Memories are what make us alive

di CHAOSevangeline
(/viewuser.php?uid=71694)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quello che voglio ricordare ***
Capitolo 2: *** Ciò che voglio dimenticare ***



Capitolo 1
*** Quello che voglio ricordare ***


What I want to remember.
何私が覚えておきたい。


 

 
Kiku era sempre stato convinto che se qualcuno credeva nell’applicazione della legge dei poli opposti che si attraggono anche tra le persone, doveva esserci stata una ragione, una prova, che aveva fatto giungere quel qualcuno a tale conclusione.
Avrebbe semplicemente dovuto osservare la gente che lo circondava per trovare anche solo un esempio valido in nemmeno molto tempo, vista la quantità di dimostrazioni che il mondo forniva, ma sfortunatamente non conosceva a fondo abbastanza persone da potersene rendere conto.
Aveva davvero poca esperienza in campo di relazioni e sebbene fosse sempre stato forzato a conoscere gente nuova – e lo facesse, mica era un asociale – non sembrava riuscire a trovare nessuno in grado di smuoverlo da quella situazione di stallo che lo vedeva isolato dal mondo.
Poi aveva conosciuto Arthur.
Si erano cercati a vicenda ancora prima di parlarsi; entrambi sembravano volere esattamente le stesse cose e forse era stato quello che aveva reso possibile a lui, che mai era stato particolarmente bravo nei rapporti con gli altri, di legarsi a quell’arrogante che per tanto tempo era stato lontano da tutto e tutti per dedicarsi solo ed unicamente a se stesso.
Lentamente, ambo le parti avevano capito che la forza del loro legame non risiedeva solamente negli interessi, quanto nel loro carattere: se Arthur parlava senza problemi e ingaggiava discorsi anche con perfetti estranei, Kiku era timido e lasciava che fosse l’amico ad andare in avanscoperta per lui, aggiungendosi eventualmente più tardi alla conversazione facendo ben attenzione che l’inglese non lo abbandonasse lì da solo troppo presto.
Viceversa, se Kiku era calmo e pacato, tanto da contare fino a dieci prima di dire le cose per evitare problemi e incomprensioni, Arthur era un attaccabrighe.
Un vero e proprio fiume in piena di parole a cui era tutto dovuto: cattiverie, vocaboli taglienti… nulla sarebbe stato risparmiato e se il ragazzo se la prendeva con qualcuno – rischiando magari anche di cacciarsi nei guai, perché non misurava quasi mai prima l’avversario che si trovava di fronte prima di parlare –, spettava al giapponese il compito di trattenerlo, chiedere scusa da parte sua sentendosi urlare – ovviamente dall’inglese – di essere uno stupido perché non valeva la pena di abbassarsi al livello dell’ “idiota” che aveva davanti e poi aiutarlo a curare le ferite che quasi sempre si provocava quello sconsiderato.
Se poi si vuole essere tanto schietti, c’è anche da parlare dell’onestà dei due.
Kiku era quel tipo di persona totalmente sincera, che diceva sempre le cose come stanno e che mai si sarebbe rivelato non di parola. Se poi c’era qualcosa che non voleva dire, si limitava ad ometterla.
L’inglese era invece una persona che risultava trasparente attraverso le bugie; forse era facile leggerlo come un libro aperto solamente per l’amico, ma quando lo vedeva assumere determinati atteggiamenti capiva automaticamente se era la verità o se doveva ribaltare l’intero significato delle sue parole per scovare facilmente la realtà.
Così ecco che Kiku Honda aveva finalmente l’esempio tanto cercato esattamente sotto al naso: lui e Arthur erano opposti, ma non quel tipo di opposti dagli ideali differenti che potrebbero rischiare anche di farsi la guerra pur di imporre il proprio pensiero sull’altro, no; erano quella tipologia che si completa a vicenda e nel profondo, questo entrambi l’avevano capito.
Del resto, si erano anche lasciati intendere a vicenda che tutti e due avevano occupato un posto importante nel cuore dell’altro.
L’unico dei due che aveva avuto forse un po’ di insicurezza nel rendersene conto era stato Kiku, che si era ritrovato di fronte al muro di finta indifferenza nei suoi confronti costruito da Arthur.
Peccato che quella barriera fosse parecchio labile e che alla fine fosse stata distrutta senza pietà, ma al contempo con gentilezza, proprio dal giapponese.
Forse era stato esattamente questo che aveva convinto l’inglese di aver trovato qualcuno con cui valeva la pena di stare; gli era sempre sembrato che gli altri non avessero la minima intenzione di farsi strada fino a quello che era lui, limitandosi piuttosto alle bugie con cui si proteggeva per non dire ciò che pensava realmente.
 
