Can I live without you?

di scrittrice in canna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Our Hug. At lo levad ***
Capitolo 2: *** I felt Alone ***
Capitolo 3: *** You have always had my back ***
Capitolo 4: *** What's a soulmate? ***
Capitolo 5: *** I need to find her ***
Capitolo 6: *** Berlin. ***
Capitolo 7: *** Will dance with a man who deserve your love. ***



Capitolo 1
*** Our Hug. At lo levad ***


Capitolo 1
Our Hug. At lo levad




 “Tony…” come continuare? Come potevo dimostrare tutto quello che sentivo con le parole? Semplicemente impossibile, avrei dovuto dirgli ‘Non so come fare senza di te.’ o ‘Grazie per esserci stato.’ Insomma cose del genere, invece? Invece mi ritrovavo senza parole d’avanti all’evidenza, d’avanti al mio tutto, quell’uomo coraggioso che mi aveva fatta sentire amata, per la prima volta nella mia vita presi possesso dei miei sentimenti e lo abbracciai, mi ritrovai ad essere la donna più felice del mondo, le mie narici si impregnavano del suo profumo e le mie braccia gli cingevano il collo.
“At lo levad.” Ebraico, non era la prima volta che mi parlava nella mia lingua, ma quando lo faceva era una continua sorpresa.
“Lo so.” Dissi io separandomi da lui. Partivo per il funerale di mio padre, Tel Aviv.
 
Shmeil, dal canto suo, aveva guardato la scenda da lontano e pensava che non me ne fossi accorta, mi osservava, avevo lo sguardo perso nel vuoto e le parole che mi aveva sussurrato all’orecchio Tony risuonavano nella mia testa come una dolce melodia, sentivo il suo profumo che avvolgeva il mio corpo e lo cullava, ero inebriata da quel ricordo, ero riuscita a farmi guidare dal cuore ed era stato il momento migliore della mia vita.
“Sembra che quel ragazzo abbia un effetto strano su di te, Ziva.” Aveva detto lui svegliandomi dalla trance
“Chi? Tony? No, no siamo solo… amici.”
 
“Da quanto state insieme?” aveva chiesto il vedovo
“Noi non stiamo insieme.” avevamo risposto sorridendo
“Siamo solo amici.” spiegai io
“Sì, ottimi amici.” specificò lui
“Vogliatevi bene.” ci aveva raccomandato l’ispettore. E l’avremmo fatto.
 
“Beh se lo dici tu.” qualche minuto dopo l’uomo accanto a me crollò tra le braccia di morfeo e io continuavo a pensare a lui, al suo profumo, a come aveva pensato a me. Siamo solo amici, ottimi amici. Mi ripetevo tra me.
Arrivata in Israele aprì la porta della camera dell’hotel e sprofondai sul letto, avevo sonno.
Non ero andata a casa, faceva troppo male, ritrovare la camera di Tali, Ari e la mia… no, non  sarei riuscita a restare lì senza scoppiare a piangere, io non potevo tornare, i fantasmi devono restare nel passato, dove è giusto che stiano. Il giorno dopo avrei dovuto fare l’elogio a mio padre, mi addormentai abbracciata ad un cuscino.
 
“Questa è la mia foto migliore, è l’unica in cui c’è una persona.” Quella persona ero io, a Parigi, una foto genuina, uno scatto rubato
“Forse starebbe meglio in bianco e nero.” Dissi io sorridendo.

 
I pensieri di una scrittrice in canna
Aiutatemi T.T troppo fluff? Forse? Ok, questa vorrebbe essere una long, facendo quattro calcoli dovrebbero venire sì e no nove, dieci capitoli. Non potrò aggiornare regolarmente perché il PC è ROTTO! Scrivo da quello di mia madre, voglio informarvi che ripasseremo tutto il finale della decima sotto il pensiero di Zee e aggiungo i missing moment di Tel Aviv. Fatemi sapere che ne pensate ^-^
Vostra
Scrittrice in canna

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Capitolo 2
*** I felt Alone ***


Capitolo 2
I felt alone...


"Ehi, sveglia, piccola mia dobbiamo andare." Shmeil mi svegliò dolcemente e il sogno meraviglioso che stavo facendo fu bruscamente interrotto, erano ricordi più che sogni.

"Qualcosa non va, io vado dentro." Avevo detto decisa dopo aver visto il chiodo nella serratura 
"Noi andiamo dentro." Sprcificò lui enfatizzando sul 'noi', sorrisi, non mi avrebbe mai lasciata andare da sola in una casa potenzialmente pericolosa.


Mi alzai rendendomi conto che il profumo che mi aveva coccolata per tutta la notte era stranamente sparito, al suo posto c'era una puzza di dolore e tristezza, il vestito nero che avevo indossato emanava negatività, l' ultima cosa che mi serviva in quel momento. 
Arrivai alla chiesa e un'orda di persone del mossad mi vennero incontro per abbracciarmi, farmi le condoglianze, ma non riuscì ugualmente a piangere, mi sembrava tutto così... irreale e strano, tutte quelle persone che fingevano compassione e complottavano nell'ombra contro di me, contro l'unica David rimasta... ero sola in Israele, lui non c'era, c'ero solo io.
"Mio padre era un uomo saggio, a volte non sapeva distinguere il lavoro dalla famiglia, ma era un padre straordinario, dolce e comprensivo." Mentre parlavo sentivo tutte quelle menzogne uscire fuori dalla mia bocca, certo avevo amato mio padre, ma non posso dire che fosse stato un buon padre. Io gli volevo bene ugualmente e il dolore della perdita era forte. 
Quando uscimmo fuori dalla chiesa era primo pomeriggio e io non volevo fare altro che riposarmi, risentivo ancora del jet lag, arrivammo al cimitero, mio padre fu messo nella cappella di famiglia insieme a Tali, le lacrime volevano uscire ma non me lo potevo permettere, non in quel momento, non in quel modo.

