Figlia della Luna

di Akune_Niives
(/viewuser.php?uid=504342)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il sogno. ***
Capitolo 2: *** Il professor Arthur DuMondray. ***
Capitolo 3: *** Anche tu tradirai, un giorno. ***
Capitolo 4: *** Questo era solo un esempio, giusto signorina Raven? ***
Capitolo 5: *** Il Fratello Trovato pt.1 ***
Capitolo 6: *** Il Fratello Trovato pt.2 ***
Capitolo 7: *** Il primo incontro. ***
Capitolo 8: *** Gotcha, little Raven. ***
Capitolo 9: *** ...What did you expect? ***
Capitolo 10: *** The beast inside of me ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il sogno. ***


Era buio.


Correvo.


Non sapevo verso dove ne con quale forza le mie gambe si muovessero così velocemente.

Era innaturale.

Eppure stavo correndo.
Sentivo il cuore scoppiarmi nel petto e il respiro farsi affannoso.
Non sapevo dov’ero, ma di una cosa ero certa: ero in un bosco. Le foglie cadute ed i ramoscelli secchi si spezzavano sotto ai miei piedi ed i rami mi graffiavano il volto.

Un lento respiro attirò la mia attenzione.
Era qualcosa dietro di me. Cercai di voltarmi ma persi l’equilibrio e caddi a terra, contro il tronco di un albero.
Mi rialzai lentamente e qualcosa, dall’alto, atterrò a pochi metri da me. Mi voltai e quella vista mi tolse il fiato. Era un essere umano, un ragazzo per la precisione.

Era bellissimo.


C’era però qualcosa che non andava.
Stava ringhiando contro di me.
Un istinto innaturale mi fece accucciare in una difesa improvvisata, digrignando i denti.
Mi sentii ridicola, ma il mio, a quanto pare, avversario indietreggiò vistosamente. Lessi nel suo sguardo odio e disprezzo.
Il mio corpo si voltò per ricominciare a correre, ma con un balzo il mio “nemico” mi piombò di fronte, mi afferrò il braccio e mi scaraventò verso un altro albero. Sentii il tronco spezzarsi all’impatto con il mio corpo. Alzai la testa e lo fissai.
Era più vicino di quanto mi aspettassi.
Ci guardammo per secondi interminabili, senza proferir parola. In quegli istanti di silenzio colsi l’occasione per guardarlo: era biondo, aveva i capelli che gli sfioravano le spalle. Un volto quasi marmoreo. Sembrava giovane, se non fosse stato per gli occhi; erano rossi, stanchi, circondati da profonde occhiaie, come se rispecchiassero la sua vera età.
La domanda venne spontanea ed uscì dalle mie labbra come un sussurro:


-Chi sei, tu?-


Lui mi fissò intensamente. Sembrava che ogni traccia di odio fosse svanita.
Abbassai lo sguardo e vidi uscire dal colletto della sua maglia un segno nero, vicino al collo. Doveva essere la parte iniziale di un tatuaggio.


-Svegliati, Iris.-


Tornai a guardarlo.


-C-Come?-
 
Mi fissò sorridendo


-Svegliati, farai tardi.- ripeté.


Non era la sua voce. Sembrava più sul femminile. E anche familiare.
Mi sentii afferrare per le spalle.
Lui stava come sparendo.

Qualcosa iniziò a scuotermi.


-Vuoi svegliarti? Forza!-

Spalancai gli occhi e trovai quelli di mia madre.


-Finalmente! Buongiorno, eh. Farai tardi a scuola, sbrigati.-
 

Si alzò dal mio letto e corse verso non so dove.
Mi guardai attorno.
Ero in camera mia, il bosco era sparito, insieme a Lui.

Mi alzai dal letto e uscii di camera. Subito sentii mia madre urlare dal piano di sotto.
Andai in bagno e mi preparai, ripensando a quello che avevo appena sognato.
Presi lo zaino e scesi le scale che portavano in cucina. Capii dopo pochi istanti il perché delle grida di mia madre.
Mia sorella si rifiutava di fare colazione. Come da copione.
 

-Ma non ho fame! Non lo voglio, NO!- strillava mia sorella, testarda.


-Per l'amor del Cielo, Maya. Se non mangi adesso, avrai fame più tardi quando sarai in classe. E lo sai che la maestra non ti darà il permesso! Ti sentirai male e mi toccherà venirti a prendere e sai che non posso! Adesso, apri quella dannata bocca e mangia quei dannati cereali!- gridò mia madre.

Sembravano due bambine della stessa età, senza dare cenno di smettere.
Presi una mela e mi avvicinai alle uniche due persone che conoscevo capaci di litigare già dalle 7 e 30 di mattina.


-Allora facciamo così: io adesso prendo la Terra.-

Feci vedere a mia sorella la mela appena lavata e che stavo iniziando ad incidere con un coltello, formando alla meno peggio le nazioni

-E ci nascondo dentro dei tesori.- dissi, riferendomi ovviamente ai semi della mela.
 

-E io sono un mostro che deve prendere i tesori per diventare più forte!- gridò mia sorella.

Afferrò la mela e iniziò ad addentarla con foga.
Mia madre mi si avvicinò e mi guardò malissimo.


-Ci sarà pure un altro modo per farle mangiare qualcosa, la mattina.- mi sibilò contro.


-Di sicuro - le risposi -Ma tu sei sua madre, dovresti trovartelo da sola un nuovo modo. Per adesso conosciamo solo questo, che ti vada bene o no.-

La guardai per un attimo, afferrai la borsa e uscii di casa. La sentii urlarmi qualcosa dietro, ma non le diedi ascolto.
Iniziai a camminare verso la mia scuola.
Era un edificio poco luminoso, visto che in passato era stato un carcere.
Era frequentato da quasi il 70% della popolazione della mia città. 

Ma voi vi starete chiedendo chi sono e perché vi sto raccontando questa storia.

Mi chiamo Raven McCay, ho 17 anni e vivo con mia madre e mia sorella in una piccola città della Carolina del Sud. Mio padre non c'è più da quasi 6 anni e mio fratello maggiore si trasferì nel Vermont tre anni fa. La scuola che frequento è la Internetional Psicology High School.
Sembra una scuola molto importante, sia per l'aspetto imponente sia per il nome che inganna. Ma quando sei all'interno lo senti. Percepisci cos'era stato prima.
Ancora con le sbarre alle finestre, a me sembrava sempre il solito carcere dove centinaia di studenti e insegnanti passavano più di 10 ore giornaliere al suo interno senza far caso al passato.
Mi sembrava di sentirlo, di vederlo, appena entravo nel giardino creato artificialmente. Sentivo la presenza dei carcerati che non c'erano più. Rivedevo scene quotidiane assurde. Sapevo cosa c'era stato, mentre ormai gli altri non ci facevano più caso da anni.
Mi faceva sempre uno strano effetto entrarci.

-Ancora a pensare quanto faccia schifo questo posto?-

Mi voltai e fissai il mio migliore amico che mi aveva appena affiancato.

-Come sempre. Ricordi anche solo una volta in cui non sono entrata qui dentro senza avere questa faccia?-

-Beh.. Come dimenticare due anni fa quando dovevi fare il discorso di apertura.- replicò, scrollando le spalle.

-Fottiti, Max. Quel giorno ero più tesa della corda di un violino.- mi giustificai.

-Secondo me non ci dovresti pensare e andare a dormire presto la sera. Almeno eviti di arrivare qua che ancora fluttui tra la porta del Mondo dei Sogni e quella che ti riporta sulla Terra.-

Lo guardai di sbieco e gli tirai un pugno sulla spalla. Max mi guardò divertito e sorrise, mentre si portava una mano alla spalla colpita.

Max.

La prova vivente che l'amicizia tra ragazzo e ragazza poteva esistere senza troppe complicazioni. Lo conoscevo da 10 anni ed era sempre stato un genio dei computer e qualsiasi cosa che avesse dei circuiti al suo interno. Negli ultimi anni mi aveva trasmesso questa passione e io, per ringraziarlo, l'avevo fatto diventare tecnico della sala informatica più grande e attrezzata dello Stato, che ovviamente era situata nella nostra scuola.
Era il classico secchione, con gli occhiali grandi, ma non era uno di quelli tutt'ossa e con l'acne. Max era alto, capelli neri e occhi color miele. Fisico asciutto, perfetto di chi nuota da tutta una vita. Lo discriminava solo il fatto di avere quasi tutte A in pagella.

-Andiamo, torna tra noi! Stamani abbiamo quell'incontro con lo scrittore..-

Max mi spinse verso le scale e iniziammo a salirle. Mi ripresi scrollando le spalle.

-Già, me ne ero dimenticata.-

-E' quello che fa riscerche sui vampiri e roba del genere.. E che cerca sempre metodi nuovi per scoprirne l'esistenza. Giusto?-

-Esatto..-

-Un pazzo praticamente.-

-A me personalmente piacciono i suoi libri. Sono interessanti.-

-Ma ti prego!- replicò Max, quasi lamentandosi -Non ha senso! Già ci assillano con gli UFO. Poi arriva questo con i lupi mannari e paletti d'argento.-

Mi fermai un secondo sulle scale e lo guardai.

-Non erano paletti di frassino e pallottole d'argento?- chiesi, osservandolo stranita ma con il sorriso in faccia.

Lui intuì che lo stavo prendendo in giro e sventolò una mano in aria. Ridemmo entrambi e ci avviammo verso l'aula.

 

**SPAZIO AUTRICE**


Seconda storia, fatemi sapere che ne pensate! Presto metterò il secondo capitolo :D

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il professor Arthur DuMondray. ***


Ci dirigemmo verso l'aula 23, quella più grande del piano superiore.

Arrivati davanti alla porta notammo un foglio attaccato con del nastro adesivo. C'era scritto che il corso era stato spostato nell'aula 8, quella che veniva usata per i corsi estivi.

Ci dirigemmo verso l'aula indicata e capimmo il motivo dello spostamento.

Al suo interno c'erano si e no 15 persone, numero per il quale era inutile occupare una stanza grande come la 23.

Max mi guardò.

-Senti, ma dobbiamo proprio? C'è un interessante convegno su Windows 8 e..- iniziò a sussurrarmi nell'orecchio.

Lo afferrai per la maglia e lo buttai a sedere sulla prima sedia che avevo accanto. Nonostante Max fosse alto e forte, non so come ero una dei pochi che riusciva a sollevarlo.


-Ascoltami bene: il professore di Storia ti ha ordinato di seguire questa lezione. Hai il massimo dei voti in qualsiasi materia, tranne che a Storia. Quindi, a meno che tu non voglia passare l'estate in questa stanza, ti consiglio di chiudere il becco e di aprire le orecchie.- sibilai, sedendomi accanto a lui.

Max si ricompose alla meglio, sistemando la felpa e mi guardò sottecchi.

-E allora perché tu saresti qui?- mi chiese, sempre a bassa voce.

-Ci deve pur essere qualcuno che ti sorvegli, no? E poi ho consigliato io al professore di farti partecipare.. Arthur DuMondray è il suo scrittore preferito, e anche il mio. Ha sorriso in modo angosciante e mi ha detto che era un'idea perfetta. Giustamente gli dovrai raccontare tutto e lui ti metterà un voto.-

Max si batté la mano sulla gamba

-AH! Lo sapevo che c'era un trucco.- esclamò, lanciandomi poi uno sguardo odioso.

Io sorrisi e poggiai la tracolla per terra.

-Dai, non te ne pentirai.. Sarà divertente!- mormorai, appena in tempo per sentire la porta che si apriva di scatto.

Come si era aperta, si era chiusa violentemente dietro di noi. Ci voltammo simultaneamente e vedemmo un uomo passarci accanto.
Era alto, aveva spalle larghe e lunghi capelli bianchi.
Teneva sotto braccio carte su carte ed entrambe le mani stringevano due valigette, molto più grandi di due semplici ventiquattrore.
Mi diede la vaga idea che zoppicasse, ma non ci feci necessariamente caso.

Buttò le valigette sulla cattedra e frugò nei fogli fino a che non ne trovò uno, che appese alla lavagna magnetica vicina a lui.
Era uno schema complicato e confuso, e sembrava fosse stato scritto secoli fa.

L'uomo si voltò di scatto e ci fissò uno per uno.

La maggiorparte di noi ebbe un sussulto.