Alla fine ci erano voluti mesi per avvicinarsi tanto – perché entrambi possedevano la capacità di rapportarsi con la gente che solo due sociopatici avrebbero potuto vantare –, ma era stato bello giungere a quel benessere insieme.
Ormai non c’era più una cosa dell’uno che anche l’altro non sapesse.
Le cose che facevano da soli erano diventate anche parecchio naturali anche in compagnia dell’altro; Kiku non si faceva più problemi a perdere parte della propria compostezza mentre giocava con Pochi, di fronte all’inglese.
Vedendolo fare così, anche Arthur aveva iniziato a parlare con tranquillità insieme ai propri amici di fronte all’asiatico e pur lasciandolo sconvolto all’inizio, non aveva faticato a convincerlo della loro esistenza.
Per un primo periodo Kiku aveva avuto paura di scoprire se quegli esseri che chiunque avrebbe catalogato come creature immaginarie fossero tutti buoni o anche ostili, ma alla fine aveva allontanato certe paure ricordandosi le vecchie credenze tramandate nel suo territorio: tutte erano radicate alla base dell’esistenza di possibili spiritelli non tutti dai buoni propositi con cui aveva sempre convissuto.
Con il tempo aveva smesso di dare loro troppo peso come la maggior parte degli abitanti del Giappone, ma gli sarebbe piaciuto poter tornare a credere in loro con tanta fermezza da renderli di nuovo in grado di essere visti da chiunque.
Aveva come la sensazione di averci avuto davvero molto a che fare in passato, ma era solamente un bambino e oramai ricordava veramente poco.
Così la paura iniziale provata nei confronti di quelle creature insolite si era trasformata in voglia di capire e un giorno aveva chiesto ad Arthur, molto velatamente, se mai sarebbe stato in grado di vederle anche lui.
L’inglese aveva afferrato senza difficoltà dove stava cercando di andare a parare l’altro e improvvisamente si era fatto timido in merito.
A parte che non credeva proprio possibile riuscire a mostrarglieli o farglieli anche solo sentire, aveva realizzato solamente allora che se era arrivato a chiedergli una cosa del genere era solo perché lui gliene aveva dato modo e se era accaduto, era perché aveva deciso di condividere tutto, ma proprio tutto, con lui.
Sebbene il suo aspetto non lo dimostrasse era molto più vecchio di Kiku e questo comportava indubbiamente molta più esperienza in qualsiasi campo.
Poteva anche essere stato abbastanza conformista e abituato a seguire le solite tradizioni, ma ormai una cosa che aveva capito era che quasi certamente i suoi sentimenti non sarebbero andati totalmente di pari passo con i suoi ideali.
La possibilità che si trovasse una bella ragazza era dimezzata, perché un’altra parte eguale dei suoi gusti gli avrebbe permesso di stare con un ragazzo.
Non era mai stato il tipo che inizia ad interessarsi a qualcuno fisicamente parlando o solamente a causa di palesi intenzioni che muovono alcuni individui, era più quello che si faceva mille scrupoli prima di confessare i propri sentimenti perché doveva avere mille certezze.
Quindi sì, aggiungendo a questo suo tipo di insicurezza il suo carattere, finiva con il chiudersi in se stesso con un guscio più duro di quello di una noce appena si arrivava anche solo a sfiorare l’argomento amore.
L’unica volta che non aveva iniziato ad urlare come un pazzo appena era entrato in campo amoroso era stato appunto con l’asiatico, ma solamente perché lui aveva bevuto e considerando quanto poco reggesse l’alcool quei tre bicchierini di whisky sarebbero bastati a fargli scordare tutto ciò di cui avevano parlato.
Non che avesse fatto ubriacare Kiku per essere sicuro di non lasciar rimasugli di quella discussione nella sua testa, eh.
“Sai Arthur, a me piacciono quelle storie d’amore quasi da ragazze… E’ un po’ buffo che lo dica io, no…?
Sarebbe bellissimo se qualcuno mi si dichiarasse curando tutto nei minimi dettagli, rendendo l’atmosfera indimenticabile… Però forse sono egoista e chiedo troppo.”
Se doveva essere sincero, quando si era sentito dare una spiegazione del genere gli era quasi sembrato che Kiku stesse parlando direttamente a lui, consigliandogli di darsi una svegliata e di cominciare a non nascondere tanto quei sentimenti, perché per fare colpo su di lui doveva usarli e farglieli sentire uno dopo l’altro.
Da quel momento aveva iniziato a pensare.
Negare di essere innamorato del giapponese sarebbe stato stupido, come del resto lo sarebbe stato cercare di scappare da tutta quella situazione.
Erano davvero tanto amici, ma un po’ il modo con cui gli aveva detto quelle cose, un po’ l’imbarazzo che sembrava aver colto in lui quando stavano troppo vicini gli avevano dato forza.
E poi se gli aveva detto che gli piacevano le confessioni d’amore che piacciono alle ragazze specificando espressamente che avrebbe voluto ricevere una dichiarazione e non farla, gli rendeva impossibile credere che fosse totalmente etero anche lui.
Certo, erano tutti preconcetti che fosse l’uomo a dover fare la prima mossa, ma in fin dei conti anche il giapponese era parecchio tradizionalista, no?
Fatta eccezione per quelle strane festività che spingevano la ragazza a fare la prima mossa e dichiararsi, ovvio.
Così da quel momento era iniziato l’infinito arrovellarsi il cervello di Arthur Kirkland per trovare un modo di confessarsi che facesse breccia nel cuore di Kiku senza però allontanarlo inevitabilmente in caso di rifiuto.
 
