Malosti e Gandini dalla A alla Z di Dea Elisa (/viewuser.php?uid=100271)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amicizia ***
Capitolo 2: *** Buca ***
Capitolo 3: *** Caffè ***
Capitolo 4: *** Debolezza ***
Capitolo 5: *** Eroi ***
Capitolo 6: *** Fretta ***
Capitolo 7: *** Gabbia ***
Capitolo 8: *** Hobby ***
Capitolo 9: *** Insieme ***
Capitolo 10: *** Laringotomia ***
Capitolo 11: *** Maestro ***
Capitolo 12: *** Nuvole ***
Capitolo 13: *** Orme ***
Capitolo 14: *** Perché ***
Capitolo 15: *** Quarantena ***
Capitolo 16: *** Radiologo ***
Capitolo 17: *** Sfacciato ***
Capitolo 18: *** Tetano ***
Capitolo 19: *** Ulcera ***
Capitolo 20: *** Vaffanculo ***
Capitolo 21: *** Zucchero ***
Capitolo 1 *** Amicizia ***
Amicizia
“Ma se un giorno
tu avessi bisogno di aiuto? Voglio dire,
fuori non c’è di certo la coda.”
“Stai insinuando
che io non abbia amici?”
Cristiana scosse la testa.
“Sto dicendo che non hai mai
fatto niente per averli.”
“Ok,
sarò un po’ egoista” si
limitò lui.
“E abbastanza
egocentrico.”
“Ti ho offerto la
cena.”
“L’ho
preparata io.”
“Con i miei
ingredienti.”
“Con la metà
dei tuoi ingredienti.”
“Quindi siamo
pari.”
“Per essere pari
dovresti lavare i piatti, cosa che io
non farò di certo.”
“E non metti in
conto la benzina? Se non erro la macchina
era la mia. Ma posso anche essermi sbagliato.”
“Se la mia non
fosse stata dal meccanico, al corso
d’aggiornamento sarei andata da sola.”
“Confessa che ti
sei divertita.”
“Oh, certo, quella
mezz’ora di discussione su dove andare
a mangiare stasera è stata esaltante.”
La Gandini
appoggiò i piatti dentro il lavandino che
iniziò a riempire d’acqua e Riccardo le si
avvicinò, lasciando scivolare una
mano lungo il suo fianco. “È a questo che servono
gli amici.”
“A litigare o a
lavare i piatti?” ruotò il capo verso di
lui, notando solo in quel momento quanto le fosse vicino. Se si fosse
impegnato
avrebbe anche potuto avvertire il brivido che la fece sussultare.
“Se preferisci, a
lavare i piatti.”
Cristiana chiuse il
rubinetto, mentre la sua espressione
si rabbuiava.
“Che
c’è?”
“C’è
che io non sono tua amica.”
E
non puoi
scaldarmi d’amicizia.
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Capitolo 2 *** Buca ***
Buca
“Ciao.”
Alzi lo sguardo alla donna appena entrata in sala medici, la segui con
gli
occhi poggiare svogliatamente la borsa in mezzo al tavolo e con lei il
cappotto, che libera sotto di esso un elegante abito serale.
Era troppo presto
perché dovesse uscire, ma troppo tardi
perché fosse appena tornata.
“Non dovevi essere
a casa un’ora fa?”
Si avvicina
all’armadietto che apre con la stessa apatica
espressione con cui era entrata.
E, un po’ come
quando in casa i nostri piedi ci
accompagnano di fronte alla dispensa che apriamo senza trovare nulla
che ci
aggrada, Cristiana scosta qualcosa all’interno della teca,
prende in mano uno
specchietto che non osa aprire e lo posa qualche centimetro
più in là, forse
solo per motivare quel suo gesto meccanico di fronte a te.
“Hai mai dato buca
a qualcuno?”
“Intendi forse
a… qualcuna?”
Preme una mano sulla chiusura dell’armadietto che
s’incastra in un clic.
“Non avevo motivo
di non andarci” si passa una mano tra i
capelli, sollevando il ciuffo che si riporta inesorabilmente
dov’era prima.
“Non hai motivo di raccontarmi ogni cosa che fai”
come se fossi tu il suo metro
di giudizio, ma eviti quest’ultima insinuazione.
“Ciao.”
“Cristiana…”
“Lasciami in
pace” raccoglie il soprabito, ma tu le
afferri un braccio e glielo strappi dalle mani.
“Fai apposta o ti
viene naturale, renderti odioso e poi
risolvere il tutto in un colpo di scena, così, in grande
stile Malosti?”
“Chi ti ha dato buca, Gandini?”
Abbassa il capo, e tu ti
chiedi perché continuavi a
pentirti di ogni parola avventata che gettavi su di lei.
Le prendi anche
l’altro braccio e lasci che si giri di
fronte a te.
Ti guarda come se fosse
l’ultima volta che avesse per
farlo.
Ti guarda come se non ci
fosse altro di più importante
che stare ad ascoltarti, lei, che era venuta perché tu la ascoltassi.
“Cristiana.”
Stavolta non avevi fatto
nulla, ne eri quasi certo. E
quel quasi conteneva solamente quella tua arroganza intrinseca che, da
quando
Guidi era apparso tra le vostre vite, non era andata che peggiorando.
Sembra volerti abbracciare,
e stavolta non c’è un quasi,
tra i tuoi pensieri: sei sicuro che
non lo avesse fatto per timore che tu ti scansassi.
“Sono io, ad aver
dato buca a lui.”
Sul tuo volto si dipinge un
sorriso. “Beh, non vedo il
perché di tutti questi sensi di colpa.”
Scuote la testa, e tu smetti
di ridacchiare.
Qual era il motivo?
Perché ancora non
lo avevi capito, nonostante il suo
gesto ti assicurasse di avere tutti gli strumenti per farlo?
Cristiana,
perché
ti stai dannando per non esserti presentata a quel maledetto
appuntamento con
quel ragazzino?
E poi, come se attraverso i
tuoi occhi avesse raggiunto i
centri dei tuoi pensieri, sorride rassegnata.
“Perché,
Riccardo, ora sono qui.”
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Capitolo 3 *** Caffè ***
Caffè
Non che mi piacesse
così tanto, il caffè.
Non che ci andassi matta
come te, che sfruttavi ogni
pausa possibile a incastrare monete ai distributori.
Ma lo adoravo, quando tu ti
avvicinavi a me con l’aroma
di caffè sulle labbra.
Mi piaceva sentirne
l’odore addosso a te, quando
respiravi accanto a me, o quando ti sporgevi troppo, sia che volessi
sia che
non lo facessi apposta.
“Malosti, si
bussa!”
Mi copro con la maglietta
blu della divisa che stavo per
indossare e lo spavento si tramuta presto in una piacevole circostanza
imbarazzante.
“Non ho mai
bussato in vita mia per entrare qui, e,
soprattutto, la sala medici non è uno spogliatoio, Gandini.”
“Solo
perché voi non avete niente da far vedere, non vuol
dire che noi donne non possiamo cambiarci qui!”
Ti porti le mani ai fianchi
e continui a guardarmi,
indeciso sul da farsi. “Dovrei andarmene?” concludi
poi.
“Fai un
po’ te.”
“Andrò a prendermi un caffè.”
“L’hai
già preso.”
Ti volti, stringendo gli
occhi. “Cosa te lo fa pensare?”
Mi avvicino prudentemente,
sorridendo.
Tu non ti sposti, quando la
distanza tra noi rimane
quella impalpabile di un cuscinetto d’aria.
Tu non ti muovi, quando mi
alzo sulle punte dei piedi.
Tu sorridi, quando credi che
ti volessi baciare.
Inspiro il tuo odore, la tua
bellezza, il tuo caffè.
E sorrido io, quando provi a
camuffare il tuo
impercettibile sporgersi per partecipare a quel bacio inesistente in un
gesto
senza fine specifico.
“Si sente,
Malosti.”
Non che mi piacesse
così tanto, il caffè.
