quando egli saltò giù.

La gravità era terribile, così come il vento che soffiava sulla loro pelle; i capelli di Liu brillavano sotto l'ultima falce di luna, così come la lacrime di una possibile morte di Liam. Eppure, prima che si schiantassero al suolo, il biondino attutì la forza della caduta, saltando di ramo in ramo, ridacchiando alle grida di terrore dell'altro. 
Liam strinse sempre più le braccia al collo di Liu, nascondendo il viso nella sua nuca; tutto quel saltare gli aveva portato lo stomaco dritto in gola, ma in compenso, il mal di testa era scomparso. Liu saltò ancora altri sette rami e atterrò perfettamente sulla neve, a piedi uniti.

-Liam?- chiamò dolcemente Liu, rischiando di soffocare dall'abbraccio fin troppo stretto dell'altro.

-Siamo morti, vero?- piagnucolò, stringendo ulteriormente la morsa delle braccia attorno al suo collo: -Lo sapevo... lo sapevo!- proseguì, non volendo nemmeno aprire gli occhi.

-Liam!- gracchiò Liu, battendo contro le braccia che gli impedivano il giusto flusso di ossigeno al cervello: era impallidito parecchio e dagli angoli dei suoi occhi, delle gocce di lacrime cominciavano a formarsi.

-Morti!- rispose ancora l'australiano, quando un acuto bruciore alla sua cicatrice lo fece sobbalzare: -Un momento! Perché sento dolore quando sono morto?- si chiese, aprendo di scatto le palpebre.

-L... Li... Liam...- ansimò Liu, piegandosi sulle ginocchia, ormai senza fiato per lo strangolamento; l'altro si guardò intorno e comprese che non erano deceduti per tragico suicidio, bensì erano vivi e vegeti, a parte il cinese che rischiava l'embolia.

L'australiano sgranò gli occhi e allentò immediatamente la presa al collo di Liu, notando un anello leggermente arrossato: -Oh, scusami! La paura mi aveva paralizzato e...- ma non completò la frase quando sentì i selvaggi colpi di tosse che invasero la gola del biondo.

Liam s'inginocchiò accanto a lui e lo aiutò a ispirare profonde boccate di ossigeno, maledicendosi per quella stupida folle paura. Avrebbe strangolato letteralmente il suo povero amico se non avesse ascoltato le molteplici chiamate del suo nome. Sospirò e stette a guardare il suo amico che riprendeva un po' di colore sulle gote pallide, accarezzandogli dolcemente i capelli.

Con un debole gracchiare, Liu sorrise: -La prossima volta... guarda prima di fissarti...-.

Risero al commento e si rimisero in piedi, osservando come la luna era completamente oscurata dalle nubi; decisero di rientrare, dando la buona notizia che Liu era ancora lì, con loro.
Varcarono il grosso portone nero e lo rinchiusero dietro le loro spalle, rabbrividendo al silenzio che regnava sovrano; i piedi nudi di Liu e i la guarnizione gommata degli stivali di Liam, erano gli unici suoni che si udivano, con un bel riverbero, dovuto alla maestosità dell'ingresso. C'erano dei focolari rossi che rischiaravano d'arancio le varie porte che conducevano alle scale, ma prima che potessero salirvi, i due si scontrarono selvaggiamente con...

-LIU! LIAM!- gridò felicissimo Haruhiko, strofinandosi la fronte appena battuta; si rimise all'istante in piedi, aiutando i suoi due amici, porgendo loro le mani: -Finalmente! Ero così preoccupato per voi!- ammise, abbracciando i due.

Liu arrossì un po': non era abituato a tanta attenzione, ma decise di non protestare all'abbraccio selvaggio.

-Dov'è Alex?- chiese Liam, meravigliato che la testa calda del gruppo non ci fosse; inarcò un sopracciglio quando Haru aggrottò leggermente la fronte al ricordo di parole che incoraggiavano l'errore di aver perso Liu.

Una voce familiare fu la risposta: -Sono qui, ovviamente- e gli occhi miele di, appunto, Alex, sbucarono da una porta arcuata, nascosta nella penombra delle ventuno.

Liu, senza pensarci due volte, corse ad abbracciarlo, stringendogli le braccia intorno al torace, appoggiando la testa al petto. Il francese si meravigliò di tale gesto e guardò con occhi stupiti i suoi due amici che ridacchiarono; in teoria, Alex si sarebbe liberato dall'abbraccio con uno strattone, ma ci teneva a lasciar fare da Liu, che gli volse un paio di occhi azzurri contenti.

-Ci hai fatto preoccupare, testa bionda!- ironizzò il francese, tirandogli dolcemente la coda di cavallo: -Dov'eri, eh? Hai saltato la merenda, il pranzo, la cena e l'appuntamento con il maestro Sen!- ricordò, mentre il suo amico trasalì all'ultimo impegno nominato.

I suoi occhi lampeggiarono di paura e si sciolse immediatamente dall'abbraccio, rabbrividendo; la sua caviglia gonfia doleva, ma non se ne curò e chinò lo sguardo colpevole al pavimento di lisce pietre centenarie. Si sentiva un groppo di malessere allo stomaco e mai come adesso, desiderava scomparire. Temeva una punizione, uno schiaffo, una sgridata.

-Ehi, coraggio, va tutto bene, Liu!- cercò di rassicurare Alex, battendogli dolcemente una pacca sulla spalla: -Ci andremo tutti insieme da Sen, ok? E gli spiegheremo come sono andate le cose- propose, notando come un guizzo di meraviglia gli illuminò gli occhioni.

-Dici sul serio?- domandò quasi implorando, notando come anche Haruhiko e Liam si fossero avvicinati a lui e sorridevano come silenziosa risposa positiva: -Però...- e sconfinò nuovamente nel senso di colpa.

-Non c'è bisogno di sentirsi mortificati, ragazzo mio. Va tutto bene- irruppe dolcemente la voce di Sen, comparso dallo stesso portone dove era sbucato Alex: -State bene?- chiese, rivolgendosi soprattutto a Liu e a Liam.

I due annuirono e il cinese si avvicinò con aria afflitta all'uomo mite: -Mi perdoni, la prego... prometto che non accadrà più- sussurrò, non avendo nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi, tanta era l'angoscia.

Sen non poté far a meno di addolcirsi alla bontà d'animo del quattordicenne e in un impeto d'affetto, gli alzò il mento fra le dita, incrociando uno sguardo denso di paura: -Non fa nulla, figliolo. Non sei abituato a questa vita e io voglio aiutarti ad affrontare questo cambiamento. Mi permetti di farlo?-.

Il giovane non sapeva che dire e guardò i sorrisi sui volti dei suoi amici; la caviglia fece nuovamente male, ma deglutì il dolore, sforzandosi di sorridere. La paura che aveva stretto il suo stomaco, fino a pochi secondi fa, stava lentamente allentando la difficile morsa, permettendogli di essere decisamente più calmo. Annuì con convinzione e arrossì al suo stomacò che brontolò rumorosamente.

-Qualcuno ha fame, da quel che vedo- sorrise Sen, mentre accompagnò i suoi ragazzi in un mensa completamente vuota: -Sedetevi e attendete qui, ragazzi- chiese cordialmente, dirigendosi lentamente in cucina.

Rimasti da soli, i quattro ebbero modo di scambiarsi qualche parola; Liam e Liu erano seduto frontalmente ad Haru e Alex. La mensa era un po' troppo imponente così vuota e silenziosa; in un certo senso, sembrava in ascolto ai mormorii dei ragazzi, perfettamente udibili dal profondo silenzio riverberato. E qui il detto "anche i muri hanno le orecchie", calzava a pennello.

-Che cosa è accaduto, Liu? Eri con me e Nim, andato a riposare per via di un mal di stomaco e poi sei scomparso- iniziò accigliato Haru, le cui braccia poggiavano sul liscio piano della lunghissima tavola lignea.

-Ci hai fatto preoccupare moltissimo!- aggiunse seriamente Alex, dandogli uno sguardo di rimprovero; batté un pugno sul tavolo, facendo vibrare il colpo nell'intera mensa.

Liu si accigliò e si scurì in volto, fissando tristemente i suoi piedi nudi, nascosti nella penombra del tavolo; sospirò ma non disse nulla. L'unica cosa che sapeva, era il sordo dolore alla caviglia, che non si sarebbe mai fatto visitare. Temeva qualcosa di brutto, come quegli attrezzi appuntiti e lucenti che aveva visto usare da alcuni turisti infortunati, nella Foresta di Pietra. Gli aveva sempre ringhiato contro.

Liam guardò i due sedicenni e si mordicchiò le labbra colpevolmente; strofinò la schiena del suo amico e si accinse a spiegare l'unica verità che sapeva: -Non rimproveratelo. Liu era semplicemente preoccupato per me... in Cina, lui è considerato un demone portatore di sfortune... me lo ha raccontato prima- spiegò, mentre il quattordicenne annuì e non trattenne la lacrime per il dolore di quelle offese patite per anni.

-Che cos'è questa storia?- protestò accigliato Alex, fissando curioso quanto arrabbiato il viso triste di Liam, che annuì ancora: -Sono stupidaggini! Liu, allora è per questo?- domandò, afferrando il polso di quest'ultimo, stringendolo con coraggio.

-Sì... è così... ho avuto così paura...- singhiozzò in sussurri, strofinandosi il naso gocciolante con il dorso della mano.

I suoi occhi vitrei non poterono che mettere in evidenzia il lato più infantile e dolce di Liu.

-Ok, ho capito, allora- sorrise Haruhiko, sporgendosi per accarezzargli i capelli: -Però... la prossima volta avvisaci, ok?- rise, felice di un piccolo guizzo di sollievo da parte del minore.

Un'altra domanda risuonò doverosa e fu lo stesso Alex, sghignazzante, a formularla: -La questione di Liu è risolta. Ma vorrei sapere che ci facevi la fuori, caro Liam!- sembrò tuonare, anche se la sua finta furia non era che la maschera della preoccupazione.

Liam sobbalzò e ridacchiò nervosamente; sbuffò giocosamente e annuì, alzando le mani in segno di resa: -Ok... hai vinto, Alex! Nonostante fossi svenuto, ho vagamente sentito te e Haruhiko che parlavate a proposito della scomparsa di Liu e così ho deciso di "indagare"-.

-E bravo il detective "Braniac"!- ridacchiò Alex, quando i quattro sobbalzarono all'espressione americana, sinonimo di "cervellone".

-Come hai detto, scusa?- domandò Liam, perplesso e per niente arrabbiato: -Potresti ripetere, per favore?- chiese sempre più sorpreso.

Il rosso guardò con occhi sgranati coloro che ricambiano degli sguardi altrettanto stupiti e scosse lentamente il capo, fissando il vuoto, incapace di spiccicare parola. Deglutì un groppo in gola e si strinse la fronte nella mano destra, battendo con rabbia un pugno sul piano ligneo, borbottando parole incomprensibili.
Il cuore del francese batteva nel petto insistentemente e perle di sudore rigarono la sua fronte, impastando i capelli della frangia lunga.

-Io non lo so- ammise in un sussurro, quando la loro attenzione ricadde su Sen che porse ai quattro un piatto di minestra, del pane e alcune mele.

-Mi dispiace molto ragazzi, ma ho trovato solo questo in cucina. Mangiate con calma e poi andare a riposarvi. Liu, se non sei troppo stanco, potresti venire da me?- chiese nuovamente, appoggiando la mano sulla schiena del biondo, notando come quest'ultimo avesse ringhiato aggressivamente.

Liam, accorgendosi di tutto, tentò di sdrammatizzare: -Ehm... buono, Liu... non ringhiare... il maestro Sen è un amico- e detto ciò, gli accarezzò dolcemente la testa, sospirando di sollievo quando il giovane rivolse la sua attenzione sulla minestra.

Sen sembrò perplesso, ma Haruhiko spiegò pazientemente: -La prego di scusarlo, sensei... ma Liu non è abituato a questo genere di cose. Tranne che con noi, ovviamente-.

Il maestro annuì e si limitò a sorridere, voltandosi verso un Alex ancora stupito da quella parola pronunciata e mai sentita. Il suo viso era ancora nascosto sotto la mano, mentre l'altra era stretta in pugno; i suoi occhi vuoti si riflessero nella minestra e dettero una risposta alla domanda muta che celava gli occhi dell'uomo. Egli si sedette accanto al francese e gli accarezzò dolcemente il capo, notando come egli avesse voltato uno sguardo carico di incognite frustranti.
Sen non disse nulla, ma gli dette semplicemente un calmo sorriso che tirò gli angoli della bocca del ragazzo. Si alzò e si avviò all'uscita della mensa, fermandosi sull'uscio.

-Liu, la mia stanza è al ventesimo piano, numero 39. So che vi starete chiedendo come mai un numero inferiore a 100 non si trovi al primo piano, ma dovete sapere che questo castello è strutturato fra le camere degli allievi e dei maestri. Ad ogni modo, buona cena e buona notte- e e ne andò.

Rimasti nuovamente da soli, Alex brandì il cucchiaio argenteo e sospirò, affondandolo dentro la calda minestra, che divorò in un batter d'occhio, malgrado avesse preferito una bella spaghettata con pomodoro fresco e basilico. Decise di affogare il suo malessere legato a quella parola mangiando la scarna cena. 
Haruhiko non poteva far a meno di guardare il francese con la coda dell'occhio, ma i suoi pensieri vennero interrotti da una protesta divertita da parte di Liam.

-Liu! Il cucchiaio ti serve per mangiare, non per grattarti!- ridacchiò, mentre l'altro protestò e decise di fare a modo suo; s'inginocchiò sulla panchina e avvicinò il volto alla minestra, annusandola prima.

Liam, Haru e Alex guardarono con una risata soppressa ciò che Liu aveva in mente di fare; ma scossero il capo quando il biondo affondò velocemente la lingua dentro il brodo e allontanò il piatto, piagnucolando. Evidentemente non gli piaceva. Si guardò intorno e il suo sguardo ricadde sul panino, accanto al suo bicchiere di vetro, denso d'acqua. Di nuovo si avvicinò e lo guardò, toccandolo con l'indice; quando "la vittima non si mosse", lo annusò ancora e lo addentò, ingoiandolo in un sol boccone. Stavolta gli piacque perché si leccò le labbra e ridacchiò, mostrando le sue terrificanti zanne.

-Non puoi mangiare solo un panino. Ecco, prendi anche il mio, non ho molta fame- offrì Liam, mentre Liu gli dette uno sguardo di gratitudine; sta di fatto, che l'australiano si divertì a elaborare un'idea: -Qui, bello!- ridacchiò al comando quasi canino e infilò fra le labbra il cibo che Liu divorò ancora con piacere.

-Qui bello?- ripeté Alex: -Lo hai preso per un cane?-.

Liam annuì e rise ancora: -Ti confesso che ho sempre desiderato farlo, sai? E' divertente in un certo senso, ma anche malinconico- e guardò Liu che aveva già adocchiato anche il panino di Haruhiko.

Il giapponese glielo consegnò senza "rimpianti" e allargò un sorriso nel vedere il suo amico mangiare con tanto gusto e un po' troppa voracità; ma tornò a Liam e si fece serio: -Perché malinconico?- chiese.

Liam storse le labbra e appoggiò il braccio destro sul bordo del tavolo, mentre rigirava il cucchiaio nel poco brodo rimasto nel piatto: -Beh... sai, dispiace sempre vedere qualcuno che si è dovuto arrangiare da solo per quattordici anni. Io ho avuto la fortuna di vivere con i miei e malgrado varie negatività, anche voi avete vissuto con i vostri, giusto?-.

Haruhiko e Alex si scambiarono un'occhiata fugace e annuirono perfettamente d'accordo; in primo luogo, avevano avuto un tetto sulla testa, cibo e acqua e in secondo, l'affetto e l'amore di una famiglia. Il cuore di Haruhiko si scurì al ricordo di suo padre che moriva, ma tentò ancora una volta la sete di lacrime che avrebbe voluto manifestare. Alex, invece, fissò la finestra, dalla quale cadevano impercettibili gocce di pioggia, mentre dei lampi illuminavano di tanto in tanto, la sala tetra. Anche lui aveva ricordi positivi di suo padre, eppure il suo sguardo calmo s'incrinò all'immagine del litigio... era stato un idiota.

-Liu, ma tu non hai i genitori?- chiese ugualmente Alex, accavallando le sue gambe, mandando giù un sorso d'acqua fresca.

Il cinese scosse il capo e rimase inizialmente in silenzio, poi si sedette composto, a gambe incrociate e si appoggiò il mento nella mano destra, osservando l'acqua nel suo bicchiere.

-Uhm... la mamma mi aveva raccontato che mi aveva trovato e... si prese cura di me. Mi ha cresciuto bene, insegnandomi a cacciare e a proteggere gli altri. Ero molto felice con i miei fratellini... ma io e Tan Tan eravamo molto più legati degli altri- fece una pausa e intinse l'indice nel bicchiere, fissando gli anelli d'acqua creatosi: -Poi, una notte, alcuni umani cacciatori erano riusciti a trovare la nostra tana. La mamma era riuscita a ucciderne uno ma l'altro possedeva il fuoco e cadendo, aveva applicato un principio d'incendio. Il fuoco poi si allargò e bruciò tutto. I miei fratellini perirono, schiacciati in parte dai tronchi caduti, nell'acqua del fiume e bruciati... La mamma anche... il cacciatore l'aveva sparata alla testa!-.

Ben presto, Liu mutò lo sguardo: divenne freddo e aggressivo, ringhiò e frantumò in mille pezzi il bicchiere, spaventando non poco gli altri tre, che consideravano la domanda di Alex una pessima idea.

-Io tentai di salvarla ma...- Liu preferì omettere la parte della sua ferita e proseguì: -E' morta e siamo rimasti solo io e Tan Tan. Gli umani sono terribili!- ringhiò, mentre singhiozzava.

Liam, Haru e Alex dovettero rimanere in silenzio: il racconto di Liu era stato intenso e si sentirono parecchio fortunati ad aver avuto un'infanzia serena. Prima che Liam potesse abbracciarlo, Liu preferì scivolare via, per incontrare Sen, che gli aveva gentilmente chiesto di vederlo. Corse via, ignorando il dolore alla caviglia e il contatto del pavimento sotto gli archi plantari.

-Non possiamo immaginare neanche lontanamente che dolore cela il suo cuore- concluse Haruhiko, fissando gli occhi tristi di Liam...
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Benvenuto, Fratellino! ***


I piedi nudi di Liu battevano a ritmo costante sui freddi pavimenti marmorei, riflettenti fioche luci nel soffitto. I suoi occhi azzurri scrutavano attenti ogni movimento e le orecchie erano ben all'erta, pronte a captare ogni singolo rumore. Si stava, infatti, dirigendo, da Sen ed era appena giunto sul piano venti. Lo aveva intuito dal forte odore che avvolgeva l'uomo mite e dolce. Il problema sarebbe stato trovare la stanza numero trentanove.

"Accidenti... qual è la camera giusta? Non so leggere!", piagnucolò mentalmente, cercando di annusare per bene: "E poi non mi piace questo piano! Sa di paura, rabbia e odio!", sbuffò ancora nella sua testa, cercando di limitare gli sforzi sulla caviglia gonfia.

Liu non poté far a meno di notare porte identiche metalliche, in fila, dove su ogni arco, capeggiava una mattonella bianca con inciso un numero corvino. Per lui non erano che dei segni incomprensibili; sta di fatto, che la fortuna, però, decise di aiutarlo. Il forte odore mite, simile a violette, di Sen era molto intenso proprio a una porta, contrassegnata da un'unica maniglia esterna a pomello. Le altre, al contrario, era semplicemente tubolari. Era lustra e quel luccichio attirò l'attenzione del ragazzo, a tal punto, che egli dovette avvicinarsi.

-Un momento!- esclamò, con occhi sgranati; annusò meglio che poteva: -Quest'odore... sì! E' del maestro Sen! Ci sono!- e senza nemmeno rendersi conto della felicità raggiante sul suo volto, bussò tre volte e lentamente.

Attese irrigidendosi, ma prese un profondo respiro e quando un flebile "avanti", riuscì a sbucare dalla porta, Liu entrò, girando in senso orario il pomello, chiedendosi com'era stato in grado di farlo. Come se avesse sempre saputo bussare e attendere... strano davvero.

Un'intera camera quadrata; tatami arancioni sul pavimento marmoreo, una grande finestra chiusa, con tanto di tende rossicce, un letto singolo, una scrivania di noce, una sedia. Sen stava sorseggiando del thè, con il viso rivolto al vetro, dal quale filtrava la splendida luce lunare. 

-Ehm...- si schiarì la gola, Liu, abbassando lo sguardo ai tatami sotto i suoi piedi uniti.

Sen si voltò e sorrise dolcemente; gli si avvicinò e chiuse la porta dietro la sua schiena. Senza dire una parola, afferrò un'altra tazza, da una piccola cassetta di legno, sulla sua scrivania e la domanda venne spontanea.

-Ti piace il thè?-.

Liu inarcò il sopracciglio destro, non sapendo cosa fosse l'oggetto appena nominato o qualsiasi altra cosa fosse. Non alzò mai lo sguardo e fece le spallucce: -Non so cosa sia, signore- sussurrò vergognosamente.

Sen trattenne una risatina all'ingenuità del ragazzino e sospirò; versò, grazie a una teiera ramata, che bolliva su un fornellino elettrico, la giusta quantità della bevanda profumata, nella tazza. Un vapore chiaro capeggiava sull'orlo, mentre il colore verdastro del recipiente era anche in tono con il caratteristico giallo-arancio del thè alla pesca.

-Bevi. Attento che scotta, però- disse Sen, premurosamente.

Afferrò un piccolo sgabellino di legno e lo fece sedere, notando come il ragazzo fosse ancora titubante: -Non temermi. Non voglio farti del male- pronunciò sempre sorridente.

Liu annuì una sola volta e si sedette, stringendo nelle mani la sua tazza. Il silenzio galleggiò nell'aria, interrotto dai flebili rumorini che Sen creava con il liquido nella sua gola. Il giovane guardò i suoi occhi tristi nel thè e sospirò teneramente. Non aveva il broncio, ma occhi da cucciolo irresistibili.

-Come ti trovi qui, Liu?- fu la domanda di Sen, dopo un quarto sorsetto di thè.

Liu alzò immediatamente lo sguardo dal suo thè e osservò gli occhi castani dell'uomo; non sapeva che rispondere... non conosceva molte parole, così chiuse per un istante gli occhi e li riaprì quando un insieme di parole composero un'unica frase.

-Non lo so. Credo, male- sussurrò, allargando le narici quando l'odore dolce della bevanda s'incanalò attraverso il suo naso; la sua lingua pizzicò fortemente sulla zona inerente allo zucchero e spinto dalla curiosità di provare il thè, si avvicinò la tazza e... c'infilò dentro la lingua, leccandola velocemente.

Sen rise, ma rimase perplesso alla risposta sincera che aveva appena avuto. Decise, quindi di approfondire maggiormente, mantenendosi sempre sul vago.

-Perché?- chiese.

Il thè che aveva conquistato Liu, era già a metà tazza. Il giovane alzò ancora gli occhi e arrossì imbarazzato al suo gesto di bere come un lupo. Si sentì stringere lo stomaco al profondo disagio che provava e rimase in silenzio, per un pò.

-Liu... non devi aver paura di parlare. Io non giudico mai le persone dall'aspetto o dai loro modi di fare; trovo tu sia una persona davvero interessante-.

Liu sgranò gli occhi: -Io... qui non... come Cina... lì, alberi, lago, Tan Tan- biascicò in modo sconnesso, sentendosi pungere gli occhi, segno di lacrime assicurate.

Strofinò l'indice sulla circonferenza della tazza e attese qualche altra domanda o risposta; Sen, che lo osservava paziente, non poté far a meno di notare un certo arrossamento sul dorso del piede destro. Si accigliò e tentò di avvicinarsi, quando Liu ringhiò e si rimise in piedi. La paura balenava nei suoi occhi azzurri e la tazza cascò in terra, frantumandosi in un sonoro "crack". Sen non disse nulla; non era arrabbiato, solo molto perplesso.

-Mi dispiace, mi dispiace...- sussurrò, sgattaiolando fuori dalla stanza, con il cuore che stringeva il cuore e le lacrime che sgorgavano libere dai suoi occhi.

Sen fu senza parole; Liu aveva chiaramente dimostrato una grande diffidenza verso i loro simili e il modo in cui cercava di nascondere qualsiasi suo male, dimostrava che era afflitto da un profondo dolore, vivido nel tempo, residuo di un ricordo terribile. Il maestro sospirò e brandì una piccola scopa; s'inginocchiò e spazzò lentamente il piccolo "disastro" sul pavimento. I frammenti vennero gettati nel cestino, sotto la sua scrivania, mentre un panno giallino assorbì in thè. Pulì meglio e si sedette su una sedia imbottita corvina, strofinandosi la minuscola barbetta che capeggiava sul suo mento. Fissò distrattamente la luce e un mix di ricordi presero a volteggiare dinanzi ai suoi tristi occhi stanchi.

Sen, che non osava mai pronunciare il suo cognome, era un maestro giapponese, che viveva felicemente assieme a quattro bambini di pochi giorni. Sua moglie era deceduta al momento del parto e il dolore che segnò il suo cuore rimase tutt'ora. Egli si ripromise che avrebbe sempre protetto la sua famiglia, finché un giorno, in cui i suoi piccoli avevano pochi anni di vita, qualcuno li rapì e da allora, egli è rimasto da solo. Era una semplice gita in montagna; i bimbi erano estremamente felici e non vedevano l'ora di giocare su una distesa erbosa estiva. Fu questione di un attimo; si aggregarono a un gruppo di turisti e Sen s'incantò a fissare un totem di una maestosa tartaruga, scolpita nella roccia e la sua mano... la stessa che tratteneva quella dei suoi bimbi era libera...
Sen, spaventato a morte, iniziò le ricerche, fino a notte fonda. Andò dalla polizia, la quale proseguì in aree più vaste, senza mai trovare nulla. I suoi piccoli erano stati rapiti da una mano oscura e malvagia e da allora, Sen si arruolò nel Berlino 18 proprio per proteggere il mondo, sperando di non ripetere mai lo stesso errore di circa sedici anni fa. 

"Ero felice... i miei figli erano tutto ciò che avevo...", pensò il sensei, ritrovandosi con la mano contro la fronte e una gamba accavallata sull'altra; alzò gli occhi gonfi di lacrime alla luna e una goccia selvaggia osò rigargli la guancia destra: -Figli miei...- disse torvo.

******************************************

Liu continuava a correre, disgustato da quello che aveva appena fatto; ignorò bellamente le fitte di dolore della sua caviglia e si diresse alla camera 2105, ovvero il suo dormitorio. Tirò internamente la maniglia tubolare ed entrò, notando come Haruhiko, Alex e Liam già dormivano. Ormai erano le ventitré passate e il giovanotto biondo, scivolò nel suo letto, affondando il viso nel morbido cuscino; mai come quella volta, desiderava piangere, ma non lo avrebbe fatto... Tan Tan gli aveva sempre detto di essere forte. Stanco e triste, ben presto si addormentò.

La coperta di Liam si mosse; egli, infatti, aveva finto di dormire, così come gli altri tre: -Ragazzi, siete svegli?- bisbigliò, in modo da non svegliare il biondo.

Alex si sollevò dal suo giaciglio e appoggiò il braccio sul ginocchio: -Sì. Haru?-.

-Idem- rispose il giapponese, fissando, nel buio, la testa di Liu: -Sembrava parecchio triste... oserei dire, in lacrime- proseguì.

Alex sgranò velocemente gli occhi e li ridusse a due fessure: -Intendi dire che quel tizio lo ha fatto piangere? Se è così lo smonto pezzo per pezzo e...-.

-Abbassa la voce, vuoi svegliarlo, forse?!- interruppe Liam, portandosi l'indice alle labbra; sospirò e scese dal suo letto, avvicinandosi alle coperte candide del suo amico: -Sono anche certo che Liu non stia molto bene-.

Haruhiko e Alex imitarono l'amico australiano e si portarono al lettino dove Liu dormiva, scosso da tremori inerenti a possibili incubi. Le lacrime secche erano come ruscelli minuscoli sulle gote pallide e l'elastico che stringeva i suoi capelli, venne tolto. Un manto biondo ricoprì all'istante la sua schiena e parte del suo viso. Alex sorrise debolmente e gli scostò la ciocca selvaggia dal suo viso, spostandola dietro il suo orecchio.
Liam afferrò cautamente la coperta e la tirò verso il bordo del letto.

-Che cosa stai facendo?- domandò perplesso Haruhiko, a braccia conserte.

L'australiano annuì e un riflesso lunare illuminò i suoi occhi preoccupati: -Liu zoppica. Me ne sono accorto quando, rischiando di cadere, lui mi ha afferrato la mano e una smorfia di dolore è comparsa sul suo volto!- spiegò in fretta.

Con le coperte di lato e attenti a non svegliare Liu, i tre sedicenni accesero una fioca candela rossastra e Liam gli arrotolò il pantalone sul polpaccio destro, avendo un battito mancante alla vista di una profonda cicatrice non recente. Un gonfiore rossastro e una temperatura differente rispetto al resto del corpo, accigliò non poco l'australiano.

-Che cicatrice!- esclamò sottovoce Alex, il quale avvicinò la luce della candela: -Sembrerebbe vecchia- proseguì, indicandola.

Liam annuì un'unica volta e osservò la ferita del suo amico, poggiandoci sopra l'indice, notando come il poverino avesse guaito nel sonno.

-A occhio e croce, direi che la cicatrice è vecchia, ma non è mai guarita a dovere. In secondo luogo, ho la netta impressione che questo gonfiore sia troppo recente!- diagnosticò il giovane Liam, osservando gli altri due, perplessi come lui.

Haruhiko fissò il vuoto e lasciò che i ricordi più recenti che aveva immagazzinato al Berlino 18, fluissero dinanzi ad essi. Il silenzio regnò sovrano, interrotto solo dai bisbigli impercettibili di Liam, che cercava una risposta al gonfiore della caviglia di Liu. Sapevano che il cinese era molto restio a farsi curare, quindi avrebbero dovuto sbrigarsi prima del suo risveglio.

Alex, però, riuscì a trovare la soluzione a quel mistero: -Adolf Kastenberg-. 

Liam e Haru si voltarono immediatamente verso di lui: -Che c'entra quel tizio?- imprecarono all'unisono, tentando di non gridare.

-E' semplice. Quando ha giocato slealmente, ha mollato un calcio a Liu e in un primo momento, lui non si era rialzato. Ricordate, no?- raccontò il francese, mentre una vena di rabbia pulsò sulla sua tempia.

Facendo mente locale, Liam ricordò immediatamente: -Hai perfettamente ragione! E' per quello che Liu ha questo gonfiore! Non possiamo portarlo in infermeria... in qualche modo, teme le cure "umane"- espose, accompagnando le virgolette con le dita.

-Stai dicendo che dovremmo curarlo noi?- domandò Haruhiko, piuttosto divertito, mentre rimboccò nuovamente le coperte sulla pelle fredda del cinese: -Ok... ma sai come si fa?-.

Un guizzo di furbizia, brillò negli occhi di Liam, il quale ghignò: -Stai parlando con una specie di dottore, cari miei! Fin dall'età dii quattro anni, ho sempre studiato libri su libri di medicina! Credo di essere abbastanza esperto, no?- ridacchiò, pavoneggiandosi ironicamente.

Una bottiglia di acqua fredda, sul comodino di Haru, catturò la sua attenzione; la prese e costatando come fosse ben ghiacciata, ne svitò il tappo e bagnò un'asciugamano piccola verdastra. L'appoggiò sulla caviglia di Liu, il quale frignò dolorosamente, anche se venne calmato dalle carezze sul capo da parte di Haruhiko. Liam si diresse all'armadio e ne tirò fuori la sua borsa da viaggio; ne aprì la zip e brandì alcuni medicinali, pomate e garze sterili.

-Medicherò meglio che posso la ferita, ma non dovremo farlo sapere a nessuno, ok?- espose, ottenendo un sì da Haru e Alex.

In fretta e delicatamente, Liam prese una pomata a gel e cominciò a spalmarla sulla zona interessata, formando piccoli massaggi; sotto gli sguardi curiosi e meravigliati dei due sedicenni, egli srotolò il rotolo di garze e la fasciò non troppo stretta, ma al punto giusto. Infine, ci poggiò l'asciugamano per attutire il gonfiore. Grazie alle continue carezza fra i capelli, da parte di Haru, il giovane Liu non si accorse praticamente di nulla. 

-Bene. Ho finito. Coraggio, mettiamoci a dormire- e i tre, spenta la candela, scivolarono sotto le loro coperte, pronti a dormire con il sorriso sulle labbra, lo stesso per aver medicato il loro "piccolo fratellino"...

******************************************

"Ciao!".

"Ciao... chi sei tu?".

"Non ti ricordi, piccolino?".

"No, perché dovrei?".

"Sai come ti chiami?".

"Liu...".

"Hai un bel nome, piccolino! E hai dei fratelli?".

"La mamma e i miei fratellini sono morti... solo Tan Tan!".

"Non i lupi. Intendo reali... esseri umani!".

"No."

"Come mi aspettavo. Sicuro di non ricordare nulla?".

"No, niente di niente. Ma tu chi sei?".

"Non adesso, piccolo... A presto!".

"Aspetta!".

Fiamme rosse... alberi morti, animali che fuggono... "Mamma?".

Occhi umani iniettati di sangue, nelle mani un fucile, fuoco e stridii di animali feriti. Una mamma lupo che salva i suoi cuccioli, un bimbo biondo che tenta di impedire che le fiamme la sbranino... un tronco crolla e il piccolo diventa il suo bersaglio. Inutili le grida, il cacciatore spara alla testa la mamma lupo e i cuccioli... Lacrime, dolore, sangue, fiamme...

-NO! NO! NOOO!-.

Liu si svegliò all'improvviso, gridando in preda alla paura; le sue iridi non erano che minuscole palline azzurre, imbevute di lacrime. I capelli crollarono sulle sue spalle e in parte, sul suo viso. Il suo respiro accelerato venne accompagnato da forti tremiti del corpo, mentre si guardò intorno, aggressivo e impaurito.

-Buongiorno!- disse la voce calma di Haruhiko, mentre Liu ringhiò, spaventato: -Perdonami. Non era mia intenzione spaventarti- e gli si avvicinò cautamente.

