Il fallito.

di _17M_
(/viewuser.php?uid=207189)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il fallito.

 

Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.

 

 

La pioggia batte su Londra. Il vento di novembre si insinua tra le fronde degli alberi e i cespugli ordinati di fronte alle case. Osservo il tutto dalla finestra del mio studio. Abbasso lo sguardo sulla scrivania e osservo i fogli sparpagliati sul ripiano lucido di legno.

Alzo gli occhi verso la parete di fronte a me. Appesa, in bella vista, incorniciata, la mia laurea in giurisprudenza.

Non posso fare a meno di emettere un lungo sospiro.

Apro un cassetto della scrivania alla ricerca di una pillola per il mal di testa. Nel frugare comincio a tirare fuori di tutto, finché non mi capitano fra le mani dei vecchi fogli pinzati assieme.

Uno spartito. Ah, sì, lo conosco bene.

Una canzone che avevo composto anni fa, tantissimi anni fa, alla fine di una mia vecchia storia.

Leggo il titolo in alto. Happy ending.

All'epoca non volevo altro che diventare un musicista.

Passavo ore al pianoforte, comunicavo con le note.

Quello è stato forse il periodo più bello della mia vita.

Per la prima volta ero vero, spontaneo.

«Michael, il tè.» La voce di mia moglie Sandra mi fa tornare alla realtà. É ferma sulla porta, appoggiata allo stipite.

«Sì, arrivo subito.»

«Cos'è tutto quel disordine?» Mi chiede incuriosita. Mi sento avvampare a questa domanda.

«Niente, solo delle vecchie carte... delle... delle vecchie pratiche, ecco. E comunque non sono affari tuoi.»

Mi osserva per qualche secondo per poi sparire nel lungo corridoio scuro.

Mi lascio cadere pesantemente con la schiena sulla sedia. Mi passo una mano sul viso e chiudo gli occhi. Resto così per almeno un minuto.

Ma cosa sono diventato? Un avvocato quarantacinquenne, un Michael qualunque, con una moglie, una bella casa, un lavoro sicuro, senza figli e senza felicità.

Che fine ha fatto il vecchio Michael, quello che suonava il pianoforte, che sognava, che amava?

«Un giorno capirai, e mi darai ragione, Michael.» Erano state queste le parole che mi aveva detto mio padre il giorno prima di morire.

A dir la verità io non ho mai capito. Ma, come per rispetto della sua memoria, ho voluto fare tutto ciò che lui avrebbe voluto da me.

Ecco come sono arrivato fin qui. Grazie al fantasma di mio padre, che mi ha detto cosa fare e cosa non fare. Quell'uomo duro che non mi ha mai dimostrato apertamente il suo affetto, che ha sempre voluto che io fossi un uomo vero, come lui.

Bene, papà, sei contento? Eccomi qua, la tua esatta copia.

Ricco, sposato e un grande stronzo con tutti, anche con mia moglie. Sono come te. Hai vinto tu.

 

 

***

 

«Non dormi?» Mi chiede Sandra.

«No.» Rispondo secco.

«Dovresti, invece.»

La ignoro.

La sento girarsi su un fianco sul letto e darmi le spalle. Io resto seduto a osservare il vuoto. Quel maledetto spartito ha come riacceso qualcosa in me.

Mi ha risvegliato, ha smosso delle sensazioni che da tanto tempo davo per sepolte.

Guardo l'orologio sul comodino. Le tre e diciotto minuti.

Ho deciso. Che l'udienza di domani se ne vada a quel paese.

Mi alzo dal letto e mi dirigo verso il guardaroba. Afferro un maglione e dei pantaloni a caso ed esco dalla stanza senza fare rumore.

Vado in bagno, mi vesto in fretta. Mi guardo allo specchio.

I miei occhi sono stanchi, sovrastano delle borse profonde. La mia bocca è, come sempre, rivolta verso il basso.

Non mi ricordo neanche più l'ultima volta che ho sorriso. Non so se l'ho mai fatto.

Neanche al mio matrimonio l'ho fatto.

Forse, nella mia vita precedente.

Quanto odio e amo quella vita. L'ho rinnegata.

Ma ora la rivoglio indietro.

Esco dal bagno, cammino lungo il corridoio, circa a metà mi fermo per prendere da un mobiletto un paio di scarpe. Mi siedo sulla sedia adiacente e le allaccio.

Mi rialzo e vado verso l'ingresso.

Mi metto un lungo cappotto nero e una sciarpa grigia.

Prendo le chiavi dell'auto ed esco di casa.

 

 

 

Come già annunciato su Twitter (ovviamente nessuno mi ha considerata) avevo una fanfiction che vagava per la mia testa. Bene, eccola qua. Lo so, è abbastanza breve questo capitolo, ma è giusto un assaggio, per vedere un po' le reazioni e considerare se continuare o no. Quindi, se vi piace, recensite, recensite, recensite, e io vi risponderò e pubblicherò il secondo capitolo. Promesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il fallito.

 

Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.

 

 

Dopo mezz'ora di guida arrivo a destinazione. Parcheggio di fronte ad una casa che conosco molto bene: la casa in cui sono nato e cresciuto.