Il giorno che dedicarono, però, a bere il tè nel giardino stranamente tiepido dell’inglese, non rientrava in uno dei tanti momenti in cui il padrone di casa dedicava all’elaborazione del suo piano per dichiararsi.
Si trovava lì con Kiku da mezzogiorno passato e avevano mangiato quasi unicamente cibo giapponese che il ragazzo aveva preparato apposta per l’occasione.
Sapeva perfettamente anche lui che il giapponese si serviva abbastanza ingiustamente della regola che l’ospite fa sempre bella figura a portare qualcosa per ringraziare dell’ospitalità, ma fingeva di non sapere che tutto era dettato dalla voglia di evitare la cucina inglese che non sembrava far impazzire nemmeno lui.
Sentì in lontananza il rintoccare della campana del Big Ben e prese delicatamente la teiera, sollevandola piano dal telo candido piuttosto ampio che avevano steso a terra, all’ombra di un albero.
Osservò il giapponese, indossante come sempre un kimono scuro, di sottecchi.
« Che tè preferisci, Kiku? » chiese, incurvando leggermente le labbra in un sorriso.
Gli occhi castani guizzarono sulle confezioni contenenti varie fragranze e l’inglese non si perse nemmeno quell’impercettibile movimento. Se non altro aveva acquistato una certa discrezione nell’osservarlo, tanto da non sentirsi più chiedere perché lo fissasse. Ovviamente non sapeva che in verità Kiku si accorgeva di ogni suo singolo sguardo e che aveva imparato a non arrossire per evitare di farlo smettere.
« L’altro giorno mi era venuta voglia di bere dell’Earl Grey. » rispose con un sorriso.
Sarebbe andato volentieri a chiedergliene un po’ direttamente a casa, visto che quello che gli aveva regalato era finito da qualche settimana, ma la villa inglese sembrava essere diventata bandita dai luoghi da visitare insieme da quando gli aveva domandato di presentargli i suoi amichetti.
Un po’ Kiku si era dispiaciuto, ma ben presto aveva iniziato a pentirsi di essere stato, magari, troppo invadente con quella richiesta.
Da quando aveva messo piede oltre il cancello della villa stava cercando il momento propizio per chiedere scusa ad Arthur, ma quando ne trovava uno sembrava pentirsi e pensare che fosse meglio non ricordarglielo: magari l’aveva invitato lì proprio perché voleva lasciar cadere il discorso.
Venne riscosso dai propri pensieri accorgendosi che l’inglese aveva lasciato cadere sul telo parte della fragranza che gli aveva chiesto e che si era piegato in avanti emettendo un leggero gemito.
Forse si era sentito male?
« E’ tutto a posto? Ti senti bene? » si fece più vicino, senza riuscire a trattenere un tono preoccupato.
Appoggiò una mano sulla sua spalla e la mosse come se stesse cercando di fargli una carezza.
In un primo momento il biondo non se ne accorse e si limitò ad alzare il viso verso il giapponese, abbozzando un sorriso per rassicurarlo.
« Sì, è tutto a post-… »
Le cose iniziarono a precipitare quando fece caso a un paio di creaturine – le stesse che l’avevano colpito sul dorso in modo da farlo piegare, fra l’altro – intente a tirare Kiku per il kimono.
Anche il giapponese sembrò accorgersi di qualcosa di strano e sgranò gli occhi, anche spaventato dall’improvvisa vicinanza con le labbra dell’inglese.
La situazione venne risolta con prontezza da Arthur che, appoggiatigli entrambe le mani sulle spalle, lo staccò bruscamente, ridendo nervosamente.
« Ti… chiedo scusa! » era agitato e proprio non riusciva a calmarsi.
Lo stava per baciare.
Si stavano per baciare.
E lui preso dall’imbarazzo aveva rovinato tutto.
Non sapeva se avercela di più con se stesso o con i quattro spiritelli che gli avevano servito l’occasione su un piatto d’argento pur sapendo che considerato il suo carattere l’avrebbe sciupata.
Le gote rosse del giapponese non lo stavano aiutando assolutamente, poi.
« Sai, non ti faccio venire qui da qualche tempo perché… i miei amici sono parecchio dispettosi, non so proprio che cosa gli prenda! » un’altra risata nervosa concluse la sua frase, spegnendosi gradualmente osservando gli occhi castani e a mandorla dell’altro che non si distoglievano dai suoi.
Sembrava quasi che gli stesse chiedendo di dire la verità e lui si stava sentendo terribilmente in colpa non facendolo.
Poteva stare tranquillo però: quella volta non sarebbe riuscito a leggergli dentro come spesso faceva, perché era impossibile ribaltare le sue parole.
Era troppo difficile arrivare a capire che in verità non aveva potuto invitare a casa propria il giapponese perché fatine e spiritelli si stavano assumendo l’incarico di fare loro da cupido per farli mettere insieme.
Certo, li seguivano anche fuori casa, ma lì poteva facilmente seminarli e ottenere qualche momento di pace.
Kiku dal canto suo aveva veramente sperato che Arthur lo baciasse, ma poi tutto era finito in frantumi sotto ai suoi occhi.
Era inutile illudersi, avanti! Aveva solo lasciato galoppare troppo la fantasia.
« Oh… forse gli sto antipatico… » sussurrò, passandosi una mano tra i capelli corvini come a dissimulare il nervosismo.
« No, non penso. Credo piuttosto che vorrebbero che abitassi qu-… »
Si sbatté una mano sulle labbra, guardandosi subito dopo intorno accorgendosi di aver attirato fin troppo la sua attenzione con quella frase.
No, no, stava sbagliando tutto! Praticamente era una proposta di convivenza interrotta ancora primi di confessargli i suoi sentimenti!
« Arthur, dovresti stare tranquillo, non è successo nulla. »
Gli era servito del tempo per ricomporsi e tornare pacato come al proprio solito, ma alla fine vi era riuscito forte della consapevolezza che, se non si fosse tranquillizzato almeno lui, anche l’inglese avrebbe continuato a rimanere teso come una corda di violino.
In fin dei conti era o non era lui quello che doveva sempre far calmare l’anglosassone?
« Forse sei stordito per la botta che ti hanno dato… loro, penso. E’ sembrato che ti fossi fatto davvero male, quindi se vuoi posso controllar-… »
Avrebbe colto al volo il cercare di cambiare argomento del giapponese, se solo non avesse detto quella frase.
“Non è successo nulla.”
Quindi lui si era impegnato per mesi cercando di trovare un modo per confessargli cosa provava, l’aveva trattato benissimo per tanto tempo solo per sentirsi dire che ora, quando si stavano per baciare, non era successo nulla?
« Non è vero che non è successo nulla, maledizione! » il tono di voce si alzò in contemporanea con il suo sollevarsi da terra.
Strinse le mani impugni, mordendosi il labbro e fissando il basso, senza indirizzare lo sguardo verso il giapponese.
« Sono mesi… che cerco il modo giusto per dirtelo, perché tu mi hai detto che volevi fosse tutto perfetto, ma non ce la faccio a trovare il momento adatto! » urlò, facendo stringere l’asiatico nelle spalle quasi fosse stato travolto da una folata di vento gelido. « Non è che… non è che non abbia pensato ad altro perché sei tu, eh! Vorrei non dedicarti neanche un attimo, ti ho sempre detto che non sei al centro dei miei pensieri, quindi appunto per evitare che tu… mi crei tanti problemi te lo dico subito, chiaro?! E se ti va bene mi fa piacere, altrimenti il cancello è aperto e te ne puoi anche andare! »
Non gli parlava così da tempo, ma in quel momento non era proprio riuscito a fare diversamente. Lo guardò alzarsi, senza accorgersi dell’espressione spaventata che gli aveva fatto assumere; se Arthur sapeva perfettamente di star per confessare il suo amore dopo quella premessa a dir poco penosa, Kiku si era quasi convinto che volesse liberarsi di lui, non sentendo certe frasi nei propri confronti dette dall’inglese da ormai molto tempo.
« Ti amo, Kiku! S-Sto bene… quando sono con te e… non mi piace quando ti parlo come ho fatto poco fa, ma sai che non riesco a fare altrimenti, perciò ti chiedo scus-… N-NO! Non ti chiedo scusa, perché… sto facendo tutto io, ecco! Quindi… fattelo andare bene… »
La frase era confusa, tanto confusa che anche la voce alle volte si impastava, aumentando di volume o diminuendo a seconda di ciò che stava dicendo.
Di tutto questo però, il giapponese quasi non si era accorto.
Come non aveva fatto caso alle gote arrossate di Arthur, al suo sguardo terribilmente nervoso e alle guance gonfie, insieme al petto, come se stesse cercando di sfogare così il proprio nervosismo o di resistere allo sforzo terribile che costituiva per lui quella frase.
Le prime tre parole erano state ciò che l’avevano veramente colpito e poi sì, anche il resto della frase, ma veniva abbastanza da sé anche solo grazie al “ti amo”.
Mosse qualche passo verso di lui in modo da essergli più vicino.
Arthur non poté far altro che guardarlo, speranzoso di sentire le stesse due parole uscire dalle sue labbra.
Invece lo vide voltarsi, passarsi una mano sul viso e stringersi più volte nelle spalle.
Stava quasi per dirgli che poteva fare a meno di ascoltarlo quando lo vide voltarsi nuovamente verso di lui, con gli occhi terribilmente lucidi e le guance appena gonfie – identiche a quelle di Arthur poco prima –, come se stesse trattenendo una quantità indicibile di singhiozzi.
« A-Anche io ti… amo, Arthur, ma non avevo il coraggio di dirtelo. Pensavo che mi… avresti odiato. »
L’inglese rimase immobile, un sorriso inebetito gli si stampò sul viso e mutò solamente quando si rese conto che se avesse continuato a rimanere immobile così non sarebbe successo assolutamente nulla.
Avvicinò rapidamente il viso e lo baciò a stampo, stringendolo poi in modo da affondare il viso nei suoi capelli, sorridendo e lasciando trapelare solamente allora, che il giapponese non lo poteva vedere, tutta la sua felicità.
« Sai, ho avuto paura della stessa identica cosa, Kiku. » sussurrò al suo orecchio.
Baciò piano i suoi capelli, sentendolo singhiozzare.
 
