Until the end

di _sverige_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Di arrivederci... ***
Capitolo 3: *** ... e nuovi incontri (prima parte) ***
Capitolo 4: *** ... e nuovi incontri (seconda parte) ***
Capitolo 5: *** Come anche un piano perfetto non lo è poi così tanto ***
Capitolo 6: *** Il miglior modo per cominciare ***
Capitolo 7: *** Il buon giorno si vede dal mattino ***
Capitolo 8: *** Bruises and pastries ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Si crede che ogni persona sia affiancata da un angelo che guida le sue azioni e veglia su di lei, ma pochi sanno che vicino a quest’ultimo si trovi anche un diavolo, pronto a sussurrarti seducente nell’orecchio parole di tentazione. Perché ogni uomo essendo libero deve avere le stesse opportunità sia nel bene che nel male, poiché è lui a dover scegliere la propria strada.
 
                                       Until the End

Lovino si svegliò presto quella mattina, ritrovando quasi subito quel senso d’ansia che l’aveva accompagnato anche la sera precedente  fino a quando, sdraiatosi su quel letto così accogliente, i suoi nervi non c’è l’avevano più fatta: tutta la tensione della giornata appena trascorsa si era trasformata in stanchezza che gli era piombata sulle spalle con il peso di un macigno. Così, tra un turbine di pensieri che si susseguivano in testa senza sosta,  aveva fatto ingresso nel mondo dei sogni, un solo nome in testa. Daniel.
Affondò l’avambraccio destro nel materasso facendo perno  e lentamente si issò a sedere. I suoi occhi vagarono per la stanza pigramente, soffermandosi sulle strane figure che gli ancora pallidi raggi di sole andavano a disegnare sulle pareti pastello filtrando dalle spesse tende.  I mobili mostravano appena i loro colori leggeri ma caldi ancora avvolti dall’oscurità, dando all’ambiente un’atmosfera di pacatezza e tranquillità che stonava con lo stato d’animo attuale del giovane.
 Guardandosi intorno  cominciava a sentire un senso di oppressione che lo faceva soffocare, ma il pensiero che quella sarebbe stata l’ultima volta in quella stanza per molto tempo lo fece desistere dalla tentazione si fuggire il prima possibile da quel luogo. Dunque si alzò e, per nulla infastidito dal piccolo brivido di freddo che lo aveva attraversato quando aveva poggiato i piedi sul freddo pavimento, con uno scatto aprì le ali stirandole in tutta la loro lunghezza e sgranchendole dopo una notte di immobilità. Le fece ondeggiare lentamente avanti e indietro osservando con la coda dell’occhio le piume finali che facevano capolino nella sua visuale ad ogni battito sotto forma di guizzi candidi.
Quindi a piedi nudi si avviò verso la cucina per fare colazione. Sarebbe stata di certo una giornata intensa.  Prese svogliatamente un coltello e un paio di fette di pane che si mise a ricoprire di marmellata nell’attesa di sentire i gorgoglii della moka. Affondando i denti perfetti nel pane soffice sentì già il sapore dolce e leggermente aspro delle more avvolgergli il palato e chiuse le palpebre, concentrandosi sul gusto dei frutti.
Non riusciva ancora a rendersene conto completamente. Oggi avrebbe cominciato il suo compito da angelo custode e anche se gli bruciava ammetterlo, aveva paura. Paura di non essere adatto a quel ruolo, di non riuscire a proteggere il suo umano. Paura di non essere all’altezza. E già che c’era, un po’ di timore nei confronti di quel diavolo che avrebbe tentato il suo protetto per condurlo lontano dalla retta via. Già, il suo “avversario”, chissà com’era. Se l’era chiesto spesso ultimamente, già immaginandosi un essere senza cuore o qualsivoglia intenzione positiva, dall’anima oscura come il luogo dove lui e i suoi simili erano stati confinati dal tradimento di Lucifero. Lovino era sempre stato segretamente affascinato da quel mondo così diverso dal proprio, ritrovandosi a pensare che forse lui, in quel mondo così perfetto e puro, era fuori posto, sbagliato,  per poi vergognarsi  dei propri pensieri:  un angelo che desiderava essere demone. Inaccettabile.  Scacciò via quei ragionamenti e mandò giù l’ultimo sorso di caffè: doveva ancora vestirsi ed era inutile pensare a come un demone sia visto che nel giro di poche ore avrebbe incontrato quello che gli sarebbe stato accanto per molto tempo da lì in poi.


Mi dispiace per la lunghezza del capitolo, sperando in bene il prossimo sarà più lungo. Questa è la versione corretta, ma se ci sono altri errori non esitate a segnararli. Ovviamente recensioni e critiche sono ben accette. A presto, Sve.
E complimenti per essere arrivati in fondo!

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Capitolo 2
*** Di arrivederci... ***


CAPITOLO I                Di  arrivederci…

Lovino buttò un’occhiata all’orario segnato dalla radiosveglia: le undici e dieci. Mancava ancora più o meno tre quarti d’ora all’incontro con il suo superiore, tempo che non voleva di certo passare a rimuginare per poi  farsi solo venire paranoie inutili. Decise che sarebbe andato a salutare i piccoli al centro.

Chiuse la porta e fece scattare la serratura un paio di volte, per poi infilare le chiavi in tasca e incamminarsi lungo la stradina lastricata. Si stava lasciando alle spalle non solo la casa che lo aveva ospitato per gli ultimi quattro anni, ma anche un capitolo della sua vita. Il marmo bianco emetteva un piacevole tepore che scaldava le piante dei piedi dell’angelo e le leggere irregolarità della pietra provocavano una strana sensazione, quasi come un massaggio.
Guardandosi intorno Lovino arrivò alla conclusione che no, non gli sarebbe mancato poi così tanto il Paradiso: ovunque guardasse il bianco che contraddistingueva tutte le abitazioni e in generale ogni cosa, feriva i suoi occhi poiché colpito dai raggi del sole ormai alto nel cielo. Si sentiva a disagio a camminare in quel candore, quasi una macchia che con il proprio colore scuro risaltava richiamando subito l’attenzione degli altri. Era una cosa stupida, lo sapeva bene anche da solo, e ovviamente non era l’unico che camminava per strada, ma la sensazione di avere degli occhi puntati su di sé non lo abbandonava comunque.

-Ehi  Lovino!- una voce trillante lo fece sussultare: perso nei suoi pensieri non si era nemmeno accorto di essere arrivato a destinazione.
-Ciao Bella, come va?- Davanti a lui l’angelo a parer suo più bello che avesse mai incontrato. I capelli biondi sfioravano appena le spalle ondeggiando con il resto del corpo a causa del vigoroso saluto che la ragazza gli stava dando. Quello che però colpiva di più della giovane non erano né le ali, tanto bianche da parer splendere di luce propria, ne l’aureola altrettanto brillante, ma gli occhi.  Di occhi così Lovino non ne aveva mai visti. Un verde così particolare, così vivo. Sembravano trasmettere e amplificare le emozioni della ragazza e solo a guardarli sentivi un sorriso nascere spontaneo sulle labbra.
L’angelo inclinò leggermente la testa di lato aggrottando le sopraciglia, per poi arricciare le labbra in un sorriso da gatto e ridacchiare piano.
-Oh Lovi, io sto bene grazie, ma non sono io che tra poco scenderò sulla Terra per la prima volta. Dimmi, sei nervoso? Beh, ovvio che lo sei. E non fare quella faccia che sai che ho ragione: non è la prima volta che la sorellona vede uno dei suoi piccoli partire- Lovino arrossì a quelle parole. Bella riusciva sempre a leggere dentro gli altri e con lei era inutile cercare di mantenere il comportamento distaccato di chi se ne frega.
-Sono cresciuto ormai, dovresti smetterla con quel soprannome: è abbastanza imbarazzante- disse, sentendo le guance andare a fuoco.
L’altra si avvicinò sempre sorridendo e con una mano gli scompigliò giocosamente i capelli. –Perché?  Tu per me sarai sempre quel piccolo angioletto scontroso e imbronciato che ogni sera mi rincorreva per il bacio della buonanotte-. Lovino alzò la testa di scatto, per poi riabbassarla a guardarsi i piedi, paonazzo in volto.                                 
Anche se si presentava come una giovane donna di massimo venticinque anni,  in realtà Bella era in Paradiso da più di un secolo oramai. Dopo il suo primo incarico da angelo custode aveva deciso che non avrebbe avuto altri protetti : la morte e il distacco dal suo primo umano l’aveva distrutta: passare anni al fianco di una persona, condividere con essa gioie e dolori per poi vederla morire senza poter far niente era stato straziante e lei si non voleva mai più riprovare un dolore simile, non l’avrebbe sopportato.  Da molto tempo quindi  si prendeva cura dei giovani angeli nella grande casa che gli accoglieva e ospitava fino ai sedici anni di età. Da questo il soprannome “sorellona”, che lei stessa si era attribuita. Passava le giornate a giocare con i più piccoli o aiutando i più grandicelli con i compiti, leggeva a tutti una fiaba prima di dormire ed era sempre disponibile ad farti un posticino nel letto se gli incubi tormentavano il tuo sonno. Il piccolo Lovino si era preso una cotta per lei che però col tempo era scomparsa, lasciando il posto ad ammirazione ed affetto verso colei che era stata come una madre.
Il ragazzo cercò di lasciar cadere l’argomento “bacio” per evitare che altri ricordi imbarazzanti della sua infanzia tornassero alla luce e il suo sguardo scavalcò la bionda andandosi a posare sulla porta alle sue spalle.
-Sono venuto a salutare gli altri prima di partire. Hanno lezione adesso?- Riportò l’attenzione sul viso della giovane in attesa di una risposta.
-No no tranquillo, dovrebbero essere dentro a giocare a quest’ora- assunse un’espressione crucciata –e anch’io a quanto pare non dovrei essere qua fuori: devo sbrigarmi ad andare a preparare la mensa-. Gli schioccò velocemente un bacio sulla guancia e con un: -Buona fortuna e fagliela vedere a quel diavolo chi è il mio angioletto scontroso- scomparve oltre la porta, lasciando dietro di sé l’eco di una risata cristallina.
Lovino accennò un sorriso divertito e scuotendo la testa si avviò anch’egli dentro l’edificio.

