The space between

di Alkimia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Another suitcase in another hall ***
Capitolo 3: *** Blindsided ***
Capitolo 4: *** Helter Skelter – part one ***
Capitolo 5: *** Helter Skelter – part two ***
Capitolo 6: *** Full dark, no stars ***
Capitolo 7: *** The Great Unknown - part one ***
Capitolo 8: *** The Great Unknown - part two ***
Capitolo 9: *** The Great Unknown - part three ***
Capitolo 10: *** Blind spot ***
Capitolo 11: *** ''... but never doubt that I love you'' ***
Capitolo 12: *** Blood ties - part one ***
Capitolo 13: *** Blood Ties - part two ***
Capitolo 14: *** Blood Ties - part three ***
Capitolo 15: *** D as destiny, D as death - part one ***
Capitolo 16: *** D as Destiny, D as Death - part two ***
Capitolo 17: *** "What is this?" "Me... giving in" ***
Capitolo 18: *** What is left behind ***
Capitolo 19: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Bentrovati.
Questa storia è l'ultima di tre (se qualcuno si fosse or ora sintonizzato, le puntate precedenti le trovate QUI e temo sia impossibile seguire questo racconto senza aver letto gli altri due che lo precedono).
Sul mio pc sono piuttosto avanti con la stesura della fanfiction, e mi sto accorgendo di quanto sia diversa dalle precedenti, sia perché è un po' più di genere fantasy (o almeno, lo diventerà da un certo punto in poi), sia per come la sto scrivendo... in effetti è un anno che tengo in ballo questa “trilogia” e i personaggi sono cresciuti nella mia testa, ma sono cresciuta anche io (spero in meglio... ma non sono pronta a metterci la mano sul fuoco XD).
Il titolo è lo stesso di una canzone dei Dave Matthew's Band, che tra l'altro trovo perfetta per la componente “sentimentale” dell'intera serie di storie.
Buona lettura.

******

Prologue


Alfheim, patria degli alchimisti, il più piccolo dei Nove Regni.
Il sole ha riflessi violetti e il suo riverbero sulle mura bianche degli edifici ferisce la vista a chi non è abituato a quel luogo.
Il Giocattolaio se ne sta al riparo sotto l'ombra del telo montato al margine della strada principale che proietta un rombo scuro sulla pavimentazione di lastricato. Sul bancone, in fila ordinata, sono esposte cianfrusaglie di poco valore, tutte impregnate di quel pizzico di magia che le rende speciali, appetibili a occhi ingenui.
Una bambina con le trecce sollevate in una complicata acconciatura apre e chiude il coperchio della scatolina ottagonale dalla quale spunta un arcobaleno dai colori così vividi che nemmeno lo si direbbe un'illusione. 
La bambina cerca con lo sguardo i suoi genitori, forse per chiedere loro di comprarle l'oggetto, ma quelli che devono essere sua madre e suo padre sono voltati dall'altra parte, ad allungare il collo oltre le file di gente radunata ai lati dell'ampia strada che attraversa la città, fino alla rocca bianca che svetta all'orizzonte, tra i tetti delle case.
C'è fermento nella Capitale di Alfheim. Oggi il Padre degli dei verrà in visita, dalla Patria Eterna, con tutto il suo seguito.
Il Giocattolaio guarda le nappe del suo telone agitarsi per un soffio di brezza, far tremolare l'ombra del suo riparo. Il vento, in quel luogo, porta con sé un perenne olezzo di fiori e erbe aromatiche, piante che crescono in ogni dove, negli sconfinati campi fuori i confini della città così come nei giardini delle case, sui terrazzamenti dei palazzi; le erbe magiche che gli abitanti di quel regno utilizzano per le loro pozioni, che nessun altro al di fuori di loro è in grado di preparare. I segreti dei filtri e dei composti alchemici di Alfheim sono vecchi di secoli e ben custoditi.
Il Giocattolaio sente quel vento arido seccargli la gola e pizzicargli gli occhi. Attorno a lui, la folla comincia a diventare più fitta e rumorosa.
Le visite del re di Asgard alle città di Alfheim non sono poi così inusuali. La gente crede che il Padre degli dei onori il regno con la sua presenza per un amichevole piacere personale o per chissà quale pacifica e innocente ragione, ma si sbagliano, si tratta di un gioco di potere: gli asgardiani temono la magia, le visite di Odino in quella città servono a ribadire alle maestranze di Alfheim che ci sono limiti oltre i quali non possono spingersi, e che l'occhio vigile del Padre degli dei è sempre puntato su di loro, che ogni trasgressione verrà severamente punita.
Ma questo forse lo sanno i potenti, nelle loro alte torri dalle pareti immacolate. Nelle visite di Odino, il popolo vede solo la facciata, quel rinnovato spettacolo di gloria e maestà che si ripete di volta in volta davanti ai loro occhi assetati di meraviglie.
È per questo che i popoli hanno bisogno dei re.
È per questo che i popoli vogliono i re.
La libertà di cui tutti parlano non esiste, e la sua ricerca non è altro che il tentativo vano del nuotatore che sfida le onde pensando di poter arrivare un giorno a toccare l'orizzonte.
La folla diventa una calca, una grande macchia indistinta di vestiti colorati, che parla con un'unica voce vibrante, un suono continuo nel quale è impossibile distinguere le parole.
«Sei qui per vedere il re?». Un bambino dall'aria curiosa si ferma a guardare il Giocattolaio, strappandolo alle sue riflessioni.
L'uomo assottiglia lo sguardo, spiando senza interesse il suo piccolo interlocutore. Non risponde.
«Se sei qui per vedere il re, dovresti avvicinarti alla strada» incalza il bambino.
«Ci vedo benissimo, anche da qui» replica secco.
Il bambino non appare convinto. Con passo saltellante si affianca al Giocattolaio per tentare di guardare dalla sua prospettiva il punto in cui passerà il corteo di Odino.
«No, non è vero, non si vede niente da qui» conclude, piccato.
«Non mi pare che siano affari tuoi».
Il piccolo lancia uno sguardo truce al Giocattolaio, si allontana con aria offesa e quando è abbastanza distante gli fa una smorfia, credendo di non essere visto.
Il Giocattolaio si lascia cadere su uno sgabello, congiunge le mani in grembo e attende.
Non passa molto tempo che da lontano arriva un sonoro squillo di trombe. La folla si agita, un'esclamazione entusiasta si leva da centinaia di bocche all'unisono.
Il Giocattolaio resta seduto, non si scompone. Non è lì per vedere il re, o almeno è quello che ripete a se stesso. È lì perché lì gli è capitato di trovarsi e la visita di Odino è solo una curiosa coincidenza.
Il rombo della folla si fa più forte. Da lontano sono già visibili i vessilli di Asgard tenuti in alto da due cavalieri.
Il Giocattolaio abbandona il suo bancone, l'ombra accogliente sotto la tettoia di tela. La luce di quel sole anomalo gli ferisce lo sguardo e i colori della folla si fanno ancora più confusi.
Quando era bambino, pensa, era bravo a salire sugli alberi, così agile e leggero. Ora si chiede se i rami di quella pianta siano in grado di reggere il suo peso.
Mette il piede su una sporgenza della corteccia e si dà la spinta, afferra saldamente il primo ramo e si solleva. Con un ultimo sforzo, raggiunge un ramo più alto che gli sembra abbastanza spesso. Il legno scricchiola, ma non importa, si tratta solo di lanciare un'occhiata, uno sguardo fugace per soddisfare la sua curiosità.
Gli sono giunte voci che il Padre degli dei sia molto invecchiato.
Il Giocattolaio guarda il corteo procedere lentamente come una nuvola dorata lungo la strada principale della città, in tutta la sua fulgida e ostentata magnificenza.
Il Padre degli dei, sul suo poderoso cavallo a otto zampe, non sembra diverso da come lo ricordava. Ma l'argento opaco e sbiadito dei capelli contrasta con il dorato smagliante dell'elmo e delle placche della possente armatura. In ultima analisi, Odino non è altro che un vecchio, come lo era già da tempo.
Al suo fianco cavalca il principe Thor. L'aria formale e contegnosa che l'erede al trono di Asgard tenta di darsi sembra cozzare con la sua imponente statura, con i capelli lunghi che il vento spettina impietoso. Il figlio di Odino decisamente non è una bestia da parata, un gioiello da mettere in mostra, è un guerriero, un uomo d'azione e quel tipo di circostanza non sembra metterlo a proprio agio, né lui sembra in grado di nasconderlo.
Dietro di loro procede una formazione ordinata di cavalieri, alti militari del regno, probabilmente, con corsieri bardati che marciano al trotto, con passo regolare. A chiudere il corteo, fuori dalla formazione, Lady Sif e i Tre Guerrieri, in fila l'uno accanto all'altro.
Niente sembra poi così diverso dal solito, pensa il Giocattolaio. Un attimo dopo si prepara a scendere ma vede un'ombra nera svettare al margine del suo campo visivo, qualcosa gli sfiora la guancia e gli apre un piccolo taglio sanguinante sullo zigomo.
Il Giocattolaio quasi rischia di perdere l'equilibrio. Con un gesto repentino, afferra il ramo sotto di sé ed evita per un soffio la caduta. Si ritrova a prendere fiato, con le dita serrate attorno al legno, qualche scheggia gli si conficca nel palmo.
Solleva la testa e li vede. I due corvi di Odino volteggiano in cerchio oltre le fronde dell'albero, grandi macchie nere contro il cielo.
Dannate bestiacce. Il Giocattolaio serra i denti, stizzito. Le ha sempre detestate!
I corvi gli gracchiano contro e sembrano maledirlo con i loro versi graffianti, poi volano in picchiata verso di lui che, istintivamente, si porta un braccio a coprirsi il volto e gli occhi, ma appena si convince a guardare davanti a sé, scopre che i due uccelli sono già volati via, corsi da Odino a informarlo di ciò che hanno visto con quei loro piccoli occhi neri che vedono al di là di qualsiasi cosa.
Il Giocattolaio si concede del tempo prima di scendere dall'albero. La ragione gli suggerisce che  non c'è più nulla che possa fare, per il momento.
Sente il tintinnio delle armi alle sue spalle, lame puntate contro di lui, nello stesso istante in cui i piedi toccano il suolo.
«Loki». La voce di Odino non suona ferma come il Padre degli dei forse vorrebbe.
Il Giocattolaio sorride malevolo prima di voltarsi verso di lui, mentre lascia sparire l'illusione e riprende le sue vere sembianze.
È circondato da soldati e non sa dire se le loro espressioni siano più ostili o spaventate. Il suo sorriso indolente è l'unica arma che al momento gli resta e non può fare altro che sperare che sia affilato abbastanza.
Odino lo guarda con un'espressione che Loki non riesce a decifrare. Riesce a leggere molto bene il volto di Thor accanto a suo padre, però. Il dio del tuono sembra mortificato... davvero non voleva che lo trovassero? Davvero sperava che lasciandolo andare, lui sarebbe sparito per sempre dal loro cammino?
Loki non prova alcun turbamento particolare. Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, anche se sperava che non accadesse così presto e non in quelle condizioni, ma ha imparato a diffidare delle sue stesse speranze già tempo addietro.
Odino fa un passo verso di lui, Thor invece resta immobile, solo il mantello scarlatto ondeggia nel vento mentre nuvole cupe si addensano nel cielo a testimonianza del suo turbamento.
«Loki...», il Padre degli dei fa per cominciare a parlare.
«No. Immagino tu abbia studiato per giorni le parole da dirmi quando questo momento sarebbe giunto, ma io non voglio ascoltare».
Odino serra le labbra, Loki non riesce a capire se la sua espressione è più incollerita o sorpresa. O sollevata.
Lascia che le guardie lo portino via, continuando a sorridere ghignante.










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Note:

Immagino che nessuno abbia avuto per troppo tempo dei dubbi sull'identità del Giocattolaio, l'idea era che mi sembrava un buon travestimento per il nostro dio latitante e una buona applicazione (un po' contorta forse) della legge del contrappasso. Ma su questo particolare c'è una specie di inside joke che capirete più avanti.
Tutti gli altri li ritroveremo nel primo capitolo, venerdì (ammesso che io sopravviva alla vista di Iron Man 3).
I corvi di Odino, che tengono d'occhio l'universo per conto del Padre degli dei e gli riportano notizie sono un elemento ricorrente nella mitologia e forse non sono la prima ad averlo inserito in una fanfiction.

As usually, critiche, osservazioni e pareri sono sempre ben accetti... e ricordate:

ec

Per domande sulla fanfiction e curiosità in generale su la vita, l'universo e tutto quanto: profilo Ask

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Capitolo 2
*** Another suitcase in another hall ***


Capitolo primo
Another suitcase in another hall

''You cannot quit me so quickly
there's no hope in you for me
no corner you could squeeze me
but I got all the time for you, love

The Space Between
the tears we cry
is the laughter keeps us coming back for more
the Space Between
the wicked lies we tell
end hope to keep safe from the pain''

[The Space between – Dave Matthews Band]

«Io ancora non capisco. A che serve avere un aereo tutto mio se non posso usarlo per riaccompagnare a casa i miei amici?»
«Tony, ne abbiamo già parlato. Un volo di linea andrà benissimo»
«Sei sicura che non vuoi che ti dia una mano a preparare le valige?»
«No, Pepper, grazie, ho quasi finito».
Nadia si chiude la porta alle spalle e lancia un'occhiata a quello che per altre tre notti sarà il suo appartamento.
Non pensa che sentirà la nostalgia della doccia con i comandi tattili o del micronde che funziona a comando vocale, ma le fa uno strano effetto pensare di dover lasciare quel posto. E soprattutto le fa uno strano effetto il doversi rendere conto che lei lì è stata solo di passaggio.
Non ha mai davvero pensato che quella potesse essere la sua vita. Finire drammaticamente coinvolta in intrighi intergalattici ed essere la mascotte della squadra di supereroi più forti del Pianeta non è certo quello che avrebbe voluto fare fino alla fine dei suoi giorni – che, a giudicare da quanto ha visto, sarebbe potuta anche giungere prematuramente viste le sue frequentazioni. E nemmeno vuole finire incastrata in qualche macchinazione futura di Nick Fury.
Il grosso trolley è aperto sul letto. Ha mentito quando ha detto che aveva quasi finito di fare i bagagli, in realtà non ha neppure cominciato.
La verità è che non lo sa più cosa vuole. E di nuovo ha quella tremenda certezza che, dovunque andrà, qualunque vita avrà lontano da lì, sarà sempre sola, a causa di quello che ha visto e fatto. Quella parte di lei resterà incomprensibile a chiunque e un po' la fa sentire spacciata.
Non appartiene a quel posto, e non appartiene più neanche alla sua vecchia vita. Tornare a casa è solo un modo di dire.
Ma la soluzione a tutti i suoi problemi non può essere restare in America. Non sarebbe giusto per la sua famiglia, prima o poi finirebbe per essere di peso agli Avengers e poi, soprattutto, ha fatto una promessa.
Ora la ragazza si chiede quanta solennità possa prevedere una promessa fatta a un tizio che si fregia del titolo di ''dio degli inganni'', ma non è nella sua natura venire meno a un impegno preso.
Conserva un ricordo perfetto di quel momento, anche se non era al massimo della sua forma fisica dopo aver provato più volte, inutilmente, a far funzionare l'energia per riattivare il reattore Arc. Ricorda la sensazione di fresco della mano di Loki appoggiata sulla sua fronte accaldata.
«Stai andando via» gli aveva detto. E non era una domanda.
Lui aveva annuito e lei aveva capito che era meglio non farne affatto, di domande.
Il dio aveva assunto quel cipiglio serioso di uno che si appresta a fare un discorso solenne, si era seduto sul bordo del letto e l'aveva guardata.
«Non starò qui a commentare con frasi mordaci il tuo attaccamento a quei... ai Vendicatori» aveva esordito, in tono conciliante. «Immagino sia quel tipo di affetto imperituro del quale è persino inutile discutere, ma sai anche tu che questo non è il tuo posto».
«L'ho sempre saputo. Perché ne dobbiamo parlare proprio ora?...»
«Perché loro si sono prodigati tanto per tenerti al sicuro. Io me ne andrò, oggi, e tu devi farmi una promessa».
Nadia aveva lottato contro il mal di testa per tentare di seguire il filo del discorso, che apparentemente non c'era.
«Che promessa?»
«Torna a casa, nella tua città sull'acqua, e trova la tua strada».
«Oddio... parli come un capo boy scout, cosa ti hanno fatto?»
«Dico sul serio» aveva ribattuto lui, con una certa durezza. «Posso essere sicuro che lo farai? Promettilo».
La ragazza era restata a fissarlo per qualche secondo. Dopo, a mente più lucida, si sarebbe chiesta se lui non volesse semplicemente dirle che era preoccupato per la sua sorte e che, in qualsiasi angolo della galassia fosse finito, sarebbe stato contento di saperla fuori da guai. Se quello non fosse l'unico modo in cui Loki poteva tollerare di ammettere che ci teneva a lei.
Al momento aveva solo saputo assecondarlo, promettendogli che sarebbe tornata in Italia, appena le acque si fossero calmate. Lui si era chinato a sfiorarle le labbra con le proprie e lei era sprofondata nel sonno, come se fosse sotto l'effetto di un potente tranquillante.
Sono passate tre settimane da quel giorno. Nadia non sa che fine abbia fatto Loki. È una delle tante cose con cui ha dovuto imparare a convivere, un pezzo di solitudine da aggiungere al suo desolante quadro interiore. Non è un vero e proprio dolore, ma la ragazza è certa che resterà comunque un elemento di quella parte di vita nella quale non sarà mai in grado di fare ordine.
Ha sempre saputo che non c'era nessun tipo di futuro per loro, ma adesso sa anche che nessun affetto potrà mai eguagliare quello che ha provato per Loki. Che prova ancora. 
Sulla superficie tirata a lucido del tavolo di acciaio in cucina c'è la busta con il biglietto aereo.
Nadia guarda il foglio. New York – Malpensa, e poi forse in treno fino a casa. Anche se ha il sospetto che sua sorella Sara abbia organizzato una macchinata di amici per andarla a prendere all'aeroporto milanese e farle una sorpresa. Sara non è mai riuscita a tenerle davvero nascosto qualcosa.
Già immagina le domande dei suoi vecchi amici su come è stata la permanenza all'estero, su cosa ha fatto di bello a New York. L'altro giorno, Clint ha provato, con tutta la delicatezza possibile, a rammentarle al faccenda della storia di copertura. Non c'era alcun bisogno di ricordarle quel particolare, e Nadia sospetta che lo abbia fatto solo per poter riferire a Fury di stare tranquillo, che non c'è bisogno di sparare alla ragazza una pallottola in mezzo agli occhi.
Con Fury, neanche a dirlo, Nadia si rifiuta di parlare.
Ok, è certa che nessuno possa davvero scegliere di rifiutarsi di parlare con il direttore dello S.H.I.E.L.D, ma almeno lui ha avuto il buon senso di capire che se le sta lontano è meglio. Del resto non c'è davvero bisogno che la minacci per evitare che vada a dire in giro la verità su quello che ha fatto e visto mentre è stata via.
Nadia sospira, fa per riporre il biglietto aereo nella busta, e si taglia un polpastrello sul bordo di carta. Sbuffa, succhiando il taglio.
Il cellulare trilla per un sms ricevuto. È Jane, che al momento si trova a Boston per lavoro e pare che Thor la vada a trovare ogni week-end, e Steve è riuscito per miracolo a evitare che Tony mettesse su un giro di scommesse su quanto tempo impiegherà il dio a chiedere la mano della scienziata e decidere di presentarle i suoi.
Dopo quella tremenda giornata sull'Elivelivolo, tra Nadia e Jane le cose hanno cominciato a ingranare decisamente meglio. Jane non la considera più una pazza dal comportamento incomprensibile, insomma, e le sarebbe piaciuto potersi trattenere ancora un po' a New York e passare dell'altro tempo con lei, ma dopo tutte quelle settimane passate a lavorare in incognita per lo S.H.I.E.L.D, ha dovuto rispondere alla chiamata alle armi del suo vecchio laboratorio di ricerca, se non voleva finire con la carriera irrimediabilmente compromessa.
Lavoro o meno, comunque, le ha promesso che farà l'impossibile per venire a salutarla il giorno della partenza. Nadia si chiede se ci sarà anche Thor... il giro di scommesse che avrebbe voluto mettere su Tony dopotutto non avrebbe riscosso chissà quanto successo, dato che a parte le visite settimanali alla sua bella, il caro dio sembra completamente assorbito dai suoi impegni nella sua città tra le nuvole. Nadia sa che non deve volergliene per questo, non immagina neppure che stress debba essere ritrovarsi nella posizione di unico erede al trono di un regno di dei casinisti.
La ragazza sciacqua il dito tagliato sotto il getto d'acqua del lavello; guarda fuori dalla grande vetrata.
New York sta scivolando verso l'inverno, con lo sbiadire lento ma inesorabile dei colori dell'autunno.
Torna in camera da letto, dove il trolley aperto sul materasso sembra una bocca spalancata pronta a fagocitare gli ultimi mesi della sua vita e risputare pile di vestiti, oggetti e normalità.
Sì, un po' le è mancata la normalità. Ma questo non vuol dire che non sarebbe in grado di farne a meno per altri due o tre mesetti.
Non è divertente...
Ora la voce della suo grillo parlante assomiglia in modo ridicolo a quella di Loki. No, non è stato divertente passare settimane a credere di essere sul punto di morire a causa della pietra, venire rapita da un gruppo di vendicativi invasori alieni, credere spacciato uno dei suoi migliori amici...
Non è stato divertente, e sì, non è la sua vita e non potrà mai esserlo.
Però qualcosa di buono e normale lo ha fatto anche lì. Nadia pensa alle foto per la presentazione del reattore Arc che ha regalato a Pepper, che pare abbiano riscosso parecchio successo, pensa all'album di ricordi che ha regalato a Tony.
«Beh, qualcosa di stabile almeno è rimasto, no?» mormora, afferrando la custodia rigida della sua macchia fotografica, la prima cosa che ha messo vicino alla valigia per paura di dimenticare.
Soppesa la fotocamera tra le mani, guarda di nuovo fuori.
New York è decisamente affascinante agli sgoccioli d'autunno.
La ragazza sorride, si getta la custodia a tracolla ed esce dall'appartamento.

*

Thor osserva la curva dell'angusta scalinata perdersi in un buio intervallato da poche fiaccole, la loro luce fioca disegna globi di luce dorata come perle su un nastro di raso nero.
Sono trascorse alcune settimane da quando hanno fermato i fuggiaschi di Nornheim che volevano ucciderlo e da quando lui ha fatto ritorno su Asgard, sapendo la Terra e i suoi amici illesi e al sicuro. Eppure, talvolta continua a sognarle, le Norne e i loro tre volti sospesi a mezz'aria in mezzo al nulla inconsistente del sogno, volti dalle bocche aperte nell'atto di gridare ma dalle quali non esce alcun suono. Vorrebbe chiedere a qualche sapiente del palazzo cosa significano quelle immagini ricorrenti, ma teme di conoscere già la risposta: sono un presagio di morte.
Un presagio che ora gli sembra troppo vicino all'avverarsi.
Loki giace nella più sicura delle celle del palazzo, privato dei suoi poteri, in attesa di un processo la cui conclusione è talmente scontata che quasi non vale la pena che abbia luogo, tanto varrebbe procedere direttamente con la sentenza.
E stavolta non c'è più nulla che si possa fare. Grazie al suo ingegno, Loki si è sottratto a diverse prigionie, più di una volta, ma ora è diverso, ora è privo di poteri e sono state prese tutte le precauzioni possibili affinché non scappi. Il Padre degli dei ha dato alle guardie l'ordine di fermarlo con ogni mezzo, se dovesse muovere un solo passo oltre la soglia della sua inespugnabile cella, e Thor non ha bisogno di chiedersi cosa si intenda per ''ogni mezzo'' in frangenti come quello.
I suoi amici hanno provato a parlargli, ma i suoi amici non possono capire. Quando il buon Volstagg gli ha detto che non deve addossarsi colpe che non ha, Thor gli ha risposto con uno sguardo gelido e ha lasciato la stanza. «Loki e Loki solamente è stato il fautore del suo destino!» gli ha gridato il grande guerriero mentre lui si allontanava con passi nervosi.
Ed è proprio questo che gli altri si rifiutano di capire. Non importa di chi sia la colpa, se sua, della sua famiglia o di Loki stesso, importa solo che colui che considera suo fratello sarà morto da lì a meno di una settimana e lui non può fare più nulla. Nemmeno l'affetto per una mortale ha funzionato. Nemmeno la possibilità di combattere di nuovo fianco a fianco ha fatto sorgere nella mente di Loki il dubbio che loro due fossero fatti per stare dalla stessa parte, che non era tardi per tornare indietro.
E invece adesso è tardi.
A Thor quella scalinata infinita sembra impossibile da salire. Muove un passo, supera un altro gradino, e sente il buio sfiorarlo fastidiosamente, come se si stesse muovendo dentro ad una ragnatela.
Arriva davanti alla cella di suo fratello che il respiro quasi gli manca per la fatica e la tensione, guarda attraverso la fessura ovale sulla spessa porta di metallo.
Loki è in piedi, immerso nell'oscurità. La sua figura è come una ferita sulla trama uniforme di quel nulla silenzioso.
Thor si chiede se ora il dio degli inganni abbia paura, se la prospettiva della morte acuisca la sua rabbia o getti sulla sua mente fragile un velo di rassegnazione.
La rassegnazione non è mai stata per Loki, e nemmeno per lui, su questo chiunque può convenire che sono assolutamente simili.
Cosa dovrebbe dirgli? Non ne ha idea, sa solo che non sopporta che lui stia da solo, non lo ha mai sopportato, nemmeno quando erano bambini e Loki restava in disparte mentre lui giocava con i suoi compagni. Allora provava a spronarlo per far sì che si unisse a loro, ci provava sbeffeggiandolo con la crudeltà involontaria dei bambini perché non sapeva fare altrimenti, ma non avrebbe mai pensato di averlo ferito così a fondo, che quella ferita fosse rimasta aperta per tutto quel tempo, che avesse sopraffatto ciò che di buono c'era in Loki come un'inarrestabile cancrena.
Ma del resto, se una lama taglia sempre la stessa striscia di pelle, a lungo andare, la ferita diventa impossibile da richiudersi. 
Il dio del tuono resta appoggiato alla porta della cella, c'è una sola cosa che gli sembra sensato chiedere adesso al prigioniero.
«Loki». Lo chiama con voce titubante, il dio degli inganni non fa cenno di averlo udito.
«Ascolta, è importante». Insiste, perché una cosa importante c'è, deve esserci stata, deve essere rimasta, intatta al di sopra di tutto quel male. «Ascolta. C'è qualcosa che vuoi io dica a Nadia?».
Loki alza la testa, si volta verso di lui e lo guarda. Ma le sue labbra restano serrate.
Niente. Non vuole che le si dica niente.

*

Sif tenta di togliersi il fermaglio del mantello, il fermo di metallo si impiglia tra la stoffa e lei non riesce a sfilarlo. Fa forza, tira, ma il fermaglio resta aggrappato al tessuto. Con un gesto esasperato lo strappa via, lacerando l'indumento che l'ha protetta dal freddo durante la cavalcata.
Lancia l'oggetto verso il grande fuoco che arde al centro della stanza. Il fermaglio cade tra le fiamme sollevando uno sbuffo di scintille e cenere.
«E adesso, cosa t'aveva fatto quel cerchietto di argento?» borbotta Volstagg, seduto scomposto su un grande triclino, con la pancia prominente che mette a dura prova il tessuto della casacca nuova.
Sif distoglie lo sguardo e incrocia le braccia sul petto.
Sente qualcosa di metallico strusciare ritmicamente contro il pavimento. Quel rumore le dà ai nervi.
È Fandral che sta facendo oscillare la punta della sua spada contro le lastre dorate della pavimentazione.
«Potresti smetterla?» gli domanda, seccata.
Lui fa schioccare la lingua e fa una mezza smorfia. «La smetto se la smetti anche tu» le dice.
«Di far cosa, di grazia?»
«Di comportarti come se fossi l'unica qui dentro a cui sta a cuore Thor».
Sif incassa il colpo senza proferire parola.
«Che se proprio vogliamo dirla tutta» interloquisce Volstagg, dopo aver mandato giù una pigna d'uva – probabilmente con tutto il raspo. «Sono io quello che si è rimediato un'occhiataccia, l'altro giorno»
«Oh, povero! Ti è venuto il livido?» scherza Fandral.
Sif li guarda crucciata, ma la sua espressione si scioglie piano in un sorriso che riesce a diventare persino una vera e propria risata. Ed è tanto tempo che non si ride in quel palazzo. Prima la presunta morte di Loki e il conseguente periodo di lutto, poi il suo attacco a Midgard e la repentina partenza di Thor, poi la sua fuga, poi la sua sparizione, e infine il suo definitivo arresto. 
Sif ha sempre avuto paura del dio degli inganni. Prima della sua personale atroce guerra contro Thor, Loki non aveva mai davvero fatto qualcosa di male, qualcosa per la quale lo si potesse ritenere cattivo. Ma fin da quando tutti loro erano fanciulli, lei aveva colto nel giovane principe qualcosa di pericoloso: il riflesso di una sofferenza che Loki si portava dentro, una fiamma gelida che prima o poi sarebbe divampata e avrebbe travolto tutti, bruciando il mondo attorno a lui e spargendo dolore. Perché evidentemente generare altro male è il solo modo che Loki conosce per placare la sofferenza che lo ha accompagnato durante la sua esistenza.
Voleva distruggere Thor, e alla fine ci è riuscito. Perché l'uomo che si agita con lo sguardo spento per i corridoi del palazzo, quello che non è più capace di ascoltare le parole di conforto dei propri amici, che non riesce più a guardare suo padre negli occhi, beh, di certo quello non è Thor, non è il giovane baldanzoso dall'animo gentile con cui Sif è cresciuta, l'uomo che ha silenziosamente imparato ad amare.
Il cuore di Thor non è in grado di sopportare la morte di suo fratello e, ancora peggio, non è in grado di tollerare la prospettiva di non poter far nulla per impedirla.
Loki ha distrutto Thor e ha distrutto il Padre degli dei e la regina Frigga che ora dovranno veder morire il giovane che hanno cresciuto come un figlio.
Quella dannata serpe ingrata!
Sif si lascia cadere seduta su un divano, ma si accorge che, in fondo, non riesce a provare che pena per Loki. Perché anche lei, in passato, ha nutrito speranze per il principe cadetto di Asgard, speranze come quelle che si agitano nel cuore delle donne. Ma è stato troppo troppo tempo fa.
La porta della stanza dove sono soliti radunarsi, si apre e Hogun entra con il suo consueto volto imperturbabile e il suo passo furtivo.
«Ho un messaggio» dice, la voce bassa e graffiante di chi è poco avvezzo alla parola. «Un messaggio da parte del Padre degli dei».
Sif scatta, guarda il suo compagno con inquietudine.
«Thor non deve esserne messo al corrente. Nessuno deve sapere».

*

Il suo ufficio nella base S.H.I.E.L.D. di New York ha una grande finestra, un'alta lastra di vetro che si apre con comandi elettrici.
Nick Fury non è il tipo da portarsi dietro i traumi come fossero cani pulciosi al guinzaglio, ma dopo l'incidente durante il suo primo incontro con Nadia Berton, ogni volta che guarda vetrate e finestre particolarmente grandi sente un po' di agitazione.
Che vada all'inferno, quella ragazza!
A quanto pare tra due giorni sarà dall'altra parte dell'Oceano e non sarà più un suo problema. Ai suoi superiori sarebbe piaciuto saperne di più sulla pietra, riuscire magari a trattenere la ragazza e scoprire se poteva servire a qualcosa. Nel suo rapporto Fury ha dichiarato che è fuori questione, Nadia Berton non è un soggetto affidabile e la pietra è eccessivamente instabile per essere usata come arma o per poter essere presa in considerazione come materiale utile di ricerca; che la ragazza non è un individuo pericoloso e il suo caso può essere definitivamente archiviato, che si può cancellare il suo nome dall'elenco delle potenziali minacce da tenere sotto controllo.
Non è tutto vero al cento per cento, ma ha dovuto pur dire qualcosa che suonasse un po' meglio di un semplice: non voglio indagare oltre e non posso permettermi di inimicarmi gli Avengers.
Sarebbe più facile se loro fossero suoi sottoposti, ma non lo sono, non sono davvero parte dello S.H.I.E.L.D. e lui non può permettersi di dargli ordini. Il rapporto tra lui e quella squadra di schegge impazzite, tenute insieme da chissà quale miracolo, è delicato, è un equilibrio che lui si deve sforzare di mantenere e ha già rischiato grosso tenendogli nascoste le armi della ''Fase 2'', e il reattore Arc di riserva, e le altre mille cose di cui loro non sanno niente.
Che mettano pure la maledetta biondina su un aereo e che gliela facciano scomparire dalla vista. Lo S.H.I.E.L.D. e il mondo intero se la caveranno benissimo anche senza di lei, la ragazza non gli serve, i Vendicatori invece sì.
Il direttore si siede alla scrivania e apre una cartellina piena di documenti. Diamine, il suo reparto ha a disposizione le più avanzate tecnologie e a lui ogni tanto ancora tocca avere a che fare con scartoffie da firmare! Ogni tanto e più spesso di quanto gli piaccia.
Meglio le scartoffie che l'apocalisse dietro l'angolo, comunque.
Dopo l'attacco dei Chitauri a New York, passarono lunghe settimane di calma piatta e Nick Fury pensò che fosse tutto molto noioso. Poi Stark, Rogers e Banner sparirono in Italia, assieme a due dei suoi più preziosi agenti e tornarono con la lieta novella che Loki era di nuovo a piede libero per lo spazio e che c'era una ragazza italiana che in futuro avrebbe potuto aver bisogno di una mano. Quando la suddetta ragazza e il fottuto latitante interspaziale sono approdati in America lui si è trovato a gestire un'altra crisi da cardiopalma ed è finita con Stark e Thor che per poco non ci rimettevano la pelle, e due dei suoi migliori agenti piuttosto contrariati.
Ora la calma sembra essere tornata, insieme a una straordinaria notizia: Loki è prigioniero su Asgard e sta per essere condannato a morte.
Thor è venuto a riferirgli l'accaduto di persona, un paio di giorni prima. È suo espresso desiderio che gli altri non ne sappiano niente per il momento, e Fury non ha intenzione di dirglielo, non fino a quando la dannata ragazza sarà fuori portata d'orecchio in quella sua puzzolente città galleggiante.
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. firma una decina di fogli, fino a quando le lettere dattiloscritte non cominciano a danzargli davanti agli occhi, confondendosi in una pioggia di segni neri indecifrabili.
Dopo la battaglia di New York, quando Thor pretese di riavere indietro il Tesseract, Fury accettò di buon grado di restituirgli quel cubo attiraguai. Già da allora aveva visto nel dio del tuono un portentoso alleato, non solo come membro degli Avengers, ma anche perché avere dalla propria parte una potenza come Asgard sarebbe certamente tornato utile in futuro.
L'uomo congiunge le mani e appoggia i gomiti sul piano della scrivania. C'è un meraviglioso silenzio, il suo telefono non squilla da svariate ore, non ha ancora acceso il computer. Pensa che, una volta tanto un po' di pace non sia affatto una cattiva idea.
Chiude l'occhio sano e si gode il silenzio quieto.
Cazzo! Sto proprio invecchiando!
Una volta, in un angolo forse remoto e sconosciuto del suo cuore, gli sarebbe almeno un po' dispiaciuto per Loki, se non altro per l'idea di perdere un avversario che si era rivelato così interessante – pericoloso, certo, ma interessante. Adesso pensa solo che la morte del dio dell'inganno è una cosa dalla quale l'intero universo trarrà giovamento. Perché lui spera che Loki ci arrivi su quel patibolo e che la si faccia finita, anche se non è disposto a esultare fino a quando non gli porteranno il suo cadavere in un sacco da obitorio, o le sue ceneri in un'urna con le rune, o quel che sia...
Sì, sta decisamente invecchiando. Si è avvicinato molto all'idea di individuo arido e spietato che molti pensano lui sia, ma considerando da quanti anni fa quel mestiere, deve ammettere che ha resistito fin troppo conservando una parvenza di cuore.
La pace. Adesso lui pensa solo alla pace. Ha finalmente imparato ad apprezzarla.
«Signore!». Maria Hill, allarmata, piomba nel suo ufficio aprendo la porta di schianto. «Hanno attaccato la nostra base di Pasadena!».
Fury scatta in piedi, facendo cadere la cartellina di documenti. Fogli fluttuano qualche secondo davanti a lui prima di toccare il pavimento.
«Danni?»
«La base è esplosa. Stanno ultimando la conta dei feriti, per adesso si contano dodici vittime».
Dodici. Gli sta venendo voglia di ribaltare la scrivania e lanciare un urlo, ma mantiene la calma – anche questo fa parte del suo ruolo.
«Che altro?» incalza la sua vice, ansioso.
«Hanno rubato quello che tenevamo custodito nel reparto A-Gh 12» conclude la Hill.
A-Gh12: lo scettro di Loki. La base andata. Dodici persone morte.
Si fotta la pace!

*

La testa mozzata gocciola un liquame nero pece sulla roccia sulla quale è esposta.
Il giovane la guarda e promette a se stesso che non si lascerà impressionare da quel macabro trofeo né da qualsiasi cosa gli venga detta.
«Rammentami il tuo nome». La voce proviene dall'individuo seduto su un alto trono di pietra, sulla sommità di una scalinata, ed è fredda, lontana.
«Raahm» risponde il giovane.
«Ma non è con questo nome che i tuoi nemici ti hanno conosciuto»
«No, infatti».
Per quanto cerchi di mostrarsi imperturbabile, ora si accorge di star compiendo un enorme sforzo per non voltarsi a guardare la testa mozzata lasciata a marcire sul rialzo roccioso. La pelle biancastra è rattrappita, tesa sulle ossa degli zigomi. La bocca è aperta, e sembra enorme, sembra gridare a chiunque di stare lontano da lì', di stare lontano da Lui.
«Il mio ultimo attendente» dice la voce dal trono, come se gli avesse letto nella mente. «Una delusione. È colui che si è fatto sfuggire Loki».
Il nome di Loki gli fa ribollire il sangue di rabbia. E dietro il calore sordo della rabbia, il giovane sente un alito gelido di paura. 
Thanos, il signore dei Chitauri, lo scruta dall'alto e lui si sente schiacciato dal suo sguardo, da quegli occhi che brillano sotto l'ombra di uno spesso cappuccio.
«Io non fallirò» dice Raahm. Lo dice come se volesse difendersi dalle minacce implicite di cui è pregna la voce del padrone che ora ha accettato di servire.
«Parole già udite» risponde Thanos. «Ma ora sai che sorte spetta a coloro che provocano il mio disappunto».
Il giovane si sforza di non guardare nuovamente verso la testa mozzata. Ma ha idea che il signore dei Chitauri non si stesse riferendo solo al suo attendente ucciso. Thanos lo ha salvato dalla morte per affidargli un compito e lui ha dovuto conoscere tutta la storia, le vicende di Loki, il principe caduto di Asgard, precipitato fino alle oscure desolazioni del regno di Thanos, mandato sulla Terra per conquistare e sottomettere, e riportare indietro il Tesseract, un manufatto di indicibile potere un tempo appartenuto alla corona della Patria Eterna.
Ora il Tesseract è su Asgard, e così anche Loki. Entrambi irraggiungibili. E Thanos ha grandi e oscuri progetti per l'intero universo, ma prima deve liberarsi di Loki, perché le promesse di vendetta di quel tremendo signore non possono restare vane, e perché Loki sa troppe cose. E perché, dopotutto, anche lui lo odia.
Eppure Raahm non capisce. Se il principe caduto è tornato alla casa di Odino dove lo attende il patibolo, per quale ragione Thanos sprecherebbe tempo e risorse per trovarlo e ucciderlo?
«Loki non morirà su Asgard» la voce è pregna di disprezzo. «Ho visto dentro di lui, ho scavato nei recessi della sua mente fragile e distorta e attraverso la sua mente ho conosciuto il Padre degli dei: egli si adopererà per salvarlo, ancora una volta, e con ogni probabilità Loki tornerà nuovamente sulla Terra, poiché nonostante tutto quello è per lui un luogo sicuro».
Il giovane non capisce, ma sa che non importa e teme che fare domande irriterebbe il suo padrone.
«Farò tutto ciò che mi chiederete, mio signore» conclude.
Può farlo. Lui è tornato dalla morte per volere di Thanos; lui ha recuperato lo scettro; lui può compiere un ultimo viaggio fino alla Terra ed esaudire il volere di quel tremendo signore.
Qualcosa cade nella sua direzione. Un pezzo di stoffa macchiata; nella luce buia di quel cielo privo di stelle, Raahm non riesce a distingue i colori. Sforza la vista e si accorge che il tessuto è verde, e che la grande macchia è color ruggire, la tonalità del sangue rappreso.
«Non c'è potere a sufficienza per aprire un varco fino ad altri mondi» dice Thanos. «E non sprecherò risorse mandando un esercito contro Asgard solo per avere la testa di Loki prima che Odino trovi il modo di risparmiarlo. Non lo farò, specie se ci sono altri modi».
«Quali modi, mio signore?».
«Hai il suo sangue e hai lo scettro. Tanto basta per creare un collegamento affinché la mia forza giunga fino a Loki e io possa distruggerlo».
Lo scettro. Quando il giovane l'ha toccato, la gemma azzurra si è illuminata e in quella luce lui ha visto la forza che regge l'universo, la stessa forza che può distruggerlo. E se quella è solo una gemma, non immagina quanta potenza sia contenuta nel cubo, nel  Tesseract.
E poi, tutto è esploso. E il cemento è crollato in polvere e pietre attorno a lui. Urla disperate tra il fragore dell'edificio che si accartocciava su se stesso. Gli è piaciuta quella sinfonia di distruzione, almeno per un po', prima che diventasse solo una cacofonia di orrore alle sue orecchie.
«Lo farò, creerò questo collegamento, mio signore» promette. Lo dice come se quelle parole lo potessero mettere al sicuro da ogni male e da quel luogo e dall'espressione immobile e urlante della testa mozzata che ancora lo fissa dalla roccia.
Ha abbastanza energia da poter tornare sulla Terra un'ultima volta. Compirà in un unico colpo la sua vendetta e quella del signore dei Chitauri. Servirà Thanos e ne sarà ricompensato, ma non dovrà rivedere mai più né lui né la buia desolazione del suo regno. 
Al giovane sembra un destino equo.

*

Le parole della sentenza pronunciata dal Padre Tutto gli rombano ancora nella mente.
Il vento soffia e il suo fischio acuto arriva amplificato lassù. Per un attimo, gli tornano alla mente i giorni bui della prigionia sul pianeta dei Chitauri. Ma stavolta nessuno ha provato a fargli del male, stavolta è la prigionia in sé a rappresentare il suo supplizio: Odino non gli concederà la soddisfazione di mostrarsi crudele con lui.
Loki si lascia cadere seduto sul pavimento della cella. Non è neppure una vera cella, anche se quel luogo sembra progettato apposta per ospitare prigionieri: la torre più alta del Palazzo, un artiglio dorato che sale verso il cielo cobalto. L'unica via di uscita è una stretta scala a chiocciola, come quella delle torri che i mortali costruivano tempo addietro, secoli prima che il fiore dell'odio germogliasse nel suo petto.
La scala dev'essere ripida e buia – quando l'ha salita, scortato da soldati non era molto presente. In compenso, basta una sola persona per farvi la guardia. La porta di metallo si apre a comando, sparendo solo se necessario, lasciando che chi di dovere ci passi attraverso, come le grate che nascondo il Distruttore nella cripta dei Trofei.
Loki si chiede se il popolo di Odino, di tanto in tanto, lanci occhiate alla sommità della torre, beandosi all'idea che il traditore è lì, finito e sconfitto. Nella mente del Padre degli dei, quella collocazione deve avere la stessa finalità di una gogna: tenerlo esposto agli sguardi di condanna del popolo. E Loki non sa se il fatto di non poterli ricambiare, quegli sguardi, sia una bene o un male.
Il vento tace e il silenzio lo investe di colpo come un'onda, insieme a tutti i pensieri che porta con sé. L'idea della morte è un pensiero schiacciante e lui nemmeno aveva mai immaginato quanto, ma ora si sente come se le sue spalle non siano adatte a reggerne il peso.
Vorrebbe dire a se stesso che non ne è spaventato, ma fin da quando ha cominciato la sua personale battaglia contro Thor, la sconfitta gli ha sempre fatto paura, al punto che è stato un pensiero sul quale non si è mai fermato a indugiare. Ha continuato ad andare avanti, anche quando le incertezze sul suo operato gli sembravano trappole disseminate lungo il sentiero, gli rendevano il passo insicuro e gli nascondevano la meta dietro la nebbia generata da mille e mille timori.
E ad ogni passo la possibilità di tornare indietro si assottigliava, come una candela consumata da una fiamma che non può vincere contro l'immensità del buio. Ogni decisione presa lo conduceva un po' più lontano, in luoghi imprevisti e sconosciuti, fino a quando il dio della menzogna non si è smarrito, vittima dei propri inganni. Fino a quando quella che le sue azioni derivassero da scelte precise non è stata che un'illusione. Fino a quando non ha avuto più scelta.
Perché ha avuto paura, in passato. Temeva di cadere, perché aveva conosciuto il terrore del precipitare, la solitudine senza speranza di colui a cui non resta neppure una mano tesa alla quale aggrapparsi.
Ha avuto paura in passato. Troppa per essere davvero spaventato ora.
Ha avuto paura persino delle parole, talvolta.
Manchi di convinzione...
Il rivolo di sangue che colava dalla bocca dell'uomo che le ha pronunciate non bastava a lavarne via il significato, forse perché erano vere. 
Ma la mancanza di paura non gli rende più facile accettare quel destino. Perché la morte è l'unica vera sconfitta, il solo vero limite di ogni creatura esistente. E gli dei non sono fatti per riconoscere i limiti.
Loki getta il capo all'indietro e prende un gran respiro.
Dovrebbe smetterla di sentirsi così sopraffatto dalle proprie miserie. Ha sentito dire che con l'avvicinarsi della fine le persone pensano alle cose migliori. Dovrebbe pensare alla ragazza? A una manciata di giorni in cui sono stati insieme e lui poteva mentire a se stesso senza alcuna remora, senza timore di perdersi in quel labirinto che stava innalzando con le sue stesse mani, con il suo stesso cuore?
Io non ho un cuore.
Si è spezzato in quell'unica parola di diniego uscita con troppa facilità dalla bocca di Odino, si è perso nel vuoto oltre il Bifrost...
O forse la sua mente dovrebbe andare indietro, in un passato che si perde nella foschia della vita quasi eterna degli dei? Forse c'è stato qualche istante bello nella sua infanzia o nella sua giovinezza. Ma gli viene più facile pensare a Nadia, per qualche secondo. Eppure si rende subito contro che il ricordo non può salvarlo dal peso del suo destino, né riesce ad arrecargli sollievo.
Nessuno ha avuto la soddisfazione di vederlo cedere, questo forse un po' lo rincuora. La sua espressione non è mutata né quando ha sfilato tra le maestranze del regno riunite per il processo, né quando Odino ha pronunciato la sentenza. Le parole più ridicole che abbia mai ascoltato...
«...poiché i gesti del dio degli inganni sono stati esclusivamente malvagi e votati allo scopo di nuocere, e nessuno può sostenere il contrario, io Odino, Padre degli dei, decreto la sua condanna a morte».
Che cosa voleva dire? Che qualcuno avrebbe dovuto alzarsi e prendere le sue difese, opporsi a quelle affermazioni? E, nell'assurda ipotesi in cui ciò fosse avvenuto, sarebbe forse cambiato qualcosa?
Il dio ripensa allo sguardo di Thor, al gesto lento con il quale ha voltato la testa nella sua direzione, come se dovesse spostare una montagna per arrivare a guardarlo negli occhi.
E negli occhi azzurri del figlio di Odino, Loki ha visto la vertigine della caduta, la sua e quella del principe che continua a chiamarlo fratello. E ha capito di aver davvero lasciato macerie dietro di sé, di aver distrutto Thor, di averlo fatto dall'interno, come una malattia.
Eppure è una soddisfazione che non gli basta. La caduta di Thor non doveva avvenire per la pietà che ora lui sta provando per la sorte toccata al traditore.
Alla fine ha ciò che vuole, ma non come desiderava che fosse. Alla fine non ha nulla.
Nemmeno la condanna pronunciata dal re di Asgard ha davvero reso onore alle sue imprese scellerate.
Loki sente una risata salirgli alla gola. Un suono acuto, disarticolato, che per un attimo si spande nel silenzio della prigione e riecheggia nelle sue stesse orecchie, dandogli la misura della propria disperazione.
Se la sua mente potesse sopravvivere intatta allo scorrere degli ultimi giorni, fino all'esecuzione della sentenza, forse potrebbe addirittura arrivare a conoscere la rassegnazione.
















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Note:

Non solo sono sopravvissuta a Iron Man 3, come potete vedere, ma mi ha anche dato una bella vagonata di ispirazione, e mi è anche piaciuto parecchio, tranne un paio di cosette [non spoilero per chi non avesse visto il film ;D]

Su Thanos, come ho già scritto, essendo in pieno movieverse, mi baso su quello che dice il film, cioè NULLA. E improvviso.
Su Raahm... beh, sono molto soddisfatta di quello che ho scritto su di lui nei capitoli che verranno. Presto lo conosceremo meglio.

Oddio, mi sono resa conto che tutte e tre le fanfiction della serie hanno questo “leitmotiv” della prima scena di Thor in cui lui è Asgard ed è angustiato per Loki. Ma immagino questa sia una costante che fa parte del rapporto tra i due personaggi e quindi mi rassegno, neppure ci provo a cambiarla.
Nel mio headcanon, Sif è innamorata di Thor al momento attuale, ma in un qualche passato c'è stato qualcosa tra lei e Loki... e chissà forse un giorno scriverò davvero di questo pairing. 

Raccontare di Loki in cella che deve affrontare l'idea della sua condanna a morte è una cosa che è stata fatta in mille fanfiction, probabilmente in alcune anche in modo non troppo dissimile dal mio (e sicuramente anche in modo migliore). Ho approfittato dell'occasione giusto per ribadire quali sono le mie idee sul personaggio, perché a scrivere una storia così lunga come questa, articolata in tre fanfiction, si rischia sempre un po' di dimenticarsi qual'è il punto di partenza dei personaggi originari, soprattutto quando sono dei tipetti non proprio semplici come Loki.

Il titolo del capitolo è lo stesso di una canzone dal musical Evita.

Ringrazio tutti quelli che hanno calorosamente accolto il ritorno di questa foll... ehm, storia. E soprattutto quelli che l'hanno inserita nei preferiti/ricordati/seguiti andando a fiducia sul breve prologo.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento.

Profilo Ask per domande e curiosità sulla fanfiction, la vita, l'universo, tutto quanto...

PS: Momento di spam interno. Visto che l'aggiorno ogni era geologica, ma a questa storia CI voglio bene... per chi volesse, segnalo il nuovo capitolo di QUESTA nella sezione Thor.

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Capitolo 3
*** Blindsided ***


Capitolo secondo
Blindsided


Tony Stark getta un'occhiata al display del telefono e legge di sfuggita la notifica: messaggio testuale. Mittente: Nick Fury.
Beve l'ultimo sorso di caffè, ascolta distrattamente Nadia e Pepper concludere una conversazione sulle opere di un qualche fotografo famoso. Pepper fa una battuta sul fatto che, tempo addietro, lui ha dato in donazione ai boy scout la loro collezione di arte moderna – è l'unica cosa sulla quale lei proprio non è capace di passare sopra.
Mandare sms non è nello stile di Fury. Lui manda direttamente agenti petulanti a trascinarti via da casa o a portarti materiale da visionare urgentemente, quando non fa infiltrare spie maliarde nel tuo staff o quando non può venire di persona a tirarti giù dall'insegna a forma di ciambella gigante di un diner sperduto nella periferia californiana, si intende.
Tony legge il messaggio con fare furtivo, tenendo il telefono sotto al piano del tavolo.
Il testo dice solo: ''Nel mio ufficio. Ora''. Almeno questo somiglia decisamente allo stile del direttore dello S.H.I.E.L.D.
Se Fury non ha chiamato o non ha mandato qualcuno è perché evidentemente non vuole che occhi e orecchie indiscrete sappiano che lui – probabilmente assieme al resto della sua allegra ed eroica comitiva – è stato chiamato alle armi. Perché poi, è sempre di questo che si tratta, no?
E gli unici occhi e le uniche orecchie a portata di mano in casa sua sono quelle di Pepper e – per altri due giorni ancora – di Nadia. E se Fury ha avuto l'accortezza di non far sapere nemmeno a loro di quella convocazione, allora la faccenda si prospetta drammatica. E Tony non ha voglia di cose drammatiche, non più e soprattutto non in quel momento.
Cancella rapidamente il messaggio dalla memoria del telefono e si alza dal tavolo, con estrema tranquillità e naturalezza. Quella probabilmente è l'ultima colazione tranquilla che lui e Pepper fanno con la loro bionda ospite e l'idea che Fury abbia guastato l'atmosfera un po' lo turba.
«Esco» dice semplicemente.
«Dove vai?».
Mostra il telefono agitando una mano. «Il mio spacciatore di cose interessanti mi ha rimediato una vernice per i ritocchi che volevo fare alla Aston Martin».
Pepper annuisce. «Non hai dimenticato la riunione di oggi, vero?».
Certo che l'ha dimenticata. «Certo che no» esclama con un sorriso, lanciando un occhiolino alla sua donna. «Passate una bella mattinata, ragazze».

Come aveva previsto, ci sono tutti. Almeno, tutti quelli reperibili sul pianeta Terra. Thor è mezzo disperso tra le nuvole; Tony ha provato a dire a Jane Foster di avvisarlo che hanno organizzato una cena per salutare Nadia e che sarebbe stato bello avere anche Boccoli d'Oro, ma il sospiro della giovane astrofisica ha frusciato così sonoramente nella cornetta che Tony ha pensato che si fosse guastato l'auricolare del telefono, e in conclusione lei gli ha detto che Thor non verrà, è una settimana che non viene più neppure a farle visita e che l'ultima volta che l'ha visto sembrava molto provato e preoccupato, forse per qualcosa che è successo ad Asgard, qualcosa di cui si ostina a non voler parlare. E poi la scienziata ha anche chiesto se lui per caso sapeva se gli dei si ammalano...
Tony non ne ha la più pallida idea. Però a volte se lo è augurato, praticamente tutte le volte in cui gli è capitato di pensare a Loki.
Fury li accoglie con il suo consueto grugno e non si attarda in convenevoli.
«Qualcuno ha fatto saltare in aria la base S.H.I.E.L.D. di Pasadena, ieri» annuncia.
«Cosa?». Clint Barton sembra tornato in fretta e furia da un posto molto caldo e assolato, a giudicare dall'accenno di abbronzatura che tende a un poco affascinante rosso aragosta. C'è solo un precedente per una base S.H.I.E.L.D. completamente saltata in aria, e l'episodio ha in qualche modo a che fare con lui che esce dalla suddetta base ipnotizzato da Loki; c'era da aspettarselo che la cosa lo avrebbe un po' inquietato.
«Vuole chiedermi se ho un alibi?» dice Banner, e non è solo una battuta.
Quello dovrebbe essere il momento in cui Polifemo spiega perché ha bisogno di loro.
«Il numero delle vittime è oscenamente alto» continua Fury, cupo. «Ma c'è anche un'altra cosa. In quella base era custodito un oggetto di enorme interesse e potenzialmente molto pericoloso».
«Lo scettro di Loki» indovina l'agente Romanoff.
Ah, ecco...
«La cosa strana è che non sappiamo come è possibile che la base sia saltata in aria, è impossibile che qualcuno, fosse anche una spia, si sia introdotto all'interno con dell'esplosivo».
«State dicendo che qualcuno vi ha fregato e non sapete né chi è stato né come ha fatto?» esclama Tony, sinceramente stupito. «Perdi colpi, amico mio».
«Complimenti per la delicatezza» gli ringhia Rogers all'orecchio.  
Fury scuote la testa, appoggia i palmi delle mani sul piano della scrivania.
«Il punto non è questo» sospira. «Abbiamo esaminato le macerie palmo a palmo e non abbiamo ritrovato lo scettro. Questa notizia di per sé è già abbastanza inquietante, ma lo scettro non è uscito dalla base prima dell'esplosione, né dopo, altrimenti le nostre unità sul campo se ne sarebbero accorte».
«Cosa sta dicendo? Che qualcuno è entrato, ha fatto saltare in aria la base e allo stesso tempo ha rubato lo scettro? Cioè, questo qualcuno era dentro la base mentre la base esplodeva e ne è uscito illeso portandosi via una super arma?» domanda Rogers, perplesso.
«Sembra l'unica spiegazione possibile, anche se mi rendo conto che è assurda. Purtroppo non abbiamo filmati della sicurezza, è andato tutto distrutto assieme alla base».
«Chi potrebbe fare una cosa simile? Voglio dire, chi potrebbe farlo e non morire nel tentativo?» domanda Bruce Banner.
Si guardano in viso l'un l'altro. La risposta sembra scritta sulle loro facce. Chi può fare una cosa simile? Chi è a conoscenza dell'esistenza dello scettro? Chi può entrare indisturbato in una base dell'intelligence – magari prendendo le sembianze di qualcun altro? Chi può sopravvivere a un'esplosione che distrugge un intero complesso di edifici?
Non c'è nemmeno bisogno di pronunciarle, quelle quattro lettere sembrano brillare sul soffitto come un'insegna al neon.
«No» dice Fury, perentorio. «Non può essere stato Loki».
«Come fa esserne certo?» chiede Barton. Perché il direttore dello S.H.I.E.L.D. ne sembra assolutamente sicuro e la cosa a Tony non piace.
«Perché Thor mi ha informato che Loki è su Asgard, prigioniero e senza poteri. È stato condannato a morte, per quanto ne so, la sentenza è già stata eseguita».
Tony sente il gelo calare sulla stanza, i volti dei Vendicatori restano immobili, congelati in un'espressione di stupore, la notizia li ha completamente colti alla sprovvista.
Loki morto, sembra impossibile. Eppure nessuno sembra avere voglia di esultare. Lo hanno temuto così tanto, lo hanno sopportato per così tanto tempo e in qualche modo quella sua gelida determinazione nel perseguire i propri scopi lo ha reso importante, lo ha fatto brillare di una strana luce che in una qualche misura che rende l'idea della sua morte quasi indigesta, quasi come la morte di un compagno invece che la morte di un nemico.
Nessuno piangerà per un folle e pericoloso criminale tanto potente, infido e spietato, ma Tony sente ugualmente una morsa allo stomaco.
Ora si spiega l'assenza di Thor e il fatto che Jane Foster lo abbia visto turbato e sconvolto.
«Quando diamine pensava di dircelo?» sbotta Banner.
«Thor mi ha chiesto di non dire nulla, almeno fino a quando la signorina Berton fosse stata tra noi» asserisce Fury, in tutta calma.
Già, Nadia crede Loki libero e scorrazzante per l'universo, non c'è proprio motivo di darle questo dolore. E adesso capisce anche la discrezione della convocazione di Fury.
«Questo vuol dire che abbiamo a che fare con un nuovo pericolo. E stavolta è qualcuno di completamente ignoto, sul quale non abbiamo uno straccio di indizio» conclude la Romanoff, pragmatica e imperturbabile come solo lei riesce ad essere.
«Siamo partiti da zero anche l'altra volta, e ce la siamo cavata» osserva Steve Rogers, ma le sue parole non suonano incoraggianti nemmeno a se stesso.
L'altra volta se la sono cavata, per un pelo e dopo una serie di disastri, correndo rischi enormi. E in parte è stato proprio il compianto Piccolo Cervo a salvare qualche paio di chiappe.
Altro giro, altra corsa! Pensa Tony non senza una certa amarezza. Ora cominceranno le ricerche, e lui già sta pensando a qualche progetto che teneva nel cassetto e che potrebbe tornare utile per localizzare lo scettro.
«Io e Stark possiamo cominciare a dare uno sguardo al materiale che abbiamo raccolto sullo scettro prima della battaglia di New York» propone Banner.
«Sicuro, dottore». Tony gli dà una pacca sulla spalla e accenna un sorriso. E lui che diamine doveva fare quel pomeriggio? Una riunione di lavoro, qualcosa del genere... Pepper lo ucciderà se non le spiega come stanno le cose.
Sì, è decisamente un bene che Nadia parta ora che si profila una nuova emergenza all'orizzonte, ma lui non sa come farà a guardarla negli occhi per altri due giorni dovendole tenere nascosto il fatto che Loki è morto.

*

«Il suo iPod è sulla cassettiera in camera da letto, signorina» l'avverte Jarvis.
Nadia fa un mezzo sorriso. Non è mai stata una grande viaggiatrice ed è sempre stata una mezza frana nel preparare i bagagli: era praticamente matematico che scordasse qualcosa.
Gli ultimi due giorni sono volati. Tony le è sembrato sovrappensiero e questo non ha migliorato l'umore generale.
«Meno male che ci sei tu, Jarvis. Mi mancherai» dice la ragazza, sollevando lo sguardo verso il nulla.
«Lieto di esserle stato d'aiuto».
Lei immagina che il robot invisibile non provi davvero letizia, che in generale non provi sentimenti, ma le sembra davvero di star lasciando una persona in carne ed ossa e non è solo per la sua straordinaria utilità che sentirà la mancanza di Jarvis.
Prende l'iPod e lo infila in tasca. Probabilmente per districare i fili degli auricolari le ci vorranno tutte le infinite ore di viaggio.
Il cielo è grigiastro e piove, quella pioggerellina sottile sottile che è più fastidiosa che altro, che nemmeno ti bagna davvero, semplicemente ti si appiccica addosso.
Nadia non sa se per gli addii è meglio una brutta giornata come quella o una giornata di sole.
Chissà che tempo fa a Venezia, ha dimenticato di chiederlo a sua madre ieri sera, quando si sono viste attraverso la web-cam, del resto sua mamma l'ha travolta con domande inerenti a cosa avrebbe voluto mangiare, perché chissà che schifezze hai mandato giù in tutto questo tempo, si vede anche da qui che sei magra come un chiodo. La sua famiglia è entusiasta di sapere che l'indomani sarà di nuovo a casa, e tutto ciò contribuisce solo a creare ancora più disordine nella sua testa. È felicissima di rivederli e tristissima all'idea di salutare Tony e gli altri.
La sera prima c'è stata una specie di festa di addio, di sopra. Tony ha organizzato una cena a base di cibi etnici che ha fatto arrivare dai migliori ristoranti di New York.
L'espressione ''festa di addio'' suona un po' come un ossimoro. E infatti c'era un'atmosfera agrodolce attorno al tavolo. E tutto ha rischiato di scivolare inesorabilmente verso la malinconia quando, a mano a mano, in diversi momenti della serata, tutti loro a turno hanno fatto in modo di trovarsi soli con lei per dirgli qualcosa di personale.
Natasha ha cercato di scoprire se ce l'aveva ancora con lei per aver retto il gioco a Fury con la faccenda del reattore Arc da riparare. La verità è che Nadia non è mai stata davvero arrabbiata con Nat, e forse, sotto sotto, nemmeno con Fury, ed è stato un sollievo poterlo dire all'imperturbabile agente Romanoff, che smessa la divisa, è una donna come tutte, forse solo eccessivamente bella.
Nadia sorride al pensiero, dato che le ultime cose che ha detto a Clint – quando ormai il miscuglio di vino e sake cominciava a farsi sentire – avevano a che fare con il fatto che si aspettava di vedere foto di loro due abbracciati sotto la torre Eiffel su una qualche pagina facebook entro e non oltre un mese.
«Non voglio partire». Lo ha detto davvero, alla fine della serata. Quando l'alcol aveva ormai del tutto assolto al suo dovere. Ma lo aveva detto solo a Steve, mentre erano soli sulla terrazza, con New York che sfavillava di luci elettriche e fari di auto sotto di loro. Steve ha le spalle larghe per sopportare quel genere di confessione – anche se probabilmente la conta dei suoi ex fidanzati lo avrebbe fatto arrossire e magari le avrebbe fatto rimediare anche qualche nota di disappunto.
Bruce è stato quello che le ha portato i salatini quando lei era sul punto di vomitare, perché lui è quello che sa come prendersi cura degli altri, anche se forse non si è mai accorto di possedere questa qualità.
Dopo quella cena, comunque, ha dormito poco e niente. All'alba non sopportava più di rigirarsi nel letto e si è alzata, dedicandosi a una meticolosa pulizia dell'appartamento.
Ha trovato cose che nemmeno ricordava di aver perso, tipo un orecchino d'argento e un bottone di plastica a forma di cuore proveniente da un pigiama di cotone azzurro. E il libro di Lovecraft, sotto al divano, il volume che stava leggendo Loki.
Non saprebbe dire se è stato per il libro, per il troppo bere della sera prima, o per tutte le cose messe assieme, sa solo che mentre lo metteva via è scoppiata in lacrime. Meglio ora che in aeroporto davanti a tutti loro, si è detta. E quando i singhiozzi si sono fatti troppo violenti, è dovuta correre in bagno a vomitare, e non c'era nessuno a offrirle salatini. Meglio ora che in aereo, ha concluso con somma pazienza e rassegnazione.  

In macchina Nadia è seduta dietro, tra Steve e Bruce. Tony guida con quanta più accortezza può, non vorrebbe mai che l'Altro decidesse di protestare contro la sua guida sportiva o contro il traffico cittadino. Natasha e Clint sono in un'altra auto, dietro di loro.
Jane non ce l'ha fatta, le ha telefonato quella mattina, scusandosi. Era davvero dispiaciuta e a Nadia è pesata la sua assenza e quella di Thor, ma sa che non può farne una colpa a nessuno dei due. Si è solo fatta promettere da Jane che, quando il suo divino fidanzato la verrà a trovare, potranno sentirsi via Skype, così che lei possa vedere quel bel faccione del dio del tuono un'altra volta.
La ragazza comincia a sentire il peso della notte insonne, il dondolio dell'auto che si ferma delicatamente a ogni semaforo rosso e ad ogni ingorgo. Quasi si addormenta con la testa sulla spalla di Bruce.
Il viaggio le sembra interminabile. Eppure vorrebbe non arrivare in quell'aeroporto.
Tony accosta, Steve le tiene aperta la portiera e le prende la valigia dal bagagliaio. Dall'altra auto, anche Natasha e Clint smontano.
Dunque sta succedendo davvero? Ha conosciuto divinità, mostri, profughi venuti da mondi lontani... eppure quel momento le appare così irreale, così fuori posto.
Li abbraccia tutti, più forte che può. Le promettono che la verranno a trovare e quella promessa le sembra un pugno nello stomaco perché di colpo si rende conto di quanto è difficile da attuare e del fatto che domani ci sarà un oceano di mezzo tra lei e loro.
Si ripete che è l'unica soluzione possibile. Che quella non è la sua vita, che lo ha promesso, lo ha promesso a Loki. Lo sa, sa tutto, eppure non pensava che le sarebbe servita così tanta forza d'animo.
«Non ti ci vorrà mica il fazzoletto, signor Stark?» dice, sarcastica.
Tony deglutisce, scuote la testa ma non dice niente. La guarda un attimo diritto negli occhi e stringe il pugno forse per impedirsi di afferrarla e riportarla in macchina – almeno, a lei sembra un pensiero molto romantico. E Nadia sa che non deve permettergli di accompagnarla dentro, di aspettare la partenza insieme a lei, perché se solo provassero anche per finta a trattenerla, non riuscirebbe più a partire. E gli occhi di Tony adesso sono già una tentazione sufficiente; c'è sempre stato qualcosa di speciale tra loro due, una scintilla scattata dall'istante in cui l'ha visto la prima volta, in mezzo alla fiumana di turisti in piazza Goldoni con addosso quella t-shirt blu con il logo degli AC/DC.
«Io... è meglio che vada». Sussurra.
«Ti facciamo compagnia» propone Pepper.
Lei scuote la testa. Loro sembrano capire.
Mi mancherete, ragazzi...
Nadia si volta, le porte scorrevoli del JFK si aprono davanti a lei e la ragazza le oltrepassa, cercando di concentrarsi solo sul rumore del delle ruote del trolley che frusciano sulla pavimentazione, cerca di scomparire in mezzo alla folla, di ricordarsi che non è nessuno, è solo un volto anonimo tra i tanti, com'è giusto che sia.
La fila per il check in scorre abbastanza veloce. In men che non si dica, Nadia si ritrova già seduta nella sala d'attesa a tentare di sbrogliare quell'immane matassa che sono diventati i fili degli auricolari per l'iPod.
Alla fine riesce a infilare le cuffie e preme play.
There is a castle on a cloud,
I like to go there in my sleep...
La sua canzone per i momenti tristi. Santo cielo, anche la riproduzione casuale sembra voler girare il coltello nella piaga.
I know a place where no one's lost,
I know a place where no one cries,
crying at all is not allowed,
not in my castle on a cloud.
Nadia sospira. Non sente lacrime arrivarle agli occhi. No, le lacrime restano dentro stavolta, ad annegare i sorrisi che ha cercato di mettere da parte per la sua famiglia, quando li rivedrà.
Il tempo comincia a scorrere con una lentezza esasperante e Nadia mette via l'iPod. Ogni canzone che le capita all'orecchio sembra peggiorare il suo umore.
Finalmente chiamano il suo volo.
Seduta al suo posto, con un libro in grembo che non ha voglia di aprire, la ragazza pensa che  potrebbe farsi una bella dormita. O pensa che forse non riuscirà a dormire mai più.

*

Dalla finestra del suo ufficio, Jane vede una scia d'areo e si domanda se non sia quello su cui Nadia sta tornando a casa, poi guarda l'orario e si rende conto che la ragazza non partirà che tra qualche ora.
Le dispiace da morire non essere potuta andare a salutarla, né essere riuscita a partecipare alla cena organizzata dal signor Stark.
Cerca di concentrarsi sul suo lavoro, ma ha troppi pensieri per la testa. È preoccupata per Thor, non capisce cosa stia succedendo e detesta non essere in condizione di mettersi in contatto con lui.
Si massaggia le palpebre con la punta delle dita. Le fanno male gli occhi a furia di star chiusa lì dentro a guardare animazioni schematiche fatte con programmi di simulazione. Non vede l'ora che le assegnino una bella ricerca sul campo, un'occasione di andare in giro con un telescopio e un fuoristrada, come quella volta in New Mexico... ma stavolta senza enormi robot sputafuoco, magari.
Sullo schermo del suo portatile è ancora aperta la mail che ha ricevuto da Darcy, che la informa di essersi – finalmente – laureata. Il messaggio pieno di punti esclamativi e caratteri in formato gigantesco, è corredato di fotografie della sua amica, sua ex stagista, con corona di alloro. C'è anche una foto in cui la corona di alloro le è volata via dalla testa, forse per un colpo di vento, ed è finita addosso a un professore con la toga di ermellino. E subito dopo è arrivato un messaggio che diceva di ignorare quella fotografia.
Jane scorre di nuovo le immagini della ragazza alla sua cerimonia di laurea. Pensa che, se non altro, può trarne la morale che la vita va avanti, il futuro macina il presente, e tutto quello che si può fare è cercare di venire a patto con ciò che siamo.
Forse lei non è più fatta per avventurose cacce al fenomeno astronomico, tanto quanto Nadia non è fatta per una vita con i Vendicatori o per una vita al fianco di Loki.
Loki. Jane alle volte ci pensa ancora, non è certo il tipo di individuo che può essere dimenticato. Spera che i problemi di Thor non abbiano a che fare con lui, anche se più ci riflette più le sembra difficile crederlo. E spera che Thor abbia una buona spiegazione per averla piantata in asso per tutto quel tempo.
La pausa pranzo arriva fin troppo lentamente. Ma Jane decide di andare a casa – nell'appartamento che condivide con una sua collega – per recuperare una cartellina di documenti che ha dimenticato. Non è lei che dimentica le cose, sono le cose che non si fanno notare abbastanza!
Avrebbe davvero voluto andare a New York e non finire impantanata in quella giornata noiosa. Ma tiene al suo lavoro, e anche se lo S.H.I.E.L.D. si è offerto di darle una mano a farle recuperare il suo posto all'osservatorio, lei non ha accettato. Sinceramente, non crede sia una buona idea essere in debito con loro.
Accende la radio della macchina e segue il motivetto allegro della canzone che stanno trasmettendo, anche se non la conosce. Sa che deve pazientare e tenere su il morale, non era questo che le diceva sempre suo padre? Pazienza e buon umore, che le stelle ci guardano...
Pensa che deve trovare un week-end di tempo per andare a far visita a Darcy e portarle un qualche regalo appropriato.
Il suo appartamento è vuoto, la sua coinquilina dovrebbe essere in un'università a tenere una conferenza. La sua coinquilina per fortuna è sempre via nei week-end quando Thor la viene a trovare – la veniva a trovare.
Jane decide di prepararsi una ciotola di latte e cereali prima di tornare in ufficio.
Accende la tv e ascolta distrattamente le previsioni del tempo: pessime per tutto lo stato del Massachusetts.
Sta pensando che deve ricordarsi di non lasciare la ciotola sporca in giro e di rimettere a posto la scatola di cereali quando sente dei tonfi provenire dal ballatoio dell'ingresso. L'anziana signora della porta accanto, Mrs. Wood, dev'essere inciampata di nuovo nel portaombrelli, forse è meglio se va a controllare, non vorrebbe avere il fragile femore di una signora ottantenne sulla coscienza.
Mentre si avvia verso la porta però comincia a sentire le voci.
«Non buttare giù la porta, aspetta Volstagg, Thor mi ha spiegato che qui hanno dei singolari pulsanti che trillano...».  
Jane ha un sussulto. I guerrieri di Asgard! I guerrieri di Asgard alla sua porta, ora!
«Dove dovrebbe essere questo pulsante, Fandral? È solo una porta di legno...».
«Che cos'è questo chiasso?». La vocina acuta di Mrs. Wood fa eco per tutta la tromba delle scale. Jane fa appena in tempo ad aprire la porta.
«Lady Jane!» esclamano in coro i quattro asgardiani.
La vecchietta si fa spazio a gomitate e colpi di bastone in mezzo a loro.
«Beh, cos'è questa storia? Chi sono questi, vengono dal centro di recupero per tossicodipendenti?» esclama. «Andate via! Andate via!».
«Che cosa singolare, anche le donne anziane sono armate su Midgard» dice Fandral, osservando l'anziana agitare il bastone sotto il suo naso.
«Conto fino a dieci, poi chiamo la polizia» insiste lei.
Jane ha un attimo di straniamento. Si preme le mani contro la fronte e giura tra sé e sé di non lamentarsi mai più per una giornata un po' noiosa.
«Signora Wood, signora, ehm... non si preoccupi, loro sono miei amici» dice, posando una mano sulla spalla magra della vecchia, tentando di allontanarla con dolcezza.
Mrs. Wood la guarda con disapprovazione. «Lei è una giovane, ed è pure dottoressa, dovrebbe stare più attenta alle persone che frequenta... anche quel suo fidanzato, quello grosso, cara devo dirglielo, non mi piace proprio!»
«Sì. È per questo che non gli ho ancora presentato mia madre».
Jane fa cenno ai quattro asgardiani di entrare in casa sua, mentre continua a pilotare la vicina verso il suo appartamento dal quale arriva sempre un odore di gelsomino misto a verdure bollite.
Ascolta una lunga filippica sul come trovare l'uomo giusto e sulle illuminanti opinioni di Mrs. Wood riguardo il perché i matrimoni non durano al giorno d'oggi, poi finalmente riesce a convincere la donna a rientrare in casa.
Appena la porta della sua dirimpettaia si chiude davanti a lei, Jane si precipita nel proprio appartamento, per ritrovarsi i quattro asgardiani intenti a guardarsi attorno con aria incuriosita.
Quando si presero il disturbo di venire sulla Terra la volta in cui Jane li conobbe, erano portatori di brutte notizie e furono seguiti dal robot che rase al suolo la città di Porto Antiguo. Ora la scienziata non sa se essere contenta di vederli.
«È successo qualcosa a Thor?» si affretta a domandare.
Sif, splendida, con la sua coda di cavallo perfetta e il suo viso dalla bellezza felina, si ferma in piedi davanti a lei, la guarda per qualche istante e si lascia scappare un sospiro.
«No, o forse sì...» risponde, criptica.
Jane si passa nervosamente una mano tra i capelli. «Qualche dettaglio farebbe comodo».
«In realtà si tratta di Loki» interviene Fandral. Proprio come lei aveva sospettato, si tratta sempre di Loki. «Lo hanno condannato a morte».
«Ah». È tutto quello che Jane riesce a dire, la notizia la turba troppo perché la sua capacità di esprimersi non ne venga irrimediabilmente compromessa.
Loki condannato a morte. Thor starà soffrendo le pene dell'inferno al solo pensiero... ed è dall'altro capo dell'universo e non c'è assolutamente nulla che lei possa fare. E sta anche cominciando ad andare in iperventilazione.
«Odino ha dovuto processarlo e condannarlo» spiega Hogun. «Ma ha pronunciato la sentenza in modo che possa essere annullata, se qualcuno parlerà in suo favore».
Jane deve trattenere uno scoppio di risate isteriche. Chi mai potrebbe parlare a favore di... oh, cavolo! Dov'è il suo telefono? Deve chiamare Nadia, deve dirle di non partire.
«Ok, possiamo risolverla questa cosa» dice, sprofondando con la testa dentro la borsa, alla disperata ricerca del cellulare.
Forse dovrebbe fermarsi un attimo a riflettere. Da quando quei quattro sono piombati sul suo pianerottolo tutto ha cominciato ad andare alla velocità della luce e lei ha pensato solo che potesse essere successo qualcosa a Thor e che se erano andati a cercarla era perché lei forse poteva fare qualcosa.
Aiutare Thor salvando Loki ha davvero senso?
Jane afferra il cellulare, fissa il proprio riflesso sul display; la domanda si ripete come un'eco infinita nella sua mente. Se Loki vive, Thor sarà sempre in pericolo, questa è una certezza, non si può sperare in nessuna gratitudine, in nessun ripensamento da parte del dio degli inganni.
«Thor sa che siete qui?» domanda.
Il cellulare è sul fondo della borsa, dietro al taccuino per gli appunti.
«No. Il Padre degli dei ha organizzato tutto per suo conto, ci ha ordinato di mantenere il segreto con Thor» spiega Sif. «Immagino che agli occhi della corte debba sembrare una nostra iniziativa, nostra e di nessun membro della famiglia reale. Odino non può esporsi in prima persona per salvare Loki»
«Ma vuole salvarlo»
«Così pare»
«E Thor... sta davvero così male?». Jane ha un po' paura di sentire la risposta.
«Di giorno in giorno diventa sempre più irriconoscibile, lady Jane» mormora Fandral intristito.
La giovane scienziata si sente raggelare. Perché quella decisione ora deve toccare a lei? Non potevano semplicemente piovere sul balcone di Nadia, lei non avrebbe avuto nessun tipo di dubbio al riguardo perché lei... Nadia lo ama.
Jane sente un groppo amaro in gola e non riesce a mandarlo giù. Lei non è nessuno per scegliere di condannare Loki, non può permettersi di essere così codarda da non fare niente per fermare la sua esecuzione, non dopo tutto quello che Thor le ha detto, non dopo tutte le speranze che ha nutrito, non dopo che Odino stesso si è adoperato per fare in modo che Loki ne uscisse vivo. Lei ne ha paura, e non prova alcun sentimento positivo per il fratellastro di Thor, tuttavia non si sente così importante da poter decretare la sua morte, impedendo ai quattro asgardiani di trovare Nadia. E Nadia stessa non glielo perdonerebbe mai.
«Sì, possiamo decisamente risolverla questa cosa» conclude, afferrando il telefonino.
Cerca in rubrica il numero di Nadia. Prova a chiamare ma il suo cellulare è staccato. Dannazione!
Ritenta con il numero di Tony Stark, deve rintracciarlo, deve fare in modo che non la metta su quell'aereo. Ma il telefono squilla a vuoto e Jane si accorge di non avere altri recapiti utili allo scopo.
«Non riesco a trovarla...» sospira, preoccupata. «Non potete semplicemente andare da lei, quando sarà arrivata a casa?»
«Siamo venuti qui perché pensavamo che fosse con te» spiega Volstagg. «Quando sarà a casa?»
«Uhm, tra... dodici ore?»
«Forse sarà troppo tardi» esclama Sif. «Io non so come scorra il tempo tra qui e Asgard».
Jane guarda l'ora sul display del cellulare. Cerca di ricordarsi a che ora Nadia abbai il suo volo: tra due ore? Due ore e mezza?
Tra Boston e New York ci sono circa trecento chilometri di strada. Vale la pena tentare.
«D'accordo, muoviamoci!» dice prendendo al volo la borsa, gettando dentro chiavi e cellulare.
«Questi sono commestibili?» domanda Volstagg, alle sue spalle. La scienziata si volta, vede il corpulento guerriero osservare la scatola di cereali.
«Sì, sono commestibili» borbotta esasperata.
«E si mangiano crudi?»
«Ssseh...»
«Oh. E posso prendere anche qualche frutto, lady Jane?»
«Quello che ti pare, basta che ci diamo una mossa» conclude la giovane donna. Prende il cellulare e lo lancia alla volta di Sif, pregando che lei sia davvero quella più sveglia come sembra. Imboccano le scale e lei comincia a spiegare all'asgardiana come usare il telefonino. «Lo vedi il tasto con il segno verde? Bene, premilo ogni tanto mentre siamo per strada, dall'altro lato sentirai dei suoni, se i suoni si interrompono e comincia a parlare una voce, digli che è il mio cellulare e digli che Nadia non deve partire».
«E la voce fermerà la ragazza?» domanda Sif, perplessa. Tipico degli asgardiani! Grandi guerrieri, armi strafighe, viaggi intergalattici e zero capacità di adattamento!
Se solo sapessi dov'è finito il mio auricolare bluetooth...
«Tu fallo e basta» conclude secca Jane, montando in macchina.
Volstagg sale sul sedile anteriore accanto a lei, prendendo grosse manciate di cereali dalla scatola e portandoseli alla bocca. Jane lo guarda con la coda dell'occhio e pensa che quelli dell'osservatorio la uccideranno.
«Sif, stai provando a chiamare, come ti ho detto?» domanda, mettendo in moto.
«Sì, ma non arriva alcuna voce da questo strumento, solo trilli...»
«Questo è perché sono una donna fortunata» conclude la scienziata, pigia il piede sull'acceleratore e parte a tutto gas.