Dopo aver pranzato, anche se secondo il mio organismo era ora di fare colazione, decisi di svagarmi e andai a piantare un albero di ulivo per mio padre, mi rilassai osservando Israele al tramonto e pensavo a quello che mi aspettava una volta tornata indietro, avrei trovato quel bastardo, il desiderio di vendetta era troppo forte per riuscire a sotterarlo sotto un cumulo di indifferenza. Da quando abitavo a Washington avevo imparato a riconoscere i miei sentimenti, ma non ad ammetterli, avevo molta strada da fare, se sette anni prima mi avessero detto: andrai a vivere in America e ti innamorerai io forse gli avrei piantato un coltello in una mano.
Nel tornare al hotel vidi un bar lungo la strada e mi ci fermai per bere qualcosa e pensare.
"Un bicchiere di barbon, perfavore." Gibbs mi aveva attacato la passione per quella bevanda alcolica, pensavo fosse il modo migliore per rimanere con loro, almeno nel pensiero. Dopo due o tre bicchieri, forse anche quattro e qualche lacrima un ragazzo mi si avvicinò, era carino, io non ero in vena ma avevo bevuto e mi sentivo sola...
"Cosa ci fa una ragazza così carina a bere da sola?"

"Bere da soli é deprimente." Aveva esordito Tony spuntando accanto a me
"Non sto bevendo." Dissi io alzandomi, ma lui mi bloccò
"Io prendo da bere e bere da soli é deprimente." 


"Cosa ci fa un ragazzo come te qui a rimorchiare una come me?" Chiesi io trascinando le parole, non ricordo molto di quella sera ma il bagliore negli occhi di lui quando sentì che ero ubriaca sarà sempre fisso nella mia mente, mi colpì il cuore come in pugnale capire che voleva solo usare la mia condizione, ma non ero nella situazione giusta per rendermene conto.
"Come te? in che senso?" chiese lui indifferente
"Ubriache." specificai io
"Io avrei detto splendide." sorrisi, lo guardai negli occhi e lessi semplice desiderio. Intanto la TV dava la notizia del funerale di mio padre e quando le immagini mi ritrassero maledissi il non aver controllato se tra la folla c'erano paparazzi, mi morsi il labro e lui miguardò stupito
"Sei tu? La figlia di Eli David?" Feci cenno di sì col capo
"Adam Eshel*, sicurezza nazionale Israeliana." Perfetto, pensai, un ragazzo come me.
Parlammo per un po' e poi non ricordo nent'altro, solo che la mattina dopo mi risvegliai in camera sua e scappai come una ladra, non volevo farmi trovare lì quando si sarebbe svegliato e lui non avrebbe voluto trovarmi lì.

Shmeil era di fronte all'albergo con i miei bagagli pronti, lo salutai e presi le valigie. Sarei tornata a Washington quella mattina stessa per ricominciare a lavorare come se nulla fosse successo.

"Dammi un segno, un segno che mi dica di non perdere la speranza." Dissi io con gli occhi gonfi di lacrime
"Tony, come mi hai trovata?" 
"Non rispondevi al telefono e così ho chiesto a McGee di rintracciarlo, ed eccoti qui, dovevo immaginarmelo."


Mi sentivo male, non osavo pensare a cosa sarebbe successo se l'avesse saputo, ma perchè me ne preoccupavo? Infondo non stavamo insieme, ma mi aveva detto che era lì per me, io l'avevo tradito. 
Dovevo pensare a Bodnar, l'avrei catturato e ucciso, avevo bisogno di vendetta, lui era il pupillo di mio padre e l'aveva pugnalato alle spalle, ci fidavamo di lui, papà non lo meritava.

i pensieri di una scrittrice in canna

ok, buon ferragosto, buon anno, buon Natale e tutto quello che volete.
Volevo scrivere una OS per ferragosto ma ho scoperto che in America non lo festeggiano xD Solo noi abbiamo queste feste strane!
Comunque. Ho messo un asterisco sul cognome di Aadam perchè non so come si scrive e così, da brava italiana, l'ho scritto come si legge! XD
Ditemi che ne pensate. Capitolo che non mi convince molto ma che andava messo ai fini della trama.
Grazie a Alex995 e AleTiva95 per aver recensito il precedente capitolo.
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 3
*** You have always had my back ***


Capitolo 3
You have always had my back



Al mio arrivo a Washington pensavo che qualcuno sarebbe venuto a prendermi all'aeroporto e invece ero sola, più sola che mai.

Arrivai a casa, mi sdraiai e cominciai a pensare, il sonno non ne voleva sentire eppure ormai era sera e normalmente sarei dovuta crollare, ma quella notte riuscivo solo a far affiorare ricordi, belli o brutti che fossero.

 

"Posso farti vedere una cosa?" disse con uno sguardo malinconico

"Certo." risposi io pronta, armeggiò con il contenuto del suo zaino e tirò fuori una foto: lui, sua madre e una folla di gente come sfondo.

"Era... bellissima." dissi io, lo era davvero.


forse, un giorno, anch'io avrei avuto una foto con mio figlio, forse anche lui avrebbe avuto quegli occhi vedi... forse.

 

"Stavo solo provando la protesi, Tony." dissi io sulla difensiva, mi aveva mostrato la mia foto di quando ero sotto copertura come donna incinta.

"Beh, però sorridevi." esatto...

