The Reader

di Claire DeLune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Dieci Anni ***
Capitolo 2: *** 1. Un tuffo nel passato ***
Capitolo 3: *** 2. Un'altra brillante idea ***
Capitolo 4: *** 3. Un nuovo vecchio inizio ***
Capitolo 5: *** 4. Gambe in spalla! ***
Capitolo 6: *** 5. Un nuovo acquisto ***
Capitolo 7: *** 6. Allenamento congiunto ***
Capitolo 8: *** 7. Lezioni di nuoto ***
Capitolo 9: *** 8. Il patto ***
Capitolo 10: *** 9. Si parte! ***
Capitolo 11: *** 10. Tempesta non solo d'acqua ***
Capitolo 12: *** 11. Notte in bianco (o quasi) ***
Capitolo 13: *** 12. In contropiede ***
Capitolo 14: *** 13. Dichiarazioni ***
Capitolo 15: *** 14. La sorpresa di Gou ***
Capitolo 16: *** 15. Il festival ***
Capitolo 17: *** 16. Stretta al cuore ***



Capitolo 1
*** Prologo - Dieci Anni ***


Gradisco volentieri ogni tipo di critica e consiglio.
Spero che vi piaccia e che mi aiuterete a migliorare.
Ci tenevo a precisare che al posto del nome o qualsiasi descrizione fisica della protagonista, ci saranno degli spazi bianchi che dovrete completare voi. Ovviamente avrete delle indicazioni su cosa dovete inventarvi mentre leggete. Mi auguro che apprezzerete l'idea.
Siate liberi di darmi spunti e di farmi notare eventuali errori di battitura (quando scrivo di fretta capita).
Mi auguro davvero che il mio stile di scrittura sia piacevole. Buona lettura :)

the reader

 

 

L’acqua è un essere vivente.

Quando qualcuno si immerge, essa spalanca subito le sue fauci e si lancia all’attacco.

Ma non c’è niente di cui aver paura.

Non bisogna opporle resistenza.

Spingi con forza le dita sulla sue superficie così da crearti un varco. 

E poi fai scivolare il corpo dentro quel varco.

Muovi le braccia, la testa, il torace...

Voglio soltanto sentire il contatto con l’acqua. Con la mia pelle, i miei occhi, il mio essere...

Non avere mai dubbi su come mi faccia sentire.

Credere in me stesso.

Lasciarmi cullare dall’acqua.

Accettarla, così che anche lei mi accetti.

 

PROLOGO

Dieci anni

 

2004 - Iwatobi Swimming Club, penultimo anno delle elementari

 

   Sei seduta sul bordo della piscina, osservando tutti i tuoi amici a mollo intorno a te.

   “Forza,              -chan! Non vuoi nuotare con noi?”, Nagisa ti schizza dell’acqua clorata sulla gamba.

   “No, grazie. Sto bene qui, davvero”, dici, spruzzandolo a tua volta, mentre lui ti guarda supplichevole coi suoi occhioni rosa vivo.

   “Guarda, Haruka non si è ancora fermato da quando siamo qui”, afferma Nagisa rapito dalla tempra del vostro amico, che continua a fare vasche una dietro l’altra.

   “Quando è in acqua, diventa un’altra persona”, interviene Makoto.

   Ridi piano, pensando ad alta voce, “Forse se sapessi nuotare come lui, entrerei in piscina”.

    Mentre osservi il tuo riflesso distorto dai movimenti dell’acqua, senti un paio di mani avvinghiarti per le caviglie e trascinarti verso il basso. Cerchi di afferrare il bordo per sorreggerti, ma vieni inghiottita dalla tua immagine rifratta. 

   Nagisa e Makoto ridono, guardandoti annaspare disperatamente per la salvezza. Ti alzi in piedi, lanci i capelli all’indietro e scuoti la testa.

    “Non è divertente, ragazzi”, li riprendi, mentre con le mani strizzi via un po’ d’acqua dai tuoi capelli.

    “Era l’unico modo per farti entrare in piscina”, sorride Makoto, grattandosi timidamente la nuca.

     Esci dalla piscina con i vestiti fradici e cammini verso Haruka che si è fermato per sentire l’acqua che sostiene il suo corpo. Egli non ti ha mai parlato direttamente, rendendovi così molto maldestri l’uno nei confronti dell’altra. Infatti mentre ti avvicini a lui, Haruka si volta dall’altra parte.

   Sorridi della sua impacciataggine, “Ottimo lavoro oggi, Haru. Vorrei essere brava  come te”.

   Le sue guance si tingono leggermente, ma non puoi vederlo. Makoto nota che è arrossito e gli rivolge un sorrisetto saccente.

   “Ehm... _______, ti piace qualcuno?”, rimani sorpresa della domanda improvvisa di Haruka.

   “Pensi davvero che te lo direi? E’ una cosa che io devo sapere e che tu devi scoprire”.

   Makoto ti sorride di nuovo e tu rispondi con un battito di ciglia.

   “Vado ad asciugarmi. Mi aspettate?”.

   “Certo”, afferma Makoto beffardo, “Ho portato dei vestiti extra nella mia borsa per te”. Avevi il sentore che lui e Nagisa avessero pianificato tutto dall’inizio. Trovi il gesto del bambino dagli occhi smeraldini leggermente goffo, ma adorabile a modo suo.

   Lo ringrazi, predendo la maglietta troppo grande per essere tua e ti volti in direzione degli spogliatoi. Senti in lontananza il vociare entusiasta di Nagisa e subito capisci che Haruka ha ricominciato a nuotare. Sogghigni internamente, pensando alla relazione morbosa che il tuo amico ha con l’acqua, quando lungo il corridoio ti scontri con qualcuno. Cadi a terra.

   “Ohi, puoi guardare dove vai?”, proferisce scocciata una voce maschile.

   Un ragazzino dai capelli cremisi, più o meno della tua età, ti fissa intensamente negli occhi, agganciandoli al corallo dei propri. 

   Cerchi di scusarti ma lui ti precede, visibilmente scombussolato da qualcosa, “Scusami, sarei dovuto stare più attento”. Ti scappa una risata leggera, mentre afferri la mano che ti sta offrendo.

   “Non preoccuparti. Perlomeno non sono caduta in acqua”.

   Una volta basta e avanza, pensi. 

   Gli lanci un ultimo sorriso, prima di voltarti e andartene, però il ragazzo ti trattiene delicatamente per il polso. Sembra teso.

   “Mi dispiace infastidirti ancora, ma non so il tuo nome”.

   “[Cognome, Nome]”, ti presenti sorridente, “E il tuo?”.

   “Io sono Matsuoka Rin”, dichiara, avvertendo il battito del proprio cuore accelerare.

   “Devi essere il nuovo membro del team. Ho sentito parlare di te”.

   Sul viso di Rin si dipinge un enorme sorriso, soddisfatto che tu lo conoscessi già, anche se solo per sentito-dire.

    “Spero che ti troverai bene con la squadra di nuoto”, dici allegra, incamminandoti per andare a cambiarti, ignara che Haruka, in uno di quei rari momenti in cui cessa di nuotare, vi avesse scrutati attentamente per tutto il tempo.

 

   Una volta tornata dai tuoi amici, ringrazi di nuovo Makoto per i vestiti e ti siedi su una delle panchine a bordo piscina, il più lontana possibile dalle grinfie di Nagisa.

   Noti immediatamente che Haruka si sta spostando con rapide bracciate all’interno dell’acqua con l’unico stile che accetta: lo stile libero.

   Makoto e Nagisa lo osservano meravigliati.

   “Il suo stile è così armonioso”, enuncia il primo.

   “Già, sembra un delfino”, conviene il secondo.

   Poi si voltano curiosi al suono di un paio di occhialini che vengono assestati sulla cuffia. Gomma contro gomma.

   Dei ciuffi ribelli scappano al di fuori della cuffia, permettendoti di riconoscerlo all’istante.

   “Chi è?”, chiede Nagisa con la sua vocina pigolante.

   “Mastuoka Rin-kun”, lo informa l’altro, “Si è trasferito nella nostra classe la scorsa settimana”.

   Come finiscono di spettegolare, Rin si tuffa e parte all’attacco per raggiungere Haruka a metà vasca, attirando inevitabilmente anche la tua attenzione.

   Ti alzi e raggiungi Makoto e Nagisa ai blocchi di partenza, giusto in tempo per vedere la reazione di Haruka all’evidente sfida del nuovo arrivato.

   Rin e Haruka nuotano fianco a fianco. Quando raggiungono il limite della vasca, ruotano su se stessi e spingono violentemente le piante dei piedi contro il muro, in modo da prendere velocità dopo la virata. Il ritmo accelera, eppure nessuno demorde. Entrambi sono desiderosi di dimostrare chi sia più degno di stare in acqua.

   Le boccate d’aria si fanno più frenetiche e avide, gli arti inferiori sbattono su e giù convulsi, mentre quelli superiori remano energici.

   Rimangono testa a testa fino alla fine, però la mano di Haruka è rapida quel tanto da toccare la parete della piscina per prima.

   La testa di Haruka riemerge dall’acqua, togliendosi cuffia e occhialini con un agile strattone e lasciando cadere alcune goccioline lungo i suoi capelli corvini.

   “Nessuno può batterti quando sei in acqua, Haru-chan”, dice Makoto, protendendo la mano verso l’amico in un gesto ormai abituale. Haruka l’afferra, lanciandogli uno sguardo stizzito, “Smettila di chiamarmi in quel modo”, e sguscia fuori dall’acqua.

    “Nanase-kun, eri fighissimo! Vorrei tanto saper nuotare come te!”, strepita Nagisa ammirato dall’abilità del suo futuro sempai.

    “Sei proprio veloce come dicono.”, l’interrompe Rin appoggiandosi al dividi-corsia, “Qual è il tuo tempo migliore?”.

    Haruka si volta dall’altra parte con indifferenza, “Non lo so e non mi interessa”.

    Rin ridacchia, “Anche questo è proprio come dicono”.

    Il rosso appoggia i palmi al bordo della piscina e, facendo flessione sugli avambracci, si solleva per raggiungere il suo avversario, “Ehi, Nanase. Ti va di fare la staffetta al prossimo torneo?”.

    Un’altra delle cose che ad Haruka non interessa è proprio la collaborazione di diversi stili elaborati e artificiali, che si mescolano in un’unica competizioni. Tutto ciò, insieme a tempi e riconoscimenti, collidono con il suo concetto di libertà.

    Non ti stupisce affatto che Haruka declini l’offerta, salendo sul blocco di partenza, rinfilandosi cuffia e occhialini e dicendo, “Faccio solo stile libero”, poco prima di rituffarsi.

 

Sette anni dopo (2011)

 

    E’ mattino presto e Haruka dovrebbe essere pronto per andare a scuola già da un bel pezzo. Tuttavia, incurante dell’orario, si sta ancora crogiolando nella sua vasca da bagno, rimuginando sugli insegnamenti della sua defunta nonna. Consigli che Haruka valuta come unica vera forma di saggezza. Chiara e distinta come la filosofia di Cartesio per lui non sarà mai.

    Sta pensando ad una dottrina in particolare.

    A dieci anni ti chiamano prodigio,a quindici anni ti chiamano genio. Ma a vent’anni sei solo una persona come le altre.

   Haruka, oramai diciassettenne, ha ancora tre anni prima di rientrare definitamente nella classe delle persone normali. Cosa avrebbe fatto di quei tre anni, avrebbero segnato inevitabilmente tutta la sua vita, o almeno la sua memoria.

   Sentendo il peso della sua imminente decandenza, si lascia scivolare nella vasca, immergendo interamente il suo corpo e sperando di poter diventare un tutt’uno con il suo elemento.

 

   Tu e Makoto andate a prendere Haruka per andare a scuola assieme. Ieri non si è presentato alla cerimonia di apertura del nuovo anno scolastico, e sai bene che, se fosse per Haruka, a scuola si presenterebbe una volta ogni tanto.

   Mentre camminate un’anziana signora chiama a sé Makoto, porgendogli un sacchettino di gamberi fritti, “Buongiorno, Makoto-chan”.

   Sei così abituata a sentire quel ragazzone del tua amico essere chiamato -chan, da non farci più caso, nonostante sia così inadatto ad uno giovane della sua età.

   Quattro ragazzi, tutti con nomi molto femminili. E’ una cosa carina, anche se problematica negli appelli di inizio anno.

   “Grazie, signora Tamura. Troppo gentile. Buona giornata”, è sempre così cortese ed educato.

   Makoto ti sorride, tornando da te e tu rispondi alla stesso modo.

   Mentre passeggiate, a Makoto scappa una risatina divertita, “Sai, è buffo. Tamura-san mi ha chiesto se stessimo insieme. Pensava che fosse un appuntamento”.

   Raspi rumorosamente la gola, a metà tra l’infastidita e l’imbarazzata, “Noi, insieme? Nah. Siamo troppo amici per farlo”. Sorridi, dando un buffetto sulla spalla possente di lui. Ancora ti stupisci di quanto sia diventato grande e forte il tuo amico d’infanzia. In confronto tu sei rimasta così minuta.

   “Sai una cosa, non mi hai mai detto chi ti piaceva”, dice con nonchalance Makoto, avvicinandosi.

   Arrossisci lievemente al ricordo, “Come vi ho detto sette anni fa, è una cosa che io devo sapere e che voi dovete scoprire”, gli lanci l’ennesimo sorrisetto furbo. 

   Chiacchierando, non ti sei resa conto di essere finalmente arrivata davanti a casa di Haruka. Ti avvicini alla porta d’ingresso e suoni il campanello. 

   Nessuno risponde.

   Provi ancora.

   Niente.

   Che sia già uscito?

   Makoto alza lo sguardo verso le finestre del piano di sopra, e si accorge che quella del bagno e completamente appannata. Sbuffando, si dirige verso la porta del cortile.

   “Oh, ma andiamo...” 

   “Dove stai andando?”, chiedi, seguendolo sul retro della casa.

   Makoto apre la porta che dà sul giardinetto ed entra, tenendotela con una mano, per poi chiuderla dietro di te.

   “Permesso”.

   Togliete le scarpe, percorrete il corridoio, salite le scale, Makoto entra nella lavanderia dove trova la divisa scolastica ancora accuratamente piegata sopra la lavatrice. 

   “E ti pareva...”, sibila sconsolato. Conosce fin troppo bene Haruka.

   Infine apre la porta del bagno e, varcando la soglia, vi annuncia al padrone di casa, “Stiamo entrando”.

   Haruka scatta fuori dalla vasca all’istante, scuotendo a destra e a sinistra il caschetto d’onice, così da scrollare via un po’ d’acqua e liberarsi alla bene e meglio gli occhi di zaffiro. Gli stessi occhi che successivamente si posano sulla mano tesa d’innanzi a sé.

   “Buongiorno, Haru-chan”.

   “Ti ho detto di togliere quel -chan”, dice Haruka, prendendo la mano di Makoto ed issandosi in piedi. Esattamente come quando eravate bambini.

   Consapevole che di lì a poco avresti visto un ragazzo completamente nudo - e bagnato... -, le tue gote cominciano a bruciare ardentemente. Fissi accorta il suo fisico man mano che la miscela della vasca abbandona il suo corpo. I suoi bicipiti, i tricipiti, gli addominali definiti. Poi giù, giù, giù fino al... 

   Costume?!

   “Fai di nuovo il bagno con il costume?”, la voce di Makoto ti riporta alla realtà, al fatto che tu non dovresti essere lì nel bagno di un ragazzo che non è il tuo, intento a farsi il bagno, nudo o meno, perciò con uno scatto felino ti volti a fissare la porta, dando la schiena ai due.

   “Piantala. Faremo tardi”.

   “Dovrei essere io a dirlo...”.

   “Cosa intendevi con “stiamo entrando”?”. Haruka non si era ancora accorto di te, messa in ombra completamente dalla stazza di Makoto.

   Senti Makoto spostarsi un poco, così da permettere a voi due di vedervi l’un l’altra, “Ho portato ________-chan con me. Così andiamo a scuola insieme”.

   Quando odi pronunciare il tuo nome, percepisci anche il dovere di girarti verso i tuoi interlocutori.

   Saluti indecisa con la mano.

   In breve tempo Haruka si volta dall’altra parte e afferra un asciugamano per asciugarsi. 

   Tu e Makoto uscite dal bagno, per lasciare ad Haruka un po’ di privacy, e scendete al piano di sotto. Makoto ti mostra la cucina e vi accomodate lì, in attesa.

   Io non sono così, dici tra te e te, Ho sempre creduto che fosse lui quello timido.

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Capitolo 2
*** 1. Un tuffo nel passato ***


1. 
Un tuffo nel passato
 
   Tu e Makoto siete seduti sul tatami intorno al tavolo orientale della sala da pranzo, parallela alla cucina, a parlare del più e del meno. Se non conoscessi bene quel dolce gigante, giureresti che ti sta prendendo in giro per il tuo comportamento di poco prima in bagno.
   Dopo pochi minuti Haruka fa capolino nella stanza ancora in costume. Apre uno sportello da cui estrae una griglia, ci versa dentro un filo d’olio, accende i fornelli e ce la posa sopra. Poi si mette un grembiule da cuoco decisamente poco virile e inserisce un filetto di sgombro nella padella.
   Makoto scatta in piedi incredulo e si avvicina ad Haruka, “Aspetta perché stai grigliando il pesce?!”.
   “Non ho ancora fatto colazione”, ribatte l’altro come se fosse scontato mangiare pesce di prima mattina.
   “E poi stai indossando un grembiule sopra il costume”, continua il primo, “Non hai freddo?”.
   “Non voglio che mi si schizzi d’olio il costume”.
   Ridacchi alla giustificazione di Haruka, pensando che Makoto sarebbe potuto arrivarci anche da solo.
    Certo che ha proprio un bel fisico... Chissà come sarebbe, se non avesse smesso con il nuoto agonistico.
   Immediatamente nella tua mente compare un viso. Rivedi i suoi capelli cremisi incapaci di stare al loro posto; gli occhi, un tempo scintillanti di allegria, gonfi, appannati dalle lacrime e dalla frustrazione, per poi essere costretti nell’espressione aspra e austera che ora li caratterizza.
   Sospiri, mentre immagini il Rin bambino e quello che hai incontrato solo tre anni fa. Confrontandoli, non sembrano neanche la stessa persona.
   Tuttavia, sotto una certa luce, ti piace anche così, con la sua aura di impellenza, prepotente e arrogante, quasi belligerante, perché sei sicura che, nel profondo, è ancora lo stesso bimbo a cui bastava incrociare il tuo sguardo per andare in tilt.
   “Ne volete un po’?”, senti Haruka chiedere, strappandoti al tuo rimuginio, accompagnato dal trillo del tosta pane.
   “Pesce... e toast?”, domanda Makoto ancora scettito, prima di dissentire.
   “E tu, _______?”.
   Gli sorridi di rimando, “No, grazie. Ho già mangiato”.
   Haruka ti scruta dalla testa ai piedi dubbioso. Successivamente posa le sue iridi oceaniche nelle tue.
   “Sicura?”.
   “Sì, certo. Sono a posto”, gli mostri un altro sorriso, arrossendo un poco. Trovi gentile da parte sua preoccuparsi per te. Anche se ti sembra inutile: infondo, tu non hai bisogno di tutte quelle proteine per mantenere solida la muscolatura.
   Haruka non insiste oltre e si siede davanti a te, cominciando a consumare il suo pasto in silenzio.
   Improvvisamente ti senti insicura in sua presenza, ti è persino impossibile sostenere il suo sguardo.
   Perché tutta questa timidezza?!, ti chiedi.
   Makoto si alza, “Haru, vuoi che vada a prenderti l’uniforme?”.
   “Certo. E’ nella lavanderia sopra la lavatrice”.
   Makoto ti lancia uno sguardo furbo che non riesci ad interpretare. Significava che lo sapevate benissimo dove si trovasse la sua divisa, o che finalmente vi avrebbe lasciati soli?
   A quest’ultimo pensiero, sulle tue gote compare una lieve sfumatura rosata e hai come l’impressione che lo stesso stia succedendo anche sul volto del ragazzo intento a mangiare davanti a te.
   Cerchi di dire qualcosa per rompere la tensione, ma, proprio quando stai per pronunciare il suo nome, qualcosa nella tasca anteriore della tua tracolla comincia a vibrare. Estrai il tuo cellulare e vedi illuminarsi sullo schermo l’anteprima di un sms:
 
Gou Matsuka
Dove sei?
 
   Perdi un battito. In un primo momento credi che sia Rin. Leggi meglio il nome del mittente e ti tranquillizzi.
   Che idea stupida. Rin non ha il mio numero.
   Ti maledici per esserti dimenticata l’appuntamento davanti a scuola con la ragazza del primo anno che hai conosciuto ieri alla cerimonia. Rispondi a Gou per scusarti e cerchi di alzarti, ma una morsa te lo impedisce.
   “Dove stai andando?”, t’interroga Haruka mentre ancora tiene salda la mano attorno alla tua sul tavolo.
   Sussulti intontita da quel gesto e arrossisci di nuovo.
   “Mi sono dimenticata che devo vedermi con un’amica. Scusa”. Ti liberi dalla stretta del giovane, rinfili il telefono in borsa e corri fuori dalla porta in fretta e furia, senza nemmeno accorgerti del ticchettio sordo che emette il ciondolo del tuo dispositivo quando incontra il pavimento.
   In quel momento Makoto rientra in sala da pranzo e trova Haruka seduto al tavolo da solo. Ha un’aria triste e spaesata, come se fosse stato appena abbandonato a se stesso.
   “Dov’è andata _______-chan?”, chiede Makoto, lasciando cadere i vestiti nel grembo di Haruka.
    Quest’ultimo si alza velocemente, lasciando scivolare a terra l’uniforme,  per andare a raccogliere il piccolo ornamento. Con sua grande sorpresa si tratta di un delfino - il suo animale preferito - che balza elegantemente fuori dall’acqua. E’ ridefinito nei minimi dettagli. Sembra vivo.
   “Ti piace?”, chiede Makoto ammiccando. Come se si stesse riferendo a qualcosa che non c’entrasse con quell’affarino. O meglio, a qualcuno.
   “E’ solo un ciondolo”, replica Haruka con la solita noncuranza, che però stavolta lo tradisce sebbene il castano eviti di farglielo notare. Avrà modo di punzecchiarlo più avanti, ne è certo.
   “La raggiungiamo?”.
   “Mi vesto e arrivo”.
 
   Mentre distendi le ginocchia in profonde falcate per raggiungere la tua amica, senti l’aroma ricco di salsedine dell’oceano di fianco a te. Ti fermi ad ammirarlo nella sua placidità, sperando che le temperature si alzino al più presto. Ti piacerebbe così tanto andare a fare il bagno. 
   Sogghigni, Haru, starà pensando la stessa cosa.
   E così è.
   Haruka, poco più indietro rispetto a te, passeggia con Makoto verso quel purgatorio che comunemente viene denominato “liceo”, incurante di ciò che il suo amico stesse blaterando a proposito di essere nuovamente in classe assieme o dell’avere già dato un soprannome alla nuova coordinatrice. Desidera soltanto sentire l’acqua salmastra adattarsi al proprio corpo. 
   Eppure si meraviglia di un pensiero che comincia subdolo ad aleggiargli nella mente: vorrebbe passare quel momento con te.
   Si volta verso l’infinita distesa d’acqua, un po’ per imprimere nella memoria ogni aspetto di essa e un po’ per nascondere il colore innaturale che sta prendendo possesso della sua pelle apatica, ma questo non sfugge allo sguardo critico di Makoto.
   “Spero che faccia caldo al più presto, così potrai farti una bella nuotata”.
   Haruka non saprebbe dire se il giovane avesse o meno omesso la parte su di te apposta, fatto sta che sa sempre cosa accade sotto la sua impassibilità. Spesso si sente nudo agli occhi del suo migliore amico, come se tutto quello che ha sempre cercato ti tenere per sé, sia invece pericolosamente esposto.  
   Per la seconda volta, ripensa a te e si pone il perché l’empatia di Makoto non abbia colto il tuo nome tra le righe, associandolo ai quei dolci occhi [colore/forma] da cerbiatta che lo fanno sbarellare.
   Improvvisamente Haruka si sente pervadere dalla sensazione che lo abbia fatto davvero di proposito, chiedendosi inevitabilmente se debba essergli grato o sospettare delle sue intenzioni?
   Non capisce ciò che sta provando né tantomeno perché queste emozioni siano venute a galla così repentine. Ma di una cosa è certo. Adesso che Rin non c’è più, non permetterà a nessun altro di schiacciare i sentimenti che sono maturati con lui in questi sette anni.
 
Istituto Iwatobi
 
     Vaghi per un po’ tra la calca e il vociare di ragazzini occupati a discutere di videogiochi e sport e ochette preoccupate di vestiti e trucco. Le fissi accigliata, pensando che le persone sono sempre monotonamente uguali. Una di loro ti guarda dai suoi altezzosi occhi verdi. Non l’hai mai vista prima, quindi deduci che sia una del primo anno che pretende di atteggiarsi a reginetta della scuola.
   “Hai qualche problema?”, chiede sprezzante.
   “Mi stavo solo chiedendo se fossi un nuovo prototipo a grandezza naturale della Mattel, Barbie”, ti allontani, mentre bofonchia una qualche minaccia. Ghigni all’idea.
   “Brava _______, fatti riconoscere”, ti riprende scherzosa Gou, visibilmente divertita dal tuo scambio d’opinioni con la biondina.
   “Ciao, Gou. Scusa per il ritardo”, ti gratti la base della testa, un po’ a disagio.
   “Ti ho detto di non chiamarmi Gou, ma Kou!”.
   Cerchi di scusarti di nuovo, però lei ti dà le spalle e ti sollecita a sistemarle il nastro che le racchiude la lunga coda rosso cardinale.
   Quei capelli hanno una sfumatura così familiare, per non parlare di quelle iridi corallo talmente simili alle sue.
   Quel cognome e quei pigmenti ti sembrano troppo vicini per essere una mera casualità. Non possono esserlo.
   Abbassi il capo, trovando stranamente interessanti le punte delle tue scarpe e, imbarazzata, le domandi, “Kou, per caso hai un fratello?”.
   Gou ti esamina confusa, ma curiosa di sapere dove tu voglia andare a parare, “Sì, si chiama Rin. Perché?”.
   Avverti lo stomaco aggrovigliarsi su se stesso alla conferma dei tuoi dubbi.
   “Lo conosco. Andavo con lui e gli altri ai loro tornei quando eravamo alle medie”.
   “Oh, ma certo! Tu devi essere la _______ di cui parla sempre!”, afferma entusiasta. Felice di aver conosciuto quella che considera il primo amore di onii-chan.
   “T-ti ha parlato di me? Pensavo si fosse trasferito in Australia”.
   “E’ tornato. Non lo sapevi?”.
   Ricominci a scrutare il suolo imbrunita, “No”.
   Per qualche ragione ti suona come una menzogna. Non riesci a credere alla tue stesse parole, perché, dentro di te, sapevi e speravi che un giorno sarebbe tornato. Presto o tardi che sia.
   Gou sembra non accorgersi del tuo cambiamento d’umore, infatti di prende le mani sorridente, confidandoti, “Sai, non ha fatto altro che pensare a te per giorni!”.
   Avverti un calore montare dall’interno, “Davvero?”.
   Gou ti sorride raggiante.
   Iniziate a conversare radiose su suo fratello, come due cognate di vecchia data, quando senti qualcuno chiamare il tuo nome. Giri la testa verso la fonte invocante la tua attenzione e vedi Makoto al cancello d’ingresso affiancato da Haruka, mentre agita la mano a destra e a sinistra. Fai un cenno con la testa a mo’ di saluto e gli sorridi smagliante. 
   Ad un certo punto noti Haruka avvicinarsi sicuro di sé, tenendo le braccia conserte dietro la schiena.
   Lo studi disorientata, ma interessata al motivo ti tanta intraprendenza, “Ciao, Haru”.
   Senza preavviso, il ragazzo acciuffa la tua mano sinistra, ne apre delicatamente le dita e ci sovrappone sopra le proprie, lascia scivolare nel tuo palmo un oggetto metallico e torna da Makoto, sorridendo.
   Osservi il ciondolo, illuminandoti.
   “Cos’è?”, indica Gou.
   Recuperi il telefono dalla tua borsa a tracolla e ci riattacchi l’ornamento.
   Sorridi morbida, “Niente, è solo un accessorio per cellulari”.
   La campanella annuncia l’inizio delle lezioni.
   “E’ meglio andare. Ci vediamo!”, la saluti con un abbraccio e corri all’entrata.
 
   Prendi posto in terza fila davanti a Makoto e Haruka. Ringrazi quest’ultimo per il delfino e ti presenti alla tua compagna di banco.
   “Piacere, _______ _______”.
   Ti sorride gioiosa, “Ciao, io sono Yukimura Mako”. A stento trattieni le risate, riflettendo su quanto assomigliasse quel nome a quello del tuo amico dagli occhi di smeraldo. 
   In fondo non è colpa sua se gliene hanno dato uno femminile, concludi.
   “Tutti ai vostri posti”, tuona dolce la voce della coordinatrice, “Vediamo... Tadokoro Junichi-kun”.
   “Presente”.
   “Tezuka Kaori-san”.
   “Presente”.
   “Ehm... Nanase Haruka-san”.
   Dalla classe si leva una debole ilarità generale, mentre Haruka socchiude gli occhi abituato ad essere scambiato per una ragazza. 
   Makoto interviene per sedare la situazione, informando l’insegnante che in realtà è un maschio.
   La donna sussulta, “Ah, è vero! Scusami, Nanase-kun. Ieri eri assente, vero?”, Haruka si volta in direzione della finestra annoiato, mentre lei prosegue, “Sono Miho Amakata, la vostra nuova coordinatrice. Piacere di conoscerti”.
   Dopo la piccola gaffe, Amaka-sensei - o Ama-chan come la chiamano gli studenti - comincia la sua lezione di letteratura classica. Spiega la fine del Periodo Edo, quando l’Impero era scosso da violente sommosse interne, a favore e contro il mantenimento del potere del Bakufu Tokugawa, ad opera dei clan Choshu e Satsuma. Furono gli anni in cui la Shinsengumi ebbe la sua ascesa, insieme a quelle di numerosi autori letterari, come il poeta che state studiando: Kobayashi Issa.
 
Taba oreba
Oru tote yuki no
Furi ni keri
 
   Ti immergi completamente nell’haiku, come un pesce negli abissi, avvertendo la solitudine e la tranquillità che la neve appena caduta invoca.
   Il suono della campanella ti strappa interdetta dall’arem che ti eri ricreata, lasciandoti un senso amaro di insoddisfazione. Ti sembra impossibile che sia già finita la lezione, ma gli erranti che girovagano rumorosi per l’aula te ne danno conferma.
   Vedi gente che si alza per raggiungere i propri amici, pronti a fare del gossip sulla prof. appena congedatasi. Alcuni dicevano che fosse di queste parti, altri che avesse studiato in un’università di Tokyo per inseguire un sogno mai realizzato e che per questo fosse tornata.
   Giri la sedia all’indietro, negligente al sentire altre chiacchiere del genere e, per un attimo, credi di aver captato i pensieri di Haruka, probabilmente simili ai tuoi. Il giovane sospira, prima di guardarti a mo’ di convalida alle tue considerazioni.
   In quell’istante Makoto si rivolge a voi allegro, interrompendo la vostra conversazione fatta di occhiate, “Andiamo a mangiare in terrazzo?”.
   Non capisci che mi girano?, pensa Haruka e la sua espressione ti fa sfuggire una risatina sollazzata.
   “Per me va bene”, gli sorridi gentile.
   Vi alzate e vi dirigete verso le scale, le scendete, parlando del più e del meno, quando Haruka menziona il fatto di essersi scordato il pranzo. Ti dai un colpetto sulla fronte, balbettando flebile un “anch’io”. Per vostra fortuna con voi c’è Makoto che, generoso come sempre, vi offre un po’ del suo. 
   Ti sollevi sulle punte, fai leva sulla spalla sinistra del gigante e gli inumidisci una guancia con un bacio appena accennato, “Grazie. Sei il migliore!”. Ti allontani e credi di vedere una leggera gradazione rosata sul suo viso.
    E’ arrossito per caso?, ti chiedi tra te e te.
   Non sei sicura che la tua sentenza sia corretta, data la differenza di altezza e la scarsa luce nella tromba delle scale, ma, se fossi stata più attenta, ti saresti accorta dell’improvviso irrigidimento assunto dalla postura di Haruka.
   Saltelli giù dai gradini, quando la porta si spalanca davanti a voi e una testolina contornata da vaporosi capelli dorati si agita felice per avervi trovato.
   “Mako-chan, _______-chan, Haru-chan! Da quanto tempo! Frequento anch’io l’istituto Iwatobi”, strepita il ragazzo.
   Vi fissate smarriti, ripetendo i nomignoli a voi affibbiati, per poi spalancare gli occhi e gridare, “Nagisa?!”.
    Il biondo vi sorride al settimo cielo. Gli corri incontro e lo circondi in un forte abbraccio, constatando che anche lui è cresciuto parecchio e che, se non fosse per quell’espressione teneramente infantile, fisicamente sembrerebbe più grande di te.
   “Sono passati un sacco di anni”, affermi contenta, mentre avvolge le braccia intorno a te.
   Lo inviti a pranzare con voi sul tetto e, ovviamente, accetta all’istante.
   “Non pensavo di rivederti dopo la chiusura del club di nuoto”, interloquisce Makoto, mentre ammirate il panorama che si offre dinnanzi a voi.
   “Già, sono andato in un’altra scuola”, conviene Nagisa, ma, al solito, la sua attenzione viene catturata all’istante da ben altro - a suo avviso più interessante del passato -, “Ci sono dei ciliegi vicina alla piscina! Haru-chan, c’erano dei ciliegi anche vicino alla piscina della tua scuola media, vero?”.
   “Smettila di chiamarmi in quel modo”.
   “Beh, però è così che ti chiami”.
   Immediatamente Haruka lo scruta dall’alto al basso, sdegnoso, costringendo Makoto ad intervenire.
   “Quella piscina è vecchia: non viene più utilizzata. E ovviamente non c’è un club di nuoto”.
   “Allora dove nuotate?”, pone ingenuo il nuovo arrivato.
   “Ho smesso col nuoto competitivo”, replica Haruka indolente.
   “Cosa?! E perché?! Ero così esaltato all’idea di nuotare di nuovo con te!”.
   “Non siamo più dei bambini”, prosegue l’altro nel medesimo tono, “Adesso le cose sono cambiate”.
   Nagisa l’osserva amareggiato, così decidi di alleggerire la situazione, “Beh, avrà anche smesso col nuoto agonistico, ma adora ancora l’acqua. Haru, nono può viverci senza”.
   “E’ vero”, si aggrega Makoto, “D’estate nuota al mare...”, sogghigna, “...e stamattina era a mollo nella vasca”.
   “Ma questo non c’entra niente col nuoto”, dissente l’altro, “Significa solo che gli piace fare il bagno”.
   Successivamente l’entusiasmo fulmineo di Nagisa si riversa su Haruka con proposte paradossali a proposito di club altrettanto stravaganti, che prontamente il moro rifiuta, negandogli persino il contatto visivo con il suo volto.
   Tu e Makoto vi guardate, chiaramente pensando la stessa, e scoppiate in una risata fragorosa.
   Nagisa non è cambiato di una virgola.
   Per un attimo il tuo umore si rabbuia, percependo che manca qualcosa all’allegra combriccola che ti intrattiene. Manca lui. Vorresti avvertirli che Rin è tornato, eppure non lo fai, intimorita che questo possa rovinare il vostro ritrovo.
   In quel momento la campanella suona di nuovo, informandovi che è ora di riprendere le lezioni. Tu e Haruka sbuffate all’unisono, scambiandovi successivamente un piccolo sorriso.
   Gli occhi magenta di Nagisa si illuminano. Si avvicina di soppiatto a Makoto, gli picchietta la spalla e cerca informazioni su voi due. L’altro gli sussurra soltanto di avere il sospetto che finalmente Haruka si sia svegliato e abbia deciso di agire prima che sia troppo tardi.
   Nagisa ridacchia compiaciuto, coprendosi la bocca con la mano e vi supera, attraversando la soglia che dà sul terrazzo e balzellando giù dalle scale. Si blocca, scosso da qualcosa che avrebbe dovuto dirvi fin dall’inizio, “Il nostro vecchio circolo di nuoto di quando andavamo alle medie verrà demolito a breve”.
   Vedi Haruka strabuzzare gli occhi in un misto di tristezza e stupore. Senti l’urgenza di stringergli la mano, nonostante l’indecisione che ti pervade al  solo immaginare in quale modo potrebbe reagire. Tuttavia lui ti sorprende, rispondendo al contatto e stringendo a sua volta la dita attorno alle tue.
   “Perciò”, espone Nagisa, librandosi in aria per saltare gli ultimi gradini, un’altra sua idea malsana, “che ne dite di andare a fare un salto prima che avvenga?”
   “Per recuperare quella cosa?”, lo interroga Makoto.
   “Quale cosa?”, mormori incerta ad Haruka.
   “Il trofeo”, ti informa e le tue labbra mimano un “ah”.
   “Ci intrufoleremo quatti quatti di notte e...”, continua imperterrito il biondo.
   Haruka si scioglie dalla presa e comincia a scendere le scale, “Puoi andarci da solo”.
   “Che guastafeste che sei!”, dice Nagisa, parandoglisi davanti con fare bambinesco, “Vieni con noi, Haru-chan”.
   “No”.
   “Dai, sarà divertente”.
   “Non credo proprio”.
   “E dai, fallo contento”, si intromette Makoto accondiscendente.
   Haruka gratta la gola rumorosamente, “_______, tu che ne pensi?”.
   “Mmm... per me va bene”, Nagisa spalanca la bocca pronto ad urlare dalla gioia, però tu lo interrompi aggiungendo, “In più lì c’è una piscina”.
   L’espressione di Haruka vacilla.
   “Una piscina è molto più grande di una vasca da bagno”, sentenzia Makoto, facendoti l’occhiolino, entrambi consapevoli che Haruka avrebbe ceduto. Infatti...
   “E va bene”, mantiene il suo singolare tono disinteressato, seppure non lo sia affatto.
   Ciò che però vi elude, è che una quinta persona ha udito la vostra conversazione e che, la suddetta persona, ne ha informata un’altra a proposito del vostro piano.
 
Casa Nanase
 
   “Wow! Haru-chan, vivi davvero qui tutto solo?”, chiede stupito Nagisa, facendo scorrere i vari separé che gli capitano a tiro.
   Con la solita cortesia Makoto replica, “Suo padre si è dovuto trasferire per lavoro e sua madre è andata con lui”.
   Dalla cucina si sente un leggero scoppiettio, ti avvicini ad Haruka e vedi che sta preparando altro sgombro.
   “Ancora pesce?”, chiedi shoccata.
   La sue espressione si corruccia, “Nessuno ti obbliga a mangiarlo”.
   “No, sembra buono”, ammicchi.
   “Haru-chan è sempre stato bravo ai fornelli”, si frappone il biondino.
   “Posso aiutarti?”, domandi in un soffio. Temi che non ti abbia sentito.
   “Passami i piatti dalla credenza”, risponde amorevole, mostrandoti un sorriso della stessa natura.
   Per un secondo tentenni sul da farsi, stordita da tanta dolcezza nei tuoi confronti.
   Nel frattempo Nagisa si è accomodato al tavolo amareggiato, sentendosi palesemente trascurato.
   Prendi i piatti a due alla volta e li servi in tavola. Vi sedete e iniziate a degustare il piatto forte dello chef, quando Makoto si rivolge ad Haruka insicuro, “Allora, sei proprio sicuro di volerlo fare?”.
   Nagisa s’immischia, “Che c’è? Prima eri d’accordo e ora hai paura?”.
   “Non è come pensi”, riprende l’altro, “E’ giusto se lo dissotterriamo solo noi tre?”.
   “Non vedo altra scelta. Rin non è più in Giappone”.
   Improvvisamente hai la necessità di alleviare la tua gola secca. Porti il bordo del bicchiere alle labbra e lo sollevi per lasciar passare il liquido trasparente al loro interno, contemporaneamente posi le tue pupille su Haruka seduto di fronte a te e, per un attimo, ti pare di non essere l’unica a nascondere qualcosa a riguardo. Ma poi i suoi occhi mutano. 
   Volano via. 
   Indietro nel tempo.
   “Non farò le scuole medie qui”, annuncia il bambino dai denti di squalo, fissando il ciliegio spoglio dinnanzi a sé senza vederlo realmente. 
   Il compagno al suo fianco strabuzza le profonde iridi blu, non proferendo parola: lascia che sia il terzo a parlare.
   Infatti: “Eh? Che vuoi dire?”.
   “Andrò in Australia”.
   “Andrai...”, gli si rompe la voce, “...in un’altra nazione?”.
   “Già. Frequenterò una scuola di nuoto”.
   Il cupo ragazzino che ha rubato gli occhi all’oceano, distoglie lo sguardo, per fissarlo sulla scritta che, tempo prima, avevano inciso nel muretto della scuola. 
   Finalmente parla, “Che intenzioni hai?”.
   Lo squaletto sorride sghembo, rapito dall’entusiasmo del suo sogno, “Diventerò un nuotatore e parteciperò alle Olimpiadi”. Non si accorge che l’altro ha aggrottato le sopracciglia deluso, arrabbiato e costernato dalla consapevolezza di ciò che perderà: il suo rivale, il suo sfidante, il suo migliore amico.
   “Perché non ce lo hai detto? E la staffetta?”, ribatte il bimbo castano.
   Il piccolo sognatore si infila le mani in tasca, prima d’incamminarsi, dicendo, “Tranquilli, ci sarò. Partirò il giorno dopo il torneo”, si arresta sul posto, “Perciò questa sarà l’ultima volta che noi quattro nuoteremo insieme”.
   Gli occhi corindoni del terzo giovanotto si posano tremolanti su quello più taciturno, implorandolo muto di dire qualcosa. Qualunque cosa. Eccetto...
   “Faccio solo stile libero”.
   “E allora devi partecipare alla staffetta”, proclama deciso il cucciolo di pescecane, sbriciolando tra le dita delle foglie secche, “E’ la nostra ultima occasione. Nuotiamo insieme”.
   Il ragazzino che fino ad allora aveva osservato ossessivamente il graffito For The Team, sente la quiete dell’acqua nel proprio io alle parole, “Se lo farai”,  lo analizza con attenzione, “Ti mostrerò una parte di me che non hai mai visto”.
   Nessuno sembra accorgersi della tensione che si nasconde dentro Haruka a parte te, neppure Makoto. Ancora una volta avverti l’impulso ti dargli conforto e così fai. Ti allunghi sul tavolo verso la sua mano e gliel’afferri, incurante degli spettatori. Come in terrazza, il giovane non si sottrae, anzi sembra rasserenarsi. Sovrappone il pollice sulla tua e comincia ad accarezzartela delicato, quasi temesse ti farti male.
   Nagisa, con la sua ormai riconosciuta inadeguatezza, finge rumorosamente di avere il raspino per richiamare la vostra attenzione. Subito voi due vi raddrizzate e riprendete a consumare il vostro pasto come se nulla fosse mai accaduto, ignorando gli sguardi avveduti che i presenti vi stanno lanciando.
   Finita la cena, aiutate Haruka a lavare le stoviglie e a riordinare, recuperate una pala dallo sgabuzzino degli attrezzi e partite alla volta del circolo di nuoto.
 
Iwatobi Swimming Club
   
   Siete all’ingresso di quello che un tempo era il vostro luogo di ritrovo, oramai ridotto a un ammasso di mura fatiscenti e maleodoranti, impregnate di cloro e muffa.
   “Certo che questo posto è proprio messo male”, dichiari contrariata e afflitta, avvertendo tutti i tuoi ricordi spazzati via.
   Nagisa recupera un pacchettino dalla tasca dei jeans, informandovi che potrebbe esservi utile, lo scarta mostrando al mondo una polverina bianca.
   Guardi il viso angelico del tuo amico incredula, Cocaina?!
   Subito il biondo enuncia quasi in risposta al tuo pensiero, “Sale purificatore”.
   Adesso lo guardi scettica, pensando che l’idea della droga sarebbe stata meno idiota.
   “Sale?”, sollecita Makoto dubbioso.
    Nagisa volge i suoi occhi rosati sull’edificio, “Dicono che questo posto sia infestato”.
   “Oh, ma per favore!”.
   “Non sto scherzando, _______-chan! Pare che abbiano visto delle ombre muoversi e sentito pure dei lamenti”.
   Makoto posa lo sguardo affranto sul murales in rovina del muro principale, dove l’intonaco scolorito che disegna un bambino, lascia dei segni carmini sotto le palpebre, dando l’impressione che pianga sangue,  “Non spaventarmi”.
   “Non muovetevi”, ci ordina Nagisa insaporendoci. 
   Un granello salta alla bocca di Haruka che, lambendolo, capisce che, “Questo è zucchero, mica sale”.
   Nagisa sbianca per lo sbaglio e suggerisce di inoltrarci nello stabile.
   Camminate per i corridoi alla luce di tua torcia elettrica e ancora il biondo cerca giustificazioni per la bufala di poco prima. Speri per lui che non l’abbia pagata quella roba.
   “Beh, è tutta una questione mentale, perciò anche lo zucchero andrà bene per lo scopo”.
   “Solito cliché”, affermi.
   “Un classico”, conviene Haruka avvicinandotisi.
   “L’errore più vecchio di sempre”, interviene Makoto un secondo prima di balzare dietro le spalle di Haruka, spaventato da un rumore metallico, “C-cos’è stato?”.
   Nagisa si gratta nervosamente la nuca, “Ho colpito una lattina vuota”.
   “L’hai fatto apposta, non è vero?!”, sbraita il gigante buono.
   “Hai sempre avuto paura del buio”, lo deride il piccoletto.
   “Così non mi sei d’aiuto!”.
   “Scusa”.
   Ti impunti sul posto, convinta di aver sentito qualcosa, ti volti di scatto.
   Niente, il corridoio è vuoto.
   “Che cos’hai, _______?”, chiede Haruka.
   “Mmm... Nulla. Mi era sembrato... Non importa”.
   Ricominci a muovere i piedi, conservando il tuo sospetto e stando anche molto più vicina al moro che, senza fiatare, ti prende per mano, ricambiando la sensazione di tranquillità che gli avevi donato solo un’ora prima.
   Non parlate molto, non l’avete mai fatto, ma questi semplici gesti ti bastano, sono tutto quando si tratta di Haruka.
   Tenti di ripudiare in un angolo remoto del tuo inconscio l’impressione di essere seguiti e per farlo di aggrappi salda al suo braccio. Il sospetto non sparisce del tutto, si acquieta e basta.
   Il risveglio del timore non è affatto infondato. Se solo sapessi cosa sta provando l’ombra dietro di voi nel vedere la ragazza che ama essere consolata così spassionatamente da colui che odia di più, ti si gelerebbe il sangue nelle vene. Le braci dei suoi occhi ardono veementi d’ira.
   Giungete agli spogliatoi. Tralasciando i colori spenti dal tempo, tutto è rimasto identico. Gli stessi armadietti rosa per le femmine e azzurri per i maschi; gli stessi tappetini anti-caduta; e le stesse panchine.
   Quanti ricordi...
   Arrivate alle docce che collegano alla piscina coperta.
   “Pensavo che dentro fosse messo peggio”, dice soddisfatto Makoto.
   “Ma questo...”, inizia Nagisa.
   “E’ il latrio”, conclude Makoto.
   Il biondo corre alla parete delle fotografie, per poi invitarvi ad avvicinarvi.
   “Guardate”.
   “E’ la foto di quando avete vinto la staffetta”, sorridi.
   Sul viso di Haruka ricompare di nuovo quell’espressione assorta. Quanto vorresti sapere cosa gli passa per la mente.
   Il bambino moro cela gelosamente i suoi zaffiri dietro agli occhialini e assesta la cuffia sopra di essi per essere sicuro che stiano al loro posto. Prende posizione sul blocco di partenza, mentre attende fremente l’arrivo del suo compare. Vede la cuffia gialla avvicinarsi, le bracciate a farfalla farsi più stanche, ma ugualmente tenaci. Poi le pinne dello squalo picchiano forti sulla parete della piscina, dando il via alla corsa verso la libertà del delfino. 
   Ognuno ha ottenuto quello che voleva, il pescecane il suo trofeo e il delfino la sua emancipazione. Non restava che decidere cosa farne della coppa.
   “L’abbiamo vinto noi quattro insieme”, esorta il bambino dai capelli cremisi, “Non ha senso che uno solo di noi se lo porti a casa. Mettiamolo in una capsula del tempo...”, prosegue chiudendo il coperchio della scatola, “... e quando saremo più grandi lo riprenderemo”.
   Guarda gli altri sorridente, prima di rivolgersi al moro, ghignando, “Romantico, eh?”.
   “Haru”, lo chiama una voce e per un attimo è convinto che sia quella di Rin, “Haru, andiamo!”, lo esorta Makoto.
   Permette a voi di incamminarvi, intanto che sfila la foto dalla cornice e la infila malamente nella tasca della felpa.
   Haruka vi raggiunge poco dopo in corridoio.
   “Pensate che il segno sia ancora qui?”, si pone Nagisa.
   “Non lo so, però sbrighiamoci, per favore”, risponde Makoto visivamente agitato.
   A un certo punto si odono dei passi. Vi assestate sul posto. Makoto trasalisce. Haruka rimane composto come sempre.
   Il volto dello sconosciuto esce dalla penombra, esponendo le iridi scarlatte da sotto il berretto nero. Lo riconosci subito, ma non osi dire niente.

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Capitolo 3
*** 2. Un'altra brillante idea ***


2.

Un’altra brillante idea

 

   Lo vedi. Proprio lì a pochi passi da te con il suo broncio caustico.

   Non riesci a capacitartene. E’ tanto irreale quanto verosimile. Forse ha ragione Nagisa, forse delle presenze dimorano nel complesso. O almeno è quello di cui ti convinci, finché le tue orecchie non avvertono il suono della sua voce.

  “Yo”, afferma il ragazzo, tenendo una mano in tasca e accennando un saluto con la visiera del cappello.

   “Chi è?”, chiede il biondo confuso.

   “Non ne ho idea”, replica il castano.

   In un soffio inaudibile pronunci il suo nome, “Rin”.

   Il giovane si porta la mano sinistra dietro il capo, afferra l’elastico del berretto e lo tira indietro per poi mollarlo, così da farsi riconoscere, “Non pensavo di incontrarvi proprio qui”.

   “Rin!”, urlarono i due in un misto di stupore e allegria.

   Nagisa, preso dall’esuberanza del suo carattere, corre incontro a Rin per agguantargli il braccio, “Sei tornato dall’Australia!”.

   “Cosa ci fai qui?”, partecipa Makoto.

   “Dev’essere il destino! Qualche forza misteriosa deve averci trascinato prop...”.

   “Tsk. Haru, frequenti ancora questa gentaglia? Non impari mai”, sbotta Rin, avvicinandosi a te e abbracciandoti, fasciandoti dolce la testa contro il suo petto e poggiandoci sopra una guancia. Il tutto prima di sussurrarti, “Ovviamente non mi riferivo a te. Anche se non mi hai neanche salutato. Sorpresa?”.

   Annuisci piano.

   “E tu, invece?”, vi interrompe Haruka, “Hai imparato qualcosa?”

   “Grazie per avermelo chiesto”, confessa, mentre scrocchia il collo con una mano. Quello scricchiolio ti fa salire un brivido lungo la spina dorsale. Hai sempre detestato questo genere di cose.

   “Lascia che te lo mostri”, va avanti, “Facciamo una gara, Haru”, ti chiude la vita con un braccio, proponendoti di dare tu il via. 

   Annuisci di nuovo e lui allarga le labbra in un sorriso, dando spettacolo dei suoi denti da squalo - hanno un aspetto pericoloso adesso, mortale. Rin lascia scivolare una mano sui tuoi glutei, avvampi, mentre ti infila nella tasca dei jeans qualcosa di molto sottile, un foglietto probabilmente, e ti fa l’occhiolino. Infine ti guida verso dove un tempo c’era la piscina.

   Haruka non vi perde di vista un attimo, è sempre al tuo fianco, e giureresti che i suoi freddi occhi blu straripino di collera.

   Perché non sciogli l’abbraccio di Rin? Una parte vorrebbe farlo, ma c’è una forza occulta che ti sollecita a rimanere avvinghiata a lui. Nonostante tu sappia benissimo che Haruka sarebbe più adatto e, soprattutto, che adesso sta soffrendo guardandovi. Per lo meno non dovresti mostrare preferenze. Eppure sei impossibilitata a seguire la logica.

   In tutto questo vi siete completamente dimenticati di Makoto e Nagisa, che vi hanno osservati durante tutto il vostro scambio.

   “Ci hanno bidonato...”, afferma abbattuto Nagisa.

   “Così pare”, concorda l’altro.

   Dopo pochi istanti, iniziano a corrervi dietro, implorandovi di aspettarli.

   Giungete al luogo prescelto e finalmente Rin ti libera dalla sua morsa. Per qualche ragione, senti un senso di solitudine fuori da quegli arti possenti. Terribilmente vulnerabile.

   Il rosso comincia a spogliarsi, permettendovi di vedere tutta la sua prestanza fisica, risultato di anni di duro allenamento, “Ti mostrerò quanto siamo diversi ora”.

   Haruka lo imita, raccogliendo il guanto di sfida.

   “Haru, è una pessima idea!”, esordisce Makoto come se la sapesse lunga sulla faccenda, ma Haruka non lo ascolta, slaccia la cintura e molla i pantaloni che sfuggono a terra, esponendo il costume professionale.

   “Avevi già il costume sotto?!”, Makoto è basito.

   “Anche Rin?”, replica Nagisa. 

   “Bisogna fermarli”.

   “Dobbiamo proprio?”.

   “Certo!”.

   I duellanti si scrutano, pronti ad affrontarsi. Prendono la rincorsa verso i blocchi, Rin abbassa gli occhialini e incita ulteriormente Haruka, “Andiamo, Haru!”.

   “Vai, _______”, ti richiama all’attenzione il moro.

   “Ready?”, i due ragazzi s’inchinano in una posa innaturale, pronti a saltare, “G...”, freni la lingua di colpo, accorgendoti che non c’è acqua nella vasca.

   “Ecco perché vi ho detto di fermarvi”, vi informa Makoto.

   Rin balza agilmente giù dal blocco di partenza, strappandosi gli occhialini, “Che palle”. 

   Successivamente torna ai suoi effetti personali, raccatta gli indumenti e dice, “Ah, già. Siete venuti per questo, vero?”, solleva la coppa della staffetta, dandovi le spalle.

   “Il nostro trofeo”, riconosce Nagisa.

   “Non ho più bisogno di questa roba”, lo lascia cadere, avviandosi fuori.

   I ragazzi sobbalzano per evitare che si scontri con il suolo, ma è troppo tardi.

   Muovi un passo nella sua direzione, tendendo il braccio e mormorando il suo nome attonita.

   Guardi Rin mentre fa la sua uscita, finché non senti gli occhi pungere dalle lacrime.

   Chi era quel ragazzo? Un tempo non si sarebbe mai azzardato di allungare le mani in quel modo.

   Ci sono momenti in cui i tuoi pensieri sembrano avere voce propria e che vogliano essere uditi.

   Infatti Nagisa afferma rattristato, “E’ proprio cambiato”:

   Deve essergli scattato qualcosa..., pensi, Lui non è così.

   Ed effettivamente qualcosa è montato: gelosia. La reazione che ne è scaturita, era il suo tacito attacco ad Haruka per aver osato avvicinarsi troppo a te. 

   Rin ha sempre saputo che Haruka nutrisse dei sentimenti nei tuoi confronti, ma non lo vedeva come una minaccia. Fino a poco tempo fa, il moro non avrebbe mai ammesso il suo struggimento. Ora, però, non è più così. Il pescecane l’ha capito immediatamente e non può sopportarlo. Non vuole perderti. Deve annientarlo. Deve battere Haruka. O non riuscirà ad andare avanti.

   Makoto si china alla tua altezza, ti asciuga le ciglia con l’indice, sporcandolo appena appena di mascara, e ti cinge le spalle per consolarti. Cerchi di opporti, sostenendo che gli avresti soltanto macchiato la maglia a righe di make-up, ma il ragazzo è irremovibile, ti stringe a sé, adattandoti contro il suo addome.

   “Non essere sciocca”.

   In un primo momento esiti sul da farsi, però l’altruismo di Makoto armonizza subito il tuo lato impacciato. E’ sempre pronto a darti tutta la benignità di cui hai bisogno. Ti massaggia la schiena per la sua lunghezza, tralasciando il punto in cui il gesto potrebbe risultare ambiguo.

   Odi l’andatura di Hakura avvicinarsi, “Non lasciarti importunare da lui”. 

   Volti la testa per fissare il mare nei suoi occhi. Improvvisamente senti la calma di quella superficie mitigare il tormento che ti divora.

   Ti stacchi da Makoto per strofinarti le palpebre, e il consolatore ti propone di riaccompagnarti a casa. Acconsenti senza dire nulla, nonostante avresti preferito che fosse qualcun altro a farlo.

   Makoto ti scorta fuori dall’edificio abbandonato, circondandoti le spalle a mo’ di sostegno e sfregandoti su è giù la mano destra lungo l’omero.

   Durante il tragitto non vi scambiate una sola parola o occhiata, vi limitate a quel morbido contatto. Avverti il tuo grigiore aprirsi poco alla volta, man mano che la vostra prossimità perdura.

   Infine, dopo un tempo infinitamente breve, arrivate davanti al cancelletto del tuo domicilio. Makoto ti libera dalla sua stretta, permettendoti di recuperare le chiavi dalla borsa che, naturalmente, non riesci a trovare.

   Il ragazzo tenta di nascondere un certo divertimento, guardandoti ravanare e scuotere la sacca. 

   Le senti tintinnare, ma non riesci a capire in quale angolo remoto si siano cacciate. Poi infili l’intero braccio destro, rovistando. La concentrazione ti fa corrucciare leggermente il volto in un’espressione buffa, dilettando maggiormente il tuo cavaliere. Finalmente finiscono nelle tue grinfie. Le estrai, mostrandole a Makoto trionfante. Lui ti sorride.

   Lo studi per un po’. E’ sempre così gentile.

   “Grazie per avermi accompagnata”, abbassi lo sguardo, nel tentativo di nascondere l’imbarazzo per esserti mostrata così debole.

   “Era il minimo”, afferma il giovane, scompigliandoti la [aggettivo] chioma [colore]. Sollevi il viso per incontrare il mare d’erba dei suoi occhi.

   La distanza si riduce, percepisci il suo respiro mansueto soffiarti contro. Sbarri le palpebre.

   Non starà per...?

   Makoto ridacchia, carezzandoti docile una guancia.

   “A domani”, si congeda, mentre entri in casa. Non puoi vederlo, ma sul suo viso si è aperto un piglio fuoriluogo di soddisfazione e compiacimento.

   Appena richiudi la porta alle tue spalle, ti sfugge un sospiro di sollievo, allietata che non ti avesse baciata. Ti autoconvinci che sia stato solo frutto della tua immaginazione e che è hai solamente mal interpretato il suo comportamento.

   Sali in camera tua e ti tuffi sul letto con un colpo di reni ancora sconvolta da tutta la serie di sentimenti che hai provato in una sola sera. Ti senti così emotiva. Come non lo eri mai stata.

   Improvvisamente ti torna alla memoria l’atto di Rin durante la sua stretta. Ricordi il profumo ai fiori selvatici del suo dopobarba, il calore del suo corpo, la mano sinuosa che si faceva strada longilinea al tuo tergo. 

   Rammenti che ti ha lasciato qualcosa al club. Introduci una mano nella tasca dei jeggins e ne tiri fuori quel che avevi intuito fin dall’inizio essere un foglietto, lo spieghi e leggi al suo interno una sequenza di cifre. 

   E’ il suo numero di cellulare.

   Una coincidenza?, ti chiedi amletica. Ammesso e non concesso che vi siate incontrati per uno scherzo del fato, per quale motivo portare con sé un pezzo di carta con scritto il proprio numero? Il caso non è così preciso.

   La tua mente è avvolta da una nebbiolina tenue costituita da fumi di memoria e teorie, quando una macchia nera indefinita sfreccia accanto a te, per poi accucciarsi sul tuo ventre sciorinato. Ti sollevi sui gomiti sorridente, distendi un braccio per grattare sotto il mento il tuo amento.

   “Sei proprio una lecchina”, sussurri dolce a Yoru che ti risponde con un sottile miagolio beato. La cucciola ha solo due mesi, eppure ha già imparato come accattivarsi il calore altrui.

   Mentre coccoli la tua micietta, ponderi sulla situazione creatasi. 

   Qualcuno glielo ha detto, rifletti. 

   Ma chi?

   Avete deciso di intrufolarvi nel vecchio stabile stamattina, durante la pausa pranzo, e nessuno a scuola conosce Rin a parte...

   Gou!

   Ma certo! Deve aver origliato la vostra conversazione. Come hai potuto non accorgerti di lei?

   Le scrivi un messaggio, proponendole di pranzare insieme nel parchetto della scuola il giorno dopo. Gou ti risponde subito in assenso.

   Il bello degli sms è che puoi ostentare pacatezza senza che nessuno sospetti niente.

 

   Acqua. 

   Acqua ovunque. 

   Acqua salata e dolce. 

   Non è un lago, ma neanche l’oceano. La temperatura è confortevole, tiepida. Il corpo si lascia sorreggere, cullare. Tutt’intorno c’è pace, nient’altro.

   Ci si appisolerebbe lì, nella quiete della libertà, anche solo per un attimo, sognando di essere una creatura marina. Però, proprio quando Hypnos allunga le braccia del sonno, spuntoni appuntiti trafiggono la carne assopita. La trapassano fino quasi a raggiungere il cuore. 

   Le fauci si spostano in basso, azzannando il polpaccio e trascinandolo negli abissi nebulosi. Manca il fiato, la trachea arde dolorante, la bocca si spalanca alla ricerca disperata di ossigeno, ma inghiotte acqua ricca di cloro che spinge ancora più giù. L’oscurità sembra aver catturato ogni cosa, quando due pupille vermiglie si levano nelle tenebre, portando quelle membra con sé nel vuoto liquido.

   Haruka riapre gli occhi dal suo torpore. Sente il calmo fruscio del vento accarezzargli il volto come per dargli il buongiorno.

   “Un sogno?”, si chiede.

   “No, non era affatto un sogno!”, risponde infantile Makoto, riferendosi all’incontro della sera prima.

   “Io, però, non capisco”, continua Nagisa, “Rin-chan era davvero strano”.

   Haruka si rabbuia, spostandosi, steso sul tappeto d’erba, s’un fianco come per riaddormentarsi, “Era un sosia”.

   “Perché un sosia avrebbe dovuto sfidarti?”, rimbecca il ragazzo castano.

   “Un fantasma, allora”.

   “Ma non fluttuava”, interviene il più giovane, portandosi le ginocchia al petto.

   “Un Doppelgänger”, spara ancora Haruka poco convinto.

   “La facevamo sempre al club di nuoto!”, dice Makoto mimando un gesto egizio, mentre Nagisa sbadiglia platealmente, “Super Fusione: Doppelg...”.

   “Falla finita, Makoto”.

   Quest’ultimo scatta in piedi, urlando, “Ma che problema avete?!”.

   “Scusa ero distratto”, replica l’assonnato.

   “Ehi!”.

   Ad assistere alla scena c’è Gou che ti sta aspettando per il pranzo.

   “Conosci quei ragazzi?”, domanda una ragazzina coi capelli carota avvolti in uno chignon abbellito da un fermaglio di roselline.

   Gou annuisce, pronunciando il loro nomi senza mai distogliere l’attenzione da loro, “Hanno in comune qualcosa: appartenevano tutti allo stesso club di nuoto”, la informa, “E sono dei maschi con nomi femminili”.

   L’altra avvicina le labbra al suo orecchio destro, se le copre con una mano e bisbiglia, “Cos’hai a che fare con loro”.

   “Non te lo dico”, risponde prontamente la sorellina di Rin, portandosi l’indice alla bocca.

   “Però anche tu hai qualcosa in comune con loro, dal momento che sei una ragazza con un nome maschile”.

   Gou si acciglia e la senti gridare, dal punto in cui ti trovi, “Dico davvero, smettila di chiamarmi Gou!”, permettendoti di identificare la sua posizione. Ridacchi, immaginando la sua espressione arricciata e ti dirigi a destinazione.

   Pochi secondi dopo scorgi la sua capigliatura rubiconda.

   La chiami, scuotendo un braccio per permetterle di individuarti. Saluta la sua compagna di classe e si avvicina sorridendoti.

   Vi sedete su una panchina lì vicino, aprite i bento e iniziate a mangiucchiare qua e là, offrendovi l’un l’altra parte dei rispettivi contenuti.

   “Una quiche lorraine?”, gli occhi di Gou si illuminano.

   “Già, non riuscivo a dormire, così stamattina presta ho deciso di prepararmi qualcosa di sfizioso. Vuoi assaggiarla? Ci ho messo tonno, zucchine e broccoli”.

    “Broccoli?”.

    “Non ti piacciono?”.

   “Al contrario”, le porgi un pezzetto, “Grazie, ha un bel aspetto”, Gou assapora la torta salata con gusto, “Ed è anche deliziosa!”, dice in estasi a bocca piena.

   “Esagerata”, gongoli. 

   “Sul serio”, afferma, infilando in gola un altro pezzetto, “Però la pasta ha qualcosa di strano: è molto friabile”:

   “Ho usato la sfoglia al posto della brisé: all’italiana”.

   “Ora capisco perché onii-chan sia ancora cotto di te dopo tutto questo tempo”.

   Ridi, “Rin non ha mai mangiato nulla cucinato da me. All’epoca non sapevo nemmeno bollire l’acqua”.

   “Beh, allora lo conquisterai del tutto quando accadrà”.

   Bene bene, Gou ti ha appena dato il pretesto per il tuo interrogatorio. Si è intrappolata da sola.

   Parti vaga, “Sai, Kou. Ieri sera gli altri ed io siamo andati al vecchio club di nuoto e abbiamo incontrato lì tuo fratello”.

   Gou, smette improvvisamente di masticare, dando solidità alle tue supposizioni.

   “Mmm... davvero?”.

   Fa finta di niente, dunque continui, “Già”, esamini la sua espressione. 

   “Mi ha sorpreso vederlo dopo tanto tempo”, Curioso, evita il mio sguardo, “A parte me, non ha considerato nessuno e ha subito sfidato Haru a gareggiare”.

   “E l’hanno fatto?”.

   “Haru ha accettato la sfida, ma la piscina era vuota”.

   Gou non dice nulla, dunque prosegui, “E’ molto diverso da come ricordavo”.

   Il fuoco ardente degli occhi della giovane si estingue, “Lo so, per questo gli ho scritto che sareste andati al club di nuoto. Speravo che vedendovi tutti lì, sarebbe tornato quello di prima”, le sue iridi si velano di lacrime trattenute da chissà quanto tempo.

   Il tuo piano per farle confessare la verità ha funzionato. Tuttavia ti ravvedi dal spiattellarglielo in faccia. Non sarebbe corretto data la situazione. Le poggi una mano tra le scapole e la massaggi delicata. 

   Per un attimo nella tua mente compare il volto di Makoto, scuoti la testa per scacciare il ricordo della sera precedente e ti concentri sulla tua amica.

   Vorresti consolarla, ma non ti vengono le parole adatte.

   “Credo che tu sia l’unica che possa cambiarlo”.

   Sei interdetta, completamente destabilizzata dalla sua convinzione. Dimentichi persino di dirle che Rin ha nascosto il suo numero in una delle tue tasche ieri. 

   La campanella ti strappa a questo fardello. Gou si accomiata con un abbraccio forte e prolungato carico di aspettativa.

   Raggiungi Haruka e Makoto in classe, ti accomodi al banco e Yamamoto-sensei comincia la lezione di trigonometria.

   Fatichi a concentrarti, in parte perché tu e la matematica non andate molto d’accordo e dall’altra perché sei concentrata su Rin.

   Sarai davvero in grado di aiutarlo a tornare quello di una volta?

   Amakata-sensei ti salva dal tuo ennesimo rimuginio - inizi a credere che la tua capacità pervasiva di occupare spazio mentale con pensieri verbali negativi, cominci a essere ripetitivo di recente, quasi patologico -, pronunciando il tuo nome, seguito da quelli di Makoto e Haruka.

   “Haruka è uscito in anticipo”, l’avverte il ragazzo.

   “Venite come me”, non sembra molto contenta. Il flusso di pensieri verbali negativi riparte. T’interroghi su cosa avreste potuto combinare, opinando già la sera precedente fra le varie ipotesi. L’unica plausibile dopotutto.

   Ama-chan vi scorta in sala insegnanti, conducendovi fino ad una poltroncina occupata dal vicepreside. Riconosci immediatamente la chioma spettinata di Nagisa davanti a lui che, come posa lo sguardo su voi tre, incomincia a sbraitare.

   Makoto tenta di giustificarci.

   “E allora!”, grida l’uomo, “Quel posto potrà essere abbandonato, ma entrare senza permesso resta un’effrazione! Avete capito?!”

   “Ci perdoni”, dici prostrata, “Quando eravamo bambini era il nostro luogo di riferimento. Ci siamo rattristati moltissimo, scoprendo che sarebbe stato distrutto, così abbiamo deciso di andare tutti lì per l’ultima volta”.

   “Ci dispiace”, pronunciano all’unisono Nagisa e Makoto.

   Il cinquantenne si guarda intorno, “Beh, dov’è Nanase?”.

   “Se n’è andato presto, questo pomeriggio”, ripete Makoto.

   “Di nuovo?”, mormora rassegnato.

   Ama-chan si alza dalla sua postazione e si avvicina a voi, tenendo saldo a sé una cartelletta, “Forza, penso che basti così”, sorride accondiscendente, poi alza l’indice sinistro e chiude gli occhi seriosa, “Ripensiamo alle parole di Li Bai: In questa vita, la realizzazione deve portare gioia assoluta. Non permettere che un calice vuoto affronti la luna.”, cita.

   Il vicepreside la guarda intontito.

   “C’è solo una vita, per questo dovresti fare ciò che vuoi. Sarebbe da stupidi non bere nel bicchiere che si ha davanti! Capito?”.

   L’intero corpo docente presente la fissa confuso e la coordinatrice vi osserva in cerca di un qualche appoggio che non arriva.

   Uscite dall’aula, ormai le lezioni sono finite e potete tornare a casa.

   Makoto propone di controllare i nomi sugli armadietti all’ingresso, per vedere se Rin fa parte del corpo studentesco del vostro liceo.

   “Matsuoka Rin, Matsuoka Rin...”, ripete Nagisa, mentre fa passare ogni sportellino, “Siamo sicuri che si sia iscritto nella nostra scuola?”.

   “Se è tornato dall’Australia, deve essersi ritrasferito qui”.

   “Però non l’ho visto alla cerimonia di apertura”.

   “Non credo che frequenti Iwatobi”, interferisci, “Per quel che ne so, l’unica Matsuoka che c’è qui è Gou, sua sorella”.

   Proprio in quel momento Makoto trova l’armadietto della giovane, “Matsuoka Gou?”, si ferma per rifletterci sopra, “Ma certo! La matricola coi capelli rossi!”.

   “Proprio lei”.

   “In effetti aveva un aspetto familiare”.

   “Ah, ______-chan!”, ti interpella Nagisa, “Stiamo andando a recuperare Haru-chan per passare il resto del pomeriggio, vieni con noi?”.

   “Reclutata”, curvi gli angoli della bocca verso l’alto.

 

   Perché è tornato?, si domanda Haruka ammollo nella vasca da bagno.

   Il suo cervello straripa di quesiti.

   Perché sfidarlo?, perché ora?, ma soprattutto, perché hai reagito in quel modo rivedendolo?

   Il delfino sa che provi ancora qualcosa per Rin, a lui basta guardarti per comprenderlo, seppure tu lo nasconda bene.

   Cos’ha il pescecane che Haruka non ha: l’audacia, la lascivia, il fascino da tsundere dispotico e sfacciato?

   Qualunque cosa sia, anche il ragazzo dai capelli corvini può ostentarla. E’ disposto a lottare ormai. Basta rimanere in disparte. Basta nascondersi. Basta fingere.

   Basta.

   Trilla il citofono. Haruka immerge la testa nell’acqua, pensando che sia Makoto - o peggio, lo squalo -. Non vuole vedere nessuno al momento e spera che nessuno attraversi la soglia sbloccata come hanno preso l’abitudine di fare.

   Gou pigia ancora il pulsante affiancante il cognome Nanase. Sospira, supponendo che il ragazzo dallo sguardo di zaffiro non sia in casa. Si volta per dipartire, però la vostra presenza la frena. Vi guardate l’un l’altro con un sorriso gentile e proponi alla primina di andare a fare due passi sul lungo mare.

   Raggiungete un gazebo sulla costa, vicino al margine dello strapiombo, vi accomodate e osservate spensierati l’orizzonte.

   “Quindi hai scelto anche tu il liceo Iwatobi, Gou-chan”, esordisce Nagisa.

   Subito Gou s’infiamma, “Chiamami Kou, come fanno tutti!”.

   Non è affatto vero, pensi ironica.

   “Perché?”, controbatte l’altro stordito, “Ti chiami Gou, come la terza figlia di Azai Nagamasa, il condottiero di Sengoku, non è così?”.

   “Sì...”, tentenna la ragazza, “... ma solitamente si legge Kou, quindi chiamami così. Sarebbe molto apprezzato”, commenta.

   Makoto cerca di smorzare la situazione, “Mettendo da parte queste sciocchezze...”.

   “Sciocchezze?!”, incalza Gou.

   Il più vecchio del gruppo sussulta un poco allo sguardo truce della ragazza, balbettando un debole “scusa”.

   “Che ci facevi a casa di Haru?”, prosegui.

   “Beh...”, è in imbarazzo per essere stata colta in flagrante, “Volevo chiedergli di mio fratello”.

   Gli occhi smeraldini di Makoto si imbrunano, “Quindi è davvero tornato dall’Australia?”.

   “Sì, è tornato il mese scorso e adesso frequenta l’Accademia Samezuka. Si tratta di un collegio, perciò non è tornato a casa”.

   I ragazzi trattengono il respiro ammirati, “La Samezuka?”

   Accademia Samezuka: niente di più che un nome comune specificato da uno proprio. Un mix sufficientemente poderoso da focalizzare in menti esperte la professionalità dell’agonismo, della disciplina e della determinazione. Qualità importanti nella definizione di atleta.

   In più la Samezuka è stimata come una delle migliori scuole di nuoto. Considerazione attestata da premi e medaglie in tutti i livelli competitivi dalle prefetture alle nazionali. Di conseguenza non ti sorprende affatto la reazione dei tuoi amici.

 

   Accorrete immediatamente a casa di Haruka per illustrargli l’ennesima brillante idea di Nagisa.

   La porta si apre, permettendovi di ammirare - o almeno tu ammiri -, le sue membra fradice e i lisci capelli d’onice impregnati d’acqua semicoperti da un asciugamano azzurro. Deve essere appena uscito dalla vasca da bagno. Investighi su di lui, soppesando ogni muscolo, ogni tendine scoperto che si contrae e si rilassa a ciascun movimento, anche quello più insignificante.

   “Andiamo a visitare l’Accademia Samezuka!”, piagnucola Nagisa, sbattendo i piedi a terra come un bambino capriccioso.

   Al che Haruka risponde con un secco e prevedibile “no”. Troppo effort, come ripete spesso lui.

   “Non vuoi rivedere Rin?, insiste Makoto.

   E’ proprio l’ultimo che voglio vedere, pensa il ragazzo ancora in costume mentre si strofina i capelli con il telo ormai umido, anche se proferisce, “L’abbiamo visto ieri”.

   Makoto sospira, siccome dovrà ricorrere al solito trucchetto persuasivo, “Ed io che pensavo saresti venuto a nuotare. La Samezuka dovrebbe avere una piscina al coperto”.

   Gli occhi di Haruka brillano. 

   Fregato! Vorresti ridere per l’ingenuità del giovane, ma sai bene quanto sia permaloso, perciò ti trattieni.

 

   Saltate sul primo treno in partenza per quella zona della città. 

   E’ pomeriggio inoltrato e la stanchezza comincia a farsi sentire. Infili le cuffie dell’iPod per rilassare i nervi, mentre il torace di Makoto si solleva e si abbassa a ritmo col suo dormiveglia e Nagisa si appisola sulla spalla di Haruka, che lo scruta diffidente. Sorridi, assistendo alla scena e l’unico ancora sveglio dei tre punta le iridi d’acqua fuori dal finestrino per contemplare il panorama alberato. Peccato che non si veda il mare da lì.

   Din-don, suona l’autoparlante, annunciando che la prossima fermata è la vostra. Ti sollevi dal sedile per raggiungere le porte automatiche e tamburelli sulla spalla del marcantonio dormiente. Questo sbatte le palpebre un paio di volte, stropicciandosi un occhio con il pugno ancora intorpidito.

   “Siamo arrivati”, sussurri. Poi poni la tua attenzione sul ragazzino ancora raggomitolato addosso ad Haruka e sorridi indulgente. Ha un’espressione talmente lieta che di dispiace negarlo al suo sonno - inoltre è raro che stia zitto così allungo! Fortunatamente Haruka, incurante del peso morto che lo aveva adottato come cuscino, ti libera dal compito di doverlo destare: si alza, lasciandolo cadere bruscamente. 

   Nagisa spalanca le pupille rosa pochi secondi prima di assestare un brutto colpo con la fodera del sedile. Scatta in piedi con ancora un filo di bava alla bocca, sbraitando, “Haru-chan!”. 

   Entrate in stazione e cercate, su una delle cartine affisse alla parete, le indicazioni per arrivare alla scuola di nuoto. Segui con il dito l’infinita rete di vie e strade, finché non trovi la didascalia desiderata. Studi quale sia il percorso più breve da intraprendere e vi immettete nel traffico urbano.

   Dopo circa un quarto d’ora, vi trovate all’inizio di una zona periferica, disseminata di piante. Camminate ancora un po’, fin quando, affisso ad una muraglia, noti l’insegna Accademia Samezuka.

   La dea bendata è dalla vostra parte, dato che il cancello dell’ingresso principale è aperto. Lo varcate, fingendo sicurezza e vi avviate verso la piscina coperta.

   Di soppiatto aggirate il capannone, per poi incollarvi alle finestrelle al suolo dello stabile al suono di una voce echeggiante, “Ehi! Stai rallentando, Nakagawa! Muoviti!”.

   Vi affacciate al vetro in cerca di una chioma sangria, ma tutto quel che riuscite a scorgere è una massa di corpi mezzi nudi, di cuffie nere e due gambe stinche, costrette in una postura autorevole, che presumi appartengano al capitano.

   “Vedete Rin-chan?”, chiede Nagisa aggrappandosi maggiormente alla ringhiera che difende le finestre dall’esterno.

   “Non riesco ad individuarlo”, dissente Makoto, “Forse oggi non c’è”.

   Senti un fruscio di abiti alle spalle, ti volti e ti accorgi che Haruka si è allentato la cravatta della divisa - verde per differenziare i coscritti delle varie fasce d’età - e sta sbottonando la camicia immacolata.

   “Ehi, Haru...”, provi a dire.

   Makoto erompe sulle mani dell’altro, bloccandolo dallo slacciarsi la cintura.

   “Non spogliarti qui fuori!”, strepita.

   L’oceano oculare dello stripper burrasca, schiaffa via la presa che lo costringeva ed alza la voce - cosa che Haruka non fa mai -, “Sei tu che mi hai convinto a venire qui a nuotare!”.

   Sei sconvolta. Non avevi mai visto Haruka spazientito prima d’ora.

   “Calma, calma, Haru-chan”, li divide Nagisa mite, “Aspettiamo che l’allenamento finisca e che tutti siano andati via, ok?”.

   Makoto china il capo afflitto, “Commetteremo comunque un’effrazione”.

   “Andrà tutto bene”, ammicca il più giovane della combriccola, prendendo ad esempio le parole di Ama-chan, “Prima la professoressa ci ha detto di fare quello che vogliamo con la nostra vi...”.

   La voce di Nagisa viene meno, sentendo una lampo che viene abbassata. 

   Ci giriamo di nuovo verso Haruka. Camicia e cravatta sono state gettate a terra e adesso una gamba è intenta a liberarsi dai pantaloni bloccati alle ginocchia.

   “Ma aspettare no?!”, sbraita ancora Makoto serrando gli occhi corindoni. 

   Ti avvicini ad Haruka, tentando di tralasciare la sua nudità, raccogli gli indumenti e glieli porgi, dicendo, “Entreremo quando farà buio. Fino ad allora indossa qualcosa o ti ammalerai”.

   Il ragazzo non replica, si limita ad osservare la decisione nel tuo sguardo [aggettivo]. Ti leva i suoi abiti dalle mani con grazia, si rimette la camicia, lasciandola però aperta, circonda il collo con la cravatta sfatta e sotto resta in costume. Dentro di te gioisci per il risultato.

   Cala la sera. Sarà una notte serena, perché già a quell’ora il cielo è puntinato da pallini di gas luminosi.

   Entrate nel capannone. Nagisa è eccitato dal sapore dell’illegalità, Makoto è preoccupato dalla stessa sensazione, quanto ad Haruka... Beh lui vuole solo sentire l’abbraccio dell’acqua che gli dà il bentornato.

   “Continuo a pensare che sia una pessima idea”, afferma Makoto guardandosi intorno, impaurito che qualcuno posso beccarvi.

   Ad un certo punto, udite il fragore dell’acqua che viene violata e uno spruzzo si leva all’ingresso perfetto di Haruka. Avanza con lunghe bracciate, evitando di roteare eccessivamente l’asse del corpo quando respira, le gambe, anche se non hanno un vero effetto propulsivo, stabilizzano ogni movimento e la caviglia è sciolta, permettendo al piede di intraruotare.

   E’ bello, proprio come allora.

   I quarzi del biondo lo fissano sbalordito, “Haru-chan continua a sembrarmi un delfino”, successivamente si illuminano entusiasti, “Mako-chan, _______-chan, buttiamoci anche noi”.

   Makoto rifiuta, “No! Se ci scoprissero, finiremmo nei guai! E comunque, dobbiamo trovare Rin”.

