La Filosofia del Banale: perché i Babbani preferiscono non sapere

di 8WeirdSisters8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


 

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Polvere&Muffa﴿

 

La Filosofia del Banale: perché i Babbani preferiscono non sapere

Mordicus Egg

 

Con un saggio introduttivo di Wilhelm Wigworthy

 

________

 

 

Alla Signora Egg,

la Moglie Migliore del Mondo,

per non aver inarcato le sopracciglia

quando ha saputo dell’impresa letteraria che mi accingevo a compiere,

o per non averlo fatto in mia presenza

M.E.

 

 

________

 

 

Introduzione

 

Non c’è mondo più magico di quello Babbano.

Me lo ripeteva di continuo, mio nonno. Era un appassionato d’altri tempi, è ovvio. Non riusciva a staccar gli occhi da un grammofono, ad evitare d’incantarsi dinnanzi alla splendida perfezione d’un telegrafo, così discreto ed ingegnoso, di andare in sollucchero di fronte ai primi modelli di televisore.

Sono cervellotici ed eccentrici, diceva anche. Di necessità hanno fatto virtù: così, sprovvisti di bacchetta, hanno trovato il modo di sviluppare una tecnologia che noi maghi difficilmente comprendiamo e ancora più raramente riusciamo ad apprezzare.

Mio nonno non era l’unico, in famiglia, a parlar sempre di Babbani: mio zio Gerald, infatti, lo seguiva a ruota, ma dissentiva su un punto fondamentale: non sono cervellotici, ma capricciosi. Si rifiutano, sosteneva con veemenza, di credere alla nostra esistenza ed è sostanzialmente per invidia, nonché per una sorta di maligna competizione, che hanno creato tante diavolerie, che il Gramo se li porti: telefoni, calcolatrici, trebbiatrici, ventilatori, trattori persino! È più che probabile che mio zio Gerald parlasse tanto male di loro – e dei loro trattori in special modo – più per risentimento che per altro: li aveva infatti amati follemente, così si affrettarono a raccontarmi le sue sorelle, finché un dì, impossessatosi d’un trattore e preso dalla smania di provarlo, tentò di cavalcarlo. Cadde rovinosamente sul sedere pochi minuti dopo, e ciò determinò, oltre che un’imbarazzante apparizione con le brache calate al San Mungo, un imperituro livore verso il mondo Babbano. Sicché ogni volta che ne parlava diventava livido: una curiosa forma di commemorazione, se vogliamo, dei lividi che tanti anni prima aveva esibito altrove.

Sebbene li si apostrofi da più parti come esseri ottusi e poco intelligenti, essi hanno sempre rivelato una grande fantasia ed una grande propensione alla sperimentazione. Questa non è la sede per un confronto sulla questione, semplicemente perché la questione è chiusa: i Babbani sono meravigliosamente ottusi. Sfrenatamente convinti dell’assenza della Magia, sordi ai pianti delle Banshee come agli ululati dei Lupi Mannari, ciechi persino agli incantesimi più vistosi, improvvisamente privi di olfatto anche quando incappano in ragguardevoli cacche di Porlock, essi preferiscono ottundere i loro sensi, smussare le loro incertezze, sposare con convinzione l’idea  che tutto sia normale, sempre. Ciò, lungi dal renderli stupidi, ne ha fatto dei grandi inventori, degli intraprendenti scienziati e, per gli appassionati, delle piccole, meravigliose fonti di gioia. È in quest’ottica che questo celebre volume va letto. Perché nessuno ha saputo dirlo meglio del Professor Mordicus Egg.

Geniali, divertenti, dinamici o stolti che siano, si può esser certi di una cosa soltanto: i Babbani preferiscono non sapere.

 

 

Wilhelm Wigworthy

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Weird Notes:

- La Filosofia del Banale: perché i Babbani preferiscono non sapere è un libro citato nei libri di Harry Potter, in Animali Fantastici: dove trovarli e in Pottermore. Fu pubblicato dalla casa editrice Polvere&Muffa nel 1963.  