Dunque ora era confermato per l’ennesima volta che gli opposti erano davvero in grado di attrarsi.






Angolo dell'autrice ~

Sento che le lettrici delle altre mie due fanfiction vorranno prendermi a sberle accorgendosi che ho postato questo ancora non ho aggiornato le altre due.
Detto questo... Ehilà popolo di EFP, sono tornata dopo un mese - credo - di inattività!
Avrei voluto postare qualcosa prima, ma mi sono dedicata a questa cosuccia che avrei tanto voluto pubblicare prima di andare in vacanza, ma mi ero ripromessa di iniziare a mettere i capitoli dopo averla conclusa per non portare via ulteriore tempo alle altre.
Indovinate?
I capitoli saranno tre in totale e io ne ho conclusi - e con conclusi intendo scritti e corretti - solo due C: per questo la mia idea di postarne uno per giorno andrà allegramente a... mutare in qualcosa di differente (?)
Credo che aggiornerò a seconda dell'interesse che riscuoterà, sì. E' una di quelle storie che posto e che non mi piace affatto, ma ci tenevo tanto a pubblicare un'Asakiku - CHE COPPIA SFIGATA -
Già il pubblicarla oggi è stato un fuori programma, d'ho.
Detto questo ci sentiamo nei prossimi giorni con il secondo capitolo, se a qualcuno interesserà la storia, spero che vogliate dirmi che cosa ne pensate con una recensione *A*/

CHAOSevangeline

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ciò che voglio dimenticare ***


What I want to forget.
何私は忘れたい。

 

 
Non vedere una persona per un paio d’anni, per molti potrebbe implicare il passaggio di un’eternità.
Arthur aveva rotto i rapporti con Kiku da quasi venti e no, non li aveva percepiti come due decenni; li aveva sentiti pesare sulle spalle come se ogni singolo anno ne valesse dieci.
Così eccolo servito, con la sua eternità.
A dire il vero per un certo periodo erano rimasti vicini tra loro,  pur con più freddezza, ma ugualmente vicini, peccato che poi alcuni individui si fossero immischiati e avessero solamente contribuito a mettere strani grilli per la testa dell’asiatico.
Per qualche tempo si era isolato dagli alleati, deciso a rimanere per i fatti propri a riflettere; non voleva che gli altri gli facessero domande in merito, sì, ma non poteva nemmeno cercare inutilmente di fare del proprio meglio nascondendo ciò che lo turbava in pubblico, finendo con il soffrire eccessivamente quando si trovava da solo.
Quando era tornato dopo uno dei suoi periodi di riflessione che fortunatamente era durato appena una settimana, ricordava di non aver incontrato Alfred e appena l’americano l’aveva visto era esordito con un “Arthur, è passata un’eternità dall’ultima volta che ti ho visto!”
In quel momento l’anglosassone si era fermato, l’aveva guardato dritto negli occhi con lo sguardo serio che a quell’affermazione si era spento ed era scoppiato a ridere; normalmente Arthur rideva in pubblico solamente in modo sarcastico o compiaciuto.
Quella volta invece la sua risata fu talmente tanto amara che Alfred, per una volta, si pentì seriamente di aver aperto bocca. Subito dopo, l’inglese era uscito e non aveva più fatto ritorno nella sala che vedeva riuniti tutti gli alleati.
 