Ma lo amavo, quando lo
respiravo dalla tua bocca.
Così come amavo
te.
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Capitolo 4 *** Debolezza ***
Debolezza
L’aveva chiamata
così?
Dannazione.
Se avesse smesso di parlare
anche solo per cinque
secondi, le avrei potuto dire che debolezza
sarebbe stato il termine più improprio che avrei usato per
definire io e lei
avvinghiati in un bacio.
“Sei ancora in
ospedale?”
“Il fatto che tu
mi abbia fatto questa domanda fa in modo
che ti possa anche rispondere da sola.”
Ma il tono di Cristiana era
stato così incredibilmente
sereno che la mia risposta meritava di essere sepolta insieme alle mie
bugiarde
idee sull’insignificanza dell’incontro delle nostre
bocche.
Debolezza.
Quante altre parole
sarebbero state più opportune?
Voglia,
interesse, desiderio,
errore se
avessi voluto fare l’ipocrita, i cui panni mi si addicevano
comunque, proprio
per averle dato ragione.
Se fosse esistito un
vocabolo per indicare una debolezza
eterna, non avrei esitato ad impiegarlo.
Peccato che solo ora mi sia
reso conto che l’unico ad
avere queste conformazioni sia…
“D’accordo.
Buonanotte, Riccardo.”
“Buonanotte”
… amore.
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Capitolo 5 *** Eroi ***
Eroi
“Non siamo eroi.
Non lo siamo mai stati. Anche se ci
comportiamo come tali, anche se ci sforziamo di apparire come tali, non
lo
saremo mai. Siamo solo persone comuni, che cercano di salvare gente
altrettanto
comune, e non è detto che ci riusciamo sempre. Ma non
possiamo dannarci per
ogni paziente che ci muore sotto i ferri dopo aver provato di tutto,
Riccardo.”
“Quelle sono le
cose che diciamo ai parenti per non
essere denunciati o per non sommare la rabbia al dolore,
Gandini.”
Sbatte un fascicolo di
analisi sul tavolo della sala medici,
nemmeno troppo forte, e si lascia cadere su una sedia.
“In
realtà non sempre le cose vanno come dovrebbero,
là
dentro. O prima. Avremmo dovuto fargli ulteriori analisi.”
“Abbiamo fatto
tutte quelle necessarie!”
“Ma non sono mai
abbastanza!”
“Riccardo…”
ti avvicini a lui, piegato con le braccia
stese appoggiate al tavolo.
Si volta verso di te,
infastidito dalle tue parole che
continuavano a smentirlo, arrabbiato con la sorte perché in
sala operatoria c’era
lui, deluso dal destino che aveva avuto la vittima di
quell’incidente.
“Non siamo divini,
non possiamo salvare tutti. Hai fatto
un ottimo lavoro, come sempre, e non c’è niente
per cui ti devi dannare.”
“Una cosa
c’è, invece, e forse la più importante.
È stata
avvertita la moglie?”
“Sì, ma
prima che il paziente entrasse in sala
operatoria. Vuoi che me ne occupi io?”
Ti appoggia le mani sulle spalle, per poi stringerti a sé.
“No, Cristiana. In
quella sala operatoria c’ero io, ed è mio dovere
parlarle. Non siamo eroi… ma
umani sì.”
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Capitolo 6 *** Fretta ***
Fretta
“È
finito tutto
bene” sospiri, lasciandoti cadere sulla poltroncina della
sala medici.
“Poteva
morire.”
“Ma non
è morto” constati, accavallando le gambe.
Lui inizia a camminare
avanti e indietro. “Cinque giorni
qui dentro mi faranno impazzire.”
“Hai sempre detto
che l’ospedale ti rasserena.”
“Quando sono certo
che i miei figli stiano bene.”
“Ora Dario sta
bene.”
“Hai finito di
smentire tutto quello che dico o devo
cambiare stanza affinché tu la smetta di parlare?”
Ti alzi in piedi, indecisa
se vestire indifferenza, rabbia
o rassegnazione.
Aveva mille motivi per
essere nervoso e odioso con i
colleghi, ma fino a prova contraria eravate in ambiente di lavoro,
ragion per
cui ogni problema personale avrebbe dovuto aspettarvi fuori almeno per
altri
quattro maledetti giorni.
“Mi spiace,
Cristiana, sono stato-”
“Uno stronzo,
dillo pure.”
Ti sistemi la maglietta
della divisa e ti prepari a
fuggire.
Non erano bastati nemmeno
quei baci, quei sorrisi, quegli
abbracci e quelle carezze, a stimolarlo a comportarsi con un
po’ più di tatto
nei tuoi confronti.
Eppure, per la prima volta,
ti era parso che ti fosse più
vicino, e non solo in termini fisici.
“Non
c’è fretta di andar via, tanto ho tutta la notte,
per venirti a cercare.”
Ti volti e lo vedi piegare
un angolo della bocca in un sorriso.
“E domani. E
dopodomani.”
“Credi davvero che
io stia scappando da te?”
“Ah, ecco. Quel
frigo ha davvero un’aria minacciosa.”
Annuisci, stando al gioco. “Molto più di te, in
effetti.”
Si solleva dal tavolo al
quale era appoggiato e ti
circonda la vita con un braccio. “Ammetti che ho
più fascino io” ti soffia sul
viso, le labbra a sfiorare il tuo naso.
Avvolgi le braccia attorno
al suo collo, coperta da
quella differenza d’altezza che da vicino sembrava persino
incolmabile.
“Non avevi fretta
di andar via?” si ritrae quando mostri
l’intenzione di baciarlo.
“E tu non avevi
fretta di venirmi a cercare?”
“No, in
realtà-”
Fai scivolare una mano lungo
la sua guancia ruvida,
lasciando scomparire piano il sorriso sulle tue labbra sempre
più vicine alle
sue.
Voleva fare il puntiglioso?
Ti stacchi e indietreggi,
tornando a ridere.
“Dove
vai?”
Raggiungi la porta e la
socchiudi, non staccando gli
occhi da Riccardo. “Chi ha fretta, adesso?”
Corri in corridoio,
consapevole del fatto che giocare ad
acchiapparella con Malosti sarebbe stato il tuo sogno
proibito…
… se fossi stata
alla scuola materna.
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Capitolo 7 *** Gabbia ***
Gabbia
Tetra, scura, immersa nel
buio, se non fosse stato per
quelle luci artificiali così tremendamente bianche.
E tu, che per la prima volta
percepivi quella sala
operatoria come una gabbia, cosa che per te non era mai stata.
“Non riesci a
tenere in mano nemmeno il bisturi,
guardati!” ti aggredisce, puntandoti minaccioso una mano
avvolta dal guanto.
Non sopportavi quando
qualcuno – per giunta al tuo stesso
livello professionale – ti insegnava a fare qualcosa che
già avresti dovuto
saper fare o ti rimproverava sul come lo facevi.
“Quante ore hai
dormito stanotte?” continua il suo
monologo da padre esasperante ed esasperato.
Il bisturi tra le tue mani
non smetteva di tremare, anzi,
le parole di Malosti sembravano trasmettere il nervosismo che avresti
dovuto
provare, e che invece non provavi, direttamente a quello strumento.
Ti volti verso Giulia, che
da dietro la mascherina ti
guardava con quella che ad occhio e croce sembrava compassione. Davvero
facevi
così pena ai tuoi colleghi? E davvero la pensavano tutti
come Malosti, ma non
erano così diretti dal farti presente che eri un chirurgo
quarantenne e non
potevi permetterti di sgarrare nemmeno per una sera?
Abbassi lo sguardo verso le
mani della donna, a cui cedi
il bisturi.
Esci da quella gabbia di
cemento e asetticità senza dare
spiegazioni, perché, per una maledetta volta, ti potevi
concedere di non
svolgere il tuo lavoro.
Te l’aveva detto
Riccardo, no? Non eri in grado di
operare, e ti saresti salvata dai suoi commenti almeno fino a quando
non ti
avesse trovata per la strigliata finale.