 - Wilhelm Wigworthy, al quale ho fatto scrivere l'introduzione, è il fortunato autore di Vita domestica e abitudini sociali dei Babbani Inglesi, Libercoli Rossi, 1987.

Le mie intenzioni, immagino, le avete capite: J.K. Rowling, Dio la benedica, ha pubblicato e reso disponibili per noi Babbani i volumi, finora appannaggio dei soli Maghi, di Animali Fantastici: dove trovarli, Il Quidditch attraverso i secoli e Le Fiabe di Beda il Bardo. Così, visto che sono leggendariamente pigra ed incostante, oltre che deplorevolmente occupata con lo studio, mi sono detta: perché non scrivere di sana pianta un altro dei libri presenti nella Biblioteca di Hogwarts e nelle case di molti Maghi e Streghe (almeno quelli che non provano ripugnanza per i Babbani)? Ed ecco La Filosofia del Banale: perché i Babbani preferiscono non sapere. Quest'idea, della quale quasi certamente mi pentirò, anche se ispirata dalla lettura dei libri di cui sopra, ha inoltre e senza alcun dubbio subito l'influenza della meravigliosa raccolta di One-Shot, ciascuna dedicata ad un libro magico, Di libri e di altre sciocchezze - Biblioteca minima per maghi e streghe lettori di dierrevi che, tra l'altro, ha destinato uno dei capitoli proprio a Vita Domestica e abitudini sociali del Babbani Inglesi. Perciò che fate ancora qui? VOLATE a leggerla!

Quanto a me, che altro ho da dirvi? Aggiornamenti il lunedì, si spera con regolarità. Caramelle a chi recensisce e cacche di Doxy (in busta chiusa) a chi non lo fa.
Bye!

WS

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



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1.     Il matrimonio è una catena così pesante che a portarla devono essere almeno in tre.

 

 

 

Quando le mie ossa non avevano ancora adottato lo spregevole vizio di scricchiolare ed io ero un giovanotto di belle speranze, lavoravo con un entusiasmo del tutto incompreso dagli altri presso la Sezione Spiriti dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche1. L’aria lì era tetra, è vero. Per lo più si passava il tempo a tentar di convincere i morti di essere morti e i parenti del Caro Estinto che sì, nonostante fosse tecnicamente passato a miglior vita, la sua miglior vita l’avrebbe comunque trascorsa accanto a loro e che no, non c’era una via per spedirlo dall’altra parte in modo permanente, nemmeno con un calcio ben assestato. Si lavorava poco e si brontolava troppo, specialmente quando un Fantasma ti passava inavvertitamente attraverso. Soprattutto si discuteva molto su quell’”inavvertitamente”.

Io però amavo quel lavoro, un po’ perché ero un tipo stravagante, persino per quelli dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, un po’ perché esso mi permetteva di studiare la reazione dei Babbani a un fenomeno così magico come quello ectoplasmatico. Ebbene, sin da allora ne approfittavo per coltivare la mia più grande passione: carpire le ragioni che si nascondono dietro i comportamenti Babbani. È una materia d’indubbio fascino, ne converrete, nonostante gli altalenanti atteggiamenti di parte della comunità magica.

