For the Future

di ScandalousLaRabiosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO: Escape. ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1: Grayson's Nightmares ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2: Logan's Guest. ***



Capitolo 1
*** PROLOGO: Escape. ***


Prologo.

Fuggi! Fuggi lontano finché non sarai al sicuro! E non tornare più indietro!

Le parole di sua madre continuavano a conficcarsi nel suo cuore come schegge.

Voleva tornare indietro. Doveva tornare indietro.

Ma non poteva.

L'attacco notturno a sorpresa li aveva costretti ad armarsi troppo velocemente, per essere davvero preparati.

Bambini e anziani rinchiusi al riparo alla bella e meglio nei sotterranei di tutta la struttura del reame. Donne e uomini pronti a fronteggiare la minaccia che incombeva su di loro da qualche mese.

Anche lei sarebbe dovuta essere li in mezzo, a difendere il suo regno e la sua gente con le unghie e con i denti, finché i suoi nemici non sarebbero stati costretti a staccarle la testa per poter raggiungere la vittoria.

Ma non aveva potuto. No, non le era stato permesso.

L'ultimo scontro aveva indebolito di molto le loro difese e i loro armamenti, mentre il nemico sembrava sempre più forte e pieno di reclute. E l'epidemia di quella malattia mortale e sconosciuta che li aveva presi alla sprovvista prima che tutta quella storia iniziasse aveva già dimezzato i loro uomini.

Per questo la loro ultima speranza era stata quella di metterla in salvo, così che magari un giorno avrebbe vendicato la sua gente.

Perché ormai era chiaro il fatto che sua madre l'avesse caricata su una navicella d'emergenza proprio per quel momento. Perché anche lei dubitava fortemente della loro vittoria. E voleva che almeno sua figlia fosse al sicuro.

Tutto il popolo lo voleva.

E ciò la faceva sentire inutile e impotente.

Una codarda.

Mentre tutti rischiavano la vita e combattevano per la libertà, lei era li, al sicuro e al caldo sul comodo sedile della sua navicella.

Una lacrima le rigò una guancia e le nocche le diventarono perlacee, a forza di stringersi intorno al volante per la rabbia.

Respirò profondamente.

No. Non era quello che stava facendo.

Non stava scappando.

Stava andando a cercare aiuto.

Perché era quello ciò che serviva loro più che in qualunque altra situazione.

La loro unica speranza era che lei trovasse qualcuno in grado di ribaltare le situazioni della guerra. Qualcuno che li avrebbe tratti tutti in salvo.

E quel qualcuno lei sapeva dove trovarlo.

Le storie che le aveva raccontato sua madre erano impresse a fuoco nella sua mente.

Le sue avventure e i suoi viaggi quando era una ragazza, il pianeta azzurro che aveva tanto amato, quei compagni forti e gentili al tempo stesso, quella strana lingua che adorava tanto al punto di avergliela insegnata anche a lei... Li avrebbe trovato l'aiuto necessario, ne era certa.

La luce elettrica di colpo si tinse di colore rossastri a intermittenza, mentre un rumore stridente iniziò a rimbalzare tra le pareti con tanta forza da farla sussultare: pericolo.

La stavano raggiungendo, avevano capito che una navicella aveva abbandonato l'atmosfera del campo di battaglia.

Lo schermo con su rappresentata l'area in cui si spostava la nave indicava che tre navicelle nemiche la stavano seguendo.

Oh no....

Si morse il labbro inferiore a sangue, invasa dalla collera.

Sforzi vani quelli di sua madre, se si sarebbe arresa in quel momento, o se si sarebbe lasciata catturare senza combattere.

Virò ad est, azionando la super velocità, diretta verso l'area costellata di asteroidi, ai limiti della galassia Mondret.

Non sapeva quanto quegli esseri fossero abili alla guida di astronavi, ma nessuna poteva batterla nello schivare asteroidi. E se fossero stati degli Holdaik inferiori sarebbe stato tutto ancora più semplice.

Passò a zig zag, ad avvitamento, a slalom il più velocemente possibile e con una precisione invidiabile.

Le navi faticarono a starle dietro, ma se la cavarono. Le serviva una tattica più elaborata per scappar dai suoi inseguitori o abbatterli.

Si sorprese nello scoprire che i suoi avversari avessero già messo in atto una tattica piuttosto efficace contro di lei, ancora prima che potesse ragionare.

La stavano inseguendo da tre lati differenti: uno a destra, uno a sinistra e uno dietro, fino ad accerchiarla, nel modo meno complesso possibile, là in mezzo.

Si stavano avvicinando veloci, doveva subito trovare una soluzione.

Peccato che non siano tanto svegli: una tattica tanto rischiosa in mezzo ad un'area costellata di asteroidi. Ad un tratto seppe cosa fare.

Spinse sull'acceleratore, costringendo i suoi nemici a venirle dietro più velocemente.

Le erano quasi addosso.

Ancora pochi metri e si sarebbe schiantata contro un asteroide delle dimensioni di un albero millenario.

Tenne i nervi saldi e si preparò al momento giusto.

Ancora un po', ancora un po'...

L'astronave che le stava dietro rallentò, ma non ci fece troppo caso, concentrata com'era a non perdere velocità e seguire il suo istinto di sopravvivenza.

Mancava quasi meno di un metro all'impatto con il meteorite, e altrettanto ci avrebbero messo i suoi avversari a finirle addosso.

Tirò con più forza che poté la leva per attivare i razzi inferiori, quelli di emergenza, facendo balzare la navicella in alto.

Le due navi nemiche si schiantarono contro l'asteroide, creando un'esplosione ed un boato da torcere le viscere, dandole ancora più spinta, facendola uscire dall'area di meteoriti.

Si prese un secondo per riprendere fiato e per farsi passare la pelle d'oca.

Uno scossone e l'accensione di una spia fecero passare rapidi quel momento, riportandola alla realtà: uno dei suoi inseguitori era ancora vivo, aveva capito prima la sua idea e si era fermato.

E ora l'aveva colpita.

Non aveva preso un punto essenziale, ma il non ripararlo al più presto avrebbe probabilmente peggiorato il danno. E se tirata fuori tutta la potenza della navicella, non ci avrebbe messo ancora molto a raggiungere il Pianeta Azzurro.

Doveva solo scrollarsi di dosso il suo inseguitore.

Spinse a tutta velocità, in modo di ridurre le distanze tra lei e la sua destinazione, sempre inseguita.

Più veloce andava, più accorciava la strada, più il danno si espandeva.

Il suo nemico sparò altri colpi e altri due andarono a segno.

Quando fu entrata nella Via Lattea, un altro colpo aveva colpito il serbatoio e una parete tanto vicina alla sala comandi da farla quasi cadere dal sedile.

In poco tempo un punto in fondo alla sala prese fuoco.

Iniziò a tossire per il fumo che pian piano le consumava l'aria dei polmoni.

Non poteva arrendersi così, non poteva mollare proprio in quel momento lasciare anche solo che quello tornasse indietro a riferire ai piani superiori che fosse riuscita a scappare...

Con una mano si parò le vie respiratorie e con l'altra premette il pulsante per l'apertura dello sportello.

Sua madre non aveva mai voluto che lo facesse, non aveva mai voluto che la sua innocenza venisse macchiata, specialmente alla tenera età di quattordici anni.

Ma aveva passato gli ultimi mesi dentro una guerra, in molti avevano tentato di ucciderla.

In una guerra, o mangi o vieni mangiato.

Questo era stato il modo più rapido per spiegarle in cosa consisteva una guerra, quando lo aveva chiesto a suo padre quando era ancora in tenera età.

E quelle parole non l'avevano mai abbandonata, specialmente nell'ultimo periodo.

Si lanciò fuori dallo sportello, assaporando l'aria irrespirabile per quasi qualsiasi altro essere che non fosse stato della sua razza, quando per lei non rappresentava affatto una minaccia.

Sentì la collera montarle, facendole ribollire il sangue in tutto il corpo, quando vide la nave simile ad un aereoplanino di carta dai riflessi bluastri su superficie nera di grandi dimensioni.

Gli occhi le bruciarono e sapeva che da fuori dovevano essere diventati della tonalità verde smeraldo quasi luminoso.

Si schiantò contro la facciata con tutta la sua forza e tirò un pugno ben assestato, finchè non sentì tutti i circuiti, i fili, i bulloni attorcigliarsi intorno alle dita.

Li afferrò tutto insieme, li strinse nel pugno e tirò con tutta la forza che la collera e la disperazione potevano offrirle.

Con essi venne via anche uno strano componente che, viste le dimensioni e il numero di cavi a cui era collegato, doveva essere parecchio importante.

Quella parte esplose con un boato sinistro e abbastanza soddisfacente. L'ira la stava pervadendo e corrodendo come una droga. E ciò le piaceva.

Niente morte. Troppo rapido. Deve sputare tutta la verità e le informazioni sull'esercito. Tutto quanto. Numero dell'esercito, armi, chi comanda le file...

Sul dorso vi era un vetro circolare, dove vi era la sala comandi.

Lo sfondò con un pugno, mandandolo in frantumi.

La creatura inferiore, che di umano aveva ben poco le saltò addosso con un balzo così veloce che la prese alla sprovvista.

Una mano artigliata le prese in una morsa d'acciaio la spalla destra.

Una fitta di dolore lancinante le mozzò il respiro, propagandosi per tutto il braccio.

Subito dopo, con l'altra mano le colpì il lato sinistro del viso. L'orecchio prese a fischiarle, la tempia e lo zigomo a sanguinare e macchie nere iniziarono a offuscarle la vista.

Non doveva svenire, sennò sarebbe stata la fine di tutte le sue speranze.

L'essere si riabbattè su di lei, tentando di colpirla di nuovo con la mano.

Precedette la mossa e afferrò il braccio peloso del suo avversario con tanta forza da sentire l'osso sotto scricchiolare.

Hanno ucciso gran parte della tua gente, hanno mandato in guerra il tuo regno pieno di pace, ora tua madre potrebbe morire alle prime luci dell'alba. Non merita la pietà. Non la merita. Ma può ancora tornarti utile... continuava a ripeterle la voce dell'ira nella sua testa.

Il suo nemico lanciò un urlo tanto acuto e graffiante da farla rabbrividire, mentre gli rompeva l'osso.

Prima di iniziare a rompergli ogni singolo osso con tutta la sadicità possibile, trovò un barlume di ragione che la costrinse a lasciarlo in vita, facendolo solo svenire con un colpo ben assestato alla nuca, eseguibile anche da un infante. Se avesse usato i dardi, probabilmente sarebbe morto sul colpo.

Lanciò il corpo privo di sensi senza troppe cerimonie dentro la sua navicella, quasi divorata dalle fiamme.

Devo arrivare su quel pianeta a qualunque costo.

Entrò anche lei, rimettendosi ai comandi, combattendo contro il dolore paralizzante alla spalla, i giramenti di testa e la mancanza d'aria dovuta dal troppo fumo.

Sarebbe bastato poco per farla svenire.

La nave rispose ai suoi comandi fino all'atmosfera terrestre, dove iniziò a perdere potenza e anche il controllo.

