Ed eravamo sempre in due

di Blooming
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Torniamo indietro ***
Capitolo 3: *** I segreti di Scott e la signora William ***
Capitolo 4: *** Storie dell’orrore, Natale e la prima rissa ***
Capitolo 5: *** Compleanni ***
Capitolo 6: *** I soliti problemi ***
Capitolo 7: *** Sweet home Alabama ***
Capitolo 8: *** In vino veritas. In droga stupidaggini. ***
Capitolo 9: *** Ritorno a scuola ***
Capitolo 10: *** Quando fa male veramente ***
Capitolo 11: *** Ribellione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Non capisco perché fa così male. Non è la prima volta che vengo pestato ma questa volta è così… così frustrante.
Forse perché è la prima volta che vengo picchiato da quelli del football e non solo dai bulli che mi infilano la testa nel cesso tutte le volte che incrocio il loro sguardo.
Esco dallo spogliatoio a testa bassa, non voglio essere pestato di nuovo. Non due volte in un giorno almeno.
Cammino per il corridoio andando verso il mio armadietto, il 113, combinazione 1,2,6,9,1. Il lucchetto fa ‘click’ e aprendolo mi aspetto di trovare qualche sorpresa come, rane, topi, centopiedi, qualcosa che puzzava. Stranamente questa volta non c’era niente. Ne sono gradevolmente felice.
Tiro fuori il libro di chimica per la prossima lezione e subito sento un corpo stanco schiantarsi contro l’armadietto accanto al mio e cominciare a raccontare di quanto quelle tre ore di scuola l’avessero sconvolto. Sbuffo, chiudo con uno scatto l’armadietto e mi volto verso quell’arruffata chioma di capelli biondi, una cascata d’oro sulle spalle larghe da nuotatore
“Scott…” lo guardo appoggiandomi al mio armadietto tenendomi stretto il libro “Non puoi voler morire per tre ore di scuola!”
Mi tira un pugno delicato contro il braccio, mugugno. Non che sia stato Scott a farmi male, anche perchè non lo faceva mai con intenzione di farmi male, ma mi avevano già picchiato in precedenza in quel punto e anche il minimo contatto faceva male
“Joe…” si volta e mi punta i suoi penetranti occhi azzurri, abbasso lo sguardo per non fargli notare i lividi sulla faccia, mi fa girare e mi guarda un secondo “Ma ti hanno picchiato ancora!” si volta e mi sovrasta con la sua altezza “Chi è stato?”
Non ho intenzione di spifferare tutto a Scott. Perché poi lui sarebbe andato a “parlare” con quei ragazzi, avrebbero fatto a botte e sarebbe nato un nuovo casino. Un brutto casino. È già successo prima e non voglio che finisca nei guai per colpa mia.
Cerco di andarmene ma lui mi segue battendo un pugno contro il suo armadietto
“Joe! Non cercare di andartene!” aumento il passo con la speranza di seminarlo ma lui mi supera e mi blocca
“Senti armadio a quattro ante!” alzo lo sguardo e lo guardo dritto negli occhi “Non metterti ancora nei casini per colpa mia…” me ne vado di nuovo, la campanella è suonata ormai da minuti “Non ci sarai per sempre a proteggermi.” Lui mi corre dietro
“No. Hai ragione testa di rapa. Non ci sarò per sempre ma per il momento posso farlo.” Ride e mi apre la porta dell’aula di chimica e mi fa passare
Il professore ci lancia un occhiataccia
“Ancora in ritardo… da quando vi conosco voi due non siete mai arrivati puntuali, sia la lezione alla prima ora o all’ultima. Se poi è quella in mezzo sia lode a dio se vi si vede.” Sorrido nervoso e annuisco a me stesso
Scott ride e passa dietro le spalle dell’insegnate
“Si rilassi. Se non ci siamo non ha il terrore di saltare in aria.” Ribatte, facendo finta di suonare una batteria invisibile; poi girando su se stesso si siede al posto vicino al mio e mi da una leggera spallata.
Non so perché mi sia amico, forse perché lo eravamo dal primo anno del liceo. Mi ricordo ancora il primo giorno, in cui ero già stato preso di mira da quelli più grandi.


Ero il solito sfigatello del primo anno. Brufoli, occhiali, di media statura e gracilino. Indossavo una camicia di flanella verde e grigia, i capelli rossicci mi cadevano sugli occhi. Camminavo senza una meta nel portico fuori da scuola con i libri in mano. Era il primo giorno di liceo e non sapevo dove andare né perché andarci.
Per sbaglio passai accanto a un gruppo del quarto anno che cominciarono a prendermi di mira, per tutte le ore e i giorni a seguire.
All’ultima ora di una settimana di Ottobre, messe via le mie cose, venni accerchiato da quelli, aprirono l’armadietto e buttarono fuori tutte le cose, libri e i primi appunti sparsi ovunque. Mi presero gli occhiali e li lanciarono a terra, mi bloccarono contro il muro e chiusi gli occhi aspettandomi un pugno che non arrivò
“Hey!” sentii una voce “Cosa state facendo?” aprii un occhio e lo vidi arrivare
Veniva dal bagno, aveva già i capelli lunghi e una buona massa muscolare, mi sorrise
“Cosa vuoi?” gli disse uno di quelli
“Cosa volete voi, piuttosto.” Si frappose tra me e loro “State dando fastidio al mio amico…”
Risero
“Il tuo amico?” risero di nuovo, io guardavo la scena aspettandomi la peggio rissa “Cosa siete, gay?”
Il biondo davanti a me rise sarcastico
“La tua ragazza potrà confermarti che non lo sono.” Era più alto di loro anche se era del primo anno “Ora andatevene.”
Come ogni bravo bullo, se ne andarono al primo vero e proprio scontro, con la coda tra le gambe
“Tanto ti ribecchiamo sfigato.” Urlarono
Il ragazzone biondo si voltò verso di me e sorrise
“Ti prego non in faccia.” Lo pregai pronto a proteggermi
Sentii la sua risata profonda, rideva di gusto
“Scemo.” Si piegò a prendere i libri caduti a terra “Tieni, sono i tuoi.” Me li porse poi si guardò in giro, forse alla ricerca di quei bulletti “Sai, dovresti stare più attento. Ti avrebbero massacrato se non fossi arrivato io.”
Annuii
“Già…” rimisi le cose al loro posto e chiusi, rendendomi conto che avevo una possibilità di avere un amico
Mi voltai verso quel ragazzo con la testa infilata dentro al suo armadietto accanto al mio
“Io sono Joe O’Brian…” allungai la mano, tirò la testa fuori e mi sorrise
Afferrò la mia mano e la stritolò
“Scott. Scott William. Piacere.” Prese delle cose e cominciò ad allontanarsi, rimasi a guardarlo, si voltò e mi sorrise “Beh! Che fai lì?! Non vieni?” annuii e lo raggiunsi
“Di che anno sei?” gli chiesi
“Del primo ma sembra che sia più grande… ho solo quindici anni per dio! Tutti mi scambiano per uno dell’ultimo. Ma in realtà è il mio fisico che inganna: faccio solo tanto nuoto e pallanuoto. Sono nella squadra della scuola…” lo guardavo sconcertato, indossava una maglietta rossa e un paio di jeans logori
“Si…” balbettai “anche io sono del primo, ma si era capito.” Sorrisi imbarazzato
“Beh, solo un po’…” mi guardò “Joe…” mi fissò senza concludere la frase
Camminavamo per strada e cominciammo a parlare del più e del meno. Scoprimmo di frequentare gli stessi corsi. Mi sembrò strano non averlo mai notato prima
“Come mai non ti ho mai visto prima a scuola?” tenevo la mia cartella beige stretta “Cioè, sei mio vicino di armadietto, frequenti le mie stesse lezioni… dovrei averti visto almeno un paio di volte.”
Scott rise, rideva sempre, rideva con gli occhi
“Mi sono trasferito dall’Oklahoma una settimana fa, la prima settimana in cui avrei dovuto frequentare in realtà l’ho passata in segreteria a firmare moduli e a registrarmi per non so cosa, parlare con il preside e con la psicologa per qualcosa come –Come ti senti a esserti trasferito e ad aver perso tutti i tuoi amici- Ecco perché non mi hai visto.” Guardò il sole e poi la strada “Ma dove stiamo andando?” si fermò di colpo “Mi sono perso.” Si passò le dita tra i capelli “Maledetta città. La odio. Mi perdo sempre.” Questa volta risi io
“Dove abiti? Che ti accompagno.” Mi diede una paccata sulla spalla
“Grazie amico!” mi disse la via e lo accompagnai davanti a casa scoprendo che abitava a un isolato da me
Era una bella villetta, su due piani, bianca con le imposte verdi e il tetto verde scuro, un piccolo portico con una sdraio a dondolo di legno. Piano inferiore: cucina, sala da pranzo, salotto, bagno per gli ospiti. Piano superiore: tre camere da letto, tre bagni.
“Ah! Eccola qui! Sì, è proprio lei.” Mi diede un’altra paccata sulla spalla facendomi mancare il respiro “Bene Joe.” Continuava a ripetere il mio nome “Vuoi entrare?” rifiutai gentilmente, lui entrò in casa per poi comparire mettendo la testa fuori dalla porta mentre già ero sul vialetto per tornare a casa mia “Hey Joe!” urlò, mi voltai “Comunque, guarda che non sono gay!” sgranai gli occhi e risi
“Mi fa piacere saperlo!” urlai per risposta “Neanche io Scott!”


E ora quel buffo ragazzo è diventato il mio migliore amico, stiamo sempre insieme. Vado a vedere le sue partite di pallanuoto o le gare di nuoto sembrando terribilmente gay ma so che a lui fa piacere e a me non dispiace fare quest’enorme sacrificio.
Lui mi è amico, non so per quale motivo, forse perché… a dir la verità non ho nessun’idea sul perché mi sia amico.
Passammo l’ora di chimica a ridere e a fare battute sceme. Quella era lezione teorica, quando c’è da sperimentare preferisco che Scott mi stia lontano e in realtà lo preferiscono tutti. Ad esempio una volta aveva creato una sorta di schiuma puzzolente e ci vollero settimane per far sparire l’odore. Ricordavamo quel momento con piacere, anche perché Scott aveva messo un po’ di quella cosa puzzolente nella sacca con il cambio dei bulli che mi infastidivano. Ovviamente scoppiò una delle peggio risse.
Ma Scott è così, lui ride. Ride sempre. Qualsiasi cosa succede, lui ride. 





Angolo autrice
Ciao a tutti, questa è la mia seconda storia original. Spero che come prologo vi abbia interessato e che quindi siati spinti a leggere i prossimi capitoli che cercherò di pubblicare di settimana in settimana
Un grazie speciale va a BananaHero, la mia migliore amica, che ha letto in anteprima il prologo (e pezzi di altri capitoli) correggendoli, dandomi consigli fondamentali e dandomi la forza di scrivere
Un bacio e fatemi sapere se vi piace la mia storia :)

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Capitolo 2
*** Torniamo indietro ***


-Primo anno




Torniamo indietro ai primi anni del liceo.
Scott ed io c’eravamo appena conosciuti e già mi piaceva.
Mi aveva chiesto di passare da casa sua prima di andare a scuola che ci saremmo andati insieme. Così mi alzai e strascinandomi verso il bagno mi chiusi nella doccia per cercare di svegliarmi con un ottimo risultato.
Mi vestii con una maglietta blu scuro, i soliti jeans e le converse ormai consumate. Mi sentivo stanchissimo e con non poca dose di fatica riuscii a scendere e ad aggrapparmi al tavolo della cucina dove mia mamma aveva lasciato il latte e una ciotola di cereali con un biglietto sulla scatola che diceva
-Scusa tesoro sono dovuta scappare al lavoro, i soldi per oggi sono sul mobiletto. Buona scuola bacio.- tutto scritto velocemente, non aveva mai tempo per me.
Correva al lavoro ogni mattina per tornare alla sera, preparava qualcosa da mangiare a me e a papà e poi diceva di essere troppo stanca per qualsiasi cosa. Non si accorgeva neanche dei miei lividi. Non che mio padre fosse più presente ma almeno c’era alla mattina quando mi svegliavo.
Infatti scese le scale già vestito, giacca, cravatta, pettinato; aprì il frigorifero e prese una mela, bevve un sorso di caffè e mi salutò con un –Ciao giovane-, prese la valigetta da sotto il mobiletto in corridoio e uscì sbattendo la porta.
Mi accasciai sul tavolo e sbuffai. Guardai l’orologio ed ero in ritardissimo per passare a prendere Scott. Lasciai tazza e latte sul tavolo, prese la cartella e corsi fuori casa.
Erano già le 7.30 e ora che arrivavo da Scott sarebbero già state le 8.00 e ora che arrivavamo a scuola eravamo già in ritardo.
Corsi a perdifiato e quando arrivai davanti alla porta di casa di Scott mi accasciai sullo stipite suonando il campanello, il cuore mi batteva forte, forse perché soffrivo anche un po’ di tachicardia.
Scott comparve sulla porta, come faceva a essere così pieno di vita a quell’ora non l’ho mai saputo
“Joe! Cosa fai lì fuori?” mi prese per la maglietta e mi tirò dentro
“Scott, dovremmo andare a scuola…” mi guardai intorno “facciamo tardi…” dentro la casa era bellissima
Per essersi appena trasferiti avevano già arredato tutto, le pareti in ogni stanza erano bianche e solo una colorata, quadri già appesi, un po’ naif. C’erano dei piccoli Buddha qua e là per la casa e altre varie divinità orientali, un Buddha gigante sotto la scala con piccoli incensi intorno. Scott andava verso la cucina
“Mamma!” urlò “C’è Joe!” svoltò l’angolo e ci trovammo in cucina
Sua mamma era lì che cucinava qualcosa. Una folta acconciatura biondo burro, vaporosa, stile anni 60. Aveva dei pantaloncini della tuta corti, i calzettoni di lana a righe e una canottiera rosa
“Tesoro, vi ho preparato i pancakes…” si voltò con in mano la padella e un sorriso sfolgorante
Era giovanissima, sui trent’anni, forse trentacinque. Era veramente bella. Profilo francese, occhi azzurri, un fisico da adolescente. Wow. Okay. WOW!
Sorrisi imbarazzato, Scott mi diede una spallata amichevole
“Siediti. Mamma ha detto che ci porta lei a scuola.” Rimasi un attimo perplesso “Scusa se non ti ho avvertito ma almeno così ci andiamo insieme no?” annuii
Sua mamma diede una mestolata al figlio sul braccio
“Scott!” rise “Metti almeno i piatti in tavola!” Scott rise e si alzò “E metti anche i bicchieri, fa il favore…”
Scott vagò un po’ per la stanza alla ricerca di piatti e bicchieri
“Ma’! Tu mangi?” si voltò verso di lei, erano alti uguali ma Scott continuava a crescere
Comunque no, lei non mangiava.
Scott si risedette davanti a me e cominciò a parlare
“Allora! Tutto a posto con i lividi?” mi chiese bevendo un bicchiere di latte
Non sapevo cosa rispondere. Ero destabilizzato da quelle domande che non mi facevano neanche i miei genitori
La mamma di Scott, che d’ora in poi chiameremo signora William, si voltò e ci verso tre pancakes a testa
“Quali lividi tesoro?” guardò il figlio
Scott stava per mettersi a parlare ma notò il mio sguardo di supplica che gli chiedeva di non dire niente e così lasciò cadere la frase urlando –Pollo fritto- la signora William rise e poi si sedette al tavolo con noi.
Vedere una mamma in cucina mi sembrava strano. La mia non ci stava quasi mai. E soprattutto non ci parlavamo quasi mai.
La signora William mi sorrise
“Allora, Scott mi ha detto che avete i corsi insieme, mi fa piacere che si sia trovato un amico. Fai qualche sport?” mi sorrise dolce, come se le importasse veramente la mia risposta
“No.” Risposi timidamente
Ci rimase male e intanto che noi finivamo la nostra abbondante colazione si alzò e per caso l’occhio le cadde sull’orologio e partì un urlo
“Ragazziragazziragazzi è tardi! Muovetevi a mangiare che se no arrivate tardi! Scott muoviti!” ingurgitammo l’ultimo boccone e ci precipitammo presi da non so quale foga, sul vialetto.
La signora William correva dietro di noi
“Su-su. Salite in macchina!” noi ci lanciammo letteralmente, Scott davanti e io dietro al suo sedile
La signora William salì e mise in moto, era ancora in pigiama, sì credo che quello fosse un pigiama, ma pigiò l’acceleratore e partimmo con una sgommata alla Fast & Furious.
Un po’ la signora William mi faceva paura alla guida. Spericolata.
Ci ‘parcheggiò’ davanti scuola e prima che Scott potesse scendere,  gli afferrò il mento tra le dita sottili
“Un bacio alla mamma non lo dai?” Scott arrossì violentemente diventando color della sua maglietta
“Mamma…” diventò ancora più rosso se possibile “Ti prego…” si incassò in sé stesso
Io cercavo di trattenere la risata imbarazzata, lei alzò le mani
“Okay, okay… va bene! Ho capito. Sei troppo grande per dare il bacino alla mamma.” La signora William mi guardò dallo specchietto retrovisore “Beh dai. Tempo di scuola.” Stavo già saltando giù e ero pronto ad aspettare Scott quando lo vidi sporgersi verso sua mamma e darle un bacio sulla guancia veloce e arrossire
Scese in fretta dall’auto, mi mise un braccio intorno al collo e rise
“Joe! Siamo un po’ in ritardo, nella vecchia scuola se facevi solo un minuto erano cazzi!” sorrisi
“Qua non è così, tranquillo.” Sono sempre stato un tipo puntuale e pignolo e essere ‘costretto’ al ritardo era una cosa che mi turbava
“Allora non c’è problema.” Forse si mise a camminare più lento
Lo spinsi a una piccola corsa per non arrivare in ritardo veramente. Arrivammo agli armadietti e ovviamente lui arrivò per primo. Non che fosse una gara ma Scott, appena arrivò fece –tok,tok- sull’alluminio urlando
“Wow! Primo!” rise “Dai muoviti se no siamo in ritardo veramente!”
Arrivai sapendo di avere ancora dieci minuti prima del secondo suono della campanella, tirai fuori l’orario da un libro.
In prima ora avevamo storia, sbattei lo sportello richiudendolo
“Dai. Muoviti Scott. Abbiamo storia adesso.” Lui sbuffò “Non ti piace come materia?” lo vidi prendere con infinita calma il libro dall’armadietto
“No! Non sono uno a cui piace studiare.” Fu una delle prime cose che imparai su quel ragazzo
Mentre camminavamo per arrivare in classe, riuscii a prendere coraggio e a fare la domanda che mi attanagliava da quando ero entrato in casa William
“Senti Scott…” nei corridoi c’era ancora qualche ritardatario come noi
Scott si volto e mi fissò col sorriso sulle labbra aspettando il resto della frase. Mi sentivo un po’ oppresso dalla sua altezza e avevo paura della sua reazione alla mia domanda.
Mio Dio! E si mi picchiava?
“Niente, niente.” Ma lui continuava a guardarmi
“Dai!” mi diede un piccolo pugno debole per convincermi “Ora me lo dici…” praticamente mi costrinse
“Okay.” Feci un profondo respiro “Non mi picchi vero?”
Lo sentii ridere fragorosamente
“Figurati se ti picchio! Siamo amici o no?” aveva un modo di fare rassicurante e dolce, piacevole
Annuii, non avevo mai avuto un amico
“Emh… okay. Senti…” respirai a fondo “Ma quanti anni ha tua mamma?”
Rise di nuovo, eravamo davanti alla porta dell’aula, aprì la porta  e mi fece passare tenendola la mano sulla maniglia.
Il professor Whang era già in classe e sfogliava un giornale, la lezione non era ancora iniziata e lui, come sempre, aspettava i ritardatari.
Era di origini asiatiche, cinese credo, o thailandese… boh. Era molto bravo e simpatico
Mi sorrise gentile salutandomi poi si fissò su Scott
“E tu chi saresti biondo?” disse con un sorriso cordiale
‘Il biondo’ sorrise dolce
“Scott. Scott William, quello nuovo.” Guardavo la scena dal mio banco
“Ah sì! Il preside me l’aveva detto ma ti immaginavo più gracilino, sicuro di essere del ’95?”
“Sicuro signore.” Sorrise Scott
“Va bene.” Il signor Whang si alzò in piedi “Ragazzi! Ascoltatemi tutti per favore.” Indicò il ragazzone accanto a sé “Questo è Scott, il vostro nuovo compagno di classe. Fate ciao a Scott.”
La classe divertita fece ciao a Scott ridendo “Okay ragazzone, trovati un posto. Posso chiamarti Scotty?” disse ridendo
Quella montagna di simpatia si voltò
“Certo. Basta che sia solo lei a chiamarmi così!”
Il professore rise
“D’accordo Scotty.” Si rivolse poi a tutta la classe “Iniziamo ragazzi?”
Ovviamente si sedette accanto a me, nessuno stava mai accanto a me perché ero sfigato o per qualche strano motivo. Ma lui si sedette vicino a me. E si sedette vicino a me per gli altri 3 anni di scuola. Ogni lezione, ogni ora era seduto vicino a me. A passarmi bigliettini con frasi stupide, a fare disegnini scemi o a chiacchierare sottovoce venendo ripetutamente richiamati.
Durante quell’ora di storia, lo vidi prendere appunti a un certo punto si sporse verso di me e continuando a tenere lo sguardo fisso verso la lavagna sussurrò
“La risposta è trentuno.” Rimasi un po’ perplesso senza capire il nesso finché non ci arrivai
Lui si voltò e mi sorrise guardandomi negli occhi verdi poi tornò a guardare la lavagna.
Spiando ciò che scriveva scoprii che non prendeva appunti ma scriveva i suoi pensieri sul quaderno. Lessi più volte il mio nome, non che volessi spiare, ma mi cadde l’occhio. Era come una specie di diario.
Suonata la campanella, la moltitudine di ragazzi corse fuori dall’aula. Io e Scott rimanemmo un attimo indietro perché fermati dal professore
“Ciao Scotty.” Mi sorrise “Joe, tutto bene?” annuii “Vedo che hai fatto conoscenza con il nostro Joe.” Si rivolgeva prevalentemente a Scott “Spero che ti trovi bene in questa scuola, il preside mi ha detto che hai avuto problemi nell’altra e per vari motivi avete deciso di trasferirvi, giusto?”
Scott annuii
“Giusto prof.” sorrise
“Beh magari tu e Joe potete vedervi fuori da scuola per studiare.” Ci diede a entrambi una pacca sulla spalla “Settimana prossima faremo un test a sorpresa.” Ci guardò un secondo “Ommioddio! Ora non è più a sorpresa. Va beh, non ditelo agli altri. Voglio fare un po’ il cattivo ma voi mi state particolarmente simpatici.” Faceva tutto da solo “Il test sarà sugli argomenti che ho spiegato in questo mese e anche quest’ultimo.” Si rivolse poi solo a Scott “Ho visto che hai preso molti appunti. Bravo. Continua così!” Scott trattenne la risata
Il signor Whang prese la valigetta da dietro la cattedra e uscì dalla porta dicendoci di metterci sotto e studiare per avere un ottimo voto. Lo sentimmo canticchiare nel corridoio.
Scott ed io andavamo verso gli armadietti, non sapevo bene come comportarmi a contatto con qualcuno. La mia cerchia di ‘amici’ era più che altro online, insomma, quelle amicizie che ti fai nei giochi su internet e non sai neanche che faccia hanno le persone con cui parli.
Ma con Scott era tutto diverso, lui rideva sempre, sorrideva sempre. Mi tirava le pacche sul petto o i pugni simpatici sul braccio. Odiavo il contatto con la gente ma lui era diverso, potevo sopportarlo perché qualcosa mi diceva che quel ragazzo mi avrebbe cambiato.
Arrivando all’armadietto incontrammo i bulli del giorno prima che vedendo Scott decisero di cambiare strada.
Il biondo tirò fuori il libro e il quaderno di matematica
“Ecco. Un’altra cosa che odio è la matematica.” Aspettò che prendessi le mie cose “Sono più un tipo da sport, se non si era capito. Cioè mi piace imparare qualcosa però non sotto obbligo, con l’ansia di essere valutato o bocciato. La cosa mi stressa alquanto…”
Replicai esponendo il mio punto di vista
“Beh a me non da fastidio studiare, cioè non che lo faccia con gioia e mi metta a saltare urlando come se fossi una ragazzina al concerto dei Jonas Brothers, però per me prendere un buono voto vuol dire sentirmi realizzato. Scommetto che per te è lo stesso quando vinci una gara di nuoto.”
Scott annuì sorridendomi
“Senti.” Respirò a fondo e si appoggiò allo sportello, lo guardai crucciato mentre tiravo fuori alcune cose che mi sarebbero potute servire “Non voglio che ti fai l’idea sbagliata, non sono tuo amico perché così mi fai i compiti o robe simili.” Continuavo a fissarlo senza capire, okay ci avevo pensato che poteva frequentarmi solo per quello “Voglio veramente essere tuo amico. Per davvero. Mi stai simpatico.” Sorrisi e io ricambiai “Veramente.”
Mi aveva già convinto al ‘voglio veramente essere tuo amico.’ Mi aveva convinto soltanto guardandolo negli occhi, sapevo che non mentiva
“Senti, guarda che te la do lo stesso una mano con i compiti di storia o con altro che hai bisogno.” Abbassai lo sguardo, sapevo che quel ragazzo non avrebbe studiato niente se non c’era qualcuno ad aiutarlo “E comunque voglio dirti anche io una cosa, non sono tuo amico perché mi proteggi dai bulli, lo voglio essere perché sei simpatico.” Scott rise
“Hey. Allora amici eh?” si allontanò per andare nell’aula di matematica
“Scott! Hey Scott!” urlai sbattendo lo sportello, si voltò e mi fisso allargando le braccia come per dire ‘cosa c’è’ risi “È la strada sbagliata!”