Il viaggio le è sembrato uno di quei film comici di bassa lega, quelli che la tv trasmette nei pomeriggi di vuoto e che fanno ridere solo i bambini e a volte neanche.
Ha corso più che ha potuto, ogni tanto temeva che qualche pattuglia della polizia la fermasse per eccesso di velocità, ma non hanno trovato poliziotti lungo la strada.
Ogni tanto qualcuno dei suoi quattro passeggeri minacciava di vomitare, a turno. Jane avrebbe voluto strozzarli.
«Com'è possibile che viaggiate da un mondo all'altro e soffriate il mal d'auto?» ha chiesto.
«Midgard è un posto più insidioso di quanto credessi» le ha risposto Hogun, con il consueto cipiglio serioso e il viso velato da un alone verdognolo.
La donna ha preso lunghi respiri e ha cercato di concentrarsi sulla strada.
Ha percorso quei trecento chilometri in tempo record, ma gli ebrei durante l'esodo dall'Egitto dovevano certamente star messi meglio...
Inutile dire che il telefono di Stark ha continuato a squillare a vuoto per tutto il tempo.
Alla fine, per arrivare all'aeroporto, ci sono arrivati. Ora il più è sperare che Nadia non sia già partita.
Jane accosta la macchina, gracchia a Volstagg di smetterla di giocare con il pulsante per l'apertura automatica del finestrino e smonta.
«Non vi muovete, non uscite da questa macchina per nessuna ragione al mondo, intesi?» li ammonisce.
Si guarda attorno e nel parcheggio proprio difronte all'ingresso dell'aeroporto nota una macchina abbastanza vistosa da poter essere... sì, è proprio la sua! E quelli sono proprio loro, insieme a Pepper... e senza Nadia.
Jane ha un tuffo al cuore.
«SIGNOR STAAARK!» urla, per farsi sentire al di là dei rumori del traffico.
Tony Stark deve averla sentita, perché si volta e si guarda attorno, cercando di individuare il punto da cui hanno chiamato il suo nome. Jane si sbraccia e dopo qualche secondo finalmente l'uomo la nota. Tutti la notano, Stark, il capitano Rogers, il dottor Banner, i due agenti e più o meno tutto il resto della popolazione mondiale presente lì sul marciapiede.
I Vendicatori in borghese vengono verso di lei.
«Dottoressa Foster, è bello vederla, ma è arrivata tard... oh, santi numi, no! Mi dica che quelli sono semplicemente scappati da una fiera di cosplayer!» esclama Tony Stark, sgranando gli occhi alla vista dei quattro asgardiani in macchina.
«Cosa sarebbe una fiera di cosplayer? Sta forse insultando, quello lì?» borbotta Volstagg. Il suo agitarsi sul sedile mette a dura prova gli ammortizzatori.  
«Dottoressa Foster?». Il dottor Banner la guarda sbattendo le palpebre, in attesa di spiegazioni.
«Questioni di forza maggiore» spiega lei, sbrigativa. «Nadia: ditemi che non è partita, vi prego»
«In realtà sì» dice Pepper. «Quanto meno, dovrebbe essere già a bordo dell'aereo».
«Bene. Cioè no. Dobbiamo fermarla»
«Dottoressa, mi perdoni, ma io non credo si possa fermare un aereo» osserva il capitano Rogers.
«E comunque, forse dovrebbe dirci...» sta per aggiungere l'agente Barton.
«Non c'è tempo, credetemi» esclama lei, con il fiato corto per la tensione. «Avanti, siete gli Avengers, gli eroi più forti del pianeta, quella roba lì... avete fermato eserciti alieni e tutto il resto, potete senz'altro fermare un aereo».
Tony Stark fa un inatteso sorriso sornione. «È forse una sfida, dottoressa Foster?».




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Note:

Due riferimenti alla prima fanfiction della trilogia (io non mi abituerò mai a dire trilogia...). Il primo incontro tra Nadia e Tony, che ho riletto mentre scrivevo il pezzo dei saluti fuori dall'aeroporto e mi son fatta venire i lucciconi da sola... e la citazione di “A castel on a cloud”, brano del musical Les Misérables, che è la canzone di Nadia quando è triste, e mi è preso un magone pazzesco. Questa storia mi ucciderà.
Io e me stessa ci siamo molto interrogate sulla reazione degli Avengers alla notizia della morte di Loki. Penso che non gioire per la morte di un nemico sia una cosa estremamente umana, di quell'umanità profonda che io penso vada attribuita a quel genere di personaggi... non pretendo che tutti siano d'accordo con me, e con quello che succederà nei prossimi tre o quattro capitoli, ma volevo giusto chiarire perché, secondo la mia discutibile e assolutamente opinabile opinione, le cose stanno così.

Volevo solo dirvi che ho visto che nelle ultime settimane un sacco di gente mi ha inserita tra gli autori preferiti. Su EFP non ho mai voluto farne una questione di numeri e quantità, ma non per questo sono insensibile alle soddisfazioni... insomma, GRAZIE! Vi lovvo tutti tantissimo! *_*


As usually, ci leggiamo il prossimo venerdì.
Per domande, curiosità, dubbi esistenziali: profilo Ask.
Enjoy!

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Capitolo 4
*** Helter Skelter – part one ***


Capitolo terzo
Helter Skelter – part one


Il terreno è rossiccio, polveroso.
Sembra sabbia impastata col sangue, pensa il giovane. Il sentore del sangue gli è rimasto attaccato alla gola, un sapore salato e viscido.
La pioggia ha scurito il suolo, lo ha reso morbido sotto le sue ginocchia piegate e i palmi delle mani stesi a terra a puntellarsi.
Raahm sente freddo, lo sente da dentro. Un freddo così agghiacciante da bruciare.
Anche i respiri fanno male.
Si alza in piedi ed è costretto ad appoggiarsi allo scettro per non cadere. Non si sente debole, si sente come se fosse vuoto, troppo leggero per poter piantare con decisione i piedi a terra e mantenersi eretto. Anche quando è tornato per rubare lo scettro si è sentito così, ma stavolta è peggio.
Pensa che sia solo colpa dei viaggi interdimensionali. Ha accumulato energie enormi, senza saperlo, durante la sua ultima permanenza sulla Terra e solo per questo Thanos è riuscito a riportarlo indietro e a farlo viaggiare per la galassia. Ma ora quelle energie si sono esaurite e non può più viaggiare, può solo eseguire il compito che gli è stato affidato e attendere la ricompensa che gli spetta.
Una parte del premio è già nelle sue mani: lo scettro.
Raahm muove un passo e cade. Si rialza mentre il cielo si chiude e comincia a cadere la pioggia.
La seconda parte del premio è quella che più conta: la sua salvezza dalla Morte stessa. Poiché il signore dei Chitauri non lo ha salvato davvero, gli ha solo concesso altro tempo e quando quel tempo sarà scaduto lui tornerà all'inferno che lo attende. A meno che non esegua il volere di Thanos.
Il giovane si guarda attorno. Si accorge di essere in un deposito di auto destinate allo sfascio e oltre le pile di veicoli in disuso riesce a vedere il profilo della città di New York.
Cammina, rischiando più volte di perdere l'equilibrio.
La luce azzurra della gemma incastonata sullo scettro brilla come un faro in quel posto desolato e buio. Raahm si rende conto che la morsa del tempo è assai più stretta di quanto credeva: non impiegheranno molto a trovarlo. Li ha conosciuti, i Vendicatori, alcuni di loro almeno. Sa con quanto accanimento sono capaci di dedicarsi alle cacce al cattivo.
Li ha conosciuti e li ha anche ingannati, o quanto meno ha ingannato Tony Stark, che si vanta della sua sconfinata intelligenza. E ha ingannato la ragazza, quella cosina piccola e fragile alla quale è toccato per sbaglio un dono troppo grande e immeritato.
La pietra di Borr. Se avesse più tempo potrebbe persino cercarla e uccidere la sua indegna proprietaria per averla.
Per un attimo, Raahm si stupisce di quel pensiero. Non è mai stato incline alla violenza, né è stato mai avido di potere. E non ha davvero motivo di odiare Nadia.
Guarda la luce sprigionarsi dalla gemma. Il freddo che sente dentro lo paralizza, costringendolo a tenere lo sguardo fisso sulla luce innaturale che emana dall'oggetto, anche se è una luce priva di qualsiasi calore.
Si chiede come e quando il seme del male è stato piantato dentro di lui.
Forse quando Loki lo ha ucciso. Non poteva più nuocergli, era indifeso contro la sua forza di dio, lo ha persino pregato, eppure lui gli ha afferrato la gola e gli ha spezzato il collo con la stessa leggerezza con la quale si coglie un fiore.
La Morte è arrivata con ali di dolore bianco. Il ragazzo che si faceva chiamare Mike ha sentito il suono delle sue stesse ossa che si rompevano, un suono quasi buffo. Poi il suono ha inghiottito la luce, nell'ultimo lampo di vita ha visto brillare il volto di Loki e i suoi occhi gelidi. E poi il freddo, il freddo e nient'altro.
Quel freddo è ancora lì, così saldamente artigliato alla sua stessa anima, che il giovane pensa che potrebbe spezzargliela.  

*

«Che cazzo stiamo facendo?...» Tony Stark mormora tra sé e sé mentre guarda la pista dell'aeroporto dall'alto della torre di controllo. Ai margini del suo campo visivo luccicano led di tutti i colori, figure stilizzate si muovono su schermi di radar in bianco e nero.
Gironzolare con due agenti S.H.I.E.L.D. apre un sacco di porte, anche tutte quelle porte che non si aprono al pronunciare il suo nome.
«Che cosa stiamo facendo, Capitano?» domanda a Steve Rogers, in piedi dietro di lui. Si pente quasi subito di averlo interpellato; ora il soldatino se ne uscirà con una salmodia sul fatto che lui non riflette abbastanza prima di fare le cose, che è stato stupido assecondare la dottoressa Foster senza prima chiederle perché quattro asgardiani erano giunti in macchina da Boston cercando di Nadia – che come fatto in sé è abbastanza preoccupante, anche senza tutto quello che la giovane astrofisica gli ha poi spiegato in seguito. Che è una pessima idea fermare la ragazza, perché lei si merita di tornare a casa e darci un taglio definitivo con quella storia. Che la sorte di Loki di certo non li riguarda.
«Che cosa stiamo facendo, Capitano?»
«Quello che è giusto» risponde semplicemente Rogers. Tony si volta a guardarlo; il soldato ha ovviamente quella sua aria solenne da chi ha poche certezze ma buone.
Stanno facendo la cosa giusta, certo. È quello che fanno gli eroi, no? Ma la cosa giusta per chi? Per Nadia? Sì, sembra crudele l'idea di lasciarla partire senza avvisarla che Loki è su Asgard, condannato a morte e che lei ha una possibilità di salvarlo – che, a quanto pare, Odino ha orchestrato tutto proprio per permetterle di aiutarlo. Ma sarebbe davvero così terribile lasciare semplicemente che torni alla sua vita senza mai saperne niente? Sarebbe davvero così difficile lasciare che le cose seguano il loro corso e Loki muoia? Nessuno può negare che il piccolo cervo se la sia cercata e non è forse più crudele rischiare di coinvolgere Nadia in quel genere di casino?
Come se il problema fosse solo Nadia, poi. Loki vivo è un rischio enorme, in qualsiasi condizione lo si voglia immaginare.
Dopotutto, lo credevano già morto, stando a quello che aveva detto Fury. Non avevano esultato, è vero, ma era un'idea con la quale potevano decisamente imparare a convivere senza troppe storie. Anche Thor, prima o poi, sarebbe riuscito a farsene una ragione: ha così tante altre cose che gli stanno a cuore. Loki invece non ha più niente da perdere se non la sua testa piena di cose argute e malvagie.  
Tony ora sta invidiando Steve Rogers e quel suo piccolo grumo di certezze che riesce a tenerlo su e che gli ha permesso di non ammattire quando si è risvegliato nel ventunesimo secolo, solo contro un mondo per il quale non era più tagliato. Gli sta invidiando quel suo essere sicuro del fatto che quella sia la cosa giusta da fare.
«Non sono certo che Nadia reagirà bene» dichiara, incrociando le braccia sul petto e guardando la pioggia disegnare strani percorsi sul vetro davanti a sé.
«Le abbiamo tenuta nascosta una cosa importante. Ma credevamo che Loki fosse già morto»
«Le abbiamo tenuta nascosta una precisa cosa importante».
Per un attimo sembra che anche le certezze di Steve Rogers stiano vacillando, Tony lo vede nell'incupirsi del suo sguardo da bravo ragazzo. Per un attimo forse il Capitano sta pensando di dire ai controllori di lasciar partire l'aereo e basta. Per un attimo forse anche lui si è posto le medesime domande che continuano ad agitarsi nella mente di Tony e ha capito che le risposte non sono così chiare nemmeno per uno che ha fatto della giustizia, della bontà e della correttezza il suo stile di vita.
«Una volta credevo che essere i buoni rendesse tutto più semplice» sbotta il soldato. «Qui c'eri tu, di là c'era il nemico, e tutto quello che dovevi fare era attraversare lo spazio vuoto tra una trincea e l'altra e combattere».
«Le cose stanno ancora così, Capitano, solo che dall'altra parte non c'è una trincea, c'è un labirinto. E bisogna guardarlo dall'alto per orientarsi».
Steve fa un mezzo sorriso. «Per te è facile, tu voli» dice sarcastico.
Tony si stringe nelle spalle. «Sì, ma non così in alto».  
«Ho in linea il pilota dell'aereo, signor Stark» dice uno dei controllori. «Cosa devo fare?».
Cosa devo fare? Bella domanda per uno costretto a riconoscere di non volare abbastanza in alto.

*

Nadia sta cercando di decifrare le scritte in altre lingue diverse dall'inglese sul dépliant di istruzioni per la sicurezza di bordo. Pensava che il suo tedesco fosse messo un po' meglio.
Sente un terribile cerchio alla testa e ha fame. Forse avrebbe dovuto fare colazione, come le ha raccomandato Pepper, ma dato che è stata male quella mattina ha preferito non rischiare, già di solito il decollo aereo è una sensazione che non trova particolarmente piacevole.
A proposito di decollo, il suo volo dovrebbe partire proprio ora. E invece no.
Forse, data la pioggia, si vogliono accertare delle condizioni meteo prima della partenza. Nadia pensa che quando quel dannato coso si staccherà da suolo si sentirà meglio; è quell'attesa, quel senso di sospensione che la uccide. Immagina che l'aereo che decolla sia un po' come strapparsi un dente: ti fa male di colpo, la gengiva resta sanguinante e dolorante, ma almeno è una cosa che comincia a mettersi a posto.
La ragazza nasconde il viso tra le mani, celando uno sbadiglio e allo stesso tempo una smorfia di tristezza.
«Signorina, ma sbaglio o siamo in ritardo?» chiede l'uomo seduto accanto a lei, fermando una hostess. L'assistente di volo dice qualcosa a proposito di indicazioni giunte all'ultimo minuto dalla torre di controllo. Quasi certamente è qualcosa che ha a che fare con una brutta perturbazione.
Nadia guarda l'orologio. Non si era accorta che fossero così tanto in ritardo.
Oh, ti prego, andiamo...
Dentro di sé vorrebbe urlare. La pioggia picchietta monotona contro i finestrini.
«Nadia Berton?». Una hostess con un impeccabile chignon di capelli castani è ferma davanti al suo sedile e la sta guardando con aria cortese.
Ha detto proprio il suo nome, eppure la ragazza le lancia un'occhiata smarrita, chiedendosi se non ci sia un qualche errore. Alla fine annuisce.
«Dovrebbe scendere. L'accompagno, se vuole seguirmi». La hostess sorride con formale dolcezza, come una modella in una pubblicità. I passeggeri che hanno sentito guardano verso di loro, alcuni con aria impaziente, altri persino sospettosi.
«Ci deve essere un errore» azzarda Nadia. «Io non...».
Non posso scendere. Ho già salutato. Devo tornare a casa. L'ho promesso a Loki.
La hostess sembra ascoltarla con infinita attenzione e premura, come se stesse dicendo qualcosa di vitale importanza. Alla fine le sorride di nuovo e in quell'esatto momento Nadia ha idea di capire come deve sentirsi Bruce un attimo prima di trasformarsi in Hulk.
«Mi avevano detto che l'avrebbe detto, signorina» dice l'assistente di volo. «E mi hanno detto di risponderle: Colombina».
Nadia spalanca gli occhi. Attorno a lei, gli altri passeggeri hanno tutti un'espressione ostile.
Cos'è successo? Tony non ha retto e ha deciso di far fermare l'aereo? Le sembra difficile, persino per il suo caro caro signor Stark. E poi, per quanto malinconica fosse la cosa, avevano tutti convenuto da tempo che il suo ritorno in Italia era la soluzione migliore.
La ragazza si alza in piedi, con movimenti rigidi. Si chiede, nervosamente, se non ci sia di mezzo lo S.H.I.E.L.D, ma accantona quell'idea quasi subito, sa che i Vendicatori non permetterebbero a Fury di mettersi in mezzo e poi, davvero, non pensa di essere così importante. Né così pericolosa. Magari solo un'occasione sprecata, come aveva detto lei stessa al direttore quel giorno sull'Elivelivolo in quella che le sembra un'altra era e invece è solo un mese prima.
Segue la hostess sentendo su di sé gli sguardi sempre più acidi degli altri passeggeri. L'accompagnano al portellone principale dell'aereo e la fanno scendere con una scala su ruote, dove lei rischia di inciampare ad ogni gradino. Sa che è inutile fare domande, probabilmente la sua accompagnatrice ne sa meno di lei.
La pista d'atterraggio è spazzata dalla pioggia che è diventata un po' più fitta. Un ragazzo del personale dell'aeroporto viene a prenderla con una macchinina a motore elettrico e la tettoia di plexiglas non basta a ripararli del tutto dall'acqua che il vento spinge verso di loro, attraverso i lati aperti del piccolo mezzo.
Il ragazzo le fa strada verso una porticina secondaria. Attraversano corridoi spogli con porte di metallo sulle quali campeggia la scritta: ''vietato l'ingresso a personale non autorizzato''. Alla fine raggiungono una stanza chiusa da due battenti di metallo smaltato di grigio, il cartello dice che è uno dei depositi per gli oggetti smarriti.
Il suo accompagnatore le indica la porta, la saluta con un rapido cenno e si allontana.
Nadia afferra la maniglia, senza sapere se quello sfarfallio nello stomaco è più curiosità, preoccupazione o contentezza per non essere partita. O tristezza per non essere partita...
Sara... sua sorella aveva organizzato di andare a prenderla all'aeroporto di Milano. Chissà, forse aveva preparato anche uno striscione, insieme ai loro amici; sua madre l'aspettava per la prossima cena, le aveva promesso la pasta al forno e il suo dolce preferito, aveva chiamato personale di servizio a posta per occuparsi della reception mentre loro sarebbero rimasti a casa tutti assieme a lasciarsi raccontare del suo soggiorno in America...
La sua famiglia è dall'altro lato dell'Oceano. I suoi amici, i suoi eroi, dietro quella porta. E Nadia si rende conto che abbassare quella maniglia non è facile quanto sembra.
Per fortuna lo fa qualcun altro al posto suo. La porta si apre verso l'interno e lei, ancora arpionata alla maniglia, viene spinta dentro, quasi inciampando nei suoi stessi piedi.
«Stavo andando a controllare che ti avessero trovata» dice Clint. È lui che ha aperto la porta, e non ha una faccia particolarmente felice.
Nadia guarda oltre la sua spalla. Il deposito è pieno di scaffali ingombri di roba imballata nel cellophane, c'è di tutto, da custodie per occhiali a tavole da surf.
In mezzo al corridoio formato da due file di scaffali ci sono tutti gli altri. E anche qualcuno in più. C'è Jane, e quattro persone che Nadia non conosce, vestite come...
«Non ditemelo: casini intergalattici in corso» borbotta la ragazza.
«Però abbiamo recuperato il tuo trolley» esclama Tony. Nemmeno lui ha una faccia troppo convinta.
Steve scova una sedia pieghevole da giardino, la apre e la mette al centro del corridoio. «Nadia, perché non ti siedi?».
«È così terribile?» domanda lei perplessa. «E i nostri ospiti immagino siano lady Sif e i tre guerrieri»
«Vero!» esclama l'asgardiano biondo con i baffi perfettamente arricciati, accennando un grazioso inchino. «Lady Nadia, ci lusinga sapere che avete sentito parlare di noi».
Quello deve essere Fandral. Quello minuto con l'aria torva deve essere Hogun e quello grande e grosso è senz'altro Volstagg. Sì, Thor le ha parlato di loro e quei nomi le erano sembrati così buffi che non ha potuto dimenticarli.
«Non abbiamo molto tempo per i convenevoli e le spiegazioni» dice Sif. La descrizione che ne aveva dato Thor non le rende giustizia, è davvero bella come una dea. «Lady Nadia, siamo qui per portarvi su Asgard».
Forse è il tono solenne della guerriera, forse sono le sue parole che suonano assurde, forse è semplice e pura isteria, ma Nadia si sente sul punto di scoppiare a ridere.
«E dire che un volo fino in Italia mi sembrava già abbastanza drammatico...» dice, tra sé e sé. Ma i suoi amici hanno tutti quell'aria così grave. Cos'è successo? C'entra la pietra? Odino vuole farle amputare il braccio?
«Ma l'aereo è ancora lì ad aspettarti, se tu non volessi andare con loro» si affretta a precisare Clint.
Il casino dev'essere bello grosso se hanno fermato un volo di linea solo per lei.
In realtà, la domanda che fa davvero scattare il campanello d'allarme nella testa di Nadia è un'altra: perché Thor non è lì?
Forse la sedia che ha rimediato Steve non è poi una brutta idea.
«C'è una cosa che non ti abbiamo detto» dice Tony, e sembra sul punto di correre a nascondersi dietro a una cassa per evitare che lei gli salti al collo.
«In realtà è perché credevamo che fosse impossibile rimediare» aggiunge Bruce, titubante.
«Mi state facendo preoccupare».
Jane si fa avanti, come se volesse mettere da parte tutti gli altri, come se fosse una cosa che riguarda solo lei e Nadia.
«Si tratta di Loki» dice, finalmente.
La ragazza avverte un brivido di nervosismo e di paura. Guarda Tony e gli altri con aria smarrita, deglutisce. «Cos'è che non mi avete detto?».
«Fury ci aveva riferito che era morto» spiega Natasha. «In realtà è su Asgard, è stato condannato ma la sentenza non è ancora stata eseguita».
Nadia sente le vertigini. Non capisce per cosa siano le lacrime che sente salirle agli occhi, se per lo stupore, se per la delusione di essere stata tenuta all'oscuro di una simile notizia, se per la notizia in sé. Pepper le circonda le spalle con un braccio: Tony non ha detto niente nemmeno a lei, a giudicare da quanto sembra turbata. In quegli ultimi due giorni lui sapeva, per questo era così pensieroso e cupo, per questo sembrava non riuscire a guardarla negli occhi, non perché era intristito per la sua partenza. Come diavolo hanno fatto a fingere che non fosse successo? A cenare con lei la sera prima e parlare di tutt'altro, comportandosi in modo normale?
«Immagino che ancora una volta la vostra priorità fosse... cosa? Proteggermi?» lo dice in un tono del tutto privo di emozione. Lei stessa non sa se sia un rimprovero, un ringraziamento o una semplice constatazione. Sa solo che avrebbe preferito saperlo; avrebbe voluto che loro le riconoscessero il diritto di sapere che sorte era toccata a Loki; avrebbe preferito che i suoi amici si rendessero conto che poteva reggere una simile notizia.
Se fosse meno sconvolta, si soffermerebbe a chiedersi se in realtà sarebbe stata davvero capace di sopportare l'idea di Loki condannato a morte su Asgard, sotto gli occhi di Thor. Ma non è quello il momento di indugiare in simili riflessioni.
«Lo stiamo facendo per... oh, vi prego, ricordatemi perché lo stiamo facendo» sbotta Clint. Il suo storico odio misto a paura nei confronti di Loki deve rendergli quella situazione parecchio indigesta.
«Non so voi. Io lo sto facendo per Thor» replica secca Jane.
Tutto quello che Nadia sente dentro è una confusione tremenda. Passa in rassegna le facce torve dei Vendicatori e si rende conto di quanto deve costare a tutti loro contribuire anche solo minimamente a un'azione che preveda il salvataggio di Loki, ammesso che sia di questo che si sta parlando. La ragazza ancora non ha capito.
«In che modo io posso aiutare Loki, venendo su Asgard?» domanda a Sif.

*

Esiste sempre un disegno, in ogni decisione di Odino. Sua madre lo aveva detto a volte, in passato, lo aveva detto di sicuro anche a Loki illudendosi di venire ascoltata.
Ma Thor non vede alcun disegno nelle nubi fitte che trapuntano il cielo di Asgard, gettando riflessi color acciaio sulle facciate dei palazzi e sul mare che si perde nell'orizzonte delle stelle, ai confini della città.
Tutto quello che Thor vede sono i volti delle Norne che compaiono dietro le sue palpebre chiuse nelle poche ore di sonno che è riuscito a concedersi.
«Esiste sempre un disegno, in ogni decisione di Odino» mormora Frigga, avvicinandosi a suo figlio. La voce morbida però non suona decisa, è incrinata da qualche sentimento che Thor non sa definire. Se Loki fosse al suo posto, saprebbe dire se si tratta di speranza o di disperazione.
Non che non abbia fede nei piani di Odino ma stavolta gli sembra impossibile che Padre sia riuscito a trovare una soluzione. Ha emesso la sentenza con la sua stessa bocca, Thor lo ha udito pronunciarla, lo hanno udito tutti, anche Loki.
Il traditore morirà. È una notizia che tutta Asgard ha udito e, probabilmente, festeggiato.
La regina gli appoggia una mano sul braccio. Thor non sarà bravo a leggere le persone come lo è suo fratello, ma riesce a sentire la paura e l'incertezza che si agitando dentro al petto di sua madre, perché sono uguali alle sue.
Se davvero finisse tutto quel giorno? Non mancano che poche ore, dopotutto.
Madre e figlio si scambiano una rapida occhiata. Oltre a sentire la stessa paura, Thor pensa che sentano anche lo stesso tipo di rimorso, l'idea di aver fallito, di aver amato Loki e averlo ugualmente perso.
Thor vede un drappello di soldati attraversare il giardino dinnanzi al palazzo del re. Da lontano gli arriva già il vociare della folla che si sarà radunata per assistere all'esecuzione.
Esiste sempre un disegno, in ogni decisione di Odino. Ma adesso Thor si chiede se i disegni del Padre degli dei non prevedano semplicemente questo, la morte del traditore, la cessazione di ogni pericolo. Perché Odino è un re ed è suo compito evitare pericoli alla sua gente e ai mondi che ha giurato di proteggere.
Si aspetta di vedere i suoi compagni da un momento all'altro. Si aspetta di ricevere ancora parole di conforto da loro. Ma è dal giorno prima che Sif e gli altri non vengono a cercarlo.
«Mio principe, mia regina» dice la voce ossequiosa di una guardia alle loro spalle. «Il Padre degli dei mi ha mandato a dirvi che è ora».
Thor sente la presa di Frigga diventare una stretta dolorosa.
È già ora? È trascorsa così rapida e impietosa quella giornata?

Il volto della giustizia è un piazzale di rena arida sul quale è stata allestita una tribuna per la famiglia reale e per i dignitari di corte. La folla è lontana, tenuta ai margini del grande spazio aperto da un cordone di soldati nelle loro armature impeccabili e scintillanti.
Il popolo di Asgard non ha la barbara usanza di accalcarsi attorno a un patibolo per urlare insulti al condannato, ma le esecuzioni di sentenze di morte sono rare nella Patria Eterna e la gente si è arrogata il diritto di assistere, seppure da lontano, seppure senza grande clamore.
Sembra quasi esserci silenzio in quella piazza, sembra quasi tutto immobile, congelato come nelle immagini di un sogno al quale non si riesce a dare un senso.
Odino e i suoi lord sono già ai loro posti sulla tribuna, composta da piattaforme dorate semicircolari che formano una sorta di grande gradinata. Il Padre degli dei è in cima, scruta il vuoto davanti a sé con uno sguardo imperscrutabile.
Thor sostiene sua madre mentre sale i gradoni e va a sistemarsi al fianco di suo marito. Sembra che l'erede al trono di Asgard stia semplicemente accompagnando la regina, ma in realtà Thor pensa che se lasciasse andare il braccio di Frigga troppo preso, lei cadrebbe. E lui cadrebbe con lei, sotto il peso di un addio che ancora adesso, dopo tutto quello che è accaduto, trova quasi ingiusto.
Quello è davvero il momento della caduta. Non solo per Loki, per tutti loro. È il momento in cui bisogna arrendersi all'evidenza dei fatti, e i fatti dimostrano che non c'è più nulla da fare.
Thor esita nel lasciare il fianco di sua madre perché ora, da un angolo della piazza, stanno arrivando le guardie con il prigioniero.
Il dio del tuono aguzza la vista, tenta di guardare meglio per scorgere il volto di suo fratello e tentare di capire, quell'ultima volta, nei suoi ultimi istanti, cosa c'è nella sua mente. Disperazione? Rabbia? Perdono?
Si sentirebbe meglio sapendo che, con i suoi ultimi pensieri, Loki lo ha assolto dalle colpe che gli ha sempre imputato?
Dolorosamente, il volto di Loki non dice nulla, i suoi occhi non hanno parole da aggiungere a ciò che le sue azioni hanno detto fino a quel momento.
Nessun perdono, né da chiedere né da concedere.
Nessuna resistenza. Il dio dell'inganno non costringe le guardie a trascinarlo, cammina con passo normale, e solo agli occhi di chi lo conosce è possibile scorgere un lievissimo tentennamento nel suo inesorabile mettere un piede avanti all'altro.
E tutto quello che Thor vorrebbe, in un impeto di vigliaccheria, è riuscire a convincersi che quell'individuo non è la stessa persona con la quale è cresciuto.
«Siamo stati allevati insieme, abbiamo giocato insieme, abbiamo combattuto insieme. Non ricordi nulla di tutto questo?»
«Ricordo un'ombra, una vita all'ombra della tua grandezza» (*).
Forse Loki, suo fratello, non è mai esistito davvero.
Odino fa un passo verso il margine della gradinata. Fa per parlare, poi accade l'impensabile. E l'aria immobile riecheggia dell'esclamazione stupita della folla.
«Cos'è quello?» chiede uno dei lord, indicando una sagoma che si avvicina a grande velocità, in una scia di polvere.
«Un cavallo» risponde un altro dei dignitari di corte. La grave solennità del momento sembra spezzarsi di colpo, come un riflesso su uno specchio d'acqua colpito da un sasso.
«Sì, ma cosa ha in sella?»
«Un sacco di farina?»
«Che ci fa qui un cavallo con un sacco di farina sul dorso?!»
«No... non è un sacco di farina...».

*

«Siamo certi che sia sicuro?». È la voce di Steve, suona carica di dubbiosa apprensione. È l'ultima cosa che Nadia ricorda di aver sentito, la sua ultima percezione prima che quel fascio di luce la invadesse.
Non saprebbe descrivere la sensazione, direbbe che è come andare a fuoco ma senza provare dolore. Non fa male, ma questo non vuol dire che sia piacevole. E per un istante si chiede addirittura se i suoi occhi non siano andati in malora con tutta quella luce, se quando sarà finito non resterà cieca.
Poi finisce. La luce smette di colpo e lei ci vede benissimo... più o meno; più che altro, vede solo macchie indistinte di dorato vorticarle davanti agli occhi, sente come se stesse galleggiando ma quando avverte il dolore dell'impatto contro il pavimento capisce semplicemente che il varco del Tesseract l'ha fatta comparire a mezz'aria al centro di una stanza e su Asgard la forza di gravità funziona esattamente come sulla Terra.
Precipita sul pavimento picchiando gomiti e ginocchia. Questo sì che fa male. Si rende conto di essere stesa bocconi ma la vista le si annebbia per il colpo e il dorato va in frantumi in mille schegge, lasciando posto a un buio nebbioso.
Dal buio arriva la voce. Anzi sono più voci, due o forse tre, che parlano in coro.
«Non lo salverai, ragazza di Midgard» dicono. «Sarai solo la sua rovina». Le voci diventano volti, tre volti, facce bianche che squarciano il buio con i loro occhi spalancati fissi su di lei.
«Non lo salverai. Non lo puoi salvare».
Lei cerca di muoversi, ma non ci riesce. Cerca di urlare, ma non riesce a emettere un solo suono.
«Nadia?». La voce di Sif la chiama con gentilezza.
Si accorge di essere perfettamente in grado di aprire gli occhi, di muoversi e di avvertire tutto il male della botta presa. È del tutto cosciente di quello che ha attorno, della stanza dal soffitto a volte, con le finestre ad arco coperte da leggere tende di seta rossa.
Al centro della stanza c'è una bassa colonna sul quale è poggiato un cubo di luce azzurra. Il Tesseract, un oggetto tanto piccolo che ha quasi scatenato l'apocalisse...
Strizzando più volte le palpebre, la ragazza si rende conto di essere caduta ai piedi di una statua coperta di placche d'oro e realizzata con uno strano materiale simile all'ebano. Oh, no, non è una statua. È un uomo... un dio... un individuo, insomma un tizio alto almeno due metri, con la pelle scura e lo sguardo dorato come le pareti della stanza. I suoi occhi sembrano persi a contemplare il vuoto, eppure sembra molto presente.
Una mano l'afferra per il colletto della felpa di cotone e la solleva. Volstagg la rimette in piedi e  con l'altra manona – quella con cui non la tiene sospesa come un cucciolo trattenuto per la collottola – le stira le pieghe sul tessuto stampato della maglietta.
È viva, ci vede, è perfettamente cosciente – anche del fatto che le pacche di Volstagg assomigliano più che altro a un pestaggio in piena regola. E allora cos'era quella roba che ha visto? Un'allucinazione prodotta dal viaggio tra i due mondi?
«Quante volte capita che un'umana venga su Asgard?» domanda, rendendosi conto dell'eccezionalità della sua situazione.
«Mai, da moltissimi secoli» risponde l'uomo che lei aveva scambiato per una statua. Parla con voce cavernosa, monocorde. «Se la midgardiana è qui per evitare l'esecuzione, le conviene affrettarsi».
«Cosa? È oggi?» esclama Fandral.
Il gigante dalla pelle d'ebano annuisce con un movimento quasi impercettibile. «È adesso».
Nadia ha un sussulto, Sif l'afferra per un braccio e la trascina fuori dalla stanza. Corrono a perdifiato per una galleria con il tetto sorretto da statue alte come montagne, ma lei non riesce a cogliere nessun particolare e l'architettura asgardiana è l'ultima delle sue preoccupazioni.
Vorrebbe correre più in fretta, vorrebbe non sentire il respiro mancarle e l'aria bruciarle nella gola. Ma non ce la fa, si accorge che l'aria di Asgard è particolarmente densa, come se fosse piena di polvere, di certo non è fatta per lei e la ragazza non riesce a tenere il passo di quella corsa che il suo corpo da mortale non è in grado di sostenere. Cade, urta di nuovo con i palmi della mani, ma stavolta non sente il dolore, è troppo preoccupata e il rombo del sangue che le pulsa nelle orecchie copre ogni cosa. L'aria che respira le dà un senso di nausea.
«Ci penso io, ci penso io!» esclama Fandral. La prende per i fianchi e se la getta in spalla. Lo stomaco di Nadia si contrae e lei si rende conto che alla fine, quella di non fare colazione, non è stata poi un'idea tanto pessima.
Si ricorda che fino a mezz'ora prima era seduta su un aereo diretto in Italia.
Il cielo di Asgard sembra più basso, quasi una cappa di colore sulla città. E a lei sembra che stia per crollare addosso, invece è solo Fandral che l'ha lanciata.
Nadia atterra di pancia su qualcosa di liscio, tossicchia per il colpo e le sue mani cercano a tentoni di capire di che si tratta. È una sella? È stesa di traverso sul dorso di un cavallo dal pelo fulvo!
Hogun mormora qualcosa all'orecchio della bestia, poi allunga una mano a tirargli un leggero colpo sul fianco.  
«Aspettate, aspettate!». Nadia sente il panico salire come una marea e si aggrappa ai legacci della sella, incapace di sistemarsi in una posizione consona – e se anche riuscisse a sedersi a cavalcioni, sarebbe inutile, non ha mai cavalcato in vita sua. «Aspettate! Che cosa devo dire a Odino?».
La sua domanda resta senza risposta. Hogun colpisce il fianco del cavallo e l'animale parte a tutta velocità. Nadia vede scorrere un terreno erboso sotto di sé, poi una striscia di rena e ghiaia. Gli zoccoli sollevano polvere bianca e sabbiosa che le sale in gola e la fa tossire e starnutire.
Tutto quello che può fare e tenersi stretta al bordo della sella, per non cadere a terra tra gli zoccoli del corsiero fulvo.
Tra il rumore del galoppo e dei suoi stessi colpi di tosse, riesce a sentire una specie di boato, un'esclamazione corale di stupore.
Poi finalmente il cavallo si ferma, con un basso nitrito e lei semplicemente scivola a terra, incespicando. Scuote la testa cercando di mandare via un altro attacco di vertigine, per un attimo il mondo trema davanti ai suoi occhi e quando finalmente riesce a mettere a fuoco la scena, vede lo scintillio di una lama puntata contro la sua gola.
«Tu! Straniera, non osare muovere un passo!».
Sono finita a Granburrone...
Con la coda dell'occhio riesce a scorgere una grande tribuna dorata dalla quale alcune persone riccamente vestite la fissano attonite. Thor è una di loro.
Ed è così che giunsi in soccorso di Loki, al cospetto degli dei di Asgard, pensa, vestita con jeans e felpa di cotone, interrompendo un'esecuzione capitale arrivando stesa in groppa ad un cavallo, con braccia e gambe penzolanti ai lati della sella...
Magari un giorno, troverà un modo più epico per raccontare l'accaduto nelle sue memorie.
Oh, quanto vorrebbe che Tony fosse lì per vederla!   
Vorrebbe anche che la guardia smettesse di puntarle contro la lancia, però. È meglio che Thor si riprenda dallo shock e dica qualcosa in merito, perché lei non sa proprio da che parte cominciare.
Dal fondo del piazzale, vede arrivare Sif e i tre guerrieri a cavallo. La bella asgardiana smonta che il suo destriero sta ancora correndo, balzando a terra con un salto perfetto e fluido.
«Padre degli dei!» esclama a pieni polmoni, correndo verso la tribuna. «Vi scongiuro, dite alla vostra guardia di abbassare le armi! La giovane non è un'intrusa, l'abbiamo condotta noi qui e non intende arrecare danno».
Beh, questo dipende dai punti di vista...
Dalla folla si alza un'altra esclamazione di stupore. Nadia guarda le facce allineate ai lati della piazza, la vita degli asgardiani deve essere ben noiosa se si scaldano tanto per quel delirevole spettacolo.
Ha una stretta al cuore al pensiero del motivo per cui è lì, e per cui è presente tutta quella gente. Non ha il coraggio di cercare Loki con lo sguardo.
Thor urla qualcosa e la guardia si decide a mettere via la lancia. I tre guerrieri finalmente la raggiungono, si affiancano a lei e Fandral e Hogun l'afferrano, un braccio ciascuno, pilotandola sotto la tribuna.
Sì, un vero peccato che non ci sia modo di immortalare il momento. Nadia vorrebbe proprio vedere la sua stessa faccia in quell'istante.
In qualche modo percepisce gli occhi di Loki fissi su di sé, ma ancora non se la sente di voltarsi verso di lui, sa che il dio dell'inganno non vorrebbe farsi vedere in ceppi, provato dalla prigionia. E, a prescindere dai desideri di Loki, nemmeno lei sente di avere troppa voglia di assistere a un simile spettacolo.
Solleva lo sguardo verso l'uomo anziano fermo sul bordo del palco allestito per l'esecuzione. D'accordo, non è un uomo e il termine anziano non è del tutto preciso. Pensa che ne ha viste un po' di tutti i colori, ma non aveva mai visto un re prima di allora e la sensazione che le procura la vista di Odino è qualcosa di molto simile alla paura; forse è solo perché il Padre degli dei dispone di un potere enorme che lei nemmeno riesce a concepire, forse perché ancora più degli altri asgardiani che ha conosciuto, le sembra inumano, come se fosse qualcosa ben al di sopra di lei, un'idea più che un individuo... vecchio, immobile, eterno, incrollabile esattamente come un'idea.
L'unico occhio del re di Asgard è fisso su di lei. Gli occhi di tutti i presenti sono fissi su di lei.
Accanto a sé, Nadia vede Sif e gli altri tre inginocchiarsi, portandosi il pugno chiuso al petto.
«Chi è questa giovane straniera?». La voce di Odino è tranquilla e autoritaria.
«Lei, Padre degli dei, è Nadia di Midgard ed è qui per parlare a favore del condannato».  







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Note:

(*) lo spezzone di dialogo è preso parola per parola direttamente dal film.

Mike, già. SORPRESA!!!  Devo ammettere che in questa sua nuova veste simil-zombie mezzo lobotomizzato mi piace molto di più. E devo dire che è un elemento che si è aggiunto da solo, in fase di scrittura e ce lo teniamo così perché l'autrice è una darkettona-inside e le piacciono le cose macabre...

Questa storia circola da quasi un anno, c'è ancora chi la legge, chi mette mano al primo episodio della “trilogia”, chi inserisce le due storie concluse nei preferiti/seguiti/ricordati, chi mi scrive per farmi sapere che ha letto quelle fanfiction e darmi un suo parere. E io vorrei abbracciarvi tutti!
E come al solito, mi mette sempre un po' a disagio ringraziare sapendo che tutto quanto io possa scrivere è riduttivo e non rende nemmeno lontanamente l'idea di quanto vi sia grata e di quanto il vostro sostegno e il vostro interesse abbia significato per me.
Facciamo che questa settimana vi lascio un regalino piccolo piccolo. Si dà il caso che ho sistemato la scaletta e ho buttato giù la lista dei capitoli che saranno 18 o forse 17, a seconda della lunghezza di un certo passaggio. QUESTO è il calendario delle pubblicazioni, con  qualche anticipazioncina sui titoli futuri (con la straordinaria partecipazione del mio Loki domestico).

As usually, ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento ^^.

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Capitolo 5
*** Helter Skelter – part two ***


Capitolo quarto
Helter Skelter – part two


«Lei, Padre degli dei, è Nadia di Midgard ed è qui per parlare a favore del condannato» dice Sif.
Loki per un attimo pensa che se staccasse gli occhi dalla ragazza, questa sparirebbe così miracolosamente come è apparsa. Eppure, ha bisogno di sapere: Sif e i tre guerrieri non possono averla condotta lì di loro iniziativa.
La spiegazione più logica è che sia stata tutta un'idea di Thor, ma quando Loki scruta il volto del dio del tuono vi legge uno stupore tale che non può essere simulato, specie da uno come lui, così poco abile a fingere. Gli occhi di Frigga sono velati di lacrime e lo sforzo che la regina sta compiendo per trattenerle dimostra che anche per lei quell'evento è del tutto inatteso. Non resta che pensare che sia stata tutta opera di Odino e adesso Loki capisce, in un'illuminazione improvvisa, il senso delle parole pronunciate per emettere la sentenza: la condanna sarebbe stata la morte solo se e fino a quando qualcuno non fosse intervenuto per parlare a suo favore, per smentire il fatto che le sue azioni fossero state compiute solo in nome del male. E chi meglio di una midgardiana che ha a cuore la sua sorte, nonostante lui abbia attentato alla sicurezza del suo pianeta?
Non desidera morire, non lo ha mai desiderato e l'idea di non avere una scappatoia questa volta lo ha davvero portato a un passo dalla follia più disperata. Tuttavia, il pensiero che la scappatoia gliela abbia fornita il Padre degli dei è una consapevolezza che gli fa montare una collera tale da sopraffare persino il sollievo.
Quale sollievo? Nadia non ha ancora aperto bocca e non è detto che le sue parole servano a mutare la sentenza di morte in una condanna più mite.
E se, di fatto, non ci riuscisse? Con quale terribile rimorso sarebbe costretta a vivere?
Odino ha orchestrato un piano quasi perfetto per graziarlo senza esporsi in prima persona: se lo stratagemma andrà a buon fine, dovrebbe ottenere la sua gratitudine – illuso! - se fallisse, non potrebbe comunque prendersela con il re, ma solo con la midgardiana. E comunque vadano le cose, Padre Tutto non perderà un solo grammo della sua autorità e del suo prestigio agli occhi del popolo.
Loki lo detesta per essersi servito della ragazza.
Il dio dell'inganno cerca di non mostrare alcun segno evidente di turbamento. Ma le parole velenose che gli si condensano sulle labbra diventano più brucianti ogni istante che passa.
Se quello che Nadia ha da dire non bastasse a smuovere i suoi carcerieri, la lascerebbero lì a guardarlo morire? L'idea degli occhi di Nadia puntati su di lui durante i suoi ultimi istanti è un pensiero terrificante e confortante allo stesso tempo.
Ora Loki torna a guardarla, gli sembra che sia spaventata. Ha paura di fallire e ha paura di ciò che ha davanti agli occhi: quanto devono sembrarle ostili le facce di Odino e dei suoi tirapiedi che torreggiano su di lei come un'onda pronta a sommergerla...
Nadia prende un lungo respiro. Si china in avanti e si inginocchia al cospetto del Padre degli dei.
Il cuore di Loki ha una contrazione dolorosa e insopportabile a quella vista. È decisamente più di quanto possa sopportare e di istinto chiude gli occhi, reprimendo un'esclamazione furiosa.
«Non conosco le vostre usanze, perciò vi chiedo di perdonarmi se dovessi sbagliare a esprimermi» esordisce Nadia con voce calma e un tono così umile che farebbe fermare il vento.
Come è potuto accadere che i suoi adorati eroi le abbiano permesso di venire lì, a salvarlo? A Loki piacerebbe vivere abbastanza da saperlo.
Il cielo nuvoloso sembra rischiararsi, lasciando che il sole filtri tra la coltre di nubi. La luce incerta appiattisce le ombre sul selciato.
«Non sono qui a implorare pietà per il condannato, poiché non oso mettere in dubbio il vostro giudizio. Tuttavia, per la mia stessa pace, ci sono cose che desideravo dire, se volete farmi la grazia di ascoltare».
Il dio dell'inganno si costringe ad aprire gli occhi, per quanto la vista della ragazza in ginocchio dinnanzi alle autorità di Asgard lo disgusti e lo turbi. Malgrado tutto, sente un'ombra di sorriso aleggiargli sulle labbra; la ragazza non è mai stata una sciocca, ma lui non aveva idea che fosse così brava con le parole. Probabilmente ha fatto di necessità virtù, ma quel suo fare mite e sottomesso, quei suoi preamboli così riguardosi, potrebbero certamente bastare ad ammorbidire almeno un po' quei vecchi cuori aridi e quegli occhi rapaci che la stanno fissando.
Lo sguardo smarrito di Thor ha persino un che di esilarante. Probabilmente nemmeno lui si aspettava che la giovane fosse una tale imbonitrice di folle, o meglio, riuscisse con così tanta naturalezza a fingersi tale.
«Le tue parole sono cortesi quanto appropriate, giovane fanciulla» dichiara Odino. «Siamo pronti ad ascoltare qualsiasi cosa tu voglia dirci».
«Loki mi ha salvato la vita» dichiara Nadia, alzandosi in piedi. Un'affermazione chiara e semplice che deve suonare come un tuono alle orecchie di quei giudici.
«Un'azione lodevole, senz'altro. Ma si è preso le vite di tanti altri nel tuo regno» questiona uno dei lord.
«Non avevo ancora incrociato la sua strada quando è successo, non posso commentare le sue azioni» replica la ragazza. «Vi ho detto che sono qui per la mia pace, signori, perché io, per quello che ne posso sapere, non trovo condivisibile l'idea che Loki non abbia compiuto altre azioni che non fossero malvagie...»
«E così, tu sostieni che quella di salvarti la vita sia un'azione importante»
«Vorreste sostenere che lasciarmi morire non avrebbe fatto alcuna differenza?».
Il lord appare un attimo in difficoltà. Persino Odino lo guarda severamente: ai potenti di Asgard la vita di una singola mortale non deve apparire particolarmente preziosa ma è così inappropriato ammetterlo con tanta malagrazia il giorno dell'esecuzione di un individuo accusato di aver mietuto vittime innocenti. Oh, giusto... gli asgardiani e la loro proverbiale coerenza.
«Dico solo che potrebbe non fare la differenza, in questa particolare circostanza» tenta di difendersi il dignitario di corte.
Nadia inclina la testa, sa di essere riuscita a far vacillare il muro di intransigenza dei suoi ascoltatori. Ora Loki non può più trattenere quel sorriso.
«Potrebbe non fare la differenza, ma è una storia che gradirei ascoltare» dice Frigga.
Nadia comincia a raccontare tutto, dal principio. Non nasconde nulla e non dice nulla che suoni falso o ingannevole, ma riesce a far apparire sorvolabili i dettagli che il suo pubblico troverebbe meno gradevoli e a mettere in risalto ciò che sembra più positivo.
Dal suo discorso si evince che Loki detesta i Vendicatori, i paladini di Midgard, ma che li ha ugualmente aiutati e che non ha attentato alla loro vita pur avendone più volte l'occasione.
Le cose non sono esattamente così semplici e lineari. Questo lui lo sa e lo sa certamente anche Nadia, ma per adesso contano solo le somme che la corte di Odino è in grado di tirare.
«La tua storia è stata illuminante, fanciulla» conclude il re di Asgard, con aria pensosa. «Tuttavia, come possiamo essere certi che le tue parole non siano solo dovute a una qualche infatuazione?».
A Loki è già passata la voglia di sorridere. Certo, Odino deve recitare la sua parte, deve pur muovere qualche obiezione, sarebbe troppo sospetto se si limitasse a prestar fede a tutto ciò che ha detto Nadia.
Lei sorride con sicurezza, per un istante mette giù la maschera da intrusa che si scusa per il disturbo, pacata e soave, e torna ad essere la ragazza che Loki ha sempre conosciuto.
«Perché non si tratta di infatuazione, Padre degli dei» dichiara, risoluta. «Si tratta di affetto sincero e profondo».
Le parole sortiscono l'effetto desiderato, palesano l'importanza della testimonianza della giovane: se una midgardiana può provare affetto per il dio degli inganni, allora è impossibile non avere dei dubbi sulla malvagità irredimibile di un individuo capace di conquistarsi un tale affetto.
A Loki sembra ugualmente di aver ricevuto una sferzata in pieno petto. Non che avesse dubbi sui sentimenti che Nadia ha per lui, ma non avrebbe creduto la facessero giungere a tanto.
«Padre» interloquisce Thor, «il tuo giudizio diceva che la sentenza era di morte poiché era innegabile che Loki non avesse compiuto altro che male, eppure abbiamo tutti ascoltato la giovane... conosco questa fanciulla e il suo cuore è onesto e valoroso».
Loki alza gli occhi al cielo. Alla fine deve la sua unica possibilità di salvezza a uno sciocco cavillo stilistico che qualsiasi giuria potrebbe facilmente scavalcare, ma che sembra inattaccabile dopo il lungo discorso di Nadia. Dovrebbe essere grato del fatto che gli asgardiani tengono così di gran conto le parole esatte del loro re e la fede nella loro legge, che prendano così alla lettera tutto ciò che esce dalla bocca del sovrano.
Odino china il capo con fare assorto. Alla fine fa un cenno affermativo.
«Riportate il prigioniero a palazzo» ordina. «La sua fine di certo non giungerà oggi».
Solo a quel punto Nadia si decide a guardare verso di lui. Ha un'aria stravolta e incredula, come se fino alla fine non pensasse di avercela fatta. Mima qualche parola con le labbra, al dio sembra di leggere con esattezza: «tanto dopo ti ammazzo io».

*

La luce pallida del sole ha un riflesso inusuale sulla rena del piazzale e Nadia sente fastidio agli occhi. Resta immobile, a chiedersi cosa succederà adesso mentre davanti a lei Odino e la sua corte lasciano la tribuna e si apprestano a tornare a palazzo, come se di colpo si fossero dimenticati della sua presenza, della scampata esecuzione, di Loki, della folla che si disperde borbottando parole che diventano sempre più lontane fino a lasciarsi assorbire dal vuoto silenzio...
Certo, avvicinarsi ora, a parlare con la straniera, giunta provvidenzialmente a salvare il traditore che tutta Asgard attendeva di veder morire, sarebbe quanto meno sospetto. Odino può non essere il padre naturale di Loki, ma la sua mente è quasi altrettanto machiavellica.
Ma del resto, lei stessa ha giocato sporco. Quando ha sentito su di sé gli sguardi austeri della corte di Asgard ha pensato che l'unica cosa che poteva fare era dire ciò che volevano sentirsi dire. Non ha mentito, ma le sue non erano parole a cuore aperto, erano parole calcolate, ognuna delle cose che ha detto, o quasi. Non se ne pente eppure ha la consapevolezza di aver fatto una scelta, quel tipo di scelta che mai nessuno potrà definire del tutto giusta. Può aver instillato un briciolo di dubbio nella mentre degli asgardiani, ma i crimini di Loki restano incancellabili e irredimibili, e lei ne sente il peso, quasi come se ne fosse diventata complice.
Per un attimo, nella sua mente si fa strada il ricordo dell'allucinazione avuta appena giunta su Asgard. Le voci dicevano che non l'avrebbe salvato, ed è vero. La freccia che avvelena il cuore del dio dell'inganno si è conficcata troppo a fondo e lei non ha abbastanza forza da strapparla via, lei può solo sperare di riuscire – di essere riuscita – per qualche attimo ad attenuare il bruciore della ferita. Come se servisse a qualcosa...
Nadia si rende conto di non poter fare la differenza tra la felicità e il dolore di Loki. Tutto quello che può fare e che ha fatto fin ora, forse, è mettere un po' più di distanza tra lui e la sua definitiva caduta.  
L'aria ha ancora quella pesantezza insopportabile, è come respirare con il viso avvolto in una garza. E la luce del sole che adesso ha spazzato via le nuvole le stanca gli occhi.
La ragazza fa per voltarsi verso Sif e i tre guerrieri, in piedi dietro di lei, ma all'improvviso si sente travolgere da qualcosa. Qualcosa di enorme coperto di placche metalliche e dotato di braccia che la sollevano e la stringono, spingendola con veemenza contro le suddette placche in un abbraccio doloroso e mozzafiato.
«Aaah, Nadia!» esclama Thor. Troppo vicino al suo orecchio, per i suoi gusti. La ragazza sente la voce entusiasta del dio rimbombarle fino allo stomaco.
«Sei un maledetto idiota!» strilla a un palmo dal viso del figlio di Odino. «Come hai potuto non avvisarmi di tutto questo? E Jane sta ancora aspettando conferma del fatto che tu non ti sia suicidato...».
È agitata e confusa più che arrabbiata, ma la tensione accumulata la fa esplodere.
«E sono arrivata penzolando sul dorso di un cavallo davanti a tutta Asgard!» insiste, alzando sempre di più la voce. Urlare la fa sentire meglio.
«Sì, mia giovane amica, e sei stata magnifica!». Thor si decide a rimetterla giù.
Nadia lo prende a pugni sul braccio fasciato da una specie di sottile cotta di maglia, facendosi molto più male di quanto riesca a farne a lui.
«Dannazione, Thor! Dovevi dirmelo...».
Sente Volstagg borbottare qualcosa alle sue spalle. «Per gli inferi, sembrava così mite...».
Thor le afferra entrambe le mani con una sola delle sue. Nadia tenta di divincolarsi dalla presa, inutilmente, e l'attimo di furia comincia a scemare tra occhiate in cagnesco e respiri spezzati.
«No, coraggiosa ragazza, non dovevo affatto dirtelo. Era un peso che non ti spettava portare» dichiara il dio, sorridendole con dolcezza.
Lei strabuzza gli occhi. «Giusto, dimentico che appartieni alla stessa combriccola degli altri cinque che ho lasciato laggiù...» borbotta tra sé e sé. Potrebbe discutere lungamente del fatto che lei aveva il diritto di essere informata sulla cosa, ma intavolare un confronto sull'argomento con Thor sarebbe improduttivo e non è certo il modo migliore di trascorrere il tempo.
Mentre tornano verso il palazzo del re, Sif spiega a Thor degli ordini segreti di Odino e Fandral offre un dettagliato resoconto del viaggio da casa di Jane fino in aeroporto a bordo di una strana scatola di metallo volante. C'è materiale per prendere in giro la dottoressa Foster per almeno dieci anni, ma Nadia si dice che la cara scienziata ha già sofferto abbastanza e promette a se stessa di non fare mai menzione dell'accaduto.
Quando raggiungono la reggia di Odino, la ragazza si propone di prestare più attenzione ai rimarcabili dettagli architettonici, sarebbe un peccato sprecare quell'occasione. Tuttavia, la sua mente è troppo concentrata nel chiedersi cosa succederà adesso: se ha salvato Loki solo per condannarlo a un'eternità in gabbia, ha il dubbio che lui non gliene sarà particolarmente grato. Ma non ha il coraggio di fare domande.
Entrano in un androne dal soffitto così alto che è quasi impensabile credere che la costruzione non crolli su sé stessa. Ovunque si volti, la ragazza vede superfici d'oro tirate a lucido e i riflessi dei passanti come macchie di colore sbiadite, spettri su muri di luce.
Una volta, nella sua ultima sera a Venezia, Thor le aveva detto che Asgard non le sarebbe piaciuta, e aveva ragione. La trova straordinaria, ma la bellezza è un'altra cosa.
Una donna con un vestito di morbido tessuto argentato spunta come dal nulla dietro ad una fila di colonne e fa un gesto ossequioso alla volta di Thor. Naturalmente hanno le ancelle su Asgard.
«Mio principe, vostra madre la regina vorrebbe conferire con la giovane straniera» dice compita la donna.
«Molto bene, la condurrò da lei all'istante» risponde il dio del tuono.
Chi gli dice che lei voglia conferire con la regina? Ha già conferito abbastanza, con tanto di inchini, salamelecchi e genuflessioni. Ma Nadia si rende conto che non può opporsi e afferra il braccio che Thor le sta cavallerescamente porgendo, lasciandosi portare attraverso un dedalo di corridoi.
La stanza in cui Nadia viene accolta è di forma ovale, arredata con uno stile che rimanda all'Oriente – quello della Terra. I pavimenti sono nascosti da morbidi tappeti, bassi divani di velluto traboccano di cuscini colorati e tende vaporose tremano davanti alle finestre socchiuse.
L'alta figura della regina, in un abito color avorio, svetta al centro della stanza. Il contrasto che le sue vesti chiare formano con i tendaggi e le tappezzerie la fa sembrare quasi una parte dell'arredamento, una strana e bellissima statua, ma poi la sovrana si avvicina alla ragazza, le prende le mani nelle sue e la guarda con la dolcezza di una madre e la decisione complice di una donna che conosce la fatica del lottare. E Nadia si sente come uno straccio da bancarella in una vetrina di atelier.
«Sono lieta di averti potuta incontrare, fanciulla» le dice la sovrana con voce morbida. Un tono caldo come le sue dita attorno a quelle della sua interlocutrice.
«Io sono molto... onorata, maestà». Nadia non ha la più pallida idea di come rivolgersi in privato a una sovrana di un altro mondo. Lancia un'occhiata furtiva a Thor, che ora è alle spalle di Frigga e lui fa un goffo gesto di OK con il pollice alzato – questo deve averlo imparato dalla sua combriccola terrestre.    
«Non so come esprimere la mia gratitudine per ciò che hai fatto per Loki»
«Grazie a voi, per avermi ascoltata».
Frigga scuote la testa, anche in un gesto così semplice appare elegante come un cigno. Le ricorda suo figlio... non Thor, l'altro figlio, quello elegante, appunto. Loki può ripetersi all'infinito che quella non è la sua famiglia, che il dio del tuono non è suo fratello e il re e la regina di Asgard non sono suo padre e sua madre, ma a ben guardare sono solo menzogne e Nadia non può fare a meno di chiedersi quante altre bugie il dio degli inganni abbia raccontato a se stesso, prima ancora che agli altri.
«Nadia, non mi riferivo a quello che hai fatto oggi». Il sorriso di Frigga è velato da una malinconia agrodolce. Alla ragazza sovviene l'idea che gli dei possano vedere tutto, possano conoscere ciò che accade negli altri regni, lontano da Asgard, e che quindi la regina sia al corrente di tutti i suoi trascorsi con Loki. È per quello che la sta ringraziando?
«Di certo una madre sa bene quanto me che l'amore non ha bisogno di ringraziamenti» mormora, con una solennità che stupisce persino se stessa.
Ecco. Lo ha detto. E comunque, amore o meno, continua a chiedersi che ne sarà di Loki e allo stesso tempo si ripete che non ha la forza di incontrarlo. Ammesso che sia previsto che glielo facciano incontrare.
Pensa che quello sia il momento adatto per cominciare a fare domande in merito, ma la porta della stanza si apre di colpo e Odino fa il suo ingresso, avvicinandosi a lei con ampie falcate.
Si è tolto il mantello e l'elmo color platino, e ora le sembra un po' meno maestoso. Ma non abbastanza da non farle provare un moto di nervosismo.
Ne ha paura, deve ammetterlo, anche se sa che è una paura infondata perché il re di Asgard non ha alcun motivo per danneggiarla in alcun modo né potrebbe trarne vantaggio. E poi lui le ha salvato la vita, quando era stata pugnalata a Venezia. E allora perché la guarda con quell'aria rapace?
Se si aspetta altri inchini e altre cerimonie si sbaglia, quella di poco prima nella piazza è stata una messinscena a uso e consumo della corte di Asgard – e uno dei motivi per cui lei ora vorrebbe uccidere Loki con le sue stesse mani, se non le apparisse un tale spreco essersi precipitata a salvarlo per poi strangolarlo poche ore dopo.
Odino deve aver colto la sua aria titubante ma non troppo amichevole, infatti decide persino di concederle un accenno di sorriso conciliante.
«Lady Nadia, ora che ti incontro capisco molte più cose».
La ragazza tenta di ricordarsi che quello è l'individuo che l'ha salvata dalla morte. Ma le sue parole la disorientano.
«Ti ringrazio per aver risposto alla mia chiamata e per aver dato una prova così tangibile del tuo affetto per Loki»
«Come dicevo alla regina, maestà, non c'è nulla di cui dovete ringraziarmi».
Il re di Asgard fa un vago cenno di assenso. C'è un'eternità di pensieri dietro il suo volto nobile, un'eternità di battaglie e sicuramente anche di preoccupazioni e di dubbi.
«Dunque, tieni così tanto a Loki» dice come se stesse seguendo il filo di un proprio ragionamento personale. «Faresti tanto per lui...».
È un modo un po' controverso di mettere le cose. Lo ha salvato, ma sa che lei e il dio dell'inganno viaggiano su due strade distanti, verso mete molto diverse. È una cosa dolorosa con la quale è dovuta scendere a patti, non cambia di una virgola i suoi sentimenti per lui, ma di certo stronca sul nascere ogni possibilità per il futuro e quindi mette dei confini piuttosto precisi a ciò che lei può tollerare di fare.
«Ho i miei limiti, maestà» risponde.
Odino le scocca un'occhiata penetrante. «E fino a dove possono spingersi questi limiti?».

*

Sul tavolo, nella sala da pranzo del grande attico in cima alla torre, ci sono sette tazze di caffè ormai vuote. C'è anche una bottiglia di gin che Tony Stark ha messo a disposizione di chi avesse bisogno di qualcosa di un po' più forte del caffè.
Nadia è partita per Asgard da almeno sei ore. Steve si chiede se il fatto che la pioggia sia cessata e il cielo abbia cominciato a rischiararsi non sia un segno del fatto che la ragazza abbia avuto successo. Non può esserne sicuro.
«Dobbiamo dirlo a Fury?» domanda Bruce, gettando indietro la testa, poggiandola contro la spalliera del divano.
«Fury e Thor hanno un rapporto di tipo diplomatico» dice Natasha Romanoff. «Immagino che lo verrà a sapere comunque».
«Sì, ma credo che la domanda del dottore fosse un po' più precisa» osserva Barton. «Suppongo che riguardasse la quantità di dettagli che dovremmo o non dovremmo fornirgli».
«Tipo: ehi, sai Nick, sono arrivati quattro asgardiani e abbiamo mandato Nadia con loro, invece che farla tornare in Italia, per fare in modo che la testa di Bambi non finisse imbalsamata sulla parete di una baita di cacciatori divini. Questo genere di dettagli, intendi?» sbotta Stark.
«Thor potrebbe sempre dirgli che Odino ha deciso di graziare Loki, senza spiegargli il perché» suggerisce la dottoressa Foster.
«E Fury non si porrà alcuna domanda sul perché Nadia non è più tornata in Italia? È orbo non è mica scemo» conclude Barton, stropicciandosi il viso con le mani.  
«Siete i suoi eroi, cosa potrà mai farvi?» insiste la scienziata.
«Jane, lei sopravvaluta enormemente la nostra posizione...» dice Bruce con una risatina nervosa.
«Forse dovremmo sparire per un po'. Trasferirci su Asgard anche noi, fino a quando non si saranno calmate le acque» interloquisce la Romanoff. Non riescono a capire se la sua sia una battuta o meno.
«Con il calmarsi le acque intendi fino a quando Fury non avrà contratto l'Alzheimer?» borbotta Stark, lanciando occhiate sempre più vogliose alla bottiglia di gin.
«Che ne sappiamo, magari Nadia non è riuscita a evitare l'esecuzione...». Barton si stringe nelle spalle e l'afferra sul serio, la bottiglia.
«Oh, andiamo!» esclama Steve. «Magari ha evitato l'esecuzione, ma Odino ha trovato comunque un modo di tenere Loki fuori dalla pista. Non crederete che lo grazi e lo lasci di nuovo a piede libero nell'universo?».
La signorina Potts si mette a raccattare le tazze sporche. Sembra evitare di partecipare alla conversazione per una sorta di timore superstizioso. Oppure perché ha da dire cose che a loro non farebbe piacere ascoltare e non vuole dare a Tony una scusa in più per finire tutta la bottiglia di gin.
Non serve a molto. La bottiglia comincia a fare il giro dei presenti. Nell'arco di un quarto d'ora sembrano tutti meno tesi, tanto che Steve, perfettamente sobrio, si sente un po' un disadattato.  
«Quale potrebbe essere la pena esemplare per Loki?» domanda la Romanoff, sovrappensiero.
«Essere privato dei suoi poteri, trasformato in un mortale...» ipotizza Bruce – nemmeno lui ha bevuto, ma si accoda con estrema facilità al momento di follia collettiva.
«Oh, sì, a Odino piace quel genere di cose» commenta Jane Foster con voce impastata.
«Lo aveva fatto con Thor, per punirlo, giusto?» dice Barton, con un mezzo sogghigno. «Me lo ricordo, sì, sì... e anche da mortale picchiava forte, il ragazzo!»
«Un momento, un momento... che state dicendo?» borbotta Stark, sgranando gli occhi e portandosi una mano alla fronte in un gesto teatrale. «Che Odino mette in castigo i figli disobbedienti mandandoli sulla Terra senza poteri?!»
«Già...» biascica l'astrofisica. «Fanno proprio un bel capitombolo quando vengono giù».
Tutto si fa immobile per un istante. Tutti trattengono il respiro.
«Oh, no, cazzo!». Steve non sa chi lo abbia urlato per primo.

*

«No».
Thor deve reprimere l'impulso di nascondere il viso tra le mani o picchiare il capo contro il muro. Non si aspettava una risposta diversa da parte di Nadia e se Odino lo avesse avvisato che intendeva proporre alla ragazza di indurre Loki a bere il filtro dell'oblio, lo avrebbe messo in guardia dal provarci, o quanto meno dal proporle la cosa in modo tanto scontato e autoritario.  
La fiala, ultimo campione superstite di un potente siero proibito, è appoggiata al tavolo. Il suo contenuto argenteo e traslucido ha riflessi minacciosi.
Al dio del tuono sembra impensabile che l'ingerire quel singolo sorso di pozione possa cancellare la memoria e la parte peggiore dell'esistenza di un individuo – che possa, ad esempio, trasformare Loki in una persona normale, senza poteri e senza più il ricordo dell'odio per la sua famiglia e del tempo vissuto su Asgard. Gli sembra impensabile e orribile, per questo ha sempre guardato con sospetto alla magia, come molti altri asgardiani.
All'inizio, quando suo padre gli aveva detto di aver escogitato quel tipo di soluzione per Loki, Thor ne era stato turbato fino all'inverosimile, ma il re di Asgard insisteva che quella fosse l'unica maniera di salvare suo fratello, dato che non c'era verso di ricondurlo alla ragione.
Thor aveva voluto continuare ad alimentare la speranza e tentare di preservare Loki da un simile tranello, per questo aveva sperato che i sentimenti per Nadia fossero abbastanza forti da cambiarlo, da dargli una ragione per abbandonare la via intrapresa fino a quel punto. Ma il dio del tuono era stato cieco, si era rifiutato di vedere fino a che segno Loki si fosse inoltrato in quel sentiero, spingendosi oltre il punto di non ritorno.
«La situazione di Loki necessita un provvedimento» replica Odino, irritato dal rifiuto della ragazza.
«Se questa è la soluzione che avete in mente, maestà, allora tanto valeva giustiziarlo». Nadia parla con voce misurata, ma le sue parole trasudano amarezza, persino un vago tono accusatorio.
Thor si sente ferito dallo sguardo che ora la ragazza le sta rivolgendolo, guardando verso di lui.
«Pensavo fossi disposta a capire» sospira Odino. Più lui si mostra deluso, più Nadia sembra inviperirsi e il dio del tuono ha paura che se la sua giovane amica ripeta ancora una volta che la morte di Loki sarebbe preferibile alla somministrazione del filtro, il re di Asgard possa prenderla in parola.
«Padre, ti prego» interviene Thor, impedendo alla giovane di dar voce a una replica che potrebbe suonare troppo sgradita alle orecchie del re. «Anche io ho sempre avuto delle remore riguardo a questo progetto... è un gesto disperato, e la disperazione può indurre a commettere errori anche per le menti più sagge e avvedute».
Lui vuole che Nadia sappia che ha il suo sostegno, che le dà ragione. Che non merita le sue occhiate di biasimo.
«Non sono il tuo re, lady Nadia e per questo non posso darti ordini» sibila Odino, spazientito. «Ma vorrei sapere tu e mio figlio quale altra soluzione suggerite, visto che siete così inclini a ritenere la mia poco apprezzabile».
«Una volta mi mandasti su Midgard, privo dei miei poteri, perché imparassi...»
«Thor, la situazione era differente. Avevi commesso un errore e volevo che imparassi ad essere più umile e accorto. Ma le azioni di Loki vanno ben oltre l'insegnamento e non si sta parlando di un singolo errore dovuto all'imprudenza o all'avventatezza».
Nadia prende un lento respiro, a stento evita che si trasformi in un grido. Sa che Odino ha ragione, come lo sa anche il dio del tuono, ma questo non significa che sia disposta a giocare a Loki un tale tiro mancino. Strizza gli occhi e li riapre, cercando di darsi un tono conciliante. «Mi avete fatta venire qui per aiutare Loki perché eravate certo che il mio affetto per lui potesse ammorbidire la vostra gente... o quale che fosse l'idea» dice, appoggiando i palmi sul tavolo, come per sorreggersi o per trattenersi dall'avere qualche scatto inconsulto. «Se date tanto credito al mio ascendente potete almeno lasciarmi tentare un'ultima volta, ma senza sotterfugi, senza tranelli, lasciandomi fare a modo mio».  
«E se fallissi, ragazza?».
Nadia non ha risposte per questa domanda e non riesce a sostenere lo sguardo del Padre degli dei.
«Lasciatemi tentare» ripete, semplicemente. Lo dice in tono implorante e timoroso, ma non si rende conto di aver appena sfidato il re di Asgard.
«E sia» risponde Odino, non senza una certa freddezza. «La punizione di Loki sarà l'esilio, sotto la tua supervisione, lady Nadia. Questo significa che sarai ritenuta direttamente responsabile di qualsiasi sua azione, insieme a mio figlio che si è tanto prodigato per sostenerti»
«Gli amici di vostro figlio sono bravissimi nel supervisionare Loki, possono certamente darmi qualche suggerimento» conclude Nadia, indispettita. Thor le posa una mano sulla spalla e stringe leggermente.
Basta così, mia giovane amica.
«Ora posso vedere il prigioniero?».
Odino fa un cenno con la testa, chiama due guardie e Nadia lascia la stanza insieme a loro. Thor si affretta a seguirla.
«Ti rendi conto di cosa hai fatto?» le mormora all'orecchio.
«Un po'» sospira lei. Tutta la sicurezza ostentata fino a un attimo prima era solo una finzione, ora il suo sguardo lascia trasparire tutta la sua preoccupazione e la consapevolezza di essersi arrischiata su un sentiero insidioso.
«Mi piacerebbe poter dire il contrario, ma non ce la faremo...»
«Lo so»
«Bene. E comunque sia, Stark mi ucciderà e il comandante Fury vorrà la tua testa. Potrei azzardare che siamo già morti».
Nadia si ferma per un attimo a guardarlo in tralice. «No, ma lo saremo se Loki venisse a sapere di quella cazzo di pozione magica!».

*

Loki per un attimo si chiede se la sua condanna non sia mutata in qualcosa di ben più orribile della morte, come ad esempio restare chiuso in quella torre, senza poteri, fino alla fine dell'eternità.
Non sa da quanto tempo lo hanno ricondotto alla sua cella e, quello che più detesta, non sa cosa stia succedendo con Nadia, cosa Odino stia architettando e in che modo voglia ancora coinvolgerla.
Sente la voglia irrefrenabile di prendere a calci la porta per buttarla giù, ma non ci riuscirebbe e lui detesta sforzarsi per niente.
Si volta, afferra il guanciale dello squallido giaciglio improvvisato a ridosso del muro e ne fa a brandelli la copertura di stoffa.
Si aspettava di morire quella mattina, e così non è stato. Eppure non si sentirà tranquillo fino a quando non riceverà notizie certe sul suo avvenire.
Se davvero il suo destino fosse quello di giacere in quella oscurità, marcendo fino alla fine dei tempi, avrebbe la forza di invocare la clemenza di una morte rapida?
Sente dei passi avvicinarsi lungo il corridoio, si volta di scatto verso la porta.
«Devi passarci attraverso» spiega la voce di Thor a qualcun altro.
Dopo qualche secondo, Nadia emerge dal battente scuro, con una smorfia perplessa. Guarda per un istante la porta tornata di solido metallo dietro di lei, poi se ne dimentica e comincia a fissarlo.
La scalata alla torre deve averla provata; ha il viso arrossato di chi fa fatica a respirare.
«Non sapevo amassi così tanto il turismo» le dice.
«Infatti non lo amo. Un motivo in più per non vedere l'ora di tornare a casa...»
«Esatto, casa è proprio il posto in cui mi aspettavo tu fossi, dopo il nostro ultimo incontro».
«Non puoi semplicemente dirmi grazie?».
Ringraziare è un'abitudine che Loki ha smarrito da tempo. La sua memoria gli rimanda l'immagine di Nadia in ginocchio davanti a Odino e si accorge che trovare le parole adatte gli risulterebbe impossibile. Che forse lei nemmeno ha bisogno di ascoltarle perché gli è appena volata tra le braccia.
Gli piace pensare che quello che Nadia ha fatto per lui sia ovvio, naturale, ma è solo un'altra menzogna che si aggiunge alla lista delle bugie che il dio dell'inganno racconta anche a se stesso. Nadia può comprenderlo, può persino amarlo, ma non può condividere appieno tutto il suo operato e lui sa che la ragazza è dotata di quel tipo di coscienza che la porterà a fare i conti con quello che è accaduto; sa che, come ogni essere umano, non è capace di affidarsi totalmente al destino e necessita di dare un senso alle proprie scelte, di stabilire un prezzo per le proprie azioni. E Nadia è persino quel tipo di essere umano che ha l'orgoglio di volerlo pagare, quel prezzo, come i suoi maledetti adorati eroi.
Loki le appoggia una mano sulla schiena, la trattiene contro di sé e sente un sospiro di sollievo, chissà da quanto trattenuto, soffiare via dalle labbra di Nadia.
Lei si scioglie lentamente dall'abbraccio e lo guarda come ad assicurarsi che stia bene e che, evidentemente, possa reggere la notizia che deve dargli. Perché ha proprio l'aria di avere notizie importanti.
Non sta bene, e non ha idea di quanto sudicio e disordinato debba apparire.
«Sei diventata la messaggera di Odino, ora?» mormora, leggermente piccato.
«Odino non mi vorrebbe nemmeno come sguattera nelle cucine, fidati...» risponde lei. La interroga con lo sguardo a proposito di una simile affermazione, ma lei lo ignora. «Io e Thor abbiamo cercato di mediare, e non sono sicura che tu lo meriti».
«Come hai detto tu stessa, in modo tanto accorato, io ti ho salvato la vita» dice il dio, serafico.
«Anche io. Due volte. Odino ha deciso che verrai mandato sulla Terra, senza poteri e sotto la supervisione mia e di Thor... ti prego non fare battute in merito a questa faccenda della supervisione perché potrei ucciderti».
Loki annuisce. E così, sono punto e a capo, con Thor e Odino a sperare in una sua redenzione, nel fatto che lui possa imparare qualcosa da quelli che loro ritengono errori o dal castigo che hanno scelto di imporgli. E Nadia, cosa pensa lei? Cosa spera?
«E qual'era l'alternativa?» domanda.
«Come, scusa?»
«Hai detto che tu e Thor avete mediato. Su cosa? Quali altri progetti aveva in serbo Odino?».
Nadia scrolla le spalle. «Trovare una sistemazione adatta a farti trascorrere l'eternità nel tedio più assoluto, suppongo, o peggio. Ricordi quel libro sulla mitologia che trovammo in libreria a New York, ecco... mi stavo giusto chiedendo se il serpente che sbrodola veleno non faccia parte degli animali da compagnia del re».
Sta mentendo. È molto ingenuo da parte sua credere di poter mentire al dio dell'inganno, ma forse vuole solo risparmiargli altra rabbia. Non che ce ne sia bisogno, qualsiasi altro colpo basso del Padre degli dei sarebbe comunque come pioggia sul bagnato.  
Nadia continua a fissarlo, incerta.
«Non capisco, l'hai presa bene o stai solo cercando di fregarmi?» gli chiede.
«Stamattina ero convinto che sarei morto».
Non ha abbastanza energie, né la sua mente si è del tutto rischiarata perché possa pensare a un piano. Questo non vuol dire che non ci penserà in futuro, il prima possibile, tuttavia ora proprio non gli sembra il caso di angustiarsi o di angustiare Nadia. Per quanto l'idea di trovarsi in una condizione simile a quella dei mortali lo inorridisca, pensa che potrebbe addirittura concedersi qualche giorno di tempo, una sorta di pausa persino da se stesso.
Il pensiero lo stupisce. Non si era accorto di essere davvero così tanto stanco. Ma lo è, lo è fino in fondo all'anima e se vuole continuare sulla strada che ha scelto – quale altra possibilità ha? - quella potrebbe forse essere l'unica oasi in mezzo al deserto, l'ultimo rifugio prima della tempesta. E gli inferi lo sanno se non ha bisogno di fermarsi a riposare e mettere ordine nella sua mente!
Ma avrebbe ugualmente preferito che la ragazza fosse tornata a casa, nella sua città sull'acqua. Avrebbe preferito non avere ulteriori motivi di esserle grato. Quantunque l'idea di presentarsi ai suoi amici Vendicatori come ospite lo diverta non poco.
Il suo sguardo si incupisce, e il dio resta a fissare le tenebre che avvolgono lui e la ragazza, come se cercasse di districare le trame di un disegno che sicuramente è stato già tracciato ma che lui non riesce a decifrare.
«Loki?». Nadia agita una mano a mezz'aria, catturando nuovamente la sua attenzione. «È stato Odino a mandarmi a chiamare. Io non sapevo cosa stava succedendo».
È una nota di rimprovero quella che sente in quelle parole?
«Non volevo che lo sapessi».
Un'ombra di malinconia passa sul volto della ragazza e si va ad aggiungere alle altre ombre di quell'assurda prigione. Ma lei non cede.
«Odino ha voluto che ti salvassi» aggiunge, sentendo il dannato bisogno di palesare l'ovvio.
«I sensi di colpa del Padre degli dei giungono tardi. Se è di questo che stiamo parlando» precisa lui. Giacché si stanno dicendo cose ovvie, allora tanto vale aggiungere anche la sua verità. «È un re presuntuoso, gli piace elargire misericordia, ma se spera che io torni come un cane a leccargli le dita, si sbaglia. E se è questo che tu speri io faccia... beh, non sarò certo dispiaciuto di deluderti».
«Stavo solo dicendo...»
«So cosa stavi dicendo!».
È lei che non sa, che non capisce. Se Odino ci teneva tanto a graziarlo, perché non si è esposto in prima persona, difendendolo davanti al suo popolo? Avrebbe potuto cancellare con una sola parola quegli sguardi ostili e accusatori... ma non l'ha mai fatto, non l'ha fatto in passato quando tutti coloro che gli stavano attorno ritenevano che lui non fosse abbastanza, non l'ha fatto quando lui era in bilico, sospeso sul vuoto al di sotto del Bifrost, non lo ha fatto quando Thor lo ha ricondotto su Asgard in ceppi, umiliandolo con quella ridicola museruola dopo la sconfitta di New York. Non lo ha fatto quella mattina, che se Nadia non fosse giunta in tempo, Loki ne è certo, il Padre degli dei non avrebbe mosso un dito per fermare il boia.
Lo chiama figlio – così come Thor ancora lo chiama fratello – ma per un figlio l'amore di un padre non dovrebbe essere da interpretare, non dovrebbe lasciarsi desiderare.
Dell'amore di Odino lui ha ricevuto sempre e solo gli avanzi.
Nadia lo guarda con un moto d'ira. Per un attimo si aspetta persino che la ragazza possa colpirlo.
«Non dovevi farlo» le dice, dopo lunghi istanti di silenzio.
«Cosa?»
«Inginocchiarti davanti a Odino e ai suoi tirapiedi. Non dovevi farlo, per me».











________________________________________

Note:

Questa storia mi era sembrata relativamente facile in fase di progettazione, è meno contorta e ha meno passaggi di Stranger than you dreamt it, ad esempio, però nello scriverla mi sto rendendo conto che è piena di passaggi che suonano strani fino a quando lo sviluppo degli eventi non li chiarifica, per cui vi chiedo di “aver fede”. Ad esempio so che Odino che si lascia convincere dallo sbraitare di Nadia appaia strano (per non dire stupido), ma... abbiate fede, appunto, ne riparleremo nel prossimo capitolo.
E aggiungo: Loki, sulla Terra, senza poteri. Feticcio di molte fanwriter. Non durerà a lungo. Non durerà affatto.

Ancora una volta, devo ringraziarvi. Hanno inserito A series of unfurtunate events tra le scelte della sezione e io ancora stento a credere a tutto l'affetto che le mie storie hanno ricevuto. Grazie, grazie grazie!


Spammino random: ho aggiornato Una goccia di splendore, nella sezione Thor. Se per caso qualcuno avesse tempo e voglia.

Per domande e curiosità: Profilo Ask.