Tossì un paio di volte, cercando in tutti i modi di far atterrare la navicella, senza che il pannello di controllo, i pulsanti e ogni più insignificante bullone facesse i capricci perchè quasi fusi dal fuoco o carbonizzati dai colpi nemici.

Cercò di non perdere la calma, di impostare le coordinate per l'atterraggio nella città di Jump City senza troppe difficoltà e soprattutto senza perdere i sensi. Aveva perso troppo sangue.

Miracolosamente, le coordinate furono impostate, ma il far partire la navicella da dove aveva sostato non fu possibile. I danni si erano estesi troppo.

Prese respiri più profondi che i suoi polmoni riuscivano ad accogliere, asciugandosi il sangue dalla fronte che si stava coagulando.

Se non sarebbe morta per le ferite, ci avrebbe pensato l'intossicazione per mancanza d'aria.

E forse fu proprio ciò che fece, quando iniziò a sentire le palpebre pesanti e le membra sempre più intorpidite. La sua volontà si spense poco a poco.

Ad occhi chiusi il cadere dal sedile le sembrò essere inchiodata per terra da una montagna, mentre un nuovo dolore secco le rimbombava a partire dalla nuca su per tutta la scatola cranica.

Solo due cose le furono chiare: la nave sarebbe precipitata di li a poco e probabilmente non sarebbe più tornata trionfante sul suo pianete.

Il resto, poi, venne avvolto dalle tenebre più buie.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1: Grayson's Nightmares ***


1.

-Para!

Un altro colpo riecheggiò nella palestra, un altro bastone di legno fendette l'aria e sempre quel bastone andò a cozzare contro un suo gemello.

Kureha fece una rapida capriola indietro per riacquistare le distanze, ma sapeva che le sarebbe costata: per questo pagò quando, senza lasciarla respirare un secondo, venne colpita da un calcio in piena anca, tanto forte da toglierle il fiato.

E non aveva usato tutta la sua potenza, altrimenti le avrebbe spaccato quasi tutte le ossa del bacino e ora non sarebbe più riuscita a camminare.

-Attenta a quando cerchi di prendere le distanze: alcuni nemici non ti faranno fare così con comodo.

Kureha annuì piano e si lanciò all'attacco, cercando di mandare a segno almeno un colpo con il bastone da combattimento.

Cercò di mettere in atto la tecnica che le aveva insegnato suo padre di continuare a dare colpi veloci e più precisi possibile di seguito, in modo di stancare l'avversario e colpirlo il più forte possibile in un punto vitale.

Una tecnica che funzionava spesso, se si conoscevano le arti marziali e le tecniche con il bastone.

Le probabilità precipitavano quando il tuo avversario era quel padre che te le aveva insegnate.

Si ritrovò con il bastone spezzato in due da un colpo da maestro che le avrebbe fatto molto male, se non si fosse riparata con qualcosa.

Lanciò all'indietro l'arma tranciata. Non essendo quello speciale allungabile, fabbricato direttamente da suo padre, quello non si sarebbe potuto rigenerare.

-Occhio alle mosse a mani nude contro un nemico armato.- le disse pochi millesimi di secondo prima di iniziare ad attaccarla ripetutamente con le due estremità del bastone.

Ricacciò l'impulso di lamentarsi per il dolore delle parate con il dorso delle mani e con le braccia, e soprattutto di non toccarsi i punti dove i colpi erano andati a segno.

Riuscì a bloccare l'arma con la mossa che gli aveva insegnato qualche mese prima. Ma lui la conosceva troppo bene, e riuscì ad anticiparla.

In due secondi si ritrovò di spalle al suo avversario, con il bastone da combattimento schiacciato sulla trachea e bloccata in mezzo alle sue braccia.

-Non cercare di liberarti del bastone, non lasciare prevalere l'istinto di sopravvivenza. Ricorda ciò che ti ho insegnato.- le sussurrò all'orecchio, mentre la pressione dell'arma sul suo collo diventava troppo fastidiosa per essere ignorata.

Sapeva che non sarebbe mai arrivato ad ucciderla, però un lieve panico iniziò a pervaderla, mentre cercò di ricordare la mossa.

Provò a farla reagire più velocemente, dando un particolare strattone con il bastone, con unico risultato quello di farle dare un colpo di tosse e di farle liberare la sua energia: l'arma venne spezzata in due di netto da un lampo nero, facendo scivolare la ragazza fuori dalla sua presa.

Kureha approfittò dell'attimo di sorpresa del padre.

Poggiò le mani a terra e si diede la spinta necessaria per intercettare il suo avversario con i piedi.

Riuscì a colpirlo sullo sterno abbastanza forte da farlo indietreggiare.

Con una rapida rovesciata su se stessa si rimise in posizione di difesa, non perdendo d'occhio il suo avversario, stringendo i denti quando il fianco dolorante prese a pulsarle.

Cercò di regolarizzare il respiro, non dando a vedere che avesse già il fiato corto.

L'uomo era davanti a lei, fermo, mani lungo i fianchi con ancora i resti del bastone tra le mani.

Le sue labbra si piegarono lievemente all'insù.

-Un colpo a segno. Direi che per stamattina può bastare.- dichiarò infine, andando a buttare i due bastoni in un cesto vicino alla porta.

Kureha si lasciò cadere a terra, fissando il soffitto alto della palestra e prendendo respiri profondi, iniziando a sentire pulsare e bruciare tutti i punti dove probabilmente quella sera si sarebbe trovata nuovi e numerosi lividi, specialmente mani e anca.

Suo padre tornò a porgerle la mano per farla alzare.

Lei accettò volentieri e, quando si trovò in piedi, accettò anche l'asciugamano e la bottiglietta d'acqua, fermandosi però prima a contare mentalmente per reprimere il gemito che le stava per salire per colpa dell'anca. Okay, non sarebbe riuscita a camminare comunque e probabilmente avrebbe avuto il fianco gonfio per due settimane.

-Te la sei cavata bene. Molti miglioramenti già solo da ieri!- si complimentò mentre presero a salire le scale.

La ragazza storse il naso, versandosi dell'acqua sulla testa accaldata.

-Ho liberato i miei poteri senza volerlo. Non va affatto bene. Devo riuscire a liberarmi e vincere un combattimento senza fare ricorso alla mia energia.- obbiettò.

-Quei poteri fanno parte di te, Rea, non avrebbe senso rifiutarli.

-Io non li sto rifiutando: è solo che non mi va giù che li liberi senza volerlo. Quando mi alleno con te io devo solo contare sulle mie forze fisiche. Poi quando medito e mi alleno con la mamma la questione è ben diversa.

Suo padre le passò un braccio intorno alle spalle, per quanto sapesse che la figlia lo odiasse quando era tanto sudata e la maglietta le si appiccicava alla pelle.

-Anche su questo hai ragione.

Passarono per un corridoio dei primi piani, dove alla parete vi era appeso un orologio.

Le lancette segnavano le nove e dieci del mattino. Si erano allenati per più di tre ore di fila.

-La mamma sarà già sveglia, secondo te?- chiese lei, prendendo a strofinarsi con energia l'asciugamano sui capelli scompigliati. Odiava il fatto che fossero lisci come quelli di sua madre e sottili come quelli del padre: al minimo aumento di umidità, a quel poco di sudorazione in più e anche solo ad una bella dormita, le si arruffavano in testa come un cespuglio. Forse il problema si sarebbe potuto aggiustare facendoseli crescere, ma proprio i capelli lunghi non poteva sopportarli.

-Solo se si è messa in testa di preparare la colazione...- sospirò, facendo ridacchiare sua figlia.

 

-Azarath, Metrion, Zintos... Azarath, Metrion, Zintos...

Il mondo intorno a se perse i contorni, quando iniziò a recitare il suo continuo mantra che, praticamente sin dalla culla, non aveva fatto altro che ripetere per le cose basilari, come trovare la pace interiore, tenere sotto controllo le proprie emozioni, imparare a controllare i suoi poteri...

Meditare ogni giorno con quelle tre semplici parole era diventato essenziale ormai come respirare o mangiare, una cosa così radicata in se che non avrebbe potuto lasciar perdere.

Le cose cambiavano, ma non queste sue abitudini.

E forse era un bene che almeno quell'esercizio fosse rimasto immutato, perché tutto si era trasformato, era diventato differente troppo velocemente.

I suoi amici, la sua casa, il loro destino, la sua famiglia... Come avrebbe potuto sopportare tutto ciò senza liberare tutto il suo più oscuro potere, se non avesse avuto la meditazione?

-Az...- le parole le si strozzarono in gola, mentre un altro possente calcio proveniente dal suo ventre la fece piegare in avanti con un sussulto.

Si, la meditazione l'aveva anche fatta sopravvivere a quello e ai continui sbalzi d'umore ormonali che ne seguivano. Ma ormai, a quel punto, tutto era diventato più sopportabile.

Le porte automatiche della sala si aprirono con un lieve ronzio, segno che sua figlia e suo marito avessero finito gli allenamenti.

-Buongiorno! Già in piedi a quest'ora?- esordì suo marito con la sua solita voce allegra. Un tono che nemmeno un allenamento iniziato alle prime luci dell'alba avrebbero potuto strappargli.

Smise di levitare, tornando a poggiare i piedi per terra, pronta ad una nuova mattinata in famiglia.

Voltò le spalle alle vetrate che davano come vista la distesa marina azzurra, con unico confine solo i palazzi di Jump City, quel paesaggio che aveva sempre ammirato dalla sala di ritrovo di quella torre, quando al tempo erano ancora i Teen Titans.

-Non ho dormito benissimo, stanotte.- guardò Kureha- Tuo fratello, o tua sorella, era molto agitato stanotte. Non la smetteva di scalciare.

Ebbe giusto il tempo di finire la frase che sussultò un'altra volta, per un nuovo calcio.

-E poi ne ho approfittato per prepararvi la colazione.- disse con un lieve sorriso.

I due si congelarono li sulla soglia, quasi fossero stati pietrificati da Medusa, lanciandosi solo uno sguardo preoccupato molto significativo, che non le sfuggì.

-Ho fatto le frittelle. Sono comprate ed erano solo da far saltare. Manca solo il condimento.- aggiunse secca, indicando tre piatti sul tavolo con sopra diverse frittelle, intorno tutti i barattoli possibili di marmellata, zucchero e tutti i tipi di condimento per frittelle che l'uomo conoscesse.

Padre e figlia si rilassarono un po', lanciando un lieve sospiro di sollievo: la possibilità di essere avvelenati di prima mattina quando la donna di casa si metteva ai fornelli era molto alta, e sembrava che questa volta il pericolo fosse scampato.

Si sedettero tutti insieme a fare colazione, mentre i raggi caldi del sole filtravano dall'ampia vetrata della sala di ritrovo della T Tower.

 

Kureha lanciò un sonoro sbadiglio, mentre si versava del succo d'arancia nel bicchiere.

-E' strettamente necessario allenarsi all'alba? Perché anche non solo alle otto?- chiese sua madre fissando il marito.

Per suo padre era sempre stata un'abitudine svegliarsi alle prime luci dell'alba per gli allenamenti, una delle tante che aveva passato anche a lei.

