Malosti e Gandini dalla A alla Z

di Dea Elisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amicizia ***
Capitolo 2: *** Buca ***
Capitolo 3: *** Caffè ***
Capitolo 4: *** Debolezza ***
Capitolo 5: *** Eroi ***
Capitolo 6: *** Fretta ***
Capitolo 7: *** Gabbia ***
Capitolo 8: *** Hobby ***
Capitolo 9: *** Insieme ***
Capitolo 10: *** Laringotomia ***
Capitolo 11: *** Maestro ***
Capitolo 12: *** Nuvole ***
Capitolo 13: *** Orme ***
Capitolo 14: *** Perché ***
Capitolo 15: *** Quarantena ***
Capitolo 16: *** Radiologo ***
Capitolo 17: *** Sfacciato ***
Capitolo 18: *** Tetano ***
Capitolo 19: *** Ulcera ***
Capitolo 20: *** Vaffanculo ***
Capitolo 21: *** Zucchero ***



Capitolo 1
*** Amicizia ***




Amicizia

“Ma se un giorno tu avessi bisogno di aiuto? Voglio dire, fuori non c’è di certo la coda.”

“Stai insinuando che io non abbia amici?”

Cristiana scosse la testa. “Sto dicendo che non hai mai fatto niente per averli.”

“Ok, sarò un po’ egoista” si limitò lui.

“E abbastanza egocentrico.”

“Ti ho offerto la cena.”

“L’ho preparata io.”

“Con i miei ingredienti.”

“Con la metà dei tuoi ingredienti.”

“Quindi siamo pari.”

“Per essere pari dovresti lavare i piatti, cosa che io non farò di certo.”

“E non metti in conto la benzina? Se non erro la macchina era la mia. Ma posso anche essermi sbagliato.”

“Se la mia non fosse stata dal meccanico, al corso d’aggiornamento sarei andata da sola.”

“Confessa che ti sei divertita.”

“Oh, certo, quella mezz’ora di discussione su dove andare a mangiare stasera è stata esaltante.”

La Gandini appoggiò i piatti dentro il lavandino che iniziò a riempire d’acqua e Riccardo le si avvicinò, lasciando scivolare una mano lungo il suo fianco. “È a questo che servono gli amici.”

“A litigare o a lavare i piatti?” ruotò il capo verso di lui, notando solo in quel momento quanto le fosse vicino. Se si fosse impegnato avrebbe anche potuto avvertire il brivido che la fece sussultare.

“Se preferisci, a lavare i piatti.”

Cristiana chiuse il rubinetto, mentre la sua espressione si rabbuiava.

“Che c’è?”

“C’è che io non sono tua amica.”

E non puoi scaldarmi d’amicizia.







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Capitolo 2
*** Buca ***




Buca

“Ciao.”
Alzi lo sguardo alla donna appena entrata in sala medici, la segui con gli occhi poggiare svogliatamente la borsa in mezzo al tavolo e con lei il cappotto, che libera sotto di esso un elegante abito serale.

Era troppo presto perché dovesse uscire, ma troppo tardi perché fosse appena tornata.

“Non dovevi essere a casa un’ora fa?”

Si avvicina all’armadietto che apre con la stessa apatica espressione con cui era entrata.

E, un po’ come quando in casa i nostri piedi ci accompagnano di fronte alla dispensa che apriamo senza trovare nulla che ci aggrada, Cristiana scosta qualcosa all’interno della teca, prende in mano uno specchietto che non osa aprire e lo posa qualche centimetro più in là, forse solo per motivare quel suo gesto meccanico di fronte a te.

“Hai mai dato buca a qualcuno?”

“Intendi forse a… qualcuna?”
Preme una mano sulla chiusura dell’armadietto che s’incastra in un clic.

“Non avevo motivo di non andarci” si passa una mano tra i capelli, sollevando il ciuffo che si riporta inesorabilmente dov’era prima.
“Non hai motivo di raccontarmi ogni cosa che fai” come se fossi tu il suo metro di giudizio, ma eviti quest’ultima insinuazione.

“Ciao.”

“Cristiana…”

“Lasciami in pace” raccoglie il soprabito, ma tu le afferri un braccio e glielo strappi dalle mani.

“Fai apposta o ti viene naturale, renderti odioso e poi risolvere il tutto in un colpo di scena, così, in grande stile Malosti?”
“Chi ti ha dato buca, Gandini?”

Abbassa il capo, e tu ti chiedi perché continuavi a pentirti di ogni parola avventata che gettavi su di lei.

Le prendi anche l’altro braccio e lasci che si giri di fronte a te.

Ti guarda come se fosse l’ultima volta che avesse per farlo.

Ti guarda come se non ci fosse altro di più importante che stare ad ascoltarti, lei, che era venuta perché tu la ascoltassi.

“Cristiana.”

Stavolta non avevi fatto nulla, ne eri quasi certo. E quel quasi conteneva solamente quella tua arroganza intrinseca che, da quando Guidi era apparso tra le vostre vite, non era andata che peggiorando.

Sembra volerti abbracciare, e stavolta non c’è un quasi, tra i tuoi pensieri: sei sicuro che non lo avesse fatto per timore che tu ti scansassi.

“Sono io, ad aver dato buca a lui.”

Sul tuo volto si dipinge un sorriso. “Beh, non vedo il perché di tutti questi sensi di colpa.”

Scuote la testa, e tu smetti di ridacchiare.

Qual era il motivo?

Perché ancora non lo avevi capito, nonostante il suo gesto ti assicurasse di avere tutti gli strumenti per farlo?

Cristiana, perché ti stai dannando per non esserti presentata a quel maledetto appuntamento con quel ragazzino?

E poi, come se attraverso i tuoi occhi avesse raggiunto i centri dei tuoi pensieri, sorride rassegnata.

“Perché, Riccardo, ora sono qui.”







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Capitolo 3
*** Caffè ***




Caffè

Non che mi piacesse così tanto, il caffè.

Non che ci andassi matta come te, che sfruttavi ogni pausa possibile a incastrare monete ai distributori.

Ma lo adoravo, quando tu ti avvicinavi a me con l’aroma di caffè sulle labbra.

Mi piaceva sentirne l’odore addosso a te, quando respiravi accanto a me, o quando ti sporgevi troppo, sia che volessi sia che non lo facessi apposta.

 

“Malosti, si bussa!”

Mi copro con la maglietta blu della divisa che stavo per indossare e lo spavento si tramuta presto in una piacevole circostanza imbarazzante.

“Non ho mai bussato in vita mia per entrare qui, e, soprattutto, la sala medici non è uno spogliatoio, Gandini.”

“Solo perché voi non avete niente da far vedere, non vuol dire che noi donne non possiamo cambiarci qui!”

Ti porti le mani ai fianchi e continui a guardarmi, indeciso sul da farsi. “Dovrei andarmene?” concludi poi.

“Fai un po’ te.”
“Andrò a prendermi un caffè.”

“L’hai già preso.”

Ti volti, stringendo gli occhi. “Cosa te lo fa pensare?”

Mi avvicino prudentemente, sorridendo.

Tu non ti sposti, quando la distanza tra noi rimane quella impalpabile di un cuscinetto d’aria.

Tu non ti muovi, quando mi alzo sulle punte dei piedi.

Tu sorridi, quando credi che ti volessi baciare.

Inspiro il tuo odore, la tua bellezza, il tuo caffè.

E sorrido io, quando provi a camuffare il tuo impercettibile sporgersi per partecipare a quel bacio inesistente in un gesto senza fine specifico.

“Si sente, Malosti.”

 

Non che mi piacesse così tanto, il caffè.

