Come to me

di amanda91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO7 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO6 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO9 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO10 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO11 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO12 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO13 ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO14 ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO15 ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO16 ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO17 ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO18 ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO20 ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO19 ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO21 ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO22 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO23 ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO24 ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO25 ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO27 ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO26 ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO28 ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO29 ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO30 ***
Capitolo 32: *** CAPITOLO 31 ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO32 ***
Capitolo 34: *** CAPITOLO33 ***
Capitolo 35: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


“Caroline sai come la penso su queste feste! Finisce sempre male per me!” sbuffò indispettita sistemandosi sul sedile del passeggero.  Non riusciva a spiegarsi come avesse fatto quella biondina impertinente a convincerla, ma tanto valeva mostrarle almeno il suo disaccordo. Era tanto, forse troppo che non uscivano. Prima adoravano andare alle feste, sballarsi e divertirsi, come normali adolescenti insoddisfatte. Prima…
“Intanto sei qui! Ciò vuol dire che in fondo non ti dispiace. Conoscendoti non saresti venuta altrimenti”
“No, ciò vuol dire che sei petulante e anche abbastanza ripetitiva… senza offesa”  le precisò fingendosi risentita.
“Ma dai che ti sto chiedendo in fondo? Una serata normale, divertente, spensierata – ammiccò – come i vecchi tempi”
Prima che l’amica potesse contraddirla parcheggiò ed estrasse dalla borsa una bottiglia di Champagne bianco dolce. Il loro preferito. Elena ridacchiò arrendevole.
“E facciamolo!” acconsentì rubandole l’alcolico. In pochi minuti furono lì, in un locale alle porte di Atlanta, rustico e ben tenuto, circondate da musica assordante e dilettanti giovani ballerini ubriachi.
Nonostante avesse opposto resistenza fino a qualche ora prima non riuscì a non farsi trasportare dal ritmo metallico e orecchiabile, o forse dall’adorabile bottiglia agrodolce che scolarono in pochi minuti, o ancora dall’indefinibile quantità di vodka che la bionda lì con lei si premunì di ordinare per entrambe.
Non seppe dopo quanto riuscì ad abbandonare remore, dolori, responsabilità, che riuscì a scrollarsi di dosso persa in una folla di cuori scalpitanti, musica assordante, e balletti scoordinati. La sua stessa intera storia le scivolò via scoprendo una giovane donna bisognosa di ossigeno e vita, avida di passione e divertimento. Illuminando la ragazza che era stata, in un passato non troppo lontano.
Ancheggiò, saltellò, gettò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, ballò spalla a spalla con perfetti sconosciuti, in una folla anonima e ignara, per un tempo che parve infinito, sospeso.
Finchè i piedi, costretti in tacchi alti quanto scomodi, le chiesero insistenti una tregua, portandola ad abbandonarsi lontana dal caos, all’esterno del locale. Una ventata d’aria fresca e umida le procurò la pelle d’oca.
L’estate volgeva al termine, come quella serata fin troppo sconsiderata per i suoi gusti. La testa non smetteva di girarle, e le venne da ridere, e poi da imprecare contro l’amica dispersa tra la gente, contro i tacchi sommersi ormai nel fango, contro il vestitino troppo corto, e indecorosamente aderente, che sua zia l’aveva convinta ad indossare.  
Il suo cellulare squillò, beccandosi uno sbuffo inviperito. Era Stefan, apprensivo e pressante come sempre, in disaccordo con quell’uscita, ma non aveva voglia di discutere ancora. Non quella sera, forse neanche quella dopo. Che scocciatura! Chi aveva sintonizzato quell’orrida suoneria come avviso di chiamata? Il cellulare le scivolò dalle mani non appena fece per riporlo in borsetta dopo aver messo il silenziatore. Ok, forse aveva esagerato con l’alcool quella sera.  Senza preoccuparsi di riprenderlo chiuse semplicemente gli occhi. Forse lui dopotutto aveva avuto ragione: non sarebbe dovuta andare a quella festa, tanto sapeva come sarebbe finita. Lei ubriaca persa, con la testa nel cesso, Stefan e la sua aria saccente che avrebbe borbottato “tel’avevo detto io!”; un terribile mal di testa post-sbornia, e se tutto fosse andato secondo i piani a rallegrarla ulteriormente l’immancabile vomito nel pieno della notte.
“Scusa, è tuo questo?”
Un timbro sconosciuto e appena sussurrato la spaventò a morte inducendola a sgranare gli occhi impaurita.
Un giovane uomo le porgeva il cellulare, con un sorrisetto impertinente e imperturbabile disegnato sulle labbra. Lo osservò un solo istante, risalendo con lo sguardo lungo un viso scolpito e armonioso. Due luminose pozze oceaniche la squadravano incuriosite. Affascinata e intimorita gli strappò l’apparecchio dalle mani borbottando un timido ringraziamento. Una chioma ribelle corvina gli ombrava la fronte, ornando un viso chiaro e delicato. La sola bellezza e sfrontatezza di quell’uomo la stava imbarazzando.
“Dovresti rispondere” le fece notare sornione indicando il cellulare vibrante tra le dita.
“Non ne ho la minima intenzione! Ho litigato con il mio ragazzo e questa è la decima volta che richiama” bisbigliò prima di rendersi conto di averlo fatto ad alta voce. Abbastanza alta perché lo sconosciuto captasse le sue parole.
“Per cosa? Se posso chiedere” alzò le braccia in segno di rispetto, e lei non seppe perché non lo stesse semplicemente mandando a quel paese invece di rispondergli.
“La vita… il futuro. Lui ha già pianificato tutto”
“E tu non lo vuoi?” le rimandò con un’adorabile espressione sul viso. Da quanto tempo qualcuno non le chiedeva cosa volesse lei? Non era pronta a una domanda che mai nessuno si era degnato di farle. Da quel giorno almeno.
“Non lo so cosa voglio”
“Beh questo non è vero – si affrettò a contraddirla lui, con fare saccente di chi ha tanto da raccontare – vuoi quello che vogliono tutti…”
Ok adesso era curiosa. Quell’adorabile faccino aveva tutta la sua attenzione. Sorrise.
“Cosa? Uno sconosciuto misterioso che ha tutte le risposte?”
Alla sua domanda lui rise appena con una sincerità che la disarmò.
“Beh diciamo che sono in giro da un po’… ho imparato una cosetta o due”
“Allora, dimmi cos’è che voglio?”
“Vuoi un amore che ti divori, vuoi passione, e avventura, ed anche un po’ di pericolo…” le suggerì sicuro di sé con voce scandita, avvicinandosi a lei di qualche passo. Lo scrutò sorpresa, disarmata forse, semplicemente spiazzata. Forse era l’alcool, forse era lui che le stava indicando il desiderio di qualsiasi giovane donna, ma tutto ciò che provò fu stupore. Era come ammaliata da lui, dal suo modo di porsi, di rivolgerle la parole, di osservarla. Tutto ciò che lei non poteva permettersi di vivere e sperimentare, non più… era esattamente ciò che quel perfetto sconosciuto le aveva appena ricordato di dover provare.
“E tu cosa vuoi?” gli chiese di rimando, scatenando sul suo viso un’espressione che le parve di puro panico, come se non lo sapesse, o se avesse smesso di chiederselo da tempo.
Quando sembrò che stesse per aprir bocca, dopo qualche attimo che parve interminabile, fu la voce di Caroline quella che le arrivò alle orecchie invece della sua. La stava chiamando, probabilmente dall’uscio dell’entrata.
“Senti io… dovrei andare. E’ stato un piacere” a malincuore aveva dovuto metter fine a quell’insolito incontro che le aveva stranamente migliorato la serata.
“Piacere mio”
Dovette andare, e non osò girarsi e guardare se fosse ancora lì, casomai intento ad osservarla andar via… ok era decisamente arrivato il momento di tornare in sé!  

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Capitolo 2
*** CAPITOLO1 ***


2 mesi dopo.

POV ELENA

Si vestì in tutta fretta dedicandosi un’ultima occhiata fugace allo specchio. Aspetto impeccabile, professionale e pratico per un ennesimo lunedì mattina di lavoro. Era in ritardo e Stefan l’ attendeva al piano di sotto. Si discolpò con una scrollata di spalle: non era colpa sua se non trovava il foulard!
Divorò le scale in tutta fretta arrivando giù accaldata e con il fiatone. Quella tenuta di campagna immersa nel verde di Mistic Falls era ormai la sua seconda casa da qualche anno… il suo rifugio quando era stanca e svogliata, quando non aveva voglia di tornare da sua zia, e alla fine era diventata un po’ il loro nido. Suo e di Stefan.
“Scusa St…” bofonchiò distratta e ansimante. Alzando lo sguardo però ebbe una sorpresa che la lasciò a dir poco a corto di fiato.
Quel ragazzo… il ragazzo dai grandi occhi blu che quella sera sembrava intenzionato a sedurla, era lì, la osservava con un moto di stupore nello sguardo, nel mezzo del grande salone, bello come lo ricordava. Con a seguito delle valigie… valigie?
“Tu!” le sfuggì con voce acuta, fin troppo stridula per i suoi gusti.
“Elena, lui è Damon”
“Suo fratello” puntualizzò  lo sconosciuto indicando il suo ragazzo.
Cazzo! Con tutta la  gente al mondo a cui avrebbe potuto confidare le titubanze sulla sua storia,  proprio al fratello aveva spifferato tutto? E poi… fratello? Quale fratello?  In un anno con Stefan non le aveva mai minimamente accennato all’esistenza di un fratello!
“Non mi avevi detto di avere un fratello” lo accusò in un sussurro, disorientata e imbarazzata dalla delicata e di certo sconveniente situazione.
“Stefan non è uno che si vanta”  sdrammatizzò il nuovo arrivato squadrandola con un’espressione tra il derisorio e  l’impertinenza. Quel suo atteggiamento da “sono bello e me ne vanto” la inacidì più del dovuto e tutto ciò che gli riservò in rimando fu soltanto una smorfia contrariata. Le apparve diverso… diverso dalla sera in cui quella stessa sicurezza e sfrontatezza l’avevano colpita e ammaliata. Forse era la situazione ad essere diversa, oppure quella verità che vi lesse negli occhi. Quella stessa scomoda verità che era stata lei stessa a confidare incosciente ad un perfetto sconosciuto: stava affondando. Lei, la sua vita, la sua storia… e a quanto pareva lo aveva confidato all’ultima persona al mondo che avrebbe dovuto saperlo.
“Elena scusa… puoi…?”
“Lasciarvi soli? Si certo! Ti aspetto”  sgattaiolò in cucina sotto i loro sguardi attenti e fermi, e per sua fortuna da lì si poteva ascoltare tutto.
“E così hai una ragazza ora”
“Si chiama Elena, e lavora in azienda”
“Ah… adesso capisco”
“Cosa ci fai qui?”
“Sono venuto a trovare mio fratello! Ti dispiace?”
“Sono anni che non ti si vede”
“Beh ho avuto un po’ di cose da fare” tagliò corto Damon, ma dal tono ironico usato capì che la situazione tra i due non doveva essere delle migliori.
“E ora come mai sei qui?”
“Ooh sai… conto in banca al verde, nostalgia di casa, conto in banca al verde. Ho già detto conto al verde? Su dai si tratta di sopportare il mio bel faccino soltanto qualche mese! Il tempo di rigirarmi il vecchio, spillargli qualche soldo, poi ti libererò della mia ingombrante presenza!”
Dalla rabbia che quelle parole sputate mostravano comprese che probabilmente c’era sotto qualcosa di grosso. Perché Stefan, né suo padre, gli avevano mai parlato di lui? Cosa aveva spinto quel ragazzo lontano da casa tutto quel tempo? All’improvviso si ritrovò travolta e sopraffatta da una fitta curiosìtà.
“L’hai già incontrato?”
“Ieri sera”
“Non ne sapevo nulla”
“Non ti sei perso molto”
“Non penso che con questo atteggiamento otterrai molto” gli fece notare il suo ragazzo. Sempre così saggio e pacato Stefan, fastidiosamente perfetto per lei.
“Non ho chiesto una consulenza, solo un letto in casa NOSTRA”
Uno sbuffò accompagnò l’ultima risposta “E’ anche casa tua, non hai bisogno di chiedermi il permesso”
“Grazie di cuore! Ehi ragazzina puoi uscire ora! – alzò la voce rivolgendosi a lei – lo sai che non è corretto origliare le conversazioni altrui?”
Ma come aveva fatto? Buffone, impertinente! Imprecò sottovoce, imbarazzata oltre il consentito. Quella giornata era cominciata nel peggiore dei modi!
 
Stefan spense l’auto quando furono a destinazione dopo un viaggio silenzioso e carico. Non avevano scambiato una sola parola. Le parve troppo agitato a sovrappensiero per discutere di quella mattina, così si ripromise di lasciar perdere. Non erano affari suoi dopo tutto.
“Perché non mi hai parlato di lui?” era un asso a mantenere i propositi.
“Non sapevo che sarebbe tornato” la liquidò scendendo dall’auto.
“Perché è andato via?”
“Elena senti… la situazione con Damon è degenerata un po’ di tempo fa – gesticolava eccessivamente, ed evitava di fissarle gli occhi, sintomo di nervosismo – ha avuto delle divergenze con papà per la gestione dell’azienda. Lui lo voleva a capo di tutto, Damon non ne aveva la minima intenzione. La morte di mamma ha peggiorato le cose, Damon le era legato. Insomma è un lungo discorso e adesso è tardi” le rivolse un sorriso fugace guidandola per mano nella fredda e ultramoderna struttura nel centro di Atlanta dove entrambi lavoravano.
“Perché cel’ha con te?”
Il ragazzo si irrigidì regalandole poi una smorfia contrariata. Prese fiato e la buttò lì con noncuranza.
“Ci siamo innamorati della stessa donna”
Oh! Questa si che era una storia interessante!
“E com’è finita?”
“Male”
“Vi ha lasciati?” insistette ignorando la sua palesata poca voglia di parlare.
“Ci ha fregati ed è sparita”
“Vi ha fregati?” era perplessa.
“Ha ripulito il conto in banca di Damon, il mio, ed è sparita nel nulla”
Questo si che era uno scoop!
“Ah però… e l’amavate?” chiese alla fine di una lunga riflessione. Ora aveva capito l’atteggiamento freddo e diffidente di Damon quella mattina, ed anche la difficoltà di Stefan nel doverne parlare.
“Damon l’amava molto” e probabilmente anche lui a giudicare dallo sguardo perso e incolore che aveva puntato dinanzi a sé, ma non insistette perché lo ammettesse.
“E come si chiamava?”
“Katherine”
 
POV DAMON

Girovagava agitato per le stanze della villetta sistemando la sua roba tra il bagno e la grande camera da letto lasciata vuota per molto tempo. Odorava di chiuso, e di ricordi, di passato che aveva faticato a lasciarsi alle spalle. Ed ora eccolo di nuovo lì, al calare della sera, ancora una volta nella sua stanza da bambino. Immobile in una vita che aveva cercato invano di scrollarsi dalle spalle, per troppo tempo senza successo.
Sbuffò seccato quando il campanello al piano di sotto lo costrinse a scendere, seppur avesse seriamente pensato di ignorarlo.
Spalancò il portone di ingresso convinto che fosse Stefan, rincasato da lavoro, ma rimase sorpreso di trovarsi di fronte invece Elena, che lo studiava curiosa e intimorita.
“Stefan non c’è” la informò brusco lasciandola entrare per poi ignorarla e dedicarsi invece ad un buon bicchiere di bourbon.
“Avevamo appuntamento qui” rifletté lei con un filo di voce.
Ghignò soddisfatto quando si rese conto che era intimidita dalla sua presenza.
“Beh qui non c’è” le fece notare ovvio, con un sorrisino sulle labbra.
“Avrà tardato a lavoro… aveva una riunione”
“Non è cambiato nulla insomma”
Passò qualche interminabile minuto prima che la sentisse riprendere parola.
“Damon io… volevo ringraziarti per non avergli detto di quella sera… di quello che ti ho detto. Insomma ero ubriaca, e sono un tantino in crisi, ma nulla che non si possa superare! Io…”
“Ragazzina a me non interessa che tu lo ami o che lo stia sfruttando per mantenerti il lavoro. Non sono affari che mi riguardano” argomentò con arroganza e stizza vedendola in risposta sgranare gli occhi e scuotere appena la testa, infastidita.
“Stai sparando sentenze alla cieca” lo avvertì irritata.
“Ma anche se fosse? Non sei né la prima né l’ultima. Come biasimarti? Tante pagherebbero per portarselo a letto e avere il tuo lavoro. Sei fortunata” si complimento avvicinandosi quel tanto che bastava per darle una pacca sulla spalla.
“Tu non sai niente di me. Di noi”
“Muoio dalla voglia di recepire informazioni sul tuo conto” la schernì accompagnandosi con un sorrisino sbieco.
“Non pensavo fossi un tal pezzo di merda. Vaffanculo” sbottò fuori controllo raccogliendo fulminea la borsa che aveva lasciato scivolare sul divano, pronta ad andar via.
“Neanch’ io pensavo fossi un’arrampicatrice sociale. La gente ci sorprende no?”
Conosceva quel mondo da cui lui stesso era fuggito anni prima. Nascere figli del più grande uomo d’affari di Atlanta era una condanna. Suo padre era stato in gamba a penetrare in ogni impresa, giornale, industria del paese, accaparrandosi quote con furbizia e diligenza. Un uomo di affari suo padre, ma privo di calore. In pochi decenni aveva creato un impero, e distrutto una famiglia. E in quella vita gli avvoltoi non erano mai mancati intorno a loro.
“Sai di stronzi ne ho incontrati nella vita. Ma nessuno era al tuo livello” gli raccontò stridula incrociando di nuovo i suoi occhi. Cioccolato fuso contro ghiaccio secco. Si fissarono rigidi, vicini, fieri e orgogliosi. I profili alti, occhi negli occhi.
“Povero piccolo figlio di papà! Quanto dev’essere stato difficile per te trascorrere un’intera esistenza con l’unica preoccupazione di sperperare l’impero di papino?” lo accusò a denti stretti . Aveva coraggio la ragazzina, coraggio e faccia tosta, e un piccolo corpicino tremante di rabbia. Si prese qualche istante di tregua per ammirarlo. Gli short aderenti e la canotta grigia lasciavano ben poco all’immaginazione, consentendogli di vagare sfacciato su ogni centimetro di pelle olivastra che scommetteva fosse liscia al tatto tanto quanto invitante alla vista. Quella ragazzina era bella per davvero, bella snervante e coraggiosa. Sorrise.
“Attenta Elena – la minacciò avvicinandosi ancora, lento, e fiero – adesso sei tu che giudichi senza conoscere”
“Siamo in due” tremava per davvero, mentre orgogliosa continuava a reggere il suo sguardo di fuoco, senza indietreggiare di un passo. Era ad un soffio da lui, e riuscì persino a strappargli un sorriso lo sguardo corrucciato con cui lo esaminava attenta.
“Lascia che sia chiara su una cosa Damon: io non sono Katherine!” fu ancora lei a parlare in quel chiaro avvertimento scandito.
La fissò per lunghi attimi, senza realmente vederla. Lei sapeva di Katherine, conosceva il suo passato, la sua debolezza e il motivo per cui aveva abbandonato quella vita.
Ma seppe davvero perché fosse tornato? Due settimane prima aveva ben pensato di concedersi un giro in città dopo anni di assenza, e chi aveva incontrato? Lei. Un’ingenua ragazzina ubriaca che gli si era confidata inaspettatamente. L’aveva ammaliato, incuriosito, indotto a restare qualche giorno in più… un giorno erano diventati due, due erano diventate settimane… ed eccolo lì! Era destino che la incontrasse? O era destino che tornato a casa avrebbe scoperto essere la donna di suo fratello?
Aprì e richiuse la bocca senza che sillaba fuoriuscisse dalle labbra. Boccheggiò in cerca di ossigeno esaminato ancora da due profondi occhi scuri come la notte. Quello sguardo, quell’odore fruttato e intenso… era troppo vicina. Stranamente quella vicinanza lo confondeva, e lo inquietava.  Si voltò così allontanandola brusco.
“Ciao Elena” fu una chiara richiesta, la invitata ad andar via.
“Dì a Stefan che non posso restare. Se non è troppo disturbo”
Quando sentì il portone sbattere si lasciò finalmente andare sul morbido divano, intenzionato a gettarsi alle spalle l’insolita discussione.  Sbuffò inquieto, prese giacca e chiavi e si precipitò fuori casa

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Capitolo 3
*** CAPITOLO2 ***



POV DAMON

Annusò a fondo l’aria familiare non appena mise piede al Grill, constatando che nonostante quel tempo passato poco o nulla era mutato in quel luogo dove aveva trascorso gli anni più tormentati della sua vita. 
Alla fine era ritornato lì… prevedibile. Era l’unico piccolo pub in quell’anonima cittadina alle porte di Atlanta. Storse il naso… già che c’era tanto valeva farsi un drink.
“Damon?” 
Quando fu ad un passo dal bancone si sentì chiamare da un tono basso e rassicurante che ben conosceva. Ed infatti… era lui.
“Ehi Ric!” 
Si precipitò al suo fianco prendendo posto accanto all’uomo, che lo squadrò sbigottito e sorridente.
“Quanto tempo è passato? Che fine hai fatto? Sei sparito nel nulla!”
“Amico sai come vanno queste cose no? Fuggi dal padre tiranno, dalla stronza che ti ha prosciugato il conto, dal fratello che ti ha fregato la ragazza… e alla fine torni sempre a casa” scrollò le spalle con aria annoiata.
“Io ricordavo fossi tu ad averla fregata a lui!”
“Punti di vista… non ti ricordavo mica così permaloso?”  
Sorrisero.
“Come stai adesso?” gli chiese poi l’amico porgendogli un bourbon. Quando lo aveva ordinato?
“Senza un soldo. Bello, sexy e intelligente – ammiccò scherzoso – ma con un fondo fiduciario praticamente nullo”
“Ben venuto nel club!” brindarono e bevvero all’unisono.
“Perché non chiedi aiuto a tuo padre? In un paio di minuti avresti una lista di lavori per le prossime tre vite”
“Mi farei amputare una gamba piuttosto e lo sai – gli ricordò scocciato – non gli darei mai la soddisfazione di controllarmi come ha fatto quello smidollato di mio fratello!” 
“Sempre combattivo e orgoglioso, eh Damon? Prima o poi dovrai mettere da parte i dissapori se intendi restare. Infondo è la tua famiglia” gli rammentò il giovane uomo al suo fianco con aria saggia.
“Non so se resterò… in fondo ne vale davvero la pena?”
“Vale la pena sentirsi a casa” 
Ric e la sua saggezza. L’unica persona che in quegli anni davvero gli era mancata. La spalla forte che lo aveva sorretto nei periodi bui dell’adolescenza, un padre per lui, un fratello e un amico. Alcune cose non sarebbero mai cambiate.
 Sorrise, scuotendo la testa.
“Intendi restare per i prossimi sei mesi?” 
“Non lo so… perché?”
“Beh perché mi sposo… e già che ci sei sarebbe un peccato mancare al matrimonio del tuo miglior amico no?”
“No! Ti sei fatto fregare anche tu?” reclamò sorpreso. Cosa si diceva in quei casi? Avrebbe dovuto congratularsi? Allora quegli anni erano davvero trascorsi… per la prima volta avvertì il loro peso sulle spalle, lo smarrimento di chi torna alla vita e fatica a riadattarsi. 
Il tempo era davvero trascorso per tutti loro, soltanto lui era rimasto indietro.
“E’ una fede non una condanna!”
“La vedo più come un cappio al collo ma comunque… congratulazioni vecchio!”
Ordinò un altro amaro per brindare e si voltò nuovamente verso l’amico.
“E chi sarebbe la sposina?”
“Jenna. La zia di Elena… la ragazza di Stefan. L’hai conosciuta?”
Oh cazzo! Quella ragazzina bisbetica lo perseguitava! Non riuscì a nascondere l’espressione tra l’afflitto e il disgustato che gli piegò le labbra.
“Cos’è quella faccia?” 
“Niente di importante. Sono solo curioso di conoscere la donna che è riuscita a metterti in riga”
“E’ una ragazza straordinaria! Sai si prende cura di Elena e Jeremy da quando i loro genitori sono morti quindi penso che non ci allontaneremo molto di qui per il momento. Meglio così infondo… Avevo bisogno di fermarmi in un posto”
“Sono morti chi? I genitori di Elena?”
“E di Jeremy … si. Lo scorso anno. I ragazzi sono di Atlanta, si sono trasferiti qui dalla zia dopo l’incidente. Elena lavora con tuo fratello, lo sai no?”
Fece un cenno d’assenso senza aggiungere altro, impegnato a rielaborare la notizia.
“Jeremy frequenta il liceo qui a Mistic Falls, Elena invece ha rinunciato al college per  poter lavorare e rendersi autonoma. Sai Jenna non ha un lavoro stabile, e comunque Elena non avrebbe mai accettato di pesare sulle sue spalle. È così che ha conosciuto Stefan, dopo che tuo padre l’ha assunta. È una ragazza sveglia e brillante, peccato che non abbia continuato gli studi” constatò al termine della lunga delucidazione sorseggiando dal nuovo bicchiere ambrato. 
E allora era questo che intendeva la ragazzina quando gli aveva rinfacciato di non sapere nulla di lei. Quella era la sua storia, il suo passato, e il dolore che a tratti le aveva letto in fondo agli occhi.
“Tuo fratello è stato un grande aiuto per lei… Damon ci sei?” lo richiamò notando l suo sguardo distante e perso. Lo rassicurò con un gesto del capo. Aveva perso la facoltà di colloquiare? 
Quello stesso pomeriggio, poche ore prima soltanto, l’aveva accusata di essere un’arrampicatrice sociale in cerca di guadagno facile… e allora? Non era colpa sua! Non sapeva tutta la storia, era lecito che dubitasse della sua buona fede! E poi anche lei non era stata molto gentile con lui… si erano feriti in due! Non aveva nessuna colpa, nulla da rimproverarsi. Oh al diavolo! 
Scolò d’un fiato l’ennesimo ordine di amaro e ne chiese un altro.
“Questa città mi fa venire voglia di affogare nell’alcool!” spiegò sbuffando nervoso. Era inquieto e non ne capiva al motivo. Che fosse davvero il senso di colpa? 

POV ELENA

Il grill quella sera era stranamente affollato, notò con disappunto mentre guardandosi intorno focalizzava Ric seduto al bancone con accanto… con accanto Damon. Di male in peggio. Lo aveva lasciato a casa e se lo ritrovava al bar. In un buco di paesino avrebbe dovuto abituarsi a vederlo sbucare da ogni dove. Sbuffò seccata soffermandosi un po’ troppo ad osservarlo.
“Chi è lo splendore accanto a Ric?”  
Caroline si era accorta della direzione presa dal suo sguardo.
“Indovina un po’? mister simpatia” 
Si avvicinò a loro seppur controvoglia. Intendeva ordinare, non certo rimanere di guardia tutta la sera e scaraventarsi al bancone solo quando il signorino si fosse deciso a smammare.
La bionda era alle sue spalle.
“Perché non me lo presenti?”
“Perché non ci parlo”
“Ma come sei pignola! Avete avuto una piccola discussione! Ti sembra un buon motivo per non rivolgergli la parola?”
“Ma non era uno stronzo dal quale girare alla larga fino a… mezzo minuto fa?”
Erano ormai vicine e lui dovette notarle perché per un istante le parve che si fosse rivolto a scrutarla con occhi diversi. Più esitanti, meno altezzosi e fieri.
“Certo che è uno stronzo! Ma è un gran bel pezzo di … stronzo!” spiegò ovvia la biondina.
Un sorrisino impertinente si disegnò sulle labbra del diretto interessato che adesso le squadrava apertamente. Probabilmente il suo ego rispondeva al complimento che era certa avesse ascoltato.
“E’ un idiota Care!” precisò in risposta fissando lui.  Voleva che capisse quanto la sua sola presenza la infastidiva.
“Ragazze ciao! -Ric le accolse caloroso e paterno com’era solito con lei - Conoscete Damon?” 
“Per mia immensa sfortuna l’ho conosciuto ieri mattino” precisò seccata lanciandogli occhiate torve.
“Ah, si? Eppure ero convito di averti già vista… forse in qualche festa?” rimandò il ragazzo con finto buonismo, rivolgendole poi un sorriso di vittoria che scorse per fortuna soltanto lei. Quell’uomo aveva tutta l’intenzione di provocarla, e non era per niente certa di voler raccogliere la sfida.
“Impossibile – mentì spudoratamente – mi sarei ricordata di una faccia da schiaffi come la tua” 
“Non ti stanchi mai di tanta serietà Elena? Dovresti scioglierti un pochino… ti offro da bere! Preferisci dello spumante o passiamo direttamente alla vodka?”
Cazzo! L’aveva osservata quella sera prima di avvicinarla? Fece mente locale ma non ricordò il suo viso nella sala. L’aveva vista bere e per questo si era avvicinato con l’intenzione di approfittarne? Prevedibile. Damon aveva tutta l’aria di chi non si sarebbe fatto il minimo scrupolo a servirsi di una donna ubriaca. Eppure… eppure era anche il tipo d’uomo che fugge con il cuore a pezzi da una delusione d’amore, pronto a lasciare tutto per dimenticare una donna. Chi era davvero quel ragazzo? Un uomo ferito da un amore totalizzante e sfortunato o uno stronzo approfittare e sfrontato dalla battuta tagliente e rabbia negli occhi? 
“E cosa ti aspetti che accada precisamente dopo avermi offerto da bere? Ti aspetti forse che le mie gambe si aprano magicamente a te?” domandò sprezzante e pungente con un sorrisino.
“Oh Elena mi offendi se pensi questo di me! Non approfitterei mai della donna di mio fratello!” con le mani sul petto a fingersi risentito e un tono tutt’altro che serio e rassicurante riuscì a sdegnarla e provocarla di rimando. Strinse la mascella al limite della sopportazione intenzionata a non dargli l’ultima parola, ma fu Ric ad intromettersi nel tentativo di placare gli animi.
“Ok ok ho capito… non vi sopportate neanche un po’. Potete sempre continuare domani ad insultarvi visto che Damon sarà nostro ospite a cena”
“Non vedo l’ora” ancora quel sorrisino spiego arrogante! Sfrontato altezzoso e buffone bastardo!
“Penso che domani avrò da fare. Andiamo Care?”
Pose fine al pessimo incontro con un saluto fugace.
“Ok avevi ragione. È uno stronzo” sdrammatizzò l’amica raggiungendola ad un tavolino appartato e lontano dai due.
“Non capisco come sia possibile che Ric gli sia amico!” sbottò irritata dall’inusuale coppia.
“Beh però… il fascino non gli manca” 
“Care!” la rimproverò più irritata del dovuto. Cosa ci trovava di bello in quel tipo? si ok apparte l’adorabile contrasto tra gli occhi color mare e la massa indomita di capelli corvini riversi sulla fronte… o forse era il fisico asciutto e non eccessivamente pompato. O era l’aria da bello indomabile? Peccato che lasciasse a desiderare tutto il resto.
Stefan entrò proprio in quel momento ancora con indosso i vestiti formali del lavoro.
“Ciao!” con un bacio a fior di labbra si accomodò accanto a loro. 
“Ho appena conosciuto il tuo adorabile fratellino… dove lo nascondevi?”
Care e la sua schiettezza… le strappò un sorriso nonostante la tensione non l’avesse ancora abbandonata del tutto.
“Non chiederlo a me!” 
“Hai ragione… potrei chiederlo direttamente a lui” constatò accompagnandosi con una risatina civettuola. 
Il suo ragazzo alzò le mani in segno di resa “Nel caso non venirmi a dire che non ti avevo avvertita”
La bionda sbuffò e per sua fortuna la conversazione prese pieghe diverse, abbandonando ben presto quel terreno minato.
 
 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO3 ***


POV ELENA

La brezza autunnale era un toccasana sulla pelle mentre passeggiava con Stefan per le vie del paesino.
“E così domani sera sei invitata a cena” la schernì il ragazzo con un sorrisino.
“Fino a prova contraria è lui l’imbucato in casa mia”
“L’invitato!” la corresse beccandosi in risposta una buffa linguaccia.
“Si può sapere perché lo odi così tanto?”
“Beh è così… così spavaldo e buffone, e sicuro di sé che… mi manda in bestia!”
“Non è sempre stato così… è soltanto ferito e pensa che allontanare le persone sia un modo per evitare che accada di nuovo”  scrollò le spalle come se le avesse spiegato un qualcosa di ovvio e scontato.
“Ha allontanato anche te”
“I nostri contrasti ci hanno allontanati. È colpa di entrambi”
Ci pensò qualche istante lasciandosi prendere dalla curiosità mentre gli si stringeva al fianco.
“Chi di voi due è stato con lei per primo?” chiese d’impulso senza ragionarci troppo.
Una smorfia disgustata accompagnò la confidenza del ragazzo “Chiedilo a Damon. La sua risposta sarà diversa dalla mia. Comunque sapevo quanto lui l’amasse, non avrei dovuto permetterle di prenderci in giro”
“Mi è difficile pensare che quello stronzo di tuo fratello abbia un cuore capace di amare”
“Attualmente è fuori fase ma ti assicuro che c’è”
Risero entrambi, stretti al chiarore della luna.
Stefan non era tanto male dopotutto… quando non aveva qualche impegno irrevocabile, riunioni di lavoro ad orari improponibili. Quando non le faceva la paternale per essersi comportata da normale adolescente sconsiderata. Quando non la preferiva più donna, più sicura di sé. Stefan… il suo dolce ragazzo con la testa sulle spalle. Il suo porto sicuro e il riparo dalla tempesta della morte dei suoi genitori. Gli doveva tanto. Il lavoro, la calma e l’equilibrio ritrovati… gli doveva tutto. Era forse davvero questo l’amore? Riconoscimento misto ad affetto? Se lo chiedeva spesso.
“Verrai anche tu domani?”
Sperò che la sua risposta fosse positiva. Era terrificata… terrorizzata all’idea di dover trascorrere un’intera serata in balia di Damon, della sua pungente ironia e dello squarcio di cielo racchiuso nei suoi occhi.
“Mi piacerebbe… ma ho una riunione con i finanziatori che non posso spostare”
“Ma è possibile che tuo padre deleghi sempre tutto a te?” chiese seccata.
“Sono il suo erede, devo imparare a gestire”
“Ma non sei l’unico erede. Perché Damon può svignarsela e tu no?”
“Perché l’unico obiettivo di Damon è sabotare nostro padre”
Perché? Continuava a chiederselo… cosa nascondeva Damon sotto quella maschera di sarcasmo e sfacciataggine? Si maledì dell’inopportuno interesse per quel ragazzo. Insomma non erano affari suoi!
“Vorrà dire che sopporterò tuo fratello da sola. Mi devi un favore” lo avvertì socchiudendo gli occhi indignata.
 
E così nonostante le sue imprecazioni quella sera era arrivata, Damon si era presentato fastidiosamente puntuale, e lei era stata costretta ad esserci. Aveva messo piede in salone soltanto al terzo richiamo quando ormai il primo piatto era freddato.
Si aspettava di peggio a dirla tutta, ma invece il ragazzo l’aveva sorpresa. Era stato cordiale e distaccato, aveva chiacchierato praticamente soltanto con Jenna e Ric, rivolgendole la parola soltanto se costretto. Con la battuta sempre pronta e il fascino innato, che purtroppo doveva ammettere avesse, aveva conquistato sua zia nel giro di pochi minuti, e persino Jeremy sembrava affascinato da lui.
“E così Damon da quanto vi conoscete?” aveva domandato ad un certo punto Jenna attirando l’attenzione di tutti.
“Praticamente da sempre. Lui era ancora un dolce adolescente innamorato e io un affascinante play boy” sghignazzò Ric.
“Devo dire che siamo meglio a ruoli invertiti. La parte di play boy sta meglio a me”
Jenna rise all’innocente battutina dell’invitato, come anche suo fratello. Era una novità per lei vedere Jeremy attento e presente, abbandonare il solito broncio che da mesi lo accompagnava per godersi semplicemente una serata in famiglia. Beh almeno qualcosa di positivo in quella serata lo aveva trovato.
“Quindi sei stato innamorato Damon?” ancora sua zia. Allora non era l’unica ficcanaso inguaribile, era una dote di famiglia constatò tranquillizzata.
“Si… sono stato innamorato. È doloroso, senza senso, e sopravvalutato”  tagliò corto senza abbandonare il tono leggero e ironico, ma quando lei sorpresa alzò gli occhi dal piatto per incontrare i suoi vi lesse ben altri sentimenti. Rabbia, rancore, solitudine. Una tempesta di emozioni.
“E’ per questo che sei andato via?” intervenne senza rendersene conto, maledicendosi poi in tutte le lingue del mondo.
“Anche”
“Per una donna… dev’essere stata importante per averti fatto questo” constatò con una vena amara nella voce. Non riusciva a controllarla quella forza che la spingeva, nonostante tutto, a tentare di comprenderlo, di scavargli l’anima per scorgerne le ferite. Ferite che era certa  avrebbe trovato ancora sanguinanti.
“Non si riduce sempre tutto all’amore per una donna?”
Le domandò avvenente catturando i suoi occhi in una morsa magnetica. Le labbra distese in un sorriso, l’attenzione rivolta totalmente a lei. Il resto del mondo scomparve per un solo attimo.
Capire quell’uomo e i suoi continui sbalzi d’umore era un’impresa oltremodo titanica. Per quanto si sforzò nessun suono sgorgò dalle labbra semichiuse e secche.
“E così hai viaggiato parecchio?” fu Jeremy a spezzare quel momento con una domanda che portò Damon ad interrompere il contatto visivo. Ne fu quasi delusa. Dio che le stava accadendo?
“Abbastanza… non mi sono mai allontanato dagli Stati uniti però. La prossima volta penso che mi sposterò in Asia. Ho sempre voluto visitarla… è un continente antico e ricco di storia. E poi ho un debole per le asiatiche” ammiccò verso Ric che gli diede man forte con una risata sincera. Uomini!
Anche sua zia rise, e Jeremy. Soltanto lei non lo fece. Non ci trovò nulla di lontanamente divertente.
“E quando pensi di ripartire?” gli domandò più aggressiva di quanto avesse voluto.
“Speravo di essere già in viaggio a quest’ora a dire il vero, ma il grande capo ha pensato bene di inchiodarmi qui senza un soldo”
“Beh Atlanta è una bella città! Che c’è di male a stabilirsi in un posto? È casa tua infondo”
“Atlanta non è casa mia. È l’impero di mio padre e io ho intenzione di restarne il più distante possibile”
“Non sarà la distanza di un continente a risolvere i problemi con tuo padre. Che tra l’altro a me sembra un brav’uomo”
“Perché non è tuo padre” le suggerì sarcastico.
“Fuggire non è mai una soluzione” insistette cocciuta. Quel battibecco la stava coinvolgendo più del consentito. A lei non sarebbe cambiato nulla se Damon fosse ripartito l’indomani mattina, ma quegli occhi orgogliosi e chiari che le studiavano il viso con perizia e freddezza non l’aiutavano nel seguire i buoni propositi di restarne fuori da qualsiasi cosa lo riguardasse.
“Non sto fuggendo, sto cercando di costruirmi una vita secondo le mie volontà, e non come vorrebbe impormela lui” le spiegò convinto, enfatizzando quel senso di libertà per lui prezioso.
Una libertà di scelta e di vita che a lei era stata negata la notte in cui i suoi erano morti. Nel momento in cui non era più stato possibile scegliere un futuro, travolta da mille responsabilità e una vita adulta che richiamava impegno e fatica.
Aveva smesso di sognare una vita diversa per lei quando aveva dovuto rimboccarsi le maniche per prendersi cura di sé stessa e di suo fratello.
“Volete una fetta di dolce?” li interruppe in evidente imbarazzo sua zia, porgendo ad entrambi un vassoio.
La serata era decisamente rovinata. Tutto secondo i piani constatò amareggiata.
 
POV DAMON

“Cosa succede tra te ed Elena?” gli domandò sottovoce l’amico quando Jeremy dopo avergli inflitto due brucianti sconfitte a play station si era dileguato e lo stesso aveva fatto Jenna dichiarandosi stanca dalla giornata di lavoro. Elena era scomparsa subito dopo cena. Quella ragazza era un enigma vivente.
“Nulla perché?”
“Ho notato una certa tensione a tavola e ieri sera al Grill… Damon non fare lo stronzo, è la nipote della mia futura moglie!” lo avvertì serio con un’occhiata di rimprovero. E così era lui lo stronzo? La ragazzina continuava a provocarlo inacidita e lo stronzo era lui?
“Stiamo cercando di capire come convivere pacificamente da cognati. Non c’è pericolo”
Gli lasciò una pacca sulla spalla prima di infilarsi il giubbotto per andar via.
“E comunque detto tra noi… la zia è molto più carina!” strizzò l'occhio provocatorio.
“Giù le mani da mia moglie!”
“Legalmente non è ancora tua moglie!
“Tu provaci e in Asia ti ci spedisco a calci in culo”
Risero entrambi, complici e per nulla spaventati l’uno dall’altro. Così amici, da così tanto tempo, da fidarsi troppo per lasciarsi prendere da quelle che erano semplici battutine senza il minimo fondo di verità.
Si salutarono e qualche minuto più tardi era fuori alla porta. Inalò il freddo della sera, immobile sul modesto portico dell’abitazione.
Si accorse di lei per caso quando si voltò per andar via, rannicchiata tra i cuscini di un vecchio dondolo.
“Ehi” esordì con un filo di voce, imbarazzato. Imbarazzato? Di male in peggio. Quella donna risvegliava in lui una gamma di sensazioni che non pensava più di poter provare, che non riusciva neanche a spiegarsi. Tenerezza, questo gli provocò vederla persa e raggomitolata al freddo. Lo fissava silenziosa e lui di tutta risposta non fece la cosa più ovvia: andar via, ma si sedette accanto a lei. Perché lo avesse fatto non riuscì a capirlo.
“Ehm – sottovoce e titubante Elena prese a parlare – mi spiace per prima. E per l’altra sera…  per tutto. Siamo partiti con il piede sbagliato”
“Cosa ci fai qui fuori?” ignorò le sue scuse non sapendo cosa dirle di rimando.
“Vengo qui tutte le sere. Prima ci venivo a scrivere nei fine settimana quando eravamo qui dai nonni. Ora non scrivo più ma ci torno comunque. Mi aiuta a pensare”
“Scrivevi?”
“Volevo fare la scrittrice – ridacchiò quasi fosse un pensiero incredibile anche solo da formulare ad alta voce – prima che… beh lo saprai già” concluse con tono amaro, in un sussurro.
“Non vuoi più?”
“Non si vive di sogni Damon. E poi ho perso l’ispirazione da un po’”
“Non si vive senza sogni, non puoi chiuderli in un cassetto e fingere che siano mai esistiti”
Si concesse di guardarla sottecchi  e si sorprese ad ammirare i lineamenti dolci e distesi di una ragazzina appena donna. Bella, era bella, quello poteva ammetterlo. Bella e pulita come soltanto un adolescente poteva esserlo.
“Non si può sempre scegliere. Non si vive di sogni nel cassetto. Non sei una persona con un gran senso pratico vero?”
“Così dicono! Io dico che invece mi premuro di essere felice piuttosto che ricco”
La sentì ridere ancora, poi si voltò a la vide, distesa per il prima volta in sua presenza. Non triste, pensierosa, o arrabbiata, semplicemente sorridente.  Gli parve una perfetta risata, argentea e spontanea.
“Dovresti ridere più spesso. Ti dona” si lasciò scappare, disarmato. Si riscosse subito, non appena vide la sua risata tramutarsi in un flebile sorriso imbarazzato.
“Sei felice?” le chiese allora, preso dal momento di complicità.
“Non è una domanda che mi concedo” ammise lei debolmente. Gli parve sollevata, sincera, ma sorpresa quanto lui da un’improvvisa complicità che nessuno dei due aveva cercato, ma che si ripresentava quella sera com’era già accaduto.
“Dovresti concedertela invece… a vent’anni non si può vivere senza chiedersi se si è felici”
“Tu sei felice, Damon?” osò lei, la ragazzina timida che continuava suo malgrado a stuzzicarlo e ad attrarlo. La ragazzina di suo fratello. Avrebbe dovuto tenerlo bene a mente, per evitare spiacevoli complicazioni.
“Faccio del mio meglio” sorrisero, occhi negli occhi. Poi lei inspirò, quasi come se stesse cercando il coraggio di dire qualcosa.
“Mi spiace Damon… per Katherine. L’amavi, e l’hai persa” bisbigliò appena, comprensiva.
Quell’ammissione lo spiazzò, lasciandolo frastornato a scrutarla, senza realmente focalizzare il suo viso. Era compassione o semplice comprensione e vicinanza quella che vi lesse negli occhi? Avrebbe dovuto infastidirlo? Non osò scavare oltre la matassa di pensieri che gli affollarono la mente.
“E’ passato tanto tempo” le disse soltanto, rimanendo con lei, immobile e teso, nel buio della notte.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO4 ***



POV DAMON

Quando rientrò, poco più tardi, era di umore fastidiosamente altalenante. Odiava sentirsi in quel modo, tremendamente esposto, studiato con perizia da una poco più che sconosciuta. D’altro canto la tenerezza e l’apprensione che la ragazzina riusciva a suscitare in lui l’avevano spiazzato, e indirizzato continuamente verso di lei nonostante opponesse resistenza. Tutto ciò che aveva percepito tra loro da quella prima sera ormai lontana era un insolito legame, una capacità straordinaria di comprendersi nata al primo sguardo, un filo invisibile che li aveva condotti ad incontrarsi e comprendersi dall’attimo in cui aveva incrociato il suo viso tra la folla. Che fosse l’inizio di un’insolita amicizia? Era destabilizzante. Lui non credeva nell’amicizia tra uomo e donna, né era alla ricerca di un’amica. Soprattutto se quest’amica era così bella, e impegnata… con suo fratello. Ok: necessitava di un bourbon.
Nell’ampio salone mal arredato incrociò Stefan, intento nel consultare una pila di fogli, ancora in abiti da lavoro.
“Bel vestitino” lo schernì avvicinandosi.
“Com’è andata la cena?”
“Decentemente” tagliò corto.
“Mi spiace di non esserci stato. Avevo una riunione”
“E qual è la novità?”
“Abbiamo concluso l’accordo – lo informò serio – siamo entrati in affari con la società dei Mikaelson”
“Lunga vita al re”
Alzò in aria il bicchiere a simulare un brindisi ben poco sentito.
“Sai papà dovrà assumere adesso. Ha bisogno di dirigenti fidati”
“Non mi interessa” un sorriso tirato e stava per fuggire dall’ennesima proposta indesiderata.
“Come intendi mantenerti?”
“Certamente non facendo il burattino del grande capo” e ci avrebbe aggiunto un: come te, ma si astenne.
“Prima o poi dovrai capire cosa farne della tua vita” gli ricordò il fratello con aria di rimprovero. Caro vecchio saggio Stefan.
“Tu cosa vuoi farne della tua vita fratello? Hai vent’anni, spero che questo non sia il massimo cui aspiri! Da quanto tempo non ti fai una sana sconsiderata bevuta tra amici? La vedi mai la tua ragazza? Sei mai uscito da Atlanta se non per affari di lavoro? C’è qualcosa di tutto questo che hai scelto tu? Almeno Elena l’hai scelta o tel’ha imposta il grande capo?” sbottò irritato. Era un fiume in piena pronto a straripare, e se Stefan aveva intenzione di lasciarsi programmare la vita sperava che avesse almeno la decenza di lasciare a lui la facoltà di non seguirlo.
Il fratello si accigliò “Ci tengo ad Elena” lo avvertì.
“Non ti ho chiesto questo. Ti ho chiesto quando è stata l’ultima volta che vi siete divertiti insieme, che sei stato davvero presente e l’hai ascoltata invece di decidere tu al posto suo”
Lo vide osservarlo dubbioso, le labbra schiuse e lo sguardo torvo.
“Hai parlato con lei? Ti ha detto qualcosa?”
“Non ho parlato con lei. Senti sono stanco, ‘notte” mentì. Non l’avrebbe tradita, non avrebbe spifferato il loro primo incontro. Quello no, quello era soltanto loro. E poi non erano affari suoi. Quella era la loro storia, i sbagli di Stefan, i problemi della ragazzina. Aveva tutte le intenzioni di girarci alla larga.
 
POV ELENA

Quando arrivò alle porte della villetta dei Salvatore si concesse qualche minuto per ammirare la grande abitazione immersa nel verde. Il vento freddo di metà novembre animava gli arbusti a ridosso della casa, scuoteva le foglie ingiallite e stanche che in gran parte prendevano il volo per ricadere poi inermi al suolo.  La pervase un senso di calma e buon umore mentre estraeva dalla borsa le chiavi di quella che era un po’ ormai anche casa sua.
“Senti… me ne ha già parlato Stefan. Non mi interessa”
Il tono brusco di Damon le arrivò appena in un sussurro entrando in salone. Proveniva dalla cucina.
“Dovrebbe interessarti invece. Ci ho messo un anno per ottenere quelle azioni, mi serve una persona fidata al comando”
Riconobbe immediatamente anche la voce pacata e scandita dell’altro uomo. Era Giuseppe.
“Ti serve un burattino da piantarci che esegua i tuoi ordini insomma”
“Tu ci provi gusto a sfidarmi Damon?”
Il tono alterato aveva sostituito la pacatezza di poco prima. Rabbrividì, non abituata a sentirgli alzare i toni. Tutti tremavano solitamente in sua presenza, non aveva mai avuto bisogno di imporsi perché qualcuno lo ascoltasse.
“Non ti sto sfidando, sto gentilmente declinando la tua offerta”
Qualche minuto di pesante silenzio.
“Potrei darti il mondo… perché non capisci che in questo modo danneggi soltanto te stesso?”
“Hai già fatto abbastanza. Io non ho bisogno di un datore di lavoro, ho bisogno di un padre! Ma forse è chiederti troppo”
Tremò, in bilico tra la voglia di fuggire via e quella di origliare ancora, per poter finalmente scorgere qualcosa in più sul passato ancora troppo vago di Damon. Vinse quella di restare.
“Che cosa stai dicendo? Io sono stato un padre esemplare, vi ho sempre dato il meglio!”
“Cosa intendi esattamente per il meglio? Soldi? Raccomandazioni? Che altro? Ah si aspetta forse lo so…”
“Come intendi vivere? D’aria? Di rammarico? Spiegamelo!” lo interruppe il padre frettoloso e agitato, quasi non volesse più ascoltarlo, quasi volesse troncare il discorso sul nascere.. ma un rumore improvviso al piano di sopra la destò dall’attento ascolto.
Richiuse il portone e andò incontro al suo ragazzo. Aveva ascoltato anche troppo, constatò turbata. Quanto dolore, quanto rancore nascondeva Damon dietro la maschera di sarcasmo e diffidenza? Qual’era il tassello mancante del suo passato che ancora le sfuggiva? Non avrebbe dovuto desiderare scoprirlo.
 
POV DAMON

“Ehi straniero!”
La vocina fine e fastidiosa dell’amica di Elena lo indusse ad alzare lo sguardo dal bancone legnoso del Grill. Non era la serata adatta da dedicare ai rapporti umani.
La guardò con sufficienza “Ciao…”
“Caroline…  – gli suggerì – cosa ci fai qui tutto solo?hai bisogno di compagnia?”
“Se avessi voluto compagnia l’avrei cercata” le fece notare ironico.
“Ok sei di cattivo umore”
Bingo! Per fortuna ci era arrivata da sola.
“Pessimo umore!”
“Posso fare qualcosa per te?”
Certo… chiudere quella dannata bocca e fare marcia indietro. Optò per il silenzio, e le lesse in risposta sul viso  chiaro e vispo un’ombra di delusione. Stava forse tentando, molto goffamente, di flirtare con lui? In quel caso… gli sarebbe stata utile. Avrebbe potuto migliorare la sua serata.
“Siediti – la invitò,con un repentino cambio d’umore, accanto a sé – vuoi bere qualcosa?”
“Certo! Vado un attimo in bagno. Torno subito”
Sorrise forzato e tornò al suo amaro.
“Damon…” fu il tono profondo e pacato di Elena questa volta a disturbarlo. Si voltò trovandola in piedi accanto a lui. I lunghi capelli raccolti in una coda alta, casual ma delicata, come sempre. La sentì ordinare qualcosa, ma non ci fece caso e distolse lo sguardo.
“Come stai?”  richiamò titubante la sua attenzione. Percepiva i suoi occhi attenti sulla pelle, quasi volesse studiarne le reazioni, e quello lo infastidì ancora di più. Non era in vena di condividere i suoi pensieri.
“Porto per caso una t-shirt con scritto ho bisogno di compagnia?”
Esplose indispettito con l’intento di persuaderla, ma a quanto pareva non ci riuscì perche lei non si mosse di un millimetro. Continuava a scrutarlo con il capo di sbiego e una strana apprensione negli occhi. Perché doveva interessarsi a lui in quel modo? Perché non lo lasciava semplicemente in pace?
“Ho sentito la discussione con tuo padre oggi… ne vuoi parlare?”
“No”
“Damon…”
“Smettila di preoccuparti! Ma cos’hai che non va? Se soffri della sindrome di crocerossina qui cadi male, cambia soggetto” borbottò brusco. Era arrabbiato, di pessimo umore, e decisamente brillo. Pessima combinazione per una pessima serata.
“Perché allontani le persone? Tu non sei così Damon” insistette cocciuta. Dopotutto poteva capirla … aveva conosciuto soltanto la sua parte migliore, il lato che inaspettatamente era stata proprio lei a cacciar fuori.
“E come sono io? Non mi conosci, non puoi saperlo”
“Sei ferito, e arrabbiato, allontani tutti ma non è questo che vuoi”
Dio se era cocciuta! Cocciuta e tremendamente presuntuosa se pensava davvero di conoscerlo. Ma i suoi occhi attenti e profondi lo avevano letteralmente ipnotizzato. Ci sarebbe naufragato in quel mare scuro… ma che gli prendeva? Di male in peggio!
“Un tantino presuntuoso da parte mia tentare di psicoanalizzarmi”
“Sto tentando di conoscerti e di esserti amica” lo corresse ferma.
“Nessuno te lo ha chiesto”
Finalmente riuscì ad ottenere una qualche reazione. Sbuffò esasperata alzando le braccia.
“Fai come ti pare. Rimarrai da solo se continui così”
“Non chiedo di meglio” sorrise sarcastico. Era sconcertata, furibonda e tutto ciò che notò in lei fu il suo buffo modo di gonfiare le guance quando sbuffava, o il modo di arricciare il naso indispettita. Perché continuava a vedere quella serie di miseri dettagli insignificanti?
“C’è altro?”
“No”
“Bene, hai compiuto la buona azione quotidiana quindi puoi andare” la invitò a dileguarsi con un gesto del capo.
“Un’altra cosa… stai lontano da Care!”
Non gli diede modo di rispondere che era già fuggita via. Che caratterino! Sorrise. Quella ragazzina era una sorpresa continua.
 


Chiaramente non era mai stato eccelso nel seguire i consigli, ancor meno le imposizioni, soprattutto se elargite da una ragazzina bisbetica poco più che adolescente. La piccola Caroline aveva un corpo morbido e accogliente tanto quanto un cervello ben poco promettente o minimamente interessante. Fu un gioco da ragazzi lusingarla con frasi di circostanza, scioglierla con qualche alcolico da quattro soldi e convincerla ad andare via di lì.
Annegare in un ventre caldo e spegnere qualsiasi emozione era tutto ciò di cui aveva bisogno quella sera, e la bionda era stata fin troppo accondiscendente da lasciarsi spogliare con brama e poca perizia non appena varcarono il pesante ingresso del pensionato. Era stata tanto arrendevole da lasciargli condurre la danza frenetica in cui si era gettato. Era stata tanto brava da riuscire a fargli dimenticare per qualche breve istante l’unico motivo per il quale l’aveva sedotta: lasciarsi vincere dall’istinto e smettere di pensare.
Era tutto ciò che chiedeva nel dedicarsi a quel corpo nuovo da baciare, sedurre ed esplorare. Perdere se stesso nel tentativo di non ritrovarsi più.
Ma come ogni mattina, come ogni risveglio, lui era sempre lì.
Un po’ più complicato del sedurla fu la mattina dopo farle capire che per lui il gioco era terminato. Alla sua reazione quantomeno prevedibile poi aveva abbandonato anche il minimo dubbio. Quella donna blaterava più di quanto potesse sopportare uno come lui che a stento pativa sé stesso, e così all’ennesima offesa gratuita l’aveva, ben poco elegantemente, accompagnata all’ingresso.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO5 ***



POV ELENA

La domenica mattina l’odore di muffin appena sfornati era un richiamo primordiale per lei e le ragazze, che ormai seguivano quella tradizione da anni, colazione fuori insieme nei fine settimana liberi.
Quella mattina lei e Bonnie arrivarono stranamente puntuali per i loro standard, e altrettanto eccezionalmente di Care non c’era traccia. Il che era un tantino strano per una maniaca del controllo e della precisione come lei, che era sempre la prima ad arrivare agli appuntamenti.
Quando poi la videro presentarsi in netto ritardo, trafelata ma impeccabile come sempre, la curiosità prese il sopravvento, ma prima ancora che potessero aprir bocca lei le precedette.
“Damon è uno stronzo. Avevi ragione”
Non capiva.
“Chi è Damon?”
“Giusto tu non sai nulla! Certo sempre rinchiusa in quel negozietto di magia ti perdi tutte le novità! È il fratello bello e psicopatico di Stefan!” spiegò la bionda con disinvoltura.
“Che è successo?” intervenne lei, tranquilla ma interessata.
“Stefan ha un fratello?”
“Per sua sfortuna si. Una carogna psicotica”
“Ehi! Mi dici che è successo?” odiava essere ignorata, soprattutto quando la curiosità la divorava come in quel momento.
“Ci sono andata a letto!” sputò l’amica tutto d’un fiato, imbarazzata forse, di sicuro pentita a quanto sembrasse.
“Da quando vi frequentavate? Perché non ne sapevo nulla?”
La domanda legittima di Bonnie le parve quanto mai fuori luogo… di certo Damon non sembrava il tipo da esigere frequentazioni prima di portarsi a letto qualcuna. E Care… beh era  la sua più cara amica. Conoscendola non si sorprese che non si fosse fatta il problema ad andarci a letto, così sostenitrice del “carpe diem”, alla continua ricerca di avventure. Permalosa e impicciona, a volte petulante, un tantino superficiale forse, ma per lei c’era sempre stata.
“Non ci frequentavamo!”
“Ti sei fatta fregare insomma… beh non puoi dirmi che non ti avevo avvertita” alzò le mani discolpandosi.
“Non mi aspettavo una dichiarazione d’amore infatti, ma che almeno non mi cacciasse dal letto la mattina dopo! È un burbero cafone incivile!”
“E subdolo, meschino, narcisista e sfrontato. E cosa più importante – proseguì Elena – ti avevo avvertita!”
“Dev’essere davvero bellissimo allora” ipotizzò Bonnie estranea alla  faccenda.
“Che centra adesso questo?” chiese lei con stizza portavoce anche della ragazza al suo fianco. Non aveva negato… beh poco importava.
“Per portarsi a letto una donna nonostante queste belle qualità deve avere un’arma, no?” ridacchiò.
Effettivamente l’amica non aveva tutti i torti.
“Vendete per caso quelle cianfrusaglie magiche tipo bambole voodoo?”
Se ne uscì Care con espressione assorta e tono sadico.
“Sai benissimo che gestisco un’erboristeria, che non vendo cianfrusaglie magiche ma prodotti naturali, e che le bambole voodoo sono cavolate”
“Bene… veleni naturali allora?” ritentò.
“Vuoi farmi arrestare?” scosse la testa sorridente liquidandole entrambe.
“Ci andrebbe bene anche un potente lassativo!” si intromise allora lei, in estremis.
“Non andare a letto con il primo che capita no eh?”
Bonnie era sempre così saggia… tra le tre era lei quella responsabile, pronta a consigliare, consolare, a riparare ai loro danni e colpi di testa.
“Non avevo idea di che pazzo psicotico fosse, ti pare? Sennò non ci andavo a letto!”  si difese la biondina con finto buonismo.
“Considera il lato positivo… te la sei spassata almeno”
“Ah su questo non ci sono dubbi… quell’uomo è l’ottava meraviglia del mondo! Finchè non apre bocca”
Precisò risentita ma con tutta l’aria di chi avesse passato una splendida notte seppur seguita da un risveglio disastroso. Per un solo stupido folle imperdonabile minuto la invidiò… immaginò cosa si potesse provare tra quelle braccia forti, per una notte soltanto. E ne fu tremendamente e inesorabilmente gelosa… invidiosa.  Scosse la testa, quella non era lei e non lo sarebbe mai stata.
 