Scendo dall'auto e raggiungo l'ingresso. I miei passi risuonano sull'asfalto duro e rimbombano nella strada deserta. Osservo la porta di legno scura e lucida. Il mio occhio cade inevitabilmente sul cartello che campeggia al centro: “Vendesi”.

Quante cose sono cambiate. Alla morte improvvisa di mio padre, mia madre ha rivelato la relazione che da tempo aveva con un uomo più giovane di lei di vent'anni e la sua decisione di andare a vivere con lui in Svizzera. Lasciandomi solo.

La mia vigliaccheria non mi ha permesso di continuare a vivere in quella casa. Troppi ricordi. Nonostante tutto, nessuno ha mai comprato quella casa, non ne conosco il motivo.

Frugo nelle tasche per estrarre un mazzo di chiavi e, trovata quella giusta, la infilo nella toppa. Resto immobile per qualche secondo prima di decidermi a girare. Apro la porta e vengo travolto da un leggero odore di chiuso. Cerco con la mano l'interruttore per accendere la luce all'ingresso.

Il lungo corridoio viene illuminato da una luce fioca. Comincio a camminare, il suono dei miei passi attutito dallo strato di polvere che ricopre il pavimento. Mi fermo di fronte ad una porta: lo studio di mio padre. La apro e osservo la stanza. Tutto è rimasto come era prima: i mobili, i libri, i documenti, le foto.

Mi cade l'occhio sulla sua poltrona, nera, in pelle, con lo schienale inclinato, rivolta verso la finestra, dalla quale si ha una splendida vista di Londra. Lentamente mi avvicino e mi siedo.

Quella postazione mi fa tornare alla mente tanti ricordi...

 

Ventisette anni prima.

 

Busso alla porta dello studio di mio padre. Sono eccitato, ho compiuto oggi diciotto anni e, dato che mi ha fatto chiamare, credo che mi voglia dire qualcosa di molto, molto importante. Il suo studio, infatti, è assolutamente off limits, per tutti.

«Avanti.»

Apro la porta, pervaso dalla curiosità. Lo trovo seduto alla scrivania, con un bicchiere di liquido ambrato in mano. Sicuramente whisky, che ama più dell'acqua. Mi avvicino lentamente a lui, non oso sedermi a una delle due sedie disposte di fronte alla scrivania senza il suo permesso.

«Michael, figlio. Siediti.» - mi abbasso per sedermi, quando lui mi ferma con un cenno della mano - «No, non qui. Lì.» dice puntando il dito verso la parte opposta della stanza.

«La tua poltrona personale?» chiedo sorpreso. Mai, mai era successo che qualcun altro oltre a lui vi si sedesse. Beve un lungo sorso di alcol per poi annuire fermamente.

Esitante, mi avvicino alla poltrona, per poi lasciarmi andare sulla sua morbidezza. Che sensazione di potere che mi infonde. Mi sento un uomo. Come mio padre. Lo sento alzarsi dal suo posto e venire verso di me. Prende una sedia e si siede accanto a me.

Apre un cassetto di un mobile lì vicino e ne tira fuori un accendino e due sigari. Me ne porge uno, io lo accetto, me lo accende e lo osservo mentre accende il proprio e aspira profondamente il fumo. Faccio lo stesso e realizzo che questo è il momento più intimo che abbiamo mai avuto. Non ci parliamo. Restiamo così finché il fumo non ha impregnato l'aria e il sigaro non è arrivato agli sgoccioli. A quel punto mio padre si alza, io faccio lo stesso e ci guardiamo negli occhi. Mi tocca con forza la spalla destra dicendo: «Sei un uomo, ormai.»

Poi va alla porta, la apre e mi fa intendere che è giunta l'ora per me di uscire. Non ricordo di aver mai passato un compleanno migliore.

 

 

Ritorno al presente e realizzo quanto mi sento vulnerabile. All'improvviso, sento una mano calda poggiarsi sulla mia spalla, là dove mi aveva toccato mio padre anni prima. Alzo lentamente lo sguardo.

«Sandra. Cosa ci fai qui a quest'ora?»

«Potrei farti la stessa domanda. Ma so già la risposta.» sussurra accanto al mio orecchio. Allungo il braccio destro per cingerle la vita e invitarla a sedersi sulle mie gambe. Acconsente, per poi allungarsi verso il tavolino lì accanto e prendere una scatola contenente due caffè e dei dolci che ha portato con sé.

«Sento che hai bisogno di parlare.» dice porgendomi il bicchiere di carta.

«Come facevi a sapere che sono venuto qui?» le chiedo dopo qualche secondo di silenzio.

«Ti conosco. E poi ho notato che mancava il mazzo delle chiavi di questa casa dal tuo cassetto.» sorseggia il caffè guardando fuori dalla finestra. Non posso fare a meno di pensare a quanto lei mi conosca. E soprattutto, quanto sopporti me e la mia cattiveria.

«Hai ragione. Ho bisogno di parlare.» ammetto con un lungo sospiro. Mi guarda e sorride.