Per un detto che risale ai tempi di Herpo lo Schifido2, “il Babbano la magia, prima la fiuta, poi la rifiuta”. Il meccanismo con cui i Babbani si sforzano di mantenersi ignari della Magia è stato fatto oggetto di discussioni (si legga a tal proposito l’opuscolo “Magia? Bah! Sciocchezze!” della babbanologa Eglantyne Thomasina Dirk3) ed è pari allo sforzo compiuto da maghi e streghe perché ignari siano ed ignari restino. Ho visto Babbani palesemente affatturati che andavano in giro lamentando strani raffreddori, improvvisa balbuzie e acne purulento (in almeno due di questi casi si trattava degli effetti, rispettivamente, di una Fattura Tartagliante e di un Furnunculus di livello sopraffino, anche se sgradevole). Un volta mi sono imbattuto in un aspirapolvere, aggeggio di fattura babbana utilizzato comunemente per le pulizie, che era stato stregato perché arpionasse il malcapitato e ci ballasse un valzer forsennato: pure in quel caso, la signora Babbana che lo possedeva, per nulla convinta che lo strano comportamento fosse di natura magica, si precipitò a scrivere una lettera di lamentele alla casa produttrice per “l’ignobile malfunzionamento dell’apparecchio, per quanto non mi capitasse una serata danzante così incantevole da anni”. Usarono su di lei un Incantesimo della Memoria solo per rispetto del protocollo e solo dopo le insistenze del Capufficio, un notorio esempio di pedanteria. Ma torniamo ai Fantasmi.

 Com’è noto, i Babbani non possono vedere i Fantasmi, ma non sono del tutto ciechi alle loro manifestazioni. La storia è piena di Spiriti che, peccando d’imprudenza o di malafede, hanno infestato troppo rumorosamente o troppo furiosamente edifici frequentati da Babbani, sicché persino loro si sono accorti della presenza di coinquilini invisibili. Anche in questi casi è scattato però – e per nostra fortuna - il loro meccanismo di autodifesa: le giustificazioni che si sono di volta in volta dati sono numerose e tutte abbastanza spassose (“problemi dell’Impianto Elettrico4”, “sovraccarico di tensione”, “leggera, del tutto naturale e solamente provvisoria inclinazione del pavimento, che ha fatto scivolare la sedia, camminare la bambola ed aprire il frigo5”, “aumento fisiologicamente improbabile ma non impossibile della mobilità del collo”).

Così, una volta, m’imbattei per lavoro in una coppia di giovani Babbani che, a loro insaputa, vivevano fianco a fianco con un Fantasma particolarmente bizzoso. Si chiamava Fergus Salamander ed era uno che apprezzava moltissimo la propria condizione attuale, nonostante la sorte tragica che gli era toccata: era infatti morto suicida dopo aver erroneamente scambiato un inerte groviglio di polvere e pelucchi per il suo affezionato Puffskein ed averlo di conseguenza dato per defunto. “Il suo grigiore mi atterrì enormemente”, mi spiegò con lugubre compiacimento. La verità era che il Signor Salamander non vedeva l’ora di trovare una ragione per tirare le cuoia: era nato per morire, non c’era dubbio. Gli riusciva così bene: trascinava delle pesanti catene, scivolava con la leggerezza di un soffio, rantolava a giorni alterni ed esibiva sempre il cipiglio più grave che avessi mai visto. Parlava di sé con una sorta di sgomenta soddisfazione: “Ho solo abbandonato l’imbarazzante abitudine di vivere”. Seguiva un sospiro che emulava con una precisione tutta studiata l’ultimo respiro esalato.

I Brown, invece, erano una coppia di giovinastri Babbani che, com’ebbi modo di capire, si erano uniti in matrimonio per puro caso. O per il rinfresco, chissà. Quello che era chiaro era che si odiavano: litigavano furiosamente e ciò principalmente perché il loro rapporto si basava su una serie di cortesi bugie. L’unica cosa che li aveva tenuti insieme, distraendoli dalle beghe familiari, era stato l’interesse per quegli inspiegabili rumori e i sospetti segnali provenienti dall’appartamento di fronte. Spaventato all’idea che potessero subodorare la verità, chiesi loro che cosa ne pensassero: credevano si trattasse di un fuggiasco, un ricercato, un romantico fuorilegge. “Tutt’al più, un alieno” soggiunsero eccitati. Li squadrai. Valutai l’opportunità di sfoderare la bacchetta e cancellare ogni traccia del fu Fergus Salamander dalle loro menti. Poi decisi che non ce n’era bisogno: il meccanismo Babbano di autodifesa aveva funzionato ancora. Sono tuttora convinto che, se anche loro avessero potuto vederlo, ingobbito e teatralmente malinconico, lo avrebbero semplicemente bollato come “il vicino pallidino dell’appartamento di fronte”.