Un’ora più tardi era pronta a rincasare, aveva salutato le amiche ed era tornata a casa per il pranzo domenicale. Una tradizione anche quella che Jenna continuava a perseguire nonostante umori altalenanti e silenzi prolungati, soprattutto da parte di Jeremy. Sua zia faceva il possibile, qualsiasi cosa in suo potere per aiutarli, per dare ad entrambi il senso di quella famiglia che avevano perduto, e lei le era grata per quello, ed era convinta che se anche il fratello non lo ammettesse perché ancora troppo arrabbiato e incasinato per farlo, anche lui le voleva bene, a modo suo. Jeremy era ancora un ragazzino che aveva visto crudeltà che non avrebbe dovuto, e troppo presto perché potesse sopportarle come un adulto. Ma loro erano una famiglia, e si sarebbero rialzati, insieme.
Non fece in tempo ad infilare le chiavi nella serratura che la porta era già spalancata sul portico. Di fronte a lei Damon, che stava uscendo da casa sua, con un sorriso mozzafiato disegnato in pieno viso.
Quell’uomo era un enigma, un mistero incomprensibile, e lei seppur in ritardo si era arresa dal decifrarlo. Aveva chiuso con i tentativi di tolleranza, era un bastardo, ormai lo aveva capito anche lei, e quella mattina con il racconto di Care ne aveva avuto la conferma.
Salutò con distacco e fece per entrare, ma la sua voce la immobilizzò sulla soglia.
“Ero venuto da Ric ma non era in casa così sono rimasto un po’ con Jeremy,è forte il ragazzino!”
“Doveva uscire con Jenna per delle commissioni” tagliò corto, fredda e ulteriormente infastidita dal suo goffo tentativo di instaurare un dialogo. Soltanto la sera prima l’aveva trattata come la peggiore dei fastidi, adesso addirittura tentava con delicatezza e garbo di instaurare un dialogo.
“Per quanto cel’avrai con me adesso?”
“Per sempre? Tanto non sembra che a te interessi particolarmente la mia compagnia”
“Che vuoi che ti dica? Ieri non mi andava di parlarne, ed ero di pessimo umore, ma tu continuavi ad insistere!” la incolpò con ovvietà, non un tono di accusa nella voce, ma soltanto un tentativo di spiegare la sua reazione.
“E’ questo che fanno gli amici, si confortano” gli fece presente con rammarico e sdegno, volgendosi finalmente verso di lui. Grave errore… il sole tiepido di novembre incontrava i suoi occhi colorandoli di un blu intenso e vivo come l’oceano che incontra il cielo all’orizzonte. Quegli occhi avrebbero dovuto bandirli per il loro innaturale e ipnotico fascino.
“Noi non siamo amici” le suggerì con pacatezza.
“Avremmo potuto diventarlo”
“Ne parli al passato” riscontrò attento, con un’espressione preoccupata e inquieta che riuscì a spiazzarla. Fu soltanto un breve istante, prima che potesse tornare sui suoi passi. Non si sarebbe fatta ingannare da lui.
“Ho saputo di Caroline” il timbro accusatorio di quelle parole destarono anche lui, che si chiuse in difensiva.
“Questo che centra?”
“E’ mia amica, e tu l’hai cacciata di casa come una qualsiasi sgualdrina”
“Innanzitutto io non le avevo promesso nulla, ed è stata una sua scelta venire a letto con me. Lo sapeva cosa sarebbe successo dopo, io non cerco una storia”
“Perché non dai alle persone l’opportunità di conoscerti?”
Cambiò strategia quando capì che continuare ad accusarlo non avrebbe portato a nulla, se non a chiuderlo ulteriormente in sé stesso.
“Dare un’opportunità vuol dire riporre fiducia. Riporre fiducia in un’altra persona ci rende vulnerabili”
Le spiegò lui di rimando puntando lo sguardo color zaffiro lontano dal suo viso, nel tentativo di celarsi da qualsiasi suo tentativo di analisi. Le labbra rosee serrate in una linea dura. Eccolo di nuovo, quel muro che issava tra sé e il mondo.
Ma lei sarebbe riuscita ad abbatterlo, ad insinuarsi in qualche crepa, ne era certa. Era troppo orgogliosa e caparbia per non farcela, e poi ne aveva bisogno. Ne sentiva la necessità pulsante e invadente.  
“Chi è il vero Damon? l’uomo ferito che fugge di casa per trovare sé stesso o lo stronzo arrogante sputa sentenze che allontana chiunque voglia stargli accanto?”
Quello che seguì fu un lungo silenzio carico di promesse, saturo dei loro sguardi fissi sull’altro, in attesa; seguito dal sospiro inquieto del ragazzo che precedette la sua risposta fredda.
“Non vorresti saperlo credimi”
“Questo lo dici tu. Non puoi decidere al posto mio”
“Perché non ti arrendi e lasci perdere?” proruppe agitato con uno sbuffo e un’alzata di spalle.
“Perché sono certa che ci sia altro sotto la maschera che ti ostini ad indossare”
“Cerchi sempre il meglio nelle persone…”
Questa volta non alzò la voce, non la accusò di nulla, non si mosse insofferente. Fu una semplice e cristallina constatazione a malapena sussurrata.
“Ripongo fiducia negli altri, anche se questo dovesse rendermi vulnerabile. Ma io sono fatta così”
Riuscì a strappargli un sorriso, un lieve movimento di labbra dal sapore agrodolce.
“Buona giornata Elena”
La lasciò così, in bilico sulla soglia di casa, ammutolita e interdetta. Non era riuscita ad oltrepassare quel muro, ma era più che fiduciosa che fosse riuscita perlomeno a scalfirlo in qualche modo. Lo aveva letto nel suo sguardo spaurito e smarrito, nel sorriso spontaneo, e nella sua fuga. Ormai lo aveva imparato, Damon era fatto così: fuggiva semplicemente, quando era vicino a scoprirsi, quando veniva a galla la vulnerabilità che più lo spaventava. Scappava, rimandava, la allontanava. Sorrise, sicura di essere ormai vicina alla meta, ed entrò in salone immergendosi nel tepore di casa.
 

L’aria tiepida del piccolo ufficio al decimo piano di un metallico grattacielo la avvolse quel mercoledì mattina di fine novembre, mentre sommersa nel suo dovere impaginava e ritagliava gli articoli del prossimo giornale. Quella era la sua anonima mansione, il suo lavoro che permetteva all’Atlanta journal di arrivare ogni mattina nelle edicole della città. Un lavoro impegnativo quanto ignorato e sottopagato il suo.
“Elena l’articolo sulla compravendita immobiliare è stato spostato in seconda pagina”
Andie, la star del giornale, la giornalista cui nome spesso e volentieri compariva su ogni prima pagina del quotidiano l’avvertì porgendole un articolo sostitutivo. Ennesimo cambio di programma.
Quello era il suo ruolo, il suo piccolo contributo in quella macchina perfetta che chiamavano redazione. Lei era quella che eseguiva le impaginazioni e riordinava le facciate e la collocazione di ogni singolo articolo.  Insomma lei dava un volto alle notizie degli altri, ben consapevole che il suo nome non sarebbe mai comparso sulle pagine stampate. Infondo non aveva mai cercato notorietà, le andava bene un piccolo stipendio a fine mese.
La giovane donna sorridente e ben vestita le lasciò i fogli congedandosi con un gran sorriso.
“Perfetto” rispose soltanto, professionale e troppo affaccendata per concederle altro tempo.
 

Le ore scorsero veloci, l’ora di pranzo era passata senza che se ne accorgesse nemmeno e finalmente verso sera le restavano soltanto le inserzioni sulle offerte di lavoro per concludere quell’ennesima giornata frenetica, quando il suo cellulare squillò.
Rispose senza rifletterci con gli occhi fissi sul pc e l’attenzione ancora rivolta al lavoro quasi concluso. Ma un timbro professionale e distaccato sorprendentemente l’allarmò.
“Lei è la signorina Elena Gilbert? Sorella di Jeremy Gilbert?”
“Certo… lei chi è?”
Un brivido le percorse la schiena. Pessima sensazione, qualcosa non andava, ne era certa.
“Sono la dottoress Fell, volevo avvisarla che suo fratello è stato ricoverato pochi minuti fa. Lei è la sua parente più prossima, giusto?”
“Cos’è successo?” sbraitò in preda al panico, con il cuore che già le schizzava fuori dal petto. La sua voce tremò più di quanto avesse voluto, di ansia e preoccupazione.
“Stia tranquilla, è fuori pericolo, però dovreste raggiungerlo”
“Arrivo” troncò la conversazione che in quell’istante sembrava farle sprecare minuti preziosi, raccolse tutta la sua roba dall’esile e angusta scrivania e si precipitò fuori dal piccolo ufficio.
 

POV DAMON

Gran bella donna quella giornalista con la quale si era ritrovato a discorrere nella caotica redazione del quotidiano. Bella ed anche intelligente, quanto brillante e sveglia. Era riuscita ad intrattenerlo egregiamente mentre attendeva che suo padre si liberasse dall’ennesimo impegno della giornata, e alla fine le aveva strappato anche il numero di cellulare. Poco male… per sua fortuna il fascino che esercitava alle donne non era mai venuto meno.
La osservava ridere civettuola della sua ultima battutina, quando all’improvviso da una porticina alle sue spalle comparve Elena, trafelata e ansante. La vide e d’un tratto scomparve la donna che gli era di fronte, il tentativo di flirtare e dimenticò persino di cosa stessero parlando un attimo prima.
“Andie scusami, devo scappare. Ti chiamo” si congedò frettoloso lasciandola senza una spiegazione nel mezzo della sala.
Corse incontro a lei senza pensarci due volte, senza un motivo, soltanto sopraffatto dalla voglia di parlarle.
“Ehi ragazzina dove scappi?”
Il sorrisino spontaneo e scherzoso gli si spense sulle labbra non appena le fu abbastanza vicino da notare i grandi occhi lucidi, il respiro affannato e il panico nello sguardo. Era scossa.
“Jeremy è in ospedale, mi hanno appena chiamata. Sto andando lì”
“Che è successo?” chiese apprensivo vedendo il suo sguardo vagare inquieto per tutta la sala gremita di gente alla ricerca di chissà chi.
“Non lo so” disse soltanto fissando di nuovo l’attenzione su di lui. I suoi occhi liquidi e spauriti lo incatenarono.
“Ti accompagno” non glielo propose, non lo chiese, lo avrebbe fatto in ogni caso. Era così tremante e dolce nella sua vulnerabilità che non avrebbe mai potuto lasciarla sola. Perché? Perché lo coinvolgeva tanto? Era così sbagliato che avrebbe dovuto fuggire, spezzare l’insolito legame che li portava a incontrarsi, quella forza magnetica tra loro che ogni volta che faceva una cazzata lo costringeva a fare marcia indietro e chiederle scusa, a modo suo, come la mattina di qualche giorno prima. Lei aveva detto di voler essergli amica, e lui era fuggito. Adesso era lì a ricambiare il favore. Voleva esserci per lei, per la ragazzina di suo fratello. Era tremendamente sbagliato, ma gli parve la cosa più giusta della sua vita.
“Perché sei qui?”
“Il capo mi cerca”
“Se hai da fare con tuo padre non…” tentò di persuaderlo, ma lui la zittì immediatamente afferrandole dolcemente un braccio per incitarla a muoversi.
“Non se ne parla. Andiamo”
Un leggero sorriso teso le colorì il viso che parve mostrarsi riconoscente, poi spezzò il contatto visivo per rivolgersi a qualcun altro alle sue spalle.
“Andie scusami devo correre in ospedale, puoi dire a Stefan di raggiungermi appena può?”
Si voltò anche lui. La giornalista li scrutava confusi.
“Va bene… è successo qualcosa di grave?”
“Non lo so” scosse la testa evasiva sospingendosi con lui all’uscita. 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO7 ***




POV ELENA

“Blu o rosso?”
Domandò Jenna piazzandosi dinanzi a loro con due diversi stralci di stoffa lucida tra le mani. Euforica e incasinata continuava a tormentarle con gli infiniti preparativi di quel matrimonio che era diventato un po’ ormai la festa di tutti. Adorava il suo buon umore così contagioso.
“Sei tu la sposa, la decisione spetta a te”
“Ma voi siete le damigelle – osservò contrariata la giovane donna raggiante – e poi a me piacciono entrambi da morire!”
All’unisono le ragazze ci rifletterono qualche istante.
“Blu!” sentenziò Elena.
“Rosso” controbatté Caroline.
“Il lilla non ti piace?” propose a sua volta Bonnie fuori dal coro, guadagnandosi in cambio occhiate inorridite e contrariate.
“Il lilla è un colore spento! Sbiadito! Nooo! Non stiamo andando mica a un funerale?”
“Care il nero è colore da funerale!” puntualizzò Elena osservandola di sottecchi.
I preparativi di quel matrimonio erano ormai diventati motivo di battibecchi continui, a volte accesi altre scherzosi, ma che in ogni caso coinvolgevano sempre e soltanto loro: le tre damigelle d’onore.
“Così non siete d’aiuto!” le rimproverò Jenna sbuffando seccata.
“Barbie ha ragione. Decisamente meglio il rosso”
A quell’entrata in scena sfrontata e sicura si voltarono tutte all’unisono in direzione della porticina di ingresso appena spalancata. Era lui, che le scrutava sorridente affiancato da Ric. Erano appena rientrati.
Il battito impazzito del suo cuore le provocò un evidente e imbarazzante rossore. Compariva sempre così all’improvviso! Un giorno le avrebbe fatto venire un infarto.
“No sai che c’è? Vada per il blu!”
La giovane biondina ancora offesa lo ignorò bellamente voltandogli di nuovo le spalle per risistemarsi sul divanetto dove tutt’e tre erano comodamente sedute.
“Lascia stare Damon, sono cose da donne” gli suggerì Ric.
“Visto e considerato che sarò il testimone devo apprezzare quello che vedo! – insistette beffardo – rosso!”
Testimone? Quando era stato deciso?
“Beh se è così…. Che rosso sia!” sentenziò la neo sposina con una scrollata di spalle.
“Jenna!”
Care la riprese adirata, mentre Damon sghignazzava soddisfatto. La capacità di irritare le persone con sarcasmo tagliente e aria sfacciata e provocatoria era l’innata dote di quell’uomo.
“Effettivamente… il rosso non è male” rifletté lei con noncuranza. Forse nonostante i modi e la situazione ambigua e inadeguata Damon non aveva poi torto.
“Ma che vi prende? A voi non piaceva il rosso, a me piaceva il rosso!!”
“Hanno cambiato idea, non si vede? Arrenditi Barbi. Punto per me” le illustrò lui beato e sorridente.
L’amica di tutta risposta fissò lei furibonda costringendola a discolparsi.
“Ma vuoi vedere che tutti preferiscono il rosso e la colpa è mia?”
“E’ tua perché tu preferivi il blu! Cos’è cambiato da cinque minuti fa?”
Ok quella conversazione era appena diventata esasperante ed anche alquanto sterile per i suoi gusti.
“Fate come vi pare. Torno subito”
Si dileguò in cucina lasciando gli altri a battibeccare nella stanza accanto. I biscotti infornati poco prima erano pronti e così li sfornò inebriando l’aria intorno di un odorino dolce e invitante. Amava dilettarsi in cucina anche se ormai non aveva più molto tempo per farlo, così quando le avanzava una mezza giornata come quel giovedì pomeriggio dedicarsi alla pasticceria in compagnia delle amiche era l’attività che preferiva. Riusciva a rilassarla, e in quel momento ne aveva tremendamente bisogno.
Ripose i dolci su un vassoio sulla penisola e si voltò a sciacquare le formine nell’attesa che si freddassero per poterli servire.
“Come sta Jeremy?”
Damon era letteralmente comparso alle sue spalle, in un solo milionesimo di secondo le era tanto vicino da poterne avvertire il calore alle spalle, il fiato tra i capelli. E una scia di brividi le percorse la schiena.
“Meglio. Ha promesso che non lo farà più” bisbigliò senza voltarsi, fingendo indifferenza. Per fortuna un attimo dopo lo sentì allontanarsi, quel tanto sufficiente a regolarizzarle il respiro.
“Gli credi?”
“Ha commesso uno sbaglio ma voglio dargli un’opportunità”
“Ti fidi di lui” constatò pacato.
“E’ mio fratello. Tu che ne pensi? Sbaglio a dargli fiducia?” gli domandò ancora affaccendata fingendo di interessarsi ad una qualche macchia invisibile ai bordi del lavello. Perché lo chiedeva a lui? Che poteva saperne? Si meravigliò del solo fatto che le interessasse il suo parere.
“Conta quello che penso io?”
Si! Avrebbe voluto gridarglielo, ma si trattenne dal farlo. Si voltò invece finalmente a guardarlo giusto in tempo per assistere alla scena più buffa che avesse mai visto: Damon aveva appena addentato con gusto uno dei biscotti al cioccolato inconsapevole della temperatura interna ancora troppo alta.
“Cazzo!” ringhiò trattenendosi dallo sputare.
Esplose in una fragorosa  risata “Se me lo avessi chiesto te lo avrei detto che erano appena sfornati”
“Questo è un attentato alla mia vita!” bofonchiò ansante inghiottendo il pezzo cocente con fatica.
Gli porse un bicchiere d’acqua che scolò tutto d’un fiato.
“Non dirlo a Care che potrebbe prendere ispirazione”
lo oltrepassò ancora ridendo per prendere i rimanenti dolci da servire.
“La prossima volta girerò alla larga”
Quella situazione così familiare, confidenziale e casalinga le strappò un sorriso. Dopotutto non era poi così male quando non si impegnava a fare lo stronzo.
“Come sono?”
Chiese Jenna facendo irruzione in cucina.
“Ottimi!”
“Non guardare me, li ha fatti Elena. Io non sono capace di preparare un bollito” si giustificò la giovane donna con tono affranto.
“Allora qualcosa la sai fare ragazzina”
“Potrebbe sorprendenti quello che so fare” socchiuse le palpebre intimidatoria, ma quella che avrebbe dovuto essere una minaccia risuonò tutt’al più come una provocazione, recepita con malizia dal ragazzo. Damon era il re dei doppi sensi, si sarebbe meravigliata se non avesse visto promesse a sfondo sessuale in una frase così ambigua. E infatti…
“Potrei essere curioso di scoprilo” le sussurrò a poche spanne dal viso. Quel sorrisino sbieco appena accennato fu tutto ciò che i suoi occhi percepirono, osservarono e percorsero più e più volte… la sfacciataggine con cui le si era addossato tanto da risucchiare la sua stessa aria, da condividerne il medesimo spazio vitale, avrebbe dovuto infastidirla. E invece era rimasta immobile, senza indietreggiare, assorbita totalmente dall’azzurro vivo dei suoi occhi.
Un colpetto di tosse richiamò le loro attenzioni.
“E così stasera esci con Andie?” domandò innocente sua zia,  e un fiotto di saliva le andò di traverso. Che domanda stupida, Damon non sarebbe mai uscito con Andie! Andie! La spocchiosa  giornalista tutto fare del giornale. Impossibile.
“Si… come lo sai?”
“E’ mia amica”
Usciva con Andie? …e se anche fosse? Non erano affari suoi! Cosa avrebbe dovuto dire? Come avrebbe potuto far capire che la cosa non la toccava minimante?
“Ha il doppio della tua età!” proruppe adirata. Al diavolo le buone maniere!
“In realtà ha soltanto un paio d’anni più di me” obiettò il ragazzo.
“E poi da quando l’età conta qualcosa? Suvvia Elena, come sei ingenua” la rimproverò di rimando sua zia. Lei non era un’ingenua! Era soltanto preoccupata per lui!
“Non pensi che possa essere un’arrampicatrice sociale? Come ami definirci tu” sputò avvelenata.
“Uno: ha già un lavoro. Due: non sarò io a farle fare carriera visto che in azienda conto meno di nulla” le spiegò questa volta sorridente, con un luccichio malizioso negli occhi. La stava provocando forse? Quell’aria arrogante e soddisfatta la mandò in bestia mentre con totale nonchalance le fregava dal piatto un secondo biscotto e la fissava negli occhi con un espressione insolente.
Sbuffò sonoramente sorpassandolo, e nel farlo gli lanciò una gomitata che cogliendolo alla sprovvista gli fece scivolare il dolce dalle mani. Osservò l’espressione sorpresa e affranta con orgoglio negli occhi.
“Si può sapere che succede?” chiese Jenna a quel punto, fin troppo curiosa e ficcanaso per starsene in disparte.
Damon alzò le mani “Chiedilo alla piccoletta – poi si rivolse a lei – buona giornata ragazzina” sorprendentemente le stampò un sonoro bacio sulla fronte con presunzione e irritante allegria prima  di scomparire sogghignando a testa alta. Dio se era buffone!
“Sai vero che a me puoi dire tutto?”
Di nuovo Jenna, che le si avvicinò materna e comprensiva.
“Non c’è nulla da dire” tagliò corto e fece per andar via.
“Hai appena sbroccato perché  il fratello del tuo ragazzo, con il quale c’è elettricità dal primo giorno, esce con un’altra. Dando oltretutto motivazione insensate alle quali mi risulta difficile credere. Ti definirei quasi gelosa”
Gelosa? Che assurdità! Lei non era affatto gelosa! Lei amava Stefan, e Damon era libero di uscire e spassarsela con chi voleva! Ma proprio Andie no, Andie era… Andie. Bella, intelligente, giovane giornalista in gamba, amica di sua zia da sempre. Troppo perfetta per lui.
“Non sono gelosa” ribadì con decisione avviandosi dagli altri.
Lei non era gelosa. Damon era soltanto suo cognato. Un cognato che prima avesse trovato una donna prima avrebbe smesso di provocarla. Si, forse Andie era quella giusta per lui, si convinse, mentre tornava in salone dalle amiche, ancora turbata più del dovuto.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO6 ***



POV ELENA

Ci vollero pochi minuti per completare il tragitto che li separava dall’ospedale, minuti che a lei erano parsi intere ore, mentre tamburellava ossessivamente le dita sulla borsa e per la testa le balenarono le ipotesi più disparate e assurde. Damon al suo fianco guidava cauto e taciturno, facendo però il possibile per intervallare i suoi cupi pensieri con qualche rassicurazione di circostanza. Mai come quella volta aveva bisogno di sentirsi dire che tutto sarebbe andato per il meglio, e gliene fu grata perché sembrava comprenderlo e anticipare il suo bisogno. Era un arrogante frivolo bastardo con tutti, ma non con lei che continuava a chiedersene il motivo. Non era quello il momento, si ammonì, mentre si precipitava fuori dall’abitacolo sulla soglia dell’ospedale.

Una giovane dottoressa la vagliò con sguardo vispo e curioso prima di prendere parola con aria distaccata e professionale.
“Suo fratello fa uso di sostanze stupefacenti? Scusatemi se sono così diretta in un momento tanto delicato” si giustificò comprensiva.
“Cosa?...No!”
Nel caotico turbinio dalla sala d’aspetto aveva negato così forte che temeva l’avessero sentita fino ai sotterranei. Insomma che sciocchezze erano quelle? Jeremy era un ragazzino problematico cui era stato strappato tutto. Era arrabbiato, sconsiderato e forse troppo incosciente, ma non era un drogato! Non lo avrebbe mai fatto!
“Signorina vostro fratello è stato portato al pronto soccorso in stato confusionale, e i ragazzi che erano con lui hanno ammesso di aver ingerito sostanze stupefacenti, il che è stato confermato anche dalle analisi tossicologiche da noi effettuate. Ora è ricoverato sotto osservazione, e abbiamo cominciato una serie di lavaggi per riportare i valori nella norma. Siccome è un minore e lei è il suo tutore legale io sono tenuta ad avvertirla”
“Grazie dottoressa. Possiamo vederlo?”
Fu Damon ad intervenire quando si rese conto che lei non avrebbe potuto sostenere una conversazione civile nello stato in cui era piombata.
Lasciò che fosse lui a congedarli entrambi e a sospingerla verso l’esterno nell’aria gelida e umida del pomeriggio uggioso.
Era stanca, stanca e preoccupata, terrorizzata per ciò che sarebbe potuto accadere e furiosa per ciò che invece era successo.
Aveva rinunciato a tutto per Jeremy, al suo futuro, ad un eventuale college, alla possibilità di costruirsi una carriera, aveva messo da parte i suoi sogni e la normale spensieratezza adolescenziale perché almeno lui potesse avere il meglio. Lei e Jenna lo avevano protetto e tutelato in ogni modo, avevano tentato di salvaguardarlo da ogni dolore, avevano provato con tutte le loro forze a garantirgli un’esistenza il più normale possibile anche dopo la morte dei loro genitori.
E il solo fatto che lui avesse potuto mettere a repentaglio tutto, la sua stessa vita, la mandava in bestia. E la terrorizzava. Jeremy  era tutto ciò che le restava, era il calore e l’amore di una casa. Non poteva perdere anche lui.
Era arrabbiata e stremata. Stanca di lottare ogni giorno, stanca di arrancare per sé e pensare agli altri.
“Andiamo a vedere come sta?”
Il ragazzo le si avvicinò cauto studiandola con perizia e molta calma. Le parve che stesse analizzando le sue reazioni, che stesse pesando il suo sguardo nel tentativo di dare ordine e coerenza ai pensieri che vi si affollarono.
“Non voglio vederlo”
“Ehi! Ha fatto una cazzata ok? Ma ora sta bene!”
Tentò di difenderlo con un sorriso luminoso che invece di placarla come avrebbe dovuto ebbe l’effetto contrario. Il senso d’impotenza, disperazione e rabbia cieca che aveva accantonato per molto tempo dopo la morte dei suoi, quando era troppo occupata a sopravvivere per perdersi in sentimenti irrazionali e distruttivi, venne a galla prepotente.
“E se non fosse andato tutto bene? E se gli fosse successo qualcosa? Io che avrei fatto? Io penso a lui, penso a Jenna, penso a tutto, ma chi si prende cura di me? – era un fiume in piena che straripando finì per riversarsi rabbioso su di lui – sono stanca Damon! Qualsiasi cosa io faccia per lui non riporterà indietro la famiglia che abbiamo perso. Non lo farà stare meglio e non riporterà in vita sua madre! Mia madre Damon! Mia madre e mio padre sono morti e non ho avuto nemmeno il tempo di piangerli!”
Non voleva, non doveva crollare proprio lì, davanti le porte di un ospedale, non doveva inveire contro di lui. Lui non centrava nulla, era a malapena un conoscente.
Non avrebbe dovuto ma lo fece. Il viso contratto e a tratti compassionevole di Damon fu l’ultima cosa che vide prima che una valanga di lacrime le offuscasse la vista e si lasciasse andare liberamente ad un pianto convulso e disperato.
“Ehi ragazzina! – il suo richiamo gentile le arrivò attutito e lontano – Dai che puoi farcela! Sei una donna forte, una brava sorella, e Jeremy ti vuole bene!”
“Io non sono una donna, e sono lontana dall’esserlo! Sono soltanto un’adolescente bloccata in una vita adulta che non ha chiesto! Sono una ragazzina arrabbiata Damon – gridava, se ne rese conto ma non se ne curò – sono arrabbiata perché mi mancano i miei genitori, e li odio perché sono morti e mi hanno lasciata qui da sola, a pagare il mutuo di una casa che non ho scelto, a prendermi cura di un fratello incosciente! Li odio perché mi mancano, perché non dovevano morire, perché non dovevano lasciarmi sola! Odio me stessa perché non dovrei odiare loro, odio chi mi giudica una donna perché non lo sono! Sono arrabbiata, e non c’è nessuno a cui la cosa importi o che ne sia minimamente consapevole! Sento come se stessi gridando dal giorno in cui sono morti e l’unica a sentire le mie urla fossi soltanto io!”
Avrebbe continuato a blaterare in eterno, lo avrebbe costretto ad ascoltarla finché la voce non le fosse venuta meno, se soltanto lui non l’avesse imprigionata nell’abbraccio più fermo e rassicurante che qualcuno le avesse concesso da molto tempo. Troppo tempo, si disse, persa nel tepore delle sue braccia gentili, nel candore delle sue dita che le scivolarono tra i capelli, massaggiandole e carezzandole la nuca finché non sentì ogni cellula del corpo rilasciarsi e adattarsi perfettamente a lui.
“Che razza di persona sono? Non dovrei odiarli. Non dovrei odiare nessuno”
“L’odio non ti rende cattiva, ti rende umana  e fragile” le soffiò tra i capelli.
La sua voce roca e sussurrata ebbe un effetto calmante, la rese creta tra le sue braccia, la spronò ad affidarsi a lui. I singhiozzi si sopirono pian piano.
“Io non voglio essere fragile. Non posso”
“Noi essere umani siamo fragili. Soffriamo, gioiamo, ci arrabbiamo, siamo irrazionali e fottutamente stupidi. Ma è questo che ci rende vivi, no?”
Tirò su col naso inspirando forte nel tentativo di regolarizzare il respiro.
Era ancora immersa nel suo odore, cullata dal suo fiato, e si ritrovò ad aggrapparsi alle sue spalle con troppa forza, eccessivo trasporto. Era un estraneo, era suo cognato ed era uno stronzo. Lei stava con Stefan, e per questo avrebbe dovuto allontanarlo, ma non ne ebbe la forza. Quell’abbraccio era tutto ciò che chiedeva. Senza doppi fini, senza complicazioni, desiderava soltanto che non la lasciasse andare.
Era una follia.
“Elena?”
Il richiamo preoccupato e spezzato di Stefan li sorprese così, avvinghiati e fragili. Damon le si allontanò repentino, lei ancora sconvolta ebbe a malapena il tempo di realizzare.
Un’ombra negli occhi di Stefan, uno sguardo fugace e teso al fratello, poi si rivolse a lei.
“Che è successo? Tutto ok?” le domandò premuroso asciugandole con un dito la scia di lacrime che ancora le segnava le guance accaldate.
“Storia lunga fratello. Io tolgo il disturbo, vado a vedere come sta il piccolo Gilbert”
In un istante aveva rindossato la maschera, era tornato in sé, freddo e distaccato, l’ironico incrollabile Damon. Eppure nel suo tono questa volta non ritrovò l’usuale gelo, ma soltanto un’ombra di preoccupazione. Non seppe dirlo con certezza però perché le aveva già rivolto le spalle per dirigersi all’interno.
“Cosa succede tra te e lui? Non lo odiavi fino a due giorni fa?”
“Ti sembra il momento di fare polemiche? – sbottò seccata – mi ha accompagnata lui visto che tu sei praticamente sempre irreperibile quando ti cerco! Jeremy ha fatto un’altra cretinata delle sue e mi è venuta una crisi di nervi. Fine della storia”
“Elena…  scusa hai ragione, non è il momento di mettermi a fare il geloso – le rivolse un sorrisino intenerito e apprensivo le si accostò – cos’è successo allora? Posso saperlo?”
Inspirò profondamente. Aveva i nervi a fior di pelle, ed era consapevole che prendersela con Stefan fosse sbagliato e fuori luogo.
“Ho bisogno di un caffè. Poi devo chiamare Jenna e raggiungere Jeremy. Vuoi venire?”
Lo scansò inquieta raggiungendo l’ingresso e lo sentì seguirla.
Appena in tempo da scampare le prime goccioline d’acqua  che avrebbero preannunciato l’arrivo di un nuovo violento temporale.
 
POV DAMON

Irruppe nella stanzetta asettica e spoglia d’ospedale a passo felpato. Non conosceva il motivo che l’avesse spinto lì, ad offrire supporto e comprensione al poco più che adolescente disteso nel lettino.
Una violenta pioggia feriva i vetri delle finestre, spezzando il profondo silenzio dal retrogusto amaro di dolore tipico degli ospedali.
“Ehi baby Gilbert”
Gli occhi insofferenti del ragazzino saettarono verso i suoi al primo richiamo.
“Damon – soffiò esitante – che ci fai qui?”
“Ho accompagnato Elena”
Sussultò al nome della sorella come punto da un ago, o forse da una più nascosta e velata verità. Paura di affrontarla, o consapevolezza di averle fatto del male anche senza volerlo.
“Come l’ha presa?”
“Ahmm – finse di rifletterci – sai come sono le donne...è isterica”
“Perfetto!” borbottò  sbuffando irrequieto.
Poi lui parlò, senza che nessuno glielo avesse chiesto, semplicemente avvertì quel bisogno impellente di essere di aiuto, lui che ci era passato, lui che dal dolore era stato plasmato, scalfito, sapeva quanto potesse essere annichilente vivere d’angoscia e non riuscire, nonostante tutto, a scrollarsela di dosso. Il dolore … che era stato per anni come una seconda pelle, o un guscio infrangibile per lui.
“Quella schifezza non ti aiuterà a stare meglio” lo avvertì paterno, preoccupato davvero, dopo tanto tempo, per qualcuno che non fosse sé stesso.
“Volevo soltanto smettere di sentire, e di star male” confidò a capo chino.
“Non ci riuscirai prendendo una scorciatoia. Il massimo che otterrai sarà un esaurimento nervoso per tua sorella, ma il dolore non va via. Non così. In questo modo non aiuti te stesso, e non aiuti lei”
“E’ per lei che sei qui?”
Lo spiazzò totalmente con una domanda che non si sarebbe mai aspettato, non così diretta, e non da lui. Era lì per lei? Se si, perché? Perché avrebbe dovuto importargli di lei, di suo fratello e dei loro drammi familiari?
A corto di parole schiuse le labbra nel tentativo di trovare una qualsivoglia spiegazione ragionevole, ma qualsiasi cosa volesse dire gli rimase incastrata tra la gola e il respiro, che faticava a controllare. Era nel panico, e il ragazzo sorrise comprensivo.
“Non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me”
“Non c’è nessun segreto” obiettò rigido.
“L’ho capito che sei qui per lei Damon, sarò anche un ragazzino ma non sono stupido”
“Sono qui per entrambi” ammise controvoglia voltandogli le spalle per andar via.
Odiava essere messo alle strette, ancora di più essere costretto ad ammettere qualcosa che probabilmente non era pronto ad accettare lui stesso: quella ragazzina gli era entrata nel cuore. Lei e la sua irritante caparbietà, la lingua biforcuta, la fragilità mal nascosta che riusciva ogni volta ad intenerirlo. E poi era bella, bella tutta, lei e quei piccoli nuovi dettagli che sembravano saltargli agli occhi ogni volta che la osservava. Lo tormentavano.
Aveva bisogno di aria, ossigeno e frescura. Aveva bisogno innanzitutto di una donna. Una donna vera che riuscisse a rimuovergli dalla mente quei pensieri indesiderati.
“Grazie per essere passato”
Era ancora il ragazzo, ma lui non rispose, tentò semplicemente la fuga, ma non abbastanza velocemente da non ritrovarsela dinanzi nel corridoio.
Il viso tirato e l’espressione stanca, gli occhi grandi e lucidi. Stefan al suo fianco.
“Sto andando da lui – gli spiegò – grazie Damon”
“Di nulla”
Era tentato, tremendamente portato ad allungare quel maledetto braccio per lasciarle una carezza. Ma era sbagliato. Sbagliato, inadeguato, e ingiusto. Lei lo sorpassò lasciandogli in dono un sorriso flebile. Suo fratello purtroppo non fece lo stesso.
“Grazie per esserti preso cura di lei. Ora ci sono io, puoi andare” lo liquidò candidamente, convinto di fargli un favore. Forse aveva ragione, quello non era posto per lui, le aveva fatto un piacere ad accompagnarla ma ora il suo compito era finito. Poteva liberamente andare.
Fu ciò che fece, controvoglia più di quanto avrebbe dovuto.
 

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Capitolo 9
*** CAPITOLO8 ***



POV DAMON

Si mosse svogliato sullo sgabello del Grill. Aspettando l’arrivo dell’amico si guardava intorno indifferente alla ricerca di qualcosa che desse un po’ di colore all’asettico finesettimana.
Com’era facile prevedere suo fratello era appena entrato, e con lui Elena, infreddolita e incappucciata. Sorrise intenerito notando la punta all’insù del piccolo naso arrossata,e  l’aria assorta mentre stringeva meccanicamente una mano di suo fratello. L’attenzione gli cadde sulle sue lunghe dita affusolate strette a quelle forti del fratello. Scosse la testa rialzando gli occhi che incrociarono involontariamente i suoi, e lei sembrò illuminarsi nel vederlo, mentre gli sorrideva spontanea e imbarazzata.
La timidezza, la grazia, la semplicità, e l’impertinente caratterino di quella ragazzina lo mandavano completamente il tilt. Neanche il breve e disastroso incontro con Andie, la sera prima, era riuscito a trarlo fuori dalle inopportune e fastidiose sensazioni che ormai lo divoravano da settimane in sua presenza. Avrebbe dovuto allontanarla, per il bene di tutti. Qualsiasi cosa ci fosse tra di loro doveva finire  lì. Distolse lo sguardo quanto mai deciso a portare a termine i nuovi propositi.
 
POV ELENA
 
“Ho capito… sarà una di quelle feste noiosissime con tutti i capi delle aziende. E io che centro?” domandò ingenuamente addentando il bel panino appena servitele.
“Tu sei la mia ragazza, vieni in veste di mia accompagnatrice”
“Non so cosa mettere” contestò fulminea. Odiava quelle interminabili feste boriose degli uomini di affari dove l’unico compito delle donne accompagnatrici oscillava tra l’appendi panni e lo scalda sedie, ma Stefan non demordeva.
“Domani pomeriggio andiamo a comprare insieme qualcosa”
Doveva tenerci davvero tanto per insistere in quel modo.
“Uno dei miei vestiti non va bene?”
“Non penso” tentennò inarcando un sopracciglio perplesso.
“E perché?”
“E’ previsto l’abito da sera. Scuro e possibilmente lungo. Se cel’hai va bene anche uno dei tuoi. Dai ci tengo!” la pregò scherzoso cercando di suscitarle compassione. Non riuscì a trattenere un risolino.
“Lo sai vero che mi annoierò a morte e che mi dovrai un paio di favori belli grossi?”
“Tutto quello che vuoi! Dai che ci sarà anche Damon! Vi farete compagnia con i vostri musi lunghi” la schernì con un gran sorriso speranzoso.
“Perché viene anche lui?”
“E’ il figlio del capo, non può svignarsela” le spiegò ridacchiando soddisfatto.
Beh, in quel caso…
“Ok”
“Ti amo! – proruppe euforico stampandole un rumoroso bacio a fior di labbra, prima di scusarsi – devo uscire un attimo, papà mi sta chiamando”
Con il cellulare tra le mani attese un suo cenno d’assenso per dileguarsi.
E così ci sarebbe stato anche Damon … alzò lo sguardo e lo trovò ancora lì, a testa bassa e sguardo vacuo, perso in un bicchiere,nelle onde del liquido ambrato. Aveva sempre un’aria così arrabbiata, un broncio irresistibile e un sorrisetto ironico in viso, ma più di ogni cosa le parve così triste … come se celasse negli occhi il peso di un passato difficile da ignorare, come se portasse sulle spalle un fardello perpetuo. E perché in quel momento desiderasse soltanto dividerlo con lui non lo capì. Era semplice empatia quella che sentiva o c’era dell’altro?
Era assorbita totalmente ad osservarlo tanto da non accorgersi di qualcuno che con decisione e arroganza le si avvicinava. Lo notò soltanto quando alzò gli occhi attratta da un’ombra riflessa ai suoi piedi, e restò di sasso quando ci vide lui: Klaus Mikaelson.  Il figlio del secondo uomo d’affari più importante di Atlanta, un arrogante miliardario che, da quel che ne sapeva, era da sempre in competizione con la famiglia Salvatore, anche se soltanto qualche giorno prima avevano concluso un affare storico che aveva cambiato letteralmente le carte in tavola, decretandoli soci dopo anni di competizioni. Klaus lo aveva visto spesso, sulle foto dei giornali locali, ma mai di persona.
“Tu devi essere Elena… Klaus” le allungò cordialmente una mano che strinse la sua con eleganza e fermezza. La decantata sicurezza di quell’uomo traspariva da ogni suo gesto o parola, era quasi affascinante nella sua fama di giovane rampollo dedico ai piaceri e al divertimento. Ma cosa voleva da lei?
Non fece in tempo a capirlo che un tono scontroso che ben conosceva la destò da qualsiasi tentativo di comprensione. Era sempre così in sua presenza, arrivava lui e d’un tratta le diventava difficile anche solo pensare.
“Cosa ci fai tu qui?”
Il biondino raffinato scostò l’attenzione verso Damon che si era abilmente inserito tra loro, quasi volesse nasconderla e tenerla lontana. Sorrise intenerita da un gesto forse involontario, ma di una dolcezza infinita.
“Guarda un po’ chi si vede … cercavo Stefan e trovo te… allora è proprio vero che per trovarti basta cercare la donna di tuo fratello”
Un sorrisino di vittoria gli aleggiò sul viso mentre lei avvertiva la tensione nel corpo di Damon salire. Era di spalle, non ne vedeva il volto sicuramente contratto, ma la sentì comunque chiaramente.
“Che vuoi da Stefan?”
“Niente che possa interessarti – sviò evasivo – allora piccolo dolce Damon … il nostro impulsivo ragazzo innamorato della donna di suo fratello … com’è finita poi? Ah si lo ricordo! Ti ha scopato ed è sparita … con i tuoi soldi. Furba eh?”
Lo sdegno, l’arroganza, con cui gli si rivolgeva avrebbe innervosito chiunque, anche lei che a quel punto gli avrebbe già tirato un sonoro ceffone, ma Damon per fortuna non era lei, e sapeva esattamente come e dove colpire.
“Beh non si può dire lo stesso di tua sorella … ci sarebbe rimasta volentieri nel mio letto” rimandò paurosamente calmo, sfacciato, prendendosi una piccola sentita rivincita.
Sorrise soddisfatta e orgogliosa per la prima volta della sua lingua tagliente. Quel Klaus aveva tutta l’aria di chi va messo in riga, e Damon ci era riuscito perfettamente. Lo osservò contrarre la mascella mostrando gli armoniosi lineamenti induriti e freddi.
“Peccato che le bionde siano tutte così stupide, non trovi? E’ bastato così poco a farle spalancare le gambe …”
In altre circostanze l’offesa gratuita del ragazzo l’avrebbe oltremodo indignata, ma in quell’istante riuscì soltanto a farla ridere e ringraziare segretamente di non essere bionda.
Quello che non aveva calcolato, però, che invece avvenne un istante dopo fu il pugno che partì tempestivo da Klaus e che costrinse Damon ad indietreggiare, preso alla sprovvista e dolorante.  Non ebbe modo di accertarsi che stesse bene perché in un attimo era di nuovo lontano, scagliato rabbioso contro il rivale al quale riservò un colpo in pieno addome, con una rabbia che probabilmente non gli aveva mai visto, e che la spaventò tanto da lasciarla pietrificata e tremante.
Inerme osservò i due scontrarsi ancora, con più forza e destrezza, fino all’arrivo di Stefan che con l’aiuto del barista, anch’egli soccorso, riuscì a dividerli a fatica. Apparentemente non notò sangue sui rispettivi visi, ma soltanto un Damon furibondo e fuori controllo che tentava di strapparsi all’abbraccio forzato del fratello per rigettarsi sull’altro.
“Damon ma che cazzo fai?” chiese indignato e all’oscuro di tutto il suo ragazzo.
“Quello che faccio sempre, no? Lo stronzo” spiegò furente a testa alta, senza staccare un attimo gli occhi da Klaus.
“E’ stato Klaus a provocarlo” si intromise lei, con un filo di voce, in sua difesa. Non era giusto che si prendesse colpe che non aveva, anche se sapeva per certo che la giustizia fregasse più a lei che al diretto interessato.
“Elena stanne fuori” la rimproverò Stefan, senza degnarla di uno sguardo.
“Che adorabile cognatina! Non mi stupisco che tu ci tenga tanto piccolo Damon” notò Klaus sarcastico fissandolo presuntuoso negli occhi. Il ragazzo ritentò come impazzito di scrollarsi dalla prigione di braccia, toccato forse sul vivo. Quel bastardo in pochi minuti aveva individuato la sua debolezza,  e sembrava intenzionato ad usarla per provocarlo ancora.
“Devi stare lontano dai guai fratello! Ignoralo, chiedi scusa e finiamola qui”
“Su Damon chiedimi scusa”
Il sorrisino di vittoria che seguì quella presa in giro fu come benzina su un fuoco vivo.
“Va all’inferno!”
Con un ultimo strattone improvviso riuscì a liberarsi dalla presa ferrea del fratello, e non fece ciò che lei si aspettava, ma lasciò loro soltanto uno sguardo fugace in cui ci lesse martirio, e ira, poi si dileguò, senza una parola.
Non poteva lasciarlo in quello stato, non voleva che andasse via da solo anche quella notte. Voleva esserci, e capire i tanti perché che ancora le affollavano la mente. Perché quell’astio tra loro? Perché una reazione così spropositata? Perché tanto turbamento e solitudine in quegli occhi liquidi color mare?
“Vado a vedere come sta” disse soltanto prima di precipitarsi fuori a cercarlo.
 
POV DAMON

Il contatto con il vento sferzante sembrò rigenerarlo, ridargli ossigeno e sicurezza mentre si allontanava a passo spedito dal Grill.
L’intenzione di Klaus era provocarlo e vederlo scattare, e ci era riuscito benissimo toccando inconsapevolmente il suo nervo scoperto: Elena. L’aveva visto avvicinarsi a lei e non aveva potuto far altro che correre ad allontanarlo. Ormai doveva accettarlo che la ragazzina era importante per lui più di quanto desse a vedere, di quanto avesse voluto o programmato, e più di quanto avrebbe dovuto. Tutto in quella anomala situazione era sbagliato, scorretto e squilibrante.
Ancora una volta si era ritrovato ad essere il terzo lato di un triangolo non voluto, ma lei non era Katherine, e loro non erano più ragazzini. Questa volta rischiava di farsi male per davvero.
“Damon?”
La sua voce lontana e ovattata gli arrivò docile, ma chiara. Doveva andare via, allontanarsi e salvarsi finché poteva ancora limitare i danni, ma lei era lì, con i lunghi capelli al vento, tremante con indosso soltanto una leggere maglietta. Era corsa da lui. Stefan era rimasto dentro, com’era facile prevedere, ma lei no, lei era lì. Lì per lui.
Non la allontanò, non la respinse nonostante continuasse ad imporsi di doverlo fare, si lasciò abbracciare, afferrare e imprigionare mansueto. Il suo corpo disobbediente si adattò perfettamente alle forti braccia minute che lo cullavano, mentre la volontà di scacciarla via lasciava spazio al solo unico bruciante desiderio di affidarsi a lei, e di perdersi in quell’abbraccio che sapeva così ardentemente di comprensione, conforto e vicinanza.
“Stefan non c’era, io si. Se l’è meritate tutte ” gli sussurrò indulgente, strappandogli un sorriso tenue.
“Non mi interessa il suo parere. Io sono il fratello cattivo, ricordi? Non sarà una spiegazione plausibile a giustificare il mio gesto”
Di nuovo irrequieto sciolse l’abbraccio scostandola, ma lei non fece un solo passo, un singolo gesto per allontanarsi. Restò immobile, a contemplarlo attenta.
“Sei una brava persona Damon. Anche se spesso ce la metti tutta per smentirlo”
“Sembri convinta di quello che dici” mormorò distratto, perso in cunicoli di ricordi lontani, ma ancora vividi, pulsanti e dolorosi sotto pelle.
“Se non è così dimmelo – lo sfidò – lasciati conoscere. Parlami di te”
Nel suo sguardo ricco di attesa vacillò. Soppesò le sue parole, la sua richiesta. Cosa comportava tutto quello? Dove lo avrebbe condotto aprirsi a lei?
Volle non pensarci, volle darsi un’occasione, e darla a lei, mentre prendeva a sfilarsi il giubbotto in pelle per posarlo sulle sue piccole spalle infreddolite.
“Ero come lui, come Klaus. Avevamo il mondo. Tutto quello che due adolescenti possono volere noi lo avevamo ottenuto senza il minimo sforzo”
Si arrestò incerto e titubante, prima di leggerle sul viso un silenzioso invito a continuare, e la rassicurazione di cui aveva bisogno. Non aveva intenzione di andare via, non lo avrebbe lasciato solo.
“Quando mia madre è morta ero solo un adolescente ribelle e senza controllo, con un padre assente e troppa rabbia repressa. Klaus era esattamente come me. Eravamo inseparabili. Poi è arrivata Rose – sorrise  al ricordo lontano dell’amica – avresti dovuto conoscerla, ti sarebbe piaciuta”
“L’amavi?” lo interruppe lei, stretta nel giubbotto e totalmente presa dal racconto.
“No! Avevo solo sedici anni! Ma le volevo bene”
“E poi? Cos’è successo?” lo incitò impaziente.
“Essere mia amica equivaleva ad entrare nel giro, essere una di noi… sai gli adolescenti sono convinti di trovare una scorciatoia per ogni cosa. Per il dolore, per la noia. Noi avevamo trovato la nostra scorciatoia perfetta”
“Di cosa ti facevi?”
Chiesa schietta, come sempre. Era così Elena, limpida, ingenua e priva di mezze misure, pensò intenerito.
“Qualsiasi cosa”
“E poi?”
Inspirò inquieto.
“E poi giocavamo a fare i gradassi. Piccoli furti per lo più. Non che ne avessimo bisogno, l’unico obiettivo era trasgredire, osare. Tanto c’erano i nostri padri ad infangare tutto, no?”
“Non per tutti … non per Rose”
“Non per Rose – confermò amareggiato, fragile, esposto come mai prima d’allora – Quella sera lei nemmeno c’era. Eravamo strafatti quando Klaus sparò, neanche sapevo che la sua pistola fosse vera. Eravamo abituati a pistole giocattolo per piccoli furti”
“Ha ucciso il negoziante?”
Con un cenno del capo le si allontanò amareggiato. Non voleva vederlo, lo stupore misto a disgusto che le avrebbe infangato il chiaro viso cristallino a quella confessione. Non voleva vedere l’indulgenza e la dolcezza lasciare spazio alla ripugnanza, all’incredulità.
“Quella sera abbiamo ucciso un uomo, e Rose fu accusata di omicidio. Venimmo arrestati, portati in questura. Un’ora dopo il  suo nome era su tutti i giornali. E’ inutile che stia qui a spiegarti i retroscena, no?”
“Tu non volevi” concluse lei, e nella sua voce non percepì nulla di quello che avrebbe creduto, e meritato, ma soltanto vicinanza, e infinita dolcezza.
“Non mi è mai interessato il nome della famiglia. Io dovevo pagare per la morte di quell’uomo, non un’innocente. Io dovevo trascorrere l’adolescenza in riformatorio. Io e lui. Insieme. Non Rose”
“E’ stato lui a sparare non tu”
“Io ero lì, e non avrei dovuto esserci. Ho giocato a fare Dio, quella era una punizione che spettava a noi. Abbiamo distrutto due vite in una sola notte, e siamo rimasti impuniti”
Le spiegò disarmato, e nauseato, da sé stesso, dal suo passato, dai suoi sbagli, dai suoi peccati. Un peccato senza pena che lo avrebbe perseguitato per il resto della sua vita.
“Katherine è arrivata qui a Mistic Falls qualche anno dopo. È finita come sai, nel frattempo ero diventato maggiorenne, e così sono scappato. Non ho retto, ma lei non è stato l’unico motivo che mi ha spinto ad andar via, avrei dovuto farlo molto prima”
“Ric lo sa?” gli chiese avvicinandosi di nuovo, fino a ritrovarla al suo fianco, spalla a spalle, pelle contro pelle.
“No”
“Stefan?”
“Neanche”
La vide voltare il capo, sorpresa e interdetta, permettendogli di incontrare i suoi occhi profondi e scuri come la notte, che lo indagarono fermi. Non parlava, sorrideva soltanto, con quel suo riso cristallino e dolce che sembrava potesse dare luce alla notte che li immergeva a sprazzi.
“Ora sai davvero tutto di me – le suggerì sereno come non gli accadeva da tempo – mi sto fidando di te ragazzina”
Non mi deludere, avrebbe aggiunto. Ma sapeva che in ogni caso non l’avrebbe fatto. Stava riponendo in lei tutta la fiducia che mai aveva dato a nessuno, neppure a Ric, il suo miglior amico, né a Stefan, sangue del suo sangue. Le si era mostrato per intero, le aveva raccontato le atrocità della sua anima, i suoi peccati imperdonabili.
Elena si chinò dolcemente abbandonando il capo su una sua spalla, e inspirò delicatamente, ad occhi chiusi. Quel semplice piccolo gesto d’amore e fiducia sembrò  curarlo di ogni ferita. Per un solo attimo, perso nel silenzio carico della notte, quella ragazzina gli aveva  ridato la pace. 

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Capitolo 10
*** CAPITOLO9 ***




POV ELENA

La festa non era poi molto diversa da come l’aveva immaginata. Uomini e donne ben vestiti, delle età più svariate, accomunati da classe, ricchezza e sfoggio di apparenza e belle parole. La sala era ampia e raffinatamente ammobiliata,  ornata da lunghe tavolate guarnite di cibi di ogni genere che non aveva minimamente toccato. Una sequela di camerieri impeccabili zigzagava tra la folla offrendo champagne del miglior genere, che lei accettava di buona voglia ogniqualvolta un nuovo offerente entrava nella sua orbita.
Stefan sembrava perfettamente a suo agio mentre si destreggiava tra la pluralità di noiosi e spocchiosi uomini d’affari. Nato, cresciuto, e plasmato da quel mondo scintillante sapeva esattamente cosa fare e come farlo.  Ma lei no, lei era un pesce fuor d’acqua, nel suo angolino all’ombra, smarrita nei pensieri più vari che volarono lontani, al sicuro dalla noia annichilente della serata.  Non capiva per quale stupido e incomprensibile motivo si fosse lasciata convincere quando sapeva esattamente, in anticipo, come sarebbe andata: Stefan sarebbe stato rapito, suo malgrado, dal padre. A lei spettavano due strade: appiccicarsi alla faccia un bel sorriso e affiancare il suo uomo, con il solo compito di appendiabiti ambulante, o starsene in un angolino ad osservare la gente per bene e pentirsi di essere lì.
“Noto che siamo già al terzo bicchiere! È così orrida questa festa?”
Il fiato caldo sul collo, un bisbiglio all’orecchio in tono scherzoso, e il suo umore decollò all’improvviso. Doveva esserci qualcosa che non andava, non poteva reagire così alla sua sola vicinanza. Si voltò illuminandosi alla vista del suo corpo snello, fasciato da un abito blu notte perfettamente modellato al fisico proporzionato e armonioso. Impeccabile ed elegante, in un mondo che in fondo apparteneva anche a lui, ma nello sguardo il suo medesimo fastidio.
Alzò un sopracciglio fingendosi a malapena interessata al suo arrivo, ma dentro di sé seppe di essere una gran bugiarda perché non aspettava altro dal momento in cui aveva messo piede in quella sala.
“Posso risponderti dopo il quarto?”
“Stefan si sta divertendo” ridacchiò complice indicando con un gesto del capo il fratello, proprio in quel momento impegnato in una conversazione accesa con un noto avvocato di Atlanta. Sembrava sinceramente coinvolto.
“Sembra a suo agio” notò con una smorfia di disappunto.
“Lo è. Siamo nati in questo ambiente, potremmo elencarti tutti i nomi dei presenti in sala, incluse mogli, figli e amanti”
“Dai per scontato che ne debbano avere una” osservò perplessa.
“Ma li vedi? gente come questa ha sempre qualcosa da nascondere. Tanto più brillano in superficie tanto più c’è marcio sotto” le spiegò indifferente con un’alzata di spalle.
“ Beh non sono tutti così. Anche tu ci sei nato in questo mondo, ma non corrispondi alla descrizione che ne hai fatto”
“Dovrebbe essere un complimento ragazzina?”  rimandò furbo con un luccichio malizioso negli occhi che la costrinse ad abbassare lo sguardo imbarazzata. Le vennero in mente mille alternative risposte ma nessuna che fosse giusta, così ignorò semplicemente la domanda.
“La smetti di chiamarmi ragazzina?”
“No! E comunque … sei bellissima questa sera” con quel complimento prese al volo anche due bicchieri di champagne dal piattino che il cameriere di turno gli aveva pazientemente allungato, porgendogliene uno.
“Questo è il quarto Damon!” si lamentò già brilla e leggermente su di giri.
“E la serata è ancora lunga!” le fece notare ammiccando tentatore per poi scontrare i bicchieri, prima di scendere ad esaminarla spudorato, con perizia e calma estenuanti. Si prese il suo tempo per ammirarla, mentre lei ringraziò mentalmente di aver scelto quel vestito, scuro e lungo, che le fasciava i fianchi con estrema dolcezza ricadendo poi con un leggero drappeggio fino a terra. Seguì il corso del suo sguardo che si soffermò qualche minuto di troppo sul corsetto ricamato con il profondo scollo a “v”, poi si diresse verso le spalle spoglie e minute, il collo lungo e niveo, adornato da un semplice ciondolino in oro bianco, per terminare la sua corsa nell’incontro tra i loro occhi. Quello che vi lesse la toccò nel profondo: brama, inattesa e prorompente, adorazione e desiderio. Dovette abbassare lo sguardo intimidita, forse scossa.
Damon si schiarì la voce con un colpo di tosse, quasi si fosse anch’egli appena ridestato da un attimo non voluto, da un qualcosa che non aveva programmato, ma che gli era semplicemente sfuggito di mano.
“Se c’è una cosa che adoro di queste feste sono i vestiti delle signore” sdrammatizzò rindossando calma e compostezza. Beato lui. Lei stava letteralmente andando a fuoco,forse per l’alcool, o forse no … erano i suoi occhi spudorati, i sorrisini sbiechi, le smorfie di stupore e ammirazione. Era lui per intero. Nel suo essere imprevedibile, insolente e spiritoso, a volte caparbio e offensivo, altre delicato e attento. Era lui, un uragano che l’aveva travolta. E per quanto si sforzasse di cercare un motivo per odiarlo, per stargli lontana, lui trovava sempre il modo di avvicinarla di nuovo, di farsi perdonare e di rimettere le cose apposto.
“Io di queste feste adoro gli alcolici gratuiti” puntualizzò acida tracannando l’ennesimo bicchiere di liquido dolciastro.
“Idem. Come mai sei così irritata?”
“Sono qui solo perché tuo fratello mi ha pregata, per poi abbandonarmi appena entrati” spiegò infastidita continuando a guardarsi intorno, ovunque, chiunque, purché non fosse lui, che adesso sentiva sghignazzare divertito.
“Immagino che papà lo abbia rapito. Stefan è la sua pupilla, non perde occasione per sfoggiarlo al pubblico”
“Adesso capisco perché te ne sei tirato fuori”
“La gente per bene non fa per me!”
“Idem”
Un sorriso condiviso li accomunò mentre intrecciavano complici gli occhi e la solita ormai familiare scintilla toccava entrambi.
Ancora una volta fu un cameriere a disturbarli porgendo loro un vassoio stracolmo di bicchieri, e lei non si fece pregare per afferrarne uno. Era già pronta ad assaporare lo champagne dolce e frizzantino quando Damon glielo strappò letteralmente dalle mani. Si voltò furiosa.
“Ma che fai?!”                                                                                                                                          
“Non se ne parla ragazzina! Vediamo di non dare spettacolo. Basta con gli alcolici”
Avrebbe trovato il suo gesto anche lontanamente carino se soltanto in quel momento non la stesse osservando con un sorriso strafottente e sbieco mentre assaporava spiritoso il bicchiere che le aveva rubato.
“Buono però eh? Ne vuoi un po’? – ci pensò su – ah già… Non puoi” la derise  prima di tracannare tutto l’alcolico con occhi vispi e un sorriso adorabilmente irritante. Si trattenne dal prenderlo a sberle finendo per ridere insieme a lui, incredula e ormai sconfitta.
“Sei la persona più irritante che abbia mai conosciuto!” sbottò risentita.
“Me lo dicono in tanti! Ma stasera questa irritante personcina sarà la tua salvezza” l’avvertì fiero porgendole una mano. Non capiva.
Lo scrutò per un attimo interdetta.
“Fidati – le suggerì serio – fingi indifferenza e sgusciamo via! Ne ho abbastanza di questa festa”
“Ma sei appena arrivato”
“Appunto! Dai chi vuoi che si accorga che non ci siamo? Stefan è appena caduto nelle grinfie di Shane – le indicò quello che le parve un famoso professore e scrittore della zona – quell’uomo blatera più di quanto immagini! Non ne uscirà prima di domattina”
La osservava speranzoso con le labbra piegate in un sorrisino furbo e quanto mai invitante. Un braccio proteso pronto per essere afferrato. Scosse la testa, indecisa, in bilico tra la voglia di fuggire, trasgredire insieme a lui, e la paura di essere scoperta. Ma in fondo avrebbero fatto presto ritorno no? E poi non stava facendo nulla di male! Sarebbero andati a prendere un po’ d’aria. Avrebbero fatto presto ritorno.
Agguantò con decisione la sua mano “Dove andiamo?” chiese vinta, decisa a lasciarsi andare all’invitante incertezza che quell’uomo rappresentava per lei. Insieme si allontanarono.
 