Ma lo amavo, quando lo respiravo dalla tua bocca.

Così come amavo te.








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Capitolo 4
*** Debolezza ***




Debolezza

L’aveva chiamata così?

Dannazione.

Se avesse smesso di parlare anche solo per cinque secondi, le avrei potuto dire che debolezza sarebbe stato il termine più improprio che avrei usato per definire io e lei avvinghiati in un bacio.

 

“Sei ancora in ospedale?”

“Il fatto che tu mi abbia fatto questa domanda fa in modo che ti possa anche rispondere da sola.”

Ma il tono di Cristiana era stato così incredibilmente sereno che la mia risposta meritava di essere sepolta insieme alle mie bugiarde idee sull’insignificanza dell’incontro delle nostre bocche.

 

Debolezza.

Quante altre parole sarebbero state più opportune?

Voglia, interesse, desiderio, errore se avessi voluto fare l’ipocrita, i cui panni mi si addicevano comunque, proprio per averle dato ragione.

Se fosse esistito un vocabolo per indicare una debolezza eterna, non avrei esitato ad impiegarlo.

Peccato che solo ora mi sia reso conto che l’unico ad avere queste conformazioni sia…

 

“D’accordo. Buonanotte, Riccardo.”

“Buonanotte” … amore.








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Capitolo 5
*** Eroi ***




Eroi

“Non siamo eroi. Non lo siamo mai stati. Anche se ci comportiamo come tali, anche se ci sforziamo di apparire come tali, non lo saremo mai. Siamo solo persone comuni, che cercano di salvare gente altrettanto comune, e non è detto che ci riusciamo sempre. Ma non possiamo dannarci per ogni paziente che ci muore sotto i ferri dopo aver provato di tutto, Riccardo.”

“Quelle sono le cose che diciamo ai parenti per non essere denunciati o per non sommare la rabbia al dolore, Gandini.”

Sbatte un fascicolo di analisi sul tavolo della sala medici, nemmeno troppo forte, e si lascia cadere su una sedia.

“In realtà non sempre le cose vanno come dovrebbero, là dentro. O prima. Avremmo dovuto fargli ulteriori analisi.”

“Abbiamo fatto tutte quelle necessarie!”

“Ma non sono mai abbastanza!”

“Riccardo…” ti avvicini a lui, piegato con le braccia stese appoggiate al tavolo.

Si volta verso di te, infastidito dalle tue parole che continuavano a smentirlo, arrabbiato con la sorte perché in sala operatoria c’era lui, deluso dal destino che aveva avuto la vittima di quell’incidente.

“Non siamo divini, non possiamo salvare tutti. Hai fatto un ottimo lavoro, come sempre, e non c’è niente per cui ti devi dannare.”

“Una cosa c’è, invece, e forse la più importante. È stata avvertita la moglie?”

“Sì, ma prima che il paziente entrasse in sala operatoria. Vuoi che me ne occupi io?”
Ti appoggia le mani sulle spalle, per poi stringerti a sé. “No, Cristiana. In quella sala operatoria c’ero io, ed è mio dovere parlarle. Non siamo eroi… ma umani sì.”







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Capitolo 6
*** Fretta ***




Fretta

 “È finito tutto bene” sospiri, lasciandoti cadere sulla poltroncina della sala medici.

“Poteva morire.”

“Ma non è morto” constati, accavallando le gambe.

Lui inizia a camminare avanti e indietro. “Cinque giorni qui dentro mi faranno impazzire.”

“Hai sempre detto che l’ospedale ti rasserena.”

“Quando sono certo che i miei figli stiano bene.”

“Ora Dario sta bene.”

“Hai finito di smentire tutto quello che dico o devo cambiare stanza affinché tu la smetta di parlare?”

Ti alzi in piedi, indecisa se vestire indifferenza, rabbia o rassegnazione.

Aveva mille motivi per essere nervoso e odioso con i colleghi, ma fino a prova contraria eravate in ambiente di lavoro, ragion per cui ogni problema personale avrebbe dovuto aspettarvi fuori almeno per altri quattro maledetti giorni.

“Mi spiace, Cristiana, sono stato-”

“Uno stronzo, dillo pure.”

Ti sistemi la maglietta della divisa e ti prepari a fuggire.

Non erano bastati nemmeno quei baci, quei sorrisi, quegli abbracci e quelle carezze, a stimolarlo a comportarsi con un po’ più di tatto nei tuoi confronti.

Eppure, per la prima volta, ti era parso che ti fosse più vicino, e non solo in termini fisici.

“Non c’è fretta di andar via, tanto ho tutta la notte, per venirti a cercare.”

Ti volti e lo vedi piegare un angolo della bocca in un sorriso.

“E domani. E dopodomani.”

“Credi davvero che io stia scappando da te?”

“Ah, ecco. Quel frigo ha davvero un’aria minacciosa.”
Annuisci, stando al gioco. “Molto più di te, in effetti.”

Si solleva dal tavolo al quale era appoggiato e ti circonda la vita con un braccio. “Ammetti che ho più fascino io” ti soffia sul viso, le labbra a sfiorare il tuo naso.

Avvolgi le braccia attorno al suo collo, coperta da quella differenza d’altezza che da vicino sembrava persino incolmabile.

“Non avevi fretta di andar via?” si ritrae quando mostri l’intenzione di baciarlo.

“E tu non avevi fretta di venirmi a cercare?”

“No, in realtà-”

Fai scivolare una mano lungo la sua guancia ruvida, lasciando scomparire piano il sorriso sulle tue labbra sempre più vicine alle sue.

Voleva fare il puntiglioso?

Ti stacchi e indietreggi, tornando a ridere.

“Dove vai?”

Raggiungi la porta e la socchiudi, non staccando gli occhi da Riccardo. “Chi ha fretta, adesso?”

Corri in corridoio, consapevole del fatto che giocare ad acchiapparella con Malosti sarebbe stato il tuo sogno proibito…

… se fossi stata alla scuola materna.







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Capitolo 7
*** Gabbia ***




Gabbia

Tetra, scura, immersa nel buio, se non fosse stato per quelle luci artificiali così tremendamente bianche.

E tu, che per la prima volta percepivi quella sala operatoria come una gabbia, cosa che per te non era mai stata.

“Non riesci a tenere in mano nemmeno il bisturi, guardati!” ti aggredisce, puntandoti minaccioso una mano avvolta dal guanto.

Non sopportavi quando qualcuno – per giunta al tuo stesso livello professionale – ti insegnava a fare qualcosa che già avresti dovuto saper fare o ti rimproverava sul come lo facevi.

“Quante ore hai dormito stanotte?” continua il suo monologo da padre esasperante ed esasperato.

Il bisturi tra le tue mani non smetteva di tremare, anzi, le parole di Malosti sembravano trasmettere il nervosismo che avresti dovuto provare, e che invece non provavi, direttamente a quello strumento.

Ti volti verso Giulia, che da dietro la mascherina ti guardava con quella che ad occhio e croce sembrava compassione. Davvero facevi così pena ai tuoi colleghi? E davvero la pensavano tutti come Malosti, ma non erano così diretti dal farti presente che eri un chirurgo quarantenne e non potevi permetterti di sgarrare nemmeno per una sera?

Abbassi lo sguardo verso le mani della donna, a cui cedi il bisturi.

Esci da quella gabbia di cemento e asetticità senza dare spiegazioni, perché, per una maledetta volta, ti potevi concedere di non svolgere il tuo lavoro.

Te l’aveva detto Riccardo, no? Non eri in grado di operare, e ti saresti salvata dai suoi commenti almeno fino a quando non ti avesse trovata per la strigliata finale.

