Nobody knows me.

di Ginny_luck
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Il principio. ***
Capitolo 3: *** Un incontro interessante. ***
Capitolo 4: *** Pane e burro. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


 E non so cosa stavo aspettando, forse che mi inondasse una pioggia gelida.
Qualcosa che mi desse una scossa, che mi facesse provare un brivido. O forse stavo aspettando il mio ritorno.



-E’ sempre così.
Quando credi di essere la persona più felice del mondo, tutto ti cade addosso.
Come ho potuto credere che lui mi amasse veramente?
Sono stata una stupida.
Forse è vero: l’amore ti acceca, ti offusca la vista e ti impedisce di ragionare chiaramente.
Mi sono fidata, ma questa sarà l’ultima volta.
Ho già sofferto troppo, ora nessuno potrà mai farmi cadere.
Nessuno riuscirà a trascinarmi al puro livello dell’idiozia solo per amore.
Ho chiuso con l’amore. E’ solo un ammasso di bugie e sofferenze.

Salve a tutti mi chiamo Lily Fields e ho appena compiuto vent’anni.
Ma il giorno del mio ventesimo compleanno è stato un giorno da dimenticare-

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Capitolo 2
*** Il principio. ***


-Due anni prima-

Non sono mai stata normale.
Normale? Che parola strana..
Non so nemmeno cosa sia la normalità!
Sono nata strana. Ma non sono come quelle persone che dicono di essere pazze e se ne vantano.
No. Anzi, non potete nemmeno immaginare, quante volte avrei voluto essere una ragazzina normale, felice e sicura di sé.
La mia vita è sempre stata particolare e non la augurerei a nessuno.
Sapete? Mia madre mi ha avuta a soli diciotto anni e, a quei tempi, era ancora una bambina.
Ho sempre pensato che lei mi considerasse un errore, uno sbaglio.
Dopotutto come darle torto? Non è che mi abbia avuta con l’amore della sua vita..
Come dire nel modo più cordiale e gentile possibile che è rimasta incinta di me dopo che è stata stuprata una sera mentre tornava a casa da un allenamento in palestra?
Lei.. la mia bellissima e dolcissima mamma che mi ha cresciuta tutta sola.
Lei.. che mi ha sempre detto di essere stata felicissima ad avermi avuto.
Ma non posso crederle, sarebbe un’idiozia.
-Lily- strillò dalla cucina mia madre- staccati dal tuo cellulare e vieni a tavola, la cena è pronta!
-Arrivo!- risposi.
Scesi di corsa le due rampe di scale e feci un grande salto superando gli ultimi due scalini e atterrando con un tonfo sul parquet.
-Quante volte ancora devo dirti che mi rovinerai il pavimento se continuerai a saltare in quel modo?-
-Tutte le volte che vuoi, genitrice pazza, ma non è detto che io ti ascolti!-
-Tu mi farai impazzire prima o poi, e poi non provare più a chiamarmi in quel modo o ti tolgo i viveri per una settimana, tanto so che senza quelli non puoi vivere!-
-Sei malefica, mamy, ma ti amo tanto, tanto- dissi e le stampai un bel bacio sulla sua morbida guancia.
Lei rise. Una di quelle risate che mi tolgono il fiato. Quant’era bella la mia mamma.
Con il suo sorriso e i suoi denti smaglianti. Con i suoi occhi verdi, contornati oramai da qualche ruga, e i suoi capelli neri.
Aveva un fisico perfetto ed era una delle poche cose che avevo ereditato da lei.