Aveva un'enorme cicatrice che partiva da poco più sopra della tempia sinstra, scavalcava l'occhio, tagliava il naso, deformava la bocca fino ad arrivare al di sotto del mento, dove poi spariva sotto il colletto della camicia. Un bel taglietto, mi ritrovai a pensare.

Lui ci guardò ancora una volta, divertito, e con voce roca ci chiese:

-Sapete come me la sono fatta questa?-

Una mano saettò in alto per poter rispondere. Mi sporsi per vedere meglio. Era una ragazzina del secondo anno, una di quelle che ti fanno salire l'omocidio per il semplice fatto di voler essere sempre e solo perfette. La mandai al diavolo mentalmente.

-Nella sua più recente intervista ha dichiarato di essersi procurato quella ferita mentre inseguiva un vampiro. Mentre il suo medico curante afferma che è stato a causa del ramo di un albero un po' troppo basso nel momento in cui lei era un po' troppo sbronzo.- rispose tutto d'un fiato, sorridendo.

L'uomo la fissò intensamente per un lungo momento, cosa che le fece sparire il sorriso e abbassare la testa. Staccò gli occhi da lei e tornò a guardare il resto della classe, sempre con un ghigno che sembrava voler essere un sorriso.

-Ammetto che non pochi hanno dubitato delle mie affermazioni, ma d'atronde chi può dar loro torto? Come si fa a credere che certe cose possano esistere ancora oggi? Beh. Esistono.- mormorò, alzando le braccia.

Oh, si. Grazie tante per la favolosa spiegazione, pensai.

-Come questa, ne ho a centinaia- continuò, indicandosi la cicatrice che gli deformava il volto -E certo non possono essere frutto di fantasia, come è impossibile pensare che ogni albero del nostro Stato sia alto poco più di un metro e 70.- disse, ammiccando verso la ragazza che aveva parlato poco prima.

-Voi siete studenti, ovviamente liberi di non credere a nessuna delle parole che sto per dirvi. Ma se siete qui, un motivo ci deve essere.- 

Soffermò lo sguardo su Max e sorrise, come se avesse intuito il vero motivo per cui il ragazzo fosse in quella stanza. Max, accanto a me, si agitò leggermente sulla sedia.

-Se alcuni di voi hanno letto i miei libri, e so che qualcuno l'ha fatto, avrete notato che sono sempre pieni di informazioni, date e luoghi precisi, di desrizioni e disegni. Ma non sono qui per lamentarmi di chi giudica instabile la mia salute mentale o chi mi reputa un alcolizzato. Io sono qui per parlare di quello che so, di quello che ho visto e che conosco. Perché tutto ciò è vero. Tutto. Ogni singola cosa. Voglio che voi, nuove generazioni, riusciate a capire cose che persone dalla mentalità chiusa non vogliono nemmeno ascoltare. Tutto questo è vero. Esiste. Esistono in mezzo a noi. Ci possono passare accanto senza che noi possiamo riuscire ad accorgercene. Possono trovarci nei sogni. I vampiri, specialmente. Con i loro occhi rossi e stanchi, con i loro tatuaggi enormi sparsi per tutto il corpo.- 

Si stava facendo prendere dalla storia, tanto che mimava ampiamente con le braccia ogni singola cosa.

Quella sua descrizione però, mi fece tornare alla mente il mio sogno. Mi sporsi in avanti per ascoltare meglio.

-Sono agili, non si sentono nemmeno respirare. E lasciate perdere quelle cazzate sui paletti di frassino o la luce del sole. Come si evolve la specie umana, anche in loro ci sono dei mutamenti genetici. Ormai resistono alla luce del sole, protetti da solo una cosa. Chi sa dirmi quale?-

La maggiorparte dell'aula alzò la mano, tranne me e Max. 

Che avessi sognato un vampiro?

Intanto, l'uomo iniziò a controllare una lista lì vicino.

-Vuole dirmelo lei, signorina.. McCay?-

Max mi tirò una gomitata tra le costole per farmi rinsavire dalle mie distrazioni.

Alzai lo sguardo.

Arthur DuMondray mi stava fissando. Mi fece un cenno per invitarmi a parlare.

-C-Come? Ah, si.. Secondo il suo libro "Maschera di Ferro" ogni vampiro ha sul corpo un tatuaggio più o meno grande. I tatuaggi riescono a proteggere la creatura dai raggi solari durante il giorno. Sono di variabile grandezza. Dipendono dal tipo di luogo da cui provengono.- iniziai a dire.

Parlavo a raffica, come se stessi leggendo il libro nella mia mente.

Il signor DuMondray mi fece cenno di fermarmi.

-Vedo che è molto preparata signorina. Bene, ma adesso ho per voi una storia che nemmeno una persona informata come lei conosce. Non l'ho ancora scritta in nessun libro, l'ho tenuta in serbo per oggi.-

E si voltò verso lo schema alle sue spalle, allungando le braccia per indicarcelo.

Il mio cuore perse un battito.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Anche tu tradirai, un giorno. ***


Si svegliò di colpo, tirandosi su a sedere sul letto e sgranando gli occhi.

 
L’aveva trovata.
 
Scattò in piedi e si avvicinò al computer lì vicino.
 
Amava la tecnologia e non capiva perché gli umani ci avessero messo così tanto ad inventarla.
Iniziò a scrivere, a cercare, a cliccare e infine la trovò.
Non era difficile entrare nei siti dell’anagrafe e  gli bastò inserire pochi dati e il volto di lei comparve sullo schermo.
Stampò la pagina e corse da suo fratello.
 
-Mathias!- gridò, mentre camminava per il castello.
-Mathias dove sei?- continuò, senza sentire risposte.
Quel castello era così dannatamente grande che rimpiangeva la loro villa in Francia.
Aprì una porta e si trovò davanti a sua sorella maggiore.
 
-Ylenia, dov’è Mathias?- le chiese, leggermente euforico, cercando di mantenere un tono di voce fermo.
Lei lo guardò per qualche secondo.
 
-Nella sala con i collaboratori. Lo sai. Per quale motivo lo stai cercando?- chiese, adocchiando i fogli che il fratellino aveva in mano.
 
-Non sono affari tuoi, sorella.- rispose, secco.
 
Ylenia si incupì.
Il comando del Clan sarebbe spettato a lei ma, nonostante fosse la maggiore tra le sorelle e la prima nata tra tutti loro, il privilegio era stato donato a Mathias, il secondogenito. Fu proprio la stessa Ylenia a concederglielo, esattamente quando si accorse dell’enorme dispiacere che aveva avuto suo padre quando vide che il suo primo erede fosse una femmina.
E d’altronde Ylenia non poteva controbattere. Tutti gli portavano rispetto, essendo la più grande, ma non l’avrebbero mai trattata come il fratello.
 
-E’ una cosa così importante da non poterne parlare nemmeno con me?- chiese, dopo qualche attimo di silenzio.
 
-Il fatto che tu sia il capo del Consiglio del Clan non comporta che io debba parlarti di qualsiasi cosa, Sorella.- mormorò il giovane, cercando di trattenere le emozioni.
 
Ylenia sbuffò.
 
I conflitti con il giovane fratello erano all’ordine del giorno, ormai. Ma furono salvati da una figura esile che spuntava da dietro la spalla del ragazzo.
 
-Non farete di nuovo a botte, vero?- chiese la figura, che si fece largo nella stanza.
 
-Oh, no fratellino.. Non preoccuparti. Tuo fratello cercava Mathias.- mormorò Ylenia con dolcezza.
 
-Ace, tu sai se Mathias ha finito con i collaboratori?- chiese il ragazzo e il fratellino si voltò a guardarlo con un sorriso.
 
-Sì, sta andando verso la Sala del Trono..- esclamò Ace, tranquillo.
 
Il giovane annuì e uscì dalla stanza. Ylenia chiuse di botto il libro che stava leggendo e lo seguì, non prima di aver carezzato dolcemente la testa di Ace, che tornò tranquillo nella sua stanza.

 
 
-Mathias!- gridò nuovamente, entrando nella Sala del Trono.
Il fratello maggiore si voltò e accolse il fratello minore con un sorriso.
 
-Fratello! Cosa posso fare per te?- chiese, con voce profonda accompagnata da un sorriso.
 
-L’ho trovata, fratello mio.. L’ho trovata!- quasi gridò dall’emozione, mentre saliva i pochi gradini che portavano al Trono e porgeva al Capo Clan i fogli appena stampati.
Gli occhi di Mathias si illuminarono e prese i fogli che gli porgeva il fratello e iniziò a leggere, sempre seduto sulla regal poltrona.
 
-Si può sapere chi hai trovato?- chiese Ylenia, dal fondo della stanza.
Mathias alzò gli occhi e le fece cenno di avvicinarsi.
 
-E’ una storia di cui siamo a conoscenza solo io e lui, ma se hai pazienza te la racconterò, sorella mia.- mormorò, tranquillo.
 
Ylenia annuì e Mathias si sistemò meglio sul Trono e iniziò a raccontare.
 
-Qualche settimana fa, nella biblioteca di Nostra Madre, il nostro caro fratellino ha trovato delle informazioni su un’antica leggenda che narra la storia della Principessa Iris..-
 
-Conosco la storia della Principessa. Cosa c’è di così eclatante?- lo interruppe la sorella, scocciata.
 
-Aspetta, aspetta.. Fammi finire..- mormorò Mathias, alzando le mani e sorridendo.
-Parte della leggenda, andata perduta e ritrovata tra i vecchi libri di Nostra Madre, parla anche di come la Principessa, aiutata da un vampiro di dubbia entità, fosse riuscita a creare degli antidoti per spezzare le loro Maledizioni. Così lei riuscì a tornare una splendida fanciulla e lui un uomo. Poi nascose la formula con l’aiuto delle Arti Magiche. Fin qui è una storia molto surreale. Se non fosse per il fatto che la leggenda dice che solo la sua degna erede, una giovane nata alla fine di Marzo, potrà spezzare il sigillo e tornare in possesso degli antidoti.
Dopo una ricerca, abbiamo trovato la giovane in questione..-
 
-Andrò a prenderla e la convincerò a spezzare il Sigillo, così da poter avere accesso agli antidoti e..- iniziò il ragazzo, interrompendo il fratello ma per essere poi interrotto a sua volta dalla sorella.
 
-E cosa vuoi farci con gli antidoti? Eh? Vuoi tornare ad essere un bell’umano con tutte le femmine ai tuoi piedi? Come se tu non ne avessi già abbastanza. SEI UN TRADITORE DEL TUO SANGUE, COME QUELLA SPORCA DI TUA SORELLA GEMELLA!- gridò Ylenia senza ritegno e prima che uno dei due fratelli potesse aprir bocca, schioccò le dita.
Dalle sue mani partirono fruste infuocate che, con un unico movimento fluido, cercarono di colpire il fratello più giovane.
Lui fece per ripararsi, ma prima che uno dei due potesse fare altro, un grande getto d’acqua spense l’ira della sorella maggiore.
 
-Mi vuoi spiegare cosa diavolo ti prende? Sei uscita di senno, Sorella??- gridò una voce.
Dall’ombra venne fuori Tayla, la sorella dominatrice dell’Acqua, seguita dal resto della famiglia: Alissa, regina delle Foreste, Ace e Jean, i gemelli che potevano trasformarsi in animali (di cui era esperto Ace) e prendere sembianze di altre persone (di cui si dilettava Jean). Sì, erano una famiglia davvero numerosa.
 
Ylenia li guardò furiosi uno per uno, per tornare poi con lo sguardo su Mathias.
 
-Tu permetti che tuo fratello faccia una cosa del genere?- urlò, ancora fuori di se’.
 
-ORA BASTA. Sorella, stai oltrepassando il limite.- gridò Mathias di rimando, alzandosi di scatto dal trono, mentre i suoi occhi si incendiavano di rosso. Non si arrabbiava mai, era sempre un uomo pacifico che riusciva a comandare senza rabbia. Ma stavolta la terra tremò.
-Se tu mettessi da parte quella ostinazione che spunta fuori ogni tanto e ti fossi fermata un attimo, avresti notato che il racconto non era finito. Nostro fratello NON VUOLE tornare umano, VUOLE DISTRUGGERE gli antidoti, per evitare che vengano usati contro di noi e contro i nostri simili. Ti proibisco di pensare nuovamente una stupidaggine del genere e sai che non tollero le offese in famiglia. Quindi porta rispetto anche per chi non è tra noi.- sibilò, rimettendosi a sedere.
-Fratello, parti pure quando vorrai. Spero solo che tu sia in tempo.- mormorò poi, verso il giovane ragazzo che, per evitare di far del male alla sorella maggiore, si era accasciato per terra imponendosi di non fare niente. Poi si alzò, annuì al Capo Clan e si diresse verso l’uscita della Sala, passando di fianco ad Ylenia.
 