POV DAMON
 
Era bellissima mentre, con lo stupore negli occhi e finalmente un gran sorriso a darle luce al volto, si tirava su il lungo vestito da sera che puntualmente finiva per osteggiarle il cammino.
Era incantevole il modo in cui la seta leggera le incorniciava il corpo con grazia risaltando la morbidezza dei fianchi e le rotondità perfettamente disegnate. Era bellissima con i lunghi capelli ondulati raccolti in uno chignon spettinato, che le lasciava sul viso ciocche sbarazzine e ribelli. Ci sarebbe morto nella vellutata valanga scura dei suoi capelli, e nel mare nero dei suoi occhi. Si sarebbe smarrito ad ammirarla.
Ma non era quello il momento, si rimproverò, e forse mai lo sarebbe stato, si corresse.
L’aveva portata al piano di sotto dell’attico che ospitava il party aziendale, dove aveva scorto una vera festa, con tanto di giovani vestiti casual, alcool in quantità, luci psichedeliche e musica assordante.
“Non ti senti un tantino fuori posto? Siamo vestiti da gran galà!” notò con sconforto sentendosi osservata mentre si lasciava però trascinare docile tra la folla scalpitante.
Mentre a parole si opponeva il suo corpo suggeriva ben altro: voleva restare, e lui aveva tutta l’intenzione di accontentarla.
Un motivo assordante dai suoni tecno contaminati risuonava per l’intera sala, spingendolo a muoversi a ritmo, nel tentativo di trasportare anche la ragazza.
“Oh andiamo! Da quando ti interessa cosa pensa la gente?”
Con un inchino esageratamente galante le afferrò le mani.
“Siamo ridicoli ne sei consapevole?”
“Lo so! Ma a noi non interessa!” confermò con leggerezza intenzionato a restare. Gli sembrò di convincere anche lei che finalmente cominciava a sciogliere la tensione e si lasciava afferrare malleabile i polsi, permettendogli di guidarla in un volteggio che portò i loro corpi a scontrarsi. Era di schiena contro il suo petto quando la sentì ridere, rilassata e sincera.
“Sei bravo!” si complimentò stupita.
“Conosco mosse che non hai mai visto!” le soffiò all’orecchio con tono scherzoso e un velato doppio senso che la ragazza percepì e al quale rispose ridendo di gusto e districandosi dal suo abbraccio così da potersi muovere liberamente a tempo, accostata a lui. Occhi negli occhi, mani intrecciate e respiri confusi. Le luci a neon che a sprazzi rischiaravano entrambi, e una moltitudine di gente intorno. Eppure gli parve che non ci fosse altro all’infuori di loro. All’infuori di lei che ondeggiava a ritmo di musica, con gli occhi fissi nei suoi e il respiro affannato. All’infuori delle sue mani ferme tra le proprie,delle dita intrecciate con forza, imprigionate per volontà sulle loro teste. All’infuori del movimento del suo bacino, spudorato  ma lento, capace di fargli perdere la testa in quel frizionare continuo, sensuale e voluto. All’infuori del suo sguardo malizioso che non lo abbandonò per un solo istante.   
Quella ragazzina lo avrebbe reso pazzo! Oltre ad essere incredibilmente bella era così fastidiosamente sensibile, ma anche adorabilmente buffa. Era pignola e a volte estremamente moralista, ma sapeva stargli accanto, sapeva divertirsi con lui, tirare fuori il meglio di entrambi, e regalargli momenti indimenticabili, nel bene e nel male.  Cosa poteva significare tutto ciò? Beh innanzitutto che suo fratello era un fottuto bastardo fortunato, e poi… e poi che lui avrebbe dovuto girare alla larga. Dal giorno dopo.
Non quella sera che era come assuefatto da lei e dalla musica rimbombante che li sorprese ancora pieni di energie e pericolosamente vicini.
L’afferrò per i fianchi, totalmente preso, forse brillo e fuori controllo, per poter controllare il suo ritmo. Era convinto che lo avrebbe allontanato mentre si stringeva possessivo al suo bacino, e metteva in stretto contatto ancora di più i loro corpi sudati e sfrenati, invece lei lo stupì avvolgendogli a sua volta il collo con le braccia e continuando imperterrita ad oscillare e agitarsi per minuti che divennero ore, ma che a lui parvero sempre non abbastanza mentre ad occhi chiusi immaginava di poter non smettere mai di perdersi contro di lei.

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Capitolo 11
*** CAPITOLO10 ***



POV ELENA

“Dovremmo tornare!” suggerì controvoglia nel tentativo disperato di convincere più sé stessa che Damon, ma il ragazzo per tutta risposta sprofondò esausto su di un invitante divanetto nell’atrio dell’elegante palazzo che li ospitava.
“Dovresti rilassarti!” replicò incurante gettando il capo all’indietro per abbandonarsi alla spalliera. Il collo in bella vista; ad occhi chiusi; un’espressione distesa ad illuminargli gli armonici lineamenti. La cravatta era persa chissà dove, la giacca sgualcita e lasciata aperta, sotto di essa la camicia bianca lucida in parte sbottonata, scopriva la base di un collo niveo che immaginò di poter toccare, e baciare… l’alcool non le faceva affatto bene!
Si lasciò convincere a sistemarsi al suo fianco. Era stremata. Ma diamine si era divertita come non accadeva da troppo tempo.
“Grazie” soffiò riconoscente.
“Di cosa?”
“Lo sai… era da tanto che non mi divertivo così!”
“Di nulla ragazzina. Quando vuoi” ancora abbandonato ad occhi chiusi allungò il braccio stringendole un ginocchio in un gesto spontaneo e affettuoso. Si lasciò sorprendere da un brivido e un’emozione inaspettata che faticò a scrollarsi di dosso.
“Damon – intavolò esitante, non sapendo realmente cosa dire – perché non mi parli di te?”
Lo vide schiudere una palpebra per osservarla guardingo.
“Che vuoi sapere”
Ci pensò su e nel frattempo raccolse il lungo vestito per potersi sistemare di lato, con un gomito sulla spalliera a reggerle il capo sbieco. Lui la seguì nel gesto e un attimo dopo erano faccia a faccia.
“Cosa ti piace? Cosa odi? Il tuo piatto preferito…  insomma non so nulla di te!”
“Tu sai di me molto più di chiunque altro” la rimproverò irrigidito, quasi sulla difensiva.
Ma lei non si fece scoraggiare da quel repentino cambio d’umore e insistette caparbia.
“Cosa ti piace fare nella vita? Su ci dev’essere qualcosa che ti emoziona, non so …”
“ … Viaggiare”
“Scappare vorrai dire!” lo corresse scherzosa, senza realmente voler intavolare un qualche discorso serio.
“Non è come pensi  … c’è un mondo lì fuori ricco di arte, storia, bellezza, di persone pronte ad insegnarti qualcosa, di momenti indimenticabili e sconvolgenti. Non può essere tutto qui quello che la vita ha in serbo per noi! Non puoi dire di aver vissuto se non hai provato la meraviglia, lo stupore, l’incertezza, se non hai visto e provato tutto questo!” la corresse riflessivo con un sorriso incerto.
Perché le sue parole la toccassero sempre così da vicino era un mistero, o forse era il suo modo di fare, di porsi alla vita, di sorprenderla e di farle comprendere la miseria della condizione in cui versava, la sua vita non vita che si ostinava a perpetuare senza un vero obiettivo, uno scopo reale. Si rabbuiò senza volerlo, e lui dovette accorgersene perché la sorprese con una domanda futile dettata probabilmente dal solo scopo di distrarla e riportarla verso argomenti meno spinosi che non era pronta ad affrontare, ragazzina spaurita com’era.
“Il tuo film preferito?”
“Orgoglio e pregiudizio!”
“Prevedibile – accertò contrariato con una smorfia di disappunto – Jane Austen era una repressa sessuale! Appunto: l’esempio palese di chi non ha vissuto”
“Attento a come parli! – lo minacciò risentita – è la mia scrittrice preferita”
“Non avevo dubbi a riguardo – ridacchiò – dolce o salato?”
“Dolce! – rispose fulminea – anzi per la precisione adoro i muffin! Quelli triplo cioccolato” precisò pignola.
“Prevedibile anche questo”
Gli cacciò la lingua indispettita “Tu?”
“Salato. Mare o montagna?”
“Mare” trillò ovvia.
“Montagna” controbatté con fermezza suscitando in lei uno sbuffo spazientito.  
“Ehi! – la rimproverò – ho la pelle delicata!” si indicò il viso ironico.
“Per questo hanno inventato la protezione solare”
“Se me la spalmi tu potrei prendere in considerazione l’ipotesi” la prese in giro con quel filo di malizia e tagliente ironia che tanto la faceva arrabbiare o come in quel caso la incendiava senza via di scampo. La sfrontatezza di Damon era inopportuna a volte, ma lei non riuscì a trovarvi nulla che non andasse o che avrebbe dovuto seccarla. Si schiarì la voce fingendo fastidio.
“Bionde o more?”
Che razza di domanda era? Sconveniente e imbarazzante, ecco cos’era! E lei era stupida! Avrebbe dovuto imparare a filtrare i pensieri prima di dargli voce.
“Non fa differenza”
“Dimenticavo. Non sei una persona particolarmente selettiva” lo derise bonariamente senza alcuna cattiveria.
Lui la fissò indispettito “E’ un’offesa?”
“In realtà no. È una constatazione amichevole” puntualizzò senza trattenersi dal ridere.
“Ok visto che vuoi fare tanto la spiritosa: torniamo alle cose serie. Cosa ti piacerebbe realizzare nella vita? Spero che questo non sia il massimo cui aspiri!”
“Certo che no – faticò a trovare le parole adatte mentre si risistemava inquieta sul divanetto – non ci penso spesso a dire il vero. Un giorno vorrei dei figli, una famiglia, un lavoro gratificante. Insomma vorrei costruire qualcosa di vero, duraturo – ipotizzò sovrappensiero – ma prima … insomma … vorrei soltanto alzarmi la mattina e non vivere la vita come se ogni giorno fosse un deja vu di quello precedente… ma forse è chiedere troppo per la situazione in cui mi trovo” sbuffò sconfortata accorgendosi solo allora del suo sguardo fisso su di lei, che riuscì a fermarle il respiro. Non poteva farci nulla, non riusciva a spezzare in nessun modo quel contatto, quella connessione che risucchiava e annientava entrambi. Per la prima volta ebbe paura di ridestarsi troppo tardi,o forse era già tardi per salvarsi, e per salvare lui.
Lo vide aprir bocca come se stesse per risponderle qualcosa ma non ci riuscisse e infatti la richiuse senza che avesse pronunciato nulla, prima di ritentate con un sorrisino furbo. Ennesimo repentino cambio d’umore.
“Figli eh? – finse di rabbrividire – spero che non somiglino al padre”
“Padre?” domandò confusa corrucciandosi.
“Stefan! – specificò ovvio – non vorrei mai dei nipoti musoni e noiosi come mio fratello”
Già… peccato che lei non avesse immaginato minimamente a lui e alla possibilità di costruirci una famiglia, avere dei bambini insieme. A tutto aveva pensato durante quei brevi attimi, ma non a quell’eventualità. Si rese conto che davvero qualcosa non andava, e qualsiasi cosa fosse peggiorava di giorno in giorno. Stette al gioco comunque.
“Preferiresti che assomigliassero a te?”
“Beh buon sangue non mente! Lasciali nelle mie mani, abbi fede”
“Perché ho paura di scoprire cosa hai in mente per i miei bambini?” scosse la testa intenerita.
“Perché sei spaventata dall’eventualità che diventino interessanti e ricercati come lo zio” precisò con naturalezza, come se ci credesse. Come se stessero parlando di una vera eventualità. E si ritrovò suo malgrado ad immaginarlo e fu sicura che un giorno sarebbe stato un ottimo padre.
Quel ragazzo l’aveva sorpresa, travolta. Si era rivelato un perfetto amico e confidente, un’eccellente compagnia, aveva mostrato un’inaspettata e gradita profondità e sensibilità. Ed era bello da more, sensuale e spiritoso. Si sarebbe quasi potuta innamorare di lui se non ci fosse stato Stefan, appurò rassegnata. Stefan… alzò gli occhi e alle spalle di Damon vide apparire un furibondo “Stefan!”
Guai in vista! Si precipitò in piedi con l’aria colpevole di un bambino disobbediente, aggiustandosi alla meglio vestito e acconciatura.
“Dove siete stati?” chiese il suo ragazzo, diretto e alterato. Questa volta sul volto serio e contratto individuò furia e risentimento.
“Io… noi…”
“Ehi fratello calmo, ok? Siamo andati a fare un giro”
Si intromise Damon con molta calma e tono brusco. Era un’altra persona.
Quando le era accanto e si rivolgeva a lei tutto il suo corpo sembrava mutare, ricoprirsi di una dolcezza e delicatezza nuove, inedite al resto del mondo.
“Un giro?”
Stefan era confuso, oltre che irritato probabilmente anche dai modi dell’altro.
“Un giro! Dai quella festa era un mortorio, Elena aveva bisogno di prendere un po’ d’aria”
“E giustamente ci hai pensato tu – questa volta fu lui ad usare l’ironia – ultimamente sei sempre al posto giusto, nel momento giusto” lo accusò velatamente, provocandogli stizza e tensione.
“Che cosa stai insinuando precisamente? Non l’ho capito”
“Sai benissimo cosa intendo. D’altronde non sarebbe la prima volta, no?”
Era un chiaro riferimento a Katherine, alla relazione che la donna aveva instaurato con entrambi e che a quanto ne sapeva era cominciata proprio con il minore dei due. La cattiveria, però, con la quale il suo ragazzo infieriva su di una ferita ancora aperta tra di loro le mandò in fumo i buoni propositi di chiedere scusa con la coda tra le gambe, e la portò a giustapporsi tra i due rivali per gridare la sua voce.
“Innanzitutto non stiamo parlando di Katherine ma di me! In secondo luogo non sono una cerebrolesa, sono voluta andare via IO di mia spontanea volontà – enfatizzò le sue colpe, addossandosene una parte che in realtà non le spettava – perché mi stavo annoiando a morte! Tre: rivangare il passato è un colpo basso, e lo sai!”
Rimproverò il suo ragazzo con collera, prima che Damon si intromettesse risentito.
“Ragazzina so difendermi da solo grazie”
Le afferrò delicatamente le spalle sospingendola di lato, ma in quelle parole e nel gesto apparentemente atto a metterla da parte non lesse freddezza e orgoglio maschile, ma comprensione, e forse anche una mascherata gratitudine.
“A differenza di Elena io non ci perdo tempo a discutere con te, so a priori che è fiato sprecato”
Con una pacca ironica sulla spalla del fratello e un sorriso per lei li lasciò senza ulteriori indugi o scusanti.
Ok, forse avevano sbagliato, non sarebbero dovuti andar via in quel modo senza avvertire, ma non poteva per questo accettare che Stefan insinuasse senza prove né chiarimenti, continuando a rinfacciare il passato.
“Ti ho cercata tutta la sera”
“Cosa speri di ottenere continuando ad infierire su di lui? L’hai ferito!” partì diretta, troppo contrariata per tentennare.
“Sono io quello che è rimasto da solo senza sapere dov’erano finiti mio fratello e la mia ragazza!” le rinfacciò alterato.
“Non mi sembra un motivo valido per continuare a rinfacciare episodi passati e strapassati. Lo tratti come se volesse pugnalarti alle spalle! Dio Stefan è tuo fratello! E non è una persona cattiva, è migliore di quanto credi! Vorrei che provaste a recuperare”
Voleva difenderlo, stare dalla sua parte e far capire a Stefan che tipo di persona si nascondeva al di sotto della maschera che tutti loro gli vedevano indosso, ma il suo ragazzo non la prese come sperava.
“Io vorrei invece che tu rimanessi fuori da questa storia. E vorrei anche, se non è chiedere troppo, che gli girassi alla larga!” puntualizzò inflessibile.
Divenne paonazza d’ira “Non mi ascolti allora!”
“Sei tu che non ascolti. Sono irremovibile sulla questione, ok?”
Alla strenua sbraitò inviperita un sentito “Vaffanculo!” dileguandosi senza troppe moine tra gli eleganti corridoi, alla ricerca dell’uscita. Un gruppo di uomini ben vestiti dall’aria anonima e mondana la scrutarono straniti.  Al diavolo le buone maniere e i ricconi avversi alle parolacce! Voleva soltanto uscire il prima possibile da quella tana di gente per bene e tornarsene a casa sua.

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Capitolo 12
*** CAPITOLO11 ***



POV ELENA

 Un fascio di luce tiepida attraversava senza ostacoli le piccole vetrate di casa Gilbert immergendo lei e sua zia in un tepore insolito per il periodo.
La giovane donna ascoltava paziente e a tratti particolarmente interessata il racconto confusionario della nipote che terminò con un sospiro rassegnato e uno sguardo enigmatico.
Restò, poi, in silenzio. Uno snervarne silenzio d’attesa, prima di riprendere il discorso ed esporre le sue conclusioni.
“Beh ammetterai che Stefan non ha tutti i torti! Anch’io mi sarei arrabbiata se Ric fosse scomparso nel bel mezzo di una festa nella quale eravamo insieme, per poi scoprire dopo ore che lo cerco che si è appartato con un’altra”
“Non eravamo appartati! Stavamo chiacchierando – puntualizzò ostinata – e poi Damon è suo fratello!”
“Ma in passato hanno già avuto problemi di donne,no? È normale che adesso non si fidi di lui”
“Ma se ha ammesso lui stesso che la colpa è stata anche sua! Damon tecnicamente non gli ha soffiato Katherine, lui sapeva già prima di frequentarla che era innamorato di lei” obiettò pignola, torturando i lunghi capelli con le dita come ogni volta che era nervosa.
Rannicchiata sul divano a piedi scalzi, con le gambe raccolte sul grembo, affidava i suoi pensieri alla donna accomodata al suo fianco, in tenuta casalinga anch’ella.
Erano le otto del mattino di un luminoso sabato di dicembre, e Ric le aveva letteralmente gettate giù dal letto per appropriarsi delle loro stanze, intenzionato a ridipingerle entro sera in previsione del matrimonio. Aveva costretto quel povero martire di suo fratello a dargli una mano, mentre lei e sua zia erano state sfrattate. Ed ora eccole lì, a chiacchierare assonnate.
“Se non c’è nulla di male in quello che è successo, se per te non significa niente, perché non richiami Stefan?”
“Perché è uno stronzo!”
“Questo glielo dovrebbe dire Damon, non tu. Perché hai preso la questione tanto a cuore?”
Conosceva sua zia, sapeva benissimo dove volesse arrivare: estrapolarle qualche confessione scottante. Jenna era così, quando era certa di aver centrato il punto finiva per girarci intorno finché l’interlocutore, in quel caso lei, non ci sarebbe arrivato da sé e le avesse dato ragione. Ma non era quello il caso, non c’era nessun punto o questione irrisolta. A parte una palese e inopportuna tensione sessuale che aveva perfettamente sotto controllo, e una bella amicizia che soltanto allora stava nascendo.
“Perché Damon è una brava persona e Stefan si ostina a non capirlo!”
“A prescindere dal fatto che è amico di Ric quindi penso che in fondo sia davvero un bravo ragazzo, ma pensaci: tu lo conosci da quanto? Due mesi? Stefan da una vita. Forse c’è un motivo se ti ripete di stargli alla larga!”
“Certo! – realizzò con rammarico – è geloso marcio perché mi sto avvicinando al fratello”
“Avvicinando?” chiese confusa aggrottando la fronte.
“Beh si hai capito, no? Come amica intendo!”
Balbettò imbarazzata e scostante ringraziando mentalmente il suono del campanello che interruppe la discussione e la scomoda direzione che stava prendendo. Si alzò di scatto e ancora scalza si precipitò alla porta spalancandola.
Immerso nella luce del mattino, accarezzato da un chiarore vivo, chi c’era? Chi poteva mai essere? Damon.
Jenna si sporse dal divano e vedendolo sulla soglia la precedette.
“Ehi! Parlavamo proprio di te”
Oh cazzo! Si voltò perplessa e imbarazzata verso sua zia, intenzionata ad incenerirla con lo sguardo o forse, anzi soprattutto, tentava ad evitare lui.
“Quale modo migliore di iniziare una giornata? – si compiacque spavaldo per poi indirizzarsi a lei – bel pigiamino!” si complimentò ironico nel notare il pesante completo di flanella lilla, di almeno due taglie più grandi, che le copriva sciatto dal collo ai piedi. Da quando quel pigiama era così brutto?
“Tieni – le passò a sorpresa un sacchetto di carta, che afferrò esitante – colazione per le signore – spiegò vago – Ric dov’è?”
Interdetta e fastidiosamente taciturna scartò la confezione, scoprendo al suo interno due muffin triplo cioccolato. Si era ricordato della sera precedente e le aveva portato per colazione esattamente i dolci che gli aveva detto di amare.
“Che gesto carino! Grazie! Ric è di sopra” anche nei ringraziamenti sua zia l’aveva anticipata.
Fuori fase, incapace di reagire come avrebbe dovuto, era come travolta. Anche quella mattina… quel piccolo gesto apparentemente innocuo, quell’attenzione particolare nel ricordarsi la colazione che preferiva, nel disturbarsi di portargliela. Era l’uomo dei piccoli gesti Damon, dei sorrisi celati e delle attenzioni che rivolgeva solo a lei
Non riusciva nemmeno a ricordare ormai come fosse la sua vita prima che lui arrivasse.
“Grazie” farfugliò intenerita alzando titubante gli occhi su di lui.
Era una scultura per bellezza e armonia dei lineamenti. Una statua classica scolpita e intagliata dal più bravo degli scultori, e ora evitava di rivolgerle lo sguardo. Non ne era stupita, Damon era anche l’uomo che si vergognava delle debolezze umane, e lei era la sua debolezza più grande, ormai lo aveva capito.
“Posso?” indicò le scale a Jenna come a chiedere il permesso di salire.
“Va pure”
E senza degnarla di una sola misera fugace occhiata si dileguò al piano di sopra.
“Ah però quel Damon – la canzonò sua zia – forse ho capito perché ti piace tanto”
Insinuò con finto buonismo. Non le rispose nemmeno, non sarebbe servito a molto. Quando Jenna si metteva in testa qualcosa era impossibile farle cambiare idea. Soprattutto se aveva ragione.

POV DAMON

Quel giallino pallido con il quale Ric aveva deciso di ridipingere la moderna e confortevole camera da letto matrimoniale era decisamente … brutto. Rasentava  l’orrore a dirla tutta, ma si astenne dal rovinargli l’entusiasmo. Jeremy però non fu gentile quanto lui.
“Lo sai vero che questo giallino color marsala è di una bruttezza iperbolica?”
Domando il giovane con candore e naturalezza, con in mano ancora un rullo intriso di colore.
“Dovresti dirlo a tua zia, lo ha scelto lei. Lei decide, io eseguo, ricordi? – si discolpò l’uomo con una scrollata di spalle – neanche a te piace Damon?”
“Devo essere sincero?” gironzolava attento e curioso per la stanza guardandosi intorno.
“Perché invece di girovagare non ci dai una mano?”
“Ric … mi hai svegliato alle 7 del mattino facendomi correre da te per … mettermi a lavorare?già che sono qui  non è abbastanza?” tentò con poca speranza. Gli sguardi dei due uomini erano puntati severi su di lui.
“Jeremy dì qualcosa!” provò ad intenerire almeno il ragazzo.
In fin dei conti, però, non gli sarebbe dispiaciuto trascorrere con loro il resto della giornata, ma non lo avrebbe mai ammesso e non avrebbe ceduto senza tentare.
“Ric ha ragione, visto che hai tanta voglia di deliziarci con la tua presenza sarebbe il caso che ti rendessi utile almeno”
“Resto se mi lasci organizzare il tuo addio al celibato!” avvertì minaccioso puntando il dito verso l’amico, che sbuffò spazientito.
“Ancora? ti ho già detto che non intendo fare follie!”
“Ma dai! – insistette sporgendo il labbro – quali follie! Solo una serata tranquilla tra vecchi amici”
“In uno Street club!” lo anticipò con disappunto.
“Che addio al celibato sarebbe senza spogliarelli?” domandò con simulata innocenza frenando a fatica un sorriso furbo.
“Ha ragione – intervenne Jeremy a gran voce – e che addio al celibato sarebbe senza di me?” si propose speranzoso.
“Non pensarci nemmeno novellino!”
“E dai Ric dì qualcosa!” si rivolse indispettito l’escluso.
“Jeremy verrà con noi e non ci saranno spogliarelli! Queste sono le mie condizioni”
Il sorriso vittorioso appena nato sulle labbra dell’adolescente si spense pochi istanti dopo al termine della frase. Damon accompagnò la sua espressione afflitta con uno sbuffo arreso, alzando le mani.
“Amico fattelo dire: sei noioso! – si guardò intorno – dov’è il rullo per me?”
“Da quella parte – indicò il corridoio – nella stanza affianco”
Riprese il lavoro con diligenza ignorando i due presenti delusi. Jeremy lo accompagnò a ruota sconfortato.
Seguì le indicazioni dell’amico intenzionato se non altro a restare lì. Sempre meglio che tornare a casa a sorbirsi i musi lunghi di suo fratello, e poi a pochi metri, al piano di sotto, c’era Elena. A chi voleva prendere in giro? Era entusiasta alla sola idea di trascorrere un giorno intero con lei, nella stessa casa.
Davanti a sé, poi, c’era la sua camera. Vi entrò trovando adagiati come indicato dall’amico un secchio di pittura e un rullo candido. Ma non furono quegli oggetti ad attrarre la sua attenzione. Fu l’odore di incenso e pulito, il letto a una piazza e mezza a pochi centimetri. Furono i suoi abiti adagiati su una poltroncina lì affianco. Una piccola agenda abbandonata sul comodino, un dvd che non riconobbe in lontananza sul comò, un grande specchio contornato di foto e che adesso rifletteva la sua immagine attenta e involontariamente sorridente.
C’era Elena lì in mostra intorno a lui, c’era bambina, paffuta e adorabile, scombinata e innocente. C’era adolescente, capo cheerleader, seminuda e sexy, sorridente e spensierata nel completino striminzito della squadra. C’era d’estate e di inverno, era lì con le amiche, gli amici, con Stefan, con un piccolo Jeremy. E c’era anche con i genitori: una giovane coppia inginocchiata ai piedi di un luminoso abete decorato.
La prese tra le mani, delicato, ipnotizzato da uno scatto naturale della famiglia che quella ragazza aveva amato e perso, tanto da non accorgersi di lei, questa volta in carne ed ossa, a pochi passi.
“Quando sono morti non pensavo di poter sopravvivere a tanto dolore” 
Sobbalzò spaventato alla sue parole, colto in flagrante. Non fiatò, rimise semplicemente apposto lo scatto per dedicarsi a lei.
“Come hai superato la morte di tua madre?”
“E’ venuta da sé… la rassegnazione. Quando ho capito che distruggermi non sarebbe servito a riportarla indietro”
Vide nei suoi occhi la solite triste malinconia che li scuriva e tormentava ogni volta che si parlava di loro, così tentò di cambiare argomento: prese tra le mani il dvd abbandonato lì accanto, lasciandosi scappare apposta una smorfia disgustata.
“Ti prego Top Gun no! Pensavo avessimo toccato il fondo con orgoglio e pregiudizio!”
“Ehi! – gli strappò indispettita il dvd – sono romantica e sensibile, e allora?”
“Cos’altro mi devo aspettare da te? Di trovarti in lacrime nel finale del Titanic? Fammi indovinare: sai a memoria le battute di Romeo e Giulietta!”
“E non solo! – confermò contrariata – Romeo e Giulietta sono l’emblema dell’amore! Ma che ci parlo a fare con te?”
“Un amore così non esiste!” la rimbeccò deciso.
“Esiste eccome! – si intestardì cocciuta – come fai a rimanere impassibile al tragico scherzo del destino che li porta alla morte? L’amore li porta alla morte! La bellezza della loro storia sta tutta nel non potersi avere! Il loro è un amore che li consuma, è pericolo, passione, avventura! Ti ricorda qualcosa?” terminò con un sorrisetto di sfida. Certo che gli ricordò qualcosa, e dovette ricordarlo anche a lei che arrossì all’istante.
Ma intanto era vicina, non sapeva come ci fosse arrivata, ma lo era. Tanto vicina da spezzargli il fiato. Troppo vicina perché potesse anche solo pensare, ragionare o dire qualcosa. Tanto vicina da intravedere le sfumature marroni dei suoi occhi variare di tonalità scurendosi all’esterno delle pupille. Tanto vicina da notare l’ombra che le lunga ciglia inarcate concedevano al suo sguardo, tanto da percepire sulla pelle ogni suo sospiro, tanto da individuarne ogni capello che le rigava il capo ricadendo disordinato. Tanto vicina che avrebbe assaltato le sue labbra piene e rosate per saggiarne finalmente il sapore, come desiderava e immaginava ormai da tempo. L’avrebbe baciata ancora, e ancora, finché non gli avesse chiesto una tregua, finché non se ne fosse saziato. Cosa che dubitava potesse avvenire mai.
“La smettete di litigare? C’è del lavoro da fare qui!”
Il richiamo attutito di Ric dall’altra stanza ruppe l’attimo, riportandoli prepotentemente alla realtà.
Come ridestata Elena abbassò gli occhi schizzando lontana. Arrossì violentemente, imbarazza e inquieta sotto il suo sguardo immobile.
L’avrebbe baciata ignorando tutto il resto, ignorando l’ingiustizia commessa al fratello, la possibilità che chiunque avrebbe potuto vederli, ignorando le buone maniere, il rispetto, e le conseguenze. Di nuovo.
“Arrivo” avvertì l’amico inspirando per riprendere controllo e sorriso, afferrò rullo e pittura e stava per andar via quando lei lo richiamò incerta.
“Damon… quei muffin erano squisiti! Grazie”
“Li ho fatti io!” le rivelò compiacendosi delle abilità culinarie acquisite negli anni.
“Beh allora devi farli più spesso!”
“Si signora!” con un inchino esagerato e scherzoso la lasciò lì, sorridente e bella più che mai.
Al diavolo tutto! Quella ragazzina lo aveva fregato!

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Capitolo 13
*** CAPITOLO12 ***




POV DAMON

Decisamente non da lui il ristorantino di classe che la bellissima giovane donna al suo fianco aveva scelto per quella serata. Il loro secondo appuntamento, lo aveva definito lei, ennesima perdita di tempo pre-orgarmo, preferiva lui, ma quello lo aveva furbamente tenuto per sé.
Aveva lineamenti dolci e raffinati, un corpo di donna e un carattere piacevole e maturo Andie. La donna perfetta per lui, se soltanto fosse stata meno seria e pacata, meno bionda e più mora. Meno sé stessa e più Elena.
Scosse la testa, disgustato da sé che continuava suo malgrado ad andare in subbuglio come un adolescente impazzito in piena crisi ormonale al solo ricordo del suo respiro sulla pelle e dell’innocente sguardo tremante che troppo da vicino aveva ispezionato il suo viso, e non solo. Lo aveva in pugno, corpo e anima. Ingurgitò l’ennesimo bicchiere di vino rosso. Ottima annata. Ottimo diversivo.
“Allora Andie … dove hai detto che abiti?”
Ennesimo tentativo di conversare, ennesima speranza vana di trovare in quella cena un motivo per restare, per approfondire, per rendersi conto che forse Elena non aveva poi molto di speciale, nulla che non potesse trovare in qualsiasi altra donna al mondo.
 

POV ELENA


“Cara la mia ragazza – mormorò malizioso Stefan adagiandola sulle candide lenzuola del letto – stasera resti a dormire qui!” l’avvertì roco all’orecchio, prima di scendere a torturarle il collo con le labbra in un gioco di dolcezza e passione.
Non poté trattenere un sorriso intenerito a quella che più di una richiesta le sembrava un invito gradito.
In un attimo era su di lei, issato sui gomiti. Continuava a lambirle labbra e viso, e non fu difficile lasciarsi andare … prima che sbattessero la porta. Prima che Damon rientrasse. 
Il cuore le schizzò fuori dal petto prima ancora che le labbra e le mani del suo uomo smettessero di sortire l’effetto dovuto. Non sentì più nulla mentre la spogliava, la vezzeggiava e si preparava a farla sua. Udì soltanto i suoi passi al piano di sotto, lo squillo del suo cellulare, le voci alla tv. Continuò a sentirlo, come se le fosse accanto.
Stefan la cercò, cercò il suo corpo, i suoi occhi e i suoi sospiri, la cercò mentre era già lontana, arenata al ricordo di quell’attimo, l’attimo prima di un bacio che non sarebbe mai arrivato. Il ricordo più vivo di tutta la sua vita.
Non era giusto, si disse serrando gli occhi mentre Stefan profondava delicato nel suo ventre. Lei non era quel tipo di persona, lei non avrebbe mai potuto amare un altro, tradire lui, spezzargli il cuore.
Lei non era mai stata quel genere di donna! Stentò a riconoscersi tra i sospiri estasiati del ragazzo e il rumore incessante dei suoi pensieri.
“Ti amo” le ricordò lui con un sorriso dolce e luminoso.
“Anch’io” mentì. Aveva appena firmato la sua condanna.
 

Erano trascorsi pochi minuti, o forse diverse ore, non seppe dirlo quando riaprì gli occhi in piena notte. Al suo fianco Stefan la cullava in un abbraccio addormentato. Si voltò dall’altro lato con estrema delicatezza per non svegliarlo. Indossava ancora una sua maglietta e un paio di short quando a piedi scalzi si allontanò dal tepore del letto per dirigersi alla finestra.
La luna seminascosta tra i rami secchi scossi dal vento emanava una luce calda e fioca, che si sperdeva nel vento e nel buio. La notte spettrale e silenziosa fino all’inquietudine era disturbata soltanto dal fruscio incessante del vento che risuonava tra gli alberi.
Irrequieta e ormai perfettamente sveglia si avviò a passo felpato al piano di sotto per prendere un bicchiere d’acqua nell’attesa che tornasse il sonno.
Ciò che non aveva previsto era lui. Era sempre lui, oltre ogni sua previsione e aspettativa.
“Che fai?” chiese interessata e sorridente vedendolo del tutto sveglio e ancora vestito, intento ad armeggiare sulla penisola chiara della cucina con farina, uova e biscotti.
Damon alzò il capo sorpreso restando per un attimo con un guscio vuoto tra le mani, poi lo vide riprendere scioltezza continuando il suo lavoro.
“Preparo una cheesecake”
“Sono le due di notte”
“Meglio no? Sarà pronta per domani a colazione”
“Come sei premuroso” si complimentò di getto accomodandosi su uno sgabello alto a ridosso del bancone per osservarlo alle prese con l’impasto.
“Non ho mai detto che fosse per te!” le fece notare altezzoso, beccandosi una linguaccia indispettita.
“Allora Damon, dove hai imparato a cucinare?”
Allungò una mano verso i biscotti sbriciolati afferrandone un pugno abbondante per portarlo deliziata alla bocca.
“Ehi! Ci ho messo un’ora a preparare la base!” la rimproverò risentito lasciandole uno schiaffetto leggero sulla mano.
“Troppo tardi. Ottimi”
“Durante i vari viaggi – riprese il discorso all’improvviso – sai è incredibile la gente che puoi incontrare e quanto possa insegnarti”
Le confidò con il tono di chi ha vissuto per davvero e ha tanto da raccontare … l’aveva affascinata dal primo istante questo suo lato avventuroso e imprevedibile. L’affascinava adesso più di prima.
“Non andrai via di nuovo, vero?” gli domandò d’un fiato, per un attimo fragile, esposta e terrorizzata. Terrorizzata all’idea di vederlo andare via, e di dover ricominciare daccapo, senza di lui.
Il ragazzo alzò gli occhi, forse incuriosito dall’ombra spaventata delle sue parole. Un oceano tempestoso la invase.
“Perché ti interessa?”
La spiazzò con l’ultima risposta che si sarebbe aspettata da lui. Lo vide dubbioso, di nuovo guardingo, sulla difensiva.
“A me nulla – mentì ancora, aveva perso il conto delle volte in cui lo aveva fatto in una sola serata – ma sai, ad Andie dispiacerebbe. Vi frequentate no? Non puoi lasciare tutto e andartene”
“A me non frega nulla di Andie” precisò con una vena di rammarico nella voce.
“E allora perché ci esci?”
“Mi aiuta a non pensare a quello che voglio davvero” si lasciò sfuggire in un lamento bisbigliato, calando gli occhi verso l’impasto molle che aveva preso a miscelare. E lei restò interdetta, lo guardo perso, corrucciato, incapace di scorgere davvero il senso di quelle parole, o forse ancorata saldamente alla volontà di non crederci, di ignorare tutti i segnali, i passi avanti. Era più semplice ignorarlo, quel legame, piuttosto che affrontarne le conseguenze.
Calò il silenzio, che parve pesare su di loro per interminabili minuti, finché l’impasto non fu pronto, e proprio quando Damon dopo averlo spostato in un recipiente da infornare si voltò verso il forno lei  afferrò la scodella sporca e ci immerse un dito.
“Questo è il momento che preferisco” spiegò euforica leccando l’indice sporco con piacere. Il ragazzo prese da un cassetto due cucchiaini.
“Tieni bestiolina!” si sedette accanto a lei.
“Avevo dimenticato di avere a che fare con un ragazzo per bene!” lo derise indignata facendogli il verso.
“Mangia e stai zitta!”
Le infilò in bocca un cucchiaino stracolmo di impasto. Voleva la guerra? Che guerra fosse!
Afferrò l’intera scodella e gliela catapultò in faccia in un gesto tanto veloce che lo colse impreparato; poi con totale nonchalance raccolse la crema in più che gli colava dal mento e la leccò.
Damon restò immobile ad occhi sbarrati per un attimo, ma il tempo di realizzare ed era già tornato all’attacco. La immobilizzò sullo sgabello con un ginocchio a bloccarle le gambe, e con un pauroso sorrisino di vittoria le si spalmò totalmente sui vestiti, sul collo, ripulendosi il viso alla meglio.
Non poté non ridere a crepapelle mentre tentava con tutte le forze di allontanarlo, mentre i morbidi capelli corvini le imbrattavano il mento di impasto molliccio facendole il solletico. Non poté ignorare nemmeno la dolce sensazione di sentirlo sulla pelle, di sentirlo strusciarsi sul cuore, respirare e riderle sul petto ansante, tenendole arpionate le mani sui fianchi. Riuscì a districarsi dalla sua presa e ad afferrargli il viso per portarlo all’altezza del suo, ma se ne pentì in un istante. Il sorriso si spense dalle labbra di entrambi, mentre i sospiri spezzati si fusero, e gli occhi si incatenarono, in corsa sui corrispettivi volti. E Damon era decisamente magnifico anche così, appiccicoso e a tratti ricoperto di crema, i capelli scombinati, il mare dei suoi occhi vivo più che mai.
Fu lui ad abbassare lo sguardo, salvando entrambi.
Imbarazzata e ridestata scostò le mani lasciandolo libero di allontanarsi, cosa che per fortuna fece molto lentamente, come a voler abituare entrambi al doloroso distacco.
“Dio che macello! Questa maglia è di Stefan!” proruppe lei squillante e fintamente a suo agio, nel tentativo di scrollare tutti e due dal disagio di quella situazione. Quello che la preoccupava davvero non era cosa avrebbe detto il suo ragazzo della maglietta, ma cosa avrebbe fatto se li avesse visti un attimo prima, persi l’uno nell’altra. Quello che lei non sapeva era che Stefan era lì, ad assistere alla scena, ed era stanco di fingere di non essersi mai accorto di nulla.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO13 ***



POV DAMON


Era trascorsa una settimana, interminabili sette giorni da quella notte, e di Elena nemmeno l’ombra. Lo aveva capito da un pezzo che era intenzionata ad evitarlo, e nonostante gli capitasse a volte di sentirne la bruciante mancanza, per quanto in quei giorni troppo spesso aveva pensato di mandare tutto all’aria per correre da lei, anche solo per vederla pochi attimi, aveva concluso amaramente che forse era meglio così. Meglio per entrambi evitarsi come la peste, perché ormai avevano capito tutti che se fossero rimasti nella stessa stanza sarebbe accaduto l’inevitabile. Lo aveva capito anche lui che la storia era  destinata a ripetersi, e non era poi così certo di saperne affrontare le conseguenze. Ma ancor meno era sicuro di riuscire a fare a meno di lei.
Natale era alle porte, il gelo tagliente di quel martedì sedici dicembre ricopriva ogni cosa di una patina umida e densa, una fitta nebbia disperdeva nell’aria l’odore di freddo e noccioline per le vie di Atlanta. Miriadi di lucette colorate in equilibrio sui lampioni della città accecavano a sprazzi il suo cammino silenzioso, e malinconiche canzoncine natalizie ridondavano per i vicoli della città, senza proveniente, né una meta, arrivavano a lui oltrepassandolo per disperdersi lontane. Urla di bambini e genitori alle prese con i primi regali, intere famiglie si preparavano alla festa. Aveva dimenticato cosa significasse riunirsi ad una famiglia in quei giorni, mangiare fino a scoppiare, cantare a squarciagola tutta la notte, scambiarsi i regali ai piedi di un grosso abete illuminato. Aveva scordato ogni cosa di quelle stupide smancerie, ma non la gioia negli occhi di sua madre la mattina di Natale, con l’immancabile pigiama rosso di flanella e i regali tra le mani.
Sorrise al flebile ricordo immergendosi nel calore del palazzo dov’era destinato. Oltrepassò distratto la reception e aspettò l’ascensore che lo avrebbe condotto al decimo piano. Suo padre lo attendeva in redazione, dove gli aveva chiesto di raggiungerlo, senza ulteriori spiegazioni.
 

“Cos’è successo con Klaus?” il timbro grave e adirato con il quale gli si rivolse non appena mise piede nel suo ufficio spoglio e privo di calore gli fece intuire all’istante a cosa si stesse riferendo.
“Niente che ti interessi” deviò con una scrollata di spalle.
“Mi interessa eccome dal momento in cui sei stato denunciato e per colpa tua abbiamo rischiato di perdere un affare sul quale ho puntato praticamente tutto!”
Con un colpo secco alla scrivania pensò forse di intimidirlo, non seppe dirlo con certezza, ma comunque non riuscì nel suo intento. Aveva smesso di averne paura da tanto. Da troppo ormai aveva perduto la referenza e il rispetto nei suoi confronti.
“Non mi è stata notificata nessuna denuncia”
“Si invece, l’ha trovata tuo fratello e l’ha data a me”
Una pugnalata al cuore gli avrebbe, forse, fatto meno male. Un colpo basso del genere non se lo aspettava, non da suo fratello, nonostante tutto il male e le incomprensioni. Ingenuamente non lo credeva capace.
“Vedo che ormai fate coppia fissa – osservò contrariato – beh, che vuoi?”
“Che tu la smetta di fare casini”
“Suppongo sia inutile tentare si spiegare come sono andati i fatti” ipotizzò amareggiato, già pronto a dileguarsi.
“Quanto ti serve Damon? ventimila dollari ti bastano per ripartire?”
Diretto, senza mezze misure, suo padre. Propose l’unica soluzione per lui possibile, che lo sdegnò se possibile ancora di più.
“Sai di cosa ho bisogno io? – urlò furente – di vedervi tutti morti!”
“Sei una mina vagante figlio mio, e io non posso stare dietro ai tuoi colpi di testa. O vai via, o impari a controllarti”
Gli comunicò freddo come il ghiaccio, privo di qualsiasi inflessione, delicatezza, comprensione o perlomeno un’ombra di amore paterno. Giuseppe Salvatore, lo spietato uomo d’affari, non aveva mai saputo fare il padre, e non ci riuscì nemmeno quella volta.
“Cos’è che ti preoccupa precisamente paparino? Che i miei colpi di testa mettano a repentaglio l’onore della famiglia o che la mia bocca larga comunichi al mondo cos’ha fatto tuo figlio insieme a Klaus Mikaelson e come i nostri ricchi padri ci hanno tirato fuori dai guai facendo ricadere la colpa su di un innocente?” domandò spietato andando dritto al nocciolo della questione. Inutile girarci intorno, era quello che l’anziano temeva da sempre.
“Damon abbassa la voce!” gli intimò scrutandosi intorno guardingo, come se davvero qualcuno potesse sentire attraverso gli spessi vetri antiproiettile del suo studio.
“Agli ordini papà! – si inchinò sbruffone e disgustato – ora se non ti spiace vado a fare due chiacchiere con il piccolo Salvatore!” comunicò quasi divertito dall’espressione vigile dipinta sul viso indignato dell’uomo a quell’ultima sua uscita.
Sbatté la porta lasciandoselo alle spalle e fu così che tornando alla caotica redazione notò il suo piccolo e modesto studio, nascosto a malapena da una tapparella. Ma lei era lì, poteva vederla chiaramente.
I lunghi capelli raccolti in uno chignon disordinato dal quale diversi ciuffi morbidi ricadevano sul viso sfuggendo ribelli, un’espressione seria e concentrata sul volto, di tanto in tanto arricciava il naso o sbuffava contrariata per chissà quale errore comparso sullo schermo dinanzi a lei. Sorseggiava un caffè tanto concentrata da non accorgersi di lui che come un uragano irruppe nella stanzetta chiudendosi con forza la porta alle spalle. Era arrabbiato, oltraggiato, fuori controllo, e aveva bisogno di lei. Doveva vederla, toccarla, sentire la sua voce. Non poteva farne a meno, non in quella giornata. Al diavolo ogni buon proposito, la desiderava con tutto sé stesso ed era stanco di negarlo.
“Mi stai evitando” proruppe senza mezze misure, non lo chiese. D’altronde sapeva già la risposta. Gli occhi della ragazza saettarono verso i suoi, lucidi di paura mentre sussultava spaventata.
“Damon – sussurrò paonazza – io… non ti sto evitando!” spiegò in un balbettio confuso guardandosi intorno senza posare l’attenzione su di lui, cosa che lo mandò in bestia.
“Bene, ma guardami negli occhi mentre parli”
Obbedì mansueta spostando lo sguardo nel suo. Ci vide tormento e stupore negli occhi, profondi e inquieti, lucidi. Ed ebbe la certezza che anche lei avvertiva la forza magnetica che li avvicinava. Era quello il tormento che vi lesse. Ne era consapevole quanto lui, e per questo era fuggita. Non era scappata da lui, ma dal desiderio reciproco che li aveva travolti.
“Non ti sto evitando” ripeté, se possibile ancor meno risoluta di prima.
“Stai mentendo, e lo sai bene”
“Perché sei qui?” chiese di rimando lei, ignorando bellamente le sue accuse. Sembrava pregarlo di smetterla, con gli occhi e quel continuo sviare.
“Fa differenza il motivo per cui sono qui?”
“Si, perché sei sconvolto” notò sincera recuperando in parte la fermezza persa. Sbuffò irrequieto avvicinandosi alla scrivania confusionaria e quindi anche a lei che indietreggiò appena di riflesso, spaventata.
“E hai paura che faccia qualche cazzata” ipotizzò sorridente di stizza, notando l’espressione corrucciata e dubbiosa sul suo volto, il corpo rigido, in attesa, o forse semplicemente in allerta.
“Non ho paura che tu faccia cazzate!” lo rassicurò, ma mai come allora quelle parole parvero risuonare false e prive di fondamento.
“Se io ti baciassi?” le domandò sfrontato, ormai piazzatole di fronte. Aveva circumnavigato la scrivania raggiungendola. La vide sussultare a quella domanda e guardarsi intorno spaesata, tremante e a corto di fiato. Sapeva che lo desiderava almeno quanto lui, ne era certo. Doveva solo dimostrarlo.
“Qualsiasi sia il tuo problema rifletti Damon, non sei in te!” gli consiglio accigliata, spiazzata dalla sua sicurezza, dalle accuse dirette, dal sua entrata in scena inaspettata.
“Sono in me invece… suvvia Elena non dirmi che non desideri farlo anche tu dal primo giorno…” bisbigliò imperterrito calandosi su di lei, ancora aggrappata alla sedia. Ormai vicino poté lasciarsi inebriare dal suo odore caramellato, cullare dal cuore galoppante e dal leggero tremolio delle sue labbra serrate, dai grandi occhi sbarrati e … terrorizzati. Aveva paura di lui. Abbassò la guardia un solo istante, sconvolto dalla sua reazione, e lei ne approfittò per spintonarlo e schizzare poi in piedi frapponendo di nuovo la scrivania tra di loro.
“Cos’è successo Damon?” gli chiese apprensiva, padrona del suo spazio vitale dal quale lo aveva prudentemente escluso.
“Cerco mio fratello”
“Non ti ho chiesto questo”
“Non sono affari tuoi” le rimproverò tagliente. O forse ferito, deluso, ma quello non lo avrebbe mai ammesso. Non avrebbe ammesso che in fondo ci aveva creduto, che non avrebbe voluto spaventarla e portarla a chiudersi di nuovo, ma soltanto aprirle gli occhi per ammettere che tra di loro c’era qualcosa. Voleva che ammettesse che quel qualcosa lo sentiva anche lei, e non era soltanto frutto della sua fantasia. 

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Capitolo 15
*** CAPITOLO14 ***




POV ELENA

Aveva contattato Stefan da pochi minuti soltanto quando la raggiunse trafelato nello studio, permettendole finalmente un liberatorio sospiro di sollievo. Osservava Damon trascinarsi avanti e indietro per la stanza, furibondo e turbato, a testa bassa. La mascella contratta e lo sguardo distante e vacuo. L’unica cosa che avrebbe voluto era andare da lui, abbracciarlo con calore e dirgli che tutto sarebbe andato bene, che qualunque cosa lo turbasse lei era lì, l’avrebbero condivisa. Non lo fece. Non dopo quello che era successo, non dopo aver desiderato senza ritegno che la baciasse, non dopo averlo evitato per una settimana intera senza poter fare a meno di pensare a lui. Non dopo aver maledetto gli ormoni e il suo stupido cuore impazzito nel vederlo in quella stanza, capace di dare calore ad una grigia ennesima serata.
“C’era davvero bisogno di andare da Giuseppe a fare la spia? Sul serio Stefan? Quanti anni hai?” proruppe Damon a denti stretti non appena il fratello ebbe messo piede in stanza.
“Non ho fatto la spia, ho semplicemente evitato che ti mettessi nei casini, come sempre. Papà ha sistemato tutto” illustrò l’altro, con tutta la calma del mondo, facendole intuire che avesse già capito a cosa si riferisse il fratello.
“Fammi un piacere allora: smettila di togliermi dai casini! Non ho bisogno del tuo aiuto, né tantomeno del suo” lo avvertì in preda alla rabbia, puntandogli un dito contro. I due fratelli troneggiarono l’uno sull’altro, a testa alta. Stefan restò impassibile, quasi quelle parole non lo riguardassero affatto.
“Il mondo non gira intorno a te. L’ho fatto per l’azienda, un’ennesima denuncia di Klaus nei tuoi confronti ci avrebbe rovinato gli affari e la reputazione”
“Tanto ci pensa lui a sistemare tutto, no? Come ci riesce non sono affari tuoi, eh Stefan? Fingiamo di non sapere delle mazzette e i contentini che usa il grande capo per deliziare i palati della gente che conta!”
Quella discussione stava degenerando, e l’espressione  indifferente del suo ragazzo la oltraggiò più del dovuto. Come potesse restare totalmente disinteressato a quel genere di ingiustizie non lo capì. Sapeva benissimo com’era il mondo della gente per bene, ma il viso di pietra di Stefan dinanzi a tutto quello, no… quello la stupì.
“Questi non sono affari tuoi. Pensa solo che le sue mazzette ti hanno salvato il culo”
Gli occhi blu di Damon divennero grigi color tempesta mentre paonazzo di rabbia afferrava il giubbino e si preparava ad andar via. Forse si era arreso anche lui, forse stava gettando la spugna. Si ritrovò a desiderare che non perdesse mai il suo candore, la sincerità e il fuoco con il quale difendeva le sue idee.
“Il mio culo preferirebbe marcire in una cella piuttosto che essere salvato da lui!”
“E quindi? Ti vuoi costituire?” rise beffardo, e le sembrò un’altra persona, che non aveva mai conosciuto. Sadico, gelido, uno sconosciuto. Non sembrava lo stesso dolce ragazzo di sempre. Tremò, questa volta di paura. Qualcosa non andava.
Un attimo dopo Damon lo aveva oltrepassato e con eleganza e superiorità era andato via, senza rispondergli nulla, e senza salutare nessuno dei due.
“Prova a difenderlo anche questa volta!” le intimò il suo ragazzo non appena furono rimasti soli, con un malcelato nervosismo che si trascinava da giorni.
“Esci dal mio studio”
Fu tutto ciò che riuscì a dire, disgustata dalla scena precedente, e confusa più che mai.
“Io non vado da nessuna parte. Potresti sempre andartene tu – le indicò la porticina in vetro che dava sulla redazione – penso che sei ancora in tempo per portarlo a ballare –alzò la voce in un crescendo di rabbia accumulata – oppure potreste dedicarvi alla cucina e al lancio di scodelle!”
Un brivido di paura le percorse la schiena alla furia che vide esplodere nei suoi occhi mentre le inveiva contro, e non poté fare altro che abbassare lo sguardo colpevole e spaurita, intuendo finalmente il motivo di quel suo atteggiamento inquieto degli ultimi giorni. Adesso capiva anche perché si fosse comportato in quel modo con Damon. Era arrabbiato, furibondo, e glielo stava nascondendo. Tirò su col naso quando sentì gli occhi pizzicare.
“Non è successo niente”
“Vi ho visti”
Avrebbe potuto insistere, cogliere l’occasione per ribadire che tra di loro non c’era stato nulla, né un bacio né qualcosa di più, ma non sarebbe bastato. Non avrebbe mai potuto negare di averlo desiderato da star male, di averlo sognato, di essere fuggita soltanto per paura di non riuscire più a farne a meno. Mai una sola volta da quando Damon era entrato nella sua vita aveva pensato che Stefan fosse abbastanza.
“Ho bisogno di tempo” sussurrò sconfitta a capo chino, dandosi nauseata della codarda.
Percepì mentre le si allontanava a grosse falcate, probabilmente troppo incazzato per dire qualcosa. Sbatté con forza la porta senza fiatare né darle modo o tempo di spiegarsi.
Finalmente sola si lasciò andare ad un pianto liberatorio e senza remore, incontrollato e convulso. Ne aveva assolutamente bisogno. Si era persa. In quei mesi aveva perso sé stessa, i suoi obiettivi, le sue priorità e i suoi bisogni. Damon l’aveva cambiata, lei glielo aveva permesso, ed era accaduto così in fretta da non essersene nemmeno accorta.
 

POV DAMON

Era un’insolita notte stellata, soltanto qualche nuvola ad oscurare il chiarore pallido lunare. Le ombre frastagliate degli alberi alla finestra si abbattevano attraverso i vetri allungandosi e deformandosi nella stanza rischiarata, e lui, intento a prepararsi, non si accorse del fratello entrato da poco e immobile sulla soglia. Quella sera c’era l’elezione di Miss Mistic Falls e in quanto scapolo e amico di uno degli organizzatori, Ric, coinvolto sotto costrizione di Jenna, era tenuto a partecipare. Non che la cosa gli dispiacesse particolarmente … le donne in abito da sera, brille e su di giri non gli sarebbero mai potute dispiacere. Avrebbe avuto soltanto l’imbarazzo della scelta … e poi c’era lei. Scosse con vigore la testa come a volersi ridestare, rimproverandosi per l’ennesima volta in quei giorni di averla di nuovo pensata. Solo in quel momento guardandosi riflesso allo specchio si accorse dell’inaspettata presenza di Stefan in camera sua. Erano giorni che si evitavano, perciò il vederlo lì lo sorprese, quasi quanto il non trovarlo già vestito per la cerimonia.
“Come mai già in pigiama?”
“Io ed Elena ci siamo lasciati”
Lo spiazzò con una confessione del tutto inattesa, sia perché non lo credeva possibile, sia perché pensava che se anche fosse successo mai sarebbe andato a dirlo proprio a lui. Dopo il litigio che c’era stato faticavano a rivolgersi la parola, figuriamoci se si aspettava tale confidenza non richiesta oltretutto. Una confidenza che per quanto inattesa riuscì a migliorargli la giornata, a mandargli in tilt il sistema nervoso e a far volare lontano i suoi pensieri.
“Ooh” fu tutto ciò che disse, esterrefatto e lontanamente imbarazzato.
“A quanto pare ultimamente preferiva la tua compagnia alla mia”
Gli vennero in mente migliaia di battute taglienti che scacciò repentino, oltre ad un sorriso beato che era sicuro si fosse insinuato indelebile sulle labbra.
“Non la avrai – lo avvertì con veleno negli occhi – qualsiasi cosa ci sia stata tra voi non voglio saperlo, e deve finire qui. Perché ho intenzione di riprendermi ciò che è mio” scandì collerico digrignando i denti dalla rabbia.
“Punto primo: tra di noi non c’è stato niente. Punto secondo: Elena è una donna adulta, deciderà lei, non tu. Sai ti risulterà strano ma per quanto fossi tentato non ho mai dimenticato di chi fosse”
Beh apparte quell’ultimo giorno, nel suo studio, quando aveva tentato di forzarla a palesare i sentimenti che era convinto provasse per lui, ma era arrabbiato e per la prima volta sentiva di non dover niente a nessuno, di non dover reprimere la sua voglia di averla per un fratello che lo aveva tradito. Questo non glielo disse, ma sostenne orgoglioso il suo sguardo di fuoco.
“Ne dubito” infierì l’altro senza neanche lontanamente concedergli il beneficio del dubbio.  Prevedibile, era la storia della sua vita.
“Perché invece di sputare veleno non esci cortesemente fuori dalla mia stanza? Fatti un esame di coscienza fratellino. Ci dev’essere un motivo se preferisce la mia compagnia alla tua” gli fece notare compiaciuto. Se Stefan voleva la guerra che guerra fosse. Una battaglia ad armi pari e carte scoperte questa volta. Non avrebbe giocato sporco, ma avrebbe scommesso il tutto per tutto.
 

