§* The Eyes of the Darkness *§

di hilaryssj
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** La donna del mistero. ***
Capitolo 3: *** Il gioco di Tom ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine ***



Gli occhi delle Tenebre

The eyes of the Darkness

[... Ogni persona nasce con un preciso destino ...]
[... Una sola nasce per uno scopo che non è il suo ...]
[... Un Dono e al contempo una Maledizione colpiscono la Consacrata ...]
[... La Morte e la Vita si contendono l'esistenza della Dannata ...]

                                             D. S.







L'inizio della fine







Il pullman viaggiava velocemente sulla strada principale. Le ruote battevano il cemento armato ormai da più di due ore.
Fuori da finestrino scorrevano i palazzi della periferia di Berlino alternati da piccoli caseggiati con giusto due metri quadri di giardino per ognuno. C'era poco traffico alle quattro del mattino. I lampioni per le vie erano ancora accesi e da quasi ogni finestra si scorgevano le luci dell'albero natalizio.
Mancavano tre settimane a Natale e tutti erano in fibrillazione per le imminenti vacanze. Tutti tranne lei. Alexis Frost.
Aveva finito il Liceo Classico da circa un anno. Gli esami di maturità si erano conclusi con un buon 100. Eppure non aveva voluto proseguire gli studi e andare all'Università, con grande disappunto dei genitori.
Per questo ora si trovava su quell'autobus. Totalmente contro la sua volontà.
Suo padre non ha mai accettato la sua scelta, di conseguenza ha fatto di tutto per trovarle comunque un lavoro di alta carica. O così lui dice.
Un amico stretto di famiglia aveva accettato la proposta di suo padre assumendo all'istante la figlia.
Un produttore. Uno stupido produttore l'aveva assunta. Per fare cosa poi? L'assistente manager di un gruppo musicale.
Assistente manager. Di chi? Di un gruppo di quattro deficienti che si vestono da pagliacci e battono le padelle credendo di fare Rock. Che schifo!
D'altronde che si poteva aspettare da suo padre? Avrebbe dovuto capirlo che è tutta una farsa per vendicarsi di quello che lei aveva fatto come affronto alla sua nobile famiglia. Che c'era poi di tanto sbagliato nel non proseguire gli studi?
Che vada tutto al diavolo! Natale si avvicinava... e lei era costretta a correre a Berlino per assistere quei quattro rimbecilliti.
Bhè... almeno una cosa buona in tutta questa faccenda c'era. I 200 Km di distanza fra lei e i suoi genitori non era cosa da poco!

***

"Siamo arrivati! Dite agli autisti dei TIR di parcheggiare dietro l'edificio e iniziare a scaricare i pannelli per il Soundchek... Il gruppo sta arrivando con il loro pullman... no... no, mandate la squadra delle guardie del corpo all'entrata... si, firmeranno qualche autografo davanti all'albergo. No, il team rimane qui, dove terranno il concerto dal mattino e noi li raggiungiamo in albergo non appena avremo sistemato... si, il soundchek lo fanno domani mattina. Ok ... ok, va bene ... ci penserò io... Buon Lavoro!" Chiuse la chiamata tutto agitato e diede istruzioni all'autista.

David era il manager dei Tokio Hotel. Era un uomo molto irritabile, perfettino e aveva il brutto vizio di arruffarsi sempre i capelli neri dal nervoso. Ma in fin dei conti era anche molto in gamba e conosceva bene il suo mestiere. Viaggiava sulla quarantina d'anni, ma ne dimostrava trentacinque, a parte qualche ciocca di capello grigio. Era lui che Alexis doveva seguire costantemente. Eseguire gli ordini, o meglio... i capricci delle rockstar.

"Alex, tra poco dovremo scendere... Prendi la tua borsa e cerca di starmi dietro, almeno all'inizio..."

Natale non era una festa che Alexis adorava particolarmente, però di solito le piaceva preparare gli addobbi e godersi quell'atmosfera di festa. Invece quell'anno non riusciva a sentire niente di tutto questo. C'era qualcosa nell'aria. Non sapeva perchè, ma era strano...

"Alex?"

Guardò il cielo dal finestrino. Si stava schiarendo, ma non vedeva il sole. Quel giorno sarebbe stato nuvoloso...

"Alexis!" urlò David alla ragazza.

"Eh?" disse risvegliandosi dai suoi pensieri.

"Hai sentito cos'ho detto?" chiese impaziente, trafficando con delle scartoffie sul tavolino.

"Ehm... che siamo arrivati?" azzardò lei.

David parve scoppiare da un momento all'altro talmente diventò rosso. Quella mattina era decisamente nervoso.

"Bontà divina, Alex... devi darmi retta! Prendi la tua maledetta borsa e seguimi!" sbraitò afferrando la valigetta nera e scendendo dal bus.

La diciannovenne si sitemò velocemente la tracolla. Prese la molletta sul tavolino e fermò i lunghi capelli biondi in modo che non le dassero fastidio. Ecco una cosa che adorava.
I suoi lucenti capelli dorati, lunghi fino alla vita. Scalati, leggermente mossi, con una morbida frangetta, anch'essa finemente scalata ad addolcirle il viso. Uno dei suoi pochi vanti e che naturalmente nessuno notava.

In quel parcheggio ci saranno stati minimo tre gradi sotto lo zero. Tirava un leggero vento da nord che ghiacciava fin le ossa.

Alexis si strinse più che poteva nel suo giubbotto imbottito nero. Le piaceva il nero. Il suo guardaroba era quasi completamente di quel colore. La cinta borchiata che portava le fissava i jeans a vita bassa. Una vita molto stretta.
Nascose la maggior parte del viso dietro lo sciarpone di lana bianco per ripararsi dal gelo e seguì il manager.  

Dopo di loro, altri quattro camion si fermarono davanti al palazzetto dove si sarebbe tenuto il concerto fra tre giorni. Era il secondo tour dei Tokio Hotel. Dovevano promuovere il loro secondo Album. E siccome Berlino era la capitale della loro patria... bhè... tutto doveva essere perfetto.
Entrarono dalla porta del Backstage e attraversarono il corridoio di moquette. David aprì una porta color legno e vi entrò sicuro seguito dalla ragazza. Si aggirava come un autonoma fra quelle stanze. C'era stato altre volte per altri concerti, sicuramente.
La camera dov'erano era vuota. Priva di finestre, completa solo da una scarsa mobilia comprendente alcune casse vuote, un attaccapanni e due divanetti vedre chiaro.
Il manager si guardò intorno, serio. Alex lo scrutava per registrare ogni sua mossa e abitudine. Infondo, doveva imparare.

"Molto bene. Alex, prendi appunti..." disse rivolto alla ragazza.
Lei senza indugiare tirò fuori dalla borsa in jeans nera che aveva a tracolla un block notes e penna.

"Dunque... questa è la stanza dove i ragazzi staranno prima e dopo lo show. Quindi ci serve il termosifone portatile, la ventola, due chitarre di Tom nel caso volesse provare, due di Georg, le bacchette di Gustav, un televisore, i loro I-Pod, un set di asciugamani e il tavolo da ping pong... dovrebbe essere tutto per ora... Alexis, segnato tutto?" chiese alla fine dell'elenco.

Lei annuì poco convinta e lo seguì anche nelle altre stanze quasi tutte uguali. Ad ognuna veniva assegnato un nome e l'utilizzo. Quella dei cameramen, quella dei giornalisti, quella degli strumenti, del sorround, dei monitor... insomma, tutto controllava ogni centimetro del palco che ancora doveva essere allestito.

Alex intanto si chiedeva per quale motivo c'era bisogno di un tavolo da ping pong nella stanza del gruppo. Insomma... c'era già tanto lavoro da fare in quei tre giorni. Oltre a quello avrebbero dovuto anche soddisfare le richieste più patetiche di quei ragazzini?

Probabilmente si. Alla lista dovette anche aggiungere il calcetto da tavolo e il nuovo CD dei Metallica. Pare che Gutav abbia telefonato a David perchè ha saputo che era uscito il nuovo Album del suo gruppo preferito... gli ha chiesto di averlo per rilassarsi prima della loro performance.

Alex cercò di non lasciarsi sfuggire una risatina. Si chiedeva quale altra assurdità quei ragazzi tirassero fuori per riempire David di lavoro extra. Era chiaro che il loro manager avrebbe esaudito ogni loro superficiale o meno richesta. Dopotutto erano loro che gli pagavano lo stipendio. Alexis si divertiva un mondo a vederlo trafficare come un matto per soddisfare i desideri delle star. Non era cattiva, ma quel lavoro personalmente lo odiava a dir poco. Forse per colpa di suo padre... fatto stava che vedere tutte quelle persone al servizio di quattro ragazzini che dicevano "si" ad ogni capriccio era davvero uno spasso per lei.

"Forza, Alex..." disse esasperato David, completamente sfasato dal gran lavoro che lo aspettava "Ora possiamo andare in albergo."

***

Si sbagliava.

Maledetti ragazzini!

Con suo grande stupore David assegnò a lei alcuni semplici compiti... Ascoltare le
richieste della Band e far si che ogni cosa chiedano venga fatta. Ecco i suoi semplici compiti.

Dannati bambini!

