GIORNI CONTATI

di remsaverem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP.1 ***
Capitolo 2: *** CAP 2 ***
Capitolo 3: *** cap 3 ***
Capitolo 4: *** cap 4 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***
Capitolo 8: *** Cap 8 ***
Capitolo 9: *** Cap 9 ***
Capitolo 10: *** Cap.10 ***



Capitolo 1
*** CAP.1 ***


“Sto cominciando a preoccuparmi…”

“Sto cominciando a preoccuparmi…”

Morgan guardò l’orologio l’ennesima volta. Erano quasi le undici e Reid ancora non era arrivato. Lo avevano chiamato a casa e al cellulare, non aveva risposto nessuno.

Non era da lui tardare tanto e non avvertire.

“E se fosse successo qualcosa a sua madre?” buttò là JJ, d’un tratto “Magari è alla clinica!”

Effettivamente era un’ipotesi sensata! Come aveva fatto a non pensarci? Morgan afferrò il telefono.

“Bene, allora me ne accerto…”

“Non sei troppo apprensivo?” commentò Emily

“Con il mestiere che facciamo, direi di no” fece lui, di rimando, componendo rapidamente il numero.

In quel mentre Hotch fece il suo ingresso nell’ufficio.

“Si…ho capito…si, si…certo. No, non sono un familiare, sono un collega. Se doveste vederlo, fategli sapere che l’ho cercato. Sì. Morgan. Agente Derek Morgan…”

“Beh, che succede?”

Aron guardò uno ad uno i suoi colleghi: l’atmosfera insolita che c’era quel mattino si sentiva al tatto.

“Reid non si è presentato” spiegò, prontamente, JJ “e non riusciamo a contattarlo”

Hotch si massaggiò il mento, e diede anch’egli uno sguardo all’orologio.

“Reid non fa mai tardi” sentenziò.




“REID! REID sei lì?”

Due colpi vigorosi sulla porta. Il campanello aveva suonato più volte invano.

Era mezzogiorno passato e non avevano avuto nessuna notizia dal loro collega. Alla fine, Morgan aveva avuto da Hotch il permesso di andare a casa sua a controllare.

Reid viveva solo: l’idea di un malessere, o di un incidente domestico non erano completamente da scartare. All’ennesimo richiamo caduto nel vuoto, l’agente decise di ricorrere a mezzi meno ortodossi: scassinò la serratura ed aprì.

“Reid!?”

La casa era assolutamente silenziosa. A quell’ora del giorno nel palazzo non doveva esserci nessuno.

Avanzò nell’ingresso: tutto era in ordine, le serrande semi abbassate per la notte, la tavola apparecchiata per una sola persona, piatti e posate ancora puliti, la sedia al suo posto. Reid non doveva essere rientrato per cena.

“Reid?” lo chiamò di nuovo, mentre sentiva salire nel petto una stana ansia “…Spencer?”

Procedette nella camera.

Vuota.

Il letto in ordine. Le pantofole a terra e il pigiama ripiegato sul cuscino.

“Ma dove diavolo sei andato, ragazzo?”

Morgan accese la luce.

E fu allora che vide la scritta.

Rossa come il sangue, a grandi caratteri, sul vetro.

“TROVAMI, JASON”




Jason Gideon fece il suo ingresso nel quartier generale del B.A.U. Il suo arrivo fu notato da diversi colleghi che sporsero le teste al di sopra dei separè delle loro scrivanie per osservare il più noto profiler che Quantico avesse mai avuto fare il suo ritorno.
Senza guardarsi intorno Gideon attraversò il lungo atrio fino alla sala comune, dove gettò un fascicolo di carta proprio sulla scrivania dove erano stati già disposti alcuni ingrandimenti fotografici del luogo del rapimento.
“Prendiamo questo bastardo!” fu tutto ciò che disse, cominciando ad aggirarsi per la stanza come un leone in gabbia.
Il resto della squadra si guardò l’un l’altro. Non un ciao, non un come state, niente. Solo Gideon.
“Il soggetto…” cominciò Morgan, il primo a riprendersi del gruppo.
“So già tutto…” lo interruppe subito Gideon. “Vi ricordate di lui vero?” domandò senza preamboli.
“Dev’essere un caso molto vecchio, forse ho qui l’incarta…”cominciò Garcia frugando in uno scatolone.
“Certo” fece prontamente Hotch “Joel Bird, mi ricordo di lui. Tu Gideon avevi collaborato alle indagini vero? Dopo ogni rapimento tracciava col sangue delle vittime una scritta sul muro: trovatemi. Le teneva in vita solo per un certo lasso di tempo, dopodichè…”
“Io non ne so nulla” lo interruppe Prentiss.
“Ovvio, non c’eri ancora” le rispose Morgan “prima che riuscissero a beccarlo, all’epoca questa squadra non esisteva: aveva già fatto fuori sette persone!”.
“L’ottava sono riusciti a salvarla, ma quando gli agenti sono arrivati sul posto l’S.I. non c’era e da allora non se n’è più saputo nulla. Fino ad oggi” ricapitolò Jj.
“Giusto, ma perché Reid?” chiese Morgan rivolto a nessuno in particolare.
“Potrebbe averlo preso, perché era il più facile da colpire” buttò lì Prentiss.
Gideon scosse la testa “non credo. Se avesse voluto avrebbe potuto colpire ciascuno di voi. Anche me. Non eravamo noi a interessargli… Gli interessava Reid…per un motivo ben preciso”.
“E quale?”domandò Morgan dopo un po’ “E soprattutto, perché si è indirizzato esplicitamente a te? Dovrebbe saperlo che non fai più parte della squadra da tempo. La stampa ne ha parlato”.

La stampa ne aveva parlato, era vero. Non molto, di fatto, ma abbastanza da non passare inosservato a qualcuno che…che stesse seguendo le sue mosse. Un serial killer che non aveva più colpito, che si era senza ragioni fermato. Dopo essere stato trovato. Dopo che lui lo aveva trovato.
“L’ha preso per me!” esclamò Gideon ad un tratto, con la fronte appoggiata alla finestra “sono stato io, anni fa, a fermare i suoi omicidi. L’ha preso per me!”

***

[NOTA: QUESTA FANFICTION È OPERA DI GLENDA & REM]

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Capitolo 2
*** CAP 2 ***


Era buio

Era buio.

Un buio assoluto, opprimente.

Il pavimento sapeva di muffa, e sentiva uno strano sapore nella bocca. Doveva essere sangue: il sangue che scendeva in un rivolo dalla ferita alla tempia e gli aveva imbrattato il lato destro del volto. La testa gli faceva male. Provò a alzare un braccio, per andare a tastare il punto ferito, ma i suoi polsi erano immobilizzati dietro la schiena e nel compiere quel semplice gesto sentì qualcosa tagliargli la pelle. Doveva averlo legato con un materiale rigido: plastica, forse, o roba sintetica. Cercare di muoversi era controproducente.

Provò a tirarsi su, facendo leva solo sulla forza delle gambe e sostenendosi alla parete. Voleva guardarsi in giro, capire dov’era, almeno…S’appoggiò su un ginocchio, la testa ondeggiò e migliaia di piccole sfere colorate balenarono davanti ai suoi occhi.

La porta si aprì, lasciando entrare uno spiraglio di luce.

“Sta’ buono, ragazzo, o accorcerai il tempo”

Un paio di grosse mani lo afferrarono per le spalle e lo sollevarono quasi di peso, aiutandolo a mettersi seduto. La voce dello sconosciuto era calma, fredda, con un pizzico di sadismo nascosto in sottofondo: la voce – pensò Reid – di una persona che pensa di star svolgendo un “lavoro”, ma che comunque prova un certo piacere nel farlo.

I-il tempo non si può accorciare…è…una concezione oggettiva, a…a meno che n-non si parli del proprio tempo personale…”

Reid strizzò gli occhi, cercando di mettere a fuoco la sagoma che si muoveva davanti a lui.

“Esatto. Tempo personale. Il tempo che hai ancora da vivere”

Un brivido passò sulla schiena di Reid, gelido come il ghiaccio.

I-il t-tempo che ho da vivere?” balbettò, sbattendo le ciglia.

L’uomo si piazzò davanti a lui, e, piegandosi sulle gambe, venne trovarsi alla sua stessa altezza. Reid non riusciva a vedere per l’oscurità e il sangue rappreso che gli era colato sulle ciglia dell’occhio destro, ma sentiva quella vicinanza così invadente, così morbosa, che violava il suo spazio e sembrava provarci gusto.

“Dimmi una cosa, Spencer” sentì dire, talmente vicino che poteva avvertire persino il respiro dell’interlocutore “ti manca Gideon?”

Quella semplice richiesta lo turbò. Un turbamento profondo, insistente, che non riuscì a cacciare.

Non aveva ancora capito perché era lì, e chi era l’uomo – l’S.I. – che lo aveva aggredito e colpito in casa sua, che subito la faccenda si complicava, e la sua emotività si trovava messa di fronte ad una domanda che nemmeno in condizioni assai più semplici avrebbe voluto affrontare.

Gideon. Gideon. Gideon.

Quante volte si era ripetuto quel nome nella testa, quasi sperando di essere sentito? Quante volte aveva desiderato sentirlo, solo per dirgli quanto gli aveva fatto male?

Gideon.

La persona che aveva amato come un padre, che gli era stato così vicino, che era stato forse la presenza più importante, nella sua vita.

Gideon.

Colui che era sparito così, lasciandogli solo una penosa lettera. Lasciandolo solo.

Ma non poteva indugiare sui sentimenti, in quel momento. Non se lo poteva permettere. Doveva seguire l’SI, le sue parole – la sua mente - e ricavarne quei piccoli frammenti che, messi insieme nel modo giusto, diventavano indizi.

Li conosceva.

Conosceva entrambi e lui non si trovava lì per una scelta casuale.

Doveva farlo parlare, e, per riuscirci, il modo migliore era assecondare le sue richieste, anche quelli che facevano male.

“Se n’è andato e ho sofferto. Certo che mi manca”

Sentì l’uomo emettere un lieve suono dalle labbra: fu quasi certo che avesse sorriso.

“Bene Spencer” disse “Sei sincero”

Con una mano gli sollevò il mento: Reid ebbe un tremito e per un attimo si sentì terribilmente indifeso. Lui lo stava fissando di certo negli occhi.

“…E dimmi, piccolo Spencer: Gideon ti vuole bene?”

Reid avrebbe potuto rispondere semplicemente di sì. O avrebbe potuto anche, meno semplicemente, rispondere di no. Ma ciò che faceva male, era che né una cosa né l’altra erano vere. Gideon non faceva più parte della sua vita. Tutto qui. Il bene o il male sparivano, di fronte a questo.

“Siamo stati colleghi per quattro anni” disse “Siamo stati molto amici”

Un attimo di silenzio. Poi un colpo violento percosse il viso di Reid. Gli sfuggì un grido.

“TI HO CHIESTO SE TI VUOLE BENE, RISPONDI ALLE DOMANDE!”

I-io…” Spencer esitò, spaventato. Adesso la calma fredda nella voce dell’S.I. si era trasformata in isteria: quel cambiamento repentino per un istante gli ricordò Rapahel, ed ebbe paura.

S-sì…io…credo…credo che…che me ne abbia voluto…”

Sentiva il sapore del sangue in bocca: la violenza di quello schiaffo gli aveva ferito il labbro.

“Bravo Spencer” disse l’uomo, tornato calmo “così va meglio”

Gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle e le strinse vigorosamente.

“…ancora una domanda, ragazzo. Pensi che lui ti troverà?”

Reid non sapeva cosa rispondergli: cosa voleva sentirsi dire? Che tipo di rassicurazioni stava cercando? Non riusciva a capirlo, non aveva sufficienti elementi per farlo, e l’angoscia ed il dolore fisico non aiutavano a formulare ipotesi.

“Io…G-gideon sa fare il suo lavoro…”

“Dunque ti troverà…”

Reid deglutì rumorosamente

“Lui…non fa più parte della squadra…”

“Andiamo, Spencer…”

L’uomo emise una mezza risata, che, dal suono, alla mente del ragazzo apparve come un ghigno, e estrasse un foglio piegato in quattro.

“…questa bella lettera non l’ha scritta per la squadra…”

Si alzò: doveva essere alto, - pensò Reid - si sentiva come sovrastato dalla sua figura. Ma poteva essere un’impressione dettata dal suo stato di confusione e dalla sua condizione di impotenza.

“Lui ti cercherà e ti troverà. Io desidero che ti trovi. Ma prega che ti trovi presto, perché il veleno che ti ho iniettato agisce in pochi giorni. E le ultime ore sono estremamente dolorose”




[QUESTA FANFICTION È STATA SCRITTA DA GLENDA E REM]

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Capitolo 3
*** cap 3 ***


“Era un chimico, lui…era un chimico” esordì Gideon dopo un momento di riflessione

“Era un chimico, lui…era un chimico” esordì Gideon dopo un momento di riflessione.
Non era stato facile prenderlo, per niente facile.

Quando la polizia di Las Vegas si era resa conto di trovarsi davanti a un efferato serial killer, questi aveva già fatto sette vittime. L’ottava l’avevano salvata, ma per un soffio. Gideon aveva collaborato da esterno alle indagini, come consulente. E, da bravo profiler, aveva indicato come ritrovare l’ultima persona scomparsa.

Janine Lewis era stata trovata dopo una caccia all’uomo durata giorni, ma quando la squadra di salvataggio era giunta sul luogo, l’S.I., per chissà quali fortuite coincidenze o per ingegnosa intuizione, se n’era già andato. Probabile che avesse seguito tutte le operazioni di recupero dell’ostaggio nascosto nelle vicinanze, rodendosi per la rabbia e rimuginando vendetta per chi aveva osato ostacolare i suoi piani.

Poteva essere questa la causa scatenante della sua “sfida” nei confronti di Gideon?

Nessuno poteva dirlo con certezza.

Certo era il fatto che Reid era nelle sue mani, già da molte ore.

“Usava un metodo per uccidere le sue vittime” continuò Gideon fissando la porta dell’ufficio, quasi aspettandosi di veder comparire Reid, un po’ trafelato, ma vivo e perfettamente in forma.
“Veleno” sibilò Morgan.

“A lui piaceva torturarle, prima dell’inevitabile fine, di cui loro erano sempre consapevoli” si costrinse ad aggiungere Gideon “Joel Bird è un uomo di cinquantadue anni, alto quoziente d’intelligenza, laurea ad Harvard, master in Chimica e farmacologia applicata, un dottorato. Studente modello e primogenito di Rhonda e Sean Bird ricchi possidenti della Virginia, Niente fratelli, pochissimi amici, a 23 anni già lavorava in un’importantissima casa di prodotti chimici: La Bauer”.
“Un curriculum ineccepibile” mormorò Prentiss “Poi cos’è successo?”.

“Di preciso non lo sappiamo”ammise Gideon riluttante. Si vedeva che quel dettaglio, che ancora non aveva portato alla luce, lo infastidiva più del dovuto “ad ogni modo ad un certo punto si è licenziato e…”

“Poco dopo ha dato inizio alla sua attività di rapitore e assassino” terminò per lui Hotch.

“...Ma se è stato così astuto da non farsi prendere per ben sette omicidi, come sei riuscito a trovare l’ottava vittima?” domandò Prentiss.

“Con un po’ di fortuna” rispose Gideon sommesso. Si augurava di averne anche in questo caso…gliene sarebbe servita parecchia, di fortuna.

Reid dove sei?

“Gideon ehi, Gideon” fece Prentiss, leggermente preoccupata.

“Oh scusa, dicevi come l’ho trovato? Ho parlato con genitori, insegnanti maestri, abbiamo guardato sui suoi file, ma niente che sembrasse rilevante, poi…”

Poi, dopo nottate e ore passate a scorrere immagini e a leggere documenti vari alla ricerca di qualche indizio, gli era venuto in mente che avrebbe potuto essere nel luogo dove una volta sorgeva una fabbrica di fertilizzanti chimici dove aveva lavorato in passato.