   “Possiamo anche fare un tuffo prima”, sentenzia il novellino, spogliandosi, “Non ci scoprirà nessuno, se non accendiamo le luci”.

   Il castano sbianca, “Ma non hai nemmeno il costume!”.

   “Vuol dire che mi tufferò senza”.

   “Cosa?!”, gridi.

   “Posso nuotare!”

   “Aspet...”, dici, coprendoti gli occhi con una mano, mentre Nagisa prende la rincorsa e si tuffa.

   “Mako-chan, avvicinati un attimo”.

   “Che c’è adesso?”, domanda scocciato l’interpellato incamminandosi verso il bordo piscina, “Non mi unirò a t...”.

   Una mano lo afferra per la caviglia, facendogli perdere l’equilibrio in avanti, così da spanciarsi comicamente sulla distesa liquida. La giacca di Makoto galleggia, quando una presenza si solleva dall’acqua con la massa di capelli incollata al viso e i vestiti maditi appiccicati al corpo.

   Ridi di gusto, mentre il burlato si leva finalmente anche lui gli indumenti al fine di dare una lezione al biondo, Vendetta, dolce vendetta.

   “Sei caduto come una pera cotta!”, sghignazza il beffeggiatore.

   “E va bene, Nagisa!”, afferma imperioso l’altro avvicinandosi alla sua vittima e uncinando le dita minaccioso. L’altro scappa, con l’addome che convulsa ancora preso dalle risa, schizzandogli alte ondate d’acqua e cloro, “Prendi questa!”.

   “E tu beccati questo!”.

   Nel frattempo Haruka si sta crogiolando sulla superficie. Le dita allargate per permettere il maggior sostegno possibile, il torace va su e giù in calmi respiri, gli occhi chiusi e la bocca semiaperta gli donano un’aria rilassata, come se dormisse.

   Cali il tuo peso sulle caviglie, incastrando il bordo finale della gonna tra il sedere e i polpacci, immergi la mano destra nel liquido freddo e guizzi un po’ di esso verso il viso del ragazzo.

   Piano piano Haruka apre le palpebre, impiantando le sue iridi turchesi nelle tue. Non sorride, non pare neanche disturbato da te, ma soprattutto non distoglie lo sguardo come quando avevate dieci anni, anzi, posa i piedi sul fondo della piscina e ti tende una mano, invitandoti ad entrare.

   Chini il capo per nascondere la tinta che stanno prendendo le tue gote, per poi sorridergli con finta innocenza.

   “Sei fortunato”, esordisci intrigante, “Oggi ho messo il costume”.

   Ti alzi in piedi, sfili le scarpe, aiutandoti con un movimento fluido delle caviglie, slacci il papillon dell’uniforme, lo lasci cadere a terra accompagnato dalla giacca, ti sbottoni la camicia, permettendogli di intravedere il trikini [colore e tipologia] che porti. Haruka arrossisce violentemente, perciò si immerge nell’acqua fino al naso per nasconderlo. Stai per levartela, quando la porta della palestra si spalanca di colpo.

   Esattamente come la sera precedente, dall’oscurità si approssima una figura fulva dal volto incattivito. Ti affianca, circondandoti con un arto il collo e abbandonando la mano a manca a penzoloni, ben guardandosi dal non sfiorarti troppo.

   “E voi che ci fate qui?”, prorompe Rin.

   Nagisa scuote una mano per salutarlo, “Eravamo venuti qui per vedert...”.

   “Uscite subito!”, inveisce, per poi rivolgersi a te suadente, “Tu puoi restare”, ti dà un rapido bacio sulla punta del naso. Rubizzi di colpo. Rin ridacchia, premendo tenero l’indice sinistro sulla tua guancia, apprezzando il cerchio bianco, dello stesso diametro della sua punta, comparsogli sopra prima di svanire di nuovo.

   “Perché non mi hai chiamato?”, mormora baritonale.

   Avevi fantasticato parecchio su questo momento, concependo qualsiasi tipo di risposta sarcastica e pungente. Ma ora che la congettura si è avverata, non riesci a fare altro che essere sincera, “Non sapevo cosa dirti”.

   Ti sorride a metà tra il malinconico e il comprensivo, pensa che hai ragione. Che cosa avresti potuto dirgli? Che lo avevi aspettato per tutti questi anni - anche se in certo senso lo hai fatto -? Che non era cambiato niente, quando lui per primo è un’altra persona? Sapeva già dal principio che non sarebbe stato facile per voi riprendere da dove vi eravate interrotti, è consapevole che deve riconquistarti. Come è consapevole che ora ha anche un rivale. Sempre lo stesso, sia nello sport sia in amore.

   Proprio mentre Rin rimugina sul suo antagonista, quest’ultimo si solleva dall’acqua intimandolo di allontanarsi da te, grazie ad una sola parola, “Libero”.

   “Eh?”, mugugna Rin districandosi dall’abbraccio.

   “Lo hai dimenticato?”, la frangetta gli scopre gli occhi, “Ti ho detto che io nuoto solo a stile libero”.

   “Haru...”, pronuncia Makoto con una luce tremolante nelle pupille d’erba.

   Haruka balza fuori dall’acqua, issandosi sui palmi delle mani e si stanzia difronte al suo avversario.

   Fra tre anni sarò una persona normale. Penso non faccia male godersela un altro po’.

   Scrolla i capelli orizzontalmente, mostrando tutta la sua sicurezza, “Voglio che mi mostri ancora quella parte di te. Ho dimenticato quello che ho visto in passato”.

   L’atteggiamento di Rin si indurisce provocato, ma subito la sua espressione si apre in un ghigno fosco e bieco.

   “Certo, non c’è problema. Ma stavolta...”, lancia un’occhiataccia torva a colui che l’ha sfidato, “... non sarà la stessa cosa! Ti mostrerò qualcosa di completamente diverso”.

   Rimangono così, statuari, paralleli uno all’altro, confrontandosi in un gioco di sguardi nefasti e deleteri.

 


 

Note d'Autore

Ed eccoci al secondo capitolo! Stavolta sono riuscita a finirlo in poco tempo (ancora non ci credo!).

Spero che lo apprezzerete e che mi renderete partecipe delle vostre impressioni. Ringrazio chi sta seguendo questa storia e i consigli che ho ricevuto.

Grazie ScarletFlower per i tuoi pareri sul carattere di Rin, mi hai aiutata a togliermi molti dubbi :)

 

Come al solito passiamo alle specificazioni!

Termini

Hypnos: divinità greca del sonno; fratello gemello di Thanatos, dio della morte, e padre di Morfeo, dio dei sogni.

Yoru: tradotto dal giapponese significa "notte". Ho chiamato il gatto di _______ in questo modo, perché il suo manto è nero come l'oscurità.

Bento: vassoio giapponese di dimensioni variabili dove si impacchetta il cibo (una sorta di pocket lunch).

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Capitolo 4
*** 3. Un nuovo vecchio inizio ***


 

3.

Un nuovo vecchio inizio

 

   Il buio della sera sostituisce l’etere ameno del cielo stellato con un’atmosfera uggiosa.

   Rin si spoglia, rivelando di avere già indosso il suo costume nero agonistico, lungo fino alle caviglie, adornato da linee rette purpuree. Si posiziona accanto ad Haruka sul blocco in corsia 4, sistemandosi gli occhialini all’attaccatura dei capelli.

   “Come sempre, non ho la minima idea di cosa ti passi per la testa”, dice con scherno.

   Anche l’altro concorrente si sta aggiustando gli occhialini intorno al cranio, “Chi se ne importa. Faresti meglio a prepararti, Rin”.

   “E sei freddo come al solito”, il ghigno del primo si piega in una smorfia, “Mi fai proprio incazzare”.

   “_______”.

   “S-sì?”.

   “Dacci il via”, dice il moro, mentre abbassa le protezioni oculari sulle palpebre e l’altro si ricopre il capo con la cuffia del medesimo colore di base del proprio costume.

   “Va bene”, replichi tetra.

   “Faremo 100 metri a stile libero”, stabilisce quello che gioca in casa.

   Stavolta l’acqua c’è, niente può fermare la loro folle battaglia. Perciò, anche se titubante, illustri sostenuta, “Ready...”. I due si inginocchiano, come la volta scorsa, con le dita dei piedi ancorate al bordo del blocco di partenza, per non cadere, ma soprattutto per permettere la miglior spinta possibile.

   “Go!”.

   Si lanciano.

   L’angolo d’entrata di entrambi è impeccabile, però Rin è nettamente in vantaggio.

   “Rin-chan ha uno scatto migliore!”, trasalisce Nagisa.

   “Ma le bracciate di Haru sono più veloci”, afferma Makoto non staccando loro gli occhi di dosso.

   La parte in apnea è giunta al termine, ora tutto sta alla loro forza propulsiva.

 

Dormitorio Accademia Samezuka - 02:21 AM

 

   La sfida è finita. 

   Vi hanno cacciati bruscamente dall’istituto dopo essere stati colti in flagranti nella loro piscina al coperto.

   Nella semioscurità, una figura matronale tiene le braccia incrociate dietro la nuca e gli occhi amaranti puntati sulla base del letto sopra al proprio, dal quale ode il respiro rilassato di Nitori che vi giace.

   Rin non riesce a dormire. Sente ancora l’adrenalina scorrergli nelle vene e rimugina. Pensa a te, poi ad Haruka ed infine a voi due insieme. Quando il tuo viso [forma] si materializza nella sua mente, non può fare a meno di sorridere.

   Non è cambiata affatto, questo lo fa impazzire, perché significa che non può nemmeno provare a dimenticarti. Non se il tuo modo di essere rievoca il vecchio Rin, quello che, sa, vuoi riavere disperatamente.

   Il tuo ricordo viene sconvolto dalla presenza di Haruka. I suoi bulbi oltremare che lo studiano con la sufficienza di chi riconosce i sogni altrui come una mera perdita di tempo; le bracciate fiacche quasi in grado di tenere testa alle sue sportive; e poi l’atteggiamento che sta sviluppando nei tuoi confronti. Non pensava di essere così romantico, ma la cosa che più lo infastidisce di tutta la faccenda è il sentore che tu ricambi i sentimenti del suo nemico. 

   E’ triste, frustrato, molto molto arrabbiato.

   Il telefonino accanto al cuscino vibra, lo squalo si mette a sedere, appoggiando il gomito reggente il dispositivo elettronico sul ginocchio con calma, nonostante la sua testa urli speranzosa il tuo nome. 

   Guarda il monitor illuminato e la sua fiducia muore folgorata: è soltanto Gou.

 

Gou Matsuoka

Hai visto Nanase e gli altri?

 

   L’impetuoso ragazzo scaraventa il cellulare dall’altro lato della branda, digrignando i denti e mormorando, per non svegliare il ragazzino assopito sopra di lui, un sonoro “Fanculo!”.

   Successivamente i suoi occhi si fanno lucidi e tremolanti, in preda ad una crisi isterica.

   Significa che non potrò mai batterlo?, si domanda avvilito, prima di colpirsi forte la fronte con una mano, artigliandosi alcune ciocche di capelli, inconsapevole se si stesse riferendo al nuoto o a te. Magari ad ambedue.

 

Istituto Iwatobi

 

   “BAKARU!”, inveisce la voce del vicepreside in aula insegnanti, “Siete pentiti per quello che avete fatto?!”.

   “Chiediamo scusa”, dice Makoto abbattuto.

   “Prima vi intrufolate in un edificio abbandonato e poi fate lo stesso nella piscina di un’altra scuola?!”, prosegue il cinquantenne, ombrandosi metà del viso con una mano, “Siamo fortunati che abbiano deciso di non farne una questione di stato”.

   La coordinatrice Amakata tenta di togliervi dai guai di nuovo, “Suvvia, suvvia, basta così”.

   Vi voltate nella sua direzione, “C’è un famoso detto che si adatta alla situazione”, socchiude gli occhi, alzando il mento e puntandosi una mano al petto,  “Nell’Antica Cina, durante la dinastia Shang, il duca Tai di Qi avrebbe pescato senza esche...”.

   “Non mi piace il pesce”, la interrompe il vicepreside accigliato.

   La donna s’inchina scoraggiata, “Mi scusi”.

   “Ci perdoni ancora, sensei”, intervieni ripiegando il capo in segno di rammarico, “Siamo entrati in quell’istituto nella speranza di incontrare un nostro vecchio amico. Nuotava con noi nel club in cui ci siamo introdotti l’altro ieri”.

   L’uomo sospira chiassosamente, “Ragazzi, siete fortunati ad avere questa signorina dalla vostra parte. Senza di lei, sareste già in punizione”.

   Tutti ti guardano sorridenti.

   “Potete andare”.

   Vi dirigete in corridoio, dove i giovanotti si congratulano con te per averli salvati per l’ennesima volta.

   “Beh, Ama-chan sensei non è stata di grande aiuto, quindi...”, ti giustifichi modesta.

   Makoto, camminando, si porta un dito al mento pensoso, “Mi chiedo come continui quel detto sui pesci”, poi si volta, “Haru, tu... Har...Eh?”.

   Haruka è sparito!

   “Haru-chan è laggiù”, afferma Nagisa.

   “Da quanto tempo?”, domanda mestamente il primo.

   “Come fa ad essere così veloce?”, ti chiedi tra te e te.

   “Quando è disinteressato ai discorsi altrui, fa così”, sentenzia Marcantonio guardandoti scocciato.

   “Ah, Gou-chan!”, esclama il biondo.

   Come al solito la ragazza ribatte, “Ti ho detto di chiamarmi Kou!”.

   “Che importanza ha?”, replica ingenuamente l’amante dei pinguini.

   “Che l’ha! Mi chiamo Kou!”.

   “Gou”.

   “Kou!”.

   “Gou”.

   “Kou!”.

   “Kou”.

   “Gou! Accidenti!”, grida la sorellina di Rin esasperata.

   Vorresti ridere per la scenetta, ma hai delle cose più importanti da fare. C’è una cosa che tanto vorresti dare al delfino. 

   “Dove stai andando?”, chiede in un misto di curiosità e fastidio Nagisa.

    Saluti frettolosa i tuoi amici, dicendo loro che devi assolutamente scappare, ti infili le scarpe e corri verso il domicilio di Haruka.

   I tre, ignari delle tue intenzioni, proseguono la loro conversazione.

   “Quindi, siete riusciti a vedere mio fratello?”, pone Gou.

   “Già, a proposito...”, inizia a interloquire Nagisa logorroico, “Rin-chan è così cattivo! Non ci vede da quattro anni e la prima cosa che fa è sfidare Haru! Ha totalmente ignorato me e Makoto. Non abbiamo avuto l’occasione di parlare di niente. Gli importava solo di _______-chan”.

   “Tu hai avuto notizie da Rin, Kou-chan?”, s’intromette Makoto più conciliante.

   “Gli ho mandato dei messaggi e l’ho chiamato, ma non sono riuscita a trovarlo. Ho telefonato persino al numero del suo dormitorio, ma non ha mai risposto”.

   “Come mai è cambiato così tanto? Gli è successo qualcosa in Australia?”, riprende il pinguino con il suo solito tono puerile.

   “Non lo so”, dice la giovane malinconica, puntando le sue iridi infuocate sul pavimento, “Speravo che si sarebbe aperto, dopo avervi rivisti”.

   “Rin è venuto al club di nuoto a causa tua?”, prorompe il ragazzone dagli occhi di smeraldo.

   “Non è proprio così, cercavo solo di essere utile”, rialza lo sguardo Gou con evidente difficoltà, “Ho per caso origliato la vostra discussione, così gli ho mandato un messaggio. Ma non mi ha mai risposto”.

   “Per questo, ieri, sei andata a casa di Haru?”.

   “Sì, speravo potesse darmi qualche spiegazione”.

   “Ehi, ho avuto un’idea fantastica!”, s’inserisce Nagisa, un po’ perché iniziava a sentirsi escluso, un po’ perché incapace di non dare aria ad ogni suo pensiero, “Apriamo un club di nuoto! Così facendo, potremo vedere Rin-chan ai tornei”.

   Makoto è preso in contropiede, “Non sono sicuro che Haru acconsentirà”.

   Intanto tu sgambetti snodata per raggiungere Haruka in una gara contro il tempo. Tuttavia, per l’ennesima volta, la brezza marina ti costringe ad ammirare la distesa d’acqua che la emana. La sua quiete è invocante. Avverti l’impulso di levarti scarpe e calzettoni, per sentire il soffice vezzo della sabbia sotto i piedi. E’ così leziosa, sembra adularti, ma ci sono ben altre moine che preferiresti sentire al tatto: le blandizie dell’oceano. Ti avvicini a quell’immensità, sorridendo tenue e tenendoti il lembo della gonna a balze per evitare che Zefiro dia spettacolo dei tuoi tabù.

   Improvvisamente qualcosa ti trattiene per il polso libero, forzandoti a voltarti nella direzione di una silhouette florida. Il torso è scolpito, seppure non abbia un aspetto ricercato; i trapezi ben definiti si innestano nei sternocleidomastoidei in una linea pulita; e l’incavo del collo è deciso. Non eri mai stata così vicina al corpo nudo di Haruka, infatti quando incontri i suoi occhi oceanici, il tuo viso è avvolto da una maschera d’innascondibile imbarazzo. Distogli lo sguardo, sentendoti intimidita dal desiderio che stai provando nei suoi confronti e triviale per non averlo mai provato per Rin. Non in questo modo, perlomeno. Con il pescecane è un gioco di battiti cardiaci rubati e intensità, mentre con il cetaceo è una tacita complicità.

   Ti chiedi se siano gli ormoni. Dopotutto non sei più una bambina e a diciassette anni trascendere il platonismo non è strano. 

   Cominci una singolare conversazione con il tuo io interiore.

   Ma allora perché con Rin è diverso? 

   Semplice, Rin è l’opposto di Haruka.

   No, non è solo questo.

   L’ultima volta che hai rivisto il rosso, prima del suo ritorno ufficiale, avevi quattordici anni. Quindi non concepivi ancora di poter provare a volere questo tipo di affetto?

   Forse.

   Haru ti piace di più?

   Blackout.

   Chi ti piace di più? Ecco il quesito a cui non puoi rispondere. Tu non sai quale ti piaccia di più dei due.

   Ti colpisci mentalmente la fronte, mentre odi la voce del ragazzo richiamarti severo, “Non dovresti essere qui. Rischi di ammalarti”.

   Ti allontani un poco da lui, mantenendo comunque il contatto ravvicinato che si è verificato, “Potrei dirti la stessa cosa”, affermi risoluta, riferendoti chiaramente alla sua camicia sbottonata e ai pantaloni della divisa abbandonati chissà dove.

   “Volevo sentire l’acqua, ma mi ha respinto”, le sue pupille s’intristiscono. Quello era il peggior rifiuto che potesse mai ricevere.

   “Fa ancora troppo freddo”, concludi. 

   Tra voi cala il silenzio. E’ pedante, arrogante e subdolo. Senti l’obbligo di uccidere quell’atmosfera mefistofelica con una battuta, “Ma hai sempre la vasca da bagno”.

   Inizialmente Haruka ti fissa serio, per poi rasserenarti con un debole sorriso, “Hai ragione”. Si stacca dall’abbraccio, si riabbottona la camicia, si rinfila pantaloni, calzini e scarpe e si avvia verso casa. Per un momento ti poni se tu debba seguirlo o meno, però il ragazzo si gira verso di te, evitando il tuo sguardo [aggettivo] e tendendoti una mano a mo’ di invito.

   Sorridi fausta, lanciando un’ultima occhiata al mare. Ti rivesti, accetti la stretta del giovanotto e vi incamminate assieme.

   Il tragitto è piacevole e silente. Stavolta il mutismo non è gravoso e imbarazzante, anzi è carico di allegria, leggera vergogna e letizia, come se entrambi vi foste fermati al lido in attesa dell’altro. 

   Vi siete tenuti per mano per tutto il tempo, giocando con i pollici e sorridendovi. Haruka ti circonda il polso, sottile rispetto al proprio, con il mignolo, così da mantenere più salda la presa. E’ incredibile come un gesto insignificante come questo, ti faccia sentire al sicuro, protetta. Ti ritrovi a confrontarlo nuovamente con Rin. Con lui l’ultima cosa che provi è perizia.

   No, basta pensare a Rin!, ti imponi, stringendo le dita di Haruka, che ti guarda amareggiato senza che tu te ne accorga. Nella sua testa, ogni volta che fai quello sguardo, rimbomba il nome del rosso, come un fantasma onnipresente tra di voi. Sa perfettamente che, anche con tutta la tua buona volontà, non potrai scacciare il ricordo di lui dalla tua mente a lungo. Prima o poi tornerà a tormentarti, dandoti quel senso di incompiutezza e rimorso, come se lo stessi tradendo.

   Ad un certo punto, senti la sua presa sciogliersi, distogliendoti violentemente dalle tue macchinazioni. L’osservi cupa per un’istante, rilassandoti immediatamente il secondo successivo, quando odi il tintinnio delle chiavi nella toppa.

   Ridi divertita, “Allora ogni tanto la blocchi la porta d’ingresso”.

   Haruka ti scruta con la sua solita occhiata rigida, per poi rilassare la sua espressione in un sobrio sorriso, dandoti una simpatica spallata, “Dovresti vedere la tua faccia”, Sta... ridendo?!, “Non mordo mica”.

   Ricambi l’urto, “Scemo, pensavo di averti offeso”.

   Il ragazzo sorride di nuovo, facendoti segno di entrare.

   Lo precedi, alzando il volto con fare stizzito e finto altezzoso.

   Il moro sogghigna ancora, richiudendo la soglia, Che caratterino.

   Vi accomodate in salotto, incapaci di sostenere un argomento.

   “Vuoi del tè?”, ti propone Haruka con una gamba già pronta a scattare in piedi.

   “Ehm... Sì, grazie”.

   Mentre si avvia in cucina, noti che delle goccioline gli scendono lungo il collo, bagnando il bavero dell’uniforme. Balzi in piedi e lo raggiungi, imponendogli di abbassarsi. Posi il palmo della mano sui suoi capelli inumiditi e urli, “Vai subito a farti un bagno caldo. Ti prenderai un accidenti! Al tè ci penso io”, lo sguardo del giovane ti esamina confuso, “Forza, vai!”, lo incalzi, spingendolo fuori dalla cucina.

   Haruka si sfila il grembiule, sale le scale, apre il rubinetto, prepara un asciugamano e si immerge nell’acqua bollente con ancora indosso il costume. Nel frattempo tu controlli la teiera, finché non senti un debole fischio. Spegni il fornello, afferri una presina e con cautela versi il contenuto verdognolo in due tazze.

   Stai per salire la rampa, quando ricordi il motivo per cui volevi venire a trovare Haruka. Torni in salotto, appoggi le tazze sul tavolino orientale, recuperi il tuo cellulare dalla tracolla, stacchi il ciondolo a forma di delfino, lo metti in tasca, recuperi il tè e ti dirigi verso il bagno.

   Rimani in piedi davanti alla soglia per qualche secondo, indecisa sul da farsi, poi bussi piano attenta a non rovesciarti addosso il liquido dei recipienti e fai scorrere la porta.

   “Permesso. Il tè è pronto”.

   “Grazie. Entra pure”, lo studi da lontano, insicura se avvicinarti o meno, “Tranquilla, ho su il costume”.

   Ti rilassi e ti appropinqui, protendendogli una tazza.

   Ti siedi alla base della vasca, poggiando la schiena contro la ceramica e soffiando sul liquido prima di berlo. Fai un sorso, “E’ davvero buono questo sencha”.

   Haruka risponde con un mugugno.

   Fai un respiro profondo per prendere coraggio, “Ti ho portato una cosa”, dici, estraendo dalla tasca l’accessorio per cellulari, “Tieni”.

   Il nuotatore lo afferra incuriosito, “Cos’è?”. Sa già benissimo cosa sia, però ne vuole conferma.

   “Mi era sembrato che ti piacesse, così ho deciso di darlo a te. E’ tuo ora”.

   Le gote del ragazzo si tingono di rosa, mentre balbetta un “grazie”.

   Abbassi lo sguardo, arrossendo a tua volta, “Pr-rego”.

   Il delfino chiude l’ornamento che gli somiglia e si protende sul bordo della vasca. Con le dita libere ti solleva il mento, apprestandosi pericolosamente al tuo viso, esalando su di te. Il suo fiato è diverso da quello di Makoto. Non è quieto, accomodante, è abile e convinto.

   Ti approssimi anche tu a lui, sollevandoti sulle ginocchia. Chiudi gli occhi pronta alla connessione ed Haruka ti imita. State per sfiorarvi, quando la porta si apre inaspettatamente, obbligandovi a scappare l’una dall’altro.

   “Ehi Haru... Oh... _______! Ma che...?”.

   “Che sta succedendo qui?”, conclude la frase Nagisa.

   “Niente di importante”, sentenzia il moro, ricomponendosi.

   Il tuo cuore si arresta a tanta freddezza, Niente di importante?!. Una cosa è certa: Rin non avrebbe celato la verità.

   Ti alzi infuriata, stringendo con forza la tazza di sencha al petto.

   “Sono solo venuta a portargli una cosa. Ora posso anche andare”.

   “No, aspetta _______-chan! Interessa anche te!”, il biondino tutto pepe ti si aggrappa al braccio, bloccandoti sul posto. Sbuffi.

    “Fondiamo un club di nuoto!”. Tra tutte le idee partorite da quel ragazzino, questo era assolutamente la migliore e la più grande responsabilità che potesse affibbiarvi.

   Haru non accetterà mai, pensi.

   Negando ulteriormente loro un contatto visivo, il moro risponde apatico,  “Come volete, fate pure”.

   Lo guardi scioccata, conservando l’indignazione e, corale con Makoto, strepiti un altisonante, “Eh?!”.

   “Davvero?!”, rimbomba Nagisa simultaneo, alzando i pugni vittorioso, “Yatta! Siamo pronti a partire, allora! Sono così emozionato”.

   Haruka riemerge dall’acqua, lasciandola colare sul tappetino sul quale eri seduta fino a dieci minuti prima, agguanta il telo che Makoto gli porge e, iniziando ad asciugarsi, si accinge verso il piano inferiore, dove Gou vi aspetta.

   Saluti la tua amica con un bacio sulla guancia e ti siedi di fianco a lei, che subito si gira nella direzione opposta ai ragazzi, mentre gli altri, eccetto Haruka, fanno lo stesso. Il moro rimane in piedi, continuando a strofinarsi il panno sui capelli e sul corpo.

   “Vuoi farlo davvero?”, origli Makoto dire poco convinto al pesce fuor d’acqua, “Non faremo tutto noi. Anche tu dovrai entrare nel club”.

   “Lo so”, replica l’altro con indifferenza.

   “Non guardare, non guardare, non guardare!”, mormora Gou, coprendosi il viso con le mani - ha le orecchie arrossate -, “Le ragazze della mia età non dovrebbero sbirciare gli uomini nudi!”.

   Ti accosti, sussurrandole, “Non è ancora un uomo, è solamente un adolesente e non è nudo, è in costume”.

   Si volta verso Haruka, vagheggiandolo estasiata, mentre si sfrega l’avambraccio, “Ma che... tricipiti incredibili!”.

   Tutti la guardiamo straniti, in particolare l’unico alzato, siccome non ricorda di averla mai vista prima.

   “Oh, già. L’altro giorno non eri con noi, Haru-chan. Questa è la sorella di Rin-chan”, spiega Nagisa.

   “Forse ti ricordi di lei”, intervieni ancora irritata per poco prima in bagno, “era con me al cancello della scuola l’altro giorno”.

   “C-ciao”, balbetta Gou, “ne è passato di tempo”.

   Il cetaceo la fissa dall’alto al basso, cercando nella sua memoria una qualche traccia di lei, “Matsuoka...”.

   Lei ricambia lo sguardo sgomenta.

   “... Kou”.

   Gou sorride a trentadue denti, per non averla chiamata con il suo vero nome di battesimo, “Esatto! Mi dispiace per quel che ha fatto ieri mio fratello”.

   “Non ti preoccupare”, dice il giovane, mettendosi una felpa azzurra e il solito grembiule, e marciando in direzione della cucina.

   “Ah, se stai facendo il tè, ho qualche calamaro per accompagnarlo”, afferma Makoto.

   “Eh? Non sarebbe meglio del cioccolato?”, presenzia Nagisa.

   “Risolveremo accompagnandolo con dello sgombro”, risolve Haruka, dandovi le spalle.

   “Quella non è una soluzione valida”, perpetua il biondo insoddisfatto, alzandosi, “Lascia che ti aiuti”.

   Gou si volta verso una colonnina turchina luccicante accanto allo stipite della porta, “Questo non è...”.

   “Oh, sì”, sorride Makoto, “E’ il trofeo che abbiamo vinto da bambini. Rin ci ha detto che non ne aveva più bisogno”.

   Da parte ad esso giace una foto, che subito la rossa afferra, analizzandola  lugubre. Si concentra specialmente su suo fratello al centro dell’immagine, mentre tiene stretto a sé la coppa, circondando la collottola di Haruka - che evita l’obiettivo -, ridendo appagato, così da mostrare i suoi denti appuntiti, “Siete tutti sorridenti”.

   “In realtà, Haru è l’unica eccezione in questa foto”.

   Nagisa compare alle vostre spalle con il vassoio del tè in mano, si inginocchia e s’introduce gaudio, “Haru-chan sorride sempre dentro di sé”.

   Gou ridacchia, coprendosi la bocca con il pugno chiuso, “Lo fai sembrare una persona cattiva!”

   “Quindi, questa è la prima volta che Rin torna, da quando è partito?”, chiede interessato l’orca dolce.

   Il sencha ti va di traverso, così ti alzi e vai in cucina, in modo da non mostrare loro cosa ti passa per la testa. Purtroppo sei un libro aperto, soprattutto per Makoto. 

   Controlli i calamari, li giri in modo che non si brucino. Il tutto evitando prontamente Haruka, che ovviamente ti affianca, fingendo di sorvegliare il tè come scusa.

   “E’ venuto ogni anno a Capodanno”, prosegue imperterrita Gou.

   “Sul serio?!”, trepita Nagisa affranto, “E non ce l’ha mai detto?! Che perfido”.

   Senti Haruka trasalire. Vorresti prendergli la mano come la sera in cui siete andati al club di nuoto, ma sei ancora arrabbiata con lui. Ebbene sì, sei permalosa.

   Al ragazzo manca questo contatto, lo brama perdutamente. Eppure non muove un passo. E’ consapevole che un semplice gesto farebbe scemare la tua collera e la sua angustia in un attimo, però la sua indole distaccata glielo impedisce.

   Ad ogni modo, nessuno dei due si accorge che Makoto vi sta fissando sommesso.

 

Il giorno dopo

   

   E’ la pausa pranzo. 

   Siete seduti con in vostri bento in grembo, mentre Nagisa vi mostra un modulo di iscrizione ed espone, “Adesso che ci siamo tutti, ho preso un nuovo modulo di richiesta del club”.

   “Vai di fretta, eh?”, domandi infastidita. Infondo non hai neanche il tempo di far alzare la glicemia nel tuo organismo.

   “E’ importante prendere la palla al balzo”, rimbecca saccente, “Vediamo... Lo scopo di questo club è di addestrare le nostre menti e i nostri corpi attraverso il nuoto, e di migliorare la nostra esperienza scolastica”.

   “E sa pure il fatto suo”, ti dà manforte Makoto, offrendoti muto dei calamari, che declini con un sorriso a labbra serrate.

   Cerco che sono fissati, rifletti, pensando ad Haruka e Makoto, Uno lo sgombro, l’altro i calamari...

   “All’inizio ci saranno solo quattro membri”, continua ardito la matricola, “Mako-chan, tu potresti essere il capitano”.

   “Ehm, non dovrebbe esserlo Haru? E’ il nuotatore più veloce”.

   “Non è una questione di velocità. Diverse persone hanno diverse capacità”.

   Inevitabilmente cominci a fantasticare su Haruka in veste di capitano, con una tuta appariscente e un atteggiamento autoritario.

   “Ok! Quelli del primo anno si occuperanno della pulizia! Quelli del secondo di cambiare il cloro! Per quelli del terzo anno invece, ci sarà un incontro una volta finito l’allenamento!”.

   “Ricevuto, Capitan Haruka!”.

   Scuoti il capo per scacciare l’immagine. No, decisamente un pessimo capitano.

   “Meglio di no”, concorda Makoto sulla tua stessa linea d’onda. Alle volte ti sembra di leggervi nel pensiero.

   “Ciò significa che tu sarai il capitano e Haru-chan potrà essere il vicecapitano”.

   “Ohi, non decidere per me”, controbatte il moro. Che sia scontento di non essere davvero quello con il comando?

   “Calma, calma. Quello del vicecapitano è solo un titolo insignificante, che non comporta alcuna responsabilità, non preoccuparti”.

   “Hai appena offeso ogni vice esistente sulla Terra”, replica il gigante buono.

   Alzi un sopracciglio, Prova a dirlo al vicecomandante Hijikata... Vediamo quanto è d’accordo con te, dato che faceva praticamente tutto lui...

   Nagisa lo ignora palesemente, “Io sarò il tesoriere, mentre _______-chan sarà la manager”.

   “Eh?”, sussulti, “E io che c’entro con il club di nuoto?”.

   “Beh, nuotavi con noi da piccoli e hai sempre partecipato alle nostre gare. Come minimo devi sostenerci anche in questo”.

    Lo guardi dubbiosa.

   “In più, sei abbastanza sicura di te da importi su tutti noi. Proprio come un vero manager dovrebbe essere. Il nostro comandante in assoluto”.

   Devi ammettere che questa descrizione ti piace, “Mm, non aspettarti regimi di allenamento facili da me”.

   “Grande! Questo significa che abbiamo bisogno solo di un consulente di facoltà”.

   “Avete qualche idea?”, chiede Makoto perplesso.

   Nagisa ridacchia, “Pensavo di chiederlo ad Ama-chan”.

   “Ama-chan sensei?”.

   “Ho sentito una storia pazzesca da un nostro compagno”.

   Vi guardate curiosi. Quale sarà lo scoop?

 

Sala insegnanti

 

   Vi dirigete in sala insegnati per convincere la coordinatrice a occuparsi del vostro club.

   Bussi tu alla porta e cominci la discussione, data la tua fama di ottima ipnotizzatrice di professori.

   “Che?”, vi interroga stupefatta Amakata-sensei, “Non mi occupo di sport. Insegno letteratura classica”.

   Nagisa prende la parola, “Però ho sentito che fino all’anno scorso aveva un posto di lavoro a Tokyo dove progettava costumi da bagno”.

   La donna sussulta sconcertata, scattando in piedi ed avvicinandosi a voi, “Ehi, non così forte! Chi te l’ha detto?”

   “Nashimoto-kun. Frequenta la nostra classe”.

   “Sensei, ha lavorato come progettista di costumi da bagno?”, s’immischia Makoto.

   “Eh?!”, trasalisce l’insegnate, prima di rabbuiarsi, “S-sì, diciamo di sì”.

   La cosa ti puzza. Magari ha fatto l’indossatrice di costumi in un negozio ed ora se ne vergogna. Non ci sono altre spiegazioni ad un simile comportamento.

   “In tal caso, saremmo entusiasti di ricevere i suoi consigli per quanto riguarda la tecnologia in voga nel nuoto competitivo!”.

   “Eh?!”.

   “Ci dia dei consigli!”, prorompe il biondo in preda all’euforia.

   I due ragazzi s’inchinano e tu fai lo stesso per sindrome imitativa, “Per favore!”.

   Ormai la trentenne è messa alle strette, “Se proprio avete bisogno di me...”.

   “Grazie mille!”.

   Haruka è rimasto in disparte per tutto il tempo, osservando il cielo soleggiato fuori dalla finestra, dove una poiana si libra a caccia.

 

Accademia Samezuka

 

   Nel tardo pomeriggio, mentre tu e gli altri siete presi dai preparativi per rendere pubblico il club, Gou ha preso un treno diretta al collegio di suo fratello e si è informata di lui.

   Ha varcato la soglia dell’istituto, è andata in segreteria, chiedendo del parente, “Sono la sorella di Matsuoka Rin. Sono qui per vedere mio fratello”. 

   Il delegato richiude il giornale che stava leggendo, posandoci un dito all’interno per tenere il segno, “Sembra che non sia ancora tornato”.

   “Davvero?”, sospira, “Le dispiace se provo a controllare in palestra? Magari si è indirizzato lì senza passare dall’ingresso”.

   “Sì, faccia pure, ma non disturbi in nessun modo l’allenamento”.

   “Naturalmente. Grazie”.

   Gou procede lungo il corridoio, usufruendo della mappa che il segretario le ha rimediato.

   La sventurata fatica parecchio a trovare la piscina: è un vero labirinto quel dannato edificio. E se non bastasse, si rende amaramente conto che, oltre a non aver alcun senso dell’orientamento, non sa nemmeno leggere una mappa, così decide di ficcarla nella sua borsa e andare alla cieca.

   Girovagando per l’istituto, si ritrovò davanti al cortile interno della scuola. Rimane sbalordita da quanto sia ben curato. Ci sono alberi di ciliegio ovunque e un acero rosso, che stona piacevolmente in mezzo a nuvole floreali di confetto, con panchine che circoscrivono il parchetto, tavolini esterni difronte alla vetrata della caffetteria, da una parte - probabilmente possono pranzare fuori con il bel tempo -, e un ampio capannone dall’altra con il cartello “PISCINA” scritto a lettere cubitali. Bingo!

  La fortuna comincia a girare. Apre la porta-finestra che dà sul giardino e s’incammina lungo il vialetto per raggiungere l’attrazione sportiva.

   Entri nel casotto e subito è travolta da urla e scrosci d’acqua.

   “Permesso...”.

   Immediatamente la su psiche viene annebbiata dalla prestanza fisica della squadra Samezuka.

   Sugoi! E’ davvero una scuola di nuoto prestigiosa: fustacchioni e pettorali ovunque! Sono meravigliosi!

   Gou sbatte velocemente le palpebre, come per accertarsi di non sognare.

   “Ehi, tu”, si rivolge a lei una sagoma imponente dai capelli melograno e gli occhi di miele, “Sei quella che cerca il fratello maggiore, giusto?”.

   “Sì”, concorda la piccola, lanciando piccole occhiate tra il viso e il petto statuario di quello che deve essere il capitano.

   Il ragazzo si imbruna, “Aspetta”, le sue iridi brillano come oro grezzo, avvampa lievemente, “Ecco... Sei molto carina”.

   Gou gli risponde con un sorriso, “Sto cercando Matuoka Rin”.

   “Matsuoka?”, domanda esitante, “Non c’è nessun Matsuoka nella squadra di nuoto”.

   “Come?”.

   E’ così, Rin non fa parte del team. Deve sapere di poter risolvere le sue questioni in sospeso, prima di ricominciare ad allenarsi come gli concerne.

   Per questa ragione Rin non è all’accademia. Perché si è introdotto nuovamente nel vecchio club di nuoto delle elementari. Non per incontrare te o Haruka, semplicemente per recuperare una oggetto molto importante per lui, stampato su carta fotografica. Un ricordo.

   E’ sera ormai, quando torna allo stabile e il cielo ha già cominciato a scurirsi di nuvoloni.

   Entra senza fretta nell’atrio, dove ci sono appese le foto. Ne fissa una in particolare, tenendo le mani nelle tasche della felpa nera in un’azione abitudinale. 

   Nell’immagine sono raffigurati quattro bambini. Al collo portano delle medaglie placcate d’oro e uno di loro, al centro, sostiene fiero il trofeo da loro vinto con fatica. Quel ragazzino a un aspetto familiare, un’espressione così vicina al Rin del medie. Gli somiglia così tanto da far tremolare le dure braci dello squalo.

 


 Note D'Autore

Finalmente ho finito il terzo capitolo!

Ringrazio chiunque stia seguendo la storia e attenda il suo proseguimeto. Grazie ancora a ScarletFlower per i suoi consigli (sappi che ho preso in seria considerazione le varie ipotesi che sono emerse nei nostri MP) e le sue battutine. Grazie anche a LaDesy per aver recensito ogni singolo capito e a Mizuru per essere così poco paziente nelle pubblicazioni.

Purtroppo vi devo informare che domani - beh, è l'1.40, quindi oggi - partirò per una settimana a Kos, di conseguenza non potrò scrivere per un bel po'. Perciò non so quando caricherò il prossimo capitolo, probabilmente sforerò la settimana emmezza se non di più. 

Mi dispiace.

Ci tenevo particolarmente a finire l'attuale ultimo capitolo entro stasera. Una sorta di regalo di arrivederci.

Spero vi piacerà come gli altri.

 

Termini

Zefiro: nella mitologia greca è il nome del vento che soffia da ponente.

Sencha: tè verde molto diffuso in Giappone

Bakaru: (confido che sappiate tutti la traduzione, ma sempre meglio essere prudenti) significa "idiota" e varianti.

Sugoi: figo, fantastico. 

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Capitolo 5
*** 4. Gambe in spalla! ***


4.
Tutti al lavoro!
 
   Lo scalpitio di passi segue la tua corsa allegra fino al piano terra. Salti gli ulti gradini con un balzo, entri in cucina e abbracci una vecchina più larga che lunga in tailleur blu, che sta preparando la colazione, canticchiando.
   “Nonna!”, strepiti.
   “Oh”, ride, “Buongiorno, tesoro. Pronta per andare a scuola?”.
   “Certo”, esclami, tenendola ancora stretta, “Sai, nonna, sono contenta che vivrai qui”.
   “Visto che i tuoi genitori sono sempre via per lavoro, ho pensato di stare un po’ con te”, ti sorride teneramente, “Sei sempre tutta sola in questa grande casa”.
   Le sorridi dolce, dandole un bacino sulla guancia, “Non sono sola, nonna: c’è Yoru”, l’anziana ti scruta contrariata dai suoi amorevoli occhi azzurri, quando paragoni il tuo gatto ad una forma di compagnia adeguata, “In più, sono abituata ai loro continui viaggi”.
   La donna abbassa mesta lo sguardo, “Lo so”.
   “Non ti preoccupare, nonna. Adesso ci sei tu”.
   Il suo volto si apre in un enorme arcata dentaria, “Basta parlare, è ora di mangiare”. Sul tavolo c’è tutto il necessario per un’adeguata colazione continentale: cappuccino, croissant e succo di frutta ricco di vitamina C.
   “Mi hai preso la conchiglia”.
   “Crema di latte, come piace a te”.
   La ringrazi con un sorriso sincero e vi sedete a tavola.
   Stai sorseggiando il tuo cappuccino, quando la nonna comincia a parlare, “Ah, _______”, punti gli occhi su di lei, invogliandola a proseguire, “Mentre eri in bagno, ho cominciato a mettere in ordine la tua camera e dietro a dei libri ho trovato questo”, tira fuori dalla tasca anteriore del grembiule un laccio di caucciù, appeso al quale si trova un grosso dente di squalo bianco.
   Osservi il ciondolo osseo per un secondo interminabile, prima di afferrarlo.
   Il tragitto sembra durare un’eternità, ma quando la bimba scruta la figura di un suo coetaneo posare un copioso bagaglio sul tapis-roulant del check-in, ha l’impressione che siano passati solo un paio di secondi.
   I numeri ruotano repentinamente, veloci come i battiti del suo cuore accellerato dalla corsa. Quando la raggiunge ha il fiato corto, solo nel momento in cui la hostess affige il tagliandino sulla valigia con destinazione e numero del volo, gli occhi dei due si incontrano.
   Il bambino mormora il suo nome esterreffatto.
   “Ho una cosa per te”, esordisce lei, mostrandogli una scintillante zanna di pescecane legata ad una catenina di poliisoprene naturale.
   Gli occhi del bambino scintillano, “E’ per me?”.
   La piccola annuisce dolcemente, “Ah-ah. Papà studia gli squali e mi ha portato alcuni denti, così ho pensato di regalartene uno, dato che il tuo animale preferito. Guarda, ce l’ho anch’io”, dice sollevando il medaglione che porta al collo.
   Il nuotatore prende la collana e la infila intorno alla nuca per regolarla, “Grazie”. Ha gli occhi lucidi.
   La bimba alza le spalle modesta, “Almeno, quando sarai in Australia, non ti dimenticherai di me”.
   “Non potrei mai dimenticarmi di te”, manifesta lui serio.
   La madre di lui gli posa una mano sulla spalla, “Tesoro, è ora di andare”.
   Gli occhi dell’undicenne si incupiscono, consapevole che non avrebbe più rivisto sua madre, la sua seccante sorellina e la ragazzina dagli occhi [aggettivo colore] per quasi un anno, “Già”.
   Si dirigono ai metal detector.
   “Fa’ buon viaggio”, dichiara la bambina con le palpebre colme di lacrime.
   “Ti scriverò”, promette con un mezzo sorriso, prima di oltreppasare il metal detector e sparire per sempre.
   Le sue lettere non arrivarono mai.
    “Grazie, nonna. Devo averlo appoggiato per poi scordarmelo lì”.
   “Sei così distratta, tesoro mio”, sospira, sghignazzando la donna.
   Rizzi gli occhi al cielo con fare teatrale, sbuffando, “Okay okay! E’ meglio che vada”, sorridi, alzandoti e mettendoti in spalla la tracolla.
   “Buona giornata!”, ti saluta.
 
   Istituto Iwatobi - La settimana seguente
 
   Nagisa ha spedito la richiesta per la fondazione di un club il pomeriggio stesso, perciò siete in attesa dell’esito del consiglio scolastico.
   La coordinatrice di classe, nonché insegnate segnalato come consulente di facoltà, vi convoca per comunicarvi la decisione. Stranamente anche Haruka appare piuttosto impaziente di sapere - per quanto il suo essere taciturno possa dimostrarlo -, infatti stavolta è eretto davanti alla donna insieme a voi.
   “Adesso, per quanto riguarda la licenza di concessione del club di nuoto che avete inviato. Dopo un rigoroso controllo da parte del consiglio...”, esordisce grave Amakata-sensei, tirando indietro la sedia mobile della sua scrivania e picchiettando dei documenti sulle ginocchia, “... è stata approvata!”, finisce allegra, girando il foglio di conferma verso di voi.
   “Davvero?!”, dite all’unisono tu e Makoto.
   “Fantastico! Sapevo che avremmo potuto contare su un’ex dipendente di una società per costumi da bagno!”, afferma inopportuno il pinguino.
   “G-già”, balbetta la professoressa, “Questo è ciò che posso fare, quando mi applico. Comunque un’organizzazione scolastica deve avere almeno quattro membri, perciò su questo punto non ci sono problemi. Tuttavia, c’è un’altra condizione”.
   “Non c’è problema!”, esulta Nagisa.
   “Sono disposto a tutto!”, gli dà manforte Makoto su di giri.
   L’insegnante vi fissa senza emozione, coprendosi parte del viso col certificato del club, si alza in piedi e vi fa cenno di seguirla.
   La campanella che segna l’inizio delle lezione è suonata già da un pezzo, quando vi inoltrate nei meandri della scuola al seguito dell’“esperta” di costumi da bagno agonistici.
   Il corridoio è vuoto. Tutti i corridoi sono vuoti e davanti a voi regna il nulla. E’ tutto così diverso, scolorito in assenza di studenti, persino la luce tenue della primavera è sparita, sostituita dal chiarore fioco dei mesi invernali. Possibile che il tempo, senza quell’orda faceta, si sia fossilizzato?
   Come sempre, quando il tuo cogito non ha niente su cui concentrarsi, si riempie dell’essenza di Rin, a tal punto da avere l’impressione ch’egli sia lì con te, che pronunci il tuo nome, pur sentendolo lontano e con voce ovattata. Il cordino in caucciù legato al polso in più giri ti marchia a fuoco. Un brivido ti sale lungo la schiena, sotto la camicetta divenuta improvvisamente troppo leggere per la stagione.
   Fa freddo.
   Una ragazzina, appena quattordicenne, si stringe nel cappotto[colore], mentre occulta bocca e naso nella calda sciarpa di [materiale e colore]. Alza lo sguardo, incrociandolo con quello di un coetaneo nella medesima posizione.
  Inizialmente si lanciano un’occhiata indifferente, da perfetti estranei. Occhiata che dura un battito ti ciglia, il secondo di cui il cervello ha bisogno per collegare un insieme di tratti a un individuo specifico. I capelli dal colore indecifrabile; le iridi di rubino; l’ombra di quel broncio eterno anche mentre sorride.
   R...
   Non fai in tempo nemmeno a pensare il suo epiteto, siccome una pacca benigna te lo impedisce, al fine di indicarti il portone anti-panico che collega il corridoio delle palestre alla piscina scoperta - nonché unica dell’istituto. Sorridi conciliante a Makoto, cercando di non far trasparire il tuo momentaneo disagio.
   Ama-chan spinge la leva rivestita in plastica nera e vi fa strada verso ciò che, una volta - ma una volta, volta... una volta molto lontana... insomma, hai capito -, era una vasca 50x25m da sei corsie. Ora, invece, è ridotta ad un ammasso di intonaco usurato e ceramica cedutasi a rampicanti, sterpaglia e detriti. Il tutto, associato al tipico venticello delle cittadine balneari, assume l’aspetto desolato dei vecchi western durante le scene di fuoco, dove, a mezzogiorno, i pistoleri si incontrano per l’ultima azione accompagnati dalle immancabili balle di paglia.
   “Wow, quanta natura!”, afferma colpito Nagisa, mentre un vecchio ritaglio di giornale svolazza nell’aria.
   “Significa che dovremo...”, comincia Makoto sommesso.
   “Sì”, lo interrompe l’insegnante, raddrizzandosi, “dovrete rendere questo posto nuovamente utilizzabile”.
   Immediatamente, l’orca e il delfino fanno un passo indietro, nell’intento di filarsela. Prontamente tu e il pinguino agguantante i polsi dei due fuggitivi, rendendo vano il loro tentativo. Entrambi vi voltate, sorridendo giocondi.
   “Non vi è permesso scappare”, dice il biondo.
   “Avevi detto di essere disposto a tutto”, concordi, “Forza, al lavoro”, comandi battendo le mani, lasciando trapelare l’indole da manager.
   Recuperi qualche paia di guanti in lattice dagli spogliatoi della piscina, per darli ai ragazzi, che, nel frattempo, si sono già levati la giacca della seifuku, hanno risvoltato le maniche della camicia bianca sino ai gomiti e allentato le cravatte.
   Una volta pronti, entrano all’interno del bacino e cominciano a strappare con forza tutte le piantine, lanciandole in seguito dietro di loro, così da formare un sostanzioso mucchio d’erbaggio.
   Quando finalmente finiscono questo faticoso compito, si alzano in piedi, levano le protezioni usa e getta e portano le mani ai fianchi soddisfatti.
   I loro indumenti sono sporchi e rovinati, e i loro volti sono coperti di terriccio e segni di sudore. Queste caratteristiche danno un aspetto buffo al più giovane dei tre, quanto attraente agli altri due.
   Haru è sexy anche così trasandato.
   Aspetta un attimo... Ho appena pensato che Haru sia sexy?!
   Però, anche Makoto non è male...
   Oooh accidenti! Sembro Gou!
   Ad ogni modo, la sfida è ancora ben lungi dall’essere vinta, di fatti le pareti della vasca presentano innumerevoli crepe che necessitano di essere stuccate e ridipinte.
   La settimana seguente sarebbe stata piena di imprese di restauro.
   Decidete di andare a comprare tutto il necessario in un centro specializzato in fai-da-te.
   Sabato, accompagnati dalla coordinatrice e dalla sua macchinina rosa per non patentati, vi recate da Dolphins, il negozio più fornito della città, e riempite il carrello di pennelli, pitture antimuffa, smalto d’acqua ecologico, alcool disinfettante antibatterico e martelletti.
   State scegliendo le pastiglie al cloro più idonee per qualità-prezzo nel reparto piscine, quando vi accorgete che Haruka si è volatilizzato. Di nuovo.
   Vi guardate intorno finché infondo alla corsia, al reparto acquari, non intravedete il desaparecido in costume mentre si sbottona la camicia di jeans. All’istante, accorrete nella sua direzione, bloccandolo pochi secondi prima che inserisse il piede nel PH perfettamente studiato per i pesci tropicali d’acqua dolce.
   Ogni giorno, dopo la fine delle lezioni, infilate la tuta scolastica - verde per gli allievi del secondo anno, rossa per quelli del primo - e cominciate le attività del club, ovvero l’emendamento della location destinata ai futuri allenamenti. Ridipingete le pareti; tracciate la segnaletica pavimentale; potate le siepi che circondano la recinzione della piscina; pulite.
   Haruka è quello che più s’impegna nel progetto, arrivando perfino a saltare il pranzo. Inconsueto per uno che rifiuta qualunque lena con il classico “troppo effort”.
   Sono talmente tanti i pomeriggi che vi siete fermati alla piscina dell’istituto, che quasi non ricordi quale dì dell’ebdomada sia.
   State continuando i lavori di manutenzione, siete tutti e quattro dentro la vasca, dividendovi i compito a mo’ di catena di montaggio: Makoto passa lo stucco; Haruka lo ricopre con lo smalto d’acqua; tu rifinisci con la pittura; e Nagisa sistema le varie miscele.
   Ad un certo punto la voce di Ama-chan si leva dalla sdraio per complimentarsi con voi, “Avete pulito tutto molto bene”.
   Il biondo si solleva, agitando le braccia capriccioso, “Non potrebbe alzarsi da quella sedia e darci una mano?”
  “Hai idea di cosa stai dicendo? I raggi UV in questo periodo dell’anno sono dannosi”, ribatte l’altra, non degnandolo nemmeno di uno sguardo, “Voi siete ancora giovani, quindi non è un problema”.
   Certo come no... A nessuno piacciono le rughe da tintarella, pensi polemica.
  Makoto sogghigna, “E’ divertente! Mi sembra di essere tornato alle elementari”.
 “Agli alunni di una scuola elementare non verrebbe chiesto di sistemare una piscina”, rimbecca glaciale il moro.
Marcantonio sorride appena, rammentando l’Haruka che ha visto dalla terrazza solo qualche mattina precedente, saltare il pranzo per pulire il fondo della piscina. Tuttavia si limita a rispondere, “E’ vero”.
   La porta anti-panico si spalanca, lasciando comparire la figura longilinea di Gou, “Sugoi, è tutto pulito!”.
   “Ah! sei venuta ad aiutarci, Gou-chan?”, la interpella il buffo pinguino.
   “Ti ho detto di chiamarmi Kou! Altrimenti non avrai nulla di quel che ho portato”.
   “Eh?! Non puoi fare sul serio!”, si lamenta Nagisa infantile.
   “Ho qui delle bibite”.
   La ringrazi con un sorriso, “Hai preso del tè freddo?”.
   “Certo, [gusto]”.
   Lasci il pennello sul barattolo della vernice, ti avvicini alla scaletta, la primina si china verso di te e afferri la lattina che ti sta offrendo, “Mi conosci bene ormai”.
   Veramente è onii-chan che ti conosce bene.
   Quando Rin è andato a trovare la sua famiglia, la sorellina gli ha detto che stavate risistemando la piscina della scuola e che, per essere utile, si sarebbe fermata a prendere qualcosa da bere.
   “Ricordati di prendere il tè [gusto]: è il preferito di _______”, dice il giovane adulto dai capelli cremisi.
   La ragazzina così somigliante all’interlocutore ridacchia.
   “Perché quel sorriso?”, replica il fratello, inarcando un sopracciglio.
   La rossa si copre la bocca con una mano, scuotendo la testa, in modo da smettere di sghignazzare, “No, niente. Ti fermi per cena?”.
   “Sì”.
   “Allora ci vediamo dopo, onii-chan”, ridendo, sbatte la porta dietro di sé e parte alla volta del market più vicino.
   Intanto Makoto è uscito dalla vasca, ha preso dello smalto verde ed ha iniziato a dipingere la recinzione.
   Gou si avvicina al ragazzo, stringendo ancora il sacchetto in plastica, “Lascio qui il succo di frutta”.
   “Grazie”, risponde il capitano dell’Iwatobi con un sorriso gentile.
   “Non riesco a capire”, afferma di colpo lei, accovacciandosi di fianco al sempai.
   “Che cosa?”.
   “Perché non avete provato a formare un club di nuoto al primo anno?”.
   Il giovanotto sospira, mantenendo il suo sorriso, “Ad Haru non interessava”.
   La kohai è confusa, “Nemmeno essendo un nuotatore del suo calibro?”.
   Makoto abbassa lo sguardo sulla ringhiera mezza pitturata, “Haru è entrato a far parte del club di nuoto alle scuole medie, ma si è ritirato all’inizio del primo anno”.
   “E’ successo qualcosa?”.
   “Non ne ho idea. Non vuole parlarne”, prosegue il ragazzo guardando te, Haruka e Nagisa mentre continuate il vostro compito, ascoltando le chiacchiere logorroiche del più piccolo del trio, “Il nostro vecchio club di nuoto venne chiuso più o meno nello stesso periodo e da allora Haru non ha più praticato il nuoto agonistico, e _______ ha smesso con le gare di tuffi. So solo che, però, continua ad allenarsi”.
   Anche Gou si volta nella vostra direzione, “Probabilmente non ci ha mai rinunciato davvero”.
   “Lo spero”, ammette il ragazzo, “Era stupendo vederla volteggiare in aria pochi secondi prima di infrangere l’acqua di testa. Sembrava un martin pescatore”.
   Lei sorride di sbieco, Mi sa che c’è qualcun altro qui cotto di _______, “Quindi voleva smettere con il nuoto”, riprende il discorso antecedente.
   “Probabilmente sì”.
   “Chissà se lo stesso vale per onii-chan”, dice pensierosa.
   “Eh?”, domanda disorientato l’adolescente.
   “Ero alla ricerca di mio fratello l’altro giorno e ho scoperto che non fa parte della squadra di nuoto”, riprende a guardare il capitano, “Si è trasferito all’Accademia Samezuka, ma non si è unito al club”.
   “Non ci credo!”, interviene incredulo Makoto, “Voglio dire, ha gareggiato con Haru e...”.
   “Deve aver perso”, lo interrompe Gou, fissando un punto indefinito nel vuoto, “E’ per questo che ha rinunciato al nuoto”.
   “No, non può essere”, afferma il giovane, “Quando hanno gareggiato quella notte...”.
   La luce della luna filtra attraverso le vetrate a volta che costituiscono il soffitto della piscina al coperto.
   Splash splash. Si ode il rumore dell’acqua che si scontra continuamente con la carne di due creature marine così diverse, ma al contempo così simili. Si differenziano per specie - la prima è un pesce, la seconda un mammifero -, però si assomigliano per la forma aerodinamica.
   “E’ bravissimo”, dice rapito il castano, riferendosi al cetaceo.
   “Già”, concorda quello con gli occhi di magenta, “Aveva perso terreno, ma ormai lo ha praticamente raggiunto!”.
   *Dannazione! Non riesco a togliermelo di dosso!*, il pescecane percepisce la competitività invaderlo.
   Si avvicinano al bordo della vasca, si capovolgono in una giravolta disperata e toccano la parete con la pianta dei piedi, dandosi le spalle a vicenda.
   “Chi ha toccato per primo?”, chiede l’unica ragazza della comitiva.
   “Sono troppo vicini per dirlo!”, risponde il ragazzo dalle iridi corindoni.
   “Sono spalla a spalla”, schiamazza il giovane più minuto.
   Il delfino osserva il suo avversario, speranzoso di rivedere qualcosa di dimenticato. Poi avverte la presenza del suo elemento più forte e distinta, come la prima volta che si innamorato di lei. Lascia che l’acqua lo pervada, lo spogli e lo trascini giù negli abissi, dove non esistono tornei e trofei, dove non esiste confronto, dove, forse, esiste la libertà. O almeno il suo modo di essere libero.
   *Ho già visto qualcosa del genere*, si rilassa, *Questa sensazione... Adesso capisco. Questo è ciò che volevo. Non c’è bisogno di fare affidamento su altri o lavorare con altre persone. Voglio solo andare alla deriva nell’acqua. In silenzio*.
   Una mano picchia il traguardo.
   Gli spettatori corrono alle corsie.
   Uno degli sfidanti si leva cuffia e occhialini e, tenendoli stretti, sbatte il pugno contro la superficie del liquido che lo circonda, “Sì!”.
   “Eh?! Onii-chan ha vinto?!”, domanda Gou allibita.
   “Già, non te l’ha detto?”, replica il narratore.
   La ragazza posa gli occhi di fuoco a terra, “Non ha risposto al messaggio, quindi ho pensato fosse arrabbiato a causa della sconfitta”.
   “Non sembrava molto contento di aver vinto”, dichiara Makoto sovrappensiero, afferrandosi il mento, “In effetti, sembrava che Haru lo fosse di più...”.
   Il corvino riprende fiato due/tre volte, prima di proferire parola, “Hai vinto”, si volta verso il rosso “Ottimo lavoro”.
   L’altro digrigna le fauci e sibila: “Ottimo lavoro?”. Si avvicina al dividi-corsia e strattona violento gli occhialini che il moro porta al collo, ma questi l’osserva sussiegoso, mentre le pupille del vincitore ardono furenti.
   “E’ stato allora che un insegnante ci ha scoperti, sentendo il rumore”, spiega il bruno.
   “Non capisco perché abbia detto una cosa del genere dopo aver perso”, dice tra sé l’ultimogenita dei Matsuoka.
    Makoto sorride accondiscendente, mostrando tutta l’indulgenza dei suoi bulbi smeraldini, “Haru voleva soltanto nuotare”, si volta verso il diretto interessato, “E’ tornato quello di un tempo. Non è mai stato uno a cui importasse vincere o stabilire record”.
   L’espressione di Gou s’incupisce, fissando Haruka che gli dà le spalle, “Mio fratello tornerà quello che era?”, Tornerà il bimbo sorridente che ho visto sette anni fa dagli spalti della piscina alla fine della staffetta, i suoi occhi tremano esattamente come all’epoca.
   “Vi farebbe comodo un altro membro?”, domanda senza alzare lo sguardo.
   “Eh, sì. Penso di sì”, dice impacciato Makoto.
   “Per favore”, prorompe Gou, “fatemi partecipare!”.
   “Eh?!”.
    Il viso della giovane si addolcisce, “Siete gli unici a poter cambiare mio fratello. Se siete disposti ad accettarmi, posso dare una mano a _______ con l’organizzazione e i compiti da manager!”.
   “Cosa, cosa? Che sta succedendo?”, s’intromette Nagisa dopo aver origliato l’ultima parte del discorso, in un improbabile momento di quiete.
   “Kou-chan si è offerta di entrare nel club!”, esclama il castano dall’altro lato della piscina.
   “Veramente?!”, chiedi felice, “Meno male, mi serviva un po’ di aiuto!”, le fai la linguaccia.
   “Questo significa che il club di nuoto è ufficialmente aperto. Evvai”, grida il biondo.
   Haruka non si è mai voltato, ma in questo momento sta sorridendo gratificato.
   Oramai i lavori sono terminati e ognuno si dirige verso casa.
   Nagisa e Gou vanno insieme alla stazione per prendere il treno che li conduce al proprio domicilio, mentre tu e gli altri vi incamminate sul lungomare.
   Il più vicino è Haruka, lo saluti con la mano, gli auguri buonanotte e riprendi la via accompagnata da Makoto - il moro sembra deluso da cotanta distanza fra voi due...
   In un certo senso ti sembra strano essere sola con il gigante buono di sera, soprattutto dopo l’ultima volta. Eppure la sua solita pacatezza ti rilassa, sino a farti scordare il tuo irrigidimento.
   Incedendo, parlate del più e del meno, del club di nuoto, di come sistemare gli allenamenti, quando una figura femminile vi si para davanti, chiamando a gran voce il tuo amico.
   “Ciao, mamma”, saluta il fusto.
   “Eccoti qui”, sospira la donna, “E’ un po’ tardi, non credi? Ah, ciao _______”, accorgendosi solo adesso della tua presenza.
   “Salve signora Tachibana. Come sta?”.
   “Oh, ti prego: dammi del tu. Mi fai sentire vecchia”, sogghigna, “Comunque sto bene e tu?”.
   “Molto bene, grazie”.
   “Siete stai a scuola fino ad ora?”.
   “Sì”, risponde secco il figlio.
   “Quindi, immagino che non abbiate ancora mangiato. Che ne dici, _______, di fermarti dai noi per il ban gohan stasera?”.
   “Signora è troppo gentile, ma non voglio disturbare”.
   “Quale disturbo, sei sempre la benvenuta a casa nostra”.
   “Veramente c’è mia nonna a casa. Non voglio lasciarla sola”.
   “Tua nonna capirà”, conclude la donna prendendoti sotto braccio. Guardi Makoto allarmata e lui scuote la testa, mimando un “mi dispiace”.
 
Casa Tachibana
 
   Siete in sala da pranzo. Il signor Tachibana è a capotavola, i gemelli sono seduti alla sua sinistra, mentre Makoto ti affianca alla sua destra.
   “Oh, è una notizia fantastica”, afferma il capofamiglia alla novella del maggiore riguardo alla fondazione del club, “Potrai di nuovo nuotare con gli altri”.
   “Già. Però, abbiamo ancora un sacco di lavoro da fare”, risponde l’altro soddisfatto.
   “E tu, _______, di cosa ti occuperai?”, chiede interessato il padre.
   “Io sarò la manager”.
   L’uomo sogghigna, “Effettivamente hai la stoffa per farlo”, gli sorridi cortese, “Ma dimmi, i tuoi genitori sono nuovamente via per lavoro?”.
   “Sì, al momento stanno esaminando le orche del nord Pacifico”.
   “Capisco, sono biologi, giusto?.
   “A dire il vero, papà è uno zoologo marino, mentre mamma è un’etologa specializzata in delfinidi e cetacei”.
   “Dev’essere un lavoro eccitante!”, s’introduce la moglie.
   “Bisogna avere molta passione. Spero di averne ereditata almeno un po’”.
   “Vorresti seguire le loro orme?”.
   “L’oceano mi ha sempre affascinata per la sua misteriosità. Perciò sì, mi piacerebbe. Potrei proseguire i loro studi sui delfini e sull’effetto terapeutico che possono avere sull’uomo”, riporti stregata dalla stima nei tuoi parenti, “Secondo un lavoro congiunto che hanno condotto con degli psicoterapeuti, l’istinto dei delfini ad essere attratti dai bambini per le loro ridotte dimensioni e...”.
   “AAAH”, urla uno dei gemelli, il maschio, “Quello è mio! Non puoi prendertelo”.
   “Non finisci mai la roba da mangiare”, si giustifica autoritaria la sorella.
   “Il mio prosciutto lo mangio!”, piagnucola l’altro.
   “Smettete di litigare”, afferma Makoto, ergendosi con espressione sostenuta e mettendo parte del suo prosciutto nella ciotola del bimbo, “Puoi averne un po’ del mio”.
   “Fratellone, ne voglio un po’ anch’io!”, lo avverte la fotocopia di sua madre.
   “Tieni”.
   “Tornando al discorso iniziale”, annuncia il signor Tachibana, “Credo che il club di nuoto che frequentavate, sia stato finalmente buttato giù”.
   Gli occhi del primogenito s’imbrunano improvvisamente, rendendosi conto che tutti i suoi ricordi sono stati distrutti da un colpo di gru.
   Dopo cena, giocate con i bambini alla tenda. Raccattate cuscini e coperte, incastrandoli tra sedie e divani al fine di creare una cortina magica in casa. Una volta costruita, vi ci rifugiate e cominci a raccontare la storia della buonanotte ai gemini.
         “Si ode una melodia sconosciuta e familiare.
         Oltre la finestra di una stanza, nascosto tra le fronde del bosco, il picchio intona la sua canzone. E’ un suono ordinato, una composizione imparata a memoria.
         Una donna, aggiunge un canto accompagnata dal pestifero uccellino, che la invita a partecipare, “Oh picchio. Povero piccolo picchio testardo, i tuoi buchi un altro giorno a beccare”.
         Il pu-pu-pu-pu del volatile si velocizza.
         L’aria si agita in una brezza: è l’anima degli alberi rovinati che piangono linfa.
         La pianista intona ancora, “L’anziano dio della foresta hai fatto arrabbiare”.
         Silenzio.
         La sinfonia si zittisce.
         Qualcuno singhiozza.
         “Sei tu, picchio?”, chiede colei che suonava.
         Sale un lamento d’angosciante disperazione.
         “Sei tu, vento?”.
         La voce della selva esige attenzione, “Picchio ingordo, il tuo becco è un coltello di veleno”.
         Uno scricchiolio. Le foglie si ingialliscono e cadono, i fiori appassiscono prematuri, ma non è autunno.
         “I tuoi nidi sono contaminati”.
         Qualcosa cade ai piedi dell’uccellino. Non si muove.
         “I tuoi amici muoiono”.
         Snif-snif. Ancora gocce saline.
         “Stavolta sei proprio tu, mio sventurato compagno di musica. Senza di te la furia di quel genio maligno sparirà e tutto sarà come prima”.
         Un’ultima lacrima scende dalle palpebre dell’uccellino.
         “Oh picchio. Povero piccolo picchio morente, bevi la tua lacrima”, canta ancora lei e il volatile esegue.
         Una nota sbagliata si leva dalle corde del piano.
         La solista tace.
         La natura si acquieta.
         Ma la vita rinascerà?”.
   Dopo la favola, finalmente i ragazzi danno segno di cedimento.
   Ringrazi i signori Tachibana per averti offerto la cena e, scortata da Makoto torni da tua nonna.
   Per qualche strana ragione nessuno parla. Percepisci una sorta di imbarazzo da parte del ragazzone.
   “Mi ha sconvolto la tua storia”, prende coraggio.
   All’inizio prendi il commento come un giudizio negativo, “Scusami se sono stata inadeguata con i tuoi fratelli”.
   “Non volevo dire questo. Mi ha destabilizzato positivamente. Era così profonda. Chi l’ha scritta?”.
   Tentenni un attimo, “Io”.
   “Tu?”.
   “Sì, era il mio compito di scrittura creativa”.
   L’oceano erboso del suo sguardo è sgranato, completamente rapito da tanta saggezza.
   Una volta giunti davanti all’ingresso, Makoto si congeda nella medesima maniera di qualche sera precedente: con una carezza e un sorriso. Anche se, stavolta, è arrossito.
 
   Iwatobi Swimming Club
 
   Makoto al posto di tornarsene dritto a casa, dato l’orario, si reca al palazzo mezzo demolito che un tempo era la sua seconda dimora.
   Analizza le mura in frantumi dell’Iwatobi Swimming Club avvilito, trattenendo un pianto, mentre tiene le braccia rigide lungo i fianchi e le dita serrate.
   “Fa male, vero?”, lo disturba una voce roca dietro di lui, il diciassettenne si gira e l’osserva inquisitore - Lo conosco?, riflette -, “Non è facile vedere i propri ricordi andati distrutti. Facevi parte di questo club?”, quegli occhi marroni e quel taglio biondo platino improponibile sono davvero troppo conosciuti, “Beh, non si può sfidare il tempo. E’ triste”.
   “Aspetti, lei è...”, rammenta il ragazzo, “L’istruttore Sasabe!”.
   Il trentenne è perplesso.
   “Sono Makoto! Tachibana Makoto!”.
   L’ex-coach è più che sorpreso. Come si rende conto di avere davanti a sé quel cordiale bambino dalle iridi verdi, dalla sua gola si alza una grossa risata di stupore, “Sei cresciuto davvero tanto, Makoto!”.
   “E’ passato un sacco di tempo!”, concorda il più giovane.
   “Beh, adesso lavoro part-time come pizza-boy”, afferma il precario dando una pacca alla carrozzeria del suo ciclomotore, “Sei venuto qui a dare un’ultima occhiata?”.
   “Per questo lei è venuto qui?”.
   “Ho pensato di passare di qua, tornando da una consegna. Gli altri stanno bene?”.
   “Sì”, assente Marcantonio gentilmente, “frequento la stessa scuola di Haru, _______ e Nagisa”.
   “E siete ancora amici di Rin?”.
   Il castano evita lo sguardo dell’altro, “Sì, però frequenta un’altra scuola”.
   “Rin è tornato dall’Australia, vero?”, chiede impensierito il fattorino, “Mi è sembrato piuttosto abbattuto l’ultima volta che l’ho visto, perciò ero un tantino preoccupato”.
   “Abbattuto?”, Makoto è stordito.
   “Haruka e _______ non te ne hanno parlato? Se non sbaglio è stato nell’inverno del vostro primo anno delle medie. Stavo chiudendo per la fine dell’anno quando si sono presentati. A quanto pare, si imbatterono l’uno nell’altro mentre Rin era tornato a casa”.
   “Gareggiarono?”, domanda il castano sconvolto.
   “Esatto, e Haruka vinse in scioltezza”.
   Il cucciolo di pescecane è inginocchiato a terra contrito. Tira pugni al pavimento, mentre lo sguardo gli si offusca da un velo di lacrime.
   Gli occhi oltremare del cetaceo tremolano, vedendolo ridotto così, e gli tende un braccio nel goffo tentativo di consolarlo. Sfortunatamente, il ragazzino dai capelli cremisi lo rifiuta, alzandosi, andandosene e gettandosi alle spalle gli occhialini assieme al passato.
   E alla loro amicizia.
   “Mmm”, mugugna Sasabe-san, “Qualcosa non va?”.
   “No”, replica l’adolescente assorto.
   Capisco. Quindi è per questo che Haru ha smesso di nuotare agonisticamente: perché ha ferito Rin.
 
Accademia Samezuka
 
   “C’è un nuovo messaggio”.
   Rin, steso al buio sul letto a fissare il vuoto, lascia partire la segreteria telefonica in vivavoce.
   “Rin, sono io, _______. Alla fine ti ho chiamato”, al suono storpiato elettronicamente della tua voce, si mette seduto con le piante dei piedi nudi assestati sul parquet, pronto a scattare per chiacchierare direttamente, ma la sua improvvisa concitazione perisce, non appena sente il proseguimento del messaggio, “Stiamo aprendo un club di nuoto. Quindi, dovresti unirti alla squadra della tua scuola, così potrete nuotare insieme alla gara”.
   Lo tsundere si abbandona nuovamente a peso morto sul letto, avvilito.
   Perché gli telefoni solo per questo? Sarebbe stato meglio non chiamarlo affatto.
   “Non c’è bisogno che tu me lo dica. Avevo già deciso di unirmi alla squadra di nuoto”, borbotta senza neanche degnare di un’occhiata il cellulare, “Comunque sia, non lo faccio per nuotare con loro”.

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Capitolo 6
*** 5. Un nuovo acquisto ***


5.

Un nuovo acquisto

 

   Morbide nuvole lattee ingombrano leggermente l’azzurro cielo pomeridiano, lasciandosi attraversare da flebili raggi primaverili. Il vento è ancora troppo rude per essere spensierati e l’acqua è oltremisura frigida per ospitarvi. 

   Per la ragazza dai [lunghezza] capelli [paragone con una leccornia (es: di caramello; di cioccolato;...)] costretti in una crocchia è difficile fissare la calma distesa incolore, senza il desiderio pungente di buttarcisi a capriola, ma per il delfino è peggio. La sua non è bramosia, bensì un’esigenza esistenziale. Non ci vorrà molto prima che il richiamo acqueo faccia effetto. 

   Giusto un brindisi inaugurativo e il lancio delle pastiglie di cloro, che l’idrofilo si toglie elegantemente - e con un certo fascino - l’uniforme, rivelando il fisico atletico e il solito costume-bermuda nero decorato da linee simmetriche ametista, interrompendo a metà la frase del ladro di smeraldi sull’impossibilità di entrare in piscina.

   “Aspetta!”.

   “Stavi di nuovo indossando il costume da bagno?!”, dice la tuffatrice rimasta talmente di stucco da non accorgersi dell’espressione sbavante dell’amica dalle iridi di diaspro.

   “Non ne avrò mai abbastanza di quei tricipiti!”.

   “Che?”, si acciglia.

   “Tricipiti?!”, chiede una figura tanto matronale quanto melliflua esterrefatta. La ignora per riprendere il moro, “E’ ancora troppo fredda!”.

   “Oh povera me”, si lamenta la coordinatrice, facendosi scudo con un ombrello nero.

    Vederlo così fa sorridere ilare la più grande tra le due fanciulle, rendendo ancora più viva la sua voglia di buttarsi, nonostante si trattenga. Si leva scarpe e calzettoni, scioglie lo chignon a nido di rondine e noncurante infrange il liquido trasparente con i piedi, sedendosi composta sul bordo.

   “E’ entrata in acqua di sua volontà?”, pone allibito il kohai biondo.

   “A me piace l’acqua!”, tuona lei di rimando, “Non sopporto i tuoi stupidi scherzi. E poi, sto solo bagnando i piedi”.

   “Sei qui”, tuba l’altro brigante di pietre preziose come se la stesse aspettando da sempre. Gli sorride teneramente ed egli distende il corpo, lasciandosi galleggiare ad occhi chiusi. 

   La giovane si piega in avanti, disegnando cerchi concentrici con il palmo. Le loro mani s’incontrano, intrecciandosi con naturalezza. Il cetaceo la attira a sé, invitandola silenziosamente ad entrare, e sussurra, “Abbiamo le dita a incastro”. La coetanea dovrebbe arrossire, ma la temperatura è troppo fredda per permetterglielo, così lo emula, serrando le palpebre e rilassandosi a peso morto coi capelli liberi di fluttuare.

   “Sembrano stare piuttosto bene”, riflette il pinguino, non badando all’avvisaglia disincantata del ragazzo orca.

    La rossa trasalisce, “Le loro labbra stanno diventando viola!”

   “Uscite dall’acqua prima di prendervi un accidente!”, interviene il castano, afferrando un asciugamano e sollevando la compagna di classe in braccio, così da costringerla ad abbandonare il loro ambiente naturale. 

   Da quando è così violento?, si pone annichilita. 

   La avvolge nel telo, mentre il mammifero acquatico sfugge al centro del bacino. Il biondo lo incoraggia.

   “No, non può!”, continua il più responsabile.

   “Vado a cercare una rete!”, strepita la secondogenita pescecane.

   “Una rete?!”, sobbalzate, prima di scoppiare a ridere. Dopotutto non conosce abbastanza bene l’idrofilo da sapere che la testardaggine di quest’ultimo è insormontabile.

   Tra i separé e il tatami di un salotto, uno starnuto si leva nella quiete del venerdì pomeriggio, interrompendo i viaggi temporali del mammifero marino.

   “Questo era potente”, afferma Nagisa, smettendo di leggere il testo scolastico difronte a sé per osservare Haruka che, in quel momento, è coperto solo da una felpa azzurra e da un asciugamano sui capelli.

   “Haru, ti senti bene?”, chiede Makoto, porgendogli un fazzoletto, in un misto di preoccupazione e risolutezza: gliel’aveva detto che era ancora troppo presto per farsi il bagno all’aperto.

   Con lo sguardo appesantito dal virus che sta intaccando le sue narici, l’incosciente nuotatore cita una donna a lui molto cara, “La mia bisnonna diceva sempre che, quando starnutisci, è perché qualcuno ti sta pensando”.

   “Dev’essere Rin-chan!”, esulta il kohai.

   “E più probabile che _______ mi stia maledicendo...”, il moro si sente alquanto in colpa. A causa sua e dei tuoi indumenti bagnati, ciò che per lui è un innocuo raffreddore, per te si è trasformato in una vera e propria influenza, con tanto di gola arrossata e febbre.

   “No, sono certo che tu sia solo malato, dal momento che hai nuotato in piscina ad aprile”, continua Marcantonio.

   “Non sono un bambino che si ammala nuotan...”, s’inalbera il raffreddato, prima di essere interrotto dall’ennesimo ecciù.

   “Dobbiamo solo trovare una soluzione finché non farà caldo”.

   “Ah, ho sentito da Gou-chan”, cambia argomento il biondo, “che Rin-chan si è unito alla squadra di nuoto della Samezuka”.

   Le iridi oceaniche di Haruka si illuminano.

   “Davvero?”, domanda gioviale il bruno, “Ciò significa che potremmo incontrarlo a qualche torneo”.

   “Già, dovremmo partecipare ai tornei! Così potremo di nuova fare le staffette”.

   “Nuoto solo a stile libero”. Le speranze nei quarzi rosa di Nagisa scemano.

   “Significa che non puoi nuotare alle staffette? Non dirlo neanche per scherzo, Haru-chan!”. 

   Il delfino non calcola minimamente le attenzioni del primino, continuando a sfogliare una rivista di cucina.

   “Dai...”, il pinguino incolla il proprio capo sulla schiena flessa del ghiotto di sgombro, ruotandola a destra e a manca puerilmente. 

   Finalmente, l’altro decide di dargli retta, “E poi, un gruppo di sole tre persone non può partecipare ad una staffetta”.

   “E’ vero”, concorda il castano.

   “Il che significa...”, dice tombale il più giovane, prima di alzarsi in piedi, afferrandosi i ribelli capelli ondulati, e gridare, “che dobbiamo trovare un altro membro?!”.

 

Casa [cognome] - weekend

 

   Yoru sonnecchia raggomitolata contro la tua schiena, permettendoti di sentire il calore del suo morbido manto d’onice, attraverso le innumerevoli coperte che ti sovrastano e la felpa della divisa ginnica che Haruka ti ha prestato, dopo il vostro sconsiderato tuffo in piscina. Seppure la mole di tessuto che ti ricopre sia notevole, e nonostante le tue orecchie malaticce abbiano ridotto il proprio funzionamento, riesci ad udire ugualmente il suono del campanello, seguito dai delicati passi di oba-chan e da delle voci al piano di sotto.

   Distingui subito il tono squillante di Gou da quello candido di tua nonna, però c’è un terzo timbro che non riconosci. E’ baritonale e monocorde. Capisci che appartiene ad un giovane uomo.

   Sicuramente non è Nagisa, rifletti, Makoto nemmeno: mi ha già telefonato. Haru? Può darsi, ma è malato anche lui, rischierebbe solo di peggiorare. Che sia... Impossibile.

   Rimugini sulla probabilità che sia il maggiore dei Matsuoka. 

   E’ il fine settimana, dunque anche nei collegi le lezioni sono interrotte e gli alunni, volendo, possono andare a fare visita a terzi. In più, sua sorella non sa tenersi nulla per sé, figuriamoci quando ti riguarda direttamente.