"Ma... David... pensavo fosse compito tuo questo... insomma, io sono solo una tirocinante... non dovrei semplicemente seguire ciò che fai tu?" disse disperata cercando un modo per scagionarsi da quelle inutili e stupide "faccende".

"Alexis, tesoro... forse dovresti rivedere la tua classifica dei lavori. Tu sei la mia assistente. Ciò vuol dire che io dirigo quello che gli altri devono fare. Io mi fido ciecamente di te. Sei uscita con praticamente il massimo dei voti all'esame di maturità... dovresti essere più intelligente di quello che pensa tuo padre. Quindi tu farai ciò che io ti ordino di fare... o ciò che i ragazzi ti chiedono..." la zittì prima che potesse ribattere
"Questo è tutto."

La loro auto, gentilmente offerta dalla troup della Band, si fermò davanti all'entrata dell'Hotel. Ovviamente un cinque stelle.
Delle transenne tutte intorno bloccavano l'assalto delle fan. Ragazzine urlanti con enormi cartelloni "Bill sei il mio angelo" e robe del genere.

Oche.

Al suo fianco, David maneggiava un palmare estremamente agitato. Altro lavoro? Alexis sperava vivamente non ci fossero più sgradevoli sorprese. Il cellulare dell'uomo prese a squillare freneticamente dal suo taschino.

Oh, no.

"Pronto? ... Si... come sarebbe a dire non riuscite? ... Bhè non potevate stare più attenti? ... Si... si, va bene... ho capito. Da Monaco? Si... si, ci penso io. Arrivo subito. D'accordo, a dopo." chiuse la chiamata con uno strano colorito porpora.

"Che è successo?" azzardò un interessamento la diciannovenne.

David sospirò. Cattivo segno.

"Hanno rotto un pannello nel trasporto. Dovremo ordinarne uno d'urgenza... da Monaco."

"Monaco? Ma... non arriverà mai in così poco tempo!" esclamò stupita.

"Deve arrivare... ascolta, io devo ritornare velocemente al palazzetto. I ragazzi ci aspettano nella Hall. Pensa tu a tutto. Ci sentiamo per telefono..." disse con rammarico.

Alex lo guardava immobile. "Ma... ma io non posso..."

"Alexis... ho detto di pensarci tu! Devi ripeterti quello che ti ho detto poco fa?"

Messaggio chiaro e preciso. Tagliente forse. Fatto stava che la macchina ripartì lasciandola in balia di urla adolescienziali e un monte di problemi sulle spalle.
I fattorini dell'albergo portarono dentro le sue valigie e quelle di David. Lei non riusciva a mouvere un muscolo. Che avrebbe dovuto fare?
Si guardò intorno e fotografi impazziti le scattarono una miriade di flash. Si voltò dall'altra parte ancora più confusa. Alzò lo sguardo sentendo un'improvvisa voglia di scappare. Maledì suo padre tante di quelle volte in quei pochi secondi che non riuscì nemmeno a contarle. La folla si dimenava creando una massa inconsistente di persone davanti a lei. Qualcosa però attirò la sua attenzione. Qualcosa di strano, di insolito. Un'ombra. O meglio, un mantello. Nero. Le provocò una strana sensazione. Lo stomaco si contorse e il cuore perse un colpo. Un dejavu forse. Non sapeva nemmeno lei cosa poteva essere. Quella vista durò pochi attimi. Poi si dissolse tra le ragazze tedesche come fumo al vento.

"Signorina?"

"Cosa?" domandò ancora non del tutto ripresa.

"Le consiglio di entrare... I paparazzi non sono ben accetti qui." le riferì il fattorino.

Alexis prese un lungo respiro e attraversò la porta girevole. Era evidente che suo padre sapeva a cosa lei sarebbe andata incontro. Probabilmente l'aveva fatto apposta per convincerla a riprendere gli studi. Bhè... non gliel'avrebbe data vinta. Non questa volta.

Attraversò la Hall dell'Hotel e si diresse alla reception dove quattro ragazzi erano fermi. Li riconobbe subito. Erano loro.

"Ciao." disse, salutandoli.

"E tu chi sei?" domandò Tom Kaulitz, quello che Alexis riconobbe come il chitarrista... forse.

"Sono l'assistente di David... Alexis." si presentò porgendo la mano al rasta. "Ah..." rispose lui ricembiando un pò sconcertato.

Stai calma... stai calma.

Ah... Ah? ... Ah! Ma che cavolo. Nessuno gli ha insegnato la buona educazione a questo cretino?

"Di solito in queste situazioni si dice 'piacere'... e ci si presenta a sua volta." spiegò con quanto più autocontrollo avesse in corpo la ragazza.

"Che bisogno c'è di presentarmi? Tutti mi conoscono." rispose sorridendo.

Che faccia tosta.

"Piacere, Bill..." si presentò il gemello vicino.

Bhè... uno su due era già un buon risultato.

Anche gli altri non furono poi così maleducati a presentarsi. Certo però che bisognava avere un bel coraggio ad andare in giro conciati in quel modo. Insomma... Quel Bill era davvero fuori dal comune.

"Quindi tu sei la ragazza di David." concluse Tom.

La ragazza di... Oh, mio Dio!

"No!" esclamò schifata "Ma come ti salta in mente? Abbiamo minimo venticinque anni di differenza... Come fai a credere che..."

"Ehi, rilassati... Intendevo dire che sei la sua nuova assistente..." esordì con più enfasi.

"Ah... bhè... purtroppo si."

"Perchè purtroppo?" chiese Georg "Lo sappiamo che a volte può essere un pò brusco, ma è pur sempre uno in gamba."

"Non è questo... non importa. Non fatemi domande. Questo non fa parte del mio lavoro." disse più fredda.

Chiese al direttore le chiavi delle loro stanze sotto gli occhi straniti della Band e le distribuì.

"I vostri bagagli sono già nelle rispettive camere..." spiegò ai ragazzi che però non ascoltavano granchè. Ecco un'altra cosa che la irritava e si dovette promettere di rimanere più calma possibile.

Dopo un minuto si zittì da sola credendo di fare la babysitter e non l'assistente manager di un gruppo famoso. I due gemelli avevano iniziato a 'discutere' per la camera 1102.

Non potevo fare la barista?

"Che problema c'è?" chiese sull'orlo di menare qualcuno.

"Bill ha di nuovo la suite... Perchè sempre lui, non è giusto! Non si potrebbe fare a turno?" piagnucolò Tom cercando di strappare la chiave dalle mani del fratello.

Oddio!

"Scusa chi di noi due è il frontman del gruppo?"

"Questo non vuol dire niente! Anche io faccio la mia parte... Georg e Gustav, pure..."

"Si, ma io devo avere più riguardo visto che sono la voce della Band..."

Alex si masaggiò le tempie. Le stava scoppiando la testa. Il primo giorno del disastro!

"Vorrei vedere se senza una buona chitarra sei ancora qualcuno!"

"Perchè tu senza la mia voce saresti ancora il Sex Gott amato dalle nostre fan? Non credo!"

Basta!

"Fatela finita!" urlò con quanto fiato avesse in corpo, zittendo tutti all'istante "Se proprio dovete litigare fatelo da qualche altra parte! Quando ci sono io NO! Volete la suite? Fate testa o croce e non se ne parla più! Sono stata abbastanza chiara?"

I quattro rimasero immobili a fissarla mentre firmava alcuni fogli sul bancone. Appena ristabilì il contatto visivo con loro, annuirono senza proferir parola.

"Bene. All'ascensore, muovetevi!" sbraitò seguendoli.

Le sembrava di essere ritornata sedicenne. Quando ancora andava a guardare i figli dei vicini il sabato sera a sei euro e mezzo l'ora. I Tokio Hotel erano decisamente più grandi, ma il cervello era pari a quello di un bambino dell'asilo.

Sarebbe stata una lunga settimana quella! Molto lunga!

E ne mancavano ancora tre prima delle vancanze!

Scosse la testa dolorante, cercando di non pensare all'inferno che l'attendeva.
Salirono tutti sullo stesso ascensore, lei per ultima e schiacciò con veemenza il tasto numero undici.
Quell'abitacolo era piuttosto grande, ma non per cinque persone.
Presto si ritrovò quasi appiccicata al cantante che, per la cronaca, non la smetteva di fissare i suoi occhi.
Si ritrovò ad arrossire per quella situazione. Quel diciottenne era parecchio strano...

"Sai... prima non avevo notato i tuoi occhi..." mormorò continuando a fissarle le iridi

"Sono strani. Hanno un colore particolare... tendono al viola... e luccicano come se stessi piangendo."

Si. I suoi occhi erano molto particolari. Erano un pò il suo vanto. Le piacevano molto. In pochi però li notavano... bisognava essere piuttosto vicini per vederli con chiarezza.

"Nascondono qualcosa. Non a tutti capitano degli occhi così! Sei molto fortunata!" esordì uscendo dall'ascensore che era arrivato a destinazione, lasciando la ragazza spiazzata.


"Fortuna o maledizione nascondono un segreto entrambi. Divisi da un filo sottile, fanno la differenza tra prodigio o tragedia."









Continua...!?!






Ciao a tutti!
Sono Hilary... questa è la mia prima ff che pubblico in questo fandom.
Come avrete capito, sono una ragazza che adora il mistero. ^-^

Questa fic mi è venuta in mente mentre facevo la doccia XD

Spero vi sia piaciuto il primo cap...