Adesso però quel luogo non esisteva più. L’avevano raso al suolo e su quell’area adesso sorgeva una palestra.

Dunque l’interrogativo più pressante continuava a porsi: dove si trovava Reid?




Aveva perso il senso del tempo.

Dovevano essere passate ore ed ore.

Sentiva la testa ovattata, le palpebre pesanti, come per un principio di febbre. Aveva chiuso gli occhi a tratti, in un dormiveglia confuso e interrotto. Non riusciva più a sopportare quell’oscurità: desiderava vedere dov’era, orientarsi. Gli pareva di galleggiare nell’oscurità: era una sensazione che lo stava facendo impazzire. Detestava il buio. Lo aveva sempre detestato. Gli metteva addosso un’angoscia ancestrale che non riusciva bene a spiegare.

“Ti prego, non lasciarmi qui così!” gridò ad un tratto “Accendi almeno una luce, ti prego!”

Gli rispose solo l’eco della propria voce.

La stanza doveva essere completamente sgombra per permettere ai suoni di amplificarsi così. E i soffitti dovevano essere alti. Anche il pavimento era ruvido, rustico…forse si trovava in una vecchia colonica, in un casolare di campagna…La sua mente si sforzava di costruire dei punti di riferimento, per arginare quel senso di vuoto in cui gli sembrava di annegare.

Veleno!

Davvero quell’uomo voleva ucciderlo così…senza che lui stesso potesse saperne la ragione?

“Ragione”. Che parola assurda, in una situazione come quella. L’s.i. era uno psicopatico, non agiva secondo la ragione comune. Ma le sue, di ragioni, quali erano? Perché quell’ossessione per Gideon? Doveva arrivarci. Doveva capirlo. Conoscere il proprio rapitore poteva essere la sua sola possibilità di salvezza. A meno che…

“…Hotch, Morgan…aiuto…” sussurrò a mezza voce, reclinando la testa, sempre più pesante, sul pavimento gelido.

Era spaventato. L’idea che nel suo corpo fosse stata iniettata una sostanza che lo avrebbe ucciso era angosciante. Ma doveva cercare di state fermo e calmo.

L’S.I. gli aveva detto che più si fosse agitato, più si sarebbe accorciato il tempo che gli restava da vivere. Perché lo aveva avvertito? Voleva tenerlo in vita il più a lungo possibile?

Gli tornarono in mente le sue ultime parole: “Io desidero che ti trovi”, aveva detto. Era come l’attesa di un appuntamento…e l’attesa lo eccitava. Si divertiva a vedere quanto tempo avrebbero impiegato i suoi compagni a cercarlo, si divertiva a tenerli sulle spine, a girare la clessidra per loro. E tuttavia voleva essere trovato. Da Gideon.

Questo significava una sola cosa: Gideon conosceva l’S.I. lo aveva già incontrato, sapeva con chi aveva a che fare. E sapeva – anche – cosa gli stava accadendo in quel momento.

Jason Gideon, il migliore di tutti i profiler, l’uomo che gli aveva insegnato tanto, la persona a cui avrebbe affidato la propria vita ad occhi chiusi.

Lo avrebbe trovato. Gideon lo avrebbe trovato.

Non doveva aver paura.




L’idea di essere la causa più o meno diretta del rapimento di Reid non lo rallegrava, tutt’altro.
Ma per il bene di Reid non doveva pensarci. Doveva rimanere concentrato sul caso, analizzarlo con obiettività, solo così avrebbe potuto essere d’aiuto. Così come lo era stato in passato, con l’ottava vittima di Bird. A quel tempo non conosceva nemmeno Reid. Quel nome non gli avrebbe detto nulla, a meno che non fosse diventato una delle vittime dell’s.i.
Adesso invece…
Si scrollò di dosso quei pensieri e si impose di pensare con lucidità.
“Possibile che quest’uomo non abbia lasciato più tracce?” si domandava Morgan studiando il fascicolo di Bird.
“Ho verificato in ogni possibile database” intervenne Garcia “ e non ho trovato niente con quel nome a meno che…”
“Certo” osservò Hotch ”quale metodo migliore per passare inosservato?”.
Apparentemento Bird è un individuo tranquillo, mai una multa per semaforo rosso o divieto di sosta, mai una dichiarazione dei redditi fuori tempo limite…ineccepibile, perfetto...persino troppo perfetto…” aggiunse Gideon staccandosi dalla finestra e pensando che forse era stata quell’ansia di perfezione a causare il suo fallimento.
Bird dava sei giorni di tempo alle sue vittime. Non uno di più, né uno di meno. Per torturarle aveva scelto sì un posto isolato, ma che rispondesse ad alcune sue esigenze. Innanzitutto si trattava di un luogo che aveva frequentato in passato, che sentisse suo, un luogo perfetto per i suoi esperimenti.
E così era stato, per sette lunghi delitti.
“Non può trattarsi di un posto simile a quello...ehm dell’altra volta?” azzardò Garcia sporgendosi al di sopra del suo portatile.
“No, lui ha cambiato, lui di sicuro tiene Reid in un posto diverso dal precedente…un luogo che noi non possiamo trovare!” affermò Gideon ricominciando a camminare per la stanza.
“Garcia, tu nel frattempo fai circolare la sua foto in rete, cerca tutto quello che è possibile reperire su di lui senza conoscerne l’identità, segnalazioni, eventuali arresti...sì lo so che non è assolutamente probabile, ma dobbiamo tentare” esclamò Hotch risoluto “E tu JJ. occupati della stampa. Al momento non devono circolare informazioni sul rapimento di Reid”.
“Io e Prentiss andiamo a parlare coi genitori…magari si è fatto vivo con loro” esclamò Morgan risoluto.
Hotch approvò, guardando con la coda dell’occhio Gideon che si era appoggiato al tavolo e non aveva commentato le ultime disposizioni.
Di solito quel suo silenzio stava a significare che approvava e che era già passato al gradino successivo o che stava elaborando una nuova teoria, una nuova certezza che avrebbe portato alla soluzione del caso.
Ma questa volta era diverso.
Diverso perché c’era di mezzo Reid. La sua scomparsa aveva turbato tutti, anche se non era la prima volta che accadeva, ma ognuno cercava di affrontarla in modo diverso.
Hotch però scrutava Gideon accigliato, sapendo quanto tenesse al membro più giovane della loro squadra.
Perché se c’era un punto debole, un vero punto debole in Jason Gideon quello era Reid.
Forse non avrebbero dovuto chiedergli di partecipare alle ricerche, ma se fosse successo qualcosa a Reid e poi lui l’avesse saputo…
Hotch cercò di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere.
E inoltre, non c’era persona migliore e più capace per seguire un caso simile.
Solo, Hotch non voleva che questa diventasse l’occasione per riaprire vecchie ferite.
“Trovami Jason…Trovami Jason….si è rivolto a me, in prima persona…direttamente, come se fosse un appello. Trovami ti prego” mormorò tra sé e sé “forse non ce la fa più, forse ha bisogno…lui ha bisogno di me…”.
“Forse pensa che tu possa aiutarlo in qualche modo…la sua potrebbe essere una richiesta d’aiuto…”commentò Hotch.
Gideon annuì serio.
Ma non sapeva come. Come avrebbe potuto aiutare Bird e riuscire a salvare Reid? Capiva che quella doveva essere la chiave di tutto, forse fin dall’inizio. Forse Bird aveva visto qualcosa in lui, qualcosa che lui pensava potesse aiutarlo, perchè ormai era chiaro, voleva essere aiutato e, nel delirio della sua mente, aveva capito che Reid era l’unico modo per farlo tornare in gioco. L’unico modo per catturare tutta la sua attenzione.
“Maledizione, maledizione…” si battè un pugno sul palmo aperto.
Hotch lo guardò più attentamente.
Non andava bene, non andava per niente bene.
Il coinvolgimento emotivo naturalmente era sempre dannoso, ma in questo caso specifico…Forse aveva davvero commesso un grave errore a…
In quel momento rientrarono Morgan e Prentiss, senza nessuna novità. Naturalmente Bird non si era fatto vivo coi parenti.
Morgan si avvicinò discretamente a Hotch e gli sussurrò nell’orecchio “come sta?”.
Era chiaro a chi si riferisse.
Hotch scrollò le spalle.
“Forse ricapitolare quello che sappiamo di lui potrebbe aiutarci” suggerì Prentiss.
Ma nessuno rispose.
“Insomma cosa faceva alle sue vittime prima di avvelenarle?”insistè la donna.
“Si godeva la loro agonia” rispose piano Gideon “per questo usava il veleno…prolungava le sue sensazioni di appagamento. Questo gli dava potere, un senso di stabilità, di dominanza nei confronti delle cose, degli avvenimenti”.
“Sui cadaveri delle vittime precedenti sono stati anche rinvenuti vari segni di ecchimosi, le ha legate, guardate le foto” Morgan mostrò loro alcune foto dei vecchi casi “e non solo…tagli, contusioni, piaghe, segni di bruciature” poi tacque, evitando di approfondire il lungo elenco di sevizie perpetrate da Bird nel corso dei suoi omicidi.
“E’ come se si fosse accanito su di loro…” sussurrò Hotch massaggiandosi il mento con una mano.
“Come una sorta di compensazione per le sue ansie, per i suoi timori, c’è qualcosa che lo turbava…che ha scatenato il tutto” concluse Gideon.
Ma cosa?
Prentiss e Morgan ripresero a sfogliare i passati fascicoli sperando di trovare lì qualche suggerimento.
“Cos’ha detto l’ultima vittima, quella che si è salvata?” domandò Hotch a un certo punto.
Prentiss afferrò il file.
“A parte i rilevi fatti sul luogo vediamo… qui c’è scritto che la donna ha affermato di essere stata tenuta al chiuso e completamente al buio tutto il tempo…qualche volta Bird le parlava, si rivolgeva a lei in modo strano, come se si trattasse di una persona che conosceva…e poi non dice molto…”
“Ci credo, quella poveretta dev’essere rimasta terrorizzata da quell’esperienza. Qui c’è scritto che è ancora in terapia…soffre di allucinazioni…” esclamò Morgan accigliato.
“Non voglio che succeda a Reid” bisbigliò Gideon.
“Non voglio che succeda a Reid” ripetè di nuovo, più forte.
“Nessuno di noi lo vuole Gideon” fece Hotch usando il suo solito tono pacato.
Morgan annuì.
Prentiss si guardò intorno a disagio.
Gideon continuava a scuotere la testa con forza.




[FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]

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Capitolo 4
*** cap 4 ***


Quando la porta si aprì, Reid sobbalzò

Quando la porta si aprì, Reid sobbalzò.

Era caduto in un sonno inquieto, dentro cui ogni rumore si amplificava all’infinito, rimbalzando nelle sue tempie come una palla impazzita. La sua fronte era sudata, e il sudore si stava raffreddando sul suo corpo, provocandogli lunghi brividi. Decisamente non stava bene.

L’SI si chinò su di lui, e lo tirò su bruscamente. Avvicinò un bicchiere alle sue labbra.

Reid aveva sete, sentiva la gola completamente secca: buttò giù l’acqua a piccoli sorsi, senza chiedersi se anche quella potesse essere avvelenata.

“Accendi la luce…” chiese “per favore. Questa oscurità mi…”

Lui non gli rispose, lo interruppe.

“La luce ti darebbe fastidio agli occhi. Mi imploreresti di spegnerla”

Forse, non esisteva nemmeno, la luce, in quel posto. Chissà in quale luogo abbandonato da dio lo stava tenendo prigioniero.

“Dimmi qualcosa di Gideon” disse il rapitore “Qualcosa che solo tu sai…”

La sua voce era calma, Reid decise di assecondare il suo delirio: forse poteva scoprire qualcosa.

“Non…non ci sono cose che solo io sappia…”

L’SI fece un risolino sinistro.

“Non mentire Spencer. Pensi di essere qui per caso?”

Reid sussultò. Quello era un buon indizio. Aveva scelto lui per un motivo. Decise di indagare.

“Cos’ho di speciale per meritare la tua scelt…?”

Non fece in tempo a finire di parlare.

“QUI SONO IO CHE FACCIO LE DOMANDE!” gridò l’SI, afferrandolo per le spalle e sbattendolo con violenza contro il muro. Spencer gemette: l’impatto per un attimo gli tolse il fiato.

L’uomo lo lasciò andare e tornò impassibile.

“Gideon è sempre stato attento ai suoi colleghi. Vi osserva, vi guida. Ma tu gli hai permesso di insegnarti. Tu gli hai permesso di proteggerti. Sei stato tu a consentirgli di avere un ruolo così importante nella tua vita. Gideon ti cura…

Reid ascoltò la sua voce. Era pacata, quasi dolce. Cercò di riflettere, di comprendere. Forse…non si trattava di vendetta personale. Quell’uomo voleva qualcos’altro, da Gideon.

“Pensi che Gideon possa curarti? Pensi che lui pos…”

Stavolta il colpo fu violentissimo: il calcio di una pistola lo percosse sulla guancia e lo costrinse a gridare. Spencer si accasciò al suolo: il colpo gli rimbombava nella testa.
”M…mi dispiace!” supplicò “scusami!”

Ma lui non parve sentirlo. Lo afferrò per i capelli e lo colpì di nuovo, più volte.

“AVANTI, CHIEDI A GIDEON DI PROTEGGERTI, SPENCER! NON E’ QUI A FARTI DA PADRE, ORA! AVANTI, CHIEDIGLI AIUTO! CHIEDIGLI AIUTO!”

“Ti…ti prego!” singhiozzò Reid “ti prego, non lo farò più! Risponderò a tutte le domande!!!”

L’SI lo percosse finché non si calmò. Poi diede in una risata aspra.

“Così va bene. Torniamo dove eravamo rimasti. Dimmi qualcosa di Gideon che io non sappia…”

L’idea che quel pazzo potesse ricominciare a picchiarlo lo terrorizzava. Stava così male! Poteva resistere a essere torturato in quel modo? Cercò un ricordo, uno che potesse piacergli, che potesse placarlo…

“G…Gideon…” mormorò, tra un colpo di tosse e l’altro “mi insegna…come giocare a scacchi…Lui…mi ha spiegato…che per vincere a scacchi non basta essere intelligenti…o…elaborare buone strategie…Ci vuole intuito…e…e capacità di fidarsi di delle proprie intuizioni…”

Ci fu un attimo di silenzio.

“…gli…scacchi…” proseguì “sono un po’ come la vita…non basta avere tre lauree per…per affrontarla bene…”

Sentì il suo aguzzino andare a sedersi poco in disparte

“Questa è una bella risposta” – la sua voce sembrava arrivare da un’infinita distanza – “Adesso, invece, mi dirai qualcosa di te...”




