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di grenade_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Welcome! ***
Capitolo 2: *** 2. Wrong Habits ***
Capitolo 3: *** 3. Breakeven ***
Capitolo 4: *** 4. New Born ***
Capitolo 5: *** 5. Jealousy ***
Capitolo 6: *** 6. A different kind of thief ***
Capitolo 7: *** 7. Bad News ***
Capitolo 8: *** 8. Punch ***
Capitolo 9: *** 9. Soulmates ***



Capitolo 1
*** 1. Welcome! ***



                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   A Federica, 
                                                                                                    mia personale musa ispiratrice e 
                                                                                                    amante sfegatata di questa donna.


Cercai di annodare la cravatta per l’ennesima volta, ma con lo stesso scarso risultato delle volte precedenti. Per quanto tempo e dedizione avessi impiegato per creare un banalissimo nodo avevo fallito tutte le volte, portandomi all’esaurimento e facendo crescere in me la voglia di liberarmi di quel pezzo di stoffa e gettarlo. Quanto difficile poteva essere annodare una cravatta? Non ne avevo mai indossata un’altra dopo il matrimonio di Greg, ed era stata mia madre a sistemarla, non io, per cui non avevo la minima idea di come si facesse, né che fosse così difficile. Sbuffai quindi inferocito davanti allo specchio, decidendo finalmente di abbandonare l’impresa. Mi appropriai del cellulare sul letto, che segnava le 19.  
Solo un’ora all’inizio, ed io ero in completo panico.
Sospirai passandomi le mani davanti agli occhi, consapevole di stare sembrando forse un disperato. Ma d’altronde era così tutte le volte, non ero certo nuovo a quelle sensazioni, ma le sentivo prendere il sopravvento su di me sempre, rafforzando la mia idea di essere un completo idiota, o un imbranato. Non sapevo nemmeno annodare una cravatta.
Il fastidioso suono del campanello si insinuò nel mio udito, facendomi sbuffare. Era da mesi che avevamo quella specie di lamento forzato al posto di un decente e senza dubbio più adeguato din, e non c’era verso perché venisse cambiato.
D’altronde sapevo che se non sarei stato io ad aggiustarlo, nessun altro lo avrebbe fatto.
Il campanello suonò una seconda volta, più insistentemente. E una terza ed una quarta, fin quando anche la mia pazienza traboccò.
Lasciai perdere la cravatta e corsi ad aprire, furioso.
«Cory se ti sei dimenticato le chiavi qui ancora una volta giuro che...»
Ma quando aprii non fu il solito sbuffo annoiato di Cory ad accogliermi, ma il premuroso sorriso di Elena, che adesso mi guardava un po’ scettica.
«Mi dispiace deluderti, ma non sono Cory.»
Un largo sorriso venne a crearsi automaticamente sul suo viso, «Non mi deludi affatto!»
Allargai le braccia e lei le allacciò al mio collo, unendoci nell’abituale abbraccio da orso che tanto ci caratterizzava.
«Che ci fai qui? Il viaggio da Mullingar è lunghissimo!»
Mi staccai dal suo abbraccio ancora sorridente, e lei fece spallucce. «Avevo voglia di vederti, fratellino» fu la sua risposta, «Non ti fai mai sentire, perciò ho pensato di farti una sorpresa! Spero solo tu l’abbia gradita.»
«Che domande sono?» sbottai offeso, «Ma non dovresti viaggiare nelle tue condizioni» la ammonii. Mi era mancata molto da quando avevo deciso di trasferirmi a Londra circa tre anni prima, ma non potevo evitare di preoccuparmi, sapendola prossima al parto.
«Non ti ci mettere anche tu adesso, il viaggio in aereo è durato pochissimo.» replicò. «E poi a lei è piaciuto!» aggiunse, accarezzando la pancia ormai diventata enorme. Quando l’avevo vista qualche mese prima il rigonfiamento si notava appena, mentre adesso era impossibile non accorgersene.
Era chiaro, dal sorriso ingenuo e dolce che esibiva, quanto desiderasse quel bambino. E non le importava se il padre del bambino fosse scappato via senza farsi più vedere, lasciando una donna di 25 anni ad affrontare una gravidanza e crescere un bambino da sola, mia sorella aveva deciso di tenerlo, perché niente l’avrebbe convinta a negare ad una piccola creatura innocente di venire al mondo e ricevere l’affetto che meritava. E sapeva bene che non le sarebbe mancato, perché per quanto si ostinasse a ritenersi adulta e responsabile, e noi sapevamo tutti quanto forte fosse davvero, l’intera famiglia le sarebbe rimasta accanto, sia per lei, che per il bambino.
«Come fai a sapere che è una lei? Sei diventata una ginecologa, o una veggente?» risi.
«Sono cose che una mamma sente nel cuore, mio caro Niall. E poi la tecnologia di oggi si è modernizzata, le ecografie sono delle grandi e utili invenzioni.»
Si chinò per raccogliere la valigia rimasta sulla soglia della porta ma la precedetti, andando a recuperare il bagaglio pesante al suo posto.
«Hai deciso di rimanere qui, quindi...» supposi, «per quanto tempo?»
«Un mese, credo... ho voglia di passare un po’ di tempo con te, mi manca fare la sorella maggiore» addolcì il tono, pizzicandomi le guance come era solita fare.
Sbuffai, infastidito da quel gesto. «Come facevi a sapere che non ti avrei impedito di restare?»
«Beh sono la tua sorellona, sono incinta, e so essere parecchio isterica e rompipalle, quando voglio.» rispose, quasi quelli fossero dei pregi.
Ridacchiai scuotendo la testa, fin quando il mio pensiero non tornò al suo stato fisico. «Sicura che sia una buona idea?» ricominciai, «Insomma, la tua pancia è...»
«La mia pancia è apposto, Niall» protestò, «Sono solo al settimo mese, e ce ne vorranno altri due prima del parto. Posso gestire nausee, vomito e altri disturbi intestinali anche qui, e perfettamente da sola. La vera domanda è, se tu vuoi che resti.»
«Certo che lo voglio!» ribattei, «Mi preoccupo soltanto della tua salute e del piccolo.»
«Della piccola» mi corresse. Sorrise e mi si avvicinò, posando una mano sulla mia spalla. «Lo so Niall, so di essere un po’ pazza per affrontare un viaggio in piena gravidanza, ma se ho deciso di farlo è perché so di esserne capace. Come so di essere capace di gestire la gravidanza anche qui.»
«Non lo metto in dubbio, ma...»
«E se avessi voluto sentire dei ma ad ogni mia frase me ne sarei rimasta tranquillamente a casa con mamma.» riprese, portandosi le mani alla vita, come mi stesse rimproverando.
Non potei fare a meno di ridere davanti a quella scena così familiare, che mi era mancata davvero tanto.
«Sono felice che tu sia qui, e che rimanga.» le confessai, sincero.
«E lo sono anch’io.» accordò, scambiandoci ancora un breve abbraccio. «Un po’ meno nel vedere questa casa ridotta a un semi porcile, ma farò qualcosa a riguardo.»
Ridacchiai guardandomi intorno e roteai gli occhi, notando un cartone di pizza ben in vista su quello che avrebbe dovuto essere il tavolino da salotto. Accanto delle lattine di birra e un enorme pacco di patatine, vuoti.
«E’ Cory, a fare tutto questo casino...» mi lamentai, cercando di ripulire il tavolino dallo schifo che il mio amico/coinquilino aveva creato.
«Cory...» ripeté lei sovrappensiero, «Dev’essere quello che dimentica sempre le chiavi...»
«Sì, è lui.» confermai.
«Ti sei scelto un coinquilino coi fiocchi, a quanto pare»
Annuii, senza nascondere una piccola risata. In realtà non pensavo fosse poi così male. Di certo non amava ordine né pulizia, e l’educazione non era il suo forte, ma era un buon amico, e avevo imparato ad apprezzarlo, negli ultimi tre anni.
«Come mai sei così elegante? Uscivi?»
Elena mi rivolse uno sguardo perplesso e curioso, e solo allora io mi ricordai di essere vestito come un damerino, e di non essere ancora riuscito ad indossare quella dannata cravatta. Per di più, di essere in ritardo.
Intanto mia sorella mi osservava a braccia conserte, in attesa. Non che fossi molto elegante nei miei jeans e le converse, ma indossavo una camicia, e sapeva bene quanto non mi piacessero.
«A dire il verso sì, stavo per uscire...» ammisi.
«Per andare dove, se mi è consentito saperlo?»
«Ad uno spettacolo di danza classica» fui sbrigativo, senza lasciarle intendere poi molto. Mi avviai verso la mia stanza alla ricerca della fatidica cravatta, e lei mi seguì.
«E da quando il mio fratellino è interessato alla danza classica?» chiese retorica, arcuando le sopracciglia. «Oh, aspetta» riprese, «E’ per Maddie che ci vai, vero?»
Mi bloccai nel mezzo della stanza, nel sentire il suo nome. O meglio, il suo soprannome. Le mie guance assunsero per certo un colorito rosso acceso, nel solo visualizzare il suo viso pulito nella mia mente.
Inspirai. «Sì, è per lei.»
Non potei vedere l’espressione di mia sorella, ma pensai avesse inclinato la testa verso destra, fiera di avere ragione.
«Ci vai spesso, ai suoi spettacoli?»
«Non ne perdo uno.»
Questa volta mi voltai a notare la sua reazione, e la vidi sorridere. «Mi fa piacere che voi due siate ancora così legati.»
Annuii, felice di poterlo affermare a gran voce.
Erano passati circa 13 anni dal nostro primo incontro e il nostro rapporto non era cambiato, era ancora lo stesso dei due bambini che si rincorrevano in giardino.
«Hai avuto modo di dirle cosa provi per lei, Niall?»
Ma bastarono quelle parole, quella frase, per ricordarmi che ero sempre stato io a rincorrerla. Lei non faceva che stare al gioco. Perché questo era per lei, un gioco. Eravamo ancora i due bambini che costruiscono coroncine di fiori, che fanno a gara sulle altalene per chi andasse più in alto, e rubano i biscotti di nascosto dopo cena.
La domanda era: sarebbe mai stata lei, a rincorrermi?
«Mi aiuti con la cravatta?» proposi a mia sorella, afferrando il pezzo di stoffa in questione e porgendoglielo.
Non avevo voglia di parlare di quell’argomento e lei lo capì, perché non si oppose alla mia richiesta, ma mi sorrise.
«Ecco fatto.» annunciò, quando la cravatta fu finalmente annodata al mio collo. «Direi che sei perfetto. Vero piccola, che zio Niall è il più carino di tutti?» domandò ancora alla sua pancia, con il tono più dolce che potesse assumere.
Le sorrisi. «Grazie. A tutte e due.»
Ricambiò. «Siamo sincere. E adesso và, altrimenti farai tardi!»
«Sì, vado. Ma tu sei sicura di poter restare qui da sola?»
«Certo che sono sicura, Nialler! Ti garantisco che non corro nessun rischio, mi sistemerò in salotto.»
Aprii bocca per ribattere contro l’ubicazione che aveva scelto come sua stanza da letto, ma non potei proferire parola, che Elena mi spinse fuori dalla mia stessa casa. «E salutami la piccola Lee!» si raccomandò, sbattendomi la porta in faccia.
Perlomeno non si poteva dire che non si sentisse già a casa.
 
La folla in teatro era opprimente. L’area era completamente piena, l’aria soffocante, ed ero circondato da una marea di uomini in giacca e cravatta e donne vestite elegantemente. Ammettevo di sentirmi un po’ a disagio nel mio abbigliamento un po’ inadeguato, ma ormai era troppo tardi per tornare a casa a cambiarsi.
Quindi mi feci coraggio e presi posto in una delle poltroncine rosse in seconda fila, spensi il cellulare che ormai segnava le 20.10, e cominciai a rigirarmi tra le dita il lembo della cravatta e farmi un po’ di fresco sventolando la mano, in attesa che lo spettacolo iniziasse.
Al mio fianco prese posto una donna bionda, che sarebbe potuta essere denunciata dalla protezione animali solo per la pelliccia che aveva indosso. Non mi notò nemmeno, accavallò le gambe e cominciò a farsi del fresco con il ventaglio che tirò fuori dal cappotto, gli occhi fissi sul palco. Provai una forte gelosia per quel ventaglio, si moriva di caldo lì dentro.
Dovetti aspettare un altro quarto d’ora prima che la folla si appiattisse e ognuno avesse preso il proprio posto, e le porte d’ingresso venissero aperte, per garantire la circolazione d’ossigeno. Alla signora snob alla mia sinistra s’era aggiunto un bambino fin troppo vivace alla mia destra, ed io avrei dato qualsiasi cosa per uscire di lì.
Negli spettacoli a cui avevo preso parte mi erano capitati quasi sempre compagnie indesiderabili, cominciavo a credere fosse una specie di maledizione. Ma lo avrei sopportato, per lei.
Ad annunciare l’inizio dello spettacolo furono l’abbassamento delle luci e le prime note di una tranquilla sinfonia, che si propagava in tutto lo spazio. Ad accompagnare la melodia il solito pianista, vestito nel solito modo.
Il tendone si aprì e la luce andò ad illuminare il palco, su cui primeggiavano tre ballerine, strette nello stesso tutù.
Tutte e tre sembravano delle bambole di un carillon, con chignon e trucco inclusi. Avevano pose diverse, ma ugualmente delicate ed eleganti.
La mia attenzione ricadde sulla ballerina al centro, i cui occhi si illuminarono, quando mi vide osservarla.
Mi rivolse la consueta linguaccia porta-fortuna, e poi cominciò a muoversi con le altre, in una danza magica e sovrannaturale che riusciva ad incantarmi sempre nello stesso modo. 


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Ciao a tutti!
Bene, sono tornata con una nuova fan fiction. 
L'idea mi è venuta parecchie notti fa, ascoltando due determinate canzoni. Mi è bastato unirle e la mia testolina ha elaborato la trama, e ha deciso di mettere stavolta Horan come assoluto protagonista. Non credo gli altri quattro verranno fuori nel corso della storia, forse una piccolissima comparsa.
Per chiunque volesse farsi un'idea dei personaggi, una mia amica ha realizzato un bellissimo
trailer riguardo la storia :)
Spero piaccia come inizio, non si capisce granché ahah
Alla prossima!



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Capitolo 2
*** 2. Wrong Habits ***