La lezione di matematica trascorse come quella prima, la presentazione di Scott, il professore che faceva il simpatico e subito si metteva a spiegare qualcosa di algebra che non capivo assolutamente ma sembrava che Scott la capisse. Forse l’unica materia che capiva dopo ginnastica.
Passammo una fantastica giornata, senza nessuno che mi pestasse o mi lanciasse per terra i libri. Scott serviva un po’ da guardia del corpo e sembrava non dispiacergli.



Il giorno dopo passai da Scott alle 8, lui si fece aspettare fuori sul portico, e facemmo il pezzo a piedi da casa sua alla scuola.
Alle prime due ore avevamo ginnastica.
Io non potevo fare ginnastica a causa del mio asma e di quella stupida tachicardia. Maledetto sfigato che non sono altro. Un’ora la passai a guardare Scott stracciare tutti durante gli allenamenti di nuoto poi mi stufai, gli feci un cenno e me ne andai. Avevo l’ora libera e la passai in cortile a studiare per la lezione successiva, ovviamente i bulli mi raggiunsero non appena mi videro
“Ciao sfigatello.” Tenevo la testa bassa
“Non hai più la tua guardia del corpo?” disse uno di loro, non osavo parlare
“Gli altri giorni non ti abbiamo pestato, sarà per oggi allora.”
Stranamente tutto intorno si era fatto il vuoto. Tutti quanti erano spariti e quelli cominciarono a picchiarmi.
Quando finì l’ora tornai al mio armadietto senza alzare gli occhi, la gente mi veniva addosso e mi urlava di stare attento seguito con appellativi veramente poco simpatici.
Scott arrivò quasi subito, i capelli bagnati legati in un codino, fischiettava allegramente. Aprì lo sportello e si sporse a guardarmi
“Cosa…” chiuse di botto l’armadietto “Per dio! Ma ti hanno picchiato ancora?” mi toccò lo zigomo arrossato
“Scott… lascia perdere.” Lo supplicai, infondo era ancora un estraneo, non potevo permettergli di finire nei casini a causa mia “Non è un tuo problema. Non ti sono amico perché mi proteggi o cose simili. Ormai ci sono abituato, tranquillo.”
Aveva una faccia preoccupata, si mordeva le labbra cercando di stare zitto
“Joe ma…”
“No Scott!” dissi quasi alzando la voce “Andiamo in classe. Muoviti.” Me ne andai senza aspettarlo
La lezione di biologia fu silenziosa, rimanevo concentrato sui miei appunti. Sapevo che Scott di quando in quando mi fissava ma ero arrabbiato con me stesso per quello che era successo, lui cercava di difendermi ma ero troppo orgoglioso per accettare un aiuto, mi veniva quasi da piangere al pensiero di essere me stesso.
A mensa mi sedetti in disparte ma Scott era sempre con me, quelli di pallanuoto gli avevano chiesto di andare al loro tavolo ma lui rifiutò per sedersi con me
“Joe, mi dispiace.” Aveva la voce abbattuta
“Scusami Scott. Non volevo essere stronzo ma non era proprio un bel momento.”
Scott cominciò a mangiare voracemente
“Non importa! Capito.” Lo guardai ingurgitare quello schifo di cibo “Ti saluta la mamma, questa mattina non l’hai vista.”
Sorrisi
“Ma veramente tua mamma ha trentun’anni?” lui mi fissò “Okay! Non voglio farmi i cazzi della tua famiglia, non sapevo cosa dire.” Volevo sotterrarmi
Mi rise in faccia
“Veramente? Ci hai pensato per, quanti giorni?” continuava a ridere, tutta la mensa ci fissava
“Smettila di ridere.” Gli tirai un calcio “Ci guardano tutti!” ma non smetteva
“Buon dio! Mi farai morire!” si guardò intorno vedendo gli sguardi interdetti degli altri “Mh… okay mi calmo. Comunque sì.” Ci sorridemmo “Mi ha avuto molto giovane ma non è che le è dispiaciuto. Dice sempre che se non mi avesse avuto la sua sarebbe stata una vita da schifo.”
Cominciò a raccontarmi un po’ della sua famiglia
“Andava al liceo, era al terzo anno e rimase incinta, mollò tutto. Almeno mi ha sempre raccontato così. Mi ha cresciuto a casa dei suoi ma poi boh, evidentemente i nonni la giudicavano o non so cosa e così è sparita, ha trovato un lavoro come parrucchiera e vivevamo a casa del suo capo, la signora Jocelyn, credo siano ancora in contatto. Poi mano a mano che crescevo combinavo sempre qualche casino ma lei mi voleva sempre bene.” Sorrise imbarazzato “È la mia mamma, le voglio bene come a nessun altro. Forse questo mi rende uno sfigato ma non mi importa. Non capisco la gente che dice che odia i suoi genitori, se vi hanno voluto bene è ovvio volergli bene.” Ragionava a voce alta
“Io credo di non voler bene ai miei genitori.” Non so perché gli dicevo queste cose di me, forse perché lui mi aveva detto cose di sé e perché sapevo di potermi fidare, perché sapevo che era un amico “Cioè, non ci sono mai e quando ci sono è come se non ci fossero. Quindi, forse, non gli voglio bene come tu ne vuoi a tua mamma.”
Scott non parlò, rimase a guardarmi comprensivo, mi piaceva parlare con lui, sapeva quando parlare e quando stare zitto.
 


Le nostre giornate scolastiche passavano tra bigliettini passati durante chimica o durante letteratura. Se ero con lui nessuno mi pestava, le ragazze cominciarono a guardarlo quasi subito, dalla prima settimana, passavano in gruppo davanti al suo armadietto quando lui era appoggiato lì, con la testa sull’alluminio freddo e aspettava che fossi pronto, ridacchiavano e quando lui apriva gli occhi e le guardava, queste scappavano via ridacchiando e urlando ‘mi ha visto, mi ha visto.” Nessuna di loro gli parlò mai veramente.
Io e Scott ci incontravamo nei pomeriggi per studiare. Qualche volta veniva lui a casa mia ma più spesso andavo io da lui.
Il compito “a sorpresa” di storia ci andò bene e Scott non sapeva come ringraziarmi per averlo aiutato, gli risposi che mi bastavano i pancakes di sua mamma.
Passammo un mese di scuola tranquilli. Nessuno mi pestava più o meglio, non mi pestavano più così spesso, solo di quando in quando. Ma il più delle volte Scott era con me.
Un giorno, tornando a casa a piedi, mi venne in mente una cosa
“Ma che casino hai combinato nell’altra scuola?” La giornata era bella e il solo splendeva, anche se era già novembre non faceva poi così freddo
Indossavamo lo stesso l’eskimo ma lasciato aperto, Scott aveva un maglione largo a righe blu e nero e i jeans, gli stivali. Io una felpa verde schifo e le solite converse.
Non sapevo molto del passato del mio amico, mi aveva detto lo stretto necessario, mi aveva raccontato di sua mamma, Fiona, ma del suo passato non sapevo praticamente niente, sapevo che nella vecchia scuola non aveva molti amici, frequentava un corso di pallanuoto serale ma poi era tutto sconosciuto.
Scott guardò il cielo
“Quando arriviamo a casa te lo racconto.”
Dio santo! Lo volevo veramente sapere! Maledetta curiosità. Maledetta. 

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Capitolo 3
*** I segreti di Scott e la signora William ***


Arrivati a casa di Scott, lui urlò
“Ciao mamma!” ma non ebbe risposta “Okay. È al lavoro! Abbiamo la casa tutta per noi.” Lanciò lo zaino per terra
Ormai non c’era più bisogno di dirmi cosa fare, il cappotto sull’appendiabiti nell’atrio, le scarpe sotto il mobiletto, la cartella dove capitava in salotto.
Scott andò a rubare qualche biscotto, me ne portò uno, in bocca teneva il suo mentre sorrideva
“Muoviti. Saliamo in camera.” Faceva gli scalini due a due, lo seguii
Entrai nella sua stanza che dava sulla strada, davanti alla finestra c’era una quercia. Scott si lanciò sul letto e prese dal cassetto il joystick e me lo lanciò
“Ti va una partita?” ovviamente accettai
Nessuno poteva battermi alla playstation, cominciammo a giocare e Scott cominciò a raccontare un po’ del suo passato
“Praticamente a scuola non avevo molti amici, neanche alle elementari o alle medie, sono sempre stato solo. Mi prendevano tutti per il culo, non so neanche perché lo facessero e io non sapevo difendermi. Trovai uno sfogo nel nuoto e nella pallanuoto, ero bravissimo. Anche adesso lo sono.” Soffocò una risata “E poi pensavo sempre che andando al liceo avrei cambiato ambiente, avrei cambiato gente e avrei trovato sicuramente qualcuno con le mie idee.” Come lo capivo, lo capivo perfettamente, pensavo le stesse cose, aveva una voce triste, lo guardavo, ormai avevamo smesso di giocare
Mi sorrise e continuò la storia
“La prima settimana andò bene, mi piaceva anche frequentare quel luogo ma poi successe un casino, mia mamma usciva con il padre di un ragazzo.” Non mi guardava in faccia, guardava il nulla “Non è che uscissero proprio, sai…” capivo, non gli lasciai dire la parola ‘amanti’ non volevo che facesse diventare sua mamma una poco di buono ai miei occhi, anche se non lo sarebbe mai stata, mi limitai ad annuire “Si vedevano da circa un mese, io sapevo che si vedeva con qualcuno ma non ho mai fatto domande sulle sue relazioni, alla fine vennero scoperti. La moglie di lui entrò in camera mentre stavano insieme. Non so bene cosa successe tra loro tre, so solo che mia mamma tornò a casa piangendo, cercai di consolarla ma non me lo permise e il giorno dopo tutta la scuola ne parlava, parlava di mia madre e di quel padre. Tutti davano la colpa a mia mamma, per loro era solo lei la colpevole. Il figlio della coppia mi venne a cercare durante mensa e mi urlò dietro, diceva che per colpa di mia madre i suoi avevano deciso di separarsi, cercavo di spiegarmi, non doveva prendersela con me, se ne andò urlando che mia madre era una troia.” Scosse leggermente la testa e alzò il sopracciglio biondo “Non ci ho visto più! Gli sono andato dietro, lo fermato e quando si è girato gli ho mollato un pugno sul mento e cominciammo ad azzuffarci. Io gioco a pallanuoto, lui a football. Era un po’ una lotta tra titani. I professori ci vennero a separare. Non venimmo espulsi ne niente ma mia mamma decise di trasferirsi lo stesso e così abbiamo trovato questa scuola con anche la squadra di pallanuoto, mamma ha trovato lavoro a un negozio di cosmetici al centro commerciale e poi continua a fare la parrucchiera a casa.” Tornò a sorridere
Guardò lo schermo della tv, il gioco fermo. Io risi, non riuscivo a fermarmi. Tra le lacrime riuscii a balbettare
“Veramente hai picchiato quello stronzo?” non riuscivo a fermarmi
“Sì. Ma che hai da ridere.” Disse ridendo “E dovevi vedere com’è finito a terra con un solo gancio.”
Rimanemmo a ridere per un bel po’ finché lui non si alzò
“Vuoi qualcosa da bere?” rifiutai cordialmente “Beh io sì.” Corse giù e tornò subito su e si lanciò sul letto, aveva la stanza piena di poster di cantanti e gruppi ma dietro alla porta era appeso il poster di Nicole Scherzinger
“Joe, chiudi la porta per favore.” Mi allungai sul pavimento di moquette e spinsi l’angolo della porta che andò a chiudersi, alzai lo sguardo e mi ritrovai la cantante sopra di me, oblungamente bella “Vieni qui Joe… ti faccio vedere il mio segreto.” Così suonava anche a me inquietante ma Scott a suo modo lo era, non mi posi domande e mi avvicinai al letto, lui si spostò mettendosi orizzontalmente, aprì il secondo cassetto del comodino vicino al letto “Muoviti! Mettiti qua, che se poi entra mia madre…” mi sdraiai accanto a lui che beveva con la cannuccia una coca-cola “Ecco qua!” tirò fuori tre riviste porno
“Mioddio Scott! Ma dove…” lui ridacchiò
“Sono andato nella città vicina, non volevo che qua mi vedessero comprarle. Potevo rubarle ma mi avrebbero beccato sicuramente.” Aprì la pagina centrale “Le ho prese l’altro ieri, aspettavo te per guardale bene. Sai che danno anche dei consigli su come dare piacere alla propria donna?” appoggiò la rivista al pavimento e si sporse di più per riuscire a sfogliarla
“Scott.” Ero abbastanza perplesso, lui mi guardò dando un lungo sorso di coca-cola facendo un rumore disturbante, mi fissò con i suoi occhi azzurri “Non è un po’ gay guardare queste cose insieme?”
Rise da farmi diventare sordo
“Ma che cazzo dici! Idiota!” mi diede un simpatico pugno
“Guarda che certe volte fai male, scemo.” Mi sfregai il braccio dolorante, rimasi perplesso ancora un secondo “Scott?” si voltò di nuovo e mi fissò con lo stesso sguardo di prima “Hai mai fatto sesso?” diede un altro sorso
“No.” Rimasi allibito, non me l’aspettavo
“Ma sei sicuro?”
Rise così tanto che dovette appoggiare la bottiglia sul tavolino per non rovesciarla, ridacchiai nervoso
“Scott! Riprenditi, idiota!” gli tirai una cuscinata
“Ma scusa, tu mi chiedi se sono sicuro se sono vergine e poi mi dici anche che non devo ridere!” si asciugò le lacrime dagli occhi “Si. Sono vergine. E anche questo è un segreto.”
Tornò a riguardare le foto delle ragazze tettone ridacchiando
“Ma scusa, so per certo che ci sono almeno dieci ragazze della scuola che pagherebbero per uscire con te. Perché non te ne approfitti?”
Mentre guardava le foto mi rispose
“Perché non fanno per me. Sono carine okay, ma io non voglio andare a letto con la prima che mi fa l’occhiolino. Quelle sono tutte sceme, passano per il corridoio, mi vedono e ridacchiano correndo via. Ma mai nessuna che mi venga a parlare sul serio. Se le incontro per il corridoio e dico ‘Ciao’ e mi aspetto magari una risposta, che qualcuna di loro si fermi e mi chieda come va o che so io, qualche puttanata per attaccare bottone, e invece ho solo ragazzine che sembrano groupie arrapate perché boh, vedono Eddie Vedder.” Girò una pagina e ridacchiò “Aspetto una che abbia gli stessi miei gusti, che adori mangiare schifezze, che faccia sport quanto basta, che sia simpatica, gentile e che non sia stupida.” Aprì la pagina centrale della seconda rivista “Non voglio una come loro.” Indicò le tre ragazze seminude abbracciate intente a baciarsi “Queste vanno bene solo per una cosa… ne voglio una con cui si possa parlare, il sesso non è poi così importante.”
Mio dio. Un ragazzo di quindici anni che parlava così?! Chi l’aveva mai sentito. Come mai non ci fosse la fila di ragazze davanti a casa sua non l’ho mai capito.
Si girò e guardò il soffitto
“E tu? Ragazze?” le mani dietro la testa, le gambe a ciondoloni
“Ragazze?” chiesi sistemandomi gli occhiali
“Hai mai avuto una ragazza?” ovviamente no
“No. E non credo che ne avrò una presto.”
Quello che Scott disse quel giorno non me lo dimenticherò mai
“Sai Joe, una ragazza dovrebbe ritenersi fortunata a stare con te. Ti conosco da poco e già so che sei un ragazzo speciale, forse, come dici tu sei un po’ sfigato, ma io non lo penso. Sei intelligente, simpatico e so bene che dentro di te c’è un cuore enorme e stai solo aspettando la ragazza giusta.” Si girò sul fianco “Almeno io la penso così.” Mi guardò un secondo “Hai mai provato con le lenti a contatto?”
Non sapevo cosa dire, mi aveva veramente tirato su il morale con quel discorso, sì è vero, sono un maledetto sfigato, verginello, che passa la sera a giocare a World of Warcraft fingendosi un figo da paura. Ma nessuno ha mai avuto un amico come il mio.
Lo guardai un secondo
“Tutto ciò è molto gay lo sai?” lui annuì “Lenti a contatto hai detto?”
“Secondo me se mettessi delle lenti sembreresti un po’ meno sfigato e sicuramente qualche tipa che gioca a quelle robe online a scuola c’è sicuramente, mica puoi essere solo tu l’unico elfo di non so cosa in tutta la città o no?” risi, mi faceva sempre ridere quando cercava di parlare di WoW e non ci riusciva
“Va bene… però sai, non è una cattiva idea.”
Cominciò a fischiettare, io rotolai letteralmente giù dal letto e mi misi a giocare alla playstation, da solo, urlando come un pazzo quando la macchina si schiantava. Mi incazzavo veramente. E tiravo patatine contro lo schermo. Scott ridacchiava colpevole guardando le foto delle ragazze, in due ore avrà sfogliato quelle riviste almeno cento volte.
Alzò una rivista e mi chiamò, mi girai e lui la sventolò
“Poppe.” Urlò
In quel momento entrò la signora William, Scott sgranò gli occhi lanciò a terra la rivista cercando di metterla sotto il letto insieme alle altre. Fiona William rimase un attimo allibita, non so se capì qualcosa o meno e se capì fece finta di niente
“Ciao Scotty.” Gli sorrise rimanendo sulla porta “Ciao Joe, ti fermi a cena?”
“No signora, grazie lo stesso.” Vidi che un po’ ci rimase male ma sapevo che quella donna premurosa che meglio conoscevo come mia madre avrebbe fatto storie se non fossi tornato per cena
Anche Scott c’era rimasto un po’ male ma tanto era venerdì sera e al cinema davano Nemico Pubblico, con Johnny Depp e saremo andati a vedere quello.
Rimasi dai William ancora per un’ora.

 

La mattina di sabato mi svegliai, intorpidito. Avevamo fatto tardi quella sera per via del cinema e la signora William si era offerta di accompagnarmi sotto casa.
Mia mamma non vedeva di buon grado la signora William. A me non importava cosa dicesse di lei o cosa pensasse del fatto che era una ragazza madre e che, oltretutto, fosse molto più attraente di lei.
Scesi in pigiama le scale cercando di non far rumore, ero così addormentato che stavo per cadere dagli scalini ma riuscii a salvarmi per tempo.
Arrivai in cucina, aprii sbadigliando il frigorifero tirando fuori il latte. Sempre più addormentato presi una tazza larga per mangiarci i cereali e prima ancora di versarli arrivò mia madre.
Una donna di quarantacinque anni che vuole sembrare ancora giovane e quindi si riempie di tinte, qualche volta si da al botox, e si mette vestiti decisamente non adatti al suo fisico.
Arrivò, mi diede un veloce bacio, come sempre
“Ieri sei uscito con il tuo amico?” risposi di sì ingurgitando un cucchiaio di cereali “A che ora sei tornato? Non ti ho sentito…”
Inghiottii il boccone quasi soffocandomi, la voce di mia madre era stridula, acuta e fastidiosa
“Siamo tornati per mezzanotte, mezzanotte e mezza. Non poi così tardi…” mi voltai e strizzando gli occhi sorrisi
“Siete tornati a piedi?” girava per la cucina senza un vero scopo, se non quello di rompermi le scatole di prima mattina
“No.” Limitavo a parlare a monosillabi
La vidi irritarsi perché non mi confidavo con lei, sbuffai. Presi la scodella e tornai in camera mia, mi urlò da sotto le scale
“Perché non parli mai con me?” sentivo la sua voce martellante e molesta
Ora ero io quello cattivo, bene.
Mi sdraiai sul letto a mangiare la mia adorata colazione, accesi la tv e guardai un po’ di cartoni, mi arrivò un sms da Scott che diceva -Hey! Ti va di uscire questo pomeriggio?- Non che mi andasse molto di uscire ma Scott era Scott e non potevo dirgli di no. Accettai e decidemmo di incontrarci da lui per le 4.30. Finita la serie di sms mi rimisi di nuovo sotto le coperte e ripresi a dormire con grande disappunto dei miei genitori che volevano vedermi più attivo. Sì, certo. Quando faceva comodo loro io dovevo farmi vedere ma se io venivo pestato a scuola loro non se ne accorgevano neanche.
Alle 3 mi alzai, mi lavai e in un’ora ero pronto per uscire. Senza dire dove andassi ai miei genitori sempre più irritati dal mio comportamento dei recenti mesi, uscii sbattendo la porta, ormai tornavo quando volevo, mi vedevano solo alla sera a cena. Per me era tutto normale, loro non c’erano mai stati ma si sa che quando i bambini perdono un gioco lo vogliono tutto per loro anche se non gli è mai interessato.
Mentre camminavo verso casa William iniziò a nevicare e ciò mi costrinse a una corsa. Bussai contro la porta che mi venne prontamente aperta dalla signora William
“Ciao Joe!” la voce squillante che mi mise allegria
“Salve signora.” Cominciava veramente a fare freddo
“Entra tesoro! Non stare sulla porta.” Si spostò lasciandomi entrare “Fa freddo fuori eh?”
“Si signora.” Mi tolsi il capello e cominciai a togliermi gli scarponi per lasciarli sotto il mobile
Lei rise, una risata cristallina e dolce
“Perché continui a chiamarmi signora non lo so, chiamami pure Fiona.” Mi sorrise dolcemente

 

La signora William aveva trentun’anni. Scott mi aveva raccontato un po’ di lei ma quella stronza di mia madre mi aveva detto un sacco di cattiverie sul suo conto.
Aveva iniziato una mattina mentre facevo colazione. Diceva di aver chiesto in giro notizie sul conto di quella madre troppo sexy e troppo giovane per avere un figlio.
Mi disse che Fiona William era un accalappia uomini, insomma una poco di buono, voci sua una sua relazione con un compagno della vecchia scuola di Scott e per questo che si erano trasferiti. Perché si sa che una madre sexy deve essere per forza facile.
Mi ricordo ancora l’assemblea con i genitori a cui anche gli studenti era permesso partecipare. Ero seduto nella penultima fila degli studenti, dietro i genitori. Sentivo tutto quello che si dicevano le madri gelose e quando entrò Fiona, si voltarono a guardarla facendo una faccia schifata, lei sorrideva. Scott alzò la mano e io lo salutai, venne verso di me. Sentii le madri dire alla mia
“Ma come… tuo figlio frequenta il figlio di quella?” e lei rispondeva
“Purtroppo. Spero solo che quella non faccia niente…” notarono che arrivava Scott e si zittirono tutte
Mi facevano schifo.
Fiona William non era tutte quelle perfidie che si raccontavano in città. Lei era gentile, sempre sorridente e sempre disponibile. Lavorava al centro commerciale, al negozio di cosmetici e profumi e sorrideva sempre.
Quando io e Scott andavamo a fare un giro al centro commerciale lei ci sorrideva, ci offriva il gelato o qualsiasi altra cosa. Il figlio era quasi sempre imbarazzato perché lei era anche fin troppo gentile e premurosa. Io la trovavo una mamma perfetta!
Era sempre contenta di vedermi a casa. Mi accoglieva sempre con un sorriso e mi offriva sempre qualcosa da mangiare, un panino o una fetta di torta.
Quando aveva capito che c’era qualcosa che non andava a scuola la vidi più apprensiva nei miei confronti. Che Scott le avesse detto qualcosa non c’erano dubbi ma mi sembrò strano avere una mamma che mi trattava da figlio e non da soprammobile.
Adoravo la signora William.
Fu lei la mia prima cotta. Non lo dissi mai a Scott, era molto geloso di sua madre e le vuole da sempre un bene dell’anima.

 

Quel pomeriggio nevoso entrai in casa avvolto dal profumo di incenso e dal caldo sorriso di Fiona, rimasi un po’ perplesso quando mi diede il permesso di chiamarla per nome
“Okay…” gli occhiali mi si erano appannati, li tolsi per pulirli con l’angolo del maglione
Lei mi passò accanto sorridendo
“Perché non provi con le lenti a contatto tesoro?” mi mise una mano sulla spalla e scomparì in cucina per poi ritornare con due fette di torta avvolte in due tovaglioli di carta “Scott è su. Mangiatevi queste!”