Squillò il telefono.
“JJ. hai istituito una linea verde per caso?” sussurrò Hotch guardandola dritto negli occhi.
La giovane era più stupita di lui.
Scosse la testa impercettibilmente.
“Forse qualcuno dovrebbe rispondere…” mormorò debolmente Morgan puntando lo sguardo sul telefono come se volesse incenerirlo.
Prentiss sollevò la cornetta.
Tutti la stavano fissando.
“Sì, va bene” la udirono sussurrare “Gideon è per te” esclamò porgendogli la cornetta, come se se trattasse di un oggetto fragilissimo. Spinse il pulsante del vivavoce.
Gideon si voltò all’istante, sorpreso.
“Ciao Jason” sibilò una voce dall’altro capo del filo.
E capì istantaneamente con chi stava parlando.
“Se ti azzardi anche solo a sfiorarlo ti giuro che…”ma non fece in tempo a finire la frase che una vocetta squittì un
“No no no, così non ci siamo Jason”.
Gideon fece un profondo respiro e chiuse gli occhi.
Non doveva lasciarsi coinvolgere, non doveva cadere nella sua trappola, altrimenti sarebbe stato tutto inutile. Doveva cercare di ottenere più informazioni possibili…
“Io ti telefono così, in amicizia e tu…non è un bel modo di cominciare, non trovi?”.
La voce era distesa, rilassata.
Gideon decise di dargli corda.
“Hai ragione, scusami, ma dimmi: cosa porta un uomo così impegnato come te a contattare un umile ex dipendente statale?”.
Gli altri nel frattempo gli si fecero intorno attenti.
“Beh, sai…è da tanto tempo che volevo parlarti, ma ultimamente sei stato assai poco reperibile o sbaglio?”.
Gideon non rispose.
“E questo mi ha spinto a una decisione piuttosto drastica” affermò vivacemente Bird.
“Mi stupisci” osservò Gideon piano “potevi cercarmi, ma come vedi, ora mi hai trovato”.
“Hai ragione e da adesso potremo vantare una conoscenza in comune Jason”

Sempre quel tono sicuro. Era lui a condurre la conversazione e Gideon glielo lasciava volentieri credere.
“Ho qui con me qualcuno…ma tu lo saprai già. Tu sai sempre tutto”.
Gideon lo lasciò proseguire. Sapeva dove voleva condurlo.
“Però ultimante non mi sembra molto in forma” e gli scappò una breve risata.
Gideon continuò ad assecondarlo, reprimendo a stento il desiderio di posare le mani sulla gola di quell’individuo e stringere lentamente la presa.
“Ma forse non avrei dovuto dirtelo, Jason, per non farti preoccupare….anche il mio ospite sai, non voleva farti preoccupare”.
Gideon notò che faceva molta attenzione a non chiamarlo mai per nome.
“Reid. Si chiama Spencer Reid” scandì Gideon ponderando accuratamente le parole.
“Certo, vuoi che non lo sappia?” ribattè lui lievemente stizzito.
“Che cosa gli hai fatto Bird?” Gideon lanciò la sua prima frecciata, in modo diretto, senza incrinature nella voce.
Bird tacque per un po’.
Tutti rimasero col fiato sospeso.
“Perché vuoi saperlo?”inquisì diffidente.
“Lo sai Bird” rispose Gideon piano. E incrociò lo sguardo di Morgan che fissava Garcia, che scuoteva la testa da dietro il suo pc. Sarebbe stato troppo facile, quell’uomo doveva aver preso tutte le precauzioni del caso prima di avventurarsi in quella telefonata.
“Forse vorrebbe parlarti…” continuò Bird.
“Bene” fece Gideon senza lasciar trasparire quanto la cosa gli premesse.
“Ma piuttosto, perché non mi racconti cos’hai fatto in tutti questi mesi?”.
Gideon chiuse gli occhi. Per quanto sarebbe riuscito ad andare avanti? Si guardò intorno. Poteva leggere l’apprensione malcelata dietro i volti degli altri membri della squadra, che lo scrutavano pieni di speranza.
Se c’era qualcuno che poteva trattare infatti con un individuo simile, quello era Gideon. Lo sapevano loro e lo sapeva anche lui.
Se n’era andato per lasciarsi alle spalle uomini come Bird, ma sembrava destino che qualcosa li conducesse sempre a lui.
Che gli altri, quelli che amava e gli stavano accanto dovessero farne le spese però, era un altro conto.
“Sono andato a pesca, sai, un piacevole passatempo per un uomo della mia età”.
“Dimmi qualcos’altro!” il tono imperioso, esigente ”da quando sei sparito, senza lasciare tracce, un bel dì… “
“La mia vita è noiosa Bird” fece Gideon con noncuranza.
“NO!” secco, deciso.”Tu non capisci quanto ti ho cercato , tu non…” cominciava a spazientirsi.
“Va bene, va bene Bird. Ti capisco”. Lo rassicurò pacatamente Gideon.
Lui parve calmarsi un po’ “non sai cos’ho dovuto fare per trovarti…non …”
Silenzio.
“Qualunque cosa tu abbia fatto Bird, ora puoi rimediare” la cadenza lenta, suadente della sua voce. Chiunque ci avrebbe creduto, perché già desiderava farlo, dal profondo.
“Io…” Bird vacillò solo per un breve istante, una frazione di secondo e Gideon ne approfittò.
“Fammi parlare con Reid” .
Mossa errata. Era troppo presto, Gideon lo intuiva, ma non aveva resistito.
“Reid, Reid! Sempre Reid!!!” sbraitò Bird con tutta la voce che aveva “e se non ti facessi parlare con lui?!? E se ti dicessi che è morto? Che il tuo prezioso Reid non c’è più? Come reagiresti? Cosa faresti, eh, Jason Gideon?!? Avanti dimmelo, dimmelo!”.
“So che non l’hai ucciso” fece Gideon convinto.
“Certo, tu sai tutto, ogni cosa, sai, sei incredibile Jason. Sono davvero interessanti le cose di cui sei convinto”.
“Bird…”
“E non chiamarmi così, non sopporto che mi chiamino così!”.
Ok, va bene, Alan è meglio?” Gideon tentò di attenuare i toni della conversazione.
“Ho fatto un bel lavoretto a quel ragazzino” non riusciva a resistere al desiderio di vantarsi “davvero”.
Gideon scrutò i colleghi, dibattuti tra il desiderio di conoscere le sorti dell’amico e il timore di conoscere la verità.
“Non sei curioso di sapere cosa gli ho fatto Jason?” lo stuzzicò Bird “o forse lo puoi immaginare. Non vuoi raccontarlo ai tuoi colleghi? Sono certo che non aspettano altro, perché tu non gli ha ancora detto tutto.”

“Conosco i tuoi trucchi Bird” rispose l’ex agente senza aggiungere altro.
“No, non credo. Allora Jason non dici niente?Loro aspettano. Avanti…”
Ma Gideon taceva.
“Allora? Non ne hai il coraggio?” lo accusò Bird.
“Io…” Gideon esitò e Bird lo intuì.
“Fallo, avanti!” strillò, facendoli sobbalzare tutti. E poi aggiunse abbassando minacciosamente la voce “altrimenti sai bene cosa farò vero?”.
“NO!”
Gideon inspirò profondamente

“tu…a te piace tenere le tue vittime completamente al buio. Per giorni. In luoghi stretti. Per privarli della luce del sole, per fargli capire che non c’è alcuna speranza, che il mondo che prima conoscevano e in cui vivevano è finito, non esiste più. Che esisti solo tu e che tu sei l’unico in grado di decidere della loro vita o morte… Se..se… si tiene una persona completamente al buio per tanto tempo… “ Gideon continuò controvoglia ”…perde le cognizioni del tempo e dello spazio…è come stare sospesi… Si diventa sensibilissimi al rumori…a qualsiasi rumore, e alle variazioni di illuminazione. Così qualunque cos…qualsiasi cambiamento, viene percepito come un elemento destabilizzante. Viene vissuto con angoscia...è l’incertezza di non sapere che consuma…” la sua voce piano piano si spense.
“Molto bene Jason” Bird era piuttosto compiaciuto ”vedo che nonostante la tua vacanza, sei ancora in splendida forma. Ti confesso che temevo ti fossi arrugginito e invece…forse non hai trascorso tutto il tuo tempo a pescare no?”.
Gideon non rispose.
“E vediamo, dal momento che mi conosci così bene, cos’altro faccio nel uhm...mio tempo libero?”
“Per favore…” sussurro debolmente Gideon.
Si sentì un breve tramestio e poi un grido.
Tutti i presenti in sala sobbalzarono.
“Bastardo!!!”urlò Morgan.
“Va bene, va bene, va bene…” si affrettò ad aggiungere Gideon ”ad un certo punto gli inietti il veleno, che avrà un decorso lento e molto doloroso…di cui la vittima sarà al corrente. Sempre. Sarà sempre vigile e cosciente. Saprà ad ogni istante, ad ogni respiro, che la sua vita si sta accorciando…e…”.
“E continua prego” lo incoraggiò l’uomo dall’altro capo del filo.
“E saprà per mano di chi e perché. Il suo sistema immunitario comincerà a cedere, avrà…all’inizio le difese si abbasseranno. Avrà febbre, dolori diffusi che si estenderanno, soffrirà di disidratazione…poi...poi le funzioni vitali…inizierà ad avere problemi agli organi vitali…difficoltà di respirazione…perdita di liquidi…e..alla fine…dopo ore di agonia finirà soffocato dal suo stesso sangue”.
“Hai fatto i compiti a casa Jason. Bravo”.
Il gelo era sceso nella stanza.
“E nel frattempo?” inquisì ancora Bird.
“Nel frattempo, gli parli…ma se non ti danno le risposte giuste…”
“Sì?”
“Hai degli scatti d’ira, di cui non ti rendi neanche conto…c’è un nome per definirlo…è una forma di psicosi simile alla paranoia…non sai controllare le tue reazioni…e allora potresti fare qualsiasi cosa, ma non arriveresti a uccidere la tua vittima, no…il veleno dev’essere il veleno…”.
“Credo che tu abbia resto abbastanza bene il quadro di quello che sta passando il tuo amico. E sai anche a chi va il merito di tutto questo vero?”.
Gideon non rispose.
“E’ tutta colpa tua Jason!”esclamò Bird.
Hotch scosse la testa.
“Se tu fossi venuto da me prima, se tu non te ne fossi andato così…avanti dillo che è colpa tua, lo sai bene”.
“E’ colpa mia” sussurrò Gideon al telefono.
“Uhm non mi sembra molto ...sentito. Dillo più forte!!”.
“E’ colpa mia!!” gridò Gideon.
“No…no notsk non mi sembri tanto convinto. Forse ti serve un incentivo”.
“NOOOOOO!” urlò Gideon, mentre JJ. si portava una mano a coprirsi la bocca. Ma prima che l’eco si fosse spento nella stanza, si sentì un botto e un crepitio e un grido forte, prolungato, seguito da un altro e un altro ancora.
NOoo!!” gridarono all’unisono Gideon e Morgan.
“Basta, smettila, smettila!!!” fece JJ. portandosi le mani alle orecchie per non sentire.
“Smettila, smettila è colpa mia hai sentito?!? E’ colpa mia, è solo colpa mia…colpa mia!” gridò Gideon avvicinandosi al telefono.
“E’ colpa mia, solo mia, sono io il responsabile, hai sentito?!? Non dovevo andarmene, mi senti???”
Poi le urla cessarono, così improvvisamente come erano cominciate.
“Non hai detto la parola magica Jason” disse con noncuranza l’uomo al di là del filo.
“ Mi dispiace” aggiunse flebilmente Gideon. Sembrava spossato.
“Anche se non penso possa essere soddisfacente per nessuno, magari al tuo amico piacerebbe sentirtelo dire eh?”
Nella testa di quello psicopatico, questo era un atto di umanità.
“Aspetta un momento…” un fruscio e poi la voce di Reid riempì la stanza.
“G-Gideon…”
“Andrà tutto bene Reid” sussurrò Gideon con la sua voce piana “ti salveremo, te l’assicuro”.
Reid non disse nulla. Si sentì un colpo, come di qualcosa che si scontra con una superficie flaccida, un rimbombo forte e poi la voce di Bird invase la sala dove si trovavano gli agenti “perché non parli? Mi hai implorato fino adesso! Sai Jason, che bella voce che ha il tuo amichetto, quanto si sforza di essere forte e coraggioso, come gli hai insegnato! Si sforza davvero tanto. Ma non è durato molto. Adesso fa tutto quello che gli dico vero? Sta dicendo di sì… E adesso cosa fai? Stai piangendo?!” Bird sembrava spazientito “ Ti ho detto che non devi piangere! Smettila subito!” gridò.
“Reid!!!”urlò Gideon nel tentativo di farsi sentire.
Su udì un fruscio confuso, come di ferraglia che viene smossa. Durò qualche istante. Poi il silenzio.
“Bene, adesso dovrebbe aver capito. Impara in fretta. Non sai quanto ci è voluto per…sai Jason, tu hai la capacità di rendere fedeli le persone. Ti vengono dietro come…sviluppano una sorta di indefessa lealtà nei tuoi confronti, come piccoli soldatini. Ma non c’è niente, niente, che una forte determinazione non possa spezzare. Vuoi sapere come ho fatto?”
“No” mormorò Gideon dandosi automaticamente del vigliacco.
“Normalmente non rivelerei così i miei segreti, ma visto che si tratta di te…”.

Fece una pausa.
“All’inizio non voleva saperne di raccontarmi qualcosa di te. Davvero. Aveva una grande fiducia nel fatto che l’avresti salvato, che c’era speranza…è questo che tiene in vita le persone no? La speranza. Ad ogni modo credo che lo troverete un po’…malridotto. Vero Spencer? Dimmi Gideon, cosa racconterai alla sua mamma quando ritroveranno il suo cadavere orribilmente sfigurato in una discarica o su un terriccio umido in un’area dimessa ai margini della città? Avrai il coraggio di condurla all’obitorio? Cosa le dirai? Riuscirai a guardarla in volto e dirle che non rivedrà più suo figlio? Le dirai che è successo tutto per causa tua?”.
Gideon non disse nulla.
“Per che cosa è dovuto morire questo ragazzo, così giovane, all’inizio della sua vita?”
“Non farlo” sussurrò Gideon “ti prego, non farlo, è solo un ragazzo!”.
“Ma tu l’avevi già abbandonato. Me l’ha detto lui e me l’ha confermato questa lettera che ho qui in mano… Andartene così, senza nemmeno un saluto. Non si fa. Per questo ti ho chiamato. Non mi piace lasciare le cose in sospeso. Sai, Spencer mi ha raccontato che sua madre è in un istituto e che suo padre li ha lasciati quando era piccolo. Che vita sfortunata non trovi? Poi aveva trovato te, ma anche tu l’hai abbandonato”.
“Mi dispiace…io …non volevo”.
“Delle tue scuse non se ne fa niente Jason, sono solo parole…quante volte le hai ripetute nel corso della tua vita? A quante madri hai detto che i loro figli sono morti perché tu non sei stato abbastanza bravo? Non ti sei stancato di ripeterlo? Non ti suona un po’ ipocrita?”.
Nella stanza nessuno fiatava.
“Comunque voglio che vi salutiate, per l’ultima volta. Prendilo come un regalo…Jason. In fondo, sono tuo amico. L’unico che ti rimane”.
G-gideon sei tu?” la voce era debole, lontana mille miglia. Non sembrava nemmeno la sua.
“Reid…”
“VA’ AVANTI!!!” gridò Bird da un punto molto vicino alla cornetta.
Reid emise un piccolo grido.

S-senti…io…non…”
“COSA TI HO DETTO!!!” intervenne di nuovo Bird. Non si capiva cosa stesse accadendo. Hotch, Morgan e Prentiss fissavano con intensità il telefono appoggiato alla scrivania. Erano tutti tesissimi.
“Ti avevo spiegato in ogni dettaglio cosa dovevi dire! Perchè non mi ascolti mai, perché le persone non mi ascoltano mai???!!”