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Capitolo 6
*** Full dark, no stars ***


Capitolo quinto
Full dark, no stars


La Morte ha fame. Sempre.
Raahm osserva le nuvole rade spostarsi in quel cielo prossimo al tramonto, nuvole che disegnano arabeschi di ombre sul terreno rossiccio.
È appoggiato con la schiena alla fiancata di una macchina bianca, con la nocca dell'indice segue il solco ruvido di un'ammaccatura coperta di ruggine.
L'altra mano è imbrattata di sangue fresco, con la sua consistenza tiepida e vischiosa, e lui apre e chiude il pugno cercando di trattenere quella sensazione sulla pelle, perché gli fa sentire meno freddo, almeno per un po'.
Il cadavere riverso sul terreno lo fissa con gli occhi vuoti, dove si legge ancora un vago riflesso di paura. È un uomo biondo, sulla quarantina, il viso puntellato da lentiggini uguali alla ruggine che chiazza le auto, lo squarcio sul suo torace è visibile oltre i lembi della giacca impermeabile e del maglione, sembra una bocca aperta che chiede altro cibo.
Non adesso.
Raahm sbatte le palpebre e segue con lo sguardo la striscia di sangue che corre diritta dal corpo morto fino a lui, sporcandogli le punte delle scarpe. Tanto sangue che il terreno già rosso non sa che farsene.
Cala la mano sul rivolo scarlatto e scopre con rammarico che è già freddo.
Un baluginio di razionalità gli attraversa la mente come un proiettile. Il giovane sgrana gli occhi, sconcertato.
Che cosa ho fatto?!
Si chiede quando sia successo, come sia potuto accadere. Lui non ha mai ucciso nessuno, e anche quando era giunto sulla Terra con quello che rimaneva del suo popolo in esilio, non aveva mai pensato di sporcarsi le mani e i piani prevedevano solo la disfatta del figlio di Odino, tutto il resto erano solo minacce, strategie.
Lui non è un assassino. E allora perché quando ha sentito i passi dell'uomo biondo avvicinarsi, gli ha teso un agguato e lo ha ucciso, trapassandolo con lo scettro? Avrebbe potuto restare nascosto fino a quando lui non se ne fosse andato... avrebbe...
La Morte ha fame.
E lui ora appartiene alla Morte. Non è padrone di se stesso, né della sua mente; è lì per svolgere un compito e le sue catene non sia allenteranno fino a quando non lo avrà svolto, non sarà davvero libero da quel giogo, da quella smania, da quella... follia.
E sopratutto, da tutto quel freddo.
E il sangue che scorre fino a lui è già gelido e ogni sollievo sembra sparire dalla sua pelle e dai suoi pensieri.
La Morte ha fame. E lui adesso è solo con Lei e con la sua bocca perennemente spalancata.  
Raahm si volta, cammina a carponi lungo la striscia tracciata dal sangue che ha lasciato scorrere. Raggiunge il cadavere. Gli occhi aperti sono vacui, lontanissimi, puntati verso un altrove invisibile: il giovane ha un brivido al pensiero di quanto sia lontano quell'altrove.
La Morte ha fame e lui ha freddo.
Con un gemito di pena affonda le mani nel grande squarcio aperto dall'estremità affilata dello scettro. La carne è fibrosa, oppone resistenza anche se non c'è più un solo alito di vita in quel corpo. L'osso frantumato dello sterno è uno spunzone che taglia. Ma Raahm continua ad affondare le mani nella cavità toracica dell'uomo, alla ricerca degli ultimi scampoli di calore. Un calore che non c'è più, c'è solo la consistenza flaccida di tutto quello che riempie un corpo e un odore pungente, acido e dolciastro.
Vista da quella prospettiva, la vita non sembra una gran cosa. Gli individui sono sacchi di pezzi di carne tenuti assieme dalla pelle.
Forse è proprio perché la vita è così inconsistente che la Morte è tanto insaziabile.
Raahm si accascia sul corpo esanime, esasperato.
Vede il proprio riflesso in una pozzanghera. Vede il pallore livido del volto, gli occhi gonfi, come vesciche di liquido torbido, vede le labbra violacee, quasi nere, i capelli spettinati in ciuffi simili a sterpaglie e la pelle così tesa da sembrare inconsistente.
La Morte ha fame, anche di lui, e lo sta divorando.   

*

Scendere quell'infinita scala a chiocciola le dà le vertigini, ma Nadia non vede l'ora di liberarsi da tutto quel buio e perciò continua a scendere sempre più rapidamente, con le mani appoggiate alla parete come unico sostegno.
Le gambe le fanno male da morire quando finalmente si lascia alle spalle la torre; si massaggia la fronte cercando di allentare la morsa che sente stringersi ad altezza delle tempie.
Quando diventa consapevole del peso che le si è bloccato al centro del petto, si dà della codarda. Riconoscere la paura dovrebbe essere un primo importante passo verso la soluzione di un problema, ma dopo quello lei non ha altre mosse da fare e i suoi problemi sono privi di soluzione.
Loki è salvo. Non dovrebbe essere questa la sola cosa che conta?
Nadia si tormenta i capelli con le mani.
Salvo, sì, ma per quanto? Salvo solo fino a quando smetterà di ritenere accettabile la tregua concessagli da Odino. E allora lei non potrà fare nulla per fermarlo, o per fermare qualsiasi decisione il Padre degli dei voglia imporre.
La ragazza realizza quanto è enorme l'impegno che si è presa, quanto tutto sia ben al di là delle sue possibilità. Come sempre.
Come andare in America e cercare di trovare un senso alla follia che le era piovuta addosso.
Come tentare di vivere una vita normale malgrado tutto.
Come aiutare gli Avengers.
Come salvare Tony.
Come tornare a casa e ricominciare.
Come tutto quello che era la sua vita prima che un dio in guerra contro il mondo piovesse davanti alla sua porta, a cercare un antico gioiello perduto del suo popolo: un rincorrersi di fallimenti.
Fallirà anche questa volta, perché ha visto la furia che si è accesa negli occhi di Loki al solo nominare Odino, la rabbia trattenuta a stento che rendeva la sua voce simile al rumore che fa il vetro quando si spezza. E questo nonostante il Padre degli dei abbia, di fatto, escogitato un piano perfetto per evitargli il patibolo.  
Fallirà perché Loki non ha bisogno di sentirsi dire alcun «ti amo», ma solo «sono dalla tua parte». E la sua non è la parte da cui Nadia può scegliere di stare.
Fallirà, come hanno detto le voci che le hanno attraversato la testa quando è arrivata su Asgard. Fallirà, ma ormai non può esimersi dal tentare, e nemmeno vuole farlo.
«Thor sta predisponendo tutto per il vostro ritorno su Midgard». La voce di Sif la strappa alle sue cupe riflessioni da derelitta.
Nadia fissa per qualche secondo la guerriera asgardiana come se cercasse di capire bene quello che lei le ha detto. D'impulso si nasconde il viso tra le mani.
Cosa diranno Tony e gli altri quando pioverà sulla Terra con Thor e Loki al seguito?
Cosa dirà la sua famiglia quando non la vedrà arrivare all'aeroporto di Malpensa?
Come spiegherà tutto a tutti?
Nadia vorrebbe urlare, ma avverte lo sguardo di Sif puntato su di sé e si costringe a mantenere un contegno dignitoso. Gli occhi dell'asgardiana sono verdi, come un prato nei giorni di sole.
«Cosa c'è?» le chiede cercando di far suonare la sua voce amichevole e gentile.
«Thor mi ha parlato di te, quando ha fatto ritorno dalla città sull'acqua» dice Sif, andandosi a sedere sull'ultimo gradino alla base della torre. «Ti avevo immaginata come una sorta di guerriera, come la donna rossa dell'est».
La donna rossa dell'est sarebbe Natasha?...
«Mi dispiace deluderti, Sif. Sono solo... beh, in questo momento so soltanto ciò che non sono, e di certo non sono una guerriera».
Il primo a dirle una cosa del genere era stato proprio Loki, una vita fa, prima che lei scoprisse chi fosse realmente il ragazzo strambo e misterioso della numero 7. Dato che è venuto fuori che il ragazzo era poi il dio della menzogna, è normale che le abbia detto cose non veritiere.
L'asgardiana la fissa con quei suoi occhi smeraldini che non sembrano affatto quelli di una giovane donna... perché di fatto lei non è né giovane né una donna. Nadia sente un'altra stilettata di dolore alle tempie.
«In gioventù credevo che combattere consistesse nel saper maneggiare una spada» conclude Sif con un sorriso indulgente.
La ragazza comincia a sentirsi un po' a disagio. Sbatte le palpebre un paio di volte e cerca di indovinare la risposta esatta da dare, come se fosse un quiz. Non trova niente di appropriato da commentare.
«È molto gentile da parte tua – ehm – parlare con me». Proprio non ce la fa a rimanere zitta.
La retorica decisamente non è una dote della bella lady Sif, ma non importa, Nadia immagina che  voglia semplicemente farle compagnia, oppure ha ricevuto ordine di controllare che lei non se ne vada a zonzo per il palazzo – non che ne abbai mai avuta intenzione, ad ogni modo.
Tuttavia, sembra che Sif stia ancora tentando di mettere in ordine i pensieri per poterli esprimere in modo comprensibile, oppure vuole dire qualcosa che trova difficile da dire.
«Ho detestato Loki per aver tradito Thor» sputa fuori di colpo, dopo qualche minuto di silenzio imbarazzato.
Hai detestato Loki. Benvenuta nel club!
«L'ho detestato ma quando lo abbiamo creduto morto, dopo la distruzione del Bifrost, ho sofferto e mi sono chiesta se non avessimo anche noi delle colpe, tutti noi, in qualche modo».
Vorrebbe essere una domanda? Se lo è, Nadia non trova affatto facile rispondervi, ma i dubbi di Sif le fanno onore: non dubitare mai di se stessi è una cosa che fanno solo i ciechi – e talvolta anche quelli con un occhio solo.  
«Immagino che a certi drammatici estremi non ci si arrivi mai solo con i propri piedi» dice la ragazza, circondandosi il busto con le braccia. «Ma credo che non serva a niente fare la conta delle responsabilità adesso... l'unica domanda che ha senso forse è: si può tornare indietro?».
Sif le risparmia la risposta. Una risposta che Nadia conosce ma che non ha voglia di sentire: ascoltarla dalle labbra di qualcun altro renderebbe quella realtà ancora più vera e lei ha ancora qualche minuto per illudersi.
«Lady Nadia, siamo pronti». Fandral compare dall'altra parte del corridoio, facendole cenno di seguirlo.
La giovane si dà una scrollata, come per scacciare via l'improvviso sentore di freddo e nervosismo. Sente la mano di Sif poggiarsi sulla sua spalla e si volta a guardarla. C'è della malinconia nello sguardo che l'asgardiana le sta rivolgendo, una malinconia che pesa come una condanna.
Nadia trattiene a stento una smorfia. Anche lei deve averlo amato un tempo, pensa.
«Addio, lady Sif, è stato un onore conoscerti» le dice, mettendo da parte ogni altro genere di riflessione.
«Ti auguro ogni bene, giovane midgardiana» risponde Sif, stringendo appena la presa sulla sua spalla prima di lasciarla andare.
Fandral le offre il braccio con un sorriso enfatico e insieme raggiungono la stanza in cui si trova il Tesseract.
C'è Thor ad attenderli, il Mjolnir ben stretto in pugno.
Nadia scambia un'occhiata con il dio del tuono, poi si sofferma a guardare il Tesseract. La luce tra le pareti del cubo sembra fatta di fumo, le spire azzurre che si spostano lentamente hanno un che di ipnotico e lei non riesce a staccare gli occhi dal gioiello fino a quando delle figure in movimento non entrano nel suo campo visivo.
Loki avanza verso l'ingresso della sala. Non indossa i suoi soliti abiti, tutti quegli assurdi strati di stoffa verde e nera con le applicazioni dorate, porta solo una blusa a maniche lunghe su un paio di calzoni di tessuto scuro; ha il viso smunto di chi è stato per troppo tempo lontano dalla luce del sole e gli occhi sono gonfi e arrossati; nel buio della cella lei non lo aveva notato. Ma cammina con il suo solito incedere principesco, a riprova del fatto che niente, neppure l'aver sfiorato – di nuovo – la morte può riuscire a spezzarlo.
Quello che però colpisce Nadia è la presenza di Frigga: la regina cammina al braccio del figlio adottivo come se lo stesse portando all'altare il giorno delle sue nozze o come se stessero andando insieme in un qualche bel posto.
Viene anche lei? Sarebbe divertente, pensa la ragazza.
Loki ha il viso chinato verso quello della regina e ascolta con quello che sembra sincero interesse le parole che lei gli sta dicendo, qualsiasi cosa fosse. Frigga ha un accenno di sorriso, sembra serena.
Quando varcano la soglia della stanza, la regina lascia andare il braccio di Loki, dandogli qualche buffetto affettuoso sopra al gomito, sollevandosi a baciargli una guancia.
La scena ha un che di surreale eppure a Nadia sembra rassicurante. Allora è vero, si dice, allora non c'è solo male, non c'è solo odio... ma questo lei lo sapeva già.
Loki si avvicina per un attimo a una finestra al lato della stanza. La brezza gonfia le tende come vele di una nave, aprendo ai lati delle fessure a forma di mezza luna; attraverso quelle fessure, il dio dell'inganno guarda Asgard, quel poco che si intravede, almeno; i riflessi dorati degli edifici che si attenuano nella luce del crepuscolo carico di stelle grandi come lampadine agli occhi di una mortale. C'è nostalgia nello sguardo di Loki, una nostalgia che fa sanguinare persino i pensieri.
«Tutto è pronto» annuncia la voce grave di Heimdall.
Loki si riscuote e si affianca a Nadia, avvicinandosi alla colonna. Guarda il Tesseract, la luce azzurra ha un riflesso livido sul suo viso smunto e c'è qualcosa di famelico nel suo sguardo.
Poi la luce invade tutto.
Prima di venire soffocata dall'immenso bagliore azzurro, Nadia serra le dita attorno al polso di Loki.

*

Bisogna mantenere la calma.
Bruce Banner ha appena il tempo di pensarlo, lui che di mantenere la calma ne ha fatto un'arte, quando il bagliore di luce azzurra si accende in mezzo al vuoto tra i divani e la vetrata, nascondendo per un istante la vista di una trafficata New York prossima alla sera.
Là fuori la gente sta tornando a casa da lavoro, sta correndo forse a prendere la cena in qualche chiosco che cucina cibo d'asporto, si sta affrettando per le ultime spese prima che i negozi chiudano.
Ci sono uomini che si allentano il nodo alla cravatta o donne che si sfilano scarpe con i tacchi. Persone che si stiracchiano scomposte sul sedile della loro auto ferma al semaforo o che appena uscite da una fabbrica  o da un ufficio si accendono una sigaretta al centro di un parcheggio.
È così che funziona, no?
La vita normale appartiene a un passato così lontano che a volte Bruce fa fatica a ricordarne tutte le piccole sfumature.
Il bagliore azzurro si assottiglia, fulmineo come è comparso, e lascia spazio a tre figure, in piedi sul pavimento di marmo. No... una sola è in piedi, le altre due sono a terra.
Non occorre essere uno scienziato per capire che il varco del Tesseract ha risputato più gente di quanta ne aspettassero e, soprattutto, ce n'è uno di troppo, l'ospite sgradito per eccellenza... roba che ormai Tony Stark deve certamente aver esaurito tutte le battute al riguardo.
Loki si affretta a rimettersi in piedi, afferrando Nadia per un braccio e tirandola su. Alle loro spalle, Thor rimane fermo, con un'espressione indecifrabile. Il Martello appoggiato sul pavimento accanto a lui ha aperto una sottile crepa nella mattonella di marmo: tanto varrebbe che Stark avesse pietà dei suoi arredatori e decidesse di mettere dei tappeti di gomma per tutta la casa.
Il silenzio grida a gran voce l'imbarazzo del momento. L'attimo di quiete prima della tempesta, prima che Stark dica qualcosa di urticante, Barton tiri fuori un'arma da qualsiasi posto sia stato capace di nasconderla, Steve Rogers si mette a dare suggerimenti tirati fuori da un verbale dell'ONU, Natasha chiami Fury e l'Altro decida di intervenire a rimettere in riga tutti quanti...
Nadia tiene la testa leggermente incassata nelle spalle, come se anche lei non aspetti altro che la detonazione di quella bomba a orologeria che tutti loro sono capaci di diventare quando c'è Loki nei paraggi.    
«Niente armi da puntarmi contro?» sbotta il dio, mellifluo. «Quand'è che avete perso questa barbara usanza di benvenuto?».
«Da quando tu hai perso così tanto smalto, Bambi» replica subito Stark, in tono acido. «Hai lasciato a casa le bardature da drag queen e le decorazioni natalizie?».
«Io lascerei che Thor ci spiegasse... Thor?!» interloquisce la dottoressa Foster.
Il dio del tuono lancia uno sguardo mortificato alla volta della sua donna. Bruce ha idea che lei non riuscirà a tenergli il broncio per troppo tempo: quando Thor fa quella faccia sembra un cucciolo di dinosauro, un adorabile e frustrante cucciolo di essere gigantesco.
«Io... beh, immagino che sappiate cosa è successo su Asgard, i miei stimati compagni vi avranno resi edotti sulla situazione» conclude, a disagio.
«Perfettamente. È stato assai più complicato farli entrare in un aeroporto vestiti da fiera medioevale che non capire cosa stessero dicendo» borbotta Clint Barton.
«Quindi Odino ha decretato che per adesso la punizione di Loki sia vivere su Midgard, senza poteri, perfettamente innocuo, sotto la... ehm, mia supervisione e quella di Nadia. E immagino che voi vogliate...»
«Chiuderlo in una gabbia con solo i fori per l'aria, certo» conclude l'agente S.H.I.E.L.D. truce. Thor deve rendersi conto che lì, su Midgard, i decreti di Odino non valgono molto.
Loki scuote la testa e fa una mezza risa di scherno. La sua risata di scherno, quella che da sola basterebbe a svegliare l'Altro anche a chilometri di distanza.
Thor ha detto ''perfettamente innocuo'', sì, come no!
Bruce sente il bisogno di uscire sul terrazzo a prendere una boccata d'aria.
«Che diamine hai da ridere, si può sapere?» borbotta Steve, accigliandosi.
«Mi aspettavate, era ovvio» comincia a spiegare Loki, mettendosi a camminare per la stanza e muovendosi tra loro come se fosse un allenatore che vuole tenere un discorso alla squadra negli spogliatoi. «E come mai eravate così rilassati? Come mai non ci sono già agenti S.H.I.E.L.D. armati fino ai denti e pronti a portarmi via? Avete sentito Thor, sono innocuo, e allora perché non mi trascini via di persona, agente Barton?».
Il volto di Clint è una maschera di furore ora che Loki si è fermato in piedi di fronte a lui e lo fissa, con quel suo sorrisetto beffardo, quella sua aria di sfida.
Thor può dire quello che vuole, ma non sono i suoi poteri magici a rendere il dio dell'inganno ciò che è.
«Voi volete qualcosa da me e immagino che sappiate che lo otterrete forse solo chiedendomelo con gentilezza, non è così?» conclude Loki.
Ecco, è esattamente questo che lo rende spaventoso, questa sua intelligenza, questa sua capacità di comprendere le situazioni e di riuscire a conoscere i loro punti deboli e i loro nervi scoperti.
«Di che cosa stiamo parlando?» domanda Nadia, preoccupata. Poi lancia verso Loki uno sguardo accigliato.
Bruce si toglie gli occhiali e si stropiccia il viso con le mani. Lui e Tony erano contrari fin dall'inizio a tutta quella cosa, ma è stata un'idea di Fury... perché alla fine la Romanoff ha dovuto chiamare Fury e dirgli cosa stava succedendo; perché non sapevano quanto tempo Nadia sarebbe rimasta su Asgard e prima o poi lui avrebbe chiesto se la ragazza era partita e se era tutto a posto; perché questa volta non si sarebbero lasciati prendere di sorpresa da un altro ritorno di Loki, nel caso le loro previsioni fossero state esatte – e, dannazione, lo sono state.
E Fury ha pensato di cogliere la palla al balzo: se proprio il dio latitante deve ricevere il loro asilo politico, allora lo otterrà solo in cambio di informazioni sullo scettro, su chi può averlo preso, su come può aver fatto e tutto il resto.
La loro reazione goffa e non particolarmente stupita, quando Loki, Nadia e Thor sono tornati da Asgard, li ha traditi e il dio dell'inganno deve aver subito afferrato che c'era qualcosa che non andava. Fiuta complotti e macchinazioni come uno squalo fiuta il sangue, del resto è la sua area di competenza.   
Natasha si schiarisce la voce, fa un passo avanti come a frapporsi tra Loki e Clint e spiega brevemente la situazione. Oh, i resoconti sintetici dell'agente Romanoff!
A Nadia sembrano spuntare le zanne al solo sentir nominare Fury, e quasi non può credere che il direttore dello S.H.I.E.L.D. abbia orchestrato un'altra delle sue trovate, ma tant'è. Deve farselo piacere, non c'è molta scelta. E soprattutto, deve farselo piacere anche Loki.  
Alla fine della breve spiegazione, Loki ha un sopracciglio inarcato, come se tutto quello che è stato detto fino a quel momento non lo riguardasse minimamente. Dopo qualche istante assume un'espressione di caricato stupore.
«Voi non siete così stupidi da credere che io possa saperne qualcosa, vero?». La domanda è retorica, e per quanto suoni fastidioso il suo tono arrogante, sembra davvero sincero.
«Questo lo vedremo» ribatte Natasha, in un impeto di deformazione professionale. «Comunque, tu ora vieni con noi».
Loki sorride di nuovo in quel modo così dannatamente mefistofelico.
«Se proprio devo...». È il massimo grado di buona volontà che ci si può aspettare da lui, che è già abbastanza, del resto deve essersi reso conto che per adesso non ha molta scelta e che, comunque, non ha motivo di non dare una mano... se si esclude il suo odio a priori per tutti loro.
Clint e Natasha si avviano verso l'uscita insieme al dio – ex-dio o quel che è, Thor si affretta a seguirli e Jane Foster gli si fionda dietro borbottando che devono farsi una bella chiacchierata, loro due.
Nadia scuote la testa e si massaggia il collo con aria afflitta. Tony le si avvicina e le posa una mano sulla spalla con aria fraterna e solidale.
«Mi dispiace per tutto questo casino, Colombina» le mormora. A quale casino o parte di esso si riferisce, esattamente?
«Più del casino che ho combinato io andando a strappare quel losco figuro dalle mani del boia?»
«Qualche ripensamento?»
«Ci speri, eh»
Tony sghignazza. «Possiamo sempre rimandarlo da Babbo Orbo»
«Non dopo che ho corso stesa di traverso in sella a un cavallo davanti a tutta Asgard...» replica lei con una smorfia.
«Hai fatto cosa?» esclama Bruce. La loro compagnia non ha affatto giovato alla ragazza, evidentemente. Lei liquida la questione con un vago cenno della mano.
Steve tiene aperta la porta mentre anche loro escono per seguire il piccolo corteo diretto alla base S.H.I.E.L.D.  
«Immagino dovremo tenere gli occhi aperti su eventuali problemi e, sì, controllare Thor che controlla Loki e...» prova a dire, guardando Nadia.
«E controllare me, ho capito» conclude la ragazza con un sospiro rassegnato. «Se fallisse la vostra carriera da supereroi, potreste sempre aprire un asilo».
Mentre scendono di sotto, Bruce si chiede se sia più rischioso andare in macchina con Thor e Jane Foster o con Loki e l'agente Barton.

*

Il freddo è fastidioso. Tutto di quella città è fastidioso, ma non lo aveva mai irritato così tanto perché non lo aveva mai sentito in quel modo.
Loki prende coscienza del mondo attorno a sé in modo del tutto diverso, gli sembra quasi che l'aria abbia un peso schiacciante, che tutto sia troppo solido, consistente, inesorabile. Che tutto gli opponga resistenza, a lui e a quella sua nuova forma mortale.
È come esistere schiacciato dentro a un cilindro, essere limitato. Il campo visivo meno ampio, le percezioni rallentate, imprecise. Le luci forti troppo forti, il buio troppo buio, le ombre troppo vaghe. E le stelle lontanissime e insignificanti, muti bagliori freddi, irraggiungibili.
Si domanda come facciano gli umani ad essere... ad essere esseri umani.
Sono sotto alla grande torre di Tony Stark. L'edificio ha un parcheggio sotterraneo grande e grigio, dove le luci sono bianchissime e l'aria è viziata e umida, appiccicosa.
Loki si chiede se la voce del servitore invisibile di Stark arrivi anche lì sotto. Probabilmente sì.
L'agente Barton ha la faccia di uno che ha mangiato cose che non è riuscito a digerire; gli apre la portiera dell'auto con un gesto impaziente.
Da lontano arriva la voce della giovane Jane Foster. Odiosa, petulante: Thor è appena arrivato e lei gli sta già dando il tormento.
É colpa mia? Pensa Loki, reprimendo un sorriso divertito. È offesa perché Thor ha preferito struggersi per il suo fratello perduto piuttosto che oziare con lei nel loro amore sdolcinato e impossibile?
La mente degli umani è così dannatamente piccola. Piccola come i loro sensi e le loro percezioni ristrette.
Loki si sistema sul sedile posteriore: quando i palmi delle mani strofinano contro il tessuto ruvido, si accorge di essere gelato – ha sempre avuto una pelle fredda, ma il freddo non lo ha mai sentito come quell'insopportabile soffio molesto e attaccaticcio che intorpidisce gli arti.
Certo, non ha vestiti adatti al clima. I vestiti sono una cosa di cui non si è mai dovuto preoccupare.
E adesso, di colpo, ha tantissime cose di cui preoccuparsi. Il freddo, la fame... Nick Fury.
Davvero non capisce cosa vogliano da lui ma è un bene che lo credano utile, saranno meno disposti a rispedirlo su Asgard, come hanno minacciato di fare. E poi, c'è in ballo lo scettro, e tornare in possesso di quello strumento è stato nei suoi piani fin dall'inizio, fin da quando è scappato dal pianeta dei Chitauri, prima di finire coinvolto in una vendetta che non lo riguardava, prima di tornare e trovare Nadia consumata dall'energia della pietra...
Come se il solo pensiero bastasse a farla materializzare, la ragazza fa capolino oltre la portiera dell'auto e si siede accanto a lui.
L'agente Romanoff la guarda dallo specchietto retrovisore con un'impercettibile, rapidissima, increspatura nello sguardo limpido – Loki è contento di essere riuscito a coglierla.
«Abbiamo avvisato la tua famiglia» dice la donna russa. «Tua madre è... beh, ecco, lei è convinta che tu sia stata rapita dagli alieni, o qualcosa del genere».
Qualcosa del genere, in effetti. Allora Nadia stava davvero per tornare a casa, prima che Sif e i Tre Guerrieri la portassero su Asgard.
«Le abbiamo detto che eri stata trattenuta da impegni di lavoro sopraggiunti all'ultimo momento. Non siamo riusciti a convincerla che c'era un valido motivo se non potevi parlare con lei a telefono».
Loki guarda con la coda dell'occhio il viso della ragazza accanto a lui, mentre l'auto si inserisce in un fiume di altre auto, un enorme serpente di fumo e luci di fari. Nadia sembra addolorata ed è un dolore che il dio non riesce bene a identificare: le manca la sua famiglia? È dispiaciuta di non essere tornata o è dispiaciuta che sua madre sia preoccupata? Perché dovrebbe preoccuparsene così tanto? Ha i suoi dannati amici eroi ancora tra i piedi. E ha lui.
Gli umani sono così avidi, pensa Loki con un sospiro trattenuto, vorrebbero che tutte le cose andassero come sperano, non si accontentano di un solo desiderio esaudito, vogliono tutto, è per questo che sono così infelici.
Volere tutto. Essere infelici. Nel semibuio dell'auto, Loki fa una smorfia di disgusto e quando la scorge nel riflesso opaco sul finestrino pensa che sia davvero rivolta unicamente a se stesso.
La mano di Nadia è tiepida, ma sembra scottare contro le sue dita fredde e intirizzite mentre le stringe con delicatezza.

La base S.H.I.E.L.D. è la stessa dove lo portarono, ferito e privo di sensi, dopo il suo ritorno dal pianeta dei Chitauri. In un modo o nell'altro quelle mura asettiche lo hanno visto sempre troppo debole, sempre troppo poco se stesso.
Nick Fury non sembra contento di vederlo. Nick Fury non sembra mai contento, in generale, e a lui non importa.
Loki resta in piedi in quell'ufficio dove sembra fare ancora più freddo, circondato dai Vendicatori e dai loro sguardi freddi come l'aria di quella stagione midgardiana. Nel rettangolo di finestra c'è una striscia di cielo, ed è priva di stelle, è solo buio: un buio che il dio dell'inganno non sa più leggere.
«Potrei dare qualche dritta agli asgardiani su come avere un sistema legale vagamente più efficace» borbotta Fury alla volta di Thor, che non sembra afferrare il senso della battuta o forse preferisce solo non indugiare sulla questione.
A Loki non sfugge nemmeno l'occhiata che il direttore scambia con Nadia prima di chiudere lei e Jane Foster fuori dalla stanza. Però si sta annoiando lì, ha fame – o almeno, immagina che sia fame, è una sensazione che non aveva mai provato prima – e comincia a girargli la testa.
«Veniamo al dunque» dice, stizzito.
«Devi forse andare da qualche parte?» borbotta Fury, poi sospira, si passa una mano sulla fronte e comincia a parlare.
Una loro base, in una località chiamata California, presumibilmente piuttosto lontano da lì, è stata distrutta. Nessuno sa come sia potuto accadere, né chi sia stato. Sono morte delle persone. Dalle macerie hanno recuperato qualcosa, ma niente filmati di sorveglianza e, soprattutto, niente scettro, perché era lì che era stato custodito. I problemi e i quesiti da porsi sono facilmente individuabili: chi è stato e perché? Più precisamente, chi altri sapeva dello scettro a parte loro e Loki stesso?
«Qualche idea?» conclude il direttore dello S.H.I.E.L.D.
Loki finge un'aria pensierosa. Se anche avesse delle idee in merito, cosa fa credere a Fury e alla sua truppa di mentecatti che lui le condividerebbe così facilmente con loro? Perché dovrebbe importargli di una base distrutta e di qualche decina di agenti morti?
Però gli importa dello scettro. Se trovasse il mondo di riaverlo potrebbe avere di nuovo i suoi poteri, forse...
«Dovevano tagliarti la testa e invece ti hanno tagliato la lingua, Bambi?» dice Stark dopo qualche minuto di silenzio.
Loki vorrebbe davvero avere qualche idea, non per condividerla, ma per essere in grado di capire – oltre che per avere una valida merce di scambio. E invece brancola nel buio tanto quanto loro.
Si limita a scuotere la testa. «Non so che dire». È sincero, talmente sincero che detesta doverlo ammettere, ma è così.
«Loki, se stai tentando di tenere nascosto qualcos...». Thor, che ora millanta una severità che lo rende più ridicolo che minaccioso.
È più di quanto possa sopportare.
«Cosa? Mi rispedirai su Asgard, mi trascinerai personalmente su quel patibolo, o mi taglierai la testa tu stesso?» esclama il dio degli inganni, esasperato. «Come pensate che io possa saperne qualcosa? Io ero in una cella inaccessibile, su Asgard. Comincia a irritarmi il fatto che tutti desideriate la mia morte ma sono il primo a cui pensate quando si pongono problemi che le vostre menti limitate non riesco a risolvere».
Attimi di silenzio gelido. Gelido per loro, Loki comincia finalmente a sentirsi un po' meglio, decisamente meno in balia degli eventi e della sua nuova condizione fisica, comincia persino a scaldarsi un po'.
«Mi sta venendo mal di testa. Deve essere una forma di allergia a questo tizio...» mormora Stark, scuotendo il capo e mettendosi a camminare per la stanza.
Il soldato Rogers mette insieme l'espressione più conciliante che riesce a trovare – crede forse di star parlando con un bambino?
«Mi pare che la domanda non fosse se ne sai qualcosa di preciso, piuttosto: hai qualche idea?» chiede, ostentando pazienza.
Loki lo fissa, fissa tutti loro, uno ad uno. «No» conclude secco.
Seguono altri istanti di pesante silenzio. Per quel che lo riguarda, lui non ha intenzione di aggiungere altro. Vuole proprio vedere se ora lo rispediranno su Asgard, se avranno il coraggio di deludere a quel modo la cara Nadia.
«Io dico che forse devi pensarci meglio» interviene Barton, ostile. «In una cella, magari, con quelli della sezione interrogatori».
Non lo ha piegato Thanos con la sua prigione di pietra e la sua tortura, non lo ha piegato Odino con la sua patetica misericordia, come pensano di riuscire a piegarlo loro?
Sì, tutto sta prendendo una piega fin troppo noiosa.  
«Ma guardateci, mi sembra di essere in un disegno di Escher» interviene Banner. «Io penso che per una volta potremmo correre il rischio di credergli...».
L'affermazione gli fa rimediare un'occhiata in cagnesco da Fury. Non è perché ha professato una fiducia insperata in Loki, ma perché lo ha fatto troppo apertamente e ora il dio non può fare a meno di ghignare compiaciuto.
«Perché siete così sicuri che non sia qualcuno dall'interno?» domanda, alla fine. Vuole gettare una manciata di briciole nello stagno per il solo gusto di vedere i pesci salire a pelo d'acqua.
L'attimo di dubbio disegna un solco sulla fronte di Fury, poi però la ruga si appiana nel giro di pochi istanti: il direttore deve aver già preso in considerazione questa possibilità e l'ha scartata.
«Mettiamo che sia qualcuno dall'esterno. E per esterno intendo esterno al Pianeta». L'agente Romanoff afferra le prime briciole; lei è brava a far muovere le idee con le parole, abbastanza brava da essere riuscita a trarlo in inganno – una volta sola.
«Se così fosse, come sarebbe giunto sulla Terra?» chiede Thor. «Il Tesseract è l'unico varco ancora esistente tra i Nove Regni».
Non imparerà mai. La sua mente è impermeabile alla conoscenza e Loki sente lo stomaco contrarsi.
«Ci sono altri modi per passare» dice. Dice troppo, ma l'ottusità di Thor lo smuove, lo fa vacillare. Come quando non ha potuto semplicemente lasciare che i profughi di Nornheim lo uccidessero...
«Modi che tu conosci, immagino» osserva Stark, mellifluo.
«Ancora non capite: energia. L'energia è la chiave per tutto».
I presenti si voltano a guardare la porta, dietro la quale c'è Nadia. Certo, la pietra può aprire varchi tra i mondi, ma la pietra risponde solo al sangue di Asgard, e gli asgardiani tendono a tenersi alla larga dalla magia.
Negli altri Regni non c'è nessuno che abbia abbastanza energia da poter viaggiare fino a Midgard. Ma non esistono solo i Nove Regni, Loki lo sa bene, lui conosce, lui ha visto.
Sente un velo di dolore calare su di lui, come un sudario. Sa che non è reale, eppure lo sente, come se glielo avessero inciso sulla pelle. È così che gli umani provano la paura, in questo modo così fisico e prepotente?
«Thanos...» mormora. Lui è uno dei pochi, oltre a Loki stesso, che conosce il modo di aprire varchi nell'universo, anche se senza una fonte di energia potente come il Tesseract, non può far passare più di un individuo – o di un branco di demoni di fumo, come a Venezia.
«Quello che va appaltando eserciti e armi a chiunque voglia distruggere cose?» domanda Stark. «Un brutto lavoro, mio padre l'ha fatto per anni...»
«Non c'è nessun altro che sa dello scettro e nessun altro sarebbe stato in grado di localizzarlo»
«Se fosse lui, perché dovrebbe voler distruggere la Terra?» aggiunge Fury.
Perché lui vuole distruggere ogni cosa, si potrebbe dire che non ha altro scopo.
«Tanto per cominciare, lui vuole distruggere me» conclude Loki, accigliato. «Ma non può arrivare sulla vostra preziosa Terra, non temete, né mandare altri eserciti»
«E quindi questo cosa c'entra con lo scettro e la base saltata in aria?» chiede l'agente Romanoff.
È complicato e tutto quello che il dio può proporre sono supposizioni. Ma forse, se anche solo la metà di queste supposizione è vera, stavolta ha bisogno degli Avengers molto più di quanto loro hanno bisogno di lui.
E la cosa è detestabile, quasi quanto il brontolio in fondo al suo stomaco.

*

Il caos.
Millenni di leggende rivisitate nel corso dei secoli, racconti su improbabili parti di cavalli ottipedi, sterili pagine di wikipedia, e una sola affermazione costante e corretta: Loki è il caos.
Lo è anche quando non fa niente per esserlo. Nadia se lo è trascinato sulla Terra da meno di tre ore e già hanno cominciato a fioccare calamità di vario genere, a cominciare dalla riunione nella base S.H.I.E.L.D.
Hanno chiuso lei e Jane fuori dalla stanza – Fury ha chiuso lei e Jane fuori dalla stanza – più per impedire che partecipassero alla conversazione che non per tenerle all'oscuro di qualcosa, perché in seguito è stato tutto spiegato. Un tutto parecchio inconsistente: forse la base è stata fatta saltare in aria da qualcuno forse mandato da Thanos per, forse, dare la caccia a Loki, supponendo che Thanos aveva previsto che Loki sarebbe rispuntato sulla Terra. Chi è questo qualcuno, da dove e come sia arrivato non è chiaro, come possa effettivamente arrivare a Loki e in quale modo possa danneggiarlo resta un mistero. Ok, non proprio, ora Loki è umano e vulnerabile, e può essere ucciso con estrema facilità, proprio come un essere umano. E il qualcuno in questione è riuscito a distruggere una base S.H.I.E.L.D. e far fuori una dozzina di agenti.
È tutto molto vago, tutto molto ipotetico. O forse Nadia continua a ripetersi che è così solo perché in questo modo riesce a non provare paura. Però ha acceso tutte le luci dell'appartamento, come se potessero servire a rincuorarla.
Ci sono di nuovo le nuvole nel cielo, coprono le stelle e lasciano solo il buio della sera.
Pepper e Tony hanno litigato, quando lui è tornato alla Stark Tower insieme agli altri. Questo va aggiunto alla lista delle calamità provocate dal ritorno di Loki. Ovviamente, il dio dell'inganno non è direttamente coinvolto nella cosa, ma tutto è nato perché Tony ha provato a suggerire con una certa insistenza che Pepper se ne andasse per qualche tempo a Malibù, in quella casa bellissima che lui ha di recente fatto ristrutturare. Lei ha detto no, lui ha detto che non sopporta l'idea che lei stia in quell'edificio con Loki al piano di sotto – perché è lì che il dio sarà ubicato, per gentile concessione di Fury; con Thor e Jane dall'altro lato del pianerottolo, e se Steve si sentisse solo c'è posto anche per lui. E per Bruce, e per Clint e Natasha.
Una comune di supereroi a far da balia a un cattivo mai stato meno cattivo come in quel momento. Delirio totale. La vera e propria motivazione ancora non è chiara: vogliono proteggere Loki? Vogliono usarlo come esca per vedere se il tizio che ha rubato lo scettro arriva fino a lui? C'è dietro qualche altra macchinazione di Fury?
Più probabilmente, il direttore dello S.H.I.E.L.D. vuole solo far contento Thor, per la questione dei buoni rapporti diplomatici con Asgard e sta aspettando che Loki faccia una mossa falsa per avere una scusa sufficiente a rimandarlo da Odino, o a sparargli – ora che è umano, un colpo di pistola alla tempia basterebbe a eliminarlo. Intanto, la Stark Tower, con dentro Thor e Tony con l'armatura a portata di mano, deve essergli sembrata il luogo più sicuro della città. Forse c'è anche una squadra a sorvegliare il quartiere e l'edificio. Forse Fury non ha preso sul serio le minacce all'incolumità di Loki, forse nessuno l'ha fatto, perché nessuno ha ancora detto una parola riguardo alla possibilità di farlo stare lì, con Nadia, invece di chiuderlo in un bunker in una qualche base S.H.I.E.L.D, che ormai si è capito che le basi S.H.I.E.L.D. sono meno solide e sicure di quanto si pensi.   
Di andarsene a Malibù, Pepper non ne ha voluto sapere e lei e Tony hanno fatto la gara a chi ha la testa più dura. Pepper ha detto qualcosa che aveva a che fare con un dodici per cento di diritti sulla torre, una percentuale bastevole a farla rimanere, secondo lei. Nadia e gli altri non hanno capito molto di questa cosa delle percentuali...
Nadia guarda la porta di ingresso, sapendo che dall'altro lato c'è un'altra porta con dietro Jane e Thor, e spera vivamente che non stiano litigando anche loro.
Loki è in bagno, presumibilmente a farsi una doccia – gli dei asgardiani fanno la doccia anche quando sono in modalità divina, lei ne ha le prove – per lavarsi via di dosso i giorni di prigionia e la tensione e tutto il resto. Se ci siano delle telecamere in quel bagno e se Jarvis le abbia attivate, Nadia preferisce non saperlo.   
Qualcuno bussa alla porta. Clint e Steve arrivano con due scatoloni.
«Vestiti» spiega Cap.
Già, ci sono moltissime cose alle quali non ha pensato. Cose piccole, pratiche, alle quali non aveva mai pensato prima: quando è corsa su Asgard a salvare Loki non pensava che poi avrebbe dovuto adottarlo, e ora lei ricorda con una certa afflizione lo sguardo di spregio che lui una volta aveva rivolto a un paio di jeans, rifiutando di indossarli. Che poi, generalmente, adottare Loki non ha mai portato a niente di buono per chi ci ha provato.
Nadia realizza quanto ora Loki sia inerme, del tutto scoperto. Se per caso decidessero di lasciarlo da solo, lui non saprebbe assolutamente cosa fare.
Le si stringe il cuore al pensiero di quanto lui debba odiare tutto questo.
«Clint... io capisco tutto, ma questo?». La ragazza tira fuori un jeans dalle tasche coperte di borchie lucidissime.
«Cosa vuoi, di solito ha addosso l'argenteria...».
Nadia alza gli occhi al cielo. Per quanto riguarda Clint, Loki può anche morire di freddo, non c'è molto su cui discutere.
«Ho chiamato quel take-away cinese che fa consegne a domicilio, quello che ti piaceva» dice Steve. «Il fattorino dovrebbe essere qui tra un quarto d'ora».
«Questa cosa mi ucciderà di tenerezza... ma voi non restate a cena?»
«Io riporto Bruce a casa, prima che gli salga la pressione. Tony è impegnato a non parlare con la signorina Potts, Thor e la dottoressa Foster immagino abbiano... siano... facciano qualcosa...»
«... e Fury vuole me e Nat a supervisionare le ricerche dello scettro. Ci aggiorniamo domattina».
Si sono preoccupati per settimane del fatto che non volevano che stesse troppo vicina a Loki, e adesso la mollano da sola con lui, a mangiare cibo cinese d'asporto. Suona un po' come un modo sottile di dire: ''hai voluto la bicicletta, ora pedala». E suona decisamente male.
Nadia accompagna Clint e Steve alla porta, li saluta e torna dentro. La casa è silenziosa e luminosissima. Loki probabilmente è annegato nella doccia; gli sono cresciuti di nuovo i capelli, chissà se se li lascerà tagliare un'altra volta, l'aspetto da rocchettaro non gli dona particolarmente eppure è dannatamente bello comunque. È stato questa che l'ha fregata? Nadia sorride: vorrebbe che fosse così semplice.
Va verso la cucina, cerca qualcosa per apparecchiare la tavola. Il fattorino potrebbe arrivare a momenti.
«Nadia». La voce sembra essere spuntata dal nulla. Non è quella di Loki e non c'è nessun altro in casa oltre a loro due.
La ragazza si volta di scatto. Le dita strette per istinto attorno a un coltello che non taglierebbe nemmeno una bistecca.
Il viso del suo interlocutore non fa una piega: l'unico occhio di Odino la scruta quasi privo di espressione. La ragazza si arrende e decide che ogni tentativo di protestare è inutile.
«Non sono sicura che Loki voglia parlare con voi» dice, con calma, cercando di non apparire brusca.
«Non sono qui per lui, ma per te»
«Questo sulla Terra lo chiamiamo stalking, è un reato» borbotta. Non spera che il re di Asgard colga la battuta, ma proprio non riesce a trattenersi e dato che lui non può farle tagliare la testa...
«E comunque, Loki uscirà dal bagno da un momento all'altro, vi vedrà qui e...»
«Non mi vedrà, non arriverà in questa stanza prima che io me ne sia andato. Pensavo conoscessi più cose della nostra magia». Il tono di Odino è bonario, accenna persino un sorriso quasi paterno.
«Mi sfuggono moltissime cose, questo è vero». Non si sta riferendo solo alla magia e il Padre degli dei deve averlo capito.
«Ammiro gli umani, ciò che vi rende fragili vi rende anche così straordinari: vi dà la forza di lottare per la vostra felicità, vi dà la possibilità di avere fede nelle strade che scegliete».
Nadia lo asseconda per qualche istante, ricambia il sorriso persino. Non ce l'ha con lui, ma non riesce a condividere certe sue posizioni, né il fatto che lui voglia convincerla: perché è per questo che è venuto, no?
«Una battuta di una storia che conosco dice che di solito tutto quello che viene prima del ma non conta» conclude, ancora con tutta la calma che può. Adesso non c'è Thor ad avvisarla quando esagera e lei non vuole che Odino faccia qualcosa di avventato e si palesi a Loki e vada a finire come una brutta puntata di una telenovella di quarta categoria.
«Ma la vostra natura vi rende diversi, vi fa avere uno sguardo differente sulle cose» dichiara Odino.
«Maestà, state cercando di imbonirmi o di insultarmi?»
«Se fossi il tuo re, potrei limitarmi a darti un ordine e tu lo eseguiresti». Ora la voce del Padre degli dei suona un po' più dura, un po' meno amichevole.
«Allora è una fortuna che non lo siate» sbotta Nadia. Ma ha di nuovo paura, paura di tutto quel potere, della vastità di tempo che quell'individuo ha sentito scorrere.
Odino estrae la fiala con il siero dell'oblio dalle pieghe della veste. Se decidesse di costringere ora Loki a berla lei non potrebbe fare niente, ma non sembrano quelle le sue intenzioni, sembra voglia ribadirle che lascia a lei la scelta, perché forse nella sua mente è un atto d'amore e l'amore di padre è un amore che Loki ha già rifiutato – ma non ama nemmeno me, vorrebbe precisare la ragazza, non quanto Odino e Thor credono o sperano. Sembra volerla mettere spalle al muro, indurla a credere che non ci sia altra scelta... ma per lei non si tratta di scelte, la possibilità di convincere Loki a bere quel filtro non l'ha mai neppure presa in considerazione, o no?
No, no, certo che no! Ma lo sguardo indagatore di Odino la confonde.
«Ho perso un figlio, Nadia. In qualsiasi modo andranno le cose, non potrò riaverlo... ma perderlo e lasciarlo morire sono due cose differenti» conclude il re di Asgard.
«Lo avete già salvato...» protesta lei.
«Ah, sì? E per quanto? Quanto potrà durare?».
Nadia non ha alcuna risposta da dare, e le fa male.
«Persino ora Loki potrebbe trovare il modo di assorbire l'energia della pietra che tu indossi. Ma a questo tu non hai pensato. Se lo facesse, non potrei più lasciarlo qui con te, sarebbe di nuovo un pericolo e in pericolo e io sarò costretto a intervenire»
«Non potete esserne sicuro». Ora ha detto una sciocchezza, lo sa. Se avesse continuato a stare zitta sarebbe stato meglio.
Più che una sciocchezza è una speranza.
Odino appoggia la fiala sul ripiano metallico del tavolo, fa cozzare l'ampolla contro l'acciaio con un gesto brusco che la ragazza spera che sia andata in frantumi, così da non doverne mai più sentir parlare.
«Tu lo farai, Nadia di Midgard. Lo farai perché non potrai fare altrimenti, perché non avrai scelta. E, soprattutto, lo farai perché è ciò che desideri. E, tienilo a mente, questo non salverà solo Loki ma tutti quelli a cui lui potrebbe fare del male in futuro».
Il suono vibrante che la fiala ha fatto urtando contro il piano del tavolo le rimbomba nella testa mentre le parole di Odino sfumano nel silenzio, creando uno strano senso di vuoto che le dà le vertigini.
La luce non le sembra più così forte e il contrasto con il buio privo di stelle che c'è all'esterno è meno accentuato ora. La visita del Padre degli dei ha già assunto tutte le sfumature di un sogno molesto ma quando Nadia si volta verso il tavolo vede l'ampolla, reale in tutta la sua consistenza.
Dall'altro lato della stanza arrivano i passi di Loki che è uscito dal bagno e si sta dirigendo verso la cucina.
In un moto di panico, la ragazza afferra la fiala.
Gettala via, vuotala nel lavello, falla sparire!
Dovrebbe farlo. Se se ne liberasse il problema non si porrebbe più. E invece si china di scatto, scosta la zoccolatura del mobile e fa rotolare l'ampolla sul pavimento: lì nessuno la troverebbe, nemmeno per sbaglio.
Si rialza appena in tempo per vedere Loki arrivare, capelli bagnati a gocciolare sul pavimento, asciugamano attorno alla vita. Il dio lancia un'occhiata alla tavola apparecchiata, fa un'espressione strana che Nadia non riesce a interpretare.
«Normalità...» borbotta la ragazza. «Per un po' dovrai fartela piacere».
Perché non ti sei sbarazzata della pozione?
«Posso senz'altro fare uno sforzo» dice il dio, concedendosi persino un mezzo sorriso.
È stanco, è evidente, non ne può più di lottare, di mostrare zanne e artigli. Ma non ha intenzione di rinunciare, semplicemente di prendersi un po' di riposo.
Prima c'è stato il caos, ora c'è la quiete prima della tempesta e Nadia non sa quando arriverà questa tempesta né come sarà. Né se lei sarà in grado di affrontarla.
Ma adesso lui le cinge le spalle. L'abbraccio di Loki è fin troppo saldo, quasi prepotente, possessivo.
Nadia affonda il viso nel suo petto, gli allaccia le braccia dietro la schiena e sente di star tremando.
Sarò io? si chiede. Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto il male che è stato fatto, sarò io che giocherò il dio degli inganni, che lo tradirò e riuscirò a ucciderlo?   









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Note:

Il titolo del capitolo è lo stesso di una raccolta di romanzi di Stephen King, in Italia tradotto come “Notte buia, niente stelle”.
Vi ho mai parlato del mio amore per il macabro-sangue-e-budella? No? Beh...

Questo capitolo è un po' strano ed è anche lunghissimo e pieno di cose che sono quasi tutte un po' dei filler per arrivare al nuovo status quo... prima che gli eventi mandino tutto in malora. Non mi andava di spezzarlo, di dividere diversamente le scene o di aggiungere altri pezzi e farne due capitoli, perché nella mia testa questo capitolo è sempre stato così.

Mi piace pensare che gli dei abbiano un modo di “sentire” il mondo attorno a loro parecchio differente dagli umani, un po' come se avessero i sensi diversamente sviluppati, una sfera fisica diversa, per questo ho detto (e molto dirò nel prossimo capitolo) del fatto che Loki si sente “strano” ora che sperimenta l'essere un essere umano.

I disegni di Escher, di cui fa menzione Bruce, sono quei disegni paradossali e impossibili basati sulla circolarità. Il più famoso è quello della mano che disegna se stessa, ma ce ne sono molti altri e molto più belli *Alki che ha un disegno di Hesher come sfondo del desktop*. La citazione è venuta un po' da sé perché ho pensato che con Loki è ogni volta come essere punto e a capo, non importa quante e quali cose siano successe, si rivive sempre un po' la situazione paradossale e senza via di uscita in cui gli Avengers vogliono qualcosa da lui ma non possono fidarsi (che poi è quello che, per altri versi succede anche nel rapporto tra Nadia e Loki o tra Loki e Thor).

La battuta su “tutto quello che viene prima del MA non conta” l'ho presa da una delle puntate della prima serie di Game of Thrones.

A venerdì prossimo con la prossima puntata ^^

Per domande, curiosità, quesiti su la vita, l'universo e tutto quanto: Profilo Ask

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Capitolo 7
*** The Great Unknown - part one ***


Capitolo sesto
The Great Unknown – part one


Il cielo è plumbeo, pesante. Non ci sono nuvole, solo un enorme velo grigio e opaco sopra l'aria fumosa di New York.
Nadia lo guarda dalla finestra, spostando lo sguardo al di sopra del rettangolo metallizzato dello schermo del portatile. Il suono che esce dagli auricolari le sembra ovattato e impiega qualche minuto a costringerla a tornare alla realtà.
Sta pensando alla sera prima. Alla cena a base di cibo cinese. Lei e Loki, in silenzio ai due lati del tavolo – surreale, imperfetto, come qualcosa fuori posto. Non lo aveva mai visto mangiare tanto... non lo aveva mai davvero visto mangiare, in realtà.
Tra loro due non c'era un silenzio così fitto dai tempi di Venezia, da quelle loro assurde passeggiate notturne. Ma allora era Loki che nascondeva dei segreti, che la stava manipolando.
Lei. Loki. Un tavolo e dei contenitori di carta stagnola con il cibo già mezzo freddo. È questo che l'aspetterebbe se, come ha previsto Odino, lei scegliesse di far bere il filtro dell'oblio al dio dell'inganno? È qualcosa di crudele, Nadia lo sa, e si chiede come può essere tanto inaccettabile e dolce allo stesso tempo.
Il suono negli auricolari si interrompe per qualche secondo poi riprende.
Dopo cena sono semplicemente crollati addormentati. La ragazza pensava che avrebbe sognato le tre facce urlanti, ma non ha sognato affatto. Forse di quella strana allucinazione farebbe bene a parlarne con Thor, ma non vuole turbarlo.
Nadia si chiede se Loki sia stato in grado di leggere qualcosa in quel suo improvviso mutismo o se era davvero troppo stanco per notarlo. L'umanità non gli dona affatto, dopotutto.
La ragazza si stropiccia gli occhi con le dita. Ha dormito ma si sente come se fossero secoli che è sveglia.
Il suono del computer ora è fortissimo, insistente. Sembra rabbioso.
La finestra di Skype continua a squillare. Nell'avatar del mittente della videochiamata c'è l'immagine di sua sorella Sara con un cappello a tuba in testa.
Che ore sono, in Italia?
Nadia porta il cursore del mouse sulla scritta rossa per rifiutare la chiamata. È quello che vorrebbe fare davvero, ma non è quello che fa.
Il rettangolo si allarga e sua sorella compare nello schermo, una pioggia di pixel che disegnano un volto amareggiato.
«Che cazzo hai combinato?». Sara alza la voce, si sporge in avanti e Nadia può vedere il segno del kejal colato sotto la sua palpebra, una serie di pixel grigi accavallati a quelli rosa della pelle.
Che ore sono, lì a Venezia? È notte? Sara non può mettersi a urlare, la sentiranno per tutto l'albergo.
«Sssh!» Nadia si porta l'indice alla bocca. Si chiede se sua sorella riesca a vedere i pixel più scuri dentro ai suoi occhi, lì dove sono arrossati. «Ho chiamato la mamma, ieri. Mi hanno commissionato delle foto all'ultimo momento, mi dispiace...».
«Sono contenta, siamo tutti contenti se hai successo... però, Nadia! Eravamo pronti a partire per venirti a prendere a Malpensa e tu non sei partita... ci hai fatto telefonare da un'assistente di Stark! Come se fossimo degli estranei! Mamma credeva che fossi morta, papà era furioso».
E i pixel per le lacrime di che colore sono? Sara riesce a vedere quella goccia salata che ora le riga la guancia?
«Mi... mi dispiace... non volevo farvi sentire messi da parte» dice, lottando con il groppo in gola che le strozza la voce. «Mi dispiace... è che è successo tutto all'improvviso e ho chiesto di chiamarvi perché volevo che lo sapeste il prima possibile, ho chiamato la mamma appena ho potuto».
Sara sbuffa: lei non sa e probabilmente quelle lacrime devono sembrarle solo un pianto da coccodrillo. Si getta all'indietro con le spalle contro lo schienale della sedia. Dietro di lei, nell'inquadratura della webcam, Nadia può vedere la sua stanza, un angolo di letto sfatto, le pareti tinte color ciliegia e il poster del nuovo film di Superman in uscita, quello con Henry Cavill...  quello non c'era quando lei è andata via.
Sembra tutto così vicino, ma è dall'altro lato dell'Atlantico.
«Tornerai?» domanda Sara.
Dovrebbe essere una domanda retorica, ma dal tono in cui l'ha posta la risposta non sembra così scontata.
«Certo, lo farò. Appena possibile». Nadia è convinta di star dicendo la verità, ma le sue parole le suonano false.
«Pensi di farcela per, uh, ad esempio Natale? A Natale le famiglie si riuniscono, sai». Sara fa una smorfia, a metà tra il sarcasmo e il rimprovero.
Questo è ingiusto, pensa Nadia, non ha mai dimenticato che loro sono la sua famiglia, neppure quando si sentiva così bene e così a casa con Tony e gli altri. Neppure in quei momenti in cui l'affetto di un gruppo di persone straordinarie l'ha fatta sentire più a casa di quanto si sia mai sentita altrove.
«Natale è tra un secolo... riuscirò a organizzarmi, prometto!».
Sua sorella inclina la testa di lato, arriccia il naso.
«Pensavo che il fuso orario valesse solo per le ore... non credevo che oltreoceano fossero indietro anche con i mesi. Nadia, è il primo di Novembre».
Nadia non si è mai preoccupata di cambiare le impostazioni dell'ora sul computer, ma la data dovrebbe essere esatta. Fa scorrere il cursore e sì, è il primo novembre.
«Ehi, non mi dirai che ti sei persa Halloween?» insiste Sara, il suo tono si è un po' addolcito.
Certo che si è persa Halloween, era su Asgard, e poi in una base S.H.I.E.L.D ad aspettare che Fury smettesse di interrogare Loki.
Si sforza di sorridere.
«Te l'ho detto che sono molto... presa» dice, fingendo una leggerezza che non c'è.
Ha perso la cognizione del tempo. Perché?
Perché le sono successe cose troppo bizzarre, è normale che i giorni siano trascorsi in modo un po' strano. Ma come ha potuto non accorgersi che era passato un altro mese? Lei di solito...
«Nadia? Cosa c'è? Sembri diventata una statua di marmo» borbotta Sara.
«No... io... niente» farfuglia, mentre si allunga verso la sua borsa a tirare fuori l'agendina che ha smesso di usare da quando è arrivata in America. È una di quelle agendine che regalano i negozi a Natale, piccola e sottile, da tenere in una tasca interna della borsa. Non l'ha usata più in quei mesi, tranne che per una cosa.
Sfoglia le pagine frettolosamente. Trova quello che cerca, anzi non lo trova: lì dove dovrebbe esserci un asterisco non c'è.
«Mi sono appena ricorda che ho...»
«Cosa? Nadia, mi fai paura quando fai quella faccia»
«Ho saltato... un appuntamento».

*

Dov'è sparito Tony?
Bruce si toglie gli occhiali e si pinza la radice del naso. Muove la testa a destra e a sinistra, qualche vertebra cervicale scrocchia.
Le scritte azzurre su sfondo nero sembrano aver perso significato, sono diventate stringhe illeggibili di numeri che scorrono troppo velocemente tentando di sputare fuori dei dati che, il dottor Banner ormai ha capito, non arriveranno mai, non in quel modo, almeno.
Hanno impostato la ricerca calcolando tutte le possibili variabili dei parametri a disposizione, ma il programma non ha rilevato nessun dato utile sulla posizione dello scettro.
L'idea più probabile è che chi lo ha rubato lo stia semplicemente tenendo ''spento'' e che quindi non ci siano radiazioni o onde di energia che gli spettrometri possano captare.
Ma chi ha rubato quell'arma di certo non l'ha fatto perché lo trovava un bel pezzo d'arredamento: prima o poi l'accenderà e allora forse quel maledetto computer si deciderà a dare qualche segno di vita, possibilmente prima che qualche altro edificio pieno di persone salti in aria, ecco, quello sarebbe estremamente gradito.
Bruce è sicuro che ci sia un altro modo per trovare lo scettro, ma non gli sovviene nient'altro se non gli agenti S.H.I.E.L.D. sguinzagliati letteralmente in tutto il mondo.
Spera che Tony, dovunque sia, si stia facendo venire un'idea. Lui per adesso è completamente a secco, sia di idee che di acqua calda per il tè; non può far altro che riempire il bollitore elettrico e aspettare che la ricerca dia qualche risultato, che le stringhe di numeri che la macchina sta macinando smettano di scorrere e si trasformino in coordinate geografiche precise.
Il fischio del bollitore arriva meravigliosamente presto. Deve ammetterlo, i laboratori della Stark Tower sono efficienti sotto ogni punto di vista, c'è persino un comando elettrico per scurire i vetri, schermando l'ambiente esterno dalla luce troppo forte – perché rendere il tutto più facile mettendo semplicemente delle tende non sarebbe stato nello stile di Tony Stark.
«E io che pensavo che la mia condizione qui fosse noiosa».
La voce lo coglie alla sprovvista e Bruce si volta di scatto. Uno schizzo di acqua bollente tracima e cade a un centimetro dal suo piede; per fortuna non si scotta, all'Altro non piace che lui si scotti.
Loki è appoggiato a uno sgabello regolabile. Pantaloni scuri, camicia grigia... neppure l'abbigliamento casual riesce a renderlo diverso da come Bruce lo ha sempre visto.
Lo scienziato sente un velo di sudore coprirgli la fronte. Quella cosa non può finire bene.
Opzione A: l'Altro arriva, acciuffa Loki e ne fa spezzatino.
Opzione B: Tony Stark rientra, vede Loki e ne fa spezzatino.
Opzione C: Thor arriva, sgrida Loki e ne fa spezzatino.
Pensandoci, non sono nemmeno così brutti questi pronostici. Ma Bruce non ha voglia di essere quello che non ha saputo tenere al guinzaglio l'enorme mostro verde che ha spezzato il collo a Loki, gli piace di più l'altra versione, quella in cui lui è l'alter-ego del gigante che gliele ha suonate, permettendo agli altri di catturarlo prima che se la svignasse. Ridurlo in una cadavere scomposto in vari pezzi difficilmente identificabili non è mai stato suo desiderio. Ma l'Altro se ne infischia bellamente dei suoi desideri... se così non fosse lui riuscirebbe ad avere persino una vita sentimentale!
«Ti ho fatto paura, dottor Banner?» domanda Loki in tono flautato e sbeffeggiante.
«Mi fa più paura l'Altro. E dovrebbe farne anche a te». Bruce si accorge che la voce gli trema e si sente un idiota. Lui non è un eroe, lui è soltanto la fondina in cui è rinfoderata la pistola. «E come hai fatto ad entrare? Dovresti essere senza poteri... tu...».
Loki arriccia le labbra, si volta a guardare l'ingresso alle sue spalle, il battente di vetro sabbiato privo di serratura.
«È una porta» risponde con ovvietà. «Che tu ci creda o no, so aprirle anche senza usare la magia».
Già. La sicurezza della Stark Tower riguarda gli intrusi dall'esterno, non quelli che già sono dentro.
«A meno che non ci sia un'emergenza medica in corso... e forse neppure in quel caso... io sono l'ultima persona con la quale dovresti trattenerti» si limita a dire.
«Minacciare e intimidire, non sapete fare altro?»
«Tu sai farlo molto meglio di noi»
«Ti senti forse minacciato?».
Bruce strabuzza gli occhi. Non può venirne fuori niente di buono da un dialogo con Loki, la sola vista basta a metterlo in agitazione. Forse se decide semplicemente di ignorarlo se ne andrà, come i bambini che quando smetti di dargli corda si stufano, smettono di tormentare te e vanno a gettare sassi ai cani...
Loki gli dà più l'idea di uno che brucia le formiche con una lente di vetro, comunque.
Si volta verso il tavolo, posa il bollitore che ha pericolosamente continuato a tenere in mano. Poggia un filtro di tè verde nella tazza con un mezzo cucchiaio di zucchero di canna.
«Dimmi delle novità». Loki è ancora lì e sembra intenzionato a restarci. È petulante, proprio come i bambini, ed è in cerca di informazioni, probabilmente intenzionato a strappargliele di bocca con giri di parole e furberie da retore da foro romano. Lo scienziato tenta di rammentare a se stesso di non abbassare la guardia, di non dirgli niente.
«Non ce ne sono» taglia corto Bruce. «A te per caso la notte ha portato consiglio?».
«Può darsi...».
Ecco, questo solo basterebbe a mettere l'Altro in condizione di sterminare tutti i panda rimasti sul pianeta, così, per sport!
«Se devi dire qualcosa dillo, altrimenti... levati dai piedi!» sbotta Bruce, stizzito.
Già una volta Loki ha tentato di provocarlo per i suoi scopi. Si dice che non deve permetterglielo una seconda volta. E non deve cadere in nessuna trappola.
«Posso avere una tazza di... come si chiama... tè?».
Ha cercato lui perché crede sia quello più ingenuo e manipolabile? Ha aspettato che fosse solo, senza Stark nei paraggi? In faccia, gliela darebbe, la tazza di tè!
«Pensavo non toccasse a me farti da balia, non ti hanno riempito la ciotola stamattina?» gli dice con un mezzo grugnito.
«Vuoi davvero fare questo gioco delle provocazioni con me?». Loki fa una mezza risatina.
Bruce comincia seriamente a vederci verde. Fa un respiro profondo; riempie un'altra tazza di tè.
Loki sembra affascinato dalla nuvoletta dorata che si spande dal filtro e si mischia all'acqua rendendola sempre più scura. Guarda dentro la sua tazza come se non avesse mai visto un mug di ceramica bianca con del tè dentro.
Beve un sorso, sembra gradire. Stringe le mani a coppa attorno alla tazza e guarda il suo interlocutore.
«Non conosco i parametri di ricerca delle vostre macchine» ammette con una certa reticenza. L'idea di non conoscere qualcosa deve infastidirlo parecchio. «Ma, supponiamo che voi abbiate del materiale uguale a quello con cui è fatto lo scettro, potreste dare ai vostri computer ordine di cercare tracce dello stesso materiale dovunque si trovi?».
Bruce si massaggia una guancia con aria pensosa. L'intuizione non è niente male e sicuramente le tecnologie dello S.H.I.E.L.D. o qualche altra invenzione di Stark possono effettuare quel tipo di ricerca. C'è solo un piccolo particolare che rende il tutto irrealizzabile. E poi se l'idea viene da Loki... quanto si possono fidare?
«Vuoi davvero renderti utile, quindi?» dice.
«Voglio evitare che qualcuno mandato da Thanos arrivi a me. Ma ho anche pensato che forse, e dico forse, chi ha preso lo scettro sta cercando altre fonti di energia, e se arrivasse a Nadia...».
Tu-tump! Male, malissimo. Quel battito era troppo forte, ha quasi sentito il cuore spalmarsi contro le costole. Non va bene, per niente.
«No, no, no! Non lo fare, ok? Non tentare di tirarla in mezzo, d'accordo? Mi... mi fa rabbia, oltre che schifo»
«Avreste dovuto lasciarla tornare a casa»
«L'abbiamo lasciata venire a salvare TE!».
Il modo in cui la voce tuona e rimbomba per tutta la stanza non gli piace proprio, e il dolore del battito troppo accelerato si sta facendo insostenibile.
Forse Loki si è reso conto di essere andato troppo oltre, perché si alza dallo sgabello e indietreggia di qualche passo.
«Chiedevo solo se, nell'eventualità in cui occorra, sarete in grado di proteggerla. Perché io non potrò aiutarvi questa volta» dice il dio. Indietreggia ma non scappa, neppure quando Bruce picchia i palmi delle mani sul piano del tavolo.
Non li ha aiutati neppure la volta precedente, se è per questo. Lui è stato quello che ha lasciato che Nadia venisse catturata dal nemico, l'ha usata come esca. E poi è andata a salvarla. E ha salvato Thor. E non ha ucciso Tony.
Bruce vorrebbe che fosse facile, che la cattiveria di Loki fosse davvero assai meno consistente di quanto sembra. Ma sa che, dentro di lui, quell'individuo è corrotto... suo malgrado, magari, ma è marcio, irrecuperabile.
Nadia... proteggere... eroi... amici...
Le pulsazioni rallentano appena, i pensieri però sembrano tutti ingarbugliati, immagini inframmezzate da scintille di verde.
«Sparisci...» sibila Bruce, alzando un braccio.
«Aspetto una risposta». Loki non ha paura di lui, si è persino allontanato dalla porta. È fermo in mezzo alla stanza e lo guarda respirare.
«Sempre...» rantola lo scienziato.
«Come dici?»
«Sta' sicuro che... un modo di proteggerla lo troveremo... sempre».
La voce gli si strozza in gola, ma il battito rallenta ancora un po', fino a tornare regolare.
Bruce si sente stravolto e quel pazzo di un dio non sa quanto è stato fortunato che lui sia riuscito a trattenersi giusto in tempo.
«Hai rotto la tazza» osserva Loki con leggerezza, guardando la macchia di liquido giallino spandersi sul pavimento chiaro. «Dicevamo: la mia idea per la ricerca dello scettro?».
Bruce si sciacqua il viso sotto il getto d'acqua del lavello della piccola area cucina. Si sente come se lo avessero infilato sotto una pressa e lo avessero tirato fuori un attimo prima che finisse schiacciato.
«Funzionerebbe se avessimo il materiale di cui è fatto» conclude. «Ma non lo abbiamo».
Loki assume quell'odiosa espressione indisponente. Il pericolo appena scampato non gli ha insegnato niente – certo, se quell'individuo fosse il genere di persona che impara dai suoi errori, sarebbero tutti in vacanza in quel momento.
«Non lo avete? Davvero? Fury ha per caso mangiato tutte le armi dei profughi di Nornheim?».  

*

Thor gira attorno al divano, come un leone in gabbia.
È consapevole dello sguardo di Jane che lo segue con un'aria a metà tra l'infastidito e il preoccupato.
«Hai intenzione di fare un solco nel pavimento? Mi è sembrato di capire che i pavimenti di questo palazzo ne hanno passate abbastanza» scherza lei, sbuffando.
«Mi sento...». Come si sente? Inappropriato? Imbarazzato?
È un guerriero, è fatto per riconoscere i nemici e combatterli, i momenti di stasi tra una battaglia e l'altra lo fanno sentire a disagio. Quel momento in particolare lo fa sentire inadeguato.
C'è qualcosa che non va, lo sente nell'aria, nelle nuvole che si addensano e rendono color acciaio il cielo di quella grande città.
Forse è lui che non va.
Come ha potuto Loki invidiarlo e temerlo per tutto quel tempo se lui è quello che non sa affrontare altro che la guerra? Ecco, è per questo che gli manca suo fratello, gli manca il lume della ragione che sapeva avere per entrambi... prima che arrivasse il crepuscolo della pazzia.
«Guardami, sono inutile!» sbotta, all'improvviso.
Jane stringe le labbra, come un becco di corvo pronto a cavargli un occhio.
«Questa cosa mi fa sentire molto considerata, grazie» borbotta.
Thor nasconde la faccia nei palmi delle mani, poi si va a sedere accanto a lei, le cinge le spalle.
«Tu meriti la pace, Jane. Temo sia qualcosa che non sarò mai in grado di darti» le mormora.
«Non ce la stavamo cavando così male fino a un paio di settimane fa e questa specie di ritiro di supereroi non deve per forza essere un dramma». Lei lo guarda negli occhi, uno sguardo che è brezza leggera in un giorno d'estate. Thor potrebbe soffocare per la grandezza di quello sguardo e l'amore che riesce a contenere. E soprattutto, vorrebbe essere certo di esserne all'altezza.
«Questa non è pace. È attesa... e, non avertene a male, ma a parte te, io non so come spenderla. I miei compagni sono impiegati nella ricerca dello scettro, io ho il compito di badare a Loki ed è ormai evidente che non è mai stata la migliore delle mie attitudini, neppure quando eravamo fanciulli»
«Loki starà... bene». La voce di Jane è incerta, questa non è un'affermazione, è un desiderio. Lei vorrebbe poterlo dimenticare, Loki. Thor vorrebbe che diventasse il più felice dei suoi ricordi. I desideri e le speranze sono un pessimo affare, eppure il suo cuore non può fare a meno di lasciarsi ingannare, sempre e sempre. Anche se dà un'importanza marginale alla cosa, è un dio, gli dei sono fatti per dimenticare e ricominciare dal principio, sono fatti per l'infinito alternarsi tra oblio e  consapevolezza.
«Loki è con Nadia, starà bene» insiste Jane. Di certo non lo fa di proposito, ma queste sue parole spingono più a fondo la punta di lancia che Thor sente conficcata nel suo petto: Loki ha Nadia e non riesce a farsela bastare. Loki potrebbe avere l'intero universo ai suoi piedi e non se lo farebbe bastare ugualmente. I fantasmi di Loki sono ancora più inafferrabili della gloria e dell'amore, e sono più insistenti.
Questa storia dello scettro è una pessima coincidenza. È contento di essere lì ad aiutare, nel caso ce ne fosse bisogno – e se ha imparato come funzionano le guerre su Midgard, sarà certamente così – ma il fatto che il suo fratello si trovi lì mentre sta succedendo un altro probabile disastro è solo un'ulteriore preoccupazione.
Qualcuno bussa alla porta. Jane va ad aprire e dopo qualche secondo Nadia compare nella stanza. Sembra turbata. Thor vorrebbe non farlo, ma pensa subito al peggio.
«Loki?» domanda subito.
«È qualche piano più giù. L'ho fatto localizzare da Jarvis, non vorrei che a Fury venisse in mente di impiantagli un microcip sottocutaneo, mi sento già abbastanza ridicola così...»
Thor non ha idea di cosa sia un microcip sottocutaneo, ma ha idea che a Loki non piacerebbe.
«Nadia, è successo qualcosa?» chiede Jane.
La ragazza si passa una mano tra i capelli. Li ha tagliati di nuovo, di recente; ciocche spettinate le si arricciano dietro l'orecchio.
«Da dove devo cominciare? Dal fatto che ieri sera Odino mi è piombato in casa all'improvviso?»
«Cosa?!» Jane sembra stupita.
«Nadia...». Thor si sente sprofondare. «Lui, mio padre è...»
«...il re di Asgard, lo so. Ma questa non è Asgard».
«Cosa voleva Odino da te?» Jane insiste, sembra turbata.
«Campagna elettorale per il referendum sulla somministrazione di farmaci pericolosi» borbotta la ragazza.
«Eh?».
Nadia prende un lungo respiro e spiega a Jane del filtro dell'oblio e del dialogo avuto con Padre Tutto la sera precedente. Non riesce più a tacere e forse è un bene che finalmente questa spinosa questione sia venuta alla luce. Solo che al termine della sua spiegazione, Jane è ammutolita.
«Nadia, quello che tentavo di dire prima è che mio padre è un dio, ha visto il tuo mondo nascere e invecchiare, ha osservato gli umani vigilando su di loro ma non... non li ha mai conosciuti davvero» afferma Thor.
«Sì, l'ho notato... di certo non conosce me se pensa...»
«Non capisci, mia giovane amica. Le visioni che ha Odino sono diverse dalle tue, lui ragiona per disegni più ampi. Non ti chiedo di essere d'accordo con lui, ti chiedo di capirlo».
«Thor...». Jane si scuote dal suo stupito mutismo. «Immagino che capire o meno le istanze di tuo padre non possa cambiare la posizione di Nadia».
«Mi dispiace che tu sia turbata...» conclude il dio del tuono alla volta della ragazza.
Nadia fa un mezzo sorriso stizzito. «Sarò davvero turbata quando qualcuno, chiunque esso sia, dio, umano, eroe, capo dell'intelligence... si metterà in testa di provare a costringermi. Voglio che lo sappiate, Thor, e voglio che sappiate che se non ho fatto il diavolo a quattro è solo perché non voglio corre il rischio che Loki lo scopra».
Lui resta a fissare la ragazza, i suoi occhi scuri crucciati, il suo viso serio come non l'aveva mai visto. Riesce a leggervi molto di più della rabbia per essere stata costretta a portare un simile peso e per essere stata spinta davanti a un bivio così difficile; riesce a leggervi la paura, il dubbio... e vorrebbe potersi sentire in diritto di chiederle di cosa ha paura, che cos'è che sta mettendo in dubbio.
«Devo uscire» dice Nadia dopo qualche secondo. «Non ci vorrà molto ma devo fare quattro passi e prendere una boccata d'aria... sono sicura che riuscirete a non farvi ammazzare da Loki mentre sono via».
Quando la ragazza lascia la casa, Thor resta solo con gli occhi di Jane che traboccano di domande.
«Chi altri lo sa?» chiede la giovane donna. «Gli altri, i Vendicatori?».
Il dio del tuono scuote la testa. «Solo il comandante Fury».
«Hai intenzione di dirlo agli altri?»
«Dovrei?».
Jane china il capo con aria pensosa.
«Non lo so. Io... non so cosa pensare» conclude.
Thor si sente sprofondare.

*

Stark sta ancora abbaiando quando Loki lascia il laboratorio, chiudendo dietro la porta di vetro i due Vendicatori e le loro astruse macchine. Si auspica che l'uomo di metallo smetta di sbraitare quanto prima e tenti di trovare lo scettro, non importa se non ha gradito trovarlo nel laboratorio; a Loki piace di più l'idea di averlo irritato rivelandosi più intelligente di lui e di Banner.
Deve pur trovare il modo di combattere la noia, dopotutto. E deve anche essere sicuro che quegli smidollati facciano qualcosa di costruttivo anche se per una volta non è la loro preziosa Terra ad essere in pericolo. Certo, le supposizioni che Loki stesso ha formulato su chi possa essere stato a rubare lo scettro e perché non possono essere verificate, ma lui ha fiducia nel suo istinto ora che si sente come un cervo che fiuta nell'aria l'odore del cacciatore.
C'è un silenzio enorme lungo la tromba delle scale, un silenzio piatto e pulito, non come il vuoto dell'universo che ha conosciuto. Loki sale i gradini con passo felpato, come se quell'assenza di rumore sia una specie di incanto, qualcosa di piacevole.
Il tessuto degli abiti che indossa gli sembra così scomodo, vorrebbe strapparseli di dosso, vorrebbe non dover aver bisogno dei Vendicatori e della loro protezione. Vorrebbe che non ci fosse nessun altro in quel maledetto palazzo e che quel silenzio possa rimanere intatto in qualsiasi angolo dell'edificio.
Si ferma davanti alla porta della casa dove ha vissuto Nadia. Dal lato opposto del ballatoio c'è una porta identica dietro la quale Thor e la sua donna si stanno forse crogiolando nell'illusione del loro amore. Se Loki trovasse di qualche interesse la cosa, si soffermerebbe a chiedersi quanto ancora può durare... un dio e una mortale: la sola idea di futuro è talmente inconcepibile che neppure la più fervida immaginazione può arrivare a contemplarla.
Forse, dopotutto, gli dei non sono fatti per essere felici, pensa stringendo le palpebre, con lo sguardo fisso su quella porta. Almeno in questo lui e Thor sono destinati ad assomigliarsi. C'è un sottinteso senso di insoddisfazione in chi è destinato a vivere tanto a lungo, per questo il figlio di Odino non può guarire la sua sete di battaglie e per questo lui non può abbandonare le sue ambizioni e i suoi desideri, quella strada labirintica in cui si illude di non essersi ancora del tutto smarrito. Per questo forse un giorno entrambi cadranno, a causa di loro stessi o l'uno per mano dell'altro.
Consumarsi nella grandezza e nella gloria dei propri tormenti. Questo è l'unico futuro a cui un dio può pensare.
Loki apre la porta della casa di Nadia. Nelle sue vene è scritto il destino di un dio, ma in quel presente è solo un essere smarrito costretto a una condizione da mortale e non è il genere di tormento che deve preoccuparsi di combattere ora. Non in quel preciso momento, di certo, mentre la ragazza rannicchiata sul divano si volta nella sua direzione e lo guarda, invitandolo ad avvicinarsi.
Si siede accanto a lei e si accorge del velo di tristezza che aleggia sul suo viso.
Ancora una volta pensa che non è lì per la felicità di quella giovane umana, ancora una volta si ripete che qualsiasi sia il loro futuro ha una scadenza troppo breve per concedersi l'illusione della gioia. Ancora una volta pensa che il presente renda del tutto irrilevante quel tipo di pensiero.
Nadia lo guarda, esaminandolo sarcastica.
«You wear a shirt now. Shirts are cool» dice, infine, poi sorride.
Loki non afferra, ma non importa. «Perché sei triste?».
«Ho parlato con mia sorella, stamattina, la mia famiglia è rimasta molto male perché io non sono tornata».
Certo. Dunque è questo l'amore? Essere tristi quando rendiamo triste qualcuno che ci sta a cuore? Ed essere felice se lui è felice?
C'è stato un passato in cui, pur invidiandolo, Loki era felice per la gloria e l'ammirazione che Thor riusciva ad ottenere. Deve quindi dedurre che c'è stato un passato in cui, semplicemente, lo ha amato davvero?
Distoglie lo sguardo dal viso della ragazza, i suoi occhi puntano a ricordi vecchi di secoli, immagini scolpite nella sua mente ma coperte di ragnatele e ombre e polvere. Sì, lo ha amato, quel principe borioso e stolto, tanto che quando ha progettato la sua caduta lo ha fatto pensando a un piano che non lo mettesse mai davvero in pericolo, non voleva perdere un fratello, non avrebbe mai voluto... fino a quando non ha saputo che non era davvero suo fratello, fino a quando la verità non gli ha reso chiaro che sarebbe stato impossibile prevalere su di lui agli occhi del Padre degli dei.
Esiste un punto in cui l'amore cessa di colpo? Esiste un punto in cui l'odio semplicemente si accende come la fiamma di una candela?
Loki sente le dita di Nadia stringersi attorno alle sue. Volta piano il capo, tornando a guardare la ragazza.
«Ricordo la tua famiglia» dice lui – non è affatto vero, ha vaghi ricordi confusi di un uomo e una donna del tutto anonimi e della giovane sorella minore che arrossiva guardandolo. «Immagino che certi affetti sappiano aspettare».
Nadia non gli ha lasciato la mano. Loki ricambia la stretta.
«Che altro c'è?» le chiede.
Lei resta muta per un istante, poi scrolla le spalle. «Niente, magari sono solo provata per la situazione in generale».
Vorrebbe dirle che è il dio dell'inganno e sa riconoscere una menzogna quando la sente, ma Nadia ha diritto ai suoi segreti e alle sue tristezze e in quel momento lui davvero si sente assai poco divino. Vorrebbe solo poter cancellare quel velo di tristezza come un segno di gesso su una lavagna.
Forse non sa nulla dell'amore, ma sa tutto del peso della malinconia ed è un peso che non vorrebbe vedere sulle spalle di quella ragazza.
Nadia si sporge verso di lui, gli poggia le labbra sulle sue.
Loki si chiede se il percepire e ricambiare tutta l'urgenza di quel bacio non abbia qualcosa a che fare con la sua attuale condizione da mortale, e nell'ultimo scampolo di lucidità pensa che nessuna condizione avrebbe fatto la differenza.
Quando Nadia si stacca e solleva lo sguardo, il dio dell'inganno riesce a vedere le lacrime trattenute dentro i suoi occhi, tanto che è costretto a chiedersi quanto grande sia la menzogna che lei gli ha detto poco prima. Vorrebbe farle delle domande, ma la ragazza parla per prima.
«Possiamo dimenticarci di eroi, minacce, divinità e casini vari, per una volta?» mormora con la voce che trema. «Possiamo?... un giorno di normalità, un giorno solo».
No, Loki decisamente non può. Ma può fingere di poterlo fare, almeno questo glielo deve.
Annuisce, le passa una mano tra i capelli. Ha deciso di rimandare le domande a un altro momento.
La bacia con calma adesso, con la pazienza di chi non paura che l'attimo svanisca nelle mille impossibili probabilità di un futuro sconfinato come la galassia stessa.
Con la medesima calma si liberano di vestiti, mettono in fila i respiri, le carezze. Una calma tradita solo dalla forza con si tengono stretti l'uno all'altra per fingersi al riparo dalle incertezze e da qualsiasi pericolo o dolore.
Il tessuto del divano è liscio, scivoloso.
Loki vede parole prendere forma sulle labbra schiuse della ragazza, parole che non è davvero pronto ad ascoltare. La bacia con più foga per togliere aria e spazio a una dichiarazione tanto evidente quanto tremenda, fino a quando le parole non sono più nulla e Nadia lo accoglie dentro di sé, appoggiando la fronte contro la sua.