-Non osare mai più offendere la mia gemella, o sarà peggio per te.Sorella.- sibilò, passandole accanto.
 
Lei per tutta risposta rimase immobile, con un sorrisino che gli spuntava sul volto. Si era ricomposta ed era tornata la sorella seria e premurosa. Ma una luce diversa le illuminava gli occhi.
 
-Non temere, Fratello. Siete identici. Anche tu tradirai, Shadow. Un giorno lo farai anche tu.- rispose Ylenia, ma non ricevette risposta.
 
Shadow stava già uscendo, mentre quelle parole gli rimbombavano nella testa.
 
Siete uguali.
Anche tu tradirai.
 
Siete uguali.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Questo era solo un esempio, giusto signorina Raven? ***


Guardavo imperterrita la lavagna dov’era attaccato il grande foglio, simile ad uno schema fin troppo elaborato. Gli occhi leggermente sgranati per la sorpresa.
 
«Ci ho messo molte notti, ma alla fine sono riuscito a tradurla. E’ estremamente complicata, non è stato facile riuscire a carpirne il significato.. Devo dire che ne è davvero valsa la pena, credevo che non sarei mai riuscito a trovarla..» mormorò Arthur, mentre fissava lo schema a sua volta.
Poi voltò la testa e tornò a guardarci, sorridendo.

«Vedo nei vostri occhietti curiosi che non riuscite a seguirmi..» sussurrò, tra il divertito e lo stupito.

«Bene, vediamo di chiarire le cose allora.. Questa è una leggenda. Una leggenda molto, troppo antica. Parla di una giovane ragazza, una Principessa svedese che ebbe un incontro con un Licantropo durante un’innocua passeggiata e, dopo essere scappata cercando di nascondersi in tutti i modi, ahimé, fu morsa.

Credo che tutti voi abbiate visto, durante i films, quanto possa essere doloroso il morso di un licantropo e la seguente trasformazione in esso. E purtroppo questo è vero. Non è la solita invenzione di uno di quei scrittori pazzi. La trasformazione avviene realmente nel modo più doloroso che si possa immaginare.

La Principessa tenne tutti all’oscuro, tranne la bambinaia e la sua dama di compagnia. Si presero cura di lei, giurando di non rivelare mai il segreto. Pena la morte. Poi, arrivo Lui. Le carte trovate non mi dicono un nome preciso, ma una cosa è certa: era un vampiro. Descritto come adulto, con capelli brizzolati e gli occhi color ghiaccio » concluse, prendendosi un attimo di pausa, mentre dei sussurri riempivano la stanza.

Aguzzai la vista e notai, con fatica, un nome su quello schema che mi era molto familiare ma non riuscivo a leggerlo.

Così alzai la mano.

«Signor DuMondray, mi perdoni.. » mormorai, spostando lo sguardo dalla lavagna a lui.

Arthur si bloccò e mi rivolse un sorriso.
 
«Mi dica, signorina McCay.. » rispose, curioso.
 
Presi coraggio e inspirai a fondo
 
«C’è un nome, sul suo schema. Mi è familiare, mi ricorda qualcosa di un sogno che ho fatto. Non riesco a leggerlo.. » dissi, seria.
 
Lui si bloccò. Sbirciò lo schema e tornò a guardarmi sottecchi.
 
«Beh, l’unico nome presente su questo vecchio foglio è certamente quello della nostra protagonista, la Principessa Iris. A cosa la fa pensare, signorina Raven?» chiese, ancor più curioso mentre assottigliava lo sguardo.
 
Bene, adesso capite perché il mio cuore aveva perso un battito.
 
Iris.
Il ragazzo del sogno mi aveva chiamata così.
Quel ragazzo..
Avevo sognato un vampiro. O almeno, credevo che lo fosse. Tanto valeva tentare.
 
«Ancora una domanda se mi permette..» chiesi, con voce leggermente tremante.
Di colpo, tutti i presenti iniziarono a non badare più al discorso e iniziarono a parlare tra loro, mentre Max non perdeva una mia singola parola.
L’uomo mi fece cenno di continuare.
 
«Ovviamente un esempio.. Se una persona sognasse un vampiro.. Questo non determinerebbe niente di particolare.. Giusto? E’.. Solo un esempio..»
 
«Ovvio, è solo un esempio..» ripeté lui, serio. «Mi ascolti bene, signorina McCay.. Già sognare di correre in un bosco, al buio ed avere comportamenti animaleschi non è di buon auspicio. Figuriamoci essere inseguiti da un vampiro in una notte di plenilunio.» sbottò all’improvviso.
 
Mi bloccai, sbigottita.
Sapeva tutto. Anche cose che non avevo notato io. Abbassai lentamente gli occhi, mentre la mano di Max raggiungeva la mia e la stringeva piano.
 
«Le persone che ho conosciuto e che mi hanno raccontato vicende simili a questa, ne hanno realmente incontrato uno e.. Beh, non ho più avuto loro notizie. Ma questo.. Era solo un esempio, vero signorina Raven?» continuò, senza staccare gli occhi dal mio volto.
 
«Si, certo..» risposi, in un soffio «Solo un esempio..».
Max mi strinse più forte la mano e mi fece sussultare. Quasi nemmeno mi ero accorta del contatto.
 
«Stai bene?» mi chiese, sussurrando.
 
Alzai lo sguardo verso il signor Arthur, che sembrava impegnato a cercare qualcosa di importante tra le sue scartoffie.
 
«Sì, Max.. Tutto ok.. Ho solo dormito poco..» mormorai, voltandomi a guardarlo e accennando un sorriso per rassicurarlo.
 
«Non tentare di svignartela con il tuo classico sorrisetto da amica. Sei pallida e stai tremando. Appena abbiamo un secondo, ti porto via di qui. Io te l’avevo detto che era meglio il convegno..» mormorò, quasi sibilando.
 
Tempo di finire la frase e la campanella suonò. Max, alzò la testa e, sempre tenendomi per mano, mi alzò e mi trascinò verso l’uscita.
 
«Un momento, signorina McCay! Non così in fretta.» gridò l’uomo, mentre il resto degli studenti usciva indisturbato dalla stanza.

 
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 

Si fermò fuori dal Castello.
 
Stava piovendo.
 
Si mise una mano tra i capelli e rimase lì immobile per non si sa quanto.
Sua sorella Ylenia era impossibile e indomabile.
Degno di una Signora del Fuoco.
Sì, Ylenia comandava le fiamme. Era il suo potere. Ognuno di loro ne aveva uno diverso, che si tramandava tra i familiari.
Ylenia aveva il fuoco.
Tayla aveva l’acqua.
Alissa aveva la terra.
Ace e Jean potevano cambiare aspetto in animali o persone.
Mathias aveva le rocce e poteva creare violenti terremoti ogni volta che si infuriava. Ecco perché il Palazzo aveva tremato.
E poi c’era lui.
Lui, come sua sorella gemella, erano telepati e telecineti. Erano due facce della stessa medaglia. Così diversi ma così simili.
E lei se n’era andata.
Akune aveva tradito.
Aveva abbandonato il Casato. Aveva preferito rimanere nella villa in Francia e non seguire la famiglia.
Per amore.
Un sentimento che i Vampiri non provano. Mai.
 
Una mano lo ridestò da quei pensieri. Si voltò e il sorriso rincuorante di Alissa lo accolse. Dolce, tranquilla, proprio come una Foresta.
Gli occhi verde metallico di lui si scontrarono con quelli verde scuro di lei.
 
«Fratello, va tutto bene? » chiese, dolcemente.
 
Lui le sorrise.
 
«Certo, Sorella. Va tutto bene. » rispose, più tranquillo.
 
«Vai.. E termina il tuo incarico. Parleremo al tuo ritorno, anche se non c’è molto da dire. Sai meglio di me com’è fatta Ylenia. Le passerà.» aggiunse, porgendogli uno zaino.
 
«Le passa sempre, alla fine..» mormorò lui, accennando ad un sorriso.
 
La sorella gli battè la mano sulla spalla e tornò all’interno del Castello, ormai bagnata completamente.
 
Lui scrollò la testa, come per allontanare i pensieri o anche solo per togliere l’acqua dai capelli. Sistemò lo zaino sulle spalle ed iniziò a correre.
 
Da lontano, nascosti dalla folta vegetazione della foresta lì vicino, due occhi gialli lo fissavano.



***Spazio autrice***
Ed eccoci con il quarto episodio! Ora sì che se ne vedranno di tutti i colori!
Ringrazio tutti voi che seguite la storia e che la state leggendo, mi date la forza di continuare a scrivere :3
Spero vi piaccia, ciaaao!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il Fratello Trovato pt.1 ***


«Un momento, signorina McCay! Non così in fretta. »
 

Max si bloccò ed io andai a sbattere contro la sua schiena. Mi portai una mano al naso, dolorante e mi voltai.
Mentre tutti gli altri ci sorpassavano per uscire dall’aula, lui ci fece cenno di avvicinarci alla cattedra.
Max mi guardò, mi afferrò per il braccio e tornò a guardare Arthur.
 

«Signore, Raven non si sente molto bene. Devo portarla in Infermeria, ultimamente soffre di cali di zucchero..» iniziò a dire.
 

«No, non sono cali di zucchero.» lo interruppe DuMondray
«Non lo sono mai stati.» continuò, alzando la testa dalle sue scartoffie, per poi spostare il suo sguardo su di me, addolcendolo
«Raven, la prego.. Venga qui..» mormorò, allungando la mano verso di me.
 

Io rimasi immobile e Max mi strinse inconsciamente a se’.

 
«Non le faccio niente, voglio solo parlarle.. » continuò tranquillo.

 
Sentii Max inspirare e mi spinse leggermente in avanti, conducendomi alla cattedra.

Arrivammo lì davanti e, senza guardarmi, ricominciò a frugare nelle sue valigie.
 

«Vorrei che mi raccontasse il suo sogno in maniera dettagliata. Molto dettagliata. Mi interessa particolarmente.» mormorò, guardandomi di sfuggita.
 

Si sedette e cercò qualcosa con cui poter scrivere su quella che sembrava una vecchia pergamena.
 

«Non le permetterò di scrivere un libro su di me e il mio sogno.» sussurrai, con la voce ancora tremante.
 

Lui alzò lo sguardo su di me. Di nuovo.
 

«Signorina Raven..» disse, togliendosi gli occhiali e fissandomi con quegli occhi azzurro cielo che sembrava mi sondassero l’anima.
«..cerchi di capire. Il tatuaggio che aveva il suo Vampiro era di notevoli dimensioni.
Variano, appunto come ha detto lei prima, dal luogo da cui provengono, certamente. Ma le dimensioni fanno capire anche quale ruolo ha quel Vampiro nel Casato e in base al disegno si può stabilire anche la sua identità. Il disegno sfortunatamente nel suo sogno non si vede bene, ma si nota che parte dal collo e sbucava dalla manica arricciata fino al gomito dalla parte destra. Quindi è un tatuaggio molto esteso. E quel tatuaggio ce l’ha solo il componente di un preciso Casato.
E io quel Casato lo conosco. E’ uno dei più forti e importanti, e se qualcuno dello “Scarlet” si è mosso per trovarla allora sarà bene che mi racconti tutto.»  disse, senza rabbia.
 

Max, accanto a me, era paralizzato per tutto quello che l’uomo stava dicendo.

Io, d’altrocanto, sempre con lo sguardo basso, inspirai profondamente e raccontai.
 


Raccontai tutto, ogni cosa.
E più raccontavo, più lui si faceva serio.
 

Quando smisi di parlare, lui spostò lo sguardo e chiese a Max di uscire.
 

«Se lo può togliere dalla testa. Non la lascio.» ringhiò Max in risposta.


«Signor...» iniziò, controllando poi svogliatamente la lista accanto a lui  «Foray.. La prego, non complichi le cose.»
 