Decidi di non farlo
attendere, e, dopo aver sommerso in
un paio di visite di routine i tuoi sensi di colpa per aver mancato di
compiere
il tuo dovere, torni di fronte all’ingresso della sala
operatoria, dove
attendi, appoggiata al muro, la tirata d’orecchie che speravi
fosse la più
veloce e indolore possibile.
“Eccola, la nostra
ragazzina. Ti darei quattordici,
massimo quindici anni.”
“Tu invece stai
superando i settanta.”
“Non sarei qui a
prenderti in giro, cara la mia
dottoressa. Pantofole, sedia a dondolo, copertina sulle gambe,
mogliettina che
prepara la cena…”
“Mogliettina? Ma
chi ti sposa, a te? Sei insopportabile
anche preso a piccole dosi, figurarsi ogni ora del giorno!”
“Ma dimmi te
chi può prendere una donna che alla sua età non
ha ancora capito cosa fare
della sua vita e che va in giro di notte con un ragazzo che potrebbe
essere suo
figlio!”
“Sei
geloso?”
“No!”
grida, evidenziando il contrario.
Ti viene pericolosamente
addosso, stringendoti al muro
senza che i vostri corpi potessero toccarsi.
Inspiri forte, guardando di
fronte a te l’unico uomo che
avresti voluto avere in quelle notti che lui tanto odiava.
“Solo vorrei
sbatterlo al muro così” ti prende per i
fianchi e si porta ad aderire contro di te, che ti lasci sfuggire un
gemito per
l’impeto. “E sfondargli lo stomaco.”
Invece di odiarlo per le
violente parole che stava
rigurgitando a pochi centimetri dalla tua bocca, non fai altro che
protenderti
verso di lui inclinando il capo, assaporando per quei limitati istanti
il
sapore provocante che aveva la sua vicinanza.
Era quella,
l’unica gabbia che avresti potuto eternamente
sopportare.
Quella delle sue braccia e del
suo corpo, sospesa di
fronte a te, ad insultare chi aveva osato prenderne il posto.
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Capitolo 8 *** Hobby ***
Hobby
“Sei acido,
nervoso, sempre sprezzante… ma scegliti un
hobby!”
“Come se avessi
tempo, tornato a casa dal lavoro.”
“Perché
il tempo lo perdi a pensar male della gente!”
“Allora tu ne
occupi una bella fetta.”
“Lo prendo come un
complimento.”
“Non era un
complimento.”
“Lo so”
ti volta le spalle e se ne va, con quella che
sembrava rassegnazione travestita da sorriso.
Prima che avessi il tempo di
scegliere l’insulto più
appropriato da auto-rivolgerti, Cristiana ti punta gli occhi scuri.
“E so anche
che non volevi essere così sincero. Te l’ho detto,
trovati un hobby: faresti
soffrire molta meno gente.”
Era l’ultima cosa
che volevi, farle del male, ma a quanto
pare non riuscivi a liberarti delle bugie che le rifilavi.
Era l’ultima cosa
che volevi, passare il tuo tempo libero
a pensare a lei, ma non potevi farne a meno.
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Capitolo 9 *** Insieme ***
Insieme
“Laura non viene,
Valerio ha già la macchina piena, le
altre sono donne, quindi non mi fido della loro guida.”
“Questo vuol dire
che andremo… insieme?”
“Non
l’avevo considerato, accidenti” piagnucola da finto
disperato.
“In tre metri
quadri…”
“Se vuoi affitto
un camion rimorchio.”
“Come
farò a sopportarti a trenta centimetri di distanza
per due ore?”
“Sei tu che hai
la macchina dal meccanico e mi stai implorando di
accompagnarti.”
“Io e
te…”
“Se preferisci, noi
è più… collettivo. O intimo.”
“Quindi andremo
insieme?”
“La tua sorpresa
mi è nuova, visto che sei tu
l’architetto di questo infallibile piano. Ma quello che mi
sconvolge
maggiormente è il fatto che io ora non ti stia intimando di
andare con Esther e
Marina, o con Giulia, quindi o ho apprezzato così tanto il
tuo tempismo e la
tua organizzazione da assecondare questa tua irrefrenabile voglia di
avere me
come compagno di viaggio, oppure…”
Si blocca, e osserva intorno
a sé quattro mura di cemento
inanimate.
Chiama il nome della sua
collega, che probabilmente si
era volatilizzata durante il suo soliloquio.
“Oppure voglio
davvero essere io ad accompagnarti a quel
maledetto corso d’aggiornamento” borbotta,
guardando la porta chiusa.
“Insieme.”
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Capitolo 10 *** Laringotomia ***
Laringotomia
“Quindi mi sto
ancora chiedendo cosa possa aver portato
mia figlia a prendersi una cotta per Ettore… va bene,
è un bel ragazzo, ma è
molto più grande di lei! Posso anche immaginare che si
tratti di una cosa
momentanea, ma da quando lui le ha detto che non ci potrà
mai essere niente tra
loro, o la trovo in bagno a piangere, o a strafogarsi di cioccolata, o
mi
risponde male e si chiude in camera sua sbattendo la porta!”
Sollevi gli occhi su di lui,
immobile sul divano a
guardare fisso su una mattonella del pavimento, una mano a sorreggersi
il capo.
“Riccardo, mi stai
ascoltando? Mi rendo insopportabile
quando faccio così, lo so…” ti porti
una mano ai capelli scompigliandoli dietro
la testa.
“Nooo. Solo mi fai
venire voglia di praticarti una
laringotomia seduta stante con quel coltello sopra la cucina.”
Si alza veloce in piedi,
raggiungendo la tua espressione
turbata.
Due dita di ciascuna sua
mano ti estendono la testa,
calde attorno al tuo collo e lungo la linea inferiore del volto, fino
al mento,
sorretto dai pollici.
Ti porta sulla direzione dei
suoi occhi, ma, per
mantenerla quando il tuo collo si rende disteso di fronte a lui, devi
abbassarli sin quasi a chiuderli.
“Qui” ti
graffia appena la pelle con un unghia,
tracciando con un bisturi inesistente un taglio verticale di qualche
centimetro.
Respiri, incapace di
deglutire.
O di parlare.
“Tranquilla, dopo
torno a ricucirti.”
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Capitolo 11 *** Maestro ***
Maestro
“Mi sembra di
essere ritornata a scuola…” gli sussurri
sotto le saccenti parole di Danieli, in piedi davanti ad una lavagna
magnetica
ad esporre nuove misure di sicurezza a quanto pare abbastanza
importanti da
aver convocato tutto il reparto.
Riccardo si sporge verso di
te. “Non ci sei già tornata
da un paio di settimane?”
Già pronta a
intervenire per quella sua sin troppo
esplicita allusione, risolvi in un colpo di tosse bacchettata dal
rimprovero di
Sergio.
“Volete starmi a
sentire, laggiù nell'angolino dei
cuoricini rossi? Cristiana, con tutto il posto che
c'è… scegliti un altro
compagno di banco!”
Non eri stata tu, a
scegliere, ma il ritardo di Malosti,
che l’aveva portato a incastrarsi nella prima sedia su cui i
suoi occhi erano
caduti. E ne eri fiera, che il caso avesse scelto te.
Ti alzi non sbuffando solo
perché l’aula era occupata
anche da colleghi sconosciuti, ma Riccardo ti prende un braccio.
“Aspetta. È
colpa mia” si rivolge poi a Sergio, già
spazientito, “non disturberemo più,
prof.”
Se prima gli astanti di quel
siparietto si erano limitati
a portarsi dubbiosi le mani alla testa, non avrebbero di certo potuto farsi
sfuggire
quell’atto di corteggiamento in diretta.
Ti risiedi, accompagnata dal
cigolio caratteristico del
piano pieghevole su cui torni ad appoggiarti.
“Dovrei
ringraziarti?”
“Ritieniti
fortunata di non avermi incontrato venticinque
anni fa tra i banchi di scuola.”