Per il resto io avevo dei capelli biondi, lisci e lunghi e degli occhi azzurri. Lei mi dice sempre che sono del colore del mare. Chissà se quando mi guarda vede mio padre, chissà se glielo ricordo, anche solo minimamente. Non ci voglio nemmeno pensare. Chissà quanto dolore le ha provocato. Forse non lo ha nemmeno visto in faccia quello stronzo. Forse..
Ma i miei pensieri furono interrotti da una bella leccata sul polpaccio sinistro.
Alzai la tovaglia e trovai sotto al tavolo Google.
Il mio bellissimo Labrador di appena sei mesi.
Quanto volevo bene a quell’animale. Dopotutto era l’unico amico che avevo.
Finita la cena, sparecchiai e caricai la lavastoviglie, salutai mia madre che usciva per andare al lavoro in ospedale, poiché questa settimana faceva il turno di notte,  e mi chiusi in bagno.
Guardai il riflesso nello specchio. Indossavo una larga maglietta nera e degli shorts, degli stivaletti beige e dei braccialetti colorati che avevo comprato al mare.
Non mi piaceva truccarmi pesantemente, infatti mi mettevo solamente il mascara, ma abbondavo parecchio con quest’ultimo. Mi piaceva molto l’idea di avere, in questo modo, l’occhio più grande.
Non mi ero mai sentita brutta ma non riuscivo ad essere sicura di me poiché nessuno mi accettava, nessuno mi capiva e non avevo amici. Non avevo nessuno a  cui appoggiarmi, nessuno di cui fidarmi.
Smisi subito di lamentarmi e scostai i capelli da una parte ma con il caldo che faceva il risultato era solamente una grande e vistosa macchia di sudore dietro al collo.
Perciò decisi di legarmeli in un’alta coda di cavallo. Afferrai il guinzaglio di Google e uscimmo insieme per la nostra solita passeggiata.
Arrivammo al parco e lo liberai. Lui amava correre per il prato e io amavo guardarlo. Mi ispirava sicurezza, libertà e anche felicità.
Non aveva prezzo guardarlo divertirsi a rincorrere i gatti.
Mi sedetti su una panchina con le gambe doloranti a causa degli esercizi in palestra svolti nel pomeriggio. Mi piaceva tenermi in forma. Ma amavo soprattutto nuotare. Era questo che facevo la maggior parte dei pomeriggi, i quali erano sempre tutti liberi.
Ero immersa nei miei pensieri quando sentii un gruppo di voci avvicinarsi. Sembravano tutti ragazzi. Chiamai Google ma, in quel momento, mi accorsi di averlo perso di vista e lui era svanito nel nulla.
Iniziai a correre disperata e lo cercai ovunque: dietro le siepi, dietro gli alberi, nell’area dei bambini ma non lo trovai. Come potevo averlo perso? Non poteva essere possibile. Non mi sarei mai arresa, però! Dovevo ritrovarlo!
All’improvviso sentii abbaiare. Google mi stava chiamando.
Un altro abbaio. Dove si era cacciato? Era in pericolo? Il mio unico amico in difficoltà? Dovevo aiutarlo! Ora ringhiava. Cosa stava succedendo?
Iniziai a correre nella direzione degli abbai, chiamandolo.
Quando girai l’angolo, però, mi trovai davanti tre ragazzi con di fronte il mio Google, spaventato, che appena mi vide mi corse incontro e si nascose dietro di me.
I tre si girarono e non mi ci volle molto per capire chi fossero. Li riconobbi subito.
Erano Justin, Tom e Mike.
I tre ragazzi “popolari” della scuola.





Spazio a me!
Siate buoni vi prego, e recensiteee!
E' la mia prima fanfiction. Recensite e fatemi sapere tutto ciò che pensate.
Baci. xxxxx

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Capitolo 3
*** Un incontro interessante. ***