POV ELENA

Jenna le adagiò sulle spalle l’ennesimo folto ciuffo di capelli piastrato ridefinendo il boccolo morbido con un dito.
“Ricordami perché lo sto facendo” la pregò scocciata e impaurita, guardandosi allo specchio. Stentava a riconoscersi, con i lunghi capelli perfettamente ondulati, un leggero trucco e lo splendido vestito in seta blu comprato per l’occasione e capace di ridefinirle il corpo ed ogni singola forma in modo paurosamente perfetto e imbarazzante.
“Perché Miranda ci teneva, perché lo abbiamo fatto tutte prima di te, e poi – ci rifletté – è divertente!”
L’allegria di sua zia era sempre così contagiosa che ringraziò mentalmente di averla al fianco.
“Ah! E sei bellissima! Stefan non sa che si perde”
Sbuffò contrariata. Non le andava di riaprire quel discorso per l’ennesima volta nell’ultima settimana.
“Jenna ti prego! Ti ho già detto che sono stata io a chiedere una pausa, non lui”
Lo discolpò con vigore, ben sapendo che il vero problema era soltanto lei, lei e i suoi sentimenti irrisolti per Damon, lei e la sua incapacità di fare chiarezza e imboccare una strada che suo malgrado la spaventava e attraeva allo stesso identico modo. Lei e la sua paura di gettarsi nel vuoto.
“Beh non è che lui abbia fatto molto per farti cambiare idea”
“E ci credo! Pensa che provi qualcosa per il fratello!”
“Ed è così?”
Una domanda diretta che la gettò nel panico più assoluto.
“Io … io non so cosa provo” boccheggiò nervosa in cerca di un appiglio.
“Forse lo sai e hai paura di ammetterlo?”
Paura di dirlo ad alta voce e renderlo reale, di cambiare definitivamente le cose con un’ammissione che avrebbe spiazzato tutti. No, lei non sapeva cosa provava … non ne era certa almeno, prese tempo. Anche con sé stessa.
La porta si aprì di scatto proprio in quel momento troncando per fortuna una conversazione che temeva potesse scoprirla troppo. Era Care, bella e a suo agio, in un lungo abito color porpora.
“Psicopatico a ore nove” le informò con una smorfia disgustata e un gesto del capo al di là della porta semiaperta. Indicò due uomini di spalle che non le fu difficile riconoscere. Uno era Ric, l’altro … non poteva che essere lui. Avrebbe riconosciuto la sua sagoma tra mille altri uomini, e lo splendore dei suoi capelli neri e scarmigliati. Ci avrebbe affondato le mani per saggiarne la consistenza e si sarebbe persa ad osservare i riflessi del sole colorarli di lucentezza nuova. Dio se era bello! Anche di spalle, gessato in un abito nero lucido che accompagnava perfettamente ogni sua forma maschile e armoniosa.
“Elena ci sei??!” scherzò sua zia vedendola un minuto di troppo ferma sulla sua immagine.
 Fu Care a rispondere per entrambe.
“Jenna non scherzare! Elena quell’uomo è un guscio vuoto, è uno stronzo con un bel faccino, e allora? Stefan è l’amore della tua vita!” insistette decisa come spesso accadeva da quando le aveva raccontato gli ultimi risvolti della questione.
“Non è un guscio vuoto! – precisò alterandosi appena – Ok, so che forse non avete un passato limpido e non pretendo che andiate d’accordo. Io non so cosa provo e sarei felice di avere il vostro supporto mentre tento di scoprilo!” le spiegò con fin troppa calma, tentando di farsi capire preservando però il rapporto di una vita. Guardò anche Jenna che le osservava in disparte.
“Io continuo a pensare che sia uno stronzo!” insistette la bionda spazientendola.
“Beh quando lo dicevo io non ti ha destata dall’aprirci le gambe!” le fece presente tagliente e risentita. Care sgranò gli occhi sbigottita.
“E comunque per me c’è sempre stato negli ultimi mesi!”
“Grazie! Voleva entrarti nelle mutande!” osservò  stridula la bionda.
“Ragazze basta! Nessuna di noi ha molta fiducia in Damon, ok? Ma le persone cambiano Care – si intromise Jenna rivolgendosi prima all’una, poi all’altra – Tu vacci soltanto piano, cerca di fare chiarezza prima di buttarti a capofitto!” le consigliò saggia con un gran sorriso rassicurante.
Jenna aveva ragione, si stava battendo per un qualcosa che neanche era sicura di poter avere. Nemmeno ci parlava più con lui dall’ultima discussione! Sbuffò incasinata. Quella serata proseguiva di male in peggio.

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Capitolo 16
*** CAPITOLO15 ***



POV DAMON


La grande tenuta del sindaco Lockwood quella notte era finemente ornata da eleganti nastri in tulle, tappeti rossi e oro e lunghe tavolate ricoperte in pizzo. Una cascata di luci si riversava  dal soffitto immergendo gli invitati in una rete stellata e in fondo alla maestosa sala spoglia di ogni arredo dove tutti avrebbero ballato si ergeva una scalinata in marmo dalla quale sarebbero scese una ad una le dame della serata nell’annuale concorso natalizio di Mistic Falls. Nessuna luce rischiarava la scala, se non quella tenue color rame del grosso albero di Natale al suo lato: un folto abete alto più di due metri, addobbato e circondato da un mantello a intermittenza che colorava i loro volti di un pallido oro, così come le pareti della stanza sulle quali proiettava insoliti giochi di luce.
Quella tradizione era da sempre dedicata al Natale e all’eleganza, e vedeva, ogni anno, le giovani donne del piccolo paesino danzare tutta la notte dell’antivigilia con un cavaliere scelto. Lo scopo era vincere il concorso ed essere eletta Miss per eleganza e bellezza, ma qualcuno diceva anche che le coppie che ballavano in quella notte sarebbero rimaste insieme per la vita. Non ci aveva mai creduto, ma sorrise al solo pensiero che Stefan non era lì, e lui si … nonostante non fosse il suo cavaliere.
“Senti Ric, chi è l’accompagnatore di Elena?” domandò sottovoce.
“Matt”
“Matt Donovan?”
Non riuscì a trattenere una smorfia schifata all’idea che quel biondo quoterberg pompato l’avrebbe accompagnata.
“Eh – l’uomo scrollò le spalle con sufficienza – a quanto pare tuo fratello le ha dato buca ma Jenna non vuole dirmi perché! Tu sai qualcosa?” si lamentò contrariato.
Un fiotto di saliva gli andò di traverso “Lascia stare. Prestami cento dollari”
“Che? Non se ne parla! Ho perso il conto dei dollari che mi devi! Non sono la tua banca personale”
“Dai Ric non fare il tirchio! – insistette – è per una giusta causa!”
“Ah ecco! Tu mi derubi e alla fine il tirchio sono io”
“Io non rubo, prendo in prestito”
Si trattenne dal ridere consapevole dell’assurdità delle sue parole. Assurdità confermata anche dall’occhiata torva che gli riservò l’amico.
“E’ l’ultima volta!” lo avvertì minaccioso sfilando il pezzo da cento dal portafogli. Lo sapeva! Ric era un fratello maggiore per lui, e per quanto si lamentasse non era mai stato capace di negargli nulla.
Afferrò al volo la banconota e si avviò spedito verso il gruppo di cavalieri in attesa. Eccolo lì, biondo e scialbo come lo ricordava, forse soltanto più muscoloso e pelato.
“Ehi Matt – attirò la sua attenzione con destrezza e faccia tosta sventolandogli la banconota sotto il naso – Ci tieni davvero  ad accompagnare Elena Gilbert?” lasciò sottintendere le sue intenzioni che il giovane afferrò al volo. Per fortuna era scaltro oltre che slavato.
“Beh … se insisti”
“Smamma”
“Ok”
Gli strappò fulmineo i soldi di mano e senza farselo ripetere due volte si allontanò a passo svelto.
Si posizionò soddisfatto al suo posto e d’un tratto il nodo della cravatta parve da allentare, la temperatura della sala salire di diversi gradi, e quell’attesa divenne estenuante. Era agitato. L’avrebbe stretta di nuovo, avrebbe trovato l’occasione per parlarle. Ma più di tutto si rese conto di essersi appena esposto come uno stupido rammollito. Era agitato perché per la prima volta volle credere davvero alle dicerie su quella notte.
 
POV ELENA


Quando arrivò il suo turno di scendere la lustra scalinata in penombra aveva i nervi a fior di pelle. Ok, era una stupida competizione provincialotta, nulla da temere, nulla di cui agitarsi, si ripeteva di continuo, ma il mantra sussurrato a cantilena non sortiva nessun effetto. Sua madre avrebbe pianto nel vederla scendere quelle scale, sarebbe stata orgogliosa di lei. Quel ballo era il sogno di Miranda, che proprio  in una di quelle serate aveva danzato con suo padre, e continuava a ripeterle quanto fosse magica quella notte. Credeva nelle fiabe sua mamma, ed era morta prima di vederle realizzate anche per lei.
Era tesa e tremante mentre si immergeva nell’oscurità della pista e i suoi occhi si abituavano alla fioca colorazione oro cominciando piano a distinguere i volti ai suoi piedi. Ric e Jenna, stretti e sorridenti, Jeremy al contrario, musone e sfiancato. Una folla intorno a loro di visi familiari o meno, e poi dinanzi a tutti, in fila, i cavalieri. A pochi passi, serio e perfettamente a suo agio … Damon. Sussultò sgranando gli occhi, in bilico tra lo stupore e la stizza. Che ne era di Matt? E quel’erano le intenzioni di quel pazzo? Di certo era splendido, incantevole nella luce calda che gli accarezzava il volto armonioso, risaltandogli le lastre ghiacciate degli occhi. Fasciato da uno splendido vestito nero in connubio con i capelli corvini e ribelli. Era bello, con l’espressione incantata e adorante, più ardente di quei bagliori.
Gli afferrò la mano con delicatezza sotto lo sguardo stupito degli altri partecipanti, degli ospiti, di Ric e di sua zia, facendosi guidare da lui al centro della sala, troppo stordita per prendere l’iniziativa da sé.
“Che ci fai tu qui?” sibilò tra i denti quando furono abbastanza lontani dagli altri e una musica dolcissima aveva preso a risuonare nell’aria invitandoli a posizionarsi.
“Cercavano un cavaliere”
“Non è vero, c’era Matt” obiettò nell’esatto istante in cui lui la strinse con possessione.
“Appunto: c’era. Non c’è più”
Optò per il silenzio mentre si lasciava finalmente andare a quella melodia, e dai suoi passi perfettamente coordinati e a tempo. Volteggiò con lui per la sala, intontita, quasi inconsapevole, plasmata dalla sua bravura, vezzeggiata dallo strusciare morbido dei lunghi vestiti sui pavimenti in marmo. Nel muoversi il chiarore delle illuminazioni ondeggiava a sprazzi sui loro volti immergendoli in un’atmosfera surreale, incantevole. E quello sguardo, incantato almeno quanto il suo, e dolcissimo, non perse i suoi occhi per un solo istante. Forse era quella notte ad essere magica davvero, ma lei vide l’amore. Glielo vide disegnato tra le pieghe del volto, nel suo modo di cingerle i fianchi con delicatezza, nelle dita leggere  che le carezzavano la schiena scoperta, coccolandola e cullandola. Lo vide nei loro movimenti lenti, in quel suo sorriso appena accennato che non lasciò per un solo istante. C’era amore nell’aria, tra di loro, in quel ballo, nelle dolci note che li accompagnarono, negli applausi che vi seguirono troppo presto, quando poi furono costretti a sciogliersi e separarsi, quando i loro occhi si seguirono minuziosi anche mentre si allontanavano.
 

Due ore più tardi il titolo di miss Mistic Falls fu dato, come previsto, a Care, e nonostante la delusione iniziale si rese subito conto di non averlo mai voluto davvero. Lo voleva per sua madre, per Jenna, ma mai un solo attimo lo aveva desiderato per sé. Quindi si congratulò con la vincitrice e si godette il resto della festa tra balli, chiacchiere di circostanza, sguardi fugaci a un Damon impegnato con innumerevoli volti spesso sconosciuti, pensieri inopportuni da sopire, troppe domande cui rispondere. La soluzione era presto diventata lasciare la pista e godersi lo spettacolo dalla sua angolazione preferita: il tavolo degli alcolici. Non che in realtà ne avesse voglia o bisogno, ma da lì osservare in disparte era più facile.
“Ragazzina cos’è quel muso lungo?”
Nonostante il nomignolo in varie occasioni usato come dispregiativo la dolcezza del timbro di voce e l’apprensione dimostrata nell’essere andato a cercarla le lasciarono una dolce sensazione.
“Dov’è Matt?”
“Si è venduto al miglior offerente. Cioè io”
“L’hai pagato per andarsene?!?” chiese allibita.
“Tecnicamente … si. “ si accompagnò ad un sorriso malandrino che gli donava maledettamente. Non seppe se riderne o esserne lusingata, se rimproverarlo o ringraziarlo per averle appena regalato la serata più bella della sua vita, mentre scuoteva la testa in segno di disapprovazione.
“Potevi semplicemente chiedere” puntualizzò.
“Pensavo ti accompagnasse Stefan!”
Si rese conto soltanto in quel momento, nell’ascoltare quella giustificazione, di quanto le cose fossero cambiate e di quanto Damon ne fosse all’oscuro. Una paura inedita per lei la pervase. Paura di lui, di quei sentimenti prorompenti e disarmanti che era sempre più difficile controllare.
“Noi … siamo in pausa – esitò – credo”
“Perché?”
Non risuonò come una domanda, quanto piuttosto come un’accusa. Spostando lo sguardo su di lui capì che già sapeva. Sapeva tutto.
“Stefan pensa che provi qualcosa per te” tremò nel dirlo, come se quell’ammissione le costasse fatica. Calò il silenzio tra loro, e lei trattenne il respiro sfiancata dai suoi occhi luminosi e indagatori.
“E’ così?” le chiese guardingo, chiuso in difensiva. Quel suo atteggiamento scettico non l’aiutava a prendere sicurezza. Inspirò profondamente, a disagio.
“Io non … non … non lo so” balbettò paonazza.
Damon annuì in silenzio, mentre per la prima volta spostava lo sguardo dal suo per perderlo in chissà quale riflessione. Non sentirlo più addosso le permise di riprendere a respirare, e di percepire di nuovo i rumori confusi e lontani della sala. Tutto discorreva regolare intorno a loro, tutto procedeva normalmente mentre lei faticava ad estrapolare un qualche discorso coerente dalla matassa di pensieri confusi.
“E come pensi di scoprirlo? Aspetti che sia io a sbagliare qualcosa come mio solito così da decidere al posto tuo?” domandò al termine di una lunga pausa, terribilmente calmo e di nuovo assorbito da lei.
“E’ quello che fai Damon – lo accusò tremante – tu  … – faticava a portare a galla paure inconfessabili – tu saboti le cose tu  … – ingoiò a vuoto,  infastidita dalla gola secca e dal corpetto improvvisamente troppo stretto – ogni volta che qualcosa non va come vorresti, ogni volta che c’è un imprevisto tu … dai di matto. Come l’altro giorno in azienda – gli ricordò  esitante – quando sei nervoso, o deluso, discuti con tuo padre, con Stefan, tu … mi tieni fuori. Ogni volta che ti arrabbi  … ti chiudi.  Io cerco di avvicinarmi a te, e tu mi allontani!”
“Io ti allontano perché ti amo!” le spiegò d’impeto, tutto d’un fiato congelando entrambi. La sala e il rumorio asfissiante scomparvero, sostituiti dal battito impazzito del suo cuore, dagli occhi sgranati e riflessi nel mare dei suoi, dal respiro corto, dall’emozione che le salì alle gote colorandole appena. Spense ogni pensiero coerente  e capacità di spiegarsi. Restò immobile, persa nell’enormità di quelle parole, nelle conseguenze di quel sentimento, per lei, per loro, per Stefan.
“E se non ci fossero più discussioni o imprevisti? – le domandò speranzoso, prima di rindossare la sfiducia e lo scetticismo di poco prima – E’ solo questo il problema? O c’è anche quello che provi per Stefan? Dovrai capirlo da solo Elena, non ti renderò le cose facili. Non sarò io a sabotarci”
Era rimasta di pietra, per tutto il tempo, dal momento in cui le aveva confessato il suo amore, era riuscita a malapena a respirare. Lasciò che le parlasse senza replicare, lasciò che la sorpassasse, che la inebriasse col suo odore nell’attimo in cui le toccò una spalla per allontanarsi, lasciò che andasse via senza una parola. Aveva già detto tutto, lui. Aveva già fatto tutto. Restò così, in un angolo, ancora per molto, forse troppo tempo, con gli occhi fissi nel nulla, un inconsapevole sorriso a darle luce al viso, rumorose sensazioni a sfiancarle l’anima e il cuore in tumulto nel petto.

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Capitolo 17
*** CAPITOLO16 ***




POV DAMON

Scosso e ancora indignato  attraversò la sala a grandi falcate senza curarsi degli sguardi confusi di qualche conoscente nei paraggi, non si curò nemmeno di Ric che era a pochi passi da loro e molto probabilmente aveva ascoltato tutto. Anche a giudicare dall’espressione apprensiva e accorta che gli rivolse.  Si diresse spedito verso il guardaroba alla ricerca del soprabito e di aria pulita. Quale fosse il resoconto della serata non lo aveva capito, l’unica cosa palese era che, a dispetto delle fastidiose titubanze, anche lei provava qualcosa, e che Damon Salvatore si era rammollito del tutto.
Dirle che l’amava era stato stupido e sconsiderato: il segno della sua dipartita. Si era esposto, nudo e fragile, e non avrebbe più potuto tirarsi indietro. Ormai lei sapeva.
“Cos’hai intenzione di fare?”
L’amico, come presunto, gli era corso dietro.
“Procurarmi una bottiglia di bourbon” sviò la serietà della domanda.
“E’ mia nipote, Damon… “
Una frase sospesa e appena bisbigliata con tono cauto, che però capì essere un avvertimento. Non era in vena di chiacchiere lacrimevoli e mascherati consigli. Sbuffò accorciando le distanze per poterlo guardare negli occhi.
“Pensavi che volessi innamorarmene??”
“Penso che prima di rischiare di costruirci un qualcosa che manderai all’aria come tuo solito alla prima occasione dovresti essere certo di quello che dici”
Non si meravigliò della protettività dell’uomo nei suoi confronti, ma in parte forse lo stupì la mancanza di fiducia verso di lui e quei sentimenti che era certo di provare.
“Come mai ultimamente è così importante tenermi a bada? Sono quello che sono, semmai Elena dovesse scegliermi saprebbe a cosa va incontro”
“Non pensavo che quei due un giorno potessero lasciarsi, eppure è successo. Penso che lei ci tenga molto a te per prendere una decisione del genere. Ti dico solo di non deludermi”
“Non dire stupidaggini! – lo rimproverò con un’alzata di spalle – come pensi che possa deluderti?”
“Non scapperai appena le cose andranno male, vero? Non getterai la spugna alla prima difficoltà? Non penserai di mollare tutto dopo una pessima giornata? Non sceglierai per entrambi quando lei cocciuta vorrà farlo da sé? Per tutta la vita hai vissuto da solo… devi imparare a convivere con un’altra persona, spesso sarà difficile e solo raramente è tutto magico e colorato come ce lo descrivono nei libri. Quella persona è mia nipote, una ragazza per bene che ne ha passate troppe, non ha bisogno di qualcuno che le spezzi il cuore. Lo so che ti sembrano discorsi lontani, pensi che sia presto e forse lo è, ma se le fai del male con me hai chiuso!”
“Ehi Oscar Wilde… questo lungo preambolo è un distorto consenso?” inarcò un sopracciglio perplesso suscitando nell’altro uno sbuffo risentito.
“Non fare lo stronzo! Mi hai capito?”
“Ho capito! Ho capito – alzò le mani in segno di resa, lasciandosi sfuggire un sorrisino timido– ci tengo a lei. Semmai avrò un’occasione non la sprecherò, ok? – poi mutò tono ed espressione – però vivi alla giornata! Che pesantezza amico mio!” minimizzò afferrandolo sotto braccio per invitarlo ad uscire con lui. Finse soltanto che quel discorso non lo avesse turbato, ma in fondo sapeva che Ric aveva ragione. Avrebbe dovuto davvero imparare a prendersi cura di un’altra persona, proprio lui che spesso non era riuscito a badare a sé stesso. Lui che troppe volte con stento tollerava il riflesso della sua immagine avrebbe dovuto condividere la vita. Forse non sarebbe mai stato in grado, o forse sarebbe risultato naturale farlo. Beh poco importava in quel momento… non erano altro che congetture le loro. Ma ciò di cui fu sicuro era che mai e poi mai sarebbe stato in grado di vederla andar via.
 

Al suo rientro era notte fonda. L’aria umida e pesante prometteva un Natale imbiancato, e una fitta coltre di nuvole cariche non lasciava trasparire il cielo stellato al di sotto, oscurando la terra di un buio innaturale. Non un rumore o un suono lontano a fargli compagnia, soltanto qualche eco forse immaginato. Rabbrividì mentre apriva il pesante portone di casa rendendosi subito conto della differenza di temperatura. Non era buio il salone come credeva, ma la luce ondeggiante del fuoco vivo nel caminetto si rifletteva a schizzi sulle pareti in legno, sui mobili di antiquariato e il grosso divano in pelle sul quale vivida parve la sagoma di Stefan. L’ultima persona che avrebbe voluto incontrare, il fratello al quale avrebbe dovuto delle spiegazioni.
“Com’è andata?” domandò atono, inespressivo. Non poteva guardarlo negli occhi essendogli alle spalle e incoraggiato da quella posizione nascosta raccontò in un sospiro:
“Me ne sono innamorato … e non rinuncerò a lei senza combattere. Non chiedermelo”
Il suono di un sorriso amaro riecheggiò tra di loro.
“Ho smesso di chiederti qualsiasi cosa tempo fa”  sputò a denti stretti. Questa volta sel’era meritata, non era in diritto di replicare, chiedere perdono o pretendere chiarimenti. Di nuovo una donna li aveva divisi, ed era stato lui a permetterlo, a volerlo, non aveva giustificazione alcuna, soltanto la consapevolezza di impazzire senza di lei.
 

POV ELENA

La mattina della vigilia di Natale le fu impossibile riposare oltre considerati i propositi di Jenna di rendere quella casa il regno di babbo Natale. Beata lei e il suo instancabile buon umore, pensava infastidita mentre a piedi nudi percorreva le scale approdando in un salottino che avrebbe potuto scommettere non era il loro …  Un largo abete comparso da chissà dove ai piedi del divano rischiarava a intermittenza le pareti di un blu acceso, ai suoi piedi una massa informe di bustine e scatoline, probabili regali per ognuno di loro. Il camino imbrattato da fili e tulle color oro che vi scendevano ai lati in morbide e luccicanti onde. Alle finestre diversi adesivi a tema natalizio davano verso l’esterno.
Incredibile cosa avesse montato su in poche ore.
“Jenna… penso di aver incrociato babbo Natale al piano di sopra” raccontò ironica alla giovane che intenta a posizionare i suoi soprammobili natalizi preferiti, non si scomodò dal suo compito.
“Ahahahah –finse una risata – se non sei dell’umore adatto accomodati pure di là con il resto dei guastafeste” la invitò a dileguarsi. Non se lo fece ripetere e sgattaiolò in cucina prima di darle l’occasione di cambiare idea e affidarle qualche commissione indesiderata. Nella stanza accanto ci trovò Ric e Jeremy con visi assonnati e affranti.
“Ha svegliato anche voi?” ridacchiò alla vista dei due sonnacchiosi uomini.
“All’alba” precisò Ric porgendole una tazza di caffè fumante.
“Sei ancora in tempo – si intromise l’adolescente – nessuno ti giudicherà se la mollerai all’altare”
“Sei un pessimo nipote!” lo rimproverò scherzosa.
“Non sono io! E’ lo spirito del Natale”
“Beh in teoria lo spirito Natalizio rende più buoni” rifletté l’uomo portandosi distratto un biscotto alle labbra.
“Con mio fratello non funziona. Lo rende solo più acido”
“Ah non è lo spirito Natalizio, è stata la sveglia all’alba a inacidirmi – si intervallò con uno sbadiglio – sentite… io vado a rimettermi a letto. Chiamatemi quando è pronta la cena” ruotò il collo indolenzito afferrando alla cieca un biscotto dal centrotavola prima di sparire, così da lasciarle libero il posto sulla penisola accanto a Ric. Tanto valeva approfittarne per fare colazione, già che ormai era sveglia.
“Senti Ric – tracimò incerta. Sapeva già cosa gli avrebbe voluto chiedere, ma non come farlo – hai per caso sentito… Stefan?” deviò all’ultimo, incostante.
“So che stamattina partiva con il padre per le feste”
“Anche Damon?” chiese in panico, abbandonando la tazza sul ripiano.
“No … se anche lo avessero invitato, e non l’hanno fatto, non sarebbe andato comunque. Gli ho detto di venire qui visto che era solo”
La buttò lì, con noncuranza, ma a lei parve la stesse più che altro provocando, per tastare la sua reazione. Un misto di pena per lui e gioia nell’averlo lì che era certa non avesse mascherato come voluto.
“Ehm … e sei sicuro che viene? Dopo …” si arrestò non sapendo se era il caso di continuare.
“Dopo ieri sera?”
Un pezzo di biscotto le andò letteralmente di traverso. Tossì rumorosamente.
“Tu…”
“Vi ho sentiti”
“E?”
“E … niente che non avessi già intuito. Che Damon ci tenesse a te lo avevo capito da un pezzo, non avevo afferrato… in che misura ci tenesse”
Ric era forse la persona che più conosceva Damon, che più di tutte avrebbe potuto capirla e non giudicare quello che provava per lui. Spinta da quella speranza si scoprì.
“Cosa dovrei fare secondo te? Come posso mettermi tra di loro? Sono fratelli”
“Tu sei già tra di loro – le fece notare ovvio – e prima di te Katherine. Sono loro a permetterlo. Si tratta solo di capire cosa vuoi tu”
Inspirò cauta prendendo a parlare.
“All’inizio, dopo la morte dei miei, c’era qualcosa nello stare con Stefan che mi faceva sentire al sicuro – riflettè a testa bassa con gli occhi persi nel liquido fumante – lui era … il mio porto sicuro. Mi dava certezza, non mi avrebbe mai abbandonata. Stare con lui mi ha dato una ragione per continuare a vivere. E allora ho sempre pensato di dover amare una persona che riesce a farti sorridere nonostante tutto, che ti rende felice di essere viva” confidò a cuore aperto. Ric le sorrise amorevole, osservandola minuzioso e paziente.
“E Damon?”
Damon … il punto di domanda. Faticò a riprendere parola. Dare una definizione a quello che sentiva per lui le risultò quanto mai impossibile. Sospirò arresa.
“Damon mi ha colta alla sprovvista – ammise con fatica – mi è entrato nel sangue e qualsiasi cosa io faccia – scosse la testa, forse per la prima volta davvero sincera con sé e con il mondo – non riesco a liberarmene”
Il solo dirlo ad alta voce lo rese reale e la sconvolse più di quanto avrebbe voluto. Alzò lo sguardo verso Ric che la scrutava attento, pronto a prendere parola.
“Quando ami una persona non so se riuscirai mai a liberartene …” le raccontò senza aggiungere altro, non le disse cosa fare, né cosa avrebbe voluto per lei. Tipico di Ric, mai inopportuno o indiscreto, ma giudizioso spettatore delle loro vite. E anche quella volta non invase il suo spazio, raggiunse Jenna in salone lasciandole un’ultima carezza paterna tra i capelli.
 

Il pomeriggio di quella tedia vigilia fu proprio la sua voce squillante e allegra a destarla dal pisolino pomeridiano.  Aprì gli occhi con lentezza per abituarsi gradualmente ai rumori e alle luci del salottino, la tv ancora accesa trasmetteva come ogni Natale “Barbie e lo schiaccianoci”, le luci dell’albero riflettevano su di lei e tutto intorno un balletto scoordinato di colori. Lui le era alle spalle, probabilmente ancora sul portone d’ingresso. Sentiva il suo odore, percepiva il calore della sua presenza seppur lontana, e poi lo sentì borbottare ironico con Ric e non ebbe più dubbi, sorrise.
“C’è una renna parcheggiata in giardino” avvertì scherzoso l’amico.
“Damon non ti ci mettere pure tu ti prego! Quella donna – probabilmente indicò Jenna, ma potette soltanto immaginarlo – è fuori di senno! Stamattina mi ha svegliato alle sei”
“E io che credevo queste occhiaie fossero frutto di una notte bollente”
“Troppo ottimista”
Udì il tonfo di una pacca sulla spalla e a seguirne una risata comune.
“Sei ancora in tempo per scappare via con me”
“Il mio futuro marito non verrà da nessuna parte!”
L’improvviso entrata in scena di sua zia spaventò lei in ascolto e probabilmente anche loro, che restarono in silenzio pochi secondi, ma Damon non era il tipo da restare a corto di parole.
“Ehi! Notavo il clima un tantino…”
“Esagerato! Dillo pure liberamente” lo anticipò l’altro.
“Beh pensavo di essere finito al polo nord”
“Guastafeste!” soffiò irata sua zia, poi sentì dei passi leggeri allontanarsi, probabilmente i suoi.
“Permalosa?”
“Nevrotica!” concluse Ric un istante prima che Jenna lo chiamasse dalla cucina, probabilmente intenzionata ad affidargli chissà quale arduo compito culinario. Si scusò allontanandosi e invitò Damon a mettersi ad agio, come se non lo avesse fatto comunque.
Sentì infatti i suoi passi avvicinarsi, e perse il controllo del battito mentre serrava gli occhi con forza, fingendo di dormire. Percepì lo spostamento d’aria provocata dal suo corpo sempre più prossimo, e poi il respiro cadenzato e ritmico in lontananza. Avrebbe voluto guardarlo negli occhi e studiare la sua reazione nel trovarla lì, ma era più semplice fingersi addormentata e non doverlo affrontare.
Lo ascoltò ancora sospirare profondamente e un attimo dopo avvertì la sua mano sul viso, le lunghe dita calde sfiorarle con gentilezza una guancia. Non invasive o fastidiose ma caute, a malapena udibili in una carezza delicata.
Di riflesso spalancò gli occhi. Voleva vederlo.
 

POV DAMON

Era come ipnotizzato da lei, dalla sua pelle olivastra e dalla colorita morbidezza delle guance, dall’eleganza dei lunghi capelli adagiati sul cuscino e sparsi alla rinfusa intorno al viso, dalle mani abbandonate lungo i fianchi e dal soffio regolare del suo respiro addormentato. Era come ipnotizzato quando allungò una mano per saggiare la morbidezza della sua pelle.
Fu come folgorato quando lei schiuse gli occhi permettendogli di accedere al cioccolato fuso delle sue iridi.
Trattenne il respiro per la sorpresa, immobile dinanzi alla sua bellezza e allo sguardo liquido e fisso su di lui.
“Buongiorno dormigliona”
Ritirò la mano come scottato faticando a riprendere controllo e scioltezza, e per riuscirci fu costretto ad allontanarsi e posizionarsi ai suoi piedi, in un rettangolo di cuscino non occupato.
“Che ore sono?”
“Le cinque… non dirmi che guardavi Barbie e lo schiaccianoci!”
L’accusò ostentando una calma e leggerezza che non aveva.
“Ehi! – gli lasciò un buffetto sulla spalla alzandosi a sedere – era il mio cartone preferito”
“Non so perché non ne avevo dubbi” roteò gli occhi buffo e inorridito.
“Guardiamolo insieme” propose scherzosa.
“Scordatelo! Ne va della mia virilità”
Arricciò il naso e sbatté le palpebre.
“Non se ne parla!”
Rifiutò cocciuto ignorando l’adorabile espressione di supplica.
“Sei un prepotente”
“Sono un uomo  – la corresse pignolo – non puoi castrarmi in questo modo”
“Non hai spirito di sacrificio” lo accusò con il broncio costringendolo a spalancare la bocca sbalordito.
“Sopporto te! – le fece notare – il mio spirito di sacrificio va ben oltre l’ordinario”
“Blablabla – coprì le sue parole con urla cantate – come prego? Non ti sento”
“Ah, non mi senti? – le chiese intestardito ad alta voce – questo lo senti?”
Si gettò di slancio su di lei costringendola a ricadere supina sul divano, e troneggiando sicuro su quel corpo caldo e invitante si precipitò di istinto sulle sua labbra.
Non si diede il tempo di guardarla negli occhi per rischiare di cambiare idea, non si concesse di riflettere e pensare alle conseguenze. Colse l’attimo e fece semplicemente quello che avrebbe dovuto e voluto fare da settimane, forse mesi. Abbandonò la stramba idea del solletico e si buttò. Fece il suo passo nel vuoto.
Sotto di sé la percepì irrigidirsi per qualche secondo e trattenere il respiro sorpresa mentre la risata cristallina si spegneva nell’incastro perfetto delle loro bocche.
Il primo contatto fu titubante, lei lo era, e le sua mani che si mossero ad intrecciargli il collo, tremavano come foglie e nessuno dei due ebbe il coraggio di approfondire quell’unione di labbra e fiati.
“Adesso ti sento” boccheggiò in un lamento roco dentro la sua bocca strappandogli un sorriso.
“Posso fare anche di meglio” l’avvertì ansante infilandole una mano alla base della nuca per avvicinarla ancora.
E in un attimo quel contatto lieve divenne un incrocio di lingue, un scambio di anime e salive, un’incontrollata danza di bocche in cerca di uno scontro, con vigore, possessione e brama. Assaporò ogni angolo di quella bocca che per troppo tempo aveva desiderato a vuoto, ingoiò avido ogni suo sospiro, le marchiò con forza le labbra, mentre la stringeva possessivo e fuori controllo.
E lei era lì, c’era davvero, lo voleva quanto lui, lo sentiva dal tamburellare impazzito del suo cuore che continuava a scontrarsi al torace teso accasciato su di lei, lo percepiva dal respiro irregolare e dal dolce ansimare strozzato ogni qualvolta approfondiva il bacio.
“Damon? mi serve una mano!”
L’urlo attutito di Jenna li sorprese in quel momento di beatitudine costringendoli a porvi fine. Sbuffò indispettito mentre riaprendo gli occhi la ritrovava rossa in viso e ansante quanto lui.
“Arrivo! – gridò svogliato alla donna, poi ripose l’attenzione su di lei, che lo scrutava silenziosa e a corto di fiato – so come farmi ascoltare quando voglio” le fece presente fiero allontanandosi controvoglia con un’aria beata che era certo non lo avrebbe abbandonato per un po’.

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Capitolo 18
*** CAPITOLO17 ***




POV ELENA

“A cosa serve dell’ananas?” domandò Damon con una buffa espressione interrogativa mentre afferrava il frutto da un mucchio disordinato al suo fianco.
“E’ ottimo da mangiare”
“Non lo avrei mai detto”
Inarcò un sopracciglio perplessa “Stai scherzando? Non hai mai mangiato un ananas?”
“Piuttosto… - sviò scocciato – ricordami perché siamo qui”
Adagiò distratto l’acquisto nel carrello stracolmo.
“Facciamo la spesa?” gli suggerì ovvia con sarcasmo.
“Le zitelle fanno la spesa! Le mogli fanno la spesa! Io non faccio la spesa”
“Preferivi ripulire le interiora del tacchino?”
In risposta scosse la testa disgustato.
“Ecco appunto! Stai zitto e seguimi”
“Ehi ragazzina! Ci stai prendendo gusto a dettare legge?”
Si arrestò a metà della corsia tra i surgelati e le casse. Ora aveva tutta la sua attenzione, lui e il suo broncio esagerato e quel continuo frignare indispettito.
“Veramente è stata Jenna a dettare ordini, è inutile che davanti a lei fai il soldatino di piombo e poi ti lamenti con me!” cacciò la lingua indispettita.
Averlo tra i piedi, discuterci, prendersi in giro, aiutava entrambi a restare lucidi dopo quel bacio e la passione esplosa irrefrenabile. L’insistenza di Jenna, poi, nell’ordinargli quella commissione ai grandi magazzini li aveva convinti dell’inutilità di desistere. Tanto valeva obbedire, sarebbero rimasti perlomeno in un luogo pubblico, impegnati a fare altro, avrebbero tenuto la mente occupata, gli ormoni sopiti e le mani a posto. Ma era così difficile… così difficile dopo aver sentito la passione del suo abbraccio, l’irruente tocco della sua lingua, il desiderio delle sue labbra… così difficile fingere di non volerlo ancora, ogni secondo, mentre battibeccavano come una vera coppia tra gli scaffali di un supermercato, mentre la esaminava con due pozze color cielo vispe e felici come mai, con le guance arrossate dal freddo e l’aria distesa e cristallina.
“E’ vero non ho osato contraddirla, e nemmeno tu!”  le ricordò orgoglioso e impertinente poggiandosi con un gomito sul poggiamano del carrello che lei di tutta risposta afferrò rapida dal lato opposto tirandolo verso di sé. Colto alla sprovvista perse l’equilibrio rischiando di sbilanciarsi in avanti.
Rise di gusto mentre lui scattava indispettito, e nel tentativo vano di sfuggire riuscì a malapena a voltargli le spalle, prima di ricadere prigioniera delle sue braccia.
“Attenta piccoletta – le soffiò all’orecchio – non giocare col fuoco …”
Un brivido caldo la percorse per intero portandola a tremare mentre stretta a lui lo sentì posarle un bacio languido dietro l’orecchio, risalire verso il lobo, lento e ritmato, profondo al punto giusto. Al diavolo il pericolo di essere visti! Incapacitata a reagire si lasciò voltare, mansueta e ad occhi chiusi. Fremeva per averlo, e lui era distante solo un palmo, sentiva il suo fiato incendiarle le labbra, il preavviso di quel bacio tanto agoniato.
Ma Damon era uno stronzo, avrebbe dovuto saperlo.
“… Potresti scottarti”
A quel bisbigliò spalancò gli occhi stizzita ritrovandolo fastidiosamente sorridente e per  niente intenzionato a baciarla.
Si prendeva gioco di lei, lo stronzo. Troppo orgogliosa per prendere lei l’iniziativa sbuffò rumorosamente riprendendo a dedicarsi agli acquisti.
 

Il Natale era arrivato, con il freddo pungente, l’odore di zucchero e noccioline, e i multicolori intermittenti fari nella notte. Percepiva quell’aria di festa dal retrogusto amaro della perdita che in quelle occasioni era più vivo che mai, lo sentiva attutito anche in quel momento, in compagnia dell’uomo che le aveva stravolto la vita, su una panchina in ombra nella piazzetta di Misti Falls. Damon aveva insistito per fermarsi quando passando di lì all’andata avevano notato uno stand di noccioline e lei aveva detto di desiderarle, così al ritorno aveva voluto accostare nonostante le sue opposizioni.
Uno dei suoi tanti volti, quello premuroso e attento, quello più nascosto ma che lei, unica beneficiaria, apprezzava  più di tutti.
“Non c’è qualcosa nel Natale che ti fa sognare di svegliarti sotto un cipresso?” domandò insofferente mascherando con pungente ironia la sua vera inquietudine.
Damon si stiracchiò languido sgranocchiando una nocciolina appena rubatele.
“Cosa c’è che non va?” diretto come suo solito, le fece capire chiaramente di voler andare fino in fondo.
“Questo è il secondo Natale senza di loro”
“Lo so” ammise, comprensivo, regalandole un luminoso sorriso di rassicurazione. Non si impose per un attimo di mantenerlo distante, si accasciò sulla sua spalla con naturalezza, concedendosi un sospiro di sollievo. Era lui il suo sollievo.
“Mia madre adorava il Natale. Era anche peggiore di Jenna – ricordò malinconica – io e Jeremy le dicevamo sempre che esagerava, ma lei ci rimproverava e ci definiva una gioventù apatica – ridacchiò amara – se solo avessimo saputo che il nostro tempo insieme stava per finire … “
Sentì un abbraccio avvolgerle silenzioso le spalle per adagiarla al suo petto ampio, con totale naturalezza, come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Rispose a quel contatto umano pieno di calore adattandosi perfettamente a lui, completandolo come fossero due metà di un unico essere.
“Non potevi saperlo”
“Se potessimo vivere con il senno di poi faremmo scelte diverse”
“Ma se potessimo farlo davvero che senso avrebbe vivere? La vita ci sorprende di continuo, in bene e in male … sono i bei momenti come quelli brutti a renderla degna di essere vissuta” evidenziò cauto prendendo a carezzarle dolcemente la lunga chioma libera di capelli al vento.
“Bei momenti come questo?”
“Bei momenti come questo! – confermò amorevole – vieni con me!” proruppe poi, trascinandola in piedi con entusiasmo.
 

“Damon fermati!” gridò in panico, irrigidita, con le gambe malferme, aggrappata con forza alle sue spalle.
Il ragazzo rise della sua espressione praticamente terrorizzata andando a sciogliere l’abbraccio per afferrarle delicatamente le mani.
“Non è possibile che tu non sappia pattinare! Ti facevo più atletica ragazzina! – la prese in giro dolcemente tenendola ferma – potresti anche collaborare eh!”
Erano nel mezzo di una distesa ghiacciata dove Damon l’aveva condotta invitandola a pattinare. Gesto carino, vagamente romantico soprattutto la notte di Natale con un cielo limpido e stellato ad illuminarli d’argento, se non fosse per la sua inattitudine allo sport in questione.
“Io sono atletica! Ero nella squadra delle cheerleader a liceo” gli raccontò risentita.
“In un’altra vita forse”
“Ah ah quanta simpatia!”  sbottò inacidita districandosi dalla sua presa per rimanere immobile e tremolante di fronte a lui.
“Non volevo offenderti! Immagino stessi benissimo in gonnellina” apprezzò ghignando.
L’equilibrio precario su cui si reggeva la abbandonò definitivamente nel momento in cui si allungò a tirargli una sberla, e così in un attimo si ritrovò senza saper come goffamente distesa e dolorante sul ghiaccio.
Damon starnazzava liberamente divertito senza la minima intenzione di soccorrerla, mandandola in bestia.
“Ma vaffanculo! – tentò di rialzarsi con l’unico risultato di ripiombare al suolo – ahi!” si lamentò dolorante.
“Musona!” si decise finalmente ad allungarsi per aiutarla e afferrandole le mani la riportò senza sforzo alla sua altezza.
“Arrogante presuntuoso!”
“Pignola!”
Sbuffò ormai troppo arrabbiata per controbattere e lentamente si voltò insicura nel tentativo di lasciarlo lì e portarsi con sforzo ai bordi della pista, ma si accorse subito di aver perso il foulard e quando fece per tornare indietro a riprenderlo Damon l’aveva preceduta.
“Foulard!”
Lo esibì passandoglielo sorridente dietro il collo, e tirandolo poi per i lembi verso di sé le catturò finalmente le labbra in un gesto inatteso che in un solo secondo mandò in fumo la volontà di sbeffeggiarlo, lasciandole in dono soltanto un sorriso a fior di labbra e un battito impazzito.
“Pensavo non ti decidessi più”
“Non ho pensato ad altro per tutta la sera” le confidò sincero riavvicinandola un attimo dopo, impaziente e smanioso quanto lei.
 

“Cos’è quel sorrisino ebete?”
Sobbalzò presa alla sprovvista dalla voce canzonatoria e priva di tatto di Jeremy che l’aveva seguita in cucina per aiutarla a prendere la cena lasciando in attesa gli altri nel salone, e l’aveva trovata persa nel vuoto di pensieri confusi e felici.
Corrugò la fronte in allerta.
“Nessun sorriso!”
“Si invece … e a giudicare dagli sguardi diabetici di questa sera penso anche di aver capito il motivo … ha forse a che fare con un ospite indigesto lì in salone?”
“Damon!”
“Damon … il fratello di Stefan! Il tuo … ehm … ex?” le illustrò con sarcasmo il giovane passandole delle posate pulite. Cosa rispondergli? Di farsi gli affari suoi per cominciare … di mantenere il silenzio in secondo luogo … di non avere alcuna risposta soddisfacente per lui, né per sé stessa, cosa più importante.
“Jer ascolta … non … – balbettò a corto di giustificazioni arrossendo vistosamente – non dire nulla ti prego. Noi … voglio dirlo io a Stefan” terminò ben consapevole di aver detto tutto e niente, sospetto confermato dagli occhi guardinghi e confusi dell’adolescente.
“Solo … non fare cazzate” pragmatico e apprensivo, ma rispettoso e di poche parole, come sempre. Le concesse un sorriso che riuscì a scaldarle il cuore.
“Grazie … fidati di me”
Corse ad affondare nell’abbraccio familiare di suo fratello, scaldata e coccolata da quell’amore rassicurante che era la sua famiglia. Quel ragazzino era ciò che restava di tutti loro, ciò che nei momenti bui l’aveva tenuta insieme e convinta che sarebbe andata meglio.
“Ti voglio bene”
Perché alla fine della giornata era il calore della famiglia a spingerla ad andare avanti, a darle la forza di combattere. Jeremy era la sua forza.
 

“Finalmente! Pensavamo foste scappati col tacchino!” ironizzò Damon nel vederli tornare, e con lui Jenna e Ric, affamati e già posizionati al tavolo.
“Figurati Damon, non venire a darci una mano!” rimandò l’adolescente affaccendato nel trasportare ciotole colme di insalate varie e piatti puliti, mentre Elena al suo fianco posizionava al centro il vassoio con la pietanza principale.
“Io ho fatto la spesa!”
“Noi abbiamo fatto la spesa” puntualizzò lei pignola.
“Vorrà dire che Damon sparecchierà” decise Jenna, a quel punto, mettendo fine all’acceso dibattito.
“Da che parte stai? Sono io l’ospite!”
“Dalla parte di chi stasera ha cucinato e non intende fare altro fino a capodanno”
“Ah ecco allora cos’era quell’odorino di bruciato … “ la derise il nipote bonariamente, causando in lei un piccolo broncio risentito.
“Damon devi sapere che Jenna e la cucina non vanno molto d’accordo” raccontò Elena in un bisbiglio appena udibile all’uomo al suo fianco.
“Devo difendere la mia fidanzata! Ieri ha preparato una spaghettata deliziosa”
“Si certo come no! Sono andato io a comprarla al Grill” svelò Jeremy sincero con una scrollata di spalle. L’uomo si voltò verso Jenna che rispose con un sorrisetto angelico.
“Devo iscrivermi a un corso di cucina” si giustificò alzando le mani.
“Che Dio ce la mandi buona!”  le soffiò Damon ad un orecchio, approfittando del momento per lasciarle un delicato bacio sulla tempia. Sospirò spiazzata e tremante come ormai accadeva spesso in sua presenza.
“Non penso che Dio possa fare molto”
“Vi sento! – li informò Jenna risentita – e smettetela di amoreggiare!!”
Colti in flagrante schizzarono distanti fingendo indifferenza alle parole della donna, accendendo una risata sincera nel resto dei presenti.

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Capitolo 19
*** CAPITOLO18 ***




POV ELENA


“No no no! Elena torna in te! È un viscido, un approfittatore!” la supplicò la bionda Caroline con una convinzione tale da mandarla su tutte le furie, Bonnie invece se ne stava in silenzio ad osservarle battibeccarsi davanti ad una tazza fumante di caffè.
“Non ricominciare ti prego! Mi hai chiesto com’era andata e io tel’ho detto, per tutto il resto non intrometterti. Non ho chiesto la tua opinione”
Erano ormai ai ferri corti, loro che per anni aveva coltivato una profonda amicizia ora si trovarono incapaci di trovare quel giusto punto di incontro che le avrebbe salvate. Damon aveva sbagliato con lei, non lo negava né giustificava, ma quella era la sua vita, la sua storia, i suoi sentimenti. Care non lo aveva mai voluto se non per una notte di sesso, ed anche in quel caso non aveva giudicato. Lei non giudicava mai.
“E Stefan?”
“… E Stefan… ci parlerò quando torna”
“Non vi siete più sentiti?” si intromise questa volta l’altra.
“Mi ha mandato delle rose stamattina, suppongo per augurarmi un buon Natale. Penso voglia tornare alla carica” sbuffò sconsolata. Era il caso di parlargli, il prima possibile anche.
“Grazie non sa che ti strusci su suo fratello!” sghignazzò inviperita sempre lei, trascinandola al limite della sopportazione.
“Mi dici qual è il tuo problema? – urlò stridula – se ti piace tanto Stefan prenditelo pure!”
“Il mio problema è che non ti riconosco! Come puoi parlare così di una persona con la quale avevi una relazione fino a due settimane fa?”
“Tu pensi che non mi senta in colpa per quello che sto facendo?? Ogni giorno, ogni minuto mio caro giudice sputasentenze! Ma è più forte di me, mi sono innamorata ok?? Non riesco a farla finita!”
Scandì bene ogni urlo e intonazione di quelle parole che si impressero in lei nell’esatto istante in cui presero vita sulle sue labbra. Lo amava perché stava impazzendo adesso che lui non c’era, era ad Atlanta con un amico dal giorno di Natale e sarebbe ritornato soltanto l’indomani, e lei contava le ore al suo ritorno. Lo amava perché quando si erano salutati aveva seriamente pensato di chiedergli di portarla con lui, anche in capo al mondo se necessario. Lo amava perché era finalmente disposta ad affrontare la sua miglior’amica perché lo rispettasse e capisse che sotto quella scorza da duro si nascondeva un uomo meraviglioso.
Un misto di stupore e incredulità si dipinse all’istante sui volti delle amiche palesando anche il parere celato di Bonnie che ringraziò avesse almeno la decenza di tenere per sé.
“Non puoi averlo detto davvero! Dio no!”
“L’ho detto eccome invece! – ribadì cocciuta – e sai che c’è? Chiamami quanto ti sarai stancata di rompere i coglioni!”
Scattò dalla sedia in tutta fretta afferrando quello che avanzava della sua colazione intenzionata a mangiarla per strada, raccattò la sua roba e si diresse borbottando verso l’esterno.
Un’ondata di vento le sferzò sul viso, tra i capelli, al di sotto dei pesanti indumenti invernali, asciugando senza sforzo qualche dispettosa lacrima di rabbia che sgorgava dagli occhi. Care continuava a non capire, e avrebbe dovuto aspettarselo, ma lei… lei aveva realizzato tutto. Prese un profondo sospiro e compose il suo numero. Con il cuore a mille pregò che rispondesse, che lo facesse subito, prima che perdesse il coraggio di dirglielo.
“Ciao…” un dolce saluto dall’altra parte dell’apparecchio, e un sorriso spontaneo le si disegnò inconsapevole sul viso.
“Damon …” farfugliò soltanto.
“Come stai?”
“Bene… tu? – un suono familiare che le parve un suo sospiro soffocato e temette che il coraggio venisse meno, così non aspettò che lui rispondesse – senti Damon … so che avevamo detto che ne avremmo riparlato al tuo ritorno … ma … non ho potuto più aspettare”
“Elena se …”
“Stai zitto e ascolta! – lo mise a tacere con fermezza – oggi è successa una cosa, una discussione che non sto qui a raccontarti … io ho capito una cosa. Forse sarà la lontananza, o questa stupida aria natalizia – sorrisero all’unisono senza volerlo – ti amo Damon – gli confidò con voce rotta – ti amo”
Concluse dolcemente, in un bisbiglio emozionato.
Dall’altro capo non sentì alcun suono, il nulla. Uno di quei silenzi carichi di mille parole inespresse, e poi  il suono attutito di un sorriso. Un sorriso spontaneo, di quelli che scaldano il cuore e mozzano il fiato.
“Senti … prendi la macchina, ora. Vieni da me”
Sul viso le si aprì un sorriso timido, che divenne in un attimo una risatina soffocata, libera, priva di titubanze e turbamenti. Aveva smesso di nascondersi.
“Arrivo”
Attaccò con mano tremante e accelerò il passo verso l’auto che l’avrebbe portata da lui.
 

POV DAMON


L’emozione gli aveva impedito qualsiasi pensiero sensato, azione coordinata, qualsiasi idea non fosse lei. Lei che preparava una piccola valigia, lei che con voce squillante salutava la sua famiglia, lei che si infilava in auto, lei che avrebbe guidato canticchiando, come di sua abitudine. Si era persino beccato una vasta gamma di offese che si estendevano dal “rammollito” al “traditore” da Will, che era venuto a trovarlo apposta da New York per trascorrere con lui un capodanno indimenticabile, come i vecchi tempi. Peccato che fosse cambiato tutto, lui non era più un ragazzino in fuga per l’America con il suo compagno di strada e braccio destro fanfarone. Quella notte non era più un ragazzino, ma un uomo in attesa, “ammanettato” come fatto presente dall’amico, ma innamorato. Innamorato perso.
Mancavano pochi minuti alla mezzanotte quando sentì bussare alla porta e si precipitò a spalancarla. Lei era lì, sulla soglia, in attesa, sua. La sua donna dal sorriso timido e i lunghi capelli, che ora gli porgeva silenziosa una bottiglia di Champagne, con le labbra piegate all’insù.
Non si scambiarono una sola parole, la prese per mano conducendola nell’oscurità della stanza, che attraversarono per affacciarsi alla balconata che dava sulla maestosa piazza principale di Atlanta.
Una distesa di voci si ergeva dalle strade, tutti attendevano il momento riflesso nello scintillante maxischermo in fondo al lungo viale. Anche loro lo attesero impazienti, tra le urla crescenti di una folla in subbuglio,gli starnazzi festosi di centinaia di vite incrociate. Il conto alla rovescia fu accompagnato dal suo sorriso divino mentre in palese difficoltà stappava la bottiglia augurando ad entrambi un buon anno.
E mentre il 2013 nasceva accolto dal respiro esagitato della piazza in tumulto, lui le si avventava addosso, impaziente, inebriato dal profumo del suo fiato vicino.
“Buon anno a te ragazzina” le soffiò flebile all’orecchio strappandole una sorso di champagne che leccò direttamente dalla sua bocca piena.
Le afferrò i fianchi trascinandola dentro l’intimità della stanza per poterla liberare dall’ingombrante cappotto che impediva alle mani di vagare, agli occhi di pregustare. La desiderava così tanto, da così tanto tempo, che ebbe quasi paura di perdere il controllo in qualche modo, o forse di smarrire sé stesso in quell’unione agognata da sempre.  Non si diede il tempo di riflettere, in fondo non era mai stato un tipo riflessivo e non lo sarebbe diventato quella notte, non mentre aveva a disposizione una bottiglia di champagne frizzantino e la donna che amava, disinvolta e sensuale, contro di lui, nella sua bocca, tra le sue mani inquiete. La sospinse al muro afferrandole le cosce così da avere il pieno controllo del suo piccolo corpo docile e travolgente. Le percorse lentamente il viso con le labbra, scivolando dalle guance alle labbra per riappropriarsene e assaporarne appieno la tenerezza e la pienezza. Scese sulla mascella, lungo il collo respirando l’odore della sua pelle, fresco e naturale, saggiando, mordicchiando ogni millimetro, scoprendone odori, sapori, sensazioni che mai avrebbe creduto di poter sentire in una donna, in un corpo, e quando lei ansante lo riportò alla sua altezza ed ebbero modo di potersi finalmente fissare negli occhi, lui in quello sguardo liquido e attento trovò il consenso che cercava, il permesso di continuare la sua discesa, e così, bacio dopo bacio, carezza dopo carezza, spogliò e ispezionò quel corpo delizioso come sperò che nessuno avesse mai fatto prima di lui, e come mai nessuno avrebbe avuto la possibilità di fare dopo quella notte.
Il respiro strozzato e irregolare con cui lei rispondeva alle sue attenzioni rischiò seriamente di farlo impazzire, e il modo in cui delicata e insieme avida a sua volta lo liberò dei vestiti per spintonarlo verso il letto ordinato lo lasciarono interdetto, steso in balia delle sue mani per lunghi attimi di piacere.
Tutto ciò che scorse era lo sguardo famelico e rassicurante con cui lo spiava, la fierezza che le si colorava in viso a seconda dei gemiti che riusciva a strappargli, e quando finalmente gli permise di eliminare anche l’ostacolo inutile del reggiseno per issarsi poi a sedere e sprofondare il volto tra i suoi seni, fu il suo gemito sorpreso e spezzato ad eccitarlo più di qualunque altra cosa, e quel seno pieno dai tratti delicati che ripassò con i polpastrelli e con le papille gustative, fino a sentirla  gettare indietro la testa, allibita da quella provocazione quasi insopportabile, e inarcare il bacino avvicinandosi ancora alla dolorosa erezione costretta nei box.
Aveva un corpo meraviglioso, caldo e accogliente, ridefinito dall’argentea luce lunare, realizzò mentre con un gesto fulmineo la stendeva sotto di sé per prendere impaziente le redini del gioco, e lei lo seguì, passo passo, scrutandolo attenta e ansimante, con quegli occhi grandi, liquidi, ricchi di promesse e aspettative, mentre scendeva sul suo ventre, lambendolo e tormentandolo e costringendola a stare ferma con piccoli morsi scherzosi per ogni suo eccessivo inarcamento.
Le intrufolò una mano sotto agli indumenti inferiori strappandoli via con foga per potersi dedicare al suo corpo ormai completamente nudo e tremante, per continuare ad esplorarlo, gustarlo, odorarlo e sentirlo, con una curiosità ed un bisogno mai riservati a nessun’altro essere al mondo prima di lei. Prima di quella notte, prima di quel momento di assoluta perfezione.
E non ebbe bisogno di dirlo a voce quanto desiderava soltanto unirsi a lei, terminare quella dolce agonia e incastrarsi nel suo ventre fino alla fine del mondo, non ne ebbe bisogno perché fu lei che avvinghiandogli le braccia al collo e passandogli le mani tra i capelli per portarlo alla sua altezza, lo pregò esagitata e tremante di porre fine a quell’agonia, mentre con una mano leggera e irrequieta lo liberava dell’ultimo indumento rimasto a dividerli. Ed era tutt’altra cosa, sentirsi pelle contro pelle.
Boccheggiò, allibito da una gamma di sensazioni sconosciute persino per lui che si era sempre ritenuto esperto e disinibito nel sesso, ma che in quell’istante cercava nei suoi occhi fermi il permesso di proseguire, di arrivare al punto in cui nessuno dei due si sarebbe più potuto tirare indietro. Ed infatti fu lei, inarcando il bacino languida con un sospiro profondo ad invitarlo verso il punto di non ritorno, e fu quello l’addio ad un ultimo sprazzo di lucidità. Per entrambi.
Si immerse nel suo ventre con un’unica spinta, mostrando ad entrambi un incastro naturalmente perfetto, e restò così, in quella stessa identica posizione per diversi secondi, forse minuti, incapacitato a muoversi, o dire o fare qualcosa che non fosse intrecciare le dita tra le sue, in un gesto più profondo di quanto avessero condiviso fino a quel momento.
 

Di quella notte avrebbe ricordato ogni suo ansito, ogni sua singola espressione di piacere, ogni carezza o sorriso, o bacio. Ogni attimo della sua vita l’avrebbe rivista abbattere le barriere e dedicarsi a lui, senza remore né costrizioni. Perché era stato molto più che una notte di passione sfrenata e incontrollabile, per entrambi.
Avrebbe ricordato sempre il momento in cui lei aveva inclinato il viso in un sorriso dolcissimo per scostargli un ciuffo di capelli troppo lungo finitegli sulla fronte, o l’attimo in cui lui, che se l’era tirata seduta sopra e le aveva bloccato il viso tra le mani, l’aveva vista osservarlo in preda al piacere mentre si muoveva su di lui; o ancora lei che coraggiosa e sensuale lo bloccava di peso, inchiodandolo su quel letto per stendersi sul suo corpo, e che in quel momento sorrideva compiaciuta scoprendo forse quanto fosse soddisfacente ed eccitante stuzzicarlo, osservarlo contorcersi sotto i suoi affondi. Era stata disinibita e tenera, sensuale e rispettosa, maliziosa e delicata, perfetta per lui, in una notte che avrebbe ricordato per tutta la vita.
 


Spazio autrice
E' la prima volta che lascio un commento ad un mio stesso capitolo, ma penso sia semplice dedurne il motivo che mi ha spinto a farlo proprio in questo ora: la scena finale.
Non mi sono mai cimentata prima nella descizione di questo "tipo di scene" quindi non so come possa apparire ad un lettore, spero di non aver offeso la sensibilità di nessuno con descrizioni troppo dettagliate! insomma mi rende un pò insicura questa pubblicazione se non si fosse capito XD sarà che sono io stessa spesso troppo timida e pudica non saprei... mi farebbe piacere sapere se è il caso di cambiare rating, non so, aspetto in ogni caso qualche commento(spero non troppo duro)=P abbiate pietà: è la prima volta per me!! 
Ringrazio tutte le mie lettrici, soprattutto diverse di voi che spesso lasciano un commento, alle quali vorrei dire: GRAZIE! è un piacere per me leggere le vostre opinioni, siete la mia ispirazione! grazie infinite! e un grazie anche a chi segue in silenzio, a tutti coloro che hanno inserito questa storia tra seguite o preferite! spero che continui a piacervi anche nei prossimi aggiornamenti! grazie infinite a tutte voi! 