Io sorrisi
“Grazie mille.” Corsi per le scale
La porta della camera di Scott era chiusa, bussai. Non volevo entrare e beccarlo in situazioni imbarazzanti con certe riviste. Sentii la sua voce
“Entra chiunque tu sia!”
Mi affacciai
“Scott…” spiai un secondo “Posso?”
Era disteso sul letto e leggeva un libro, un libro di scuola che ci avevano dato per letteratura. Entrai portando in mano le torte
“Tieni!” gli diedi una fetta “Tua mamma ti saluta…” mi sedetti alla scrivania “Posso dare un’occhiata a quanti insulti ho ricevuto oggi su facebook mentre tu leggi…?”
“No!” si alzò di scatto soffocandosi con la torta, lo fissai interdetto
“No?” dissi piegando leggermente la testa
“Emh…” con un agile mossa staccò il portatile dal caricatore e ‘lo sequestrò’
“Ma cosa… Cos’hai da nascondere?” cominciai a inseguirlo per la stanza agitando, tra l’altro, la fetta di torta “Scott! Cosa mi nascondi?”
Con una non poco agile mossa riuscii a lanciarmi e afferrargli i piedi, lui cadde sul letto tenendo abbracciato il computer
“Non te lo do! Non posso!” Urlava proteggendo quel tesoro tecnologico
“Dai!” mi sedetti sul letto e tentai di strappargli il pc dalle mani “Mollalo! Mollalo!” io tiravo da una parte e lui dall’altra “Scott!” urlai
“Joe!” urlò lui con gli occhi chiusi e il computer appiccicato al corpo “Non lo mollo!”
A un certo punto, entrambi tiravamo da due parti diverse, prendendoci ad insulti e ridendo, entrò Fiona
“Ragazzi ma che combinate?” guardò la camera e noi due scemi che litigavamo per un computer
Scott mollò di scatto la presa fissando a occhi sgranati la madre, e io che ero ancora in tensione finii letteralmente a culo all’aria cadendo dal letto, non mi ero fatto niente e fu una di quelle cadute che ti sembra di vederti mentre cadi e cominciai a ridere da solo, come un pirla e non riuscivo a fermarmi.
Sia Scott che Fiona mi guardarono un secondo
“Joe stai bene?” chiese lei
Mi rialzai ridendo
“Sisi. Tutto a posto.” Li vidi un po’ sconcertati da questo mio comportamento, in genere ero un ragazzo calmo
Fiona rise allegra e poi scomparve. Appena la sentii scendere le scale guardai Scott con un sorrisetto maligno e aprii il computer, Scott mi guardava preoccupato.
Convinto di aspettarmi un porno ero preparato, era già successo, ma quando riaccesi il computer in stand by mi trovai davanti un video. Un video di Blondie. La cantante.
Alzai la faccia dallo schermo. Scott continuava a fissarmi con occhi da cucciolo
“È questo il tuo grande segreto? Ascolti Katy Perry?” non ci credevo che questo fosse il grande segreto
“E allora? Cosa c’è di male. Cosa?!” Mi strappò il computer dalle mani “È… è figa e ha una bella voce.” Fu la sua giustificazione
Ci mettemmo a giocare alla play ascoltando Katy Perry, Scott cantava addirittura. Fu facile batterlo. A  un certo punto sentimmo la signora William urlare e Scott corse giù per vedere cos’era successo, io lo seguii abbastanza preoccupato.
La signora William era sul tavolo del salotto davanti al computer e sorrideva mentre piangeva
“Mamma? Mamma che cosa…” si avvicinò mettendole una mano sulla spalla
Lei non riusciva a parlare e indicava con il dito lo schermo, Scott lesse velocemente la mail e urlò anche lui, sollevò sua madre e le fece fare un giro roteando, lei rideva, io rimanevo perplesso.
Scott la lasciò andare
“Ti hanno preso. Ti hanno preso! Non ne avevo dubbi!” erano entrambi veramente felici
Fiona si asciugò le lacrime passando l’indice sotto l’occhio, Scott si girò verso di me
“Mamma aveva fatto richiesta di lavoro all’istituto di bellezza della città e le hanno detto che la prendono! L’ha saputo adesso.” Lei rideva felice
“Non sai come sono felice per te Fiona.” Sorrisi, ero veramente contento di questa buona notizia
“Grazie Joe.” Urlò di nuovo “Mamma ha un lavoro nuovo!” corse in cucina “Farò una torta! Vado a comprare le cose. Dobbiamo festeggiare.” Era in tuta e prese solo il cappotto, aprì la porta e subito la richiuse “Ragazzi.” Si voltò e richiuse la porta
Noi la guardammo in un misto di felicità e confusione
“Mamma?” chiese Scott, io mi avvicinai alla finestra e scostai la tenda
“Emh… abbiamo un problema vero?” dissi a Scott che si avvicinò
La neve era caduta fitta e in poche ore tutta la città si era bloccata. Le strade coperte di neve inutilizzabili e non aveva intenzione di smettere. Sentii il telefono vibrarmi nella tasca, era mia mamma
“Pronto?”
“Joe. Tesoro, dove sei?”
“Da Scott, non ti preoccupare.” Risposi seccato
“Si che mi preoccupo. Come fai a tornare a casa adesso?” la voce mi trapanò le orecchie
“Non lo so, non urlare.”
La mamma di Scott aveva sentito e disse rivolgendosi sia a me che al figlio
“Ma può dormire da noi, puoi dormire da noi Joe, dillo alla mamma.”
Mia madre aveva già sentito
“Cosa?!” urlò
La signora William sorrise
“Posso parlare con la tua mamma Joe, magari tra mamme ci si spiega meglio.” Aveva un sorriso veramente bellissimo e dolce, le passai il telefono “Pronto? Salve signora O’Brian, sono Fiona, la mamma di Scott. Sì, lo so che nevica. Sì. Nono. Non si preoccupi, guardi che per me non c’è nessun problema ad ospitarlo, infondo i due ragazzi sono amici.” Allontanò l’apparecchio dall’orecchio e lo fissò sconcertata “Non si preoccupi. Lo porto io domani a casa in macchina. Sì non c’è nessun problema. Okay, allora a domani. Arrivederci.” Mi ridiede il cellulare
“Mamma?”

“Comportati bene e stai attento.” Scema
Misi giù la chiamata
“Sembra che questa notte rimarrai con noi.” Sorrise la signora William
Scott intanto si era fatto un codino ai capelli, mi sorrise e mi tirò un pugno leggero sul braccio
“Hey! Che bello!” era veramente felice, anche io lo ero
Per entrambi era qualcosa di nuovo. Nessuno dei due aveva mai avuto la possibilità di dormire a casa di amici negli anni passati. Non li avevamo mai avuti.
Sorrisi felice. Ero veramente contento.

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Capitolo 4
*** Storie dell’orrore, Natale e la prima rissa ***


La signora William aveva preparato qualcosa da mangiare, spaghetti al pomodoro e salsicce con contorno di insalata. Non avevo mai mangiato così bene in vita mia anche perché né mia mamma né mio papà cucinavano, solo cose semplici. Ma la signora William era la regina della cucina!
Mentre mangiavamo saltò perfino la luce, non solo in casa ma anche in buona parte della città.
Fiona si alzò e sbattendo contro i mobili arrivò fino allo sgabuzzino
“Scotty, amore, se riesci ad arrivare fino al cassetto sotto il lavandino ci devono essere dei fiammiferi!”
Scott si alzò tastando in giro cercando di non farsi male
“Ma’… non li trovo!” sentivo un grande trambusto “Ahia! Che cazzo è sta roba?!”
“Scott!” urlò lei dall’altra parte “Non si dicono le parolacce!”
“Scusami… ma io non so cosa ci tieni qua dentro.” Mosse un po’ di posate “Trovati… no, sì. Sono loro. Ecco.” Ne accese uno e vidi il suo volto comparire nel buio con un sorriso “Ahia!” si era bruciato, ne accese un altro
La signora William aveva trovato delle torce nello sgabuzzino, arrivò tenendone una accesa
“Tieni tesoro.” Disse porgendomene una “Scott tesoro, fai il giro della casa ad accendere le candele, anzi, prima spegni tutti gli interruttori.”
Io presi la torcia e cominciai a fare il giro della casa con Scott e fargli luce mentre accendeva le candele mentre in cucina la signora William cercava di sistemare le pentole e padelle tenendo in bocca la torcia. Tornati in cucina portando una candela che posizionando al centro del tavolo, ci sedemmo di nuovo e ricominciammo a mangiare.
Scott continuava a fare lo stupido e soffiava di continuo sulla candela per spegnerla e quando ci riuscì accese la torcia sotto il mento e face una risata malefica. Gli arrivò una pacca sulla testa dalla madre che gli disse di smetterla di fare lo scemo. Cercavo di trattenermi dal ridere ma non ci riuscivo veramente, in poco tempo contagiai anche il mio amico e sua madre rimase a guardarci allibita scuotendo la testa.
L’aiutammo a sparecchiare anche se lei diceva di non aver bisogno
“Scott vai a preparare la stanza di sopra per Joe…” guardò un attimo davanti a sé “Nono… facciamo che facciamo un letto di emergenza in camera tua così voi ragazzi potete rimanere a parlare fino all’ora che volete. Sisi. Ora vado a fare il letto.” Mise sullo scolapiatti le ultime stoviglie e corse in camera
Scott alzò le spalle come se i monologhi di sua madre fossero normali e poi la seguimmo.
Aveva tirato fuori un materasso a una piazza da un armadio e l’aveva messo a terra accanto all’altro letto, l’aveva sistemato con il coprimaterasso e una cosa come centomila coperte di pile. Rubò un cuscino dal letto del figlio
“Ora sì che è un letto!” le mani sui fianchi, guardava il suo lavoro orgogliosa “Joe sicuramente non hai con te un pigiama vero?” continuava a guardare il suo lavoro
Ovviamente non avevo pigiama ne niente e Scott mi prestò una sua maglia e dei pantaloni della tuta. Mi andava tutto un po’ largo ma non ci feci molto caso.
Scott teneva in mano il candelabro e mi guardò, la maglietta era veramente larga
“Sbaglio o è un po’ larga?” rise
Mi sentii terribilmente preso in giro
“Scusa se non tutti sono grandi e grossi come te…” sono un maledetto permaloso
“Dai non te la prendere. Faremo palestra insieme, prima o poi.” Scendemmo le scale
La signora William mangiava patatine sul divano leggendo un libro di Jane Austen illuminata solo dalle candele di cui si era circondata, ci vide e sorrise salutandoci con la mano
“Ciao ragazzi. Allora, come vogliamo impiegare la serata?” chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolo, si batté le mani per togliersi le briciole dalle dita
“Non lo so…” Scott mi guardò “Che cosa vuoi fare?” teneva sempre i capelli legati in un codino avvolto su se stesso
Non avendo niente in mente alzai le spalle e scossi leggermente la testa.
Fiona si alzò, si stiracchiò e ci venne in contro, prese la candela al figlio e disse
“D’accordo, ci penserò io allora… storia dell’orrore.” Tornò verso il divano “Ragazzi spegnete tutte le candele, lasceremo accesa solo questa.” Spostò il tavolino di lato e si sedette sul tappeto mettendo la candela davanti a sé
Noi ci sedemmo in cerchio con le gambe incrociate, lei si appoggiava sui polpacci, le mani sulle cosce
“Mamma non siamo un po’ troppo grandi per le storie di paura?” ridacchiò Scotty
“Non per questa tesoro.” E d’improvviso abbassò il tono di voce che risultò profondo e abbastanza inquietante
Fiona ci guardò un attimo, la candela illuminava poco e niente, era l’atmosfera giusta per una storia dell’orrore, sorrideva e noi la guardavamo in trepidante attesa.
Anche se eravamo quindicenni e ci credevamo tanto grandi eravamo curiosi.
La signora William cominciò a raccontare
“Questa è la storia di cinque ragazzi.” Ci guardò “Di cinque amici i quali si conoscevano da anni e cercavano sempre cose nuove da fare.
Un giorno uno dei ragazzi, Paul, trovò nella vecchia soffitta del nonno un grosso libro dalla copertina nera ormai consumata dal tempo e dalla muffa, era un libro di magia. Lo mostrò ai suoi amici e insieme decisero di utilizzarlo per evocare il diavolo, non volevano farlo veramente; per loro era solo un modo per passare il venerdì sera.
Così si ritrovarono prima di mezzanotte davanti alla chiesa sconsacrata del piccolo paese ed entrarono. Avevano letto su internet come si faceva ad evocare il signore delle tenebre e allora disegnarono un pentacolo con una vernice rossa sul pavimento, accesero delle candele che posizionarono su ogni punta della stella e a mezzanotte precisa Paul cominciò a leggere.” Fiona ci guardava mentre ci immaginavamo ogni scena “Quello che i ragazzi non sapevano è che quel libro era un vero grimorio che le antiche streghe leggevano per invocare il demonio e richiedere favori. Le parole erano scritte su pelle umana.
Dopo aver atteso più di un’ora senza alcun risultato, i ragazzi se ne andarono ridendo ma nell’oscurità emerse un’ombra nera di uno stregone che abitava in quella città più di mille anni fa. Morì sgozzato dalla folla che lo accusava di magia.”
Fiona si alzò portando con sé la candela, andò a guardare dalla finestra la neve che cadeva fitta e continuò a raccontare
“La mattina seguente tutti i ragazzi, eccetto Paul, vennero trovati sgozzati nei propri letti.” Fiona si risedette davanti a noi “La polizia indagò senza trovare nessun indizio e nessun colpevole. Paul morì per ultimo. Giorni dopo i suoi amici. Venne trovato ancora sanguinante dalla madre che andava a salutarlo prima di andare a dormire. Vide solo un’ombra, quella dello stregone che svanì con una lugubre e lunga risata.” Fiona soffiò sulla candela spegnendola
Rimanemmo in silenzio e al buio per qualche secondo senza vedere niente
“Mamma?” gridò Scott ma nessuno ripose poi la signora William comparì tra noi due con la torcia sotto il mento emettendo una risata macabra
Non ce l’aspettavamo e così urlammo in preda al panico come dei bambini.
La signora William cominciò a ridere
“Ve l’avevo detto che avrebbe fatto paura.” E continuò a prenderci in giro per ore
Colpiti nell’orgoglio e tremendamente offesi decidemmo, di comune accordo, di organizzare uno scherzo alla signora William e il terribile scherzo consisteva nel rubarle i biscotti della colazione.
Li nascondemmo in camera, in un cassetto, avvolti nei tovaglioli di carta.
Ovviamente lei, notando quella troppa complicità, capì subito e salendo in camera brandendo una torcia minacciò Scott di frugare in ogni cassetto se non gli avesse restituito il malloppo in tempo da record.
Preso dal panico che qualcuno potesse svelare i suoi segreti glieli consegnò subito, lei sorrise e con un pat-pat sulla testa del figlio tornò al piano inferiore tutta contenta canticchiando e sgranocchiando uno dei biscotti al cioccolato.
Una cosa importante imparai sulla signora William, nessuno può fregare la signora William.
Lei era troppo bella e troppo intelligente per riuscire a fregarla.
Quando fummo stanchi di raccontarci un po’ delle nostre vite e un po’ dei nostri progetti per il futuro, Scott ed io decidemmo di andare a dormire. Erano le 2 del mattino.
Scott si fermò sopra le scale ed urlò alla madre che andavamo a letto e lei rispose con un ‘Okay amore, sogni d’oro.’
Chiudemmo la porta e dopo aver spento torce e candele, dopo esserci infilati sotto le coperte, ricominciammo a parlare.
Guardai il soffitto, tenevo le braccia incrociate dietro la testa.
Scott abbracciava il cuscino, anche con le gambe e cercava di addormentarsi
“Scott?!” bisbigliai in modo che potesse sentirmi
“Si?” borbottò mezzo addormentato
“Lo sai che sei il primo e unico amico che ho?” continuai a guardare il soffitto
“Sì.” Un altro borbottio addormentato “E lo sai che vale lo stesso per me vero?” ora era un po’ più sveglio
“Sì.” Sorrisi e probabilmente sorrise anche Scotty
“Sai una cosa…” mi disse “È bello avere un amico come te.”
Rimasi allibito. Non ero mai stato l’amico di nessuno
“Grazie.” Mugugnai senza saper bene cosa dire
Mi arrivò una cuscinata in faccia
“Però ora dormi! Se no… ti rubo i biscotti!” rise
“Mmmh… questa sì che è una minaccia!” cominciammo  a ridere cercando di trattenerci ma non era facile
Scoppiammo a ridere fragorosamente e poi sentimmo uno ‘ssh’ dalla camera di Fiona William. Ci zittimmo per un secondo ma poi riprendemmo senza riuscire a fermarci.

 

Il mese di Dicembre arrivò come un lampo.
Appena la neve caduta a Novembre si sciolse, ne cadde subito dell’altra, meno del mese precedente e meno devastante.
Le vacanze di Natale si avvicinavano e con loro anche gli esami finali.
Il compito più difficile per me fu quello di algebra, non capivo niente di matematica e già dalle elementari avevo trovato i primi intoppi.
Per Scott fu quello di chimica.
Il professor Sunseri, lo odiava e la cosa era reciproca. Già dal primo giorno si erano odiati e solo perché era quello nuovo e quindi sembra il più facile da prendere di mira. Ma Scott non si faceva sottomettere facilmente e rispondeva aggressivamente e spesso maleducatamente. Non che Scott fosse maleducato ma sosteneva che non bisogna dare rispetto a chi non lo merita anche se questo comporta avere un brutto voto in una materia.
Riuscì a passare l’esame solo dopo aver studiato sotto il mio attento controllo per due settimane intere.
Veniva a casa mia dopo scuola, quando si faceva troppo tardi lo invitavo a cena anche se mia madre non era troppo contenta.
Mio padre invece, superato il periodo –mio figlio non ci guarda più-, era felice di vedermi in compagnia di qualcuno che non fosse un computer. Scott gli piaceva, andavano d’accordo. Entrambi erano sportivi, mio padre dal divano con un telecomando in mano e Scott ‘sul campo’. Stavano ore a parlare della partita di football della settimana scorsa e di come i punteggi sarebbero dovuti andare, di come l’arbitro fosse venduto o come quella settimana il basket avesse fatto schifo.
Il giorno della riconsegna dei compiti il professore fu scontento per tutta l’ora. Scott aveva preso A e questo indispettiva terribilmente il Sunseri.
Scott prese il compito con un sorriso e urlò un ‘Sì!’ e tornò a posto felicissimo, non seppe più come ringraziarmi. Ero felice per lui.
Scott mi passò tutte le risposte di algebra e presi una B+ e mi andava più che bene, passare dalla C alla B+ era il mio sogno da sempre.
Le cheerleader e la rappresentate scolastica organizzarono un ballo di fine quadrimestre, la sera dell’ultimo giorno prima dell’inizio delle vacanze e distribuivano volantini a tutti.
La rappresentate scolastica, Anne, era l’unica ragazza non intimorita dalla prestanza di Scott, l’unica ragazza che gli parlava e con cui era piacevole discutere.
Lui era contento di conoscere una di qualche anno più grande e che avesse preso una cotta per lei non c’erano dubbi ma poi lei si fidanzò con Roger Stons e questo fermò la relazione platonica di Scott. Non ci aveva mai provato veramente con Anne e lei lo considerava niente di più che un ragazzo di prima abbastanza carino e simpatico. 
Non ci andammo mai a quel ballo, non avevamo una ragazza e in realtà non avevamo voglia di vedere nessuno di quegli idioti che popolavano la nostra scuola.
Rimanemmo nella mia stanza per tutta la sera al computer e alla tv.
Nei giorni successivi, ci eravamo accordati per rimanere ognuno a casa sua e dormire il più possibile. Finché una mattina decisi di chiamarlo e di uscire.
Andammo al parco.
Faceva freddo e il vento pungeva sul volto. Mi strinsi nell’eskimo e dopo aver tolto della neve da una panchina mi sedetti
“Scott cosa fai?” soffiai sulle mani rosse e infreddolite, tirai fuori i guanti dalla tasca del giubbotto e li infilai
“Niente. Mi guardo in giro.” Teneva le mani nelle tasche dei jeans “Fa freddo.”
Risi
“Me ne sono accorto.” Mi infilai anche il berretto di lana lasciando fuori qualche ricciolo “Mi si appannano tutti gli occhiali.”
Scott si girò
“Vedi, io te l’avevo detto di provare con le lenti a contatto. Ma tu non mi ascolti mai.” il flebile sole di Dicembre che faceva capolino dalle nuvole bianche gli rendeva i capelli di un biondo ambrato
“Lo so. Ma mia madre ha detto che devo aspettare almeno l’anno prossimo.” Battei i piedi per scaldarmi
“Ma quindi… se ti lancio una palla di neve poi ti smonto tutto.” Si piegò a prendere della neve e la strinse tra le dita
“Esatto.” Gli tirai una palla di neve sulla nuca “Ma non vuol dire che non possa colpirti io.”
Scott si voltò sorridente passandosi tra le mani la palla di neve
“Me la pagherai O’Brian.” Aveva il solito sorriso di chi nasconde qualcosa
Si sedette accanto a me, continuavo a fissarlo preoccupato per la mia incolumità.
Mi abbracciò, o meglio mi stritolò e mi spiaccicò la neve sul berretto
“Ora siamo pari.” Si alzò e continuando a camminare nel parco urlò “Non stare lì imbambolato. Muoviti. Se no ti congeli.”
Risi scuotendo il cappello.
Appena lo raggiunsi cominciamo a parlare e raccontarci cosa avremmo fatto per Natale. Intanto camminavamo senza una meta precisa
“Cosa fai a Natale?” chiese calciando la neve sulla strada
“Niente. Sto a casa, vengono parenti da mezza America quindi mi tocca il cenone con i parenti e mi annoierò. Ci saranno le mie cugine che si sdraieranno sul mio letto e massaggeranno, come ogni anno, con i loro fidanzati. Ci saranno i miei zii che ti stringono le guance e ti dicono che sei cresciuto e che ti conoscono da quanto sei alto così… preferirei morire.”
Scotty guardava avanti a sé
“Tu cosa fai invece?” chiesi
“Andiamo dai miei nonni. E come ben sai la cosa non ci rende poi così felici.” Mi guardò e sorrise “Non li conosco. Li vediamo una volta l’anno e quella volta che li vediamo c’è tensione e sempre commenti sarcastici da entrambe le parti. C’è una triste cena e un ancor più triste scambio di regali e di finti ringraziamenti. Non ci voglio andare.” Tirò un altro calcio alla neve “La mamma sta sempre male quando torniamo.”
Lo guardai
“Se vuoi posso chiedere se potete venire anche voi…” provai a dargli quest’idea
“No, non importa. È una tradizione e va fatta. Poi per quelle poche ore possiamo anche farcela, tu tieniti il cellulare dietro che riceverai almeno un milione di sms. E dovrai rispondermi!” suonava come una minaccia

 

Il Natale passò tranquillo o quasi. Ovviamente la nostra casa fu invasa da parenti che sapevano di naftalina e di ospedale, di cugine e cugini idioti che cercavano di essere divertenti, di nonni simpatici che ti allungavano banconote da 20 dollari di nascosto perché riconoscevano che l’unico che si salvava della famiglia eri tu.
Riconoscevo anche io che gli unici della famiglia che sopportavo e con cui era piacevole conversare erano i miei nonni, avevano sempre belle storie da raccontare e io preferivo stare con loro anzi che con i cugini. Anche io adesso avevo da raccontare delle storie su Scott e su Fiona.
Mio nonno, il padre di mia mamma, chiese di più della signora William e così gli raccontai qualcosa rimanendo sul vago e subito la trovò simpatica. Mentre gli raccontavo della serata passata a dormire a casa loro, passò mia mamma con un vassoio e sentì che tessevo le lodi di quella mamma che consideravo perfetta con quel bellissimo sorriso di cui mi ero innamorato e cominciò a creare casino riportando tutte le voci di paese che giravano su quella donna, del perché si fossero trasferiti a causa del figlio che spacciava droga, e che lei si prostituiva.
Non riuscii a trattenermi
“Ma non li conosci neanche. Che cazzo dici tutte queste cose? Come ti permetti. Sei mai stata a casa loro? No. Ci hai mai parlato con la signora William? No. Ascolti solo tante piccole voci di donne sui cinquanta e ormai in menopausa che vedendo una donna più giovane e più bella di loro si sentono in pericolo e in dovere di spargere cattiverie ovunque. Ha avuto un figlio giovane, d’accordo ma non per questo è una troia.”
Rimase a fissarmi
“Ma come ti permetti di parlarmi con quel tono?” disse offesa
“Mi permetto eccome. Sono mesi che ti sento sparlare inutilmente di persone che non conosci e che non vuoi conoscere perché rimani una persona dalla mentalità ristretta. Pensa alla tua di vita anzi che giudicare quella degli altri.” esplosi
Notai che tutti i parenti, compreso mio padre, si erano affacciati dalla cucina e avevano ascoltato la scenata.
Scossi la testa
“Bene. Che bel Natale, anche questo.” E corsi per le scale e sentii solo un brusio di persone che chiedevano spiegazioni dell’accaduto
Mi chiusi in camera e qualche minuto dopo arrivò mio nonno, un simpatico vecchietto che si reggeva a un bastone
“Joe.” Aprì piano la porta “Posso?”
Con un sorriso lo andai ad accogliere, si sedette sulla poltrona accanto alla finestra
“Sai… tua madre è sempre stata un po’ così. Sempre gelosa e pettegola, non lo fa con cattiveria…”
Gli sorrisi e rimanemmo a parlare un po’ di tutto fino all’ora di cena dove mi misi un angolo e mangiai silenziosamente senza guardare in faccia nessuno.
Mi arrivavano sms di aiuto da Scott e gli rispondevo cercando di tirarlo su di morale.
Uno dei natali più incazzati della mia vita.

 

Il ritorno a scuola fu tragico.
Tutti gli studenti sembravano zombie e Scott si trascinava a fatica da aula ad aula.
Ormai abituati a dormire fino alle 3 del pomeriggio e andare a dormire alle 4, il rientro a scuola fu devastante per entrambi ma passato Gennaio cominciammo a riprenderci e a Febbraio scoppiò la prima rissa.
Stavo aspettando fuori dallo spogliatoio di nuoto Scott che aveva finito l’allenamento e si stava cambiando. Venni avvicinato da uno del quarto anno, uno di quelli a cui piaceva mettermi la testa nel cesso, mi sorrise e mi tirò un pugno. Così, lo tirò così. Perché ero sulla sua strada.
Gli occhiali caddero a terra e cominciò a uscire sangue dal naso, tirai fuori dei fazzoletti di carta dalla cartella e cercai di bloccare l’emorragia. In quel momento uscì Scott con la borsa del nuoto sulla spalla, mi vide con la testa rivolta verso l’alto che mi stringevo il naso con un cleenex già sporco di sangue
“Hey!” mollò per terra la sacca “Tutto bene? Ma che ti è successo.” Cercava di spostarmi la mano “Fammi vedere.” Era seriamente preoccupato
“No. Non è niente.” Cercai di tranquillizzarlo inutilmente
Vide i miei occhiali a terra e li raccolse
“Tieni. Ti sono caduti questi.” Aveva la voce bassa “Muoviti, andiamo in bagno.” Prese sia la mia cartella che la sua borsa e mi stette al fianco fino al bagno
Appena riuscii a sistemarmi quanto bastava per non sembrare un drogato che aveva lottato per una dose di coca uscimmo e ci dirigemmo all’aula per la lezione di storia del professor Whang, l’unico professore che aveva capito qualcosa di quello che succedeva quando nessuno guardava.
Appena entrammo, in ritardo, l’insegnante ci guardò
“Tutto bene ragazzi?” si soffermò sul mio naso tumefatto
Portai un fazzoletto al naso
“Tutto okay, scusi il ritardo.”
Scott sorrise rimanendo concentrato sui suoi pensieri e non disse niente per tutta l’ora.
A mensa ci dirigemmo al nostro angolo con i nostri vassoi pieni di sbobba e passammo davanti al ragazzo che mi aveva tirato il pugno qualche ora prima, accompagnato dai suoi amici. Mi guardarono e risero, abbassai lo sguardo remissivo incassando ogni risata, Scott non disse niente. Passò accanto a quel gruppo senza dire una parola e appena ci sedemmo mi puntò gli occhi addosso
“È stato uno di loro?” lo guardai
“Senti non ha importanza… ormai è passata.”
“No. Non è ‘ormai è passata’. Ti ha fatto uscire il sangue dal naso. Chi di loro è stato?” continuava a fissarmi con quegli occhi azzurri
“Scott ti prego.” Guardai quelli che dovevano essere maccheroni al formaggio nel mio piatto
Quando rialzai la testa lo vidi andare verso il tavolo dei ragazzi, prese una sedia e si sedette accanto a loro, appoggiò i gomiti allo schienale.
Nella mensa era calato un silenzio glaciale.