«Bene, sono qui per questo.» ridacchia prima di alzarsi e prendere una sedia, la stessa sedia che aveva preso mio padre anni fa, e posizionarla di fronte a me.

Prendo un respiro profondo: «Avevo diciassette anni e andavo al liceo...»

 

«Allora, Michael, come procedono i preparativi per la mega festa di sabato sera?» mi chiede Josh, seduto di fronte a me al solito tavolo alla mensa della scuola assieme a parte della nostra compagnia. Ridacchio prendendo un sorso di aranciata: «Sarà una sorpresa. Posso dirvi solo due cose: alcol e ragazze.».

Tutti i ragazzi cominciano a esultare e ululare, finché non sento qualcosa stringermi il braccio. Mi volto e vedo tutte le ragazze del nostro gruppo schierate e capisco che la cosa che mi sta stringendo non è altro che la mano di Lauren.

«Lauren, amore, come sei bella oggi! Quattrocchi alzati e lascia il posto alla mia fantastica ragazza.» ordino al nuovo arrivato nel gruppo di cui sinceramente non so neanche il nome. Lei invece incrocia le braccia e resta immobile, guardandomi in cagnesco.

«Alcol e ragazze hai detto?». Diamine, ha sentito. Quelle di un certo livello, come lei, sono così difficili da trattare. Sembrano così dolci e carine nei loro vestitini a pois e i loro cerchietti, mentre in realtà sono delle pazze nevrotiche alla ricerca di attenzioni. La faccio sedere sulle mie gambe e cerco di rimediare.

«Lauren, non essere sciocca. Ovviamente solo per gli invitati single.» - mi avvicino al suo orecchio - «Per te, invece, ho una sorpresa» sussurro enfatizzando l'ultima parola.

Come prevedibile, lei si gira verso di me e mi guarda con gli occhi luccicanti. So già che starà immaginando anelli, vestiti e altre cianfrusaglie del genere. Le donne sono tutte così uguali. Mi prende il viso e mi lascia un bacio sulle labbra guardandomi in modo malizioso. Conosco quello sguardo. Significa che si è creata delle aspettative e che se voglio continuare a essere il suo fidanzato mi conviene non deluderla.

Si gira poi verso il resto del gruppo: «Ragazzi, mi raccomando, rispettate il tema della festa: tutti rigorosamente anni '50 a casa del mio Michael!» squittisce applaudendo leggermente. Come è frivola. Le altre ragazze la seguono a ruota, così che tutti i presenti a mensa si girano verso il nostro tavolo.

Sono incuriositi, ma hanno paura di noi. Ci ammirano, vorrebbero essere al nostro posto. Poveri illusi. Non li guardo neanche.

«Non immaginate che vestiti ho preso per la festa!» si vanta Kevin o, come lo chiamiamo noi, lo Spesso, per il suo modo di atteggiarsi irritante. Infatti la reazione degli altri non tarda ad arrivare: «Ma non fare lo spesso!» gridano tutti all'unisono, lanciandogli addosso pezzetti di pane e anche qualche spaghetto.

«M.. ma n... on possiamo v... v... enire vestiti nor... normali?» chiede con la sua solita balbuzie Conor. Un nerd assoluto, ma i nostri genitori sono amici da sempre, suo padre è anche cliente di mio padre, quindi ho fatto in modo che entrasse tra di noi.

«Chi viene in borghese non sarà accettato in casa Penniman, siete avvisati. E anche chi non è vestito come si deve. Ci sarà un giudice insuperabile...» - intervengo io, compiaciuto nel vedere la curiosità e allo stesso tempo la paura nei loro occhi – «La donna più bella del mondo, Lauren.» Le rivolgo lo sguardo più profondo che riesco a scoccare. Dalla sua espressione capisco che la mia frase ha funzionato. Guardo Josh, che mi fa un quasi impercettibile occhiolino. Lui sa dove voglio arrivare.

Passiamo un quarto d'ora a parlare e a prendere in giro gli altri studenti quando Lauren esclama: «Ragazzi guardate quello là! Uno nuovo!». Il silenzio cala sul nostro tavolo e tutti ci voltiamo verso l'ingresso della mensa. Lauren ha proprio ragione. Un ragazzo mai visto prima fa il suo ingresso sotto gli occhi curiosi di tutti.

Josh ridacchia. Ci scambiamo uno sguardo. Ho capito cosa sta pensando. Infatti lo dice subito ad alta voce: «Vedete anche voi? Abiti di seconda mano.»

Mi sfrego le mani e mi passo la lingua sulle labbra, per poi dire: «Che inizino i giochi.»

 

 

 

 

 

Allora, cosa ne pensate di questo Michael stronzo? Sinceramente, a me piace un sacco, perché faccio fatica ad immaginarmelo, è così lontano da Mika... non vedo l'ora di leggere le vostre opinioni :) ah, se vedete qualche erroruccio di battitura, mea culpa, non ho riletto. A prestissimo con un nuovo capitolo e, mi raccomando, “Live your life”!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il fallito.

 

Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.