 

Cullata da questi dolci pensieri mi addormentai, cullata dall'immagine di un volto che non sarebbe mai esistito, un volto che non avrei mai visto con i miei occhi, il volto di un bambino che non sarebbe mai nato.

Il giorno dopo arrivai in ufficio, feci come se tutto quello che era successo a Tel Aviv fosse solo un brutto sogno da dimenticare, provai a pensare ad un modo per rendere Aadam un fantasma del passato, proprio come lo erano mio padre e il resto della mia famiglia. Non ci riuscì.

 

Per un paio di giorni cercai di essere fredda con lui, di non fargli vedere che dentro soffrivo, soffrivo come nessuno mai, soffrivo perché mio padre mi aveva abbandonata, soffrivo perché se ne è andato sapendo che io e lui avevamo litigato, soffrivo perché ero sola, sola a casa, la notte e la mattina, l'unico momento in cui vedevo la mia famiglia era in ufficio eppure non riuscivo ugualmente ad essere felice perché avevo rovinato l'ultima cosa che mi era rimasta...

Quella settimana il caso riguardava Abby e il suo passato, McGee la appoggiò per tutto il tempo il che non fece che ravvivare in me l’idea che quei due siano fatti l’una per l’altro. A quanto pareva però Tony era deciso a rendere tutto più difficile di quanto già in realtà non fosse, mente lavoravamo al caso, Tim era da Abby e Gibbs chissà dove, lui iniziò a parlarmi come un libro aperto: “Senti, so che in questo momento tu non vuoi parlare di quello che è successo, so che stai male, ma devi parlare con qualcuno di questa cosa, è importante e…”

“Davvero, sto bene.” Dissi io cercando di fermare il fiume in piena di parole

“Io non credo. Devi sfogarti con qualcuno, ne hai bisogno. Tenersi tutto dentro non fa bene.”

“Quel qualcuno saresti tu?” forse troppo diretta? Lo vedo congelarsi, il suo volto si iberna, cerca le parole giuste e dopo qualche secondo riesce a dire qualcosa

“Se vuoi.” Sorrisi forzatamente e tornai a lavoro, ma sentivo il suo sguardo su di me e cominciai ad innervosirmi

“Cosa c’è? Lavora DiNozzo! Abbiamo un caso da risolvere!” dissi acida

“Scusa piccola ninja è solo che… non credo che questo atteggiamento ti si addica.” Disse lui poi alzandosi e avvicinandosi verso di me, controllavo ogni sua mossa, conoscevo bene quella parte di lui, quella infantile ma decisa, la stessa che usò quando fece il contro interrogatorio a mio padre…

 

Come le salta in mente di spedire un killer schizofrenico a casa di sua figlia?” aveva detto con il braccio che gli doleva, un po’ per la frattura, un po’ per la pressione di mio padre

Rispettavano i miei ordini.” Urlò lui

Michael?” chiese poi Tony sicuro

Anche lui!” sbraitò papà, il mio collega rivolse uno sguardo alla telecamera per farmi capire che sapeva che io ero lì.

 

Papà… a volte facevi degli errori, è vero, ma volevi farteli perdonare e ora che non ci sei più non potrai più farlo, pensai tra me e me.

“A cosa stavi…”

“Pensando?” dissi io finendo la frase del ragazzo di fronte a me, poi continuai: “A mio padre.”

 

Arrivata a casa mi sdraiai e mi addormentai quasi subito, ma altrettanto velocemente fui svegliata da degli incubi

 

TI prego di sederti alla tavola con me per l’ultima volta.” Sentivo la voce di mio padre rimbombarmi nella testa e poi…

Mio padre ha ucciso Tyler Welks*.” Poi gli spari, Gibbs, il cecchino assoldato, mio padre a terra

ABBA!” le mie urla e il suo corpo, inerte.

 

Cominciai a sudare e ad arrovellarmi tra le coperte, agitata, chiamai mio padre nel sonno, mi scoprì, sentivo caldo nonostante le temperature rigide all’esterno, mi agitai, poi sentì qualcuno svegliarmi…

 

È solo un brutto sogno.” Risentì la voce di Tony che mi calmava nel suo appartamento, la sua mano tenere la mia, il suo corpo seduto vicino al mio, che mi calmava e mi confortava.

 

Ed ecco che mi calmai, smisi di sudare e sentì i brividi, i piedi freddi, mi svegliai, presi le coperte e le alzai fino alle spalle, tornai a dormire, sperando di non incappare più in sogni del genere.
 

i pensieri di una scrittrice in canna
Non sapete cosa ho dovuto fare per pubblicare questo capitolo.
Sono passate due settimane, passate bene le vacanze?
Avete visto il promo? Oh mamma! Lo so a memoria!
"Who's the next target?"
"Ziva David"
Credo che AleTiva avesse ragione dicendo che Tom c'entra qualcosa. (sì, ho letto la tua ff, ma io sono cattiva e non recensisco u.u)
Sono le 2.05 quindi buonanotte! Vi saluto
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 4
*** What's a soulmate? ***


Capitolo 4
what's a soulmate?

Sono passate un paio di settimane da quando abbiamo chiuso il caso sul passato di Abby, ma il caso sul mio passato era ancora aperto, l'avrei dovuto archiviare tempo fa, ma non ero l'unica che non era riuscita a chiudere con quello che era successo, il direttore cercava costantemente una tata per i suoi figli e una dopo l'altra le ragazze che entravano uscivano con l'aria sconfitta, noi non facevamo altro che osservare il via vai di persone, da un paio di giorni e quando mi avevano detto che sarei dovuta andare con Tony a casa del direttore per controllare i bambini mi sentì mancare, io andare con lui a fare i finti genitori? Sarebbe stato il delirio più totale e completo.
 