Decidi di non farlo attendere, e, dopo aver sommerso in un paio di visite di routine i tuoi sensi di colpa per aver mancato di compiere il tuo dovere, torni di fronte all’ingresso della sala operatoria, dove attendi, appoggiata al muro, la tirata d’orecchie che speravi fosse la più veloce e indolore possibile.

“Eccola, la nostra ragazzina. Ti darei quattordici, massimo quindici anni.”

“Tu invece stai superando i settanta.”

“Non sarei qui a prenderti in giro, cara la mia dottoressa. Pantofole, sedia a dondolo, copertina sulle gambe, mogliettina che prepara la cena…”

“Mogliettina? Ma chi ti sposa, a te? Sei insopportabile anche preso a piccole dosi, figurarsi ogni ora del giorno!”

“Ma dimmi te chi può prendere una donna che alla sua età non ha ancora capito cosa fare della sua vita e che va in giro di notte con un ragazzo che potrebbe essere suo figlio!”

“Sei geloso?”

“No!” grida, evidenziando il contrario.

Ti viene pericolosamente addosso, stringendoti al muro senza che i vostri corpi potessero toccarsi.

Inspiri forte, guardando di fronte a te l’unico uomo che avresti voluto avere in quelle notti che lui tanto odiava.

“Solo vorrei sbatterlo al muro così” ti prende per i fianchi e si porta ad aderire contro di te, che ti lasci sfuggire un gemito per l’impeto. “E sfondargli lo stomaco.”

Invece di odiarlo per le violente parole che stava rigurgitando a pochi centimetri dalla tua bocca, non fai altro che protenderti verso di lui inclinando il capo, assaporando per quei limitati istanti il sapore provocante che aveva la sua vicinanza.

Era quella, l’unica gabbia che avresti potuto eternamente sopportare.

Quella delle sue braccia e del suo corpo, sospesa di fronte a te, ad insultare chi aveva osato prenderne il posto.








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Capitolo 8
*** Hobby ***




Hobby

“Sei acido, nervoso, sempre sprezzante… ma scegliti un hobby!”

“Come se avessi tempo, tornato a casa dal lavoro.”

“Perché il tempo lo perdi a pensar male della gente!”

“Allora tu ne occupi una bella fetta.”

“Lo prendo come un complimento.”

“Non era un complimento.”

“Lo so” ti volta le spalle e se ne va, con quella che sembrava rassegnazione travestita da sorriso.

 

Prima che avessi il tempo di scegliere l’insulto più appropriato da auto-rivolgerti, Cristiana ti punta gli occhi scuri. “E so anche che non volevi essere così sincero. Te l’ho detto, trovati un hobby: faresti soffrire molta meno gente.”

 

Era l’ultima cosa che volevi, farle del male, ma a quanto pare non riuscivi a liberarti delle bugie che le rifilavi.

Era l’ultima cosa che volevi, passare il tuo tempo libero a pensare a lei, ma non potevi farne a meno.








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Capitolo 9
*** Insieme ***




Insieme

“Laura non viene, Valerio ha già la macchina piena, le altre sono donne, quindi non mi fido della loro guida.”

“Questo vuol dire che andremo… insieme?”

“Non l’avevo considerato, accidenti” piagnucola da finto disperato.

“In tre metri quadri…”

“Se vuoi affitto un camion rimorchio.”

“Come farò a sopportarti a trenta centimetri di distanza per due ore?”

“Sei tu che hai la macchina dal meccanico e mi stai implorando di accompagnarti.”

“Io e te…”

“Se preferisci, noi è più… collettivo. O intimo.”

“Quindi andremo insieme?”

“La tua sorpresa mi è nuova, visto che sei tu l’architetto di questo infallibile piano. Ma quello che mi sconvolge maggiormente è il fatto che io ora non ti stia intimando di andare con Esther e Marina, o con Giulia, quindi o ho apprezzato così tanto il tuo tempismo e la tua organizzazione da assecondare questa tua irrefrenabile voglia di avere me come compagno di viaggio, oppure…”

Si blocca, e osserva intorno a sé quattro mura di cemento inanimate.

Chiama il nome della sua collega, che probabilmente si era volatilizzata durante il suo soliloquio.

“Oppure voglio davvero essere io ad accompagnarti a quel maledetto corso d’aggiornamento” borbotta, guardando la porta chiusa. “Insieme.”


 








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Capitolo 10
*** Laringotomia ***




Laringotomia

“Quindi mi sto ancora chiedendo cosa possa aver portato mia figlia a prendersi una cotta per Ettore… va bene, è un bel ragazzo, ma è molto più grande di lei! Posso anche immaginare che si tratti di una cosa momentanea, ma da quando lui le ha detto che non ci potrà mai essere niente tra loro, o la trovo in bagno a piangere, o a strafogarsi di cioccolata, o mi risponde male e si chiude in camera sua sbattendo la porta!”

Sollevi gli occhi su di lui, immobile sul divano a guardare fisso su una mattonella del pavimento, una mano a sorreggersi il capo.

“Riccardo, mi stai ascoltando? Mi rendo insopportabile quando faccio così, lo so…” ti porti una mano ai capelli scompigliandoli dietro la testa.

“Nooo. Solo mi fai venire voglia di praticarti una laringotomia seduta stante con quel coltello sopra la cucina.”

Si alza veloce in piedi, raggiungendo la tua espressione turbata.

Due dita di ciascuna sua mano ti estendono la testa, calde attorno al tuo collo e lungo la linea inferiore del volto, fino al mento, sorretto dai pollici.

Ti porta sulla direzione dei suoi occhi, ma, per mantenerla quando il tuo collo si rende disteso di fronte a lui, devi abbassarli sin quasi a chiuderli.

“Qui” ti graffia appena la pelle con un unghia, tracciando con un bisturi inesistente un taglio verticale di qualche centimetro.

Respiri, incapace di deglutire.

O di parlare.

“Tranquilla, dopo torno a ricucirti.”


 








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Capitolo 11
*** Maestro ***



Maestro

“Mi sembra di essere ritornata a scuola…” gli sussurri sotto le saccenti parole di Danieli, in piedi davanti ad una lavagna magnetica ad esporre nuove misure di sicurezza a quanto pare abbastanza importanti da aver convocato tutto il reparto.

Riccardo si sporge verso di te. “Non ci sei già tornata da un paio di settimane?”

Già pronta a intervenire per quella sua sin troppo esplicita allusione, risolvi in un colpo di tosse bacchettata dal rimprovero di Sergio.

“Volete starmi a sentire, laggiù nell'angolino dei cuoricini rossi? Cristiana, con tutto il posto che c'è… scegliti un altro compagno di banco!”

Non eri stata tu, a scegliere, ma il ritardo di Malosti, che l’aveva portato a incastrarsi nella prima sedia su cui i suoi occhi erano caduti. E ne eri fiera, che il caso avesse scelto te.

Ti alzi non sbuffando solo perché l’aula era occupata anche da colleghi sconosciuti, ma Riccardo ti prende un braccio. “Aspetta. È colpa mia” si rivolge poi a Sergio, già spazientito, “non disturberemo più, prof.”

Se prima gli astanti di quel siparietto si erano limitati a portarsi dubbiosi le mani alla testa, non avrebbero di certo potuto farsi sfuggire quell’atto di corteggiamento in diretta.

Ti risiedi, accompagnata dal cigolio caratteristico del piano pieghevole su cui torni ad appoggiarti.

“Dovrei ringraziarti?”

“Ritieniti fortunata di non avermi incontrato venticinque anni fa tra i banchi di scuola.”