 

 

«Ciao Josh, che programmi hai per oggi pomeriggio?» chiedo al telefono al mio amico. Ci conosciamo letteralmente da sempre, siamo nati nello stesso ospedale quasi lo stesso giorno, ed è lì che le nostre madri hanno fatto amicizia.

«Niente, perché?»

«Lauren ha recuperato un po' di notizie... sul nostro nuovo amico.» Dico sorridendo. Dal soffio che sento provenire dall'altra parte della cornetta capisco che anche Josh si è lasciato scappare una risatina.

«Non mancherei per nulla al mondo.»

«Bene. Solito posto, solita ora. A dopo.»

«Sicuro, ciao.»

Puntuale come sempre, arrivo alle quattro al Mini Café. Trovo Josh già seduto al nostro solito tavolo in fondo a sinistra, accanto alla grande vetrata, in modo da poter osservare quello che succede al di fuori. Rare volte abbiamo trovato il nostro posto occupato da altri. Tutti quelli che frequentano il locale ci conoscono, sanno chi siamo e cosa siamo in grado di fare, quindi preferiscono non provocarci.

«Josh.» Lo saluto sedendomi al mio posto.

«Michael.» Mi risponde con un cenno del capo.

«Sei pronto per il test di biologia di domani?» Chiedo ridacchiando. So benissimo la risposta.

«Che domande. Io sono nato pronto.» Risponde stiracchiandosi.

Io e lui non abbiamo mai studiato per un test di biologia. Infatti, tre anni fa abbiamo sorpreso il nostro professore in atteggiamenti molto, molto intimi con una ragazza del primo anno. Ricattarlo e ottenere ogni volta i test e le relative soluzioni in anteprima è stato una passeggiata.

La porta del locale si apre ed entra Lauren, impeccabile come sempre, con il suo vestitino azzurro e il cappotto grigio. Non posso fare a meno di pensare a sabato, quando finalmente porteremo a un altro livello la nostra storia che dura ormai da sei anni. A dir la verità lei ancora non è a conoscenza delle mie intenzioni, ma sono sicuro che con i giusti accorgimenti tutto andrà a buon fine.

«Ciao bellissima.» la saluto quando arriva al nostro tavolo.

«Buon pomeriggio.» risponde sedendosi al suo posto.

Ormai ci conoscono anche i camerieri e, una volta che hanno visto che è arrivata anche Lauren, uno di loro viene a prendere gli ordini.

«Allora, che notizie ci porti?» Chiede Josh appoggiando i gomiti al tavolo e sfregandosi le mani.

Lauren sorride alzando un sopracciglio e tirando fuori dalla borsa una cartellina rossa con lo stemma della nostra scuola. Lei ha libero accesso agli archivi dell'istituto, dal momento che sua nonna è la preside e le lascia fare quello che le pare. Si schiarisce la voce: «Signori, ecco a voi il fascicolo più oscuro mai capitato nelle nostre mani» - dice aprendo la cartelletta - «Vi presento Daniel Smith, classe 1982, nato a Brighton da padre imprenditore e madre chirurgo, ha frequentato nella stessa città la scuola, fino a quando il divorzio dei genitori e il suo affidamento alla madre non lo ha portato a vivere a Londra circa tre anni fa. Qui sono cominciati i problemi economici, per cui ha frequentato per tre anni una scuola pubblica per poi ottenere una borsa di studio per meriti sportivi per la nostra scuola. Mia nonna mi ha detto che ha parlato con lui, è un ottimo giocatore di football ma i suoi voti a scuola non sono dei migliori e nemmeno la sua condotta se è per questo... » Lauren si lascia scappare una risata furba.

Mi avvicino, avido di sapere altro: «Cosa intendi?» sussurro. Anche Josh è divorato dalla curiosità. Lauren si gode ancora qualche secondo guardando la curiosità crescere nei nostri occhi.

«Precedenti penali.» dice soavemente. Voleva sorprenderci? Direi che ci è riuscita alla grande.

Si protende sul tavolo verso di noi, di modo che le nostre fronti sono vicinissime. «24 febbraio 1997, guida senza patente e in stato di ebbrezza, 15 settembre 1997 possesso di droga, 5 marzo 1998 incendio doloso.»

«Incendio doloso hai detto?» chiede Josh che pende letteralmente dalle sue labbra. Lei sorride soddisfatta delle nostre reazioni.

«Durante la notte scoppiò un incendio nella palestra della scuola elementare di Brighton. Indovinate chi si aggirava per il luogo del crimine?»

Ci scambiamo delle occhiate soddisfatte e impazienti di dare inizio al piano. Non riesco a trattenere una risata. Finalmente ci rilassiamo e appoggiamo le nostre schiene alle sedie.

In quel momento arriva una cameriera con i nostri ordini. Lauren prende il suo solito frullato di mango senza zucchero, io il mio solito caffè corretto e Josh il suo solito caffè nero. Alziamo i nostri bicchieri e facciamo un brindisi.

«Alla nostra amicizia.» dico sogghignando.

«Alla nostra intelligenza» Aggiunge Lauren.

«Alla nostra cattiveria.» conclude Josh.