-Oh guarda chi si vede!- disse Tom.
Lui era il più simpatico dei tre. Aveva dei capelli castani, sempre acconciati in un’impeccabile cresta, degli occhi scuri come la pece ed aveva una corporatura minuta ma muscolosa.
-C’è Miss Frullato!- disse sfacciatamente Justin.
Quanto odiavo quel soprannome! Lo avevo guadagnato poiché il primo giorno di scuola di quest’anno ero inciampata su una sedia nella mensa e avevo versato il mio delizioso frullato menta e cocco addosso alla mia professoressa di matematica: la signora Campbell.
Justin era, anche lui, castano e aveva dei bellissimi occhi verdi. Era il più grande e robusto dei tre. Provavi timore solamente a guardarlo. Era alto un metro e novanta e aveva delle spalle larghissime. Era sicuramente meglio averlo dalla propria parte. Purtroppo per me, non gli sono mai andata a genio.
Ma me ne sono sempre fregata. Non sono mai andata a piagnucolare dietro a loro come fanno tutte le ragazze della nostra scuola.
Non risposi alla loro provocazione. Mi limitai a guardarli male e riallacciai immediatamente il guinzaglio a Google.
Feci per andarmene ma qualcuno mi afferrò un braccio.
-Dove credi di andare, piccola?-
Era la voce di Mike. Quanto odiavo quella voce. E quanto odiavo che mi chiamasse piccola. Non che chiamasse solo me in quel modo. Tutte le ragazze per lui erano “piccole”.
Aveva una voce bellissima ma sfacciata e strafottente. Liberai immediatamente il mio braccio e risposi con un secco:
-Vado a casa.-
-Quanto sei acida Lily- disse Mike – sai, se non fossi così stronza saresti sicuramente la mia ragazza, hai così tanto potenziale.-
-Non sarò mai la tua ragazza Mike-
-Vedremo- rispose, facendomi un cenno con il capo e l’occhiolino prima di girarsi e iniziare a camminare nella direzione opposta alla mia.
Mike era al centro. Gli altri due gli camminavano rispettivamente uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Era lui il “re”. Gli altri due “lavoravano” per lui.
Ammettiamo, anche, che lui fosse considerato il ragazzo più bello della scuola. Era il sogno proibito di tutte, ecco. Tranne il mio. Aveva dei capelli neri, degli occhi azzurri, ed un fisico perfetto.
Indossava sempre delle magliette attillate che facevano scorgere i suoi addominali scolpiti.
Poteva incantare tutte, tranne me. E avrei continuato a provarglielo.

Ripresi a camminare per la mia strada.
C’era un leggero venticello che mi rinfrescava il viso e che faceva muovere gli alberi e danzare le foglie.
Adoravo quel posto. Aveva il potere di tranquillizzarmi.
-Simpatici quei tre, eh?- disse una voce sconosciuta da una panchina all’ombra. Non riuscivo a vedere nulla, e non sapevo chi mi avesse appena parlato così risposi incuriosita:
-Chi parla?-
-Mi chiamo Jake. Sono Jake Holly.-
Mi avvicinai, timorosa, alla panchina ma il buio era ancora troppo fitto per riuscire a vedere nulla così allungai la mano alla cieca e dissi:
-Piacere Jake, io sono..-
-Oh, io so chi sei tu-
-Davvero?- Ero incredula. Chi era quello sconosciuto che conosceva il mio nome?
-Si, tu sei Lily Fields.-
-Si-  ribattei balbettante e fu allora che lo vidi.
Si alzò in piedi e il lampione, finalmente, gli illuminò il viso. Era un ragazzo mozzafiato, uno di quei ragazzi che trovi solamente sulle copertine delle riviste di playboy o in qualche sfilata di moda.
Non riuscivo a capire come mi conoscesse. Provai a guardarlo meglio ma non riuscivo a pensare a nessuno in particolare. Fu quando mi guardò negli occhi che capii.
Erano degli straordinari occhi grigi, occhi che facevano invidia al mondo intero.
Era lui. Era proprio lui, era il bambino che avevo conosciuto sull’autobus in prima elementare.
A quel tempo mi ero appena trasferita in questa nuova città a metà del semestre di quell’anno e non conoscevo nessuno.
Quando salii sull’autobus i posti erano tutti occupati. L’unico posto libero era vicino a quel bambino. Quel bambino che fu il mio unico amico per qualche giorno. Quel bambino a cui volevo un bene dell’anima. Quel bambino che a sua volta si dovette trasferire con i genitori in California e che mi lasciò qui tutta sola, senza sue notizie.
-Jake?-
-Devo andare Lily, ci rivedremo presto-
Quelle furono le uniche parole che ci scambiammo perché lui, con un balzo, scavalcò la panchina sulla quale era precedentemente seduto e scattò verso l’oscurità senza lasciarmi nemmeno il tempo di controbattere.