“O di non averti avuto come maestro alle elementari.”

“Ma quanti anni mi dai, Gandini?”

“Così tanti che, se lo sapessero, ti darebbero il posto di primario di diritto.”

“Ma se tu vai a letto con chi ha la metà dei tuoi anni, io…”

“Ma sei davvero come il mio maestro delle elementari!” sbraiti.

“Vecchio, puntiglioso e soprattutto realista?”

“No, rompipalle!”


 








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Capitolo 12
*** Nuvole ***




Nuvole

“Questa assomiglia ad un cuore sezionato trasversalmente più o meno lungo i solchi coronarici.”

“Sei romantico come la macchinetta del caffè quando s’inceppa!”

“Ma perché quella? Guarda, guarda… il tronco cerebrale… si vedono anche i ventricoli!”

“I ventricoli li vedi solo nella tua testa!”

“Un pancreas ingrossato…”

“Dai, ma sono in pausa!”

“In pausa dal lavoro o in pausa da me?”

 

“E poi?”

“E poi è finita la nostra, di pausa.”

Infili uno sull’altro i bicchierini vuoti di caffè di Laura ed Esther.

“Ma non ci puoi lasciare così!”

Tutte e tre osservate Riccardo inserire un paio di monete nel distributore accanto al vostro tavolino.

 

“In pausa da te? E come potrei farti un simile dispetto? Tu sei… come le nuvole. Belle, brutte, nere, schiumose come la panna montata, dobbiamo prenderle come vengono.”

“E io come sarei, Cristiana?”

 

Si volta e ti vede sorridere, colta dal ricordo di ieri.

 

“Come la panna montata. Non è così importante, ma quando manca senti che quel piatto avrebbe potuto essere più dolce. E quando c'è non puoi farne a meno.”

 

Ti sorride scuotendo la testa.

Con l’unica differenza tu non puoi fare a meno di lui in entrambi i casi.


 








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Capitolo 13
*** Orme ***




Orme

Una delle innumerevoli cose che rendono irritante un risveglio è il non riuscire a definire cosa ci possa aver destato, oltre alla mancanza di coordinazione tra corpo, immobile in un prato di lenzuola, e mente, marinaia in un mare di ricordi recenti.

Un campanello in mezzo alle lacrime…

Labbra assetate di pelle…

Sguardi rapiti, sorrisi proibiti…

“Ricc-“

Solo il suo odore, sul suo cuscino. E un’eco dello scatto della porta che ti ha strappato dai sogni.

Solo le sue orme, a calpestare la neve fresca sul viottolo, diventano le testimoni dell’abbraccio chiuso sul tuo corpo di cui senti ancora il calore.


 








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Capitolo 14
*** Perché ***




Perché

“Perché non mi hai ascoltato?”

Tu, perché non mi ascolti mai! Credi di sembrare più interessante, più importante, più divertente, più intelligente?”

“Perché mi stai sputando addosso queste crudeli insinuazioni? E poi dici che sono io, il cattivo di turno!”
“Vorrei sapere perché ora rivolti la colpa a me!”

“Risponditi da sola.”
“Forse perché ce l’ho sempre avuta?”

“Ma che acutezza!”

“Perché continui a prendertela con me? Ogni medico ha le sue idee e ce le avrà sempre. Sembra quasi che tu voglia farmela pagare!”

Non risponde, codardo.

“No, guarda, non dirmelo proprio, tanto è così.”
“Perché, Cristiana?”
“Ma perché cosa? Non sei tu a dovermi delle spiegazioni?”

“Perché non riesco ad odiarti?”

Abbassi le spalle, impietrita.

Muta.

Perché non si risponde alle proprie domande.







Note: temo che il finale non sia comprensibile completamente, perciò cerco di chiarirlo un attimo: ho scritto "proprie domande", perché l'ultima domanda, posta da Malosti, in realtà è potenzialmente attribuibile anche alla Gandini, che appunto non risponde perché è consapevole di chiedersi a sua volta, ogni giorno, perché non riesce ad odiare lui.


 





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Capitolo 15
*** Quarantena ***




Premessa: questa one-shot è ambientata dopo la 12esima puntata. Si tratta dell'episodio in cui il pronto soccorso deve affrontare un caso di peste, perciò l'ospedale è costretto ad un isolamento di cinque giorni. Sappiamo che Cristiana e Riccardo si sono baciati, ma questa volta, a differenza di quella della 2a puntata, la cosa si fa seria.






Quarantena

Teresa aprì la porta della sala medici di una fessura, dalla quale si insinuò sgattaiolando all’interno e trascinando con sé la sua borsa, che, con terrore della donna, per poco non rimase impigliata nella maniglia. Con sguardo indagatore e fare furtivo si guardò intorno sotto le espressioni attonite dei presenti.

«Hai svaligiato una banca e vuoi condividere il bottino con noi povere sfigate?» esordì la Ranieri.

Teresa ridacchiò sotto i baffi. «Molto meglio.»

Si avvicinò al tavolo e scostò i vassoi con i resti della cena poco soddisfacente offerta per gentile concessione della mensa del Morandini e posò ad una ad una le bottiglie di vetro che appesantivano la sua borsa. L’attenzione fu subito concentrata in quell’unico punto: le donne accerchiarono il tavolo.

«Teresa, ma…»

La donna interruppe Esther prima che potesse alludere a ipotetiche abitudini non propriamente salutari.

«Riserva speciale del reparto di neonatologia. Infermiere del turno di notte.»

«Ora si spiega… Ma come le hai avute?»

«Storia lunga» troncò, suddividendo una colonna di bicchieri di plastica.

Rimasta in disparte sino a quel momento, Cristiana si levò in piedi e raggiunse le colleghe. «Non vuole dirci che se n’è appropriata con l’inganno» scherzò sorridendo.

«Dottoressa, le ho prese in prestito…»

Si levò un coro di “seee”, “ma va!”, “a chi la racconti?”, ma Marina interruppe i tentativi di Teresa di giustificarsi.

«Che male c’è a mandar giù qualche bicchiere? Il nostro turno è finito e ce lo meritiamo, dopo il duro lavoro che abbiamo fatto oggi.»

Le colleghe concordarono vivacemente.

 

Non mi ha più parlato.

«Dottoressa Gandini, è sicura di non volere neanche un sorso per distendere i nervi?»

Non mi ha più cercata.

«Dottoressa, sta bene?»

Cristiana sollevò lo sguardo e lo centrò con quello di Teresa, preoccupata. «Sì, sì, grazie, ma preferisco di no.»

 

«Scusate ragazze» Sergio fece capolino dalla porta ed Esther e Marina scattarono davanti al tavolo subito seguite dalla caposquadra.

«Grazie per l’appellativo “ragazze”» esordì, «ma le consiglierei di bussare, la prossima volta.»

«Stavo cercando Malosti» chiarì, non propenso agli scherzi. E di certo non lo troverò in mezzo a donne e alcolici, si disse, ma evitò l’ironia.

«Non è con voi?» s’interessò subito Cristiana.

«Si è allontanato mezz’ora fa con la scusa di un succo di frutta alle macchinette.»

«Ti do una mano a cercarlo, avevo giusto bisogno di sgranchirmi le gambe.»

«Temo dovrò lasciare a te l’onore, io sono distrutto.»

Teresa si fece da parte per far uscire Cristiana.

«Buonanotte» salutò Sergio. «E spero per voi che quella sia acqua.»

«L’avevo detto che qualcuno ci avrebbe beccato!» si lamentò Esther.

 

Cristiana s’incamminò lungo il corridoio illuminato cupamente dalle sporadiche luci al neon, sufficienti perché non si inciampasse, ma abbastanza attenuate da non infastidire il sonno.