"Puoi solo sorridere ed essere naturale?" Gli avevo chiesto dopo aver mandato i ragazzi in cucina
"Scusa, m io non me la cavo bene con i bambini." Mi aveva risposto terrorizzato
"Intanto andiamo di là e prova a comportarti come una persona normale, ti prego!" Lo trascinai fino alla stanza adiacente dove dovevo preparare due cioccolate calde senza avere la più pallida idea di dove la signora Vance tenesse gli utensili e gli ingredienti, cominciai ad aprire tutti i cassetti e gli sportelli, del tutto imbarazzata dalla situazione, Tony vedendomi in pericolo andò con i due piccoli nel salone, in modo da darmi il tempo di organizzarmi, lo avrei voluto ringraziare dieci, cento, mille volte per il grande aiuto che mi stava dando, ma materialmente il tempo scarseggiava.
Dopo dieci minuti buoni passati a cercare decisi di avvertire i ragazzi che forse sarebbe stato meglio prendere una pizza, non appena mi affacciai sulla porta rimasi incantata: DiNozzo giocava e scherzava con i figli del direttore in assoluta serenità, loro si divertivano un mondo e lui sembrava non rendersi conto della mia presenza. A dispetto delle mie aspettative, e delle sue, era davvero un buon baby-sitter, immaginai come sarebbe dovuto essere vederlo con figli suoi, come sarebbe diventato... Paterno, l'idea mi sfiorò un attimo la mente e poi sparì, come un fulmine, nel momento esatto in qui sentì
"Ehi Zee... Stavo solo facendo vedere ai ragazzi cosa succede quando si butta il caffè del capo, a terra..." Era più tosto imbarazzato, impacciato e in confusione... Erano rare le volte in cui lo vedevo in quel modo, tornai in cucina, quasi colta in flagrante mentre lo guardavo imbambolata. Feci cadere due o tre pentole, mi ustionai un dito e quando sentì le mie urla di dolore lo vidi giungere sulla soglia preoccupato, quando vide che non ero in serio pericolo mi pese il dito e lo mise sotto l’acqua freddo del lavabo.
“Forse è meglio che ordiniamo una pizza…” disse tenendomi la mano, annui sorridendo, veramente, pe la prima volta dopo settimane sorrisi di gusto, perché volevo sorridere e non per nascondere le mie emozioni, non per sfuggire da una brutta discussione, non perché ero brilla, solo perché volevo, volevo farlo… e ci era riuscito lui.
Ordinammo la pizza e Tony e i ragazzi cominciarono a parlare dello squalo di Spielberg
“Alla fine che c’è di bello? È solo uno squalo che mangia le persone!” esordì il piccolo
“Non è solo uno squalo, è lo squalo! Dai ragazzi, non ditemi che non vi piace!” i due negarono con un cenno del capo, io sorrisi, ancora.
“Beh vediamo se ora vi piace.” Si mise ad armeggiare con una forbice e la sua scatola della pizza, la infilò in testa e cominciò a rincorrere i bambini per casa, io gli andavo dietro gridando di fermarsi, ovviamente non ottenni nessun risultato, ad un certo punto la porta si aprì e ne entrarono Gibbs e il direttore Vance, Tony cercò di scusarsi e io ero caduta sul divano ridendo, fu in quel momento che lo vidi, una piccola piega nella bocca del capo, una specie di risata sotto i baffi… non riuscì a decifrarlo subito, ma dopo capì che era perché lui lo sapeva da tempo. Da sempre forse.
Tornai a casa, presi una cioccolata calda, intrecciai le gambe sul divano e mi lasciai cullare dalla morbidezza del mio pigiama, faceva freddo, S. Valentino era passato da pochi giorni e io mi ero sentita nuovamente sola, come non mai, mi capitava spesso in quel periodo di sentire il bisogno di qualcuno accanto a me, ci avevo provato con Adam , ma era stato semplicemente un buco nell’acqua. Avevo sentito parlare McGee e Tony un po’ di tempo fa sul fatto che stanno cercando l’anima gemella, la donna per la vita…. Beh forse anche io lo sto cercando… ma chi mi doveva far cercare dall’altro capo del mondo? Forse lui era più vicino di quanto pensassi.
Mi svegliai di buona mattina, feci la mia solita corsa mattutina e andai a lavoro, cominciai ad archiviare file e compilare scartoffie, arrivò anche DiNozzo, lievemente in ritardo, salutò tutti allegramente, alzai gli occhi verso di lui… sì, forse la mia anima gemella era più vicina di quanto non pensassi.
 

What’s a soulmate?
It's a.. Well, it's like a best friend, but more. It's the one person in the world that knows you better than anyone else. It's someone who makes you a better person, well, actually they don't make you a better person... you do that yourself-- because they inspire you. A soulmate is someone who you carry with you forever. It's the one person who knew you, and accepted you, and believed in you before anyone else did or when no one else would. And no matter what happens.. you'll always love them.
 