«Quindi diventerai zio, che cosa tenera!» fu l’esclamazione di Alex, dopo che le ebbi spiegato per bene la situazione.
Mi allontanai un secondo e sorrisi al signore di fronte a me, prima di servirgli il cappuccino che aveva chiesto. Quando tornai da lei, la trovai ancora con un sorriso dolce dipinto in viso, la testa tra le nuvole come al solito.
«Sì, in effetti ne sono felice» asserii.
Da piccolo l’idea di diventare padre non mi entusiasmava per niente, e nemmeno all’alba dei miei 19 anni le cose erano cambiate, ma quello dello zio era un buon compromesso: avrei potuto prendermi cura del bambino e farlo divertire senza l’incubo di doverlo fare per 24 ore di fila. Ma ora che mia sorella stava per diventare una ragazza madre ed era piombata in casa mia stravolgendo la mia vita come suo solito, non ero più così certo che sarei stato immune alle terribili notti insonni. Lei affermava di non essere preoccupata, che avrebbe potuto gestire le sue condizioni perfettamente e in modo autonomo, ma io non ero dello stesso avviso. E soprattutto non pensavo mancasse poi così tanto tempo al momento del parto, di cui lei era fermamente certa. Ma era mia sorella, non mi avrebbe dato l’occasione di vederla tesa neppure in piena gravidanza.
«Dovresti vederla, parla con la sua pancia come se il bambino fosse già tra le sue braccia. E’ un po’ inquietante, se ci penso.» ridacchiai.
Lei si unì alle mie risate, riprendendo a sciacquare le stoviglie di cui stava occupandosi prima della mia gran notizia. «Credo sia un normale atteggiamento da madre, non è affatto strano. Quando mia madre era incinta del mio fratellino la sentivo fare intere conversazioni da sola, pensa tu!» gracchiò lei.
«Spero proprio di non esserne testimone!»
Non poté fare a meno di ridere, afferrando lo strofinaccio sul bancone. «E’ una cosa dolce, invece. Ogni madre tiene il suo bambino in grembo per 9 mesi, e sa che quello è l’unico periodo in cui è completamente suo, perché una volta venuto al mondo dovrà condividerlo con un partner innanzitutto, poi parenti e diverse altre persone. Così ne approfitta.»
Riflettei sulla sua versione dei fatti, e mi ritrovai a sorridere. Aveva ragione, Elena stava semplicemente sperimentando quella gioia di essere madre che non le era mai appartenuta e che è così rara e naturale da essere nuova a tutte le altre, e la rendeva colma di felicità. Da quando aveva scoperto di essere incinta non aveva mai abbandonato il sorriso, neppure quando James le aveva esplicitamente detto che non si sarebbe preso cura né di lei né del piccolo, e aveva continuato ad andare avanti e vivere le sue giornate con immensa allegria e speranza, inondando d’affetto e amore la piccola creatura che cresceva nella sua pancia, e che la stava rendendo una donna del tutto rinata.
E Alex sembrava essere l’incarnazione un po’ più giovane di quella che sarebbe stata una donna responsabile e una madre premurosa, capace di sottomettere la sua felicità a quella delle persone che amava e che la circondavano. Anche alla mia, quando si era offerta di coprire anche i miei turni alla caffetteria per permettermi di rimettermi da un semplice e banale raffreddore.
La conoscevo e lavoravamo insieme in quella caffetteria londinese da quasi un anno, e a distanza di 365 giorni non avevo ancora trovato un difetto in quel suo sorriso timido e l’aria sbarazzina, infantile. La prima impressione che mi aveva trasmesso quando mi si era presentata, vittima perenne dell’estremo imbarazzo che la rappresentava, era quella di una persona timida, gentile e amichevole, seppure un po’ introversa, e ora pensavo che quegli aggettivi non le rendessero giustizia: Alex era la persona più umile e altruista che conoscessi, la migliore amica di cui ci si potesse fidare, e una ragazza davvero matura e seria, per i suoi soli 18 anni. Inutile dire andassi davvero d’accordo con lei e costituisse per me una specie di diario segreto, al quale raccontare ogni mio segreto e paura, senza il rischio di essere giudicato o che qualcun altro venisse a conoscenza delle mie confessioni, perché lei le avrebbe tenute al sicuro.
«Dimmi un po’, non vorrai diventare mamma così presto, eh Alexandra?» stuzzicai la mora, appena tornata dopo aver servito delle brioche a dei bambini, a cui sorrideva ancora.
Lei si imbronciò nell’udire il suo nome completo che tanto detestava, non si sa per quale motivo, e con cui io mi divertivo a provocarla, ridendo della sua espressione corrucciata. «Ammetto di sentirmi un po’ troppo giovane per un incarico e una responsabilità simili» rispose comunque, «ma sì, mi piacerebbe e voglio diventare mamma. In futuro prossimo però, quando non avrò dei caffè da preparare.»
Sfuggì alle mie risate andando ad azionare la macchinetta per il caffè e riscaldare del latte, ed io andai ad affiancarla, ricevendo l’ordine di un caffè e un cornetto alla crema.
«Magari potrai fare della pratica con mia nipote, quando sarà nata. Elena avrà bisogno di riposarsi, e toccherà a me prendermi cura della piccola.»
«Avrei una paura folle di farla piangere o farla cadere per terra.» commentò sovrappensiero, attenta a non riempire la tazzina fino all’orlo, «E poi è solo al settimo mese, non credo partorirà qui, a meno che non decida di restare più a lungo.»
«Chiamalo pure presentimento, ma penso che passerò un bel po’ di notti in bianco per lei, prossimamente.»
«Come sei esagerato!» sbottò lei, divertita, mentre andava a servire un cappuccino ad una donna sulla trentina «Un bambino è sempre un angelo e un dono e va protetto e coccolato, e tu non puoi lamentartene, perché sarai il suo zietto preferito.»
Anche lei pizzicò la mia guancia tra le dita, come faceva Elena, e si allontanò, chiedendo gli ordini di una coppietta seduta ad uno dei tavolini alla finestra. Io scossi la testa, recuperando il cornetto per il signore quasi del tutto calvo che avevo di fronte, impegnato in una telefonata al momento.
Alex tornò al bancone dopo qualche secondo, e cominciò a elogiare l’amore e il romanticismo tra i due che aveva appena servito. Continuammo a chiacchierare per un bel po’, tra un ordine e l’altro, fin quando la porta della caffetteria si spalancò, e un ragazzo con addosso una felpa verde e il ciuffo biondo acconciato in un boccolo, si riparò all’interno, rabbrividendo quando prese posto ad uno degli sgabelli.
«Fanculo, odio Londra.» borbottò, cercando di riscaldarsi stringendosi e accarezzandosi frenetico le braccia.
Alzai gli occhi esasperato, ormai abituato a quella comica scenetta. «Fine e di buon umore come sempre, eh Cory?» commentai retorico, osservando Alex ridacchiare mentre preparava un caffélatte.
Lui alzò gli occhi, decidendosi finalmente a calare il cappuccio della felpa. «Non tutti siamo allegri e pimpanti di primo mattino come te, Horan.» sputò sprezzante, «E in questa città fa sempre un fottuto freddo.»
«La accetterei come scusa, se solo non fossero le 11.30. E’ quasi ora di pranzo, e tu hai l’aria di uno appena caduto dal letto. E siamo a Londra, non ai Caraibi, nel caso non te ne fossi accorto.»
Alex rise ancora, mentre io continuai ad asciugare dei bicchieri, sotto lo sguardo furioso di Cory.
«Ho l’aria» iniziò, disegnandosi un finto sorriso, «di uno che non può nemmeno gironzolare nudo in casa sua, perché il suo coinquilino sempre felice come un Teletubbies non lo ha avvertito che sua sorella è venuta a trovarlo e resterà con loro per un mese. 30 fottutissimi giorni che passerò a nascondermi da lei, perché ho appena fatto la figura di merda peggiore di tutta la mia vita.
Fai lo spiritoso adesso, così potrò tirarti un calcio nelle palle e porre fine alla tua esistenza una volta per tutte, come tu hai fatto con la mia.»
Non potei fare a meno di ridere alle sue parole, immaginando la reazione di mia sorella a quella visione inaspettata, e la seguente di Cory, che doveva essere arrossito più di come avesse mai fatto in tutta la sua vita, e poi scappato a nascondersi, imprecando in tutte le lingue possibili e chiedendosi cosa ci facesse una donna incinta nel salotto di casa sua. Il suo camminare in giro nudo per casa era qualcosa che detestavo, e almeno adesso avrebbe smesso di farlo.
Alex aveva gli occhi spalancati e si tratteneva dal ridere, mentre la signora accanto a lui tossicchiò a disagio, quasi a voler sottolineare la sua presenza.
Cory grugnì irato e si tirò di nuovo il cappuccio in testa, accasciandosi con la testa sul bancone. «Fottiti, Horan. Fottiti.» piagnucolò.
Smisi di ridere e mi lasciai sfuggire un aw derisorio, che lo irritò di più, tanto da alzare il capo e guardarmi negli occhi, uno sguardo intimidatorio che non avrebbe potuto fare altro che farmi ridere, anziché spaventare.
«Sta’ tranquillo Cory, è una donna adulta e una quasi madre, non si sarà scandalizzata così tanto, e poi si dimenticherà presto delle parti anatomiche del tuo corpo.» cercai di rassicurarlo, sebbene non riuscissi ad abbandonare il sorriso derisorio.
«Ma non sarò io, a dimenticarlo!» riprese, attirando l’attenzione di un gruppetto di persone. Si costrinse quindi ad abbassare i toni della voce, e «Tua sorella mi ha visto nudo, te ne rendi conto? Non potrò più guardarla in faccia senza arrossire come un idiota, adesso. E lei senza ridere.» sibilò.
«Io dico che esageri.»
«Io dico che avresti potuto dirmelo, invece!»
«Non pensavo non te ne accorgessi... Dorme in salotto, non in una stanza nascosta, l’avresti vista dormire al tuo ritorno a casa.»
«La prima e unica cosa che ho fatto una volta tornato a casa è stato buttarmi sul letto e dormire, non controllare se ci fossero sconosciuti nel mio salotto. Perché suppongo che, se ci sono, il mio coinquilino mi avviserebbe. Ma a quanto pare mi sbagliavo.»
Colsi ancora la punta di astio nella sua voce e sbuffai. «Il tuo problema è che a volte pensi che non ci sia neanche io in quella casa. Dove sei stato ieri notte?» attaccai con l’interrogatorio, sicuro di volgere il coltello dalla parte del manico dalla mia parte.
Sospirò, guardandosi attorno. «Ad una discoteca in centro.» rispose poi, già stanco di dovermi dare spiegazioni.
«E a che ora sei tornato stavolta? C’era ancora buio in giro o era già spuntato il sole? Così, tanto per regolarti. Ormai non riesci a trovare le differenze tra le due cose.»
Normalmente non mi impicciavo della vita di Cory, aveva il diritto di farne ciò che voleva, ma ultimamente la sua routine cominciava a preoccuparmi. Da quando era stato licenziato come aiuto meccanico nell’officina del padre di un suo vecchio amico la sua vita si alternava tra lunghe dormite, sessioni di tv e serate in discoteca, e non tornava a casa mai prima della mezzanotte. Avevo perso l’abitudine di aspettarlo sveglio da una settimana, abituandomi a vederlo in caffetteria il giorno dopo, esausto come avesse fatto chissà cosa. Ma adesso che Elena avrebbe vissuto con noi avrebbe dovuto cambiare le sue abitudini, ed era meglio avvertirlo.
Mi rivolse un’occhiataccia, come sempre «Alle 2, credo. Vuoi sapere anche quante volte sono andato al bagno stamattina e quanto tempo sono stato sotto la doccia o va bene così?»
Questa volta fu il mio turno di strizzare gli occhi, fulminandolo con il solo sguardo. «Dovresti smetterla di tornare così tardi, sembri un rincoglionito il giorno dopo.»
«Tu invece sei più fortunato, sembri un rincoglionito comunque.»
Restammo a fissarci per qualche secondo, fin quando entrambi non scoppiammo in un sorriso, che avrebbe determinato la fine di quella strana discussione. Era sempre la stessa storia con Cory, non avremmo saputo sostenere un litigio per più di qualche minuto, perché avremmo finito col sembrare quasi madre e figlio, e riderne. Ma d’altronde lo preferivo così, non sopportavo i suoi musi lunghi e le sue occhiatacce.
«Almeno sei riuscito a concludere qualcosa con Lucy?» domandai quindi, ricordando la sua ossessione temporanea per la castana. Avrebbe cambiato preda tra qualche giorno, ormai aveva deciso di abbandonare le relazioni serie e stabili, dopo l’ultima batosta di cui non sapevo granché, visto che si rifiutava di parlarne.
Scosse la testa, mentre sbadigliava. «Ma non mi interessa più, ormai. E tu? Lo spettacolo di Maddie?»
Non risposi a quella domanda. Non solo perché il panico e l’ansia mi assalivano al solo dover raccontare di lei e dei suoi spettacoli, ma perché Alex arrivò alle mie spalle, salvandomi dall’imbarazzo.
«Cory!» lo salutò, seppur timidamente. «Sembri stanco. Vuoi che ti porti qualcosa?»
Quello le sorrise, e avvertii Alex rabbrividire, al mio fianco.
«Il solito.» disse semplicemente, riferendosi alla ciambella al cioccolato e frappuccino con spruzzo di vaniglia che prendeva ogni mattina.
Allora Alex annuì timida e si allontanò, tesa come una corda di violino. Teneva la schiena dritta e lo sguardo fisso su ciò che faceva, senza accennare a voltarsi verso di noi.
«Secondo me le piaccio.» fu allora il commento sensato di Cory, che mantenne gli occhi fissi su di lei, «Hai visto cosa fa quando le sorrido? Arrossisce, spalanca gli occhi e comincia a balbettare, e non mi guarda più. Si imbarazza.»
Avrei voluto dirgli che era l’unico a non essersene accorto ormai, che non passava giorno in cui lei non aspettasse di vederlo arrivare da quella porta e sorridere ingenuamente, che lui le rivolgesse la parola e le sorridesse, mentre lei gli porgeva il suo solito ordine. Che si sentiva terribilmente a disagio quando restava a fissarla per troppo tempo, e fuggiva a far finta di dover fare qualcosa quando lui mi raccontava l’ennesima scappatella.
Ma Cory avrebbe dovuto capirlo da solo, come avevo fatto io. E anche se morivo dalla voglia che quell’idiota cominciasse a vederla come la ragazza straordinaria che era e non la semplice cameriera, non potevo tradire la fiducia di Alex, quindi «Lasciala stare, è troppo pura ed innocente per far sì che tu ti prenda gioco di lei.» mormorai, attento a non farmi sentire da lei.
Cory sbuffò e prese a guardarsi in giro, e uno strano sorriso lo attraversò quando si voltò verso di me, schioccandomi un’occhiata strana. «Preparati amico, perché la tua ballerina sta per arrivare.» sghignazzò.
«Arrivare dove?» ebbi il tempo di chiedergli, ma capii quando Madison entrò dalla porta principale, stretta nel suo cappotto e la sua sciarpa, i capelli a svolazzarle attorno schiacciati dal cappellino di lana. Bellissima.
Si guardò in giro e mi sorrise quando mi individuò, ed io dovetti trattenermi ed inspirare forte come al solito, per non arrossire davanti al suo naturale sorriso.
«Nialler!» esclamò, cercando di abbracciarmi nonostante il bancone a dividerci. «E Cory, ciao.» gli sorrise.
Cory le rivolse un mezzo sorriso sghembo, sorseggiando il suo frappuccino, e così lei tornò a concentrarsi su di me. «Perché sei scappato ieri? Non ti ho visto, alla fine dello spettacolo.»
Boccheggiai, in cerca di una valida scusa. La verità era che avevo assistito all’intero spettacolo, ma quando le luci si erano riaccese e Madison era corsa a baciare Ethan, la gelosia aveva preso il sopravvento e me n’ero andato, incapace di sopportare di vederli insieme, e di trattenere le lacrime, se solo fossi rimasto.
«Non sono potuto restare.» la buttai lì, catturando lo sguardo confuso della mora e quello più sospettoso di Cory. Ma poi l’idea arrivò, e mi rilassai e «E’ che Elena è venuta a trovarmi ieri, resterà qui per un po’, e nelle sue condizioni non volevo restasse da sola, perciò...» cercai di spiegarle, sorridendole poi. Cory roteò gli occhi, come ogni volta che le raccontavo una bugia, pur di non ammettere la mia insuperabile e insormontabile cotta per lei.
«Elena? Tua sorella, Elena?» mi interruppe lei, all’improvviso non più interessata alle mie false giustificazioni ed esaltata. Annuii, e «Ma è fantastico!» esclamò lei, «Non la vedo da così tanto tempo!»
Cory si lasciò scappare un sorrisetto amaro a quell’affermazione, forse ricordando l’incidente di quella mattina, ed io sorrisi.
«Mi piacerebbe così tanto vederla...» mormorò malinconica, quasi stesse parlando con sé stessa e non con me, fin quando «Potrei venire a cena da voi, stasera!» propose, includendo stavolta anche Cory nella conversazione.
Quello che feci fu voltarmi appunto verso di lui, incerto se darle o no il mio consenso, ma lui si strinse nelle spalle, annuendo indifferente.
«E’ una buona idea, Maddie.» sorrisi con lei, egoista dell’idea che finalmente avrei potuto passare una serata con lei, senza quell’Ethan attorno.
«Perfetto!» riprese lei entusiasta, «non vedo l’ora!»
«Evviva.» commentò incolore Cory, che diede un morso alla ciambella.


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Soooono tornata! 
Non ho idea di quanto tempo sia passato dal primo capitolo, ma ho pubblicato il secondo ahaha
Qui compaiono Alex, Cory e Maddie :) (Cory è il mio preferito ma shh)
bene, mi dileguo ahah
ho notato che già tre persone hanno messo la ff tra le seguite e mi fa molto piacere, magari potreste anche lasciare un commento, se vi va? ahah 
a presto! :)

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Capitolo 3
*** 3. Breakeven ***