«E’ FORDAY. E io rimango qui.» rispose, alterato, andando in avanti con il corpo.
 

Il signor DuMondray si alzò come per affrontarlo.

Mi misi in mezzo a loro e presi Max per un braccio, facendolo voltare verso di me.
 

«Stai tranquillo, sto bene. Vai.. Faccio veloce..» mormorai, sorridendogli tranquilla.
 

Lui esitò un attimo e poi si rilassò.
 

«Ti aspetto qui fuori.» mormorò, carezzandomi leggermente la guancia.
 

Rispose al mio sorriso e, dopo aver gettato un’occhiataccia allo scrittore, uscì dall’aula.
Rimasi sola con l’uomo e dopo qualche secondo, lui si sedette nuovamente.

Mi feci coraggio e parlai.
 

«Cos’è lo “Scarlett”?» chiesi, titubante.

 
Lui mi fece cenno di sedermi. Ubbidii e lui si sporse verso di me.
 

«Il Casato “Scarlett Rose” è uno dei Casati più importanti tra i Vampiri. Il suo CapoClan, Lucas Shinobu, è deceduto anni e anni fa lasciando il posto al figlio maggiore Mathias. Sono una famiglia molto numerosa e molto dedita alle leggende. Ma quello che lei ha visto nel suo sogno è uno dei fratelli più giovani. Shadow, si chiama.. E sinceramente non ho la più pallida idea del perché la stia cercando.» raccontò, mostrandomi dei ritratti ben fatti dei tre Vampiri appena nominati.
 

Decisamente meravigliosi. Mi ripresi un attimo, scrollando la testa.

 
«E cosa le fa pensare che stia cercando me?» chiesi, marcando l’ultima parola.
 

Lui mi guardò stranito.
 

«Ma lei almeno li legge i miei libri? O li compra solo per metterli in mostra?» chiese, stizzito.
 

Congiunse le mani e tirò un respiro profondo.
 

«I Vampiri usano i sogni degli umani per infilarsi nelle loro vite. Nei sogni siamo vulnerabili e abbassiamo le nostre invisibili barriere protettive, permettendo a qualsiasi cosa di entrare in contatto con noi. Di solito i Vampiri non curiosano a caso tra gli umani e usano questa capacità solitamente quando cercano qualcosa. Dobbiamo scoprire perché Mathias ha spedito suo fratello a cercarla.» continuò, senza perdere d’occhio ogni mio movimento.
 

Sbuffai notevolmente
 

«Che cavolo potrà mai volere un Vampiro da me?! Vivo la mia vita come ogni altra persona, sopporto ogni giorno le urla di mia madre e le stranezze di mia sorella » gridai, esasperata, mettendomi le mani nei capelli.
 

Ero in un bel guaio.
 

«E suo padre?» mi chiese distrattamente.
 

«Mio padre è deceduto anni fa.. Incidente automobilistico, ma non mi è mai andata giù. Ho anche un fratello, Sephin. Ma si è trasferito nel Vermonth quando avevo 4 anni.. Non l’ho più visto.» mormorai, come se queste fossero bazzeccole in confronto a quello che mi stava succedendo.
 

In realtà ho sempre sentito la mancanza dei due uomini di casa. La partenza di mio fratello, il mio eterno compagno di giochi, mi aveva lasciato un vuoto dentro. Ero una bambina, dovevo giocare. Ma i miei genitori erano sempre impegnati con il lavoro e, quando mia madre era incinta di Maya, la polizia venne a casa e ci disse che avevano trovato la macchina ribaltata ai bordi di un bosco. E mio padre era morto. Non sapevamo altro. Ne altro volevamo sapere. Era sempre stato un peso per me e mi mancavano ogni giorno di più.
Ma in quel preciso momento li misi da parte, sconvolta per il ritorno della mia cattiva stella.
 

Però qualcosa mi fece tornare con i piedi per terra. Alzai la testa e notai che Arthur mi guardava come sbalordito. Corrucciai la fronte e lo guardai stranita.

Lui mise una mano avanti e accennò un sorriso.
 

«Come.. Come ha detto che si chiama suo fratello?» chiese, mentre una strana luce gli faceva brillare gli occhi.
 

«Sephin.. P-Perché?» domandai, ritraendomi leggermente sulla sedia.
 

«E da quando ha detto che non lo vede, ne lo sente?» continuò.
 

«Da quando avevo 4 anni.. Ne sono passati tredici, credo..»
 

Lui per tutta risposta, spostò lo sguardo verso un punto imprecisato della stanza e si lascio scappare un sorriso.
 

«Il Fratello Trovato.» mormorò.
 

Qualcosa non mi tornava.
 
*** Spazio autrice ***
Stavolta mi scuso, il capitolo è un po' corto..
ma ho dovuto chiudere qui perché sennò
veniva decisamente TROPPO lungo.. Ci vediamo tra 5 giorni
con il nuovo capitolo :3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il Fratello Trovato pt.2 ***


Quegli occhi gialli lo seguirono per molto tempo e, prima che lui se ne accorgesse, erano già arrivati in Germania.
Shadow correva, a tratti camminava, in mezzo alle foreste.
Poi qualcosa lo sottrasse ai suoi pensieri e gli fece capire di non essere solo.
 
«Vieni subito fuori.» sibilò infastidito senza nemmeno voltarsi.
 
Rumori di passi lenti ora si fecero più chiari e distinti.
 
«Da quanto mi segui?» chiese, stavolta voltandosi verso la figura.
 
Alzò lo sguardo e si ritrovò davanti ad un grosso lupo bianco con enormi occhi gialli.
L’animale abbassò leggermente la testa e per un attimo lo attraverso un timido senso di colpa.
 
«Da quanto mi stai seguendo, Drake?» chiese nuovamente, mettendosi le mani sui fianchi.
 
Accompagnato da un lieve fruscio di foglie, al posto del lupo Shadow si trovò davanti un ragazzo giovane, con i capelli scuri striati di bianco (*) e gli occhi azzurro cielo, avvolto da un mantello con pantaloni di pelle neri lunghi fino alle caviglie.
 
«Da quando sei partito.» rispose, quasi colpevole mentre si stringeva nel grande mantello nero.
 
«Speravo tu stessi.. tu stessi andando da lei..» continuò, fissandolo dritto negli occhi.
 
«Stai ancora cercando Akune?» chiese.
 
Il ragazzo semplicemente annuì.
 
«Dopo tutto.. Sei ancora innamorato di lei?»
 
«Sì. E se tu non stai andando da lei, allora mi dirai dov’è.» rispose Drake, facendo un passo verso il Vampiro.
 
«E se io non lo facessi?» continuò Shadow, avanzando a sua volta verso il giovane Lycan.
 
«Se non lo farai, le spezzerai il cuore. Mi ama come io amo lei e tu lo sai!»
 
Shadow sgranò leggermente gli occhi.
Sapeva dei sentimenti che la gemella provava per Drake, ne avevano parlato a lungo tramite alcune lettere.
La sua famiglia ne era rimasta disgustata.
 
«Siete.. Siete solo un abominio!» gridò sconcertato, mettendosi una mano tra i capelli neri.
 
Drake si avvicinò velocemente e gli mise le mani sulle spalle.
 
«Non dirlo. Non dirlo mai. Tu non sei come la tua famiglia. Tu vuoi proteggere Akune e sai che quando non ci sarai tu, quando non riuscirai a starle vicino come vorresti.. Sai che potrei esserci io, con lei. La amo, lo sai e non permetterò mai che le succeda qualcosa. Perciò non dire mai più una cosa del genere. Tu non sei come Ylenia.» disse, marcando le ultime parole.
 
Ci fu un attimo di silenzio.
Appena il Lycan lo toccò, Shadow fu tentato di schiantarlo di peso contro un albero. Ma poi le sue parole lo fecero pensare.
Amava sua sorella in un modo unico. Il solo pensiero di essere così distante da lei, lo imbestialiva.
 
Ma adesso lei aveva la possibilità di essere felice.
 
Non con lui. Non con suo fratello.
 
Ma con il giovane Lycan che aveva davanti.
 
«Lo so.» rispose con un sussurro.
 
«Mi porterai da lei?» chiese Drake a voce bassa, quasi non volesse disturbare il flusso di pensieri del giovane Vampiro.
 
Alzò gli occhi e due sguardi color smeraldo e color cielo si incontrarono.
 
«...Sì.» rispose flebile Shadow, accennando un sorriso. Lo stesso chesi dipinse subito sul volto di Drake.
 
***
 
«Signorina Raven. Quello che sto per dirle potrebbe causarle un leggero shock.» mi stava dicendo Arthur.
 
Lo guardai stranita.
 
«Cosa potrebbe esserci di peggio?» chiesi, sospirando e mostrando un sorriso sarcastico.
 
Lui si avvicinò con la sedia verso di me.
 
«Signorina Raven. C’è un motivo per cui non ha più notizie di suo fratello. E fa bene a dubitare dell’incidende di suo padre. James, giusto? » chiese infine, come se sapesse già la risposta.
 
Annuii semplicemente, senza riuscire a parlare.
 
«Suo padre non è morto per un incidente stradale, per Dio.» sbottò all’improvviso, come se fosse infastidito dal mio silenzio.
«Suo padre era un maschio Alpha. Aveva lasciato il Branco per voi. Ma il branco non l’ha accettato e ha preferito vendicarsi. E’ inaccettabile per il branco vedere il Capo che se ne va, abbandonando la sua famiglia per farsene un’altra.
Secondo lei, perché non vi hanno mai fatto vedere il corpo? Nemmeno durante il funerale, visto che la bara era chiusa?»
 
Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia.
 
«La smetta.» sibilai, mettendomi una mano sulla fronte.
 
La rabbia.
Dovevo contenerla.
Come ogni maledetta volta.
 
«Raven. Deve ascoltarmi.» mormorò lui, che non si era minimamente scomposto. Anzi, si era avvicinato alla sua valigetta e ne aveva estratto una bottiglietta che conteneva un liquido arancione.
 
«Beva questo, si sentirà meglio» continuò tranquillo, porgendomi la bottiglietta.
 
La presi, di scatto e feci per stapparla, quando mi fermai e lo guardai negli occhi.
 
«Sta cercando di farmi credere che mio padre fosse uno stecchino succhiasangue e che adesso i suoi amichetti mi stanno cercando per finire l’opera?» chiesi stizzita, alzando la voce.
 
«No. Signorina Raven. Suo padre era un Lycan. James era il capobranco dei Lupi dell’Est.
Suo fratello Sephin adesso fa parte del branco di Marcus, i Lupi del Nord.
Anni fa, Sephin ha fatto una cosa orribile. Ha ucciso un Vampiro, innescando un nuovo astio tra le due Famiglie. Ma l’ha fatto proprio per entrare nel Branco di Marcus. Per questo è chiamato il “Fratello Trovato”.
E’ un fratello. Un Lycan come loro.
Trovato perché appunto il branco l’ha trovato dopo aver saputo della cosa. L’hanno accolto come eroe.
E adesso suo fratello vive nelle foreste. Ha un’altra famiglia adesso.»
 
Rimasi spiazzata. Stavo bevendo da quella bottiglietta e il liquido sapeva d’arancia, ma ci mancò poco che mi andasse di traverso.
La rabbia era sparita.
Ma certo non era grazie a quello strano succo.
 
«E questo fa di me.. un..» cercai di dire, con voce tremante.
 
«Una Lycan. Come tutta la sua famiglia.» mormorò Arthur, aiutandomi a finire la frase.
 
Sì, adesso ero sotto shock.


 
***Spazio Autrice***

Tan-tan-taaaaaan! Sorpreeeesa!
Come? Era scontanto? Evvabbè! 
Spero vi sia piaciuto, fatemelo sapere con una piccola recensione o anche con un MP :3

Ciao ciao! :3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il primo incontro. ***


Dopo un viaggio lungo settimane, arrivarono in Italia.
 
Sì, era strano anche per loro averci messo tutto questo tempo.
Tra la Francia e l’Italia non c’è molta distanza.
 
Ma il corpo di Drake pretendeva almeno una trasformazione al giorno e Shadow doveva nutrirsi in qualche modo.
Per questo si spostavano di notte e molto lentamente, attravestando i boschi.
La gente poteva insospettirsi, vedendo due giovani dall’aria strana vagare per le città senza bagagli.
 
Ma alla fine arrivarono.
 