*

Sera. Un'altra del tutto priva di stelle.
La giornata è trascorsa con il ritmo un po' innaturale dei giorni di vacanza, e come per i giorni di vacanza, Nadia è riuscita a non pensare a niente di troppo gravoso. affatto vero, ha vaghi ricordi confusi di un uomo e una donna del tutto anonimi e della giovane sorella minore che arrossiva guardandolo.
Nadi l'ha accompagnata a scattare fotografie in giro, l'ha ascoltata parlare del fatto che le farà stampare in bianco e nero e che magari le appenderà nelle camere dell'albergo della sua famiglia.
Parlare della sua famiglia, di casa, con Loki ha un che di catartico. A differenza degli altri, lui ha conosciuto quella casa, ha passato del tempo nella sua vita quando era ancora tutto normale, l'ha conosciuta prima che quell'avventura la segnasse.
Nadia ha ascoltato lui raccontarle dei luoghi che ha visitato mentre viveva ancora alla corte di Odino, terre straordinarie sospese tra le stelle. Tutto questo esula un po' dalla sua richiesta di normalità, ma non è sgradevole come rinvangare rancori famigliari o preoccuparsi di minacce aliene.
È già buio quando tornano alla Stark Tower.
In un impeto di cavalleria, Loki le tiene aperto il portone. È un gesto quasi automatico, privo di significato, eppure Nadia sente una stilettata di gelo in mezzo al petto.
Questo è quello che avrei se assecondassi Odino?
Sa che non cederà mai alle richieste e alle macchinazioni del re di Asgard, ma deve ammettere tra sé e sé che la tentazione comincia a prendere forma nella sua testa.
Il solo pensiero le fa rivoltare lo stomaco.
Si era promessa che avrebbe vuotato la fiala, che l'avrebbe fatta sparire appena Loki sarebbe uscito di casa, si era svegliata con quel preciso intento. Poi però ha parlato con Sara e l'è venuta in mente quella cosa assurda e impossibile... nell'ultimo mese non ha avuto il ciclo.
È assurdo, impossibile. Con tutto quello che ha passato, con l'influsso della pietra, con lo stress per il viaggio di ritorno da organizzare è del tutto plausibile che sia successo.
È assurdo, impossibile. Ha continuato a ripeterselo per tutto il giorno.
Lei e Loki entrano nell'ascensore. Nadia si accorge di avere le dita intrecciate alle sue e non sa chi per primo abbia afferrato la mano dell'altro.
È quello che avrebbe se scegliesse di assecondare Odino, lo sa. Sta persino cominciando a pensare che è ciò che una parte di sé desidera davvero, ma sa con altrettanta chiarezza che non potrebbe mai perdonarselo. Che non potrebbe mai convivere con il peso di quella scelta, neppure per il bene di Loki.
Eppure da quando quel dubbio, quell'assurdo e impossibile dubbio, si è instillato nella sua testa quella mattina, per un attimo si è chiesta se, al di là di ciò che desidera e al di là di ciò che è giusto, non ci sia una strada obbligata da percorrere, dei binari sui quali finalmente far viaggiare quel treno che per troppo è deragliato verso percorsi impraticabili.
Si è chiesta se Odino non sapesse già tutto, lui che può guardare le loro vite dall'alto del suo palazzo d'oro. Se lo è chiesta e si è risposta che è da paranoici pensare una cosa del genere. Non ha voluto soffermarsi a pensare quanto questa risposta sia solo un palliativo.
E comunque, non ha senso. Niente di tutto quello a cui ha pensato ha senso o rilevanza.
«Nadia?». La voce di Loki la chiama e lei si accorge che l'ascensore è arrivata al penultimo piano, che probabilmente le porte automatiche sono aperte da un pezzo.
Si riscuote, infila le mani nelle tasche alla ricerca delle chiavi.
«Cosa c'è che non mi hai detto?» domanda Loki, appena entrano in casa. Ora ha quell'aria glaciale e imperiosa che neppure la mortalità ha potuto strappargli via.
«Niente di cui tu ti debba preoccupare» gli risponde. Non è una bugia: pensa davvero che lui non si debba preoccupare di Odino e dei suoi piani, perché lei non permetterebbe mai che venissero attuati. Per quel che riguarda l'altra faccenda, ha già decretato da sola che è tutta un'assurda e impossibile cosa priva di senso. Trova persino divertente immaginare la reazione di Loki se glielo dicesse... divertente? A ben pensarci, non ha la più pallida idea di come lui reagirebbe. E neppure lo vuole sapere.
Quando si chiude in bagno per prepararsi ad andare a letto, sembra già esserle passato tutto di mente.
Si lava i denti, guardando il proprio riflesso nello specchio, guardando se stessa negli occhi come qualcuno al quale si vuole infondere sicurezza. Non sa come, si dice, ma sa che andrà tutto a posto.
Lo scatolino del filo interdentale è vuoto. Non importa, c'è una confezione nuova nel mobiletto a destra.
Nadia guarda l'anta chiusa del vano pensile, ha un moto di esitazione. Sulla mensola c'è una confezione nuova di filo interdentale, ma c'è anche il sacchetto della farmacia dove è stata quella mattina. Dentro al sacchetto c'è una scatola lunga e sottile.
«Perché no? Via il dente via il dolore: leviamoci dalla testa questa assurdità» borbotta, passando un dito sulla scritta ''pregnancy test'' in lettere rosa. Immagina che la scena vista da fuori abbia un effetto da soap-opera.
Si appoggi al lavandino, apre la scatola e tira fuori il foglietto delle istruzioni.
Scrolla le spalle, lancia un mezzo sorriso al suo riflesso. Si sente del tutto calma e serena, del resto lo ha già deciso: è assurdo e impossibile.











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Note:

“You wear a shirt now. Shirts are cool” . Parafrasando Doctor Who (“I wear a bow tie now. Bow ties are cool”). Ho citato il Phantom, nella scorsa fanfiction, ho citato i musical, i libri di King, ho ambientato una storia a Venezia... non potevo non citare un'altra delle mie grandi ossessioni.

Lo so, sono pessima a finire i capitoli così... ma non uccidetemi, o non saprete mai come va a finire! XD

Questa settimana sono stata via e senza pc e quando sono tornata ho dovuto buttarmi a capofitto su una tesina da consegnare per l'università entro oggi, ma prometto che quanto prima risponderò alle recensioni.
Intanti, grazie a tutti ^^

Per domande e curiosità: Profilo Ask

A venerdì, con il prossimo capiotlo :-)

PS: *angolino dello spam personale* ho finalmente concluso la storia che-aggiorno-ogni-morto-di-papa nella sezione su Thor, per chi avesse tempo e voglia di leggere qualcosa di mio diverso da questa serie: HERE

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Capitolo 8
*** The Great Unknown - part two ***


Capitolo settimo
The Great Unknown – part two


È tutto pronto, ha fatto ciò che doveva.
Raahm si guarda le mani e il tessuto lercio della maglia, c'è uno strappo sulla manica destra e lascia scoperta una striscia di pelle bianca, quasi violacea, come quella dei tre cadaveri che ha ammucchiato uno sull'altro, una catasta fetida in una pozzanghera di fango e sangue.
Il ronzio degli insetti che volteggiano attorno ai resti umani gli arriva alle orecchie come il suono di un temporale.
Quegli uomini non dovevano venire nel cimitero di macchine abbandonate, se non si fossero recati lì lui avrebbe sentito il loro calore e il bisogno di rubarglielo e le loro carcasse non si sarebbero sommate a quelle delle auto lasciate a imputridire nella ruggine.
Gli dispiace, ma non è stata colpa sua. Niente di quello che fa è colpa sua e la gente è meglio che si tenga lontana da quel posto... forse dovrebbe scriverlo sul cancello. Non è sicuro di ricordare come si fa a scrivere.
Il ragazzo ha un'ultima cosa da fare, ora. Deve accendere lo scettro e lasciare che la sua energia crei una spaccatura nello spazio-tempo, il varco che Thanos desidera per raggiungere Loki e prendersi la sua vendetta.
Lo scettro è pesantissimo, non se n'era mai accorto prima. Stringe le mani attorno all'impugnatura dorata e sente male. Riesce quasi a vedere il bianco delle ossa al di sotto della pelle livida, le vene sono striature nere, aride.
Non importa, Thanos sarà contento forse e lui potrà volare via da quel gelo e poi la Morte lo lascerà in pace per sempre.
Raahm guarda attentamente lo scettro. La luce della gemma si accende di azzurro come una fiamma di ghiaccio. Lui tende la mano per vedere se può dargli un po' di calore, il freddo lo rende così confuso ora... tocca la punta ricurva che fa da cornice alla gemma, è affilata come le unghie della Morte e lui si taglia profondamente il dorso della mano. Non esce sangue, la ferita è come un paio di labbra cianotiche.
Niente sangue, niente aria.
Sul terreno ora c'è il pezzo di stoffa verde macchiato del sangue di Loki.
Nella sua mente, Raahm non riesce a ricordare il motivo, ma sente che quel nome gli provoca rabbia e paura e gli fa sentire dolore.
Forse se distrugge quello straccio insanguinato il dolore e le brutte sensazioni spariranno. Ed è comunque ciò che ha da fare.
Il raggio di luce blu saetta come un fulmine, sospeso a mezz'aria.
Raahm adesso ha un ricordo di casa sua, è un'immagine improvvisa di una terra aspra e montuosa e bellissima. E sa che è molto molto lontana da lì, ma quando Thanos lo avrà riportato definitivamente indietro forse lui potrà tornarci.
Quando la luce azzurra colpisce il pezzo di stoffa diventa una linea retta, come un orizzonte disegnato nel luogo sbagliato, una fessura sottilissima da cui Raahm sente fluire un'energia enorme che lo investe. Non è calda però è forte e gli rimette in ordine i pensieri, gli restituisce la memoria e lui vede tutta la sua vita scorrergli dinnanzi agli occhi, vede anche il passato più prossimo. Lui nella piana di pietra al cospetto del signore dei Chitauri, lui avviluppato dalla Morte, lui a terra alla mercé di un dio tremendo che gli sta per spezzare il collo. E lui, vestito come un midgardiano, seduto su una panchina assieme alla ragazza bionda.
Ricorda e capisce, ora Raahm. E fa più male di qualsiasi cosa.

*

Tony Stark guarda il profilo della ragazza seduta sul divano davanti alla vetrata. Nella luce incerta e acerba che filtra da fuori si notano i segni di una notte passata insonne.
Due sono le cose: o Bambi è un dannatissimo mago del sesso o c'è qualcosa che non va.
Il beep della macchina del caffè distoglie l'attenzione di Tony dal contemplare improbabili scenari in cui Loki si esibisce come spogliarellista o qualcosa del genere...
Sul tavolino davanti al divano c'è una scatola di ciambelle. Nadia la ignora e afferra l'album di fotografie con la copertina rossa e oro. Pepper lo ha messo lì, tra i cataloghi d'arte e il vaso di vetro di murano che si sono portati dietro dalla loro rocambolesca vacanza veneziana.
La ragazza sfoglia le pagine, passando la punta del dito sul bordo delle fotografie, come ad accarezzare dei ricordi troppo lontani. Eppure loro sono lì, non è cambiato niente, no? O forse è proprio questo il problema.
C'è qualcosa di profondamente sbagliato nel fatto che Nadia non sia ancora a casa, questo Tony non può negarlo, anche se tra sé e sé deve ammettere che non gli è dispiaciuto riaverla tra i piedi ancora per un po' – anche se si in coordinato con il suo discutibile boyfriend.
«Colazione a casa mia, io e te da soli, come i bei vecchi tempi!» esclama, portando le tazze di caffè.
Bei vecchi tempi, l'ha detto davvero, l'ha ammesso: qualcosa è cambiato. O sta cambiando.
«Pepper dorme ancora?» chiede Nadia.
«Dolcezza, sono le cinque e mezzo del mattino, persino per la mia stacanovista preferita è un'ora disumana»
«Ma tu sei sveglio»
«Anche tu. Cos'è, il tuo losco ragazzo russa troppo forte?».
Nadia ridacchia e scuote la testa. Beve un sorso di caffè, tornando a guardare l'album e Tony capisce che, qualunque sia il problema, non ha voglia di parlarne – e che forse, solo forse, neppure riguarda Loki, che probabilmente per una volta in vita sua il dio non più tanto divino ha sperimentato un po' di sana gratitudine e si starà comportando da fidanzatino modello.
E, a proposito, gli ha urlato parecchio contro quando se l'è trovato nel laboratorio, da solo con Bruce, ma tra sé e sé è costretto ad ammettere che il suggerimento su come trovare lo scettro è stata una buona idea, tanto che lo irrita non esserci arrivato lui per primo.
«Come sapevi che ero sveglio?»
«Me lo ha detto Jarvis»
«Robot impiccione!».
È sveglio, certo che è sveglio: ha del lavoro da fare, lui. Una nuova tecnologia per l'armatura, nuove dotazioni per il Mark... a che numero è arrivato? Trenta? Quaranta?
Per ben due volte è stato l'eroe che ha salvato il mondo quasi rimettendoci le penne, ma non ha protetto a dovere la sua donna; prima i demoni a Venezia, poi i profughi bellicosi con tanto di spia nella sua stessa casa! E se succedesse ancora e lui non fosse pronto?
Un pensiero del genere non può non tenerti sveglio la notte.
I pensieri che tengono svegli la notte sono roba brutta, dita invisibili che ti tolgono il respiro e che ti fanno sudare freddo contro il cuscino.
Tony guarda Nadia, gli occhi un po' arrossati per la stanchezza, e si chiede che genere di incubo ad occhi aperti la tormenti. Forse la prospettiva di doversi separare da Loki, prima o poi? Forse la preoccupazione che gli accada qualcosa, che davvero chi ha rubato lo scettro sia lì per lui?
Forse il piccolo principe si sta dando un po' troppe arie, ancora una volta. Tony non può fare a meno di pensarci, così come non può fare a meno di chiedersi cosa diamine abbia fatto uno come lui per meritarsi l'amore di Nadia. Ma questa è storia vecchia, vecchia come la pietra spoglia di quella casa di Venezia dove tutto è cominciato; sono domande con cui Tony si è già tormentato e dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che ha visto accadere da quando ha aperto gli occhi una volta per sempre in quella grotta afghana, dovrebbe sapere che l'insistenza con cui ci si continua a porre domande non è affatto garanzia di risposte, né che a un grande tormento segua per forza un gran sollievo.
Sapere cos'è che ha tenuto sveglia Nadia quella notte non servirebbe, perché ha idea che non c'è niente che lui possa fare.
«In mezzo a tutto il trambusto, non mi hai ancora spiegato i dettagli della tua gita fuori porta» dice, sorridendo con leggerezza. «Com'è Babbo Orbo?».
«Non mi ci far pensare... più ci penso e più mi viene il dubbio che Loki non sia l'unico ad essere stato adottato»
«Beh, è normale avere qualche problema con i suoceri» commenta Tony arricciando il naso. «Vedessi le occhiate assassine che è capace di lanciarmi la madre di Pepper... una volta mi ha chiesto se ho qualche tipo di allergia alimentare, suppongo per scoprire se c'è un modo per avvelenarmi e farlo passare per un incidente».
Nadia ride, ma è una risata un po' forzata. Qualunque sia il problema dev'essere bello grosso.
Tony si limita e posarle un braccio attorno alle spalle.
«Comunque, noi siamo ancora gli eroi più forti del Pianeta, Colombina, non c'è suocero bisbetico che tenga» conclude, strizzando l'occhio. Questo almeno non cambierà mai, fino a quando lei avrà bisogno di loro, ci saranno.
Nadia gli posa la testa sulla spalla, sospira. «Mai avuto dubbi al riguardo» mormora, con un po' più di allegria nella voce.
Il cielo oltre la vetrata comincia a rischiararsi, ma il brutto tempo non è passato, c'è ancora quella cappa di nuvole grigie a pesare sulla città.
Inverno alle porte e Thor con le turbe amorose e i casini in famiglia: una pessima, pessima combinazione.
Nadia si alza e fa per tornare al piano di sotto. Tony richiude la confezione di ciambelle e gliela porge. «Tieni, Bambi ha sicuramente bisogno di zuccheri e carboidrati».
La ragazza sposta lo sguardo tra lui e la scatola.
«Che gentile. È una specie di offerta di pace?»
«Chissà, magari se lo corrompiamo con il cibo deciderà di, non so, smettere di essere... non lo so... ma provare non costa niente, no?».
Non è troppo convinto, e non lo è nemmeno lei. Lo sguardo di Nadia si fa cupo, come se tutte le nuvole di quei giorni si fossero addensate nei suoi occhi.
«Se decidesse di restare, per qualche ragione, lo accettereste?» chiede, mordendosi il labbro.
Tony pensa che la risposta non sia poi così facile, e quasi vorrebbe non essere costretto a darla perché richiede una sorta di promessa troppo troppo grande e impegnativa per uno che a volte si sveglia sognando ancora di precipitare nel vuoto.
«Se decidesse di restare...» dice, guardando la ragazza negli occhi, «vorrebbe certamente dire che è guarito. Io vorrei sapere cosa aspettarmi da Loki, vorrei riuscire a fare qualche previsione, ma ho capito che non è così facile quando si tratta della sua testolina fumosa, eppure, nonostante tutto, non mi va di essere pessimista».
Nadia annuisce. «Già, nemmeno a me».
Quando la ragazza si volta per lasciare l'attico, Tony si chiede se era davvero sincera. E non ha mai avuto bisogno di chiedersi una cosa del genere su di lei, prima.
Decide di mettere da parte i pensieri su Loki, Nadia e tutte le cose che, per quanto lo spaventino, sa di non poter controllare e pensa di dedicarsi a una qualche attività che lo aiuti a svuotarsi la testa.
Beh, d'accordo, uno come lui per svuotarsi la testa dovrebbe spararsi un colpo di pistola alla tempia ma è un'opzione piuttosto drastica. Non gli resta che addentrarsi nell'insidiosissimo, e per lui semisconosciuto, territorio della cucina.
Preparare con le sue mani la colazione per Pepper non gli sembra un'idea tanto brutta. Non è che non sappia cucinare, è che ha bisogno dei suoi tempi per farlo, è solo un po' lento perché quando segue una ricetta gli sembra che tutti i dosaggi siano sbagliati e si sofferma a rifare i calcoli e le proporzioni... ad esempio, fare le crêpes è un gioco da ragazzi, ma non è sicuro che le due uova indicate sulla ricetta bastino come addensante per la quantità di farina.
Impiega un po' di tempo insieme a Jarvis per assicurarsi che le dosi siano corrette.
Impiega un po' troppo tempo per cuocerle... l'impasto nella ciotola sembra non finire mai, ma l'odore dolce e burroso che invade la cucina è assai piacevole.
Fischietta un motivetto dei Rolling Stones mentre spalma la montagna di crêpes con la marmellata e ci passa sopra lo zucchero a velo. Dispone il tutto in un vassoio e nello stesso momento in cui sente i passi di Pepper arrivare alle sue spalle realizza di aver usato esclusivamente marmellata alle fragole.
«Oh, porc...».
«Buongiorno» mormora la sua donna, avvicinandosi e abbracciandolo da dietro per stampargli un bacio sul collo.
«Ho preparato la colazione» borbotta lui, bieco. «... per Thor e la dottoressa Foster al piano di sotto, magari».
Pepper lo guarda perplessa. «Cosa? E comunque, a che ora ti sei alzato? O forse dovrei chiedere: sei mai venuto a letto, stanotte?».
Tony non sa bene cosa risponderle, ma non deve darsi la pena di farlo perché la voce di Jarvis interrompe di colpo la conversazione.
«Signore, registro un rilevamento dai macchinari preposti a rintracciare lo scettro».
Tony sgrana gli occhi. Non se lo aspettava, non così presto... diamine! Bambi c'ha preso con la sua idea per trovare l'aggeggio infernale.
«Molto bene, Jarvis. Sveglia il dottor Banner, con molta molta cautela».

*

Un brandello di manifesto strappato e scolorito pende dal muro. Dietro è ancora visibile un graffito con l'immagine di Captain America.
Steve Rogers si sofferma a guardarlo per un istante, prima che la macchina ferma al semaforo riparta. Si è chiesto spesso che idea abbia di lui la gente e l'unica risposta che si è dato è che di certo tutti lo credono assai più straordinario di quanto non sia.
Sono solo un ragazzo di Brooklyn.
L'essere solo un ragazzo è qualcosa di cui sente nostalgia, qualcosa che sa di aver perso. È la parte di lui che si è schianta con quell'areo settant'anni prima. La cosa buffa è che non è ancora riuscito a capire cosa è diventato, è stato troppo impegnato a fare altro.
Guarda l'agente Barton al volante, sul sedile affianco, si chiede se anche lui a volte non si senta fuori posto. Probabilmente no.
Giornata infruttuosa. Bruce e Tony non hanno ancora trovato niente, con le loro macchine. Lui preferisce i metodi tradizionali, lui preferisce cercare, ma lo scettro potrebbe essere ovunque.
Il cielo è una cappa plumbea, come nei film i bianco e nero della sua gioventù, che l'azzurro era da indovinare attraverso le sfumature del grigio.
Lo scettro potrebbe essere ovunque e potrebbe averlo preso chiunque.
All'incrocio una macchina non rispetta la precedenza. Barton frena di colpo, borbotta una parolaccia nemmeno troppo a bassa voce.
È nervoso. L'agente Romanoff è stata mandata a Pasadena, alla base esplosa. Sembra che Fury abbia segreti anche per il suo stesso dipartimento e si fidi di pochi agenti, Natasha è una di questi. Al resto dello S.H.I.E.L.D. è meglio non dire che lui ha deciso di dare asilo politico a un latitante accusato di crimini contro l'intera umanità e già condannato a morte in patria.
Per il resto, la versione ufficiale è che dalla base esplosa è stata rubata un'arma aliena e pericolosa. Squadre S.H.I.E.L.D. sono state sguinzagliate ovunque, per cercarla.
Lì a New York, coordinare la ricerca sul campo sta a lui e a Clint Barton. Steve ha idea che i suoi metodi tradizionali non serviranno, stavolta. Ha idea che lo scettro sia già lontano anni luce.
Si passa una mano tra i capelli, sospira.
Sente una strana malinconia aleggiare nell'aria. Per un attimo pensa a Nadia. Sembrava che le sue vicissitudini fossero finite, sembrava che, per la seconda volta, la ragazza avesse messo una pietra sopra a strane storie sentimentali con dei di dubbia reputazione e adesso è cominciato tutto d'accapo. Quanto a lungo reggerà tutto questo? Lui è un soldato, ha visto la guerra più orribile che il genere umano abbia potuto combattere – senza neppure tirare in ballo alieni e altre stranezze – e il suo metro di giudizio su resistenza e sopportazione è parecchio starato.
Quello che aleggia nell'aria è più che malinconia, è la sensazione di vertigine che si prova davanti a un precipizio, è qualcosa di molto più brutto della malinconia, qualcosa che non si riesce a scacciare.
«Stavo pensando...» tenta di dire Steve, voltandosi verso Barton, ma non fa in tempo.

I'm on the highway to hell!
Highway to hell!
Highway to hell!

Clint inarca un sopracciglio, non si preoccupa neppure di trattenere la risatina che gli sale alle labbra. Stark e i suoi dannati scherzi idioti!
«Io direi di rispondere, Capitano, magari è importante».
Steve cerca il cellulare naufragato in fondo alla tasca del giubbotto di pelle. La suoneria continua ripetendo il motivo di quella canzone assurda e tutto quello che lui vorrebbe fare è stringere il pugno fino a frantumare quell'aggeggio. A maggior ragione ora che la faccia di Tony Stark lampeggia sul display nella foto di ID della chiamata.
«Sì?» ruggisce nella cornetta.
«Uh, a qualcuno sono venute le mestruazioni. Prova con la tisana di tiglio, Pepper dice che fa miracoli»
«Hai chiamato solo per infastidirmi? La signorina Potts a questo punto dovrebbe cominciare a insospettirsi».
Stark ridacchia nella cornetta borbottando qualcosa a proposito di internet e lo slash... che Steve immagina sia la barra sghemba usata come segno di interpunzione. Poi finalmente si decide a esplicitare il motivo della telefonata.
«Dovunque siate tu e Bellosguardo, fate marcia indietro e venite qui: abbiamo localizzato lo scettro. È qui, a New York».
Barton sente attraverso la cornetta, annuisce e fa una brusca inversione di marcia verso la corsia che porta in direzione della Stark Tower.
«Come ci siete riusciti?» domanda, alzando la voce per farsi sentire.
«Abbiamo pensato di impostare i parametri di ricerca usando delle rilevazioni dal metallo delle armi di Nornehim che ci siamo fatti inviare da Fury... niente di troppo geniale, comunque, avrebbe potuto arrivarci anche un bambino»
«E perché voi ci siete arrivati in ritardo?» domanda Steve.
«Non ci siamo arrivati in effetti» borbotta da lontano la voce di Bruce Banner. «Ma questa è un'altra storia».
Steve scambia un'occhiata con Clint, entrambi scrollano le spalle.
«Diteci dov'è, possiamo andarlo a prendere» propone il Capitano, dopo qualche secondo.
«Io non ci andrei a mani nude, Cap» obietta Barton. «Non dimentichiamoci che chi lo ha rubato ha distrutto un intero complesso paramilitare».
«Io continuo a pensare che è stato tutto troppo facile» conclude Tony prima di mettere giù, e lui non fa parte del club dei pessimisti, però Steve deve dargli ragione: lo hanno trovato, in meno di ventiquattr'ore, proprio lì a New York. In una giornata come quella, qualsiasi buona notizia sembrerebbe una fregatura.

*

L'aria è densa di polvere, odora come il gesso per la lavagna.
L'agente Romanoff guarda l'edificio distrutto davanti a sé, sembra un enorme cratere circondato dal nastro giallo del reparto scientifico. Non sa qual'è la versione ufficiale, che cosa abbia detto lo S.H.I.E.L.D. per coprire l'accaduto; di certo non possono permettersi di parlare di attentati, neppure la scusa del clan terroristico – che per quanto sia trita e ritrita regge sempre – può andar bene questa volta, non è il momento di scatenare il panico.
Il vento porta la polvere ad attaccarsi al tessuto dei suoi jeans scuri che ora sono ricoperti di una patina e se ci batte su le mani si sollevano sbuffi sottili come il fumo di una sigaretta.
Il cratere è una bocca spalancata sull'asfalto. Natasha lo guarda così a lungo che nella sua mente l'immagine si sovrappone a quella di un ricordo che non sarà mai abbastanza lontano: il buco in mezzo al cielo aperto dal Tesseract per lasciar piovere la fine del mondo sopra New York.
Natasha ha un problema con i ricordi, non riesce mai a liberarsene, li tiene in fila come lame in un'armeria. È bravissima a ignorarli, ma non ha mai imparato a sbarazzarsene, da questo punto di vista l'addestramento per renderla una macchina da guerra non è riuscito granché ma nessuno lo sa.
Del giorno della battaglia di New York ricorda tutto con estrema chiarezza. E più di ogni altra cosa, ricorda la sensazione incombente di tragedia, una convinzione molesta che se ne stava ben arpionata al suo cervello. Certo, alieni in assetto da guerra che piovono sulla città... era quello che si aspettavano quando sono partiti di nascosto dall'Elivelivolo, non è che occorresse un genio per parlare di tragedia, ma quello che sentiva lei era più forte, più intimo.
Ha sentito dire che l'essere umano, come qualsiasi animale, può avvertire l'avvicinarsi della propria morte. Era questo ciò che sentiva quel giorno, la sensazione di morte vicina come non l'aveva mai sentita... e sì che lei dovrebbe essere un'esperta.
Era per questo che aveva esitato più del dovuto nel chiudere il portale, la preoccupazione per Stark volato dall'altro lato con una testate nucleare sulle spalle era stata come un'ondata improvvisa di nausea, non si era mai spaventata tanto per la sorte di qualcun altro prima di quel giorno – se si esclude il panico celato a stento per Clint sparito tra le file di Loki.
Alla fine non era morto nessuno di loro, quel giorno, e la brutta sensazione era sparita qualche giorno dopo insieme all'indolenzimento post-combattimento.
Ora Natasha non sa bene perché ma sente quell'esatta sensazione.
Forse, si dice, è solo per la vista della base esplosa, per l'aria resa troppo densa dalla polvere che continua ad alzarsi dalle macerie.
A volte anche l'istinto della Vedova Nera sbaglia. Al momento è confortante poterselo ripetere.
«Romanoff, novità?». La voce di Fury negli auricolari è troppo alta, Natasha arriccia il naso.
L'hanno mandata lì per niente, ma il direttore riteneva fosse una buona idea far dare un'occhiata a qualcuno di fidato e che era a conoscenza della versione estesa della faccenda. Di Loki, Fury non ha detto a nessuno, né al Consiglio di Stato Maggiore né ad altri dello S.H.I.E.L.D.
Ora Natasha si chiede come se la stia cavando Nadia. Le avrebbe voluto togliere Loki dalla testa con una bella ricalibrazione cognitiva, al secolo, ma quando è sorta la questione sul fermare o meno l'aereo che avrebbe dovuto riportarla a casa per permetterle di andare a salvarlo lei non ha avuto dubbi al riguardo. Forse perché sa come ci si sente quando non sei tu a decidere della tua vita.
La brutta sensazione se ne sta lì, a pesarle sullo stomaco e sui pensieri.
«Nessuna novità signore. Non c'è niente di utile qui a parte le macerie».
L'ultimo pezzo di frase le sembra un riassunto efficace della sua esistenza. È più o meno quello che ha detto a Clint, del resto, quella sera, dopo la cena alla Stark Tower per salutare Nadia. Lui l'ha presa con perfetto pragmatismo S.H.I.E.L.D, o almeno così ha finto di fare.
L'agente Romanoff si propone di tornare all'alloggio che le hanno messo a disposizione, magari a ricontrollare il materiale sulla base esplosa, per puro scrupolo professionale – di lei tutto si può dire tranne che non sia scrupolosa – sperando che Fury la faccia tornare a New York quanto prima.
Ha imparato a trovare apprezzabile il lavoro di squadra, chi l'avrebbe mai detto. Sente qualcosa di assimilabile alla nostalgia e al disagio ora che si trova lì da sola.
Ma prima di fare qualsiasi cosa, vuole farsi una doccia e togliersi quella polvere da dosso. Non guasterebbe nemmeno un po' di musica, chissà se quella radio sull'armadietto di compensato funziona.
Il brutto presentimento ora è una sensazione di gelo dentro al petto.
Natasha si massaggia la fronte, stizzita per i suoi stessi pensieri. Sale in macchina e gira la chiave nel quadro.
Il telefono squilla, dopo qualche secondo dall'auricolare arriva la voce di Clint.
«La cattiva notizia è che la tua vacanza californiana è finita, devi rientrare» le dice. «La buona notizia è che abbiamo trovato lo scettro».
La donna stringe le labbra e guarda l'orologio. «Se mi muovo adesso riesco ad essere a New York entro stasera, per ora di cena» risponde. «Passo a prendere cibo d'asporto per tutti e mi fate un riassunto della situazione?»
«Se siamo ancora vivi». Il tono di Clint è leggero e tranquillo ma lei sente un groppo alla gola.  Vorrebbe poter arrivare a New York con un teletrasporto immediato.

*

Jane si trascina in cucina e cerca qualcosa da mangiare nella dispensa.
Sul tavolo c'è il suo portatile aperto che lancia un riflesso di luce biancastra tutto attorno. È aperto sul programma di posta elettronica, la sua casella mail trabocca di messaggi non letti.
Negli ultimi due giorni è stata fuori dal mondo.
Alla fine lo S.H.I.E.L.D. è dovuto intervenire, suo malgrado, per non farle perdere il lavoro. Non è rientrata in ufficio e si è assentata senza motivo, l'osservatorio per cui lavora non l'ha presa bene, lei era una dei loro migliori ricercatori, c'era un team che contava sul suo supporto, progetti lasciati in arretrato, materiale da visionare.
Jane è dispiaciuta. Ed è dispiaciuta di essere dispiaciuta.
Si ritrova a sgranocchiare corn-flakers seduta con le gambe a penzoloni sul piano della cucina, accanto ai fornelli. Le sembra di aver fatto tanta strada ma di aver camminato in circolo per tutto quel tempo. Pensa a Thor e pensa che lo ama, ma pensa anche che ha paura del momento in cui dovrà chiedersi se ne vale la pena.
Le vanno di traverso i cereali. Si sente un mostro. Ora vorrebbe picchiare la testa contro lo spigolo del mobile.
Toc-toc-toc...
No, non è la sua testa, è qualcuno che bussa alla porta. Jane lascia andare la scatola di corn-flakers, si sistema i capelli dietro le orecchie e va ad aprire.
Sulla soglia della porta c'è Nadia, una mano nei capelli a tormentarsi le ciocche bionde, gli occhi arrossati.
«Tesoro, cosa ti è successo?» le chiede Jane.
«Santi numi, devo proprio essere messa da schifo, eh?» risponde lei, con le labbra che si arricciano in un sorriso stanco.
Jane non sa perché ma ha voglia di abbracciarla. Non lo fa, si limita a farle una carezza sul braccio prima di lasciarla entrare.
Nadia si lascia cadere su una sedia attorno al tavolo della cucina.
«Sono venuta a scusarmi con Thor» dice. «Ieri ero arrabbiata e penso che tutta questa situazione mi farà impazzire, ma non ce l'ho con lui».
La giovane astrofisica annuisce e sorride.
Sarebbe bello essere dentro a un film, dove non ci sono mai scene come quelle, dove gli eroi sono sempre scintillanti, senza macchia e senza paura. E i cattivi sono dall'altro lato della barricata a fare cose brutte... non dall'altro lato del pianerottolo a fare i conti con la mortalità e l'amore di una ragazza normale. Se fossero in un film, lei e Nadia non sarebbero ragazze normali, ma principesse dall'animo forte e puro, capaci di non fare mai nessun passo falso, piene di certezze che non vacillano mai.
Se fossero in un film potrebbero sperare in un lieto fine, una corsa contro il tramonto prima dei titoli di coda.
Ma la realtà è un'altra cosa. La realtà è il viso assonnato di Nadia e i pensieri sempre più confusi con cui Jane si è svegliata quella mattina.
Ed è una realtà in cui non possono nemmeno parlare dei propri... divini accompagnatori come due ragazze normali, scambiandosi pettegolezzi e battutine e consigli. Suonerebbe tremendo e forzato – e poco disinteressato – se ora Jane chiedesse a Nadia di Loki, ma vorrebbe davvero poterne parlare come se fosse normale. Forse un giorno...
«Stai bene?». Alla fine Jane decide di girarci intorno, alla fine il benessere di Nadia le importa a prescindere.
La ragazza bionda fa un sorriso tirato. «Ho idea che io e te siamo più o meno nella stessa barca, dottoressa Foster».
Lei non ci gira attorno. È probabile che Nadia abbia fatto il callo meglio di Jane a quel genere di cose.
«Già. E io comincio a sentirmi...»
«... spaventata».
No, spaventata non era la parola che Jane stava cercando. In bilico, ecco, è così che si sente.
Vorrebbe chiedere a Nadia perché lei invece ha paura, di cosa esattamente, ma arriva Thor, con una cascata di capelli spettinati mezza calata sulla faccia come la visiera di un elmo.
Nadia scatta in piedi e corre ad abbracciarlo. Il dio del tuono è ancora stordito dal sonno e ci mette qualche secondo a capire cosa sta succedendo, ma poi ricambia la stretta della ragazza chinando il capo tra i suoi capelli.
Jane osserva che hanno un biondo quasi simile, forse era destino che diventassero di famiglia in qualche modo. Le viene da sorridere poi vede le spalle di Nadia, nella presa di Thor, sollevarsi come per un singhiozzo.
«Thor... devo dirti una cosa, è importante» dice la ragazza.
Sì, ora Jane si rende conto che la loro amica è spaventata e sembra esserlo parecchio.
«Qualunque sia il problema, Nadia, deve esserci una soluzione che possiamo trovare insieme» le risponde Thor con dolcezza.
Tutta quella situazione sembra un riflesso fatto a pezzi in uno specchio andato in frantumi: guardi l'immagine, la riconosci, ne distingui le forme e i colori ma ti accorgi che qualcosa non torna e puoi cogliere la distorsione nei mille frammenti sparsi.
Ora Nadia si stacca dall'abbraccio del dio, i suoi occhi sono ancora più arrossati e gonfi. Jane si avvicina a prenderla per mano e l'accompagna a sedersi sul divano.
Seduta in mezzo a lei e Thor in un abbraccio che ha davvero il sapore di una famiglia, Nadia comincia a parlare.
«Quando sono arrivata su Asgard ho sentito delle voci, prima di prendere coscienza dopo essere passata attraverso il varco del Tesseract» esordisce.
Jane vede il dio del tuono sbiancare, come se avesse già capito. Come se fosse la peggiore delle notizie.
«Tre voci che parlavano assieme?» chiede Thor, Nadia annuisce. «Le Norne» conclude lui, lapidario.
La dottoressa Foster fa un rapido inventario mentale. Dopo i casini in New Mexico e dopo la scomparsa di Thor, si era fatta raccontare da Erik le leggende e i miti norreni; ora, se non ricorda male, le Norne sono come le Parche greche, tre donne che tessono i fili del destino o qualcosa del genere. Pensandoci, Jane non ha mai domandato a Thor quanto ci fosse di vero nelle leggende degli antichi popoli nordici.
«Cosa ti hanno detto?» chiede Jane, preoccupata.
Nadia stringe i pugni. «Che non lo salverò, che sarò solo la sua rovina...».
Oh, bene, le Norne esistono e si divertono a demotivare le persone. Grandioso!
«Beh, non è detto che queste tre... ehm... tizie abbiano sempre ragione, o no?» insiste lei. Lo sguardo di Thor non è molto incoraggiante.
«Anche io ho sentito la voce delle Norne, prima di andare ad affrontare i nemici di Nornheim, la volta scorsa» spiega il dio. «Mi hanno parlato di morte, pensavo che si riferissero alla mia, ma così non è stato»
«Cosa?!». L'esclamazione di Jane suona stridula, da attacco di isteria. Thor le lancia uno sguardo di scusa e continua a parlare.
«Ho seguitato a sentire le loro voci e quando Loki è stato arrestato pensavo si riferissero a la sua esecuzione, ma anche quella è stata scampata».
«Sono tre vecchie signore annoiate poco affidabili? È questo che stai dicendo, vero?» suggerisce Nadia, speranzosa.
«Le Norne non sbagliano mai, né si divertono a tormentare le persone per il gusto di farlo... c'è un motivo se hanno parlato a te e a me».
Ecco, a Jane ora piacerebbe che si cominciassero a fare ipotesi su questo motivo e che non riguardassero la fine del mondo o la morte di qualcuno. Che le Norne abbiano voluto mettere in guardia Thor e Nadia per fare in modo che evitassero di far succedere determinate cose? Ma questa versione non si adatta ai racconti di Erik, che le aveva spiegato che il destino intessuto dalle Norne non è modificabile, neppure per gli dei. D'accordo, la versione terrestre del phanteon norreno ha un sacco di buche, Jane lo sa bene, e dovrebbe saperlo anche Nadia: nella mitologia Loki e Thor sono sposati con altre dee, nella realtà... beh...
«Non c'è nessun margine di errore nelle previsioni delle Norne?» domanda la scienziata.
Thor scuote la testa.  
Bene.
«Ma ovviamente quello che dicono è soggetto a interpretazione» si affretta a precisare.
Nadia si stropiccia il viso con le mani. «Oh, questo sì che è rassicurante! Quindi ho tutta una gamma di possibilità che vanno dal mettere sotto Loki con la macchina a fargli lo sgambetto durante una passeggiata sul Bifrost. Confortante...»
«Oppure...». Jane non crede a quello che sta per dire, ma non può tacere. «Oppure forse lui prenderà quella pozione e... forse quello che le Norne vogliono dire è che per stare con te lui deciderà di abbandonare il lato oscuro e... non deve per forza essere una brutta cosa».
L'espressione di Nadia sembra uscita dalle screencaps di un film dell'orrore.
«Se bere il filtro fosse una sua scelta, intendo» si affretta a precisare Jane. Sì, perché non possono sperare che Loki decida di voler restare con la ragazza? Perché devono essere tutti così pessimisti? Alla dottoressa Foster piace pensarlo perché sa che se possono farcela loro allora possono farcela anche lei e Thor...
Ora Nadia è impallidita. Dev'esserci l'uragano Katrina dentro la sua testa, adesso.
Nel silenzio che si è venuto a creare si sente per un attimo il fruscio sottile dell'interferenza dell'interfono e poi la voce del signor Stark.
«Sei sveglio, Maciste? Lavati i denti e vieni qui: abbiamo localizzato lo scettro».

*

Nadia non è del tutto sicura che sia un sogno, è tremendamente vivido.
Non può essere un sogno, pensa subito, quella non è la casa dei suoi genitori a Venezia e neppure l'appartamento al penultimo piano della Stark Tower. Quel posto è... è suo, tutto suo e non si può sognare qualcosa che non si conosce, giusto?
È una casa semplice, su un solo piano, le pareti tinteggiate di verde acqua, le sue foto dell'autunno newyorchese incorniciate e appese dentro cornici di legno di faggio chiaro.   
Nadia scosta le tende al balcone e guarda fuori. Riconosce la città: Roma. Sorride.
Perché Roma?
Beh, non è davvero importante.
Sente un tonfo leggero provenire dalla stanza accanto e sussulta.
Ecco, quello è il momento in cui il mostro spunterà da dietro la porta e lei si sveglierà urlando. Ma se è solo un sogno, perché ha tanta paura?
E se invece non fosse un sogno?
Nadia sente l'agitazione serpeggiarle sottopelle come un'infezione. Si costringe a camminare verso la porta della stanza da cui provengono i rumori. Altri tonfi, il suono di qualcosa che stride contro il pavimento.
Apre la porta con una manata e fa subito un balzo indietro ma nella stanza non c'è nessun mostro.
«Dovremmo mettere un fermo ai libri sull'ultima mensola, continuano a cadere» dice l'uomo sulla scala, teso in avanti a mettere in fila libri che non vogliono sapere di stare diritti.
Loki.
Ha una camicia di lino con le maniche arrotolate al gomito, dei jeans scuri. Ha i capelli corti, non più pettinati all'indietro.
Nadia resta sulla porta a fissarlo. È bello, come sempre, come un dio e anche di più.
Lui scende dalla scala con un paio di balzi fluidi e le va in contro.
«Cosa c'è?» le chiede, divertito forse dalla sua espressione un po' inebetita. Le posa le mani sugli avambracci e lei lo guarda bene in viso.
I suoi occhi sono dello stesso azzurro, ma non c'è traccia del gelo che, di solito, li contraddistingue. Il suo sorriso è aperto, una lama di sole come quelle che entrano dalla finestra. Nadia si vede riflessa dentro quegli occhi ed è attonita.
«Ehi, tutto bene?» domanda lui, un po' più serioso. C'è una dolcezza nuova nella sua voce.
«Loki...»
«Sì?».
Nadia gli posa una mano sulla guancia. La sua pelle è chiarissima, come è sempre stata, non è davvero così diverso. È sempre e comunque l'uomo che ama, tutto il resto non importa.
Si sporge verso di lui e lo bacia. Loki la circonda con le braccia e l'appoggia piano contro il muro.
E lei ricorda il loro primo bacio nel rudere di Venezia, prima dell'ultima battaglia contro i demoni. Lei lo ricorda... lui no.
E lei ricorda la foga, l'aggrapparsi l'uno al respiro dell'altra per spazzare via la paura di ciò che stavano andando ad affrontare, e quella paura, quel senso che tutto fosse effimero e precario c'è sempre stata, in ogni loro bacio.
Lei lo ricorda... lui no. E non c'è traccia di quell'emozione adesso sulle labbra dell'uomo. Quelle sono altre labbra, quello non è ciò che loro avevano.  
Nadia spalanca gli occhi di colpo e lo spinge via brusca, quasi con ferocia.
Loki, il tizio, lo sconosciuto che ha il viso di Loki, la guarda smarrito.
«Cosa c'è? Che ti prende?» domanda, preoccupato.
Allunga una mano per accarezzarle la guancia ma lei gli afferra il polso e lo ferma prima che riesca a toccarla.
«Tu non sei lui» dice, triste più che arrabbiata.
L'uomo ora è quasi scioccato.
«Ma... cosa stai dicendo? Nadia, ti prego...».
Le posa le mani sulle spalle e la scuote delicatamente.
«No!».

«No!»
Nadia sente la sua stessa voce urlare, dentro e fuori dal sogno. Si alza di scatto e scopre di essere sul divano del suo appartamento nella Stark Tower. Deve essersi addormentata lì subito dopo essere andata via dalla casa di Jane.
Loki è seduto su una poltrona di fronte a lei, con un libro sulle ginocchia. Nadia gli lancia un'occhiata colma di panico e angoscia.
Lui chiude il libro, lasciando il pollice tra le pagine e la guarda inclinando appena la testa di lato.
«Brutto sogno?» le domanda.
È lui, è Loki, esattamente come dovrebbe essere.
Nadia trova la forza d'animo di sorridere.
Non gli ha ancora detto del fatto che gli Avengers sono partiti a riprendere lo scettro che le macchine del laboratorio di Tony hanno finalmente localizzato, probabilmente è meglio che lui non lo sappia a meno che non serva un suo consulto o qualcosa del genere. E poi, hanno altro di cui discutere.
«Stanotte non hai dormito» dice lui all'improvviso. «Era evidente, considerato lo stato in cui eri stamattina e il fatto che sei crollata appena ti sei seduta su quel divano, per non parlare del fatto che stamattina all'alba eri con Stark, sì me lo ha detto il robot invisibile, poi sei andata a confabulare con Thor. Ora hai gli incubi. Sarebbe ipocrita da parte mia discutere di lealtà e del fatto che è scorretto avere dei segreti... diciamo solo che se mi dicessi cosa diamine sta succedendo potrei sentirmi, come dire, gratificato»
«Ti dona l'aria torva e minacciosa, è sexy»
«Oh, ho dimenticato di aggiungere per favore. Ma non è esattamente un favore quello che ti sto chiedendo, credo di essermi guadagnato il diritto di sapere cosa ti passa per la testa».
Nadia sospira, si alza in piedi e attraversa l'open space, fino alla vetrata. New York e il suo cielo grigio sono al loro posto. Tutto il resto non lo è.
Loki ha lasciato perdere il libro, adesso, anche lui si è alzato e se ne sta in piedi alle spalle della ragazza.
«... e se anche non ne ho il diritto, voglio saperlo ugualmente» aggiunge stizzito.
Nadia dondola il capo in un vago cenno di assenso e si volta verso di lui. Oh, ha il diritto di sapere, certo che ce l'ha, più di quanto creda.
Lo guarda negli occhi, si sforza di sostenere il suo sguardo fino alla fine, fino a quando non avrà messo in fila quelle due parole facendole suonare comprensibili, senza strozzarcisi.
«Sono incinta».
Lo stupore negli occhi di Loki travolge ogni cosa, ogni pensiero razionale. Nadia ha provato a immaginare le sue possibili reazioni alla notizia, ma nessuna sua previsione assomigliava in alcun modo a quell'espressione sgomenta, né felice né addolorata, solo stravolta.
Ha anche provato a immaginare il modo migliore per dirglielo, ma non c'è nessuna strategia comunicativa per quel genere di cose, non in una situazione come la loro.
La bocca di Loki si schiude per lo stupore e anche se lui resta in silenzio – un silenzio che fa male – lei riesce ugualmente a sentire l'urlo che deve essersi acceso al centro della sua testa.
Il dio dell'inganno non dice niente, si volta di scatto e si dirige quasi correndo fuori dalla casa.









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Note

… Loki è scappato su Asgard e si è buttato di nuovo giù dal Bifrost per sfuggire ai doveri della paternità. Mi piacerebbe davvero poterla finire così la fanfiction. Purtroppo per voi continua per altri dieci/undici capitoli.

Patchwork di POV (manca solo Clint, ma lui ci sarà nel prossimo capitolo) per fare una rapida rassegna di “come siamo messi” prima del tuono che annuncia la tempesta (in realtà mi sto facendo del male perché mi sto rendendo conto di quanto questa storia sia cupa, rispetto alle precedenti, ma del resto il tempo dei giochi è finito).
Tony insonne e impanicato che lavora a una nuova tecnologia per l'armatura... non è particolarmente rilevante ai fini della trama, ma visto che nel mentre c'è stato Iron Man 3, non potevo fingere che quel film non esistesse :P
(la faccenda di Tony in cucina in realtà poi viene da Iron Man 2, quando lui e Pepper sono sull'aereo e lui si presenta con un piatto che ha cucinato per lei dicendo che lo deve mangiare per forza perché ci ha messo una vita a prepararlo. Comincio a diventare inquietante, sì, lo so...).
La mitica suoneria di Cap impostata da Tony. Ok, non è mitica è solo una delle mie idee bislacche però non potevo non citarla almeno una volta anche in questa storia.

Ci leggiamo venerdì prossimo con l'aggiornamento ^^
Per domande, curiosità o altro: Profilo Ask

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Capitolo 9
*** The Great Unknown - part three ***


Capitolo ottavo
The Great Unknown - part three


Loki bussa a quella porta tanto forte da farsi male alla mano, con colpi secchi e veloci uguali al martellare del suo cuore che sente fin dentro allo stomaco.
Quanto diamine ci mettono ad aprire?!
Stringe più forte il pugno, a conficcarsi le unghie nel palmo.
Detesta più che mai la sua condizione da umano ora, quell'estrema vulnerabilità che non lo fa mantenere lucido abbastanza. Beh, certo, la lucidità non gli servirebbe a molto.
Si morde il labbro. Guarda dietro di sé per vedere se anche Nadia è corsa fuori, ma lei non c'è, dev'essere rimasta impietrita in mezzo alla stanza, sorpresa dalla sua reazione, forse interdetta. Sì, quella non è la reazione che ci si aspetta davanti a certe notizie, persino lui può capirlo. Forse l'ha ferita? Non importa, la questione è assai più grande, assai più seria.
Loki sta per prendere a calci la porta di fronte a quella della casa di Nadia, sullo stesso piano. Poi però la porta si apre.
«Oh... ehm... salve...».
Jane Foster, dolce, piccolo uccellino che cinguetti tentando di fingere un'aria di benvenuto.
Loki si sente sopraffare dall'odio per quella giovane donna. Se a lei e Thor succedesse quello che è successo a lui e a Nadia non ci sarebbe motivo di preoccupazione, sarebbe solo una cosa bella da festeggiare in tutti i Nove Regni. Li immagina: i beneamati Vendicatori a bere e festeggiare, Thor felice come non lo si era mai visto prima...
La rabbia gli monta nelle vene. Deve fare uno sforzo enorme per non stringerle le mani al collo.
«Dov'è Thor?» le abbaia contro.
La dolce, cara, piccola Jane incassa la testa tra le spalle e sbatte le palpebre confusa.
«Non... non c'è» farfuglia.
«Dannazione!».
Loki si rende conto, in ritardo, di aver urlato.
La donna fa un lungo respiro, deglutisce e sembra chiamare a raccolta tutto il suo coraggio, e quando Loki la guarda negli occhi è costretto ad ammettere che il coraggio non è una cosa che le manca. Naturalmente Thor deve pur trovarci qualcosa in lei...
«Cosa succede?» gli chiede, ostentando pure una certa fermezza.
«Mi occorre Thor, e mi occorre adesso» ripete lui, stolidamente. «Dov'è? C'è un modo per mettersi in contatto con lui?».
Ora lo sguardo di Jane è puntato al di là della sua spalla, a guardare la soglia della porta dall'altro lato del pianerottolo. Loki sa che adesso c'è Nadia in piedi dietro di lui e non vuole voltarsi a guardarla.
«Cazzo, ho visto reazioni più composte da parte di Homer Simpson» dice la ragazza. La sua voce è risentita, offesa. E Loki ancora si ostina a non volersi voltare.
«Ok, mi state facendo paura voi due» esclama Jane Foster. «E non perché tu sei un dio irascibile e tu una ragazza con una pietra esplosiva attaccata addosso...».
Loki non ha voglia di parlare con la donna di Thor, di spiegarle cose che non la riguardano. È già disturbante l'idea di doverne parlare con il figlio di Odino e poi di dover affrontare gli Avengers e Nadia... perché deve affrontare anche lei.
Finalmente decide di voltarsi a guardarla: ha messo su la sua peggior espressione da guerriera e sembra trattenersi dall'impulso di prenderlo a pugni solo per non dare spettacolo davanti alla dottoressa Foster. Naturalmente non ha idea di cosa significhi quello che le è accaduto o quello che potrebbe accaderle. E lui si sente un totale idiota e non gli piace il modo in cui ora appare riflesso negli occhi della ragazza che lo ama.
«È pericoloso» le dice, alzando le mani in uno stupido gesto di resa, prima che lei cominci a mordere. «Io non sono come Thor che è fisicamente assimilabile agli umani e proprio per questo neppure lo credevo possibile... non sarebbe neppure dovuto accadere, io sono...».
Disgusto.
«Sono solo un'altra reliquia rubata...».
Conosce quella sensazione, l'ha già provata una volta ed è stata così intensa da spazzare via tutto quanto avesse mai avuto di buono nel suo cuore per Thor e la sua famiglia. È stata così totale e distruttiva che ha segnato il suo destino e che neppure una briciola di quell'amore si è salvato dalla follia che quell'orrore ha generato dentro di lui.
«Sono il mostro da cui i genitori mettono in guardia i propri figli la notte».
Il ricordo brucia come il ghiaccio tenuto troppo a lungo sulla pelle, come la stretta di quello Jotun sul suo polso che segnava la sua carne con una verità troppo tremenda da poter essere anche solo concepita. Brucia e fa male, ma nemmeno allora Loki si era sentito così tanto disgustato da se stesso.
«Sono un Gigante di ghiaccio, il mio sangue è come il loro, come quelli come Thor, intendo. Tu sei un'umana e non puoi sopportarlo» conclude, sputando le parole come un'ingiuria.
«Non ci credo» sbotta Nadia. «E poi io ho questa... questa dannata cosa» alza il braccio dove indossa il gioiello con la pietra di Bor. Quel ninnolo non la salverà stavolta, o forse sì... Loki non lo può sapere, è per questo che ha bisogno di parlare con Thor, convincerlo a tornare su Asgard e consultare Odino, o i testi della biblioteca di palazzo, o qualche dotto della Patria Eterna. Una persona in particolare, anzi, la persona a cui deve molto del suo sapere.
Lui non sarà la causa della morte di Nadia! E neppure quella cosa che ora le cresce in grembo.
«Aspettate, aspettate, aspettate!» esclama Jena Foster – giusto, c'è anche lei ora, benissimo! «Ho forse capito male io, ma mi sembra che si sita parlando di... Nadia, tu...».
«Sì, aspetto un bambino. Sì, sono sicura: al terzo test da farmacia uscito positivo, ho fatto fare le analisi a Jarvis, stanotte stessa. Due volte. È un miracolo che la cosa ancora non sia arrivata a Tony... e se spacco la faccia a qualcuno ho pure la scusa degli ormoni!».
Bambino. Ha proprio detto bambino. Loki neppure ha voglia di provare a farla ragionare, ha già capito che è inutile. Sa che in tutti i Nove Regni ci sono modi di strappare le creature dal ventre stesso delle madri, e mentre ci pensa l'idea gli sembra insopportabile, persino a lui che ha ucciso e complottato e tradito e conta di farlo ancora, in futuro. Perché se c'è speranza che quell'evento non sia pericoloso e distruttivo come lui pensa, se davvero la pietra di Bor può permettere a Nadia di sopportare una gravidanza impossibile o se per qualche altra ragione i suoi timori sono infondati... la creatura adesso non dovrebbe essere niente di più che un grumo di carne e sangue dentro il corpo della ragazza, ma l'idea di eliminarla fa sentire Loki ancora più disgustoso di quanto già non si senta: non è come uccidere Laufey e pensare di sterminare la sua stessa razza, gli sembra un pensiero davvero orribile questo e forse è solo colpa di quella dannata condizione da mortale che ora si trova a vivere che lo rende debole e schifosamente sentimentale ma sa che se provasse anche solo ad azzardare l'ipotesi Nadia lo odierebbe e lui, nella condizione in cui è ora, non potrebbe fare assolutamente nulla per fermarla.
«Nadia... è una notizia...». Jane Foster ha ripreso a cinguettare, ma neppure lei sembra avere il coraggio di dire che è una bella notizia. Il cinguettio da passerotto si spegne in un silenzio imbarazzato. Che tacesse, per le Norne!
«D'accordo, potrebbe essere la migliore delle notizie!» dice Loki, fingendo un'aria conciliante. «E io potrei sbagliarmi con le mie preoccupazioni, ma dobbiamo esserne sicuri, anche per il bene della creat... del bambino. Dove diamine è finito Thor?».
«Cosa c'entra Thor? Ha forse una laurea in ginecologia di cui non mi ha mai parlato?».
Oh, perché quella dannata umana non si strozza con la sua stessa lingua?!
«Potrei fare lo sforzo di fingere di trovare gradevole la tua ironia in un altro frangente, dottoressa Foster» le ringhia contro Loki. «Ho bisogno di tornare su Asgard e cercare consulto sulla questione. O non è chiaro il pericolo che Nadia sta correndo?»
«No, non è chiaro. Io mi sento benissimo» obietta la ragazza.
«Aspetta che lo sappiano Thor, il signor Stark e tutti gli altri» borbotta la scienziata.
Loki pensa che non sarebbe male avere un altro ponte dell'arcobaleno da cui buttarsi...

*

Dietro il volto dorato di Iron Man, Tony Stark ha un'espressione perplessa.
La piantina che si disegna davanti ai suoi occhi è molto chiara e il punto che indica lo scettro localizzato da Jarvis si accende a intermittenza come se pulsasse.
«Ok. Uhm, direi che ci siamo» si limita a dire.
«Stark, è uno sfasciacarrozze» osserva Rogers.
«L'ovvietà è uno dei tuoi superpoteri, Capitano?»
«Mai quanto la simpatia è uno dei tuoi»
«Ah, dimenticavo, tu non hai superpoteri...».
Sì, sono davanti al cancello si uno sfasciarrozze poco fuori la città. Sembra impossibile che lo scettro sia stato lì tutto quel tempo e nessuno abbia notato niente. Sembra ancora più impossibile che ora ci siano gli eroi più forti del Pianeta e una squadra speciale S.H.I.E.L.D. pronti a perquisire un deposito di rottami.
Bruce Banner è dentro uno dei suv con cui hanno raggiunto il posto, tiene un portatile aperto sulle ginocchia e sta facendo un cenno affermativo. «È lì dentro, non c'è possibilità di errore» dice.
«E va bene» mormora Tony guardando il recinto fatto di rete metallica e pannelli di plastica scura. «Che facciamo? Volo a dare un'occhiata dall'alto o chiediamo al tizio di uscire con le mani alzate con un megafono?»
«In entrambi i casi, saprà che lo abbiamo trovato» osserva Thor, munito di martello e scintillante divisa da soldatino asgardiano completa di mantello.
«E non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando del tizio che ha fatto crollare una base di quattro piani di cemento armato» si accoda Barton.
«Entriamo e basta?» chiede Tony.
Thor muove impercettibilmente il polso, fulmini sottili si agitano sulla superficie del Mjolnir, sfrigolando con un suono leggero. «Vado avanti, se permettere. Sarà mio piacere friggerlo alla prima mossa falsa che tenta» dice con un certo gusto.
Deve averla presa sul personale, forse per quella storia che il tizio potrebbe essere stato mandato da Thanos per fare il culo al fratellino. Mandare avanti un dio indistruttibile e cazzuto è comunque una bella idea.
Barton fa segno alla squadra di agenti di seguirli a qualche metro di distanza, poi sceglie una freccia e la incocca con gesti precisi.
«Se c'è bisogno fate un fischio, eh» esclama Bruce da dentro la macchina.
«A te l'onore, Capitan Matusa». Iron Man fa un cenno alla volta di Captain America.
Lo scudo di vibranio volteggia con precisione, andando a colpire la catena mezza arrugginita che si spezza di colpo. Il vento fa aprire i cancelli con un cigolio tremendo.
Si sente il rumore delle pistole che vengono caricate, un coro di click. Oltre il cancello c'è uno spiazzo di terra rossiccia e file di macchine vecchie che sembrano le pareti di un labirinto. E a parte il fischio del vento è tutto silenzioso e immobile.  
Fa un po' film dell'orrore, in effetti.
«Stark, un'occhiata dall'alto farebbe comodo» dice Barton.
Iron Man si alza in aria e si porta qualche metro avanti ai compagni che procedono a piedi oltre il cancello, con passi cauti.
Lo sfasciacarrozze copre un'aria piuttosto grande. Dal lato opposto all'entrata c'è uno spazio vuoto dove è piantato un bungalow che probabilmente funge da ufficio del gestore.
«Lo vedo» annuncia Tony, scorgendo lo scettro. È piantato in terra come un ombrellone sulla spiaggia ed emette una luce azzurra a intermittenza che sembra proprio quella di un segnale lampeggiante usato come rilevatore di posizione.
Rilevare cosa? Per chi? Quella roba non promette niente di buono.
«Presenza di elementi ostili?» chiede Rogers.
Elementi ostili? Quando si deciderà ad aggiornare il suo vocabolario non sarà mai troppo tardi.
La luce azzurra continua a lampeggiare. Oltre a sembrare un rilevatore di posizione, sembra il led di una bomba che conta i minuti che mancano all'esplosione.
«Jarvis, quell'affare emette energia, radiazioni, trasmette stazioni radiofoniche aliene?» domanda Tony.
Dall'interno della visiera si accendono colonne di numeri che scorrono veloci.
«Sembra non stia emettendo niente, signore».
«Dunque abbiamo una lampadina dell'albero di Natale e nessuno che abbia premuto l'interruttore».
Iron Man atterra sul piazzale vicino allo scettro, nel momento in cui i suoi compagni raggiungono lo stesso punto.
L'agente Barton guarda la punta di quell'affare con malcelata paura. I ricordi legati a quell'arnese non devono essere piacevoli, per lui.
«Quindi, secondo i tuoi calcoli non potrebbe esplodere?» domanda.
«Così pare».
«Ma che diavolo...» la voce di Rogers. «Argh!».
«Cos'è quella roba?» Clint indica con lo sguardo un mucchio di roba puzzolente e sanguinolenta accatastata tra il bungalow e una pila di auto senza ruote.
«Ad occhio e croce, resti umani» risponde il Capitano, avvicinandosi. Ora che si è fatto il segno della croce l'atmosfera da film horror è completa.
«Sono stati... mangiati?» chiede Thor, arricciando il naso.
«Perché, conosci qualche collega alieno di Hannibal Lecter di cui dovremmo preoccuparci?». Tony comincia a sentirsi nervoso.
«Non mi sembrano mangiati, solo fatti a pezzi» osserva Barton con la voce increspata da quello che sembra essere un conato di vomito.
In cima al mucchio c'è una cassa toracica aperta e coperta di brandelli di carne. Sembra un fiore, uno di quei fiori esotici e velenosi.
Un paio di agenti della squadra speciale danno di stomaco. Tony spera di resistere, perché non ha mai installato un meccanismo drenante collegato alla bocca, quello funziona solo per la pipì.
Steve Rogers cerca di fare il punto della situazione.
«Sappiamo che qui c'è qualcuno. È pericoloso, presumibilmente molto forte visto come ha ridotto questi corpi e...»
«... e sembra scappato dal set di The Walking Dead».
Tony vede la porta del bungalow aprirsi e una figura uscire fuori con andatura strascicata. Ha visto zombie in quel telefilm conciati meglio.
Lo sconosciuto sembra proprio un corpo in decomposizione, pelle livida, labbra violacee, viso scavato e lercio, come se si fosse fatto strada dalla tomba in mezzo a una palude. La cosa peggiore comunque sono gli occhi, sembrano sacche gelatinose iniettate di sangue raggrumato e pus.
Il marciume ha del tutto stravolto i lineamenti di quel viso da mummia mal conservata, ma a Tony sembra inquietantemente familiare.
«Non ci credo, gli Avengers e i signori dello S.H.I.E.L.D, accorsi qui. Per me». La carcassa ambulante parla, sembra piuttosto lucida, al di là dell'aspetto putrefatto. E a Tony sembra di riconoscere la voce, anche se non è particolarmente chiara e limpida.
É impossibile...
Quando lo S.H.I.E.L.D. aveva raccolto i profughi di Nornheim che facevano parte della combriccola di Hope perché Thor potesse portarli su Asgard, Tony aveva preferito non mettersi a cercare Mike in mezzo a loro perché aveva idea che non avrebbe resistito all'impulso di spaccargli la faccia e in quei giorni lui era reduce da un arresto cardiaco dovuto a qualche problemino con il reattore Arc, quindi non poteva permettersi di agitarsi.
Cosa ci faceva lì quel ragazzo? Perché era in quelle condizioni?
«Chi sei? Parla!». Thor fa un passo avanti, sollevando il Mjolnir.
«Il mio nome è Raahm. Raahm di Nornehim, figlio di Odino. Ma mi avete già incontrato, non è vero, signor Stark?».
Il ragazzo che era stato Mike sorride, scoprendo una chiostra di denti opachi appesi a gengive scure.
«Qual'è il tuo piano, che cosa vuoi?» domanda Rogers.
«Al diavolo! Sei stato tu a rubare lo scettro dalla nostra base?» interviene Barton.
Raahm, o come accidenti si chiama, comincia a ridere, è una risata sommessa e gutturale, una nota stonata su uno strumento rotto. Getta indietro la testa ed è mostruoso vedere come la pelle del collo si tenda sul pomo d'Adamo e sulla gola.
«C'è una sola persona con la quale accetterò di parlare» dice, quando la risata si spegne in un rantolo. «Voglio Loki, il dio dell'inganno».
Thor freme, scintille bianche e rosse si sprigionano dal Mjolnir.
L'amico zombie può anche mangiarselo per colazione il piccolo cervo, per quel che riguarda Tony, però deve ammettere che è inquietante e che forse Loki ci aveva davvero visto giusto. I casini riguardano sempre lui, cavolo, non c'è da sorprendersi allora se ha la mania per il divismo.
«Non ti lacerò avvicinare a mio fratello» esclama Thor, solenne.
«Tuo fratello, figlio di Odino, è già perduto» conclude Raahm, con un sorriso crudele. «Lui sta venendo a prenderlo e non potete fermarlo».

*

Clint ha vomitato. Nessuno lo saprà mai, perché si è nascosto dietro a una pila di macchine mentre gli altri erano impegnati a rimuovere lo scettro.
L'arnese non smette di accendersi e spegnersi a intermittenza. Il maggiordomo parlante di Stark continua a ripetere che non emana alcuna energia, ma forse si tratta di qualcosa che le loro macchine non sono in grado di rivelare.
Fosse sicuro che tutto quel casino ricadrà unicamente sulle spalle di Loki, Clint non si agiterebbe neppure più di tanto. Quando c'è stato da decidere se fermare il dannatissimo aereo e spedire Nadia su Asgard lui è stato contrario. Loki non meritava di essere salvato e la ragazza aveva tutto il diritto di tornarsene a casa e riprendere in mano la propria vita, scordandosi di quel figlio di puttana. Non è del tutto insensibile, gli sarebbe comunque dispiaciuto per Thor, ma non era colpa di nessuno se non di Loki se finalmente qualcuno si fosse occupato di staccargli la testa.
Ci sono notti in cui Clint ancora sogna che quella freccia che gli scoccato contro da quel tetto di New York sia giunta a destinazione e gli abbia fracassato la testa.
Lui non è un maledetto eroe senza macchia e senza paura, lui è un agente S.H.I.E.L.D. Lui elimina le minacce, è quello che fa da così tanto tempo da non essere in grado di fare altro.
Raahm, il nuovo ospite inatteso, cammina docile davanti a loro, per essere condotto alla base.
Fa una paura fottuta, anche per quelli come lui che hanno visto un po' di tutto.
E Clint è incazzato nero per aver vomitato prima. È incazzato per un sacco di cose, per Loki, per la nuova minaccia, per gli agenti di Pasadena morti senza un motivo logico. È incazzato perché Natasha gli ha detto di no, che non c'è niente al di là dell'amicizia e della gratitudine tra loro due e che a lei sta benissimo così.
Ma più di ogni altra cosa, Clint è incazzato perché deve far finta che niente di tutto ciò lo tocchi davvero.
Bruce Banner salta giù dalla macchina quando passano con il prigioniero, si toglie gli occhiali con espressione sbigottita.
«Non fissare, Dottore, è cattiva educazione» lo rimbecca Stark.
Banner smette di fissare e si mette a indicare, boccheggiando sempre più scioccato, tentando di mettere insieme qualche domanda. Rogers gli evita la fatica e si mette a spiegare tutto quello che hanno visto dentro allo sfasciacarrozze.
Il loro nuovo amico lascia dietro di sé una scia di odore orribile, di carne marcia e sangue rappreso.
Clint dà ordine a un agente di chiamare qualcuno che rimuova i cadaveri maciullati.
«Dite che è sicuro portare lui e lo scettro alla base?» domanda poi Stark. «Non vogliamo che The Walking Dead ripeta il numero che ha eseguito in California».
«Vuole Loki, diamogli Loki» risponde Clint. «Se ha intenzione di parlargli, di sicuro non farà saltare in aria nessun edificio con lui dentro».
«E tu la credi una mossa saggia?» interviene Thor.
Clint non vuole mettersi a discutere con lui, anche perché ha idea che se l'argomento di discussione è Loki non può venirne fuori niente di costruttivo né di pacifico. E a Clint piace Thor, non ci vuole litigare.
«Se ha detto che è già perduto, magari parlando con lui Loki riuscirebbe a farsi dire qualcosa di utile o capire cosa ha in mente quello. E magari trova pure il modo di salvarsi il culo». Non gli importa di quest'ultimo punto, ma il suo ragionamento non è così errato.
Thor aggrotta le sopracciglia e sospira. Deve capire che non c'è altro modo.
Alla fine, il dio annuisce.
«Per sicurezza, comunque, io non lascerei il nostro nuovo amico nello stesso edificio dove teniamo anche lo scettro» suggerisce Stark.
«No, infatti. Lui lo portiamo alla base, lo scettro possiamo portarlo da qualche parte per analizzarlo» dice Banner.
«Non a casa mia! C'è già troppo trambusto lì ultimamente»
«No, Stark, sta' tranquillo» conclude Clint prima di mormorare qualche istruzione nell'auricolare. «A casa tua ci andiamo io e Thor, per prendere Loki. Voi intanto aspettateci alla base con il piccolo zombie e aggiornate Fury».

Quando raggiungono la Stark Tower, al penultimo piano, lo scenario è surreale.
Nadia, Loki e la dottoressa Foster sono seduti attorno allo stesso tavolo e non sembra neppure che lui stia pensando ai mille e uno modi di far fuori la donna di suo fratello, anche se l'atmosfera sembra abbastanza tesa, ma Clint non si dà pena di provare a capire come mai.
«Abbiamo trovato lo scettro» dice Thor. «E quello che l'aveva rubato».
La scintilla di interesse brilla nello sguardo di Loki, ma non intensamente come Clint si aspettava.  Che stia fingendo di avere meno a cuore la cosa perché sta tramando uno dei tiri mancini dei suoi?
«Thor, forse c'è una cosa di cui tu e Loki dovreste parlare...» dice la dottoressa Foster.
Il dio dell'inganno le lancia un'occhiata accigliata, non gli piace che qualcuno parli in sua vece. E, comunque, che cosa ci può essere di più importante dello scettro? Clint decide di ignorare la giovane donna.
«Quanto ne sai di zombie? Ne abbiamo uno che vuole parlare con te» borbotta.
«Non può aspettare?» chiede Loki stizzito.
«No, ne va della tua sicurezza, credo» conclude Thor. Dovrebbe smettere di preoccuparsi di quel piccolo ingrato con le manie di grandezza.
Nadia si alza dalla sedia, impallidendo. Se non avessero fermato quel cavolo di aereo adesso lei sarebbe a casa sua, con la sua famiglia, lontana da tutto quel casino.
Clint le lancia un'occhiata come a chiederle se è tutto a posto. Lei gli risponde con uno sguardo spaventato. Non gli piace la cosa, vorrebbe avere tempo di chiederle cosa sta succedendo, ma di tempo non ce n'è. A quest'ora Stark e gli altri saranno già arrivati alla base e Fury starà scalpitando.
«Beh, suppongo che io e Thor possiamo parlare anche in un altro posto e tra qualche minuto» conclude Loki, ma non sembra particolarmente convinto.
«Io e Nadia veniamo con voi» esclama la dottoressa Foster. Cos'è? Sono diventati amici, lei e Loki e non vuole separarsene?
«Non questa volta» dice Clint, con fermezza. «Non sappiamo quanto è pericoloso il nostro nuovo amico».
Jane Foster e Nadia si scambiano un'occhiata nella quale sembrano capirsi perfettamente, qualunque sia la questione in ballo, poi entrambe guardano Loki e la tensione di quel giro di sguardi è palpabile come cemento.
Clint ha ancora lo stomaco sottosopra e adesso gli comincia anche a far male la testa.
«Andiamo?» borbotta.
Loki segue lui e Thor fuori dall'appartamento.
«Di cosa mi dovevi parlare?» gli domanda il dio del tuono.
«Dato che avete detto che la faccenda di colui che ha rubato lo scettro non può attendere, suggerisco di preoccuparci di un problema alla volta» conclude il fratello con un sospiro.

*

Comincia a piovere.
Loki segue gli arabeschi disegnati dalle gocce di pioggia sul vetro dell'automobile e spera di dimenticare la terribile morsa che gli stringe la testa.
Speranza vana.
Non ha perso interesse per lo scettro, né le sue preoccupazioni in merito a chi lo ha rubato sono sbiadite ma, al solito, il fato ha scelto di giocare pesante e gli ha fatto un altro dono sgradito.
Troppe cose, tutte assieme. Ancora una volta. O forse neppure troppe, ma quelle che ci sono, sono decisamente andate storte.
Loki sente la stanchezza in ogni fibra del suo essere. Quell'esilio su Midgard doveva essere una specie di vacanza e si è tramutato nell'ennesima folle corsa verso una salvezza che gli appare ogni giorno più lontana.
La debolezza della sua condizione da mortale lo stravolge.
Si chiede se Thor si sia sentito anche lui in quel modo quando Odino lo bandì dopo la sua scorribanda su Jotunheim. Un attimo dopo sta già pensando che non gli importa di come si sia sentito Thor... lui non ha mai dato troppo importanza al suo essere un dio, lo ha sempre dato per scontato. Per Loki invece è un aspetto di sé troppo importante, è ciò che lo ha salvato per anni, per secoli, dall'annegare nei suoi stessi dolori e nelle sue stesse paure, in quel suo sentirsi diverso senza riuscire a capire mai bene il perché, nel chiedersi costantemente cosa ci fosse che non andava in lui, e perché l'azzurro dei suoi occhi non fosse abbastanza luminoso, non quanto quello di suo fratello e suo padre, no di certo.
Thor non ha mai dovuto combattere questo genere di nemici, le battaglie del figlio di Odino erano tutte al di fuori della sua mente. Del resto, è una mente così ristretta...
La sagoma squadrata della base S.H.I.E.L.D. compare in fondo alla strada, un'immagine appannata dalla pioggia.
«Sei al sicuro» dice Thor, dal nulla. «Chiunque sia quell'essere e qualsiasi cosa voglia da te, voglio che tu sappia...».
Questo è più di quanto Loki possa sopportare. Si volta a guardare il principe di Asgard con una tale furia da zittirlo in un attimo.
Cosa si aspetta da lui? Che lo ringrazi? Che ora che hanno vissuto un'altra esperienza in comune come aver sperimentato l'esilio e la mortalità, lui si ricordi del loro legame mai esistito?
Ad ogni ferita, ad ogni vuoto e ad ogni solitudine, Loki pensa sempre che non ci possa essere di peggio. Ma non si è mai sentito tanto solo e incompreso come in quel momento. È qualcosa che trascende persino la sua solita rabbia.
Smontano dall'auto e nel metro che percorrono dalla portiera all'ingresso della base, la pioggia sembra picchiare sul viso come uno schiaffo gelato.
Le luci dei neon sono sempre troppo bianche.
Stark, Rogers e Banner sono in piedi davanti a una porta blindata. Non dicono niente quando lo vedono arrivare e lui non ha voglia di provocarli. Sarà già abbastanza seccante dover sopportare la loro reazione alla notizia che non potrà fare a meno di dargli... già se li immagina dare di matto a causa sua: il mostro che ha irretito la fanciulla.
«Ha detto qualcosa mentre lo portavate qui?» chiede Barton.
«Muto come una tomba» risponde il soldato.
«Penso che dovremmo preparargliene una. O quella o una cella frigorifera» commenta Stark, massaggiandosi il pizzetto.
Barton armeggia con una tastiera sul muro accanto alla porta.
«Chi o che cosa c'è lì dentro?» domanda Loki.
L'uomo di metallo finge un'aria pensierosa. «Il cospalyer di Tutankhamon. Senza le bende, però».
La porta blindata si apre con uno scatto.
La stanza contiene una gabbia che è un parallelepipedo di sbarre satinate, spesse come il braccio di un uomo. Un'enorme stia per i polli, a misura di Hulk o di mostri ancora peggiori.
È interessante per Loki constatare ancora una volta l'enorme inventiva del genere umano per la costruzione di gabbie e prigioni: e Fury ebbe anche il coraggio di guardarlo con disappunto quando gli disse che la libertà è la più grande menzogna della loro razza.
Al centro della gabbia c'è un materasso e sopra al materasso c'è una figura seduta a gambe incrociate, con il capo chino.
Loki si avvicina e sente i passi di Thor alle sue spalle e gli sguardi degli Avengers, può immaginare i loro volti tesi.
Il tanfo di putrefazione è a malapena sopportabile e diventa più forte in prossimità delle sbarre.
Se non fosse tanto preoccupato per la propria sorte, Loki non perderebbe neppure un secondo in quella stanza assurda ad assecondare le necessità dei Vendicatori.
Si ferma davanti alla figura e incrocia le braccia sul petto. Il prigioniero non dà segno di averlo sentito arrivare.
«Mi dicono che vuoi parlarmi» esordisce il dio dell'inganno. «Spicciati, non ho tutto il giorno».
La figura alza la testa di scatto. Loki freme quando due occhi acquosi e opachi si fissano su di lui.
«Qualcosa è cambiato in te, dall'ultima volta che ci siamo visti, dio dell'inganno» dice la creatura. «Ora sei così fragile che Lui non proverà neppure il divertimento sperato nello spezzarti».
«Thanos» mormora Loki, fingendosi calmo. Non ricorda di aver mai incontrato l'essere nella gabbia. «Cosa pensa di fare, stavolta?».
«Ucciderti. Ma prima distruggerà quella tua fragile mente»
«Molto cortese da parte tua avvisarmi. Come mai questa premura?».
Il prigioniero sorride e si passa la lingua sulle labbra.
«Tu mi hai ucciso» asserisce cupo.
«E non mi sembra tu abbia fatto molti progressi da allora...».
Adesso l'individuo nella gabbia sta ridendo. Loki cerca di vedere meglio oltre le sbarre.
«Aspetta. Hai ucciso tu Mike, Bambi?» si intromette la voce di Stark. «Era un crimine passionale o avevi le mestruazioni, quel giorno?».
Sì, ora il dio ricorda. Mike, il giovane spasimante di Nadia, la spia del re caduto di Nornheim.
Non basterebbe tutta la sua maestria di ingannatore a fingersi rammaricato o pentito di quell'omicidio.
«Dovete convenire che ho ucciso per molto meno...» dice, voltandosi verso i Vendicatori con un sorriso malevolo.
Un sordo tonfo fa sobbalzare Loki. Il prigioniero si è aggrappato alle sbarre e tiene premuto il viso nel quadrato vuoto tra le grate, fissando il suo assassino con aria feroce.
Loki gli spezzerebbe il collo altre cento, mille volte. Ora, ad esempio, vorrebbe allungare una mano a spappolargli la faccia, vedere se la decomposizione lo ha reso fragile come sembra e se le ossa si frantumerebbero nella sua stretta, come ramoscelli.
Non ha paura di quello sprovveduto, ma si rende conto che Thanos sta guadagnando potere se è addirittura in grado di riportare indietro dalla Morte. E certamente deve avere programmi assai sgradevoli per lui.
«È per questo che ti ho avvisato, principe caduto» dice il ragazzo che era stato Mike con un sorriso crudele. «Perché voglio che tu marcisca nella stessa paura che provai io prima che tu ti prendessi la mia vita, e voglio che sia così per molti giorni, fino a quando non si compirà il tuo destino».
Loki scoppia a ridere. Per buona parte è una risata teatrale ed enfatica, ma non del tutto. Per una volta le coincidenze sembrano giocare a suo favore, in un certo senso.
«Fammi indovinare» esclama. «Thanos ti ha mandato a prendere lo scettro per tentare di stabilire una connessione mentale tra lui e me su questo pianeta».
L'espressione sul volto del morto vivente si pietrifica in una smorfia indecifrabile. Soffia nervosamente dalle narici mentre dalla sua bocca cola un filo di bava rosa.
«E credi anche che Lui ti ricompenserà, ragazzo?» aggiunge Loki, godendo dell'agitazione del suo interlocutore. «Lascia che sia io a metterti in guardia da una cosa: non avrai alcuna ricompensa perché i tuoi sforzi saranno stati vani. E se anche così non fosse, Thanos ti lascerà ugualmente continuare a marcire fino a quando non sarai polvere. Lui elargisce doni alla Morte, non le sottrae  niente».
Il prigioniero si dibatte, appeso alle sbarre come un pesce catturato in una rete.
«Morirai comunque! E morirai dopo essere stato ampiamente avvelenato dalla paura!» gli ringhia contro.
Loki annuisce con aria annoiata. «Forse quando succederà, sarai il primo che verrò a cercare» conclude, prima di voltarsi per lasciare la stanza, uscendo tra le occhiate perplesse dei Vendicatori.
«Io non ho capito una parola, voi avete capito qualcosa?» sente Banner borbottare ai suoi compagni.
«Esigiamo una spiegazione, fratello» esclama Thor, quando la porta blindata si richiude alle loro spalle.
«Certo, dimenticavo che a voi occorrono i disegni e le illustrazioni»
«Per una volta non puoi semplicemente spiegare quello che c'è da spiegare senza essere un perfetto str... senza essere troppo te stesso, ecco» interloquisce il capitano Rogers.
Loki fa un lungo sospiro e guarda i loro volti dall'espressione instupidita.
Dal fondo del corridoio arriva un rumore di passi e un attimo dopo l'agente Romanoff fa la sua comparsa, con un grosso zaino a tracolla.
«La Hill mi ha aggiornata mentre venivo qui» annuncia, dopo aver rivolto ai suoi compagni un cenno di saluto. «Ora, mi pare si stesse parlando del fatto che Loki debba smettere di fare lo stronzo».
Perfetto, adesso che c'è tutto il circo riunito può decidersi ad affrontare la questione. Ora che ha accantonato la preoccupazione per i progetti di Thanos, si rende conto che per la prima volta in vita sua è senza parole.
«Thanos ha mandato quell'essere ad aprire un portale, usando l'energia dello scettro» comincia a spiegare. «Naturalmente non è un portale che permetta il passaggio di persone in carne ed ossa, è semplicemente un portale che permette una connessione mentale tra Thanos e qualcun altro in particolare, cioè me. Devono aver usato il mio sangue o qualcosa del genere»
«Non mi sembri preoccupato. Perché non mi sembri preoccupato? Nosferatu lì, sembrava uno che sapeva quello che stava facendo» lo interrompe Stark.
«Perché ora che so che è questo ciò che ha in mente Thanos – deve essere questo, non può essere nient'altro – non starò qui ad aspettare che si faccia strada attraverso il passaggio».
Barton fa una risata che assomiglia a un grugnito. «Ah, quindi te ne scapperai con la coda tra le gambe come un codardo!».
Loki vorrebbe potergli strappare la lingua seduta stante.
Io non sono un codardo. Non lo sono mai stato.
Ma non è quello il momento di accalappiarsi con quegli smidollati.
«Fortuna vuole che per allora io sarò tornato ad Asgard» dice, tra i denti.
«Oh, e questa idea da dove viene?» sbotta Thor. «Padre ha detto...»
«Non è un'idea, è una necessità» sibila il dio dell'inganno. «C'è una questione sulla quale devo consultare Odino, o i sapienti del suo regno o i testi della biblioteca di palazzo... e le Norne lo sanno quanto preferirei stare qui a rischiare di essere ucciso da Thanos piuttosto, ma non posso tirarmi indietro»
«Quale questione?» domanda la Romanoff, scettica.
«Cosa potrebbe accadere a un'umana che porta in grembo il figlio di un nato Jotun».
Silenzio. Un silenzio da fracassare i timpani.
Dopo qualche secondo, Stark fa un sorriso tirato, così innaturale che la sua faccia sembra essere diventata di plastica.
«E tutto questo perché tu ti sei svegliato stamattina con una curiosità fine a se stessa e wikipedia non ha saputo aiutarti, giusto?» chiede. Per un attimo sembra sperare davvero che la sua domanda non sia retorica. «Non c'è motivo di ritenere che una cosa del genere si sia verificata né si verificherà mai, dico bene?».
Loki non risponde. Pensa che forse adesso lui e gli Avengers stanno condividendo lo stesso lancinante mal di testa.
Stark fa un passo verso di lui, con i pugni serrati. Il dio dell'inganno pensa che potrebbe tenergli testa anche ora che è umano e non si preoccupa della reazione violenta dell'uomo di metallo.
Quello che lo preoccupa è il fatto che il volto di Banner stia irrimediabilmente cambiando colore.