Fatemelo sapere, vi prego.

Vale la pena continuarla???

A voi la scelta! XD



Un Bacio


Hilaryssj








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Capitolo 2
*** La donna del mistero. ***






Gli occhi delle Tenebre
The eyes of the Darkness

[... Ogni persona nasce con un preciso destino ...]
[... Una sola nasce per uno scopo che non è il suo ...]
[... Un Dono e al contempo una Maledizione colpiscono la Consacrata ...]
[... La Morte e la Vita si contendono l'esistenza della Dannata ...]

                                             D. S.













 La donna del mistero.









Appena il gruppo si fu dileguato nelle rispettive camere, Alexis si precipitò nella propria. Poteva finalmente godersi un pò di pace dopo il lungo viaggio.
La stanza 1104 era decisamente fantastica. Assistere delle superstar aveva anche i suoi lati positivi, dopotutto.
Non era quella che si poteva definire una suite, ma ci andava molto vicino. L'entrata era seguita da un breve corridoio dove a destra si accedeva al bagno, completo di vasca, doccia e uno specchio illuminato sufficientemente grande da riflettere almeno mezzo busto.
Passato il piccolo corridoio si accedeva alla camera da letto, una piazza e mezza per la precisione, un comodino a lato, un comò delizioso con sei cassetti e un armadio quattro stagioni grande quanto tutta la parete opposta al letto.
Il pavimento raffinatamente ricoperto da una moquette verde scuro dava un senso di superiorità al tutto in tinta perfetta con le pareti verde chiaro. Un minifrigo era posto alla sinistra del materasso, appena distaccato dal finestrone vista Berlino, e una poltroncina di cortesia riempiva un angolo vuoto accanto all’armadio dando all’arredamento il tocco finale.
Alexis ne fu soddisfatta. Le sue valige erano state scaricate ai piedi del letto, in attesa di essere disfatte, ma prima Alex  volle dare un occhiata al balcone della portafinestra.
Fece scorrere il vetro e venne travolta da una ventata gelida. L'undicesimo piano era piuttosto alto per i suoi standard, ma il silenzio che regnava a quell'altezza poteva anche farle dimenticare di essere nella capitale. I rumori cittadini arrivavano ovattati fin lassù e il fischio del vento era qualcosa di molto rilassante.
Niente l'avrebbe distolta da quella pace paradisiaca. Già sognava di rintanarsi in quel posto dopo una dura e faticosa giornata di lavoro. Distendersi sulla poltroncina lì accanto e chiudere gli occhi lasciandosi cullare dal dolce suono degli aerei in lontananza e dai suoi pensieri. Senza il minimo squillo del suo cellulare, che avrebbe accuratamente spento, nè del ticchettio dell'orologio da polso che portava...

"Ehi... non starai per caso cercando di suicidarti, vero?"

Vaffanculo!

Riaprì gli occhi e staccò le mani dalla ringhiera voltandosi di scatto, seguendo il suono di quella voce strafottente con cui aveva avuto a che fare poco prima.
Eccolo lì. Tranquillamente stravaccato sulla sedia sdraio, con una felpa grigia imbottita, e una sigaretta in mano. La solita espressione di superiorità che la faceva imbestialire.
"Che t'importa? Anche se volessi... non ti farebbe nè caldo nè freddo!" rispose lei, parecchio irritata.
Ma proprio le camere vicine dovevano avere?
Tom le sorrise e con un gesto delle dita lanciò il mozzicone giù dall'edificio. Si alzò continuando a fissarla, con un ghigno sghembo a disegnargli il volto. Si appoggiò al muro, dove il suo balcone finiva, verso quello della ragazza.
"Non avresti il coraggio..." rispose con noncuranza.
Quel ragazzo stava giocando con il fuoco e questo Alexis lo percepiva più forte che mai.
"Di certo non lo farei per vincere una scommessa!" ringhiò fra i denti la giovane. Era difficile mantenere il controllo con un energumeno del genere. Avrebbe potuto cambiargli i connotati con qualche pugno ben assestato, merito degli anni di Karate che aveva voluto intraprendere da piccola... peccato fosse proprio quello strafottente a pagargli lo stipendio più che lauto.
"No, certo... Mi viene da pensare che ci sia qualcosa sotto, invece... Cos'è, il ragazzo ti ha mollata?" disse con un tono che sembrava stesse prendendola in giro. Il sorriso sempre sulle labbra.
Tom era abituato a giocare con le ragazze. Per qualche strano motivo, si divertiva nel farle irritare. Come quella volta che aveva quindici anni e si era portato a letto quella moretta ben dotata di cui non ricordava nemmeno più il nome. All’epoca era la ragazza fissa di uno a scuola che il rasta non sopportava. L’aveva sedotta apposta, facendole credere di essere attratto da lei e dalle sue forme - il che non guastava - e, alla fine, aveva ceduto al suo volere, scaricando il suo fidanzato il giorno stesso. Si divertì con lei quella notte… il giorno dopo la scaricò lui.
In effetti, si poteva considerare un vero masochista, il gemello di Bill.
Quando non pensava al sesso… bhè… gli piaceva stuzzicare l’umore delle ragazze. Tanto più godeva quando erano già di per sé irritate.
Alex si girò dalla parte opposta alla sua. Lo conosceva da pochi minuti e già lo odiava con tutta sè stessa. Gli occhi iniziavano a pungerle.
L’aveva colta nel vivo senza nemmeno saperlo.
"Oh... è così?" chiese il rasta moderando il tono, rendendosi conto all’improvviso che quella non era una sua preda. Come avrebbe potuto? Era come una collega di lavoro…
Il che lo portò a pensare che i suoi giochetti funzionavano per il semplice motivo che le sue “vittime” duravano solo un giorno, dopodichè normalmente non le rivedeva mai più. E si dovette mordere la lingua calcolando che quella bionda invece l’avrebbe vista tutti i giorni per un tempo indefinito… comunque parlando di anni!
Lei prese un respiro profondo e si girò fulminandolo con lo sguardo.
“Questo è il mio lavoro… la mia vita privata non ti riguarda, Kaulitz… per quanto famoso tu possa essere… se permetti, sono affari miei!” Semplici parole. Dritte al punto. Alex non la tirava mai per le lunghe.
Lo lasciò a bocca asciutta mentre con veemenza lei sbatteva la porta finestra dopo essere rientrata. Tirò le spesse tende color panna in modo da non essere più disturbata. Si asciugò con il dorso della mano l'unica lacrima che era riuscita a solcarle il viso in quegli ultimi tre mesi. Era stanca di piangere.
Per quanto in quel tempo si era ripromessa di dimenticare, il dolore ancora la attanagliava quando ci pensava. E ora non doveva pensarci.
Guardò le quattro valige per terra che richiedevano di essere svuotate. Proprio non ne aveva voglia.
L'unica cosa che avrebbe tanto desiderato fare era un bel bagno caldo con il suo bagnoschiuma al cocco che rilasciava nell'aria e sul suo corpo una fragranza dolce-amara. Quel tepore le avrebbe fatto davvero da rigenerante. Ne aveva estremamente bisogno... passava ore nella vasca, immersa nell'acqua bollente e nelle bolle di sapone a casa. Uno dei momenti che preferiva...

Driiin Driiin... Driiin Driin...

Maledetta suoneria! Devo decidermi a cambiarla...