La villa, chiamata dagli Italiani Tenuta di Camugliano, si innalzava maestosa davanti ai loro occhi. Ma prima di quella c’era l’enorme statua raffigurante un Ercole che uccide l’Idra, e prima ancora l’enorme cancello di ferro battuto alto almeno 4 metri.
 
Shadow sospirò.
 
La sua vecchia casa ormai stava quasi cadendo a pezzi, ma a quanto pare ciò non preoccupava la sua abitante.
 

«Entri a salutare?» chiese Drake, accanto a lui.
 

Shadow sorrise.
Rivedere sua sorella sicuramente non gli avrebbe fatto male.
Così entrarono.
 
Aprirono il grande cancello, percorsero il vialetto e arrivarono al grande portone di legno massiccio che era insolitamente aperto.
I loro occhi subito notarono come ogni singolo tendone dell’ingresso fosse stato tirato in modo da coprire ogni spiraglio di luce.
Tutti, a parte uno che illuminava precisamente il fondo della navata, dove era stato posizionato un enorme specchio.
 
Una donna, con i capelli rossi, che si stava mirando allo specchio, si voltò verso di loro.
 
 



 
 
Il timore che un giorno l'avessero scoperta si contorceva doloroso in tutto il suo essere.
Allo specchio sosteneva lo sguardo di una creatura singolare, evanescente ma sicuramente pronta a vivere: la pelle che quasi si tendeva spasmodicamente su di un corpo sinuoso, era pallida, quasi bianca.
Ricordava il colore delle statue romane in marmo, copie di quelle greche in bronzo che tanto le piacevano.
Una bocca vermiglia, piacente, elaborata nelle sue curve, denotava una grande passione che non amava nascondere. Il naso sottile, delicato, elegante elemento di un quadro già di per se egregio.
Gli occhi grandi, dalle ciglia lunghe e morbide, riflettevano quasi con deliberata violenza un verde sconvolgente, delimitato da una sottile linea nerissima che circondava l'intero iride.
I capelli lunghi, dai riflessi rossi in cui perdersi con le dita, le circondavano il tenero capo come uno splendido tramonto.
Le mani affusolate tradivano il suo amore per il piano e il violino, donandole una delicatezza commovente quando si accingeva a suonare.
I denti, perle bianche e fredde, che mal celavano un singolare elemento che catturava l'attenzione: due canini appuntiti, tremendamente sviluppati e dall'aspetto malignamente intrigante.
Ad un suo sorriso lo spettatore tratteneva il fiato, sconvolto come se avesse assistito alla morte di una Giulietta traboccante di dolore per la perdita del suo Romeo.
Ad una parola della donna, la notte calava nei cuori degli ascoltatori; ad un suo sospiro, i nervi dell'uomo crollavano come vetro infranto.
Il desiderio di vita le scorreva tormentandole i sensi, la voglia di dissetare corpo e anima le vibrava selvaggiamente in corpo, facendola tremare spasmodicamente.
 



 

Akune assottigliò lo sguardo e riconobbe i loro volti.
E quando i suoi occhi incontrarono quelli del gemello non potette fare altro che portarsi la mano al petto e correre verso di lui.
Si lanciò in un abbraccio che mai ci si sarebbe potuto aspettare da una creatura elegante come lei, ma il fratello la prese al volo e la strinse come avrebbe voluto fare in tutti quegli anni di distanza.
Non parlarono, si tennero stretti per qualche minuto, dondolando sul posto.
 
Cosa che creò un leggero imbarazzo in Drake, che rimase al suo posto fermo immobile, inclinando solo leggermente il capo per guardarsi la punta dei piedi.
 
Quando l’abbraccio si sciolse, i due non avevano ormai più niente da dirsi.
No, non per il fatto che entrambi erano potenti telepati.
Ma perché molto spesso un abbraccio vale più di mille parole.
 
Si guardarono un’ultima volta, con la promessa di incontrarsi di nuovo.
 
Poi lei voltò lo sguardo verso Drake.
 
Ma il sorriso le morì tra le labbra.
 
Uno schiaffo, un unico sordo rumore echeggiò nell’androne.
 
Lei girò i tacchi e se ne andò, arrivando alle scale e iniziando a salirle senza voltarsi.
 

«Sopravviverai senza di me, amico?» sussurrò Shadow prima che il Lycan inseguisse la sua amata.
 

«Se dovessi avere bisogno di te, mi sentirai ruggire.» mormorò il ragazzo, salutandolo con la mano prima di sparire sulle scale. [1]
 

«Un Lycan che ruggisce. Ma per favore.» mormorò tra sé e sé Shadow.
 

Scosse le spalle e uscì.
Ora doveva trovare Raven.
 
 
 

 
***
 
 
 




Iniziai a ridere.
Una bella risata isterica era proprio quello che ci voleva.
 
«Io non ci posso credere.» mormorai, cercando di trattenere le risate.
 
«La capisco, Signorina, ma..» cercò di dire Arthur.
 
«No, no.. Lei non capisce. Stamattina mi sono alzata convinta di essere.. Insomma, normale.. E adesso lei mi viene a dire che sono.. Che.. Oddio, nemmeno riesco a dirlo!!» risposi, decisamente troppo isterica.
 

«Una Lycan» mi aiutò l’uomo.
 

Mi fermai un attimo e lo fulminai con lo sguardo.
 

«Sì, grazie.» sibilai.
 

Iniziai a camminare in tondo nella stanza, portandomi le mani sulla faccia.
Come diavolo poteva essere possibile?
 

«Lei mi sta prendendo in giro. Andiamo, mi guardi! Sono la ragazza più normale di questo Paese, come diavolo posso essere una bestia??» gridai, indicando me stessa per enfatizzare le mie parole.
 
«Raven, la prego di calmarsi. Non ho intenzione di mentirle. Ma lei ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di me.» rispose lui, nel modo più pacato del mondo.
 

Assottigliai lo sguardo e abbassai le braccia.
 

«Io non ho bisogno di nessuno.» sibilai, per poi fare retro front, prendere la mia borsa e uscire dalla stanza chiudendo la porta con il botto più forte che potesse venirne fuori.
 

Max, seduto sulle scale, sobbalzò e si portò una mano al petto.
 

«Ma sei impazzita? Che ti è preso?» mi chiese, guardandomi scendere le scale per poi corrermi dietro.
 

Mi diressi verso gli armadietti. Volevo prendere le mie cose e tornare a casa.
 

«Raven, mi stai ascoltando? Che cos’è successo lì dentro?» chiese nuovamente, bloccandomi la strada.
 

«E’ successo, mio caro Max, che quell’uomo è PAZZO!» gridai, senza ormai più controllo.
 

«Sì, ok.. Questo lo avevamo capito un po’ tutti..» mormorò, tappandosi le orecchie con le dita.
 

«Lycan, vampiri, pozioni magiche.. Ma stiamo scherzando??» continuai, cercando invano di aprire l’armadietto. Le mani mi tremavano talmente tanto che non riuscivo a trovare la giusta combinazione.
 

«Beh, molti dubitano della sua “sanità mentale” » continuò Max, mimando la voce dello scrittore «.. non capisco perché adesso tutto questo astio.. Eppure ti piaceva.»
 

«Sì, esatto mi piaceva. Ma adesso ho capito che è solo un pazzo. Mi ha dato della BESTIA e si aspettava anche che io gli credessi! MA PER QUALE MOTIVO QUESTO COSO NON SI APRE?!» gridai.
 

E lì successero due cose contemporaneamente.
 

Il pugno diretto verso l’armadietto non si fermò sullo sportello, ma sprofondò in fondo, attraversando il mio armadietto e accartocciandolo come se fosse carta straccia.
 

E Max, dallo shock, cadde, invece che a terra, atterrando sul Professor DuMondray.
 

Come se non bastasse, tutta la Scuola si bloccò, come se il tempo si fosse fermato.
 
Con non poca difficoltà, tolsi la mia mano completamente sana dal mio ex armadietto e osservai i due uomini accanto a me.
Abbassai lo sguardo e strinsi la borsa sul petto.
 

«Devo andare.» sussurrai e mi lanciai fuori dalla scuola.
 

In strada, iniziai a correre con la testa bassa, urtando alcuni innocenti passanti.
Uno di loro, mi fece quasi rimbalzare.
Alzai la testa e mi specchiai in degli occhiali da sole troppo grandi.
 

«Mi perdoni.» mormorai e corsi nuovamente via.
 

La persona mi guardò andare via e si voltò verso il portone, dal quale stavano uscendo uno schokkato Max e un disperato Arthur.
Mentre il primo continuava a inseguirmi, il secondo si pietrificò all’istante davanti a quello strano passante.
 

«Arthur.. E’ passato molto tempo dall’ultima volta..» mormorò serafico.
 

«Shadow Shinobu..» sussurrò, quasi senza fiato.



[1] "You gonna hear me roar" frase presa dalla canzone "ROAR" di Katy Perry.






 

***Spazio autrice***

BOOOM BABY! 
Sono tornata!! :D
Finalmente, dopo non so quanto, sono riuscita a scrivere questo capitolo.
Ve lo giuro, avrei voluto scriverlo prima, ma non riuscivo a visualizzare le situazioni,
e ciò ha richiesto più tempo del previsto.
Bon, spero vi piaccia :3

Baci, A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Gotcha, little Raven. ***







«Come ci hai trovati, Shadow?» chiese Arthur, dopo pochi secondi di silenzio e stupore.

«Oh, Arthur.. Me lo stai chiedendo davvero? Come se tu non lo sapessi..» mormorò il vampiro, facendo qualche passo avanti.

Arthur si guardò intorno, come se volesse accertarsi che nessuno li stesse osservando.

«Non è un posto sicuro per parlare, questo» mormorò il vecchio..

«E dove vorresti andare? In un posto dove potrai facilmente aggredirmi con i tuoi aggeggi senza esser visto?» rispose sarcastico il giovane.

«Non ti farò niente, per adesso.. Credo che tu possa servirmi..» rispose, accennando un sorriso che il vampiro ricambiò.

Il vecchio gli fece cenno di seguirlo e lui lo fece, senza altre domande.
 
 






 
***





 




Ero riuscita finalmente ad arrivare a casa.
Max mi aveva tempestata di domande, ma con una mia occhiataccia si era zittito e stava camminando silenzioso accanto a me.

Aprii la porta e rischiai di chiuderla in faccia a Max, se non fosse stato così veloce ad entrare dopo di me, riuscendo a passare per un soffio.
Lanciai lo zaino per terra e il botto fece sussultare mia madre, che era seduta sul divano.
Si voltò, quasi tranquilla, ma quando vide il mio volto notai che sbiancò.

«Cos’è successo?? Non dovreste essere a scuola, voi due?? Che cos’è successo??» chiese, avvicinandosi velocemente.

Visto che da me non riceveva risposta, guardò Max che alzò le spalle e cercò di dire qualcosa in sua discolpa, iniziando a boccheggiare.
Ma prima che potesse formulare qualsiasi frase di senso compiuto, io esplosi.

«TU! Tu mi hai mentito! Come diavolo hai potuto??» gridai senza contegno, facendo sobbalzare entrambi.

Mia madre mi guardò stranita, non riuscendo a capire a cosa mi riferissi.

«Io so la verità, mamma. So la verità su tutti. Su papà, su Sephin.. SU DI ME!» continuai, ormai con le lacrime agli occhi.

La vidi finalmente sgranare gli occhi e perdere quel poco di colore che le era rimasto sul volto. Si portò una mano alle labbra.

«Come.. Come hai..?» guardando prima me e poi Max.

Lui nuovamente scosse la testa, non riuscendo a capire la situazione.

«Arthur DuMondray.» sibilai, con la voce spezzata.

Lei sussultò nuovamente e con la mano cercò qualcosa a cui aggrapparsi per non cadere. Max la raggiunse e la aiutò a sedersi sul divano, dirigendosi poi in cucina.

«Arthur.. Non ho sue notizie da anni..» mormorò con lo sguardo perso nel vuoto.

Max tornò in salotto con un bicchiere d’acqua, che porse a mia madre. Lei prese il bicchiere, ma non bevve. Vidi il ragazzo spostare lo sguardo un paio di volte da mia madre al bicchiere d’acqua. Poi guardò me e nuovamente mia madre. E finalmente decise di schiarirsi la voce e dire qualcosa.