Si sarebbe sempre svegliata a quell'ora, ma purtroppo durante il periodo scolastico sua madre glielo proibiva, concedendole solo una corsetta mattutina. Un altro motivo per cui amava le vacanze: poteva svegliarsi presto e allenarsi con suo padre.

-E poi vedo che adori come sempre suonare tua figlia come se non ci fosse un domani.- commentò acida, osservando i numerosi segni viola che avevano iniziato a spuntarle su braccia e mani e un livido bluastro grande quanto un piattino da tazza poco sotto il gomito i Kureha.

E non ha ancora visto il mio fianco... pensò mordendosi il labbro, certa che suo padre non l'avrebbe passata così liscia, se poi si prendeva in considerazione il fatto che le rendeva difficile camminare.

Tuttavia suo padre non perse la calma e rispose nel modo più naturale possibile.

-Tesoro, sono allenamenti, e non per una partita a golf. Rea deve imparare e, per farlo, devo insegnarli le cose il più seriamente possibile.- riuscì anche a concludere con un sorriso, quello che aveva fatto cadere tutte le ragazze almeno una volta ai suoi piedi.

-Anche perchè se mi avessi allenato come una femminuccia dopo che ti ho chiesto esplicitamente “Allenami come hai allenato mio fratello”, non ti avrei rivolto più la parola.- borbottò versando dello sciroppo d'acero sulle sue frittelle.

Durante quelle discussioni fra i suoi non aveva mai avuto tanta voce in capitolo, e nonostante avesse cercato di difendere suo padre innumerevoli volte, sua madre continuava a preoccuparsi e a riprendere il marito. Forse era la gravidanza ad averla resa così prolissa?

Okay, forse no, perchè era da quando aveva sei anni che aveva preso ad allenarsi. Però solo negli ultimi anni suo padre aveva preso a pestarla seriamente.

La donna sospirò, massaggiandosi le tempie, mentre il suo bicchiere si riempiva di piccole crepe. Stava liberando dell'energia.

-Tutto a posto?- chiese suo padre con un tono dolce particolare, che usava solo con lei, mentre le sfiorava un polso.

La posa della donna si rilassò leggermente, e si girò a fissare il marito.

-Si, purtroppo la gravidanza mi scombussola i nervi ed è già tanto se non provoco un terremoto...- disse con tono flebile.

E poi accadde, come quasi sempre, d'altronde, che i suoi genitori si persero negli occhi l'uno dell'altra, nonostante capitasse loro ormai da anni. Ma se era un amore profondo come il loro, non ci si poteva fare niente, neanche con il tempo. Il viola degli occhi di lei si perdevano in quelli azzurri di lui, di quella tonalità di celeste così profonda da far sembrare le sue iridi due zaffiri. Un azzurro che lei tanto amava, e che aveva ereditato anche Kureha.

I suoi genitori erano molto diversi sotto quasi tutti gli aspetti, caratteriali e fisici, eppure erano una coppia affiatatissima, nonostante gli anni e tutte le differenze. Nessuno in tutta Jump City li avrebbe mai visti insieme. Anzi, lei avrebbe detto “Nessuno in tutta la loro squadra su scala mondiale”, perché le riusciva ancora difficile credere che ai media, ma anche solo alla gente comune della loro città, importasse qualcosa dei suoi genitori.

A differenza degli altri, lei vedeva suo padre e sua madre semplicemente come Dick Grayson e Rachel Roth, non di certo come Robin e Raven dei famosissimi Teen Titans, i quali erano stati tempo addietro.

L'unica cosa che al massimo poteva essere suo padre, era Nightwing, supereroe solitario che ogni tanto, quando non vi era in giro la nuova squadra o questa non era in un posto distante, si occupava lui di cattivi e pazzi vari, tenendo comunque alta la sua fama.

Per Kureha non aveva molto senso portare la maschera, perchè tanto tutti ormai sapevano chi si celasse dietro, tanto che ormai anche lei a scuola ogni tanto la etichettavano come “Grayson, la figlia dei due Titans”.

Sua madre, invece, si teneva in esercizio e continuava a tenere sotto controllo il proprio potere, ma la carriera da supereroe l'aveva abbandonata definitivamente e dava una mano solo in caso di estrema emergenza.

E un po' era anche perché il suo desiderio segreto di diventare madre si era avverato per due volte, e tra qualche mese si sarebbe riavverato una terza. Non si sapeva se sarebbe stato un maschio o una femmina, questa volta i coniugi Grayson avevano deciso di tenersi la sorpresa.

E poi vi era il primogenito di casa: Kyle Grayson, diciotto anni, alto, di bell'aspetto, capelli neri e occhi cerulei ereditati come la sorellina dal padre, fisico asciutto, abilissimo nelle arti marziali, ragazzo meraviglia di Jump City, esattamente come il padre prima di lui... Ed era anche a capo del nuovo team di di Titans, composto dalla nuova generazione, ovvero gran parte dei figli dei precedenti eroi, quasi tutti sui diciotto anni.

La squadra principale viveva anche nella T Tower di Jump City, ma quando erano via per missioni o vacanze, normalmente si stanziavano li zio Cyborg e la sua famiglia.

In quel caso la squadra era alle Hawaii per sconfiggere un nemico dell'Isola di Pasqua capace di creare devastanti tsunami, e se ne stava anche approfittando per fare una piccola vacanza.

In più, tutta l'estate, i nuovi Titans giravano il mondo in cerca di nuove reclute, dando una mano dove ne avevano la possibilità e Cyborg e la famiglia passavano le vacanze alla East Tower, quindi, per esclusione, nelle vacanze estive la torre diventava di proprietà della famiglia Grayson e la città veniva tenuta d'occhio da Nightwing e da dei suoi vecchi compagni.

E un giorno non molto lontano ci sarò anche io ad occuparmi dei malvagi di questa città. Pensò stringendo i pugni.

Una musica molto lugubre distrasse i Grayson da ciò che stavano facendo.

Con un gesto della mano, Raven richiamò a se il cellulare, che arrivò da un punto in direzione del divano.

-Pronto? Beast Boy, abbiamo ancora i comunicatori, perché mi devi chiamare ogni volta sul cellula...- bloccò la frase a metà.- Di che si tratta? Lo sai che non vengo fin lì da te per curare cose banali come un raffreddore. ...Una ragazza caduta dal cielo? Credi che...? ...E' tanto grave?...- sospirò:- Arrivo il prima possibile. A dopo.

Buttò giù.

-Zio Garfield?- chiese Kureha bevendo un altro po' di succo d'arancia.

-Già, pare che servano i miei poteri medici, per una situazione molto.. curiosa e singolare.- rispose la madre alzandosi e attirando a se una giacca nera la sua borsa.

-E' successo qualcosa di grave?- chiese subito preoccupato suo padre, scattando in piedi.

-Sembra niente che possa minacciare la Terra, ma che comunque va preso in considerazione: una ragazza aliena è precipitata nei pressi della casa su a Gotham Hill di Beast Boy e sua figlia. È ferita molto gravemente e c'è bisogno del mio intervento per evitare il peggio.- si diresse verso la porta della sala, per poi voltarsi verso suo marito e sua figlia.

-E cosa più interessante, sembra che sia di Tamaran.- guardò sua figlia:-Rea, fai gli esercizi senza di me, ci vediamo dopo.

Uscì dalla sala senza lasciare il tempo a padre e figlia di replicare.

Sarebbe volentieri andata con sua madre, anche giusto per rivedere Reila, oltre per il caso della ragazza, ma quando usava quel tono, era meglio non smorzare l'autorità della donna.

Suo padre era rimasto con i muscoli tesi e gli occhi spalancati, all'ultima notizia.

-Tamaran... è un pianeta?- chiese infine, mandando giù l'ultimo boccone delle sue frittelle.

-Si. Da esso veniva una nostra compagna, che ora è tornata laggiù per regnare.- rispose infine lui, tornando a sedersi.- Per questo la questione è così urgente. Perché mai un'altra tamariana sarebbe dovuta arrivare sulla Terra, per giunta ferita?

Kureha si accigliò, pensandoci effettivamente su.

-Vorresti dire che la Terra potrebbe essere in pericolo? Che la ragazza sia stata attaccata da qualche essere alieno nei pressi del nostro pianeta?

-Beh, non giungo a conclusioni affrettate, ma è proprio così che abbiamo conosciuto la nostra compagna la prima volta.

-Siete stati attaccati dagli alieni?

-Non proprio: lei era inseguita da un plotone alieno, non so esattamente per quale scopo. Era riuscita a scappare dalla loro prigionia e si era rifugiata qui. Non avrebbero fatto del male a nessuno, se non avessimo intralciato le loro ricerche e difeso la loro preda. E devo dire che come collaborazione per evitare la distruzione della Terra non è stata delle migliori: una testona che non voleva collaborare e fare tutto da sola, facendo la scontrosa... Anche se devo ammettere che è stato proprio merito del suo arrivo sulla Terra se io ho conosciuto tua madre e i tuoi zii: da allora abbiamo formato i Teen Titans e combattuto contro il male.

Kureha rimase affascinata ad ascoltare il racconto di suo padre, giocherellando con una forchetta.

Amava quando i suoi le raccontavano le loro avventure, i nemici che avevano sconfitto più volte, come si erano conosciuti con altri eroi che poi erano entrati a far parte dei Titans... ma non ricordava questo racconto dove si era conosciuto con zio Garfield, zio Victor e la mamma.

Ma della loro quinta compagna sapeva poco, nessuno amava particolarmente parlarne, per questo decise di cogliere la palla al balzo.

-Come si chiamava?

-Koriand'r.

-Eh?

L'uomo sorrise dolcemente:-Nella nostra lingua il suo nome significava “Starfire”.

 

-Azarath, Metrion, Zintos... Azarath, Metrion, Zintos... Azarath, Metrion, Zintos...

Trova il tuo centro, Rea, e spostalo a seconda di ciò che ti serve per davvero, le ripeteva spesso sua madre quando meditavano insieme e poi manifestavano i propri poteri.

Il cielo quel giorno era tinto di un bell'azzurro chiaro, quasi da fendere gli occhi, proprio il tempo che piaceva a Kureha per andare a meditare sulla piattaforma sopra il tetto della T Tower.

Un lieve venticello le faceva ondeggiare i capelli, solleticandole il volto e provocandole piccoli brividi lungo la schiena.

Dopo una bella doccia calda, lasciare che i capelli si asciugassero da soli al sole non era male, vista la temperatura, ma essendo ancora fresca dalla doccia aveva un po' freddo a stare lassù a maniche corte e con i capelli ancora umidi che pian piano si stavano asciugando.

Trovò il suo centro, che aveva sempre visto come un lontano punto di luce nell'oscurità, un punto molto caldo e rassicurante.

Lo spostò da dentro il suo corpo, fidandosi dei suoi sensi, senza neanche aprire gli occhi.

Poteva già immaginare di essere riuscita a sollevare e a far levitare diversi oggetti, di piccole e grandi dimensioni, presenti li intorno a lei.

Non basta, devo fare di meglio.

Spostò ancora il suo centro, senza lasciar andare però la presa su tutto ciò che era riuscita a prendere sulla piattaforma, questa volta volendo arrivare ancora più in basso.

Sentì il proprio centro allungarsi, raggiungere grandi dimensioni, ma non arrivò mai a prendere ciò che sperava.