“O di non averti
avuto come maestro alle elementari.”
“Ma quanti anni mi
dai, Gandini?”
“Così
tanti che, se lo sapessero, ti darebbero il posto
di primario di diritto.”
“Ma se tu vai a
letto con chi ha la metà dei tuoi anni,
io…”
“Ma sei davvero
come il mio maestro delle elementari!”
sbraiti.
“Vecchio,
puntiglioso e soprattutto realista?”
“No,
rompipalle!”
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Capitolo 12 *** Nuvole ***
Nuvole
“Questa
assomiglia
ad un cuore sezionato trasversalmente più o meno lungo i
solchi coronarici.”
“Sei
romantico come
la macchinetta del caffè quando
s’inceppa!”
“Ma
perché quella?
Guarda, guarda… il tronco cerebrale… si vedono
anche i ventricoli!”
“I
ventricoli li
vedi solo nella tua testa!”
“Un
pancreas
ingrossato…”
“Dai,
ma sono in
pausa!”
“In
pausa dal
lavoro o in pausa da me?”
“E poi?”
“E poi
è finita la nostra, di pausa.”
Infili uno
sull’altro i bicchierini vuoti di caffè di
Laura ed Esther.
“Ma non ci puoi
lasciare così!”
Tutte e tre osservate
Riccardo inserire un paio di monete
nel distributore accanto al vostro tavolino.
“In
pausa da te? E
come potrei farti un simile dispetto? Tu sei… come le
nuvole. Belle, brutte,
nere, schiumose come la panna montata, dobbiamo prenderle come
vengono.”
“E
io come sarei,
Cristiana?”
Si volta e ti vede
sorridere, colta dal ricordo di ieri.
“Come
la panna
montata. Non è così importante, ma quando manca
senti che quel piatto avrebbe
potuto essere più dolce. E quando c'è non puoi
farne a meno.”
Ti sorride scuotendo la
testa.
Con l’unica
differenza tu non puoi fare a meno di lui in
entrambi i casi.
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Capitolo 13 *** Orme ***
Orme
Una delle innumerevoli cose
che rendono irritante un
risveglio è il non riuscire a definire cosa ci possa aver
destato, oltre alla
mancanza di coordinazione tra corpo, immobile in un prato di lenzuola,
e mente,
marinaia in un mare di ricordi recenti.
Un
campanello in
mezzo alle lacrime…
Labbra
assetate di
pelle…
Sguardi
rapiti,
sorrisi proibiti…
“Ricc-“
Solo il suo odore, sul suo
cuscino. E un’eco dello scatto
della porta che ti ha strappato dai sogni.
Solo le sue orme, a
calpestare la neve fresca sul
viottolo, diventano le testimoni dell’abbraccio chiuso sul
tuo corpo di cui
senti ancora il calore.
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Capitolo 14 *** Perché ***
Perché
“Perché
non mi hai ascoltato?”
“Tu,
perché non
mi ascolti mai! Credi di sembrare più interessante,
più importante, più divertente,
più intelligente?”
“Perché
mi stai sputando addosso queste crudeli
insinuazioni? E poi dici che sono io, il cattivo di turno!”
“Vorrei sapere perché ora rivolti la colpa a
me!”
“Risponditi da
sola.”
“Forse perché ce l’ho sempre
avuta?”
“Ma che
acutezza!”
“Perché
continui a prendertela con me? Ogni medico ha le
sue idee e ce le avrà sempre. Sembra quasi che tu voglia
farmela pagare!”
Non risponde, codardo.
“No, guarda, non
dirmelo proprio, tanto è così.”
“Perché, Cristiana?”
“Ma perché cosa? Non sei tu a dovermi delle
spiegazioni?”
“Perché
non riesco ad odiarti?”
Abbassi le spalle,
impietrita.
Muta.
Perché non si
risponde alle proprie domande.
Note: temo che il finale
non sia comprensibile completamente, perciò cerco di
chiarirlo un attimo: ho scritto "proprie
domande", perché l'ultima domanda, posta da Malosti, in
realtà è potenzialmente attribuibile anche alla
Gandini, che appunto non risponde perché è
consapevole di chiedersi a sua volta, ogni giorno,
perché non riesce ad odiare lui.
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Capitolo 15 *** Quarantena ***
Premessa:
questa one-shot è ambientata dopo la 12esima puntata. Si
tratta dell'episodio in cui il pronto soccorso deve affrontare un caso
di peste, perciò l'ospedale è costretto ad un
isolamento di cinque giorni. Sappiamo che Cristiana e Riccardo si sono
baciati, ma questa volta, a differenza di quella della 2a puntata, la
cosa si fa seria.
Quarantena
Teresa
aprì la porta della sala medici di una fessura,
dalla quale si insinuò sgattaiolando all’interno e
trascinando con sé la sua
borsa, che, con terrore della donna, per poco non rimase impigliata
nella maniglia.
Con sguardo indagatore e fare furtivo si guardò intorno
sotto le espressioni
attonite dei presenti.
«Hai
svaligiato una banca e vuoi condividere il bottino
con noi povere sfigate?»
esordì la Ranieri.
Teresa
ridacchiò sotto i baffi. «Molto
meglio.»
Si
avvicinò al tavolo e scostò i vassoi
con i resti della cena poco soddisfacente offerta per gentile
concessione della
mensa del Morandini e posò ad una ad una le bottiglie di
vetro che
appesantivano la sua borsa. L’attenzione fu subito
concentrata in quell’unico
punto: le donne accerchiarono il tavolo.
«Teresa,
ma…»
La
donna interruppe Esther prima che
potesse alludere a ipotetiche abitudini non propriamente salutari.
«Riserva
speciale del reparto di
neonatologia. Infermiere del turno di notte.»
«Ora
si spiega… Ma come le hai avute?»
«Storia
lunga» troncò, suddividendo una
colonna di bicchieri di plastica.
Rimasta
in disparte sino a quel momento, Cristiana
si levò in piedi e raggiunse le colleghe. «Non
vuole dirci che se n’è
appropriata con l’inganno» scherzò
sorridendo.
«Dottoressa,
le ho prese in prestito…»
Si
levò un coro di “seee”, “ma
va!”, “a
chi la racconti?”, ma Marina interruppe i tentativi di Teresa
di giustificarsi.
«Che
male c’è a mandar giù qualche
bicchiere? Il nostro turno è finito e ce lo meritiamo, dopo
il duro lavoro che
abbiamo fatto oggi.»
Le
colleghe concordarono vivacemente.
Non mi ha più parlato.
«Dottoressa
Gandini, è sicura di non
volere neanche un sorso per distendere i nervi?»
Non mi ha più cercata.
«Dottoressa,
sta bene?»
Cristiana
sollevò lo sguardo e lo centrò
con quello di Teresa, preoccupata. «Sì,
sì, grazie, ma preferisco di no.»
«Scusate
ragazze» Sergio fece capolino
dalla porta ed Esther e Marina scattarono davanti al tavolo subito
seguite
dalla caposquadra.
«Grazie
per l’appellativo “ragazze”»
esordì, «ma le consiglierei di bussare, la
prossima volta.»
«Stavo
cercando Malosti» chiarì, non
propenso agli scherzi. E di certo non lo
troverò in mezzo a donne e alcolici, si disse, ma
evitò l’ironia.
«Non
è con voi?» s’interessò
subito
Cristiana.
«Si
è allontanato mezz’ora fa con la
scusa di un succo di frutta alle macchinette.»
«Ti
do una mano a cercarlo, avevo giusto bisogno
di sgranchirmi le gambe.»
«Temo
dovrò lasciare a te l’onore, io
sono distrutto.»
Teresa
si fece da parte per far uscire
Cristiana.
«Buonanotte»
salutò Sergio. «E spero per
voi che quella sia acqua.»
«L’avevo
detto che qualcuno ci avrebbe
beccato!» si lamentò Esther.