 
«Credo di aver trovato la mia donna ideale.»
Le grida di esultanza per il goal appena segnato dal Bayern Monaco mi giunsero ovattate quando Cory si gettò a peso morto sul divano, che scricchiolò sotto il suo peso.
Aggrottai la fronte mentre distoglievo lo sguardo dal televisore per puntarlo su di lui, che nemmeno mi guardava. La sua attenzione era puntata sulle due donne che parlottavano e ridevano in cucina, tra cui Alex.
«Alex?» azzardai quindi, sorpreso e un po’ speranzoso. Avevo avuto la brillante idea di invitarla a quell’inaspettata cena tra amici giusto un secondo dopo che Cory se n’era andato. Sapevo non avrebbe accettato l’invito davanti a lui, troppo imbarazzata persino dal respirare la sua stessa aria, ed io non potevo assolutamente permettere che il mio piano da cupido andasse in fumo.
Fu per questo che ci rimasi un po’ male quando «No, che ti salta in mente!» ribatté il mio amico con una smorfia, «Io parlavo di tua sorella.»
«Sul serio?!» sbottai d’istinto, «Cory è una donna incinta e anche mia sorella, spero tu non faccia pensieri strani su di lei...»
Il mio amico si voltò di scatto a quell’insinuazione dal tratto minaccioso, e i suoi occhi si spalancarono. «Non sono mica un maniaco, Niall! Non ci penso nemmeno a fare il cascamorto con lei, non ho dimenticato il modo in cui ci siamo conosciuti...»
Un leggero velo di imbarazzo gli colorò le guance al ricordo della figuraccia fatta quella stessa mattina, ed io non potei fare a meno di scoppiare a ridere, irritandolo a tal punto da spegnere il televisore che fissavo da circa un quarto d’ora.
«Sì, credo anch’io che tu non abbia possibilità con lei.» asserii infine, divertito.
Sbuffò, irato dal mio deriderlo. Ma quando si voltò a fissare di nuovo le due, un sorriso gli comparve sul volto. «Voglio dire» chiarificò, «che se mai dovrò scegliere una donna con cui passare il resto della mia vita, lei sarà il mio punto di riferimento. E’ bella, divertente, alla mano, cucina... E non credo che la casa abbia mai avuto un aspetto o un odore migliore.». Sorrise e inspirò poi in riferimento all’ultima frase, «Lavanda...» sussurrò estasiato.
Roteai gli occhi ma sorrisi, nel vedere la sua espressione da idiota mentre respirava l’aria del salotto – e di qualsiasi altra stanza in casa – impregnata di lavanda, il cui odore copriva persino quello della cena proveniente dalla cucina.
Aver supplicato mia sorella di non pensare a niente e rilassarsi durante la mia assenza quella mattina non era servito a nulla, come mi aspettavo dopo essermi chiuso la porta alle spalle. Elena aveva ripulito tutte le stanze, riordinato tutti gli armadi, curato le piante sul balcone, sistemato gli armadietti in bagno e impregnato l’aria di quel fastidioso deodorante per ambienti, così forte da darti l’impressione che fossi tu ad emanarlo. Avevo fatto due docce dopo il lavoro, e ancora mi ritrovavo con quell’aroma di lavanda nel naso e sulla pelle.
Ogni angolo della casa brillava, e tutti i nostri vestiti erano stati lavati, stirati, e catalogati negli armadi secondo diverse categorie come stagione, tessuto, colore e probabile utilizzo. E per completare in bellezza l’opera di disobbedienza al fratellino minore aveva organizzato una super cena, entusiasta dell’idea di rivedere Maddie e conoscere Alex.
«Non potrebbe restare con noi per qualche anno? Comincerei persino ad alzare la tavoletta del water, per lei.»
Di nuovo incurvai le sopracciglia, di fronte all’immagine rilassata di Cory. Era incredibile il suo spirito di adattamento: si era già abituato a vedere mia sorella gironzolare per casa, nonostante il disagio del loro primo incontro, e provava tanta stima e ammirazione nei suoi confronti da considerarla la sua “donna ideale”. Elena sembrava andare d’accordo con il suo lato esuberante e fintamente arrogante, mentre io invece, non mi ero ancora abituato allo stato pietoso e catatonico del mio coinquilino al mattino presto (che per lui non era mai prima delle 11).
«Che gesto da galantuomo...» commentai ironico, «Sono sicuro apprezzerà...»
«Forse le chiederò di sposarmi, prima che vada via.»
«Non era Barbara Palvin, la tua futura sposa?» risi.
Inclinò la testa, a valutare la cosa. «Beh posso sempre farci un pensierino, su Barbara...»
«Qualsiasi cosa tu stia blaterando Cory, vieni ad apparecchiare»
La voce severa di mia sorella scatenò qualche risata e fece scattare il biondo in piedi come un soldato, che corse in cucina dopo aver sibilato un «Ai suoi ordini, comandante Horan Senior!»
Spalancai gli occhi, sbigottito: non sapevo nemmeno Cory potesse distinguere una forchetta da un cucchiaio, non si era mai posto il problema, e adesso correva ad eseguire gli ordini di mia sorella, che gli affidava mansioni a lui del tutto sconosciute.
Elena invece scosse la testa esasperata, quasi fosse alle prese con un figlio pestifero, e quella fu la prima volta che pensai a lei non solo come sorella maggiore o donna quasi adulta, ma come madre. Già immaginavo il modo in cui avrebbe bacchettato suo figlio, impedendogli di poltrire davanti alla televisione o i videogames e costringendolo a riordinare la sua stanza almeno una volta al giorno, esattamente come faceva con me. Sfortunatamente per lei, non era mai riuscita nell’intento di trasformarmi in un fratellino obbediente ed ordinato.
Vedere Cory e Alex l’una al fianco dell’altra mentre armeggiavano con piatti e posate fu una bella sorpresa, se non altro perché si sorridevano. Per la prima volta, lui sembrava trovarsi davvero a suo agio con la mora. Mentre lei rideva per qualsiasi cosa, talvolta sembrando un po’ ridicola, ma il rossore sulle guance non l’avrebbe mai abbandonata.
Alzai lo sguardo sull’orologio affisso alla parete di fronte a me, e le mie labbra si piegarono istintivamente in un sorriso, quando sentii il solito lamento forzato che costituiva il suono del campanello. In ritardo, come sempre.
«Niall, puoi andare tu ad aprire?» soffiò mia sorella, probabilmente impegnata ai fornelli.
Scattai in piedi come un razzo, ed ora ero io a sentirmi ridicolo, non Alex. Corsi ad aprire e il fiato mi si mozzò, come ogni volta che Maddie mi abbracciava, inebriandomi del suo dolce profumo. Sapeva del suo shampoo alle pesche, del suo bagnoschiuma all’estratto di magnolia e del suo deodorante allo zucchero filato, che consumava in proporzioni di un flacone a settimana. I suoi abbracci sapevano di corse nel prato, gare di altalene, cadute nel fango, risate, promesse, e uno smisurato affetto. E la mia pelle, ora a contatto con la sua, sapeva di lei.
Rimasi qualche secondo a stringerla nelle mie braccia, nell’attesa dei due consueti baci sulle guance.  «Ciao, James» mi salutò lei, il suo radioso sorriso a provocare il mio, «Sono in ritardo, lo so, ma giuro di avere una buona...»
«Maddie!»
L’esclamazione di mia sorella ci costrinse a voltarci entrambi verso la cucina, da dove lei usciva con un enorme sorriso sul volto. Vidi Madison spalancare occhi e bocca incredula, e subito dopo abbandonò il mio abbraccio, per tuffarsi tra le braccia di mia sorella.
«Piccola Lee!» la strinse la bionda, «Ti ricordavo con jeans e maglioni!» la punzecchiò, e solo allora notai l’abbigliamento della mora. Indossava una camicia bianca a maniche lunghe ed una gonna blu abbinata alle calze, e la sua irrimediabile bassezza era stata camuffata da un paio di tacchi, tanto che adesso arrivava all’altezza di Elena senza alcun problema. Aveva i capelli sistemati in soffici boccoli che le ricadevano sulle spalle, e il suo sorriso luminoso era l’accessorio che più la rendeva meravigliosa ai miei occhi.
Mi accorsi di stare fissandola solo quando Cory tossicchiò, spalancando gli occhi e puntando gli occhi verso un punto indefinito, forse a voler imitare il mio sguardo in quel momento. Alex ridacchiò inevitabilmente, mentre io mi limitai a lanciargli una semplice occhiataccia.
«Sono cresciuta! Io invece ti ricordavo più magra...» scherzò Maddie, andando ad accarezzarle la pancia.
«Ma guarda che simpatica che sei diventata!»
«Ma sei comunque bellissima.» si addolcì, lasciando che il suo sguardo scorresse ancora una volta sul pancione di mia sorella. «Stai bene?» cambiò poi il suo tono, stavolta pieno di premura e preoccupazione.
Elena sbuffò. «Sto benissimo.» affermò decisa, «E smettetela di farmi tutti la stessa domanda, una gravidanza non ha mai ucciso nessuno.»
Con un’alzata di spalle si separò da Maddie che scosse la testa divertita, e si fermò a voltarsi solo quando scoprì che tutti quanti avevamo conservato il nostro posto, senza muoverci a seguirla come forse lei si aspettava facessimo.
«Allora, cosa aspettate? Volete che vi chiami a tavola uno ad uno, come i bambini?»
Alcune risate si innalzarono nella stanza, e il primo a scattare fu Cory, che presto fu al suo fianco, un braccio a cingerle le spalle. «Muoio di fame!» esclamò, avvicinandosi a lei tanto da schioccare un bacio sulla sua guancia, poi correre in cucina.
Intravidi Alex alzare gli occhi al cielo e ridacchiare, prima che anche lei seguisse il suo pseudo ragazzo, forse preoccupata che ripulisse tutto prima che tutti avessimo preso posto a tavola.
«Voi due? Rimanete a digiuno?» domandò ancora Elena, affacciandosi dalla cucina come una bambina.
«Arriviamo.» la accontentò Madison, voltandosi poi verso di me con un sorriso sincero stampato in volto.
La osservai mentre mi veniva incontro, e non potei fare a meno di notare l’espressione ammaliante che mia sorella aveva sul viso, il suo sorriso derisorio e le sue dita a formare un cuore, mentre mi rivolgeva un fastidioso occhiolino.
Conosceva bene la mia strabiliante cotta per la mia migliore amica, e non c’era dubbio si divertisse un mondo, a irritarmi con i suoi gesti e le battutine ironiche.
Ma quando mia sorella scomparve di nuovo nella stanza, il mio sguardo si concentrò sulla ragazza che mi si era avvicinata, e aveva portato un mio braccio a circondarle le spalle.
«Non è cambiata affatto, eh?» commentò divertita.
Scossi la testa. «Spero non cambi mai, in realtà.»
Per quanto fastidiosa e assuefacente fosse la presenza di mia sorella, mi piaceva averla di nuovo attorno. E non potevo negare provassi un grande affetto e stima nei suoi confronti, sebbene ogni tanto mi facesse arrabbiare, come da piccoli. Ma avessi avuto la possibilità di cambiare qualcosa in lei, non lo avrei fatto.
Annuì. Una risatina fuoriuscì dalle sue labbra, prima che «Io spero abbia cambiato la sua cucina, altrimenti ci ritroveremo davvero a digiuno.» scherzasse.
Mi unii a lei con le risate, «Nel caso dovesse esserci qualcosa di tossico in quello che ha cucinato, Cory ci avvertirà.»
 
Oh these times are hard, and they’re making us crazy, don’t give up on me baby...”
Le ultime note di For The First Time si dispersero nelle mie orecchie, ed io mi decisi finalmente a sfilarmi gli auricolari, per poi alzare gli occhi al soffitto giusto qualche secondo dopo. Tutto ciò che riuscivo a sentire erano risate incontrollate e piccole urla divertite provenienti dal salotto, da dove ero fuggito per avere un po’ di tranquillità.
La cena era andata più che bene. Elena ci aveva sorpresi con la sua buona cucina, e non avevamo smesso di parlare nemmeno per un momento, a tavola. A parlare erano state soprattutto mia sorella e Madison, contente di potersi finalmente raccontare tutto ciò che gli accadeva, ma anche io avevo partecipato, mentre Cory blaterava e Alex era rimasta in silenzio, ad ascoltare.
Vedere mia sorella e la mia migliore amica parlottare e raccontarsi una moltitudine di avvenimenti era stato quasi come assistere alla conversazioni tra due ragazzine, che approfittano della ricreazione a scuola per spettegolare. In poco meno di tre ore Madison aveva informato mia sorella di ogni genere di persona vivesse lì a Londra, dai tipi loschi e manipolatori con cui si trovava ad avere a che fare pressoché ogni giorno ai più riservati, che uscivano da casa solo per fare la spesa. E la bionda non si era risparmiata di raccontarle ogni dettaglio delle vite dei cittadini di Mullingar: matrimoni, divorzi, nuove nascite e vecchie celebrità cittadine, ora perlopiù relegate in casa quasi tutto il giorno.
Ritrovarsi era stato proficuo senza dubbio per le due, che avevano ritrovato la vecchia amicizia che sembravano aver sempre condiviso. In effetti Madison era sempre stata una calamita per l’intera famiglia Horan, che persino mio padre la adorava. E avevamo passato una bella serata, in compagnia.
Il motivo per cui mi ero rinchiuso in camera una mezz’ora dopo la fine della cena, era stato il degenerare della situazione. Ero quasi certo mia sorella e Cory fossero completamente ubriachi, ed io avevo deciso di sottrarmi a quel pericoloso giro di cicchetti, che sembravano divertirli tanto. Non amavo l’alchool, quindi avevo pensato di lasciarli fare, anziché rovinargli il divertimento con le mie lamentele.
Ma ancora ridevano, segno che non erano ancora crollati.
Ed io sbuffai, arricciando poi il naso quando il mio olfatto venne a contatto con qualcosa di forte e nauseabondo. «Lavanda», borbottai irritato.
In quel momento la porta si aprì, lasciando vedere il viso aggraziato di Maddie. «Posso entrare?» fece, quasi sussurrando.
Annuii, spostandomi automaticamente su un lato del letto, lasciando che lei si distendesse sull’altra metà del materasso. E come ogni volta mi circondò la vita con le braccia, e poggiò il capo sul mio petto.
«Cory è crollato sul tappeto.» commentò divertita.
Roteai gli occhi. «Come sempre.»
«E l’innocente Alex è un po’ brilla, sai? Non credevo potesse bere qualcosa di diverso dalla sua acqua minerale...»
Ridacchiai, per niente sorpreso da quella rivelazione. «E’ il potere di Elena, riesce a mettere a proprio agio chiunque.»
«Tranne il suo fratellino...»
«Preferisco mantenermi lucido, dovrò aiutare Cory a vomitare anche l’anima nel cesso, tra un po’.»
Annuì, accennando ad una risata. «Elena è formidabile.» mormorò, assorta.
«Già...» mi ritrovai ad asserire, mentre lei si sistemava meglio tra le mie braccia.
«Non è cosa da tutti i giorni ritrovarsi con un bambino a cui badare e da sola, e lei non è per niente spaventata, anzi sembra più radiosa che mai...»
«Ho sempre pensato che niente possa abbatterla.»
«Sono d’accordo». Alzò la testa su di me, incrociando i suoi occhi coi miei. Sorrise. «Voglio essere come lei, da grande.»
Ridacchiai, scuotendo la testa. «Ma tu sei già grande, Maddie.» commentai con tono dolce, prendendo inconsapevolmente a passare le dita tra i suoi capelli.
«Lo so» soffiò contro il mio collo, stringendosi più al mio busto, «Ma l’ho sempre pensato, da piccola.»
Sorrisi, intenerito dal suo tono infantile. Avvicinai le mie labbra alla sua testa, per schioccare un bacio sulla sua fronte. E nonostante non potessi vederla, sapevo che aveva appena sorriso.
«Che stavi sentendo?» sembrò risvegliarsi, e allungò il braccio per impossessarsi di uno degli auricolari.
Indossai l’altro, premendo su play.
E un sorriso si dipinse sul suo splendido viso, mentre cominciava ad intonare le note di Breakeven, la sua canzone preferita. Ed io mi rilassai al suono della sua voce, finendo per addormentarmi.

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Siamo già al terzo capitolo, wow 
Per ora gli scritti sono 7, cerco di avantaggiarmi col tempo :)
Bene, devo dire che amo il personaggio di Cory. Mi piace in tutto e per tutto, e potrei involverlo in qualche strana relazione, chi lo sa ahah
So che Niall sembra un po' indifferente per quanto io abbia già reso pubblico, ma nei prossimi capitoli si capirà molto di più sulla sua personalità. 
E finalmente la figura di Madison comincia a farsi più chiara :)
attendo vostri commenti, a presto!

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Capitolo 4
*** 4. New Born ***