Sbuffò, delusa.

Non riusciva ancora a controllare la propria energia così bene.

Poggiò delicatamente per terra tutti gli oggetti che aveva afferrato e smise anche lei di levitare, sedendosi sul bordo della piattaforma ad osservare la città all'orizzonte.

Era incredibile il numero di malvagi che avevano provato ad impossessarsene, di pazzi che avevano tentato di distruggerla e di tutti quegli uomini che avevano seminato il caos per le sue strade.

Eppure eccola ancora li: alta e splendente, piena di palazzi e gente felice.

Tutto questo per merito di mio padre e della sua squadra. Sono sempre stati pronti a vegliare sulla città, garantendone sempre la pace...

Per questo voleva farcela anche lei: non mancava molto al giorno in cui la responsabilità della salvaguardia di Jump City sarebbe passata a lei.

L'avevano protetta sua madre e suo padre, e ora la stava proteggendo suo fratello.

Per questo si stava allenando: per diventare una super eroina, degna erede della famiglia Grayson.

Kyle aveva abbandonato addirittura gli studi per dedicarsi a questa responsabilità.

Aveva iniziato a fare il supereroe un po' come tirocinante alla sua età, affiancando Nightwing. A sedici aveva iniziato a lavorare da solo come eroe, impegni della vita quotidiana permettendo e poi adesso, a diciotto anni, aveva abbandonato la scuola per salvare il mondo con la sua squadra.

Doveva iniziare anche lei, solo bruciando un po' le tappe rispetto a suo fratello, perché lei la sua squadra pronta ce l'aveva già.

Aveva sempre potuto contare sull'aiuto delle sue amiche del cuore: Reila, Kayla ed Angel.

Anche loro, come lei, erano figlie di ex Titans e condividevano il suo sogno di poter diventare un giorno una grande squadra di titane, superando i loro predecessori.

Certo, vista l'età i loro genitori davano a tutte delle limitazioni, giusto di occuparsi di qualche ladruncolo ogni tanto o di qualche teppista troppo pericoloso per la gente che girava loro intorno, e sapeva che anche Kyle avesse iniziato così, però per loro protestavano di più, forse perchè erano ragazze e non volevano che si occupassero di malvagi forti come un tempo erano stati Slade, Fratello Blood, la Brotherhood of Evil... quelli agli esperti.

Anche se, secondo Kureha, se non iniziavano a lanciarsi a quell'età in esperienze più pericolose, probabilmente non ce l'avrebbero mai fatta a diventare super eroi.

Suo padre era felice che lei volesse allenarsi così duramente e che dava risultati così presto, e fosse stato per lui l'avrebbe probabilmente già affiancata a Kyle e alla sua squadra come braccio destro, o anche a lui per le missioni in città, però c'era sempre l'autorità di sua madre, che preferiva che almeno la piccola di casa si godesse di più la sua vita da adolescente appena fatta.

Ma io non sono fatta per la vita da adolescente! È nel mio sangue la voglia di combattere. Io devo diventare forte, non riempirmi la testa di sciocchezze, almeno non finchè non avrò raggiunto il mio scopo...

-Ah,ecco dov'eri! Credevo fossi in camera tua ad esercitarti.

Suo padre le si sedette di fianco, guardando anche lui verso la città.

-Non mi piace stare in camera quando c'è un così bel tempo. È più bello esercitarsi all'aria aperta.

Kureha si tormentò una ciocca di capelli, guardando la Jump Tower, sicuramente anche quel giorno infestata dai turisti.

-Mamma non è ancora tornata?

Era da quasi due ore che sua madre era via. Ad arrivare a Gotham Hill ci voleva del tempo, ma volando si dimezzava. La conclusione più ovvia era che il problema fosse più grave del previsto.

-No: oltre alle ferite della ragazza, sembra che lei e Beast Boy stiano discutendo del da farsi, perché oltre a lei ci sono altri fatti piuttosto singolari.

-Di che genere?

-Mi ha detto che me ne avrebbe parlato quando sarebbe tornata a casa, perché per telefono era troppo lunga da spiegare.

Kureha rabbrividì, sentendosi per chissà quale ragione improvvisamente inquieta.

-Sta per succedere qualcosa di grande...- disse senza potersi fermare, quasi quelle parole avessero avuto anima propria.

Suo padre accennò un sorriso sulle labbra:-Se sei come tua madre, vuol dire che i tuoi presentimenti saranno quasi sempre fondati.

Sospirò:-Purtroppo non so cosa, di così grande...

-Beh, già il fatto che un'aliena sia atterrata dalle nostre parti si può dire una cosa grande, visto che è da una vita che non ho a che fare con un extraterrestre.

La ragazza inclinò la testa di lato e guardò suo padre con sguardo interrogativo.

-Un'aliena è appena entrata nell'atmosfera terrestre, non si sa da dove venga, ne quali siano le sue intenzioni, ne tanto meno se ciò da cui è stata attaccata possa nuocerci, e tu stai qui bello calmo, senza nemmeno interessarti di andarla a vedere? Non eri te il tanto famigerato leader dei Titans sempre in prima linea ad agire per qualunque anomalia?

L'uomo rise, passandosi una mano tra i capelli corvini.

-Beh, si può dire lo stesso di te. Non mi sembri tanto preoccupata.

-Vero.

-Comunque ho imparato tempo fa a non essere così impulsivo e maniaco del controllo, e soprattutto ho imparato a fidarmi dei miei compagni: se Beast Boy ha ritenuto necessario chiamare solo tua madre per un aiuto medico, beh, io rispetto la sua scelta.

A detta di sua madre, Dick Grayson era molto maturato con la nascita di Kyle, perdendo quel suo lato impulsivo che avevano preso sia lei che suo fratello.

-Perché continui a chiamare zio Garfield Beast Boy? Ormai anche lui ha abbandonato quel nome da tempo...

Suo padre sorrise.

-E' l'abitudine. L'abbiamo chiamato così per tanti anni... Te non chiameresti mai Kyle BlackSword, vero?

-Ovvio che no, è mio fratello! Mica lo chiamo con il suo nome da supereroe.

-Ecco, la nostra situazione è la stessa. Certo, anche se tua madre amava prenderlo in giro per il suo nome...

Kureha ridacchiò, conoscendo bene sua madre.

-Sto convincendo la mamma pian piano. Entro breve, probabilmente, potrebbe farti iniziare la carriera di braccio destro entro l'anno prossimo.- disse suo padre.

La ragazza si girò di scatto verso l'uomo, e dire che era sorpresa era un eufemismo!

-Sul serio?!- quasi non riusciva a contenere l'entusiasmo.

-Si, ma non ti prometto niente: potrebbe cambiare idea in un lampo. Bisogna procedere con la massima cautela con lei.

Kureha mise su un broncio molto simile a quello dei bambini ai quali era stato negato un gioco nuovo.

-Uffa! Anche Kyle ha iniziato la sua carriera a dodici anni! Di norma ciò che ha fatto un fratello maggiore ad una certa età viene concesso di farlo anche alla sorella minore!

-Non se tua madre si chiama Rachel Roth.- suo padre sospirò:-Rea, non lo fa per farti un dispetto: è solo che lei ha avuto un'infanzia difficile e un'adolescenza vissuta poco, dato che non ha mai potuto socializzare tanto, visti i suoi poteri, e poi ha anche iniziato a salvaguardare la Terra con noi. Lei vorrebbe che almeno tu vivessi una vita normale, come si addice a una qualsiasi ragazzina della tua età.

Kureha si sbilanciò indietro di proposito, fino a sdraiarsi sulla piattaforma, con il sole alto che le scaldava la pelle diafana, tirando un sonoro sbuffo.

-Ma il punto è proprio questo! Nessuno mi sta obbligando: io voglio diventare un'eroina di mia spontanea volontà. Anche se ciò un giorno dovesse rivelarsi un errore.

L'uomo che un tempo era stato Robin, e che per sua madre era ancora, le si sdraiò di fianco, con sorriso sul volto non ben decifrabile.

-Hai davvero dodici anni? Sei così saggia e responsabile...

-Ho solo una mentalità più adulta.- fece spallucce.

-E proprio perchè sei più adulta che dovresti darmi ascolto e smetterla con 'sta storia degli eroi.

Una voce alle loro spalle fin troppo familiare li fece subito schizzare a sedere.

Rachel era sospesa a mezz'aria dall'altra parte della terrazza, braccia conserte al petto e aria resa meno seria dal ventre rigonfio.

-Ehi, sei tornata!-esclamò Kureha felice, cercando di non chiedersi da quanto la donna stesse ascoltando e soprattutto se avesse sentito la parte dove suo padre cercava di addolcirla...

-Allora? Cos'è successo?- chiese suo padre avvicinandosi alla moglie.

-Beh, la prima parte già la sapete: la ragazza ferita sarebbe potuta morire, ma per fortuna Beast Boy mi ha chiamato in tempo. L'ho curata il più possibile, non so che conseguenze ci saranno per ciò che ne è rimasto sul suo corpo. Inoltre pare che con lei ci fosse anche il cadavere di uno strano alieno e una navicella sfasciata, quasi distrutta dalle fiamme.

Alle parole “cadavere” e “alieno”, la schiena di Kureha venne percossa da un brivido di emozione.

-E cosa avete deciso, alla fine?- chiese suo padre.

-Domani porteremo quel che resta della navicella a Cyborg, in modo che possa rimetterla a posto e così capire veramente se la ragazza sia una tamariana, anche se la risposta è più che palese. Non ho idea di quando possa svegliarsi, ma è meglio iniziare a muoverci da soli.

-E con l'alieno che farete?- chiese Kureha curiosa. Anche lei era una ragazzina, nonostante tutto, e cose di questo genere riuscivano ad emozionarla.

-Per ora si è deciso di nascondere il corpo. Ho fatto alcune foto, così possiamo confrontarlo con i file Titans delle nostre avventure nello Spazio.

-E che faremo con la ragazza aliena, una volta svegliata?- chiese Kureha, sempre più presa dal discorso.

-E' tutto da vedere in base alle sue intenzioni: le nostre azioni cambieranno in base ai suoi scopi.- rispose suo padre, riacquistando quell'aria da leader quale era stato un tempo, quella che Kureha aveva sempre cercato di immaginare nel suo volto ringiovanito e autoritario.

Sembrava che una vera ventata di novità fosse arrivata a Jump City.

 

Lo stava guidando da qualche parte, in un luogo lontano, lo sapeva. L'aveva sempre fatto, e lui l'aveva sempre assecondato.

Saltava da una roccia all'altra, in quella vallata desolata che in gioventù aveva visto più di una volta, anche se non realmente.

Riuscì a deviare e a raggiungerlo, tagliandogli la strada con un salto.

-E' da tanto tempo che non ci si vede, Robin.- disse lui con quella voce calma e controllata che era sempre riuscita a fargli montare la collera, mandando a benedire ogni briciolo di razionalità.

E quell'armatura, quella maschera bronzea, dietro la quale non aveva saputo nemmeno a distanza di così tanti chi si celasse dietro, dietro la quale non sapeva che emozioni si nascondessero, rendevano la sua ira ancora meno trattenibile.