I pensieri di una scrittrice in canna
Hi!
So di avervi fatto aspettare tanto per poco ma questo capitolo era corto e dovevo concluderlo per postarlo. Poi con gli esami ho poco tempo a disposizione… oggi ho finito di studiare alle 6 e ho cominciato alle 3… E SONO I PRIMI GIORNI! UFFA!
Comunque ringrazio Alex995 e AleTiva95 che hanno recensito ^--^
E tutti quelli che mi seguono e che hanno fatto arrivare la storia a più di 200 visualizzazioni! Yea!(forse sono pure 400 ma dettagli…) alla prossima
Vostra
Scrittrice in canna (esaurita e stanca)

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Capitolo 5
*** I need to find her ***


Capitolo 5
I need t find her


Era sera, fuori faceva molto freddo e io stavo per andare via, eravamo rimasti solamente io e McGee, avevo bisogno del suo aiuto, esitai un attimo prima di avvicinarmi alla sua scrivania, stava lavorando al PC, tentava di stilare il rapporto dell’ultimo caso, alzò gli occhi e mi guardò stranito.
“Vuoi dirmi qualcosa, Ziva?” cercai le parole giuste, quello che stavo per chiedergli non era una cosa da nulla.
“Ho bisogno del tuo aiuto…” Dissi con un sospiro, lui aspettava che proseguissi, mi guardai intorno per essere sicura che nessuno ci osservasse o ascoltasse, poi proseguì: “…Per rintracciare Bodnar, devo trovarlo!” finì, aspettai una risposta a quella che era stata una supplica, la più patetica della mia vita.
“Da dove dobbiamo cominciare?”.
 
La cosa ci era leggermente sfuggita di mano. Avevamo cominciato facendo qualche telefonata, io avevo ingaggiato Shmeil, Aadam e altri miei contatti in Israele che si sarebbero potuti muovere tranquillamente per tutto il mondo, McGee faceva qualche ricerca da casa sua, ma dopo un paio di giorni ci ritrovammo in un monolocale con mappe, computer e una malata voglia di trovare quel bastardo. C’era però un piccolissimo problema: Tony era quasi riuscito a capire cosa stavamo tramando.

Il caso, quella settimana, riguardava la scomparsa del marito di un ufficiale dei marines. Mi chiesero di andare a parlare con lei, io accettai senza discutere, la prima cosa che mi disse mi colpì il cuore come una pugnalata.
“Per favore mi dica che non sta succedendo.” La guardai triste, amava davvero suo marito.
Riuscivo a capirla perché sentivo la stessa cosa con mio padre: ogni tanto vorrei che qualcuno si girasse e mi dicesse che mio padre non è morto e che mi aspetta a Tel Aviv, vorrei poter prendere il primo aereo e andare in Israele per abbracciarlo, dirgli quanto è importante per me.

“Mi hai guardato come quando eri bambina, anche se solo per un momento.” Mi disse con gli occhi pieni di lacrime, io ero furiosa, non riuscì a guardarlo di nuovo in quel modo, anche se, col senno di poi, avrei voluto.

 
Mentre i ragazzi erano andati a cercare la vittima io ero rimasta con la moglie, avevamo discusso a lungo.
“È come… se tutto il mondo mi fosse crollato addosso… non riesco a credere che Noha sia scomparso…” la guardavo annuendo, non osavo proferire parola.
“Lei… ha mai perso qualcuno che amava?”

“Abba!” gridai vedendolo, era steso a terra, inerme, gli occhi chiusi e la camicia macchiata di sangue, mi sdraiai accanto a lui, appoggiai la sua testa sulla mia spalla, lo piansi, piansi per lui in Ebraico.


“Sì… ho perso molte persone che amavo…” dissi inghiottendo un groppo di lacrime a metà frase
“La prego mi dica che questo dolore si può superare.” Mi chiese, ma era una richiesta che non potevo accettare.

“Il dolore dei nostri cari non si supera, ci si convive.” Dissi ala ragazzina seduta di fronte a me senza distogliere lo sguardo da lei, aveva perso suo padre… proprio come me, solo che allora ancora l’avrei potuto chiamare e sentire la sua voce.


“Suo marito non è morto.” Le dissi puntando i miei occhi nei suoi
“Lo so, ma avevo bisogno che qualcuno me lo dicesse…” aveva le lacrime agli occhi.
“Lo troveremo.” Cercai di sorridere, il sorriso più falso di tutta la mia vita.
 
Quando tornarono mi diedero la notizia più brutta del mondo: era ancora disperso.

Mi misi sotto le scale per pensare a quanto quegli ultimi mesi fossero stati particolari e orribili, avevo perso l’ultimo componente della mia famiglia ancora in vita, ero andata a letto con un ragazzo incontrato in un bar, inoltre credevo di volere un figlio o meglio una figlia,

“Cosa dicevi quando te lo chiedevano?” disse mio padre accennando alla missione come donna incinta
“Non ero veramente incinta!” avevo ribadito, quasi infastidita da quella domanda
“Sì, ma dovevi pur rispondere quando ti chiedevano cos’era…” mi guardò in attesa di una risposta, ero imbarazzata, ma risposi: “Dicevo che era una femmina.”


Ma la cosa più grave era che… credevo di essermi innamorata. Io la perfetta agente del Mossad senza emozioni, la killer professionista si era innamorata, chi l’avrebbe mai detto?

“Enziatova!”

 

“At lo le vad.”


Forse stavo confondendo l’affetto con l’amore, eppure dopo averlo lasciato in aeroporto non avevo pensato ad altro che a lui per tutto il viaggio, non a mio padre, non al funerale, non a Tel Aviv, ma a lui.

“Tu sei… Anthony DiNozzo, un clown d’ alta classe. È per questo che ti amiamo.”


Proprio in quel momento lo vidi arrivare.
“Gibbs vuole che andiamo a parlare con la proprietaria del bar dove la vittima è stata con il nostro sospettato.” Perfetto… l’unica cosa che mi serviva era andare con lui da sola da qualche parte.
 