Cristiana
s’incamminò lungo il corridoio illuminato
cupamente dalle sporadiche luci al neon, sufficienti perché
non si inciampasse,
ma abbastanza attenuate da non infastidire il sonno.
Inseguì
il suono dei passi che le parve
udire innanzi a lei, e infatti ritrovò una figura intenta a
sedersi a terra, la
schiena poggiata al muro. Accanto a sé posò una
bottiglia d’acqua e un pacchetto
di qualcosa. Forse biscotti.
«Riccardo»
bisbigliò Cristiana dopo averlo
riconosciuto. «Mi hai spaventato.» Ma non era
così. Sono le solite frasi banali
che si dicono quando si vuol fingere sorpresa nell’incontrare
qualcuno.
Lui
mugugnò qualcosa.
«Posso?»
Si sedette accanto a lui prima
di ottenere il permesso e deviò lo sguardo verso la
conquista dal distributore.
«Cioccolato» commentò con espressione
paradisiaca.
«Fondente.»
«Non
mi piace.»
«L’ho
fatto apposta. Così potrò
gustarmelo da solo.»
«Grazie
tante.»
Fece
per alzarsi, ma Riccardo la
trattenne poco gentilmente per un braccio, costringendola a ricadere a
terra. «Dai,
scherzavo. Era l’unica tavoletta rimasta.»
Cristiana
poggiò la testa al muro e
chiuse gli occhi.
«E
poi tu non hai nessun dispiacere da
affogare nella teobromina, no?» continuò lui.
La
Gandini tornò a guardarlo poco
entusiasta di quell’uscita. «Tu
sì?»
«Tipo
oggi.»
Buttò
fuori l’aria infuriata, ma evitò
altre dimostrazioni di tedio. E così avrebbe dovuto sorbirsi
la seconda
ramanzina sul momento di debolezza? Non si sarebbe sottoposta ad
un’altra
umiliazione del genere, perciò si alzò in piedi,
stavolta abbastanza in fretta
da non essere bloccata.
Malosti
la raggiunse subito dopo.
«Sono
stanca di essere presa in giro,
Riccardo. Dovremmo stare segregati qui per altri cinque giorni,
perciò non
sopporterei di lavorare al tuo fianco a queste condizioni.»
Fece una pausa,
chiarendo con lo sguardo l’intenzione di continuare ancor
più prepotente di
prima. «Ti dispiace di avermi baciato oggi pomeriggio? Ti
dispiace di avermi
come collega, ti dispiace avermi conosciuta, ti dispiace che io mi sia
innamorata di te, ti dispiace… cosa, Riccardo?»
«Possiamo
sempre rimanere amici.»
«Risparmiati
queste cazzate da film.»
«Dove
vai?» fece eco il suo grido mentre
gli zoccoli di Cristiana echeggiavano per i corridoi silenziosi, sempre
più
veloci nell’allontanarsi, e sempre più colmi di
rabbia.
«Ad
affogare i miei dispiaceri
nell’alcol!»
«Dicono
sia molto più efficace della
cioccolata, sai?» esclamò sempre più
forte, indifferente al parlottio confuso
che avevano suscitato nei pazienti e nel personale cui si era
interrotto il
sonno. Si affannò dietro di lei, senza raggiungerla.
«Peccato per le
conseguenze epatiche!»
«Dottore,
che acciden-» fu il commento di
un infermiere dai capelli arruffati, zittito subito da un suo gesto
della mano,
come a dire che è una storia
troppo
complicata.
Con
uno scatto ridusse la distanza a
qualche metro.
«Ti
amo anche io, dottoressa Gandini!»
I
piedi di Cristiana inchiodarono, mentre
attorno a lei le pareti dell’ospedale sembravano chiuderla in
gabbia. Alcune porte
a vetri dei box più vicini si aprirono timide, mentre il
silenzio si
ricostituiva più profondo di prima.
Chinò
il capo, non sapendo se rassegnarsi
al carattere impossibile di Riccardo o se sorridere estasiata a quella
insulsa
dichiarazione.
Di
una cosa, però, era convinta.
Questi cinque giorni saranno molto più
complicati di quanto previsto.
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Capitolo 16 *** Radiologo ***
Radiologo
«E
così esci con un radiologo.»
«Neuroradiologo» puntualizzò Cristiana.
«E
così niente ossa rotte.»
«Niente
ossa rotte.»
«No,
dico: niente ossa rotte.»
«Non
sono ancora sorda.»
Riccardo
indicò una radiografia appesa al diafanoscopio.
«Ah,
scusa, intendevi quella. No, non mi sembra.»
Mugugnò
dubbioso.
«Perché
non leggi mai i referti della radiologia, invece di chiedere a
me?»
«Perché
non mi fido dei radiologi.»
Cristiana
ridusse gli occhi a una fessura, quindi aprì il foglio
intestato che recuperò dentro la busta delle radiografie,
del tipico color arancione.
«“Non
si evidenziano segni di pregresse fratture”»
recitò.
«Ecco.
Come fai a fidarti di uno che scrive così?»
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Capitolo 17 *** Sfacciato ***
Sfacciato
Cristiana
spuntò da sotto il tavolo, un ciuffo di capelli a coprirle
gli occhi.
«Ma
che…»
La
osservasti farsi forza sulle braccia per tornare in posizione eretta,
pronta a sbuffare e a ricomporre la giusta piega dei capelli con le
dita.
«Non
trovo più la mia agenda» dichiarò
irritata, come se fosse stata colpa tua. Iniziò quindi a
scompigliare le carte e gli oggetti sparsi sul tavolo, sotto ognuno dei
quali avrebbe potuto celarsi l’oggetto della ricerca.
Mugugnasti
qualcosa tra te e te e continuasti la lettura distratta del librone di
medicina che Ettore aveva lasciato lì, voltando pagina.
«Il
tuo spirito di collaborazione è sempre bendisposto nei miei
confronti» Cristiana aveva attraversato la stanza e stava
– per la seconda volta in dieci minuti – estraendo
ogni cosa dal suo armadietto per poi rigettarla all’interno
in ordine più sparso di prima.
«Potrebbe
essere ovunque.
A casa tua, nello studio di Sergio, in tasca di qualche soprabito,
sotto questo libro…»
Scaraventasti
in mezzo al tavolo il mattone di carta che stavi consultando, giusto
per destreggiarti in mosse teatrali.
«Ecco,
vedi? La tua agenda non c’è, almeno che non sia
questo…» fissasti esitante ciò che
aveva liberato il tuo gesto, «libretto rosso
dall’aspetto molto simile a un’agenda.»
Cristiana
chiuse con un tonfo l’anta dell’armadietto e si
catapultò a raccogliere la refurtiva.
Sfogliò
velocemente le pagine ordinate, ma gli occhi guardavano te, che
attonito la fissavi senza fiatare.
«La
prossima volta che vuoi chiedermi di uscire, vieni direttamente da me,
invece di consultare la mia agenda.»
«Guarda
che io…» L’avevi immaginato sin
dall’inizio, che la colpa sarebbe ricaduta su di te, ignaro
spettatore dei piani di Cristiana.
Ti
stava fissando, le braccia conserte e un sorriso trattenuto.
«Alle
otto va bene?» azzardasti, cogliendo l’occasione.
«Ah,
oltre che ladro e reticente sei anche sfacciato?»
Non
riuscisti a rispondere, spiazzato dalla diabolica costruzione di quella
donna.
Avresti
potuto dirle che stavi giusto tentando di esporle la tua
estraneità ai fatti, o che uscire con lei sarebbe stata
l’ultima cosa che avresti voluto, o che invece non aspettavi
altro che un gesto, un errore, un cedimento da parte sua per poterla
rimproverare e adorare ancora una volta nella sua espressione impaurita
e distrutta dalle tue parole sempre troppo violente. La
verità sarebbe rimasta sempre la stessa: quello che
preferivi di lei era lo stesso sorriso che ti mostrava ora, e che ti
assicurava di essere stato corretto nella tua incoerenza.
Alzasti
le spalle, senza darle troppa corda né precisare come il tuo
ruolo in quella macchinazione si riducesse ad una comparsa.