-Cosa sei venuto a fare qui, Slade?- chiese lui, estraendo subito il suo bastone da combattimento, pronto a fronteggiarlo.

-Come? E me lo chiedi anche? Non si può nemmeno tornare a fare un saluto ad un vecchio amico?

Non finì nemmeno la frase, che il suo nemico storico si lanciò in un attacco tanto rapido da coglierlo alla sprovvista, anche egli con un bastone di ferro.

I due uomini si lanciarono in uno scontro senza esclusione di colpi, alla pari, uno di quelli che in passato avevano combattuto più di una volta.

-Tu non sei un mio vecchio amico.- replicò lui tra un colpo e una parata.

L'aveva sempre fatto: combattere e allontanarsi, per poi fermarsi e aspettare che lui lo seguisse, per poi ricombattere e riniziare.

-Sei invecchiato parecchio. Sarà per questo che ti trovo più lento?- chiese senza scomporsi.

Non vi era alcuna nota di derisione nella voce.

-Sono solo diventato un uomo abbastanza forte da batterti. Non sono più il ragazzo sfrontato e impulsivo di un tempo.- impugnò stretto il bastone, alzandolo di fronte a sé, quasi a metterlo come sbarramento e allo stesso tempo come richiesta di sfida.

-Abbastanza forte dallo smettere di essere ossessionato da te.

-Oh, ma davvero? E allora perché continuiamo a scontrarci qui?- indicò il paesaggio roccioso intorno a loro:- Sai bene che luogo è questo, no?

Purtroppo si, lo sapeva. E sapeva quanto fosse inutile opporre resistenza, continuare ostinatamente a combattere.

Perchè quella non era la realtà.

Ci era già stato quando aveva iniziato ad ossessionarsi con Slade e con il continuo tentare di fermarlo. Da allora non ci aveva più messo piede per molto tempo, ma allora perché vi era tornato proprio in quell'istante? L'aveva finalmente dimenticato, grazie alla sua famiglia, eppure...

-Se ci troviamo entrambi qui....- il suo bastone da combattimento prese fuoco, divenne rosso incandescente, fino a venir deformato dal calore, allungandolo e modificandone il volume. Sentì un brivido lungo la schiena quando si rese conto che quella era la lancia infernale che aveva utilizzato per ferire Trigon, anni addietro, quella rubata al guardiano degli Inferi.

Con sommo stupore di Dick Grayson, con la mano libera il suo avversario si prese la maschera che nascondeva il più grande mistero di fronte al quale lui e i suoi compagni si fossero mai trovati.

Se la sfilò lievemente, lasciando l'attuale Nightwing con il fiato mozzato a metà, mentre iniziava a intravedersi il volto del suo avversario storico.

-...vuol dire che io sono ancora presente in te.

La maschera venne levata definitivamente, rivelando capelli oscuri come l'oblio più profondo, con fili argentei tra essi, un viso non più giovane, solcato da numerose e appariscenti rughe, e occhi cerulei così conosciuti.

Le labbra sottili piegate in un sorriso trionfante.

Il bastone gli cadde dalle mani, sconcertato nel riconoscere il viso di Slade.

 

Un battito quasi più forte degli altri del suo cuore lo fece risvegliare, prendendo aria quasi fosse riemerso dal più profondo dei mari.

Si aggrappò alle lenzuola con tutta la forza che si trovò in corpo, cercando di regolarizzare il respiro. Si massaggiò la fronte con l'altra mano, constatando di essere madido di sudore dalla testa ai piedi.

Un incubo, lo sapevo.

Perché il ricordo di Slade aveva preso a tormentarlo di nuovo? Sapeva che era vivo da qualche parte, ma non lo vedevano da troppi anni. Perché proprio in quel momento?

Stava tornando? Per cosa? Per lui? Per riprendersi Terra, o quel che ne rimaneva? O per Raven?

L'ultima opzione gli fece riprendere l'agitazione, che si fermò quasi subito quando vide sua moglie dormirle di fianco.

La luce della luna piena che filtrava dalle ampie finestre proiettava interessanti giochi di ombre sul suo volto.

I corti capelli viola sembravano neri e argentei, la sua pelle più bianca del solito, ma era evidente quanto il suo viso fosse rilassato, come tutto il suo corpo.

Le accarezzò una guancia, spostandole ciocche di capelli scompigliate dal volto, quasi ad assicurarsi che fosse li di fianco a lui, illesa.

In risposta la donna corrugò la fronte, quasi perplessa e gli si avvicinò di più, inconsciamente, finché non ci fu solo il ventre gonfio di lei a dividerli.

Sorrise intenerito, avvolgendola con un braccio e prendendo a giocherellare con i capelli di lei.

Era incredibile quanto il destino della gente fosse inaspettato.

Lui aveva sempre considerato Raven una grande amica, una persona su cui contare e una ragazza che da giovane aveva sempre rispettato, ma mai aveva pensato di vederla a quel modo, un giorno.

Era sempre stato convinto che Starfire sarebbe stata la sua donna, di esserne innamorato e che tutta quella voglia di salvarla quando si trovava in difficoltà fosse amore. Ma si era sempre sbagliato alla grande.

L'amore per lui era stato fidarsi anche nelle più grandi difficoltà, percepire le emozioni di una persona senza neanche una parola, sentire il bisogno di esserci, conoscere lati mostrati solo a lui....

Tutto ciò che gli aveva sempre offerto Raven, e che aveva capito quando aveva voluto salvarla dalle grinfie di Trigon.

Il corpo di sua moglie ebbe uno spasmo. Iniziò a tremare e ad emettere singhiozzi, e poteva immaginare già le lacrime sulle sue guance.

Succede ancora... pensò rammaricato, mentre prendeva ad accarezzarle il ventre gravido e a baciarle più volte la fronte per rassicurarla.

Era una vecchia storia, iniziata quando facevano ancora parte dei Titans, e non avevano compiuto ancora vent'anni.

Raven aveva iniziato ad avere quegli incubi quando avevano sconfitto Trigon.

Il ricordo del padre, di come il mondo fosse stato ridotto e soprattutto del fatto che lei l'avesse reso possibile senza nemmeno combattere, aveva preso ad assillarla, non lasciandola dormire molto spesso.

Ricordava ancora le notti dove si svegliava perché la sentiva gridare dalla stanza di fianco e preoccupato andava a controllarla, per poi ritrovarla pallida e in lacrime. E quelle erano le notti dove gli chiedeva di restare con lei finché non si sarebbe riaddormentata. Gli altri non ne sapevano niente di quelle sere, ma ciò aveva permesso loro di parlare di più e quindi di conoscersi meglio, anche se il legame li univa già.

La donna non era mai stata una che si mostrava debole, però tutti quei ricordi la facevano comunque sentire in colpa.

Forse era stato un po' grazie a quegli incubi se loro due avevano iniziato a scoprirsi innamorati l'uno dell'altra.

Raven iniziò a calmarsi, sempre più rassicurata dalle braccia del suo uomo.

Anche lei aveva ripreso a fare quegli incubi. Che significasse qualcosa?

No, probabilmente è solo il seguito della gravidanza e gli ormoni scombussolati. Anche con Kyle e Kureha era successo... si disse.

Diede un ultimo bacio sulla fronte della sua sposa, con un lieve sorriso, dimenticandosi del suo sogno.

Raven scattò a sedere, di colpo cosciente, con uno sguardo sconcertato, e lui non ci mise molto a seguirla: un urlo agghiacciante arrivò fino alla loro camera, così acuto da far venire la pelle d'oca.

Rimasero li fermi, non capendo, finché lei non lo guardò con lo sguardo più preoccupato che avesse mai visto sul suo volto.

Una sola parola fece pervadere in lui la stessa preoccupazione.

-Kureha...

 

Scattò a sedere, prendendo ad ansimare e sentendo le unghie conficcarsi nei palmi da quanto li serrò intorno alle coperte.

Tossicchiò, con la gola fiammante per l'urlo che aveva tirato.

Perché? Perché faccio sempre lo stesso incubo? Si chiese non smettendo di tremare.

All'inizio non ci aveva dato tanto peso, perché per quanto la terrorizzasse sapeva di quanto fosse irreale.

Poi aveva iniziato a ripetersi quasi tutte le notti, ogni sera con un dettaglio diverso. Era così ormai da due mesi.

Si era sempre detta quanto non fosse possibile che si avverasse un sogno simile.

Anche avere poteri telecinetici e poter volare è una cosa impossibile, eppure tu la sai fare! Le aveva risposto più volte una vocina insistente nella sua testa.

La sua porta si aprì di colpo, con uno schianto così secco che Kureha crebbe che per un attimo potesse essere scardinata.

Sobbalzò nel vedere i suoi genitori irrompere in camera sua, suo padre con i suoi dischi esplosivi tra le dita e sua madre pronta a scatenare la propria energia, sospesa da terra, entrambi in pigiama.

Aveva urlato così forte da preoccuparli?

-Rea! Tutto bene?!- chiese suo padre accorrendo da lei, accorgendosi che in camera di sua figlia non c'era nessuno.

Solo in quel momento la ragazza vide tutta l'acqua sul letto. Doveva sicuramente aver fatto esplodere la bottiglia d'acqua sul comodino per il rilascio troppo improvviso delle proprie emozioni.

-Mamma, papà, io...- cercò di iniziare, ancora scossa.

-Cos'è successo?- chiese sua madre, avvicinandosi altrettanto.

-Io.... Oddio, vi ho svegliato...- si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore.

-Beh, con un urlo così difficile non svegliarci...- commentò sua madre, sedendosi di fianco a lei.

Sospirò, mentre suo padre le accarezzava un braccio per tranquillizzarla.

-Mi dispiace... E' che ho fatto un incubo e...

-Ma cos'abbiamo tutti stasera, che tutta la famiglia ha gli incubi?- chiese suo padre quasi perplesso.

Sul suo volto e su quello di sua madre si dipinse la stessa espressione interrogativa, ma era chiaro che tutti avessero fatto un brutto sogno, dopo quell'affermazione.

-Mi sa che serve a tutti una bella tisana.- propose sua madre, e senza aspettare un commento si diresse piano verso la cucina, lasciandola sola con suo padre.

L'uomo accese l'abatjour sul suo comodino e la guardò dolcemente.

-Cos'hai sognato di così brutto da farti gridare come se ti stessero sgozzando?

Kureha si strinse nelle spalle. A suo padre poteva dire tutto, ma la metteva a disagio esternare quel sogno assillante.

-Beh, a dire il vero è una cosa che sogno ricorrentemente...

A quelle parole il sorriso rassicurante di suo padre si spense, diventando di colpo serio.

-Che genere di sogno?

Rabbrividì:- E' piuttosto confuso, ma non per questo meno spaventoso. Sembra così reale: il cielo è tinto di questo rosso sangue; Jump City è in rovina sul letto di questo mare di lava; le persone a cui voglio bene e tutti i cittadini sono pietrificati, con quelle espressioni sofferenti che mi guardano supplichevoli, quasi io potessi fare qualcosa...- il volto di suo padre le sembrò sempre più tirato ad ogni parola.- E poi degli occhi rossi. Non due: quattro. Che mi fissano famelici. Poi un'agghiacciante risata gutturale risuona e compare uno strano simbolo infuocato. E ogni sera c'è un dettaglio diverso: la mia pelle che va fuoco, con un dolore reale, io che vengo circondata dalle fiamme....- sentì un groppo salirle su per la gola al solo ricordo.