“Una donna forte come lei… non sarà facile restare a guardare.” Mi disse parlando della moglie di Noha
“Si conterrà…” risposi
“Tu credi?”
“Non è una scelta…”
“Stiamo ancora parlano del sottufficiale?” mi disse guardandomi negli occhi. Quello sguardo… non potevo riuscire a sopportarlo, sospettava di tutto.
 
Quando il caso venne chiuso io e McGee andammo al monolocale come sempre, ma io ero distratta.
Bussarono alla porta, presi la pistola e mi preparai a sparare, ma appena vidi chi era lo lasciai entrare senza discussioni.
“È il cibo?” chiese McGee uscendo dal bagno, quando vide Tony rimase scioccato: “Cosa stai facendo qui?”
Cercai di spiegargli tutto: Che Bodnar era a Roma, che i miei contatti l’avevano visto, che lo stavamo tracciando, che l’avremmo contattato e gliel’avremmo detto quella sera stessa, ma non è stato sufficiente, era arrabbiato, io non volevo ferirlo ancora, lui mise su la maschera da clown
“Mi piace come avete sistemato questo posto, davvero, computer assortiti!”
Voleva che lo dicessi a Gibbs… ma sarebbe stata dura.
 
La sera dopo mi alzai, andai davanti alla scrivania del capo e dissi tutto d’un fiato “Vorrei il tuo permesso di viaggiare per trovare Bodnar.” Lui mi guardò, annuì e disse: “Cosa aspetti? Prendi DiNozzo e vai!” lo guardai… dovevo viaggiare con lui.
 
Arrivata a casa cominciai subito a preparare le valigie, saremmo partiti qualche giorno dopo. Ero pronta.
Cercai di non pensare ad altro che alla missione e mi venne il lampo di genio: non era a Roma… era a Berlino. Saremmo andati in Germania, l’avremmo preso. Aspetta Ilan… sto arrivando.

i pensieri di una scrittrice in canna
Ehya! Sapete che giorno è oggi? EH? OGGI E' 24! AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
Ok, vi prego di non spoilerarmi nulla prima di venerdì! Please! T.T
Aggiorno ora e vi dico che i capitoli arriveranno a "Past, Present, Future"
YEA!
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 6
*** Berlin. ***


Capitolo 6
Berlin

La valigia era sul letto ad aspettarmi, ci avevo messo dentro giusto qualche cambio d’abito, quel trolley sembrava più un modo per scappare, la borsa di una teenager che vuole andarsene da casa, non c’era nulla che potesse indicare dove e perché stavo viaggiando, solo la mia pistola di servizio e qualche coltello sotto i vestiti, ma non avrebbero controllato. Sarebbe bastato mostrare il mio distintivo e sarebbe andato tutto per il meglio. Ogni minuto ero più vicina al trovare Bodnar e ogni secondo la cosa mi faceva sentire più impaziente. Chiusi la valigia e mi avviai verso la porta, era il momento di andare a lavorare.
Gibbs  girava per la base, lo bloccai e gli dissi quello che avevo scoperto la sera prima: “Penso che Bodnar sia a Berlino.” Lui mi guadò e annuì
“Perfetto, cambiamo i biglietti e partite.” Rimasi un po’ sconvolta
“Non vuoi sapere il perché?”
“Mi fido di te.” rispose dandomi un bacio sulla nuca, non lo faceva spesso, solo quando eravamo soli o voleva incoraggiarmi, lo presi come un invito a seguire il mio istinto, quello in cui lui credeva fermamente e in quel momento il mio istinto mi diceva di andare avanti nella mia impresa.
Dimenticati l’Italia DiNozzo, andrete a Berlino.” Disse il capo entrando nell’open-space , mentre discutevamo vidi l’ultima persona che non avrei mai voluto vedere in tutta la mia vita salire le scale che portavano all’ufficio del direttore Vance, la donna che aveva rovinato la mia vita, la stessa che aveva preso la mia famiglia e l’aveva ridotta in piccoli brandelli, la persona che mi aveva insegnato il significato della parola: “odiare”
“Agente Gibbs, le presento il direttore del Mossad: Orli Elbaz.” La vedevo fare l’oca come faceva con mio padre, non avrei potuto sopportare la situazione ancora a lungo, mentre parlava con il direttore io non potevo fare altro che sperare di uscire il prima possibile da quella stanza, non appena se ne presentò l’occasione lo feci e mi sentì meglio lontana da lei.
Arrivata alla mia scrivania intimai a Tony di sbrigarsi e andammo in macchina, guidava lui, anche se avremmo fatto prima se al volante ci fossi stata io. Durante il tragitto appoggiai la testa al finestrino e cominciai a pensare a quanto fossi vicina all’uomo che aveva ucciso mio padre, pensavo a mia madre, mio padre, i miei fratelli, la nostra vita prima di quella donna infame, la fattoria di mio padre dove passavamo tutte le estati, quella casa era il mio rifugio, la mia tana, il mio nascondiglio quando mi sentivo triste, per non farmi vedere dagli altri mi nascondevo lì, a volte piangevo… fino a che non arrivai in America, a quel punto non avevo più bisogno di nascondermi per piangere, non ne avrei mai più avuto bisogno.
Fui risvegliata dai miei pensieri quando arrivammo in aeroporto, guardavo l’aereo e pensavo che finalmente avrei colmato il mio desiderio di vendetta, Ilan non sarebbe arrivato in una prigione federale, ma sarebbe andato direttamente in obitorio. Ci sedemmo ai nostri posti e presi subito il PC, passai a rassegna le foto, la prima, la seconda, la terza, una dopo l’altra, scrutavo dettaglio per dettaglio ogni fotogramma delle videocamere di sicurezza, la rabbia cresceva ogni volta che le osservavo, era troppo, non potevo farmi del male in quel modo. Posai il computer e lasciai che la mia mente vagasse ai giorni felici, ma riuscì solo a ricordare i miei genitori che litigavano… perché la mia mente non riusciva a tornare ai momenti allegri? Perché l’unico ricordo di mia madre che riuscivo a rievocare era quello?
Mi girai dopo qualche ora di volo e vidi Tony addormentato, parlava nel sonno, più che altro borbottava, riusciva a farmi sorridere anche senza volerlo, come faceva? Mi trattenni dallo svegliarlo per parlare ancora come avevamo fatto fino a poco prima. Parlare di mio padre, condividere i nostri ricordi e rimpiangere i pochi giorni felici che avevamo passato con i nostri cari, pensandoci bene non eravamo tanto diversi.
Mentre rimuginavo la voce dell’hostess ci ricordò che era arrivato il momento di scendere, lui stava ancora dormendo, lo smossi lievemente finché non  si svegliò, mi guardò con aria confusa e mi chiese: “Cosa?... Siamo arrivati?” annuì, prese le poche forze che aveva e si alzò buffamente per raggiungere l’uscita dell’aereo.
Arrivati nella hall dell’albergo, ovviamente, era rimasta solo una camera, matrimoniale… o almeno così mi disse dopo aver preso le chiavi. Non diedi molto peso alla cosa, in fondo non sarebbe stata la prima volta che dividevamo il letto.
Mi appostai a guardare la città aspettando che Adam mi ricontattasse, gli avevo telefonato in aereo, non so perché ma era stata la prima persona a cui avevo pensato per rintracciare Ilan. Mentre ammiravo Berlino una donna con due splendidi bambini biondi mi passò vicino, mi girai per salutarla e rimasi un attimo imbambolata davanti alla felicità di una madre, la serenità che ti possono dare i figli non ostante le preoccupazioni e le responsabilità “chissà come deve essere -pensai- avere una famiglia…”, in quel preciso momento il mio telefono suonò, da li a poco avrei incontrato il mio contatto, aveva nuove informazioni.
 