Inseguì il suono dei passi che le parve udire innanzi a lei, e infatti ritrovò una figura intenta a sedersi a terra, la schiena poggiata al muro. Accanto a sé posò una bottiglia d’acqua e un pacchetto di qualcosa. Forse biscotti.

«Riccardo» bisbigliò Cristiana dopo averlo riconosciuto. «Mi hai spaventato.» Ma non era così. Sono le solite frasi banali che si dicono quando si vuol fingere sorpresa nell’incontrare qualcuno.

Lui mugugnò qualcosa.

«Posso?» Si sedette accanto a lui prima di ottenere il permesso e deviò lo sguardo verso la conquista dal distributore. «Cioccolato» commentò con espressione paradisiaca.

«Fondente.»

«Non mi piace.»

«L’ho fatto apposta. Così potrò gustarmelo da solo.»

«Grazie tante.»

Fece per alzarsi, ma Riccardo la trattenne poco gentilmente per un braccio, costringendola a ricadere a terra. «Dai, scherzavo. Era l’unica tavoletta rimasta.»

Cristiana poggiò la testa al muro e chiuse gli occhi.

«E poi tu non hai nessun dispiacere da affogare nella teobromina, no?» continuò lui.

La Gandini tornò a guardarlo poco entusiasta di quell’uscita. «Tu sì?»

«Tipo oggi.»

Buttò fuori l’aria infuriata, ma evitò altre dimostrazioni di tedio. E così avrebbe dovuto sorbirsi la seconda ramanzina sul momento di debolezza? Non si sarebbe sottoposta ad un’altra umiliazione del genere, perciò si alzò in piedi, stavolta abbastanza in fretta da non essere bloccata.

Malosti la raggiunse subito dopo.

«Sono stanca di essere presa in giro, Riccardo. Dovremmo stare segregati qui per altri cinque giorni, perciò non sopporterei di lavorare al tuo fianco a queste condizioni.» Fece una pausa, chiarendo con lo sguardo l’intenzione di continuare ancor più prepotente di prima. «Ti dispiace di avermi baciato oggi pomeriggio? Ti dispiace di avermi come collega, ti dispiace avermi conosciuta, ti dispiace che io mi sia innamorata di te, ti dispiace… cosa, Riccardo?»

«Possiamo sempre rimanere amici.»

«Risparmiati queste cazzate da film.»

«Dove vai?» fece eco il suo grido mentre gli zoccoli di Cristiana echeggiavano per i corridoi silenziosi, sempre più veloci nell’allontanarsi, e sempre più colmi di rabbia.

«Ad affogare i miei dispiaceri nell’alcol!»

«Dicono sia molto più efficace della cioccolata, sai?» esclamò sempre più forte, indifferente al parlottio confuso che avevano suscitato nei pazienti e nel personale cui si era interrotto il sonno. Si affannò dietro di lei, senza raggiungerla. «Peccato per le conseguenze epatiche!»

«Dottore, che acciden-» fu il commento di un infermiere dai capelli arruffati, zittito subito da un suo gesto della mano, come a dire che è una storia troppo complicata.

Con uno scatto ridusse la distanza a qualche metro.

«Ti amo anche io, dottoressa Gandini!»

I piedi di Cristiana inchiodarono, mentre attorno a lei le pareti dell’ospedale sembravano chiuderla in gabbia. Alcune porte a vetri dei box più vicini si aprirono timide, mentre il silenzio si ricostituiva più profondo di prima.

Chinò il capo, non sapendo se rassegnarsi al carattere impossibile di Riccardo o se sorridere estasiata a quella insulsa dichiarazione.

Di una cosa, però, era convinta.

Questi cinque giorni saranno molto più complicati di quanto previsto.


 





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Capitolo 16
*** Radiologo ***











Radiologo


«E così esci con un radiologo.»

«Neuroradiologo» puntualizzò Cristiana.

«E così niente ossa rotte.»

«Niente ossa rotte.»

«No, dico: niente ossa rotte.»

«Non sono ancora sorda.»

Riccardo indicò una radiografia appesa al diafanoscopio.

«Ah, scusa, intendevi quella. No, non mi sembra.»

Mugugnò dubbioso.

«Perché non leggi mai i referti della radiologia, invece di chiedere a me?»

«Perché non mi fido dei radiologi.»

Cristiana ridusse gli occhi a una fessura, quindi aprì il foglio intestato che recuperò dentro la busta delle radiografie, del tipico color arancione.

«“Non si evidenziano segni di pregresse fratture”» recitò.

«Ecco. Come fai a fidarti di uno che scrive così?»









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Capitolo 17
*** Sfacciato ***









Sfacciato


Cristiana spuntò da sotto il tavolo, un ciuffo di capelli a coprirle gli occhi.

«Ma che…»

La osservasti farsi forza sulle braccia per tornare in posizione eretta, pronta a sbuffare e a ricomporre la giusta piega dei capelli con le dita.

«Non trovo più la mia agenda» dichiarò irritata, come se fosse stata colpa tua. Iniziò quindi a scompigliare le carte e gli oggetti sparsi sul tavolo, sotto ognuno dei quali avrebbe potuto celarsi l’oggetto della ricerca.

Mugugnasti qualcosa tra te e te e continuasti la lettura distratta del librone di medicina che Ettore aveva lasciato lì, voltando pagina.

«Il tuo spirito di collaborazione è sempre bendisposto nei miei confronti» Cristiana aveva attraversato la stanza e stava – per la seconda volta in dieci minuti – estraendo ogni cosa dal suo armadietto per poi rigettarla all’interno in ordine più sparso di prima.

«Potrebbe essere ovunque. A casa tua, nello studio di Sergio, in tasca di qualche soprabito, sotto questo libro…»

Scaraventasti in mezzo al tavolo il mattone di carta che stavi consultando, giusto per destreggiarti in mosse teatrali.

«Ecco, vedi? La tua agenda non c’è, almeno che non sia questo…» fissasti esitante ciò che aveva liberato il tuo gesto, «libretto rosso dall’aspetto molto simile a un’agenda.»

Cristiana chiuse con un tonfo l’anta dell’armadietto e si catapultò a raccogliere la refurtiva.

Sfogliò velocemente le pagine ordinate, ma gli occhi guardavano te, che attonito la fissavi senza fiatare.

«La prossima volta che vuoi chiedermi di uscire, vieni direttamente da me, invece di consultare la mia agenda.»

«Guarda che io…» L’avevi immaginato sin dall’inizio, che la colpa sarebbe ricaduta su di te, ignaro spettatore dei piani di Cristiana.

Ti stava fissando, le braccia conserte e un sorriso trattenuto.

«Alle otto va bene?» azzardasti, cogliendo l’occasione.

«Ah, oltre che ladro e reticente sei anche sfacciato?»

Non riuscisti a rispondere, spiazzato dalla diabolica costruzione di quella donna.

Avresti potuto dirle che stavi giusto tentando di esporle la tua estraneità ai fatti, o che uscire con lei sarebbe stata l’ultima cosa che avresti voluto, o che invece non aspettavi altro che un gesto, un errore, un cedimento da parte sua per poterla rimproverare e adorare ancora una volta nella sua espressione impaurita e distrutta dalle tue parole sempre troppo violente. La verità sarebbe rimasta sempre la stessa: quello che preferivi di lei era lo stesso sorriso che ti mostrava ora, e che ti assicurava di essere stato corretto nella tua incoerenza.

Alzasti le spalle, senza darle troppa corda né precisare come il tuo ruolo in quella macchinazione si riducesse ad una comparsa.