         
Uno spiffero di vento gelido colpì il mio piede sinistro, che nascosi sotto il lenzuolo caldo. Feci lo stesso con il braccio, quando venne a contatto con l’aria fresca. Era come se l’aria intorno a me fosse di qualche grado sotto lo zero, e il mio letto fosse l’unica fonte di calore presente. Ed io cercavo di attingere quanto più calore possibile, abbastanza da tenermi ancora ben saldo nel mio dolce stato di sonnolenza.
Un raggio di sole andò a battere contro il mio viso, e mi dimenai con le braccia per portare le mani a stropicciarmi gli occhi. Mi spinsi di nuovo pancia in sù, e sbuffai quando compresi di essere ormai in dormiveglia.
Aprii gli occhi in un piccolissimo spiraglio, e fui subito accecato dalla luce proveniente dalla finestra. Ero solito chiudere tutte le tende prima di andare a letto, ma l’avevo evidentemente dimenticato la scorsa sera. E fu per quella mia stupida distrazione che aprii del tutto gli occhi e mi alzai, per coprire i raggi solari con le tendine blu. Tornai a sedermi sul mio letto e sbuffai, rassegnatomi all’idea di non riuscire più a prendere sonno.
Mi voltai verso il lenzuolo scomposto, e ricordai perché quella sera mi ero addormentato così di botto, dimenticandomi delle tende. Dovevo essere crollato presto in un pesante sonno, perché non ricordavo quando Maddie fosse andata via. Nelle mie orecchie risuonava ancora l’eco della sua dolce voce sulle note di Breakeven, poi il nulla. Dovevo essermi addormentato subito, cullato dal suo abbraccio.
Diedi un’occhiata alla radiosveglia sul comodino, che segnava le 9. Intercettai la suoneria del mio cellulare quando prese a squillare secondo la sveglia impostata ma non spensi il display, notando l’insegna “nuovo messaggio” lampeggiare sullo schermo, raffigurante una foto di me, Cory, Elena e Alex, scattata giusto la sera prima.
Sorrisi nel riconoscere il mittente dell’sms, arrivato qualche minuto dopo la mezzanotte.
Se stai leggendo questo sms significa che ti sei appena svegliato dallo stato di coma in cui sei caduto qualche ora fa. Dormivi come un ghiro e non mi andava di svegliarti, sai che mi ispiri tenerezza quando dormi :)
Buonanotte cupcake (o buongiorno, a te la scelta) <3”
Le mie labbra si allargarono in un dolce sorriso al leggere il nomignolo a fine messaggio, che mi aveva affidato qualche anno prima, da ubriaca. “Sei proprio dolce, lo sai? Sei un cupcake. Un piccolo cupcake con la panna” aveva balbettato, prima di crollare tra le mie braccia.
Trascinai l’indice sul display per rispondere, e “Mi sono appena svegliato. Preferisco il buongiorno, sentirsi dire buonanotte alle 9 del mattino non è il massimo. Quindi buongiorno :)” digitai, poi posai di nuovo il cellulare sul comodino.
Mi portai in piedi e mi stiracchiai, prima di recarmi in cucina. Lì trovai Elena seduta su uno degli sgabelli dell’isolotto, che beveva un enorme bicchiere di quella che doveva essere spremuta d’arancia.
«Buongiorno…» bofonchiai, grattandomi la nuca con aria ancora un po’ assonnata.
Mia sorella sussultò quando mi vide sulla soglia della cucina a fissarla un po’ perplesso, ma sorrise subito dopo, battendo il palmo della mano sul cuscino dello sgabello accanto a lei, invitandomi a prendere posto.
Eseguii il suo ordine silenzioso e mi sedetti, notando per prima cosa la tavola imbandita di latte, biscotti, the e spremuta d’arancia.
«Buongiorno, fratellino! Non pensavo ti alzassi così presto, ti avrei portato la colazione a letto tra un’oretta...»
Le rivolsi un sorriso e scossi la testa. «Non preoccuparti, non devi farmi da mamma.» la rincuorai; «Manca il caffè...» notai poi, l’unico elemento mancante su quella tavola adibita alla prima colazione.
«Devi scusarmi» mormorò lei, rammaricata, «Il fatto è che non lo bevo più da quando sono incinta, e mi sono dimenticata di farlo... Ma posso prepararlo, mi ci vorrà poco.»
«No no non fa niente, sta’ tranquilla» la afferrai per il polso, prima che si alzasse a preparare il caffè, «posso benissimo farne a meno, e poi ci sono così tante cose qui... Hai fatto i muffin?» incurvai un sopracciglio, notando la teglia fumante sul bancone di fronte a noi.
Elena seguì il mio sguardo, e mi sorrise. «Sì» pronunciò soddisfatta, si alzò «Sono ancora caldi, li ho usciti dal forno da poco, ma credo si possano mangiare»
Si armò di presine e afferrò la teglia, per poi portarla sulla tavola. E il delizioso odore di muffin al cioccolato mi inebriò le narici, estasiandomi. Ne presi uno e lo addentai, mentre lei mi versava del latte in una tazza.
«Da quanto sei sveglia?»
«Qualche ora»
Annuii, dando un altro morso alla brioche. Fece lo stesso ed io presi a guardarmi intorno, notando la cucina e il salotto in perfetto ordine. Ricordavo bene la confusione in salotto quando me n’ero andato a dormire, quella non poteva essere la stessa stanza, a meno che...
«Hai pulito di nuovo la casa da cima a fondo?!» quasi la rimproverai.
Non accennò a guardarmi negli occhi, segno che avevo ragione.
Sbuffai.
Non riuscivo a capire dove trovasse tutta quella energia. Tutte le donne incinta che avevo conosciuto e di cui avevo sentito parlare in televisione si trasformavano in soprammobili durante la gravidanza, capaci soltanto di lamentarsi e chiedere in continuazione, inventarsi dolori che non ci sono pur di ammaliare tutti quanti ad accontentarle nel minimo capriccio; mia sorella sembrava un tornado, un uragano di forza e vitalità, e non sembrava affatto stanca come avrebbe dovuto essere. Anzi si alzava persino più presto del solito per riordinare la casa e preparare la colazione, e a vederla era sempre la solita e pimpante Elena, con il suo meraviglioso sorriso onnipresente. Forse avrei dovuto cominciare a dubitare fosse incinta sul serio, ma il pancione che la faceva assomigliare ad un pallone aerostatico mi dissuadeva dal farlo.
Sbuffò anche lei. «Il fatto che io sia incinta non pretende che diventi un vegetale. Posso ancora fare delle piccole cose come pulire e cucinare, non devi rimproverarmi ogni volta come se avessi cercato di scalare l’Everest.» mi intimò.
Alzai gli occhi al cielo, mandando giù l’ultimo pezzo di muffin. «E’ solo che non dovresti essere così iperattiva, nelle tue condizioni... potresti stancarti e la bambina potrebbe risentirne.»
«Se mai sarò stanca andrò a letto, come ho sempre fatto in questi 25 anni di vita. Essere incinta è solo un pancione in più, niente di così grave da relegarmi a letto come una malata, o una disabile.»
«Va bene, mi arrendo, ti lascerò fare tutto quello che vuoi e non dirò una sola parola a riguardo, d’accordo?» mi rassegnai, consapevole che mai e poi mai avrei vinto un dibattito contro di lei, testarda com’era.
Elena finalmente sorrise, posando un soffice bacio sulla mia guancia. «Ti va di venire con me in un posto?» mi propose poi.
«Che genere di posto?» chiesi io, scettico.
«Lo scoprirai quando saremo lì. Allora, mi accompagni?»
«Va bene» annuii, mentre immergevo il mio secondo muffin nel latte. «E adesso cosa fai?» domandai ancora, mentre sistemava su di un vassoio una tazza di latte, un bicchiere di spremuta d’arancia, una tazza di thé con dei biscotti.
«Porto la colazione a Cory.» rispose semplicemente, dopo aver preso due muffin e averli posati su di un piattino. Sollevò il vassoio e sfoderò un sorriso, poi si allontanò, per recarsi verso le stanze da letto.
«Non lo starai viziando un po’ troppo?»
«Sto viziando entrambi, fratellino, faccio pratica per la piccola.» mi rispose, ormai lontana «Tu finisci la colazione e vai a prepararti, e non scordarti di lavarti i denti!»
Scossi la testa, ridacchiando. Finii la colazione e corsi a lavarmi, proprio come lei mi aveva ordinato di fare.
 
«Fammi capire bene...» la interruppi, per fare chiarezza nella mia mente, o forse solo per capacitarmi «Quindi se ci sono complicazioni col bambino... ti taglieranno la pancia, per tirarlo fuori?»
Si girò ad osservarmi, con la mano ancora fissa sul pancione. «Sì, più o meno è così.»
«E se sbagliano e ti prendono lo stomaco, o il fegato, o qualche altro organo?»
«Ovviamente non potrebbe succedere, Niall...»
«E che mi dici del solco che rimarrebbe nella tua pancia? Si richiude, no?»
«Certo, coi punti di sutura. Li stessi che hai avuto tu quando ti sei tagliato il polpaccio a 7 anni.»
«Io non me lo ricordo...»
«Urlavi come un matto.»
Aggrottai la fronte, perplesso. E la signora davanti a noi accennò un sorriso divertito, per poi tornare a tranquillizzare la figlia, incinta di 8 mesi, ormai prossima al parto.
Quando quella mattina mia sorella mi aveva proposto di accompagnarla senza rivelarmi dove, non avevo immaginato mi avrebbe trascinato nel reparto di ginecologia del St.Andrews. A dire il vero non ci avevo mai messo piede in quell’ospedale, fino a quel giorno.
Aspettavamo il dottor Wayne da ormai un’ora, seduti sulle poltroncine in plastica gialle del reparto. Avevo osservato con circospezione ogni angolo di quelle mura, tappezzate da diverse foto e poster illustrativi, e le persone che attendevano il proprio turno, quasi tutte donne. C’erano solo due uomini oltre me, a sostenere la propria moglie o compagna, ed uno di loro era già andato via, felice di aver scoperto che avrebbe avuto un maschietto.
Nell’attesa, Elena mi aveva spiegato le procedure del parto e gli eventuali rischi, tra cui il parto cesareo. Ed io, avevo appena scoperto come si fa un’ecografia.
«Stai bene?» feci, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Strinse gli occhi «Vorrei andare al bagno, ma per il resto tutto apposto...»
Le sorrisi e le baciai affettuosamente la guancia, poi un’infermiera mora sbucò dalla porticina. «Horan?» cominciò a guardarsi attorno, disorientata.
«Sono io» soffiò mia sorella, e la aiutai ad alzarsi. L’infermiera ci sorrise e ci fece strada, conducendoci nello studio del ginecologo.
Il dottor Wayne era un uomo di colore, alto, non troppo barbuto e con l’aria amichevole. Il suo studio era costituito da una scrivania, alcune sedie, qualche mobile, e le pareti erano identiche a quelle della sala d’attesa. Scambiò qualche parola consueta con mia sorella e la condusse nella stanza adibita alle ecografie. Era piena di zeppa di attrezzature e diversi congegni, non avrei saputo indovinare a cosa servissero.
Fece stendere Elena sul lettino e digitò qualcosa sul computer, illuminando un piccolo schermo nero sulla destra, dove appariva in alto il nome di mia sorella e le sue generalità.
«Lei è il padre?» mi chiese, mentre spalmava una specie di gel sulla pancia di Elena.
Scossi la testa, un po’ imbarazzato. «Sono il fratello» gli spiegai.
Il dottore sorrise. «Mi sembravi un po’ troppo giovane, in effetti...» rifletté «Com’è che ti chiami?»
«Niall.»
«Bene Niall, adesso tieni gli occhi fissi su quello schermo, e quando vedi qualcosa muoversi avvisaci, ok?»
Annuii.
Il dottore finì col gel e prese un piccolo apparecchio, con cui andò a premere sulla pancia di mia sorella. Continuò a muoverlo, fin quando sullo schermo apparve una piccola sagoma. Sembrava rannicchiata, e non compieva movimenti diversi da alcuni dondolii.
«Ecco, ecco, eccola!» esclamai, in preda all’euforia. Mi avvicinai a Elena e «Guarda El, è lì, la vedi?» indicai un punto sullo schermo.
Mia sorella annuì sorridente, mentre manteneva lo sguardo fisso sul display incantata, come me.
«Quella è la tua nipotina, Niall, e sembra proprio si stia facendo un bel sonnellino» commentò il dottore.
Risi, senza comunque staccare gli occhi dalla piccola sagoma. Era sorprendente e commovente vedere quella piccola creatura in uno schermo, sentirla vicina, nonostante fosse ancora rinchiusa nel pancione di mia sorella. Era così minuta, fragile e innocente, e mi sembrava quasi di averla tra le braccia, mentre continuavo a percepire ogni suo movimento nel display. Era un piccolo angelo da proteggere, e per la prima volta mi sentivo commosso, davvero entusiasta di stare per diventare zio.
«Guarda Niall, ha mosso la gamba!» mi fece notare Elena, che strinse la mia mano.
«Hai ragione, l’ha fatto di nuovo! Credi sappia che la stiamo vedendo?»
«Non credo, il dottore dice che dorme. Ma sa che la sto accarezzando» mormorò commossa, passandosi la mano sulla pancia piena.
Sorrisi, andando ad imitarla «Sarà bellissimo accarezzarle la pelle, quando uscirà da qui dentro»
«La terrò con me ogni secondo, non la lascerò mai da sola» sussurrò, quasi potesse parlare con la piccola. Ma ero certo fosse sincera, mentre voltava lo sguardo a vedere sua figlia, e sorrideva, il sorriso più dolce che possa esserci: quello di una madre.
«Sarai una madre impeccabile.» mormorai, baciandole la fronte.
«E tu un ottimo zio.»
Annuii, sorridente. «Saremo la sua famiglia.»
«E lei sarà il nostro piccolo tesoro.»
Mi chinai a baciarle la pancia, e la piccola tornò a rannicchiarsi, riprendendo a dormire.


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ed eccomi con il nuovo capitolo :)
Ho voluto dedicare uno spazio abbastanza grande al rapporto tra Niall e sua sorella, perché personalmente lo adoro. E alla nuova arrivata :)
Come sempre, hope you like it!
Vi lascio con una gif in anteprima di Samantha, che comparirà tra qualche capitolo :)
 A presto! 


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Capitolo 5
*** 5. Jealousy ***


     
Sbuffai. Forse per la decima volta in 45 minuti.
Quando appena fuori dallo studio del dottor Wayne Madison mi aveva invitato a passare una “divertente serata al lunapark”, non avevo pensato che avrei passato il tempo a desiderare di scappare a casa a gambe levate praticamente ogni secondo, o placare istinti omicidi. Ma infondo, quando le avevo risposto con un “Ci vediamo tra qualche ora”, avevo dato per scontata l’assenza di Ethan. E mi ero sbagliato.
Ethan Kent era la persona più viscida e meschina che conoscessi. Un metro e settantotto di vanità e orgoglio, capelli castani e la sua immancabile giacca di pelle, non avevo ancora capito come passasse le sue giornate. Tutto ciò che sapevo era che aveva abbandonato l’università, per niente entusiasta di seguire le orme di suo padre, famoso azionista; come occupasse il tempo dopo allora, mi era totalmente ignoto. Ma non era certo una sorpresa non si ammazzasse di fatica per trovarsi un lavoro, visti gli assegni mensili di papà, direttamente da New York City.
I suoi erano divorziati, e mentre il padre Bill aveva deciso di concentrarsi esclusivamente sui suoi affari trasferendosi nella Grande Mela, sua madre era rimasta a Londra, nell’appartamento del suo amante, che era stato motivo della loro separazione. Dopo il divorzio Ethan era stato libero di prendere le sue scelte e aveva deciso di rimanere con la madre, mentre io passavo giorno dopo giorno a maledirlo per non aver scelto l’opzione alternativa.
Era il solito figlio di papà con la puzza sotto il naso che si da delle arie vantandosi di vittorie altrui, il genere di presuntuoso arrogante che avrei indubbiamente evitato, se fossimo stati al liceo. Era vanitoso, superbo, arrogante, falso e egocentrico, ed era il ragazzo di Madison da due anni.
Erano stati due anni di continui tira e molla, parecchi sbagli e addii, ma se a distanza di tutto quel tempo stavano ancora insieme, cominciavo a credere che le mie speranze di vedere lui fuori dalla sua vita cominciassero a mostrarsi vane.
E terribilmente egoiste.
Morivo dalla voglia che Maddie un giorno aprisse gli occhi e scoprisse quale genere spregevole di persona le stesse accanto, ma sapevo anche quanto lei tenesse a lui: nelle mie peggiori serate stava a raccontarmi di lui al telefono, come una ragazzina alle prese con la prima cotta. Forse e nella peggiore delle ipotesi, ne era persino innamorata.
Cosa facevo io? Restavo ancorato alla cornetta ad ascoltarla e dare cenni di assenso ogni tanto, trattenendo l’istinto di urlarle quando mi facesse male, sentirla parlare di lui.
Non mi reputavo il ragazzo perfetto, ma ero sicuro che io sarei stato molto più adatto a lei, e avrei saputo amarla in un modo migliore. O amarla davvero, perché non ero affatto certo che Ethan sarebbe mai stato il principe azzurro che lei tanto sognava. Forse un cavaliere oscuro, ammaliante ma pericoloso. E se le fiabe non mi ingannano, i cavalieri oscuri finiscono per mandare le principesse all’oblio, un giorno o l’altro. E il solo pensiero che un giorno Madison potesse sentirsi stretta e vincolata come una di loro, mi faceva ribollire il sangue nelle vene.
Il mio titolo di migliore amico mi impediva in parte di immischiarmi nei loro affari. Tutto quello che potevo fare io, in nome della carica che ricoprivo, era supportarla e occasionalmente consolarla, e fingere. Non potevo permettermi di esternare i miei sentimenti, non con lei almeno, o tutto quello che condividevamo sarebbe presto svanito in fumo. Ed io non volevo che lei scomparisse, per nessun motivo al mondo. Era la persona a cui ero più affezionato, l’unica su cui ero certo di poter sempre contare, e ammettere i miei sentimenti per lei sarebbe significato perderla. Lei non mi ricambiava, di questo ne ero certo, e non avrei permesso che il mio stupido cuore malandato la costringesse ad allontanarmi, troppo a disagio e in imbarazzo per affrontare e gestire una situazione così complicata.
Ero innamorato di lei. Abbracciarla, starle accanto, mi procurava sensazioni e brividi che non sarei mai riuscito ad esprimere ad alta voce. Ogni sua parola, ogni suo gesto, erano diventati una perenne ossessione.
Ma ero anche il suo migliore amico. L’unico con cui lei sentisse di confidarsi, su cui poneva fiducia anche ciecamente, e l’ultimo da cui si aspettasse delusioni.
E se avessi dovuto scegliere tra il suo amore e la sua amicizia, avrei scelto la seconda. Perché mentre la prima era qualcosa di incerto e tentennante, sapevo che la sua amicizia sarebbe durata per sempre.
E per sempre avrei mantenuto i miei sentimenti nascosti, solo per paura di non rivedere il suo dolce sorriso.
E avrei sopportato il braccio di lui attorno alle spalle candide di lei, e le loro labbra congiungersi di tanto in tanto. Mi sarei limitato a stringere i pugni e lanciare sconvenienti occhiatacce equivoche, proprio come facevo in quel momento.
«Calmati tigre, o finiranno per rinchiuderti in uno zoo.»
Mi voltai furioso verso Cory, intento a consumare il suo zucchero filato. Era stata una fortuna che fosse venuto anche lui, altrimenti ero certo sarei impazzito. D’altronde quella era la terza volta, che mi riprendeva.
«Non capisco perché debba sempre essere tra i piedi.» borbottai, andando a rubare un pezzo dello zucchero filato di Cory, che mi lanciò un’occhiataccia. Diedi un morso, senza staccare gli occhi dalla felice coppietta davanti a noi.
«E’ il suo ragazzo...» Cory rispose «Sarebbe strano se non ci fosse.»
«Questo non implica che ci sia in ogni occasione, non le lascia neanche un minimo di spazio! E’ sempre tra i piedi, sempre.» replicai rude, e anche un po’ acido.
Cory si limitò a fare spallucce e roteare gli occhi, consapevole che non ci sarebbe stato verso di calmarmi, quella sera. Riprese la parola dopo un po’, mentre giocherellava con il bastoncino di zucchero filato finito.
«La verità è che sei geloso marcio, amico mio. E che non puoi incolpare nessun altro per questo se non te stesso, perché è da quasi 4 fottuti anni che sei innamorato di lei e ancora ti comporti come il suo amichetto del cuore. Se davvero ti sta a cuore confessale quello che provi, ed evita di stare qua a lamentarti come un bambino.»
Sbuffai.
Aveva ragione, dovevo dirglielo. Ma chi mi dava la garanzia che non sarebbe cambiato nulla fra di noi, una volta che mi sarei esposto in quel modo? Non potevo permettermi di perderla, era la persona più importante per me.
«Non posso dirle quello che provo, Cory. Cambierebbe tutto.» dissi in tono sommesso, debole. Quasi avessi appena ingoiato una pillola amara, l’ennesima della giornata.
«Beh ci sono due opzioni, a questo proposito. La prima è che lei ti salti addosso confessandoti di amarti da una vita e di stare aspettando soltanto te, la seconda è che si allontani con uno di quei discorsi tipo “io non ti amo, non posso starti accanto sapendo quello che provi per me, rischierei di ferirti e blablabla”. Ma il punto è che non puoi sapere quale potrebbe essere la sua reazione. E finché ti limiti a borbottare da lontano, non la scoprirai mai. Ti vuole già bene, potrebbe anche essere così mediocre da amarti.»
Non avevo mai preso in considerazione l’ipotesi che lei potesse ricambiare i miei sentimenti. Sapevo bene quanto mi volesse bene e tenesse a me, ma non avevo mai pensato che lei avrebbe potuto considerarci qualcosa di più di due migliori amici, come io spesso avevo fatto. Non pensavo nemmeno l’idea la sfiorasse, così impegnata a gestire mille relazioni al giorno e prendere tutto per scontato, attenta a far rientrare ogni cosa nel suo perimetro perfetto, composto da: danza, migliore amico, fidanzato, e ancora danza.
Non pensavo che lei non mi ritenesse speciale, semplicemente il suo attaccamento a me era quasi come quello di un figlio verso i suoi genitori: non gli si dimostra tutti i giorni quanto gli si voglia bene, ma si sa che senza di loro ci si sentirebbe persi. Ero il suo migliore amico e le volevo bene, questo bastava per tranquillizzarla, senza il bisogno impellente di continue dimostrazioni d’affetto.
«Non posso dirglielo.» enunciai quindi, più verso me stesso che verso Cory, «Non capirebbe.»
Cory sospirò, stanco forse di stare a sentire la stessa identica cosa per fin troppo tempo. «E allora faresti meglio a non brontolare di continuo, sembra quasi tu stia prendendo inutili capricci.»
«Il mio non è un capriccio.» replicai, leggermente offeso da quell’insinuazione «Il tuo zucchero filato, è stato un capriccio. Il fatto che tu sia qui con noi, è stato un capriccio. I tuoi dannati biscotti di mandorle, sono un capriccio. La mia gelosia non è un capriccio.»
«E allora buttati!» sbottò «Deciditi una volta per tutte, va’ da lei, e dille “Sono profondamente innamorato di te”!»
«Chi è innamorato di chi?» Madison sbucò da dietro la mia spalla, andando a depositare un piccolo bacio sulla mia guancia. Rivolse poi uno sguardo curioso a Cory, che boccheggiava in cerca di una scusa plausibile.
«Io!» esclamò infine, «Sono profondamente innamorato di questo zucchero filato, sul serio, è ottimo! Vado a prenderne un altro bastoncino, eh. Voi divertitevi!» e senza lasciare che riaprissimo bocca scappò via, alla ricerca dell’uomo baffuto con cui aveva contrattato prima.
«Cory diventa sempre più strano.» decretò Maddie, con uno sguardo stranulato.
Non potei fare a meno di annuire, sebbene gli fossi davvero grato. Per un attimo avevo pensato che avrebbe potuto capire di cosa stessimo parlando, o peggio avesse origliato l’intera conversazione dall’inizio, ma Cory aveva messo fine al mio sudare freddo ricorrendo ancora una volta ad una delle sue idiozie. Una dote dovevo riconoscergliela: era il maestro delle scuse.
«Comunque sono venuta a proporti qualcosa.» riprese, con sguardo complice.
«Ovvero?»
Stette in silenzio per qualche secondo, come a volermi tenere sulle spine, infine sorrise «Andiamo sulla ruota panoramica?»
Sorrisi, se non altro per il tono tenero che aveva utilizzato e l’espressione supplichevole che aveva messo addosso, con tanto di musetto ammaliatore.
Fui sul punto di accettare la sua proposta, fin quando non mi resi conto di chi mancava, lì accanto a lei. «Dov’è il tuo ragazzo?» domandai allora, cercando di tenere a bada il tono sprezzante nella mia voce.
Maddie storse le labbra in una smorfia, improvvisamente dispiaciuta. «E’ dovuto andar via giusto poco fa, dice che ha avuto un’emergenza...» spiegò, nonostante non fosse poi così convinta.
Un altro elemento ignoto riguardo Ethan, era il suo improvviso scomparire. Riusciva a scappar via ad ogni uscita di gruppo, quasi fosse un impiegato d’affari ultramiliardario o semplicemente non gli piacesse la nostra compagnia. Non rimaneva mai più del dovuto, sembrava sempre avere qualcosa di più importante da fare.
«E ruota panoramica sia!» esultai con lei, spuntandole un sorriso.
Mi prese per mano e mi trascinò dritto fino alla giostra, entusiasta come una bambina. Prese i biglietti per entrambi senza darmi il tempo di pagare per il mio e mi tirò via ancora una volta. Prese posto sulla piccola panchina e mi costrinse a fare lo stesso, stabilendosi presto tra le mie braccia.
La ruota panoramica era la sua giostra preferita. Sin da piccola l’aveva amata, quando all’età di 9 anni i nostri genitori vi ci avevano portati per la prima volta. Aveva passato l’intero giro attaccata alla finestra in vetro, a guardare incantata il paesaggio sotto di noi, le piccole luci che si confondevano.
“Sembrano tante piccole formiche...” aveva commentato una piccola Madison con le trecce, addossata alla parete di vetro quasi vi fosse attaccata con la colla. “Guarda Niall!” mi aveva tirato poi “Non ti sembra di essere il più alto del mondo?”; avevo annuito, il mio sorriso connesso al suo, le nostre mani giunte e i nostri sguardi incantati.
«Guarda Niall!» mi riportò alla realtà, ora che la cabina era bloccata in alto e si era liberata del mio abbraccio, «Quello non è Cory?» fece, ridacchiando.
Portai il mio sguardo oltre il vetro e constatai che sì, era proprio lui. Cory si guardava in giro spaesato, con il suo secondo bastoncino di zucchero filato tra le mani, a chiedersi probabilmente dove ci fossimo cacciati.
«Sembra Biancaneve quando si perde nel bosco, non sa dove andare» rise.
La mia risata si aggregò alla sua, melodiose.
«Vorrei poter vivere qui in alto per sempre» mormorò contro il vetro, passandosi il mio braccio sulle spalle come d’abitudine. Posò la testa sulla mia spalla.
«Non sarebbe scomodo?» obiettai, «Nessun contatto con la terra ferma... Non avresti i tuoi deliziosi cornflakes alle fragole.»
Ridacchiò e si ritrovò ad annuire, d’accordo, mentre io la stringevo più a me, in un gesto del tutto automatico.
«Non ho bisogno di niente, se ci sei tu con me.»
Mi voltai a osservarla, immobile. Il suo sguardo era fisso oltre il vetro, le piccole luci si rispecchiavano nei suoi occhi nocciola. Il berretto le premeva sulla testa facendola sembrare molto più piccola e le ciocche di capelli libere svolazzavano dietro di lei. Era splendida.
Si strinse più alla mia vita, probabilmente intorpidita dal freddo.
Non potei che sorridere, intenerito da quel suo accenno di dolcezza. Posai le mie labbra sulla sua fronte per un attimo e la abbracciai più forte, per trasmetterle il mio calore.
«Ti voglio bene, Maddie.» mormorai infine, trovando il “ti amo” che avrei voluto dirle fin troppo inappropriato.