Scott sorrise
“Vi divertite ragazzi?” non importava che fosse più ‘piccolo’ di loro, aveva comunque intenzione di fargli male
Quelli risero
“No dai rispondete, mi interessa. Perché io non mi diverto affatto.” Lo guardarono serio, lui sorrise “Ve l’avevo detto di lasciar in pace il mio amico ma sembra che non l’abbiate capito. Quindi vi avverto, fate altre cazzate e me la pagherete.”
Aveva un sorriso di quelli che ha chi ti prende in giro, di quelli sicuri di sé anche davanti al pericolo
“E credi di farci paura?” disse uno
“Beh, in effetti sì.” Sorrise ancora
“Perché non viene a difendersi il tuo amico.”
“Lui non ha tempo da perdere con voi idioti.” Sorrise ancora portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio
“Idioti?!”
“Sì. Idioti.”
“Forse sei tu l’idiota. Non sai con chi ti metti contro.” Disse uno di loro
Scott si alzò pacifico, quello si alzò guardandolo
“Bravo vattene.” Rise
Scott stava per andarsene e tutto a un tratto si girò e colpì il ragazzo in faccia che rispose.
Cominciarono a pestarsi di brutto, Scott sembrava avere la meglio ma continuavano a tirarsi cazzotti fortissimi.
Quelli di pallanuoto presero Scott e cercarono di tenerlo, arrivai di corsa
“Scott ma che cazzo fai!” lui si tolse dalla presa dei nuotatori
“Questo sì che è divertirsi Joe.” E tirò un altro pugno al ragazzo che glielo restituì
La rissa finì quando arrivò il professor Whang che si mise in mezzo separando i due lottatori
“Smettetela stupidi!” guardò i due “O volete che arrivi il preside? Io non lo vorrei.” Guardò me e Scott “Tu e tu, venite con me.” Guardò il bullo “E anche tu Simon. Non pensare di cavartela così.”
Entrammo in un aula vuota e porse a Scott e a Simon dei fazzoletti, Scott aveva il labbro sanguinante
“Cosa credevate di fare eh?” Nessuno rispose, lui sbuffò “Non parlate? Allora parlo io.”
Si appoggiò alla cattedra “Pensate veramente che non sappia niente, che mi limiti a insegnare quattro cazzate e che poi torni a casa a guardarmi lo sport senza sapere niente di cosa succede qui?” ci guardò a tutti e tre “Tu!” indicò Simon “Voglio da te una relazione degli argomenti che ho spiegato dall’inizio dell’anno scolastico entro domani e lo voglio di dieci pagine. Scritte in corsivo a caratteri piccoli e con poco spazio tra di loro. Se non hai seguito niente durante le lezioni non mi interessa, voglio quella relazione. Vai adesso.” E mentre il ragazzo usciva dall’aula a testa bassa lo richiamò “E voglio un colloquio con tua madre per parlare di tutte le F che prendi da sempre.”
Scott e io guardammo Simon uscire e appena la porta venne chiusa tornammo a guardare il professore
“In quanto a voi due…” tornò ad avere la sua solita voce e il suo solito comportamento gentile “Scott.” Scott alzò lo sguardo “Ottimo lavoro,” mostrò il pollice alzato “quell’idiota si meritava da tempo una bella batosta. Joe…”
“Si?!”
“Devi imparare a difenderti da solo.” Sorrise “Ragazzone qui non può sempre fare a botte per te. Credi veramente che non sappia niente? Mi accorgo di tutto. Mi sono accorto prima come mi sono accorto dall’inizio dell’anno che qualcosa non andava. Poi è arrivato Scott e sembrava andare tutto bene. Non dico che devi far pestare tutti dal tuo amico, dico che forse, dovresti saper reagire e dovresti anche parlarne.”
“Parlarne?” chiesi stupito
“Sì, con i tuoi genitori…”
Sorrisi
“Non ho un buon rapporto con i miei genitori e non si accorgono praticamente di niente. Mia madre ha scoperto solo l’altro giorno che il mio libro preferito è Siddartha anche se no ho più di una copia in camera e che ne ho parlato per mesi e mesi a tavola, con loro è impossibile parlare.”
Rimase a guardarmi un secondo, comprensivo e paziente
“Beh se vuoi puoi parlarne con me se ti va. Quando ne hai voglia, se ne hai voglia…” sorrise
Annuii e poi venimmo congedati.
Scott e io rimanemmo a parlare di quella rissa per ore dopo scuola, si scusò per essere stato così impulsivo e io lo rassicurai dicendo che se fossi stato in lui avrei fatto lo stesso.
Purtroppo non ero né forte né sicuro di me come Scott e ciò mi faceva sentire inadeguato di fronte a quell’amico che aveva preso le mie difese scatenando una rissa.

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Capitolo 5
*** Compleanni ***


Il mio compleanno si avvicinava e la cosa non mi emozionava affatto. Ero nato il 2 Maggio, quindici anni fa all’ospedale della contea.
Tutti sostenevano che da piccolo fossi un bambino bellissimo, paffuto e roseo, poi sono cresciuto e, credo che questo fatto abbia fatto irritare mia madre.
Aveva letto tutti quei libri sul parto e su come accudire un neonato, ma non ci sono libri su come gestire un adolescente e a lei dava fastidio non poter più controllarmi come quando avevo cinque anni.
Sceglievo da solo i miei vestiti, il mio cibo, i miei amici. Sceglievo io quando uscire e cosa fare.
Quello che non le piaceva, in effetti, era Scott, ma che me ne frega di cosa pensa lei.
Scott era il mio migliore amico, l’unico che avessi mai avuto. Anche perché Richard Tucker dell’asilo con cui condividevo il pongo non conta.
Avevo detto a Scott di passare il sabato mattina, il giorno del mio compleanno, e che gli avrei offerto un frullato al chiosco del centro commerciale. Mio papà mi diede una lauta mancia come regalo mentre mia mamma mi comprò un gioco per la play station. Era un gioco che mi mancava e la ringraziai di cuore con un abbraccio, mi faceva piacere sapere che conosceva almeno qualcosa di me.
Verso le 10 sentii il campanello suonare e mi lanciai per le scale, mamma mi precedette e aprì la porta, sorrise gentile
“Entra Scott.” Stranamente era cordiale con lui
“Buongiorno signora.” Sentivo la sua voce squillante e allegra “Sono passato a fare gli auguri a Joe, beh anche a lei… tutti si dimenticano che il compleanno è anche il giorno del parto…"
Scott quando si trovava davanti a mia madre cominciava a parlare a raffica senza accorgersi di cosa stesse dicendo e si sentiva terribilmente a disagio  
“Beh grazie…” sorrise gentile mamma
Arrivai di corsa prima che Scotty potesse dire qualcos’altro di stupido
“Hey amico!” gli diedi una pacca sulle spalle e sorrise gentile
“Auguri!” urlò e mi abbracciò sollevandomi e stritolandomi
Mia mamma sorrise e ci lasciò andare senza dar fastidio, ci raccomandò solo di non fare disastri, ovviamente non sapeva di quella rissa. Non lo sapeva nessuno, neanche Fiona dato che avevo chiesto a Scott di non dire niente.
Presi la giacca e infilai il portafogli nella tasca posteriore dei jeans neri
“Muoviti Scott!” lo cacciai fuori dalla porta
Scott rise e io richiusi la porta dietro di me e lo trascinai lungo il vialetto e poi alla fermata dell’autobus per andare al centro commerciale
“Allora! Come ci si sente ad avere quindici anni compiuti?” mi chiese Scott aggrappandosi a un palo e girando un po’ su se stesso, si sedette con un tonfo sulla sedia arancione e mi guardò con  i suoi profondi occhi cielo
“Come tutti gli altri giorni.” Risposi con un sorriso
Quando compi gli anni pensi sempre che qualcosa cambierà nella tua vita, che cambierà da un giorno all’altro e invece non succede niente se non invecchiare. Anche se da ragazzo ti sembra tutto così adrenalinico, compi gli anni e sei sempre più vicino a compiere diciotto anni, a compierne ventuno, a diventare adulto. Non che diventare adulto mi piacesse come idea ma prima o poi bisogna crescere!
Con l’aiuto di Scott cominciai a crescere per davvero, a lasciarmi alle spalle un sacco di cose che mi legavano all’infanzia e anche se bisogna sempre ascoltare il ‘bambino che c’è in noi’, qualcosa va lasciato indietro, come le caramelle di halloween o l’esistenza di Babbo Natale.
Rimanemmo sull’autobus per un quarto d’ora e poi scendemmo alla fermata più vicina al centro commerciale, camminammo per dieci minuti parlando di quel nuovo film che sarebbe uscito a breve e di cosa avremmo fatto per il resto della giornata. Mentre camminavamo dentro al centro commerciale ci passò accanto una nostra compagna di classe, Janelle. Sapevano tutti che aveva preso una tremenda cotta per Scott ma lui non se ne approfittava, anzi, cercava di esserle amico e le aveva più volte detto con tatto che voleva solo essere un buon amico e niente di più. Ma Janelle ormai era partita verso il favoloso mondo dell’amore, si perdeva in quei capelli biondi e nel sorriso gentile di Scott e cominciava a diventare appiccicosa, era gelosa di chiunque gli stesse vicino, perfino di me, lo guardava in classe mentre si mangiava la matita e quando lui si voltava sentendosi osservato, Janelle arrossiva e faceva qualcosa di tremendamente stupido come accasciarsi sul banco o se aveva qualcosa tra le mani, le faceva saltare involontariamente per tutto il banco e il professore di turno la rimproverava e le chiedeva decisamente poco cordialmente di stare attenta. A quel punto lei dava un’ultima occhiata furtiva a Scott che continuava a guardarla a occhi sbarrati impietrito da quella follia, e poi tornava a concentrarsi per pochi minuti fino a quando non ripeteva la scena iniziale.
Quando succedeva, io cominciavo a ridere guardando Scotty terrorizzato e poi lui si piegava verso di me e mi diceva –Ho seriamente paura che possa stalkarmi.- io lo guardavo e ridevo silenziosamente e dopo essermi ripreso gli rispondevo che Janelle, fin dalle medie, trovava una “vittima” annuale e se ne innamorava. Ma poi le passava durante l’estate.
Quando la incontrammo il giorno del mio compleanno, la salutammo con un sorriso e un gesto della mano e cominciammo ad aumentare il passo per seminarla ma lei ci corse dietro e toccando un braccio di Scott ci fermò
“Ciao ragazzi!” pigolò, aveva una voce tenera
Aveva i capelli lunghi, neri e lisci, una frangetta disordinata che le copriva gli occhi tristi e scuri alla Anne Hathaway, aveva la pelle diafana. Era veramente una bella ragazza ma il suo modo di comportarsi appiccicoso non piaceva troppo, le sue labbra coperte con uno strado di rossetto bordò erano le più belle labbra mai viste, il labbro superiore era un po’ più sottile di quello inferiore che era più pronunciato. Indossava un paio di jeans neri e una camicetta rossa con dei ricami a fiori, sopra una giacca di pelle nera.
Scotty mi guardò un secondo e poi tornò a sorridere a Janelle che lo guardò da sotto quella massa di capelli, sorrise tenera
“Posso parlarti un secondo?” disse piegandosi verso Scott e abbassando la voce, quasi sussurrando
Scott la guardò un secondo negli occhi poi si voltò a guardarmi e tornò a guardare Janelle che teneva le mani nella tasca del giubbotto. Scott mi guardò e mi chiese scusa per qualche minuto, mise una mano sulla spalla alla ragazza e si allontanarono, aspettai per circa dieci minuti e intanto controllavo i messaggi di auguri ricevuti dai parenti.
Quando Scott tornò, tenendo le mani nella tasca della giacca beige, lo vidi abbastanza felice, come sollevato. Mi mise il braccio intorno al collo e poi salutò con un sorriso e un ciao-ciao con la mano Janelle che sorrise e andò via infilandosi le cuffie dell’IPod nelle orecchie.
Guardai Scott sbattendo gli occhi, ero decisamente confuso
“Devi darmi qualche spiegazione Scotty!” gli dissi mentre ci dirigevamo verso il negozio di profumi dove lavorava Fiona
La signora William oltre a lavorare al centro estetico, lavorava anche come commessa al negozio del centro commerciale. Potevo capirla, i soldi servono a tutti!
Scott rise
“Ho debellato il problema Janelle Custer!” rispose con voce trionfante
Mi fermai di colpo incredulo
“Come hai fatto?” urlai sconvolto “Ci hai provato per otto mesi e ora ti è bastata una chiacchierata di dieci minuti per farle capire che non ti piace?” Non potevo credere a quello che era successo
Scotty rise ancora facendo riecheggiare la voce tra quel chiasso abituale del sabato
“Io non ho mai detto che non mi piace Janelle! Non la voglio come ragazza, non è il mio tipo, ammetto di averci fatto un pensierino o due ma da lì a mettermi insieme a lei ce ne vuole!”
ODDIO! Rimasi ancora più sconvolto!
Scott mi guardò dall’alto della sua altezza sorridendo beffardo e poi proseguì il cammino tenendo le mani in tasca, rimasi a fissarlo indietro con le braccia molli lungo i fianchi, si girò e mi sorrise gioviale
“Dai che ti offro il gelato più grande che esista e ti racconto cos’è successo con Janelle!”
Lo raggiunsi e passammo a salutare la signora William al negozio, stava sistemando alcune creme sugli scaffali e quando ci vide entrare ci accolse con un largo sorriso e ci venne in contro con in mano ancora una confezione di clinique o qualsiasi cosa fosse! Abbracciò il figlio e gli baciò la guancia che cominciava a coprirsi di quella barba  insulsa che hanno i ragazzi nelle prime fasi dell’adolescenza. Fiona sorrise anche a me e mi abbracciò. Okay! L’amavo!
“Hey auguri Joe!” sorrise e mi mise una mano sulla spalla “Ti senti più grande?” chiese scherzosa mentre tornava a sistemare le creme e i profumi sugli scaffali
Noi la seguimmo e io accennai a una risata mentre le rispondevo
“Non proprio, è tutto come ieri.” Lei si voltò e si tirò una ciocca di capelli all’indietro, mi guardò e sorrise dolcemente
“Beh! Insomma, gli anni li si sente quando superi i trenta.” Tornò a guardare nello scatolone “Cosa fate di bello oggi? Scommetto torta e film, io il mio quindicesimo compleanno l’ho passato con Aidan Walsh…” Si bloccò di colpo e fissò il vuoto davanti a sé
Rimasi a guardarla con la testa inclinata e con il volto corrucciato poi mi voltai verso Scott che la guardava a occhi spalancati e a bocca aperta, aveva i pugni chiusi e teneva le mani lungo il corpo, capii al volo. Probabilmente quel Aidan Walsh era il padre di Scott, probabilmente Fiona non ne aveva mai parlato e le era scappato, cercai di dire qualcosa per smorzare la tensione
“Abbiamo incontrato Janelle prima! Stranamente non era inquietante.” Dissi sorridendo ma il rossore sulle guance di Scott non passava “Questa sera pensavo che Scott potesse venire da me a dormire, i miei non ci sono, tornano domani, e possiamo ordinare cinese o qualche schifezza e ci vediamo un film.” Guardai ancora Scott e poi Fiona che continuava a sistemare i barattoli sugli scaffali, ma lo faceva a scatti e nervosamente
Scott sbuffò guardando la madre e scosse la testa
“Per me va benissimo!” tornò a sorridermi e poi guardò la madre dolcemente e comprensivo “Va bene per te ma’?”
Lei sentì quella voce calda e avvolgente del figlio e tornò a far brillare il negozio di luce
“Certo! I tuoi sono d’accordo vero?” mi sorrise e mi fissò con i suoi occhi che sembravano pietre preziose
“È il mio compleanno! Posso fare quello che voglio!” risi mettendomi le mani in tasca
“Allora più tardi passo da casa a prendere le cose per dormire, va bene mamma?” Disse Scott con voce mesta e un po’ giù di morale
“Certo tesoro.” La signora William non riusciva a guardare il figlio negli occhi e io mi sentivo male per lei, mi sentivo male per Scott “Andate e divertitevi!” poi andò dietro al bancone e tirò fuori da una mensola un sacchetto blu con un fiocco verde sul manico “Questo è per te! Auguri caro!” E me lo porse
Presi il sacchetto tra le mani con un sorriso e lo aprii davanti a lei, ero così emozionato! Il sacchetto conteneva una borsa per computer, di quelle belle che vendono nei negozi specializzati, era nera con la tracolla regolabile e il manico in pelle, c’era una lampo nera di alluminio, aveva tre tasche. Era bellissima!
Sorrisi a Fiona
“Grazie mille Fiona! Grazie Scott!” sorrisi e ringraziai entrambi ma Scott alzò le mani
“Io non c’entro con questo regalo.” Rise “Il mio è una sorpresa.”
Gli sorrisi felice
“Allora andiamo a mangiare.” Dissi a Scott “Arrivederci!” mi rivolsi a Fiona che sorrise guardandoci uscire
Appena raggiunta la pizzeria italiana del centro commerciale ci sedemmo al tavolo e ordinammo, io una pizza col salame piccante e Scott un calzone con doppia farcitura poi cominciammo a parlare. Appoggiai i gomiti al tavolo e fissai Scott che beveva la sua coca-cola, lui fece un rumoroso sorso e mi fissò un secondo, appoggiò il bicchiere e si legò i capelli d’oro
“Credo che tu voglia sapere di Janelle.” Sorrise e si fregò le mani sui jeans
Lo guardai e scossi la testa, mi tolsi gli occhiali e li guardai in contro luce per vedere quanto luridi fossero, gli diedi una pulita con la manica della maglietta e li inforcai di nuovo, tirai indietro qualche ciocca e feci un mezzo sorriso
“Senti,” lo guardai ancora “cosa è successo prima con tua mamma?”
Lui si bloccò e il sorriso si spense, non mi guardò gelidamente ma il suo sguardo era diverso, era triste e confuso. Non mi guardava negli occhi, guardava sopra il mio orecchio e fissava la parete giallo ocra del ristorante con il disegno del Vesuvio
“Non sei obbligato a parlarne.” Ma lui aveva ancora quello sguardo mogio, si mordeva nervoso le labbra e potevo notare il suo turbamento da come incurvava le spalle e si rinchiudeva in sé stesso “Scott non importa…”
“No.” Sbottò e mi guardò, gli occhi si erano fatti sottili e tristi, erano bui e senza quella luce di felicità che sempre li pervadeva “Forse è meglio parlarne.”  Si grattò il sopracciglio destro con l’indice e respirò a fondo “Credo che quell’Aidan Walsh sia mio padre. Deve esserlo. I conti tornano, se ci pensi. Sono nato quando mia mamma aveva sedici anni e in quel periodo, quello in cui è rimasta incinta, stava con quel tipo.” Arrivò il cameriere con i piatti delle pizze, lo guardammo e sorridemmo, non appena se ne andò Scott ricominciò “Ho letto i diari di mamma. So che non si fa ma durante il trasloco mi ha detto di portare in soffitta degli scatoloni e per le scale sono inciampato ed è caduto tutto e ho trovato i suoi diari di adolescente, li ho letti. Parla sempre di Aidan Walsh. Di come abbia i capelli biondi e gli occhi azzurri, di come sia alto, di come sia perfetto, di come l’accompagni a casa con la macchina dopo scuola, di come siano andati…” scosse ancora la testa mentre affettava il calzone con rabbia “Siano andati a vedere le stelle.”
Lo guardai corrugando la fronte, non sapevo bene cosa dire. Mi dispiaceva che l’avesse dovuto scoprire così e quel millesimo di secondo in cui era stato nominato quell’uomo era stato terribile. Non l’aveva mai conosciuto e neanche visto
“Hai mai provato a chiedere a tua mamma qualcosa in più?” mi azzardai a chiedere e la risposta fu positiva
L’unica volta che le aveva chiesto qualcosa avevano finito per litigare e anche di brutto, era successo prima che ci conoscessimo. Lui e Fiona avevano deciso di non parlarne più ma ora era venuto fuori, seppur per sbaglio, e bisognava affrontare l’argomento prima che fosse troppo tardi
“Voglio un padre Joe, voglio bene alla mia mamma, le voglio un bene dell’anima ma voglio un padre. Qualcuno che ti dia una pacca sulle spalle quando fai un touchdown, qualcuno che non sia l’allenatore, voglio qualcuno con cui parlare di donne come fanno sempre nei film.” Scosse la testa e diede un morso alla pizza, si leccò il sugo uscito dalle dita e poi si pulì sul tovagliolo di carta
Rimanevo a guardarlo stupefatto, non avevo mai pensato che gli interessasse veramente la questione ‘padre’. Mi aveva sempre fatto capire che non gli importava, che stava bene così. Evidentemente no. E mi sentivo terribilmente in colpa per tutte le volte che mi ero sfogato con lui sui miei genitori, su mio padre. Ecco perché si trovava così bene con mio padre, probabilmente vedeva in lui una sorta di figura paterna che gli era sempre mancata, mi dispiaceva veramente per Scott, era il mio migliore amico e volevo che stesse bene ma in quel momento non sapevo cosa dire.

 

Rimanemmo in giro per tutto il giorno, a dire scemate e a non discutere più di quel fragile argomento. Non mi ero dimenticato di Janelle e volevo saperne di più, verso le 6 di pomeriggio tornammo verso casa di Scott e parlammo della ragazza
“Allora che vi siete detti tu e Janelle?” dissi mentre tiravo su la zip della giacca
“Mi ha detto che non mi darà più fastidio perché non è più innamorata di me. Mi vuole solo come amico e vuole anche te per amico, pare che le piaci molto.” Rise coprendosi la bocca con la mano “Dice che si è comportata da stupida e che sta cercando di cambiare e che vorrebbe uscire qualche volta con noi perché non ha tante amiche e vorrebbe provare a non essere una sociopatica qualche volta.” Ero d’accordo
Janelle mi piaceva, mi aveva passato qualche compito di algebra prima che arrivasse Scott e io le ricambiavo il favore con i compiti di biologia.
Scott preparò la borsa per la notte e lo vidi infilare nella sacca a tracolla un pacco avvolto da una carta con degli angeli, era una carta da pacco di natale. Feci finta di niente e con un sorriso per avere a dormire a casa il mio amico uscimmo.
Ordinammo un sacco di schifezze e ci guardammo un film in tv, facemmo tardi e prima di metterci a dormire, lui sulla brandina e io sul letto, ci sedemmo uno di fronte all’altro, in pigiamo e calze e mi porse il regalo.
Era palesemente imbarazzato per quel gesto e io ero felicissimo per quel pensiero che mi aveva fatto. Senza stare attento alla carta, strappai la confezione e mi trovai davanti il regalo più bello di sempre. Un’edizione del Siddhartha, il mio libro preferito. Mi aveva sentito quando l’avevo detto quel giorno nell’aula con il professore Whang. Era un’edizione bellissima. Con la copertina rigida di cuoio rosso cupo con sopra delle incisioni che raffiguravano il Buddha e le scritte erano in oro e incise. Rimasi a guardare quel libro tra le mani, ero felice e dentro di me urlavo! Scott mi guardava davanti a me con le gambe incrociate e si ciondolava tenendosi i piedi con le mani
“Allora?” continuava a ciondolarsi e sorrideva “Ti piace?” chiese un po’ titubante
Io balbettavo dalla felicità, era una copia bellissima e non importava che ne avessi già tre di edizioni diverse dello stesso libro nella libreria, quella sarebbe stata la mia preferita
“Mi piace tantissimo.” Balbettai emozionato e poi mi lancia su Scott gettandogli le braccia al collo “Sei il mio migliore amico!”
Lui rise e mi diede delle leggere pacche sulla spalla
“Te ne sei ricordato! Sapevi che questo era il mio libro preferito!” tornai seduto al mio posto con ancora in mano il prezioso libro
“Certo!” rise lui
“Grazie.” Sorrisi alzando un solo lato delle labbra e quasi mi veniva da piangere per quel gesto semplice ma importante
Il mio regalo per il suo compleanno era stato decisamente più stupido, una maglietta di un giocatore della sua squadra di football preferito e dei CD dei Pearl Jam, il suo gruppo adorato.
Scott era veramente una persona bella e gentile, si meritava di sapere chi fosse suo padre, lo vidi un po’ giù di morale qualche volta, sicuramente pensava a quella storia ma sapevo che si sarebbe risolta presto.