Il giorno seguente andai a scuola con la speranza di incontrarlo. Non indossai nulla di speciale per l’occasione, anzi mi infilai dei lunghi jeans neri, una canottiera bianca e le mie blazer grigie.
Lasciai i miei capelli cadere morbidi sulle spalle e applicai il mascara sulle ciglia.
Arrivai in cortile e, superando la calca, mi rintanai nel mio solito angoletto, tutta sola.
Al suono della campanella, entrai in classe e mi sedetti sul solito banco, in fondo a destra, lontana da tutti.
Passavo tutte le mie giornate così. A vedere i miei compagni fare battute demenziali, a osservarli e criticarli da fuori. A volte mi chiedevo se, se fossi stata parte del loro gruppo sarei anche io diventata così cretina. Ma  tanto era inutile anche solo pensarci poiché rimanevo sempre in disparte, mai nessuno che mi coinvolgesse.
Jake non si era fatto vivo e per l’ora di pranzo, quando entrai in mensa, mi ero già convinta di essermi sognata tutto.
Mi sedetti al mio solito tavolo e iniziai a mangiare la mia insalata quando qualcuno scostò la sedia di fronte alla mia e si catapultò a sedere.
Cosa diavolo stava facendo quel qualcuno? Mai nessuno si era seduto vicino a me. Quello era il mio tavolo. Mai, prima di allora, nessuno lo aveva invaso.
Alzai gli occhi.
Davanti a me, in tutta la sua bellezza, c’era Jake.





Salve ragazze! Forse la storia sta diventando un po' noiosa ma vi prometto che già dal prossimo capitolo tutto prenderà un ritmo più ferrato!
Recensite! A presto!
Baci, Lindsay. xxxxx

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Capitolo 4
*** Pane e burro. ***