«Qualcuno potrebbe gentilmente spiegarmi cosa sta succedendo e perché, di grazia, dopo quel che è successo, tu non hai una mano spezzata?» chiese, continuando ad alternare lo sguardo tra noi due.

Mia madre alzò la testa di scatto e mi puntò gli occhi addosso.

«Che hai combinato stavolta??» chiese, preoccupata.

«Ha sfracellato un armadietto con un cazzotto.» mormorò tempestivamente Max.

Io sbuffai e alzai gli occhi al cielo, scuotendo la mano incriminata per far capire che stavo bene.

«Per l’amor del Cielo, RAVEN! Ti ho sempre detto di controllare gli scatti di rabbia.. Potresti fare del male a qualcuno, un giorno di questi!» gridò esasperata mia madre, mentre si alzava e si dirigeva in cucina. La vidi posare il bicchiere d’acqua intatto e prendere la cassetta del pronto soccorso.

«Aspetti, signora Miles.. Si preoccupa più per gli altri e non per sua figlia?» chiese Max, accigliato, rimasto vicino al divano.

«Caro, ti ho già ripetuto molte volte di chiamarmi Marianne..» disse la donna, rivolgendogli un sorriso gentile «..e no, non mi preoccupo più per gli altri.. Raven ha ragione. Lei è.. più resistente delle altre persone» mormorò, mentre frugava nella cassetta e trovava una benda per fasciarmi la mano.

Max alzò il sopracciglio e mi fissò, non riuscendo a capire. Ancora.
Nuovamente alzai gli occhi al cielo. Iniziai a dubitare del suo noto stato di secchione dell’Istituto.

«Mia madre ci ha appena confermato che sono un maledettissimo Lupo Mannaro o cazzate simili!» sbottai, il che mi fece guadagnare uno scappellotto in testa da mia madre.

«Porta rispetto per la razza di tuo padre, ragazzina» mi intimò, severa «E poi non sei un Lupo Mannaro, quella è solo una scomoda variante. Tu sei una Lycan. E’ diverso» mormorò in seguito.

Max iniziò a ridacchiare, cercando di smorzare la tensione, ma quando Marianne lo fulminò con lo sguardo, capì che non stavamo scherzando. E così si mise meccanicamente a sedere sul divano, senza più proferir parola.

«Avevi intenzione di dirmelo?» sibilai, mentre mia madre mi fasciava la mano.

La donna annuì semplicemente. Ma quella non era la risposta che volevo sentire.

«E quando? Come? Che fine ha fatto papà? E mio fratello? Rispondimi per una volta!» gridai

Mia madre alzò di scatto la testa e mi lanciò un’occhiata cattiva, ma nuovamente non rispose. Continuava imperterrita a fasciarmi la mano.

«Puoi almeno spiegari perché continui a curarmi se non ho niente?» chiesi a denti stretti.

«A quanto ho capito hai frantumato un armadietto a scuola, quindi devo dare per scontato che altre persone ti abbiano vista. Persone che si domanderanno perché non hai alcun tipo di fasciatura o ingessatura, se dovessero rivederti domani.» mormorò, in tono gentile.

Sbuffai, contrariata.

«Però quando ti faccio altre domande, non neghi una risposta.» mormorai.

Lei strappò la benda e fermò la fasciatura con dello scotch.

«Sono un’infermiera, oltre che tua madre. La tua salute viene prima di tutto, per me.» disse, mentre tornava sui suoi passi e riponeva il tutto.

La seguii in cucina e attesi.

Lei mi guardò e mi fece cenno di parlare, ormai esasperata.

«Mio padre è morto in un incidente stradale?» chiesi.

«No.» rispose semplicemente lei.

Senza riuscire a fare altre domande, iniziai ad urlare.
Avevo la mente annebbiata e il dolore tornava ad espandersi di nuovo nel mio petto.

«Ho passato anni a soffrire per una bugia. Per anni ho creduto che mio padre fosse morto. Per anni ho pianto su una finta tomba, per anni ho pregato inutilmente. Ma la cosa bella è che non sono venuta a sapere certe cose da mia madre. NO. Le vengo a sapere da un perfetto sconosciuto che a quanto pare saprebbe dirmi anche quanti nei ho sul corpo!»

«Raven, ti prego calmati!» tentò di dire mia madre.

«No, no, no! Col cavolo che mi calmo! Mi hai riempita di bugie! Hai mentito a me e a Maya! Come hai potuto?»

«E cosa avrei dovuto dirti, scusa? Che tuo padre era diventato un enorme lupo e ha dovuto lasciare la sua famiglia per ternerla al sicuro?? Davvero mi avresti
creduta?» sbottò mia madre, sbattendo la mano sul tavolo e facendo cadere il bicchiere d’acqua a terra. Il rumore non turbò nessuno.

«No, è vero. Forse non ti avrei creduta. Ma se anche me l’avessi minimamente accennato, a maggior ragione mi sarei fidata delle parole di DuMondray!
Adesso tutta la scuola pensa che io sia la figlia illegittima di She Hulk e il mio migliore amico è praticamente sotto shock più di quanto lo sia io in questo istante!» gridai, indicanto Max, che sedeva in stato catatonico sul divano.

«Raven, tuo padre ha cercato di proteggerci e non ci  riuscito. Così ho dovuto farlo io, da sola.» cercò di spiegare.

«E Seph? Non è andato via per studiare, vero?» chiedi ancora. A questo punto, volevo sapere tutto.

«Non so più niente di tuo fratello da anni. Andò via per non essere un pericolo per te.. Aveva paura di trasformarsi e poterti fare del male. Non è mai successo, che si trasformasse, ma lui preferì non correre il rischio» continuò.

«E Maya? Anche lei è un Lupo Mannaro?»

«Sei una Lycan, Raven. Non un Lupo Mannaro, cerca di ricordartelo. E comunque no, Maya no..»

«Qual è la differenza?»

Mia madre si mise una mano sulla fronte e chiuse gli occhi.

«I Lupi Mannari sono una variante. Sono umani trasformati da Lupi Mannarie hanno la loro prima trasformazione alla prima Luna Piena. I Lycan hanno geni diversi e nascono da altri Lycan, come se fossero bambini normali. La prima trasformazione avviene nell’adolescenza e con gli anni può essere controllata.» spiegò esausta.

«Tu sei umana. Come ho fatto a venirne fuori io?»

«Non sappiamo se la trasformazione ha preso anche Seph. Magari l’unione tra coppie come me e tuo padre fanno saltare una generazione.. Forse il primogenito è immune come lo può essere il terzogenito.. Non lo so, Raven. Io non so tutte queste cose..»

«Ma noi sì..» mormorò una voce..

Mi voltai e dietro di me trovai un Arthur DuMondray sorridente e un giovane fermo sulla porta di casa, che a quanto pare era stata aperta senza che nessuno di noi se ne accorgesse. Notai che portava degli occhiali da Sole fin troppo grandi per il suo viso leggermente spigoloso, che mi ricordarono qualcosa, come se li avessi già visti prima. Sentii che quel ragazzo mi stava fissando attraverso gli occhiali.

«Beccata, piccola Raven.» mormorò quest’ultimo e si tolse gli occhiali.

In un attimo, giurai di potermi perdere in quell’infinito giardino che erano i suo
i occhi.
























 
***Spazio Autrice***

Buoooonasera! Dopo 3 mesi ecco un nuovo capitolo!
Non è molto, lo so.. Ma è una storia lunga, e ogni cosa
verrà spiegata a suo tempo, quindi non c'è
motivo di aver fretta.. E detto questo potete
tranquillamente mettere via i pomodori e i forconi, perché
io vi voglio bene :3
Ci vediamo tra un paio di settimane con un altro capitolo :D

A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** ...What did you expect? ***







Il silenzio che si era creato, però, mi fece tornare in me.

-Beccata? Perché, ci conosciamo?- chiesi, cercando di non cedere di nuovo a quello sguardo.

-E’ il tipo che hai sognato, sciocca ragazzina.- mormorò Arthur, mentre si avvicinava a mia madre.

La strinse in un grande e caloroso abbraccio e iniziò a sussurrarle qualcosa all’orecchio. Lei rispondeva solo con cenni della testa.
Mi voltai a guardare lo sconosciuto e inarcai il sopracciglio.

-Quello è vivo o impagliato?- domandò lui, indicando Max con lo sguardo.

Max era ancora fermo ed immobile sul divano, come se fosse una statua di cera.
Guardai male il tipo e con qualche falcata raggiunsi il mio migliore amico.

-Max, basta! Riprenditi un po’.. Sembri un soprammobile.. Allora?!- gli gridai e lui, scosso da un tremito, riprese colore e mi fissò.

-Sì, ci sono.. Tutto passato.- mormorò, quasi incerto.

Sospirai e tornai a guardare il resto della combriccola.

-Comunque.. No, io non ho sognato questa specie di emo ammuffito.. Mi spiace, ma avete preso un granchio..-

-Non sapevo avessimo comprato un granchio, Artie.. Lo sai che il pesce non mi piace!- rispose il tipo, fraintendendo assolutamente il senso della frase.

Arthur sollevò gli occhi al cielo.

-Tu fai silenzio, non intrometterti e non chiamarmi Artie.- sibilò al giovane e poi si voltò verso di me -Sì che hai sognato lui.. Tatuaggio, aria cupa, occhi stanchi, pelle bianca e sguardo da pazzo.. Eccolo!- continuò, indicandolo.

-Hai appena descritto il 90% dei ragazzi di questi tempi, Arthur..- sospirò mia madre.

Di scatto, tornai verso di loro e Max, pensando che avrei potuto sbottare di nuovo, mi seguì preoccupato.

-Il tatuaggio, appunto! Non è lo stesso.. Guarda ques.. HEY!- iniziai a dire, mentre cercavo di spostare un lato della camicia dal suo collo, ma il tipo mi prese di scatto entrambi i polsi con una mano sola e mi tenne ferma.

-Non toccare il mio tatuaggio- esclamò, tranquillo.

-Sì, ecco! Non toccare il suo tatuaggio..- fece eco Max, che spuntò tra noi due e cercò di mettersi nel mezzo..

Osservai stranita entrambi per un paio di secondi e poi ricominciai..

-E i capelli? Lui li ha neri, il tipo nel sogno li aveva biondi.. Anche gli occhi.. Il biondino li aveva rossi mentre lui li ha.. verdi? Ma esiste questo colore così acceso o sono lenti a contatto?- chiesi, cercando di avvicinarmi, ma Max stava piantato nel mezzo con le mani sui fianchi e la testa alta, come se stesse guardando sopra la mia testa.

Feci per sviarlo un paio di volte, ma era irremovibile.. Così mi arresi.
Lo sconosciuto aveva iniziato a ridacchiare.

-Il tatuaggio.. Ricordi com’era?- mi chiese Arthur, divertito anche lui da quella scenetta.
-Rose rosse?-

-Me lo stai chiedendo o è la tua risposta?-

-Credo.. Credo fossero rose rosse, ma potrei sbagliarmi..-

Lo sconosciuto ridacchiò ancora.

-Se quelle che hai sognato erano rose rosse, allora quello era mio padre..-

Io e Max inarcammo il sopracciglio quasi simultaneamente, mia madre spalancò gli occhi e Arthur iniziò a camminare intorno al tavolino, borbottando qualcosa che non riuscivo a capire.
Dopo quasi un minuto si fermò di colpo, si voltò verso mia madre e le chiese se poteva usare il nostro telefono. Lei annuì e gli passò il cordless.
Compose velocemente un numero e attese. Dopo qualche squillo sentimmo una voce rispondere.

-Sei in ufficio?- chiese DuMondray.

La persona dall’altra parte dell’apparecchio sembrò infervorarsi e io riuscii a sentire distintamente le parole “ufficio”, “esplosione” e “bomba atomica”.
Arthur, d’altrocanto, ascoltava tenendo alzati gli occhi al cielo e la cornetta a quasi 10 centimetri staccata dall’orecchio.
Quando la voce si calmò, lui ripeté la domanda e sentimmo un lapidario “Da” provenire dal telefono.

-Bene, arrivo con degli ospiti. Metti in ordine.- ordinò e, appena la voce ricominciò a strillare, riattaccò e rese il telefono a mia madre.

-Marianne cara, posso rubarti Raven per il resto della giornata? Ti prometto che sarà di nuovo a casa prima dell’ora di cena.. Domani ti chiamerò e ti spiegherò tutto..- chiese a mia madre, che non si era ancora mossa di un millimetro.

