§* The Eyes of the Darkness *§ di hilaryssj (/viewuser.php?uid=25690)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** La donna del mistero. ***
Capitolo 3: *** Il gioco di Tom ***
Capitolo 1 *** L'inizio della fine ***
Gli occhi delle Tenebre
The
eyes of the Darkness
[... Ogni persona nasce con un preciso
destino ...]
[... Una sola nasce per uno scopo che
non è il suo ...]
[... Un Dono e al contempo una
Maledizione colpiscono la Consacrata ...]
[... La Morte e la Vita si contendono
l'esistenza della Dannata ...]
D. S.
L'inizio
della fine
Il pullman viaggiava velocemente sulla strada principale. Le ruote
battevano il cemento armato ormai da più di due ore.
Fuori da finestrino scorrevano i palazzi della periferia di Berlino
alternati da piccoli caseggiati con giusto due metri quadri di giardino
per ognuno. C'era poco traffico alle quattro del mattino. I lampioni
per le vie erano ancora accesi e da quasi ogni finestra si scorgevano
le luci dell'albero natalizio.
Mancavano tre settimane a Natale e tutti erano in fibrillazione per le
imminenti vacanze. Tutti tranne lei. Alexis Frost.
Aveva finito il Liceo Classico da circa un anno. Gli esami di
maturità si erano conclusi con un buon 100. Eppure non aveva
voluto proseguire gli studi e andare all'Università, con
grande disappunto dei genitori.
Per questo ora si trovava su quell'autobus. Totalmente contro la sua
volontà.
Suo padre non ha mai accettato la sua scelta, di conseguenza ha fatto
di tutto per trovarle comunque un lavoro di alta carica. O
così lui dice.
Un amico stretto di famiglia aveva accettato la proposta di suo padre
assumendo all'istante la figlia.
Un produttore. Uno stupido produttore l'aveva assunta. Per fare cosa
poi? L'assistente manager di un gruppo musicale.
Assistente manager. Di chi? Di un gruppo di quattro deficienti che si
vestono da pagliacci e battono le padelle credendo di fare Rock. Che
schifo!
D'altronde che si poteva aspettare da suo padre? Avrebbe dovuto capirlo
che è tutta una farsa per vendicarsi di quello che lei aveva
fatto come affronto alla sua nobile famiglia. Che c'era poi di tanto
sbagliato nel non proseguire gli studi?
Che vada tutto al diavolo! Natale si avvicinava... e lei era costretta
a correre a Berlino per assistere quei quattro rimbecilliti.
Bhè... almeno una cosa buona in tutta questa faccenda c'era.
I 200 Km di distanza fra lei e i suoi genitori non era cosa da poco!
***
"Siamo arrivati! Dite agli autisti dei TIR di parcheggiare dietro
l'edificio e iniziare a scaricare i pannelli per il Soundchek... Il
gruppo sta arrivando con il loro pullman... no... no, mandate la
squadra delle guardie del corpo all'entrata... si, firmeranno qualche
autografo davanti all'albergo. No, il team rimane qui, dove terranno il
concerto dal mattino e noi li raggiungiamo in albergo non appena avremo
sistemato... si, il soundchek lo fanno domani mattina. Ok ... ok, va
bene ... ci penserò io... Buon Lavoro!" Chiuse la chiamata
tutto agitato e diede istruzioni all'autista.
David era il manager dei Tokio Hotel. Era un uomo molto irritabile,
perfettino e aveva il brutto vizio di arruffarsi sempre i capelli neri
dal nervoso. Ma in fin dei conti era anche molto in gamba e conosceva
bene il suo mestiere. Viaggiava sulla quarantina d'anni, ma ne
dimostrava trentacinque, a parte qualche ciocca di capello grigio. Era
lui che Alexis doveva seguire costantemente. Eseguire gli ordini, o
meglio... i capricci delle rockstar.
"Alex, tra poco dovremo scendere... Prendi la tua borsa e cerca di
starmi dietro, almeno all'inizio..."
Natale non era una festa che Alexis adorava particolarmente,
però di solito le piaceva preparare gli addobbi e godersi
quell'atmosfera di festa. Invece quell'anno non riusciva a sentire
niente di tutto questo. C'era qualcosa nell'aria. Non sapeva
perchè, ma era strano...
"Alex?"
Guardò il cielo dal finestrino. Si stava schiarendo, ma non
vedeva il sole. Quel giorno sarebbe stato nuvoloso...
"Alexis!" urlò David alla ragazza.
"Eh?" disse risvegliandosi dai suoi pensieri.
"Hai sentito cos'ho detto?" chiese impaziente, trafficando con delle
scartoffie sul tavolino.
"Ehm... che siamo arrivati?" azzardò lei.
David parve scoppiare da un momento all'altro talmente
diventò rosso. Quella mattina era decisamente nervoso.
"Bontà divina, Alex... devi darmi retta! Prendi la tua
maledetta borsa e seguimi!" sbraitò afferrando la valigetta
nera e scendendo dal bus.
La diciannovenne si sitemò velocemente la tracolla. Prese la
molletta sul tavolino e fermò i lunghi capelli biondi in
modo che non le dassero fastidio. Ecco una cosa che adorava.
I suoi lucenti capelli dorati, lunghi fino alla vita. Scalati,
leggermente mossi, con una morbida frangetta, anch'essa finemente
scalata ad addolcirle il viso. Uno dei suoi pochi vanti e che
naturalmente nessuno notava.
In quel parcheggio ci saranno stati minimo tre gradi sotto lo zero.
Tirava un leggero vento da nord che ghiacciava fin le ossa.
Alexis si strinse più che poteva nel suo giubbotto imbottito
nero. Le piaceva il nero. Il suo guardaroba era quasi completamente di
quel colore. La cinta borchiata che portava le fissava i jeans a vita
bassa. Una vita molto stretta.
Nascose la maggior parte del viso dietro lo sciarpone di lana bianco
per ripararsi dal gelo e seguì il manager.
Dopo di loro, altri quattro camion si fermarono davanti al palazzetto
dove si sarebbe tenuto il concerto fra tre giorni. Era il secondo tour
dei Tokio Hotel. Dovevano promuovere il loro secondo Album. E siccome
Berlino era la capitale della loro patria... bhè... tutto
doveva essere perfetto.
Entrarono dalla porta del Backstage e attraversarono il corridoio di
moquette. David aprì una porta color legno e vi
entrò sicuro seguito dalla ragazza. Si aggirava come un
autonoma fra quelle stanze. C'era stato altre volte per altri concerti,
sicuramente.
La camera dov'erano era vuota. Priva di finestre, completa solo da una
scarsa mobilia comprendente alcune casse vuote, un attaccapanni e due
divanetti vedre chiaro.
Il manager si guardò intorno, serio. Alex lo scrutava per
registrare ogni sua mossa e abitudine. Infondo, doveva imparare.
"Molto bene. Alex, prendi appunti..." disse rivolto alla ragazza.
Lei senza indugiare tirò fuori dalla borsa in jeans nera che
aveva a tracolla un block notes e penna.
"Dunque... questa è la stanza dove i ragazzi staranno prima
e dopo lo show. Quindi ci serve il termosifone portatile, la ventola,
due chitarre di Tom nel caso volesse provare, due di Georg, le
bacchette di Gustav, un televisore, i loro I-Pod, un set di asciugamani
e il tavolo da ping pong... dovrebbe essere tutto per ora... Alexis,
segnato tutto?" chiese alla fine dell'elenco.
Lei annuì poco convinta e lo seguì anche nelle
altre stanze quasi tutte uguali. Ad ognuna veniva assegnato un nome e
l'utilizzo. Quella dei cameramen, quella dei giornalisti, quella degli
strumenti, del sorround, dei monitor... insomma, tutto controllava ogni
centimetro del palco che ancora doveva essere allestito.
Alex intanto si chiedeva per quale motivo c'era bisogno di un tavolo da
ping pong nella stanza del gruppo. Insomma... c'era già
tanto lavoro da fare in quei tre giorni. Oltre a quello avrebbero
dovuto anche soddisfare le richieste più patetiche di quei
ragazzini?
Probabilmente si. Alla lista dovette anche aggiungere il calcetto da
tavolo e il nuovo CD dei Metallica. Pare che Gutav abbia telefonato a
David perchè ha saputo che era uscito il nuovo Album del suo
gruppo preferito... gli ha chiesto di averlo per rilassarsi prima della
loro performance.
Alex cercò di non lasciarsi sfuggire una risatina. Si
chiedeva quale altra assurdità quei ragazzi tirassero fuori
per riempire David di lavoro extra. Era chiaro che il loro manager
avrebbe esaudito ogni loro superficiale o meno richesta. Dopotutto
erano loro che gli pagavano lo stipendio. Alexis si divertiva un mondo
a vederlo trafficare come un matto per soddisfare i desideri delle
star. Non era cattiva, ma quel lavoro personalmente lo odiava a dir
poco. Forse per colpa di suo padre... fatto stava che vedere tutte
quelle persone al servizio di quattro ragazzini che dicevano "si" ad
ogni capriccio era davvero uno spasso per lei.
"Forza, Alex..." disse esasperato David, completamente sfasato dal gran
lavoro che lo aspettava "Ora possiamo andare in albergo."
***
Si sbagliava.
Maledetti ragazzini!
Con suo grande stupore David assegnò a lei alcuni semplici
compiti... Ascoltare le
richieste della Band e far si che ogni cosa chiedano venga fatta. Ecco
i suoi semplici compiti.
Dannati bambini!