Mi pulii immediatamente la bocca con un tovagliolo mentre cercavo di non strozzarmi con il boccone che stavo ancora cercando di deglutire.
-Ciao bella, quanto tempo eh?- disse guardandomi intensamente e sollevando il labbro superiore come ad accennare una risata.
Quanto diavolo era bello?
Immersa nei miei pensieri e concentrata ad osservarlo non risposi così lui continuò:
-Sai, sei cambiata molto. Non sei più la bambina goffa ed impacciata di prima. Chissà quante cose sono successe da quando me ne sono andato. Anche la scuola è diversa.-
Si soffermò un attimo a guardare fuori dalla finestra e accennò un leggero sospiro prima di continuare:
- .. e anche il parco. Hai visto che hanno abbattuto il nostro albero?-
Si che lo avevo visto, ci ero rimasta molto male. La quercia era stata abbattuta da ormai quattro o cinque anni ma non c’era una volta che passassi lì davanti e che non mi ricordassi degli splendidi pomeriggi passati ad arrampicarmi insieme a Jake su quei rami.
Alcune volte ci stendevamo ai piedi della quercia e ci divertivamo a ridicolizzare le persone che passavano di lì. Amavo stare lì, ma soprattutto amavo stare con Jake. Una volta, mi ricordo, o meglio mi hanno raccontato, che Jake mi aveva riportato a casa in braccio poiché mi ero addormentata sulla sua spalla ai piedi dell’albero.
Quando lui si trasferì con i genitori in California, ero sicura che non lo avrei rivisto mai più. E quell’albero, in qualche modo, mi faceva sentire la sua presenza e me lo ricordava. Poi, con il passare degli anni e con l’abbattimento della quercia, lui non fu più il mio pensiero fisso.
Ma non ho mai dimenticato il viso di quel bellissimo bambino che ora è diventato un uomo assolutamente affascinante e che si trova, esattamente, seduto di fronte a me nella mensa della scuola. Aveva quegli splendidi occhi grigi dentro ai quali mi ci sarei potuta perdere, dei capelli castani acconciati in una grande cresta disordinata e il suo fisico era perfino migliore di quello di Mike. Quel giorno indossava una maglietta verde e scollata, dei jeans fino al ginocchio e delle Vans grigie. Avrei tanto voluto esser vestita meglio in quel momento.
Mentre lo guardavo, lo ascoltavo anche parlare.
Mi raccontava della nuova vita che si era ricostruito lontano da qui. Di tutte le esperienze che aveva vissuto. Mi disse, anche, di aver iniziato a lavorare come barista e di esser diventato un bravo giocatore di tennis.
Vedevo gli sguardi degli altri poggiati sul nostro tavolo. Soprattutto gli sguardi delle ragazze.
Probabilmente non riuscivano a capire come un ragazzo del genere potesse stare seduto con una come me. Vidi Melissa lanciarmi uno sguardo perfido ma allo stesso tempo sorpreso.
Melissa era la “reginetta” della scuola, nonché fidanzata di Mike. Loro due erano geneticamente programmati per stare insieme. Solo una cosa mi chiedevo: come faceva tutto quell’ego a stare in una relazione soltanto?
I miei pensieri furono interrotti da uno schiocco di dita. Mi girai immediatamente per trovare Jake che mi stava fissando deluso.
-Jake, scusa.. – dissi, profondamente dispiaciuta – mi sono incantata, non volevo..-
-Io parto e attraverso tutta l’America, vengo a trovarti e dopo tutti questi anni tu non mi ascolti nemmeno?- replicò lui.
-Mi dispiace, davvero. Prometto di ascoltarti sempre d’ora in poi.-
Non rispose e spostò leggermente la sedia indietro. Non volevo se ne andasse, volevo davvero che restasse con me. –Per favore, Jake, non andartene..-
-Scherzavo, stupida! Me lo ricordo bene come ti distrai tu!-
Fece un largo sorriso che fece sorridere anche me e aggiunse:
-Lily, ti voglio chiedere una cosa. Saltiamo le due prossime lezioni e andiamo a farci un giro? Ci sono davvero troppe cose che devo raccontarti e altrettante voglio sentirne da te! Ti prego..
Non fare la secchiona e accetta la mia proposta!-
-Accetto, accetto. - dissi ridendo e con un scatto mi alzai dalla sedia e iniziai a correre verso la porta. Attraversai i corridoi fino ad arrivare in cortile. Mi appoggiai ad un albero e aspettai di veder comparire Jake. Arrivò, dopo circa tre minuti, con il fiatone.
-Non sei cambiato del tutto, via. Sei lento come allora.-
-Brutta stronzetta, lo sai vero qual è il mio motto?-