Un momento di silenzio, in cui nemmeno Reid parlò…un suono di passi…pesanti, ci mise un po’. “E adesso diglielo! Diglielo!!!Voglio che tu glielo dica!!!”
N-no”si sentì obiettare debolmente Reid.
“Bird! parla con me! Sono qui! Bird!” Gideon stava tentando disperatamente di distogliere l’attenzione da Reid “Alan! Alan! Alan!Alan!!!”.
“No..no…no…”
A quel punto non si capiva più niente, sembrava un’accozzaglia di voci e suoni che tentavano si sovrastarsi l’un l’altro creando qualcosa di indefinibile.
Nella stanza tutti cercavano di distinguere qualcosa, inutilmente.
Poi tornò la calma.
G-gideon…” la voce di Reid giunse a loro nitida.” Lui…n-non-…voleva me…l-lui –vuole che tu…“
“Forza su!” si udì gracchiare la voce di Bird che sovrastò quella di Reid per un momento.
“…non la smette mai, lui…lui..n-non la smette…continuerà finchè…” la voce tremò…e Bird ne approfittò. Si udirono dei colpi e un urlo acuto, prolungato.
JJ. si alzò e corse fuori dalla porta, seguita da Garcia. Hotch aveva le mani chiuse a pugno e le strinse così forte che un rivolo rosso cominciò a scendere dal suo braccio, imbrattando la scrivania. Prentiss, incapace di muoversi, fissava agghiacciata un punto indefinito davanti a sé.
Solo Morgan si mosse chinandosi sul telefono “Bastardo, sei morto hai capito?Ti troverò!!”
“Ti è bastato Jason?”
“Sì!” rispose subito Gideon “sì è stato abbastanza, adesso lascialo stare…”
“No, no no, io non credo…” fece per tutta risposa Bird poco convinto “avanti diglielo!”intimò a Reid.
P-perché te ne sei andato? Se-se non te ne fossi andato non sarebbe s-uccesso niente, ora lui n-non…”
Una breve pausa “no, ho…ho-io ..ho fatto come volevi, per piacere No…per piacere…” e udirono dei singhiozzi.
Prentiss allungò un braccio ad afferrare saldamente il polso di Hotch.
Morgan strinse con forza i braccioli della sedia, quasi che si volesse fondere con essi.
L-lui...mi farà del male Gideon…fallo smettere… p-per piacere, fallo smettere”.
Gideon aveva il capo chino, incassato tra le spalle. Le braccia tese sulla scrivania, curvo sul telefono. Non potevano vederlo in volto.
Anche Morgan aveva distolto lo sguardo.
“Bird ascolta, farò tutto quello che vorrai, tutto, ma non fargli del male. Tu vuoi me. Lui…non c’entra nulla, per piacere , ti supplico. Avrai tutto quello che vorrai te lo garantisco” quando tirò su il volto Prentiss sobbalzò. Sembrava aver dieci anni di più e sembrava…Prentiss non avrebbe saputo come definirlo..ma era…così stanco. Ecco. Stanco.
“Sono contento che tu dica così” cinguettò Bird ”sai quanto tempo ti rimane”.
“…non so dove trovarti” obiettò debolmente Gideon.
“Sbagliato. Hai già la soluzione…ah e sappi che fino a quando non ci vedremo non mi fermerò!”.
E con un semplice click Bird chiuse la telefonata.
Gideon mise giù la cornetta molto, molto lentamente, come se fosse stata di vetro.
Hotch si alzò subito, quasi presagendo quello che sarebbe successo.
Morgan prese il telefono e lo scagliò contro la parete.
Gideon puntò verso la porta come se nemmeno li vedesse.
Solo Hotch ebbe la prontezza o avvertì la necessità di andargli dietro, mentre Morgan osservava il collega più anziano con aria di rimprovero, incapace di aprir bocca. Almeno su qualcosa Bird aveva ragione, se non fosse stato per lui, tutto questo non sarebbe mai successo.
“Gideon…Gideon aspetta…aspetta!!”
Ma Gideon non si voltava.
“Jason, quell’uomo si sbagliava!!Non è colpa tua!!In nessun modo!!Jason!!”.
Ma Gideon camminava a lunghe falcate per il corridoio, senza dar segno di averlo udito.
“Gideon aspetta!!Aspetta!!Dove stai andando??”.
Hotch cominciava a spazientirsi.
“Ah sì, è così??vuoi andartene??Ma bene!!Fallo dai!!!Aveva proprio ragione Bird!!!Sei un vigliacco!!Non sei capace di fare altro che scappare!!!”.
Gideon si fermò e si voltò.
Hotch notò un’espressione che non gli aveva mai visto addosso.
Se Morgan esprimeva le sue emozioni più forti attraverso la rabbia, Gideon era già al di là. Era come se tutto quello che gli veniva fatto gli servisse da carburante per andare avanti e ormai, ne aveva in corpo così tanto, da bastargli per la vita.
“Lui vuole me!!Non lo capisci Hotch??!!”
“Lo capisco benissimo!! Ma noi possiamo beccare quel bastardo”
Gideon scosse la testa “NO!!!Lui non si fermerà, non capisci che sono un pericolo? Per chiunque mi sia accanto!”
“E cosa vorresti fare?” fece Hotch dubbioso.
“Lo prenderò Hotch!!Fosse l’ultima cosa che faccio!!Lo prenderò!!”
“Noi possiamo aiutarti!!”Gideon era sempre stato ragionevole… anche nel caso di Frank, una volta tornato in sé si era lasciato aiutare, ma adesso…
“No, Hotch, non potete, non questa volta!!”
“Cosa intendi dire?”
Gideon non rispose.
E fece per andarsene di nuovo.
“Jason aspetta!”lo bloccò con una mano, mettendosi davanti a lui.
“Lascia che ti aiutiamo”disse a bassa voce, lentamente. E stese il braccio col palmo aperto. “Vieni andiamo”.
Ma le braccia di Gideon continuavano a rimanere inerti. Hotch però non mollava e continuava a tendergli la mano.
Piano piano il braccio di Gideon si mosse, quasi a sfiorare la mano di Hotch, poi però si fermò e si ritrasse. Gideon scosse la testa e corse via.
Fuori pioveva.
Hotch e Gideon furono investiti da una raffica di vento, che li accecò momentaneamente.
“Se te ne vai adesso, sarà come abbandonarlo di nuovo. Non puoi farcela da solo Gideon” gli urlò Hotch.
“Tu non capisci Hotch!!! io voglio bene a quel ragazzo. E l’ho già ferito una volta, ma questo ….oh questo” gridò spalancando le braccia, quasi volesse abbracciare qualsiasi cosa intorno a sé…”si ripete sempre la stessa cosa!!Sempre!!!Quell’uomo voleva arrivare a me e ha preso Reid per ottenere quello che voleva!!”.
Hotch scosse la testa “Ma non sei stato tu, ascolta Gideon, non sei stato tu!!”.
“Ma non li hai visti gli altri nella stanza??! Puoi dire finchè vuoi che non è stato per me, me non è così. Lo sanno loro e soprattutto lo so io!!”
“Ma dove vuoi andare??? Puoi dirmelo almeno” lo incalzò Hotch
“Io..non lo so..io non…” sembrò pensarci su per un momento.
Hotch ne approfittò per avvicinarsi.
“Non avvicinarti Hotch” fece Gideon arretrando e sollevando le mani “Non avvicinarti”.
“Avanti Jason entriamo e troviamo una soluzione, come ai vecchi tempi”.
Gideon scuoteva la testa “no…no no…non..posso…non posso. È troppo pericoloso!!”.
Ma Hotch si avvicinava sempre di più. Quando fu molto vicino, con un movimenti velocissimo, che Hotch non si sarebbe mai aspettato, visto il suo stato, Gideon portò una mano dietro la schiena e la ritrasse armata.
“Non farmelo fare Hotch. Non farmelo fare”.
“Tu non vuoi farlo Gideon” fece Hotch inclinando la testa e sorridendogli debolmente.
“Hai ragione, ma se ti avvicini ancora sarò costretto, Dio non voglia, a spararti”.
Hotche fece un passo.
“Hotch…”.
Un altro.
“Hotch non voglio rendere vedova tua moglie ma…”.
“Tu non spareresti mai a un collega”lo disse convinto.
“Normalmente no, ma questa è una serata particolare”
Hotch fece un altro passo.
La mano di Gideon tremava “non mi riporterai lì dentro, troverò Reid te lo prometto…io..lo troverò…te l’assicuro!!”.
“Jason…”
“No!!” e strinse più forte la pistola “Io ti voglio bene Hotch, ma se fai un altro passo giuro che premo il grilletto. Farà più male a me che a te, ma giuro che lo faccio”.
Ma Hotch non volle ascoltarlo. Era un gran testardo anche lui.
Gideon chiuse gli occhi e un colpo risuonò fuori dalle mura del dipartimento.




[FAN FICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 ***


[FAN FICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]

[FAN FICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]




Accaddero molte cose.
Hotch si inginocchiò, portandosi una mano alla spalla.
Gideon abbassò lentamente l’arma che ancora teneva stretta in una mano.
Morgan si precipitò giù dagli scalini dell’edificio, correndo a soccorrere Hotch, seguito da Prentiss.
Mentre Prentiss prestava le prime cure a Hotch, che peraltro non era ferito se non solo di striscio, Morgan si volse verso l’ ex capo dell’unità speciale di cui faceva parte.
Aprì le braccia, con i palmi rivolti all’insù, per mostrargli che non era affatto armato e contemporaneamente stese un braccio verso Gideon, invitandolo a consegnargli l’arma “ora puoi darla a me” sussurrò con voce ferma.
Gideon però sembrava non vederlo nemmeno, intento a fissare con un’espressione tra l’orripilato e lo stupito le due figure inginocchiate dietro di lui, ammesso che li vedesse davvero.
“Gideon” scandì nuovamente l’uomo facendo attenzione a calibrare bene il tono e l’intenzione delle sue parole. Voleva catturare la sua attenzione, non spaventarlo.
Nella sua mano, l’arma tremava e anche il suo corpo era scosso da brevi sussulti.
“Gideon sono io, sono Morgan” incalzò abbassando la voce “non è successo niente, Hotch non è ferito. Non gli hai fatto del male. Non potresti. Lo so”.
Gideon però ancora non accennava a rispondere o a dar segni che avesse capito quello che gli stava dicendo.
Era una situazione delicata. Pur essendo tarda notte c’era ancora qualcuno nell’edificio. Avrebbero sentito lo sparo e, di lì a poco, sarebbero sopraggiunti altri agenti e le cose sarebbero potute peggiorare, a meno che Gideon non avesse messo giù subito l’arma.
Ma non era affatto semplice trattare con qualcuno che avesse appena subito uno shock, come gli aveva spiegato Gideon stesso, un giorno lontano, durante qualcuna delle loro traversate in aereo, per recarsi in un punto sconosciuto del paese e dare la caccia a qualche efferato serial killer.
A quel tempo ammirava Gideon, per lui era il massimo a cui un profiler potesse aspirare.
Ed era così coraggioso.
Dopo i fatti di Boston le cose erano cambiate un po’. Morgan si era accorto che anche il maestro che lui venerava tanto poteva avere dei punti deboli, qualcosa che non doveva essere toccato. E questo l’aveva inquietato, possibile che anche Gideon, il grande Gideon potesse subire un simile contraccolpo?
E se Gideon non riusciva a sopportarlo, come avrebbe fatto lui, con ancora tanta strada da fare?
Morgan credeva nelle proprie capacità, ma sarebbe riuscito a trionfare là dove anche profiler ben più esperti, come Gideon avevano drammaticamente gettato la spugna?
E poi Gideon era ritornato, più forte e fragile di prima.
E, con una nuova forza, rinnovato vigore, che mai Morgan avrebbe sospettato, si era rimesso a dare la caccia ai demoni altrui.
Le cose erano tornate ad andare bene. Per un certo periodo.
Insieme avevano affrontato il caso di Elle, il rapimento di Reid e poi…e poi…Frank era tornato, sconvolgendo il mondo che il più anziano profiler aveva faticosamente ricostruito. Mandandolo in pezzi. E adesso…adesso…
Sembrava che i drammi per Gideon non fossero affatto finiti o che non potessero avere mai fine, per la natura stessa del loro lavoro, o per qualcosa di più profondo che Morgan ancora non riusciva ad afferrare.
Nel frattempo Prentiss aveva aiutato Hotch a rialzarsi e i due sostavano poco distanti da Morgan.
“Troveremo Reid, vedrai Gideon..”sentì sussurrare da Hotch alle sue spalle.
“Ha ragione, noi non possiamo”esitò Prentiss “…perderlo…”.
“Lascia chi ti aiutiamo” mormorò Morgan avvicinandosi lentamente, mentre Gideon sembrava fissare il pavimento, completamente assorto”…così come tu hai aiutato noi, in passato”.
“L’hai sempre detto anche tu no?”continuò Hotch “siamo una squadra, siamo una famiglia”.
“Proprio così” gli fece eco Morgan, la mano a sfiorare la pistola che penzolava abbandonata al fianco di Gideon “anche Reid lo direbbe”.
Fu forse quel nome a risvegliare finalmente qualcosa in lui? Quel nome pronunciato in quel modo, da Morgan?
Gideon rialzò di scatto la testa e fu al volta di Morgan di sussultare, scorgendo una luce nuova negli occhi del collega.
“Va bene” esclamò Gideon lasciandosi prendere l’arma da Morgan “torniamo dentro”.




Andrà tutto bene.

Questo gli aveva detto Gideon. Le sue parole erano sempre le stesse, ogni volta, anche dopo tutto quel tempo. Il tono della sua voce, il suo sguardo, il suo modo un po’ dimesso di sorridere, ripetevano sempre quel concetto: “Andrà tutto bene, ci sono io, fidati di me e tutto finirà bene”.

E Reid voleva crederci, voleva crederci davvero...ma il suo corpo non diceva la stessa cosa, e non voleva lottare, non voleva opporre resistenza...

Dovevano essere passate molte ore...forse giorni...

L’SI gli aveva portato del pane, e lo aveva obbligato a mangiare nonostante sentisse lo stomaco chiuso e lo stesso deglutire fosse diventato doloroso. Aveva le labbra spaccate per la febbre, e le fitte che gli attraversavano il corpo sempre più spesso gli impedivano anche di provare ad addormentarsi...a cadere in quel lento dormiveglia che nei primi tempi aveva attenuato la sua consapevolezza per qualche breve ora.

Sì, lui desiderava resistere, desiderava credere in Gideon, ma ogni nervo, ogni muscolo chiedeva il contrario, e sembrava implorare che tutto questo finisse.

Sentì i passi avvicinarsi: ormai riusciva a distinguere ogni minimo suono, persino il movimento di un topo lungo il muro, o il fruscio lieve del vento.

L’SI aprì la porta.

“Buongiorno, Spencer”

La voce rimbombò nella testa di Reid e gli fece male.

“Sai da quanto tempo sei qui...?”

Il ragazzo mosse debolmente il capo, a fare segno di no: nel gesto i lunghi capelli gli ricaddero sugli occhi. Erano pesanti, annodati e umidi di sudore. Anche il loro lieve solletico sulla pelle era diventato una forma di sofferenza.

“Ma che strano...! Un ragazzo con un cervello come il tuo! Pensavo avresti tenuto il conto...”

Reid non rispose: quella voce sembrava esplodere nelle sue tempie. Pregò che non si arrabbiasse, che non si mettesse a gridare.

“Sono passati quasi quattro giorni. Gideon non si sta impegnando abbastanza. Forse avrebbe bisogno di qualche piccolo incentivo...”

Reid vide la piccola luce del cellulare lampeggiare in un punto imprecisato del suo campo visivo.

No, no, no. Non una telefonata come quella. Non poteva sopportarlo. Non avrebbe sopportato che lo facesse di nuovo: che lo usasse in quel modo per fargli del male. Per fare del male a Gideon.

“Ti prego...” mormorò a fatica.

“Cos’hai detto, Spencer? Non ho sentito bene!”

La voce fu come un sibilo tagliente nel suo orecchio: aveva avvicinato la testa alla sua, lo aveva fatto apposta: sapeva che i suoni forti gli provocavano dolore, e infliggere dolore lo divertiva. Lo faceva sentire potente.

“Ti prego...” ripeté Reid “...parla con me...”

L’uomo rimase in silenzio. Giusto qualche secondo. Poi si avvicinò e - così gli parve di percepire - sedette accanto a lui.

“Va bene“ acconsentì “...mi piace parlare con te”

La luce del display scomparve. Aveva rimesso il telefono in tasca.