 

 

 

 

Capitolo corto corto corto (troppo corto forse?) ma che mi piace perché fa capire quanto sia alto il livello di sadismo dei nostri cari amici.

Ah, Mika, quanto ti sta bene la stronzaggine. Ti rende sexy. Mhm. Devo ricompormi.

Okay, ora una cosuccia di cui mi farebbe piacere avere una vostra opinione nelle recensioni: se avete notato non ho descritto fisicamente i nostri personaggi principali (Lauren e Josh intendo, Mika lo conosciamo mooooolto bene LOL). Vi va bene questa cosa? Volete immaginarveli voi? O preferite che nei prossimi capitoli metta qua e là delle descrizioni? Oppure ancora, ho visto che in molte fanfiction gli autori propongono delle fotografie ai lettori che ritraggono i personaggi, forse preferite così?

Sarebbe molto carino se me lo faceste sapere, io per esempio sono una di quelli che preferiscono solo un “aiutino”, giusto qualche riferimento, al resto ci pensa la mia fantasia.

A prestissimo con il prossimo capitolo in cui si potrà capire ancora meglio cosa hanno in mente questi tre malandrini (di classe, ovviamente).

Ah ecco, mi dimentico sempre di lasciare il mio account Twitter. Quindi, se volete contattarmi lì basta che mi menzionate e io vi seguirò. Per davvero. Per cui tutti in massa a seguire @mika_is_yeah uoooo (?)

Ultimissimissima cosa: se sparisco non è perché ho abbandonato la storia ma perché lunedì parto e non avrò dietro il pc con la storia. Non so se si riesce a pubblicare anche dal tablet. Boh. Lo scoprirò.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il fallito.

 

Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.

 

 

«S... sta a... arrivando!» esclama Conor correndo verso di noi.

Abbiamo riunito tutto il nostro gruppo e ci siamo messi in mezzo al corridoio principale del piano terra. Quando la preda si avvicina Lauren dice ad alta voce, con un tono falsamente innocente: «Non ci crederete mai ragazzi! Sapete che mia nonna è la preside, no? Ecco, io ieri l'ho sentita dire ai miei genitori che c'è un criminale in questa scuola!»

Tutti la guardano increduli. Non sanno se sta fingendo o se dice la verità.

«Un criminale?» Chiedo facendo finta di essere sorpreso, ma non riuscendo a trattenere un sorriso.

«Sì. Un piromane.» Le espressioni dei presenti sono incredibili. Quanto vorrei poterli fotografare uno ad uno.

Mi giro verso la preda che nel frattempo si è fermata alla bacheca delle attività extrascolastiche. Sono certo che sta ascoltando tutto. Allora Lauren sfoggia il sorriso più dolce e disponibile che ha e si dirige nella sua direzione.

«Ciao, tu sei Daniel, giusto?» Chiede a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti i presenti. Lui la squadra dalla testa ai piedi e si lascia scappare un sorrisetto. Sono sicuro che ci vorrebbe provare. Effettivamente è veramente bella. Ed è mia. Che non provi ad avvicinarsi.

«Sì.» - Risponde tendendole una mano - «E tu chi saresti, bellezza?» D'impulso ho uno scatto ma Josh, che aveva già intuito da un pezzo la situazione, mi blocca prima che salti addosso a quel barbone.

Lei stringe la sua mano e, scuotendo i suoi bellissimi capelli biondi, gli risponde: «Sono Lauren Bennet, piacere di conoscerti. Ti sei già ambientato qui a scuola?»

Continua a guardarla con quella sua stupida espressione da cafone: «A dir la verità no. Potresti aiutarmi tu, però.» Resisti Michael, resisti. È tutta una messa in scena, Lauren sa quello che sta facendo.

«Ho quello che fa per te. Domani sera c'è una festa a casa del mio fidanzato, Michael.» al mio nome quello si gira verso di me e mi fissa con degli occhi scuri e profondi, incorniciati da lunghe ciglia. Bene, quindi sa già chi sono. Una ragione in più per allontanarsi dalla mia ragazza. Si sistema con una mano il colletto della vecchia divisa e poi sorride mostrando una fila di denti bianchissimi che contrastano con la sua pelle olivastra.

«Non mancherò per nulla al mondo.» risponde guardando Lauren con una irritante espressione da provolone. Mi stacco dalla morsa di Josh che mi stringeva ancora il braccio e vado dai due. Molta gente si è fermata nel corridoio per vedere cosa sta succedendo. Sicuramente si staranno chiedendo per quale strano motivo rivolgiamo la parola a quel pezzente, perché non l'ho ancora preso a pugni per come ci stava provando con la mia donna e soprattutto perché mai è stato invitato alla mia festa. Mi spiace per loro ma non lo sapranno mai.

Metto un braccio attorno alla vita di Lauren e lo guardo in cagnesco: «Per tua informazione, è una festa a tema, dovresti presentarti vestito anni '50 e ci sarà la mia bellissima fidanzata a controllare l'abbigliamento degli invitati all'entrata.»