 

23 luglio 1994

Caro Diario,
Oggi è il mio compleanno! Compio quindici anni! So di essere “grande” per scrivere ancora sul diario segreto ma mi piace poter confidare tra le righe qualcosa di me, tanto non ti troverà mai nessuno caro diario!
Mamma mi ha regalato una collanina di Tiffany e papà mi ha dato dei soldi e una carta di credito per comprarmi quello che voglio, dice che c’è un budget limitato ma posso permettermi un vestito nuovo e un paio di scarpe per il ballo di fine anno.
Voglio tanto bene ai miei genitori. Sono dei genitori fantastici! Sanno ascoltare e adoro come mi lascino libera di fare quello che mi sento di fare, non hanno problemi a lasciami uscire con Aidan, anche se ha due anni in più di me e già guida.
Io e Aidan ci amiamo, o almeno credo. Non abbiamo mai fatto l’amore insieme anche se entrambi non siamo più vergini, stiamo insieme da quasi un mese e oggi, il giorno del mio compleanno, verrà a prendermi in macchina e andremo allo spiazzo sulla collina. Credo che faremo l’amore. Lo spero!
Lui è perfetto. Mi fa sempre dei piccoli regali, come dei fiori o solo comprare i popcorn al cinema. So che sarà una serata magnifica, deve esserlo! Per forza! Staremo nella sua macchina decapottabile a baciarci e amarci, si dice che sia bravo a fare sesso e che lì sotto sia ben dotato! Sto ridendo a pensarci! Poi lui è bellissimo, ha quegli occhi grandi e color del cielo, i capelli d’oro e un fisico bellissimo, è alto e adora lo sport. Credo di essermi innamorata di lui, ma non deve saperlo, si potrebbe rovinare tutto.
Vado a prepararmi per l’uscita, ci sentiamo dopo e ti racconterò tutto.
Un bacio

                                                                                                                           Fiona!

 

23 luglio, più tardi

Caro Diario,
Come ti avevo detto! Io e Aidan abbiamo fatto l’amore! È stato bellissimo. Sono veramente innamorata di lui e questo è il compleanno più bello che abbia mai passato. Non importa che abbia solo quindici anni ma questo rimarrà per sempre il mio compleanno preferito. Quello in cui ho fatto sesso con il ragazzo di cui sono innamorata, sono sicura che staremo insieme per sempre o per molto almeno 
Ora vado a dormire che sono stravolta! Rido ancora! Una serata stupenda!

                                                                                                                             ♥Fiona!

 

13 agosto 1994

Caro Diario,
Ho fatto una cazzata. Sono triste. Voglio morire. Come ho potuto fare una cosa così stupida, sarei dovuta stare attenta e invece no. Mi sono concessa, sembra un termine così antiquato, al primo ragazzo che mi rivolgeva un sorriso e senza usare una qualche minima protezione. Ho solo pensato che non sarebbe successo niente, mentre lo facevo mi dicevo –tanto non succederà a me, figurati.- e così l’ho fatto! ho fatto sesso con Aidan e ora sono incinta.
L’ho scoperto qualche giorno fa. Il compleanno più bello della mia vita è stato distrutto così. Per qualcosa che non volevo e che ora sta crescendo dentro di me. L’ho detto a Aidan che sono incinta ma lui non ne vuole sapere. Mi ha detto che era solo un mio problema, come se lui non centrasse niente, se né andato e non vuole saperne niente. Ma non mi importa di lui. L’ho amo ancora, è vero, e credo che lo amerò per sempre ma se non vuole starmi vicino in questo momento allora non vorrò mai più parlare con lui e neanche parlare di lui! Non credo che terrò questo bambino, ho solo quindici anni… mi viene da piangere, sto piangendo e ho macchiato di lacrime tutte le pagine. Mamma e papà mi hanno dato della sgualdrina e mi sono sentita malissimo, non lo voglio tenere questo bambino, potrebbe rovinarmi la vita. Non so che fare, ho paura e sono sola…

                                                                                                                             Fiona!

 

23 luglio 1995

Caro Diario,
Sai quando dicevo che il mio quindicesimo compleanno era stato il più bello? Beh mi sbagliavo! È sicuramente questo il più bello, il mio sedicesimo compleanno. Non sono sola come ho sempre creduto, sono felice e mi sento bene come mai sono stata prima.
Non mi importa quello che pensa la gente quando mi vede, quando ci vede! Ci guarda e parla male, giudica e non sa. Io vado in giro tenendo tra le braccia quel fagotto dai riccioli biondi e dal sorriso bellissimo, ha gli occhi azzurri, come quelli di Aidan! È nato il 15 marzo del 1995, il mio piccolo Scott! Il mio bambino.
Non ce l’ho fatta ad abortire, non ce l’ho fatta davvero. Sapere che c’era una vita dentro di me mi terrorizzava, è vero, ma Scott è stupendo. Quando è nato l’ho stretto tra le braccia e non l’ho lasciato più andare. Piangeva e urlava ma era il suono più bello mai sentito, so che diventerà un bellissimo ragazzo e un uomo meraviglioso, so che sarà buono con le persone e che sarà gentile con tutti. Mio figlio. Dire –Mio figlio.- è strano, veramente strano ma mi piace. Io lo amo, amo questo bambino, il mio bambino. E lo amerò per sempre. Stare con lui il giorno del mio compleanno è bellissimo, festeggeremo ogni compleanno insieme, ci vorremo bene per sempre e io potrò fidarmi di lui come lui di me.
So benissimo che fare la madre è difficile ma ce la farò, mi impegnerò, farò due lavori, ne farò tre pur di far crescere Scotty senza che gli manchi niente. Non gli farò mancare niente, non che lo vizierò ma gli vorrò bene. Non credo però che gli parlerò mai di Aidan, non potrei farcela.
Attacco qui una foto di Scott alla nursery dell’ospedale, non è bellissimo? Ho passato ore a guardarlo sorridendo mentre lui dormiva pacifico.
Un bacio!

                                                                                                               Fiona! E Scotty!

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Capitolo 6
*** I soliti problemi ***


La mattina del 24 maggio mi svegliai soffocato dall’ansia di dover dare gli ultimi esami dell’anno, avevo studiato letteratura e matematica per settimane. Scott si era fatto dare ripetizioni di chimica da un ragazzo dell’università per giorni interi fino a ora tarda mentre io lo aiutavo con il resto delle materie.
Mi vestii in fretta e corsi giù per le scale inciampando sui miei stessi piedi, afferrai un biscotto dalla credenza e i soldi sotto il contenitore delle chiavi e volai fuori di casa.
Ero in ritardo per passare da Scott e gli mandai un sms confuso dicendogli che non passavo, mi rispose appena fui nel cortile della scuola, diceva che non importava. Solo quello.
Andai verso l’armadietto e presi le mie cose, mancavano dieci minuti all’inizio dell’ora di chimica e per quel che contava, sarei arrivato in ritardo pur di aspettare Scott, ma lui non arrivava, gli mandai un altro sms –Hey dove sei?- mi rispose dopo un secondo –Entra in aula, arrivo. Ti devo raccontare.-
Mi avviai verso la classe e mi incontrai per il corridoio con Janelle, anche lei in ritardo per la lezione
“Ciao Joe.” Sorrise sfilandosi la cuffia dall’orecchio “Tutto bene?” teneva i libri al petto
Indossava i soliti jeans neri rotti sulle ginocchia, gli anfibi e la maglietta dei Cure, sembrava non essersi pettinata quella mattina perché aveva i capelli tutti crespi ed arruffati
“In ritardo, tu?”
“Non ho dormito niente, ho dovuto studiare arte per tutta la notte. Si vede?” chiese con un sorriso
“Un po’.” Gli indicai i capelli e lei cercò di sistemarseli
“Sei pronto per questo mese stressante? Ho parlato con quelli degli altri anni e dicono che l’ultimo mese o comunque le ultime settimane sono le più stressanti.” Parlava veloce e parlava tanto “O’ Connelly del terzo mi ha detto che mettono tutti i compiti nella stessa settimana.”
“O’ Connelly?” chiesi perplesso aumentando il passo prima di essere in ritardo sul serio
“Sì, sai quel ragazzo… no okay, non si vede molto in giro. Capelli scuri abbastanza lunghi, alto, si veste un po’ alla Kurt Cobain…” elencava le caratteristiche di questo ragazzo che non avevo mai visto “Sta sempre dietro la scuola a fumare canne.” Disse infine e mi si accese la lampadina
“AH! Oddio! Ho capito! Chris O’ Connelly!” risi “Certo che so chi è, mi pare sia stato bocciato l’altro anno. È l’unico che mi abbia mai salutato da quando sono qui, forse per vendermi roba o non so.”
Janelle sorrise e arrossì
“È carino vero?” divenne ancora più rossa, ed essendo lei di carnagione chiara, il rossore sembrava più accentuato
“Non lo so Jan, non mi piacciono i ragazzi.” Risi nervoso “Non mi dirai che ti piace?” avevamo iniziato a frequentare Janelle da qualche giorno dopo il mio compleanno ed eravamo diventati subito amici
“Non lo so, è dolce. Siamo usciti venerdì sera, al cinema e mi ha messo il braccio intorno alle spalle.” Era ancora più rossa
Finalmente entrammo in classe e il professore non era ancora entrato, ci sedemmo ai rispettivi posti e rimandammo la conversazione a più tardi.
Ero preoccupato per Scott, non era da lui arrivare in ritardo, soprattutto per la lezione di chimica perché sapeva quanto il professor Sunseri non lo sopportasse. Passarono cinque minuti da quando il professore entrò in classe e di Scott neanche l’ombra, il Sunseri abbassò gli occhiali rettangolari e fissò il posto vuoto accanto al mio
“Scott non sarà dei nostri oggi a quanto vedo.” Disse acidamente e quasi con gioia ma prima che la penna potesse segnarlo assente sul registro, Scott entrò trafelato in classe
Sbattè lo zaino sul banco e si accasciò sulla sedia. Il professore lo fissò allibito
“Giustificazione William?”
“Sì, certo.” Aveva la voce apatica e frugò nello zaino prima di tirare fuori un foglio con il permesso firmato dalla madre per giustificare il suo ritardo
Tornando al posto lo vidi più agitato del solito, non aveva i soliti capelli raccolti nel mezzo codino dietro la nuca, erano spettinati e gli ricadevano sulla fronte. Gli toccai una spalla e sussurrai un come va, lui si voltò e mi guardò con gli occhi lucidi e arrossati
“Dopo ti dico Joe.” Tirò fuori dallo zaino il quaderno degli appunti e l’astuccio con dentro un mucchio di penne, matite e una quantità indefinita dei bigliettini che ci passavamo tutti accartocciati
Li teneva sempre per ricordo e mi faceva piacere. Tirò fuori anche il cellulare, non lo faceva mai durante le lezioni e lo teneva sempre infilato nelle profondità dello zaino senza curarsene troppo, ma quella volta lo tirò fuori e cominciò a mandare messaggi, lo vedevo che si nascondeva alla vista del professore dietro la testa di Evan davanti al nostro banco.
Ad un tratto, verso la fine della lezione, lo sentii mormorare un’imprecazione e cominciare ad agitarsi, si mise le mani tra i capelli e tamburellava freneticamente il piede sul pavimento, mi piegai verso di lui
“Scotty, hey! Amico!” mi stavo veramente preoccupando per quell’amico che per me c’era sempre stato
Si voltò ancora e mi strinse la mano, scosse la testa e appoggiò la fronte al tavolo. Rimasi a guardarlo impotente davanti a quella reazione dovuta a non so cosa, volevo fare qualcosa ma non riuscivo a fare niente in quel momento. Avevamo ancora due ore prima della pausa mensa e non sapevo che scusa inventarmi per trascinarlo via dall’aula e parlare faccia a faccia di cosa era successo in quell’ora, lo vedevo che stava male ma non capivo il perché  e  mi importava saperlo perché lui era mio amico, come un fratello, e occuparmi di lui era un mio problema.
Appena suonato il cambio d’ora lo portai in una parte della scuola dove non ci avrebbe disturbato, l’infermeria, e chiesi a Janelle di dire alla professoressa Freemont che Scotty non si sentiva bene.
Entrammo nella stanza dell’infermeria che aveva un lettino di quelli che hanno i medici generici nei loro studi, lo obbligai a sedersi e mi misi davanti a lui. Non l’avevo mai visto in quello stato e volevo riuscire a fargli passare qualsiasi cosa avesse.
Rimase a fissare le sue gambe coperte dai blue jeans e le gambe a penzoloni per qualche secondo, teneva le mani sulle cosce chiuse in un pugno poi alzò gli occhi e venni invaso da quell’azzurro velato di lacrime. Mi piegai verso di lui per chiedergli come andasse e mi chiese di sedermi al suo fianco, lo feci senza chiedere niente aspettando che fosse lui a voler parlarne e così fu
“Ho…” respirò a fondo “Ho chiesto,” aveva la voce tremante “alla mamma di Aidan.” Mi guardò ancora
Io non sapevo cosa dire e rimasi a fissarlo a bocca aperta ma lui continuò a parlare
“Ha detto cosa volevo sapere, litighiamo da ieri sera. Le ho risposto che volevo sapere tutto di lui, dove abitasse, se aveva un contatto, che mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Ma lei, prima ha ignorato quello che dicevo e poi, quando ho iniziato a insistere, mi ha detto di smetterla di fare domande idiote a cui lei non voleva rispondere. Poi mi ha chiesto come sapevo di Aidan e le ho detto dei diari, le ho detto che sapevo che aveva pensato di…” fece un sorriso nervoso “Pensato di abortire.” Sapevo benissimo che aveva un nodo in gola “Mi ha tirato uno schiaffo ed è rimasta a guardarmi con certi occhi, la bocca aperta e mi guardava sconvolta. Io l’ho guardata e me ne sono andato in camera mia.” Gli misi un braccio intorno alla spalla, rimanevo senza sapere cosa dire e così mi limitavo ad ascoltare “Questa mattina non le ho rivolto neanche una parola ma abbiamo ricominciato a litigare quando lei mi ha chiesto perché volessi sapere di Aidan, gliel’ho detto e abbiamo litigato ancora.” Respirò a fondo di nuovo “Poi in classe, quegli sms, era mamma che ha detto che ce l’ha un contatto…” mi guardò
Non sapendo bene cosa dire provai a dire qualcosa
“Non sei felice di avere il numero?” ovviamente non era la cosa giusta
Lui fece un sorriso nervoso
“Ha detto che mi darà il contatto ma che se parlo con Aidan, tra me e lei tutto cambierà perché lui l’ha abbandonata e sa com’è fatto. Sa che mi farà del male. Io non voglio che cambi il rapporto che ho con mia mamma ma voglio anche conoscere mio padre.”
Mi passò il cellulare e lessi quel sms che Fiona, in modo crudele, gli aveva scritto. Saltai giù dal lettino e mi misi davanti a Scott
“Risolveremo anche questa faccenda amico!” gli strinsi la spalla muscolosa con la mano “Ti aiuto io.”
Scott mi guardò e sorrise dolce poi si sporse verso di me e mi abbracciò stretto, quasi a stritolarmi. Teneva il volto sulla mia spalla e non mi lasciava andare, probabilmente piangeva perché sentivo la maglietta inumidirsi. Non mi importava che Scott piangesse, questo non lo rendeva meno ‘uomo’ sicuramente, riusciva a esternare le sue emozioni e le esternava con me, si confidava e io volevo veramente aiutarlo e mentre ricambiavo il suo abbraccio pensavo a mille modi per farlo.
Sentii la porta aprirsi e comparve la professoressa Freemont che ci guardò, eravamo fuori da un bel po’ e probabilmente si era preoccupata, poi vide Scott e si avvicinò
“Tutto bene?” chiese gentile, capivo dalla sua voce che le importava veramente
Scott sollevò lo sguardo
“S-sì.” Bisbigliò “Ora torniamo in classe.”
“Prendetevi tutto il tempo ragazzi.” Uscì e tornò in aula
La seguimmo qualche minuto dopo.
Le ultime ore furono terribili, Scott non parlava e a mensa non aveva mangiato niente, saltò gli allenamenti di pallanuoto e mi chiese se poteva dormire da me e rimase da me per tutta la settimana. Venerdì pomeriggio tornò a casa e venni a sapere che ci fu un’altra litigata con Fiona, meno devastante sicuramente e si raggiunse un accordo: Scott poteva chiamare e incontrare Aidan basta che lui non vedesse Fiona perché lei non avrebbe sopportato di vederlo.
Passò le ultime settimane di scuola a martellarsi per quel numero che aveva in rubrica e non sapeva mai se chiamare o no, poi decise di concentrarsi sugli ultimi compiti e sugli amici.
Aiutammo Janelle con il suo problemino del controllo. E ci fu da ridere, lei sosteneva che Chris O’Connelly non ci provasse con lei e quindi doveva fare lei la prima mossa comportandosi come con tutti gli altri ragazzi, attirando insistentemente la sua attenzione. Riuscimmo a fermare la sua follia appena in tempo, era strano ma c’eravamo affezionati a lei da subito ed era diventata una buona amica, un po’ fuori di testa che cantava ogni cosa che facesse. Che quando scoprì finalmente di piacere a Chris, saltò sul posto lanciando all’aria la cartella e la merendina che aveva in mano.
Capì di piacere a Chris grazie a Scott, lui aveva bisogno di distrarsi e andò da O’Connelly con la scusa di ‘comprare roba’, non voleva comprarla solo scoprire di più su di lui. Così si incontrarono e mentre Chris si rollava una canna, Scott indagò e tornò vittorioso. Ci riportò le parole
“Ha detto –È carina la tua amica, quella con i capelli neri e gli occhi belli.- Mi ha guardato, ha acceso la canna e ha aggiunto –Parliamo sempre io e lei, mi piace parlare con lei.- Sicuramente era già fattissimo ma le sue parole erano sincere.” Guardò Janelle che aveva urlato dalla felicità “Ora devi solo buttarti.” E lei si buttò a pesce.
Si misero insieme l’ultima settimana di scuola, quella in cui non si fa niente di niente e sei libero di vagare per i corridoi senza che nessuno di dica di tornare in classe, li vedevamo passare. Lei stretta accanto a lui e lui che le teneva un braccio sulla spalla e la stringeva a sé. Non c’era coppia più dolce in tutta la scuola. Chris era divertentissimo come ragazzo, parlavamo spesso con lui quando veniva anche Janelle, era abbastanza geloso del rapporto che avevamo costruito con lei ma poi gli spiegammo che non c’era niente tra noi, solo amicizia e così entrò nel nostro gruppo di amici.
Finalmente avevo degli amici. Certo erano quelli più strani ma mi piaceva così. Ovviamente, non c’è bisogno neanche di dirlo, Scott era quello che contava di più e quello che sarebbe rimasto per sempre.


Scott aspettò l’inizio delle vacanze per chiamare Aidan e quando lo fece io ero lì con lui. Eravamo al parco e guardavamo il cielo blu sdraiati sull’erba. Le mani dietro la testa e le gambe accavallate. Era il 23 giugno, Janelle  era già partita con i genitori per il New Mexico ma sarebbe tornata entro una settimana, Chris era disperso ai corsi di recupero estivi e gli unici eravamo noi due.
Parlavamo di quanto odiassimo i professori e di come pensassimo di passare quelle vacanze dato che nessuno di noi due partiva. Pensavamo di andare al lago, con il treno ci si metteva poco e stare lì fino a sera, ci portavamo i costumi, da mangiare e tutto il necessario e passavamo lì la giornata. Mentre stavo ciarlando per conto mio vidi Scott sfilare dagli shorts beige che gli arrivavano al ginocchio, il cellulare e guardare lo schermo poi rise
“O lo chiamo adesso o dovrò aspettare un altro mese per convincermi, scusami Joe.” Si sedette contro l’albero sotto il quale stavamo
Io lo guardavo rimanendo sdraiato e piegando la testa all’indietro per vederlo, rimase a fissare quel numero per dieci minuti buoni, poi mi sorrise
“Potresti schiacciare l’invio di chiamata per me?” era nervoso e mi passò il telefono con le mani tremanti
Mi alzai e mi sedetti accanto a lui, respirai a fondo e schiacciai il tasto poi gli passai con un sorriso il telefono, sentii i TU-TU dell’altro apparecchio che squillava, probabilmente io e Scott stavamo pensando la stessa cosa, che quel numero non era niente e che forse l’aveva cambiato, insomma, Fiona non l’aveva più sentito da una vita…
D’un tratto sentimmo il telefono dell’altro e la voce profonda e un po’ incrinata dal suono meccanico del cellulare
“Pronto?” sembrava un po’ distaccato, ma uno cosa deve fare quando vede un numero sconosciuto, mica può saltare dalla felicità
Scott sbiancò e cominciò ad aumentare il respiro
“Emh, lei è Aidan Walsh?” chiese quasi sussurrando
“Sì, con chi parlo?” era sempre più diffidente
Scott rimase muto per qualche secondo, gli misi una mano sul ginocchio e con lo sguardo lo incitai ad andare avanti. Quello che sapevo per certo di Scott era che aveva la faccia tosta più grande di tutto il Connecticut e se c’era uno che poteva avere una conversazione così, quello era lui. Lo vidi respirare a fondo ancora una volta, passarsi una mano sui capelli e sorridere nervoso
“Beh…” sbuffò per scaricare la tensione “Probabilmente lei non mi ha mai visto ma conosce Fiona William.”
“Fiona? La ragazzina del Mississippi che abitava a due isolati di distanza da me?”
“Credo di sì, stavate insieme al liceo.” Buttò lì Scott
La voce di Aidan si fece ancora più sospettosa
“Cosa c’entra tutto questo con te, non mi hai ancora detto come ti chiami.”
Guardavo il cielo davanti a me e osservavo le forme confuse delle nuvole poi sentii Scott
“Io…” balbettava “Io sono suo figlio, Scott.”
Mi voltai a guardarlo sgranando gli occhi, dall’altro capo del telefono non rispondeva nessuno poi sentii una voce che rideva nervosamente
“Allora sei tu! Sapevo che aveva tenuto il bambino, sono stato uno stronzo con lei.”
“Sì lo sei stato.” Disse Scott sinceramente
“E come sta Fiona?”
“Non vuole parlare con te, in realtà mi voleva far cambiare idea sul fatto di chiamarti, ma ho letto i suoi diari e si parlava molto di te.”
“Non hai paura di dire le cose in faccia eh?” vedevo Scott sorridere
“In effetti no, chiedilo a chiunque.” Aveva lasciato da parte la formalità
“Beh… so che ci sono le vacanze in questi mesi, ti va se ci incontriamo? Dove vivete adesso?”
“Preferirei venire io da te se non è un problema, sai mamma…”
“Certo! Lo so che è tutto frettoloso ma potresti passare da me qualche giorno di vacanza, sempre se Fiona vuole.”
Scott appoggiò il cellulare alla spalla e mi fissò
“Non ci vado da solo. Vieni con me.” Mi bisbigliò
“Ma i miei non mi fanno venire…”
“Ti prego!” mi fece gli occhi da cucciolo poi riprese il telefono “Scusa  un secondo.” Disse ad Aidan poi si rivolse a me “Non mi lasciare da solo, ti prego! Ti prego!”
Sospirai e scossi la testa
“D’accordo! Farò il possibile.” Sorrisi
Scott fece un largo sorriso e riprese a parlare
“Posso portare un paio di amici?” ovviamente non avrebbe mai lasciato Janelle e Chris in Connecticut durante le vacanze
“Certo.”
Parlarono ancora per qualche minuto, scambiandosi le mail e i contatti di Facebook e chiusa la telefonata si girò
“Sei pronto per il viaggio?” Si alzò e fece qualche passo in là
“E dove si va di grazia?” chiesi ridendo per la situazione che si era creata
Scott si mise una mano sopra gli occhi per coprirsi dalla luce del sole
“Alabama baby!” esclamò e sorrise felice

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Capitolo 7
*** Sweet home Alabama ***


I giorni seguenti li passai tra l’organizzare con Scott e aiutarlo con la faccenda –padre- e cercare di convincere i miei genitori a lasciarmi partire per una settimana.
Il signor Walsh aveva detto che potevamo stare tutti e quattro per una settimana, Scott e io e Janelle e Chris, che non c’era problema per le stanze.
Avevo accennato la mia probabile partenza un pomeriggio prima di uscire con Scott, avevo guardato mia mamma che sistemava la spesa e avvicinandomi per aiutarla parlai
“Ciao mamma…” e tirai fuori un sedano dal sacchetto
“Ciao tesoro.” Mi guardò stranita, non passavamo mai tanto tempo insieme
“Che ne pensate se il 12 Luglio partissi per l’Alabama con Scott e due amici, per una settimana.” La mia era solo una supposizione
“Cosa?!” urlò mia mamma con voce acuta
“Beh…” lasciai in sospeso tutto “Credo che adesso andrò, tu parlane con papà e fammi sapere mi raccomando. Infondo mancano solo undici giorni a quando effettivamente pensavamo di partire e prima lo so meglio è.” Sorrisi con una buona faccia tosta “Ci vediamo questa sera. Bacio.” E fuggii di casa prima che lei potesse rispondere
 

Nei tre giorni seguenti si scatenò il putiferio, mia mamma non voleva lasciarmi partire per questa settimana di vacanza, sosteneva che fossi troppo piccolo per una vacanza da solo. Mio padre durante la prima ora dopo aver ricevuto questa notizia, fu contrario ma poi, con grande sorpresa, si schierò dalla mia parte.
Era felicissimo che cominciassi a farmi una vita mia e degli amici, mi lasciò a bocca aperta quando parlò a cena
“Secondo me potrebbe andare con Scott in Alabama, basta chiamare Fiona e chiedere come ci si organizza, io potrei portare i ragazzi all’aeroporto e…”
Mia mamma lo fissò allibita
“Cosa stai dicendo Mark?” disse lei con la voce tremolante
“Che potrebbe andare in vacanza dai nonni di Scott in Alabama…”
Sì, avevo detto che i nonni di Scott ci avevano invitato, non mi sembrava il caso di dire del signor Walsh. Mio padre mi ammiccò fiducioso nel riuscire a convincere mia mamma a lasciarmi andare, era strano vederci tutti e tre a tavola a parlare come una vera famiglia e non come estranei che per me non c’erano mai stati. Credo che Scott abbia cambiato non solo me, ma anche loro
“Dai Brenda.” Le prese la mano “Cosa mai potrebbe succedere.” Le sorrise dolce, come mai li avevo visti prima
Mamma lo fissò ancora più sbalordita, lo era sicuramente molto più di me
“Ma non sappiamo niente! Non conosciamo gli altri due ragazzi, abbiamo avuto così poco preavviso…” Non che volesse essere apprensiva ma si preoccupava di me, che qualcuno potesse uccidermi a Brookwood; Alabama, e poi sarebbe stata la prima vacanza da solo
“Dai mamma! Puoi telefonare alla signora William se vuoi.” Ovviamente lei sapeva che avevo mentito sulla destinazione nel viaggio
“Ma non posso credere che i nonni di Scott vivano in un posto come Brookwood.”
“Non ci sei mai stata in Alabama Brenda.” Disse mio padre “Sai, se Joe va con gli amici per una settimana, noi potremmo farci una vacanza. Solo io e te, dopo tanti anni.” Aveva un’espressione maliziosa “Potremmo andare a Venice Beach.”
“Non ho più il fisico per andare a Venice Beach.” Mia madre arrossì
“Dai, solo io e te, un costume da bagno e spegniamo i cellulari, come quando eravamo fidanzati.”
Li guardai entrambi, prima uno poi l’altra e capendo cosa intendevano, una terribile immagine mi si stampò nella mente
“No. NO.” Scossi la testa allontanandomi “AAAAH.” Urlai “Terribile immagine! NO. Grazie per avermelo fatto venire in mente.” Mamma rise “No. Sapete che dovrò andare in terapia per questo vero?”
Ci mettemmo a ridere tutti e tre, stranamente sembravamo una vera famiglia felice, di quelle che si parlano tutte le sere e che ci sono solo nelle pubblicità della pizza o del pollo fritto. Mi piaceva il clima che si era creato quella sera, sorrisi guardando per la prima volta i miei genitori che si scambiavano piccoli baci e occhiate d’intesa, e anche se quella visione terrificante continuava a tornarmi in mente, ero felice.
 