Cristiana ripose l’agenda nella borsa e tornò sui propri passi. «Alle otto va benissimo, dottore





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Capitolo 18
*** Tetano ***










Tetano

Erano giorni che Malosti non ti guardava in faccia.

Erano settimane che le sue interazioni verbali si limitavano a considerazioni professionali su interventi o medicazioni.

Erano mesi che pensavi a lui, anni che ti chiedevi quale significato dovesse assumere quella leggera incapacità di mantenere distacco e indifferenza ai suoi sguardi, alle sue parole, ai suoi commenti sempre espliciti e crudi nei tuoi confronti.

Sbatti l’anta dell’armadietto dopo avervi catapultato zoccoli e divisa non curandoti del disordine. I tuoi pensieri sono unicamente rivolti alla serata che ti si prospetta: niente occhiatacce di Malosti, niente mugugni indistinti di Malosti, niente bronci di Malosti, niente caffè amari di Malosti, niente Malosti.

Sorridi alle tue prossime dodici ore di libertà, alcol, svago e sonno.

Chissà dove ti avrebbe portato Daniele questa notte.

Ti segni mentalmente un appunto: non ho più vent’anni e non posso permettermi di tornare a casa alle quattro più di un paio di volte a settimana.

Scuoti la testa velocemente, stracciando il post-it virtuale. Al diavolo, si vive una sola volta e ne ho già sprecata metà a rincorrere l’uomo più indisposto del nord Italia.

«Ah, sei qui.»

Bingo.

Il sorriso ti sparisce dalle labbra, lasciando il posto ad una leggera pressione intracranica. Nel portaoggetti dell’auto dovresti avere ancora quella maxi confezione di naproxene… speri possa bastare: la cefalea da Malosti è piuttosto farmaco-resistente.

Era forse sorpreso di vederti ancora lì, magari dopo essersi attardato in corsia perché non dovesse incontrarti in spogliatoio? Non ti volti, aspettando che chiarisse l’esclamazione.

«Ti ho cercata dappertutto.»

Strano, che non ti avesse ancora incolpata di qualcosa. Oggi era il turno della rintracciabilità.

«Ho avuto da fare» replichi, poco fantasiosa ma soprattutto ostentando un completo disinteresse. «E ne ho ancora» aggiungi. Meglio chiarire.

«A proposito di impegni.»

Ti volti, le mani ai fianchi e l’espressione impassibile.

Riccardo si paralizza, scrutando confuso il tuo abbigliamento tutt’altro che monastico.

«Se vedi Guidi» continua, più infuriato, evitando di dirigere lo sguardo alle tue gambe scoperte, «informalo che domattina dovrà presentarsi alle sette e mezza in ospedale, se vorrà ancora diventare medico.»

«Finito?» sbuffi, con freddezza. Sei certa che Riccardo avrebbe preferito tu assumessi una posizione di difesa nei confronti di Daniele, così da poterti aggredirti apertamente. Lo guardi in silenzio, fingendo di lisciarti l’abito.

«Tra le svariate attività che avete in programma questa sera, troverai sicuramente il tempo di riferirglielo» infierisce. Compie qualche passo verso di te, cercando di darsi importanza.

«Sei sempre così delicato… una libellula.»

«E tu pungente come un filo spinato. Arrugginito.»

«Attento, Malosti» ti avvicini a lui, stando al suo gioco, «a non infettarti.»

Riccardo soffoca una risata, giudicando la tua battuta di scadente qualità.

«Sono vaccinato, Gandini.»

«Contro di me o contro il tetano?»

«Purtroppo contro di te non hanno ancora scoperto rimedi. Probabilmente perché sei una causa persa.»

Ti incupisci, disillusa, ferita, amareggiata. La verità è che non ti abituerai mai alle sue insinuazioni, nonostante ogni tentativo di obiettività e mantenimento delle distanze.

Ti domandi se Riccardo si sia accorto di avere oltrepassato la decenza, leggendo la tua espressione affranta.

Ti rispondono i suoi occhi impavidi, beffardi: è una causa persa. Anche la sua.

«Allora stammi lontano» gli intimi, a metà tra il furioso e il malinconico.

Scappi fuori e sbatti la porta con noncuranza, così forte da far tremare la tendina a veneziana.

E da impedire alle parole biascicate di Malosti di raggiungerti.

«Troppo tardi, Gandini.»















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Capitolo 19
*** Ulcera ***








Ulcera

Ingoi l’ennesima compressa Moment.

«Ti farai venire un’ulcera.»

«Finché questo maledetto agente eziologico continuerà a ronzarmi intorno e a insultarmi il cervello, sarò costretta a preferire un po’ di gastrite all’emicrania.»

«Hai provato con l’agopuntura?»

«Detesto la medicina alternativa.»

«Tecniche di rilassamento zen?»

«No.»

«Training autogeno?»

Davvero lo stai ancora ascoltando? Scuoti la testa e alzi gli occhi al cielo, traendo un respiro profondo.

«Tai Chi?»

Lo fissi, sorreggendoti il capo con la mano stretta a pugno.

Riccardo si appoggia al margine del tavolo accanto a te e contempla il tuo viso inespressivo. Grata del silenzio che si era ricreato, socchiudi gli occhi in attesa dell’effetto dell’ibuprofene.

Sei costretta a spalancarli qualche istante dopo, al contatto delle sue dita sui muscoli tesi del tuo collo. Improvvisa qualche manovra fisioterapica, non mancando di trascinare con sé qualche malcapitata ciocca di capelli.

«Sto fingendo di fingere di non aver capito che ti stessi riferendo a me» ti spiega, prima che tu abbia il tempo di formulare una maledizione cinese.

Non ribatti, curiosa di seguire il suo discorso.

«La storia dell’agente eziologico, il mal di testa…» con la coda dell’occhio osservi come stia gesticolando in cerca di un appiglio, che ritrova di nuovo sulle tue spalle.

«Il solito egocentrico» lo metti in riga, la voce bassa.

«Dimostra il contrario.»

«Il tuo altruismo? Da dove potr-»

«No. Che non sono sempre nei tuoi pensieri» ti zittisce, spiazzandoti.

«Ti ho chiesto una diagnosi?» domandi alterata.

«Come pensavo. Sono il miglior medico su piazza.»

«Smettila di fare il dottor House. Ti manca il fascino.»

Ti alzi in piedi, stanca di giocare.

Riccardo alza le spalle. «La tua cura è la tua malattia» sentenzia tronfio, adattandosi all’attribuzione del personaggio.

Apri la bocca per parlare, ma ti limiti a trattenere il fiato, imprigionata dalla verità.

Malosti sorride con aria vittoriosa.


Yoga.

Proverai con lo yoga.











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Capitolo 20
*** Vaffanculo ***





Premessa. Riprende la scena della nona puntata nello studio di Sergio, in cui Cristiana e Riccardo hanno un "leggero" alterco...





Vaffanculo

«Vaffanculo cosa, sentiamo?» chiede di rimando, in una dimensione di pace, come se gli avessi appena fatto un complimento.

Ti fermi sulla soglia, una mano ancora stretta alla maniglia della porta spalancata.

«Non è me che devi mandare al diavolo» aggiunge, sollevandosi dalla sedia con un gemito, «ma quel perdente di Guidi, che se solo avesse avuto un minimo di considerazione nei tuoi confronti…»

«Tu avresti saputo fare di meglio, no?» lo provochi. «Tu sai sempre fare di meglio!»

«Quando ne ho l’occasione.»

Sbatti la porta. «Ce l’hai sempre avuta.»

«Davvero?» ridacchia.