Più il tempo passava, peggio andavano le cose; se inizialmente aveva cercato di impegnarsi per fermare quegli scontri per riappacificarsi con il giapponese, lentamente si era rassegnato all’evidenza che quel futuro non potesse tramutarsi in roseo solo perché lo desiderava lui.
Prima che si arrivasse ad una situazione simile, comunque, trascorso del tempo durante il quale gli interessi condivisi con l’asiatico erano andati pian piano affievolendosi.
Poi un giorno, senza che Arthur potesse né prevederlo cercando quindi di impedirlo, Kiku gli aveva letteralmente voltato le spalle. Tuttavia, l’inglese ancora non era riuscito a percepirlo come tradimento, ostinandosi a credere che forse prima o poi sarebbe tornato, che vent’anni per una nazione non volevano dire praticamente niente e che poteva resistere in attesa che il giapponese tornasse da lui.
Stava venendo lentamente consumato dall’odio nei confronti di quelle persone che gliel’avevano portato via, perché era certo che effettivamente fosse stata tutta colpa loro se Kiku si era allontanato.
Colpa di quel maledettissimo tedesco e di quell’italiano che sempre si vedevano insieme.
Perché se avevano certe intenzioni non si chiudevano da qualche parte a discuterne da soli, lasciando in pace gli altri?
Era solo colpa loro e Arthur, questo, glielo avrebbe davvero tanto voluto dire. Peccato che l’unica volta che era riuscito a gridare al mondo il proprio odio per le due potenze fu in un bar, da ubriaco e solamente Francis era stato in grado di sentirlo cercando poi di calmarlo per evitare grane inutili.
Avrebbe tanto voluto scordare il triste episodio avvenuto nel locale, quella sera, ma sfortunatamente la sbronza non fu abbastanza pesante da cancellargli i ricordi, andando ad alimentare il sentimento di malessere che l’inglese proprio non riusciva a scacciare; da quando aveva smesso di essere comattivo? Perché non lo odiava e basta come aveva iniziato a fare – non sempre nel vero senso della parola – con le altre nazioni con cui aveva combattuto in passato?
Allontanare certe domande era l’unica cosa che Arthur poteva fare perché altrimenti si sarebbe doppiamente innervosito non riuscendo a trovare una risposta.
Gli sarebbe tanto piaciuto poter tornare ad essere tutta mente e niente cuore, sarebbe stato meglio per tutti, lui in primis.
 