Non sentendo alcun rumore e insospettendosi di tale e innaturale tranquillità, si azzardò ad aprire bocca
-Ehi marmocchi ci siete? Sono ven- non riuscì a finire la frase che sentì qualcuno agguantargli le gambe da dietro e delle braccia stringersi attorno al suo collo. Il peso improvviso del corpo a cui quelle braccia erano attaccate lo fece sbilanciare pericolosamente in dietro e ricorse a tutta la sua bravura per riacquistare l’equilibrio. Allungò un braccio verso la schiena e le sue dita si strinsero attorno a della stoffa. Provò a tirare, ma il suo piccolo assalitore per salvarsi si aggrappò alle sue ali tirandogli le piume, cosa che gli fece accapponare la pelle. Doveva cambiare tattica se ci teneva ad arrivare tutto intero all’incontro. Mollò la presa su tessuto per poi mettersi a muovere le dita freneticamente contro quello che doveva essere il fianco del bambino. Pochi secondi dopo era di nuovo libero.
Voltandosi si trovò davanti due visetti sorridenti. Victoria e Peter lo guardavano dal basso con aria soddisfatta e una luce furba negli occhi. Quei bambini erano delle pesti: iperattivi all’inverosimile, saltellavano come cavallette impazzite per l’edificio combinando guai e rischiando di farsi del male per davvero. Ma comunque tutti li volevano bene, uno sguardo e si veniva contagiati dalla loro vitalità, ritrovandosi senza accorgersene a contare mentre quei due si nascondevano in qualche angolo sperduto.

-È vero che oggi vai sulla Terra? Come si chiama il tuo umano? E il diavolo? Ne hai mai visto uno? Secondo me sono grandi, sporchi, brutti e stupidi, con i denti storti e l’alito che puzza di zolfo. Vero Vì?- e mentre parlava mimava le sue parole, in un qualcosa che ricordava a Lovino più una specie di gorilla che un demone.
Quello che aveva preso la parola era Peter, un bambino biondo dagli occhi azzurri che gli arrivava poco al di sopra della vita, con un grande amore per gli animali e il mare, anche se non l’aveva mai visto dal vivo.  Parlava girato verso la sua compagna di avventure, Victoria, che in quel momento era impegnata a legarsi i lunghi capelli castani in una coda a lato della testa. Non sembrava dare tanta importanza al discorso dell’amico e guardandola si aveva spesso questa impressione, ma osservando bene si poteva notare dei suoi occhioni marroni una scintilla di interesse accendersi quando il biondino apriva bocca. Quando non ha lezione e non è in giro con Peter, la si può trovare a disegnare o dipingere seduta sul suo letto ignorando le macchie che giorno dopo giorno andavano a colorare il copriletto, essendo l’arte una sua grande passione.

-Ma tu respiri anche o parli a macchinetta fino all’asfissia?- Lovino puntellò le mani sui fianchi e finse un’espressione arrabbiata –Mi stavate per far cadere prima. Se non fosse stato per il mio fisico così tonico e allenato- aggiunse facendo ridere i più piccoli- a quest’ora saremmo ancora tutti a terra a massaggiarci il sedere-. Lovino normalmente non si sarebbe comportato in quel modo, ma con quei bambini era diverso. Gli aveva visti crescere e ci si era affezionato. Lo conoscevano tanto quanto lui conosceva loro e forse anche di più.
-Andando per ordine: sì, oggi scenderò nel mondo degli umani, il nome del mio protetto è Daniel, non so niente del mio partner e non ho mai visto un demone anche se sinceramente non penso sia come l’hai descritto. O per lo meno lo spero-.
-Lovino, a che ora hai l’incontro?- la voce di Victoria si fece sentire per la prima volta in quella giornata.
–Beh, devo essere ai cancelli per mezzogiorno… Perché?-
La piccola alzò un sopraciglio e con un sorrisino di superiorità fece un cenno con la testa verso l’orologio a muro. Meno cinque. Merda. L’angelo si alzò di scatto e, stretti i due bambini in un abbraccio veloce, corse verso l’uscita rischiando di inciampare varie volte su giocattoli, pennarelli e altri oggetti disseminati per la stanza.
Peter rimase in silenzio fino a quando i passi del maggiore non si sentirono più, allora si girò verso l’amica: -Secondo me non ce la fa- la quale rispose sghignazzando: -La vedo dura-
Soddisfatti dalle loro previsioni e affamati si diressero quindi verso la mensa, dove la sorellona Bella li stava aspettando con chissà quale manicaretto.

 
 
L’incontro inizialmente doveva essere in questo capitolo, ma poi mi sono persa a parlare di altro. Morale? Sve sa seguire le sue scalette mentali alla perfezione.  E mi dispiace se Lovino vi sia sembrato Occ, ma anche lui ha la sua parte dolce(?). Comunque dal prossimo capitolo ritornerà in parte il Romano scazzato di sempre.
Per chi non lo sa, ho modificato leggermente alcune frase dell’introduzione per rendere il tutto più scorrevole. Le recensioni e critiche sono sempre gradite.
Sve

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Capitolo 3
*** ... e nuovi incontri (prima parte) ***


CAPITOLO II        … e nuovi incontri ( prima parte)

Merda, non poteva essere in ritardo proprio quel giorno.
 Arrivare fino alla porta non mai era stato tanto difficile: complici la fretta e l’agitazione, e di certo l’essere scalzo e dover attraversare corridoi minati di mattoncini Lego non aiutava, proprio compiendo l’ultimo passo verso l’uscita inciampò in qualcosa di non ben definito. Il suo naso si risparmiò un incontro particolarmente ravvicinato con il pavimento solo perché il ragazzo riscì ad artigliare all’ultimo gli stipiti della porta e così a portare avanti una gamba. Gamba che poi distendendosi con un movimento continuo e fluido aveva dato la spinta necessaria al giovane per spiccare il volo. Quello era il modo più veloce per raggiungere un luogo e l’ultima possibilità di Lovino di arrivare in orario o per lo meno con un ritardo decente.
 
Planò con ben poca grazia e attingendo alle sue ultime energie corse verso la sua maestra. Aveva fatto il più veloce possibile e ora era lì, piegato sulle ginocchia con il fiatone e il sangue che pulsava dolorosamente nelle tempie. 
Aggrappandosi all’inferriata dell’enorme cancello dorato alle sue spalle si rimise in posizione eretta. La donna di fronte a lui lo osservava con espressione tranquilla, ma dagli occhi color oliva trapelava una nota di divertimento.
-M-amph, mi scusi Hellas. Amph. Ero andato a trovare gli altri -amph- al centro e non mi sono accort-amph-o dell’ora- dovette fermarsi parecchie volte per riprendere fiato. Eppure non aveva mai pensato di essere tanto scarso nella resistenza.
 L’altra in risposta mosse leggermente la mano destra a tranquillizzarlo
-Di cosa ti dovresti scusare? Sei in perfetto orario- e sorrise pacatamente. Hellas era arcangelo e insegnante per i giovani angeli che come lui si stavano preparando al primo incarico. Vestiva con una semplice tunica bianca leggermente stretta in vita e che si intrecciava sul davanti all’altezza del seno, mentre tra i lunghi capelli castani raccolti sulla nuca si potevano notare sottili fili dorati che mandavano guizzi luminosi quando colpiti dai raggi solari. Agli occhi di Lovino, quella donna dall’aspetto a prima vista così normale, appariva come un qualcosa di intoccabile, incorruttibile, quasi come se perennemente avvolta in un’aura di saggezza e superiorità. Guardandola si stupiva sempre nel pensare che quelle mani che aveva visto sempre muoversi con eleganza e grazia durante le spiegazioni potessero uccidere con altrettanta facilità. Non riusciva a concepire l’idea che un essere tanto perfetto potesse ricoprirsi di sangue, anche se era consapevole che era possibile e probabilmente era già successo.
 
Hellas si avvicinò al cancello e al suo tocco questo si aprì.
-Lovino, ora dovremmo andare- il suo tono era dolce e gentile, come quello di una madre che raccomanda al figlio di fare il bravo. Il ragazzo pensò che mancava solo un bacio in fronte e la scena sarebbe stata perfetta, ma si limitò a seguire l’arcangelo oltre l’inferriata. Non sarebbe stato un viaggio molto lungo, una decina di minuti di volo al massimo. Con un silenzioso battito d’ali Hellas si staccò dal suolo e aspettò che anche Lovino facesse lo stesso per poi allontanarsi assieme a lui.
Lovino tenne lo sguardo basso lungo tutto il tragitto mentre l’insegnante gli spiegava cosa sarebbe accaduto a breve. Nel frattempo osservava le loro ombre proiettate sulle nuvole sottostanti e si rese conto di come le ali della donna fossero indubbiamente più grandi delle sue. Girando un po’ la testa riusciva a vederne le piume. Erano diverse dalle sue: azzurro chiaro invece che bianche, presentavano sulle punte delle sfumature dorate, segno distintivo di tutti gli arcangeli.
Atterrarono davanti ad un grande portone di legno intagliato, lasciato aperto appena per consentire il passaggio ad una persona adulta. Man mano che si addentravano nella struttura la luce diminuiva sempre più, fino a quella che doveva essere l’anticamera  della sala centrale dove ormai si era ridotta a poco più del bagliore soffuso che poteva dare una candela.
 
Hellas si voltò verso di lui e gli chiese se era pronto. In tutta risposta Lovino cominciò a cercare mentalmente degli espedienti per riuscire a posticipare il più possibile l’entrata nella stanza. No, non era pronto. Anche se per tutto il tempo non aveva fatto altro che ripetersi che era preparato, che aveva studiato e lavorato duramente in attesa di quel giorno, che ce l’avrebbe fatta, in quel momento era semplicemente preso dal panico. Senza mai distogliere lo sguardo dal viso della donna e con un’espressione allucinata in volto, Il ragazzo infilò una mano in tasca e ne estrasse il mazzo di chiavi.
-Credo- fece una pausa –credo che queste non mi serviranno per un po’- e detto questo allungò la mano verso l’arcangelo. Questa, vedendolo in quello stato, sorrise intenerita e prendendo il mazzo fece comparire una busta al suo posto.
- Non so se ti serviranno veramente, ma meglio essere prudenti-. Lovino sbirciò il contenuto curioso mentre l’altra continuava: -C’è una carta di identità di nazionalità italiana e un po’ di soldi. È tutto dentro il portafoglio. Non so che farai una volta sulla terra, ma non si sa mai cosa potrebbe succedere-. Detto questo poggiò una mano sulla spalla del giovane e, vedendo che questi esitava davanti la soglia della porta, gli diede una leggera spinta.
 