"Ma... David... pensavo fosse compito tuo questo...
insomma, io sono solo una tirocinante... non dovrei semplicemente
seguire ciò che fai tu?" disse disperata cercando un modo
per scagionarsi da quelle inutili e stupide "faccende".
"Alexis, tesoro... forse dovresti rivedere la tua classifica dei
lavori. Tu sei la mia assistente. Ciò vuol dire che io
dirigo quello che gli altri devono fare. Io mi fido ciecamente di te.
Sei uscita con praticamente il massimo dei voti all'esame di
maturità... dovresti essere più intelligente di
quello che pensa tuo padre. Quindi tu farai ciò che io ti
ordino di fare... o ciò che i ragazzi ti chiedono..." la
zittì prima che potesse ribattere
"Questo è tutto."
La loro auto, gentilmente offerta dalla troup della Band, si
fermò davanti all'entrata dell'Hotel. Ovviamente un cinque
stelle.
Delle transenne tutte intorno bloccavano l'assalto delle fan. Ragazzine
urlanti con enormi cartelloni "Bill sei il mio angelo" e robe del
genere.
Oche.
Al suo fianco, David maneggiava un palmare estremamente agitato. Altro
lavoro? Alexis sperava vivamente non ci fossero più
sgradevoli sorprese. Il cellulare dell'uomo prese a squillare
freneticamente dal suo taschino.
Oh, no.
"Pronto? ... Si... come sarebbe a dire non riuscite? ... Bhè
non potevate stare più attenti? ... Si... si, va bene... ho
capito. Da Monaco? Si... si, ci penso io. Arrivo subito. D'accordo, a
dopo." chiuse la chiamata con uno strano colorito porpora.
"Che è successo?" azzardò un interessamento la
diciannovenne.
David sospirò. Cattivo segno.
"Hanno rotto un pannello nel trasporto. Dovremo ordinarne uno
d'urgenza... da Monaco."
"Monaco? Ma... non arriverà mai in così poco
tempo!" esclamò stupita.
"Deve arrivare... ascolta, io devo ritornare velocemente al palazzetto.
I ragazzi ci aspettano nella Hall. Pensa tu a tutto. Ci sentiamo per
telefono..." disse con rammarico.
Alex lo guardava immobile. "Ma... ma io non posso..."
"Alexis... ho detto di pensarci tu! Devi ripeterti quello che ti ho
detto poco fa?"
Messaggio chiaro e preciso. Tagliente forse. Fatto stava che la
macchina ripartì lasciandola in balia di urla
adolescienziali e un monte di problemi sulle spalle.
I fattorini dell'albergo portarono dentro le sue valigie e quelle di
David. Lei non riusciva a mouvere un muscolo. Che avrebbe dovuto fare?
Si guardò intorno e fotografi impazziti le scattarono una
miriade di flash. Si voltò dall'altra parte ancora
più confusa. Alzò lo sguardo sentendo
un'improvvisa voglia di scappare. Maledì suo padre tante di
quelle volte in quei pochi secondi che non riuscì nemmeno a
contarle. La folla si dimenava creando una massa inconsistente di
persone davanti a lei. Qualcosa però attirò la
sua attenzione. Qualcosa di strano, di insolito. Un'ombra. O meglio, un
mantello. Nero. Le provocò una strana sensazione. Lo stomaco
si contorse e il cuore perse un colpo. Un dejavu forse. Non sapeva
nemmeno lei cosa poteva essere. Quella vista durò pochi
attimi. Poi si dissolse tra le ragazze tedesche come fumo al vento.
"Signorina?"
"Cosa?" domandò ancora non del tutto ripresa.
"Le consiglio di entrare... I paparazzi non sono ben accetti qui." le
riferì il fattorino.
Alexis prese un lungo respiro e attraversò la porta
girevole. Era evidente che suo padre sapeva a cosa lei sarebbe andata
incontro. Probabilmente l'aveva fatto apposta per convincerla a
riprendere gli studi. Bhè... non gliel'avrebbe data vinta.
Non questa volta.
Attraversò la Hall dell'Hotel e si diresse alla reception
dove quattro ragazzi erano fermi. Li riconobbe subito. Erano loro.
"Ciao." disse, salutandoli.
"E tu chi sei?" domandò Tom Kaulitz, quello che Alexis
riconobbe come il chitarrista... forse.
"Sono l'assistente di David... Alexis." si presentò porgendo
la mano al rasta. "Ah..." rispose lui ricembiando un pò
sconcertato.
Stai calma... stai calma.
Ah... Ah? ... Ah! Ma che cavolo. Nessuno gli ha insegnato
la buona educazione a questo cretino?
"Di solito in queste situazioni si dice 'piacere'... e ci si presenta a
sua volta." spiegò con quanto più autocontrollo
avesse in corpo la ragazza.
"Che bisogno c'è di presentarmi? Tutti mi conoscono."
rispose sorridendo.
Che faccia tosta.
"Piacere, Bill..." si presentò il gemello vicino.
Bhè... uno su due era già un buon risultato.
Anche gli altri non furono poi così maleducati a
presentarsi. Certo però che bisognava avere un bel coraggio
ad andare in giro conciati in quel modo. Insomma... Quel Bill era
davvero fuori dal comune.
"Quindi tu sei la ragazza di David." concluse Tom.
La ragazza di... Oh, mio Dio!
"No!" esclamò schifata "Ma come ti salta in mente? Abbiamo
minimo venticinque anni di differenza... Come fai a credere che..."
"Ehi, rilassati... Intendevo dire che sei la sua nuova assistente..."
esordì con più enfasi.
"Ah... bhè... purtroppo si."
"Perchè purtroppo?" chiese Georg "Lo sappiamo che a volte
può essere un pò brusco, ma è pur
sempre uno in gamba."
"Non è questo... non importa. Non fatemi domande. Questo non
fa parte del mio lavoro." disse più fredda.
Chiese al direttore le chiavi delle loro stanze sotto gli occhi
straniti della Band e le distribuì.
"I vostri bagagli sono già nelle rispettive camere..."
spiegò ai ragazzi che però non ascoltavano
granchè. Ecco un'altra cosa che la irritava e si dovette
promettere di rimanere più calma possibile.
Dopo un minuto si zittì da sola credendo di fare la
babysitter e non l'assistente manager di un gruppo famoso. I due
gemelli avevano iniziato a 'discutere' per la camera 1102.
Non potevo fare la
barista?
"Che problema c'è?" chiese sull'orlo di menare qualcuno.
"Bill ha di nuovo la suite... Perchè sempre lui, non
è giusto! Non si potrebbe fare a turno?"
piagnucolò Tom cercando di strappare la chiave dalle mani
del fratello.
Oddio!
"Scusa chi di noi due è il frontman del gruppo?"
"Questo non vuol dire niente! Anche io faccio la mia parte... Georg e
Gustav, pure..."
"Si, ma io devo avere più riguardo visto che sono la voce
della Band..."
Alex si masaggiò le tempie. Le stava scoppiando la testa. Il
primo giorno del disastro!
"Vorrei vedere se senza una buona chitarra sei ancora qualcuno!"
"Perchè tu senza la mia voce saresti ancora il Sex Gott
amato dalle nostre fan? Non credo!"
Basta!
"Fatela finita!" urlò con quanto fiato avesse in corpo,
zittendo tutti all'istante "Se proprio dovete litigare fatelo da
qualche altra parte! Quando ci sono io NO! Volete la suite? Fate testa
o croce e non se ne parla più! Sono stata abbastanza chiara?"
I quattro rimasero immobili a fissarla mentre firmava alcuni fogli sul
bancone. Appena ristabilì il contatto visivo con loro,
annuirono senza proferir parola.
"Bene. All'ascensore, muovetevi!" sbraitò seguendoli.
Le sembrava di essere ritornata sedicenne. Quando ancora andava a
guardare i figli dei vicini il sabato sera a sei euro e mezzo l'ora. I
Tokio Hotel erano decisamente più grandi, ma il cervello era
pari a quello di un bambino dell'asilo.
Sarebbe stata una lunga settimana quella! Molto lunga!
E ne mancavano ancora tre prima delle vancanze!
Scosse la testa dolorante, cercando di non pensare all'inferno che
l'attendeva.
Salirono tutti sullo stesso ascensore, lei per ultima e
schiacciò con veemenza il tasto numero undici.
Quell'abitacolo era piuttosto grande, ma non per cinque persone.
Presto si ritrovò quasi appiccicata al cantante che, per la
cronaca, non la smetteva di fissare i suoi occhi.
Si ritrovò ad arrossire per quella situazione. Quel
diciottenne era parecchio strano...
"Sai... prima non avevo notato i tuoi occhi..." mormorò
continuando a fissarle le iridi
"Sono strani. Hanno un colore particolare... tendono al viola... e
luccicano come se stessi piangendo."
Si. I suoi occhi erano molto particolari. Erano un pò il suo
vanto. Le piacevano molto. In pochi però li notavano...
bisognava essere piuttosto vicini per vederli con chiarezza.
"Nascondono qualcosa. Non a tutti capitano degli occhi così!
Sei molto fortunata!" esordì uscendo dall'ascensore che era
arrivato a destinazione, lasciando la ragazza spiazzata.
"Fortuna
o maledizione nascondono un segreto entrambi. Divisi da un filo
sottile, fanno la differenza tra prodigio o tragedia."
Continua...!?!
Ciao a tutti!
Sono Hilary... questa
è la mia prima ff che pubblico in questo fandom.
Come avrete capito, sono
una ragazza che adora il mistero. ^-^
Questa fic mi
è venuta in mente mentre facevo la doccia XD
Spero vi sia piaciuto il
primo cap...