   Ti ripeti che Rin è cambiato, che ormai è troppo diverso dal bambino che, sapendoti influenzata, sarebbe corso a casa tua con la scusa che la maestra gli ha imposto di portarti i compiti. Inoltre, sei convinta di non essere stata abbastanza corretta nei suoi confronti da meritarti la sua gentilezza.

   Sarà quel Seijuro di cui parla continuamente

   Mikoshiba, il capitano della Samezuka, nonostante la sua impacciataggine, è riuscito a colpire la tua assistente manager a sufficienza da rientrare spesso nei suoi pensieri, anche se la sua fissa per la muscolatura maschile perdura. 

   Da una parte, speri che sia così, seppure non abbia senso portare uno sconosciuto a casa tua soltanto per assicurarsi che tu stia bene, così da presentarvi nel modo più imbarazzante possibile - specialmente perché, che tu sappia, non sono mai usciti insieme. Dall’altra, ti auguri davvero che sia il fratello, anche se la vergogna del tuo comportamento ti terrorizza.

   Un flebile colpo contro il legno preannuncia che è il momento della verità. La porta della tua stanza si apre piano piano, in modo da non svegliarti nel caso tu fossi ancora assopita.

   “Tesoro, sei sveglia?”, bisbiglia tua nonna teneramente. 

   “Mm-mm”, mugugni, tirando leggermente fuori il capo dalle coperte. Gesto che ti permette di vedere dei denti appuntiti sorriderti calmi, ma al contempo divertiti, perché in questo istante gli appari terribilmente fragile.

   “I tuoi amici sono venuti a trovarti”, dice la vecchietta, appoggiando sulla scrivania un sacchetto di plastica, per poi strepitare, “Yoru, che ci fai lì!”.

   Ti metti a sedere, poggiando la schiena sui cuscini retti dallo schienale, “Lasciala stare. Mi sta solo facendo compagnia”.

   “_______, sei malata, potres...”.

   “Non preoccuparti, oba-chan. Non si è mai avvicinata troppo”, le sorridi, prima di voltarti, coprirti la bocca con un fazzoletto e tossire.

  “Voi dovreste fare lo stesso”, avverti i fratelli, mentre tua nonna accosta la porta alle vostre spalle.

   Gou si siede accanto a te e gratta la gattina dietro le orecchie, ottenendone le fusa.

   “E’ così piccola”, dice la rossa con il tono con cui si parla agli infanti, “Da quanto ce l’hai?”.

   “Circa due mesi. L’ho presa subito dopo lo svezzamento”.

   “E’ molto affettuosa”, continua a coccolarla.

   “Peggio, è ruffiana!”, ridacchi.

   “Come ti senti?”, s’intromette la voce grave di Rin che fino a quell’istante si era limitato a stare in piedi davanti alla porta, studiando la camera: le pareti chiare - su una di esse compare un disegno incorniciato, firmato con la tua sigla -; le mensole arricchite di libri, album, porta-foto e peluche; la scrivania leggermente disordinata dove nota la spia lampeggiante del portatile in stand-by; il comodo fouton da una piazza e mezza contenuto dallo scheletro in noce; e il volume riposto sul tuo comodino, da cui fuoriesce parte del segnalibro raffigurante il dettaglio di un dipinto seicentesco.

   “Abisso Nero”, legge il titolo tra sé, prima di essere attirato da una vostra foto di classe scattata l’ultimo giorno di scuola elementare. Nell’immagine il Rin undicenne, all’epoca tuo compagno di banco, ti tiene stretta a sé con il braccio sinistro intorno al collo, riducendo gli occhi in due fessure e schiudendo le labbra in un ampio sorrisetto furbo.

   Lo osservi, sorridendogli a bocca chiusa, “Bene, non è niente di grave”.

   “Che ti è saltato in mente di fare il bagno all’aperto in primavera?”, è stizzito. Sicuramente c’entra Haru, conclude adirato.

   Perché si sta arrabbiando tutto d’un colpo?.

   “Veramente non è proprio colp...”, prova a spiegare la sorella, ma tu la interrompi.

   “Mah, non lo so nemmeno io”, mantieni quel sorriso perenne che lui tanto ama.

   La verità è che non mi sono opposta, perché Haru mi sembrava così... Libero.

   Lo squalo si accosta al limite della scrivania, indicando con il pollice più vicino il sacchetto che sopra vi giace, “Ti abbiamo portato della minestrina”. Il suo tono è glaciale, eppure avverti lo stesso la sua premura.

   Din-don.

   Una donna sulla quarantina con un liscio caschetto cenere va ad aprire la porta e, sulla soglia, compare un viso fanciullesco incorniciato da una folta chioma fulva.

   “Buonasera”.

   La madre riconosce subito il ragazzino, essendo passato spesso da loro di recente, e lo invita ad entrare.

   “Le hai portato i compiti?”.

   “E anche della minestrina”.

   “Gentile da parte tua”, la dama sorride, “Accomodati, mentre vado a chiamarla”.

   Toc-toc.

   Un volto si espone dallo stipite, “Nani, c’è qualcuno di sotto per te”.

   “Sono stanca!”, si lamenta la bimba, infuriandosi un poco per quell’odiato nomignolo.

   “Non essere maleducata. Sarai contenta quando vedrai chi è”.

   La piccola sbuffa, togliendosi le coperte con uno strattone ed infilandosi subito calze-antiscivolo e vestaglia.

   Scende le scale accompagnata dal genitore, entra in salotto ed immediatamente la sua espressione corrucciata si rilassa gioiosa, urlando il nome del bambino.

   “Ciao”, sorride l’altro, alzandosi dal divano e porgendole un contenitore termico, “Tieni. Io e la mamma l’abbiamo fatta apposta per te”.

   “Grazie”, afferma commossa la ragazzina, avvicinando le mani alla bacinella e scontrandole con quelle dell’altro. 

   Entrambi arrossiscono.

   Le tue gote s’imporporano al ricordo e per un attimo ti sembra che lo stesso accada anche sul volto del filarino d’infanzia.

   Gou vi guarda e sogghigna, “E’ meglio che la porti in cucina, così non si fredderà”. La rossa prende il cibo ed esce dalla stanza, nell’intento di mettere il contenuto nel microonde, ma soprattutto di lasciarvi soli.

   Nonostante il silenzio interminabile, la new entry della Samezuka occupa immediatamente il posto della sorella accanto a te sul letto, però, al posto di infinocchiarsi Yoru, posa il grande palmo destro sulla tua guancia, carezzandola adagio con il pollice.

   “Scotti un po’”. 

   E’ vero: tu scotti. Anzi, bruci, ma non è la febbre e il pescecane ne è conscio.

   “Non è cambiato molto qui dentro”, dichiara, guardandosi ancora intorno, prima di baciarti la fronte, “Come quando eravamo alle elementari e facevo a gara per essere io a portarti i compiti”.

   “Rin”, sussurri, mentre le sue labbra ti sfiorano il profilo, giungendo alle tue.

   “Devo fare ancora a gara per te, vero?”, chiede mesto - sei così vicina, eppure non può averti -, “Lo farò. Finché non avrai preso una decisione”.

   I suoi capelli cremisi ti solleticano il viso, mentre qualcosa gli penzola fuori dalla t-shirt: il dente di squalo bianco.

   C’è l’ha ancora! 

   Rin scatta in piedi e si slancia fuori dalla stanza. Per un soffio non si scontra con Gou che tiene tra le mani una tazza fumante.

   “Onii-chan, dove vai?”.

   Nessuna risposta.  

   Saluta frettolosamente, ma educato, tua nonna e scappa via, chiudendosi la porta alle spalle.

   Un velo ti offusca la vista, gli occhi pizzicano e le lacrime vengono spinte fuori deboli.

   “Che cosa è successo?”, chiede l’unica Matsuoka rimasta.

   “Nulla che fosse evitabile”, inizi a piangere più forte.

   “Non ci pensare adesso”, si siede al tu fianco, porgendoti una tazza di latte caldo e miele, “E’ l’ideale per il mal di gola”.

    La matricola ti sorride triste, “Mi dispiace vedervi così: non è una scelta facile. So di essere di parte, perché è coinvolto mio fratello, ma vedrai che ne verrai a capo”.

   “Oh Kou, quanto vorrei abbracciarti, però temo di infettarti”.

   La tua amica ride, poi il suo sguardo critico viene attirato dalle tue dita scorticate, mentre ti impossessi della bevanda, “Cosa hai fatto a quelle povere unghie?”.

   Deglutisci il latte, “Non ho rifatto la manicure”, rispondi vaga.

   “Non si è mai troppo malate per non curarsi le mani. Su, su, alzati. Mettiti qualcosa addosso e dimmi dove tieni gli smalti, ti faccio una bella nail-art”.

   Questi momenti tra ragazze, così rari quando la maggior parte dei tuoi amici sono maschi, sono un vero toccasana per la tua mente sovvrapopolata da sentimenti discordanti.

 

Istituto Iwatobi - la settimana seguente

 

   E’ martedì e finalmente hai finito il ciclo di antibiotici - sebbene tu cova ancora un leggero raffreddore.

   Varchi la porta anti-panico del terrazzo dove siete abituati a pranzate e all’istante vieni maltratta dall’immaturità di Nagisa, che ti riversa addosso tutte le esigenze che dovete soddisfare, prima fra tutte l’ingresso di un nuovo componente.

   “Calma, calma, Nagisa. Lasciaci mangiare”, lo blocchi, “Nel frattempo, evita di costringere i tuoi neuroni ad un suicidio di massa”.

   “Non essere sarcastica, _______-chan”, ribatte il biondo, “E’ una cosa seria”.

   “So che è una cosa seria, ma innervosirsi non porta da nessuna parte. Facciamo un brainstorming. Ci serve un quarto nuotatore. Qualche idea su come convincere qualcuno ad unirsi al club?”.

   Makoto sembra pensoso, mentre Haruka studia inerte il suo bento.

   Che feedback..., pensi mordace.

   “Ma certo!”, esclama il più giovane - spesso il suo repentino cambio di umore ti inquieta -, “Che ne dite di fare dei portachiavi regalo con la nostra mascotte”.

   “Quale mascotte?”, domandi dubbiosa.

   “Iwatobi-chan”, afferma serioso, mostrandoti il disegno di un volatile dalla testa troppo grande.

   Cosa c’entra un pennuto con il nuoto?, ti poni ancora meno convinta.

   Lo lasci andare avanti, “Potremmo farne più versioni. Per quella normale ci dipingiamo sopra uno speedo; un costume intero per le ragazze; una con un bikini rosa per accaparrarci i cuori dei ragazzi in un secondo”.

   “Non credo che useremo nessuna di quelle”, decreta il capitano della squadra.

   “Ma non abbiamo discusso neanche della versione sexy sado...”.

   “Ecco perché ti ho detto che non le useremo!”, lo interrompe.

   Stava per dire, veramente, “sadomaso”?! Meglio non saperlo.

   “E allora come dovremmo fare?”, si lamenta il pinguino.

   “Mmm, dei volantini”, replica il più grande del gruppo.

   “Così scontato”.

   “Ma pur sempre efficace”, decidi, “Chiederò al club di arte se possiamo condividere l’aula nel pomeriggio”.

   La campanella segnala la fine della pausa.

   Rientrate in classe ed immediatamente rammenti che la tua compagna di banco, Mako, fa parte del club di arte, perciò senza girarci intorno - anche perché il prof di Biologia è particolarmente severo riguardo alle normative di comportamento e ti punirebbe, se ti trovasse ancora vagante per la classe - le proponi di unirvi al loro club per mezza giornata.

   La studentessa dalle placide iridi nocciola fa un segno di assenso con il capo, “L’aula è grande, non ci sarà alcun problema”.

   “Grazie mille, Mako-chan!”. 

   E’ così strano per Makoto sentire il proprio diminutivo affibbiato ad un’alunna con un nome analogo.

   Digiti un sms a Nagisa, per poi gettare malamente il cellulare nella tracolla, udendo la sedia dietro la cattedra strisciare sul pavimento.

   L’occhialuto Shimomura-sensei è arrivato.

   L’ultima ora della giornata è costellata da reazioni biochimiche a base di glucosio e scambi di sostanze per diffusione. Ti chiedi per quale motivo il DNA mitocondriale si erediti solo dalla madre, però ti autorispondi immediatamente, leggendo il paragrafo sulle dimensioni del nucleo aploide degli spermatozoi assai ridotte, per trasportare un duplicato del tipo di DNA sopracitato.

   Procarioti e eucarioti; 

   Ribosio e deossiribosio; 

   Cellule aploidi e diploidi; 

   mRNA, tRNA, RNA ribosomiale; 

   A fine lezione, il tuo cervello è saturo di nozioni scientifiche, confondibili tra loro per l’affinità dei nomi. 

   Ti piace sapere il funzionamento degli organismi, soprattutto capire meglio le attività del tuo metabolismo, ma dannazione, perché attribuire loro denominazioni così somiglianti?!

   Accompagnata dai tuoi compagni di classe, Mako compresa, ti dirigi all’aula di arte, davanti alla quale trovate Nagisa e Gou in attesa. Come posano lo sguardo magenta e cardinale su di voi, il biondo inizia a saltellare su è giù scioccamente.

   Entrate in classe e il capogruppo vi consiglia di indossare un grembiule. Successivamente vi indica dove sono i pennelli.

   Il pinguino non è mai stato famoso per la sua euritmia nella ricerca artistica di proporzione, simmetria ed equilibrio cromatico, infatti il suo poster è una macchia informe umanoide, su sfondo caleidoscopico, perfettamente conforme al suo caotico io autentico.

   Al contrario, quello di Haruka è un dipinto in acquerello dai colori caldi e dalle forme geometricamente uniformi. Il tratto è delicato e diffonde la serenità del soggetto, che ammira l’immensità del mare dalla scogliera.

   L’opera scatena in men che non si dica il consenso del club di arte, a tal punto da volervi rubare il vostro nuotatore migliore. 

   Tra trascinamenti passivi, schiamazzi, corpi trattenuti a mo’ di tiro alla fune e lacrime - da parte di Nagisa, naturalmente -, siete riusciti a preservare, più o meno per intero, l’incolumità del moro senza che si sia slogato qualcosa.

   Da brava manager, incarichi il tuo kohai di occuparsi della propaganda, ruolo che accetta con piacere. Peccato che il giorno dopo te lo ritrovi a vagabondare per i corridoi con i capelli racchiusi in una cuffia di gomma bianca, occhialini rosa, tavoletta galleggiante sottobraccio e un modulo su cui far firmare gli aspiranti nuotatori.

   Il massimo che riesce ad ottenere sono soltanto rifiuti: ho già deciso di entrare nel club di atletica; perché nuotare in una piscina se c’è l’oceano qui accanto?; no, grazie, non mi interessa una scorta annuale della vostra mascotte.

   “Che sfortuna”, si lamenta Caos sdraiandosi sulla panca dello spogliatoio della piscina, “Non vuole iscriversi nessuno”.

   “Comincio a pensare che abbiamo aggiustato la piscina per niente”, il castano è sconfortato.

   “Non dire così!”, bisbiglia il biondo, controllando che il delfino non abbia sentito, troppo preso dell’intagliare nuovi portachiavi Iwatobi-chan, “E’ il momento di usare la nostra ultima risorsa. Abbiamo Ama-chan che potrebbe aiutarci!”.

   “E come?”.

   “Potremmo pubblicizzare il fatto che lei è la nostra consulente e dire a tutti che, se si iscrivessero, potrebbero vederla in costume da bagno!”.

   “Capisco, sarebbe proprio d’aiuto, in effetti”.

   “Scusatemi, voi...”, entra nella stanza l’insegnante, “Se lo farete, vi pianterò in asso. Ho giurato a me stessa che non avrei mai più indossato un costume da bagno!”, la donna sorride arcigna, “Avete capito?”.

   I due impallidiscono, “Perfettamente”.

   “Pff, baka”, sospiri, colpendoti la fronte con il palmo della mano.

   Giovedì mattina l’eccentrico pinguino, seduto sul treno che lo porta al liceo, studia un piano per ottenere consensi.

   Abbiamo bisogno di un altro membro, riflette, osservando gli altri alunni, ma sarà difficile trovarne uno. Tutti quelli a cui ho chiesto l’ultima volta hanno declinato.

   Improvvisamente la sua attenzione viene catturata da un individuo che si tiene bilanciato davanti a lui, mentre legge un manuale di atletica leggera. Quel formale ragazzo dai capelli cobalto e gli occhi indaco, incorniciati da una montatura rossa intonata alla cravatta della seifuku, è Ryugazaki Rei, compagno di classe dell’imprevedibile biondino.

   “Ryugazaki-kun?”.

   Il lettore lo scruta indifferente, senza rivolgergli la parola.

   “Prendi il treno per andare a scuola?”, chiede stupidamente l’altro.

   Non è ovvio?, pensa ironico il giovane, “Sì”, conclude incolore, tornando a posare lo sguardo sulle lettere stampate, nella speranza di smorzare sul nascere la conversazione. 

   Suo malgrado, Nagisa sa essere davvero tenace, infatti il suo sorrisetto saccente non demorde, “Ah, comunque, vorrei chiederti un favore, in qualità di compagno di classe...”.

   Il ghiacciolo lo ferma, “Non mi unirò al club di nuoto”.

   “Come hai fatto ad indovinare?”, domanda plateale il pinguino.

   “Indovinare è stato piuttosto facile”, spiega, restando immerso nella lettura, “Si capisce dai manifesti di reclutamento nel tuo sacchetto e da quei ciondoli di Iwatobi-chan in costume da bagno, che stai probabilmente pensando di regalare alle nuove reclute”.

   Il treno si arresta, Rei ripone il libro nello zaino, assesta gli occhiali da vista sul naso, “Come ti ho già detto, faccio parte della squadra di atletica. Arrivederci”, e scende alla fermata sbagliata.

   “La scuola è alla prossima stazione!”, sbraita il coscritto, per poi affacciarsi al finestrino, schiacciando metà faccia contro il vetro, a fissare il turchino mentre corre gli ultimi chilometri di strada verso l’istituto, “Wow, corre per l’ultimo tratto ogni giorno!”.

   Ancora non se ne rende conto, ma Nagisa ha ormai scelto la sua prossima vittima.

   Dopo le lezioni, raduni i tuoi nuotatori per mostrare loro l’annuncio di una palestra con piscina al coperto e area benessere.

   “Possiamo nuotare qui a fine stagione? Sugoi!”, chiede felice il biondino tutto pepe.

   “Vero?”, sorridi, “Credo che le scuole come la nostra, senza piscine al chiuso, offrano servizi del genere”.

   “Viva la nostra super manager!”.

   “Non esagerare”, fingi modestia, portandoti una mano dietro la testa.

   “Haruka-senpai”, lo saluta Gou, vedendolo comparire muto, ma con aria partecipante, dietro i suoi colleghi.

   Il moro ti strappa di mano il foglio e lo esamina, “Come la paghiamo?”.

   “Con il budget del club, che domande”, esponi.

   “Questa palestra è piuttosto costosa”, interviene Makoto, “Chissà se il budget coprirà le spese...”.

   Le iridi di Haruka sono languide come una laghetto montano in piena estate. Deve assolutamente nuotare da qualche parte. 

   Questa è la vera ragione per cui abbiamo aperto questo club di nuoto, si ripetono contemporaneamente i due furfanti di gemme.

   “Starai pensando la stessa cosa”, afferma il più alto.

   Colto in flagrante, il delfino si volta dalla parte opposta, zittendolo.

   “Questo significa che potremo fare il bagno tutto l’anno!”, il pinguino è al settimo cielo.

   Vi recate in sala insegnanti per discuterne con la consulente di facoltà.

   “Non si può fare”, distrugge le vostre aspettative Amakata-sensei, stringendosi in uno dei suoi cardigan pastello, “La scuola non potrà mai stanziare così tanti soldi ad un club nuovo di zecca, senza nemmeno un trofeo. C’è un aforisma tratto dalla Bibbia in proposito: Chi non vuole lavorare, neppure mangi.

   “Mi sembra un po’ fuori luogo”, rimane interdetto il gigante buono.

   “Non si può mangiare una piscina”, manifesta deluso il biondo.

   “Avremmo i finanziamenti, se il club portasse a casa qualche risultato?”, chiede Gou motivata.

   “E’ il modo migliore per assicurarvi dei fondi”.

   “Risultati”, sibila tra sé Haruka.

   “E se fossimo in grado di realizzare un torneo estivo?”, propone il capitano.

   “La vostra richiesta potrebbe essere approvata alla seconda riunione di revisione del bilancio finale. Ma vi serviranno almeno quattro nuotatori per sostenere la causa”.

   Il vicecapitano si sente improvvisamente soffocare. La gola arde assetata. Si allenta il nodo della cravatta e deglutisce rumorosamente, Quindi sarebbe inutile se non riuscissimo a trovare un altro membro...

   “Solo un’altro e potrò nuotare quando voglio!”. L’espressione impassibile del cetaceo si anima testarda. Deve trovare un altro atleta. Ne va della sua sanità psichica.  

   Preso da un subitanea fede nella causa, l’idrofilo defila fuori dall’aula, derapando bruscamente da destra verso sinistra, e raggiunge deciso degli alunni del primo anno, che discutevano dell’ultimo test scolastico di storia.

   “Ohi”, li interrompe brusco, avvolto da un’aura oscura, facendoli sobbalzare sull’attenti.

   Scuote davanti ai loro occhietti impauriti un portachiavi di Iwatobi-chan con il costumino a slip, “Vi regalerò questo, così entrerete a far parte del club di nuoto.”.

   Le due matricole bocciano scettici l’offerta.

   Voi quattro, a distanza di qualche metro, lo fissate empi. Gou gli rivolge un sorriso compassionevole, mentre Makoto sospira e Nagisa tiene la bocca aperta dallo stupore per il poco tatto che Haruka possiede.

   “Non ha speranze”, sentenzi comprensiva, “E’ il massimo che possiamo ottenere da Haru”. In socialità, perlomeno.

   “Haru-chan, non ti abbattere!”, lo incoraggia il tesoriere del club, prima di fuggire via, dicendo che deve appendere dei poster sulla bacheca scolastica all’ingresso. 

   Qui, mentre riflette sull’aspetto che dovrebbero avere i volantini per attirare più iscritti possibile, con la coda dell’occhio intravede Rei che si dirige verso gli armadietti, tenendo ancora saldo fra le mani Guida all’atletica leggera.

   Lo segue, “Aspetta, Ryugazaki-kun!”. 

   Il compagno alza lo sguardo al cielo infastidito.

   “Andiamo a casa insieme? Possiamo parlare del nuoto”.

   Non me ne frega niente del nuoto, accidenti!, impreca Quattrocchi.

   Rei apre lo sportello a lui assegnato e, recuperando le scarpe da tennis, smorza la discussione unidirezionale, “Ho l’allenamento adesso”, lo guarda asettico, dopo essersi sistemato nuovamente gli occhiali sul naso - dev’essere un tic -, “E non c’è nulla che tu possa dire per convincermi ad entrare nel club di nuoto”.

   Il saltatore con l’asta se ne va sostenuto, lasciando Nagisa a piagnucolare  su quanto sia cinico. Poi, in un momento di distrazione, il pinguino nota il nome completo della sua preda, infervorando maggiormente la sua determinazione.

   Il biondo vi corre incontro in corridoio, agguantando te e Haruka per i polsi e trascinandovi, seguiti dagli altri, alla pista esterna di decatlon.

   “Da questa parte”, esclama la rana del team, scortandovi oltre una recinzione metallica, che unisce il sentiero pavimentato ad un’ampia area polverosa, “Ho trovato la persona perfetta!”.

   “La squadra di atletica?”, chiede interdetta Gou.

   “Nessuno può unirsi a noi, allora”, sancisce Makoto.

   “Guardate laggiù”. Seguite la direzione del suo indice, davanti al quale, in lontananza, si presenta l’immagine di un ginnasta in fase di riscaldamento, fasciato da un’aderente tenuta sportiva, che dà spettacolo della sua figura ben strutturata e tonica. L’espressione facciale, seminascosta dietro gli occhiali professionali, sembra molto concentrata.

   “E’ il suo destino!”, prosegue Nagisa giulivo.

   “Faceva parte della squadra di nuoto alle medie?”, domanda Haruka, cercando di rammentare la presenza del turchino nella sua memoria.

   “Ha un passato in questo campo?”, s’immischia la seconda ragazza della combriccola.

   “Mmm, non mi ricordo di lui”, commenti.

   “E’ il suo nome!”, continua il pinguino, rendendovi ancora più frastornati.

   “Il suo nome?”, pone Marcantonio.

   “Già”, annuisce il biondo, “E’ Ryugazaki Rei-chan”.

   E quindi?, pensate in eufonia.

   “E’ come noi. Un ragazzo con un nome femminile”.

   “Sarebbe questo il motivo?”, infierisci.

   “Dovete ammettere che è vero”, afferma assorta la piccola Matsuoka, per poi divagare sui muscoli del soggetto in questione, “Quei meravigliosi deltoidi...”.

   “E’ quello che ti interessa?!”, trasalisce Makoto, “Credete davvero che queste ragioni possano bastare?”.

   “Il mio è un ottimo motivo!”, si difende la rossa.

   “Bisogna andare d’istinto in queste cose, Mako-chan”, conferma Nagisa.

   “Sembra che stia per saltare”, li stoppa il cetaceo.

   Rei prende un asta commisurata con la sua altezza, la predispone perpendicolarmente al suolo, bilancia le gambe nerborute in base al suo piede di stacco e calcola.

   Rei è un intellettuale. Mescola la logica allo sport, convinto che il rigore psicologico conduca alla sintonia fisica, rendendo una persona bella dentro - perché culturalmente interessante - e fuori - perché esteticamente attraente. Perfetto nella giusta interpretazione del latinismo mens sana in corpore sano

   Di fatti, vi è una stretta correlazione tra capacità motorie e capacità mnemoniche e attentive, in particolare la stimolazione degli indici neuroelettrici di attenzione e di memoria. Però, la disciplina, portata all’eccesso, non passa da ascensione a limitazione?

   Altezza della barra: 4,20m.

   Impostare la velocità di spinta a V.

   Impostare l’accelerazione ad A.

   La gravità è G.

   Se il centro di gravità, dopo aver preso in considerazione la lunghezza del palo, è H, allora l’angolo di approccio...

   Il saltatore prende la rincorsa, protende l’asta difronte a sé e la incastra nella fessura di stacco, approfittandone per darsi più spinta verso l’alto. Si libra in volo a testa in giù, arrampicandosi sull’estremità della barra come se fosse un’estensione del proprio corpo. Porta il bacino parallelo al limite da superare, inarca la schiena e si rovescia per attutire meglio il colpo con il materasso.

   “La sua forma era perfetta”, giudica il vostro capitano, “Probabilmente è un grande subacqueo”.

   “E i suoi bicipiti sono fantastici!”, arzigogola Gou.

   “E’ tutto ciò che ti importa?!”.

   Rei si mette a sedere, poggiando il pugno chiuso contro il mento, Ho calcolato male l’angolo di approccio.

   Nagisa è strabiliato da tanta diligenza. Oppure anche da altro? Non ne è sicuro, sa solo che deve parlare al più presto con lui. A questo scopo, decide di aspettarlo in stazione dopo la fine degli allenamenti.

   Compera una qualche porcheria energetica dolciastra e lo attende così, trangugiando vitamine e con lo zaino sulle cosce, sin quasi al crepuscolo.

   Uno scalpitio di passi. 

   Il biondo si affaccia fuori dalla sala di aspetto e manda giù chiassosamente l’ultimo sorso rimastogli in gola. Si alza, gesticolando con la mano, “Ehi, Rei-chan!”.

   L’occhialuto è attonito, “Rei-chan?!”. Aggrotta la fronte.

   “Puoi chiamarmi Nagisa”, ammicca l’altro cordiale.

   “Non lo farò”, di nuovo il tic delle lenti, “Non siamo così intimi”.

   Il biondo si avvicina di un passo, “Potremmo diventarlo non appena di sarai iscritto al club di nuoto”.

   Quello più serioso si allontana della medesima distanza, “Non mi unirò al club”.

   Ancora lo stesso tentativo di convergenza.

   “Sono interessato soltanto agli sport più belli”.

   La danza si ripete, ma a metà stavolta, “Come l’atletica?”.

   “Sì”, Rei distoglie momentaneamente le iridi lavanda dalle pagine stampate, “E’ uno sport conosciuto, grazie a bellissimi eventi come il salto con l’asta. Puoi ottenere la forma perfetta attraverso calcoli e teoria”.

   Il pinguino non comprende dove voglia andare a parare, “Sembra troppo difficile da capire”. Tenta di ottenere un contatto visivo con il compagno di classe, “Potresti stare in entrambi i club allo stesso tempo. Usi i muscoli delle braccia per il salto con l’asta, no?”, mostra il muscolo, “Quindi il nuoto sarebbe perfetto?”. 

   In effetti, sarebbe il modo migliore per equilibrare in modo ottimale la distribuzione della sintesi proteica.

   Il turchino gli dà le spalle, “Non mi unirò ad entrambi i club”. Decide di voltarsi e farla finita una volta per tutte. Chiude il libro con un movimento fulmineo delle dita e lo guarda grifagno dritto negli occhi, “Dopotutto, gli esseri umani si sono evoluti per vivere sulla terra. Perché dovremmo regredire a fare sport in acqua?”, alza la voce e agita gli arti drammatico, “Sfida la ragione! Non dimenticare che l’acqua possiede 12/13 volte la viscosità dell’aria!”.

   La mente di Nagisa è ancora più babelica di quanto non lo fosse in principio. Ha iniziato ad annebbiarsi, non appena Rei ha cominciato a trasformare la loro precaria conversazione, in un’equazione di Fisica.

   Tuttavia, il biondino non dispererà.

   Domani è sempre un’altro giorno.

   E il dì successivo arriva, pieno di grandi novità e impellenti ultimatum.

 


Note D'Autore

Buonasera (o buongiorno).

Ecco voi il quinto capitolo.

Finalmente, vediamo l'ingresso del personaggio di Rei e una svolta nel triangolo amoroso. Halleluja xD

Come sempre, ringrazio chiunque mia stia seguendo e per tutti i pareri che ho ricevuto finora. Ancora non mi capacito che The Reader sia così apprezzato - tra preferiti, seguiti, ricordati e recensori siete una quarantina, per non parlare delle visualizzazione che superano di gran lunga il centinaio (il prologo quasi 400 visite adirittura!).

Grazie infinitamente, siete troppo buoni!

Un ringraziamento speciale va a DeathVoice - new entry nelle recensioni su questo fandom, ma che ha già commentato alcuni miei scritti in passato - per avermi sostenuta prima e per averlo fatto anche adesso. Al solito, spero di poter ricambiare.

Mi auguro vivamente che anche questo capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative.

"See ya next water time!"

 

Termini

Stranamente stavolta non ce ne è nessuno di rilevante.

Semmai "filarino", che è una parola un po' desueta per indicare il fidanzatino che si ha da ragazzini/e.

Caleidoscopico: deriva da caleidoscopio che è uno strumento ottico composto da specchi colorati e che crea molteplici simmetrie.

Oba-chan: come è intuibile, significa "nonna" in giapponese.

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Capitolo 7
*** 6. Allenamento congiunto ***


6.

Allenamento congiunto

 

   Mikoshiba supervisiona. Può fare solo questo ormai. 

   I capitani - quelli veri, quelli che fanno anche da coach - non possono allenarsi insieme alla loro squadra. La devono osservare, riprendere, istruire, incoraggiare, ma non possono nuotare con lei. Per entrare in acqua, sono costretti ad aspettare la fine del ripetitivo tour de force e assoldare qualche povera recluta senza spina dorsale, al fine di farsi cronometrare. Ad esempio Nitori.

   Lo sventurato dal caschetto argentato non lo fa apposta, è il suo carattere docile e servizievole a renderlo così sottomissibile agli altri. 

   E’ eterodiretto, vulnerabile, ha bisogno di essere parte di qualcosa, di essere apprezzato. E per farlo, si dimostra disponibile e compiacente a tal punto da diventare una pedina sfruttabile per chiunque, in particolare per Rin.

   Il rosso lo trascura, lo snobba, lo sminuisce, sottolinea tacito la sua scarsa autonomia decisionale, facendolo sentire debole e succube. Inutile. Eppure il ragazzo non può fare a meno di confidare in un qualche sfuggevole accenno di approvazione da parte del suo recalcitrante senpai.

   E’ a questo che pensa l’esile sedicenne, tenendo incollate le sue grandi iridi cilestrine sui secondi, che cifrano repentini la velocità del suo coinquilino.

  Il leader l’osserva da lontano con l’amaro in bocca. Rammenta tutte le volte che quegli angoli di cielo si sono gonfiati e arrossati di lacrime, supponendo di non essere visto, e di tutte le volte che si è ripetuto “Avrà gli occhialini troppo larghi” pur di evitare il problema.

   Sa benissimo che la personalità difficile e diffidente di Matsuoka, è in grado di dare un duro colpo all’autostima altrui, figuriamoci per un’animo fragile come Nitori. Persino per sé, così solidale e aperto, onii-chan è una bella gatta da pelare e, per quanto sforzi la sua empatia, non riuscirà mai a comprenderlo. 

   Inizialmente pensava che fosse solo una facciata, una maschera costruita per apparire più affascinante e indipendente. Altrimenti, perché non entrare subito nel team? Però, da un po’ ha cominciato a sospettare che ci sia molto di più sotto quell’espressione imbronciata, di quanto non dia a vedere e questo lo spaventa. Un personaggio simile può essere pericoloso: è un’arma a doppio taglio molto affilata. Sbalorditiva certo, ma distruttiva se usata scorrettamente.

   Tuttavia, nessuno, eccetto l’argenteo, si è mai domandato il motivo di molti atteggiamenti del pescecane o di quali pesi si faccia carico. E, se lo fanno, sicuramente non se ne interessano abbastanza di cosa lui abbia da dire a riguardo.

   Ho paura di lui. Ecco la verità. Mikoshiba lo teme sia come nuotatore sia come uomo, soprattutto perché è il fratello maggiore della ragazza di cui è cotto.

   Dovrei parlargli, si ripete per l’ennesima volta, pensando nuovamente all’emaciato ragazzo con al collo il cronometro. Dovrebbe davvero scambiare quattro chiacchiere con lui. Eccome se dovrebbe, ma quando? Ora, dopo gli allenamenti o la prossima volta che lo sorprenderà piangere negli spogliatoi?

   La porta dell’osservatorio della piscina al coperto si apre. 

   Una vocina pacata chiede permesso, prima di lasciare spazio ad un’ordinata coda alta rosso cardinale.

   Seijuro arrossisce.

   Nitori aspetterà. 

 

   Contemporaneamente ad Iwatobi si svolge il training serale del club di atletica leggera. 

   Rei si posiziona sulla corsia di accelerazione, dopo che l’istruttore ha aumentato la difficoltà dell’esercizio, ripete i movimenti abituali di quella disciplina e si affida ancora alla regolarità dei calcoli.

   Altezza della barra: 4.30m.

   Impostare la velocità di spinta a V.

   Compensa con le braccia il peso dell’asta, poi la solleva perpendicolare al pavimento, come l’asse y lo è all’asse delle x, fino a sfiorarsi la guancia.

   Lasciare l’accelerazione A invariata, tranne il fattore di energia potenziale di eventuali spostamenti del centro di gravità dell’asta.

   Si mette in posizione, formando una diagonale con il tallone di un piede e la punta dell’altro, poi prende la rincorsa, fa combaciare l’estremità anteriore dell’asta con il trapezio di stacco e si lancia in aria. Fa leva con le ginocchia per intraruotare il bacino e l’addome, ma stavolta qualcosa va storto. Il movimento si arresta a metà, come se un’improvvisa folata di vento l’avesse squilibrato, facendolo cadere sopra la barra.

   Il turchino atterra di schiena sul materasso, si copre il viso con gli avambracci e si volta per evitare che l’oggetto metallico gli rompa gli occhiali. O, peggio, il naso.

   “Ryugazaki”, infervora un timbro, mentre il ragazzo si inginocchia per respirare meglio, “stai facendo ancora quei calcoli mentali prima di saltare?”.

   L’alunno alza un sopracciglio senza comprendere davvero perché lo stia ammonendo.

   “Hai una forma perfetta, ma è tutto quello che possiedi. Sei troppo focalizzato sul lato tecnico”.

   “Ma, io...”.

   “Capisco sia il tuo stile”, prorompe l’allenatore, “Ma di questo passo non migliorerai mai”.

   Rei sbianca, le iridi gigliate tremano, digrigna i denti e serra i pugni frustrato, mentre quelle ultime parole gli echeggiano nella mente.

 

   Anche per Makoto quel tardo pomeriggio è ricco di abulia.

   Innesca il pilota automatico, mentre percorre la solita strada verso casa, al fianco di Haruka che memorizza la spuma delle onde schiantarsi sul bagnasciuga, tingendosi di arancio e riflettendo le sfumature del tramonto.

   “Ehi, Haru. A quanto pare parteciperemo a dei tornei”, non lo guarda, “A te sta bene, quindi? Anche se dovessi gareggiare di nuovo con Rin...”.

   Gli zaffiri del moro, fino a quel momento incentrati a contemplare la nubile monotonia del mare, si spostano sull’amico dagli occhi di smeraldo, in attesa del proseguimento. Trova strano che il suo migliore amico non sostenga il suo sguardo.

   “... e lo battessi di nuovo?”.

   Le iridi del delfino si affilano in un misto di tedio e disappunto. Rimorso per il ricordo della fatidica gara che ha vanificato permanentemente il suo rapporto con il rosso. Irritazione perché rammenta che l’unica che avrebbe potuto informare Makoto dell’accaduto, sei tu. E’ infastidito da una possibile azione, che spiegherebbe la base di molti suoi atteggiamenti, rendendolo, a suo avviso, troppo sentimentale.

   I due soluti pigmentari che imitano due profondi laghi salati sul suo volto, vanno nuovamente in soluzione con il solvente salmastro, per nascondersi in esso, “Chi te l’ha detto?”.

   Dimmi che non è stata lei, ordina fiducioso tra sé.

   “Mi sono imbattuto nell’istruttore Sasabe l’altro giorno”.

   Il bambino più rapido in acqua tenta di protendersi, al fine di aiutare il suo degno avversario, ma questo si alza, celando i suoi delusi occhi di rubino sotto a ciocche ribelli, per abbandonare quella piscina per sempre.

   “Fa parte del passato”, sentenzia Haruka evitando di girarsi verso l’amico, “E poi nuota di nuovo. Questo è quanto”.

   Marcantonio sorride, comprendendo che Rin è il vero motivo per cui il delfino nuota, nonostante quest’ultimo non lo voglia ammettere neppure a se stesso.

   

Il giorno dopo

 

  E’ l’intervallo. Haruka sta disegnando il nuovo volantino per pubblicizzare il club di nuoto, all’interno del quale compare come protagonista una figura maschile vigorosa incredibilmente somigliante a Rei.

   All’improvviso viene interrotto da Nagisa che, con la schiena curvata in avanti, afferma affranto, “Non ho avuto fortuna. Non acconsentirà mai. Credo che a Rei-chan non piaccia l’acqua”.

   Lo sguardo del moro è di diaccio, “Non ci serve. Non è degno dell’acqua”.

   “Se dici così”, sbatte le mani sul banco il pinguino, strepitando e avvicinandosi soffocante al viso dell’interlocutore, “non si iscriverà nessuno! Dovremo passare l’inverno a sollevare pesi e a fare jogging! Ti andrebbe bene, Haru-chan? Ti andrebbe bene veramente?!”.

   Il delfino scatta in piedi a corto di ossigeno al solo pensiero che quel quadro drammatico possa realizzarsi, “No”.

   “Se Ama-chan non lo vuole fare, credo dovremmo chiedere a _______-chan di spogliarsi per noi”.

   Il cetaceo lo guarda bieco.

   “Non credo sarà possibile”, interviene l’orca, celando il proprio fastidio, “Conoscendola non farebbe mai una cosa del genere”.

   “Allora potremmo fare al contrario! Se entri a far parte del club, puoi fare il figo davanti a _______-chan. E’ molto carina. Dovrebbe funzionare”.

   Non è carina, è bella, lo corregge mentalmente il gigante buono.

   Per quanto impermalito, Haruka prende la matita e l’avvicina al foglio.

   “Aspetta, non lo scrivere”, lo frena il castano.

   Ad un certo punto il loro sguardo si alza su una silhouette minuta alle loro spalle, che sillaba e sorride loro maligna, “Scu-sa-te, ra-gaz-zi”.

   Nagisa e Makoto sudano freddo, vedendoti, “Scusa!”.

   Aggrotti la fronte, ti copri metà viso con una mano e serri le palpebre, “Come vi è, anche solo passata, nell’anticamera del cervello una cosa simile?”.

   Il kohai fa per dar fiato alla bocca, quando tu gliela chiudi con l’indice, perdurando a non aprire gli occhi, “No, non dite nulla: fingerò che non sia mai successo. Gou mi ha mandato un sms, dicendo di raggiungerla in piscina”.

   Ti avvii immediatamente fuori della classe, imbestialita, con i tuoi ammutoliti subordinati al seguito.

   “Non aveva detto, che avrebbe fatto finta di niente?”, bisbiglia il biondo.

   “Zitto!”, lo riprende l’orca.

   Raggiungete la piccola Matsuoka al luogo di ritrovo, vi sedete sui blocchi di partenza e le lasciate la scena.

“Oggi vi porto buone notizie”, espone la ragazza, prendendosi i fianchi con aria soddisfatta, “Sorprendentemente, sono riuscita a pianificare un allenamento collettivo con la Samezuka”.

   “Davvero?”, esclamate in coro - Haruka escluso.

   “Hai chiesto a Rin?”, pone Makoto ingenuo.

   “Mio fratello non mi avrebbe mai dato retta - Ovviamente, ti dici -, quindi sono andata direttamente dal suo capitano”

   Aaaaah, Mikoshiba..., sogghigni internamente.

   Lo studente dell’ultimo anno dai capelli di fuoco e dalla voce profonda, esamina con cipiglio la sorella del suo nuotatore più complessato, ripetendo uno spezzone della sua ultima frase, “Allenamento congiunto?”.

    La nanerottola sussulta un flebile “sì”, mentre il ragazzone erculeo le si avvicina, le prende le minuscole mani tra le sue e accetta, “Gran bella idea! Facciamolo!”.

   “Questa è la nostra super co-manager, Gou-cha...”.

   “Kou”, la rossa blocca sul nascere la pronuncia scorretta del suo nome da parte del pinguino.

   “Questo significa che ora abbiamo il permesso di nuotare nella piscina coperta della Samezuka”, sorride il castano.

   “Ehm... ecco”, ecco... Ogni fregatura comincia con “ecco”, “essendo un allenamento di gruppo, dobbiamo portarci almeno quattro membri”.

   “Quindi dobbiamo reclutare un nuovo membro prima dell’allenamento”, concludi disillusa.

   “Specialmente perché Gou-chan ha usato il suo sex-appeal per procurarci questa opportunità”, ti dà equivocamente man forte Nagisa.

   La giovane avvampa pungolata nel vivo, “Ma quale sex-appeal!”.

   “Eh? Mi sbaglio?”.

   “Ovvio!”.

   Se, come no, ridacchi.

 

Nel frattempo alla Samezuka

   

   Rin corre. 

   L’ossigeno scarseggia e le gambe gli dolgono a causa dell’acido lattico, ma corre lo stesso. 

   Sarebbe più saggio tornare all’Accademia in treno, data la distanza che il capitano, preso da una misteriosa euforia, ha voluto intraprendere quest’oggi. Ma al salace tsundere non interessa: a lui piace correre. Deve soltanto muovere avanti e indietro le gambe e sgombrare la mente. 

   Ha sempre amato sentire l’aria scompigliargli i capelli, grazie alla velocità e alla potenza degli arti inferiori, chiudere gli occhi e allargare le braccia, così da volare senz’ali.

   Invece il nuoto è tutta un’altra faccenda. E’ più una passione ereditaria, un’effetto collaterale di tristi eventi. Il passaggio del testimone.

   Lo squalo sa fare solo due cose: nuotare e correre. Anche se sarebbe più appropriato invertirne l’ordine. Non è bravo a esprimersi a parole o con gesti pacati, come vorrebbe il suo compagno di stanza. Lui non è Makoto.

   Per questo, quando ha un problema, risponde allenandosi. E’ tutto ciò di cui è capace, sebbene tutt’ora, dove l’acqua non riesce a mitigare, la corsa allieva la sua mente, anestetizzandogliela momentaneamente.

   Come succede anche oggi, nonostante non stia disperdendo energie volontariamente. 

   Il pescecane spesso maledice la sua stupidità e quindi corre. 

   Corre per dimenticare. Corre perché è abbattuto, frustrato, incazzato con il fato fino al midollo. Corre per battere Haruka e sentirsi più vicino al sogno di suo padre. Ma soprattutto corre perché è innamorato.

   Tutt’a un tratto, Rin si arresta al suono di una frase, lasciandosi sorpassare da corridori più lenti.

   “Nessuno mi ha detto che ci sarebbe stato un allenamento congiunto”.

   Nitori si appoggia alle ginocchia per riprendere fiato, al fine di rispondere alla tacita domanda del suo senpai, “Lo ha deciso il capitano. La tua sorellina fa parte del club di nuoto della Iwatobi, vero?”.

   Il rosso lo scruta in tralice, indeciso se essere più insofferente per avergli dato troppa confidenza nel chiamare Gou sorellina, o dal fatto che quest’ultima sia così legata ai suoi nemici. Probabilmente la seconda opzione.

   “I membri sono Nanase Haruka, Tachibana Makoto, Hazuki Nagisa”, pondera innocentemente il kohai, “Hanno tutti nomi femminili...”.

   Lo sguardo cagnesco dello squalo inchioda il proseguimento del periodo,  “Come lo sai?”.

   l’adolescente sorride insicuro, “Partecipai anch’io a quella staffetta. Credo fosse il tuo ultimo torneo delle elementari”.

   La finale è terminata e un bimbo dai lisci capelli canuti fissa sgomento i quattro vincitori. Sorridono, esultano, si abbracciano, avvolti dal nebuloso vapore acqueo imprigionato nelle quattro mura della piscina coperta. Solamente uno di loro non esterna le sue emozioni, ma non è quello che attira l’interesse del bambino dagli occhi fiordaliso. Il prescelto ha i capelli rosso Borgogna e le iridi di ruggine. Ha un’aria callida e riserva un ghigno sghembo al suo compare più silenzioso, schernendolo appena.

   Il giovane spettatore l’osserva, riconoscendo in lui il proprio contrario e una guida. Quel ragazzino, poco più grande di lui, è sicuro di sé, signorile, ambizioso e, in negativo, anche superbo. Seppure spesso pensi di lasciar perdere i suoi progetti, non si abbatte, prova e riprova finché non otterrà un risultato, qualunque esso sia. 

   Nitori non avrebbe mai immaginato, che un giorno quel bambino sarebbe diventato davvero il suo modello di riferimento, nonostante il suo esempio vada preso con le pinze, in quanto, crescendo, si è tramutato in un   muscoloso adolescente piuttosto aspro e arrogante. 

   “La mia squadra perse durante i preliminari, ma fu una splendida gara da vedere”.

   Rin distoglie lo sguardo e ricomincia ad allungare i fianchi in profonde falcate.

 

Il giorno dell’allenamento collettivo 

 

   Il treno abbandona la stazione. 

   Rei si stiracchia prima di scapicollare verso il liceo, quando ad un tratto un voce lo evoca, “Aspetta, Rei-chan!”.

   Il turchino corruccia le sopracciglia, socchiude gli occhi e fa un respiro profondo, sistemandosi gli occhiali sul naso, al suono del timbro fanciullesco di Nagisa alle sue spalle.

   “Che cosa vuoi?”, chiede seccato.

   Il biondo indossa la tuta rossa delle matricole, “Posso correre con te?”.

   Il coscritto sbuffa, pigiando il timer dell’orologio, “Se riesci a tenere il passo”, e inizia a fare jogging.

   Il compagno di classe annuisce entusiasta e lo segue.

   Corrono senza scambiarsi opinioni per molto tempo, oltrepassando il paesaggio campagnolo tipico giapponese, ricco di risaie e tranquillità.

   “Che nostalgia”, condivide il più rumoroso dei due, anche quando si tratta del semplice respirare, “Alle elementari, correvo sempre con Haru-chan fino al circolo di nuoto”.

   In principio Rei decide di non dargli corda, ma l’altro prosegue, “Haru-chan mi diceva sempre con fare distaccato: Se riesci a tenere il passo”.

   Adesso l’atleta è curioso, o forse cerca di mantenere la conversazione attiva per non sembrare maleducato - sarebbe contro i suoi criteri di perfezione -, “Chi è questo Haru-chan?”, domanda svoltando a sinistra.

   “Oh, da questa parte?”.

   “Insomma, cosa vuoi da me?”.

   “Cosa voglio? Che ti unisca al nostro club di nuoto. Abbiamo assolutamente bisogno di un quarto membro prima dell’allenamento collettivo”.

   “Perché dovrei essere io?”, pone Rei improvvisamente giù di morale.

   “Perché sei un ragazzo con un nome femminile”, si giustifica Nagisa disinvolto.

   “E’ questo il motivo?!”, il turchino è incredulo.

   “Sì, ma la ragione principale è che sei splendido”.

   Splendido?, si chiede confuso l’oggetto del desiderio.

   In risposta ai pensieri del coscritto, il pinguino espone, “Durante il tuo salto con l’asta, il tuo stile era davvero magnifico, Rei-chan!”.

   L’occhialuto arrossisce lievemente e ripete il suo solito tic nervoso, “Beh, stavo solo...”, volge lo sguardo altrove, serrando i pugni e rammentando ciò che il coach gli aveva detto solo un paio di giorni prima, “...seguendo calcoli e teorie”.

   “Non è qualcosa che possono fare tutti. Io faccio schifo con quella roba. Perciò, vorrei che usassi questo metodo per essere figo nuotando”.

   Gli occhi di Quattrocchi si induriscono, “E’ impossibile”, sputa secco, “Un nuotatore deve agitare braccia e gambe sott’acqua, mentre cerca di annaspare in superficie per un po’ d’aria”, si tiene la testa tra le mani, per poi buttarle lungo i fianchi e urlare, “Non puoi sembrare bello in quelle condizioni!”.

   “Però, Haru-chan è un nuotatore fantastico”, il biondino lo incalza come se fosse una ragione chiara ed evidente a chiunque.

   Naturalmente Rei non è del medesimo avviso, “Ancora con questo Haru-chan?”, riprende la corsa verso scuola.

   L’altro cerca di seguirlo, ma scatta troppo tardi, perdendolo di vista.

   Dopo circa mezz’ora, Nagisa arriva al cancello di ingresso, dove trova voi ad attenderlo. Vi si china difronte, rannicchiando il proprio peso sulle ginocchia quasi in posizione fetale, nel tentativo di riprendere fiato.

   “Che stai combinando?”, è raro sentire Haruka chiedere qualcosa a qualcuno.

   Il biondo annaspa mentre pronuncia i vostri nomi, ma non risponde, interrotto dall’arrivo di una ragazzo snello e slanciato dai capelli blu navy, “Sei tu Haru-chan-san?”.

   Le iridi denim dell’interpellato si sollevano sul nuovo arrivato irritate, “Non mettere il -chan e nemmeno il -san al mio nome”.

   “Qualcosa non va, Rei-chan?”, domanda Nagisa stranito dal suo volontario avvicinamento.

   “Vorrei partecipare al vostro allenamento congiunto come membro in prova”, dichiara quest’ultimo.

   “Sul serio?!”, il pinguino è al settimo cielo.

   “Ma ad una condizione”, Agliah!, esorta il tuo amico d’infanzia, “Io non nuoterò”.

   Accettate di buon grado le condizioni di Rei e incarichi Gou di pattuire con Mikoshiba l’orario di inizio dell’allenamento congiunto, mentre tu ti saresti occupata delle scartoffie burocratiche.

   Scopri con stupore che, organizzando una trasferta sportiva, per l’intero arco della giornata tu e il tuo team sarete esonerati dalle lezioni. Dunque, decidi di convocare i tuoi atleti in piscina per occuparvi delle ultime faccende, come, per esempio, sistemare gli spogliatoi. L’unico a non presentarsi, però, è Rei.

   “Ha detto che, essendo un membro in prova, non ha il diritto di assentarsi dalle lezioni”, vi informa il suo compagno di classe.

   “Mmm, va bene, vorrà dire che ci divideremo in due coppie”, dirigi, “Haru ed io metteremo a posto le attrezzature e gli armadietti, voi occupatevi delle docce sia interne che esterne”.

   “Sissignora!”, recitano i tuoi atleti.

   Ti incammini verso i grandi scatoloni che decorano una parete degli spogliatoi e, aiutandoti con un tronchesino, le apri. Al loro interno ci sono salvagenti, cuffie, occhialini e costumi di riserva, strumenti per controllare il PH, il tasso batterico e la viscosità dell’acqua, solventi anti-inquinanti, eccetera. 

   Optate per la catena di montaggio: ognuno si cura di incarichi diversi. Il moro dispone in ordine alfabetico le sostanze chimiche e tu invece sistemi il resto.

   Contemporaneamente, dall’altro lato del muro, Makoto e Nagisa sfregano con forza le spugne sulle piastrelle delle docce.

   “Tutto bene, Mako-chan?”. Marcantonio sembra stranamente giù di tono oggi.

   No, non va bene. Sta iniziando a piacermi seriamente la ragazza del mio migliore amico. Non va bene per niente. Beh, non è esattamente la sua ragazza... Ma non importa! Queste cose tra amici non si fanno!

   “Vedi”, mente il castano, parlando di un argomento a caso, “L’altro giorno sono andato a fare compere con Haru...”.

   Un pettoruto giovane legge con attenzione l’etichetta di un prodotto per acquari, chiedendosi che cosa sia il ciclo di azoto dell’acqua.

   Sicuramente, lui lo saprà meglio di me, si dice, pensando all’idrofilia del suo accompagnatore, ma quando si volta per interpellarlo, il suo amico è sparito.

   Ad un certo punto, lo trova vicino ad una teca gigantesca per carpe, intento a svestirsi per intingersi dentro.

   L’altro scatta verso di lui, urlando.

   “Si è spogliato di nuovo...”, conclude sconsolato il ragazzo orca, “E quando ho provato a fermarlo, si è anche arrabbiato...”.

   “Mi è venuta un’idea!”, strepita il kohai, “Facciamo un esperimento!”.

   “Cioè?”.

   “Proviamo a stabilire quanta acqua gli ci vuole perché si tolga i vestiti, così saresti in grado di bloccarlo prima che lo faccia!”.

   “Ma certo! E’ geniale!”.

   “Allora, si dia inizio all’esperimento!”.

Livello 1.

   “Iniziamo con questa quantità!”, determina Nagisa.

   Makoto racchiude tra le sue forti mani una manciata d’acqua della piscina e si siede alla ringhiera in attesa, “Se si spoglia con questa, non ho proprio idea di come farò da oggi in poi...”.

   In lontananza si sente la tua voce che ordina gentilmente ad Haruka di andare a prendere uno degli scatoloni rimasti intonsi.

   “Ah, Haru-chan!”.

   Il delfino si avvicina ai due ragazzi, osserva il liquido incolore e lascia sfuggire una risatina soffocata.

   I due sono basiti, mentre lo guardano andare via con la scatola che gli hai chiesto, “Ci ha riso su...”.

Livello 2.

   Davanti al castano, seduto sul pavimento, il biondo posa una bacinella straripante d’acqua, “Il prossimo è questo: un catino!”.

   Il capitano incrocia le braccia, “In effetti che n’è di più, però...”.

   “Ah, Haru-chan!”.

   Haruka si arresta difronte al secchiello giallo, si volta immediatamente, lanciandogli comunque un’occhiata afflitta, e se ne va.

   “Almeno l’ha guardato un po’”, dice il pinguino.

   L’orca è fosco, “Inizio a preoccuparmi...”.

Livello 3.

   “Adesso un secchio!”, i due scienziati sono nelle medesime posizioni: uno seduto a gambe incrociate e l’altro prostrato sulle caviglie, “Forse questo funzionerà”.

   “Sì, potrebbe”, Makoto è fiducioso.

   “Ecco Haru-chan”.

   Stavolta il cetaceo ha gli occhi fissi puntati sul contenitore grigio, le sopracciglia aggrottate e un aspetto sofferente, ma defila di nuovo.

   “Ci sta pensando...”, bisbiglia Nagisa.

   “Già”.

Livello 4.

 “Che ne dici di una tinozza?”, rintrona la rana del club, disegnando piccoli cerchi con l’indice sulla placida distesa d’acqua dolce.

   “Questo funzionerà!”.

   “E’ sicuro!”.

   La cavia arriva, le pupille oltremare tremulano, la mano destra si avvicina al nodo della cravatta.

   Ci siamo, ci siamo!, si ripetono in coro gli sperimentatori, per poi schiaffeggiarsi la fronte, quando il topino da laboratorio scappa, attirato da una voce femminile.

   “Per poco!”.

Livello 5.

   Makoto spalanca la bocca per raccogliere più aria possibile da riversare nelle pompe della piscina gonfiabile, mentre Nagisa la riempie d’acqua con una canna.

   “Mako-chan, fight on!”.

   In lontananza Haruka, uscendo dagli spogliatoi per l’ennesima commissione, nota all’istante cosa stanno facendo i suoi amici e colleghi. Immediatamente si precipita da loro, balzando da qualche metro di distanza, sgusciando fuori dall’uniforme e tuffandosi nella vaschetta per bambini.

   “Haru, non è ancora pront...”, comincia Makoto troppo tardi, perché ormai si è già sollevato un guizzo d’acqua corrispondente al tuffo dell’idrofilo nel suo elemento.

   Il castano e il biondo si sollevano in piedi completamente fradici e lo studiano in misto di incredulità, allarme e rassegnazione.

   Il pinguino sorride, “Sembra che si spogli solo se può restare poi a mollo”.

   “Ma certo. E’ così, quindi...”.

   “Si può sapere cosa state combinando”, interrompi il loro passatempo, “Tornate al lavoro”.

   Ti avvicini alla piscinetta e solo allora ti accorgi del tuo nuotatore più veloce. 

   “Haru!”, prorompi, però lui, ad occhi chiusi, non sembra darti retta.

   La beatitudine dipinta sul suo volto cheto ti acquieta, ma ti fa anche ridere, in quanto trovi buffo che basti così poco per fargli andare in cortocircuito il cervello.

   Chissà se gli farò mai questo effetto..., arrossisci, rendendoti conto di ciò che hai appena pensato.

   Senza riflettere ti genufletti a terra dietro di lui e giocherelli con il liquido in colore, schizzando ogni tanto la creatura marina al suo interno.

   Il moro schiude un occhio e sorride sghembo, vedendoti. Ti attira a sé, avvicinando paurosamente il suo viso al tuo, abbastanza da sentire il suo respiro addosso. Nelle sue iridi, all’altezza delle tua bocca, vedi una scintilla, l’ombra di un fuoco che brucia dall’interno, che osserva le tue invitanti labbra [aggettivo]. Ti posa una mano sulla nuca, spingendola verso di lui, serri le palpebre, seguendo i suoi movimenti, sperando che Haruka colmi presto la distanza. 

   Ad un certo punto questa distanza aumenta, senti l’acqua rumoreggiare e, nel momento stesso in cui riapri gli occhi, uno spruzzo d’acqua ti inonda completamente la faccia.

   “Brutto...”. Non fai in tempo a finire la frase, che il delfino scoppia in una risata fragorosa. Rimani stupita. Non lo avevi mai sentito ridere di gusto prima d’ora.

   Mentre rimugini su come fargliela pagare, lo spazio fra di voi finalmente si annulla, lasciandoti interdetta a palpebre sbarrate.

   Ti afferra il viso tra le mani, ruotando e sollevandosi in una posizione più comoda, mentre ancora tiene la bocca avvinghiata alle tua.

   Ora che siete entrambi inginocchiati e tutto più facile. Lo prendi in vita, appoggiandoti al fisico snello che ti inumidisce la divisa, e ricambi le sue attenzioni. Lo senti sorridere, in un momento fulmineo di stacco.

   Schiudi le labbra, così da incastrarle alle sue, giocando ad acchiaparella, a chi sta sopra e chi sta sotto.

   Non è un bacio profondo. E’ dolce, pieno di premure e riguardi, ponderato da chissà quanto tempo e, in un certo senso, anche temuto. Temuto per la troppa aspettativa. Temuto per la possibilità che non sarebbe mai avvenuto. Eppure eccovi qui, abbracciati uno all’altra come se fosse il gesto più naturale del mondo.

   “Vai ad asciugarti. Per le quattro dobbiamo essere alla Samezuka”.

   Haruka alza gli occhi al cielo, tirandovi in piedi.

   “Mm-mm”, mugugna prima di baciarti ancora in fretta e andarsene con aria sognante, nonostante non sorrida. Non coi denti, almeno.

   Peccato che qualcuno rovinerà tutto di nuovo...

   Dopo circa mezz’ora di treno, arrivate finalmente all’Accademia e vi entrate a testa alta, data l’ufficialità, e sopratutto la legalità, del vostro ingresso nell’istituto.

   “Le piscine al chiuso sono così belle!”, dice Nagisa adorante. Entusiasmo che Rei non capisce.

   Gou scruta sbavante gli statuari atleti della squadra opposta e della vostra. 

   Modalità fangirl: on. 

   E’ facile capire che appartengono ad una scuola rinomata!, si concentra su Makoto ed Haruka intenti a riscaldare i muscoli, Ma anche i nostri non sono niente male!

   “Ehi, grazie per essere venuti”, saluta Mikoshiba con un cenno della mano.

   “Grazie per aver accettato”.

   “Di niente”, l’attenzione del ragazzone dai capelli melograno si sposta sul moro, “Tu sei Nanase-kun, vero?”.

   Il cetaceo sostiene il suo sguardo poco coinvolto.

   “Hai vinto parecchi tornei regionali alle scuole medie. Ho sentito un bel po’ di storie sul tuo conto...”.

   Proprio in quel momento fa il suo ingresso Rin, ignaro della vostra presenza.

   “Oh, senpai”, lo chiama Nitori, tenendo ancora il cronometro stretto tra le mani, “Qualcosa non va?”.

   “Niente”, replica freddo il pescecane, Quando la smetterà di seccarmi?!

   Si gira nella vostra direzione, attirato dalle moine che il suo capitano sta riservando a qualcuno. Guarda sprezzante l’indifferenza del rivale, mentre ignora persino lo sguardo del suo interlocutore, poi lo fissa con impeto, intravedendoti al suo fianco.

   Quanto vorrei spaccargli la faccia!

   “Ah, Onii-chan!”, gli corre incontro Gou, catturando la tua curiosità.

   I vostri sguardi si incrociano e subito li abbassi vergognosa, sentendoti improvvisamente a disagio e colpevole. Qualche giorno fa, avresti ricambiato volentieri un bacio di Rin, se te lo avesse dato, quando solo un paio d’ore fa hai assaggiato le labbra di Haruka.

   “Gou, cosa cerchi di fare?”, mormora in risposta il fratello, cercando di nascondere il proprio turbamento.

   “Rin-chan! Potremo nuotare di nuovo insieme! Divertiamoci oggi”, s’intromette Nagisa.

   “Insieme? Tsk. Siete tutti uno spreco di tempo”, schiuma il rosso, prendendo l’uscita. Mani in tasca e broncio.

   “Onii-chan...”. La voce della sorella si riduce in un sussurro.

   La raggiungi e la consoli, carezzandole la schiena, “Lascia perdere”.

   “Quale sarebbe il suo problema?”, domanda Rei guardandolo storto .

   “E’ una lunga storia”, taglia corto Makoto.

   Lo spasimante della tua aiutante raduna parte della propria squadra, tra cui l’argenteo ragazzino dagli occhi di cielo.

   Ha un’aria familiare, ti dici, esaminandolo.

   “Pensavo che oggi potreste allenarvi con i ragazzi del primo anno”, il massimo esponente della Samezuka picchia tra loro i forti palmi, “Ok! Cominciamo con i cronometraggi individuali”, si avvede sul turchino, “Tu, vatti a cambiare”.

   “Ecco, io...”, tenta di protestare Quattrocchi.

   “Devi scusarlo”, lo blocca il suo coscritto, portandosi un braccio dietro il capo, “Ha scordato il costume”.

   Mikoshiba lo scruta di sottecchi, “Perché è qui, allora?” - detesta la non professionalità: è segno di poco impegno e dedizione - “Puoi usare uno dei nostri costumi di ricambio. Va’ a cambiarti. Ehi, Nitori!”.

   “Sì!”, si affretta a rispondere l’interpellato, “Vieni con me”.

   “No, io non...”, Rei cerca di opporsi, ma lo trascina per un braccio.

   “Muoviti! O ti beccherai di nuovo un rimprovero”.

   “Non nuoto!”.

   Oh-oh, pensi, vedendo l’occhialuto tornare con indosso uno speedo a slip.

   “Eravamo d’accordo che non avrei messo piede in acqua”, si acciglia arcigno il turchino, incrociando le braccia.

   “Non preoccuparti”, lo rassicura il kohai biondo, “Questo è sono solo un allenamento, quindi non importa se sei lento”.

   “Non è questo il punto!”.

   “E’ il turno di Makoto”, li informi, prima di fermarti a studiarlo in tutta la sua prestanza.

   Makoto si è sempre sviluppato prima fisicamente rispetto ai ragazzi della sua età, eppure, in questo istante, lo osservi come se fosse la prima volta che lo vedi e ne rimani colpita. Le spalle sono larghe, l’addome taurino è ben delineato, i muscoli definiti della spina dorsale invitano a guardare sempre più in basso, verso i possenti tricipiti surali. Per non soffermarci sulle natiche perfettamente fasciate dal costume a pantalone nero con strisce arancio, quando si china, pronto a balzare in acqua... 

   Sotto una certa luce, questo aspetto così strutturato è in netto contrasto con il suo volto rassicurante; sotto un’altra, il suo corpo è una conferma alle sue effettive capacità di protezione. Fatto sta che lo trovi molto attraente. 

   Un fischietto suona e splash! Il castano si è lanciato.

   Gou solleva la testa sulle tribune e si accorge che suo fratello è appoggiato coi gomiti alla ringhiera ad assistere.

   Allora è curioso.

   Il castano si avvicina alla fine della vasca grazie a lunghe bracciate a stile libero, ruota su stesso per tornare al punto di partenza e Nagisa sale sulla pedana di partenza, mettendosi occhialini e cuffia, “Adesso tocca a me”.

   Il pinguino ha un fisico più asciutto degli altri, giovanile quanto il suo carattere. Tuttavia, seppure sia piuttosto mingherlino, ha l’energia di una testata nucleare in scissione.

   L’orca tocca il traguardo, dove vi si ferma un secondo per riprendere fiato.

   “In posizione!”, alza la voce Mikoshiba. 

   Il biondo esegue.

   Un altro fischio e l’infante libra in aria.

   “Vai così!”, incoraggia il leader della Samezuka, “Preparati, nuotatore seguente”.

   Makoto esce dalla piscina, lasciando cadere gli occhialini verdi intorno al collo e scostandosi la frangia madida, “E’ il tuo turno, Ryugazaki-kun”.

   “Ve l’ho detto, in non...”.

   “Nuotatore, vai al blocco di partenza!”, grida il loro capitano al vostro componente in prova.

    Rei impallidisce.

   “Il prossimo potrebbe avvicinarsi?”, fa eco Nitori.

   “Beh... puoi farcela”, gli da manforte il castano.

   “Bene!”, cede il turchino, togliendosi gli occhiali da vista per mettersi quelli acquatici e la protezione di gomma.

   Si dirige verso la piattaforma, quando Haruka impassibile lo avverte di non sottovalutare l’acqua.

   L’altro si arresta sul posto senza voltarsi, “Certo che no!”.

   Si posiziona sul blocco di partenza, incolla con cura gli occhialini intorno ai bulbi oculari e comincia a calcolare.

   Andrà bene.

   Ci sono circa 50cm tra la superficie e il blocco di partenza.

   Impostare l’accelerazione a V.

   Impostare l’angolo d’ingresso a Theta.

   Supponendo che viscosità dell’acqua sia uguale a R...

   Nagisa sta per arrivare e la voce di Mikoshiba ordina nuovamente di tenersi pronti.

   ... calcolare l’energia necessaria alla spinta. Rei imita la posizione del suo avversario.

  “Ha una bellissima forma”, manifesta il leader della vostra squadra. L’apparenza non è tutto...

   Il biondo libera la corsia a loro assegnata.

   “Ready”. 

   Affila lo sguardo, A che angolo dovrebbero essere le mie braccia?

  Rei si butta all’ennesimo colpo di fischietto. In principio sembra un’ingresso perfetto, peccato, però, che il tutto si smorzi a metà e l’atleta finisce sul fondo della vasca, seguito da un chiassoso “eh?!” generale. Non credete ai vostri occhi.

   Il volto di Makoto è una maschera di terrore, “Non riemerge”.

   “Questo non va bene...”, mormora Gou, mentre il moro si tuffa per andare a recuperarlo, aiutato dal pinguino.

   “Sta bene?”, si allarma Mikoshiba.

   I soccorritori lo raggiungo e lo riportano in superficie, dove il quasi annegato inspira aria gracchiando e tossendo. 

   “Meno male!”, sospirate di sollievo all’unisono.

   Scortate il turchino in angolo per farlo calmare. Gli sorridi, porgendogli un telo, che si poggerà sul capo subito dopo.

   Rei si siete a terra, abbracciandosi le ginocchia al petto e puntando gli occhi sul pavimento in un punto indeterminato.

   “E così Rei-chan non sai nuotare?”, infierisce Nagisa in un misto di delusione e preoccupazione.

   L’occhialuto sussulta, “Già... Stai dicendo che è colpa mia?!”, si altera, “Ti avevo detto che non avrei nuotato!”.

   Non vuoi mortificarlo, però non cosa che non sopporti, sono le persone che cercano d’incolpare gli altri per le loro azioni. Infatti...

   “Avresti dovuto dirlo prima”, incroci le braccia con risolutezza, “Non avremmo insistito. Ti rendi conto dei rischi che hai corso?”. Sarebbe potuto morire, nonostante il fondo della prima metà di piscina sia alto poco più di un metro.

   Quattrocchi distoglie nuovamente lo sguardo, se possibile ancora più in basso, come per volersi nascondere all’evidenza, “Non avrei mai ammesso di non saper nuotare. Va contro il mio ideale di bellezza”.

   Bellezza, narcisismo, perfezione, disciplina esasperata. Ecco la trappola nichilista che si è autoforgiato Ryugazaki Rei.

   “Sistemerò le cose con la Samezuka”, cerca di consolarlo Makoto, “Mi dspiace di averti trascinato in questa situazione”.  E’ troppo accondiscendente. Alle volte ci vuole il pugno di ferro.

   Il ladro di zaffiri si posiziona sui blocchi di partenza.

   “Oh, tocca ad Haru nuotare”, informa il gigante buono per smorzare l’atmosfera e l’infortunato alza le iridi linda sul soggetto, al fine di dare spessore alle lodi del suo coscritto.

   “In posizione!”.

   Il cetaceo si piega, portandosi un piede all’indietro con il tallone sollevato ed uno in avanti. Rin lo studia con cipiglio e rigorosità, non mutando postura.

   “Ready”.

   Incassa il collo.

   Mikoshiba si porta il fischietto alle labbra e ci soffia dentro.

   Il moro si lancia. La testa è già in posizione per rendere l’entrata più aeriforme. Il turchino si alza in piedi con gli occhi sgranati dalla meraviglia, l’asciugamano gli cade sulle spalle.

   “Ne?”, lo interpella Nagisa, “Te l’aveva detto: Haru-chan è un nuotatore fantastico”.

   Non utilizza la teoria, pondera il kohai,  e nemmeno i calcoli. Ha qualcosa di più forte che io non possiedo. Molto più forte...

   Improvvisamente nella mente di Rei le piastrelle, i muri, le vetrate, i divi-corsia, i fischietti, il cloro e le persone spariscono. Rimangono solo Haruka e la vastità del mare infinito. 

   La libertà.

   Il senpai si ferma al traguardo, strappandosi cuffia e occhialini in un gesto abituale, scuotendo i capelli bagnati.

   Potrò imparare a nuotare in quel modo?

   Un gridolino del biondo lo strappano dal suo rimuginio.

   “Guarda, _______-chan, un trampolino!”, alzi la testa nella direzione indicata, “Perché non fai un carpiato?”.

   “Che?! Sono fuori allenamento!”.

   “Ma cosa dici? Sappiamo tutti che hai un coach, ma non te la senti più di gareggiare. Mia sorella frequenta la tua stessa palestra!”.

   Merda! Perché gliel’ho consigliata?

   “Oh sì, _______-chan”, interviene Gou, “Tutti mi hanno detto che eri spettacolare”.

   “In effetti avevi un’aria familiare”, riflette ad alta voce il suo spasimante - non darebbe mai torto alla sua “ragazza”.

   Ti senti messa alle stretta.

   Lampo di genio, “Beh... Peccato che non abbia qua il costume adatto. Mi piacerebbe, ma con un bikini sarebbe sconveniente ”.

   “Ci hanno fornito anche delle scorte di costumi interi, nonostante non abbiamo una squadra femminile”. Incenerisci sul posto il ragazzino con la scodella d’argento.

   “Pensavi di farla franca, eh, _______-chan? Ma hai cantato vittoria troppo presto”, il biondo sorride a trentadue denti.

   “T-ti m-m-mostro dove sono”, balbetta il subordinato di Rin spaventato dalle tue occhiatacce omicide, “Da questa parte”.

   Sospiri e lo segui.

   Noti con disappunto che, trovandoti in un collegio maschile, non esistono spogliatoi separati.

   “Devo cambiarmi qui?”

   “Ehm, sì.”.

   E se entra qualcuno?

   Il giovanotto ti lancia un sorriso rassicurante, “Starò qui fuori, intanto prova questi”, ti porge costumi di varie taglie, tutti neri, però con decorazioni variegate.

   Ricambi il sorriso, afferri gli indumenti e ti chiudi la porta alle spalle. Appoggi la pila di tessuto su una panca e cominci a svestirti. Con ancora addosso la biancheria intima, esamini i costumi per decidere quale sia più adatto. Opti per quello con strisce simmetriche [colore] lungo i fianchi e sotto il seno, che accentua la tua sinuosità , ma ti senti un po’ a disagio per la doppia scollatura profonda sulla schiena, troppo flautata a tuo parere.

   Cerchi uno specchio che ovviamente non c’è. Sbuffi. Cosa pretendi da uno spogliatoio per soli uomini? 

   Recuperi uno degli elastici che ti agghindano i polsi e ti leghi i capelli in una semplice coda [altezza sulla nuca]. Esci dalla stanza e Nitori ti porge un telo nero con la scritta Shark. Sarà suo?

   Tornate in piscina e ti accorgi con imbarazzo che nessuno riesce a fare a meno di fissarti imbambolato. 

   Haruka strabuzza le iridi oceaniche, per quanto gli concede la sua passività, le guance di Makoto si tingono di rosa e l’espressione caustica di Rin non può evitare di rilassarsi stupefatta, un po’ per la tua mise perfettamente aderente, sexy, che permette di intravedere la base del tergo, un po’ perché tieni tra le mani il suo asciugamano preferito. Credi anche di udire il verso del lupo.

   Maledetta scollatura.

   Tendi il canovaccio al ragazzino dai bulbi celesti al tuo fianco, domandandoti per quale motivo si stia curando così tanto di te. Ti sorride amichevole. E’ davvero molto affabile.

   Chissà quante batoste che prenderà nella vita, commenti triste. Sono sempre le persone migliori a soffrire di più.

   “L’altezza dei trampolini è idonea alle competizioni?”.

   “Sì”.

   “Allora salterò dal secondo”.

   Sciogli un attimo le articolazioni, sarebbe sciocco tuffarti senza un minimo di riscaldamento, ti arrampichi sulla scaletta metallica, fino a raggiungere la pedana e la testi con qualche piccolo saltello.

   E’ solida e bilanciata. Se salto bene in punta, dovrei sollevarmi di un altro paio di metri.

   “Ha scelto il trampolino più alto: quella dei 3m”, bisbiglia Nagisa, temendo di distrarti.

   Ti posizioni, cercando di non guardare la piccola folla sotto di te. E’ una vita che non hai un pubblico al seguito e la cosa ti inquieta. Poi, però, ti accorgi di Rin sugli spalti e una sensazione di calma ti pervade lungo tutto il corpo, fin dentro le viscere, infondendoti quella pace mista ad adrenalina, che caratterizza chi sa cosa sta facendo.

   Canticchi tra te una canzoncina, mentre allunghi le braccia al cielo, salutando ginnicamente gli spettatori, proprio come ti hanno istruito a fare. Successivamente balzi un paio di volte a piedi uniti, sollevandoti in aria, racchiudi le gambe tese fra gli arti superiori e il petto, e ruoti all’indietro tre volte, in un tuffo carpiato rovesciato. Alla fine del terzo giro, liberi le cosce, distendi le braccia in avanti e infrangi l’acqua di testa. 

   E’ entrata in acqua perfettamente a 90°, giudica silenzioso lo squalo.

   Qualche manciata di secondi dopo, ritorni in superficie e sali la scaletta, dove il valletto ti porge il telo del suo senpai.

   “Sei stata grande!”, ti corre incontro Gou, “Dovresti ricominciare a competere!”.

   Non le rispondi, ma, per la prima volta da quando hai smesso, ti viene voglia di tornare a sentire quella reminiscenza.

 

Istituto Iwatobi - training di atletica leggera

 

   Tornate a scuola e accompagnate Rei agli addestramenti di salto con l’asta.

   Vi sedete su una panchina con le cartelle in spalla o in grembo, mentre il turchino si prepara ad iniziare l’esercizio, toccandosi le punte dei piedi e mantenendo la posizione per trenta secondi.

   “Non ti sei ancora arreso?”, domanda Makoto divertito.

   “Certo che no”, replica il pinguino, “Ma sembra che Rei-chan...”.

   “Rygazaki!”, lo chiama l’allenatore.

   “Eccomi!”, scatta in piedi l’atleta.

   “... si senta molto meglio”.

   L’occhialuto adolescente si presta agli atti imparati a memoria, tuttavia con una netta differenza di approccio.

   Niente teoria, si ripete, Niente calcoli.

   Sii libero!

  Rei prende la rincorsa con una foga a lui estranea, decolla e, in parallelo alla barra da oltrepassare, allarga tutti e quattro gli arti come se spiccasse il volo. Perde l’effetto aerodinamico e piomba proprio addosso alla spranga metallica, atterrando miseramente, ma lasciando pur sempre di stucco i presenti. 

   “E’ caduto”, consideri con gli altri.

   “Sta venendo quaggiù”, Nagisa sembra stranito.

  Il turchino si ferma difronte a voi serioso, “Voglio essere come te, Nanase-senpai”.

   “Cosa vuoi dire?”, pone l’ultimogenita Matsuoka.

   “Voglio quel tipo di libertà”.

   Haruka non parla mai, ma quando lo fa, soppesa le parole minuziosamente, “Non è libertà. E’ stile libero”.

   “St-tile libero?”, Quattrocchi si assesta le lenti sul naso e si inchina, “Ad ogni modo, vorrei entrare ufficialmente a far parte del club di nuoto”.

   “Cosa?! Davvero?!”. 

   Siete tutti sbalorditi, persino il moro è rimasto a bocca aperta, “Sei vuoi nuotare, fai pure”, si ricompone.

   “Allora è fatta!”, sentenzi.

   “Comunque”, si rivolge adesso al biondo, “sei stato tu quello che mi ha invitato ad iscrivermi, all’inizio. Spero te ne prenderai la responsabilità”, si volta leggermente, arrossendo, “Nagisa-kun”.

   I quarzi rosa del pinguino brillano di gioia per averlo chiamato finalmente per nome, gli salta al collo, “Certo, puoi contare su di me!”. 


 

 

Note d'Autore

Ed ecco il sesto capitolo, signore e signori!

Tra tutti è stato quello più sofferto. L'episodio numero 3 è pieno di cambi scenografici, di conseguenza adattarli letterariamente, senza utilizzare troppe pause e didascalie, è stato faticoso.

Al solito spero di essere migliorata e che vi piaccia almeno quanto quelli precedenti.

Ringrazio tutti coloro che hanno seguito questa storia fin dalle origini, e coloro che si aggiunti dopo. Siete fantastici! Mi auguro di non essere stata troppo confusionaria nello scrivere.

Buona lettura!


Termini

Verso del lupo: mi sono rifatta a un modo dire britannico riguardo a quelli che fischiano maliziosi alle belle signorine.


See ya next water time!

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Capitolo 8
*** 7. Lezioni di nuoto ***


ATTENZIONE: Nel seguente capitolo verrà inserito un nuovo personaggio di mia invenzione. Non specificandone il nome fino alla fine né l'aspetto fisico - siccome gli altri personaggi, al di fuori della protagonista (ma anch'ella indirettamente,) non lo conoscono -, capirete che stiamo parlando di lui, perché il narratore sarà intero. 

So già che lo odierete, ma comunque vi chiedo, per favore, di essere indulgenti con il poverino: è un incompreso xD. (Rallegratevi, dato che comparirà solo in questo capitolo. Forse).

Grazie e buona lettura!

 

7.

Lezioni di nuoto

 

   Sudore.

   Sono umidiccio e appiccicaticcio.

   Fiato corto

   Devo sforzarmi di non aprire la bocca.

   Caldo.

   Non posso togliere il casco.

   Merda, ho i capelli davanti agli occhi! Come faccio a fare metsuke?

   Shizentai. 

   Spina dorsale perfettamente dritta. Piedi paralleli. Sinistro circa 30cm in avanti. Ginocchia flesse ed elastiche. Peso equilibrato sulle piante leggermente sollevate. Tallone destro sollevato.

   Shinai.

   Unisco le mani, allungando le braccia all’altezza della vita. Porto avanti la mano sinistra e la destra appena sotto l’ombelico. L’impugnatura della katana non deve uscire dal pugno chiuso, tenendola all’altezza del collo dell’avversario.

   “Più morbida la mano con cui fate l’affondo”. 

   Sguardo fisso sull’altro.

   Ayumi-ashi.

   Muovo i piedi camminando normalmente.