La stanza era più piccola di quanto si aspettasse e, con stupore di Lovino, quasi completamente vuota. L’unico arredo infatti era rappresentato da un grande specchio collocato sulla parete alla sua destra,  al quale si poteva accedere solo scendendo nella parte centrale della sala, ribassata rispetto al resto.
Lo sguardo del giovane continuò ad esplorare il posto finché non si posò sulla figura di un uomo: ad una ventina metri  di fronte a loro c’era il demone più grande ed spaventoso che Lovino avesse mai visto. Non che ne avesse incontrati altri prima di allora, ma era più che certo che non ne potevano esistere di peggiori. Alto come minimo un metro e novanta, aveva ali e coda nero pece. Dai capelli scuri sputavano un paio di corna simili a quelle di un ariete mentre gli occhi rosso sangue scrutavano attentamente i nuovi arrivati. L’angelo era atterrito: avrebbe dovuto davvero competere con quello? Le cicatrici biancastre che gli segnavano  la pelle scura e la protezione metallica che copriva la spalla sinistra e parte del pettorale davano all’osservatore l’impressione di stare osservando un guerriero antico.
-Buongiorno Carthalo- la voce di Hellas interruppe il silenzio. Il demone spostò, con grande sollievo del ragazzo, lo sguardo sull’arcangelo e rispose al saluto:
-Buongiorno anche a lei, Hellas-

“Se si salutano così” pensò Lovino “ vuol dire che si conoscono. Ergo lui non può essere il diavolo giusto” concluse infine speranzoso. La conferma a questa teoria arrivò pochi secondi dopo
-Questo, Lovino, è Carthalo, preparatore di giovani demoni-. Mentre parlava la donna cominciò ad avanzare verso il centro della stanza e per istinto il giovane la seguì.  -Come me lui ha il compito di educare i novizi… A proposito, dov’è il tuo ragazzo Carthalo?-
Solo quando qualcuno gli atterrò improvvisamente davanti, Lovino registrò la presenza di un’altra persona nella stanza: a pochi centimetri dal suo viso dei grandi occhi verdi lo fissavano con interesse. Colto di sorpresa si allontanò immediatamente indietreggiando di un passo. 




Questa è la prima parte del secondo capitolo: non amando le cose troppo lunghe ho deciso di dividerlo (anche se in realtà non sarebbe così infinito). Non voletemene per questo. Lo dedico alla Spa perché è stato il suo compleanno, che per farmi felice direbbe che la Spamano è meravigliosa. Senza sapere cosa sia la Spamano e Hetalia in generale.
Ci vediamo nella seconda parte .
Sve
 

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Capitolo 4
*** ... e nuovi incontri (seconda parte) ***


CAPITOLO II        … e nuovi incontri ( seconda parte)

Dire che gli era presso un colpo era riduttivo: aveva letteralmente sentito in cuore fermarsi per poi ripartire come se impazzito. Scoccò un’occhiataccia in direzione del nuovo arrivato. Lui era quasi morto d’infarto e quell’altro che faceva? Se ne stava lì a sorridergli innocentemente come un bambino. Che poi, quando mai si era visto un demone con un’espressione  così… cercò la parola adatta… così ebete non lo sapeva.
La tentazione di gridargli contro tutto quello che pensava su quell’ apparizione così improvvisa era molto forte, ma si limitò ad assumere un’ atteggiamento distaccato: lui era superiore a queste cose. E soprattutto la sua maestra, essendo solo a pochi passi  di distanza,  avrebbe sentito ogni singola parola: tenendo conto che la metà di quelle che aveva in mente non erano esattamente carine preferì quindi  tenere la bocca chiusa.
Lovino diede un’ occhiata al giovane demone. Doveva avere più o meno la sua età o per lo meno questo dimostrava. La coda, come le ali, era di un rosso scuro, quasi bordeux, mentre le corna che facevano capolino tra ricci scuri del ragazzo, erano di una tonalità leggermente più accesa. Al contrario del proprio preparatore, il suo… partner? Collega? Il tizio che gli stava davanti vestiva in modo più moderno: pantaloni neri e larghi stile rapper, maglia rossa con stampa nera a motivi geometrici sul fondo e maniche fino sopra il gomito e ai piedi un paio di sneakers.
Tutto sommato gli era andata abbastanza bene: l’altro non assomigliava al ritratto di diavolo fatto da Peter, era più vestito di quanto si aspettasse (si era preparato a qualcuno mezzo nudo) e dalla faccia non sembrava molto sveglio. Forse non sarebbe andata così male.
 
Dall’altra parte anche Antonio stava facendo le sue prime considerazioni. Il ragazzo di fronte a lui non si avvicinava molto all’immagine di angelo che aveva sempre avuto in testa: non era biondo e riccio, non aveva gli occhi azzurri e di certo quello che vedeva era un sorriso felice. Il suo angelo aveva capelli castano scuro, occhi marroni con sfumature verdi e un un’espressione sul viso che poco si addiceva al suo ruolo. Siccome l’altro non sembrava intenzionato a cominciare una conversazione fu Antonio a rompere il ghiaccio:
-Hola! Yo soy Antonio, encantado de conocerte. Da oggi lavoreremo insieme. Sono così emozionato, tu no? È il mio primo incarico sai. Tu invece sei il primo angelo che incontro: sei un po’ diverso da come ti avevo immaginato… Niente gonna?-
Lovino si sentì sommerso e disorientato da tutte quelle parole. Era normale che quell’altro parlasse così tanto? Se solo dopo pochi secondi era già assalito dalla desiderio di tappargli la bocca, si chiedeva come avrebbe fatto a sopportarlo per anni e anni durante il soggiorno sulla Terra. E poi “niente gonna”, di cosa stava blaterando?
-Sentimi tu, mi dispiace se come angelo ho deluso le tue aspettative, ma noi non portiamo gonne, che poi sarebbero tuniche ad essere precisi. Sai com’è, il ventunesimo secolo è arrivato anche in Paradiso-  e dicendo questo si puntò gli abiti: dei pantaloni leggeri di cotone panna chiaro e una maglia bianca con le maniche a tre quarti e scollo a V. Soddisfatto di se stesso per la risposta data tornò a guardare il demone che però non lo stava più ascoltando
- Sembrano quelle di un piccione- disse infatti questi alludendo alle ali dell’altro. Lovinò si accigliò, se possibile, ancora di più. Come osava quell’essere sminuire così le sue splendide ali.
-Ehi, no-
-Beh, a pensarci bene sarebbero più simili a quelle di una colomba -
-Smet-
-O a quelle di un cigno magari-
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Antonio sarebbe morto agonizzante tra le più atroci sofferenze. Lovino non poteva accettare commenti sulle proprie ali da uno che ne aveva un paio da pipistrello: un’ altra parola e gli avrebbe fatto vedere di cosa era capace il “piccione”. Era già pronto a dar battaglia quando lo vide avvicinarsi concentrato su qualcosa alle sue spalle
-Ascoltam- Ehi, che fai? Ehi! Non toccare! No. Ho detto no. Fermo! Guardare ma non toccare. Guard-giù le mani!-
-Mmh… Lovino, ¿cierto? Ven aquì. No te haré daño- 
-Cosa?! Fermo lì. No! Non ti avvicinare sai?! No. No. NononononAHHHH! HO DETTO FERMO! HELLAS! HELLAS, MI AIUTI! E tu stammi lontano! SmettilAAAAH!-
 
Quella che i due preparatori avevano davanti non era una scena che di certo si vedeva tutti giorni: un Lovino visibilmente sconvolto indietreggiava saltellando ad ali spiegate rischiando inoltre di inciampare nei suoi stessi piedi, mentre un Antonio sorridente lo inseguiva cercando di toccare quelle piume così bianche.
-E sólo para un segundo. Por favor Lovinito!-
-“Lovinito” un cazzo! Non ti avvicinare bastardo!-
Hellas li guardava composta come sempre. Carthalo invece si era portato una mano sul viso e scuoteva la testa avvilito chiedendosi se fosse stato un buon maestro. Decise che bisognava mettere fine a quella situazione assurda.
-ORA BASTA VOI DUE!- la voce tuonante dell’istruttore rimbombò improvvisamente per la stanza facendo pietrificare i due giovani sul posto. Solo pochi minuti prima Lovino si era ripromesso di non voler mai vedere arrabbiato quel demone già spaventoso di suo e ora ero perfino l’oggetto della sua ira: bel modo di cominciare. Proprio quando la situazione sembrava sul punto di peggiorare ulteriormente che  la voce delicata di Hellas si fece sentire, tranquilla e per niente turbata
-Credo sia per voi ora di partire. Sapete già tutto, ma mi raccomando: è il primo compito per entrambi quindi cercate di non strafare. Ricordatevi che gli umani possono avere sì due scelte, ma devono decidere da soli che strada seguire. Lovino, Antonio- guardò i ragazzi –Vi auguriamo buona fortuna- e così dicendo si spostò di lato, lasciando libero il passaggio verso lo specchio.
 
Senza degnare di uno sguardo il suo assalitore, Lovino cominciò ad avanzare lungo il piccolo corridoio. La superficie dello specchio prese a liquefarsi lasciando spazio ad una nebbiolina tanto densa da formare una specie di muro volatile ed impalpabile. Arrivatogli di fronte l’angelo allungò una mano curioso: il modo in cui i riccioli di vapore si intrecciavano alle sue dita era affascinante e la sensazione fresca che lasciavano sulla pelle piacevole. Ne era quasi ipnotizzato. Rimase lì a giocare muovendo le dita finché sentì dei passi alla sua sinistra: Antonio era ora al suo fianco, pronto ad essere inghiottito dalla foschia.
Era il momento. Prese un profondo respiro e…
-Antoine, Antoine!-
 Una voce sconosciuta riempì l’aria. Leggermente seccato per l’interruzione, l’angelo si voltò in tempo per vedere un demone varcare la porta da cui probabilmente erano entrati anche Carthalo e quell’altro essere. L’uomo si fermò davanti ad Antonio: i lunghi capelli mosse gli ricadevano disordinatamente sul viso arrossato, mentre il respiro era irregolare molto probabilmente a causa della corsa che aveva fatto per arrivare lì. Con una mano si sistemò le ciocche bionde rivelando così gli occhi di un azzurro intenso
-Antoine- cominciò assumendo un’espressione offesa- volevi andartene senza salutarmi? Stamattina vengo a casa tua e cosa scopro? Che te n’eri già andato-
-Scusami Fran… è che Carthalo è arrivato presto per finire gli ultimi preparativi e mi ha letteralmente trascinato di peso fuori dal letto- chissà perché Lovino non faceva fatica a crederci- Io avrei voluto veramente salutarti, ma non ho fatto a tempo- sembrava davvero dispiaciuto.
-Ne t'inquiète pas: ora che mi hai visto puoi partire senza rimpianti. A proposito, se una incontri Gilbert salutamelo: dovrebbe essere dalle tue parti se non ricordo male. E speriamo di riuscire a fare una rimpatriata visto che tra un paio di settimane scenderò anch’io-
-Sería genial, ma adesso devo proprio andare: non sembra che Lovino apprezzi molto l’aspettare-
Per la prima volta il demone biondo sembrò accorgersi dall’angelo. Dopo averlo studiato per alcuni secondi distese la bocca in un sorriso lascivo e ammicò. Lovino sentì un brivido attraversargli il corpo.
-Allora a presto, mon amie- e allontanandosi mollò  una sonora pacca sul sedere all’amico. La risata cristallina di  Antonio invase la sala
-Jajajajaja, ci vediamo Francis-
 