Cristiana
ripose l’agenda nella borsa e tornò sui propri
passi. «Alle otto va benissimo, dottore.»
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Capitolo 18 *** Tetano ***
Tetano
Erano
giorni che Malosti non ti guardava in faccia.
Erano
settimane che le sue interazioni verbali si limitavano a considerazioni
professionali su interventi o medicazioni.
Erano
mesi che pensavi a lui, anni che ti chiedevi quale significato dovesse
assumere quella leggera incapacità di mantenere distacco e
indifferenza ai suoi sguardi, alle sue parole, ai suoi commenti sempre
espliciti e crudi nei tuoi confronti.
Sbatti
l’anta dell’armadietto dopo avervi catapultato
zoccoli e divisa non curandoti del disordine. I tuoi pensieri sono
unicamente rivolti alla serata che ti si prospetta: niente occhiatacce
di Malosti, niente mugugni indistinti di Malosti, niente bronci di
Malosti, niente caffè amari di Malosti, niente Malosti.
Sorridi
alle tue prossime dodici ore di libertà, alcol, svago e
sonno.
Chissà
dove ti avrebbe portato Daniele questa notte.
Ti
segni mentalmente un appunto: non
ho più vent’anni e non posso permettermi di
tornare a casa alle quattro più di un paio di volte a
settimana.
Scuoti
la testa velocemente, stracciando il post-it virtuale. Al diavolo, si vive una sola
volta e ne ho già sprecata metà a rincorrere
l’uomo più indisposto del nord Italia.
«Ah,
sei qui.»
Bingo.
Il
sorriso ti sparisce dalle labbra, lasciando il posto ad una leggera
pressione intracranica. Nel portaoggetti dell’auto dovresti
avere ancora quella maxi confezione di naproxene… speri
possa bastare: la cefalea da Malosti è piuttosto
farmaco-resistente.
Era
forse sorpreso di vederti ancora lì, magari dopo essersi
attardato in corsia perché non dovesse incontrarti in
spogliatoio? Non ti volti, aspettando che chiarisse
l’esclamazione.
«Ti
ho cercata dappertutto.»
Strano,
che non ti avesse ancora incolpata di qualcosa. Oggi era il turno della
rintracciabilità.
«Ho
avuto da fare» replichi, poco fantasiosa ma soprattutto
ostentando un completo disinteresse. «E ne ho
ancora» aggiungi. Meglio chiarire.
«A
proposito di impegni.»
Ti
volti, le mani ai fianchi e l’espressione impassibile.
Riccardo
si paralizza, scrutando confuso il tuo abbigliamento
tutt’altro che monastico.
«Se
vedi Guidi» continua, più infuriato, evitando di
dirigere lo sguardo alle tue gambe scoperte, «informalo che
domattina dovrà presentarsi alle sette e mezza in ospedale,
se vorrà ancora diventare medico.»
«Finito?»
sbuffi, con freddezza. Sei certa che Riccardo avrebbe preferito tu
assumessi una posizione di difesa nei confronti di Daniele,
così da poterti aggredirti apertamente. Lo guardi in
silenzio, fingendo di lisciarti l’abito.
«Tra
le svariate attività che avete in programma questa sera,
troverai sicuramente il tempo di riferirglielo» infierisce.
Compie qualche passo verso di te, cercando di darsi importanza.
«Sei
sempre così delicato… una libellula.»
«E
tu pungente come un filo spinato. Arrugginito.»
«Attento,
Malosti» ti avvicini a lui, stando al suo gioco, «a
non infettarti.»
Riccardo
soffoca una risata, giudicando la tua battuta di scadente
qualità.
«Sono
vaccinato, Gandini.»
«Contro
di me o contro il tetano?»
«Purtroppo
contro di te non hanno ancora scoperto rimedi. Probabilmente
perché sei una causa persa.»
Ti
incupisci, disillusa, ferita, amareggiata. La verità
è che non ti abituerai mai alle sue insinuazioni, nonostante
ogni tentativo di obiettività e mantenimento delle distanze.
Ti
domandi se Riccardo si sia accorto di avere oltrepassato la decenza,
leggendo la tua espressione affranta.
Ti
rispondono i suoi occhi impavidi, beffardi: è una causa
persa. Anche la sua.
«Allora
stammi lontano» gli intimi, a metà tra il furioso
e il malinconico.
Scappi
fuori e sbatti la porta con noncuranza, così forte da far
tremare la tendina a veneziana.
E
da impedire alle parole biascicate di Malosti di raggiungerti.
«Troppo
tardi, Gandini.»
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Capitolo 19 *** Ulcera ***
Ulcera
Ingoi
l’ennesima compressa Moment.
«Ti
farai venire un’ulcera.»
«Finché
questo maledetto agente eziologico continuerà a ronzarmi
intorno e a insultarmi
il cervello, sarò costretta a preferire un po’ di
gastrite all’emicrania.»
«Hai
provato con l’agopuntura?»
«Detesto
la medicina alternativa.»
«Tecniche
di rilassamento zen?»
«No.»
«Training
autogeno?»
Davvero
lo stai ancora ascoltando? Scuoti la testa e alzi gli occhi al cielo,
traendo un respiro profondo.
«Tai
Chi?»
Lo
fissi, sorreggendoti il capo con la mano stretta a pugno.
Riccardo
si appoggia al margine del tavolo accanto a te e contempla il tuo viso
inespressivo. Grata del silenzio che si era ricreato, socchiudi gli
occhi in attesa dell’effetto dell’ibuprofene.
Sei
costretta a spalancarli qualche istante dopo, al contatto delle sue
dita sui muscoli tesi del tuo collo. Improvvisa qualche manovra
fisioterapica, non mancando di trascinare con sé qualche
malcapitata ciocca di capelli.
«Sto
fingendo di fingere di non aver capito che ti stessi riferendo a
me» ti spiega, prima che tu abbia il tempo di formulare una
maledizione cinese.
Non
ribatti, curiosa di seguire il suo discorso.
«La
storia dell’agente eziologico, il mal di
testa…» con la coda dell’occhio osservi
come stia gesticolando in cerca di un appiglio, che ritrova di nuovo
sulle tue spalle.
«Il
solito egocentrico» lo metti in riga, la voce bassa.
«Dimostra
il contrario.»
«Il
tuo altruismo? Da dove potr-»
«No.
Che non sono sempre nei tuoi pensieri» ti zittisce,
spiazzandoti.
«Ti
ho chiesto una diagnosi?» domandi alterata.
«Come
pensavo. Sono il miglior medico su piazza.»
«Smettila
di fare il dottor House. Ti manca il fascino.»
Ti
alzi in piedi, stanca di giocare.
Riccardo
alza le spalle. «La tua cura è la tua
malattia» sentenzia tronfio, adattandosi
all’attribuzione del personaggio.
Apri
la bocca per parlare, ma ti limiti a trattenere il fiato, imprigionata
dalla verità.
Malosti
sorride con aria vittoriosa.
Yoga.
Proverai
con lo yoga.
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Capitolo 20 *** Vaffanculo ***
Premessa.
Riprende la scena della nona puntata nello studio di Sergio, in cui
Cristiana e Riccardo hanno un "leggero" alterco...
Vaffanculo
«Vaffanculo
cosa, sentiamo?» chiede di rimando, in una dimensione di
pace, come se gli avessi appena fatto un complimento.
Ti
fermi sulla soglia, una mano ancora stretta alla maniglia della porta
spalancata.
«Non
è me che devi mandare al diavolo» aggiunge,
sollevandosi dalla sedia con un gemito, «ma quel perdente di
Guidi, che se solo avesse avuto un minimo di considerazione nei tuoi
confronti…»
«Tu
avresti saputo fare di meglio, no?» lo provochi.
«Tu sai sempre fare di meglio!»
«Quando
ne ho l’occasione.»
Sbatti
la porta. «Ce l’hai sempre avuta.»
«Davvero?»
ridacchia.