Fatemelo sapere, vi prego.
Vale la pena
continuarla???
A voi la scelta! XD
Un
Bacio
Hilaryssj
|
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Capitolo 2 *** La donna del mistero. ***
Gli
occhi delle Tenebre
The
eyes of the Darkness
[...
Ogni persona nasce con un
preciso destino ...]
[... Una sola nasce per
uno scopo che non è il suo ...]
[... Un Dono e al
contempo una Maledizione colpiscono la Consacrata ...]
[... La Morte e la Vita
si contendono l'esistenza della Dannata ...]
D. S.
La
donna del mistero.
Appena il gruppo si fu dileguato nelle rispettive camere, Alexis si
precipitò nella propria. Poteva finalmente godersi un
pò di pace dopo il lungo viaggio.
La stanza 1104 era decisamente fantastica. Assistere delle superstar
aveva anche i suoi lati positivi, dopotutto.
Non era quella che si poteva definire una suite, ma ci andava molto
vicino. L'entrata era seguita da un breve corridoio dove a destra si
accedeva al bagno, completo di vasca, doccia e uno specchio illuminato
sufficientemente grande da riflettere almeno mezzo busto.
Passato il piccolo corridoio si accedeva alla camera da letto, una
piazza e mezza per la precisione, un comodino a lato, un
comò delizioso con sei cassetti e un armadio quattro
stagioni grande quanto tutta la parete opposta al letto.
Il pavimento raffinatamente ricoperto da una moquette verde scuro dava
un senso di superiorità al tutto in tinta perfetta con le
pareti verde chiaro. Un minifrigo era posto alla sinistra del
materasso, appena distaccato dal finestrone vista Berlino, e una
poltroncina di cortesia riempiva un angolo vuoto accanto
all’armadio dando all’arredamento il tocco finale.
Alexis ne fu soddisfatta. Le sue valige erano state scaricate ai piedi
del letto, in attesa di essere disfatte, ma prima Alex volle
dare un occhiata al balcone della portafinestra.
Fece scorrere il vetro e venne travolta da una ventata gelida.
L'undicesimo piano era piuttosto alto per i suoi standard, ma il
silenzio che regnava a quell'altezza poteva anche farle dimenticare di
essere nella capitale. I rumori cittadini arrivavano ovattati fin
lassù e il fischio del vento era qualcosa di molto
rilassante.
Niente l'avrebbe distolta da quella pace paradisiaca. Già
sognava di rintanarsi in quel posto dopo una dura e faticosa giornata
di lavoro. Distendersi sulla poltroncina lì accanto e
chiudere gli occhi lasciandosi cullare dal dolce suono degli aerei in
lontananza e dai suoi pensieri. Senza il minimo squillo del suo
cellulare, che avrebbe accuratamente spento, nè del
ticchettio dell'orologio da polso che portava...
"Ehi... non starai per caso cercando di suicidarti, vero?"
Vaffanculo!
Riaprì gli occhi e staccò le mani
dalla ringhiera voltandosi di scatto, seguendo il suono di quella voce
strafottente con cui aveva avuto a che fare poco prima.
Eccolo lì. Tranquillamente stravaccato sulla sedia sdraio,
con una felpa grigia imbottita, e una sigaretta in mano. La solita
espressione di superiorità che la faceva imbestialire.
"Che t'importa? Anche se volessi... non ti farebbe nè caldo
nè freddo!" rispose lei, parecchio irritata.
Ma proprio le camere vicine dovevano avere?
Tom le sorrise e con un gesto delle dita lanciò il mozzicone
giù dall'edificio. Si alzò continuando a
fissarla, con un ghigno sghembo a disegnargli il volto. Si
appoggiò al muro, dove il suo balcone finiva, verso quello
della ragazza.
"Non avresti il coraggio..." rispose con noncuranza.
Quel ragazzo stava giocando con il fuoco e questo Alexis lo percepiva
più forte che mai.
"Di certo non lo farei per vincere una scommessa!" ringhiò
fra i denti la giovane. Era difficile mantenere il controllo con un
energumeno del genere. Avrebbe potuto cambiargli i connotati con
qualche pugno ben assestato, merito degli anni di Karate che aveva
voluto intraprendere da piccola... peccato fosse proprio quello
strafottente a pagargli lo stipendio più che lauto.
"No, certo... Mi viene da pensare che ci sia qualcosa sotto, invece...
Cos'è, il ragazzo ti ha mollata?" disse con un tono che
sembrava stesse prendendola in giro. Il sorriso sempre sulle labbra.
Tom era abituato a giocare con le ragazze. Per qualche strano motivo,
si divertiva nel farle irritare. Come quella volta che aveva quindici
anni e si era portato a letto quella moretta ben dotata di cui non
ricordava nemmeno più il nome. All’epoca era la
ragazza fissa di uno a scuola che il rasta non sopportava.
L’aveva sedotta apposta, facendole credere di essere attratto
da lei e dalle sue forme - il che non guastava - e, alla fine, aveva
ceduto al suo volere, scaricando il suo fidanzato il giorno stesso. Si
divertì con lei quella notte… il giorno dopo la
scaricò lui.
In effetti, si poteva considerare un vero masochista, il gemello di
Bill.
Quando non pensava al sesso… bhè… gli
piaceva stuzzicare l’umore delle ragazze. Tanto
più godeva quando erano già di per sé
irritate.
Alex si girò dalla parte opposta alla sua. Lo conosceva da
pochi minuti e già lo odiava con tutta sè stessa.
Gli occhi iniziavano a pungerle.
L’aveva colta nel vivo senza nemmeno saperlo.
"Oh... è così?" chiese il rasta moderando il
tono, rendendosi conto all’improvviso che quella non era una
sua preda. Come avrebbe potuto? Era come una collega di
lavoro…
Il che lo portò a pensare che i suoi giochetti funzionavano
per il semplice motivo che le sue “vittime”
duravano solo un giorno, dopodichè normalmente non le
rivedeva mai più. E si dovette mordere la lingua calcolando
che quella bionda invece l’avrebbe vista tutti i giorni per
un tempo indefinito… comunque parlando di anni!
Lei prese un respiro profondo e si girò fulminandolo con lo
sguardo.
“Questo è il mio lavoro… la mia vita
privata non ti riguarda, Kaulitz… per quanto famoso tu possa
essere… se permetti, sono affari miei!” Semplici
parole. Dritte al punto. Alex non la tirava mai per le lunghe.
Lo lasciò a bocca asciutta mentre con veemenza lei sbatteva
la porta finestra dopo essere rientrata. Tirò le spesse
tende color panna in modo da non essere più disturbata. Si
asciugò con il dorso della mano l'unica lacrima che era
riuscita a solcarle il viso in quegli ultimi tre mesi. Era stanca di
piangere.
Per quanto in quel tempo si era ripromessa di dimenticare, il dolore
ancora la attanagliava quando ci pensava. E ora non doveva pensarci.
Guardò le quattro valige per terra che richiedevano di
essere svuotate. Proprio non ne aveva voglia.
L'unica cosa che avrebbe tanto desiderato fare era un bel bagno caldo
con il suo bagnoschiuma al cocco che rilasciava nell'aria e sul suo
corpo una fragranza dolce-amara. Quel tepore le avrebbe fatto davvero
da rigenerante. Ne aveva estremamente bisogno... passava ore nella
vasca, immersa nell'acqua bollente e nelle bolle di sapone a casa. Uno
dei momenti che preferiva...
Driiin Driiin... Driiin Driin...
Maledetta suoneria! Devo
decidermi a cambiarla...
Afferrò il cellulare che vibrava dalla tasca davanti della
sua borsa e premette il verde.
Non ebbe nemmeno il tempo di chiedere chi era che una voce molto
arrabbiata e piuttosto alta le arrivò all'orecchio
stordendola.
"Dove diamine ti eri cacciata, Alex? ... E' da mezz'ora che cerco di
rintracciarti!"
David... non poteva non essere lui. La sua ipertensione attraversava
persino la cornetta.
Alex sospirò confusa.
"Sono in albergo, come mi avevi detto. Probabilmente non c'era campo
prima... che è successo?" chiese sentendo un rumore
assordante provenire dal telefono del manager.
"Qui va tutto bene, quasi... ma i ragazzi sono saliti nelle loro
camere?"
"Si... e per la cronaca... i gemelli si sono messi a litigare per
la..."
"Sisi... non importa..." la zittì lui e proseguendo "Tu
comunque che ci fai ancora in albergo?"
"Bhè... pensavo di farmi una doccia e di disfare le
valige... poi probabilmente andare a pranzo, visto che la colazione
è saltata..." non sapeva perchè, ma quella
risposta non andava bene...
"ALEXIS!"...ecco, appunto... "Ora non ho tempo di sgridarti... comunque
le tue cosette da donna le farai più tardi... ora devi fare
quelle commissioni che ti ho assegnato prima!"
Cosette da donna? Cioè... farsi un bagno era un crimine
commesso solo dalle donne, ora? Alex preferiva evitare di rispondere
per non peggiorare la situazione.
"Ma... David... oggi?" chiese sull'orlo dell'esasperazione.
"Si, oggi! Quando pensavi di farle? ... Oddio... no, non toccarlo ..."
Alex stava cercando di assimilare tutto mentre il suo datore di lavoro
dava ordini agli operatori dall'altro capo dell'apparecchio.
"... Senti, ragazza... prima di stasera fai quelle due o tre cose e poi
potrai rilassarti! Cerca comunque di avere sempre il cellulare a
portata di mano! Ciao."