«Sarà un piacere per me farmi esplorare da una tale bellezza... potrà controllare tutto quello che vuole... sotto la giacca, sotto la camicia, sotto i pant...» non riesce a finire la frase perché gli tiro un pugno direttamente sul naso. Lui resta per qualche secondo immobile con una mano sul suo setto sanguinante, dopodiché mi risponde con un pugno sullo stomaco. Mi sale una rabbia incredibile, gli tiro uno spintone con tutta la mia forza, sento Lauren gridarci di smetterla, Josh urlarmi di picchiarlo più forte, finché delle mani possenti non mi allontanano da quell'essere che a sua volta ha le braccia bloccate da un bidello. Ci trascinano in presidenza, dove la preside ci accoglie con uno sguardo severissimo.

«Michael! Cosa ti è successo? Sei per caso impazzito? Ti conosco da quando eri ancora in fasce e mai hai fatto qualcosa del genere!» mi chiede osservandomi attentamente dai suoi spessi occhiali dalla montatura rossa. Guardo il mio riflesso nel grande specchio che sta dietro alla scrivania e mi rendo conto del mio stato. I miei capelli, che di solito sono perfettamente pettinati con una scriminatura sul lato destro con una certa quantità di fissante per appiattire i miei insopportabili capelli ricci, sono disordinati e impresentabili, il mio labbro superiore ha un taglio sanguinante, la camicia della divisa è sgualcita e la cravatta è rovinata. Sposto il mio sguardo sulla preside, che sta aspettando una mia risposta.

«Ho solo difeso la mia fidanzata, signora Cooper.» mormoro. A queste parole lei si allarma visibilmente «Come? Mia nipote? Cosa le è successo?» si volta verso il pezzente seduto accanto a me «Cosa hai fatto alla mia Lauren?»

«Non ho fatto nulla.» risponde con tono annoiato.

«Questo individuo ha dimostrato palesemente il suo interesse per la mia fidanzata» - dico enfatizzando le parole “individuo” e “mia” - «Per poi arrivare a farle richieste a dir poco sconce e...»

«Basta così» - mi interrompe la preside - «Per questa volta non prenderò provvedimenti nei confronti di nessuno dei due, ma che sia la prima ed ultima volta. Smith, sei appena arrivato e sai che la tua situazione non ti permette errori di questo genere. Michael, so che tu sei un bravo ragazzo e so che volevi solo proteggere mia nipote, ma devi renderti conto che se un episodio del genere dovesse ripetersi io sarò costretta a... punirti.»

Non posso fare altro che annuire.

 

 

***

 

«Grandissima festa Michael!» urla venendo da me Kevin. Gli faccio capire che ho gradito il complimento alzando il bicchiere di vodka che ho in mano. Vedo Josh parlare con due bionde sulla penisola della cucina. Quando mi vede arrivare fa cenno alle ragazze di andare via e di tornare dopo.

«Hai fatto?» gli chiedo avvicinandomi al suo orecchio, in modo che nessuno possa sentirci, anche se siamo molto aiutati dal volume alto della musica e delle urla degli invitati.

«Sì» - risponde - «Ho dato la roba a Lauren, ci pensa lei a metterla nella tasca di Smith.»

«Lei dov'è ora?» chiedo appoggiando il bicchiere sul ripiano in marmo e guardando una mora che ci passa accanto sinuosa.

«Sta controllando gli invitati all'ingresso... sei pronto per stanotte?» alza un sopracciglio rivolgendomi uno sguardo d'intesa.

«Assolutamente. La camera dei miei genitori è un perfetto nido d'amore, con candele, tende, champagne, un vestito magnifico apposta per lei... si perde la verginità una volta sola.»

«Aspetta» - mi interrompe - «lei lo sa che tu non lo sei?»

Guardo il vuoto per un attimo poi sorrido. «No. Sinceramente no. Non me lo ha neanche chiesto, ma dato che stiamo assieme da anni e non lo abbiamo mai fatto è sottinteso che io sia vergine.»

Josh scoppia in una risata. «Certo che sei maledetto. Vuoi nasconderle che la tua prima volta è stata in terza media con Angelina Fitch?»

Gli tiro una pacca sulla spalla e mi volto per andare a cercare Lauren. La trovo in salotto che parla con delle sue amiche. La prendo da parte «Allora?» le chiedo. «È arrivato» - risponde sistemandosi il cappello. Sbaglio o è ubriaca? - «E gli ho messo la droga nella tasca. Quand'è che chiamiamo la polizia?»

«Fra poco... ma, dato che quando arriverà ci sarà un gran disordine... ora ti faccio vedere la tua sorpresa.» la prendo per mano e la conduco verso le scale. Le saliamo in fretta e attraversiamo il lungo corridoio. Tutti i bagni e le stanze sono occupati da coppiette, tranne una, la camera dei miei genitori, che ho preventivamente chiuso a chiave.

Cerco nella tasca della giacca le chiavi, le infilo nella toppa, quando sento qualcosa di molto grosso sbattere al piano di sotto. Maledizione, se hanno rotto qualcosa dovrò dare delle spiegazioni ai miei genitori quando torneranno dalle Barbados.

«Aspetta qui, torno fra un attimo.» dico a Lauren lasciandole un bacio veloce sulle labbra.