Il cinese prese un profondo respiro e portò le ginocchia al petto, troppo spaventato per parlare o innalzare la barriera di rabbia; affondò la testa nelle braccia, incurante delle carezze sui capelli da parte del giapponese. Era terribilmente spaventato, ma non avrebbe mai parlato del suo sogno orrendo.

La porta si aprì, lasciando spazio a un Alex coperto solo da un paio di boxe rosso fuoco; i capelli ormai asciutti erano tutti scompigliati, mentre il suo torso muscoloso era semi-umido. Evidentemente, aveva appena fatto la doccia.

-Lo sapevo io che mi ero scordato qualcosa!- bofonchiò a denti stretti, estraendo dall'armadio e riferendosi alla sua uniforme; s'infilò la canottiera, poi la giacca, i pantaloni, gli stivali e la cintura.

Prese una piccola boccetta di profumo, "acqua di colonia" e se la strofinò sul viso, neanche si fosse rasato. Dava l'impressione di un uomo sposato, pronto per andare a lavoro. Lasciò perdere i capelli e adocchiò, incurante della sua figura riflessa nello specchio, un Haru che tentava di confortare Liu.

-Tutto bene?- chiese, avvicinandosi ai due.

Haruhiko fece le spallucce e indicò la doccia; dal semplice sguardo, i due sedicenni si scambiarono il ruolo di conforto per il cinese, ignaro di tutto. Il giapponese afferrò la biancheria pulita e si diresse verso la stessa porta da cui sbucò Liam, con ancora i capelli bagnati, come un riccio.

-Non mi dirai che si è rotto il fono?- domandò Haru, trattenendo una risatina per la faccia rossa di Liam, sulla quale colavano ancora perle d'acqua dai suoi capelli.

-Sì, purtroppo! Non che sia un problema, visto che ne dispongo di un altro!- rispose, dirigendosi verso il suo "borsone delle meraviglie".

Annusando, Liam non poté trattenere un'ovvia domanda: -Mmh! Che buon profumo! Sublime! Di chi è?-.

Alex ghignò soddisfatto: -Mio. Se vuoi provarlo, lo trovi accanto alla mia roba, Liam! Ma non me lo consumare!- imprecò giocosamente, sedendosi di fronte a Liu, proprio sul letto di Haru.

-Liu?- lo chiamò dolcemente, poggiandogli una mano sulla spalla: -Guardami-.

Il cinese sollevò di poco la testa bionda e i suoi occhi si magnetizzarono in quelli miele dell'altro, che gli sorrise. Era molto triste, forse più di ieri.

-Che cosa è successo, Liu? Ti abbiamo sentito gridare, prima- fu l'esclamazione di Liam, mentre di tirò su la zip metallica della giacca; si era spruzzato una goccia leggera del profumo sul collo e ora l'essenza fresca, capeggiava sul suo corpo.

Eppure Liu non rispose; preferì andarsi a fare la cosiddetta doccia, ma scoprendo le coperte, si accorse del bendaggio sulla caviglia. Stette a fissarlo per un po', poi si voltò con scatto felino, scrutando con rabbia sia Liam sia Alex.

-Chi di voi è stato?- ringhiò, mutando i suoi occhi in punti demoniaci: -Non dovete curarvi di me!- tuonò, cercando di rompersi la fasciatura.

Alex e Liam lo fermarono appena in tempo, trattenendo i suoi inutili sforzi di liberarsi dalla presa che serrava lo sterno e l'altra sulle gambe. Inutili anche le sue grida; dovettero aspettare che si calmasse prima di fargli capire che la ferita andava curata. La cosa buona era che il gonfiore era scomparso.

-Senti Liu, lo so che non ti piacciono le cure mediche per ciò che ti ricordano, però è necessario che tu debba fidarti di noi, hai capito? Sei solo in questo posto e ti occorre qualcuno che ti guidi. Per questo, se vuoi, puoi chiamarmi "fratello"!- gli disse calmo Liam, rallentando verso la fine.

Il cinese sgranò gli occhi alla sorpresa e osservò a lungo Liam, che gli sorrise.

-Appunto. Conta pure su di me, "fratellino"! Ormai, siamo come una famiglia, no? Quindi, se hai qualche problema, parlane con noi e vedremo di aiutarti, come questa caviglia! Sono certo che Tan Tan la penserebbe così, no?-.

Le parole di Alex fecero riflettere meglio Liu, il quale osservò la bianca benda avvolta sulla caviglia; sorrise debolmente al pensiero del suo fratello lupo e si grattò la nuca. 

-Ok- sussurrò, gettandosi al collo di Liam, che preso ancora alla sprovvista, ci mise un po' a rendersi conto che quello non era uno strangolamento, bensì una risposta più che positiva alla sua proposta di "fratellanza": -Grazie!-.

Strano ma vero, anche per Alex, Liu riservò un abbraccio... che si concluse con una presa sulle spalle per andare al bagno. 

-Credimi, Liu!- disse Alex al settimo cielo: -Anche Haruhiko è felice di essere un tuo fratello!-.

Liu sospirò dolcemente, sentendosi molto più libero. Il sogno che aveva fatto non gli dette più peso, fino al momento in cui si presentò la prima ora di... studio!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Una Movimentata Mattina ***


Molti studenti erano già pronti per riempire le numerosi classi del vecchio castello; nei numerosi piani, per i nostri quattro amici si tratto, semplicemente di raggiungere il primo piano, proprio sopra alla mensa.
 
Erano molto eccitati, tranne per Liu, il quale fissava tutti gli altri ragazzi con la coda dell'occhio. Non se la sentiva proprio di attaccare briga con nessuno: nel suo cuore continuava a rivedere l'incubo sulle fiamme e la morte della sua famiglia animalesca e quella voce, vagamente familiare.
 
Haru, Liam e Alex stavano chiacchierando allegramente, passeggiando dinanzi a lui; non amava la compagnia, ma non poteva fare a meno di cercare di seguire quella nuova famiglia. Con loro, infatti, si sentiva parecchio protetto.
 
"Forse dovrei cambiare...", pensò distrattamente.
 
Ancora una volta, si era rifiutato di indossare le scarpe. Proprio non le sopportava; già era una tragedia, per lui, ritrovarsi in quella soffocante divisa nera, bordata di arancio. Lui era abituato a portare la sua amata tuta.
 
Sentiva il corpo leggermente bloccato da quel tessuto. Però, era costretto a indossarlo. Sospirò accigliato quando una mano si appoggiò dolcemente sulla sua spalla; d'istinto ringhiò e si strattonò via.
 
-Ciao!- salutò festosamente Nim: -Scusami, non volevo spaventarti!-.
 
Liu rilassò le spalle e annuì; non sapeva come rispondere e si limitò a sorridere. 
 
-E' il primo giorno di studio! Sono eccitato- proseguì l'africano: -E tu?-.
 
Liu si grattò la testa, con fare pensieroso: -No-.
 
-No?- schernì Nim: -Non ti piace studiare? Io sì, è molto divertente!-.
 
-No leggere- ammise il cinese: -No scrivere-.
 
Nim cancellò il sorriso dal suo volto: -Mi dispiace... non lo sapevo!-.
 
-Fa nulla- sorrise Liu, particolarmente infelice.
 
Si accorse che i suoi tre "fratelloni" lo avevano lasciato indietro e negò dolorosamente con il capo. Gli piaceva la solitudine, ma non poteva far a meno di volersi ritrovare sempre con loro... in qualche modo, purtroppo, sapeva che non c'erano legami di sangue fra loro.
 
-Dove sono gli altri?- domandò curioso Nim.
 
-Non so- squittì l'altro, avvertendo la forte e dannata presenza di Adolf.
 
Si stava avvicinando con passo veloce, seguito dai suoi amichetti, ossia, gli stessi che avevano cercato di attaccare Haruhiko. I gemelli inglesi Ted e John, il senegalese Jan e il polacco Charif.
 
Il tedesco aveva un ghigno poco raccomandabile sulle labbra e dall'aspetto fiero con il quale si muoveva, le sue intenzioni non promettevano nulla di buono. La sua ombra scurì i volti di Nim e di Liu, già ringhiante.
 
-La piccola scimmia va a scuola?- derise, con le mani sui fianchi.
 
-Smettila! Così lo offendi!- ribatté accigliato Nim.
 
Adolf rise, seguito dai suoi scagnozzi: -Davvero? Tanto lui nemmeno capisce!-.
 
Liu volle ignorarlo, ma la rabbia non gli dava tregua; cresceva dolorosamente in corpo e senza neppure accorgersene, le sue iridi si restrinsero e le gambe divaricarono.
 
-Io capito!- ruggì, sempre più nervoso: -Vattene!-.
 
Adolf mutò il suo ghigno in un'espressione di superiorità e lo afferrò per la gola, in una mossa rapida e veloce. Bloccò al muro la sua vittima, intenzionato a colpirlo. Nim tentò di intervenire, ma fu bloccato da Ted e John, con le mani dietro la schiena.
 
-NO! LIU, REAGISCI!- implorò l'africano, dimenandosi.
 
Charif gli mollò una gomitata nello stomaco così violenta, che il poveretto si afflosciò sulle gambe, ansimando per la scarica paralizzante di dolore, nel suo corpo.
 
-Lasciami!- ordinò il cinese, la cui caviglia pulsò dolorosamente.
 
-Non prendo ordini da te- ruggì freddamente Adolf.
 
Strinse la mano libera a pugno e senza rifletterci, l'abbatté violentemente sul labbro inferiore del biondo, il quale guaì; un rivolo scarlatto prese a colare lungo il mento, con grande gioia di Adolf.
 
-L... Liu...- piagnucolò Nim, guardando il viso basito dell'amico.
-Ah! Ah! Ah!- rise Charif: -Sei sempre grandioso, Adolf!-.
 
L'interpellato si gonfiò d'orgoglio e strinse la presa sul collo di Liu, il quale cercò di liberarsene; strinse le palpebre e cogliendo un momento di distrazione, gli azzannò la mano, scivolando via da quella presa strappa-aria.
 
-AAAAAAAAAH!- urlò Adolf, notando il sangue gocciolante dalla pelle: -Dannato!-.
 
Liu pensò di liberare il povero Nim e ghignò piacevolmente; senza mai decelerare, evitò con un'abbassamento della testa un pugno al volto e contrattaccò Ted con una gomitata alla nuca. 
 
-Fratello!- urlò John, ringhiando imbestialito: -Bastardo di un cinese!-.
 
Afferrò i lunghi capelli di Liu e lo tirò violentemente verso di lui, ghignando al guaito che lanciò l'altro in vista di un pugno nella scapola sinistra. Sbattuto Nim sul pavimento, Charif rise e si avvinghiò sul biondo, schiaffeggiandolo brutalmente.
 
-Ci ha rotto fin troppo le scatole, scimmia ammaestrata!-.
 
Il poveretto sentiva le lacrime costruirsi negli occhi ma non volle cedere: incurante del dolore ai capelli, tentò di raggiungere un dolorante Nim. Bloccò nella mano sinistra un nuovo pugno di Charif, in contemporanea a una ginocchiata al costato.
 
-Sei tenace, mocciosetto!- ghignò John: -Charif, permetti?-.
 
L'altro lasciò la preda all'amico: -Prego, fa pure!-.
 
Il gemello inglese si scrocchiò le nocche e si batté un pugno nella mano, con fare vendicativo; voleva vendicarsi di ciò che Liu aveva fatto a Ted, sostenuto da Charif. Ridusse gli occhi a due fessure e adocchiò la caviglia bendata di Liu.
 
"Ottimo...", pensò arrogantemente: -Microbo!-.
 
Sferrò un calcio giusto al punto dolente, mentre Liu lanciò un urlo straziante, destando perfino Nim, ormai libero. Quest'ultimo, non sopportando più lo strazio, pensò di intervenire, malgrado non sapesse combattere molto bene.
 
Con scatto felino raggiunse le spalle di John e lo colpì alla nuca, con un colpetto leggero: paralizzando un punto vitale delle vertebre della spina dorsale, l'inglese si ritrovò pietrificato, al suolo.
Non poteva muovere un solo muscolo... a malapena, poteva respirare.
 
-Che... cosa... mi... hai... fatto?- articolò faticosamente.
 
-Attacco nervino. Mai sentito parlare?- schernì Nim, passando a Charif.
 
Quest'ultimo aveva nuovamente lasciato Ted, ormai ripreso da quel colpo e stringeva i capelli di Liu, la cui caviglia rifiutava di tenerlo sollevato in piedi... era rotta? Lui non lo sapeva...
 
-Meritereste una lezione!- ruggì l'africano: -Anche tu, Kastenberg!-.
 
-Come osi pronunciare il mio valoroso cognome, sporco negro?- offese l'altro.
 
-B... basta...- piagnucolò il cinese.
 
Ancora una volta tentò di strattonarsi via, ma la vista di un coltello da parte di Adolf (dato che la sua era una vera mania), lo paralizzò. Il tedesco sorrideva maliziosamente e incurante della mano ferita dai denti del cinese, gli si avvicinò...
 
-OH, NO!- urlò Nim, mentre Ted lo bloccò ancora...
 
*******************************************
 
-Penso sia una buona idea, Haru!- sorrise Liam: -Potremmo istruirlo noi!-.
 
-Sì! Liu ne ha davvero bisogno!- completò l'altro, raggiante.
 
-Ragazzi- interruppe accigliato Alex: -Dove diavolo è finito Liu?-.
 
I due sgranarono gli occhi e si voltarono indietro... lo avevano perso di vista! Che imperdonabile errore commesso! Come avevano potuto ignorarlo in quel modo?
 
-Era dietro di noi!- ribatté Liam, già disperato: -F... forse si è distratto e...-.
 
-Credo ci convenga andare a cercarlo, prima che...-.
 
Haru non fece in tempo a completare la frase, che subito Nat comparve dinanzi a loro. Era a braccia conserte e il suo peso corporeo era spostato sulla gamba sinistra, mentre l'altra era leggermente divaricata.
 
-Nat?- disse un Alex accigliato: -Che succede?-.
 
-Liu è nei guai. Corriamo- disse con la solita calma di sempre.
 
I cuori dei tre sedicenni ebbero dei battiti mancanti: il loro povero "fratellino" era nei guai e loro non lo sapevano! Un doppio fallimento in meno di trenta minuti. Si scambiarono degli sguardi preoccupati e seguirono il ragazzo mascherato...
 
*******************************************
 
-Maledetto!- imprecò Adolf: -Meriti di morire, razza di mostro!-.
Agli angoli degli occhi del povero Liu si gonfiarono delle perle trasparenti di lacrime: il dolore alla caviglia era allucinante e nonostante, provasse a dominarlo, il suo intero corpo sembrava paralizzato.
 
-Mamma... avevi ragione!- piagnucolò sottovoce: -Non posso fidarmi degli umani!-.
 
Chiuse le iridi e rimase fermo dov'era: il fiume della rabbia dilagò nel suo corpo, gonfiando ogni muscolo e ampliando ogni vena. Scoprì le labbra, rendendo visualizzabili i canini aguzzi e brillanti.
Tremò leggermente, ma non di paura... non voleva essere sconfitto da uno stupido essere umano che continuava a offenderlo, desiderando di porre fine alla sua vita. Il suo petto si alzò e si abbassò velocemente, sino a quando riaprì gli occhi.
 
Erano nuovamente due iridi infuocate ristrette... l'odio puro risaltava tutto il suo risentimento per la morte della mamma lupo e dei suoi fratellini. Non meritavano una simile fine... 
 
-Vi odio...- ruggì il biondo.
 
Adolf gelò all'istante: che cos'era quella strana sensazione che martellava nel suo cuore, alla vista di tanta rabbia? No... si rifiutava di ammettere che aveva paura. Lui, il grande Adolf Kastenberg, non poteva lasciarsi battere ancora da un moccioso cinese.
Lui era un forte pugile. Lui era un tedesco.
Una razza pura, secondo Hitler.
Non poteva fallire. No...
 
-Piccolo mostriciattolo! Ti farò rimpiangere il giorno che sei nato!- urlò adirato.
 
Liu poggiò le mani in terra, alzando di poco il fondo schiena: era davvero in una classica posa da lupo. Fissava con occhi sgranati e demoniaci il tedesco dinanzi a lui, mentre le sue unghie si allungarono, simili ad artigli.
 
-Non mi fai paura!- imprecò ancora Adolf, indietreggiando appena.
 
-Odio- mormorò il cinese, avanzando appena.
 
Una gran folla di studenti si era creata tutt'intorno: occhi curiosi e razzisti fissavano i due combattenti, all'interno di un cerchio prevalentemente di studenti in uniforme. Dai loro discorsi, si poteva intuire che facessero il tifo per Adolf.
 
-Visto?- schernì quest'ultimo: -Nessuno ti vuole qui! Tornatene a casa tua!-.
 
-No!- gridò Liu, spiccando un rapido balzo: -Promessa! Promessa a Tan Tan!-.
 
Adolf indietreggiò e schivò un'artigliata feroce da parte di Liu, il quale piroettò su se stesso per colpire il suo volto con un calcio di 360°. Il cinese attaccò ancora, con una capriola mortale. Comparve alle spalle del nemico, con un ghigno sul volto.
 
-Alle tue spalle!- urlò Ted, impressionato.
 
Adolf si voltò e colpì il gelido volto di Liu con un pugno ben assestato, sulla fronte. Il ghigno che allargò le sue labbra si spense alla vista di uno sguardo implacabile del 14enne. Non si era né mosso né aveva urlato: un nuovo rivolo di sangue gocciolò dal taglio.
 
Nim era sempre più spaventato e in cuor suo pregava, purché qualcuno accorresse in aiuto del suo amico. Tentava di svincolarsi dalla presa di Ted ma non ci riusciva, purtroppo. Doveva rimanere lì, a subirsi lo scontro...
Lui aveva sempre odiato la violenza. Ce n'era già troppa nel suo villaggio.
 
-Cosa?- esclamò basito Adolf.
 
Nat e i nostri tre amici raggiunsero il capezzale dove Liu e Adolf stavano combattendo. C'era un gran coro d'incitamento per il tedesco e fischi disprezzanti per l'altro; non era giusto! Il ragazzo mascherato si fece largo tra la folla e osservò il tutto.
 
-LIU!- urlò Liam, preoccupato a morte: -E' ferito! Dobbiamo aiutarlo!-.
 
Haruhiko fissò lo sguardo vitreo di Nim e si sentì ribollire dalla rabbia: odiava quelle situazioni difficili. Tre contro uno non era leale. Soprattutto perché tutta quella massa di imbecilli faceva il tifo per chi aveva torto.
Solo per pura discriminazione... e anche per l'età.
 
Chiunque lì dentro partiva da un'età minima di sedici anni, a salire, ovviamente. Liu ne aveva solo quattordici ed era il più giovane di tutto Berlino 18.
 
-Non mi piace per niente!- tuonò Alex, adirato: -Sono tutti pazzi, qui dentro!-.
 
Liam aggrottò la fronte e protestò animatamente, contro tutta la folla di caproni.
 
-BASTA!- urlò a pugni stretti: -Perché odiate ingiustamente Liu? Perché non volete capire?-.
 
-Fatti da parte, tu!- imprecò la voce grossa di Charif: -Tu sei un traditore perché proteggi un mostro simile! Quello non può essere considerato uno di noi!-.
 
-E questo chi lo dice?- intervenne anche Alex: -Solo perché è cresciuto in una Foresta?-.
 
Ci fu il silenzio, interrotto poi dal mormorio basito dei presenti. Era giunto anche Sen, avendo saputo la notizia del combattimento.
 
-Foresta?- ripeté sconvolto Ted: -Allora è doppiamente un mostro schifoso!-.
 
-BASTA!- urlò Haruhiko: -Non potete giudicare chi non conoscete!-.
 
-E' inutile sgolarsi con chi non capisce- concluse Alex, disgustato: -Perdiamo solo tempo!-.
 
-Siamo qui per salvare il mondo...- esclamò ancora Liam: -Ma se è davvero popolato da gente meschina e razzista... allora, meglio che lasciamo che il mondo sparisca!-.
 
Nessuno più parlò: le parole dei tre sedicenni avevano toccato il profondo di ogni cuore. Improvvisamente, Nat cominciò ad applaudire, rompendo quel silenzio riflessivo. L'attenzione ricadde su di lui ma anche Sen lo imitò; a lui si aggiunsero alcuni insegnanti, Nim e altri ragazzi, che non condividevano il pensiero razzista.
 
-COSA?!- urlò Adolf, meravigliato: -Come potete appoggiare questi stupidi?-.
 
-Perché loro hanno più cervello di te- rispose Liam, con un sorriso di vittoria.
 
Adolf afferrò nuovamente i capelli di Liu, il quale guaì a uno strappo dalla sua testa... piagnucolò nuovamente e a quel punto, Alex e i suoi amici intervennero: desideravano mettere fine a quell'ingiustizia a ogni costo. 
Eppure, non avevano previsto qualcosa di... assolutamente inaspettato... John e Jan erano in disparte, con un ghigno malefico sulle labbra e un oggetto affilato nelle mani.
 
-Chi lancia? Io o tu?- domandò ridacchiando John.
 
-Adoro il Gioco della Gabbia. Nessuno sa farlo meglio di Adolf- sorrise l'altro: -Prima pesta l'avversario e poi lascia la parte migliore a noi-.
 
-D'accordo, lancerò io. Dammi il coltellino- completò eccitato il primo.
 
Un minuscolo coltello a serramanico si posizionò elegantemente nella mano destra di John, il quale si nascose appena dietro al corpo dell'amico. Attesero il momento buono e con un ghigno vittorioso, scagliò precisamente l'arma letale.
 
"Ottimo, ragazzi!", pensò Adolf, strattonando ancora i capelli di Liu.
 
Con un sibilo metallico, il coltello assunse quasi l'aspetto di uno shuriken... invisibile ma velocissimo. L'occhio destro di Liu era il bersaglio stabilito... ma il destino era favorevole al cinese e optò per qualcosa di meno doloroso.
 
-MALEDETTO!- imprecò Alex, mentre tentava di raggiungere Adolf.
 
Il francese inciampò in uno sgambetto da parte di Charif, messosi stupidamente in mezzo; perse l'equilibrio e cadde su Liu, il quale scivolò a sua volta... nessuno si accorse del coltello... non fino a quando ci fu un rumore di un taglio e migliaia di capelli si strapparono all'istante...
 
Alex, Liam e Haru guardarono con orrore il viso pietrificato di Liu... si portò le mani sulla nuca, costatando che la sua coda di cavallo era stata tranciata... si voltò lentamente solo per vedere la sua ciocca bionda ancora nella mano di Adolf e il resto sul pavimento.
I suoi occhi si riempirono di lacrime: guardò Sen... il suo cuore era addolorato... i suoi lunghi capelli... quelli che gli accarezzava sempre mamma lupo...
Tagliati. 
Scappò via, sperando di raggiungere immediatamente l'unico albero più alto di Berlino 18...

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Piccoli Colloqui ***


Il silenzio regnava intorno. C'era solo il vento che accarezzava l'intero Berlino 18; l'aria era fredda e sapeva di smog... a dei giovani polmoni abituati alla natura, ciò dava fastidio. Solo quell'albero solitario, però, offriva un po' di silenziosa compagnia a un nostro amico biondo.
Liu piangeva disperato, palpandosi le punte dei capelli tagliati.
 
La sua mente ripeteva l'orrore che aveva vissuto...
I suoi poveri capelli... ciò che amava dopo Tan Tan e la sua famiglia...
Il biondo cinese ebbe una stretta al cuore e si appoggiò le ginocchia al petto: a piedi nudi qual era, ascoltava il sibilo del vento che sembrava avvolgerlo dolcemente, chiedendogli il perché di tanta sofferenza. 
 
-Sono un branco di cacciatori!- ringhiò, con le lacrime rapprese sulle guance.
 
Immediatamente, però, un turbinio di ricordi prese a vorticargli nella giovane mente: Liu riviveva le carezze di Liam, gli aiuti di Haruhiko e la linguaccia lunga di Alex. Amava molto essere in loro compagnia ma c'era quel fastidioso tedesco che non lo lasciava in pace.
 
-Tan Tan...- mormorò sottovoce: -Che cosa devo fare?-.
 
Non ci furono rispose... il 14enne appoggiò il mento sugli avambracci, a loro volta sulle ginocchia e fissò una piccola gocciolina d'acqua abbandonare la sua foglia bianca, dinanzi a lui. In lontananza, c'erano i rumori di una grande metropoli. Le auto strombazzavano, c'era un campanile che risuonava con le campane.
Perché era così difficile abituarsi a un mondo così?
 
******************************************
 
C'era ancora la folla di studenti nel corridoio che li avrebbe condotti nelle classi, per quella che avrebbe dovuto essere la prima lezione. Adolf Kastemberg era esattamente al centro di quelle diverse teste di capelli colorati diversamente, alquanto sghignazzante.
L'espressione di Sen era quasi indecifrabile, così come quelle di Haru, Liam e Alex.
 
-Quello che hai fatto, ragazzo, è molto deplorevole!- sospirò l'anziano: -Hai semplicemente contribuito a isolare Liu-.
 
Adolf grugnì, per niente d'accordo: -Come no! La scimmia non dovrebbe neppure essere qui! Noi siamo veri uomini, eroi di questo mondo! Lui no!-.
 
Stanco di tutto, Alex fece un passo avanti, a pugni e labbra strette. Stava fumando di rabbia... odiava tanto ingiusto risentimento, dannazione!
 
-Se non chiudi il tuo grugno di maiale, lo farò io a suon di pugni!-.
 
-Non ti permettere di parlarmi, hai capito, essere inferiore?!- ruggì Adolf: -Sei meno di zero! Sei un misero francese che scompare dinanzi alla dinastia di noi tedeschi!-.
 
Haruhiko ringhiò e dette una leggera gomitata al costato di Liam, il quale gli rivolse occhi brucianti di lacrime; avevano avuto la medesima idea: trovare Liu.
 
Alex rise amaramente: -Inferiore? Te lo do io, l'inferiore!-.
 
Caricò un pugno e lo schiantò violentemente contro il viso del distratto Adolf, il quale perse l'equilibrio, ritrovandosi miseramente sul pavimento, senza quasi capire il motivo del pulsare al labbro inferiore. Si strofinò d'istinto la mascella quando qualcosa di caldo e appiccicaticcio ne colò su.
 
"Sangue?", pensò inorridito.
 
Si rialzò collerico, scattando con occhi ridotti a due fessure. Cercò di avvinghiarsi su Alex ma il suo pugno venne velocemente bloccato nella mano salda di Nat, intervenuto in nanosecondi. Il tedesco provò a opporre resistenza ma ne ricavò solo dolore alle sue ossa scricchiolanti.
 
-Il maestro Sen vuole parlarti in privato- disse atono: -Seguici-.
 
Adolf emise un grido rabbioso... aveva perso! Guardò i suoi fidi compagni, i quali vennero bloccati da Nim e altri ragazzi, favorevoli alle precedenti parole di Haru, Liam e Alex a proposito dell'ingiusto comportamento con Liu.
 
-Ovviamente, vale anche per voi- completò Nat.
 
Con un rapido scatto, il mascherato arrotolò il braccio del pugno che stava stringendo nella mano dietro la schiena di Adolf, costringendolo a camminare verso nord, in direzione di alti gradini marmorei chiari. La presidenza...!
 
-Tutti voi siete pregati di raggiungere le vostre aule- ordinò calmamente Sen: -I vostri insegnanti vi spiegheranno il programma che seguirete-.
 
Tutti gli studenti annuirono, senza protestare: i vari uomini neri li divisero in gruppi da sedici studenti per classe. Haruhiko, Liam e Alex rimasero soli: anche Nim aveva obbedito senza fiatare. Loro tre avevano solo un'unica priorità: cercare Liu.
Sen si avvicinò loro, con le mani giunte sullo stomaco e un'espressione amareggiata. Li guardò con fare paterno e sospirò, poggiando la mano sulla spalla a un serissimo Haruhiko. I suoi occhi castani si magnetizzarono in quelli ramati dell'altro.
 
-Credo voi tre già sappiate cosa fare- mormorò: -Da oggi in poi, la responsabilità di Liu passa a voi. Qui è un facile bersaglio per tutti, purtroppo. Posso chiedervi questo?-.
 
-Può scommetterci, signore!- rispose Alex, senza mezzi termini: -Avremmo una mezza idea di dove potremmo trovarlo-.
 
Gli occhi miele scrutarono un sorridente Liam e un determinato Haruhiko. Non ci voleva chissà quando per intuire che erano perfettamente d'accordo sulla richiesta di "tutori" per Liu. Loro gli volevano bene e si consideravano come una famiglia.
 
-Molto bene- sorrise Sen: -Andate e ritrovatelo. Avete il mio permesso-.
 
-Hai, maestro!- risposero i tre, indicandosi rispettosamente e correndo verso il portone.
 
Rimasto totalmente da solo, il sensei sgranò gli occhi incredulo... non poteva credere alle sue orecchie... allora lo ricordavano perfettamente. Strano ma vero, sorrise e si asciugò una lacrima solitaria sul viso, annuendo e pronto per infliggere una bella punizione ai quattro stupidotti, in presidenza con Nat.
 
"Giovani ragazzi..."...
 
******************************************
 
-Pensi si sia rifugiato sull'albero?- domandò perplesso Alex: -L'ultima volta, l'hai ritrovato lì e sei riuscito a convincerlo a scendere!-.
 
Liam, dinanzi al trio, annuì: -Sì! Infatti, è proprio lì che voglio andare a controllare!-.
 
-Bene!- aggiunse Haru: -Mi auguro solo che abbiamo ragione! Quel ragazzo ha solo bisogno di protezione!-.
 
Alex scoppiò a ridere, con tanto di gusto: -Protezione? Lui mi pare sia già a posto in questo!-.
 
Il giapponese sbuffò giocosamente ma ridacchiò all'esclamazione veritiera. Liu aveva loro dimostrato di essere perfettamente in grado di difendersi... alla grande, proprio!
-Non perdiamo tempo!- ricordò Liam: -Non voglio ritrovarmelo completamente congelato!-.
 
I tre accelerarono di parecchio, sino a percepire il cuore in gola: varcarono il grande portone dell'entrata e i loro piedi smisero di fare rumore, ormai affondati nella neve. I loro respiri si tramutarono in candide nubi, mentre le loro iridi scrutarono intorno con grande ansia.
Era tutto bianco e calmo: in lontananza si percepiva la città nel suo tran tran mattutino mentre gli ultimi uccellini rimasti nel freddo, canticchiavano una melodia piacevole ma contemporaneamente malinconica. 
 
Dov'era Liu? 
 
Il giovane Liam, ansimando, ignorò bellamente la sensazione del gelo contro il suo viso e alzò il capo, fissando l'unico alto albero, alto sino al cielo nuvoloso. Guardò freneticamente l'intreccio candido e corvino dei rami, spalancando gli occhi.
 
-ECCOLO!- gridò, puntando il dito contro una familiare capigliatura bionda: -Liu è in cima all'albero! Sapete scalare?-.
 
-Io sì!- sogghignò Alex: -Nell'allenamento come pugile con mio padre, ho imparato a scalare grazie a quotidiane ore di allenamento su un'alta corda, appesa al soffitto!-.
 
-Idem- sottolineò Haruhiko: -Io l'ho imparato nel bosco vicino a casa mia-.
 
-Stiamo attenti, però- ricordò ugualmente Liam: -L'ultima volta che mi sono cimentato nella scalata, sono quasi caduto!-.
 
-Non succederà, tranquillo!- rispose morbidamente Haru: -Noi non falliremo-.
 
******************************************
 
Contemporaneamente, in presidenza, Charif, Ted, John, Jan e Adolf fissavano con rabbia un Nat in piedi, con le braccia conserte e Sen, torvo, seduto alla scrivania. La presidenza era una stanza non molto grande, con bianche pareti, un parquet sul pavimento, un neon sul soffitto. C'era una grande finestra, dove si poteva ammirare l'intero cortile e gran parte della città; una scrivania di legno era perpendicolare alla pesante porta di metallo e un piccolo armadietto di metallo era incastrato nell'intercapedine fra il muro nord e quello est.
 
-Il vostro atto non resterà impunito- emise, infine, Sen: -Sappiate che rischiate di ritornare nei vostri Paesi, con immenso disonore-.
 
Adolf scattò: -Disonore, un corno! Noi abbiamo semplicemente agito per il bene di Berlino 18! Quel cinese è solo un impiccio fastidioso e tutti, qui dentro, la pensano come me!-.
 
-Sicuro?- chiese Nat, guardandolo attraverso la maschera.
 
-E poi, un taglio di capelli lo meritava!- sogghignò Charif: -Il bambino piagnucolone!-.
 
I cinque cretini risero sguaiatamente, quando Sen si alzò dalla sua scrivania, fermandosi dinanzi alla finestra. Tentò di ignorarli ma come insegnante avrebbe dovuto impartir loro una giusta lezione.
 
-Ancora tre azioni indecenti e tornerete a casa vostra- sottolineò Nat: -Collaborare per salvare il mondo. Vi dice niente?-.
 
-Perché stai sempre in mezzo, tu?- ringhiò Ted, scattando dalla poltrona rossa, sulla quale era seduto.
 
-Io sono uno dei Master, qui- schernì l'altro, alquanto "stranamente" divertito: -Quindi, vi consiglio di abbassare la foga che avete e di cominciare a tenere a bada la lingua-.
 
-Te la farò pagare, prima o poi- borbottò Jan, sottovoce: -A te e a quel bastardo di Liu!-.
 
-Non ci sperare- tagliò corto Nat, alle sue spalle: -Liu è sotto la mia protezione e quella di Murakami, Roux e Johnson. Toccalo e vedrai-.
 
Il ragazzo deglutì e scambiò uno sguardo quasi intimorito con John, alla sua sinistra. Quel ragazzo mascherato era davvero inquietante. Deglutì sonoramente e si ritrasse. Aveva fatto una pessima figura.
 
-Come vi ha già spiegato Nat- mormorò Sen, guardandoli: -Abbiamo delle tattiche da studiare per il bene del mondo. Il rancore tra noi è del tutto inutile. Per il momento, siete liberi di tornare nelle vostre aule. Buona giornata-.
 