"Ma...." troppo tardi. David aveva chiuso la conversazione.
Alex rimase un attimo immobile cercando di decidere sul da farsi.
Sbuffò sonoramente, completamente infastidita da
quell'assurda situazione.
Afferrò di malavoglia la sua inseparabile tracolla nera e il
giubbotto che si era tolta poco prima, infilò il cellulare
nella tasca e prese la chiave della stanza dal comodino sul quale
l'aveva appoggiata.
Era stanca, esasperata e affamata. Eppure doveva stare agli ordini di
quel vecchio... anzi… doveva sottostare ai desideri di
quattro bimbi troppo cresciuti che erano troppo impegnati a giocare con
i videogiochi per fare le loro commissioni.
Dio, quanto gli odiava. Il rasta soprattutto. Credevano di essere delle
Divinità da servire e riverire solo perchè
avevano ottenuto un contratto importante? Che ipocriti!
Mise la mano sulla maniglia e spalancò la porta per uscire.
Con stupore e con la forte tentazione di scagliare un pugno in faccia a
quel bel faccino truccato, Alexis si trovò davanti al
cantante della Band che, presumeva stasse per bussare proprio alla sua
porta.
"Oh... ehm... che tempismo!" balbettò Bill sorridendo.
Non aveva ancora finito di imprecare contro David che si presentava
già un altro problema. Alex lo guardava con gli occhi
socchiusi. Qualcosa che voleva dire che cazzo vuole questo, adesso?
"Che vuoi?" chiese cercando di tenere a freno più possibile
la lingua.
In qualche modo, il moro aveva recepito lo stato d'animo della ragazza
perchè cercò di non sentirsi offeso da
quell'atteggiamento. Probabilmente se le avesse detto qualcosa sarebbe
finita male. Molto male.
"Ehm... ecco... stavi uscendo per caso?" le chiese cercando di essere
il più rilassato possibile. Quello sguardo gli incuoteva
timore a dir poco.
"Si" ... e non per una gita di piacere, brutto deficiente... stava per
aggiungere, ma preferì mordersi per l'ennesima volta la
lingua.
"Ah... ehm... bhè..." Bill sentiva che qualcosa in quella
ragazza non andava. Poteva sentire la sua rabbia scaturire da ogni
centimentro del suo corpo. Sembrava una bomba nucleare sul punto di
esplodere nelle sembianze di una innocua ragazza dagli occhi di
ghiaccio.
"Allora, mi vuoi dire perchè sei venuto da me?" disse lei
cercando di respirare normalmente. Era un dato di fatto quello. Non
riusciva a controllarsi molto quando era arrabbiata... o meglio,
incazzata nera.
Bill trovò finalmente coraggio... "Il mio I-Pod si
è rotto... mi serve molto prima del concerto
perchè mi rilassa... non è che potresti passare
in qualche negozio per farlo riparare?" ... Alex sembrava impassibile a
quella richiesta.
Passarono pochi attimi di assoluto silenzio dove lei lo
atterrò solo con quello sguardo penetrante e tagliente di
cui era capace.
"No" rispose semplicemente. Chiuse a chiave la sua porta e lo
oltrepassò dirigendosi all'ascensore, lasciandolo allibito
davanti a quella negazione esplicita.
***
Odiava suo padre. Dio solo poteva sapere quanto. L'aveva incastrata per
bene. Ora, se lasciava il suo attuale lavoro avrebbe dato prova di non
esserne all'altezza, se avesse continuato... bhè... o
sarebbe andata in esaurimento nervoso o l'avrebbero comunque
licenziata. Non era tagliata per qual genere di cose. Prendere ordini
era una cosa che la faceva imbestialire. Essere cortese da chi prendeva
ordini era quasi impossibile per lei.
Forse era un tantino orgogliosa. Si. Decisamente orgogliosa. E ne
andava fiera.
Avrebbe odiato il mondo intero se solo ne avesse avuto la forza.
Detestava la sua vita come detestava il rosa shokking.
All'età di tredici anni aveva strappato tutte le fotografie
di quand'era piccola, quando sua madre la vestiva come una barbie.
Gonna rosa, maglietta rosa dei cartoni animati, scarpette rosa e
cuffietta in tinta. Gli unici colori che le piacevano erano il nero, il
bianco, il viola e il rosso. E vestiva solo quelli.
Camminava per le strade di Berlino assorta nei suoi pensieri, come al
solito. Erano le quattro del pomeriggio e aveva appena finito di fare
quelle due o tre commissioni, come aveva detto David. Il che
comprendeva comprare quell'inutile dvd dei Metallica, confermare il
trasporto del tavolo da ping pong fino al palazzetto e ordinare anche
il calcetto, aveva dovuto passare a comprare gli asciugamani, cosa che
trovò stupida, dovette passare in sartoria per ritirare la
giacca che il frontman aveva pensato bene di farsi glitterare la
scritta sulla schiena e, come se non bastasse, il manager le aveva
telefonato circa quattro volte per assegnarle altre commissioni da
eseguire. Morale della favola: Non conoscendo Berlino ci
impiegò praticamente tutta la giornata per trovare le varie
sedi con una cartina della città praticamente inutile visto
che dovette chiedere informazioni una decina di volte, i pacchi che era
andata a ritirare per quei quattro rincitrulliti pesavano come mattoni
e, come cigliegina sulla torta, non aveva avuto tempo nemmeno per
pranzare.
Ora che stava arrancando, sfinita visto la sua lunga camminata, verso
l'albergo l'unica cosa che riusciva ancora a pensare era di mandare al
diavolo tutto e dare le dimissioni. Pensava di trasferirsi in qualche
altro paese. L'Italia non era male... si mangiava bene, le persone
erano gentili e il lavoro non mancava... ma ovviamente lei non sapeva
un fico secco di quella lingua.
Tornare dai suoi genitori era fuori discussione.
Oh, ma che stava pensando? Era inutile cercare una via di fuga.
L'orgoglio glielo impediva. Avrebbe dimostrato a suo padre di che pasta
era fatta. Fargli vedere che non serviva una laurea per fare
l'assistente di un manager da strapazzo.
Dopo alcuni minuti arrivò finalmente in albergo. Prese di
filato l'ascensore ed entrò in camera. Lanciò
tutte le borse che trascinava sul pavimento e si lasciò
cadere sul letto. La prima cosa che le venne in mente era un bel panino
con formaggio, pomodoro e insalata. Stava svenendo dalla fame!
Aprì il minifrigo speranzosa, ma trovò solo due
birre, una tonica e lattine di coca cola. Richiuse lo sportello, prese
il cuscino accanto e se lo premette sulla faccia attutendo l'urlo di
disperazione che non ce la fece più a reprimere.
Driiii Driiin... Driiin Driin...
Era tentata di prendere quel maledetto aggeggio e lanciarlo fuori dalla
finestra. Lo estrasse dalla tasca e vide sulla schermata "David".
No... no... ti prego,
basta!
"Pronto?" rispose con un grugnito
"Alex... dove sei?"
"Sono appena rientrata in albergo..." disse sperando ardentemente che
quella fosse solo una chiamata senza nessuno scopo preciso.
"Bene... hai preso tutto quello che c'era sulla lista?"
"Si... tutto quello che mi hai chiesto..."
"Fantastico! Il nuovo pannello sta arrivando da Monaco... bene bene...
il tavolo da ping pong?"
"Un furgone lo porterà lì al palazzetto
domattina..." Forse c'era qualche speranza di essere finalmente libera
quella sera.
"Perfetto! Ottimo lavoro! Senti, Alex... ti ho mandato un nostro
collaboratore a ritirare quelle due o tre cosucce che hai preso... le
porterà lui qui... ti aspetta appena fuori dall'Hotel...
dopodichè per stasera sei libera!"
Dio, ti ringrazio!
“Grazie, David… buon lavoro!”
Si salutarono con un “ciao” veloce e chiusero la
chiamata.
Alexis si lasciò sfuggire per la prima volta in quel giorno
infernale un sospiro di sollievo. In quel momento, la parola
‘Libera’ le sembrò il vocabolo
più bello inventato dalla mente umana.
Balzò giù dal letto, prese al volo le borse
abbandonate sul pavimento e in pochi secondi fu sulla strada. Non si
preoccupò nemmeno di coprirsi con la giacca,
l’auto del loro team l’aspettava parcheggiata a
qualche metro dall’entrata. Consegnò i pacchi e
rientrò subito nella Hall dell’Hotel.
Mentre si avviava all’ascensore si rese conto che stava
sorridendo. Pregustava già il suo bagno caldo, una buona
pizza che avrebbe sicuramente ordinato non appena entrata in camera e
le canzoni degli Evanescense nelle orecchie. E dopo magari avrebbe
trovato l’ispirazione che stava cercando da giorni e si
sarebbe finalmente attaccata al suo fedele computer.
Salì sul primo ascensore libero e premette il numero del suo
piano continuando a fantasticare sul relax che si sarebbe concessa.
Al diavolo le
valige… possono aspettare!
Il tintinnio sordo dell’abitacolo suonò,
avvertendo la ragazza di aver raggiunto l’undicesimo piano.
Le porte si aprirono e Alex prese il corridoio di sinistra per arrivare
alla sua stanza.
Girò l’angolo e sussultò nel trovarsi
di fronte al viso che odiava più di tutti al mondo dopo suo
padre.
“Ciao!” la salutò stranamente allegro il
rasta.
“Ciao…” rimandò
svogliatamente lei, oltrepassandolo.