Quando arrivo nella sala da pranzo trovo il lungo tavolo rovesciato. «Ma siete impazziti? Rimettete subito il tavolo al suo posto o la vostra vita a scuola sarà un inferno!» questa minaccia detta da me funziona sempre perché all'istante si adoperano per rimediare al danno.

Ritorno in fretta al piano superiore. A tre metri da dove avevo lasciato Lauren noto che lei non c'è ma che la porta è socchiusa. Certo, ho lasciato la chiave nella toppa e sono andato via, scommetto che entrata, ha capito tutto e si sta preparando. Apro la porta con una leggera spinta e faccio un passo nella stanza.

«COSA CAZZO SUCCEDE QUI?» urlo.

 

 

Curiosi? Vi tocca aspettare il prossimo capitolo che non so quando arriverà perché domani mattina parto per il Marocco. Ma sono certa che qualcuno ha già intuito, siete troppo intelligenti.

A prestissimissimo e, mi raccomando, fatemi sapere le vostre opinioni :)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il fallito.

 

Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.

 

 

Sento le mie gambe cedere, la testa girare, non sono sicuro se ciò che ho davanti è vero o meno.

«COSA HAI FATTO ALLA MIA RAGAZZA?» urlo scagliandomi contro Daniel Smith che non reagisce quando lo prendo per il colletto della camicia e lo spingo con violenza contro al muro.

Sento le urla stridule di Lauren alle mie spalle, mentre osservo con tutta la rabbia che ho in corpo gli occhi neri e impassibili di Smith.

Tutta la situazione comincia a prendere ordine nella mia testa, l'immagine vivida dei loro corpi seminudi trova posto nella mia mente e non posso fare altro che allentare la presa alla ridicolezza della situazione.

Con uno strattone si libera dalla mia morsa e si allontana da me. Va verso il letto, raccoglie i pantaloni e i boxer e si dirige verso la porta. Pochi passi prima di uscire si ferma e, senza voltarsi, commenta con la sua voce profonda e leggermente rauca: «Penniman, non ti preoccupare, non mi sono preso la verginità della tua donna. Qualcuno ci ha preceduti entrambi.» per poi uscire fischiettando.

Lo osservo camminare per il lungo corridoio finché non sparisce alla mia vista.

«Chi è stato?» chiedo con lo sguardo fisso nel punto in cui Smith è scomparso. Non sento altro che la musica e gli schiamazzi della festa che nel frattempo continua. Il suo silenzio mi fa innervosire ancora di più.

«DIMMI CHI È STATO!» Con la coda dell'occhio la vedo sussultare al mio urlo.

«Josh.» sospira.

 

 

***

 

«Michael, perché non sei al nostro tavolo?» mi chiede Kevin appoggiando il suo vassoio davanti a me.

«Non mi va. Vai via.» Rispondo laconicamente tormentando una patatina nel ketchup. Mi fissa per qualche istante, poi si volta e raggiunge il resto del gruppo seduto al solito tavolo esattamente al centro della mensa, lasciandomi solo al tavolo più isolato che sono riuscito a trovare. Attiro comunque l'attenzione di molti studenti, abituati a vedermi sempre in compagnia del mio gruppo.

«Mike senti, noi dobbiamo parlare.» Riconosco la voce di Josh alle mie spalle.

«Sparisci.»

«No, davvero, Mike, ti posso spiegare tutto, non è come c...»

«NON È COME CREDO, GIUSTO?» - urlo alzandomi di colpo dalla sedia e voltandomi per trovarmi faccia a faccia con lui - «CERTO CHE NON È COME CREDO, HAI SOLO FATTO SESSO PER SBAGLIO CON LA MIA FIDANZATA!»

Cala il silenzio, tutti gli occhi sono puntati su di noi.

«Guarda, sparisci e facciamola finita.» Mormoro per poi voltarmi per tornare al mio posto.

«Ti rode il fatto che sei cornuto, vero?»

Ora è decisamente troppo. Stringo forte il pugno e dirigo un colpo direttamente al suo viso con tutta la forza che ho. Provo quasi un senso di sollievo, per qui colpisco ancora, e ancora, e ancora, fino a quando qualcuno non mi allontana e vedo il corpo disteso a terra di Josh e il suo viso irriconoscibile sotto al sangue. Non ha reagito e sapevo che non lo avrebbe fatto.

 

«... Per questo motivo, oltre che per il fatto che non è la prima volta che sei coinvolto in fatti del genere, sono costretta a prendere provvedimenti.» Ascolto in modo annoiato il discorso della preside Cooper. Ne ho decisamente abbastanza di tutto questo, della mia vita, fatta solo di amici falsi e genitori assenti. Sono seduto in modo scomposto sulla sedia di fronte alla scrivania e non riesco a trattenere uno sbadiglio.

«Dovrebbe prendere provvedimenti nei confronti di sua nipote, signora Cooper, che non è altro che una sgualdrinella.» La fisso dritto nei suoi occhi di ghiaccio, che prima assumono una espressione spaesata, dopo di che si riempiono di rabbia e indignazione.

«Penniman, non mi lasci scelta. Sei sospeso.»