  

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Capitolo 20
*** CAPITOLO20 ***



POV DAMON


Come se la serata non fosse già proseguita nel peggiore dei modi ad allietare ulteriormente quel che restava della sua salute mentale fu Stefan che nel rientrare pensò bene di andarlo a trovare mentre chiuso in camera disfava con rabbia la valigia spostandone il contenuto tra letto e cassettiera. In realtà il suo obiettivo era semplicemente distarsi, tenere la mente occupata in qualche modo, l’ordine dei vestiti era l’ultimo dei suoi pensieri.
“Damon”
“Stefan… che vuoi?”
Non era in vena di chiacchiere tra fratelli, né di fingersi di buon umore agli occhi di chi non ne sapeva nulla e non avrebbe dovuto saperlo, per il bene di tutti.
“Non biasimarlo se ti tratta così … non riesce a gestirti e questo lo manda in bestia. E’ il suo modo di reagire a quello che non può controllare, lo sai”
“Ho chiesto il tuo parere? – scoppiò brusco in uno sbuffo profondo – no!” suggerì tagliente.
“Ti ignoro – gli fece notare il fratello intenzionato a restare – a lungo andare questo vostro odio reciproco vi distruggerà. Perché non cercate di venirvi incontro?”
Aggrottò la fronte perplesso osservandolo di sottecchi.
“L’ultima volta che ci siamo visti ci siamo dichiarati guerra per la stessa donna … cos’è questo goffo tentativo di proporti come confidente? Noi ci odiamo ricordi?”
“Noi non ci odiamo Damon! Ok, forse ho esagerato un po’ ma ho capito che se lasciarti amare lei vorrà dire avere indietro mio fratello posso accettarlo.. che vinca il migliore!”
Con un’alzata di spalle liquidò la questione in poche battute.
Qualcosa non quadrava … abbandonò ai piedi del letto gli ultimi indumenti raccolti e si diresse verso di lui.
“Parli così perché sei convinto che sceglierà te” realizzò in quell’istante, con un mezzo sorriso amaro.
“E’ impossibile che non capisca quanto tu sia sbagliato per lei… Se poi sceglierà te ci penseremo”
“Auch fratello hai trafitto il mio piccolo cuore – si portò ironico una mano al petto – chi ti dice che non abbia già scelto?”
Erano finalmente faccia a faccia, guardinghi. Nessuno si fidava dell’altro, ne erano consapevoli. Beh … come avrebbe potuto fidarsi di un tale repentino cambio d’umore?
“Dimmelo tu… ha già scelto, Damon? Ti sto dando fiducia – allargò le braccia in segno di resa – accetterò qualsiasi risposta” gli comunicò d’un tratto, a bruciapelo.
Era il momento, avrebbe potuto sinceramente raccontargli tutto, affrontarne le conseguenze e vivere la sua storia, o rimettere tutto in gioco, fingere di non aver mai vissuto quegli ultimi giorni e ridare a lei l’opportunità di riprendersi la sua vita, senza complicanze, ma con soltanto le certezze che suo fratello era in grado di offrirle.
“Non che io sappia… chiedilo a lei” concluse codardo, nel tentativo di temporeggiare, nella speranza che fosse lei a sceglierlo ancora, a farlo per entrambi. Lui lo aveva già fatto, l’aveva scelta, e l’avrebbe scelta ancora ogni giorno della sua vita.
“Non ti posso impedire di amarla, ma posso fare in modo che lei scelga me – gli spiegò paziente il minore – in fondo sono stato io a spingervi vicini, sono stato assente, troppo impegnato, e cieco. Ma io la amo, e sono pronto a tutto per riaverla”
Come non capirlo? Come biasimarlo? Innamorarsi di lei era la cosa più naturale del mondo, accadeva e basta. Era accaduto a lui, senza che se ne accorgesse.
“Che vinca il migliore”
Gli voltò le spalle senza aggiungere altro. In fondo lui aveva già vinto, soltanto … non era certo di meritarla quella vittoria.
 
POV ELENA


 Lo sfarzoso atelier ospitava e mostrava al pubblico un numero imprecisato di abiti da sposa di ogni misura, per ogni gusto. Scintillanti e lussuosi,  semplici e candidi, con ricami, drappeggi, veli, di ogni stoffa pregiata per un giorno da sempre sognato da ogni donna che vi entrava. A lei era venuto semplicemente un gran mal di testa nella confusione dei troppi modelli, o forse era il sonno perso quella notte e quella prima ancora, ma mascherava il cattivo umore con un sorriso tirato.
Lo doveva a Jenna, che ci teneva al suo parere, al coinvolgimento della sua unica nipote. E così si ritrovò accomodata su di un divanetto in pelle, riflessa in uno specchio che a tratti si riempiva dell’immagine elegante di sua zia con indosso un nuovo abito.
Tutti molto belli, alcuni più di altri, Care e Bonnie ne avrebbero presi almeno tre ad occhi chiusi ma Jenna più selettiva si ostinava a provarne di nuovi alla ricerca dell’abito perfetto.
“E così non si è fatto né sentire né vedere” osò Bonnie ritornando su un discorso aperto e chiuso ormai da un po’.
“Gli ho lasciato una quindicina di messaggi negli ultimi due giorni … nulla”
“Ti direi che tel’avevo detto …” polemizzò, come previsto, la bionda al loro fianco, soddisfatta, procurandosi un’occhiataccia di fuoco da entrambe.
“Ti ho già detto come sono andate le cose – fischiò tra i denti, inviperita – non farmelo ripetere!”
“Se sei sicura di quello che dici insisti, no? Vai da lui, non arrenderti”
“Bonnie … Damon è orgoglioso e testardo, mi ci vorrà più di una visita di cortesia per convincerlo a ricredersi, e poi sto cercando di evitare Stefan! È tornato alla carica, non voglio dargli false speranze”
“Basta dirgli che te le sei spassata con suo fratello, penso che a quel punto sotterri la speranza insieme alla considerazione che ha di te” le suggerì sarcastica l’amica. Alla sua espressione indignata e furibonda però si ridestò all’istante.
“OK, ok – alzò le mani – basta giudizi, te lo aveva promesso, scusa! Però ironia a parte il mio discorso fila! Come puoi pensare di tenere nascosta ancora a lungo la faccenda a Stefan? A parte il fatto poi che se è come dici tu – puntualizzò scettica – l’insicurezza di Damon deriva proprio da questo presunto senso di inferiorità al fratello, e mettere le cose in chiaro sarebbe un buon modo per ribadirgli che lo hai scelto”
Lei e Bonnie si scambiarono un’occhiata fugace.
“Hai capito la nostra vecchia saggia!” fu l’apprezzamento della moretta.
“E poi dicono che le bionde sono stupide”
Caroline le osservò di sottecchi con le braccia incrociate e un’adorabile broncio.
“La bionda in questione è stata dura con i giudizi perché si preoccupa, ti vuole bene e vede in Stefan la persona giusta per te”
“E in Damon il demonio” concluse l’altra ridacchiando.
In fondo poteva comprenderlo, il tentativo goffo e mal riuscito dell’amica. Sua compagna e confidente da una vita aveva soltanto tentato in modo contorto di salvarla. Ma lei non andava salvata, non voleva quello. Voleva soltanto comprensione, voleva che Damon capisse che l’amava, che Stefan accettasse quell’amore e che potessero finalmente viverlo alla luce del giorno. Ma forse era chiedere troppo.
“La caparbia stupida in questione è stata dura con te perché voleva soltanto il conforto della sua miglior’amica, e perché è certa che non è Stefan l’uomo della sua vita e vuole capire se lo è Damon”
Raccontò intenerita aprendosi ad un gran sorriso di scuse.
Caroline scosse la testa “Ti voglio bene” le rassicurò.
“Ehi! Ci sono anch’io – si intromise Bonnie, posizionata sul divano tra le due e stanca di essere scavalcata –e vi faccio notare che sono l’unica a non aver usufruito ancora dei servigi del signorino! Dobbiamo rimediare”
Ok, con quell’uscita maliziosa seppur nello scherzo ebbe la sua totale attenzione, ed anche una buona dose di disapprovazione.
“Se permetti i suoi servigi sono riservati! Se vuoi posso chiedere se ha un amico”
“Uno anche per me – alzò la mano con voce squillante Care – possibilmente questo amico deve essere single, e di sani principi!”
Non fece in tempo ad obiettare che Jenna uscì da una porticina con indosso un nuovo, meraviglioso, abito, con una profonda scollatura a cuore, candido e privo di pizzi, pietrine, pietruzze ma semplice e completamente in raso, capace di sottolinearle ogni minima curva. L’assenza di spalline e il profondo scollo sarebbe stato perfetto per il mese di maggio, insieme a quel corpetto aderente che seguiva e modellava ogni linea del corpo fino a fianchi per poi allargarsi e ricadere leggermente a trapezio dai fianchi in giù. Il suo abito! Si guardarono senza proferire parola: era lui. Era perfetto, era quello giusto. 
Annuirono sgomente all’unisono mentre la donna si voltava raggiante e commossa verso lo specchio.
“Lo voglio!”
 
POV DAMON
 

Pessima idea quella di fermarsi a bere qualcosa al Grill prima di cena, soprattutto considerando le finanze ormai asciutte, il portafogli deserto, e la sua poca loquacità e voglia di compagnia. Maledì la serataccia da buttare mentre ordinava un amaro, l’ennesimo di quella serata grigia e infinita.
“Guarda chi c’è!”
Uno squillo divertito e il posto accanto al suo era occupato. Baby Gilbert si era appena offerto di fargli compagnia. Pessima idea.
“Umore nero?”
“Non si vede?”
“Su via! Poteva andarti peggio” gli suggerì candidamente con un gran sorriso che mai come quella sera avrebbe preso a sberle.
“Peggio di così?”
“Poteva esserci Elena al mio posto”
Lo fissò aggrottando la fronte.
“Cosa sai?”
“Beh – tentò di strappargli il bicchiere ma fu prontamente fermato da un suo sguardo di fuoco – niente alcool per il piccolo Gilbert – si lamentò indignato – ti dico quello che so se mi offri da bere”
“il mio portafogli è pulito – lo avvertì – ma… mettiamo a credito”
“E quando pensi di pagare?”
“Offre Ric!” spiegò ovvio ammiccando con un sorrisetto furbo.
Per sua fortuna il ragazzo non fece troppe domande a riguardo e ordinò senza remore per entrambi.
“Ric lo sa?” rifletté poi, alla fine, quando la sua lemonsoda era già pronta al bancone.
“Certo che no!”
“Quanto gli costi a fine mese?”
“Dipende dalla mesata … glieli ridarò un giorno”
Il giovane ridacchiò, forse scettico, ma comunque intrattenuto egregiamente dall’insolito siparietto.
“Chissà perché non ti credo … ma comunque, che vuoi sapere?”
“Come sta Elena?” osò, tutto d’un fiato.
“Pensavo lo sapessi considerando il numero imprecisato di messaggi che ti ha lasciato in segreteria! Comunque … evita Stefan e perseguita te. Nevrotica più del solito”
Le parole, il tono, il sorriso furbo, gli fecero chiaramente intuire che Jeremy sapeva tutto, e che quindi era inutile trattare la questione con cautela. E forse il suo obiettivo nell’avvicinarlo era proprio quello di tenersi informato.
“Perché sei qui?”
“Vuoi davvero giocarti una domanda in questo modo?”
Da quando era diventato così criptico? Non aveva la benché minima voglia di star lì ad indagare sui suoi strani modi.
“Ehi! Mi facevi pena tutto solo, triste e alcolizzato”
“Devo essere in uno stato pietoso per suscitare il tuo interesse” ipotizzò svogliato agitando distrattamente il bicchiere già in parte svuotato del contenuto.
“Non quanto mia sorella e il suo umore altalenante … allora Damon, che intenzioni hai?”
“Sei davvero qui per difendere l’onore di tua sorella?” alzò un sopracciglio perplesso.
“Sono venuto qui per capire che se ci hai presi tutti in giro o se anche per te conta qualcosa”
Era onorevole, e tenera, la visione semplicistica e adolescenziale del mondo di cui si faceva portatore il ragazzo. O forse era amore fraterno, semplice e puro. Lo stesso amore che lui e Stefan avevano sempre messo da parte.
“Non è così semplice” concluse amareggiato
“Non lo è mai”
“Ti va un altro bicchiere?”
Dopotutto quel ragazzino non era niente male davvero. Sel’era meritata un po’ di onestà da parte sua.
“Sono innamorato perso di tu a sorella, ma non posso essere come lei voglia che sia, non sono quella persona, non sono Stefan. Non ho certezze da darle, non ho nulla da offrirle, non ho un futuro in programma per me stesso figuriamoci per entrambi”
Confidò a cuore aperto, come forse non aveva mai fatto. Indagò i suoi motivi come non aveva avuto modo di fare prima, preso totalmente da lei e da quel sentimento nascente. Lo disse ad alta voce e d’un tratto parve vero, reale: stava sabotando la cosa più bella della sua vita per la fottuta paura di non esserne all’altezza.
 
POV ELENA
 

Quella sera fu l’ultima a staccare, causa lavoro arretrato, mal di testa persistente e poca voglia di tornare a casa. Mandò finalmente il file in stampa alle otto passate, fuori tempo massimo. Per fortuna aveva degli amici in tipografia tanto gentili da concederle sempre una mezz’oretta di ritardo.
Che lavoro di merda! Sbuffò acida, e troppo di malumore per apprezzare anche soltanto l’idea di aver appena portato a termine un altro giorno lavorativo.
Ma le sorprese non erano finite … Stefan l’attendeva paziente all’ingresso della redazione. Di male in peggio. Dalla padella alla brace, una brace rovente però.
Forse aveva finalmente capito che chiamate e messaggi non erano ignorati a caso. Era stata scorretta nei suoi confronti, lo sapeva bene, ma fu certa che stesse pagando abbondantemente.
“Ciao”
“Ehi!”
Era agitato, lo riconobbe dal modo in cui quando lo era si inumidiva il labbro con la lingua, o gesticolava eccessivamente.
“Stasera c’è la festa di compleanno di Andie… ti va di andarci?”
Cazzo! L’aveva anche invitata tempo prima, ma era stata tanto presa da quella testa di cazzo di Damon da aver completamente rimosso tutto il resto. Damon … ci sarebbe stato sicuramente anche lui quella sera, si sarebbe intrattenuto con quella spocchiosa giornalista da quattro soldi! Gli doveva perlomeno la sua presenza, e poi nella peggiore delle ipotesi avrebbe tenuto sott’occhio la situazione.
“Tu odi le feste”  gli ricordò insicura.
“Tu le adori”
“Stefan …” lo richiamò, ancora titubante. Non voleva che prendesse quell’invito come una sorta di appuntamento, non voleva illuderlo in nessun modo, non era da lei e non sarebbe caduta così in basso per fare un dispetto ad un farabutto scomparso da giorni.
“Siamo amici, no? Andiamoci come tali” si affrettò a precisare, mostrandole una convinzione che non era certa fosse vera. Lo studiò dubbiosa...
  
Spazio autrice: 
buona domenica care lettrici, silenziose e non, fedeli o casuali, oggi non potevo non lasciarvi un piccolo commento! Non inerente alla storia, ma alla puntata che spero abbiate tutte visto SPOILER penso di aver pianto come una fontana per tutta la scena! e ancora dopo due giorni spesso ci ripenso e dico: Lo ha scelto! volevo condividere  con voi questa gioia e augurarvi buona lettura! Finalmente siamo state ripagate di tanta attesa, godiamoci il momento!  Tornando invece alla storia... questo è un capitolo di passaggio, spero vi piaccia nonostante non ci siano interazioni tra i due protagonisti, per quello ci rifaremo nel prossimo! volevo anche dire che penso da oggi in poi di aggiornare mediamente ogni domenica fino al termine della storia! grazie a tutte voi e niente... spero di sentirvi in tante nei commenti ^^

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Capitolo 21
*** CAPITOLO19 ***



POV DAMON


La mattina seguente lo colse silenzioso spettatore della visione più grandiosa che avesse mai avuto la fortuna di incontrare: Elena, completamente nuda nel suo letto, mossa dal respiro regolare e profondo del sonno, a pancia in giù con le mani nascoste sotto il cuscino. Da quella posizione poteva intravederne i seni schiacciati al materasso, chiari e pieni come li ricordava, e la schiena distesa e perfettamente disegnata… allungò una mano verso di lei, carezzandola docile fino all’incavo del sedere, coperto a malapena da un lenzuolo color panna, lì terminò controvoglia la sua corsa.
Che bel modo di cominciare un nuovo anno, osservò appagato  mentre si sdraiava dolcemente su  di lei, puntellandosi sui gomiti per non pesarle sul corpo. Aveva voglia di svegliarla e farci l’amore di nuovo, perdersi in lei e ricominciare ancora, poi di nuovo,e di nuovo ancora…
Con delicatezza estrema scese a donarle una delicata scia di baci lungo la colonna vertebrale,partendo dal collo, per scendere e contare ogni vertebra incontrata sul cammino, mentre la sentiva ridestarsi finalmente sotto di sé e mugugnare un addormentato apprezzamento.
Sorrise, quel gioco cominciava a piacergli.
Si mosse distendendosi completamente su di lei, e afferrandole dolcemente la nuca prese a torturarle il collo, poi la spalla, con morsi, baci languidi e vogliosi, sospiri accaldati. La sentì muoversi e lasciarsi sfuggire un lamento di piacere incoraggiandolo a proseguire con dolci massaggi che dai fianchi le arrivarono presto alle spalle, per avviarsi sulla delicata pelle delle braccia e terminare la corsa nell’incontro tra le loro mani.
 “Buongiorno” le soffiò roco all’orecchio, già completamente sveglio in ogni senso.
Un risolino civettuolo fu la risposta della ragazza
“Lasciami”
“Perché dovrei?”
“Perché so come renderti un inferno questa prigionia” ondeggiò sensualmente il sedere frizionando una già evidente e dolorosa erezione.
“Penso che potresti renderla anche molto interessante…”
Inspirò profondamente il profumo delicato della lunga chioma dispersa intorno a loro.
“Vedrò cosa posso fare per te…”
Osservò con finta innocenza che nulla aveva a che fare con quella discussione, ottenendo però in cambio da lui la possibilità di voltarsi a pancia in su, per gettarsi in un istante, istintiva e famelica sulla sua bocca.
Il contatto fu travolgente, travolgente come la sua lingua che lo cercava affamata, e lui che impotente rispondeva rincorrendola con destrezza. Travolgente come Elena che in un attimo lo scaraventò goffamente sul letto salendo su di lui, come i sospiri profondi e irregolari provocati dalla fame di quei baci che lo analizzarono millimetro per millimetro, partendodalla mascella, dove incontrando un filo di barba vi sfregò il mento, in un dolce gesto tipico di lei che gli strappò un sorriso intenerito.
Lo fissò attenta prima di iniziare la sua discesa avida verso il torace largo, soffermandosi in quella rientranza alla base del collo che sapeva essere il suo punto debole e come tale prese a tormentare, baciando, leccando, mordicchiando fino a strappargli un respiro strozzato tra i capelli.
Travolgente come il continuo di quella discesa che marchiò una piantina sul suo ventre, un percorso per ogni costola, un affondo nella carne dei fianchi, prima di arrivare alla sottile striscia di peluria che designava la via per luoghi molto più intriganti.
Travolgente come quella passione, specchio di un amore che ormai lo aveva in pugno mentre spostò le mani dai suoi capelli al lenzuolo per artigliarlo in preda al piacere.
Travolgente come il sentito vaffanculo che avrebbe gridato a chiunque stesse chiamando al cellulare di Elena, che all’insistenza della suoneria sbuffò scocciata.
“Siamo spiacenti ma dovrete richiamare più tardi, la signorina è troppo impegnata a sperimentare il sesso migliore della sua vita per rispondere al cellulare” gracchiò ironico pavoneggiandosi mentre approfittava del momento per afferrarla e riportarla alla sua altezza.
“Cosa abbiamo qui?”
Domandò scherzoso alla vista del suo seno nudo dedicandosi famelico alla nuova scoperta.
Ma il cellulare riprese a squillare.
“Che palle!” sbottò scocciata allungandosi a prenderlo, mentre lui non si mosse di un millimetro, intenzionato se non altro a renderle difficile la conversazione.
“E’ Stefan…” sussurrò però lei, preparandosi a rispondere.
Addio sesso mattutino, constatò d’un tratto non più disinibito.
 

“Ok, ciao. A dopo”
Concluse così una lunga telefonata che in più punti aveva rischiato di farlo arrabbiare sul serio. In fondo, si disse poi, non aveva alcun diritto di farlo. Era lui l’intruso, il terzo lato, quello di troppo.
Elena posò il cellulare e si voltò nuovamente verso di lui, apparentemente calma, ma non seppe dire cosa ci fosse nello sguardo che lo preoccupava.
“Dovrebbe saperlo”
Si lasciò andare stesa tra i cuscini, e lui la seguì a ruota, ritrovandosi spalla a spalla.
“Lo so”
“Gli parlerò oggi”
Annuì in risposta.
“Mi ha mandato delle rose ieri – lo avvertì senza alcuna inflessione nella voce – ora vuole parlarmi”
“Vuole riconquistarti”
E lui ne era tremendamente infastidito. Per la prima volta capì come si fosse sentito Stefan, e comprese di non avere diritto alla parola.
“Per quello è troppo tardi”
Sorrisero.
“Ha l’aereo in mattinata, in primo pomeriggio è a casa. Passo alla tenuta…  tu lascia fare a me, forse è meglio. Torna in serata”
Annuì ancora, per poi stringerla al petto, con possesso ed energia. La strinse e la cullò beandosi di quel contatto di carni e cuore, senza aggiungere inutili parole. Non ne avevano bisogno.
 

POV ELENA


Quella sera si recò alla tenuta scrollandosi di dosso il freddo pungente del cielo uggioso, tutta la carica accumulata durante quei giorni vacillò in un solo istante. Era tutto più semplice e chiaro accoccolata tra le braccia di Damon, ma ora … ora le tremavano le gambe, e i bei discorsi provati e riprovati nelle ore precedenti le parvero quanto meno ipocriti e improponibili.
Con un profondo sospiro bussò alla porta, che in pochi minuti era spalancata sull’interno mostrandole un sorridente Stefan ma non solo… Giuseppe, raggiante nella sua fine eleganza, di classe seppur in tenuta di casa. Tutto ciò la mise in soggezione portandola ad ingoiare qualsiasi frase a effetto o tentativo di intavolare un discorso.
“Papà non sa ancora di noi – le bisbigliò all’orecchio facendola accomodare – reggi il gioco”
Di male in peggio! Incollò sul viso  un sorriso ipocrita di circostanza rivolgendosi all’uomo in sala.
“Buongiorno signor Salvatore. Come mai da queste parti?” domandò con referenza, irrequieta più che mai.
“Elena! Quante volte te lo devo dire? Sono Giuseppe per te! Non essere timida – la sospinse cordialmente in salone – vieni pure cara. Hai trascorso un buon Natale? Volevo che venissi con noi ma mio figlio ha insistito perché restassi con la tua famiglia”
“Ehm già – balbettò sprofondando seduta sul divano – sono poche le occasioni per stare insieme, ci tengo a trascorrere le feste con i miei zii”
“Lo capisco credimi… la famiglia è importante. Damon l’ha trascorso con voi, giusto? Scusa per il disturbo, quel ragazzo è una spina nel fianco, ma ci sto lavorando” si lamentò duro, ma calmo in apparenza.
Corrucciò la fronte perplessa e infastidita. Cosa significasse poi quell’ultima frase la preoccupò più di quanto dovuto, ma inspirò nel tentativo di evitare il panico costringendosi ad allargare ancora il sorriso tirato.
“Nessun disturbo per noi”
Calò un silenzio teso e imbarazzato.
“Prendiamo qualcosa da bere?” proruppe Stefan.
“Ma certo!”
“Io no grazie” declinò pensierosa.
“Facci almeno compagnia! Vieni”
Fu in quel frangente che sentì scattare la serratura e il cuore prese a fuoriuscirle dal petto. Non poteva essere Damon, sperò con tutta sé stessa. Speranza vana, chiaramente, constatò un attimo dopo. Disteso e sorridente, bello più che mai, si era spento nell’attimo in cui li aveva scorti. I loro occhi si cercarono all’unisono, e i suoi, oceani stracolmi d’amore le scaldarono il cuore.
“Ragazzo! Parlavamo giusto di te”
“Non oso immaginare le belle parole spese a riguardo” tagliò seccato, ma l’uomo non si fece zittire, come previsto.
“Stavo giusto ringraziando Elena per essersi preoccupata di ospitarti a Natale”
“Scusa se ti ho arrecato disturbo” borbottò ironico, palesemente scocciato.
Stefan non disse una parola, stretto in un silenzio teso che era certa non avrebbe portato a nulla di positivo.
“Con il bel caratterino che ti ritrovi sei fortunato che tua cognata ti parli ancora”
“Cognata? … giusto… cognata” mormorò mentre lasciandole un’occhiataccia infastidita capiva anche lui che non soltanto Stefan non sapeva ancora nulla, ma persino suo padre era all’oscuro addirittura della loro rottura.
Ok, quella anomala situazione doveva concludersi al più presto, possibilmente senza sfociare in tragedia.
“Papà…”
Tentennò il ragazzo, condividendo con loro uno sguardo combattuto.
“Dimmi Stefan! Sapete cosa pensavo? State insieme da abbastanza tempo, siete giovani, belli, perché non cominciare a pensare alle nozze? Sarebbe un’ottima pubblicità per la famiglia un matrimonio in vista”
Un fiotto di saliva le andò di traverso all’assurdità di quelle parole.
“Signor Salvatore … è presto per pensare al matrimonio, siamo ancora così giovani” controbatté d’impulso, ma lo sguardo irritato di Damon e il lieve sorriso speranzoso di Stefan le suggerirono che non era proprio quella la giustificazione che avrebbe dovuto dare.
“Pensateci invece, farebbe bene al nome della famiglia”
“Sul serio vecchio? Siamo nel 2013, la politica dei matrimoni è obsoleta” gli fece presente il più grande, palesemente seccato.
Temette che fosse ad un passo dall’esplodere, conoscendo l’influenza negativa che le parole del padre avevano su di lui, e i progetti decisamente diversi che avevano in serbo per la serata. Ebbe l’irrefrenabile voglia di riavvolgere la pellicola di quella giornata e riviverla daccapo, cambiandola dall’inizio.
“Non pretendo che tu capisca qualcosa di affari figliolo. A proposito … hai pensato alla mia offerta?”
Quale offerta? Perché tremava soltanto all’idea?
Damon digrignò i denti mentre l’altro restava succube spettatore dell’ennesimo duello padre-figlio.
“Ficcateli per il culo i tuoi soldi – gli spiegò con ironica calma e un sorriso vittorioso – non ti preoccupare, dopo il matrimonio di Ric tolgo il disturbo, ma non con i tuoi soldi! Mi spiace solo di non esserci per le nozze dell’anno dei due piccioncini, ma sapete com’è … l’esilio mi chiama”
Sbiancò, presa alla sprovvista da una cattiveria gratuita e fuori luogo che mai si sarebbe aspettata da lui, non dopo quello che avevano condiviso, non dopo la delicatezza e l’amore sconfinato che le aveva mostrato. Damon e lei sue due anime… capace di distruggerla in un attimo e rimetterla in piedi quello dopo.
“Damon, papà … basta adesso. Dobbiamo andare, ti riaccompagno a casa”
Fu Stefan a definire la tregua, proponendosi di portar via l’uomo. Lo ringraziò mentalmente, risollevata.
 

POV DAMON


“Beh Stefan l’ha presa bene” ipotizzò ironico non appena furono soli, nel mezzo del salone semibuio ormai. Aveva i nervi a fior di pelle, la giornata era terminata uno schifo e alla fine della giostra suo fratello era ancora all’oscuro di tutto, suo padre programmava matrimoni, e lui ingoiava veleno arrovellandosi con pensieri scomodi e ricordi da brividi… e la desiderava ancora più di prima, mentre cupa e pensierosa posava su di lui uno sguardo intenso e scuro.
“L’hai detto solo per fare uno sfregio a tuo padre, vero? Tu non hai intenzione di andartene davvero! O sbaglio?”
“Non lo so, non mi va di discutere ora, sono di pessimo umore e non voglio litigare”
L’avvertì freddo, consapevole di non poter riversare il suo pessimo umore su di lei. Ma non aveva valutato la tenacia della ragazza, e l’ostinazione che non le avrebbe mai permesso di arrendersi.
“Non puoi farlo – scosse la testa caparbia – non dopo quello che è successo tra di noi, non puoi andartene e basta”
“Ok… dammi una ragione per restare”
“Me! Io sono la ragione” suggerì combattiva, ma nei suoi grandi occhi vide già qualche lacrima subito celata fare capolino. Gli si strinse il cuore, e serrò la mascella costringendosi a non correre da lei. Più era distante più sarebbe stato semplice fare il punto della situazione, ragionare razionalmente.
“Non puoi scappare , non te lo permetterò”
“Meglio scappare che restare aggrappati con i denti a una vita che ci fa schifo” le rinfacciò di getto, con sdegno forse eccessivo, e la vide sobbalzare dalla sorpresa.
“Come faccio io?” domandò alterata portandosi una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio.
Adorava il suo modo di sistemarsi i capelli, di giocarci quando era nervosa, di spettinarli con grazia come quella mattina in hotel … avrebbe continuato a guardarla stupefatto per il resto della vita, notando ogni volta un dettaglio nuovo da amare in lei, ma non in quel momento.
“Si Elena esattamente come fai tu! Smetti di essere quello che gli altri vogliano che tu sia per una volta! Parti con me! Fai una pazzia, rincorri i tuoi sogni lontano da questo buco di città! Qui non sei felice, lo sai tu e lo so io”
Spalancò la bocca incredula alla sua richiesta inaspettata, prendendosi un minuto per trovare le parole. Un minuto che gli parve troppo lungo da sopportare.
“Non puoi chiedermelo! Questa è casa mia, qui ho un lavoro, una famiglia, un fratello di cui prendermi cura, non posso lasciare tutto di punto in bianco, per cosa?”
“Per me – l’anticipò lui questa volta – io sono la ragione”
Sputò fuori amareggiato, rifacendosi alle sue stesse parole.
“Damon…”
“No Elena! Pensi davvero che avrai ancora un lavoro se e quando diremo a Stefan di noi? Se non sarà lui a licenziarti lo farà nostro padre! Qui non abbiamo un futuro, non insieme almeno” le fece presente accostandosi a lei alterato.
“Stefan capirà! Tuo padre non può licenziarmi se non per giusta causa. Questa non lo è”
“Ti renderà comunque la vita un inferno, e come speri di vivere qui a Mistic Falls? Io tu e Stefan tra unicorni e arcobaleni? Sveglia Elena: questa è la realtà! Non ce lo perdonerà mai”
A quelle sue parole ormai gridate la vide opporsi con decisione ma labbra tremanti, forse per il tentativo di trattenere le lacrime. Era forte e testarda, e l’amava anche per questo, ma voleva che aprisse gli occhi e si rendesse almeno conto che non sarebbe stato facile, né bello, se avesse scelto lui. Glielo doveva.
“Quando accadrà ci penseremo! E affronteremo le conseguenze, insieme!  - alzò le spalle ovvia – sono pronta a passarci per l’inferno, per te. Non fuggire, dacci un’opportunità”
Lo implorò  risoluta, ferma sulle sue convinzioni, congelando entrambi in un attimo perfetto. Lui che dalla vita aveva ottenuto fino a quel momento soltanto calci in culo, lui che dall’amore aveva avuto in cambio un’illusione infranta, avrebbe dovuto dare fiducia alle parole di una ragazzina coraggiosa che per loro era pronta a tutto?
Avrebbe dovuto, ma ne ebbe paura.
“Non mettere fine a tutto questo Damon”
Lo pregò ancora, mentre un primo singhiozzo prese a scuoterle il petto, ma forte e orgogliosa asciugò con stizza qualche lacrima con il palmo. Un brivido lo percorse.
“Ma io non voglio farlo Elena! Sono il fratello cattivo, ricordi? Io sono quello egoista, mi prendo ciò che voglio e faccio quello che voglio – le gridò a poche spanne dal viso – mento a mio fratello, mi innamoro della sua ragazza, non faccio mai la cosa giusta! Ma devo fare la cosa giusta per te” realizzò alla fine, afflitto, prima che lei prendesse coraggio e cacciando risoluta indietro le lacrime gli afferrasse una mano portandosela al cuore.
“E’ sbagliato tutto questo? È sbagliato?” gli sussurrò speranzosa, con tenacia, mantenendo la ferrea presa sul suo palmo. Come se lui potesse fuggire davvero, come se potesse davvero allontanarla e rifarsi una vita senza di lei, come se bastasse scostarla per smettere di amarla, come se fosse davvero capace di abbassare lo sguardo e dimenticare i suoi occhi, come se tutta la vita potesse bastargli a cancellare tutto quello che insieme avevano vissuto. Non aveva mai preso una decisione giusta, mai una scelta sensata nella vita, forse neanche quella volta ci sarebbe riuscito, ma in quell’istante ebbe solo bisogno di illudersi che cel’avrebbe fatta senza di lei.
“Torna a casa”
Le afferrò con fatica la mano soffermandosi un ultimo istante su quel palmo delicato e inebriante, poi in un attimo le diede le spalle, soltanto per riuscire a chiudere gli occhi, darsi dello stupido, riprendere il controllo e accompagnarla alla porta.
Era interdetta mentre lo seguiva docile e lo osservava crucciata. Interdetta e confusa.
“Non finisce qui e lo sai – lo avvertì imboccando il cortile di ingresso – dormici pure sopra ma sappi che non deciderai per entrambi”
Lo lasciò così sulla soglia, ad augurarsi suo malgrado che Elena non rinunciasse a loro, a sperare nella veridicità di quella sua promessa.
 

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Capitolo 22
*** CAPITOLO21 ***



POV ELENA


“Sei bellissima”
Lo sguardo d’apprezzamento del suo ex fu la prima cosa che vide non appena scese dall’auto dinanzi al  famoso pub nel centro di Atlanta.
Ringraziò Caroline e la sua ossessione per la moda, i vestiti che si ostinava a prestarle anche contro il suo volere, che in casi come quello si rivelavano sempre utilissimi. Soprattutto quello scelto, un abitino scuro che lei avrebbe sicuramente scambiato per una maglietta dalle dimensioni ridotte, ma che le fasciava egregiamente il corpo sinuoso lasciando nude le lunghe gambe sode e una generosa porzione di schiena che avrebbe definito scandalosa.
Ma ehi! Doveva giocarle bene le sue carte, e poi non era certamente la più svestita quella sera: per fortuna molte delle presenti avevano dimenticato a casa il pudore.
“Stefan! – lo rimproverò imbarazzata – solo amici, ricordi?”
Lo prese sotto braccio per lasciarsi condurre all’interno di un rustico ambiente interamente rivestito in legno. Alla sua sinistra, poggiate al muro,notò subito delle poltroncine rosse, una accanto all’altra e in fondo, il palco, stretto e rialzato. Accanto ad esso, un tavolo da biliardo. Sul lato destro dell’entrata, invece, facevano vanto lunghe tavolate in legno.
Di fronte all’ingresso, un grande bancone, anch’esso dello stesso materiale.
Musica dal vivo, niente male, soprattutto il repertorio decisamente di suo gradimento.
“Non posso apprezzare una bella ragazza?” domandò ironico.
“Se è così …”
Risero appena, complici di una storia durata anni che in fondo aveva cambiato entrambi. E poi … poi il suo sguardo tornò al bancone preso da un’orribile sensazione, e vide lui: il resto del mondo scomparve. Vide lui e il ronzio esagitato della sala divenne a malapena sottofondo al battito accelerato che le invase il cuore. Anche Damon si accorse della sua entrata rimanendo con un bicchiere a mezz’aria e uno sguardo sgranato tra lo stupore e la meraviglia, rivolto soltanto a lei, come sempre, il centro del suo universo. Fu un attimo, prima di notare la presenza del fratello con lei, e il suo Damon scomparve. Lo vide scurirsi in volto, serrare la mascella e distogliere a fatica lo sguardo per rivolgerlo … ad Andie, comodamente adagiata su uno sgabello al suo fianco, sorridente e fastidiosamente bella quella sera. Un moto di rabbia la invase, gelosia cieca e delusione. Lui era lì con Andie, la donna con la quale scopava liberamente prima che tutto tra loro iniziasse. Avevano mai smesso davvero? Così stupidamente ammaliata da lui aveva semplicemente ignorato quel piccolo dettaglio, non glielo aveva mai chiesto. Ma se Damon Salvatore quella sera  voleva sfidarla … avrebbe accettato volentieri.
“Andiamo a prendere da bere?” si rivolse all’uomo al suo fianco, con tutta la calma apparente che riuscì a racimolare. Era una persona meschina, si disse mentre Stefan accettava di buon grado il suo invito dirigendosi lì, al bancone, dove i due piccioncini chiacchieravano disgustosamente vicini.
“Andie! Auguri”
Chiaramente Stefan non la deluse, e si fermò educatamente a fare gli auguri alla festeggiata. Casualmente lei gli finì più vicina, e dovette adagiarvi a lui quando il tacco prese a farle male.
Il blu vivo dei suoi occhi divenne tempesta mentre la fissava allibito digrignando la mascella ... ma Damon era orgoglioso tanto quanto lei.
“Fratello … Elena … che piacevole sorpresa trovarvi”
“Anche per me … non sapevo fossi qui” rimandò Stefan con un mezzo sorriso di circostanza.
“Oh ma davvero? Strano … pensavo di avertelo detto”
“Devo averlo rimosso” lo fronteggiò il minore con malcelata soddisfazione. Evidentemente sapeva davvero che era lì e con chi fosse, e l’aveva portata apposta, ma non se la sentì di incolparlo in quell’istante , proprio lei che lo stava sfruttando per arrivare al fratello… non aveva il benché minimo diritto di avercela con lui.
“Andie aveva scommesso che non sareste venuti” la buttò lì con malizia il maggiore, indignandola oltre il limite. Cosa sapeva Andie? Sapeva di loro? Di sicuro era al corrente della rottura con Stefan … e infatti fu proprio la diretta interessata ad intervenire chiarendo l’equivoco.
“No, io … pensavo non venissi con Stefan, tutto qui”
“Il fatto che io e Stefan ci siamo lasciati, cara Andie – chiarì alla donna, guardando però lui – non significa che non possiamo recuperare il rapporto, ti pare?”
La meraviglia che lesse sulle labbra semiaperte di Stefan fu nulla in confronto all’ira sopita e malcelata che vide imprimersi tra le pieghe dei suoi occhi, alla delusione che gli cadde sul viso spegnendo il calore delle sue pupille. E il male che le fece vederlo così fu nulla in confronto a quello che lui aveva fatto a lei, ignorandola per giorni, sabotando senza possibilità di ritorno un rapporto sul quale aveva puntato tutto.
“Non mettevo in dubbio questo …” si giustificò la donna in palese difficoltà, interrotta però subito da un Damon scocciato e di poche parole.
“Beh tanti auguri allora – tagliò corto – come sono andate le feste Elena? Piaciuto il capodanno?”
La minacciò velatamente, tipico di Damon. Sapeva come spaventarla, ma questa volta non si lasciò intimidire.
“Mai quanto penso siano piaciute a te – gli tenne testa – ho sentito che ad Atlanta si festeggia in grande”
“Se è per questo non c’è bisogno di aspettare il capodanno”
Lasciò in sospeso facendole intendere che quella notte non fosse stata l’unica del suo breve soggiorno in città. Ma non era vero, non lo avrebbe fatto … e lei non ci avrebbe mai creduto. Eppure la stretta allo stomaco che seguì quell’allusione fu tale da lasciarla senza fiato e senza parole.
Damon sapeva esattamente come punzecchiarla, in che modo renderla vulnerabile, toccando il tasto dolente dell’insicurezza, della gelosia. In fondo non erano poi così diversi loro due …
I due spettatori passivi caddero nell’imbarazzo più totale, e nel caso di Stefan forse fu finalmente punto da una strana sensazione, che però a quanto pare ignorò.
“Andie non farci caso … si odiano”
“Si dice che l’odio sia solo l’inizio di una storia d’amore” ridacchiò ingenuamente la giornalista, forse senza crederci davvero. Non sapeva quanto avesse ragione, ma loro si. Lo sapevano perfettamente, lo sapevano i loro occhi fusi, persi l’uno nell’altra. Gli occhi non mentono, anche quello sapevano, e l’amore era lì, nel cielo contro terra, orgogliosamente nascosto ma più vivo che mai.
 
POV DAMON
 

“Carina, eh?”
Sarcastico Stefan, due ore più tardi, quando gli venne vicino dopo essere stato piantato in asso da un’Elena decisamente brilla e sfrenata. Di certo l’accoppiata vincente con la nuova conoscenza e l’alcool gratuito avevano contribuito ad alleggerirle la serata, mentre lui non aveva fatto altro che fissarla risentito per tutto il tempo. Proprio lui che l’aveva allontanata ed era andato a quella festa con Andie, aveva finito per restarsene in un angolo a maledirsi della pessima scelta e a raccattare una volontà tutt’altro che ferrea per impedirsi di trascinarla via e strapparle quegli stupidi e ingombranti vestiti fin troppo sexy, scogliere quei bellissimi capelli costretti nella coda e farla finalmente sua.
“Carina e alticcia” notò ironico indicandola. Era nel mezzo della pista, scatenata in balletti sfrenati e per sua sfortuna decisamente provocanti, in compagnia di Rebekah Mikaelson, probabilmente ubriaca quanto lei.
“Insolita accoppiata – constatò il fratello inorridito – a pensare che gliel’ho presentata io”
“Barbie Klaus ha una pessima influenza”
“Penso che le abbia fatto scolare un’intera bottiglia di Rum”
“Elena odia il Rum – ricordò sovrappensiero senza staccare un attimo gli occhi dalla sua figura – ma sono quasi certo che abbiano rubato un paio di bottiglie di vodka”
Come ondeggiava lei nessun’altra sarebbe stata capace, né su quella pista né nel resto del mondo, ci avrebbe giurato. O forse era lui ad aver perso completamente la testa per quel corpo sinuoso di donna ancora acerba. Di una cosa era certo: Damon Salvatore messo in un angolo durante una festa con alcolici gratuiti era un evento da annotare.
“Beh possiamo sempre berci su, no? Diciamo che questo primo round è finito zero a zero”
Stefan e la sua corsa al cuore della ragazza … quanto si sbagliava, quanto non sapeva, suo fratello. E lui avrebbe soltanto dovuto dirglielo e mettere fine a quella farsa, al tormento che da giorni lo perseguitava all’idea di tradire proprio quell’unico fratello che in fondo gli aveva concesso una chance, un’opportunità, una guerra ad armi pari. Ma quella corsa non era ad armi pari, lui lo aveva tradito, ancora una volta.
“Non avevi calcolato una variante bionda che tel’avrebbe sedotta e soffiata da sotto il naso”
“La prossima volta la invito a cena – gli si sedette accanto – beh se non altro meglio lei che tu” constatò tranquillamente con un gran sorriso e un’alzata di spalle. Beato lui, così calmo e accondiscendente, all’oscuro di un segreto che probabilmente avrebbe messo fine a tutto quel buon umore.
“Come siamo diplomatici”
“La prendo con filosofia! Cerco di guardarne il lato positivo”
Adesso era proprio curioso “Che sarebbe?”
“Almeno questa volta mi hai avvertito prima di fartela!” gli fece notare, con chiaro riferimento a Katherine, con un sorrisino compiaciuto.
Per un attimo il sangue gli si gelò nelle vene … non potevano davvero affrontare quell’argomento! Tutta quella situazione era ormai comica, ammise sconfortato. E lui meritava le battutine acide di suo fratello, dalla prima all’ultima.
“Stefan ha fatto una battuta: avvisate i media” sdrammatizzò in completo imbarazzo, sentimento che per sua fortuna aveva imparato a mascherare bene. Il fratello però non sembrava intenzionato a dargli tregua.
“Davvero Damon,  facciamo progressi! Posso sperare che eviterai di innamorarti della mia prossima donna”
Il sarcasmo tagliente del ragazzo e le allusioni così schiette lo portarono d’improvviso ad una sola univoca conclusione.
“Sei ubriaco anche tu!?”
“E’ vietato ubriacarsi alle feste? Damon docet: cogli l’attimo … e la bottiglia!”
Era tutto chiaro finalmente! I suoi stessi metodi gli si erano rivoltati contro in una sola sera. Sbatté la testa ripetutamente contro il legno scuro del bancone.
“No, no, no! – ripeté sconcertato – un consiglio: lasciali perdere i miei insegnamenti! Fanno schifo”
“Quali insegnamenti?”
La sua voce vellutata e decisamente troppo vicina gli mozzò il respiro per un solo attimo … quando aveva lasciato la pista? Quando si era avvicinata a loro? Si voltò e la vide, tremolante sulle gambe malferme ordinare un ennesimo bicchiere, accompagnata da una magnifica Rebekah ma pur sempre messa in ombra dalla sua figura.
“Abbiamo intenzione di prosciugare l’intera riserva di vodka d’America?” domandò acido velando appena il malumore con una modica dose d’ironia.
“Tanto paga la tua ragazza”
“Non è la mia ragazza”
Stefan, tra di loro, li osservava sconcertato scuotendo la testa.
“Quanta acidità! – commentò scocciato – fratello bevici su e non rompere i coglioni!”
Lo rimproverò allargando le braccia in un gesto esasperato. Da quando il mondo girava al contrario? Beh se non altro aveva capito una cosa importante: guardare la festa dalla prospettiva dei sobri era una pessima idea!
“Bravo Stefan! Così mi piaci – si congratulò farfugliando la giovane, poi alzò in aria a mò di brindisi il cicchetto di vodka – se dovevo mollarti per renderti interessante bastava dirlo prima!”
Sbatté infastidito il bicchiere mezzo pieno di amaro sul legno del bancone, che quello fosse un tentativo di provocarlo era evidente, e ci stava riuscendo perfettamente.
Il luccichio soddisfatto negli occhi di Elena alla vista del suo gesto spazientito gli confermò le limpide intenzioni che perlomeno Stefan, troppo ubriaco, sembrò non afferrare affatto.
“Su, ti porto a ballare!” si propose, infatti, afferrandole una mano per trascinarla di nuovo in pista. Chiaramente lei non si lasciò pregare per seguirlo e scatenarsi insieme a lui sulle note stonate e ridondanti di un ennesimo pezzo house probabilmente improvvisato dal dj anonimo.
Rebekah gli si sedette accanto senza invito, sicuramente disinibita anch’ella dal troppo alcool. Erano anni che non si parlavano, dalla notte in cui dopo averla sedotta ed essersela portata a letto l’aveva elegantemente mollata. Temeva di averle spezzato il cuore, ma era proprio quello il suo obiettivo quindi non sen’era mai curato troppo.
“E’ il karma, Damon” lo tranquillizzò appagata, con un irritante sorrisino di vittoria disegnato in pieno viso. Ok, non era decisamente la serata adatta per sorbirsi anche le piccole rivincite di una donna ferita.
“Ho notato una certa tensione sessuale tra di voi – ipotizzò scaltra – diciamo pure che te la stai mangiando con gli occhi! Non ti stanchi mai di fare il filo alle donne di tuo fratello?”
Un sorriso malandrino gli piegò le labbra mentre con un’alzata di spalle si apprestava a tenerle testa.
“Che vuoi che ti dica … saranno più interessanti di te”
Colpita e affondata! La smorfia risentita che la bionda si fece sfuggire lo consolò abbastanza da fargli mettere da parte lo schifo della serata per soltanto qualche minuto, ma aveva sottovalutato le capacità di una donna messa da parte.
“Beh, ma a quanto pare è più interessata a strusciarsi su Stefan che ad accogliere le tue avances”
Ed era proprio così, constatò quando seguendo il gesto del suo capo approdò proprio a quella scena, un’Elena scatenata e disinibita spalmata su suo fratello in uno struscio reciproco decisamente poco casto. Il sangue gli arrivò al cervello indurendogli i lineamenti del volto, e non poté evitare alla gelosia di prenderlo alla sprovvista, totalmente, digrignandogli in un gesto spontaneo la mascella.
“Ritenta Damon – gli soffiò all’orecchio la bionda alzandosi per andar via – sarai più fortunato”
Con una pacca sulla spalla fece la sua uscita da gran donna allontanandosi a testa alta. La lasciò a crogiolarsi nell’illusione di averlo zittito. Non sapeva lei, non sapeva nulla, come non sapeva nulla Stefan e nessun’altro in quella sala. Nessuno sapeva quanto Elena era stata sua, quanto della sua anima gli aveva mostrato, nessuno l’aveva visto perdersi in lei, nessuno aveva visto i loro corpi intrecciarsi e abbandonarsi totalmente l’un l’altro. Lei gli si era concessa, completamente, come mai e poi mai avrebbe potuto fare con Stefan, né prima di lui né tantomeno dopo.
Nessuno sapeva che Elena lo amava quanto lui amava lei.
 

Spazio autrice:
Beh innanzitutto care lettrici buon fine settimana^^ pronte alla con?? quante di voi andranno?
tornando a noi e al capitolo si lo so, sono in anticipo, ma domani non ci sarò e quindi ho deciso di anticipare!! poi il capitolo era già pronto quindi perchè aspettare?? 
per quanto riguarda Elena so che in questo capitolo può sembrare una vera st**** ma mettiamoci per un attimo nei suoi panni: è ubriaca, arrabbiata con Damon e sta cercando in tutti i modi di provocarlo, anche se questo suo atteggiamento avrà probabilmente ripercussioni in futuro!! 
Ringrazio come sempre tutte voi che mi seguite e commentate dandomi la carica per andare avanti!! ringrazio anche tutte coloro che seguono in silenzio e aggiungono costantemente la mia storia tra seguite\preferite! grazie di cuore a tutte voi! 
Alla prossima lettrici!!

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Capitolo 23
*** CAPITOLO22 ***



POV DAMON
 

Dopo aver perso il conto dei bicchieri buttati giù nel tentativo di scrollarsi di dosso l’inquietudine e la solitudine della serata liquidò Andie che continuava a girargli intorno come un avvoltoio e si decise ad andarsene prima di impazzirci lì dentro. Non aveva smesso un solo attimo di osservarla su quella pista, tra le braccia di suo fratello, era lì in fondo il suo posto, dove tutti volevano che fosse. Non sapeva nemmeno perché ci fosse andato a quella festa, visto che con Andie le uscite sporadiche si erano ridotte a zero dalla notte di Natale. Dalla notte in cui aveva creduto ingenuamente che le cose si potessero risolvere in bene per lui, per loro. L’assordante house cominciava ad infastidirlo, come il ronzio esasperante delle chiacchiere intorno a lui, così raccolse le sue cose e si diresse spedito verso il bagno per sfuggire al resto del mondo, prima di abbandonare quel posto infernale.
 

Quando uscì dalla toilette non aveva minimamente calcolato la sua presenza, nel bagno degli uomini oltretutto. Restò immobile sulla soglia, costringendosi a non indugiare troppo sulla sua figura slanciata e sicura, invitante ma seria, che lo scrutava silenziosa.
“Questo è il bagno degli uomini”
Le fece notare oltrepassandola per lavarsi le mani. Dallo specchio dinanzi a sé poteva vederla riflessa alle sue spalle, splendida con un filo di trucco, i grandi occhi scuri fissi su di lui, e il broncio impaziente di chi ha qualcosa da dire ma si trattiene dal farlo. Sarebbe impazzito un attimo soltanto lì con lei.
“L’ho notato”
“Bene!”
“Non mi chiedi perché sono qui?”
“Hai accompagnato Stefan per non perderlo di vista?” l’accusò tagliente continuando a darle le spalle, troppo irritato e di pessimo umore per fare altrimenti.
“Stefan è di la”
“Non giustificarti: non mi interessa”
La sentì sospirare, forse nel tentativo di darsi un tono.
“Sto seguendo il tuo consiglio… a quanto pare è lui quello giusto per me”
“Di sicuro in pista fate scintille”
Si voltò, finalmente, verso di lei, commettendo il più grave errore della sua vita. Un leggero odore di vaniglia lo invase stordendolo, l’odore della sua pelle dorata, e l’eccessiva vicinanza ebbe un effetto destabilizzante sul suo corpo, che si infiammò in un attimo, come solo con lei accadeva.
“Anche tu ed Andie non siete male – gli fece notare fredda, immobile ad un passo da lui – Damon Salvatore ha sempre una ruota di scorta per le emergenze”
“Beh, per fortuna impari in fretta anche tu”
“Ho avuto un buon insegnante”
“Il migliore sulla piazza!” la corresse ironico, con un sorrisino tirato di sfida.
“Non temere, so essere la migliore allieva del mondo” lo avvertì a quel punto, inviperita.
Erano vicini, fino a potersi toccare, un solo passo sarebbe bastato a mettere fine a quell’agonia dolcissima. Le profondità scure dei suoi occhi gli accelerarono il respiro in quella che era una battaglia che soltanto uno dei due avrebbe vinto.
“Non lo farai”
“Perché non dovrei – gli domandò sprezzante, alzando appena la voce – non hai nessun potere su di me”
“Non giocheresti mai con i sentimenti di Stefan”
Seppe di averla colpita nel suo punto debole: la compassione. Non era in grado di fare del male a qualcuno per un semplice tornaconto personale, ne era certo. Era uno dei tanti motivi per cui l’amava. Puntò tutto su quello piuttosto che gridarle la verità: gli avrebbe spezzato il cuore.
Dopo qualche attimo di titubanza la giovane donna raccolse il fiato allungandosi lenta verso di lui che temette potesse baciarlo. Lo sperava.
“Ne sei sicuro?” scandì invece all’ultimo minuto, vicina al suo profilo. Dolorosamente vicina.
“Ne sono sicuro”
“Non c’è solo Stefan in quella sala” gli suggerì allora, sdegnosa, con un coraggio e una fermezza che non aveva mai visto in lei. E intanto i suoi occhi non smettevano di cullarle il viso, di ridisegnarle con lo sguardo le rotondità rosee delle labbra. La desiderava più di quanto fosse umanamente tollerabile, e lei lo sapeva. Lo stava sfidando.
“Non lo farai” insistette cocciuto, in un mormorio rauco.
 “Perché?”
“Perché non ne sei capace”
“Tu non sai di cosa sono capace – controbatté maliziosa – ritenta Damon. Perché?”
Al diavolo l’autocontrollo! Quella donne era una droga, e lui ci stava impazzendo.
“Perché sei mia!”
Si avventò su di lei con rabbia e possessione, arpionandole con forza i fianchi morbidi accarezzati soltanto dalla sottile stoffa del vestitino, per tenerla ferma contro di lui, mentre le riassaporava disperato le labbra malferme e fruttate, e si faceva spazio con decisione nell’incavo della sua bocca.
Un suo gridolino strozzato di stupore fuoriuscì appena dall’incastro perfetto delle loro labbra, e l’avvertì rigida per soltanto un istante, prima di affidarsi totalmente a lui, spalancando la bocca per permettere alle lingue di incontrarsi e riscoprirsi complici a mezz’aria.
Forse era l’alcool in abbondanza  che gli scorreva nelle vene, o l’astinenza forzata cui aveva costretto entrambi per giorni, ma i corpi reagirono prepotenti al contatto infiammandosi all’istante, come se realmente potessero prendere fuoco in quell’incrocio di mani, in quelle strette possessive e nel divorarsi l’un l’altro. Le sentì sgorgare dalla gola un gemito d’apprezzamento mentre gli si aggrappava e cingeva spasmodica le braccia al suo collo, affondandogli le dita nei capelli corvini. Era in fiamme con lui.
Le afferrò i fianchi alzandola da terra quel tanto che bastò ad adagiarla sul marmo del lavandino alle loro spalle, e quando lei rispose spalancando le gambe per accoglierlo tra esse temette di perdere il contatto con la realtà nello scontro improvviso dei loro bacini.
Erano in un bagno pubblico, dove chiunque avrebbe potuto vederli, doveva allontanarla prima di perdere il controllo delle azioni … ma la dolce sensazione del suo petto ansante contro di lui, del respiro profondo e irregolare di piacere sulla sua bocca non ancora sazia non gli permise di guadagnare razionalità.
Scese a lambirle il collo di baci e piccoli morsi, venerando ogni centimetro di pelle bollente scoperta, ogni più piccolo insignificante neo o segno incontrato sul cammino … e il suo respiro affannato, e quell’inclinare la testa in estasi invitandolo a proseguire era una meraviglia da ascoltare…
Fu la porta a destarli, riportandoli prepotentemente alla realtà. Una porta per loro fortuna spalancata da un perfetto estraneo che ora li fissava imbarazzato.
“Ehm … dovrei …” tentò di giustificarsi lo sconosciuto.
“Si certo”
Balbettò lei di rimando, in panico, rimettendosi fulminea in piedi. Una risatina divertita precedette invece la sua risposta spavalda.
“Ehi amico! Niente che tu non abbia già visto, no?”
L’uomo sulla trentina boccheggiò allibito.
“Damon!”  lo rimproverò lei di rimando, rossa come un peperone, ad occhi bassi. Così timida e riservata la sua piccola donna, notò intenerito, prima di ricordare in un attimo che lei non era affatto sua … non ancora … non agli occhi del mondo almeno.
 
 

Il mattino seguente un sorrisino luminoso non ne voleva sapere di abbandonargli le labbra … il mattino dopo la resa, lo intitolò mentre si preparava ad uscire. Non l’aveva più vista dopo  l’incontro nel bagno, aveva seguito lo stesso i suoi piani e senza dirsi una parola si erano divisi. Ma lui era stanco di fuggire, di scappare da lei, dalle responsabilità che un loro legame avrebbe comportato, dalle conseguenze che tutto quello avrebbe avuto su Stefan. Ci avrebbe pensato al momento, ora era intenzionato soltanto a scappare da lei e inondarla di baci, avevano diversi giorni di arretrato e non aveva la benché minima idea di tornare indietro. Non si sarebbe fatto ancora spaventare dall’insana convinzione di non essere abbastanza. Lui era abbastanza, dannazione! Lo era per lei!
Con questa consapevolezza si affrettò a scendere le scale e si perse subito dopo nella ricerca delle chiavi di casa, scomparse chissà dove.
“Fratello!”
La voce di Stefan alle spalle lo sorprese sulla soglia.
“Hai visto le chiavi di casa? – si voltò trovandolo ancora in pigiama, scombinato e mezzo addormentato – cosa ci fai tu qui a quest’ora? Non dovresti essere in ufficio?”
“Tu cosa ci fai già vestito e pronto ad uscire?”
“Che vuoi che ti dica … sono diventato il fratello responsabile” si giustificò con chiaro riferimento alla sera precedente, trovando finalmente il mazzo sul mobile di ingresso sotto una pila di fogli alla rinfusa.
“Damon … sono abbastanza sicuro di aver fatto lo stronzo con te ieri sera … scusa. Davvero”
Stefan gli chiedeva scusa? Si immobilizzò ad osservarlo confuso, non sapendo bene cosa dire. Cosa si faceva in quei casi?
“Capisco tutta la situazione che si è venuta a creare, ma non dovevo infierire su di te in quel modo”
Questa si che era bella! Stava davvero ascoltando delle scuse sentite … un invadente quanto indesiderato sentimento di colpa  gli si insinuò alla base dello stomaco, intensificandosi fino a metterlo in completo imbarazzo … non era da lui gesticolare in attesa delle parole giuste, ma accadde.
“Me lo sono meritato – ammise sincero in un sussurro soffiato – sono io quello che si è innamorato della tua ragazza, giusto?”
E sel’è presa a sua insaputa, avrebbe dovuto aggiungere. Ma quel briciolo di amor proprio che gli era rimasto gli suggerì di parlarne prima con lei, cosa che avrebbe fatto subito, non appena fosse uscito da quella casa.
“Beh, come biasimarti …”
“E’ fin troppo facile innamorarsene” constatò in quel piccolo attimo di debolezza e comprensione reciproca.
“Non dirlo a me!”
Un sorriso complice nacque spontaneo sulle labbra di entrambi.
“Vedo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda “
Sdrammatizzò a quel punto con una leggera alzata di spalle. Stefan gli resse stranamente il gioco.
“Finalmente! Siamo d’accordo su qualcosa”
Sentirsi schifosamente in colpa non avrebbe descritto la sensazione di vergogna e disagio che provò in quella situazione di ritrovata complicità e fratellanza.
Quella ragazzina era riuscita per un attimo ad unirli, pur mettendoli l’uno contro l’altro. La sua unica colpa era di amarla più di quanto potesse reprimere e sopportare, l’amava tanto da tradire suo fratello, e mai come quella mattina si vergognò dell’intensità di quel sentimento.
“Volevo chiederle di uscire, di ricominciare daccapo” lo avvisò a quel punto il minore, notando forse il disagio e l’incapacità di guardarlo negli occhi. Ingoiò un groppo alla gola.
“Perché lo dici a me?”
“Giochiamo ad armi pari, ricordi? La sincerità è la cosa più importante!”
Sincerità … ripeté a sé stesso, tremando al solo pensiero di Stefan che scopriva tutto. Per la prima volta fu certo che le conseguenze di quell’amore sarebbero state addirittura peggiori di ciò che aveva ipotizzato: avrebbe davvero potuto perderlo per sempre, suo fratello.