-Certo che lo so, ma non conosco motto più stupido.-
-Ripetilo con me, forza!-
Quella frase mi fece ricordare di quando gareggiavamo e correvamo insieme attraverso i campi. Oppure di quando lo costringevo a venire a nuotare con me in piscina. Lo battevo in qualsiasi gara, e io adoravo vincere!
Allora con la voce più infantile di sempre ripetei insieme a lui:
-Chi va piano, va sano e va lontano.-
Parlammo per ore ed ore sulla panchina davanti al gelataio. Gli raccontai tutto. Di Google, della mamma che sarebbe stata felicissima a rivederlo, di come non avevo amici, dei pomeriggi che passavo in piscina e dei viaggi che avevo fatto. Infatti amavo viaggiare, almeno riuscivo ad evadere la realtà e a scappare da questo posto.
Poi gli dissi, anche, che era davvero diventato un bel ragazzo, ma non andai oltre poiché sarebbe stato troppo imbarazzante.
-Jake..- dissi insicura – tornerai di nuovo in California?-
-Ti prego, dimmi di no. Dimmi che resterai qui. Mi sei mancato tantissimo.-
A quelle parole gli si illuminò il volto. Il viso diventò raggiante e tutto a un tratto mi spostò i capelli lontani dal viso. Si avvicinò e mi diede un bacio sulla fronte prima di poggiare la mia testa sulla sua spalla.
-No piccola Lily. Rimarrò qui a proteggerti d’ora in poi.-
Quando lo sentii dirmi una cosa così dolce una lacrime mi scese sulla guancia e cadde sulla sua mano.
-Non ti lascerò mai più sola. Avrai sempre un amico su cui contare d’ora in poi. Ah, c’è anche un’altra cosa che voglio dirti da quando ti ho rivista.-
-Dimmi pure Jake.-
- Mike ha ragione.-
- Cosa? Mike non ha mai ragione. E’ solo uno sbruffone e un arrogante. Non può avere ragione. E poi, su che cosa?-
- Sulla cosa che ti ha detto l’altra sera al parco. Ti ha fatto capire che sei bellissima e che vorrebbe che tu fossi la sua ragazza. Non hai la minima idea di quanto lui abbia ragione e non hai nemmeno la minima concezione della tua bellezza ora. Sei, la ragazza più bella che io abbia mai visto. Non sto scherzando. Sei incantevole. Lily, sei bellissima. Hai il sorriso più bello di questo pianeta. E’ per questo che non posso credere che tu ti sia chiusa fuori dal mondo. Non sai quante belle esperienze avresti potuto vivere. E quanti bei ragazzi avresti potuto conoscere. Devi smetterla di sentirti uno sbaglio. Non sei uno sbaglio Lily. Sei più che perfetta per me. -
Si fermò a guardare l’orizzonte e il tramonto e io non seppi rispondere in modo adeguato a ciò che mi aveva detto.
Alla faccia del complimento che gli avevo fatto io. Non era niente in confronto a ciò che mi aveva appena detto.
- Jake.. grazie. Mio bellissimo e fidatissimo amico Jake. Non credo a tutto ciò che mi hai appena detto. Sarò bellissima secondo la tua opinione. Ma vedi, io sono così solo ed esclusivamente quando sono con te.
Non sarò mai così con nessuno. Sei tu che mi rendi “perfetta”. E vedi: questo sorriso ce l’ho solo quando sono con te.-
-Vorrà dire che tutti, d’ora in poi, ti conosceranno come ti conosco io. Farò in modo che sia così. Tutti devono avere il privilegio di incontrarti Lily Fields.- mi disse con la voce più dolce che conoscessi.
-Non mi lasciare più Jake. Non mi sono mai sentita così protetta da troppo tempo.-

Iniziarono così i due anni più belli della mia vita.
Io e Jake tornammo bambini. Stavamo sempre insieme, tutti i giorni. Mia madre fu, come previsto, super felice di rivederlo, Google gli voleva davvero molto bene.
Con lui non mi sentii più sola. Ma questa parte della mia vita fu molto più felice delle altre poiché mi aprii anche ad altre persone. Iniziai ad avere molti amici e ad uscire il sabato sera.
Conobbi diversi ragazzi e mi fidanzai diverse volte. Ma la cosa più importante era Jake. Ormai tutti ci conoscevano per le super-feste che organizzavamo e quando pensavano a me, pensavano automaticamente anche a Jake. Eravamo come pane e burro.
Ero felicissima di averlo di nuovo al mio fianco.
Troppo felice. Tanto che, piano piano,  mi resi conto di essermi innamorata di lui.
Conoscevo ogni sua singola parte del corpo a memoria, le sue espressioni e le sue stranezze. E lo amavo troppo. Ora, dovevo solo cercare il coraggio di dichiararmi.
 

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