Lei, con gli occhi ancora spalancati, si voltò e annuì con un cenno della testa.

Così Arthur uscì di casa, sorridendo, e lo sconosciuto lo seguì, regalando un sorriso a mia madre e rimettendosi gli occhiali da sole.
Io guardai Max, che fece spallucce, prese entrambi i nostri zaini e mi fece cenno di seguirli.
Salutammo mia madre con la mano e seguimmo i due, che salirono entrambi su un auto nera all’apparenza molto costosa.
Lo sconosciuto prese posto alla guida e Arthur accanto a lui, sicché io e Max ci accomodammo sui sedili posteriori.
Il tipo mi sorrise, ma fece una smorfia quando notò Max accanto a me.

-Ci portiamo dietro anche l’occhialuto? Fantastico.- sussurrò e accese la macchina.

Il viaggio fu silenzioso e durò quasi una ventina di minuti.
Arrivammo davanti ad un palazzo stretto e lungo, in un quartiere di periferia, con mattoni rossi e con così tante finestre che mi ritrovai a pensare dove diamine fosse finita la privacy dei condòmini.
Arthur, senza parlare, ci fece cenno di seguirlo. Lo vidi aprire il portone e iniziare a salire le scale.

-Quinto piano. Niente ascensore, spiacente.- lo sentii gridare dall’alto.

-Non so quanti anni abbia, ma è più agile di me..- mormorò Max, fissando lo scrittore.

Lo sconosciuto ci passò accanto e sentì la nostra discussione.

-Prova ad indovinare quanti ne ho io..- mormorò ridacchiando, iniziando a salire i gradini a coppie di due.

-Ma va’! Non avrai nemmeno trent’anni..- rispose Max stizzito e imitò lo straniero.

Feci spallucce e iniziai a salire le scale come ogni altro essere umano comune.
Al quarto piano trovai Max che riprendeva fiato. Lo presi sottospalla e me lo trascinai dietro.

-Forza.. Almeno ci hai provato..- mormorai.

Lui cercò di dire qualcosa, ma dalle sue labbra uscì un rantolo soffocato.
Alzai gli occhi al cielo.

-Alla faccia dell’atleta.- sibilai.

Arrivati al quinto piano, lo straniero aspettava davanti ad una porta aperta. Fece per aprire bocca, ma riuscii a zittirlo con un’occhiataccia.

-Silenzio. Infantili.- mormorai, lasciando cadere Max a terra.

Entrai nella stanza e capii il perché delle grida di disappunto di chi era al telefono con Arthur.
L’intero appartamento era pieno di libri, fogli, scartoffie, mappe e ogni altra cosa cartacea esistente, di cui la maggiorparte si trovava distesa a terra.
Arthur mi passò davanti velocemente come se stesse cercando qualcosa, seguito da una giovane ragazza che stava urlando non so cosa in una lingua che mi era sembrata russo. E, a dire dalla sua faccia, sicuramente non erano complimenti.
Lui le rispose usando la stessa lingua.
Rimasi ferma sulla porta a guardarli litigare, quando il tipo si avvicinò a me.

-Si stanno offendendo, ma con rispetto.. Alla tipa non piace come lui tiene l’appartamento e lui le sta rispondendo che potrebbe anche mettere in ordine lei, visto che è una sua dipendente.- mi spiegò, senza guardarmi.

Io non risposi e continuai a guardare accigliata i due davanti a me che continuavano a discutere in russo.
Max riemerse dallo stato comatoso ed entrò anche lui nell’appartamento.

-Che stiamo facendo?- chiese, con ancora un po’ di fiatone.

I due litiganti passarono nuovamente davanti a noi e sia io sia il tipo strano li indicammo con l’indice.

-Capisco.. credo..- mormorò, ironico.

-Io no..- rispose lo strano tipo, alzando le spalle.

-Adesso BASTA!- gridai, ed entrambi si voltarono verso di me, zittendosi. -Professore, io spero che non ci abbia portati qui per assistere a tutto questo- esclamai, indicando prima loro due e poi la casa.

-Non indicare casa mia in quel modo, McCay.- rispose lui seccato, sparendo di nuovo.

La ragazza lo fissò assottigliando lo sguardo e poi si voltò verso di me.

-Sono Anya, Anya Ninovic, l’assistente di Arthur e sinceramente dispiaciuta che dobbiate vedere tutto questo.- disse con forte in accento russo, porgendomi la mano.

Gliela strinsi forse con troppa forza, ma lei cercò di non farmelo notare e semplicemente aggrottò le sopracciglia per il fastidio.
Poi voltò lo sguardo, esaminò Max per qualche secondo, gli sorrise e si soffermò sullo sconosciuto.

-Shadow Shinobu, lieto di conoscerla..- disse lui, sfoderando un sorriso abbagliante al quale lei, però, non cedette.

-Conosco il tuo Casato e come voglio star lontana da loro, così farò con te.- mormorò seria.

Poi ci fece cenno di seguirla e ci fece accomodare nell’unica stanza in ordine: era anche questa piena di libri ma tutti erano messi in ordine nelle librerie presenti, aveva un grande tavolo ovale al centro e un piccolo frigo vicino alla vetrata che dava sulla strada.
Ci accomodammo e lei ci servì delle bevande gassate, mentre a Max porse una bottiglia di Gatorade e, quando lui la fissò curioso, lei gli sorrise ancora.

-Dopo una sfida del genere contro un vampiro, serve per riprendere energie.. Da?- disse tranquilla.
Lui annuì e poi si bloccò.

-Vampiro? Ma che..?- cercò di dire, guardandosi attorno per poi fermarsi su Shadow, che lo salutò ironico con la mano e si tolse gli occhiali.

-Dici che li porto bene i miei 147 anni?- chiese come se fosse una cosa naturale.

A sentire quel numero, quasi mi strozzai con la Pepsi, mentre Max non riuscì a trattenersi e fece uscire la bevanda dalla bocca e qualche goccia anche dal naso.
In quel momento rientrò Arthur e lo fulminò con lo sguardo.

-Pulisci. Subito.- sibilò, ma Max sembrò non sentirlo.

-Non dire cazzate, tipo.. Tu non.. AAARGH!!- iniziò a dire, ma il grido gli sfuggì quando Shadow fece scattare in fuori canini appuntiti come rasoi, lunghi diversi centimetri.

Io mi limitai a spalancare gli occhi, mentre Arthur e Anya nemmeno lo guardarono.

-Shadow, se hai finito di giocare, puoi spiegarmi perché tuo padre morto dovrebbe apparire in sogno ad una ragazzina?- sbottò DuMondray.

Lui, per tutta risposta, fece rientrare le zanne e scosse le spalle.

-E io che ne so? Lei ha sognato mio padre, io ho sognato lei. Dovresti essere tu quello che da le risposte, vecchio.- disse lui.

Mi appoggiai allo schienale della sedia e li osservai entrambi.

-Deve esserci per forza un nesso logico, no? Perché a me servirebbe un attimo fare il punto della situazione..- mormorai, portandomi una mano alla testa.

Mi voltai di poco e vidi Anya che stava porgendo un fazzoletto a Max, mentre lui insisteva per pulire a terra il danno che aveva fatto.

-Sì, la bimba ha ragione..- rispose Shadow, guardando Arthur.

Gli lanciai un’occhiataccia ma DuMondray prese la parola.

-Se contiamo che tu sei il figlio di Lucas e lei la presunta reincarnazione di Iris, tecnicamente abbiamo risolto il nesso logico..- mormorò, guardando per un secondo fuori dalla finestra.

-Giusto..- mormorò Shadow.

-Che cosa?- chiesi io, spalancando gli occhi.

Shadow e Arthur si guardarono per un secondo e il vecchio si voltò verso Anya, ancora impegnata a civettare con un Max rosso in faccia che gongolava alle sue attenzioni.

-Lascialo stare, non ha tre anni. Volume trentasette, 1150-1213. Adesso. Non abbiamo tutto il giorno.- ordinò sibilando.

Anya lo guardò assottigliando lo sguardo e sparì nella stanza accanto.

-Ehm-ehm..- Shadow si schiarì la voce. -Sembra che tu sia uno degli ultimi discendenti della Principessa Iris di Norvegia, che fu morsa da un Lupo Mannaro quando era incinta e stava per diventare Regina. E’ lei che ha partorito il primo Lycan esistente.- spiegò, sorridendo di tanto in tanto.

-Qualcuno ha fatto i compiti a casa, vedo.- sibilò Anya, rientrando in stanza con il tomo richiesto in mano.

Lui le sorrise, ma lei sbuffò e tese il volume ad Arthur, rimanendo al suo fianco.

-La Principessa, non volendo essere un Lupo Mannaro e volendo evitare lo stesso destino al bambino che portava in grembo, cercò una cura abbastanza forte da poter salvare entrambi. Ed ecco che entra in gioco un giovane Lucas Shinobu, ancora libero e single.- mormorò Arthur, sfogliando il libro, con una punta di sarcasmo che andò a marcare sulla parola “single”.
-Al tempo, Lucas non voleva essere un vampiro e suggerì ad Iris di creare un antidoto utilizzando il loro sangue. Non sappiamo bene come fecero, le scritte sono sbiadite e ci sono alcune pagine strappate. Sappiamo solo che la Principessa usò il suo antidoto su di lei e Lucas era deciso a portare il suo via con se’. Ma poi trovò la madre di Shadow, la sposò e divenne il capo del suo Clan.
Quando incontrò di nuovo Iris, il bambino era già nato, aveva circa una decina d’anni e non aveva subìto trasformazioni. Decisero di nascondere le formule con l’antidoto di Lucas e considerarono il caso risolto.- continuò tranquillo.

-Fammi indovinare..- mormorai -Il figlio della Principessa iniziò a trasformarsi anni dopo e lei voleva riavere le formule per creare un nuovo antidoto per lui..- continuai, poggiando un braccio sul tavolo.

-Perspicace..- mormorò Arthur, inclinando la testa. -Ma per accedere agli antidoti serviva un piccolo tributo di sangue da parte di chi aveva creato il sigillo che proteggeva il nascondiglio.. E lei non aveva la più pallida idea di dove avrebbe potuto trovare Lucas. Il bambino, o meglio, ragazzo continuava a trasformarsi e a distruggere raccolti, uccideva il bestiame e faceva infuriare i contadini.
Iris non sapeva più come nasconderlo e, essendo nel tempo diventata una Regina vedova, non sapeva come aiutare il suo popolo che le chiedeva aiuto.
Iniziarono così ad arrivare cacciatori da tutte le parti finché, disperata, la Regina fece fuggire il figlio lontano dalla Norvegia. Lo stupido, crescendo, non si trattenne e divenne un vero Casanova, "figliando" con chiunque e facendo nascere una vera e propria stirpe di Lycan.- concluse, chiudendo il grande tomo e ricominciando a camminare da una parte all'altra con Anya che lo seguiva.

-Aspetta.. Manca un pezzo importante del puzzle..- esclamai io, dopo qualche secondo di silenzio.

Arthur si bloccò e Anya andò a sbattergli contro. I due, insieme a Shadow e Max, si voltarono a guardarmi in attesa di una spiegazione.

-Tutto questo cosa c’entra con me? Cioè.. Cosa vi aspettate che io faccia?- chiesi, guardandoli uno per uno negli occhi.

-Se.. Se tu sei la pseudo-reincarnazione di questa Regina.. E se per trovare questi.. cosi.. serve un tributo di sangue.. Magari il tuo potrebbe andar bene..- mormorò Max, incerto.

Mi voltai a guardarlo, sorpresa. Credevo fosse ancora impegnato a sbavare dietro la russa.

-E’ intelligente davvero, a quanto pare..- sussurrò Shadow, mettendosi una mano davanti per non essere sentito.

Lo ignorai e osservai Arthur.

-Ha ragione?- chiesi, indicando Max.

Lui annuì lentamente e Max iniziò a gongolare timidamente sulla sedia, sistemandosi gli occhiali.
Sbattei le mani sulle gambe e mi alzai dalla sedia.

-Allora no, grazie.- sbottai, con un sorriso tirato.

-No.. grazie?- mi fece eco Shadow.

-Esatto.. Me ne vado. Non mi interessa..- mormorai, facendo spallucce.