Afferrò il cellulare che vibrava dalla tasca davanti della sua borsa e premette il verde.
Non ebbe nemmeno il tempo di chiedere chi era che una voce molto arrabbiata e piuttosto alta le arrivò all'orecchio stordendola.
"Dove diamine ti eri cacciata, Alex? ... E' da mezz'ora che cerco di rintracciarti!"
David... non poteva non essere lui. La sua ipertensione attraversava persino la cornetta.
Alex sospirò confusa.
"Sono in albergo, come mi avevi detto. Probabilmente non c'era campo prima... che è successo?" chiese sentendo un rumore assordante provenire dal telefono del manager.
"Qui va tutto bene, quasi... ma i ragazzi sono saliti nelle loro camere?"
"Si... e per la cronaca... i gemelli si sono messi a litigare per la..."
"Sisi... non importa..." la zittì lui e proseguendo "Tu comunque che ci fai ancora in albergo?"
"Bhè... pensavo di farmi una doccia e di disfare le valige... poi probabilmente andare a pranzo, visto che la colazione è saltata..." non sapeva perchè, ma quella risposta non andava bene...
"ALEXIS!"...ecco, appunto... "Ora non ho tempo di sgridarti... comunque le tue cosette da donna le farai più tardi... ora devi fare quelle commissioni che ti ho assegnato prima!"
Cosette da donna? Cioè... farsi un bagno era un crimine commesso solo dalle donne, ora? Alex preferiva evitare di rispondere per non peggiorare la situazione.
"Ma... David... oggi?" chiese sull'orlo dell'esasperazione.
"Si, oggi! Quando pensavi di farle? ... Oddio... no, non toccarlo ..." Alex stava cercando di assimilare tutto mentre il suo datore di lavoro dava ordini agli operatori dall'altro capo dell'apparecchio.
"... Senti, ragazza... prima di stasera fai quelle due o tre cose e poi potrai rilassarti! Cerca comunque di avere sempre il cellulare a portata di mano! Ciao."
"Ma...." troppo tardi. David aveva chiuso la conversazione.
Alex rimase un attimo immobile cercando di decidere sul da farsi.
Sbuffò sonoramente, completamente infastidita da quell'assurda situazione.
Afferrò di malavoglia la sua inseparabile tracolla nera e il giubbotto che si era tolta poco prima, infilò il cellulare nella tasca e prese la chiave della stanza dal comodino sul quale l'aveva appoggiata.
Era stanca, esasperata e affamata. Eppure doveva stare agli ordini di quel vecchio... anzi… doveva sottostare ai desideri di quattro bimbi troppo cresciuti che erano troppo impegnati a giocare con i videogiochi per fare le loro commissioni.
Dio, quanto gli odiava. Il rasta soprattutto. Credevano di essere delle Divinità da servire e riverire solo perchè avevano ottenuto un contratto importante? Che ipocriti!
Mise la mano sulla maniglia e spalancò la porta per uscire. Con stupore e con la forte tentazione di scagliare un pugno in faccia a quel bel faccino truccato, Alexis si trovò davanti al cantante della Band che, presumeva stasse per bussare proprio alla sua porta.
"Oh... ehm... che tempismo!" balbettò Bill sorridendo.
Non aveva ancora finito di imprecare contro David che si presentava già un altro problema. Alex lo guardava con gli occhi socchiusi.  Qualcosa che voleva dire che cazzo vuole questo, adesso?
"Che vuoi?" chiese cercando di tenere a freno più possibile la lingua.
In qualche modo, il moro aveva recepito lo stato d'animo della ragazza perchè cercò di non sentirsi offeso da quell'atteggiamento. Probabilmente se le avesse detto qualcosa sarebbe finita male. Molto male.
"Ehm... ecco... stavi uscendo per caso?" le chiese cercando di essere il più rilassato possibile. Quello sguardo gli incuoteva timore a dir poco.
"Si" ... e non per una gita di piacere, brutto deficiente... stava per aggiungere, ma preferì mordersi per l'ennesima volta la lingua.
"Ah... ehm... bhè..." Bill sentiva che qualcosa in quella ragazza non andava. Poteva sentire la sua rabbia scaturire da ogni centimentro del suo corpo. Sembrava una bomba nucleare sul punto di esplodere nelle sembianze di una innocua ragazza dagli occhi di ghiaccio.
"Allora, mi vuoi dire perchè sei venuto da me?" disse lei cercando di respirare normalmente. Era un dato di fatto quello. Non riusciva a controllarsi molto quando era arrabbiata... o meglio, incazzata nera.
Bill trovò finalmente coraggio... "Il mio I-Pod si è rotto... mi serve molto prima del concerto perchè mi rilassa... non è che potresti passare in qualche negozio per farlo riparare?" ... Alex sembrava impassibile a quella richiesta.
Passarono pochi attimi di assoluto silenzio dove lei lo atterrò solo con quello sguardo penetrante e tagliente di cui era capace.
"No" rispose semplicemente. Chiuse a chiave la sua porta e lo oltrepassò dirigendosi all'ascensore, lasciandolo allibito davanti a quella negazione esplicita.

***

Odiava suo padre. Dio solo poteva sapere quanto. L'aveva incastrata per bene. Ora, se lasciava il suo attuale lavoro avrebbe dato prova di non esserne all'altezza, se avesse continuato... bhè... o sarebbe andata in esaurimento nervoso o l'avrebbero comunque licenziata. Non era tagliata per qual genere di cose. Prendere ordini era una cosa che la faceva imbestialire. Essere cortese da chi prendeva ordini era quasi impossibile per lei.
Forse era un tantino orgogliosa. Si. Decisamente orgogliosa. E ne andava fiera.
Avrebbe odiato il mondo intero se solo ne avesse avuto la forza. Detestava la sua vita come detestava il rosa shokking.
All'età di tredici anni aveva strappato tutte le fotografie di quand'era piccola, quando sua madre la vestiva come una barbie. Gonna rosa, maglietta rosa dei cartoni animati, scarpette rosa e cuffietta in tinta. Gli unici colori che le piacevano erano il nero, il bianco, il viola e il rosso. E vestiva solo quelli.
Camminava per le strade di Berlino assorta nei suoi pensieri, come al solito. Erano le quattro del pomeriggio e aveva appena finito di fare quelle due o tre commissioni, come aveva detto David. Il che comprendeva comprare quell'inutile dvd dei Metallica, confermare il trasporto del tavolo da ping pong fino al palazzetto e ordinare anche il calcetto, aveva dovuto passare a comprare gli asciugamani, cosa che trovò stupida, dovette passare in sartoria per ritirare la giacca che il frontman aveva pensato bene di farsi glitterare la scritta sulla schiena e, come se non bastasse, il manager le aveva telefonato circa quattro volte per assegnarle altre commissioni da eseguire. Morale della favola: Non conoscendo Berlino ci impiegò praticamente tutta la giornata per trovare le varie sedi con una cartina della città praticamente inutile visto che dovette chiedere informazioni una decina di volte, i pacchi che era andata a ritirare per quei quattro rincitrulliti pesavano come mattoni e, come cigliegina sulla torta, non aveva avuto tempo nemmeno per pranzare.
Ora che stava arrancando, sfinita visto la sua lunga camminata, verso l'albergo l'unica cosa che riusciva ancora a pensare era di mandare al diavolo tutto e dare le dimissioni. Pensava di trasferirsi in qualche altro paese. L'Italia non era male... si mangiava bene, le persone erano gentili e il lavoro non mancava... ma ovviamente lei non sapeva un fico secco di quella lingua.
Tornare dai suoi genitori era fuori discussione.
Oh, ma che stava pensando? Era inutile cercare una via di fuga. L'orgoglio glielo impediva. Avrebbe dimostrato a suo padre di che pasta era fatta. Fargli vedere che non serviva una laurea per fare l'assistente di un manager da strapazzo.
Dopo alcuni minuti arrivò finalmente in albergo. Prese di filato l'ascensore ed entrò in camera. Lanciò tutte le borse che trascinava sul pavimento e si lasciò cadere sul letto. La prima cosa che le venne in mente era un bel panino con formaggio, pomodoro e insalata. Stava svenendo dalla fame!
Aprì il minifrigo speranzosa, ma trovò solo due birre, una tonica e lattine di coca cola. Richiuse lo sportello, prese il cuscino accanto e se lo premette sulla faccia attutendo l'urlo di disperazione che non ce la fece più a reprimere.

Driiii Driiin... Driiin Driin...

Era tentata di prendere quel maledetto aggeggio e lanciarlo fuori dalla finestra. Lo estrasse dalla tasca e vide sulla schermata "David".

No... no... ti prego, basta!

"Pronto?" rispose con un grugnito
"Alex... dove sei?"
"Sono appena rientrata in albergo..." disse sperando ardentemente che quella fosse solo una chiamata senza nessuno scopo preciso.
"Bene... hai preso tutto quello che c'era sulla lista?"
"Si... tutto quello che mi hai chiesto..."
"Fantastico! Il nuovo pannello sta arrivando da Monaco... bene bene... il tavolo da ping pong?"
"Un furgone lo porterà lì al palazzetto domattina..." Forse c'era qualche speranza di essere finalmente libera quella sera.
"Perfetto! Ottimo lavoro! Senti, Alex... ti ho mandato un nostro collaboratore a ritirare quelle due o tre cosucce che hai preso... le porterà lui qui... ti aspetta appena fuori dall'Hotel... dopodichè per stasera sei libera!"

Dio, ti ringrazio!

“Grazie, David… buon lavoro!”
Si salutarono con un “ciao” veloce e chiusero la chiamata.
Alexis si lasciò sfuggire per la prima volta in quel giorno infernale un sospiro di sollievo. In quel momento, la parola ‘Libera’ le sembrò il vocabolo più bello inventato dalla mente umana.
Balzò giù dal letto, prese al volo le borse abbandonate sul pavimento e in pochi secondi fu sulla strada. Non si preoccupò nemmeno di coprirsi con la giacca, l’auto del loro team l’aspettava parcheggiata a qualche metro dall’entrata. Consegnò i pacchi e rientrò subito nella Hall dell’Hotel.
Mentre si avviava all’ascensore si rese conto che stava sorridendo. Pregustava già il suo bagno caldo, una buona pizza che avrebbe sicuramente ordinato non appena entrata in camera e le canzoni degli Evanescense nelle orecchie. E dopo magari avrebbe trovato l’ispirazione che stava cercando da giorni e si sarebbe finalmente attaccata al suo fedele computer.
Salì sul primo ascensore libero e premette il numero del suo piano continuando a fantasticare sul relax che si sarebbe concessa.

Al diavolo le valige… possono aspettare!