____________________________________________

Note:
Niente da dichiarare a questo giro. Incredibile ma vero XD
Chiedo scusa se ultimamente sono poco presente, rispondo tardi alle recensioni ed è un po' che non commento le storie e gli autori che leggo, ma la sessione estiva mi ucciderà.
Intanto grazie a tutti quelli che leggono e ai nuovi lettori che si sono aggiunti di recente **

Per domande, curiosità o altro: Profilo Ask

A venerdì con l'aggiornamento :)

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Capitolo 10
*** Blind spot ***


Capitolo nono
Blind Spot


Dal buco aperto nel muro si vede un palo della luce sradicato, con i fili a penzoloni dai quali zampillano scintille e spire di fumo sottile.
A Thor manca un pezzo dal mantello, Rogers lascia andare lo scudo e si massaggia un braccio, Stark si gira tra le mani l'elmo dell'armatura alla ricerca di qualche danno, Barton sta cercando di convincere la Romanoff a mettere giù la pistola, che è tutto finito. E Banner dorme dentro a un paio di jeans chiari ridotti a brandelli.
Ci manca giusto la scritta ''Hulk was here'' per completare quel meraviglioso quadretto di follia e distruzione.
Nick Fury sta cercando di ricordare se nel cassetto della sua scrivania c'è ancora quella confezione di aspirine. Spera che non siano scadute.
I bambini sono usciti a giocare e gli hanno riportato uno zombie, insieme allo scettro. Il cadavere ambulante non sembra avere intenzioni bellicose, vuole solo fare il culo a Loki.
E che lo facesse, dannazione!
Cioè, Fury pensa semplicemente che la cosa non sia di sua competenza, la sua divisione si occupa di prevenire minacce contro il suo Paese, o il suo Pianeta, al massimo. Loki è nato su un cazzo di iceberg galleggiante in mezzo allo spazio.
Ora, tecnicamente, la faccenda di mantenere buoni rapporti diplomatici con Asgard è l'unico motivo per cui Fury non fa qualcosa tipo orchestrare un incidente, procurarsi una fiala di veleno che non lascia tracce o altre cose del genere per sbarazzarsi del rifugiato politico più sgradevole della galassia.
Si fotta Asgard! Si fotta Loki!
Nick Fury fa un respiro profondo.
Gli sembra di vederci rosso anche dall'occhio mancante.
Un altro respiro e un altro ancora.
La situazione è irrimediabilmente sfuggita di mano. E adesso l'uomo si massaggia il mento, chiedendosi cosa poteva fare per evitare quel casino.
Il vento umido entra dalla voragine nella parete.
Lo sa cosa poteva fare: eliminare la ragazza. Loki non sarebbe mai tornato e adesso sarebbe una pozza di sangue sul dannato pianeta dei Chitauri. E gli Avengers non si sarebbero trasformati in un branco di zie esagitate e ansiose. E l'ala est della base avrebbe ancora tutte le pareti intatte.
Cazzo! Ci manca solo che la Romanoff si metta a fare centrini all'uncinetto!
È inutile ripetersi che Nadia Berton era un'innocente, intoccabile, bisognosa di aiuto, che non avrebbe mai fatto del male a una mosca. Sono tutte cose che sa già. Quello che non sapeva, che non si aspettava, era che sarebbe diventata una tale rogna e che sarebbe rimasta incinta di Loki.
È pentito di non averle sparato la famosa pallottola in mezzo agli occhi? Non lo sa.
Non sa nemmeno come gestire tutto quello che c'è attorno.
La ragazza aspetta un figlio. Da Loki. Un figlio di Loki... sulla Terra... con gli Avengers che magari vorranno fargli tutti da padrino, un giorno. E la Romanoff gli farà confezionare tutine S.H.I.E.L.D. in miniatura...
Il figlio di Loki e Nadia Berton. Ora. Qui.
Fury si stropiccia la faccia, continuare a ripeterselo non renderà la cosa meno grave, né rimanderà indietro il tempo e gli darà modo di sopprimere quella calamita per i guai che è la ragazza italiana.
Lancia un'ultima occhiata alla parete sfondata e si volta per tornare nel suo ufficio.
Per un attimo ha persino la tentazione di urlare che lui se ne lava le mani di tutto quel casino.
Ha salvato la vita di Stark, tenendo per sé un reattore Arc di riserva, e quelli si sono incazzati, e Nadia Berton lo guarda come se fosse il diavolo in persona. Salva il mondo ogni giorno e nessuno che dica mai un grazie.
D'accordo, chi fa quel lavoro non lo fa per gli elogi e per i ringraziamenti, quella è roba per sbarbatelli da accademia militare. Ma non era previsto che la sfiga si accanisse in quel modo sul mondo che tenta di proteggere e sulla sua divisione.
Si richiude la porta dell'ufficio alle spalle. Pensa che gli manca la pacatezza e il pragmatismo di Phil Coulson.  
Poi si chiede se la faccenda del marmocchio in arrivo non possa volgere in qualche modo a suo favore. Loki è un cazzo di principino, ha la testa piena di idee su dinastie, eredità, discendenti... potrebbe arrivare a voler bene a un suo figlio o quanto meno, anche solo per orgoglio, potrebbe preoccuparsi che abbia una vita decorosa. Se la Terra diventasse l'asilo nido del divin pargolo, allora avrebbe un difensore in più, il difensore più spietato e implacabile. E Loki smetterebbe una volta per tutte di essere una minaccia per loro. Oppure il marmocchio sarebbe un ostaggio, e Loki potrebbe darsi una calmata e smetterla di essere il suo personale gatto appeso alle palle.
Potrebbe essere un'idea! O anche no...
Le aspirine. Dove sono le aspirine?

*

Tony fissa la porta chiusa e cerca di mettere insieme un pensiero logico.
Vuole andarsene da lì, tornare a casa, vedere Nadia e capire lei come sta. Se per qualche assurda ragione lei fosse contenta, riuscirebbe a esserlo un po' anche lui. Ma il problema non è quello.
«Facciamola breve» esordisce Natasha Romanoff, battendo una mano sulla spalla di Thor. «Qual è il problema? Perché ha detto che deve tornare su Asgard?».
Il dio del tuono scuote la testa. «Non lo so. La stirpe di Loki è diversa dalla mia e non è fatta per mescolarsi con la specie umana, credo voglia accertarsi che Nadia non subisca danni».
Oh, ma che carino...
«Che tipo di danni?» chiede Barton.
«Se le dimensioni del bambino fossero quelle degli Jotun purosangue, ad esempio. Almeno credo... io... vorrei veramente poterne sapere di più, ma un fatto del genere non si è mai verificato prima d'ora, almeno non che io ricordi».
No, certo. Loro hanno l'esclusiva su qualsiasi tipo di calamità, di ogni tipo, di ogni natura e  dimensione.
«Ma nella tua casa sulle nuvole, Babbo Orbo o chi per lui, sapranno che fare, giusto?» domanda Tony. E allo stesso tempo non può fare a meno di chiedersi: e se non lo sapessero? Se non ci fosse modo di prevedere eventuali danni?
«Il sapere custodito dal mio popolo è grande» si limita a dichiarare Thor.
Tony pensa che non sia abbastanza.
Ripensa al giorno in cui andò a prendere Nadia, a Venezia, a quando la soffiò sotto al naso alla sua famiglia come se la stesse rubando. Quel giorno le fece una promessa e per un po' si era persino illuso di essere riuscito a mantenerla. 
«Possiamo fidarci?» interviene Rogers.
Nessuna risposta.
Aprono la porta e Loki è lì, in piedi a braccia conserte. Il suo cipiglio accigliato istiga alla violenza più feroce ma per questa volta il brillante signor Stark non ha battute da fare o frasi argute da proporre... forse.
Aveva sperato più volte che Loki uscisse dalle loro vite, e da quella di Nadia, soprattutto. Per ben due volte ha creduto che fosse fatta e lui è sempre tornato, le loro strade hanno ripreso ad incrociarsi. E adesso la speranza che lui scompaia dalle loro esistenze e dall'esistenza di Nadia è sfumata del tutto.
Forse era così che doveva andare, forse era destino che loro due stessero insieme, alla fine. Forse è un po' come quegli aforismi del cazzo nei biglietti dei cioccolatini: l'amore trova sempre la via o roba del genere. L'amore ha un dispositivo di localizzazione satellitare con il senso dell'umorismo.
Ma Tony non ha mai creduto al destino e di certo non ha mai creduto a quell'amore. Comunque, ciò che crede lui adesso è l'ultima cosa che conta.
Loki continua a fissarli torvo, come se si stesse chiedendo che diamine vogliano da lui, perché sono lì. Sembra davvero convinto che la cosa non li riguardi, che non abbiano alcun diritto di essere lì, di essere preoccupati, di pensare a Nadia.
«Faremo tutte le analisi e i controlli medici del caso» annuncia Tony, asciutto. «Cioè, Banner se ne occuperà appena si sveglierà dal letargo».
Bambi annuisce.
«Inutile. Se quello che temo è vero, la vostra medicina non potrà nulla. Se sono in errore, beh... suppongo che uno come Banner si annoi tantissimo quando non è arrabbiato» dice.
E adesso la misura è colma davvero.
Loki ha una certa attitudine al suicidio, sarà forse un sintomo di depressione psicotica o qualche altra patologia psichiatrica affine.
Tony sta pensando di sbattergli la testa contro il muro fino a quando non si apre un solco abbastanza grande da permettergli di guardarci dentro e capire come funziona quel suo cervello malato. Ma il passo dal pensiero all'azione lo fa Clint.
L'agente S.H.I.E.L.D. si scaglia su Loki e prima che loro possano rendersi conto di quello che sta succedendo, i due sono già a terra.
Per una manciata di secondi sono tutti troppo attoniti per intervenire.
«Avrei dovuto impegnarmi di più per ucciderti durante la battaglia di New York!» ringhia Barton.
Loki lo guarda, impassibile. Quando il primo pugno gli cala sullo zigomo, Tony capisce che ha davvero un'attitudine al suicidio perché non muove un muscolo per contrattaccare, neppure ci prova.
Loki, il dio dell'inganno, il Mentitore, l'oliva marcia nel bicchiere di Martini, conosce il senso di colpa?
Il secondo pugno, sull'altro lato del viso, suona con uno schiocco tremendo.
Un secondo dopo, Tony si getta verso Barton assieme a Thor e a Rogers. Due supereroi e un dio abituato alle risse fanno fatica a staccare Guglielmo Tell dal despota svizzero.
Alle loro spalle la Romanoff ascolta un messaggio attraverso l'auricolare.
«Bruce si è svegliato. Andiamo?» dice, tranquilla – beata lei.

Mentre erano in macchina, verso la Stark Tower, Tony ha chiamato Pepper al telefono. Lei è ancora in ufficio, pare che ci resterà imbottigliata dentro per un bel po', ma se n'è accorta dalla voce che c'è qualcosa che non va. Lui non è riuscito neppure ad accennarle la cosa, le ha detto di non preoccuparsi, che le spiegherà tutto quando sarà a casa.
Pepper gli ha chiesto se si tratta di una brutta notizia. Tony non ha saputo rispondere, ha bisogno di vedere Nadia, poi deciderà come classificare la cosa. Quello che sa è che non è una notizia che avrebbe voluto sentire.
Nadia è nell'appartamento di Jane Foster. Scatta in piedi quando li vede entrare dalla porta, tutti uno dietro l'altro, come in una parata. Capisce subito che loro sanno e non c'è la minima traccia di imbarazzo o turbamento sul suo viso.
Qualche che sia la decisione da prendere, lei l'ha già presa ed è certa che sia quella giusta. Qualsiasi preoccupazione o paranoia possa nutrire Loki, lei non ne ha alcuna.
Le donne rispetto alla maternità sono una cosa terrificante, mostri di coraggio e risoluzione.
«E tu che hai fatto alla faccia?».
E anche rispetto ai propri uomini le donne sono dei mostri di cazzuttagine.
Nadia chiede cosa abbia fatto Loki alla faccia? Ah! Sarebbe meglio chiedere cosa ha fatto al cervello.
Bambi scrolla le spalle. «Qualche problema con il prigioniero» dichiara con estrema tranquillità e naturalezza. Se fingere è il suo lavoro, meriterebbe una medaglia al valore.
«Lo avete preso! Avete preso lo scettro!» esclama Nadia.
Tony si chiede per un istante se sia il caso di spiegarle che il tizio di cui si sta parlando è il suo ex-spasimante ucciso dal suo attuale fidanzato – nonché padre di suo figlio – e tornato dalla morte per compiere la sua vendetta e quella della versione intergalattiga di Sauron.
No, decisamente non è il caso di parlarne.
«Aspettate, e siete riusciti a sapere cosa voleva?» interviene la dottoressa Foster.
Altro che siti di ammiratori, speciali nei rotocalchi televisivi, fanfiction e scritte sui muri... dovrebbero vederli ora, riuniti in un salotto come un gruppo di personaggi di una sit-com. Gli sceneggiatori di Big Bang Theory non avrebbero saputo fare di meglio...
«Abbiamo trovato lo scettro e lo abbiamo messo al sicuro» dice Rogers. «In quanto a colui che lo aveva rubato...»
«Era uno che voleva fare la macumba a Bambi, ma qualsiasi stregoneria abbia architettato non funzionerà perché lui sarà sgambettato lontano a... fare quello che deve fare, qualunque cosa sia» conclude Tony, scambiando una lunga occhiata con Nadia.
Vorrebbe che tutti uscissero, vorrebbe poter restare un attimo da solo con lei. Sono suoi amici, hanno tutti il diritto di stare lì e di partecipare a quel casino dentro la matrioska di casini che è quella situazione, ma lui è quello che la ragazza ha chiamato quando aveva bisogno d'aiuto, lui era lì quando quella folle storia ha preso il via in una corte veneziana. Lui è quello che ha visto la sua donna posseduta da un demone ucciderla. E adesso si sente così responsabile e così in pena, come non si era mai sentito prima d'ora. Forse si sente persino più in pena di quanto si senta Nadia.
«E perché Bruce indossa una tuta dello S.H.I.E.L.D. al posto dei suoi vestiti?» domanda ancora la ragazza.
«È davvero di questo che vuoi parlare?» la rimbecca Natasha Romanoff.
Nadia fa un mezzo sorriso stanco. «Sì. Sono certa che sia più interessante di altre questioni...».
Tony ha paura che ora Barton prenda a cazzotti anche lei.
«Nadia...» esordisce Steve, nel suo tono più conciliante.
«No, non fatemi sentire come se fossi un problema, non questa volta, non per questa ragione» lo interrompe lei, una mano poggiata ad altezza dell'ombelico.
Terrificante, appunto.
«Oh, un altro meeting» dice un'altra voce dalla soglia della porta. «Oggi dev'essere la giornata mondiale dei meeting, quello aziendale di stamattina è stato particolarmente... vivace».
Tutti si voltano a guardare Pepper appena arrivata, borsa in una mano, portatile sottobraccio, coda di cavallo leggermente sfatta.
«Non ditemelo. Qualunque sia il problema, metteremo la moquette ai pavimenti prima di subito».

*

Pepper ha cercato stoicamente di nascondere lo shock. Dopo tanti anni passati a lavorare per Tony e dopo aver intrapreso una relazione stabile con lui forse era certa che niente avrebbe mai più potuto turbarla.
Anche Nadia lo pensava. E ora pensa che i supereroi più forti del Pianeta debbano essere davvero annoiati se non hanno niente di meglio da fare che parlare di lei e della sua gravidanza. Forse il tizio che ha rubato lo scettro era davvero una minaccia da poco conto se davvero non sembrano intenzionati a preoccuparsene più di quanto si stanno preoccupando di lei.
Ad ogni modo, se sono accorsi lì per parlare della faccenda. E c'è così poco di cui parlare.
Bruce la sottoporrà a tutte le analisi del caso a partire da domani. Nadia si lascerà infilare in qualsiasi macchina loro riterranno opportuno infilarla, si lascerà analizzare capello per capello se questo serve a farli stare calmi e a tenerli impegnati. E lascerà che Loki parta a cercare consulto su Asgard.
Ma lei non ha paura. Non è stoicismo, è consapevolezza. È davvero convinta che, in un modo o nell'altro, si troverà una soluzione, che le probabilità che i timori di Loki siano fondati sono poche, forse nulle. Se lo sente, lo avverte con una tale sicurezza da essere disposta a scriverlo su ogni muro di quella città, a ripeterlo fino a quando le persone a cui tiene non saranno serene quanto lei.
D'accordo, non è serena in senso assoluto, ci sono talmente tanti problemi da risolvere. Ma è serena rispetto alla questione del bambino. Talmente serena da essere quasi felice.
La felicità non è un sentimento che conosce l'assennatezza e Nadia non ha voglia di essere assennata. Del resto, quando mai lo è stata?
A dirla tutta, non capisce neppure perché dovrebbe essere felice. Ma intimamente si accorge di esserlo e non permetterà a nessuno di portarle via quella felicità.
Lascia i Vendicatori a parlare, Jane a fare una tazza di tè caldo per Pepper, Loki chiuso nel suo mutismo da melodramma. Lei ha altro a cui pensare; la sua famiglia, ad esempio. Non è sicura di poterlo dire ai suoi genitori, non ancora almeno, né ha idea di come prenderebbero la cosa – male, probabilmente, è quel genere di cose che non si sarebbero aspettati da lei, che era sempre stata convinta che i figli non capitino per caso. E forse quel figlio non è capitato per caso, forse risolve più problemi di quanti sembra possa crearne.
I Vendicatori stanno ancora parlando. Nadia non ha idea di cosa.
Fa freddo su quel balcone, il vento è umido e le scompiglia i capelli.
Nadia immagina che suo figlio potrebbe avere gli occhi dello stesso colore di quel cielo, quasi come le acque della Laguna. Nadia è certa che suo figlio sarà bellissimo.
Sente il fruscio leggero della porta scorrevole.
Spera proprio che sia Loki, perché deve dirlo anche lui che andrà tutto bene e che lei è felice, dopotutto. Che lo sarà, qualsiasi cosa lui abbia intenzione di fare.
Nadia ha sempre avuto molti dubbi su Loki, fin da quando lo vide entrare nella hall dell'albergo dei suoi, portandosi dietro un vento gelido come uno strascico, le ha sempre dato l'impressione della vertigine sull'orlo del precipizio, quella a cui tenti di resistere, ma sai che se se ti lasci andare anche solo per un istante riuscirà a farti cadere. Lo sa, e sa anche che lui non la ama come e quanto lo ama lei, che forse non la ama affatto, ma sa che potrebbe amare quel figlio e Odino si sbaglia: non c'è alcun bisogno di quella fiala o di prigionie eterne o di supplizi. Loki potrebbe ridisegnare il suo intero universo per quel bambino.
Odino si sbaglia, si sbagliano le Norne, tutti sbagliano. Loki non è un mostro, e il suo cuore non è andato in pezzi assieme al Bifrost, perduto nel vuoto dell'universo.
Ma non appartiene a Loki l'ombra accanto a lei.
«Mia madre era convinta che sarei stato io il primo a renderla nonna» dice Thor.
Nadia si volta a guardarlo e nell'azzurro dei suoi occhi si accende una scintilla che assomiglia alla serenità e alla contentezza della ragazza. E lei scoppia a ridere e gli posa la testa sulla spalla.
«Grazie» gli mormora. Non ha bisogno di spiegargli perché.

*

Ora, finalmente, c'è silenzio.
Loki guarda Nadia e Stark che si abbracciano – senza apparente motivo – e si staccano persino con una certa riluttanza. La cosa che più lo disturba dell'affetto che lega la ragazza agli Avengers è che non riesce a capirlo. E se non può capirlo non può contrastarlo.
Non lo capisce e forse proprio per questo a volte, continua a chiedersi se ci sia un modo per portargliela via. Se lo chiede un attimo prima di ricordarsi che non avrebbe alcun motivo per farlo. Dovunque lui sia diretto, Nadia non può seguirlo, è sempre stato così, era una certezza molesta per certi versi, ma ora Loki si chiede se non stia cambiando tutto; si domanda se, nell'ipotesi in cui quel bambino dovesse venire al mondo, quell'evento non riscriverà ogni cosa, ogni sentiero che il destino ha tracciato.
Non sa rispondersi ma adesso, a mente lucida, ora che i Vendicatori hanno smesso di agitarsi e che il pericolo del nuovo leccapiedi di Thanos sembra sventato, tutto gli sembra assai meno terribile di come gli era parso quella mattina.
Fino a tre giorni prima era nella più tremenda prigione di Asgard, convinto che sarebbe morto. E adesso...
Però deve partire.
«Domattina» chiede Nadia, posandogli una mano sul braccio.
«No, il prima possibile. È molto...»
«Ti prego».
Si arrende, il dio dell'inganno, fa un cenno d'assenso e trattiene un sospiro. Quella sua condizione da mortale lo rende così debole e così soggetto alle emozioni e lui odia tutto questo e odia il modo in cui non riesce a odiare il sorriso che ora Nadia gli sta rivolgendo.
Le cinge le spalle e la segue nell'appartamento dove la ragazza ha vissuto. Via dagli Avengers che continuano a fissarli come se fossero la peggiore delle anomalie. Via dal sorriso allegro di Thor che sembra così fuori luogo eppure è così da lui.
Gli sguardi di chi lo crede un'anomalia e il peculiare sorriso stonato di Thor hanno già fatto da sfondo a gran parte della sua vita per continuare a sopportare ancora.
Loki pensa che la sua vita stia cambiando sul serio. Non sa fino a che punto debba esserne spaventato, ma sa che ci sono stati momenti – e ci ha pensato, ha dovuto pensarci mentre era in prigione – in cui si era reso conto di essersi spinto troppo oltre, su una strada che non era quella che aveva immaginato. Adesso forse ha un motivo per fermarsi, e per una volta quel motivo non ha a che fare con il fallimento.
Pensa che sia colpa della sua condizione da mortale, se ora intravede una via diversa apparire in mezzo alla nebbia dei suoi peccati e del suo orgoglio, una verità appena accennata emergere piano dal fondo del pozzo nero dell'inganno al quale ha votato se stesso. Pensa che sia colpa della sua condizione da mortale e non riesce a rammaricarsene.
«Devi riposare e... nutrirti» dice, guardando Nadia, pensando che concentrarsi su qualcosa di pratico possa aiutarlo a sgombrare la mente da pensieri e prospettive che neppure riesce a capire.
La ragazza lo fissa spalancando gli occhi, con quella sua aria un po' troppo supponente.
Loki cerca di ricordare quando quell'espressione gli faceva salire alle mani la voglia di spezzarle il collo, ma è un ricordo che sfuma  e si dissolve e l'unica cosa che resta è il fatto che non ci è mai riuscito, che non ha mai voluto farlo davvero.
«Ho cambiato idea, parti adesso se devi trattarmi da malata» replica Nadia, con leggerezza.
Il dio scrolla le spalle. Il pensiero di partire lo angoscia: tornare su Asgard, chiedere l'aiuto di Odino e di tutti quelli che lo hanno sempre disprezzato, non essere lì se dovesse accadere qualcosa.
Ma deve partire per forza, per salvarsi da Thanos e dalla sua ennesima trovata diabolica.
Ora Nadia lo sta guardando come se riuscisse a leggergli nella mente e Loki si chiede come e quando sia diventato così trasparente.
«Lo so che è difficile, per te» dice lei.
Lui inarca un sopracciglio, stringe appena le palpebre come se cercasse di mettere a fuoco qualcosa di inafferrabile, il senso di quello che la ragazza gli ha detto. Gli umani e il loro solito vizio di minimizzare!
Ma per una volta può evitare di mettere se stesso e le sue spine nel fianco in prima linea. Avrà un intero soggiorno su Asgard per angustiarsi.
«Come se per te non lo fosse» replica, pacato.
«Non lo è»
«Lo sarà».
Nadia assottiglia le labbra, nella sua bocca i pensieri si contraggono non riuscendo a prendere la forma delle parole. Loki impiega qualche secondo a capire che lei ha frainteso, ma gli ci vorrebbe l'eternità per provare a spiegarle davvero ciò che intendeva, o meglio, ciò che non intendeva.
Non intendeva dire che la lascerebbe nei guai. Non l'ha mai fatto, del resto, non ha mai pensato di farlo, nemmeno prima, quando lo strano filo rosso che li legava era talmente sottile che lui poteva illudersi di non vederlo o raccontarsi che al sorgere di un nuovo giorno si sarebbe spezzato da solo.
«Lo sarà. Ma non sono difficoltà che affronterai da sola, io non lo permetterei e nemmeno loro».
Non riesce a pronunciare quel ''loro'' senza caricare la parola di astio. Anche questo non lo ha mai fatto e non ha mai pensato di farlo.
L'odio di Loki è come l'oro dei palazzi di Asgard, riflette immagini distorte e replica all'infinito l'immagine di un cielo eterno mai del tutto sgombro di nubi. L'odio di Loki è eterno, come l'eco degli eventi che lo hanno acceso.
L'odio di Loki è l'odio di un dio e non c'è prigione che possa contenerlo, non c'è misericordia che possa smorzarlo.
Nadia si fa più vicina e lui la stringe in un gesto repentino. È senz'altro colpa della sua condizione da mortale, ne è certo, ma ora pensa che lasciare andare lei sia anche più tremendo che lasciar andare il suo odio.
La ragazza si solleva sulle punte per baciarlo e Loki pensa che non ha mai compreso l'amore, ma lo sente passare nel respiro della giovane midgardiana e sente che fa male.
«Andrà tutto bene» dice lei, contro le sue labbra e il dio dell'inganno si sente disposto a credere ad ogni menzogna, almeno fino alla mattina successiva.

La mattina successiva è lì ad attenderlo, e porta con sé un tremendo senso di vuoto e di vertigine.
È mattina e il sole filtra timido in un cielo ovattato di fine autunno, ma mentre Loki si alza e si riveste ha la sensazione di star camminando nel buio.
Il viso gli fa ancora male per i pugni ricevuti, sicuramente gli sono rimasti i lividi. Questa è un'altra cosa che detesta dell'essere mortale. Ed è un'altra cosa da far pagare agli Avengers, prima o poi. 
Nadia si mette a sedere in mezzo al materasso, le coperte tirate fino al mento e i capelli sconvolti.
«Lo so che è necessario che tu parta, ma non mi piace questa cosa...» borbotta con la voce impastata.
Loki si chiede se lei sarebbe una buona regina. Di certo sarebbe una regina che tutti potrebbero amare.
«Nemmeno a me» le dice.
La ragazza sorride, arriccia il naso e si passa una mano tra i capelli, con il solo risultato di scompigliarli ancora di più.
«Stai dicendo che ti avrebbe fatto piacere restare qui come me?» chiede.
La domanda è come un dardo scoccato senza prendere la mira, ma giunge a destinazione, perfora strati e strati di cuore. La risposta che prende forma nelle mente di Loki è corroborata da un fiotto di sangue e lui può quasi sentirlo riempirgli la gola.
«A volte vorrei essere la persona che è destinata a farlo».
Ma non lo sono, né potrei mai esserlo.
Vorrebbe quanto meno capirlo l'amore, l'essere un umano, il vivere al di fuori della guerra che ha scatenato contro l'universo intero. A volte vorrebbe davvero, quando si sente stanco e solo. Ma non può, né sceglierebbe mai quella strada. Lui è Loki, il dio degli inganni, e gli dei resistono al cambiamento. E gli dei non sono fatti per essere felici e di certo neppure per arrecare felicità.
Però gli dei proteggono, è per questo che gli umani li hanno venerati per secoli, loro erano la fiamma in mezzo al buio della notte, l'ultimo baluardo contro le insidie e le paure annidate dietro le stelle.
Gli dei proteggono, è la loro più alta responsabilità, ed è per questo che ora Loki sa che deve partire. Se non riuscisse a proteggere l'unica persona per la quale prova qualcosa di buono sarebbe indegno del suo titolo e del suo potere.
In fin dei conti, questo è tutto quello che ha e tutto quello che sa.
Ed è davvero come camminare nel buio. 
Nadia prepara la colazione, assorta in pensieri che Loki ha paura di immaginare. L'odore di quella bevanda... caffè... gli secca la gola e lui si siede accanto alla ragazza, senza toccare né cibo né altro.
«Potrei venire con te e Thor» dice Nadia all'improvviso.
No, non può. Loki non sa cosa dovrà fare una volta fatto ritorno alla Patria Eterna, quali macchinazioni dovrà inventare per farsi rendere i suoi poteri e quali occasioni potrebbe ritrovarsi a cogliere. Lui ha i suoi piani e lei è bene che ne stia fuori, per più di una ragione. 
«Dopotutto la cosa riguarda più me che voi» insiste la ragazza.
«Mi era parso di capire che l'ambiente non fosse di tuo gradimento»
«Beh, pur di vedere l'espressione di Odino e Frigga quando glielo direte, sarei disposta a sopportare tutto il resto»
«Ai tuoi amici farà più piacere saperti sotto la loro opprimente sorveglianza».
Nadia incrocia le braccia sul petto e guarda Loki con espressione severa.
«Cosa esattamente pensi di fare su Asgard?».
Io faccio quello che voglio.
«Ciò che devo. E tornerò, prima che tu abbia tempo di decidere se è più basso Stark o Banner» risponde il dio.
«Questa era cattiva! Ma vulvetta lamentosa era meglio»
«Mi stai dicendo che Stark non ti ha mai reso edotta sul discorso di Stoccarda?».
Nadia fa una smorfia divertita e scuote la testa,
«So che ci sono dei filmati, ma lo S.H.I.E.L.D. non ha mai voluto che li vedessi» risponde.
Loki annuisce con un mezzo sorriso, poi la sua espressione si fa cupa. La ragazza gli prende la mano poggiata sul tavolo e con lo sguardo lo esorta a sorridere. E il sorriso che lei gli sta chiedendo è una menzogna particolarmente complicata.
Qualcuno bussa alla porta e non è difficile indovinare chi sia. Thor indossa i suoi abiti da asgardiano e ha l'aria di uno a cui non dispiace partire e Loki capisce subito il motivo: la sua umana gli scodinzola alle spalle come un cane.
Il figlio di Odino vuole portarsela dietro. Loki vuole picchiare la testa contro il muro. 
Il dio dell'inganno prova a pensare che magari su Asgard potrebbe accaderle qualche incidente da imputare alla sua sciatta distrazione, ma la voglia di prendere a testate il muro non diminuisce.
Prenderebbe a testate anche Thor, ma lui è fatto di granito, ottuso e pesante come la pietra.
Preferisce non fare commenti, si limita a lanciare alla scienziata un'occhiata che smorza di colpo tutto il suo entusiasmo per la partenza.
«Siamo attesi sul terrazzo» si limita a dire Thor che non ritiene di dover fornire alcuna giustificazione per la sua idea di portarsi dietro la donna.
Il silenzio dentro l'ascensore che li porta in cima alla torre è così gelido da far credere che siano dentro a uno di quei grossi sarcofaghi freddi in cui gli umani conservano il cibo – frigoriferi, o qualcosa del genere...
Poi le porte automatiche si prono con un trillo leggero e Nadia e Jane Foster escono prendendosi sottobraccio e cominciando a ciarlare del viaggio su Asgard.
Femmine!
Thor afferra Loki per la spalla e lo scrolla per farlo voltare nella sua direzione. Il dio dell'inganno sente fastidio a quel contatto.
«Potrebbe venire anche Nadia con noi, fratello, sono certo che gli altri non farebbero alcuna obiezione» dice il figlio di Odino.
Loki si sottrae con uno scatto stizzito alla presa di Thor e lo guarda furente. Non è solo per avere libertà di manovra che non vuole portarla su Asgard e gli sembra oltremodo stupido che il dio del tuono lo abbia proposto.
«Portarla su Asgard?» sibila, assottigliando lo sguardo a sottolineare il suo fastidio e la sua irritazione. «Perché venga esposta alla freddezza e al disprezzo che la casa di tuo padre nutre per me? Perché Odino possa elargire altra magnanimità e vederla di nuovo in ginocchio?»
«Loki...» mormora Thor con voce ferita e quasi implorante.
Cieco! È sempre stato cieco, il principe di Asgard, e Loki è stanco della sua mancanza di senno e della sua incapacità di comprendere. È stufo di tutto ciò che Thor ha finto di non vedere o che non è capace di ricordare.
Sul terrazzo, i Vendicatori sono schierati sulla piattaforma priva di parapetto, destinata all'atterraggio di Iron Man. Gli eroi stagliati contro il cielo con la città ai loro piedi... sembrano il presagio di qualcosa di grande che sta per accadere e lui sente una scia fredda di paura salirgli dalle viscere alla schiena e non ne comprende il motivo.
Loki si avvicina continuando a guardare Jane Foster, di spalle accanto a Nadia e desiderando ardentemente di spingerla giù da quella lingua di cemento e metallo, ma alla fine si ferma accanto alla ragazza italiana e si china al suo orecchio.
«Sono certo che andrà tutto bene» le mormora. E riconosce il sapore della menzogna sulle sue labbra, una menzogna pronunciata con una tale maestria da essere più grande di una verità. Forse è questa la forma che hanno le speranze, pensa guardando una macchia di azzurro allargarsi tra le nuvole spostate dal vento.
Nadia stringe le dita attorno alle sue per un rapido istante, ma stringe forte e il sentore della presa assomiglia la dolore di uno strappo.
«Se mi aveste dato più tempo, avrei trovato il modo di potenziare il segnale delle linee telefoniche fino alla cima del monte Olimpo» dice Stark.
Thor gli batte una mano sulla spalla con aria rassicurante. «Posso mandare qualcuno dei miei compagni appena ci saranno notizie».
«Purché non distrugga pavimenti e suppellettili».
Il dio del tuono e la sua donna scambiano saluti e battute, poi, quando il lampo del varco aperto dal Tesseract piomba su di loro e li afferra, Loki vede il nero del buio più profondo invece della luce azzurra.






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Note:

L'imbarazzante momento in cui Nick Fury parla come Sandor Clegane di Game of Thrones...


Il titolo del capitolo “Blind Spot”, macchia cieca, si riferisce proprio al termine anatomico oculistico, a quella porzione di retina dove non ci sono fotorecettori perché c'è l'attaccatura del nervo ottico e quindi alla zona del nostro occhio con la quale siamo ciechi, anche se non abbiamo percezione di quel “buco” nel nostro campo visivo perché il cervello lo riempie automaticamente.
Volevo sottolineare come in questa parte della storia i personaggi siano più “ciechi” di quanto pensino, rispetto a varie cose.
Con questo capitolo si chiude quella che era una sorta di prima parte della storia, dove ho inserito gli elementi che determinano i binari sui quali viaggerà la trama per arrivare alla conclusione (che per la mia salute mentale non arriverà mai troppo presto), insomma, siamo giusto a metà strada e da qui si cambia un po' registro con la “separazione” dei due gruppi di personaggi.

Parafrando un giovanotto inglese che per lavoro ogni tanto finge di essere un dio norreno con l'elmo cornuto, devo dire: PS. I HAVE THE BEST READERS IN THE WORLD
E ho anche le prove.

Prova numero 1: per la quale si ringrazia Callie_Stephanides, è QUESTO video trailer di A series of unfurtunate events
Prova numero 2: che io ho stupidamente dimenticato di linkare la scorsa settimana è QUESTO disegno di Giulia che mi ha fatto lollare non poco.
Prova numero 3: questa storia se ne va in giro da un anno e non c'è stato un solo giorno in cui non mi abbiate fatto sentire felicissima di essermi imbarcata in questa avventura (salute mentale traballante a parte). So che, giustamente, i lettori non hanno l'obbligo di recensire (meno che mai di essere tanto calorosi), che è un "di più" per chi ha voglia e occasione di farlo e che spesso richiede tempo, per questo ogni vostro commento, ogni vostra manifestazione di apprezzamento alla mia storia mi riempie davvero il cuore.
GRAZIE!  *_*


*piccolo spazio pubblicità*  Qualche giorno fa ho pubblicato una one-shot Loki/Sif nella sezione Thor. Per chi fosse curioso di sapere cosa combino fuori dalla "trilogia" ;)

Ci leggiamo venerdì prossimo con l'aggiornamento ^.^

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Capitolo 11
*** ''... but never doubt that I love you'' ***


Capitolo decimo
''... but never doubt that I love you''


Il dorato si sostituisce al buio come se lo stesse inghiottendo e il senso di vuoto si trasforma di colpo nella solidità di un pavimento su cui Loki, all'inizio, fa fatica a mantenersi diritto, specie quando Jane Foster gli crolla addosso.
Thor li afferra per i colletti della camicia con un unico gesto rapido e li rimette in piedi, prima che il dio dell'inganno abbia tempo di assestare alla donna un colpo il più doloroso possibile.
Lo sguardo di Heimdall, accanto a una colonna della stanza circolare è imperscrutabile e profondo come al solito.
Loki fa un gran respiro e l'aria gli sembra troppo densa. È ancora nella sua forma mortale e il suo corpo fa fatica ad adattarsi a quel luogo che non è fatto per gli umani. Anche la scienziata di Thor sembra accorgersene, e si guarda attorno smarrita; lui smette di prestarle attenzione, il suo sguardo viene catturato dal Tesseract che brilla sulla colonna al centro della stanza. Loki fissa il fumo traslucido che si muove in piccole spire tra le pareti del Cubo, in onde lente che si spostano ipnotiche, impedendogli di distogliere la vista.
Persino la storia del dio che venerano gli umani comincia con una frase sulla luce, ''sia la luce e la luce fu''. La luce del Tesseracar con il suo riverbero azzurrino sembra volergli ricordare com'è cominciata ogni cosa, metterlo di fronte a verità più grandi di lui e alla consapevolezza che non è mai stato in grado di affrontarle. Rammentargli che è prigioniero di se stesso, incatenato alle sue scelte.
La porta della stanza si apre per lasciar entrare una guardia.
«Principe Thor, non attendevamo il vostro ritorno» dice questi in tono ossequioso, chinando il capo verso il figlio di Odino. Lo sguardo che rivolge a Jane Foster è perplesso, quello che poi rivolge al dio degli inganni è tra lo stupito e il terrorizzato. «Né il Padre degli dei attendeva ospiti».
«Ora capisco perché siete venuti su un po' suonati, tutti questi salamelecchi farebbero perdere qualche rotella anche a me...» bisbiglia la donna all'orecchio di Loki.
Il dio dell'inganno inarca un sopracciglio: da quando la donna di Thor trova piacevole condividere i suoi pensieri con lui? E perché diamine pensa che dovrebbe interessargli?
Oh, forse la povera piccola Jane è rimasta talmente impressionata e si sente così fuori posto da cercare appiglio in qualsiasi elemento non le sia del tutto estraneo.
Loki le sorride malevolo e si china al suo orecchio.
«Ti senti forse fuori luogo, Jane? Beh, lo sei di certo» le dice, in tono di falsa cortesia.
«E tu ti sei visto? Hai addosso dei Levi's».
Il dio dell'inganno tace. Tentare di strangolare la donna del figlio di Odino davanti a tutti non è un modo propizio per assicurarsi l'aiuto degli asgardiani; e le Norne lo sanno quanto a Loki disturbi l'idea di doverlo chiedere, quell'aiuto.
La guardia li scorta fuori dalla stanza del Tesseract e li conduce al piano inferiore, dove si trova la sala del trono, facendogli strada verso una delle gallerie laterali.
«Chi fa le pulizie in questo posto ha tutta la mia ammirazione» dice Jane Foster, mentre attraversa i corridoi con il naso per aria.
«L'unico erede di Odino torna ad Asgard e il re lo mette a fare anticamera?» borbotta Loki quando la guardia li lascia ad attendere nella galleria. «Ricordavo tu fossi un po' più popolare, Thor».
«Ancora non conosce il motivo della nostra visita» osserva il dio del tuono.
«Oh, certo. Quando lo avrà saputo indirà una festa in tutti i Nove Regni»
«Dipendesse da me, starei già facendo festa».
Thor lo guarda con un sorriso così aperto e con un tale sguardo complice che Loki si sente vacillare. È un'espressione che conosceva, ma l'aveva dimenticata; è il sorriso che Thor riservava a lui e solo a lui alla fine di ogni battaglia o in ogni occasione felice.
E per la prima volta Loki non riesce a sostenere lo sguardo del figlio di Odino, così si guarda attorno cercando di ostentare indifferenza. Solo ora riconosce la stanza e i ricordi, quelli che non è mai riuscito ad arginare, lo colgono di sorpresa con la prepotenza di una tempesta.
Erano lì, in quella galleria, lui e Thor la mattina della mancata incoronazione, quando lui aveva predisposto tutto per il proprio trionfo e aveva ottenuto nient'altro che aprire la strada alla sua caduta.
Le pareti sembrano impregnate delle loro parole e, nella mente di Loki, riflettono un'immagine come un enorme specchio.
«Sei mio fratello, mio amico. Talvolta sono invidioso ma non dubitare mai del fatto che ti amo».
Loki non potrebbe mai negare di aver amato Thor in passato. Se solo... se solo fosse stato davvero suo fratello, se solo lui non si fosse sentito così spacciato dall'apprendere di non essere il figlio naturale del re di Asgard...
Loki sente male dentro e per la prima volta comincia a chiedersi se la sua ostinazione nel perseguire scopi inarrivabili non nasconda rimorsi troppo grandi per essere affrontati. Ora che è costretto a rendersi conto che, malgrado tutto, Thor è lì per lui, è felice per lui, combatterebbe ancora una volta per lui, il dio dell'inganno si sente smarrito come non lo è mai stato prima.
L'odio per Thor e il rancore verso la sua famiglia sono la sua forza più grande. Che ne sarebbe di lui se mettesse da parte quei sentimenti? Rischierebbe di essere felice?
Gli dei non sono fatti per la felicità, si ripete. E il pensiero sanguina dentro la sua mente.
La grande porta della stanza scricchiola appena sui cardini mentre si apre. La regina di Asgard compare come un lampo color argento contro il battente di legno scuro e Loki la guarda venire verso di loro con passo rapido, come se i suoi piedi neppure sfiorassero il pavimento.
Solo in quel momento realizza di essere nella casa in cui è cresciuto e di esserci per sua scelta, non come prigioniero, né per le decisioni di altri.
Frigga si ferma davanti a lui e a Thor e sorride raggiante.
«Non speravo di rivedervi così presto» esclama, «né speravo in una così lieta sorpresa» aggiunge, guardando Jane Foster.
Thor prende per mano la sua compagna e la trascina davanti alla regina. Loki si chiede se anche Nadia avesse quella faccia quando l'ha incontrata la prima volta... no, Nadia aveva certamente un'aria più intelligente.
«Madre, sono orgoglioso di presentarti Jane Foster. Jane, lei è mia madre, la regina Frigga».
Sul volto della scienziata sale un'onda di rossore.
«Sì... ehm... lo sapevo...» farfuglia, indecisa se stringerle la mano o fare altro. «Sono lieta di incontrarvi, signor... ehm, maestà. Thor mi ha parlato di voi».
La regina sorride con dolcezza e posa un braccio sulla spalla della ragazza. «Sei un'ospite quanto mai gradita, mia giovane midgardiana. Ma ancora non mi è stato detto a cosa debbo questa vostra sortita».
Thor si volta a lanciare uno sguardo verso Loki; il dio dell'inganno deglutisce quando gli occhi della donna che ha chiamato madre si posano su di lui, raggianti.
«Beh, la presenza di Jane non è l'unica sorpresa, madre» esclama Thor. «Diglielo Loki, non ti starai mica imbarazzando?».
Non è imbarazzo, Loki non è mai stato imbarazzato in vita sua, e neppure teme la reazione di Frigga, pensa solo che il dirlo in quel luogo e in quel momento, alla regina di Asgard, lo renderà reale e questo lo turba davvero.
«Nadia aspetta un figlio» si costringe a dire. E l'espressione sul viso della regina muta, si congela in un moto di stupore che poi diventa tenerezza. E Loki scorge una scintilla di allarme nel suo sguardo, l'allarme ma anche la comprensione di chi ha subito capito l'entità del problema.
«E lei sta bene?» domanda Frigga.
«Così sembrerebbe. Ma abbiamo bisogno di sapere quali saranno le conseguenze di una simile unione, per lei e per il bambino». Loki pronuncia a fatica quella parola, ma è quasi liberatorio poterlo dire. «Per questo siamo qui, spero di trovare informazioni tra i dotti del palazzo o nella nostra biblioteca».
Frigga si sporge verso di lui e lo abbraccia. L'ultima volta che ha abbracciato sua madre a quel modo è stato dopo aver ucciso Laufey, poco prima dello scontro con Thor e della sua caduta dal Bifrost.
Loki tenta di ripetere a se stesso che è a causa della sua condizione da mortale se è così facile preda delle  emozioni.
«Venite, il re deve essere informato del vostro ritorno e delle notizie che portate» conclude poi Frigga, facendo cenno di dirigersi verso la sala del trono.
La regina si porta accanto a Jane e comincia a parlarle delle tante cose che vuole mostrarle mentre sarà loro ospite. La scienziata sembra cominciare a riprendersi dallo shock e ascolta con interesse tutto quello che le dice la sua interlocutrice.
Thor ha un'aria soddisfatta e felice e Loki vorrebbe solo poter riavere la sua vera forma fisica e ritrovare la sua giusta resistenza e il suo naturale modo di sentire, perché ha l'impressione che tutta quella luce finirà per accecarlo e che il dedalo di scale e corridoi della reggia lo sfinirà prima di sera.
Jane sussulta quando le porte dorate della sala del trono si parono davanti a loro.
«Non la ricordavo così grande» si lascia scappare Loki. Più che altro, non gli era mai davvero sembrata così immensa, tanto da non riuscire a distinguere le rune scolpite nelle decorazioni del soffitto.
Sotto il rialzo dove è posto il trono, sono sedute alcune persone che Loki non riconosce, ma a giudicare dallo stile diverso dei loro abiti indovina essere emissari di altri regni.
Odino si alza dal seggio dorato e fa cenno ai presenti di lasciare la stanza. Questi si dileguano in una scia di inchini e parole ossequiose.
Jane è tesa, Loki riesce a sentire i suoi respiri farsi sempre più brevi.
Il re di Asgard scende la scalinata del rialzo e fa per andare loro incontro. Sorride nel vedere la donna di Thor e lascia che suo figlio faccia le presentazioni, poi prende la mano della scienziata nella sua e le dà il benvenuto.
Oh, ma certo, lei non è previsto che si inginocchi, lei non è la donna del traditore e quindi non deve alcuna umiliazione agli occhi da sparviero della corte del re.
Loki serra i pugni in uno scatto stizzito e fa un passo avanti.
«Mi duole rovinare la gioia che la visita di Jane Foster ha portato in questa casa, ma questioni urgenti necessitano di venire discusse prima che io venga rinchiuso in cella nuovamente» esclama.    
Odino si volta verso di lui con un gesto brusco e lo fulmina con lo sguardo, o almeno ci prova: Loki è divenuto insensibile agli sguardi di collera di suo padre da quando ha scoperto che non era il suo vero padre.
«Non dovresti essere qui, osi tornare disobbedendo al mio ordine dopo che ti ho bandito risparmiandoti l'esecuzione capitale» replica il Padre degli dei. «Stai mettendo a dura prova la mia pazienza»
«Per una volta, Padre degli dei, la mia impazienza è più giustificata della tua».
Frigga stringe una mano attorno all'avambraccio di Odino come per trattenerlo e lancia a Loki uno sguardo di supplica.
«Padre, ci sono buoni motivi per giustificare la presenza di Loki...» dice Thor. Ma lui non vuole essere difeso ed è proprio curioso di vedere fino a che segno la furia di Odino sarebbe disposta a spingersi, ma non ha tempo per questo.
«Nadia aspetta un figlio, da me. Sono venuto a cercare risposte, per capire se questa condizione rappresenta un pericolo per lei o cosa ne sarebbe del bambino nato da un'unione impari» spiega infine il dio degli inganni. Odino non ha alcuna reazione particolare, aggrotta solo appena le sopracciglia e Loki teme che la cosa non gli importi o che non voglia dargli il suo aiuto – perché dovrebbe? Un figlio suo sarebbe solo un ulteriore pericolo agli occhi del re di Asgard...
Ma lui non permetterà che l'ignavia e la codardia del Padre degli dei rischi di mettere a repentaglio la vita di Nadia.
Loki fa un balzo verso Odino e lo afferra per un lembo della casacca spingendolo a un palmo dal suo viso. È più di quanto chiunque abbia mai osato.
La sala si riempie del suono metallico di lame che vengono snudate.
«Agli occhi della tua corte, Padre degli dei, è opportuno che tu continui a mostrare interesse per la sorte dei mortali, soprattutto a fingere interesse nei confronti di quella mortale in particolare dato che ti sei servito di lei quando sei stato troppo codardo per uccidermi» sibila Loki all'orecchio del re.
Odino lo guarda furioso, davvero furioso per la prima volta, e tra sé e sé il dio degli inganni è lieto di aver scalfito quel velo di lucida freddezza con cui il re lo ha trattato dopo averlo fatto prigioniero su Alfheim.  
Thor ferma le guardie con un cenno, prima che qualcuna si faccia scappare di mano una lancia rischiando di colpirli entrambi, il sovrano e il traditore. Odino afferra saldamente il polso di Loki e si libera dalla sua stretta.
«Mi sta a cuore la sorte di quell'umana, più di quanto tu sia disposto a credere» dice, quasi ringhiando. «E farò tutto quanto è in mio potere per assicurarmi il suo benessere e quello del figlio che porta in grembo».
L'aria sembra condensarsi come in un luogo appena dopo un incendio.
«Ora, toglietemelo dalla vista» ordina poi il re. E neppure Thor osa opporsi.

*

Il soffitto sopra di lei ha il bianco uniforme e lucido di pannelli di plastica.
Nadia segue le linee scure tra un pannello e l'altro, cercando di non farsi sopraffare dall'irrealtà della situazione. Più che irreale, trova che tutto sia fuori posto.
C'è stato un tempo, quando era ragazzina, in cui aveva sognato quel momento, poi ha smesso di pensarci, ma quel ricordo le torna alla mente con una certa tenerezza e niente è come era nelle sue fantasie di adolescente, quando l'amore era un sogno cristallizzato nelle pagine dei romanzi che leggeva... la forza d'animo di Jane Eyre o la disperazione di Anna Karenina o l'implacabile insoddisfazione di Emma Bovary o la follia cieca di Erik, il Fantasma dell'Opera.
Ora sa che l'amore non è niente di tutto ciò, ed è la somma di ogni suo sogno, qualcosa che va al di là della sua capacità di comprendere le cose.
Ciò che sa è che niente è come dovrebbe essere, non quel giorno.
Nello studio medico all'interno della base dello S.H.I.E.L.D. fa freddo, anche le dita del dottore fasciate da guanti di latex sono fredde quando le sfiorano la pancia, facendo scorrere la sonda per le ecografie, premendo con troppa poca delicatezza.
Con lei c'è Pepper, che le tiene la mano e sorride. Ma nell'immagine dei suoi ricordi c'era qualcun altro, un uomo alto, con le spalle larghe e i vestiti un po' sciatti di chi pensa che le cose importanti della vita non abbiano bisogno di una bella confezione.
Beh, sognava cose veramente stupide quando era ragazzina, come molte altre ragazzine. E come molte altre persone, lei è stata piccola e sciocca fino a quando nella sua vita non è accaduto qualcosa di enorme, troppo enorme per lei.
E adesso, l'unica cosa che pensa è che le manca Loki. Le sembra ridicolo immaginarselo lì ad assistere alla sua prima ecografia, a sfogliare con lei cataloghi di articoli per la prima infanzia. Qualsiasi cosa che sia normale le sembra ridicola. Ma è troppo impegnata a sentire la sua mancanza e a combattere con l'impulso di correre in bagno per sentirsi ridicola davvero.
Nella stanza c'è anche Bruce, concentrato sullo schermo. Che dopo aver tentato di salvarle la vita a Venezia e dopo tutte le analisi che le ha visto fare quando aveva problemi con la pietra si pone ancora questioni inerenti al tatto e alla discrezione.
La presenza di Bruce è stata caldamente raccomandata da Tony, comunque. E per la poca fiducia che Nadia nutre nei confronti di Fury e dei suoi sottoposti, non può essere che un bene.
«A me sembra tutto nella norma» sentenzia il medico, sollevando di poco la sonda. «Lo sviluppo del feto appare normale per la sesta settimana di gestazione e mi sembra sia in ottima salute».
«Sembra?» domanda Pepper con una punta di severità.
«Non c'è ragione di ritenere che vi siano anomalie» precisa il dottore. «Naturalmente bisogna tenere la signorina costantemente sotto controllo e attendere l'esito degli esami del sangue, e poi valutare se ci sono altre indagini che possiamo fare».
«E naturalmente noi avremo premura di prenderci cura di lei nel miglior modo possibile»
«Sono certo che lo farete».
Bruce si avvicina timidamente al lettino, e alza il dito con un fare da scolaretto – certo, la ginecologia non è propriamente la sua area di competenza.
«Non le sembra che abbiamo dimenticato qualcosa, dottore?» domanda al medico. Questi lo guarda scuotendo la testa in segno di diniego.
Bruce strabuzza gli occhi. «Personale S.H.I.E.L.D: sempre così poco sentimentali, eh?» mormora tra sé e sé con il suo risolino nervoso.
Prende la sonda dalla mano del medico e armeggia con qualche pulsante accanto allo schermo.
Il suono che sale dalla macchina è un martellare attutito e regolare. Nadia pensa che sia il ritmo più perfetto che abbia mai sentito e di certo la cosa migliore in quello strano quadro in cui niente e al suo posto.
Vorrebbe non doversi mai alzare da quel lettino per non smettere di ascoltare.
Suo figlio è vivo, sta bene. È qualcosa che esiste, al di là di ogni timore, di ogni assenza, di ogni necessità politica.
«Un percussionista niente male, il piccoletto» dice Bruce, sorridendo e facendo l'occhiolino a Nadia.
«Se sarà fastidioso anche solo la metà di quanto sa esserlo il padre, non dormirò mai più in vita mia» scherza la ragazza, reprimendo una smorfia di protesta mentre Bruce scosta la sonda e la sistema nel gancio accanto allo schermo.
Pepper porge a Nadia una manciata di tovaglioli di carta per pulirsi il gel dalla pancia.
Escono dalla stanza e fuori trovano Steve ad aspettarli.
«Allora?» domanda subito lui, saltando in piedi.
«Non vorrei parlare troppo presto, ma tutto sembra andare per il meglio» risponde Bruce, battendo una mano sulla spalla di Nadia.
«A quanto pare la dottoressa Foster avrà almeno fatto un bel giro turistico nello spazio, per un'astrofisica dev'essere il massimo».
«Spero che a lei quel posto piaccia più di quanto è piaciuto a me» borbotta la ragazza. «Comunque sia... dov'è Tony?».
Steve e Bruce si lanciano un'occhiata furtiva – ma non abbastanza.
«Ehi, sei digiuna da stamattina a causa delle analisi. Forse è meglio andare in caffetteria a prendere qualcosa da mangiare» dice il dottor Banner. «Suggerisco carboidrati, aiutano anche con le nausee... ma forse è ancora presto per le nausee»
«State cercando di evitare la mia domanda: missione fallita. Dov'è Tony?» insiste Nadia.
«Dall'altro lato della base» risponde Steve, troppo rapidamente.
Pepper inarca un sopracciglio. «Capitano Rogers, dire bugie alla sua età! E comunque non è affatto corretto» esclama.
«Non ho mentito, signorina Potts, glielo assicuro». Steve arrossisce come un ragazzino.
«Ok, Tony è dall'altro lato della base, bene. A fare cosa?»
Bruce allarga le braccia e fa un'espressione vaga. «Non credere che sia una cosa interessante. Stavamo parlando dei carboidrati, quelli sono assai più importanti al momento»
«Sono una donna incinta, gli ormoni potrebbero farmi avere la meglio su Hulk e voi mi state facendo agitare» gracchia Nadia con una smorfia. «Cos'è che non ci state dicendo?».
«Tony sta aiutando a piazzare dei dispositivi nella cella di sicurezza in cui abbiamo messo il tizio che aveva rubato lo scettro, dispositivi per rilevare l'energia e altre amenità... per evitare che possa fare qualche altro fuoco d'artificio. Contenta?» conclude Steve.
«Ci voleva tanto a dirlo?» replica Pepper.
«Perfetto. Ora che sappiamo dove è Stark e cosa sta facendo, torniamo a parlare dei carboidrati. Sta venendo fame anche a me» interloquisce Bruce.
La caffetteria è quasi vuota a quell'ora. Nadia lascia che Bruce scelga per lei un sandwich al prosciutto e del tè freddo – almeno non è tè verde.
«Quando sarà possibile sapere se è maschio o femmina?» chiede la ragazza.
«Stai già pensando a camerette da dipingere?» scherza Steve. «Si usa ancora... ehm... dipingere le camerette, vero?».
Nadia e gli altri ridacchiano. Ma alla ragazza muore la risata in gola: quale cameretta? Non sa neppure dove andrà a vivere una volta che il bambino sarà nato. Non sa se la lasceranno mai tornare a casa portandosi dietro il figlio del nemico pubblico numero uno. Non fino a quando lui resterà il nemico pubblico numero uno...
Nadia pensa alla fiala con il siero e pensa all'incubo in cui viveva con Loki che non era più Loki. Lo stomaco le si contrae e non è per le nausee da gravidanza.
«Non per essere insistente ma, mi chiedevo,» dice Pepper all'improvviso, «come mai tante reticenze nel dirci dov'è Tony e cosa sta facendo?».
Ottima domanda. Nadia smette di pensare ai propri guai e attende la risposta di Steve e Bruce.
«Beh, sa signorina Potts, sono molto severi qui allo S.H.I.E.L.D. in quanto a riservatezza».
Pepper inclina leggermente la testa di lato, arriccia le labbra in un sorrisetto buffo.
«E lei crede, dottor Banner, che dopo tutti questi anni con Tony io ricordi ancora cosa sono la severità e la riservatezza?».
Steve e Bruce ammutoliscono. È vero, Tony non ha mai avuto segreti con Pepper, l'ultima volta che non le ha detto qualcosa riguardava la notizia della presunta morte di Loki e questo vuol dire che se c'è qualcosa che Tony non dice a lei allora è qualcosa di veramente veramente grave.
«Cosa c'è di tanto grave nel prigioniero che ha rubato lo scettro? Non avete detto niente su di lui» osserva Nadia.
«Certo, eravamo distratti dal Baby-Bambi in arrivo!» esclama la voce di Tony alle loro spalle.
Pepper si volta di scatto e lo passa in rassegna con lo sguardo, come se potesse fargli una radiografia solo con i suoi occhi – e l'opzione non è esattamente da escludere – ma il signor Stark non sembra aver subito alcun danno. Alle sue spalle arrivano anche Clint e Natasha.
«Allora, come è andata l'ecografia?» chiede Clint appena arriva accanto al tavolino.
Lo guardano come se la sua domanda fosse fuori luogo e lui fa una smorfia perplessa.
«Oh, certo, dovrebbe essere Nat per solidarietà femminile a porre certe domande» borbotta lui, ridacchiando.
«Ok, sputate il rospo, che cosa state nascondendo?» esclama Nadia.
I Vendicatori presenti si scambiano un'occhiata stranita.
Pepper simula un leggero colpo di tosse per attirare l'attenzione. «Ricordo al signor Stark che non ho alcuna influenza sugli altri membri della squadra, ma che ho parecchio materiale sul quale ricattarlo».
Tony, punto sul vivo, fa una smorfia come di dolore, poi fa schioccare la lingua e sospira.
«Non vi è mai venuto in mente che a volte le persone non vi dicono le cose per il vostro bene?» chiede, con il suo tono petulante.
«Può essere, ma è per il tuo bene che ti conviene sputare il rospo» lo rimbecca Pepper.
Nadia si volta verso di lei e le fa segno di battere il cinque.
«E va bene, d'accordo, ma poi non dite che non vi avevo avvisate»
«Stark...» sbotta Natasha, ma Tony la ignora.
«Ricordate Mike? Lo stagista che poi si è scoperto essere la spia dei nostri amici profughi alieni?».
Nadia lo ricorda molto bene e con tanta amarezza. Avrebbe voluto cercarlo tra i prigionieri di Nornehim, dopo la loro sconfitta, ma non ne ha avuto il coraggio. Sa di essere assai meno coraggiosa di quanto vorrebbe e forse anche meno di quanto gli altri pensano.
Non ha affrontato Mike dopo l'infelice impresa in cui Thor ha rischiato la vita e Tony è quasi morto, e lui adesso torna a farle visita nei suoi incubi, ogni tanto, insieme ai demoni di fumo e voragini di buio in cui lei precipita senza appiglio.
«Credevo che fosse tra i prigionieri che poi Thor ha riportato su Asgard» dice la ragazza.
«Ecco, ehm... diciamo che non ci è mai arrivato tra i prigionieri» risponde Steve.
«Era scappato?» domanda Pepper.
«Era morto». Natasha taglia corto, e sembra che si sia rimangiata altre parole, una conclusione di frase che si trattiene a stento dal pronunciare.
In un primo momento, Nadia non capisce, ma poi indovina quello che Nat non ha voluto dire e quindi il motivo per cui non le hanno detto di Mike fin da subito.  
Si porta una mano alla bocca, come a nascondere la sua espressione scioccata.
«Quindi lo ha davvero mandato Thanos? Lo ha resuscitato e lo ha mandato a uccidere Loki?» chiede Pepper, scioccata.
«Già. A quanto pare quel Thanos ha la memoria lunga e non vuole farla passare liscia a Loki» spiega Clint. «E ha usato qualcuno che ce l'ha con lui con abbastanza convinzione da prestarsi al gioco».
Nadia sente le loro voci farsi distanti, come se le arrivassero da dietro un muro, come se lei non fosse più presente lì, in quello stesso luogo. La sua mente sta contemplando l'idea enorme e mostruosa dell'omicidio di Mike da parte di Loki. Il dio dell'inganno ha ucciso e tradito, ha fatto del male anche per motivi più futili... ma mai a qualcuno che lei conosceva, a qualcuno che le era stato così vicino seppure con intenzioni riprovevoli.
«Ma in che modo Thanos pensava di usare il ragazzo e lo scettro per arrivare a Loki?»
«Lo scettro ha una gemma simile al Tesseract, non altrettanto potente ma abbastanza da da aprire un varco che permetta a Thanos di arrivare a Loki con la forza del pensiero o qualcosa del genere» spiega Bruce. «Almeno, questo è quello che lui ci ha spiegato. Qualcosa possibile attraverso il sangue»
«Ma il problema non si pone dato che lo scettro, trovandosi sulla Terra, tiene aperto un passaggio unicamente per questo mondo e Loki non si trova più qui» aggiunge Steve.
«Stiamo tenendo d'occhio il prigioniero solo per assicurarci che non possa in qualche modo entrare in comunicazione con lo scettro e vedere se può darci qualche informazione utile su qualsiasi cosa stia accadendo in giro per l'universo, anche se non sembra essere molto aggiornato» conclude Clint.
Nadia torna presente, come se una forza sconosciuta l'abbia afferrata e sottratta alla sua bolla di distanza mentale in cui era finita imbrigliata.
Sa che non può più permettersi di essere codarda, non ora che le circostanze l'hanno messa davanti alla prova più enorme a cui la sorte può sottoporre una persona. Ora deve affrontare i propri demoni e vincerli. Tutti i suoi demoni.
«Voglio vederlo!» esclama.

*

Quando le guardie sono intervenute per portare via Loki dalla sala del trono, la regina li ha seguiti e ha ordinato che lo conducessero nella sua stanza, del resto, il re aveva detto di toglierglielo dalla vista, non aveva specificato che doveva essere messo in una delle prigioni del palazzo.
Thor spera che sia lui che Odino plachino il loro furore reciproco entro sera. Il ritorno a casa non è stato bello quanto si aspettava ed è dispiaciuto che Jane si sia trovata nell'imbarazzo di dover assistere alla scena, ma lei non sembra essersi persa d'animo e ha lamentato solo una certa difficoltà per la respirazione, che quasi certamente migliorerà con il passare del tempo.
Jane sembra molto più a suo agio lì di quanto non lo fosse Nadia. Thor osserva la sua bella scienziata muoversi incuriosita per le sue stanze, toccare le superfici dei mobili, tastare il tessuto dei tendaggi e sfiorare suppellettili, e si chiede se, in fondo, Loki non abbia avuto sempre ragione nel rilevare una certa disparità nel modo in cui loro due sono sempre stati tratti, anche prima che lui si macchiasse dei tremendi crimini di cui si è reso colpevole.
Guarda Jane e pensa a Nadia: suo padre non ha accolto entrambe con lo stesso calore; certo, le circostanze erano assai diverse, ma Nadia non ha alcuna colpa per le azioni di Loki e forse lui aveva ragione quando ha detto che non voleva portarla con sé per evitare che venisse sottoposta al giudizio e al malanimo della corte. E il dio del tuono deve riconoscere l'estrema premura che ha avuto Loki nel lasciare Nadia su Midgard, con i suoi amici, malgrado sia tremendamente in pena per lei e lui ora si trovi da solo in un luogo che deve certamente detestare, con persone che gli sono invise.
«Posso farti una domanda, Jane?» domanda Thor all'improvviso.
«Certo»
No, decisamente quello non è il modo in cui aveva sognato si sarebbe svolta la visita di Jane su Asgard, né quello è l'argomento del quale avrebbe voluto discutere con lei in un simile frangente.
«Cosa ne pensi dei sentimenti di Loki per Nadia?».
Si sente sciocco a chiederlo, ma ha sempre sentito il bisogno di chiarire le proprie idee al riguardo e forse Jane riesce ad analizzare la situazione in maniera più lucida e obiettiva di quanto possa fare lui.
«Vorrei tanto dirti quello che vuoi sentirti dire» sospira Jane, parandosi di fronte a lui e guardandolo con tenerezza. «Ma temo che la risposta sia... complicata. Il problema non sono i sentimenti che Loki prova per Nadia, ma la sua capacità di viverli e affrontarli nella maniera appropriata»
«Quando giunsi nella vostra città galleggiante e conobbi Nadia pensai che lei fosse la cosa più vicina che avevo alla speranza di far ritrovare a mio fratello la giusta via. E il mio cuore ha sanguinato quando mi sono accorto che non è così, ne ho sofferto più di quanto deve averne sofferto lei stessa. Ma adesso, ora che c'è un figlio...»
«Pensi che questo bambino possa fare la differenza?».
Thor deglutisce e abbassa lo sguardo. I pensieri si affollano nella sua mente creando un caos di speranze e preoccupazioni che si mischiano proiettando ombre indefinite. Anche nello sguardo di Jane sembrano proiettarsi le stesse ombre e lei gli posa una mano sulla guancia e scrolla il capo.
«Thor, non credere che Loki possa piegarsi a dei ricatti emotivi, non lo farà. Sono certa che lui ami Nadia e amerebbe un figlio, ma non puoi aspettarti che questo amore abbia reazioni normali e prevedibili».
Il dio del tuono sorride tristemente e poggia una mano su quella della donna.
«No, ma nessuno può portarmi via la speranza» dichiara in tono grave. «E tutto quello che so è che, qualsiasi cosa accada, questo bambino deve venire al mondo».
Un'idea prende forma nella mente di Thor e all'improvviso lui si sente travolto da un'enorme voglia di agire. Afferra la mano di Jane e la trascina fuori dalla stanza.
«Thor?...» ansima lei. «Cosa... ti prende?»
Il dio del tuono si sforza di ricordare dei problemi di respirazione e rallenta.
«Il fatto che Loki debba starsene rinchiuso in quella stanza non vuol dire che noi non possiamo cominciare le ricerche per cui lui è venuto qui» esclama. «Ne approfitterò per presentarti una persona».

*

«Ne approfitterò per presentarti una persona».
Jane quasi inciampa nei suoi stessi piedi.
Stanno correndo lungo una scala dove qualche crocchio di dame si sposta per lasciarli passare e poi li segue con lo sguardo. La giovane donna si sente così piccola e insignificante nei suoi vestiti da terrestre, a confronto con quelle donne bellissime, dalle acconciature complesse, i volti perfetti e gli abiti di strani tessuti lucidi che mettono in risalto corpi sinuosi e statuari.
Thor la conduce per una lunga galleria, un corridoio di colonne oltre le quali si apre una lunga balconata dalla quale è possibile guardare fuori.
Le costruzioni di Asgard hanno forme impensabili e seguono un'architettura che sembra sfidare ogni legge fisica, come illustrazioni in un libro di fiabe e come le copertine dei libri di fantascienza che leggeva da ragazzina. Solo in quel momento realizza di essere al di là delle stelle, più lontano di quanto qualsiasi altro scienziato si sia mai spinto.
Pensa a Eric, a quando tornerà e poterà raccontargli di essere stata lì, e pensa a suo padre e al fatto che le stelle e il destino qualche volta ci prendono...
In fondo alla galleria c'è una grande porta socchiusa, una lama di luce passa attraverso i battenti appena accostati e disegna una linea retta sul pavimento dorato.
Thor apre i pesanti battenti spingendoli bruscamente con i palmi delle mani. Si solleva vento quando si spostano. Cavolo, perché in quel luogo deve essere tutto così enorme?
La stanza, ovviamente gigantesca, è di certo una biblioteca. Gli scaffali traboccanti di libri e pergamene sono allineati parallelamente, a formare una serie di lunghi corridoi diritti, intervallati da spazi vuoti dove sono sistemati scrittoi di legno intarsiato.
«Te ne vai ancora in giro come se fossi un pentapalmo, mio caro principe» sbotta una voce femminile che sembra provenire indistintamente da ogni angolo della grande biblioteca.
Thor sorride e cerca con lo sguardo la proprietaria della voce.
«La delicatezza è una di quelle cose che non sei mai riuscita a insegnarmi, lady Snotra» dice, divertito.
«Insieme a molte altre» aggiunge la voce, che ora è vicina e proviene da un punto alla loro destra, dove le pareti sono intervallate da alte finestre.
Jane si volta e vede una donna venire verso di loro. Non riesce a stabilire quanti anni dimostri, ma non è più giovane anche se non ha capelli bianchi, solo una spessa treccia di capelli rossi e i suoi occhi hanno un'aria vispa e attenta da ragazzina. Non sembra neppure uguale alle altre donne di corte che Jane ha intravisto mentre raggiungeva la biblioteca, è più semplice, e questo la fa sembrare austera e stranamente maestosa.
Lady Snotra... Jane ha sentito quel nome nella lista di divinità norrene di cui le aveva parlato Erik. Snotra... Snotra, la dea della saggezza e della conoscenza, una divinità benevola e protettrice che risiede tra gli Aesir, le divinità maggiori. Oh, lei sì che ha l'aria di essere una tipa interessante!
«Oh, che graziosa giovane midgardiana. Tu devi essere Jane Foster» dice la dea, con un sorriso.
È una dea, avrà qualche migliaio di anni, sembra una tipa cazzuta e con poche cose in comune con gli esseri umani... eppure Jane prova meno imbarazzo ad avere a che fare con lei piuttosto che con Frigga e Odino, forse perché non ha mai visto re e regine in vita sua, ma in compenso ha conosciuto molte donne studiose.
Jane annuisce e ricambia il sorriso.
Snotra prende la mano di Thor e sembra un gesto così intimo e materno che la giovane donna si sente quasi di troppo.
«Lady Snotra è stata la mia precettrice, quando ero fanciullo. Invero, la migliore maestra che si potesse avere» dice il dio del tuono.
La dea fa una smorfia e scuote la testa. «Pensi ancora che adularmi sia un buon modo per ottenere qualcosa da me?».
Entrambi ridacchiano, ma poi l'espressione di Snotra si fa grave.
«Ho sentito di ciò che è accaduto, di tutto ciò che è accaduto... di Loki. Lui dov'è adesso?».
Loki. Jane non ha mai sentito pronunciare un nome con così tanta, sfinita dolcezza. Quella donna deve amare davvero tanto i due principi e deve avere a cuore il dio dell'inganno quasi quanto sua madre.
«Chiuso in camera sua, mia madre ha evitato che fosse condotto di nuovo in cella» dice Thor.
«Una volta eri tu quello che finiva sempre in punizione» mormora Snotra come tra sé e sé. «E l'ultima volta che sei stato punito per qualcosa è stata una vera tragedia per tutti noi...».
Jane non aveva mai compreso davvero l'enormità e la complessità dei meccanismi che si erano messi in moto quando Thor era piovuto dal cielo la prima volta, in quella bellissima tempesta magnetica nel cielo del New Mexico. E forse non aveva mai davvero neppure compreso la complessità del suo mondo.
Ora comincia a capire anche che la questione del figlio di Loki, le implicazioni politiche che potrebbe avere, quelle a cui non aveva pensato, perché era impegnata a preoccuparsi di Nadia. E Nadia è ancora la sua prima preoccupazione.
«Se sai già tutto, allora saprai anche perché Loki è tornato ad Asgard con me, contravvenendo alle disposizioni di Padre» aggiunge Thor. «Ci serve il tuo aiuto e io so che mio fratello si fida di te».
Dal modo in cui lo dice, sembra che Snotra sia l'unica rimasta in quel palazzo di cui Loki si fida.
La dea annuisce con aria seriosa e si liscia il velluto verde scuro dell'abito. I suoi occhi si fissano nel vuoto, su ricordi lontani che hanno tutta l'aria di pesare come macigni.
«Fidarsi di me... che sono colei che l'ha tradito più di chiunque altro» mormora, per poi riscuotersi e tornare a fissare Thor. «So cosa vuoi chiedermi, mio caro principe, e so cosa Loki è venuto a cercare. Ho cominciato a esaminare testi che potrebbero essere utili allo scopo, ma dubito che troveremo le informazioni di cui si necessita».
Thor posa la mano sulla spalla della sua vecchia maestra. Jane la fissa perplessa: l'efficienza di quella donna e la rapidità con cui è venuta a conoscenza dei loro problemi è quasi inquietante.
«Vale ugualmente la pena fare un tentativo. Sapevo di poter contare su di te!» esclama il dio del tuono.
Snotra sorride debolmente e fa loro cenno di seguirla.
Jane sfila tra gli scaffali, nel cono d'ombra proiettato dalle alte pile di libri e si sente come schiacciata da tutto quel sapere così enorme e così antico, che racchiude la verità sull'universo.
Alcuni volumi e pergamene sono sistemati sul piano di una scrittorio. Snotra li indica con un gesto poco incoraggiante.
«Questo è quanto ho trovato. Conosco questi testi e so che le informazioni che contengono non sono esaustive per il nostro caso» dice. «Ad ogni modo, come sta la fanciulla bionda?»
«Sta bene. I miei compagni d'armi su Midgard si stanno prendendo cura di lei, e nei prossimi giorni sarà mia premura inviare qualcuno dei miei amici per avere notizie. Ma...»
«Ma cosa?»
«Le Norne le hanno fatto visita, Snotra. Le hanno detto che sarà l'artefice della distruzione di Loki».
Jane vede Snotra impallidire. Allora è vero? Ciò che dicono le Norne è sempre vero, in ogni caso?
La dea della saggezza si volta stizzita verso i libri che ha preparato sullo scrittoio, con la fredda determinazione di una che sembra saperla lunga riguardo al lottare contro il destino.
«Può significare ogni cosa, e non è di questo che dobbiamo preoccuparci ora» borbotta. «Non riuscire a salvare la giovane Nadia, questo sarebbe assai nocivo per Loki ed è di questo che dobbiamo occuparci».
A Jane non sfugge il fatto che Snotra ricordi il nome della ragazza. Deve averla vista quando è stata su Asgard per fermare l'esecuzione.
«Sarebbe utile tirare fuori Loki dalle sue stanze, ad ogni modo. Lui ti sarebbe di aiuto molto più di quanto posso esserti io nello scorrere questi testi»
«Loki uscirà dalle sue stanze a tempo debito. Se intanto trovassimo qualcosa che può essergli di ausilio, immagino riusciremo a rabbonirlo abbastanza da evitare che commetta altre sciocchezze»
«Tu sì che sai come prenderlo!» si lascia scappare Jane.
Snotra solleva lo sguardo verso di lei e la fissa in un modo strano, che la giovane donna si chiede se non abbia detto qualcosa di esageratamente fuori luogo.
«Tendo a non commettere più di una volta lo stesso errore» si limita a dire la dea.
Thor stringe le labbra con fare pensieroso. «Loki ti ha parlato di lei, di Nadia?»
«Esattamente»
«Quando?».
Snotra fa un mezzo sorrisetto saputo, che somiglia persino ai ghigni di Loki stesso.
«Credi di essere il solo ad avergli fatto visita mentre era prigioniero nella torre?».
Se Jane non trovasse evidente che la dea della saggezza è parecchio avanti negli anni rispetto ai suoi pupilli, penserebbe persino che ci sia stato del romantico tra lei e Loki da quanto sembra amarlo. E lei sembra leggerle nel pensiero, sembra sentire cosa la giovane scienziata abbia pensato come se lo avesse detto ad alta voce, perché le risponde come si risponderebbe a un'affermazione sentita con le proprie orecchie.
«La lodevole curiosità delle persone di scienza!» esclama la dea, deliziata. «Se ci sarà abbastanza tempo, giovane Jane, ti racconterò la mia storia».
La ragazza arrossisce e si limita ad annuire con aria interessata. Thor si siede e afferra uno dei libri, cominciando a sfogliarlo.
«Queste sono solo leggende, Snotra» osserva, dopo aver scorso le prime pagine.
«Lo so, caro. Ma non abbiamo altro»
«Aspettate, io non... che scrittura è questa? Perché non la capisco?» esclama Jane gettando un occhio sui fogli.
«È la lingua degli Aesir, la nostra lingua»
«Ma voi parlate in inglese!»
«Parliamo la lingua di chiunque venga in contatto con noi. Una caratteristica da dei vetusti» asserisce Snotra con aria scherzosa. «Naturalmente, i testi scritti sono un'altra cosa».
«Oh, come il dispositivo nella Tardis del Doctor Who, capisco... o avete un pesciolino nel cervello come in Guida Galattica per autostoppisti?»
«D'accordo, ehm... ora sono io che non capisco la tua lingua, giovane Jane...».
Le facce di Thor e della sua vecchia maestra sono impagabili in quel momento. Jane agita la mano a mezz'aria, come a sottolineare che non è importante e si siede accanto a Thor.
Snotra apre un libro e comincia a leggere ad alta voce, a beneficio della loro ospite. Legge per tanto tempo e Jane non viene sfiorata dalla noia neppure per un singolo secondo, tanto la prendono le storie che adesso sta ascoltando raccontare.
La luce che filtra dalle finestre è già parecchio smorzata quando Snotra ripone il libro e il cielo ha del tutto il colore della sera quando loro smettono di discutere dei contenuti.
Non hanno trovato nessuna risposta degna di interesse. Sono troppo le variabili e gli elementi fuori dal comune da prendere in considerazione: Loki è uno Jotun, ma la sua corporatura e il suo aspetto esteriore è diverso da quello degli altri Giganti di Ghiaccio e loro non sanno nulla della sua madre naturale; Nadia è un'umana, ma è la portatrice della pietra di Borr e il suo sangue è stato contaminato con il più antico e nobile sangue di Asgard quando Odino la salvò dalla morte.
Quella gravidanza è già un caso abbastanza eccezionale di suo, senza contare anche tutte le altre circostanze straordinarie e di sicuro è un evento senza precedenti. Nessun libro, nessuna documentazione scientifica su Asgard o altrove può contenere informazioni certe al riguardo.
Snotra si massaggia la fronte,
«C'è da tener conto del fatto che se le razze di Loki e della giovane Nadia fossero davvero così incompatibili, questa nuova vita non sarebbe mai neppure sbocciata» dichiara, dopo qualche minuto di silenzio. «Io ritengo che le preoccupazioni di tuo fratello siano ragionevoli, ma eccessive».
A Jane non sfugge neppure il fatto che Snotra abbia definito Loki il fratello di Thor.
«Spero ardentemente che lo siano, e lo spera anche lui. Ma se qualcosa andasse storto... io non credo che lui potrebbe tollerarlo» afferma il dio del tuono, con decisione. «E la preoccupazione a cui è esposto lo rende pericoloso. Se non fosse in questo stato d'animo, non avrebbe reagito a quel modo nei confronti di Odino».
Snotra incrocia le braccia sul petto e si allontana dallo scrittoio, camminando con aria assorta verso una delle finestre. Si appoggia con il fianco al davanzale e resta immobile per lunghi minuti. Thor non sembra avere il coraggio di strapparla ai propri pensieri.
«Io temo, mio principe, che ci sia una sola soluzione per fugare tutti i nostri dubbi» conclude, voltandosi di colpo, con la treccia che le dondola sulle spalle. «E non è una strada priva di rischi».