Il diavolo si rivolse al ragazzo al suo fianco –Hey Lovinito, vogliamo andare?-
Lovino, ancora scioccato dalla scena a cui aveva appena assistito, in quel mmomento giurò che non avrebbe mai lasciato Daniel nelle mani di quel demone. Per nessun motivo al mondo. Si voltò verso Antonio più determinato che mai
-Preparati, perché ti faro il culo- disse, per poi tuffarsi nel vapore.
Il demone guardò la schiena dell’altro scomparire tra i mulinelli candidi e con una nuova espressione in volto lo seguì.
 -Non vedo l’ora, Lovinito-
 
 
 
Ed ecco la seconda parte! Questo capitolo è stato un parto: prima a pensare all’identità degli istruttori (Carthalo sarebbe Cartagine. Non so perché l’ho scelto,ma mi ispirava troppo), poi ai vestiti (dove ho perso più tempo in assoluto, mettendomi perfino a fare i bozzetti per capire se andavano bene) e infine per la mia momentanea incapacità di mettere due frasi in croce decentemente. D’ora in poi gli aggiornamenti saranno settimanali (salvo eventi catastrofici, tipo scuola)
Sperando in un futuro migliore (un italiano che si possa definire tale) e in molte recensioni vi brofisto (insomma… quello)
Sve
 

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Capitolo 5
*** Come anche un piano perfetto non lo è poi così tanto ***


CAPITOLO III           Come anche un piano perfetto non lo è  poi così tanto
 
Aveva già preso in considerazione quell’ipotesi un paio di volte, ma mai seriamente. Di norma erano i demoni a prendere forma umana per avere più possibilità di tentare le vittime, mentre gli angeli preferivano rimanere in quella spirituale, seguendo i propri protetti silenziosamente e non intervenendo quasi mai in prima persona. Ma quello era un caso particolare: Lovino era pronto a tutto pur di tener Daniel il più lontano possibile sia dai pericoli che da quel diavolo, Antonio, e se per fare questo avrebbe dovuto fingersi umano, beh, l’avrebbe fatto.
Normalmente i custodi venivano a conoscenza dell’identità del proprio umano solo pochi giorni prima della partenza, duranti i quali era concesso osservare la loro vita sulla Terra, in modo da poterli comprendere e decidere il modus operandi più opportuno a seconda dei casi.
All’inizio Lovino aveva deciso di seguire la decisione di molti altri angeli e limitarsi a vegliare su Daniel, ma l’incontro con Antonio gli aveva fatto cambiare drasticamente idea.
Cercando di evitare le pozzanghere che si stavano andando a formare, l’angelo uscì dal vicoletto dove era atterrato e si diresse velocemente verso la sagoma rossa che spiccava poco più avanti in quello sfondo così grigio. Entrato nella cabina telefonica cacciò fuori degli spiccioli dal portafoglio e, premendo sui pulsanti consumati,  digitò un numero.
 
Daniel stava chiacchierando allegramente con il ragazzo alla sua destra, incontrato poco prima all’entrata dell’edificio, quando sentì improvvisamente il telefono vibrare in tasca.
Scusatosi con l’altro, si affrettò a rispondere.
-Pronto?-
-Mi scusi, parlo con Daniel Héderváry?- la voce che proveniva dall’apparecchio, anche se leggermente alterata, apparteneva di certo ad un giovane.
-Si si, sono io, posso fare qualcosa? E puoi darmi pure del tu-
-Ah, ok. Ho chiamato a proposito dell’appartamento… Ho visto il volantino e mi chiedevo se stai ancora cercando un coinquilino?-
-Certo, il locale può ospitare fino tre persone. Quando pensi di venire?-
-Ora. Però ci sarebbe un piccolo problema- un silenzio imbarazzato scese sulla chiamata- Vedi... ecco, come posso dire… non so dove andare-
Daniel era perplesso: quel ragazzo voleva abitare in un posto senza neanche sapere dove fosse. A pensarci bene però non era poi così strano: probabilmente si era appena trasferito a Londra o qualcosa del genere. Mosso dal senso di solidarietà per un altro straniero come lui, dall’accento si poteva facilmente dedurre che non fosse inglese, e memore dei suoi primi giorni in quella città così caotica, decise di aiutarlo.
-Senti, dimmi dove sei che ti vengo a prendere o mando un taxi-
-Victoria Station- Ora che ci faceva caso, poteva sentire molte voci in sottofondo.
-Oh, ma allora non è distante. Dieci minuti al massimo e sono lì, tu aspettami fuori-
-Va bene, a tra poco- la voce dell’altro sembrava più sollevata di prima
Il giovane chiuse la chiamata e si voltò sorridendo mesto verso il ragazzo con cui stava parlando prima dell’interruzione.
-Scusami, ma devo andare a prendere il nostro nuovo coinquilino- gli lanciò un mazzo di chiavi e si armò di ombrello –Tu intanto va avanti, torno subito-
L’altro ridacchiò divertito e gli fece segno di non preoccuparsi, quindi si incamminò lungo la rampa di scale.
 
Solo quando fu alla stazione, Daniel si rese conto di aver tralasciato un piccolissimo particolare: lui non aveva la ben che minima idea di chi dovesse cercare. Cominciò a guardarsi attorno freneticamente in cerca di un qualcosa che lo potesse aiutare, ma tutto quello che riusciva a vedere erano una moltitudine di ombrelli colorati e persone troppo impegnate e nervose per potersi fermare anche solo un momento a riposare.
 E ora? Come avrebbe fatto a trovarlo? Preso dallo sconforto, non si rese conto che qualcuno gli si era avvicinato finché non sentì una mano picchiettargli sulla spalla.
Davanti a lui un ragazzo poco più basso si stava sforzando evidentemente di sorridergli in modo cordiale, ottenendo però scarsi risultati data la sua strana smorfia più simile a un ringhio di qualche animale selvatico, cosa che tra l’altro ricordava. Certo, l’essere bagnati fradici e non sapere dove andare erano giustificazioni più che valide per quell’espressione.
Subito Daniel si premurò di coprirlo con l’ombrello portandoglisi più vicino. I capelli castani appiccicati al viso del giovane ne ricalcavano perfettamente l’ovale, mentre gli abiti leggeri facevano lo stesso con il suo corpo. La cosa però che in quel momento lo colpì maggiormente fu l’assenza di calzature: d’istinto controllò il terreno circostante in cerca di tracce di sangue, ma con sollievo non ne trovò.
D’un tratto udì quello che era poco più di un roco sussurro e riconobbe, anche se leggermente diversa, la voce che aveva sentito al cellulare.
-Piacere, Lovino- spostò lo sguardo sulla mano che l’altro gli stava tendendo e stringendola si presentò a sua volta.
 
Mentre i due si incamminavano verso casa la pioggia aveva cominciato a ticchettare gradualmente sempre più violenta sulla stoffa scozzese dell’ombrello, sovrastando tutti gli altri suoni e riempiendo l’aria londinese con la sua particolare melodia. Accompagnati da quel rilassante sottofondo, in pochi minuti entrambi i ragazzi si persero tra i loro pensieri lasciando cadere la conversazione appena abbozzata.
 A Daniel ronzavano in testa un sacco di domande, ma, ritenendo che sarebbe apparso troppo indiscreto, si trattenne dal chiedere.  Sperò comunque che al momento giusto il ragazzo gli avrebbe risposto spontaneamente. Si chiedeva chi fosse Lovino, perché l’avesse trovato sotto la pioggia battente, come mai non avesse né scarpe né bagaglio. Più il tempo passava, più domante si accumulavano e affollavano la sua mente e più le parole premevano per uscire.
Dal canto suo, l’angelo osservava di nascosto il proprio protetto attento a non essere scoperto, richiamando alla memoria le informazioni acquisite durante i precedenti giorni di osservazione. Daniel Héderváry, ungherese di nascita e trasferitosi in Inghilterra per studio grazie a un speciale concorso indetto dalla sua nazione. A causa del suo disperato bisogno di non sforare il budget offertogli dalla scuola, ha trascorso un intero pomeriggio tappezzando i muri londinesi di volantini,  deciso a trovare qualcuno con cui dividere le spese di un appartamento. Single, finite le lezioni all’università aiuta in una fioreria per permettersi qualche extra. Niente droga o grandi bronze, benvoluto da conoscenti e compagni di corso, disponibile e gentile perfino con gli estranei: l’orgoglio di ogni angelo custode. Era felice di essere stato assegnato a quel ragazzo: era un tipo con la testa sulle spalle, ma che sapeva anche divertirsi come si addiceva a qualcuno della sua età e a Lovino, le persone che prendevano tutto troppo seriamente, non erano mai andate molto a genio.
 
La voce squillante dell’ungherese si fece risentire solo quando furono in vista di grande palazzo panna dall’aria vissuta che Lovino scoprì essere il luogo dove avrebbe vissuto d’ora in avanti.
-Sai che è curioso?- cominciò Daniel appoggiando l’ombrello accanto all’entrata –Anche un altro ragazzo si è presentato oggi per l’appartamento. A dir la verità avevo quasi perso le speranze di trovare qualcuno con cui abitare…- si pettinò velocemente i capelli con le dita per poi legarseli nuovamente in una coda bassa liberando così gli occhi verdi -…e poi siete arrivati voi due. Credo ti piacerà il nostro coinquilino: ci ho parlato prima ed è molto simpatico. E’ un tipo a posto, sono certo che andrete d’accordo. A proposito, dovrebbe essere già là… Vieni Lovino-
L’angelo seguì l’altro al primo piano, spostando lo sguardo dalle pareti dai toni rosati alla figura di Daniel, che lo precedeva di qualche passo e continuava a ciarlare allegro.   Si fermarono giunti di fronte ad una porta di legno chiaro su cui campeggiava in caratteri tondeggianti il numero 127.
L’ungherese picchiò sulla superficie liscia un paio di volte per poi aggiungere in tono giocoso e infantile un acuto “è permesso?”. In risposta si sentì una leggera risata, soffocata dal muro che li divideva, e un verso che doveva essere di assenso. Quei due, pensò Lovino con una punta di rammarico, erano diventati amici nel giro di pochi minuti. Chissà quanto ci avrebbe messo lui invece: con il carattere che si trovava, non esattamente tra i migliori e se ne rendeva conto anche da solo, non era il candidato ideale a compagno di serate al pub. Al massimo poteva essere quello con cui lamentarsi quando il bus è in ritardo.
 