Il tintinnio sordo dell’abitacolo suonò, avvertendo la ragazza di aver raggiunto l’undicesimo piano. Le porte si aprirono e Alex prese il corridoio di sinistra per arrivare alla sua stanza.
Girò l’angolo e sussultò nel trovarsi di fronte al viso che odiava più di tutti al mondo dopo suo padre.
“Ciao!” la salutò stranamente allegro il rasta.
“Ciao…” rimandò svogliatamente lei, oltrepassandolo.
Tom la fermò trattenendola per il polso. Forse non si rendeva conto dello stato d’animo della ragazza…
E questo che vuole, adesso?
“Aspetta…” disse, cercando di tenere un tono dispiaciuto “Senti… mi dispiace per quello che ho detto sul balcone… non avevo capito che stavi veramente male.”
Alex lo guardò negli occhi rendendosi conto che quelle erano una sottospecie di scuse.
“Hai ragione… non sono affari miei e non era mia intenzione ferirti…” continuò con voce bassa.
Era strano quel ragazzo. Più di quanto Alex avesse potuto credere, ma, per qualche strana ragione, gli credette.
“Bhè… da quello che mi hai detto prima, sembrava tutt’altro che un insulto non intenzionato!” gli rispose freddamente, come volesse metterlo alla prova.
“Lo so… a volte parlo senza pensare. Non voglio farmi odiare… poi dovremo convivere per molto tempo… non mi sembra il caso di punzecchiarci ogni volta.”
Era la cosa più sensata che Alex avesse sentito dire in tutto il giorno. Era sincero. La sue espressione non mentiva.
“Che dici, Alexis… tregua?” le chiese il rasta, sorridendo.
“Immagino di si…” rispose ricambiando il sorriso.
Forse si sbagliava su quel ragazzo. E’ vero, la prima impressione è quella che conta, ma è anche giusto conoscere le persone prima di giudicarle.
Il fatto che le abbia chiesto scusa significava che in fondo del buono c’era in lui.
Certo, anche il suo stato d’animo piuttosto benevolo in quel momento lo aveva aiutato…
“Bene… senti, stasera, dopo cena, noi della band facciamo una specie di torneo alla Playstation… ti va di unirti a noi?” domandò speranzoso.
Forse voleva farsi perdonare come si deve e ad Alex venne quasi voglia di accettare, ma era davvero esausta e tutto ciò che desiderava era rimanere da sola con sé stessa.
“Ti ringrazio… ma sono stanca e non me la sento di fare le ore piccole… domani mi aspetta un duro lavoro…” cercò di rifiutare cortesemente.
“Eddai… magari solo per una birra insieme… il gruppo deve conoscerti meglio, dopotutto.” non desisteva il ragazzo.
Alexis parve indecisa. Non amava particolarmente parlare di sé, della sua vita, ma era vero. Dovevano pur conoscerla e lei soprattutto aveva bisogno di saperne un po’ di più di questa band.
“Magari solo per un bicchiere…” rispose ricambiando il sorriso.
“Fantastico! Comunque ceni con noi, vero?” domandò ancora.
“Non credo… ordinerò in camera. Devo rimettermi in sesto… David mi ha fatto correre, oggi… e…” Non riuscì a concludere la frase che la colpì un forte mal di testa improvviso.
Un urlo sordo le rimbombava in testa come un assordante fischio intenso.
Si premette le tempie con le mani, incapace di spiegarsi cosa le stesse succedendo.
“Alexis… ti senti bene?” le chiese Tom, notando il pallore della giovane.
Iniziò a sentire le gambe cedere, tremare sotto il suo peso e dei brividi di freddo percorrerle tutto il corpo come in preda alla febbre.
“S-si… sto bene… è solo… solo un malessere passeggero…” riuscì a biascicare fra i tremiti.
Il rasta le si avvicinò stranito. Non sembrava affatto stesse bene. Le sfiorò appena il braccio, ma Alexis si scostò immediatamente.
“Non mi toccare!” mormorò con una voce flebile, rauca… una voce così fredda che Tom quasi non la riconobbe.
“Scusa, ma… tu stai male.” disse quasi timoroso.
Iniziò a tossire violentemente. Faticava a respirare e il dolore alla testa la costrinse a sostenersi alla parete.
“Alex…” Tom era preoccupato. L’aveva vista diventare bianca nell’arco di pochi secondi e le sue vene erano di un pericoloso colore violaceo.
La vide barcollare e fece qualche passo verso di lei.
“Ti ho detto… di non toccarmi!”
Improvvisamente qualsiasi cosa a contatto con il suo corpo le dava un  immenso fastidio. Persino i vestiti li sentiva pizzicare.
Boccheggiava cercando aria. Qualcosa risaliva dal suo stomaco, bruciava come acido e infine arrivò alla bocca. Un miscuglio viscido, amaro, caldo. Sangue.
In quel momento rabbrividì di paura.
Si portò una mano alla bocca, spaventata. Si toccò le labbra e guardò il dito sporco di liquido vermiglio.

Sangue.


Completamente paralizzata cadde in ginocchio, sentendo un peso gigantesco premere contro di lei.
Tom sussultò vedendola incespicare e senza preoccuparsi di ciò che diceva le andò vicino e la sorresse. Il suo tocco la fece bruciare, come se la sua pelle potesse incendiarsi da un momento all’altro. Non riusciva a parlare, strozzata dal liquido vermiglio che le riempiva la bocca e continuava a sgorgarle dallo stomaco in una maniera terrificante. Si dimenava cercando di allontanarlo, ma lui non la mollava e tentava di alzarla senza risultato.
Con difficoltà, Alexis aprì gli occhi e fu allora che la vide.
L’ombra. Quel mantello nero. Quella figura misteriosa che le aveva procurato la stessa sensazione la mattina. Era ferma. Immobile a qualche metro da lei.
La testa incappucciata si mosse leggermente. Alzò il capo e Alexis perse un battito del cuore. Una donna.
Un volto di una donna la stava fissando e per qualche strana ragione, Alex parve di conoscerla.
Eppure era sicura di non averla mai vista. Quei lineamenti così puliti, perfetti, lindi. Sembrava una bambola di ceramica.
Ciuffi biondo platino le circondavano il viso addolcendolo.
Gli occhi profondi, penetranti. Viola.
In pochi secondi la sua testa cessò di pulsare. I brividi l’abbandonarono e il sangue in bocca scomparve all’improvviso rilasciandole un gusto neutro in bocca.
La donna si dissolse nell’atmosfera.
“Alexis… Alex stai bene?” chiese Tom, sentendo i nervi della giovane rilassarsi sotto le sue dita.
“S-si… si, Tom … sto bene.” mormorò assente. Pensava ancora a lei.
“Che ti è preso? Mi hai fatto spaventare a morte!”
“Ma… l’hai vista anche tu, vero?” chiese lei fissando il punto dove poco prima c’era quella donna misteriosa.
“Chi?” il rasta alzò un sopracciglio, non capendo.
“Quella… quell’ombra scura! Era proprio lì, davanti a noi!” cercò di spiegare lei, indicando con il dito il punto esatto.
“Un’ombra scura? Alex credo che tu abbia bisogno di un po’ di risposo.”
“Ti dico che era qui! Come hai fatto a non vederla?” ribattè la bionda. Era sicura di ciò che aveva visto e lo poteva provare.
“Guarda! Non mi sono immaginata niente! Lo vedi questo?” chiese mettendogli la sua mano davanti agli occhi. Quella con cui si era pulita la bocca dal sangue.
“La tua mano?” Tom non riusciva a capire. Credeva che quella ragazza stesse dando di matto.
Alexis adottò un espressione strana e ritirò la mano. Con stupore si accorse che il dito era pulito.
Me lo sono immaginato?
Tom scosse la testa, stranito, e l'aiutò ad alzarsi sempre sorregendola per timore che potesse perdere di nuovo l'equilibrio.
“Alexis… facciamo così… Ora vai in camera e ti riposi. Hai delle occhiaie da paura!” ammise ridacchiando “… ceni con calma e poi ci raggiungi, giusto per presentarci meglio.”
La ragazza era ancora in semi-trans e seguì distrattamente le parole del rasta.
Era talmente esausta da avere le allucinazioni? Oppure semplicemente troppo affamata…
Sarebbe stato anche lecito se il sapore del sangue non fosse stato così reale che poteva ancora sentirne il viscido retrogusto in bocca.
Si sentiva stupida, confusa e irritata al tempo stesso. Spesso la sua mente giocava brutti scherzi, talvolta finiva per confondere la realtà con la fantasia, soprattutto da piccola. Eppure quella volta era diverso. Era certa di averla vista!
Dopotutto non poteva biasimare il suo stomaco brontolante…
La testa prese a pulsare leggermente, disorientata da ciò che aveva appena subito -forse non del tutto vero- e dalla patetica accondiscienza con cui il chitarrista le stava parlando.
Non lo capiva che essere compatita le dava il voltastomaco? Nessuno lo capiva.
Era insopportabile lo sguardo di pietà che le riservava. Degno di una bella risposta per le rime!
“Senti, Tom…” disse, seria, bloccando le sue generose quanto stupide preoccupazioni “Sto bene. Ho solo avuto un mancamento… a volte mi succede.”
“Hai mai provato da un dottore? Forse ti mancano alcune vitamine…”
La ragazza sbuffò incerta. Lo guardò con un sopracciglio alzato, segno che non voleva sentire altro.
“No… Te l’ho detto. Sto bene. A che ora stasera?” chiese cambiando argomento e augurandosi che anche il rasta facesse lo stesso.
“Ok… verso le nove e mezza?”
“Perfetto. Nella suite di Bill, giusto?”
“Si. Ha un megaschermo spettacolare in salotto! Vedrai che spasso!” esclamò già pregustando il divertimento.
“Già…” rispose con molta meno enfasi “Bhè… io vado in camera. A stasera.” lo salutò con un cenno.
Lui ricambiò e la lasciò entrare in stanza.
Appena richiuse la porta a chiave si lasciò cadere a terra. E pianse.
Lasciò che tutto il dolore fuoriuscisse dal suo corpo, le lacrime sgorgavano incessantemente mentre davanti a lei scorrevano ancora quelle immagini tremende.
Chi era quella donna?
Non riusciva a smettere di pensarci. Sapeva solo che, nel momento esatto in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli identici della figura misteriosa, fu come una scossa elettrica. Un dolore lancinante. E subito un susseguirsi di immagini del suo passato presero a scorrerle davanti alla visuale, come un film dell’orrore.
Solo quel giorno.
Quel 20 giugno maledetto di due anni fa che aveva cercato in tutti i modi di rimuovere dai suoi ricordi. Ora era tornato vivido in lei.
Rivide ogni particolare di ciò che successe. Riprovò ogni emozione.
La felicità, la notte, la strada, il semaforo, il camion, le urla, il terrore, il suo viso che la guardò un’ultima volta, l’ultimo bagliore di luce… il buio.
Per lui fu eterno.
La cicatrice che Alexis portava sul fianco aveva ripreso a bruciare.
Stesa sulla moquette, singhiozzante, non riusciva a spiegarsi molte cose. Perché d’un colpo solo tutto la riportò a quel giorno? Perché quelle sensazioni?
Poi quel sangue. Quel gusto amaro e dolcissimo che le aveva invaso la bocca poco prima, Alexis ne era quasi certa, era di lui.