_________________________________________

Note:

Il titolo del capitolo e la citazione “Sei mio fratello, mio amico. Talvolta sono invidioso ma non dubitare mai del fatto che ti amo”, per chi non lo ricordasse, viene dalla scena tagliata in cui Loki e Thor parlano prima dell'incoronazione.

Facendo due conti con i tempi della narrazione sono passate poco più di cinque settimane dal “fattacio”, che è il periodo in cui comincia ad essere possibile sentire il battito del feto con l'ecografia. Io penso che allo S.H.I.E.L.D. abbiano cose più sofisticate di una comune macchina per le ecografie, ma concedetemi una “licenza poetica”, nella mia testa c'era quest'immagine molto tradizionale della cosa, troppo per pensare a diavolerie degne della Stark Industries.

Snotra è l'OC della mia storia nella sezione su Thor... e io la amo, più di quanto abbia mai amato qualsiasi personaggio di cui ho scritto (*_______*), quindi ne sentivo la mancanza. Fatele ciao-ciao perché ci terrà compagnia per un paio di capitoli e spiegherò anche un po' di cose su di lei e sulla sua vicenda con Loki prossimamente perché sia comprensibile a prescindere dalla lettura dell'altra mia storia che la vede protagonista.

Quanto prima rispondo alle recensioni , intanto grazie di cuore a tutti **

Per domande o curiosità di sorta: Profilo Ask

A venerdì con l'aggiornamento ^^

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Capitolo 12
*** Blood ties - part one ***


Capitolo undicesimo
Blood ties – part one


Bussano alla porta.
Loki è steso sul letto di quella che una volta era la sua stanza. Le imposte della grande balconata sono chiuse forse da sempre, da quando lui è stato creduto morto, e c'è un leggero sentore di polvere nell'aria; il suo passato congelato tra quattro pareti. Il buio è fresco e silenzioso, troppo silenzioso, quell'assenza di rumore che diventa assordante quando i pensieri la riempiono e il dio dell'inganno ha fin troppi pensieri con cui occupare il silenzio. Alcuni di questi pensieri sono avversari vecchi dei quali riesce abilmente a parare i colpi, altri sono nuovi, lo prendono alla sprovvista, riescono a fargli male.
Non ha dormito, è solo rimasto steso e immobile per un tempo lunghissimo, cedendo alla tentazione di aprire le imposte: aveva paura che altri ricordi molesti entrassero da lì, attraverso la vista dei giardini del palazzo e di Asgard sotto di sé. Aveva paura di scoprire se la sente o meno ancora sua, la città in cui è cresciuto; ognuna delle due opzioni gli sembra ugualmente insopportabile.
Bussano alla porta, di nuovo.
Loki si figura ragnatele appese come fazzoletti alle travi dorate del soffitto, anche se sa che non ce ne sono. Sposta appena lo sguardo e dal buio emerge la sagoma indistinta di una grande scrivania intarsiata coperta di libri, uno dei volumi è ancora aperto sul piano. Loki ricorda ancora cosa fosse, di cosa parlava il testo che stava leggendo mentre le stelle di Asgard rimescolavano le coordinate del suo destino e i suoi inganni cadevano uno dopo l'altro come un castello di carte, come lui sarebbe caduto alla fine di tutto.
Loki ricorda. È una benedizione con la quale sente di non aver imparato ancora del tutto a convivere, ma sente che è giusto ricordare ogni sorriso mancato, ogni forma che l'ombra di ciò che ha detestato ha gettato su di lui in tutta la sua vita.
Bussano ancora alla porta e stavolta lui scatta seduto sul materasso lanciando un verso inarticolato di irritazione. Chiunque ci sia fuori dalla stanza, deve scambiarlo per il permesso di entrare perché la porta si apre e la luce esterna entra come una bolla dorata che fende la penombra.
«Non credevo mi sarebbe stata inflitta una punizione così tremenda» sbotta lui, fissando con freddezza Jane Foster che entra titubante.
«Io neppure credevo di meritarla, una punizione» ribatte lei.
«Ti ha mandato Thor»
«No, ma qualcuno doveva pur venire ad avvisarti».
Loki la fissa annoiato, non perde tempo a pensare a eventuali modi di farle del male, sa che non ne troverebbe e che non è quella l'occasione. E così la piccola Jane è venuta a tirarlo fuori di lì – a dirgli che il re non è più tanto adirato da non poter sopportare la sua vista.
Se è il modo in cui la giovane scienziata ha scelto di provare ad affrontare uno dei suoi demoni, Loki potrebbe anche apprezzare lo sforzo, ma la verità è che non gli importa. Se pensa che ci sia un modo per farselo amico, allora è davvero stupida. E Loki non ha mai pensato che lei fosse stupida, in realtà.
«Avvisarmi di cosa?» domanda annoiato.
Di niente di grave, immagina, altrimenti lei non sarebbe così calma – o non si darebbe la pena di fingersi tale.
«Beh, si dà il caso che abbiamo sfogliato un po' di libri... cioè li hanno sfogliati Thor e la bibliotecaria».
La... cosa?
«Snotra. Non è una bibliotecaria» sbotta lui. È irrilevante, ma è abituato a riconoscere i titoli a chi li possiede e non nutre abbastanza malanimo verso la sua vecchia maestra da restare indifferente all'idea che una sciocca umana sminuisca il suo ruolo di dea.
«No, giusto» sospira Jane. «Insomma, lei, Snotra, ha avuto un'idea riguardo al modo di farti avere le informazioni che stavi cercando e sta per parlarne a Odino. Credevo che la cosa potesse interessarti. O tornando su Asgard ti sei già dimenticato di Nadia?».
Il nero del buio si tinge di rosso e Loki scatta in piedi. «Non osare! E non crederti al sicuro solo perché adesso sei sotto al tetto di Odino. Ricordati che ho giocato sia lui che Thor in questa stessa casa» sibila minaccioso. E non è una minaccia vana.
Jane lo sa, lo capisce e lo guarda con quello che sembra nient'altro che semplice e puro dispiacere. Ha almeno la decenza di continuare a rimanere in silenzio mentre gli fa cenno di seguirlo e si incammina insieme a lui verso uno dei salotti al piano inferiore, nei corridoi che convergono verso la sala del trono.
Quando Loki entra nella sala in cui Odino, Frigga e Thor stanno già attendendo, si pente di non aver almeno cercato di cambiarsi d'abito, cercando qualcosa nella sua stanza. Si sente ridicolo con addosso quegli abiti da midgardiano. Non si dà pena di dire niente né di guardare i presenti, prende posto accanto al tavolo ovale e attende.
L'unico sguardo di cui avverte la presenza e il peso su di sé è quello della regina, ma non ha voglia di scoprire se è uno sguardo severo o preoccupato.
Una guardia apre la porta e Snotra fa la sua comparsa, stringendo al petto un libro rilegato in pelle scura. La dea della saggezza si ferma a qualche metro dal tavolo, con fare ossequioso e i suoi occhi indugiano qualche istante negli occhi di Loki.
Gli sembra più vecchia di come la ricordava, ma la luce in fondo al suo sguardo è sempre la stessa e sulle sue labbra Loki riesce a leggere un sospiro trattenuto, come se fosse sollevata all'idea di vederlo.
«Lady Snotra, quali notizie hai per noi?» domanda Odino.
«Mio re, vostro figlio, il principe Thor, mi ha chiesto di cercare informazioni sulla questione alla quale dobbiamo il suo inatteso ritorno e quello di Loki» dice lei, tranquilla e formale.
Il dio dell'inganno trattiene un sorriso. Snotra lo ha tradito, come tutti gli altri e forse più di tutti: lei, la donna che lo portò in segreto su Asgard quando Odino lo raccolse tra le macerie di Jotunheim. Ma Loki la conosce perché su tante, troppe cose sono uguali e sa che non è stato Thor a chiederle di cercare notizie, sa che probabilmente aveva saputo tutto quello che era successo ancora prima che il figlio di Odino le andasse a parlare e che già aveva pensato a tutte le possibili soluzioni.
Ora non resta che ascoltare, tra le tante soluzioni vagliate, qual è che ritiene essere la migliore. Perché Loki può non fidarsi di lei in quanto asgardiana, ma si fida certamente del suo essere donna di scienza.
«Non esistono risposte per la domanda a cui Loki è interessato» sentenzia Snotra. «Non qui, non in ciò che noi sappiamo o potremmo mai sapere. Ciò che è successo è senza precedenti».
«E quindi, cosa suggerisci?» domanda Odino.
«Di cercare risposte da chi può averle».
Adesso è lo sguardo di Thor che Loki sente pungergli alla nuca e non può fare a meno di voltarsi verso di lui e guardarlo, quasi stupendosi del leggere negli occhi del figlio di Odino la sua stessa consapevolezza e il suo stesso stupore, persino una punta di complicità. Ha già capito, tutti hanno già capito.
«Ciò che proponi è impossibile, lady Snotra» dice il dio dell'inganno dopo qualche istante. 
«Di cosa stiamo parlando?» si intromette Jane Foster. Tutti hanno già capito, tranne l'umana: naturale.
«Stiamo parlando, mia giovane Jane, di compiere un viaggio fino alle radici di Yggdrasil dove dimorano le Norne. E no, Loki, non è impossibile, non se si ha a disposizione il Tesseract».
Oh, Snotra e il suo proverbiale pragmatismo!
«Ritieni davvero che il Tesseract possa portare fin lì?» chiede Thor.
«Lo ritengo, sì». Adesso la dea sta di nuovo guardando Loki. Certo, è merito suo e delle sue scrupolose lezioni se lui conosceva ogni cosa del Cubo Cosmico già molto tempo prima di incontrare Thanos.
«E cosa ti fa credere che le Norne saranno disposte a rispondere alla mia domanda?» insiste il dio dell'inganno.
«Se la memoria mi assiste, possedevi una qual certa abilità retorica, anche discreta se non erro» risponde Snotra, serafica.
Il sottinteso è molto chiaro: deve cavarsela da solo. Gli sembra appropriato, quella è la sua battaglia, e in qualche modo è esclusivamente una battaglia contro se stesso e poco importa se, mai come questa volta, è una battaglia che non ha cercato. Lottare per il benessere della ragazza che lo ama e che gli ha salvato la vita gli sembra giusto e doveroso, tutto il resto può attendere.
«Il Tesseract è potente, è vero. Ma le radici di Yggdrasil affondano in un terreno impregnato da ben altra magia, non possiamo aspettarci semplicemente che si apra un portale che faccia comparire qualcuno sulla soglia delle dimora delle Norne» dice infine Odino. «Quel portale potrebbe aprirsi ovunque, anche nel vuoto».
Loki serra i pugni, ma Snotra muove qualche passo verso il tavolo.
«Perdonate, mio re, ma non è del tutto corretto» dice, appoggiando sul piano dorato il libro che reggeva tra le mani. Lo sfoglia fino ad una grande illustrazione disposta su due facciate e la indica con il dito. L'illustrazione rappresenta una mappa dei Nove Regni tracciata seguendo la forma di Yggdrasil.
Jane Foster allunga il collo, affascinata e incuriosita. Snotra segue con la punta del dito una linea spezzata che attraversa l'illustrazione.
«Per molti anni il Tesseract è stato conservato e celato su Midgard e si era perso interesse nei suoi riguardi perché lo si credeva irrecuperabile» dice. «Adesso che le circostanze lo hanno restituito alla Patria Eterna...».
Loki riderebbe per la finta noncuranza con cui lei ha menzionato quelle circostanze.
«... le nostre conoscenze sul Cubo andrebbero rispolverate. Questa linea che vi sto indicando è una sorta di strada invisibile, una rotta che l'energia del Tesseract potrebbe percorrere in ogni singola ramificazione di Yggdrasil, perfino per arrivare fino alla dimora delle Norne. Ma non è una via diretta, è un percorso che prevede delle fermate intermedie, per così dire».
Jane Foster ora è piegata a un palmo dal libro e sembra divorare con gli occhi l'illustrazione. «Come se il Tesseract dovesse ricaricarsi tra una tappa e l'altra per permettere a chi sta viaggiando di arrivare così lontano» osserva la scienziata di Midgard.
Snotra annuisce. «Esattamente. Il problema è che, come vi dicevo, il Tesseract è stato fuori dalla nostra portata per un tempo lunghissimo e i mondi sono cambiati. Non possiamo sapere con certezza dove e come saranno le tappe intermedie del viaggio».
Nel silenzio che viene a crearsi dopo le parole di Snotra, Loki pensa che non importa.
«Molto bene! Quando partiamo?» domanda Thor.
«Non ti ho chiesto di venire» lo redarguisce il dio dell'inganno.
«Non hai bisogno di chiedere»
«E non c'è bisogno che tu ti metta in mostra. So cavarmela da solo, anzi so cavarmela assai meglio senza di te»
«Potrei citare una serie di episodi che smentiscono le tue parole...»
«ZITTI! Tutti e due!». Snotra strilla, rabbiosa, portandosi una mano alla tempia. O almeno sembra provata, ma Loki scorge l'ombra di un sorrisetto soddisfatto passarle sulle labbra prima che le copra con il palmo della mano in un gesto imbarazzato.
«Mio re, mia regina, chiedo scusa se ho alzato la voce» conclude, chinando il capo.
La loro vecchia maestra si aspetta ancora che lo strappo tra lui e Thor possa ricucirsi? Sì, probabilmente perché lei lo vede come uno strappo, ma Loki sa che è un precipizio, una spaccatura incolmabile di nero e puro odio.
«Era del tutto appropriato, lady Snotra» mormora la regina. Loki scorge in fondo alla sua voce una punta di bonario divertimento. Solo Odino resta impassibile e non dà segno di essere stato toccato dall'accaduto: il re di Asgard sta riflettendo, forse sulla probabilità di mandare il suo preziosissimo erede a compiere un viaggio verso l'ignoro in compagnia del più tremendo dei traditori, per il bene di un'umana e di un figlio le cui morti sarebbero più vantaggiose per la corona di quanto non possa esserlo la loro sopravvivenza.
«Potrebbe andare Thor, da solo, se tanto gli preme l'esito di questa impresa» conclude alla fine il re.
Loki sente la rabbia accendersi dentro al suo petto come una lingua di terra su cui si è abbattuto un fulmine. Si alza di scatto, la sedia su cui era seduto cade sul pavimento con un clangore di metallo contro metallo, come il suono delle armi.
«È la mia battaglia!» ringhia. «È mio figlio, è la mia donna!».
Nel silenzio che si viene a creare dopo quel grido, Loki sente il sangue martellargli nelle orecchie. E sente – lo sente, più che vederlo – il sorriso di Snotra, e quello di Thor.
Anche il dio del tuono si alza in piedi e poggia i palmi delle mani sul tavolo: una montagna di granitica risoluzione.
«È necessario che a Loki vengano restituiti i suoi poteri. Non sappiamo a cosa stiamo andando incontro e dovremo poterci guardare le spalle a vicenda» dichiara, con estrema semplicità. 
Loki inarca un sopracciglio, suo malgrado. Il figlio di Odino dev'essere del tutto impazzito...
«C'è un motivo se Loki è stato privato dei suoi poteri» ribatte il re, asciutto.
«Lo so. Ma so che questa missione non deve fallire: la ragazza è mia amica e il figlio che porta in grembo è un innocente. E mi fido del fatto che Loki metterà da parte ogni rivalità nei miei riguardi, in nome della riuscita di questa impresa».
Adesso non esageriamo, figlio di Odino...
«Mi preoccupa l'incolumità di entrambi» protesta il Padre degli dei. «E, qualsiasi cosa Loki pensi, mi preoccupa anche che le vostre ricerche vadano a buon fine»
«Allora è deciso!» ribatte Thor.
«È deciso» si intromette Frigga. «Non è così, mio signore?».
Odino scruta tutti con il suo unico occhio. Loki si accorge di quanto sia vecchio e stanco, di quanto le speranze lo abbiano consumato e di come, anche adesso, la speranza che quell'impresa sia l'occasione di far riavvicinare lui e Thor ancora lo divori.
Il re di Asgard fa un secco cenno affermativo, poi si alza e lascia la stanza.
Anche Loki vorrebbe uscire da lì, sottrarsi agli sguardi dei presenti che lo guardano come... come un tempo avrebbe voluto essere guardato e come adesso non può sopportare di riflettersi nei loro occhi. Guarda Thor per un unico rapido istante e dondola il capo in un cenno quasi impercettibile che ha il sapore vago di un ringraziamento.
Un problema alla volta, pensa. Poi si volta e imbocca la porta, senza dire niente.
Si è lasciato la stanza alle spalle già da qualche metro quando vede, con la coda dell'occhio, un'ombra comparire al suo fianco. Sente una presa sul braccio e coglie lo sbuffo ramato al limitare del suo campo visivo.
Snotra lo tiene sottobraccio e accoda il proprio passo al suo. Loki trattiene un sospiro spazientito ma non l'allontana.
Si aspetta un lungo fiume di parole dalla sua maestra, e sa che sono parole che odierà, perché nella sua bocca ci sono sempre le parole giuste.
La dea inclina la testa, appoggiandogliela sulla spalla, come faceva lui con lei quando era bambino.
«A volte penso di essere abbastanza vecchia da aver visto tutto quanto c'era da vedere» gli mormora. «Ma tu, tu mi stupisci sempre».
Non aggiunge nient'altro e persino a Loki ora viene voglia di sorridere.

*

Tony si para davanti alla porta. Vuole concedersi un'ultima occasione per illudersi di poter fare qualcosa.
«Io penso che ripensarci non sia una brutta idea». Per quello che può servire.
«Io penso che non entrare lì dentro sia una brutta idea».
Nadia fa un mezzo sorriso; la didascalia ''non preoccuparti'' compare in immaginarie letterine luminose sotto la sua faccia.
Più Tony cerca di ripetersi che non è cambiato niente, più riconoscere il cambiamento lo turba.
Quello che è cambiato è che non possono più proteggerla. Se Nadia fosse semplicemente tornata a casa dalla sua famiglia, sarebbe stata una persona cara che vive dall'altro lato dell'Oceano, una persona a cui telefonare nei week-end, da andare a trovare nei periodi di vacanza.
Sarebbe stata un appiglio verso la normalità – robe che Tony Stark ha imparato ad apprezzare con il tempo, tra una cosa e l'altra.
Sarebbe stata una missione compiuta, un'altra piccola grande medaglia al valore per la squadra di eroi più forti del Pianeta. E non che a lui interessino medaglie, ma di certo interessa la sorte della ragazza, un casino che, dall'alto della sua mente di genio, gli sembra insopportabile. I conti non tornano, stavolta, e non c'è modo di farli quadrare.
Il bambino che Nadia aspetta è la dimensione di un ''per sempre'' che sfugge ad ogni misurazione.
Tony si sente in colpa per ogni volta in cui si ritrova a pensare che avrebbe preferito che Bambi se ne fosse lavato le mani... cioè, i padri lo fanno, a volte. Andiamo, i padri non li tirano in ballo neppure nei film, non fanno audience, non fanno ridere! Proprio Loki doveva decidere di spendere tempo ed energie in un corso pre-parto made in Asgard? Non ha di meglio da fare, nessun asteroide da andare ad appestare con la sua nefanda presenza?
Sono due giorni che i fratelli litigarelli sono partiti per il palazzo di Babbo Orbo. Dalla cima dell'Olimpo nessun segnale.
Nadia non sembra preoccupata, non per la questione ''gravidanza insolita e potenzialmente pericolosa'', almeno. Ma non è stupida, sa cosa significa avere quel bambino, cosa significa per lei e per tutti loro. Eppure ha deciso di andare avanti su quella strada. Cioè non l'ha deciso, doveva essere così e basta. E Tony non ha il coraggio di farle domande al riguardo, su come pensa di affrontare tutto quello che ci sarà da affrontare quando il baby-Bambi farà la sua trionfale e piangente entrata in scena.
Tony a volte se lo figura, il marmocchio: i capelli scuri scuri dello stramaledetto padre e gli occhioni castani uguali a quelli della mamma.
Se lo figura e pensa che sarà bellissimo. Un meraviglioso piccolo disastro del destino, un adorabile esserino, piccolo e fragile con nelle vene il sangue dei re del cielo. Un ponfo rosa il sui solo respiro sarà pesante come piombo per tutti loro, per quella Terra e per le altre che galleggiano in giro per l'etere.
Loki sarà disposto a darsi una calmata per non metterlo in pericolo? O le sue pretese di conquista e sottomissione si faranno più pressanti, al pensiero di avere un erede?
«Tony, ti sei imbambolato». La voce di Nadia lo riporta alla realtà. «A che diamine stavi pensando?»
«Al fatto che non ci sono ancora giunte notizie da quelli del piano di sopra»
«Loki è uno scrupoloso. Starà rileggendo per la decima volta qualche testo in antico asgardiano...»
«Mi chiedo se riuscirebbe a mettere lo stesso impegno nel cambiare pannolini».
Nadia ridacchia e scuote la testa.
«No, sul serio, quello si veste come una drag queen: tribunali hanno tolto la patria potestà per molto meno».
L'espressione della ragazza si incupisce di colpo.
«Cos'è? Un test per vedere se sono conscia della gravità della situazione?» gli domanda.
«Colombina, non ho mai avuto dubbi sul fatto che tu lo sia» risponde Stark, con un sorriso bonario. «È per questo che so che devo fare ricorso alla mia proverbiale brillante simpatia, per convincerti del fatto che andrà tutto alla grande»
«Oh, e questa cosa la puoi fare anche con i miei, dopo che gli avrò comunicato la notizia?».
Lui fa una smorfia, fingendo un'aria esitante. «Di solito i miei servigi sono un optional per chi ha dovuto sorbire almeno tre volte nella vita la presenza di Nick Fury, ma potrei decidere di fare un'eccezione per il parentado»
«Bene...»
«... oppure potrei prestarti la mia armatura»
«Già»
«Già».
Tony e Nadia restano a guardarsi per qualche secondo, poi la ragazza sbatte le palpebre con aria spazientita.
«Tony: la porta, per favore».
È ostinata, la ragazza. Tony è disposto a giocarsi il suo cervello da milioni di fatturato annuo che se Loki avesse avuto lei in squadra al secolo della battaglia di New York, ne sarebbe certamente uscito vincitore.
No, ok, è una pessima cosa a cui mettersi a pensare ora che quei due hanno un legame indistruttibile rappresentato da un esserino a forma di gambero microscopico ubicato dietro l'ombelico della ragazza...
Tony si limita ad aprire la porta e entra insieme a Nadia.
Ci sono anche gli altri a guardare la scena che le telecamere proiettano su uno schermo nella sala accanto. Non sia mai detto che Nonno Rogers si perdeva l'occasione di essere presente, dopo che aveva amenamente sbraitato senza ritegno su quanto fosse una brutta idea far entrare Nadia lì dentro.
Lo spettacolo offerto dal prigioniero non è migliorato da quando lo hanno portato lì. Banner ha detto che presenta tutti i segni di una normale e fisiologica decomposizione, ma parla e ragiona come se fosse una persona perfettamente normale e questo non fa che renderlo ancora più sinistro.
Si sono chiesti cosa succederà quando il processo di decomposizione sarà ancora più inoltrato, se il piccolo zombie rancoroso comincerà a perdere pezzi e se, prima o poi questa sua raccapricciante vita post-mortem finirà semplicemente in un grumo arido di carne marcia ammassata sul pavimento. 
Tony aveva cercato di mettere in guardia Nadia su quanto sgradevole potesse essere la situazione, ma la sua faccia mentre guarda verso la cella al centro della stanza è sconvolta. E anche addolorata.
Mike l'ha ingannata e tradita, ma lei prova comunque pena per lui. E questo da solo basta a rendere quanto tremendo sia ciò che è capitato al ragazzo.
La ragazza muove qualche passo verso la gabbia. Tony resta in disparte e lancia un'occhiata alla telecamera, come se cercasse il sostegno dei compagni: ammettere che nell'ultimo anni ha rivalutato il gioco di squadra non è poi così terribile.
«Ecco una visita inattesa» dice il prigioniero, muovendosi con passo strascicato fino alle sbarre e buttandosi contro la grata, alla quale resta appeso. Sembra un rivoltante moscone finito in una ragnatela.
«Non ci potevo credere...»
«A cosa? Al fatto che fossi davvero io? Al fatto che è stato il tuo adorato Loki a farmi questo?».
Nadia serra le labbra per qualche secondo.
«Loki ti ha ucciso ed è un'azione riprovevole. Ma sei stato tu a farti questo... accettando qualsiasi patto ti abbia proposto Thanos».
Raahm sospira, e l'aria produce un sibilo strano nelle sue narici deformate dal disfacimento del corpo.
«Sei sempre stata un'ingenua. Tu non sai... non hai idea. Se avessi conosciuto la Morte nel modo in cui l'ho conosciuta io, anche tu saresti stata disposta a ogni cosa, pur di salvarti».
«Mi dispiace, non meritavi tutto questo» aggiunge Nadia, ed è sincera. «Ma hai fallito e forse ti aspettano cose peggiori...».
Il prigioniero ridacchia, la sua risata assomiglia al rumore di ramoscelli spezzati.
«Nah, dici questo solo perché hai paura e preferisci pensare che sia io quello a cui è toccato il peggio» dice. «Ma Loki prima o poi la pagherà, pagherà per ogni cosa. Puoi essere resa cieca dal tuo amore insensato, mia giovane midgardiana, ma sai anche tu che è così».
Ora Tony deve fare un grande sforzo per trattenersi dall'afferrare la ragazza e trascinarla fuori da lì. E soprattutto, nelle parole di Raahm, l'uomo ritrova una consapevolezza che lo irrita e lo spaventa: Nadia è destinata a soffrire, soffrirà sempre a causa di Loki ora che un figlio loro li rende legati per sempre. Soffrirà, perché lo ama e adesso non può più fare niente per dimenticarlo, se anche lui sparisse o se morisse in qualche angolo remoto dell'universo, ci sarà sempre quel bambino a ricordarlo al cuore della ragazza. E sarà un ricordo bruciante, la sete inestinguibile di chi si è smarrito in un deserto...
Tony guarda di nuovo verso la telecamera: è certo che gli altri stiano pensando le sue stesse cose, ma questo non lo aiuta a sentirsi meglio.
«Le cose possono cambiare, Mike» dice Nadia, con una convinzione che farebbe crollare una montagna.
«Raahm, il mio nome è Raahm» la redarguisce il prigioniero, con stizza. «E tu sei davvero sciocca se credi che Loki cambierà per te! O sei una sciocca o sei più presuntuosa di quanto pensassi».
Tony vorrebbe davvero portare via la ragazza, ma sa che non servirebbe. E le cose che sta dicendo Raahm sono odiosamente vere: tentare di proteggere Nadia dalla verità sarebbe veramente troppo troppo sciocco e lei non merita di essere trattata da stupida.
«Non deve per forza cambiare lui. Possono cambiare le circostanze» dice Nadia. «Tu hai fatto una scelta tremenda e disperata perché non hai fede... io non farei mai lo stesso errore».
«La fede non fa vincere le battaglie, Nadia. Nemmeno contro noi stessi».
E adesso il prigioniero ha parlato con un tale tono triste e rassegnato che Tony si sente davvero in pena per lui. E per Nadia.
Raahm non è cattivo, anche se è stato corrotto. Meriterebbe più chance e occasioni di quante ne abbia avute Loki, meriterebbe di salvarsi più di quanto lo merita Loki.
Adesso Nadia fa un passo ancora verso le sbarre. Guarda il prigioniero starsene in silenzio con il capo chino e Tony è certo che ora lei abbia gli occhi lucidi.
Poi, dopo qualche secondo lui alza la testa di scatto e la fissa sconvolto, con i suoi occhi dalle pupille opache e gonfie.
«Cosa c'è?» domanda Nadia, perplessa.
Lui spalanca la bocca in una smorfia che sembra addolorata, anche se sul viso martoriato e violaceo non si distingue bene l'espressione.
«No...» sibila il ragazzo. E poi crolla all'indietro, rannicchiandosi sul pavimento della cella, coprendosi il viso con le mani e cominciando a gemere.
Tony non ha idea di che sta succedendo, sa solo che ora Nadia deve uscire da lì.
Raahm alza il capo, e sembra che il solo gesto debba costargli uno sforzo insostenibile.
«Nadia...» ansima a fatica. «Stai... attenta...».
Tony ha afferrato la ragazza per le spalle e la sta strattonando per costringerla a muoversi.
«No, aspetta!» esclama lei, divincolandosi e riuscendo a sfuggire alla sua presa. L'uomo la guarda, stupito, e la fissa atterrito raggiungere la cella e aggrapparsi alle spalle.
«Cosa vuoi dire? A cosa devo stare attenta?» dice a voce alta, spingendosi con veemenza contro la grata.
Ma non ottiene risposta.
Raahm ora è steso sul pavimento, come se fosse schiacciato da una forza più grande di lui, più potente della sua volontà e di ciò che lo tiene in vita. Il ragazzo, o ciò che ne rimane, guarda diritto sopra di sé, verso qualcosa di spaventoso e invisibile.
«No... avevi promesso... avevi promesso...» rantola con la voce che si fa sempre più graffiante. «Ho fatto... quello che... potevo...».
Parole disarticolate gli muoiono sulle labbra esangui.
E Tony sente una paura aliena e superstiziosa paralizzarlo mentre si getta su Nadia e la stacca a forza dalle sbarre. Con la coda dell'occhio vede gli altri Avengers piombare nella stanza.
E lo sente. È come un odore che non viene dall'aria, un suono che echeggia da lontano eppure non proviene da nessuna parte; è dentro la sua testa, nel suo sangue che il cuore pompa a mille facendogli pulsare le tempie.
È quello che ha sentito nel buio gelido dell'universo quando aveva attraversato il grande foro aperto dal Tesseract per gettare il missile nucleare oltre il limite del loro cielo, quell'ombra che l'ha quasi afferrato e che solo per un rapido fortunato istante non l'ha accalappiato.
È la Morte. Ed è lì, ora, in quella stanza.
Tony serra le palpebre, come se chiudendo gli occhi potesse mandare via ogni pericolo. E stringe Nadia come se potesse farle da scudo o come se restando stretto a una persona a cui vuole bene tutto possa essere meno spaventoso.
Si sente un rumore tremendo di ossa che si rompono e un odore nauseante invade la stanza.
Tony si rende conto che sono trascorsi solo due o tre secondi, ma gli sono sembrati ore.
E poi torna il silenzio, e si porta via quella sensazione di paura, quel terrore atavico scivola via dalla sua pelle e lui allenta la stretta attorno alle spalle della ragazza solo per lanciarla in avanti, tra le braccia di Steve che l'afferra prima che lei faccia in tempo a voltarsi verso la gabbia e la porta fuori con un paio di spinte persino troppo brusche per lui.
«Cosa cazzo...». Barton ha un velo di sudore freddo a coprirgli la fronte e le facce di tutti sono sbiancate.
La Romanoff si lascia scappare un'esclamazione in russo che ha tutta l'aria di essere una bestemmia, mentre tiene gli occhi fissi e attoniti sulla gabbia.
Il corpo di Raahm è una massa informe di materia molle e scura, le ossa della gabbia toracica sono come esplose, aprendo a metà il busto che ora è una voragine piena di viscidume. Anche le altre ossa di braccia e gambe si sono spezzate, deformando in modo grottesco la sagoma del corpo riverso sul pavimento.
Tony deve combattere contro l'impulso di scappare via. E ci riesce a sento.

*

Thor osserva le tende mosse dal vento. Nei ritagli di spazio aperto che lasciano intravedere, riesce a scorgere Loki, sul balcone.
Il dio dell'inganno se ne sta diritto con lo sguardo fisso sulla città, premuto contro il muro esterno, nel cono d'ombra della tettoia, come se avesse paura di uscire allo scoperto, affrontare la luce dorata del tramonto che si spande su Asgard.
Loki guarda Asgard come una belva che si vuole ammansire e c'è qualcosa di buono e di bello nel suo sguardo. Forse, dentro di sé, la sente ancora casa propria e di certo dev'essere convinto che lui e quel luogo si appartengono.
Ha di nuovo tutti i suoi poteri, è di nuovo un dio a tutti gli effetti. E ha indossato di nuovo i suoi abiti consueti, di velluto verde e pelle scura.
Thor lo osserva, impensierito. Non gli sembra diverso, non è la sua natura di dio a fare di Loki ciò che è, ci sono forze e passioni dentro di lui, e una enorme e bellissima disperazione a renderlo la persona che è. Basterebbe così poco, basterebbe solo prendere tutta quella grandezza e usarla nel modo appropriato, nel modo giusto, per essere davvero migliore di coloro a cui Loki ha invidiato la gloria e il successo.
Loki si passa una mano tra i capelli, gettando all'indietro ciocche scure che il vento gli aveva fatto ricadere sulla fronte e a Thor sembra di vedere suo fratello com'era prima, prima che cominciasse quell'orrore di tradimento e vendetta.
Il figlio di Odino sente l'amaro asciugargli la lingua.
Basterebbe così poco per essere felice. Basterebbe volerlo... ma non è la felicità ciò che anela Loki, non era ciò a cui pensava mentre tesseva le fila del suo primo grande inganno. La felicità non può nascere dalle menzogne.
Il sole cala all'orizzonte e un suo raggio si riflette nitido su una cupola di madreperla, andando a inondare di luce la balconata e sottraendo a Loki il suo riparo di ombra.
Un angolo della bocca di Thor si solleva in un sorriso automatico mentre pensa che il dio dell'inganno ha scelto di compiere un viaggio alla ricerca della verità, la prima e unica verità che gli sia mai stata a cuore. È abbastanza da accendere nuove speranze.
Thor muove qualche passo, scosta le tende e richiama l'attenzione di Loki.
«Siamo pronti a partire» gli dice.
Lui annuisce e lo segue senza dire una parola. Thor non si aspetta ringraziamenti o altro – e neppure è ciò che gli interessa, ma pensa che il viaggio fino al cuore più profondo del loro universo sarà lungo e anche questo lo fa sperare.
«Domattina Sif andrà a far visita a Nadia» aggiunge il dio del tuono. «La informerà degli sviluppi e della nostra piccola impresa»
«Piccola impresa? Non ci ascolta nessuno: non occorre che tu faccia lo spavaldo».
Thor coglie una nota di ironia nelle parole del fratello, la vecchia ironia con la quale lo redarguiva un tempo.
«Stai forse dicendo che sei spaventato?». Gli risponde a tono, ma Loki non coglie o finge di non cogliere l'invito a scherzare.
Non importa, pensa Thor, una cosa alla volta. Hanno tempo, adesso.
«Dimmi che Sif non si porterà dietro Snotra...» borbotta Loki dopo qualche metro. «Trovo inquietante l'idea di lei e Nadia nella stessa stanza»
«Le due donne che sanno in assoluto più cose su di te: sì, lo troverei anche io inquietante al posto tuo»
«Ci credi davvero? Che ci sia qualcuno che sappia tanto su di me?». Il tono di Loki è affilato ora, una lama intrisa di veleno.
Io so moltissimo su di te, vorrebbe rispondergli Thor. Altrimenti da dove credi che prenderei tutta la forza per sperare?
Sulla soglia della stanza in cui è conservato il Tesseracy, Odino e Frigga li attendono, assieme a Jane. Lei indossa un abito di foggia asgardiana, ed è bellissima.
Thor le si avvicina e le cinge la vita sottile con un braccio. «Non so quanto tempo occorrerà perché si possa far ritorno, e naturalmente nessuno ti obbliga a restare. Ma sarebbe meraviglioso trovarti qui quando sarò tornato»
«Ce... certo, dove vuoi che vada?» dice lei, guardandosi attorno con aria imbarazzata.
Thor ha una gran voglia di baciarla e di non preoccuparsi della presenza di suo padre e sua madre a pochi metri da loro, o dello sguardo impaziente e vagamente disgustato di Loki. Ma non vuole mettere in difficoltà Jane e così la lascia andare, non senza una certa reticenza.
«Mi prenderò cura di lei» dice Frigga, con un sorriso complice alla volta di suo figlio. Jane arrossisce fino all'attaccatura dei capelli e Thor bacia sua madre sulla guancia.
Odino apre la porta ai due principi, e fa loro cenno di entrare.
«State andando più lontano di quanto molti di noi si siano mai spinti» dice, spostando lo sguardo dal volto di uno a quella dell'altro. «Rendetemi fiero di voi».
Lo dice a entrambi, per entrambi. Thor si sente riempire il cuore dal significato profondo di quelle parole: è per Loki, per dirgli che per lui c'è ancora posto, che il Padre degli dei non ha mai smesso di sperare, che è ancora suo figlio e ancora parte di quella famiglia.
E Loki ha certamente colto quegli stessi sottintesi. E forse, nel profondo del suo cuore ne è persino lieto.
«Ho idea che sarà una bella avventura» dice il dio del tuono guardando il Tesseract che inizia ad attivarsi.
Loki non risponde. Ma si volta verso di lui, a guardarlo a lungo prima che la luce azzurra arrivi a investirli.

*

Quel cielo non ha soli e non ha stelle, è troppo lontano per qualsiasi rotta e per qualsiasi luce.
È un cielo fatto di assenza. Il fondo della voragine di ogni inferno dove danzano tutte le paure degli uomini. Paure che si radunano, si mischiano, si legano.
È il cielo che vede nascere i mostri. La distruzione si addensa sotto quella volta di pece.
Le ombre sono fette di oscurità che brucia l'aria.
E la terra è fatta di pietra, terra sterile, fredda. Pietra mischiata a metallo, dura, infrangibile, che non apre alcuno spiraglio alla vita.
Niente luci, né vita. Né sorrisi.
Eppure sul volto del Titano si apre una curva crudele, un solco scavato dalla malvagità nera come il cielo vuoto che si riflette nei suoi occhi.
Thanos allunga una mano e vede l'ombra danzare sul suo palmo come se fosse fatta di materia fisica. Muove le dita e spire scure scivolano giù come sabbia polverosa.
Quegli occhi dal colore del lampo vedono lontano, lontanissimo, fino a una sottile fessura che scalfisce il buio all'orizzonte: il portale aperto dal suo stolto e sfortunato servo Raahm.
Da quella fessura Thanos può spiare la Terra, lontana e aliena: un ributtante ammasso di vita, e luce e rumore e... come lo chiamano? Oh, ossigeno.
Lo stolto ragazzo preso in prestito dalla Morte ha cessato di esistere. Era da tempo che Thanos voleva disfarsi di lui: aveva servito il suo scopo, e preso in trappola dai paladini di quel minuscolo mondo non era più utile a nulla.
Ma nel suo ultimo fetido respiro, quel mucchio di carne e ossa si è pur rivelato di qualche ausilio. L'ultima cosa che i suoi sensi potenziati dall'energia dello scettro hanno avvertito è una notizia che fa allargare il ghigno crudele del signore di Titano.
Loki è irraggiungibile nella dorata Patria Eterna, protetto dalla distanza e dalla magia benevola che ammanta il cielo della dimora degli dei.
Ma Thanos ha un altro modo per fargli del male, adesso.
La ragazza... quell'esserino fragile e insignificante, quell'insulsa sacca di sangue e ossa...
Loki è stupefacente, questo gli va riconosciuto. Si è scelto invero la più improbabile delle compagne, un dio che sceglie una compagna umana manifesta una stupidità indegna per un essere superiore.
Thanos, che ha scavato nella mente di Loki, violandola nei modi più tremendi mentre lui era ancora suo prigioniero, non è riuscito a capire cosa significasse la ragazza umana per il cuore nero del dio dell'inganno. Forse perché egli stesso ancora non l'ha compreso. Ma è qualcosa di grande, tanto da essergli inaccessibile, tanto da essere uno dei perni sui quali la mente di Loki faceva forza per resistere ai suoi supplizi.
Loki che ha un cuore di pietra come il suolo del pianeta su cui Thanos lo ha tenuto, e che ha un'anima più nera del cielo sotto il quale è stato incatenato, pensava a sopravvivere perché doveva tornare per lei... per un debito di onore ancora prima che per affetto.
Thanos non ha mai avuto modi per arrivare alla ragazza. Già quanto ha architettato per aprire quel portale verso Loki è stato fin troppo macchinoso: il sangue di un dio, unito all'energia giusta apre porte che gli insetti che popolano gli altri mondi della galassia neppure sognano.
Ma quel portale valeva unicamente per Loki, perché il collegamento si basava sul suo sangue.
Thanos sta ancora sorridendo.
Sembra tutto così perfetto e appropriato.
Nei suoi ultimi istanti di vita il servo Raahm ha sentito qualcosa di meravigliosamente interessante.
L'insulsa umana è gravida. La creatura nel suo grembo è figlia di Loki e quindi ha il suo sangue.
Il sangue di Loki dentro l'umana. La sua compagna e la sua progenie in un unica vita, e adesso accessibili al potere di Thanos.
Nessuna vendetta potrebbe essere più perfetta. 














__________________________________________________

Note:

Sì, nella mia testa Snotra portò Loki su Asgard dopo la guerra di Odino contro i Giganti di Ghiaccio e quindi lei era la sola, a parte il re e la regina, a sapere la verità su di lui. Nella mia testa lei è anche quella che ha insegnato a Loki a sopperire con l'intelligenza e la conoscenza quanto gli mancava in termini di forza fisica, per cui è forse l'unica che in passato lo ha sempre preferito a Thor, perché erano due caratteri “affini” in un certo senso.

La mappa che Snotra mostra dal libro l'ho pensata come l'originale dell'immagine che Thor disegna sul quaderno di Jane quando le spiega come è fatto il loro universo. Thor avrà certamente studiato “geografia” da uno di quei libri. Thor avrà certamente studiato... no? XD
In generale comunque, per tutto quello che ho scritto a riguardo in questo capitolo e nei prossimi, mi sono basata sull'immagine di Yggdrasil presente nel fumetto "Le Fatiche di Loki": QUESTA

Thanos è, al solito, improvvisazione. E spero che all'interno della storia sia chiara la questione del portale che è fatto “su misura” per Loki perché aperto con un incantesimo che utilizza il suo sangue, e che quindi funziona anche per il figlio che Nadia aspetta perché, tecnicamente, è sangue di Loki.

Abbiamo avuto uno zombie, c'abbiamo i portali interspaziali aperti con la magia nera, c'abbiamo due dei a zonzo verso le radici dell'albero della vita. Ve l'avevo detto che sarebbe stata “fantasy” questa cosa...

Sono vergognosa, non ho ancora risposto alle vostre recensioni :(
Ma la sessione estiva sta finendo, *inserire risata isterica QUI* STA. FINENDO!
A proposito AVVISO che la prossima settimana l'aggiornamento è per sabato e non per venerdì, per questioni tecnico-universitarie... STA. FINENDO. BUHUAHAHAH! *Alki che non ce la può farcela*

Per domande, curiosità, dubbi su definizioni di cruciverba: Profilo Ask.

*Manda amore a tutti voi*

A sabato ^^

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Capitolo 13
*** Blood Ties - part two ***


Capitolo dodicesimo
Blood Ties – part two


Jane sta lottando contro la sensazione di essere tremendamente fuori luogo, proprio come le aveva detto Loki appena erano giunti su Asgard.
Tutto di quel posto sembra opporle resistenza, anche se la famiglia e i compagni di Thor sono tutti molto gentili e premurosi e la tengono impegnata. Ma è il primo giorno da quando i due fratelli sono partiti e a lei già sembra un'eternità.
Si dice che ha aspettato Thor per tanto tempo, quando credeva che non ci fossero più ponti tra i loro mondi, non sarà qualche giorno da sola su Asgard a farla scoraggiare.
E comunque, se c'è una cosa che gli asgardiani sanno fare, sono gli abiti. Il tessuto dei vestiti a contatto con la pelle è quanto di più piacevole Jane abbia mai sperimentato in materia di abbigliamento.
Un'altra cosa alla quale gli abitanti della Patria eterna – o quanto meno, quelli del palazzo reale – sembrano dedicarsi con particolare dovizia sono i banchetti.
Jane osserva la grande tavola ingombra di recipienti ormai vuoti e si stupisce di come l'enorme quantità di cibo sia potuta sparire. Ma deve riconoscere che non ha mai assaggiato una carne migliore, né della frutta così saporita.
Insomma, gli asgardiani si trattano bene e a lei sembra di stare in una Spa. Solo, sarebbe più bello se con lei ci fossero persone alle quali vuole bene.
Si chiede se un giorno lei e Nadia potranno sedere a quella tavola assieme, con i rispettivi uomini al fianco. Si chiede se Nadia lo abbia mai sognato... se Loki lo abbia mai sognato.
Di certo, deve averlo sognato la regina. Frigga le ha parlato a lungo e con totale apertura delle sue speranze per il futuro, con quella vena di dolcezza opportunamente smielata con cui solo una madre riesce a parlare di certi argomenti senza sembrare stucchevole.
«Domani potremmo portarti a cavalcare nel bosco, lady Jane» propone Fandral.
L'idea che i guerrieri più dotati del regno le facciano da baby-sitter ha qualcosa di comico e irritante allo stesso tempo.
«Oh. Ehm, io non so... andare a cavallo» dice la scienziata, scstenando la perplessità generale dei suoi interlocutori.
«Senso dell'umorismo midgardiano?» domanda Volstagg, corrugando le sopracciglia.
Jane scuote la testa, a dire no. I tre guerrieri la guardano come se le fosse spuntato un terzo occhio in mezzo alla fronte o come se i suoi capelli si fossero trasformati in bisce.
«Anche lady Nadia non sembrava troppo a suo agio in sella» interloquisce Hogun.
«Mi dispiace deludervi... ma sulla Terra abbiamo altri mezzi di locomozione»
«Oh, certo, quelle scatole di metallo su ruote. Le rivedo ancora nei miei incubi» dice il corpulento guerriero, versandosi un generoso sorso di vino e intingendovi dentro del pane dolce che un attimo dopo ha già ingurgitato.
Jane non sa se ridere o se mostrarsi mortificata. Poi vede un'ombra spuntare al suo fianco e prega ardentemente che sia qualcuno giunto a salvarla da quella conversazione.
È Snotra che le posa una mano sulla spalla e le fa un mezzo sorriso.
«Mi rendo conto che è tardi, giovane Jane, ma mi chiedevo se volessi venire con me ad aiutarmi» propone, con gentilezza. «Sto completando delle mappe di stelle dei Nove Regni e qualcosa mi sfugge del cielo di Midgard».
«Questa è decisamente una cosa sulla quale sono ferrata» si lascia scappare la scienziata con più sollievo di quanto le sembri opportuno.
«Ma i cavalli sono meglio delle stelle...» protesta Fandral.
«Sarà, ma si muovono un po' troppo per i miei gusti» replica la dea della saggezza con una smorfia.
Dopo aver rivolto un cenno ossequioso alla volta di Odino, seduto a capotavola, le due donne lasciano la stanza e raggiungono la biblioteca del palazzo.
Snotra fa accomodare Jane accanto a uno degli scrittoi, le mette davanti due bicchieri e li riempie con il contenuto di una caraffa.
La bevanda ha odore di alcol e la giovane scienziata non è sicura che bere alcolici asgardiani sia una buona idea, ma le sembra scortese rifiutare.
Assaggia un sorso, la bevanda è amarostica e leggermente pastosa, come una birra artigianale, ma di gradazione notevolmente più forte.
Non può finire bene, non può finire affatto bene...
Snotra beve a lunghe sorsate, poi recupera un grosso rotolo di pergamena da una mensola e lo stende davanti alla sua ospite.
Il disegno è una mappa astrologica abbastanza accurata, ma disegnata con un certo gusto artistico, come le mappe sugli arazzi medioevali, con le stelle disegnate a china come rose dei venti in nuvole di arabeschi; ogni costellazione è affiancata da un piccolo carteggio con dentro scritto il nome in quei caratteri asgardiani che lei non sa leggere.
«Come mai stai studiando le costellazioni?» domanda la scienziata.
La dea della saggezza scrolla le spalle. «Noia. Sono una vecchia maestra i cui allievi prediletti sono diventati adulti, che altro dovrei fare?».
È un modo un po' drastico e pessimistico di vederla.
«Non ti sei mai sposata, non hai famiglia?»
«Non ne ho mai avuto il tempo. I re e i principi sono sempre stati la mia famiglia e...».
Snotra esita, si riempie un altro calice di qualunque cosa sia quella che stanno bevendo.
«E sarebbe stato ingiusto dividere la mia vita con qualcuno, segnata come sono dal fardello che il fato mi ha imposto».
Jane non è certa di capire, ma è sicura che abbia a che fare con Loki, con quello che la dea aveva detto a Thor sul fatto che è stata quella che lo ha tradito più di tutti.
«Ti avevo promesso la mia storia, giovane Jane».
Deve essere una storia pesante e difficile da rievocare, perché la dea si versa un terzo calice. Ma non sembra dare segno di essere brilla, non ancora.
«Tanto tempo fa ci fu una guerra contro i Giganti di Ghiaccio, un popolo antico e feroce. Ero un'apprendista, al secolo, e seguii il mio maestro sul campo di battaglia: lui aveva il compito di redigere le cronache di guerra per lasciarne memoria alle generazioni future».
Ha il tono di una favola, ma di certo non deve averne il contenuto. Jane accetta un secondo bicchiere senza pensarci troppo.
«La notte in cui vincemmo la guerra, Odino fu dato per disperso e mentre i soldati lo cercavano, io ero rimasta sola nella mia tenda, al margine dell'accampamento delle milizie. Il re arrivò di nascosto e portava con sé un bambino».
Jane annuisce. Conosce quella parte della storia: il bambino era Loki, figlio del re dei Giganti, nato troppo piccolo e fragile per essere il degno erede di suo padre e quindi lasciato solo a morire.
«Odino mi diede ordine di portare il piccolo ai confini del regno di Asgard, dove la regina sua moglie era in ritiro a pregare gli avi per la buona sorte della guerra. Era sola ed era lì da mesi, sarebbe stato facile far credere a tutti che il piccolo era suo. Così, per dovere di obbedienza accettai di portare il peso di quella menzogna, ma promisi che avrei sempre aiutato quel bambino, che sarei stata sempre dalla sua parte. Le promesse sono pericolose... non puoi sapere quali tentazioni di infrangerle ti darà il destino».
Jane sospira. Sì, il destino sa essere un gran pezzo di stronzo...
«Come mai mi stai raccontando questa storia?» domanda.
«Forse perché non c'è nessun altro, a parte te, al quale interessi ascoltarla. E io ho bisogno di narrare la mia verità a qualcuno, almeno una volta».
La scienziata sorride, intenerita. Poi sente male, da qualche parte in fondo al suo cuore. Loki pensa che gli dei non siano fatti per la felicità e forse ha ragione, o quanto meno parla con cognizione di causa.
«Loki e Thor erano dei bambini meravigliosi, giovani principi destinati alla grandezza, ognuno a suo modo, ma Loki pensava che la grandezza potesse giungere solo dalla forza. Io avevo promesso che l'avrei sempre aiutato e sostenuto e così tentai di insegnargli a sopperire con l'intelletto tutto quanto gli mancava in prestanza fisica. Per un po' tutto sembrò andare per il meglio, Loki era avido di conoscenze ed era il miglior allievo che una maestra potesse desiderare... oh, anche Thor non era male, era uno studente volenteroso e intelligente, ma Loki aveva un'attitudine peculiare per il sapere e soprattutto per utilizzare al meglio le proprie conoscenze. Fin troppo».
Lo sguardo di Snotra si perde nel vuoto, fissando un punto davanti a sé, come se ci fosse un invisibile monumento a memoria di un evento particolarmente doloroso in mezzo a quel corridoio di scaffali.
«Imparò ad usare le arti magiche, in gran segreto, senza dirmi nulla e senza che nessuno riuscisse ad accorgersene. Era già un ragazzo quando, convinto di farmi una sorpresa gradita, mi mostrò ciò che aveva appreso. Non ebbi la reazione stupita e ammirata che si aspettava, rimasi delusa e lui fu deluso dalla mia delusione. Forse fu allora che cominciai a perderlo, e se la lite che avemmo quella sera non lo avesse convinto ad alzare un muro tra me e lui, avrei potuto evitare molte cose...».
Jane posa una mano su quella di Snotra.
«Non devi addossarti troppe colpe. Non conosco Loki bene quanto lo conosci tu, ma so che è testardo e orgoglioso ben al di là delle possibilità degli altri di aiutarlo a ragionare...».
La dea della saggezza fa un sorriso triste.
«Molte cose andarono storte da allora, piccoli episodi che all'apparenza non contavano niente... Thor che invita a ballare la fanciulla a cui Loki era interessato, un giovane di nome Sigyn, tanto tempo fa. Le gesta di Loki in battaglia, sempre denigrate per il ricorso alle arti magiche, la scelta di Odino di incoronare Thor re quando lui non era pronto per la corona... molte cose. Ho assistito allo sfacelo dall'anima di Loki senza poter fare nulla e alla fine, quando lui aveva progettato il suo più grande e tremendo inganno, riuscì a farmi allontanare da palazzo con una scusa. Io non c'ero mentre Odino bandiva Thor, mentre Loki si lasciava avvelenare dalla prospettiva di sedere sul trono e mandava il Distruttore a dare la caccia a suo fratello... non ero qui, quando lui scoprì la verità. Questa è la mia storia, lady Jane, e quasi potrei dire che Loki è stato l'uomo della mia vita, un uomo parecchio ingombrante da non lasciare spazio ad altri».
C'è una punta di bonarietà rassegnata in quell'ultima affermazione: Snotra non ha rimpianti per aver dedicato ai due principi e al – vano – tentativo di salvare Loki la sua intera esistenza, non si pente di non aver pensato un po' più a se stessa, nemmeno alla luce di quello che per lei deve essere un fallimento, considerando la natura delle azioni che Loki ha compiuto. E adesso la giovane scienziata capisce perché Thor e la sua famiglia continuino ostinatamente a sperare che Loki torni sui propri passi, perché c'è davvero stato del buono in lui, ed è qualcosa che lo ha accompagnato per gran parte della sua esistenza. A conti fatti, nella sua lunga vita, Loki è stato più buono che cattivo...a conti fatti non è neppure cattivo davvero, non è così corrotto, non può esserlo, non il giovane uomo che si è precipitato su Asgard per assicurare il benessere della compagna più inappropriata che potesse scegliere e quella del figlio che non avrebbe mai voluto.
«Loki non è perduto, lo sai questo?» dice Jane, cercando lo sguardo della dea.
«No, non lo è. Me ne sono accorta quando ho visto la ragazza, quando la giovane Nadia è giunta qui di corsa per salvarlo dal boia. Il fatto che una donna possa amare Loki come lo ama lei è giù un punto a favore... ma...».
«Ma cosa?».
Snotra afferra la caraffa e guarda dentro, notando che è vuota, la scuote come per vedere se sul fondo c'è rimasto almeno un sorso di liquore o quel che è, ma l'esito è negativo.
«Pfff, la prossima volta che requisisco le scorte di Volstagg devo assicurarmi di prendere recipienti più colmi» borbotta. «Ma ho spedito Thor e Loki a compiere un viaggio perfettamente inutile solo perché spero che trovino modo di fare la pace, ora che Loki è così emotivamente vulnerabile»
«Viaggio perfettamente inutile?!»
«Esatto»
«Snotra, ma...».
La dea della saggezza scrolla le spalle. «Il bambino e la madre staranno benissimo. Questo è quanto domani Sif riferirà alla fanciulla bionda, perché è la verità: anche se è un caso senza precedenti non c'è ragione di credere che non sia così. Lo stesso Loki è probabilmente nato da un'umana – a quei tempi gli Jotun avevano invaso Midgard, per questo Odino è sceso in guerra – la ragazza ha la pietra, il sangue di Odino e una caparbietà da far invidia a una statua di marmo!»
«E allora? Le Norne? Il viaggio?» domanda Jane, allibita.
«Quei due dovrebbero stare chiusi in una stanza a prendere a testate le pareti fino a quando non si ricorderanno di essere fratelli. Non potendoli chiudere in una stanza, li ho mandati a fare una gita»
«Quindi hai mentito»  
«Beh...»
«Ma sei la dea della saggezza!»
«Appunto».
«Snotra!»
«Cosa?»
«Tutto questo è... è...»
«Arguto, lo so. Grazie».
Cielo, sembra di parlare con Tony Stark! Tutti mezzi squilibrati questi i cervelloni!
Jane fissa la sua interlocutrice con gli occhi sgranati e la bocca schiusa per la sorpresa. Chissà perché ora le sembra ancora più plausibile che sia stata proprio lei la maestra di Loki.

*

Nel sogno è tutto sfocato, i contorni delle immagini si allargano in raggi di colore sbiadito che deformano le sagome di tutto ciò che la ragazza riesce a vedere.
È Venezia, è casa.
Anche se la visione è distorta, riesce a sentirlo, nello sciabordio dell'acqua contro il canale, nel modo in cui il vento si muove e fa scricchiolare imposte vecchie come favole.
Nadia è davanti alla porta dell'albergo della sua famiglia, il vicolo è deserto e il cielo è di un nero innaturale, come se non assomigliasse al suo cielo.
È a casa ma non lo è.
Il dubbio di cosa ci sia dietro quella porta l'assale per un attimo, ma pensa che in ogni caso valga la pena guardare, ritrovare la sua famiglia, anche in quel mondo onirico e imperfetto.
L'incombenza schiacciante di quel cielo però sembra pesarle sulle spalle, con una fisicità troppo netta e dolorosa per un semplice sogno.
Nadia muove un passo verso la porta e abbassa per un attimo lo sguardo. Si accorge che la pancia è più gonfia, un rotondità ben visibile che tende il tessuto della maglia, segno di una gravidanza più avanzata. Almeno quella è una buona cosa, il bambino cresce, sta bene. Per qualche strana ragione ha idea che sia una femmina.
Sorride e il suo sorriso si riflette sul vetro della porta in stile inglese. Le immagini distorte del sogno lo fanno sembrare una macchia di cera colata all'estremità di una candela.
La porta si apre con il trillo del campanello che pende dallo stipite, la ragazza sente sotto i piedi la superficie ruvida del grande tappeto con sopra scritto il nome dell'albergo.
«Sono tornata!» esclama e la sua voce fa eco in mezzo al nulla.
Non c'è casa sua oltre la soglia. C'è uno spazio vuoto e buio dove tutto ha l'odore acre del bruciato e la cenere danza in coriandoli grigi che si muovono come al rallentatore nell'aria ferma e stantia.
Nadia si guarda attorno con un moto di panico.
Una stilettata di dolore la trafigge, un dolore che è simile al buio e che come il buio sembra essere ovunque. La ragazza si piega sulle ginocchia, ansima, con i muscoli tesi nel tentativo di respingere quella forza estranea che la sta sopraffacendo, che cerca di portarle via il respiro.
Il nome di Loki prende forma sulle sue labbra, ma non riesce a pronunciarlo, come se lui fosse troppo lontano da lì perché i suoi sensi riescano in qualche modo a evocarlo con chiarezza. Ha persino la sensazione di non ricordare bene il suo volto, adesso.  
Loki è partito, lui mi ha lasciato sola... lui potrebbe dimenticarsi di me, e non tornare...
Sa che quei pensieri non le appartengono, ma li sente dentro la sua testa come se fossero convinzioni conosciute da sempre.
Non mi sono mai fidata di lui...
Qualcosa le spinge quelle parole nella mente, con violenza, come quando si vuole costringere qualcuno a inghiottire qualcosa.
È una forza più grande di lei, ma Nadia ha imparato a combattere. Più si oppone, più il dolore aumenta.
Sono sola, qui. Sarò sola sempre.
Sola, questo è vero. Si è sentita sola durante le prime settimane in America, quando la pietra impazziva e lei non sapeva che fare, e nel profondo sapeva che, per quanto ci provassero, neppure gli Avengers avrebbero potuto salvarla.   
Era sola perché Loki era sparito. Adesso è sola di nuovo e lui non c'è.
Forse quei pensieri le appartengono più di quanto sia disposta ad ammettere.
Gli aveva detto che sarebbe andato tutto bene, ma lui è partito lo stesso, forse perché aveva altri piani e quella di cercare notizie era tutta una scusa...
Il dolore fisico diminuisce, ma dentro la sua testa Nadia sente qualcosa rompersi e sanguinare, come se avesse ricevuto un proiettile in mezzo al cuore.
Si alza in piedi. Sa che deve trovare la sua famiglia, che deve sincerarsi che almeno loro stiano bene. Deve vederli, deve chiedergli perdono...
Li ho lasciati indietro, li ho delusi. E ora sono persi...
Le gambe le tremano, ma riesce a mantenersi diritta. Una mano corre a tastare la pancia: tutto bene, il bambino è lì, dentro di lei, al sicuro.
Aspetta qualche minuto che il senso di vertigine si attenui e che il dolore diventi del tutto sopportabile, poi comincia a correre, verso le scale che mettono in comunicazione l'albergo con la casa dei suoi genitori.
Anche lì non c'è nessuno, e tutto sembra coperto da un velo di polvere, come se quel posto fosse stato abbandonato da decenni.
Nadia corre lungo il corridoio che porta alle camere da letto e si getta di peso contro la porta della sua stanza. Il battente cede e crolla, come se il legno stesse marcendo da secoli. La sua stanza è vuota, niente più foto alle pareti, niente più mobili con dentro le sue cose.
La mia famiglia non mi ha aspettata.
Ora Nadia sente le lacrime, e quel pensiero le si conficca nel cervello come l'aculeo di uno scorpione. Si preme le mani contro le tempie per cercare di scacciarlo.
Dalla stanza di sua sorella arriva il rumore dell'anta di un mobile che si chiude e lei si precipita fuori dalla camera.
«Sara!» grida, e quel nome risuona contro ogni parete.
C'è qualcuno nella stanza di sua sorella, una figura dietro al letto che le volge le spalle.
«Sara?».
Nadia sforza la vista nella penombra, la figura è avvolta in una mantella con cappuccio di tessuto traslucido, di un colore grigio argento dai riflessi cupi.
La ragazza prova una sensazione che aveva già sentito, qualcosa di freddo e spaventoso.
La figura si volta e, senza sapere come, lei la riconosce: è la Morte.
Ha un volto bianco, quasi di madreperla, sotto le falde del cappuccio, un volto come quello di un manichino, senza lineamenti e senza espressione; sottili fessure rosso sangue al posto degli occhi e della bocca.
Nadia resta a guardala per un attimo, l'istante cieco in cui la curiosità ha il sopravvento sul terrore, su quella paura naturale e atavica che è giusto provare.
La Morte non sembra cattiva, sembra solo... affamata.
Ora la ragazza si costringe a fare un passo indietro, e la Morte emette un sibilo sottile, come se volesse semplicemente chiamarla, invitarla. È un sibilo ipnotico, leggero, il rumore che fa un corpo mentre cade nel vuoto.
Nadia smette di avere paura e allunga una mano verso la figura incappucciata, chiedendosi come sarebbe toccare quella pelle bianca e inconsistente.
La Morte compie il suo stesso gesto, come in un riflesso speculare preciso: allunga un braccio verso di lei e quando lo solleva, l'ampia manica della mantella si scosta appena, rivelando una mano le cui dita sono fatte di lame, lunghe lame sottili come bisturi e certamente assai più affilate.
Nadia fa un balzo all'indietro e tenta di allontanarsi. Il sibilo si trasforma in grido e la Morte tende il braccio per scoccare un colpo, le dita di rasoio puntate alla pancia della ragazza.
«NO!», grida la giovane, con una forza tale da far vacillare le pareti del sogno.
Sa che quello è il momento in cui ci si sveglia, ma ha la certezza che lei non si sveglierà, che quello non è un incubo come gli altri.
Che la Morte è stata davvero mandata da lei.  
È spalle al muro adesso. La figura incappucciata incombe come se tutto il buio dell'universo fosse tessuto nel suo mantello.
Tutto quello che Nadia può fare è pararsi il ventre con le mani e rannicchiarsi su sé stessa.
Sente il gelo delle lame sfiorarla, e poi succede l'insperato. Il cuore ha un battito fortissimo e doloroso e lei sente l'energia della pietra affiorare in superficie.
Un lampo di luce investe la figura e la Morte va in pezzi, coriandoli scuri, rossi come il sangue vorticano nell'aria. L'energia pulsa nelle vene di Nadia con un bruciore insostenibile, come se stesse cercando di respingere qualcosa che si è annidato dentro di lei.
La ragazza sa di essere salva, ma sente anche che fa male, malissimo.
Grida e il grido manda in frantumi il sogno.

Il bruciore che sente adesso è quello di un sonoro schiaffo sulla sua guancia e i suoi occhi mettono a fuoco il viso di Natasha china su di lei.
«Dovevo svegliarti» spiega brevemente la donna russa. «Gridavi, ma non aprivi gli occhi».
«Sei sparita, ci hai fatto prendere un colpo!» esclama Steve.
«Fermi un attimo... che succede?» mormora Nadia con voce spenta.
Cerca di fare il punto della situazione. Non è nel suo appartamento, no. Gli Avengers e Pepper sono tutti attorno a lei e la fissano preoccupati.
È sul divano dell'attico di Tony. Ok, non di certo il posto più pericoloso della Terra, a meno che non siano in corso invasioni aliene, si intende.
Ha avuto un incubo che non riesce a ricordare, ricorda solo di aver provato tantissima paura, doveva essere un incubo spaventoso se ha gridato tanto da far accorrere i Vendicatori e tanto a lungo prima di svegliarsi.
«Perché siete tutti qui?» chiede la ragazza.
«Io e Clint eravamo venuti a prenderti per portati alla base per dei controlli. Steve e Bruce sono ancora alloggiati qui» spiega Natasha. «Ma tu non eri nel tuo appartamento»
«Oh...».
Nadia ricorda che non riusciva a prendere sonno, la notte prima, si sentiva nervosa e agitata, e così aveva provato a salire di sopra per vedere se Tony era sveglio. Deve essersi addormentata sul divano senza accorgersene.
«Mi dispiace di avervi fatto preoccupare, comunque sto bene...».
Loro la guardano poco convinti.
«Che hai sognato di tanto spaventoso?» chiede Pepper
«Non ricordo»
«Ho letto che è normale avere un sonno molto pesante durante la gravidanza e quindi fare sogni molto vividi» interloquisce Steve.
Tutti si voltano a guardarlo, tutti contemporaneamente e con la stessa espressione basita.
«Che c'è? Mi sono documentato!».
Tony scuote la testa e alza gli occhi al cielo. «Grazie per il contributo, Capitan Chioccia» esclama. «Io proporrei di fare una ricca e nutriente colazione e approfittare di questa giornata che si prospetta essere così serena e tranquilla, guardate, è uscito anche il sol...».
La frase viene interrotta da un lampo di luce, fuori al terrazzamento con la pista di atterraggio. Nell'arco di un solo istante, il vetro va in frantumi ed esplode verso l'interno con un rumore secco.
Qualcuno o qualcosa vola al centro della stanza.
«MI AVEVI DETTO CHE QUEI VETRI ERNO INFRANGIBILI!» urla Tony, alla volta di Pepper che si è coperta occhi e orecchie con le mani.
Per qualche ignota ragione, scatta l'allarme antincendio e l'open space si trasforma nella Foresta Pluviale.
Tutti si voltano vero l'oggetto volante non identificato che ha scatenato quel putiferio. Non è propriamente un oggetto.
«Questo su Asgard lo chiamate atterraggio?» domanda Clint, riconoscendo Sif ancora bocconi sul pavimento.    
Steve scavalca il divano e si precipita a soccorrere la donzella che accetta con una vaga reticenza la mano che lui le sta porgendo, ma alla fine gli concede ugualmente un sorriso.
Sif deve aver visto più guerre di lui, e deve essere vecchia almeno quanto lui – se non di più – non sarebbero male come coppia.
«Chiedo scusa per il mio ingresso disastroso e per la vetrata» dice l'asgardiana. «Il Tessaract sta subendo una sorta di sovraccarico per un motivo che vi spiegherò a breve e il nostro Guardiano non riesce a indirizzarlo con la dovuta precisione».
Tony sposta lo sguardo tra la dea e il vetro rotto che lascia entrare l'odore dell'inverno in arrivo.
«Doveva essere infrangibile...» borbotta.
«Ma se lo fosse stato, Sif sarebbe precipitata» replica Pepper.
«Mi hai fatto credere di aver sostituito i vetri, cos'era? Effetto placebo?»
«Esatto. Non è mica la prima volta... pensi davvero che ogni volta che mi chiedevi pillole per il mal di testa ti davo medicine vere senza sapere quanto alcol avessi ingurgitato? Ah!»
«Ma è spregevole...»
«Possiamo discuterne. Ad ogni modo, benvenuta, Sif. Aspettavamo con ansia notizie da Asgard».
La guerriera fissa tutti loro con un sopracciglio inarcato, forse finalmente convincendosi che Jane Foster non è la midgardiana più singolare con la quale abbia mai avuto a che fare.
«Sono buone notizie, vero?» aggiunge Bruce.
«Sì, per lo più sì» asserisce Sif con un sorriso. «Ma Nadia, dimmi di te, ti senti bene?»
La ragazza annuisce con convinzione. «Mai stata meglio in vita mia, anche il bambino sta bene».
«Snotra, la nostra più saggia sapiente, l'aveva previsto. Stando alle sue ricerche, non c'è alcun motivo di ritenere che tu o il bambino possiate correre pericoli»
«Shawarma per tutti!» esclama Tony.
Nadia incrocia le braccia sul petto. Non si sente per niente soddisfatta di quella risposta.
«E perché Loki e gli altri non sono tornati, allora? Se è tutto a posto, cosa stanno facendo su Asgard?» domanda, con un tono insofferente che stupisce persino se stessa.
«Oh, ecco... Thor e Loki non sono su Asgard» risponde Sif. «Sono partiti per un viaggio che li tratterrà lontani qualche giorno, stanno andando a far visita alle Norne».
«Le Norne sono le tre vecchie che tessono le fila del destino?» domanda Clint.
La guerriera asgardiana arriccia le labbra. «Non so se sono vecchie, non si mostrano tanto facilmente»
«Perché Loki e Thor devono andare da tre vecchie cartomanti?» insiste Tony.
«Non sono cartomanti, uomo di metallo. E comunque, si stanno dirigendo lì perché Loki vuole interrogarle in merito al bambino. Forse è uno scrupolo eccessivo, ma Snotra ha proposto che fosse una buona idea».
Nadia non capisce, si sente stranamente tradita e ferita.
Loki poteva tornare da lei, poteva stare con lei e aiutarla ad affrontare quel casino, e invece ha scelto di partire con Thor per un viaggio inutile... forse perché non è la sorte del bambino a interessarlo, forse perché ha altri progetti, progetti che ritiene più importanti.
Un'ondata di rabbia le sale in un formicolio fino alle mani, che chiude a pugno. Serra le palpebre e cerca di costringersi a contare fino a dieci.
«Certo, i viaggi per amore della conoscenza lo hanno sempre interessato» borbotta, alla fine. «Peccato che le priorità in questo momento dovrebbero essere altre».
Sif si stringe nelle spalle, «Credo tu sia in errore, mia giovane amica, interrogare le Norne può essere un eccesso di scrupolo, ma è tutt'altro che inutile e, anche se mi suona strano ammetterlo, trovo che la scelta di Loki di compiere questo viaggio sia stata giusta e opportuna. Probabilmente l'unica scelta sensata che abbia fatto da secoli».
Può essere. Ma non è opportuno che lui non sia lì: Nadia riesce a pensare solo a questo e un doloroso senso di abbandono che l'ha travolta all'improvviso.
Non capisce quand'è che ha cominciato a provare tutto quel risentimento e quell'irritazione, ma le sente forte e chiaro quelle emozioni dolorose, attaccate ai pensieri come parassiti dai quali non riesce a liberarsi.
Forse si è solo svegliata con il piede storto. Forse sono solo gli sbalzi di umore dovuti agli ormoni.
Non lo sa... sa che non riesce ad accettare come dovrebbe quello che Sif le sta dicendo.
«Forse sono io che ho fatto la scelta sbagliata, allora» sibila con astio, alzandosi in piedi e dirigendosi verso un'altra stanza.
Tony la blocca, afferrandola per un braccio.
«Ehi, Colombina, cosa ti prende?».
Nadia lo guarda negli occhi e sente salire le lacrime.
Non lo sa, non sa cosa le prende. Sa solo che c'è qualcosa di tremendamente sbagliato che l'angoscia e le serra la gola, come un velo colato all'improvviso sui suoi pensieri.
Vorrei che Loki fosse qui...

*

La luce azzurra scopare, scompare il senso di vuoto e Thor cade a terra, impatta contro un terreno soffice che profuma di erba.
Si alza, sfregando le mani per pulirle e scrolla ciuffi d'erba dalle pieghe del mantello.
In quel luogo la notte è una sinfonia di rumori di bosco. Tre lune minuscole e dal riverbero rosa fanno da spettatrici.
Nel tenue riflesso degli astri notturni, il figlio di Odino guarda Loki muoversi cauto nella penombra e spostare le fronde rigogliose di una grande felce prima di voltarsi verso di lui.
«Vanaehim». Lo dicono all'unisono. Thor trattiene un sorriso.
Di tutti i Nove Regni, Vanaehim è noto per essere una terra fertile, ricca di vegetazione. Boschi e foreste sono inframmezzati da pianure erbose dove sorgono i radi insediamenti degli abitanti di quel pacifico mondo.
«Beh, poteva andarci peggio» mormora il dio del tuono. Per un attimo si chiede cosa accadrebbe se il loro viaggio li conducesse su Jotunheim, ma preferisce non pensarci.
Loki è immobile, contro la notte, è tornato a volgere le spalle al fratello. A Thor non piace quell'immobilità né trova particolarmente gradevole il suo silenzio.
«Quanto tempo dovremo aspettare prima che il Tesseract funzioni ancora? Snotra non l'ha detto. Accendiamo un fuoco?».
Loki scrolla le spalle; non risponde.
Per un attimo Thor lo vede, il baratro profondo e scuro che li separa. È qualcosa che dà le vertigini.
«O forse, c'è una città nelle vicinanze» aggiunge, tastano il tronco nodoso del grande albero accanto a sé, cercando qualche appiglio per arrampicarsi.
Sale di qualche metro, gli spessi rami elastici reggono il suo peso, e dall'alto riesce a vedere le luci di un villaggio non troppo distante dal bosco.
Solo quando Thor gli indica la direzione da seguire per raggiungere l'insediamento di abitanti, Loki si decide a parlare.
«Sei vistoso e riconoscibile, figlio di Odino» borbotta. «Visitare una città...».
«Gli abitanti di questo regno sono pacifici, e sono fedeli ad Asgard, se dovessero riconoscermi tanto meglio, ci accoglieranno con gioia»
«Ma non accoglieranno con gioia me».
Thor piega la testa, per scrutare meglio il volto del suo interlocutore nella penombra. «Sei solo un viaggiatore che io sto accompagnando», osserva con semplicità.
Loki sbuffa. C'è qualche altro motivo per spiegare la sua reticenza, ma non sembra volerlo condividere.
«Se dovessero trovarci qui nascosti nel bosco, sembrerebbe losco» insiste il dio del tuono.
«Sei un mulo testardo» sputa Loki. «Andiamo, dunque!».
E nel dirlo si volta con uno scatto; in un solo battito di ciglia Thor vede l'aspetto del dio degli inganni mutare: ora al suo posto c'è un uomo di mezza età, basso e minuto, avvolto in una mantella di tessuto grezzo.
«Chi saresti?» sbuffa il figlio di Odino.
«Il tuo fidato e prezioso consigliere» risponde l'altro, con una vena melliflua nella voce che è decisamente uguale a quella di Loki. «Nessuno deve sapere della nostra impresa, è chiaro? Meno si diffonde la notizia di un figlio in arrivo più mi sentirò tranquillo».
L'uomo di cui Loki ha preso le sembianze muove qualche passo verso la cittadina, lasciando Thor indispettito che lo afferra per un lembo della mantella.
«Provo affetto per Nadia» dice brusco, «questo non ti consento di metterlo in dubbio. Tengo a questa impresa tanto quanto ci tieni tu».
«Lo so, ma i tuoi sentimenti per Nadia non mi riguardano, né c'era bisogno di imporre la tua presenza»
«Ti credi astuto e abile nel comprendere le cose, fratello, ma continui a essere in errore sulle questioni maggiormente rilevanti».
Lo sconosciuto che è Loki getta il capo all'indietro e ride, di quella risata che riesce sempre e comunque a fare male.
«Ho avuto buoni maestri in questo» sentenzia, liberandosi dalla presa di Thor e incamminandosi verso il villaggio.

Le case degli abitanti di Vanaehim sono ricavate assemblando tra loro grosse sezioni di tronchi di alberi, liane e foglie spesse come coperte di lana. Sono costruzioni irregolari basse e tozze, disposte in un pittoresco disordine tra sentieri tracciati da erba sottile.
Thor si guarda attorno e pensa che gli piace l'aspetto selvaggio di quel posto.
La gente del villaggio, uomini e donne dalla pelle olivastra, nota immediatamente la presenza degli stranieri e li segue con lo sguardo.
Thor è consapevole del mormorio crescente dietro le sue spalle. Lo hanno riconosciuto e comincia a sentirsi persino un po' in imbarazzo: ora che ci pensa, non gli è mai capitato di visitare uno dei Nove Regni in veste tanto ufficiosa e informale.  
Un uomo vecchio e curvo per l'età compare oltre la porta di una casa, su un piazzale di rena al centro del quale arde un immenso falò, la principale fonte di illuminazione di quell'area del villaggio. Il vecchio ha capelli d'argento e una lunga barba che gli scende fino allo sterno; sembra rigido e nodoso come il bastone al quale si aggrappa.
«Figlio di Odino, attendevo il tuo arrivo. Sii il benvenuto, tu e chiunque ti accompagni» dice l'uomo, chinandosi in una sorta di riverenza non senza una certa fatica.
Thor aggrotta le sopracciglia e scambia una rapida occhiata con Loki. E capisce: da tempo si sa che spesso su Vanaehim nascono individui con il dono della preveggenza, e magari è per questo che Loki non voleva recarsi al villaggio, forse per paura di essere riconosciuto malgrado il suo travestimento, forse per paura di essere costretto ad ascoltare cose che non vuole conoscere.
«Ti ringrazio. Io e il mio accompagnatore potremmo dover passare la notte qui»
«Ogni casa è aperta per il principe di Asgard»
«Una tenda con un letto saranno sufficienti, amico mio».  














______________________________________________

Note:

Nella mitologia Norrena, Vanaehim era il luogo dove risiedevano divinità legate alla fertilità e alla saggezza con la capacità di vedere il futuro. La mia versione, un po' come la Asgard marvelliana, è molto “personale”, per questo mettendo insieme quello che viene dalla mitologia ho tirato fuori la “mia” Vanaehim.


E ora avete anche la mia visione riassunta della storia di Loki e Snotra :P

Detto ciò, il prossimo aggiornamento torna venerdì. Gli esami stanno finendo... e anche io sto finendo di scrivere questa storia... forse per la mia salute mentale c'è ancora speranza.
Ringrazio come sempre i lettori, i recensori, i seguitori, i ricordatori e i preferitori **
Per domande, curiosità and so on: Profilo Ask.

Al prossimo aggiornamento ^^

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Capitolo 14
*** Blood Ties - part three ***


[Noticina di scarsa utilità: sono passata dal pc al mac e quindi ho cambiato editor per l'html, se notate una formattazione diversa sapete perché :)]

 

 

Capitolo tredicesimo

Blood Ties – part three

 

 

Dentro al sogno Nadia ricorda il sogno precedente.

Lo aveva completamente rimosso da sveglia, ma ora riesce a rammentarlo. Ricorda di essere stata a Venezia, nella casa dei suoi genitori e di aver trovato la Morte ad aspettarla.

E la Morte non sembrava volere lei, ma la bambina. Perché Nadia sa, ne è certa, che è una femmina.

Ma quello che ricorda con più orrore è quella voce che le premeva idee e pensieri nella testa, idee e pensieri dolorosi e gonfi di odio, un odio che non le appartiene, specie se rivolto a Loki.

Nadia resta ferma, in mezzo al sogno, a tentare di ricordare con esattezza l'incubo precedente, come se fosse sicura che rievocarlo la aiuti a combatterlo.

C'era un enorme senso di sconfitta dentro quel sogno.

Nel sogno di adesso c'è solo vuoto. Un vuoto che dà le vertigini e la ragazza avverte la nausea serrarle la gola.

È in un edificio che non riconosce subito, ma che sa di aver già visto. Deve sforzarsi enormemente per ricordare.

Si tratta del palazzo in cui fu portata dall'agente Hill dopo il suo arrivo in America, dove conobbe Fury per la prima volta e dove fece saltare in aria la vetrata, ferendo il direttore dello S.H.I.E.L.D e spaventando a morte se stessa e i suoi amici.

“Avevi ragione, Stark, la ragazza è innamorata”.

Furono queste le parole di Fury, la goccia che fece traboccare il vaso.

Adesso quella frase sembra echeggiare attraverso le pareti dell'edificio deserto che nel sogno ha un'aria fatiscente.

La ragazza è innamorata.

Sì, quelle parole le fecero male perché erano vere. E la verità di quel sentimento le fa male ancora adesso, adesso che l'assenza di Loki pesa e le getta ai piedi l'idea di un futuro in cui lei resterà sola. O almeno è un'idea che lei sente premere dentro i suoi pensieri, e cerca di rifiutarla perché sa che non le appartiene, ma di nuovo, lottare contro quella forza manipolatrice le fa sentire dolore, a livello fisico.

Nadia non vuole restare lì, si volta e raggiunge il portone, ma quando prova ad aprirlo scopre che è bloccato. Picchia le mani contro i vetri ma i suoi colpi non fanno rumore e non spezzano in silenzio.

Con i palmi tesi toglie la patina di appannato dal vetro che ha davanti, guarda fuori e scopre che la città è un fermo immagine in bianco e nero e piove cenere sull'asfalto come in uno di quei film apocalittici dove viene mostrato il mondo che sta finendo.

La ragazza appoggia la fronte contro il vetro. Inspira l'aria viziata e pesante che sa di polvere.

Ha un ricordo, un ricordo forte e colorato che sembra bucare il grigio che le è rimasto appiccicato allo sguardo. Ricorda di quando arrivò in quel palazzo e di quando, salita ai piani più alti, vide i Vendicatori che l'aspettavano, tutti insieme per darle il bentornato.

Pensa che se riesce a tornare lì, troverà di nuovo ad aspettarli... e loro la salveranno perché loro sono i suoi eroi...

Ma non mi hanno mai salvata davvero, no?

È un pensiero ingiusto.

Nadia si preme le mani contro le tempie, come se servisse a proteggersi da quella voce, da quei pensieri che non sono i suoi. Strizza gli occhi e si infila nell'ascensore.

Quando la cabina comincia a salire verso l'alto, la ragazzi si appoggia con le spalle contro la parete e si appoggia una mano ad altezza dell'ombelico. E sente bruciare.