“Allora, Spencer...quando è stato che Gideon ha capito che avevi bisogno di lui?”

Reid richiamò a sé tutte le proprie forze: doveva tenerlo impegnato in quella conversazione, era importante. Parlare di Gideon, forse era il modo di tenerlo lontano da Gideon. Aveva notato che non si tratteneva mai troppo con lui, come se lo stare lì, passato un certo lasso di tempo, divenisse in qualche modo fastidioso e lo prendesse un’urgenza di andarsene. Doveva riuscire ad occupare quel tempo.

“...credo...” mormorò “...credo dopo pochi minuti che lo conoscevo...” ricordare fu come permettere ad un piccolo calore di inondare il suo petto “lui non parlava molto. Gaurdava soltanto. Tutti. Tutti noi. Capiva sempre di quali parole avevamo bisogno. E sapeva sempre dirle nel momento giusto...”

Una pausa.

“E tu...perché hai bisogno di Gideon?”

Era stata una mossa azzardata, lo sapeva. Ma l’unica possibile. L’unica che avesse un senso. Chiuse gli occhi, ed aspettò che l’uomo lo afferrasse e lo costringesse a girarsi supino, la nuca contro il pavimento: con uno schiaffo lo colpì in viso.

“FACCIO IO LE DOMANDE!”

Reid deglutì, ingoiando saliva e sangue.

A-aspetta...” accennò dolcemente “f-facciamo un gioco...tu mi chiedi quello che vuoi...e poi io lo chiedo a te...N-non..non importa che tu sia sincero. Tu...puoi anche non dirmi la verità...” ebbe un piccolo colpo di tosse “io invece...ti dirò sempre la verità...e se mento...o se non rispondo...tu mi punirai...V-va bene?”

L’SI tacque. Fu un silenzio piuttosto lungo.

“E’ divertente, Spencer...” ammise alla fine “mi piace...”

Reid emise un breve sospiro sollevato.

“Perché ho bisogno di Gideon, hai chiesto? Beh, è molto semplice. Voglio parlare con lui, così come faccio con te. Voglio che mi racconti un po’ di cose. Voglio che si dedichi solo a me”

L’idea che quell’uomo volesse fare a Jason ciò che stava facendo a lui lo fece trasalire, ma subito la sua mente cercò di razionalizzare: non era quello - o non solo - il suo scopo, o avrebbe preso Gideon fin da subito, senza bisogno di quel doloroso intermezzo.

“E quale sarebbe la prima cosa che gli chiederesti...?”

Nah, nah, nah...Tocca a me, adesso, Spencer. Sentiamo: qual’è l’evento che ha fatto più soffrire Gideon, da quando lavori con lui?”

Domanda intelligente. E crudele. Rispondere significava rivelare un punto debole del suo collega, e probabilmente era proprio questo che l’SI voleva. Ma doveva sacrificare qualcosa per ottenerne un’altra in cambio: Gideon avrebbe fatto così.

Frank” ammise “E’ stato...quando é tornato Frank. Ha ucciso una sua amica e...e una persona che lui aveva salvato...”

“Bene. Bene. E Gideon...”

“E’...il mio turno, ora...” osò Reid.

Una piccola, sommessa risata.

“E’ vero. Dunque, ripetimi la tua domanda” scandì in modo minaccioso “vediamo se mi piace”

“Quale sarebbe la prima cosa che gli chiederesti...?”

Un movimento. Poi un colpo violento sul ginocchio. Reid ritrasse le gambe vero il petto, gemendo.

“HAI SBAGLIATO I VERBI, RAGAZZINO!”

Lui ansimò, sforzandosi di resistere al dolore.

“Quale sarà la prima cosa che gli chiederai, appena lui sarà qui...”

“Bravo” si rilassò l‘SI, compiaciuto “Bravo, capisci le cose al volo” e gli fece una sinistra carezza sulla testa “Vediamo...che cosa gli chiederò? Gli chiederò perché ho voglia di uccidere. E se non risponderà la cosa giusta, gli farò tutto quello che ho fatto a te...”

La sua mano continuava a carezzargli metodicamente i capelli “Hai capito, piccolo? Tutto, tutto quello che ho fatto a te” avvicinò la testa alla sua e sussurrò al suo orecchio “Ed ora la mia domanda: Gideon si sentirà in colpa se ti uccido? Pensaci bene, Spencer: se tu muori soffrirà più o meno che per Frank?”

Reid sentì un brivido passargli lungo la schiena. Quell’uomo era completamente pazzo: era forse geloso di Frank, per il fatto che lui lo avesse indicato come l’uomo che aveva fatto più male a Gideon? E cosa doveva rispondere? Se avesse detto di sì, lo avrebbe ucciso davvero? E se avesse risposto di no? Che avrebbe fatto?

N-non esiste unità di misura per il dolore. Soffrirebbe. Ma non succederà, perché lui mi troverà, giusto? Tu lo sai che mi troverà: il tuo piano era perfetto...non puoi esserti sbagliato”

La mano dell’SI si fermò per un attimo sulla sua testa. Reid la sentì fredda e pesante, contro la fronte che scottava. Inaspettatamente, gli scostò i capelli dal viso e glieli sistemò con delicatezza dietro l’orecchio: un gesto di cura, che si fa verso qualcuno che si ama, non verso un ostaggio sconosciuto.

“Certo. Ti troverà. E parlerà con me”

Un’idea balenò nella testa di Reid. Forse era follia, forse era la febbre che gli toglieva lucidità. Ma quella mano tra i capelli doveva pur voler dire qualcosa.

“Ti piace fare soffrire le tue vittime?”

No, non le vittime. Spencer. Lui lo chiamava Spencer. Come se avesse confidenza con lui, come se lo conoscesse da sempre.

“Ti piace farmi soffrire...?”

Silenzio.

Poi un mezzo lamento, incomprensibile.

“No” sussurrò “E’ colpa tua. Tutta colpa tua. Tu sei crudele”

“Io...? Perché? Io cosa...”

Ci fu un grido isterico, e un oggetto contundente si abbatté di nuovo sulle gambe di Reid. Stavolta urlò forte. No, non era per Gideon che lo faceva. Gideon non poteva sentire! Lui...lui si accaniva sulle vittime, ma senza trarne alcun piacere. Perché? Perché?

T-tu mi odi?” si fece forza, mordendosi il labbro con i denti “...Ti ho fatto del male?”

Di nuovo quel grido, più simile al rantolo di un animale che ad una voce umana.

“Si, mi hai fatto del male! MI HAI FATTO DEL MALE! TU NON DOVEVI...TU...TU NON AVEVI DIRITTO...! IO IO IO MI SONO SENTITO IN COLPA!!! HAI CAPITO? IN COLPA! E NON AVEVO COLPA, NO NO NO!!!”

Urlava come un pazzo: Reid lo sentì alzarsi e battere pugni a destra e a manca mente si muoveva freneticamente intorno alla stanza.

“TU, TU NON HAI AVUTO IL CORAGGIO DI SOFFRIRE! IMPARERAI A SAPER SOFFRIRE! IMPARERAI, ORA!”

Calò su di lui con una furia improvvisa, lo strattonò, lo sollevò per il bavero della camicia e lo sbatté al muro, il volto a pochi centimetri dal suo: così vicino che ne percepiva il fiato, il battito del cuore, i tremiti.

“Ed ora la mia domanda, ragazzo”

Di colpo si era calmato, il suo respiro era tornato regolare

“Gideon ha una famiglia? C’è qualcuno che Gideon ama molto, e che mai e poi mai vorrebbe perdere?”

Reid rimase in silenzio. Quella non era una risposta che era disposto a dare.

“Allora? E’ il tuo turno!“

“Non lo so...”

Un colpo violento alla bocca dello stomaco lo fece di nuovo piegare su se stesso e accasciarsi a terra.

“STAI MENTENDO! Tu...tu lo sai sicuramente! Chi credi di prendere in giro?”

Aveva ragione. Lui lo sapeva. Ma non era stato Gideon a dirglelo. Sapeva di suo figlio perché era capitato che lo scoprisse, proprio come era capitato che Gideon sapesse di sua madre, per via indiretta, senza che gliene parlasse lui. Non si erano mai detti niente, né di un fatto né dell’altro. Segreti che custodivano reciprocamente, su cui non bisognava soffermarsi. Segreti che facevano male.

“Sì...” ammise “sto mentendo. Non posso dirtelo” cercò lo sguardo dell’SI, e incontrò il solito, liquido buio...ma era sicuro che si stavano fissando, occhi negli occhi “non voglio dirtelo”

“NON VUOI DIRMELO?” esplose l’uomo, ruggendo con tutta la sua voce “NON PUOI DECIDERE COSA VUOI O NON VUOI, CAPITO? LA TUA VITA E’ NELLE MIE MANI! STA A ME DECIDERE! DEVI, DEVI AVERE PAURA DI ME!”

I-io...” un tremito gli percorse la voce “io ho paura di te...M-ma...ma non posso dirtelo...p-perché g-gli voglio bene...”

L’uomo non rispose. Lo afferrò per le braccia, lo sbatté bocconi contro il pavimento e gli afferrò i polsi, su cui erano ormai incisi i profondi segni dei lacci di plastica che lo legavano.

“Facciamo un altro gioco” annunciò “vediamo quanto resisterai”

Estrasse un coltello, afferrò la mano di Reid e piantò la lama nel mezzo del suo palmo.

Reid sentì il dolore attraversargli tutto il braccio e gli mancò il respiro. Le lacrime cominciarono a scendere copiosamente dai suoi occhi.

“TI PREGO!” supplicò “TI PREGO...!”

Non riusciva a dire altro. Il dolore era insopportabile. Il sangue caldo scivolava abbondante tra le sue dita fino a scendere sulla sua schiena.

“Ti ripeto la domanda...” fece l’SI, glaciale “C’è qualcuno che Gideon ama molto?...Oh, eccetto te, naturalmente, Spencer...perché di te dovrà fare a meno, se non fai il bravo...”

Reid singhiozzò forte, ma non rispose.

“Allora? Non vuoi dirmelo?”

“NO, NO, NO...AHHH!”

Il coltello era sceso più in profondità nella sua carne, aprendo un profondo squarcio lungo tutto il palmo della mano.

“NON HO SENTITO!”

“Ti prego...” Reid si sentiva mancare le forze “ti dirò...c-cosa mi ha detto Gideon...quando avevo gli incubi...ti dirò...cosa è successo q-quando...hanno sparato a Elle...T-ti...ti prego!”

L’uomo estrasse la lama e gettò il coltello di lato. Si chinò su di lui e lo afferrò per i capelli, sollevandogli la testa da terra.

“Continueremo più tardi” sibilò.

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


Ormai il sole era alto


[FAN FICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]




Ormai il sole era alto.

Sedevano chi intorno alla scrivania, chi appoggiato a una delle pareti della stanza e chi in piedi, intento a camminare nervosamente, misurando a grandi passi la stanza.

Gideon osservava le foto dei precedenti casi, per trovare un’analogia, una chiave di volta, qualcosa che gli consentisse di fare il grande balzo in avanti.

“E se contattassimo la stampa?” domandò JJ. passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi.

Era stanca, come tutti gli altri colleghi, e spaventata. Ma ostentava un tono sicuro, cercare di pensare razionalmente in quel frangente era l’unica cosa che la tenesse ancora in piedi dopo quello che aveva sentito.

Hotch scosse la testa, con le braccia appoggiate ai fianchi. Da quanto tempo ormai cercavano una soluzione? Ed era mai capitato che ci impiegassero così tanto? E ancora, se non si fosse trattato di Reid, sarebbe stato più semplice?

Questo era quello che lo sconvolgeva di più. Il fatto che un loro amico, Reid fosse coinvolto forse li frenava, anche se, nel caso di Tobias era stato diverso…Hotch chiuse gli occhi per non ricordare quei momenti.

Già, forse era stato diverso, allora Gideon non li aveva lasciati e Frank non aveva ancora lasciato su di lui le sue nefaste tracce.

“Non possiamo” fece per tutta risposta, sperando che JJ. si accontentasse “ se si sentisse braccato potrebbe decidere di cambiare il suo modus operandi, potrebbe…” esitò “ah, maledizione” esclamò infine passandosi una mano sul volto.

“Il veleno, il maledetto veleno…” sussurrò Morgan osservando intensamente una siringa, uno dei reperti degli ultimi delitti di Bird.

“Non ce la faremo…” mormorò Gideon tormentandosi le mani, gesto che esprimeva tutta la sua ansia e preoccupazione.

“Che diavolo stai dicendo??!” lo rimbeccò subito Morgan.

“Sto solo dicendo che non faremo in tempo…” aggiunse Gideon con la sua voce calma.

Hotch si volse ad ascoltarlo attentamente, almeno sembrava essersi un po’ ripreso dopo la crisi della sera prima.

“Noi lo troveremo!!”lo interruppe di nuovo Morgan.

“Ascolta, non sto dicendo questo. Dico solo che il veleno agirà prima che riusciamo a raggiungerlo, ormai non manca molto. Senza contare che aspettando ancora, le sue condizioni potrebbero...”e qui la voce gli tremò impercettibilmente.

Avevano capito tutti benissimo.

“Le probabilità di riuscire a trovarlo e di salvarlo, diminuiscono di ora in ora” affermò Prentiss pensando che a quel punto si sarebbe aspettata un intervento di Reid, la citazione di una qualche statistica per confermare o contestare la sua asserzione. Benché qualche volta fosse rimasta lievemente infastidita da quelle sue uscite, non sempre appropriate al contesto, ora ne sentiva la mancanza.

E l’idea di non sentirle più la atterriva, ma cercava di non darlo a vedere.

“Dobbiamo farlo!” scandì ad alta voce Gideon, facendoli sobbalzare tutti.

C-cosa?” domandò Garcia lanciando occhiate ai colleghi, confusa.

“Hotch!” Gideon guardò Hotch negli occhi “lo sai”.

“Ma cosa…” fece JJ. inquieta.

“Non vorrai…” cominciò Morgan strabuzzando gli occhi, incredulo.

“È l’unico modo” fece Gideon convinto.
“Non lo so Jason…” osservò Hotch senza guardare nessuno in particolare. In qualsiasi altra situazione avrebbe rigettato immediatamente e con determinazione la proposta di Gideon, in qualsiasi altra situazione appunto.
“So quello che state pensando e non sono d’accordo” proruppe Morgan.
“Qualcuno vuole essere così gentile da spiegarmi…”
“Vogliono effettuare uno scambio” tagliò corto Prentiss interrompendo Garcia “Bird vuole Gideon è chiaro”. E non aggiunse altro, ponderando attentamente la cosa.
“Ma non possiamo fidarci di lui!” obiettò JJ.”niente ci garantisce che, pur ammesso che riusciamo a metterci in contatto con lui, Bird rispetterà i patti e ci consegnerà… Reid”finì JJ. con un gemito.
“È un bastardo. Non ci darà mai Reid!!” tornò alla carica Morgan
“Hotch digli qualcosa!”.
“Io non...” esitò Hotch. Non poteva, semplicemente non poteva permetterlo. Non si era mai visto che un agente trattasse con un s.i. per uno scambio tra colleghi….ma quanti erano in grado di affermare di aver preso parte a una circostanza così delicata?
“Se gli consegniamo Gideon, avrà vinto lui!!” incalzò Morgan.
Gideon scosse la testa “no Morgan, non si tratta di vincere”.
“Oh maledizione, lo so benissimo anch’io!!” fece per tutta risposta il giovane “anch’io rivoglio Reid sano e salvo, ma…”.
“Morgan” fece Gideon avvicinandoglisi “ lui vuole me, fin dall’inizio. Non lo faccio per…” e spalancò le braccia, come per catturare qualcosa, per fornire una spiegazione di quello che non si poteva dire a parole “spirito di sacrificio. No, è solo…una cosa che va fatta. Quando chiamerà, perché sappiamo tutti che lo farà, dirò che siamo disposti ad effettuare lo scambio alle sue condizioni” e alzò una mano per prevenire ogni obiezione “no, faremo davvero così, niente trasmittenti o localizzatori di sorta” e qui Gideon regalò loro uno dei suoi rari, tristi sorrisi, che una volta qualcuno aveva definito tanto belli “e riporteremo a casa Reid”.