Imparai allora che il matrimonio è una catena così pesante che a portarla devono essere almeno in tre.

 

 

 

 

 

1.       Le sezioni dell’Ufficio, com’è noto, sono tre: Sezione Spiriti, Sezione Animali e Sezione Esseri. La suddivisione nell’una o nell’altra di tutti i non-Maghi ha storicamente fatto emergere diversi problemi: gli Spiriti si rifiutavano di rientrare fra gli Esseri, nonostante la loro intelligenza umana, mentre non mancavano gli estremisti che richiedevano che i Babbani rientrassero fra gli Animali. Tutti sanno come andò a finire con i Centauri e i Goblin. Sta di fatto che la Sezione Spiriti più delle altre risentì d’una ingiusta nomea e coloro che vi lavoravano venivano sbeffeggiati e accusati di non avere alcuna importanza all’interno della gerarchia degli Uffici. “Trasparenti come gli Spiriti” fu un’offesa in voga per molto tempo. Per parte mia, posso dire di non essermi  mai sentito trasparente, eccetto che agli occhi di Kenny Strogoff dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia. Ma lui era un caso a parte: portava lenti spessissime e continuava a urtare contro le pareti.

2.       Greco e Rettilofono, il primo ad aver dato vita ad un Basilisco. Un tipo poco raccomandabile, nonostante gli eccentrici mustacchi a punta.

3.       Nota Babbanologa del secolo scorso. Godeva di grande stima nell’ambiente accademico, finché non venne fuori la sua macabra abitudine di conservare unghie, capelli e vari pezzetti di Babbani nella credenza di casa, con la speranza di attirarne altri sotto il suo tetto e poterli studiare da vicino.

4.       Misterioso e affascinante arnese, composto di fili, che rende possibile l’elettricità. Non siamo ancora riusciti a comprenderne il funzionamento, ma se è per questo nemmeno molti Babbani lo hanno fatto.

5.       Abbreviazione di “frigorifero”. Simpatico strumento che serve a mantenere al fresco il cibo e ad essere decorato con mille, inutili pezzetti metallici appiccicosi.

 

 

 

 

 

 

 

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È Lunedì, mi dicono. Tendo a disconoscere l’esistenza dei Lunedì normalmente. Comunque tendo anche a credere alle mie fonti, perciò è Lunedì. E avevo detto – anzi, molto più compromettente, avevo SCRITTO – che avrei pubblicato. Spero di non aver fatto un pasticcio, con questo capitolo. In ogni caso, ecco un po’ di note:

- Herpo lo Schifido è davvero l’inventore del Basilisco. Immagino sappiate la storia: uovo di gallina covato da un rospo. La Dirk invece me la sono inventata, come il Fantasma, il Kenny Strogoff delle note e come il detto sul Babbano e la Magia.

- Il Puffskein è citato ne Gli Animali Fantastici. È una graziosa palla di pelo, normalmente color crema e non grigio, ma possiamo supporre che Salamander non fosse molto incline alle pulizie quand’era in vita. In ogni caso, ha smesso di preoccuparsene, una volta dall’altra parte.

- Quanto al Kenny Strogoff di prima, quello praticamente cieco, non so se avete colto il riferimento. Michele Strogoff è il protagonista dell’omonimo romanzo di Jules Verne, il quale (Michele, non Jules) pensa bene di fingersi (e finge con straordinario talento) cieco, per la gioia della sua fidanzata che, ignara, se lo trascina per mezza Russia fra intemperie, disastri naturali che nemmeno in 2012 e un’invasione tartara, che, non so se sapete, non è esattamente innocua come la salsa tartara.