 

 

***

 

«Michael, svegliati, sono le due del pomeriggio. Ti ho detto di svegliarti, e vedi di trovarti qualcosa da fare, non vorrai passare una settimana a far nulla in questo modo? Io vado, ho l'aereo fra due ore, ci vediamo fra tre giorni, e non combinare altri guai.» Mia madre è sempre così: di fretta.

Mi alzo di peso dal letto, giusto in tempo per percepire l'ultimo sentore del suo profumo e sentire le gomme della sua auto muoversi sulla ghiaia del vialetto.

«Michael, sei sveglio? Il tuo pranzo è pronto in cucina, scendi quando sei pronto.» Il viso paffuto di Mercedes fa capolino nella mia stanza. Da quando sono nato è lei a occuparsi di me e mi conosce meglio dei miei genitori. Alla notizia della mia sospensione mi ha abbracciato e mi ha consolato, dicendomi che si sarebbe sistemato tutto. Mia madre ha urlato per un giorno intero, mentre mio padre non mi parla più. Nessuno si è più fatto sentire, né una chiamata, né una visita, né un biglietto. Allora è proprio vero che i veri amici si vedono nel momento del bisogno.

«Grazie Mercedes, ma non ho fame. Penso che andrò a fare una passeggiata.» Rispondo trascinandomi pesantemente verso la porta del mio bagno.

«Davvero? Fai bene, è da giorni che non esci più di casa. Se cambi idea trovi il pranzo in frigorifero, caro.» Sorrido e entro in bagno.

Mezz'ora dopo sono in strada, cammino lentamente per le vie vuote. Ancora qualche ora e tutti usciranno da scuola, per cui farò in modo di non farmi trovare in giro in quel momento. Passeggio senza una meta precisa, canticchiando un motivetto abbastanza orecchiabile che mi è venuto in mente ieri notte prima di andare a letto.

Penso a come la mia vita sia tutta un voler essere perfetto in tutto e perfido con tutti, al fine di accontentare gli altri. Gli altri... Alla fine questi “altri” non sono altro che mio padre.

Perché non gli piaccio? Provo ad essere di tutto, tutti i colori, dai più chiari ai più scuri, senza riuscire a piacergli. Sono stanco. Perché non se ne esce dalla porta?

Senza rendermene conto, assorto nei miei pensieri come ero, si è messo a piovere, e mi ritrovo zuppo d'acqua lontano da casa.

Mi fermo e mi guardo attorno nella speranza di veder passare un taxi che mi riaccompagni, quando un grande ombrello nero si posiziona sulla mia testa. Mi volto, per trovarmi di fronte Daniel Smith.

«Ciao Penniman.» Sorride mostrandomi i suoi denti perfetti e bianchi che contrastano con la sua pelle abbronzata.

«Non c'è più nulla da rovinare nella mia vita, Smith, hai fatto un ottimo lavoro, comunque.» Dico con un sorrisetto sarcastico per poi fare per andarmene. Mi ferma per un braccio con una forte presa.

«Dove vai con questa pioggia, Penniman?» Mi chiede con ancora quel suo insopportabile sorriso stampato in viso.

«A casa. Addio.»

«Se non sbaglio il quartiere snob in cui vivete tu e i tuoi amici è a mezz'ora da qui, no?»

«Cosa ne sai tu e poi, cosa ci fai in giro a quest'ora? Non dovresti essere a scuola?» Chiedo punto sul vivo.

«La scuola dici? Sospeso.»

«Siamo pari, allora.» Restiamo in silenzio per qualche istante per poi scoppiare a ridere.

Smette di colpo di piovere, per cui lo saluto e torno a casa con una strana felicità. Possibile che stia cominciando a starmi simpatico, dopo tutto ciò che ha fatto?

 

 

Uuuuuuh ho appena risistemato il capitolo dopo più di 24 ore da quando l'ho pubblicato. L'ho scritto di getto ed ero un po' distratta, e oggi rileggendolo l'ho trovato pieno di errori, sorry hihihihi (perdonatemi la risata ma sono truzza inside). Aluuuura cosa pensate degli ultimi avvenimenti? Preparatevi, la storia non è ancora finita ANZI tutto può ancora succedere. Bene, ora uso questo spazio per fare un doveroso ringraziamento ad una persona. Voglio ringraziare la mia compagna di scorribande mentali Celeste che mi ha fatto da “cavia” per questa fanfiction. Mi spiego. Noi due siamo delle Mikuzze for life (?) ergo, avendo io da tempo l'idea di scrivere una storiella su Pennimanino, l'ho usata come “Mikafreak modello” facendole un questionario su quale fanfiction leggerebbe volentieri una fan di Mika. Per cui se la storia fa schifo prendetevela con lei.

Comunque, per dire quanto siamo amorevoli tra di noi, la mia prima OS, “Karen, 82 rue des Martires”, è il regalo di compleanno che le ho fatto. Giusto per essere originali. Se vi va, passate dal mio profilo e leggetela. E magari anche l'altra OS. Okay, ora la smetto con la pubblicità.

Ciaaaao bellissima gente <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2017777