Prima che Daniel potesse afferrare il pomello della porta, questa si aprì da sola rivelando così il famoso terzo coinquilino. L’angelo registrò in pochi secondi quello che stava accadendo. Poco prima, quando aveva sentito la risata, Lovino aveva provato una brutta sensazione, anche se per pochi secondi, ma aveva deciso di ignorarla. E ora se ne stava lì, gli occhi sgranati e la faccia stralunata, non sapendo se ridere o piangere di quell’assurda situazione. Moro, occhi verdi, sorriso ebete in faccia. Dalla sua bocca uscì un suono a metà tra una risata nervosa e il verso di un qualcosa agonizzante che catturò l’attenzione del giovane davanti a lui, che fino a quel momento era stato occupato a parlare con l’ungherese. Il viso del ragazzo, attraversato da un moto di stupore, abbandonò improvvisamente la sua solita espressione spensierata, per assumerne una piuttosto divertita subito dopo. Incatenò il proprio sguardo a quello sconvolto di Lovino, sorridendogli enigmatico e scandì bene le parole.

- Yo soy Antonio, encantado de conocerte-




E questo è fatto. Ammetto che questo capitolo non mi piace molto e può risultare noioso, ma avevo bisogno di farli incontrare. Diciamo che è un capitolo di passaggio e dal prossimo vedremo l’inizio della vera e propria convivenza. 
Segnalatemi gli errori,  lo so che ce ne sono, semplicemente si nascondono alla mia vista (ho la netta sensazione che il mio italiano stia regredendo pian piano). Alla prossima
  Sve

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Capitolo 6
*** Il miglior modo per cominciare ***


CAPITOLO IV       Il miglior modo per cominciare
 
L’appartamento era più grande di quanto ci si potesse pensare e tenuto in buone condizioni, soprattutto considerando il costo relativamente basso dell’affitto. Appena entrati si incontrava la stanza adibita a soggiorno, la quale incorporava anche un piccolo angolo cucina nella parete opposta all’entrata. Dal salone si accedeva poi ad altri tre spazi: due camere, una doppia leggermente più grande e una singola, e accanto a quest’ultima il bagno.
A Lovino ricordava un po’ la sua casa, forse per le tinte tenui e calde che caratterizzavano sia i muri che i mobili. La consapevolezza di aver cominciato davvero il suo compito lo colpì improvvisamente mentre stava esplorando le stanze, annodandogli lo stomaco e mozzandogli per un attimo il fiato. D’ora in avanti non avrebbe più potuto contare sulla guida di Hellas, come non avrebbe potuto rivedere per molto tempo Bella e i bambini del centro. Avrebbe dovuto contare solo sulle sue forze, da quel momento ci sarebbero stati solo lui, Daniel e Antonio.
 
Dopo aver esaminato la cucina- perché mai c’era una lavatrice sotto il lavello?-, l’angelo aspettò che anche gli altri due finissero la loro ispezione cercando nel frattempo di restare seduto in equilibrio sul morbido bracciolo del divano. Dopo pochi minuti li vide avvicinarsi ai bagagli ammucchiati al centro della stanza chiacchierando insieme. Assottigliò lo sguardo nervoso: quel demone non doveva prendersi troppe confidenze, soprattutto con il suo protetto.
-Ehi Lovinito!-
L’interessato, colto di sorpresa, drizzò il busto con un brusco movimento e, dopo alcuni quando vani tentativi di riacquistare l’equilibrio, cadde all’indietro con un tonfo sordo sulla stoffa ruvida dei cuscini. Restò in quella posizione per pochi secondi sentendo le guance andare a fuoco, ma, deciso a placare i risolini soffocati provenienti da quell’essere di dubbia intelligenza detto anche Antonio, si issò a sedere con nonchalance e li raggiunse calmo, come se non fosse accaduto nulla.
-Si?- Senza farsi vedere dall’ungherese, scoccò un’occhiataccia al demone che di rimando gli sorrise allegro. Ma ormai quel tipo non aveva i crampi alle guance a forza di mantenere quell’espressione perennemente felice? O aveva fatto una qualche specie di paralisi?
Daniel prese la parola
-Io e Antonio stavamo parlando prima delle camere. Siccome ce ne sono…-
Il diavolo fece per aprire bocca quando Lovino lo agguantò per una spalla, portandolo alla propria altezza.
-Io lo so cosa vuoi fare- cominciò serio, ignorando lo sguardo confuso dell’altro –e sta certo che non te lo permetterò. Non ti lascerò stare in stanza con Daniel da solo: Dio solo sa cosa gli potresti fare. Quind-
-Ma Lovi, pensi che io sia un essere tanto orribile? Così mi spezzi il cuore- aveva un’espressione sarcastica in volto. Si avvicinò di più all’angelo, i capelli dell’altro ormai gli solleticavano le labbra. –E poi non posso lasciartelo fare: non sarebbe equo, no?- Gli soffiò piano le parole all’orecchio e Lovino sentì la pelle accapponarsi a contatto con il fiato caldo del demone -Prova a capirmi: dopotutto questo è anche il mio lavoro-
Lovino si allontanò di scatto, spaventato dal cambiamento improvviso dell’altro. Che fine aveva fatto l’Antonio idiota? Quando si voltò a guardarlo, lo vide girato verso Daniel un grande sorriso ad illuminargli il viso. Si accorse allora che l’ungherese continuava fissarli, spostando lo sguardo da Antonio a lui e viceversa.
-Allora che ne pensate?-
Ovviamente nessuno dei due aveva seguito il discorso del ragazzo, troppo impegnati a parlare tra loro tanto da dimenticare momentaneamente la presenza del giovane. Lovino, estremamente imbarazzato dalla situazione, stava per chiedergli di ripetere quando Antonio lo precedette uscendosene con un sicuro “ma certo!”.
-Va bene allora- la sua espressione era più sollevata -Non avrei mai voluto disturbarvi svegliandovi presto o non lasciandovi dormire  con i miei strani orari di studio- E fu così che Daniel si prese la stanza singola.
 
-Cos’è questo?- L’angelo sollevò all’altezza del viso il frutto della sua ricerca tenendolo tra due dita e arricciando il naso davanti a quella mezzaluna arancione e rinsecchita.
Il silenzio pesante che era calato dopo l’assegnazione delle stanze, era stato poi interrotto dallo stomaco di Antonio che, a digiuno dalla mattina, aveva reclamato cibo a gran voce seguito a ruota da quello di Lovino.
Si era dunque deciso di esaminare la dispensa e il frigo in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, ma a quanto pareva i precedenti inquilini non avevano lasciato molto: a fine esplorazione, allineati sul tavolo c’erano solo un pacco di riso, una scatola di the e una bottiglia, o meglio una tanica, di latte molto probabilmente scaduto.
Richiamati dal verso di disgusto di Lovino anche gli altri due si avvicinarono per controllare. Dopo un’attenta osservazione si arrivò alla conclusione che certe cose era meglio non saperle e abbandonarono l’oggetto al suo triste destino gettandolo nella pattumiera.
-Quindi…- Lovino fissò il loro magro bottino- la casa oggi offre un piatto molto ricercato: riso bollito, in bianco ovviamente. Solo per i più grandi intenditori-
Cominciò ad aprire ogni anta della cucina per poi alzarsi in piedi e guardarsi intorno con espressione corrucciata.
-O forse neanche quello, visto che da quanto posso vedere in questo posto non ci sono pentole-
-A quello ci penso io- Antonio e Lovino si lanciarono un’occhiata perplessa quando l’ungherese cominciò ad estrarre da uno dei suoi borsoni un set completo da cucina. Notando la loro faccia Daniel si giustificò dicendo semplicemente che ci si era affezionato. I due preferirono non fare domande.
 
Davanti a un fumante piatto di riso rigorosamente scondito –com’era possibile che in quella casa non ci fosse neanche un filo d’olio?!- i tre ebbero la possibilità di confrontarsi tra loro per la prima volta.
Daniel raccontò in breve della sua vita da universitario straniero, di come era stato sfrattato improvvisamente dal suo vecchio appartamento e delle cose più strane che aveva visto durante i suoi due anni di permanenza nella capitale inglese.
-E voi come mai siete qui?-
Ecco, a quello Lovino non ci aveva pensato. Qualcosa come “piacere, sono il tuo angelo custode venuto qui sotto copertura per tenerti lontano da Antonio che, indovina, è invece il tuo diavolo personale” non era molto consigliabile.
-Beh, ecco… preferirei non parlarne- non era una granché come scusa, ma era la cosa più accettabile che la sua mente era riuscita a concepire in quel breve lasso di tempo. Si pentì subito della sua risposta vedendo l’espressione delusa di Daniel: non voleva di certo rattristare il suo protetto!
A risollevare l’umore dell’ungherese fu Antonio che con la sua parlantina spiegò il motivo della sua presenza a Londra -“Volevo cambiare aria e visitare posti nuovi”-e riuscì a raccontare per filo e per segno la sua precedente vita in Spagna. Vita mai esistita in realtà.
Lovino dovette ammettere che quel tipo aveva un’invidiabile fantasia ed in aggiunta era anche un bravo oratore: era davvero piacevole da ascoltare e accompagnando le parole con gesti e smorfie riusciva a catturarti e farti rivivere le sue avventure.
 
-Lovino?- l’angelo fu bloccato sulla porta della sua nuova camera dalla voce stranamente bassa e quasi… intimidita?, del suo protetto.
-Posso chiederti una cosa?- negli occhi verdi del giovane si poté scorgere una scintilla di speranza al cenno d’assenso dell’altro. -E’ da prima che ci penso… Come mai non hai una valigia o qualcosa del genere?- si bloccò di scatto per poi affrettarsi ad aggiungere mentre arrossiva –Ma se non vuoi rispondere va bene lo stesso, in fondo sono affari tuoi-
Lovino, non volendo rivedere la faccia delusa del ragazzo, si impegnò davvero nel cercare di inventare una storia credibile, ma con suo disappunto scoprì che in lui l’immaginazione era abbastanza povera.
-Me l’hanno rubato- si complimentò da solo per la grande inventiva e rimpianse di non aver mai seguito i corsi di scrittura creativa quando era ancora a scuola –mi sono addormentato in treno e quando mi sono svegliato non c’era più. E neanche le scarpe-, “Eh già, chi non conosce i famosissimi ladri di sandali inglesi, bravo Lovino, tu si che sei un genio” aggiunse mentalmente.
-Oh, mi dispiace- Cosa? Ci aveva creduto veramente? A giudicare dall’espressione del viso e dal tono in cui aveva parlato sembrava proprio di sì. Chi aveva bisogno di scrittura creativa adesso?
 