Nat aprì la porta e rimase perfettamente in silenzio, osservando i cinque lasciare la presidenza con uno sguardo di morte. Prima di scomparire del tutto, Adolf mantenne il fuoco ardente di una vendetta sicura nei suoi occhi ma Nat no batté ciglio.
 
-Non è finita, qui- ringhiò sottovoce.
 
-Non ci scommetterei- rispose l'altro, richiudendogli la porta dietro la schiena.
 
Rimasti totalmente da soli, Nat fece un passo dinanzi alla scrivania, osservando Sen che tornava al suo posto, con uno sguardo alquanto perplesso.
 
-Quei cinque non hanno capito un bel niente, maestro Sen- disse.
 
-Lo so- ammise l'altro: -E' necessario che anche tu monitori Liu e quei discoli-.
 
Nat flesse rispettosamente il busto in avanti, perfettamente d'accordo. Lasciò la stanza con grande silenzio, richiudendo nuovamente la porta dietro la sua schiena.
 
"Non mi aspetto che tu rimanga fermo, Adolf.", pensò drammaticamente...
 
******************************************
 
Il mondo stava lentamente cambiando. Nessuno, però, se ne sarebbe accorto. Cose strane stavano accadendo, di tanto; eppure, tutto sembrava essere normale. I terremoti frequenti in improbabili parti del mondo e continue eruzioni di vulcani, però, parlavano sin troppo chiaramente. Il 21 dicembre non distava chissà quanto.
 
E a Berlino 18, Sen lo sapeva. Lo sentiva attraverso il suo corpo: l'aria era carica di indecifrabili piccole sensazioni estranee; il corpo vibrava in quel freddo tanto intenso. Egli, francamente, non era assolutamente sicuro su come poter salvare la vita di circa 6 miliardi di persone.
Era come pretendere di contare tutte le stelle nel cielo notturno.
 
Ultimamente, però, aveva avuto strane visioni incomprensibili, come residui di una memoria che mai avrebbe riconosciuto. Sentiva il cuore battere intensamente tutte le volte che il suo pensiero ritornava ai quattro suoi ragazzi preferiti. Haru, Alex, Liam e Liu possedevano qualcosa che altri non avevano.
E non si trattava di carattere, doti o talenti. Era qualcosa di profondo e nascosto agli occhi. Bisognava infrangere quella barriera mortale per raggiungere la piccola fiamma spirituale, assopita.
 
Lui ricordava di essere un uomo felice. Con quattro bambini. Poi, un giorno, tutto si modificò inesorabilmente. Senza capire il motivo di una scelta incondizionata, Sen si ritrovò da solo e con il cuore frantumato. I suoi preziosi bambini erano ormai un ricordo.
Quei quattro, però, erano talmente uniti che gli ricordavano di non perdere mai la speranza...
 
******************************************
 
-LIU!- gridò Alex, con le mani ai lati della bocca: -LIU, SIAMO NOI!-.
 
Haruhiko non aspettò di certo che il loro piccolo "fratellino" rispondesse o avesse voglia di guardarli, nel suo stato d'animo oscuro; quindi, balzò sul tronco dell'albero, iniziando a scalarlo con foga.
 
-Penso sia meglio affrettarci- constatò Liam, seguendolo a ruota: -Dipende sempre se ti ha sentito, Alex-.
 
Il francese fece le spallucce e si strofinò le gelide mani; attese che Liam fosse abbastanza in alto per poter saltare anche lui. Si caricò sulle ginocchia, saltando con una gran bella elevazione. Afferrò saldamente il tronco e salì.
Il nostro amico biondo aveva sentito più che chiaramente le grida di Alex ma non voleva spostarsi dalla sua attuale posizione. Era ancora seduto con le ginocchia strette al petto e le gambe che gli nascondevano la parte inferiore del viso. 
 
Aveva, però, la fascia arancione stretta nel pugno sinistro.
 
Volse i suoi occhi azzurri al cielo: tra non molto, avrebbe nuovamente piovuto e con tutto quel freddo, sicuramente, la pioggia si sarebbe trasformata in neve. Egli sorrise al ricordo piacevole di Tan Tan, tutto bianco e immancabilmente, la tristezza tornò a gonfiargli il cuore.
 
-Liu- chiamò dolcemente la voce di Haruhiko, ormai in cima all'albero: -Ti prego, non spaventarti, siamo noi-.
 
Il biondo spostò lo sguardo dall'altra parte e non disse nulla. Il giapponese si sedette sullo spesso ramo, aiutando Axel che a sua volta, sostenne Liam. I tre si sedettero accanto al 14enne, guardando la città che meravigliosamente si vedeva da lassù. 
Intravidero un livido bluastro alla caviglia compromessa da una vecchia cicatrice e si scambiarono uno sguardo triste. Alex guardò Haruhiko, facendogli cenno, con gli occhi, di cominciare a parlare con lui.
 
-Ecco...- fece il giapponese, imbarazzato: -Siamo davvero dispiaciuti per quello che è successo e...-.
 
-No- interruppe Liu, raucamente.
 
-No, cosa?- domandò Alex, accigliato: -Potresti spiegarti meglio?-.
 
Liu sospirò: -Io sono qui. Io combattere. Io proteggere e picchiare nemici!-.
 
Liam rise e si spostò cautamente sul tronco per afferrare il biondo e coccolarlo dolcemente; gli strusciò i capelli, rattristandosi interiormente al taglio che avevano ricevuto. Appoggiò il mento sulla sua testa e gli accarezzò la spalla sinistra.
 
-Con noi non sarai mai più solo- gli sussurrò: -Ti vogliamo bene-.
 
-Anche io- esclamò l'altro, iniziando a rilassarsi con tanto di fusa: -Anche voi?-.
 
Haru e Alex risero: -Anche noi, piccolo!-.
 
Sen li osservò dalla sua stanza: sorseggiando del tè, sorrise dolcemente al bel quadretto, incapace di trattenere lacrime di dolore per la sua famiglia distrutta...

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** L'Arte del Combattimento (Parte I) ***


Berlino 18, 15 dicembre, 2012

Era già trascorsa una settimana da quando Adolf, Jan, Ted, John e Charif avevano tagliato i capelli a Liu, beccandosi una piccola lezioncina da Sen e Nat. Apparentemente, evitavano il nostro quartetto di eroi, avendo la cosiddetta "anima peccatrice". Questo, per i nostri amici, non rappresentava che una macabra vittoria.

Liu si era, più o meno, ripreso dal brutto taglio di capelli e aveva accettato di iniziare a capire il "mondo tecnologico", seguito da Haruhiko, Alex e Liam. I quattro erano divenuti inseparabili e nessuno osava avvicinarsi.

Nim si era dimostrato un fido amico: sosteneva, quando poteva, Liu nell'imparare a scrivere e a leggere, sebbene quest'ultimo si dimostrasse un allievo molto, molto "particolare" se non difficile. 

C'era da dire che, però, il biondo non avesse la minima intenzione di indossare gli stivali: un po' per la sua vecchia cicatrice dolorante e anche per la voglia di sentire la sensazione del freddo contro la pelle. 

Sia Sen sia Nat approvavano questa sua piccola fissa; quando potevano, lo aiutavano il più possibile, tenendolo soprattutto d'occhio...

**************************************

Era una piovosa mattina gelida quando un sonoro tuono rimbombò paurosamente in tutto Berlino 18. Nel silenzio delle 04.30 del mattino, qualcuno di nostra conoscenza era rimasto praticamente sveglio gran parte della notte.

Si girava e rigirava nel suo letto, ascoltando i morbidi respiri dei suoi amici.

Liu sospirò e guardò Haruhiko che riposava supino, accanto a lui. Aveva un braccio piegato, con la mano sullo stomaco e l'altro sul cuscino. Il cinese sollevò la testa dal suo guanciale e lo fissò a lungo.

"Amico.", si ricordò con grande perplessità: "No... lui come Tan Tan...".

Scese dal letto e si avvicinò dolcemente alla figura dormiente di Liam. Quest'ultimo era coricato sul fianco sinistro, con le braccia strette al petto. Aveva un sorriso sulle labbra e ciò provocò una smorfia piacevole anche nel cinese.

"Anche lui migliore amico... ma non so... confuso... sono confuso...", rifletté nel pensiero.

Sentì una mano calda afferrare il suo polso e la paura lo fece sobbalzare: tentò di strattonarsi ma vene tirato con foga fra le braccia forti di qualcuno. Un paio di occhi miele lo stavano guardando attentamente ma colmi di dolcezza.

-Alex...- biascicò il biondo, sottovoce: -Scusa... io no svegliarti...-.

L'altro non disse nulla: iniziò a cullarlo dolcemente, dondolandolo avanti e indietro, guardando la pioggia battente contro il vetro della camera. La sua espressione era indecifrabile ma Liu poté sentire una grande tristezza crescente.

-Liu...- lo chiamò sottovoce: -Ho fatto un sogno... molto, molto strano-.
Il biondo lo guardò incuriosito e sbatté semplicemente le palpebre, rivelando occhi azzurri scintillanti di lacrime incomprensibili. Annuì e si raggomitolò a pallina, affondando il capo nell'incavo del collo dell'amico.

-Non so se ti è capitato anche a te ma...- sostenne stancamente Alex: -E' da quando sono qui che ho strane sensazioni, vagamente familiari. Io ho sognato qualcuno giocare con me, da piccolo... solo che, io non saprei dire se fosse realtà o illusione-.

-Non sei il solo, credimi- interruppe flebilmente la voce assonnata di Liam.

-Abbiamo avuto la tua stessa reazione, sia di giorno sia di notte- completò Haruhiko: -E' qualcosa che avviene solo tra noi quattro e nessun altro-.

-Maestro Sen- aggiunse Liu: -Io con lui-.

Liam ridusse gli occhi a due fessure e iniziò a strofinarsi il mento, con fare perplesso.

-Sì... ora che mi ci fai pensare, anche con il sensei è la stessa cosa- disse: -Il punto è... perché? Abbiamo residui di una memoria dimenticata?-.

-Secondo un insegnamento di mio padre- spiegò il serio Haru: -Quando una persona muore, il suo spirito vaga affinché non trova il corpo di un bambino in procinto di nascere. Nello stesso momento del parto, egli avvolge il piccolo corpo ospite, rilasciando una memoria perduta-.

-Accidenti che filosofico- schernì Alex, tornando serio: -Dici che, forse, noi eravamo qualcos'altro, in un'altra vita? E lo ricordiamo vagamente?-.

-Non saprei dirlo con certezza- ammise cupo il giapponese: -Però, credo che è proprio ciò che mio padre tentava di farmi comprendere-.

Nello scroscio esterno della pioggia, un piccolo gemito da parte di Liam catturò l'attenzione dei presenti. Quest'ultimo cominciò a mostrare un'espressione addolorata, palpandosi il braccio con la vecchia cicatrice.
Ansimò in un crescendo, stringendo le ginocchia al petto. Piagnucolò al forte bruciore che percepì e piccole lacrime rigarono le sue guance.

-LIAM!- scattò Haruhiko: -Che succede?-.

-La mia... vecchia ferita...- articolò l'altro, nel dolore: -Non so perché mi faccia così male... sembra quasi essere viva...!-.

Liu osservò il suo amico nel dolore e si accigliò: mosse rapidamente le iridi con fare pensieroso e una piccola idea gli balzò nella mente. Saltò al fianco di Liam e gli afferrò il braccio malandato, guardandolo attentamente.

-Che vuoi fare?- chiese un basito Haruhiko, con occhi spalancati.

Il cinese non rispose ma si limitò ad applicare una pressione costante sulla vecchia cicatrice calda e gonfia: raggiunse l'armadio e afferrò un minuto zainetto bianco, prestatogli da Haruhiko. Rovistò fra i suoi vecchi vestiti e ritornò in possesso di una foglia longilinea.

-Foglia Kua- spiegò: -Dolore va via-.

Iniziò a strofinare il piccolo vegetale contro la zona dolorante, con un po' d'acqua fresca. Lentamente, Liam sentì il dolore lasciarlo in pace. Debolmente sorrise e strinse la sua fascia viola nel pugno destro, sperando di trovar lì la fonte del suo coraggio.

-Dammi- indicò Liu, rivolgendosi alla mascherina: -Per favore-.

-Ok...- articolò l'australiano, porgendogliela.

Con grande bravura, l'avvolse sulla foglia, proprio intorno alla cicatrice, completando il tutto con un abbraccio felice. Liam ridacchiò e gli strofinò il naso contro il suo, con immensa gratitudine; improvvisamente, però, qualcosa di strano accadde...

-Molto bene, davvero molto bene, figliolo. Dimostri davvero una spiccata intelligenza!-.
-Grazie, padre! E potrò usare le mie creazioni per aiutare gli altri?-.
-Anche se talvolta avrai dei dispiaceri, sì... però è necessario aiutare prima la famiglia-.
-Sì! Ho capito, papà! Adesso vado a occuparmi di Mikey!-.
-Non dimenticarti degli altri!-...

-LIAM!-.
"Non dimenticarmi degli altri..."...
-RISPONDICI!-.
"Usare le mie creazioni..."...
Un doloroso schiaffo si abbatté sulla guancia del povero Liam, il quale si riprese immediatamente. Spalancò gli occhi fissando quelli preoccupati di Liu, ancora nella posizione della sberla tirata.

-Che ti è preso?- chiese accigliato Alex: -Sembravi in catalessi!-.

Liam preferì tirarsi Liu in un abbraccio e tenne lo sguardo cupo; lentamente, iniziò a raccontare della sua visione non nitida. Aveva intravisto una figura non molto alta con un abito castano su una sorte di maglione grigio... così, almeno credeva.
Poi aveva riconosciuto qualcosa di sconcertante... c'era un bambino che possedeva quasi la sua stessa voce... aveva qualcosa di viola che gli copriva metà cranio, lasciando scoperte le guance. 

Grandi occhi nocciola brillavano di gioia... su un corpo piccolo e... verde? 

-Davvero insolito- commentò Haruhiko, appoggiandogli la mano sulla spalla: -Dici che... probabilmente, quel bimbo eri tu? Magari, nella tua vita precedente?-.

Liam sospirò: -Non te lo saprei dire... però, ho acquisito una traccia che userò come studio delle nostre strane sensazioni-.
-E quale sarebbe?- aggiunse un curioso Alex.

-Beh...- rispose l'australiano, sorridendo appena: -Ho chiaramente sentito "Mikey". Ora non so cosa possa significare questo nome ma... posso solo azzardare che appartenga a qualcuno... che faceva parte della mia vita alternativa-.

-Mikey?- gracchiò Liu, scattando come una molla.

-Sì- concordò basito Liam, cercando di rilassarlo con delle carezze sui capelli: -Ti dice nulla questo nome, piccolo?-.

-Non so- rispose l'altro, sbadigliando.

-Credo sia ora di dormire- ridacchiò Haruhiko: -Ho sentito dire in giro che inizieranno ad addestrarci a combattere... e pretendono il massimo della forma-.

-Davvero?- ghignò Alex, rientrando nel suo letto: -Beh, allora credo proprio che una sonora scazzottata l'assaggeranno dal sottoscritto! Sono pur sempre un pugile... non in carriera!-.

-Io sto a posto per combattere- sorrise Haru, affondando la testa sul cuscino: -Sono addestrato alle arti marziali sin da bambino. E tu, Liam?-.

Anche quest'ultimo era già coricato: -Beh... malgrado non abbia mai apprezzato la violenza, direi che qualche pugno ben assestato sia materia quotidiana per me. E tu, Liu?-.

-Tan Tan insegnato a usare artigli, denti e corpo!- spiegò confusamente: -Pugni, calci e...-.

La sua voce si spense, lasciando spazio a un morbido respiro: Liu era già nel mondo dei sogni... i tre sedicenni sorrisero dolcemente alla sua vista e si scambiarono degli sguardi pacifici. Chiusero gli occhi e la loro mente li trasportò nel mondo dei sogni...

**************************************

L'aria era sempre più fredda. Il cielo era molto scuro e sebbene sembrasse ancora notte fonda, una profonda campana risuonò in lontananza, ma proveniente sempre dal Berlino 18. Erano le 06:00 e questo significava abbandonare il calduccio del letto per cominciare la tanto temuta "prima" lezione di addestramento "speciale". In fretta, passi veloci di già svegli Maestri cominciarono a svegliare tutte le reclute, con un forte ordine gridato, poco gradito a orecchie abituate al silenzio.

Liu non ne avrebbe avuto bisogno, però. Lui era già sveglio da circa un quarto d'ora. Aveva avuto un sonno molto tranquillo, ma c'era qualcosa nella sua mente che non accennava a lasciarlo in pace. Il nome "Mikey" lo aveva profondamente scombussolato. Seduto sul suo letto, egli abbracciò le ginocchia al petto, muovendo appena le dita dei piedi. Guardò la finestra: fiocchi di candida neve stavano cadendo dolcemente sul creato.

"Io Liu. Perché pensare Mikey?", pensò con le poche parole che conosceva: "Io scoprire. Io sapere!".

Ci fu uno sbadiglio proveniente da Haruhiko, il quale si mise a sedere sul letto: -Buongiorno, piccolo. Ti sei svegliato prima?- sussurrò.

-Sì- rispose l'altro, sorridendo: -Caviglia non male. Svegliamo anche altri? Sentire passi che vengono! Dopo noi tutti combattere... io sono pronto per vendetta!-.

Haru ridacchiò e scendendo dal letto, si diresse verso Liam, il quale borbottò qualcosa d'incomprensibile, girandosi dall'altro lato. Liu, al contrario, utilizzò un modo del tutto particolare per svegliare Alex. Inclinando il capo, spiccò un lungo balzo atterrando dolcemente sul letto dell'amico focoso, avvicinando il suo viso al suo.

-Alex, no nanna!- gli disse, a bassa voce; l'altro non si mosse e continuò a russare in sottofondo: -Alex, svegliati!-.

Haru e Liam già stavano ridendo... quando il francese riaprì gli occhi lanciò un grido impaurito. I canini affilati di Liu lo avevano spaventato a tal punto che era balzato via dal letto. Il cinese si beccò un cuscino in faccia e iniziò a ridere, imitando gli altri due ragazzi, in lacrime di felicità. L'unico a non gradire il "dolce risveglio" fu Alex, il quale ringhiò, strofinandosi una mano tra i capelli.

-Bello quando tu arrabbi, Raph!- esclamò Liu, bloccandosi di colpo, come tutti gli altri; guardò un basito Alex: -Raph? Che significare?-.

Sconcertati al massimo, i ragazzi sedicenni non seppero cosa rispondere. Il più sconvolto, però, era proprio Alex, caduto pesantemente seduto sul letto, con Liu al suo fianco. Nella sua mente c'erano delle strane immagini confuse che non riusciva a distinguere: senza indugiare, chiuse gli occhi e con i pugni serrati sulle cosce, iniziò a concentrarsi, varcando quello che assomigliò a una sorte di nero tunnel con una luce bianchissima finale...

-Maestro, perché! Perché Mikey deve averla sempre vinta! Io non ho fatto niente!-.
-Calmati, bambino mio, va tutto bene. E' necessario solo capire alcune cose-.
-NO! Io sono più grande e lui deve fare le cose che dico io!-.
-Quando sarai più grande, capirai davvero cosa significhi essere un fratello maggiore, figlio mio-...

-CAVOLO!- urlò il francese, scattando dalla sua momentanea e breve trance: -Non ci crederete, ragazzi! Ho appena avuto una visione! Non ne sono sicuro, ma sembrava un piccolo bambino verde con una maschera rossa sulla testa... e... che sembrava arrabbiato!-.

-Forse... forse cominciamo a ricordare- ipotizzò Liam, ripensando anche alla sua di visione: -Anche se mi sembra ancora così irreale. Voglio dire... possibile che in un'altra vita eravamo... non so, verdi?-.

-Probabile- aggiunse Haruhiko: -Dovremo controllare i nostri alberi genealogici. Ho sentito dire che Berlino 18 raccoglie una vasta biblioteca su quasi tutti i nomi e generazioni mondiali. Lì solo troveremo le rispose che cerchiamo e...-.

Haru non terminò la frase: bussarono due volte e non appena la porta si aprì, Nat rivelò la sua presenza. Con quella maschera sul volto, lasciò la maniglia e si mise a braccia conserte, osservando "forse" divertito Alex che abbracciava Liu, con fare fraterno.

-Oggi s’inizia diversamente dal solito. Lavatevi, fate colazione e raggiungeteci immediatamente nella Foresta Bianca- e detto ciò, se ne andò...

**************************************

Dopo circa un altro quarto d'ora, i nostri amici si ritrovarono quasi ammassati in un'immensa folla di studenti dinanzi a un cancello di ferro, il quale sboccava su una sterminata distesa di uno strano candido di neve fresca e alberi, sino all'orizzonte. Nat e alcuni Maestri erano accanto all'entrata, visionando ogni singolo studente.

-Molto bene. Questo è l'accesso alla Foresta Bianca. Qui il silenzio è d'obbligo come la collaborazione. Vi smisterete in un gruppo da quattro- spiegò Nat: -Affronterete vari ostacoli e dovrete battervi solo con il vostro corpo. La meta da raggiungere è un Berlino X, una costruzione imponente, che troverete a circa quattro km da qui-.

-Cosa? Quattro chilometri a piedi?!- ripeté attonito un ragazzo ben in carne: -Ci mancava solo questa! Io ho mangiato da poco e ho lo stomaco pieno... diamine!-.

-Silenzio- tuonò un Maestro, aprendo il cancello: -Il tempo cambia spesso, a causa dello spostamento longitudinale terrestre. Sbrigatevi-.

Tutti i ragazzi si guardarono attentamente: Haru, Alex, Liam e Liu sapevano che avrebbero affrontato insieme l'insidiosa battaglia che li attendeva...

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** L'Arte del Combattimento (Parte II) ***


Tutti gli allievi del Berlino 18 erano lì, fermi a osservare il bianco panorama silenzioso della Foresta Alta. Lì, stagliate contro un cielo nuvoloso, le tetre cime degli abeti danzavano nel vento gelido invernale. Haru, Alex, Liam e Liu erano decisi a raggiungere Berlino X, la meta distante di circa quattro km. Loro confidavano ampiamente nelle loro caratteristiche e credevano nella collaborazione di una squadra. 

La cosa buona era che Adolf e i suoi scagnozzi non li avevano infastiditi da un bel po'. Forse, avevano imparato la lezione. La guardia, però, era sempre alzata per ogni evenienza. Ragazzacci come quelli era meglio tenerli a distanza. Soprattutto Alex desiderava ardentemente spaccare la faccia di quell'irritante biondo tedesco, in modo che la smettesse di spargere false voci sul conto di Liu.

-Bene- mormorò Liam, rabbrividendo al freddo della mattinata non più buia: -Spero solo che il tempo non cambi davvero troppo velocemente! Sinceramente, non vorrei proprio ritrovarmi immerso in una tormenta di neve. Io odio l'inverno. Preferisco i tramonti e l'estate!-.

-Beh, se tu vivresti in Giappone, saresti ugualmente costretto a patire un freddo cane- spiegò un sorridente Haruhiko: -E se non sbaglio, neppure in Francia si scherza, giusto?-.

-Sì, ma niente di così intenso come qui- bofonchiò Alex, ascoltando uno sparo di una pistola proveniente da uno dei Maestri: -Credo sia l'ora di andare! Muoviamoci perché non ho alcuna intenzione di arrivare per ultimo-.

E tutti quanti lasciarono Berlino 18, mentre la dolce figura di Sen s’instaurò accanto a quella di Nat, fermo accanto al cancello e perso nella rocambolesca corsa di quei ragazzi. L'anziano uomo gli poggiò una mano sulla spalla e inghiottì un po' di tensione legata a un pessimo presentimento. Nat gli rivolse lo sguardo, attraverso la maschera e si mise ben in ascolto.

-Abbiamo un problema, Nat. Mi piacerebbe discuterne con te- ammise Sen, per lo più in sottofondo: -Per favore, seguimi-.

L'altro annuì e non obiettò nulla in contrario. I due camminarono verso il corridoio di pietra, raggiungendo, poi, un bivio. Nat e Sen svoltarono sulla destra, avvertendo il pavimento farsi in pendenza. Sulle mura abrasive sorgevano vari tizzoni ardenti che irradiavano delle fiamme rosse, in grado di uccidere le tenebre. Si udirono piccoli zampilli di gocce d'acqua gocciolanti chissà da dove e sprofondati in piccole pozze sul pavimento incrinato dal tempo.

Raggiunsero un portone arcuato di legno scuro liscio. Quasi come nell'età medievale, Sen afferrò una chiave dal suo kimono e la infilò nella serratura oscura. Con tre mandate in senso antiorario, uno scatto anticipò lo sblocco della serratura. Nat spinse internamente una delle ante del portone e un buio pesto si mostrò a volto certo.

-Entriamo- intimò.

Nat annuì e insieme varcarono quella raccapricciante oscurità, mentre il portone si chiuse alle loro spalle, con un cigolio e un tonfo riverberati. I loro passi battevano su un duro pavimento di pietra e quando la mano di Sen si poggiò sul petto di Nat, egli intuì che avrebbe dovuto fermarsi. Udì la mano del maestro strusciare sul muro e un piccolo scatto anticipò un fascio di luce verdastra, la quale evidenziò una larga stanza di pietra, dalle mura cilindriche. 

In un'alta colonna di pietra grigia, ma sfumata di verde, sorgeva un altarino cilindrico di pietra, con alcune vecchie incisioni in cinese e giapponese, miste tra loro. Un dragone dalle fauci spalancate avvolgeva le sue spire in rilievo intorno al gambo, mentre sul piano rotondo capeggiava un enorme librone, dalle pagine ingiallite e deteriorate.

-Questa è la Camera Segreta. In questo posto si riuniscono tutti i membri più importanti di Berlino 18, quando si è vicini a catastrofi naturali. Vieni, Nat- spiegò Sen, avvicinandosi al librone.

I due osservarono le numerose iscrizioni in cinese e vari schizzi d’inchiostro di china mostravano fulmini che si abbattevano violentemente su antiche città Maya e non. Grosse inondazioni distruggevano raccolti e Paesi. Vari planetari mostravano i cinque continenti affondati. Nat osservava il tutto con un cipiglio di preoccupazione.

-Come hai potuto notare, questo libro appartiene a un antico druido maya, morto un millennio fa, proprio dove oggi sorge Berlino 18. Era un veggente e ha potuto scrivere questo linguaggio misto fra il giapponese, cinese e indiano grazie alle sue premonizioni sulla distruzione del pianeta- rivelò Sen: -Il mondo sta già cambiando. Otto vulcani sopiti su dieci hanno già eruttato, causando il panico generale. Ma quello che voglio mostrarti è questo-.

Sen chiuse il polveroso librone, mostrando un incavo segreto nel piano dell'altarino. C'era un contenitore di vetro infrangibile che mostrava un frammento di meteorite plutonico, grande quando un pugno. Era verde smeraldo, con strie grigie e bluastre. Nat guardò mentre la sua mente iniziò a riempirsi di domande.

-Secondo i nostri studi, non c'è modo di fermare la distruzione del pianeta perché il problema sorge dal nucleo della Terra. Questo frammento di meteorite sta emanando forti radiazioni, schermate completamente da questo speciale involucro- proseguì un mesto Sen: -In qualche modo, l'attività magmatica del nucleo si è intensificata abnormemente, corrodendo gli strati vari della crosta terrestre-.

-Questo è terribile! E' anche peggio di quello che avessimo immaginato!- esclamò Nat, basito come non mai: -Come facciamo, ora? Tutti questi ragazzi si aspettano di combattere una possibile minaccia aliena inesistente!-.

-Lo so, lo so- ammonì Sen, deglutendo: -Questo frammento potrebbe, però, creare un campo gravitazione intenso abbastanza da far diminuire la pressione del nucleo. Le molecole di cui è fatto sono a noi sconosciute ed entrando in contatto con il magma potrebbe ristabilire l'ordine sconvolto del pianeta. Siamo entrati in possesso di queste informazioni grazie a vari studi di centinaia di anni di generazioni di Berlino 18-.

-Allora...- squittì Nat: -Allora c'è ancora una speranza?!-.

-Sì. Il problema, però, è che non c'è alcun modo per raggiungere il nucleo della Terra- proseguì Sen, con le mani dietro la schiena: -Non sappiamo se ci sono punti che permetterebbero di lasciare che questo frammento di meteora si fonderebbe con il magma. Inoltre, il pianeta potrebbe autodistruggersi esattamente il 21 dicembre-.

-Dannazione!- sbottò Nat, perdendo la pazienza: -Questo è davvero un problema gravissimo. Signore, perché lei confida tanto in quei quattro ragazzi e me?-.

Sen sorrise: -Perché loro potrebbero aiutarci. Scoprire almeno un luogo che conduca più o meno nelle profondità della Terra dipende da voi. Siete gli unici che potete riuscirci-.

-Perché, signore?-.

-Percepisco qualcosa di estremamente particolare in Haruhiko, Alex, Liam e Liu. E tu non sei da meno- spiegò ancora Sen: -Adesso, ti chiederei di seguirli nella loro missione. Per favore, non dire nulla di tutto ciò-.

-Sì, maestro- e Nat, dopo un inchino, svanì, lasciando da solo Sen.

-Ho bisogno di Liu e gli altri per leggere queste antiche trascrizioni. Potrebbero essere la chiave delle nostre domande- mormorò Sen, continuando a sfogliare il librone...

**************************************

Contemporaneamente e all'oscuro di tutto, i nostri amici stavano correndo fra la neve, ignorando i muscoli bollenti a causa dell'eccessiva produzione di acido lattico. I loro respiri accelerati erano tramutati in bianche nuvolette, ma faticavano soprattutto a tenere il passo con un Liu che si divertiva piuttosto a osservare il panorama circostante. Ammirava la neve che cadeva dai rami, posandosi in piccoli cumoletti sul terreno. Era, inoltre, davvero velocissimo nella corsa.

-Accidenti... quanto... *anf*... corre!- esclamò un Alex con il fiatone: -E meno male che... *anf* era infortunato...!-.

-Beh, almeno non si lamenta per il dolore, no? E sta usando le scarpe!- costatò allegramente un Liam dalle guance arrossate; improvvisamente si voltò verso un Haru rimasto un po' indietro: -Ehi, Haruhiko! Che succede?-.

Il terreno morbido era in salita e ascoltando i richiami di Liam, sia Alex sia Liu ritornarono verso il giapponese carponi sulla neve. Il suo respiro era accelerato sin troppo e perle di sudore si staccavano dal suo volto arrossato. Liam gli si inginocchiò accanto e lo studiò attentamente, cercando di capire il problema.

-Fratellone- chiamò Liu, abbracciandolo: -Che hai?-.

Haru sorrise ma tornò nel suo dolore, iniziando ad ansimare violentemente; tossì più e più volte, portandosi una mano sul petto. Gocce di lacrime si gonfiarono agli angoli dei suoi occhi e ciò spaventò gli altri tre. Che cosa stava accadendo? Loro non lo sapevano. Haru si mordicchiò il labbro per evitare di gridare al dolore lancinante al centro del suo torace. 

-Oh, no...!- sibilò, poi, Liam, con una mano sulla bocca: -Accidenti! Accidenti!-.

-Sputa il rospo, Liam! Che sta succedendo con Haruhiko?- ringhiò Alex, mentre teneva il giapponese in un abbraccio confortante.

-Lui... l... lui è...- balbettò nervosamente.

-Io... io sono malato di cuore...- lo anticipò debolmente Haru, continuando a stringersi il petto nel dolore puro: -Mi dispiace... avrei dovuto dirvelo... Lo sono da quando... sono nato-.

-Che cosa?!- esclamò Alex, visibilmente dispiaciuto per una simile malattia: -E... non hai delle medicine con te o qualcosa del genere?-.

-Qui no... purtroppo, non me le hanno fatte portare perché pensavano fosse droga- spiegò Haru, mentre Liam iniziò a massaggiargli la schiena, per aiutarlo a respirare lentamente ma profondamente: -G... grazie, Liam-.

-Maledetti- ringhiò Liu, con uno sguardo di puro odio; senza dir nulla si alzò e iniziò ad annusare l'aria circostante, allontanandosi verso un vicino cespuglio spoglio.

Haru inspirò profondamente, tossendo ancora, ma con l'aiuto di Liam, il suo cuore smise di dolore. Si strofinò le lacrime di paura e Alex gli porse un fazzoletto. Successivamente se lo caricò sulle spalle, sperando che il respiro tornasse normale. Intravidero la bionda chioma di Liu che tornava dalla sua brevissima escursione, con un’espressione ancora molto triste.

-Come va, fratellone?- chiese, ripetendo ancora quella parola.

-Mi piace… sentirti pronunciare quel nome…- sorrise debolmente Haru: -Ora sto bene… mi sono solo spinto troppo…- spiegò.

-Bene. Allora, se non vi spiace, proporrei di proseguire- cambiò discorso Liam, tenendo lo sguardo puntato al cielo: -Il tempo sta cambiando e non è un bene! Potremmo facilmente ritrovarci bloccati in qualche tormenta o peggio-.

Gli altri tre capirono il problema e si rimisero in cammino. Alex non mostrava assolutamente la fatica che attanagliava il suo corpo. Voleva dimostrare di poter essere un valido aiutante per il suo migliore amico giapponese, il cui volto mostrava solo la stanchezza. 

La neve stancava facilmente i muscoli delle gambe ma a nessuno importava: i quattro desideravano solo raggiungere la biblioteca e trovare gli alberi genealogici delle loro famiglie. Desideravano sapere assolutamente cosa celassero quelle visioni.

Camminarono a lungo, incuranti di strani scricchiolii sinistri provenienti dal terreno. Liu osservava costantemente l’orizzonte, senza dire una singola parola. Liam, invece, teneva lo sguardo puntato su Haru, monitorando il suo respiro. Si sentiva proprio un giovane dottore. 

Eppure, qualcosa di strano accadde. I ragazzi non avevano idea che sotto la neve fresca vi era un sottile strato di terreno molle. Non appena misero piede su uno spesso cumolo di nevischio, il tempo prese a scorrere molto lentamente. Sotto ai loro piedi ci fu una sospensione: la paura li avvolse e non potendo neppure evitare di gridare, sprofondarono in una profonda gola nel terreno, lasciando solo le loro orme fresche…

**************************************

Nat stava già correndo rapidamente nella Foresta Bianca per cercare di raggiungere immediatamente i quattro ragazzi. Quello che non sapeva era la pista da seguire. La Foresta era davvero immensa ed era facile perdersi. Egli non demordeva, comunque: doveva obbedire all’ordine impostogli da Sen. 