“Certo che quel tuo amico…” mi disse Tony tornando in albergo quella sera “Com’è che si chiama?”
“Adam.” Dissi io per lui.
“Adam, è proprio simpatico.” Non sapeva fingere, o per lo peno non sapeva farlo con me.
 

“Tutti gli uomini sono bugiardi.” Dissi io rivolta al ragazzo davanti a me
“Proviamo: Sta mattina ho fatto colazione con le uova.”
“Vero.” Risposi pronta
“Solo un caso, ieri sera sono uscito con una bellissima ragazza.”
“Falso.” Mise su una smorfia e continuò a stuzzicarmi
“La mia prima auto è stata… una corvet rossa fiammante.”
“Falso. Tre su tre, ho vinto.”
 

 
In effetti tra noi era sempre stato tutto un gioco, di che tipo non saprei, un gioco di sguardi, di scambi di battute, di movimenti…. Un gioco in cui entrambi avevamo paura di perdere.
“Ho visto quanto ti stava simpatico, non hai fatto altro che stuzzicarlo tutto il tempo.” Continuai disfando le valigie, prendevo le mie cose e le mettevo prepotentemente nel cassetto dell’albergo, quasi irritata da quella discussione.
“Non è vero!” rispose infastidito dalla mia insinuazione, smisi di fare ciò che stavo facendo e mi misi le mani sui fianchi, sbuffai lievemente.
“Sì invece! Dove abiti? Facevi sport? Oh sì, anche io giocavo a basket, che ne dici di un uno a uno?!” lo imitai come potevo, lui si mise a ridere, mi congedai e andai un attimo in bagno mentre lui si preparava per sdraiarsi, proprio in quel momento ci telefonò Gibbs, lo informammo della situazione e staccammo, io continuai a sistemare i vestiti, avendo finito i miei passai a quelli di Tony, lui non voleva chiudere la partita però.
Ah… sapevo che eri quel tipo.”
Sono tante cose, non quel tipo.” Dissi io di rimando.
Sì lo sei, sei quel tipo di ragazza che appende i vestiti del suo uomo per la notte.” Del mio uomo? Pensai sul momento, non ci feci molto caso.
Quando ho un uomo i favori che faccio hanno poco a che fare con i vestiti.” Tentai di colpirlo nel suo punto debole, mi invitò a sdraiarmi con lui, lo feci, restammo in quel modo per qualche minuto, a guardarci negli occhi, senza parlare.

 
“Puoi anche non parlare ma… i tuoi occhi non vogliono stare zitti…”

 
I pensieri di una scrittrice in canna
CHIEDO VENIA!
Ci ho messo un botto ad aggiornare e vi ho dato questa merdina qua, non uccidetemi, vi prego, io vi voglio bene T_T
Avete visto “Past, presente, future?” ok, parliamone. IO LA AMO! La rivedo minimo una volta al giorno perché la amo! *-----* Voi? Che ne dite? Credo che, come per Berlin, mi serviranno due capitoli per rimettere tutti i missing moment, le scene rivisitate e tutto il resto, poi voglio che la parte in cui scrivono la lista sia qualcosa di speciale. OK  la smetto di spoilerare :P
Alla prossima.
Vostra
Scrittrice in canna

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Capitolo 7
*** Will dance with a man who deserve your love. ***


Capitolo 7
Will dance with a man who deserve your love.