L’angelo  si chiuse la porta alle spalle con un sospiro di sollievo: non avrebbe retto ancora molto in quella forma.
-Mettiamo in chiaro delle cose- si voltò verso Antonio, il quale aveva cominciato a sistemare i propri vestiti dentro il doppio armadio in comune.
-Quella è la tua parte di stanza- disegnò una linea immaginaria che divideva la camera a metà indugiando sul mobiletto strategicamente piazzato tra i due letti –puoi tenerti anche il comodino. Questa è la mia parte, dove tu non potrai mettere piede, ok?-
-Ma Lovi, di lì c’è la porta: come faccio ad uscire?-
-Semplicemente resti dentro e preferibilmente lontano da Daniel. O al massimo c’è sempre la finestra, no?-
-Perché fai così Lovinito?- in quel momento la voce del demone era incredibilmente irritante alle orecchie dell’altro –Se dobbiamo lavorare insieme sarebbe meglio andare d’accordo non credi? Io voglio essere tuo amico!-. Dicendo questo si lanciò verso l’angelo a braccia aperte cercando di catturarlo in un abbraccio, ma l’unica cosa con cui fece conoscenza fu il freddo muro contro cui andò a sbattere quando Lovino, che evidentemente non condivideva la sua stessa idea, con un elegante gesto lo schivò all’ultimo secondo.
Avvilito e dolorante, ad Antonio non rimase che finire di ordinare le proprio cose e prepararsi ad andare a dormire. Non ne aveva mai sentito così tanto il bisogno: per uno che come lui non era abituato, il mantenere la forma umana era davvero stancante. Con gioia liberò le ali e la coda, mentre i due piccoli orecchini scarlatti ritornavano alla loro forma originale di corna. Come un bambino salì con un balzo sul letto e si lasciò cadere in avanti. Finalmente! Rimanendo sdraiato stiracchiò le ali allungandole e flettendole alcune volte e facendo ondeggiare la coda raccolse una maglia che aveva lasciato lì vicino per cambiarsi.
All’improvviso la porta si aprì con un cigolio acuto rivelando un Daniel piuttosto confuso davanti a quello che i suoi occhi gli stavano mostrando. Lovino, dapprima sorpreso,  realizzata la situazione lo raggiunse frettolosamente portandolo fuori dalla stanza e scortandolo lontano da lì.
-Avevi bisogno di qualcosa?- esibì un sorriso tirato e nervoso, ma non se ne preoccupò più di tanto. In quel momento la sua priorità era un’altra: cosa aveva visto Daniel? O meglio, quanto aveva visto.
Scuotendo leggermente la testa a scacciare i pensieri, decisamente strani, che occupavano la sua mente in quel momento, l’ungherese tornò a guardare l’angelo ancora visibilmente turbato.
-No niente, ero venuto a chiedervi se volevate un the, credo… Ma Antonio- Lovino trattenne il respiro –aveva per caso le ali?-
L’angelo cercò di mantenere la calma, anche se il leggero tremolio della voce lo tradiva.
-Cosa? Io non ho visto niente del genere. Credo che il trasloco ti abbia un po’ stressato: forse è meglio se te ne vai a letto- Con fare sbrigativo si avviò verso la camera -Ci vediamo domani, ok? Notte-.
-Ehi Lovino…- l’interessato si bloccò attanagliato dal panico mentre il suo cuore cominciava ad accelerare –…dovresti toglierti quei vestiti fradici, ti potresti prendere qualcosa-
-Ehm, si… grazie-
 
Appena varcata la soglia l’angelo si assicurò di chiudere a chiave. Si voltò meccanicamente verso il demone che sorridente lo guardava tranquillo dal letto seduto a gambe incrociate.
-Tu- gli si avvicinò minaccioso, la voce più bassa del solito –Tu, brutto coglione che non sei altro, cosa pensavi di fare?! E se ci scopriva? Non voglio dover lasciare Daniel solo perché tu non sai trattenerti per cinque minuti!- lo afferrò per il colletto della maglia –Ringrazia che se la sia bevuta se no non te la facevo passare liscia- Con uno strattone mollò presa e si diresse verso l’armadio.
-Ma non è successo niente-
Accucciato davanti l’anta aperta, Lovino si limitò ad un secco “ ‘fanculo”. Trovato ciò che stava cercando, si rialzò per cominciare a cambiarsi, e dando le spalle al demone si sfilò con non poca difficoltà la maglietta umida.
-Allora usi anche tu dei tatuaggi-
L’angelo, a metà tra l’ infastidito e l’imbarazzato, spiegò immediatamente le ali andandosi così a coprire.
-Ehi! Non guardare!- le parole gli erano uscite in un tono fin troppo alto e sentiva le guance pizzicare.
-Perché? Anch’io ce li ho: pensandoci sono molto simili ai tuoi, forse un po’ più spigolosi però..- balzò in piedi e mosse qualche passo -Ah, e ne ho uno anche per la coda, lo vuoi vedere?-
Lovino sgranò gli occhi
-Ma anche no-
Già poteva immaginare dove si trovava probabilmente. Quando assumevano forma umana, gli essere spirituali mantenevano comunque le loro caratteristiche, comprese ali, code, aureole e corna. Quindi, non potendo semplicemente eliminarle, si trovavano costretti a “convertirle” in qualcos’altro.
L’angelo si avvolse velocemente nella morbida coperta raccattata poco prima dall’armadio fin appena sotto le scapole, dove si trovava l’attaccatura delle ali.
Girandosi si ritrovò il viso di Antonio più vicino del previsto pensato riuscendo così a studiarne meglio i lineamenti. Notò allora delle piccole fossette ai lati della bocca, anche se la sua attenzione era catalizzata dai quei due specchi verdi traboccanti di vita. Assunse un’espressione pensosa e arricciò le labbra.
-Anche prima eri truccato?- Gli occhi dell’altro infatti presentavano una sottile linea nera nella parte inferiore, come se avesse la matita.
Antonio inclinò la testa di lato confuso, poi cominciò a ridacchiare
-E’ una nostra caratteristica, proprio come lo smalto- alzò le mani mostrando le unghie laccate di nero- ma non mi stupisco che non te ne sia accorto stamattina, preso com’eri a saltellare in giro urlacchiando e chiedendo aiuto-
Lo sguardo di Lovino si inasprì, colpito nell’orgoglio. Con una spinta allontanò Antonio
-E’ tardi- cominciò impassibile –Ti auguro di soffocare nel sonno. E spegni la luce prima di stenderti-
 
Tra quelle quattro mura l’unico rumore percepibile era il cigolio delle molle del materasso di Lovino, il quale, poggiato alla testata per essere pronto a scattare ad ogni evenienza, si continuava a muovere nel tentativo di trovare una posizione più comoda.
-Ehi Lovi- il sussurro di Antonio non ricevette risposta –Non mi dai il bacio della buonanotte?-
Nell’oscurità riecheggiò una sola, chiara parola
-Fottiti-




E con un giorno di ritardo arrivò anche questo capitolo, tutta colpa dei professori senza cuore che si divertono a riempirci di compiti già dal primo giorno. Io fino ad ottobre sono ancora in vacanza col cervello!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate pure un commentino con critiche o altro che non mi offendo. Ringrazio chi recensisce e ha messo la storia tra le seguite. E anche chi legge e basta, perché comunque è sempre bello sapere che qualcuno effettivamente legge quello che scrivo.
Alla prossima,
  Sve

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Capitolo 7
*** Il buon giorno si vede dal mattino ***


CAPITOLO V       Il buon giorno si vede dal mattino
 
Un debole mugolio si diffuse per la stanza. Raggomitolato nell’angolo del letto e ancora avvolto dalla penombra, Lovino rischiò un leggero movimento del braccio, pentendosene quando una scossa di dolore partì dai muscoli atrofizzati facendogli stringere i denti. Aspettò qualche secondo, quindi provò a muovere una gamba; questa però non rispose ai suoi comandi restando immobile raccolta al petto. Perfetto. Ora sapeva che non avrebbe più provato a dormire in quel modo. Con un sonoro schiocco raddrizzò il collo e, aiutandosi con le mani, distese le gambe ancora insensibili oltre il bordo del materasso acquistando così una posizione più naturale. Si sfregò le cosce con forza, fino a sentire l’usuale pizzicore dovuto al fluire del sangue invadergli le membra. Sospirò puntellando i gomiti nella carne e appoggiò il viso in un palmo, aspettando impaziente di ritornare in possesso di tutte le facoltà motorie.
-Buonos días Lovi!
L’angelo scattò come una molla in piedi, crollando subito dopo  ai piedi dell’altro, le gambe ancora mezze addormentate. Digrignò i denti mettendosi seduto. Sentiva un fastidiosissimo formicolio corrergli lungo gli arti inferiori e quel piccolo incidente non aveva di certo favorito al miglioramento del suo umore.
Antonio gli si accucciò di fronte guardandolo con fare apprensivo
-Madre de dios ¿Te dolió?- Lo afferrò sotto le ascelle per poi alzarlo  e riportarlo sul letto, nonostante le varie proteste di Lovino e qualche livido negli stinchi. Quindi gli si posizionò davanti, le braccia allargate. Istintivamente l’angelo portò avanti le mani, preparandosi a respingere un imminente tentativo di abbraccio.
-FusosososoFusosososo-
 Eh? Lovino alzò un sopracciglio perplesso. Cosa stava facendo di preciso Antonio?
-FusosososoFusosososo- 
Forse aveva sbattuto la testa da qualche parte? Eppure era lui che era appena caduto…
Sgranò gli occhi improvvisamente capendo tutto: gli stava facendo un malocchio quel bastardo. La mente di Lovino in pochi secondi riuscì a formulare solo un’unica alternativa al calcio che avrebbe adottato normalmente, ma impossibile da sferrare in quel momento dato le gambe ancora fuori uso. Si lanciò allora verso la spagnolo centrandolo con una potente testata all’altezza dello stomaco.
Il povero demone si piegò su se stesso chiudendo le braccia ed emettendo un verso strozzato. Con un lungo lamenti si accasciò a terra  portandosi dietro anche l’assalitore, imprigionato in quello strano abbraccio.
-Lovi- la sua voce era poco più di un sussurro sofferente
-Lasciami maledetto- sentendo la stretta dell’altro rafforzarsi, cercò di divincolarsi con maggiore forza allontanandolo spingendo con i palmi contro il suo petto e sbattendo vigorosamente le ali. Con molta fatica riuscì infine a forzare e poi spezzare la presa del diavolo, riguadagnando così l’agognata libertà.
Si voltò tra lo scosso e il furioso, trovando un Antonio con ancora gli occhi lucidi che lo fissava intensamente. Non capendo il motivo di tanta e improvvisa attenzione abbassò lo sguardo per controllare. Un immediato rossore gli colorò le guance mentre raccattava velocemente la coperta cadutagli durante lo scontro di poco prima e vi si riavvolgeva.
Il tono lamentoso con cui lo spagnolo parlò, seguito da uno sbuffo insofferente, imbarazzò e irritò allo stesso tempo l’angelo
-Ma eri così carino…-
-Vaffanculo-
-Ma è la verità Lovinito- cantilenò allegro –stavi così bene in mutande-
Lovino si bloccò con la bocca semiaperta e un’espressione attonita a deformargli il viso, per poi lanciargli poi un’occhiata scioccata
-Brutto pervertito!- un cuscino colpì in pieno volto il demone, mentre l’angelo cercava freneticamente i propri abiti, non ricordandosi più nell’agitazione di dove li aveva buttati la sera prima. Quando scorse del tessuto bianco si precipitò subito verso esso, ritrovando i suoi vestiti stesi ordinatamente lungo il bordo della finestra. Aggrottò le sopracciglia: lui di certo non li aveva messi lì, soprattutto pensando che quella era la parte di stanza di Antonio, quella al di là del confine immaginario che nessuno doveva superare. E che evidentemente l’altro aveva superato.
-Ehi, non puoi metterti quelli!- l’urlo dello spagnolo riecheggiò forte tra le quattro mura della camera. Probabilmente, pensò l’angelo, perfino i vicini l’avevano sentito. Si voltò stizzito rispondendo acido
- E perché no di grazia? L’ultima volta che ho controllato erano i miei vestiti-
Antonio mostrò un’espressione corrucciata, per poi adottare il tono da “mamma” -Sono ancora umidi: ti prenderai veramente qualcosa-
- Fatti miei, no?! E poi cosa ci fai nella mia parte di stanza?! -
 