   Yuuichi si sta posizionando per colpirmi alla testa. E’ più debole sul fianco destro. Parerò e poi lo colpirò lì.

   Un urlo! Ki-ken-tai-no-icchi.

   Yuuichi sta per attaccare!

   Alzo la katana di bamboo sopra di me, difendendomi il capo. 

   Lo spingo indietro. La mawai è troppa per raggiungermi: devo affondare!

   Hidari-men.

   Sposto la shinai a sinistra di 45°, fendo con velocità e lo colpisco alle costole. Yuuichi si accascia istintivamente.

   Zanshin.

   Con spirito mi preparo a fare un altro punto. 

   Lo colpirò lateralmente da destra verso sinistra, sconfiggendolo definitivamente.

   Sto per attuare il mio attacco finale che forse lo stordirà, quando il sensei...

   “Basta così. Per stasera può andare. Bravi. Hashimoto!”.

   Mi ha chiamato.

   Mi inchino“Sì, sensei”.

   “Ti consiglio di mettere su un po’ di massa”.

   “Sì, Yamashida-sensei”.

   Che palle! Non gli va mai bene niente!

   Faccio la doccia, ripongo il gi e l’hakama che indossavo durando l’addestramento e prendo la tuta dalla sacca, poi vado alla palestra vicino al dojo.

   La porta automatica scorre, permettendomi di entrare, faccio un cenno alla receptionist e mi dirigo direttamente in sala pesi. Abbandono pesantemente la sacca da ginnastica, sbuffando, quando, mentre mi siedo sulla panca degli addominali, noto una ragazza dai [aggettivo colore capelli] che, se fossero lasciati sciolti, le arriverebbero a [parte del corpo] correre su un tapis roulant con aria fiacca. Probabilmente le dolgono le cosce per l’acido lattico.

   Mmm... Non mi dispiacerebbe fare qualche chilometro.

   Mi avvicino a lei, mentre trangugia una sostanziosa sorsata d’acqua, perdurando la sua frenetica corsa senza meta geografica.

   “Come va?”.

   La [nomignolo legato alla tinta della chioma] lampeggia i suoi brillanti occhi [taglio] nei miei.

   Cazzo...

 

   Il grande giorno è arrivato!

   Finalmente la temperatura primaverile comincia a scaldarsi. E questo significa tempo soleggiato, divisa leggera, uscite serali più frequenti, ma soprattutto poter utilizzare la piscina scoperta del club.

   Presa dal buonumore e, perché no, anche dalle emozioni che hai provato baciando Haruka, decidi di fargli una sorpresa, presentandoti a casa sua, così da andare a scuola insieme.

   Suoni il citofono un paio di volte. 

   Niente. 

   Alzi la testa per controllare se le finestre del piano di sopra siano appannate e, come al solito, la risposta è affermativa.

   Sbuffando, entri dalla porta sul retro e per un attimo ti viene da ridere imbarazzata, rammentando ciò a cui hai assistito solo un mesetto prima tra le stesse quattro mura.

   Scuoti il capo per scacciare il ricordo e sali le scale, annunciando la tua presenza.

   Spalanchi la porta del bagno con nonchalance, convinta che l’avresti trovato a mollo nella vasca, e in parte è così...

   “Forza muoviti o f... Oh mio Dio!”, la voce ti muore in gola. Ti volti di scatto ed esci dalla stanza, chiudendoti con veemenza il separé alle spalle.

   Oh mio Dio, oh mio Dio! Era nudo!

   “Scusami Haru! Non volevo...”.

   “Lascia stare”.

   Odi il rumore dell’acqua che abbandona il suo corpo e le piante dei suoi piedi toccare il pavimento.

   Razza di idiota!, stai per colpirti agitata la fronte, quando una morsa salda, ma delicata, intorno al tuo polso sopraelevato te lo impedisce. Noti immediatamente che è coperto solo da un asciugamano stretto in vita.

   Guardi da sotto le ciglia l’espressione del ragazzo, per scrutarne il grado d’indignazione. Non sembra affatto seccato.

   Non sai da che parte girarti: siete così vicini - troppo vicini per non pensare alla sua nudità. Alla sua nudità umida e infradiciata - e lui è abbastanza prestante da occupare gran parte del tuo campo visivo. Il tuo naso gli sfiora i pettorali. Avvampi turbata.

   Il moro ti solleva il mento con il pollice e l’indice, in modo da osservarti meglio. Libera la presa sul polso, per pigiare sulla tua guancia colorata la punta del dito e ammirarne il piccolo bollino bianco che ci compare sotto.

   “Puoi guardarmi. E’ una cosa normale”.

   Se possibile arrossisci ancora di più.

   Approfittando della ridotta distanza e della mano che sorregge il tuo viso, si avvicina a te, posando dolcemente le labbra sulle tue, per poi giocherellare con la punta del tuo nasino, rasentandoci sopra il proprio ad occhi chiusi.

  “Vado a mettermi qualcosa addosso”.

   Annuisci.

   Haruka varca la soglia dinnanzi a sé e fa scorrere il separé della sua camera, lasciandosi scivolare l’unico velo che lo ricopre, permettendoti di intravedere la coscia discinta.

   L’ha fatto apposta? 

   Dato il sorriso compiaciuto che gli decora il volto, si supporrebbe di sì.

   Neanche un paio di minuti dopo ti invita ad entrare.

  Il corvino è eretto davanti al letto, dove giacciono cinque paia di costumi-bermuda in apparenza identici tra loro. Ha addosso solo una t-shirt azzurra e i pantaloni grigi della tuta - sotto i quali, ti accorgi, non porta i boxer.

   Il volto è pensieroso, concentrato, le braccia sono incrociate al petto e una mano al mento, “Non riesco a decidere...”.

   Ti esponi sul materasso, poggiandogli le mani sui fianchi e creandoti uno spazio sotto la sua spalla, “A me sembrano tutti uguali”.

   “Non sono tutti uguali”, sbotta.

   Lo abbracci in vita e gli sorridi furba, abbassando charmant la tonalità della voce, “Come sei suscettibile”. 

   Ricominci a studiare i costumi. Effettivamente non sono così simili, ognuno ha una propria linea distintiva. 

   “Questo qui”, opti per i bermuda neri al centro con linee purpuree che scorrono lungo la coscia, girando verso il ginocchio e racchiudendo l’inguine.

   Abbozza un sorriso sghembo e lo lasci solo.

   Una volta vestito, uscite dall’abitazione e incontrate Makoto seduto sulle scale del vialetto, mentre gioca con un gattino randagio, muovendogli davanti al muso un piumino d’erba. Si alza in piedi per darvi il buongiorno, “Oggi è il grande giorno”.

   Manifesta serenità, ma dentro di sé Marcantonio sta ribollendo d’astio. Un vortice di quesiti gli aleggiano nella mente, peggiorando ulteriormente il suo umore: perché sei andata da Haruka senza prima passare da me?; si è dichiarato?; state già insieme?; vi stavate tenendo per mano, prima di accorgervi della mia presenza?; non ti sarai fermata a dormire da lui!; eccetera eccetera. Qualunque sia la risposta a queste domande, non può fare nulla, ormai sarebbe già accaduto tutto. 

   Cerca di sopprimere, di essere felice per il suo migliore amico, nonostante l’eventualità di non avere più possibilità arda più di una spada conficcata nel petto e si detesta per questo. Detesta non riuscire ad incoraggiare in silenzio Haruka, perché i suoi sentimenti sono cambiati. Detesta non riuscire più a vederti soltanto come un’amica. Detesta l’idea di doversi sentire in competizione con il ragazzo che tacitamente gli è sempre stato vicino e per il quale si è sempre sentito in debito.

   Non posso farlo, non ad Haru.

   Già, non ad Haru. 

   Se la faccenda riguardasse solo Rin, allora sarebbe diverso. Non si sentirebbe altrettanto colpevole, perché il rosso lo ha abbandonato esattamente come ha fatto con gli altri. Ha tagliato i ponti con brutalità, ferendovi nel profondo. Soprattutto te. Non gli dispiacerebbe anche per questa ragione: Rin l’ha fatta soffrire.

   Per questo sorride. Con quel sorriso che vanifica ogni avversità e timore, ogni segreto. Ma non per Haruka.

   Il cetaceo lo fissa, trapassandolo con lo sguardo ceruleo, insinuandosi tra le crepe di quella linea incurvata all’insù, come l’acqua salata tra i coralli. E il sale brucia al pari dell’acqua ossigenata su una ferita. La percorre per eliminare qualsiasi infezione, qualsiasi menzogna, scopre la verità della carne viva, mantenendo però intatto tutto il resto e lasciando solo un’insignificante cicatrice in quella pelle costituita da epidermici tormenti e innocenti bugie.

   Haruka sa. Conosce i pensieri del suo fedele amico e, seppure monta una certa gelosia, è in pena per lui.

   “Ciao, Mako-chan!”, esulti, afferri il gomito del delfino e lo trascini per le scale fino a raggiungere il castano, “Su, su andiamo!”.

 

Istituto Iwatobi

 

   Come arrivate a scuola, incontrare Gou, Rei e Nagisa e vi dirigete in piscina per iniziare il primo vero allenamento all’Iwatobi.

   Tu e la tua assistente infilate la tuta - di differente colore in base all’anno di appartenenza: rossa per i primini e verde per i secondini - e discutete con gli altri del regime di allenamento, quando la piccola pescecane estrae dalla tasca un foglio ripiegato pieno zeppo di cifre e sigle indecifrabili per chi non è del mestiere.

   “Abbiamo ufficialmente quattro componenti”, esordisci al suo fianco, “e il tempo comincia a migliorare, quindi potremo finalmente iniziare ad allenarci in piscina. Oggi...”.

   Una massa d’aria si sposta improvvisamente, inseguendo un missile di muscoli, gomma e plastica che si tuffa in acqua.

   Gou si piega su uno dei blocchi di partenza, “Aspetta! Potresti prima ascoltare quel che abbiamo da dire, Haruka-senpai?! Haruka-senpai. per favore! Dai...”.

   Ridacchi, dandole un pacca sulla spalla, “E’ tutto inutile”.

   “E’ il tuo ragazzo, non potresti dirgli qualcosa?”.

   Trasalisci, “Haru non è il mio ragazzo!”.

   Non lo sono?, si raggela il diretto interessato, udendovi parlottare tra un recupero d’aria e una bracciata.

   Adesso è la rossa a sghignazzare, “Certo, come no”. 

   Arrossisci, “E anche se lo fosse, non mi darebbe ascolto. Lo sai com’è fatto”.

   Rei raccoglie il pezzo di carta che è scivolato di mano alla coetanea poco prima, e ne analizza il contenuto, “E’ una specie di formula?”.

   “Dove?”, chiede Makoto.

   L’occhialuto gli mostra il foglio, “Cos’è?”.

   “Oh”, spiega il capitano, riconoscendo quei simboli, “Warming up. Sai cosa significa “riscaldamento”, no? Kb significa fare pratica con una tavoletta. Pull si riferisce a quando si utilizza una boa galleggiante per allenare le braccia”.

   Il turchino indica la scritta Med. R, “Questo è il nome di qualcuno?”.

   Il castano sogghigna, “E’ l’abbreviazione di “medley relay”. E’ una staffetta in cui quattro nuotatori coprono le stesse distanze, usando back, breast, butterfly e free in quest’ordine”.

   “Back, breast, butterfly...”, Quattrocchi è confuso.

   “Backstroke si riferisce al nuoto sul dorso. Breaststroke a rana. Butterfly a farfalla...”.

   “E Freestyle si riferisce al crawl”, Rei si assesta gli occhiali sul naso saccente.

   L’orca lo smonta, “No, Freestyle si riferisce a “stile libero”. E’ permesso usare qualsiasi stile, ma il crawl è generalmente il più veloce, quindi anche quello più utilizzato tra i nuotatori nelle gare a stile libero”.

   “C’è qualche nuotatore che preferisce lo stile a farfalla”, s’intromette Nagisa dopo un tempo fin troppo prolungato di quiete.

   “Lo stile a farfalla?”, pone il coscritto.

   “Sì. Comunque, questo è un valido regime di allenamento. L’hai scritto tu, Gou-chan?”.

   L’interpellata, seduta sul blocco di partenza, impreca, “Ti ho detto di smetterla di chiamar... Lasciamo stare”, si massaggia la tempia con l’indice e il medio, “L’ho trovato mentre pulivo casa. E’ il vecchio regime di mio fratello”.

   E’ sempre in mezzo, pensa Haruka infastidito, sentendovi conversare dall’altra parte della piscina.

   Rei decide di mettere subito in pratica l’addestramento.

   Si siede sul pavimento, allargando le gambe, afferrandosi per le punte dei piedi e piegando la schiena in avanti. Si alza, tende un braccio dietro la testa e usa l’altro per spingere il gomito verso il centro del corpo. Dopo si sdraia a terra, girando la testa, mentre gira il ginocchio nella direzione opposta. Si rialza, portandosi il braccio destro davanti a sé, per poi chiuderlo nell’incavo del gomito sinistro.

  Ogni esercizio dura circa venti secondi.

  Nel frattempo il delfino, che ha finito le sue vasche di riscaldamento, esamina il foglio di Rin.

   “Ti interessa tanto il vecchio regime di mio fratello?”, specifica Gou, notando uno sguardo instabile del corvino.

   “Non particolarmente”, si rabbuia l’altro, “Si può scrivere un regime e non seguirlo”.

   Si rituffa.

   “Quindi gli interessa”, bisbiglia la rossa, coprendosi la bocca con il pugnetto chiuso.

   “L’acqua è ancora fredda”, si lamenta Nagisa, uscendo assieme a Makoto dalla piscina una volta terminate le vasche di allenamento ed osservano il turchino, che poggia entrambe le mani su una parete e si inclina in avanti.

   “Rei-chan, stai ancora facendo stretching?”, pone il biondo.

   “Voglio essere il più in forma possibile”, replica l’interpellato.

   “Sicuro che starai bene?”, si disturba il leader dei nuotatori, “Puoi anche andarci piano...”.

   L’ex-atleta lo interrompe, togliendo le lenti ottiche e adattando quelle sportive al diametro del suo capo,  “Non c’è bisogno di preoccuparsi. Ho imparato la teoria che c’è dietro il nuoto nei giorni scorsi. Non mi metterò in imbarazzo di nuovo!”.

   Lo guardi dubbiosa. Conoscere a memoria la tecnica non basta a saperla effettivamente mettere in pratica. Specialmente nello sport: più tardi ti avvicini ad una disciplina, più fatica fai ad applicarti, a causa della lentezza dei riflessi e di muscolatura e tendini non addestrati.

   Tuttavia, quasi immediatamente ti incuriosisci. Come sale sul blocco di partenza, Quattrocchi assume l’aspetto del miglior nuotatore del mondo. La sua forma fisica è perfetta.

   “Bicipiti!”, mugugna Gou sognante.

   Persino il moro si è fermato a controllare la situazione.

   Rei si inginocchia innaturalmente con le braccia tese aggrappate al bordo e si lancia, stupendovi, in principio...

   Peccato che poi abbia cominciato ad affondare, nonostante sbattesse mani e piedi. Torna in superficie a corto di ossigeno.

   “Credo tu abbia bisogno di iniziare, imparando come si nuota”, gli consiglia il collega più magro, raggiungendolo in piscina accompagnato dal castano.

   “Partiamo con la tartaruga galleggiante”, esordisce il capitano.

   Al che Nagisa sistema gli occhialini sul viso ed esplica l’esercizio, rannicchiandosi in acqua a testa in giù, stringendosi ginocchia e gomiti al centro dell’addome e rilassandosi. Somiglia davvero ad una tartaruga.

   Rei lo scruta scettico, “Non è bella per niente”.

   Makoto sbuffa, “Dai, prova”.

   Il turchino copia i movimenti del compagno e, incredibilmente, rimane in superficie sospeso dal liquido incolore.

   “Adesso, stendi lentamente le braccia e le gambe, e prova a nuotare”.

   L’allievo tenta, ma purtroppo comincia a scendere sul fondo in piastrelle. Ad un tratto balza fuori dall’acqua con il fiatone.

   “Non va...”, il biondo si porta le braccia dietro la nuca.

   Quale sarà il problema?

   Dal lato opposto della piscina, Gou vi osserva annoiata, quando nota Haruka togliersi la cuffia nella corsia più vicina a sé.

   “Haruka-senpai, perché nuoti?”.

   Inizialmente il corvino la fissa sorpreso, ma subito la sua mimica s’inasprisce e si concentra sul suo riflesso, “Non c’è un motivo”.

   “Il sogno di mio fratello è di diventare un nuotatore olimpico. Per questo è andato in Australia a studiare”.

   Il giovane socchiude gli occhi e le parla sopra bruscamente, mantenendo il solito tono distante, “Non mi riguarda. E’ solo un sogno”.

   “Forse”, sorride la kohai, guardando delle formiche che attraversano il bordo, “Ma credo che sarebbe un po’ più vicino al suo sogno, se fosse con voi ragazzi. Come quando nuotaste insieme nella staffetta”.

   Una goccia abbandona una ciocca di capelli del ladro di zaffiri, mentre alza lo sguardo sul viso cordiale della piccola Matsuoka. Hanno un carattere così diverso i due fratelli, ma allo stesso tempo, sotto quello strato duro e impellente che il maggiore si è costruito, si assomigliano molto.

 

Tornando a casa insieme ad Haruka, ti rendi conto che quest’ultimo è dall’addestramento che è piuttosto discosto e distaccato, lo senti lontano, specialmente con te. 

   In un primo momento hai pensato che fosse solo affaticato, ma ora cominci a sospettare di centrarne qualcosa.

   Arresti ti colpo il passo, lasciandolo avanzare di qualche metro, finché non si volta.

   “Haru, ce l’hai con me?”.

   Il giovane non risponde, si limita a mescolare l’oceano dei suoi occhi con quello reale. Non riesci a sopportarlo. Non può evitare qualsiasi situazione spiacevole andandosene o ignorandola.

   Ti avvicini a passo di marcia, gli prendi il viso tra le mani e lo costringi a guardarti.

   “Parlami”, dici con voce quasi implorante, ma seria. Vigore che si affievolisce, appena noti la glacialità del suo sguardo.

   Lasci cadere le mani lungo i fianchi e chini il capo per non mostrare la tua fragilità, palesandola inesorabilmente.

   “Non sono il tuo ragazzo”, dichiara fermo, come se volesse semplicemente ripetere le tue parole e, contemporaneamente, dimostrare di non doverti spiegazioni.

   Alzi le iridi [aggettivo] interrogativa.

   “Hai detto a Gou che non sono il tuo ragazzo”, chiarisce.

   Ci ha sentite?!

   “Io... ecco...”.

   “Ti vergogni?”, pone arrabbiato.

   “Certo che no! E’ solo che...”.

   “E’ solo che cosa?”.

   “E’ solo che non so ancora cosa provo”, sputi tra i denti, nella speranza di non essere sentita.

   “Per me o per Rin?”.

   Rimani ammutolita per un tempo indecifrabile, prima di sospirare: “Per entrambi”.

   Guarda altrove, in basso.

   “Haru, sto cercando di fare la cosa giusta per me”.

   “E per me? Qual è la cosa giusta per me ci hai pensato?”.

   “Haru...”.

   “Io ti amo...”.

   Trattieni il respiro.

   “... da sempre, anche allora non lo sapevo”.

   Si avvicina, ti afferra per le braccia e approssima il suo viso al tuo, obbligandoti a guardarlo negli occhi - il suo sguardo è così morigerato -, “So di non esserti indifferente. Non ricambieresti questo”.

   Sposta i grandi palmi a coppa sulle tue guance, come se fossero stati intagliati appositamente per questo, e posa le morbide labbra sulle tue. 

   Il modus operandi è completamente differente rispetto alla volta precedente. E’ carico di passione, è prepotente, è avido. La sua lingua lambisce bramosa il tuo labbro inferiore, per poi crearsi un passaggio tra esso e quello superiore, avvinghiandosi alla tua in un gioco viscerale a rincorrersi.

   Questo bacio è caldo, bruciante, ustionante. E’ il fuoco che hai sempre sospettato si celasse dietro la placidità di Haruka, e ti piace. Dio, se ti piace! 

   Istintivamente intrecci le dita tra i filamenti della sua zazzera fosca, mentre le sue mani scivolano sulle tue anche, stringendoti il bacino al suo. Per un momento fantastichi su come sarebbe stare con lui, non solo platonicamente, stare integramente con il coetaneo a cui sei avvinghiata à tout par tout. Scuoti mentalmente il capo e posi una mano sul suo petto alla sommità del cuore, interrompendo l’amplesso ed evitando di sostenere il suo sguardo, spaventata dalle tue possibili reazioni.

   Separarti da lui è doloroso come una stilettata, tuttavia devi farlo. Per essere coerente e corretta. Per non farlo soffrire.

   “Non posso stare con te né con nessun altro, finché non avrò chiuso questa storia”.

   

Accademia Samezuka - crepuscolo

 

   La palestra è deserta. L’unico rumore che si solleva dall’acqua, è il corpo seminudo di Rin che lotta per aprirsi un varco. 

   Schiaffeggia la parete della vasca con la mano destra e tempestivamente Nitori stoppa il cronometro, “Finito! Ottimo lavoro! L’ultimo scatto è stato incredibile, Matsuoka-senpai!”.

   Lo squalo non lo ascolta, si limita a fissare la sponda opposta. Nonostante la precarietà dell’ossigeno, appiccica nuovamente gli occhialini alle orbite, e ricomincia a nuotare, “Un altro giro”.

   “Eh?”, l’argentato sussulta stranito e perde un secondo prima di riaccendere il timer, “O-ok!”.

    Il cremisi si immerge, si tira in avanti con le braccia e si spinge a propulsione con le gambe verso il limite della piscina, ma anche delle sue forze.

    L’H₂O combatte, apre le sue fauci e cerca di sconfiggere quella creatura tracotante, pretenziosa di convivere in lei senza accettarla, impegnandosi per non farla vincere; lui non vuole far vincere nessuno al di là di se stesso, a meno che non si tratti di una competizione di squadra, evento che evita come un appestato.

 

   L’addestramento intensivo è terminato. 

   Rin spalanca l’uscio della camera e si lascia cadere sul letto, strofinandosi l’asciugamano nero con la scritta Shark ricamanta sopra la pinna grigia di un pescecane che spunta fuori dall’acqua.

   Nitori chiude la porta alle sue spalle e attraversa la stanza, scosta la tenda, osservando per un istante il cielo imbrunirsi, per poi attaccare bottone con un giovane particolarmente irritabile quest’oggi, “Sei fantastico, Matsuoka-senpai”.

   “Dovresti smettere di parlare di quanto io sia fantastico e focalizzarti su un tuo stile”.

   L’insicuro sedicenne distoglie lo sguardo abbattuto, “Sono una causa persa, non ho fatto alcun progresso”, lo rialza, sorridendo mesto, abbandonando ogni fiducia nel progresso, “Credo si tratti di talento”.

   Il più grande prende il cellulare tra le dita affusolate e vi trova un mms.

   Un mms? Gou?

   Lo apre e immediatamente la vista gli si acceca dalla furia. Stringe forte il dispositivo, digrignando violentemente i denti, finché una fitta non gli affligge le gengive, mentre l’argenteo dagli occhi di cielo prosegue il suo soliloquio unidirezionale, “Sono rimasto davvero impressionato da Nanase-san al nostro allenamento congiunto...”.

   “Nitori”, il diciassettenne si lascia scivolare il telo in grembo, abbassando grave la voce e squadrandolo obliquo, come un serial killer che sta scegliendo il lembo di carne più consono alla suo pugnale, “Lo pensi davvero?”, il ragazzino trasalisce, “Hanno appena aperto il loro club di nuoto e non hanno ancora fatto un vero allenamento”, il rosso si alza, dandogli le spalle, “Lo si può vedere dalla loro muscolatura. Non si sono esercitati”, lancia l’asciugamano e il kohai lo agguanta al volo come d’abitudine.

   Rin esce dalla camera e va a correre per schiarirsi le idee al chiaro di luna.

   Lo squalo modula il respiro, coordinandolo alla propria andatura. Eppure, stavolta la mente non gli si sgombra, non fa altro che pensare alla sua gara con Haruka. In tutti i sensi.

   Data la sua condizione fisica, la mia vittoria non vale nulla. Non conta come vittoria.

   Stormisce, _______.

   Nitori si accorge del telefono giacente sul letto del senpai. Sa che non dovrebbe, ma decide di darci una sbirciatina ugualmente.

   Tanto sarà bloccato, striscia il dito sulla scritta scorri, autoconvincendosi che comparirà una tastiera alfanumerica. Invece no. Il display si apre sulla schermata dell’ultima azione visualizzata: i messaggi.

 

Gou Matsuoka

Ne Nagisa, i nostri sospetti erano fondati! Guarda un po’ qua!

 

   I pixel si assemblano in una foto sfuocata, scattata da troppo lontano, raffigurante due figure all’ombra di un sakura, una con addosso l’uniforme femminile dell’Iwatobi, l’altra con un costume agonistico. Sullo sfondo scorge l’Oceano Pacifico. Il ragazzo è immerso in una piscina gonfiabile per bambini, mentre la ragazza è inginocchiata con il viso sopra il suo e gli circondo il collo con le braccia smilze.

   Riconosce i capelli d’ebano e il profilo dritto di Nanase e, anche se inquadrata di traverso, deduce che l’altra effigie, cui parte del volto è celato da ciocche [aggettivo forma] ribelli che, nonostante cerchi di fissarle dietro l’orecchio, sfuggono in avanti, sia tu. 

   Gli occhi celesti si sbarrano, seppure non si capisca bene dalla qualità dell’immagine se...

   Si stanno baciando?

   Qualunque sia l’esito, per Rin è affermativo.

 

Classe 2-1 - il giorno dopo

 

   “Haru-chan, Mako-chan, ciao!”, strepita Nagisa, sventolando una rivista sportiva e trascinando Rei nella vostra aula, “Ehi, aspetta, Nagisa-kun!”.

   “Ah, non c’è _______-chan?”.

   “No”, risponde Makoto, “E’ andata a fare un giro con delle sue amiche”.

   Il biondo apre il giornale sul banco di Haruka, indicando delle tute, “Ta-dan!”.

   “Uniformi?”.

   Annuisce gioioso, “Abbiamo un club di nuoto, quindi dovremmo prendere delle uniformi uguali”.

   “Ottima idea”, riflette il castano, afferrandosi per il mento sorridente, “Darà al nostro club più ufficialità”.

   Il pinguino si piega sulla rivista, per mostrare gli abiti che gli sembrano più consoni, “Dovremmo utilizzare questo modello e questo colore. E possiamo anche usare un’immagine in aggiunta all’emblema della scuola”.

   Quattrocchi sussulta, “Non starai parlando di Iwatobi-chan, spero”.

   Il coscritto lo scruta confuso, “Il piano era quello”.

   Il turchino si prende il volto tra le mani, “Ma non è affatto bello”.

   “Credo che la divisa della Samezuka comprenda uno squalo e una katana”, il capitano cerca di coinvolgere il moro nella conversazione, ma egli rimane incantato nel vuoto, estraendo un album e una matita. 

   “Il loro è fantastico!”, prosegue l’iperattivo sedicenne, “Allora potremmo mettere un vero pinguino sui nostri. Che ne pensi, Haru-chan?”.

   Il delfino comincia a scarabocchiare sopra il blocco da disegno. Quando finisce, mostra il capolavoro, ovvero la versione geometrico-tridimensionale di Iwatobi-chan, agli altri, e l’occhialuto ne rimane colpito a differenza di Makoto, che considera l’apertura mentale dell’amico ampia al pari dell’ala di un moscerino.

   “Stupendo”.

   “Dobbiamo parlarne con le manager!”, sentenzia Nagisa, avviandosi in corridoio alla vostra ricerca, al fine di discuterne al quartier generale.

   “Sarà dura convincerle entrambe”, si lamenta l’orca.

   “Sembrano piuttosto toste”, partecipa Rei.

   “_______ lo è di più”, conferma il moro.

   “Ma è una necessità per distinguerci. L’hai detto tu stesso che le uniformi ci darebbero più ufficialità, Mako-chan”.

   “Devi tenere in conto il budget del club”.

   “E’ vero”, s’incupisce il pinguino, “Speriamo che _______ sia di luna buona. In particolari periodi del mese diventa davvero crudele”.

   “Nagisa!”, lo riprende il più alto.

   “Che c’è? E’ la verità. Ah guardale là!”, vi corre incontro, “_______-chan, Gou-chan!”.

   “Io mi chiamo Kou!”.

   “Venite in piscina, dobbiamo parlarvi”.

   Tu e la rossa vi scambiate uno sguardo dubbioso, ma allo stesso tempo curioso ed eseguite in silenzio.

   Gou strappa di mano la rivista a Nagisa e se la getta alle spalle, mentre mostra loro il programma di allenamento che avete stilato, “Dimenticate il comprare uniformi identiche per il momento. Ecco!”.

   “E’ un nuovo regime di allenamento?”, chiede il bruno.

   “Esatto!”, conferma, “Abbiamo rinnovato il regime tenendo presente che Rei-kun non sa nuotare”.

   “Rei-kun!”, prorompi.

   “Ch-che c’è?”, balbetta intimorito l’interpellato.

   Controlli la tua agenda, “Vista la quantità di tempo che abbiamo fino alle regionali, devi imparare a nuotare entro una settimana”.

   “Entro una settimana?”, il giovanotto scoppia a ridere chiassosamente all’assurdità dell’obiettivo, agitando convulsamente un polso, “E’ concettualmente impossibile”.

   Ti avvicini a lui aggressiva, “Non c’è niente da ridere!”.

   Arrossisce per la vicinanza, ma soprattutto perché si sente messo alle strette da una ragazza che a mala pena gli arriva al petto, “Ok!”.

   Affili lo sguardo, “Se fallirai, non potrai completare questo programma di allenamento”, gli porgi il foglio:

 

Regime di allenamento del club di nuoto Iwatobi

                                                                                                                                    ☆Per Rei-kun: svolgere gli esercizi a metà

 

                        W-up          200 .............. choice

                                          4x50............. IM easy 25/hard 25 1’15”

                                          2x100........... S   2’00” 〜 2’10”

                                          2x200........... Fr  4’00” 〜 4’20”

                                          2x25............. IM hard       0’40”

 

   Rei sbianca, analizzando criticamente il resto del documento, Non ce la farò mai. E’ disumano!

   “E’ meglio metterci al lavoro”, conclude Gou, “Abbiamo già preparato il countdown”.

   “La pressione aiuta a fortificarsi”, sorridi preminente.

- 7 giorni!

   Tu e la tua assistente vi mettete le tute e li osservate assieme ad Ama-chan, mentre i ragazzi provano ad insegnare al nuovo membro a nuotare.

   “Inizierò io”, si offre il biondo, “Posso insegnarti lo stile rana”.

   Il compagno si sistema gli occhialini nella stessa modalità di quando porta gli occhiali - è proprio un tic! - e abbassa il tono di voce per apparire più risoluto, “Breaststroke o rana, giusto?”

   “Hai fatto i compiti, Rei-chan”, lo prende in giro Nagisa.

   Tuttavia il turchino non coglie l’ironia, “Ho imparato tutti i concetti. Devo solo capire come metterli in pratica. Tutto qui”.

   “Allora cominciamo con le gambe”, gli tende le mani e il coscritto le afferra, inabissandosi in acqua, divaricando le ginocchia in simbiosi e mettendo i piedi a martello così da imitare una vera e propria ranocchia.

   “Sugoi, Rei-chan! Hai una forma perfetta”.

   “Ovviamente”, gongola l’altro.

   “Adesso ti lascerò andare”.

   “Fai pure”.

   Mollano la presa e l’occhialuto inizia a protendere le braccia, molleggiando su e giù il busto e il capo per fare frequenti boccate d’aria. Tuttavia qualcosa va storto.

   “Wow, anche il tuo stile è perf...”.

   Va a fondo.

   Balza in piedi, ansimando, “Perché?”.

Altri 6 giorni!

   “Proverò io”, decide Makoto cortese, “Se hai problemi con la rana, possiamo iniziare con il dorso: si tiene la faccia sopra la superficie, quindi è più facile per le persone che hanno paura dell’acqua”.

   “Non ho paura dell’acqua”, s’impermalisce Rei, seguendo ugualmente i consigli del superiore, cioè immergendosi di schiena in piscina, affidando le braccia allungate al coach.

   “Muoviti lentamente. Così”.

   Nagisa si infila una felpa del suo colore preferito, giallo, e si siede a bordo piscina accanto ad Haruka che, al solito anche se non sta nuotando, tiene gli stinchi a mollo e un asciugamano intonato ai suoi due laghi salati in testa.

   “Sa come si galleggia”, pensa ad alta voce il biondo, Allora perché non riesce a nuotare?

   “Ovviamente ieri non ero in ottime condizioni”, si autoconvince l’allievo.

   “Ti lascerò andare, allora”, lo avverte Marcantonio.

   “Vai”.

   Il castano molla la presa, l’intellettuale comincia a mulinare gli arti inferiori senza preoccuparsi del recupero di ossigeno, ma la sua testa finisce comunque sott’acqua accompagnata da tutto il resto del corpo, finché la sua spina dorsale non tocca le piastrelle pavimentali.

   Nuovamente, Quattrocchi riemerge, gracchiando la gola e respirando a stento, “Cosa sbaglio?”.

   Il pinguino si stende afflitto sul bordo della vasca, lasciando a penzoli falangi e falangette, “Non c’è speranza”.

   “Haru-chan, insegnagli a nuotare!”.

   “No, troppo effort”.

   “Dai, non fare così!”, gli si struscia addosso il biondo con fare puerile.

   “Così non va...”, bisbligli con le braccia incrociate, rimanendo in piedi insieme da parte a Amakata-sensei, che, di consuetudine, si protegge dal sole, temendo di cominciare a fare fotosintesi.

   “Ci sono!”, interviene Gou al tuo fianco, inclinandosi di lato per avere un contatto visivo con la docente, “Ama-chan-sensei, ha qualche buon consiglio da darci?”.

   Giusto! Ama-chan è la Wikiquote dell’Iwatobi!

   Chiude la mano a pugno, sorreggendo l’ombrello nero con l’altra, “Vediamo...”.

   Socchiude gli occhi, mentre vi avvicinate.

   Arriva Nagisa.

   La donna serra le palpebre.

   Anche Haruka è incuriosito.

   Strizza di più gli occhi, cominciando ad emettere strani suoni di concentrazione.

   Si aggiunge anche Makoto, mentre la distanza tra voi e la donna diventa soffocante.

    L’ultimo ad unirsi è Rei.

    Tutti la fissate apprensivi di ottenere una risposta ai vostri dubbi.

   Sulla fronte dell’insegnante si formano delle piccole rughe d’espressione, quel flebile miagolio si intensifica.

   Nani mo nai.

 

  La osservo da giorni.

   I capelli costretti nell’elastico coordinato alla tenuta ginnica; la luce soave negli occhi concentrati; le fattezze [aggettivo] fasciate dal costume intero agonistico; la flessibilità delle gambe [aggettivo] pronte a slanciarsi nel vuoto, organiche alle braccia protese, allungate ad afferrare il bordo del trampolino con lo scopo studiarne la giusta oscillazione per il balzo; la sinuosità della spinta e della sua figura appallottolata e poi distesa in avvitamenti sempre più forzati e stretti, fin quando le dita violano l’acqua della piscina.

   Nonostante ci incontriamo da giorni ormai, nonostante gli esercizi, rassodanti per lei e di potenziamento per me, non ci scambiamo mai più di qualche parola di circostanza circa la scuola che facciamo, lo sport che pratichiamo, e qualche battuta buttata qua è là sull’essere imperlati dalla fatica.

   Perché mi ignora?

   Ho un bell’aspetto, sono piuttosto alto, atletico e ho sempre avuto un considerevole successo sulle donne per la particolarità dei miei connotati.

   Allora perché con lei non funziona? E’ la prima ragazza che riesco a sedurre e questo mi fa impazzire ed eccitare al contempo. 

   Sento il profumo della sfida e il premio finale è alquanto allettante. Molto carina, è distante, gioca a fare la preziosa.

   Lei mi piace. Eccome se mi piace. Come mai nessuna prima. Potrebbe essere quella che ho sempre cercato.

Altri 5 giorni!!

   Piove.

   Allenarsi è impossibile, indi per cui decidete di trovarvi tutti a casa Nasase per il tè e per discutere della situazione problematica dell’occhialuto.

   Come sempre, Nagisa decide di prendere la parola, “Ok, iniziamo la riunione “ Scopriamo perché Rei-chan non riesce a nuotare”.

   Il turchino guarda dritto la sua tazza di sencha, troppo a disagio per sostenere i vostri sguardi indagatori.

   “Ci sono suggerimenti?”, chiedi.

   Il corvino lo scruta criticamente, dalla sua espressione pare che il suo pensiero a riguardo sia stato ponderato con estrema accuratezza e scientificità, e invece...

   “Non piace all’acqua”.

   Avresti dovuto sospettare un’uscita simile...

   “Povero Rei-chan”, si affligge il pinguino.

   “Non può essere”, confuta il capitano e tu non potresti essere più d’accordo.

   “Forse manca di atleticità”, ipotizza Gou.

   “Rei è molto veloce”, la correggi, riferendoti alle sue prove di salto con l’asta.

   L’oggetto di discussione si sente sempre più a disagio.

   “Ha anche ottimi voti nei test”.

   “Dev’essere intelligente”, pondera l’orca, come se il kohai non fosse presente.

   “Ti piacciono gli sgombri?”.

   Ti accigli, Questo sarebbe un criterio di abilità, Haru...?

   “DHA”, rifletti a bassa voce, pensando al principale componente del cervello che, tramite un acido grasso semiessenziale della serie omega3, conferisce alle membrane nervose le caratteristiche di flessibilità e fluidità del processo cognitivo e del corretto sviluppo neurale e di plasticità sinaptica. E’ chiaro che Rei introduca nella propria dieta integratori di DHA, altrimenti non potrebbe avere una memoria e un livello di apprendimento così alto.

   “Ho capito!”, si alza sulle ginocchia il biondo, “La sua testa è troppo pesante!”.

   La rossa si schiera dalla sua parte, “Tutto quello studio ha ingrandito il suo cervello!”.

   La pazienza ha un limite.

   L’ex-saltatore con l’asta salta in piedi, urlando e sbattendo i palmi sul tavolo - per poco non rovescia il tè, “Basta così! Il problema è il vostro modo d’insegnare! Se avessi un coach adatto, farei di meglio!”.

   “Un coach”, mormora Makoto e subito le sue iridi irlandesi si illuminano, “Uno c’è!”.

   

   Ordinate una pizza e chiedete espressamente che vi venga portata dal pizzaboy con le orecchie ingioiellate da piercing.

   “Che?”, domanda l’uomo scettico, mentre Nagisa agguanta due fette filanti di pizza alla diavola, “Volete che insegni ad un ragazzino che affonda come un sasso, perché ero un istruttore?”.

   Il diretto interessato obietta con alterigia, “Riesco a galleggiare, quindi non affondo come una roccia. Un’analogia più accurata mi definirebbe un sottomarino”.

   Il sauro s’intromette, mangiucchiando un po’ ognuna delle due fette, “Ne Goro-chan, vorremmo che gli insegnasse a nuotare”.

   “Non parlare a bocca piena!”, si alza da tavola, “Io sono un uomo impegnato. Perché non gli insegnate voi?”.

   “Ci abbiamo provato!”, intervieni, ma ormai il vostro ex-insegnate sta già varcando l’uscio.

   “Ci si vede”.

   “Non ha funzionato”, ti rassegni, osservando il pinguino che afferra la sua terza fetta, tenendo le precedenti in bocca o nella mano opposta. Gou è esterrefatta: metà pizza l’ha mangiata solo lui.

Altri 4 giorni!!

   Il cielo è ancora leggermente nuvoloso, eppure non ci sono segnali di pioggia.

   Vi riunite in piscina per gli allenamenti come ogni pomeriggio e Rei, puntando gli occhi alla sfera celeste, annuncia soddisfatto di aver trovato finalmente la ragione del suo fallimento, “La risposta era proprio sotto il mio naso. La risposta è...”.

   “La risposta è?”, ripetete in coretto.

   “Il mio...”, si indica platealmente lo speedo arlecchino con disegnato un pinguino papua sul sedere, “... costume fa schifo!”.

   “Ricordati che te l’ho prestato io”, si rattrista Nagisa, “Che cattiveria!”.

   “Ma quale cattiveria! Questo slip non è adatto al mio corpo”, stringe i fianchi, strizzando le natiche e poggiandoci sopra i pugni, “E’ un fattore su cui non avevo ancora ragionato”.

   “E’ un po’ troppo perfettino”, mormora il biondo all’amico più grande.

   “Beh, non vedo perché non possa comprarsi un nuovo costume”, fa spallucce il capitano.

   Haruka si sommerge in apnea.

 

   Cammini sotto la luce aurea dei lampioni accessi, accoccolandoti nella giacca a semplice taglio sartoriale e avvolgendoti nella pashmina per proteggerti dal vento.

   Ti fermi per controllare l’ora.

   19.47. 

   Arriverai in ritardo per cena.

   Sblocchi lo smartphone e digiti le prime cifre del numero di casa, quando, ad un tratto, scorgi con la coda dell’occhio l’ombra di una persona. Ti  volti a tre quarti, confermando la tua impressione e credi di riconoscerlo, seppure la sua lontananza dal bagliore artificiale che illumina la strada lo renda poco visibile. Ne deduci che sia un ragazzo sconosciuto alle pigmentazioni, pallido, diafano, quasi opalino, dalla zazzera lattea di media lunghezza che incornicia occhi di primo acchito vermigli, in quanto permettono di vedere i vasi sanguigni celati normalmente dall’iride, ma in realtà sono trasparenti.

   Albino, colleghi l’identikit all’universitario che frequenta la tua stessa palestra e con il quale hai scambiato un paio di frasi, smettendo subito non appena ti sei resa conto di un certo di interesse da parte sua. In quel momento ti sei anche maledetta, dicendoti che non avresti dovuto accettare le sue battutine, punzecchiandolo a tua volta: lo hai inconsciamente illuso. 

   Non vuoi parlarci. Non vuoi rischiare di accrescere il suo struggimento, inconsapevole che è proprio la tua indole difficile ad attrarlo di più: sei una provocazione.

   Fingi di non averlo notato, guardando il display e finisci di comporre il tuo numero fisso, incamminandoti. Tua nonna, dolce come sempre, risponde, dicendoti che ti lascerà la cena un piatto con il filetto di orata al sale e patate ad attenderti nel microonde. Sorridi anche se lei non può vederti e la ringrazi. Chiudi la conversazione e, ancora una volta, lanci un’occhiata alle tue spalle: è ancora lì. Cominci a spaventarti.

   Ti sta seguendo oppure è solo una coincidenza?

   Cosa vorrà? 

   Avrà cattive intenzioni?

   Probabilmente avete un pezzo di tragitto in comune. Magari non si è nemmeno accorto della tua presenza.

   Continui a spingere un piede di fronte all’altro, aumentando in passo.

   No, è decisamente troppo tempo che passeggia a un paio di metri di distanza. 

   L’agitazione si sta radicando sempre più in te; il tuo istinto lancia incessantemente allarmi di pericolo. Qualunque cosa accada, non deve scoprire dove abiti, ma soprattutto non deve allacciare una conversazione.

   Un’insegna ti acceca. Realizzi di essere di fronte ad un negozio di musica aperto ventiquattro ore su ventiquattro, ti ci rintani dentro, nascondendoti dietro allo scaffale dei dischi in vinile e altri articoli da collezionismo. Sbirci fuori dalla vetrina, dove lo sorprendi lì fuori con il cellulare all’orecchio. Grazie alla luminosità dell’impianto elettrico del locale, confermi l’identità del giovanotto: è proprio lui.

   Goemon.

   Ventiduenne; 

   Praticante agonistico di kendo a livello nazionale;

   Studente di economia e commercio;

   Mancino.

   Non il momento di pensare a queste sciocchezze!, ti sgridi. 

   Devi agire.

   Come? Sono bloccata qui.

   Devi chiamare qualcuno. Qualcuno di forte e che possa incutere timore. Di consuetudine penseresti a Rin, eppure il primo nome che ti aleggia nella mente è Makoto.

   Makoto è alto, dal fisico slanciato e robusto, e, nonostante l’espressione benevola, sai che potrebbe suscitare insicurezza, persino dubbio o fifa in uno sconosciuto, utilizzando quel cipiglio che gli si forma a causa della concentrazione quando nuota.

   Forse hai pensato a lui soltanto perché Haruka non controlla mai il telefono, o perché Rin è troppo lontano per arrivare in tempo. Forse perché il castano ti infonde sicurezza. Fatto sta che è stato il suo timbro quello che hai sentito distorto dall’altro capo della cornetta.

   “Pronto?”.

   “Makoto, sono io”.

   “_______?”.

   “Scusa se ti disturbo, ma vedi…”, cessi di parlare interrotta da sottili singhiozzi.

   “Cos’hai? Stai piangendo. E’ successo qualcosa?”.

   “Ecco… io…”. Spieghi al tuo amico d’infanzia ciò che sta accadendo, lasciandolo paralizzato dal tormento ad occhi sbarrati.

   “Dove ti trovi ora?”, dice alzandosi dal divano, preoccupando suo padre intento a leggere il giornale.

   “All'emporio di CD vicino alla scuola media. Makoto ho tanta paura”.

   “Stai calma e non uscire da lì. Arrivo subito”.

   Il capitano dell’Iwatobi varca l’ingresso di casa senza neanche coprirsi, troppo preso dal senso di pericolo, ignorando completamente i richiami di sua madre che lo interroga per ottenere spiegazioni.

   La cosa che più lo inquieta è sentire la tua voce, così sicura e cristallina, affievolita, ritorta, stravolta dal terrore. E questo lo spinge ad aumentare il ritmo della sua corsa febbrile, tumultuosa, quasi convulsa.

   Si scontra con la gente, scusandosi alla ben e meglio senza fermarsi un momento, maledicendoli per il fatto che i pendolari di ritorno alle famiglie devono per forza andare tutti nella direzione opposta alla sua.

   Scende dal marciapiede e attraversa senza guardare, ricevendo in risposta sonori colpi di clacson e lo stridio dei pneumatici che inchiodano di colpo.

   Dopo un tempo apparentemente interminabile raggiunge il locale, le porta automatiche si aprono e Makoto si dirige immediatamente alla corsia con la scritta Antiquariato e collezionismo, cercandoti. Quando ti trova, si appoggia alle ginocchia per lo sforzo. Non sei mai stata così felice e sollevata di vedere il suo viso, seppure accigliato e corrucciato.

   “Che succede?”, boccheggia.

   “Quel ragazzo là fuori”, fai un cenno con la testa, “Viene sempre nella mia stessa palestra. Mi ha seguita fino a qui”.

   “Da quanto ti trovi qui?”.

   “Venti minuti/mezz'ora”.

   L’orca spalanca gli occhi, per poi affilare lo sguardo rabbioso. Non lo avevi mai visto sotto questo aspetto.

   “Questo si chiama stalking!”. 

   Serri le palpebre mentre strepiti che non sapevi cosa fare.

   Ti abbraccia, adagiandoti il capo contro il suo ampio petto, mentre ci appoggia sopra il mento e ti accarezza la schiena con una mano, “Hai fatto bene a chiamarmi”, ti sorride rassicurante ed immediatamente ti calmi. Si avvicina al bancone delle novità, acquista l'EP di un autore del quale non riconosci la copertina e, circondandoti le spalle con il braccio libero, ti scorta fuori dal negozio, salutando educato il proprietario.

   Percependoti ansiosa, fuori dal locale ti incolla ancora più vicina a sé, sussurrandoti che andrà tutto bene.

   L’albino rimane in disparte, mormorando un flebile lui disorientato e chiedendosi chi diavolo sia il ragazzo al tuo fianco.

   “_______”, ti chiama Makoto, mentre l’altro fa un passo nella vostra direzione, “Ti amo”, dice quando è abbastanza vicino e ti bacia con quelle labbra gentili, ma enfatiche; ne avverti l’incandescenza e l’astio nei confronti dal malintenzionato e, avendo tenuto gli occhi aperti, noti lo sguardo assassino che, dopo aver assaporato per un poco il contatto, riserva all’altro. Lo fissa, finché Goemon non alza i tacchi e se ne torna da dove è venuto.

   “Se ne è andato”, conferma l’orca, segnando la parola fine alla vostra carezza.

   Ti guarda, scoppiando a ridere all’istante del tuo imbarazzo, “Era solo per farlo andare via”, si giustifica, portandosi una mano alla nuca, conscio di aver mentito clamorosamente.

   "Ti va un gelato?".

   Svoltate l'angolo del distretto, confidando che la vecchia gelateria italiana che frequentavate da ragazzini sia ancora lì. Fortunatamente è così. Vi entrate e ordinate due coni: pistacchio e cioccolato per lui e [due gusti].

   “Ci incamminiamo?”, proclama, portandosi il dolce alla bocca e lambendolo, lasciando sollevare il rumorino sordo dei pezzetti di cioccolato fondente che si frantumano tra mandibola e maschella.

 

   Arrivate davanti al cancelletto di casa tua.

   “Sei stata silenziosa tutto il tempo”, esordisce Makoto, “E’ comprensibile dopo quello che hai passato”.

   Ti concentri sulla punta delle tue scarpe, torturando il manico della tracolla, “Mi dispiace di averti disturbato?”.

   “Disturbato? Quale disturbo!”.

   Punti le iridi [colore] negli smeraldi di lui. Piccole lacrime ti solcano le guance, “Grazie”, singhiozzi, “Grazie per essere venuto!”.

   Ti cinge di nuovo a sé, contenendo gli scatti del tuo addome ritmici al pianto, “Non mi sarei mai perdonato, se ti fosse successo qualcosa”.

   Allacci le dita al tessuto della sua maglietta verde quadrifoglio, affondando il viso nel suo torace e ringraziando mentalmente l’inventore del mascara waterproof.

   "Ah", Makoto estrae dal sacchettino di plastica dell'emporio musicale un CD e to lo porgie, "Questo è per te. Non credo che tu l'abbia mai sentito, ma potrebbe piacerti. La traccia 3 è una delle mie preferite", sorride e tu fai altrettanto, limitandoti a prendere quel piccolo contenitore in plastica trasparente - Xavier Rudd, leggi mentalmente; giri la copertina, Traccia 3... Spirit Bird, il titolo ti ispira - ancora troppo scossa per aggiungere altro.

   Una fosca figura dallo sguardo di grana e i capelli di porpora gira l’angolo alla vostra sinistra, lasciandosi sfuggire dai denti a rasoio una fragorosa risata amaramente frustrata.

   Haru;

   Makoto;

   Io.

   Che folla!

   Ultimi 3 giorni!!

   Salite sul primo treno diretto in centro. Cercate posto, ma non ci sono abbastanza sedili per tutti, perciò alcuni - tra cui te - dovettero restare in piedi.

   Gou indaga ammirata il tuo abbigliamento fatto di maxi-felpa [colore scuro slavato] con bordi effetto vintage dal taglio vivo, retro con squarci e inserto in pizzo tono su tono su tutta la schiena, che avanza appena appena sotto l’orlo inferiore; collana lunga da cui avanza un ciondolo argentato; skinny jeans attillati; e Dr. Martens [materiale e colore]. Il tutto completato da un make-up acqua e sapone femminile.

   “Wow _______-chan, stai davvero bene! Non ti facevo così rock-chic”.

   Ti lisci il merletto e sorridi, “Stamattina ero in una vena british”.

   “Adoro la tua felpa! Devi darmi qualche dritta sul vestiario”.

   Studi il look semplice e leggermente hippie della ragazza, caratterizzato da una gonna lunga a tubino, una canottiera aderte azzurra e una maglietta gialla larga e corta con la scritta Good girl .

   “Perché? Questo stile ti si addice molto”.

   La kohai sorride timidamente, “Dici? Grazie! Ma la mia era più una scusa per invitarti ad andare a fare shopping insieme ogni tanto”. 

   Ti copri la bocca con la mano nel tentativo di trattenere le risate, “Oh Kou, bastava che me lo chiedessi! Anche se sono sempre circondata da uomini, non vuol dire che non mi piaccia divertirmi tra ragazze”.

   “Per te va bene?”.

   “Ma certo! Sono cose che le amiche fanno”.

   La rossa arrossisce dalla gioia, contenta che tu la consideri più di una semplice assistente, “Beh, in effetti ci sarebbe una boutique di scarpe che ho vist...”.

   “Non ci pensate nemmeno”, la stoppa Rei, “Non ho intenzione di seguirvi per negozi”.

   “Già”, conviene Nagisa, “Per quello ci sono i fidanzati, n’é Haru-chan”, gli dà piccole gomitate gioconde al bicipite.

   L’interpellato si volta dal lato opposto, imporporandosi un poco. 

   “Zitto”, dite all’unisono, poi continui, rivolgendoti al turchino, “Fino a prova contrario siamo noi che ti stiamo accompagnando per negozi”.

   La recluta coglie al volo il tacito rimprovero e abbassa la testa, ammutolendosi. Uno a zero per te!

   Come al solito è Makoto a sedare la situazione, “Allora, perché Ama-chan-sensei non è venuta con noi a comprargli il costume da bagno?”.

   “Lavorava per un’azienda di costumi a Tokyo, no?”, interviene Gou.

   Il pinguino incrocia le braccia dietro il capo, “Beh, io le ho chiesto di venire, ma...”.

   La giovane donna dagli occhi dolci e il sorriso gentile, incorniciati da un carré di cioccolato al latte comincia a sudare freddo alla richiesta del suo allievo più turbolento. 

   Tentenna, congiungendo le mani tra loro o portandosi l’indice alla fronte, strizzando le palpebre, “Ehm... domenica ho altro da fare... E poi, ci sono altre marche! Potrei essere di parte... Ho le mie ragioni... Non saprei fornire una prospettiva oggettiva...”.

   Lo fissate allibiti.

   “A me sembrano solo scuse campate per aria”, commenta Quattrocchi sconcertato da tanta incompetenza.

   *Prossima fermata: megastore Zero*

   Al suono dell’annuncio iniziate ad alzarvi per appropinquarvi alle porte automatiche. Scendete, uscite dalla stazione e vi dirigete immediatamente al centro commerciale, specializzato negli sport, Zero.

   Entrate nel reparto Sport acquatici dove venite subito investiti dall’afrore dei costumi powerskin idrorepellenti.

   “Ce ne sono un sacco tra cui scegliere”, afferma Gou, facendo scorrere gli ometti dei vari bermuda carbon-pro che gli capitano a tiro.

   “La fluidità meccanica ti direbbe che i numeri di Reynolds e la teoria dello strato limite sono i punti chiave”, spiega Ryugazaki vanaglorioso, esaminando i vari modelli, “ma credo che anche il colore giochi un ruolo psicologico”, trova uno scaffale di occhialetti, tra cui nota una fila fatta di paia graduati, “Mi serviranno anche degli occhialini da vista. La visione sfocata potrebbe essere un altro motivo dei miei problemi”.

   Il compagno di classe, alle sue spalle, si alza sulle punte per raggiungere l’altezza del coetaneo, levandogli gli occhiali e mettendoseli sul naso, “Non riesci a vedere senza occhiali?”.

   “Aspetta!”.

   “Non ho imparato nessun concetto”, lo scimmiotta l’altro, indossandoli.

   “Ehi, Nagisa-kun, ridammeli! Ti rovinerai gli occhi!”.

   Sbuffi.

   Ti giri verso Haruka al tuo fianco, accorgendoti che sta osservando con un certo interesse due paia di costumi-bermuda con delle linee simmetriche ametista.

   “Mi provo questo”, dice, sollevando quello a destra.

   “Oh, anche Haruka-senpai vuole provare un costume”, sussurra la sorellina di Rin.

   Un altro?, ti domandi sbigottita.

   Accompagnate i due ai camerini, che tirano la tendina e vi lasciano fuori ad aspettarli.

   “Avete finito?”, pone impaziente il biondo.

   “Chiaramente, questo mi sta meglio di uno slip”, replica l’occhialuto, posando soddisfatto a braccia conserte con addosso un costume a lungo fino alle caviglie...

   “Rainbow?!”.

   “Un arcobaleno, Rei?”, esulta Nagisa - l’unico che troverebbe un accostamento cromatico simile apprezzabile. 

   “Ogni colore ha un diverso impatto psicologico”.

   “Quindi non ti importa di come appaia?”, sibila il capitano sbalestrato.

   “Ho finito”, avverte il corvino, suscitando il tuo interesse, mentre apre il drappo del camerino, “Che ne pensi?”, si rivolge a te.

   “Ti sta bene... ma non saprei riconoscere la differenza dal solito costume”.

   “Non è lo stesso?”, ti appoggia il pinguino.

   “No, questo mi calza meglio”, dichiara con dolcezza, come se quel costume fosse il regalo più grande che la sua amata acqua possa fargli, al fine di stare con lei. In principio arrossisci per l’intensità di quell’espressione pacifica, però muti, ingelosita. 

   Assurdo! Ora sono invidiosa di un liquido!

   Per evitare altri equivoci sentimentalisti, raggiungi Gou seduta sorniona sulla panchina di fronte a voi. Le siedi accanto, ma quasi non si accorge della tua presenza, troppo presa dalla sue fantasticherie.

   Camerini e muscoli... Questa è una bella combinazione che non si vede tutti i giorni!

   Sogghigni, “Non ti sei ancora abituata a vederli mezzi nudi?”.

   “Eh! Ecco... Io... Insomma...”.

   Ridi più forte, “Non preoccuparti! Anche a me capita di soffermarmici. Suppongo sia normale”.

   “_______-chan, pensavo che per te fosse diverso: sei così sciolta con loro”.

   “Al contrario, ci penso, soprattutto di recente. Probabilmente mi controllo un po’ di più, perché siamo cresciuti insieme. Eccetto Nagisa. A lui non penso mai in quel senso. Anche in costume da bagno, lo vedo ancora come il bambino che io e le sue sorelle truccavamo e vestivamo da donna”, ridacchi.

   “Hai paura di rovinare l’amicizia con Haruka-senpai?”.

   Ti irrigidisci di punto in bianco. Il rapporto con Haruka è sempre stato un po’... complicato. Lui ti ha sempre suscitato un interesse indecifrabile, per via della sua riservatezza e scostanza, nonostante fare la conoscenza di Rin ingarbugliò tutto ulteriormente.

   “Sì”, concludi, sapendo che non è esattamente così che stanno i fatti.

   “Lo stesso vale per Onii-chan?”.

   Appunto.

   “Con Rin è stato diverso, ci siamo piaciuti dal nostro primo incontro- beh, sarebbe meglio dire scontro. Non siamo mai stati solo amici”.

   “In più adesso ci si mette pure Makoto-senpai”.

   “Makoto?”, chiedi stordita.

   “Non vorrai farmi credere che non ti sei accorta del suo interessamento nei tuoi confronti?”.

   “Quale interessamento? Non capisco”.

   Gou si colpisce teatralmente in fronte, “Benedetta ragazza! Quel poveretto sta patendo, perché non sa come gestire le sue emozioni. Prova qualcosa di forte per te, però teme di compromettere la sua amicizia con Haruka-senpai”.

   “Aspetta. Tu stai dicendo che Makoto, quel Makoto”, indichi, “che mi ha sempre protetta e rincuorata, ha una cotta per me?”, ridi di gusto, nonostante istantaneamente la tua memoria ti riporta al bacio tramite il quale ti ha soccorsa: sembrava troppo… come dire… vero, “Questa è buona!”.

   “Non sto scherzando, _______-chan! Gli si legge in faccia. Sicuramente il suo atteggiamento difensivo ne è la prova”.

   Alzi gli occhi al cielo, sorridendo, “Ci penseremo quando e se si presenterà l’occasione”.

   “A proposito. Devo dirti una cosa”.

   Oh-oh. Brutto segno!

   Le conversazioni più imbarazzanti o drammatiche partono sempre con una frase siffatta e, dal suo sguardo, deduci che ne ha combinata un’altra delle sue.

   Sollevi un sopracciglio, “Cosa hai fatto stavolta?”.

   “Ecco… vedi io… ti ho vista con Haruka-senpai il giorno della piscinetta gonfiabile e…”, già il fatto che vi abbia scoperti ti fa impallidire, “Beh, vi ho fatto una foto”. 

   La cosa non ti fa piacere, però neanche di infastidisce particolarmente, più che altro perché non capisci la natura della confessione, “Ah”.

   “Questa foto la volevo mandare a Nagisa”, ti allarmi di nuovo, “perché da un po’ spettegolavamo su una possibile storia segreta, ma…”, la voce le muore in gola, riducendosi a un sibilo incomprensibile.

   “Ma?”.

   Non risponde.

   “Ma cosa?”, incalzi.

   Strizza gli occhi, congiungendo le mani in segno di preghiera, e getta fuori tutto d’un fiato, “Ma per sbaglio l’ho inviata a Onii-chan! Ti prego, perdonami!”.

   Nella tua mente scorrono veloci tutte le imprecazioni immagazzinate nella tua memoria e vorresti rovesciargliele addosso in un vomito incontrollato di parole; però la sua espressione sinceramente dispiaciuta e affranta, intenerisce l’eruzione a scoppio del tuo vulcano interiore, impedendoti di ustionarla metaforicamente con la lava incandescente della rabbia. Tuttavia, nonostante il tuo immenso autocontrollo, proprio non ti riesce di perdonarla, non adesso, almeno, che il torto subito è ancora così fresco e bruciante.

   “Vado a provarmi qualcosa”, ti congedi.

   Raggiungi il camerino più vicino con almeno cinque grucce di completi interi di differenti stili, decorazioni e scollature, fregandotene che sia quello del reparto maschile.

   Sistemi gli ometti all’attaccapanni inchiodato alla parete del piccolo abitacolo, ti spogli, abbandoni i vestiti sul puff quadrangolare beige e ti infili il primo costume che ti capita a tiro. Insoddisfatta dell’immagine frammentaria che ti concede lo specchio interno al camerino, scosti il drappo turchese per la privacy ed esci, intenzionata a cercare uno specchio che ti permetta di vederti integralmente.

   La tenda accanto alla tua emette il medesimo suono, accompagnato da una voce baritonale fin troppo familiare che cerca una persona anch’ella altrettanto familiare: Nitori.

   Una chioma rossa emerge dal camerino, agitandosi qua e là, quando due rubini incrociano il tuo sguardo, “_______?!”.

 


Note d'Autore

 

Salve a tutti! 
 Mi scuso profondamente per non aver pubblicato nulla così a lungo, ma ero (e sono) molto presa dalla scuola e dai mille impegni quotidiani, perciò ero impossibilitata anche solo a pensare ad un seguito della storia, anche perché ero in uno stadio di stallo in cui nulla di ciò che scrivevo mi convinceva. Tuttavia l'attacamento emotivo che ho con questa fanfic mi ha spronata a ricominciare a scrivere, anche grazie ai consigli e alle parole di incoraggiamento di Akychan. Ti ringrazio davvero dal profondo e ringrazio anche coloro che mi hanno sempre seguita fin dagli albori di The Reader.
Mi auguro che la mia assenza non vi abbia fatto perdere interesse in questa storia e che continuerete a sostenerla.
Claire DeLune.
Termini
Nel primo paragrafo dedicato al personaggio misterioso, i termini giapponesi utilizzati sono tutti movimenti specifici del kendo, però sono descritti al contrario, in quando il personaggio è mancino. Quindi avrà la guardia a sinistra, sarà più forte quando attacca la destra dell'avversario, ecc...
Metsuoke > tenere sempre lo sguardo fisso negli occhi dell'avversario.
Shizentai > è la posizione base.
Shinai > nome della spada in legno di bamboo e correlato al modo corretto di impugnarla.
Ayumi-ashi > primo movimento dei piedi.
Ki-ken-tai-no-icchi > voce-spada-salto-attacco; coinsiste nel fendere un attacco all'altro, annunciandolo con un urlo e balzandogli alla giusta distanza contemporaneamente.
Mawai > distanza da coprire per colpire l'avversario.
Hidari-men > attacco alto laterale da sinistra.
Zanshin > secondo attacco repentino.
Gi > parte superiore del kimono da combattimento.
Hakama > gonnapantalone tipica.
Dojo > luogo di addestramento delle arti marziali in generale.
Charmant > (francese) affascinante.
à tout par tout > (francese) in tutto e per tutto.
Sakura > ciliegio rosa.
Nani mo/Nani mo nai > sinonimo di nande o nanda mo nai, ovvero "niente".

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Capitolo 9
*** 8. Il patto ***


8.

Il patto

 

   La sicura della porta d’ingresso scatta e quest’ultima si apre, permettendogli di presentarsi all’anziana signora ferma sull’uscio. 

   Ella lo riconosce subito e lo saluta cortese, invitandolo ad entrare.

   “Permesso”, dice il giovane, levandosi le scarpe sul pianerottolo e appoggiandole su uno dei livelli della scarpiera incorporata al muro, da parte a un paio di décolleté in vernice [colore] tacco dodici. Sono semplici - per quanto possa risultare semplice indossarle -, prive di inutili fronzoli o pacchiane decorazioni, sono sexy, Sono terribilmente da lei, riflette, cercando il nesso tra la bimba della sua infanzia e la giovane donna che sta diventando. 

   Quante cose si è perso. Quanti cambiamenti non solo estetici. Ma il cinabro crede nelle cose che non cambiano e la luce in quelle iridi di [pietra preziosa] non è mutata. Per questo è affranto. Perché se fosse diversa ora, se fosse diventata un’altra persona, probabilmente sarebbe riuscito a sopravviverne la mancanza.

   “Vuoi una tazza di tè?”, la donna lo distoglie dal suo remuginio.

   “No, grazie”, solleva affabile gli angoli della bocca. 

   Senza tante cerimonie chiede subito di lei.

   “Mi dispiace ma non è ancora tornata”.

   S’incupisce, “Capisco”.

   “Volevi parlarle?”.

   “Non importa. Sarà per la prossima volta”, si sforza di sorridere, rimettendosi le sneakers alte. Imbocca il vialetto della villetta, “Arrivederci”.

   “Torna presto”, la nonnetta sventola una mano, Che caro ragazzo.

    Cammina sul marciapiede a testa bassa, stringendosi nella felpa nera, con le mani in tasca e le cuffie dell’iPod legate intorno al collo, così da incorniciare il dente di squalo che porta come ciondolo. A un tratto sente avvicinarsi il vociare di un timbro maschile socievole, disponibile, piacevole e, al momento, con un accenno di paternità. Si volta in direzione del suono per collegarlo all’immagine che gli si è visualizzata in mente. Non si sbaglia: è proprio il ragazzone erculeo dagli amichevoli occhi verde prato.

   Automaticamente punta il suo sguardo sulla figura sottile al suo fianco, che con il buio quasi scompare accanto al metro e ottantatré del compare. E’ stranamente silenziosa e non alza i bulbi dall’asfalto sotto i suoi piedi.

   Stringe i pugni ancora all’interno delle tasche, Che cazzo ci fa con lei?, è tardi per essersi incontrati per caso ed è evidente che stanno tornando da qualche parte. 

   Insieme. 

   Un appuntamento? Impossibile!. O almeno la pensa così finché…

   Lo sta... abbracciando?

   Per qualche assurdo motivo si chiede perché non ci sia il suo acerrimo nemico in quella posizione, avrebbe più senso, invece di quello che si definisce il suo “migliore amico”. 

   Alla faccia…

   Che folla!, ride funereo.

   C’è un altro di cui si deve preoccupare ora.

   E’ a questo che pensa Rin per evitare di arrossire, correndo il rischio di concentrarsi troppo sul costume che avvolge perfettamente le tue fattezze, aderendo alla pelle.

   “Rin!”, tremuli sorpresa.

   “Tsk”.

   Si gira a tre quarti per controllare le voci in lontananza alle sue spalle, “Oh, questo è perfetto, Rei-chan!”.

   “E’ un altro slip!”.

   “Ieri sei passato da me”, non è una domanda.

   “Volevo parlarti. Vieni con me”.

   Rientrate nei rispettivi camerini e vi rivestite, abbandonando lì il campionario in prova. Raggiungete il parco adiacente allo stabile, delineato dalla recinzione in metallo al quale il rosso si appoggia.

   “_______, cos’hai fatto negli ultimi tre anni?”, non ti guarda, “Sei migliore di così”. 

   Immediatamente associ quelle parole scottanti alla foto con Haruka, alle effusioni silenziose, al “ti amo”, al bacio protettivo di Makoto preceduto dal medesimo complesso fonetico, ma sopratutto agli sguardi ricchi di verità non rivelate che gravano come macigni fra voi due. Guardando la sua espressione provata, sofferente oseresti dire, avverti fluire dentro di te tutto il dolore causatogli, o almeno la parte che è impossibilitato a reprimere. Ad un certo punto però, ricordi il vostro ultimo incontro avvenuto tre anni prima e la collera comincia a farsi spazio dentro il tuo cuore, sopprimendo il senso di colpa. Che diritto ha per giudicarti dopo quello che ti ha fatto passare? Dopo tutte le lacrimose ferite che ti ha lasciato, mediante il solo schietto uso delle corde vocali?

   “Non sono migliore di qualcuno che è appena tornato dall’Australia”, apostrofi indignata, pungolandolo dritto nel vivo.

   “Mi stai sfottendo?”, incrocia il tuo sguardo e la sua mimica ti fa trasecolare, seppure tu riesca a mantenere una certa compostezza.

   “No”.

   “Allora perché sei lì ferma impalata?”. 

   Ti si avvicina - indugiando, la tua schiena incontra la ruvida corteccia dell’acero alle tue spalle - e ti blocca qualsiasi via di fuga con le braccia, “Perché non fai niente?”.

   La distanza tra i vostri visi si accorcia sempre più, “Perché non mi urli addosso? Me lo merito infondo”. Vorresti farlo. Ogni volta che lo incontri vorresti spiattellargli in faccia tutto quello che hai dentro. Peccato che subito dopo ti accorgi ti quanto sia bello e dimentichi tutto.

   I vostri profili si sfiorano. Senti il suo respiro caldo sulle labbra. Ti accarezza una guancia con il dorso delle dita, scostandoti una ciocca [aggettivo colore] scivolata a tradimento, mentre i suoi occhi oscillano tra i tuoi e il contorno della tua bocca [forma] per lui così invitante. Ci passa sopra il pollice, “Sei così morbida”.

   “R-rin”, balbetti.

   “Mi sei mancata”.

   Appoggia la propria fronte sulla tua, chiudendo le palpebre, “Io… io ti…”.

   “Lasciala andare”, prorompe qualcuno dietro di voi. 

   Percepisci la postura del pescecane irrigidirsi e ti pare di sentire il rumore osseo di una mascella che stride contro la mandibola. Lo osservi, mentre sposta lo sguardo di sbieco. 

   Si volta, liberandoti dalla gabbia del suo corpo e sogghigna, “Haru, che tempismo”, mai come ora ho voglia di picchiare qualcuno, vorrebbe aggiungere, infervorato per essere stato disturbato.

   “Cosa vuoi ancora da me?”, domanda seccato il corvino.

   “Lo sai bene”.

   “Hai vinto la nostra gara”.

   Non mi riferivo a questo…

   Rin maschera il proprio disappunto, “Sarebbe difficile non riuscire a batterti, date le condizioni in cui ti trovi”.

   L’apatico interlocutore sospira, “Una vittoria è una vittoria. E tu hai vinto. Non ti basta?”, distoglie lo sguardo.

   “No! Voglio una vera gara! Altrimenti…”, s’imbrunisce, abbassando le iridi rubiconde sul selciato, “…non potrò andare avanti”.

   “Che seccatura”, bisbiglia Haruka, andandosene. Alza il tono di un’ottava, “Nuoto solo stile libero. Non nuoterò per te”.

   Il più alto - e anche più vecchio - dei due leva le mani dalle tasche, si dà un colpo di reni, sollevandosi dalla recinzione, e si lancia contro il moro, accalappiandolo per l’avambraccio e imprigionandolo con le spalle alla ringhiera. Si china più o meno al suo livello.

   “No”, dice con fermezza, “Tu nuoterai per me, invece”.

   Il mammifero acquatico rimane basito dalla tempra che straripa dai laghi di sangue dell’altro.

   “In tal caso…”, stringe per un attimo le dita intorno ai fili metallici, per poi afferrare con vigore il braccio di Rin che lo chiude contro di essi, levandolo in avanti, “… voglio che tu mi prometta una cosa: se perderai, non dire di voler smettere, non umiliarti. Non piangere”.

   Lo squalo ridacchia, staccandosi dalla presa con un’agile strattone, “Non sono più un moccioso. Questa volta chiarirò quanto siamo diversi l’uno dall’altro”.

   Si studiano per un attimo interminabile, finché il Borgogna infila i palmi nelle tasche, come è solito fare, e gli dà le spalle, congedandosi “Prova a mettere su un po’ di muscoli: sistemeremo la faccenda al torneo”. Ti si affianca un secondo, cercando di trasmetterti con gli occhi ciò che prima la bocca non ha potuto confessare, e ti sorride; dentro di sé sa che, per quanto ti sia difficile ammetterlo, lo hai perdonato. Hai sempre recitato la parte della preziosa complicata - fra orgogliosi ci si intende -, ma, per quanto possa essere frustrante, vali la pena dello sforzo. 

   “Ci conviene raggiungere gli altri”, consiglia Haruka, evitando di guardarti, richiesta a cui rispondi mugugnando.

   “Oh, eccovi qui!”, strepita Nagisa, facendo sussultare Gou che si nascondeva dietro al muro.

   “Qualcosa non va?”, pone Makoto, sistemandosi le spalline dello zaino senza far cadere le buste degli acquisti.

   “No, niente”, convenite all’unisono voi ragazze, servendovi di toni opposti: il tuo cheto e il suo ansioso. Ciò non può non farti sospettare che abbia sentito ogni parola. 

   Fai spallucce. Che lo sappia o meno non fa alcuna differenza.

 

Accademia Samezuka - dopo cena

  

   Nitori armeggia con cassetti e armadietti, tra la mole di libri, quaderni, penne, matite, gomme, pupazzi, tazze da tè e cianfrusaglie varie che aumenta esponenzialmente ogni giorno che passa, prendendo sotto assedio la sua scrivania. Ma niente! Quel maledetto dizionario bilingue non si trova. Per fortuna che, quando Matsuoka lo aveva ammonito sul proprio disordine, aveva prontamente risposto, atteggiandosi da splendido, “So esattamente dove si trova ogni cosa”…

   Rin, sdraiato sul suo letto con la luna già storta per il vostro quasi-bacio interrotto bruscamente, non può che stringere i denti e aggrottare le sopracciglia, infastidito dalle lamentele bisbigliate dell’argenteo che lo deconcentrano dalla lettura del manuale Come essere un vincente! 

   “Oh, eccolo qua!”, strepita il più piccolo, appoggiandosi inconsapevolmente ad una pila di testi scolastici che, inesorabilmente, scivolano sul pavimento, fermando la propria discesa grazie al collo del piede del rosso, che lo ha lasciato a ciondoloni.

   Lo squalo sbatte ciò che sta leggendo sul materasso e vi si alza in uno scatto repentino, afferrando irato la testa di Nitori con l’intero palmo, come un cestista agguanta un pallone da basket. 

   “Fa male! Fa male, senpai! Agli-ih-ih-ihai!”.

   “Adesso mi sono davvero rotto le palle!”, prorompe il diciassettenne con le braccia incrociate al petto, “Ne ho abbastanza, sistemerò io questo posto!”, si raccoglie la zazzera porpora in un codino basso, da cui sfuggono i capelli più corti, “Il materiale scolastico va nella libreria e nei ripiani sopra le scrivanie!”, indica gli scaffali attaccati al muro.

   “Sì!”.

   “I peluches e il resto nella tua parte di armadio su in alto!”.

   “Va bene!”.

   Il pescecane disgustato accenna alla scatola in betulla contenente un frammento di cordone ombelicale di Nitori, “Quello e altre stranezze nei cassetti del tuo comodino!”.

   “Okay!”.

   “Infine giornali come… Uh?”, il volto di Rin muta in espressioni una più indecifrabile dell’altra, quando si accorge di avere tra le mani una rivista pornografica, “Sul tuo letto!”.

   Finalmente la camera è perfettamente pulita, il parquet è immacolato e scintillante, il piano in noce del kohai è ora visibile.

   “E’ fantastico!”, esulta il sedicenne, “Non riesco a credere che tu abbia pulito tutto così bene! Grazie mille, senpai!”.

   Il cremisi si lascia cadere sul proprio letto con la schiena accovacciata in avanti dalla fatica, mormorando fiacco, “Che rimanga tutto così”.

   “Ehm, senpai?… ecco…”, balbetta Nitori, mostrando al più grande un exercises book, “Non trovo più il mio dizionario di inglese, mi aiuteresti con le traduzioni?”.

   Rin gli strappa malmostosamente il fascicolo di mano, per poi tirarglielo dritto in fronte, mentre sbraita, “Arrangiati!”.

 

   Ultimi 2 giorni.

  Rei balza sul blocco di partenza in corsia 4, sistemandosi i suoi nuovi accessori. 

   Cuffia: ok!

   Occhialini graduati: ok!

   Costume non a slip: ok!

   “Wow”, alitate, osservandolo nei suoi pantaloni powerskin neri con inserti indaco.

   “Da qui sembra quasi un nuotare di livello mondiale”, ammette il capitano.

   “Magari riuscirà davvero a nuotare stavolta”, spera il sauro.

   “Credo che possa funzionare”, confida la piccola Matsuoka.

   Anche il cetaceo lo scruta interessato da sotto l’asciugamano con cui si strofina il capo madido.

   Ryugazaki si lancia, arcuandosi verso l’interno, allineando il collo con la spina dorsale e aggiustando i palmi a martello, così da varcare l’acqua con più sistematicità. Il tuffo è minuziosamente accurato. Perfetto.   

   “Il suo angolo d’ingresso è fantastico”, afferma il ladro di smeraldi, come se ti avesse appena letto nel pensiero. Adesso però arriva la prova del nove che lo vede da solo contro l’elemento a lui ostile. Allarga gambe e braccia in sincronia, inarca la testa per respirare, ma ad ogni immersione fatica sempre di più a varcare il margine del liquido camaleontico, sino a quando non si alza in piedi, spingendosi fuori per un eccesso di anidride carbonica.

   “Perché?!”, si chiede stranito.

   Accasci la testa sulle ginocchia, cingendole al corpo in posizione quasi fetale, sconfortata.

   Il fragore dell’H₂O attira l’attenzione di voi spettatori, che increduli osservate Haruka raggiungere l’infausto kohai, scrollando via l’acqua in di troppo dal caschetto d’ebano, “Ti insegnerò io”.

   “Vuoi imparare a nuotare, no?”, incalza, non avendo ricevuto risposta.

   Il turchino si inchina profondamente, “Aiutami per favore!”.

   “Comunque, io posso insegnare solo stile libero”.

   “Ai!”.

   Makoto è basito, “Haru insegnerà a qualcuno come si nuota?”.

   “Quando il gioco si fa duro…”, recita Nagisa.

   “I duri cominciano a giocare!”, completi.

   Non riesci a staccare gli occhi di dosso ad Haruka. Non lo hai mai visto sotto questa luce di altruismo e filantropia, come un fratello maggiore che tenta in tutti i modi di aiutare il minore nei compiti o coi bulli. Poggia una mano sulla schiena un po’ per aggiustargli la posizione, un po’ per incoraggiarlo, e Rei lo asseconda, modulando la respirazione con le bracciate e la propulsione delle gambe. Il moro gli consiglia di buttare fuori l’aria contando fino a tre, e successivamente di aumentare il raggio di inclinazione dell’addome così da riprendere ossigeno.

   Senza rendervene conto si sono fatte già le cinque del pomeriggio, quando il corvino si allontana dal turchino, dicendo, “E’ tutto quello che posso insegnarti. Il resto dipende da te. Credi in te stesso”.

   L’occhialuto annuisce, ritocca le lenti graduate, si allinea con il limite dell’acqua, posizionando le piante dei piedi alla parete azzurra a mosaico, prende una profonda boccata di etere e si spinge, unendo gli arti superiori in avanti formando un triangolo isoscele. 

   Lo fissate speranzosi, ma all’istante la vostra vista si appanna, notando il suo metro e settantasette andare sempre più a fondo. Si tira su, strappando occhialini e cuffia in gomma nera, urlando a squarcia gola, “PERCHÉ?!”, così forte che persino a Helsinki sono sobbalzati nelle lenzuola.

   Ama-chan-sensei solleva un poco il parasole nero, palesando parte del volto, e con tono serio cita, “Il genio è l’1% ispirazione e il 99% sudore”.

   “Edison?”, richiedi conferma.

   “Dunque il duro lavoro trionferà sempre sul talento”, riflette logicamente Gou, a cui Nagisa risponde abbattendosi per il coscritto, “Credo che dovrà continuare ad allenarsi parecchio”.

   “Tuttavia”, riprende la donna, “potete interpretare la citazione come se la costanza non abbia senso priva di estro”, sorride innocente, “Non credete?”.

   Rimanete di stucco e la rossa si altera, “Ha eliminato in toto l’impegno?!”.

   Disilluso Quattrocchi si siede vicino alla recinzione, allacciando le ginocchia al petto ed osservando una farfalla appena nata svolazzare, avvolta dalla luce del sole che s’infiltra tra le fronde dei ciliegi, sui quali si presentano i primi boccioli rosati. Le sue pure fragili ali bianche gli ricordano una leggenda che sua madre era solita raccontargli prima di andare a nanna.

   “Me l’ha racconti, mamma?”, pone il figlioletto, scrutandola da dietro gli occhiali tondi, incassando leggermente il capo per intenerirla, alche la madre ride piano, sapendo che avrebbe ceduto subito.

   “Ancora?! Te l’ho già raccontata mille volte”.

   Il bimbo abbraccia più forte il suo orsacchiotto, Poghi, “Lo so, ma a me piace”, piagnucola.

   “E va bene, va bene”, finge di guardare il soffitto scocciata, per poi fargli una boccaccia. Il piccolo ridacchia soddisfatto.

   “Però devi metterti a letto”. Il bambino sorridente esegue all’istante.

   “C’era una volta, un vecchio di nome Takahama che viveva in una casetta dietro il cimitero. Egli piaceva ai vicini, ma era considerato un uomo strano dal momento che non si era mai sposato.