Dopo circa due anni di allontanamento totale dall’inizio dello scontro, lui e gli alleati avevano incontrato le potenze dell’asse.
Normalmente Arthur sarebbe tranquillamente intervenuto in una conversazione, anzi, probabilmente l’avrebbe addirittura guidata per non avere rimorsi in futuro.
Conoscendolo avrebbe interrotto tutti i suoi compagni pur di essere sicuro che ciò che aveva nella testa venisse detto quando e come lo voleva lui.
Quella volta invece Francis gli disse espressamente di lasciar perdere e far padroneggiare a loro la conversazione e, con grande sorpresa di tutti gli alleati che pensavano di dover insistere di più per farlo sottomettere ad un ordine del genere, lo trovarono d’accordo.
Non che l’inglese avesse molta intenzione di parlare, in una situazione simile; avrebbe fatto solamente danni e l’incontro avrebbe certamente preso una pessima piega.
Già le possibilità che si rivelasse utile erano meno della metà, se poi si fosse messo a discutere anche lui gli scontri e i divari si sarebbero solo inaspriti.
Il vento quel giorno era pungente; si sentiva odore di pioggia, ma anche se non ci fosse stato quell’aroma nell’aria i nuvoloni neri avrebbero presagito con la stessa efficacia il maltempo che stava per abbattersi su quella zona.
Scese dall’auto, ignorando gli sguardi dei compagni che scorrevano su di lui.
Francis gli chiese se se la sentiva.
Alfred glielo chiese.
Persino Yao e Ivan lo fecero.
Davvero il suo aspetto riversava in condizioni pietose tali da spingere tutti a rivolgergli quella domanda?
Rispose di sì a tutti, dicendo che non si dovevano preoccupare e che sapeva a cosa andava incontro da quando era stato programmato l’incontro.
Come sempre però, non era stato sincero: la verità era che si sarebbe volentieri rintanato in qualsiasi posto pur di non vedere l’asiatico, ma l’orgoglio glielo aveva impedito; se per un attimo aveva sperato che Kiku non si presentasse, l’attimo successivo si era reso conto che certamente sarebbe stato lì.
Se si fosse assentato lui, invece, sarebbe stato oggetto di denigrazione per anni e anni e non gli sembrava proprio il caso di macchiarsi di un tale affronto, anche perché sotto il peso di quell’ennesimo pensiero si sarebbe certamente spezzato.
La portiera della macchina sbatté e seguì gli altri camminando sul suolo già umido per la leggera nebbia che si era alzata da non molto; il tutto sembrava perfettamente in linea con il suo umore, tanto da spaventarlo.
Dubitava che parlare con l’asse potesse servire a qualcosa, ma non gli andava di arrovellarsi particolarmente il cervello: aveva già tropo a cui pensare ed effettivamente era meglio scrollare le spalle rendendosi conto di aver compiuto un tentativo vano, piuttosto che rimanere in disparte a chiedersi se parlare sarebbe potuto tornare utile.
L’unico pensiero fermamente radicato nel suo cervello era che, per sua fortuna, quasi sicuramente il tutto sarebbe durato poco, visto che nemmeno si erano accordati per raggiungere una qualche struttura e si sarebbero parlati all’aperto.
Sarebbe stato veloce, non indolore, ma almeno veloce e lui avrebbe avuto anche occasione di vedere il tanto amato giapponese di cui riceveva notizie solo a distanza le poche volte che ne aveva occasione.
I suoi alleati camminavano in gruppo, lui invece se ne stava un po’ più distante, come a volersi tenere isolato; il suo portamento normalmente fiero e sicuro in quel momento era notevolmente infiacchito e sembrava che le spalle ricurve fossero schiacciate da un alone di depressione più impenetrabile e scuro delle stesse nuvole che si erano raddensate nel cielo.
Quasi sicuramente, rimanendo accanto a loro avrebbe suscitato ancor più preoccupazione e sarebbe stato riportato di peso alla macchina beccandosi anche, magari, una ramanzina per aver mentito e non essere stato abbastanza maturo da riconoscere i propri limiti.
Essere trattato da bambino? No grazie.
Più avanzava per raggiungere il punto stabilito, più iniziava a pensare che ne aveva passate tante, che non era l’unico ad avere il diritto di essere depresso; insomma, anche Yao non doveva essere affatto felice di ritrovarsi come avversario proprio Kiku, da lui cresciuto ed educato.
Forse lui ci aveva fatto il callo, però. Di problemi tra le nazioni asiatiche ce n’erano sempre stati tanti e cercare di intavolare un discorso in merito con il cinese non era proprio il caso, visto che di buon sangue tra di loro ne scorreva ben poco.
Con quei pensieri per la testa iniziò a sentirsi vagamente convinto di ciò che stava facendo, ma durò solo fino a quando non sentì sempre meno rumore provenire dal terreno: i passi degli altri si erano fermati.
Si erano fermati e ben presto avrebbe dovuto smettere di avanzare anche lui, osservando l’oggetto causa della sua tristezza per così tanti anni.
Allineatosi con il resto della fila dei suoi alleati, rimase per qualche attimo a fissare il vuoto e poi fece scorrere lo sguardo sui tre uomini di fronte a lui.
A due di loro riservò uno sguardo carico d’odio, ma riservò loro talmente poco tempo che l’unica persona che si accorse di avere negli occhi fu Kiku.
Indossava in modo impeccabile la sua divisa, come al solito.
Alle volte gliel’aveva sistemata lui in passato, quella divisa.
Sempre i soli capelli corvini che gli incorniciavano il volto pallido.
Neanche ricordava il numero di volte che li aveva accarezzati, quando ancora poteva.
Sempre i soliti occhi di un castano profondo, dal taglio palesemente orientale.
Li aveva sempre trovati belli, quando non doveva preoccuparsi di nascondere il timore che altrimenti avrebbero sicuramente potuto scorgere in lui.
Sempre il solito Kiku, avrebbe potuto dire, se non fosse stato per il suo sguardo terribilmente serio e quasi spento.
Aveva sempre saputo che una volta giunto alle questioni importanti o riguardanti il lavoro non era mai rilassato e sereno come lo era in privato, ma mai avrebbe pensato che essere sotto il controllo di quegli occhi diligenti e quasi accusatori, nei panni di un suo nemico, potesse metterlo tanto in soggezione.
Si ricordò di avergli detto un paio di volte di smettere di fare quello sguardo, che era inquietante, quando ancora poteva vederglielo fare mentre combattevano fianco a fianco.
Neanche avesse previsto a cosa sarebbero arrivati.
Durante tutto il tempo trascorso lì non incrociò mai il suo sguardo, ma rimase imperterrito con i propri occhi verdi fissi su di lui.
Quelle che vennero pronunciate furono parole su parole che per Arthur non valevano assolutamente nulla, non in quel momento, almeno. Il che lo faceva anche arrabbiare; erano questioni di importanza inestimabile, ma proprio non riusciva a dar loro l’adeguato peso, in quelle condizioni.
Non seppe dire se il tutto fosse durato cinque, dieci, quindici minuti o anche di più, l’unica cosa che realizzò fu di essere stato degnato dello sguardo di Kiku per un impercettibile attimo, esattamente prima che il tedesco gli rivolgesse una sola frase, già di spalle e pronto ad andarsene.
« Allora ti lasciamo solo con lui come ci hai chiesto. »
Le due figure iniziarono ad allontanarsi e l’asiatico dopo un debole cenno del capo rivolto a loro, spostò di nuovo la propria attenzione su Arthur.
« Vorrei scambiare qualche parola con lei, Arthur-san. Sempre se non è un problema. »
Quei convenevoli furono per lui come un colpo allo stomaco, ma in quel momento la questione era un’altra; Kiku voleva parlargli e, anche se non riusciva proprio ad immaginare che cosa avesse da dirgli, delle rapide parole concitate rivolte a Francis e agli altri uscirono dalle sue labbra per scoprire il prima possibile le attenzioni del giapponese.
Anche se si trovava in condizioni pietose e non l’aveva certamente nascosto fino a quel momento – delle profonde occhiaie non si possono certamente far sparire da un momento all’altro –, anche se aveva fissato l’asiatico con occhi imploranti per tutto il tempo, aveva intenzione di salvare almeno parte del proprio orgoglio e di dimostrarsi composto di fronte a lui.
Ovviamente non si era reso conto che accettare immediatamente la sua proposta di parlare non aveva fatto altro che rendersi ancora più prevedibile; alla fine il giapponese sapeva che l’altro dipendeva da lui abbastanza da non essere in grado di dire di no.
Ecco che il suo orgoglio lo salutava del tutto, ma fortunatamente l’inglese non ci pensò troppo sul momento, o avrebbe dovuto aggiungere un’altra umiliazione a tutti i suoi attuali problemi.
Una volta rimasti soli, Kiku lo osservò silenziosamente, quasi stesse raccogliendo le idee.
Avrebbe davvero voluto potergli dire tutta la nuda e cruda realtà, ma sapeva di non poterlo fare, perché alla fine sarebbe stato scorretto nei suoi confronti e non voleva finire con il farlo sentire ancor più preso in giro.