«Sei ridicolo» sibili, disgustata dal sorriso canzonatorio dipinto permanentemente sul suo volto.

«Vedo che oggi si sprecano belle parole.»

«Io le spreco ogni giorno, con te. Il tuo ego sarà soddisfatto: da domani tornerò a dedicarti la massima attenzione.»

«Cioè quella che mi riservi ogni giorno? Guardati. Non sei nemmeno in grado di gestire una relazione con un minorenne.»

«Mi vuoi anche insegnare come comportarmi in una storia d’amore? No, perché tu dovresti rivedere i compiti a casa.»

«Amore? Oh, stiamo passando al metafisico. Avrei giurato ti limitasti a consumare la tua insoddisfazione su un piano meno astratto. Magari un materasso.»

Lo guardi con sdegno, consapevole di non poter esprimere verbalmente l’avversione, l’odio e la delusione nei confronti di chi non sa trattarti diversamente. O non vuole farlo.

«Ecco perché ti sei infuriata» compie qualche passo verso di te, lasciandoti sempre meno aria da respirare. «Sei rimasta senza diversivi su cui dirottare il tuo fervore nei miei confronti.»

«Tu credi sempre che gli altri ti adorino. Che ti venerino, che ti reputino un dio disceso in terra a elargire consigli, a impartire insegnamenti, a dare ordini. Con me non funziona.»

«Puoi pensare quello che vuoi, ma non hai motivo di scagliarti contro di me. Io non ti ho mai abbandonata, io non ti ho mai tradita.»

«Perché tu non mi hai mai avuta!» Le grida ti si trasformano in singhiozzi, la rabbia in un peso sul cuore. «Fino a prova contraria sono ancora una donna libera.»

«E allora perché ti disperi?»

Ti affretti ad asciugare le lacrime e a scostare con due dita tremanti una ciocca di capelli che si è incollata al viso inumidito. Riccardo non ti toglie lo sguardo di dosso, ma stranamente non ti importa di mostrarti vulnerabile o ferita. A differenza sua.

«Se lo ami così tanto, perché non l’hai costretto a restare?»

Cerchi di ritrovare il controllo, ma il tentativo di assumere un minimo di compostezza è destinato a fallire. «Non lo amo!» ti difendi, agguerrita.

«Ah, ho capito» ribatte placido.

«Cosa?» Capisci dal suo ghigno che si aspettava il tuo sollecito.

«Smettila di contraddirmi.»

Allarghi le braccia. «Allora vai a parlare davanti allo specchio.» Mostri l’intenzione di uscire, ma Riccardo non è del tuo stesso parere. «Ho da fare» gli fai presente.

«Tipo andare a chiedere spiegazioni al poppante. Non sai cosa darei per essere presente. “Scusa, Cristiana, ma mi sono ricordato solo adesso che mia madre diceva sempre di non dare confidenza agli estranei”» recita, impostando una voce infantile.

Cancelli ogni distanza portandoti a pochi centimetri dal suo viso.

Pretendi si imprima nella mente la tua espressione, il riflesso lasciato dalle lacrime sulla tua pelle, il tremore delle tue labbra.

Che non dimentichi mai più i tuoi occhi, perché rammenti sempre a quali effetti possano condurre le sue accuse, la sua indelicatezza, la sua impulsività e la crudezza delle sue parole.

Devi sollevare il capo per vincere la differenza di altezza e guardarlo negli occhi. «Tipo correre il più lontano possibile da te» dichiari, premendo forte un dito sul suo petto.

«La fuga è tipica di voi donne, quando avete paura. O quando volete che qualcuno vi segua.»

«Ti piacerebbe così tanto, vero?»

«Che tu ammettessi di avere timore di me, o che corressi a cercarti?»

«Che io ti dessi ragione.»

Malosti sorride, compiaciuto, benché tu abbia toccato il suo nervo scoperto. O forse proprio per questo. «Mi piacciono le sfide.»

«La mia è una sfida. Sopportare le tue insolenze ogni giorno, la tua ruvidezza, la mancanza di umanità e umiltà. Non riesci a comunicare con nessuno che non sia sotto anestesia, vuoi comandare anche se non sei il capo, pretendi di insinuarti nelle vite degli altri per sviare il loro corso a tuo piacimento o favore.»

«Cristiana, ascoltami.» Ti prende per le spalle e ti scuote. Sorpresa dal suo gesto improvviso, lo lasci fare, inerme tra le sue mani.

«No! Sono stanca di ascoltarti, di sottostare alle tue regole del cazzo. Speravo di vederti cambiare, invece sono anni che indosso una benda sugli occhi fingendo di vederti come una persona che non sei. Ho sbagliato tutto, e sto continuando a farlo, Daniele compreso.» Osservi il suo volto, completamente impassibile se non per una ruga sulla fronte. «E ora lasciami andare, altrimenti mi metto a strillare.»

«Lo stai già facendo.»

Il peso del suo corpo ti costringe a indietreggiare sino a impattare poco piacevolmente con la schiena al muro, mentre le sue dita ti circondano i polsi facendoti male. Il suo respiro leggermente alterato ti scalda una guancia, la sua bocca è più in alto della tua.

«Te l’ha mai detto, Guidi, che quando ti arrabbi sei ancora più bella?»

«Vaffanculo Riccardo» ringhi a denti stretti, sollevando le braccia imprigionate dalle sue mani per dimenarti, anche se passivamente.

«Ti ripeti.» Il corpo di Malosti ti schiaccia alla parete, e la sua bocca si impadronisce della tua, togliendoti l’aria e la stabilità sulle gambe.

Le sue mani allentano la presa, ma a te non importa della libertà riconquistata.

Tu vuoi che Riccardo si impadronisca della tua vita ancor di più di quanto abbia già fatto.

Vuoi la sua scontrosità, la sua inflessibilità di scelta e di opinione, vuoi la sua gelosia, le sue controversie con mezzo mondo, la sua impulsività e la paradossale dolcezza delle sue carezze.

«Non puoi prenderti tutto quello che vuoi quando vuoi» chiarisci, con quel poco di razionalità che ti è rimasta. Non c’è convinzione nella tua voce, ma solo l’ennesima scusa per continuare il dibattito.

Appoggi i palmi delle mani aperte sul suo petto, per allontanare da te quello stronzo che tanto ti fa battere il cuore.

«Non farai niente per impedirmelo» il suo respiro intriso dell’aroma di caffè ti solletica il viso.

Scuoti la testa, mentre Riccardo cerca ancora le tue labbra.

Vaffanculo, sentenzi a te stessa.











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Capitolo 21
*** Zucchero ***







Zucchero

 

«Gandini, ho bisogno di una donna.»

Sollevi gli occhi dagli appunti di Ettore, incredula della dichiarazione di Malosti.

«E la stai cercando qui?» domandi, rigirando la penna tra le dita. Lo guardi con stupore, facendogli notare come ti considerasse sotto ogni punto di vista eccetto quello di donna in senso stretto.

Malosti chiude la porta, poi ti rivolge un sorriso storto. «Sto piangendo dal ridere» ti informa.

«Anche io sto per piangere. Di commozione, però.»

Riccardo ti raggiunge e si siede accanto a te, non prima di aver trascinato per due metri una sedia a terra, provocando uno stridio insopportabile.

Fai una smorfia.

«Ti dà fastidio tutto, Gandini.»

«Da che pulpito.» Unisci le mani sul tavolo. «Dunque?» lo solleciti.

«Mercoledì è il compleanno di Dario.»

«Ti ha chiesto un motorino?»

«Non sarebbe ancora vivo, se lo avesse fatto.»