Saltò un ramo bloccato nella neve con un rapido balzo e proseguì: con la testa carica di pensieri si ritrovò con la guardia abbassata e ciò segnò un punto a suo sfavore, purtroppo. Non si accorse di qualcosa di estremamente veloce che si abbatté sulla sua maschera. Nat cadde prono in terra, grugnendo al dolore.

-Che cosa ci fai qui?!- ringhiò una voce divertita: -Il piccolo leccapiedi di Sen ci controlla, forse?-.

Nat osservò il ragazzo dinanzi a lui: -Approfittare di una distrazione. Tipico di te, Adolf. Credevo che ti fossi stufato di infastidirci. A quanto pare, mi sbagliavo- e si rialzò.

-La tua lingua è anche troppo lunga. Ci penserò ad annodartela personalmente, ma vorrei solo sapere cosa nascondi sotto quella maschera- sfidò nuovamente Adolf, già in possesso di un kunai metallico: -Con questo che ho gentilmente “preso in prestito” da Sen, qualche giorno fa-.

-Non sai come adoperarlo, ti consiglio di metterlo giù!- intimò Nat, sentendosi improvvisamente arrabbiato.

-Perché, tu sì forse?- schernì Adolf, caricando la mano oltre la testa e correndo verso di lui: -Preparati, razza di strano essere mascherato! Pagherai per le figure pessime che ho patito per causa tua e dei tuoi quattro stupidi amichetti!-. 

L’obiettivo di Nat non era certamente la lotta, anzi: lui doveva semplicemente riprendersi l’arma di Sen e “dare un fuoriprogramma” a quello di stupidone di Adolf. Evitò il fendente con una rapida inclinazione del capo, a sinistra e impugnò abilmente la lama dell’arma nel pugno destro. Sogghignò e sfoderò una micidiale ginocchiata nello stomaco dell’altro, arrotolandogli il braccio con il kunai dietro la schiena, innaturalmente.

Adolf urlò per la frustrazione di essere nuovamente battuto e per evitare di ritrovarsi con un braccio spezzato, gettò l’arma sulla neve, piegandosi sulle ginocchia. Ansimò, massaggiandosi l’arto strattonato mentre Nat non disse nulla e riprese il kunai, rimanendo di spalle.

-D… dannazione- imprecò il tedesco, guardando l’altro: -P… perché… perché diavolo non riesco a vendicarmi di tutti voi!-.

Si rialzò ma Nat lo stordì con un veloce pugno dato con il dorso sul setto nasale. Non appena Adolf cadde duramente sulla neve, egli svanì, avendo intravisto una strana macchia nera nella neve fresca.

-M… maledetto Berlino 18…- rantolò il tedesco, avvertendo gli occhi sempre più pesanti…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** L'Arte del Combattimento (Parte III) ***


-Molto bene, figlio mio. I tuoi kata sono sempre più perfezionati!-.
-Grazie, sensei! Detto da te è un onore!-.
-Non esageriamo, mio piccolo Leonardo. Adesso, per favore, aiuta anche tuo fratello Donatello-.
-Sì, padre!-…

Gli irresistibili occhi ramati di Haruhiko si spalancarono all’istante, increduli. Con il respiro pesante e la mano poggiata all’altezza del cuore, stentava a crederci a cosa aveva chiaramente visto, ora. Un topo umanoide con un kimono castano e dolci occhi castani. Una piccola tartarughina verde con tre dita per mano e due per piede, con una spada di legno nella mano destra e una fascia azzurra sul cranio.

Il petto sparò un forte dolore non appena provò a rimettersi seduto. Si guardò intorno: era finito in una buia grotta, dove non si vedeva a un palmo dal naso. C’era un piccolo laghetto gelido che emanava un alone azzurrato, riflettente a causa di sedimenti di cristalli nell’acqua. 

-Ragazzi?- chiamò un po’ spaventato: -Dove siete? Rispondete, vi prego!-.

L’udito fine captò un gemito proveniente alla sinistra di Haru, il quale si mise in piedi, barcollando appena. Avvertì un bruciore alla mano e osservò: sul palmo di quella destra capeggiava un profondo solco fresco e insanguinato. Probabilmente doveva essersi raschiato cercando di attutire la caduta. 

-Haruhiko…- chiamò debolmente una voce sin troppo familiare.

Il giovane corse a vedere e vagando quasi alla cieca, proseguì aiutandosi con l’altra mano sulle pareti incurve, piuttosto abrasive. Il soffitto era basso e convesso: era quasi difficile rimanere perfettamente eretti perché si rischiava di battere la testa. Il giapponese intravide un’ombra afflosciata in terra e riconobbe Liam dallo sguardo nocciola profondamente triste.

-LIAM!- urlò, correndo e cercando di non inciampare nelle cunette sul terreno duro: -Sto arrivando!-.

S’inginocchiò accanto all’amico che si stringeva la vecchia cicatrice sul braccio e senza pensarci, lo avvolse in un abbraccio confortante. Lo cullò, sperando che la tensione che irrigidiva il suo corpo lo avrebbe lasciato in pace. Liam inghiottì la paura e indicò un Liu che tentava di risvegliare Alex, prono sul pavimento.

-Come stai?- chiese Liam, ora in piedi: -Il mio braccio duole, ma solo per la cicatrice. Liu sta a posto, un po’ stordito e quel taglio sul volto. Ma Alex… lui non si sveglia!-.

Haru ebbe un battito mancante e con il suo amico si avvicinò agli ultimi due. Liam si ricordò di avere una piccola scatola di fiammiferi nella tasca, da usare per ogni evenienza. Il suo piede urtò qualcosa e raccogliendolo tastò la riconoscibile abrasione del legno. Sorrise e quando accese la fiamma rossa del cerino, utilizzò il ramo per creare un focolaio.

Alex, che giaceva fra le braccia di Liu, aveva un profondo taglio sanguinante sulla fronte. I suoi occhi erano dannatamente chiusi e non c’era verso di farlo svegliare. I tre ragazzi si mordicchiarono rabbiosamente le labbra, ma qualcosa li fece immediatamente sobbalzare. 

La terra tremò rabbiosamente sotto i loro piedi, tanto che né Haru né Liam riuscirono a restare in equilibrio; caddero sul suolo, mentre i detriti provenienti dal soffitto creò un sottile velo di polvere sui loro capelli e spalle. Liu mostrò la sua paura, ma strinse maggiormente Alex, cercando di dimostrarsi impassibile. Haru gemette al dolore al cuore, intensificato dalla forte paura che stava provando.

-T… terremoto!- balbettò incredulo Liam, con gli occhi sbarrati: -Purtroppo il pianeta sta cambiando, ragazzi… il 21 dicembre non è più lontano…-.

**************************************

-Leonardo, Raphael, Donatello e Michelangelo, sono orgoglioso di voi!-.
-Grazie, maestro Splinter!-.
-E adesso, ho bisogno del vostro aiuto per trovare nuovi materiali per la tana distrutta dal terremoto-.
-D’accordo! Andiamo nelle fognature, giusto?-.
-Certo figlioli. Ricordate di starmi sempre vicino, siete ancora piccoli, dopotutto!-.
-Sensei, abbiamo cinque anni, siamo grandi, ormai!-.
-Tu dici, Raphael? Eh! Eh!-.

Tubi metallici, acque stagnanti, pareti ramate…

-Come sono grandi le fogne!-.
-Hai ragione, Raphael. Donatello, tieni per man Michelangelo. Sai che lui si distrae-.
-Sì, papà! Mikey ha pur sempre tre anni!-.
-No piccolo io-.
-Come no-.

-Raphael, smettila di infastidire tuo fratello Michelangelo-.
-Sì, maestro… uffa…!-.

Forte scossa di terremoto… gli spifferi spostano dei detriti… le urla, la paura.

-PAPA’!-.
-Leonardo, attento, figlio mio!-.

La trave… il dolore, lo schiamazzo, un gemito soffocato, il buio.

-LEONARDO, NO!-.
-PADRE! AIUTACI!-.

Una nuova trave: il crollo di numerosi mattoni… Il dolore, lo schiamazzo, la paura… la fine.

-Miei… bimbi… a… addio…-…

**************************************

-NO! NO! LEONARDO, DONATELLO, MICHELANGELO!- urlò Alex, tenendosi la testa.

Anche gli altri piagnucolavano al dolore intenso che martellava nelle loro povere teste sconvolte. Gocce di lacrime di dolore si gonfiarono agli angoli degli occhi, mentre un sordo rumore rimbombò alle loro spalle. Tranne Alex, i tre ragazzi osservarono completamente sconcertati una parete di grigia pietra, dove capeggiavano alcuni simboli sconosciuti.

-Cosa essere?- chiese Liu, mentre osservò Alex, le cui sopracciglia si mossero e i suoi occhi si chiusero: -Fratellone! Sei sveglio! Io felice!-.

Alex sorrise ma si massaggiò la testa: -Ch… che male… che cosa è…? HARUHIKO? LIAM?- gridò, poi.

-Siamo qui. Un po’ ammaccati- rispose il giapponese, massaggiandosi il petto: -Cerca di non muoverti, la tua testa è ferita. Inoltre…-.

-Ho fatto un sogno terribilmente vero. O forse, dovrei dire “visione”- interruppe il francese, mettendosi lentamente seduto: -C’erano quattro piccole tartarughe umanoidi, di circa cinque anni. Tranne uno con la bandana arancione. Lui aveva tre anni. Le altre maschere erano azzurre, viola e rosse e…-.

-E c’era un topo gigante che diceva di essere orgogliosi di loro- proseguì un basito Liam, inghiottendo lo stupore.

-Sino a quando non sono andati in… non so che posto fosse ed è giunta una scossa di terremoto che ha provocato un terribile crollo- continuò perfino Haruhiko, tenendo lo sguardo fisso sui suoi amici.

-E poi tutto dolore, urla e… morte- finì Liu, toccandosi la ferita sullo zigomo sinistro.

-Abbiamo chiaramente avuto la stessa visione- annuì Liam, massaggiandosi il mento: -Strano davvero. E… abbiamo altri nomi a disposizione. Se non ho già dimenticato, sarebbero: Leonardo, Donatello, Raphael, Michelangelo e…-.

-Splinter- completò un serissimo Haruhiko: -E’ questo il nome di quel topo. Non so… penso fosse il padre di quelle piccole tartarughe e anche il loro maestro-.

-Haru ha ragione- annuì Alex: -Sono morti, schiacciati da quei detriti. Pensate… che noi siamo le loro reincarnazioni?-.

-Se abbiamo queste visioni, sì. In qualche modo noi siamo quelle piccole tartarughe- ammise Liam, osservando quella parete, alle spalle di Alex: -Avete visto quei simboli?-.

I tre si alzarono, seguendo Liam, ma un gemito di Liu li allarmò. La gamba già precedentemente infortunata gli faceva male. Alex gli sfilò lo stivale e inorridì: un anello violaceo capeggiava intorno alla caviglia gonfia. La caduta gli aveva incrinato completamente l’osso, già compromesso.

-Puoi camminare?- gli chiese Haruhiko, già preoccupato e intenzionato a trovarsi una colpa da affibbiarsi.

Liu ci provò: ma barcollò e finì in terra. Alex ringhiò alla serie di sfortunati eventi e se lo caricò in spalla, dal momento che non avevano altri metodi per aiutarlo a camminare. Risolto apparentemente un problema, i ragazzi si avvicinarono a Liam, in possesso del loro piccolo fuoco come luce e guardarono i simboli.

-Che cosa sono?- chiese Alex, guardandoli attentamente.

-Non lo so. Non sono in grado di leggerli- rispose Liam, riducendo gli occhi a due fessure: -Somigliano, però, a dei disegni. Sembrano raffigurare… uhm… il Pianeta Terra-.

C’era una sorte di sfera con alcuni piccoli continenti: quello era davvero il nostro pianeta. A fianco, sulla destra, c’erano un vulcano in eruzione, un meteorite e una sorte di tsunami. Ma qualcos’altro catturò l’attenzione completa dei ragazzi. In basso a sinistra, difatti, vi erano raffigurati una tartaruga umanoide, un topo e un “ragazzino”.

-Avete visto?- chiese Liu, sconcertato: -Palla, acqua, tartaruga-.

-No, non è una palla, Liu- corresse dolcemente Liam: -Quello è il nostro pianeta- e lo toccò.

In quell’istante, si udì un rumore cigolante e la parete con i simboli cominciò a incavarsi nella roccia, con uno sgomento principale. Le pareti s’incrinarono e delle scale in discesa verde smeraldo divennero un proseguimento segreto. 

-Ehm…- ridacchiò nervosamente Liam: -A parte il fatto che tutto ciò è sin troppo strano, che ne dite di proseguire?-.

-Buona idea- e iniziarono a salire…

**************************************

I ragazzi proseguirono sino a quando raggiunsero la fine della lunga scalinata sulle cui mura brillavano alcuni tizzoni infuocati, accesi misteriosamente. Liu pensava fosse magia e affascinato da questo campo irreale, non poteva fare a meno di annusare l’aria, alla ricerca di qualcosa di strano. 

Giunsero dinanzi a una parete: i quattro si guardarono intorno, sperando che quella non fosse stata l’unica strada per proseguire. E invece, a differenza dei loro pensieri, su quel muro liscio e verdastro, quattro simboli scolpiti capeggiavano perfettamente nitidi.

-Magia!- disse Liu, puntando i simboli.

-Guarda che non esiste- brontolò Alex, con tanto di broncio: -Ma… guardare non ci costa nulla, dato che non arriveremo mai al Berlino X-.

-Hai ragione e ammetto che, nonostante tutto, mi sto divertendo a impersonare Sherlock Holmes!- ridacchiò Liam, il primo a fermarsi dinanzi alla parete: -Uhm… qui vedo solo quattro graffiti. Sembrano antichi-.

Haruhiko si avvicinò all’amico ma i suoi occhi si concentrarono sul primo simbolo, sulla sinistra. La sua mente elaborò vari disegni, ma solo uno bussò insistentemente nella sua mente. Lui sapeva bene a cosa somigliasse. Restrinse gli occhi e deglutì, cercando di calmarsi ancora.

-Un momento!- esclamò anche Alex, guardando il secondo simbolo dopo quello di Haru: -Io ho già visto questo disegno, ma nella realtà! Se non mi ricordo male, questo è un Pugnale Sai-.

-E questa è una Katana- completò Haruhiko: -Vedo, inoltre un…-.

-Un Bastone Bo. E’ un’arma ninja, assieme alle vostre, che si utilizzava per combattere. Anche a me è molto familiare. Credete che il mio antenato sapesse utilizzarlo?- chiese e ipotizzò Liam, osservato il terzo simbolo, partendo da sinistra.

-Io conoscere quello!- esclamò, infine, Liu, indicando l’ultimo disegno: -Quello chiamato Nunchaku. Me spiegato Tan Tan! Arma ninja!-.

-Interessante- mormorò Liam, lisciandosi il mento; spinto dalla curiosità appoggiò la mano sul mini Bo, mentre il suo indice si affondò in ciò che sembrò essere una sorte di meccanismo: -Cosa?!-.

Si udì solo uno scatto riverberato e nulla più. Senza chiedere, Haru premette sulla katana e di nuovo si udì uno scatto. Poi ancora, con Alex e Liu. A questo punto, la parete si squarciò in due, rivelando un tunnel dal suolo duro e grigio scuro, come il soffitto ma con le due pareti di cristallo trasparente. Davvero incredibile.

-Porte su porte- mormorò Alex, riducendo gli occhi a due fessure: -Ovviamente opto per proseguire. Magari scopriremo di più su tutto questo che ci sta accadendo, ragazzi-.

-Concordo- annuirono i tre ed entrarono nuovamente…

**************************************
-Questa è la cosa più pazza che abbia mai vissuto!- sbuffò Liam, un po’stufo di rivedersi costantemente riflesso nelle pareti di cristallo: -Insomma… siamo in posto simile a un riformatorio dove le cose strane accadono principalmente a noi quattro!-.

Non puoi farci nulla, questa è la vita…

Liam annuì: -Hai ragione, Haruhiko-.

L’altro, al suo fianco inclinò il capo, confuso: -Su cosa? Guarda che io non ho detto proprio nulla-.

-Vuoi scherzare? Ti ho appena sentito dire “non puoi farci nulla, questa è la vita”!- ribatté l’altro, un po’ arrabbiato: -Non posso avermelo sognato!-.

E infatti non l’hai sognato, stupidino. Ora, per piacere, voltatevi tutti e quattro!

-Ehm… sono l’unico, ora, ad aver sentito?- chiese timoroso Liam, sbattendo più volte la palpebra dell’occhio sinistro: -Vi prego… ditemi di no!-.

-L’abbiamo sentito anche noi- ringhiò Haruhiko, voltandosi verso la sua immagine riflessa: -C’è qualcuno o qualcosa qui…-.

Bravo, hai indovinato. Ma ti correggo: voi siete venuti perché noi vi abbiamo guidato.

-Fatevi vedere! ADESSO!- urlò adirato Alex, ma più che altro per nascondere tutta la sua paura per quelle strane voci calme e ironiche.

Calmati e guardati.

Il francese mostrò una faccia cattiva e fissò la sua immagine riflessa, la quale, strano ma vero, cambiò posizione, emozione e… parlò! Sì, proprio così!

-MAGIA!- sbottò Liu, fissando la sua immagine nelle pareti riflettenti: -Io avevo detto-.

No, non è magia, piccolo. E’ solo una prigionia per noi poveri spiriti. Siamo stati bloccati.

Lo spirito di Haru rimase impassibile, ma incrociò le braccia, sospirando gravemente. Il suo malumore contagiò anche gli altri.

Avete bisogno di risposte. Cominciamo dall’inizio, però.

-Perché dovremo fidarci?!- sbottò amaramente Liam: -Cosa vi fa credere che siamo disposti ad ascoltarvi.

Perché voi siete noi! Forse, è meglio che ci vediate realmente.

I quattro riflessi, lentamente, cominciarono a cambiare, assumendo un aspetto del tutto insolito ma perfettamente identico alle visioni dei nostri amici: le loro teste divennero verdi e calve, con delle bandane sugli occhi, colorate. Indossavano polsini, paragomiti, ginocchiere e armi… Sembravano proprio tartarughe ninja.

-V… voi s… siete…- balbettò un incredulo Liam, grugnendo al dolore della cicatrice.

La tartaruga dalla fascia viola e dal Bo lo osservò con i suoi occhi nocciola. Mostrò il braccio: su di esso capeggiava una cicatrice identica a quella di Liam. Inutile dire che per il giovane fu un colpo tremendo.

Capisci? Questa me la sono procurata da bambino, prima che morissi. Il mio nome è Donatello.

Haruhiko mostrò una smorfia di dolore quando il cuore iniziò a martellargli dolorosamente nel petto. Perle di sudore gocciolarono dalla sua fronte, inumidendo anche le punte dei capelli. La tartaruga con le doppie katana e la fascia azzurra lo guardò, poggiandosi una mano sul suo cuore.

Sì, io ero malato di cuore, Haruhiko. Il mio nome è Leonardo e ti ho mostrato alcuni ricordi, con quelle visioni.

La tartaruga che aveva una bandana arancione osservò Liu e mostrò la stessa gamba con una profonda cicatrice. Nei suoi occhi azzurri, si lesse una grande tristezza.

Eri destinato a procurartela, piccolo Liu. Io e te avremmo potuto avere la stessa età. Il mio nome è Michelangelo.

-I… io non capisco!- gemette Alex: -Noi eravamo fratelli, nel vostro mondo? Le nostre famiglie non sapevano nulla di questo? Sono confuso!-.

La tartaruga con la maschera rossa e i doppi Pugnali Sai sospirò, mettendosi a braccia conserte.

Il mio nome è Raphael.Tutti voi siete stati adottati. Nessuno di quelli con cui siete vissuti erano le vostre vere famiglie. Siete stati rapiti appena nati, da un ex-contrabbandiere, noto come “Il Kaiser”, ossia il padre defunto di Karl e Adolf Kastemberg.

-COSA?!- gridarono i quattro ragazzi, basiti.

Proprio così. Il vostro vero genitore, l’unico che avete, è proprio qui. E voi, anzi, Liu lo conosce bene.

Donatello sorrise e mostrò una quinta figura che si materializzò alla sua sinistra. Era un topo grigio e dagli occhi castani. Indossava un kimono castano e stringeva un bastone sotto le dita. Egli sorrise e assunse delle sembianze sin troppo familiari.

-IL MAESTRO SEN?!- urlarono all’unisono.

Il mio nome è Splinter, padre e maestro dei miei figlioli. Sono morto molti anni fa, ma come con i miei figli, una parte dei nostri spiriti e ricordi si è trasferito a voi e a Sen. Lui è vostro padre naturale: siete stati rapiti per un torto. “Il Kaiser”, ossia “Oda”, l’unico erede dell’ormai morto Foot Clan, figlio di Karai e Chaplin, nipote del mio acerrimo nemico Oruku Saki.

-Q… quindi siamo fratelli…- balbettò Liam, guardando i suoi amici: -Ecco perché mi sentivo come a casa, con tutti voi. Però… che diranno le nostre famiglie adottive?-.

Ora non avete tempo per pensarci. I graffiti che avete visto sul muro della prima porta mostravano cosa accadrà il 21 dicembre. C’è un solo modo per poter salvare il mondo. 

-E quale sarebbe?- chiese Liu, rivolto a Raphael, quello che aveva appena parlato.

Riunite i vostri spiriti a noi e vi aiuteremo a portare un importante meteorite nell’unico punto più vicino al nucleo. Vi prego, non potete rifiutarvi.

Liu osservò Leo, che aveva spiegato. Deglutì ma rimase nel dubbio profondo. Questo non avrebbe significato morire, giusto?

-Bene, bene! Conoscete la verità, adesso!- irruppe una voce grave, seguita dalle risa di un altro essere.

Oh, cavolo! Il Kaiser e i suoi figli!

C’era solo una soluzione, a questo punto… Raph, che aveva appena rivelato nell’esclamazione l’identità delle tre figure, spronava in una lotta per la sopravvivenza…

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** L'Arte del Combattimento (Parte IV) ***


A quanto pare, i nostri amici non sarebbero più ricorsi alla biblioteca per scoprire i rami delle loro famiglie. Avevano appena scoperto ogni cosa, soprattutto che erano fratelli e figli di Sen. Loro erano completamente sconcertati, ma ora avrebbero dovuto lottare contro il “Kaiser”, Karl e Adolf.

-Immagino vogliate sapere perché vi ho separati, mocciosi, giusto?- schernì il Kaiser: -Oh, raccontarvelo mi riempierà solo di gioia!-.

Il Kaiser indossava un lungo soprabito nocciola, slacciato sul davanti. Una tuta nera avvolgeva il suo corpo. Indossava dei guanti di pelle nera, stivali a metà polpaccio dello stesso colore e un medaglione al collo. Era una sorte di emblema rosso, raffigurante un piede a tre punte. Il simbolo del Foot Clan! 

Aveva dei neri capelli impomatati con un paio di occhi verde profondo; somigliava incredibilmente a sua madre, Karai. Sembrava intelligente come suo padre, Chaplin. E letale come suo nonno, Oroku Saki, morto congelato su un lontano asteroide. Le quattro tartarughe e Splinter ringhiarono inferocite.

Karl sogghignava mentre Adolf era del tutto impassibile.

-Maledetto!- ruggì Liu, ignorando la caviglia rotta: -Tu male a noi! Tu pagherai! Io uccidere te!-.

Con una fulminea corsa, si avventò sul Kaiser, il quale evitò un pugno al volto con una rapida schivata verso sinistra. Con il suo perfido sorriso quasi orientale, bloccò il polso di Liu e gli contrasse l’intero braccio dietro la schiena. Il cinese ringhiò ma il dolore alla caviglia fu letale.

NO! Non temere Liu! Libera la mente, adesso ti regalerò un po’ del mio “speciale ninjitsu”!

Michelangelo che aveva appena parlato, strinse i pugni e il suo ringhio si trasformò in un sorriso sornione. Congiunse i palmi e chiuse gli occhi. Le code della maschera e della sua bandana iniziarono a danzare su un vento invisibile, mentre il giovane Liu spalancò gli occhi, i quali brillarono di arancione, per un attimo.

Sentendo una simile forza nei suoi muscoli, non c’impiegò molto a liberarsi da quella dolorosa presa. Si servì di una testata al volto del Kaiser per stordirlo; successivamente gli afferrò il braccio e come un dondolo, lo catapultò oltre il suo corpo, in terra. Karl spalancò la bocca e Liu ridacchiò.

-Hai visto, idiota? Niente è impossibile per Michelangelo Hamato!- schernì lo stesso Liu.

Dovevi solo dargli un po’ del tuo ninjitsu, non anche i modi di dire e i pensieri!

Leonardo scosse il capo dopo quel piccolo rimprovero e Mikey ridacchiò, strofinandosi la nuca.

-Che cosa dire ho?- chiese confusamente Liu, scuotendo più volte la testa per comprendere il momento buio che lo aveva visto vincitore della contromossa del Kaiser, ora di nuovo in piedi.

-Sapevo che eravate la reincarnazione umana di quegli sgorbi che hanno tanto infastidito il Foot Clan, il regno di mio nonno- sputò adirato il Kaiser, strofinandosi il mento per cancellare il residuo di dolore: -Dopo quel terremoto, quei mutanti non morirono. Si salvarono e hanno cominciato a lottare per la giustizia. Ma un giorno, mia madre li ha tolti di mezzo, definitivamente!-.

-Sei solo un dannato senza onore!- urlò Haruhiko, probabilmente, preso dall’attimo di rabbia da parte di Leo: -Sono del tutto disgustato…-.

-Pensala come ti pare. Io mi sono vendicato su Sen, un amico maestro ninja di una donna chiamata April!- proseguì l’uomo, sfoderando dalla cintura nera sulla vita una coppia di affilati Sai, dai manici neri: -Dopo la morte di Splinter e di mio nonno, April proseguì i suoi allenamenti, diventando una kunoichi. Poi si sposò con un certo Casey Jones ed ebbero una figlia!-.

Quello che sta raccontando è vero, ragazzi. Figlioli, ugualmente, state attenti!

Il Kaiser ghignò stavolta, lasciando volteggiare i Sai nelle mani: -Ma il caso voglia che nel loro viaggio in Giappone, ci fossi io. Anche con loro avevo una vendetta incompiuta da parte di mio nonno e non potendo ucciderli personalmente, mi sono vendicato della bambina. La imbarcai su una nave, facendo perdere le tracce!-.

-Tu sei un male che discende da una famiglia che si è servita del sangue per usurpare e regnare!- ringhiò Liam, sotto l’influenza di Donatello: -Ma se noi siamo un po’ come tartarughe “umane” ninja, ti fermeremo, razza di vigliacco!-.

-E come?- schernì il Kaiser, scegliendo Alex come sua prossima vittima: -Preparatevi! Vi eliminerò definitivamente!-.

Karl pensò di approfittare del momento per scagliarsi su Liu, il “moccioso” che gli aveva fatto patire una pessima figura nella stazione di Potsam. Adolf, invece, scelse Liam come suo avversario. Haruhiko intervenne per Alex.

Ragazzi, non vi preoccupate. Adesso vi daremo un aiuto extra!

Tutte le quattro tartarughe imitarono la posa precedente che aveva mostrato Michelangelo per donare un po’ di ninjitsu e in breve, i quattro ragazzi si sentirono travolti da un tumulto di energia esplosiva e ricordi. Combatterono come abili ninja, ma fu soprattutto Alex ad agire secondo l’impulso della rabbia e dell’adrenalina.

Abbassò la testa per evitare un fendente al collo di quei Sai gemelli e si portò immediatamente alle spalle del Kaiser, colpendolo con un micidiale calcio al fondoschiena. L’altro gridò ma torse il busto e ne approfittò per infliggere un pesante taglio nel bicipite destro del suo avversario francese.

-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!- urlò Alex, mentre un fiume di sangue iniziò a colare rapidamente lungo la sua uniforme: -No… non mi arrenderò mai! Ho i miei fratelli da proteggere! Ed è mio compito essere il secondo in comando dopo Leo!-.

Accecato dalla rabbia saltò alle spalle del Kaiser, bloccandogli il collo con una stretta delle braccia; Haruhiko entrò in azione con un calcio rotante nei genitali. L’uomo si lasciò sfuggire un gemito mentre allentò la presa sui Sai, i quali caddero rumorosamente in terra. Senza neppure sapere perché, Alex si chinò e li raccolse, assumendo una posizione giusta per un ninja con queste armi.

Divaricò le gambe e posizionò le braccia quasi parallele allo sterno, a poca distanza. Ridusse gli occhi a due fessure e ringhiò, mentre Raphael osservò tutta la scena divertito, malgrado avesse gli occhi chiusi. Il Kaiser spalancò gli occhi, incredulo: i ragazzi erano molto potenti.

-KARL! ADOLF!- urlò l’uomo: -ATTACCATELI SENZA PIETA’!-.

I due obbedirono e soprattutto Karl intensificò la serie di calci e pugni su Liam, la cui cicatrice cominciò a dolere maggiormente, a causa dell’influsso dello spirito di Donnie. L’adrenalina gonfiava tutto il suo corpo, permettendogli di continuare a lottare, sopprimendo il dolore. 

Karl si sbilanciò troppo in un gancio destro e Liam sogghignò: accovacciandosi sulle gambe, fece un mezzo giro, colpendo la sua caviglia con la gamba destra: il tedesco cascò sonoramente in terra, con una forte contusione. Adolf, purtroppo, bloccò Liam all’altezza delle spalle, sollevandolo dal suolo. 

-Vigliacco! Lasciami!- ordinò Liam, cercando di strattonarsi in tutti modi: -LASCIAMI, HO DETTO!-.

-E perché dovrei?- sfidò il tedesco: -Hai ferito mio fratello! Meriti di essere punito, maledetto!-.

Karl, rialzatosi zoppicante, trasformò lo stomaco di Liam in un sacco da box: iniziò a colpirlo, infatti, con una violenta scarica di pugni micidiali, mentre i gemiti del ragazzino australiano si trasformarono in grida agonizzanti. 

Liu ne ebbe abbastanza e intervenne: lasciò crescere i suoi artigli e mostrò le zanne, correndo verso i due nemici tedeschi. All’ultimo istante, saltò a piedi uniti e colpì i loro volti con un calcio in una spaccata spettacolare. Quando atterrò, purtroppo, gemette e si ritrovò carponi. Liam piagnucolava, tenendosi lo stomaco e quando tossì selvaggiamente, sputò del sangue.

-Fratello!- gridò Liu: -Don, stai bene? Mondo pizza, quel tizio ti ha conciato per bene, eh?-.

-Sì, sto bene, Mikey, non ti preoccupare...- sorrise Liam, fra le braccia del fratellino: -Non preoccuparti. D… dobbiamo aiutare, piuttosto, Leo e Raph. Neppure loro stanno fisicamente bene-.

I due si alzarono, sostenendosi a vicenda e dettero una rapida occhiata a Karl e Adolf, supini sul suolo, mentre si tenevano i setti nasali sanguinanti e si rotolavano per il dolore accecante.

-Troppo spietato?- sogghignò Liu.

-Assolutamente no!- rise Liam, guardando Haru e Alex che combattevano contro il Kaiser.

Liam si massaggiò il braccio con la cicatrice e si ricordò di avere sotto la cintura qualcosa di utile. Controllò ed effettivamente tirò fuori una lunga corda di canapa: scambiò uno sguardo quasi diabolico a Liu, il quale mostrò un sorriso complice. I due si avvicinarono a Karl e Adolf, iniziando a legar loro le mani dietro la schiena e le caviglie, trasformandoli in due salami.

-Ottimo lavoro, fratellone!- schernì Liu: -Pensi che dopo potremo papparci una bella pizza con doppia mozzarella?-.

-Non scherzare, Michelangelo- lo riprese Liam, scuotendo il capo: 
-Aiutiamo gli altri, adesso-.

-D’accordo, Grande Fratello!-.

Haru e Alex stavano avendo non poche difficoltà, purtroppo: il Kaiser discendeva pur sempre da una famiglia di ninja anche mercenari e di esperienza nelle arti marziali ne aveva anche sin troppa. Le tartarughe, d’altro canto, non erano da meno e cercavano di aiutare i loro protetti come meglio potevano.

Alex aveva la forza dimezzata a causa del braccio ferito: la quantità di sangue persa, purtroppo, lo stava rendendo sempre più debole e sebbene avesse quei pugnali a disposizione, non riusciva più a far affidamento sui suoi riflessi.

Sono troppo stanchi, dannazione!

Lo so, Raphael. Ma dobbiamo avere molta fede. Continuiamo ad assisterli!

Haruhiko restrinse gli occhi e guardò Alex, inginocchiato sul suolo, stringendosi il braccio ferito. I suoi occhi erano vuoti e ciò significava che dovevano fare a meno di lui per un po’. Il giapponese si accorse di Liam e Liu e sorrise internamente: era grato che stavano accorrendo il suo aiuto. 

-Non mi attacchi?- sfidò il Kaiser, in tono sarcastico: -Hai paura di farti del male, moccioso?-.

Haru non rispose: guardò Leonardo che annuì, nonostante avesse gli occhi chiusi e capì. Poteva benissimo combattere senza neppure un’arma. Lui era pur sempre un ninja, nello spirito, no? Strinse i pugni e chiuse gli occhi, concentrandosi. Ignorò le continue beffe del Kaiser, con i Sai nuovamente nelle sue mani e affinò, piuttosto, il suo udito.

“Non adesso”, disse nella sua mente: “Devo solo concentrarmi sui suoi passi. Posso benissimo farcela!”, e ascoltò i passi in movimento dell’avversario.

La camminata divenne scatto: lo scatto una veloce corsa. Il Kaiser aveva gli occhi fiammeggianti e la vendetta bruciava in essi. Haru sentì le urla di Liam, Alex e Liu ma sorrise alla cieca: come un lampo, spalancò gli occhi intravedendo la lama di 30 cm del Sai destro quasi vicino al suo volto. 