Mamma chiamò il giorno dopo la signora William per sapere come regolarsi con i biglietti, il viaggio, se ci fossero problemi e cose da mamma.
E così il 12 Luglio alle 6 del mattino eravamo quattro ragazzi in aeroporto, mezzi addormentati, con uno zaino in spalla, un caffè in mano e quell’ansia frizzantina che ti prende quando realizzi di essere da solo in aeroporto per prendere un aereo per Birmingham; Alabama.
Come aveva detto, papà accompagnò me e Scott, gli altri due vennero con la mamma di Janelle che ancora guardava male Chris perché, insomma, stava con la sua bambina e stavamo per partire per una vacanza insieme e lui era più grande di lei!
Avevamo appena superato il check-in e avevamo lasciato le valige portandoci dietro solo lo zaino o, per Janelle, una borsa a tracolla degli Iron Maiden.
Dovevamo aspettare ancora due ore prima di prendere il volo per l’Alabama e non sapevamo cosa fare, Jan si alzò tipo zombie e andò al Duty Free, Chris la seguì anche lui comatoso stringendole la mano.
Li vidi guardare tutte le cazzate che vendevano e comprare pacchi e pacchi di smarties e dei brutti libri che sicuramente non avrebbero mai letto, erano veramente teneri insieme. Mi piace osservarli, anche se sembrando un maniaco, e pensavo che un giorno avrei trovato anche io una ragazza simpatica e dolce come lei.
Mi voltai verso Scott disteso sulle sedioline di ferro che sonnecchiava, lo svegliai dandogli una zainata sul fianco, si alzò si soprassalto
“Che c’è?! Siamo in ritardo!!” Si alzò e cominciò a correre verso degli scalini
“Scott!” urlai alzandomi “Non siamo in ritardo! Ci mancano ancora…” guardai l’orologio “Beh, ci mancano ancora un’ora e un quarto prima di salire su quel maledetto aereo.”
“Ah.” Tornò da me e si sedette “Sono nervoso.”
“Si è visto.” Annuii trattenendo la risata “Allora, cosa hai intenzione di dirgli appena lo vedrai?” chiesi spontaneo
Scotty prese un profondo respiro, sorrise e poi scosse la testa
“Non lo so. Credo qualcosa come ciao.” Mi guardò tenendo lo zaino tra le gambe
Stava accasciato sulla sediolina allungando le gambe sul pavimento, indossava un paio di jeans corti fino al ginocchio e le converse blu basse, la maglietta che gli avevo regalato per il compleanno, quella del giocatore di football. Teneva i capelli legati come al solito, si era rasato la barba tenendo le basette abbastanza lunghe.
Io indossavo un paio di short grigi a trama scozzese e delle Vans, la maglietta con scritto -Bazinga-, mi ero tagliato i capelli dandogli un taglio militare e avevo convinto i miei a farmi mettere le lenti a contatto quindi, come disse la signora William dopo avermi visto senza occhiali, ero molto più bello e mi sentivo con un po’ di sicurezza in più.
Guardai verso Janelle che tornava verso di noi bevendo l’ultimo sorso di caffè dalla sua tazza, mi voltai e sorrisi a Scotty
“Senti amico, per me dovresti essere il più spontaneo possibile, in fondo è lui che ci ha invitati. Che ti ha invitato. Lui vuole conoscere te.”
“Sì ma è già andato via una volta, perché adesso dovrebbe rimanere?” si sciolse il codino sulla nuca e scotolò i capelli con la mano
“Le persone cambiano e solo per il fatto che ha risposto al cellulare quel pomeriggio e ti abbia ascoltato è un padre da prendere in considerazione.” Cercai le parole giuste “Vedrai che andrà tutto bene.”
“E se me lo aspetto diverso e invece fa schifo?”
“Chi deve fare schifo?” disse super eccitata Jan sedendosi con un tonfo accanto a Scott, ci guardava con un sorriso dolce
Jan aveva i capelli raccolti in una coda, aveva ancora la frangetta spettinata sugli occhi neri e l’eyeliner pesante così come il rossetto borgogna sulle labbra. Indossava degli shorts larghi che le arrivavano a metà coscia e infilata sul bordo una maglietta dei Ramones, Chris si sedette accanto a lei mettendole una mano intorno alla spalla.
Chris aveva i capelli lunghi fino alle spalle e scuri, il profilo greco con una piccola fossetta sul mento, sorrise gentile
“Hey grazie amico per aver invitato anche me. Però, se ti va, dovresti spiegarmi un po’ questa faccenda, non per farmi i cazzi tuoi eh.”
Scott sorrise gentile e rifacendosi la coda cominciò a raccontare un po’ del suo passato, tralasciando qualche pezzo che solo io sapevo e modificando qualche particolare, ma sulla storia di Aidan Welsh fu del tutto sincero
“E quindi non sai cosa dirgli?” disse Chris abbracciando per il petto Janelle che sorrideva felice
“Beh, non credo che solo .ciao papà sono tuo figlio che non hai mai visto- vada bene.” Disse nervoso Scott e poi mi guardò con i suoi occhi blu
“Secondo me, ma è solo una mia opinione, dovresti cominciare col dire che sei felice di conoscerlo, poi le cose verranno da sé, insomma,” Chris si grattò la testa mentre parlava “sembra una brava persona, okay non l’abbiamo mai visto ma sono sicuro che andrà bene.” Gli sorrise
Non avevo mai pensato al fattone della scuola come una persona così gentile e dolce.
 

Finalmente riuscimmo a salire sull’aereo e recuperammo il sonno in circa due ore di viaggio. Scendemmo ancora un po’ storditi. Eravamo all’aeroporto di Birmingham e aspettammo circa mezz’ora per le valige, nessuno di noi parlò e anche il viaggio era stato silenzioso. Io mi ero divertito troppo a vedere la hostess che faceva i segnali idioti per spiegare dove si trovassero le uscite di emergenza mentre invece Scott guardava fuori dal finestrino.
Uscimmo e ci trovammo nella hall dell’aeroporto senza sapere dove andare, quattro ragazzi del liceo che non sanno dove andare e devono incontrare un padre che nessuno ha mai visto e che potrebbe essere il primo che capita.
Ma Scott sapeva com’era, si erano mandati delle foto e diverse mail. E così, dopo esserci guardati intorno per dieci minuti, notammo un uomo accanto ai tabelloni degli orari che si guardava intorno alla ricerca di qualcuno, teneva le mani nelle tasche dei blue jeans, notai subito che aveva dei buffi stivali in stile cowboy, una maglietta rossa con stampato sopra la scritta Roll Tide* in bianco e in corsivo. Si guardava intorno cercando qualcuno.
Scott si fermò al mio fianco e si piegò verso di me
“Quello è lui, aveva detto che avrebbe messo quell’orribile maglietta!” ridacchiò “È per questo che ho messo quella dei Giants**
Ci avvicinammo a quell’uomo che ci aveva adocchiato poco prima e aveva alzato la mano per salutarci, Scott sudava dall’emozione e dalla paura, sicuramente anche Aidan stava per svenire. Almeno così pensavo io.
Scott apriva la fila mentre io ero dietro di lui con Jan e Chris. Scotty aveva un sorriso nervoso e sinceramente non sapevo cosa aspettarmi, se qualcosa di buono o no. Avevamo parlato a lungo di quell’incontro ma erano solo supposizioni le nostre.
Ci avvicinavamo e lui ci venne incontro, potevo sentire il cuore di Scott esplodere nel petto
“Ciao!” disse Aidan con una voce amichevole e profonda, trascinava un po’ le parole, tipico accento del Sud
Allungò la mano verso Scott che l’afferrò stretta
“Tu devi essere Scott giusto?”
Scott continuava a iperventilare ma riuscì a rispondere
“Sì, Scott William. Tu sei Aidan?”
“Sì.” Si sorrisero mentre noi rimanevamo indietro “Mi fa piacere incontrarti.” E lo abbracciò
Scott era alto come lui
“Anche per me è un piacere. Devo dirti che sono molto emozionato.” Scott non aveva paura di mostrare i suoi sentimenti, stavano ancora abbracciati
Aidan lo guardò spostandolo da sé
“Assomigli tanto a Fiona sai? Anche se non dovresti sventolare troppo quella maglietta da queste parti!” si sorrisero ancora
Avevano gli stessi occhi, lo notai subito. Il signor Walsh si voltò a guardarci
“Voi dovete essere gli amici di Scott!” ci strinse la mano anche a noi “Piacere, Aidan.”
“Piacere.” Mormorammo in coro
“Venite, c’è la macchina qua fuori.”
Scott stava accanto a lui e si parlavamo mentre noi rimanevamo un po’ a distanza guardandoli, ero felice che tutto fosse andato bene.
Il signor Walsh aveva un pick-up Ford nero, un f150
“Mioddio! È la macchina più sexy che abbia mai visto!” urlò Jan rimanendo a guardare la macchina
Aidan rise e caricò i nostri bagagli sul retro assicurandoli con delle cinghie, noi tre salimmo dietro mentre Scott rimase davanti.
Parlammo un po’ del viaggio e di come era andata la scuola quell’anno, i professori, gli amici, le ragazze. Aidan guardò dallo specchietto retrovisore e osservò Chris
“Tu sei più grande vero?”
“Ho diciassette anni, lei?” aveva una bella faccia tosta anche lui
“Trentatre.” Guardò ancora sia lui che Janelle “State insieme voi due vero?”
“Sì.” Bisbigliò lei
“Allora dovremo fare delle belle camere separate, sperando che servano a qualcosa.” Disse l’ultima frase ridendo e contagiò anche noi, poi mi guardò “Tu devi essere Joe, Scott mi ha parlato molto di te.”
Rimasi a fissarlo sbalordito e mormorai un sì felice per il fatto che Scott gli avesse parlato di me.
 

Arrivammo a casa Walsh, era un’enorme villa in mezzo a quella che un tempo era una piantagione, probabilmente ai tempi doveva essere la casa padronale. Era bianca e a più piani, di legno e con le imposte bianco sporco, un grande portico che girava tutto intorno. Poco distante c’era una palude ma Aidan ci assicurò che non ci sarebbero stati alligatori.
Entrammo e dentro era tutto arredato in modo moderno, c’era subito la cucina a vista e un salotto principale a sinistra, a destra si superava una porta in legno e si entrava in un secondo salotto dove c’era la televisione, il tavolo da pranzo, un carrellino con sopra i liquori e alcolici vari, superata quella stanza si arrivava in una biblioteca personale per poi uscire attraverso una porta finestra nel giardino con un portico ancora più largo e grande con delle poltroncine di vimini e un tavolino in cristallo, Aidan sorrise e disse
“La colazione si prepara in cucina e potete venire qui a mangiarla se volete.” Il giardino dava sulla palude “Vi ricordo che non ci sono alligatori ma è sempre meglio evitare di lasciare bacon in giro.” Mi battè una mano sulla spalla e tornò dentro
Noi lo seguimmo trascinandoci dietro le valige, andammo al piano di sopra e ci accompagnò nelle camere
“Allora, visto che sapevo dell’arrivo di una ragazza, ho organizzato così.” Camminò verso sinistra e aprì una porta “Stanza 1!” esclamò “Per la signorina.”
Janelle entrò nella stanza, era piccola, relativamente piccola. C’era un letto in legno a una piazza e mezza con lo schienale appoggiato al muro laterale e una porta finestra che si spalancava sul terrazzo con vista giardino/palude, le pareti erano lilla e c’era un armadio in mogano, di quelli antichi. Tipo quello del film di Narnia per intenderci. Jan era a bocca aperta
“Inutile dire che a chiunque non sia femmina è vietato entrare qui alla notte, o da solo con lei a tutte le altre ore del giorno.” Sorrise gentile “Invece voi ragazzi…” uscimmo dalla stanza e andammo dall’altro lato del corridoio, in fondo “Per voi ho preparato una specie di suite!” aprì la porta
Era una stanza enorme. Ognuno di noi aveva un letto a una piazza e mezza simili a quelli della stanza 1, due erano vicini mentre l’altro era accanto al muro. Anche la nostra stanza aveva una porta finestra che dava sul vialetto della piantagione
“Spero vi piacciano le stanze, vi lascio il tempo di sistemarvi. Sono giù in cucina, credo abbiate fame e vi preparo qualcosa. Salsicce e succo di frutta per tutti?” e scese senza aspettare la risposta
Rimanemmo tutti e quattro, Janelle ci aveva seguito, a bocca aperta poi guardai Scott
“Tuo padre è ricco. Sappilo!” disse scuotendo la testa
Scott girò su se stesso
“Dio mio. È vero!” si sedette sul letto accanto al muro
Chris si avvicinò a Janelle e le sussurrò qualcosa all’orecchio, lei arrossì e cominciò a ridacchiare poi lo spinse via
“Stupido!” disse lei scherzando
Sapevo benissimo che non avevano fatto niente ancora e probabilmente avrebbero aspettato molto per ‘la prima volta’, ma forse tutta quella faccenda del rimanere separati e delle frecciatine che lanciava Aidan, si era creata un po’ di complicità.
Dopo aver chiamato e avvisato tutti i genitori che non eravamo morti e stavamo bene scendemmo a mangiare, rimanemmo un po’ a parlare con il signor Walsh che poi ci portò a fare un giro della città.
Passammo la settimana più bella di tutte le vacanze.
Scoprimmo che Aidan Walsh era il sindaco della città, trasferito nel 1995 dal Mississippi fino a Tuscaloosa  per l’università a cui aveva fatto domanda per andarsene da Jackson; Mississippi, finito il college e dopo aver avuto una breve carriera come allenatore di football per la squadra della scuola di Brookwood era stato amato subito da tutti e così, con i soldi risparmiati aveva comprato la casa padronale della piantagione, l’aveva rimessa a nuovo e in seguito divenne “lo sceriffo” della zona.
Tutti lo amavano e vederlo gironzolare per la città con il braccio sulla spalla di un quindicenne destò la curiosità di tutti.
Aidan chiese a Scott se non ci fossero problemi per lui se diceva come stavano le cose e a Scotty andava bene. Così in poco tempo si seppe che il figlio avuto in gioventù si era riavvicinato al padre perduto portandosi dietro tre amici.
La prima sera non uscimmo perché eravamo stanchi morti ma Scott rimase fino a tardi a parlare con Aidan. Non so cosa si dissero di preciso, Scott rimase sempre vago su quello ma sapevo che la conversazione era andata bene, lo leggevo nei suoi occhi.
Io e Chris eravamo già a letto, nei due letti uno accanto all’altro, quando sentimmo la porta aprirsi e i passi di Scott che con un tonfo si lanciava sul letto
“Hey ragazzi siete svegli?” ci lanciò un cuscino che colpì il muro
Chris si sollevò, indossava solo i boxer
“Allora?” chiese
“Allora cosa?” rispose Scott infilandosi sotto il lenzuolo
“Ma sei scemo! Ci hai parlato fino a tardi, è tuo padre, non l’hai mai conosciuto, cosa vi siete detti?”
Mi sollevai anche io e strofinai gli occhi con i pugni chiusi
“Dai, è andato tutto bene vero?” chiesi apprensivo
Scott sorrise
“Certo. Abbiamo parlato di questi anni che non ci siamo visti, di come lui si reputi un coglione da ragazzo per aver lasciato mamma, la scuola, gli amici, lo sport… c’è stata una discussione su chi fosse più forte se i Jets o i Cowboys***, mi ha chiesto che sport faccio eccetera, eccetera… Domani  ne parliamo ancora okay? Ora dormiamo.” Si girò verso il muro e cominciò a russare dopo pochi minuti
Il giorno dopo non ne parlammo e non ne parlammo neanche i giorni dopo, forse voleva tenersi quel rapporto padre-figlio tutto per sé perché se non fosse andata bene ce l’avrebbe detto sicuro e poi si vedeva che andavano d’accordo. Avevano anche gli stessi comportamenti!
Le sere seguenti noi ragazzi andammo in un posto, un locale, dove suonavano musica country. Janelle non resistette per molto al suono del banjo e andò a sedersi con Chris fuori ordinando una coca cola con tanto ghiaccio che condivisero con un piatto di patatine fritte.
Io e Scott rimanemmo dentro e venimmo perfino avvicinati da tue ragazze poco più grandi di noi che ci obbligarono a ballare, noi non sapevamo neanche come muoverci, ma mi piaceva ballare o saltare o qualunque cosa facessi con quella ragazza che indossava un cappello da cowboy nero. Aveva i capelli biondi e con i boccoli, una minigonna di jeans con una maglietta a quadri rossa e gli stivali da cowboy beige. Ballavamo molto vicini e probabilmente mi presi una cotta per lei anche se non la rividi dopo quella sera.
Scott era stato rimorchiato da una brunetta molto più piccola di statura di lui ma evidentemente questo non le impediva di infilargli la lingua in bocca. Lui mi aveva sempre detto che cercava la ragazza giusta per ‘la prima volta’ ma non potè resistere al bacio da aspirapolvere della ragazza che ballava con lui.
Ci disse che il primo bacio se lo aspettava molto diverso e non come se un polipo gli avesse abbracciato la faccia.
Per tutte le sere che andammo in quel locale, tutti sapevano chi fossimo, ci salutavano e ci chiamavano per nome. Per tre giorni di seguito andammo in quel locale, gli altri tre li passammo a passeggiare lungo la palude portandoci dietro una torcia quando faceva buio e a parlare di grandi cazzate.
La quarta sera in Alabama scoprimmo che Chris era riuscito a prendere dell’erba e così la fumammo.
Quella sera eravamo sballati tutti e quattro.
Ci sdraiammo sull’erba lungo la palude e cominciammo a parlare guardando le stelle che sembravano stranamente vicine. Scott era fattissimo e ridendo disse
“Mi sono innamorato prima di partire. Non l’ho detto a nessuno.” Si voltò e mi guardò “Scusa Joe.” Io sorrisi “Volete che vi racconti di lei?”
Noi annuimmo e iniziò a raccontare.
 

 

*Per Roll Tide si intende l’università dell’Alabama da cui escono atleti professionisti di football e di altri sport
** i New York Giants sono una squadra di football della NFL
*** Squadre di football 

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Capitolo 8
*** In vino veritas. In droga stupidaggini. ***


Scott guardò le stelle e passò a Jolene accanto a lui lo spinello appena acceso
“Allora ci dici, chi è questa donna misteriosa?” Scherzò Chris che abbracciava dalla schiena la sua ragazza che gli tirò una gomitata
Io ero partito per il mondo dei trip e mi trovai a vaneggiare
“Le stelle sono bellissime.” Guardavo il cielo e quei puntini brillanti
“Sì, è vero. Guarda come brillano.” Mi seguì Scott
“Sono gli spiriti dei grandi re del passato.” Enunciai con enfasi
Tutti rimanemmo in silenzio continuando a fissare il cielo nero per qualche minuto per poi scoppiare a ridere convulsamente e con le lacrime agli occhi. Non so se fosse stata la mia affermazione da Re Leone o l’effetto dell’erba di Chris ma continuammo a ridere senza un buon motivo per mezz’ora finché le risate non calarono.
Ci sentivamo accaldati e certamente il clima caldo asfissiante non aiutava molto, era la mia prima canna così com’era la prima di Scott ma in confidenza mi disse con avrebbe mai più fumato perché non voleva che questo incidesse sullo sport e sulle gare.
Distesi sull’erba umida davanti a quella rientranza semipaludosa tutto ci sembrava fantastico e perfetto, quel momento non ce lo saremmo mai dimenticati. Quattro amici e tre spinelli. Non mi sembrava vero, avere degli amici, avere Scott. Per me lui era come un fratello, la spalla su cui contare sempre e lui sapeva bene di poter contare su di me per ogni cosa, in ogni momento. Io ci sarei stato.
Mentre riflettevo tra me e me, Scott si decise a raccontarci di questa ragazza. Si chiamava Pamela ed era bellissima.
Scott continuava a guardare il cielo, erano quasi le tre di notte e c’eravamo riproposti di vedere l’alba da strafatti, il biondo sorrise e disse
“Ha un sorriso bellissimo.”
Mi piaceva come parlava delle ragazze, non le considerava solo qualcosa, per lui erano come delle dee, ogni ragazza era stupenda a suo modo, anche Janelle per lui era bella anche se pazza. Non lo sentii mai dire che una ragazza fosse brutta, grassa, cessa. Per lui erano tutte bellissime.
“Pamela è bellissima e dolce, viene in piscina con me, non con me ma ci parlo sempre in piscina, ci va sempre. Le piacciono i cani anche se suo padre è allergico e non può averne.” Emise una mezza risatina dolce “Quando l’ho incontrata eravamo nella vasca, io ero appena entrato e l’ho vista fare qualche bracciata a stile, è bravissima. Mi ha chiesto se volevo passarle avanti perché lei riprendeva fiato e le ho sorriso. Non le ho visto gli occhi o i capelli perché aveva gli occhialini e la cuffia ma il suo sorriso era bellissimo, non ha le labbra carnose ma neanche sottili, ha la pelle liscia, si vede da come l’acqua le corre sul viso e ha un colorito come il bronzo.” Rimanevamo tutti in silenzio ad ascoltarlo, ero affascinato da come la descriveva “Nuota perfettamente e ha detto che mi ha visto in una gara di pallanuoto qualche mese fa, ha detto che sono bravo.” Sorrideva imbarazzato potevo sentirlo nella voce che gli tremava dall’emozione nel parlare di lei “Parliamo sempre a bordo vasca quando finiamo. Ha quindici anni ma studia a casa con un professore privato, le piacciono i film di azione ma preferisce i romanzi romantici, adora Jane Austen.”
Le stelle cominciavano a spegnersi e il cielo cambiava colore diventando violaceo
“E lei com’è?” chiese Chris abbracciando sempre di più Janelle
“È la ragazza più bella dell’universo.” Rispose Scott dando un altro tiro alla sigaretta
“Sì ma… di fisico?” ribadì Chris
Chris era molto diverso da Scott, non che fosse uno stronzo o che stesse con Jan solo perché lei fosse attraente ma non vedeva le donne come faceva Scott.
Scotty sorrise a Chris
“Non è molto alta, mi arriva qui.” Si segnò all’altezza del naso “E di sicuro non verrebbe mai considerata ‘figa’, è…”
“È grassa?” finì Chris la frase
“No.” Scosse la testa Scott “Cioè, un po’, è… boh, tonda.”
Janelle ridacchiò
“Si dice con ogni curva al proprio posto, te lo dico perché se vai in giro a dire ‘tonda’ potrebbe tirarti uno schiaffo.”
Scott sorrise a Jan ancora abbracciata a Chris che non la lasciava andare e teneva il mento sulla sua testa. Scotty si girò verso di me
“Tu cosa ne pensi Joe?” mi sorrideva gentile
Non sapevo cosa rispondere, cioè lo sapevo ma ero partito e dovevo riordinare un po’ i pensieri
“Credo.” Parlavo a scatti “Che se ti piace.” Diedi un altro tiro, quella era l’ultima canna “Dovresti provarci, infondo non ti mangia e poi lei è una ragazza, tu un ragazzo. Adorate nuotare e vi sorridete. Io penso.” Un secondo tiro e poi passai di nuovo lo spinello a Scott “Penso che dovresti baciarla la prossima volta.”
Si scoprì in seguito che quello fu un pessimo consiglio.
Janelle si voltò a baciare Chris e poi alzò lo sguardo verso l’orizzonte e vide una minuscola fetta di sole rosso-arancio sorgere brillando e illuminando la palude tutta intorno
“Guardate.” Bisbigliò “È bellissimo.” Sorrise mettendosi seduta
Rimanemmo tutti a fissare il sole sorgere colorando tutto di rosa e arancione, giallo e rosso. Tendevamo ogni nervo del nostro corpo a percepire quel calore dolce sulla pelle e, tra i capelli e tra quella luce e quel panorama stupendo scoprimmo che in realtà la marijuana non aveva fatto ancora del tutto effetto.
Cominciai a strappare i fili d’erba, uno alla volta e a guardarli nelle mie mani rimanendo colpito a ogni strappo del colore intenso che avevano, Scott stava disteso come una stella marina sull’erba poco distante da me e cantava Wild Boys dei Duran Duran sbagliando tutte le parole. Jan e Chris erano i più ‘sani’, lei era salita su albero e rideva e lui rimaneva sotto con le braccia aperte pronto ad afferrarla.
Scott cominciò a rotolare sull’erba ridendo mentre io parlavo di come fosse affascinante World of Warcraft  e come quell’elfa blu continuasse a perseguitarmi anche se i miei colpi mistici da mago la tenevano a distanza.
Poi a tutti e quattro ci venne un caldo atroce e io cominciai a spogliarmi convulsamente, mi si incastrò la testa nel collo della maglia e mi rotolai per qualche minuto per togliermela
“Andiamo a fare il bagno nel laghetto.” Dissi sventolando la maglia, in realtà era la palude di fronte alla veranda della colazione di Aidan ma a me andava di fare il bagno, così come agli altri tre e allora rimanendo in boxer e Janelle in canottiera e slip ci lanciammo nella melma.