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Soooooooooooono tornata :3
In questo capitolo emerge un po' la figura di Ethan, anche se si capirà meglio nei prossimi. 
E la gelosia di Horan ahah ma l'ultima parte è dolcissima, vero? 
A presto, come sempre :3



 

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Capitolo 6
*** 6. A different kind of thief ***


         
Chiusi gli occhi di scatto ancora una volta, sbuffando e imprecando con la testa premuta contro la stoffa soffice della  poltroncina di velluto rosso. Ma nonostante i miei occhi non fossero capaci di vedere nulla, le mie orecchie udivano alla perfezione le urla di terrore.
Avevo sempre odiato i film horror. Sin da piccolo avevo sempre detestato quei film pieni di ansia, dove non sai mai cosa aspettarti, e odiavo particolarmente la vista del sangue. Odiavo omicidi, reincarnazioni, fantasmi e tutto ciò che potesse averci in un modo a che fare, e facevo sempre di tutto per evitare di guardarli. Guardavo di solito ogni genere di film, ma l’horror non potevo proprio sopportarlo.
Alle urla strozzate della solita protagonista ingenua, si unirono le risate divertite di Madison. «Giuro che sei esilarante quando fai così» ridacchiò, portandosi alla bocca un’altra buona manciata di pop corn.
Noi due avevamo una tradizione: ogni venerdì ci concedevamo una serata solo per noi due, a temi di volta in volta diversi. Un venerdì lei restava a dormire da me, l’altro ero io a restare a casa sua, uscivamo, ci divertivamo, e passavamo del tempo insieme, dedicandoci esclusivamente a noi e alla nostra amicizia. Quel venerdì Madison, sentendosi in qualche modo l’organizzatrice ufficiale della serata, aveva deciso di andare al cinema, a vedere un nuovo film del suo genere preferito: l’horror.
Mi distolsi dalla mia posizione di difesa solo per lanciarle un’occhiataccia, che la fece sorridere. «Sai che odio i film horror, non potevi sceglierne un altro?» le ripetei per l’ennesima volta, irato. Non potevo certo continuare a nascondere la testa contro la poltrona, cominciavo ad esserne stufo.
Lei scosse la testa, gli occhi fissi sul megaschermo. «Ho deciso io di andare al cinema, ricordi? Quindi il film era giusto lo scegliessi io.» ribadì. «Passami le caramelle, sono sul sedile accanto al tuo» mi ordinò poi, tendendo il braccio destro alla cieca, lo sguardo attento a scoprire la prossima mossa della bionda sullo schermo.
Afferrai il sacchetto e glielo porsi, dopo averne preso anch’io una manciata.
«Potevamo vedere l’ultimo di Iron Man, non questa schifezza» mi lamentai, azzardandomi per la prima volta a puntare gli occhi sullo schermo, dove una ragazza bionda camminava per un corridoio quasi infinito. Feci una smorfia. «E’ ovvio che adesso lei continuerà per quel corridoio e l’assassino le apparirà da dietro, con una motosega o qualcosa del genere. E quando lei se ne accorgerà sarà troppo tardi, e non potrà scappare perché si troverà in un vicolo cieco.»
Una signora dietro di noi mi fece segno di fare silenzio stizzita, ed io affondai nella poltrona, le braccia al petto come segno di disappunto.
«A me piace» ribatté Maddie, una caramella tra le labbra «Forse se provassi a seguire la storia e a non lamentarti come un bambino, piacerebbe anche a te»
«Io non mi lamento come un bambino» la contraddissi offeso «E’ solo che questo film fa schifo»
«La verità è che sei un bambino terrorizzato» mi schernì, una smorfia a tradire il suo sguardo concentrato.
«Si può sapere quando finisce, almeno?»
«Credo tra poco, la protagonista dovrà pur morire.»
 Sbuffai, sprofondando nella poltrona.
Nell’attesa che quell’orrido film terminasse, sfilai dalle mani di Madison i pop corn e me ne appropriai fino alla fine, mangiucchiandoli per mascherare la tensione.
Non avevo idea del perché gli horror le piacessero così tanto. Sarebbe potuta sembrare una ragazza aggraziata, dolce e timorosa, invece aveva coraggio da vendere e un’insana fissazione per tutte le cose che a me mettevano paura. Certo aveva più coraggio di me, se si teneva in considerazione che avesse deciso di trasferirsi a Londra e andare a vivere da sola all’età di 17 anni, quando ancora la mia unica preoccupazione sarebbe stata quella dei brufoli sul viso.
Vieni a Londra con me Niall, saremo finalmente liberi di poter essere noi stessi, senza nessuna costrizione. Vieni con me, perché tu sei l’unico motivo che mi tiene salda ancora qui, e sai bene quanto odi questa città”
Ricordavo bene come si fosse presentata a casa mia quasi tre anni prima, le valigie già pronte sul mio vialetto. Mi aveva preso alla sprovvista e non avevo saputo cosa risponderle, se non piangere. Non avevo mai pianto davanti a lei ma quel giorno lo feci, troppo grande la paura di perderla. L’avevo supplicata di restare, le avevo fatto mille promesse che mai avrei saputo mantenere, e in lacrime, le mie mani strette tra le sue, le avevo detto addio.
Quello fu per lei molto peggio di un rifiuto. Le avevo appena detto addio e una lacrima le aveva solcato la guancia, mentre piano le sue dita abbandonavano le mie. “Addio, Niall” aveva sussurrato tra le mie braccia, tra qualche singhiozzo. Poi se n’era andata, ed io mi ero sentito del tutto perso.
Sapevo che la mia vita non sarebbe stata la stessa senza di lei, e la sua determinazione mi garantiva che non avrebbe mai rinunciato ad andarsene, anche senza di me.
Scappare da casa mia, dalla mia famiglia, per seguire Madison in aeroporto quella notte fu un grosso colpo. Fu un colpo per me, che avevo deciso di avventurarmi in qualcosa di cui non conoscevo assolutamente niente; fu un colpo per la mia famiglia, che aveva acconsentito a quella mia piccola fuga senza dire una parola; e fu un colpo per Maddie, che mai avrebbe immaginato di ritrovarmi in aeroporto con lei, a circa venti minuti prima dall’imbarco.
Sapevo che non mi avresti abbandonata” mi aveva abbracciato forte, in lacrime. Ed io avevo pianto con lei, perché sapevo che tutto quello che stavo per lasciare mi sarebbe mancato. Mi sarebbe mancata la mia stanza, la mia famiglia, la mia scuola e i miei amici, ma se avevo deciso di seguirla era perché aveva capito una cosa: era lei, la mia priorità maggiore. Era il mio sorriso, le mie lacrime, la mia gioia e la mia disperazione, ogni cosa di cui avessi bisogno per vivere era racchiusa in lei, la mia pazza migliore amica. E quella notte avevo capito anche qualcos’altro, ovvero che non avrei saputo resistere all’impulso di andare con lei, perché ne ero innamorato perso, e l’avrei seguita in capo al mondo, se fosse stato necessario.
Avevo bisogno di lei, esattamente come lei aveva bisogno di me, e quel nostro bisogno reciproco avrebbe abbattuto ogni barriera e affrontato ogni avversità durante gli anni passati lontani dalla nostra casa. Ce lo avevamo ripetuto l’uno con l’altro mentre l’aereo per Londra decollava ed era stato proprio così: a distanza di anni, noi due eravamo ancora forti da sapere che niente ci avrebbe mai divisi. Come due perfette anime gemelle, io e Madison saremmo rimasti sempre assieme, come ci eravamo promessi nel giardino di casa sua all’età di 8 anni.
Un ennesimo urlo mi prese alla sprovvista, ed io mi spaventai così tanto che il contenitore coi popcorn mi si sfilò dalle mani, cadendo per terra e riversando quindi il suo contenuto tutt’intorno.
«Okay, questo è decisamente troppo» decretai, terrificato. Mi alzai senza aspettare che Maddie mi intimasse di fermarmi e attraversai le scale illuminate per riversarmi nella sala d’ingresso del cinema, dove un ragazzo mi riservò un’occhiata stranita.
Io inspirai affondo, sentendomi finalmente libero da quella specie di prigione.
Ma in poco tempo Madison mi raggiunse, lo sguardo preoccupato. «Ma che ti salta in mente, scappare così!» mi rimproverò, lasciandosi andare anche lei a sani sospiri. Doveva aver corso, per raggiungermi.
«Scusa» mi limitai a dire, lo sguardo basso sulle mie scarpe.
Non rispose alle mie scuse, ma assunse uno sguardo addolcito. Alzò gli occhi al cielo e si sistemò meglio la borsa sulla spalla, puntando gli occhi scuri nei miei. «E va bene, ce ne andiamo, se proprio non riesci a sopportare altri pochi minuti!» brontolò, prendendomi sottobraccio.
Mi illuminai in un sorriso e le baciai la guancia felice, passando le braccia sulle sue spalle per stringerla.
«Ma sappi che sei un fifone, c’erano anche dei bambini lì in sala!»
«Che si nascondevano dietro ai loro genitori, nel caso tu non l’avessi notato!»
«Allora al prossimo horror facciamo venire la mammina, che ne dici?» mi prese in giro, ora divertita.
Le tirai una gomitata, che la portò a stringersi più a me.
«Non ci sarà un prossimo horror, perché non ti permetterò mai più di scegliere un film!»
«La prossima volta fattela venire tu un’idea decente per passare la serata, fifone!»
Si lasciò andare in qualche imitazione di un me a dir poco terrorizzato ed io non potei fare a meno di ridere, divertito dalle sue smorfie. E offendermi, dichiarando poi aperta la guerra di solletico, di cui entrambi ne soffrivamo parecchio.
Cominciammo a rincorrerci per le strade, ridere a crepapelle e scambiarci piccoli abbracci, attirando l’attenzione dei passanti. Alcuni ridevano divertiti, altri esibivano smorfie di disappunto. Ma a noi non importava quello che potessero pensare, ci stavamo soltanto divertendo.
Come da piccoli. A giocare e ridere senza far conto di nessuno, se non della nostra spensieratezza. Rincorrerci sui prati, fingerci pirati, fare dell’uno la felicità dell’altro, in modo così naturale da non accorgercene nemmeno. Discutere per gioco, scambiarci oggetti di nessun valore e farci promesse, incerti se davvero le avremmo mantenute.
Noi due saremo amici per sempre, Niall”
Le parole di una piccola Madison di 9 anni, un anno più grande del sottoscritto, risuonavano nella mia testa come un dolce ricordo. I capelli scompigliati, le facce ricoperte di fango, sorrisi e due mignoli che si intrecciavano, a sigillare quella solenne promessa.
Per sempre.
Cominciavo a credere che fosse proprio lei il mio lieto fine, come era stata tutta la mia storia.
«Okay okay, siamo arrivati» soffiò esausta, fermandosi davanti alla porta della sua casa.
Mi concessi anch’io di riprendere a respirare regolarmente, vista la corsa che ci eravamo fatti per arrivarci.
«Dannazione, non trovo le chiavi»
Il solito. Mai una volta che Madison ricordasse dove fossero le sue chiavi.
Sorrisi, riconoscendo e rivivendo quella scena ancora una volta.
Lei viveva da sola. Una volta la casa era abitata anche da sua nonna, dove aveva deciso di trasferirsi al momento della sua fuga da Mullingar, ma ormai la cara Beth era morta da più di un anno, e a Maddie non rimaneva che una stanza e tanto spazio vuoto. Le avevo proposto più volte di venire a vivere con me e Cory ma si era rifiutata ogni volta, scherzando su quanto la convivenza con Cory l’avrebbe turbata. Mi aveva assicurato che non avrebbe passato in quella casa così tanto tempo, visti i suoi continui impegni con la danza e con me, se non quello necessario per dormire, e che non si sarebbe lasciata andare a inutili pianti isterici. Sapevo che in realtà stare in quella casa finiva ogni tanto per farla crollare, ma lei non l’avrebbe mai ammesso, ed io preferivo lasciarle i suoi spazi, prendendomi cura di lei nel modo più discreto che conoscessi.
«Trovate!» esultò dopo un po’, sventolando il mazzo di chiavi in aria, quasi fosse un trofeo.
Le rivolsi un sorriso e lei si apprestò a infilare la chiave nella toppa. Ma quando provò a farlo la porta si aprì senza alcuna pressione, e Maddie rimase con la chiave infilata nella toppa per metà, un’espressione perplessa a incorniciarle il volto.
Si voltò verso di me stranita.
«Si è aperta da sola.» precedetti le sue parole, anch’io piuttosto confuso.
«Non ci saranno ladri, vero?» commentò impaurita.
«Ed entrano in casa dalla porta d’ingresso?»  replicai, ironico.
«Potrebbero aver forzato la serratura»
«Se fosse così la chiave non ci andrebbe nemmeno» la rassicurai «Entriamo, ci dovrà essere una spiegazione».
Mi mossi avanti a lei e lei mi seguì un po’ impaurita, aggrappandosi al mio braccio.
Aprii piano la porta e lasciai che il mio sguardo vagasse sul salotto, la prima stanza raggiungibile dalla porta d’ingresso. Era perfettamente in ordine.
«Le luci sono accese» notò Madison.
Annuii concordando con lei e deglutii, facendomi coraggio per inoltrarmi maggiormente nella casa.
«C’è nessuno?» feci.
Sentii Maddie tremare accanto a me, stringere forte la mia mano.
«Sei sicura di aver spento le luci, prima di uscire?» mi rivolsi a lei.
Annuì «Ho anche chiuso la porta a chiave, se è per questo»
Sospirai e insieme facemmo qualche altro passo nella casa, sentendoci un po’ come in quel film che stavamo vedendo prima. Il solo pensiero che potesse esserci un killer pronto ad ucciderci lì dentro mi fece trasalire, ma mi sforzai di mantenere un comportamento dignitoso.
Le nostre urla si sincronizzarono quando qualcuno apparve dalla cucina spaventandoci, se non altro per l’ombrello che teneva saldo tra le mani.
«E tu chi diavolo sei?!» urlò Madison.
La ragazza di fronte a noi posò l’ombrello e si lasciò andare a un sospiro, portandosi la ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. «Menomale che non siete ladri..» mormorò sollevata. «Tu devi essere Maddie» fece poi, rivolgendosi alla ragazza stretta a me.
Lei annuì, seppure ancora impaurita, e la ragazza bionda si aprì in un sorriso. Ci tese la sua mano.
«Sono Sam, la tua nuova coinquilina!»