Haruhiko si piegò all’indietro, poggiando le mani in terra: tutto il suo corpo si contrasse in una verticale e con uno scatto fulmineo, riuscì a eludere il colpo del nemico, trascinandosi fuori dalla traiettoria del corpo. In quella posizione si catapultò all’indietro, in una capriola e di nuovo in piedi, saltò con il ginocchio destro in avanti, schiantandolo contro il volto del nemico, il quale urlò e cadde con il capo duramente sul suolo.

-GRANDE, LEO!- urlarono Alex, Liam e Liu, completamente orgogliosi del trionfo del loro fratellone.

Karl e Adolf gridarono inferociti e in pura frustrazione, si arresero nel restare totalmente legati come salami. Le corde erano troppo strette e loro non avevano niente per liberarsi. Due nemici erano fuori combattimento. Haruhiko si avvicinò freddamente al Kaiser dal volto sanguinante e lo guardò con odio, brandendo uno dei suoi Sai.

Schiacciò lo stomaco del nemico con la pressione della gamba sinistra, mentre appoggiò il suo gomito sul ginocchio, avvicinando il petto. La lama più lunga del Sai era pericolosamente vicina alla gola dell’uomo attonito. Haru era del tutto impassibile.

-Potrei ucciderti per ciò che hai fatto a tutti noi- gli sibilò con freddezza: -Oramai, tu hai perso e sinceramente, non voglio sporcarmi le mani con uno come te. Inoltre, neppure Leonardo ammetterebbe un simile marchio negativo sul proprio onore-.

Esatto, Haruhiko. Sono orgoglioso di te.

-Ma una lezione te la meriti ugualmente- proseguì il giovane, notando la mano del Kaiser cercare di raggiungere l’altro Sai, finito accanto al piede destro di Liam: -Che ne dici di un bel sonnellino e un risveglio in un carcere di massima sicurezza, sia tu sia i tuoi figli?-.

-Ottima proposta, Haruhiko!- sghignazzò Liam, tornato a pensare lucidamente e non come Donatello.

-Ho perso… ho fallito…- mormorò il Kaiser afflitto, mentre il manico del Sai in possesso di Haru si scagliò contro la sua tempia, spedendolo nel mondo dolorante degli incubi.

-Sì, hai fallito perché il tuo cuore è immerso nelle tenebre- sospirò Haruhiko.

Si alzò dalla posizione in cui era rimasto e gettò il Sai in terra, lontano dall’uomo. Liam e Liu ne approfittarono immediatamente per legargli mani e piedi. Alex emise un sospiro agonizzante e si alzò in piedi, barcollando immediatamente. Così debole, non poteva quasi mantenere l’equilibrio. Haruhiko gli avvolse un braccio intorno alle spalle, aiutandolo a sostenersi.

Ben fatto, ragazzi. Sono orgoglioso di tutti voi.

-Grazie, maestro Splinter- sorrisero i quattro umani.

-Abbiamo deciso una cosa- parlò Haruhiko, con l’espressione più seria del mondo: -Voi ci avete aiutati a combattere, facendoci scoprire un legame spezzato anni fa. Ci avete mostrato i vostri ricordi, facendoci avvicinare. Ci avete condotti qui e spiegato ogni cosa. Ora… sta a noi ringraziarvi-.

Leonardo e gli altri non dissero nulla, ma attesero il proseguimento.

-Vogliamo unire i nostri spiriti ai vostri. Se abbiamo vinto una battaglia con questo essere, desideriamo salvare anche il mondo. Ci sono troppe vite che necessitano della salvezza- proseguì Liam, mentre gli altri tre annuirono.

-Siamo pur sempre una parte di voi- sorrise stancamente Alex.

I vostri cuori sono puri, figlioli. Noi accettiamo: ma la nostra forza non sarà più con voi. Con questo sacrificio, ci donerete una nuova vita. Il Foot Clan non è del tutto morto. E noi avremo sempre qualcuno da combattere: è lo scopo della nostra vita. Vi aiuteremo a salvare il mondo.

Splinter sorrise dopo quelle parole e guardò i ragazzi umani, che annuirono. Due presenze, però, si mostrarono nella grotta: Liu indicò, per primo, i familiari volti di Sen e Nat… erano lì. Ma da quanto tempo?

-Figli miei…- biascicò l’uomo, con occhi spalancati e lustri.

I quattro sorrisero, così come i mutanti nei cristalli: Nat guardò Raphael che allargò il suo sorriso.

C’è qualcosa che dovresti sapere Nat. Togliti quella maschera. Tu non sei uno Xu: non sei un mercenario e i tuoi genitori non hanno mai ucciso nessuno. Tu sei un Jones… o forse, una Jones. 

Nat guardò Sen e i suoi amici: incredulo, rimosse la maschera dal volto, mostrano un paio di occhi verdi, capelli scuri e corti… ma gote pallide di una splendida ragazza. Liam arrossì a una simile bellezza fanciullesca e abbassò lo sguardo.

-I… io non appartengo alla tribù dei Xu? I miei “genitori adottivi” mi hanno sempre spronato a uccidere. Mi hanno mentito. Mi hanno trattato male…- sussurrò la ragazzina.

Il tuo nome è Nat, è vero, ma quello completo è Nathalie Jones, figlia di April e Casey Jones. Loro vivono a New York City, 42esima e non ti hanno mai smesso di cercare.

Nat guardò Leo e lacrime di gioia, dolore e confusione colarono lungo le sue guance. Lei non era sola…

-P… papà?- chiamò Liu, inclinando il capo con fare tenero.

-I… il maestro Sen… è… è nostro padre…- sussurrò Haruhiko.

La vista di quest’ultimo si sdoppiò: i sensi si offuscarono e le gambe si rifiutarono di sostenere il corpo. Perle di sudore freddo colarono lungo la sua fronte, schiantandosi sul pavimento. Il suo respiro accelerò e la mano si poggiò sul cuore, in preda a un dolore lancinante. Haruhiko si accasciò sulle ginocchia, sotto le grida impaurite dei presenti e dei mutanti…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Famiglia Riunita ***


-Che cosa facciamo con questi traditori, signore?- chiese uno dei Maestri, guardando il Kaiser, Adolf e Karl inconsci e legati a delle sedie di metallo.

Sen era in una stanza completamente di pietra verdognola: quello era il Berlino X. Non c’erano finestre, né tavoli, né mobili. Tutto era di pietra, dall’alto soffitto sino al pavimento. Una porta di metallo capeggiava sulla parete est. Il suo sguardo era impassibile ma mostrava una rabbia quasi incontenibile.

-Consegnateli al Governo Americano. Sono certo che sapranno cosa farsene-.

-Molto bene. Avverto immediatamente il Presidente Americano, signore- e il Maestro, dopo l’inchino rispettoso, lasciò la stanza, mentre Sen chiuse gli occhi e inghiottì la felicità per aver finalmente ritrovato i suoi amati figli scomparsi: -Il bene trionfa sempre, Oda. Ricordalo sempre-.

Sen sospirò e abbandonò anche lui la stanza, dirigendosi in un corridoio di pietra verdognola, illuminato dalle rosse fiamme di tizzoni appesi sulle pareti…

**************************************

Liu, Liam e Alex sedevano su una panchina, fuori una porta bianca, dai vetrini oscurati. Sembrava proprio un corridoio d’ospedale, a giudicare dai colori vivi. Il soffitto era bianco, il pavimento di un materiale plastico grigio, le mura quasi color crema. E l’illuminazione dei neon era abbastanza forte.

Sui loro volti c’era la paura, il dolore ma anche un pizzico di felicità. Non potevano sopportare che il loro fratello Haruhiko fosse finito in una sala operatoria d’urgenza. Il troppo stress e le emozioni forti gli erano stati quasi fatali. 

-Credete stia bene?- chiese Liam, con la testa appoggiata al muro: -Sono già tre ore che siamo qui fuori, nel Berlino X, senza che qualcuno ci abbia detto nulla-.

-La cosa m’infastidisce!- ruggì Alex, il cui giubbotto era aperto e appoggiato sulle spalle: -Oltre tutto, questa ferita continua a farmi male!- e si massaggiò il bendaggio dalla spalla sino al petto, completamente nudo.

-Come va la gamba, Liu?- chiese ancora Liam, guardando il fratellino mogio, accanto a lui: -E la ferita al volto?-.

-Brucia- rispose pigramente, appoggiando la testa sulla spalla dell’altro: -Voglio Haru-.

-Lo so, piccolo- rispose l’australiano: -La cosa buffa? Abbiamo scoperto di essere fratelli naturali e guarda caso non possiamo neppure festeggiare perché nostro fratello è bloccato lì dentro! Accidenti!-.

Alex avrebbe ringhiato, ma Sen comparve dinanzi a loro, con Nathalie al suo fianco. La ragazzina indossava ancora la sua maschera, solo per preservare la sua finta identità di ragazzo. Al Berlino 18 non erano ammesse le ragazze, difatti.

-Maestro- mormorò Liam, ancora indeciso a chiamarlo “padre”: -Haruhiko è ancora lì dentro. Sino ad ora, non sappiamo nulla delle sue condizioni-.

Sen annuì: -Capisco. Posso parlarvi un attimo?-.

-Certo- rispose Alex, sbattendo un paio di volte le palpebre, con fare incredulo.

Il sensei si sedette fra Liam e Alex, mentre Nat prese posto accanto a Liu: -Volevo solamente dirvi che è una vera gioia, per me, avervi ritrovato dopo non so quanto tempo. La mia speranza di rivedervi cominciava ad affievolirsi, ma ora che siete qui, non voglio perdervi. Tuttavia, so bene che ognuno di voi possiede dei legami affettivi piuttosto forti ed è per questo che, domani sera, a Berlino 18 vi sarà una festa-.

-Festa?- ripeterono Alex e Liam, sconcertati.

-Cosa è una festa?- chiese Liu, mentre Nat glielo spiegò nell’orecchio: -Oh, divertimento!-.

-Ho già invitato le vostre famiglie, ad eccezione di Tan Tan- proseguì Sen: -E’ un po’ difficile contattare i lupi, sapete? Non sono per niente bravo a parlare la lingua dei lupi-.

Malgrado il cipiglio di tristezza, Liu annuì e sorrise: -Lo so. Non fa nulla. Grazie, papà-.

Sen si sentì pervadere da un calore familiare e lo abbracciò dolcemente, baciandogli la fronte. Anche a Liam e Alex venne riservato lo stesso trattamento. I ragazzi, però, poterono giurare di sentirsi perfettamente in famiglia e non “quasi di troppo”, come accadeva spesso nelle loro famiglie adottive.

-Quindi, domani spiegheremo tutto ai nostri genitori- espresse Liam, con uno sguardo carico di incognite: -Beh… i… io voglio restare con lei, maestro Sen. Forse sarò anche un traditore, ma…-.

-Va tutto bene, non sei obbligato a rimanere con me, figliolo- sorrise Sen, mentre una delle due porte della sala operatoria si aprì, lasciando posto a un dottore completamente avvolto di un camice verde acqua.

Tutti si alzarono e Liu si strinse fortemente alla stampella (la quale Nat gli mostrò come usarla). 

-Siamo intervenuti appena in tempo- spiegò il medico, asciugandosi la fronte con una piccola asciugamano, sulla sua spalla: -Il suo cuore era gravemente malato. Per ora, avrà bisogno di massimo riposo, mi raccomando-.

I presenti tirarono un sospiro sollevato ma Liam parlò: -Possiamo vederlo?-.

Il dottore annuì e si fece da parte, pronto per controllare o curare gli altri feriti e malati. Nat osservò per un po’ i suoi amici, soprattutto Alex: e chiudendo gli occhi si ricordò delle parole dettole da Raphael. Lei avrebbe voluto tanto rivedere quei simpatici spiriti, ma sapeva che se voleva risposte, avrebbe dovuto attendere sino a quando gli spiriti dei ragazzi avrebbero ridato nuova vita alle tartarughe e Splinter.

Così insolito e strano: Nat sospirò ma sotto quella maschera un sorriso strisciò sulle sue labbra. Lei, finalmente, non avrebbe più dovuto tingersi i capelli con quel colore scuro… Ma per il momento, preferiva rimanere ancora come un normale ragazzino. 

-Nat?- chiamò Liam, notandola ancora ferma sulla soglia della porta: -Vuoi venire o resti lì impalata?-.

Ella alzò la testa e lo seguì senza rispondere. Ben presto si ritrovarono a camminare fianco a fianco in un lungo corridoio bianco, dove molte porte bianche si affacciavano su entrambi le pareti verde acqua. Liam si teneva lo stomaco: gli avevano detto che due delle sue costole erano state incrinate dai colpi subiti.

-Come ti senti?- chiese la ragazzina, tanto per spezzare l’irritante silenzio.

Liam quasi sobbalzò: -Ehm… bene. Anche se gli antidolorifici che mi hanno somministrato non funzionano granché bene. Tu? Come ti senti ad aver scoperto di non essere di Cape Horn?-.

-Beh… ammetto di essere sconvolta, in un certo senso… ma anche felice, se proprio devo essere sincera- rispose Nat: -Ho sempre intuito di non appartenere esattamente al mio villaggio di mercenari, assassini e killer professionisti. Ti spaventeresti se ti dicessi che io sono una killer? Anche se non ho mai ucciso nessuno?-.

-U… una killer?- ripeté Liam, deglutendo un groppo di paura.

Nat rise, per la prima volta: -Certamente. Ma non ho mai ucciso nessuno. Sono stata a capo di una ribellione contro il dittatore di Xu, il mio villaggio. Lui era un tiranno e sebbene ho imparato, più o meno, a sopprimere la mia impulsività, non ho esitato a seguire gli adulti. Alla fine, sono stata io a tranciargli una gamba, per evitare che sparasse un’innocente contadina, sua ostaggio-.

-Caspita!- gemette Liam, ora affascinato: -Sei piena di sorprese, tu, eh?-.

-Forse. Per il momento desidero solamente incontrare i miei veri genitori. Se non ho capito male, dovrebbero trovarsi a New York-.

-Che buffo- ridacchiò Liam, massaggiandosi lo stomaco: -E’ esattamente dove sono nati Leo e gli altri. Chissà, magari potremo vivere anche noi in quella meravigliosa città. Io ho vissuto in Australia e mi ha sempre affascinato la Grande Mela-.

-Immagino. A chi non piacerebbe visitarla- completò Nat, fermandosi dinanzi alla stanza 40: -E’ qui. Entriamo-.

Non appena i due ragazzi varcarono la soglia, il loro cuore si sollevò non poco: a differenza di ciò che aveva detto il dottore, Haruhiko era già sveglio e dal viso completamente rilassato, il dolore lo aveva completamente abbandonato. Aveva un pigiama bianco addosso e vari fili sul braccio destro e il torace. Una cicatrice fresca era coperta da alcune bende bianche.

-Ciao- salutarono i due: -Come stai?-.

-Sono stato meglio…- rispose raucamente Haru, girando lentamente la testa sul cuscino: -Ch… che cosa mi sono perso?-.

-Solo che Oda e i suoi figli sono stati consegnati al governo americano, per essere processati a causa delle numerose colpe a loro carico- spiegò Sen, seduto su una sedia, accanto al lettino del figlio primogenito: -E la tua operazione chirurgica-.

-Sono stato operato?- chiese Haru, notando le bende sul petto: -Immagino. Ma… non sarò fuori pericolo, giusto?-.

-No. Il tuo cuore è parzialmente danneggiato. Quindi, dovrai star sempre molto attento a non superare i tuoi limiti- rispose Sen, accarezzandogli la fronte tiepida.

Il ragazzo sorrise e guardò i suoi fratelli ammaccati: -Voi come vi sentite?-.

Alex mostrò la spalla bendata, Liam si alzò la maglietta e Liu fece vedere il bendaggio sulla caviglia ancora rotta e le stampelle. Il cinese, però, sembrava spaventato e si mordicchiò teneramente le labbra, mantenendo lo sguardo basso.

-Che ti prende, fratellino?- chiese Liam, al suo fianco: -Qualcosa non va?-.

-Anche Liu deve sottoporsi a un intervento chirurgico: gli metteranno una placca di metallo per compensare l’osso distrutto; ma lui ha paura e non intende farselo- spiegò Nat, a braccia conserte.

Nel silenzio alquanto imbarazzante, Haruhiko scoppiò a ridere, abbracciando il suo piccolo Liu: -Sei incredibile, lo sai? Anche io mi sono operato. Tu sei forte? Vuoi tornare a correre liberamente, vero? E allora, fallo per noi: operati-.

-Io paura morire- biascicò il cinese, rabbrividendo alla sua vita terminata: -Io sentire persone morte dopo operazioni-.

-Qui disponiamo di medici in gamba, quindi non preoccuparti, Liu- spiegò Sen, accarezzandogli la bionda chioma ribelle: -Se non ti curerai a dovere, un handicap potrebbe perseguitarti costantemente. E questo è quello che dobbiamo evitare-.

-Sì. Guarda che anche a me hanno ricostruito l’osso della spalla, lo sai?- aggiunse Alex, a braccia conserte: -E anche a Liam, giusto?-.

-Idem- sorrise l’australiano: -Per favore, non essere testardo. Ricorda che noi potremo far tornare in vita Leonardo e tutti gli altri. Se non stai bene, come faremmo?-.

Liu, in ricordo di Michelangelo, annuì freneticamente e regalò a tutti un abbraccio di gratitudine: -Ok. Capito. Promessa, però-.

-Che promessa, bambino mio?- chiese Sen, con un sorrisetto alquanto curioso.

-Insegnare parlare bene-.

Tutti risero: Liu era incredibile. Come lui ce ne erano pochi: era speciale. Sen guardò i suoi ragazzi e Nat amorevolmente. Finalmente, il suo cuore era completo. Le lesioni del dolore erano rimarginate e lo spirito era cresciuto sempre più felice. Niente e nessuno li avrebbe separati nuovamente…

**************************************

Ore 19:40, Berlino X

Liu giaceva su una barella, pronto per essere operato. Haruhiko, Liam, Alex, Sen e Nat gli erano a fianco, stringendogli le mani, per donargli forza e coraggio. Il cinese sembrava rilassato e sul suo volto il sorriso era indistruttibile. 

Un amico, giunse nella stanza dei nostri amici: Nim era lì, come vincitore della corsa sino al Berlino X e per sostenere il suo migliore amico. Aveva portato un cestino di mele rosse, le preferite di Liu.

-Disturbo?- chiese educatamente: -Perdonatemi se non sono venuto prima. Sono stato occupato… mi dispiace. Ho saputo di Adolf… lo sapevo che c’erano troppe tenebre in quel cuore. Inoltre, volevo anche sapere come state-.

-Come ci vedi- ridacchiò Alex, il cui braccio ferito era appeso in una fasciatura al collo: -Haruhiko si è operato e ora è in convalescenza. A dire il vero, lo siamo un po’ tutti-.

-Mi dispiace davvero molto- gemette Nim, poggiando il cestino sul comodino bianco della camera di Liu, la 42esima: -Che mi dici di te, Liu?-.

-Io operare- rispose, ancora felice: -Papà qui. Fratelli anche. Io no paura-.

-Fratelli?- ripeté Nim, inclinando il capo, mentre strinse la mano del suo amico: -Sono un tantino confuso-.

-Nim, siamo noi i suoi fratelli. Abbiamo scoperto molte cose importanti- rispose Haru, seriamente: -Avremo modo di parlare, se vuoi-.

Proprio quando Nim stava per rispondere, un dottore orientale dai corti capelli neri e gli occhi a mandorla verdi, entrò nella stanza, pronto per portare Liu nella sala operatoria. Salutò tutti con un cenno del capo e si strinse meglio i guanti bianchi, non in tono al camice verde acqua che indossava.

-Molto bene. Liu Ling?- chiese, leggendo una cartella clinica: -E’ tutto pronto. Tu come ti senti?-.

-Male gamba- rispose, tentando di sopprimere una smorfia dolorosa: -Io forte-.

-Sì, lo sei- risposero in coro gli altri, salutando il loro piccolo Liu con abbraccio dolce: -Rilassati, andrà tutto bene!-.

Il dottore trasportò via il lettino con Liu, lasciando un alone carico di tristezza sui presenti. Nim rimase a fissare la porta aperta, sino a quando Haru si schiarì la voce, costringendolo a guardarlo.

-Sei pronto per ascoltare, Nim?-.

-Lo sono-…

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Iniziano i Problemi ***


Una sala ampia: grosse pareti crema che si alzavano verso un soffitto incavato, candido. Ampie vetrate mostravano una splendida luna piena in un cielo blu scuro. Tende bordeaux spiccavano su un lucido pavimento marmoreo, mentre enormi portoni di legno scuro e ferro erano in procinto di accogliere le numerose famiglie di tutti gli allievi.

Haruhiko, Liam e Alex erano nervosi: avrebbero conosciuto un altro frammento della loro “nuova vita” e non vedevano l’ora, ma erano anche preoccupati per il loro Liu, a riposo dopo una lunga operazione alla gamba, durata cinque ore.

Ora sedevano fuori la sala operatoria, a fissare il vuoto, con la mente tempestata da una moltitudine irritante di pensieri. Il tempo stava trascorrendo lentamente, ma alla fine del pianeta non mancava chissà quando. Inoltre, secondo alcuni studiosi del Berlino 18, c’erano state già dieci piccole scosse di assestamento.

La Terra stava lentamente autodistruggendosi.

Lentamente, la figura inconfondibile di Nat si presentò loro, sempre con quella maschera sul volto. Sembrava piuttosto tranquilla e non tesa come sempre. Si fermò dinanzi ai tre, con le mani lungo i fianchi. 

-Nat- mormorò Alex, alzandosi lentamente dalla sedia di metallo sul quale era seduto: -Che c’è?-.

-Sono arrivati tutti i vostri genitori. Mancate solo voi nella Sala Ricevimenti- spiegò: -Rimarrò io con Liu, ma prima, se volete seguirmi- e si scostò di lato.

-Grazie per averci avvisato- rispose Haruhiko, con un cenno del capo: -E’ il momento delle verità, ragazzi. Non ha senso nascondersi. Muoio dalla volta di sapere cosa scopriremo-.

-Idem- risposero gli altri due ragazzi, guardando per l’ultima volta la porta bianca della stanza di Liu…

**************************************

Nella Sala Ricevimenti, ossia quella somigliante a un salone di un gran galà, vi erano molte famiglie provenienti da ogni parte del mondo. Alcune indossavano vestiti costosi e appariscenti, mentre altre no. C’era chi si accontentava di un jeans e una giacca e chi preferiva il Roberto Cavalli.

Haru, Liam e Alex comparvero nel salone, dopo Nat, la quale se ne ritornò da Liu, giusto per monitorarlo. I ragazzi guardarono quella moltitudine di teste, sperando di individuare qualche volto familiare. Proprio in quell’istante, un grido di felicità si levò nell’aria, seguito da una bambina che correva.

-LIAM!- urlò quella che sembrò essere Ebony, la “sorella” minore di Liam.

Il giovane ampliò gli occhi di pura gioia e corse ad abbracciarla, alzandola in braccio solo per farla girare come una trottola. Le stampò un bel bacio sulla fronte, mentre i Johnson si riunirono a entrambi i figli. Alex e Haruhiko sorrisero, ma un piccolo bambino saltò dinanzi ad Haruhiko, il quale riconobbe Doi.

-Ehi!- esclamò nell’evidente lingua giapponese, mentre si chinò solo per accarezzarlo e abbracciarlo: -Sono felice di vederti!-.

-Anche io e c’è anche la mamma! Lei è guarita, sta bene!- e il bambino indicò la donna che non appena vide Haruhiko, lo abbracciò singhiozzando.

Fu anche il turno di Alex: suo padre lo vide ma egli si ritrasse. Si ricordò immediatamente di come lo aveva trattato prima della partenza. Si mordicchiò le labbra, ma le mani di “suo padre” lo strinsero al petto, abbracciandolo dolcemente.

-Alex- sorrise fra alcuni singhiozzi soffocati: -Mi sei mancato, figlio mio. Mi sei mancato così tanto… non vedevo l’ora di rivederti-.

Alex si lasciò sfuggire delle lacrime e tese le spalle, versando singhiozzi silenziosi. Si avvicinarono Liam, Haruhiko e le loro famiglie, pronti per chiedere e capire. Il francese presentò i suoi amici, anche se i loro saluti non vennero compresi da nessuno.

-Alex, hai forse imparato più lingue?- chiese perplesso Jonathan.

-Non credo proprio- rise l’altro e mostrò il suo speciale traduttore da orecchio, mentre giunsero alcuni maestri che offrirono a tutti quelle specie di auricolari: -Metteteli e capirete. Non ha senso spiegare l’inutile-.

Le famiglie dei ragazzi li indossarono e si fissarono, curiosamente.

-Va meglio, ora?- chiese Liam, mentre Doi spalancò gli occhi: -Immagino tu mi abbia capito, giusto?-.

-SI’!- urlò il bambino, saltellando felicemente sul posto: -Mamma, mamma! Ho capito! Ho capito!-.

-Mi fa piacere- sorrise Alex: -Bene. Papà, loro sono i miei amici: Haruhiko Murakami e Liam Johnson-.

-Piacere- rispose suo padre, facendo le presentazioni anche degli altri: -Non c’è che dire, dei bravi ragazzi-.

Haru, Liam e Alex si scambiarono uno sguardo, annuendo in contemporanea. Poi fissarono i loro genitori, pronti per dare “la batosta”. Deglutirono e si armarono di coraggio. Il primo a parlare fu Liam.

-Da quando ci siamo conosciuti, abbiamo avuto delle sensazioni che ci hanno portati ad avvicinarci come amici. Successivamente, visioni strane ci hanno portato a considerarci come fratelli. Poi… solo pochi giorni fa abbiamo finalmente capito. Noi siamo la reincarnazione di quattro spiriti fratelli, morti tempo fa. Noi siamo fratelli reali e il quarto di noi è a riposo. Ha subito un’operazione alla gamba-.

Inutile dire che gli adulti impallidirono.

-Quindi la domanda è- aggiunse anche Alex, torvo: -E’ vero. Voi sapevate che non eravamo davvero i vostri figli veri?-.

I genitori di Liam strinsero le spalle a una Ebony perplessa e chinarono il capo, annuendo. Liam spalancò gli occhi e iniziò a respirare con fatica, soggiogato completamente dallo shock.

-Sì, lo è- rispose Emily, la mamma di Liam: - Era una calda serata estiva quando, circa sedici anni fa, ti trovammo che piangevi, sotto un grosso albero, nascosto dalle alte distese erbose-.

Max, il padre, continuò: -Avevi una piccola cicatrice sul braccio e decidemmo di adottarti. Non avremmo avuto figli... ma, otto anni dopo, nacque Ebony, nostra figlia. Te lo avremmo detto… quando saresti stato pronto-.

Liam non disse nulla, ma la parola passò a Makoto, la madre di Haruhiko: -Lo stesso fu per me e per tuo padre. Tre anni prima che nascesse Doi, mio marito che ritornava dal lavoro, ti notò in una cesta di vimini che galleggiava su un fiume. Lui era proprio sul ponte ad osservarti: non esitò a tuffarsi per prenderti, prima che affogassi nelle rapide. Ti portò a casa e insieme decidemmo di crescerti come nostro figlio-.

-E…- biascicò Haru, sbattendo le palpebre per cacciare le lacrime: -E… sapevate che ero malato di cuore, mamma?-.

-Sì, Haruhiko. Ma da quando sei vissuto con noi, non ti è mai accaduto nulla-.

-Una notte d'inverno, dopo che fui operato alla gamba, passeggiavo con mia moglie in uno dei tanti parchi di Parigi, cercando di ritrovare il lato positivo della vita, anche se ero più orgoglioso del bambino che aspettava la mamma. Nel mio pieno sconforto, notai un’ombra che depositava sotto una panchina qualcosa, scappando in un lampo- spiegò anche Jonathan: -Andammo a controllare…. In una borsa da sport c’eri tu, Alex, appena nato e infreddolito. Cercammo quella figura, ma nulla… alla fine ti tenemmo-.

Alex rimase attonito ma volle sentire il seguito.

-Ti portammo a casa, eri piccolo ma piangevi fortemente… quando la mamma fu pronta per il parto, venne portata in ospedale… e… e lì accadde. Ci furono complicazioni… nostro figlio non nacque… la mamma ebbe un arresto cardiaco. Morì… e con essa, il mio amore- spiegò il pugile, con gli occhi lucidi: -Ma c’eri tu. Mi hai aiutato, Alex… anche se sapevo che non eri mio figlio naturale-.

-Adesso ve la facciamo noi una domanda- mormorò Makoto: -Voi conoscete i vostri genitori naturali?-.

-Sono io- rispose gentilmente la voce di Sen, comparso esattamente dietro le loro spalle: -Sono loro padre. Loro quattro mi sono stati strappati da una mano di un vecchio rancore appena nati, per farmi soffrire. Oggi sono nuovamente felice-.

-Chi è il quarto?- chiese Doi, con l’indice sotto il mento.

-E’ Liu, il nostro fratellino- rispose Haru, ridacchiando un po’: -Chissà se si è svegliato-.

Improvvisamente, la porta della Sala Ricevimenti si aprì appena, mostrando Nat che spingeva una sedia a rotelle con su un Liu estremamente felice. Era pallido e tutta la gamba era ingessata. Indossava un pantalone nero e nessun tipo di maglietta. Il suo muscoloso torso era, infatti, nudo. La ragazzina si avvicinò alle famiglie, sempre con quel volto mascherato.

Liu era un po’ a disagio, ma come se le sorprese non bastassero, da una porta secondaria irruppero le voci arrabbiate di Maestri che rincorrevano un animale bianco e veloce. Ci fu un gridare impaurito generale ma solo Liu si ravvivò di felicità. Aveva capito chi era.

-TAN TAN!- urlò a pieni polmoni, cercando di alzarsi, ma Nat lo premette contro lo schienale grigio della carrozzella, per evitargli di camminare: -SONO QUI!-.

Lo splendido lupo bianco si fermò dinanzi a Liu, il quale iniziò ad accarezzarlo dolcemente, piangendo di felicità. Gli altri rimasero sconvolti da tale bellezza animale e non dissero nulla. 

-Come hai fatto a venire qui?- gli chiese, continuando a offrirgli dei grattini dietro le orecchie.

Il lupo ululò e Liu annuì, felicissimo: -Interessante! Percepito pericolo e su nave! Trovato me!-.

-Lui è Liu, il nostro fratellino, abbandonato nella Foresta di Pietra, in Cina- spiegò Haruhiko: -Non sa parlare bene e conosce poche parole. La sua famiglia era solo Tan Tan sino a poco tempo fa-.

-Povero bambino- soffocò Makoto, da sempre la più sensibile: -In effetti, noto in tutti voi una grande somiglianza. Haruhiko, dimmi, chi erano questi spiriti a cui vi siete riferiti prima?-.

E i giovani iniziarono a narrare dell’esperienza nel sottosuolo del Berlino X, dell’incontro con Leonardo, Raphael, Donatello, Michelangelo e Splinter… e della battaglia contro Oda e i suoi figli. A racconto ultimato, Nat notò qualcosa di davvero strano: i maestosi lampadari di cristalli stavano ondeggiando lentamente. Ella percepiva una strana vibrazione proveniente dal pavimento.

Liu e Tan Tan scattarono, ringhiando: -Terremoto!-.

-Sì, ha ragione!- annuì Sen: -Purtroppo, il 21 dicembre è in arrivo e la Terra sta manifestando degli evidenti sintomi di distruzione!-.

-Oh, no!- piagnucolò Ebony, stringendosi a Liam, la quale l’accarezzò in testa, nonostante il dolore alle costole dovute alla piccola inclinazione del corpo, in avanti: -Ho paura, Liam!-.

-Lo so, principessa- rispose il ragazzo: -Devi essere forte, però. Sei una principessa ninja, ricordi?-.

La piccola annuì e osservò Doi che sembrava un po’ meno spaventato. Quest’ultimo le dette un piccolo sorrisino rassicurante e la bambina ricambiò con un altro, distorto dalle lacrime sul volto. Alex ringhiò e mollò un pugno all’aria per rabbia, causando una fitta di dolore al braccio. Si strinse l’arto, impaurendo Jonathan.

-Sto bene- mentì, con la paura evidente negli occhi: -Il terremoto sta aumentando! Dobbiamo uscire da qui al più presto!-.

I Maestri stavano già indicando l’uscita alla moltitudine di famiglie e allievi, che stavano lentamente svuotando il salone, mentre Haruhiko tentò di prendere in braccio Liu. Tan Tan gli si parò dinanzi, dandogli uno sguardo “serio”. Nat intuì e permise al cinese di salire in groppa al quattro zampe, mettendogli una coperta addosso e la giacca nera. 

-Scusa, Haru- sorrise Liu: -Tan Tan aiutare me-.

-Non c’è problema- rispose il giapponese, guardando Doi che era un po’ geloso della verità circa suo fratello maggiore: -Andiamo!-.

Si mostrò freddo nei confronti degli altri ma non lo mostrò apertamente. Strinse la mano di Makoto e iniziarono a correre, mentre alcuni cristalli si staccarono dai lampadari, cadendo in terra e frantumandosi in mille pezzi. I nostri amici correvano, ignorando il dolore delle proprie ferite: era necessario uscire da lì…

**************************************

La scossa di terremoto si stava intensificando: ma tutti quanti erano fuori dal Berlino X, tremando per il freddo e la paura. Eppure il terreno sotto i loro piedi si aprì in enormi spaccature profonde: molti gridarono, cercando di scappare il più lontano possibile. 

Liu e Tan Tan si muovevano abbastanza bene e il biondo guardò alle sue spalle: Haru e tutti gli altri correvano a perdifiato, cercando di non incappare in qualche buca nel terreno o di perdere l’equilibrio. Il terremoto era spaventoso e oramai, un black-out aveva inghiottito Berlino X, lasciando la Foresta Bianca completamente buia.

-Per di qua!- urlò Haruhiko, dirigendosi verso una serie di pullman con tanto di autisti spaventati: -Salite a bordo. Noi dobbiamo controllare che nessuno sia rimasto indietro!-.

-Haruhiko, ma…- piagnucolò Makoto, rivedendo quello stesso sorriso di Akira, prima che venisse trafitto dalla katana nemica: -Sta attento, amore mio-.

-Ebony! Ebony!- chiamarono in due tempi diversi i signori Johnson, avendo al fianco solo un Liam addolorato dal bruciore alle costole: -Bambina mia, dove sei?-.