Tom la fermò trattenendola per il polso. Forse non si
rendeva conto dello stato d’animo della ragazza…
E questo che vuole,
adesso?
“Aspetta…” disse, cercando di tenere un
tono dispiaciuto “Senti… mi dispiace per quello
che ho detto sul balcone… non avevo capito che stavi
veramente male.”
Alex lo guardò negli occhi rendendosi conto che quelle erano
una sottospecie di scuse.
“Hai ragione… non sono affari miei e non era mia
intenzione ferirti…” continuò con voce
bassa.
Era strano quel ragazzo. Più di quanto Alex avesse potuto
credere, ma, per qualche strana ragione, gli credette.
“Bhè… da quello che mi hai detto prima,
sembrava tutt’altro che un insulto non
intenzionato!” gli rispose freddamente, come volesse metterlo
alla prova.
“Lo so… a volte parlo senza pensare. Non voglio
farmi odiare… poi dovremo convivere per molto
tempo… non mi sembra il caso di punzecchiarci ogni
volta.”
Era la cosa più sensata che Alex avesse sentito dire in
tutto il giorno. Era sincero. La sue espressione non mentiva.
“Che dici, Alexis… tregua?” le chiese il
rasta, sorridendo.
“Immagino di si…” rispose ricambiando il
sorriso.
Forse si sbagliava su quel ragazzo. E’ vero, la prima
impressione è quella che conta, ma è anche giusto
conoscere le persone prima di giudicarle.
Il fatto che le abbia chiesto scusa significava che in fondo del buono
c’era in lui.
Certo, anche il suo stato d’animo piuttosto benevolo in quel
momento lo aveva aiutato…
“Bene… senti, stasera, dopo cena, noi della band
facciamo una specie di torneo alla Playstation… ti va di
unirti a noi?” domandò speranzoso.
Forse voleva farsi perdonare come si deve e ad Alex venne quasi voglia
di accettare, ma era davvero esausta e tutto ciò che
desiderava era rimanere da sola con sé stessa.
“Ti ringrazio… ma sono stanca e non me la sento di
fare le ore piccole… domani mi aspetta un duro
lavoro…” cercò di rifiutare
cortesemente.
“Eddai… magari solo per una birra
insieme… il gruppo deve conoscerti meglio,
dopotutto.” non desisteva il ragazzo.
Alexis parve indecisa. Non amava particolarmente parlare di
sé, della sua vita, ma era vero. Dovevano pur conoscerla e
lei soprattutto aveva bisogno di saperne un po’ di
più di questa band.
“Magari solo per un bicchiere…” rispose
ricambiando il sorriso.
“Fantastico! Comunque ceni con noi, vero?”
domandò ancora.
“Non credo… ordinerò in camera. Devo
rimettermi in sesto… David mi ha fatto correre,
oggi… e…” Non riuscì a
concludere la frase che la colpì un forte mal di testa
improvviso.
Un urlo sordo le rimbombava in testa come un assordante fischio
intenso.
Si premette le tempie con le mani, incapace di spiegarsi cosa le stesse
succedendo.
“Alexis… ti senti bene?” le chiese Tom,
notando il pallore della giovane.
Iniziò a sentire le gambe cedere, tremare sotto il suo peso
e dei brividi di freddo percorrerle tutto il corpo come in preda alla
febbre.
“S-si… sto bene… è
solo… solo un malessere passeggero…”
riuscì a biascicare fra i tremiti.
Il rasta le si avvicinò stranito. Non sembrava affatto
stesse bene. Le sfiorò appena il braccio, ma Alexis si
scostò immediatamente.
“Non mi toccare!” mormorò con una voce
flebile, rauca… una voce così fredda che Tom
quasi non la riconobbe.
“Scusa, ma… tu stai male.” disse quasi
timoroso.
Iniziò a tossire violentemente. Faticava a respirare e il
dolore alla testa la costrinse a sostenersi alla parete.
“Alex…” Tom era preoccupato.
L’aveva vista diventare bianca nell’arco di pochi
secondi e le sue vene erano di un pericoloso colore violaceo.
La vide barcollare e fece qualche passo verso di lei.
“Ti ho detto… di non toccarmi!”
Improvvisamente qualsiasi cosa a contatto con il suo corpo le dava
un immenso fastidio. Persino i vestiti li sentiva pizzicare.
Boccheggiava cercando aria. Qualcosa risaliva dal suo stomaco, bruciava
come acido e infine arrivò alla bocca. Un miscuglio viscido,
amaro, caldo. Sangue.
In quel momento rabbrividì di paura.
Si portò una mano alla bocca, spaventata. Si
toccò le labbra e guardò il dito sporco di
liquido vermiglio.
Sangue.
Completamente paralizzata cadde in ginocchio, sentendo un peso
gigantesco premere contro di lei.
Tom sussultò vedendola incespicare e senza preoccuparsi di
ciò che diceva le andò vicino e la sorresse. Il
suo tocco la fece bruciare, come se la sua pelle potesse incendiarsi da
un momento all’altro. Non riusciva a parlare, strozzata dal
liquido vermiglio che le riempiva la bocca e continuava a sgorgarle
dallo stomaco in una maniera terrificante. Si dimenava cercando di
allontanarlo, ma lui non la mollava e tentava di alzarla senza
risultato.
Con difficoltà, Alexis aprì gli occhi e fu allora
che la vide.
L’ombra. Quel mantello nero. Quella figura misteriosa che le
aveva procurato la stessa sensazione la mattina. Era ferma. Immobile a
qualche metro da lei.
La testa incappucciata si mosse leggermente. Alzò il capo e
Alexis perse un battito del cuore. Una donna.
Un volto di una donna la stava fissando e per qualche strana ragione,
Alex parve di conoscerla.
Eppure era sicura di non averla mai vista. Quei lineamenti
così puliti, perfetti, lindi. Sembrava una bambola di
ceramica.
Ciuffi biondo platino le circondavano il viso addolcendolo.
Gli occhi profondi, penetranti. Viola.
In pochi secondi la sua testa cessò di pulsare. I brividi
l’abbandonarono e il sangue in bocca scomparve
all’improvviso rilasciandole un gusto neutro in bocca.
La donna si dissolse nell’atmosfera.
“Alexis… Alex stai bene?” chiese Tom,
sentendo i nervi della giovane rilassarsi sotto le sue dita.
“S-si… si, Tom … sto bene.”
mormorò assente. Pensava ancora a lei.
“Che ti è preso? Mi hai fatto spaventare a
morte!”
“Ma… l’hai vista anche tu,
vero?” chiese lei fissando il punto dove poco prima
c’era quella donna misteriosa.
“Chi?” il rasta alzò un sopracciglio,
non capendo.
“Quella… quell’ombra scura! Era proprio
lì, davanti a noi!” cercò di spiegare
lei, indicando con il dito il punto esatto.
“Un’ombra scura? Alex credo che tu abbia bisogno di
un po’ di risposo.”
“Ti dico che era qui! Come hai fatto a non
vederla?” ribattè la bionda. Era sicura di
ciò che aveva visto e lo poteva provare.
“Guarda! Non mi sono immaginata niente! Lo vedi
questo?” chiese mettendogli la sua mano davanti agli occhi.
Quella con cui si era pulita la bocca dal sangue.
“La tua mano?” Tom non riusciva a capire. Credeva
che quella ragazza stesse dando di matto.
Alexis adottò un espressione strana e ritirò la
mano. Con stupore si accorse che il dito era pulito.
Me lo sono immaginato?
Tom scosse la testa, stranito, e l'aiutò ad
alzarsi sempre sorregendola per timore che potesse perdere di nuovo
l'equilibrio.
“Alexis… facciamo
così… Ora vai in camera e ti riposi. Hai delle
occhiaie da paura!” ammise ridacchiando
“… ceni con calma e poi ci raggiungi, giusto per
presentarci meglio.”
La ragazza era ancora in semi-trans e seguì distrattamente
le parole del rasta.
Era talmente esausta da avere le allucinazioni? Oppure semplicemente
troppo affamata…
Sarebbe stato anche lecito se il sapore del sangue non fosse stato
così reale che poteva ancora sentirne il viscido retrogusto
in bocca.
Si sentiva stupida, confusa e irritata al tempo stesso. Spesso la sua
mente giocava brutti scherzi, talvolta finiva per confondere la
realtà con la fantasia, soprattutto da piccola. Eppure
quella volta era diverso. Era certa di averla vista!
Dopotutto non poteva biasimare il suo stomaco brontolante…
La testa prese a pulsare leggermente, disorientata da ciò
che aveva appena subito -forse non del tutto vero- e dalla patetica
accondiscienza con cui il chitarrista le stava parlando.
Non lo capiva che essere compatita le dava il voltastomaco? Nessuno lo
capiva.
Era insopportabile lo sguardo di pietà che le riservava.
Degno di una bella risposta per le rime!
“Senti, Tom…” disse, seria, bloccando le
sue generose quanto stupide preoccupazioni “Sto bene. Ho solo
avuto un mancamento… a volte mi succede.”
“Hai mai provato da un dottore? Forse ti mancano alcune
vitamine…”
La ragazza sbuffò incerta. Lo guardò con un
sopracciglio alzato, segno che non voleva sentire altro.
“No… Te l’ho detto. Sto bene. A che ora
stasera?” chiese cambiando argomento e augurandosi che anche
il rasta facesse lo stesso.
“Ok… verso le nove e mezza?”
“Perfetto. Nella suite di Bill, giusto?”