«Dai, Riccardo, sono le esigenze di tutti i ragazzi della sua età… autonomia, fiducia…»

«Dovrete prima passare sul mio cadavere.»

«Come sei drastico.» Chiudi il quaderno, dopo aver scarabocchiato qualcosa. Quindi gli rivolgi tutta l’attenzione cui agognava. «Allora, perché sei qui?»

--- 

«Non mi dire che, con tutti i programmi di cucina che impazzano in tv, non hai ancora imparato a fare il pan di Spagna.»

Scartabelli i vari armadietti della cucina di Riccardo, lucida e affatto usurata, segno indistinto della sua poca propensione a passare ore tra i fornelli. Faresti cambio con la tua anche oggi stesso: il cucinino che ti riserva il tuo appartamento si sta nascondendo dalla vergogna.

«Non guardo la tv. E non guardo i programmi di cucina. Roba da donne annoiate.»

«Allora ci vediamo domani. Io personalmente ho un sacco di faccende da sbrigare, invece. Tipo dormire, anziché passare la notte a farti da aiuto pasticcere.»

Riccardo ti trattiene per un braccio, con la sua solita delicatezza da bisonte. L’anta che stai per richiudere sbatte in un tonfo, dopo che il gesto di Malosti ti ha impedito di accompagnarla sino in fondo. Notando la tua espressione indisposta, molla la presa e tenta con le parole.

«È tuo dovere assicurarti che l’operazione vada a buon fine e che non coinvolga spargimenti di sangue o esplosioni.»

Alzi le sopracciglia. «Mi stupisce che tu possa ammettere di non essere in grado di fare qualcosa.»

Riccardo ti si accosta, quasi a sfiorare i tuoi capelli. Ti irrigidisci, come se un’ape ti stesse calcolando come ammissibile preda. E non trovi le differenze tra le due situazioni. «Sono molte di più le cose che so fare» ti parla all’orecchio, sussurrando quasi fosse una dichiarazione indecente.

Sussulti, assecondando la leggera tachicardia. «Ecco la modestia del Malosti che conosco.» La tua voce trema, mentre sollevi gli occhi a incontrare i suoi.

«E di cui non faresti a meno.»

«Come siamo boriosi, oggi» gli tieni testa. «Mangiato pane e arie?»

Malosti si scosta, lasciandoti spazio a sufficienza per poter riprendere a respirare regolarmente.

«La tizia della mensa mi ha rifilato l’insalata coi pomodori.» Appoggia le mani al bancone della cucina, sorreggendosi come un sacco senza vita.

«A te non piacciono i pomodori» continui l’argomentazione.

Ruota il capo fissandoti, l’espressione cupa.

«Che c’è?» allarghi le braccia, assumendo un’aria innocente.

«Tu sai troppe di cose di me.»

Socchiudi le labbra pronta a ribattere, ma lo stupore non ti consente la giusta obiettività.

--- 

«Venti minuti?!» ti domanda sconvolto, gridando in modo inverosimile per sovrastare il ronzio delle fruste elettriche.

«Ti consiglio di cambiare braccio, ogni tanto, se vuoi prevenire un’epicondilite.»

«Le infiltrazioni me le paghi tu» continua ad urlare, benché non siate al centro di un cantiere edile.

«E ruota bene quelle fruste. Movimenti ampi e circolari» lo istruisci, gesticolando sopra la ciotola con il composto.

«Sei scandalosa, Gandini.»

Boccheggi, ritirando le mani e uscendo il più in fretta possibile dal suo campo visivo, ma continuando a sentire addosso il suo sguardo divertito. Ti rifugi dietro la porta del frigo, cercando un diversivo per sviare la conversazione.

«Dove hai messo la panna?»

Di male in peggio.

«Quale panna?»

«Quella che ti avevo detto di comprare per la torta.»

«Merda.»

Merda.

---

Appollaiata sullo sgabello dell’isola della cucina, lasci ciondolare una gamba, le dita a tamburellare sul ripiano. E Malosti a guardarti, incurante degli schizzi di impasto dovuti alla sua disattenzione.

«Domattina butto giù dal letto il proprietario del negozio di alimentari qui sotto.»

Sbadigli, poggiando la fronte sul bancone. «Siamo di turno, Riccardo» gli ricordi, con voce sommessa e stanca, senza veramente porre attenzione alla sua esposizione minuziosa sul numero e il contenuto delle ricette che aveva compilato per il salumiere del quinto piano nel corso dell’ultimo anno.

Malosti interrompe il suo resoconto magistrale e con la sua voce si quieta anche il brusio delle fruste elettriche.

La casa torna a immergersi nel silenzio profondo della notte, quello che, una volta raggiunto, si ha timore di infrangere, se non per augurarsi sogni d’oro.

Riccardo sospira inarcando le spalle per sgranchirsi. «Che disastro» mormora, studiando la scena che si manifesta dinnanzi a lui. «Non avevi detto che avrebbe triplicato di volume?»

Butti l’occhio nella ciotola. Il composto ti osserva con disprezzo, a dimostrare una cosa sola.

«Avevo anche detto che non eri capace.»

«Mezz’ora che giro quell’affare…» inizia a lamentarsi.

Ti sporgi sul bancone e con un dito raccogli un po’ del contenuto del recipiente.

«No, non farlo!»

«Temi per la mia salute?» gongoli mostrando qualche smorfia esagerata mentre assaggi. Ti volti ad appoggiare la schiena, dandogli le spalle. «Riccardo…»

Ti raggiunge in un attimo, attendendo qualsiasi tua reazione con apprensione.

Tu sorridi.

«Giramenti di testa? Vista annebbiata? Nausea? Dolore epigastrico?»

Ti avvicini fino quasi a sfiorare il suo corpo, mentre lui rimane stranamente immobile, stralunato a soppesare ogni tuo gesto. «Fossi in te» esordisci, picchiettando un dito sul suo petto, «prenderei in seria considerazione l’idea del motorino.»

Malosti ti ferma la mano, stringendola tra le proprie.

«Te l’ho mai detto che non do mai retta alle donne?» sogghigna.

«Fai male» dici, osservando l’intreccio delle vostre dita, che Riccardo si affretta a disfare.

«È venuto così male? Ho seguito le tue istruzioni alla lettera: non è colpa mia se la professoressa non è capace a elargire il proprio saper-»

«Ci hai messo il sale, Malosti.»

Riccardo scoppia a ridere, di fronte alla tua sconfitta serietà.

«Probabilmente perché la mia vita si sta addolcendo troppo, Gandini» ipotizza, scandendo il tuo cognome come tu hai fatto con il suo.

Sposta il peso da una gamba all’altra, barcollando verso di te. Avverti il freddo del marmo del bancone dietro la schiena, a impedire ogni altro tentativo di fuga.

«Dovresti provarti la glicemia, allora, perché dimostrerebbe il contrario» prendi tempo, incerta delle sue intenzioni.

«Sei sempre così demolitiva.»

«Parla chi ha messo sottosopra tutta la cucina senza risultati.»

«Sei stata tu a insistere perché provassi io. Ricordalo, la prossima volta.»

«La prossima volta non ci sarà, perché passerai in pasticceria.»

«Ne sei sicura?»

Annuisci con convinzione, accennando un sorriso.

«Potrei comprarti con qualche giorno di permesso, un paio di cambi di turno…»

«Perché invece non ti arrendi?»

«Perché non sono un codardo.»

Stringi le labbra. «D’accordo. Sentiamo: cosa vuoi che faccia, per soddisfare il tuo ego?»

Gli occhi di Riccardo s’illuminano. «Oh, tante cose, Gandini.»








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