“Tu appartieni a noi, Alex. Ciò che sei fa parte del nostro passato. Accetta il tuo destino e abbandona la tua anima mortale.”






... Continua... !?!





Ciao a tutti! ^-^ ... Eccomi tornata con il 2° capitolo! Scusate se ci ho messo un pò ma vi confesso che scriverlo è stato un pò difficile e complicato...
Comunque... tornando a noi... sono stramegafelice che il primo chappy vi sia piaciuo così tanto! Vi giuro non credevo in un simile interessamento! *-*
Ci sono rimasta di sasso quando ho visto tutte quelle recensioni... eheh...
Bhè... innanzitutto vi ringrazio tutti insieme!
Siete troppo gentili! ^-^ (Ma non smettete, vi prego! *-*)

Poi, vorrei precisare che le brevi frasette che metto sempre alla fine di ogni cap non sono altro che piccoli stracci del continuo della storia. Diciamo che è un modo per incuriosirvi di più ^-^ non hanno niente a che fare con la vicenda della stesso capitolo!

Per chi ha letto questo cap... immagino che nessuno di voi, o almeno la maggior parte, abbia capito molto dell'ultimo pezzo. Vi chiederete chi sia questo "lui"... cosa centrino il buio, il camion, le urla, ecc...
Tranquilli! Capirete più avanti! (In ogni caso sappiate che "lui" non è Tom! ^-^).

Ora... visto che non mi vengono in mente altre cose da spiegare, passo ai ringraziamenti di chi ha recensito ^-^ ! (Grazie ragazzi/e... ve ne sono immensamente grata!):::::

Barbycam: Tesorina mia!!! Oddio... mi fai felice con questa rece! Davvero! Sapere che le mie storie ti piacciono è sempre un piacere for me ^-^!! Ti voglio un kasino di bene! Grazie grazie grazie! kissone!!!

xXxSilenCexXx : Madonnina santissima! Lo sai che mi hai fatto prendere un colpo??? uhuhuhuhuh... addirittura??? Ti piace così tanto che mi faresti santa?? ahahahaha... grazie 10000! La tua recensione mi ha fatto davvero piacere! ...E se ti è piaciuto così tanto l'inizio... ti anticipo che il seguito sarà ancora più succoso! kissotto... bacio bacio!

nihal_chan : Eh non ti sbagli Nihal della Terra del Vento! ^-^ ... Confesso che Licia Troisi mi ha fatto sognare con le sue 2 trilogie! In un certo senso gli occhi viola li ho veramente presi dal Cavaliere di Drago per eccellenza! ^-^ Però ti assicuro che la trama è tutt'altro! Grazie per la rece! continyua a seguirmi!! *-* kisskisskisskisskisskiss

CaTtY : Grazie 1000!!! Sono contenta che ti sia piaciuta! ... e ovviamente non potevo non andare a leggere la tua ff sotto invito! ^-^ come avrai già letto dalla recensione che ti ho lasciato, mi è piaciuta molto! ^-^ Io continuo a seguirti... non scordarti della mia ficcy però ! ç_ç ... un bacione enorme!!! kiskisskisskisskisskisskiss    *-* XD

#°Kairi°# : Davvero credi che io scriva bene?!?!?!?! °-° ... Hai bisogno di un paio di occhiali allora! uhuhuhuhuhhahahahahah.... no skerzo! Grazie di cuore! Sul serio non mi sento così brava, ma se lo dici tu potrei anche crederci! ^-^ ... Ti ringrazio ancora! Sono contentissima! kissksskisskisskiss

hEiLig FuR iMmEr : Uhhhh ... quante domande!!! Mi piacerebbe risponderti a tutte, ma così non ci sarebbe più gusto a leggere, vero? Allora... il mantello nero era della donna misteriosa, come hai visto in questo cap... ma non è finita ovviamente! uhuh... Cosa centrano gli occhi viola di Alexis?? Bhè... non posso dirtelo, ma centrano MOLTO! Soprattutto perchè anche la donna misteriosa li aveva uguali, ma questo lo capirai più avanti! Grazie per la rece! 10000000000 bacini!!! kisss

sara : Ciaux tesorina! Ma glassie! Grazie grazie grazie per la rece! *me felicissima*!!! kisssssssssssss

miss miyu 91 : Ammorrreeeee!!!! Ma quanto mi fanno felice le tue recensioni!!! Non immagini nemmeno! Sei pazza a seguire una fic che nemmeno ti piace solo per me! *ma mi fai troppo felice* ... grazie di cuore!!!!! Grazie grazie grazie grazie grazie!!!!... ecc ecc... uhuhuhuhuh... uno stramegasuperultraiperbacio&abbraccio! kissssssssssssssssssssssssss

gamba di legno : Ma grazieeee!!!! ^-^ che dire? Sono felice per la tua rece!! *-* ... Thank you! Danke shon! Merci.... scusa non conosco altre lingue in cui ringraziarti eheheheh... a presto! kisskisskiss

LiSa90 : Ma grazieeeeeeeee!!! Anche tu con gli occhi viola eh? ihih ... tranquilla! Nel seguito lo scoprirai cosa centreranno! kisssssssssssssssss



- Ok ... Allora vi è piaciuto questo cap??? Siete ancora più curiosi di prima?? Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie! kisssssssssssssssssssss-




Hilaryssj vi da un grosso bacione a tutti!!! ^-^








    

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Capitolo 3
*** Il gioco di Tom ***


Il gioco di Tom

 

Alexis

 


Il Sole tramontava all’Orizzonte con una lentezza quasi esasperante. I minuti scorrevano come gocce di miele su una superficie increspata e poco inclinata. Le ombre nella mia stanza si allungavano sempre più dense e scure, incorniciate dal colore caldo del tipico arancione tenue di quelle ore.
Ero sdraiata sul letto, sotto la candida trapunta verde chiaro, e fissavo con occhi vacui quel pigro spettacolo che si prospettava dalla mia porta-finestra, all’undicesimo piano dell’Hotel.
Avevo ancora gli occhi gonfi e arrossati per il pianto nonostante avessi dormito per circa due ore buone. Il sapore dolciastro del sangue aveva abbandonato i miei sensi quasi definitivamente rilasciando solo un’oscura ombra lontana nella mia mente. Tutte quelle sensazioni provate in corridoio quel pomeriggio mi parvero irreali. Troppo irreali. Pensai quasi di aver sognato tutto.
Ma sapevo che non era così.
Per qualche strana ragione avevo pensato che fosse stato Jared a procurarmi quegli spasmi allo stomaco, il giramento di testa e tutto il resto.
 

Jared…

 

Perché proprio lui? Perché adesso? Perché qui?
Oh, Diavolo! Non poteva essere lui. Non dopo due anni. Non quando ero quasi riuscita a dimenticarlo…
Era solo stanchezza. Solo quella. Niente più.
Io, poi, non sono il genere di ragazza che si lascia intimidire da qualche rumore. Non sono superstiziosa, ecco.
Scossi la testa emettendo un lieve grugnito che morì tra i sottili filamenti del cuscino.

 
Basta essere paranoica!
 

Mi proibii mentalmente di piangere ancora.
Fissai incessantemente il cerchio infuocato finchè non sparì completamente dietro le colline in lontananza.
Strano che ci fosse stato il Sole quel giorno; quella mattina e il primo pomeriggio mi erano parsi troppo intrisi di nebbia e bassa temperatura per mostrare anche solo uno spicchio di tiepida luce. Ebbene mi ero sbagliata.
Non che mi rammaricassi così tanto. In un certo senso detestavo quella palla incandescente, anche se vivevo grazie a lei, ma, soprattutto d’estate, il bagliore rovente che irradiava mi dava un certo fastidio.
Prima non era così. O meglio, prima di compiere quei dannati diciassette anni non provavo tanto disgusto per un semplice fenomeno naturale.