Spazio autrice:
buonasera ragazze!! volevo scusarmi per il tardo orario di pubblicazione, solitamente rispetto le scadenze ma questo fine settimana ho fatto uno sgarro ed ora eccomi qui in piena notte, a pubblicare come promesso!
mi scuso anche di non aver risposto ancora ai precedenti commenti delle ragazze ma recupererò prestissimo giuro! giugno è il mese degli esami, e per una studentessa lavoratrice è l'inferno!!! quindi è già tanto riuscire a ritagliare un pò di tempo per pubblicare! ma recupererò appena ho qualche momento disponibile sia le risposte ai vostri commenti sempre troppo gentili con me (vi adoro!!) sia aventuali letture\commenti alle storie che sto seguendo! =)
arriviamo poi al tasto dolente... chi di voi è stata a Perugia?? io per immensa fortuna alla fine ci sono riuscita ... il cast è fantastico, ma sopratutto chi non concorderà con me su Ian?? Mio Dio ragazze dal vivo è ancora più bello! fotografie e schermi non gli rendono giustizia, ha degli occhi immensi! un sorriso mozzafiato...e un corpo da invidia. Quell'uomo è un Dio! ed è adorabile quando parla italiano! penso che ricorderò il suo saluto con quell'adorabile cadenza straniera per il resto della mia vita XD da infarto!Bbeh scusate lo sfogo ma non potevo evitare di commentare qui con voi la fortuna che spero abbiamo condiviso in tante! 
Tornando al capitolo ... beh arriviamo alla resa di Damon ... ma vi avverto che i casini non sono ancora finiti! anzi ... ne vedremo delle belle fino alla fine =)

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Capitolo 24
*** CAPITOLO23 ***




POV ELENA


Quella non era decisamente la mattinata adatta per sorbirsi un ennesimo giorno di lavoro, non con quel mal di testa, non dopo la sbornia epocale della sera precedente, non dopo essersi strusciata come una cagna in calore su Stefan, troppo ubriaca per rendersi conto del poco buon senso di quell’azione, non dopo quel bacio che le aveva strappato il fiato, lasciandola però in preda a dubbi e domande.
Beh, se non altro Damon si era degnato di presentarsi in ufficio, accomodandosi liberamente sulla poltroncina ai piedi della sua scrivania, e ora la scrutava a capo sbieco e sorriso appena accennato. Bello e sfacciato nella luce del mattino, ridisegnato candidamente da un sole alto e tiepido.
Il blu abbagliante di quegli occhi, e la matassa indomita di capelli lucenti, ribelli e morbidi… sapeva di essere bello come quella mattina, come un dipinto ottocentesco dai tratti delicati e fini,  lo sapeva … ed era quello il suo vanto, la sicurezza e la forza indomita che emanava su qualsiasi donna lo circondasse. Era sfrontato, e attraente, e lei era completamente in balia di quella forza mentre fingeva soltanto di riordinare una scrivania già perfettamente in ordine, tutto pur di non fermarsi a guardarlo e riflettere.
“Damon che vuoi?”
“Parlare”
“Di cosa?”
“Di noi”
Si irrigidì con una penna a mezz’aria, incatenandosi a lui.
“Non c’è nessun noi, l’hai deciso tu, non io”
“Qualsiasi cosa avessi deciso mi sembra…”
“Appunto Damon! – gli impedì di proseguire già abbastanza indignata a quel punto – hai deciso tu! Decidi sempre tutto tu, non ti importa quello che penso io! – gli rinfacciò a denti stretti – ti ho lasciato dieci messaggi in segreteria, che razza di fine hai fatto?”
Lo vide irrigidirsi sul colpo, forse colto alla sprovvista dalla sua reazione alterata.
“Cercavo di evitarti”
“Appunto! Adesso che vuoi?” domandò fredda, ferita da una verità che in fondo già conosceva.  Tutto ciò che in realtà voleva era che lui le desse torto, la rassicurasse e le chiedesse di ricominciare. Lo avrebbe fatto: avrebbe fatto di tutto per lui. Ed era forse proprio quello il problema più grande tra di loro, la sua incapacità di difendersi da lui, dalle sue decisioni, dalle emozioni che le avevano aperto un mondo sconosciuto che adesso non era più pronta a lasciar andare.
Il suo sbuffo spazientito la sorprese in allerta di una risposta che avrebbe potuto cambiare tutto.
“Non ce la faccio ok?? – sbottò d’un tratto lui – ho provato a evitarti, a non pensarti, a starti lontano … ma non ci riesco! Tu sei qui, di fronte a me, e tutti i miei nobili e stupidi propositi vanno in fumo! Sono solo lontani ricordi! Riesco a pensare a malapena, e tutto quello che mi viene in mente è che sei bellissima, e che ci passerei la vita a guardarti! – le rinfacciò d’un fiato, tra l’ira e la rassegnazione – ci ho provato davvero, ma non ci riesco”
Si lasciò cadere sullo schienale della poltroncina senza aggiungere altro, scosse soltanto la testa evitando accuratamente di guardare lei, spogliandola così di un vestito naturale che soltanto i suoi occhi riuscivano a cucirle addosso, da quella prima sera maledetta nella quale i loro cammini si erano incrociati per uno scherzo crudele del destino.
“Che vuoi che ti dica?” domandò in subbuglio, con il cuore a mille per quella che le era sembrata la più bella dichiarazione del mondo: in pieno stile Damon, diretta e profonda, insolente e vera.
“Che per te è lo stesso”
 E il modo in cui lo disse, la speranza negli occhi vispi risuonò nel tono fiducioso e sussurrato con cui le si rivolse.
“Non allontanarmi alla prima difficoltà – lo pregò a quel punto, arresa – se siamo io e te i problemi li risolviamo insieme”
“Lo so”
Ammise sincero, e disarmato, con una nuova speranza e un sorrisino ironico.
Fu allora che alzando gli occhi notò Andie di piantone fuori il suo ufficio osservarli con interesse.
“A questo punto ti bacerei – spiegò irritata – ma la tua piattola continua a guardarci! Quindi o la pianti o la prendo a calci” lo avvertì poi puntandogli una matita contro con sguardo guardingo. Un candido sorrisino si estese sul viso delicato del ragazzo.
“Voi donne siete sempre così violente…”
“Damon!!” lo rimproverò fissandolo spazientita, gli occhi ridotti e due fessure e ben poca voglia di scherzarci su.
“La gelosia ti dona” ammiccò malizioso sistemandosi sulla poltroncina con un’alzata di spalle.
“A te donerebbe un occhio nero”
Un fischiettio ironico di approvazione risuonò per la stanza.
“Facciamo una cosa alla volta! Allora … stasera vieni a cena con me”
“Un appuntamento?”
“Non aspettarti dei fiori! Sono allergico al polline”
“Il bacio della buonanotte?” propose maliziosa, e d’un tratto quella tediosa mattina di gennaio le parve il giorno più bello della sua vita. Era il potere di quegli occhi color cielo, spalancati e radiosi, più vivi che mai.
“Se lo meriterai – fece il prezioso con un gesto vago, prima di contraddirsi l’attimo successivo – non è vero! ti bacerò fino a domani!”
Ridacchiò intenerita, e poggiando i gomiti sulla piccola scrivania gli si avvicinò appena.
“E sentiamo Casanova … quando pensi di trovare il tempo per mollare la cozza di piantone lì fuori?”
“Mmm – ci rifletté un istante – godiamoci questa egoistica serata, io e te! Non chiedo altro, una notte”
“Damon …”
“Una??”
Precedette qualsiasi sua eventuale lamentela mostrandole di conoscerla abbastanza da prevedere ogni sua reazione, e puntò l’indice verso l’alto come a rimarcare la sua richiesta, mentre le mostrava una finta espressione innocente che sapeva benissimo l’avrebbe convinta ad accettare qualsiasi cosa. Aveva potere su di lei, e lo sapeva. Ogni suo gesto, singola espressione, erano capaci di mandarla in tilt, e questo lui lo aveva imparato col tempo. Come aveva imparato quanto quel sorrisino timido e sbieco era capace di infiammarla e ipnotizzarla più di ogni altra cosa al mondo.
“Ok – acconsentì sconfitta scuotendo la testa – una soltanto!”
“Si!! – gioì con un gesto di vittoria e un luccichio negli occhi meraviglioso – domani prima pianto lei poi lo diremo a Stefan! È convinto che tra me e te non ci sia mai stato niente, ed è più che intenzionato a tornare all’attacco. Sono stanco di mentirgli”
Un gelo improvviso congelò il buon umore di entrambi, quando furono costretti a calarsi nella realtà dei fatti. Stefan non ne sapeva ancora nulla, nemmeno immaginava il legame che ormai li teneva insieme, né poteva anche lontanamente sospettare ciò che avevano vissuto in sua assenza.
“Sarà dura” si lasciò sfuggire sconcertata, dandosi della stupida. Il suo atteggiamento della sera precedente non aveva  fatto altro che alimentare le sue speranze! Si era servita di lui per arrivare al suo scopo. Era davvero stata capace, ammise.
“Si fida di noi – irruppe Damon sottovoce, calando lo sguardo – nonostante il nostro passato”
Sgranò gli occhi terrorizzata, a quella confessione dell’uomo “Non sei una persona cattiva Damon! E’ solo … tu mi ami, io amo te”
“Dovrei fare la cosa giusta per lui una volta nella vita ma … “
Lo fissò riprendere fiato, in attesa. L’attesa più lunga della sua vita.
“Gli devo almeno un briciolo di onestà”
Quando i loro occhi tornarono ad incontrarsi nel silenzio carico della stanza una terribile sensazione le si insinuò nel petto, come volesse in qualche modo metterla in allarme, ma scosse la testa, intenzionata ad ignorarla. Non sarebbe stato facile, e ai più sarebbe risuonato sbagliato ed egoistico da parte sua, ma per una volta lei, Elena  Gilbert, la dolce e perfetta figlia, sorella, amica, fidanzata, aveva scelto l’amore. Un amore capace di rimetterla in discussione, di sfidarla e suscitare in lei emozioni che nemmeno pensava esistessero, l’amore più vivo  e forse sbagliato che le potesse capitare, ma vero, autentico. E lei lo avrebbe difeso ad ogni costo. Valeva troppo perché si lasciasse trascinare passiva dagli eventi come aveva sempre fatto nel corso della sua vita. Damon valeva tutto il suo impegno.
 
 
POV ELENA
 

“Care ti ho chiamata perché mi serve la tua opinione di donna alla moda, non quella di giudice supremo!”
Puntualizzò seccata sfoggiando l’ennesimo vestito portato dall’amica: un corpetto mono spalla ricamato fin sui fianchi che scendeva alle cosce con uno sbuffo esagerato di veli e pizzo.
“Ti prego questo no! – decise inorridita sfilandolo dopo essersi guardata allo specchio un solo attimo – e adesso??”
La bionda, comodamente distesa sul suo letto e immersa in letture leggere di giornali scandalistici alzò gli occhi per fulminarla con uno sguardo corrucciato color cielo.
“Innanzitutto: siete passati dal rotolarvi sotto le lenzuola, all’ignorarvi, al primo appuntamento, ciò significa che il vestito che indossi non ha molta importanza: sa già cosa c’è sotto! – alzò le spalle ovvia – in secondo luogo ti ho praticamente svuotato l’armadio e portato tutti i vestiti della Georgia!  Non so cos’altro fare! Cos’ha questo che non va?”
Osservò l’ammasso informe di abiti adagiati alla rinfusa sulla poltrona realizzando che forse l’amica non aveva poi tutti i torti.
“Troppo … nero?”
Care inspirò “Quello prima?”
“Da matrimonio!”
“Quello prima ancora?”
Ci pensò un attimo alzando gli occhi al cielo “Troppo stretto!”
“Quello?” ritentò indicandone uno dal mucchio che aveva scartato quasi subito.
“Ci entro due volte!”
“Veste proprio così Elena! È un modello largo!” la rimproverò stridula sbuffando inorridita.
“Beh, veste male allora!!”
La biondina, ormai di sasso, balzò a sedere “Vacci in mutande”
Modo gentile per mandarla a quel paese. Si lasciò fuggire un risolino divertito … in fin dei conti sel’era cercata.
“Ho trovato un vestito che può andare” irruppe Jenna con il fiatone mostrandole un ultimo acquisto.
“Grazie al cielo! – sbraitò l’altra – che ne pensi?”
Lo osservò un istante … era … “Perfetto!”
 
 

Un’ora dopo si precipitò giù al suono del campanello salutando tutti e correndogli incontro euforica. Nel buio gelido di gennaio lo trovò poggiato all’auto, sfacciato e sicuro di sé, bello nella casual camicia nera e un paio di jeans gessati che gli avrebbe volentieri strappato di dosso. Bello nella notte come nel giorno, nel buio e nel sole riusciva a toglierle il respiro e a farla sentire piccola e inadeguata, mai abbastanza per uno come lui, soprattutto quando le sorrideva spontaneo come quella sera, con il viso disteso e limpido.
“Dove sono i fiori?” irruppe scherzosa sporgendosi al di là delle sue spalle.
“Ci sono io, non basto?”
“Non è un appuntamento senza fiori!”
“Non ho mai detto che fosse un appuntamento infatti” ribatté ironico incurvando le labbra rosee in un mezzo sorriso.
“Ok … si fa a modo tuo! Dove mi porti?” acconsentì in risposta, sorridente e decisa a lasciarsi stupire.
In fondo era certa che qualsiasi cosa avessero fatto sarebbe bastata la presenza di Damon a renderla speciale.



Spazio autrice: buonasera lettrici!!!!!!!!!!!! sono in anticipo??? beh si lo so! ma volevo farmi perdonare per il ritardo della settimana scorsa XD scherzi apparte era tutto pronto quindi perchè aspettare ... beh diciamo che è un capitolo di passaggio questo qui, che avrei voluto inserire insieme a quello dopo (il capitolo dell'appuntamento) ma mi son resa conto che sarebbe venuto lunghissimo e quindi ho optato per spezzarlo in due parti, questa appena postata è più una lunga premessa che altro, ma spero lasciate comunque qualche commentino ^^ 
Volevo ringraziare come sempre tutte le mie fedeli lettrici che spendono ogni volta tante parole dolci per me: grazie ragazze!! e volevo ringraziare anche tutte le nuove lettrici che hanno recuperato in pochissimo tempo la storia lasciandomi sempre un pensierino! e infine ringrazio anche chi la segue in silenzio ogni volta ^^ insomma grazie a tutte voi!! Ok mi ecclisso dopo questa cascata di ringraziamenti =P alla prossima!!

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Capitolo 25
*** CAPITOLO24 ***



POV DAMON
 

“E’ squisita!!” apprezzò entusiasta ingoiando il primo boccone cocente.
Erano comodamente seduti in un ristorantino alle porte di Atlanta dove aveva sempre promesso che le avrebbe fatto assaggiare la miglior pizza d’America. Luce soffusa, tavoli in legno e tovagliette di carta, in pieno stile da osteria italiana che donava all’ambiente un’atmosfera intima e raccolta.
“Il pizzaiolo è italiano”
“Come sapevi che adoro la pizza?” domandò aggrottando la fronte forse nel tentativo di ricordare qualche conversazione passata nella quale sarebbe potuto venir fuori.
“Senza offesa Elena – alzò le mani sarcastico – c’è qualcosa che non ti piace?”
Spalancò la bocca indispettita.
“Ti sei appena giocato il bacio della buonanotte!”
Si spaparanzò tranquillo sullo schienale della sedia ridacchiando furbo.
“Questo è tutto da vedere!”
Un’occhiataccia minatoria anticipò la sua risposta indignata “Ci giochiamo la cena?”
“Ragazzina sono un galantuomo! Non ti farei mai pagare”
“Dai per scontato che sia io a perdere” constatò cocciuta riducendo gli occhi a due fessure. Sempre così agguerrita e orgogliosa, rifletté sorridente, forse anche per quello l’aveva amata dal primo istante. O forse era stata quell’aria sognante e fanciullesca, e quella tenera sua visione romantica della vita che aveva ridato luce e speranza alla sua, o ancora quei suoi strambi principi e valori e l’entusiasmo che metteva in ogni cosa facesse. Erano questi solo pochi dei troppi motivi che l’avevano spinto ad innamorarsene, e le ragioni per cui sognava di baciarla dal primo istante che l’aveva vista uscire di casa quella sera, con un’adorabile vestitino in lana beige capace di sagomarle ogni singola forma con maestria, stretto da lasciargli ben vedere le rotondità che tanto amava in lei, corto al punto da mettere in risalto le lunghe gambe sode, ma non eccessivamente da risultare volgare.  D’altronde l’avrebbe amata in ogni caso, qualsiasi abito avesse indossato, in qualsiasi modo avesse raccolto quei lunghi capelli riversi, o avesse colorato le guance o gli occhi. Era bellissima comunque.
“Chiamalo sesto senso …” ammiccò spavaldo prima di dedicarsi alla sua porzione di pizza.
Sentì che stava per ribattere qualcosa quando un uomo sulla cinquantina si avvicinò loro a portare la precedente ordinazione di frittura mista che sapeva per certo avrebbero mangiato senza il minimo indugio.
“Allora Damon – riprese lei non appena ebbe ringraziato educatamente il cameriere con un gesto del capo – a proposito dei tuoi metodi da Casanova … quell’adorabile biondina alla festa di ieri sera era la sorella di Klaus?”
Allarme rosso! L’espressione attenta che gli riservò non prometteva nulla di buono.
“In carne ed ossa”
“Quanto è durata?”
Non ci girò intorno, non ne aveva bisogno, e sapeva che non sarebbe servito un promemoria perché lui capisse di cosa parlava.
“Meno che con Care” sdrammatizzò scaltro nell’inutile tentativo di far cadere lì la scomoda discussione. Ma lei come previsto non avrebbe mai demorso prima di estorcergli una qualche scottante verità.
“Hai qualcosa contro le storia durature?” era seria stavolta, in allarme probabilmente.
“Hai qualcosa contro il sesso occasionale?” rimandò con sufficienza rubando una patatina per sorriderle poi provocatorio.
“Con Katherine non è stato sesso occasionale …”
Non seppe esattamente cosa i suoi occhi inquieti volessero sentirsi dire, o quali risposte cercassero, risposte che forse neanche lui ancora conosceva, ma che sentiva in qualche modo di doverle.
“No, con lei non lo è stato, ma sappiamo tutti com’è finita”
“Con te in fuga per anni” terminò lei abbassando gli occhi nel piatto, probabilmente tormentata da chissà quale pensiero inappropriato che sperò vivamente di poter comprendere.
“Ehi! E quindi? Tutti abbiamo fatto degli errori”
Raggiunse la sua mano al di là del tavolo e lei alzò lo sguardo trafiggendolo in un vortice scuro di insicurezze.
“Sei disposto davvero a restare qui? Sai … dopo il nostro ultimo litigio ho sempre paura che un giorno tu possa svegliarti e renderti conto che in fondo Atlanta ti è sempre stata stretta, e che io sono l’unico motivo per il quale sei restato. Ho paura che tu possa considerarlo l’errore più grande della tua vita”
I suoi occhi insofferenti continuarono a scrutarlo a breve distanza, rivoltando i suoi alla ricerca di una verità che temeva e desiderava probabilmente allo stesso modo.
“Ho passato così tanto tempo  lontano di qui, ho visto così tante cose, e conosciuto così tante persone che spesso non ho avuto nemmeno modo di chiedermi se mi mancasse qualcosa, delle radici, una casa … ma poi sei arrivata tu …” le concesse un sorriso timido di quelli che raramente vedevano luce sul suo viso, e lei sembrò illuminarsi per un istante.
“Tu … mi hai cambiato la vita” spontanea, inaspettata anche per lui, la sua stessa mano corse ad incontrare quel viso di bambina impaurita lasciandole una lieve carezza mentre si lasciava sfuggire una verità sussurrata e potente. Lo sguardo lucido che le illuminò il viso di una luce inedita di pura gioia glielo confermò. Era poco più che una ragazzina, eppure era riuscita a dare senso e calore alla sua vita. Non lo avrebbe mai dimenticato.
 
 
POV ELENA
 
 
“Damon ma dove siamo?”
“Tieni gli occhi chiusi! Non barare!”
Le aveva bendato gli occhi non appena usciti dal ristorantino, e per quanto avesse tentato con il resto dei sensi di seguire e captare il percorso fatto in macchina si era persa dopo pochissimo tempo, finché non aveva  sentito l’abitacolo accostare e il motore spegnersi. Così si era lasciata docilmente trascinare da lui tra un bacio e qualche spinta scherzosa su per una qualche struttura esterna, poi probabilmente l’aveva condotta in ascensore, e adesso erano appena arrivati in un qualche posto decisamene freddo, constatò con la pelle d’oca nonostante il lungo giaccone.
Fu un attimo, lo sentì alle spalle scioglierle la benda che cadde delicata rivelandole la verità.
Erano sul tetto del grattacielo dei Salvatore, il palazzo dove lei stessa lavorava ogni mattina, e guardandosi intorno notò estasiata il panorama più bello che i suoi occhi avessero mai avuto la fortuna di incontrare: Atlanta ai loro piedi, illuminata da mille colori scorreva lenta e tranquilla, ignara di essere osservata da due occhi increduli e umidi.
Le auto ridotte a punti lontani proseguivano la loro corsa sfrenata perdendosi da ogni lato, e i rumori della città non erano mai stati tanto attutiti. Ogni singola via, lampione, palazzo, risplendeva nell’oscurità più nera rimandandole agli occhi un puzzle di colori abbaglianti e luci in movimento.
“Come hai avuto le chiavi?” domandò estasiata, senza distogliere gli occhi un solo istante dal mosaico perfetto dinanzi a loro.
“Ti ricordo che l’edificio è di mio padre”
Il freddo era più intenso lassù, ma alzando il volto al cielo scuro sembrava di poterlo sfiorare. La luna seminascosta da nuvole cariche, fece capolino illuminando i loro corpi sospesi tra cielo e terra.
“Tu sei un pazzo!”
“Mi è andata bene! pensavo mi avresti dato del ladro” ipotizzò scherzoso attirando la sua totale attenzione.
Era semplicemente perfetto. Bello... come un raggio di luna in quella notte gelida.
“Rischiamo l’arresto?” si finse preoccupata e più seria di quanto avrebbe voluto.
“Ti fidi di me?”
“Come di nessun’altro al mondo”
Non controbatté, non ironizzò come suo solito, ma le si avvicinò semplicemente, annullando ogni dolorosa distanza, e lei si ritrovò a dover combattere contro l’impulso di sistemargli una ciocca di capelli che la dispettosa brezza gli aveva riversato sul viso, quando all’improvviso arrivò a disturbarli inatteso qualche fiocco leggero e cristallino … uno dietro l’altro presero a svolazzare  nell’aria, prima di posarsi su di loro. Damon alzò gli occhi ipnotizzato da quella trapunta nera, che concedeva generosamente loro uno spettacolo mozzafiato.
“Nevica davvero?”
Si concesse incredula una giravolta nella foschia di neve che li aveva appena avvolti lasciandosi prendere un attimo dopo alle spalle da un Damon silenzioso e tranquillo come poche altre volte lo aveva visto.
Percepì ogni suo sospiro caldo sulla gola, contrasto al gelo della fredda nottata, ed ogni suo bacio lungo la morbida curva del collo.
Chiuse gli occhi per lasciarsi coccolare.
“Cosa siamo io e te?” gli chiese d’un tratto, trattenendo il respiro.
“Qualsiasi cosa tu voglia”
Sorrise intenerita “Lo deciderò quando avrai mollato la tua piattola” scherzò con finto rancore prima di voltarsi a stampargli un bacio sulle soffici labbra, a guardare quell’uomo che dal primo istante era stato probabilmente il suo sogno più segreto e negato.
“Beh allora ne avrai di tempo per pensarci” l’avvertì scherzoso portandola a dimenarsi indispettita dal suo abbraccio, ma riuscì senza problemi a tenerla imprigionata contro di lui.
“Sto scherzando!”
Ubbidiente e arresa cercò le sue mani, perché non potesse sfuggirle.
“Ti odio…” bisbigliò perdendosi in un nuovo e inaspettato bacio che seppe di desiderio, tenerezza e fragilità.
“Io ti amo” rivelò lui di sorpresa, forse per la prima volta da quando tutto era cominciato tra loro, e l’emozione che ne seguì la colse del tutto impreparata.
In bilico tra l’istinto di avvicinarlo e di spingerlo via, finì per rifugiarsi contro il suo petto per ascoltarne il movimento ritmico di ogni sospiro, per goderne del delicato respiro.
In silenzio, stretti in quell’abbraccio, continuarono ad osservare ogni singolo fiocco di neve circondarli danzante, e posarsi intorno a loro alla fine della lunga e armoniosa corsa.
 
 
POV DAMON


 
Il parchè lucido di cera scivolava perfettamente sotto le suola delle scarpe mentre si preparava all’ennesimo tiro vincente. Fece oscillare la pesante palla da bowling per poi sospingerla in pista. Rotolò fino al traguardo di birilli che colpì giusto al centro segnando un ennesimo meritato strike.
“Osserva e impara ragazzina!” si pavoneggiò nel voltarsi sorprendendola con un bacio a fior di labbra. La vide sbuffare indispettita mentre paonazza afferrava una boccia trascinandosela ai bordi della pista, senza degnarlo di uno sguardo, né concedergli risposta.
Ne seguì il rumore sordo della boccia lasciata cadere malamente, e un’altra prevedibile deviazione che la portò ad incanalarsi verso il lato per poi uscire di scena senza abbattere un solo birillo.
“E che palle! – sbottò irosa  fulminandolo con gli occhi – non ti azzardare a dire una sola parola!” gli puntò minacciosa il dito al petto.
Non riuscì a soffocare una risatina divertita.
“Sei sexy quando ti arrabbi – la imprigionò malizioso tra le braccia – e poi … c’è posto per un solo vincitore … e tu mia cara non puoi vincere sempre” le soffiò a poche spanne.
Con un gesto imprevisto la ragazza gli agguantò il labbro inferiore tra i denti.
Un grido di sorpresa mista a dolore gli sgorgò dalla gola, mentre la allontanava di riflesso.
“Non sai perdere!” l’accusò dolorante leccandosi il labbro arrossato.
“Sei sexy con il broncio!”
“Non cambiare argomento! Sei troppo competitiva”
“Sei tu che mi prendi in giro”
“Ammetti che sei una frana e io la smetto”
I profondi fari scuri dei suoi occhi si ridussero a due fessure mentre obiettava decisa.
“Mai!”
“Bene!”
“Bene!”
“Ti ho fatto male?” allungò una mano a sfiorargli le labbra.
“No!”
La sorpassò dirigendosi alla pista.
“Non fare il bambino Damon”
Sporse il labbro all’infuori.
“Risparmia gli occhi dolci, con me non attacca”
La liquidò fingendo soltanto  il tono offeso che le riservò.
 
 
“Lo vedi che non sai perdere?”
Rideva a crepapelle mentre si allontanavano dalla pista dove la partita era terminata con una sua vittoria schiacciante, come previsto. Elena gli camminava  accanto a testa alta, con un’adorabile broncio risentito, il profilo alto e fiero, di tanto in tanto lo sbirciava di sottecchi minacciandolo con lo sguardo. Bella da morire, capricciosa e bambina proprio come aveva imparato ad amarla. E lui adorava stuzzicarla, vederla sbottare e costringerla a dargli un bacio facendosi spazio con forza nella sua bocca.
Era assuefatto da lei, e da una quotidianità che non era mai stato abituato a condividere con qualsiasi altra donna al mondo prima di allora.
“Questo lo dici tu!”
“Allora perché mi tieni il broncio? Te lo dico io perché: ti ho stracciato! Penso di non aver mai giocato con una persona più incapace di te, ma non voglio offenderti! Hai tante altre qualità”
Quello che voleva essere un complimento risuonò tutt’al più come un’offesa gratuita, o meglio ancora una presa in giro tutt’altro che mascherata. Il tutto fu confermato dall’espressione sdegnata e furente alla quale rispose con un sorrisetto angelico.
“Ti ho già detto che sei sexy quando ti arrabbi?”
“Ti ho già detto che sei un ruffiano? – la smorfia indignata lasciò il posto ad un lieve sorriso intenerito – della peggior specie!” precisò ostinata arrestandosi nel bel mezzo della sala giochi per dedicarsi interamente alla discussione.
“Non è colpa mia se sei bellissima!”  le spiegò ovvio con finta innocenza.
Lei per tutta risposta lo lasciò lì, oltrepassandolo per gridargli soltanto alle spalle la sua risposta.
“Sei incorreggibile!”
Sorrise appena, seguendola a ruota.
Un altro indelebile tassello della loro storia era stato scritto quella sera, e lo avrebbero ricordato entrambi nei mesi avvenire.
 
POV ELENA


 L’auto sfrecciava silenziosa verso casa, guidata da un Damon particolarmente taciturno durante quel tragitto di ritorno. Attraversava a tutta velocità le periferie buie e a quell’ora semi deserte di Atlanta, persa nel nulla più assoluto, accompagnata soltanto dall’inquietudine dei suoi pensieri, sempre più protesi verso quel ritorno. L’indomani la favola sarebbe finita, ed entrambi avrebbero dovuto affrontarne le conseguenze. Sperò che potessero essere forti abbastanza da sorreggersi a vicenda, ma in quel momento ciò che più le premeva era quel silenzio insolito, stonato, per entrambi. Accese la radio nel tentativo di spegnere il ronzio di un’indesiderata sensazione.
Damon non fiatò mentre l’abitacolo si riempiva delle note meccaniche e orecchiabili dei Muse. Resistance, il suo pezzo preferito, prese a scorrere insieme alla strada, e solo in quel frangente si rese conto di quanto quelle parole fossero scritte per loro.
“Troveremo il  nostro nascondiglio? Questo è il nostro ultimo abbraccio?”canticchiava distratta sottovoce attirando finalmente il blu scostante dei suoi occhi, unica luce in una strada deserta, in un notte buia dove anche la lune era spenta, soffocata da una coltre carica e nera.
“… Potrebbe essere sbagliato …”rimandò lui insieme al ritornello di voci cantate.
“… Ma sarebbe dovuto essere giusto …”controbatté lei con il solista.
E il pezzo proseguì come la strada.
“Non potrebbe mai durare, potrebbe essere sbagliato. Dobbiamo cancellarlo in fretta … “
Anche lui sapeva a memoria quel pezzo, accertò quando lo sentì ancora canticchiare teso. Evitarono di guardarsi mentre ancora lei riprese con il solista.
“ … Se viviamo la nostra vita nella paura aspetterò un migliaio di anni solo per rivedere il tuo sorriso …” perseverò irremovibile con il procedere del brano mascherandosi dietro un pezzo che parlava per loro.
Lo vide inspirare con gli occhi fissi sulla strada e un attimo dopo, senza che ne capisse come, l’auto sterzò brusca strattonando entrambi per fermarsi ai bordi della strada deserta, in una rientranza di campagna.
“ Damon ma …”
Non fece in tempo a gridare altro che le sue labbra strozzarono quell’urlo. La baciò con tale foga da soffocare qualsiasi cosa stesse pensando e che era certa non fosse poi così importante.
Gli si avvinghiò rispondendo con quella stessa passione che soltanto lui era in grado di risvegliare quando entravano in collisione.
I loro profili urtarono goffi quando con un movimento simultaneo si liberarono dalle cinture di sicurezza, e non riuscì a trattenere un mugolio di dolore. Lui si staccò fissandola un istante confuso, balbettò qualche scusa probabilmente poco sentita e si rigettò nuovamente su di lei risucchiandole affamato labbra e fiato.A quel punto non capì più nulla, non vide altro che non fosse lui che si tirava di nuovo indietro quanto gli era necessario per sfilarsi il giubbino in pelle e gettarlo disinteressato sui sedili posteriori, per poi incombere deliziosamente minaccioso su di lei, frettoloso e affannato come mai, per sbottonarle il cappotto, tirarle in alto la maglia e in basso il reggiseno e scoprirle il seno ansante che, nonostante tutta la furia, toccò con estrema tenerezza. Non era da lei lasciarsi andare in un luogo del genere, dove qualunque passante avrebbe potuto vederli, non era da lei lasciarsi prendere dalla passione tanto da desiderare soltanto che continuasse a torturarla tutta la notte, non era da lei perdere la testa e ansimare in quel modo come se non ci fosse altro al mondo della dolce agonia dei suoi baci brucianti. Non  era da lei prima che Damon entrasse nella sua vita e le mostrasse tutto quello. Non era da lei eppure fu lei stessa ad afferrarlo per la nuca e a stringerlo al seno perché le assaporasse appieno la carne e i battiti galoppanti del cuore, fu lei ad inarcarsi più che poteva senza preoccuparsi di lasciarsi sfuggire apprezzamenti e mormorii insensati.
Era lei, la nuova Elena che Damon aveva trovato e spogliato di ogni sicurezza e convinzione, sfidandola e plasmandola senza che nessuno dei due se ne rendesse davvero conto, la stessa Elena che in quel momento lo spinse via per liberarsi smaniosa del cappotto e passare un attimo dopo ai pesanti stivaloni, incoraggiata e resa audace dal suo sguardo avido e liquido di piacere.
“Non l’ho mai fatto in macchina” le soffiò all’orecchio malizioso strusciandosi languido su di lei e una scia di brividi li invase all’unisono trascinandoli ancora più a fondo in un solo istante, in un fondo di frettolosa brama che era certa li avrebbe consumati se non avesse trovato sfogo all’istante, e così fu ancora lei  a guidarsi la sua mano su una coscia.
“C’è sempre una prima volta …” gli ansimò provocatoria sulle labbra, e quello sguardo di bruciante promessa che Damon le riservò in risposta riuscì a farla tremare di aspettativa.
 Il suo tocco irruento proseguì impaziente verso la biancheria intima per scostarla lateralmente, e lei si ritrovò a mugugnare in estasi ringraziando la solita malizia di Care che l’aveva convinta a discapito di ogni sua lamentela ad indossare le autoreggenti, e fu così che un attimo dopo sentì le sue dita esperte incastrarsi in lei e scoprì di non poter attendere oltre che lui la svestisse, gli slacciò la cintura dei pantaloni per calarglieli sulle ginocchia, trovandolo eccitato tanto quanto lei.
Il respiro roco di un Damon impaziente fu nulla in confronto al fuoco che gli lesse negli occhi giusto un attimo prima di lambirle le labbra con un’urgenza insolita, disperata a tratti, carnale."
Ok ragazzina hai vinto, si fa a modo tuo” le concesse prevedibile nella bocca prima di afferrarle le cosce per guidarla a cavalcioni su di sé e mostrarle un contatto travolgente di nudità fisica quanto emotiva, per entrambi. Anche in quell’istante ciò che lesse impresso a chiare lettere nell’enormità del suo sguardo fu passione, desiderio, certo, ma soprattutto … abbandono. Abbandono totale.
"Ti amo” bisbigliò commossa regalandogli un sorriso luminoso e una carezza leggera che lui raccolse inclinando il capo e chiudendo gli occhi con un bacio sul palmo aperto. Tra le pieghe del suo volto ci vide tutta la fragilità che spesso nascondeva, e capì quanto non soltanto lei stesse per donarsi interamente; ma quanto lui le si fosse già donato giorni, forse mesi prima. E bruciante di passione pose semplicemente fine alla dolcissima agonia puntellandosi sulle ginocchia per condurlo lenta dentro di sé. Lo accolse in un sospiro più a fondo che poté, con gli occhi fissi sull’espressione di puro godimento che vide imprimersi sul suo volto attimo dopo attimo, respiro dopo respiro. Si concessero qualche istante, istante in cui in un gesto inaspettato lui poggiò la fronte alla sua, per darsi il tempo di abituarsi al calore del suo ventre.
“Resterei così per tutta la vita” le confidò tremante ad occhi chiusi, respirandole sulle labbra. Timido, quasi titubante, si allungò a baciarle, come fosse la prima volta che vi entrasse in contatto, poi la guardò con quegli occhi dal colore dell’oceano, e un attimo dopo la baciò ancora … poi di nuovo … finché le loro bocche si ritrovarono improvvisamente di nuovo intrecciate, spalancate e ingorde; e insaziabili le loro lingue ripresero a cercarsi, in un ritmo frenetico di respiri strozzati e fiati risucchiati. Sentì il suo bacino premere languido invitandola a danzare, invito che accolse volentieri riprendendo a tuffarsi su di lui, in profondità, oscuramente, affondo dopo affondo, colpo dopo colpo, smaniosa e avida cercò i suoi occhi, si aggrappò alle sue spalle, lo strinse contro di sé. E mentre i vetri presero ad appannarsi concedendo un pizzico di intimità, il loro angusto nido d’amore si riempì degli ansimi ritmici di entrambi, dei gemiti che ad ogni suo affondo Damon si lasciò fuggire reclinando il capo ad occhi chiusi, delle urla che le scapparono senza alcuna vergogna o pudore.                                                                                                                                                                                
Lo amò come non aveva mai fatto, come non credeva si potesse amare prima di quella notte, ammirò attenta e affamata ogni singola espressione di piacere sul suo viso, ascoltò ogni più svariato suono sgorgato dalla sua gola, godette di ogni più piccolo insignificante gesto di passione e tenerezza. E anche se il ginocchio sbatté contro la leva del cambio con un tonfo e un dolore sordo, anche se lo spazio ristretto le impedì di muoversi come avrebbe voluto, anche se l’arrivo di qualche auto ignara la interruppe più volte per paura e pudore, non avrebbe mai ricordato per il resto della sua vita una notte più bella di quella.



Spazio autrice:
buongiorno mie care lettrici!!!!!!!!!!!!! ^^ eccomi puntuale, anzi forse anche in anticipo, ma ormai ci siete abituate no?? beh ecco a voi il capitolo che molte aspettavano ...spero non vi abbia deluse ma volevo scrivere un appuntamento il più "normale" possibile, e sopratutto adeguato al nostro Damon ... insomma non ce lo vedo tipo da fiori e serenate XD l'avrei vista come una forzatura che quindi ho preferito evitare =)
Poi ... volevo lasciare due appunti:
1) la frase che Damon dice ad Elena durante la cena "Tu mi hai cambiato la vita" è ispirata ad una canzone che vi consiglio vivemente che si intitola appunto "eppure mi hai cambiato la vita" di Fabrizio Moro. La trovo di una dolcezza infinita, ed in particolare secondo me dire ad una persona che ci ha cambiato la vita è la più bella, semplice, e potente dichiarazione che potessimo fare. Insomma solo chi è davvero importante per noi ci cambia la vita, lascia un segno. Penso che sia una frase perfetta per descrivere ciò che Damon vede in Elena, il motivo per cui la ama.
2) la canzone finale protagonista dello strano batibecco tra i due in auto è "Resistance" dei Muse, che vi consiglio altrettanto. E' stupenda, e dal primo istante che l'ho ascoltata qualcosa mi ha detto "Diamine è scritta per loro!!" insomma i Muse sono una garanzia ... per chi non la sappia vi consiglio di correre ad ascoltarla =) per quanto riguarda la sua trasposizione nel capitolo, inizialmente volevo scrivere le strofe in lingua originale, ma poi ho pensato che potessero risultare stonate nel contesto ... in più ho pensato alla difficoltà che avrei creato in qualche lettrice casomai non particolarmente pratica con l'inglese, che avrebbe dovuto per forza tradurre per capire cosa si stessero dicendo ... insomma ho deciso così! spero che non perdano di intensità in lingua non originale perchè sono delle bellissime parole!
infine ancora grazie a tutte voi ... un grazie particolare a chi di voi è sempre prensente ^^ spero di sentire le vostre opinioni!!!   

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Capitolo 26
*** CAPITOLO25 ***



POV ELENA
 

Il portone di casa li sorprese con le mani intrecciate e gli occhi incatenati, immersi nel buio più assoluto, mentre Damon la lasciava sul porticato.
“Abbiamo rischiato l’arresto per atti osceni in luogo pubblico” constatò raggiante senza alcuna intenzione di lasciarlo andare. Arpionata al suo collo si teneva stretta a lui lasciandosi coccolare dalla tenerezza dei baci che le depositava sul viso tra una risata e l’altra. Era tornato il suo Damon, con il mare negli occhi e il calore nei gesti.
“Tu continuavi a cantarmi nelle orecchie, dovevo farti stare zitta in qualche modo – si giustificò con finta innocenza – sei stonata!”
“Allora d’ora in poi visto che ti piace tanto ti diletterò più spesso!” ammiccò maliziosa resa audace dalla sua vicinanza, cosa che notò anche lui.
“Mi piaci così … più sicura di te. Sarà la mia influenza?”
“Non vantarti troppo – ancora un bacio rubato, poi un altro ancora … che divenne presto un’altalenare di passione e tenerezza – è stato il più bel non appuntamento della mia vita”
Gli catturò mai sazia le labbra e sentì la sua risata soffocata fermarsi all’altezza della gola.
“Pensa cosa sono capace di fare con un vero appuntamento!”
“Non vedo l’ora di scoprirlo”
“Tutto quello che vuoi ragazzina! Dopo …”
“Dopo averlo detto a Stefan” lo anticipò pronta. Un gesto d’assenso e un attimo dopo crollò la calma, come un macigno tra di loro. Un silenzio rotto dall’ultima voce al mondo che entrambi avrebbero voluto ascoltare, ancora stretti e impreparati l’uno tra le braccia dell’altro.
“Dirmi cosa?”
  Ci sono quei momenti nella vita in cui ci si rende conto che un attimo, un solo milionesimo di secondo, ha appena cambiato tutto. Il corpo rigido di Damon ancora stretto nel suo abbraccio, i suoi occhi all’improvviso torbidi, la contrazione involontaria della sua mascella.
E ancora … il battito furibondo che le animò il petto, e l’ansia, bagnata di sorpresa che le mozzò il fiato. Era appena cambiato tutto.
Stefan era lì da chissà quanto, mascherato dalla complicità della notte, li osservava con amarezza, e dolore, rabbia nei pugni stretti lungo i fianchi.
“Cosa … cosa ci fai qui?” iniziò lei, consapevole che qualcuno prima o poi dovesse rompere il ghiaccio.
“Ero venuto a chiederti di uscire … pensa un po’. Jenna mi ha detto che eri fuori con … Care – si voltò ironico verso il fratello – che carina tua zia eh? Voleva coprirti”
“Stefan ascolta … non mettere in mezzo nessun altro, è colpa mia”
Il viso di pietra del giovane dei Salvatore era più freddo di quella notte gelida.
“Ehi Damon! perché non le dici di star zitta? A quanto pare hai trovato un metodo infallibile”
Un attimo dopo il rumore sordo di un pugno precedette lo schianto sullo zigomo di Stefan e le sue stesse possibilità di obbiettare. Damon digrignò i denti, fuori di sé, mentre lei tremava come una foglia al vento.
“Poca ironia fratello, discutiamone civilmente”
Ci mise qualche minuto il giovane per riprendersi dalla botta, e passandosi una mano sulla mascella dolorante spostò lo sguardo su di loro con rabbia, delusione, e disgusto.
“Hai un fratello Damon? A me non risulta! – lo accusò in un crescendo di urla stonate – da quanto tempo?”
“Natale” soffiò fermo il maggiore, con apparente calma.
“Natale … Natale Damon? è un mese che mi prendete per il culo? Io ti avevo dato un’occasione! Tu non solo te la sei comodamente sbattuta alle mie spalle, ma … hai pensato bene che non dovessi saperlo nemmeno?”
Quelle accuse divennero urla nel vento, uno strazio gridato non soltanto a loro, colpevoli senza possibilità di redenzione, ma a quella casa, alla notte scossa. E il dolore era impresso anche lì, nel ghiaccio di quegli occhi colpevoli, tra le rughe delle sue espressioni mute.
“Che uomo sei Damon? e tu … tu … dov’è la mia Elena? Su una cosa hai ragione: l’hai cambiata, congratulazioni. Non è rimasto più nulla in lei della donna che amavo”
No, quello non era vero. Quell’accusa era infondata, avrebbe voluto gridarglielo risentita, ma le parole erano ferme, incastrate tra la gola e il respiro. Anche Damon era lì, passivo ascoltatore, non reagì nemmeno quando il fratello riprese ad urlare.
“Abbi almeno la decenza di farti le valigie e uscire di casa. Non voglio più vedervi – le si rivolse quasi sottovoce, come avesse esaurito le parole – sei licenziata. Fuori dalla mia vita, fuori entrambi”
“Non puoi farlo” si appellò in preda al panico, con un filo di voce che sgorgò più stridula del dovuto.
“L’azienda non ha più bisogno di te. Posso eccome”
“Fratello pensaci bene – tentò di intermediare il suo ragazzo – dormici su, ne riparliamo domani”
“Non ci sarà nessun domani – ribadì furente, passandosi stanco una mano sugli occhi, come a voler ricacciare indietro orgoglioso le lacrime in agguato – voglio che usciate dalla mia vita, ora!”
Con quell’ultima imposizione gridata si immerse nel nulla, scomparendo alla loro vista con passo lento e testa bassa. Era distrutto, e tutto quello strazio, la rabbia gridata, fu nulla in confronto al contatto con gli occhi del fratello. Spenti, freddi, già distanti. Un brivido le percorse la schiena.
“Vuoi entrare? Forse è meglio che non torni alla tenuta per ora”
“No … io … cerco un’altra sistemazione” la liquidò atono e sfuggente.
“Ehi! Damon! andrà tutto bene, ok? – tentò di rassicurarlo afferrandogli dolcemente il viso – ce la faremo”
“Non doveva saperlo così Elena! – si scrollò irrequieto dalle sue dita – tra tutti i modi al mondo in cui avrebbe dovuto saperlo questo era il peggiore! Dio! Ti ha licenziata! E mi ha cacciato di casa … pensa che ci siamo presi gioco di lui! mi dici in quale tua distorta versione dei fatti c’è la minima possibilità che le cose si possano risolvere? Sono tutt’orecchi!”
Anche lui alzò la voce, sconvolto e furioso. Era Damon, impulsivo e a tratti irragionevole, lo stesso Damon che aveva sempre amato, ma che in quell’istante le fece paura.
“Non risolvi niente in questo modo!”
“Non c’è niente da risolvere infatti – precisò stizzito – se non mi fossi innamorato di te a quest’ora non avremmo avuto niente di cui discutere”
Restò impietrita di fronte alla cattiveria e alla durezza di quelle parole sputate. Ma non le pensava davvero, ne era certa.
“Non è ferendo me che ti sentirai meglio – lo avvertì trattenendo orgogliosa le prime lacrime ribelli – devi comportarti come un uomo, prendere le situazioni di petto e affrontarle, anche se ci vorrà del tempo, anche se all’inizio andrà male! Io lo farò con te, sistemeremo tutto … insieme”
“Si certo, belle parole – soffiò esasperato passandosi una mano tra i capelli – peccato che nella realtà le cose vadano diversamente”
“Ma cosa ti costa provare?”
Si fronteggiarono a testa alta, ognuno intestardito a persuadere l’altro.
“Non tutti sono in grado di fare quello che dici”
“Provaci almeno!”
“Perché? Perché Stefan lo farebbe? Perché tu lo faresti?”
Soltanto in quell’istante notò nel buio un paio di occhi lucidi, l’azzurro liquido delle sue pupille in grado di penetrarle l’anima.
“No! Perché io ti amo, tu ami me e ci siamo promessi di affrontare insieme le conseguenze delle nostre scelte!”
“Stefan è una conseguenza?”
“Si!” ribadì cocciuta, con i pugni stretti e tesi, e il profilo fiero, ma troppo vicina al crollare mentre lui la osservava in silenzio annuendo scontroso.
“Lui è mio fratello – concluse con amarezza – una conseguenza un tantino grossa, non credi?”
Tirò su col naso sfiancata dalla conclusione imprevista della serata.
“Tu hai detto di amarmi, tu mi hai spinta ad esplorare quello che provavo per te. La colpa è di entrambi” precisò ostinata.
“Ce lo stiamo già rinfacciando …”
Scosse la testa alzando gli occhi al cielo irrequieto.
“Cosa Damon? cosa ci stiamo rinfacciando? Dimmi che cosa vuoi!”
“Vorrei non essere mai tornato!” sbottò in preda alla rabbia rendendosi colto della durezza di quelle parole soltanto un attimo dopo, quando ormai lei lo fissava collerica.
“No … io …” tentò di rimediare come ridestato, avvicinandolesi soltanto di qualche passo prima che lei lo allontanasse con un gesto della mano.
“E allora vattene ora! Sei ancora in tempo! Vai via di qui, fai pure quello che sai fare meglio nella vita: scappa!”
Urlò stridula indicandogli il vialetto alle loro spalle. Lo amava con tutta sé stessa, ma non fino al punto da farsi annullare. Damon le stava attribuendo colpe che non aveva, e non poteva starle bene.
Non avrebbe dovuto starle bene! e allora perché continuava a piangere a dirotto mentre lui le dava le spalle ed entrava in auto senza voltarsi indietro un solo istante? Perché nel vederlo partire e sparire a tutto gas nella notte le sembrò di dovergli dire addio?
Non seppe per quanto restò aggrappata con le unghie alla balaustra del portico, persa nell’oscurità, ad attendere invano un ripensamento, un’auto tornare, un suo abbraccio familiare col quale le avrebbe promesso che tutto si sarebbe sistemato, che loro in fondo erano più forti.
 
 
POV DAMON
 

Un passato da buttare, e un futuro che nemmeno riusciva più ad immaginare. Quello era per lui Mistic Falls mentre a tutta velocità sfrecciava lontano. Un cumulo di macerie ed errori imperdonabili … e poi c’era lei, con i suoi grandi occhi espressivi e troppi sogni nel cassetto, con quella visione romantica e distorta della vita che aveva reso la sua più luminosa, e gli aveva fatto credere di poter essere diverso. Un uomo migliore, per lei. Per loro. A discapito di tutto il resto.
La verità era che lui neanche si avvicinava lontanamente all’essere un uomo, con troppi errori sulle spalle, nessun futuro programmato, un testa di cazzo che mai aveva fatto la cosa giusta, e un cuore dispettoso che donava ripetutamente alla donna sbagliata. In sei mesi tutto ciò che si lasciava indietro erano le rovine di un’esistenza che egoisticamente aveva tentato di prendere e fare sua. Un tentativo mal riuscito di costruirsi la vita che desiderava a spese degli altri.
In soli sei mesi lì era riuscito a sgretolare i sogni e l’esistenza dell’unica persona che suo malgrado, tra alti e bassi, per lui c’era sempre stato: suo fratello. Perché alla morte di sua madre quel bambino dagli occhi verdi si era rifugiato tra le sue braccia, perché a lui aveva raccontato di essere stato picchiato in quella scuola di bulli dove suo padre lo aveva relegato; a lui aveva chiesto consiglio quando la ragazza più bella che avesse mai visto si era fatta avanti e non sapeva come fare.
A lui, il fratello maggiore, aveva dato fiducia. Anche quella volta lo aveva fatto, nonostante non avesse alcun diritto né pretese sulla sua donna.
E cosa aveva da offrire lui a quella donna che meritava il mondo ai suoi piedi? Il nulla.
Lo avrebbe capito anche lei un giorno che non avevano futuro, forse aveva già cominciato quella sera.
Una morsa allo stomaco lo costrinse ad alzare gli occhi verso il cartello di ben venuto a Mistic Falls che aveva appena superato verso il nulla. “Benvenuto a casa” recitava quell’ammasso di metallo inanime, una casa che gli era sempre stata stretta ma che forse per la prima volta gli sarebbe davvero mancata.
Afferrò il cellulare prima di permettersi di cambiare idea. Infondo glielo aveva promesso … che avrebbero affrontato tutto quello insieme. Ma cos’era una sua promessa?
Inoltrò la chiamata verso l’ultima persona al mondo alla quale avrebbe mai creduto di rivolgersi nel cuore della notte. Forse adesso soltanto lui gli era rimasto.
“Papà? – aspettò che l’uomo confermasse la sua presenza dall’altro capo del telefono – se è ancora valida quell’offerta parto stanotte”




Spazio autrice:
Buon pomeriggio lettriciiiiii!!!!!!! eccomi qui con un nuovo capitolo! beh so già che sarà una doccia fredda per molte di voi considerando il precedente e questo repentino cambio di rotta! vi avviso che tra questo capitolo e il prossimo ci sarà un salto temporale di alcuni mesi che ci porterà direttamente alla primavera, ma siamo lontani dal finale quindi ne accadranno ancora di cose prima di mettere la parola fine a questa storia! Damon ha appena fatto una cazzata, è tutto vero! Ma Damon non è Damon senza i suoi colpi di testa, che in questo caso pagherà cari nei capitoli avvenire! la storia è già scritta e conclusa su carta da un pò, il che mi permette di postare molto velocemente come noterete e quindi alla luce di ciò vi dico che penso manchino una decina di capitoli o qualcuno in più al termine! vi dirò ... considero quest'ultimo capitolo come la degna chiusura di una prima parte della storia, da qui in poi assisteremo a vari cambi di scenari! tutto ciò era programmato fin dall'inizio quindi per quanto mi odierete era indispensabile che Damon andasse via! è stata una delle prime cose che decisi non appena cominciai a scrivere! non abbiamo crescita dei personaggi se non dopo aver toccato il fondo, beh Damon con questa uscita di scena lo ha toccato eccome! XD lasciando Elena sola, nei guai, un fratello che lo odia, deludendo insomma anche quei pochi personaggi come Ric, o Jenna o la stessa Elena che credevano in lui! per tutto il resto, chi vivrà vedrà! =) 
Beh detto ciò vi lascio! alla prossima settimana! e grazie mille per il seguito, i commenti che molte di voi mi lasciano ogni volta, grazie a chi mi segue fin dall'inizio e a chi ha cominciato dopo, a chi è presente e a chi legge ogni volta! grazie mille ragazze! 

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Capitolo 27
*** CAPITOLO27 ***




POV ELENA
 

“Tra un’ora alla villa dei Lockwood” confermò indaffarata ad una Bonnie totalmente presa dall’evento.
L’armadio praticamente riverso sul letto, il cellulare tra la spalla e l’orecchio ed era praticamente ancora in accappatoio, fresca di doccia e come suo solito in ritardo.
Attaccò e gettò il cellulare nella matassa informe di abiti.
“Ok Elena – farfugliò a sé stessa – dolce e romantica teenager? – propose estraendo un vestitino grigio a palloncino – o provocante donna alla moda?” si soffermò su di un monospalla nero e attillato, regalo di Care. Rise dell’amica e dei suoi doni insoliti ma sempre ben graditi, ripiegando la sua prevedibile scelta sul secondo.
Il trillo di un’e-mail dal portatile aperto la colse alla sprovvista portandola a sobbalzare. Gli si diresse svogliata, ma la sua espressione mutò non appena lesse l’intestatario. La scuola di Londra le aveva risposto … spostò il mousse verso l’apertura titubando per lunghi attimi … forse non era ancora pronta a conoscerla quella sentenza che avrebbe potuto cambiarle la vita.
 
 

Ancora con la testa tra le nuvole e un ronzio assordante di pensieri per la testa un’ora dopo era pronta ad uscire.
Un’ultima occhiata allo specchio le mostrò un’immagine distorta di sé stessa, sia fuori che Dentro. Damon le aveva stravolto l’anima … e ora ciò che restava di lui era soltanto un ricordo sbiadito e l’amara consapevolezza di averlo amato più di quanto amasse sé stessa, più di quello che un’intera vita può cancellare.
Scosse la testa sforzandosi di sorridere. Rindossò a fatica la maschera da dura e scese al piano di sotto, salutando distratta per immergersi nella frescura di maggio.
L’odore di gelsomino e fragole le penetrò le narici, forte e inebriante, e stava per entrare in auto quando una vettura che ben conosceva le si accostò.
“Stefan?!” mormorò confusa, immobile dinanzi alla portiera aperta aspettò che scendesse dall’auto per notarne all’istante i vestiti sgualciti, lo sguardo vacuo, e il viso sconvolto e segnato. Il cuore le si gelò nel petto, mentre il panico attraversava ogni singola fibra del suo corpo.
“Non sapevo da chi altro andare … scusami”
“Cos’è successo?”
Restò distante con gli occhi nel vuoto, stuzzicando ancor di più, se possibile, i suoi nervi già in allerta.
“Damon? è successo qualcosa a Damon?” ipotizzò pallida, senza potersi controllare. Stefan finalmente sembrò ridestarsi per alzare lo sguardo stanco su di lei. Scosse la testa.
Un sospiro di sollievo le fuoriuscì incontrollato dalle labbra ancora tremanti. Era forse egoista da parte sua, oltre che patetico, ma il solo pensiero che qualsiasi cosa fosse successa non riguardava Damon le permise di riprendere a respirare, e pensare più lucidamente. Si accostò piano al suo ex, piazzandosi davanti per cercare di catturare la sua attenzione.
“E allora cos’è successo?” domandò apprensiva.
“Papà ha avuto un infarto”
“E come…”
“E’ morto”
 
 
Era notte fonda ormai, la festa era saltata per lei che si era proposta invece di riaccompagnare Stefan alla tenuta e aveva finito per restarci, troppo in pena per lasciarlo solo.
Infondo glielo doveva. Lo doveva a lui e a ciò che erano stati. Lo doveva a Giuseppe Salvatore, che suo malgrado le aveva dato un lavoro e accolta in casa come una figlia. Lei che a stento riusciva a ricordarlo, e che sempre si era trovata in passato a disagio insieme a lui, non poteva adesso lavarsene le mani. Sapeva cosa si provasse a perdere una famiglia, lo conosceva bene quel dolore paralizzante, la disperazione, la solitudine più nera. Quel tipo di dolore che si attenua e ci lascia vivere, ma non ci abbandona mai del tutto.
Arrivarono un’infinità di chiamate quella notte, giornalisti, amici, soci, gente alla quale non interessava davvero la morte di un uomo, ma gli effetti che avrebbe potuto avere sulle loro vite.
Stefan era sconvolto mentre si trascinava su e giù per la stanza, senza proferire parola, né concedere una sola occhiata e lei che raggomitolata sul divano gli concesse silenzio e compagnia, vicinanza e discrezione.
“C’è da organizzare il funerale – proruppe d’un tratto, come ridestato – io devo … chiudere le aziende per il momento … devo inviare una circolare. Devo avvertire i parenti, calmare la stampa, io devo …”
Affondò una mano nei capelli calando al pavimento il volto e due grandi occhi sbarrati.
“Dovresti avvertire Damon in qualche modo”
Gli consigliò accorata … perché in fondo anche lui aveva il diritto di sapere. Lui, il figlio ribelle che non poteva davvero odiarlo. Nessun figlio odia suo padre, in fondo.
“Ho trovato il suo numero nell’agenda di papà, l’ho avvisato. Sta tornando – alla sua reazione sbigottita proseguì – l’ho trovato tra gli oggetti personali che il coroner mi ha consegnato. Facevo bene a sospettare”
In quel frangente di secondo avrebbe pianto e riso, gridato e scalciato di rabbia, lei che aveva la soluzione tra le dita per tutto quel tempo e nemmeno lo immaginava. Aveva chiesto a chiunque, dovunque, ma non a suo padre. Che sciocca era stata. Un sorriso amaro le schiarì il volto teso, ma non aggiunse nulla, non era il momento. E poi … non ne valeva più la pena.
Ma il suo cuore impazzito non la pensava esattamente come lei.
“Vieni qui – allungò le braccia per invitarlo a sederle accanto, e lui obbedì lasciandosi cadere stanco – penseremo a tutto domani. Riposa adesso, ne hai bisogno”
Senza che opponesse resistenza lo invitò a sdraiarsi per poggiarle poi la testa in grembo.
“Andrà tutto bene” proseguì con voce rotta. Perché stesse piangendo non lo capiva, ma la vecchia Elena fece capolino dentro di lei, e d’un tratto si riconobbe dopo mesi, travestita soltanto da dura.
Stefan sospirò “Mi dispiace per come sono andate le cose”
“Dispiace anche a me”
Tra un fiume impetuoso di lacrime riuscirono a regalarsi a vicenda un sorriso. Alla fine della giostra si erano ritrovati, e se Damon fosse stato un uomo e non un vigliacco lo avrebbe capito anche lui che era possibile.
Si addormentarono così, Stefan riverso su di lei che nonostante tutto non lo aveva lasciato solo quella notte.
 