Haruhiko si voltò verso Makoto e spalancò gli occhi: -Dov’è Doi? Era qui… oh, no!-.

Alex era crollato carponi sulla neve, stringendosi il braccio infortunato: non poteva correre, gli faceva troppo male. Per fortuna, però, Jonathan era accanto a lui e lo spronava a non arrendersi. Il ragazzo ansimò, tentando di proseguire, aiutato dall’altro. Intravidero i pullman pronti a partire con tutte le persone ed entrambi accelerarono immediatamente.

**************************************

Ebony e Doi stavano ancora correndo in una direzione opposta a quella dei loro genitori. Non vedevano che alberi, neve e buio. Il terremoto, almeno aveva smesso. La bimba tremava ma più di paura che di freddo e colto da un istinto protettivo, il fratellino di Haru le si avvicinò, tenendole la mano.

-Ci sono io qui con te, non temere, Ebony- le disse dolcemente, smettendola di correre: -Sono sicuro che raggiungeremo subito gli altri-.

-Abbiamo sbagliato strada, invece- singhiozzò l’altra, tossendo un po’, a causa della sua salute malaticcia: -Voglio mio fratello… voglio la mamma e il papà-.

In quello stesso istante, però, un frusciare continuo si udì dietro le spalle dei due bambini traumatizzati: entrambi si voltarono e osservarono il buio, dove due paia di occhi sembrarono fissarli intensamente. Il primo sguardo era azzurro, il secondo quasi rossiccio. Ebony si strinse a Doi, seppellendo il viso nella giacca nera di lana.

-V… va t… tutto bene…- balbettò il bambino, avvertendo il cuore pulsare al massimo.

Un salto anticipò un grido di entrambi, i quali tremarono a vicenda, singhiozzando fortemente. Una figura gigante era dinanzi a loro e li osservava silenzioso. Ebony non voleva guardare ma quando qualcosa di caldo e umidiccio le fece solletico sulla guancia, ella ridacchiò e guardò.

-Un cane?- chiese, per poi riconoscere i lineamenti di Tan Tan: -Tu sei il lupo di Liu?!-.

A quel nome, Doi ringhiò un po’ ma lo nascose ancora una volta. Liu, infatti, afferrò un bastoncino di legno dalla neve e usando due pietre laviche che aveva con se, accese un fuoco, illuminando la situazione. Sorrise teneramente ed Ebony lo abbracciò immediatamente.

-Qui no sicuro- disse Liu: -Tornare dietro-.

-Lo so- sfidò Doi, di malumore: -Non abbiamo bisogno di te! Possiamo cavarcela benissimo da soli!-.

-Non dire stupidaggini- lo rimproverò Ebony: -Non torneremo mai dagli altri senza il loro aiuto! Perché ti ostini a continuare da solo?-.

Liu ridusse gli occhi a due fessure e scese dalla groppa di Tan Tan, il quale apprezzò molto le carezze di Ebony. S’inginocchiò, nonostante il dolore, accanto a Doi, guardandolo attentamente. No… non assomigliava per niente a Haruhiko.

-Tu odi me?- chiese, dopo un’attenta analisi silenziosa.

L’altro mise il broncio: -E se ti rispondessi di sì? Tu vuoi portarmi via mio fratello!-.

-No. Non vero. Io aiutare. Venire con me, dai- sorrise, offrendogli la mano: -Per favore?-.

Doi era irremovibile, ma quando il terreno sotto i suoi piedi cominciò a incrinarsi rumorosamente, Liu lo prese in braccio e saltando in groppa a Tan Tan, con Ebony, corse via prima che quella lastra di ghiaccio potesse definitivamente rompere.

-T… tu mi hai salvato la vita?- sussurrò Doi.

Liu sorrise…

**************************************

Liam e Haruhiko stavano ancora cercando i loro fratellini quando un abbaiare proveniente dalla selva oscura catturò la loro attenzione. Liu li salutò, mentre il fedelissimo Tan Tan si fermò proprio dinanzi a loro, con la lingua penzolante dal muso.

-L… Liu- balbettò Liam, notando Ebony e Doi addormentati nella coperta che Nat aveva dato al cinese, prima del terremoto: -Li hai trovati!-.

-Erano bosco- rispose l’altro, non avvertendo minimamente il freddo grazie alla giacca imbottita di lana: -Andare casa, ora. Pianeta male-.

-Giusto- aggiunse Haruhiko, ponendosi una mano sul petto: -C’è poco tempo a disposizione e ora che le cose si sono risolte, è meglio che ci prepariamo alla battaglia finale, la più dura-.

-Sì- risposero in coro gli altri due, ritornando ai pullman…

**************************************

Makoto singhiozzava come Emily, quando i nostri amici li raggiunsero in un batter d’occhio. I loro volti s’illuminarono, riflettendo quasi i piccoli neon gialli provenienti dai neri pullman, alla loro destra. La folla era a bordo nei numerosissimi veicoli e mancavano solo loro. Liu consegnò immediatamente i bambini alle rispettive famiglia, guadagnandosi rispetto e ammirazione.

Makoto, Emily e Max lo abbracciarono affettuosamente, mentre il padre adottivo di Liam gli scompigliò i capelli, causandogli una risatina.

-Sei un eroe, ragazzo! Non dimenticherò mai quello che hai fatto per noi!- esclamò con grande convinzione: -Sono certo che mio figlio vivrà bene con tutti voi-.

-Mamma…- mormorò Haruhiko, mentre notò Alex e Jonathan alle sue spalle: -E’ tempo che torniate a casa. Non è saggio rimanere qui. Ti prometto che ci rivedremo-.

La donna annuì felicemente in lacrime, lo abbracciò, mentre Doi si svegliò, stropicciandosi gli occhi: -Haku, scusami… mi dispiace tanto…-.

-Di cosa?-.

-Credevo che Liu volesse portarti via da me… ma mi sono sbagliato- proseguì sorridente: -Se non fosse stato per lui, a quest’ora sarei morto annegato in un lago congelato. Mi ha salvato la vita-.

Il giapponese guardò il cinese e sorrise, tornando alla sua famiglia adottiva: -Proteggi la mamma per noi. Ti voglio bene, Doi. Sarai sempre il mio fratellino. Anche tu, mamma. Riguardati, ti prego. E… per me, siete stati la miglior famiglia in questi sedici anni-.

-Concordo- annuirono Liam e Alex, i quali abbracciarono le loro famiglie, vedendole salire sui pullman: -Riguardatevi!-.

Liu guardò Doi, che lo salutò festosamente attraverso il finestrino. Si sentì un calore piacevole nel petto e ricambiò: Haruhiko lo abbracciò strettamente, mentre uno dopo l’altro i pullman si avviavano verso la Stazione di Potsam.

-Grazie per aver salvato la mia famiglia. Grazie per essere mio fratello- gli sussurrò.

-Grazie… fratello…- gli rispose Liu, mentre Liam e Alex si avvicinarono…

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Il Mondo in Pericolo ***


Mezz’Africa era stata bombardata da violenti terremoti, provenienti anche dai fondali marini. Molti dei vulcani avevano eruttato senza sosta, distruggendo la terra e spaventando le persone. Mancavano solo due giorni, oramai, alla “fine del mondo” e tutti gli allievi del Berlino 18 erano tremendamente spaventati.

Sen aveva appena osservato un video, mostratogli da uno dei suoi fidi Maestri: anche in Cina la situazione stava peggiorando rapidamente. Il pianeta era scosso abnormemente dall’aumento dell’attività del nucleo terrestre. Il vecchio sensei ebbe una stretta al cuore. Gli unici che avevano davvero la possibilità di mettere fine a questo sconvolgimento erano proprio Haruhiko, Alex, Liam e Liu, non ripresi affatto dalle loro ferite.

Il meteorite proveniente da Plutone, custodito ora in una sala segreta, era la chiave di tutto. Ma il problema era come trovare il posto giusto e come lasciar sprofondare l’oggetto nel magma. Sen sospirò e uscì dalla stanza del monitoraggio, identica forse alla Stanza Segreta nel Berlino X. S’incamminò verso i dormitori dei suoi ragazzi, sperando che stessero un po’ meglio.

Esitò un po’, quando si ritrovò dinanzi alla porta, ma si fece coraggio e bussò. Non ci furono risposte, ma Liam venne ad aprire e gli sorrise.

-Ciao, papà-.

-Ciao, figliolo- rispose l’altro: -Sono venuto qui per vedere come state. Posso entrare?-.

Liam annuì felicemente e si spostò di lato, solo per farlo entrare. Sul letto di Haruhiko vi erano seduti quest’ultimo, Alex che si teneva la spalla e Liu, la cui gamba era distesa perfettamente. Sembravano chiacchierare allegramente, proprio da bravi fratelli. Sen avvertì il cuore riscaldato da una simile immagine e si schiarì la voce, per attirare la loro attenzione.

-Padre- risposero i tre, sobbalzando per la sorpresa.

-Come state, figlioli?- chiese Sen, avvicinandosi al letto per abbracciare i tre e anche Liam: -Ero venuto a vedervi-.

-Beh…- rispose Alex: -Ci hanno appena cambiato le bende e somministrato degli antidolorifici. Hanno dato delle medicine ad Haru per il suo cuore. Ad ogni modo, abbiamo deciso di insegnare a parlare e a scrivere a Liu-.

-Padre, tu che lingua conosci?- chiese Haruhiko, inclinando il capo: -Noi possiamo comprenderci grazie a questi traduttori auricolari. Ma se li toglieremmo, non ci capiremmo più-.

Sen ridacchiò e si sedette sul letto di Alex, a fianco, con Liam: -Io conosco il giapponese ma soprattutto l’inglese, figlioli miei. Ho vissuto per un breve periodo a New York, prima che mi sposassi-.

-La mamma è…- gracchiò tristemente Liu, muovendo le dita del piede non immobilizzato.

-Lei venne brutalmente assassinata da Oda, figlioli- spiegò Sen, con il volto scuro: -Lo ricordo perfettamente. Volevamo stabilirci a New York, perché era lì che vostra madre Teng Shin poteva esibirsi come cantante. La sua voce era incantevole: poteva sciogliere anche il cuore più duro. Quando veniste al mondo, la nostra gioia fu immensa… ma, una notte, Oda s’intrufolò nel mio appartamento, con l’intenzione di rapirvi. La mia Teng Shen vi protesse, ma fu pugnalata alla schiena… non ce la fece e morì-.

Liu ringhiò ma scoppiò a piangere, mentre Haruhiko lo avvolse in un abbraccio e Alex gli accarezzò i capelli; i loro cuori dolevano, per una simile notizia.

-Vi crebbi, sino a quando, un giorno, vi persi, figli miei…- proseguì Sen, abbracciando Liam, come volesse assicurarsi che i suoi amati “bimbi” erano ancora con lui: -Non vi ho mai smesso di cercare. Mi sono arruolato qui nella speranza di ritrovarvi-.

-Beh, su questo, padre, sei stato premiato- ridacchiò Alex, mentre un russare morbido provenne da Liu: -E a quanto pare, per qualcuno le storie hanno l’effetto soporifero!-.

-Liu dorme a causa di una dose massiccia di antidolorifici. Secondo i medici con i quali è in cura, il suo osso sta guarendo bene. E la placca non gli darà mai fastidio. Sarà libero di correre e divertirsi come noi… anche se ci vorranno circa quattro mesi di terapia e riposo- spiegò Liam, massaggiandosi le costole: -E anche per me, anche se fra tre settimane starò meglio-.

-La mia spalla ci dovrebbe impiegare un mese a guarire- aggiunse Alex, dopo che il sensei gli aveva rivolto uno sguardo morbido e con quel tipo di domanda: -E tu, Haru?-.

-L’operazione mi ha rimesso il cuore a posto, ma non del tutto. Sto prendendo delle medicine, tre volte al giorno e sto decisamente meglio. Fra qualche settimana, toglierò i punti dal petto-.

-Ma…- biascicò Liam, deglutendo un groppo di terrore: -Noi non avremo tutto questo tempo. Vi ricordo che il 21 dicembre è vicinissimo e… noi dobbiamo ridar vita a Leonardo e gli altri, in modo che possano aiutarci a posizione quel dannato meteorite al suo posto-.

-Giusto- mormorò Haruhiko, mettendo sotto le coperte il giovane Liu: - Forse potremmo tornare in quella grotta al Berlino X e provare a ricontattarli, ammesso che sapremmo come fare-.

-Posso chiedere un permesso speciale per voi e accompagnarvi, figli miei- propose gentilmente Sen, ottenendo dei sorrisi di gratitudine da tutti i suoi amati figli: -Vado immediatamente a parlare con i Maestri. Voi riposatevi figli miei, mi raccomando. Vi amo tutti-.

-Grazie, maestro Splinter- risposero i tre, gelandosi, come lo stesso Sen.

-Ehm…- farfugliò un imbarazzato Haruhiko: -Credo che… credo che siamo ancora un po’ influenzati dagli spiriti delle tartarughe… scusaci, maestro-.

-Va tutto bene, figlioli- ridacchiò il maestro: -Immagino che, vogliate sapere i vostri veri nomi, o meglio, quelli che Teng Shin scelse per voi-.

I tre annuirono e Sen si voltò, sulla soglia della porta: -Haruhiko, il tuo nome era Kashiko e significava “leader”; sapevamo che avresti guidato i tuoi fratelli con onore. Alex, il tuo era Suki e significava “passione” perché la tua forza era dirompente. Liam, tu eri stato chiamato Rida, proprio per la tua “intelligenza” e infine, Liu, essendo il più piccolo, il suo nome fu Akaru, che significa “vivacità”-.

-Bellissimi nomi, padre- sorrise Alex: -Mi piace Suki…-.

-Suppongo vogliate essere chiamati con i vostri nomi- mormorò ancora Sen, ora voltato di spalle.

-No, vogliamo che tu ci chiami con quelli che ha scelto la mamma- rispose Liam, mentre gli altri due annuirono.

Liu si girò nel letto, borbottando qualcosa d’incomprensibile, causando un ridacchiare generale. Fu allora che Sen se ne andò, lasciando i tre ragazzi esonerati dalle lezioni, dall’addestramento e nella noia. Così, colti da un senso di stanchezza, s’infilarono nei letti, gettando le scarpe all’aria e spegnendo le luci, si unirono al mondo dei sogni di Liu…

**************************************

Ore 18:30

Haru, Liu, Alex e Liam erano proprio fuori il cancello che permetteva l’accesso alla Foresta Bianca. I loro occhi erano persi nell’orizzonte, cercando di ricordarsi della buca in cui erano caduti. Due ombre, alle loro spalle li fece voltare immediatamente. Sen e Nat erano lì per loro, pronti per aiutarli.

Nat sospirò pesantemente attraverso la maschera: -C’e stato un forte tornado alle Isole Maldive e uno tsunami nello Sri Lanka. In tutto, si contano 200 morti e 400 feriti. Proprio ora, un terremoto si è abbattuto a Cuba. Non c’è più molto tempo-.

Haruhiko si scurì in volto: -Dobbiamo impedire che altre persone innocenti muoiano!-.

Sen gli strinse la spalla, mentre Haru sbiancò: il suo cuore gli inviò una fitta di dolore dovuta alla troppa rabbia. Inspirò profondamente e sorrise falsamente, per assicurare che stesse bene.

-Liu, dimmi, dov’è finito Tan Tan?- chiese Liam, ricordandosi del candido animale, mentre sorreggeva il suo fratellino, la cui gamba non era appoggiata in terra.

Il cinese ridacchiò e s’infilò due dita in bocca: il suo fischio risuonò nel vento che stava lentamente scuotendo le cime degli abeti circostanti, trasportando piccole sfere di neve. Il cielo era scuro e nuvoloso, ma forse, non sarebbe venuto a piovere. Forse, avrebbe nevicato o forse no.

Improvvisamente, nel silenzio interrotto dai fischi del vento nelle orecchie, un rumore crescente si avvicinò, in parte ovattato dallo strato soffice di neve in terra. Il frusciare di alcuni rametti spezzati e cespugli spogli mantenne vigile l’attenzione dei presenti, ad eccezione di Liu.

-Che cos’è?- ringhiò Alex, desiderando ardentemente almeno un pugnale Sai, per poter combattere o difendersi: -Maledizione-.

-Zitto- rimproverò Liu, aggrottando la fronte: -Lui arriva!-.

-Chi?- chiesero tutti quanti, all’unisono: -Spiegati meglio-.

Liu ridacchiò e quando gli occhi rossastri spiccarono su un manto bianco e morbido, capirono. Tan Tan era fieramente dinanzi a loro, con la lingua penzolante dal muso e un’aria tenera, quasi da cucciolone. Liu lo abbracciò e si sedette sulla sua groppa, dato che non era affatto pesante per il forte lupo. Tutti si calmarono, ma una domanda sorse spontanea.

-Non è tornato alla Foresta di Pietra?- chiese Alex, sollevando un sopracciglio, in pura curiosità.

-No- rispose Liu: -Lui vivere con me. Lui aiutare in battaglia. Eroe-.

-Non ci morderà, spero- scherzò Liam, accarezzando Tan Tan che fece una sorte di fusa di piacere: -No, che non la farai! Perché tu sei troppo tenero e carino! Accidenti, quando mi piacerebbe avere un cane!-.

-Stupido!- quasi gridò giocosamente Liu, causando un piccolo spavento in Tan Tan, che alzò le orecchie: -Noi fratelli. Tan Tan anche tuo e di Haru, Alex, papà… e Nathalie!-.

Gli altri sbatterono le palpebre un po’ sorpresi ma Sen ridacchiò, annuendo e ringraziando.

-Andiamo, però. Non possiamo rimanere qui- ricordò Haruhiko, con il sorriso cancellato dalla paura di altri innocenti morti nelle calamità naturali. 

Improvvisamente, qualcosa cadde dal cielo, schiantandosi nella neve. I presenti si scambiarono uno sguardo attonito e Tan Tan corse verso il cumolo di neve, annusando quello che rivelò essere un uccello morto e con gli occhi aperti. Liam, in fretta, lo raccolse nelle mani, dotate di guanti di pelle nera.

-Non ha proiettili nel corpo- spiegò, studiando l’animaletto grigio e biancastro, dal becco e le zampe nere: -Non credo che sia stato avvelenato, altrimenti, la sua agonia sarebbe stata più lunga-.

Un altro schianto, esattamente dietro Alex, il quale sobbalzò e si voltò, solo per riconoscere un altro uccello morto, completamente identico a quello nelle mani di Liam, attonito. Il focoso non capì ma un gracchiare continuo lo costrinse a guardare il cielo: gli uccelli volavano disconnessi tra loro, come se i loro sistemi d’orientamento biologici non funzionassero più a dovere. 

-GUARDATE!- urlò Haruhiko, puntando il dito verso alcuni volatili che si schiantavano fra loro o contro i tronchi degli abeti più alti, finendo mollemente in terra, privi di vita: -Che sta succedendo?!-.

Tan Tan ululò impaurito e Liu lo accarezzò, capendo immediatamente ciò che il suo amico stava dicendo. Ringhiò impaurito e spiegò tutto agli altri.

-Campo gravitazione terrestre cambiato- disse: -Tan Tan paura!-.

-Sì, ha ragione!- scattò Liam, incredulo: -Gli uccelli vengono influenzati dalle continue radiazioni elettromagnetiche provenienti dal sottosuolo e questo li manda in tilt! La situazione sta degenerando rapidamente, diamine!-.

-Ehm… ragazzi- s’intromise Nat, intravedendo una crepa delinearsi perfettamente nel terreno, con un sonoro scricchiolio sinistro delle piccole lastre di ghiaccio in terra: -Credo che ci conviene correre. Guardate sotto i vostri piedi-.

La Foresta Bianca venne sconvolta da un forte terremoto, della potenza di 7.5 magnitudo. I giovani, spaventati, iniziarono a correre, barcollando continuamente a causa della difficoltà di mantenere l’equilibrio. Gli alberi danzavano per il vento intensificato alla nevicata che stava già cadendo.

Ecco che, per fortuna, Haruhiko adocchiò uno squarcio nero nel terreno e intuì immediatamente che si trattava del passaggio “segreto” che avrebbe condotto alla grotta di cristallo. Accelerò, cercando di gridare per attirare l’attenzione e quando fu vicino al buco, spiccò un salto a piedi uniti, sprofondando nell’oscurità, seguito dalle grida degli altri… 

**************************************

Haruhiko, svegliati, coraggio. Anche tu Alex! Liam e Liu, riaprite gli occhi!

Una serie di voci imploravano ai nostri amici di varcare la nebbia e provare a lottare per ripristinare i sensi perduti. I giovani fratelli aggrottarono la fronte e riaprirono appena gli occhi. Si resero conto di non avvertire la pesantezza dei corpi e la prima ipotesi che immaginarono, fu la morte.

-S… siamo morti?- chiese debolmente la voce di Liu, il quale era trasparente e spettrale: -Il mio corpo è avvolto da una luce bianca…!-.

-Non lo so. Hai visto in che razza di posto siamo?- aggiunse burberamente Alex, al suo fianco, identico come aspetto al primo.

In effetti, erano al centro del nulla. Galleggiavano a mezz’aria in un background fatto di nubi grigie, senza cielo né terra, senza entrate né uscite. 

-Ehi, ragazzi!- chiamò una terza voce, nella quale si riconobbe Haruhiko, anche lui spettrale e luminoso di bianco: -Liu è qui con me- e indicò il fratellino quasi terrorizzato.

Una mano verde mela si poggiò sulla spalla di Haruhiko, causandogli un certo disagio. Era fredda e aveva tre dita. Capì immediatamente e si voltò, sorridendo alla tartaruga dalla fascia azzurra che gli era spiritualmente dinanzi. Il suo corpo mutante era avvolto da un sottile alone azzurrato, che brillava sui manici delle katana sul guscio.

-Ciao, Leonardo!- salutò Haruhiko, sinceramente contento: -Eravamo proprio venuti qui per cercare di ricontattarvi… ammesso che siamo ancora vivi-.

Sì, lo siete, non preoccupatevi. Vi abbiamo momentaneamente chiamato i vostri spiriti, abbandonando i corpi alla vita terrena. Non siete morti, tranquilli.

Accanto a Leo, comparvero Raphael, Donatello, Michelangelo e Splinter, tutti felici. La tartaruga con i Sai fu la seconda a parlare.

Immagino che… se siete venuti qui è per ridarci la vita e salvare il mondo, giusto?

-Sì, proprio così- rispose Liam, annuendo in contemporanea: -Mancano solo due giorni alla fine del mondo e le catastrofi cominciano a manifestarsi in ogni parte del mondo… sono morte già troppe persone e… noi vogliamo che questa carneficina finisca!-.

Donatello piegò la testa da un lato e chiuse gli occhi nocciola, lisciandosi il mento, con fare pensieroso.

Il meteorite che proviene da Plutone è la chiave per il pianeta. Noi sappiamo esattamente il punto dove inserirlo per farlo sciogliere nel magma del nucleo terrestre. Dovremo tornare alla nostra tana, a New York, nella 39esima… lì ho o avevo la Tarta-Talpa… 

-N… New York?- biascicò Alex, incredulo: -Ci vorrà molto tempo per raggiungerla!-.

Michelangelo sospirò e annuì.

Sì, ma se non ci sbrighiamo, milioni di persone moriranno.

-D’accordo, allora- ribatté Haruhiko: -Come possiamo ridarvi la vita?-.

Leonardo sorrise ampiamente e gli tese la mano: il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre, meravigliato e un po’ riluttante gli restituì la presa. La tartaruga ringraziò con uno sguardo morbido e poggiò la mano umana al centro del suo petto, sul cuore. Le altre tartarughe fecero lo stesso con le loro reincarnazioni, mentre Splinter s’inginocchiò in terra, chiudendo gli occhi e poggiando le mani sulle cosce.

Concentratevi e chiudete gli occhi.

Il vecchio topo aveva appena parlato e i quattro fratelli annuirono e portarono a termine l’ordine cortese. Ognuno di loro sentì come se una parte del loro corpo venisse strappata lentamente e con essa, un turbinio confuso di parole e colori iniziò a offuscare le loro menti.

Concentratevi.

Haruhiko fu il primo a capire che qualcosa stava abbandonando il suo corpo… attraverso gli occhi della mente osservò l’oscurità, prima che un fascio di candida luce s’irradiasse completamente, avvolgendolo…

Grazie infinite… ora possiamo combattere per il mondo…

**************************************

-Liam, apri gli occhi, figlio mio! Anche voi altri… vi prego… non arrendetevi così!-.

-Forza, giovani guerrieri, dobbiamo salvare il mondo!-.

Gli occhioni azzurri di Liu si riaprirono nuovamente, avvertendo un sordo dolore alla gamba e la pesantezza del suo corpo. Con una leggera confusione, si ritrovò con la testa appoggiata sulle cosce di suo padre, il quale fu felice di rivederlo sveglio.

Nat aiutò Liam a rialzarsi, attenta alle costole, mentre Haruhiko fece lo stesso per Alex. Le loro menti erano parzialmente vuote, ma ricordarono quello che avevano appena vissuto e spalancarono gli occhi. Una mano calda appoggiò contro la spalla del giapponese, il quale si voltò indietro.

Un sorriso spiccava assieme ad altri quattro su un volto non umano. Loro erano finalmente in vita.

-E’ tempo di combattere- sussurrò Leonardo, orgoglioso di avvertire il suo corpo nuovamente pesante e vivo…

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Prima della Partenza ***


Nat e Sen guardavano sbigottiti le quattro tartarughe mutanti e il topo dinanzi a loro, mentre i fratelli umani non sembravano così meravigliati. In fondo, li avevano chiaramente già visti inizialmente e nel mondo degli spiriti in cui erano stati sino a pochi minuti fa.

-Grazie per averci ridato una nuova vita, ragazzi- sorrise Leonardo, porgendo la mano per aiutare Haruhiko a rimettersi in piedi: -E’ una bella sensazione ritrovarsi il peso di un corpo vivo addosso, sapete? Ma… ora tocca a noi sdebitarci-.

-E come?- chiese Nathalie, rimuovendo la maschera dal volto: -Potreste spiegarci…-.

Non continuò la frase, però: improvvisamente, una nuova scossa di terremoto scosse l’intera grotta sotterranea, con inaudita violenza. Pezzi di rocce si staccarono dal basso soffitto, a causa della friabilità del terreno: le tartarughe non ci pensarono su due volte e protessero i loro nuovi amici con i loro gusci.

Haruhiko spalancò gli occhi e intravide quelli di Leonardo che lo fissavano con immensa determinazione. Sorrise di gratitudine e guardò i suoi fratelli. Liu piagnucolò per la gamba e passato il pericolo del crollo, Michelangelo lo prese, caricandoselo in spalla.

-Andiamo. Non c’è tempo da perdere- gli disse, con quella brillantezza azzurra negli occhi: -Ragazzi, sembra un’eternità che manchiamo dalla nostra casina bella!-.

-In effetti, figlio mio- ridacchiò Splinter, guardando Sen: -Sono pur sempre trascorsi circa trent’anni da quando siamo morti-.

-Ah, ecco!- fece Michelangelo, mentre tutti risero, anche Nat, sebbene a bassa voce: -Ok, qualcuno da come uscire da qui? Non so voi, ma non vorrei ritrovarmi nuovamente schiacciato sotto qualche maceria. Ricordate? L’ultima volta ho riportato questa ferita alla gamba-.

Leo annuì e raccolto Haru sulle spalle, guardò Raph che fece lo stesso con Alex, (il quale grugnì appena alla spalla infortunata) e Don con Liam. A bordo di quei gusci molto lisci e verde salvia, i ragazzi si sentirono come dei cavalieri sui loro destrieri.

Sen scambiò un sorriso con Splinter mentre Nat provocò un piccolo batticuore in Donatello e Liam, i quali arrossirono e distolsero lo sguardo. Michelangelo inspirò una profonda boccata d’aria, prima di tossire: agitò la mano e si tappò il naso.

-Che odoraccio!- gemette: -Puzza di… non so voi, ma sembra zolfo! Eek… è davvero disgustoso!-.

Don spalancò gli occhi: -C’è probabilmente qualche vulcano sotterraneo… ecco perché l’aria sta diventando stranamente calda e il terreno si sta riscaldando! Oh, cavolo! Dobbiamo assolutamente uscire da qui, prima che rischiamo di ritrovarci sciolti nel magma!-.

-C’è una porta che conduce al Berlino X, nella Stanza Segreta. Raggiungiamo l’uscita a nord. Seguitemi!- spiegò un frettoloso Sen, mentre afferrò per mano Nat.

Tutti insieme annuirono, riuscendo a togliersi da quello stesso punto in cui il terreno cominciò a gonfiarsi, accumulando la pressione dei gas provenienti dalla crosta terrestre. Corsero velocemente, sperando che la piccola esplosione che seguitò il rigonfiamento, non li travolgesse.

-Lì!- indicò Sen, puntando l’indice verso una porta, la quale si aprì e si richiuse automaticamente, quando il sensei ci poggiò la mano su…

***************************************
Ripresero fiato: perle di sudore si materializzarono sulle fronti delle quattro tartarughe, le quali non fecero scendere i loro protetti, per non farli affaticare ulteriormente. Dalla quantità di caldo che percepivano, sapevano che la situazione non era delle migliori in superficie.

Nella Sala Segreta, Leo adocchiò il piccolo altare con il grosso libro su di esso. Si avvicinò, riconoscendo alcune parole in giapponese, in rilievo sul gambo, assieme a un dragone. Sen rimase in silenzio, mentre Nat osservò le tartarughe, studiandone ogni piccolo centimetro.

-Che cos’è?- chiese Haruhiko, con il mento appoggiato sulla spalla destra di Leonardo: -Non l’ho mai visto prima-.

-Sembra un antico libro- pronunciò Leo, sfogliandone alcune pagine; i suoi occhi, però, si bloccarono su alcune scritte nipponiche, in cui spiegavano quasi dettagliatamente la fine del mondo: -Come su quella parete, un’eruzione vulcanica, un meteorite e uno tsunami avverranno tra due giorni-.

-Qualcuno di voi sa leggere il cinese?- domandò Raphael, con le mani sui fianchi e un sopracciglio alzato.

-Io- fece Liu, mentre Mikey si avvicinò a Leo e s’inginocchiò dinanzi alla stele, mentre il ragazzo biondo cominciò a leggere mentalmente: -Meteorite cade perché attirato nucleo Terra. Altro meteorite salvare e…-.

-E?- chiese Donnie, cercando di assimilare il contenuto di quelle parole un po’ confuse.

-Giapponese no leggere io- si scusò Liu, sospirando avvilito.

-Non c’è problema. Posso farlo io- sorrise Michelangelo: -Dunque… come ha già detto Liu, un meteorite si schianterà sulla Terra perché influenzato dal campo elettromagnetico amplificato del pianeta ma un altro, collocato nella giusta posizione, potrà annullare questo risucchio ed evitare lo schianto finale-.

-Bel lavoro, Mikey- sorrise Leo: -Mi sorprende che tu abbia imparato perfettamente questa lingua, nonostante ti addormentassi alle spiegazioni del maestro Splinter-.

L’arancione arrossì imbarazzato e aggrottò la fronte: -Zitto! Uffa, che barba!-.

Ridacchiarono un po’ tutti ma un pensiero illuminò lo sguardo di Liu: -Dov’è Tan Tan?!-.

-Probabilmente deve essere rimasto in superficie… ehm, sulla neve- ipotizzò Donatello: -Sono sicuro che ci starà già aspettando. Leo, prendi quel libro e schiodiamo da qui-.

Il leader annuì ma quando prese il polveroso e voluminoso libro, questo si sfaldò nelle sue mani, distruggendosi in polvere. La tartaruga deglutì e guardò Sen, cercando di chiedere umilmente scusa. Il saggio maestro del Berlino 18, però, annuì e sospirò.

-Non è colpa tua, Leonardo. Il libro era troppo vecchio e il deterioramento era imminente. Le informazioni che erano contenute in esso, però, sono state trascritte in altri volumi, conservati nella Biblioteca del castello-.

-Oh… insomma, sono sollevato- ridacchiò nervosamente l’azzurro: -Credevo che…-.

-Che le tue mani di dinosauro avessero distrutto un prezioso cimelio antico, giusto?- schernì Raph, con tanto di sarcasmo, che provocò le risate contagiose di Michelangelo.

-Tu senso umorismo!- esclamò Liu, strofinando la guancia contro Mikey, che ricambiò con un sorriso.

Sen, sebbene un po’ riluttante a interrompere quella scenetta familiare, indicò una uova porta che avrebbe condotto al Berlino X e di conseguenza in superficie…

***************************************
Berlino 18, ore 18:10

I ragazzi e le tartarughe si erano rintanati nel dormitorio dei primi citati, con Tan Tan, accucciato in terra, a ronfare un po’. Fuori sembrava notte fonda e pioveva a dirotto, assieme a un forte vento che dava l’impressione di un uragano.

-Bene- mormorò Splinter, sorseggiando un tè dopo trent’anni: -Siamo usciti dalle grotte e abbiamo capito varie informazioni utili. A questo punto, credo che ci sia solo una cosa da fare-.

-Sì, giusto- annuì Leonardo, il quale guardo i suoi fratelli che annuirono: -Ragazzi, è necessario partire immediatamente per New York e tornare alla nostra vecchia base. Lì, con la Tarta-Talpa, ammesso e concesso che sia ancora lì, potremo scavare abbastanza per raggiungere le profondità della terra e piazzare il meteorite. A quel punto, sarà quest’ultimo a occuparsi di tutto-.

-Ma sarà molto rischioso- completò Donnie, sorseggiando il tè: -Ve la sentite, ragazzi?-.

-Abbandonarvi non è qualcosa in cima alla nostra lista di cose da fare- rispose Alex, massaggiandosi il braccio ferito: -Vorrei solo che questo dannato dolore mi lasciasse in pace, accidenti!-.

-Hai mai pensato che, forse, è proprio l’aria pesante di questo posto a rallentare la tua guarigione, Alex?- chiese Donnie, sollevando un sopracciglio e accavallando una gamba.

Il francese aggrottò la fronte e ci pensò: -Sì, credo tu abbia ragione, sai?-.

-Dunque…- mormorò Liam, con una mano sulle costole: -Diteci, quando partiremo per New York? Quella città mi affascina e… papà ci ha raccontato che è dove siamo nati!-.