 

Era il tramonto anche quel giorno. Vero, Jared?

 

Strinsi convulsamente il lenzuolo tra le mani e mi morsi il labbro quasi a farlo sanguinare.
Mi alzai dal letto con una velocità impressionante e mi diressi in bagno.
Dovevo fare qualcosa o tutto ciò che vedevo e respiravo mi riportava a pensare a quel giorno, a quelle sensazioni, a lui.
Aprii il rubinetto e lasciai scorrere l’acqua fredda. Guardandomi allo specchio rimasi inorridita dal mio aspetto.
I lunghi capelli biondi erano tutti annodati e il grosso frangione non era più diviso da una parte, ma scompigliato all’indietro. Gli occhi erano circondati da terribili occhiaie violacee, come se avessi fatto a pugni, e la matita che sbavata fino alle guance accentuava inevitabilmente il pianto di poco fa.
Lo sguardo era vacuo, triste, fittizio. Mi spaventai perché non mi vedevo conciata in quel modo da tanto tempo. Da quasi due anni.
Chiusi le palpebre, strizzandole pur di non far sgorgare nemeno una lacrima.
Misi le mani sotto l’acqua gelida e mi sfregai il viso con violenza. Il contatto con il freddo mi svegliò subito e mi diede sollievo. Sospirai.
L’orologio segnava le diciannove e un quarto. Non avevo nessuna voglia di andare al festino di quei ragazzi, ma non avevo alcu
na alternativa.
Se declinavo sarebbe stato come dar ragione al rastaro, ammettere che non si era sbagliato sul mio conto e sulla mia salute, cosa che detestavo.
Mai e poi mai gli avrei dato questa soddisfazione. Non mi conosceva come pensava, nemmeno lontanamente.
Non mi fidavo di lui, tantomeno dei suoi amici.
Fatto stava che non avevo un movente accettabile per respingere l’invito, quindi non avevo scelta.
Avevo tempo per prepararmi. Mancavano due ore abbondanti e non avevo messo ancora niente sotto i denti.
Strano, ma vero.
Uscire era fuori discussione, così chiamai il sevizio in camera e ordinai una bistecca al sangue con insalata. Il dolce non lo gradivo granchè. Ordinai anche una bottiglia d’acqua frizzante; chissà perché, ma quella naturale non mi dissetava per niente.
Nell’attesa, mi gettai sotto l’acqua calda della doccia. Mi lasciai sfuggire un respiro di sollievo a contatto con il getto rilassante.
Quanto l’avevo desiderato quel giorno? Minimo venti volte, sicuro!

Mi sembrava quasi un sogno starmene tranquillamente appoggiata con le braccia al vetro appannato e la schiena esposta agli spruzzi violenti, puri e scroscianti.
Niente cellulare, niente David, niente lavoro. Solo quel rumore rasserenante e la sensazione di lavare via ogni preoccupazione.
Mi lavai i capelli con lo shampoo al cocco e mi detersi la pelle con il bagnoschiuma alla vaniglia. In quel momento non sarei stata in grado di descrivere niente di più bello.
Uscii dalla doccia completamente rigenerata e rinfrescata da un alone di dolce profumo.
Mi avvolsi nell’asciugamano fornito dall’albergo e iniziai ad asciugarmi i capelli.
Molti credono che, dalla lunghezza, ci metto molto per farmi una piega decente, invece di norma non ci impiego più di mezz’ora.
Quella volta, al contrario, decisi di dargli solo un colpo veloce giusto per non tenerli bagnati e per dare una forma accettabile al frangione da un lato.
Dopo dieci minuti rientrai in camera da letto per vestirmi.
Il mio guardaroba è molto limitato nei colori, ma comunque non si può dire sia povero di scelta. Poco dopo ero avvolta in un paio di jeans stretti e una maglietta di cotone rigorosamente nera a maniche lunghe e larghe. Non mi piacevano i troppi fronzoli, ma comunque sfoggiavo un semplice disegno raffigurante due ali rosse spezzate all’altezza del seno, a destra.
Stavo ancora definendo i dettagli quando bussarono alla porta: servizio in camera.
Una donna sulla quarantina mi porse il vassoio e si defilò per il corridoio senza una parola. Meglio così. Quella sera non ero in vena di chiacchiere superflue.
Aprii il tavolino pieghevole appostato dietro la tenda della finestra e lo sistemai davanti alla TV. Mi sedetti sul letto e l’accesi sul quinto canale per il telegiornale.
L’odore del cibo mi strinse lo stomaco e quasi mi diede la nausea. Possibile che non avessi fame?
Contro voglia mi sforzai di addentare ogni boccone della bistecca, inghiottendo con sforzo. Non la gradivo ben cotta, ma preferivo fosse sempre un po’ al sangue. Mia madre mi costringeva sempre a mangiarla quasi arrostita, rimproverandomi perché a me piaceva praticamente cruda.
Scelte di vita.
Il telegiornale era uno dei pochi programmi che, in mancanza di altro da fare, guardavo abbastanza volentieri. Tuttavia, ultimamente non si parlava d’altro che di politica e, malgrado tutto, non ero sufficientemente incline ad assorbirmi i vari discorsi dei leader dei partiti, quindi decisi di fare un po’ di zapping.
Come da protocollo, a quell’ora c’è poca scelta: o telegiornale o soap opera mielose. Mia madre ne va matta, io preferisco il suicidio.
Mi bloccai sul canale musicale, immobile.
Non avrei mai ammesso di essere rimasta a bocca aperta con la forchetta a mezz’aria nemmeno sotto tortura. Eppure era così.
Mi ritrovai a fissare quel moretto con i capelli sparati, in piedi, sul cornicione di un palazzo che cantava una delle sue canzoni attraverso lo schermo del televisore.
Incredibile, vero?
Ammetto che la cosa fa un certo effetto. Solo poche ore fa l’avevo visto litigare con il fratello per la suite dell’albergo e adesso me lo ritrovo sul canale musicale, in classifica su Top Music, nelle prime dieci.
Avrei dovuto aspettarmelo. Dopotutto non lavoravo per una ditta di autotrasporti, bensì per un gruppo musicale in tour europeo, pronti a lanciare il loro secondo disco dopo il grande successo del primo.
Finita la canzone, la bistecca si era ormai raffreddata e dell’insalata proprio non mi andava, così spostai il tavolino pieghevole in un angolo e spensi lo schermo lasciandomi cadere di schiena sul letto.
Dovevo ammetterlo: erano in gamba.
Altro che ragazzini con le padelle! Quelli sapevano veramente fare musica!
D’accordo, era ancora presto per giudicare dato che avevo ascoltato solo un loro successo, ma dubitavo che gli altri testi fossero da meno.
Spring nicht era davvero una bella canzone.
Il video, poi, era uno dei pochi che avessi mai visto girato con grande stile.
Insomma, soltanto sotto minaccia di morte avrei confessato che mi fossi sbagliata sul loro conto, almeno per quanto riguarda il loro lavoro, fatto stava che mai e poi mai avrei ammesso che fossero bravi.
Solo tra me e me potevo concedermi un simile pensiero.
Però erano bravi sul serio.

 
Driiin Driin…

 
Dopo che mi ero rilassata sotto la doccia, lo squillo del cellulare non mi fece più tanto imbestialire. Nonostante tutto dovevo assolutamente cambiare quella cazzo di suoneria!

 “Pronto?” risposi.
“Alexis! Come stai, tesoro? Tutto a posto, lì, a Berlino?” mia madre. Donna di gran classe, ma io non la penso così.
“Certo. Tu?” evitai apposta di chiedere di mio padre. Sinceramente, non me ne fregava un cazzo.
“Oh, qui va tutto splendidamente. Sai, ho iniziato un corso di yoga!”
“Magnifico.” Risposi senza entusiasmo. Mia madre e le sue idee strampalate!
“Oh, dài… raccontami com’è il tuo lavoro! Voglio sapere tutto!”
Talvolta mia madre dimentica di parlare con me. Crede di essere al telefono con una delle sue amiche del club del thè delle cinque e si pregusta tutti i pettegolezzi serviti quel giorno su un piatto d’argento. A volte mi chiedo se fosse veramente la mia madre naturale…
“E’… faticoso.” Non riuscii a dire altro.
“Oh…” parve sconcertata dalla voce. E anche un po’ delusa, a dire il vero.
“E David com’è?” riprese con più foga.
“E’ quello che mi rende il lavoro faticoso.” Talvolta mento a mia madre, non per il gusto di farlo, più che altro perché almeno evito ore di discussioni inutili. Invece quella era la pura e semplice verità.
“Bè… è pur sempre un lavoro importante. E’ normale che sia un po’ duro…” ho già detto che mia madre ha una voce di cinque toni più alta degli squilli del telefono?
“Già…” appurai.
“E com’è vivere al fianco delle rock star più famose dell’ultima stagione?” chiese.
Sinceramente? Irritante e prossimo alla perdita del controllo.
“Non è male.” Mentii spudoratamente.
Prima che potesse passare ad altri argomenti, decisi di chiudere quella conversazione per la mia salute e per il suo bene.
Riagganciai subito dopo averla salutata e scaricata con una scusa banale ma efficace.
Volevo evitare di parlare di papà e di fare una scorta di nervosismo ancor prima di andare a quello stupido festino.