Quando la porta si aprì, Reid non provò alcuna emozione.

Non aveva più paura, non gli davano più fastidio i rumori, non sentiva più niente.

L’unica cosa presente era il dolore: un dolore intenso, lancinante, che percorreva il suo corpo e che non riusciva a localizzare in nessun punto preciso. Tutto era solo pura, assoluta sofferenza.

Traeva profondi respiri, ma l’aria non riempiva i suoi polmoni: sembrava che l’intero torace fosse compresso da un peso insopportabile.

“Gideon non ha più molto tempo, Spencer...”

La voce dell’S.I. sembrava quasi rammaricata. Lo sentì chinarsi accanto a lui, afferrare i suoi polsi, e d’un tratto si accorse di avere le mani libere.

Le sue braccia ricaddero inerti lungo il corpo.

“Bevi” gli impose, aiutandolo a girarsi supino.

Il ragazzo tenne le labbra chiuse, e l’acqua gli scivolò lungo la gota, bagnandogli i lunghi capelli spettinati.

“Ti ho detto di bere, Spencer. Vuoi o non vuoi sopravvivere?”

I-io...”

La sua voce era quasi inudibile.

“...n-non...”

Non voglio - voleva dire - non voglio sopravviere così. Non voglio che ti diverta a prolungare la mia agonia. Lasciami in pace.

Ma la sua voce fu spezzata da un lamento.

L’uomo gli sollevò la testa, e appoggiò il bordo del bicchiere alla sua bocca, costringendolo a sorseggiare qualche goccia.

“Credimi, starai meglio...”

Gli occhi di Reid vagarono nel buio, quasi a ricercare il viso dello sconosciuto chino su di lui.

Era incredibile. Era pazzesco.

Era solo...stava per morire...e l’unico che si prendeva cura di lui era colui che lo aveva ridotto in quello stato. Era proprio assurda la sua vita! In tutti i momenti in cui avrebbe desiderato abbandonarsi ad una persona di cui si fidava - in tutti i momenti veramente bui della sua vita - finiva per trovarsi abbandonato a se stesso.

T-ti prego...” mormorò “ti prego...accendi una luce...N-non...non lasciarmi morire così...come...” le parole furono interrotte da uno respiro lungo e profondo “...come se fossi...solo...”

Ci fu un breve silenzio, che a Reid parve un eternità.

Poi la voce dell’SI arrivò come un sussurro.

“Perché vuoi morire? Sei crudele...”

Reid sentiva quelle parole giungere da una lontananza infinita...e non capiva se erano vere...o se tutto era parte del suo delirio...

“...i-io...non voglio morire...”

“NON E’ VERO!”

Sentì un colpo. Ma ad esso non seguì nessun dolore.

Sentì i pungi dell’SI colpire il terreno, con violenza rabbiosa, disperata.

“NON E’ VERO! TU HAI VOLUTO MORIRE! IO...IO TE LO AVREI IMPEDITO!”

No. Non stava delirando.

Era ancora lì, in quella stanza. E quelli che sentiva erano singhiozzi.

Lui stava piangendo.

L’SI - l’uomo che lo aveva rapito, torturato e che lo stava lasciando morire! - piangeva, e lo accusava di star morendo per colpa del suo veleno!

Ma certo: era tutto chiaro...

Peccato che non poteva più dirlo a nessuno...peccato che Gideon non fosse lì...

...Sarebbe stato...

....così orgoglioso di lui...

“Tu...” sussurrò “non hai il coraggio di guardare la morte...ecco perché...mi tieni al buio...”

Le sue labbra si curvarono in un debolissimo sorriso.

“Tu...hai paura di guardarmi morire...”

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM

FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM




Hotch taceva, con le mani intrecciate sotto il mento, alla scrivania al centro della sala.
Attendeva che il telefono squillasse, che un unico trillo spezzasse finalmente quello snervante conto alla rovescia.
Perché di questo si trattava.
Non rimaneva molto tempo prima che il veleno facesse definitivamente effetto e allora, sarebbe stato praticamente impossibile salvare Reid, anche se l’avessero trovato. Cosa che era molto lontana dall’avverarsi.
Gideon tamburellava ritmicamente con le dita sul legno di mogano, mentre Morgan si aggirava per la stanza come un leone in gabbia. Prentiss, JJ. e Garcia erano uscite per portare dei caffè.
“Forza forza, questo è il momento. Ora, devi farlo ora” sussurrava Gideon rivolto al telefono. Una lunga e monotona litania che andava snocciolando da tempo.
Poi, d’improvviso, si arrestò e si concesse un lungo sospiro “forse dovremmo…” e si bloccò.
Hotch era stato più veloce, con una mano sul ricevitore rivolse uno sguardo a Gideon “Jason, noi non…” fu tutto quello che riuscì a dire prima che il collega gli sottraesse la cornetta e azionasse il vivavoce.
“Vorrei poter dire che è un piacere risentirti, ma non lo è”. Esordì Gideon.
“Fai anche lo spiritoso adesso eh Jason?Non vedo però cosa ci sia da ridere…il tuo amichetto qui… uhm non è messo molto bene…piagnucola tutto il tempo”.
Gideon si morsicò un labbro con forza, fino a farne uscire il sangue. Non doveva lasciarsi provocare. Quella telefonata era determinante.
“E’ interessante sai Jason” continuò Bird “lui vorrebbe tanto andarsene,ma…non posso permetterglielo”.
“Sappiamo entrambi cosa vuoi, bastardo figlio di puttana!” ecco, si era lasciato provocare. Esalò un lungo sospiro, poi riprese “tu vuoi me Bird, vuoi solo me”.
Una pausa, un silenzio un po’ più lungo “mai detto di no”.
“Bene” fece Gideon, erano riusciti a trovare un punto di contatto “allora sai anche tu quello che dobbiamo fare no”.
Voleva che fosse Bird a condurre il gioco, così si sarebbe sentito sicuro.
“ti sei consultato prima coi tuoi amichetti Jason?Non credo che sarebbero così felici di lasciarti andare”.
“loro sono con me” ribattè Gideon.
“ah sì e fino a quando? Finché non supererai il limite? Sarebbero con te anche se questo ragazzo a cui tengono tanto non tornasse indietro?”.
Morgan fece per intervenire, ma Gideon alzò una mano per fargli segno di fermarsi.
“Allora facciamo così” esclamò allegramente Bird “alla fonderie Dreyer. Stasera a mezzanotte. Sappiamo tutti e due che il tempo ormai è vitale…inutile ripeterti che se mi accorgo che qualcosa non va salterà tutto e vi potrete scordare il vostro amichetto”.
“Aspetta, facci parlare con lui aspet…”.
Inutile.
Aveva riattaccato.
Gideon e i presenti si scambiarono degli sguardi preoccupati.




Reid non aveva più la forza di pensare.

Quando l’S.I. lo sollevò da terra e lo trascinò fuori dalla stanza, non riuscì nemmeno a domandarsi cosa stesse succedendo...cosa volesse fargli ora...

Ma non importava...

Il dolore aveva annullato tutto: la paura...l’ansia...i sentimenti...

Non c’era più niente...

Voleva solo smettere di stare male...

“....”

L’SI stava dicendo qualcosa. Non riuscì a capire. Orami non distingueva più i rumori attorno a sé...e non riusciva a vedere - o forse, erano i suoi occhi che non riuscivano più ad aprirsi.

Si sentì depositare su una superficie morbida...le sue labbra si socchiusero in un gemito quasi impercettibile...

Voleva rimanere fermo.

Non voleva più essere toccato...era dolore che si aggiungeva al dolore....

Lasciami stare...ti prego...lasciami stare...

Ma le parole erano reali solo nella sua mente.

Poi un rumore e un sobbalzo...

Lasciami così...immobile...ti prego...

Poi di nuovo il vuoto.

Voleva...solo addormentarsi...e non sentire più nulla...

...

“...Reid...”

Gideon, perché te ne sei andato così? Mi sei mancato tanto...

“...Reid...”

Mi dispiace...non...ti ho nemmeno detto addio...

“...Reid...”

...

Di nuovo silenzio.

E quel dolore che annullava tutto.

Eppure...per un attimo gli era sembrata vera, quella voce.

Vera, come tutte quelle volte che era stato lì, che lo aveva protetto, che aveva chiarito i suoi dubbi, che lo aveva fatto sentire bene.

Riuscì a muovere le labbra appena.

“...non te ne andare...”




Parcheggiò l’auto vicino all’entrata. Si trattava di una rete di metallo che costeggiava l’intero complesso.
Una volta lì sorgeva un’area industriale piuttosto vasta. Ora, da diverso tempo, era stato tutto abbandonato e, col passare degli anni, non era restato che un cumulo di macerie diroccate: muri pericolanti, pilastri instabili, mucchi di detriti sparsi qua e là.
Era un luogo lugubre e desolante. L’ideale per il loro incontro.
Uscì all’aria fresca della notte e si appoggiò al cofano dell’auto in attesa. Era stato puntuale, ma Bird ancora non si vedeva. Probabilmente voleva accertarsi che fosse realmente solo.
Ma più passava il tempo e più diventava impaziente. C’era in gioco la vita di Reid e lui ne era il responsabile. Si passò una mano tra i capelli. Quanto ci metteva?
Poi sentì il motore di un’auto avvicinarsi. Poco probabile che fosse qualche incauto turista o qualche passante occasionale. Quel luogo era fuori dalle cartine, totalmente isolato.
Istintivamente portò una mano dietro la schiena cercare la pistola che non c’era.
Due fasci di luce illuminarono il terreno polveroso. L’auto accostò.
Gideon rimase dov’era.
Una figura si profilò nel suo campo visivo. Non riusciva a vederlo in volto.
L’uomo si avvicinò. Indossava un cappellino da baseball e, sotto il giubbotto, si intravedeva una camicia.
E Reid dov’era?
Un brivido gli percorse la schiena. L’oscura sensazione, il sentore o il latente presagio di essere stato ingannato. Che Reid non c’era e che era stata tutta un’abile mossa di Bird, per avere entrambi.
“Carino qui vero?”esclamò Bird avvicinandosi.
Indossava anche un paio di scarponi.
“Dov’è lui? Dov’è Reid?” ribattè Gideon guardandosi intorno.
Bird sorrise da sotto il cappello “Uhm, lì dentro” e indicò l’auto, una dodge del 74 color crema.
Gideon fece per precipitarsi, ma Bird lo trattenne.
“No no no no…”
“Ma…”obiettò Gideon cercando di liberarsi dalla sua presa “voglio vedere come sta…”.
“E invece dovrai accontentarti di quello che ti dico: starà benone. Ora accendi il motore”.
Gideon lo fissò per un po’, incerto se fidarsi o meno.
Poi diede uno strattone più forte e si liberò di Bird.
“Ehi Jason! Aspetta!” Bird gli corse dietro. Ma Gideon fu più veloce e arrivò alla macchina. Provò ad aprire lo sportello ma era chiuso.
Non riusciva a vedere bene attraverso i finestrini opachi.
Distesa sul sedile posteriore c’era una sagoma, ma non avrebbe potuto dire con certezza a chi appartenesse.
“Reid Reid!“ Provò a chiamarlo, tempestando di pugni il vetro dell’auto “Reid!”.
E poi, finalmente lo vide.
“Mio dio che cosa gli ha fatto?” sussurrò fermandosi di colpo.
“Vieni via!” Bird lo aveva raggiunto e gli aveva afferrato un braccio.”Vieni via avanti!”
“No, non possiamo lasciarlo così! Dobbiamo chiamare un medico, qualcuno!!!”.
“L’ho già fatto, i tuoi amichetti stanno per arrivare, adesso muoviti!”.
“No” gridò Gideon” non possiamo...noi...non...Reid Reid Reid!!E lasciami!” gli mollò una gomitata che lo fece finire a terra.
Ne approfittò per aprire il portello anteriore dell’auto e infilarsi dentro.
Si sporse verso Reid che giaceva riverso su un fianco, rannicchiato in una posa strana.
“Andrò tutto bene” sussurrò piano, posandogli delicatamente una mano sulla guancia “vedrai, non c’è niente di cui preoccuparsi. Stanno arrivando. Hotch e gli altri. Si prenderanno cura di te. E’ tutto finito, starai bene, tu...” e continuò la sua litania finché qualcuno non sopraggiunse alle sue spalle e lo trascinò fuori dall’auto.
L’ultima cosa che vide fu la targa dell’automobile.
Veniva dall’Indiana.




“...Sì...sì Hotch...Tutto bene. Lui è salvo...sì, ha superato la crisi...Il dottore ha detto che è fuori pericolo...”

La voce di Morgan era sollevata, quasi commossa. Era così chiara e vicina che a Reid parve di aver riacquaistato i sensi perduti...di essere tornato nel mondo...coi suoi suoni...i suoi odori...

Si sentiva svuotato di ogni forza, confuso...ma riusciva a respirare...sentiva l’aria scendere lenta e regolare nei suoi polmoni e il petto non gli rimandava più quelle fitte lancinanti ad ogni inspiro...

M-morgan...”

Prima che riuscisse ad aprire gli occhi, sentì una mano calda stringere la sua.

“Reid!” l’altra mano dell’amico si posò sulla sua spalla “eccoti qua, ragazzo!”

La vista si mise a fuoco: seduto accanto a lui, Derek gli rivolgeva un largo sorriso. Il suo volto era esausto e provato, privo della grinta di sempre, come solo nelle situazioni più gravi succedeva.

S-sono...in...?”

Non finiì la frase. Nel parlare sentiva dolore alla gola e le labbra bruciare: erano screpolate e ferite, e la bocca era completamente arida.

“Sei al sicuro” precisò Morgan “sano e salvo”

I-il veleno...” sussurrò con una voce bassissima, quasi inudibile “...l’...l’S.I...”

“E’ tutto a posto” ribadì l’amico.

Reid cercò i suoi occhi, come per leggerci qualcosa, per sapere quello che non riusciva a chiedere.

“...l’...l’avete...preso?” si sforzò, ma la mano di Morgan si posò sulla sua fronte, mentre con l’altra suonava il campanello dell’intervento.

“Stai tranquillo. Ora pensiamo a tutto noi. Tu devi solo...” la sua voce si inclinò per un attimo “tu devi solo stare bene...”

Un medico accorse al capezzale di Reid.

Per prima cosa si curvò su di lui, gli esaminò gli occhi, introdusse qualcosa nella flebo, gli disse un paio di parole rassicuranti e poi si mise a parlare con Morgan dietro un paravanto. Reid colse solo alcuni tratti della conversazione...poi si sentì di nuovo esausto.

Quando Derek tornò a sedersi al fianco del letto, lo trovò che dormiva: un sonno innaturale, dato da tutti i farmaci che gli avevano somministrato per calmare i dolori e fare in modo che il suo corpo si rilassasse.

Disteso lì, in mezzo a tutti quei cavi e tubetti, sembrava ancora più piccolo e vulnerabile del solito: era dimagrito, il volto era esanime, pallido, le labbra di un colore spento e gli occhi affossati. Morgan non riusciva ad immaginare cosa dovesse aver passato, ma al solo pensiero si sentiva ribollire di rabbia. E adesso...Adesso Bird aveva Gideon, ed erano passati due giorni, e loro non riuscivano a trovarlo! Hotch stava dando fondo a tutte le sue risorse: non dormiva da chissà quanto, quando lo aveva visto, il giorno prima, gli era parso invecchiato di anni. Non si dava pace di avergli permesso di compiere una mossa simile, e l’unico sollievo glielo aveva dato lui pochi attimi prima, quando lo aveva chiamato per riferirgli che i medici avevano sciolto la prognosi per Reid.