“Si. Ha un megaschermo spettacolare in salotto! Vedrai che
spasso!” esclamò già pregustando il
divertimento.
“Già…” rispose con molta meno
enfasi “Bhè… io vado in camera. A
stasera.” lo salutò con un cenno.
Lui ricambiò e la lasciò entrare in stanza.
Appena richiuse la porta a chiave si lasciò cadere a terra.
E pianse.
Lasciò che tutto il dolore fuoriuscisse dal suo corpo, le
lacrime sgorgavano incessantemente mentre davanti a lei scorrevano
ancora quelle immagini tremende.
Chi era quella donna?
Non riusciva a smettere di pensarci. Sapeva solo che, nel momento
esatto in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli identici della
figura misteriosa, fu come una scossa elettrica. Un dolore lancinante.
E subito un susseguirsi di immagini del suo passato presero a scorrerle
davanti alla visuale, come un film dell’orrore.
Solo quel giorno.
Quel 20 giugno maledetto di due anni fa che aveva cercato in tutti i
modi di rimuovere dai suoi ricordi. Ora era tornato vivido in lei.
Rivide ogni particolare di ciò che successe.
Riprovò ogni emozione.
La felicità, la notte, la strada, il semaforo, il camion, le
urla, il terrore, il suo viso che la guardò
un’ultima volta, l’ultimo bagliore di
luce… il buio.
Per lui fu eterno.
La cicatrice che Alexis portava sul fianco aveva ripreso a bruciare.
Stesa sulla moquette, singhiozzante, non riusciva a spiegarsi molte
cose. Perché d’un colpo solo tutto la
riportò a quel giorno? Perché quelle sensazioni?
Poi quel sangue. Quel gusto amaro e dolcissimo che le aveva invaso la
bocca poco prima, Alexis ne era quasi certa, era di lui.
“Tu appartieni a noi,
Alex. Ciò che sei fa parte del nostro passato. Accetta il
tuo destino e abbandona la tua anima mortale.”
...
Continua... !?!
Ciao a tutti! ^-^ ...
Eccomi tornata con il 2° capitolo! Scusate se ci ho messo un
pò ma vi confesso che scriverlo è stato un
pò difficile
e complicato...
Comunque... tornando a
noi... sono stramegafelice
che il primo chappy vi sia piaciuo così tanto! Vi giuro non credevo
in un simile interessamento! *-*
Ci sono rimasta di sasso
quando ho visto tutte quelle recensioni... eheh...
Bhè...
innanzitutto vi
ringrazio tutti insieme!
Siete troppo gentili!
^-^ (Ma non
smettete, vi prego! *-*)
Poi, vorrei precisare che
le brevi frasette che metto sempre alla fine di ogni cap non sono altro
che piccoli stracci del continuo della storia. Diciamo che è
un modo per incuriosirvi di più ^-^ non hanno niente a che
fare con la vicenda della stesso capitolo!
Per chi ha letto questo
cap... immagino che nessuno di voi, o almeno la maggior parte, abbia
capito molto dell'ultimo pezzo. Vi chiederete chi sia questo "lui"...
cosa centrino il buio, il camion, le urla, ecc...
Tranquilli! Capirete
più avanti! (In ogni caso sappiate che "lui" non
è Tom! ^-^).
Ora... visto che non mi
vengono in mente altre cose da spiegare, passo ai ringraziamenti di chi
ha recensito ^-^ ! (Grazie
ragazzi/e... ve ne sono immensamente grata!):::::
Barbycam:
Tesorina mia!!! Oddio... mi fai felice con questa rece! Davvero! Sapere
che le mie storie ti piacciono è sempre un piacere for me
^-^!! Ti voglio un kasino di bene! Grazie grazie grazie! kissone!!!
xXxSilenCexXx :
Madonnina santissima! Lo sai che mi hai fatto prendere un colpo???
uhuhuhuhuh... addirittura??? Ti piace così tanto che mi
faresti santa?? ahahahaha... grazie 10000! La tua recensione mi ha
fatto davvero piacere! ...E se ti è piaciuto così
tanto l'inizio... ti anticipo che il seguito sarà ancora
più succoso! kissotto... bacio bacio!
nihal_chan :
Eh non ti sbagli Nihal della Terra del Vento! ^-^ ... Confesso che
Licia Troisi mi ha fatto sognare con le sue 2 trilogie! In un certo
senso gli occhi viola li ho veramente presi dal Cavaliere di Drago per
eccellenza! ^-^ Però ti assicuro che la trama è
tutt'altro! Grazie per la rece! continyua a seguirmi!! *-*
kisskisskisskisskisskiss
CaTtY :
Grazie 1000!!! Sono contenta che ti sia piaciuta! ... e ovviamente non
potevo non andare a leggere la tua ff sotto invito! ^-^ come avrai
già letto dalla recensione che ti ho lasciato, mi
è piaciuta molto! ^-^ Io continuo a seguirti... non
scordarti della mia ficcy però ! ç_ç
... un bacione enorme!!! kiskisskisskisskisskisskiss
*-* XD
#°Kairi°#
: Davvero credi che io scriva bene?!?!?!?!
°-° ... Hai bisogno di un paio di occhiali allora!
uhuhuhuhuhhahahahahah.... no skerzo! Grazie di cuore! Sul serio non mi
sento così brava, ma se lo dici tu potrei anche crederci!
^-^ ... Ti ringrazio ancora! Sono contentissima! kissksskisskisskiss
hEiLig FuR iMmEr
: Uhhhh ... quante domande!!! Mi piacerebbe risponderti a tutte, ma
così non ci sarebbe più gusto a leggere, vero?
Allora... il mantello nero era della donna misteriosa, come hai visto
in questo cap... ma non è finita ovviamente! uhuh... Cosa
centrano gli occhi viola di Alexis?? Bhè... non posso
dirtelo, ma centrano MOLTO! Soprattutto perchè anche la
donna misteriosa li aveva uguali, ma questo lo capirai più
avanti! Grazie per la rece! 10000000000 bacini!!! kisss
sara : Ciaux
tesorina! Ma glassie! Grazie grazie grazie per la rece! *me
felicissima*!!! kisssssssssssss
miss miyu 91
: Ammorrreeeee!!!! Ma quanto mi fanno felice le tue recensioni!!! Non
immagini nemmeno! Sei pazza a seguire una fic che nemmeno ti piace solo
per me! *ma mi fai troppo felice* ... grazie di cuore!!!!! Grazie
grazie grazie grazie grazie!!!!... ecc ecc... uhuhuhuhuh... uno
stramegasuperultraiperbacio&abbraccio!
kissssssssssssssssssssssssss
gamba di legno :
Ma grazieeee!!!! ^-^ che dire? Sono felice per la tua rece!! *-* ...
Thank you! Danke shon! Merci.... scusa non conosco altre lingue in cui
ringraziarti eheheheh... a presto! kisskisskiss
LiSa90 : Ma
grazieeeeeeeee!!! Anche tu con gli occhi viola eh? ihih ... tranquilla!
Nel seguito lo scoprirai cosa centreranno! kisssssssssssssssss
- Ok ... Allora vi è
piaciuto questo cap??? Siete ancora più curiosi di prima??
Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie!
kisssssssssssssssssssss-
Hilaryssj vi da un grosso bacione a tutti!!! ^-^
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Capitolo 3 *** Il gioco di Tom ***
Il
gioco di Tom
Alexis
Il Sole tramontava
all’Orizzonte con una lentezza quasi esasperante. I minuti
scorrevano come gocce di miele su una superficie increspata e poco
inclinata. Le ombre nella mia stanza si allungavano sempre
più dense e scure, incorniciate dal colore caldo del tipico
arancione tenue di quelle ore.
Ero sdraiata sul
letto, sotto la candida trapunta verde chiaro, e fissavo con occhi
vacui quel pigro spettacolo che si prospettava dalla mia
porta-finestra, all’undicesimo piano dell’Hotel.
Avevo ancora gli
occhi gonfi e arrossati per il pianto nonostante avessi dormito per
circa due ore buone. Il sapore dolciastro del sangue aveva abbandonato
i miei sensi quasi definitivamente rilasciando solo un’oscura
ombra lontana nella mia mente. Tutte quelle sensazioni provate in
corridoio quel pomeriggio mi parvero irreali. Troppo irreali. Pensai
quasi di aver sognato tutto.
Ma sapevo che non
era così.
Per qualche strana
ragione avevo pensato che fosse stato Jared a procurarmi quegli spasmi
allo stomaco, il giramento di testa e tutto il resto.
Jared…
Perché proprio
lui? Perché adesso? Perché qui?
Oh, Diavolo! Non poteva essere lui. Non dopo due anni. Non quando ero
quasi riuscita a dimenticarlo…
Era solo stanchezza. Solo quella. Niente più.
Io, poi, non sono il genere di ragazza che si lascia intimidire da
qualche rumore. Non sono superstiziosa, ecco.
Scossi la testa emettendo un lieve grugnito che morì tra i
sottili filamenti del cuscino.
Basta essere
paranoica!
Mi proibii mentalmente di
piangere ancora.
Fissai incessantemente il cerchio infuocato finchè non
sparì completamente dietro le colline in lontananza.
Strano che ci fosse stato il Sole quel giorno; quella mattina e il
primo pomeriggio mi erano parsi troppo intrisi di nebbia e bassa
temperatura per mostrare anche solo uno spicchio di tiepida luce.
Ebbene mi ero sbagliata.
Non che mi rammaricassi così tanto. In un certo senso
detestavo quella palla incandescente, anche se vivevo grazie a lei, ma,
soprattutto d’estate, il bagliore rovente che irradiava mi
dava un certo fastidio.