Suo padre le poggiò una mano sulla spalla, cercando di comparire più calmo di quanto in realtà Kureha sapeva non fosse.

-Era solo un sogno, stai tranquilla. Devono essere gli allenamenti a caricarti e forse anche il fatto che ti svegli troppo presto la mattina.

Quelle parole sembrava averle dette quasi per sollevare se stesso, che lei.

Prima che potesse chiedergli cosa ci fosse che non sapeva, l'uomo si alzò dal letto.

-Vado un secondo a vedere se tua madre ha bisogno di aiuto per portare tre tazze, anche se dubito, però è imprevedibile e potrebbe anche offendersi per non avergli offerto aiuto.

Detto ciò si alzò e uscì anche lui dalla stanza.

Prese uno dei dischi che aveva lasciato sul suo letto e se lo rigirò tra le mani, pensierosa.

Corrucciò la fronte, avendo già capito che suo padre si era alzato proprio per evitare le sue domande.

Un'altra prova che quei sogni non erano normali, anche se la cosa non le piaceva affatto.

Cosa c'è che mio padre sa di cui io non devo venire a conoscenza?

 

Attraversò il corridoio più velocemente possibile, sentendosi un codardo per essere scappato ad una domanda in un modo tanto patetico.

Si passò una mano tra i capelli, sospirando.

Non era possibile. Non stava succedendo sul serio.

Eppure era chiaro che qualcuno, o qualcosa, stesse inviando quei sogni a sua figlia per una ragione.

Con Raven avevano deciso tempo addietro, addirittura quando stava aspettando Kyle, che i loro ragazzi non avrebbero dovuto sapere niente del loro nonno paterno, del portale, di come era finito il mondo... Raven non amava parlarne ancora ora con i Titans, figurarsi con i suoi figli! Non volevano farli preoccupare.

Eppure il sogno di Kureha rappresentava appieno quel giorno, la profezia che sua moglie avrebbe dovuto portare a termine, ma che era riuscita ad evitare.

Cosa stava succedendo a tutti? I suoi sogni su Slade, i ricordi di Raven, gli incubi ricorrenti di Kureha....

Strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, prendendo un respiro profondo.

Oh si, molte cose stanno per cambiare. E lo faranno di qui a poco.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2: Logan's Guest. ***


2.

Corse più velocemente possibile nel bosco dietro casa, passando per pini e querce che le inebriarono le narici con i profumi delle loro foglie umide.

Corse, sentendosi carica della natura intorno a se, i piedi nudi frementi sul muschio e sul tappeto di foglie cadute per il vento.

I raggi del sole del mezzogiorno le investirono in pieno il viso, quando uscì dal bosco per ritrovarsi nell'ampia distesa di prato verde cangiante, con l'erba che le solleticava le gambe fino alle ginocchia.

Respirò a pieni polmoni quell'aria che sapeva di pace e di vita.

Quell'aria che ogni volta le faceva capire e apprezzare di più il fatto di non essere veramente umana.

Si passò una mano tra i capelli scompigliati dal venticello del giorno, che in quella pianura era musica per le sue orecchie.

Suo padre era andato a correre per tenersi in allenamento, e nel frattempo aveva pensato di passare a prendere qualcosa da portare a casa per pranzo.

Quale occasione migliore per fare un giro nella natura, lontana dalla gente?

Con verso di rimprovero, sentì Shangri saltarle su una spalla.

Prese la grande larva tra le braccia ridacchiando.

-Hai ragione, ti ho lasciato indietro. Mi perdoni?- chiese al suo animaletto domestico, facendogli gli occhioni, sapendo che egli poteva capirlo.

Il bruco rosa e bianco contrasse la grande bocca in una smorfia buffissima, che le fece trattenere un sorriso. E quando Shangri le leccò una guancia con la sua lingua viola, potè essere felice di non essersi sobbarcata il “rancore” del suo animale da compagnia.

-Okay, allora che dici di fare un bel giro, a questo punto?- gli chiese, rimettendoselo sulla spalla.

E senza attendere una risposta, riprese a correre.

Corse, urlò, rotolò per tutta la vallata, con una strana euforia che le correva lungo tutte le vene.

Era bello stare lassù, a Gotham Hill, una tipica località per le vacanze, dove molta gente aveva la casa per andare a scalare i monti, farsi un giro per i boschi o andare giù al lago per svolgere le più svariate attività vacanziere.

Fuori dalla città, in mezzo alla natura e nei posti giusti con neanche un'anima umana in giro.

Come il bosco dietro la sua proprietà.

Si lanciò verso gli alberi all'altro limite della valle, pronta ad una bella arrampicata.

Conta solo su te stessa, non richiamare gli animali, si raccomandò da sola, prima di spiccare un salto, atterrare sul tronco e prende una lunga salita fin quasi la cima. Per fortuna era abbastanza minuta e il suo peso non faceva flettere così tanto il tronco e i rami.

Era come se sapesse a memoria la disposizione di quei rami, da quante volte vi ci si era arrampicata.

Forse aveva imparato prima ad arrampicarsi e poi a camminare.

Anche senza l'aiuto degli animali, il suo corpo era più agile, più forte, più veloce, i suoi sensi più sviluppati.

Preferiva usare la parola richiamare, perché, a differenza di suo padre, lei non si riusciva a trasformare completamente.

Spiccò un salto e atterrò sull'altro albero, poi su quello successivo e poi su quelli successivo ancora.

Rise di cuore di tutta quella libertà.

Quando arrivò alla quercia che cercava, si fermò, sedendosi con calma su un ampio ramo.

Non era tanto diversa dagli altri alberi, ma c'era qualcosa che a lei piaceva.

Poggiò la schiena al tronco, con Shangri sul grembo allegro quanto lei, da quanto muoveva le zampine.

Amava quel bruco. O larva. Non lo sapeva bene definire, dato che era di una razza creata da un vecchio nemico di suo padre.

Aveva portato via una delle sue creature, e l'aveva chiamata Silkye, e un po' era diventato la mascotte dei Titans.

Molti anni in seguito avevano scoperto che quell'animaletto era ermafrodito, infatti, dopo essere vissuto svariati anni più di un animale normale, aveva deposto un solo uovo, e così era nato Shangri, il suo compagno fedele. Silkye era morto non molto tempo dopo, purtroppo.

Si frugò nella tasca dei pantaloncini e ne tirò fuori quel che ne rimaneva dei biscotti preferiti suoi e di Shangri.

L'animale saltellò felice alla vista del cibo.

-Sei sempre il solito ciccione, non fai altro che mangiare!- lo derise affettuosamente, porgendogli uno dei suoi biscotti.

Shangri si bloccò poco prima di afferrarlo e assunse una posa tesa, prendendo a guardarsi intorno.

Lui che si bloccava davanti al cibo?

-Che ti prende, Shangri?- doveva esserci qualcosa di davvero strano, se iniziava a comportarsi così.

Poi, alzando lo sguardo oltre le fronde degli alberi, capì cosa ci fosse di così strano: una spessa linea di fumo grigiastro stava dividendo in due quel cielo così perfetto.

Una delle due estremità si stava allungando a grande velocità, dipingendo una curiosa parabola tendente al basso.

-Un aereo?- si chiese, alzandosi preoccupata.

Un forte boato esplose in tutto il bosco, probabilmente mettendo in allerta qualsiasi essere vivente nei dintorni, compresi lei e il suo animaletto.

Qualsiasi cosa sia, non è caduta tanto distante...

-Andiamo a vedere, Shangri, potrebbe esserci bisogno del nostro aiuto!

Prese in braccio la larva e riprese a saltare da un albero all'altro, in direzione dell'oggetto caduto.

L'aria isolata era molto vasta, quindi probabilmente ce ne sarebbe voluto di tempo prima dell'arrivo di dei soccorsi.

Si concentrò, doveva fare più in fretta.

Richiama la scimmia.

Le mani diventarono più forti, le braccia e le gambe più pelose, la posa più arcuata, la faccia le si allungò, simile ad un muso, i denti si pronunciarono e in fondo alla schiena le scivolò fuori una lunga coda castana.

Accelerò il passo, servendosi della coda e della possibilità di saltare da un albero all'altro a quattro zampe.

Quando fu abbastanza vicina alla spirale di fumo che si alzava dal punto dove l'oggetto era atterrato, si fermò, restando stupita.

Tutto intorno ad un cratere, nel cui interno si riuscivano a distinguere solo fiamme e fumo, vi erano alberi sradicati, spezzati e terreni ribaltati.

Niente aveva ancora preso fuoco, per fortuna.

Scese dall'albero, dissolvendo la scimmia.

Shangri, sulla sua spalla, tremava.

-Cosa ci sarà la in mezzo?- gli chiese, avvicinandosi molto lentamente.

Il cratere era abbastanza profondo e anche piuttosto largo: doveva essere caduto da davvero in alto.

E se fosse un'astronave aliena? Si chiese titubante, constatando che l'oggetto non sembrava nessun veicolo volante terrestre che lei conoscesse. Certo, forse quell'idea sarebbe sembrata sciocca, vista da un'altra persona, ma vista la famiglia da cui discendeva e da tutte le avventure soprannaturali che i suoi avevano affrontato, non sarebbe sembrato tanto assurdo l'arrivo degli extraterrestri.

-Chissà se ci sarà qualcuno li dentro...

Shangri mordicchiò la sua manica corta, quasi cercando di fermarla, di non farla andare incontro al presunto UFO. Forse doveva fidarsi dell'istinto del suo piccolo compare, visto che gli animali avevano un sesto senso migliore degli umani, però...

-Oh, andiamo, non succederà niente di male se diamo un'occhiata.- gli disse, posandolo a terra, viste le storie che faceva.

-Tu aspettami qui, fifone.

Si avvicinò pian piano all'orlo del cratere, accucciandosi a cercare di capire cosa ci fosse oltre tutte quelle fiamme.

Non era facile dargli una forma, dato che era chiaro quanto fosse malridotta e come mancassero alcune parti spezzate.

Oltre lo scoppiettare delle fiamme, un rumore rimbombante, proveniente da dentro la navicella, la ridestò dai suoi pensieri.

-C'è qualcuno vivo, li dentro!- esclamò diretta a Shangri, il quale si fece ancora più piccolo vicino ad un albero.

Il rumore stridente del ferro che si lacera le ferì le orecchie, e riuscì a balzare all'indietro appena in tempo grazie solo al suo istinto, cadendo malamente a terra.

Da fuori uno squarcio della nave, con un grande salto, le era atterrato di fronte l'essere più ripugnante che avesse mai visto.

Era altro almeno due metri, con un corpo molto possente, ricoperto da una peluria nera così folta da farle ricordare un gorilla. Da quelle che sembravano mani, per ogni dito aveva unghie nere lucide tanto lunghe e sottili da farle sembrare spade letali.

La testa, anch'essa nera, aveva ai lati due lunghe orecchie a punta, un muso allungato, dove spuntava una lunga lingua da formichiere e denti sottili come aghi.