Nuotammo per quasi un’ora facendo discorsi filosofici sulla vita, parlammo di genitori, di come ci comportavamo con loro.
Chris non li vedeva quasi mai perché lavoravano sempre, suo padre stava sempre via da casa per intere settimana mentre la madre tornava sempre a sera tardi a causa di riunioni varie a cui doveva partecipare. Ma a lui andava bene così, diceva che meno erano presenti, meno avevano pretesti per stargli addosso e giudicarlo.
Janelle viveva con i suoi, lei era quella con la famiglia più normale a parte le rotture che le davano per il modo di vestire, che altro non era un forma di ribellione.
Poi cominciammo a parlare di sesso. Chi l’aveva fatto e chi no, l’aveva fatto solo Chris con una più grande. Almeno così ci disse, erano stati insieme per qualche mese e poi si erano lasciati facendo sesso da strafatti.
Io e Scott non avevamo avuto mai nessuna ragazza, beh a parte la ragazza piovra del locale country  che aveva limonato con Scott, io non ero proprio mai stato con nessuna e non mi dispiaceva ammetterlo.
Jan era stata con un ragazzo in seconda media ma lei era impazzita come suo solito finendo per sembrare una stalker e si erano lasciati in lacrime.
A un certo punto, mentre Janelle raccontava la triste storia d’amore con il ragazzino delle medie, Scott cominciò a vaneggiare sulle squadre di football e di quanto quella della nostra scuola facesse schifo. Io ricominciai a parlare di giochi online paragonando le dimensioni dei personaggi a quella dei treni. Janelle sorrideva ebete nuotando intorno a Chris che invece ballicchiava sul posto.
Io fissai l’acqua melmosa tra le dita, cattiva idea quella di fare il bagno in una palude. C’erano robe verdi galleggianti, probabilmente erano alghe putride e c’ero io che parlavo a vanvera
“Lo sapete che mi piace stare qua? È bello. Bello quasi quanto quell’alligatore.” Indicai sorridendo di fronte a me
Tutti ridemmo per poi capire ciò che avevo appena detto, ci fissammo a occhi spalancati e poi fissammo quel tronco che in realtà non era un tronco ma il simpatico alligatore. Cominciammo ad urlare , fortunatamente eravamo vicini alla riva e l’alligatore era molto distante da noi e corremmo urlando nell’acqua per riuscire a salvarci il culo.
Appena uscimmo non ci fermammo neanche per guardarci indietro, prendemmo al volo i vestiti e po’ ridendo per l’adrenalina in circolo e un po’ urlando corremmo in casa portandoci dietro il fango e la puzza
“Siamo dei fottuti idioti.” Mormorò Scott chiudendo la porta della veranda dietro di sé
“No!” Urlò Janelle
“Cosa?” chiese Chris preoccupato, la fissavamo perplessi
“Ho dimenticato una scarpa, devo prenderla…” aprì la porta e rimase a fissare l’alligatore che mangiava la sua scarpa nel giardino “Beh ciao eh.” Disse sbattendo la porta
“Mio dio! Ma quanto cazzo puzziamo!” si annusò Chris
“Siamo peggio della palude!” dissi strizzando l’acqua fetida dai miei capelli, guardai gli amici “Io mi faccio la doccia per primo!” E scattai al piano di sopra senza lasciare tempo agli altri di rispondere
Sentivo i loro schiamazzi che mi seguivano per le scale. Janelle superò Chris
“Hey! Sono una signora io!” urlò tentando di superare Scott “Prima le signore!”
“Non ci provare bella!” Rispose lui bloccandole il passaggio sulle scale
“Tu sei Janelle. Non conti!” dissi arrivando alla porta del bagno degli ospiti “Ci vediamo tra un’ora stronzetti!” aprii la porta e stavo per entrare quando sentimmo Aidan uscire dalla sua stanza dall’altro lato del corridoio in fondo
Ci guardammo in faccia terrorizzati e ci lanciammo tutti nel bagno. Altra idea stupida.
Ovviamente se Aidan ci avesse beccato così sarebbero stati cazzi amari, eravamo sporchi, puzzolenti e per di più fumati. Rimanevamo tutti zitti nella grande doccia uno spiaccicato sull’altro perché sicuri che occupando meno spazio non saremmo stati beccati, intanto continuavamo a zittirci a vicenda dicendo –ssh- anche se nessuno parlava.
Sentimmo Aidan fermarsi davanti alla porta, appoggiarsi allo stipite e parlarci, aveva uno strano e inquietante tono di voce calmo, molto aggressivo-passivo
“Ragazzi.” Ci chiamò ma non dicevamo niente, rimanevamo in perfetto mutismo cercando di respirare piano “Lo so che siete lì dentro, per vostra sfortuna ho il sonno molto leggero e un gruppo di ragazzini che urlano e ridono per le scale di certo non aiuta, sapete…”
L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che quell’alligatore probabilmente era ancora là fuori a mangiare la scarpa. Sì, decisamente risentivo ancora della marijuana.
Aidan continuava a parlare
“Quando mi avete detto che rimanevate a vedere l’alba non pensavo che includesse anche il fumare, fare il bagno nella palude e poi scappare da un alligatore.” Lo sentimmo soffocare una risatina divertita
“Ci avevi detto che non c’erano alligatori qui!” urlò Scott
“Scusate.” Rispose Aidan “Errore mio. Evidentemente sono attirati dagli adolescenti fumati, ma giuro che se uscite adesso non avviserò i vostri genitori.”
OH MERDA!
Cominciammo a discutere bisbigliando animatamente
“Io non voglio che lo dica ai miei, già hanno fatto storie per lasciarmi venire. Li ha dovuti convincere tua mamma!” disse a Scott
“Se per questo anche io non voglio che lo sappiano.” Risposi
“Ah e secondo voi io sì?” disse Chris “Sanno che sono un coglione ma non che fumo!”
Scott si passò le mani nei capelli e sbuffò
“Se usciamo cosa farà?” ci chiese
Mh ottima domanda Scotty, tutti alzammo le spalle scuotendo la testa senza risposta
“Okay.” Il biondo si schiarì la voce “Se usciamo cosa succede?” chiese urlando ad Aidan che ridacchiò
“Che vi faccio pulire le scale dal fango e poi vi immergo nel disinfettante!” ci guardammo “Allora uscite? Vado a prendere il telefono eh…”
Prima che potesse aggiungere altro uscimmo tutti in fila indiana, il primo fu Scott poi io, Chris e Janelle. E ogni volta che uno usciva Aidan gli dava uno scappellotto, anche a Janelle ma con meno forza.
Puzzavamo ed eravamo in boxer o, per quando riguarda Jan, in canotta e slip. Fare il bagno in una palude di notte fu una grande, enorme cazzata ma fu la cazzata più divertente di tutto l’anno!
Aidan non ci fece pulire le scale ma ci impedì per gli ultimi giorni che saremmo rimasti in Alabama di uscire di casa dopo la mezzanotte.
Ma non seppe mai che ogni notte uscivamo sul terrazzo che avevamo in comune con la stanza di Janelle e ci mettevamo sul tetto a guardare le stelle e il cielo che ci copriva avvolgendoci, non c’era bisogno di parole, rimanevamo in silenzio a contemplare l’universo.
Eravamo felici, io come mai lo ero stato.
Scott era la mia seconda famiglia, la persona sui cui avrei sempre potuto contare. Era l’amico più grande che si potesse desiderare di avere e gli dovevo tutto.
 

Il lunedì successivo eravamo di nuovo in aeroporto, Scott era rimasto in macchina da solo con Aidan per qualche minuto, quando rimaneva da solo con suo padre preferiva non raccontarci cosa si dicevano, ma si vedeva che era felice di stare con lui. Si salutarono con un abbraccio e una pacca sulle spalle con la promessa di rivedersi dopo l’inizio della scuola.
Scott assomigliava così tanto al signor Walsh di fisico e mi accorgevo di questo ogni volta che li vedevo insieme, anche se come carattere e comportamenti era molto più simile alla signora William.
Il volo in aero ci sembrò più breve di quello dell’andata e notai un po’ di malinconia negli occhi di Scott ma sapevo che gli sarebbe passato non appena avesse riabbracciato sua mamma e non appena avesse rivisto la ragazza dei suoi sogni.
Agosto passò come un soffio di vento, tra compiti arretrati, uscite al cinema, gelati e inutili cazzate dette.
I miei genitori erano sempre un po’ stronzi anche se la loro vacanza/luna di miele li aveva un po’ cambiati, li preferivo da come erano all’inizio. E anche se ancora non sopportavano Fiona William perché avevano i loro pregiudizi stupidi e inutili, Scott cominciò a essere sempre più il benvenuto.
E poi ricominciò la scuola e sprofondai di nuovo nel baratro dei pestaggi e degli insulti. Un piacere unico insomma. 

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Capitolo 9
*** Ritorno a scuola ***


Mi svegliai come se una montagna fosse stata posata sul mio stomaco e lentamente mi trascinai in bagno e ancora in coma andai a fare colazione, presi la bicicletta e me ne andai da Scott che era già pronto sulla sua bici; non dovetti neanche fermarmi che appena mi vide mi fu accanto e andammo verso scuola.
Avremmo preso la patente solo tra qualche mese  e quindi per i nostri spostamenti utilizzavamo la bicicletta così ci mettevamo anche meno tempo e adesso che era ri-iniziata la scuola potevamo dormire qualche minuto in più.
Avevo sentito Scott solo per telefono negli ultimi giorni, non potevo permettermi di uscire sia per i compiti arretrati che per mancanza di soldi e lui colse l’opportunità per vedersi con suo padre, era tornato dall’Alabama ieri pomeriggio.
Ormai tenere le lenti a contatto non era più un problema per me, non bruciavano più così tanto come all’inizio e mi sentivo molto più sicuro di me, mi voltai verso Scotty e gli sorrisi
“Com’è andata da tuo padre?”
“Bene.” Rispose secco
Notai che in quel –bene- c’era qualcosa che non andava, non diceva mai solo –bene-. Spesso si dilungava su come suo padre facesse battute in chat o per mail, su com’era simpatico; non si fermava mai al –bene.-
Corrugai la fronte
“Sicuro?”
“No.” Sbuffò “Ma ne parliamo dopo che è meglio.”
Sperai che non fosse niente di irreparabile, si erano appena ritrovati e mi sarebbe dispiaciuto veramente tanto se le cose non fossero andate bene.
Svoltammo l’angolo e fummo a scuola, entrammo e ci dirigemmo verso gli armadietti; il mio era nei corridoi interni vicino all’aula di economia, mentre quello di Scott era dall’altra parte all’esterno ma gli avevo detto che quando pioveva o nevicava poteva mettere le sue cose nel mio.
Ci dovevamo ritrovare tutti nell’auditorium così che i professori potessero consegnarci gli orari delle lezioni e dovevamo ascoltare il preside che faceva la sua presentazione annuale di inizio anno per le matricole.
Scott mi raggiunse all’armadietto e come sempre si appoggiò di schianto con la schiena, continuava a diventare sempre più alto; avrebbe sicuramente raggiunto i due metri se continuava a crescere così. Io invece ero di qualche centimetro più basso ma Scott sembrava più alto per via della massa muscolare, io ero più gracile e con una muscolatura più normale.
Si sporse mentre ero ancora nascosto dall’anta di alluminio e mi guardò
“Tutto a posto?” chiese con un sorriso sulle labbra
“Direi di sì, anche se credo che essere al secondo anno non mi proteggerà dall’essere pestato.” Avevo ragionato su questo fatto a lungo e mi sentivo veramente a disagio a ritornare al liceo
Scott mi diede una pacca sulla spalla
“È per questo che ci sono io al tuo fianco. Prendimi come tua personale guardia del corpo.” e con una manata chiuse lo sportello
“Dovevo ancora prendere una cosa.”
“No che non devi, siamo in ritardo per l’auditorium. La prendi dopo.” E mi trascinò via portandomi un braccio intorno al collo
Arrivammo in auditorium e notammo la nostra amica di avventure Janelle che si sbracciava per attirare la nostra attenzione, al suo fianco c’era Chris che … leggeva. Era un avvenimento più unico che raro, non leggeva mai se non fumetti di Deadpool e quello che aveva in mano non era un fumetto sicuramente.
Ci avvicinammo e ci sedemmo accanto alla coppia che ci aveva tenuto i posti, Janelle frizzante come sempre
“Ho dovuto cacciare due del primo anno che volevano sedersi qui. E poi guardavano con troppo interesse Chris e non mi piaceva.” Guardò verso una zona dell’auditorium e fissò con lo sguardo che uccide qualcuno di indistinto “Troie.” Sibilò
“Janelle…” la voce di Chris che la chiamava come per calmarla con una punta di rimprovero, non ci guardò neanche in faccia “Ciao ragazzi, tutto bene?” aveva un po’ la voce apatica come se quel libro fosse il centro del mondo
Teneva le gambe incrociate sulla poltroncina e dava la schiena al vicino di posto, sorrisi e lo fissai
“Da quando leggi … ” lessi il titolo del libro “-L’uomo senza qualità-“ pronunciai il titolo in tono stupito, era una lettura abbastanza pesante
Chris senza neanche rispondere fece cadere il libro per svelare che in realtà leggeva un fumetto del suo amato Deadpool
“Mi fingo acculturato.” Disse trattenendo una risata “Finisco la pagina…” non finì neanche la frase “ECCO. Finito, sono tutto vostro ragazzi. Come va?” ritornò il solito simpatico e abbastanza fatto Chris
“Tutto bene.” Risposi io “Tra quanto inizia la storia qui?”
Janelle guardò l’orologio
“Credo tra dieci minuti, non so bene.”
“Sì, deve iniziare prima delle 8.30 sicuramente.” Rispose Scott “Le lezioni iniziano di solito alle 9 il primo giorno di scuola o no?”
“Sì, beh in teoria ma sembra che il preside non si sia visto ancora.” Chris aveva arrotolato il fumetto e infilato nella tasca posteriore dei jeans “Sarà nel suo ufficio a bere martini come sempre, la leggenda vuole che sia per i troppi martini che quando cammina per i corridoi barcolli sempre.”
“Secondo me cammina veramente così.” Rispose Jan
“Sarà.” Chris fece spallucce come se non gli importasse la verità, per lui la verità era che il preside era sempre ubriaco
Nell’auditorium c’era un continuo chiacchiericcio, schiamazzi e risate sguaiate. Alcuni ragazzi del quarto anno si facevano belli davanti alle quattordicenni e cominciavano a provarci, alcuni ragazzi del primo cercavano di inserirsi tra i gruppi già esistenti. Alcuni della squadra di football facevano delle pubbliche relazioni con i ragazzi che sembravano più promettenti, mi guardavo attorno e più vedevo quella massa di persone più prendevo in considerazione l’idea di trovarmi in uno zoo e proprio mentre facevo queste mie considerazioni private, Scott mi mise una mano sulla spalla e mi si avvicinò per chiedermi in un sussurro se potesse parlarmi in privato, annuì. Ci alzammo e lasciando le cartelle sulle poltroncine ci dirigemmo verso un angolo abbastanza riservato.
Scott incrociò le braccia e prese un profondo respiro. Aveva i capelli legati e la barba leggermente sfatta, stranamente era un adolescente a cui non crescevano quegli orrendi baffetti adolescenziali, a lui cresceva una folta e rigogliosa barba da uomo bionda e ruvida, io preferivo radermi quei quattro peli che mi crescevano. Il mio taglio di capelli era andato a farsi fottere durante Agosto e non avevo avuto voglia di ritagliarmeli in stile militare e quindi ora erano scompigliati e mossi come sempre.
Guardai Scott preoccupato, era quasi la stessa agitazione che aveva quando aveva litigato con sua mamma per la storia di Aidan Walsh
“Cosa c’è Scott?” gli chiesi senza giri di parole
“È che…” sospirò e si passò le mani tra i capelli “Mio padre ha detto che vuole venire qua un giorno e mamma ha detto che non lo vuole vedere, gli ho detto che mamma non vuole vederlo e lui ha risposto che può venire senza incontrarla.” Mi guardò negli occhi “Non so mentire a mia madre e se le dico che Aidan vuole venire qua credo che possa arrabbiarsi…”
“Ma si arrabbia di più se non glielo dici.” Finii la frase per lui
“Esattamente, e ho paura che se dico a Aidan di non venire poi possa arrabbiarsi e tutto quello che ho costruito in queste settimane con lui vada a puttane.”
Sorrisi nervosamente mettendomi le mani in tasca
“Prova a dirlo a tua mamma, magari le sta bene che venga e che non si incontrino o dovrai far ragionare Aidan e magari incontrarvi a New York.” Mi grattai il sopracciglio “Siamo nel Connecticut, non possiamo vivere nel Connecticut senza essere mai stati a New York.” Sorrisi
Scott sbuffò una risata e scosse la testa, sorrise più rilassato
“Tu trovi sempre la soluzione a tutto Joe.” Mi scosse la spalla con la mano
“Sei tu che affoghi in un bicchiere d’acqua idiota.” Le luci cominciarono ad abbassarsi, segnale che stava per iniziare il discorso del preside “Muoviti gigante, andiamo a sederci e vediamo di far smettere Janelle di fulminare con lo sguardo tutte le ragazzine che tengono gli occhi troppo a lungo addosso a Chris.” E ci andammo a sedere
Il preside parlò a quelli del primo anno dicendo le regole, gli orari della mensa, gli orari di inizio lezioni e di fine lezione. Disse che chi voleva partecipare alle attività sportive come pallanuoto e football doveva iscriversi entro la fine di Settembre alla segreteria.
Ci vennero dati gli orari del primo trimestre, fortunatamente io e Scott eravamo insieme per tutti i corsi tranne che per ginnastica, io ero esonerato per la mia tachicardia.
Chris era finalmente all’ultimo anno e sembrava determinato ad andarsene, mentre ci dirigevamo fuori dall’auditorium ci disse che avrebbe fatto domanda all’accademia d’arte e non poteva essere più felice per lui.
Salutammo la coppia e ci dirigemmo verso l’aula di economia. Avremmo avuto un insegnante nuovo, un certo Hoovery nuovo anche nell’istituto, entrammo in aula senza trovare nessun insegnante e così sia io che tutti gli studenti cominciammo a controllare i cellulari, le mail e vari social network; quando vedemmo entrare una buffa donna impacciata ed estremamente goffa piena di libri e scartoffie. Indossava dei sandali aperti, una gonna a balze lunghe tutta colorata in stile hippy con una camicia coordinata. Appoggiò tutti i libri sulla cattedra e portando le mani ingioiellate ai fianchi ci guardò
“Salve a tutti, sono la signorina Hoovery, ma potete chiamarmi Hope.” Aveva la voce stridula e acuta
Scott si avvicinò al mio orecchio
“Secondo me si è fumata qualcosa.” Soffocammo una risata
La professoressa cominciò una breve introduzione sugli argomenti che avremmo affrontato nel primo trimestre. Era decisamente una donna stravagante ma la sua lezione passò velocemente come tutta la giornata.
Incontrammo Janelle nei corridoi durante i cambi d’aula, avevamo in comune solo l’ora di storia con il professor Whang e quella di chimica con il Sunseri.
A mensa uno del quarto mi diede una spallata ricordandomi la mia posizione di “sfigato” ma non mi diede poi tanto fastidio, avevo degli amici su cui contare.
Dopo aver risolto la questione di Aidan con Scott passammo il resto della giornata in totale tranquillità, Scotty mi disse che avrebbe visto Pamela in piscina sicuramente domani e l’avrebbe baciata.
Suonata l’ultima campanella che determinava la fine della giornata Scott andò al suo armadietto dicendomi di incontrarci alle biciclette. Aprii il mio armadietto con un click e presi un libro che mi ero portato pensando mi sarebbe servito quando sentii un tonfo accanto a me, pensai fosse Scott o Chris, chiusi lo sportello e mi trovai faccia a faccia con Luca. Era un anno avanti a me, lo fissai
“Ciao.” Dissi facendo per andarmene ma lui mi fermò
“Hai fatto sospendere mio fratello l’anno scorso.” Disse
“Cosa?” lo guardai cercando di capire chi fosse suo fratello
“Simon Lockart. Ti ha pestato una volta e tu sei andato dal preside e l’ha sospeso.” Era serio
Cercai di trattenere una risata senza riuscirci
“Simon mi picchiava ogni giorno, dal primo giorno che mi ha visto. Ora non è più neanche in questa scuola, l’hanno sospeso non di certo perché sono andato dal preside, cosa che non ho fatto.” continuavo a guardare Luca negli occhi “Forse l’hanno sospeso perché era un coglione che spacciava marijuana davanti a scuola e l’hanno beccato.”
Luca sorrise e abbassò la testa poi di scatto mi tirò un pugno sul naso e se ne andò. Sbattei la testa contro l’alluminio e imprecai. Il primo giorno e già ero stato pestato.
Che bello essere ritornato a scuola.
Fortunatamente il mio solido naso non si era rotto e uscì poco sangue, faceva solo molto male. Non dissi mai a Scott di quello che era successo, spiegai il mio ritardo dicendo che mi ero fermato in bagno.
Tornato a casa mi misi a dormire senza neanche mangiare.
Com’era possibile passare un’estate meravigliosa e poi sprofondare di nuovo nello sconforto? Forse sarebbe andato meglio nei prossimi giorni.