“Se lo avessi tra le mani, lo ammazzerei...” mormorò, ma senza energia, accarezzando la testa dell’amico. A quel contatto Reid mosse lievemente il capo, poi socchiuse appena le labbra.

Lui avvicinò la testa per sentire.

“G...gideon...”

Morgan serrò i pugni.

“Lo troveremo” disse, come per rassicurarlo, al ragazzo profondamente addormentato “lo troveremo”

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Capitolo 8
*** Cap 8 ***


[FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]

[FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM]

“GIDEON!”

Reid si era svegliato di colpo, facendo sobbalzare Morgan, che si era assopito con il capo appoggiato alla parete.

Io ho sentito la voce di Gideon! Era lì...e...e c’era anche l’SI!”

Facendo leva su un gomito, cercò di tirarsi su, ma Derek lo bloccò prontamente, costringendolo a rimanere disteso. Il suo sguardo era lucido, ora: per quanto fossero passate solo alcune ore, sembrava essere ben presente, e, a dedurre da ciò che aveva appena detto - si disse Morgan - ricordava anche particolari che a loro erano ignoti.

Particolari che potrebbero aiutare Gideon - pensò. Ma l’amico era ancora debole: i medici lo avevano salvato per miracolo, e Hotch gli aveva raccomandato di aver cura di lui. Doveva stare fermo e riposare.

“Non è il momento, Reid”

“Certo che è il momento.” sentenziò il giovane, fissandolo deciso negli occhi e tirandosi di nuovo su a sedere “Lui gioca con il tempo. Non possiamo sprecarlo”

Morgan si domandò come facesse a dare così per scontato che Bird fosse libero, che non fossero riusciti a prenderlo, benché lui fosse lì, sano e salvo. Per un momento desiderò chiederglielo, ma poi di disse che doveva averglielo fatto capire lui: con il suo atteggiamento, coi suoi sguardi. Reid era un profiler eccezionale. Quanto Gideon. Forse anche di più. Da quando lui se ne era andato, era come se si fosse assunto l’incarico di prendere il suo posto, e lo faceva con quella genialità tutta sua, che riusciva sempre a lasciarli a bocca aperta.

“Dov’è Gideon?”

Si aspettava quella domanda. L’aveva prevista nel momento stesso in cui l’amico si era svegliato. Mentirgli sarebbe stato inutile. Forse anche ingiusto. E, comunque, Reid avrebbe scoperto la verità nel giro di qualche minuto.

“Bird...” si interruppe, ricordando che il collega non conosceva il nome dell’uomo “l’S.I...Gideon lo ha convinto a lasciarti libero con l’offerta di uno scambio di ostaggi. E’ con lui, adesso. Da qualche parte. Hotch e gli altri lo stanno cercando”

Reid rimase un attimo in silenzio, lo sguardo pensoso, come quando si concentrava su qualcosa e poi saltava su con una delle sue citazioni. Non ebbe reazioni emotive, non si spaventò, non cambiò espressione, non divenne triste.

Guardò Morgan negli occhi e disse:

“Bene. Allora troviamolo”

Prima che il collega avesse il tempo materiale di accorgersi del gesto e di fermarlo, afferrò l’ago della flebo e se lo sfilò dal braccio, poi riservò lo stesso trattamento ai cavi di monitoraggio.

“REID!” Morgan lo afferrò per le spalle “SEI IMPAZZITO?”

“Per niente” sentenziò lui “mai stato più lucido. E tu adesso mi porti fuori di qui ed andiamo da Hotch e gli altri”

“SPENCER!” la voce di Morgan era un misto di risolutezza e di sorpresa “STAVI PER MORIRE! Ti rendi conto che sei vivo per miracolo?!? So bene che sei preoccupato per Gideon, ma non c’è nulla che tu possa fare, che non siamo in grado di fare anche noi!”

Reid afferrò i polsi di Morgan: le sue mani erano ancora serrate sulle sue spalle.

“E’ qui che ti sbagli” disse, fissandolo con una sicurezza di sé che lo spiazzò “Voi avete bisogno di me. Io posso...Io ho fatto il suo profilo

Stavolta, le mani di Derek scivolarono inermi lungo i fianchi.

“Tu...hai...?”

“Ho fatto il suo profilo” ripeté Reid, deciso “So perché uccide, e credo di sapere cosa ha scatenato tutto. Se mettiamo insieme le informazioni, credo di...” socchiuse gli occhi. Gideon aveva bisogno di lui. Gideon. “...sono sicuro di trovarlo”

Morgan lo guardò con una dolcezza profonda, e al tempo stesso con un’ombra di timore: con che coraggio lo avrebbe aiutato ad alzarsi, sostenuto per quei corridoi, fatto salire in auto, portato al quartier generale...a lavorare...in quelle condizioni? Sembrava così fragile, così debole, ancora...

Ma d’altra parte, negargli questo avrebbe significato venir meno a tutto ciò in cui credevano: il loro spirito di squadra, la fiducia che si concedevano reciprocamente, ed anche...anche il principio per cui bisognava fare tutto il possibile per riuscire a salvare un collega. Se poi il collega era Gideon, Derek sapeva di non poter addurre una sola motivazione per tenere fermo Reid.

Avrebbe avuto cura che non si affaticasse...sarebbe stato attento a lui...e poi lo avrebbe riportato in ospedale prima possibile...

“D’accordo, ragazzo, vieni qua...” disse, afferrandolo da sotto le spalle e aiutandolo a tirarsi in piedi “facci vedere quanto sei geniale!”




Quando riaprì gli occhi si trovò al buio. L’oscurità lo avvolgeva completamente, ma non era bendato.
Era ammanettato questo sì.
Cercò di calcolare quanto tempo era rimasto incosciente, ma era impossibile e rinunciò in fretta. Ad ogni modo, se Bird aveva rispettato i patti adesso Reid era al sicuro. Solo questo contava.
E inoltre poteva contare sulla sua squadra, erano bravi e adesso avevano a loro favore il tempo, l’avrebbero trovato, altrimenti…
In quel momento udì uno scricchiolio e un fascio di luce inondò la stanza.
“Buongiorno Gideon, come stai?” domandò Alan Bird con un vassoio in mano.
“Poteri risponderti se sapessi che è davero giorno, ma così sai...” e con la testa accennò all’oscurità circostante “dimmi Alan, tratti così tutte le tue vittime o io sono un caso speciale?”
“Tu non sei una vittima Jason” rispose Alan serafico, depositando a terra il vassoio.
“Ah no?’”.
“No” ribattè Bird convinto.
“Hai intenzione di uccidermi Alan?” fece Gideon osservandolo attentamente.
L’uomo non rispose, continuando a trafficare col vassoio.
“Se non ti darò le risposte che vorrai…” continuò Gideon per stuzzicarlo “farai come con Reid!”.
Bird si tirò su “adesso smettila! Non ho intenzione di parlare ancora di quel…quel…”.
“Spencer Reid, un agente del nostro dipartimento, un…”
“Smettila, basta” gridò di nuovo Alan.
, allora, cosa volevi dirmi?” riprese Gideon dopo un momento di silenzio “adesso sono qui, a tua disposizione. Hai fatto tanto per avermi. Dovevi avere qualcosa di molto importante da chidermi”.
“devi mangiare” bofonchiò Bird.
“cosa c’è? Hai paura di farmi quella domanda? O forse hai paura della risposta eh?”
“No, non ho paura” rispose deciso Alan. Detto questo chiuse la porta dietro di sé con un gesto secco.

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Capitolo 9
*** Cap 9 ***


Quando Hotch vide Morgan varcare la soglia della sede del BAU con Reid portato quasi in spalla, per poco non cacciò un grido, ma il suo status composto glielo impedì

Quando Hotch vide Morgan varcare la soglia della sede del BAU con Reid portato quasi in spalla, per poco non cacciò un grido, ma il suo status composto glielo impedì.
“Morgan...” disse solo, con uno sguardo che era a metà tra il disappunto e la sorpresa. E poi, con un tono autoritario ma dolce “Spencer...”
Reid salutò con la mano e con un sorrisetto tirato dei suoi.
“Sto bene, Hotch, grazie!” scherzò “Adesso, dovete dirmi tutto quello che non so”
“Ma...ma cosa vi è...” ...saltato in testa, voleva dire. Ma non fece in tempo, perché JJ arrivò di corsa dall’altro lato della sala e si buttò tra le braccia di Reid: gli afferrò il volto tra le mani e gli stampò un bacio sulla fronte.
“Riunisci la squadra, JJ” le disse, rubando la frase di Hotch e Gideon “ci sono elementi che mi mancano. E cose che devo dirvi”
Si sedettero nell’ufficio di Garcia: ci stavano stretti, ma Reid aveva puntualizzato che il suo contributo sarebbe stato determinante. Hotch gli illustrò ogni dettaglio del caso: il ragazzo ascoltava annuendo, come se ogni informazione in più non fosse che un tassello in più al puzzle che aveva costruito nella sua mente.
“L’S.I....” cominciò “emh...Alan Bird ha iniziato ad avvelenare le vittime in seguito ad un trauma. Non ha niente contro di loro, e non le sceglie con criterio, non fa distinzione fra uomini e donne, non privilegia fasce d’età. Ciò che lui desidera è solamente rivivere un evento del suo passato...un evento che non è riuscito a superare e che egli pensa di potersi lasciare alle spalle solo quando avrà imparato a non temerlo. Lui assiste alla morte della vittima per avvelenamento. Le guarda tutto il tempo. Ma le tiene al buio perché ha paura di guardarle in faccia mente muoiono. Prova per loro anche un sentimento contrapposto: di odio e di tenerezza contemporaneamente. Gli parla come se le conoscesse, cerca di stabilire un legame di confidenza con loro: attraverso questo procedimento, cerca di trasformare degli sconosciuti in quell’unica persona che vuole dimenticare. Garcia...” si rivolse alla ragazza, che rispose con un grande sorriso che era il suo modo di dire ti voglio bene piccolo “...prova a cercare tutte le morti per suicidio di Las Vegas e dintorni, risalendo indietro di un lasso di tre anni dalla data del primo omicidio di Bird”
“Tutte, tesoro? Saranno un’infinità!”
“Individua solo le morti per avvelenamento”
Garcia si mise al lavoro. Dopo poco mostrò loro una lista.
“Ci sono 12 persone su tutta la zona”
“Bene” fece Reid stropicciandosi il mento “Bene. Dobbiamo fare un controllo incrociato, adesso. Mi serve sapere se una di queste persone possa aver avuto contatti con Alan Bird. Sicuramente non risulta dal suo fascicolo...se il legame tra lui e questa persona fosse stato palese, sarebbe emerso prima”
“Caro il mio bel ragazzo, la regina di tutte le risposte esaudirà i tuoi desideri, le serve solo un po‘ di tempo...”
Hotch si avvicinò a Reid e gli posò entrambe le mani sulle spalle.
“E in quel tempo tu ti alzi di qui e vai a stenderti. E’ un ordine”