   Un’estate, Takahama stette così male che invitò la sorella e il nipote a venirlo a trovare per rendergli i suoi ultimi giorni di vita più facili e sereni. Un giorno, mentre osservavano l’anziano che dormiva, dalla finestra entrò una farfalla bianca che si fermò sul suo cuscino. Madre e figlio tentarono di allontanarla, ma la farfalla continuava a tornare. Quand’essa finalmente uscì dalla stanza per l’ultima volta, il nipote, Takahamin, la inseguì, accorgendosi che l’insetto volava dritto ad una tomba. Ci svolazzò brevemente intorno ed improvvisamente scomparve. Il giovane, allora, corse al sepolcro e lo fissò da tutti i lati. 

   Ricordi cosa successe?”.

   “Il nipote trovò un foglio bianco”.

   “Su cui era scritto…”.

   “Akiko”, pronunciano, all’unisono.

   “Esatto, amore. Akiko. Morta a 18 anni.

   Nel frattempo Takahama morì e Takahamin rapidamente corse a casa per dire alla madre ciò che aveva visto. Quand’ella sentì cosa era successo, il suo cuore si riempì di gioia. 

   - Akiko - mormorò con il sorriso sulle labbra.

   Quando era giovane, lo zio era fidanzato con una bella ragazza che portava quel nome. Pochi giorni prima del matrimonio, ella si ammalò misteriosamente e morì. Il giorno del suo funerale, l’uomo giurò che non avrebbe più guardato altre donne, e che, fino alla fine della sua vita, avrebbe vissuto vicino alla sua tomba, così da prendersi cura di lei. 

   In tutti quegli anni mantenne la promessa: ogni giorno andava a farle visita e le portava dei fiori freschi. Tuttavia, negli ultimi momenti della sua vita non era stato più in grado di mantenerla, allora Akiko cominciò ad andare da lui sottoforma di farfalla. La farfalla bianca era in realtà la sua anima”.

   Si volta in direzione di uno scalpiccio silenzioso, sotto certi punti di vista pigro, ma in realtà solo contenuto.

   “Haruka-senpai…”.

   “Fa ciò che vuoi”, improvvisa il maggiore, stando in piedi, volendo trasmettere la propria profondità, la propria comprensione.

   “Che intendi?”, chiede giustamente disorientato.

   “Non pensare al nuoto. Immergiti e basta”.

   “Non capisco cosa vuoi dire”. Rei ha bisogno di definizioni, di teoremi chiari e precisi, non è bravo con l’interpretazione o l’etereo.

   Ultima spiaggia…, “Immergiti col cuore”.

   “Questo non aiuta”.

   “Affidati ai sensi…”.

   “Potresti smettere di usare espressioni astratte? Come posso nuotare liberamente? Come fai?”, domanda frustrato, “Perché non ci riesco?”.

   Le iridi indaco del moro corrono via. Lontano.

   “Altrimenti…”, il suo sguardo sanguigno si sofferma sul vuoto del suo turbamento; sospira, “… non potrò andare avanti”.

   “Nemmeno io sono libero”.

   Il kohai lo studia, destabilizzato da quell’ultima affermazione, mentre la stessa farfalla, che prima vagava sulle margherite, si posa sul petto liscio del senpai.

   Gli altri nuotatori si asciugano alla bell’e meglio, strofinandosi le zazzere grondanti nei loro teli intonati agli occhi.

   “Cosa stanno facendo Haru-chan e Rei-chan?”, pone il ficcanaso Nagisa, muovendo un passo verso di loro.

   Makoto si prende per un fianco, richiamandolo, “Lasciali soli per il momento. Sento che hanno molto in comune”.

   Guardano i due compagni rannicchiati nella medesima posizione dall’altro lato della piscina scoperta.

   “Hai ragione”.

Oggi è l’ultimo giorno

   “A questo punto, facciamogli usare una tavoletta al torneo!”, strepita il biondo, andando a recuperarne una nel ripostiglio delle attrezzature.

   “Il regolamento lo permette?”, lo interroga Gou.

   “Non credo”, presumi saggiamente. Non avrebbe alcun senso che un atleta usi dei supporti galleggianti a discapito degli altri. Fin dal principio tutti devono avere le stesse possibilità di vittoria. Ecco perché si preparano le batterie.

   “E’ una soluzione”, gli dà corda il capitano, assumendo una posa pensosa, “Non credo le regole lo proibiscano”.

   “Dovremmo controllare”.

   “Anche se non vi fosse riportato nulla a riguardo,”, spieghi, “la giuria non ammetterebbe mai una strategia simile. Certe cose non vengono ufficializzate perché sono scontate”.

   “La solita guastafeste!”, piagnucola Nagisa.

   “Dici così quando sai che ho ragione”.

   “Qualcuno sta nuotando a farfalla”, vi fa notare la vicemanager.

   “E’ Haru-chan?”, ipotizza il nuotatore più mingherlino.

   “Ma Haru nuota solo a stile libero”, ammonisce il castano.

   “Non sono io”, conferma una voce pacata alle vostre spalle, facendovi trasalire.

   “Haru?!”, esali, accorgendoti soltanto in quel momento della montatura rossa accanto al blocco di partenza numero 4, “Ciò significa…”.

   “Rei-chan?!”, grida il compagno di classe, mentre il turchino si leva cuffia e occhialini, plagiando malamente lo scotimento di zazzera alla Nanase, “Hai appena nuotato a farfalla?!”.

   “Era l’unico stile che non avevo ancora provato”, risponde l’altro, rimettendosi le lenti da vista, sulle quali gocce d’acqua disegnano sottili linee asimmetriche, “Appena ho provato, sono riuscito a nuotare”.

   “Eeeeh?!”, urlate increduli.

   “Beh…”, si volta verso Haruka che alza l’indice per permettere ad una Rhopalocera di usarlo come piedistallo, “Non sono libero”.

   “Hai detto qualcosa, Rei-chan?”, chiede Nagisa.

   Sorride, “Non me lo spiego nemmeno io”.

   “Ne, Rei”, proponi, “Puoi fare un altro giro?”.

   “Certo”, dice, compiaciuto che qualcuno glielo abbia chiesto, rinfilandosi cuffia e occhialini, dandosi una spinta con le piante dei piedi, arcuando innaturalmente la schiena e inabissando le braccia in simbiosi, mentre una coppia di farfalle bianche si librano nel cielo ormai estivo.

 

Il giorno seguente

 

   Dopo aver sistemato il countdown per l’allenamento pre-torneo, aver assistito alle frecciatine di Haruka sulla pressione psicologica che può rovinare qualcuno - o come l’ha colta il biondo: può rovinare Rei - in risposta all’affermazione di Gou, secondo la quale essa fortifica, ed esservi chiesti perché quest’ultima stesse indossando un’hakama e scrivendo con un pennello intinto d’inchiostro risalente al periodo di Edo, siete corsi in piscina dove hai consegnato ai tuoi nuotatori le loro divise. 

   Nagisa, preso dalla sua eterna euforia, mette subito la felpa bianca della sua taglia. Ha le maniche azzurre ed è abbellita da righe simmetriche più scure della medesima gradazione della scritta «IWATOBI» stampatale sulla schiena. Allarga le braccia e strepita tutta la sua contentezza.

   “Le giacche sono carine, ma…”, il coscritto si cervella di esprimere con parole adeguate il proprio concetto, quando si avvede della t-shirt gialla. Si sofferma su una specie di pappagallo seduto accanto ad una testa abnorme e tonda, molto simile al capo mastodontico di Iwatobi-chan ma senza becco.

   “Cos’è quella cosa?”.

   “E’ la versione segreta di Iwatobi-chan”, replica il sauro come se fosse scontato.

   “Esiste una versione segreta?”.

   Il tuo sesto senso di avverte che, con molta probabilità, il nuovo acquisto del club stia per uscire con la sua abituale affermazione “Non è bello per niente”, perciò la stronchi sul nascere, “Iniziamo?”.

   “Prima di cominciare l’allenamento, rivediamo gli eventi a cui parteciperemo al torneo”.

   Makoto si sta proprio mettendo nell’ottica del capitano, sorridi lasciandogli spazio davanti agli altri.

   “Io competerò i 100 e 200 metri dorso. Tu che farai Nagisa?”.

   “Rana. Credo sia i 100 che i 200”.

   “Haru?”.

   “Faccio solo stile libero”.

   “Non avrei nemmeno dovuto chiedere”, sorride.

   “Rei?”.

   “Io nuoto soltanto a farfalla”, cerca di imitare nuovamente il senpai moro.

   “E tu?”, ti interpella il castano.

   “Io?”, poni non capendo dove vuole andare a parare.

   “Tra le discipline ci sarà anche tuffi”.

   “Già, _______-chan”, si intromette il ragazzino dagli occhi di quarzo, “ormai si è capito che vuoi ricominciare a gareggiare”.

   “Veramente io non saprei…”.

   “Secondo me dovresti”, prosegue, “Eri così spensierata quando hai saltato dal trampolino della Samezuka”.

   Perché Rin mi ha dato sicurezza, ragioni mesta.

   “E’ una cosa che deve sentirsi lei”, ti supporta Makoto, “quando sarà pronta, troveremo il suo nome tra le liste degli sfidanti”.

   Grazie, Mako-chan, gli sorridi.

   “Comunque, è da un po’ che non gareggiamo: la resistenza sarà un problema. Vi consiglio di limitarvi alle distanze brevi. Quindi, abbiamo la scaletta per gli eventi singoli”.

   “Rimane la staffetta”, suggerisci al suo fianco, ma, notando l’incupimento del delfino, dirimi di rimandare la considerazione di questa opzione, “Però abbiamo ancora tempo per decidere. Tenetelo a mente mentre vi allenat…”.

   “Non ci crederete!”, fa capolino la tua assistenze, gridando e agitando in aria un fascicoletto ingiallito e dall’aspetto trascurato; sulla copertina compare il disegno dei quattro elementi fondamentali: l’acqua rappresentata dal mare in tempesta, la terra dalla sabbia, sulla quale il fuoco è costretto nella circonferenza di un falò, e l’aria che armonizza la rappresentazione con i suoi ghirigori. Nel complesso è una bella locandina surrealista.

   “Ho trovato qualcosa di meraviglioso!”.

   

Club di nuoto della scuola superiore Iwatobi

Campo di addestramento estivo infernale

su un’isola deserta

 

   Ognuno si concentra su un particolare della didascalia. Rei sull’“infernale”, Haruka sull’“isola deserta”, ma l’unico che ne coglie la spettacolarità è sempre Nagisa, al quale gli si illuminano gli occhi rosati, affermando un “Sembra divertente!”.

   “Ha avuto luogo alcuni decenni fa”, divulga Gou, “quando l’Iwatobi aveva ancora un club di nuoto!”.

   “Dove vuoi andare a parare?”, taglia corto l’intellettuale.

   “Dovremmo copiare il loro regime di allenamento e fare un campo estivo su un’isola deserta per prepararci al torneo!”, punta gli occhi al cielo, come se fosse stato il sole stesso a darle ispirazione. O, semplicemente e con più facilità, dandole alla testa a causa di un’insolazione.

   “E’ una seccatura”, si dissocia il corvino, inginocchiandosi a bordo piscina e pucciando una mano aperta nell’acqua, come se essa gli avesse offerto la sua.

   “Non è il momento di lamentarsi”, si lagna la sorellina Matsuoka, “Guardate il programma che usavano”, sfoglia il depliant sinché non trova la pagina prediletta, “Nuotavano per lunghe distanze nell’oceano da un’isoletta all’altra. Non credete che sia l’allenamento calzante per aumentare la resistenza?”.

   Non puoi darle torto.

   “Oceano…”. Riconosci quell’espressione affranta sul volto di Makoto: il trauma della sua memoria.

   “Sì, l’oceano! Dovremmo partecipare allo stesso regime che proponeva il nostro storico club di nuoto”.

   “Il nostro club di nuoto era storico?”, domanda curioso il biondino.

   “Sì, ho trovato una loro classifica”: sesto posto al torneo giovanile scolastico.

   “Scarsi”, mormorano Rei e Nagisa.

   “Ad ogni modo, adesso il Club di nuoto Iwatobi ha bisogno di maggiore resistenza! Nell’oceano; su delle isole deserte!”.

   “Non capisco quanto possano essere rilevanti le isole deserte”, brontola il turchino.

   “E’ più emozionante raggiungere delle isole deserte”, lo contraddice il compagno di classe.

   “Vero?”, conviene la rossa entusiasta, “Dunque, cerchiamo di fare un campo di addestramento! Che ne dici, capitano?”.

   Il bruno tenta di celare il suo turbamento dietro al suo solito sorriso rincuorante, “Credo sia una buona idea”.

   “Evviva! Allora è deciso!”, si rallegra Nagisa.

   Ti siedi accanto ad Haruka, togliendo le infradito, ripiegando il pantaloni della tuta all’indietro e inumidendo i piedi nella soluzione di H₂O e di spirito del sale.

   “Sono un po’ preoccupata”, gli sussurri, “Per Makoto”.

   Il ragazzo non distoglie i profondi zaffiri dalla distesa artificiale e incolore, “Anch’io”.

 

   Il gruppo è alquanto amareggiato per il responso negativo ricevuto da Ama-chan-sensei in aula insegnanti, mediante l’ennesima dotta citazione. Stavolta è toccato al drammaturgo irlandese George Bernard Shaw illuminarvi, dicendo: Il libro che ha avuto più influenza sulla mia vita è stato il mio libretto degli assegni. Evidentemente la generosità della coordinatrice non è poi così sconfinata.

   “Però mi piacerebbe davvero andare su un’isola deserta tutti assieme”, borbotta Nagisa, addentando il suo croccantino, mentre Rei sorseggia del latte freddo alla fragola, Makoto spezza un grande ghiacciolo all’anice in due pezzi nel punto da cui fuoriescono due bastoncini piatti di legno, porgendone uno al suo migliore amico, e tu compi la stessa azione con quello all’amarena tuo e di Gou.

   “Se non lo pagherà la scuola, dovremmo provare a pagarcelo da soli”, prosegue il sauro.

   “Io non posso permettermelo”, stende un’analisi Quattrocchi, da bravo economista, “Abbiamo dovuto pagare le tute e io ho comprato un costume agonistico”.

   “Ne ho comprato uno anch’io”, interviene il cetaceo.

   “Idem”, conviene il pinguino.

   “Rei-kun aveva bisogno di un costume, ma voi no”, rimbrotta la kohai fulva, “Specialmente Haruka-senpai: tutti i tuoi costumi sembrano uguali”.

   L’interpellato abbassa infastidito lo sguardo sul suo rinfrescante dessert, “Calzano diversamente”.

   Sogghigni tra te, Ammettilo, Haru, che ti piace fare shopping, ma non hai il minimo gusto!

   “Potremmo trovare tutti dei lavori part-time”, propone il ranocchio.

   “E’ troppo tardi per quello”, ha da ridire Rei.

   “Il piano si è rivelato un fallimento”, si intristisce Gou.

   Makoto grazie alla sua eccelsa empatia e sensibilità, si sente al quanto amareggiato nel vedere i suoi amici così abbattuti.

   “Penserò a qualcosa”, dichiara deciso, mostrando finalmente il carisma del leader, “Dev’esserci un modo per organizzare un campo senza bisogno di soldi”.

   “Mako-chan comincia a fare sul serio!”. Non sei mai stata più d’accordo con Nagisa. Ti sorprende questo suo lato. Affibbiato all’affinità che ha coi bambini, al costante buon umore e all’innata comprensione che ha verso ogni singolo essere umano, questo aspetto di lui non fa che renderlo il prototipo ideale di moroso. Utopico, forse.

  Aspetta un attimo… Ho davvero appena pensato a Makoto come ad un possibile fidanzato?!

   Scuoti il capo, Cancella cancella cancella! Hai fin troppi problemi amorosi per aggiungere una  nuova incognita. In più le iridi austere di Haruka sembrano trapassarvi da parte a parte, rendendo incomprensibili i suoi pensieri. Si è accorto del tuo “improvviso” interesse o è trepidante per l’orca? Azzanna il suo ghiacciolo, spezzandolo a metà.

 

   Raggiungete casa Tachibana, dove Ren e Ran vi accolgono raggianti. Per l’intero arco della giornata i gemelli non pensarono che al loro adorato fratello maggiore e ai mille modi per accalappiarsi il turno privilegiato di giocare con lui, per poi lasciare al perdente il loro fratellone adottivo, Haruka, sebbene, a causa della tua presenza, quest’ultimo venga completamente oscurato.

   “Ne, Nee-chan”, ti tira per un lembo del tuo gilet la femmina - da quando sei stata a cena da loro i bambini hanno cominciato a chiamarti “sorellona”, prendendo per assodato un certo feeling con il più grande della prole Tachibana -, “Ci racconti una storia?”.

   “Sì, sì!”, l’appoggia l’altro.

   “Veramente adesso non…”.

   “Per favore!”, ti implorano in uno strepitante coretto.

   “Ren, Ran”, ti salva il castano, “dobbiamo andare da Haru a sistemare delle cose per il club”.

   “Uh! Dove stai andando?”, domanda il bimbo dai dolci occhi di nocciola.

   “In ripostiglio a prendere delle cose”.

   “Veniamo anche noi!”.

   Per la mezz’ora seguente è un susseguirsi di inseguimenti, gambe e braccia agguantate da dita paffute, di salti in groppa e domande puerili come: Cosa fai, Onii-chan?; Vai in campeggio, Onii-chan? Voglio venirci anch’io! Onii-chan qua, Onii-chan là.

   “Devo andare ad un campo di allenamento con _______ e gli altri. Magari un’altra volta”.

   “Eh? Non è giusto!”, ripeterono nuovamente in sincronia.

   “La sua idea è di campeggiare fuori letteralmente?”, pone Gou non totalmente a favore del progetto, “E come facciamo con la tariffa della barca per arrivare all’isola?”.

   “Faremo l’autostop”, butta lì Nagisa.

   “Non ci sono macchine o camion nel’oceano”, lo apostrofi.

   Durante la vostra discussione, Rei si guarda intorno, finché la sua attenzione viene colta da una roccia ovale usata a mo’ di epitaffio, davanti alla quale giace un vasetto in vetro con delle margherite viola.

   “Cos’è quello?”.

   “La tomba di un pesciolino rosso: era l’animaletto di Makoto”.

   “Sì, aveva un pesce rosso alle elementari”, conferma il pinguino inginocchiandosi vicino all’amico e congiungendo le mani difronte a sé in segno di preghiera, gesto che poi l’altro imiterà, stupendo il loro senpai, per quanto la fredda mimica facciale lo permetta, “Quindi è ancora qui”.

   Finalmente siete riusciti a sfuggire dalle grinfie dei gemelli e a percorrere la scalinata che divide l’abitazione dei Tachibana da quella dei Nanase.

   Spostate la mobilia del salotto di Haruka in un angolo e stendente il materiale da campeggio su un telo per non rovinare il tatami. Tra gli oggetti specifici ci sono tazze, cucchiai, kit barbecue, pentole a pressione, mestoli, una teiera, detersivi, sacchi a pelo, candele anti-zanzare alla citronella.

   “E’ un’attrezzatura molto seria”, osservi.

   “La mia famiglia va sempre in campeggio d’estate”.

   “Chi vi ha dato il permesso di accumulare tutto a casa mia?”, si lagna il signore del castello.

   “C’è tanto spazio qui”, risponde prontamente l’esilarante biondino, prima di esprimere un’altra delle sue folli macchinazioni, aiutandosi con la cartina del desueto regime di allenamento, “Queste isole sono tutte deserte? Potremmo accamparci su una di quelle!”.

   “E’ una pessima idea”, lo disincanta il turchino - e stavolta non puoi dargli torto -, ma è tutto inesorabilmente inutile.

   “Facciamo un barbecue su un’isola deserta!”.

   “Barbecue!”, esulta la sua coscritta.

   Tu e Makoto sghignazzate, fissando diverti la satira inscenata dai tre kohai.

   “Adesso abbiamo solo bisogno dei soldi per il trasporto”, calcoli ad altra voce.

   “Pensate che Ama-chan abbia una barca?”, riflette Nagisa.

   “Ne dubito”.

   “Oh!”, trova una possibile soluzione il capitano, attirando anche la curiosità del moro che fino ad allora se n’era stato in disparte, “Conosco qualcuno che ce l’ha!”.

 

   Venti minuti dopo circa, fa capolino il vostro istruttore di nuoto delle elementare, al quale offrite una pizza che lui stesso vi ha consegnato.

   “Sì, ho la barca per la pesca dei calamari che mi ha lasciato mio nonno”, ammette, grattandosi dubbioso la nuca, “E ho una patente nautica. Comunque…”, vi studia aggrottato, “… vi aspettate un favore del genere, comprandomi una pizza?”.

   “Ci aiuti, per piacere”, lo prega l’orca, mentre il pinguino gli tende una statuetta incompleta in legno di Iwatobi-chan, “Le daremo anche questa!”.

   “Non la voglio!”, sbraita, per poi tornare pensieroso, “Va bene”.

   “Aww?”, sospirate fiduciosi.

   “Non posso partecipare al vostro campo, ma posso portarvi lì e venire a riprendervi”.

   “Davvero?!”, sbatte le mani sul tavolino in stile orientale il sauro.

   “Yatta!”, esultate.

   “Potrei fare una piccola crociera”.

   Una crociera su un peschereccio?, Rei non riesce a trovarne il senso.

   “Grazie mille!”, arrossisce Makoto.

   “Tenga questo!”, Gou porge a Sasabe la vostra mascotte intagliata.

   “Vi ho detto che non lo voglio!”.

 

   E’ il crepuscolo, ma siete ancora alquanto eccitati per la ben riuscita dell’impresa di potenziamento, per gli atleti, vacanziero per voi manager e per la consulente.

   Makoto ed Haruka vi accompagnano in stazione - Gou ti ha invitato a dormire da lei per passare una serata tra ragazze -, vi salutano con la mano sinché non vi si chiudono le porte automatiche davanti, e si incamminano verso casa, percorrendo il lungomare come di consuetudine.

   Camminano sulla pista pedonale e ciclabile che costeggia il lido, se non fosse per l’ululato cheto dell’oceano e il vociare contento del castano, il corvino sarebbe circondato dal silenzio che tanto gli è familiare.

   “Sembra che questo piano andrà in porto. Adesso abbiamo solo bisogno del permesso di Ama-chan sensei”.

   “Già”.

    “Un campo di allenamento con tutti. Non vedo l’ora!”, sorride il capitano, puntando le iridi irlandesi all’imbrunirsi del cielo, “Oh, Rei è un principiante, quindi dobbiamo starci attenti. Riuscirà a gestite questa cosa? Nemmeno io sono così bravo nelle lunghe distanze”.

   Per la prima volta l’orca è talmente lieto da non notare le occhiatacce in tralice riservategli dal moro, finché quest’ultimo non si arresta di colpo osservando analiticamente i suoi cambiamenti di espressione, costringendolo a fermarsi a suo volta.

   “Tutto ciò… ti va davvero bene?”, enfatizza, così da non dovergli concedere altre spiegazioni superflue. Difatti il più alto dei due non tarda a comprendere ciò che l’altro sta cercando di chiedere, nonostante voglia sentirselo dire comunque, come per avere conferma che la sua improvvisa ansia abbia una base solida e fondante.

   “L’oceano”. 

   Lo sguardo corindone gli si acceca, colmato da immagini in bianco e nero sfuocate, immagazzinate da occhi troppo ingenui. Rappresentano volti assenti, in fila indiana, rigati dal tempo e dall’invecchiamento della sofferenza; sullo sfondo c’è l’ampia distesa salina mitigata e spaurita. 

   La calma dopo la tempesta. La pace dopo la morte. Quella pace destabilizzante, assassina, martoriante che ti trascina nell’oblio della disillusione. 

   Niente dura per sempre. 

   Niente è totalmente puro. 

   Nemmeno l’acqua, così quieta e materna, è in grado di sfuggire al lato più oscuro di sé. Fu la sua naturale distruttività a far nascere la paura più grande di Makoto: la paura dell’oceano.

   Per questo nuota a dorso, per questo accompagna Haruka al mare ma non fa mai il bagno, perché è terrorizzato dall’idea che l’acqua, quella viva, quella allo stato brado, lo trascini con sé negli antri bui delle sue profondità infinite. Da quel lontano pomeriggio estivo, Marcantonio ha bisogno del luminoso bacio del sole.

   “Starò bene”, mente con positività, “E’ stato molto tempo fa”.

   Il cetaceo uggioso lo fissa tutt’altro che convinto e riprende il passo, sorpassandolo. I caldi colori del giorno sfumano dietro l’orizzonte.

   Quando sarà pronto, me lo farà sapere.

 

Casa Matsuoka

 

   “E questa è la mia stanza!”, ti accoglie la tua amica, autorizzandoti a lasciare il trolley, contenente gli effetti personali che hai recuperato da casa tua prima di raggiungere il treno. Apri il bagaglio, estrai le tue calze antiscivolo con la base in gomma ricamate a mo’ di scarpetta da danza classica, le infili e tieni in una mano il tuo beauty-case, mentre la Borgogna ti chiede eventuali proposte per la serata.

   “Tanto siamo libere”. Già domani è domenica.

   “Mmm… non saprei. Non conosco locali qui intorno se era quella la domanda”, l’avverti.

   “Potremmo dedicarci ai vizi da ragazza, siamo sempre circondate da maschi”.

   Benvenuta nel mio mondo, ridi tra te gioconda.

   “Per me va bene: manicure, maschere casalinghe e un film per chiudere in bellezza”.

   “Relax totale!”.

   Ridacchiate.

   “Gou, ti dispiace se porto questo in bagno”, alludi al beauty-case con spazzolino, creme per il viso e cosmetici per un nude make-up.

   “Sì certo. E’ l’ultima porta infondo al corridoio. Te lo troverai proprio di fronte”.

   “Okay, grazie”.

   Segui le indicazioni, guardandoti intorno e dicendoti che in tutti quegli anni Rin ti ha mai invitata a casa sua. Alle pareti sono affissi varie copie di opere pittoriche degli artisti maledetti e alcune fotografie raffiguranti i due fratelli da piccoli. Le osservi una per una, concentrandoti sui cambiamenti del maggiore nel tempo. La struttura fisica si fa ad ogni diapositiva più prominente e massiccia, il divario in centimetri di altezza rispetto alla sorella aumenta e i lineamenti del viso sono sempre più mascolini e marcati, più androgini, costringendo gli occhi, gli unici a mantenere la loro determinazione originaria, nella futura maturità dell’adulto. Oltre a questi lampanti mutamenti corporali, sono quelli mimici a colpirti maggiormente; la sua espressione che man mano diventa dura, distaccata, ambiziosa, gloriosa, tagliente come il corallo.

   Senza rendertene conto capiti davanti ad una porta socchiusa, dalla quale trapela un filo di luce elettrica e il brusio di una band alternative rock già sentita ma che non riconosci. Presa dalla tua malcapitata curiosità, sbirci all’interno della fessura, scorgendo sul pavimento in iroko delle riviste sportive abbandonate sotto ad un attrezzo ginnico con un paio di pesanti dischi in metallo per ambedue le estremità. Involontariamente fai una leggera pressione con il palmo, aprendo appena appena la porta e migliorando il tuo spettro di visuale.

   “Immagino che stai cercando il bagno”. Trasecoli al suono di un timbro mascolino. Il suo timbro mascolino.

   “Rin!”. Perdi la presa sul tuo beauty-case semiaperto dal quale fuoriescono alcuni prodotti. Ti inginocchi immediatamente a raccogliere ciò che è caduto sul pavimento, tutto pur di non dover sostenere il suo sguardo compiaciuto per averti colta in fallo e lui fa lo stesso, passandoti gli oggetti o rimettendoli direttamente al suo posto, finché un flaconcino verde non attira il suo interesse: primer antirossore.

   “Non hai bisogno di questa roba”, apostrofa, A me piace il colore delle tue gote.

   Gli sorridi ancora imbarazzata, tentando di scusarti con gli occhi per l’inconveniente.

  “_______! Ma che fine hai fatto?”, grida Gou, esponendo il capo fuori dallo stipite della sua camera, “Ah, Onii-chan, sei tornato per il weekend”.

   Il ragazzo si alza, conficcandosi le mani nelle tasche della tuta, “Sì”.

   “Sul tardi guarderemo un film, vuoi vederlo con noi?”, propone.

   “Basta che non sia melenso”, e si richiude l’uscio della propria stanza alle spalle.

 

    Sono le dieci passate quando finalmente scendete in salotto, dopo che, grazie alla prodigiosa maschera tonificante e rinfrescante, la pelle del vostro volto è fresca e liscia come una rosa, e le vostre unghie sono perfettamente limate e smaltate in gradazioni perlacee adatte ad ogni situazione.

   “Ce l’avete fatta ad arrivare”, brontola sommessamente Rin dal divano, occupandolo quasi interamente con la sua posa stravaccata disordinata, mentre fa zapping. Ti sorride sghembo, picchiettando lo schienale, sul quale si distende il suo braccio destro, segnalandoti ti sederti accanto a lui. 

   “Cosa guardiamo?”, poni, eseguendo gli “ordini”.

   “Horror, ovviamente”, risponde Gou.

   Le tue labbra si riducono in una linea sottile: odi quel genere di film. Insomma, perché qualcuno dovrebbe voler provare terrore?

   “Nelle scene che ti spaventano puoi abbracciarmi se vuoi, fifona”, ti schernisce bonariamente il fratello, sussurrandoti nell’orecchio lontano da uditi indiscreti.

   “Non sono una fifona!”, gli dai un colpetto nelle costole.

   Sogghigna, “Vedremo”.

   La più piccola dei Matsuoka si accomoda dall’altro lato del divano, non lasciandosi sfuggire il braccio del maggiore già in posizione per scivolare durante il film a circondarti le spalle. Sorride interiormente, pensando, E bravo, Onii-chan!

   L’attacco della pellicola è similare a molti altri film della categoria: con il cliché della famiglia felice che si trasferisce in una casa più grande. Ti trovi a pensare che sicuramente ci sarà qualche oscura presenza come spiriti bloccati da questioni irrisolte, demoni o, nella fattispecie di questo caso specifico, alieni interessati a rapire un membro del quartetto che osservano dagli albori, aspettando il momento propizio.

   L’inizio non è così male, anzi è piuttosto allegro e la scena in cui i due fratelli protagonisti comunicano dalle loro camere con dei walkie talkie prima di addormentarsi, raccontandosi favole sull’omino del sonno che ti ruba gli occhi se ti trova sveglio, è simpatica e ricca di amore familiare; peccato che basta quella seguente a sconvolgere l’atmosfera, sebbene di primo acchito ti venga da ridere per la ridicolezza di trovare confezioni di cibo impilate in cucina secondo qualche astruso algoritmo.

   Man mano che i fotogrammi proseguono l’ansia comincia a montare dentro di te. Sarà per la colonna sonora che preannuncia avvenimenti inesistenti, sarà per il sonnambulismo che affligge il fratellino di sei anni, che di notte parla con l’Omino del Sonno, oppure per le crisi nevrotiche, quasi epilettiche dei protagonisti, fatto sta che avverti sempre di più la necessità di avvinghiarti a qualcosa. Uno scaldotto, un cuscino, qualsiasi cosa. E la cosa più invitante è Rin.

   No! Non puoi cedere. Non puoi cadere nella sua trappola. Non aspetta altro che avere un pretesto per prenderti in giro. Ma non puoi farci niente, improvvisamente il bimbo si volta in direzione del fratello maggiore, scoprendo il viso privo di bulbi oculari, costringendoti a inorridire accoccolata al petto del pescecane che, prontamente, ti massaggia la schiena, scorrendo le dita dall’alto al basso un paio di volte, fino a posarsi sulla tua nuca, premendo appena così da non farti scappare. Un rumore assordante si leva dalle casse dello schermo, facendoti trasalire, il giovane ti copre amorevole l’orecchio così da attutire il frastuono.

   Basta! Non vuoi vedere, non vuoi sentire, vuoi solo che quel supplizio finisca in fretta. Cerchi di distrarti, concentrandoti su altro; sul battito confortante del cuore di Rin. E’ armonico, regolare, cullante nella sua indulgenza.

   Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum.

   Ti dondola in un’aura di pacatezza, addolcendo il tuo turbamento. Serri le palpebre, assorbendo quella musica cadenzata, assopendoti tra capezzali di muscoli e le brezze tiepide del suo respiro, rammentando a bruciapelo quale fosse il titolo della canzone che stava ascoltando prima in camera sua. If Everyone Cared dei Nickelback.

   Senza troppi scrupoli il Cuscino approfitta della tua innocente incoscienza, piegando il collo verso di te. Avverte un’indescrivibile pizzicore sulle labbra, paragonabile a un non so che di bollente che ci viene posato sopra, per poi discostarlo il secondo seguente, temendo un ustione. Assurdamente Rin affibbia questa sensazione all’ebrezza di un bacio rubato.

 

 


 

Note d'Autore

Per iniziare vorrei ringraziare nuovamente tutti coloro che stanno seguendo e supportando questa storia, probabilmente senza di voi The Reader sarebbe stato accantonata a metà.

Ho cercato di esaudire il desiderio diffuso di avere maggiori scene con l'adorabile, o meglio adorato, Rin, in particolare l'aspetto romantico che ho, più o meno volutamente, trascurato. Ammettiamolo: un po' di difficoltà se le merita dopo essersi perso anni preziosi con tutti gli altri personaggi ;P 

Per una volta non ho molto da aggiungere, eccetto l'augurio che sia anch'esso di vostro gradimento.

Buona lettura,

Claire DeLune

 

   

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

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Capitolo 10
*** 9. Si parte! ***


9.

Si parte!

 

   La luce filtra dai drappi della finestra a nord del letto. 

   Ti stiracchi, uggiolando beatamente riposata fra coltri sconosciute di tonalità scure manchevoli di femminilità, tipiche di una stanza maschile.

   Ti guardi intorno disorientata, non ricordando di esserti addormentata in quella camera ignota, ma conosciuta. Ti sollevi a sedere, poggiando il tergo allo scaffale alla tue spalle ricco di libri, cd, dvd e anche qualche videogame; anche il resto dell’arredamento, le riviste sportive, gli abiti abbandonati malamente sul servo-muto, gli oggetti che fungono da accessori ti richiamano l’idea di trovarti nella stanza di un uomo. Non solo. Tutto lì dentro sa e urla “Rin”, finché tu stessa non strepiti il suo nome trasecolata, svegliandolo.

   “Perché sei steso sul pavimento?”.

   Il ragazzo si alza, scricchiolando il collo prima a sinistra poi a destra, agevolando il gesto con la mano con cui scrive.

   “Ci ho dormito per lasciarti il letto”.

   “Uh?”, trasalisci, domandandoti perché hai passato la notte con Rin, quando dovevi stare con Gou seguendo le norme dei “pijama party”.

   Il rosso sghignazza, sedendotisi accanto sull’alcova, “Non fare quella faccetta tirata”, ti sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, soffermandosi poi sul viso col palmo, “Mi hai chiesto tu di restare”.

   Lo fissi confusa.

   Sorride sghembo, specificando, “Nel sonno”.

   Il film è terminato con un vero colpo di scena. I Grigi al posto di rapire il fratellino più piccolo, hanno allucinato il maggiore, inducendolo ad avvicinarsi a loro, così da circondarlo e portarlo via con sé. Una visione simile avrebbe lasciato la Bella Addormentata tristemente interdetta, dopo aver pensato per tutta la proiezione che sarebbe avvenuto il contrario, e allo stesso tempo avrebbe ammirato l’ottimo connubio tra esoterismo e suspense, se solo non si fosse cloroformizzata tra le braccia del cinabro.

   La kohai si avvicina al computer, “E’ già finito! Ne guardiamo…”.

   “Abbassa la voce!”, la riprende il fratello in un sussurro, “Non vedi che sta dormendo?”.

   “Ops”, la minore sogghigna, intenerita dal volto rilassato del soggetto. Le ciglia, sebbene siano un poco piegate contro il pettorale del ragazzo, aiutano le palpebre sbarrate a disegnare un arco convesso sullo zigomo; la bocca è socchiusa. 

   Sono perfetti insieme, pensa.

   L’assopita si muove leggermente, accoccolandosi maggiormente al giovane, disturbata dal brusio della sorella, che bisbiglia di essersi dimenticata di preparare il futon su cui avrebbe dovuto dormire l’amica.

   Lo squalo sbuffa, “Le lascerò la mia camera. Dormirò sul divano”.

   “Ma, Onii-chan…”.

   “Niente ma”. Infila il braccio con il quale circondava la schiena della ragazza sotto le cosce, accompagnato dall’altro arto; si alza dal sofà, incurvando il dorso all’indietro, stringendola a sé in modo che la forza di gravità non tiri il suo peso dal lato opposto al proprio baricentro. La scorta in camera sua, come un eroe che porta fuori dalla torre la principessa indifesa, snuda il materasso, l’adagia lentamente, timoroso di destarla, sfila le mani e, quando sta per coprirla con le lenzuola, sente mugugnare il suo nome.

   Parla nel sonno.

  “Resta”. 

   Distogli lo sguardo, “Mi dispiace. Sicuramente a causa mia ti farà male la schiena”.

   “Non sono così delicato. In più…”, confabula, “… sei davvero carina mentre dormi”.

   Se possibile acquisti la stessa sfumatura rubizza dei suoi capelli.

   “Ancora di più che da imbarazzata. Comunque”, batte le mani, “Andiamo a fare colazione”.

 

   Scendete in cucina, dove la madre dei Matsuoka vi sta aspettando con invitanti cibarie servite simmetricamente sulla tavola imbandita.

   “Buongiorno”, vi saluta sorridente.

   “Buongiorno”, ricambiate all’unisono, seppure con toni differenti: quello del maggiore è grave e distante, quello di Gou è simile a un trillo, mentre il tuo è piuttosto timido. Il completo da notte e il viso ancora dormiente non è certo lo stato migliore con cui presentarsi.

   Il sorriso della donna si amplia dopo la tua trepida considerazione, “E’ un piacere conoscerti finalmente. Non so chi tra questi due parli di più di te”, ridacchia, mentre i figli la guardano in tralice e la femmina strepita un “mamma” stizzito.

   “Sul serio, devi essere tremendamente paziente se sopporti questa pazza di mia figlia”.

   “Mamma!”.

   Ridete assieme, “In effetti spesso mi sorgono dubbi in sua presenza”.

   “_______!”.

   “Non offenderti, tesoro. Si sa che ti manca un venerdì”.

   Trovi la signora Matsuoka esilarante, anche se inconsapevole di quanto fosse nervosa all’idea di incontrare la ragazza che ha rubato il cuore di suo figlio prima ancora di realizzarlo.

   “Parlami un po’ di te”, dice, mentre sorseggi il tuo tè al gelsomino.

   “Non c’è molto da dire”, replichi essendo sinceramente a corto di inventiva.

   “Sei in parte europea, vero?”.

   “Sì, mio padre è italiano. I miei genitori si sono conosciuti lavorando ad un progetto internazionale di ricerca e, beh, papà si è follemente innamorato di mia madre all’istante. Peccato che mamma non lo filasse minimamente. Era una donna difficile. Lo è tutt’ora. - Mi ricorda qualcuno, ironizza nel pensiero Rin - Ma poi ha ceduto al fascino dello straniero”.

   “E’ così romantico”, afferma sognante, rimembrando l’incontro con il marito, “Quindi parli italiano?”.

   “Sì, l’ho sempre parlato con papà”. 

   “E’ una fortuna. A scuola non avresti mai avuto la possibilità di impararlo senza fare dei corsi extra”.

   “E’ vero”.

   La gentile cinquantenne dai corti capelli cremisi si ammonisce, “Oh scusami! Con le mie inutili chiacchiere non hai ancora avuto modo di mangiare nulla”.

   “Da quando si è seduta non le hai lasciato un attimo di tregua”, punzecchia il figlio, riponendo la propria tazza nel lavello e salendo al piano superiore per cambiarsi, non risparmiandosi un’occhiata fugate su di te. In cuor suo è emozionato che vi siate conosciute.

   Le sorridi luminosa, conquistando anche lei, “Non si preoccupi. Ho avuto modo di assaggiare le sue ottime zuppe in passato”.

   Udite il trillo di un’email ricevuta da qualche cellulare. Ti alzi per raggiungere il comò del salotto sul quale l’avevi lasciato, “Scusate, è il mio”.

   Digiti il pin d’ingresso, la schermata si sblocca, scorri le applicazioni, apri la casella postale e vi trovi un messaggio della coordinatrice inviato la sera precedente:

 

❮ Entrata (6)                                                                             

Da: Amakata Miho

A: [Cognome e Nome]; Hazuki Nagisa; Matsuoka Gou; Nanase Haruka; Ryugazaki Rei; Tachibana Makoto

                                                                                                                                                               . 

Buonasera ragazzi,

dopo un’attenta riflessione da parte del consiglio, abbiamo deciso di approvare il campo di allenamento. 

La partenza è stata prefissata per martedì prossimo alle 7.20 e vi rimarremo per una settimana.

 

Buona domenica,

Amakata-sensei

 

   Corri in cucina, dando una pacca a Gou all’altezza delle spalle, facendole sputare i cereali integrali nella ciotola, “Leggi, leggi!”.

   L’amica tossicchia, guardandoti storta, beve un sorso di latte per far scendere la frutta annessa ai cereali, e, pulendosi con un tovagliolo, fa come gli è stato detto, per poi balzare in piedi e sbraitare, “Yatta!”.

   Vi abbracciate, ballando per la stanza e canticchiando scioccamente, coinvolgendo anche la signora Matsuoka che ti primo acchito vi osservava allegramente stupefatta, “Andiamo su un’isola deserta! Andiamo su un’isola deserta!”.

   Sentite il rumore sordo di piedi che saltano dei gradini per la fretta. Rin fa capolino nella stanza preoccupato dal trambusto, “Cosa sta succedendo?”, pone quando gli si para davanti la scena di voi tre che saltellate a ritmo di una musichetta inesistente.

   “Niente che tu possa capire, tesoro”, risponde la madre, alludendo al pregiudizio sulla scarsa percezione degli uomini.

   “Dobbiamo avvisare gli altri. Sicuramente l’unico che avrà guardato la posta, sarà Rei”, consideri saggiamente.

   “Io chiamo Nagisa”, obbedisce Gou.

   “Io Makoto. Tanto ci penserà lui a dirlo ad Haru”.

   Accorrete in camera, mentre il pescecane vi segue con lo sguardo stranito.

   Gou me l’ha fatta diventare scema, si dice sarcastico, ma felice di vedere quell’espressione sollazzata stampatati in viso.

   La madre gli si avvicina, prendendolo a braccetto e poggiandogli per un secondo la testa sulla spalla, “Mi piace quella ragazza. Tienitela stretta”.

 

Due giorni dopo - In partenza!

   

   Makoto varca la soglia di casa con un paio di borsoni in spalla, forse tre, accompagnato dal biascicare narcotizzato di Ren e Ran.

   “Divertiti”, lo saluta la femmina.

   “Compra dei souvenir”, condivide il maschio.

   “Fate i bravi”, conclude Fratellone, chiudendosi dietro la porta. Si affaccia alle scale che portano alla villetta a schiera del suo migliore amico, rimanendo colpito di trovarcelo seduto sui gradini, avvolto in un caldo maglioncino chiaro adatto per le mezze stagioni, accarezzando la gattina che lui stesso è solito coccolare; abbandonati al suo fianco giacciono i suoi bagagli e un frigobar da viaggio.

   Se si è portato da mangiare, sarà sicuramente sgombro, si convince, dandogli il buongiorno.

   Dopo circa dieci minuti di tragitto, i due ragazzi raggiungono la comitiva al porto davanti al peschereccio, guidati dal solo strepitio di Nagisa che li chiama, sbracciandosi.

   “Siamo tutti?”, chiede coach Sasabe.

   “Manca ancora Amakata-sensei”, ribatte Rei. Contemporaneamente, però, si ode lo stridio di ruote motrici che grattano sull’asfalto in una frenata brusca. Da un’auto rosa confetto smonta una leggiadra figura giovanile, avvolta in un prendisole bianco abbinato ad un capello di paglia del medesimo colore, al quale è affisso un giglio abbinato a sua volta al maglioncino rosa antico con cui la donna si protegge le spalle nude dal fresco delle mattine di inizio estate. L’insegnante sorride radiosa, facendo un breve gesto con il cappello e scusandosi per il ritardo.

   “Lei dev’essere Sasabe-san”, si rivolge al trentacinquenne che la studia ammaliato, “Grazie del suo aiuto. La prego, prenda questo”, gli porge un pacchetto che pare essere stato confezionato a mano, “E’ solo un pensiero”.

   “Oh, grazie”, risponde lui guardandola meglio.

   “Qualcosa non va?”.

   “Per caso ci siamo già incontrati?”, domanda leggermente intontito da un presentimento.

   La faccia della consulente acquista una sfumatura bluastra, “No, assolutamente! Questa è la prima volta che la incontro”, replica esprimendosi meccanicamente, facendo aumentare i tuoi punti interrogativi che la riguardano.

   La piccola squalo scruta Sasabe di sottecchi, “Sta cercando di fare colpo su di lei?”.

   Per me è lei che nasconde qualcosa, rifletti senza dare voce alle ai tuoi sospetti.

   “Ok, salpiamo!”, taglia corto l’ex-istruttore, mentre issa la bandiera multicolore della vostra imbarcazione.

   “Si parte per l’isola deserta!”, esulta il biondo, aggrappandosi ad un’asta di prua con il vento a scompigliargli la zazzera ribelle, immagine che il turchino trova paurosamente bella, nonostante gli risponda che non state andando su nessuna dannatissima isola deserta.

   “Suvvia, suvvia non essere così pignolo”.

   “Non sono pignolo!”.

   “A tutto vapore!”, condivide la frenesia Gou.

   Cinquanta minuti abbondanti dopo raggiungete la zona balneare più spettacolare che abbiate mai visto.

   “Questo posto è meraviglioso!”, affermi estasiata dalla cristallinità della distesa salina sulla quale si specchia il cielo poco annuvolato.

   “Sono così felice di essere venuta!”, ammette la prof, mentre Makoto si premura dei conati trattenuti di Rei, che rimane inginocchiato al suolo, tentando di convincere il mare a prestargli un po’ della sua calma con scarso successo, dato che improvvisamente comincia a correre verso il bagno più vicino, mormorando a metà un debole “sto ben…”.

   Haruka ti tende galante una mano, sostenendoti chetamente mentre scendi dall’imbarcazione, nel frattempo con l’altra ti invita silenziosamente a dargli il manico del tuo trolley. Non riesci a staccare gli occhi di dosso dalla linea appena accennata che è il suo quieto sorriso; la distrazione ti rende più maldestra del solito, infatti ti si incastra una caviglia in una cima raggomitolata alla bell’e meglio a terra, cadendo di conseguenza a peso morto tra le braccia del corvino, che ti lega a sé con tenendo i polsi un tantino all’infuori così da non scontrare la valigia con la tua schiena.

   Getti lo sguardo sul suo petto imbarazzatissima per la gaffe, “Scusa”, bisbigli in modo che solo lui possa percepire l’oscillare delle onde sonore da te emesse.

   “Non è niente”. In faccia gli si dipinge una mimica compiaciuta. Sta cercando di imitare l’atteggiamento sbruffone di Rin?

   Sasabe-san gratta la cola, inducendovi ad aumentare lo spazio fisico tra voi, “Ecco un regalo da parte mia”, porge al moro un frigobar arancione. Poco dopo vi saluta e salpa di nuovo a bordo della sua eredità, confermandovi che tornerà a riprendervi l’ultimo giorno del campo, “Buona fortuna!”.

   Ama-chan sfoglia un depliant riguardante le attrazioni dell’isola, “Sembra che ci sia un impianto sportivo laggiù”, informa il capitano della squadra, mentre quest’ultimo si carica in groppa tutti i borsoni che le sue larghe spalle possono ospitare, “Ha una piscina da 50m: potremmo nuotare lì”.

   “Non abbiamo i soldi per poterci andare”.

   “Vado a cercare un buon posto per campeggiare”.

   “Ok!”, replicate tu e Gou, poi la kohai apre il regalo del coach, curiosa del suo contenuto.

   “Pizza?”, sussurra delusa, “E qui c’è…”.

   “Sgombro”, risponde prontamente il senpai dal caschetto d’ebano. Era scontato dopotutto.

   “Lo sgombro ti piace anche troppo”, lo rimprovera disgustata dall’indole abitudinaria del giovanotto.

   “Ragazzi!”, vi chiama Rei, tornato dopo una lunga permanenza al gabinetto.

   Deve aver vomitato l’anima, poverino, ti dispiaci per lui. Non solo ha faticato ad imparare a nuotare, soffre anche di mal di mare.

   “Venite a vedere!”.

   Vi guida fino al centro sportivo del resort, all’interno del quale, attraverso le vetrate che danno all’esterno, dall’alto vedete la famosa piscina olimpionica occupata dal team Samezuka.

   “Inoue, Yamanaka! Siete in ritardo!”, prorompe la voce di Mikoshiba che non avevi più incontrato dopo i rari allenamenti congiunti.

   “Perché la squadra di nuoto della Samezuka è qui?”, pone l’orca mansueta.

   “Accelerate!”, senti gridare il leader degli avversari attraverso le arcate.

   “Rin-chan è qui!”, Nagisa lo nota al fianco di Seijurou, Nitori e un altro ragazzo bruno mai visto prima con in mano una cartelletta e una penna.

   “E’ di nuovo opera tua, Gou-chan?”, la interpella Makoto.

   Normalmente la ragazza replicherebbe sull’inesattezza di pronuncia al suo nome, ma stavolta si limita a giustificarsi, “Stavolta non c’entro niente. Mio fratello non ascolterebbe comunque ciò che dico”.

   “Quindi è solo una coincidenza”, confuta contento il compagno di classe, “Allora dovremmo andare a salutare”.

   “No”, lo spezza secco e imbrunito Haruka.

   “Perché no?”.

   Fissa l’espressione annoiata dello squalo attraverso il vetro con pathos, “Gli ho promesso che ci saremmo incontrati al torneo”. 

   “Davvero?!”.

   Quando è sucesso?, si domanda il castano, per poi rivolgergli un sorriso conciliante, sebbene il moro non gli stia dando attenzione.

   Improvvisamente Rin si volta nella vostra direzione - lo trovi paurosamente aitante con gli occhialini che non lasciano ricadere le ciocche più corte sulla fronte a mo’ di fascetta -, ma voi vi siete già dileguati.

   “Cosa c’è, Senpai?”, pone il suo coinquilino con angoli di cielo terso al posto delle iridi.

   “Niente, pensavo di aver sentito qualcosa”, dice cupo, avvertendo un certo fastidio montare, perché quell’aroma prova a coprire un profumo di [fragranza floreale o fruttata] per lui inconfondibile quanto indispensabile, “Odore di sgombro”.

   “Oh, Matsuoka, hai un fiuto sopraffino!”, s’intromette beota il leader del team, “Avremo sgombri al curry per pranzo! Adesso impegnatevi!”, incoraggia gli altri nuotatori. Inconsciamente Mikoshiba ha perso ulteriori punti con il collega: non solo ha una cotta per la sorella, cosa già inaccettabile di per sé, ma è altrettanto palese che al ragazzone titanico piace molto il pesce azzurro, aspetto altrettanto intollerabile perché troppo somigliante ad un certo individuo idrofilo.

 

   Siete sulla spiaggia, avete scelto il luogo idoneo all’accampamento e voi donne osservate i vostri prodi cavalieri che montano le tende tra battibecchi, imprecazioni perché i martelletti sono misteriosamente spariti, o perché i paletti da piantare sono troppo duri, oppure si chiedo come faranno a richiudere le tende quando sarà arrivato il momento di smontarle.

   “Vorrei nuotare in una piscina di 50m”, cambia argomento Nagisa piagnucolando puerile.

   “Credo che le scuole più famose ottengano trattamenti speciali”, lo disincanta Ama-chan-sensei, stringendosi la borsa di paglia al ventre.

   “Appartengono chiaramente ad una classe più alta”, concorda il nuovo acquisto del club.

   “Non importa”, taglia corto Haruka, sistemando le funi del suo alloggio mobile arancione.

   “Haru ha ragione”, dà manforte Marcantonio, “Il nostro obiettivo per questo campo è quello di acquistare resistenza”.

   “Giusto!”, si alza in piedi il sauro con entusiasmo, “Abbiamo ancora le nostre isole deserte!”. 

   Ma ovviamente Quattrocchi ha da ridire: “Stai paragonando le piscine olimpioniche a delle isole deserte?”

   “Non sono simili?”, chiede ingenuamente.

   “Come possono essere simili?!”.

   “Oookay…”, si discosta la coordinatrice, girandosi verso voi ragazze e prendendo da terra un sacchetto di plastica bianca, “Andiamo a fare il check-in alla hall?”.

   “Hall?”, domandano in sincronia i nuotatori visibilmente confusi e sospettosi. Il corvino inarca un sopracciglio, immaginando la situazione; gli sembrava troppo surreale che avresti campeggiato insieme a loro, conscio della diffidenza che hai nei confronti degli insetti.

   “Abbiamo prenotato un appartamento per noi nel resort lassù”, li delucida la prof. con nonchalance, indicando il complesso di villette a due piani che circondano il centro sportivo sulla collina, “Non potevate aspettarvi che un paio di ragazze dormano fuori, giusto, ragazze?”.

   “Giusto”, dite in coro con falsa innocenza.

   “Ancora differenza di classe…”, sussurra polemico Rei.

   “Siamo l’1% di fondo?”, brontola il pinguino.

   Li abbandonate lì, sulla quella battigia di farinosa sabbia bianca, con il loro sdegno e vi dirigete all’alloggia assegnatovi dalla reception, mentre il capitano dell’Iwatobi delinea il prospetto della giornata mefistofelica.

   “Se guardate la mappa, noterete che c’è un buon numero di isolette in zona”.

   “Isole deserte!”, puntualizza il biondo.

   “Che hai con le isole deserte?”, si lamenta l’occhialuto.

   Makoto li ignora, “Nuoteremo tra: Sukishima - l’isoletta davanti al camping amatoriale -, Oshima e Mizushima. La distanza fra ogni isola è di circa un chilometro. Stiamo parlando di 4km di nuoto e 1 di corsa per ogni circuito. Il nostro scopo è quello di completare tre circuiti il primo giorno”.

   L’espressioni degli altre tre atleti è spaventosamente seria, infatti Nagisa non si risparmia i suoi commenti sulla difficoltà del proposito a loro prefissato, e la sua preoccupazione per il compagno di classe.

   “Rei è un principiante”, lo informa il bruno, “quindi per lui c’è un programma diverso”.

   “No”, dissente stoico il diretto interessato, “farò quello che fanno tutti. Ho studiato i concetti di nuoto su lunga distanza”, il suo risaputo tic da so-tutto-io ha scarso successo, in quanto non porta la montatura ottica al momento.

   “Potrai conoscere perfettamente i concetti, ma l’oceano è un luogo pericoloso”, prorompe pacato il leader, “Se vuoi partecipare allo stesso regime, dovresti utilizzare una tavoletta o dei gonfiabili”, il giovane dagli occhi di smeraldo si volta verso il collega dallo sguardo marittimo, che austero mostra l’attrezzatura al kohai turchino, “Scegli”, si limita a dire, al che il subordinato comincia ad immaginarsi con ognuno di quegli oggetti al seguito.

   “Non è bello per niente”.

   “Prendi solo la tavoletta”, accondiscende il più slanciato dei quattro, “Detto ciò…”.

   “Iniziamo l’allenamento!”, finisce per lui Nagisa urlando, con già indosso occhialini e cuffia, mentre corre verso il limite del litorale. Ha un invidiabile entusiasmo.

   “Aspetta!”, Rei mette sottobraccio il galleggiante, “Dovremmo partire contemporaneamente, Nagisa-kun!”.

   “Sbrigatevi!”.

   Haruka muove un passo vero il antro segreto, arrestandosi all’istante notando lo sguardo distante del migliore amico fisso sul medesimo mondo extraterrestre, sebbene con minore coinvolgimento se non quello della circospezione. Sentendosi fissato, Makoto si volta verso l’amico d’infanzia esponendo il più rassicurante dei sorrisi appena accennati, quelli che li si accompagna da un sereno colpo di ciglia.

   “Non preoccuparti: starò bene. Andiamo”. E s’incammina.

   “Mm”. Il delfino lo segue poco dopo aver sospirato profondamente.

   Dal bagnasciuga un po’ osservate l’allenamento dell’Iwatobi Swim Club, servendovi di binocolo e macchina fotografica digitale per immortalare i muscoli contratti delle bracciate del moro, i sorrisi mansueti del castano quando si solleva gli occhialini e si volta a vedere a che punto sono gli altri, Nagisa che aiuta il coscritto ad evitare subdoli mulinelli, la fatica di Rei a tenere il passo ma con una costanza da far invidia ad Ercole e il modo in cui quest’ultimo supera in tecnica atletica gli altri durante il chilometro di corsa, o la premura di Haruka nei confronti del korai dalla chioma indaco quando rimane indietro; e un po’ giocate a racchettoni, a beachvolley o prendete il sole, mostrando due arcate dentarie sornione ai nuotatori quando vi passano accanto, come a sottolineare il fatto che loro stiano sgobbando a differenza vostra.

   Cala il tramonto e il turchino a mala pena riesce a stare in posizione eretta per lo sforzo patito, “Non avevo capito che le lunghe distanze a nuoto fossero così faticose”, ansima col fiatone, mentre il biondo lo aiuta ad uscire definitivamente dall’acqua.

   “Sei stato bravo per essere un principiante. Ottimo lavoro”, lo consola il capitano.

   L’altro non replica, però il suo sguardo è sconsolato e malcelato, incapace di reprimere il suo turbamento interiore costituito da deludente smania.

   “Sembra che ci stiamo allenando sul serio”, prosegue il pinguino noncurante del piccolo bruco ansioso di diventare farfalla, “Saremo molto più forti quando questo campo sarà terminato”, mostra i bicipiti trasognante, “Se vinciamo il torneo ufficiale e facciamo bene le regionali, saremo diretti alle nazionali!”.

   “Sembra tutto un sogno”, le guance di Makoto si tingono di una soffusa tonalità perlata, “ma voglio vedere fin dove riusciamo ad arrivare”.

   Il sauro raggiunge il senpai muto, “Se ci piazziamo, avremo un budget più alto! Potremo nuotare al coperto durante l’inverno! Potrai nuotare tutto il tempo!”.

   “Lo spero”, circoscrive il delfino.

   Porgi ai ragazzi dei teli mediante i quali darsi almeno un’asciugata, “Ottimo lavoro. Alla fine il regime infernale era davvero così tosto? Ne avete completato soltanto metà”. 

   “Beh, siamo solo al primo giorno”, ti rassicura l’orca.

   “Domani andrà meglio”, si affretta a dire l’occhialuto, “Mi metterò in pari in pochissimo tempo”.

   “Questo è lo spirito giusto!”.

   “I commenti sulle prestazioni sono sufficienti per ora”, vi chiama Ama-chan-sensei poggiando su un tavolo da picnic la vostra cena, “Mangiamo prima che faccia buio”.

   “Muoio di fame!”, prorompe quell’ingordo di Nagisa, mentre accorrete al punto di ristoro.

   “Oh, no. Ho dimenticato la salsa”.

   “Vado a prenderne un po’ al market del resort”, ti offri.

   “Grazie mille”.

   Corri il più veloce che puoi al negozio di alimentari e souvenir, conscia di quanto siano impazienti degli adolescenti affamati. Tuttavia la tua maratona viene bruscamente interrotta proprio di fronte alle porta automatiche dell’emporio, siccome sei andata a sbattere contro qualcuno.

   “Scusa!”, Non è…?

   “Sei la ragazza di Matsuoka-senpai…”, afferma pensoso il ragazzo dai lisci capelli di luna.

   Chi sarei io?!

   Non hai il tempo dar fiato ai tuoi dubbi perché la sua voce precede l’irrompere della sua prestante figura, interrompendo la tua rimbecca all’istante, “Qualcosa non va?”, guarda dietro il capo di Nitori.

   “Rin!”.

   “_______?”, si imbroncia, collegando quel fastidioso puzzo di sgombro sentito in mattinata al presentimento che il suo avversario fosse presente sull’isola. Sospira per poi sorriderti alquanto soddisfatto di vederti dopo così pochi giorni, “Nitori, vai avanti senza di me”.

   Annuisce, lasciandovi soli.

   Senza parlare vi recate ad una delle panchine che delineano i vialetti del complesso e il parco circostante.

   “Non è come pensi”, ti affretti a dire una volta sedutagli accanto. 

   “No?”, chiede poco convinto, appoggiandosi allo schienale con le mani coricate nelle tasche dei pantaloni verde militare e una gamba accavallata all’altra, “Haru e gli altri sono qui, vero?”.

   “Sì, ma è una coincidenza. Siamo qui per un campo di allenamento”.

   “Campo di allenamento? Usiamo noi la piscina. Dove nuotano?”.

   Abbassi lo sguardo leggermente preoccupata, “Nell’oceano”.

   Quasi impercettibilmente Rin sussulta, condividendo il tuo allarme, “Makoto è d’accordo?”.

   Punti interrogativa le tue iridi [aggettivo colore] nelle sue di corallo smussato stavolta.

   “Lascia perdere”, evita il tuo sguardo, temendo che possa scavargli troppo nell’intimità della sua mera armatura, “Stanno completando il loro schemi?”.

   “Beh, oggi ne hanno finito soltanto metà”. Gli sorridi furba apparentemente senza motivazione.

   Aggrotta un sopracciglio, “Cosa?”.

   “Niente, sembra che ti preoccupi ancora per loro”, sputi compiaciuta.

   Non è così. Sai anche tu della sua fobia”, accenna al castano.

   “Ma hai promesso di incontrarli al torneo”.

   “Non l’ho fatto per poterli vedere”, il suoi occhi si affilano in due taglienti lame insanguinate, “Batterò Haru. E’ tutto quello che mi interessa”, si desta sempre con le mani in tasca e si allontana di un paio di metri, “_______, dove alloggi?”.

   “Nell’appartamento laggiù”.

   Ti guarda in tralice con fermezza, “Ti accompagno”.

   Ti sfugge il tintinnio cristallino di una risata, mentre lo raggiungi in fretta e furia perché non ti sta aspettando. Ecco il bad-guy dal cuore d’oro.

   “A cosa è dovuto quel sorriso?”, ti domanda una volta raggiunto, prendendoti per mano senza nascondere una certa timidezza, alla quale non riesci a sottrarti, tanto è piacevole.

   “A nulla”, fai la finta tonta.

   Camminate fianco a fianco senza proferire parola, non si saprebbe dire con sicurezza chi accompagni chi. Stanchi dello spinoso silenzio imbarazzato, aprite entrambi bocca e imbeccate una domanda, interrotta a metà dallo sfocio di una risata.

   “Prego”. Fa il cavaliere.

   “No no, prima tu”, cedi cortese.

   “Era per questo che ballavi nella mia cucina?”, pone beffardo.

   “Detto così è brutto”, ridacchi, “Comunque sì, ero piuttosto su di giri”.

   “Ovvio: ti fai una vacanza, mentre gli altri sgobbano”, ti dà una debole spallata, facendoti l’occhiolino.

   Ridi alla battuta, ma ti arresti di colpo sul posto, restando abbastanza indietro perché lo squalo si senta tirare per il braccio, ricordandoti l’avido appetito dei tuoi amici in spiaggia, “Oh no!”.

   “Cosa?”.

   “Ho dimenticato la salsa!”.

   Corruccia la fronte, “Uh?”.

   “Dovevo prendere la salsa per la cena al kombini del resort. E’ meglio che sbrighi prima che chiuda”, cominci a correre nella direzione opposta, salutandolo a squarciagola e agitando una mano, “Ci vediamo!”.

   Rin ancora stupefatto ti fissa attonito, per poi implodere in una sghignazzata ammutolita.

 

   Raggiungi gli altri in spiaggia, scusandoti per il ritardo dicendo che non sapevi quali spezie scegliere e che per questa ragione ne hai preso un vasetto di tutte.

   “Saba e hokke!”, Nagisa vi mostra con orgoglio il condimento alternativo della sua pizza costituito da due qualità diverse di pesce azzurro.

   “Saba e painappuru”, segue Haruka scatenando un “bleah” disgustato. Arricci il naso. Insomma, chi metterebbe dell’ananas su una pizza? E’ un’offesa a metà delle tue origini! 

  Illuminato dalla luce del tramonto, il volto di Rei acquista una malinconia particolare quanto marcata che non può non richiamare l’attenzione del coscritto che, con il suo intrinseco buonumore e gli occhi di fragola eternamente sorridenti, cerca di farlo sfogare.

   “Cosa c’è che non va?”.

   Preso in contropiede il turchino balbetta che va tutto bene.

   “Rei, non devi preoccupato di non aver finito il regime”, interviene incoraggiante Makoto, avendo sentito di sfuggita il quesito del biondo, “Fai con calma”, si volta a guardarvi mentre consumate il vostro pasto inconsueto, trattenendo una risata dovuta all’espressione corrucciata del cetaceo cinerino all’ennesima presa in giro per le sue discutibili doti culinarie, “Sono felice di potermi allenare e campeggiare qui con tutti”, si rivolge di nuovo al kohai dalle luccicanti iridi ametista, “E’ importante migliorare i nostri tempi, ma ciò che mi rende più felice è il poter nuotare tutti insieme”.

   “Sì”, sorride l’altro sollevato.

   Finita la cena i ragazzi cominciano a discutere sulla sistemazione nelle tende.

   “Quindi io e Haru dormiremo in questa tenda”, il castano indica il riparo arancione.

   “Che? Io voglio dormire con Haru-chan”, piagnucola il pinguino.

   Il compagno di classe corruga la fronte offeso, “Non vuoi stare in tenda con me?”.

   “Probabilmente sei noioso anche mentre dormi”, pungola il sauro, arricciando le labbra come un bambino che fa i capricci per una caramella rubatagli.

   “Non è vero!”, si altera l’occhialuto. 

   “Possiamo usare l’amida per decidere”, propone il capitano per mantenere la pace.

   “Ci sto!”, accetta Nagisa.

   “Si può scrivere sulla sabbia”, supporta il corvino.

   “Andiamo?”, decide la consulente, mentre gli atleti discutono.

   Voi ragazze annuite, ma poco dopo Gou si ferma all’istante, girandosi per guardare meglio i ragazzi.

   Perché onii-chan non è con loro?, si chiede improvvisamente mesta.

   “Kou?”, la chiami, “Tutto bene?”.

   “Sì”, tenta di sorridere, cambiando argomento, “Il tramonto è bellissimo”. 

   Ti fermi ad osservarlo dietro le teste dei quattro nuotatori, inarcando a tua volta gli angoli delle labbra all’insù estasiata dall’armonia dei colori, “E’ vero”, ti volti verso l’insegnante, “Sensei, possiamo rimanere finché il sole non sarà calato?”.

   Che ragazze romantiche, sorride, “Sì. Ma non tornate troppo tardi”.

   “Grazie!”, dite all’unisono, mentre l’amica ti fa l’occhiolino.

   “Allora avete deciso?”, pone la rossa, avvicinandosi saltellando al gruppetto.

   “Io dormirò con Haru-chan!”, risponde soddisfatto il biondo della sua fortuna. Haruka è sempre stato il suo idolo.

   Per qualche strana ragione in questo momento trovi più invitante l’increspatura che la spuma del mare crea sulla terra bagnata. Ti ci approssimi, dimenticandoti le infradito nel deserto dorato, e ci entri, camminandoci dentro finché non senti l’acqua arrivare al polpaccio. Ti fermi, serrando le palpebre ed assaporando la brezza marina scompigliarti i capelli, lasciandoti il pizzicore ameno del sale.

   Ad un tratto senti l’acqua infrangersi all’ingresso di qualcun altro che ti affianca lentamente, desideroso di memorizzare ogni sfaccettatura della tua momentanea libertà.

   “Ciao, Haru”, sorridi tenendo ancora gli occhi chiusi.

   “Cosa stai facendo?”, chiede con finta noncuranza.

   “Ascolto”.

   “Cosa?”.

   “La pace dell’oceano”.

   Ti fissa curioso e, nonostante tu non abbia ancora schiuso le ciglia, senti le sue iridi, così familiari a quel luogo, su di te. Per la prima volta Haruka si sente davvero compreso; per la prima volta qualcuno all’infuori di lui vuole percepire l’anima dell’acqua, anche se, forse, non sei ancora pronta per amarla veramente. Ti emula, sbarrando a sua volta le palpebre, poi, rompendo l’armonica quiete creatasi, chiede:

   “Dormi con me”.

   All’istante i tuoi occhi lampeggiano nei suoi. Non è una domanda, ma nemmeno un’imposizione, solo uno schietto desiderio privo di malizia.

   “Haru…”. Non puoi omettere di volerlo, ma non puoi nemmeno accettare con leggerezza, non tanto per la morale distanza che due amici dovrebbero mantenere sino a che si considerano tali, quanto per i sentimenti contrastanti che esporresti, palesando la stessa difficoltosa contraddizione che è la tua persona.

   “Hai ragione”, ti precede, “Come non detto”.

   Studi la distesa salmastra, implorando spiritualmente il suo soccorso.

   “Però”.

   Però?

   “Fai il bagno come me domani”.

   Sorridi arrossendo lievemente, “Sì”.

   

   Impronte fresche disturbano l’eguaglianza dei granelli di sabbia dormienti sotto un cielo stellato, contornato da nuvole sporadiche che talvolta oscurano la luna.

   Devo impegnarmi di più, si prefissa come imperativo il giovanotto dagli ambiziosi occhi viola, Sbattere gli arti inferiori ritmicamente senza ruotare troppo per dare maggiore propulsione e stabilità; agganciarsi al bordo anteriore della tavoletta per restare a galla più facilmente.

   Si ferma ad ammirare i puntini di massa gassosa che esplodono a migliaia di migliaia di anni luce, così forti da raggiungere la Terra, ma così deboli da non essere visibili quando la stella a voi più vicina è presente.

   Meraviglioso.

   Accade tutto in un attimo di distrazione, in un istantaneo elogio alla bellezza universale, quel secondo necessario alla natura per sconvolgere il suo corso. L’etere illune si oscura di tenebre nere e graveolenti, indici di un imminente pericolo; le fronde degli alberi si agitano, mosse da un vento ammorbante, miasmatico di tormenta; l’acqua si smuove in vorticosi mulinelli stordenti e perniciose, fatali.

   Al ragazzo sfugge di mano il galleggiante, verso il quale annaspa in cerca di salvezza.

   Accidenti!

   Come se un spiffero vocifero gli avesse sussurrato dell’emergenza, il compagno di tenda del giovane in mare si sveglia, notando, seppure ancora mezzo-addormentato, l’assenza del compare. Lo chiama mentre sguscia carponi fuori dall’alloggio mobile. 

   Sta piovendo forte.

   Sta per tornare a dormire, convincendosi che l’amico dev’essere andato in bagno, quando un lampo illumina l’oceano in tempesta e al suo interno vi scorge una figura organica indefinita. Una boa di cui non si è accorto prima?

   Aguzza la vista, riconoscendo il viso appuntito del turchino brancolante per un sbuffo d’ossigeno, coi capelli incollati al viso, dai quali scivolano rivoli salati che gli impediscono un campo ottico ottimale.

    Le iridi corindoni tremano terrorizzate, per poi assottigliarsi in protezione. Il ragazzone bruno lancia da qualche parte la t-shirt del pigiama improvvisato e si lancia nell’inquietudine di nubifragi e paure, gridando il suo nome.

   “Rei!”.

 

 


Note d'Autore

Vorrei cominciare con il ringraziare nuovamente tutti quanti.

Non sapendo cosa aggiungere, un po' perché sono fusa, un po' perché a corto di idee, vi auguro immediatamente buona lettura e mi auguro che vi piaccia anche il nono capitolo.

Spero di riuscire a mantenere alto il vostro prezioso apprezzamento e che continuate a consigliarmi e suggerirmi parti che secondo voi tendo a omettere o a non approfondire a sufficienza.

See you next water time,

Claire DeLune

 

PS: Ammetto che stavolta ho riletto solo in parte il capitolo, perciò se ci sono orrori grammaticali, lessicali, sintattici o parti poco chiare, vi prego di farmelo sapere, così da correggere il prima possibile.

Grazie!

 

 

   


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Capitolo 11
*** 10. Tempesta non solo d'acqua ***


10.

Tempesta non solo d’acqua

 

   Una cacofonia ripetitiva e petulante, ridotta in uno strillo finale, lo tartassa in un angario soffocante, vessante, rovinando la beatitudine del mare dei suoi sogni in uno tsunami di incubi senza volto, ma caratterizzati dalla stessa agognante voce, così simile a quella del suo migliore amico dai sorridenti occhi smeraldini, eppure così distorta da interrompere il suo sonno tormentato per inseguirlo anche da sveglio.

   Libera appena le iridi indaco, udendo di nuovo quell’urlo sussurrato, composto da sole tre note piane.

   “Rei!”.

   Makoto?

   Si mette a sedere incurante del peso puerile che gli grava sulla spina dorsale indolenzendogliela un poco.

   “Haru-chan?”, lo interpella un tono impastato dalla stanchezza. Peter Pan si sfrega col pugno serrato i delicati petali di rosa che sono i suoi occhi.

   “Hai sentito?”, replica l’altro, fissando la lampo della tenda chiusa come se potesse vederci attraverso.

   “Sentito cosa?”, sbadiglia.

   “Quella voce”. Dà uno scossone alla zip, così da esporsi a quell’acquazzone, che per ringraziarlo del suo sacrificio, gli dona una profonda sfumatura mirtillo ai lisci capelli foschi, e, chiamando sostenuto il nome del coscritto, si avvicina alla tenda verde prato. Notandola aperta, posa un palmo sul materassino da campeggio, “E’ ancora caldo”, professa più a se medesimo che a Nagisa.

   “Uh? Sono spariti?”, domanda il biondo ancora rimbambito dal sopore della fase REM, “Saranno andati in bagno?”.

   Il vento alita poderoso, fustigando il viso dei due ragazzi con fruste di capelli, pallottole piovane e spruzzi si spuma salmastra. Haruka cerca di ripararsi invano, parandosi il volto con il braccio, mentre studia l’oceano in burrasca colmato da un fausto presentimento. Strabuzza lo sguardo quando un lampo illumina fulmineo la distesa mortifera: li ha visti. Vede Rei agitarsi, spingersi verso il cielo avido d’ossigeno con le palpebre serrate, gridando aiuto ed inghiottendo inevitabilmente grandi quantità d’acqua salata; vede Makoto prendere disperate boccate d’aria, inabissarsi tra grattacieli d’onde per evitarne il risucchio, aprirsi varchi tramite bracciate possenti; lo vede bloccarsi improvvisamente, ma non riesce a scorgere le sue iridi vitree. Le stesse davanti le quali stanno scorrendo stralci di un vecchio film bianconero, ingiallito dalla trascuranza di quella pellicola di memoria, a cui si è aggiunto un pallido viso storpiato dal terrore, rendendo quel video di nuovo a colori.

   “Quello è…”, Nagisa non osa pronunciare il nome del ragazzo che in punta di piedi sta entrando prepotentemente nel suo cuore, incidendolo con il proprio marchio di fabbrica.

   “Contatta Amakata-sensei!”, gli urla il senpai moro, strappandosi in corsa la maglia di una taglia più grande per gettarsi in mare aperto.

   Il pinguino assume un’espressione determinata che lo spinge a seguirlo, eseguendo i medesimi gesti, “Aspetta, Haru-chan! Non è sicuro andare da solo!”.

   Il corvino lo distanzia di qualche metro, raggiunge Makoto e lo afferra da sotto le ascelle.

   “Vado a predere Rei-chan!”, lo informa il sauro, nuotando verso il turchino, “Rei-chan, arrivo!”. Sta per mettere in pratica ciò che ha appreso al corso di primo soccorso, quando un’ombra lo sovrasta interamente, si volta di scatto, sbiancando alla vista di un muro d’acqua notevolmente più augusto degli altri che sta per crollare su di loro, “Oh, no!”.

 

   Se non fosse per lo scrosciare continuo di gocce dolci che precipitano violente sulle piante e sulle finestre, e per il rimbombo sordo di tuoni in lontananza, regnerebbe la pace. Quell’idillio che solo la notte conosce, fatto dell’impercettibile, incomprensibile silenzio assoluto dei dormienti. Silenzio di cui solo gli svegli si accorgono, e lui lo è.

   Mezzo-addormentato si desta, abbastanza vicino a quell’incubo da sentirne le voci imploranti e impaurite, abbastanza lucido da ignorarle perché non altro che questo: un sogno. 

   La radiosveglia sul comodino al suo fianco annuncia in fasci di luce al neon l’orario: le 2.06 e 19 secondi del mattino. Il suo sguardo ancora assopito si posa sulla pioggia che picchietta insistentemente sul vetro oltre la tenda; poi si lascia cadere nelle lenzuola, rigirandosi più volte, implorando Hypnos di farlo ripiombare in un sonno profondo in cui, possibilmente, i suoi figli, Morfeo e Phobetor, non possano interferire nuovamente con sadici giochetti freudiani. 

   Non gli è favorevole.

   Si alza dal letto, soffocando un’imprecazione, si mette una felpa della Samezuka sopra la canotta e i pantaloni della tuta, e si chiude la porta della camera d’albergo alle spalle, attento a non svegliare il suo abituale compagno di stanza Nitori.

   Scende alla hall, si affaccia alla vetrata che dà sul sentiero biforcato all’ingresso, che da una parte conduce al centro sportivo e ai resort e dall’altra al mare, si copre alla bell’e meglio la testa con il cappuccio ed esce sotto il maltempo. Senza meta, imbocca la prima diramazione, arriva al minimarket, però, al posto di andare in piscina, si dirige al tuo appartamento. Si arresta di colpo, rammentando di non sapere di preciso dove si trovi il tuo alloggio, ma, soprattutto, perché si accorge di una figura sottile, minuta, prostrata al suolo con un’espressione dolorante dipinta in viso, vicino alla quale giace un ombrello rovesciato e aperto.

   “_______!”, sbotta, riconoscendoti ed inginocchiandotisi accanto, “Sei ferita?”.

   “Sono solo scivolata”, rantoli.

   “Riesci a camminare?”, chiede, cingendoti intorno alla vita, mentre con la mano libera guida il tuo braccio a circondargli il collo per sostenerti. 

   Ti solleva da terra, però, come poggi la pianta del piede sul selciato, ti scappa un gridolino sommesso; ti riappoggia al suolo, riparandoti col suo corpo, si toglie la felpa e te la porge.

   “E tu?”, protesti.

   “Mettila”.

   Esegui. Allacci l’indumento fin sopra il naso, beandoti del calore rubato al suo proprietario, tiri indietro le maniche troppo lunghe per le tue braccine, evitando di far uscire le dita infreddolite, e Rin ruota di 180°, offrendoti la schiena come appoggio su cui salire, così da scappare in cerca di riparo il più velocemente possibile. Dopo qualche secondo, ti issi alle spalle del ragazzo e quest’ultimo ti posa i palmi sotto le cosce, tenendoti salda a sé.

   Corre al centro sportivo, unico luogo in cui potreste trovare degli asciugamani e dei phon, mediante i quali scrollarvi via almeno parte dell’acqua assorbita. 

   Apre la porta-finestra, fortunatamente sbloccata, raggiunge gli spogliatoi e ti lascia scivolare a sedere su una panca; va al suo armadietto, conscio di conservarvi al suo interno una sacca di riserva con panni immacolati, abiti di ricambio e detergenti da bagno; torna da te, apre il borsone, e nel farlo si piega in avanti, sfiorandoti coi capelli inumiditi, dai quali evapora un profumo soave di shampoo al tè verde - gel che lo intravedi posare sulla panchina, mentre svuota il contenuto della borsa -; ti butta un telo sul capo, costringendoti in una fulminea eclissi.

   Va ad aprire uno degli sciacquoni delle docce, per poi metterci sotto un palmo, al fine di sentire se l’acqua sia diventata almeno tiepida, “Togliti quei vestiti bagnati e vieni a farti una doccia calda, o ti prenderai un accidente. Stavolta non ci sarà la minestrina di mia madre”.

   “Puoi sempre prepararmela tu”, ironizzi per nascondere l’imbarazzo che ti provoca l’idea che Rin ti veda senza veli, “Alle ragazze piacciono i ragazzi che sanno cucinare”.

   E’ una frecciatina?, si domanda se tu lo stia volutamente paragonando ad Haruka. 

   Nota la sfumatura rossastra, quasi invisibile per l’oscurità del temporale, che ti colora il viso e sogghigna, “Non ti preoccupare: non ti guardo”. Ritorna alla panca, setacciando tra i vestiti qualcosa di abbastanza comodo da rifilarti. 

   Ti assicuri che non sbirci e, quando vedi che ti dà le spalle, affranchi ad un attaccapanni gli shorts, il top, la sua felpa e, con remora, la tua biancheria intima che, oltre al reggiseno [tinta unita], è composta anche da una culotte brasiliana in pizzo della medesima tonalità - sotto una certa luce sei sollevata che in un’occasione come questa tu stia portando della lingerie accettabile agli occhi di un maschio, seppure non esageratamente accattivante, ma dall’altra ti mette a disagio il pensiero che il giovane la veda. Va contro al tuo archetipo di pudore.

   Scuoti la testa per scacciare i trip mentali e ti lasci avvolgere dall’abbraccio cheto del getto d’acqua bollente. Afferri dall’urna davanti a te il bagnoschiuma e lo shampoo, che il cinabro vi ha lasciato in precedenza, e t’insaponi integralmente, massaggiando accuratamente il cuoio capelluto che adesso sa dello stesso aroma di quello di Rin. 

   Rimani a lasciarti coccolare dalla pioggia cocente per una buona mezz’ora, prima di chiudere riluttante il rubinetto e fasciarti gocciolante nell’asciugamano; torni nello spogliatoio, strizzandoti i capelli, cercando di celare al meglio le tue grazie, mentre lo squalo ti sorpassa con un sorriso sghembo. Ti strappa di mano i prodotti della doccia, stampandoti un bacio in fronte.