L’orologio segnava le ventuno e dodici.
Sospirai e mi rinchiusi in bagno per pettinarmi, ravvivando i capelli, per darmi un tocco di matita sotto gli occhi e giusto un po’ di correttore per nascondere le occhiaie.
Tornai in camera da letto per infilarmi le nike bianche e nere e il cinturone borchiato in vita. I gioielli non erano per niente il mio genere, ma qualche piccolo monile potevo permetterlo anche io.
Al polso sinistro tenevo l’orologio-bracciale in oro bianco, in quello destro avevo agganciato un sottile braccialetto, sempre in oro bianco. Al collo portavo una catenina con uno strano ciondolo a forma di luna intrecciata da filamenti, anch’essa in oro bianco. Avrei preferito l’argento, ma purtroppo ero allergica a quel metallo.
Gli orecchini non era nel mio stile portarli, anche se avevo i buchi.
Naturalmente avevo un altro ornamento, ma, a meno che non fossi stata in costume ( e io non andavo né al mare né in piscina ) o in reggiseno, nessuno poteva vederlo.
Non presi il cellulare, né il portafogli, né tanto meno la borsa quando uscii dalla mia stanza. La suite di Bill era tre camere più avanti.
Quando fui arrivata ero in anticipo di pochi minuti, ma bussai ugualmente. Prima sarei entrata e prima mi sarei tolta dalle scatole.
Attesi giusto un momento e il moro scombinato mi aprì la porta accogliendomi con un gran sorriso.
Portava jeans a vita bassa, una semplice felpa blu scuro e un paio di pantofole ai piedi. I capelli erano stirati e lisciati. Stava meglio così, a parer mio.
“Ciao, Occhi di Mammola!” salutò con foga.

 
Occhi di Mammola?!

 
“Scusa?” chiesi incrociando le braccia al petto, con sguardo accigliato.
Parve fin troppo divertito dalla mia espressione.
“Non lo sai? Mentre ti aspettavamo ti abbiamo affibiato un soprannome!” il suo sorriso si allargò ancora di più.
Fantastico. Nemmeno mi conoscono e mi etichettano già con un ridicolo nomignolo, come se fossimo mai stati buoni amici in una vita passata.
E poi… che diavolo è una mammola?
“Che diavolo è una mammola?” sempre concisa, io.
Rise di gusto. Errore, tesoro: rischi di perdere il tuo bel nasino!
“E’ una viola spontanea delle siepi e delle boscaglie della foresta Nera. Ti si addice proprio, vero?” possibile che non si era ancora accorto che stava osando troppo?
 

Fanculo!
 

Scossi la testa cercando di tenere a freno la mia mano destra.
“Se tu o i tuoi amici, di là, vi azzardate anche solo una volta a chiamarmi ancora in quel modo giro i tacchi e me ne torno in camera mia!” cosa che non mi dispiacerebbe affatto avrei voluto aggiungere, ma sempre meglio non tirarla per le lunghe.
Subito si mise sulla difensiva con le mani aperte davanti a sé. Chissà perché mi ritornò in mente la sua figura sul cornicione del palazzo. Mah.
“Va bene. Recepito il messaggio.” Disse per scusarsi.
Meglio così.
Dietro di lui comparì il suo gemello, Tom, con il sorriso da ebete stampato in faccia, al solito.
“Sei di parola, Occhi di Mammola!” mi salutò con un cenno.
Sbuffai, intravedendo il cantante che si portò entrambe le mani sul viso e gli occhi imploranti verso di me.
Decisi di dargli cinque secondi di vantaggio per avvertire anche gli altri, niente di più.
Stare sulla porta mi aveva alquanto stufata e decretai di farla finita con questa buffonata il più presto possibile.
“Allora… mi fate entrare oppure no?”
Tom sembrava già brillo. Era tutto rosso in viso e barcollava leggermente. Se continuava così sarebbe crollato prima delle undici.
Ottimo.
Bill spinse il fratello da un lato e mi fece sengo di accomodarmi in salotto, in fondo allo stretto corridoio.
Entrai, seguita dai gemelli. Non mi piaceva per niente essere in testa. Ad ogni passo, sentivo gli occhi del rasta sul mio corpo e non poterlo fissare per intimidirlo mi diede un gran fastidio.
Appena misi piede in salotto mi maledii di aver accettato quello stupido invito.
Georg e Gustav erano seduti a gambe incrociate, sul tappeto, i joistik in mano e un’alta pila di giochi per playstation in un angolo.
Sul tavolino, dietro di loro, c’erano varie bottiglie di alcool e liquore, di gradazioni diverse.
I due ragazzi seduti si voltarono a guardarmi e sorrisero come bambini davanti ad un nuovo giocattolo. “Ciao, Occhi di Mammola!” urlarono quasi all’uniscono.
La rabbia stava crescendo.
Lanciai un’occhiataccia a Bill, che nel frattempo si era accomodato sul divano, e lui scrollò le spalle di rimando come per scusarsi.
I cinque secondi di vantaggio non gli erano bastati a quanto pareva. Male.
Scossi la testa e pregai che non si prospettasse una nottata troppo lunga.
Tom mi oltrepassò, sfiorandomi quasi impercettibilmente la schiena con le dita, abbastanza che me ne accorgessi, ma sufficientemente poco perché potessi protestare.
Si lasciò cadere sulla poltrona più vicina e mi sorrise. Non ricambiai.
Ordinò al batterista e al bassista di spegnere la console e si scolò mezzo bicchiere di vodka, o almeno era quello che sembrava. Non staccò mai lo sguardo dal mio.
Ero abituata a dover sostenere occhi più pesanti di quelli, quindi non fu un problema, né tanto meno per lui.
Georg chiese: “Con cosa iniziamo?”
Tom mi sorrise ancora, stavolta con più intensità: “Con il gioco della bottiglia!”

 

*
 

Bastardo!

 
Perché non rifiutai? Credetemi, il ricatto è un’ottima forma di persuasione!
Così mi ritrovai con una bottiglia rigorosamente vuota di birra in mano e il rastaro seduto di fronte a me, a doverlo fronteggiare con astuzia e gioco di sguardi.

 
Maledetto sadico!

 

“Avanti, Alex. Gira quell’affare prima che faccia giorno!” mi spronò, quasi a prendermi in giro.
Appoggiai il fiasco sul tavolino, ma esitai.
Non ero così stupida da non trattare.
“Sia chiaro: niente sconcerie!” era la mia unica arma.
Tom parve accigliarsi, ma si ricompose all’istante: “Niente sconcerie.” Accettò.
Davvero avevo creduto che si fosse scusato, in corridoio?
Che idiota!
La sua era tutta una farsa per attirarmi nella trappola, per farmi abboccare all’esca.
E ci era riuscito alla perfezione.
Inutile dire che non l’avrei mai ammesso, ma purtroppo era così.
E io, cretina, che gli sono andata dietro.
Ero completamente disarmata, indifesa.
Bell’idea andare ad un festino notturno con quattro maschi ubriachi!
Compimenti, Alex!
Comodamente stravaccato sulla poltrona, mi scrutava con i suoi occhi nocciola, sorrideva come se avesse appena vinto un trofeo, sorrideva per deridermi della mia azione incauta.
Oh, bè. Ormai c’ero dentro fino al collo. Tanto valeva danzare!

 
La finestra del salotto lasciava intravedere uno spicchio di luna. Nell’oscurità qualcosa si mosse, ma non ci badai.
Brividi di freddo mi attraversarono la schiena come acqua ghiacciata e solo allora mi sentii osservata.
Quella sensazione mi rese irrequieta. Non avevo tempo per preoccuparmi delle mie paranoie. Davanti a me c’era Tom, prossimo a stanarmi come un cacciatore stana la sua preda, e non avevo nessuna intenzione di perdere.
Girai il polso sul fianco della bottiglia e lasciai. Il gioco era inizato.


"La sento. E' irrequieta. Percepisco la sua tensione.
Ormai è parte di me."

Continua...!?!

Ciao a tutti! Eccomi tornata con il terzo capitolo di "The Eyes of the Darkness"!

Dunque... prima di tutto mi scuso per il ritardo! Il mio pc fa i capricci una volta al mese e i capitoli si cancellano quasi sempre! Che disgrazia! sigh!

Molti di voi... o almeno lo spero... si staranno chiedendo chi cavolo sia questo Jared. Oh bhè, nel quarto capitolo spiegherò tutto! ^^ Tranquilli!

Buwuwuwawawa... avete visto che bastardo l'ho fatto diventare TOM? uhuhuh... che Sadico! *-* ... comunque alla fine ... ihih... non vi racconto niente! ^^

Se avete altre domande: fatele! Me risponderà a tutto quanto! ^^

Scusate, oggi ringrazio così perchè non ho proprio tempo:

  • CaTtY
  • BeCkY_kAuLiTz
  • selina89
  • (§Giulietta§)
  • miss miyu 91
  • LiSa90
  • sara
  • Barbycam
  • hEiLig FuR ImMeR
  • shine_angel

Grazie a tutti quelli che hanno recensito!
Davvero, è grazie a loro se questa ff va avanti!
Un abbraccione forte forte e un bacio a tutti!

Kisskiss


Hilaryssj



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