-Interessante, ragazzi- ridacchiò Michelangelo, mentre il suo stomaco brontolò rumorosamente a tal punto che lo fece arrossire: -Cavolicchio, chiedo scusa! Il punto è… che sto morendo di fame! Voglio dire, saranno trent’anni che non metto qualcosa sotto ai denti!_.

-Solo perché eravamo spiriti e gli spiriti non hanno bisogno di mangiare- gli spiegò Donnie, ridacchiando al piccolo ceffone che Raph mollò al fratellino, dietro la nuca: -Beh, nulla è cambiato delle nostre abitudini.

-Ritornando alla precedente domanda- s’intromise Leo, cambiando discorso: -Non abbiamo tempo a disposizione, quindi, sarebbe utile partire stasera-.

-Sarebbe bello se non fosse che non abbiamo mezzi terreni veloci- sospirò Liam, mentre la porta della camera si aprì immediatamente.

-Ho prenotato un volo di sola andata per New York City. Il nostro aereo partirà esattamente alle 23:20 da Berlino-Tegel e un’auto ci verrà a prendere. Quindi, riposatevi e mangiate qualcosa- spiegò Nat, rimuovendo la maschera dal volto.

-Sei davvero incredibile, lo sai, pupa?- esclamò Michelangelo, mentre la ragazzina esibì un sorrisetto piacevole, prima di uscire e andarsene a zonzo per il Berlino 18.

-E’ tutta sua madre, sapete?- sorrise Raphael, poggiando le mani sul letto per inclinare la schiena dietro: -April e Casey saranno contenti di vedere la loro bambina e… noi!-.

-Sì. E’ giusto che meritino di riaverla indietro- annuì Splinter, guardando Sen.

-Benissimo. Per il viaggio siamo a posto!- sorrise Haruhiko, un po’ palliduccio: -E un po’ di cibo non guasta. Sapete, non sono solito a dirlo, ma sto morendo di fame!-.

-Giusto- fece Mikey, felice come un cane: -Avranno la pizza, qui?-.

-Non credo proprio- ridacchiò Liam: -Qui ci sono minestre, carne, frutta e altro-.

Liu, il quale stava accarezzando Tan Tan, guardò i presenti con aria interrogativa: -Cosa è pizza? Io non sapere! Dire me! DIRE ME!-.

-Calmati!- lo rimproverarono Raph e Alex contemporaneamente per poi rispondersi ancora all’unisono: -E’ l’abitudine!-.

-La pizza è il piatto più buono che esista sulla faccia della Terra!- spiegò Mikey, tenendo alto l’indice della mano sinistra, da bravo mancino: -E la si può trovare di tanti gusti diversi! E’ tonda, profumata e calda! C’è uno strato di pomodoro sopra, condito con olio, basilico e… mozzarella!-.

L’acquolina gli rigò il labbro inferiore, tant’è che Don dovette girarsi dall’altro lato, disgustato. Leo scosse il capo, imbarazzato e gli porse un fazzoletto, mentre anche lo stomaco di Alex e Raph ringhiarono, vogliosi di cibarie. I due scoppiarono a ridere.

-D’accordo, andrò a prendere qualcosa da mangiare- sorrise Sen: -Haruhiko, ti va di venire con me?-.

Il giapponese annuì e scese dal letto: -Hai, sensei. Ci vediamo dopo…-.

***************************************
Berlino 18, ore 22:40

Era giunto il momento: i ragazzi, Sen, Nat e cinque figure avvolte da dei lunghi mantelli neri, con tanto di cappucci, erano fuori il Berlino 18, con la pancia piena e completamente carichi di adrenalina. Attendevano un’auto che li avrebbe condotti all’aeroporto per prendere l’aereo e raggiungere New York.

Avevano saputo che cinque vulcani erano esplosi in diverse parti del mondo, causando non pochi morti e molte abitazioni ed ettari distrutti. Il loro cuore stringeva dolorosamente nel petto, ma non avrebbero mollato ancor prima di cominciare.

Uno strombazzare insistente anticipò l’arrivo di un furgone nero e blindato, che Nat riconobbe immediatamente: un Maestro era lì per accompagnarli. 

-E’ ora di andare- disse Haruhiko, stringendo un piccolo kunai che aveva nella cintura.

-E’ ora di salvare il mondo- completò Leonardo, guardando i presenti che annuirono, salendo…

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** New York ***


Fra un’ora sarebbe scattata mezzanotte e con il primo minuto, il 20 dicembre. Poi, un solo giorno avrebbe separato la Terra dalla sua fine. Liu, Haru, Alex, Liam e tutti gli altri erano già a bordo di un aereo privo di passeggeri: apparteneva, difatti, al Berlino 18.

Era un immenso uccello di metallo con ampie ali, tinto completamente di nero e in grado di mimetizzarsi dai segnali radar di rilevamento altrui. Volava ad alta quota, nelle nubi oscure e temporalesche della Germania, sorvolando un’immensa distesa blu scura di mare. Non c’erano nomi sulle fiancate, nulla di nulla.

Le tartarughe, sapendo che erano lontane da occhi indiscreti, si tolsero i mantelli e osservarono il mare e il cielo attraverso gli oblò sulle fiancate. Erano affascinati ma per loro questa non si trattava certamente della prima volta. No, loro aveva già volato molte volte, sia a bordo di aerei, elicotteri sia shuttle e navicelle spaziali.

Liu era un po’ spaventato, ma era ben felice di lasciare un posto che gli aveva regalato più disavventure che avventure e inoltre, non temeva nulla con la sua famiglia… e Tan Tan, accucciato sul sedile accanto a lui.

-Entro quanto tempo raggiungeremo New York?- chiese Liam, un po’ assonnato: -Sono davvero eccitato all’idea, anche se so bene che non si tratta di un allegro viaggetto-.

-Direi quattro ore- rispose Nat, a braccia conserte e accanto a Splinter: -Questo aereo è molto veloce, sapete?-.

-Sì e sono affascinato!- sorrise Donnie, accanto a Leonardo: -Mi piacerebbe capire che tipo di motori ci sono e il materiale!-.

-Don siamo solo trent’anni nel futuro, non trecento! Quindi, salvo qualche moderna tecnologia, non ci sono grandi novità!- ridacchiò Raphael, mentre Mikey era prossimo al sonno: -Ehi, guardate un po’ il lamebrain qui! Sta cercando di dormire-.

Mikey sorrise pigramente e appoggiata la testa al seggiolino, i suoi occhi si chiusero, troppo stanchi per rimanere ancora aperti. Liu lo imitò e con la testa sulla spalla di Haruhiko, iniziò subito a inoltrarsi nel mondo dei sogni. Leo fu il terzo e tutti gli altri.

Avevano bisogno di energie fisiche e mentali: così anche Sen, Nat e Splinter si abbandonarono al sonno…

*****************************************
New York City, ore 03:10

Era oramai il 20 dicembre e l’aereo del Berlino 18 era atterrato in una distesa erbosa spaziosa, proprio nella Grande Mela. Nathalie era già sveglia da un po’ e nel silenzio interrotto solo dai russare morbidi, aveva avuto modo di pensare ai suoi veri genitori.

Era perfettamente a conoscenza che April e Casey Jones, i loro nomi, vivevano in questa città e il punto era: l’avrebbero riconosciuta? Aveva dei fratelli? Non l’avrebbero amata? Chissà, le domande potevano essere infinite, però. Nat non sapeva che cosa dire o fare: per conoscere alcuni aspetti della sua nascita, ella si sarebbe totalmente affidata alle tartarughe e Splinter.

Dopotutto, loro conoscevano queste due persone meglio di chiunque altro. 

Si rimosse la maschera e la osservò: aveva nascosto per due anni il suo volto dietro di essa. Ora non ne avrebbe avuto più bisogno. Lei era una ragazza… un “killer” e una guerriera. Guardò ancora fuori il finestrino: i grattacieli caratteristici erano lì che si stagliavano maestosamente contro il cielo.

Dalla cabina del pilota venne un Maestro, il quale si fermò dinanzi a Nat: -Siamo arrivati-.

-Grazie. Adesso informo subito- rispose, iniziando a scuotere dolcemente i presenti: -Coraggio, è ora di lottare contro il destino-.

-Mi scusi- interruppe nuovamente il Maestro, questa volta a Sen: -Abbiamo un problema. La potenza del vento si sta intensificando e ciò porta a credere in un uragano. Abbiamo circa trenta minuti per raggiungere il punto prestabilito-.

-Cosa?- esclamò Mikey, ancora assonnato: -Un uragano? Mondo pizza, ragazzi! Questa è una tragedia!-.

-Certo che lo è, testa di rapa!- sbottò Raphael, più impaurito che arrabbiato: -Beh, il nostro rifugio è sotto la 39sima e se la memoria non m’inganna, questo è un praticello della 45esima. Se proseguiamo verso nord, raggiungeremo la nostra tana-.

-Molto bene- rispose il Maestro: -Nella stiva abbiamo a disposizione circa dieci moto. Questo è un aereo militare e di auto non se ne trattano. Sapete guidare?-.

Raphael ghignò: -Se sappiamo guidare? Io sono nato per la moto!-…

E si diressero nella stiva dell’aereo…

*****************************************
Raphael avrebbe gridato di gioia nel vedere un simile “ben di Dio”. C’erano delle splendide moto nere lucide, disposte in una fila di cinque. La stiva era grande e rassomigliava quasi a un deposito. Il soffitto, il pavimento e le pareti erano grigi e dei fari giallognoli riflettevano nella carrozzeria. Quelle marmitte cromate rapirono completamente l’attenzione di Raph.

-Quand’è stata l’ultima volta che ho guidato una moto?- chiese il rosso, accarezzando uno di quei gioiellini con le dita: -Guarda che serbatoio! E lo sterzo cromato… il sellino di pelle nera, poi! Cavolo! E’ bellissima!-.

Leo si schiarì la voce: -Raph, mi dispiace interromperti con la tua dimostrazione di affetto smisurato per i beni materiali, ma avremmo un pianeta da salvare. Quindi, se non ti spiace, preferiremmo salire su quelle moto, non elogiarne la bellezza-.

Raph si scurì in volto e sollevò un sopracciglio, avvicinandosi minacciosamente al fratello: -Da quando hai iniziato ad adottare dei noiosi discorsi diplomatici, Leo? Non era meglio dire “Raph, fa silenzio e muoviti”?-.

Liam, Liu e tutti gli altri stavano ridacchiando sotto i baffi, ma le due tartarughe lanciarono delle occhiatacce furibonde prima di ammorbidirsi e arrendersi al lato divertente del fattore. Scuotendo le teste, raccolsero i caschi neri, con delle strie fiammeggianti e se li infilarono sulla testa.

-Dunque, ci sono dieci motociclette in tutto. Calcolando, direi più o meno così- iniziò Don: -Io e Liam, Liu e Mikey, Haruhiko e Leo, Alex con Raph, il sensei con Nathalie e… il maestro Sen… uhm… siamo dispari!-.

Tan Tan abbaiò offeso per non essere stato preso in considerazione. Il genio esibì un sorrisetto nervoso e si strofinò la nuca imbarazzato. 

-Non sapevo che Tan Tan sapesse guidare- esclamò Mikey, mentre Raph non resistette a mollargli un sonoro schiaffo dietro la nuca: -Ehi! Io sono la delicatezza in persona, quindi, fermo con le mani!-.

-Delicato?- derise Raph, avvampando di rabbia, però: -Delicato un corno! Smetti di sfornare stupide battute perdi-tempo, hai capito? Oh, cavolo! Non ho mai rimpianto il tuo fastidiosissimo tono di voce!-.

L’arancione rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo. Liu lo guardò mortificato e accarezzò sulla testa il suo Tan Tan: gli rivolse un’occhiataccia e il lupo si accucciò, avendo compreso che il suo fratellino lo aveva “dolcemente punito”.

Splinter intravide il bagliore di tristezza e rabbia negli occhi del più giovane e sospirò amaramente, scuotendo lentamente il capo: -Raphael, chiedi scusa a tuo fratello. Ora-.

Il rosso sbuffò al rimprovero quasi infantile e aggrottò la fronte, osservando il suo fratellino che si era già infilato il casco sulla testa e giaceva di spalle, dinanzi a una moto. Alex era un po’ contrariato con Raphael e non si trattenne dal dire la sua.

-Non per intromettermi- iniziò: -Ma penso che dovresti davvero chiedere scusa a Michelangelo. In fondo, la sua osservazione era corretta su Tan Tan. E poi, faceva ridere davvero. Quindi piantala di fare il porcospino arrabbiato e sgonfia l’orgoglio. Coraggio, è tuo fratello!-.

Raph si abbandonò al senso di colpa ed emise un sonoro lamento frustrato: -Scusa, piccolo, Michelangelo! Il cattivo Raph non ti farà più piangere. Ecco, contento?-.

-Raphael- avvertì Splinter, con uno sguardo serio e che non ammetteva repliche.

-Ok- si lamentò il rosso: -Mi dispiace, Mikey. So che volevi farci ridere un po’ ma… ammetto di essere spaventato per tutte queste calamità naturali disastrose. Insomma… non è come affrontare Shredder: qui c’è in gioco il futuro di molte persone e questo mi manda in bestia, senza lasciarmi riflettere razionalmente-.

L’arancione si voltò, evidenziando gli occhi un po’ lucidi. Mosse appena il suo naso proprio per cacciare le lacrime e lo abbracciò strettamente, rilasciando un sospiro un po’ tremolante. Splinter rivolse un inchino del capo di gratitudine a un Alex che arrossì al complimento.

-Lei ha dei figli meravigliosi, maestro Sen- sorrise sottovoce Splinter, lisciandosi il ciuffetto di barba sotto il mento: -Siamo orgogliosi di essere al vostro fianco-.

-Oh, la ringrazio maestro- sorrise Sen, mentre intravide una smorfia evidente di dolore sul volto di un Leo che stava mantenendo un sorriso forzato: -Maestro Splinter, ho la vaga impressione che qualcosa non quadri con suo figlio Leonardo-.

Il vecchio topo spalancò gli occhi e osservò il leader che aveva uno strato di sudore freddo sulla fronte e respirava pesantemente, troppo anormalmente. Raph smise immediatamente di ridacchiare e si avvicinò al maggiore della famiglia che, proprio in quell’istante, era rimasto con la bocca aperta.

-Leo?- chiamò titubante; non ci furono risposte e il rosso afferrò il fratello muto per le braccia: -Leo, dannazione, dì qualcosa! Non fare l’idiota, parla!-.

Il leader spalancò gli occhi, per poi sbatterli un paio di volte. Mosse le iridi solo per vedere le facce preoccupate dei presenti. Non riusciva neppure a sentire le parole che fluivano dalla bocca del fratello dalla maschera rossa. Il suo cuore emanava battiti violenti e incostanti. 

Grugnì e si strinse il petto, stringendo gli occhi e i denti. Ansimando, crollò in ginocchio, senza poter sconfiggere il sordo dolore che lo stava abbattendo. Leonardo provò a dire qualcosa, ma dalle sue labbra sfuggì solo un gridolino.

-LEO!- urlarono Raph, Don e Mikey, spaventatissimi: -NO!-.

Haruhiko, che conosceva perfettamente il sintomo di una fastidiosa cardiopatia come quella, seppe come gestire la situazione. S’infilò la mano nella cintura e afferrando un piccolo flaconcino bianco, si lasciò cadere nella mano destra una pillola bianca e tondeggiante, simile a un “Vivincil”.

Si avvicinò a Leo, inginocchiandosi accanto a lui: -Leo, per favore, apri la bocca e inghiottisci questa. Ti aiuterà a calmare il dolore. Fidati di me, per favore-.

L’azzurro annuì debolmente e si lasciò imboccare. Non appena la compressa gli fu sulla lingua, la inghiottì avidamente, continuando a tenere gli occhi serrati dal dolore. I suoi respiri sconnessi spaventavano moltissimo gli altri, i quali non sapevano cosa fare.

Splinter, addolorato, abbracciò suo figlio maggiore, cullandolo dolcemente: -Figliolo mio, fai dei respiri profondi, ti aiuteranno. Ascolta la mia voce e libera la mente-.

Lentamente, Leo tornò a respirare in modo normale; tossì un paio di volte e il colore pallido della sua pelle si ravvivò velocemente. Gli occhi ramati si schiusero e il leader poté mettere nuovamente a fuoco, un po’ più sorridente. Si staccò da Splinter e con Raph si rimise in piedi, un po’ barcollante.

-G…. grazie, H… Haruhiko- balbettò, ancora piuttosto scosso dalla paura di soffocare: -S… sei stato… tempestivo-.

Il giovane annuì sorridente: -Siamo le facce della stessa medaglia, Leo. Quindi, quando posso, aiuterò. Che si tratti del cardiopalmo o di qualsiasi altra cosa-.

Leo sorrise dolcemente e aprì la mano destra per poi richiuderla a pugno: -L’energia mi è nuovamente tornata. Grazie, Haruhiko. La pillola ha un grande effetto positivo-.

Scampato il pericolo, tutti, compreso Tan Tan, salirono sulle moto. Raphael controllò Leo che era alla guida con Haru attaccato al suo guscio. Sembrava davvero a posto, ma egli era preoccupato. Senza indugiare oltre, tutti avviarono i motori e un rombo amplificato si levò nella stiva: i pneumatici sgommarono con un cigolio e dietro una nube di fumo, le moto ruggirono sino all’uscita di quel grosso aereo.

Il cielo era oscuro, ammantato da grosse nubi cariche di tempesta. Un buco spaventoso nell’agglomerato di nuvole era squarciato da pericolosi fulmini bianchi che si riflettevano nelle vetrate dei grattacieli. New York era splendida come al solito, ma un vento intenso soffiava troppo innaturalmente.

Le moto erano dispose in fila orizzontale, con Leo a capo e Mikey alla fine.

-Siamo a casa- sospirò Raph, notando qualcosa di strano al centro della città: -Che cos’è quell’affare?-.

Liam e Don deglutirono e spalancarono gli occhi: -Quello è… un uragano!-.

-E sta puntando verso la 39esima! Dobbiamo sbrigarci immediatamente o addio mondo!- urlò Mikey, con la mano sul casco: -Andiamo!-.

Ignorando la paura, le moto si rimisero in viaggio, mentre alcune strade già cominciavano a squarciarsi per via di un terremoto…

Forza, ragazzi!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Un Giorno Sfortunato ***


Le moto rombavano su una lunga strada periferica, dalla quale si vedeva perfettamente molti edifici incrinati e semidistrutti. Profonde crepe aveva già solcato l’asfalto e non pochi alberi avevano sbarrato molti incroci, mischiandosi ai detriti dei crolli. I lampi e gli assordanti tuoni non preoccupavano molto i nostri amici quanto l’uragano che stava avanzando. 

Raph era dinanzi a tutta la squadra, con Alex aggrappato al guscio. Entrambi fissavano i grattacieli che ondeggiavano realmente al continuo scuotere del terreno e allo spostamento violento delle masse d’aria. Sapevano che la Terra sarebbe stata bombardata da tre terribili catastrofi. 

Un meteorite, un’eruzione vulcanica e uno tsunami. Per il momento, solo le eruzioni vulcaniche si erano verificate, sparse per il mondo e con non pochi morti e feriti. 

I cinque mutanti premevano per raggiungere la loro casa, prima che l’uragano potesse distruggere ogni cosa. Si resero conto che non erano poi così distanti: ad occhio e croce, mancavano solo due incroci e il turbine di vento si stava intensificando sempre più.

Cassette della posta, biciclette e cassette postali già volavano a mezz’aria, schiantandosi pesantemente nelle auto parcheggiato a fianco dei marciapiedi o nelle vetrine dei negozi. I nostri amici erano, inoltre, costretti a rallentare o accelerare per evitare, in zig zag, di essere colpiti da quegli ostacoli volanti.

-Guardate!- indicò Donatello, puntando verso uno strombazzare generale di auto, con una moltitudine di persone urlanti: -Dobbiamo svoltare immediatamente a sinistra! Da lì, sarà più facile raggiungere la 39esima!-.

-Aspetta!- ringhiò Raphael, fermando la moto con un piccolo testa coda di 180°: -Guardate dove siamo!-.

Anche gli altri si fermarono dinanzi alla 42esima. Lì, molti negozi erano distrutti e le auto capovolte; gli estintori spruzzavano l’acqua da ogni parte mentre un negozio era stato quasi demolito. Le tartarughe fissarono quell’insegna incrinata… le lacrime si formarono nei loro occhi.

-I… il Second Time Around…- gemette Michelangelo sottovoce: -Ragazzi… questo era il negozio di April… e… nel palazzo di fronte, quello grigio, ci abitava Casey! Qui è tutto abbandonato e distrutto…-.

-Sono pur sempre trascorsi circa trent’anni- sospirò Don, poggiando la mano sulla vetrina polverosa: -Non siamo mica morti ieri?!-.

Nat guardò alla sua sinistra, intravedendo qualcosa: una piccola folla di persone stava scappando ma due persone erano ferme, accucciate accanto a un muro di una vecchia distilleria, che aveva avuto i suoi tempi d’oro circa nel 1996. “Gold Beer” era, ormai, un ricordo. La ragazzina non poté fare a meno di guardare quei due che sembravano aiutarsi a vicenda. La donna sembrava ferita.

Nat non ci pensò su due volte e accese nuovamente il motore della moto: -Voi andate. Io vi seguirò-.

-ASPETTA!- urlò inutilmente Haruhiko, venendo fermato da Leo, il quale lo guardò senza dir nulla: -Va bene, ho capito…-…

***************************************

La ragazzina doveva aiutare quelle due persone, che rischiavano di essere coinvolte all’interno di una forte esplosione di una tubatura di gas. Doveva intervenire e accelerando sino ai 200 km/h, li raggiunse immediatamente. Scese dalla moto e iniziò a correre.

L’uomo aveva i capelli neri, lunghi sino alle spalle; non aveva la barba e i suoi occhi erano cobalto. Indossava una giacca di pelle nera che mostrava la sua muscolatura perfetta. I suoi jeans blu erano sporchi di fango, così come le bianche scarpe, completamente marroni.

La donna, abbracciata stancamente all’altro, aveva i capelli rossicci, lunghi oltre le scarpe e occhi verdi gonfi di lacrime. Indossava un cappotto lungo viola, con un pantalone blu e stivali terra d’ombra. Aveva una macchia scarlatta nel suo stomaco e dal suo pallore, di sangue ne aveva perso parecchio.

-Vi pregherei di salire sulla mia moto: c’è una tubatura pronta a esplodere!- disse Nat, avvicinandosi cautamente: -Non ho pessime intenzioni, vi prego, fidatemi-.

-Mia moglie è ferita!- gemette l’uomo.

-Sì. Presto, prendete pure la mia moto- ribatté la ragazzina, sentendosi a disagio.

Proprio in quell’istante, però, una forte pressione fece saltare letteralmente un estintore cremisi al lato del marciapiede destro, con violenza inaudita. Nat fece scansare, con una spallata, l’uomo, il quale attutì la caduta con il fondoschiena sul duro asfalto. Il potente getto d’acqua fresca colpì totalmente la poveretta, la quale fu pesantemente sbattuta con la schiena contro uno spoglio albero.

Non gridò perché la sua bocca venne completamente riempita d’acqua.

L’uomo controllò la donna ancora sveglia e si rimise in piedi, barcollando alla sorte di irrigidimento dei muscoli delle gambe, dovuti alla caduta. Guardarono la figura bagnata di Nat che era distesa su un fianco, ai piedi dell’albero, accanto a una vecchia gioielleria bruciata.

L’uomo si avvicinò e la guardò: -Ehi, ragazzina… sei sveglia? Va tutto bene?-.

Nat gemette e si strinse le ginocchia al petto, per poi rilasciarle. Tossì selvaggiamente tutta l’acqua presente anche nei suoi polmoni e schiuse gli occhi. Perle di lacrime di dolore si mischiarono alle lingue d’acqua trasparenti su tutto il suo viso. Fece per alzarsi ma un sordo dolore alla spalla sinistra la fece trasalire. Si palpò la zona colpita: era lussata.

Lei sapeva come fare: una volta in piedi, sbatté la spalla volontariamente contro l’albero, trattenendo un grido di dolore con le labbra mordicchiate. Un “crack” le permise, però, di rimettere l’osso al suo naturale posto. Si voltò, notando le espressioni basite dei due coniugi dinanzi a lei.

Ancor prima che poté rispondere alla precedente domanda, un liquido nerastro si sciolse, scivolando dolcemente sul suo volto, trapassando la fronte e seguendo il profilo dei pallidi zigomi. I suoi occhi verdi sbatterono intontiti. Lentamente, la sua mano sfiorò i capelli, rivelando sul guanto un colore scuro disciolto nell’acqua..

-Sì, sto bene- rispose, notando la donna scendere dolcemente dalle braccia del marito: -Signori, è meglio andar via da qui. Siamo stati fortunati che la tubatura è ceduta sotto terra e non dalla vecchia gioielleria-.

La donna, ignorando il dolore allo stomaco, si avvicinò ancora e a pochi centimetri da Nat, afferrò un piccolo fazzoletto dalla tasca del suo cappotto. Con la bocca semi-aperta, iniziò dolcemente a strofinare il tessuto sulla chioma della ragazzina, rimuovendo ogni forma di tintura disciolta.

Un colore rossiccio-bordeaux venne presto rivelato e i due uomini soffocarono un grido di puro shock. La ragazzina non capì, ma la donna la strinse immediatamente al petto, singhiozzando felicemente e fuori controllo. L’uomo sorrise ma si voltò di spalle, per nascondere le stesse lacrime di gioia.

-Nathalie…- piagnucolò la donna: -Sei la nostra piccola Nat, non è così? E’ un miracolo… io sono la tua mamma, April e questo è il tuo papà, Casey! Oh, mio Dio! Come hai fatto a trovarci? Non abbiamo mai smesso di cercarti!-.

-M… mamma?- balbettò Nat, ricordandosi delle parole dettogli da Raph, a proposito della sua vera famiglia: -Il mio nome è Nathalie… e quindi…-.

-Nathalie Jones, sì!- confermò Casey, prendendola in braccio: -Ti credevamo persa! Niente e nessuno ci separerà ora!-.

La ragazzina iniziò a piangere dapprima di gioia per poi trasformarsi in disperazione. La maschera impassibile che aveva creato contro le sue emozioni, era ceduta. Infilò il volto nell’incavo del collo di Casey, non potendo fare a meno di lasciar libero sfogo alla sua paura.

-Come hai saputo di noi?- chiese April, accarezzandole i capelli bagnati.

-Leonardo, Raphael, Donatello, Michelangelo e il maestro Splinter mi hanno raccontato di voi e di chi mi ha rapito!- rispose la ragazzina, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano destra.

I due coniugi rimasero letteralmente di sasso. Oramai l’uragano stava avanzando sempre più ma ai tre non importava. Casey rimise sua figlia con i piedi in terra, mentre afferrò April prima che potesse crollare, a causa della debolezza.

-L… loro sono morti, trent’anni fa… co… come p… puoi…?- balbettò una April decisamente sconvolta.

-Beh, a dire il vero è una lunga storia. Ma… vi prego, ora seguitemi!- implorò Nat, porgendo l’unico casco a April: -Papà, che cosa è accaduto alla mamma?-.

Sentendosi chiamare in quei modi, i due sorrisero dolcemente ma fu Casey a rispondere: -E’ stata colpita dalla caduta di un pesante tavolo di noce. Stavamo andando all’ospedale, ma poi l’allarme in tutta la città è scattato e abbiamo capito che c’era un grosso problema-.

-L’uragano…- completò la donna, salendo sulla moto.

-Andiamo e capirete ogni cosa- disse Nat, accendendo il motore e rombando verso il luogo dove c’erano tutti i suoi amici…

***************************************

-Non possiamo più aspettare! Dobbiamo andare, ragazzi!- sospirò Don, a malincuore: -Calcolando la forza dei nodi, non credo che abbiamo più di cinque minuti per schiodare da qui!-.

-Infatti- concordò anche Liam: -Guardate il cielo: l’uragano si sta avvicinando inesorabilmente… e dobbiamo portare il meteorite al posto giusto!-.

Proprio in quell’istante, Mikey notò qualcosa di estremamente insolito nel cielo. Sbatté e si strofinò gli occhi, per assicurarsi che era perfettamente sveglio. Si mollò perfino un paio di schiaffi sulle guance, ma nulla… il cielo era sempre più strambo. Tan Tan guaì di paura e Liu si affrettò ad accarezzarlo, per calmarlo.

-Ehm… ragazzi- chiamò Michelangelo, con gli occhi sgranati.

-Non ora, Michelangelo- tagliò corto Donatello, intendo a regolare alcune funzioni sul piccolo palmare integrato accanto al contachilometri della moto.

-Ma volevo dire che nel cielo…-.

-Mikey, stai zitto! Non vedi che stiamo calcolando la quantità di benzina rimasta nei serbatoi?- ringhiò anche Raphael, leggendo la lancetta dell’indicatore di carburante.

-Oh, andiamo!- si lamentò l’arancione.

-Mikey, per favore. Rimani un minuto in silenzio. Ho bisogno di concentrazione per elaborare un piano efficace- lo rimproverò Leonardo, massaggiandosi le tempie.

Fu allora che Michelangelo afferrò per le code delle maschere i suoi tre fratelli, costringendoli a guardare il cielo: -C’E’ L’AURORA BOREALE A NEW YORK, TONTI!-.

Splinter e Sen avrebbero ridacchiato, ma con quel fascio prismatico fra le nubi americane c’era poco da stare allegri. La temperatura si stava, inoltre, paurosamente alzando, tanto che i presenti cominciavano a strofinare via le perle di sudore dalla fronte.

-Perché non ce lo hai detto subito?- protestò Raphael, guardando mortalmente Mikey; si avvicinò al suo orecchio: -Se ci riprovi di nuovo, ti faccio ritornare nel mondo degli spiriti, hai capito?-.

Mikey annuì con un sorrisetto forzato e il rombo della moto di Nat, in avvicinamento, lo fece voltare e… impallidire. Temendo di essere nuovamente in un sogno, mollò un potente schiaffo sulla guancia di Raphael, strattonandolo violentemente per il braccio.

-MIKEY!- ruggì arrabbiatissimo (che era solo un eufemismo) il rosso, bloccandosi alla vista di Nat in compagnia: -I… io n… non ci posso credere…-.

Nat permise ai due Jones di scendere dalla moto e indicò il gruppetto di amici che li fissavano: -Ecco. Loro sono qui, vivi e vegeti-.

Casey fu il primo a lasciarsi scappare due lacrime di pura gioia: lentamente si avvicinò a Raphael, il quale gettò Mikey di lato, solo per abbracciare l’amico tanto mancato.

-R… Raph… s… sei proprio tu?- balbettò Casey, senza la minima vergogna nel piangere: -Che giorno! Ho ritrovato mia figlia e voi!-.

Raph sorrise, inspirando il profumo di acqua di colonia dell’amico: -Casey, vecchia idrovora, non sai quanto ho desiderato questo momento e… aspetta! April è ferita?!-.

L’umano si scurì in volto e spiegò lo stesso motivo detto a Nat; Don tentò immediatamente di soccorrere la sua migliore amica e frugando nella borsa nera che aveva a tracollo, tirò fuori un asciugamano e delle bende, incurante che l’uragano era vicinissimo.

April si sbottonò il cappotto e alzandosi il maglione più cremisi che bianco, Don notò che il taglio partito dalla costola sinistra sino all’addome, era abbastanza profondo. Asciugò in fretta ma delicatamente il sangue raggrumato e bendò lo stomaco. La prese in braccio, porgendola a Casey.

Nat si avvicinò a Raph e l’abbracciò teneramente: -Ti ringrazio, Raphael-.

-Per cosa?- chiese l’altro, con un sorriso.

-Per aver finalmente capito chi ero… una Jones e sono fiera di esserlo!-.

Raph avrebbe detto qualcosa di carino ma Leonardo gridò immediatamente di saltare sulle moto: -Non c’è più tempo da perdere, ragazzi! La 39esima è a due incroci da qui! Muoviamoci!-.

Nat fece salire i suoi genitori con lei, mentre Sen passò con Splinter. 

-E’ come ai vecchi tempi. Non posso credere che siano trascorsi quasi trent’anni- sorrise stancamente April.

-Già- rispose Casey, notando la figlioletta aggressiva quanto tanto lui...
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Catastrofi (Parte I) ***


Ancora una volta, i nostri amici erano diretti alla 39esima, seguendo Raphael che rombava velocemente, incurante della violenza inaudita del vento. Tutto era davvero molto difficile da gestire: era come una corsa per evitare la morte.

Sen stringeva al petto la borsa corvina contenente il meteorite di Plutone, appositamente schermato da un involucro particolare. Splinter continuava a fissare il cielo, dove l’aurora boreale stava lentamente cedendo il posto a uno strano bagliore rossastro. 

-Dobbiamo sbrigarci!- intimò Raphael, curvandosi in avanti, sul manubrio: -Ma… siamo quasi arrivati, dopotutto! Svoltiamo a destra!-.

Tutti fecero come ordinato; raggiunti un incrocio, intravidero ciò che rimaneva del Central Park. Tutto era distrutto, bruciato o inghiottito da voragini spaventose. Il terreno, anche lì, era incrinato da spaventose crepe sinistre. Raphael emise un ringhio frustrato, ma non ci badò e svoltò nella direzione prestabilita.

***************************************

Dopo un tempo che sembrò l’eternità, il paesaggio tetro con quel cielo rossastro e striato di nero, con i grattacieli distrutti, cambiò. Mikey ebbe quasi un battito mancante alla vista di un magazzino sin troppo familiare di cemento, parzialmente distrutto.

Le moto si fermarono dinanzi a esso. La serranda sembrava ancora intatta, anche se era completamente arrugginita dallo scorrere degli anni. Mezzo magazzino era raso al suolo e dei cavi spezzati dell’energia elettrica danzavano nella potenza del vento.

-Chi pensi che sia stato?- chiese Mikey, in un sussurro ancora stupito.

-Non lo so- rispose Raphael, togliendosi il casco: -Coraggio, però. Dobbiamo entrare. Sottoterra eviteremo di essere avvolti dall’uragano-.

Il rosso scese dalla moto, seguito da un Alex che grugnì di dolore al braccio ancora ferito. Si avvicinò alla serranda e provò ad aprirla; ma fallendo miseramente troppo volte, la rabbia gli innalzò il livello di adrenalina, regalandogli una forza bruta davvero niente male.