-Siamo riusciti a rintracciare un ipotetico luogo dove potrebbero essere nascosti questi famosi antidoti.. Potremmo salvare migliaia, forse milioni, di nostri simili da persone come lui..- rispose Shadow, leggermente alterato, indicando Arthur -e tu dici “No grazie”..?? Ma mi prendi per il culo?-

-Io adesso che c’entro? I miei scopi sono puramente accademici..- cercò di giustificarsi l’altro, ma fu zittito da una gomitata di Anya.

-Io sono una persona normale, che vive una vita normale con persone normali. Non osare tirarmi in mezzo a certe cose.- sibilai, puntandogli il dito contro.

-Hai già avuto la prima trasformazione?- chiese, diventando improvvisamente serio.

-No, non ancora- rispose Arthur per me.

-Ecco perché parla così..- mormorò Shadow, accennando un sorriso.

-Io sono una persona normale.- sibilai, scandendo le parole.

-Una persona normale che discende da Lycans del Nord, dotata di una notevole forza che presto, a causa dei suoi attacchi di rabbia dovuti all'istinto animalesco represso, si trasformerà in un enorme lupo. Che ne pensi?- disse nuovamente Shadow, con uno sguardo che sembrava lanciasse sfide da tutti i pori.

-Raven. Ascolta..- mi sussurrò Max, avvicinandosi. -Se tutta questa storia è vera ed esistono davvero degli antidoti, potresti aiutarli con la ricerca e poi, una volta trovati, potresti usarne uno per essere davvero una persona normale.. No?- chiese, alzando un sopracciglio e accennando un sorriso.

Lo guardai e centinaia di pensieri mi balenarono in mente.

-Sì, sei davvero il secchione più intelligente che io conosca.-

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** The beast inside of me ***


Mi voltai di nuovo verso Arthur.

-Spero per voi che questi "antidoti" esistano veramente e che non mi facciate fare tanta fatica e tante illusioni per niente.- sbuffai, tornando a sedere.

-Sono cose documentate anni fa, un fondo di verità dovrà pur esserci.. No?- mormorò Max..

-Sarà.. Ma io voglio perderci meno tempo possibile.- mormorai, spostando lo sguardo verso la finestra. 

Toccai la mano ancora fasciata. Non sentivo nemmeno più dolore. Tolsi le bende distrattamente e vidi che non c'era la minima traccia dello scontro avuto con l'armadietto. Nemmeno un livido. 

-Beh, uno dei pregi è questo.. Un fattore di guarigione abbastanza buono.- accennò Shadow, che si era avvicinato lentamente ma che comunque manteneva una giusta distanza. -Ah, certamente non è lontanamente simile al mio.. Ti puoi rigenerare, ma non puoi sfuggire a malattie o a ferite particolarmente gravi.. Avrai una vita anche molto longeva, ma non credo potresti superare i 200 anni..- continuò..

-Non mi interessa.- lo fermai -Non voglio rimanere così ancora per molto.-

Mi voltai verso Arthur, che nel frattempo aveva steso una mappa sul tavolo e stava parlando seriamente con Anya mentre Max osservava in silenzio.

-Quando possiamo partire per trovare questi antidoti? Il luogo ce l'abbiamo, no?-

-Ipoteticamente sì. Dobbiamo solo confermare le nostre ipotesi e poi possiamo definire i dettagli del viaggio.- rispose lo scrittore, senza nemmeno guardarmi.

-E quanto ci vorrà per confermare le vostre ipotesi?- chiesi, alzando gli occhi al cielo.

Lui si voltò verso di me

-Appena lo saprò io, lo saprai anche tu.- rispose in tono acido. Poi tornò nuovamente sulla mappa e ricominciò ad ignorarmi.

Mi guardai intorno per capire la situazione.

Il professore parlava in russo con Anya, che aveva iniziato a prendere appunti su un blocco.

Max li guardava e ascoltava in silenzio, ovviamente non capendo nemmeno una parola.

Shadow guardava fuori dalla finestra, come se fosse rapito da chissà quali pensieri.

Sbuffai, alzai nuovamente gli occhi al cielo e mi diressi verso Max.

-Andiamo, noi due siamo inutili qui dentro.- mormorai, e lo afferrai per un braccio.

Lui annuì e si alzò, prese il suo zaino come io presi il mio e ci avviammo verso la porta. Io uscii decisa dall'appartamento, Max invece si voltò un'altra volta verso il gruppetto.

-Beh, allora noi andiamo.. Ci fate.. sapere voi?- chiese incerto, quasi balbettando.

Anya alzò per un attimo lo sguardo e semplicemente gli sorrise. Arthur e Shadow nemmeno gli rivolsero un'occhiata.
Accennò qualche altro balbettio e fui costretta a tirarlo fuori di lì. Facemmo le scale e arrivammo sulla strada. Lui iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di una fermata del bus che potesse riportarci a casa. Io, invece, mi voltai verso di lui.

-Mi spieghi che ti prende? Non hai mai visto una russa prima d'ora?-

-Una russa sì.. Una russa bionda, con gli occhi verde-acqua e un sorriso folgorante no, mai..- rispose, sorridendo.

-Oh, cielo. Adesso ti prendi pure le cotte per le assistenti? Ma non eri asessuato, tutto nuoto e circuiti?- chiesi, ridendo.

Lui per risposta sussurrò uno "stronza" e rise con me, mentre ci incamminavamo verso una fermata.
Il tragitto fu silenzioso, con Max che guardava il tramonto e io che lo guardavo di tanto in tanto. Da qualche parte avevo letto che se una persona, quando guarda fuori da un finestrino, osserva il cielo è felice mentre se guarda in basso è triste. Max era davvero felice e si vedeva dal sorriso che si era stampato sul suo viso. Dentro di me, invece, c'era qualcosa che sapeva di tristezza, frustrazione e anche un po' di rabbia. Sì, rabbia perché c'era questa cosa nuova in me che aveva un nome. E non era "attacchi di rabbia" come avevano diagnosticato vari psicologi e psicoterapeuti dai quali mia madre mi aveva portata fin da piccola. Era "essere un lycan", una grossa, pelosa e rabbiosa bestia con le sembianze di lupo che fino a poco fa conoscevo solo grazie ai film di Underworld.
Scesi alla mia fermata e lasciai Max sull'autobus. Sicuramente mi disse qualcosa, ma la mia mente non registrò ne' la conversazione ne' il percorso che dalla fermata mi portava a casa. Mi ritrovai, così, davanti alla porta senza ricordare di aver camminato fino ad arrivarci davanti. 
Entrai in casa e, nemmeno il tempo di poggiare lo zaino a terra che mia madre mi accolse come un uragano. Mi strinse in un abbraccio e una valanga di domande uscì dalla sua bocca.

"Come ti senti? Sei furiosa con me? Che ti ha detto Arthur? Ha detto qualcosa di tuo padre? Hai fame, devo prepararti qualcosa in particolare? Raven, dimmi qualcosa! Ti senti male?"

Non risposi a nessuna sua domanda e semplicemente la guardai con occhi assenti.

Solo poche parole uscirono dalla mia bocca:

-Perché mi hai fatto questo?-

E poi tutto esplose.

Iniziai ad urlare frasi sconnesse, frasi che miravano a far male, frasi che scaricavano tutto fuori di me. Come se la rabbia, che da sempre aveva fatto la tana nel più profondo del mio cuore, fosse appena uscita fuori liberandosi dopo anni di assopimento.
Ci fu dolore, un dolore dilaniante, odore di carne bruciata, spasmi incontrollabili che mi piegavano la schiena e la più brutta di tutte: un rumore orripilante. Rumore di ossa che si spezzavano e di carne che si strappava.
In un breve barlume di lucidità, osai guardarmi allo specchio appeso vicino alla porta e rabbrividii.
Il volto era deformato in un ghigno di rabbia che non mi apparteneva, gli occhi erano iniettati di sangue e le iridi tendenti al colore viola. Brandelli di carne si stavano staccando dal mio viso, come se una seconda pelle volesse prepotentemente uscire fuori.
Uno spasmo mi scosse il braccio sinistro e, sempre sfruttando il piccolo spiraglio di lucidità che ancora riuscivo a permettermi, lo osservai.
Il mio braccio non c'era più. Al suo posto c'era una zampa ricoperta di peli e sangue, con lunghi artigli scuri al posto di quelle che una volta erano le mie unghie.

Un ringhio uscì dalle mie labbra e la paura mi strinse il cuore.

Cos'era questo dolore? Che diavolo stava succedendo dentro di me?
Le risposte le lessi tutte negli occhi di mia madre.

La mia prima trasformazione.

Mi sentii annegare. 
Caddi a terra e mi sembrò veramente di essere caduta in un mare di acqua ghiacciata. Annaspavo, cercavo di uscirne e non ci riuscivo. Così chiusi gli occhi e mi appellai a tutte le mie forze.
Agitai le braccia, le gambe, altri ringhi gutturali sostituivano le mie grida e mia madre mi guardava, terrorizzata e impossibilitata ad aiutarmi, in un angolo come un cucciolo.

Con uno scatto di reni riuscii ad alzarmi e ad uscire dal pozzo ghiacciato dove stavo sprofondando. Accolsi la boccata d'aria come se fosse stata la prima di tutta la mia vita e il dolore sparì.
Recuperai tutta l'aria che mi era stata negata senza spostare lo sguardo e, come tutto era iniziato, tutto finì.

Rimasi in quella posizione per qualche minuto, finché ripresi coscienza di me e mi osservai il braccio. Fu la cosa più disgustosa che io avessi mai visto. Pezzi di carne che si riassemblavano sotto i miei occhi guarendo in pochi secondi.
Cercai di alzarmi, combattendo contro la momentanea instabilità delle mie gambe e, barcollando, arrivai allo specchio. Niente occhi iniettati di sangue, niente cambio di colore dell'iride.

Era tutto tornato normale.

Mia madre si avvicino, tremante, cercando di aiutarmi ma tutto ciò che ottenne fu una spinta nemmeno troppo controllata che la fece scontrare contro la porta. Sempre barcollando, mi arrampicai su per le scale e, con grande fatica, raggiunsi finalmente la mia stanza.

Chiusi la porta a chiave, mi gettai sul letto e piansi. Piansi come mai avevo fatto prima di quel momento, con un vago odore familiare all'arancio che si faceva sempre più vicino la luna piena che mi illuminava il volto. 

Provai un odio sconfinato verso quell'insulso satellite, come se la colpa fosse davvero sua.

-Sai che non è così, non fare pensieri sciocchi..-

Era lui.

Con quel profumo che riusciva a stregare chiunque.
Non ebbi nemmeno la forza di voltarmi a fissarlo, nonostante la sedia della scrivania fosse vicina a me.

-Sì, è normale.. Ti toglie un sacco di energie, specialmente la prima volta.. Diavolo, Raven. La tua prima trasformazione! E' stata grandiosa.. Soprattutto perché sei riuscita a sottrarti prima che potessi fare qualche danno! Sei stata fenomenale e.. So che te lo stai chiedendo, ma sono entrato dalla finestra. Un classico, no?-

Scivoloso e silenzioso, proprio come un'ombra.

-Secondo te, perché mai mi avranno chiamato così se non per questo motivo?- disse, e lo sentii ridacchiare.

Tirai su con il naso e mi lasciai scappare un sorriso. Lo sentii spostarsi e sedersi sul letto di fianco a me. Il materasso si piegò delicatamente sotto il suo peso e la sua gamba mi sfiorò la mano.

-Perché sei venuto da me?- chiesi, così flebilmente che una persona normale non sarebbe mai riuscita ad udirmi.

-Perché avevi bisogno di aiuto. Ti ho seguita. Sarei intervenuto, se le cose fossero peggiorate. Trasformarsi in una casa, un ambiente così.. ristretto!.. Come prima volta non va molto bene.. Avresti potuto ferire tua madre..- mormorò, con un timbro preoccupato.

-Resterai? Almeno un po'?- chiesi, titubante. In qualche modo la sua presenza, in quel momento, mi rassicurava, mi dava conforto e mi trasmetteva sicurezza.

Lo sentii avvicinarsi verso di me e mettermi una mano sulla schiena.

-Non andrò da nessun'altra parte. Rimarrò qui, ma adesso devi recuperare le tue energie.. Dormi, piccola Raven. Dormi..-

E il buio ebbe il sopravvento.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2069388