Abbassa gli occhi. Ricorda la sottile cicatrice bianca rimasta sotto l'addome, lì dove il demone che si era impossessato di Pepper l'aveva pugnalata. E non è come nell'altro sogno, dove la pancia era gonfia per la gravidanza, adesso il ventre è solo un po' ispessito, morbido. Come dovrebbe essere dopo il parto.

Nadia sente un battito echeggiarle fin dentro le ossa.

L'ascensore si apre con un trillo tremulo che spezza il silenzio, le porte scorrevoli fanno strada su un corridoio, un corridoio troppo lungo per essere quello di un piano dell'edificio, un corridoio che si perde nel buio di lampadine mezze fulminate.

Nadia muove qualche passo, indecisa.

E poi, la vede.

La bambina è in piedi, in mezzo al corridoio vuoto. Deve avere non più di tre anni, se ne sta in piedi a mordicchiarsi la punta dell'indice.

Indossa una t-shirt di cotone rosa a fiori, una gonna di lana rossa e delle calze bianche, come quei bellissimi bambini dei ritratti barocchi. Ha capelli biondi corti – i suoi stessi capelli – e ha gli occhi di suo padre, ma sono occhi che ridono, privy del gelo che ha sempre contraddistinto lo sguardo di Loki.

Nadia si sente investire da qualcosa che somiglia alla contentezza. Qualunque sia il suo destino, sua figlia sarà felice, è questo che le dicono quegli occhi azzurri.

La ragazza corre verso la piccola. Quando si ferma davanti a lei, sua figlia le sorride.

E Nadia cade in ginocchio, le prende il viso tra le mani e si stupisce di come somigli a Loki, anche se ha il suo stesso biondo di capelli. La bambina allarga il sorriso e lei l'abbraccia, stringendola forte. Sua figlia sta bene, pensa... ha la consistenza calda nel suo abbraccio e quell'odore di zucchero e sapone che hanno i bambini la domenica mattina...

Sua figlia è bellissima, come aveva sempre immaginato. E lei prova una gioia così intensa da dimenticare che è solo un sogno. Prova un amore così profondo da essere quasi alienante; non ha mai provato per nessuno niente di simile.

“Oh, tesoro mio... stai bene, vero?”.

“Mamma” la bambina si scioglie dall'abbraccio, si stropiccia goffamente il viso. “Mamma, quando torna mio padre?”.

“Tornerà...” è tutto quello che Nadia può dire, ma qualcosa le suggerisce di non esserne tanto sicura.

“Andiamo a cercarlo?”. La piccola le prende la mano e la trascina con delicatezza lungo il corridoio.

“No, non dobbiamo cercarlo, non qui. Dobbiamo andare via” risponde la ragazza, guardando diffidente il corridoio che sparisce nel buio.

Sua figlia le prende il polso con entrambe le mani e le dita sottili si chiudono attorno al bracciale con la pietra. Le ritrae di scatto, gemendo.

“Scotta!” esclama, impaurita.

Nadia abbassa lo sguardo a fissare il bracciale. Non le sembri che scotti, e la pietra non ha cambiato colore.

“Toglilo, mamma, toglilo!” esclama la bambina, con aria implorante.

La ragazza sta per dirle che non può, ma la piccola le afferra il bracciale e glielo strappa dal polso, gettandolo lontano contro la parete.

Il ninnolo urta il muro e poi cade contro il battiscopa tarlato. Nadia lo guarda e scopre che è annerito e che emette fumo, come se fosse stato bruciato. E di colpo si sente vulnerabile senza la pietra, quell'oggetto di un altro mondo l'ha maledetta, ma le ha anche salvato la vita.

“Mamma! Dobbiamo andare...” la voce della bambina è distante, troppo distante.

“Aspetta”. Nadia la vede sparire nel buio.

Sente lacrime di panico salirle agli occhi e si getta di corsa dietro di lei, ma la perde. Sente solo i suoi passi leggeri ticchettare facendo eco nella tromba delle scale.

Sale i gradini di corsa, affannosamente, rischiando più volte di inciampare.

Vuole chiamare sua figlia, ma si accorge che non ha ancora un nome.

Alla fine, raggiunge il corridoio dove era stata portata la prima volta che era stata in quel palazzo, ma non c'è nessuno ad aspettarla, non ci sono i Vendicatori e non c'è Tony alle sue spalle ad accompagnarla e a dirle che andrà tutto bene.

Un soffio di vento fa sbattere leggermente la porta della stanza dove Nadia incontrò Fury mesi fa.

La ragazza si chiede da dove soffi il vento, se l'edificio è sigillato.

Si dirige verso la stanza, e apre la porta di schianto. Il vento viene da lì: la vetrata è rotta, come quando lei ha lasciato quell'ufficio dismesso l'ultima volta; i frammenti di vetro sono sparsi sul pavimento in schegge di tutte le dimensioni, alcune talmente piccole da luccicare come minuscole stelle sul pavimento impolverato.

Nadia si avvicina ai frammenti e scopre che sono sporchi di sangue. E scopre che uno è lo stesso frammento con il quel venne uccisa a Venezia... non sa come ha fatto a riconoscerlo, ma è sicura che sia lui. I bordi dei frammenti cominciano a coprirsi del rosso del sangue, sangue che comincia a gocciolare sul pavimento, diventando una chiazza che si allarga.

Nadia indietreggia perché il sangue non le arrivi ai piedi e si volta per scappare via da quella stanza. Ma un'ombra le si para davanti e le taglia la strada. La ragazza sussulta.

È lei, è la Morte, e sembra più alta e maestosa della prima volta che l'ha vista.

Dal solco che ha al posso della bocca gocciola saliva mista a sangue.

Nadia la guarda con aria implorante e si porta le mani alla pancia che è di nuovo gonfia. Ma stavolta non ha la pietra, l'ha gettata via...

Allunga una mano come per tentare di afferrare il polso della figura in nero davanti a lei, ma non serve a niente. La mano fatta di lame spunta oltre l'ampia manica della mantella e si getta su di lei.

La ragazza sente le lame affondare, trapassarle lo stomaco come se fossero un soffio di vento che entra da una finestra aperta. Non fa male, eppure Nadia urla quando sente il sangue colarle caldo sul bacino e sulle gambe.

Urla così forte che il sogno comincia a frantumarsi, poi la Morte la spinge contro la vetrata aperta e lei cade nel buio sentendo nelle orecchie il pianto di sua figlia.

 

Nadia non sa se è davvero sveglia mentre avverte le luci accendersi dietro le sue palpebre serrate. Sente che sta continuando a cadere, all'infinito, come se galleggiasse, come dev'essere caduto Loki quando scelse di buttarsi giù dal Bifrost.

Sente il sudore grondare dalla sua pelle. O forse è ancora sangue...

Sente un dolore enorme, soffocante, che parte da dentro e poi si dirama in ogni sua cellula.

Sente le voci di Tony e Pepper che chiamano il suo nome ma non riesce a rispondere.

 

*

 

Thor si sveglia e quasi rotola giù dal materasso dove ha passato la notte, un materasso troppo piccolo per lui, imbottito di fili di paglia e particolarmente scomodo.

Ma è ugualmente molto grato alla gente di quel villaggio per aver ospitato lui e il suo compagno di viaggio.

Loki ha ancora le sembianze dell'uomo minuto. Se ne sta rannicchiato a terra, contro la parete di legno della capanna, nel punto più lontano dalla finestra.

“Non hai dormito” osserva Thor.

“Non mi sembrava saggio. Non mi piace questo posto”.

Il dio del tuono si alza, stiracchia la schiena e lancia un'occhiata fuori dalla tenda. C'è un sole tiepido che fa sembrare la foresta attorno al villaggio una cupola di smeraldo.

Dopo qualche minuto, Thor vede il vecchio capo del villaggio venire verso di lui, seguito da una ragazza che porta una cesta di vimini piena di frutta. Il vecchio ha una faccia severa, meno benevola di come gli era sembrato la sera prima.

La giovane porge a Thor il cesto di frutta, indugia qualche secondo a guardarlo con un interesse del tutto femminile, poi accenna una rapida riverenza e se ne va arrossendo.

“Spero che il tuo riposo sia stato piacevole, figlio di Odino” dice il vecchio. Anche la voce è un po' più dura.

Thor annuisce. “Lo è stato, ti ringrazio”.

“Ne sono lieto, ma ora devo chiederti di andartene. Stanotte mi è stato mostrato cosa hai portato con te...”.

Il dio del tuono stringe il cesto facendo stridere i vimini intrecciati, lo appoggia sul davanzale della finestra per non rischiare di buttarlo per aria. Non pensava che le visioni del popolo di Vanaehim fossero così precise e potenti, ma una parte di lui si sente in imbarazzo per aver ingannato la gente del villaggio. Tuttavia...

“Bada a come parli, Loki è un asgardiano ed è mio fratello”

“Ha ucciso ottanta persone in due giorni...”.

E Thor non può fare a meno di indurire lo sguardo e le parole a sua volta.

“Non intendevo recarti offesa. Io e mio fratello giungiamo in pace” dice. “Lasceremo il villaggio immediatamente, come desideri”.

La tenda che copre l'ingresso della capanna si scosta di colpo e Loki esce con passo rigido. Ha ripreso le sue sembianze, e il dio del tuono riesce a percepire l'onda di nervosismo che passa sui volti dei presenti che si trovano nei paraggi.

Loki si ferma davanti al vecchio e lo guarda con freddezza.

“Che altro hai visto?” gli chiede semplicemente.

Il capo del villaggio deglutisce. “Non sono tenuto a risponderti, non puoi darmi ordini”.

Thor non sa se intervenire ad aiutare Loki o in soccorso del vecchio, e si sente tremendamente sciocco. Spera solo che suo fratello non faccia qualche sciocchezza.

Il dio dell'inganno si costringe ad assumere un'espressione quanto più compiacente gli riesce, abbozza un sorriso privo di allegria. “Non era un ordine, era una richiesta” dichiara.

L'uomo di Vanaehim indietreggia, istintivamente.

“Ho visto la tua sconfitta, dio dell'inganno. Una sconfitta eterna” conclude, alla fine.

“Stai parlando della nostra impresa?”

“Sto parlando di ciò che sei e sempre sarai”.

Thor vede Loki serrare i pugni e illividire. Muove un passo verso di lui e lo afferra per un braccio.

“Vi siamo grati per l'ospitalità, gente di Vanaehim. Vi chiedo perdono per qualsiasi dispiacere la nostra presenza vi abbia potuto infliggere” asserisce solenne, guardando per un attimo il capo del villaggio e poi facendo vagare lo sguardo su tutti gli altri presenti. Infine, lui e Loki si incamminano verso il bosco e spariscono tra la fitta vegetazione.

Camminano in silenzio per qualche minuto. Thor sta ancora trascinando il dio dell'inganno, troppo assorto per opporgli resistenza, o forse troppo colpito dalle parole del vecchio.

Si fermano, infine, in uno spazio erboso tra grossi alberi dai tronchi nodosi e contorti.

Loki si lascia cadere seduto nell'incavo formato da due radici che sporgono dal terreno, disegnando con la punta del dito dei solchi lineari tra l'erba.

“Non eri tenuto a venire con me” dice, dopo qualche istante.

Thor lo fissa, incrocia le braccia sul petto. “Sai che non è vero. Io sono tenuto a venire ovunque tu vada”.

“Sì, è vero. Perché io sono destinato a perdere sempre”

“Le parole del vecchio possono significare molte cose”

“Ma tu sai cosa vogliono dire realmente”.

Thor si mette seduto accanto a lui, fili d'erba si impigliano nella trama del mantello rosso.

“Io so solo che non voglio passare l'esistenza a combattere contro di te. Quello che non so, che non ho ancora capito, è che cosa vuoi tu, fratello” dice, con un sospiro.

Loki inclina la testa, come se stesse riflettendo profondamente. “Neppure io voglio passare l'esistenza a combattere. Forse è  questo che significano le parole del vecchio: sarò sconfitto in eterno perché alla fine mi arrenderò”.

Il cuore di Thor manca un battito, è una scintilla di felicità che si accende nel suo petto bruciando come una piccola fiamma. Fa male, eppure è bello...

“Tu la chiami resa” mormora. “Io la chiamo ritorno a casa. Tutti noi lo stiamo aspettando da tempo”

“Speravo vi foste stancati di aspettare. Potresti uccidermi, figlio di Odino, in questo esatto momento, potresti porre fine a tutto e saresti comunque acclamato come un eroe. Perché non lo fai?”

“Perché potresti farlo anche tu, ma non lo stai facendo, né ne hai intenzione. Non ne hai mai davvero avuto intenzione”.

Il dio dell'inganno sbuffa, sorridendo amaramente e puntando gli occhi in quelli di Thor.

“Sei sempre stato un ingenuo...” borbotta. “Ora come ora la tua morte non mi interessa, fratello, anzi, sarebbe un punto a mio sfavore: ho nemici che metteranno sempre in pericolo la mia sicurezza e quella di ciò che mi sta a cuore, tu invece difenderai sempre le cose che amo, indipendentemente da quello che io possa fare o da quello che potrebbe succedermi”

“Sì, difenderò sempre Nadia e tuo figlio” precisa Thor, quasi gustandosi il senso stesso di quella puntualizzazione. “Ma se tieni alla loro sicurezza, allora devi fare parecchi passi indietro. E tu sei troppo intelligente per vedere tutto questo come una sconfitta”.

Loki non dice niente per lunghi minuti. Se ne sta immobile con i palmi appoggiati sull'erba.

“Sempre. Puoi giurarlo, figlio di Odino?” domanda, con una nuova e insperata dolcezza nella voce.

“Sempre” conclude Thor, voltandosi verso di lui. Gli prende il viso tra le mani e preme la fronte contro la sua. Come nei tempi lontani e sbiaditi delle loro prime battaglie, come quando erano dalla stessa parte... come se fossero davvero tornati ad esserlo.

Dopo qualche secondo Loki getta la testa all'indietro, contro il tronco dell'albero e si lascia scappare una specie di risatina nervosa.

“Comincio a pensare una cosa, sai” mormora. “Ho idea che Snotra ci abbia mandato a compiere questo viaggio di proposito”.

Thor inarca un sopracciglio, perplesso. “Non saprei dire, ma quando eravamo fanciulli trovava sempre il modo di farci fare pace”.

E adesso, il figlio di Odino vede le proprie speranze gonfiarsi e diventare solide come statue.

Tutto sta andando per il meglio. Tutto andrà ancora a migliorare quando torneranno da quel viaggio, e nascerà il bambino e lui riavrà la sua famiglia, assai meglio di come aveva sempre sognato.

 

*

 

C'è un'alta croce di ferro battuto, scura contro la parete, fissata ad una base di marmo. Sotto la croce  lettere di ottone compongono una scritta in latino.

Tony pensa che quella croce dovrebbe essere coperta di ruggine per tutte le lacrime che la gente deve averci riversato nel corso degli anni, per le stille di sudore freddo sulla fronte di tutti quelli che hanno atteso in quello stesso corridoio di quell'ospedale ora completamente riservato allo S.H.I.E.L.D. e alla sua equipe medica.

Tony non è mai stato un uomo di fede, non se si parla di fede religiosa, almeno. Ma ha sempre ritenuto che fosse una decisione intima che spetta a ogni singolo individuo, a seconda del bisogno che ogni coscienza prova.

Adesso, l'immagine di Steve Rogers impalato sotto quella croce, come se quelle due braccia di ferro potessero risolvere la situazione, lo irrita, tanto che vorrebbe urlargli di smetterla di starsene lì a pregare. Che se a Dio interessasse qualcosa di tutta quella fottuta situazione, allora non sarebbero lì. Allora tante cose in quell’assurdo mondo non sarebbero come sono.

Ma intentare dispute teologiche con il Capitano è l'ultima cosa di cui lui e gli altri hanno bisogno.

Stringe più forte la mano che Pepper tiene nella sua e sospira.

La porta di ingresso del corridoio si apre e le ante sbattono contro la parete bianca. Clint Barton entra con la foga di un toro pronto alla carica.

“Che cazzo è successo?” sospira esasperato, di un'esasperazione intrisa di rabbia.

L'efficiente Occhio di Falco è parecchio arrabbiato in quei giorni, deve essere successo qualcosa tra lui e la Romanoff, e la faccenda della gravidanza di Nadia dev'essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, un vaso che aveva cominciato già essere colmo quando hanno mandato la ragazza su Asgard per salvare Loki dal boia.

Natasha Romanoff è dietro di lui e ha la stessa aria impaziente, anche se la sua faccia abituata a quell contegno algido riesce a stemperare la preoccupazione.

“Non lo sappiamo” dice Pepper. “Il dottor Banner è dentro con i medici... Nadia...”.

“Ce la farà, come ha sempre fatto...” interloquisce Steve, allargando le braccia come a sottolineare l'ovvietà della cosa. Ma lui non sa niente, lui non ha visto tutto quel sangue che bagnava le lenzuola come se fossero il piano di un altare sacrificale.

Nadia sembrava davvero un sacrificio umano gettato in pasto a qualche divinità crudele, bianca come un sudario, sfiorata dalla Morte che Tony ha sentito aleggiare nella stanza.

“E tu come fai a dirlo, te l'ha detto Dio?” sbotta l'uomo, con un astio immotivato. Non è per Rogers, non è per la sua fede, è perché ancora una volta non sono stati in grado di proteggerla.

“Preferisco sperare in qualcosa al di sopra di noi, piuttosto che lasciarmi abbattere” replica il Capitano, con un'occhiata eloquente per dire che non ha intenzione di trascinare oltre quella conversazione. Del resto, non serve a niente.

La porta della sala operatoria si apre di colpo. Bruce Banner esce trafelato, guarda i suoi compagni con un'aria così terribilmente colpevole e si lascia cadere su una sedia di plastica, prendendosi la testa tra le mani.

Tony sente una paura tremenda raggelarlo fino al cervello.

Steve posa le mani sulle spalle di Bruce, che sta tremando come una foglia.

“Io... mi dispiace, non penso che restare lì dentro sia una buona idea” dice il dottore, con la voce colma di vergogna. No, Hulk e i bisturi non sono un'accoppiata particolarmente felice.

“Ehi, va tutto bene, non è colpa tua” gli dice il Capitano.

“Come sta andando? Come sta Nadia?” domanda Pepper, deglutendo, come se avesse paura di sentire la risposta.

Hanno tutti paura di sentire la risposta.

“E' ancora presto per dirlo... ma i medici in sala sono tutti molto bravi. Penso che se la caverà” dice Bruce, passandosi una mano sulla fronte.

“E il bambino?” chiede Natasha Romanoff, aggrottando la fronte.

“Non... non lo so...” conclude Banner, smarrito.

Tony avrebbe altre mille domande, ma pensa non sia il caso di torchiare ancora il dottore e rischiare di farlo innervosire. Ma vorrebbe sapere cosa è successo alla ragazza, a cosa è riconducibile quell'orrore.

Poi pensa che non importa, che qualunque sia la causa, non riusciranno mai a lavarsi via il suo sangue dalle mani, soprattutto lui che mai come in quel momento si sente in colpa per averla portata in America, per non essere stato abbastanza risoluto nel tenerla lontana da Loki, per non aver fatto niente per poter evitare quello che è successo.

Vorrebbe che quel figlio di puttana del dio dell'inganno fosse lì, vorrebbe fargli guardare in faccia le conseguenze di quello che ha fatto, e cosa è stato capace di fare all'unica persona che lo abbia amato. Vorrebbe ucciderlo emotivamente, fino a fargli piangere sangue... ma sa che dare la colpa a Loki o pensare a quanto lui potrebbe soffrire non gli è di alcun conforto, né attenua le responsabilità che Tony Stark sente pesare sulla propria testa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

__________________

 

Note:

Esausta alla fine della f*ttuta sessione di esami… finalmente posso dedicarmi alle fanfic come voglio e quando voglio. E quindi leggere, oltre che scrivere e rispondere alle recensioni in tempi umani.

Niente di particolare da dire su questo capitolo… per Thor e Loki che sembrano sulla buona strada per riavvicinarsi… abbiate fede…

Per tutto il resto, ci leggiamo venerdì con l’aggiornamento.

Ora vado a stramazzare e a godermi gli esami finite, poi tornerò logorroica come mio solito.

Intanto, grazie a tutti quelli che mi seguono e un salute ai nuovi lettori che si sono aggiunti ^^

 

Per domande o curiosità: Profilo Ask

Alla prossima settimana :)

 

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Capitolo 15
*** D as destiny, D as death - part one ***


Capitolo quattordicesimo
D as Destiny, D as Death – part one

 

Il buio pulsa sopra le stelle.
L’orizzonte è una striscia di luce dorata che trema in lontananza. Loki la fissa con uno sguardo che è quasi ostile.
Dal terreno arido sale fumo denso e fuligginoso e i due dei possono sentire la terra ribollire e scottare sotto le suole degli stivali.
È stato Thor a riconoscere per primo quel luogo: Musplelheim, patria del fuoco, sospesa tra le radici di Yggdrasil, lì dove l’universo comincia a stemperare verso il buio, a nord-ovest del regno di Hel.
Si dice che in quel luogo giganti dalla pelle color del carbone forgiano la materia di cui sono fatte le stelle, ma è qualcosa che Loki ha letto nei libri, quando era giovane. Di tutti i Nove Regni, quello è uno dei luoghi più ostili, come Jotunheim con il suo perenne inverno.
L’aria di Musplelheim lo stordisce e lo affatica, molto di più di quanto possa nuocere a Thor. Loki se ne è reso conto già nelle prime ore in quel luogo e la sua vera natura, l’eco delle sue vere origini ha risuonato nei suoi pensieri come una risata malevola, come se ancora una volta il destino si stesse prendendo gioco di lui, rigirando il coltello nella ferita più dolorosa di tutte.
Un gigante di ghiaccio non può avere vita facile nel regno del fuoco.
Tuttavia, il dio dell’inganno seguita a mettere un piedi avanti all’altro, la pelle lucida di sudore, come quella di Thor, i capelli umidi attaccati alla fronte che si va arrossando.
Di tanto in tanto, qualche getto di scintille sprizza da qualche spaccatura nel terreno, brillando nel semibuio di quella notte arida e scintillante come la scia di una cometa. Qualcuna di quelle scintille apre piccoli fori anneriti sull’orlo dei loro mantelli.
Loki sente le gambe farsi pesanti e il cuore rallentare fino a fargli mancare l’aria. Seguita a camminare con la caparbietà dei disperati.
Stanno camminando senza meta. Non hanno incontrato nessuno e Loki non è certo che sia un male: i testi della biblioteca di palazzo non dicono molto sugli abitanti di quel regno, ed è una di quelle terre da cui in genere gli asgardiani si tengono lontani, ma non c’è da sperare che siano amichevoli con gli stranieri; neppure la gente semplice di Vanaheim lo è stata quando ha scoperto la sua vera identià.
Il dio dell’inganno pensa che se fosse stato per lui non ci avrebbe mai neppure messo piede, ma il percorso che il Tesseract ha scelto per loro è imprevedibile.
«Ci sarà dell’acqua, in questo posto?» domanda Thor, asciugandosi la fronte con il palmo della mano.
Loki gli lancia un’occhiata scettica, a sottolineare quanto la domanda sia superflua.
Il dio del tuono impasta la bocca e sospira.
«Guarda quell’altura, Loki. È pietra, non c’è fumo, forse se riusciamo a raggiungere la cima starai meglio».
Starò meglio quando il Tesseract ci condurrà via da qui… se non muoio prima…
Già, non aveva mai pensato che quel viaggio potesse essere tanto rischioso per la propria incolumità. Di certo pensava che avrebbe fatto ritorno magari senza alcuna risposta, ma incolume.
Guarda la sagoma di Thor stagliarsi maestosa contro il lontano orizzonte di fiamma e pensa di chiedergli un giuramento, che se gli dovesse accadere qualcosa mentre sono in quella terra maledetta, lui continuerà il viaggio. Ma sa che non ha bisogno di chiedere e che Thor è troppo solenne persino per i giuramenti.
Le parole che si sono scambiati nella foresta di Vanaheim gli risuonano ancora nella testa.
Dopo tanti combattimenti, dopo tanto odio covato dentro ombre più nere del buio, Loki non pensava che accettare la sconfitta potesse essere così semplice e così liberatorio. Lo fa sentire sciocco, e sa che non cancella il passato, ma l’amore che Thor ha per lui è così grande, così smisurato e disperato che seguitare a fingere di non vederlo e non riconoscerlo sarebbe un insulto all’intelligenza di cui si è sempre fregiato.
Thor lo ha chiamato tornare a casa. Loki non sta tornando da nessuna parte, sa di essersi spinto troppo lontano, e non pensa di averla più, una casa, pensa semplicemente che adesso riesce a vedere un nuovo terreno dove costruire e anche se è tutto diverso da quello che aveva sognato e dalle molte promesse che aveva fatto a se stesso dentro il suo buio che grondava rabbia, sa che non vuole rovinare quel terreno, avvelenandolo con il suo rancore. È un mondo nuovo quello che sente muoversi all’orizzonte incerto del suo futuro, e in quel mondo vede un figlio diventare uomo con la forza della serenità che a lui è sempre mancata.
O forse una figlia diventare donna.
I pensieri si confondono nella sua mente, come cera colorata che cola da troppe candele accese. Sente la testa in fiamme e quelle fiamme consumargli le forze.
Si lascia cadere contro la parete di roccia dell’altura, graffiandosi i palmi delle mani sulla pietra ruvida.
Vede il sentiero in salita, un nastro di ghiaia sul fianco scosceso e sente la vista appannarsi.
«Non posso continuare…» mormora, sentendo il fiato mancargli.
Thor lo afferra bruscamente per un braccio e il movimento repentino lo fa sentire come se stesse cadendo.
«Non dire idiozie! Dobbiamo levarci da questi fumi venefici e tu non vuoi che io ti porti in spalla fino in cima, non me lo hai mai lasciato fare»
«Certo che no…».
Loki sente il fumo coprire ogni cosa. E vede le fiamme del cuore di quel regno agitarsi dietro le sue palpebre chiuse, le estremità di quelle lingue di fuoco sono dorate come i capelli di Nadia.
Pensa che la ragazza non gli è mai mancata tanto come in quel momento.
Ci pensa con forza, come se il pensiero potesse spazzare via il fumo.
Vorrebbe essere più forte di quei pensieri, ma la forza di prevalere sui ricordi è una qualità che gli è sempre mancata, è la parte della sua anima che lo rende fragile, di quella fragilità che si è ostinato a nascondere così bene da riuscire a dimenticarla persino lui stesso.
È quando fingi di dimenticare che ti perdi. E lui si è perso molto tempo prima, tentando di dimenticare cose che un vero uomo dovrebbe avere l’orgoglio di portarsi nel cuore per sempre.
Si sente sollevare da terra e sente lo stomaco contrarsi quando il terreno gli manca da sotto i piedi.
«Thor… no…» mugola, sbattendo la faccia contro la schiena del figlio di Odino.
«Sta’ zitto… hai la mia parola che non lo dirò a nessuno»
«Ho ucciso… per molto meno…»
«Beh, se ti aggrada potremo fare a pugni quando tutto questo sarà finito».
Loki vorrebbe almeno avere la forza di indignarsi, di svincolarsi dalla presa di Thor, ma è certo che se fa un altro solo movimento potrebbe liquefarsi in una cascata di sangue bollente.
Cade in una strana semincoscienza, con il mantello del dio del tuono che gli schiaffeggia leggermente il viso esangue. In quella condizione di strano dormiveglia i pensieri sono distorti come da una lente deformata.
Pensa che non ha idea di quanto stia durando quel viaggio. Apparentemente sembrano solo pochi giorni, ma ha idea che siano molti di più.
Pensa che non sopporta di non sapere cosa sta accadendo su Midgard e come sta Nadia e cosa dicono i medici che l’hanno visitata – ammesso che i medici della Terra siano riusciti a capire qualcosa.
Pensa al ragazzo che Thanos ha mandato a cercarlo, si chiede se nel frattempo sia morto. Lo spera.
Pensa che ha un brutto presentimento. Non sa da dove gli venga, ma lo sente pungere al centro esatto della sua mente e dentro al suo cuore come una lama che apre la strada al veleno.
E poi non riesce più a pensare a niente, se non al sangue che fluisce troppo lentamente e al suo corpo che sente sempre di più intorpidirsi e farsi pesante, lontano dalla possibilità di controllare i movimenti.
Il buio dietro le sue palpebre è nero come il cielo sopra il dominio di Thanos e altrettanto immobile.
Il buio non ha risposte per lui e non ha conforto per i suoi timori.
Il buio dura tantissimo, come se la notte stessa fosse entrata dentro di lui. E Loki sente il suo cuore smettere di battere.

*

Jane guarda i fogli ammassati in disordine sullo scrittoio di legno scuro, segue con la punta del dito i tratti segnati dalla calligrafia precisa di Snotra, anche se non riesce a capire quelle lettere e la lingua che vanno a comporre.
«Sei in pena, mia giovane Jane?» chiede Snotra, arrivando alle sue spalle.
Sì, lo è. Thor e Loki sono partiti da dieci giorni e le ultime notizie che alcuni soldati di Odino sono riusciti a ottenere risalgono a una settimana prima, a quando si trovavano in un posto chiamato Vanaheim, non troppo lontano da Asgard.
Adesso sembrano smarriti nell’universo. Con tutti i potenti mezzi dispiegati dal re, non si è riusciti a raccogliere una sola notizia sulla loro sorte e a Jane questo non piace: i due principi di Asgard a passeggio per i Nove Regni dovrebbero attirare l’attenzione e tutti dovrebbero sapere di loro, se non è così allora è brutto segno…
La giovane scienziata spera solo che non abbiano attirato le attenzioni sbagliate.
«Mi dispiace se il mio malumore ti causa preoccupazione» mormora la ragazza.
La dea della saggezza le posa una mano sulla testa. Per ogni gesto che compie, Jane si ritrova a pensare che è un peccato che non abbia mai avuto figli; ha un cuore grande e così pieno d’amore…
E a proposito di figli, hanno di nuovo mandato Sif sulla Terra a cercare notizie di Nadia. Non l’hanno propriamente mandata, è stata Jane a chiedere a Odino di farle sapere qualcosa e il sovrano l’ha accontentata di buon grado.
Sif dovrebbe tornare a momenti.
«Non scusarti, mia giovane Jane. Sono in pena anche io» dice Snotra, appoggiandosi con un fianco contro il parapetto dorato della terrazza, i capelli resi più rossi dalla luce del tramonto nel cielo color ametista.
«Ho detto a Thor che l’avrei aspettato, ma più passano i giorni più penso che non è qui che dovrei essere. Sono preoccupata per Nadia e penso che sarei assai più utile sulla Terra». Jane sospira, sentiva davvero il bisogno di dire quelle parole.
Asgard l’affascina e la incuriosisce, e le lezioni di Snotra sulle tradizioni della Patria Eterna e tutti i racconti della regina Frigga sull’infanzia e la giovinezza di Thor la divertono, e le buffe trovate dei Tre Guerrieri per farle passare il tempo la riempiono di tenerezza, ma la ragazza ha la sensazione che non sia quello il suo posto, non in quel momento.
Potrà tornare lì quando vorrà, insieme a Thor… e magari insieme a Nadia. Potranno essere tutti una famiglia, se il piano di Snotra funziona – e Snotra sembra infallibile, malgrado i suoi racconti sugli errori passati commessi con Loki.
Jane non ha mai pensato all’idea di una famiglia come ci ha pensato in quei giorni. Da quando ha iniziato la sua carriera di studiosa non ha più avuto neppure una vera e propria casa, spostandosi in lungo e in largo per le sue ricerche, dovunque avessero bisogno di lei.
Adesso pensa che dovrebbe accettare l’offerta dello S.H.I.E.L.D. e tornare a lavorare con Eric, fermarsi in un posto, costruire qualcosa…
Forse è solo la grande sensazione di precarietà che ha respirato da quando si è ricongiunta con Thor… lui che torna, loro che combattono i profughi di Nornheim, lui che rischia la vita e Stark che quasi muore… lui che sparisce di nuovo…
«Hai tutta la mia comprensione» dice Snotra. «E sono sicura che anche Thor capirebbe».
Alla fine, Jane scrolla le spalle.
«Sarebbe poco riguardoso verso l’ospitalità del re e della regina» conclude. «E poi, comunque, Nadia non è da sola».
Sa che tutto questo è vero, ugualmente vorrebbe essere a New York con tutti loro a fare quello che fanno le amiche in questi momenti.
Ma ha deciso di restare, la promessa fatta a Thor le sembra quanto mai importante. Non vede l’ora di parlare con lui quando sarà tornato e farsi raccontare se è felice, se davvero quel viaggio ha in qualche modo sistemato i problemi che c’erano con Loki.
«Mi paicerebbe conoscerla, la giovane midgardiana» asserisce Snotra, appoggiando i palmi delle mani alla ringhiera e sorridendo sorniona. «Non ho avuto modo di parlarle quando è stata qui»
«Sono certa che vi piacereste… soprattutto se le racconti gli aneddoti che hai raccontato a me».
Le due donne ridacchiano, poi Snotra fa una smorfia saputa. «Oh, sono certa che anche lei ha cose piuttosto interessanti da raccontarmi».
Jane sta per replicare con una battuta, ma una voce alle loro spalle la interrompe di colpo.
«Lady Snotra, lady Jane». Fandral scosta la tenda con un gesto brusco. «Sif è tornata e… non ha buone notizie».
La giovane astrofisica sente lo stomaco contrarsi in modo doloroso, qualcosa le mozza il respiro per un attimo. Cerca lo sguardo di Snotra, ma la dea della saggezza ha gli occhi puntati su Fandral, avida di notizie.
Il guerriero non sembra saperne molto, fa solo cenno di seguirlo.
Vanno rapidamente verso la stanza del Tesseract dove Sif dev’essere tornata. Aprono la porta di schianto, e Snotra sembra non dare importanza alla presenza del re e della regina già giunti sul posto.
«La ragazza sta molto male» spiega Sif senza alcun preambolo. «I medici temono che non possa farcela, e se anche sopravvivesse, non sanno che ne sarà del bambino…».
Jane si sente investire da un’ondata di sensi di colpa. Sa che è del tutto irrazionale, se anche fosse stata presente non avrebbe potuto fare nulla, come non hanno potuto fare nulla gli Avengers.
Istintivamente, afferra la mano di Snotra e la stringe. Lei è stata la prima a dire che non c’era nulla di cui preoccuparsi per quella gravidanza, e adesso chissà quanto si sente in colpa anche lei, più di tutti.
Eppure, la dea della saggezza solleva lo sguardo e regge con perfetta calma le occhiate interrogative dei presenti.
«Qualsiasi cosa sia successa alla giovane midgardiana, non è stata colpa del bambino che porta in grembo» afferma, decisa.
«E cosa può essere accaduto?» domanda Frigga.
«Vorrei saperlo, mia signora, vorrei davvero saperlo…».
Jane ha un pensiero orribile al quale non riesce a dar voce. Sta pensando a quello che era successo con il furto dello scettro e al fatto che il giorno in cui hanno scoperto della gravidanza di Nadia era anche il giorno in cui i Vendicatori avevano trovato chi aveva rubato l’arma. Ma lei non sa granché di quella storia e non saprebbe dare informazioni utili… e ha la sensazione che non ci sia niente di davvero utile, che se qualcosa di tremendo doveva accadere è già accaduto.
«Perdonate la mia irruenza» mormora la ragazza, con voce triste ma decisa. «Ma penso sia giunto il momento di tornare sulla Terra».
Frigga la guarda annuendo. «Non hai nulla da farti perdonare, cara. Vuoi stare accanto alla tua amica, è naturale».
Jane dondola il capo. Sì, vuole vedere Nadia, vuole capire che sta succedendo. E, soprattutto, vuole che Loki e Thor si affrettino a tornare.   

*

Loki sente il suo cuore smettere di battere e pensa che sia un silenzio meraviglioso, pregno di una pace che non aveva mai pensato di poter conoscere.
Non è come aveva detto il ragazzo che ha ucciso…
Vola dentro quel buio e dentro quell’assenza di ogni cosa e non è come quando è caduto dal Bifrost, lasciandosi inghiottire dall’infinito dell’universo, sperando che questo lo consumasse.
Poi sente un suono lontano lontano, fastidioso come una luce improvvisa.

Lasciatemi qui, non voglio tornare…

«Loki!».

non voglio…

E poi sente male da qualche parte e quasi vorrebbe piangere.

«LOKI!»

Ho detto di no!

Sente le proprie spalle impattare contro qualcosa di duro e polveroso. Sente l’aria entrare dentro a quel buio e cominciare a farlo a pezzi.  
E l’aria odora di terreno umido e muschio, di legno bagnato e di erbe aromatiche.
Loki respira una manciata di terra e apre gli occhi tossendo violentemente e sputando.
Vede il viso di Thor chino su di lui e la mano del dio del tuono ancora sollevata, pronta a colpirlo ancora.
«Mi dispiace, ho dovuto, non volevi destarti» dice il figlio di Odino in tono sinceramente mortificato.
Loki si porta una mano alla guancia ancora dolorante, si massaggia la mascella e impasta la bocca.
«Cosa è successo?» borbotta, mettendosi seduto e appoggiando la schiena a una superficie alle sue spalle. Ha la pelle appiccicosa e fresca per il sudore che si è asciugato con il vento.
«Io credo… che siamo arrivati».
Solo in quel momento Loki si accorge di avere la schiena appoggiata a un enorme tronco. Guarda più attentamente e si accorge che non si tratta affatto di un tronco, è una radice che spunta dal terreno morbido, e il suo diametro è grosso come quello di una quercia secolare.
Scatta in piedi, stupito, e vede le grosse radici disegnare curve alte come i palazzi di Asgard, confluire in un unico punto di origine che si perde nelle spire di una sottile nebbia argentata.
Il legno nodoso delle radici è coperto di uno strato di quella che sembra essere brina, Loki sfiora una spira con la punta del dito e si accorge che è calda al tatto, come un corpo umano, che emana un calore che sa di vita.
La radice si muove, come un immenso serpente, e il dio dell’inganno fa un balzo indietro. Alle sue spalle, Thor ha in pugno il Mjolnir, lo stringe con entrambe le mani.
I due si rendono conto che il terreno sussulta leggermente sotto i loro piedi, come se fosse un enorme cuore pulsante.
Il viso di Thor è teso, lui sembra essere allerta con ogni suo muscolo, con l’attenzione d’acciaio del guerriero, ma Loki gli posa una mano sul braccio e gli dice di abbassare la guardia.
Si guarda attorno ammirato, il dio dell’inganno, e un sorriso affiora sulle sue labbra come una delle venature del legno.
«Credevo di aver visto molte cose, credevo che niente più potesse sorprendermi» mormora, accarezzando ancora la radice e sembra un bambino che accarezza il fianco di un elefante.
«Credevo di essermi spinto lontano, ma Thor… guarda dove siamo! Riesci a crederci?»
«Sì, ci credo. E non mi sento particolarmente a mio agio»
«Qui è dove tutto ha origine, qui è dove nasce la Vita, Thor. È il luogo più straordinario dell’universo!»
«Ho veduto cose assai migliori».
Loki non ribatte, non gli importa del disagio di Thor e comunque non saprebbe che dire per attenuarlo. Muove qualche passo e scorge un’apertura tra le radici, lì dove diventano più fitte e si intrecciano tra loro è come se in un certo punto formassero un’arcata, una grossa porta priva di battenti sotto un arco ampio di liane che sembrano vene attorno a un organo di un corpo umano.
Oltre la soglia di quello che Loki è certo essere un ingresso c’è un buio morbido, come lo spazio di cielo tra due stelle.
Il dio dell’inganno indica l’arco. Thor tamburella con le dita contro il manico del Mjolnir e annuisce.
Quando attraversano l’arco, il terreno viene a mancare sotto i loro piedi.
I due dei cadono e, mentre precipita nel buio, Loki sente l’urlo che non ha gridato mentre cadeva giù dal Bifrost.
È una caduta eterna e la tensione dei muscoli che si preparano al dolore dell’impatto comincia a far male, poi però il nulla semplicemente sparisce e loro si trovano su una striscia di terreno erboso, in piedi e senza essersi fatti alcun male.
«Loki, stai bene?» domanda Thor, ansimando.
«Sì. Tu?». Al dio dell’inganno trema la voce, ma tenta di nasconderlo.
Quel posto è illuminato come se ci fosse una gran luna che svetta nel cielo, ma non c’è nessun cielo sopra quel bosco silenzioso. Quando i due dei alzano lo sguardo vedono che sopra di loro, a molti metri d’altezza, c’è una cupola fatta di radici intrecciate, e tra le radici che formano grovigli immobili c’è qualcosa che si muove strisciando e sibilando.
Loki aguzza lo sguardo e scorge le spire di un serpente che si muove intrecciandosi alle radici come se volesse mimetizzarsi all’interno: Nidhogg, il grande serpente che si nutre di morte.
La presenza dell’animale non è particolarmente incoraggiante, ma Loki sa che in quel luogo non c’è nulla che si possa fare per combattere e se quella è l’ora della propria morte non c’è modo di opporsi, non in quel momento, non in quel posto.
Il bosco è tranquillo e silenzioso. Non un alito di vento agita le fronde dei salici o i fiori selvatici che spuntano tra l’erba.
Quello è il luogo in cui il tempo si ferma e l’universo intero attende.
«Stammi vicino, fratello» intima Thor, seguitando a guardarsi attorno sospettoso.
«Se qualcuno o qualcosa ci attaccasse, non potremmo fare nulla, lo sai, vero?» borbotta il dio dell’inganno, ma sa che è inutile. Il figlio di Odino è un guerriero ed è caparbio e lui non è lì per occuparsi della cocciutaggine di Thor.
Sentono il rumore di foglie che frusciano, vedono un cespuglio muoversi e qualcuno o qualcosa scappare via.
«Aspetta!» esclama Loki imperioso, con un’autorevolezza che in quel luogo non serve a nulla: neppure gli dei hanno potere lì, neppure i re.
Lui e Thor si limitano a correre nella direzione in cui è sparito il fuggitivo. E dopo qualche secondo sentono una risata cristallina fare eco fin sopra il tetto di radici e far fermare l’eterno strisciare del grande serpente.
Seguono il rumore attutito dei passi sull’erba e più corrono più quel bosco gli sembra assomigliare a un labirinto.
Spuntano su uno spiazzo con al centro un piccolo lago di acqua cristallina. Sulla sponda opposta a quella su cui si trovano c’è un grosso albero che sembra morto, e i rami sottili si intrecciano come in una ragnatela; da questi rami pendono fili intessuti tra loro a formare una grossa tela sospesa in alto, a sparire nel nulla. Sulla tela ci sono tante rune che Loki non sa leggere, tante come le stelle in tutti i cieli di ogni universo.
Si sente ancora quella risata e una figura spunta da dietro il tronco dell’albero.
È una fanciulla, anzi, poco più di una bambina. È nuda, ad eccezione di una striscia di stoffa che le copre il sesso, e ha la pelle chiarissima, le fattezze ancora un po’ paffute da infante e il seno acerbo di un’adolescente mezzo coperto dai lunghi capelli biondi.
È Skuld, colei che sarà, il Futuro.
«Io e le mie sorelle vi attendevamo» dice con la sua voce sottile da ragazzina.
Per un attimo Loki pensa a Snotra, a quanto le piacerà sentirsi raccontare di come sono le Norne e di quello strano incontro.
Davanti alle fattezze della ragazzina, Thor smette la sua aria da fiera pronta all’attacco, e lascia cadere il Mjolnir nell’erba, dove atterra morbidamente, senza produrre alcun suono.
Loki vorrebbe precisare che quella non è davvero una ragazzina.
Solo in quel momento si accorgono della presenza di un’altra ragazza, seduta sulla sponda del lago, con i piedi nell’acqua.
Loki riconosce anche lei, è Verdandi, colei che è, il Presente. Assomiglia molto all’altra sorella, ha praticamente lo stesso aspetto ma è più grande, è una fanciulla già ad un passo dall’essere donna. Indossa una tunica bianca, con una fascia di morbido tessuto argentato drappeggiata sulle spalle sottili.
Verdandi agita i piedi nell’acqua e la superficie del lago si increspa assumendo riflessi opalini.
«Thor, figlio di Odino, dio del tuono e Loki, figlio di Laufey, dio dell’inganno. Avete fatto una lunga strada» dice la Norna seduta in terra.
L’albero scricchiola piano e i due dei spostano lo sguardo sul tronco. Vedono una figura scendere camminando a carponi sul fianco di legno, come una lucertola su un muro.
La terza Norna non può che essere Urd, colei che era, il Passato.
Ha anche lei l’aspetto di una giovane donna, appena più matura di Verdandi e ugualmente somigliante. Ha anche gli stessi abiti, solo che i suoi sono consunti tanto che in alcuni punti il tessuto liso è quasi trasparente.    
«Portate domande per noi, e le portate con immenso coraggio» asserisce la Norna del Passato. «Un così lungo viaggio per incognite così grandi…».
Thor e Loki si scambiano un’occhiata.
«Risponderete?» chiede il dio dell’inganno cercando di assumere il tono più umile e conciliante che riesce a trovare. È stanco di essere messo alla prova da veggenti che non danno risposte se non poche parole enigmatiche e del tutto prive di utilità.
«A cosa pensi che servano le nostre risposte, figlio di Laufey?» chiede Verdandi, attorcigliando una ciocca di capelli attorno alla punta dell’indice affusolato.
«Tu sai che non si cambia il Fato» aggiunge Skuld.
«Se le ritenessi inutili non avrei compiuto un così lungo viaggio».
Urd scuote la testa. «Questo viaggio non è per il futuro, è per il passato. Non ti hanno mandato a cercare risposte, dio dell’inganno, ti hanno mandato a sanare ferite».
Loki chiude gli occhi per qualche secondo. Certo, il sospetto che Snotra lo abbia spinto a compiere quell’impresa assieme a Thor solo per dare loro un’opportunità di riavvicinarsi lo ha sempre avuto, ma non è di questo che intende preoccuparsi, non è quel viaggio che ha cambiato le carte in tavola in quella loro eterna sfida. E molte cose sono ancora da decidere quando quell’impresa sarà conclusa.
«Me ne rendo conto» dichiara, con semplicità. «E tuttavia, siamo giunti al vostro cospetto. Se le risposte che cerchiamo non cambiano nulla, allora per voi non ha nessun tipo di valore rivelarci ciò che vogliamo sapere».
Le tre sorelle ridono all’unisono, è come se fosse un’unica risata che proviene da una sola bocca e sembra scuotere le radici sopra di loro e far tremare la grande tela che pende dall’albero morto.
«La tua retorica non funziona con noi» dice Verdandi.
«Conosciamo le tue parole ancora prima che tu possa pronunciarle» aggiunge Skuld.
«E non ci sovvengono ragioni per le quali dovremmo rispondere al tuo interrogatorio» conclude Urd.
«Non potete rispondere per pura gentilezza? Del resto, per voi non cambia nulla» osserva Thor, pacato. Ma nella sua calma Loki sente agitarsi una certa rabbia frustrata.
«Conoscere il futuro condiziona gli individui, figlio di Odino» dice la Norna del tempo a venire.
«Cosa faresti se sapessi che non puoi vincere una guerra?» domanda quella del Presente. «Non scenderesti in battaglia, e la storia dell’universo muterebbe».
«E ugualmente il fato giungerebbe lì dove deve giungere» conclude colei che governa il Passato.
«Mie signore, è evidente che non mi conoscete…» commenta il figlio di Odino con una mezza risata.
«Il tuo scherno non ti aiuterà, né aiuterà il dio dell’inganno» borbotta Skuld, piccata.
Loki assiste alla scena, spiando l’espressione mutare sul viso delle Norne. Sa che loro conoscono ogni sua mossa e sa che non c’è niente che possa dire per persuaderle. Se non fare qualcosa di talmente inatteso che le stupisca almeno per un istante.
E sa che deve pensare in fretta per sfuggire alla loro capacità di sapere sempre tutto.
C’è una sola cosa forse che nessuno può aspettarsi da lui. Forse neppure le Norne – almeno non subito.
Mentre l’eco delle loro voci ancora risuona contro il tetto di radici, Loki fa un passo avanti e cade in ginocchio sulla sponda del lago, poi estrae uno dei suoi piccoli pugnali dalla piega dell’abito e se lo punta alla gola.
Sente Thor sussultare alle sue spalle.
«Vi prego» dice il dio dell’inganno, implorante ma deciso. «Il mio destino non è morire qui oggi, ne sono certo. Ma posso cambiarlo, posso essere il foro sulla vostra tela perfetta».
Sopra la sua testa, Loki sente il grande serpente sibilare e sente la sua lingua biforcuta frustare l’aria, ma non ha il coraggio di alzare lo sguardo e vedere le fauci spalancate di Nidhogg.
Per un istante le Norne fremono. E lui capisce di averle giocate.
Preme la lama contro il collo, sente un sottile bruciore e lo scorrere di poche gocce di sangue a inzuppargli il risvolto della giubba.
È Skuld a muoversi verso di lui per proteggere il Futuro a cui fa la guardia. E si muove veloce come il lampo, attraversando con pochi balzi la superficie del lago, sollevando schizzi di acqua cristallina.
La Norna dalle fattezze di ragazzina arriva davanti a lui, lo afferra con furia e lo getta a terra. Gli schiaffeggia la guancia così forte che Loki sente male e sente un taglio aprirsi sullo zigomo.
«Fermatevi!» urla Thor. E poi dice altro, ma il dio dell’inganno non riesce a sentirlo perché ora Skuld è a cavalcioni sopra di lui e lo sta guardando negli occhi. In quelle iridi azzurre dai riflessi quasi viola, come il cielo di Asgard, Loki legge lettere che si confondono fino a formare parole incise a fuoco nel nero della pupilla che adesso sembra enorme come il buio sotto al Bifrost.
Sono parole che Loki non sa collocare. Aggrotta la fronte e stringe i pugni, poi Skuld si china su di lui e lo blocca a terra, contro l’erba.
La Norna dalle fattezze di fanciulla piega il viso in direzione di quello del dio e appoggia le labbra contro le sue.
È un bacio lungo, dato con la lentezza languida di un’amante esperta, ma Loki non lo trova piacevole, né trova piacevole le parole che ora prendono forma nella sua mente.
«C’è morte nel tuo futuro, dio dell’inganno. Morte e nulla più.
Credi di aver abbassato le armi, credi di poterti fermare, ma non ti fermerai. Tradirai ancora, e ucciderai, e odierai, odierai come non hai mai odiato prima d’ora. Consumarti nell’odio fino a poter vivere solo di esso e fino ad essere il Male di cui tutti necessitano: questo è il tuo destino»
«No, non è vero… la ragazza, il bambino… »
«Morte, figlio di Laufey. Morte e nient’altro…».  

 

 

 

 

______________

 

Note:

Per la collocazione di Musplelheim ho rispettato la mappa di Yggdradisl che vi ho linkato qualche capitolo fa; nel mito norreno era davvero il regno del fuoco, tutti gli altri particolari sono pura improvvisazione.
Per quel che riguarda le Norne, molto semplicemente, avevo cominciato a documentarmi su Wikipedia dove è citato un passaggio dell'Edda che definisce le Norne "fanciulle di molta saggezza". Quel 'fanciulle' mi ha colpita e così ho deciso che le "mie" Norne sarebbero state ragazzine… come dico sempre, la versione Asgardiana dei film e dei fumetti è parecchio riveduta e corretta, per questo mi prendo il diritto di inventare un po' a modo mio, infatti, come per gli altri elementi della mitologia, quello che c'è in questo capitolo è quasi tutta (aripeto) improvvisazione. 

I nomi delle Norne "italianizzati" li ho presi dal fumetto Le fatiche di Loki, come pure, ricordo, la mappa di Yggradsil.

Per domande, curiosità and so on: Profilo Ask.

A venerdì prossimo ^^ 

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Capitolo 16
*** D as Destiny, D as Death - part two ***


Capitolo quindicesimo
D ad Destiny, D as Death – part two

 

Natasha non credeva ci fosse qualcosa che potesse sinceramente metterla a disagio, ma quella situazione non le piace.
Le è sembrato giusto dire a Pepper di non preoccuparsi e di tornare a casa, di riposare, che se ne sarebbe occupata lei.
Pepper non voleva lasciare da sola Nadia. Pepper vuole esserci quando la ragazza si sveglierà.
Natasha non vuole, e spera che Nadia dorma per molte altre ore.
Le fa uno strano effetto starsene lì, in una stanza di ospedale, al capezzale della loro giovane amica.
L’agente Romanoff aggrotta le sopracciglia, guardando il viso della ragazza affondato nel guanciale: non è tanto più giovane di lei ma questo è un particolare che fa sempre una certa fatica a ricordare.
In realtà, sono molti i motivi per cui Natasha non vuole essere lì da sola con lei quando si sarà svegliata.
Le vuole bene, questo sì. Non è nota per essere una persona espansiva, non ha passato con lei il tempo che hanno trascorso Stark e Pepper o non ha condiviso con lei le chiacchiere tra ragazze che Nadia ha fatto con Jane Foster, ma ci sono molte cose che la Vedova Nera è capace di provare con la stessa facilità con cui poi riesce a nasconderle – abitudine, deformazione professionale, che dir si voglia – e l’affetto è una di queste.
Si avvicina al letto con passo felpato e guarda meglio. Le guance di Nadia sono bianche come la federa del cuscino, i capelli scomposti sono opachi di sudore e sono sparsi come un’aureola sulla testa di una madonna in un dipinto medioevale.
Natasha non ha mai avuto dubbi sul fatto che quello non fosse il posto per Nadia, la vita per Nadia, ma ha sempre mal sopportato le ansie degli altri sul suo rapporto con Loki e sulle scelte che la ragazza ha fatto.
Pensa che quello che Nadia ha fatto sia da ammirare, e in una parte remota del proprio cuore forgiato dall’essere ciò che è, la Vedova Nera prova una punta di invidia per quello che Nadia è stata capace di fare. Per la libertà che ha avuto – o che, quanto meno ha avuto il coraggio di pretendere.
Gli altri hanno sempre pensato che fosse incosciente e autodistruttivo. Con tutto l’affetto e il rispetto che prova per i suoi compagni, alle volte l’agente Romanoff pensa che non capiscano un cazzo.
Lei fa un lavoro rischioso, l’aspettativa di vita per gli agenti S.H.I.E.L.D. è meno alta di quanto si pensi… Stark e gli altri non si sono mai chiesti perché sono tutti così giovani quelli che lavorano nelle basi dell’agenzia segreta?
Quello che fa lei è incosciente e autodistruttivo e, in una certa misura, non lo ha neppure scelto, né l’ha mai resa del tutto felice. Soddisfatta forse, sì, soddisfatta molto spesso. Felice mai.
E invece Nadia la sua fetta di felicità se l’è presa, giocando con il fuoco magari, mettendo le mani dentro le fiamme per afferrarla e restando irrimediabilmente scottata con segni che si porterà sulla pelle e sul cuore per il resto della sua vita, ma ai quali potrà sempre e comunque dare un senso.
Natasha non porta segni, se non i ricordi vaghi di cicatrici cancellate dalla chirurgia perché l’arma che è il suo corpo da pantera possa restare perfetta.
È questo che invidia a Nadia, e di tutte le vite che ha spezzato, di tutti i crimini commessi chiamandoli ordini, l’idea di essere lì quando la ragazza aprirà gli occhi le sembra una delle cose più tremende e insopportabili. Perché invidiarla non significa comprenderla e se non può comprenderla non può neppure aiutarla.
Sì, decisamente è meglio che se ne occupi la signorina Potts. O Stark, o il Capitano con la sua delicatezza d’altri tempi. O Banner, a rischio di svegliare Hulk e ridurre quell’ospedale a un ammasso di macerie.
Lei non vuole farlo e non sa farlo. Dopo tutti i decessi che ha confermato, non ha mai imparato le parole giuste per confortare o per dare nel modo migliore una buona notizia.
Non ha mai saputo usare le parole quando servivano davvero, come con Clint, quando ha dovuto spiegargli il perché del suo no. Un no del quale vorrebbe non essere pentita.
Tutto quello che Natasha riesce a fare ora è recuperare un pettine dal beauty-case che Pepper Potts ha lasciato sul comodino accanto al letto, e mettersi a pettinare con quella sua delicatezza da ragno i capelli di Nadia, guardando con la coda dell’occhio il monitor sul quale lampeggiano in scritte verdi i parametri vitali della ragazza.
La flebo di sali minerali e vitamine è quasi finita.
Con l’attenzione e i sensi allenati, Natasha percepisce subito il leggerissimo movimento delle palpebre della ragazza e un minimo velo di rossore affiorare a colorarle di nuovo le guance esangui.
Tra sé e sé, l’agente Romanoff bestemmia ma non si muove. Aspetta come ha aspettato tante volte nel silenzio tra uno sparo e l’altro.
E come uno sparo, gli occhi di Nadia si aprono di colpo.
Natasha stringe il pettine tra le dita, pungendosi con i sottili denti di plastica.
Posa una mano sulle lenzuola, in direzione del petto della ragazza.
«Bentornata» le mormora. E per un attimo è solo contenta che lei possa di nuovo vedere e ascoltare.
«Loki non è tornato?» sono le prime parole di Nadia. Non è neppure il problema maggiore.
L’agente Romanoff scuote la testa. La ragazza annuisce stancamente.
Affrontare quel silenzio sembra facile, è riempirlo che costa fatica, ma è una fatica che Nadia merita, anche se a Natasha fa più male di quanto pensasse.
«Nadia, ricordi cosa è successo?»
«Il sogno… è successo tutto in un sogno…».
La flebo è finita. Natasha segue il filo trasparente perdersi come un serpente sospeso a mezz’aria a mordere il braccio della ragazza sotto il cerotto. Per un attimo le sembra uno di quei demoni di fumo che hanno combattuto a Venezia.
«Tu l’hai sognato?» domanda la Vedova Nera, sedendosi sul bordo del letto.
«Sì, credo di sì… l’ho sognato tante volte, Nat…».
La donna si sente raggelare. Posa una mano sulla fronte di Nadia e la trova fresca; le guance stanno decisamente riprendendo colore.
«Da quanto tempo sono qui?» chiede poi la ragazza.
«Quattro giorni».
Natasha aspetta, aspetta che lei faccia domande alle quali non vuole rispondere; una mano a stringere l’orlo del lenzuolo. Ma Nadia tasta le coperte finché non trova quella stessa mano e la stringe debolmente.
«Lo so che non c’è più» dice, semplicemente, con una stanchezza rassegnata e una disperazione calma e misurata come quando si ringrazia per delle condoglianze.
Se Natasha avesse avuto dei dubbi sul senso di quell’affermazione, ora le basta guardare la mano pallida che la ragazza si appoggia mestamente in direzione dell’ombelico.
Nadia accetta l’idea di aver perso il bambino con una lucidità che a Natasha fa quasi paura. Lo sapeva già, e lei ora si chiede quanto terribili devono essere stati quei sogni se l’hanno preparata così bene a quella realtà che per la ragazza dev’essere più difficile di quanto l’agente Romanoff possa immaginare.
Quel bambino rappresentava moltissime cose, cose che per la Romanoff e i suoi colleghi erano da archiviare sotto la voce “problemi”, ma che per la ragazza avevano tutto un altro senso.
Nadia sembra un soldato che ha appena perso la guerra. La sconfitta gliela fa sembrare improvvisamente molto più donna, meno giovane, più simile a lei.
Essere simile a lei è tutto quello che Natasha non augurerebbe mai a una persona che le sta a cuore.
E decisamente non sa cosa dirle, non sa cosa fare.
Nadia volta la testa di lato, con lo sguardo rivolto alla finestra e i suoi occhi sono pieni di attesa. Pensa a Loki, a quando tornerà.
«Non erano solo sogni, Nat» dice la ragazza all’improvviso. «C’era qualcosa… c’era qualcuno».
La Vedova Nera stringe le labbra prima che le parole le scappino nel modo sbagliato.
«I medici non sono riusciti a risalire alla causa, c’è stata una lacerazione interna come l’effetto di più pugnalate, ma non avevi ferite. Forse i timori di Loki erano fondati più di quanto eravamo disposti a credere».
Si rende conto che quelle informazioni in definitiva non significano niente, ma non vuole restare in silenzio, e pensa che anche Nadia non voglia.
«Cinque vero? Erano cinque le pugnalate» ribatte la ragazza.
Stupita, Natasha annuisce. Ma anche lei ha subito ferite e grosse perdite di sangue che l’hanno portata a un passo dalla morte, e sa che in quel caso i sogni possono essere enormemente vividi perché è come se il corpo restasse parzialmente cosciente di quello che ha subito e di quello che sta succedendo.
«So che per te è tutto terribile, ma abbiamo avuto così paura… l’importante ora è che tu ti rimetta. Io… te lo assicuro, se ci fosse qualcosa da fare… ma devi pensare a riprenderti».
Anche queste parole le sembrano inutili. Forse sono inutili proprio perché sono vere, ma Nadia è schiacciata su quel letto dal peso del proprio dolore e dall’essere quasi morta e forse non è della verità che ha bisogno.
Natasha non sa bene di cosa possa avere bisogno. Forse, se Loki si sbrigasse a tornare…
«Dobbiamo avvisare gli altri, saranno tutti sollevati dal sapere che ti sei svegliata» dice, semplicemente.
«Sì, certo».
In quell’istante la porta della stanza si apre e sulla soglia compare una trafelata Jane Foster.
Perché diamine è da sola? Dove sono Thor e Loki?
La giovane astrofisica fissa il letto con aria incerta su che reazione avere. Probabilmente vorrebbe scoppiare a piangere o qualcosa del genere, ma crede che potrebbe fare male a Nadia e se c’è una cosa di cui bisogna rendere atto alla ragazza è che non le piace essere compatita.
La dottoressa Foster si limita a coprirsi la bocca con una mano, per celare una smorfia angosciata, poi si fionda nella stanza.
Nadia fa per alzarsi, troppo bruscamente; deve girarle la testa, infatti ricade all’indietro con la nuca sul cuscino. Natasha solleva il materasso con i comandi elettronici sul telecomando che pende dalla spalliera.
Jane Foster getta le braccia al collo della ragazza e la stringe.
Sulla soglia ci sono anche Clint e Steve Rogers – Stark è stato faticosamente convinto ad accompagnare Pepper a casa e il dottor Banner aveva bisogno di starsene per un po’ da solo in un posto tranquillo a causa del troppo stress accumulato.
«Nadia, mi dispiace tantissimo» mormora Jane Foster.
La ragazza non risponde, si limita a sospirare.
«Dove sono Loki e Thor?» domanda con voce spenta e quasi spazientita.
L’astrofisica scuote la testa. «Il loro viaggio è durato più del previsto, ma sono sicura che stanno bene, tu non devi preoccuparti di nulla, ok? Devi solo pensare a rimetterti»
«Loki si prenderà tutta la colpa» dice Nadia dopo qualche minuto di silenzio. «Loki penserà che è colpa sua, della sua natura… ma qualcuno voleva che questo accadesse. Se non fosse stato per colpa di qualcun altro non sarebbe successo niente e lei sarebbe ancora viva».
Natasha e gli altri si scambiano uno sguardo preoccupato.
«Lei?» sussurra Jane.
«Mia figlia. Era una femmina, io l’ho vista…».
Natasha avverte una morsa di preoccupazione. Spera che quello che Nadia sta dicendo sia dovuto semplicemente all’effetto delle medicine e al corpo che non si è ancora ripreso dalla grave emorragia. Spera che la grossa perdita di sangue non abbia danneggiato il cervello, perché a vederla così la ragazza non sembra molto lucida.
Nadia si solleva, stavolta ci riesce con movimenti lenti e cauti; Jane Foster le sistema un altro cuscino dietro la schiena per aiutarla a stare più comoda.«Non mi credete» mormora la ragazza dopo averli guardati tutti in viso. «Non mi credete!».
Scatta, mettendosi diritta e lasciando che i cuscini scivolino a terra. Si toglie le coperte di dosso e fa per scendere dal letto.
«Non mi credete!» strilla ancora una volta.
Clint e Steve devono correre dentro per afferrarla e spingerla di nuovo giù sul materasso.
«Ti prego, ti prego, non… ti farai male, si riapriranno le ferite» dice Steve, tentando di tenerle ferme le spalle, preoccupato e imbarazzato.
Natasha corre a chiamare un infermiere e solo quando le somministrano un calmante molto forte, Nadia smette di dibattersi e urlare e piomba di nuovo nell’incoscienza.
L’infermiere chiede poi a tutti loro di uscire dalla stanza. Abbassa le tende alla finestra e spegne la luce, si chiude la porta alle spalle e quando riappare nel corridoio Natasha lo blocca contro il muro.
«Mettete qualcuno lì dentro a sorvegliarla. Voglio sapere persino quanti respiri fa al minuto!» borbotta perentoria e glaciale.
L’infermiere deglutisce e fa un cenno affermativo, poi scatta verso la guardiola a chiamare un collega che tenga monitorata da vicino la paziente.
«Vado a chiamare Stark, sono certo che voglia essere informato» dice Rogers, allontanandosi verso il lato opposto del corridoio, armeggiando con il telefono cellulare.
«Dottoressa Foster, mi dica che Loki e Thor saranno qui a breve…» sospira Clint.
«Non c’è modo di saperlo, mi dispiace».
Natasha fa qualche passo, incrociando le braccia sul petto e mordicchiandosi il labbro inferiore con aria pensosa.
«Quella faccenda dei sogni, voi non credete sia vera, gusto?» domanda, infine.
«Agente Romanoff, mi creda» replica Jane Foster aprendo i palmi delle mani, come a supportare l’estrema naturalezza della sua affermazione, «ho visto così tante cose che ormai sono disposta a credere a tutto. E quando Sif è venuta ad avvisarci, Snotra, una dei sapienti del palazzo di Odino, ha detto anche lei che quello che era successo non poteva essere stato provocato da cause naturali».

 

*

 

Prima ancora di farsi prendere dal panico o dall’agitazione, Snotra si concede un secondo di contentezza – o di qualcosa che in un modo vago possa assomigliarvi.
Guarda Loki e Thor riversi sul pavimento della stanza del Tesseract, privi di conoscenza, che si tengono per un braccio come quando lei appoggiò Loki in fasce accanto al fratello maggiore per la prima volta.
È sciocco e sentimentale, troppo per la dea della saggezza, e ci sono cose più importanti a cui pensare. Ci sono brutte notizie da dare ai due giovani principi quando si sveglieranno, notizie che le fanno sanguinare il cuore, ma dopo tanto penare, quell’attimo di tenerezza le sembra dovuto, come la ricompensa per tutti i suoi sforzi che per un istante non le sembrano più tanto inutili.
Sta invecchiando e probabilmente il suo cuore si sta inaridendo, per questo riesce a pensare con più fermezza a ciò che le interessa più da vicino. Penserà al dolore da dare a Loki quando sarà il momento.
Delle guardie sollevano faticosamente i due principi su due barelle e li portano via verso la Camera della Guarigione, secondo le disposizioni di Odino. È più una precauzione che una necessità, non hanno alcun bisogno di essere guariti da qualcosa, non sono feriti, ma con ogni probabilità il Tesseract li ha risucchiati via da dove erano giunti, per risputarli su Asgard e l’energia del varco deve averli stremati.
Si riprenderanno nel giro di poche ore.
La regina Frigga è angustiata perché una riunione l’attende e non può restare al capezzale dei suoi figli. Snotra le dice di non preoccuparsi, che sarà lei a rimanere con loro e la farà avvisare immediatamente quando si riprenderanno.
La Camera della Guarigione è un’enorme stanza dorata con il soffitto a cupola.
Loki e Thor riposano su ampi materassi sotto una patina di luce dorata. E Snotra resta a fissarli, immobile ai piedi dei due letti allineati uno accanto all’altro.
Nella sua mente l’immagine di entrambi bambini continua a sovrapporsi all’attuale scenario che ha dinnanzi agli occhi.
Sa che vorranno ripartire per Midgard immediatamente, per questo, per adesso gode di quella vista. Le sono mancati, le sono mancati così tanto, non Loki o Thor singolarmente, ma loro due assieme, come fratelli.
È il dio del tuono il primo a svegliarsi, solleva lentamente le palpebre e la patina di fumo dorato che copre il letto si dissipa secondo dopo secondo.
«Snotra…» mormora con la voce impastata. Si guarda attorno, incredulo.
«Sei a casa, principe» dice lei, con un sorriso.
«Jane?».
Snotra deglutisce. È giunto il momento a cui lei ha preferito non pensare.
«Jane è tornata su Midgard. Avrebbe voluto aspettarti ma non ha potuto, Thor… mi dispiace così tanto ma ci sono brutte notizie».
Il dio del tuono scatta in piedi e si alza dal letto, per un attimo traballa sulle gambe malferme, poi si appoggia con forza alla spalliera dorata e riesce a recuperare la posizione eretta. Lancia un’occhiata colma di pena a Loki, ancora avvolto nel sonno e nella cupola di luce dorata.
«Cosa è accaduto? Nadia?» domanda, stropicciandosi il viso con le mani. Aggrotta la fronte e la preoccupazione disegna un solco tra le sopracciglia.
«La giovane midgardiana sta bene, ma…»
«Il bambino?».
Snotra annuisce e sente il cuore farsi pesante mentre gli occhi di Thor si fissano nei suoi e si velano di dolore.
Il dio del tuono sta reprimendo l’impulso di lanciare qualcosa contro il muro – probabilmente il letto stesso.
«Loki… ne morirà. Anche se non l’ha detto, anche se ha continuato a mantenere quel suo cipiglio indolente, amava già quel figlio» dice, abbassando lo sguardo e serrando i pugni.
«Lo so, Thor, lo so… ma c’è qualcosa che mi preoccupa molto di più della sua reazione» asserisce Snotra, decisa. «Quello che è successo sono certa sia stato provocato da qualcuno, per qualche motivo… ciò che Sif mi ha descritto non è un semplice problema fisiologico dovuto alla gravidanza e non c’entra nulla il fatto che il bambino fosse nato da un’unione impari».
Thor scuote la testa, prendendosi la fronte tra le mani.
«Nessuno avrebbe potuto avvicinarsi a Nadia senza che gli altri ne fossero al corrente» dice, semplicemente.
Snotra gli crede, crede all’affetto che sicuramente i paladini di Midgard devono portare alla ragazza, ma è altrettanto sicura che ci sia qualcosa che sfugge a tutti loro.
«Cosa hanno detto le Norne a Loki? Perché voi ci siete arrivati dalla Norne, vero?».
Snotra non è sicura che il figlio di Odino sia cosciente del fatto che sono stati via quasi tre settimane.
Thor si lascia cadere seduto sul letto e assottiglia lo sguardo come se cercasse di pensare, come se si stesse sforzando di ricordare.
«Non lo so, Snotra… è tutto così confuso» dichiara, con un sospiro rabbioso, innervosito dal suo non riuscire a rammentare ciò di cui ha bisogno. «Non… non credo gli abbiano parlato, ricordo solo che Loki si è inginocchiato per pregarle di rispondere alle sue domande e ha minacciato di uccidersi se non l’avessero fatto».
La dea della saggezza sente un leggero capogiro. Pensa che forse è il senso di colpa che la investe: era stata sua l’idea di mandare i due principi a compiere quel viaggio, non aveva pensato che potesse essere rischioso o che potesse turbare Loki.
«E poi una di loro lo ha fermato e non gli ha parlato… credo lo abbia… baciato. E poi non ricordo più niente» aggiunge il figlio di Odino.
«Mi dispiace, Thor. Mi dispiace così tanto, forse non avrei dovuto mandarvi laggiù» mormora la dea, avvicinandosi a lui e abbracciandolo, facendogli posare la testa sul suo petto e carezzandogli i lunghi capelli biondi.
«Non è stato un viaggio inutile, te lo assicuro»  risponde il principe, cercando la forza d’animo di regalarle un sorriso.
Restano abbracciati per lunghi minuti. Snotra si gode il calore delle braccia di Thor che le stringono il busto come unica consolazione alla fine di quella triste storia. Ora comincia ad avere paura di quando Loki si sveglierà e di come reagirà alla notizia.
Spera solo che quel viaggio sia servito davvero, che li abbia ravvicinati abbastanza da dare al dio dell’inganno un motivo per reagire e per trovare pace. Chissà, forse adesso vorrà stare accanto alla ragazza e affrontare insieme a lei quella perdita disastrosa. E se la ragazza stesse ancora male, potrebbero portarla su Asgard e prendersi cura di lei, e Loki potrebbe tornare a casa una volta per sempre e stare con lei, e a poco a poco potrebbe tornare felice.
Potrebbero tutti tornare felici…
«Va’ da tua madre, Thor. Era in pena per voi e impegni di corte l’hanno trattenuta lontano dal vostro capezzale» conclude Snotra, sciogliendosi dall’abbraccio del principe.
Lui annuisce e lascia la stanza dopo aver lanciato un’ultima occhia triste al letto dove risposa Loki.
Snotra si siede a terra, con le spalle appoggiate alla fiancata del ricco giaciglio. Si circonda le gambe tra le braccia e resta rannicchiata a pensare.
Passano lunghi minuti, poi la dea della saggezza sente il letto smuoversi e vede l’ombra di Loki proiettarsi sul pavimento. Scatta in piedi e lo trova seduto in mezzo al materasso, che scalcia via le coperte candide con gesti nervosi.
«Devo tornare su Midgard!» esclama lui, balzando in piedi. Ha un capogiro dovuto ai movimenti troppo repentini e Snotra gli cinge il petto con le braccia per aiutarlo a sorreggersi.
Loki china il viso verso di lei, stringe per un attimo una mano attorno alla sua spalla e Snotra vede una lacrima, una singola lacrima capitolargli oltre le ciglia.
Le lacrime di Loki sono quanto di più difficile sia mai riuscita a tollerare. Non ne ha viste tante, ma quelle che ha visto hanno solcato i ricordi ai quali sono collegate e li hanno marchiati a fondo nella sua mente.
«Devo tornare su Midgard» ripete il dio dell’inganno. «Le Norne hanno detto… se è morta, giuro che…».
Giuri cosa, mio caro principe?
Snotra gli prende il viso tra le mani e impiega una certa forza quasi brutale per convincerlo a mettersi seduto sul letto e costringerlo ad ascoltarla.
«Ascolta, Loki, ascolta! Lei è viva, starà bene… ma il bambino…».
Il dio dell’inganno ha un sussulto, afferra il guanciale e ne straccia le federa, gettandolo rabbiosamente sul pavimento. Snotra lo conosce abbastanza da sapere che non vede l’ora di uscire da quella stanza e di rimanere solo con i suoi demoni, ma è importante che Loki capisca, che forse la giovane midgardiana è ancora in pericolo e che anche lui lo è.
«Devo tornare su Midgard» ripete ancora una volta, e ora la sua voce è strozzata e assomiglia a un ringhio.
«Sì, sì, devi tornare da lei, Loki, ma ascolta: quello che è accaduto non è colpa tua, non è il tuo sangue che è incompatibile col suo, nel bambino non poteva esserci nulla che non andava…».
Il dio dell’inganno la spinge via con furia e la guarda astioso. Di quell’astio che Snotra ricorda nei suoi peggiori incubi, l’astio del primo tradimento che ha scavato il baratro tra loro due.
«Tu non sai niente!» le grida contro. «Tu non sai cosa hanno detto le Norne. La ragazza morirà e io sarò dannato».
La dea della saggezza scuote la testa. «Qualcuno le ha fatto del male, Loki, qualcuno ha ucciso vostro figlio, non capisci?».
Il dio dell’inganno ha un sussulto, per un attimo resta assorto nei propri pensieri, lontano a sfogliare ricordi.
«Come fai a dirlo?» sibila.
«Sif mi ha spiegato quello che è accaduto alla tua midgardiana e non è qualcosa di naturale… sei stato via tre settimane, e tu sai, te l’ho insegnato, ci sono modi per passare, ci sono portali che possono essere aperti e tu hai nemici che ti seguirebbero fino al più remoto angolo di Hel».
Loki sembra venire colto da un’illuminazione improvvisa.
«Thanos…» mormora. «Lui e quel dannato ragazzo strappato dal regno dei morti… lui mi disse che Thanos aveva trovato un modo per raggiungermi sulla Terra, ma io non vi diedi peso perché sarei tornato su Asgard e sapevo che qui non mi avrebbe mai raggiunto, ma il portale… dev’essere stato creato con il mio sangue».
Snotra rabbrividisce, tanto da dover strisciare le mani contro gli avambracci per riprendersi e far passare la pelle d’oca. La magia del sangue è una magia malevola, usata solo per nuocere nel peggiore dei modi, partendo dalla mente.
Se il portale creato funzionava con il sangue di Loki, allora chi lo ha aperto deve aver trovato suo figlio, il suo stesso sangue nel ventre della giovane. E adesso Thanos può avere in mano la ragazza, farla soffrire e farla appassire giorno dopo giorno sotto gli occhi di Loki…
«Cosa devo fare?». Il dio dell’inganno afferra Snotra e la strattona. «Cosa devo fare? Dimmelo!».
«Se è stato aperto un portale, dev’esserci una fonte di energia che lo tiene aperto. Devi distruggerla prima che distrugga Nadia».
Loki guarda Snotra negli occhi, annuisce.
«Lo scettro…» mormora impercettibilmente. Lei non ha tempo di chiedere spiegazioni, un attimo dopo il dio sta già correndo fuori dalla stanza.

 

*

 

Nel sogno c’è un precipizio e non c’è nient’altro.
Nadia è a piedi nudi su uno stretto sentiero di roccia sul fianco di un dirupo.
Il buio sotto di lei la chiama a gran voce, chiama proprio il suo nome ripetendolo con un ritmo ipnotico.
La vertigine è forte ma la ragazza sa che se cede sarà finita.
Quei sogni hanno ucciso sua figlia, e ora uccideranno anche lei.
Non ha più avuto incubi per una settimana, da quando si è svegliata in quel letto di ospedale, sotto lo sguardo desolato di Natasha.
Non ha più fatto menzione degli incubi con loro, non le credono e, comunque sia, non possono aiutarla.
E poi, i sogni erano spariti. Chiunque abbia mandato la Morte a cercarla si è già preso la sua bambina, Nadia pensava di non avere più niente che valesse la pena prendere. Ma adesso sa che non è così.
Adesso sa che vogliono lei.
Adesso capisce ogni cosa: capisce l’avvertimento che Mike – Raahm o qualunque sia il suo nome – aveva cercato di darle prima di morire. Capisce che qualunque cosa sia stata fatta per arrivare a Loki, ha intercettato la loro bambina. Capisce che non può opporsi, che è ben al di là di quella vendetta e che non si fermeranno fino a quando non sarà distrutta…
Solo che lei non è una bambina indifesa ancora aggrappata alla carne di sua madre, lei ha una volontà sulla quale il padrone dei suoi sogni tenta con prepotenza di agire. Non può ucciderla senza piegarla, e per quanto il buio insista nel chiamarla, Nadia non si lascerà mai cadere.
Vuole svegliarsi, vuole rivedere Loki…

«Loki ti ha abbandonata, Loki non c’era quando la Morte si prendeva vostra figlia…»
«Sta’ zitto!»
«Perderai, ragazza. Hai già perso».

Nadia getta la testa all’indietro, chiude gli occhi per non vedere il buio.
Ma la voce continua.

«È tutta colpa di Loki, ed è colpa tua, non l’hai protetta, non l’hai salvata…».

Dinnanzi a questa affermazione, Nadia non può replicare e il suo silenzio fa aumentare ancora più forte la voce del buio.
Per un attimo la ragazza porta un piede in avanti e resta con una gamba sospesa nel vuoto, come se lo stesse assaggiando.

«Vieni da me, ragazza, vieni da me e non soffrirai mai più. Dimenticherai ogni cosa e loro, tutti quelli che non ti hanno saputo proteggere la pagheranno»
«Non è colpa loro…»
«È colpa loro, ed è anche la tua. Ma cosa potevi fare tu? Non ti hanno amata abbastanza»
«Non è vero!»
«Lo è. Per Loki eri solo la scusa per ottenere asilo su Midgard. Per i tuoi adorati eroi eri solo un’altra minaccia da tenere sotto controllo»
«No… sta’zitto, basta! Non voglio ascoltare!»
«Perché sai che è vero. Fuori da qui sei sola, non hai più nessuno»
«Tornerò a casa! Mi riprenderò la mia vita!»
«Quale casa? Quale vita? Pensi che la tua famiglia ti rivorrà? Tu li hai lasciati indietro… e non c’è nessuna vita che ti aspetta, sarai sola perché nessuno potrà mai capirti»
«Ho detto che devi stare zitto!»
«Io posso tacere, ma tu sai che sto dicendo il vero, Nadia. Morirai giorno dopo giorno, lacrima dopo lacrima, goccia di sangue dopo goccia di sangue…»
«Non è vero… io posso…»
«Non puoi niente, piccola midgardiana, puoi solo scegliere di smettere di soffrire adesso. Vieni con me…».

Vieni con me. Vieni con me…
Vieniconme.
Vieniconme.
Vieniconme.

 

Nel sogno, Nadia si vede saltare e vede il buio inghiottirla, cancellarla. Ed è vero, ogni dolore sparisce mentre il vuoto la ricopre come un mare d’acqua senza peso.
L’idea di non dover più lottare è più bella di quanto fosse disposta a pensare.
Nadia è ancora con un piede nel sogno quando la luce esplode e fa a brandelli il buio, riempie il vuoto e lei sente solo il suo corpo impattare contro il duro del pavimento.
La ragazza riacquista secondo dopo secondo la percezione di sé, boccheggiando contro il parquet. Si accorge che la pietra sul bracciale ancora brilla e quasi scotta contro il suo polso.
È stata la pietra a salvarla? Perché lei ha il sangue di Asgard ed è un sangue difficile da sconfiggere, è un sangue che resiste alla Morte.
Ma anche sua figlia aveva quel sangue, ed è morta comunque.
Nadia fissa la pietra con odio. Perché ha salvato lei e non ha salvato la sua bambina?
Perché in quel sogno la pietra mi era stata strappata via…
La voce la insegue da dentro al sogno, riversa dolore e tristezza nella sua mente. Dipinge scenari di una solitudine totale e devastante.
La ragazza infila una mano nell’elastico dei pantaloni della tuta e si tasta la cicatrice sul bassoventre, come il segno di un cesareo, come un solco aperto nel tessuto del tempo che ha portato la sua vita a giungere fin lì, nel mescolarsi di mondi che sarebbero dovuti restare lontani, nel mescolarsi di destini che non avrebbero mai dovuto neppure sfiorarsi.
Se solo potesse dimenticare… se solo…
La voce preme dentro di lei, scava con artigli di parole e dove passa lascia pensieri sanguinanti che coprono tutto di rosso.
C’è un’alba sospesa sopra New York e mentre la notte si tinge di luce, Nadia ripensa alla sensazione provata quando cadeva, a quanta pace le desse.
La ragazza esce dalla stanza da letto a piedi nudi e con passo felpato. Nella stanza accanto c’è Steve che dorme. I Vendicatori fanno a turno per non lasciarla sola di notte… non si fidano più di lei, non capiscono e non le credono…
E la voce ha ragione: è sola. E lo sarà sempre.
Forse lo è sempre stata.
Nadia arriva in cucina. Si vede compiere quei gesti come se stesse ancora sognando e si osservasse dal di fuori chinarsi e staccare la zoccolatura del mobile, allungare la mano e tastare il pavimento di marmo freddo.
Le dita trovano la forma arrotondata dell’ampolla, l’afferrano e la tirano fuori.
Nella luce rosata di quell’alba autunnale, sospesa verso i colori freddi dell’inverno, Nadia guarda il liquido argentato riposare tra le pareti di vetro.
Nei suoi ricordi la voce di Loki le rammenta che è una guerriera.
Ma anche i guerrieri più forti a volte si stancano di lottare.