Prima non era così. O meglio, prima di compiere quei dannati
diciassette anni non provavo tanto disgusto per un semplice fenomeno
naturale.
Era il tramonto anche quel
giorno. Vero, Jared?
Strinsi
convulsamente il lenzuolo tra le mani e mi morsi il labbro quasi a
farlo sanguinare.
Mi alzai dal letto con una velocità impressionante e mi
diressi in bagno.
Dovevo fare qualcosa o tutto ciò che vedevo e respiravo mi
riportava a pensare a quel giorno, a quelle sensazioni, a lui.
Aprii il rubinetto e lasciai scorrere l’acqua fredda.
Guardandomi allo specchio rimasi inorridita dal mio aspetto.
I lunghi capelli biondi erano tutti annodati e il grosso frangione non
era più diviso da una parte, ma scompigliato
all’indietro. Gli occhi erano circondati da terribili
occhiaie violacee, come se avessi fatto a pugni, e la matita che
sbavata fino alle guance accentuava inevitabilmente il pianto di poco
fa.
Lo sguardo era vacuo, triste, fittizio. Mi spaventai perché
non mi vedevo conciata in quel modo da tanto tempo. Da quasi
due anni.
Chiusi le palpebre, strizzandole pur di non far sgorgare nemeno una
lacrima.
Misi le mani sotto l’acqua gelida e mi sfregai il viso con
violenza. Il contatto con il freddo mi svegliò subito e mi
diede sollievo. Sospirai.
L’orologio segnava le diciannove e un quarto. Non avevo
nessuna voglia di andare al festino di quei ragazzi, ma non avevo alcuna
alternativa.
Se declinavo sarebbe stato come dar ragione al rastaro, ammettere che
non si era sbagliato sul mio conto e sulla mia salute, cosa che
detestavo.
Mai e poi mai gli avrei dato questa soddisfazione. Non mi conosceva
come pensava, nemmeno lontanamente.
Non mi fidavo di lui, tantomeno dei suoi amici.
Fatto stava che non avevo un movente accettabile per respingere
l’invito, quindi non avevo scelta.
Avevo tempo per prepararmi. Mancavano due ore abbondanti e non avevo
messo ancora niente sotto i denti.
Strano, ma vero.
Uscire era fuori discussione, così chiamai il sevizio in
camera e ordinai una bistecca al sangue con insalata. Il dolce non lo
gradivo granchè. Ordinai anche una bottiglia
d’acqua frizzante; chissà perché, ma
quella naturale non mi dissetava per niente.
Nell’attesa, mi gettai sotto l’acqua calda della
doccia. Mi lasciai sfuggire un respiro di sollievo a contatto con il
getto rilassante.
Quanto l’avevo desiderato quel giorno? Minimo venti volte,
sicuro!
Mi sembrava quasi un sogno
starmene tranquillamente appoggiata con le braccia al vetro appannato e
la schiena esposta agli spruzzi violenti, puri e scroscianti.
Niente cellulare, niente David, niente lavoro. Solo quel rumore
rasserenante e la sensazione di lavare via ogni preoccupazione.
Mi lavai i capelli con lo shampoo al cocco e mi detersi la pelle con il
bagnoschiuma alla vaniglia. In quel momento non sarei stata in grado di
descrivere niente di più bello.
Uscii dalla doccia completamente rigenerata e rinfrescata da un alone
di dolce profumo.
Mi avvolsi nell’asciugamano fornito dall’albergo e
iniziai ad asciugarmi i capelli.
Molti credono che, dalla lunghezza, ci metto molto per farmi una piega
decente, invece di norma non ci impiego più di
mezz’ora.
Quella volta, al contrario, decisi di dargli solo un colpo veloce
giusto per non tenerli bagnati e per dare una forma accettabile al
frangione da un lato.
Dopo dieci minuti rientrai in camera da letto per vestirmi.
Il mio guardaroba è molto limitato nei colori, ma comunque
non si può dire sia povero di scelta. Poco dopo ero avvolta
in un paio di jeans stretti e una maglietta di cotone rigorosamente
nera a maniche lunghe e larghe. Non mi piacevano i troppi fronzoli, ma
comunque sfoggiavo un semplice disegno raffigurante due ali rosse
spezzate all’altezza del seno, a destra.
Stavo ancora definendo i dettagli quando bussarono alla porta: servizio
in camera.
Una donna sulla quarantina mi porse il vassoio e si defilò
per il corridoio senza una parola. Meglio così. Quella sera
non ero in vena di chiacchiere superflue.
Aprii il tavolino pieghevole appostato dietro la tenda della finestra e
lo sistemai davanti alla TV. Mi sedetti sul letto e l’accesi
sul quinto canale per il telegiornale.
L’odore del cibo mi strinse lo stomaco e quasi mi diede la
nausea. Possibile che non avessi fame?
Contro voglia mi sforzai di addentare ogni boccone della bistecca,
inghiottendo con sforzo. Non la gradivo ben cotta, ma preferivo fosse
sempre un po’ al sangue. Mia madre mi costringeva sempre a
mangiarla quasi arrostita, rimproverandomi perché a me
piaceva praticamente cruda.
Scelte di vita.
Il telegiornale era uno dei pochi programmi che, in mancanza di altro
da fare, guardavo abbastanza volentieri. Tuttavia, ultimamente non si
parlava d’altro che di politica e, malgrado tutto, non ero
sufficientemente incline ad assorbirmi i vari discorsi dei leader dei
partiti, quindi decisi di fare un po’ di zapping.
Come da protocollo, a quell’ora c’è poca
scelta: o telegiornale o soap opera mielose. Mia madre ne va matta, io
preferisco il suicidio.
Mi bloccai sul canale musicale, immobile.
Non avrei mai ammesso di essere rimasta a bocca aperta con la forchetta
a mezz’aria nemmeno sotto tortura. Eppure era così.
Mi ritrovai a fissare quel moretto con i capelli sparati, in piedi, sul
cornicione di un palazzo che cantava una delle sue canzoni attraverso
lo schermo del televisore.
Incredibile, vero?
Ammetto che la cosa fa un certo effetto. Solo poche ore fa
l’avevo visto litigare con il fratello per la suite
dell’albergo e adesso me lo ritrovo sul canale musicale, in
classifica su Top Music, nelle prime dieci.
Avrei dovuto aspettarmelo. Dopotutto non lavoravo per una ditta di
autotrasporti, bensì per un gruppo musicale in tour europeo,
pronti a lanciare il loro secondo disco dopo il grande successo del
primo.
Finita la canzone, la bistecca si era ormai raffreddata e
dell’insalata proprio non mi andava, così spostai
il tavolino pieghevole in un angolo e spensi lo schermo lasciandomi
cadere di schiena sul letto.
Dovevo ammetterlo: erano in gamba.
Altro che ragazzini con le padelle! Quelli sapevano veramente fare
musica!
D’accordo, era ancora presto per giudicare dato che avevo
ascoltato solo un loro successo, ma dubitavo che gli altri testi
fossero da meno.
Spring nicht era davvero una bella canzone.
Il video, poi, era uno dei pochi che avessi mai visto girato con grande
stile.
Insomma, soltanto sotto minaccia di morte avrei confessato che mi fossi
sbagliata sul loro conto, almeno per quanto riguarda il loro lavoro,
fatto stava che mai e poi mai avrei ammesso che fossero bravi.
Solo tra me e me potevo concedermi un simile pensiero.
Però erano bravi sul serio.
Driiin Driin…
Dopo che mi ero rilassata sotto la doccia, lo squillo del cellulare non
mi fece più tanto imbestialire. Nonostante tutto dovevo
assolutamente cambiare quella cazzo di suoneria!
“Pronto?”
risposi.
“Alexis! Come stai, tesoro? Tutto a posto, lì, a
Berlino?” mia madre. Donna di gran classe, ma io non la penso
così.
“Certo. Tu?” evitai apposta di chiedere di mio
padre. Sinceramente, non me ne fregava un cazzo.
“Oh, qui va tutto splendidamente. Sai, ho iniziato un corso
di yoga!”
“Magnifico.” Risposi senza entusiasmo. Mia madre e
le sue idee strampalate!
“Oh, dài… raccontami
com’è il tuo lavoro! Voglio sapere
tutto!”
Talvolta mia madre dimentica di parlare con me. Crede di essere al
telefono con una delle sue amiche del club del thè delle
cinque e si pregusta tutti i pettegolezzi serviti quel giorno su un
piatto d’argento. A volte mi chiedo se fosse veramente la mia
madre naturale…
“E’… faticoso.” Non riuscii a
dire altro.
“Oh…” parve sconcertata dalla voce. E
anche un po’ delusa, a dire il vero.
“E David com’è?” riprese con
più foga.
“E’ quello che mi rende il lavoro
faticoso.” Talvolta mento a mia madre, non per il gusto di
farlo, più che altro perché almeno evito ore di
discussioni inutili. Invece quella era la pura e semplice
verità.
“Bè… è pur sempre un lavoro
importante. E’ normale che sia un po’
duro…” ho già detto che mia madre ha
una voce di cinque toni più alta degli squilli del telefono?
“Già…” appurai.
“E com’è vivere al fianco delle rock
star più famose dell’ultima stagione?”
chiese.
Sinceramente? Irritante e prossimo alla perdita del controllo.
“Non è male.” Mentii spudoratamente.
Prima che potesse passare ad altri argomenti, decisi di chiudere quella
conversazione per la mia salute e per il suo bene.