   “Ti ho lasciato una maglietta”, senti la sua voce distorta dal fragore della doccia, “Ti andrà larga, ma è sempre meglio di niente”.

   La prendi per due lembi, spiegandola totalmente: ti andrà sicuramente larghissima, Ma almeno coprirà la mia nudità. Dopotutto la tua biancheria è madida. 

   Riponi il resto dei tuoi vestiti in un sacchettino di plastica che il ragazzo ti ha gentilmente lasciato vicino ad essi.

   Quando Rin fa capolino nella stanza, sfregandosi un asciugamano in testa, avvampi, notando che non porta altro che un paio di boxer grigi con le cuciture navy-blue che lasciano ben poco all’immaginazione.

   Metà dei suoi compagni di squadra saranno diventati gay a causa sua.

   Abbassi gli occhi sul pavimento, trovando improvvisamente interessante lo smalto [colore] delle tue unghie dei piedi, “Grazie per la maglietta”.

   “Di niente”, dice, infilandosi i pantaloni della tua ed una felpa senza lampo.

   Come può essere così sexy anche con qualcosa di così coprente?!, ti osserva di sottecchi con indosso la sua t-shirt decisamente troppo grande per te, mentre recupera un phon portatile, “Vieni?”, te lo mostra, per poi farti strada agli specchi con le prese elettrice, lo attacca e te lo tende.

   “Vai prima tu: hai i capelli più corti, ci impieghi di meno”.

   Inarca un sopracciglio per aver sminuito la sua galanteria e regola l’intensità della folata al massimo prima di accendere l’interruttore. Ogni tanto di punta l’elettrodomestico in faccia giusto per farti un dispetto e ridacchia.

   Quando ha finito ti porge il phon con cui sventoli i capelli. Tracci la riga a/in [zona della testa] con la spazzola, che, però, Rin ti toglie di mano al fine di snodarteli lui stesso, intenerito da una consuetudine passata, risalente a quando lui e Gou erano bambini e le pettinava la lunga chioma cardinale, perché la sorella era ancora troppo piccola per sapersi preparare da sola in tempo. Lo lasci fare, deliziandoti del suo tocco delicato, ma soprattutto della sua espressione tanto dolce quanto rilassata.

   Tornate ai vostri effetti personali e vi risedete sulla panchina. Il rosso ti prende la caviglia alla quale ti sei fatta male, appoggia il tallone alla propria cosca e comincia a massaggiartela, ruotandola, tirandola, spingendola, accarezzandoti la pianta del piede su cui disegna piccoli cerchi concentrici coi pollici.

   “E’ solo una storta”, sentenzia, smettendo di torturare la zona dolorante, per sfiorarti verticalmente la pelle liscia e già lievemente abbronzata dello stinco, “Cosa ci facevi fuori a quest’ora sotto il temporale?”, pone scettico.

   Chini il capo, non volendo rivelare il motivo del tuo sonnambulismo, “Potrei farti la stessa domanda”.

   “Non riuscivo a chiudere occhio”. E’ una mezza verità.

   Ti fissa come per spronarti: è il tuo turno.

   “Avevo una bruttissima sensazione. Un presentimento”.

   “Un presentimento?”, chiede, riscontrando nelle tue parole lo spezzone omesso dalle sue.

   “Non so spiegartelo. So solo che è stato orribile”.

   “Non ci pensare”, conclude, continuando ad accarezzarti la gamba.

   Broooom!

   Sobbalzi tremante come una foglia.

   “_______?”.

   Un altro rombo.

   Il meteo sta peggiorando. Trasalisci di nuovo.

   “Hai ancora paura dei tuoni?”. Non è questo. E’ colpa della situazione: l’incubo, l’oscurità, il maltempo. Lampi e tuoni sono solo lo sconvolgente coronamento di un quadro di un artista del macabro.

   Al terzo sussulto, Rin afferra i lembi terminali della sua felpa e la amplia su di te, inglobandoti totalmente - eccetto per la testa che spunta dalla scollatura -; leva le braccia dalle maniche e ti sfrega le mani sugli avambracci per calmarti. Il contatto con il tepore del suo petto nudo e il suo stringimento ti infondono la sicurezza necessaria ad acquietarti un poco, sebbene serri le palpebre all’ennesimo rimbombo.

   “Ci sono qua io”, ti abbraccia da sotto la felpa, “Ti va di ascoltare un po’ di musica?”.

   Annuisci instabile.

   Il Borgogna ripone un braccio nella manica e prende il suo iPod da una delle tasche della sacca, lo nasconde tra il tessuto della felpa, srotola le cuffie, te le infila in entrambe le orecchie e clicca riproduzione casuale


Und noch ein Tag vergeht,
doch nicht mit dir,
auch wenn du weg bist,
bleibt ein Teil noch hier.

   Anche se te ne sei andato, una parte di te rimane ancora qui.

   Sollevi il volto verso quello del giovane che ti guarda con molta serietà e, data l’impellenza dei suoi sentimenti, preme docilmente le labbra tiepide sulla tue, mettendo fine a quell’infinito gioco di occhiate fuggevoli, speranzose di trovare nell’altro il coraggio di fare qualcosa che ambedue desideravate ardentemente. Gli Yamana definiscono questo tipo sguardo mamihlapinatapai

   Il pescecane non pretende alcuna risposta, tuttavia essa non tarda molto ad arrivare. Schiudendo i margini della bocca, permetti alle estremità delle vostre lingue di baciarsi a loro volta, ritrovandosi in un atto spontaneo e naturale capace di donare una spensieratezza che neppure con Haruka, per quanto sia eterea la vostra intesa, si è palesata. Rin è sempre stato l’unico in grado di far svanire tutto ciò che ti circonda, per portarti con sé alla deriva di mondi sconosciuti, lontano persino dai tuoi timori più infantili.

   Lo squalo si stacca da quell'incorruttibile tormentoso bacio, fatto di morsi e risucchi trattenuti per troppo tempo, e ti sorride a fior di labbra, prima di conceder loro un ultimo schiocco di commiato e passare a posarsi morbido sulla tua fronte. 

   I suoi occhi di corallo vengono attirati dal picchiettio esterno all’edificio. 

   Posa il mento tra i tuoi capelli, “Ci toccherà stare qui per stanotte”.

   Mugugni in assenso, “Non abbiamo nemmeno l’ombrello”.

   “Già”.

   “Dormiamo?”.

   Vi regalate un sorriso stanco, vi sdraiate sulla panchina dello spogliatoio con la felpa e il vostro abbraccio come unica coperta.; appoggi una guancia all’altezza del cuore di Rin, rannicchiandoti sotto la scollatura dell’indumento.

   “Rin?”, bisbigli. Il suo respiro è regolare. Forse sta già dormendo.

   “Sì?”, biascica esausto.

   “Me la fai ascoltare ancora una volta?”.

   Sorride, collocando una cuffia bianca nel tuo orecchio e l’altra nel suo per capire quale canzone scelta dal destino ti piaccia tanto.

 

Wollt nur wissen,
wie´s dir geht,
bist du allein?

Voglio solo sapere come stai. Sei solo?  

    

   I piedi sprofondano confortati nello strato farinoso di sabbia ingrigita dal clima notturno acquifero; arrancano per non far cedere l’intera struttura, propria e quella dell’incosciente che sorregge, a terra. Il fiato è affannoso, stremato, consumato dall’angoscia e dalla fatica.

   Al limite delle forze, il corvino lascia cadere il corpo inerme dell’amico sui zigrinati granelli di ruvida rena, che appare così soffice dopo l’assaggio della perenta, e casca sulle ginocchia al suo fianco. 

   Confuso, scuote le membra di Makoto, chiamandolo a gran voce, “Svegliati!”.

   Fissa il suo volto annebbiato, inespressivo. Farraginoso percorre con lo sguardo la sua figura, cercando di capire perché non apra gli occhi, perché non si muova, perché non risponda. Deve fare qualcosa. Deve cercare aiuto.

   Si guarda intorno sconclusionato, “Qualcuno… C’è nessuno?!”. Solo adesso la sua mente caotica rievoca altri due nomi… Dove sono?, “Nagisa?! Rei!”.

   Cosa faccio? Cosa faccio? Pensa, Haru, ragiona. Cosa hai imparato al corso per bagnini?

   Il battito.

   Accosta un orecchio al petto dell’amico, C’è.

   Forse è ferito, No.

   Il respiro.

   Si avvicina il più possibile alla bocca del castano per assicurarsi che i polmoni funzionino, E’ così debole…

   Un strascico di luce lampeggia per un secondo nella coltre di nuvole uggiose e nella mente del giovanissimo soccorritore.

   Respirazione bocca a bocca e massaggio cardiaco.

   Raddrizza il viso del bruno, lo afferra per il mento e il setto nasale, aprendogli maggiormente la cavità orale, prende un respiro profondo e si accosta alle sue labbra; sta per appoggiarcisi sopra e sbuffargli dentro l’aria, quando qualcosa sotto di lui si muove.

   L’orca rantola su un fianco, raggomitolandosi in posizione fetale, e, stringendosi con le braccia al ventre, sputa sonoramente fuori un rivolo d’acqua salmastra.

   “Makoto!”, strepita il delfino, “Makoto!”, ripete rincuorato, mentre l’altro apre gli occhi, nonostante siano ridotti in due fessure spiritate.

   Lo scruta con la vista ancora appannata, “Haruka…”.

   “Stai bene?”, domanda l’altro apprensivo.

   “Dove siamo?”, fatica a parlare: la gola brucia di dolore.

   “Credo che siamo su Sukishima, l’isola difronte alle tende”.

   Il capitano balza seduto, Rei!

   “Dov’è Rei? Rei!”.

   Sta per alzarsi, ma Haruka lo sblocca, tenendolo giù per le spalle, “Non dovresti andartene in giro! Devi riposare!”.

   “Ma Rei è in difficoltà!”, lo stringe intorno al braccio, intento a scrollarselo di dosso, così da andare a cercare il kohai lui stesso.

   “Ci sta pensando Nagisa!”, aumenta la presa, “Non devi preoccuparti”.

   “Nagisa?”, E’ rimasto coinvolto anche il piccoletto…

   

   In una baia poco più ad ovest della stessa isoletta sperduta, l’erosione secolare dell’acqua ha scavato nella scogliera una piccola grotta, in cui i due studenti del primo anno si sono rifugiati.

   Rei, strabordante di senso di colpa e inquietudine, si tiene il volto emaciato tra le mani, come per contenere la suggestione che minaccia di inondarlo di attacchi di panico.

   Nagisa, ancora esposto alla pioggia, raccoglie la tavoletta galleggiante alla deriva, per poi riportarla all’amico, al quale rivolge un sorriso rinvigorente per confortarlo, ma anche per celare il proprio turbamento, dovuto a ben altro di più debilitante che lo opprime da quando lo conosce. E’ un comportamento intrinseco in lui: nascondere tutto dietro ad un sorriso raggiante. Tutti hanno problemi, perciò i suoi non devono trasparire.

   Da quando ha incrociato le sue iridi di quarzo su quelle ametista del turchino, da quando ha perso il primo battito, non fa che pensare a lui, a come vorrebbe che lo guardasse con le stesse occhiate che le sue sorelle e i loro fidanzati si rivolgono - eccetto una che ha una compagna -, ma ha paura. Paura che i suoi genitori non accettino una relazione simile, sebbene ce ne sia già una in casa, siccome lui è il figlioletto maschio; paura di esporsi per quello che è davvero; paura che stare con un compagno di classe e club sia estenuante ed insopportabile in caso di rottura. 

   Paura che Rei non ricambi.

   E quindi sorride, come fa ora tendendo all’altro la tavoletta azzurra, perché lui è quello spensierato. E’ questo il suo ruolo. E’ questa la sua maschera.

   “Tieni, Rei-chan”.

   L’occhialuto si scopre il viso, osservandolo stralunato, ed afferra il galleggiante, “Grazie mille”. Con quelle parole vorrebbe esprimere tutto ciò che la sua psiche grida. Tutte le scuse, tutta la gratitudine per aver rischiato la propria vita al fine di salvare la sua. Nessuna voce del suo dizionario è abbastanza colta per permetterglielo.

   “Stai bene?”, chiede Nagisa, premurato solo di questo.

   “Sì”, gli mente, per poi ripetere per l’ennesima volta che è molto dispiaciuto.

   “Va tutto bene”, replica il biondo, consapevole che non sia la verità.

   “Ma è colpa mia se tutti…”, l’ex-saltatore si accartoccia su se stesso.

   “Questo può aspettare. Adesso dovremmo andare a cercare gli altri”.

   Il turchino fissa l’oceano ben lontano dall’acquietarsi, impaurito dal stremante quesito sulla sopravvivenza dei senpai.

   “Sono certo che stiano bene”, recita la sua connaturale parte il pinguino.

   “Ma…”, Rei corruga la fronte, “Ho visto Makoto-senpai venire ad aiutarmi…”, l’espressione vuota del capitano gli si rimaterializza nella retina, “… ma non sembrava se stesso”.

   E in effetti in quel momento non era in sé…

   “Ti sei calmato?”, pone Haruka al ragazzone seduto alla sua sinistra dopo un periodo interminabile di silenzio, inermi sotto al cornicione della scogliera come unico riparo.

   “Sì”, si limita a dire il castano senza sostenere il suo sguardo.

   Anche il moro interrompe il contatto visivo, intrecciandolo con la sabbia tra le sue dita dei piedi, “Hai ancora paura dell’oceano, non è così?”.

   “Credevo di averla superata”, risponde l’altro in un filo di voce, “Ma quando ho visto Rei che annegava, mi sono bloccato”, si porta la grande mano al volto, adombrandolo quasi per intero, “Il ricordo di quel giorno è riemerso immediatamente”.

   Il corvino lo scruta in tralice dai suoi bulbi di zaffiro che esprimono un esasperato dubbio.

   Qualcosa di bianco fluttua sulla distesa d’acqua autunnale, si inabissa e riemerge seguendo il moto cinetico del fiume.

   E’ la sua sciarpa!, rammenta l’undicenne con gli occhi d’oceano estivo, guardando il collo denudato dell’amica sulla bicicletta al suo fianco.

   Smonta dalla sella in direzione della sciarpa, Non è tanto lontana. Se mi appoggio a quel masso dovrei recuperarla senza problemi.

   “Dove vai?”, lo interpella la bambina.

   “La tua sciarpa è nel fiume, vado a prenderla”.

   “No!”, strepita lei, scendendo dal veicolo a due ruote, “E’ pericoloso!”.

   Il giovanotto non l’ascolta, troppo preso dalla sua missione - vorrebbe così tanto fare colpo su di lei e questa è la sua occasione, soprattutto ora che si è presentato un indesiderato rivale dai capelli porpora -; si approssima alla riva sdrucciolevole, facendo attenzione a dove mette i piedi. Improvvisamente un attacco di vertigini prende il sopravvento su di lui; il suo corpo si sbilancia e, avendo a mala pena il tempo di pensare a cosa sta accadendo, la vista gli si oscura in disordinate strisce di colore. Fino ad un attimo prima poteva giurare di sentire l’erba soffice e un po’ di pietrisco sotto le suole delle scarpe, ma ora avverte solo il vuoto, seguito da un fastidioso senso di bagnato, accompagnato da un sonoro splash.

   Ode la voce della coetanea gridare il suo nome al vento, mentre la propria mente gli urla allarmata che si trova nel gelido fiume di novembre. L’acqua gli arriva a metà del busto, intorpidendogli i sensi. Con una mano afferra uno scoglio vicino alla riva, con l’altra la sciarpa bianca diventata beige, rovinata dalla fanghiglia. Arranca fuori dall’acquitrino, strisciando sui gomiti e, una volta raggiunta la terraferma, vi si lascia cadere sopra a peso morto.

   Ciò che accadde nello stralcio di tempo dallo svenimento al suo arrivo in ospedale è solo un buco nero, se non per alcune immagini ricostruite da frammenti di memoria dei suoi amici. ______ aveva chiamato l’ambulanza e la bisnonna di Haruka, mentre Makoto e Rin, passati di lì per caso, lo avevano soccorso ad uscire completamente dall’acqua, avevano percorso con lui il tragitto in ambulanza ed avevano atteso lì fino al suo risveglio nella stanza dov’era ricoverato, luogo in cui poi tu stessa li avevi raggiunti un paio d’ore dopo circa.

   “Mi dispiace di averti trascinato in questa situazione”, l’orca lo strappa dal suo remuginio. 

   “Non è colpa tua”.

   “Io ho deciso di organizzare il campo”, Sono il capitano, la responsabilità è mia, “Ed ho scelto di aprire il club di nuoto. L’ho fatto perché volevo nuotare di nuovo con te. Volevo di nuovo partecipare ad una staffetta con tutti”, si osserva le mani ancora pulsanti, “Ma se non ci sei tu…”, rivolge all’amico una profonda occhiata, che al primo impatto Haruka non comprende, “Non ha senso senza di te. Io voglio nuotare con te!”.

   Le loro iridi tremolano. E’ la prima volta che Makoto esprime sinceramente un suo desiderio, preoccupandosi soltanto di se stesso.

   Il moro non sa cosa rispondere, ma lo strepitio di una voce conosciuta, spesso fastidiosa che al momento è terribilmente agoniata e gradita, lo salva in corner, “Ah, eccoli! Haru-chan, Mako-chan!”.

   “Rei!”, si desta il castano, “Nagisa!”, si avvicina a loro, “Meno male che state bene entrambi”, si incupisce nuovamente, “Rei, mi dispiace di non essere riuscito a salvarti”.

   “Non dirlo nemmeno!”, lo interrompe l’interpellato, inchinandosi, “Sono io quello che dovrebbe scusarsi”.

   Il senpai bruno inclina il capo di lato con un sorriso accondiscendente appena accennato, “Va tutto bene. Sono solo felice che sia illeso”.

   Il delfino iracondo, rimasto qualche passo indietro rispetto all’allegra rimpatriata, dissente freddamente con austerità, “Non va bene”, la sua mimica è dura, diretta, scostante, come se il nuovo acquisto in questo momento non sia altro che un’odiata forma d’indecisione a un limite che non riesce a risolvere, “Perché stavi nuotando nell’oceano di notte?”.

   Il sauro si rivolge al turchino, tentando di sedare gli animi, “Ti stavi allenando, vero?”, si appella al più veloce dei nuotatori, “Vuole mettersi in pari con tutti noi”.

   Il viso del corvino si distende stupito, quando il bruco in crisalide annuisce.

   “Inontre, Rei-chan non è l’unico colpevole”, continua Nagisa, alza l’indice come una maestrina puntigliosa, “Mako-chan, non avresti dovuto cercare di salvarlo da solo! Haru-chan, tu ti sei tuffato in acqua senza pensare!”.

   “Anche tu”, lo zittisce stizzito quest’ultimo.

   Al che il pinguino replica con una faccetta buffa che scatena un risolino, “Beh, alla fine stiamo tutti bene”.

   Si scrutano sollevati per un secondo interminabile. Attimo che Peter Pan arresta rabbrividendo, strofinandosi le braccia infreddolite ed affermando che fa un certo freschetto.

   “Ci sarà un riparo dalla pioggia da qualche parte”, si guarda in giro Makoto, trovando in cima allo strapiombo uno strano edificio dall’aspetto tetro affiancato da un faro in funzione.

   Percorrono un ripido sentiero in sampietrini e raggiungono lo stabile in malora. Alcune vetrate sono in frantumi o scheggiate, le mura sono zeppe di crepe e rigonfiamenti di umidità, gli infissi del portone d’ingresso e dei serramenti sono scardinati, l’insegna principale è priva di alcune lettere, distorcendone il significato originale.

   “Ret Hou?”, si entusiasma il biondo, “Cos’è un ret hou?”.

   “E’ una rest house”, rimbecca Rei.

   “Entriamo”.

   Quattrocchi si stringe la tavoletta galleggiante al petto, mentre Makoto esprime il dubbio di entrambi, “Aspetta, entriamo davvero?”.

   “Makoto”, lo interpella Haruka con la sua solita espressione fintamente assente, “stai bene?”.

   Annuisce, piegando la testa, “Tutto ok”.

   “Ehi”, li richiama all’attenti il pinguino, schernendoli, “Smettete di parlottare come una coppia che sta per entrare in una casa stregata”.

   Infastidito, il corvino approfitta del sua capacità di mimetizzazione e sorpassa il puerile, arrivando alle sue spalle, e, con un baritono gli chiede, “Hai visto quell’ombra?”.

   Spaventato, Nagisa gridacchia come un bimbo al suo primo brutto sogno, mentre l’indaco cela gli occhi lilla dietro al galleggiante e il capitano s’imbruna.

   Il vice si scusa con quest’ultimo, rammentando quando sia suscettibile.

   “V-va tutto bene”, balbetta l’altro.

   “Darò un’occhiata all’interno. Aspettate qui”, si avvia il moro.

   “Vengo con te”, si affretta a dire il migliore amico, “Andrà tutto bene dal momento che siamo tutti insieme”.

   Entrano nella casa di riposo con Haruka in testa alla carovana. Subito dietro di lui in fila ci sono Makoto, che si tiene forte l’addome contratto da una morsa nauseabonda che minaccia di rigettare tutto ciò che ha assimilato solo sei ore prima, Nagisa, elettrizzato dall’oscurità che aleggia in quell’impalcatura fatiscente, ed infine Rei, che, con il salvagente stretto al petto, mediante il quale si nasconde parte del volto, avverte la lugubre sensazione che qualcosa stia per saltar fuori dalla tromba delle scale elicoidale che conduce al piano superiore e alla terrazza.

   “Ah!”, sbraita il biondo, facendo sobbalzare il castano e il turchino. “Una torcia elettrica”.

   “Non spaventarci!”, lo sgrida il coscritto, pallido come un lenzuolo.

   Il cetaceo cinerino recupera l’aggeggio e controlla che funzioni; quand’essa si accende, comincia a perlustrare il sito abbandonato, donando alle parti in ombra un’aria ancora più tetra. 

   Si avventurano al pian terreno, ma ogni stanza e desolatamente vuoto. I mobili sono stati smantellati o sono assenti; al pavimento mancano alcune piastrelle - ulteriore motivo per stare attenti a dove si poggiano le piante nude dei piedi; l’elettricità è stata staccata da almeno un decennio, se non di più; e la muffa ha colonizzato gran parte dell’area nord del piano, la puzza è inscindibile.

   Proseguono la loro visita, sinché non si ritrovano in una vasta stanza colma di ripiani in metallo antiaderente, sulle quali sono impilate pentole arrugginite, mestoli deformati, fornelli consumati, ed infondo alla sala un frigorifero no frost combinato a doppia porta occupa lo spazio tra due ampie finestre.

   “Sembra che questa fosse una cucina”, decanta l’ovvietà il corvino.

   “Allora potrebbe esserci qualcosa da mangiare!”, si rianima Nagisa con già l’acquolina in bocca, “Muoio di fame!”, si massaggia la pancia con ambedue le mani.

   “Come puoi pensare al cibo in una situazione come questa?”, rimbecca il compagno di classe.

   Il pinguino si accarezza la nuca sogghignante, non avendo colto il rimprovero. Non era un complimento.

   “Ok, diamo un’occhiata in giro!”, s’infiamma il kohai biondo, volendo zittire il suo rumoroso stomaco, “Io controllerò l’armadietto qui”, indica il mobile vicino alle stoviglie, “Haru-chan e Mako-chan possono guardare sotto al lavandino, mentre Rei-chan deve occuparsi del frigo sospetto”.

   “Aspetta! Perché tocca a me la parte peggiore?!”, si lamenta quest’ultimo, Perché se la prende sempre con me? Non fa altro che punzecchiarmi!

   “Perché Rei sta per firgo-Rei-fero!”, ammicca in risposta il sauro, formando un angolo retto con pollice e indice, mimando il colpo di una pistola.

   Perché gli permetto di farlo? Perché tutto il mio fastidio svanisce non appena i suoi grandi occhi da monello si puntano nei miei?, “Mi sembra un’esagerazione! Mi rifiuto!”, Tanto alla fine farò come dice, “Ho la sensazione che se aprissi lo sportello, qualcosa potrebbe saltarmi addosso”.

   “Smettila”, lo ammonisce il senpai dello stile libero.

   Il ranocchio opta un’infantile soluzione, “Allora useremo carta, forbici e sasso per decidere chi deve controllare il frigo”.

   “Dobbiamo proprio aprirlo?”, si oppone il leader del team Iwatobi.

   “E’ il luogo che con più probabilità contiene del cibo”.

   “Però non c’è elettricità”, commenta Haruka, sottolineando tacitamente la possibilità che, qualora ci sia qualcosa all’interno, sarà marcito.

   “Il frigo è la nostra unica speranza al momento”, espone imperterrito il pinguino, per poi obbligare tutti a disporsi in cerchio, oscillando un polso, “Ok! Carta, forbici, sasso!”.

   Tre su quattro distendono completamente le falangi, mentre il quarto le tiene contratte. La carta batte il sasso. Ovviamente lo sventurato numero quattro è proprio la vittima preferita dell’infatuato Nagisa.

   “Visto?”, fa un balletto il solare ragazzino, “Continua ad essere Rei-chan! Fight on!”.

   Con lentezza inumana lo sfortunato si appressa all’elettrodomestico in disuso. Deglutisce più volte prima di afferrare le maniglie del doppio sportello illuminate dalla torcia elettrica del moro. Serra le palpebre e con uno strattone spalanca i battenti con un groppo in gola.

   “Grazie al cielo”, esala, quando nessun temuto yokai gli balza in faccia.

   Il coetaneo sbuffa, “Che peccato: è vuoto”.

   Bruscamente il delfino si appropinqua al congelatore come se una voce gli avesse appena imposto di farlo.

   “H-haru…”, balbetta Makoto, temendo in un subitaneo impossessamento da parte di un akuma, “Stai bene?”.

   “Ho sentito un odore”.

   “Un odore?”.

   Il corvino tira ogni cassetto come un forsennato, finché quell’aroma accennato non si trasforma in una vera e propria scia avvertibile da tutti.

 

 


 

Note d'Autore

Come ti consuetudine, parto con il ringraziare il continuo sostegno ed apprezzamento. Non potete immaginare quanto mi renda contenta.

Ad essere onesta non ho molto da aggiungere, se non che ancora una volta troviamo un incontro esclusivo con Rin, in cui esprime tutta la sua premura, ereditata dal rapporto fraterno con la sorella. E quando qualcuno canticchia "E il triangolo no", con questa fic ci spariamo dentro un bel "Infatti è un pentagono!", che rende la protagonista - e perfino l'autrice xD - sempre più indecisa.

Mi auguro che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.

Se siete interessate a sentire la canzone che ho citato, s'intitola Wollt Nur Wissen dei Panik. E' una band rap numetal un po' di nicchia, ma spero vi conquisti come ha conquistato me.

Buona lettura,

Claire DeLune


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Capitolo 12
*** 11. Notte in bianco (o quasi) ***


   11.

Notte in bianco (o quasi)

 

   Con dei grembiuli usa e getta impacchettati a nome della casa di riposo Sukishima e un abbondante vassoio di pesce azzurro in filetto, raggiungono l’angolo ristoro in veranda.

   “Ok, ragazzi, mettete questi”, Nagisa incita gli altri ad indossare i camici.

   Rei si acciglia, “Perché li indossiamo?”.

   “Non sono riuscito a trovare nient’altro. Non vi lamentate”.

   “Siamo asciutti adesso, non ce n’è bisogno”, il bruno dà man forte al turchino.

   L’occhialuto fissa arcigno gli alimenti che il loro fidato chef del pesce sta rifilando loro, “Ancora…”.

   “Sgombro all’ananas”, completa Peter Pan.

   “Sembra che abbiamo avuto un colpo di fortuna”, professa il moro avvolto nel suo grembiule sopra al costume da perfetto cuoco di casa Nanase, applicando l’ennesima fetta di frutta sul pesce, curandosi persino dell’impiattamento come in un ristorante di classe.

   “Non potresti almeno mangiarli separatamente?”, pone invano l’indaco, mentre Haruka sminuisce la sua richiesta con una semplice forchettata, appoggiando con grazia il disco giallognolo.

   “Quest’acqua non è ancora scaduta”, li distrae Makoto, mentre il cuoco prosegue il suo lavoro, “quindi possiamo bollirla e berla”.

   Una volta concluso il pasto, il sauro soffia mestamente sul proprio ustionante bicchiere, ne manda giù un sorso e sospira, “Sgombro all’ananas e acqua calda…”.

   “Ringrazia che abbiamo trovato qualcosa di commestibile”, lo riprende il corvino.

   “Vero, devo solo usare la mia immaginazione. Questa non è acqua: è ricca zuppa consommé. Il tocco finale d’oro scintillante”, socchiude le palpebre, assaporando la rarità macchinata dalla sua mente puerile.

   “Non ti fa stare peggio?”, rimbecca Rei accigliato.

   “Questo è il problema delle persone senza fantasia”, replica l’altro, causando nella gola del coscritto un suono gutturale di disappunto, accompagnato da un sopracciglio rialzato quasi a toccare lo scalpo.

   “Almeno ci ha riscaldati”, sorride accondiscendente il leader della squadra, mentre il vicecapitano punta il suo sguardo d’acqua su gocce del medesimo composto biochimico che precipitano fuori dalla finestra. Piove ancora.

   “Credo che dovremo restare qui fino a domattina”.

   “Cosa facciamo adesso?”, domanda il sauro.

   “Dormiamo”, risponde prontamente Masterchef Japan.

   “Che?! Ma siamo bloccati su un’isola deserta!”, protesta il kohai, “Non dovremmo pescare e cercare dei funghi commestibili?”, suggerisce, fingendo di impugnare una lancia.

   “Non siamo in un programma TV”, si discosta Rei, collegando l’idea del compagno di classe a quell'orrido reality show, dove un gruppo di VIP venivano fatti naufragare su un’isoletta sperduta a procacciarsi del cibo e combattersi in stupide competizioni di resistenza e velocità, Com’è che si chiamava? Bah. Tanto era sicuramente una montatura. Qualcosa da mangiare dovevano darglielo per forza, sarebbe stato inumano altrimenti…, citando Freud - o Amakata-sensei che cita Freud -, spettacolarizzare situazioni simili sottolinea in un certo senso la prevaricazione della pulsione di morte su quella di vita; oppure, da l’avviso degli psicoanalisti postmoderni, è la mera conferma di una coscienza sociale che nega l’esistenza stessa della morte. 

   L'immortalità è uno dei fare strutturalmente basilari dell'uomo comune. Su di essa si basano le routine dell’ego, l’importanza personale che ci permette di rimandare a domani decisioni e azioni da compiere oggi, di reprimere gli affetti, dimenticandoci che il tempo per incontrarci e toccarci è limitato, di preoccuparci per futilità fino alla depressione, di lamentarci e sentirci sconfitti, perdendo già in partenza. 

   Per questo un mortale cosciente viene etichettato come ‘guerriero’: fa di ogni atto una sfida. La sfida di gustare ogni attimo prezioso, sapendo che la Morte lo aspetta, seduta ad una panchina, in attesa di quel appuntamento a cui l’uomo non potrà mancare.

   Ed è sempre per questo che Rei approva la successiva proposta di Nagisa, per quanto sciocca, di giocare alla sua versione di ‘Obbligo e Verità’, perché, sebbene sia esausto per l’addestramento intensivo e per il suo scampato incontro fatale, dormire - e perché no, anche sognare - è solo una noiosa bella illusione da immortali.

   Recuperato uno scatolone abbandonato, scritto i loro nomi sulle facciate del cubo in una grafia incespicante e scomposta inconfondibile, e sedutisi sul pavimento a gambe incrociate, il biondo lancia la scatola-dato, cantilenando, “A chi toccherà? A chi toccherà?”.

   L’energia potenziale affibbiata all’oggetto è sufficiente da farlo avanzare tre volte.

REI

NAGISA

REI

   “A Rei-chan!”, afferma il più mingherlino, mostrando il pacco per dimostrare che non sta mentendo.

   Il turchino increspa le labbra, “Scusa, perché il mio nome è su tre facce?”.

   “Perché sei Rei-chan”, replica l’altro con innocenza, decantando un’ovvietà conosciuta solamente a se stesso.

   “Cosa dovrebbe significare?”.

   Si siede con loro anche il pinguino, “Ok, Rei-chan, raccontaci una storia imbarazzante!”.

   “Perché dev’essere per forza una storia imbarazzante?”.

   Perché voglio accettare ogni difetto e farmelo piacere soltanto perché è tuo, prendendoti comunque in giro, “Dai!”, sorride.

   L’occhialuto sospira, tornando alla gita scolastica della quinta elementare.

   E’ quasi ora di cena e tutti bambini stanno parlottando e ridendo in piccoli gruppi. Chiacchierano allegri della gita, si raccontano barzellette ed indovinelli si scambiano sorrisi impacciati, che scatenano le ridarelle tra amichette e le gomitate tra amichetti, facendo trapelare le prime cotte. Tutti sono spensierati, proprio come ci si aspetta da una gita scolastica. Tutti, tranne uno.

   Un bambino dall’ordinata zazzera blu elettrico, traffica tra il contenuto del suo zaino, ficcandoci dentro il volto per nascondere la propria preoccupazione al pubblico. Sposta la custodia degli occhiali da vista, il termos con il tè kukicha - adatto ai più piccoli per la sua quasi assenza di teina -, l’astuccio con spazzolino e dentifricio, il pigiama, la sacca con le scarpe.

   Non ci sono…

   Comincia a sudare freddo quando sente l’insegnate dire: “Qualcuno ha lasciato queste in bagno!”, esponendo un sacchetto trasparente con delle mutandine a quadretti fiordaliso e carta da zucchero da maschietto, “Di chi sono?”.

   Il volto del bimbo si colora di un acceso grigio rossastro, le pupille si dilatano e una ciocca spara fuori dal curata acconciatura finto-spettinata. Mai come in quel momento ha desiderato che una voragine si spalancasse sotto di lui e lo inghiottisse tutto intero.

   “Oh, era la tua biancheria intima”, conclude il ricordo Nagisa.

   “Non girare il coltello nella piaga”, lo ammonisce il narratore.

   “Non preoccuparti”, continua l’amico, “Se lascerai la tua biancheria nello spogliatoio, te la prenderò io”.

   “Non succederà!”, sbraita adirato Rei, serrando le mascelle e levandosi di dosso la mano consolatrice del coscritto. 

   Lo scatolone ruota ancora.

  MAKOTO

  NAGISA

  REI

  HARUKA

   “E’ il turno di Haru-chan”, afferma il sauro, permettendo all’indaco di rilassarsi, “Parlaci di un incontro romantico che hai avuto o, in breve di una storia d’amore”.

   “Storia d’amore?”, pone Makoto, riconducendo la richiesta solo ad una possibile rivelazione nei tuoi confronti.

   Finalmente sapremo la verità, canticchia soddisfatto tra sé il piccolo di casa Hazuki.

   “Tocca a me”, si alza in piedi Haruka.

   Il castano impallidisce, mentre Rei gli domanda se l’interpellato sia mai stato innamorato, “Non ne ho idea”, mente.

   “Io un sospetto ce l’avrei”.

   “Sospetto?”.

   “Beh, ______-senpai e Haruka-senpai sembrano molto intim—”.

   “Quando ero alle elementari”, inizia a raccontare il corvino, mettendo a tacere i presenti.

   Il terreno è sdrucciolevole e costantemente ripido.

   Odio questa stupida montagna, mugola accigliato tra sé un bambino con degli annoiati occhi oltremare, sistemandosi ad ogni passo lo zainetto in spalla.

   “Forza”, lo incita il padre, “Dobbiamo raggiungere il rifugio prima che faccia troppo caldo”.

   “Arrivo, arrivo”, borbotta debolmente in risposta.

   Prosegue a passo svelto, Prima arriviamo e prima ce ne torneremo a casa.

   Ad un tratto la sua attenzione viene catturata da un brusio scrosciante e da una fragranza di pura freschezza. Le sue iridi abissali si illuminano dallo stupore, mentre le gote gli si imporporano appena, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quella così intensamente bella, positivamente vibrante, frizzante e incontaminata cascata.

   “Cascata?”, ripetono confusi all’unisono i tre compagni di squadra.

   Meno male, si acquieta il bruno, sentendosi ugualmente un pessimo esempio di amico.

   “Non conta come storia d’amore, Haru-chan!”, piagnucola il pinguino, “Volevo che ci parlassi di _______-chan”.

   “_______?”, replica freddamente il moro, conscio di dove il piccoletto voglia andare a parare ma nolente nel rivelare i suoi turbamenti.

   “Sì, insomma”, interviene Quattrocchi, “per quanto ti conosco, sembra piuttosto evidente che ci tieni molto a lei”.

   “Già, già”, conferma il sauro, “Ed è da tanto tanto tempo che va avanti questa storia, vero Mako-chan? Dalle elementari”.

   “Ecco…”, cerca di tirarsi fuori il leader.

   Il vice si volta nella direzione opposta come ogni qualvolta che vuole evitare un discorso, “_______ sa quello che deve sapere”.

   “Eh?!”, prosegue Nagisa, “Ti sei dichiarato?!”.

   Ho fatto molto di più…, risponde col pensiero il delfino.

   “E cos’ha detto?”, s’intromette il turchino, dimostrandosi più curioso di quanto si sarebbe mai detto.

   Ancora una volta il corvino si limita a mostrare loro la sua nuca.

   “Oh no”, si intristisce il sauro e con il labbro inferiore che trema: “ti ha rifiutato”.

  Magari l’avesse fatto, almeno sarei in pace con me stesso ora, dopo una breve pausa replica: “No”

   “E allora qual è il problema?”.

   Nessuna risposta.

   “C’entra Rin-chan per caso?”, si prende il mento tra pollice e indici con fare pensoso, “Ho sempre pensato che ci fosse sotto qualcosa tra quei due: è sempre stato troppo gentile con lei. E, beh, Rin-chan non è molto gentile con nessuno, non era stronzo come adesso, però…”.

   Il cetaceo cinerino stringe con tenacia il pugno sinistro, cercando tutta la forza necessaria per contenersi e non lasciarsi invadere dalla gelosia e dall’astio nei confronti del pescecane, per avergli strappato ogni tipo di libertà, rischiando di rompere qualcosa, o peggio, fare del male a qualcuno, “Le cose andranno come devono andare”.

   Leggermente spaventato dal tono gelido del senpai, Peter Pan spinge per l’ennesima volta il pacco da imballaggio in aria.

   “Ok, è il mio turno!”, prorompe alzandosi in piedi e, dato che il gioco e le sue regole li ha decisi lui, si auto-dà un compito, “Ho una performance per voi!”. Irrigidisce sia le gambe che le braccia e quest’ultime le lascia cadere sui fianchi, tenendo i palmi aperti verso l’esterno, mimando delle pinne o forse delle ali; spalanca le palpebre e arriccia la bocca, come i bambini quando vogliono intenerirti per dargli un bacino - o è un pesce che boccheggia? Un becco non può essere…-. Una volta preso posizione comincia a zampettare da un piede all’altro lateralmente, avanzando goffo obliquamente. Una cosa è innegabile: è buffo.

   “Cosa stai facendo?”, trova il coraggio di chiedere il corvino.

   “Non ci arrivate?”, rimbecca il mimo, non cambiando espressione, “Era l’imitazione di un pinguino”.

   “Davvero?”.

   “Non direi”, conferma Rei.

   “Ch-che?! Perché no?!”, si agita Nagisa, saltellando sul posto più frettolosamente, “Guarda! Guarda!”.

   L’orca non riesce a trattenere una risata divertita, sebbene si copra la bocca il il pugno chiuso.

   “Ah, Mako-chan!”, gridacchia il ‘pinguino’, dando l’impressione di essersi offeso, ma i suoi tratti si addolciscono subito, “Hai sorriso finalmente. Sembravi un po’ sottotono”.

    Makoto sorride con quel arco appena accennato che solo lui possiede, capace di sedare gli animi più infervorati, ma in certe occasioni non i più introspettivi come quello del suo amico d’infanzia dagli occhi marini, “Mi dispiace di averti fatto preoccupare”.

   “Ecco…”, l’indaco abbassa lo sguardo sulle linee cobalto del suo costume improvvisamente a disagio, “Mi chiedevo… Quando hai cercato di salvarmi, ti comportavi in maniera strana”.

   “Non parleremo di questo”, lo blocca brusco Haruka.

   “Ma…”.

   “Piantala!”.

   “Va tutto bene, Haru. E’ una cosa che voglio confidargli”, gli smeraldi del ragazzo si avventurano in un passato non poi così lontano, che lo avvolge in quel che ha imparato a riconoscere come paura. Già: “Ho avuto paura”.

   “Paura? Di cosa?”.

   “Dell’oceano”.

   Nei pressi di un villaggetto peschereccio non troppo lontano dalla baia di Iwatobi, una giovane coppia sta passando le vacanze estive all’insegna del relax e della serenità con il loro - per ora - unico figlio, il quale, nonostante gli dispiaccia lasciare gli amici per due intere settimane, accetta sempre di buongrado di andarci, speranzoso di incontrare quel buon anziano pescatore con cui adora tanto giocare assieme e che, talvolta, gli permette di salire sulla sua barca.

   Da tradizione, il terzo lunedì del mese di luglio la Nazione celebra l’Umi no Hi, il Giorno del Mare, festività con la quale si ringrazia l’oceano per i continui doni offertici e si prega affinché non li neghi mai.

   Per questa ricorrenza così importante, ogni anniversario, in ogni paese o città, vengono organizzati cerimonie e mercatini commemorativi. 

   Nel villaggio, girando tra i banchetti, il mercatino si dipinge di caleiodoscopici colori e multiformi fantasie ricamate sugli yukata dei passanti. 

   Quel giorno, tra questi, c’è anche il dolce figlioletto dagli occhi corindoni, avvolto in un abito tradizionale dalle gradazioni smeraldine intonate alle sue iridi irlandesi, che passeggia tra la folla, mangiucchiando un bastoncino di zucchero filato.

   Il suo sguardo è avvilito, triste, fisso sul terreno al fine di non posarlo sulla vasca dei pesci rossi del Kingyo Sukui.

   Ho finito la paghetta, rimugina afflitto, allontanandosi il più possibile dal vociare allegro di bambini che provano a pescare i loro futuri animaletti.

   Cammina a lungo tra una bancarella e l’altra, senza mai concentrarsi su qualcosa in particolare. Non gli interessano mele caramellate e maschere raffiguranti antichi oni e youkai, avrebbe soltanto voluto saper risparmiare qualcuno di quei soldini che la mamma, accarezzandosi il pancione, gli aveva dato, prima che cominciasse a correre a destra e a manca per le vie del festival - è una fortuna essere in un luogo così piccolo, dove tutti si conoscevano da generazioni. Ma il piccolino di soli sei anni non aveva capito il valore del sacrificio, finché quello che più desiderava non gli venne precluso, non capisce nemmeno perché si senta così giù.

   Una voce cordiale su con l’età. 

   Il bambino punta i suoi grandi occhi verdi sulla fonte di quel suono conosciuto e, davanti a sé, si para una figura inginocchiata al suo livello di statura con stretto in mano un sacchetto di plastica, contenente due tosakin rossi dalle pinne sfumate di bianco.

   Il mare d’erba del ragazzino si anima dalla gioia.

   Il ricordo lascia repentinamente spazio ad un altra reminiscenza che lascerebbe volentieri scivolare nell’oblio della sua memoria.

   Il cielo è tetro, ombrato da nuvoloni mefistofelici e l’habitat acquatico della baia si agita sotto di esso, alimentandosi di pioggia e imbarcazioni di legno, che accessoriano il fondo sabbioso con i loro relitti e anche con i resti di tritoni senza coda.

   “Ci fu un grande tifone. La barca del vecchio pescatore affondò. Molte persone a bordo annegarono. Il peschereccio affondò a circa tre chilometri dal porto. Noi nuotiamo tre chilometri ogni giorno”, la voce gli si rompe in gola.

   L’unico pontile del villaggio, dove prima si arrancavano le cime di scialuppe e piccoli piroscafi, ora è percorso da una processione in fila indiana di sopravvissuti e familiari per salutare i propri cari. 

   Ad osservare la scena, in un misto di orrido e angoscia, due bambini si tengono per mano, uno, il più sensibilmente vicino alla strage, si nasconde un poco dietro il compagno, aumentando esponenzialmente la presa ad ogni persona che gli passa davanti con il viso spento. Non è tanto triste quanto spaventato.

   “Nutrii i pesci e cambiai l’acqua della boccia, ma morirono comunque -, Proprio come quell’uomo -. Da quel momento, ho sempre avuto paura dell’oceano”, Makoto guarda fuori dalla finestra il mare in tempesta, “E’ come se ci fosse qualcosa di sconosciuto nascosto nell’acqua”.

   Nessuno osa proferire parola e, dopo un infinito silenzio, Haruka decide di essere lui ha mettere fine a quel toccante momento, temendo che, se proseguisse, parlerebbe anche di quel che successe all’ultimo anno delle elementari per la sua smania di impressionarti, “Basta così, Makoto”.

   “Ma…”, prosegue Rei afflitto, “Hai cercato di salvarmi lo stesso”.

   “Posso chiederti una cosa?”, interviene Nagisa insolitamente rispettoso degli spazi altrui, “Se hai paura dell’oceano, perché partecipi a questo campo d’allenamento?”.

   “Perché volevo nuotare”, serra debolmente i pugni il castano, parlando flebilmente all’inizio e più energicamente nel proseguimento, “Perché volevo nuotare con voi”, sorride, “Quando nuotiamo tutti e quattro insieme…”, confessa, scorrendo le loro immagini emozionate una ad una, “… sento di poter andare ovunque”.

   Il fragore dell’acquazzone si placa.

   “Ha smesso di piovere”, li informa il biondo, alzandosi in piedi e spalancando la porta-finestra che dà sulla terrazza, “Sugoi! E’ meraviglioso!”, strepita, fissando il limpido cielo estivo abbellito di puntini gassosi che bruciano a milioni di chilometri di distanza da voi.

   Il turchino alza un braccio al cielo, additando le stelle e condividendo le sue conoscenze astronomiche, “Quello è il Triangolo Estivo. Lì c’è Vega della costellazione della Lira, Deneb della costellazione del Cigno e Altair della costellazione dell’Aquila”.

   “Quella è la costellazione del calamaro?”, scherza il sauro, seguito dal delfino che: “Dov’è la costellazione dello sgombro?”.

   “Non esiste nessuna delle due”, sghignazza il cetaceo maculato.

   “Quella è la costellazione del pinguino?”, non si arrende Nagisa.

   “Non credo”, lo zittisce l’intellettuale.

   “Così non è divertente. Facciamo finta che ce ne sia una”. Improvvisamente il suo sguardo di ortensia si posa sullo specchio d’acqua nel quale inzuppano i piedi nudi, ripresentandogli il riflesso al contrario del cielo estivo sopra le loro teste, “Guardate questo”, afferma estasiato.

   La luce illumina i loro corpi dal basso verso l’alto, donando sfumature cilestrine ai loro occhi affascinati da cotanta naturale bellezza. Sembra di camminare sull’etere.

 

   Il cellulare nella tasca esterna del borsone vibra contro la sua gamba, sabotando il suo scomodo e scarsamente riposante dormiveglia. Si muove impercettibilmente con un occhio aperto, avvertendo un pesante gomitolo appallottolato sul suo petto, che districa i fili intorno alla sua vita, legandocisi addosso, e si intreccia con il suo interno coscia per scaldare i propri arti inferiori nudi grazie a quelli velati del ragazzo.

   Un fioco sprazzo di luce illumina il viso addormentato accostato al torace del pescecane ed egli sorride dolcemente, guardando la bocca schiusa che esala silenziosi respiri regolari, segno che sei ancora ben lontana dal risveglio.

   Sembra così indifesa quando dorme, pensa, levandoti una ciocca ribelle cadutati a tradimento sul naso; scopre così entrambe le sopracciglia aggrottate e le palpebre serrate, che celano il frenico andirivieni delle orbite. Artigli le dita sottili sulla pelle del giovane: stai avendo un incubo.

   Posa le proprie labbra sulle tue, baciandole flebilmente, timoroso di svegliarti, e, come si stacca, nota che la tua espressione si è distesa. 

   Te ne concede un altro, E’ troppo carina

   E un altro. 

   E un altro ancora.

   In fronte, sugli occhi, sul naso, e di nuovo sui margini imporporati dai troppi baci della notte appena trascorsa.

   Il telefono suona nuovamente. Dannata sveglia! E ora come fa a spostarsi senza disturbarti?

   Rin slaccia la presa lungo il suo tronco e, molto lentamente, sguscia fuori dalla felpa-coperta, sistemando ad ogni cambio di posizione una parte del tuo corpo, ben guardandosi da movimenti bruschi, mentre stropiccia il cappuccio del capo a mo’ di cuscino. Una volta libero, fa scorrere la zip della sacca, cercando di fare il meno rumore possibile.

   Correre, il promemoria lampeggia sul display sotto l’orario.

   Merda!, si ammonisce, trafficando tra gli oggetti nella borsa sportiva, ma la tenuta ginnica non c’è, Non posso neanche usare la corsa mattutina come scusa, sbuffa, infastidito al solo pensiero delle esagerate attenzioni del sottoposto nei suoi confronti.

   Si volta verso di te, sentendo biascicare il proprio nome, “Buongiorno, dormigliona”, ti sorride, inumidendoti la fronte, per poi scoppiare a ridere a causa della tua pettinatura scompigliata e arruffata, “Come siamo selvagge stamattina”

   Ti stiracchi, troppo assonnata per cogliere l’ironia delle sue parole, e osservi il chiarore soffuso che traspare dalla finestra dello spogliatoio, “Ma che ore sono?”.

   “Le 6.25”.

   “Eh?!”, strepiti, ributtandoti stesa sulla panca, “Ma è prestissimo!”.

   “Vado a correre prima dell’allenamento”.

   Ovviamente, ti dici.

   Sbuffi, riposizionandoti ad angolo retto. Sei sempre stata intrattabile di prima mattina, ma ti rendi conto che potreste finire nei guai se rimanete lì. In guai molto grossi.

   “Puoi venire con me, se ti va”, propone già consapevole del possibile rifiuto, che non tarda ad arrivare con un sopracciglio rialzato. Sa benissimo che scendi in pista solo con quattro ruote gommate in linea sotto le piante dei piedi.

   “Io corro solo con i roller”, prorompi, plagiando inconsciamente Haruka.

   Sogghigna tra sé, Sei così prevedibile.

   “Potresti provare anche tu”.

   “Io?”, ti scruta divertito e stranito al contempo, “Con i roller? No, grazie”.

   “Come vuoi”, sorridi maliziosa, “Però poi, se dovessimo incrociarci sulla pista che costeggia l’isola, non imbambolarti sull’angolazione del mio culo come l’ultima volta”.

   Ammutolito, incassa il colpo, stringendoti poi dietro la schiena, sollevandoti un poco sulle punte ed avvicinando pericolosamente il volto al tuo, così da sfiorarti il profilo e le labbra, ma senza mai toccarle, giusto per prendersi una piccola rivincita, “Stavolta hai vinto tu”.

  Gli soffi sulla bocca in segno di sfida, “Devo tornare indietro prima che Amakata-sensei si accorga della mia assenza”. Non ti azzardi nemmeno ad immaginare a come potrebbe reagire Gou e a quale interrogatorio possa sottoporti.

   “Ti accompagno”.

   “Non sei obbligato”. Non vuoi interferire con la sua tabella di marcia.

   “Voglio farlo”.

   Raggiungete la villetta a schiera suddivisa in appartamenti e salite le scale.

   “Siamo arrivati”, annunci, recuperando la tessera d’ingresso dell’alloggio dagli short roridi contenuti nel sacchetto di plastico, Speriamo che non si sia smagnetizzata, la infili ed odi, per fortuna, il bip di accettazione, “Grazie per avervi accompagnata”.

   “Dovere”, Che uomo sarei altrimenti, ti sorride sghembo, “Però vorrei un piccolo compenso”.

   “Un co—”. 

   Rin approfitta dell’esigua fessura fra le tue labbra per lambirtele frettolosamente, prima di saltellare giù dalla rampa sghignazzante per la tua espressione attonita, urlando lievemente, “Se ti annoi a far niente in spiaggia, vieni pure a fare un salto alla Samezuka”.

   Traduzione dal rinese: Non vedo l’ora di rivederti.


Note d'Autore
Ciao a tutti, belli e brutti! (Ma no, siete di sicuro tutti belli!).
Dopo tanto tanto tanto tempo ho finalmente pubblicato l'undicesimo capitolo. Mi scuso per l'alttesa, ma tra le ultime prove scolastiche di dicembre, le simulazioni d'Esame di Stato e il Natale, non sono proprio riuscita ad andare avanti. Però oggi pomeriggio mi sono messa di lena e mi sono detta "Entro stasera dev'essere finito. Chi se ne frega se è leggermente più corto degli altri: nei libri i capitoli non sono mica tutti lunghi uguale ;)". E così eccomi qui con l'aggiornamento di The Reader
Non aggiungo se non l'augurio che la vostra lettura sia piacevole, che il capitolo soddisfi appieno l'attesa, e il ringraziamento per tutto il tempo dedicato (sprecato) a leggere questa FF.
See ya next water time!

Termini

Oni: figura mitologica del folklore giapponese simile ai demoni occidentali non necessariamente malevoli.

Youkai: insieme generale di spiriti e demoni.

Tosakin: è una sottospecie di Ryukin, ovvero un Oranda (pesce rosso con la coda a X e dal corpo tozzo), dalla coda molto sviluppata e appariscente.

Umi no Hi: con questa festività si commemora anche il viaggio compiuto dall'Imperato Meiji nel 1876 intorno al Distretto Ou, passando per Aomori, Hakodate per poi ritornare a Yokohama il 20 luglio di quello stesso anno. Inizialmente si festeggiava annualmente il 20 luglio, ma poi, quando il festival è stato ufficializzato nel 1995, si è deciso di fissarla ogni terzo lunedì dello stesso mese (probabilmente per comodità ad organizzare il ponte di vacanza).

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Capitolo 13
*** 12. In contropiede ***


ATTENZIONE: Nel seguente capitolo è presente un ricordo contenente un altro ricordo, perciò sarà reso evidente da un cambio di font.

Grazie e buona lettura!

 

12.

In contropiede

 

5 giorni prima del torneo

 

   L’afa dell’estate appena inoltrata dona alle figure normalmente statiche degli oggetti, un inquietante tremolio per chi ci si sofferma.

   L’indice sinistro si scontra con il campanello della villetta dove dimora il suo avversario un paio di volte. Il suo proprietario sbuffa, rendendosi conto che il rivale non è in casa. Per accertarsene, striscia con la mano destra la doppia porta blindata scorrevole, che scatta al suo tocco. Inarca un sopracciglio: la porta è aperta. 

   Si leva le scarpe e le lascia all’ingresso per non rovinare il tatami, “Sto entrando”.

   Perlustra il pian terreno in cerca dell’altro, ritrovandosi nel salotto in stile orientale avvolto dalla stessa patina seppia della cittadina accaldata, l’unica cosa che sembra non essere incolore, come se brillasse di luce propria, è una piccola boccia di vetro, improvvisata a giudicare dai bordi ondulati - probabilmente, prima era un semplice vaso da centro tavola -, posata a terra vicino al separé che dà sul ridotto giardino, all’interno della quale un oranda calico fluttua tediato in quel liquido appena cambiato, di cui si accorge di appartenere solo quando gli viene precluso. Ogni volta che il pesciolino rosso si avvicina al lato concavo della boccia, l’acqua rifrange la sua immagine, deformandolo.

   L’intruso lo osserva, assorto dal suo continuo muoversi, seppure con lentezza, lasciandosi trapassare i timpani dal solo gracile tintinnio del fuurin estivo. Non si accorge dei passi felpati che gli si avvicinano, finché non ode lo scricchiolio di un pezzetto di tatami sotto di essi. Raddrizza la schiena come un militare sull’attenti, facendosi sfuggire un sospiro, spaventato dall’eventualità che ci sia uno sconosciuto alle sue spalle, più che dell’essere stato colto in fallo nell’introdursi in casa d’altri senza invito.

   “Che ci fai qui?”, lo interpella, tranquillizzandosi al suono di una voce conosciuta.

   “Sei a casa”, sposta un piede in direzione del padrone di casa, per guardarlo di lato, noncurante della propria effrazione, “Sono qui per sfidarti, ovviamente”, In tutto, vorrebbe aggiungere.

   “Nuoto solo a stile libero”, sillaba con cura l’altro in risposta, prima di voltarsi ed uscire dalla stanza.

   “Aspetta!”, lo rincorre, non notando delle innumerevoli ombre di pesciolini che si sono formate innaturalmente sul pavimento.

   L’effigie di Nanase scompare dietro la luce accecante del giorno, bagliore che costringe il cinabro a coprirsi gli occhi, per poi ritrovarsi mezzonudo, ricoperto solo dal proprio costume agonistico, con lo sfidato ad attenderlo ai blocchi di partenza.

   “Avanti”, lo sprona, mentre indaga su di lui con la coda degli occhi.

   Rin sogghigna, “Ti mostrerò quanto siamo diversi adesso”, ma nel tempo di un battito di ciglia, la sua espressione sicura muta smarrita nel veder comparire su quello stesso blocco un ragazzino dal taglio corto spettinato di cioccolato extra-fondente e dalle iridi di rubino identici ai suoi, con al collo una medaglia d’oro e tra le mani un trofeo a forma di delfino del medesimo materiale, sul quale è inciso il nome dell’undicenne insieme a quelli della sua squadra.

   “Papà?”.

   Il mogano si volta, mostrandogli un sorriso allegro, formato da denti affilati come zanne di squalo, prima di saltellare giù dalla pedana e correre via, ignorando il suo ‘perché?’ bisbigliato.

   “Papà!”, urla, seguendolo, ma è troppo veloce, anch’egli come Haruka prima di lui, svanisce nel chiarore del giorno, oltrepassando un sottopasso.

   All’improvviso il rosso si ritrova in mezzo ad un corteo di volti, talmente emaciati da non poter distinguere quelli femminili da quelli maschili, fin troppo familiare. Spintona i passanti con tutto il suo corpo, aprendosi un varco nella direzione opposta col fiato corto, sinché il suo sguardo non viene catturato da una chioma cremisi così simile alla propria, ma appartenente ad un bambino e non al giovane uomo del presente, accanto al quale partecipa alla processione anche una smilza e minuta bimba, che a malapena arriva alla spalla del ragazzino, con una coda alta di un rosso più acceso. Senza preavviso le lascia la manina, permettendole di avanzare per un tratto di strada da sola, e il Rin del passato si volta verso quello del suo futuro con occhi mesti e addolorati, mormorando qualcosa di incomprensibile quanto agghiacciante.

   Rin spalanca le palpebre di soprassalto, sudato, e si mette a sedere, inspirando ed espirando affannosamente per riprendere il controllo su di sé rantolante.

   “Senpai”, lo interpella Nitori, scendendo dalla propria branda, “Stai bene? Hai avuto un incubo?”.

   Immediatamente il più grande si alza adirato, scostandolo con un braccio, “Levati!”. Recupera il suo borsone del team e l’asciugamano nero con cui si tampona la fronte, spalanca la porta della camera e va in piscina.

 

Istituto Iwatobi

 

   Il tempo vola quando ci si diverte e, seppure più rilassati e abbronzati grazie ad una settimana di relax in quel paradiso tropicale - almeno permettendole te, la tua co-manager e Ama-chan-sensei -, tornare alla routine è sempre una amara realtà, che però nasconde la dolcezza delle prossime vacanze.

   State pranzando sul tetto del liceo, riparati dal caldo torrido dell’estate appena iniziata, grazie ad una piccola tettoia, quando Gou irrompe nel silenzio plumbeo dei bento e delle bacchette.

   “Gente, ho stampato le foto del nostro campo”, afferma, sventolandovele a due centimetri dal naso.

   “Fammele vedere! Fammele vedere!”, strepita puerile Nagisa, strisciando verso di lei, mentre si china a terra, seguito da voi altri.

   “Nei hai scattate un sacco!”, dici stupita.

   “Guardate questa!”, il biondo indica una foto nella quale i quattro atleti posano come nel finale di una coreografia di street dancers, con al centro un rigido moretto che per una volta guarda nell’obiettivo fotografico.

   Quanti ricordi…

   Per chissà quale curioso motivo, al mattino, verso le 8.15, in spiaggia le manager e la consulente scovano i loro nuotatori stesi sulla sabbia, profondamente addormentati, quando in realtà dovevano trovarsi in acqua ad allenarsi già da una buona mezz’ora. 

   “Ma che stanno facendo?”, domanda la vice stranita.

   “Avranno fatto baldoria durante la notte”, sentenzia la senpai, tirandosi i capelli all’indietro con gli occhiali da sole [montatura adatta al viso della protagonista].

   “Oh povera me…”, brontola la professoressa.

   “Su, su, in piedi. E’ il momento di iniziare l’addestramento!”, strepita invano la kohai, ma i toraci dei quattro ragazzi continuano ad alzarsi e abbassarsi a ritmo del loro sonno.

   “Mi sentite? Svegliatevi!”.

   La più grande delle due fanciulle sogghigna guardandoli: hanno un’aria così beata. Soprattutto il corvino, steso s’un fianco con la bocca socchiusa e i capelli lisci scompigliati sugli occhi serrati. Si inginocchia davanti a lui, quasi a sfiorargli la zazzera di pece e delicatamente gli libera la fronte. Sorride.

   “Dagli un bacio, così si sveglierà”, gridacchia ancora la cucciola di pescecane, portandosi i pugni alle anche.

   L’altra si volta verso di lei infastidita, senza togliere le mani dalla testa del giovane, “Non è mica la Bella Addormentata”, Tuttavia potrebbe funzionare, pensa, prostrandosi involontariamente su di lui.

   “Potrebbe funzionare”, replica la più giovane dando sfogo alla riflessione della [nomignolo riferito ai capelli].

   “Pensavo che fossi di parte in questa storia”, l’ammonisce di nuovo.

   “Lo sono. Ma voi due sareste comunque una bella coppia”.

   “Zitta”, dice in coretto con un’altro tono più grave. Un tono pacato, leggermente impastato e monocorde, che al momento non sta parlando allo stesso destinatario. 

   La senpai si gira verso il cetaceo, sentendolo spostare il capo tra le sue dita, mentre falangi più lunghe e forti le afferrano per evitare che sfuggano dalla sua chioma notturna e dalle sue guance. I suoi profondi laghi salmastri la fissano, illuminandosi grazie ad un dolce sorriso appena accennato. 

   Ha sentito tutto?

   “‘Giorno”, la saluta sorridente, accarezzandole i dorsi delle mani coi pollici.

   “…Buongiorno”.

   Si mette a sedere, “Sei venuta a fare il bagno?”.

   “Il bagno?”, pone confusa.

   “Ieri mi hai promesso che avremmo fatto il bagno insieme”. 

   “Ah già, è vero”, sorride, rammentando lo strambo episodio, “Metto la crema e arrivo”, un secondo dopo lo guarda annichilita, “Aspetta. E l’allenamento?”.

   “Non ha ancora fatto colazione nessuno”, s’intromette l’assistente dai capelli di porpora, “L’allenamento è posticipato”.

   “Non hai fame?”, domanda ingenuamente l’altra al coscritto.

   Di te sì, risponde tra sé il ragazzo, sebbene rimbecchi: “Se mangio adesso, non potrò nuotare”.

   La giovane trattiene una risata. E’ naturale ch’egli si sacrifichi per l’adorata Acqua.

   Una volta sbarazzatasi del pareo, poggiato sullo schienale della sedia sdraio che in un angolo sorregge la sua borsa mare, nella quale ha riposto gli occhiali da sole nell’apposita custodia rigida, e raccolto i capelli in uno chignon spettinato, raggiunge il compare sulla battigia, correndo. Non appena lo sorpassa, gli urla: “Arrivo prima io!”.

   La fredda acqua marina le arriva al ginocchio, quando ad un tratto si sente sollevare da sotto le cosce e stringere ad un corpo tiepido sostanzialmente più strutturato e prominente del suo, nonostante venga considerato magro dai colleghi. Istintivamente gli circonda il collo con entrambe le braccia e scruta lo scintillio astuto del giovanotto che la sorregge, mentre egli la porta sempre più a largo in cerca di privacy.

   “Non oserai”, lo avvisa austera.

   “Ne sei sicura?”.

   “Se ci provi, ti tirerò a fondo con me”.

   Il delfino fa spallucce, ammiccando furbo e arriccia le labbra su quelle della compagna, mentre si tuffa in avanti con lei ancora in braccio. Sott’acqua il bacio non si è ancora interrotto, anzi, si è intensificato, mettendo a dura prova l’allenata capacità di stare in apnea. Le bocce si schiudono, rivoli di acqua si mescolano alle rispettive salive, i labbri litigano a chi debba stare sotto e chi sopra, a chi abbia più diritto di mordicchiare l’altro. Ecco di nuovo quell’infervorante fuoco sotto lo strato di ghiaccio, alimentato dal bisogno frustrante di attenzioni.

   L’ossigeno inizia a scarseggiare. La testa si fa pesante, il cuore aumenta l’aritmia dei battiti - anche se la piccola otaria non può dire per certo se sia più dovuto alla forte emozione o alle scorte d’aria in esaurimento -, la gola brucia. Spalanca le palpebre, esponendo i bulbi al solvente carico di cloruro di sodio, tira energicamente i capelli di lui da dietro, costringendolo a staccarsi, mentre con una spinta delle piante dei piedi la riporta in superficie. Si arranca alle spalle del corvino come se si trattasse di una boa, ansimando ed appoggiando una guancia nell’incavo tra collo e clavicola.

   “Sei impazzito?”, boccheggia.

   “Non era esattamente come te lo aspettavi”, sogghigna appena, ansando a sua volta, indigente di O₂. Anche lui, come il suo nemico, vuole dimostrarle tutto ciò che è in grado di darle. 

   “Pensavo che mi avresti buttata in acqua”.

   L’idea iniziale era quella, ma “Non mi bastava”, dichiara, poco prima di baciarla con più calma e giocherellare con le punte dei loro nasi.

   Lei sorride, allacciandosi alla vita del cetaceo con gli arti inferiori, trovando posto per i talloni tra le fossette all’altezza del bacino, e posando il mento in quell’invitante spazietto che precede la base del suo omero, assoggettandosi ad un altro bacio, quello del sole, “Sei strano”.

   “Perché sorridi?”, la sua amica la stacca dalla memoria.

   “Oh niente”, elude la domanda, “Stavo pensando a come abbiamo trovato i ragazzi stamattina”.

   “Certo che sono bizzarri”, ridacchia, “Mettersi a dormire sulla sabbia”.

   “Si pensa di averle viste tutte e poi ti ritrovi loro in quel modo”, ride con lei.

   “Cambiando discorso, dove mi stai portando?”.

   “Alla piscina olimpionica”.

   “Eh?!”.

   “Abbiamo un invito ufficiale”, O meglio: io ho un invito ufficiale, “Da parte di Onii-chan in persona”, schernisce il suo modo di chiamare il fratello.

   “Onii-chan?”, pone dubbiosa, dicendosi che solo con la senpai possano accadere simili miracoli, “Quando è successo?”.

     “Ehm…”, E ora che le dico? Sai, ho fatto un’incubo ieri notte, così per schiarirmi le idee sono uscita a fare due passi sotto la pioggia… però stavo camminando troppo vicina agli alberi, non ho visto una radice scoperta ed ho preso una storta. Ma non ti preoccupare! Tuo fratello mi ha trovata e mi ha portata al centro sportivo, dove abbiamo dormito l’uno nelle braccia dell’altra. All’alba siamo sgattagliolati via per tornare nei rispettivi alloggi e lui, prima di lasciarmi davanti alla porta dell’appartamento, mi ha chiesto di fare un salto al loro addestramento, “L’ho incontrato al kombini del resort quando sono andata a comprare la salsa per la cena; abbiamo parlato un po’ e mi ha detto che, se ci andava, potevamo andare scuriosare”.

   La Borgogna la guarda in tralice poco convinta.

   “Beh? Non sei contenta di vedere il tuo capitano?”, le fa l’occhiolino.

   La secondogenita squalo posa lo sguardo rubizzo a terra leggermente imbarazzata, “C-cosa vorresti dire?”.

   L’altra sghignazza, “Devo rispondere?”.

   “Smettila di prendermi in giro”.

   “Non ti sto prendendo in giro. Sareste molto carini assieme”.

   Rialza lo sguardo raggiante, “Dici sul serio?”.

   “Certo! Dovresti chiedergli di uscire”.

   “Deve essere lui a chiedermelo!”.

   “Cotto com’è, se aspetti che faccia lui la prima mossa, invecchierai zitella”, le fa la linguaccia.

   “Vipera”, le dà una leggera spallata, scoppiando in una chiassona risata.

   “Siamo arrivate”, comunica la più grande, aprendo la porta-finestra che conduce direttamente alla piscina olimpionica, risistemando gli occhiali da sole a mo’ di cerchietto.

   Come varcano la soglia tutti si voltano nella loro direzione per poi recitare all’unisono un “ciao!” seguito dai loro nomi.

   Le ragazze si bloccano di colpo, fissandosi accigliate l’un l’altra, “Siamo finite all’alcolisti anonimi?”, sussurra beffarda la tuffatrice, facendo scappare una risatina soffocata alla kohai.

   “Anche voi qui!”, le accoglie il timbro caldo e avvolgente del capitano, mentre si affianca subito alla rossa, “Come state?”.

   “Bene”, replica immediatamente lei, arrossendo lievemente.

   Che carini!

   L’otaria fa qualche passo indietro, per lasciarli nella loro personale bolla di sapone, andandosi però a scontrare con qualcuno alle sue spalle, che per poco non cadde sul pavimento bagnato, data la sua esile forma fisica.

   “Oh, buongiorno”.

   “Ti prego, non essere così formale: abbiamo più o meno la stessa età”, sorride al ragazzino dagli occhi celesti, circondati da una sottile scodella di luna, “Allora come va? Ti sei iscritto al torneo?”.

   “Uh, nella staffetta 400 metri individuale mista”.

   “Wow, devi essere bravo un po’ in tutti gli stili!”, gli strappa un sorrisetto timido, “Mi pare che anche il tuo senpai ne fece una alle elementari, ma ancora non lo conoscevo di persona”. Senza volerlo, con quella constatazione la fanciulla ha fornito una ragione in più al primino per migliorare la propria resistenza. Farebbe qualsiasi cosa per essere più vicino al suo modello di riferimento. 

   All’improvviso uno schiaffo si assesta sulle piastrelle della piscina vicino ai blocchi, oltre i quali si intravede una cuffia nera che viene strappata via con prepotenza, liberando una folta e scomposta chioma di vino.

   La sua voce chiama atono il giovanotto accanto a lei.

   “Sì!”, si affretta a raggiungerlo il kohai, al fine di porgergli l’asciugamano. L’amica d’infanzia del nuotatore a farfalla glielo ruba, sorridendogli, mentre il senpai si arrampica sulla scaletta in acciaio, ma, quand’ella lo tende a quest’ultimo, egli glielo strappa di mano rude e se lo poggia in testa. Sembra piuttosto scocciato. Ah beh, si sa che è lunatico.

   “Spero che agli appuntamenti tu non sia così sgarbato”, lo apostrofa, fingendosi imbronciata.

    Gli angoli della bocca le si piegano all’insù, rammentando al pescecane l’espressione aperta con cui li immortalavano nelle foto delle elementari, alla vista della sorpresa sul volto di lui.

   Le rivolge un mezzo sorriso, “Sei venuta”.

   “Mm-mm. E’ un brutto momento per caso?”.

   “No, ho appena finito i miei 200 braccia”, si piega all’altezza del suo orecchio, sussurrandole, “Sono contento che tu sia qui”. 

   Il cremisi le prende la mano, uscendo definitivamente dalla vasca, e la guida ad una panchina, così da poterle parlare il più lontano possibile da orecchie indiscrete.

   Una volta seduti, il coetaneo recupera una bottiglietta d’acqua dalla sua sacca e ne trangugia un bel sorso, asciugandosi successivamente la bocca con il dorso della mano.

   “E’ un po’ che ci penso”, esordisce, “Quando tornate a Iwatobi?”.

   La compagna non comprende il nesso tra la premessa e il quesito, ma vi risponde ugualmente, “Martedì pomeriggio. Perché?”.

   “Sei già impegnata il sabato seguente?”.

   “Mm… No, direi di no”.

   “Bene, adesso lo sei”, le sorride sghembo. Ghigno che svanisce non appena le sue iridi d’acero rosso si posano sul massimo esponente della sua squadra, intento a farsi immortalare dalla compatta della sorella, “Ma che caz—?”, asfissia, alzandosi nella loro direzione come una furia.

   La coscritta lo afferra per un polso, prima che si desti completamente, costringendolo a girarsi verso di lei, “Pensi davvero di cavartela così?”.

   “Passo da te alle 17”, sorride di nuovo, “Ora scusa, ma devo uccidere qualcuno”.

   Scuoti il capo, richiamata dagli strepiti di Rei alla vista di una foto, a suo dire, per niente bella - cosa che condividi, guardandola, nonostante tu la trova buffa, siccome lo raffigura con braccioli e salvagente -, mentre Haruka ti toglie di mano l’immagine che ritrae Rin a tre quarti di schiena, dopo essersi assestato con cura la cuffia sopra l’elastico degli occhialini - le braccia, infatti, sono ancora sopraelevate, contraendo i bicipiti degli avambracci -, con la concentrazione stampata in faccia. 

   “E’ la squadra di nuoto della Samezuka”, conferma Nagisa, “Gou-chan, quando le hai scattate?”.

   “Siamo andate un po’ in perlustrazione il secondo giorno”, la rossa ti circonda le spalle compiaciuta.

   “Queste sono le nostre capaci manager”, si complimenta Makoto, guadagnandosi un sorrisetto soddisfatto da entrambe, accompagnato anche da una scrollata di capelli o da uno sfregamento di unghie sul gilet per poi soffiarcisi sopra.

   “Hai di nuovo usato il tuo fasc—”, ipotizza il sauro, studiando la foto di Mikoshiba che vi alza il pollice con un sorrisone a trentadue denti che gli unisce le orecchie, e Nitori alle sue spalle più riluttante nel farsi immortalare.

   “Il fascino non c’entra!”, lo stoppa lei, raschiando di seguito la trachea, “Abbiamo ottenuto un sacco di informazioni, oltre alle immagini”.

   Estrai un quaderno dalla tracolla, “Uh, è vero!”, lo apri d’innanzi a loro, picchiettando ogni volta i nomi nel fascicolo, “Questi sono i nuotatori che parteciperanno ai 100 e 200 metri rana con Nagisa”, volti pagina, “Questi a dorso con Makoto. Questo qui in fondo a farfalla con Rei. Appunteremo per ogni turno del torneo i loro stili di nuoto individuale e altre informazioni in questo libro top secret”.

   Gou prende la parola, accorgendosi che Haruka è rimasto immobile ad analizzare la foto del suo rivale, “Onii-chan è nei…”.

   “100 metri a stile libero”, completa per lei il giovane.

   “Già. Non ha voluto partecipare a nessun’altra gara”.

   Noti il pinguino alzarsi, per bisbigliare qualcosa al capitano dell’Iwatobi. Cerchi di captare i suoi segnali radar, “Haru-chan dice che non gli interessa il proprio record o vincere, ma è motivato quando deve gareggiare con Rin-chan”.

   L’oggetto di discussione continua a fissare la foto del rivale non lasciando trapelare emozioni, a parte un certo interesse nei suoi confronti, sebbene non si capisca se di sfida o di redenzione, quando un’amena folata gliela strappa di mano, librandola con sé alla volta del cielo soleggiato.

   Vi affrettate a salvare le restanti, mentre Gou e Nagisa scattano in piedi, speranzosi di riuscire ad afferrare in tempo l’immagine di Rin. Niente da fare. Meno male che con le macchine digitali salvi prima tutto su PC.

   “Iniziamo l’allenamento?”, proponi, anche se appare di più come un’imposizione.

   Gli atleti annuiscono, riponendo i bento nelle loro cartelle, e ti seguono alla piscina scoperta.

   Una volta pronti tu, Gou e Makoto osservate gli altri nuotare. La vice si concentra sul cronometro, tu sulla cartelletta con la tabella di marcia, e il capitano sull’armonia dei movimenti e sulla loro forma fisica. Mancano cinque giorni al torneo, non ci si può più concedere si sbagliare.

   Il palmo di Haruka si assesta per primo alla parete della piscina, seguito a ruota da Nagisa, mentre Rei ancora si occupa del suo potenziamento individuale a farfalla.

   La cardinale ferma il cronometro, esultando, “Haruka-senpai sugoi! Questo è un altro record personale”. Peccato che il corvino non le stia dando retta.

   “Il campo infernale sta dando i suoi frutti”, confermi.

   Il pinguino irrompe nella corsia del delfino in apnea, oltrepassando il dividi-corsia da sotto, “Io invece?”.

   Gli sorride comprensiva la compagna di classe, “Tu devi impegnarti un po’ di più, Nagisa-kun”.

   “Tuttavia”, afferma il castano, “credo che tutti abbiano fatto progressi in questo poco tempo”, si riferisce all’occhialuto all’altro capo della vasca, “E Rei ha migliorato il suo tempo nello stile a farfalla”.

   “E’ una fortuna che Rei fosse già allenato grazie al salto con l’asta”, convieni.

   “Però non è abbastanza!”, prorompe la tua assistente, “Dobbiamo puntare più in altro e trovare un buon allenatore!”.

   “Adesso?”, si stupisce il coscritto.

   “Non è mai troppo tardi per iniziare. Se qualcuno ci aiutasse, anche se all’ultimo minuto, saremmo in condizioni migliori per il torneo!”.

   “Un coach ci farebbe comodo, ma non c’è nessuno disponibile con così poco…”, l’orca cerca di riportarla coi piedi per terra.

   “Proprio per questo dobbiamo cercare meglio”, lo aggredisce.

   Per una volta, è Haruka a smorzare la situazione, “Non è necessario”. E ritorna sulla pedana di partenza in corsia 1, rimettendosi occhialetti e cuffia in lattice, ed infrangendo la distesa di cloro.

   “Probabilmente ad Haru non serve un allenatore”, conclude il dorsista.

 

Contemporaneamente alla Samezuka

 

   Nitori è seduto sul bordo, piedi incrociati e ginocchia rannicchiate al petto, contenute dall’epitroclea, dove i tendini ricoprono l’articolazione tra omero e radio, rannicchiandosi a riccio, come per contenere il proprio cruccio, mentre con lo sguardo amareggiato osserva la tempra con cui il senpai solca la superficie dell’acqua in uno stile non propriamente suo. Aumenta la presa sul telo mare dello squalo, chiedendosi perché. Perché Matsuoka rinuncia alle altre possibilità di rivalsa, mentre lui non può neanche partecipare al suo evento preferito? Perché glielo sbatte in faccia così, come per sottolineare che il ragazzino non vale niente in confronto? Perché non si degna nemmeno di dargli una spiegazione? Sono pur sempre compagni. Compagni di scuola, compagni di squadra, persino compagni di stanza. Non pretende di essere trattato con rispetto o stima, ma con almeno un minimo di considerazione. Pensa di meritarsela, nonostante non siano allo stesso livello, per educazione verso il prossimo. Eppure l’argenteo si sente accantonato, dimenticato, al pari di un inutile zero dopo la virgola.

   Il diciassettenne si aggrappa alle maniglie della scaletta, pronto ad uscire dalla piscina. In un gesto automatico dettato dall’abitudine, il kohai si alza repentino e lo affianca, pronunciando il cognome dell’altro seguito dall’urticante onorifico. Tuttavia, stavolta non gli riserva quel sorriso cortese, troppo deluso da se stesso per trovarne la forza. Sconforto che cresce maggiormente, quando coglie l’asineria del più grande nei suoi confronti. Non tanto perché lo ignori volontariamente, semmai per il suo elefantiaco ego che non ammettere altri problemi e progetti al di fuori dei propri, coprendo il resto con quello sfumino opacizzante che usa il fotografo con Photoshop, o con la Reflex stessa, quando vuole evidenziare un dettaglio dell’immagine. E il dettaglio di cui l’amaranto si preoccupa è fondamentalmente uno: battere Nanase. Ecco il punto da cui parte il fascio di rette dei suoi imperativo, tra le quali spiccano: ‘realizzare il sogno di mio padre’ e ‘_______’.

   Ciò non fa altro che aizzare l’animo già straziato di Nitori che oramai non può più frenare la lingua.

    “Perché alle regionali ti sei iscritto solo nei 100 metri a stile libero?”.

   Rin si scopre il volto dall’asciugamano, tenendolo comunque molto vicino agli zigomi, importunato volutamente per la prima volta.

   “La tua specialità è lo stile a farfalla, in cui hai raggiunto dei tempi ottimi”.

   “Concentrati sulla tua di specialità. Nuoti nella staffetta individuale mista, giusto?”.

   No, risponde mentalmente, incupendosi ancora di più, Non sono abbastanza rapido nei cambi di stile per seguire le tue orme, “Mi sono iscritto ai 400 stile libero. Volevo partecipare ai 100 metri, ma la nostra scuola ha molti nuotatori più veloci di me”, Come te, Senpai, “Ma tu sei abbastanza bravo da poter scegliere qualsiasi cosa tu voglia. Allora perché?!”.

   L’altro non risponde. 

   Un’idea balza ai grandi occhi cilestrini del sottoposto, “E’ a causa di Nanase-san, non è così?”.

   “Ehi, che succede?”, prorompe Mikoshiba, disturbato dall’acceso tono di voce del discepolo.

   “Buchou, stavo solo…”.

   “Non succede niente”, lo blocca Rin, lanciandogli l’asciugamano per tornare ad allenarsi.

   Una volta che lo squalo si allontanato, Nitori incalza: “Buchou, perché non hai detto nulla a Matsuoka-senpai?”.

   “Perché sei così agitato?”, si rabbuia l’altro, più perché desidera il bene dei propri nuotatori che per l’accidentale mancanza di deferenza.

   Il kohai distoglie lo sguardo, pungolato nel vivo.

   “Bah, sono certo che abbia le sue ragioni”, constata Malpelo, seguendo con attenzione arbitraria le falcate del complessato, pronto ad adempiere all’ingrato compito di trattare personalmente con lui, quando se ne presenterà l’occasione.