Aveva preso decisioni sbagliate, era stato poco insistente su determinate questioni con il suo superiore e alla fine si era visto che cosa era risultato dal suo comportamento poco caparbio.
Dallo scioglimento della loro alleanza, Kiku aveva sempre percepito l’inglese come se gli fosse diventato improvvisamente più distante, ma non se l’era mai sentita di parlargliene: probabilmente aveva altro a cui pensare e il giapponese aveva preferito impiegare anima e corpo per mantenere quel legame saldo come in passato, per fare in modo che tutte quelle cattive impressioni si limitassero, appunto, ad essere sue e non reali.
Poi però tutto era degenerato e i suoi sforzi erano stati buttati vanamente come se non avesse mai cercato di fare qualcosa.
Era in torto, avrebbe dovuto spiegarsi prima, avrebbe dovuto fare Tutto prima di allora e dubitava seriamente che il detto meglio tardi che mai potesse effettivamente valere qualcosa in un momento simile, ma voleva cercare di salvare almeno la propria coscienza.
« Perché mi hai fatto rimanere qui? » incalzò Arthur.
Sembrava spazientito dal suo silenzio e non poteva certamente dagli torto. Chissà se lo odiava e lo disprezzava almeno la metà di quanto si detestava lui.
« Ti vedo sciupato. » non più di un filo di voce uscì dalle sue labbra. « Sei sicuro di non starti sforzando troppo? »
Vedere le sue condizioni effettivamente l’aveva fatto preoccupare davvero tantissimo. Poteva anche essere solamente la risultante di un breve periodo, non di tutto il tempo che erano stati separati.
Arthur trasalì, a quella domanda.
“Mantieni la calma, Arthur. Mantieni la calma. Tanto non gli interessa nulla, in realtà.”
« Puoi anche evitarti domande simili, Honda. Non siamo più alleati, no? Puoi tranquillamente pensare ai tuoi nuovi amici e lasciare che io mi prenda cura di me stesso come ho sempre fatto. »
Se in verità si sarebbe voluto gettare ai piedi del giapponese chiedendogli un’altra opportunità, di risolvere il tutto e far finire quell’inferno, il suo orgoglio tornò come al solito a schermare ogni suo singolo pensiero e a nascondere la verità.
Quella frase colpì Kiku come solo una lama sarebbe stata in grado di fare e sembrò piegarsi in avanti quasi fosse stato seriamente ferito da quelle parole.
Aveva, in realtà, voluto quell’incontro con la presunzione di dover allontanare una volta per tutte Arthur per il suo bene, per non farlo più soffrire, invece sembrava che l’unico dei due ad essere legato ancora al passato fosse lui.
Possibile che fosse l’unico a nutrire giorno per giorno il desiderio di tornare, magari in futuro, di nuovo come prima?
« Dovrei tradurre le tue parole come facevo una volta, o le devo intendere con il loro vero significato? »
“Sai anche tu quello che devi fare, avanti.”
Doveva solo cercare di essere in parte sincero, sotto quel fronte. Arthur poteva riuscirci, perché ormai era convinto che quella non potesse essere tutta una farsa architettata per chissà quale perversa ragione dal giapponese.
« Non ti facevo tanto arrogante da credere di avere ancora un posto speciale nel mio cuore. »
Un altro fallimento. Come al solito nascondeva tutto.
Un lieve bagliore illuminò gli occhi scuri di Kiku, ma venne prontamente nascosto dal ragazzo.
A capo chino, fissava l’asfalto scuro, ancor più ombroso a causa della luce del sole celata dai nuvoloni del temporale.
Fece per parlare, deciso a troncare il discorso e ad andarsene con un’altra di quelle frasi enigmatiche che, a quanto aveva capito, poco sarebbero state in grado di scalfire l’inglese che ormai aveva scordato tutto, ma lo stesso sembrò non essere d’accordo con lui.
Lo vide compiere alcune falcate nella sua direzione, con uno sguardo che di buono non prometteva assolutamente nulla.
« Perché hai fatto tutto questo, Kiku? Non pensi di avermi già umiliato abbastanza a tempo debito? » domandò, guardandolo di sottecchi. « Mi hai illuso. Quando ti chiedevo se tutto sarebbe durato mi hai sempre detto di sì, l’hai fatto anche quando ormai sapevi che non era la verità.
Quando questo inferno ha cominciato a prendere forma tra di noi stava già finendo tutto, ma saremmo potuti stare insieme ugualmente, invece tu hai deciso di fare di testa tua e te ne sei andato con quelle persone che mai prima di quel momento ti avevano preso in considerazione davvero… »
La voce si faceva via via traballante, come se da un momento all’altro sarebbe potuto esplodere gridando a chiunque tutta la sua rabbia.
Il giapponese si sentì schiacciato dal peso di quelle parole tanto da stringersi nelle spalle, alzando lo sguardo verso l’inglese giusto per non farsi vedere codardo ai suoi occhi.
« Tu non sai assolutamente nulla di ciò che è successo, Arthur e non ti ho incontrato certamente per renderti partecipe di che cos’è accaduto. » una breve pausa, poi parlò di nuovo. « Volevo solo essere certo che fossi sceso a patti con la realtà e ti fossi messo il cuore in pace in merito alla nostra storia. Fortunatamente non ti ho dovuto dire nulla del genere. »
La persona onesta che Kiku era sempre stata ormai non esisteva più e prova concreta venne data allo stesso giapponese dopo aver detto quella frase.
Si limitava ad omettere il falso? Era sempre sincero?
Che idiozie.
La verità era che aveva voluto quell’incontro con la radicata speranza nel proprio cuore che Arthur lo amasse ancora e si facesse avanti per stare con lui.
Era così convinto di averlo indissolubilmente legato a sé da non essersi reso conto del proprio egoismo, mascherato da quella finta azione di bontà che mai agli occhi di qualcuno sarebbe potuta apparire come tale.
Arthur sembrò andare su tutte le furie e nei suoi occhi ogni bagliore di ragione sparì.
Le mani si strinsero sulle spalle esili del giapponese tanto forte da fargli male. Non avrebbe mai voluto toccarlo di nuovo in un modo simile, ma gli sembrò di aver perso ogni controllo di sé.
« Volevi essere certo che mi fossi scordato di te…? Mi stai forse prendendo in giro?! » urlò a pochi centimetri dal suo volto, guardandolo fisso negli occhi e scuotendolo con forza. « Avrei preferito sentirmi dire che mi volevi vedere per una qualche forma di sadismo nei miei confronti, ma non una stupidaggine come questa! Dovrei forse ringraziarti e dirti che sono felice che ti preoccupi per me?!
Sia maledetto il giorno in cui ti ho conosciuto e ho deciso di diventare tuo amico! »
Prese fiato, ignorando gli occhi sgranati del giapponese che sembrava più smarrito di un bambino rimasto solo in un posto sconosciuto.
« Sia maledetto il giorno in cui… ho detto di amarti, Kiku. »
Rimase fermo per qualche attimo in quella posizione mentre abbassava lo sguardo, mordendosi a sangue il labbro e sentendo il sapore metallico del liquido rosso scorrere tra le proprie labbra.
Non più di un gemito uscì dalla bocca del giapponese, che fece un passo indietro scivolano fuori dalla presa non più ferrea e dolorosa delle mani dell’inglese.
Alla fine l’aveva predetto, Arthur, che vederlo e aprire bocca avrebbe comportato dei risultati a dir poco disastrosi.
Mai avrebbe pensato che sarebbero stati tali, però.
Come nazione sarebbe dovuto passare su tutto ciò che accadeva alla sua vita personale, se così si poteva definire, ma dubitava realmente di poter di nuovo stare vicino al giapponese.
Sentiva come se qualcosa dentro di sé si fosse spezzato, esattamente come lo stesso Kiku, che ancora lo guardava con gli occhi sgranati; se fino a poco prima era riuscito a fingersi un attore perfetto recitando quella parte cattiva ed impassibile, ora proprio sentiva di non riuscire a non esternare tutto il proprio dolore.
Ora la battuta sarebbe spettata a lui, ma con sua grande fortuna sembrò essere l’inglese, quello deciso a prendere l’iniziativa. Lo vide correre nella direzione da cui era arrivato all’inizio dell’incontro, accompagnato dal rombo sordo del temporale.
Scese prima una, poi due e poi infinite gocce che bagnarono ben presto i suoi capelli corvini appiccicandoli inevitabilmente al suo viso adesso ancora più pallido.
Il leggero alone creato dalla pioggia che rimbalzava sul suo corpo, intorno a lui, lo rendeva spettrale.
Alzò lentamente il viso verso l’alto, socchiudendo gli occhi e lasciando che alcune gocce picchiettassero anche sulle sue palpebre appena schiuse.
« … Cosa ho sperato che accadesse, di preciso? Come ho fatto a pensare che potesse andare diversamente? »
Anche se pioveva a dirotto ed era ormai già fradicio, non si sarebbe certamente ritrovato la giacca buona dell’inglese sulla testa, deciso a ripararlo dall’acquazzone che per la seconda volta l’aveva colto di sorpresa.
Un motore non molto distante da lui nascose, insieme ai rombi dei tuoni, un singhiozzo sommesso, che andò ben presto a perdersi sotto lo scrosciare della pioggia insieme a tanti altri.
 