L’alba arrivò a chiamarli trovandoli nella stessa identica e scomoda posizione, e lo stesso sole nascente accompagnò lo scatto della serratura di una persona che dopo tanto torna a casa.
Fu proprio quel rumore secco a destarli da un sonno agitato e malfermo, e non appena aprì gli occhi accecata dal mattino non fu la luce a disturbarla, ma un’immagine che per mesi aveva sognato e bramato, senza riserbo né indugi, un’immagine che anche nella sua più fervida fantasia non avrebbe mai potuto competere con la realtà.
Ricordava ogni dettaglio e sfumatura di quegli oceani limpidi, e ogni ondulazione della chioma folta e scombinata che gli adornava il viso ombrandogli la fronte, ricordava il suo corpo armonioso in ogni dettaglio, ogni muscolo, ogni odore di quella pelle, ogni pista seguita dalle sue labbra fameliche. Ricordava tutto di lui, eppure gli parve bello in quel momento più che mai. Un uomo nuovo, da scoprire e assaporare.
Nel silenzio più assoluto che accompagnava quel ritorno incontrò impietrita il suo sguardo stanco, ne studiò il volto angelico e tirato, forse messo a dura prova dal lungo viaggio. Bello come il demonio, bello e traditore, l’ingannevole Damon. Lo era sempre stato.
Anche lui sembrò sorpreso nel trovarla lì, con suo fratello, addormentata insieme a lui, e una nuova ruga di dolore gli contornò gli occhi già lucidi.
Ebbe almeno la decenza di non commentare,ma di avvicinarsi appena lasciandosi cadere con un tonfo sordo il borsone dalle spalle. 
Stefan abbandonò il suo grembo e fulmineo gli andò incontro.
Quando furono l’uno di fronte all’altro, nel mezzo del salone, temette per un attimo che potessero riprendere a ferirsi. Non fu così.
“Damon …” bisbigliò il minore, in palese imbarazzo.
“ … Lo so” lo bloccò l’altro, con una pacca sulla spalla e un sorriso di scuse. Restarono immobili, vicini come non lo erano mai stati ai suoi occhi, stretti nello stesso dolore, uniti per lo stesso padre. Finalmente limpidi, pensò, riflessi l’uno nell’altro avevano appena smesso di farsi la guerra.
In quel momento intimo tra fratello si sentì di troppo, proprio lei causa dei loro dissapori, e poi un attimo soltanto ancora lì e avrebbe corso il rischio di correre a stringerlo tra le braccia venendo meno a tutte le promesse fatte a sé stessa. Quella era la vecchia Elena, ricordò. La nuova, la donna che era diventata, non aveva bisogno di lui,  aveva imparato a viverne senza e sel’era cavata egregiamente. La nuova  Elena non gli avrebbe mai potuto permettere di ferirla ancora, non gli avrebbe riservato un posto al di là della barriera, era forte abbastanza da tenerlo fuori.
Fu così che salutò educatamente Stefan, promise di esserci l’indomani ai funerali e sgusciò via senza una parola ulteriore, ma ben consapevole dei suoi occhi torbidi e sofferti puntati sulla pelle e capaci di penetrarle fin dentro l’anima.



Spazio autrice:
Allora mie care lettrici eccomi qui!!!!!!!!!!!!!!!!!! =) ho finalmente terminato gli esami in settimana, ho la storia già pronta solo da ritoccare e mi appresto ad andare in vacanza quindi spero di terminarla nelle prossime settimane anche se vorrà dire postare spesso!!! non più di una volta a settimana comunque, ma non avrò più un giorno fisso, dipenderà da quanto tempo riuscirò a ritagliare per ricopiare e modificare il capitolo!
E tornando a noi ... beh che dire ... questo primo capitolo è abbastanza breve perchè il prossimo (quello del funerale) sarà molto lungo e non mi andava di spezzarlo in due, quindi ho preferito dividere il tutto in due capitoli di lunghezza diversa! che dire... inutile avvertirvi che i prossimi capitoli tratteranno temi più seri, si incentreranno appunto sui rapporti tra i vari personaggi, tra Damon e suo padre, tra i fratelli Salvatore, tra Damon ed Elena... diciamo che la morte di Giuseppe avrà non poche ripercussioni sopratutto su Damon e il suo rapporto con Stefan ... inutile dire che l'avevo pensata fin dall'inizio, insieme alla partenza di Damon e l'ipotetica partenza di Elena accennata appena nei capitolo scorsi, quando ho gettato le basi della storia quindi spero che queste scelte vi piacciano e sopratutto spero di renderle al meglio =)
Grazie infinite a tutte voi!! un bacione =***** Amanda

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Capitolo 28
*** CAPITOLO26 ***



POV ELENA
 

Il mese di maggio albeggiava sul verde di Mistic Falls saturando l’aria di profumi e polline. Il tetro invernale aveva ormai lasciato posto ad un verde carico, spezzato da fiori di mille colori. La natura riemergeva in tutto il suo splendore, nel calore quasi afoso di un sole rinascente.
Sotto quel sole di mezzogiorno Elena Gilber passeggiava per andare a lavoro.
La natura era viva intorno a lei, che alla vita ci aveva rinunciato da un po’.
 
 
“Ric! Dimmi dov’è!” gli impose sconvolta e in lacrime, abbattendosi come un uragano in casa. Lo aveva cercato ovunque, aveva tentato di contattarlo per giorni, ma era come scomparso nel nulla. Rabbia cieca e terrore la sconvolsero nel rivolgersi a lui, l’amico di una vita, la sua ultima chance. Un appiglio cui non riusciva a staccarsi, non se avesse significato perdere anche l’ultima speranza di ritrovarlo.
“Elena non lo so! – le ribadì esausto per l’ennesima volta – mi ha chiamato, ok? Ma non ha voluto dirmi dov’era! Per quanto ne so potrebbe essere finito in capo al mondo! –scosse il capo ringhiando sovrappensiero – che testa di cazzo quell’uomo!”
“Ci dev’essere un modo per contattarlo” insistette Jenna, preoccupata quanto lei.
“Ha chiamato da una cabina e il suo cellulare è spento da giorni … pensate che se sapessi dov’è non ve lo direi?”
Le scrutò entrambe provato, e sentì il suo sguardo apprensivo sulla pelle, nell’anima, mentre anche l’ultima fiammella di speranza sopperiva sotto il peso di una scomoda verità: non voleva essere trovato.
“Hai chiesto a Stefan?”
 
 
“Stefan … ehi”
Un saluto fugace e imbarazzato fu tutto ciò che uscì loro quando si scontrarono all’entrata del Grill. Erano mesi che non si rivolgevano la parola, settimane forse che non lo incrociava più sul suo cammino. Strano pensare quanto quella persona avesse significato per lei in passato e quanto erano ormai lontani anni luce.
“E così … lavori qui ora?”
“Per il momento” sviò evasiva con una scrollata di spalle.
“Hai tagliato i capelli” notò a quel punto il suo ex.
Si era finalmente decisa per la gioia di Care a dare una sforbiciata a quella chioma indisciplinata addolcendola con un taglio scalato e più leggero, completato da un ciuffo laterale che aveva scoperto si addiceva perfettamente al suo viso.
“Ti piacciono?”
“Non … sembri tu, ecco – constatò, in difficoltà, con una strana espressione dubbiosa – ma si, stai benissimo” le sorrise.
Dopo mesi di battaglie, scontri, e poi completa apatia, si regalarono a vicenda un sorriso, spontaneo e inevitabile. Si erano amati e feriti, quel tipo di legame che in fondo non muore mai per davvero.
“Senti Elena … - gesticolò nervosamente – l’ho cercato, senza successo … ma … penso papà sappia qualcosa. Ci sto lavorando” le comunicò con fatica. Lo lesse chiaramente tra le pieghe delle sue smorfie di dolore. Lo stava facendo per lei, lo sapeva bene.
Ma era tardi, quell’Elena si era ormai spenta insieme all’amore distruttivo per un uomo che alla prima difficoltà sel’era svignata a gambe levate. L’aveva lasciata sola, nonostante le promesse, i loro momenti e i progetti per un futuro tutto da costruire. Damon quella notte aveva deciso di gettarsi tutto alle spalle, e lei soltanto mesi dopo aveva smesso di lottare per impedirglielo.
“Se lo fai per me lascia perdere, scusa soltanto il disturbo. Ora devo andare”
 
 
“Stefan! Dov’è?”
Seconda tappa della giornata,  forse quella più difficile. L’ultima volta che si erano visti, tre sere prima, Damon era ancora lì con lei … cacciò indietro le lacrime.
Il ragazzo la ignorò bellamente oltrepassandola per dirigersi ad una serie di cassetti.
“Dov’è chi?”
“Damon”
“Beh … non qui”
Le porse un foglio stampato con infastidita sufficienza, per poi tornarsene seduto alla scrivania. Tutta la redazione poteva vederli e sentirli, ma a lei non importò.
“Cos’è?”
“Una lettera di licenziamento. Firma”
Con i nervi a fior di pelle, troppe ore di insonnia sulle spalle e l’incessante unica voglia di prendere il primo volo e cercarlo in capo al mondo si concesse un profondo sospiro per calmarsi.
“Non puoi licenziarmi. Essermi fatta tuo fratello non è un motivo valido”
gli fece presente monotono, neanche lontanamente intenzionata a difendere il suo lavoro. Voleva soltanto Damon, il prima possibile, lì accanto a lei. Lo avrebbe trovato e riportato indietro, ad ogni costo.

Stefan digrignò i denti.
“Troverei comunque un’altra scusa per cacciarti, evitami la fatica di cercarla”
“Dimmi dov’è Damon!”
Batté il piccolo pugno rabbioso sulla scrivania calandosi minacciosa su di lui.
“Non lo so!! –alzò la voce esasperato e fuori di sé – è sparito, scomparso, fuggito! – le suggerì alzandosi fino a fronteggiarla – su avanti! Cosa ti aspettavi da mio fratello? Amore eterno? È già tanto che sia durata un paio di settimane”
“Non è vero! tu non lo conosci come me, Damon mi ama” strinse le dita tanto forte fino a farsi male e tirò su col naso, trattenendo a fatica il pianto. Stentava a riconoscere sé stessa, lei da sempre orgogliosa e fiera aveva finito per elemosinare informazioni e difendere l’indifendibile. Ma quell’indifendibile uomo lei l’amava.
“Infatti, lo vedo – la derise scontroso – facciamo così: io scopro dov’è se tu firmi questa fottuta lettera e te ne esci dalla mia vita”
Agguantò il foglio stampato e glielo passò con uno scatto secco.
In fondo lo aveva distrutto, e per un attimo si sentì un verme al pensiero di essere lì a lottare per suo fratello, con un uomo distrutto dal dolore quanto lei. Nonostante tutto non ci pensò due volte ad afferrare il documento che le porgeva. Damon valeva più di quello stupido lavoro.
 

“Cos’è che ti ha fatto cambiare idea?”
La sua domanda urlata la gelò di spalle sulla soglia della porta.
“La vita è troppo breve per trascorrerla in attesa”
 
 

“Scusi signorina, ho ordinato una birra tre quarti d’ora fa!” la rimproverò scorbutico un cliente di mezza età.
“Sono fuori servizio”
“Ma io l’ho ordinata a lei”
“Che come vede ho terminato il mio turno” gli fece notare scocciata prendendo posto al tavolo dove Care e Bonnie la stavano aspettando da un po’.
Era esausta, massacrata dall’ennesimo turno interminabile, e decisamente non dell’umore adatto a scontrarsi con un cliente insoddisfatto.
“Sai forse i clienti dovresti trattarli meglio” ipotizzò la mora, cauta.
“Non sono più in orario di lavoro, ne chiamasse un’altra. Allora, stasera ci si diverte?” batté le mani eccitata chiedendo con lo sguardo il consenso delle amiche.
Quella sera si festeggiava l’arrivo della primavera in stile Mistic Falls: alcool, musica, e bei ragazzi. Ridacchiò al solo pensiero.
 

“Elena ti prego … riflettici: hai davvero rinunciato al lavoro per ritrovare Damon, che è palesemente fuggito di sua spontanea volontà?”
Care era corsa da lei non appena ricevuto la sua chiamata, e ora adagiata a gambe incrociate sul suo letto la ascoltava apprensiva con attenzione.
“Si l’ho fatto. Lo troverò Care”
“Forse il punto è proprio questo: non vuole essere trovato”
Non c’era ombra di accusa, né risentimento in quelle parole, e di questo gliene fu grata.
“Non è vero! lui … lui ha solo avuto paura ma ritornerà – specificò ostinata asciugandosi gli occhi stracolmi di lacrime – deve tornare”
Doveva farlo perché l’amava. E se, ovunque fosse in quel momento, stava pensando a loro non poteva restare lontano. Non poteva ignorare la fitta allo stomaco al pensiero di ciò che erano stati … ciò che avrebbero potuto essere. Damon non poteva ignorare il legame che li univa, la sua forza, e l’intensità con cui si erano amati e lasciati prendere. Si erano donati l’un l’altro, ed era certa che quello lo avesse sentito anche lui, e che non potesse ignorarlo. Quello che non sapeva era che tutto quel dolore, e l’ostinazione nel trovarlo si sarebbero pian piano trasformati in accettazione, rabbia e risentimento, cambiandola per sempre.
 

“Veramente io ci vengo con Tyler … mi ha chiesto di andarci insieme, erano mesi che aspettavo si facesse avanti … scusa! Scusa”
Le regalò la sua miglior’espressione buffa di dispiacere davanti alla quale non poté non capitolare.
“Va bene! ma tu proprio adesso dovevi innamorarti? – sbuffò delusa – e fammi indovinare … tu ci vieni con Jamie”
Bonnie confermò con un gesto del capo.
“Scusa Elena!” la implorò prendendole le mani.
Si guardò intorno puntando subito il bersaglio perfetto: Mason. Stupido e belloccio, non le avrebbe mai potuto dire di no: aveva un debole per lei dalla terza elementare! E poi era convinta che avesse passato le ultime due ore a fissarle il sedere.
Si sciolse i capelli ravvivandoli con le dita.
“Come sto?” si mostrò vanitosa alle amiche.
“Bene … che devi fare?”
Sbottonò il primo passante della camicetta bianca.
“Vado a trovarmi un uomo!” spiegò ovvia allontanandosi.
 

“Hai accettato un lavoro al Grill? A fare cosa?”
Jenna era scettica e la scrutava pensierosa.
“La cameriera”
“Ma Elena … hai lavorato duramente  in redazione. Il giornalismo è la tua vita!” le ricordò incaponita mentre erano sedute entrambe alla penisola con una vaschetta di gelato al centro.
“E infatti dopo due anni ero ancora malpagata, sfruttata e sottovalutata”
“Si chiama gavetta”  la corresse seria.
“Chiamala come vuoi … senti Jenna al giornale non ci torno, e anche se volessi Stefan non mi aspetta lì a braccia aperte” puntualizzò con menefreghismo e un’alzata di spalle. Infondo un lavoro valeva un altro.
Era particolarmente nervosa in quei giorni, forse per l’inizio della primavera, per il polline che infestava l’aria come ogni anno dandole allergia, o forse erano soltanto gli strascichi di un’Elena che seppelliva con forza, un fiume di ricordi che più relegava all’ombra più sembravano tornare a galla per tormentarla. Dita incrociate, baci rubati, ogni sguardo e sorriso, di provocazione e complicità, litigi e risate, sfide e rese. Da dimenticare.
Ma quel paio di occhi blu vivo … quelli no. Non se ne andavano.
“Guarda qui – sua zia le porse titubante un foglio che lei agguantò incuriosita – è uno stage in giornalismo, organizzato dai migliore esperti nel settore … e prima che parli – le intimò il silenzio con un dito – ok costa un tantino ma qualcosa da parte cel’hai, no? A Jeremy ci pensiamo noi”
Lesse velocemente un indirizzo e-mail e una lista di dati da inviare, senza dire una parola, dando modo a Jenna di procedere.
“Se vai sul sito ti spiegano tutto – le indicò l’indirizzo ai bordi del foglio – comincia a settembre, hai ancora tempo per pensarci! Dura due anni”
“Ti sei già informata” notò con disappunto, o forse soltanto confusione e titubanza.
“Dovresti inviare dati e credenziali, se vieni scelta te lo comunicheranno. Che ti costa tentare?”
Restò interdetta.
“E’ a Londra” precisò allora sua zia con leggerezza, scrutando attenta la sua reazione. Reazione che non arrivò.
“Londra è all’altro capo del mondo” le fece presente imperscrutabile.
“E’ un’opportunità da non perdere, oltre ad essere un’esperienza indimenticabile”
Damon lo farebbe, le ricordò la sua vocina interiore, prepotente e inopportuna. Damon le avrebbe detto di partire, di viverlo quel mondo che tanto la spaventava, e sarebbe stato fiero di lei se finalmente avesse trovato il coraggio di seguire i suoi sogni.
Damon non c’era più! e il suo parere non le sarebbe mai dovuto interessare, si rimproverò amareggiata.
“Non … non mi va” sviò sfuggente spezzando il contatto visivo e parandolesi di spalle per fingere soltanto la ricerca del cellulare che sapeva essere al piano di sopra.
“Perché no?! Questo era il tuo sogno ancora prima che Damon entrasse nella tua vita! Volevi andare in Europa, l’hai sempre voluto ricordi? E volevi fare carriera! Eri ambiziosa e combattiva, e non ti saresti mai accontentata di un lavoro al Grill! Cos’è successo a quell’Elena?” la rimproverò a gran voce nel tentativo di ricordarle ciò che era, di persuaderla a ritornare la ragazzina con troppi sogni nel cassetto.
E lei non si voltò, non lasciò che la guardasse negli occhi, già lucidi e stanchi.
“Zia ti prego non insistere” la supplicò di spalle, evasiva. Non voleva parlarne, non voleva mostrarle l’inferno che le ribolliva dentro. Non meritava anche quello Jenna.
“Non sei morta su quel ponte con i tuoi genitori – la voce più vicina e cadenzata della donna le suggerì che le stava andando incontro – non sei morta quella notte perché la vita ti ha dato un’occasione. Avevi sperato in Damon, avevi creduto in lui, ma …”
“Non meritavo tutto questo –la interruppe sfinita, voltandosi di scatto verso di lei, nuda e fragile, bambina – non lo meritavo”
Jenna l’ accolse tra le braccia malferme stringendola al petto, materna e comprensiva, come una madre, come sua madre. Fu lei ad assistere alla sua resa, a vivere il momento in cui si ruppero gli argini e tutto il dolore venne a galla, inarrestabile. Fu lei a cullarla, e a stringerla, e a sussurrarle che sarebbe andata meglio, che cel’avrebbero fatta, che era lì per lei, con lei, e che non l’avrebbe mai lasciata sola. A differenza di sua madre, di suo padre, di Damon.
Fu quello il momento in cui sputò fuori  il dolore, il rancore, i rimpianti, e si liberò di tutto per cucirsi addosso un nuovo vestito, una nuova vita, una nuova Elena. Un’Elena nata dalle ceneri di un passato  da dimenticare.
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice:
buonasera lettriciiiiiiiii!!! sono in anticipo?? ormai ci sarete abituate! non ci sarò nel fine settimana quindi ho preferito postare oggi piuttosto che lunedì ... quindi eccomi qui!! mi spiace che Damon non sia ancora tornato ma il capitolo fino al suo ritorno sarebbe stato troppo lungo così ho spezzato! come tutte avrete letto a questo punto purtroppo non ci sono scene dei due insieme ma era prevedibile! ogni cosa al suo tempo =) chiaramente questo capitolo è stata una lunga introduzione con tanto di flashback dei mesi precendenti per spiegarvi appunto cosa e come ha condotto Elena alla situazione attuale: ha perso il lavoro, alla fine per sua scelta, ne ha trovato un altro al Grill, ha lottato per entrambi finchè ha potuto, finchè non si è resa conto che non ne valeva la pena. L'abbandono di Damon l'ha cambiata, l'ha segnata, e l'ha resa la persona che sarà da qui in avanti! non mi dilungo perchè tutto ciò che dovevo dire è già stato detto nel capitolo ^^ alla prossima!! 
Grazie come sempre a tutte voi per i commenti che non mancano mai ^^ 

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Capitolo 29
*** CAPITOLO28 ***



POV DAMON
 

Quel giorno ai funerali il mese di maggio regalava un sole carico e pieno, un dolcissimo calore sulla pelle ombrato soltanto dalla sottile frescura che scosse lieve i rami in fiore degli arbusti su di loro che stretti in abiti scuri circondavano una bara chiusa, adagiata in un fosso nel cimitero di Mistic Falls.
C’erano tutti, tra le lapidi di pietra erose dal vento: c’era la famiglia dei Mickaelson, al completo, con sua enorme sorpresa, c’era Stefan, stretto al suo fianco, lo sguardo vacuo e stanco, gli occhi bassi e smarriti. C’era lei, poco più indietro, piccola e rispettosa, distante ma presente. C’erano Ric, e Jenna, che nonostante tutto erano stati i primi ad arrivare. C’erano i dipendenti delle aziende, i pezzi grossi e i pesci piccoli, spalla a spalla, vicini per l’ultimo saluto. C’era qualche fotografo, irriguardoso delle direttive della famiglia, in cerca di un pezzo da completare sul grande uomo d’affari caduto nella notte. Quanto di quel dolore fosse vero o simulato non seppe dirlo, quante di quelle lacrime fossero sincere era un mistero, ma di una cosa fu certo: suo padre era stato sconfitto. L’unica cosa che non aveva potuto controllare l’aveva preso e portato via in un attimo mostrandogli che in fondo non era così invincibile come credeva.  Giuseppe Salvatore, abituato a possedere il mondo, sen’era andato. E lui si ritrovava a fissare una bara riversa, solo come mai. Non aveva più nessuno da odiare, nessuno da incolpare per la vita che non era riuscito a costruire, ma sopra ogni cosa non aveva più neanche un padre.
L’ultimo brandello della sua famiglia si era spento nel cuore della notte, mentre lui era lontano chilometri.
Senza che ascoltasse una sola parola di quell’inutile benedizione arrivò il momento in cui qualcuno avrebbe dovuto dire qualcosa prima che la bara fosse gettata nel fosso, e oltre ogni sua aspettativa fu lui stesso a muoversi e posizionarsi al fianco di suo padre, per l’ultima volta.
Una brezza tiepida accarezzò la folla mentre gli sguardi dei presenti ricadevano su di lui, in un silenzio carico di aspettative.
Il suo sguardo gli arrivò, scuro come la notte, caldo, apprensivo come quello di una madre, di un’amante e di un’amica. Uno sguardo liquido capace di addolcirgli per un istante quel dolore agrodolce in pieno petto.
Tossicchiò impreparato e la sua voce risuonò tutt’intorno.
“Non starò qui ad ingannarvi con discorsi piacevoli ma ipocriti – iniziò esitante, tentennando su ogni singola parola – non vi dirò che Giuseppe era un brav’uomo perché vi mentirei. Vi posso dire quello che non era … non era un uomo onesto e gentile, e non era un gran filantropo,  non era nemmeno un gran genitore a dirla tutta. Giuseppe era uno stronzo …”
 
 
 

“Che hai combinato questa volta?”
Agguantò nervosamente una cornice in argento raffigurante due volti paffuti e un giovane uomo dai tratti duri fin troppo simile a quel fratello che aveva tradito.
Lui e Stefan, bambini, vicini, prima che permettessero a tutto quel male di separarli.
Ripose irritato lo scatto e finalmente si rivolse a lui, l’uomo brizzolato e robusto che ancora in vestaglia era corso ad aprirgli la porta, e che ora lo scrutava in allerta.
“Ho pensato di spassarmela con la donna sbagliata”
Giuseppe inarcò le sopracciglia, confuso.
“Non fraintendermi, è stato divertente! Ma è ora di farla finita” ironizzò fingendo una calma e noncuranza che nulla aveva a che fare con il suo stato d’animo. Gridava e scalpitava, tremava nervoso ma Giuseppe non avrebbe mai dovuto saperlo.
“Chi” soffiò imperturbabile, l’uomo. Si strinse nella vestaglia mentre aspettava la sua risposta.
“Elena” ammise d’un fiato, e distolse immediatamente lo sguardo, terrorizzato all’idea di ritrovare nel suo volto sorpreso la gravità dei suoi gesti, del suo egoismo distruttivo.
Giuseppe non fiatò, e per la prima volta avrebbe dovuto ringraziarlo per una discrezione che mai gli aveva concesso nella vita.
“Questi sono i soldi che ti avevo promesso – gli si accostò per porgli l’assegno – fai attenzione!”
Lo avvertì, con un’ombra di preoccupazione nello sguardo. Era attento, attento a lui, anche questo non si aspettava.
“E comunque non sei tenuto a partire” proseguì increspando le labbra in una smorfia contrariata.
“Suvvia – ironizzò amareggiato – non aspettavi altro”
L’uomo lo raggiunse con sguardo torvo “Sei tu quello che mi sfida continuamente, tu hai l’insana abitudine ad andarmi contro!”
“Forse perché lo meriti?”
“Mi sta punendo Damon – lo corresse risentito – mi punisci continuamente! Ma non è incolpando me o continuando a girovagare come una trottola impazzita che placherai i tuoi sensi di colpa! Eri tu lì quella notte, non ti ho detto io di andarci, non ti ho detto io di spalleggiare Klaus, non vi ho detto io di sparare!”
Urlò adirato puntandogli un dito al petto, ed anche quella fu una prima volta per lui: la prima volta che si lasciava rimproverare senza controbattere, la prima volta che ammetteva a sé stesso perlomeno che suo padre aveva ragione.
“Un giorno sarai padre e capirai anche tu perché ho fatto quel che ho fatto, fino ad allora odiami pure, ma sappi che il responsabile di quella morte sei tu, non io”
“Perché non hai lasciato che mi punissero allora?” lo accusò con rancore, sovrastando in altezza il suo tono già furibondo.
“Perché non mi hai fermato? Perché non ti sei costituito? Stai cercando un capro espiatorio per non affrontare i tuoi sensi di colpa! Questo sono io per te,Damon” gli sputò in viso senza mezze misure, e un fiotto di saliva gli andò letteralmente di traverso nel tentativo di ingoiare una risposta che mai avrebbe dovuto concedere. Non lo avrebbe mai potuto ammettere, ma il mare torbido dei suoi occhi sgranati aveva già donato all’uomo la sua piccola vittoria.
“Buona fortuna Damon”
Gli lasciò una pacca sulla spalla, con un mezzo sorriso di sconforto.
“Grazie – disse soltanto lui, troppo orgoglioso per mostrare altro – ti chiamo appena arrivo… non dire niente a nessuno”
Dieci minuti dopo era in viaggio su una strada deserta in compagnia soltanto del buio più nero , il freddo penetrante di una notte senza stelle, e  il rumore assordante di flashback e ricordi di lei che mai in quei mesi avvenire lo avevano abbandonato un solo istante per le vie caotiche di New York. Lì era rimasto, in anonimato, nella grande città, circondato di vita e adrenalina ma mai così solo.
Quella fu l’ultima volta che vide suo padre, quelle furono le ultime parole che si erano scambiati, gli ultimi errori gridati e rinfacciati, il loro unico e insolito addio.
 
 

“Ma quello stronzo … era mio padre – concesse a cuore aperto, sentendo per la prima volta gli occhi pizzicare. Il silenzio regnava intorno a lui, e per un attimo gli sembrò di sentirlo davvero suo padre lì – qualcuno di voi l’hai conosciuto in veste di amico, o di socio, o di datore di lavoro, e in qualsiasi modo lo si guardasse, da qualsiasi prospettiva lo abbiate osservato, gran parte di voi ha forse visto soltanto un uomo freddo, un calcolatore, un grande imprenditore che di umano aveva ben poco”
Rise amaramente, nel silenzio più nero, e senza realmente osservare gli improvvisati spettatori dell’insolito teatrino da lui stesso creato, proseguì. Pensò che fosse quasi comico … che fosse proprio lui a parlare di Giuseppe.
“Io stesso per gran parte della mia vita ho visto in lui poco più di questo, e ho speso tempo e grandi energie ad andargli contro, l’ho odiato più di quanto lo abbia amato, e troppe delle scelte che ho fatto nel corso degli anni sono stati semplici tentativi di sabotare i piani che lui aveva in serbo per me”
Lo ammise finalmente, con il cuore leggero concesse quella verità che Giuseppe avrebbe sempre voluto sentirsi dire, in ritardo perché potesse ascoltarla anche lui.
“Ma la verità è che siamo qui oggi a ricordare un uomo: un figlio, un marito, un padre, prima di ogni altra cosa. Forse non sarà così per molti di voi, ma lo è per … me – titubò a quell’ultima ammissione ma furono i suoi grandi occhi tra la folla, gli oceani neri luminosi come fari, a dargli il coraggio che mancava – … e per mio fratello. Noi due siamo qui a ricordare un padre, non di quelli perfetti che ci propinano alla tv, ma pur sempre un padre. Non si può scegliere chi ci metterà al mondo, e non si può prevedere il momento in cui dovremo dirgli addio, noi questo lo sappiamo bene – catturò fulmineo lo sguardo perso di suo fratello, nel tentativo di infondere coraggio ad entrambi – per questo io oggi dico addio ad un altro brandello della mia famiglia, buono o pessimo che fosse, e mi stringo a mio fratello … tutto ciò che mi rimane” sussurrò abbassando gli occhi, sopraffatto e spossato, e sorridendo appena tristemente carezzò con un palmo leggero la bara al suo fianco, l’involucro che da quel momento in poi avrebbe contenuto suo padre. Al posto trovò lui, suo fratello, pronto a stringerlo in un abbraccio, un abbraccio incerto ed esitante, che ricambiò imbarazzato, e nel farlo la notò ancora. Vide lei, sorridergli amorevole. Lei, tutto ciò da cui era fuggito, tutto ciò che aveva amato, era lì per loro, non soltanto per Stefan, ma per entrambi, comprese in quell’istante. Perché infondo, per quanto le avesse fatto del male, lei sapeva cosa si provasse a perdere tutto, ad essere soli, e con un flebile sorriso riuscì a dirgli che cel’avrebbe fatto, che lo avrebbe superato, insieme a Stefan.
 
 

Per il resto della giornata fu pervaso da un senso di inquietudine senza precedenti e l’umore altalenante di chi è combattuto da un dolore che non vuole mostrare. Dopo aver salutato e ringraziato i presenti alla funzione andò nell’unico posto che da sempre prediligeva: il Grill. Solo buco sputa alcolici che in fondo con la sua aria rustica di periferia gli era sempre mancato. Anche lì le sorprese non finirono: Elena. Non in veste di cliente, bensì di cameriera. Com’era possibile che quella ragazzina tanto in gamba fosse finita a servire i tavoli di un anonimo bar? La risposta forse era chiara, ma non volle dargli peso. Dopo tutto quello che era successo avrebbe dovuto soltanto girarle alla larga … proprio in quel momento che aveva bisogno di lei più di ogni altra cosa al mondo.
Ric lo trovò così, all’ingresso, in piedi a fissarla inebetito.
“Dovrei prenderti a pugni”
Non ebbe bisogno di voltarsi a constatare chi fosse, né tanto meno sentì di dover chiedere delucidazioni su quella minaccia.
“Lo meriterei”
“Che diamine ti è saltato in mente? Perché?” insistette intestardito con un’aria tra l’incredulo e il rassegnato che gli strappò un mezzo sorriso.
“Perché sono una testa di cazzo”
L’amico, in tutta risposta, si fece spazio guidando entrambi verso uno dei tavolini.
“Niente bancone?” domandò ironico osservandola destreggiarsi tra gli alcolici.
“Sei troppo sotto tiro lì, e ti assicuro che Elena è una pistola carica: girare alla larga”
“Meriterei anche quello” constatò con un’alzata di spalle, ad occhi bassi.
“Ok, non c’è gusto a minacciarti in questo stato. Come stai?”
“Perché continuate a domandarmelo tutti?!” borbottò acido roteando gli occhi.
“Ok … fai come ti pare – Ric alzò le mani in segno di resa, con sua immensa gioia – fai pure il duro, è quello che fai sempre”
“Hai molta considerazione di me”
“L’hai persa quando hai tagliato la corda lasciando tutti nella merda” lo accusò indispettito.
“Se lo pensassi davvero non saremmo qui” lo liquidò alla svelta. E lui non rispose, perché entrambi sapevano che aveva ragione.
Alzò gli occhi e la vide parlottare sottovoce con una collega dal viso tondo che subito dopo si avvicinò loro a chiedere le ordinazioni. Prevedibile, aveva mandato l’adolescente sfatta al suo posto. Colpo basso. Meritava anche quello.
Stefan entrò all’improvviso, e accorgendosi di loro si avvicinò titubante.
“Siediti”  lo invitò facendogli spazio.
“Di che parlavate?”
“Di quanto è stronzo tuo fratello”
“Sfondi una porta aperta” ironizzò Stefan, senza alcuna malizia, o forse fu lui a non scorgere cattiveria, per la prima volta dopo tanto.
“Mi dite per quale ragione Elena è finita a lavorare in questo squallido posto?” sbottò non appena un briciolo di coraggio glielo permise.
I due uomini si scambiarono un’occhiata fugace.
“Insomma! L’hai licenziata davvero?”
“E’ stata lei a rinunciare”
“Che idiozia! Perché avrebbe dovuto?” controbatté scettico.
“Perché in cambio avrei dovuto trovare te”
“Ma l’impresa è stata più ardua del previsto” proseguì l’altro.
“E poi ho scoperto che mi sarebbe bastato aprire l’agenda di papà per trovarti”
“L’ultima persona al mondo che pensavamo potesse avere un tuo recapito”
Terminò Ric con una nota di tagliente umorismo.
“Sono uno stronzo” farfugliò di soppiatto senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso per un solo istante. Indaffarata e scombinata, era appena scomparsa nel retro.
“Valle a parlare” gli consigliò di soppiatto proprio lui, proprio Stefan. Il fratello che aveva ferito, che mesi prima aveva giurato di non volerlo più vedere.
“Non posso mettermi tra di voi all’infinito” si giustificò con un’alzata si spalle. Gli parve spento come mai prima di allora. Entrambi avevano bisogno di quella donna, ma questa volta era lui il fortunato ad avere il suo cuore. Lo aveva stretto tra le mani, e distrutto. Non meritava nulla da lei, né compassione, né conforto, né comprensione, ma aveva bisogno di sentirla accanto per un solo attimo.
“Ieri, quando sono tornato …”
“Non c’è niente tra di noi”
Terminò, ancor prima che domandasse.





Spazio autrice:
Buonasera a tutte voi!!!!!!!!!!!!!!!! anche questo capitolo è andato, mi scuso per eventuali errori di battitura ma ho finito di scriverlo in questo momento, con tanto di febbre, quindi non sono responsabile di orrori imperdonabili XD beh che dire ... apparte che non riesco a non postare sempre prima XD Come noterete anche in questo capitolo non assistiamo ancora al confronto tra Damon ed Elena ... mi sembrava più giusto dare maggiore spazio all'interiorità di Damon inteso come singolo, ed infatti è proprio Damon a parlare mostrandoci per la prima volta le vere motivazioni di questo suo odio esagerato nei confronti del padre. Ma quale figlio odia davvero un genitore? ed infatti la resa vera e propria del personaggio ci sarà proprio nel prossimo capitolo, e lo vedrà protagonista insieme ad Elena! da quel momento interaggiranno di più per la felicità di tutti (anche se vi avverto che ciò non significa che Elena lo perdonerà o che torneranno insieme... tutt'altro)
insomma un pò di pazienza!! =) ora vi lascio e torno a crogiolarmi nel mio mal di testa!! XD alla prossima!!!!

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Capitolo 30
*** CAPITOLO29 ***



POV ELENA
 

Era corsa a rifugiarsi negli stanzini bui e impolverati, adibiti a loro spogliatoi e bagni di fortuna, intenzionata a restarci per il resto del suo turno, o perlomeno finché lui non fosse uscito da quel posto. Doveva sparire perché riuscisse a riprendere il controllo del suo corpo e della sua stessa vita. Non poteva e non doveva lasciarsi sopraffare da lui, questa volta non si sarebbe ripresa.
Legò i capelli in uno chignon disordinato e sciacquò ripetutamente il viso, in cerca di frescura e sollievo, ma alzando gli occhi, attraverso lo specchio, lui era lì, alle sue spalle, comparso dal nulla e immobile sul ciglio della porta con un’espressione affranta sul viso. Quei grandi occhi blu spalancati su di lei, e la capacità intatta di toglierle il respiro.
“So di non meritare nulla da te”
Strinse le dita intorno al lavabo del lavandino finché non sentì i palmi sbiancare e farle male. Doveva essere forte, si ripeté.
“Hai capito perfettamente. Vattene” tagliò acida, senza voltarsi. Finché c’era uno specchio a dividerli poteva ancora ritenersi salva.
“Ho bisogno del tuo perdono, so di non meritarlo ma … ne ho bisogno”
Fu forse la voce rotta, o il tremolio leggero delle labbra, o ancora lo sguardo fisso nello specchio che riflettendosi su di lei le mozzò il fiato in gola, ma per un istante si sentì persa, persa senza di lui, quel solo folle attimo che la convinse a voltarsi. Rimase distante, e atona, inespressiva. Ma dentro, dentro di sé, odio e amore si contesero la sua anima.
“Non voglio litigare, non è il momento – gli spiegò fiacca – ma non posso perdonarti, non ora. Ho bisogno di tempo … quindi ti prego vattene”
Lo liquidò tremante, ma dura in volto. Non meritava quelle attenzioni, avrebbe dovuto sbatterlo fuori di lì, ma il suo corpo non si mosse di un millimetro, ancorato alla postazione con tutte le sue forze.
Damon chinò il capo “Tutto il tempo che ti serve”
“Ora vai via” gli ordinò ancora,  distante e tesa, scandendo ogni singola sillaba con troppa rabbia. Evitò i suoi occhi.
Per fortuna lui le obbedì e stava per darle le spalle quando fu la sua stessa a voce a sorprendersi e sorprenderlo, gelandolo in penombra sull’uscio della porta.
“Come stai?”
Glielo volle concedere un attimo di tregua, una breve domanda pronunciata dal suo angolino sicuro. Aveva bisogno di spazio dal quale tenerlo distante per poter respirare, ma allo stesso tempo voleva soltanto assicurarsi che lui stesse bene. La sua condanna, che vulnerabile come quel momento non lo era mai stata.
“Non pensavo c’avrei sofferto”
“E invece?” domandò premurosa, nella speranza di infliggere una qualche piccola crepa nel muro di silenzio che sembrava essersi creato intorno. Prima o poi avrebbe dovuto farlo, sarebbe arrivato anche per lui il momento in cui sarebbe riuscito a straripare. A lei era successo, proprio tra le sue braccia, in ospedale, quasi un anno prima. Tante cose erano cambiate da allora, ma loro, la loro chimica, era rimasta intatta. La sentì nell’aria, e la odiò.
“E invece lo sento … sento tutto. E’ orribile”
“Hai ancora Stefan” gli suggerì.
“Lo so” ammise flebile, sorridendole appena. Non lo vide il sorriso, presa com’era ad evitare di incrociare il suo viso, ma lo sentì. Riconobbe il suono del suo fiato, delle labbra che piano si piegarono all’insù. Conosceva tutto di quell’uomo, eppure non era stata in grado di difendersi da lui.
“La famiglia … è l’amore più grande. Sarà il vostro amore a salvarvi”
“So anche questo” concesse ancora, inespressivo.  Così taciturno e sfiancato non lo aveva mai visto, mai aveva visto i suoi occhi tanto grandi e umidi alla luce del sole, come in quel momento quando folle e sconsiderata alzò appena lo sguardo scorgendolo di soppiatto. Era orgoglioso Damon, e tagliente, forte, seducente e carismatico. Quel ragazzo era a malapena un’ombra sbiadita dell’uomo che aveva conosciuto, amato e odiato con tutta sé stessa.
“Io … vado” si scusò prima di tornare da dov’era venuto.
Un lungo sospiro le svuotò i polmoni e soltanto il silenzio che vi seguì riuscì a ristorarla.
Era sconvolta  … e capì che Damon era ben capace di quello, ed anche di peggio.
 
 
 
 
Quella notte, al termine del turno, tornare a casa era stata un’impresa quanto mai difficile. Un temporale violento e imprevisto si era abbattuto su Mistic Falls rinfrescando l’aria afosa e riversandosi con prepotenza su abitazioni e vegetazione. Un tipico temporale estivo, rifletté sobbalzando al rumore troppo vicino di un tuono, mentre a malapena riparata dall’ombrello si avviava a passo svelto verso casa, sotto una tempesta d’acqua e di vento che nulla risparmiava. Anche il tempo rifletteva il suo stato d’animo: tempestoso e scosso, come lo sguardo vitreo di Damon, come i suoi nervi in allerta e le deliziose ondate di brividi alla sua vista.
Lasciò che la pioggia facesse il suo corso, troppo poco ostacolato dalla presenza del piccolo ombrello, la prese in pieno per gran parte del tragitto. Ma non fu quello a preoccuparla nell’avvicinarsi a casa, quanto un’auto posteggiata nel vialetto: la sua.
Si affacciò al porticato con la vista annebbiata dalla pioggia fitta, tanto da accorgersi di lui soltanto quando furono a pochi metri.
Precipitò nel panico arrestandosi sbalordita nel notarlo lì, sulle scale del porticato, fradicio, rannicchiato come un bambino con le gambe strette al torace. Era bello anche nella vulnerabilità più totale di quel momento di sconforto, grondante d’acqua ma incurante di tutto. Era ubriaco forse, o semplicemente annientato, ma non le importò. In quel momento non ebbe importanza ricordare il male e gli errori passati. Non sarebbero bastati tutti gli errori del mondo a mandarla via.
“Damon…” lo chiamò in un sussurro coperto dal fruscio insistente della pioggia.
Il ragazzo alzò gli occhi verso di lei, due zaffiri lucenti capaci di comunicarle in un istante tutta la sofferenza, l’inquietudine e lo smarrimento di un uomo che nella vita aveva sempre soltanto giocato a fare il duro, ma che in fondo duro non lo era mai stato.
“Avevo bisogno di vederti. Non mandarmi via” la pregò a cuore aperto, ricordandole in un istante che mai sarebbe stata quel tipo di persona capace di voltargli le spalle.
“ Non … non lo farò” acconsentì cauta sedendoglisi accanto sul marmo bagnato e ormai cosciente di essere fradicia quanto lui depose l’ombrello al suo fianco e tremante lo accolse al grembo.
Inconsapevoli, senza volerlo, furono le sue braccia a cercarlo, a correre verso di lui per afferrarlo con cura e stringerlo a sé, con un amore e una tenerezza che non pensava gli avrebbe mai più riservato.
Al diavolo il male che le aveva fatto, in quell’istante aveva bisogno di lei. L’indomani la rabbia avrebbe ripreso il suo posto, ma in quel momento non glielo permise. Mise da parte sé stessa per lui.
Damon non reagì, non ricambiò, ma si rannicchiò contro di lei gettandosi al suo petto. Fu in quell’istante che straripò, ruppe i suoi argini finendo in lacrime.
Non lo credeva possibile, eppure erano lì. Era tutto vero.
Sentì la sua stessa sofferenza entrarle dentro mentre lo stringeva spasmodica assistendolo in un pianto a tratti nascosto, a tratti convulso. Sentì il suo respiro strozzato infrangersi sulla pelle, sul petto scoperto dalla piccola t-shirt, procurandole la pelle d’oca. Non era il momento, né il luogo, ma il suo corpo reagiva impertinente sfuggendole al controllo, e le dita corsero ad affondarsi nella folta chioma appiccicosa per carezzarla dolcemente nel tentativo di calmarlo. Era stretto a lei Damon, e piangeva a dirotto, rassicurato dalla notte, dal buio e dal mormorio della pioggia, al sicuro, stretto nel suo abbraccio. Nel loro primo contatto carne contro carne da mesi, da quando era andato via.
 
 
 
“Vieni”
Gli afferrò delicatamente le mani quando fu certa che il pianto si fosse ormai sopito, spento dalle sue carezze languide e dal silenzio di vicinanza e ascolto che gli concesse.
Il ragazzo le obbedì osservandola stranito un solo attimo, prima di lasciarsi andare a lei e seguirla passo passo, arrendevole e mansueto come non lo era mai stato. Lo guidò all’interno della casa vuota e su per le scale fino alla camera da letto ben attenta ad evitare di incontrare i suoi occhi, intenzionata a mantenere quella distanza che li avrebbe salvati entrambi dall’inevitabile.
Si accorse di lui ancora immobile sulla soglia soltanto quando rientrò dal bagno con un asciugamani che gli porse con un sorriso rassicurante. Non doveva mostrargli inquietudine, rimembrò ferma, ma soltanto vicinanza e comprensione. Tutto qui ciò che era tenuta a fare, il massimo che poteva concedergli.
Ma allora perché prese ad asciugarlo lei stessa con un amore sconfinato e incomprensibile persino per sé? Perché tutto ciò di cui si curò per un tempo indefinito fu il suo viso imperlato di pioggia e lacrime da accarezzare con perizia e amore?
Perché tutto ciò che vide furono i suoi occhi troppo vicini e troppo stanchi brillare carichi nella penombra della stanza?
Prima che potesse trovare l’unica possibile risposta alle sue domande gli posò il piccolo asciugamani sulle spalle e gli si allontanò di scatto per dedicarsi ad una veloce perlustrazione della stanza accanto che terminò con il ritrovamento in un cassetto di una tuta di Ric. Tornò in camera trovandolo intento a frizionare i capelli, con capo basso  e stanco.
“Questo è il meglio che ho trovato”
Gli porse i vestiti frettolosamente per invitarlo a cambiarsi, prima di chiudersi in bagno e fare lo stesso.
Soltanto lì, dinanzi allo specchio, sola con sé stessa, si concesse di respirare, maledire il suo piccolo cuore galoppante, e darsi della stupida.
Chiuse gli occhi inspirando piano … ci aveva messo mesi a ricostruire la sua esistenza  .. ma era bastato un solo suo sguardo a dubitare di tutto. Uno sguardo dal colore del male, la limpidezza di un cielo d’estate, la profondità di un orizzonte. Lo sguardo di un uomo che le aveva segnato la vita, un uomo la cui sola vicinanza bastava a farle dubitare di quella vita perfetta così meticolosamente costruita passo dopo passo, pezzo dopo pezzo, tassello per tassello, con troppa fatica.
 
 

“Resta qui stanotte”
Lo condusse verso il letto dove Damon si lasciò adagiare remissivo, per poi mettersi su un fianco dandole le spalle.
“Staremo un po’ stretti – si scusò imbarazzata – per fortuna Jenna ha insistito per prenderlo una piazza e mezzo” sdrammatizzò con tesa ironia, sistemandosi inquieta nella sua porzione di cuscino.
Damon aveva avuto perlomeno il buon senso di darle le spalle, notò, mentre si disponeva a incastro dietro di lui, nelle penombra rosata e fiacca della abat jour.
Dormire sarebbe stato difficile, ipotizzò sconsolata.
E lui si mosse ancora afferrandole un braccio per portarlo all’altezza del petto e stringerle una mano tra le sue.
“Ti prego … resta così”
Non avrebbe potuto divincolarsi da quella stretta nemmeno se avesse voluto, ammesso che lo avesse voluto. Ma il piccolo pugno ci stava benissimo tra le dite vellutate delle sue mani, il suo petto ansante ci stava da Dio a stretto contatto con le sue spalle ampie, il suo intero corpo non avrebbe potuto incastrarsi meglio con il suo. La verità era una soltanto, ma aveva il terrore di ammetterla.
“Grazie Elena. Grazie” farfugliò assonnato stringendole possessivo le dita prima di crollare addormentato.
Lei non disse una parole, non obiettò, non lo allontanò, ma sentì indistintamente il suo respiro regolarizzarsi all’arrivo del sonno e la presa farsi blanda liberandole le dita che però non lo abbandonarono ma anzi … restarono ferme all’altezza del cuore, a contarne i battiti attraverso la pelle e il sangue. Lo ascoltò ad occhi chiusi, e d’un tratto quella verità le parve chiara, unica e inequivocabile, ma non poté accettarla e mai avrebbe potuto: non aveva mai smesso di amarlo.




Spazio autrice:
Care lettrici eccomi qui con un nuovo capitolo!!! beh che dire??? soltanto di non aspettarvi un ritorno di fiamma XD insomma non c'è molto da spiegare ... che Elena lo ami ancora penso si capisse, ma questo loro avvicinamento è comunque dettato dalla particolarità del momento, non so per voi ma io al posto di Elena non lo avrei mai lasciato solo ubriaco e sconvolto sotto una tempesta, ma ciò non vuol dire che dal giorno dopo sarà tutto rose e fiori! consideratela come una piccola parentesi, un regalino per quante di voi aspettavano un nuovo piccolo momento tutto per loro! negli ultimi capitoli mi rendo conto che siamo stati a corto di loro scene insieme ma da qui in poi recuperemo! XD beh che altro ... non sto qui a ringraziarvi perchè sapete che vi adoro tutti!!! Buonanotte =*******

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Capitolo 31
*** CAPITOLO30 ***




POV ELENA
 
 

“Ok … mi stai dicendo che stanotte hai dormito con Damon, il quale riposa beatamente nel tuo letto anche adesso, e ti stai raccomandando di far piano per non svegliarlo”
Ricapitolò Jenna esterrefatta, con ancora il pigiama e la fumante tazza di caffè mattutino tra le mani. Lei, già pronta per andare a lavoro, afferrò una ciambella dal mucchio addentandola distratta.
“Esattamente” confermò con un mezzo sorrisino ironico, in un disperato tentativo di evitare il risvolto serio della questione.
“Elena …” la donna prese un gran respiro preparandosi a continuare, ma lei la precedette.
“Lo so! Jenna lo so! Non c’è bisogno che dici altro – la tranquillizzò con maggior sicurezza che potette mostrare – ieri aveva bisogno di conforto, ha appena perso i suoi genitori, chi più di me può capirlo? Non c’è altro”
“E’ soltanto la compassione che ti ha spinto a farlo? O c’è altro?”
La incalzò frenetica con una serie di domande mirate e dirette dalle quali non poteva che fuggire.
“Non importa, ok? Sono forte adesso, so difendermi”
“Tu non sei forte, fingi di esserlo! E più gli stai vicino più le tue difese vacillano … e se ti deludesse di nuovo? Sappiamo tutti di cos’è capace”
Era preoccupata sua zia, che l’aveva vista crollare e rialzarsi con troppa fatica, le era stata vicina durante quella lunga agonia e le aveva promesso che cel’avrebbe fatta.  E lei c’era riuscita … prima che i loro cammini si incrociassero.
“Non mi deluderà perché non gliene darò modo – tagliò secca afferrando le sue cose, ormai prossima ad uscire – dai Jenna sorridi!” la incoraggiò vedendola ancora troppo tesa e per niente convinta.
“Se lo dici tu …” biascicò incerta infatti, scuotendo appena la testa.
“Lo dico io!”
E la lasciò lì, con un bacio di sfuggita e un sorriso teso a mascherare la scomoda verità.


POV DAMON
 
 

Tornare a casa non era mai stato così difficile, appurò quando dovette lasciare quella mattina il suo letto, sfatto e impregnato dal suo odore, la sua stanza, il suo sapore su ogni cosa le appartenesse in quella casa, la sua essenza in ogni piega delle lenzuola, dove aveva dormito adagiata per l’intera notte, al suo fianco. Era riuscita a dargli calore e intimità, seppur con grazia e riservatezza … la sicurezza di due braccia gentili che accogliendolo gli avevano finalmente concesso una tregua, un attimo di pace. Era stata la sua salvezza quella notte, lo era stata in passato, e lo sarebbe stata in futuro.
Fu difficile anche per quello, ma dovette farlo. Stefan era solo in casa, probabilmente già preoccupato dalla sua assenza. Da quando ognuno badasse all’altro non lo ricordava.
I fratelli Salvatore passavano da un eccesso all’altro, privi di mezze misure.
Come previsto al suo rientro lo trovò in salone, visibilmente in ansia.
“Dove sei stato?”
“Da Elena”
Gli raccontò con estrema sincerità, omettendo per orgoglio la parte inerente alla crisi di pianto e a lei che lo accudiva come un bambino.
Stefan restò in silenzio qualche minuto, forse sorpreso o semplicemente confuso, poi gli fece spazio accanto a sé invitandolo a sedere sul divano.
“Me ne tiro fuori – esordì all’improvviso – sono stanco di permettere alle donne di dividerci, siamo fratelli  … e per quanto mi sia difficile accettarlo adesso siamo solo io e te. Io voglio che resti, che provi a riconquistarla se la ami perché ti assicuro che in questi mesi lei non ha mai smesso di amare te – un profondo sospiro gli comunicò tutta la difficoltà nel pronunciare quelle parole – non sarà semplice per me … ma fai qualunque cosa in tuo potere per essere felice, purché resti. Ho bisogno di mio fratello, per quanto disfunzionale sia il nostro rapporto tu sei l’unica cosa che resta della mia famiglia”
Non lo guardò in viso per tutto il tempo di quella confessione, né dopo, segno di quanto gli stesse costando fatica quella rinuncia, ma quando dopo un tempo indefinito si voltò verso di lui riconobbe quel bambino, quello con gli occhi verdi e gli zigomi pronunciati che si era aggrappato a lui il giorno dei funerali della loro mamma. Lo stesso uomo che gli aveva donato un abbraccio quando anche Giuseppe li aveva lasciati, lo stesso fratello che era stato in grado di concedergli il perdono in quella mattina soleggiata e umida.
“Non avrei dovuto innamorarmene, ho fatto un casino”
“E io non avrei dovuto uscire con Katherine, sapevo che l’amavi”
“Finalmente lo ammetti!”  allargò le braccia compiaciuto con un mezzo sorriso appena abbozzato.
“Beh … tu mi hai fregato Elena, direi che siamo pari”
“Tu la trascuravi!”
“E tu ne hai approfittato!”  gli rinfacciò tra il sarcasmo e lo sdegno.
Un’altra loro particolarità: la capacità di amarsi e odiarsi allo stesso tempo, nello stesso modo.
“E’ nato tutto come un’amicizia … e mi è sfuggita di mano” gli confidò con candore.
“So quanto è facile innamorarsi di lei – un sorrisino amaro gli increspò le labbra – in fondo è stata anche un po’ colpa mia: l’ho data per scontata troppe volte”
“Quando lo dicevo io …”  scrollò le spalle nel tentativo di sdrammatizzare.
“Non dovevi partire”
“Lo so”
“Perché l’hai fatto?”
Tutte quelle domande, e le risposte vere,  sentite, erano inedite per loro. Eppure si sentì finalmente a casa, su quel divano, con suo fratello. La sua famiglia.
“Ho pensato che lei meritasse di più, che tu meritassi di più di un fratello come me … avevamo intenzione di parlartene ma quando l’hai saputo così – ci rifletté qualche istante – mi è crollato il mondo addosso. Sai come sono fatto: davanti alle difficoltà scappo. Sono fuggito da una situazione che pensavo sarebbe finita male in ogni caso – non si voltò a constatarne la sorpresa impressa sul volto, la sentì ugualmente nel suo sospiro flebile, nel suo scuotere il capo silenzioso – alla fine avevo perso te e avrei perso anche lei. Ho agito d’impulso”
Sentì appena sorridere Stefan, e capì solo in quel momento quanto aveva sbagliato, quanto aveva perso e quanto poco avesse guadagnato.  Aveva perso lei prima di ogni altra cosa: l’amore della sua vita.
“Hai sbagliato … sarà difficile riconquistare la sua fiducia. Ha passato l’inferno, e ha fatto di tutto per trovarti”
Sorrise a capo chino al pensiero della piccola donna sola contro il mondo, era caparbia Elena, lo sapeva bene.
“E voi? voi due intendo”
“Ero troppo arrabbiato per volerla anche solo rivedere, per mesi ci siamo evitati come la peste, ma quando è morto papà …”
“Sei corso da lei”
“Sono corso da lei” confermò, rassegnato. Anche lui l’amava, e non c’era bisogno che glielo dicesse. Lo sapeva bene, da sempre, anche se questo non gli era bastato a farsi da parte.
“Ho bisogno di una mano Damon … con le aziende. Papà non c’è più e io non so dove mettere mano. Non posso gestire tutto da solo”
“Conta su di me”
Un ultimo sorriso ed ebbe la certezza di averlo ritrovato: suo fratello.
 