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Ecco a voi me, il nuovo capitolo, e la mia depressione.
QUANTO PUO' ESSERE STATO TRAUMATICO ALZARSI ALLE 6 QUESTA MATTINA? Troppo, troppo. 
Qualcuno chiami Natale, voglio mettere fine a questa tortura al più presto! 
Anche voi avete avuto il vostro primo giorno? Il mio è stato drammatico, mi sono sciolta in un ghiacciolo <3 
va beh, riprendiamoci dai. ahah
Beeeene, Horan odia gli horror. E personalmente lo appoggio, io odio la vista del sangue e Iron Man è un film troppo figo per essere ignorato.
E ora sapete la storia dei nostri piccoli Niall e Madison, amici dall'infanzia e compagni di fuga :) 
e compare adesso Samantha, la nuova... coinquilina? di Madison. Come la prenderà la mora?
Lo scopriremo nella prossima puntata! (?)
Okay ora vado a fare i compiti di spagnolo, ci dovremmo vedere tra cinque giorni di nuovo. 

¡ Adios chicos !
 

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Capitolo 7
*** 7. Bad News ***


        
Samantha Reed, o Sam, come lei si era presentata a noi, era una perfetta sconosciuta. Da quello che si poteva cogliere dal suo aspetto esteriore era una ragazza molto alta, dal fisico snello e slanciato, lunghi capelli biondo grano e due grandi occhi azzurri. Sarebbe potuta sembrare una modella, o una di quelle ragazze agiate che passano le loro giornate tra shopping e manicure, hanno la solita tresca col professore universitario e organizzano feste o vi partecipano ogni due giorni, tanto il loro profitto scolastico non è mica merito delle loro teste, e ci pensa la cameriera a ripulire la casa dopo che l’ennesima “festa del secolo” è degenerata in un disastro che ha visto persino l’intervento del pronto soccorso.
«Quindi tu saresti...» Maddie fece una pausa, scambiando una veloce occhiata d’intesa col sottoscritto «la mia sorellastra?»
Tornò a guardare la bionda seduta di fronte a noi, le gambe accavallate, che annuì entusiasta.
«Quasi» precisò «Resterò qui una o due settimane e vivremo insieme, mia madre ci tiene davvero molto che noi diventiamo amiche, e anche a tuo padre è sembrata una buona idea che io passassi del tempo con te, prima del matrimonio, per conoscerci»
Samantha allungò il braccio e accarezzò una mano della mora accanto a me, che era rimasta inerme, come intorpidita. Guardò quella stretta con confusione, l’estrema perplessità era dipinta sul suo volto.
«Quale matrimonio?» fece, ritirando bruscamente la mano.
Le avevo visto utilizzare quel tono lapidario parecchie volte, prima di quella. Era serio, estremamente serio, e agli occhi di chiunque sarebbe potuto sembrare adirato, nervoso, ma sapevo che in realtà nascondeva una gran paura. Paura di ciò che, andando avanti col discorso, avrebbe potuto scoprire; paura che potesse farla crollare, ancora una volta.
A differenza di quello che avevo immaginato Sam non si offese per la riluttanza dell’altra, e abbandonò la sua posizione da ragazza snob, per assumere un’espressione altrettanto seria. Incurvò le sopracciglia, per poi abbozzare un sorriso. «Il matrimonio dei nostri genitori, tra qualche settimana» rispose in modo naturale, ma presto si fece più pensierosa «Non lo sapevi?»
Tra tutte le reazioni che Maddie avrebbe potuto avere, sorrise amaramente.
«Ti starai sbagliando, lo avrei saputo se mio padre stesse per risposarsi» affermò convinta.
Quella fece spallucce. «Pensavo lo sapessi, infatti.»
Quasi come se una lama l’avesse appena trafitta, Madison scosse la testa piano e abbassò lo sguardo.
Osservai il nervosismo crescente attraverso il movimento frenetico delle sue dita e le racchiusi nelle mie, sentendole bloccarsi sotto il mio tocco. Alzò lo sguardo sul mio, e ci vidi solo tanta tristezza nei suoi occhi. Solitudine, senso di vuoto, che non avrebbe mai dimostrato a nessuno con delle lacrime.
«Perché non chiami tuo padre?» le suggerii allora, se non altro per permetterle di sfuggire allo sguardo attento di Samantha.
Le rivolsi un sorriso accennato e lei annuì, andando a stringere le mie mani per qualche secondo. «Torno subito» le lasciò e si alzò dal divano, col rumore dei tacchi che riecheggiava nell’intera stanza.
Restai a guardarla andare via, finché non scomparve e lo scattare di una porta mi avvertì che si era appena chiusa in camera.
Avevo paura di come avrebbe reagito a questa notizia. La morte di sua madre e le manie megalomani di suo padre erano stati due dei motivi per cui aveva voluto andarsene, e non ero certo avrebbe accolto la sua nuova matrigna a braccia aperte. Erano passati infondo solo pochi anni, e suo padre aveva deciso di risposarsi, con quella che agli occhi di sua figlia appariva come una sconosciuta. Non aveva speso tempo a far conoscere le due, aveva deciso in modo del tutto autonomo e ora la notizia del suo matrimonio era emersa ed era stata letale come il lancio di una bomba.
Forse anche lui sapeva bene, come me, che anche se sua figlia fosse venuta prima a conoscenza della sua nuova compagna, non l’avrebbe mai e poi mai accettata. L’avrebbe trattata con sufficienza, dichiarando nessuna all’altezza di sua madre, e non avrebbe fatto il minimo sforzo per sembrarne felice. Avrebbe rinfacciato a suo padre di aver sostituito la sua defunta moglie prima ancora che lui gliela presentasse, e così aveva deciso di escluderla da quella decisione.
La cosa non mi sorprendeva. John Lee era un uomo determinato e calcolatore, non avrebbe permesso nemmeno a sua figlia di intromettersi nella sua vita. Per lui la sua fuga aveva significato la rottura definitiva del loro rapporto, gli ultimi detriti di un vaso distrutto che si separano, destinati a non riconciliarsi mai più: come Madison aveva deciso di ignorare John, John avrebbe ignorato Madison.
Rimasto da solo con Samantha, non trovai passatempo migliore che fissarmi le scarpe.
Lei tossicchiò, forse per attirare la mia attenzione. Alzai lo sguardo, e la trovai ad osservarmi un po’ confusa. Mi sorrise.
«Non credo che tu mi abbia detto il tuo nome.» mi fece notare, cordiale ma comunque infastidita.
«Niall» le risposi, sforzandomi anch’io di sorriderle. Infondo lei non aveva alcuna colpa in quella situazione, se non quella di essere piombata in casa altrui senza alcun preavviso, quindi non aveva senso portarle rancore o essere sgarbati. Avrei dovuto ricordarlo anche a Maddie.
«Niall» ripeté «Tu e Madison state insieme?»
A quella semplice domanda non potei fare a meno di boccheggiare, in imbarazzo. «No» balbettai, «sono il suo migliore amico.» solo il suo migliore amico.
«Oh.» fu il suo commento sorpreso. Doveva essersi accorta del mio disagio, perché «Scusa se te l’ho chiesto, probabilmente starai pensando che non ti conosco, che non vi conosco, e che non ho il diritto di fare domande così personali...» cercò di giustificarsi.
«Sta’ tranquilla, nessun problema.»
«Il fatto è» continuò, ignorandomi completamente «che avrei potuto giurare che foste una coppia, e di solito non mi sbaglio su queste cose...Ma voi non lo siete, quindi mi sono sbagliata e sono stata inopportuna, e mi dispiace.»
Ci mancava solo una sorellastra fin troppo intuitiva, ad aggravare il mio stato di ansia. Possibile fossi così trasparente? Possibile non riuscissi a tenere nascoste le mie emozioni in alcun modo? Tutti sembravano leggermi dentro senza alcuna difficoltà, e cominciavo a domandarmi se non fosse proprio Maddie, ad aver bisogno di qualche lezione di lettura.
«Non preoccuparti» scossi la testa, e le rivolsi un sorriso. «Tu di dove sei? Non sembri avere il nostro stesso accento» le chiesi, tanto per instaurare una qualche conversazione e perché avevo notato una diversa inclinazione nella sua voce.
«Sono di Los Angeles, California» fu la sua risposta fiera «Ma sono nata in Canada, ci siamo trasferiti quando io avevo dieci anni.»
«In effetti hai tutta l’aria della ragazza americana...»
«E voi possedete un certo charm inglese...» scherzò. «Come fate a vivere qui?» attaccò poi «A Los Angeles c’è sempre il sole, qui invece ci sono dei nuvoloni terribili! Ho dovuto correre per prendere un taxi, temevo si sarebbe messo a piovere da un momento all’altro.» espose i suoi lamenti, con una smorfia di sufficienza.
Mi strinsi nelle spalle. «Il tempo qui è l’unico fattore sfavorevole» convenni, dando un’occhiata al cielo coperto che minacciava una lunga pioggia «ma Londra è una città stupenda.» sorrisi, come a rafforzare la mia tesi.
Tuttavia Samantha non ne sembrò convinta, e storse le labbra. «Non so come farò a sopravvivere per più di sette giorni in questa città» sospirò «o in questa casa» riprese, prendendo a guardarsi attorno «L’arredamento è orribile, e non voglio immaginare come sarà la mia stanza da letto, sempre che io non debba dormire sul divano.»
Frivola e snob, esattamente come avevo pensato che fosse, una barbie venuta fuori direttamente dal manuale della perfetta americana. Non potevo certo pretendere che cogliesse le bellezze di Londra, o il fascino del suo clima, perché per lei vivere lì sarebbe stato un abominio, senza il sole a battere continuo sulla sua pelle: è impossibile imporre lo stile britannico in un’americana. E il suo accento marcato continuava a darmi fastidio.
«Come mai hai deciso di venire qui, se Londra non ti piace?» domandai, cercando di trattenere la nota sprezzante al suo minimo.
«Non è stata una mia idea, tanto per cominciare» chiarificò. «John e mia madre hanno pensato che sarebbe stato bello se io e Madison ci fossimo conosciute, prima di diventare sorelle effettive, e anch’io sono stata curiosa di conoscere la mia nuova sorella, appena ho scoperto che ne avrei avuta una.» fece una pausa «Volevo conoscerla, magari diventarle amica, ma John mi aveva detto che non sarebbe stato facile trascinarla fino a Los Angeles, per cui eccomi qui.»
Sospirò, e si alzò dalla poltrona per fare un giro nel salotto.
«Non c’è molto da dire in realtà, comincio a pensare che venire qui non sia stata una delle mie scelte migliori.»
Non potevo fare a meno di concordare. Madison non aveva certo bisogno di una matrigna, o una sorellastra, e questo nuovo problema non avrebbe fatto altro che scombussolarla. Per prima cosa poi non aveva bisogno di sentir parlare di nuovo di suo padre o averci di nuovo a che fare, visto il distacco emotivo che l’aveva portata a separarsene, e questo l’avrebbe irrimediabilmente riportata al punto di partenza. E lei odiava guardarsi indietro.
«Maddie ha solo bisogno di... metabolizzare la cosa. La famiglia non è mai stata la sua priorità, ed è strano per lei pensare di tornare ad averne una. A dire il vero credo che l’idea la terrorizzi soltanto.»
Sorrise e non compresi il motivo di quel sorriso, poi «Parli quasi come se foste una cosa sola.» disse.
Forse perché lo eravamo.
La voce di Madison fin troppo alta proveniente dalla sua stanza mi impedì di rispondere a Samantha, che aggrottò la fronte.
«Puoi anche scordartelo!»
Il tono amplificato della sua voce riuscì a oltrepassare lo strato della porta e delle pareti, e mi spaventò.
«Io esco» fu l’uscita della bionda «ho bisogno di un po’ d’aria...»
Accennò un sorriso e alzò la mano in segno di saluto, andandosi a riversare nella veranda. Sapevo che non aveva affatto bisogno di riprendere aria ma di togliersi dai piedi, ed apprezzai la sua discrezione.
I rumori in casa tacquero. Io mi diressi verso la stanza di Maddie, inspirando prima di bussare alla porta.
«Samantha se sei tu puoi anche andartene, non ho voglia di discutere con te sull’arredamento. Anzi non ho voglia di parlare con te e basta.»
Nonostante il suo tono stizzito sentirla mi strappò un sorriso.
«Sono solo io» aprii piano la porta.
Maddie alzò lo sguardo smarrita, e incrinò le labbra in un mezzo sorriso di sollievo quando mi vide.
Tante emozioni la dominavano: rabbia, tristezza, frustrazione, insicurezza, desolazione.
Stava seduta sul letto con le ginocchia al petto e teneva lo sguardo fisso sulla parete davanti a lei, senza accennare a volgerlo verso di me.
Fui quindi io ad avvicinarmi a lei. Le sedetti affianco e portai un braccio attorno alle sue spalle, lasciando che lei si rilassasse e stringesse le braccia attorno al mio busto.
Era sul punto di esplodere. Questione di tempo, e presto le mie carezze si sarebbero tramutate in parole di sfogo da parte sua. Bastava aspettare.
«Si risposa tra qualche settimana» sbottò d’un tratto, abbattuta, contro il mio petto «Non dovrebbe importarmi ma io non voglio.»
«Lo so.» posai un bacio sulla sua fronte.
«Sai da quanto conosce questa donna? Due anni. Solo due anni e adesso vuole sposarla, dice che ha bisogno di voltare pagina, ma questo è voltare un intero libro.»
Sospirai, accettando di farla sfogare tra le mie braccia. D’altronde non lo avrebbe fatto in altre condizioni, e volevo esserle d’aiuto più che potessi.
«Io non capisco...» la sentii scuotere la testa contro il mio petto; alzò lo sguardo «come può pretendere che io mi adatti alle sue decisioni senza batter ciglio?»
«Devi decidere tu se adattarti o meno.»
Scosse la testa. «Non posso farlo. Io non voglio farlo, Niall. Non voglio un nuovo matrimonio, un nuovo padre, una matrigna, e una sorellastra di cui non so praticamente niente. Non lo vorrei nemmeno se fossero le mie migliori amiche, e...»
Due grosse lacrime le solcarono le guance, e un singhiozzo la costrinse ad interrompersi.
Asciugai le lacrime e la strinsi più a me, nella speranza di calmarla.
«Io non tradirò mai la mamma come ha fatto lui. Non voglio farlo, e lui non può costringermi a farlo.»
Maddie aveva un rapporto davvero stretto con sua madre. Sin dalla nascita aveva capito le sue esigenze e le sue emozioni e non aveva mai mancato di supportarla nelle sue idee, le sue ambizioni.
Era stata Amelia ad iscriverla alla scuola di danza. Non aveva fatto altro che ripeterle quanto fosse brava e aggraziata mentre ballava, e aveva fantastico assieme a lei sul giorno in cui sarebbe diventata una ballerina famosa, e tutti quanti in tutti i teatri l’avrebbero applaudita. “Fino ad arrossarsi le mani” le diceva sempre, e Madison rideva e improvvisava qualche passo di danza. Sua madre l’avrebbe sempre applaudita.
Amelia Lee era morta di cancro, circa quattro anni fa. La sua morte aveva stravolto la sua famiglia  e soprattutto sua figlia, che non riusciva più a darsi una ragione per vivere: osa significava ballare, se non ci sarebbe stata più la sua mamma ad applaudirla?
L’assenza della donna aveva inoltre reso più intense le liti tra Madison e John, che ormai non riuscivano più ad accordarsi su niente, ed era questo il motivo per cui lei aveva deciso di andarsene, un anno dopo. Voleva seguire il suo sogno per lei ma soprattutto per Amelia, e aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai smesso di ballare, finché ogni teatro non l’avrebbe applaudita proprio come sua madre si divertiva ad immaginarla su immensi palchi quand’era piccola.
Non ho avuto modo di dirle addio, e continuare a ballare sarà l’unico modo per sentirla ancora vicina.”
«No, non può.»
Niente avrebbe potuto impedirle di seguire il suo sogno e le sue ambizioni, niente avrebbe mai abbattuto la sua determinazione, di questo ne ero più che certo.
Restammo per qualche istante in silenzio, fin quando «Niall?» lei tornò a parlare.
«Hm?»
«Resta con me, stanotte. Ho bisogno di te.»
Non disse altro né aspettò che le rispondessi. Semplicemente si distese accanto a me con le braccia a stringermi e la testa sul mio torace, ad ascoltare il battito del mio cuore.
Ed io non rovinai quel momento. Posai un bacio tra i suoi capelli e le sussurrai la buonanotte, poi il mio respiro si unì col suo, e tutto ciò che riuscii a sentire fu un flebile “grazie”, nient’altro fino alla mattina dopo.