 

   Il sole declina sulla linea del crepuscolo, tingendo le nuvole d’un debole arancio, seguito dai primi tratti del pallido azzurro, tendente alle tenebre, del principio d’una notte di luna nuova.

   Rin clicca sulla X della finestra elettronica, grazie alla quale ha trovato il locale perfetto dove portarti, sentendo il compagno di stanza varcare la porta del bagno in comune. Cercava qualcosa di particolare, alternativo e, perché no, anche appartato, speranzoso di stupirti e di avere quel poco di privacy idonea ad una chiacchiera a cuore aperto, tramite la quale il sarto chiamato Destino potrebbe misericordioso ricucire la fibra lisa da uno strappo minaccioso, fatto di cambiamenti, lontananza e incomprensioni dolenti, che ha rovinato il filo che vi unì a undici anni. Un film al multisala gli sembrava un’idea banale, una cena in un ristorante precipitoso, rinchiudersi in un centro commerciale durante le belle giornate estive sciocco. Finalmente ha deciso e sarebbe stato ben attento dall’evitare input sconnessi e sgraditi che lo possano portare al fallimento. Il programma stilato è impeccabile.

   Lo schermo del portatile schiocca all’incontro con la tastiera. Lo squalo si alza dalla scrivania per stendersi sul letto, con i palmi a sostenere la nuca e le gambe piegate. 

   A Nitori è bastato guardarlo per capire le intenzioni del senpai. Senza parlare si inginocchia sul materasso dell’altro e gli afferra le caviglie, dando il via alla sessione extra di addominali.

   Conversano del più e del meno, tanto per farlo. Ad un certo punto l’amaranto dà un’informazione, a suo avviso irrilevante, al kohai, che strepita: “Eeeh?! Matsuoka-senpai, non prenderai l’autobus per le regionali insieme a tutti gli altri?!”.

   E’ quello che ho appena detto…, “Prima devo andare da un’altra parte”, rallenta un attimo, al fine di replicare.

   “Dove devi andare?”, pone il sedicenne innervosito.

   “Che t’importa?”, si piega in avanti di nuovo, poi si blocca, respira sotto sforzo, “Mi stai stalkando o qualcosa del genere?”.

   “Incontrerai Nanase-san, vero?”.

   “No!”, interrompe l’esercizio, “Ti ho detto di smettere di preoccuparti per me e di concentrarti sulla tua gara”.

   “Però…”.

   “Cosa c’è?”, chiede quasi al limite della sopportazione.

   “Sono turbato”, confessa Aiichirou senza guardarlo negli occhi.

   “Uh?”.

   “Parteciperai solo allo stile libero, quando hai le capacità di fare di più…”, stringe più forte il collo del piede di Rin, “… mentre io non posso nemmeno partecipare al mio evento preferito. Mi sento così inutile”, molla la presa, “Mi dispiace, se ti offeso”.

   “No”. Il rosso posa i piedi sul parquet, pentito per la rigidità che riserva al novellino, mortificato di non essere in grado di dimostragli che non è così duro con lui perché lo vede soltanto come una valvola di sfogo, bensì perché vuole spronarlo a crescere. Nitori è alle superiori. Basta reagire come un ragazzino, basta piangersi addosso. Deve reagire. Probabilmente, se quest’ultimo avesse la sfrontatezza di tirargli un pugno, il senpai rispondere con una pacca compiacente sulla spalla, soddisfatto di aver ottenuto una prova tangibile della sua maturità.

   Il silenzio è insostenibile per il più giovane dei due, e al contempo impossibile da sormontare. Per quanto vorrebbe parlare, le labbra sottili rimangono incollate tra loro e lo sguardo si perde tra le lenzuola sfatte, sulle quali prima era steso il mentore. Certe volte il mutismo paga…

   “Sei resistente”, lo incoraggia Rin, evitando di voltarsi, come se in realtà non gli importasse un granché, “I 400 metri sono più adatti per te dei 100”.

   Inizialmente l’argenteo non vuole credere a quelle parole, timoroso di essersele immaginate. Si dà un pizzicotto sul braccio, giusto per confutare l’illusione, però, quando avverte i propri polpastrelli artigliare la zona colpita e schiacciarla tra le punte delle dita, un fastidio fulmineo lo costringe a lasciare in pace l’appezzamento di carne, gridandogli nervosamente: No, idiota, non hai le allucinazioni!

   “Uh?”, mugola per il dolore, ma in gran parte per la sorpresa, “G-grazie mille!”.

   Il pescecane conta le stelle in cielo, rimembrandosi un tenero momento della sua infanzia.

   Come una volta ogni mese, la luna si nasconde dalla visuale del mondo, minacciando di lasciarlo avvolto nel buio, se non fosse per la clemenza delle stelle e del cielo sereno. 

   Un bimbo dai capelli di velluto scarlatto giace su una coperta di lana che gli impedisce di cozzare la schiena con l’erba di rugiada.

   “E’ ora di rientrare”, lo chiama il padre, esponendosi a metà dalla veranda.

   “No”, dissente secco il piccolo, “Non ho ancora finito di contarle”.

   “Che cosa, figliolo?”.

   “Le stelle”.

   L’uomo sorride, invidioso della leggerezza dell’infantilità, e si stende accanto al figlio, “Le conto con te”.

   Nel giro di un’oretta il bambino si appisola, accoccolato al fianco del genitore, conservando sulla punta della lingua l’ennesimo numero tendente all’infinito. E’ a quel punto che il signore si carica il peso morto del pargolo in braccio, lo porta nella sua cameretta e gli rimbocca le coperte. Così come altre sere prima e dopo di quella.

   Rin si ritrova a pensare a quanto si arrabbiava il mattino seguente, non essendo riuscito a contarle tutte. Non finivano mai. 

   Ero così ingenuo. Molte delle stelle che vediamo sono già morte. Se il padre fosse presente, gli risponderebbe che a lui sembrano vive.

    “Andrò a far visita a mio padre”, confida infine.

    “Credevo che fosse morto tempo fa”, Nitori non comprende al volo il lutto contenuto da quella frase, confondendo la ‘visita’ con una di cortesia o di dovere, che spesso caratterizzano i rapporti tra figli e genitori separati; dopo una frazione di secondo si cruccia trasecolato, saltando in grembo al diciassettenne, afferrandolo per i bicipiti floridi e costringendolo ad appoggiarsi istintivamente all’indietro sui palmi, in modo da non cascare a terra, “No! Non farlo, Senpai!”, piagnucola con gli occhi lucidi, “Non puoi morire!”.

   “Non morirò!”, grida il cinabro, levandoselo di dosso a fauci sguainate, “Andrò solo a far visita alla sua tomba!”.

   L’argentato scatta in piedi e prostra il busto in avanti in un profondo inchino, supplicando il perdono del senpai.

   “Tsk. Vieni con me”, ordina Rin, infilandosi le infradito ai piedi ed uscendo dalla stanza, seguito da recalcitrante kohai che teme per la sua vita. Timore superfluo, dato che il più grande lo sta semplicemente portando al distributore di bibite energetiche nell’area ristoro più vicina alla camera 210 del dormitorio.

   Lo squalo fa segno ad Aiichirou di sedersi, poi infila nella macchinetta una moneta da 500 yen, digita due volte il numero 11, ritira il resto, si china per afferrare le due lattine di Pocari Sweat, lanciandone una al sottoposto che la prende al volo per miracolo, mentre apre la sua mediante l’uso unico dell’indice e se la porta alla bocca, reggendosi sull’erogatore, reintegrando nel suo metabolismo una sostanziosa dose di nutrimenti e elettroliti.

   “A proposito”, allaccia una conversazione, dopo aver inghiottito la libagione, “Non mi sembra di averti mai raccontato di mio padre”.

   Nitori annuisce.

   “A quanto pare, quando era giovane…”, gesticola con la lattina, “… era il miglior nuotatore dell’Iwatobi”.

   Un giovanotto di dodici anni o su di lì corre per chilometri e chilometri, nuota per miglia e miglia, allena ogni fibra del suo essere con un sorriso fiducioso, che si allarga sempre più all’accumularsi crescente di trofei e medaglie con inciso sopra il proprio nome. I suoi occhi, così simili e determinati come quelli che avrà in futuro il suo primogenito, brillano alla vista di un sogno che pare avvicinarsi ad ogni virata: le Olimpiadi. Non deve salire sul podio a tutti i costi, desidera semplicemente assaporare l’ebrezza di essere là, circondato dall’adrenalina degli sforzi ripagati.

   “Ma non raggiunse mai quel sogno”, prosegue l’erede, sedendosi accanto al vassallo, “Sì sposò ed ebbe me”.

    Sogni troppo grandi possono distruggere coloro che l’idolatrano come falsi dei a cui ambire, ma per chi ha l’ingegno di riservarsi un piano B, la serenità perverrà in una nuova forma. 

   Per questa ragione quel sognatore ormai fattosi uomo riesce ancora a sorridere con un’allegria sincera, quando viene fotografato o ripreso - seppure con addosso la salopette impermeabile, gli stivali di gomma e quelle cime così pesanti dei pescherecci che basta guardarle per avvertire l’aroma pungente del pesce appena pescato -, perché la vita riserva sempre qualcosa di inaspettatamente meraviglioso che merita di essere conosciuto. E non potrebbe immaginare qualcosa di più bello del piccolo squaletto che ha gli strappato la faccia e dell’altra creatura a lui somigliante dai tratti più morbidi e femminili.

   Tuttavia, come preserva una relativa porzione di felicità, la vita fa lo stesso anche con la tristezza.

   Durante una tarda estate, il cielo si tinge di nero, rispecchiandosi nel mare in burrasca, rispondendo al richiamo di un enorme tifone. 

   Per quanto i segnali radar implorino aiuto alla guardia costiera, l’agitazione delle acque è troppo fervida, impetuosa, ed i pescherecci troppo a largo. I marinai tirano le cime, mettendo a dura prova la loro tenacia per non cadere sul bagnato, o, peggio, fuoribordo, gridano ordini ai mozzi che coi secchi ributtano all’esterno l’acqua imbarcata. 

   Le onde sono troppo forti. Gli alberi maestri si spezzano, i circuiti elettrici saltano, le navi si ribaltano, scivolando a fondo in una trappola letale.

   “Molti pescatori morirono. Mio padre…”, il ritratto del signor Matsuoka in giacca e cravatta, immortalato con qualche anno di meno, giace sull’altarino in un angolo della casa - abbastanza visibile per essere raggiunto dal suo spirito durante l’O-bon, abbastanza nascosto dal non immalinconire i familiari -, con difronte un bastoncino d’incenso e un vaso di crisantemi bianchi fresci, “… era uno di quelli”, Rin inizia a stringere con forza la lamiera della lattina ormai vuota, “Voglio raggiungere il sogno che mio padre non ha potuto realizzare. E c’è qualcuno che devo battere prima di poterlo fare”.

   “Nanase-san?”.

   Gli occhi di corallo del ragazzino genuflesso si velano di lacrime amare. La frustrazione lo costringe ad assestare un colpo sul pavimento con il pugno chiuso.

   Il pollice spinge ulteriormente sulla lamina in metallo, bollandola, “Ha un talento incredibile, ma tutto ciò di cui parla sono cose senza senso su quanto lui ami l’acqua e voglia percepirla. Non nuota per battere record o vincere eventi. Eppure, non sono ancora riuscito…”, il cremisi abbandona il peso del suo tronco sulle ginocchia, cedendo all’uggia che lo opprime a tal punto da non poterla più contenere. Deve condividerla con qualcuno. E l’unico in quell’istituto a cui potrebbe affidare questo pesante fardello, al momento gli siede accanto.

   “Senpai…”.

   “Se non riesco a batterlo, non posso…”, si alza in piedi, affilando con decisione lo sguardo, accartocciando del tutto l’involucro della bevanda al pompelmo, “… andare avanti”.

   “E con la tua amica d’infanzia?”.

   La postura del pescecane si fossilizza.

   “Insomma, da quel che ho capito, anche a Nanase-san piace _______-san”.

   “Perché la chiami per nome?”, si irrita l’altro per la troppo confidenza.

   “Mi ha dato lei il permesso”.

   Tipico di _______, commenta tra se medesimo.

   “E’ un motivo in più per stracciarlo”, conclude il più grande, alludendo a qualcosa di più complesso del nuoto. Qualcosa per cui non bastano impegno e buone intenzioni. Qualcosa che con le altre ragazze ha scansato come un il peggiore dei parassiti. Qualcosa di cui ha tanto letto nelle poesie senza capirlo appieno. L’amore.

 

Venerdì, due giorni prima del torneo - Tempio

 

   Insieme ai quattro dell’Iwatobi Swimming Club getti delle monetine nella grata delle offerte, suoni il campanaccio che invoca l’ascolto di spiriti e antenati, e batti le mani due volte, prima di prostrarti leggermente in avanti in segno di preghiera.

   “Perché hai pregato con noi? Credevo fossi atea”, ti chiede curioso Makoto, volenteroso di accantonare un piccolo sospetto sul tuo conto, sebbene lui stesso non sia veramente credente, proprio come i suoi colleghi, e lo faccia più per tradizione.

   Gli sorridi lungimirante, ammiccando, “Così”, ricevendo in risposta una reazione equiparabile.

   “Rin-chan non nuoterà a farfalla per la staffetta? Non partecipa a causa di Haru-chan?”, senti dire Nagisa soprappensiero.

   “Perché dovrebbe importargli se Haruka-senpai prende o no parte ad un evento?”, non capisce Rei.

   “Sono fatti così”.

   “Cosa dovrebbe significare?”. Non puoi dargli torto: il ragionamento non è molto logico.

   “Su, su”, gli dà una pacca sulla spalla il gigante buono, “Abbiamo deciso di seguire gli eventi singoli, quindi ci siamo potuti concentrare sui nostri punti di forza”.

   La mimica dell’intellettuale si incupisce un poco, mentre sussurra, “Volevo nuotare in una staffetta”.

   I due compagni arrossisco lievemente emozionati.

   “Vuoi partecipare ad una staffetta mista, Rei-chan?”, ripete il pinguino.

   “Ho noleggiato un video delle Olimpiadi. Era stupendo guardare quattro atleti nuotare in stili diversi in successione per completare insieme una gara”, il suo animo esteta infervora, “Ero impressionato da quanto fosse fantastica la figura della farfalla al tocco del muro”, mima il movimento appena citato, “Personalmente, credo sia molto importante che si arrivi al traguardo in modo spettacolare, e questo dimostra che gli atleti in tutto il mondo la pensano allo stesso modo…”.

   “Eh?”, lo strepitio di Gou in lontananza blocca il monologo del compagno di classe, “Haruka-senpai, questo cos’è? Mezza fortuna?”, addita il resoconto dell’oroscopo del moro.

   “Che sta succedendo?”, domanda il biondo, esponendo le iridi di lampone oltre la spalla del delfino.

   “Mezza fortuna?”, parafrasa Marcantonio, “Mai sentita prima”.

   “La tua mezza fortuna è una cosa buona?”, calca Quattrocchi.

   “Cos’è l’altra metà?”, s’interroga la vice-manager.

   “Non sembra molto sensato”.

 

   MEZZA FORTUNA

   Concentratevi sui vostri studi

   Gli affari andranno bene

   Raccogliete tanti bei ricordi

   Vi riunirete alla persona che volete vedere

   Vi farete dei grandi amici

   I vostri desideri diventeranno realtà con l’aiuto di altra 


  Haruka non sa interpretare le indicazioni con chiarezza, ma la poiana che turbina nel cielo sembra volare per lui, come per comunicargli che le possibilità di adempiere ai propri propositi sottostanno tutte alla stessa volta celeste. 

   Ti allontani un attimo dalla comitiva, convocata dalla suoneria di un nuovo SMS. Apri la schermata dei messaggi:

 

Rin Matsuoka

Non farti attendere troppo domani ;P

 

 


 

Note d'Autore

Come ti consuetudine, parto con il ringraziare il continuo sostegno ed apprezzamento. Grazie a tutti coloro che seguono la storia dall'inizio e che mi hanno sempre consigliata con le loro opinioni, a anche a coloro che si sono avvicinati alla FF di recente. Grazie anche ai lettori silenziosi che, assieme agli altri, mi hanno accompagnata finora in questo passatempo e in questa passione.

Ammetto che non ho riletto integralmente in capitolo, se non a spezzoni, dunque vi pregherei di farmi notare eventuali errori lampanti di battitura e/o grammatica e/o sintassi.

Spero che anche questo capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative.

Alla prossima,

Claire DeLune

 

Termini

Nell'anime Rin lancia a Nitori una lattina di "Pocket Sweat", ovvero una bevanda per sportivi realmente esistente in Giappone, non gasata, ipocalorica al pompelmo a cui però, per evitare pubblicità occulte, è stato storpiato il nome. Per essere più verosimile possibile, ho preferito inserire nel testo il nome vero, tutt'altro che gustoso, di questa bibita molto popolare in Asia orientale, Sud-Est asiatico e Medio Oriente, "Pocari Sweat". 

Giusto per riderci un po' su: ma voi ve la berreste una bevanda che si chiama "Sudore di Pocari"?!.

L'Otsuka Pharmaceutical (la casa di produzione), ha addirittura dichiarato che il nome sia stato scelto proprio pensando al sudore(!, perché, essendo un reintegratore sportivo, è inteso a fornire tutti i nutrimenti e gli elettroliti persi con la sudorazione... Quindi ha una composizione simile al sudore(?!) a cui hanno aggiunto il gusto di pompelmo perché, dai - è vero che i giapponesi NON traducono mai dall'inglese, storpiano le parole e basta, ma scemi non sono -, chi mai trangugierebbe qualcosa che sa di sudore?!?!

Bene, passando oltre.

O-bon > è la festa dei morti che dura quindici giorni, periodo in cui, grazie alle lanterne di carta con cui si abbelliscono cimiteri, templi e abitazioni, l'anima del defunto può tornare a casa a trovare i familiari, sistemandosi nell'altare casalingo, per poi tornare nell'aldià passate le due settimane di visita.

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Capitolo 14
*** 13. Dichiarazioni ***


13.  

Dichiarazioni

 

   Stoffa.

   Stoffa ovunque.

   Sulla scrivania, sul comodino, sul pavimento, impigliata alle ante dell’armadio. 

   Qualcosa si muove sotto all’ammasso di tessuto ammucchiato, o meglio, lanciato alla rinfusa sul letto, poi un testolina pelosa e fosca, nella quale sono incastonati due grandi frammenti di rame levigato, sbuca fuori, fulminando la padrona con un’evidente occhiata stizzita per aver disturbato il suo sonnellino pomeridiano.

   “Non guardarmi così, Yoru. Mi basta l’espressione che mi riserverà lui, se non mi sbrigo”, implori la comprensione della tua gattina, in preda ad una crisi disperata tipica femminile: l’abbigliamento.

   Maledetto Matsuoka! Non poteva almeno dirmi che tipo di posto era?! “E’ una sorpresa”, lo canzoni mentalmente, scimmiottando il suo ultimo SMS.

   Posi lo sguardo sull’orologio da parete moderno e ovaleggiante, perdendo un respiro. 

   Le 16.40.

   Rin arriverà tra venti minuti e tu indossi ancora la divisa scolastica.

   Venti minuti?!

   Soffochi un imprecazione, optando per degli shorts [colore] tendente al nero di pizzo macramé, all’interno dei quali affranchi una camicetta chiara totalmente abbottonata, che, all’altezza delle scapole, presenta una delicata scollatura, lunga fino a metà schiena per poi richiudersi con delle asole. La porti con le maniche ripiegate a tre quarti, abbellendo i polsi con dei cinturini cruciani dalle nuance pastello, aggiungendo al destro anche un braccialetto in metallo smaltato a forma di serpente striato, che nasconde nelle proprie fauci il quadrante di un orologio. Infine, intorno al bavero ricade un delicato girocollo nero fatto all’uncinetto che sfoggia nel centro un piccolo cameo. Giusto per aver qualcosa che attiri l’attenzione.

   Corri in bagno, portandoti dietro la trousse dei trucchi e la poggi sul ripiano accanto al lavandino. Raccogli i capelli in una coda alta morbida, infilandola successivamente in una ciambella media dello stesso colore dei tuoi capelli, sistemando quest’ultimi a cascata uniformemente e fissando le punte con delle forcine. Poi passi al tuo solito make up acqua e sapone, privo di fondotinta, accentuando gli occhi [forma] con un leggero smokey eye, con un filo di eye-liner nero, al posto della matita, che allunga e solleva l’angolo esterno, del mascara talmente incurvante da regalarti delle ciglia da manga, e un’ombra di rossetto rosato per concludere.

   Se metti in evidenza gli occhi non caricare troppo le labbra, e viceversa, gl’indispensabili insegnamenti della mamma, sorridi tra te.

   Dal pian terreno si leva un suono fin troppo conosciuto: il citofono.

   “_______, è arrivato”, ti senti chiamare, “Ed è in perfetto orario. Puntuale come un orologio svizzero”.

   Sì sì, lo so obaa-chan: tu tifi per lui.

   “Scendo!”.

   Ritorni in camera, recuperi la borsa, che, grazie a chissà quale stella, avevi già preparato, e ti fiondi giù dalle scale, incespicando verso la scarpiera per metterti le Mary Jane intonate ai pantaloncini e allacciarle sopra i calzini di nylon alla caviglia, pensando solo in quel momento alla scomoda eventualità che lo squalo ti faccia camminare sui sampietrini in centro o che voglia andare in spiaggia, ma ormai è troppo tardi.

   “Esco”.

   “Itte rasshai”.

   Percorri il vialetto, controllando per l’ennesima volta l’ora, e rotei le orbite: sei in ritardo di dieci minuti. Tempo sufficiente per indisporre il tuo instabile cavaliere. 

  Varchi il cancelletto con il tuo sorriso migliore. Sorriso che si trasforma in stupore non appena lo vedi, appoggiato ad un 125cc nero fumé, fasciato da un giacchetto di pelle rigorosamente slacciato, dei jeans neri e una camicia bianca a righe sottili verticali grigie. Le asole dei bottoni sono ricoperte da una striscia nera, che continua intorno al colletto, e finisce al livello dell’ombelico con un triangolo rovesciato, dando l’impressione che indossi una cravatta inesistente.

   Sarà per la moto o per la disinvoltura con cui si abbandona su di essa con le mani in tasca, lasciando esposti solo i pollici, mentre si fissa la punta delle sneaker a stringa anch’esse nere fumé - sembrano specifiche per la guida da motociclista -, ma osservandolo, ti sovviene solo un aggettivo adatto a descriverlo. Sexy. Non che non esistano altri termini più consoni, ma sicuramente questo rende immediatamente l’idea.

   “Ah, eccoti”, pronuncia, richiamandoti all’attenzione, per poi squadrarti a sua volta, concentrarsi un poco di più sulle gambe scoperte. Forse rendendo solo il gesto meno evidente.

   Si porta una mano alla nuca, grattandosela nervosamente, e si schiarisce la gola, “Sei molto bella”.

   Abbassi lo sguardo, stringendoti nelle spalle, torturando il manico della borsa, ed arrossisci lievemente, “Anche tu”.

   “Mi dispiace solo che ti si rovineranno i capelli”. Sogghigna non appena lo adocchi confusa.

   Alza una mano, mantenendo la sua espressione sollazzata, mostrandoti un casco integrale, “Dovrai mettere questo, se vuoi salire sulla mia moto”.

   Ah, giusto. Il casco, rammenti l’ovvietà, facendo una smorfia, mentre lo afferri. A saperlo avresti lasciato la chioma sciolta. Lo assesti sul capo e subito Rin si china su di te, nonostante i dodici centimetri di tacco, ti allaccia il cinturino sotto il mento, non resistendo poi all’impulso di sfioranti impercettibilmente le labbra, bacio che, nonostante la buona volontà di essere corretta nei confronti di entrambi i pretendenti, non riesci a non ricambiare, e fa scattare in giù la visiera, aiutandoti a salire in sella ed intimandoti a non mollare mai la presa dalla sua vita. Mette in moto e finalmente partire.

   Il tragitto prosegue senza troppi intoppi, se non per qualche semaforo rosso, grazie ad un relativo traffico. O almeno così ti pare, dato che non stai prestando particolarmente attenzione alla dimensione urbana circostante, troppo presa a saggiare la prestanza della sua schiena solida e del tepore che traspira da sotto i vestiti. L’unica cosa di cui ti accorgi e il dissiparsi progressivo della flora marittima che lascia posto a palazzi e piccoli grattacieli da sobborgo cittadino, chiaro segno che vi state recando verso l’entroterra.

   Il cremisi accosta e parcheggia a ridosso dell’ingresso di un grande parco, percorso al centro da un lungo viale alberato di aceri rossi, le cui foglie vengono scurite dal sole estivo, avvicinandosi a sfumature più fredde tendenti al magenta o al bordeaux. Colori tanto confusionali da rendere difficile scegliere a quale gamma specifica appartengono. Proprio come i capelli di Rin.

   Una volta inserita la sicura del suo cavallo a motore, il tuo accompagnatore si toglie il casco, scuotendo meccanicamente il capo per ravvivare la folta chioma fulva, e lo inserisce sotto alla sella, per poi aiutarti a fare lo stesso. Abbozza un sorriso saccente, prendendoti per mano, mettendo il mignolo intorno al tuo polso così da tenerti più salda, e ti guida oltre la recinzione d’ingresso.

   “Hai intenzione di dirmi dove stiamo andando oppure no?”, chiedi all’improvviso, mentre percorrete il tunnel di foglie e rami dal profumo soave.

   Il suo sguardo vagheggia altrove, fingendo di pensare ad una risposta accettabile da darti, ma subito sul suo volto si dipinge il solito ghigno sghembo e, chinandosi su di te, soffia all’altezza delle tue labbra, “Eeeehm… No”.

   Inarchi un sopracciglio, allungando il passo.

   Il ragazzo ridacchia, raggiungendoti con un paio di falcate, “Cosa te lo dico a fare? Siamo arrivati”, indica col pollice un locale alle sue spalle, proprio al centro del parco, come se ne fosse il fulcro. È un piccolo edificio a forma circolare, composto per lo più da vetrate. All’esterno ci sono tavolini di vetro sorretto da uno scheletro di vimini, circondati da sofà da due posti ciascuno e da poltroncine ambedue dello stesso materiale del tavolo. Alcuni di essi sono coperti da dei raffinati e appartati gazebo, da cui vedi entrare e uscire camerieri nelle loro eleganti divise gessate coi loro vassoi argentati, sui quali portano porcellane dall’aria delicatissima. 

   Che posto di classe, ti brillano gli occhi.

   “Buonasera signori. Avete una prenotazione?”, ti riporta sulla Terra la voce grave ma cortese del maître.

   “Matsuoka”.

   “Matsuoka…”, ripete l’uomo facendo passare l’elenco dei nominativi con la penna, “Matsuoka, tavolo quindici”, sorride non appena lo trova e rivolge un’occhiatina complice al ragazzo al tuo fianco, prima di passarla su di te.

   Cosa sta succedendo?

   “Manaka”.

   “Sì, Kasumoto-san”.

   “Saresti così gentile da accompagnare questa giovane coppia al privé”.

    “Naturalmente”, ci riserva un sorriso dolce che le illumina gli occhi nocciola, “Da questa parte, prego”.

   La cameriera vi guida ad un gazebo riservato, al centro del quale sorge un tavolo tondo apparecchiato per due al lume di candela. Rin ti precede tenendoti la sedia e accompagnandola mentre ti ci siedi sopra. Difronte a te, sorretto dal tovagliolo arricciato, un mazzo di tulipani gialli ti attende. Li prendi, aspirandone il profumo, “Sono bellissimi”.

   “Le rose mi sembravano scontate”.

   Sempre molto diretto, eh Rin?

   “Non dovevi”, sorridi, osservando con cura il posto, “Certo che hai pensato proprio a tutto”.

   Fa spallucce, porgendoti uno dei menù che la donna di prima ha poggiato sul tavolo.

   “Non ti facevo così romantico”, lo pungoli, “Sembra che tu debba proporti”.

   “Chi ti dice che non sto per farlo?”.

   Alzi all’istante gli occhi dal menù per puntarlo su di lui ammutolita. La sua espressione è indecifrabile.

   Sbuffa una risatina, “Dovresti vedere la tua faccia”.

   “Accidenti, Rin! Mi hai fatto prendere un colpo!”.

   “Perché? E’ così ripugnante l’idea di sposarmi?”.

   Arrossisci, “S-smettila di prendermi in giro”, raschi la gola, prima di cambiare argomento, dandogli un motivo per sorridere trionfante, “Comunque, come mai mi hai portata in una cioccolateria francese: tu odi i dolci”.

   “Non mi fanno impazzire, ma il cioccolato mi piace. In più, so che tu lo adori. Potrei anche azzeccare cosa stai per ordinare: di sicuro la tua mente bacata sta urlando ‘Sacher!’”.

   Beccata! Non posso dargliela vinta! Soprattutto perché la sacher è un dolce austriaco: qui non la fanno, “Sbagliato! Io ordinerò…Mmm…”.

   “Ebbene?”, ghigna.

   “Lasciami il tempo di pensare!”.

   “Tutto quello che vuoi: non ho fretta”.

   Non sai proprio cosa prendere, quando improvvisamente un’immagine stimola le tue ghiandole salivari. Si tratta di una torta dalla forma rettangolare di Pan di Spagna, separato da una crema al pistacchio in quattro strati, e con la copertura di cioccolato fondente.

   “Prenderò un’Operà al pistacchio”.

   Lo squalo legge la descrizione con interesse, prima di voltare pagina sui tè, “Anch’io”, sorride, “Che tè desidera, dolce signorina?”.

   Scoppi a ridere, guadagnandoti una occhiata accigliata, “C’è un limite a tutto, Rin”.

   “Tzé”.

   “Comunque, un Rooibos”.

   “Un tè sudafricano?”.

   “Non lo hai mai provato? E’ buonissimo. Ma forse sei più da delicato Oolong cinese”, lo prendi in giro, enfatizzando la parola delicato.

   “In Australia mi sono abituato a bere di più il caffè”, sogghigna nuovamente, “In questo aspetto sono più occidentale io di te che sei mezza [nazionalità]”.

   “Pfff”.

   “Siete pronti per ordinare?”, smorzando il battibecco sul nascere la stessa cameriera di poco prima.

   “Sì”, prende la parola il rosso, assumendo un atteggiamento da vero gentiluomo, “Due Operà al pistacchio, un Rooibos e un tè speziato all’arancia e cannella”.

   “Arrivano subito”, sorride, appuntando il pennino sul tablet.

   “Tè indiano”, concludi, “E poi chi dei due sarebbe più occidentale?”.

   Scuote la testa soffocando una risata, “Sei impossibile”.

   “Ti piaccio per questo”.

   “È vero”.

   “Mm?”.

   “______, senti. C’è un motivo per cui ti ho invitata ad uscire e sotto sotto sai anche qual è”.

   L’arrivo delle cibarie lo interruppero un attimo, “Buon proseguimento”.

   “Grazie”, la liquida educato, “Non sto chiedendo il tuo perdono per come ti ho trattata e so di essere cambiato in peggio, ma ciò che provavo per te, che provo per te, non è mutato”, mescola nervosamente il miele nella tazzina, “Quello che sto cercando di dirti è che ti amo”.

   Non sai cosa dire. Senti il cuore martellare così forte da temere che possa esplodere o sfondarti il petto per gettarsi tra le sue braccia. 

   Anche i tuoi sentimenti non sono cambiati. Il rancore e il tempo li avevano assopiti, certo, ma aspettavano lì, nel profondo del tuo essere, pronti a ritornare più forti di prima. Soltanto che non avevano calcolato Haruka.

   E Makoto, aggiunge subdola la tua mente. Già. Makoto. Cos’è lui per te?

   Rin ti prende la mano, riportandoti alla realtà, “Non mi aspetto una risposta subito: so che sei piuttosto confusa al momento. Volevo solo fartelo sapere e farti sapere che combatterò per averti”.

   Rin…

   

0 GIORNI AL TORNEO!! È OGGI!!

 

  L’aria frizzantina della domenica mattina dà il buongiorno ad un pensieroso Haruka che, in cima alla scalinata che collega casa sua al tempio, riflette sull’ultima volta in cui a gareggiato: quella che sancì la decisione di appendere al chiodo cuffia e occhialini per sempre. Si sente un traditore due volte. La prima per aver infranto il suo voto ed essere tornato a nuotare contro il suo eterno rivale; la seconda per aver voltato le spalle alla sua più grande amica: l’acqua.

   “Scusa per l’attesa, Haru”, l’arrivo di Makoto interrompe i suoi pensieri.

   “Ah”.

   “Oggi è il gran giorno”.

   Una poiana sorvola la baia, portandosi in alto oltre gli ingressi del tempio, laddove riposano le anime e il vento è più forte. A tal punto da scompigliare la lunga chioma cremisi e scoprire lo sguardo deciso e malinconico di Rin dinnanzi all’epitaffio del padre.

  Papà, guardami, appoggia il pugno chiuso alla lapide, come farebbe un amico alla spalla del compare, Vincerò.

 

Al palazzetto dello sport

   Dopo un breve tragitto a piedi, lungo il quale anche tu li hai raggiunti, insieme ad Haruka e Makoto ti dirigi al punto di ritrovo con gli altri membri del club.

   “______-chan! Haru-chan! Mako-chan! Quaggiù!”, si sbraccia rumoroso Nagisa, impaziente di mostrarvi l’ultima novità, ovvero le profonde occhiaie di Rei, violacee quanto i suoi occhi ametista, “Guardate, guardate! Rei-chan era così nervoso che non ha dormito per niente!”.

   “Mi piacerebbe avere i nervi d’acciaio come voi”, risponde acido il burlato.

   “Ci arriverai presto. Relax, relax”.

   “È vero”, incoraggia Marcantonio.

   “Ok! È arrivato il momento del torneo! Facciamo del nostro meglio per fare bella figura…”, il sauro solleva in aria il pugno chiuso, “… e ottenere un budget maggiore!”.

   “Sì!” esulti con gli altri, Nagisa è sempre così positivo, con tutti. Tranne il delfino.

   Vi dirigete al check-in di conferma per l’iscrizione.

   “Scuola superiore Iwatobi”, dichiara il capitano del team.

   “Sì, andate pure”.

   “______-chan, tu non dovresti andare alle tribune con Gou-chan?”.

   “No”, scruti il biondo con un ghigno beffardo, “Il mio posto è proprio qui”. 

   Ti dirigi allo scrivania della sezione femminile tuffi e ripeti l’iter dell’orca.

   “Da quella parte”, la ragazza all’altro capo del tavolo ti indica lo spogliatoio.

   “Eeeeh?!”, esalano i tuoi compagni.

   “Proprio così”, fai loro l’occhiolino, “Ci vediamo in piscina” ed oltrepassi la soglia con il cuore in gola. Da quanto non gareggiavi più? Da quando il tuo fan numero uno se n’è andato.

   Mi manchi, nonno. Guardami: vincerò, i tuoi occhi si riempiono della vecchia carica che ti accompagnava in passato, quando niente e nessuno ti spaventava.

   Sebbene siate in spogliatoi diversi, le emozioni del team Iwatobi arrivano a te riempiendovi tutti di entusiasmo, proprio come al vostro primo torneo alle elementari. Ne è passato di tempo dall’ultima volta, ma i ricordi riaffiorano freschi come pareti appena riverniciate.

   Nagisa si volta verso il turchino, notando il suo turbamento, “Stai bene? Non hai già partecipato a tornei di atletica?”.

    Quattrocchi impallidisce, voltandosi altrove “Q-questo è il mio primo torneo di nuoto”.

   Lo stupore più forte arriva quando i quattro varcano la soglia della piscina scintillante, baciata dai raggi del sole estivo.

   Haruka si guarda intorno alla ricerca di qualcosa, o di qualcuno, e, come al solito, l’unico a notarlo è il suo migliore amico.

   “Ah, ecco ______-chan”, prorompe il ranocchio, indicandoti all’uscita della sezione femminile. Ti raggiungono e vi dirigete dalla tua vice e dalla coordinatrice sugli spalti.

   “Certo che potevi dirmelo che saresti tornata a gareggiare oggi!”, rimbecca la tua kohai non appena ti vede.

   Ridi, coprendoti la bocca col pugnetto chiuso, “Era una sorpresa”.

   “Infatti! Vabbé, ecco il programma del primo giorno. Cominceranno con i tuffi in mattinata, per poi passare allo stile libero. ______-senpai è la seconda a tuffarsi, mentre Haruka-senpai è alla quarta posizione”.

   “Aspetta”, la interrompe il pinguino, “Haru-chan e Rin-chan sono vicini”, afferma, notando gli hiragana che compongono il nome del cinabro in quinta posizione.

   “Le posizioni sono state elaborate in base ai tempi di qualifica, giusto?”, osserva il castano.

   “Ciò significa che sono pari”, sentenzia Nagisa.

   Gou decide di proseguire la lettura della brochure, “Gli otto tempi più veloci di ciascun evento avanzano verso la finale e si qualificano alle regionali”.

   Rei deglutisce rumorosamente.

   “Andrà tutto bene”, interviene Ama-chan all’ombra del suo parasole, “Non c’è bisogno di innervosirsi. Nuotate come fate sempre. La cosa più importante è non arrendersi mai. Una citazione di Napoleone dice: ‘Cinque minuti fanno la differenza tra la vittoria e la sconfitta!’”, recita con trasporto e convinzione.

   “Cinque minuti?”, ripete il biondo.

   “Sensei, sono un po’ troppi”, la interpelli, alludendo al fatto che nel nuoto sono i secondi a contare.

   “Eh?!”.

   “Ecco, vede…”.

   Gli altri sogghignano, un po’ per la professoressa, un po’ per smorzare la tensione.

   “Bene ragazzi”, prende parola Makoto in veste di leader, “Fate del vostro meglio in ogni evento. Assicuriamoci di andarcene senza rimpianti!”.

   “Allora io vado a riscaldarmi”, informi la squadra.

   “Buona fortuna!”, canticchiano in coro.

   Spero che ci sia. Deve esserci: l’ha promesso.

   “Devo dirti una cosa”, azzarda dal nulla la ragazza, mentre il giovane davanti a lei sorseggia del tè, poi, quando ottiene la sua attenzione, rivela tutto d’un fiato, “Misonoiscrittaaltorneodituffimanessunolosaaparteteverraiavedermivero?”.

   “Se parlassi un po’ più piano, forse capirei”.

   Sbuffa, prima di ripetere la frase daccapo ma lentamente, “Mi sono iscritta al torneo di tuffi, ma nessuno lo sa a parte te. Verrai a vedermi, vero?”.

   “E me lo chiedi pure? Certo che verrò, sarò in prima fila. Era ora che tornassi a gareggiare”, conclude lui con un sorriso sincero.

   Dalla piscina guardi il tuoi compagni, così indaffarati a valutare gli avversari per i loro fantomatici soprannomi: il ‘Bianchetto del mare del Giappone’ della scuola superiore Oga Sud; ‘Joe, il pesce volante’ della Saijouin, famoso per la sua incredibile stabilità.

   Noti l’entusiasmo di Nagisa, mentre pensa a un nickname da affibbiare a se stesso.

   “Ti distendi sempre di più vicino alla fine di una gara”, dà come spunto Makoto.

   “Allora, che ne dici di Bambù Nagisa?”, propone Gou.

   “Eh?”, piagnucola il coscritto, “Che soprannome sarebbe? Il bambù non ha niente a che vedere con il nuoto!”.

   Ridacchi, udendo successivamente il fischio che annuncia il tuo turno.

   Porgi l’asciugamano alla ragazzina accanto alla scala, sulla quale sali per raggiungere il primo step. Dai un’ultima sistemata all’elastico della coda, controllando gli spalti. Stai quasi per rinunciare alla speranza che sia dalla tua parte, quando noti una chioma magenta e dei denti di rasoio che ti sorridono, illuminando due taglienti pezzi di corallo di fuoco. 

     E’ qui!, sorridi al settimo cielo, chiedendoti perché avere Rin lì a tifare per te, ti faccia sentire come se il nonno fosse ancora presente.

   Scogli le ginocchia e posizioni i talloni al margine del trampolino, ti dai una bella spinta ed esegui un salto ritornato libero con avvitamento. Non vuoi andare subito nell’occhio, ma è sufficiente per ottenere il punteggio più alto ed essere la prima ad affrontare il secondo step, quello dei tre metri. Esegui la stessa sequela, però stavolta alzi la posta in gioco. Parti rivolta verso la piscina e ti lanci in un tuffo rovesciato teso, la posizione più difficile, al quale aggiungi poi un doppio avvitamento verso destra.

   Lo scontro con l’acqua è piacevole, ma non quanto il fragore della folla e il luccichio lampeggiante del tabellone che, alla fine della gara, segnala il tuo nome come finalista nella batteria per le regionali.

   Esulti tornando dai tuoi amici, sebbene in platea non ci sia più nemmeno l’ombra di Rin.

   “Hai raccolto da sola tutte quelle informazioni?”, senti chiedere Rei, pur non capendo il contesto.

   “Beh, sono la co-manager”, afferma di rimando la Matsuoka, mostrando il suo quaderno degli appunti, ricchi di disegni e commenti sui muscoli degli avversari.

   “Hai anche annotazioni sui loro muscoli”, polemizza l’altro.

   “Ci sono cose per cui non bastano gli appunti”, sentenzia seriosa la ragazza, voltandosi verso la piscina, poco prima di aggrapparsi alla ringhiera sognante, “I muscoli sono meglio dal vivo! Tutti quei muscoli in un solo posto, allo stesso tempo! Sugoi! Subarashi!”.

   “Ehi, Gou-kun!”, grida una voce familiare dalla platea, “Quaggiù, Gou-kun!”.

   I quattro porgono lo sguardo in direzione del richiamo: “E’ il capitano di Rin-chan”, conferma il biondo, fissandolo mentre continua a volteggiare in aria la mano per farsi notare dalla cardinale, senza successo.

   “Gli ho detto di smetterla di chiamarmi così”, si lamenta lei.

   Noti Haruka alzarsi dagli spalti, nuovamente alla ricerca di qualcosa.

   “Non vedo Rin”, dà voce ai suoi pensieri Makoto, controllando l’orologio, “Forse si è già diretto verso il punto d’incontro”. 

   A quelle parole, il corvino afferra cuffia in silicone e occhialini, dirigendosi a passo deciso verso gli spogliatoi maschili. Non avevi mai visto le sue iridi oceaniche così determinate prima d’ora. E’ uno sguardo ammaliante, suggestivo, ma che incute anche una certa soggezione. 

   Haru…

   “… Vinci la tua gara!”, bisbiglia il bruno, affilando lo sguardo corindone.

   

   Il cetaceo ceruleo raggiunge gli armadietti, trovandoci, seduto su una panchina, uno squalo in attesa di attaccare. Quest’ultimo si alza, donandogli il suo ghigno strafottente migliore, ma è il moro a parlare per primo e con cipiglio, “Sono qui, come promesso”.

   “Ovviamente. Ho tenuto basso il mio tempo di qualifica per essere nella tua stessa classifica”, lo schernisce.

   “Non ce n’era bisogno. Ci saremmo comunque incontrati alla finale”.

   “Non potevo aspettare così tanto. E poi non c’è garanzia…”, il più grande si sistema gli occhialini neri intorno al capo, trattenendo il cordino e mollandolo come d’abitudine, per sentire il suono secco d’assestamento, “… che tu riesca ad arrivare alla finale”, si avvicina felpato allo sfidante, “Non m’importa di nessun altro. E’ una cosa tra me e te”, gli sfiora l’orecchio sorpassandolo e andandosene, sorridendo malignamente “Non vedo l’ora”.

   Haruka si fissa nello specchio, mantenendo la sua determinazione, “Oggi divento libero”, e sbatte lo sportello dell’armadietto.

 

La gara

   “Arrivano Haru-chan e Rin-chan!”, indica Nagisa, mentre la nuova batteria di nuotatori si avvicina ai blocchi.

   “Tu per chi tifi, Matsuoka-san?”, chiede Ama-chan-sensei alla tua amica, eppure per qualche ragioni ti senti come se l’avesse posta a te la domanda. Per chi tifi? Chi vincerà la tua gara?

   “Per entrambi!”, risponde lei, ma sapete tutti che non è una soluzione ammissibile, sia nel nuoto che in amore.

   Dei fischi danno il segnale di posizionamento e i cronometristi si preparano a prendere il tempo. I due nuotatori si scambiano un’occhiataccia ricca di sfida per uno e di disprezzo per l’altro.

   “Pronti…”, prorompe l’arbitro, “… via!”. 

   La batteria viola l’acqua simultaneamente, ma è la propulsione delle gambe a segnare il posizionamento di ogni singolo atleta.

   Haruka e Rin si spingono costantemente al limite in una corsa preda-predatore, dove, per la prima volta, è la preda a inseguire il predatore e non il contrario.

   “Sono veloci!”, afferma il turchino.

   “Rin-chan sta andando molto più veloce!”, dissente il compagno di classe con una compostezza a lui sconosciuta, “Sta sorpassando Haru-chan!”.

   “Haru sta rimanendo indietro nella gara di andata?”, il capitano è allibito.

   “Stanno girando!”, informa Rei. E lo fanno così velocemente, da essere quasi invisibili.

   La spinta che Rin si dà coi piedi contro la parete è talmente vigorosa, da far incontrare parallelamente i volti del moro e del fulvo. Il primo è sconvolto, mentre il secondo assapora già la vittoria. 

   Tuttavia, non bisogna mai cantare vittoria troppo presto, dato che immediatamente il delfino risponde alla provocazione aumentando il ritmo e approfittando della virata per raggiungerlo. Le bracciate di Haruka sono così taglienti e repentine da portalo in vantaggio.

   La tua squadra comincia a sbraitare il suo nome per incitarlo e lo stesso fa la Samezuka dall’altro capo del palazzetto.

   Uno scatto di adrenalina fa avanzare il pescecane, il quale, per pochi secondi, si classifica primo della batteria.

   “Haruka…”, Makoto è incredulo, “… ha perso”.

   “No…”, esala il pinguino.

   “E…”, afferma Gou, “… non è avanzato”.

   Rin esulta e urla un yes!, sbattendo gli avambracci sulla superficie dell’acqua, mentre il suo team fa un coretto coi megafoni, tra cui si distingue la voce solista di Nitori che pronuncia “Senpai!” con ammirazione e un labile rossore sulle guance per la felicità. 

   Finalmente ha battuto Nanase-san: può andare avanti.

   Il cremisi balza fuori dalla piscina, si volta verso il vinto e lo fissa con superiorità, “Haru! Ho vinto io. Ciò significa che non nuoterò mai più con te. Mai più”, ripete l’ultima parte per soppesare la gravità delle sue parole.

   Lo sguardo di Haruka si spegne.


 


Note d'Autore

Tadaima!!

Ebbene sì, gente, non avete le allucinazioni, sono proprio io!

So di avervi fatto aspettare moltissimo, me ne rammarico, e vi avverto già che non pubblicherò ancora per un po' dopo questo capitolo.

Non pensavo di finire nemmeno questo, ma ero talmente satura dalla stesura della mia tesina che avevo bisogno di una valvola di sfogo. E cosa c'è di meglio di tutti i fustacchioni di Free! (tante altre cose, lo so, ma abbiate pazienza: grazie all'Esame di Stato la mia vita sociale si sta azzerando a "relazione complicata con il libro di filosofia e di matematica").

Non smetterò mai di ringraziare tutti coloro che mi sostengono e che mi hanno contattato in questi mesi. Grazie infinite. Grazie ad Akari Sakura Uchiha per l'incoraggiamento, la fiducia e la devozione che hai in me. Per qualunque consiglio io ci sono. Sono felice di averti ispirata e sappi che commenterò al più presto la tua FF (preparati alle correzioni, da brava beta ;P).

Spero che anche questo capitolo, scritto in due momenti lontanissimi, soddisfi questo lungo periodo di attesa. E' stato praticamente una gestazione e un parto ahah.

A presto!

Claire DeLune

 

 

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Capitolo 15
*** 14. La sorpresa di Gou ***


14.

La sorpresa di Gou

 

   Il getto ghiacciato della doccia gli avvolge il corpo, ricoprendo e irrigidendo ogni muscolo, dalla schiena smilza alle braccia tese, scivolando sui capelli corvini, appiccicati al volto apatico, e sull’addome asciutto, per poi raggiungere le cosce, gli stinchi, i polpacci, giù lungo il collo dei piedi.

   Le iridi oceaniche fissano l’acqua che oltrepassa lo scarico e che, stavolta, non lo purifica dal suo turbamento, come se egli non fosse degno di lei, come se egli non la comprendesse abbastanza, non la sentisse abbastanza da essere decretato come il suo miglior compagno.

   Pensavo che non mi importasse di vincere.

   I suoi occhi si riempiono di piccoli frammenti della gara appena conclusa. Una figura slanciata. Uno sguardo arcigno. Un paio di labbra sprezzanti.

   Non dovevo diventare libero dopo aver gareggiato con lui?

 

   Seduto su una panca fuori dallo spogliatoio, il rivale si abbevera, deglutendo rumorosamente al limite del soffocamento, con la soddisfazione stampata in viso.

   “Matsuoka-senpai!”, corre verso di lui il suo kohai, - Non rompermi le palle proprio ora -, “Ce l’hai fatta! Ti sei qualificato per le finali! In più hai battuto Nanase-san!”.

   “Beh, sì”, sogghigna l’altro, “Vai anche tu a dare qualche calcio nel sedere”.

   “Hai!”.

 

   Fischi, tonfi seguiti da schizzi e spruzzi, urla.

   Paia di gambe che sbattono a propulsione contro la superficie dell’acqua, altre che si flettono e si rilassano su se stesse a ritmo del loro entusiasmo.

   Una voce elettronica annuncia la vittoria di Mikoshiba nello stile libero e la sua realizzazione di un nuovo record del torneo.

   Tutti tifano per il loro campione di turno. Tutti, tranne sei persone. Sei persone che si fissano le punte dei piedi, più amareggiate che deluse, incredule per qualcosa mai accaduta prima di allora.

   “Oh, siete qui!”, prorompe una voce gioviale, “Scusate il ritardo”.

   “Coach Sasabe…”, biascica Makoto a voce così bassa da essere totalmente sovrastata da quella di Nagisa, che sbraita puerile, “Dov’eri, Goro-chan?!”.

   “La ringrazio per averci aiutato l’altro giorno”, lo interrompe Amakata-sensei, imbarazzata dal suo studente, porgendo all’uomo un piccolo inchino e stringendosi nel parasole.

   “Non è nulla”, risponde il trentacinquenne, prima di assumere un’espressione pensosa, grattandosi il pizzetto, “Sono davvero convinto di averla già incontrata prima”.

   “N-non credo…”, si volta lei, cominciando a sudare freddo, Che fosse un acquirente…?

   Il pinguino si porta le mani ai fianchi, aggrottando le sopracciglia, “Accidenti, sei venuto qui per fare colpo sulle ragazze?”.

   “Non stavo cercando di far colpo su di lei!”.

   “Haruka-senpai ha già nuotato per il suo turno a stile libero”, Rei transita la conversazione sconveniente su un argomento consono al luogo in cui si sta tenendo.

   “Maledizione, mi sono perso i preliminari”, l’istruttore si colpisce la nuca con un megafono di plastico da tifoseria, “Ma posso ancora guardare la finale”.

   Portate di nuovo tutti gli occhi a terra.

   “Non parteciperà alla finale”, interviene il capitano, lasciando il pizzaboy confuso.

   “Haru…”, continui al suo posto, “… non si è qualificato”.

   “Ha perso?!”, pone, spiazzato dalla notizia, non ricevendo alcuna risposta.

   Spalle al muro, l’uomo posa lo sguardo mogano sul tabellone dell’ultima gara e sussurra: “Impressionante”.

   “Il capitano della Samezuka?”, chiede Nagisa, “Pensavo fosse solo una persona appassionata, ma è davvero un buon nuotatore, vero Gou-chan?”.

   La ragazza interpellata trasalisce, chiaramente con la testa altrove, “S-sì”, balbetta di rimando. Le carezzi la schiena, sorridendole, e lei solleva gli angoli delle labbra all’insù, nonostante lo faccia solo per un secondo. 

   “Cosa c’è?”, odi Makoto domandare a Rei, il quale continua ad ondeggiare il capo, facendo rimbalzare gli occhi di lavanda tra il quadrante del suo orologio da polso e l’ingresso delle tribune come palline da tennis.

   “Haruka-senpai non è ancora tornato”.

   “E’ vero…”, sibila il leader, spostando gli occhi di lato, ma guardando un punto indefinito nel vuoto.

   “Probabilmente starà facendo la doccia”, si aggiunge il sauro.

   “Però sta perdendo molto tempo”, continua il navy, “Vado a controllare”.

   “Rei, aspetta!”, il bruno lo segue su per le scale.

   “Aspettate! Mako-chan! Rei-chan!”.

   Tu e la tua vice vi incupite maggiormente, accartocciandovi su voi stesse.

   “Non fateci troppo caso”, cerca di consolarvi la coordinatrice, dandovi delle piccole pacche sulla spalla, “Gli sport sono così”.

   “Non è quello”, condivide dopo qualche secondo la rossa, “Volevo vedere mio fratello e Haruka-senpai nuotare insieme, ma non era ciò che mi aspettavo”.

 

   È difficile tenere l’andatura allenata di un ex-corridore, persino per le lunghe gambe di Makoto, il quale, dopo non poco sforzo e con il fiato accelerato, riesce finalmente ad afferrare la matricola per il polso.

   “Perché mi stai fermando?”, replica quest’ultimo.

   “Beh, perché…”.

   “Calmati, Rei-chan”, interviene l’altro primino.

   “Non siete preoccupati per Haruka-senpai?”, rimbecca nuovamente Quattrocchi. Il suo tono di voce è talmente alto da coprire lo scalpitio che rimbomba nel vuoto del corridoio, rendendolo udibile soltanto quando ormai anche la vista riesce a riconoscerne la causa. I tre membri dell’Iwatobi SC si voltano, scorgendo una figura slanciata fasciata di nero, cupo come se sbucasse dalle tenebre stesse. Le mani affondano nelle tasche, il collo chino e circondato da un asciugamano su cui ancora gocciolano i capelli vermigli, gli occhi fissi nel vuoto, sovvrapensiero.

   “Rin-chan”, nomina il pinguino, richiamando l’attenzione dell’interpellato e guadagnandosi un’occhiataccia per il tanto odiato nomignolo femminile.

   “Siete voi”, sibila con disprezzo, seguito da un lungo e gravoso silenzio, pedante per coloro che avevano nuotato come un vero team sette anni prima, mutismo che viene spezzato dal tono a metà tra l’esausto e il frustrato di Rin, “E’ vero, partecipate tutti al torneo”, socchiude le palpebre e si volta di lato.

   “Ne, Rin-chan”, riprende il biondo, “Hai visto Haru-chan?”.

   “Haru?”, aggrotta confuso le sopracciglia l’altro, Perché dovrei fregarmene di dove sia cacciato Haru?

   “Non è ancora tornato”, afferma Nagisa con una preoccupazione sconosciuta alle sue corde vocali.

   Lo squalo coglie all’istante il significato delle sue parole, traendone immediatamente compiacimento, Finalmente ho smosso quella sua indifferenza, “Perdere contro di me è stato un colpo così duro? E’ stato lui a dire che non gli importava di vincere o di migliorare il suo record”.

   Un lampo di genio invade Rei, che si porta una mano al mento, sussurrando assorto, “Non è turbato per la disfatta, dev’esserci qualcos’altro”.

   “Uh?”, il nuovo acquisto della Samezuka lo trapassa con lo sguardo in tralice, “Oltre a vincere, cos’altro conta nel nuoto?!”.

   “C’è di più”, interviene finalmente Makoto, “O almeno, Haru pensava ci fosse dell’altro. Per questo motivo voleva nuotare con te”, lo fissa torvo, facendo crescere un vuoto nel petto del cremisi, il quale viene trafitto nel vivo, quando il dorsista conclude: “E sono piuttosto sicuro che sia stato tu ad avergli insegnato quel qualcosa, Rin”.

   Due piccole mani dalle dita affusolate schiaffeggiano sorde la parete in piastrelle azzurre, e una testolina emerge all’improvviso dall’acqua, ricoperta da lattice giallo, da cui fuoriescono delle ciocche ribelli e su cui sfoggia un paio di occhialini, che celano due occhi vispi e attenti, incatenati al corpo smilzo, infantile e affusolato che vola sopra di lui con serietà e flessibilità. Le pupille di vino dell’osservatore tremulano dall’emozione.

   “Quando abbiamo nuotato in quella staffetta alle elementari, tu…”.

   “Che m’importa?!”, lo interrompe sbraitando Rin, più contro se stesso che verso il ricordo dell’orca, “Ho battuto Haru!”, si ricompone, rimettendo le mani in tasca ed incamminandosi a testa basta, evitando metodicamente di guardare i tre, “E’ tutto ciò che conta”, Devo solo batterlo anche con ______.

   “Staffetta? Avete nuotato in una staffetta con lui in passato?”.

   “Non l’abbiamo accennato?”, chiede colpevole il sauro.

   “Mi avete solo detto che era successo qualcosa tempo fa. Se eravate così vicini, perché siete…”.

   “Su, su rilassati, Rei-chan”, tenta di mediare il coscritto, “Dobbiamo cercare Haru-chan adesso”.

   “No”, dissente il capitano, “Dovremmo lasciarlo in pace”, sorride mesto, “Conoscendo Haru probabilmente non vuole parlare con nessuno adesso”, Forse solo con lei, guarda l’orologio a muro, “E abbiamo le nostre gare da vincere in arrivo. Ora concentriamoci su quello che possiamo fare”, conclude deciso, da vero leader del gruppo.

   Senza guardarsi indietro, Makoto si dirige al luogo di incontro per la sua batteria con già in dosso cuffia e occhialini, mentre il resto del team torna sugli spalti ad assistere e tifare. Si leva la giacca e riscalda i muscoli, tirandoli e stendendoli, in modo da evitare eventuali crampi, e fa un respiro profondo.

   Non riesci a togliere gli occhi dal suo dorso taurino, dai muscoli perfettamente sviluppati senza risultare esagerati. Li guardi come si aggrappano e avvolgono intorno ai tendini; guardi le ombre che li mettono maggiormente in risalto, soprattutto sulla linea della spina dorsale che non fa altro che invitare a guardare sempre più in basso, fino a dove il costume non permette più di osservare nient’altro.

   Non puoi evitare di arrossire pensando a quanto sia cresciuto negli anni pur rimanendo lo stesso, e a quanto Gou abbia dannatamente ragione riguardo alla sua schiena!

   Per fortuna che c’è Sasabe a richiamarti all’attenti, “Dov’è Haruka?”.

   “Oh, non siamo riusciti a trovarlo”, balbetta Rei.

   “Accidenti, che sta facendo?”, incrocia le braccia al petto il coach, arcuando un sopracciglio, “Sta per arrivare il turno di Makoto”.

   Avverti Nagisa tremarti accanto, percepisci la sua postura ingobbirsi e la sua espressione affliggersi. In qualche modo il suo atteggiamento ti ricorda qualcosa. Qualcosa avvenuto sette anni prima, quando ancora eravate troppo giovani per capire l’una il turbamento dell’altro.

   Un bimbo biondino, più basso rispetto agli altri e anche più giovane, osserva tre ragazzini poco più grandi di lui e che lo precedono di un paio di passi, ridendo tra loro e punzecchiandosi a vicenda. Non è in classe con loro, ma sono comunque compagni. Amici. 

   Tuttavia, ci sono persone che sono più amiche di altre, e il bimbo - sarà per l’età, sarà perché, a sentire il capitano del team, non è poi così bravo a nuotare - è l’ultimo di cui si curano.

   Stringe i pugni, dicendosi che si impegnerà di più, che dimostrerà loro che anche lui conta, che anche lui può essere indispensabile. E per farlo continuerà a sorridere con determinazione e coraggio.

   È con questo spirito che il tesoriere balza in piedi, sbottando: “Vado a prenderlo: voglio che Haru-chan ci veda nuotare!”.

   “Nagisa-kun!”, lo richiama Rei invano. Troppo grande la distanza tra l’interlocutore e il destinatario, a causa della fretta, per far sì che quest’ultimo lo senta, infatti non smette di correre un istante, nemmeno quando rischia di scontrarsi con due nuotatori dell’ultimo anno tre volte la sua stazza. Deve trovarlo, a costo di giocarsi l’ammissione ai regionali.

   Perlustra l’intero edificio, spogliatoio femminile compreso, ricevendo come ringraziamento grida e asciugamani sbattuti con poca grazia in faccia.

   “Scusate, scusate! È un’emergenza!”.

   Esce dalla zona off limits, dirigendosi nuovamente a quella maschile, poi ai punti d’incontro ed infine ai corridoi che portano alla zona ristoro. Ed è qui che trova il senpai, seduto su una panca difronte al distributore automatico, con i capelli ancora umidi e lo sguardo smarrito. 

   Una goccia d’acqua dolce rimane in bilico sulle punte della frangia scura, mentre rimembra la reazione disperata e afflitta del cinabro anni prima, dopo la sconfitta. Quel giorno aveva avuto la conferma di sentire l’acqua più di chiunque altro, ma adesso? 

   Se Rin avesse vinto quel giorno, mi sentirei diversamente ora? Rin nuota per partecipare alle Olimpiadi. E io?, la goccia cade, scorre lungo la sua gota come se piangesse, Perché nuoto?. Non sente più.

   “Ah! Haru-chan!”, lo rinsavisce brutalmente la voce del kohai dagli occhi di caramella, “Eccoti qua!”, abbandona il proprio peso sulle ginocchia, tenendosele con i palmi visibilmente stremato, “La gara di Mako-chan sta per iniziare! Sbrigati!”, boccheggia affannato.

   Il delfino distoglie lo sguardo una volta di troppo, dicendo: “Passo”.

   “Non credo proprio!”, gracchia il pinguino, afferrandolo per il polso, “Andiamo!”.

   Lo trascina di mala grazia sugli spalti, lasciandolo lì, in piedi, da solo, a guardare il suo migliore amico combattere per il titolo. L’espressione concentrata, i denti stretti e le sopracciglia corrucciate.

   “Ike, ike, ike, ike, ike, Makoto!”.

   “Nuota, nuota, nuota, nuota, nuota, Makoto!”.

   Haruka si volta in direzione della sua squadra. Sasabe dirige il coro ultras con un megafono e gli altri lo seguono. Si rivolge a Rei, dicendogli di tirare fuori la voce dall’addome.

   “Fight, fight, fight, fight, fight, Makoto!”.

   “Ike, ike, ike!”.

   “Ike!”.

   “Ike, ike, Makoto!”.

   “E gira!”.

   “Ultimo scatto, ultimo scatto, ultimo scatto!” [x6].

   “Ottimo lavoro!”, finalmente le sue dita toccano le piastrelle azzurre e il capitano solleva di netto la testa dallo spirito di sale, respirando a pieni polmoni. I suoi occhi corindoni non si staccano un secondo dal tabellone dei risultati, neanche mentre si leva le protezioni, e così fate anche voi.

   Compare il primo miglior tempo: 01:01:49 

   Poi il secondo: 橘真琴 (Scuola Superiore Iwatobi) 01:01:58 

   “Accidenti, Mako-chan c’era andato così vicino!”, afferma il biondo, “Ha quasi fatto un tempo abbastanza veloce per qualificarsi!”.

   Guardi l’orca appoggiarsi spossata al dividi corsia e lasciar cadere il capo in avanti delusa, “Era così vicino alla finale!”.

   Il dorsista si tende sulle braccia possenti, facendo leva sui polpastrelli per sollevare tutto il suo corpo fuori dalla vasca. Sospira ancora prima di notare il modo in cui il suo migliore amico lo scruta dagli spalti, e sorride accondiscendente quando quest’ultimo evita il contatto oculare imbarazzato.

   Nagisa si spinge in piedi, stringendo le mani a pugno, “Ok, sono il prossimo!”.

   L’arbitro fischia il segnale di posizionamento sui trampolini. La matricola controlla per l’ennesima volta che le lenti protettive siano ben ancorate alle sue cavità oculari e che siano angolate nel verso giusto, infine stringe di nuovo i pugni per caricarsi e sale sul blocco 7. Le dita dei piedi e delle mani si arcuano sul bordo, pronte a spingere il loro proprietario il più lontano possibile.

   “Pronti…”, bip, “…Via!”.

   Si tuffano tutti e otto in sincrono, ma è la parte in apnea a decretare chi sarà in testa.

   “Ike, ike, ike, ike, ike, Nagisa!”, riparte il coretto.

    La testa del ranocchio esce ed entra dall’acqua rapidamente e in sincrono coi movimenti degli arti, quando questi si uniscono il capo affonda sotto il pelo dell’acqua, mentre quando si separano e allargano esso torna a riprendere aria.

   “Nuota, nuota, nuota, nuota, nuota, Nagisa!”.

   Purtroppo per pochissimo anche lui perde.

   “C’eri quasi”, l’allenatore gli dà delle piccole pacche sulla spalla per consolarlo.

   “Hai dato una spinta incredibile alla fine”, continua Gou.

   Rei si alza calmo e sicuro di sé, finge, compiendo il suo solito gesto con gli occhiali, “Credo sia finalmente arrivato il mio turno”.

   “Starai bene Rei-chan?”, si preoccupa teneramente per lui il compagno di classe.

   “State a vedere”, ammicca quest’ultimo in risposta, “Dalle apparenze non sembra ma sono più bravo nella vera competizione”, mente ancora, stavolta più a se stesso che a voi.

   Sui blocchi il turchino si mette in posizione. La sua espressione, coperta dalle lenti scure, è una maschera di ansia e agitazione.

   “Pronti…”.

   Vi alzate in piedi, stringendo i pugni o aumentando la presa sugli oggetti che tenete tra le mani: Goro il megafono; Amakata-sensei il manico del parasole; e tu le sbarre in metallo della ringhiera protettiva.

   Bip!

   “…Via!”.

   Rei esegue un ingresso impeccabile.

   “Wow, la sua forma è perfetta!”, esclama l’istruttore di nuoto.

   “Oh no!”, ribatti, puntando il dito sull’atleta, “Guardate i suoi occhialini: gli sono scivolati!”.

   “Dev’essere successo quando si è tuffato”, rimembra Tachibana-bucchou.

   “Può farcela comunque”, confidi, osservando i bicipiti scolpiti che si arcano in profonde falcate, fendendo la superficie.

   “Ike, ike, ike, ike, ike, Rei!”, incita Goro, seguito dal vostro coro.

   “Nuota, nuota, nuota, nuota, nuota, Rei!”.

   “Fight, fight, fight, fight, fight, Rei!”.

   Lo incoraggiate, lo spronate, dandogli la tempra per andare avanti, nonostante la vista disturbata e irritata lo rallenti irrimediabilmente. La sua dedizione attanaglia a tal punto Haruka, da non potergli staccare gli occhi di dosso, associandolo a qualcun altro di altrettanto combattivo e ambizioso. Qualcuno ormai privato del suo labile buonumore, che, solitario, rimane sdraiato sul sedile reclinabile del bus degli eventi scolastici, con gli avambracci incrociati dietro la nuca e lo sguardo vitreo, fisso sui bocchettoni dell’aria condizionata, non curante delle ciocche asciugate malamente che gli ricadono scomposte sul volto.

   Una voce gli riecheggia nella mente. 

   Una voce che non aveva mai sentito così severa e che, tantomeno, avrebbe mai affibbiato al viso gentile che in quel momento gli riservava due smeraldi freddi e duri, ben lungi dal morbido mare d’erba a cui era abituato.

   Haru pensava ci fosse dell’altro. Per questo motivo voleva nuotare con te. E sono piuttosto sicuro che sia stato tu ad avergli insegnato quel qualcosa, Rin.

   

Tardo pomeriggio

 

   Il primo giorno del torneo è concluso, molte comitive lasciano il palazzetto dello sport e voi vi ritrovate tutti nel parcheggio per i saluti. Tranne Haruka.

   “Mi dispiace”, china il capo Quattrocchi mortificato, “Non sono stato abbastanza bravo”.

   “Non dovresti dire così”, cerca di confortarlo la coordinatrice, sorridendogli appena, “Siete stati in grado di nuotare per un record personale: è un ottima cosa”.

   “Ti saresti qualificato, se i tuoi occhialini non fossero scivolati”, dà manforte Nagisa col suo connaturato entusiasmo.

   “Beh, sembra un po’ inverosimile”, replica il coscritto.

   “In ogni caso, siete andati tutti bene”, continua l’insegnante, “Ottimo lavoro”.

   “Provate un senso di realizzazione, vero?”, prende nuovamente parola l’aureo, “Soprattutto ______-chan. Sei stata davvero grandiosa!”, strepita, saltandoti in braccio, facendoti così perdere l’equilibrio e cadere sull’addome di Makoto, che, per la sorpresa, quasi non riesce a tenere il peso di entrambi.

   “Ah, Nagisaaaaa!”, inveisci, percependo la risata del bruno riecheggiare oltre il suo petto e vibrare lungo la tua spina dorsale, “Stai bene, Makoto?”.

   “Sì”, sorride docile, “Tu piuttosto ti sei fatta male?”.

   “No, tutto a posto”, inarchi gli angoli della bocca all’insù, socchiudendo un poco gli occhi.

    Udite un colpo di tosse arrivare dalla gola del coach, il quale si volta leggermente imbarazzato con il pugno sulle labbra. Noti solo in quell’istante che sei ancora appoggiata al torace del dorsista e che quest’ultimo di cinge le spalle con il braccio destro, tenendoti stretta a sé. Avverti improvvisamente un gran caldo all’altezza delle guance e il fianco che sfiora Makoto bruciare. 

   Sciogli l’abbraccio, “Dovete cominciare a prepararvi per il prossimo torneo”.

   “Oh, dov’è Nanase-kun?”, pone preoccupata Ama-chan.

   Ti guardi intorno, sentendo lo stomaco come azzannato da una morsa, ma provando anche un insolito sollievo all’idea che non ti abbia vista tra le braccia del suo amico d’infanzia.

   “Sembra che se ne sia andato senza di noi”, decanta l’ovvietà il pinguino.

   “Cosa? Davvero?”, chiede Gou.

   “Lo fa spesso”, ridacchi per smorzare la tensione, in particolar modo la tua.

   “Già…”, sorride colpevole il castano, “… non si sentiva bene”.

   “Immagino che allora non possa essere aiutato”, riflette la donna, sentendosi inutile, “Ragazze, da qui potete pensarci voi?”.

   “Hai”.

   “Allora, io adesso vado via”, afferma montando in macchina, seguita da Sasabe nelle medesime azioni, sebbene sul motorino da Pizza Boy, “E’ passato un po’ di tempo da quando il mio sangue ribolliva in questo modo. Ottimo lavoro! Ci si vede”.

   “E’ venuto qui con quello”, riflette il leader del team, osservando il mezzo con cui l’uomo sta imboccando la carreggiata.

   “All’attività per cui lavora andrà bene?”, chiede ingenuamente Nagisa.

   “E’ finita”, affermi di punto in bianco, pensando alle gare appena svolte e al dispiacere per essere l’unica a essersi qualificata per il prossimo livello.

   “Già, ma sarebbe stato bello andare tutti alle regionali”, ammette Rei.

   “Dopo esserci allenati così duramente, pensavo che almeno uno di noi ce l’avrebbe fatta”, prende parola il capitano, riferendosi palesemente al delfino, “Ma in realtà non è così facile”.

   “Mi sono reso conto che nel nuoto c’è molto di più: comprendere la teoria non è abbastanza per vincere”, si sistema la montatura rossa sul naso dritto, “Inizio ad infiammarmi”.

   “Beh, è un po’ tardi per quello”, sogghigna il biondo.

   “No, non è troppo tardi”, interviene la kohai, affilando lo sguardo, “C’è ancora il secondo giorno del torneo, domani!”.

   “Ma gli eventi a cui eravamo iscritti erano tutti oggi”.

   Makoto s’afferra il mento pensoso, puntando le due gemme corindoni sul sol calante, “Il secondo giorno è per la staffetta individuale mista e la staffetta… Ah!”, si concentra su di lei, “Gou-chan, non dirmi che…”.

   La ragazzina corre difronte ai ragazzi, inchinandosi in posizione di preghiera, “Vi ho iscritti alla staffetta mista in segreto, nemmeno ______-chan lo sapeva!”.

   “Cosa?!”, affermate all’unisono.

   “L’ho detto alla sensei”.

    “Quindi, se vinciamo la staffetta…”.

   “… possiamo andare alle regionali!”, conclude Gou la frase lasciata a metà di Nagisa.

   “E’ da pazzi!”, prorompe l’orca, “E’ una cosa troppo improvvisa: non ci siamo completamene allenati per la staffetta”.

   “Perché non hai detto niente prima?”, pone giustamente il biondo, concorde alle considerazione del senpai.

   “Perché temeva che Haru non volesse partecipare al relay”, rispondi al posto suo, abbassando il tono voce, percependo quella di quest’ultimo dire: Io nuoto solo a stile libero.

   “Facciamolo”, Rei stringe i pugni, ritrovando la sua determinazione, “Questa è la nostra ultima occasione! Non ci siamo allenati per la staffetta, ma vale la pena provare!”.

   Vi scambiate uno sguardo d’intesa, accorrendo verso la residenza del corvino. Quando vi giungete a perdifiato, però, notate che tutte le luci interne sono spente.

   “Non è ancora tornato”, dichiara l’ex-atleta, “Non ci credo”.

   “Possiamo entrare al piano di sopra!”, afferma Makoto, dirigendosi sul retro dell’abitazione, seguito dal resto della comitiva.

   “Aspettate! Possiamo davvero farlo?!”, protesta il blu.

   Ognuno spalanca un separé a testa: Nagisa la camera da letto del padrone ereditario; Gou il bagno; Makoto la cucina; e Rei la sala da pranzo. Ma non c’è nessuno.

   “Non si dovrebbe correre in casa di qualcuno, quando non…”, si lagna invano Quattrocchi, interrompendosi, attirato da una foto senza cornice. I suoi occhi ametista tremano alla vista di quattro bambini con lo stesso costume da bagno azzurro e blu, bloccati per sempre in pose allegre e euforiche, che mettono in bella mostra quattro medaglie d’oro scintillanti. Si soffermano specialmente sul ragazzino dai già lunghi capelli magenta, quello che tiene stretto al petto il trofeo della vittoria, nonché quello con l’espressione più sollazzata di tutto il quartetto.

   Rin-san…, per qualche strana ragione quel pezzo di storia lo fa sentire tradito, come non fosse altro che un, Rimpiazzo.

   Continua a conservare la cartolina lucida tra pollice e indice, mentre si rivolge al senpai bruno, con lo sguardo inerme sulla luna ormai alta nel cielo puntinato di stelle, segno che l’ora è tarda, “Aspettiamo che torni”.

   Il pinguino si accorge immediatamente di cosa il compagno di classe tenga in mano, nonostante gli passino per la testa ben altre preoccupazioni, “Haru-chan accetterà di nuotare in una staffetta?”.

   “C’è solo un modo per scoprirlo”, affermi, afferrando con forza il piccolo delfino di plastica attacca al tuo cellulare e imboccando l’uscita.

   “______-chan, dove stai andando?”.

   “Vado a prenderlo”.

   “Ma, ______-senpai! Non sai nemmeno dove sia!”, interviene Rei.

   “Non mi interessa. Non ci sono molti posti dove possa essersi cacciato”.

   Inizi a correre in direzione del liceo, non curandoti dell’acido lattico che si diffonde nei tuoi stinchi, della milza che pulsa e dei polmoni che invocano pietà, adesso solo lui è importante.

   Sali in fretta e furia le scale esterne della piscina scolastica, guardandoti intorno in cerca di un segno del suo passaggio. Il borsone, la felpa e i pantaloni della tuta sono abbandonati malamente sul pavimento piastrellato delle docce esterne. E’ qui.

   Odi il debole fragore dell’acqua che viene solcata.

   Ti approssimi al bordo-vasca, punto in cui le tue ginocchia cedono, costringendoti a crollare rovinosamente su di esse con tutto il corpo, mentre gli occhi scorgono la figura del delfino inabissarsi con una mezza capriola, fino a ritrovarsi nuovamente a pancia in sù ma al di sotto del margine invisibile tra cielo e acqua. Le sue iridi Blu di Persia si perdono e si irradiano nel chiarore plenilunare.

   Cosa volevo davvero?, domanda al suo elemento, Cosa cercavo di fare?

   Il suo inconscio oltrepassa il Super-Io, colpendo prepotente l’Io e proiettandovi il sorriso smagliante del Rin undicenne, mentre gli circondava il collo con il braccio, guardando fiero nell’obiettivo della Reflex. Poi i suoi occhi lucidi e arrossati dopo l’ennesima sconfitta a stile libero. Gli stessi occhi carichi di stizza, rancore, sfida, rivalsa, ma allo stesso tempo imploranti, quando l’obbligò moralmente a nuotare per lui. Ed infine lo sguardo scostante e prevaricatore che questi gli riservarono dopo l’ultima gara.

   Per… - «Mai più» - cos’è stato?

   Ritrovi la forza di alzarti. Raccogli le braccia conserte sotto il seno e lo guardi arcigna oltre il pelo dell’acqua. Non appena Haruka si accorge della tua presenza, porta i piedi sul fondo della piscina e si spinge con le piante, riaffiorando in superficie. Rimane immobile, pietrificato a guardarti. Nessun suono sfiora le sue labbra sottili.

   Ti levi di scatto la divisa sportiva, rimanendo in costume. Se non sarà lui a venire da te, sarai tu ad andare da lui. 

   Le iridi oceaniche si smuovono un attimo dallo stupore, osservandoti entrare in acqua con un fluido tuffo di testa, per poi tremare appena quando vengono inchiodate dal [aggettivo colore] intenso delle tue, roventi e ruvide come due frammenti di magma appena solidificatosi. Vi scrutate a lungo, sino a quando il moro si volta all’improvviso sulla sua destra come conseguenza involontaria di un gesto della tua mano, tesa all’altezza della sua guancia, sulla quale già compare una sagoma rossastra.

   “Idiota”, sibili a denti stretti, “Hai idea di quanto tu mi abbia fatta preoccupare?”, aumenti il tono di un’ottava, chiudendo le dita a pugno e piantandogliele sul petto fradicio, “Scappi e ti nascondi come un coniglio. Questo sei: un coniglio! Uno stupido coniglio codardo che ha paura di s—e ste—s—so”, la voce ti si rompe e la fronte si scontra contro il suo addome, bagnandolo anche di gocce salate, “E i—io stupida che ti corro dietro. Siete uguali, voi due, due lati della stessa medaglia. Quando lo capirete?”.

   “______”, pronuncia il tuo nome pacato, prendendoti per gli avambracci, “Mi dispiace”.

   Ridacchi lapidaria, “Ti dispiace? E per cosa? Per preferire ancora l’acqua alle persone? Quali risposte hai trovato qui? Solo altre domande. Le risposte ce le hai già qui dentro”, posi il palmo destro all’altezza del miocardio, “Perché non lo ascolti? Perché non lo ascoltate?”.

   “Tu lo ascolti?”.

   Breve e conciso. 

   Il riferimento è chiaro e non fa che farti sentire peggio, per quello che stai facendo a tutti loro, quello che stai facendo a tutti voi. Tu per prima stai male. Riconosci, però, che ha ragione: come puoi dispensare consigli che neanche tu segui?; come puoi dirgli di seguire il suo cuore, quando sei tu stessa a massacrarglielo, già da prima che questi problemi nascessero?

   “Ci sto provando, Haru”, ti giustifichi, “Ci sto provando davvero. E sto male per questo. Sto male per tutto questo dolore che vi sto recando”.

   “Lo so”, posa il mento sul tuo capo, accalorando l’abbraccio, “Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E’ così e basta”.

 

Casa Nanase - 21.03

 

   “Non è ancora tornato e neanche ______-chan”, Gou guarda le lancette dell’orologio a pendolo segnare l’ora, “Chissà se l’ha trovato”.

   “Dove sarà andato?”, pone Nagisa sollevando lo sguardo sul medesimo punto.

   Rei s’incupisce e sbianca, “E se…”.

   Quel periodo taciuto lascia intendere milioni di cose orribili, tra cui una delle più frequenti in Giappone.

   Jisatsu, collega immediatamente il biondo, balzando in piedi e sbattendo i palmi sul tavolino tradizionale, “Rei-chan, non dire cose spaventose con quello sguardo in faccia!”.

   “Non ho ancora detto nulla. Ma…”.

   “Non preoccuparti”, interviene Makoto rassicurante, seduto in veranda, “Haru non è così debole”, In più sono sicuro che sono insieme.

   “Oh, il suo cellulare!”, rimembra repentino il ranocchio, “Chiamiamolo!”.

   “Haruka-senpai ha un cellulare?!”, schiamazza incredula la coscritta.

   “Perché non hai detto qualcosa prima?!”, lo rimprovera l’altro compagno di classe.

   “Beh, non vedo mai Haru-chan usare davvero il suo cellulare”, motiva, sentendosi braccato.

   “Comunque, chiamiamolo!”.

   Il sauro compone il numero sulla testiera rosa del suo telefono, per poi portarlo all’orecchio.

   “Risponde la segreteria telefonica”.

   “Non risponde”.

   “Si prega di lasciare il vostro nome e messaggio dopo il segnale acustico”.

   “Lascia un messaggio”, ordina il turchino.

   Bip.

   “Haru-chan, dove sei?”, inizia il pinguino.

   “Torna a casa, per favore”, prosegue l’altro, “Siamo tutti preoccupati”.

   “Haruka-senpai, mi dispiace!”, afferma afflitta Gou, “Ho iscritto tutti alla staffetta mista!”.

    Riprende parola il più magro dei nuotatori, “Già, quindi nuotiamo insieme domani, Haru-chan”.

   “Io starò bene!”, Rei gli strappa di mano il dispositivo, “Memorizzerò la teoria entro domani!”.

   “Rei-chan, questo è un segno evidente che non ce la farai”.

   “Devo solo imparare a memoria la teoria per non fallire!”.

   “Il messaggio è terminato”.

   “Haruka-senpai tornerà dopo aver ascoltato quello sciatto messaggio?”, sussurra la cardinale, considerando che, risentendolo a mente fredda, non si capisce nulla.