Mi svegliai, cercai di mettere a fuoco la stanza in cui mi trovavo, dopo qualche secondo ricordai dove mi trovavo e cosa era successo: mi ero appisolata insieme a Tony, di fronte a lui, senza rendermene conto. Mi alzai, cercai i vestiti che avevo sistemato su una sedia e mi avviai verso il bagno, chiudendo la porta lo vidi dormire e ricordai tutta la lista di cose che voleva fare prima di andare al locale, se avesse continuato a dormire non sarebbe riuscito a fare un quarto delle cose che mi aveva elencato.
 Lavandomi la faccia il mio occhio cadde inevitabilmente sulla mia immagine riflessa nello specchio e realizzai che se la piccola Ziva, la bambina che viveva a Tel Aviv in un piccolo appartamento con i suoi genitori, mi avesse vista, forse non sarebbe stata orgogliosa di me.

Questo posto mi si addice!” disse Tony guardandosi intorno. Il locale era pieno di gente che ballava e si divertiva, musica ad alto volume e barman che giravano frenetici dietro ai baconi per soddisfare le ordinazioni dei clienti, noi compresi, aveva ordinato due martini per mimetizzarci nella folla, come una coppia qualunque, a me non importava molto, l’unica cosa a cui pensavo era trovare Kraus, non riuscivo a vederlo e stavo smaniando, giravo gli occhi a destra e sinistra, snodavo il collo per vedere dietro le persone che mi bloccavano la visuale, ma dell’uomo che cercavo nessuna traccia. Intanto era partito un lento e molte persone se ne erano andate per sostituirsi a coppie di ragazzi.
Balla con me.” Mi prese la mano e m spinse verso la ista stringendomi la mano, dal canto mio ero totalmente stordita, non riuscivo a capire quello che stava succedendo, almeno finchè non cominciammo a ballare, a quel punto sorrisi, un buon modo per avere una visuale completa su tutto il locale, agganciai il mio bersaglio e non avevo alcuna intenzione di togliergli gli occhi di dosso, fin quando non cominciò a guardarmi con un po’ troppa insistenza, d’altro canto non era molto normale che una ragazza ,che sta ballando un lento con quello che si suppone debba essere il suo ragazzo, guardi il cameriere del locale, così distolsi lo sguardo e mi concentrai su Tony
Credo che mi abbia scoperta… non ne sono sicura…” dissi dando voce ai miei dubbi
Tranquilla, lo vedo, fai come se stessimo insieme.” A quella frase mi concentrai totalmente su di lui fino a rimanere incantata dl suo sguardo, continuavo a fissarlo e sorridere, ondeggiando lievemente a ritmo di musica.
 
 

“Per quanto starai lontano?” chiesi a mio padre che ballava con me
“Questa volta è diverso, non so quando sarò di ritorno.” Rispose lui francamente abbassando lo sguardo verso di me, affondai la faccia nel suo petto per non farmi vedere sull’orlo del pianto
“Oh, la mia Ziva. Un giorno ballerai con un uomo che merita il tuo amore.” Mi disse sorridendo.
 

In quel momento eravamo solo noi due, nessun’altro, forse il momento più bello di tutta la serata. Non ero riuscita a rievocare ricordi simili in nessun modo né sull’aereo né in sogno, ma mi era bastato avvicinarmi a lui per farmi tornare in mente una delle serate più belle con mio padre prima che i miei si separassero.
Proprio in quel momento spostai un attimo lo sguardo e lo vidi, mi allontanai a velocità stratosferica verso quello che credevo essere Ilan Bodnar, ma che poi si rivelò essere il fratello: Yaniv.
 
Tornati a Washington ero distrutta, delusa e quasi rassegnata al pensiero che non avremmo mai trovato Ilan o almeno non vivo, oltretutto ero rinchiusa in macchina con Tony, molti diamanti e altrettante domande. Uno stupido impulso mi portò a provarmi un diamante al dito, per vedere come sarebbe stato se, quel giorno, Ray mi avesse portato un vero anello e non soltanto un cofanetto vuoto.
“Ti sta bene.” Mi risvegliai dai miei sogni di bambina e lo guardai per qualche secondo, pensai che forse quel cofanetto vuoto aveva portato più cambiamenti di quanti ne avrebbe portato uno pieno perché mi aveva fatto aprire gli occhi. Per la prima volta piansi, parlai di Orli, dissi ciò che pensavo, senza preoccuparmi di nulla, le parole uscivano semplicemente come un fiume in piena, solo quando le nostre mani si strinsero mi fermai e lo guardai decisa a dirgli tutto ciò che avevo realizzato in quel viaggio a Berlino ma proprio quando stavo per dirgli tutto lo sentì gridare e saltarmi addosso, proteggermi come uno scudo. Poi il buio.
Mi risvegliai per poco, giusto il tempo di vedere Ilan Bodnar prendere i diamanti e scappare via su una macchina.
 
Mi ritrovai su un letto d’ospedale con un braccio ingessato e un dolore lancinante nel settanta percento del corpo, sul lettino accanto al mio riposava Tony con un cerotto sul naso, per prima cosa mi misi seduta e provai ad alzarmi, non senza problemi. Subito dopo si svegliò lui e cominciò a fare mille domande, mentre cercavo di rispondere e, contemporaneamente, combattere contro l’emicrania, fortunatamente in quel momento entrò Gibbs con Vance, mi sentì sollevata, ovviamente non potevamo lavorare e io non potevo nemmeno avere la mia pistola. La serata non sarebbe potuta cominciare meglio.
 
I pensieri di una scrittrice in canna
Buonasera!
Ora tutti avete visto Berlin. Yeee!
No, non sono per niente contenta perché tra poco l’undicesima stagione comincerà anche in Italia e io non voglio T^T
E poi tra due settimane comincia a lavorare Bishop e a me non piace più di tanto l’idea! X(
Vostra
Scrittrice in canna

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