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ALEEE' OH OH 
Finalmente ho trovato il tempo/mezzo per pubblicare il capitolo. 
La scuola è iniziata ed io la odio già. Credo che d'ora in poi non avrò così tanto tempo da dedicare a scrivere, ma farò del mio meglio. 
Passando al capitolo: ecco la sorpresina di Sam!
E Maddie non la prende affatto bene. Ma nessuno lo farebbe, o no?
Comunque Niall le rimane accanto, ed è questo l'importante. Bisogna vedere come si evolverà la cosa...
ci vediamo tra un tempo indefinito ;_;
ahah alla prossima!

 

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Capitolo 8
*** 8. Punch ***


         
«Sorellastra?!»
Le voci di Cory e Alex rimbombarono all’unisono nel locale, e attirarono l’attenzione di alcuni clienti curiosi, e il fastidio di altri. Anche Peter e Zoe, gli altri impiegati, parvero incuriositi da quell’esclamazione inopportuna, ma si limitarono a scuotere la testa e tornare al loro lavoro.
«Volete chiudere quelle boccacce?» li rimproverai, a bassa voce «Ci manca solo che lo urliate fuori in strada!»
Loro due ritirarono le espressioni sbalordite presto e richiusero le loro bocche, impegnandosi per mantenere un certo contegno. Eravamo in un luogo pubblico, e non a tutti piacciono le persone che urlano di primo mattino, specialmente se si ha la luna storta.
«Hai ragione.» Alex si scusò per prima, Cory sorrise soltanto «Quindi questa Samantha sarebbe venuta fuori così, dal nulla?»
«Io non chiamerei Los Angeles “nulla”» ribattei sarcastico «ma sì, è piombata a casa di Madison senza alcun avviso e ci ha dato la notizia.»
«Che batosta...» osservò Cory, ancora a rigirare il cucchiaino nel suo frappuccino «Quindi suo padre si risposa? Senza averle detto niente?»
«Sapeva che Maddie gli avrebbe sputato in faccia il suo rifiuto, ha preferito evitare. Ma comunque lei gliel’ha sputato per telefono.»
«Non penso sia potuto arrivare, sino a Los Angeles» commentò Alex, con un sorrisetto. Forse si aspettava che anche noi sorridessimo per la battuta, ma Cory aggrottò la fronte ed io rimasi in silenzio, a lavare le posate di cui mi stavo occupando. Lei tossicchiò, intenzionata a non perdersi d’animo e cambiare discorso. «Maddie non deve averla presa bene, non è così?»
Oh, Maddie. Dire che non l’aveva soltanto presa bene sarebbe stato un eufemismo. Per lei quella notizia era un nuovo abominio e un’agonia crescente. Non aveva chiuso occhio quella notte e nemmeno io, troppo preoccupato che riprendesse a piangere. Ma lei non lo aveva fatto. Non aveva versato nessuna lacrima e si era limitata a restare ben stretta a me, quasi costituissi un’ancora, sospirando e singhiozzando di tanto in tanto, senza comunque parlare. Ogni tanto si era alzata per andare in bagno o prendere un po’ d’aria ed io l’avevo lasciata fare senza seguirla, pronto ad accoglierla nuovamente tra le mie braccia, quando sarebbe tornata.
Samantha era tornata poco dopo in casa e aveva deciso di sistemarsi in una delle due stanze da letto libere, e aveva avuto il tatto di non lamentarsi, sebbene avessi percepito dalla sua espressione che la sua stanza non le piacesse granché. Ma da come la si sentiva russare, aveva dormito eccome.
Maddie era crollata in un leggerissimo e insufficiente sonno solo verso le 7 del mattino, proprio quando io mi ero alzato per prepararmi per il lavoro.
«E’ distrutta.» decretai.
«E anche tu.» aggiunse Cory. Diede un rapido sguardo alle mie occhiaie non ancora ben visibili e le analizzò con una smorfia. «Immagino tu non abbia dormito.»
Scossi la testa.
«Vedi che puoi tornare a casa se non te la senti di rimanere qui.» il tono premuroso di Alex mi fece sorridere.
«Tranquilla Alex sto bene, non è certo la prima volta che non dormo di notte...» ma non feci a tempo a terminare la frase che uno sbadiglio mi investì, e rivelò ogni mio sintomo di stanchezza.
«Dovresti andare a casa.» ribadì Alex.
«Posso farcela.»
Stavo morendo di sonno. Avrei dato qualsiasi cosa in quel momento per schiacciare un pisolino e sapevo che Alex aveva ragione – Alex ha sempre ragione – ma non potevo permetterle di coprire anche il mio turno un’altra volta, sebbene il mio volto tradisse la mia discrezione. Soprattutto non volevo rilassarmi. Avevo bisogno di qualcosa da fare, o il pensiero di Maddie mi avrebbe torturato per tutta la giornata, e non sarei nemmeno riuscito a prendere sonno.
«Che tipo è questa Samantha?» fu allora la domanda di Cory, quando Alex si fu allontanata per servire delle bambine.
«Schizzinosa» la sintetizzai in un solo aggettivo.
«Schizzinosa in che senso?»
«Beh non le piace la città, non le piace il clima, non le piace la casa, non le piace la sua stanza e sono certo che dopo ieri non le piacerà nemmeno sua sorella.»
Madison non si era mostrata proprio entusiasta di lei o di ciò che rappresentava, la scorsa sera. Aveva reso ben nota la sua disapprovazione e il suo astio, e le cose non dovevano essere cambiate molto all’alba del nuovo giorno: le probabilità che Maddie avesse allargato le braccia e pronunciato a gran voce un “buongiorno, sorellina!” erano piuttosto scarse. O inesistenti.
«La mettiamo bene... Maddie che ne pensa?»
«La odia. E non solo perché non vuole assolutamente una sorellastra, ma perché è il tipo di persona da cui si terrebbe generalmente lontana.»
Cory increspò le labbra, gesto che stava sempre a precedere un “Che situazione del cazzo”, che infatti arrivò dopo. «Dovrà comunque imparare a conviverci» riprese «se presto si ritroveranno sorelle. Immagino suo padre voglia tenerla sotto la sua ala, con la sua nuova famiglia..»
L’insinuazione di Cory mi giunse forte e chiara, e mi rese furioso. «Maddie non lo seguirà a Los Angeles, se è questo a cui pensi» sibilai «Lei non lo farebbe mai.»
No, è ovvio che non l’avrebbe fatto. Perché Cory l’aveva anche solo pensato? Lei non avrebbe mai seguito suo padre perché prima di tutto adesso il suo odio s’era accresciuto, poi perché non avrebbe mai abbandonato Londra rinunciando al suo obbiettivo. Lasciarla sarebbe stato come dire addio ad Amelia, e lei si era ripromessa di non farlo mai.
Poi c’ero io. Maddie non mi avrebbe mai lasciato da solo, di questo ne ero certo. Eppure perché l’idea mi spaventava così tanto?
«Dico solo che potrebbe pensare di farlo» Cory azzardò.
«No. Lei non ci pensa nemmeno a lasciare Londra.»
Il mio tono era così duro e severo da non ammettere repliche, e Cory sapeva che se c’era un argomento riguardo al quale aveva il dovere di tacere quello era proprio Madison. Sapeva quanto fossi permaloso, suscettibile e scontroso se diventava oggetto di discussione, e non avrebbe detto un’altra parola per scatenare la mia collera. Quindi passò a parlare d’altro.
«Elena non è stata molto bene stanotte» disse, ancora alle prese col frappuccino.
«In che senso non è stata bene?» scattai allarmato.
Mia sorella. Ero stato così concentrato su Maddie che me n’ero dimenticato.
«L’ho sentita gemere, forse per le fitte. Ha fatto la spola tra la sua stanza e il bagno per tutta la notte, credo abbia vomitato anche l’anima.»
Cory sembrò preoccupato. E anch’io cominciavo ad esserlo. Quella poteva considerarsi la sua prima vera nausea da quando Elena era arrivata, e non pensavo potesse mettermi in pensiero così tanto. Sapevo che le capitava spesso ed era una cosa del tutto normale in piena gravidanza – il dottore si era persino meravigliato che non l’avessero colpita per un’intera settimana – ma non potevo fare a meno di pensare che avrei dovuto starle vicino.
«Stamattina come stava?» chiesi.
Cory sospirò. «Bene, credo. Non sono un medico e quando mi sono svegliato dormiva ancora, quindi non posso saperlo.»
Elena non stava bene. Il fatto che al risveglio di Cory dormisse ancora e non mi avesse ancora chiamato o inviato un messaggio per avvisarmi di essere sveglia ne era un segno. Ed io continuavo a pensare che avrei dovuto restarle accanto.
Ma allora chi si sarebbe preso cura di Maddie?
Quando Cory ritentò a parlare e Alex fu tornata da noi, allora la porta di ingresso della caffetteria si aprì, lasciando entrare una fastidiosa folata di vento e due persone.
Quasi mi sentii il cuore in gola quando vidi il viso di Maddie, stretta nel solito cappotto e il berretto di lana, lo sguardo basso. Quelle poche ore di sonno non l’avevano migliorata. Si vedeva lontano chilometri che era del peggiore degli umori, e che aveva bisogno di riposare.
Accanto a lei, sorprendentemente, c’era Ethan. Non così sorprendentemente, infondo mi aspettavo che dovesse arrivare a fare la parte dell’eroe prima o poi. E infatti lui la stringeva e la guardava quasi come se fosse il pompiere salvatore e Maddie un impaurito gattino salvato dalle fiamme, e avrei potuto vomitare alla visione delle loro mani intrecciate.
Ethan non sapeva. Ethan non l’aveva vista piangere, impazzire, urlare, lui non sapeva niente di tutto questo. Lui non era mai stato davvero presente quando la sua ragazza si concedeva di essere di malumore, ma amava far finta di proteggerla fingendosi un fidanzato dolce e premuroso, quando invece avrei giurato che lo facesse solo per farmi infuriare. E ci riusciva benissimo, perché già il solo vederlo mi stava corrodendo le viscere per la gelosia e la rabbia.
Una cosa però la sapeva: la mia cotta. Ethan non era stupido ed ero sicuro avesse capito già da un bel po’ che invidiavo la sua posizione più di qualsiasi altra cosa. Ma l’alibi del migliore amico reggeva alla grande e lui non aveva mai provato a metterla in dubbio, perlomeno non pubblicamente. Per li resto si limitava a fingersi indifferente e guardarmi con sfida ogni volta che era insieme a Maddie.
Non avevo mai desiderato picchiare qualcuno, ma se mai sarei diventato un tipo violento, lui sarebbe stato il primo della lista. O l’unico.
Maddie non alzò nemmeno gli occhi a guardarmi. Si lasciò semplicemente guidare ad un tavolo libero da Ethan, che le ritirò la sedia come un gentiluomo e la aiutò a prendere posto, sedendole poi di fronte. Maddie gli sorrise soltanto, per ringraziarlo del gesto.
Quando lui si alzò, Alex colse la mia supplica silenziosa e si offrì di prendere le ordinazioni, sforzandosi di sorridergli cordiale come faceva con tutti i clienti. Cory invece non era così discreto e amabile, e non si pose alcuno scrupolo a lasciarsi scappare un’occhiataccia di ripugno. Nemmeno a lui piaceva Ethan.
Io non gli prestai la minima attenzione, ora che si era allontanato da Madison. Era di lei che mi importava. Quindi uscii da dietro al bancone e con un elaborato e profondo respiro mi avvicinai a lei, evitando di sedermi allo stesso posto di Ethan. «Come stai?» incalzai.
Non rispose. Si strinse nelle spalle, lasciandomi intendere le peggiori risposte.
Vederla così mi distruggeva. Mi sentivo così impotente, nel vedere il suo muso lungo.
«Saresti dovuta rimanere a casa.» il mio non suonava come un rimprovero, ma come un dolce consiglio che ormai non poteva più essere seguito.
«Anche tu. Eppure sei qui.» si limitò a dire, accennando ad un sorriso mesto.
«Il mio non è un altro discorso.»
«No, non lo è.» alzò lo sguardo, per esaminare anche lei il mio volto esausto. «Sei preoccupato.» mormorò infine «Anche Ethan lo è. Smettetela di preoccuparvi per me, non ne vale la pena.»
Ethan preoccupato? Sì, preoccupato di non riuscire nella sua scenetta pensai, ma mi vidi bene dal tenere la bocca chiusa.
«Sai che non posso smettere.»
Sospirò. «Lo so. Ma non sono vulnerabile, non c’è bisogno che mi stiate tutti così attorno. Siete voi a farmi sentire debole, io sto bene.».
Sapevo cogliere la menzogna nella sua voce in ogni occasione, e mi sorprendeva che dopo tutto quel tempo lei non l’avesse capito: non poteva mentirmi. Ma c’erano un paio di cose che Maddie non aveva capito, infondo.
Scossi la testa, a contraddirla in silenzio. «E’ così sbagliato che io voglia aiutarti?» chiesi sommessamente.
«Sì, se questo ti distrae dalla tua vita!» scattò dura.
Senso di colpa. A ripensarci era strano non fosse ancora affiorato. Perché si ostinava ogni volta a pensare che lei riducesse le mie priorità? Non avrei dovuto prendermi cura di lei, era questo che intendeva. Odiava essere al centro dell’attenzione, della mia attenzione, perché pensava di procurarmi preoccupazioni inutili, e che questo limitava le mie giornate a starle attorno, in ansia. Avrebbe preferito risolvere questa cosa da sola, ma sapevamo entrambi che non poteva farcela. Lei era solo troppo orgogliosa per ammetterlo.
«Devi smetterla con questa storia.» le intimai  «Se ti sto attorno è perché sono preoccupato, e se sono preoccupato è perché tengo a te e ti conosco abbastanza da sapere che non puoi affrontare questa cosa da sola!»
Il mio tono stava decisamente rigenerando. Avrei dovuto darmi una calmata, ma non potevo accettare che lei tentasse così di continuo di tagliarmi fuori dalla sua vita, se qualcosa la disturbava. Odiavo che lo facesse, gliel’avevo reso noto parecchie volte, ma lei continuava con quella scenata infantile, come volesse farmi un dispetto.
«Lei non è sola.»
La voce roca di Ethan alle mie spalle mi fece irrigidire. Mi voltai, livido d’odio. «Senza offesa, ma i nostri discorsi non ti riguardano.»
«Oh certo che mi riguardano» ribatté lui con un sorriso «se quella contro cui urli è la mia ragazza.»
Avrei giurato avesse accentuato la voce su quel “mia”.
«Questo non ti da il diritto di immischiarti.» e si da il caso che io abbia molti più diritti di quanti ne abbia tu, avrei voluto aggiungere.
Lui assunse un’espressione seria, minacciosa. Ma la mia non era da meno. E così ci ritrovammo faccia a faccia, a fissarci infuriati, azzurro contro verde.
Inarcò le sopracciglia, si inumidì le labbra. «Ci sono io per lei. Non serve nessun’altro.»
Un sorriso sarcastico non poté fare a meno di formarsi sulle mie labbra. «Oh, hai fatto proprio un bel lavoro...» gongolai. Quella mia affermazione sembrò irritare Maddie.
«Smettetela. Ethan, andiamo via.»
Ma quello non si mosse di un millimetro, se non per sovrastarmi in altezza. «Non te lo dirò più Horan, vedi di starle lontano.» sussurrò, con tono spaventosamente calmo.
«No, vedi tu di starle lontano!» replicai, facendo qualche passo in avanti «Se tra noi c’è qualcuno che le fa del male sei proprio tu, non io.»
«E tu saresti il ragazzo perfetto?» commentò ironico «Quello con la testa sulle spalle, quello sincero e premuroso, non è così? Ti credi migliore di me, vero?»
Aveva una scintilla terrificante negli occhi. E forse il suo tono lapidario e la vena pulsante sul collo avrebbero dovuto spaventarmi e fermarmi, ma volevo sbattergli in faccia la verità, ovvero che io contavo molto più di lui.
«Non lo credo. Io so di esserlo.»
Sollevò le labbra in un sorriso derisorio, e la risatina che ne seguì fu anche più inquietante. Inclinò la testa, quasi stesse analizzando la mia espressione. «Sei solo un codardo.» mormorò, sprezzante «Sei un vigliacco, Horan, è questa l’unica cosa che sei. Sai di esserlo.»
Mi sorrise un’ultima volta, da bastardo qual’era. Ma la sua bella faccia abbandonò presto il sorriso, quando il mio pugno si abbatté contro la sua guancia.
«Niall!» Madison strillò.
Mi voltai, e colsi solo il suo sguardo terrorizzato. Quello equivalente di Alex, e quello sbalordito di Cory. Quello infastidito e incuriosito dei clienti.
Io fissai soltanto il mio pugno ancora stretto, forte, a mezz’aria. Poi vidi Ethan, lontano di circa un metro, la testa incrinata e la mano a pulirsi il labbro, dove si era fatto vivo un po’ di sangue. Ma quando scoprì il viso, sorrideva ancora. Vidi solo la sua mascella irrigidirsi, poi mi si scagliò contro.