Quanto tempo poteva essere trascorso? Gideon non poteva quantificarlo. Ore, di sicuro.
Se il profilo che avevano abbozzato di Bird era esatto e lui era pienamente convinto di questo, allora Alan non avrebbe resistito e sarebbe tornato per chiedergli l’unica cosa che voleva sentirsi dire.
Gideon ci pensò un po’ su.
Una volta che gli avesse risposto sarebbe diventato totalmente inutile per lui, d’altra parte se non l’avesse fatto…
L’unico modo era di tirare il più in lungo possibile.
Fino a quando gli fosse stato utile Alan Bird non l’avrebbe ucciso.
La porta si riaprì di nuovo con uno scricchiolio.
Bird accese la luce della lampadina che penzolava sulla testa di Gideon.
“Ciao Alan” fece Gideon sorridendogli. In realtà cominciava ad accusare le ore trascorse legato e completamente immobile, ma non desiderava che lui se ne accorgesse…che si accorgesse di avere un reale potere su di lui.
L’uomo non rispose. Sembrava scocciato
“Qualcosa non va?”continuò Gideon affabile.
L’uomo taceva ostinatamente. Dopo qualche istante cominciò a d andare su e giù per la piccola stanza, inquieto.
“Tu Gideon credi di sapere tutto vero?”
“Mai detto niente di tutto questo” rispose lui con un sorriso. Eccoli di nuovo a quel punto. Da una parte Bird voleva interrogarlo, desiderava che lui avesse delle risposte, dall’altra non voleva sapere…temeva quello che lui gli avrebbe potuto rivelare sul suo conto.
“Sai, quel ragazzino era sicuro che l’avresti trovato”. Bird fece una pausa per studiare la sua reazione “eppure, si sbagliava. Giusto? Se non avessi proposto lo scambio sarebbe morto”.
Gideon non disse nulla.
“E questo dimostra che non sei infallibile. Come avresti gestito la cosa Jason? Con un’altra fuga? Mi dicono che sei piuttosto bravo in questo genere di cose”.
Gideon inspirò profondamente, la sua unica via di salvezza era conservare la calma, qualsiasi cosa Bird gli avesse detto.
“Dimmi Jason, sono proprio curioso di sapere cos’hai fatto dopo essertene andato sei mesi fa. E non raccontarmi quelle stronzate sulla pesca…voglio sapere tutto, quello che sentivi, quello che provavi, il rimorso per la tua amica e quella ragazza all’università…scommetto che ti ha fatto piacere vedere Frank morire eh? Confessalo Jason!”.
Gli era così vicino che poteva vedere fino in fondo alle pupille dei suoi occhi...lì forse dove nasceva la follia, la follia in agguato in ognuno di loro.
“No non mi ha fatto piacere” rispose Gideon aspro.
“Oh andiamo, vorresti davvero convincermi che veder morire la persona che ha ucciso la tua cara amica non ti ha arrecato alcun piacere? Non ci credo!”.
“Puoi credere quello che ti pare, ma…”.
Si bloccò. La lama di un coltello a qualche millimetro dalla sua carotide “Voglio al verità Jason!”.
“Dopo essermene andato ho vagato per un certo periodo a est. Non avevo mai visitato quei posti. E mi dava sollievo stare in luoghi diversi, che non avevo mai visto. Luoghi a cui non dover associare nessun ricordo, volti che mi erano perfettamente sconosciuti. Per una volta, forse per la prima volta non avevo responsabilità. Nessuno di cui occuparmi, nessuno di cui dover rendere conto, nessuno da tener d’occhio, nessuno da…” esitò per una frazione di secondo.
“Proteggere” sussurrò per lui Bird.
Gideon annuì suo malgrado “e così mi sono goduto quella sensazione. Leggevo, studiavo, andavo a zonzo senza mai fermarmi. Perché sapevo che se avessi messo radice da qualche parte, se mi fossi fermato più di qualche giorno io…”.
“il tuo lavoro era diventato la tua maledizione vero Jason?”.
Gideon non rispose.
Aveva continuato a viaggiare fino a Bray city. E lì si era imbattuto in un caso. Sebbene si fosse ripromesso di non ficcare più il naso in niente che non fosse più che pagare una bolletta della luce, non aveva potuto fare a meno di dare una mano alla polizia locale in seguito alla scomparsa di una bambina.
“Sono stato un vigliacco” ammise Gideon in un soffio” anche se avevo notato tutti i segnali non mi sarei fatto avanti forse, se non fosse stato per la madre di quella bambina”.
Credeva di essersi spinto lontano, molto lontano, là dove nessuno lo conosceva, là dove avrebbe potuto essere uno chiunque, uno nella massa. Ma la sua fama lo aveva raggiunto anche lì.
L’aveva riconosciuto ecco tutto. E lui aveva partecipato alle indagini in qualità di consulente.
E di nuovo, aveva capito di non poter fare a meno del suo lavoro.
“Bene, Jason, sono contento di sapere che hai anche tu le tue debolezze. Non che non ne dubitassi comunque…però dimmi come la metti con Sara, non ti senti più in colpa per lei? Hai messo a tacere tutto di lei? Sei riuscito a darti una spiegazione sul perché una donna buona, generosa e capace doveva morire così, solo perché ti conosceva? Eh? Come la metti Jason?”.
Gideon tacque, incapace di rispondere. Se solo avesse saputo che la squadra era vicina gli sarebbe saltato al collo.
“Oh Jason non è stato capace di salvarla!” lo canzonò Bird “Jason ha fallito...ecco cosa sei Jason, solo un fallito che pensa di avere ancora qualcosa di speciale…ma non hai niente Jason. Tu non hai niente!”.
Gideon lo lasciò sfogare continuando a tenerlo d’occhio.
Bird giocherellava con la pistola
“Sai che cos’ho fatto al tuo amichetto?”.
“Ho visto benissimo cosa gli hai fatto!” rispose Gideon guardandolo negli occhi.
“Già, dimenticavo, scusa…quel ragazzo a cui tieni tanto, ha visto l’inferno grazie a te. Dovrebbe ringraziarti non trovi? E’stato così fortunato a conoscerti, proprio come Sara”.
Gideon lo fissava così intensamente che avrebbe potuto incenerirlo con lo sguardo, se solo avesse potuto liberarsi…
“E nel momento di maggior bisogno tu non c’eri…” continuò Bird “l’hai abbandonato, su dillo Jason che l’hai abbandonato, l’hai tradito, perché è questo che sei!!” tuonò Bird agitando la pistola in aria.
“E tu” riprese Bird “vorresti spiegarmi perché ho ucciso quelle persone”.
<> pensò Gideon. E’ questo che voleva sentirsi dire fin dall’inizio.
Voleva dire che il suo delirio era arrivato al culmine, che di lì a poco non avrebbe più avuto nessun controllo.
“Tu…” azzardo Gideon, ma un forte colpo alla nuca lo zittì. Cadde riverso al suolo, con mille scintille che gli esplodevano intorno.
Sentì dei rumori intorno a lui, qualcuno che trafficava lì vicino.
“Zitto!!” gli gridò Bird in un orecchio.
Gideon si morse un labbro incerto se continuare a provocarlo o meno. Era una situazione estremamente delicata e ci voleva tutta la sua conoscenza acquisita negli anni per gestirla.
“Le persone che hai avvelenato, le morti a cui hai assistito sono tutte…” gli mollò un altro schiaffò, rompendogli un labbro.
“Smettila!!” fece l’uomo portandosi le mani alle orecchie, per coprire la sua voce.
“E adesso chi sarebbe il vigliacco?!Eh” continuò Gideon imperterrito. Era una azzardo, ma doveva provarci. Se riusciva a confonderlo si sarebbe potuta creare una buona occasione di liberarsi di quelle manette…d’altra parte se avesse fallito…
“Adesso chi si gira dall’altra parte? Chi non vuole ascoltare la verità?! Il vero vigliacco sei tu Alan!!”.
“NO!!”Bird si voltò verso di lui, la pistola nella sua mano “non osare dirlo mai più hai capito?!!! Non sono io il vigliacco che ha preferito andarsene, non sono io quello che è andato via…”
“Tu...sei stato lasciato” mormorò Gideon guardandolo negli occhi.
Bird scosse la testa con veemenza.
“Chi è stato a…”
Bird si gettò su di lui con tutto il suo peso, trascinandolo a terra, facendogli sbattere la testa con forza e privandolo del respiro “Non dirlo mai più!! Non provarci mai più non osare mai più nominarla!! Hai capito!!mi hai capito??!! Oh giuro che..” e si bloccò all’istante, tirandolo su.
“Tu…tu, tu mi aiuterai Jason Gideon. Tu sei qui per me. Sei qui per questo…solo, ora ...”. Aveva uno sguardo nuovo sul volto. Una nuova determinazione, qualcosa che Gideon non riusciva ancora a identificare.
Con due mosse veloci lo liberò dalla sedia.
“Che cosa vorresti fare Alan?” domandò Gideon arretrando piano, finché non sentì una superficie dura contro le spalle. Doveva farlo parlare.
“Tu mi aiuterai Jason sì, tu lo farai”.
Quella luce negli occhi.
Lo prese di sorpresa, inchiodandolo al muro con un braccio. La pistola attaccata alla sua tempia “oh sì tu lo farai”.
Non riusciva a respirare e di conseguenza a pensare lucidamente, mentre mille scenari gli passavano davanti. Sarebbe finita davvero così? Sarebbe morto lì in quell’angolo sperduto con un pazzo vaneggiante come unico testimone?
Almeno Reid è in salvo pensò e questo bastava. Se lui doveva morire perché quel ragazzo potesse vivere allora niente sarebbe stato inutile.
Ma non era questo che Bird voleva da lui.
“Uccidimi Jason!” esclamò Bird con un largo sorriso, il primo che vide spuntare su quel volto allucinato.


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Capitolo 10
*** Cap.10 ***


FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM

FANFICTION SCRITTA DA GLENDA E REM




Muoviti, muoviti, muoviti! Pensava Reid, nonostante i sobblazi dell’automobile sullo sterrato gli disturbassero lo stomaco e rimbalzassero nella sua testa.
Si erano spostati il più vicino possibile in elicottero, e adesso, le auto dell’FBI correvano per quel sentiero di montagna verso il rifugio.
Milla Endberg, suicida nel 1999, era stata la proprietaria di quel cottage e di quel terreno.
Era morta all’età di venticinque anni, senza eredi, e la casa era rimasta abbandonata.
Si era avvelenata.
Ma nessuno aveva associato quella sostanza al veleno che, a partire dall’anno successivo, aveva ucciso sette persone.
Non lo avevano fatto perché Milla Endberg si era uccisa, e nessuno si interessa a scavare nel passato dei suicidi, specie se sono rimasti soli al mondo e non c’è più nessun parente a domandarsi le ragioni di quel gesto. Eppure, se lo avessero fatto, avrebbero scoperto che Milla, prima di trasferirsi in Virgina per lavoro, aveva vissuto a Las Vegas, in un quartiere popolare, porta a porta con la famiglia Bird. Avrebbero scoperto che non si erano mai persi di vista, nonostante lontani, e che lui le scriveva lunghe lettere. Avrebbero saputo che si vedevano una volta all’anno, sempre lì, in quel luogo.
E avrebbero anche saputo che lui era lì, quella notte.
Che lei era morta grazie al suo veleno.
E che lui l‘aveva guardata morire.
“Ripete la scena” spiegò Reid “Si sente responsabile per averle permesso di uccidersi, per averla assecondata. Milla Endberg soffriva di depressione da anni. Probabilmente la morte della madre, avvenuta il mese prima, era stato l’evento che l’aveva spinta a farla finita. Sapeva che Bird era un chimico, e deve aver chiesto il suo aiuto per morire nel modo più breve possibile. Ma non è andata così. Il veleno di Bird...” la sua voce esitò un attimo “provoca un’agonia dolorosissima. Forse Alan ha cercato di chiamare i soccorsi e lei glielo ha impedito. O forse, semplicemente, ha deciso di non farlo e adesso non se lo perdona. Prova per lei senso di colpa ed odio al tempo stesso. Tortura le vittime perché vi identifica Milla, e sfoga su di loro la sua rabbia verso di lei. Lei è la causa della sua sofferenza, lo ha costretto a vedere qualcosa a che non voleva vedere, e per questo la disprezza. Ma al tempo stesso le tiene al buio, perché ha paura di assistere alla loro morte. E non si fermerà finché non riuscirà a farlo: finché non guarderà di nuovo la morte in faccia...”
Si fermò sulle sue stesse parole.
“Accelera, Hotch!”



“Devi farlo!”
Gideon scosse la testa. Non avrebbe mai sparato a un uomo disarmato.
“Devi farlo Jason!” gli gridò Bird.
“no, come puoi pensare che...”.
Bird si allontanò da lui di qualche passo.
“ah è così? Non vuoi farlo? Non vuoi aiutarmi, eppure tu dovresti sapere meglio di me cosa si prova!”.
Gideon lo fissava sbalordito, che il delirio di Alan fosse arrivato a quel punto? Pensava davvero che gli avrebbe sparato?
“Certo!!! Tu devi sapere cosa si prova a non poter far niente,a essere impotenti, ma responsabili. È questa la nostra condanna Jason non capisci? Noi sapevamo ma non abbiamo potuto fare niente. Qualcun altro ha scelto per noi! Ma noi tenevamo quelle persone vero?”.
Era andato, definitivamente. Nelle sua allucinazioni probabilmente Bird sovrapponeva quello che gli era accaduto a quello che aveva scoperto su di lui.
“Oh tu lo farai eccome se lo farai!!!”.
Gideon si concesse un breve sorriso, voleva proprio vedere come avrebbe fatto a convincerlo a sparargli.
“Non vuoi farlo eh?” esclamò Bird avvicinandosi di nuovo.
“E se ti dicessi che se non lo fai io ti qui adesso io li troverò e li ucciderò,!” Bird fece una beve pausa
“Sai che posso farlo. sappi che li troverò. Chi lo sai bene”.
Gideon cominciò a vederlo sotto un’altra luce. Quell’uomo gli stava offrendo la possibilità di salvare i suoi colleghi.
“E comincerò da lui, dal tuo preziosissimo Spencer Reid!”
“NO!!” gridò Gideon istantaneamente alzando la pistola.
“Credi che sarà abbastanza uccidere la moglie di Hotch davanti agli occhi di suo figlio? Il piccolo Jack...ma Hotch lo lascerò in vita, perché sappia chi dovrà ringraziare..e Morgan e le sue graziosissime sorelle, per non parlare della bella Jj..”
“NO!”
“Mi piaci così Jason! Lasciati andare, se io muoio quelle persone vivono. O vuoi vedere davvero altre lacrime sul volto di chi ti sta intorno? Vuoi essere di nuovo responsabile di dolore e disperazione? Lo vuoi davvero? No, giusto? Io lo so, e allora premilo. Fatti coraggio, sii forte come loro pensano che tu sia”.
“Io non…” ma le mani gli stavano tremando. Forse non sarebbe mai dovuto tornare. Aveva messo in pericolo tutti, tutti quelli che amava.
“Per quelli che ami, fallo Jason, avanti”e si sporse fino a toccare la canna della pistola col petto.



Avvenne in un attimo.
La porta gettata giù con un calcio da Morgan e il colpo di pistola.
Bird si accasciò a terra, gemendo, tenendosi la gamba ferita.
Hotch teneva l’arma puntata su di lui.
L’arma con cui lo aveva colpito, con velocità e precisione, prima ancora che potesse voltarsi al rumore della porta spalancata.
La pistola di Bird, invece, era rotolata a Terra.
Reid si chinò e la raccolse.
Poi, prima di rialzarsi, puntò gli occhi in quelli di Bird, in ginocchio sul pavimento.
“Ti ho trovato” disse.
L’uomo storse la bocca, in una piccola smorfia.
“E bravo Spencer...” sogghignò.
Ma Reid non lo stava più nemmeno guardando. L’oscurità di quella stanza, dove si era sentito solo, dove era stato torturato, dove aveva avuto paura di morire, non gli faceva impressione, adesso. Perché in quella stanza c’era la sola persona che aveva desiderato poter vedere, in tutti quei mesi.
“GIDEON!” esclamò, passando oltre Morgan ed Hotch, e raggiungendo il collega, che rimaneva in piedi, spalle al muro, silenzioso e sfinito, avvolto in quella penombra.
Voleva dirgli tante cose - Cosa ti ha fatto? Stai bene? Sei ferito? Hai bisogno di aiuto? - ma non riusciva a parlare. Lo fissava e basta. Come un bambino felice.



Fu la voce a riscuoterlo dal torpore successivo all’arrivo della squadra, alla fine di quella storia infernale.
Era la voce del giovane per cui era stato pronto a sacrificare tutto, era la voce di Reid e significava che era vivo, che stava bene e che Bird non aveva vinto. Ma ormai quell’uomo era solo un brutto ricordo, uno di quelli da archiviare nel profondo come un incubo che ormai era finito, perché adesso c’era Spencer Reid davanti a lui che lo guardava con un’espressione di pura felicità sul volto. E allora non poté fare a meno di sorridergli di rimando.



Gideon sorrideva.
E lui desiderò distendere il suo viso, e le sue labbra, e ricambiare quel sorriso, e dire “sono contento, è andato tutto bene, è tutto finito.
Come si sarebbero detti, forse, tanti mesi prima.
Invece...
Invece riuscì soltanto...
...a piangere...



“Spencer...”
Reid gli gettò le braccia al collo singhiozzando.
Come se non piangesse da una vita.



Era stato così lungo...
Così doloroso...
Era così stanco...
Le lacrime continuavano a scendere senza che le potesse fermare.
I singhiozzi gli scuotevano le spalle.
Voleva solo...rimanere in quell’abbraccio...finchè quel male non fosse passato...



“Ehi ehi, calma...sta' tranquillo...va tutto bene adesso” mormorò Gideon stringendolo a sé e accarezzandogli delicatamente la testa “va tutto bene, tranquillo...tranquillo” continuò a sussurrare mentre scambiava uno sguardo d’intesa con Hotch. E le sue parole suonavano rassicuranti perché vere.
Lo lasciò sfogare mentre il dolore si stemperava pian piano, finché i singhiozzi non furono che un eco lontano di tutto quello che avevano passato e di quello che avevano dovuto affrontare per ritrovarsi.
C’erano volute davvero molte lacrime per arrivare fin lì, ma quello che contava era che erano lì entrambi, vivi.
“Mi dispiace di essermene andato” disse Gideon quando Reid si fu un po’ calmato “niente di tutto questo sarebbe successo se non l’avessi fatto...io non...” incespicò in cerca delle parole adatte. Ma non ce n’erano per una situazione del genere. Tutte le scuse del mondo non sarebbero servite a giustificare un atto di vigliaccheria come il suo. E lui lo sapeva bene, ma sperava che Reid lo perdonasse, nonostante quello che aveva passato per colpa sua. Se non altro almeno a lui poteva chiedere scusa. Ci aveva provato anche con Sara, ma ogni volta che arrivava al limitare del cimitero dove era stata sepolta si bloccava, senza riuscire a proseguire. Aveva provato a rimanere immobile per delle ore, mentre i fiori che aveva portato venivano spazzati via dal vento.
E adesso guardava quel ragazzo in attesa di una sua risposta, consapevole che avrebbe dovuto accettare qualsiasi sentenza Reid avesse voluto rivolgergli. Ne aveva tutto il diritto.
Spencer sollevò la testa dalla sua spalla e andò a cercare i suoi occhi.
C’erano molte cose che avrebbe voluto dire. Che si era sentito tradito. Che quella lettera gli aveva fatto ancora più male delle ultime parole con cui suo padre si era chiuso dietro la porta di casa. Che aveva avuto paura di non farcela, senza di lui. Che gli aveva fatto pensare che tutte le persone a lui care, prima o poi, lo avrebbero abbandonato.
“Gideon...”
Ma lui era corso lì, quando quell’uomo lo aveva rapito. Appena c’era stato bisogno, lui era tornato indietro per cercarlo. E quando la sua abilità di profiler aveva fallito contro Bird, era stato pronto a offrire la propria vita, in cambio della sua. Non aveva mai smesso di proteggerlo.
Jason...”
Scosse lentamente la testa, e gli sorrise con dolcezza.
“Mi sei mancato”



*siamo arrivate proprio alla fine. Ringrazio tutti quelli che ci hanno seguito fin qui. Noi ci siamo divertite molto a scrivere questa fan fiction, speriamo che per voi sia stata la stessa cosa.

Ad ogni modo, il comitato Glenda&Rem tornerà presto con una nuova produzione.

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