- Io sono fra i Babbani che non hanno mai compreso cosa esattamente sia un Impianto Elettrico.

- Dimenticavo: la frase che dà il titolo al capitolo è attribuita dal mio amico Google a Alexandre Dumas (Padre). Io gli credo.

- Tutte le vicende sulle Sezioni Animali, Spiriti ed Esseri possono essere approfondite ne Gli Animali Fantastici.

 

Fine! Segnalatemi qualsiasi cosa vi faccia storcere il naso, compreso il caso in cui sia l’intero capitolo a provocare questo sgradevole effetto collaterale.

Ho mandato tutte le caramelle a chi se le meritava ed anche tutte le cacche di Doxy. Queste ultime però dovrebbero avere un notevole effetto ricostituente, perciò non vogliatemene.

Alla prossima!

WS

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

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2.   È una grande abilità saper nascondere la propria abilità.

 

 

Ad un certo punto della mia vita, con sommo stupore della Moglie Migliore del Mondo, ottenni la cattedra di Babbanologia alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. In quanto Professore, mi capitò di essere spedito dal Preside sulle tracce di bambini nati Babbani che avevano dato chiari segni di possedere la Magia. Di solito questa circostanza impensieriva i genitori Babbani, spessissimo li confondeva, talvolta li terrorizzava, quasi mai li inorgogliva. Era molto difficile per loro comprendere di avere un figlio che, all’età di tre anni e senza alcun preavviso, aveva richiamato a sé i giocattoli senza muovere un muscolo, o una figlia che si divertiva ad intrecciarsi i capelli, quindi intrecciare la coda del gatto, quindi intrecciare qualsiasi cosa fosse intrecciabile, compresi i tubi del bagno. Così, nei casi più delicati, mi si riconosceva una competenza tale da poter trattare con i genitori senza che questi, in uno scatto d’isteria non troppo dissimile da quello che coglie i Maghi e le Streghe ai primi, disastrosi esempi di Smaterializzazione, tentassero di prendermi a randellate, cosa che in un’occasione o due sono arrivati a fare. Un tale riconoscimento delle mie qualità chiaramente mi lusingava, ma non nascondo che talvolta il pensiero che qualcuno a scuola volesse liberarsi di me ha sfiorato la mia mente1.

Venni così in contatto con una sfilza di Babbani dai comportamenti decisamente interessanti, almeno per uno studioso: una signora che andai a visitare era ancora convalescente dalla notizia che la figlia sarebbe entrata ad Hogwarts ed iniziava a tremare ogni volta che qualcuno pronunciava le parole Mago, Magia o Magenta (quest’ultima sostanzialmente per un falso allarme); un uomo sulla quarantina invece aveva la scortese abitudine di torcere il collo a chiunque si proclamasse Mago o Strega, motivo per cui i suoi figli gemelli preferirono adottare i nomi in codice dalla discutibile efficacia Goma e Gresta; e poi c’era il povero Babbano che esibiva il viso paonazzo di chi annaspa sotto un peso tremendo: nel suo caso, la consapevolezza che il figlio poteva trasfigurarlo in un coniglio alla prima sgridata. Capite come, in ognuna di queste incursioni, mi si richiedesse un intervento preciso, diciamo con un margine d’errore di un pelo di Kneazle.