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Capitolo 10
*** Quando fa male veramente ***


Da quel traumatico primo giorno di scuola passarono due mesi e nulla andò meglio, non venivo pestato e umiliato regolarmente ogni giorno, solo qualche spallata o insulto sussurrato. Quando mi picchiavano era quando Scott era in piscina e non poteva aiutarmi.
I bulli diventavano intelligenti però, niente più segni visibili e di conseguenza niente più faccia ma cominciarono a colpire soltanto allo stomaco dove nessuno avrebbe visto niente.
Scott sapeva che c’era qualcosa che non andava in me e mi chiedeva ripetutamente come stavo, se volevo dirgli qualcosa; rispondevo di stare bene e che ero solo un po’ stanco. Ma lui, ovviamente, non mi credeva e senza dirmi niente parlò con il professor Whang, l’unico che sapeva veramente come andavano le cose.
Avevo un’ora di buco e mi rintanai in biblioteca dove sapevo che i bulli non sarebbero mai entrati, neanche ci fosse un campo di forza a impedirgli di istruirsi; avevo le cuffie alle orecchie e ascoltavo i Sum 41 ripassando per l’ora di letteratura quando vidi avvicinarsi Scott, gli feci un cenno con la mano e si sedette davanti a me
Vidi le sue labbra muoversi e dirmi qualcosa, accennò un sorriso e poi parlò ancora. Mi tolsi le cuffie
“Cosa hai detto? Scusa avevo le cuffie sai…” avvolsi le cuffie intorno al mp3
“Ho chiesto se stai bene?” ripetè Scott sempre gentile
“Sì, perché non dovrebbe.” dentro stavo morendo
Avevo veramente sperato per tutta l’estate che il secondo anno di liceo sarebbe stato diverso, io sarei stato diverso, più forte e capace di proteggermi ma i miei piani non erano andati come speravo. Tutto stava andando male, io, i miei voti, il mio rapporto con i genitori che se prima era recuperabile adesso non vedevo neanche i vantaggi di provarci. Ero diventato anche scontroso nei confronti di Scott e anche di Janelle e di Chris, mi dispiaceva rispondere male ai miei amici; soprattutto a Scott.
Il biondo davanti a me sorrise mogio nel vedermi così
“Andiamo a fare un giro? So che la Freemont andrà avanti a spiegare e che non interroga quindi questo” mi sfilò il libro dalle mani e lo chiuse “non ti serve.” Mi diede un’occhiata alla –muoviti ad alzare il culo- e mi trascinò via
Camminammo per qualche minuto senza meta per i corridoi
“Ma dove stiamo andando?” chiesi, passammo vicino alle macchinette “Aspetta che prendo un caffè.” Ci fermammo giusto il tempo di prendere il caffè e ancora con il bicchiere bollente in mano continuammo il nostro giro
Scott vagava con le mani in tasca fischiettando incurante che qualche professore potesse uscire dall’aula e arrabbiarsi molto, poi ci fermammo davanti a una porta
“Eccoci qua!” e sorrise felice come una Pasqua
“Lo vedo che siamo qua ma dove?”
“Eh-eh.” Emise questa risata da uno che sa che ha fatto qualcosa che non doveva fare “Entra.” E mi spinse dentro
Mi guardai attorno e poi sentii la porta infondo all’aula aprirsi e vidi il professore di storia entrare
“Scott guarda che quest’aula è occupata…” mi voltai per uscire
“No, in realtà no. Scotty mi ha chiesto di parlarti.” Il professor Whang mi sorrise e si avvicinò alla cattedra dietro di me, poggiò qualche libro e un bicchiere di Starbucks sul tavolo e mi sorrise ancora
Guardai Scott con qualcosa negli occhi che credo fosse odio o risentimento. Il biondo sorrise e chiuse la porta, scossi la testa e pensai lucidamente che l’aveva fatto per me, perché voleva che stessi bene.
Il professor Whang si appoggiò al bordo della cattedra e incrociò le braccia. Il nostro insegnante di storia era un uomo simpatico, durante l’anno passato avevamo scoperto che era sposato con una ex modella di Victoria’s Secret e lei era una di quelle donne che si può definire -gnocca da paura-, avevano frequentato come amici la stessa scuola da ragazzi e dopo il liceo le loro strade si erano divise fino a quando, a una serata di raduno per la loro classe si erano ritrovati; lei faceva ancora la modella mentre lui aveva da poco iniziato a insegnare, e così tra una battuta e l’altra si erano innamorati. Uomo fortunato! Lei l’avevamo vista all’uscita da scuola, guidava una BMW serie 5 nera da cui erano usciti due bambini di cinque anni dai tratti asiatici che correvano incontro al professore e poi c’era lei che li seguiva, bionda, con due gambe che non finivano più, la pancia piatta nonostante i due gemelli, i capelli bruni che ricadevano sulle spalle, un sorriso bellissimo. Per essere una donna di trentacinque anni era bellissima. So perfettamente che tutti i maschi della scuola rimasero a fissarla per minuti interi e rimasero a bocca aperta vedendo il professor Whang che la baciava con tanto di mano sulla schiena poco sopra il sedere.
Ritrovandomi nella stessa aula con lui e nessun altro mi venne in mente di chiedergli come ha fatto a trovare una moglie così bella ma era sicuramente un’idea stupida e mi trattenni. Ci fissammo per qualche minuto imbarazzante rimanendo in piedi l’uno davanti all’altro
“Eccoci qui.” Dissi annuendo a me stesso
“Eccoci qui.” Ripetè lui, piegò lievemente la testa di lato “Cosa succede Joe?”
Abbozzai un sorriso, di quelli che più finti non esistono
“Niente, sono solo un po’ stanco. Sa l’ultimo mese del trimestre è quello più duro…” accampavo le più improbabili scuse
Borbottai giustificazioni guardandomi i piedi, se avessi parlato più ad alta voce probabilmente sarei stato tradito dalla voce rotta da un imminente pianto, sentii il professore avvicinarsi a me e appoggiò una mano sulla mia spalla, parlò con voce rassicurante
“Lo so che c’è qualcosa che non va o Scott non sarebbe venuto da me. So perfettamente quello che succede quando non c’è nessuno a guardare…”
Alzai la testa e lo guardai, gli occhi mi brillavano per le lacrime
“Non è solo perché vengo picchiato.” La voce mi tremava “Alle botte ci sono abituato, sono sempre stato il bersaglio dei bulli. Mi sento inutile, sento che devo dipendere per forza da qualcuno o non andrò da nessuna parte.” Scossi la testa trattenendo le lacrime, presi un profondo respiro “I miei genitori non si accorgono neanche di quello che mi succede, non ci sono neanche a cena perché tornano sempre tardi. Mi dispiace essere stato uno stronzo e non esserci stato per Scott…” passai velocemente la lingua sul labbro superiore che sentivo secco “Se non vado bene a scuola non è solo perché mi picchiano, questi dovrebbero essere gli anni in cui si formano i migliori ricordi della vita in una persona, io che ricordi avrò? Di essere al limite della depressione, di tornare a casa e chiudermi in bagno sotto la doccia per ore intere senza che nessuno si accorga di me. Poi scendo e prendo da mangiare e ritorno in camera dove nessuno può vedermi. Rimango ore su siti di gioco online dove nessuno sa chi sono e divento ciò che vorrei essere. E poi, il giorno dopo, sono di nuovo io, Joe. E non sono nessuno se non quello che viene picchiato e ignorato. Sono mesi che penso come sarebbe bello non svegliarsi più.” Deglutii le paure e l’insicurezza che avevo sulla punta della lingua e mi passai il braccio sugli occhi per asciugare le lacrime
Sentivo lo sguardo del professore che cercava le parole da dirmi
“Non è vero che sei inutile.” Scosse lievemente la testa e accennò un sorriso “Pensa a cosa avrebbe fatto Janelle se non le avessi consigliato di smetterla di fare la stalker e parlare con Chris a quest’ora starebbe ancora spaventando ragazzi. E per Chris… l’hai aiutato con lo studio e è finitamente all’ultimo anno.” Fece una pausa, lo guardai “E poi c’è Scott, sei come un fratello per lui. Pensa a lui, pensa a come riesci a stargli vicino quando litiga con sua mamma o quando insulta il Sunseri e finisce nei guai, o pensa solo a come riesci a essergli amico rimanendo te stesso e lui ti vuole bene per quello che sei. Pensa che per lui sei importante e che se adesso stai parlando con me è perché ha capito che c’è qualcosa che non va e, visto che ti sei chiuso a riccio e non gli hai permesso di aiutarti, mi ha riferito cosa pensava e ora ti sei sfogato e ci lavoreremo su, parleremo ogni giorno io e te. Non sei inutile, ricordatelo.”
Chiusi gli occhi e dalle ciglia cadde una perla di lacrima
“Mi fa male sapere che Scott tiene così tanto a me e che ha capito subito che c’era qualcosa, fa male veramente sapere che io non sono neanche alla sua altezza come amico.” Pensai ad alta voce
Probabilmente Scott era rimasto tutto il tempo fuori dalla porta ad ascoltare perché dopo quella frase entrò e si avvicinò a me, si mise al mio fianco
“Non è vero che non sei un buon amico, se il più grande amico che si possa avere. Mi hai sempre aiutato con i miei problemi, quando non sapevo come fare con Aidan e mia mamma, mi hai accompagnato in Alabama. Mi hai anche consigliato di uscire con Pamela e la cosa sta funzionando. Sarai sempre il mio primo e unico vero amico, se non ci fossi tu accanto a me io sarei perso. Sei decisamente l’amico migliore di tutto questo fottuto pianeta.”
Rimasi senza parole, mi fissavo i piedi non riuscendo a sostenere lo sguardo di Scott
“Grazie.” Mormorai
Il professor Whang sorrise, riprese i suoi libri e cestinò il bicchiere di Starbucks
“Parlo io con la professoressa Freemont, le dico che vi porto via perché dovete darmi delle spiegazioni, mi inventerò qualcosa insomma e che non andrete alla sua ora. Rimanete qui e parlate un po’.” Aprì la porta e prima di andarsene ci sorrise “Hey ragazzi, settimana compito a sorpresa su Cristoforo Colombo.” E scomparì
Sia io che Scott accennammo una risata, ci sedemmo uno a fianco all’altro
“Come ti sei accorto che non stavo bene?”
Scott si stiracchiò e si raccolse i capelli , si grattò il mento barbuto ed espirò facendo una facce ebete
“Perché eri isterico e scontroso, non rispondevi ai messaggi se non a monosillabi e sai beh… ho diciamo minacciato uno dei soliti che ti da fastidio…”
“Cosa hai fatto?!” ero sconvolto, non potevo crederci
“Sì. L’ho spinto contro un armadietto degli spogliatoi e gli ho fatto capire che se non la smette…”
“Sei un bullo Scott William.” Risi
“Oh sì che lo sono. Ma uno di quelli buoni.” Rise anche lui
Rimanemmo a parlare per tutta l’ora di letteratura senza che nessuno ci disturbasse, gli chiesi come andava con Pamela e sarebbero usciti presto e mi disse che l’avrebbe baciata come gli avevo consigliato quella famosa sera in cui eravamo tutti fumati in Alabama.
Finita la scuola rimanemmo insieme tutto il pomeriggio e sul tardi arrivarono anche Jan e Chris, mangiammo al McDonald’s e poi tutti a casa.
I miei genitori rimasero sempre distaccati, mi chiesero solo dove fossi andato, ma che importava?! Loro non ci sarebbero stati per cena ero solo tornato tardi.
Non mi feci neanche la doccia, mi addormentai subito. Mi ero un po’ sollevato con quella chiacchierata con il professor Whang e con l’uscita con Scott ma sicuramente non era tutto a posto. Ancora, qualcosa dentro di me, faceva male.
 

Dopo un paio di settimane dalla mia super giornata –no-, Scott vestito come un eschimese visto la neve che aveva coperto tutto con parecchi centimetri, mi aspettava sul portico di casa sua. Arrivai arrancando
“Vuoi entrare a salutare mamma?” mi chiese indicando la porta ma prima che potessi rispondere la testa della signora William comparve
“Ciao Joe, ti trovo bene. Se riesco a muovermi con la macchina vengo a prendervi dopo scuola.” Frizzante come sempre
La salutai, ringraziandola del futuro passaggio e poi andammo a scuola.
Scott fischiettava
“Mi farò crescere la barba per proteggermi dal freddo.” Disse sorridendo
“Ah sì? Beh ti sta bene.” Annuì “Tutto bene?”
“Ieri sono uscito con Pamela.” Lanciò la bomba subito
“COSA!” ero incredulo e felice per lui “Racconta. Tutto.”
Guardai il cielo bianco carico di altra neve e accelerai il passo per non venire travolto da una tormenta di neve, Scott con due passi fu al mio fianco
“Beh insomma, non è andata come sarebbe dovuta andare.” Manteneva sempre il suo sorriso sicuro e felice
“Cioè? L’hai baciata e ti ha tirato un pugno?” chiesi curioso
Sospirò
“Un pugno metaforico diciamo.” Non voleva raccontarmelo e dopo un po’ di tentativi, durante l’ora pratica di chimica mi raccontò la storia
Stava versando una qualche sostanza nel recipiente e guardando il liquido che bolliva da solo sorrise entusiasta
“Siamo usciti e abbiamo passato un bel pomeriggio, abbiamo parlato di sport, di scuola; sai che lei studia a casa ma comunque esce al venerdì sera e va a ballare, va al cinema. Insomma si diverte. Ci siamo raccontati qualche segreto l’uno dell’altro.” Alzò lo sguardo “Tutti i segreti che ho detto a lei li sai benissimo anche tu, tranquillo.”
Sorrisi togliendogli dalle mani le provette e i contenitori di sostanze infiammabili o potenzialmente esplosive, volevo evitare che esplodesse l’aula di chimica o l’intera scuola
“Quindi è una ragazza normale, non una pazza. Perfetto e poi?”
Scrisse qualcosa sul quaderno di chimica, appunti sulla reazione avuta e poi tornò a guardarmi
“Eravamo seduti su una panchina al parco, vicino al gazebo e bevevamo cioccolata dai bicchieri di plastica, lei si è sporcata le labbra e io,” diventò tutto rosso, trattenni una risata “insomma… le ho tolto la panna dalle labbra con un dito e lei non ha detto niente e allora…”
“Se non la smettete di confabulare come due ragazzine vi metto F da qui fino alla fine dell’anno.” Urlò il Sunseri guardandoci
“Ci scusi.” Mormorai, Scott non doveva cacciarsi nei casini con lui
Continuammo a parlare abbassando la voce il più possibile
“Allora cosa hai fatto?” chiesi curioso
“Beh l’ho baciata. Lei non se lo aspettava ed è stato strano, sicuramente meglio della ragazza piovra del locale country ma non era Il Bacio.” Si guardò intorno “E poi lei mi ha spostato con una mano e mi ha detto, cito testualmente –Non pensavo di piacerti in quel modo Scott, per me sei solo un amico e poi non sei proprio il mio tipo. Non so come dirtelo, sei un bravo ragazzo e sei simpatico ma proprio gli uomini non mi piacciono.-.” Scott era più rosso di un pomodoro
“No. Non ci credo.” Dissi basito “Ti sei innamorato di una ragazza lesbica?”
Scott rise nervoso
“Da cosa si capisce se una ragazza è lesbica o no? Cosa ne so io. Le piace Virginia Woolf okay, ma non credevo fosse una peculiarità delle ragazze lesbiche.” Scosse la testa “Siamo amici.” E mettendo troppo nitrato in una provetta il nostro esperimento fallì miseramente.
Mi faceva troppo ridere pensare alla scena di Scott e Pamela, povero ragazzo.
Chris e Janelle invece avevano passato gli ultimi giorni a litigare perché lei era diventata incredibilmente gelosa da quando l’aveva visto parlare con una del primo anno che voleva soltanto qualcosa da fumare. Credo che per Janelle il pensiero di perdere il ragazzo che aveva amato per la prima volta seriamente la mettesse in agitazione e così con ogni ragazza si avvicinasse troppo al suo Chris, faceva una scenata.
Lui era stanco di questo suo comportamento, l’amava ancora ma ci confessò che nonostante fosse la prima ragazza che amava non riusciva a sopportare quei suoi scatti di rabbia nei confronti di qualsiasi persona di sesso femminile che gli parlava.
Cercai di far ragionare Janelle dicendole di lasciar respirare Chris e che avrebbe potuto perderlo irrimediabilmente e per qualche periodo si calmò. Non so neanche io perché volevo che stessero ancora insieme dato che ogni volta che Janelle sorrideva o faceva quel suo gesto, si toccava il lobo dell’orecchio sinistro con la mano destra, io sentivo il cuore battermi più forte e il cervello mi si annebbiava.
Non potevo essermi preso una cotta per Janelle ma aveva quel sorriso bellissimo e gli occhi dolci… e allo stesso tempo mi dispiaceva vederla litigare con Chris, loro erano la coppia del nostro gruppo e se si lasciavano avremmo perso quasi sicuramente uno dei due.
Il pensiero di perdere un amico, uno dei pochi che ho mai avuto, mi faceva male e avevo bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Scott, perché so quanto lo metta in difficoltà mantenere certi segreti,  di quanto mi sembrasse sbagliato provare qualcosa di indefinito per la ragazza di un mio amico che avrei perso se l’avesse scoperto. E poi, ovviamente, c’era Fiona William che era la donna più bella e più gentile di questo mondo e per la quale avevo una cotta ancora più potente che per Jan.
Decisamente non potevo parlarne con Scott e non volevo stare male, non come lo ero stato nei mesi scorsi. Dovevo trovare una soluzione.





Angolo autrice
Ciao a tutti :)
Volevo parlarvi della prima parte di questo capitolo che per me è molto speciale.
Quando andavo al liceo ci fu un periodo, quasi tutta la terza liceo, in cui ero depressa e mi sentivo un po' come Joe. In realtà le cose che dice Joe sono le stesse che ho detto io quando la mia professoressa di lettere mi ha trovato nel bagno a piangere perchè appunto mi sentivo inutile, e le cose che dice il professor Whang sono le stesse che lei ha detto a me. E quindi, niente, sono molto legata a questi personaggi e a quello che provano. Diciamo che la prima parte è servita principalmente a me, come sfogo liberatorio per come mi sentivo a quei tempi. 
E dedico questo capitolo alla mia professoressa di lettere, che probabilmente non sa neanche che scrivo, ma per me lei era la professoressa più brava dell'intera scuola e con le parole che mi ha detto mi ha aiutato molto.
Un bacio e a mercoledì prossimo con il nuovo capitolo :)

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Capitolo 11
*** Ribellione ***


Entrato in aula abbassai la testa per non incrociare lo sguardo del professor Whang. Dopo quello che mi aveva detto solo qualche giorno fa non volevo che notasse che ancora stavo male. Quando mi chiese come stavo gli risposi con un sorriso ma dentro pensavo -non posso fargli vedere che quello che mi ha detto è stato inutile, deve pensare che vada tutto bene. Va tutto bene Joe. Tutto bene.- quando invece tutto crollava.
Certo averne parlato mi faceva stare un po’, ma solo un po’, meglio. Dovevo ancora risolvere la questione di Jan, non potevo veramente essermi preso una cotta per una mia amica; e non potevo essermi preso una cotta per la mamma del mio migliore amico!
Mi sedetti al banco accanto a Scott e il professore, dopo aver aspettato alcuni minuti, cominciò la lezione; ci riconsegnò le verifiche “a sorpresa” nella quale avevo preso una B+ notando così che le parole che mi erano state dette avevano funzionato, mi stavo riprendendo. Scotty aveva preso una B- ed era tutto felice.
Non gli piaceva studiare, l’aveva sempre ammesso. Quello che gli piaceva fare era nuotare e guardare le partite di qualsiasi sport.
Guardai il mio compito cercando di capire gli errori commessi che non erano altro che errori di distrazione dovuti al vortice di problemi che mi affliggevano. Scott gongolava per il suo voto e sorrisi nel vederlo vantarsi di aver presto una B-, aveva già dimenticato di essere stato ‘scaricato’ da una ragazza omosessuale del quale era perdutamente innamorato.
Tirai fuori dalla tasca laterale della cartella un’agendina e ne strappai una pagina, scrissi alcune parole e passai il bigliettino a Scott
-Hai poi risolto quella cosa con tuo padre e tua madre?- Scott lesse velocemente e scrisse con un pastello azzurro, mi ripassò il foglietto
-Sì, ci vediamo a NY il 23 pomeriggio io e lui, a mamma va bene anche se non lo vuole vedere.-  non riuscii neanche a rispondere che mi strappò il biglietto di mano e poi me lo ripassò dopo aver aggiunto una frase –Il 24 parto per andare dai miei nonni, vuoi venire anche tu, so che non è andata bene l’anno scorso da te…- sorrisi e gli risposi che ne avrei parlato ai miei
Il professor Whang si alzò e schiarendosi la voce ci richiamò tutti all’attenzione
“Perché non iniziamo con qualcosa di divertente oggi,” tutta la classe lo guardò perplessa “non ho voglia di spiegare né tanto meno di interrogare. Mancano quattro giorni all’inizio delle vacanze invernali e visto che la valutazione che avete appena ricevuto sul vostro compito comparirà sulla vostra pagella di metà anno… che ne dite di un gioco?”
Un ragazzo in fondo  all’aula alzò la mano, non l’avevo mai visto, tutti ci voltammo a guardarlo
“Di che gioco si tratta?” aveva una voce flebile e quasi inesistente
Era magrolino e con una carnagione scura, indossava una giacca borgogna e un paio di jeans stretti, le creepers nere a suola alta. I capelli erano bruni e legati in piccole e strette treccine, notai dopo che la maglietta che indossava cadeva stranamente su petto… quelli nascosti là sotto erano seni?!
Io e Scott ci guardammo perplessi e la ragazza, perché a questo punto era una ragazza, ci sorrise e ripetè la sua domanda, il professore ci parve confuso
“Si, tu saresti?” non l’aveva notata neanche lui eppure era lì dall’inizio della lezione
La ragazza sorrise e un po’ in imbarazzo si presentò
“Sono AnaClaudia Perez, mi sono appena trasferita dal Brasile.” Ancora quella voce sottile ma per niente fastidiosa
Whang sfogliò il registro e controllò un paio di cose
“Ah sì, vero. Perdonami, mi sono dimenticato di presentarti.” Le sorrise “Allora ragazzi, lei è AnaClaudia, viene dal Brasile, si è trasferita qui con la sua famiglia e sarà una vostra compagna a partire dal prossimo semestre.” Poi si rivolse solo a lei “Credo che la tua vecchia scuola abbia mandato le tue valutazioni per questo semestre, nel caso non fosse così ti farò qualche domanda e ti valuterò io stesso.”
AnaClaudia annuì e Whang riprese il suo gioco, dovevamo semplicemente collegare date storiche a eventi che lui ci avrebbe chiesto e sembrava che la nuova ragazza non fosse interessata.
Scott mi diede una gomitata e mi fece un cenno, entrambi comparimmo al fianco della ragazza che ci guardò decisamente preoccupata
“Ciao.” Ci disse abbozzando un sorriso
“Scott.” Si indicò il biondo “E Joe.” Indicò me, feci un cenno con la mano “Come va?”
Aveva un aspetto androgino e credo che quasi tutti l’avessero scambiata per un ragazzo
“Bene, grazie. Qua su fa molto più freddo di quanto potessi immaginare.” Incrociò le braccia sul petto, si capiva dall’accento che proveniva dal Sud America
“Da quanto sei arrivata?” chiesi abbassando la voce per non farmi sentire dall’insegnante che sgridava Genevieve perché non ricordava neanche una data
“Da tre giorni, potevo iniziare a Gennaio ma volevo vedere com’era qua.” rispose gentile
Scott guardò il professore e si abbassò appoggiando il mento sul banco
“Come mai ti sei trasferita?” chiese
“Per lavoro di mio padre, fa il diplomatico e gli hanno offerto un lavoro a New York, per tranquillità abbiamo preso casa in Connecticut e quindi sono qui, non volevo più frequentare scuole private. Sono piene di stronzi.” Sorrise prima me e poi a Scott “Vi state chiedendo perché mi vesti così, vero?”
Nessuno di noi rispose e rimanemmo in un imbarazzante silenzio, quando il professore ci fece una domanda
“Joe! Battaglia di Little Big Horne?”
“1878?” chiesi in risposta
“NO!” gridò fintamente arrabbiato “1876 è la risposta giusta.” Mi guardò con finto disappunto e andò avanti
AnaClaudia soffocò una risata
“Non sono lesbica, e non mi vesto un po’ maschile perché voglio essere un uomo ma perché odio profondamente i vestiti da donna e gli improponibili stereotipi che vedono coinvolte il sesso femminile.” Ci spiegò
Nella mia mente pulsava un unico grande –COSA-, non avevo capito fino in fondo quello che pensava.
Al cambio dell’ora le chiedemmo se voleva stare con noi a pranzo e le avremmo presentato i nostri due amici, ci seguì e le mostrammo la scuola, ci fece qualche domanda e non potei non notare che alcune ragazze la prendevano fortemente in giro ma lei, elegantemente, non ci faceva caso.
Nel locale della mensa notammo Chris che discuteva animatamente con Jan, erano in disparte e poi lui la lasciò sola venendo nella nostra direzione. Mi sentii un po’ felice per quella litigata e sentii una parte della mia anima diventare oscura. Giuro che non sono una cattiva persona ma Janelle mi piaceva e se succedeva qualcosa per far sì che io avessi una possibilità, mi sentivo un po’ felice.
Vidi Janelle andarsene stizzita e Chris si avvicinò a noi
“Ciao ragazzi.” Osservò AnaClaudia “Ciao.” Disse distaccato
“Lei è AnaClaudia, viene dal Brasile.” La presentai
Chris la guardò e fece un cenno di saluto col capo
“Cos’è successo?” chiese Scott
Sospirò stanco di quella situazione con la sua ragazza
“Non lo so, le ho detto che ci sarà uno stage per il college e lei si è arrabbiata perché non vuole che ci vada. È pazza quella ragazza!” sbuffò e guardò verso la direzione di dove pochi minuti prima avevano litigato “Perché fa così?” ma nessuno aveva la risposta “Andiamo a mangiare qualcosa?” e andammo a prendere il vassoio
Verso la fine del pranzo notai una infuriata Janelle entrare dalla porta principale e a grandi passi venire verso di noi, Chris alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Jan sbattè i palmi delle mani sul tavolo e si piegò verso di lui
“Sei un bastardo! Te ne stai qua con i tuoi amici mentre io sono di là come una scema e penso di perdonarti ancora una volta. Sai cosa ti dico, vaffanculo!” gridò e tutta la mensa si voltò verso di noi
Noi del tavolo guardammo Jan, rossa dalla rabbia. Chris scosse la testa
“Va bene, vuoi mandarmi a fanculo? Fallo. Per quanto mi riguarda questa storia è durata fin troppo.” Aveva un tono di voce triste “Non riesci neanche a credermi e ti inventi un sacco di bugie per farmi sembrare quello cattivo, sono stanco di questi tuoi scatti.”
Su una guancia di Janelle scivolò una lacrima
“Okay.” E uscì di nuovo
“Cristo.” Mormorò Chris guardandola uscire, si alzò “Scusate.” La raggiunse e l’afferrò per il braccio e la baciò intensamente
Aggrottai la fronte guardandoli e mi chiedevo perché a me fosse precluso quel bacio dalle labbra di quella ragazza.
Mi misi a giocare con la paste nel vassoio e a rimuginare su cosa mi stava succedendo e su quello che provavo. Sentii delle risate gracchiate e vidi Luca Lockart e un gruppo di suoi amici sedersi al nostro tavolo, rise guardandomi
“Noto che vi siete fatti l’amica lesbica eh.” Disse rivolto a AnaClaudia
“Come scusa?” chiese lei sostenuta, ma Luca non le diede retta continuò invece a insultarci indiscriminatamente
Scott sopportò qualche insulto personale ma quando Luca fece notare volgarmente che sua madre era una bella donna, il biondo caricò sul bullo dandogli un pugno sul naso. AnaClaudia si allontanò di scatto mentre io fui travolto dalla rissa. Nessuno degli amici di Luca si aspettava una mia reazione ma in quel momento era più carico di adrenalina di chiunque altro e con una forza che non avrei mai immaginato di avere, risposi con un pugno sullo zigomo.
Potei notare che nessuno dei presenti interveniva, neanche le addette alla mensa e io e Scott eravamo gli unici in questa ribellione contro i bulli. Mai mi sarei sognato di riuscire a colpire un’altra persona ma riuscii a difendermi discretamente e a procurare qualche livido, l’unico ad agire fu Chris che cominciò a picchiare gli altri e ad aiutarci.
D’improvviso sentimmo la sirena dell’allarme anti-incendio echeggiare per tutta la sala e ci fermammo. Ero disteso a terra sotto il peso di un bullo e quando riuscii a vedere chi avesse fatto partire l’allarme, vidi sottosopra il preside dell’istituto in piedi vicino al pulsante rosso; ci guardava severamente
“Muovetevi, tutti e nove nel mio ufficio.” Tre di noi e quattro di loro
Sbuffai e spostai il peso del bullo da me.
Una ribellione finita male, ma almeno ora sapevano che non mi sarei fatto mettere i piedi in testa da nessuno di loro. Ora il problema era risolvere con il Preside prima che scoprissero qualcosa i miei genitori, o quelli di Chris, o la mamma si Scott. 

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