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SLAAAAAAAAAP!
Lo scontro tra fidanzati gelosi è avvenuto! ahahah volevo scriverlo da tanto. Voi da che parte state? Io tifo Horan.
#teamHoran 
Ma forse questa "scenata" potrebbe cambiare un po' le cose. Sopratutto tra Niall e Madison. 
Scopriremo alla prossima come! (Sì Federica, a spittà.)

 

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Capitolo 9
*** 9. Soulmates ***


    
Al contatto con l’ovatta inzuppata, gemetti ancora. Cercai di portare la mano a coprirmi la guancia, ma Elena la scacciò via bruscamente. «Non provare a muoverti, o potrei anche peggiorare la situazione.» mi ammonì severa, costringendomi a riprendere la posizione del burattino. Poi tamponò ancora la guancia, e questa volta mi costrinsi a stringere i denti.
Dire che era infuriata era ben poco. Avrebbe voluto prendermi anche lei a pugni, anziché curare le mie ferite come stava facendo. Presentarmi a casa con il viso malconcio e diversi dolori addominali l’aveva spaventata a morte, e quando Cory le aveva spiegato il motivo di quei colpi aveva tramutato la paura in rabbia, ripetendomi fino allo sfinimento che ero stato troppo azzardato e troppo idiota, e che avrei dovuto tenermi i miei pensieri solo per me, perché con un individuo come Ethan non potevo che aspettarmi di prenderle e in modo molto più pesante. Poi era stata una lite inutile, scatenata dalla tensione di entrambi, e avremmo potuto benissimo risparmiarci lo spettacolo cruento – “e infantile” –, che mi era quasi costato il posto di lavoro. Fortunatamente il signor Hunt aveva deciso di chiudere un occhio sulla faccenda: “so che non succederà più, sei un bravo ragazzo” aveva detto, e a contribuire era stata la parola di Alex, che gli aveva assicurato che fosse stato Ethan a iniziare, ed io lo avessi colpito solo per difendermi, anche se era stato il contrario.
«Togli la maglietta.» mi ordinò.
«Perché?»
«Come te la spalmo la pomata sul petto, attraverso il tessuto?»
Alzai gli occhi al cielo e feci come mi aveva detto. «Potresti smetterla di trattarmi come un bambino?»
«E’ quello che sei, fratello. Un moccioso impulsivo che non pensa alle conseguenze.»
«Ti ho già spiegato perché gli ho tirato un pugno!»
«Ed io ti ho detto di stare fermo!»
Sbuffai, assecondandola. «Per quanto ancora dovrò stare immobile?»
«Finché te lo dico io.»
«E per quanto ancora userai questo tono? Mi irriti.»
«Finché la pazienza non finirà e allora ti arriverà uno schiaffo sul viso.»
Il suo sorriso serafico mi fece arrabbiare ulteriormente ma non opposi resistenza, convinto del fatto che se Elena voleva schiaffeggiarmi allora l’avrebbe fatto, ferite o non. Quindi mi distesi sulla schiena come mi aveva detto lei e lasciai che mi spalmasse sul petto un po’ del tubetto di crema che aveva messo sul comodino. Ad ogni suo tocco era come se la mia pelle risentisse l’impatto dei colpi di Ethan, e la mia mente automaticamente raccattava tutti i pensieri di odio possibile riguardo quel ragazzo. Quando arrivò agli addominali, non riuscii a evitare un grugnito di disappunto.
«Ti ha ridotto malissimo...» mormorò mia sorella, cercando di addolcire il tocco della sue dita.
«Anche lui non sta bene.» replicai.
Puntò per qualche istante gli occhi sui miei, poi scosse la testa in preda all’esasperazione. «Voi maschi e il vostro dannato orgoglio! Fate qualsiasi cosa per proteggerlo, e ne avete solo guai!»
Non aprii bocca per contraddirla, perché sapevo anch’io che aveva ragione. Ma sbagliava  a pensare che io avessi agito per orgoglio. La mia reazione era stata dettata da rabbia e una buona dose di gelosia, che non avevo saputo tenere a bada com’ero abituato a fare da tempo immemore. Non avevo resistito alla sensazione di togliergli quel sorriso maligno dal viso, e avevo voluto fargli capire che anch’io potevo essere temuto, e che lui non mi spaventava affatto, con le sue battute taglienti e la sua faccia da schiaffi.
Quello che più mi aveva fatto infuriare era stata la nota di possessività che la sua voce pretendeva quando Madison rientrava nei nostri discorsi – il che accadeva ad ogni occasione –, come se fosse solo sua ed io non avessi il diritto di starle accanto. “Ci sono io per lei. Non serve nessun altro.”. Avrei voluto sputare in faccia a Ethan che se c’era qualcuno che non serviva quello era proprio lui, e che ero stato io a stare accanto alla sua ragazza per tutta la notte, non lui.  Io l’avevo sentita piangere, io l’avevo sentita sfogarsi, io l’avevo cullata per tranquillizzarla. Non lui. Io meritavo ogni forma di affetto che lei mi concedeva e avevo il diritto di preoccuparmi per lei, lui non aveva il diritto nemmeno di tenerla per mano.
Eppure lei era andata via con lui. Non era rimasta a vedere come il suo ragazzo mi aveva conciato, si era preoccupata di portarlo via, senza badare di come stessi io. Non mi aveva neppure guardato negli occhi, era sgattaiolata via senza dire nulla, e forse era proprio quello che mi aveva intristito di più.
«Così dovresti essere apposto.» mi rassicurò Elena, e per la prima volta mi sorrise, dandomi una carezza sulla guancia sana. Ma io non la guardai in viso. E lei sapeva a cosa pensavo.
«L’aver litigato con Ethan non rovinerà il rapporto tra te e Maddie, Niall.»
«Come fai ad esserne certa? E’ pur sempre il suo ragazzo, e noi non andiamo d’accordo...»
«Dimentichi che sei il suo miglior amico, e ci sei prima di lui. Madison ti vuole bene come un fratello, non ti lascerà andare a meno che tu non lo voglia.»
Come un fratello...
Come un fratello. Già, solo come un fratello. Un amico fidato, su cui fare affidamento, a cui si vuole bene, nient’altro. Per quanto mi sforzassi di sperarci sarei rimasto sempre e solo un amico,e nonostante lei tenesse molto a me e questo mi rendesse felice io mi sentivo insoddisfatto. Perché quello che volevo davvero, sapevo che non l’avrei mai ottenuto.
«Niall...» Elena tornò ad accarezzarmi, dispiaciuta «Io non volevo dire...»
«No, no hai ragione.» la interruppi «Hai ragione a dire che lei mi vede proprio come un fratello. Ma Maddie non fa parte della nostra famiglia. Lei è la donna che amo.»
Mia sorella sospirò. «Vieni qui» mi disse, suggerendomi di distendermi accanto a lei. Lo feci, seppur con qualche difficoltà a causa delle lesioni, e presto venni avvolto dal suo abbraccio.
«Elena io non credo di poter nascondere questa cosa ancora, è troppo grande...»
«Lo, lo so...»
«E anche se glielo dico,chi mi garantisce che lei mi salterà tra le braccia e non mi allontanerà? Io se fossi al posto suo potrei farlo. Anche se io non potrei mai essere al suo posto...»
«Ti vuole troppo bene per starti lontana. Siete fuggiti a Londra insieme, l’hai dimenticato?»
Un sorriso amaro scaturì a quel ricordo. «Già, Londra. E ora lei potrebbe andarsene a Los Angeles e allora io la perderei.»
L’espressione sul viso di Elena divenne perplessa. «Los Angeles? Di che parli?»
«Tu non lo sai...» mormorai, ricordando che non la sentivo né vedevo da quasi un giorno «John si risposa» lanciai la bomba.
E Elena la ricevette, ad occhi spalancati. «Si risposa? E con chi?»
«Con una californiana...» restai vago, perché davvero non sapevo nulla di lei «Pensa che sua figlia si è presentata a casa di Maddie come coinquilina e resterà qui per un po’, per conoscere sua sorella dice... Si chiama Samantha.»
«E che tipo è?»
«Viene da Los Angeles, che tipo vuoi che sia?»
Elena storse le labbra, comprendendo di cosa parlavo. «Maddie deve essere sconvolta...» osservò poi «Ed è per questo che hai passato la notte lì, non è vero?»
Annuii. «Sì. Era distrutta, mi è sembrata persa, e non mi andava di lasciarla da sola. Mi dispiace di non averti avvertito.»
«No no, tranquillo, hai fatto bene a rimanere.»
«Non sei stata bene stanotte.» la contraddissi, come mi aveva accennato Cory.
Lei roteò gli occhi, come se si aspettasse che glielo dicessi. «Cory tende sempre ad esagerare» fece una smorfia «Era solo un po’ di vomito e disturbi interni, niente di speciale. Probabilmente non ha mai visto una donna incinta, questa per noi è routine. Come bere il tè.» mi sorrise, e si accarezzò la pancia con fare materno.
«Beh comunque avrei voluto esserci.»
«Per vedermi vomitare la cena? Ti assicuro che non era un bello spettacolo.» rise, facendo ridere anche me «E poi Maddie aveva più bisogno di te di quanto ne avessi io.»
Mi incupii.
Ci sono io per lei. Non serve nessun altro.
«Lei ha Ethan.»
«Ethan non è te.» si affrettò a ribattere «E smettila di pensare che lei un giorno ti abbandonerà, perché non succederà mai.»
«Per via del fratello...»
Stavolta anche lei assunse una smorfia triste. «Beh temo di sì. Ma le cose possono cambiare Niall, devi solo continuare a sperarci.»
Scossi la testa. «No...» replicai «Le cose non cambieranno» ; «E sai perché?» ripresi «Perché io per lei sarò sempre il bambino che le spinge l’altalena.»
Era quella la verità. Maddie non avrebbe mai potuto vedermi sotto una luce diversa, perché io per lei sarei sempre stato il suo amico di infanzia. Quello con cui condivideva biscotti, giocattoli, corse, marachelle, e con cui ancora condivideva risate e pianti. Ma mai come l’avrei desiderato io. Per quello c’era Ethan e qualsiasi altro ragazzo. Io non ero semplicemente da includere nella lista, non ne avrei mai fatto parte.
Forse per Maddie era persino impossibile vedermi in una veste diversa da quella del migliore amico. Beh ma io ci ero riuscito. Per me lei era molto più di un’amica, e allora perché lei non riusciva a pensare a me in quel senso?
Forse avrei dovuto rinunciare alle mie fantasie e ai miei desideri, a questo punto.
«Niall» cominciò mia sorella «Io non credo che questo sia poco. Non credo ci sia da lamentarsene.»
Quello mi fece aggrottare la fronte. «Tu non credi che dovrei lamentarmi del fatto che colei di cui sono innamorato non mi ricambia?»
Come potevo non lamentarmene? Essere bloccato in questa sorta di zona amici mi stava uccidendo pian piano, giorno dopo giorno, e più realizzavo di non poter fare niente per evitarlo più ci stavo male.
«No» obbiettò lei comunque «Insomma tu hai il suo affetto. E sai che è sincero.»
«Ma il mio non è affetto, El...»
«Lo so. Ma quello che ti voglio dire è che io credo che tu la abbia già, e che lei non potrebbe esserti più affezionata. Altrimenti perché Ethan sarebbe così geloso?»
Ethan geloso? Quella opzione mi fece riflettere. Io ero geloso marcio di lui, ma lui lo era di me? Probabile. Infondo era a conoscenza della mia cotta per Madison o almeno la sospettava, ed era sopraffatto dal forte attaccamento che condividevamo. Sì, forse poteva considerarsi geloso. Non c’era ragione perché lui fosse così scontroso nei miei confronti, se non la sua gelosia, a meno che non si trattasse di antipatia a prima svista. Per me era stato così, non lo avevo sopportato dal primo giorno, ma solo perché la sua mano era stretta attorno a quella della mia Madison. Forse lui si sentiva minacciato? Però era buffo, che il ragazzo più invidiavo al mondo fosse a sua volta invidioso di me. Buffo ma probabile.
«Vedi fratellino» continuò Elena «se c’è una cosa che ho imparato a mie spese è che l’amore non sempre è la cosa più importante. Quello può essere fantastico, può portarti al settimo cielo sì, ma può anche svanire, affievolirsi o essere finto.
Io preferisco credere nella storia delle anime gemelle. Mi piace pensare che da qualche parte nel mondo c’è una persona destinata a te e alla quale tu sei destinato, capisci? Non sempre si tratta di amanti.»
Quel discorso mi affascinava. Infondo poteva essere vero. Quante coppie si erano giurate amore eterno, per poi infangare ogni promessa? Quanti matrimoni erano stati sfasciati? Le anime gemelle in teoria non dovrebbero lasciarsi mai. Non importa le liti, gli equivoci, loro sarebbero rimaste unite.
«Tu pensi che io e Maddie siamo delle... anime gemelle?» chiesi incerto.
«Certo» mi sorrise lei «E se ho ragione allora puoi tranquillizzarti, perché Maddie non ti lascerebbe mai. Per nessun Ethan o Los Angeles al mondo.»
Mi ritrovai a sorridere, svuotato della tristezza. Ecco perché era mi mancata mia sorella. Solo lei riusciva a tirarmi così su di morale, quando Maddie era la causa dei miei mali. E mi sforzai di portarle le braccia al collo, e stringerla. «Ti adoro.» ammisi sincero.
«Anch’io, fratellino.» ricambiò.
«Cominci a somigliare davvero a una mamma, lo sai? Sei quasi spaventosa.»
«Ma smettila!» rise, risparmiandosi una gomitata.
La porta della mia stanza si aprì, lasciando vedere il volto di Cory. «Che combinate?» domandò, confuso ma divertito.
«Una piccola riunione di famiglia, vuoi unirti?» rispose mia sorella.
«Ma io non ne faccio parte.» commentò lui.
«Finché mangi i miei muffin sì, per cui sbrigati ad aggiungerti!»
Cory  accettò l’invito con un largo sorriso e si gettò anche lui sul mio letto, che adesso diventava fin troppo stretto. Comunque avvertì una fitta al fianco, e Elena divenne preoccupata. «Stai male anche tu?» chiese.
«Un po’» rivelò il biondo «Mi fa male il fianco»
«Mi dispiace che tu sia capitato in mezzo.» mi scusai io.
«Non preoccuparti» lui mi sorrise «Infondo ho sempre voluto picchiarlo.»
Ricambiai il suo sorriso, mentre Elena scosse la testa, «Siete uno peggio dell’altro» ci rimproverò. «Alzati tu, andiamo a vedere cos’hai» fece poi, spingendo Cory  verso il salotto. E insieme uscirono dalla mia stanza, lasciandomi solo coi miei pensieri.
Ma non potei dedicarmici, perché il cellulare sul mio comodino prese a squillare. Lo afferrai, e spalancai gli occhi quando lessi il nome di Maddie.
Feci un lungo respiro e poi «Maddie?» risposi incerto.
«Sì, sono io.» confermò lei. «Senti lo so che forse non vuoi sentirmi, ma devo dirti una cosa.»
Sembrava agitata. Non prometteva niente di buono.
«Dimmi pure.» la incitai comunque.
Cosa voleva dirmi? In realtà pensavo che fosse lei a non volermi sentire. Era questo che voleva che sapessi? Che non voleva più avere a che fare con me? Beh allora avrei fatto di tutto per convincerla del contrario. Noi due eravamo anime gemelle, no?
Ci fu un lungo silenzio, tanto che credei avesse riattaccato. «Maddie?» la chiamai quindi.
«Sì, sono qui...» sembrò sospirare.
«Senti se è per la faccenda di Ethan, io...»
«Ethan non c’entra niente.» mi bloccò.
«Ah.» esclamai sorpreso «E allora cos’è?»
Altro silenzio.
«Vado a Los Angeles.»
Un bip.
 

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I'M SO SORRY IF I'M SO LATE. 
La scuola mi uccide, sul serio ç_______ç ma l'importante è che sono tornata, no?
Con un capitolo... hm, movimentato. 
Altri momenti di fratellanza acuta (?) tra Niall ed Elena, ed una scioccante rivelazione finale. Come la prenderà il biondo? Mh.
ALLA PROSSIMA GUYYYS :)

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