Due occhi distanti di un blu pallido che la fissavano spietati, quasi l'avesse scelta come sua prossima vittima.

Emetteva suoni striduli, come unghie su una lavagna, che la fecero rabbrividire.

Era paralizzata, non aveva idea di come reagire.

Il suo cervello riusciva a registrare solo una cosa: pericolo.

Il mostro alieno sollevò la mano artigliate e la fece scattare contro di lei.

Di nuovo per istinto, scattò indietro come meglio potè, ma l'essere fu di nuovo su di lei.

Questa volta non avrebbe sbagliato.

Fissò gli artigli mentre le andavano incontro.

Solo quando si accorse che quelle spade erano a pochi centimetri dal suo viso, immobili, riprese a respirare e a sentire tutto ciò che le stava accadendo intorno.

I versi del mostro si trasformarono i gridi agonizzanti ancora più acuti e insopportabile, mentre una strana sostanza violacea gli colava giù da uno squarcio nel petto e gocciolava sui suoi vestiti. Sangue.

Dallo squarcio nel petto, zampillò fuori un grande schizzo di sangue che spruzzò sulla sua faccia, mentre una mano minuta prendeva da dietro una spalla dell'alieno e lo spingeva a lato.

Ormai era poco più che un cadavere agonizzante che si sarebbe spento in poco tempo.

Alzò lo sguardo sulla persona che l'aveva appena salvata: era una ragazza, non tanto più grande di lei, con lunghi capelli rosso fiamma, simili ad una cometa, che scendevano in morbidi boccoli sulle spalle. Pelle dorata, labbra disegnate socchiuse per il fiatone... Decisamente quella che si definiva una ragazza troppo bella per essere descritta a parole.

Portava uno strano completo spaziale viola e metallizzato, tuttavia non era questo ad attirare di più l'attenzione: la prima cosa, era una grande abbondanza di sangue che le usciva da un lato della testa e un'ampia ferita alla spalla sanguinolenta, per non parlare del sangue viola dell'alieno che aveva sui vestiti e su tutte le braccia; la seconda erano gli occhi verdi brillanti, accesi come due fiamme di smeraldo. Occhi con una luce incosciente, perché non avevano niente che sembrasse consapevole di ciò che stava succedendo.

E' svenuta? Si chiese senza fiato almeno quanto la ragazza, non riuscendo a regolarizzare il battito ne a rilassare i muscoli.

Come risposta, la ragazza misteriosa cadde in ginocchio e si accasciò davanti a lei, inerme.

Non seppe quanto tempo rimase li, con le orecchie fischianti, tutti i muscoli tesi e gli occhi che andavano velocemente dall'alieno alla ragazza, finchè Shangri non uscì timidamente da un cespuglio e le si strusciò contro il braccio come a rassicurarla.

-Sono viva...- fu l'unica cosa che riuscì a dire quando si riprese. Era stata una cosa talmente improvvisa che non aveva avuto nemmeno il tempo di difendersi o richiamare gli animali.

Si avvicinò piano al corpo svenuto della ragazza, constatando quanto non avesse un bell'aspetto.

Con quelle ferite, probabilmente non sarebbe resistita molto. E chissà quanto fumo aveva respirato...

-Dobbiamo avvertire subito papà, lui saprà cosa fare. Ha già avuto a che fare con gli alieni, e lei mi ha salvata, quindi... All'alieno e alla nave penseremo dopo.- disse rivolta a Shangri che la guardava un po' preoccupato. Okay, forse perché ciò che aveva appena detto suonava più come un ragionamento ad alta voce...

Prese la ragazza per i fianchi il più delicatamente possibile, anche se questa, inerme, non sembrava farci caso.

Con un rapido gesto se la caricò in spalla, richiamando a se il gorilla, per irrobustire e potenziare il suo corpo e poter passare da un albero all'altro velocemente verso casa.

Con la mano libera prese anche Shangri, iniziando una furiosa scalata da un albero all'altro, in direzione opposta a quella in cui si era diretta pochi minuti prima.

Attraversò la boscaglia così velocemente che in poco tempo fu a correre nella pianura, senza questa volta fermarsi, per poi prendere a saltare sugli altri alberi, finchè tra le fronde degli alberi non vide la casa fatta in gran parte in legno sua e di suo padre.

Intravedendo la finestra di camera sua al piano di sopra aperta, decise di passare per di lì, tanto per fare prima.

Poggiò la ragazza, sempre svenuta e sempre più pallida e sempre più grondante sangue di ogni colore sul suo letto, riprendendo la sua forma normale, non curandosi di essere sporca-anche se ciò la fece rabbrividire- e correndo al piano di sotto, sentendo la porta d'ingresso sbattere.

-Shangri, bada a lei!- urlò alla larva sul suo comodino, non stando ad osservare la sua reazione.

-Papà!- urlò balzando nel corridoio d'ingresso.

-Ehi! Ancora in casa a quest'ora? Non dovresti essere a scorrazzare nel bosco con Shangri?

Suo padre era in tenuta da corsa: shorts da uomo, felpa nera, scarpe da ginnastica e berretto, imperlato di sudore da ogni parte del corpo visibile e con sacchetti del take-away cinese tra le braccia. Probabilmente quello sarebbe diventato il loro pranzo.

Si diresse verso la cucina, seguito da lei, ansimante.

-Si, c'eravamo fino a poco fa, ma abbiamo trovato una cosa insolita per queste parti e siamo tornati indietro!- iniziò, cercando di riordinare i pensieri per spiegare nel modo migliore la situazione.

-Cos'è successo? Un albero ha preso a parlare, è arrivato un mago per far scomparire la natura o...?- le chiese ironico, non dando particolare ascolto al suo tono allarmato, mentre poggiava il tutto sul tavolo.

Quando alzò lo sguardo su di lei, il suo viso assunse una tonalità più bianca.

-Ma che ti è successo?- gli chiese allarmato.

Aveva notato solo in quel momento che aveva addosso un sacco di sangue e di liquido viola.

-E' proprio questo che intendevo. Ma prima di darti spiegazioni, dovremo evitare che il bosco venga incendiato.- decise infine.

 

Senza più esitazioni, con un bel po' di acqua del lago in secchi e nella proboscide da elefante di suo padre, i due erano andati a calmare le fiamme della navicella. Con questa collaborazione, non c'era voluto tanto.

A differenza sua, suo padre riusciva a trasformarsi completamente in animale, in qualsiasi volesse, terrestre o alieno che fosse.

Con l'unico dettaglio che gli animali di cui prendeva la forma fossero verdi.

In seguito ad una mutazione genetica, per una medicina sperimentata dopo il morso mortale di una particolare scimmia verde, il colore della pelle, dei capelli e degli occhi di suo padre erano diventati di quel colore, mentre le orecchie erano diventate appuntite e un dente di sotto si era pronunciato.

Da allora, dopo un incidente in barca dei suoi genitori, suo padre non era più stato Garfield Logan, il figlio di due studiosi, bensì Beast Boy, supereroe mutante prima della famosissima Doom Patrol e poi dei stimatissimi e grandiosi Teen Titans.

Secondo diversi racconti e foto, suo padre in quel periodo di adolescenza era stato molto minuto, come lei e sempre molto spiritoso, mentre adesso si era alzato, aveva messo su muscoli, il capelli erano diventati più folti ed era diventato quello che si poteva dire un bell'uomo. Era anche maturato come carattere, senza però perdere la sua allegria, che però ogni tanto scemava ancora, da quando sua madre era morta. Era successo dodici anni prima, poco tempo dopo la sua nascita, da quel che le avevano raccontato. Da allora suo padre non si era più risposato, tenendosi sempre la fede e dimostrandosi sempre forte e allegro, anche se alle volte aveva l'impressione che lo facesse solo per non farla preoccupare.

Di suo padre, lei, Reila Logan, aveva ereditato, anche se meno sviluppati, i suoi poteri mutanti, gli occhi verde muschio intensi e un dente, superiore , più pronunciato di altri, orecchie un po' a punta e la statura minuta che aveva lui alla sua età. Per il resto, poi, vedendo anche le foto, era tutta sua madre: capelli corti biondissimi, carnagione rosata, naso piccolo, fisico asciutto e acerbo con curve nemmeno vagamente accennate, che sperava però si sarebbero sviluppate in futuro.

Per non mancare un lato da maschiaccio nel vestirsi e nei gusti che forse aveva preso un po' da entrambi.

Finito di evitare un incendio e dopo aver nascosto temporaneamente tra i cespugli il cadavere alieno che aveva fatto impensierire suo padre, tornarono di corsa a casa, seguendo il resoconto rapido di Reila su quanto fosse successo poco prima.

La ragazza era ancora li nel letto, esattamente come l'aveva lasciata, con Shangri che cercava di leccarle via il sangue secco.

Garfield Logan aggrottò la fronte pensoso, quasi avesse già visto la ragazza.

Dopo un minuto buono passato a studiarla, parlò:

-E' una tamariana.

-Una che?- chiese Reila sedendosi sul bordo del letto.

-E' una razza aliena del pianeta Tamaran. Ci abbiamo avuto a che fare diverse volte, visto che la nostra compagna Starfire veniva da laggiù.

-E... credi che possa avere qualche legame con lei? Che il suo arrivo qui ferita indichi qualcosa?

Reila iniziava a preoccuparsi.

Suo padre passò le dita sul viso ferito, fino a soffermarsi sul taglio alla spalla.

-Beh, può darsi, dato che le somiglia molto, ma i tamariani si somigliano un po' tutti... Però credo che di questo ci occuperemo dopo, le sue ferite è meglio curarle al più presto.

Detto ciò andò a prendere il telefono di casa.

-La portiamo all'ospedale?

-No, meglio di no. Essendo di una razza aliena possiede qualche caratteristica che credo non riusciremo a spiegare con logica, come il fatto che possegga nove stomaci, o la lingua viola, o gli occhi completamente verdi... Va bene che la Terra è venuta a contatto diverse volte con gli alieni, però ci scommetto tutti i nostri beni che non esiterebbero un secondo a chiuderla in un laboratorio e studiarla.

-E allora a chi dovremo rivolgerci, scusa? Possiamo giusto fare un medicamento di fortuna, con la nostra esperienza e con ciò che abbiamo.

Garfield stava componendo un numero, mentre tornava con il kit di pronto soccorso sicuramente recuperato dal bagno.

-Intanto allora inizia con quello e con metterle dei vestiti nuovi, io chiamo Raven.

-Perché proprio Raven?- chiese mentre apriva il kit e meditava su che genere di medicamento adoperare. Ma ne conosceva così pochi...

-Ha ottimi poteri curativi, almeno con quelli potremo evitarle il peggio.

Si accostò il telefono all'orecchio e uscì dalla stanza per parlarle.

Lasciarmi da sola con una persona da curare, mentre lui chiama. Che padre esemplare che ho... pensò con aria sarcastica sbuffando.

Vabbè, ho rischiato di essere uccisa da un alieno e sono zuppa di sangue viola e rosso, quanto può essere impressionante tamponare via un po' di sangue?

-Shangri, vieni, dammi una mano.