Ricordo vividamente una di queste visite. Armato di buona volontà e di una copia di Babbani & Baccani: come frequentare i primi ed evitare i secondi”, mi recai in Devon, presso l’abitazione di Maggie Burke, Babbana e madre di Alphonse, un vispo undicenne che aveva da poco ricevuto la propria lettera da Hogwarts. Curiosamente, la Signora Burke non solo non sembrava aver mai notato le stranezze del figlio fino all’arrivo della lettera, ma, adesso che aveva appreso della sua natura, non se ne mostrava affatto preoccupata. Rimasi allibito: era, questa, una novità per me. In effetti la Signora Burke era colta da crucci di tutt’altra natura: ci sarà freddo ad Hogwarts? Rischia di raffreddarsi? Quanti maglioni devo dargli? E se cadesse? E se litigasse con qualcuno? E se si ammalasse? E se esplodesse? Nella sua mente – e non solo nella sua mente: anche nel suo salottino, mentre io, sprofondato nella sua poltrona a fiori, sorseggiavo del delizioso tè alla cannella – si agitavano vorticosamente le domande che ogni madre apprensiva, Babbana o meno, si pone di fronte all’incombente separazione dal figlio.

Pesano troppo le bacchette? Affatto. E se gli finissero in un occhio?  Ci vorrebbe notevole impegno per fargliele entrar tutte. Nessuna rassicurazione da parte mia sortiva il benché minimo effetto su di lei: dopo venti minuti d’implacabile pulsione inquisitoria, Maggie Burke era ancora lì, trepidante, a riempirmi la tazza di tè ogni volta che reputava ce ne fosse troppo poco, e a chiedermi in modo tutt’altro che metaforico se suo figlio avesse potuto perdere la testa o un qualsiasi arto mentre era a lezione. Mentre mi affannavo a risponderle che ogni pratica del genere era ormai caduta in disuso2 e che Alphonse, verosimilmente, non sarebbe stato decollato, spostai l’attenzione su un manufatto Babbano che stava in un angolo: “Posso chiedere di che si tratta?”, le chiesi con vivo interesse.

“Una racchetta elettrica per le mosche”, mi rispose fiaccamente.

“Oh, interessante” dissi con giubilo. “Ho sempre trovato terribilmente affascinante l’elettricità. Sa,” aggiunsi a mo’ di chiarimento, “noi non abbiamo nulla del genere.”

“No-non avete elettricità?” chiese lei, visibilmente scossa. Fu come aver dato il pepe alla Salamandra. Ricominciò a rigurgitare le sue angosce, ora corroborate dalla certezza che suo figlio non avrebbe avuto come sopravvivere in un cupo castello senza energia elettrica.

A questo punto, dovetti riparare nel territorio amico delle frasi di circostanza. Dopo aver azzardato una citazione di Beda il Bardo, mi ritirai in buon ordine e da quel momento in poi il mio contributo alla conversazione si limitò a una serie di «ah sì», « ma no, per Merlino» e «oh ma cosa mi dice». Quindi chiesi di poter conferire col piccolo Alphonse. Permesso che mi fu accordato di malavoglia.

Alphonse si trovava in una disposizione di spirito diametralmente opposta a quella della madre. Durante tutta la nostra passeggiata in giardino, non fece che saltellare, raccontandomi tutto quanto c’era da sapere sulle sue tonsille e sulla trepidazione con cui aspettava di entrare ad Hogwarts. Quindi puntualizzai: “È ben strano che non si sia verificato alcun segno di Magia, prima dell’arrivo della lettera. Di solito i bambini li manifestano ben prima degli undici anni.”

“Oh, ma a me son capitate tutte prima, quelle cose.”

Inarcai le sopracciglia.

“Sì, c’è stata la volta in cui ho fatto sparire i croccantini di Stu. Poi quella in cui l’ho fatto volare per qualche minuto. E poi quella in cui…” E andò avanti ad elencare fieramente le prodezze di cui era stato capace, la maggior parte delle quali compiute ai danni del povero carlino di casa.

“E poi ancora -”

“E come mai non hai fatto cenno delle tue gesta a tua madre?”

Lui mi rifilò uno sguardo compunto, come se fosse desolato di scoprirmi tanto stupido da non comprendere le sue palesi ragioni.

“Per non far preoccupare la mamma”. Stu si affacciò dalla porta di casa, scodinzolando. Alphonse, intercettatolo, partì di corsa e la nostra passeggiata finì lì. Non mi dispiacque: avevo saputo quanto mi serviva sapere, inoltre temevo che la madre, impensierita dall’assenza del bambino, uscisse da un momento all’altro per setacciare il giardino in cerca dei suoi resti.