Indietreggiò di sette passi e riducendo gli occhi a due fessure, si destreggiò in una perfetta rincorsa, saltando dapprima a piedi uniti, per poi colpire perfettamente la serranda con il tallone sinistro. In un tonfo quasi assordante, Raph atterrò, con un solido ghigno al lavoro ben svolto.

La serranda cadde in terra, completamente spezzata dai suoi fermi, nella cornice di ferro scuro. Guardò i presenti, con aria di superiorità ma un forte tuono lo fece tornare serissimo. Tutti entrarono nell’ampio ma distrutto magazzino, studiandone la struttura.

Era completamente grigio, con circa dieci pilastri che sostenevano quello che rimaneva del tetto. Cinque di essi, però, erano stati completamente demoliti. Il pavimento era di un grigio molto scuro, interrotto dai detriti di possibili esplosioni e crolli delle pareti.

-Qui- indicò Donnie, inginocchiandosi dinanzi a una sorte di botola tonda, impressa nel pavimento: -E’ qui che si entra-.

-D’accordo- risposero Leo e Raph, sguainando le loro armi; capovolsero le lame verso il basso, infilandole nell’apertura a girandola, forzandola: -Fo… forza!-.

Mikey e Don batterono insistentemente sul piano, sino a quando non udirono uno scatto: avevano rotto un fermo tecnologico installato, trent’anni fa, dallo stesso Donnie. Sorrisero velocemente ma si tapparono il naso alla puzza di muffa che esalò l’apertura nera.

-Dobbiamo calarci qui dentro. Purtroppo, l’ascensore non funziona- spiegò Donatello, rinfoderando il Bo sul guscio: -Coraggio. Liam, salimi in groppa!-.

-Ehm… ok- rispose il ragazzo, mentre anche gli altri ragazzi lo imitarono.

-Scendiamo prima noi- dissero Haruhiko e Leo, all’unisono.

Leonardo saltò nel buco oscuro, atterrando su una superficie dura, ma coperta da un basso strato d’acqua stagnante. Era tutto buio, ma Haru afferrò la torcia che il suo amico teneva nello zaino, sul guscio. L’accese e illuminò ciò che rivelò essere proprio l’interno dell’ascensore ovoidale.

L’azzurro afferrò nuovamente le katana e ne infilò le punte delle lame nell’apertura delle doppie porte, forzando con tutta la forza che aveva in quel momento. Haruhiko volle rendersi utile e lo aiutò. Con un cigolio infernale, riuscirono miracolosamente nell’impresa, mentre l’acqua si mosse intorno alle loro caviglie, ritirandosi un po’.

-Questa è la vostra tana?- chiese Haru, illuminando il tutto con la torcia.

-Sì, lo era- rispose Leo, guardando intorno: -E’ tutto andato… questa è la tana che venne distrutta da Karai, molti anni fa. Avremmo dovuto raggiungere l’altra, ma… ci sarebbe voluto troppo tempo-.

Il dojo, le stanze, la porta principale era tutto distrutto; le macerie creavano alti cumoli oscuri, mentre un sottile velo d’acqua capeggiava in terra, sgorgando liberamente da ciò che rimaneva della piscina. Niente era integro e un fiume di ricordi avvolse il povero Leo, il quale si poggiò una mano sul cuore, per calmarsi.

-EHI!- chiamò la voce di Raph: -Com’è lì sotto?-.

Fu Haruhiko a rispondere: -Potete scendere! Ma è allagato e distrutto!-.

In breve, dei tonfi in successione anticiparono i salti delle altre tartarughe, le quali si armarono di torce e coraggio e osservarono la tana che li aveva accolti per un anno, dopo quella in cui avevano vissuti per quattordici anni. 

-Mi chiedo come sarà la tana in cui abbiamo vissuto finché… Karai non ci ha uccisi- mormorò Mikey, abbassando la voce al nome della nemica giurata di Leonardo.

-Sicuramente non meglio di qui. Mi ricorda molto l’Incubo in cui Draiko mi aveva spedito- costatò Donnie, con un lieve sorrisetto: -Ma… noto con piacere che, la Tarta-Talpa è ancora qui, sepolta ma “viva”-.

-Davvero?- chiese Liam, inarcando un sopracciglio: -Sono curioso di vederla, allora!-.

Donatello indicò un enorme ammasso imponente di detriti, esattamente al centro del dojo. Tutti si diressero velocemente verso di esso, mentre il genio mutante s’inginocchiò accanto a un piccolo frammento di plastica e ferro grigio; rimosse la polvere e si rialzò in piedi.

-Questo era un frammento della carrozzeria del mio gioiellino. Quindi, la mia teoria non può essere che corretta. Dal momento che non dispongo del suo telecomando, però, ho bisogno che mi aiutate a scavare-.

-Scavare?- ripeté un Mikey inorridito: -Ma dico, hai visto quante rocce ci sono? Ci vorrebbero delle ore intere per rimuoverle tutte!-.

-Solo perché non abbiamo una ruspa o qualcosa del genere- ribatté Don, infastidito: -Cos’è, non vuoi sporcare le tue belle manine, forse?-.

Mikey sorrise sornione, ma mostrò la rabbia: -E tu da quando sei diventato tanto acido? A furia di rimanere appiccicato a Raph, ti sei contagiato con il suo caratteraccio. E poi, scusa, lo sai che io faccio sempre delle battute perché so benissimo che qui lottiamo contro il tempo. Ci sono molte vite da salvare e ho paura, ma se ti da fastidio, posso anche rimanermene in silenzio!-.

Leo bloccò la mano che Raph aveva già programmato per mollare uno schiaffo sulla nuca del fratellino: Mikey, stavolta, era serissimo e piuttosto ferito dalle parole di Don. Aveva ragione: lui cercava di allentare la tensione e ci stava riuscendo, parzialmente.

Mikey sospirò e cominciò a scavare le rocce con foga, frenando la voglia irresistibile di piangere: l’adrenalina della rabbia si innalzò e cominciò a fracassare letteralmente i detriti, prendendoli a pugni. Don si mordicchiò le labbra ma Liam gli poggiò la mano sulla spalla, dandogli uno sguardo triste. Liu si unì a Mikey con Tan Tan, il quale mordicchiava le pietre.

-Scusa, Mikey- mormorò il genio: -Sono sotto tensione e ho parlato a sproposito. Non volevo scaricare tutto su di te…-.

L’arancione non rispose e continuò il suo lavoro, mentre Raph e Leo si scambiarono uno sguardo preoccupato; ma si arresero alla mancanza di tempo e cominciarono a scavare, seguiti da Nat, Casey, April (sebbene suo marito fosse contrariato circa fare gli sforzi), Sen e anche il sensei.

-Ho parlato troppo, eh?- mormorò sottovoce Don, accanto a suo fratello minore, il quale rimase ancora privo di emozioni: -E dai, Mikey… non farne una tragedia! Sai bene che mi dispiace! Vuoi che ti firmi un attestato, forse?-.

Mikey cambiò espressione, però. Da perfettamente impassibile, ne assunse una di dolore crescente. Don credette che stesse fingendo, ma quando Splinter si precipitò dal figlio minore, si spaventò.

-Figlio mio, che cos’hai?-.

Mikey si palpò la gamba con la vecchia cicatrice: -F… fa male… dannazione, credevo che non soffrissi più con questa cosa!-.

Raphael notò una lingua scarlatta colare lungo l’arto infortunato e un frammento appuntito di pietra, a fianco. Tutto gli fu immediatamente più chiaro: Mikey doveva essersi ferito con i detriti…! Il suo cuore si scurì ma ancor prima che potesse dire qualcosa, un rumore terrificante provenne dalla superficie.

Tan Tan iniziò ad abbaiare impaurito, ululando senza sosta. Tutti osservarono la numerosa cascata di polveri, detriti e pietre che cadevano dall’ascensore… l’uragano non era più così distante.

-Muoviamoci!- urlò Leonardo, decisamente impaurito.

Mikey strinse i denti e cominciò a scavare maggiormente, senza sosta e ignorando, soprattutto, il bruciore delle mani graffiate e insanguinate, come quelle degli altri. Nella disperazione assoluta, però, le dita sfiorarono qualcosa di tondo ma piccolo. L’arancione sollevò un sopracciglio e spinse.

Un rombo provenne dalle rocce, facendo immediatamente allontanare tutti. April stringeva Nat al suo petto, mentre Casey le proteggeva entrambe, nelle sue muscolose braccia. Donatello tossì la polvere che gli era entrata nei polmoni e strofinandosi gli occhi, rimase completamente attonito.

-I… io non ci posso credere!- balbettò sottovoce, guardando poi Mikey, basito: -CAMPIONE! BRAVISSIMO! Hai trovato il pulsante di emergenza di apertura della capsula!-.

Don strinse il fratellino così duramente che quest’ultimo dovette liberarsi con uno spintone: -Non mi toccare! Sono ancora arrabbiato con te!-.

Il genio s’imbronciò ma lo ignorò e tornò ad abbracciarlo, causando un “attacco a sorpresa” che terminò con la caduta in terra dei due. Mikey gemette alla gamba che scricchiolò paurosamente e se la massaggiò, lasciando tracce scarlatte con le sue mani rovinate.

-Ti prego, perdonami- sussurrò il genio, nel suo orecchio, ancora abbracciato: -Sai che sei il mio fratellino… e i fratellini perdonano sempre… Mikey, non potrei vivere se tu mi terresti il broncio in eterno, ti prego…-.

L’arancione sospirò e lo strinse fortemente al petto: -Guarda che ti ho già perdonato, stupidino! E’ solo che volevo prolungare la cosiddetta “agonia”! E… oh, cavolo! La mia gamba… non riesco nemmeno a muoverla-.

Don si spaventò non poco e controllò immediatamente: -L’osso sembrerebbe essere rotto in più punti… oh, cielo! Mikey, devo immobilizzartela immediatamente!-.

-Lasciami perdere! Piuttosto, la bestiaccia funziona ancora?- ribatté Mikey, un po’ acido: -Oppure si è ingolfata, dopo trent’anni?-.

La Tarta-Talpa era proprio dinanzi a loro, con la forma di una goccia capovolta orizzontalmente. Sulla punta di metallo capeggiava un’appuntita trivella, un po’ arrugginita. Quattro ruote motrici erano poco sgonfie, ma tutta la carrozzeria grigia era perfettamente integra, a parte qualche ammaccatura sul tettuccio.

-Bene. Ora potremo portare il meteorite a una distanza più vicina al magma terrestre!- mormorò Donatello, sostenendo un debole Mikey: -A bordo, coraggio! Morivo dalla voglia di guidare questo gioiellino, dopo trent’anni!-.

Improvvisamente, però, l’acqua iniziò a tremare… piccole onde ne incresparono il pelo, a ritmo di un terremoto e dell’uragano in superficie, che stava sgretolando completamente il magazzino.

-Che… che cosa è stato?- chiese sottovoce Liam, con gli occhi sgranati.

-Direi che… il terremoto sta comprimendo ogni falda acquifera sottostante…- spiegò Donnie, inghiottendo la paura: -Coraggio, a bordo!-.

E salirono, ignorando la terrificante paura del mondo a pezzi…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Catastrofi (Parte II) ***


La Tarta-Talpa trivellava il sottosuolo con estrema facilità. Nonostante era stata ferma per più di trent’anni, gli apparecchi erano integri, salvo piccoli insetti, polvere e acqua nascosti nei vari circuiti. Certo, inizialmente era stato molto difficile riuscire a metterla in moto, ma perseverando, Donnie ci era riuscito e ora fuggivano dall’uragano, incuranti che un’altra catastrofe era ormai imminente.

Le ruote di questo “gioiellino” stavano lentamente affondando in un’acqua sporca che cresceva sempre di più. Liam si era occupato della gamba rotta di Mikey, avvolgendola strettamente in uno spesso strato di bende. Erano tutti molto silenziosi e soprattutto Casey guardava nervosamente l’orologio che aveva la polso.

-Che ora sono?- chiese debolmente April, non più molto dolorante.

-Quasi le 09:20- rispose l’altro, mentre osservò Nat che mascherava il dolore lancinante che aveva alla stessa spalla ferita in precedenza: -Va tutto bene, piccola mia?-.

-Abbastanza- rispose l’altra, esibendo un piccolo sorrisino: -Dobbiamo solo sbrigarci a raggiungere il punto prestabilito-.

-Secondo il mio radar, dovremo scendere a cinque kilometri in profondità- spiegò Donnie, alla guida: -Ragazzi, ricordate la Necropoli con la Luna e il Sole di Cristallo?-.

-L’avventura spaventosa con Quarry, Stone Biter e Razor First?- elencò Raphael, mentre massaggiava dolcemente la spalla del suo “protetto”.

-Proprio quella- confermò Donnie: -Dovremo raggiungere proprio quel punto-.

**************************************

Proprio in quell’istante, in superficie, un terremoto ebbe come ipocentro il fondale marino dell’Atlantico. Da lì, lentamente, ci fu un raccolto dell’acqua, la quale sembrò prosciugarsi, guadagnando sempre più energia. Lo schianto delle onde si mischiò a un forte tuono, mentre l’uragano continuò il suo lento e letale passaggio. 

La superficie dell’acqua divenne sempre più increspata, sino a quando si sollevò verso il cielo. Quell’onda anomala toccò quasi i trentacinque metri d’altezza e continuò la sua violenta corsa contro il primo ostacolo che trovò.

Con uno schianto terribile, Manhattan venne completamente avvolta da quello che, purtroppo, rivelò essere un terribile tsunami, di proporzioni inimmaginabili. Centinaia di vite vennero immediatamente strappate ai corpi che galleggiarono, assieme alle macerie di abitazioni, auto e alberi distrutti.

L’acqua si ritirò per pochi minuti, solo per riformare una nuova onda e proseguire verso New York…

La prima catastrofe prestabilita si era avverata… ma non solo qui, anche nello Sri Lanka, in Italia e in Norvegia la situazione non era delle migliori. Altre migliaia di persone, purtroppo, erano morte. In Giappone, in Cina, in Francia e in Australia, violenti terremoti e uragani avevano già completato il giorno precedente alla fine del mondo.

**************************************

La Tarta-Talpa era completamente all’oscuro di ciò che era appena accaduto in superficie, ma se avesse avuto una radio di bordo, fosse tutti i nostri amici si sarebbero spaventati. Ma del resto, poi, quella era pur sempre l’alba della fine del mondo, no?

-Accidenti!- sbottò, d’un tratto, Donnie: -Ragazzi, abbiamo un problema! Le ruote della Tarta-Talpa stanno forzando il normale andamento del motore! L’acqua, non so perché, ma sta crescendo… e se ci sommerge, siamo fritti!-.

-E tu non l’hai potenziata per poter fungere anche da sommergibile?- si lamentò Mikey, la cui gamba prese a pulsare insistentemente: -Non adesso, non adesso, stupida gambaccia!-.

-Mikey, smettila di agitare l’arto!- rimproverò Liam, seduto con Don, alla guida: -L’osso è già compromesso e l’unica cosa che potresti fare è sottoporti a un intervento chirurgico, come al nostro Liu-.

-Io punti!- spiegò il cinese, mentre Tan Tan ululò impaurito: -Pericolo! Tan Tan dice pericolo!-.

-Maledizione!- ringhiò Raphael, massaggiando il braccio ferito di Alex, per sciogliergli i muscoli contratti ancora innaturalmente: -Va un po’ meglio, amico?-.

-Sì, forse…- rispose l’altro: -Ti ringrazio, Raph. Te l’hanno mai detto che sei un gran fratellone?-.

-Uhm… sì, qualcuno me lo ha detto- ridacchiò la tartaruga, riferendosi a un Mikey che veniva confortato da Leonardo.

Le pareti rocciose in cui scavava la trivella, purtroppo, sembrarono letteralmente gonfiarsi, in seguito all’aumento della pressione dell’acqua, dovuta allo tsunami che ancora masticava le coste della Big Apple. Un antifurto scattò nel veicolo, facendo sobbalzare i cuori dei presenti.

-C’è un pericolo!- urlò, praticamente Donatello, cercando di rallentare la talpa.

Troppo tardi, però. A quanto pare, da una piccola fessura creatasi dall’incrinatura di una roccia, un getto d’acqua si fece strada, trascinando, con sé, tutta la potenza bloccata dall’altra parte delle pareti. Quel piccolo buco si ruppe e un violentissimo getto d’acqua colpì una fiancata della talpa, incrinandone pericolosamente la carrozzeria. Il genio tentò di accelerare, stavolta, ma l’acqua stava riempiendo rapidamente tutto il passaggio in discesa. Donatello aveva così paura, ma guardò gli altri che confidavano nelle sua capacità.

Strinse i pugni e sbatté un pugno sui comandi numerosi a bottoni e levette: “No. Non posso arrendermi così. Non li posso deludere! Loro hanno bisogno di me! In fondo, sono o non sono un genio? Sono Donatello, la tartaruga ninja più intelligente del mondo!”, pensò.

Azionò vari propulsori all’interno dei motori della talpa e spingendo una leva in avanti, la potenza crebbe a dismisura, regalando una potenza inaudita al lento avanzare del veicolo. La Tarta-Talpa cominciò a bucare facilmente quelle rocce, neanche fossero state biscotti friabili. Il viola era incurante degli scricchiolii dell’intera struttura, dovuta allo schiacciamento dell’acqua.

Si concentrò e in quel mare oscuro e sporco, la talpa non si arrese. Il cunicolo era lunghissimo, ma, improvvisamente, la trivella si bloccò proprio dinanzi a una spessa parete.

-Che… che sta succedendo?- ansimò Leonardo, cercando di dominare il dolore al petto.

-La trivella non riesce a bucare queste rocce…!- spiegò un furente Don: -Non vi preoccupate! Supereremo anche questa dannata barriera!-.

Spinse i motori al massimo anche questa volta, mentre un lampeggiante rosso cominciò a brillare a intermittenza, spaventando non poco Tan Tan. Quegli scricchiolii erano davvero raccapriccianti e davano la netta impressione che, forse, la Tarta-Talpa sarebbe stata schiacciata dalla pressione dell’acqua.

Donatello, tipo testardo da sempre, non voleva arrendersi e imprecando coloritamente nella sua mente, i suoi pensieri oscuri vennero strappati brutalmente da un suono agghiacciante: alzò la testa e riaprì gli occhi… 

-SI’!- urlò a pieni polmoni: -La trivella ha bucato! Ci è riuscita!-.

Con quella splendida notizia, la talpa continuò il suo lavoro, frantumando per bene tutta la parete, mentre l’acqua cominciava a diminuire, disperdendosi in una profonda gola oscura. Ora tutto sembrava irreale.

-Ascoltatemi. Per far sì che il meteorite possa davvero arrestare tutto ciò, dobbiamo posizionarlo nel magma prima che scatti mezzanotte. Dobbiamo affrettarci… se quest’acqua è appartenuta a qualche tsunami, questo significa che rimane ancora il meteorite!- spiegò Sen, con la pazienza al limite.

-Non si preoccupi- sorrise Donatello, massaggiandosi il braccio con la famosa cicatrice identica a Liam: -Dove siamo arrivati è praticamente il punto favorevole!-.

-Uao!- mormorò Alex, schiacciando il volto e il naso all’oblo della talpa:- Non ho mai visto niente del genere! E’… strabiliante!-.

Al posto delle pareti rocciose, ora il background era cambiato. Il soffitto era molto alto e di un marroncino chiaro. Tutt’intorno era molto ampio e si strutturava in modo circolare. Al centro dove il soffitto s’incurvava internamente, vi era un buco nerastro. 

La talpa stava miracolosamente proseguendo su un pericolante ponte di pietra verde mare, che conduceva a un largo spiazzale roccioso, dove s’intravedeva un muro di pietra marroncino, con vari ornamenti verde mare. Sembrava la recinzione di una città.

-Questa è la necropoli dove vi erano la Luna e il Sole di cristallo!- spiegò Donatello: -Se raggiungiamo quello spiazzale, arriveremo facilmente al magma, parola mia!-.

-Non è che voglia cantare vittoria troppo presto- mormorò Haruhiko: -M… ma, pensate che possiamo farcela in anticipo?-.

Casey controllò l’orologio e spalancò gli occhi: -R… ragazzi… non ci crederete, ma… sono quasi le 23:50! Siamo rimasti qui sotto per quattordici ore!-.

I presenti sbiancarono… questo era un problema! Avevano circa dieci minuti per salvare il mondo! 

Improvvisamente, però, si udì un rumore tremendo e la talpa sembrò inclinarsi all’indietro. Leonardo stava ansimando all’allucinante dolore al petto. Mikey lo abbracciò, cercando di calmarlo. I suoi occhi azzurri tremavano di pura paura.

-NO!- urlò Donnie: -Ragazzi! Dobbiamo uscire dalla Talpa! Il ponte non reggerà ancora…!-.

Il genio sbloccò il portellone situato sul tettuccio del veicolo e ad uno a uno, tutti uscirono. Liu saltò in groppa al suo fedele Tan Tan, il quale passeggiava avanti e indietro nervosamente. Raphael raccolse sul guscio Mikey, dato che non poteva camminare e Don fece lo stesso con Leo, che a malapena si reggeva in piedi.

Proseguirono sul ponte, correndo a più non posso. April e Nat osservarono la povera talpa che s’inclinava sempre di più indietro, verso il buio profondo e acquoso. Con un fracasso riverberato, il ponte si ruppe in più punti e ai nostri amici non rimase che saltare, sbattendo duramente sullo spiazzale della loro meta. 

Don si rialzò carponi: guardò la sua invenzione ridotta a un ammasso ferroso inutilizzabile e si morse le labbra… gli sarebbe mancata.

-S… su, coraggio- lo rincuorò il debole Leonardo: -N… ne costruirai un altro e ti affezionerai…-.

Haruhiko, immediatamente, raggiunse il flaconcino che conteneva le pillole per i cardiopatici e ne offrì due al suo protettore azzurro, il quale le inghiottì avidamente. 

-Andiamo!- fece Raphael, mentre Mikey piagnucolò per la gamba: -Don, facci strada! Che punto dobbiamo raggiungere?-.

Il genio, che sapeva esattamente dove andare, indicò una sorte di apertura naturale nelle rocce, sul lato sinistro. La indicò e fu il primo a correre, ignorando il terremoto potente che si intensificò maggiormente. Il luogo era buio, ma Splinter illuminò con la torcia, rivelando un percorso che costeggiava altre alte pareti rocciose.

-Basterà semplicemente raggiungere un punto dove l’acqua è magma- disse il genio, addentrandosi su quel pericolo e stretto percorso: -Ragazzi, siamo fortunati! Guardate lì!-.

In suo indice sinistro puntò un’immensa distesa di rosso e arancione bollente, che faceva tremolare l’aria. Il magma era oltre quel serpente di roccia. 

I nostri amici si appiattirono alle pareti, sperando di non scivolare da quella folle altezza, ma mantennero i nervi saldi. Mikey nascose il volto sul guscio di Raph, il quale avrebbe voluto confortarlo. Più i loro piedi si muovevano in un ritmo lento e costante, più il percorso si allargava.

-Ci siamo quasi- disse Don, a capo della sua cricca: -Basterà raggiungere quello spiazzale e il gioco sarà fatto!-.

**************************************

Il meteorite era vicino all’orbita terrestre e i nostri amici lo sapevano. Accelerano, difatti, raggiungendo la meta prestabilita. Donatello avrebbe volentieri baciato il suolo, ma qualcosa catturò la sua attenzione. C’era un’altra apertura nella roccia, accanto a lui, alla sua sinistra.

S’incamminò, mentre Sen tirò fuori il prezioso meteorite dal suo zaino. Gli occhi nocciola del genio catturarono una sorte di piccola piramide di roccia, sistemata su un altarino di grigia pietra.

-Che cos’è?- chiese Leo, decisamente meno nel dolore.

-Non lo so- rispose l’altro, toccando la punta di quella piramide grande circa cinquanta centimetri. 

Con un piccolo sbuffò e sotto gli occhi increduli delle due tartarughe, la piramide cominciò ad appiattirsi, rientrando in una scanalatura designata proprio nel ripiano dell’altarino. Quel quadrato nero, lentamente cominciò a manifestare un intenso calore, unito a una luce rossastra.

-Don, guarda!- indicò Leonardo, riferendosi a delle lettere incise sulla piccola parete, proprio dinanzi a loro: -Che lingua sarà?-.

Il genio osservò quelli che rivelarono essere dei caratteri maya. Nessuno del gruppo li avrebbe saputi leggere, ma l’ombra di Nat si allungò, improvvisamente, dietro di loro.

-Abbiamo circa cinque minuti- fece lei, avvicinandosi ai segni sul muro: -Scrittura maya? Siete fortunati, allora. Nel mio villaggio, c’era una ragazza che era come una sorella per me. Il suo nome era Uchio. Lei mi ha insegnato a leggere questa lingua-.

Poggiò la mano sui simboli e cominciò a interpretare: -Tre furono le grandi piramidi, perfettamente allineate con la Costellazione di Orione. Il tempo trascorre ma il danno che segue non potrebbe essere fermato. Una stella ferma una stella. La piramide guida al suo cuore. Decide il suo destino-.

Ci rifletterono qualche istante, ma Don ebbe immediatamente la spiegazione: -Sicuro! E’ chiaro! Secondo la storia, gli antichi egizi costruirono le tre piramidi, proprio come osservatori astronomici per la Costellazione di Orione. Nel corso degli anni essa si è spostata, ma le piramidi no-.

-E allora?- s’intromise anche Raph, appoggiato alla bocca dell’apertura, con Mikey sulle spalle.

-Evidentemente, sapevano, in base anche ai calendari maya, nel corso dei millenni, che la Terra si sarebbe trovata in questa situazione. E chiunque sia venuto qui, ha creato questa piccola piramide perché sapeva che con qualcosa che non facesse parte del pianeta, sarebbe stato la chiave di tutto-.

-Concludendo?- chiese Mikey, senza capirci nulla.

-La piramide qui presente conduce esattamente a un cunicolo naturale che conduce al nucleo della Terra. E forse, i maya sapevano anche di questo meteorite, per questo hanno scritto questo messaggio- rispose Donnie, con un sorriso: -Grazie, Nathalie!-.

La ragazza annuì e abbracciò April e Casey, mentre Sen consegnò il meteorite al genio. Tutti erano presenti nella piccola grotta, con uno sguardo molto serio.

-Volevo solo dire che… non avremmo potuto ricevere di meglio come nostre rincarnazioni. Haruhiko, Alex, Liam e Liu… voi siete i migliori. Sen, immagino sia orgoglioso di loro quattro e viceversa- sorrise Donnie: -April, Casey, voi avete perso una figlia che è cresciuta forte e determinata, come i vostri geni. Sono contento di averti conosciuta Nathalie-.

-Don, perché questo discorso?- chiese Liam, notando come le tartarughe stessero piangendo.

-Perché il mondo è salvo… grazie a tutti noi- rispose il genio: -Quanto tempo, Casey?-.

-Un minuto-.

-Perfetto- e Donnie, con un veloce gesto, gettò l’intera scatola e meteorite all’interno di quella piramide, la quale sprofondò nel magma: -Ora, bisognerà solo aspettare-.

-E… forse, allontanarci- suggerì Haruhiko, avvertendo il tutto tremare.

-Probabilmente sì, ma…- mormorò Don, senza staccare gli occhi dalla piramide: -Ehi… guardate! Una luce verde…!-.

Raph rise: -Forse ce l’abbiamo davvero fatta!-.

La luce verde crebbe a dismisura, inghiottendo le tmnt e tutti gli altri, ingrandendosi per tutta New York, per tutto il pianeta e gran parte dell’universo. L’immenso meteorite che stava avvicinandosi venne disintegrato all’istante e la macchia arancione che compariva all’altezza di Miami, venne completamente cancellata.

L’azzurro vivo del pianeta tornò a risplendere: gli uragani, i terremoti e le eruzioni smisero di tempestarlo… le persone morte riacquistarono vita… tutto era stato salvato a soli 60 secondi dal 21 dicembre.

Tutto era finalmente come un tempo. Tutto era salvo. Ora una ricostruzione globale ci sarebbe stata…

Tutto era come lo conosciamo noi. Un mondo un po’ strano dove c’è posto per tutto…

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Epilogo ***



Era il 21 dicembre 2012 e non c’erano più catastrofi. Il mondo era salvo da ogni catastrofe: le eruzioni, gli tsunami e il meteorite no avrebbero più creato minacce. Come già detto, tutto doveva solo essere ricostruito.

A New York, in un grazioso appartamento sulla 40esima, un gruppo di persone e non stavano guardando il cielo cristallino e freddo, attraverso una finestra semicoperta da una tenda scarlatta. C’erano un divano e una poltrona beige, un tappeto terra d’ombra sul parquet e una cristalleria.

Questa era la casa dei Jones.

-E’ una sensazione magnifica…- costatò Leonardo, seduto sul divano: -Quello che abbiamo vissuto sembra solo un ricordo-.

-Sì, è proprio così- confermò Haruhiko, guardando la sua famiglia.

-Che cosa avete intenzione di fare, ragazzi?- chiese Nat, accanto a sua madre, seduta sulla poltrona.

Alex sorrise: -Beh… in fondo, siamo nati in questa città, no? E non dobbiamo più frequentare il Berlino 18. A questo punto mi sembra chiaro-.

-Vivremo qui, con voi- completò Liam, di spalle dinanzi alla finestra: -E… inviteremo i nostri genitori adottivi per parlare e rimettere tutto a posto. Dopotutto, quest’esperienza ci ha fatto ritrovare come una famiglia-.

-Mi sembra giusto- annuì Donatello: -Mikey, come va la gamba?-.

-Non posso muoverla, ma lasciala perdere! Non roviniamo questo momento con l’agonia- schernì l’altro, seduto accanto a Leo: -Quindi… vi potremo sempre venire a trovare? Sono troppo felice, sapete?-.

-Sì…- sorrise Sen, guardando Splinter: -Inoltre, penso che torneremo a vivere nel vecchio appartamento dove vivevo con la mia Teng Shin. So che non ha riportato danni. E’ esattamente sulla 39esima-.

-Volete scherzare?!- s’intromise Mikey, incredulo: -E’ esattamente dove viviamo noi, non certo nella tana vecchia, ma “in quella nuova”, fra virgolette! Leo, Raph, Don… li andremo a trovare, vero?-.

-Datti una calmata, idiota!- lo riprese Raphael, mollandogli uno “schiaffo affettuoso” dietro la testa: -E’ logico che li andremo a trovare… ma a modo nostro-.

Mikey, Don e Leo sorrisero, ridacchiando… I ninja erano sempre pieni di sorprese, dopotutto, no?

********************************************

Notte stellata del 21 dicembre. Nelle strade della Grande Mela, o quelle non distrutte, file di macchine colorate strombazzavano, illuminando la buia nottata con i fari, come un lungo albero di Natale. In fondo, mancavano solo quattro giorni a questa festa, no?

Nove paia di occhi guardavano felicemente il caos cittadino, ignorando che molti palazzi erano andati distrutti dalle varie catastrofi. Era bello inspirare la normalità, anche per chi era tornato in vita dopo trent’anni. Il Foot Building non c’era più. Shredder era morto, Karai era in Giappone, mentre Oda e i suoi figli stavano passando un velo pessimo della loro vita in qualche carcere.

La luna sorrideva alla sua città, specchiandosi nell’acqua, dove Manhattan galleggiava come al solito. Il Golden Bridge, ancora una volta, illuminava il suo corso, illudendo innocenti occhi di galleggiare a mezz’aria. La Statua della Libertà sembrava toccare le stelle e nel suo libro, forse alcuni nomi erano scritti segretamente, per ricordare un grande salvataggio.

-E’ un po’ insolito- mormorò Haruhiko, su un alto tetto della 40esima: -Ma adoro la vostra vita, ragazzi! E’ qualcosa che da brivido essere quassù-.

-Per noi è una sciocchezza- ridacchiò Raphael, accovacciato su una cabina di un ascensore, con i Sai stretti nelle mani: -Ma ammetto che mi era mancato-.

-Peccato che Mikey e Liu siano rimasti a casa- sospirò Liam: -Vorrà dire che gli porteremo qualcosa di bello-.

-Tipo?- chiese Donnie, che già conosceva la risposta.

-Una bella pizza, forse? Non l’abbiamo mai assaggiata sul serio!- rispose il sorridente Alex, con le mani nelle tasche del suo jeans: -Sapete una cosa? Mi sento un po’ incompleto, dopotutto-.

Leonardo lo guardò, a braccia conserte: -In che senso?-.

-Beh…- proseguì il francese: -Non è qualcosa facile da spiegare… ma è come se mi mancasse qualcosa di concreto. Abbiamo papà, una casa e degli amici-.

-Armi, forse?- completò Nat, fieramente in piedi su un cornicione: -Siete, dopotutto, le reincarnazioni di voi tartarughe. E’ normale che nel vostro DNA, vi sia un amore sfrenato per il ninjitsu e per delle armi. Probabilmente, riuscireste a padroneggiare le medesime di Leo, Raph, Don e Mikey-.

-Certo che la tua perspicacia fa quasi paura- ghignò Raphael, rabbrividendo al freddo pungente: -Ci conviene rientrare… sapete, è bello essere all’aria aperta, ma non in pieno inverno!-.

Nathalie fu la prima a scoppiare a ridere. Con grazia i suoi occhi fissarono i presenti, prima di correre via, saltando abilmente un tetto…

Mikey e Liu se la stavano spassando più che bene, raccontandosi molte cose, a casa dei Jones. Loro si volevano bene come veri fratelli e Tan Tan aveva preso gusto a “impersonare il cane di casa”.

Davvero era tutto finito. Una stella cadente passò in cielo… Mikey la guardò con un sorriso. Non ebbe voglia di esprimere dei desideri, perché il suo più grande era stato esaudito.

Era tornato in vita, come una tartaruga ninja. Con la sua famiglia, i suoi amici…

-Siamo a casa e abbiamo portato la pizza!- mormorarono i ragazzi, di ritorno con dei voluminosi scatoli di pizza, bibite e altre leccornie fritte.

E sì, anche la pizza…!

La loro amicizia sarebbe durata in eterno… tutto era destinato a ricominciare ma nel frattempo, i nostri eroi si godevano solo la loro serata insieme…

TMNT: Ninjitsu 2012

The End

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1991677