Riagganciai subito dopo averla salutata e scaricata con una scusa
banale ma efficace.
Volevo evitare di parlare di papà e di fare una scorta di
nervosismo ancor prima di andare a quello stupido festino.
L’orologio segnava
le ventuno e dodici.
Sospirai e mi rinchiusi in bagno per pettinarmi, ravvivando i capelli,
per darmi un tocco di matita sotto gli occhi e giusto un po’
di correttore per nascondere le occhiaie.
Tornai in camera da letto per infilarmi le nike bianche e nere e il
cinturone borchiato in vita. I gioielli non erano per niente il mio
genere, ma qualche piccolo monile potevo permetterlo anche io.
Al polso sinistro tenevo l’orologio-bracciale in oro bianco,
in quello destro avevo agganciato un sottile braccialetto, sempre in
oro bianco. Al collo portavo una catenina con uno strano ciondolo a
forma di luna intrecciata da filamenti, anch’essa in oro
bianco. Avrei preferito l’argento, ma purtroppo ero allergica
a quel metallo.
Gli orecchini non era nel mio stile portarli, anche se avevo i buchi.
Naturalmente avevo un altro ornamento, ma, a meno che non fossi stata
in costume ( e io non andavo né al mare né in
piscina ) o in reggiseno, nessuno poteva vederlo.
Non presi il cellulare, né il portafogli, né
tanto meno la borsa quando uscii dalla mia stanza. La suite di Bill era
tre camere più avanti.
Quando fui arrivata ero in anticipo di pochi minuti, ma bussai
ugualmente. Prima sarei entrata e prima mi sarei tolta dalle scatole.
Attesi giusto un momento e il moro scombinato mi aprì la
porta accogliendomi con un gran sorriso.
Portava jeans a vita bassa, una semplice felpa blu scuro e un paio di
pantofole ai piedi. I capelli erano stirati e lisciati. Stava meglio
così, a parer mio.
“Ciao, Occhi di Mammola!” salutò con
foga.
Occhi di
Mammola?!
“Scusa?” chiesi incrociando le
braccia al petto, con sguardo accigliato.
Parve fin troppo divertito dalla mia espressione.
“Non lo sai? Mentre ti aspettavamo ti abbiamo affibiato un
soprannome!” il suo sorriso si allargò ancora di
più.
Fantastico. Nemmeno mi conoscono e mi etichettano già con un
ridicolo nomignolo, come se fossimo mai stati buoni amici in una vita
passata.
E poi… che diavolo è una mammola?
“Che diavolo è una mammola?” sempre
concisa, io.
Rise di gusto. Errore, tesoro: rischi di perdere il tuo bel nasino!
“E’ una viola spontanea delle siepi e delle
boscaglie della foresta Nera. Ti si addice proprio, vero?”
possibile che non si era ancora accorto che stava osando troppo?
Fanculo!
Scossi la testa cercando di
tenere a freno la mia mano destra.
“Se tu o i tuoi amici, di là, vi azzardate anche
solo una volta a chiamarmi ancora in quel modo giro i tacchi e me ne
torno in camera mia!” cosa che non mi dispiacerebbe
affatto avrei voluto aggiungere, ma sempre meglio non
tirarla per le lunghe.
Subito si mise sulla difensiva con le mani aperte davanti a
sé. Chissà perché mi
ritornò in mente la sua figura sul cornicione del palazzo.
Mah.
“Va bene. Recepito il messaggio.” Disse per
scusarsi.
Meglio così.
Dietro di lui comparì il suo gemello, Tom, con il sorriso da
ebete stampato in faccia, al solito.
“Sei di parola, Occhi di Mammola!” mi
salutò con un cenno.
Sbuffai, intravedendo il cantante che si portò entrambe le
mani sul viso e gli occhi imploranti verso di me.
Decisi di dargli cinque secondi di vantaggio per avvertire anche gli
altri, niente di più.
Stare sulla porta mi aveva alquanto stufata e decretai di farla finita
con questa buffonata il più presto possibile.
“Allora… mi fate entrare oppure no?”
Tom sembrava già brillo. Era tutto rosso in viso e
barcollava leggermente. Se continuava così sarebbe crollato
prima delle undici.
Ottimo.
Bill spinse il fratello da un lato e mi fece sengo di accomodarmi in
salotto, in fondo allo stretto corridoio.
Entrai, seguita dai gemelli. Non mi piaceva per niente essere in testa.
Ad ogni passo, sentivo gli occhi del rasta sul mio corpo e non poterlo
fissare per intimidirlo mi diede un gran fastidio.
Appena misi piede in salotto mi maledii di aver accettato quello
stupido invito.
Georg e Gustav erano seduti a gambe incrociate, sul tappeto, i joistik
in mano e un’alta pila di giochi per playstation in un angolo.
Sul tavolino, dietro di loro, c’erano varie bottiglie di
alcool e liquore, di gradazioni diverse.
I due ragazzi seduti si voltarono a guardarmi e sorrisero come bambini
davanti ad un nuovo giocattolo. “Ciao, Occhi di
Mammola!” urlarono quasi all’uniscono.
La rabbia stava crescendo.
Lanciai un’occhiataccia a Bill, che nel frattempo si era
accomodato sul divano, e lui scrollò le spalle di rimando
come per scusarsi.
I cinque secondi di vantaggio non gli erano bastati a quanto pareva.
Male.
Scossi la testa e pregai che non si prospettasse una nottata troppo
lunga.
Tom mi oltrepassò, sfiorandomi quasi impercettibilmente la
schiena con le dita, abbastanza che me ne accorgessi, ma
sufficientemente poco perché potessi protestare.
Si lasciò cadere sulla poltrona più vicina e mi
sorrise. Non ricambiai.
Ordinò al batterista e al bassista di spegnere la console e
si scolò mezzo bicchiere di vodka, o almeno era quello che
sembrava. Non staccò mai lo sguardo dal mio.
Ero abituata a dover sostenere occhi più pesanti di quelli,
quindi non fu un problema, né tanto meno per lui.
Georg chiese: “Con cosa iniziamo?”
Tom mi sorrise ancora, stavolta con più
intensità: “Con il gioco della
bottiglia!”
*
Bastardo!
Perché non rifiutai? Credetemi, il ricatto
è un’ottima forma di persuasione!
Così mi ritrovai con una bottiglia rigorosamente vuota di
birra in mano e il rastaro seduto di fronte a me, a doverlo
fronteggiare con astuzia e gioco di sguardi.
Maledetto sadico!
“Avanti, Alex.
Gira quell’affare prima che faccia giorno!” mi
spronò, quasi a prendermi in giro.
Appoggiai il fiasco sul tavolino, ma esitai.
Non ero così stupida da non trattare.
“Sia chiaro: niente sconcerie!” era la mia unica
arma.
Tom parve accigliarsi, ma si ricompose all’istante:
“Niente sconcerie.” Accettò.
Davvero avevo creduto che si fosse scusato, in corridoio?
Che idiota!
La sua era tutta una farsa per attirarmi nella trappola, per farmi
abboccare all’esca.
E ci era riuscito alla perfezione.
Inutile dire che non l’avrei mai ammesso, ma purtroppo era
così.
E io, cretina, che gli sono andata dietro.
Ero completamente disarmata, indifesa.
Bell’idea andare ad un festino notturno con quattro maschi
ubriachi!
Compimenti, Alex!
Comodamente stravaccato sulla poltrona, mi scrutava con i suoi occhi
nocciola, sorrideva come se avesse appena vinto un trofeo, sorrideva
per deridermi della mia azione incauta.
Oh, bè. Ormai c’ero dentro fino al collo. Tanto
valeva danzare!
La finestra del salotto lasciava intravedere uno spicchio
di luna. Nell’oscurità qualcosa si mosse, ma non
ci badai.
Brividi di freddo mi attraversarono la schiena come acqua ghiacciata e
solo allora mi sentii osservata.
Quella sensazione mi rese irrequieta. Non avevo tempo per preoccuparmi
delle mie paranoie. Davanti a me c’era Tom, prossimo a
stanarmi come un cacciatore stana la sua preda, e non avevo nessuna
intenzione di perdere.
Girai il polso sul fianco della bottiglia e lasciai. Il gioco era
inizato.
"La
sento. E' irrequieta. Percepisco la sua tensione.
Ormai è parte di me."
Continua...!?!
Ciao a tutti! Eccomi
tornata con il terzo capitolo di "The Eyes of the Darkness"!
Dunque... prima di tutto
mi scuso per il ritardo! Il mio pc fa i capricci una volta al mese e i
capitoli si cancellano quasi sempre! Che disgrazia! sigh!
Molti di voi... o almeno lo
spero... si staranno chiedendo chi cavolo sia questo Jared. Oh
bhè, nel quarto capitolo spiegherò tutto! ^^
Tranquilli!
Buwuwuwawawa... avete
visto che bastardo l'ho fatto diventare TOM? uhuhuh... che Sadico! *-*
... comunque alla fine ... ihih... non vi racconto niente! ^^
Se avete altre domande:
fatele! Me risponderà a tutto quanto! ^^
Scusate, oggi ringrazio
così perchè non ho proprio tempo:
- CaTtY
- BeCkY_kAuLiTz
- selina89
- (§Giulietta§)
- miss
miyu 91
- LiSa90
- sara
- Barbycam
- hEiLig
FuR ImMeR
- shine_angel
Grazie
a tutti quelli che hanno recensito!
Davvero, è grazie a loro se questa ff va avanti!
Un abbraccione forte forte e un bacio a tutti!
Kisskiss
Hilaryssj
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