 

 

 

 

 

__________________________

 

Note:

Ed eccoci al terzultimo capitolo. 
Non ho niente da dichiarare stavolta... penso che vogliate già uccidermi... ma se mi uccidete non saprete mai come va a finire ù_ù 
Ci leggiamo venerdì.
Intanto, per domande o curiosità: Profilo Ask

Baciuz! 

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Capitolo 17
*** "What is this?" "Me... giving in" ***


Capitolo sedicesimo
“What is this?” “Me… giving in”

 

Il balugino della luce azzurra si disperde in pochi istanti.
Loki mette a fuoco il pianerottolo della Stark Tower sul quale affaccia la porta della casa in cui vive Nadia. Pensa che sia un buon segno, se lei è tornata a casa e non è più in mano ai medici.
Apre la porta, spingendola con entrambe le mani, quasi buttandola giù.
Alle sue spalle sente la voce di Jane Foster uscire dalla propria abitazione e chiamare sollevata il nome di Thor. Il dio del tuono dice che devono subito chiamare gli altri, le accenna dello scettro che deve essere distrutto, poi Loki smette di ascoltare la loro conversazione perché corre a grandi passi dentro la casa e le loro voci si fanno lontane, estranee ad un momento che appartiene solo a lui.
Sente il rumore di vetro che si rompe provenire dalla cucina aperta sul grande salone. Scatta.
Nadia è lì, in piedi accanto al mobile, lo guarda con occhi spalancati e sguardo atterrito.
«Loki…» mormora la ragazza, come se fosse un singhiozzo.
Lui la passa rapidamente in rassegna con lo sguardo. Sembra in perfetta forma, solo un po’ sciupata e pallida, ma c’è qualcosa nei suoi occhi che non gli piace.
Certo, deve essere distrutta emotivamente. Ma ora, in qualche modo, risolveranno ogni cosa…
Loki non sa neppure bene cosa significhi ogni cosa, e di certo non ha idea di come risolvere quel tipo di problemi, ma mai come in quel momento si rende conto di essere esattamente dove deve essere e ne è contento.
Corre verso di lei, l’abbraccia e per la prima volta si rende conto di quanto forte e disperato sia quello che sente nel petto quando la stringe. Un dolore piacevole che lo fa sospirare di sollievo e sembra che speranze brillanti come fari si siano appena accese all’orizzonte.
Per la prima manciata di secondi neppure fa caso al fatto che la ragazza non ricambia la sua stretta.
Loki la scosta con leggerezza e le prende il viso tra le mani, scrutandola alla ricerca di qualche risposta.
«Andrà tutto bene, io…» fa per dirle.
Ma gli occhi di Nadia si riempiono di lacrime, di un tipo di lacrime che il dio dell’inganno non sa arginare.
«Loki, perdonami»
«No, no. Non è stata colpa tua… e io non avrei mai dovuto andarmene. Ascoltami…». Quell’ultima parola suona come un ordine, mentre le prende il mento tra l’indice e il pollice e la costringe a tenere lo sguardo sollevato su di lui.
«No. Tu non capisci…».
La ragazza abbassa gli occhi sul pavimento, indicando con lo sguardo i frammenti di vetro ai suoi piedi.
Loki guarda i cocci trasparenti sporchi di un liquido strano e oleoso dal riverbero argenteo. Un liquido che non riconosce ma che è certo non appartenga a Midgard.
Ha un attimo di confusione e straniamento, prova a pensare e a mettere insieme le parole per domandare, ma il corso dei suoi pensieri viene interrotto dalla voce di Stark.
«Bene, ora che Romeo è tornato e che Mercuzio ci ha brevemente informati della situazione, una sola domanda: come distruggiamo lo scettro?»
«Mi piacerebbe che la risposta fosse: ficcandolo nel culo di quello che lo ha costruito, ma credo sia fuori portata» aggiunge Barton.
«Nadia, tutto ok?».
Loki e la ragazza si voltano verso gli Avengers, la squadra di eroi al completo, con tanto di Jane Foster e donna di Stark al seguito.
No, non è tutto ok.
«Che cos’è questa roba?» domanda il dio dell’inganno con una freddezza che stupisce persino lui. «Nadia, per gli inferi, cosa hai fatto?».
«Di che stiamo parlando?» chiede Banner passandosi una mano sul viso ancora velato dal sonno.
A Loki non sfugge il sussulto di Thor, come se il figlio di Odino abbia colto un particolare che loro non hanno notato o del quale non sono a conoscenza.
Nadia seguita a guardarsi attorno smarrita, con aria colpevole e grosse lacrime le cadono sulle guance malgrado non stia emettendo un solo singhiozzo.
Il dio dell’inganno si china sul pavimento e raccoglie alcuni pezzi di vetro che getta sul tavolo, sperando che qualcuno abbia una spiegazione.
«No…» il suono sfugge dalle labbra di Thor come un tuono che si sprigiona dal suo martello. «No, no, no! Nadia, dimmi che non l’hai fatto!».
Il dio attraversa a grandi passi la stanza, afferra Nadia per le spalle e la scuote piano.
«Dimmi che non l’hai fatto» ripete.
Solo a quel punto la ragazza singhiozza fortemente e si copre il viso con le mani.
«Non volevo… non ero in me…» risponde lei. «La pietra mi ha salvata dalla voce nel sogno, ma non del tutto».
Loki si sente investire da un’ondata di panico e rabbia.
Guarda i Vendicatori e sui loro volti legge il medesimo smarrimento turbato. Nessuno sembra sapere o capire, a parte il dio del tuono.
Nella sua mente tutto esplode con la violenza di un vulcano rimasto sopito troppo a lungo.
Giorni a chiedersi se davvero le loro strade potessero tornare a incrociarsi non più come quelle di due nemici e un solo secondo bastevole per spazzare via tutto.
Di nuovo.
Segreti, tradimenti, bugie, trame ordite alle sue spalle.
Di nuovo.
Si getta su Thor e lo stacca da Nadia, lo afferra per i fermagli del mantello e con la forza della rabbia lo solleva e lo getta sul tavolo. Il legno lucido si spacca, schegge bianche volano oltre le spalle del figlio di Odino.
Gli Avengers fanno un passo avanti.
«Cosa è successo?» urla Loki contro il volto di Thor. Sente la gola bruciargli per quel grido, sente ogni cosa tremare, perfino lo sguardo del dio del tuono che si vela di lacrime e di senso di colpa.
«Cosa c’era in quella fiala?» aggiunge Loki stringendo tra le dita i frammenti di vetro e conficcandoseli nel palmo.
Un rivolo di sangue cola dal suo pugno chiuso e il pugno cala sul viso di Thor che ora è troppo turbato per parlare.
Ah, ma gli caverà le parole di bocca una a una a costo di fargli la faccia a brandelli, a costo di aprirgli la testa per capire che tiro terribile gli abbia giocato stavolta.
«Mi dispiace, fratello…».
Non sono tuo fratello, non so lo sono mai stato. Quella è l’unica verità che sia mai uscita sana e salva dalla bocca del dio dell’inganno. L’unica verità che, adesso Loki se ne rende conto, ha ancora senso e sempre lo avrà.
Sono il mostro da cui i genitori mettono in guardia i figli la notte.
Thor si lascia colpire, senza muovere un dito.
«Loki, basta!» tuona Stark.
Il dio dell’inganno è vagamente consapevole dell’uomo di metallo, di Barton e Rogers giunti alle sue spalle per staccarlo da Thor, e di Banner e la Romanoff parati tra loro e le due donne. Ma quegli insulsi umani possono ben poco contro la forza di un dio, meno che mai contro la furia di un dio arrabbiato.
Il silenzio ostinato di Thor non fa che confermare quanto debba essere terribile ciò che è accaduto.
Un veleno asgardiano forse, pensa Loki. Un veleno destinato a me che Nadia ha bevuto
L’ennesimo pugno sta per calare sul viso del figlio di Odino, dove cominciano a comparire i segni, sotto gli schizzi di sangue che ancora sgorga dal palmo ferito di Loki.
Il dio dell’inganno sente una presa forte afferrargli il polso, e quando tenta di liberarsene, vede Nadia con la coda dell’occhio; la ragazza è accanto a lui e le dita che adesso stringono il polso di Loki risalgono in una carezza sul dorso della mano, riuscendo a fargli aprire il pugno.
I pezzi di vetro insanguinato cadono sul tavolo rotto, accanto al viso di Thor.
Nel silenzio più totale e nell’immobilità più assurda, sotto lo sguardo scioccato dei presenti e sotto gli occhi lacrimevoli del dio del tuono, Nadia semplicemente, prende uno straccio e si mette ad asciugare il sangue dalla mano di Loki, scostando con la punta delle dita e gesti gentili le piccole schegge di vetro che ancora gli sono rimaste conficcate nella carne.
E lui sente le lacrime premergli contro le ciglia e sente il suo mondo andare in pezzi ancora una volta.
Ancora una volta per colpa di Thor e di quello che la sua famiglia deve aver fatto, tramando alle sue spalle, mentendo.
Non gli resta di aspettare di conoscere i dettagli su quell’ennesimo tradimento.
«In nome di Dio, qualcuno si degni di dirci che sta succedendo» esclama Rogers.
«Ora sarai così gentile da spiegare, Thor?» sibila Loki, in tono freddo e pacato come la neve quando cade.
Il dio del tuono si alza, si passa il dorso della mano sul viso e si toglie via gli schizzi di sangue. Quello colato dalla mano di Loki e quello stillato dai tagli che si sono aperti sulle sue guance.
Per una volta il loro sangue si è mischiato davvero.
Per una volta, l’ultima volta.
«Quella era l’ultima fiala di siero dell’oblio, la pozione proibita degli alchimisti di Alfheim» esordisce il figlio di Odino, chinando lo sguardo con vergogna. «Padre l’aveva tenuta in serbo per molto tempo e voleva… voleva che tu la prendessi perché sperava che se avessi dimenticato tutto, se la parte peggiore della tua vita fosse stata cancellata, avresti potuto rimanere qui, al sicuro e che saresti stato felice, con Nadia. Ma lei non voleva che tu la prendessi e l’ha nascosta perché tu non la trovassi e perché tu non sapessi mai…».
Loki si sente così schiacciato da quella rivelazione e così stremato dal suo sfogo di poco prima che non riesce a reagire. Non con le azioni, almeno, e neppure con le parole.
Solo il suo cuore sta reagendo, infiammandosi con un odio che ora si è acceso più forte di prima.
Prima quell’odio gli sembrava qualcosa di naturale, sbocciato come sbocciano le erbacce in un prato. Adesso invece ha la forma di una lama affondata nel fianco e fa male.
Odino e la sua famiglia gli avevano mentito, in passato, lo avevano fatto sentire meno amato di quanto avrebbe voluto, lo avevano ingannato, si erano trasformati nei suoi nemici e nei suoi carcerieri… ma non avevano mai attentato davvero alla sua vita.
Loki conosce gli effetti di quella pozione, tanto tremenda da essere stata messa al bando molto tempo fa. Non ti fa dimenticare ogni cosa, ti ripulisce la memoria dalle cose brutte o da ciò che ti ha segnato e ti ha potuto avvelenare l’anima.
Se lui l’avesse presa, avrebbe dimenticato di essere stato un dio, avrebbe perso i poteri e si sarebbe scordato di Asgard, di Thor, della loro guerra e della sua famiglia.
Sarebbe stato più misericordioso pensare a un veleno vero e proprio, o lasciare che il boia lo uccidesse il giorno della sua condanna, senza affannarsi tanto a coinvolgere la ragazza e disturbare ancora una volta i suoi dannati protettori.
Privarlo della sua identità, del suo essere un dio, è una condanna maggiore della morte. E la meschinità con la quale Odino ha tentato di delegare quel compito a Nadia lo nausea più di ogni altra macchinazione che il Padre degli dei abbia mai ordito alle sue spalle.
«Dicevi di armami… » mormora Loki, guardando Thor sconvolto, la voce deformata dall’angoscia. «Ma volevi solo tenermi quieto fino a quando Odino, il tuo saggio e magnanimo padre, non avesse avuto occasione di attuare il suo piano».
«No, Loki, io mi sono sempre opposto e sono certo che prima o poi avrei convinto Padre a…»
«AVETE CHIESTO A LEI DI FARLO! Come avete osato?!».
Loki fa di nuovo per gettarsi su Thor, lo sguardo appannato dalla furia e dalle lacrime.
Ma un guizzo di qualcosa di incandescente si frappone tra loro due, andando a sbattere contro una parete, aprendovi un buco in una cascata di calcinacci.
I due dei si voltano nella direzione in cui è partito il colpo.
Tony Stark, ora nella sua armatura da Iron Man, forse spuntata dal lampadario, li fissa con la visiera sollevata, con uno sguardo che fa paura – non a Loki, non in quel frangente, ma è di certo l’aria più tremenda che si sia mai vista sul viso odioso di quell’uomo.
«Ricapitoliamo» dice Iron Man con voce atona. «C’era una pozione magica che Odino ha messo nelle mani di Nadia perché la facesse bere a Loki. Lei si è rifiutata e l’ha nascosta. E ora la bevuta perché quel figlio di puttana di Thanos, arrivato alla sua mente tramite il portale, l’ha resa così disperata da costringerla a prenderla, non potendola uccidere grazie alla pietra. È così?».
Thor annuisce mestamente.
«Sorvolerò su quanto mi disturbi il fatto di essere stato tenuto all’oscuro di tutto ciò, così come gli altri. Quali saranno gli effetti?»
«Quando si addormenterà si dimenticherà di ciò che l’ha portata in questa situazione. Di me, di voi, di tutto quello che è successo da quando io giunsi nella città sull’acqua. Forse ricorderà solo la storia di copertura che avete raccontato alla sua famiglia, perché la sua mente dovrà pur colmare il vuoto in qualche modo. È così che funziona quel veleno» spiega Loki, sentendo un senso di estraniamento, come se stesse parlando rinchiuso nel limbo di un sogno e come se tutte quelle cose terribili non fossero reali e non stessero accadendo davvero.
Stark dondola il capo in un cenno di assenso per dire che ha capito.
«Sarà meglio che voi due vi sbrighiate a tornare da paparino e a farvi dare un antidoto» conclude, gelido.
«Non esistono antidoti» dichiara Thor, livido di vergogna.
Loki pensa che per una volta anche il dio del tuono, il glorioso figlio perfetto, il beniamino della sua patria, l’eroe amato dai suoi compagni debba sentirsi come si è sentito lui per tutta la vita: colpevole, inadatto, in errore. E senza possibilità di fare ammenda.
«È… è inaccettabile!» sbotta Rogers, con gli occhi spalancati di stupore. «E non può, non può assolutamente essere. Nadia non può dimenticarsi di noi, di tutto questo».
Loki vorrebbe poterli picchiare a sangue uno ad uno.
Lascia che ti illumini, soldatino, la giustizia non esiste. Neppure per voi eroi e per le persone che vi sono care.
E poi, è davvero così tremendo e inaccettabile che lei perda la memoria? Che lei possa cancellare le brutture che ha vissuto, la paura di essere uccisa a Venezia, la paura per un amico in punto di morte… Loki che la tradisce per usarla come esca. Loki che non c’era mentre la pietra la consumava. Loki che non c’era mentre Thanos si portava via suo figlio… Loki che entra nella sua vita fingendosi un uomo qualsiasi e poi si rivela essere la punta di un iceberg fatto di pericolo. E lei, sciocca e coraggiosa come solo le donne di Midgard sanno essere, che cede a quell’amore impossibile.
«Ci deve essere una soluzione» interloquisce la Romanoff. «Nadia mi sembra stare benissimo».
«La sua mente tratterrà i ricordi fino a quando non si addormenterà. Il sonno debella le difese e lascia che la pozione faccia effetto». Loki sente la rabbia ribollirgli nelle vece, eppure continua a parlare meccanicamente, arreso all’ennesimo tiro mancino del Fato. Arreso a se stesso, a quello che ancora una volta ha conquistato e non è riuscito a preservare.
L’avete persa.
L’abbiamo persa.
«No, col cazzo!» Barton e i suoi toni soavi. «A costo di tenerla sveglia a schiaffi, adesso ci mettiamo qui e pensiamo a qualcosa da fare».
«Chiedete l’aiuto da casa, come nei quiz. Altrimenti ci pensa l’Altro a telefonare ad Asgard» aggiunge Banner, e il suo respiro leggermente affannato lascia intendere che è più di una semplice minaccia.
Asgard, certo… fosse per Loki, vorrebbe vederla bruciare ora.
Le voci si alzano, si accavallano, diventano una cacofonia rabbiosa. Banner si dirige a grandi passi fuori dal terrazzo per evitare di esplodere ma si ferma sulla porta di vetro e vi appoggia contro la fronte. E poi picchia un pugno contro il telaio di acciaio – come riesce a ottenere il silenzio lui, nessuno mai.
«Sarà al sicuro?» domanda, mentre ogni altro rumore sembra essere risucchiato dalla sua voce.
«Cosa?...» borbotta Stark.
«Senza i ricordi, lontano da qui, a casa, sarà al sicuro, no?» incalza il dottore, con la logica netta e brutale degli uomini di scienza, con la lungimiranza di chi è abituato a tenere in moto il cervello per combattere i mostri che ha dentro.
«Non ha bisogno di perdere la memoria per essere al sicuro» replica acido Barton.
Loki ascolta il silenzio che torna di nuovo a riempire la stanza. Sa quali pensieri si stanno agitando in quell’immobilità. Sono i suoi stessi pensieri, anche se lui non è un eroe e il sacrificio non è mai stata una delle sue attitudini.
Accettare di perdere una persona per tenerla al sicuro è decisamente una cosa da eroi e da persone preposte al sacrificio. E lui non è mai stato disposto a perdere Nadia, neppure quando ne andava della sua sicurezza, anzi, l’ha reclamata come sua da quando ha rimesso piede su Midgard dopo essere fuggito alla prigionia di Thanos. Perché lei lo ama, lo ha scelto, e Loki ha avuto troppo poco amore in vita sua per essere disposto a rinunciare a quello, per vederlo messo in pericolo dalle manfrine di un gruppo di eroi che non sono stati così accorti da badare a lei come si doveva mentre lui non c’era.
Loki è un dio, egoista e prepotente con la perseveranza con cui sanno esserlo gli dei. Ma anche un dio più essere messo spalle al muro dagli eventi.
Gli dei non sono fatti per la felicità.
La pagheranno, Thor, suo padre… quegli sciocchi dei Vendicatori. La pagheranno, ma non adesso.
Adesso c’è da prendere la ragazza per mano e lasciarla andare. Un tempo in cui aveva ancora un cuore, ed era un cuore gentile, Loki faceva lo stesso con gli uccelli feriti che trovava nel giardino del palazzo, li raccoglieva, gli curava le ali e li portava su balcone, dove li lanciava perché tornassero a volare…
Quando Loki riemerge da quei pensieri, scopre che stanno di nuovo tutti urlando.
Esseri ottusi, il destino è stato così magnanimo con loro da non averli abituati alle sconfitte, per questo si agitano tanto.
Il dio guarda la ragazza. È ancora una guerriera, anche se sembra che si sia arresa, e abbia l’armatura ammaccata e le lame smussate.
Lei lo guarda di rimando e lui capisce, le fa un cenno affermativo con la testa. Vorrebbe davvero prenderle la mano.
«Adesso basta». Nadia muove un passo al centro della stanza, con le braccia alzate come un soldato che vuole attirare su di sé tutto il fuoco nemico.
«Ho sopportato troppo per ritenermi la causa di altro male, vi prego, io non… non so che fare, non so cosa dire, ma se questo è il mio ultimo giorno da me stessa, il mio ultimo giorno con voi, vi supplico… non fatemi vedere questo».
Si sente un singhiozzo sommesso dalla fila di eroi schierati: la donna di Stark sta piangendo come se fosse a un funerale.
Per un attimo tutto si arresta, forse persino i pensieri.
Nelle menti dei presenti comincia a realizzarsi il senso di quanto è accaduto. Forse qualcuno riesce persino a pensare che sia un bene: volevano proteggerla rimandandola a casa, adesso senza memoria di tutta quella serie di sfortunati eventi sarà al sicuro davvero.
Eppure, in qualche modo, è la più tremenda delle sconfitte.
Dopo quelle che sembrano ore, l’uomo di metallo preme un comando e l’armatura gli si stacca da dosso, come sfaldandosi in pezzi rossi e dorati privi di forma, cocci sul pavimento, come i resti della fiala, gli ultimi scampoli dell’anima di Nadia, della loro Nadia.
Stark muove qualche passo verso la ragazza e l’abbraccia, stringendosela contro con una foga possessiva, come se ancora potesse proteggerla o cambiare ciò che è successo.
«Oh, Colombina…» mormora con il viso premuto nella sua spalla.
Loki si sente pietrificato. Si sente lontanissimo da quella scena, come si è sempre sentito lontano dall’amore della ragazza per i Vendicatori e si limita a restare fermo e a guardare.
Vede tutti loro avvicinarsi, unirsi a quell’abbraccio, stringendosi l’uno all’altro, attorno a lei, come un muro.
Il viso di Nadia spunta al di sopra del braccio di Rogers e gli occhi della ragazza si puntano su Thor, rimasto in disparte con lo sguardo addolorato.
Gli occhi di Nadia gli chiedono di avvicinarsi, perché non importa ciò che è successo, lui è parte di quella squadra ed è parte di quella vita che sta per essere cancellata ma che nelle sue ultime ore vuole riprendersi tutto un’ultima volta.
Thor si unisce all’abbraccio.
Nadia lo ha perdonato, forse ancora prima di quel detestabile epilogo. E sicuramente anche gli altri Vendicatori lo perdoneranno.
Loki non lo perdonerà mai.
È una consapevolezza così forte che non lascia spazio al dolore. E ora le parole delle Norne acquistano un senso e lui non si sente più smarrito e impaurito di fronte alla prospettiva di essere destinato all’odio e alla distruzione, alla guerra infinita che terminerà solo quando lui e Thor si saranno distrutti a vicenda.
Ma adesso, il dio dell’inganno seguita a guardare la scena, a fissare tutti loro stretti in quell’abbraccio: la fanciulla circondata dagli eroi, come il simbolo dell’umanità che essi seguiteranno a servire e a proteggere fino al loro ultimo respiro, qualsiasi cosa accada.
Il tempo si ferma. E Loki sa che comunque quell’immagine gli resterà impressa nella memoria fino alla fine dei suoi lunghi giorni.
Quando si staccano, tutti con i volti arrossati e stravolti dall’emozione, è Clint Barton il primo a parlare.
«Ehi, noi avevamo uno scettro da distruggere, giusto?»
«E come lo distruggiamo?» domanda Banner.
«Idee, Bambi?».
Loki sospira, sbatte le palpebre per trovare la calma necessaria a fingere che non sia accaduto niente, a resistere per quell’ultima giornata di tregua in mezzo a loro.
Alla fine annuisce. «Con la pietra, mi sembra ovvio».

 

*

 

«Questo non è il nostro momento. È il vostro. Tu va’, io ti aspetto»
«Non è che quando torno, sei sparito?»
«Niente affatto, hai la mia parola»
«La parola del dio dell’inganno?»
«Come se tu non sapessi che sono in grado di fare delle eccezioni».

Nadia sorride per un attimo.
Sono stati alla base dello S.H.I.E.L.D. e hanno fatto ciò che dovevano: distruggere lo scettro, salvare lei e Loki dalle grinfie di Thanos precludendo per sempre a quell’essere la possibilità di raggiungerli, o quanto meno di raggiungere la Terra.
Non è stato piacevole, come tutte le volte che Nadia ha dovuto usare la pietra, ma Loki l’ha aiutata, mischiando il suo potere a quello del gioiello di Borr.
La ragazza si chiede cosa ne sarà della pietra e del suo potere l’indomani mattina, quando si sveglierà senza ricordi.
È una consapevolezza che fa male, molto male.
Ma il dolore scompare davanti alla volontà di vivere quella giornata, quell’ultima giornata, nel migliore dei modi. Se il suo affetto per tutti loro, se tutto ciò che ha significato è destinato a scomparire, quelle ultime ore devono essere un tributo alla parte migliore del loro tempo assieme. Senza rimpianti, senza dolori.
Del resto, è lei che deve scegliere, perché è lei che li perderà. Loro la ricorderanno sempre.

Hanno organizzato un’uscita tutti assieme, la parola d’ordine è Shawarma.
Tony ha chiamato il piccolo negozio di kebab e gli ha detto di chiudere al pubblico, quella sera gli Avengers hanno un’amica da salutare e per la quale far festa.
Loki ha deciso di tenersi lontano da tutti loro. E Nadia può capirlo perfettamente.
Lei ha parlato con Thor. Parola dopo parola, abbraccio dopo abbraccio, ha tentato di soffiargli via dal cuore un po’ di senso di colpa.
Nessuno, a parte Thanos, ha davvero colpe in quella storia, nemmeno Odino con il suo disperato piano che l’ha costretta a tenere in casa quella fiala.
Lei ha sempre disprezzato quel piano, ma con il tempo ha capito le motivazioni che vi erano dietro e ha capito anche che era davvero forse l’unico modo per garantire la sicurezza di Loki.
Continua a non accettare l’idea del Padre degli dei, continua a credere che mai e poi mai si sarebbe prestata a quel piano né si sarebbe fatta costringere.
Ma non c’è posto per nessun rancore nel cuore della ragazza, non quella sera.
Nei suoi pensieri c’è solo una lucidità serena che le permette di vedere tutto con la giusta distanza. In qualche modo è strabiliante, ma forse è sempre così quando si arriva al capolinea.
Non è felice. Non può esserlo: sua figlia è morta, l’indomani i suoi più grandi affetti cesseranno di esistere, almeno per lei, e Loki è distrutto.
Come avevano detto le Norne: alla fine non l’ha salvato, alla fine di tutto ha solo decretato la sua definitiva dannazione, perché lei lo sa che Loki non perdonerà mai Thor, non perdonerà mai la sua famiglia e vivrà nel rancore per il resto dei suoi giorni. Se prima c’era una tenue speranza che le cose potessero aggiustarsi, adesso è tutto sparito.
Potrebbe chiedergli di non farlo, potrebbe fargli promettere di ripensarci, di lasciare che il tempo gli dia occasione di vedere con più chiarezza quello che è successo… ma sa che non lo farà.
Così come non era disposta a cancellare la sua identità perché lo ama, non è disposta a chiedergli di essere ciò che non è. Le fa solo male sapere che lui soffrirà per sempre e l’idea che l’indomani non avrà memoria di questo non le è di alcuna consolazione.
Ma Loki ha davanti a sé una vita lunghissima, e sono così tante le cose che possono accadere. Sono così tante le cose che lui avrà occasione di dimenticare senza che intervengano filtri magici o altre tremende stranezze.
L’idea che Loki possa scordarsi di lei tra tanti anni, quando lei sarà polvere, la infastidisce, ma non la turba.
Nadia si pulisce la bocca dall’unto della maionese. Dice che deve andare in bagno.
Dalla vetrina del piccolo negozio si vedono le stelle accendersi nel cielo di New York.
La prospettiva dell’indomani comincia a farle sentire freddo. Ma deve essere una guerriera, un’ultima volta…
Mentre si sta sciacquando le mani nel lavandino, la porta del bagno si apre bruscamente ed entra Natasha, tenendo sollevato in avanti l’orlo della maglia dove campeggia una grossa macchia di ketchup.
«Spero venga via» dice la donna, bagnando la macchia con un fazzoletto umido.
Nadia l’aiuta ad asciugare il tessuto con grossi pezzi di carta per le mani.
«Io penso che tu possa farcela, Nat» dice la ragazza, prima che l’altra esca.
«Come?»
«Non sei curiosa neppure di darti di una possibilità?»
«La curiosità non è mai una buona cosa…»
«Può darsi. Ma io credo che per Clint ne valga decisamente la pena. E poi vuoi mettere poterti arrogare il diritto di sparare a tutti le donne che gli guardano il culo?».
Natasha Romanoff, con la sua bellezza ferina, le lancia uno sguardo di acciaio. No, non è acciaio, è ferro, e c’è della ruggine sopra, il segno di qualcosa che sta per cedere. Nadia spera che quella spinta sia stata forte abbastanza, anche se non è mai stata brava a fare quel genere di cose.
Dopo cena, quando il tavolino davanti a loro è un ammasso di fazzoletti di carta appallottolati e di cestini unti e di lattine di bibite, la ragazza si fa incartare due grosse fette di cheescake da portare a casa.
Escono dal negozio e tornano a piedi verso la Stark Tower.
«Ho sempre voluto chiedertelo, Tony» domanda Nadia, frapponendosi tra lui e Pepper. «Ma perché non hai mai fatto riparare l’insegna?».
Lui si china al suo orecchio. «È un segreto, Colombina, ma sto progettando una base stabile per la squadra, è irritante dover fare sempre un giro di telefonate ogni volta che c’è da far scendere un gattino rimasto su un albero…».
«Ma tu non eri quello che odiava il lavoro di squadra?»
«Ehi, ma li hai visti quei cinque tizi? Dove pensi che sarebbero senza di me? Sono pur sempre un filantropo…»
«Pallone gonfiato, guarda che ti ho sentito» borbotta Steve, comparso alle loro spalle.
Tony lo guarda con una smorfia. Nadia gli fa l’occhiolino.
«Suppongo servirà sempre qualcuno che si prenda cura di quello che ritiene di prendersi cura di tutti gli altri…» dice la ragazza ridacchiando.
«Cielo, parli ancora come lui a volte!» sbotta il Capitano.
«No, sul serio, nelle fanfiction lo fai… ehm… splendidamente»
«Oh, le fanfiction, giusto. Le ho trovate, ora che ho capito come far funzionare Google».
Tony e Nadia si scambiano un’occhiata allarmata.
«Le hai trovate?» chiede lei, sgranando gli occhi
«E le hai lette?» le fa eco il signor Stark
«Non ancora».
Loro due scoppiano a ridere, continuando a sghignazzare per molti metri e ignorando le richieste di spiegazioni sempre più piccate di Steve.
«Anatre che starnazzano: quanto vorrei avere dietro il mio arco!» interloquisce Clint.
Nadia lo prende sotto braccio e aspetta che gli altri sino qualche passo più avanti.
«Tu! Stasera fatti dare una bottiglia di vodka da Tony… e se fa il taccagno digli che sai di quella bottiglia di vodka speciale che tiene nel mobiletto del suo laboratorio personale»
«Che?...». Clint la guarda poco convinto.
«Fai come ti dico, fidati…»
«Non ho capito, cosa dovrei farci con della vodka?»
«Occhio di Falco e cervello di gallina… usa l’immaginazione» conclude Nadia lanciando uno sguardo furtivo alla volta di Natasha che cammina molti metri avanti a loro.
La sera è calma, come può esserlo una serata a New York, con le luci delle insegne e delle auto che sembrano far giorno in quella città che non dorme mai. L’aria odora già di inverno e Nadia pensa che sarebbe bello vedere quella città a Natale. Ma forse per le feste sarà già a casa… anzi non lo sa, non sa cosa ne sarà di lei da domattina in poi, ma è l’ultima cosa al mondo che la preoccupa, sa che loro, i Vendicatori, se ne occuperanno e non può fare altro che fidarsi e lasciargli scegliere.
Sul pianerottolo di casa, quell’ultima volta in cui sentirà sua quella casa, Bruce la raggiunge e le agita una scatola di cartone davanti agli occhi.
«Questa è la mia ultima scorta di tè verde che ho portato con me da Calcutta» le dice. «Io… ehm, immagino che il tè verde continuerà a piacerti».
Forse quello sarebbe il momento adatto per dirgli che il tè verde non l’è mai piaciuto…
Nadia sorride e finge un’aria entusiasta prendendo la scatola.
«Oh, grazie Bruce!» trilla.
«Sì. È stato un piacere…»
«Tony dice che si prenderà cura di voi, Steve ritiene di doversi prendere cura di Tony… e tu, dottor Banner, abbi cura di te»
«Beh, ci sto lavorando. L’Altro dice che è stato un piacere averti incontrata»
«Suonerebbe insincero se dicessi che lo è stato anche per me?»
«Giusto un po’».
I due ridacchiano, poi Bruce le accarezza una guancia e le dà la buona notte.
Mentre lei si volta per aprire la porta, vede Clint passare sulle scale con il mano la bottiglia di vodka. Le fa segno di OK con il pollice sollevato, lei gli fa l’occhiolino con aria complice.
Nadia sta per aprire la porta, ma sente dei passi concitati alle sue spalle e vede Tony scendere precipitosamente le scale. Si para tra lei e la porta e dopo qualche istante, la ragazza nota Steve che deve essergli corso dietro, per fermarlo… o per spalleggiarlo.
«No, senti! Non farlo…» esclama Tony, prendendola per le spalle. «Non andare a dormire, non farlo, non lasciarci! Noi… noi potremmo… vorremmo»
«Stark, non così…» sospira Steve.
Ah, avevano anche provato il discorso. Bene.
Bruce resta fermo sul pianerottolo, Clint torna indietro, anche Natasha fa capolino dalle scale e Thor esce dalla porta di fronte, come se si fossero messi d’accordo, come se adesso avessero anche un cervello comune.
«No, ascolta: puoi resistere una certa quantità di tempo senza dormire. Ce ne occuperemo, troveremo il modo. Io e il dottore ne abbiamo già parlato e Treccine può fare un salto sull’Olimpo a cercare tra le scartoffie. Si può risolvere, tu puoi restare» conclude Tony. Il suo pensiero è il pensiero di tutti loro, ed è il pensiero di chi non è abituato a gettare le armi.
Ci avevano provato a fingere di aver incassato il colpo. Lei non ce l’ha con loro per non esserci riusciti.
«Questa volta non potete. Lo so, e lo sapete anche voi» dice semplicemente la ragazza.
«Possiamo tentare» dice Steve. «Io mi sono risvegliato dopo settant’anni di ibernazione, non provare a parlarmi di cose impossibili».
«E io sono morta e poi sono stata resuscitata dal re degli dei» replica la ragazza. «So cos’è un limite».
«Perché non ci lasci tentare?» borbotta Thor, ma la voce è titubante, conosce già la risposta, la conoscono tutti.
«Perché non funzionerà. E questa è la mia serata, e non ce la faccio a dirvi addio»
«Non puoi dire che non funzionerà… possiamo…» insiste Tony.
Nadia deglutisce. «È già cominciata» dice, poi alza il braccio destro e scosta la manica per mostrare il polso dove prima c’era il bracciale e adesso c’è solo un segno più chiaro sulla pelle.
«Vi prego, datemi la buonanotte e basta». Ora la ragazza non vorrebbe piangere, è davvero l’ultima cosa al mondo che desidera. Ma lo sguardo le si appanna e le lacrime cadono sulle guance senza che lei riesca a fermarle.
Le fermano loro, i suoi eroi, un abbraccio alla volta. Un bacio della buonanotte alla volta, prima di andarsene e lasciarla all’ultima persona rimasta da salutare.
Nadia entra in casa e si chiude la porta alle spalle.
Vi voglio bene, ragazzoni…
La ragazza guarda l’appartamento semibuio e silenzioso. Per un attimo ha davvero paura che Loki non ci sia ma poi la figura alta e slanciata del dio dell’inganno compare in fondo alla stanza e lei accende la luce.
Gli mostra la scatola con dentro i pezzi di torta, va in cucina, li sistema su due piattini e li porta a tavola.
Seduti l’uno di fronte all’altra, il dio e la ragazza si lanciano sguardi carichi di troppe troppe parole, ed entrambi sanno che una notte è troppo poco per tutto quello che non si sono mai detti e per tutto quello che avrebbero bisogno di dirsi.
«Come ti senti?» domanda Loki.
«Sto bene, davvero… i medici sono bravi quando… beh, quando è successo quello che sai».
Lui annuisce con aria cupa.
«L’hai visto? In quei sogni hai visto nostro figlio?».
Nadia sorride. Le farebbe male parlarne con chiunque – e difatti non ne ha parlato con nessuno – ma non con lui.
«Era una bambina. Chiedeva di te, ed era bellissima e soprattutto, era felice»
«Quello sarebbe stato senz’altro merito tuo».
Loki abbassa lo sguardo, fingendo di trovare particolarmente interessante la crema di fragola che cola dal pezzo di torta.
«Sono preoccupata per te, lo sai, vero?» dice Nadia, dopo qualche secondo.
«Lo so, come tu sai che ogni preoccupazione è superflua. Sono ciò che sono, Nadia… non posso cambiare. Ma tu, perché hai scelto di non darmi la pozione?».
La ragazza lo guarda negli occhi. La domanda non ha bisogno di risposta.
Lo sai perché.
«Non mi hai mai permesso di dirtelo. Ma lo sai».
Io ti amo.
Finiscono di mangiare il dolce in silenzio. Lei ha appena ingoiato l’ultimo boccone, quando Loki si alza di scatto e le si porta accanto, le cinge le spalle e la bacia.
«Ci sono stati momenti in cui, potendo scegliere, avrei davvero voluto cancellare il tuo ricordo di me» le dice contro le sue labbra. «Ma ho sempre pensato che tu fossi troppo coraggiosa per meritarlo, assai più coraggiosa di me. Una volta qualcuno mi ha detto che l’amore è per i bambini… io penso che sia per i coraggiosi».
Sì, Nadia lo sa, sa che lo ha amato molto di più di quanto lui abbia amato lei. Ma non questa sera, questa sera tutto è diverso, anche il cuore di Loki, quel cuore che lui crede di non avere.
Il dio le circonda la vita con le braccia e la solleva. La porta in camera da letto e la lascia cadere delicatamente sul materasso.
Nadia si mette seduta contro la spalliera, Loki si sistema alle sue spalle, le fa poggiare la testa sul petto e la tiene abbracciata, come i Vendicatori quella mattina, protetta nel cerchio delle sue braccia un’ultima volta.
La ragazza sente le lacrime cominciare a pizzicarle gli occhi, ma non vuole piangere. Non ancora almeno.
Serra le palpebre e lascia che Loki si metta a raccontarle di quando era ragazzo e delle buffe punizioni creative che la sua maestra, Snotra, sapeva inventare.
Ridacchiano di tanto in tanto, e quando lui si interrompe le bacia la tempia e poi ricomincia a parlare.
E poi è il turno di Nadia. Gli parla della sua infanzia, di Venezia, di tutte le cose stupide che hanno riempito la sua vita prima che arrivasse lui, in quella folata di vento gelido, con lo sguardo torvo e le ombre nella mente.
Ridono di loro stessi, ricordando quei primi giorni insieme.
Ridono. E non era mai successo, mai così.
«Stai bene?» domanda Loki quando la ragazza si blocca e si sofferma a fissare il vuoto per qualche minuto.
«Sto bene».
Nadia si volta nel suo abbraccio, si mette seduta sui talloni di fronte a lui.
Non potrà ricordare quel momento, ma vorrebbe che lui lo facesse ogni volta che sentirà il buio farsi più forte. Vorrebbe dirgli che questo è il suo vero essere, la persona che è con lei in quella stanza. Ma sa che Loki non le crederebbe e così trova qualche altra cosa da dirgli, qualcosa alla quale deve credere per forza.
«Ti amo» mormora, guardandolo negli occhi.
Lui ricambia lo sguardo, stringendo le labbra.
«Non c’è bisogno che tu dica niente, Loki, voglio solo che almeno uno di noi due lo ricordi».

 

 

 

 

 

 

___________________

Note:

Il titolo del capitolo è una citazione di un episodio di Doctor Who. 

D'accordo… questo capitolo è uscito fuori completamente diverso da come lo avevo progettato.
Alla fine ho preferito dare spazio ai soli POV di Loki e Nadia e descrivere i due momenti opposti della giornata, per sottolineare la diversità delle loro condizioni (e quindi delle loro reazioni) che ha sempre inciso e caratterizzato il loro rapporto.
Quando dico che lo avevo progettato diversamente mi riferisco al fatto che lo immaginavo più "incisivo" rispetto alla reazione degli Avengers alla cosa… ovviamente, un approfondimento su di loro ci sarà nel prossimo capitolo.

E quindi, siamo giunti alla penultima puntata. Il prossimo capitolo sarà quello conclusivo e poi ci sarà un breve epilogo. 

Incredibile ma vero, siamo arrivati in fondo ^^
Intanto ringrazio tutti voi.

Vi ricordo che per domande, curiosità and so on c'è il mio Profilo Ask. 

Ci leggiamo venerdì prossimo :)

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Capitolo 18
*** What is left behind ***


Capitolo diciassettesimo
What is left behind

 

Non è neppure l’alba quando Tony Stark entra nel suo studio personale.
Jarvis comincia efficiente  il suo resoconto mattutino.
«Muto» ordina subito l’uomo, avanzando con passi lenti verso la scrivania di vetro e acciaio al centro della stanza. Si avvicina con circospezione, come se ci fosse qualcosa che di punto in bianco possa saltargli in faccia.
Ha dormito qualche ora durante quella notte e non sa neppure lui come ha fatto.
Pepper ha provato a parlargli, ma non era pronto ad affrontare la questione. La questione, già.
Tony si sente profondamente egoista per il senso di delusione e rammarico che prova. Dovrebbe essere contento: se Nadia riesce a dimenticare tutto, a fare tabula rasa, sarà al sicuro per sempre e molte delle cose che quella ragazza ha vissuto sono cose brutte, cose che chiunque vorrebbe dimenticare.
Ma non ci sono solo gli orrori.
E Tony le vuole bene. Le vorrà sempre bene, è questo il problema.
Lui le vorrà un bene dell’anima e lei non lo saprà più.
Si siede alla scrivania, prendendosi la testa tra le mani e scompigliandosi i capelli. Venire a patti con l’idea che ci siano cose che sfuggono al suo controllo gli causa ancora dei problemi.
Per essere un genio, ci sono lezioni che proprio non riesce ad imparare.
Con quella questione in particolare ha bisogno di tempo. E si vergogna di essere triste per stesso, ma non può essere triste per Nadia, non fino in fondo.
La ragazza sarà libera. Loro si porteranno sempre dentro il rimorso di averla persa.
Forse, se le avessero dato retta quando aveva parlato dei suoi sogni… se l’avessero tenuta più d’occhio…
Tony Stark è un uomo pragmatico e sa che i se non hanno mai portato da nessuna parte. Niente porterà da nessuna parte in quel momento, nessun pensiero, nessuna congettura. Ma se lui potesse spegnere il cervello quando gli serve, la sua vita sarebbe stata molto più semplice.
Cerca di pensare con lucidità: quando la stavano imbarcando su quel volo per l’Italia, erano tutti sollevati all’idea che tornasse alla sua vita, lontano da lì, dai pasticci che comporta l’essere la mascotte del gruppo di eroi più forti del Pianeta.
Se solo l’avessero semplicemente lasciata partire…
Loki sarebbe morto, lei non ne avrebbe saputo mai nulla. E avrebbe avuto la bambina e di certo lassù sulle nuvole si sarebbero premurati di darle una mano. E sarebbe tornata a trovarli nelle vacanze, l’avrebbe vista corrergli incontro all’uscita di un aeroporto.
Lei avrebbe ricordato tutta la vita di essersi lasciata uccidere per salvare Pepper, di aver rischiato la vita per salvare lui quando il reattore Arc era andato in tilt. E ad ogni ombra che fosse comparsa sulla strada di quella ragazza, loro avrebbero potuto ricordarle quanto speciale lei fosse, quanto forte e coraggiosa potesse essere.
Se l’avessero lasciata partire, Loki sarebbe morto e niente di quello che è accaduto nell’ultimo mese si sarebbe verificato.
Tony guarda il proprio riflesso sbiadito contro il vetro della finestra e pensa che sì, se avesse saputo di star scegliendo tra Nadia e il dio dell’inganno non avrebbe esitato un solo istante a decidere chi dei due lasciare affondare.
È un eroe, ma non ha l’anima candida, non è senza macchia e senza paura.
Anzi, ha paura adesso, ora che lo sguardo cade sull’oggetto che è appoggiato al margine della scrivania: l’album di fotografie che Nadia gli aveva regalato per il suo compleanno, rilegato in pelle rossa con i bordi dorati. Dentro, le loro foto di Venezia e altri scatti che si sono aggiunti nei mesi che Nadia ha trascorso a New York.
Altri scatti erano destinati ad aggiungersi, ma adesso non ce ne saranno più.
Tony lo afferra e lo spinge verso di sé, lo sfoglia soffermandosi con attenzione su ogni scatto e quando lo solleva per guardare meglio, la foto di lui e Nadia abbracciati cade sul piano della scrivania.
«Devi solo imparare ad accettarlo» dice la voce di Pepper sull’uscio della porta – chissà da quanto è lì. «Devi solo pensare che il fatto che lei non lo ricordi non cancella tutto questo».
Tony annuisce. Sì, forse pian piano si convincerà che è vero.
«Signore». La voce robotica di Jarvis trilla nel silenzio che si è venuto a creare. «Il capitano Rogers, il dottor Banner, l’agente Barton, l’agente Romanoff… e anche il signor Thor e la dottoressa Foster ora sono alla sua porta»
«Oh, magnifico! Adesso vi vengono anche gli attacchi di insonnia in contemporanea» esclama Pepper scuotendo la testa.
«Ehi, chi è che mi ha consigliato di fare un tentativo con questa faccenda del gioco di squadra?» la rimbecca lui. «Falli entrare, Jarvis e metti in caldo il caffè»
«Certamente, signore».
Dall’ingresso della casa, la voce del robot domestico guida gli altri verso lo studio.
«Ehi, Robin Hood, spero che tu abbia centrato il bersaglio nonostante la vodka abbia potuto sortire qualche effetto collaterale…» esclama Tony alla vota di Barton, il primo a comparire sulla soglia.
«Non l’abbiamo bevuta, la vodka. Non abbiamo fatto in tempo» risponde questi con una smorfia, seguita da un sorriso.
Beh, se non altro, qualcosa di buono da tutta quella storia ne è venuto fuori.
Thor e la dottoressa Foster non hanno l’aria di aver dormito molto invece e non per ragioni piacevoli. Maciste deve essere ancora in preda ai propri sensi di colpa e Tony, per quanto sia ancora arrabbiato per il fatto che non gli abbia detto dell’esistenza di quella fiala maledetta, non ha voglia di infierire: Thor ha perso la sua battaglia personale perché ha definitivamente perso Loki e, per quanto poter depennare Nosferatu dal proprio stato di famiglia non sembri un brutto affare, Tony riconosce che deve essere stato un brutto colpo. Inoltre se Loki non è con Thor e contro di lui e quindi contro tutti loro… ma ha idea che Bambi non si farà vivo per un po’. Per un bel po’, e ora tutti loro lo conoscono meglio, conoscono le sue debolezze e sanno che c’è qualcosa di vagamente somigliante a un cuore sotto quegli strati di cuoio e velluto.
Un giorno forse lo combatteranno di nuovo, e lo sconfiggeranno.
«Qual è il piano?» domanda Steve Rogers, avvolto in una felpa grande come una mongolfiera.
«Ah, perché, dovrebbe essercene uno?» gli fa eco Banner, sbadigliando.
«Dobbiamo metterci d’accordo su come e quando informare Fury» osserva la Romanoff – perché la vecchia cornacchia ancora non conosce la storia per intero, no, questa volta lo hanno tenuto fuori, quella era la loro giornata, loro e della ragazza.
«E decidere cosa fare di Loki» conclude Barton.
Pepper ha ragione, c’è un che di inquietante in questo loro dividersi il discorso come se fossero i sette nani.
«Ho il sospetto che Loki sarà già lontano a quest’ora» osserva Tony. «È proprio questo il punto, ragazzi, non c’è un piano»
«Ma…» tenta di obiettare Barton.
«Il caffè è pronto, signore» annuncia Jarvis.
Tony sospira e fa un mezzo sorriso. «Beviamoci una tazza di caffè caldo. Eh, a proposito, ve le ho mai fatte vedere le foto di Nadia?».

 

*

 

«Non ci sarai quando mi sveglierò, vero?»
«Quando ti sveglierai non ti ricorderai di me, Nadia»
«Ho ragione, quindi: te ne sarai… andato…»

 In questo sogno non c’è niente di spaventoso.
Non ci sono ombre strane o colori distorti, non c’è niente che se ne sta annidato nel buio.
E l’attimo di paura che ha colto Nadia quando ha aperto gli occhi su quella visione onirica sparisce. E lei si dimentica che è un sogno, abbandona quella consapevolezza come in una sorta di anestesia mentale.
Forse perché l’incanto che ha creato quel sogno è grande.
Forse semplicemente perché ha bisogno di farlo.
Sbatte le palpebre più volte e alla fine, quando mette a fuoco lo scenario al di sotto della terrazza è già fermamente convinta di star vivendo qualcosa di vero, di reale.
Reale è il vento che soffia e porta odore di mare, reale è il cielo macchiato da poche nuvole che cambiano forma per quello stesso vento.
Reale è quel senso di tranquillità che si respira. Almeno fino a quando…
Il pianto acuto spezza il silenzio e Nadia si affretta a tornare dentro.
La casa è una mansarda stretta tra i calli del sestriere di San Polo, non molto lontana dal Ponte di Rialto e dal Canal Grande. Costa cara, ma con il successo che le sue foto stanno riscuotendo può permettersela.
Dentro è piena di scatoloni non ancora svuotati, dai quali spunta qualche cornice che racchiude sue vecchie fotografie.
Sul pavimento vicino alla culla, ci sono ancora i fogli delle istruzioni per montarla e un cacciavite a stella.
Le pareti odorano di pittura fresca.
Sua madre ha insistito perché la trapuntina della culla fosse rosa. Nadia odia il rosa, ma non importa, i suoi genitori adorano la nipotina e lei ha lasciato fare.
Sua figlia piange, agita le braccine minute e sottili. Lei la solleva e se la stringe al petto. Le dita minuscole e fragili si chiudono attorno a un lembo della sua maglietta e lei bacia la fronte della piccola.
Odora di latte e sapone, come tutti i neonati. E come tutti i neonati, i suoi occhi hanno quel colore indefinibile e acquoso.
Nadia canticchia sommessamente Heros di David Bowie.
«I-I will be king, and you, you will be queen. Though nothing will drive them away… We can beat them-just for one day! We can be heroes-just for one day! Oh-ooooh uiii caaaan be iiirooos, giast uan deeei!».
La bambina smette di piangere.
«Brava la mia lucertolina» dice la ragazza, cullandola per qualche secondo.
Quando alza lo sguardo c’è Loki sulla soglia della porta della stanza.
Loki in tenuta asgardiana – non le sembra che il particolare stoni, del resto quella dannata montagna di tessuto indistruttibile gli dona parecchio.
Perché Loki è un dio, è fatto per esserlo e per rimanerlo, qualsiasi cosa accada. E a lei va bene così.
Nadia volta la piccola verso di lui e glielo indica con uno sguardo.
«Theeere’s a staaarmaaan waiting in the skyyy!».
Giusto per rimanere in tema.
«Come tu riesca a calmarla starnazzando resta un mistero» borbotta Loki, strabuzzando gli occhi.
«Ma è Bowie! Oh, non farmi rispondere come ti risponderebbe Tony»
«No, lui sta bene dove sta: dall’altra parte dell’oceano»
«Come se non sapessi che da un momento all’altro potrei trovarmelo sul terrazzo, con l’armatura e tutto il resto… e poi a lucertolina piace zio Tony, vero lucertolina? Eh?».
La bambina pigola in quello che a Nadia sembra un sincero cenno di assenso. Come potrebbe non piacerle Tony?
Loki alza di nuovo gli occhi al cielo e sospira. Poi si avvicina e accarezza delicatamente la fronte rosea e liscia della piccola, segue con la nocca dell’indice la curva paffuta della sua guancia perfetta e vellutata.
«Sai, dovresti superare il panico da ‘ommioddio non farmela toccare, potrei romperla’ e prenderla in braccio» borbotta Nadia.
«Non è panico e poi… ah, nelle tue braccia è assai più al sicuro» replica lui, scuotendo la testa.
«Sì, come suo padre, del resto» mormora la ragazza con un sorrisetto malizioso.
Loki finge di non cogliere. E comunque, è bellissimo da vedere mentre guarda sua figlia.
«Solo, mi chiedo, perché tu debba chiamarla con soprannomi astrusi, dal momento che ti sei tanto impegnata nel trovarle un nome degno».
Oh, certo. La bambina si chiama Frida, un nome che proviene dal norse antico e che significa “pace”, “amore”, ma anche “protezione” o “difesa”.
Ai nonni paterni è piaciuto tantissimo.
Quando Nadia la appoggia sul materasso e la copre con la trapuntina rosa, Frida riprende immediatamente a dormire beata.
Amore. Perché l’amore che ha permesso che venisse al mondo ha avuto un prezzo enorme che continua ad essere pagato giorno dopo giorno.
Pace. Perché quell’esserino è il motivo dell’armistizio tra Loki e Midgard. Tra Loki e Thor. Tra Loki e se stesso.
Protezione. Perché è nata sotto l’ala protettiva degli “eroi più forti del pianeta” e della Patria Eterna.
Ora che la piccola ha ripreso a dormire c’è di nuovo silenzio. E sullo sfondo di quel silenzio c’è la voce di Venezia che arriva soffusa.
Il dio dell’inganno cinge la vita della ragazza con un braccio, l’attira a sé e la bacia come se non la vedesse da anni.
La bacia sempre in quel modo, pensa Nadia sorridendo contro le sue labbra.
Loki la stringe tanto forte da sollevarla da terra, lei si aggrappa alle sue spalle.
«Il letto non sono riuscita a montarlo» dice lei, tra un bacio e l’altro.
Da una porta aperta si vede la sagoma di un materasso poggiato sul pavimento.
«No, immagino che sia un lavoro da uomini. Potresti chiamare Thor, sarà lieto di aiutarti» bofonchia il dio, trascinandola fino al materasso e lasciandola cadere tra le lenzuola spiegazzate.
«Questi dannati vestiti… dovrebbero sparire così come appaiono» sospira la ragazza, armeggiando con la cintura di cuoio.
L’importante è che in qualche modo spariscano, alla fine.
Le mani di Loki si muovono sul suo corpo con familiarità, lasciando una scia di brividi. Le sue labbra ripercorrono quelle stesse strade, con pazienza, e poi di nuovo le mani, a lasciare graffi leggeri, a imprimerle sulla pelle il ricordo che lei è sua.
Quando Nadia avverte le dita di Loki dentro di sé, lo costringe ad alzare il viso e a guardarla.
L’amore del dio dell’inganno non è fatto per la dolcezza, è lui che impone il ritmo di quel loro aversi, ed è un ritmo serrato, esigente, senza respiro.
C’è tempo, dopo, per respirare, per il languore delle carezze lente e stanche sulla pelle sudata.
Nadia gli appoggia la testa sul petto e resta lunghi minuti in silenzio. Sta per assopirsi e quando le palpebre si chiudono lentamente ha come l’impressione che un sipario stia calando sulla sua vita.
Scatta seduta e spalanca gli occhi, come a trattenere ogni scampolo di quella vita che adesso sembra fuggirle dalla mente.
«Loki!» esclama, colta da un improvviso panico.
Il dio si puntella sui gomiti e allunga un braccio a cingerle le spalle.
«Loki, che succede?».
Non ci sarai quando mi sveglierò, vero?
Le parole le sembrano venire da un ricordo che non sapeva di possedere. Ma i suoi ricordi le appaiono quanto mai confusi.
«Non sta succedendo niente» dice lui, passandole una mano tra i capelli.
Nadia ha voglia di piangere. Sente che in qualche modo è una menzogna, e lui è il dio dell’inganno e le sue bugie hanno sempre un valore particolare.
«Loki ho paura…».
Lui la spinge di nuovo contro il suo petto, la stringe cullandola come lei cullava la loro bambina poco prima. Per un attimo si sente meglio.
«Sssh, ora dormi» sussurra il dio.
Nadia chiude gli occhi, obbediente.
Pensa che va tutto bene. Va tutto meravigliosamente bene.

Va tutto meravigliosamente bene.
La ragazza si sveglia con quella precisa consapevolezza e non sa esattamente perché.
Pensandoci, sente la testa un po’ appannata, probabilmente la sera prima ha bevuto troppo… sia dannato il signor Stark e la sua mania di trascinarla dietro per party e altre amenità!
Magari lui lo fa per gentilezza, perché ha paura che lei possa annoiarsi, ma proprio non capisce che lei non è fatta per quel genere di cose.
Nadia si mette a sedere e si guarda attorno. Il letto è disfatto come se ci abbia dormito più di una persona… ma per quanto potesse essere brilla, è certa di non essersi portata a casa nessuno la sera prima. Non si è portata a casa nessuno, in generale, da quando è lì. Un po’ perché non è propriamente a casa sua, un po’ perché ha avuto altro a cui pensare, il suo lavoro, ad esempio – quando il signor Stark non se la trascinava dietro in posti dei quali a lei interessava poco o niente tanto che non riesce neppure a ricordarli bene. Come quel palazzo mezzo vuoto dove hanno incontrato quell’uomo di colore poco simpatico, Farry, Furry o qualcosa del genere. Neppure sa perché Stark l’abbia portata con sé quella volta.
Ma Stark è un tipo strano…
Quando si stropiccia il viso con le mani, si accorge del segno sul polso destro, una striscia di pelle segnata, come se avesse tenuto troppo a lungo l’orologio. Ma quello non è il braccio dell’orologio. Deve essersi addormentata con qualche pezzo di chincaglieria, probabilmente uno di quelli che le ha dato Sara e adesso il ninnolo è andato perduto tra le lenzuola.
Nadia tasta le coperte, ma non c’è traccia di bracciali.
Spera di non aver perso niente. Dopo, si dice, controllerà meglio quando rifarà il letto.
«Che ore sono?» mugugna al nulla davanti a sé.
«Le dieci e quarantatré minuti, signorina»
«Oddio!». La voce dall’accento metallico la fa sobbalzare.
Strizza le palpebre e solo dopo qualche secondo si ricorda di… Jarvis, il robot-maggiordomo invisibile. Le ha sempre fatto tremendamente impressione, in tutti quei mesi non si è mai abituata ad averlo tra i piedi – nelle orecchie, anzi.
Presa dal panico per la voce invisibile, si è completamente dimenticata dell’orario. Le undici e quarantatré?! Come ha fatto a dormire tanto?!
Scatta in piedi, schizza in bagno come una furia, a lavarsi e vestirsi. Non ci prova neppure a truccarsi, non c’è tempo.
Quando le sembra di avere un aspetto minimamente presentabile, corre al piano di sopra per ricevere gli ordini del giorno, a meno che Stark non voglia defenestrarla per l’orario indecente.
Non puoi essere la fotografa ufficiale di Tony Stark e non essere del tutto, completamente, totalmente efficiente come uno dei suoi robot.
Quando bussa alla porta dell’attico dove abitano i padroni di casa, la porta si apre automaticamente e lei si fionda nella casa.
«Mi dispiace, signor Stark! La sveglia non deve aver suonato… o forse io non l’ho sentita, in ogni caso sono desolata!» dice tutto d’un fiato, piombando nel grande salotto.
Si accorge che c’è troppa gente in quel salotto. E che tutti la stanno guardando perplessi.
Beh, cominciare la giornata con due figure di merda al prezzo di una è un record persino per lei.
E quelli sono… oh. Oooh!
Sara creperebbe di invidia se sapesse che si è trovata nella stessa stanza con gli Avengers, a respirare la loro stessa aria, a guardarli in carne, figaggine e ossa.
«Oh… ehm… io… salve» farfuglia, restando impalata in mezzo al grande open-space.
«Nadia! Buongiorno» trilla la signorina Potts. C’è qualcosa che sembra forzato nel suo sorriso, ma è adorabile e perfetta come sempre. Le posa una mano sulla spalla e la guarda come si guarda un bambino con la varicella per assicurarsi che non abbia più pustole.
E dopo sembra voglia abbracciarla, ma si trattiene.
«Buongiorno, signorina Potts…» risponde la ragazza, arrossendo. «Io chiedo  scusa di aver disturbato. Me ne vado subito. Signor Stark, se serve sa dove trovarmi… ma immagino che lei abbia altro da fare… qualcosa di molto molto figo da fare».
Oh, e questa da dove l’è uscita?!
«Nadia, respira. Vuoi un caffè?»
«No, grazie, signor Stark»
«Sicura di non…  ehi, come mi hai chiamato?...».
La ragazza si morde il labbro. Non capisce cosa abbia fatto che non va.
«Signor Stark. È il suo nome…». Forse in presenza dei colleghi si fa chiamare Iron Man?
Tony Stark la guarda con un’espressione che sembra quella di un cucciolo abbandonato sull’autostrada. È uno sguardo che in qualche modo le fa male, ma lei non riesce a capire perché.
Il bellissimo ragazzo biondo che deve essere Captain America – al secolo Steve Rogers – si alza in piedi e guarda verso di lei con un sorriso che farebbe venire primavera in anticipo.
Nadia vorrebbe liquefarsi e gocciolare fuori di lì, ma se uscisse di lì non potrebbe godersi quello spettacolo del tutto esclusivo. Quanti possono dire di essere piombati nel bel mezzo di un meeting tra i Vendicatori?
«Lei deve essere la signorina Berton» dice Steve Rogers con misurata galanteria. «Tony ci ha parlato di lei».
E a me tutto il mondo ha parlato di voi.
«È un onore fare la sua conoscenza». Rogers si allunga verso di lei e le tende la mano.
«Capitano, sono… uhm, lusingata».
La stretta di Rogers non è salda e stritola-dita come aveva pensato, è leggera, amichevole, e lui non sembra l’eroe austero dall’aria aggressiva come nelle immagini sui muri o nelle assurde action-figures.  
Gli Avengers si presentano uno ad uno. Manca solo Thor… certo, sperare di conoscere anche un super-figo dio di un altro mondo è un po’ troppo.
«È stato davvero un piacere incontrarvi. Penso che non mi laverò la mano per una settimana… ma davvero, dovete scusarmi per il mio ingresso un po’ rocambolesco» conclude la ragazza dopo il giro di presentazioni.
«A noi piacciono le cose rocambolesche! E tu sei molto… rocambolesca. Tremendamente rocambolesca» dice Stark.
Nella lingua dei geni miliardari sciroccati probabilmente quello è una specie di complimento.
«Sssì, ok. Grazie, signor Stark. Vi lascio alle vostre cose, ho già dato troppo disturbo».
Nadia fa per voltarsi, ma una voce la trattiene.
«Signorina Berton, scusi, scusi…».
La ragazza si volta e si trova faccia a faccia con Bruce Banner. Che per essere il tizio che si trasforma in Hulk è un uomo sorprendentemente basso e… carino. Non solo carino di aspetto, sembra davvero carino come, boh, come qualcosa di tenero.
«Mi dica»
«Si sente bene?» chiede Banner.
Lei lo guarda perplessa. «Mai stata meglio. Grazie…».
Forse i supereroi sono un po’ tutti sciroccati.
«Permette?» chiede ancora l’uomo.
Nadia non sa cosa le ha chiesto, ma non lui non le dà tempo di rispondere. Le prende il viso con le mani e le solleva le palpebre, guardandole le pupille.
Nadia ha idea che ad uno che se si arrabbia diventa un mostro dissennato di tre metri è meglio non fare domande, e lo lascia fare.
«Sì, sembra stare bene» conclude Banner, annuendo.
«Sì, grazie. Sembrava anche a me…».
«Signorina Berton». Stavolta è l’agente Barton a parlare. «Come sta Loki?».
La ragazza inarca un sopracciglio.
«Chi?».
I Vendicatori si scambiano uno sguardo.
«Ah, non era lei che aveva un gatto di nome Loki? Ci scusi, siamo in carenza da caffeina» dice l’agente figadapaura–Romanoff.
Nadia resta interdetta per un secondo. Aveva un gatto… ma non si chiamava Loki. Si stupisce di non riuscire a ricordare il nome del suo gatto, deve fare un enorme sforzo per far riaffiorare quel particolare dalla memoria.
«Avevo un gatto, a casa, a Venezia… si chiamava Casanova».
E che ne è stato di Casanova? Nadia non riesce a ricordarlo. Forse è stato molto molti anni fa. Il micio deve essersi smarrito e non è più tornato a casa, a volte capita.
«Bene, Nadia, grazie di essere passata… noi avremmo, staremmo… dovremmo…». All’improvviso il signor Stark sembra avere molta fretta di togliersela dai piedi, ma a lei continua a sembrare triste.
«Certo. Signori, è stato un vero piacere. Buona giornata».
Ascolta distrattamente i saluti dei Vendicatori, e mentre si avvia verso la porta, la signorina Potts la intercetta e la blocca, appoggiandole una mano sulla spalla.
«Tutto pronto per domani?» le chiede.
«Domani?». Nadia si sente un’idiota a non ricordare subito a cosa la donna si stia riferendo.
«Sì, domani, la partenza. Torni a casa, eri… così felice».
La ragazza si massaggia la tempia con aria stranita. Il ricordo riaffiora nella sua mente all’improvviso: certo, certo l’indomani partirà e tornerà a casa. Giusto.
È per questo che quel giorno non aveva impegni con Stark e lui non ha notato la sua assenza nella mattinata. Lei lì ha finito.
«Devo terminare di fare le valigie» dice.
«Ti serve una mano?»
«No, grazie, signorina Potts».
Perché diamine la compagna di Tony Stark, CEO delle Stark Industries, superdonna in carriera, dovrebbe aiutare lei a fare le valige?
«Ma posso chiederle, signorina Potts, se non sono troppo indiscreta, come mai il signor Stark sembra così giù?»
«Oh, è triste perché te ne vai. Lo siamo tutti».

 

 

 

 

 

__________________________________

 

Note:

L'album di foto che Nadia regala a Tony compare nel capitolo 17 della precedente fanfiction, se rammentate, vi dissi di tenere a mente quel particolare perché questa scena e comunque questo finale erano nella mia mente già da allora.

So che che la scena del sogno è quanto mai sadica (e anche dimostrazione evidente del mio disagio mentale XD), ma non ho resistito all'impulso di mostrare Loki e Nadia come tutti noi avremmo voluto vederli, almeno per un momento. Ovviamente lo ha creato Loki… se fosse un regalo fatto a se stesso o fatto a Nadia non c'è dato sapere, lo lascio alla vostra interpretazione.
Per il nome della bambina mi sono documentata. Trovate il riferimento QUI 
Vi ricordo che c'è un epilogo, lo posterò mercoledì. Quindi diciamo che non è ancora il momento di salutare questa storia e ringraziare tutti voi come meritate per avermi fatto compagnia.

Per domande, curiosità o altro: Profilo Ask

A mercoledì con l'epilogo ^^

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Capitolo 19
*** Epilogue ***


Epilogue

 

Venezia che muore,
Venezia appoggiata sul mare,
la dolce ossessione
degli ultimi suoi giorni tristi
Venezia la vende ai turisti
che cercano in mezzo alla gente
l'Europa o l'Oriente,
che vedono alzarsi alla sera
il fumo o la rabbia di Porto Marghera... 

La ragazza ha in testa i versi di questa canzone mentre sale le scale del Ponte degli Scalzi di fronte alla stazione di Santa Lucia.
La ragazza si chiama Nadia. Sta tornando da una tipografia dove è andata a ritirare i nuovi biglietti da visita per l'albergo della sua famiglia.
Si volta alla sua destra e raggiunge il parapetto di marmo, quello in direzione di Piazzale Roma, lì dove l'incanto della Laguna comincia a scemare e restituisce la solida realtà della terraferma con il grigio del suo cemento e con quella cicatrice di vetro e acciaio che è il ponte di Calatrava.
Nadia guarda il sole del tramonto incendiare la superficie dell'acqua, renderla simile a un fiume d'oro. Di notte a volte sogna una città sospesa tra le nuvole con i palazzi che hanno proprio l'aspetto dorato del sole che si riflette sull'acqua sulla quale galleggia Venezia.
Da un po' di tempo a questa parte, la giovane ha cominciato a ricordare i sogni con straordinaria nitidezza.
Respira quell'odore misto di mare e fango che ha solo il vento della sua città. Avverte lo sbattere d’ali di un gabbiano.
C'è qualcosa di tremendamente fuori posto in quello scenario da cartolina. Da quando è tornata dall'America ha questo strano senso di straniamento. 

 Venezia è un imbroglio
che riempie la testa soltanto di fatalità...

Forse è solo perché non si aspettava quello che sarebbe successo dopo la sua permanenza oltreoceano. Aveva smesso di sperare che certi sogni si realizzassero e, adesso che è successo le sembra che nella sua vita non tornino più i conti, a volte ha la sensazione di aver perso dei pezzi per strada. A volte fa sogni strani e si sveglia come un soldato dopo un'esplosione, che è convinto di essere ancora tutto intero e invece gli manca un braccio o una gamba.
Nadia non sa cosa le manca. Però sa che non le fa male quell'assenza, che le sembra tutto così naturale. Forse, ora che ha quasi ventisette anni e che la sua vita sta prendendo la direzione che voleva, comincia ad avvertire i buchi di vuoto in tutte le cose che cambiano forma sotto le sue mani e dentro la sua testa.
Una folata di vento stranamente freddo fa increspare l'acqua e mischia l'oro dei riflessi al cupo color piombo dell'ombra delle nuvole.
Nadia chiude i bottoni del soprabito, tasta la consistenza del pacchetto della tipografia dentro la  tasca e si volta per scendere le scale davanti alla chiesa di San Simeon.
Sull'ultimo gradino la coglie un'altra folata di vento e lei mette il piede su qualcosa di scivoloso. Ghiaccio? È mai possibile che ci sia una piccola lastra di ghiaccio su quel gradino e solo lì? E che lei ci sia finita proprio con il piede sopra?
Non ha tempo di pensarci, ha perso l'equilibrio e d'istinto allarga le braccia per cercare un appiglio. Tende la mano e qualcuno le afferra le dita. Con un unico gesto rapido le cinge la vita con un braccio e l'aiuta a tornare diritta.
Nadia sbatte le palpebre e cerca di rimettere a fuoco la scena di lei che ora se ne sta stretta contro il torace di uno sconosciuto. Un po' come in quelle scene da film d'amore scontati, dove l'imbranata e lo sconosciuto che l'ha soccorsa finiscono irrimediabilmente per innamorarsi.
Beh, di quello sconosciuto potrebbe certamente innamorarsi, ora che lo guarda meglio.
Mica male, il ragazzo...
Perché di un ragazzo si tratta, un giovane uomo sulla trentina; occhi chiari di una sfumatura d'azzurro veramente insolito e gelido; un bel viso dai lineamenti affilati e capelli nerissimi. E malgrado il colore freddo di quegli occhi, c'è una nota di calore nel modo in cui la guarda, come quando si incontra qualcuno che si conosce dopo tanto tempo che non lo si vedeva.
“Ti sei fatta male?” chiede lo sconosciuto. Parla in inglese, con un marcato accento straniero che la ragazza non riesce a identificare.
“No, grazie... scusa se ti sono piovuta addosso”.
Nadia prende atto del fatto che lo sconosciuto la sta ancora tenendo stretta. Deve accorgersene anche lui, forse per il fatto che lei arrossisce di colpo, infatti la lascia andare.
Il ragazzo è vestito di tutto punto, con un completo scuro e un cappotto nero dal taglio elegante. Una sciarpa di seta verde e oro spunta vaporosa dallo scollo della giacca del completo. Nadia pensa che le piace quell'accostamento di colori e che deve smetterla di fantasticare su uno straniero sconosciuto solo perché le sembra bello, l'adolescenza l'ha passata da un pezzo!
“Beh, io... ti ringrazio per avermi acciuffata, uhm...” dice, facendo per sorpassare lo sconosciuto.
“Mi chiamo Loki” le dice lui, pensando forse che il suo tentennamento a fine frase fosse un modo per sottolineare che lei non conosce il suo nome.
Loki la guarda come se si aspettasse una qualche reazione, in effetti è un nome insolito il suo, ma dopo i tanti turisti venuti da ogni parte del mondo ad alloggiare nell'albergo della sua famiglia lei non si stupisce più di niente.
“Io sono Nadia” si sente in dovere di rispondere.
“Nadia” ripete il ragazzo, come assaporando il suono di ogni lettera. Forse non è abituato ai nomi italiani e all'accento con cui vengono pronunciati. “Non mi sembri una turista”.
Lei scuote il capo, “No, decisamente no, vivo qui, la mia famiglia ha un albergo laggiù”. Indica un punto impreciso alle spalle della chiesa.
“Ah, questo è un bene. Saresti così gentile da indicarmi un luogo? Temo di essermi perso”
“Prima volta a Venezia?”
“No, ci sono già stato, ma durante la mia prima visita ero troppo impegnato per godermi il paesaggio”.
Nadia annuisce. “Dove devi andare?”
“Si chiama la... corte dell'Angelo
“Oh, ti ci posso portare adesso, se vuoi”.
Loki accenna un sorriso – è bello, ma non sembra uno abituato ai sorrisi, infatti quel sorriso subito gli sparisce dalle labbra. “Non vorrei esserti di disturbo”.
“Figurati, non ho niente da fare e non mi dispiace una passeggiata” dice lei, con gentilezza. “Tra qualche giorno devo partire e voglio godermi la mia città”.
“Credevo che i veneziani fossero tutti stufi di Venezia”.
Nadia sente quella frase colpirla alla testa come un sasso lanciato in uno stagno. Sì, lo credeva anche lei, ha creduto di essere stufa di tante cose prima di partire per l'America, e adesso sa che sbagliava, che quello che ha e ha sempre avuto nella sua vita è importante.
Si volta, facendo cenno a Loki di seguirla e si fa strada tra la folla di turisti. Sente sulle spalle il sole tiepido del tramonto e si accorge che il vento gelido di poco prima è sparito.
“Ho imparato ad apprezzare ciò che ho” si limita a rispondere.
“Per il fatto che devi partire? Sei una tipa nostalgica” commenta il ragazzo, affiancandosi a lei.
“Vado a Roma per lavoro, sono una fotografa” dice Nadia.
Loki ha l'aria di uno che ha voglia di starla a sentire, non c'è alcuna invadenza nel modo in cui aspetta che continui a parlare, vuole solo ascoltare. “Sono stata in America fino a qualche settimana fa e ho scattato delle foto a New York che hanno vinto un importante concorso, adesso devo presenziare a una mostra... la mia prima mostra”.
Loki sorride di nuovo, lo stesso sorriso appena accennato ed effimero, un chicco di grandine sulla punta delle labbra.
“Sarai molto felice” commenta.
Nadia sente il respiro fermarsi e si impone di prendere aria, con calma. È felice? Non lo sa, sa che ha quello che voleva e ne è soddisfatta.
“Mi piace molto l'idea, sì” risponde.
Loki si ferma a guardarla, le punta in viso i suoi occhi azzurrissimi ed è come se si aspettasse che lei dica altro. Il suo sguardo è insistente e sembra chiederle: ma sei felice? Lo sei o no?
E adesso, per qualche strana ragione, il ragazzo somiglia a qualcosa che c'è dentro ai sogni di Nadia, come una figura sfocata sullo sfondo che lei non riesce a vedere, come qualcuno che l'aspetta. Nell'ultimo sogno che ha fatto, ha visto la figura come di un cavaliere vestito di verde e oro – proprio come i colori della sciarpa di Loki – sparire dietro l'angolo, e lei gli correva incontro, come in tanti altri sogni, e come in tutti gli altri sogni arrivava quasi a sfiorarlo e poi si svegliava con la sensazione di star precipitando.
“Ci sono delle cose che mancano alla mia vita” dice Nadia, non sa perché ha così tanta voglia di parlare con un estraneo, ma gli occhi di Loki sembrano assorbire le parole e chiederne altre, come se fosse rimasto solo e in silenzio troppo a lungo. “Ci sono cose a cui una volta non davo importanza e che adesso so che è giusto desiderare”
“Ad esempio?”
“Ad esempio, non so... forse è sciocco, ma l'amore è una di queste cose”.
Loki distoglie lo sguardo. “Una volta qualcuno mi ha detto che l'amore è per i bambini, le circostanze mi hanno insegnato che è per i coraggiosi”.
“Già. Tu cosa credi?”
“Che siano vere entrambe le affermazioni. I bambini sono innocenti e occorre una grande innocenza per avere coraggio, soprattutto il coraggio necessario ad amare”.
Il ragazzo evita nuovamente il suo sguardo e Nadia crede di aver visto l'azzurro dei suoi occhi velarsi di lucido. Forse Loki è come un bellissimo principe dai sogni infranti, o forse è il mostro diventato cattivo perché qualcuno gli ha spezzato il cuore; ad ogni modo la sua ultima frase lasciava intendere che lui non è più innocente e quindi, forse, non è capace di amare. Nadia non può saperlo ma, stranamente, sente le lacrime salire anche ai suoi stessi occhi.
I due continuano a camminare in silenzio, fino a quando non giungono a destinazione.
Con la coda dell’occhio, Nadia nota una catenina con un pendaglio fare capolino sotto il tessuto della sciarpa del ragazzo. Sul pendaglio è incastonata una pietra dai riflessi madreperlati. E anche quella le ricorda i suoi sogni, la luna dai riflessi azzurri e opalini che le illumina la strada mentre insegue il suo principe verde e oro.
“La corte dell'Angelo è questa” dice la ragazza, indicando con un cenno il muro esterno di un cortile.
“Sei stata molto gentile, Nadia”.
Lei agita la mano, come a dire che non importa, non occorre che la ringrazi.
“Spero che tu faccia buona permanenza a Venezia” dice, guardando Loki con un sorriso cordiale.
“Parto presto, ma dovevo venire...” replica lui, come se la cosa dovesse essere ovvia. “Mi aspetta un lungo viaggio e non un viaggio piacevole. Volevo... vedere qualcosa di bello, prima di andare”.
La malinconia nella voce di Loki le fa pensare a un fiore essiccato tra le pagine di un libro. Forse è solo perché quel ragazzo l'ha colpita a prima vista, ma ogni suo gesto e ogni sua parola le fanno pensare a qualcosa di forte o di profondo, come se lui scavasse nella sua anima con la sua sola presenza, come se uno dei buchi vuoti attorno alle cose avesse esattamente la sua forma. E non è una sensazione sgradevole, solo che è strano...
“Beh, ti faccio i miei migliori auguri, Loki” conclude la ragazza, salutando lo straniero con un cenno della mano.
Lui si tende come se volesse afferrare le sue dita, ma poi si ritrae stringendo i pugni.
“Ti ringrazio. Buona fortuna anche a te”.
Nadia sorride e si volta per andare via.
Forse è davvero come nei film, forse esistono quelle cose bizzarre e inspiegabili come il colpo di fulmine o altro... forse da qualche parte, in qualche angolo dell'universo, qualcuno tesse i destini delle persone e li rende realizzabili.
La ragazza fa qualche passo, spinge le mani nelle tasche dei jeans.
Le sembra assurdo, ma un pensiero improvviso la investe con un'intensità tale che la fa quasi piegare sulle ginocchia. L'idea che lei e quel ragazzo fossero davvero destinati a incontrarsi per qualche ragione.
Si volta perché sente il bisogno di dire qualcosa per trattenerlo, proprio come nei suoi sogni, come quando sente l'impulso di correre e tentare di afferrare il cavaliere verde e oro. Ma quando guarda verso il muro della corte, lui non c'è più.
E lei resta ferma, impalata in mezzo alla strada, con il sole ormai quasi del tutto tramontato che inspessisce le ombre e le stende sul ciottolato.
Il vento gelido soffia di nuovo in una singola folata che fischia contro la pietra vecchia dei palazzi e sembra scaraventarsi con violenza addosso alla ragazza, premendo contro di lei come in un abbraccio.
Buffo, pensa Nadia, quella pressione sulla punta delle labbra sembrava proprio un bacio. Freddo, come un bacio d'addio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

______________________________________

Note:

I versi della canzone in corsivo appartengono al brano “Venezia” di Francesco Guccini.
Per chi non lo ricordasse, la corte dell'Angelo è il posto in cui Nadia viene attaccata dai demoni di fumo per la prima volta in A series of unfurtunate events, la sera in cui scopre la vera identità di Loki.
Mi piaceva l'idea di finire la storia lì dov’era iniziata, replicare un “primo incontro” tra Nadia e Loki in cui lei prova sensazioni diametralmente opposte a quelle sgradevoli del loro vero primo incontro, a riprova del fatto che quello che successo è rimasto in qualche modo dentro di lei.

Ora voglio tapparmi al buio e piangere fino a domattina. 

Concludere una storia dopo oltre un anno passato a scriverla, e che si è scritta quasi tutti i giorni per mantenere la regolarità degli aggiornamenti, mi scombussola non poco. Mi sono divertita moltissimo a scrivere questa trilogia di fanfiction, l'ho sempre detto, mi sono affezionata a questo mondo che si è creato riga dopo riga, idea dopo idea nella mia testa, e ho cercato di farlo arrivare ai lettori al meglio che potevo. Mi mancheranno, Nadia e Loki e i “miei” Avengers così com’erano tra queste pagine.
Ma più di ogni altra cosa mi mancherà il mettere nero su bianco questa storia, sapendo che dall'altro lato dello schermo c'è qualcuno che aspetta, ogni settimana, di leggerla. L'affetto che avete avuto per questa trilogia è stato lo sprono migliore che una scribacchina potesse chiedere, e la mia lunga permanenza nel fandom mi ha insegnato moltissime moltissime cose, oltre che a farmi entrare in contatto con persone adorabili alle quali va tutta la mia riconoscenza.

Vorrei che da questo schermo potesse passare anche solo una briciola del calore che sento nel dirvi GRAZIE.

Grazie a tutti quelli che mi hanno recensito in tutto questo tempo:
Alley, AriCastle66, Black_Moody, Blue_moon,  Bored94, Callie_Stephanides, cips980, Coco, dama galadriel, DarukuShivaa, devilcancry, Dita d_Inchiostro, Drop_of_Moon, Efy, Evilcassy, Fipsi,  Ghost_Delia, greenbird, heilaa, In_caelis_fedelis, Kashmir , kenjina, Keyra93, KikkaMj, LilianStark, lady hawke, Lady_Loki76, Lady Moonlight, Luna Viola, Mangostan, Melie Devour, Merihonmhcm, micchan91, Mies, Miyuki chan, moonlight8, Nakara86, Princess_Klebitz, Saliman, sammy1987, Sheelen_, simo95, sitael85,  SofyEchelon97, Stormbringer14, SvaneH, watanuki, ZiggySigyn, 10winters, _Eleuthera_,_pervinca_, __Sayuri__

Grazie a tutti quelli che hanno inserito queste storie nei preferiti, nelle ricordate, nelle seguite.
Grazie alla mia amica Cristina :)
Grazie a chi ha apprezzato la mia storia, insegnandomi ad essere un po' più sicura di me e della mia penna, e a chi non l'ha fatto, aiutandomi con una critica più di quanto mi abbia mai aiutato qualsiasi scuola.
Grazie a chiunque abbia letto e abbia dedicato un po’ di tempo a questa storia. E a chi leggerà. 

Un grazie particolare a tutti quelli che durante questo lungo anno e mezzo di fandom di fandom mi hanno “cercata” fuori da qui e sono diventati più di semplici lettori. 

Alla prossima storia.
Un abbraccio grandissimo.

Luciana

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