   “Gli andrà bene!”, la rassicura Nagisa, “Il nostro messaggio caotico ha quello che serve per toccare Haru-chan nel profondo! Aspetta…”, dice cambiando intonazione all’improvviso, attirato da una strana luce verde che lampeggia in un angolo della stanza, “Haru-chan ha lasciato qui il suo telefono!”.

   “Cosa?!”, chiedono all’unisono i compagni.

   Un sorriso genuino si allarga sul volto del dorsista, piacevolmente sorpreso dello stretto legame che si è instaurato nel gruppo e dell’ingenuo entusiasmo dei kohai, ancora fedeli all’idealizzazione che si sono fatti dei loro senpai, specialmente da parte di Nagisa nei confronti di Haruka, che, nonostante siano passati anni dal loro primo incontro, continua ad ammirarlo e stimarlo senza tornaconti.

   “Haru di solito non porta il suo telefono con sé”, li informa infine Makoto.

   “C’è sempre ______-chan!”, riprende la Matsuoka, “Possiamo chiederle se ha scoperto dove si trova”.

   “Si sta facendo tardi. Dovremmo andare a casa”, la blocca il capitano.

   “Ma…”.

   “Non credo che Haru nuoterà domani. Dobbiamo lasciar perdere”.

   Sospirano tutti in sincrono delusi.

   

   Dopo un’interminabile abbraccio, finalmente Haruka decide che sia arrivata l’ora di tornare a casa, sebbene non si preoccupi minimamente della reazione che la sua fuga possa aver innescato nei suoi amici.

   Per tutto il tragitto non ti ha mai degnata di uno sguardo. Forse per frustrazione, forse per rabbia, forse per senso di colpa, ma esso non ti ha mai toccata nemmeno una volta da quando è uscito dalla piscina. Lo stesso vale per la sua bocca, da essa non è trapelato nessun fono, così come la sua mano non si è mai azzardata di sfiorare la tua. Piccole cose che con la loro mancanza feriscono più di un coltello da sushi piantato nel petto.

   Salite le scale che portano al tempio, fermandovi sulla sinistra della seconda rampa, dove si trova la dimora dei Nanase, e vi accorgete che la luce dell’ingresso è accesa. Normalmente tale evento lascerebbe spazio a fausti annunci del telegiornale, ma non per il delfino, conscio di chi possa trovarsi oltre la soglia: l’unico per cui non si sia mai premurato di chiudere la porta a chiave. Un automatico gesto del palmo e questa scorre sulla destra, rivelando la figura di un Makoto rannicchiato contro la parete. Il suo respiro è profondo e regolare, sinonimo che si sia appisolato già da tempo.

   “Makoto?”, vibra flebile la voce del moro, notando che tiene tra le mani il suo cellulare. Cauto glielo sfila, fa scorrere verso l’alto il primo scompartimento del dispositivo, liberando la tastiera, e clicca un paio di tasti prima di accostarselo all’orecchio, nel quale imperversano subito le voci registrate di Nagisa, Rei e Gou. Esala un respiro e i suoi occhi strabuzzano, sovvenendo al suo team durante il primo giorno del torneo, alla loro tenacia non solo negli eventi singoli, ma nel sostenersi l’un l’altro.

   “Fine del messaggio”, chiude il telefono, abbandonando il braccio lungo il fianco, scrutando di nuovo il migliore amico. Ripensa al suo modo di nuotare, alla sua espressione concentrata, alla sua bontà che lo rende così puro da non chiedergli mai nulla, eccetto: Haru-chan, devi essere tu! Io voglio nuotare con te!.

   Il cetaceo cinerino si piega sulle caviglie, portando una mano sulla larga spalla del ragazzo addormentato e, scuotendolo appena, lo sveglia, “Makoto. Makoto”.

   Quest’ultimo apre un occhio, per poi sfregarselo con le nocche, biascicando un “Haru?” impastato dal sonno.

   “Dobbiamo nuotare ad una staffetta, no?”.

   La balena pezzata sobbalza, talmente emozionata dalla decisione inaspettata del compare, da non cogliere che la frase di quest’ultimo suonasse di più come un rimprovero per essere stato lì ad aspettarlo.

   Li osservi gioiosa, Grazie Gou

   Indietreggi, congedandoti in silenzio così da lasciar godere il momento ai due giovani, quando il più alto di richiama, “Aspetta. Ti accompagno a casa”.

   “Non ti preoccupare”, rifiuti, “Non mi va che fai tardi a causa mia”.

   “Non è sicuro incamminarsi da sola a quest’ora. Non si può mai sapere cosa può succedere con tutti i salarymen che si ubriacano dopo il lavoro”, dissente saggio.

   Sorridi, “Grazie, Mako-chan”.

   Salutate Haruka augurandogli la buonanotte e vi incamminate nella penombra della cittadina addormentata senza parlare. Silenzio sempre più imbarazzante man mano che i secondi passano, in attesa di essere infranto.

   “Non mi aspettavo che Haru accettasse di nuotare in una staffetta”, dichiari all’improvviso.

   “Nemmeno io. Ammetto di essere un po’ emozionato”.

   “Sembra di sentire un nonnetto che rievoca i bei tempi andati”, lo pungoli scherzosa, ottenendo una risatina di rimando.

   “Già. Adesso che Rin è tornato, tutto è come prima. Proprio tutto”, sottolinea.

   “Che vuoi dire?”.

   “Quello che ho detto”, sentenzia, smettendo di colpo di camminare. 

   Ti volti a esaminare il suo viso illuminato dal plenilunio. I suoi occhi ti ghiacciano, riservandoti uno sguardo sconosciuto alla tua memoria, incorniciato dalla mimica facciale tesa e dalle labbra serrate.

   “Haru e Rin che usano l’acqua per risolvere la loro innata rivalità, i loro problemi e le loro incomprensioni, attriti che sono aumentati da quando hanno compreso cosa provano nei tuoi confronti. Ed io che puntualmente devo leccare le ferite di tutti, finendo per essere ignorato”, il suo sfogo comincia a suonare disperato, a causa della voce che diventa sempre più acuta e stridula, quasi strozzata, “All’inizio volevo soffocare tutto questo per non complicare ulteriormente la situazione, per Haru, per la nostra amicizia. Ma ora non ce la faccio più. E’ una cosa che è diventata più grande di me. Perché non ti curi di cosa provo anch’io? Perché non ti accorgi di niente? Perché non mi vedi?!”.

   Interrompi il contatto oculare, trovando incredibilmente interessanti i granelli di sabbia che si spostano sul marciapiede in riva al mare, spostasti dalla brezza marina. 

   “Io ti vedo, Makoto”, sussurri, “Ti vedo eccome. E non mi sei indifferente, purtroppo”, un muro liquido inizia ad appannarti la visuale, “Ho cercato di negare tutto a me stessa per sentirmi meno in colpa, perché sono un’egoista egocentrica incapace di fare il bene delle persone a cui tiene. La verità è che non voglio perdere nessuno di voi”.

   “Temi che l’amicizia tra Haru e me finisca a causa tua?”, chiede, addolcendosi.

   “Sì”.

   “Questo non accadrà. Dovresti saperlo”.

   Rialzi lo sguardo su di lui, “Mako-chan…”.

   “Haru sa che sono innamorato di te”.

 

Secondo giorno del torneo

 

   Il sole bacia l’orizzonte coi suoi primi raggi e le suonerie dei cellulari cominciano già a scatenarsi. 

   Nagisa tasta il comodino a palpebre serrate, cercando a tentoni il suo telefono e, quando lo trova, lo porta distrattamente all’orecchio, in un gesto automatico.

   “Hai, moshi moshi?”, balza seduto sul letto coi capelli tutti scombinati e il segno del cuscino sul viso, “Cosa?! Lo ha detto Haru-chan?!”.

   “Nuoterà?”, chiede in un’altra casa e nel medesimo stato Rei, fasciato dal suo affezionato pigiama con le farfalle.

   “Yokatta!”, conclude infine Gou rispondendo alla stessa chiamata, “Chiamerò subito Amakata-sensei!”.

 

   Vi ritrovate al piazzale del centro sportivo, ma mancano i due kohai all’appello.

   “Non vi siete allenati apposta per la staffetta, giusto?”, domanda l’insegnante da sotto il suo ombrellino.

   “Non so come faremo ma ce la metteremo tutta”, la rincuora il capitano per poi guardare il compagno, “E questa non è la nostra prima volta”.

   “Ma per Ryugazaki-kun…”.

   “Nagisa-kun e Rei-kun non sono ancora qui”, comincia ad agitarsi la squaletta.

   “Perdonate il ritardo!”, udite risuonare la voce del sauro dal nulla.

   “Accidenti, che stavate facendo?”.

   I due si scambiano uno sguardo d’intesa.

   “Ci stavamo esercitando nel cambio, in piscina, a scuola”, replica soddisfatto il turchino.

   “Questo elimina la possibilità che Rei-chan fallisca completamente!”.

   “Quando vi siete—”.

   “Haru-chan…”, il biondo lo interrompe, “… il fatto che nuoteremo di nuovo insieme in una staffetta mi entusiasma”.

   “Facciamo del nostro meglio insieme, Haruka-senpai”, prosegue Quattrocchi.

   “E’ arrivato il momento di dimostrare che il nostro allenamento ha dato i suoi frutti!”.

   “E’ per questo che siamo qui!”.

   “Quanto entusiasmo”, affermi allibita ed emozionata.

   “Facciamo del nostro meglio!”, Gou punta il pugno chiuso in direzione del cielo, seguita da un coretto d’assenso.

   In una delle zone relax, mentre i quattro nuotatori si preparano per gareggiare, le corde di Nitori Aichiirou si traducono in un gridolino.

   “Matsuoka-senpai! Vieni con me, presto!”.

   “Cosa c’è?”, risponde l’altro, non voltandosi neanche a guardarlo, troppo preso dai suoi torvi pensieri riguardo a ciò che Makoto gli sputò addosso il giorno precedente, “Non è ancora il momento per la staffetta della Samezuka”.

   “Non c’entra questo! Il club di Nanase-san partecipa alla staffetta!”.

   “Eh?”, chiede stordito, cogliendo solo qualche attimo dopo il significato delle sue parole.

   Con uno scatto felino, Rin abbandona la panchina e accorre all’ingresso della piscina riservato agli atleti, seguito dal compagno di stanza. 

   Il vento lo frusta in pieno volto, costringendolo a ripararsi con il braccio.

   Li vede.

   Si sono iscritti al relay?

   Digrigna i denti, analizzandoli da lontano, specialmente quando scorge l’espressione distaccata del delfino.

   Un fischio e Makoto entra in acqua, afferra il trampolino da sotto e si mette in posizione per la partenza da dorsista.

   “Via!”.

   Si lancia in sincrono agli sfidanti e, una volta conclusa la parte in apnea, risale in superficie, sconvolgendo lo squalo: La sua bracciata. Una bracciata ruvida, ma dinamica, che lascia tutti indietro. Non è per niente cambiata da allora. Quella è la bracciata di Makoto.

   La sua mano schiaffeggia la parete e Nagisa infrange l’acqua all’istante.

   E non posso dimenticare la bracciata di Nagisa, come acquista velocità dopo il giro e come crei l’illusione che le braccia si estendano quando nuota.

   Un’altro cambio ed è Rei a finire nel mirino del pescecane, guadagnandosi nient’altro che astio e indignazione: E lui… Quello dovrebbe essere lo stile a farfalla?! Patetico!, stringe maggiormente le nocche, Perché qualcuno come te nuota con loro?!, si chiede, visualizzando se stesso in quel quartetto ad undici anni. Come può essere stato sostituito da un simile principiante?

   Ed infine è la volta di Haruka.

   Le loro iridi si incrociano per una frazione di secondo, il tempo di assestare gli occhialini sul setto nasale. Sui loro volti si dipingono confuse migliaia di espressioni differenti.

   Il cetaceo spezza la connessione, preparandosi al tuffo di ingresso, Non ho bisogno di una risposta adesso. Per ora…

   Le grida si placano, gli incitamenti ammutoliscono, gli sguardi s’accecano e le persone spariscono. Ora esiste solo una cosa per il freestyler: la sua corsa con l’acqua.

   Le mani del kohai si poggiano sulle piastrelle azzurre e il senpai libra in aria.



Note d'Autore

Sono tornata!!

Vi ho fatto attendere ancora troppo tempo e me ne scuso vivamente. Tra l'entusiasmo di essermi diplomata, la spossatezza fisica post-esami, le pratiche universitarie con i vari test annessi, le meritate vacanze ed una buona dose di malavoglia di stare al computer, questo capitolo a faticato a venir fuori come lo volevo. Il poveretto è stato rivisto, riscritto, ritrattato milioni di volte prima di essere terminato e forse non è neanche bello come altri che sono stati più spontanei.

Non smetterò mai di ringraziare tutti coloro che mi sostengono e che mi hanno contattato in questi mesi, sia gli affezionati che i novellini. Grazie infinite. Grazie per l'incoraggiamento, la fiducia e l'entusiasmo che mi trasmettete ogni volta. Mi fate sentire davvero speciale.

Spero che anche questo capitolo soddisfi questo lungo periodo di attesa.

See you next water time! (che bello poterlo dire di nuovo!)

Claire DeLune


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Capitolo 16
*** 15. Il festival ***


15.
Il festival
 
   E’ uno spettacolo mozzafiato da cui è impossibile distogliere lo sguardo.
   Haruka è veloce, sinuoso. Si fa spazio all’interno della corsia, recuperando e superando gli avversari uno ad uno.
   “E’ quarto”, bofonchia Nagisa con le guance arrossate dalla fatica.
   “Terzo!”, si infiamma Makoto.
   Rin non sbatte nemmeno le palpebre per paura di perdersi anche un irrilevante fotogramma di quella magnificente ripresa.
   “Haru-chan…”.
   Un grido si leva nell’aria.
   “…Ikeeeeeeee!”.
   “Un’altro ancora”, commenta la cronista dai capelli di fuoco, “E’ secondo! Secondo!”.
   Voi donne vi tenete per mano, stringendovele talmente forte da sentirle formicolare, mentre le nocche si sbiancano.
   Il delfino raggiunge il leader della batteria e passa in testa proprio di fronte allo squalo ancora inerme a fissarlo da bordo-piscina, mentre espone il volto per una bocca d’ossigeno.
   Sbraitate in sincrono il suo nome seguito dai vari onorifici.
   Poi, un silenzio improvviso cala tra la folla, appena una cuffia scura emerge dall’acqua, accompagnando un palmo aperto contro la parete della vasca.
   Boccheggiante, il vice-capitano posa gli occhi di zaffiro sul tabellone dei risultati, cerca la propria corsia, trovandoci accanto un 1.
   “Abbiamo… vinto!”, urla il team Iwatobi, sia in campo sia sugli spalti.
   Un’ombra imperversa sul corvino, seguita da una voci amiche, “Haru, sei stato fantastico!”
   “Haru-chan, ce l’hai fatta!”.
   “Haruka-senpai, è stato davvero strabiliante!”.
   Davanti a sé, Rei si stringe forte il petto all’altezza del cuore, Nagisa si trattiene dal saltargli addosso all’istante e Makoto gli porge la mano destra, come ha sempre fatto da che ha memoria. Il freestyler l’afferra, lasciandosi trascinare fuori.
   E’ a quel punto che il sauro cede all’emozione, balzando in braccio al senpai, stritolandogli le costole tra le ginocchia e gridando, “Haru-chan, ti voglio bene!”, ignorando bellamente le flebili intimidazioni di quest’ultimo su quanto il biondo possa essere pesante, “Ce l’abbiamo fatta!”.
   “Potremo davvero andare ai regionali!”, dichiara quasi incredulo il più prestante dei quattro.
   Un ragazzino fulvo circonda il collo dei suoi compagni di classe, raccogliendo nell’abbraccio anche il quarto saltellante elemento del team. Quello bruno si limita ad accettare la stretta con un sorriso dolce sul viso. E l’ultimo moro protesta per il troppo e inaspettato contatto.
   Non è cambiato proprio nulla dalla prima staffetta, a parte una farfalla dai diversi colori che rende il ricordo melanconico.

Lunedì - Liceo Iwatobi
   E’ una calda mattinata di inizio estate ed il preside ha riunito l’intero gruppo studentesco nel cortile atletico dell’istituto, dove è stato allestito un piccolo palcoscenico, alla sinistra del quale si trovano gli insegnanti e alla destra il vostro team.
   “Pur essendo un nuovissimo club […]”, introduce la calda voce del rettore, “[…] la signorina [Cognome] e i nostri nuotatori si sono posizioni al primo e all’ottavo posto alle provinciali, e si sono qualificati per le regionali. Speriamo riescano ad arrivare alle nazionali”.
   Per l’occasione è stato pure riciclato uno striscione di congratulazioni, sul quale è stato modificata l’intestazione iniziale.
   “E’ ovvio che ne abbiano usato uno vecchio”, riflette Rei leggermente deluso, “Ma la notizia della nostra vittoria si sta finalmente diffondendo”.
   “Ci tratteranno da eroi non appena arriveremo in classe”, ridacchia Nagisa, seguito dal turchino e Gou, unitasi a Chigusa, la quale ha colto subito l’occasione per prenderla un po’ in giro da buona amica, “Esci con dei ragazzi, eh? Si addice al tuo nome”.
   “Molto divertente”, ti unisci, ridacchiando a tua volta.
   “Non capisco”, arcua un sopracciglio la schernita.
   “Cosa c’è che non capisci?”, prosegue l’altra, “Parlavo di come fosse divertente che tu abbia un nome maschile ed esca con dei ragazzi. Cognome-senpai l’ha capito subito”.
   “Smettila”.
   “Non c’è bisogno di essere così formale, Hana-chan”, riprendi, riutilizzando il suo nomignolo.
   “Oh okay, ______-senpai”.
   “Così va meglio”.
   Poco più indietro, Haruka rimane immobile a guardare lo striscione, “Abbiamo vinto?”, bisbiglia, raggiungendo il gruppo con un perplesso Makoto al seguito.

   Le lezioni di Scienze Sociali sulla formazione dell’identità sono sempre state piuttosto interessanti, abbastanza da attirare l’attenzione del moro. Almeno fino ad oggi.
   Si sostiene il mento con il palmo e fissa il vuoto al di là della finestra, mischiando il blu delle sue iridi con quello del cielo estivo. Il suo sguardo improvvisamente si appanna, come se un liquido gli scorresse lungo il suo viso, impedendogli la visuale. Perde un battito, quando le voci dei suoi amici riecheggiano nella sua memoria. Una strana sensazione gli stringe il cuore. Un miscuglio di novità e ricordi di qualcosa già provato in un’età così tenera, da essere quasi troppo flebile per riconoscerlo.
   Suona la campanella della pausa pranzo, segnale acustico che permette al delfino di schizzare fuori dall’aula con ancora la mano sul cuore. Pronunciare a gran voce il suo nome è inutile. Troppo lontano per udire il richiamo.

   Finito il bentō, il club di nuoto s’incammina verso la piscina scolastica ed è allora che Gou cede allo stimolo di chiedere: “Dov’è Haruka-senpai?”. Punti gli occhi [aggettivo colore] su di lei, osservi la sua espressione, le sopracciglia leggermente sollevate, la ciocca centrale della frangetta troppo lunga che le ricade sul setto nasale, e per la prima volta noti davvero quanto somigli a suo fratello e all’aria ingenua che aveva da bambino.
   Makoto si gratta il mento, cercando di nascondere un mezzo sorriso con la mano, causato dall’atteggiamento schivo dell’amico, “Si è allontanato”.
   “E’ andato a casa?”, s’imbrunisce Rei preoccupato.
   “Beh, lo fa tutte le volte”, replichi rassicurante facendo spallucce, ma è l’entusiasmo contagioso di Nagisa e rischiarare gli animi.
   “Comunque, abbiamo raggiunto l’obiettivo di piazzarci a un torneo, quindi dovremmo ricevere un budget più grande e usarlo per nuotare tutto il tempo in palestra!”.
   “Come puoi dire una cosa del genere?!”, strepita la rossa, smorzando gli animi, “Non avete sentito il preside? Il nostro prossimo obiettivo e quello di vincere le nazionali!”, blocca il passo improvvisamente, puntando l’indice verso di voi e poi in direzione del sole, facendoti rimembrare ancora una volta il Rin determinato delle elementari, “Bisogna sempre puntare in alto!”.
   “Youshi! Facciamo del nostro meglio per vincere le nazionali!”, esulta il sauro, emulando il gesto della coscritta.
   La farfalla sistema saccente gli occhiali sul naso, bisbiglia un sì e aggiunge il suo pugno, intonando in inglese, “Fly…”.
   “…high!”, seguito dal resto dei primini.
   “Fly high?”, pone l’orca confuso, venendo bellamente ignorato.
   “Arriverò per primo al club”, sgambetta la rana.
   Matsuoka coglie il guanto di sfida al volo, “Non credo proprio!”, ride.
   “Pensate di poter battere un ex-atleta di corsa e atletica leggera?! Vi faccio vedere io!”, partecipa il più alto dei tre.
   Posi un mano sull’avambraccio del bruno, sorridendogli dolcemente, “Conosci Nagisa: una volta che ha un progetto in mente, niente e nessuno può distoglierlo dall’obiettivo, possiamo solo partecipare al suo delirio”.
   In risposta il dorsista si schiaffeggia sorridente le guance, “Ok!”.

   Giungete al quartier generale, togliete le scarpe e infilate le ciabatte, per poi dirigervi verso la scaletta che, da una parte porta alle docce esterne e, dall’altra, alla vasca da venticinque metri.
   “Per il momento, faremo principalmente esercitazioni consecutive”, informi il team, controllando la cartellina con le annotazioni su ogni singolo nuotatore, “Rei, tu lavorerai sulla bracciata. Ti allenerai per svilupparne una più forte e veloce”.
   “Ricevuto”.
   “Nagisa, tu ti concentrerai a rinforzare la tua bracciata a stile libero”.
   “Ok”.
   “Makoto, tu devi lavorare per rendere più uniforme l’accelerazione”.
   “Capito”.
   “Cominciamo il riscaldamento, allora!”.
   Uno schizzo d’acqua ti bagna la caviglia scoperta, costringendoti a voltarti verso la piscina sorpresa, “Eh?”.
   “Haru!”, conferma il capitano, mentre l’interpellato si scrolla l’acqua in eccesso, scuotendo il capo con veemenza.
   “Eri già qui”, sorride il biondo.
   Gou raccoglie gli asciugamani dalla panca, porgendone uno al freestyler, “Da quanto stavi nuotando?”.
   “Da non molto”, si strofina alla ben e meglio il volto.
   “Haru-chan è davvero motivato”, afferma Nagisa, cercando di ricordare se mai avesse visto l’amico d’infanzia a quel modo.
   “Forse è turbato per aver perso nello stile libero”, considera il compagno di classe.
   “Può darsi”.
  Gli occhi smeraldini di Makoto si scuriscono in un piatto verde muschio, cogliendo sfumature di Haruka che pochi riescono davvero a vedere, come la vice-manager che, con le gote imporporate e i rubini che brillano, commenta, “Sono felice di vederti così motivato, Haruka-senpai”.
   “Non lo sono”, smorza l’altro, lasciando scivolare via il telo dalla chioma corvina e fissando tre formiche che attraversano le piastrelle biancastre, “Stavo nuotando perché non sapevo cosa fare”, successivamente si volta verso la distesa trasparente, “Ho pensato di dover chiedere all’acqua questione che riguardano l’acqua”.
   “Che intendi dire?”, si acciglia la ragazza.
   “Beh, adesso siamo tutti qui”, svia il discorso il castano, “Cominciamo l’allenamento”.
   “Sì, hai ragione. Dovreste tutti iniziare a riscaldarvi”.
   “Roger!”, asserisce il pinguino, imitando il saluto militare, per poi raggiungere il bordo-piscina smanioso di tuffarsi.
   “Ehi! Non correre!”, lo riprende Rei. Troppo tardi, perché riecheggiò un yahoo, seguito da uno splash!.
   In tralice non riesci a distogliere lo sguardo da quello che Makoto riserva per il suo migliore amico. Un’occhiata carica di quesiti, apprensione e inquietudini.

Samezuka - tardo pomeriggio

   Gli allenamenti del team sono volti al termine e la piscina coperta dell’istituto sarebbe deserta già da una buona mezz’ora, se non fosse per la forza di volontà di Rin ad andare ogni giorno di più oltre i propri limiti, grazie al sudore della fronte e alla forza della schiena di un uomo. Schiaffeggia il palmo sulla parete, sopra la quale ergono i blocchi di partenza, ed espone la testa dall’acqua con l’affanno, strappandosi la cuffia nera dai capelli magenta. Una volta aver regolarizzato al minimo il respiro, rema per raggiungere la scaletta in metallo, esausto per far leva sui bicipiti e sollevarsi oltre il pelo dell’acqua. Silenzioso raggiunge lo spogliatoio, ignorando il compagno di stanza che lo segue con ancora il cronometro stretto tra le dita.
   Entrambi si fanno una doccia veloce per togliersi il cloro e dirigersi ai rispettivi armadietti.
   Aprendo lo sportello del proprio, Nitori si volta giulivo verso il mentore, “Senpai, stai nuotando bene”.
   “Probabilmente”, vaneggia il secondo apatico, infilandosi la giacca della tuta, senza badare completamente alle parole del kohai.
   “Hai stabilito un record personale nella fase a gironi, quindi sembra che la scelta di puntare sui 100 metri a stile libero abbia dato i suoi frutti”, s’intristisce appena, “Io non sono riuscito ad arrivare alla finale”.
   “Già, peccato”, mormora l’altro monocorde.
   “Ma, senpai, tu devi fare del tuo meglio!”, si rischiara nuovamente l’argenteo, “Farò tutto ciò che posso per sostenerti!”.
   Lo squalo non risponde, anzi, fissa cupo l’interno dell’armadietto e solo all’ennesimo senpai del più giovane afferra la brocca d’acqua, emettendo un flebile suono in assenso. S’incammina verso la panca, dove giace il suo asciugamano rosso, lo raccoglie e se lo posa sui capelli umidicci, sedendosi.
   “Qualcosa non va?”, chiede la matricola.
   “Niente di che”, replica lapidario il pesce carnivoro, portandosi la bevanda alle labbra e trangugiandone dei bei sorsi.
   “Eri così felice di aver battuto Nanase-san”.
   “Già”, sussurra Rin, evitando di incrociare quello sguardo così puro e innocente, quanto sprovveduto e fanciullesco.
   “Allora adesso puoi andare avanti!”, esclama il più esile entusiasta.
   Rin sgrana per un secondo le pupille di lava solida, che tremano, conscio che non è cambiato assolutamente nulla, che manca ancora qualcosa, che non ha superato la situazione.
   La porta del corridoio viene aperta improvvisamente, mettendo fine alla conversazione. Mikoshiba-buchou li scruta aggrottato, tenendo ancora una mano sulla maniglia e l’altra nella tasca dei bermuda.
   “Ehi, sbrigatevi, ce ne stiamo andando”.
   “Dove andiamo?”, pone Nitori.
   “Non hai sentito? Andiamo a pregare per la vittoria”, sorride.
   “Ah, è vero! Oggi c’è l’Hachiman-sama no…”.

Contemporaneamente a casa Nanase

   “…masturi?”, pondera il delfino, esaminando l’abbigliamento serale dei due amici oltre la soglia della sua proprietà, uno dei quali, Nagisa, con indosso un coloratissimo yukata.
   “Sì, c’è un festival estivo per Hachiman-sama!”, esclama il biondo, scuotendo un ventaglio dalla forma circolare, “Andiamo, Haru-chan! Sarà divertentissimo!”.
   Haruka volta il capo di lato, “Io…”.
   “Il santuario ospita anche un festival per il Dio dell’acqua”, interviene Makoto, “Dovremmo andare a visitarlo prima delle regionali. Se a te sta bene, Haru”.
   “Rei-chan si aspetta che tu ti unisca a noi”, prosegue il più basso, cambiando, successivamente, cadenza, “Noi quattro dobbiamo andare insieme on non ha senso. Parole sue”.
   L’orca ridacchia, “Quella doveva essere un’imitazione di Rei?”.
   “Ho anche sentito ______-chan dire a Gou-chan che lei e Hana-chan potevano andare da lei a prepararsi. Perciò stasera ci sarà anche lei”, solleva più volte le sopracciglia saure come chiaro segno d’intesa, “Magari porterà pure lei uno yukata”.
   “Nagisa…”, lo riprende il bruno.
   “Ok”, prorompe il vice-capitano, “Vado a vestirmi”.

… e a casa tua…

   “Oh, ______-chan! Ma quanto ci impieghi a sistemarti il trucco?!”, sbraita così forte Gou, da far fuggire la tua gattina fuori dalla camera.
   “Se continui a disturbarmi non finirò mai. Anzi, mi farai sbagliare a mettere l’eyeliner, così dovrò ricominciare da capo”.
   “Povero Onii-chan! Chissà quanto gli toccherà aspettare prima che tu sia pronta per uscire con lui”.
   “G-gou! Che cosa vorresti dire?!”, la fulmini.
   Che sappia dell’appuntamento?
   “Eheheh…Perché stai usato tre ombretti diversi?”, svia furbamente la primina"
   “______-senpai sta facendo uno smokey-eye”, ridacchia Chigusa, come se fosse un'informazione nota a tutto il mondo femminile
   “Non vi seguo”, ammette infine la cardinale.
   “E’ un modo di truccarsi che mette in risalto la forma e l’intensità dell’occhio…”, cominci a spiegare, “… e si può realizzare con qualunque sfumatura di ombretto desideri. Io li scelgo sempre in base a come mi vestirò. Dunque…”, indichi il capo di abbigliamento poggiato sul letto, “… il mio yukata è [colore di base] con foglie di bambù alle estremità. Basandomi su questo ho scelto tre ombretti [colori che si avvicinino a quello dello yukata] in scala dal più chiaro al più scuro”, fai segno alla matricola di avvicinarsi allo specchio, per mostrale su di te come fare, “Parti con l’ombretto più chiaro da stendere su tutta la palpebra mobile. Poi, con il pennello controlli l’angolazione del tuo occhio. Una volta fatto usi l’ombretto più scuro per definire la coda dell’occhio e la piega che unisce la palpebra mobile a quella fissa, cercando di schiarirlo sempre più man mano che ti avvicini all’interno. Una volta terminato, usi l’ombretto dalla sfumatura intermedia per rendere uniforme il passaggio da scuro a chiaro, poi usi dell'ombretto bianco per illuminare l'angolo interno dell'occhio”, riponi il pennello al suo posto nella trousse ed estrai uno sfumino, “Successivamente con questo togli l’ombretto in eccesso per rendere il trucco più naturale. Infine con l’eyeliner delinei l'attaccatura delle ciglia con una linea sottile e la coda dell’occhio e metti il mascara”, ti alzi dalla sedia, voltandoti verso le due ragazze che ti fissano estasiate, “Per esperienza personale, vi consiglio anche di mettere una matita bianca all’interno della palpebra inferiore e di creare una linea leggera all'attaccatura delle ciglia inferiori con l'ombretto più scuro che avete usato: rende l’occhio più grande e contrasta l’effetto collaterale che l’uso di certi colori nello smokey-eye ha, ovvero quello di rimpicciolirlo”, fai un breve applauso, “Bene, chi vuole essere truccata!”.
   “Io, io!”, si sbracciano all’unisono Gou e Chigusa, costringendoti a ridere.
   “Ok, ok! Una alla volta”, le osservi a lungo, non sapendo da chi iniziare, poi un’illuminazione: “Ah! Mi è venuta un’idea: Hana-chan, ti sai acconciarti i capelli molto bene, che ne pensi se partiamo da Kou e, mentre la trucco, tu la pettini?”.
   “Mi sembra fantastico! Sia tu che Gou-chan avete dei capelli stupendi!”.
   “Perfetto! Mettiamoci al lavoro!”.

All’Hachiman-sama no Matsuri

   Sono le 8:00 passate quando Rei, fasciato nel suo elegante yukata nero a linee geometriche grigie, scopre il polso per scorgere l’ora. Il resto della squadra è ufficialmente in ritardo e l’atleta comincia a convincersi che il vice-capitano abbia declinato l’invito dopo una lunga, insistente - a causa di Nagisa - serie di vani tentativi. Lascia cadere il braccio lungo il fianco, esalando un sospiro, quando improvvisamente ode un gridolino familiare. Si volta in direzione del suono, notando un coloratissimo pinguino che lo chiama a gran voce, sollevandosi sulle punte, mentre agita entrambe le braccia. Osserva le figure dietro di lui, incrociando lo sguardo vacuo del corvino. Sorride rincuorato, mentre i tre gli si avvicinano.
   “Hai aspettato molto?”, pone il biondo al coscritto.
   “No, sono appena arrivato”, mente l’interpellato.
   “Wow! Bene, Rei-chan! Mako-chan, Haru-chan, se arrivate tardi a un appuntamento, questo è quel che dovete dire”, lo deride bonariamente l’amico.
   “Sì, sì”, conviene il leader, cambiando repentinamente discorso, “Visitiamo il santuario”.
   “Bene, let’s gooo”.
   
   La comitiva percorrono la via principale del paese marittimo, raggiungendo il cuore del festival stanziato proprio in riva al mare. Il riflesso delle lanterne di carta e dei variopinti yukata spicca in superficie, come sgargianti ninfee al chiaro di luna.
   Camminano per le bancarelle, facendosi spazio tra la fiumana che si è già formata, tra le quali si scorge, persino sotto-forma di pupazzo, il simbolo di Hachiman-sama: il calamaro. Quelle a tema culinario sono le più frequentate, dato che invitano i commensali a gustare le innumerevoli varianti di quel mollusco.
   Il pinguino non sa più da che parte posare i suoi occhi languidi d’ingordigia, sa solo ripetere all’infinito: “Calamari!”.
   “Wow, ci sono calamari ovunque qui, molto bene”, conclude con un leggero languorino e colpito che il tempo non abbia cambiato nulla almeno in quell’occasione.
   “Solo calamaretti”, biascica Rei deluso.
   “Ne, da che punto dovremmo iniziare?”, chiede il sauro al capitano.
   “Non ignorarmi!”.
   “Calamari che afferrano il Paradiso sta per iniziare”, osserva Makoto.
   “Che razza di strano evento è questo?”, si lamenta nuovamente l’occhialuto, per poi trasalire all’occhiatina dei suoi amici, “E-eh, perché mi state guardando?”.
   “Rei-chan”.
   “Mi rifiuto”, intona all’istante, immaginandosi le più imbarazzanti macchinazioni del compagno di classe.
   “Dovresti partecipare”.
   “Mi rifiuto!”, ripete aumentando la voce di un’ottava, “Suona così… viscido!”.
   “Provaci!”.
   “Assolutamente no!”.
   “Oh, l’evento è laggiù!”, incalza Nagisa, prendendolo per una manica e cominciando a tiralo dietro di sé, “Hayaku, hayaku!”.
   “Ah? Aspetta!”.
   “Haru”, chiama il castano, facendo trasalire un distratto Haruka, intento a fissare le palline galleggianti di un gioco di pesca, preso da chissà quali attanaglianti pensieri, “Non ci conviene perdere di vista Nagisa e Rei”. Il tono dell’orca è gentile, traspare il suo spirito fraterno, ma nasconde preoccupazione nei confronti del suo migliore amico.
   “Sì”, asserisce il moro.
   I quattro si appropinquano alla piccola folla divertita dalle movenze goffe impacciate dei pescatori amatoriali, intenti ad acchiappare grandi calamari vivi a mani nude.
   “Sembra divertente”, gli occhi del sauro sono lucidi come lamponi maturi, “Rei-chan, sei ancora in tempo per le iscrizioni”.
   “Non succederà mai”, taglia corto l’interpellato, evitando lo sguardo del ranocchio.
   “Ja, Mako-chan, tu che ne dici?”, ritenta.
   “Passerò anch’io”, il leader sorride a metà tra il difensivo e il dispiaciuto.
   “Ehi, siete tutti qui”, Makoto si volta all’istante in risposta ad una voce familiare: la tua.
   “Ah, ______-chan, Gou-chan”, conferma Nagisa.
   “B-buonasera”, s’inchina un poco imbarazzata Hana-chan, attenta a non perdere la presa sul suo calamaro grigliato.
   “Indossate lo yukata!”.
   “Siete molto carine”, prende parola il bruno.
   Chigusa si lascia sfuggire un sospiro soddisfatto, guardandovi per un secondo, prima di rivolgersi cinguettante al più alto dei ragazzi, “Intendi dire solo il nostro yukata?”.
   Il ragazzone sbianca, non sapendo quale sia la cosa più appropriata da dire, “Non esattamente”. Lei ridacchia, coprendosi la bocca a bocciolo con il dorso della mano.
   Sollevi involontariamente un sopracciglio, Cosa stai cercando di fare, Hana-chan?
   “Cos’è quello sguardo accigliato, ______-chan?”, ti richiama il biondo, facendoti arrossire perché presa in fallo.
   “Quale sguardo?”, fai la gnorri.
   “Questo”, afferma, irrigidendo la mimica facciale, affilando lo sguardo e incrociando le braccia al petto.
   “Non mi sto affatto comportando così”, sentenzi.
   “Guarda: lo hai rifatto”.
   “Ya!”, pronunci in coreano - abitudine presa dagli amici conosciuti in vacanza in quel paese.
   “Dovremmo prendere qualcosa da mangiare”, cambia discorso Rei.
   “Vi consiglio di provare la paella di calamari”, conviene Chigusa, smorzando la tensione.
   “Sembra deliziosa!”, conferma il sauro.
   “Beh, noi guarderemo la gara di calligrafia con l’inchiostro di calamaro”.
   “Ok, ciao!”, agita il braccio il più basso.
   “Magari ci incontreremo ancora durante la serata”, sorridi.

Alla stazione di Iwatobi

   Rin e Nitori sono gli ultima a scendere dal treno e a riunirsi alla squadra Samezuka nel punto che sarà quello di ritrovo nel momento del ritorno. Il primo tiene le mani in tasca e la schiena ricurva come un modello in passerella, se non fosse per l’espressione spenta; il secondo, invece, osserva le prime lanterne che guidano la folla al centro della cittadina con occhi sognanti, entusiasta per aver scoperto un nuovo luogo marittimo che lo potesse rendere ancora più vicino al suo senpai.
   “Tutti indossano uno yukata stasera”, pigola il più piccolo, “avremmo dovuto indossare i nostri. Oh! Credo che per te questa zona sia familiare, senpai”, continua, ricevendo in risposta solo un’indifferente già da parte del pescecane, intento a scrutare le strade, gli incroci, le abitazioni semplice, per poi concentrasi su un quartetto di preadolescenti. Quello con il berretto turchese li ha appena raggiunti, venendo accolto da uno stizzito “Sei in ritardo!” da colui che sembra essere il capobranco della situazione, a giudicare dalla posa arrogante e dalle braccia incrociate dietro la nuca.
   “Scusate”, ansa l’altro.
   “Ehi, quanti soldi vi hanno dato?”, l’aniki si rivolge al resto del gruppo.
   “Ne ho ricevuti un bel po’”, annuncia sorridente quello in canotta.
   “Dobbiamo provare le mele caramellate!”.
   “Eh?”, interviene per la prima volta l’unico ragazzino seduto sulla panchina, “Io voglio giocare ai giochi di tiro!”.
   “Possiamo ancora farlo! Ma le mele caramellate prima di tutto!”, insiste l’amico.
   Gli occhi di vino si caricano di nostalgia, rendendo ancora più evidente l’incompresa malinconia che li attanagliano.
   “Ci siamo tutti?”, incalza Mikoshiba, “Allora andiamo”.
   Il team si dirige al tempio del dio dell’Acqua. Ognuno getta un’offerta nell’urna esterna, batte le mani due volte, dopo che il capitano ha suonato il grande campanaccio, e s’inchina in segno di preghiera e rispetto.
   Davanti al muro di lanterne gialle del tempio, il Seijuurou congeda i membri della squadra, raccomandandosi che non si mettano nei guai e ribadendo l’ora e il luogo di ritrovo.
   “Senpai, diamo un’occhiata qui intorno”, propone Nitori al rosso, il quale, con le mani in tasca, si avvia al torii del tempio senza degnarlo nemmeno di una risposta.
   “Aspettami!”, lo rincorre il kohai.

Nel cuore del festival

   Nagisa si volta a destra, strepitando: “Hamburger di calamaro!”.
   “Vorrei provare calamari e patatine”, riflette ad alta voce l’indaco.
   “Cercate di non perdervi, ragazzi”, scuote la mano il pinguino ai due senpai.
   “Lo sappiamo”, risponde il capitano vagamente scocciato.
   In quel preciso istante gli occhi di Rei si oscurano, mentre dà un colpetto sul braccio del coscritto.
   “Che c’è, Rei-chan?”, aguzza lo sguardo dietro la spalla dell’amico per poi deglutire a fatica, “Rin-chan?!”.
   I due si acquattano, nascondendosi dietro i ventagli, e l’occhialuto bisbiglia: “Pessimo tempismo, non credi?”.
   “Assolutamente…”.
   “Qualcosa non va?”, pone confuso Makoto, facendoli trasalire.
   “Oh, ci chiedevamo quante polpette di calamaro riusciamo a mangiare”.
   “Mangerai così tanto?”, solleva un sopracciglio Haruka, mentre in sottofondo si odono le voci di Nitori e l’amaranto che discutono su come passare la serata. Il freestyler segue il suono con lo sguardo, ma il sauro gli si para prontamente davanti, alzando la voce, “Ah! Comprerò hamburger di calamaro per tutti!”.
   “Gentile da parte tua, Nagisa-kun!”, lo imita Rei.
   “Potete aspettarci nella zona relax laggiù”, indica ai più grandi.
   Il dorsista è contrariato, “Io non ne voglio”.
   Il ranocchio comincia a sudare freddo, “Beh, ma noi sì”, balbetta, facendogli l’occhiolino.
   Makoto coglie all’istante il segnale, “Andiamo allora, Haru? Dobbiamo trovare un posto per tutti e quattro”.
   “Ok”, s’incamminano.
   Le due matricole sospirano di sollievo per poi essere rapiti da una nuova preoccupazione: la possibilità che il delfino e lo squalo s’incontrino.
   “Ho invitato io Haru-chan al festival per distogliere la sua mente dal nuoto”, s’imbrunisce il biondo.
   “Ma c’è la possibilità di ottenere l’effetto opposto”, conviene l’amico.
   “Potrebbe abbandonare la staffetta delle regionali!”.
   “Questo sarebbe lo scenario peggiore”.
   “Voglio che Haru-chan nuoti con noi…”.
   “Anch’io voglio nuotare con Haruka-senpai”.
   Nagisa si porta una mano sotto il mento, “Quindi dobbiamo assicurarci che non si incontrino”.
   “Esatto”.
   Ritrovata la tempra tipica del pinguino, quest’ultimo afferra Quattrocchi per la spalla e dice: “Rei-chan, tu segui Rin-chan”.
   “Eh?!”.
    “Mi dici dove si trova, così posso portare Haru-chan da qualche altra parte”.
   L’altro solleva un sopracciglio scettico, “Nagisa-kun, tutto ciò sembra divertirti…”.
   Ma l’altro lo blocca a metà, sollevandosi in piedi e sollevando un dito al cielo, infiammato dall’entusiasmo, “Forza, ispettore Rei-chan!”.

   “Hai portato un bel po’ di cibo”, i senpai osservano stupiti l’abbondante tavolata difronte a loro, imbandita di qualunque pietanza reperibile ad un matsuri: burger di calamaro, spaghetti di soia alle verdure, calamari alla griglia, pannocchie calde, mele caramellate.
   “Dov’è Rei?”, pone Makoto.
   “Ah! Eto… ha incontrato un conoscente e stanno facendo insieme un giro del festival”.
   “Capisco”.
   “C-comunque, mangiamo”.
   Il moro si alza da tavola, “Vado a comprare qualcosa da bere”.
   “Ah! Tu resta qui, Haru-chan!”, strepita il sauro intimorito, “Ci vado io”.
   “Ja”, interviene il capitano, “verrò con te. Potrebbero essere più di quanto tu possa portarne”.
   Il ranocchio dà al cetaceo cinerino, che lo guarda alquanto perplesso, il suo calamaro grigliato, “Aspetta qui”.
   Al distributore automatico finalmente il bruno trova l’occasione per chiedere cosa stia succedendo.
   “Rin-chan è qui al festival”, rivela il kohai.
   “Rin è qui?”, replica sorpreso.
   “Uh, perciò Rei-chan lo sta seguendo”, afferma febbricitante.

In missione!

   Rei è appostato all’ombra di una bancarella meditabondo, L’altezza del bersaglio è di circa 177 centimetri. Massa corporea di circa 68 chili. Ha capelli rossi e denti appuntiti, sistema gli occhiali sul naso, Cominciare l’inseguimento.
   Con fare a dir poco sospetto, si reca acquattato al prossimo stand, abbastanza vicino da poter avvertire l’eau de parfum di Rin, che, dalla nota virile e sofisticata, sembrerebbe essere una versione intense pensata proprio per la notte.
   Accanto a quest’ultimo, Nitori blatera indisturbato, “Il capitano Mikoshiba ha comprato lo zucchero filato, le banane al cioccolato e le mele caramellate. Non credevo gli sarebbero piaciute”.
   Il sesto senso del pescecane scatta, egli si arresta e si gira all’improvviso verso uno sconosciuto mascherato, ovvero uno schivo Rei completamente immedesimatosi nella figura del detective segreto.
   “Qualcosa non va?”, domanda l’anatroccolo allo studente più grande, il quale, grattandosi la nuca, risponde che non è niente di che.
   Sudando freddo, con il battito accelerato e il fiato corto, la farfalla dell’Iwatobi si leva la maschera sorridendo, Non male.
   Il venditore lo punta ardito, “Quella costa 500 yen”.

Voglio quella console da gioco, ambisce Nagisa allungandosi sul banco da gioco con un fucile a palline, ma tenendolo con una sola mano si sbilancia, mancando il bersaglio, “Accidenti”, sospira, mentre trilla una notifica del cellulare, “Mako-chan, potresti tenermi questo?”, gli porge l’arma da fuoco finta.
   “Certamente”.
   Dà loro le spalle ed apre la nuova email:


❮ Entrata (1)                                                                             
Da:
Ryugazaki Rei
A: Hazuki Nagisa
                                                                                                                                                               
Il bersaglio sta attualmente camminando tra le bancarelle in spiaggia e si sta dirigendo verso la strada principale, passo.

Annulla                                                    Re:                                                          Invia                                                                    
A:
Ryugazaki Rei
                                                                                                                                                                
Ricevuto.

   “Ho bisogno di andare in bagno”, afferma Haruka, una volta terminato il gioco a premi.
   “Il più vicino è nel negozio sulla strada principale”, lo informa il migliore amico, mettendo il sauro sull’attenti dato che la strada principale della cittadina è in riva al mare.
   “Aspetta!”, lo afferra per l’avambraccio, “Potresti tenertela un altro po’?”.
   “Eh?”, chiede il vice-capitano stranito.
   “Oh giusto, potrebbe esserci un bagno chimico laggiù”, il dorsista indica il lato opposto della via, “Dovrebbe essere vicino”.
   “Va bene”, accetta il moro diffidente.
   “Vengo con te”.

   Le lanterne delineano il perimetro del lungo mare. Rin e Aichirou si sono allontanati di molto dalla via principale del matsuri, nonostante si senta ancora il fragore della folla dietro di loro, abbastanza forte da coprire il rumore degli zōri dell’indaco.
   “Qui non c’è nessuna bancarella”, l’argentato avverte titubante il mentore.
   “Lo so”, replica piatto il rosso.
   “Torniamo indietro”.
   “Tu puoi tornare indietro”, sentenzia il mentore, distanziandolo di qualche passo con le mani in tasca e il capo chino.
   Nitori si ferma, guardandolo andarsene con il magone, “Matsuoka-senpai…”.
   Rei lo supera discreto per proseguire con l’inseguimento, quando…
   “Rin?”.

 

Note d'Autore

Eilà, chi si rivede!!
Vi ho fatto aspettare davvero troppo troppo tempo e non ho parole a sufficienza per dirvi quanto mi dispiace. Posso solo ringraziare coloro che hanno atteso un aggiornamento fino ad ora e che mi hanno contattata per avere notizie. Mi avete fatta sentire molto importante. Questo capitolo è stato davvero faticoso da scrivere. Non avevo più ispirazione, voglia né tempo. Non avrei mai pensato che gli orari universitari e le sessioni d'esame fossero così debilitanti, ma per fortuna stare in Giappone mi ha ridato la carica e rimessa in pista.
Grazie infinite a tutti/e quanti/e. Grazie per l'incoraggiamento, la fiducia e l'entusiasmo che mi trasmettete ogni volta.
Spero che anche questo capitolo sia all'altezza di tutti gli altri e delle vostre aspettative dopo una attesa così lunga.
See you next water time!
Claire DeLune

 
 
 

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Capitolo 17
*** 16. Stretta al cuore ***


16. 
Stretta al cuore

   La confusione era tanta, troppa, e il chiaro di luna che si specchiava nel Mare del Giappone era troppo invitante per non recarsi in spiaggia ad attendere i fuochi d’artificio.
   Tieni gli zōri [colore] in mano, la spuma del mare s'infila tra le dita dei piedi e la brezza ti scompiglia l'acconciatura, socchiudi le palpebre e ascolti il fragore delle onde, il verso lontano dei gabbiani. Una luce scoppiettante ti si para davanti agli occhi: è Hana che ti porge una candela magica.
   “A te”, sorride.
   “Disegniamo nel cielo!”, propone Gou beata come se fosse tornata bambina. 
   Ti unisci al divertimento, creando una [forma/scritta]. La fiamma si spegne, imbronciata ti volti verso la scatolina, afferri un altro bastoncino per dargli fuoco con un accendino, sollevi il busto e lo vedi. Ben vestito, mani in tasca, capo chino e i capelli di vino che gli coprono il volto. Cammina spedito, passo automatico, come se fosse l'abitudine a guidarlo ovunque stia andando. Senza rendertene conto ti sei già rinfilata i sandali e avviata in direzione del marciapiede, ignorando le tue amiche che ti chiamano a gran voce come se non le sentissi nemmeno.
   Lo segui inconsciamente, incuriosita dal suo sguardo assente. Solo quando si ferma davanti ad una recinzione ti accorgi che quello è un luogo familiare. Il parco del terzo distretto, l’incrocio che porta alla…
   Scuola Elementare Iwatobi, dici fra te. È allora che decidi di parlare.
   "Rin?", lo chiami a un passo da lui. Si blocca senza voltarsi. Il suo cuore ha perso un battito.
   Ti avvicini, "Che ci fai qui? Dove stai andando tutto solo?".
   "            , non adesso”.
   “C’è qualcosa che non va? Hai uno sguardo strano".
   "Non ho niente. Sto solo passeggiando".
   "Allora ti faccio compagnia".
   "Vattene via!", urla frustrato, "Non ti voglio fra i piedi!".
   Ti allontani per quella reazione inaspettata.
   Il delfinista s'incupisce, [Nome balbettato], non volevo... I-io...
   Affili lo sguardo, "Come puoi parlarmi così?", chiedi ombrosa, "Come puoi farlo dopo tutto quello che è successo tra noi, dopo quello che mi hai detto?", punti gli occhi seri, velati di lacrime, nei suoi di ruvido corallo, "Pensi di aver fatto una dichiarazione ignorabile? Pensi che possa fingere che non sia mai uscita dalla tua bocca?".
   “______”.
   “Anch'io sto male, Rin. Non immagini quanto. Ma la realtà è questa: tu mi ami, Haru mi ama, anche Makoto dice di amarmi ed io non so che fare", stringi i pugni, prendendo fiato, "Ho sempre avuto una cotta per Haru, ma non si sa mai cosa gli passi per la testa; amo te da quando eravamo piccoli, ma da un momento all'altro potresti sparire di nuovo; Makoto, invece, è un’incognita. È il mio migliore amico, ma anche l'unico che mi metterebbe sempre al primo posto. La scelta sembrerebbe facile, non credi?”, le lacrime cominciano a scorrere copiose sulle tue guance, “E invece no, Rin, non lo è affatto! Io vorrei riuscire a capire cosa mi succede, a prendere una decisione e interrompere questo sadico gioco. Credimi, ci sto provando con tutta me stessa, ma comincio a pensare di non esserne capace, di poter solo arrecarci altre sofferenze. Perciò, Rin, l’unica soluzione a tutto questo è scegliere di non scegliere".
   Il nuotatore trasecola, “C-cosa?”, si avvicina a te, afferrandoti entrambe le braccia, “Ma che stai…”.
   “Ti auguro di realizzare il tuo sogno e di essere felice”, lo blocchi.
   “______, ti prego, dimmi che non è…”.
   Ti alzi sulle punte dei piedi per regalargli un ultimo innocente bacio sulle labbra, “Addio, Rin”, sgusci dalla sua presa e corri nella direzione opposta, singhiozzando sommessamente.
   Lo squalo fissa la strada sgombra per secondi interminabili, mentre una voragine gli si scava profonda nel petto dove un tempo risiedeva il suo cuore. 
   Guarda l’albero di ciliegio della scuola, quello davanti alla piscina, dove diede l’ultimo saluto ai suoi amici anni prima. Rivederlo dopo tanto tempo fa riaffiorare il ricordo della staffetta delle elementari, le emozioni contrastanti che provava, l’ansia, l’entusiasmo di fare del suo meglio insieme ai suoi più cari alleati, la vittoria. Rivive il momento del tuffo, lo sforzo, la gioia di udire come i suoi compagni lo incoraggiavano, lo sguardo d’intesa tra sé ed Haruka quando si diedero il cambio, lo stesso che lo stilliberista scambia ancora con la sua squadra, quella di cui lui non fa più parte.
   La voragine s'inabissa maggiormente, attanagliandogli l’animo. S’afferra   la maglia per il forte dolore al torace, dove ormai è convinto si trovi un buco sanguinante. Tutto sembra al suo posto. Allora perché si sente svuotato? 
   Amici.
   Carriera.
   Amore. 
   Tutto svanito.
   È allora, quando sente di aver davvero toccato il fondo, che una nuova luce gli illumina una via d’uscita da tutto questo. Forse non da te, ma almeno da Haruka, Makoto, Nagisa e quel dannato rimpiazzo.
   In tutta fretta, abbandona quel luogo, scappando a sua insaputa da un giovane Detective Conan che lo ha spiato per tutto il tempo.

Al matsuri
   Per qualche strana ragione anche il delfino sembra amareggiato e più schivo del solito, nonostante i tentavi di Makoto per distrarlo da qualunque cosa gli attanagli la mente.
   Il cellulare di Nagisa segnala un’email in entrata:

❮ Entrata (1)                                                                             
Da: Ryugazaki Rei
A: Hazuki Nagisa
                                                                                                                       
Sono alla Scuola Elementare Iwatobi, ma l’ho perso di vista…

   “Eh?”, farfuglia, “Allora Rin-chan potrebbe essere ancora…”.
   “Che stai combinando?”, lo coglie in flagrante il corvino.
   Sussulta, “Haru-chan, mi hai sentito?”.
   “Rin è qui?”.
   Merda!, “Sì… E ______-chan era con lui, almeno all’inizio. Poi se n’è andata”.
   “Capisco”, il suo sguardo è vago, “Va tutto bene”, risponde ad una domanda inespressa, “Di’ a Rei di tornare”.
   “Okay”, sorride il sauro, “Vado a cercarlo”.

   I senpai decidono di aspettare gli altri due alla terrazza che dà sul mare, godendosi la vista con una soda fresca.
   “Sai…”, attacca discorso l’orca, “… anche se non siamo riusciti a prepararci per questa staffetta, mi sono fatto prendere dalla frenesia, nuotando il più velocemente possibile per far partire la persona seguente. Ma, nel frattempo, mi sono ricordato quello che vedemmo quel giorno. Ero felice di nuotare una staffetta con tutti voi… con te”.
   Le iridi cobalto di Haruka si smuovono dalla loro coltre d’ombra, “Io non… Non ne sono sicuro. Non ho bisogno di una ragione per nuotare. Ho solo bisogno di sentire l’acqua. E’ quello in cui ho sempre creduto. Ma quando ho perso contro di lui, tutto è diventato buio. Non potrò più nuotare con Rin. A quel punto non mi interessava più nulla. Né il torneo né altro. Ma poi vi ho visti nuotare. Ho pensato, Mi sono impegnato molto con questi ragazzi. Potrei finire con l’essere nient’altro che superfluo, ma se voi ragazzi aveste mai voluto davvero nuotare una staffetta, io avrei nuotato. In quel momento mi sono ricordato come ci si sentisse a nuotare insieme nella stessa corsia, cosa si provasse quando tutti ti aspettano al traguardo. Mi ha fatto sentire felice allo stesso modo!”.
   “Haru-chan!”, sorprende i due il biondo, “Dici sul serio?”.
   “Hai la tua risposta, Haruka-senpai”, sorride il farfallista.
   “Nagisa, Rei, Makoto, voglio nuotare la staffetta. Voglio nuotare con voi un’altra volta!”, tutti i presenti sono colmi di gioia.
   “Ciò significa che da domani dobbiamo iniziare un duro allenamento per vincere le nazionali”, confessa il ranocchio.
   “Dovremmo tornare a casa così domani saremo pronti”, conviene il capitano.
   “Un’ultima cosa”, afferma il moro, avviandosi nuovamente al centro dei festeggiamenti. 

   Gou e Hana camminano per le vie del festival alquanto preoccupate, sei sparita da almeno un’ora e ormai cominciano a temere il peggio, quando una delle due ti intravede davanti alla bancarella dei pesciolini rossi.
   “______-senpai!”, sbraita Hana correndoti incontro con la rossa al seguito.
   “Si può sapere che fine hai fatto”, alza la voce la tua vice, ignorando le consuete onorificenze keigō, “Eravamo in pensiero per te. Che cosa ti passa per la tes…”, ti guarda bene in faccia, “…ta?”, affievolendo la domanda in un sussurro, “______-chan?”. Ti si para davanti, togliendoti le ciocche con cui tenti di celare il volto, “Perché stai piangendo?”.
   Incroci quegli occhi così simili a quelli del fratello, quegli occhi che spesso ti fanno venire il magone, e chiedi: “Kou, cosa c’è di sbagliato in me?”.
   La ragazza scambia un’occhiata confusa alla coscritta, “Ma che dici, ______-chan? Non c’è niente che non vada in te”, ti asciuga il viso, “Sei la ragazza più dolce e determinata che abbia mai conosciuto. E’ una fortuna averti come amica”.
   “Allora perché tutti quelli che mi stanno intorno soffrono?”.
   “Dimentica qualsiasi cosa ti abbia detto Onii-chan, okay? Lo sai che spesso fa l’idiota, come tutti i maschi. Ti ricordi cosa dice Frenchy a Sandy in Grease? «Gli uomini sono tutti porci. Anzi, sono le pulci dei porci. Anche peggio, sono le pulci delle pulci che hanno i porci. Sono così vermi che non vanno bene neanche per pescare»”.
   Sbuffi una risata amara.
   “Che ne dici di finire la serata a casa mia? Guardiamo un film tutte assieme, mangiamo schifezze e sparliamo dei ragazzi”.
   “Io ci sto”, annuisce la bionda.
   “Mm-mm”, sorridi.
   “Andiamo in stazione, così prendiamo il primo treno”.
   
In stazione
   Seijūrō osserva accigliato un sudato e senza fiato ragazzo del secondo anno, “Matsuoka, che cosa combini?”.
   “Il treno sta arrivando”, li avverte Nitori.
   “Buchou, dobbiamo parlare”, proferisce il rosso, “Voglio partecipare alla staffetta”.
   “Eeeeh?”, trasalisce una voce femminile alle sue spalle.
   “Oh, Gou-kun!”, esala al settimo cielo il leader della Samezuka.
   Lo sguardo di Rin cerca il tuo, ancora arrossato e gonfio, ma dopo le parole dettevi non puoi fare a meno di negarglielo, nascondendoti dietro alla sorella, impegnata a tenere a bada il suo spasimante.
   “Davvero parteciperai?”, s’intromette un’inaspettato Nagisa, intento ad accompagnare il compagno di classe al treno in compagnia della squadra al completo.
   Makoto ti affianca, sussurandoti: “Tutto bene, ______?”.
   Strabuzzi gli occhi, prima di agitare nervosamente la testa in segno di assenso, “Tutto a posto”.
   Abbassi lo sguardo sui quattro oranda che porta in un sacchetto di plastica e sorridi.
   “Ti piacciono? Sono le nuove mascotte della squadra: quattro nuotatori quattro pesci”.
   “Che idea carina”, sorridi, “Immagino che toccherà a te curarli”.
   Il ragazzo ridacchia imbarazzato, “A quanto pare sì”.
   “I gemelli saranno contenti”.
   “Sicuramente!”.
   “______-senpai, stanno annunciando il treno”, ti avvisa Hana.
   “Arrivo subito”.
   “Serata tra donne?”, pone Marcantonio.
   “Sì, ci fermiamo tutte a casa di Gou”.
   “Fate bene”.
   “______-chan, il treno!”, ti richiama la Matsuoka.
   “Eccomi! Devo andare, a domani ragazzi”, li saluti scuotendo una mano, raggiungendo le altre.
   Il dorsista ti corre incontro al binario, proprio quando stai salendo nel vagone, porgendoti una scatolina rettangolare di legno chiaro, chiusa da un fiocco verde coi campanelli, “Quando l'ho visto ho pensato subito che sarebbe stato d’incanto su di te”.
   Sei imbarazzata, Makoto non ti aveva mai fatto un regalo che non fosse per una ricorrenza precisa come il tuo compleanno, e per di più te lo sta dando davanti a tutti, rivali compresi. Prendi il pacchettino tra le piccole dita affusolate, ma proprio quando stai per dirgli che non doveva disturbarsi, le porte si chiudono e il treno parte. L’ultima cosa che hai visto al di là del vetro era il sorriso rassicurante di quell’amico che ormai non è più tale.
   Ti siedi accanto alle tue amiche, ancora con il regalo in mano.
   “Non lo apri?”, chiede curiosa Gou.
   Sfili il nastro verde, sollevi il coperchio e i tuoi i occhi si illuminano di stupore quando vi trovi all’interno un kanzashi. Meravigliata, afferri con cautela l’ornamento, ammirandolo in tutte le angolazioni. L’asticella dorata che andrà ad intrecciare i capelli ha un design semplice che non passa mai di moda, e la parte superiore è abbellita da una fragile pallina di vetro soffiato [colore che si abbina perfettamente alla tonalità di capelli] con dei [fiori preferiti]. Un oggetto sobrio ma fresco, raffinato ed elegante. Perfetto per te.
   “È bellissimo”, sussurra Hana con una punta di tristezza e invidia. La matricola si è presa proprio una bella cotta.
   La vice-manager prende il kanzashi e lo infila nel tuo chignon, “Ti dona molto”.
   Sorridi commossa, “Makoto mi conosce bene”, non ti eri mai accorta quanto fino a questo istante, però di certo non ti sfugge lo sguardo furioso che il pescecane sta riservando all’oggetto incriminato. Ai suoi occhi Tachibana ha finalmente fatto la sua mossa sulla scacchiera, adesso spetta a lui la prossima. Makoto può regalarti tutto quello che gli pare, tanto non ti avrà. Non finché c’è Matsuoka Rin in gioco.


 『松岡凛』scrive sulla lavagna il nuovo alluno, prima di voltarsi con un sorriso smagliante, “Salve a tutti! Mi chiamo Matsuoka Rin. In passato ho frequentato la scuola elementare Sano. Ho un nome femminile”, continua, indicando i kanji sulla lavagna, “ma sono un maschio”, conclude fiero con le mani sui fianchi, “Non vedo l’ora di far parte di questa classe!”.
   Tutti lo scrutano incuriositi. Ha dei denti strani, pensavano in molti, però sembra simpatico.
   “Molto bene, Rin-kun”, gli posa una mano sulla schiena la coordinatrice, “Vai a sederti al quarto banco vicino la finestra. Per qualsiasi evenienza puoi chiedere a me o alla rappresentante di classe [Cognome Nome], che oggi è assente. Bene! Aprite il libro a pagina 57”.
   Non ci volle molto prima che l’eccentrico ragazzino dai capelli magenta cominciasse a fare amicizia, nella pausa pranzo si era già aggregato a un improbabile duo che condividevano la sua stessa passione per il nuoto.

   “Wow, quest’albero è enorme! È un ciliegio?”.
   “Esatto”, replica il più alto dei tre.
   Quello nuovo si volta verso la piscina, “Allora una volta arrivata la primavera, ci cadrà un gigantesco mucchio di fiori nella piscina. Ho sempre sognato di nuotare in una piscina piena di fiori di ciliegio”.
   “L’acqua sarà troppo fredda!”, afferma apprensivo il bruno, “Dovresti aspettare l’estate”.
    “Stavo solo scherzando”, ridacchia l’altro, “Non c’è bisogno di prenderla così seriamente”.
   “Vorrei farti una domanda”, incalza il terzo ragazzino, quello con gli occhi di fluorite blu.

   “Che c’è? Cerchi di mettere da parte lo studente appena trasferito proprio il suo primo giorno di scuola?”, lo schernisce il piccolo piranha.
   “Certo che no”, interviene il secondo, “Credo che abbiamo gareggiato nello stesso torneo”.
   “Oh, vi siete ricordati di me?”.
   Il moro aggrotta le sopracciglia.
   “Cos’è quello sguardo spaventoso?”, ride ancora il rosso, per poi rispondere ad una supposizione mai pronunciata, “Mi è semplicemente capitato di finire in questa scuola, quando mi sono trasferito. Le coincidenze fanno paura, eh?”, si gratta la testa.

   Il pomeriggio seguente il coach Sasabe riunisce tutti i bambini del club di nuoto e tuffi per presentare un nuovo membro.
   “Accidenti… Una coincidenza dopo l’altra. Mi sono trasferito nella vostra scuola e sono anche finito nel vostro stesso club di nuoto”, dice il farfallista con le braccia incrociate.
   “Già, è una sorpresa”, conviene il dorsista, “Vero, Haru?”.
   Splash!
   Si voltano entrambi a guardare il liberista. Gli occhi di rubino della newentry s’infiammano, E’
davvero bravo!
   La tentazione è troppo forte. Infila cuffie e occhialini e parte all’attacco.
   Gli allenamenti di entrambi i club sono finiti e tutti sono ansiosi di tornare a casa, stremati. 
Fuori dagli spogliatoi una giovanissima tuffatrice si aggrega al trio di nuotatori,“È stato un piacere conoscerti. Mi spiace non aver avuto la possibilità di presentarmi il giorno che sei arrivato”.
   “Il piacere è tutto mio”, ammicca, “Yasuda-sensei ha detto che sei la rappresentante di classe”.
   “Vero. Se ti serve aiuto sai a chi chiedere”, sorride gentile.
   “Grazie! Cavolo, è stata proprio bella nuotata!”, s’incammina verso il viale, tenendosi la nuca con
entrambe le mani.
   “Matsuoka-kun, le rastrelliere per le biciclette sono di qua”, lo informa il giovanotto dagli occhi irlandesi.
   “Io corro fino a casa”.
   “Corri? Quanti chilometri ci sono fino a casa tua?”.
   “Circa tre, credo. Ci si vede!”.
   Bastò quella frase a far nascere un sentimento nuovo, una sorta di sensazione di scuotimento, nella parte più intima del delfino. C’era qualcosa che lo attraeva nella corsa: un nuovo tipo di libertà che non poteva farsi sfuggire. Infatti il giorno seguente, nonostante una breve lite tra lui e il nuovo alluno riguardo ad una staffetta di nuoto, su cui quest’ultimo insisteva parecchio ma che al moro non interessava per nientemeno, prese esempio e tornò a casa correndo con il biondino di quinta al seguito. Era faticoso, ma meraviglioso al contempo.
   Ormai la notizia che il giovane squalo stesse costituendo un nuovo team di nuoto era trapelata a tutti, perciò la proposta del ranocchio non tardò molto ad arrivare.
   Il rosso si stava frizionando i capelli nello spogliatoio del club, quando si sentì chiamare da una vocina stridula: “Vuoi nuotare in una staffetta con Nanase-kun e Tachibana-kun?”.
   “L’idea è quella, ma sto ancora aspettando una risposta”.

   “Allora lascia che mi unisca!”.
   “Ma anche no! Questa è una cosa seria”, gli volta le spalle altezzoso.
   “Anch’io sono serio. Sono molto veloce”, cinguetta l’altro insistentemente, “Quindi? Per favore!”, gli afferra il braccio e lo strattona, “Ti prego!”.
   “Ah, va bene, va bene. Puoi unirti se ti piazzi primo alla prossima prova cronometrata a rana”.
   Gli occhi di caramella del sauro brillano di gioioso stupore, “Davvero?!”, si rivolge ad un altro nuotatore presente, “Nanase-kun, hai sentito? Lavorerò davvero sodo!”.
   “L’allenamento sta per cominciare”, lo avverte il senpai.
   “Ok! Aspettami!”.
   Il pescecane è perplesso, Proprio non lo capisco quello. Finiti gli allenamenti decide di invitare il castano a prendere una soda al distributore automatico all’ingresso del tempio.
   Si siedono sulla scalinata, baciati dai raggi caldi del tramonto.
   “Perché Nanase è così ossessionato con lo stile libero?”, chiede finalmente, provando a colpire una lattina prendendo la mira con dei sassolini, “Dice sempre che nuota solo così”.
   “Non credo sia perché ad Haru piaccia il crawl”.
   “E allora perché lo dice?”.
   “Non gliel’ho mai chiesto, ma credo che stare in acqua sia la cosa più naturale per Haru. Perciò nuota a stile libero”.

   “Non capisco”, si alza a guardare il sole calare oltre l’orizzonte, “C’è modo di far nuotare Nanase alla staffetta?”.
   “E come mai tu sei così ossessionato a voler nuotare una staffetta?”.
   Il bambino sorride mesto, “Io… Beh, ho i miei motivi”.
   La staffetta si avvicina, il giorno prima i tre compagni di classe si riuniscono davanti al grande ciliegio nel cortile della scuola secco e spoglio, "Non frequenterò qui la scuola media", esordisce il rosso senza degnare gli altri di uno sguardo, "Andrò in una scuola di nuoto in Australia.".

   I due bambini lo fissano smarriti, "Che cerchi di fare?", chiede con cipiglio il più minuto dei tre.
   "Diventerò un nuotatore olimpionico".
   "Perché non ce lo hai detto prima?", interviene il terzo bambino, "Che ne sarà della staffetta?".
   "Ci sarò. Parto il giorno dopo il torneo. Quindi questa sarà l'ultima volta che noi quattro nuoteremo insieme".
   "Io nuoto solo a stile libero", ripete per l'ennesima volta il corvino.
   L'altro si china a terra, afferra un mucchietto di foglie secche e schiacciandole dice: "Per questo motivo dei partecipare alla staffetta. Questa è la nostra ultima occasione.", si rialza voltandosi in direzione degli altri, "Nuotiamo insieme, Nanase", i loro occhi si incrociano legati da catene invisibili, "Se nuoterai con me...".

   "... ti mostrerò una parte di me che non hai mai visto prima", dà eco in un bisbiglio al ricordo Rin nel buio della sua stanza.

Il giorno seguente
   I nuotatori necessitano di un allenamento molto più ferreo se vogliono avere qualche speranza di vincere le regionale, per permettere che ciò accada non c'era scelta migliore che scegliere l'istruttore Sasabe come supporto.
   "Forza! Metteteci più impegno per la miseria!", tuona il coach con le mani nei capelli, "Nagisa, pieghi troppo le ginocchia, non hai bisogno di un salto potente in una staffetta. Makoto, il tuo stile è terribile! Non usi le spalle. Rei, se non riesci a toccare il bordo vasca, fai una gambata in più! Haruka, occhio al tempismo quando entri in acqua! No, dovevi osservare Rei più attentamente".
   Gli atleti, distrutti, raggiungo la scaletta per uscire dalla vasca.
   Nagisa sbuffa, "Sono contento che Goro-chan abbia voluto aiutarci, ma i suoi modi di fare sono fin troppo duri.
   "È per questo lo chiamano Oni no Goro".
   "Voi non sapete quello che state facendo. Non mi lasciate altra scelta", commenta l'allenatore collegando le prese di alcune telecamere alla ciabatta delle cattedra".
   "Così potranno vedere le loro performance da varie angolazioni", affermi con stupore".
   Haru si rituffa subito in acqua, vuole proprio darsi da fare. Sembra sempre nato per stare in acqua, tanto è aggraziato mentre nuota, ma Rei pare in disaccordo, i suoi occhi viola si fanno cupi e pensierosi, "Ora potrà anche avere uno stile perfetto, ma non è questo l'Haruka-senpai che mi piace veder nuotare. Prima era più bello".
   Vi spostate all'interno dello stabile.
   "Gli spogliatoi non sono cambiati di una virgola", dice con il sorriso sulle labbra Sasabe, perdendosi nella dolcezza dei suoi ricordi. Apre un armadietto, "C'è ancora il mio messaggio! Forevar Iwatobi".
   "Goro-chan, hai sbagliato a scrivere", ridacchia il ranista.
   "Non fare il pignolo!".
   "Ad ogni modo è un bravo coach", si complimenta Haruka.
   "Vero, ci ha aiutati a migliorare nei cambi".
   "Continuiamo a lavorare sodo", sprona il capitano, "così possiamo affrontare di nuovo Rin nella staffetta".
   "Questo è lo spirito giusto!", conviene l'istruttore orgoglioso dei suoi allievi, pensando a quanto fossero cresciuti dalla prima volta che li ha visti, alti poco più del suo ginocchio, ora quasi tutti lo guardano dall'alto in basso, "È ora di fare sul serio".
   "Che?!", sbraita il biondo.
   Come ti consueto, i due nuotatori del primo anno salgono sul treno delle 16.45 per tornare a casa, si siedono al solito posto, ma, diversamente dal solito, Rei ha stampato in faccia un evidente cipiglio misto a frustrazione che sta montando sempre più dentro di lui.
   "Qualcosa non va, Rei-chan?".
   "Non capisco".
   "Cosa?".
   "Il fratello di Gou. Perché tutto d'un tratto ha deciso di fare la staffetta?".
   "Non ne sono sicurissimo, ma affrontare di nuovo Rin-chan ha reso Haru-chan più motivato, perciò è una cosa positiva, no?".
   "E se perdesse di nuovo?".
   "La vittoria non è tutto".
   "Al matsuri mi hai sballottato a destra e a manca per impedire che si incontrassero".
   "Il Detective Rei è stato bravissimo".
   "Smettila di scherzare! Perché dovrebbe fregarcene di chi della Samezuka nuota nella staffetta? Il nostro obiettivo è di qualificarci alle nazionali come Iwatobi Swimming Club".
   "Lo so".
   "Eppure parlate sempre di Rin. Non vi capisco, davvero, sopratutto con tutto quello che sta succedendo con ______-senpai".
   "Quelle sono questioni sentimentali in cui non dobbiamo immischiarci, sonno affari di Rin, Haru e _____-chan".
   "E Makoto-senpai".
   "Uh?".
   Il farfallista alza gli occhi al cielo, "Quello che porta gli occhiali sono io ma tu sei più cieco di me. Non ti sei accorto di come la guarda? Le ha pure comprato quel kanzashi".
   "Se è come pensi tu, è un bel casino", conclude Nagisa fissandosi preoccupato le mani.
 
   Qualche giorno dopo siete stati tutti invitati a cena a casa del coach Sasabe. Con grande sorpresa di tutto il gruppo ha preparato il nabe... un piatto caldo in piena estate...
   "Gli esperti di medicina sportiva dicono che è l'ideale per un nuotatore. Questo è il mio speciale Nabe alla Sasabe con proteine e minerali a volontà", sentenzia fiero di se stesso.
   "Possiamo almeno accendere l'aria condizionata?", piagnucola il biondo.
   "Assolutamente no".
   "Dobbiamo proprio mangiarlo?", arricci il naso, "Kou ed io non siamo nuotatrici".
   "Non lo siete, ma di sicuro vi farà bene. Assaggia, ti assicuro che è squisito".
   Ama-chan-sensei è la prima a prendere coraggio, dopo un paio di soffi infila in bocca un fungo, "È buono sul serio!".
   "Visto? L'ho inventato quando ero nel circolo di nuoto".
   "Lei era un membro del Club Iwatobi, non è vero?"
   "Sono stato l'ultimo membro. Il club è stato smantellato dopo la mia promozione, nessuno voleva più iscriversi".
   "Però noi lo abbiamo fatto rinascere", s'intromette il sauro puntandosi la frangetta in un buffo codino, "Avrebbe dovuto allenarci già da tempo".
   "Sono stato indaffarato con il mio lavoro da fattorino", tiene bloccato nelle hashi un calamaro ripieno e glielo porge, "Prendi questo, è pieno di riso". Mentre Nagisa avvicina il piatto fondo all'uomo, il mollusco scivola bruscamente nella pentola. Per evitare di scottarsi, il ragazzo si scansa con un saltello, andando a sbattere su una pila di riviste di costumi da bagno.
   "Oh scusami! Tutto bene?".
   "Cosa sono? Vecchie riviste?".
   "Non è niente".
   "Coach", ridacchia Makoto, "lei è uno di quelli che non getta mai via niente?"
   Proprio in quella frazione di secondo, l'uomo nota una delle riviste rimaste aperte in cui sfoggiano le fotografie seminude di una bellissima modella in costume dall'aria incredibilmente familiare.
   "Ecco, coach", dice l'insegnante porgendogliene una.
   "Sei tu? Sono un tuo grande fan, Marin-cha...".
   La donna trasalisce in preda al panico, "Il granchio sta bruciando!".
   Finito il piatto caldo, vi spostate tutti in veranda a mangiare anguria fresca e ad accendere qualche innocuo petardo. Nagisa rincorre Rei con un bastoncino scoppiettante, l'altro scappa di qua e di là lamentandosi della sua infantilità.
   "Non vedevo questi fuochi d'artificio da anni", afferma Haruka.
   Makoto sorride, "Già".
   "Vorrei dire lo stesso, ma al matsuri ci siamo divertite a disegnare nel cielo", ridacchi e gli altri due si uniscono.
   "Sono felice che tu e Gou vi siate unite così tanto. Siamo cresciuti insieme e a causa nostra non hai mai avuto molte amiche femmine", si scusa il castano.
   Sbuffi un sorriso, "È vero, ma non mi sono mancate, non sono mai stata il tipo che gioca con le bambole e stare tra i maschi non mi ha mai imbarazzata. So che mi volete bene, che tenete a me e che ci sarete sempre e questo supera uno squadrone di ragazze con cui andare per negozi", il tuo sorriso si allarga, "Però sono davvero contenta di aver conosciuto Gou".
  Neanche l'avessi fatto apposta, proprio in quel attimo la tua amica fa capolino con un grosso volume tra le braccia, "Ho trovato l'album fotografico del club di nuoto!".
   Vi riunite tutti per guardare le fotografie, c'è un'aria nostalgica che aleggia tra voi, nel ricordare così tanti bei momenti passati insieme in quegl'anni, come la grigliata nel retro del club, la gara di pupazzi di neve a forma di animali, il torneo estivo in quinta elementare in cui Haruka si classificò primo e in cui incrociaste Rin per la prima volta. Incontrarsi senza conoscersi per poi diventare amici, sembrate tutti legati dal filo rosso del destino.
   Non era destinato alle coppie?, ti ritrovi a pensare, ma forse il vero legame tra Rin e gli altri sei proprio tu: la colla che vi tiene uniti nel bene e nel male.
   "Nanase-kun sembrava così maturo anche allora", osserva la professoressa di letteratura.
   "Dovresti sorridere nelle foto", lo rimprovera bonariamente Sasabe.
   "Haru-chan sorride sempre nel profondo del suo cuore", esordisce Nagisa con scherno, facendo scoppiare tutti a ridere.
   Sentir parlare soventemente di Rin, vedere fotografie di Rin, assistere al cambiamento di Haruka a causa di Rin, è troppo per la sopportazione del farfallista, il quale, mentre passeggiate verso casa in allegria sul lungo mare, si assesta sul posto, scuro in volto, adombrato come se fosse appena stato impossessato da un demone.
   "Ehi Rei, cosa succede?", chiede il dorsista.
   "Che cosa...", comincia esitante, "... è successo... tra voi quattro?".
   "Stai parlando di Rin-chan?", domanda il sauro.
   "Eravate tutti così uniti in quelle foto. Sembravate così felici".
   "Rei, non so se ha senso parlare di questo adesso", interviene il delfino, "Ma se t'interessa, posso dirti cos'è successo"
                                                                                                                       .
Note d'Autore

Sashiburi!!
Vi ho fatto aspettare davvero troppo troppo tempo stavolta (un anno) e non ho parole a sufficienza per dirvi quanto mi dispiace. Posso solo ringraziare coloro che hanno atteso un aggiornamento fino ad ora e che mi hanno contattata per avere notizie. Mi avete fatta sentire nuovamente molto importante. Non avevo più ispirazione, voglia né tempo. Qualche insuccesso universitario e il lavoro mi hanno buttato a terra, non ero più sicura di aver intrapreso la strada giusta e scrivere non bastava più a farmi stare bene.
Ma, grazie agli amici, al mio ragazzo, alla compagnia teatrale in cui recito e all'amore di una dolcissima gattina trovatella, che nel loro personalissimo modo mi sono stati accanto tutto il tempo, ora sto meglio. Non vi posso garantire che la storia riprenderà ad essere aggiornata con regolarità come un tempo. Come persona sono cresciuta e ho in programma di realizzare a livello letterario qualcosa che sia unicamente mio, ma la fanfiction verrà terminata. 
Grazie infinite a tutte quante. Grazie per l'incoraggiamento, la fiducia e l'entusiasmo che mi trasmettete ogni volta.
Spero che anche questo capitolo sia all'altezza di tutti gli altri e delle vostre aspettative dopo una attesa così lunga.
See you next water time!
Claire DeLune

Termini 
Keigō: linguaggio formale e onorifico da riservare ai propri superiori per età e competenza.
Kanzashi: ornamento per capelli reso popolare e famoso grazie alle geisha.
Hashi: bacchette per mangiare.
Nabe: pietanza tipica invernale paragonabile al nostro stufato.
Oni: demone della mitologia giapponese. 

Zouri: calzatura tradizionale femminile che si indossa con i kimono e yukata.

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