 
 

Quella sera si precipitò al Grill con le migliori intenzioni: le avrebbe parlato. Tanto prima o poi avrebbero comunque dovuto smetterla di far finta di niente e comportarsi come due vecchi amici o poco più che si erano ritrovati per via di un lutto.
Quello che non aveva calcolato era che il suo turno fosse finito da un pezzo, e che lei fosse lì in veste di cliente, in compagnia oltretutto. In dolce compagnia.
Un pugno allo stomaco fu vederla chiacchierare e ridere civettuola ad una probabile battutina di quello che riconobbe all’istante come Mason Lockwood, il nipote del sindaco, un pallone gonfiato che mai come in quel momento avrebbe  volentieri preso a calci in culo.
Era stupenda, con una minigonna in Jeans e una semplice canotta aderente e fin troppo scollata per i suoi gusti. La nuova acconciatura le donava maledettamente, come quell’ombra di abbronzatura che le imbruniva la pelle regalandole luce e morbidezza. Come avesse fatto cinque mesi senza gustarla, toccarla, e persino vederla era un mistero.
Non un mistero era la fine che avrebbe fatto lo stoccafisso accanto a lei invece.
“Dobbiamo parlare” irruppe alterato tra di loro. La vide sussultare spaventata e un istante dopo indurire il volto, come se lo avesse appena imposto a sé stessa.
“Non ora – lo liquidò – sono impegnata”
“Vorrà dire che ti libererai – le suggerì acido – non hai qualcun altro da importunare tu?”
Si rivolse inacidito per la prima volta al ragazzo al suo fianco, che si affrettò sentendosi chiamato in causa, a controbattere.
“Veramente tra i due chi sta importunando sei tu! Ma  chi è?”
“Il suo ragazzo” la precedette ancor prima che lei aprisse bocca.
Spalancò le labbra indignata “Ex, vorrai dire”
“Non ricordo di averti lasciata” obiettò sprezzante con un mezzo sorriso sbieco di sfida.
“Era sottinteso quando sei scappato come un ladro in piena notte”
“Per questo sono qui”
Addolcì il tono non appena percepì l’amarezza di quelle parole sputate con rabbia. Ci lesse negli occhi il tormento di tutti i mesi passati.
“Sei in ritardo di cinque mesi”
“Ok … sentite … chiaritevi pure, io ho un impegno. Ci sentiamo”
Finalmente quel Mason aveva capito di essere di troppo e sel’era data a gambe, sotto il suo sguardo compiaciuto.
“Dicevamo?”
Le chiese, un istante dopo, ma lei non rispose, continuava a fissarlo allibita digrignando i denti dalla rabbia.
“Devo andare”
“Aspetta!”
Le afferrò un polso, terrorizzato alla sola ipotesi che andasse via davvero.
“Non voglio litigare. Non hai bisogno in questo momento di sorbirti anche i miei drammi”
Evitò i suoi occhi con vigore, lo faceva sempre quando era arrabbiata, ricordò intenerito.
“Ne ho bisogno invece – continuò a tenerla stretta, vicina a sé più che poté – come ti sei ridotta a fare la cameriera in questo posto? Cos’è successo alla ragazza che amavo?”
“La ragazza che amavi … –  si crollò malamente dalla sua presa con una forza inedita, disperata – ha spento tutto. Tu l’hai spenta” gli rinfacciò gelandolo sul posto, con il fuoco nello sguardo e nel sussurro adirato di quelle parole.
Parole che lui no …  non si aspettava. Tanto rancore e rassegnazione in quei grandi occhi color terra lo colpirono in pieno viso, come un sonoro ceffone piantato di soppiatto.
“Elena – bisbigliò roco – io … non ho mai smesso di amarti”
Glielo aveva detto, gli aveva appena raccontato ciò che di più caro aveva portato con sé in quei mesi: l’amore sconfinato per una donna.
“E’ un problema tuo, non mio”
E lei con una cattiveria e freddezza inaudita sembrò averci appena sputato su, ma non ebbe modo di demoralizzarsi perché il suo corpo gli disse ben altro: aveva le labbra tremanti, i pugni stretti, e la mascella serrata. Si stava imponendo di essere forte, ma le lacrime erano lì, fecero capolino dalle lunga ciglia arcate mostrando uno stato d’animo ben diverso. Opposto.
“Anche tu mi ami, stai mentendo” l’accusò ostinato.
“Stammi alla larga”
Senza guardarlo, anzi ben attenta a nascondergli il viso, raccattò le sue cose ed uscì di corsa dal locale.
No, non gliel’avrebbe data vinta!
Le corse dietro sorprendendola per fortuna poco più in là, sul marciapiedi deserto, rischiarato soltanto a sprazzi dal fievole bagliore dei lampioni.
“Non mentirmi! – le gridò alle spalle – capisco che tu voglia fuggire, ma non mentirmi”
Le sue parole urlate le bloccarono il cammino. La vide rigida, di spalle, immobile.
Lo stava ascoltando, e un attimo dopo per le vie desolate ridondarono soltanto i suoi singhiozzi convulsi.
Elena piangeva … piangeva per lui che le aveva distrutto la vita, piangeva per lui che l’amava come nessun altro mai avrebbe potuto fare, con un trasporto e una devozione totali.
“Mi hai lasciato qui da sola, ad affrontare l’inferno. Sei andato via, sei stato egoista. Alla prima difficoltà sei fuggito … questo non è amore Damon. L’amore non è egoista”
Erano ancora distanti pochi metri quando gli rinfacciò disperata la sua fuga, e a lui quella ridotta distanza parve anche troppa. Elena era distante, chiusa nel suo dolore che non le permetteva di vedere oltre. Lui era distante, ingarbugliato tra un milione di errori per i quali non sarebbe bastato chiedere scusa. Loro erano distanti, così simili da sembrare due metà riflesse in uno specchio, da combaciare in una figura unica e perfetta, ma tanto distanti da non potersi nemmeno più sfiorare.
Tentò di avvicinasi, cauto, ma lei dovette percepirlo perché lo bloccò.
“Ti prego non farlo! Rispetta almeno le mie decisioni, anche se non sei stato in grado di rispettare me”
A quell’ultima sua richiesta disperata non poté disobbedire. Con tutto il male che le aveva causato le doveva quantomeno un briciolo di rispetto.
Questo si disse quando anche lei era andata via lasciandolo solo in una strada deserta, in pieno buio, a fissare il vuoto con occhi sbarrati, a rendersi conto di quanto male avesse potuto fare, di come i suoi sbagli avessero cambiato lei, e  annullato loro. Restò lì a chiedersi quanto avrebbe dovuto pagare ancora per gli errori commessi.
 
 
 


Spazio autrice: buonasera\notte mie care lettrici <3 eccomi qui con un nuovo scoppiettante capitolo XD Beh diciamo pure che la tregua è finita! anzi è durata fin troppo vista la situazione tra i due =P
che dire ... Jenna non fa altro che mettere in guardia sua nipote da una persona che già una volta non ha esitato a farle del male, quindi vi prego non la odiate! e Stefan?? Stefan è cambiato ... la morte del padre l'ha cambiato ... si è reso conto che continuare a fare la guerra non avrebbe portato a niente. Damon ama Elena, Elena ama Damon ... mettersi tra di loro avrebbe portato semplicemente ad altro odio, non avrebbe avuto la ragazza comunque, suo fratello probabilmente sarebbe ripartito, e non avrebbe avuto né l'uno né l'altro. Decide quindi di farsi da parte per amore di entrambi.
Damon ed Elena... tasto dolente! XD che dire di questi due testoni? è già stato detto tutto nel capitolo XD Elena è ferita, lo allontana per preservare sé stessa, e Damon comprende che gli errori commessi sono stati troppi per poter semplicemente chiedere "scusa" e ricominciare da zero. Non penso manchi più molto al termine della storia, ma ci avviamo verso i capitolo conclusivi *_* mi mancherà scrivere per voi, postare, attendere le vostre recensioni, rispondere ... insomma potrei quasi scrivere un sequel! ma chi lo sa ... per ora apprestiamoci al finale!
Ringrazio tutte voi come sempre mie care lettrici!!!
Buonanotte e buon inizio settimana a tutte =****** 

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Capitolo 32
*** CAPITOLO 31 ***



POV DAMON
 
 
“E così hai gettato la spugna?” gli domandò Stefan il mattino seguente, poggiato al bancone color legno del piccolo bar di fronte gli uffici dove per la prima volta entrambi si sarebbero diretti a lavoro. Un’insolita agitazione lo pervase, ciò da cui era fuggito per tutta la vita, il futuro programmato che rinfacciava di aver scelto al fratello, alla fine dei conti, dopo un giro lunghissimo, aveva raggiunto anche lui.
“È lei che vuole vedermi morto” spiegò con una smorfia di disappunto.
“Beh … come biasimarla”
“Ehi! – gli scagliò un pugno sulla spalla – da che parte stai?”
La risata cristallina di Stefan, che addentava il suo cornetto con tranquillità, era un’ennesima novità nel loro rapporto. Almeno qualcosa di buono quella fuga gli aveva portato, o forse avrebbe dovuto ringraziare suo padre. In un modo o nell’altro, gli era sempre debitore. Strani scherzi del destino.
“Dalla parte di uno che se fosse al posto tuo non si arrenderebbe mai”
“Fratello – titubò sorpreso – dev’essere strano parlare di lei”
Con un gesto della mano il minore lo liquidò con sufficienza.
“Lo dobbiamo ricostruire questo rapporto, o no? Tenerti il broncio non me la ridarà”
“Si … ma …”
“Niente ma! Andiamo a conquistare la ragazza!”
Lo invitò con entusiasmo fuori dal bar, e lui lo esaminò attento nel seguirlo guardingo.
“Ehi cupido – si arrestò sull’uscio – pensiamo all’impero di Paperone, alla ragazza ci torniamo dopo”
“E’ qui che ti sbagli – gli intimò il fratello, con un sorrisino furbo – la ragazza mi aspetta in ufficio per riavere il suo posto!”
“Davvero?” sorrise luminoso.
“Se accetta!”
Risero insieme, complici, fratelli. Un legame profondo che mai nessuna donna avrebbe più reciso.
 
 POV ELENA
 
 
“Non posso”
“Come non puoi?”
Stefan la fissava allibito dal lato opposto della scrivania, colto alla sprovvista da un rifiuto che evidentemente non aveva messo in preventivo. E nemmeno lei, fino a pochi giorni prima.
“Guarda che Damon non lavora qui al giornale” tentò di rassicurarla, forse convito di aver individuato il problema. Ma era ben lontano dalla verità, e sentì di dovergliela lei una spiegazione. Era una brava persona il suo Stefan, perfetto quando non offuscato dalla presenza del fratello.
“Non è questo il punto” scosse la testa esitante.
“Qual è allora?”
“A settembre parto per Londra, ho vinto uno stage”
Lo biascicò tutto d’un fiato, e divenne realtà.  Soltanto quattro mesi e avrebbe rivoluzionato la sua vita, sarebbe andata a vivere dall’altra parte del mondo, ed era terrorizzata.
“Aver lavorato per voi è stata la miglior referenza  cui potessi aspirare”
Quattro mesi ancora e avrebbe realizzato il suo sogno, eppure non era riuscita a trovare un solo motivo per esserne felice.
Stefan non fiatò, le mostrò soltanto un flebile cenno d’assenso.
“Non l’hai detto a Damon” constatò soprapensiero, fissandola serio.
“No”
“Perché?”
“Non sono affari che gli riguardano” si giustificò agitata. Ma sapeva che non era quello il motivo, lo sapeva bene, e lo sapeva anche Stefan che la conosceva meglio di quanto credesse.
“Per questo lo allontani”
Lo corresse pignola “Tuo fratello ha sbagliato e ora ne paga le conseguenze”
“Hai paura che riavvicinandolo non troverai più la forza di partire”
L’aveva ignorata, e aveva centrato il punto. Il punto che lei non voleva centrare, ma che in cuor suo aveva scritto a chiare lettere.
“Sto cercando solo di realizzare il mio sogno” sviò irrequieta muovendosi sulla poltroncina. Non era pronta a scontrarsi con la realtà, per questo lo aveva tenuto per sé fino a quel momento.
“E fai bene – il ragazzo alzò le mani – ma Damon deve saperlo! Ti ama, tu ami lui, e sta cercando di cambiare. Se non potete tornare insieme merita almeno di saperne il motivo – le consigliò cauto – per quanto la verità faccia male sarà sempre meglio di una bugia. Non rimandare, non fare lo stesso errore che avete fatto con me”
Quelle poche parole sussurrate con vicinanza e comprensione le strapparono un sorriso. Era sempre così saggio, e pacato … il contrario di quella testa dura di Damon.
Il sole e la luna … due opposti che avevano smesso di farsi la guerra e finalmente si erano incontrati.
“Grazie per l’offerta Stefan, davvero – fuorviò riconoscente – glielo dirò … presto”
Non seppe che termine dare a quella previsione, ma era certa di una cosa: la veridicità disarmante e spaventosa di ogni singola parola pronunciata dall’uomo.
 
 POV DAMON
 
 
“Ehi! Elena è in casa?” domandò accigliato alla coppia di amici che in quel momento uscivano da casa Gilbert. Era corso da lei non appena potuto, dopo la notizia di Stefan: non aveva accettato la proposta. Non aveva aggiunto altro suo fratello, ma sapevano entrambi che il più bravo a mentire tra i due non era certo Stefan. Gliela si leggeva stampata in viso la bugia, o in quel caso omissione, ed era stanco di brancolare nel buio.
“Non c’è … è andata a correre. Ma anche se ci fosse Damon … è un po’ tardi, non credi?” era stata Jenna a precedere il compagno con il veleno tra i denti e uno sguardo irremovibile.
Si meritava anche quello … si meritava quello ed altro a dire il vero.
Capì per la prima volta che gli errori commessi li stava pagando nel peggiore dei modi: perdendo la stima e il rispetto delle persone che amava.
“Hai ragione … ma ho bisogno di parlarle”
“Anche lei ne aveva bisogno in questi mesi”
Ric tossicchiò imbarazzato nel tentativo di mettere fine alla discussione, ma Jenna continuava a fissarlo scura in viso, minacciosa, con le mani conserte.
“Avresti dovuto pensarci prima, amico” gli spiegò con maggiore calma e comprensione l’uomo e un lampo di consapevolezza e decisione gli illuminò il volto.
“Sono andato via perché ho scelto di non combattere, non sono stato abbastanza forte. Ma sono forte ora, e ho intenzione di lottare per quello che amo. Amo Elena e farò di tutto per riaverla – spiegò deciso, con una perseveranza e una forza che troppo spesso non aveva avuto – quindi o mi dite dov’è o girerò tutta Mistic Falls per trovarla se necessario!”
Li fissò negli occhi per la prima volta a testa alta, fiero delle sue stesse parole e intenzioni.
Jenna inspirò scuotendo appena la testa guardinga.
“E’ nei dintorni – lo sorprese – è troppo pigra per allontanarsi davvero. Non mi fido di te, ma mia nipote è una donna adulta, sa cosa fa”
Precisò con un ghigno contrariato, e per quanto la voglia di correre a scovarla fosse forte si costrinse a salutare e ringraziare prima di correre via.
“Amico! – lo richiamò Ric quando era già lontano – mi raccomando sabato: sii puntuale”
“Sono ancora tra gli invitati?” gridò la domanda ancora di spalle.
“Per forza: sei il testimone!”
Si lasciò sfuggire un sorriso di vittoria e con un cenno di saluto si allontanò affrettato. Per quanto ne fosse felice la sua priorità in quel momento era ben altra.
La cercò tra i viali alberati delle villette a schiera, tra i grappoli di fiori multicolori e le piante bassi ai marciapiedi. La cercò senza sosta girando a vuoto fino a ritornare al punto di partenza.
Rise quando avvicinandosi a casa Gilbert la vide fare lo stesso dalla parte opposta del marciapiedi.
Era sexy anche in tuta, anche con quella felpa troppo larga e i pantacollant aderenti, anche con il fiatone e le scocche rosse, i capelli legati in una coda disordinata e lo sguardo vispo e sorpreso rivolto soltanto a lui.
Sarebbe stata sexy anche a novant’anni, divorata dal tempo, sarebbe stata sexy per lui che l’aveva vista dentro.
“Che ci fai qui?” chiese infastidita quando furono l’uno di fronte all’altra nel giardinetto di casa.
“Non hai accettato la proposta di Stefan”
“Lo so” ironizzò con un sorrisino sprezzante che lo mandò in bestia.
“Perché?” ringhiò tra i denti, a distanza di sicurezza. La distanza necessaria ad evitare contatti che potessero incendiarlo.
“Non mi andava” alzò le spalle con sufficienza.
“Non … mi prendi in giro?
Ok, adesso era confuso e in allerta. Gli stava nascondendo qualcosa.
“Ci dev’essere per forza un motivo?”
“C’è sempre un motivo!”
“Bene! – sbottò furiosa piazzandoglisi dinanzi – dimmi allora Damon: qual’è stato il tuo motivo?perché te ne sei andato?? – gli scagliò un rumoroso pugno in pieno petto – dimmelo Damon: che bisogno c’era di andartene? – un altro, più forte e più deciso, lo sentì questa volta sul cuore – perché?”
Prima che potesse sferrarne un altro ancora fuori di sé e paonazza d’ira le afferrò le piccole mani tra le sue, in una presa ferrea che divenne presto una dolce carezza.
E mentre intrecciava le sue dita affusolate e si perdeva nei suoi occhi troppo grandi e troppo vicini, si rese conto che quella donna era la sua unica possibilità. Il suo unico possibile inizio. Perché lei era diversa … e lo guardava con quel  misto di devozione e innocenza come mai nessuno in vita sua aveva fatto. Non avrebbe mai potuto sopportare che un’altra donna potesse avvicinarsi tanto a lui, non lo avrebbe mai permesso.
“Non importa perché l’ho fatto – le bisbigliò a poche spanne dal viso, e la vide tremare inerme – ora sono qui. Ti dimostrerò che posso cambiare”
Ingoiò a vuoto Elena, scossa e indifesa, e lui comprese che quello era il momento, l’unico momento in cui avrebbe potuto colpirla, scuoterla, e così la strattonò leggermente, e quando i loro petti si scontrarono nella colluttazione poté finalmente sentirlo, il piccolo cuore impazzito tremare a contatto con il suo, le gambe tremarle da un desiderio comune e mai sopito.
La sentiva anche lei quella scia di piacere risvegliare ogni singolo nervo teso lì dove i loro corpi entrarono in collisione.
Il suo respiro affannato gli sferzò sul viso tanto era vicina, da accarezzarle con gli occhi il tremolio leggero delle labbra rosate e piene, da osservarla ingoiare a vuoto, spaurita e tremante, ma consapevole.
Lo voleva, quanto e più di lui, ammesso che fosse umanamente possibile desiderare qualcosa o qualcuno più di quanto lui la bramasse, e si lasciò finalmente trasportare dalla corrente, dal momento giusto, reagì a lei che non si era tirata indietro ma anzi rispondeva vagando con uno sguardo profondo e umido sul suo viso carezzato dal rosso del sole morente.
Prese un profondo sospiro e lo fece. La baciò.
Le saggiò appena le labbra, con esasperata lentezza, così da riscoprirne lentamente il sapore fresco e caramellato. Non l’aveva mai dimenticato, in quei mesi, il calore della sua bocca, la dolcezza della sua resa. Il modo tenero ma passionale con il quale Elena gli lasciava scoprire ogni angolo della sua bocca, il modo in cui giocava con lui mordicchiandogli le labbra, e la delicatezza con cui afferrava i suoi capelli per aggrapparsi, e avvicinarlo di più.
Non aveva tralasciato nulla nei ricordi più vivi dei momenti trascorsi insieme, ma la reazione immediata del suo corpo a quel contatto vero, carnale, desiderato, lo stupì ugualmente.
Elena lo stupì … come creta tra le sue mani si lasciò artigliare la nuca, inondare le labbra in un bacio disperato e famelico, afferrare con forza e poca grazia per ritrovarsi incatenata a lui in un abbraccio possessivo che dubitò avrebbe mai potuto sciogliere.
Non seppe quanto tempo passò prima di perdere completamente il controllo del suo corpo, dimenticò tutto che non fosse lei, le sue labbra da succhiare e riscoprire, la sua lingua da assaporare e catturare. Lei che lo trascinò verso casa con una sicurezza e fermezza inedite in una promessa silenziosa che mai avrebbe potuto rifiutare.
 
 
 
Spazio autrice:
Mie care lettrici oggi vado un pò di fretta quindi vi scrivo soltanto per un salutino e per dirvi: non fatevi imbrogliare da questo finale!! non è tutto oro quello che luccica! XD non ho molto tempo per considerazioni e varie ma volevo esserci almeno per ringraziarvi!!!!! 


 
 

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Capitolo 33
*** CAPITOLO32 ***



POV ELENA
 

Lo sospinse in casa con una tale irruenza da sorprendere persino sé stessa, che in quel contatto travolgente e quasi brusco si costrinse a non pensare, a non ricordare il male che ancora le ribolliva in petto, l’insicurezza per un futuro diverso del quale lui non era ancora a conoscenza. Si costrinse a non riflettere, ad agire secondo la carne ormai bollente, secondo il desiderio di lui sopito troppo a lungo. Un desiderio accumulato da troppo che era certa nemmeno Damon fosse in grado più di contenere o ritardare in qualche modo. Non arrivarono in camera da letto, ma consapevoli di essere ormai soli in casa si addossarono alla porta di ingresso sbattuta con rabbia e poca grazia alle loro spalle.
Non sarebbe stata in grado di staccarsi dalle sue labbra nemmeno se avesse voluto, se avesse avuto la lucidità tale da respingerlo, ma non ebbe voglia né modo di tentare perché loro, disobbedienti, continuavano a muoversi da sole contro quelle affamate di Damon, la sua lingua continuava imperterrita a cercare la sua, i loro respiri frenetici continuavano a scontrarsi e giustapporsi, senza sosta, senza fine.
Le chiavi di casa furono scaraventate atterra, e non ebbe modo di chiedersi se lo avesse fatto lei o fosse stato Damon a strappargliele di mano, un attimo dopo anche i vestiti tentarono di seguirle, ma ben presto si resero conto di non avere né il tempo né la voglia di spogliarsene gradualmente e interamente,  soprattutto se restavano addossati alla porta, avvinghiati alla ricerca di baci e ossigeno.
Avrebbe continuato a cibarsi soltanto delle sue labbra per un tempo indefinito se Damon non si fosse mosso a strapparle letteralmente con una morsa rabbiosa la lunga felpa con il solo folle obiettivo di impugnarle finalmente i seni con tale maestria da sembrare che non avesse fatto altro per tutto quel tempo, e il brontolio soffocato che le lasciò in gola fu l’apprezzamento sorpreso al non aver incontrato alcun reggiseno ad intralciargli la strada.
Gli sorrise sulle labbra, compiaciuta in un attimo di lucidità, prima che lui riprendesse a divorarle la bocca e lei si decidesse ad attirarlo affondando le dita nei morbidi capelli corvini.
Risentirlo sulla pelle, risentire la fame dei suoi baci che scesero a lambirle il collo, il petto, il seno, con una fame inaudita, tale da agguantarle la schiena nel tentativo di stringerla ancora di più, di tenerla ferma contro i suoi baci, contro le sue labbra in cerca del suo sapore su ogni millimetro di pelle bollente. Sembrava posseduto ed estasiato quanto lei Damon, che le aggredì con poca grazia i pantaloni della tuta mostrandole una fretta condivisa che non avrebbe potuto ignorare.
Lo riportò alla sua altezza ed incontrò quello sguardo blu cielo che tante volte le aveva mozzato il respiro, che troppe volte le aveva fatto del male … trattenne il fiato e si costrinse a sorridere. Lasciò che l’amore superasse l’odio e il rancore, almeno in quell’istante … si concesse di rivivere un solo breve momento con lui, l’unico essere al mondo capace di toglierle il sorriso e ridonarglielo un attimo dopo con la sua sola presenza.
Fu allora che dimenandosi dal suo abbraccio riuscì a fargli capire che pretendeva che anche lui si lasciasse spogliare.
Damon l’accontentò staccandosi da lei per sfilarsi con un gesto secco la t-shirt e tornare sulla sua bocca con un sospiro di sollievo che le fece capire non l’avrebbe abbandonata un solo attimo ancora, esaudendo una sua muta preghiera che soltanto per pudore non aveva emesso.
Solo i corrispettivi pantaloni restarono a ritardare l’inevitabile, e un attimo dopo non seppe nemmeno bene come non ci furono nemmeno più quelli. Era stata lei con troppa urgenza a sfilargli jeans e biancheria intima in un solo gesto, mentre Damon con un fluido movimento si dedicò ai suoi. Inciamparono entrambi nel tentativo di sfilarsi le scarpe e così mentre lei per mera necessità portò a termine il suo compito Damon lasciò perdere con uno sbuffo fiondandosi su di lei con tale veemenza da sembrare impazzito.  La sollevò senza fatica all’altezza giusta allacciandosi ai fianchi le sue gambe senza smettere un solo attimo di divorarle il viso, e lei ad occhi chiusi lo lasciò continuare finché non lo sentì d’un tratto arrestarsi e stringerle le guance con le dita, soltanto allora schiuse appena le palpebre senza scollare le labbra dalle sue.
Damon la osservava. Le stava chiedendo il permesso di continuare.
Chiuse gli occhi e lo sospinse dentro di sé.
Lo sentì, lo sentì dentro e ad un tratto fu di nuovo colma, viva, con lui. Boccheggiarono entrambi sconvolti da una sensazione indescrivibile, nuova, impensabile. Allora si scostarono dalla porta, e Damon la condusse senza lasciarle il ventre un solo attimo sul piccolo divanetto del salone, poggiandola con grazia per poi sovrastarla .
“Non … non ho potuto resistere oltre” ansimò muovendosi ancora contro di lei.
Perché era così appagante sentirlo nel ventre? Perché non aveva mai dimenticato quelle sensazioni? Perché non ricordava attimo più bello della sua vita che non fosse insieme a lui?
Corse ad incontrarlo, le sue mani al di là del suo controllo lo strinsero spasmodiche cibandosi della sua pelle, contando ogni muscolo teso nella spinta verso il piacere di entrambi. Un piacere disperato, carnale, capace di strapparle un gemito nuovo ad ogni affondo più profondo, più ravvicinato, urgente e veloce.
E prima che il piacere la travolgesse completamente impedendole anche di tenere gli occhi aperti gli portò una mano al mento  girandogli il viso per incontrare i suoi occhi. Due oceani umidi stracolmi di lussuria e abbandono, amore totale, e devozione. Due fari blu capaci di penetrarle l’anima e ridarle calore.
Damon le afferrò il bacino sprofondando di più, a fondo, con spinte più veloci e disperate, e mentre la stanza divenne tropo piccola e asfissiante, e sentì il sudore sulla pelle, o sulla sua, ebbe la sensazione di non riuscire più a distinguere dove i loro corpi si separassero diventano due unità autonome. La verità era che non voleva distinguerli, non voleva che lui le si separasse mai più.
 
POV DAMON 
 

Non c’erano state troppe parole, né prima, né durante né tantomeno dopo. Non aveva bisogno di parole per sentirla vicina, sottopelle, nel sangue, in ogni sospiro irregolare, in ogni battito esagitato.
Era ovunque, nuda sotto di lui, intorno a lui, accogliente come la ricordava, da far perdere la testa. Dentro di lui, anima e corpo. Parte di lui, della sua vita.
Rimase accasciato sul suo corpo in quella scomoda posizione per un tempo infinito, ed Elena non fiatò.
“Ho smesso di scappare – le raccontò nascosto tra i capelli, respirandole sul cuore – dammi un’occasione di dimostrartelo. Ti merito adesso, e ti amo. Lasciatelo dimostrare”
La implorò senza guardarla, ancora perso e inebriato tra l’odore e il battito frenetico del morbido petto stretto a lui.
La sentì chiaramente irrigidirsi, per poi chiuderglisi intorno, in un abbraccio inatteso e rincuorante.
“Non … - bisbigliò lei, in palese difficoltà – non posso”
Si scrollò malamente dal peso del suo corpo che soltanto pochi istanti prima era stata lei stessa a cercare convulsamente e si rivestì in tutta fretta con gesti sgraziati e frettolosi ignorandolo per tutto il tempo.
“Perché no?” ritentò intestardito tirando su soltanto il jeans per mero pudore.
Fu allora che incrociò i suoi occhi inondati di lacrime, e le labbra piene malferme.
“Parto per Londra” gli comunicò, tutto d’un fiato, senza guardarlo, ma capace di gelarlo lo stesso seduta stante.
“Come?” confuso increspò le sopracciglia. Davvero non capiva … ma il panico era già ugualmente oltre la soglia consentita.
“Ho fatto domanda per uno stage in giornalismo, e mi hanno presa. Vado via a settembre”
“Londra – ripeté sbattendo le palpebre – dall’altra parte del mondo … lo fai per me? Stai cercando di ferirmi? Di farmela pagare?” ipotizzò con mezza voce, stordito e frastornato, forse semplicemente incredulo.
“No! – negò con eccessiva enfasi – lo faccio per me! Non voglio essere più la ragazzina spaventata e incapace di seguire i propri sogni. Questo me lo hai insegnato tu, ricordi?”
Gli riservò un dolce sorriso di rassicurazione, appena accennato sul volto teso. Anche lei aveva paura … ma con terrore e coraggio aveva deciso di seguire i suoi sogni. Ripensò a tutte le volte che era stato lui stesso ad invogliarla. Era stato lui a proporle una vita dalla quale in quell’istante si sentì tagliato fuori.
“Quanto starai via?”
“Due anni ”
“Due anni” ripeté sfiancato, senza una minima inflessione nella voce.
“E’ un’occasione da non perdere … ci ho riflettuto a lungo e io …”
“Fai bene! fai bene a seguire i tuoi sogni”
Nell’incontro tra i loro occhi Elena crollò, rivide per un attimo la dolce ragazzina sognante nella proposta che vi seguì tra le lacrime.
“Parti con me. Vieni via con me” ripeté in un sussurro sconnesso avvicinandoglisi a grandi falcate.
Ed averla vicina, di nuovo così vicina … per un attimo lo convinse, ma poi …
“Non posso – indietreggiò a testa bassa – ho un fratello al quale ho promesso aiuto, siamo solo noi due adesso. E poi c’è l’azienda, da solo Stefan non riuscirà a portare avanti tutto, ha bisogno di me. Non posso”
Si costrinse a tenere lo sguardo lontano dal suo viso. Non voleva vederla mentre asciugava rabbiosa una scia di lacrime con il palmo tremante, mentre tratteneva a stento i singhiozzi, mentre tentava di essere forte per tener fede alla donna che era diventata.
“Hai ragione … non posso chiederti tanto. Ma io ti amo, non ho mai smesso di amarti, e più ti sto accanto più sento vacillare tutti i miei progetti, e non posso permettermelo. Ho già rinunciato una volta a tutto, non posso rifarlo”
Era forte, e decisa, perlomeno in apparenza. Erano fredde e calcolate quelle parole, ma il luccichio che le lesse nello sguardo quando ribadì di amarlo, quello era reale davvero. L’amore che li accomunava era reale, come i chilometri che li avrebbero tenuti lontani per i due anni avvenire e forse anche oltre se lei avesse deciso di restare lì. Era reale la confusione e la rabbia che lottavano in lui: non poteva impedirle di vivere, ma lui non poteva riuscirci senza averla accanto.
“Io … vado”
Come un codardo, come un ladro, uscì da quella casa e forse dalla sua vita in punta di piedi, così come vi era entrato mesi prima. Sconfitto le si allontanò e soltanto quando fu certo di essere solo nella notte si fermò ad inveire contro di lei, il destino, la notte e la trapunta stellata che accolse muta ogni suo singolo lamento. Il buio coprì le sue debolezze, il canto delle cicale sovrastò il rumore dei suoi pensieri, e così resto lì, perso nel nulla, sul ciglio di una strada probabilmente per tutta la notte.
 




Spazio autrice:
Mie care lettrici ... ecco un altro aggiornamento a poco meno di una settimana dall'ultimo ... che dire sto affrettando un pò le cose perchè siamo ormai agli sgoccioli e sono prossima ad una partenza (questo era il penultimo capitolo, il prossimo sarà quello finale ... un capitolo già in parte trascritto quindi posso assicurarvi che sarà più lungo =) poi ci sarà un corto epilogo) quindi penso che per fine della prossima settimana questa storia sarà completa *_* so già che mi mancherete tutte da morire!!!
tornando a noi ... beh finalmente Damon ha saputo di questa partenza!! non giudicatelo se è andato via senza insistere ... almeno per ora! è rimasto sconvolto, ha cominciato a riflettere sulle conseguenze che questa partenza potrebbe avere su un loro eventuale rapporto ... ma allo stesso tempo sa per certo che non può chiederle di non partire perchè andrebbe contro le sue stesse convinzioni! vi posso solo dire che nel prossimo capitolo si farà perdonare ... o almeno tenterà! il problema centrale sarà: Elena ha la forza di portare avanti questa relazione?? chi vivrà vedrà! alla prossima e buonanotte =*** 

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Capitolo 34
*** CAPITOLO33 ***



POV ELENA
 

“E così prima ci sei andata a letto e poi gli hai dato la batosta … cattivissima!” si complimentò orgogliosa la bionda damigella Care al termine del suo racconto al gruppo di amiche.
Erano radunate tutte insieme alla sposa in una modesta stanzetta nascosta della villa fittata per il matrimonio.
Era una splendida mattina di maggio, l’aria profumava di polline e fiori, e affacciandosi dalla finestra al terzo piano dov’erano tutte impegnate a preparare la sposa un maestoso giardino si ergeva ai suoi piedi, pronto ad accoglierli tutti. Sul prato all’inglese di un verde vivo e simmetrico erano state posizionate due file di panchine color avorio al termine delle quali l’arco nuziale dai mille colori avrebbe ospitato all’ombra i due sposi; nel corridoio centrale il candido tappeto bianco che a breve avrebbero attraversato sembrava risplendere al sole e rispecchiare i mille alberi di ciliegio in fiore, tanto carichi da diventar color neve e perdere l’usuale colorazione verde del manto.
Soltanto più in là una fila di gazebo e lunghe tavolate che li avrebbero poi ospitati, già ordinate e ricche di addobbi lilla e bianchi in tulle. Un palchetto rialzato in fondo dove sua zia aveva fatto posizionare una band che avrebbe accompagnato sia la cerimonia che la festa seguente.
Era tutto perfetto, ma sopra ogni cosa era perfetta lei: raggiante con i biondi capelli raccolti e il vestito cucito perfettamente addosso, elegante nella sua semplicità, felice come non l’aveva mai vista. Era bella ed era ormai una donna, la donna che si era presa cura di loro come una seconda madre, ricordò commossa, costringendosi a nascondere la malinconia. Non in quel giorno! Tutto doveva essere perfetto per Jenna, e per la loro famiglia.
“Io non volevo essere cattivissima”
Si dedicò al solito battibecco con l’amica, perlomeno avrebbe scacciato pensieri addirittura peggiori.
“Però se la sarebbe meritata un po’ di cattiveria” intervenne Bonnie con una giusta constatazione che accomunò un po’ tutte, persino la sposa intenta ad incipriarsi.
“Damon si meriterebbe questo ed altro … ma al cuore non si comanda, e tu nipote mia … non sei pronta a lasciarlo andare”
“Non è vero” obiettò risentita.
“Tu lo ami ancora”
“E’ irrilevante a questo punto”
“Jenna non vorrei contraddirti ma Elena ha ragione, Damon ha sbagliato e la deve pagare”
Inspirò con i nervi a fior di pelle “E tu che ne pensi Bonnie?”
Chiese il parere dell’unica tra di loro che mai aveva giudicato, seppur era palese non avesse una grande considerazione di lui.
“Penso che adesso sia tu a fuggire, e che non sarà la distanza a farti stare meglio”
“Io non sto fuggendo – precisò con uno sbuffo risentito – ho soltanto colto l’occasione di fare finalmente qualcosa per me”
“Bene! ma allora perché chiudere con lui? se il tuo problema non è Damon perché non continuare a stare insieme?”
 
 POV DAMON


“Stiamo parlando di mia sorella!” gli ricordò Jeremy a disagio nel suo elegante completo.
“Nonché mia ex”
“E mia … figlia?” farfugliò Ric osservandolo attraverso lo specchio. Nel suo smoking lucido lo vide agitarsi inquieto. Era il giorno del suo matrimonio, e conoscendolo non era mai stato più teso di quel momento.
“Ok – acconsentì con una smorfia di sufficienza – allora evitiamo i dettagli piccanti e arriviamo subito al sodo: chi di voi lo sapeva?”
I tre uomini al suo fianco nell’angusto stanzino adornato a cabina armadio per l’occasione alzarono le mani uno dopo l’altro, colpevoli e incerti.
“Alzi la mano chi non sapeva nulla? – si affrettò ironico ad alzarla lui – io! Io! Io!”
“Non prendertela, ok? Doveva dirtelo lei … e poi l’ho saputo solo la mattina in ufficio”
“Ti preferivo quando la odiavi”
“Ma qual è il problema, scusa? – irruppe lo sposo lisciandosi un’ultima volta l’abito – le fedi?”
“Cel’ho! – lo rassicurò battendosi il taschino – qual è il problema? Che tra quattro mesi dovrei fare il giro del mondo per vederla?”
“Vorrà dire che vi vedrete di meno … sono solo due anni: passano” lo liquidò convinto con un’alzata di spalle.
Era facile programmare ora che gli era ancora accanto, ma quando un oceano li avrebbe divisi?
“Parli bene tu che da stanotte Jenna cel’hai al guinzaglio”
“Lei non intende rinunciare quindi l’alternativa è dirle addio e rifarti una vita” gli fece presente Jeremy con buonismo, senza alcuna malizia.
“Senza offesa … chiudi quella boccaccia”
“Beh però il piccoletto non ha tutti i torti – anche Stefan era intenzionato a mettere il dito nella piaga, per sua enorme sfortuna – vuoi rischiare che qualche inglesino approfitti della bella americana dal cuore spezzato?” gli sussurrò sarcastico all’orecchio stringendolo alle spalle.
Sgattaiolò stizzito dalla presa.
“Cosa ne hai fatto di mio fratello? Ero io quello con le battute migliori!”
“A te la ragazza e a me l’ironia. Non si può avere tutto dalla vita”
Jeremy ridacchiò “Solo che a te non è rimasta né l’una né l’altra”
“Ma tu non cel’hai qualche adolescente da importunare?”
“Basta! – Ric mise fine all’ironico battibecco – è ora! Dobbiamo andare”
Deglutì a vuoto osservandoli con occhi sbarrati e lucidi. Era nel panico, e toccò a loro tranquillizzarlo e trascinarlo all’altare.
 

Il panico abbandonò l’amico man mano che la raggiante giovane donna, bellissima per l’appunto, perfetta nel fresco abito color panna si avvicinava loro con passo letto e cadenzato attirando l’attenzione commossa di tutti gli invitati, ed anche la sua per un breve istante finché non apparvero al suo fianco le tre damigelle in rosso e allora i suoi occhi furono tutti per lei. Abbandonarono la commozione del momento, la solennità e tutte quelle smancerie. Era magnifica nell’elegante tubino a spalle scoperte, con la lunga chioma raccolta in una treccia di lato, e quel filo di trucco mai esagerato che le risaltava i grandi occhi cioccolato, le labbra piene e fruttate, e le gote colorite e lisce. Bonnie e Care era vestite esattamente come lei, ma neanche per un secondo si era soffermato a guardarle.
Fissava soltanto lei, la perfetta carnagione della sua pelle che più di una volta era riuscito a torturare di baci e carezze, e quella chioma soffice di capelli dove aveva spesso affondato il capo e il respiro.
E mentre i due sposi si presero le mani per dirigersi dal giovane prete che li avrebbe sposati, capì che per tutta la vita anche lui le avrebbe preso la mano, capì che null’altro sarebbe contato per lui se non vederle aprire gli occhi al suo fianco e addormentarsi sfinita tra le sue braccia ogni singola notte per il resto della vita.
Mai fu certo come in quell’istante che non sarebbe bastata un’eternità ad amare un’altra donna come aveva fatto con lei.
 
POV ELENA


Fu Damon a passare le fedi ai due sposi che non videro l’ora di liquidare ogni cerimonia e smanceria per essere dichiarati finalmente marito e moglie, e quando l’ufficiale diede il consenso per un bacio la piccola folla di invitati esplose in applausi e sorrisi.
In quel caos di commozione non poté che scontrare i suoi occhi limpidi di un blu più acceso di quel cielo d’estate, e in quell’attimo tutto scomparve al di fuori del sorriso più sincero che gli avesse mai letto in viso.
E capì che se soltanto glielo avesse chiesto non sarebbe più partita.
Perché seguire le ambizioni ma rinunciare a lui le parve la cosa più stupida e meschina che potesse mai fare. Non sarebbe stata mai felice seduta alla sua scrivania, con un nome importante forse, ma senza l’amore. E Damon lo era … passione, pericolo, e avventura … ma anche tenerezza, candore, e insicurezza. Damon era un’accozzaglia di contraddizioni e mezze verità, era la somma degli errori imperdonabili che le avevano spezzato il cuore, ma senza di lui non restava che un guscio vuoto, un’ombra smarrita di sé stessa.
Ricambiò a fatica quel sorriso, con il cuore in subbuglio per una nuova consapevolezza che avrebbe preferito non dover affrontare mai.
 
POV DAMON
 

Fece oscillare svogliato il liquido opaco nel bicchiere osservandone distratto i riflessi lucenti del sole mentre seduto al suo tavolo si godeva il digestivo offerto al termine del lungo banchetto. Era il momento dei balli, così i tavoli erano ormai vuoti ma lui aveva declinato gli inviti ed era rimasto ad osservare in disparte.
Ad osservarla liberarsi dei tacchi vertiginosi per muoversi meglio a ritmo di musica tra l’erbetta fresca del giardino, euforica, con le amiche, non aveva smesso un attimo di ondeggiare, ora abbracciata a qualcuno in un lento, ora solitaria in accordi più ritmati e orecchiabili. Sorridente e spensierata, felice, anche senza di lui.
Con uno sbuffo profondo distolse lo sguardo.
“Le damigelle se la spassano” notò Stefan accorso da lui inaspettatamente.
“Anche gli sposi” sviò indicando la coppia stretta al centro della pista.
“Saranno felici”
“Per una manciata d’anni forse”
Il fratello si accomodò al suo fianco con un’alzata di spalle.
“Un po’ di ottimismo! Siamo ad un matrimonio, fingiamo di credere che sia per sempre”
Aggrottò le sopracciglia“Tu non ci credi? Che possa essere per sempre?”
“Tu?”
“Ehi!”
Un saluto imbarazzato si intromise tra loro portandoli a voltarsi sorpresi verso la fonte della voce. Era Andie, splendida come la ricordava, in un abito lungo in pizzo.
Calò un silenzio imbarazzato che spezzò soltanto Stefan alzandosi per lasciarli soli.
“Ci credo – puntualizzò rivolgendosi a lui – e in fondo lo so che ci credi anche tu”
Salutò garbatamente la sua dipendente e tolse il disturbo.
Il per sempre di suo fratello lo aveva distrutto nell’attimo in cui gli aveva portato via lei, ma nonostante quello era lì a ricordargli che anche lui, per quanto mai lo avrebbe ammesso, ci aveva sempre creduto, e ci credeva allora con più fervore di sempre.
Con un cenno di saluto invitò la giornalista ad accomodarsi.
“Come vanno le cose?” chiese con garbo, per mera educazione. Dopotutto era sparito senza una spiegazione, e con ogni probabilità solo allora lei aveva saputo che l’uomo con il quale credeva di avere una qualche relazione in realtà era innamorato di un’altra, l’insospettabile piccola Elena.
“Ho saputo di Giuseppe … mi spiace di non esserci potuta essere … era un brav’uomo. Tu come stai?”
Prevedibile frase di circostanza che chiunque non lo conoscesse avrebbe pronunciato.
“Sopravvivrò – le sorrise cordiale – tu come stai?”
“Bene … bene”
Ancora il silenzio scese su di loro, imbarazzati e distanti.
In fondo ci aveva creduto per un po’, in passato, che potesse funzionare, ma l’aveva conosciuta già troppo tardi perché dal primo istante era stata sempre solo lei, Elena, anche se ci aveva messo un po’ a capirlo. Realizzò in quel momento che sarebbe stata sempre solo lei anche in futuro, per sempre avrebbe detto Stefan, e forse anche lui.
“Mi spiace per com’è andata tra noi – ammise sereno, sorprendendo entrambi – ma io amavo un’altra” le confessò poi, consapevole di doverle quella spiegazione.
La donna lo stupì con un cenno d’assenso.
“Non scegliamo chi amare o perché … amiamo e basta” lo rassicurò, con una maturità e orgoglio che gli scaldarono il cuore. Era una brava donna, bellissima e in gamba. Avrebbe seriamente potuto amarla se tutto il suo mondo non fosse stato assorbito da lei.
“State insieme?”
Bella domanda. Scottante, troppo diretta per i suoi gusti.
“Non … sono andato via e ho rovinato tutto”
“Non ti ha perdonato?”
Restò per un attimo in attesa, non lo sapeva in realtà. Non sel’era chiesto.
“Penso di si … è solo che … è complicato”
Sbuffò sconsolato accasciandosi allo schienale imbottito della sedia.
“Se solo vedessi quello che vedo io – gli raccontò lei – vedo dal modo in cui ti guarda quanto ti ama … e tu? Seduto in un angolo in disparte! Che ne hai fatto di Damon Salvatore?”
“L’ho lasciato in vacanza” sdrammatizzò, strappando una risatina ad entrambi.
“Beh farai bene ad andarlo a riprendere! Devi lottare per quello che ami, non puoi restartene passivo ad aspettare che ti venga dato! Nella vita nessuno ci regala niente”
Lì dove nessuno era riuscito ad arrivare, nemmeno lui stesso in quei giorni di riflessione, ci arrivò inaspettatamente una donna che a stento si era impegnato a conoscere, che pensava fosse uscita dalla sua vita senza lasciarvi traccia.
Ci riuscì Andie, in punta di piedi, a scuoterlo dal torpore passivo in cui versava da tempo.
Mai per niente e per nessuno aveva lottato nella vita perché nulla aveva avuto l’importanza che aveva dato a lei, per nessuno era valsa la pena doverlo fare prima di incontrarla. E quando nulla aveva la giusta importanza fuggire era stato semplice, semplice lasciarsi alle spalle il problema e ricominciare. Lo aveva fatto anche con la stessa Elena, mesi prima, perché naturalmente non conosceva altro modo di agire, ma non era riuscito a cancellarla, e comprese che mai ci sarebbe riuscito. Era questo l’amore.
Era lei, erano loro, e i ricordi che gelosamente custodiva di ogni attimo vissuto insieme.
E avrebbe lottato perché la donna che amava non fosse soltanto un cumulo di ricordi passati, ma il presente, e cosa più importante… il futuro.
 
 POV ELENA 
 

“Ti va di ballare?”
Stefan non attese una risposta ma le afferrò i fianchi per stringerla sulle prime note di un lento senza nome che risuonarono nel giardino festoso.
“Se uno sguardo potesse uccidere quei due sarebbero già morti” sdrammatizzò divertito riferendosi chiaramente alle occhiatacce che continuava ad indirizzare ai due piccioncini al tavolo.
“Ma Andie non si arrende mai?” sbottò infastidita prendendo a muoversi a tempo, stretta a lui.
“Stanno solo chiacchierando”
“E quindi?” sghignazzò stridula.
“Sei gelosa marcia”
“Io non … si”
La risata cristallina del ragazzo risuonò appena nel frastuono della danza, e solo allora girandosi intorno notò il resto delle coppie muoversi con loro, presa com’era da Damon e la sanguisuga bionda non aveva notato tutte quella gente danzare. Stretta al petto di Stefan si rilassò appena, dimenticando la tensione dei giorni precedenti. Aveva un effetto calmante su di lei, e forse lo avrebbe avuto sempre.
“Gliel’ho detto” gli raccontò in un bisbiglio.
“Lo so … e so anche che non l’ha presa granché bene … ma chi farebbe i salti di gioia al posto suo?”
Alzò il capo corrucciata incontrando l’enormità verde dei suoi occhi.
“Scusa … dev’essere strano tutto questo”
“Essere diventato il vostro confidente?” ridacchiò scherzoso nel tentativo vano di sdrammatizzare.
“Cos’è cambiato in te? Come sei riuscito a perdonarlo? A perdonare me …”
Lo avvertì stringerle con più forza le dita tra le sue, in difficoltà per la risposta quanto lei per l’inopportuna domanda. Ma aveva bisogno di sapere cos’era successo … com’era possibile andare avanti. Sopravvivere.
“Quando è morta la mamma io ero solo un bambino. Ricordo il dolore, lo smarrimento, la disperazione. Damon una notte venne a svegliarmi, prese l’auto di papà, senza il permesso chiaramente, e mi portò al mare”
“Al mare?” aggrottò la fronte, perplessa, e lui rise gentile.
“Al mare! Dove la mamma era nata e ci portava da piccoli … penso che la punizione del giorno dopo la ricordi ancora – sogghignò – ma nonostante quello la notte dopo lo rifece, e quella dopo ancora. Fu il nostro piccolo segreto. Quando è morto papà ho provato esattamente lo stesso sollievo delle nostre gite al mare nel momento in cui ha aperto la porta ed è tornato per me”
Restò immobile, tesa nel suo abbraccio, nel mezzo della pista non ci fu più musica da ascoltare per lei.
“Non ho smesso di amarti, ci lavoro ogni giorno per convincermi che domani andrà meglio. Ma anche lui ti ama, e non l’ha voluto o programmato. Tu ami lui però … cosa posso fare per impedirlo? Posso odiarvi … o amarvi entrambi e farmi da parte”
“Quello che hai fatto …” bisbigliò con le lacrime agli occhi mandando all’aria ogni buon proposito per stringersi semplicemente a lui … il dolce ragazzo che l’aveva amata e protetta da sempre, e che in fondo una parte di lei non avrebbe mai smesso di amare.
Nessuna parola precedette o seguì quell’abbraccio spasmodico e affettuoso, soltanto le sue braccia che vi posero fine allontanandola gentilmente.
“Forse questo ballo dovresti terminarlo con lui” le sussurrò all’orecchio invitandola a voltarsi con un cenno del capo.
Inutile dire che non avesse già capito chi fosse prima di constatarlo con gli occhi, ma la dolce meraviglia di trovarsi in un attimo imprigionata alla sua stretta le salì alle guance ugualmente, mentre docile non si scrollò dal suo abbraccio, troppo caldo, troppo forte, troppo agognato per fuggirne.
Non dissero nulla per gran parte del tempo. Soltanto lui continuava a respirarle tra i capelli e imperterrite le sue dita scesero a lambirle le scapole scoperte portandola a chiudere gli occhi per lasciarsi andare sul suo petto scolpito e animato da un battito impazzito quanto il suo.
“Chiedimi di restare e io lo farò” lo supplicò d’un tratto, dando voce ai suoi pensieri più profondi e sofferti, in un mormorio tanto flebile che temette non l’avesse sentito, ma il sussulto del suo corpo le mostrò il contrario.
“Dal primo istante che ci siamo conosciuti sono stato io ad invogliarti a vivere, a rischiare per seguire i tuoi sogni, sono stato io a rinfacciarti la tua paura di cambiare, di crescere e di allontanarti di qui per vivere il mondo lì fuori … mi credi tanto egoista da rimangiarmi tutto solo per  tenerti qui con me?”
Con un gesto gentile le prese il mento per portarle il viso alla sua altezza, e inclinò il capo in un sorriso dolcissimo in risposta alla tensione e confusione del suo sguardo accigliato. L’armonia di quel viso le tolse il fiato, ma non la voglia di vederci chiaro.
“Io non voglio rinunciare a noi! Non voglio il mondo se non posso condividerlo con te” contestò irremovibile a voce alta.
“Non puoi vivere di rimpianti, e rimanere  qui sarà il tuo più grande rimpianto! Non devi rinunciare a me – le circondò il viso e quel gesto delicato incendiò ogni sua ostinazione – io ti amo, ma è proprio perché ti amo che non posso essere egoista con te! Non devi rinunciare al tuo sogno per me, non cen’è bisogno perché io sono pronto ad aspettare”
“Che vuoi dire?” sbottò impaziente senza dargli il tempo di terminare.
In bilico tra il panico e l’ostinazione optò poi per il silenzio. Ascoltò ogni suo respiro ancor prima che aprisse bocca, ipnotizzata dal suo viso vicinissimo tanto da dimenticare il luogo, il ballo, il giorno, il passato e il dolore patito, il futuro e la voglia di cambiarlo. C’era solo lui, e il dolce cullare della sua voce.
“Sono solo due anni … non sarà uno stupido continente a dividerci! Io ti aspetterò, potremo sentirci tutte le volte che vorrai … sistemerò le cose in azienda e cercherò di venire da te appena potrò. Dobbiamo solo stringere i denti e affrontare tutto questo … insieme”
L’entusiasmo, il tono squillante ed euforico, gli occhi vispi e vivi di luce propria, le labbra distese in un sorriso limpido … e ancora … le mani aggrappate al suo viso. Fu tutto ciò che percepì in quell’istante.
“Sono fuggito una volta ma non lo farò di nuovo! Io sono qui, pronto a lottare per noi, tu ci sei?”
Passarono diversi minuti da quella sua domanda urlata prima che ne realizzasse le implicazioni, il significato di quelle parole. Minuti trascorsi in attesa da un Damon mai così fragile ed esposto, minuti di un tempo fermo, dilatato.
Individuò il trascorrere del tempo impresso su ogni ruga del suo viso, su ogni cambio impercettibile d’espressione, su ogni sua singola preghiera racchiusa nel mare vivo degli occhi supplichevoli.
E d’un tratto la risposta parve chiara, come se in fondo l’avesse sempre saputa.
 




Spazio autrice:
eccomi qui!!! non vi annoierò con troppe parole anche perchè sono troppo triste per parlare tanto XD soltanto il pensero che manca solo un breve epilogo e mettere fine a tutto questo mi angoscia =( rimandiamo i ringraziamenti all'epilogo che posterò domenica e ora vi volevo soltanto far notare cosa ho cercato di mettere in luce in questo finale.
Beh la storia è nata come un percorso di crescita oltre che come una storia d'amore. E' stata la storia di un amore che ha cambiato entrambi (l'amore ci cambia no?) 
All'inizio della storia Elena era un'adolescente indecisa che viveva una vita che non aveva scelto per semplice inerzia.
Damon era un ragazzo arrabbiato incapace di guardare oltre, di sacrificarsi e di crescere. Questa storia li ha cambiati, li ha cresciuti entrambi. Spero di essere riuscita a comunicare tutto questo ... e detto ciò scappo promettendo di dilungarmi un pò di più domenica! 
A PRESTO!!

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Capitolo 35
*** EPILOGO ***


EPILOGO
 

“Buonanotte ragazzina!”
“Buongiorno a te vecchio!”
Legò distrattamente i lunghi capelli in uno chignon disordinato sistemandosi alla scrivania. Un occhio alla web cam e lui era lì, nel suo completo grigio da lavoro, splendido e impeccabile, pronto a cominciare un nuovo giorno. Lei, invece, già immersa nel grosso pigiama di flanella era già protesa verso il letto, ma non prima di averlo visto anche solo pochi minuti.
Si sorrisero allo schermo, lontani ma uniti da una tecnologia che permetteva ad entrambi di potersi vedere anche se soltanto virtualmente.
E Damon era bello anche attraverso il piccolo monitor. Il suo uomo che ormai da un anno e mezzo aspettava soltanto il suo ritorno.
“Ho una bella notizia per te: oggi ho saputo la data degli esami finali … vedi di liberarti per il mese di settembre! Hai una ragazza a cui devi diciotto mesi di arretrati” trillò euforica con un largo sorriso stampato in volto.
Da tanto, troppo tempo, non le era permesso toccarlo, odorare la sua pelle bianca e perdersi con lui in uno dei loro scherzosi battibecchi. Da troppo davvero, constatò.
“Diciotto mesi, venti giorni e … – guardò  l’orologio al polso con aria pensierosa – trentacinque minuti. Ma … come ho fatto a resistere tanto?”le chiese incredulo, scuotendo la testa.
In realtà in quel lungo periodo si erano anche visti, durante le feste per lo più, ma per brevi visite rubate tra un impegno e l’altro, e salutarsi poi ogni volta era stato un inferno, come se quell’incontro non fosse servito ad altro che a ricordare loro che non erano forti abbastanza da star lontani. Ma loro lo erano, forti, più forti di quanto avrebbero creduto all’inizio di quell’avventura, e così il tempo era trascorso e la lontananza era diventata routine, non era stato facile ma a differenza di quello che aveva creduto li aveva uniti, avvicinati, li aveva cambiati, cresciuti.
“Non dirlo a me – ridacchiò spontanea sobbalzando un attimo dopo – ehi! Miranda come sta?”
“Meglio. Era solo un po’ di raffreddore! Ti è arrivata la foto?”
Con un cenno d’assenso confermò e passò oltre, consapevole che il tempo a loro disposizione era sempre minimo.
“Dalle un bacione”
“Presto lo farai tu! Jenna e Ric ne saranno felici, stanno giusto cercando una baby sitter”
Era felice quanto lei, raggiante come da tempo non lo vedeva, e quando Damon era felice era capace di illuminare il mondo con un sorriso. Quel suo gran sorriso raro quanto prezioso.
“Lo sai con chi sta uscendo Stefan?” irruppe d’un tratto quando si rese conto che troppo presa ad osservarlo non gli avrebbe risposto nulla.
“Con chi?”
Si sistemò sulla sedia incuriosita.
“Con Rebekah”
Spalancò la bocca “Quella Rebekah? Michaelson?”
“Si! Le bionde gli donano, è diventato addirittura simpatico” ironizzò con una buffa espressione di consenso.
“Ha intenzione di farmelo soffrire?” sbottò protettiva.
“Macché! È più presa di lui … ah, e Klaus? Ricordi che faceva la corte a Care?”
“Come dimenticarlo” ridacchiò al ricordo delle confidenze dell’amica.
“Adesso a quanto pare diventerà padre – calò la voce ad un sussurro – mi spiace per Care, infondo lo sapevamo tutti che le piaceva averlo intorno”
“Damon!” lo sgridò costringendosi a risultare seria. Un attimo dopo ridevano insieme, pettegoli improvvisati.
“Mi mancate tutti. Mi manchi tu. Da morire”
Bisbigliò presa dalla malinconia nell’ascoltare i racconti delle loro vite. Vite che erano andate avanti anche senza di lei.
“Ehi! Niente broncio! Intesi? – la rimproverò lui minaccioso – altrimenti ad agosto non mi faccio trovare!”
“Ti troverei anche in capo al mondo”
Fu lui a ridere questa volta.
“E’ una minaccia?”
“Hai bisogno di essere minacciato?”
Gli mostrò la lingua indispettita e lui stava per controbattere quando sentì bussare arrestandosi per rivolgere l’attenzione lontano, verso la porta. Non ci fu bisogno di sentire il resto per capire che anche quel giorno il loro tempo era scaduto.
“Ehi devo …”
“Andare. Lo so” terminò sorridendogli forzata. Era uno strazio ogni giorno doversi far bastare quei pochi minuti, ritagliati nei momenti più disparati della giornata, anche a causa di quel fuso orario massacrante. Ma sarebbe finito, presto quel tormento sarebbe stato soltanto un ricordo, si disse, ancora una volta, imponendosi forza.
“Ti amo ragazzina” inclinò il viso per osservarla ancora, adorante e paziente. Per lei Damon aveva fatto tutto questo, per loro aveva lottato questa volta. Non era più fuggito.
“Ti amo anch’io”
Ricambiò allungando le dita a sfiorargli gli zigomi, e lui chiuse gli occhi concedendosi un sospiro. Il sollievo di un attimo, prima di riattaccare.
Sola nel buio della stanzetta fittata alla periferia di Londra spense il pc pronta ad andare a letto, ma prima riguardò come ogni sera le cornici in mostra sulla piccola scrivania. Una Miranda neonata tra le braccia di un  Damon sorridente le facevano compagnia regalandole una dolce notte e ricordandole che anche lei, tra non molto, avrebbe potuto essere parte della vita di una nipote che per troppo poco aveva stretto tra le braccia.
E lì accanto, lei e Damon sorridevano stretti, appena ritrovati, al matrimonio degli ormai neo genitori Jenna e Ric. Quel giorno che aveva dato inizio a tutto. Il loro secondo inizio, amava definirlo Damon, il giorno che si erano concessi per davvero un’occasione, preferiva considerarlo lei.
Sprofondò tra le lenzuola, rincuorata e malinconica, ammettendo a sé stessa che per quanto ci fosse ormai un oceano a dividerli non erano mai stati tanto vicini come allora.
 





Spazio autrice:
Eccoci qui mie care ragazze ... in anticipo anche nel finale XD ma domani devo partire quindi visto il cambio di programma ho dovuto anticipare anche l'epilogo.
Beh che dirvi? ho le lacrime agli occhi per la fine di questa splendida avventura! vorrei prima di tutto ringraziarvi TUTTE!!!!!!!! tutte quelle ragazze che fin dall'inizio mi hanno dato il loro sostegno ... siete state dolcissime! mi avete dato la forza di andare avanti anche nei periodi in cui l'ispirazione veniva un pò meno o i troppi impegni mi lasciavano poco tempo. Quindi è solo grazie a voi e ai vostri commenti e le opinioni che di volta il volta mi avete concesso che la storia ha avuto un finale! grazie alle tante di voi che seppur nel silenzio hanno seguito la storia, grazie a chi l'ha inserita tra seguite\preferite. Grazie a tutte di cuore!!!  
Spero che il finale sia stato degno dell'intera storia ... vi dirò non adoro i finali a lieto fine ma è già la seconda mia storia che terminò così =P quando sei tu stessa a creare una storia finisci per affezionarti così tanto da voler dare un lieto fine ai "tuoi personaggi" (per  quanto si possa parlare di "miei" considerando che miei non lo sono XD) e in questo caso il percorso dei nostri protagonisti non poteva che terminare in questo modo, o almeno io l'ho immaginato così fin dall'inizio. Damon ha trovato una casa, una stabilità e finalmente ha ritrovato anche suo fratello. Insomma Damon ha ritrovato le sue radici nell'istante esatto in cui Elena ha spiccato il volo, ma invece di allontanarli tutto ciò li ha uniti =) spero abbiate apprezzato! 
che altro ... inizialmente avevo pensato ad un sequel per questa storia ma non so se i miei impegni futuri me lo permetteranno ... avevo già in mente la trama in generale ma mi trovo costretta mio malgrado a rinunciare per il momento.
Comunque mi sento di dirvi che questo è soltanto un arrivederci! a presto! e grazie di tutto ancora =*****

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