Quando erano tornati al loro quartier generale, Arthur non era riuscito a far altro se non tirare un sospiro di sollievo; il principio del viaggio in macchina era stato un costante interrogatorio da parte di Alfred, che sembrava preoccupato per lui come mai lo era stato prima di quel momento.
Era certo che un po’ tutti nell’abitacolo stretto costituito dalle lamiere della macchina fossero curiosi di venire a conoscenza di ciò che si erano detti lui e il giapponese, ma sembravano decisi a farlo in un momento migliore.
Quasi sicuramente avevano anche detto ad Alfred  di darsi un contegno con le domande, prima che facesse ritorno dal suo – a detta di Arthur – eterno colloquio con il giapponese, ma l’americano era troppo spontaneo per riuscire a dare il giusto all’ottimo consiglio datogli dagli alleati.
Ottimo consiglio perché, dalla terza domanda in poi – alle precedenti Arthur aveva risposto con “Niente” e “Non sono affari tuoi” – l’inglese cominciò a ignorare ogni parola pronunciata da tutti, lì dentro.
Non aveva neanche la forza di parlare, se doveva essere sincero e non gli andava troppo di raccogliere quel briciolo di energia rimasta per rispondere con tono arrabbiato a qualsiasi frase o domanda rivolta a lui.
Così eccolo che, appena fuori dalla macchina che li aveva riportati fin lì, si era rinchiuso nel proprio studio.
Subito si era diretto verso l’armadio che conteneva le porcellane che era solito usare per preparare il tè: era proprio ciò che ci voleva, in un momento simile.
Tirò fuori le poche fragranze custodite in quella credenza e le sistemò sul tavolo.
Rimase immobile a contemplarle per qualche attimo e tirò un pesante e stanco sospiro. Ripose le scatole dov’erano prima e scivolò lentamente a terra, appoggiando le spalle e la schiena contro le ante del mobile.
Mai in tutti quegli anni si era rifiutato addirittura di bere una buona tazza della sua bevanda preferita, nonostante tutto ciò che gli stava succedendo.
Buttò indietro la testa, passandosi una mano sul viso.
« Mi manca da morire. » sussurrò solamente arruffandosi i capelli, come se con quel gesto sarebbe riuscito a sfogare parte del proprio nervosismo.
 
Non vedere una persona per un paio d’anni, per molti potrebbe implicare il passaggio di un’eternità.
L’eternità di Arthur si era interrotta da meno di un’ora, eppure sentiva che ben presto ne sarebbe cominciata un’altra.





Angolo dell'autrice ~

Mi ero ripromessa di aspettare un po' di più prima di postare, ma alla fine non sono dotata di molta pazienza ;_;"
Dopo questo capitolo mi ci vorrà un po': devo ancora scrivere l'ultimo!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2084617