 

Quando suo padre rientrò nella camera venti minuti dopo, con al seguito Rachel Roth, la ragazza aliena aveva le ferite disinfettate e fasciate, e al posto delle sue strane vesti- che ora erano a lavare- aveva una camicia da notte grigio cielo che a Reila stava larga.

E grazie al cielo aveva avuto il tempo di cambiarsi e di buttare i suoi vestiti che aveva prima.

-Ciao Reila.- la salutò con un piccolo sorriso.

Ormai conosceva bene quella donna, essendo una vecchia amica di suo padre e madre di Kureha, una delle sue migliori amiche, però riusciva comunque ad incuterle un certo timore, con quella sua aria severa e i tratti decisi, per non parlare dei capelli viola corti, la carnagione di un pallido irreale e quella camminata così leggera e regale dava quasi l'impressione che la donna toccasse appena il pavimento. Forse un po' il pancione le dava un'aria più dolce. E meno male che, come già detto, la conosceva bene.

-Rachel...- disse semplicemente con un cenno della mano, rispondendo al saluto.

La donna che un tempo si faceva chiamare Raven si fermò a studiare la ragazza aliena con molta attenzione, tacendo anche lei per un po'.

-Hai detto di averla trovata nel bosco?- chiese infine a Garfield.

-L'hanno trovata Reila e Shangri in una navicella bruciata, insieme ad uno strano mostro con cui credo non abbiamo mai avuto a che fare prima.

Lo sguardo deciso si addolcì un poco, con all'interno una nota quasi pensierosa.

-La somiglianza con Starfiare è incredibile...

Suo padre le mise una mano sulla spalla.

-Già, probabilmente è una sua parente.

-Credete sia successo qualcosa, visto che si trova qui in queste condizioni?- si intromise incerta Reila.

Nessuno dei due rispose subito.

-Spero con tutto il cuore di no...- disse piano suo padre.

-Ma è sempre meglio prepararsi al peggio.- concluse Rachel chinandosi sulla ragazza.

Le posò una mano sulla fronte e una sulla spalla ferita e entrambi i palmi irradiarono una luce azzurra, molto calda.

Finì in poco tempo e si risollevò.

-Sono riuscita a chiudere le ferite, ma credo che sulla spalla rimarrà una cicatrice, e per quanto riguarda la testa... la ferita si è chiusa del tutto, ma non posso garantire niente sulle condizioni della sua memoria o della sua sanità mentale. Ha preso un brutto colpo.

-Capisco. Grazie mille dell'aiuto, Rae.- disse suo padre con un sorriso stanco.

Reila, come i figli di tutti i vecchi Titans, sapeva che da ragazzi la squadra aveva una componente aliena, ma ormai nessuno amava parlarne tanto, da quando se ne era andata e non aveva più lasciato traccia di sé. Eppure a tutti si rabbuiava lo sguardo quando ci ripensavano, ma non si sapeva il perché.

Deve somigliarle davvero tanto questa ragazza...

 

Rachel rimase per un altro po' con loro per una tazza di tè, parlando di cose normalissime, della famiglia... fu solo quando stava per andarsene che ritornò in ballo l'argomento “Ragazza Aliena”:

-Cosa avete intenzione di fare con l'astronave e con l'altro corpo alieno?- chiese mentre prendeva la borsa.

-Non saprei, ma conviene farli sparire in fretta: tutto quel fumo e il frastuono non saranno di certo passati inosservati e i curiosi non tarderanno ad arrivare.

Rachel si passò l'indice sul mento pensando.

-La navicella la porterò domani a Cyborg. Per quanto possa essere ridotta male, credo che riuscirà a ricavare qualcosa che ci faccia capire di più cosa sia successo.

-Mi pare sensato. E che dovremo fare con l'alieno morto?

-Nascondilo da qualche parte, possibilmente in un punto abbastanza freddo da conservare il corpo. Porterò alcune foto alla Torre e le confronterò con gli archivi dei Titans. Magari li abbiamo già visti ma non li ricordiamo.

Suo padre sorrise.

-Sai sempre cosa fare. Non sei cambiata di una virgola.

Rachel inarcò un sopracciglio.

-Spero per te che sia un complimento.

Garfield rise.

Era sempre bello vedere suo padre a suo agio con la sua vecchia squadra. Del resto non c'era da meravigliarsi: erano tutte persone strabilianti!

Rachel se ne andò per tornare dalla sua famiglia, lasciandoli soli con la ragazza aliena.

Quando Reila tornò a toglierle le bende, in effetti non erano rimaste che due cicatrici delle due ferite mortali di prima. Una sottile linea rossa che passava dalla tempia e spariva tra i capelli rosso fiamma e una cicatrice spessa e corta, grande quanto un uovo, sulla spalla.

A tutto ciò si era aggiunto un dettaglio: la ragazza stava cuocendo dalla febbre.

Corse di nuovo da una parte all'altra della casa, in cerca di termometro, panno bagnato e tutto l'occorrente.

Sapeva già che non sarebbe riuscita a rilassarsi tanto facilmente.

 

Per tutto il pomeriggio Reila non aveva fatto altro che occuparsi della ragazza.

La febbre stava pian piano diventando più bassa, ma ogni tanto doveva scuotere l'aliena o darle qualche calmante: veniva continuamente perseguitata da incubi, perché, per quanto incosciente, ogni tanto prendeva a singhiozzare, stringeva convulsamente le lenzuola e mugugnava parole senza senso, con espressioni piene di terrori.

Beh, se non altro ciò significa che di questo passo si sveglierà presto... cercò di consolarsi da sola.

Garfield era andato a nascondere il cadavere alieno in un posto che presentasse le caratteristiche elencate da Rachel e a fare foto da inviare poi alla T Tower.

Cambiò la pezza bagnata e la rimise sulla fronte.

Al contatto la ragazza si mosse. Che si stesse svegliando?

Per risposta, l'aliena aprì gli occhi. Erano verdi smeraldo, anche la parte bianca, ma non così luminescente come ricordava, forse se lo era immaginata.

La fissarono un po' mettendola a fuoco, poi, in un millesimo di secondo, scostò la sua mano con forza e si appiccicò al muro, quasi potesse darle sicurezza.

Le puntò una mano contro, che in pochissimo tempo emise una forte luce verde smeraldo, mentre gli occhi si tingevano del medesimo colore.

-BLAKSTA ZDAOR RYNSA?- le urlò contro.

Reila era rimasta ancora li, con la mano con la pezza a mezz'aria. E sapeva di avere un'espressione super perplessa in volto.

Sollevò una mano, lasciando uno spazio tra mignolo e anulare e medio e indice.

-Ehm...Vengo in pace?- non trovò cosa più intelligente da dire.

La ragazza sollevò un sopracciglio, non perdendo però la posa pronta all'attacco.

Chissà perché, ma Reila non si sentiva affatto minacciata da ella.

-Chi sei?- ripetè la giovane, non con meno astio.

-Aaaaah...- commentò Reila:-Io sono Reila Logan. Ti ho curato per tutto il giorno. Ti ho trovato in un bosco svenuta, dentro un'astronave a fuoco.- Il minimo che puoi fare è smettere di puntarmi la tua mano luminosa contro, aggiunse mentalmente.

La ragazza la studiò ancora per un po', meditò un po' sulle sue parole e alla fine decise di abbassare il braccio.

-Dove siamo, di preciso?

-A Gotham Hill.

La ragazza inclinò di lato la testa.

-Negli Stati Uniti d'America.

Inarcò le sopracciglia.

-In America.- riprovò.

L'espressione dell'altra non cambiò.

-Sulla Terra.- tentò infine.

-Oh.- disse semplicemente.

Stai parlando con un'aliena, avresti dovuto dirle subito che si trova sulla Terra, si rimproverò.

-Allora ce l'ho fatta ad arrivare...- disse piano.

Decise che per il momento non avrebbe fatto domande, per farla abituare al luogo.

Guardò la sveglia sul comodino.

-Senti, è quasi ora di cena, ormai. Vuoi qualcosa da mangiare?

In tutta risposta lo stomaco della ragazza brontolò.

-Vado giù in cucina a prendere da mangiare, arrivo subito. Intanto siediti pure sul letto, non preoccuparti.

Si bloccò un secondo prima di imboccare la porta.

-A proposito, come ti chiami?

-Anisand'r. Ma per tutti io sono Anis.

 

Anis si avventò sul cibo che le aveva portato con una forza quasi brutale, ingurgitando tutto, indipendentemente se fosse da bere, da mangiare, un condimento... Infatti rimase sorpresa quando trangugiò tutta la bottiglietta della mostarda senza battere ciglio.

Non se la sentiva di correggerla su cosa mangiare e come mischiare.

Era seduta di fronte a lei sul letto, con Shangri in braccio che la guardava perplesso quanto lei.

-Ehm... Non mangiavi da tanto?- chiese incerta su come iniziare una conversazione.

-Da una giornata intera più o meno.- rispose senza smettere di mangiare.

Forse era vero che possedeva nove stomaci...

-Ma come fai a sapere l'inglese? Voglio dire, prima mi hai parlato in una lingua stranissima e poi sei passata a parlarmi con una pronuncia perfetta!

Anis si mise una ciocca ribelle dietro l'orecchio, forse in imbarazzo per averle puntato il braccio contro poco prima.

-Oh, beh, mia mamma è venuta qui quando era giovane e le è piaciuto tanto come posto che ha deciso di insegnarmela. Quando eravamo sole parlavamo in questa lingua.

Se sua mamma era venuta sulla Terra da giovane, forse era davvero la Starfire dei Titans. Forse però era meglio riservare l'argomento quando fossero entrate più in confidenza.

-Dista tanto il tuo pianeta?

-Abbastanza, ma ce l'ho fatta ad arrivare entro ventiquattro ore.

-Perché eri svenuta?- decise infine di chiedere, nel modo più gentile possibile.

Anis si strinse nelle spalle.

-Veramente... Non lo so. Hai detto che la mia navicella era in fiamme, giusto? Forse sarà stato per quello...

Sembra non ricordare molto. Non ha nemmeno accennato all'alieno che era con lei. Forse Rachel ha ragione: la botta in testa deve averle fatto perdere parzialmente la memoria... ragionò.

Alla fine decise di raccontarle di come l'aveva trovata, dell'alieno e di come lei l'aveva ucciso, senza omettere quanto fosse gravemente ferita ne come Rachel era riuscita a curarla. Le parlò anche degli incubi.

Alla fine del racconto, Anis rimase in silenzio. Sembrava così spaesata.

-Quindi... Sul serio non ricordi niente?

La ragazza scosse la testa.

-No, Reila, mi spiace, io non ricordo proprio niente. Non so nemmeno perché c'ero su quell'astronave... So che dovevo arrivare qui, ma non riesco a ricordarne il motivo. Sei sicura che abbia avuto degli incubi? Voglio dire, non ricordo nemmeno quelli!

Così non sarà di molto aiuto...

-Ma almeno il tuo pianeta lo ricordi? Ciò che c'era prima del viaggio, intendo?

Anis corrugò la fronte.

-Ricordo di venire da Tamaran, di essere di famiglia nobile, i volti di vecchi amici e di mia madre. Ma quello che è successo ultimamente... zero.

Accidenti...

Se stava per avvenire una catastrofe, non erano sulla buona strada per capire di cosa si trattasse.

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