«Sei
ridicolo» sibili, disgustata dal sorriso canzonatorio dipinto
permanentemente sul suo volto.
«Vedo
che oggi si sprecano belle parole.»
«Io
le spreco ogni giorno, con te. Il tuo ego sarà soddisfatto:
da domani tornerò a dedicarti la massima
attenzione.»
«Cioè
quella che mi riservi ogni giorno? Guardati. Non sei nemmeno in grado
di gestire una relazione con un minorenne.»
«Mi
vuoi anche insegnare come comportarmi in una storia d’amore?
No, perché tu dovresti rivedere i compiti a casa.»
«Amore?
Oh, stiamo passando al metafisico. Avrei giurato ti limitasti a
consumare la tua insoddisfazione su un piano meno astratto. Magari un
materasso.»
Lo
guardi con sdegno, consapevole di non poter esprimere verbalmente
l’avversione, l’odio e la delusione nei confronti
di chi non sa trattarti diversamente. O non vuole farlo.
«Ecco
perché ti sei infuriata» compie qualche passo
verso di te, lasciandoti sempre meno aria da respirare. «Sei
rimasta senza diversivi su cui dirottare il tuo fervore nei miei
confronti.»
«Tu
credi sempre che gli altri ti adorino. Che ti venerino, che ti reputino
un dio disceso in terra a elargire consigli, a impartire insegnamenti,
a dare ordini. Con me non funziona.»
«Puoi
pensare quello che vuoi, ma non hai motivo di scagliarti contro di me. Io non ti ho mai
abbandonata, io
non ti ho mai tradita.»
«Perché
tu non mi hai mai avuta!» Le grida ti si trasformano in
singhiozzi, la rabbia in un peso sul cuore. «Fino a prova
contraria sono ancora una donna libera.»
«E
allora perché ti disperi?»
Ti
affretti ad asciugare le lacrime e a scostare con due dita tremanti una
ciocca di capelli che si è incollata al viso inumidito.
Riccardo non ti toglie lo sguardo di dosso, ma stranamente non ti
importa di mostrarti vulnerabile o ferita. A differenza sua.
«Se
lo ami così tanto, perché non l’hai
costretto a restare?»
Cerchi
di ritrovare il controllo, ma il tentativo di assumere un minimo di
compostezza è destinato a fallire. «Non lo
amo!» ti difendi, agguerrita.
«Ah,
ho capito» ribatte placido.
«Cosa?»
Capisci dal suo ghigno che si aspettava il tuo sollecito.
«Smettila
di contraddirmi.»
Allarghi
le braccia. «Allora vai a parlare davanti allo
specchio.» Mostri l’intenzione di uscire, ma
Riccardo non è del tuo stesso parere. «Ho da
fare» gli fai presente.
«Tipo
andare a chiedere spiegazioni al poppante. Non sai cosa darei per
essere presente. “Scusa, Cristiana, ma mi sono ricordato solo
adesso che mia madre diceva sempre di non dare confidenza agli
estranei”» recita, impostando una voce infantile.
Cancelli
ogni distanza portandoti a pochi centimetri dal suo viso.
Pretendi
si imprima nella mente la tua espressione, il riflesso lasciato dalle
lacrime sulla tua pelle, il tremore delle tue labbra.
Che
non dimentichi mai più i tuoi occhi, perché
rammenti sempre a quali effetti possano condurre le sue accuse, la sua
indelicatezza, la sua impulsività e la crudezza delle sue
parole.
Devi
sollevare il capo per vincere la differenza di altezza e guardarlo
negli occhi. «Tipo correre il più lontano
possibile da te» dichiari, premendo forte un dito sul suo
petto.
«La
fuga è tipica di voi donne, quando avete paura. O quando
volete che qualcuno vi segua.»
«Ti
piacerebbe così tanto, vero?»
«Che
tu ammettessi di avere timore di me, o che corressi a
cercarti?»
«Che
io ti dessi ragione.»
Malosti
sorride, compiaciuto, benché tu abbia toccato il suo nervo
scoperto. O forse proprio per questo. «Mi piacciono le
sfide.»
«La
mia
è una sfida. Sopportare le tue insolenze ogni giorno, la tua
ruvidezza, la mancanza di umanità e umiltà. Non
riesci a comunicare con nessuno che non sia sotto anestesia, vuoi
comandare anche se non sei il capo, pretendi di insinuarti nelle vite
degli altri per sviare il loro corso a tuo piacimento o
favore.»
«Cristiana,
ascoltami.» Ti prende per le spalle e ti scuote. Sorpresa dal
suo gesto improvviso, lo lasci fare, inerme tra le sue mani.
«No!
Sono stanca di ascoltarti, di sottostare alle tue regole del cazzo.
Speravo di vederti cambiare, invece sono anni che indosso una benda
sugli occhi fingendo di vederti come una persona che non sei. Ho
sbagliato tutto, e sto continuando a farlo, Daniele
compreso.» Osservi il suo volto, completamente impassibile se
non per una ruga sulla fronte. «E ora lasciami andare,
altrimenti mi metto a strillare.»
«Lo
stai già facendo.»
Il
peso del suo corpo ti costringe a indietreggiare sino a impattare poco
piacevolmente con la schiena al muro, mentre le sue dita ti circondano
i polsi facendoti male. Il suo respiro leggermente alterato ti scalda
una guancia, la sua bocca è più in alto della tua.
«Te
l’ha mai detto, Guidi, che quando ti arrabbi sei ancora
più bella?»
«Vaffanculo
Riccardo» ringhi a denti stretti, sollevando le braccia
imprigionate dalle sue mani per dimenarti, anche se passivamente.
«Ti
ripeti.» Il corpo di Malosti ti schiaccia alla parete, e la
sua bocca si impadronisce della tua, togliendoti l’aria e la
stabilità sulle gambe.
Le
sue mani allentano la presa, ma a te non importa della
libertà riconquistata.
Tu
vuoi che Riccardo si impadronisca della tua vita ancor di
più di quanto abbia già fatto.
Vuoi
la sua scontrosità, la sua inflessibilità di
scelta e di opinione, vuoi la sua gelosia, le sue controversie con
mezzo mondo, la sua impulsività e la paradossale dolcezza
delle sue carezze.
«Non
puoi prenderti tutto quello che vuoi quando vuoi» chiarisci,
con quel poco di razionalità che ti è rimasta.
Non c’è convinzione nella tua voce, ma solo
l’ennesima scusa per continuare il dibattito.
Appoggi
i palmi delle mani aperte sul suo petto, per allontanare da te quello
stronzo che tanto ti fa battere il cuore.
«Non
farai niente per impedirmelo» il suo respiro intriso
dell’aroma di caffè ti solletica il viso.
Scuoti
la testa, mentre Riccardo cerca ancora le tue labbra.
Vaffanculo,
sentenzi a te stessa.
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Capitolo 21 *** Zucchero ***
Zucchero
«Gandini, ho
bisogno di una donna.»
Sollevi gli
occhi dagli appunti di Ettore, incredula della dichiarazione di Malosti.
«E la stai
cercando qui?» domandi, rigirando la penna tra le dita. Lo
guardi con stupore,
facendogli notare come ti considerasse sotto ogni punto di vista
eccetto quello
di donna in senso stretto.
Malosti chiude
la porta, poi ti rivolge un sorriso storto. «Sto piangendo
dal ridere» ti
informa.
«Anche io sto
per piangere. Di commozione, però.»
Riccardo ti
raggiunge e si siede accanto a te, non prima di aver trascinato per due
metri
una sedia a terra, provocando uno stridio insopportabile.
Fai una smorfia.
«Ti dà
fastidio
tutto, Gandini.»
«Da che
pulpito.»
Unisci le mani sul tavolo. «Dunque?» lo solleciti.
«Mercoledì
è il
compleanno di Dario.»
«Ti ha chiesto
un motorino?»
«Non sarebbe
ancora vivo, se lo avesse fatto.»