Daniel era sveglio già da un po’, ma la rara possibilità di poter rimanere a letto più del solito lo fece desistere dall’alzarsi. Avvolto nelle morbide lenzuola e coccolato dal dolce tepore che offrivano queste, si accoccolò meglio sul cuscino deciso a godersi al meglio quel momento.
Ad un tratto, un tonfo e delle voci soffocate proveniente dalla camera a fianco lo strapparono dalla sua temporanea tranquillità, per lui ormai quasi idilliaca. La sua fu una lotta interiore molto difficile, ma infine, spinto dalla curiosità, abbandonò le calde e accoglienti coltri per andare ad indagare.
Arrivato davanti alla porta dei suoi due coinquilini si preparò a bussare, quando distrattamente colse qualche parola del loro discorso. Assecondando e abbandonandosi alla sua natura da “comare”, tese quindi l’orecchio pronto a captare la conversazione
-Fatti miei, no?! E poi cosa ci fai nella mia parte di stanza?!- questo era indubbiamente Lovino
-Volevo uscire- invece il tono lagnoso doveva appartenere ad Antonio
-Te l’ho già detto: vai dalla finestra-
-Ma Loviiii, sai ch-Ehi non puoi metterli!-
-Lasciami in pac-gnnn molla. No, ho detto molla!- l’ungherese non sapeva cosa pensare in quel momento. Avrebbe dovuto intervenire?
-Sono ancora umidi. Dai, te li presto io!-
-Piuttosto vado in giro in mutande!-. Il ragazzo calcolò che la voce di Lovino doveva essere almeno un’ottava più acuta del normale.
-Sai che non mi dispiacerebbe…- Daniel, nascosto ad origliare dietro la porta, arrossì a quelle parole -…ma sarebbe sul serio poco salutare. E poi ti vedrebbero anche altri-
L’appartamento sprofondò per alcuni secondi in un innaturale silenzio, poi un rumore alquanto preoccupante accompagnato da un “maniaco!” riecheggiò nell’aria.  L’ungherese cominciò a preoccuparsi quando non rilevò nessun altro rumore provenire dalla stanza, quindi decise di bussare.
Ad aprirgli fu un Antonio sorridente, ma abbastanza malconcio, che subito si premurò di augurargli il buongiorno e domandargli come avesse passato la notte. Alle sue spalle e con dipinta in volto un’espressione di puro odio, c’erano Lovino e la sua coperta.
-Emmh…- Daniel si rese conto di non saper cosa dire, mentre la conversazione dei due si faceva prepotentemente largo nella sua testa sconcentrandolo maggiormente. Stirò le labbra in un sorriso cercando di ignorare i suoi stessi pensieri –The?-
 
-Senti Lovino- il diretto interessato, che fino a poco prima stava fissando con malcelato astio la tazza fumante davanti a sé, spostò lo sguardo al suo protetto. Questi, ricevuta l’attenzione dell’altro, quindi continuò
-Ma non hai freddo con quella? Intendo dire, se vuoi ti posso dare qualcosa io…-
-No no, non ti preoccupare. Mi arrangio-
-E poi Daniel- Antonio intervenne voltandosi verso l’angelo e sorridendogli felino –lui ha già detto che preferirebbe andare in giro mezzo nudo piuttosto di indossare i miei vestiti-
L’ungherese, fingendosi sorpreso per quella rivelazione, che rivelazione non era, chiese ingenuo il motivo di tale rifiuto ridacchiando interiormente nel vedere il volto dell’italiano imporporarsi gradualmente mentre questo boccheggiava senza dire niente come un pesce fuor d’acqua.
-Io, ecco… non volevo disturbarlo. E poi i suoi vestiti mi starebbero grandi…-
Antonio e Daniel si scambiarono un’occhiata divertita
-A dir il vero credo che i miei sarebbero ancora più larghi-
In effetti l’ungherese superava in altezza entrambi i suoi custodi anche se di poco ed sembrava pure più robusto.
- Oggi dobbiamo assolutamente andare a comprare quello che manca: a meno che non vogliate tirare avanti a riso per i prossimi giorni, dovremmo prendere da mangiare. E anche detersivi e  altre cose per la casa.  E già che siamo là puoi cercarti qualcosa da vestire nuovo- Lo squadrò critico -Ma non credo tu possa uscire conciato così-. L’angelo lanciò allora uno sguardo rassegnato alla stoffa morbida che stringeva convulsamente tra le dita e, arricciando le labbra , sospirò sconfitto.
 
-Sapevo che ti sarebbero stati benissimo- Antonio piroettò euforico attorno all’italiano ammirando come i propri stessi abiti sembrassero perfetti sul corpo dell’altro  e di conseguenza non curandosi delle persone che, pur di evitarlo, si buttavano di lato sfidando l’ingente folla domenicale e finendo inghiottiti da essa.
Con un moto d’insofferenza Lovino lo agguantò per un braccio tirandoselo vicino in tempo per evitargli lo scontro con una ragazza dagli accesi capelli rosa, che, tra l’altro, sembrò piuttosto stizzita da quel gesto.
Veramente, non ce la faceva più. L’angelo aveva sempre mal sopportato la presenza di tante persone, lo ammetteva, ma adesso erano davvero troppe per i suoi gusti. All’ennesima gomitata chiuse gli occhi affondando i denti nel labbro inferiore in un estremo tentativo di ritrovare un minimo di calma interiore.
-Ehi Lovinito, guarda!- Ed ecco un nuovo punto da aggiungere nella sua personale lista delle cose più irritanti: la voce di quell’essere ora suo compagno di stanza. Improvvisamente avvertì qualcosa, o meglio qualcuno, atterrargli sulla schiena, segno che Antonio, stufo di essere ignorato, aveva deciso di cambiare tattica lasciandosi così cadere a peso morto –e con la delicatezza di una balenottera azzurra, avrebbe aggiunto Lovino- sull’altro. L’espressione di quest’ultimo rimase pressoché invariata se non fosse stato per un leggero tic all’occhio destro. Il suo spazio vitale: perché doveva essere così bellamente violato?
A quel punto l’angelo avrebbe lanciato volentieri il demone tra la calca che affollava le vie londinesi con la speranza di non vederlo riemergere mai più, ma la presenza di Daniel non rendeva possibile l’attuarsi del suo piano. Quindi accelerò il passo: magari, per qualche sfortunato imprevisto e con suo immenso relativo dispiacere, l’avrebbe perso lungo la strada. Sarebbe stato un vero peccato…
 
Concentrato nel seminare lo spagnolo –ormai procedeva speditamente a ritmo di marcia- Lovino rischiò di superare Daniel che nel frattempo si era fermato sotto una sgargiante insegna blu.
-Vi presento il miglior amico di studenti squattrinati e famiglie numerose- il suo braccio disegnò un ampio semicerchio a mostrare il negozio- Poundland, ovvero dove troverete tutto il necessario, o quasi, per la misera cifra di un pound!- Sembrava abbastanza eccitato dalla cosa e Lovino scoprì il perché poco più tardi.
L’angelo, superando gli alti scaffali ed esaminando i vari prodotti che ordinatamente si trovava davanti,  constatò di persona quanto effettivamente fosse conveniente quel posto: con poche decine di sterline sarebbero facilmente riusciti a comprare tutto quello che mancava a casa. Peccato non ci fossero le cose fresche…
Soddisfatto dai cinque chili di pasta che ora teneva amorevolmente tra le braccia, Lovino riportò lo sguardo sulla corsia in cui pochi secondi prima si trovavano tutti e tre, non riconoscendo però né Daniel né Antonio. Agitato e preoccupato per aver lasciato il proprio protetto nelle grinfie del demone, percorse veloce lo stretto corridoio stringendo convulsamente al petto i sacchetti che minacciavano di sfuggirgli dalle mani da un momento all’altro.
Con sollievo li scorse una volta svoltato l’angolo, intenti a contemplare con aria sognante la parete di dolci che li si ergeva di fronte. L’ungherese stava fissando intensamente la sezione destinata alle caramelle e altre dolci schifezze gommose, mentre il demone se ne stava immobile, gli occhi scintillanti, completamente perso tra gli infiniti gusti e tipi di cioccolato che lo shop proponeva. Erano quasi carini così,  in quella specie di ritorno all’infanzia.  Dopo dieci minuti ad aspettarli, l’italiano aveva cambiato però idea. Si avvicinò a Daniel, impegnato nell’ardua scelta tra dei coloratissimi orsetti mollicci e degli abnormi marshmallows, per poi prendere entrambi i sacchetti che questo aveva tra le mani e buttarli nel cestino che il moro si portava appresso. E uno. Acciuffò al volo Antonio e se lo trascinò dietro di peso, visto che lo spagnolo non sembrava aver intenzione di abbandonare quell’angolo di paradiso. E due. Quindi si diresse a passo marziale verso la cassa, non però prima di aver sistemato accuratamente un vasetto di Nutella tra i pacchi di pasta.
 
Usciti dal negozio, soddisfatti e muniti di una borsa ciascuno, lo spagnolo e l’ungherese decisero che era ora di portare il loro coinquilino a fare shopping con sommo orrore di quest’ultimo.
-Ma io dico, tipo, non mi saluti neanche?- Una voce sconosciuta giunse alle orecchie dell’angelo. I tre si girarono contemporaneamente, chi, come Antonio e Lovino, con uno sguardo perplesso, chi, come Daniel, con un largo sorriso stampato in volto. A parlare era stato un tipetto biondo non molto alto, ma in compenso abbastanza rosa, che ora li guardava con un’espressione sorniona.
-Feliks!-
Dopo le presentazioni di cortesia, l’ungherese e l’altro ragazzo, che si era rivelato essere polacco, si erano allontanati momentaneamente per parlare di non si sapeva bene cosa, lasciando così Lovino in –indesiderata- compagnia  del demone.
Aspettando il ritorno dei due, si accomodarono entrambi sopra un muretto di mattoncini rossi, vicino ad un piccolo gruppo di teenagers inglesi che chiacchieravano concitati.
-Vuoi?- lo spagnolo allungò un tubetto di Smartis verso l’angelo e con stupore lo vide accettare. Per qualche motivo si sentì estremamente felice per quel semplice gesto. Il resto dell’attesa lo passarono quindi in silenzio, seduti uno affianco all’altro.
 