Quando rientrai per salutare la Signora Burke, che tra l’altro mi aveva fatto dono di un bellissimo affettaverdure che prevedevo mi sarebbe stato invidiatissimo dai colleghi3, lei asserì con convinzione: “Non può partire per Hogwarts”. Aveva un tono sicuro, a tratti incrinato da una sottile scheggia d’isteria, della quale peraltro sembrava più che consapevole.

“Perché no?” chiesi, senza scompormi.

“Perché… ha avuto il raffreddore”.

Sbattei le palpebre un paio di volte, in risposta.

“Un paio di settimane fa” aggiunse. E sorrise, desistendo una volta per tutte dall’intento di trattenere il figlio in casa.

Sorrisi anch’io. Quindi le posi la fatidica domanda: “Davvero non si era accorta che Alphonse aveva abilità che vanno oltre le possibilità Babbane?”

Il suo sorriso divenne ironico: “Ma certo che mi ero accorta che in lui c’era qualcosa di speciale. Sapevo anche che me lo teneva nascosto per evitare che perdessi la testa.” Qui parlò in senso metaforico, certamente. “Altrimenti come crede che sarei potuta essere così preparata?!”

Le reazioni dei Babbani alla Magia possono essere varie e tutte degne d’interesse. Quella volta scoprii che non sempre preferiscono non sapere. A volte preferiscono fingere di non sapere. E nascondersi a vicenda i propri talenti. E fingere di non sapere perché gli vengono nascosti.

Dice sempre la Moglie Migliore del Mondo, dimostrando grande perspicacia, che è una grande abilità saper nascondere la propria abilità.

 

 

 

 

1.       Tuttavia potrebbe trattarsi di suggestione: in quel periodo leggevo moltissimi romanzi gialli, come “Berretto Rosso Sangue”, “Fate assatanate” e “Quella volta che un anatema squarciò le tenebre”.

2.       Nonostante le lamentele di un muffito gargoyle che un tempo stazionava al quarto piano, di fronte alle scale, e che, sputacchiando abbondantemente, usava rivendicare per sé il titolo di “autorevole pedagogo”. Fu accidentalmente infranto da un vecchio Custode intento a spolverarlo. Nessuno se la sentì di sollevare dubbi su quell’”accidentalmente”.

3.       Previsione curiosamente smentita dalla realtà. Non tutti hanno buon gusto.

 

 

 

 

 

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Eccomi qui. Sì, oops, sono passati due Lunedì.

Prima di eclissarmi, mi ritaglio uno spazietto per ringraziare tutti i recensori, seguaci e preferitori. Non ringrazio i ricordatori, perché non ce ne sono. E vi dico che il prossimo aggiornamento dovrebbe arrivare Lunedì prossimo, ma non lo garantisco per via della sessione d’esami.

Cattiva, sessione d’esami. Brutta e cattiva. Userei epiteti più coloriti, ma non vorrei si vendicasse.

A presto!

WS

 

 

Ma che dico, aspetta. La frase che dà il titolo al capitolo è tratta dalle Riflessioni morali di quel simpaticone di LaRochefoucauld.

I Berretti Rossi, diffusi nel Nord Europa, sono simili a nani e hanno la sgradevole abitudine di abitare campi di battaglia o un luogo in cui sia stato versato sangue umano. Sono particolarmente pericolosi per i Babbani che vagano solitari nelle notti buie. Tutto questo chiaramente è spiegato ne Gli Animali fantastici, non me lo sono mica inventato. Quello che ho inventato è il testo Babbani & Baccani: come frequentare i primi ed evitare i secondi, nel caso vi venisse in mente di cercarne menzione nei libri di HP.

Ok, devo aver concluso. Ciao-ciao!

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