«Dai, Riccardo,
sono le esigenze di tutti i ragazzi della sua
età… autonomia, fiducia…»
«Dovrete prima
passare sul mio cadavere.»
«Come sei
drastico.» Chiudi il quaderno, dopo aver scarabocchiato
qualcosa. Quindi gli
rivolgi tutta l’attenzione cui agognava. «Allora,
perché sei qui?»
---
«Non mi dire
che, con tutti i programmi di cucina che impazzano in tv, non hai
ancora
imparato a fare il pan di Spagna.»
Scartabelli i
vari armadietti della cucina di Riccardo, lucida e affatto usurata,
segno
indistinto della sua poca propensione a passare ore tra i fornelli.
Faresti
cambio con la tua anche oggi stesso: il cucinino che ti riserva il tuo
appartamento si sta nascondendo dalla vergogna.
«Non guardo la
tv. E non guardo i programmi di cucina. Roba da donne
annoiate.»
«Allora ci
vediamo domani. Io personalmente ho un sacco di faccende da sbrigare,
invece.
Tipo dormire, anziché passare la notte a farti da aiuto
pasticcere.»
Riccardo ti
trattiene per un braccio, con la sua solita delicatezza da bisonte.
L’anta che
stai per richiudere sbatte in un tonfo, dopo che il gesto di Malosti ti
ha
impedito di accompagnarla sino in fondo. Notando la tua espressione
indisposta,
molla la presa e tenta con le parole.
«È tuo dovere
assicurarti che l’operazione vada a buon fine e che non
coinvolga spargimenti
di sangue o esplosioni.»
Alzi le
sopracciglia. «Mi stupisce che tu possa ammettere di non
essere in grado di
fare qualcosa.»
Riccardo ti si
accosta, quasi a sfiorare i tuoi capelli. Ti irrigidisci, come se
un’ape ti
stesse calcolando come ammissibile preda. E non trovi le differenze tra
le due
situazioni. «Sono molte di più le cose che so
fare» ti parla all’orecchio,
sussurrando quasi fosse una dichiarazione indecente.
Sussulti,
assecondando la leggera tachicardia. «Ecco la modestia del
Malosti che
conosco.» La tua voce trema, mentre sollevi gli occhi a
incontrare i suoi.
«E di cui non
faresti a meno.»
«Come siamo
boriosi, oggi» gli tieni testa. «Mangiato pane e
arie?»
Malosti si
scosta, lasciandoti spazio a sufficienza per poter riprendere a
respirare
regolarmente.
«La tizia della
mensa mi ha rifilato l’insalata coi pomodori.»
Appoggia le mani al bancone
della cucina, sorreggendosi come un sacco senza vita.
«A te non
piacciono i pomodori» continui l’argomentazione.
Ruota il capo
fissandoti, l’espressione cupa.
«Che
c’è?»
allarghi le braccia, assumendo un’aria innocente.
«Tu sai troppe
di cose di me.»
Socchiudi le
labbra pronta a ribattere, ma lo stupore non ti consente la giusta
obiettività.
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«Venti
minuti?!»
ti domanda sconvolto, gridando in modo inverosimile per sovrastare il
ronzio
delle fruste elettriche.
«Ti consiglio di
cambiare braccio, ogni tanto, se vuoi prevenire
un’epicondilite.»
«Le
infiltrazioni me le paghi tu» continua ad urlare,
benché non siate al centro di
un cantiere edile.
«E ruota bene
quelle fruste. Movimenti ampi e circolari» lo istruisci,
gesticolando sopra la
ciotola con il composto.
«Sei scandalosa,
Gandini.»
Boccheggi,
ritirando le mani e uscendo il più in fretta possibile dal
suo campo visivo, ma
continuando a sentire addosso il suo sguardo divertito. Ti rifugi
dietro la
porta del frigo, cercando un diversivo per sviare la conversazione.
«Dove hai messo
la panna?»
Di male in
peggio.
«Quale panna?»
«Quella che ti
avevo detto di comprare per la torta.»
«Merda.»
Merda.
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Appollaiata
sullo sgabello dell’isola della cucina, lasci ciondolare una
gamba, le dita a
tamburellare sul ripiano. E Malosti a guardarti, incurante degli
schizzi di
impasto dovuti alla sua disattenzione.
«Domattina butto
giù dal letto il proprietario del negozio di alimentari qui
sotto.»
Sbadigli,
poggiando la fronte sul bancone. «Siamo di turno,
Riccardo» gli ricordi, con
voce sommessa e stanca, senza veramente porre attenzione alla sua
esposizione
minuziosa sul numero e il contenuto delle ricette che aveva compilato
per il
salumiere del quinto piano nel corso dell’ultimo anno.
Malosti
interrompe il suo resoconto magistrale e con la sua voce si quieta
anche il
brusio delle fruste elettriche.
La casa torna a
immergersi nel silenzio profondo della notte, quello che, una volta
raggiunto,
si ha timore di infrangere, se non per augurarsi sogni d’oro.
Riccardo sospira
inarcando le spalle per sgranchirsi. «Che disastro»
mormora, studiando la scena
che si manifesta dinnanzi a lui. «Non avevi detto che avrebbe
triplicato di
volume?»
Butti l’occhio
nella ciotola. Il composto ti osserva con disprezzo, a dimostrare una
cosa
sola.
«Avevo anche
detto che non eri capace.»
«Mezz’ora che
giro quell’affare…» inizia a lamentarsi.
Ti sporgi sul
bancone e con un dito raccogli un po’ del contenuto del
recipiente.
«No, non farlo!»
«Temi per la mia
salute?» gongoli mostrando qualche smorfia esagerata mentre
assaggi. Ti volti
ad appoggiare la schiena, dandogli le spalle.
«Riccardo…»
Ti raggiunge in
un attimo, attendendo qualsiasi tua reazione con apprensione.
Tu sorridi.
«Giramenti di
testa? Vista annebbiata? Nausea? Dolore epigastrico?»
Ti avvicini fino
quasi a sfiorare il suo corpo, mentre lui rimane stranamente immobile,
stralunato a soppesare ogni tuo gesto. «Fossi in
te» esordisci, picchiettando
un dito sul suo petto, «prenderei in seria considerazione
l’idea del motorino.»
Malosti ti ferma
la mano, stringendola tra le proprie.
«Te l’ho mai
detto che non do mai retta alle donne?» sogghigna.
«Fai male»
dici,
osservando l’intreccio delle vostre dita, che Riccardo si
affretta a disfare.
«È venuto
così
male? Ho seguito le tue istruzioni alla lettera: non è colpa
mia se la
professoressa non è capace a elargire il proprio
saper-»
«Ci hai messo il
sale, Malosti.»
Riccardo scoppia
a ridere, di fronte alla tua sconfitta serietà.
«Probabilmente
perché la mia vita si sta addolcendo troppo, Gandini»
ipotizza, scandendo il tuo cognome come tu hai fatto con
il suo.
Sposta il peso
da una gamba all’altra, barcollando verso di te. Avverti il
freddo del marmo
del bancone dietro la schiena, a impedire ogni altro tentativo di fuga.
«Dovresti
provarti la glicemia, allora, perché dimostrerebbe il
contrario» prendi tempo,
incerta delle sue intenzioni.
«Sei sempre
così
demolitiva.»
«Parla chi ha
messo sottosopra tutta la cucina senza risultati.»
«Sei stata tu a
insistere perché provassi io. Ricordalo, la prossima
volta.»
«La prossima
volta non ci sarà, perché passerai in
pasticceria.»
«Ne sei sicura?»
Annuisci con
convinzione, accennando un sorriso.
«Potrei
comprarti con qualche giorno di permesso, un paio di cambi di
turno…»
«Perché invece
non ti arrendi?»
«Perché non
sono
un codardo.»
Stringi le
labbra. «D’accordo. Sentiamo: cosa vuoi che faccia,
per soddisfare il tuo ego?»
Gli occhi
di
Riccardo s’illuminano. «Oh, tante cose,
Gandini.»
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