Ascoltando la musica che proveniva dal cellulare di uno dei ragazzi lì vicino, Lovino si voltò verso Daniel e il suo amico, che stavano ridacchiando a una decina di metri di distanza. Alle spalle del biondo riuscì a scorgere, pur se con difficoltà a causa della sua forma in quel momento umana, la figura di un ragazzo dai capelli castani lunghi fino alle spalle e dall’aria vagamente sconsolata: doveva essere l’angelo custode di Feliks.
Un’improvviso pensiero si fece largo nella sua mente regalandogli qualche speranza: forse Daniel, dopo aver incontrato quel tipo, avrebbe preferito passare il resto della giornata con questi e avrebbe dunque rinunciato al suo intento di portarlo a far compere. Quando tornarono li accolse allora sorridendo, rassicurato dal suo stesso ragionamento. Niente fu mai più sbagliato.
 
Vedendo la sagoma scura del loro palazzo stagliarsi contro il cielo londinese ormai rosato, Lovino sospirò sollevato. A sue spese aveva scoperto la grande passione del polacco per la moda e aveva passato le ultime due ore a provarsi vestiti su vestiti saltando da un negozio all’altro. Alla fine se l’era cavata con degli abiti semplici e solo un paio di boxer rosa: sarebbe potuta andare peggio se Daniel non avesse frenato la creatività di Feliks convincendolo che no, quella favolosa canottiera fucsia, non era la scelta migliore.
Arrancò su per la rampa di scale e si trascinò lungo il corridoio per poi bloccarsi davanti alla porta del loro appartamento. Confuso, esaminò il borsone ai suoi piedi restando fermo a fissarlo per vari secondi. Notò allora un nastro rosso legato ad uno dei manici e finalmente capì. Senza aprir bocca lo raccolse ed entrò in casa, spiegando ad un Daniel perplesso che probabilmente il ladro si era pentito e aveva deciso di restituirgli il bagaglio. Pregò che se la bevesse anche perché non avrebbe avuto neanche la forza per inventare qualcos’altro.
Non fraintendiamoci, lui fu davvero grato a Bella per quel gesto, ma comunque non poté fare a meno di pensare che se la ragazza avesse avuto un po’ più di tempismo, si sarebbe volentieri risparmiato quella sua prima traumatica esperienza con il magico mondo dello shopping.
 

 
Sono veramente stanca. L’ultima settimana l’ho passata a combattere il desiderio di buttarmi a letto e dormire fregandomene di tutto.
Capitolo in ritardo e che per di più non mi soddisfa per niente. Wow, ora si che mi sento meglio…
Lasciamo perdere che mi deprimo ancora di più. Dunque, come sempre recensioni e consigli sono ben accetti, come ovviamente critiche e segnalazioni di errori.
Sperando che i miei libri decidano presto di rendermi felice e tentino l’autocombustione vi saluto
  Sve

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Capitolo 8
*** Bruises and pastries ***


CAPITOLO VI    Bruises and pastries
 
-Ti dico che è questa- Lovino sbuffò per l’ennesima volta rafforzando la presa sul metallo ormai tipido sotto la sua pelle e muovendosi un po’ per guadagnare qualche centimetro in più. Il suo spazio vitale!
-Lovi, Daniel aveva detto di scender- Antonio dovette lanciarsi verso l’uscita pur di non perdere l’altro che, appena le porte si erano aperte, era schizzato fuori senza neanche lasciargli il tempo di finire la frase.
Il demone si guardò attorno confuso cercando di trovare l’italiano che sembrava svanito nel nulla. Con la coda dell’occhio scorse un guizzo verde scomparire dietro un angolo e deciso a non perderlo lo seguì senza esitazioni. Doveva ammettere che, se voleva, quell’angelo in cardigan sapeva senza dubbio come non farsi prendere: per stargli dietro aveva dovuto dare prova di tutta la sua abilità di corridore e ostacolista mentre sgusciava tra la variegata popolazione metropolitana beccandosi le occhiatacce dei controllori. Con uno slancio gli afferrò un braccio mettendo così fine a quell’insolito inseguimento.
-Che c’è?!- Lovino si voltò rosso in volto e con un leggero fiatone: non solo Antonio aveva faticato in quella corsa. Con un gesto secco del braccio si liberò della presa dell’altro visibilmente infastidito dalla situazione. Questa volta toccò al demone assumere un’espressione offesa e delusa che, secondo l’angelo, stonava terribilmente con la immagine sorridente a cui si stava abituando. Si sentì quasi in colpa nel vederla.
-Dove volevi andare?- perfino il suo tono di voce era più basso. Il diavolo alzò serio lo sguardo ad incontrare gli occhi dell’altro e Lovino si sentì improvvisamente inerme davanti a lui. Non riuscendo a sopportare la sensazione di debolezza che l’aveva invaso, l’angelo tentò di riacquistare il suo solito cipiglio insofferente.
-Fatti miei. E smettila di seguirmi-  cercò di sostenere lo sguardo di Antonio opponendosi all’istinto di abbassare il proprio.
-No- la risposta secca dello spagnolo lo fece sussultare: cosa voleva da lui? Fece per andarsene, ma le dita del demone si serrarono ferree attorno al suo polso. L’angelo sgranò gli occhi spaventato strattonando nervosamente il braccio, per poi afferrare la mano dell’altro nel tentativo di liberarsi da quella morsa che si faceva sempre più dolorosa.
Come se risvegliatosi da qualche stato di trans, il demone sciolse la presa, ritrovandosi a fissare un Lovino che, sconvolto, si teneva convulsamente il polso, la pelle chiara  marcata da visibili chiazze rosse. Si sentì morire dentro.
-L-Lovi io n-
-Non avvicinarti!- L’espressione dolorante e tradita con cui Lovino lo stava ora guardando gli arrivò come una pugnalata al petto. Lo vide allontanarsi per poi scomparire, quando salì le scale d’uscita, inghiottito dalla luce esterna.  Antonio si poggiò alla fredda parete di cemento sentendosi momentaneamente senza forze e si portò una mano al volto: cosa aveva fatto?
 
L’angelo si sedette su un muretto poco distate dalla stazione puntellando i piedi sul cestino metallico che aveva di fronte. Non riusciva neanche lui a capire cosa stava provando in quel momento: di certo c’era rabbia, rabbia per essere stato trattato in quel modo, poi c’era paura, il timore per quell’Antonio così diverso dal ragazzo spensierato che aveva conosciuto nei giorni precedenti, e infine c’era delusione: aveva provato a dare per una volta un po’ di fiducia e quello era stato il risultato. Si sentì uno stupido.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasto lì fuori, potevano essere passati pochi minuti quanto un’ora, e sinceramente non gliene importava comunque un granché. All’improvviso percepì una presenza metterglisi affianco, ma immaginando già chi fosse preferì continuare a fissare il marciapiede lastricato. Stettero così, i gomiti che si sfioravano, per vari secondi, avvolti in un silenzio assordante.
-Lovino io… mi dispiace- l’angelo non mostrò nessuna reazione, quasi come se le parole non fossero gli mai arrivate. Antonio allungò una mano verso l’altro fermandosi poi a mezz’aria. Dopo qualche attimo di esitazione ritirò il braccio per poi abbandonarlo con un lieve sospiro lungo il fianco.
-Ti prego, credimi. Non volevo farlo, non so cosa mi sia preso- la voce si fece sempre più flebile, fino a quasi scomparire sovrastato dal vivace caos della città. –Ti prego…-
L’italiano alzò lentamente gli occhi da terra e li posò sull’altro, ma nessuna emozione sembrava animare il suo viso. Vide che lo sguardo triste del demone era puntato sul suo polso e istintivamente srotolò la manica andando così a nascondere la pelle segnata. Gli occhi dei due si incontrarono. Subito quelli di Antonio cercarono di fuggire vergognosi a quelli dell’angelo che tentava di intercettarli. Capendo che non avrebbe ottenuto niente andando avanti così, Lovino afferrò l’altro per le spalle costringendolo a voltarsi. Non l’aveva perdonato, ma allo stesso tempo non riusciva a sopportare quella versione di Antonio: rilassò un po’ il viso e una leggera increspatura comparì sulle sue labbra.
 
-E… adesso?- Antonio, nuovamente all’interno della stazione, stava seguendo timidamente l’italiano a qualche passo di distanza. Lovino si guardò attorno attento, fermandosi vicino a una gigantografia della rete metropolitana londinese e assumendo un’aria pensosa.
-Dobbiamo trovare la linea gialla-
Vedendo tutta la sicurezza dell’altro e spaventato dalla possibile reazione che avrebbe potuto avere, il demone esitò un poco prima di aprire bocca sperando di non doversene pentire.
-Veramente Lovino- cominciò piano -quella sarebbe la linea di Daniel-
Alla faccia confusa dell’italiano provò a spiegarsi meglio.
-Vedi- si avvicinò al cartellone e con l’indice tracciò il percorso della linea giallo paglierino –questa è la fermata dove scende Daniel per andare all’università-. Picchiettò un paio di volte sulla superficie liscia indicando la piccola icona accompagnata dalla scritta “Moorgate”, poi indietreggiò di un passo e prese a scrutare concentrato il disegno che quelle righe colorate intrecciavano davanti ai sui occhi.
-Mmm, allora… da dove siamo adesso dovremmo riprendere la linea verde fino a South Kenequalcosa, poi salire nella blu e arrivare  a Piccadilly Circus… credo. Il resto ce lo dobbiamo fare a piedi- Si voltò verso Lovino che lo fissava a braccia incrociate e con un sopracciglio alzato.
-Sicuro?- Si vedeva benissimo che non era convinto. Al demone non rimase che abbozzare uno dei sui soliti  sorrisi per poi chiocciare un allegro e disarmante –No!- e avviarsi verso la fermata.
 
-Ehi Lovi…-
Antonio doveva ammettere che in quel momento si stava divertendo moltissimo, soprattutto vedendo la faccia dell’altro che, a pochi centimetri, cercando di mantenere la sua compostezza se ne usciva ogni tanto con delle smorfie secondo la sua opinione a dir poco fantastiche.
-Non trovi che tutto questo sia estremamente romantico?- il demone non riuscì a trattenersi dal scoppiare a ridere davanti all’espressione omicida che l’angelo aveva assunto. Mollò la presa sul palo sopra le loro teste per poi premersi entrambe le mani sulla bocca nel tentativo di riguadagnare un po’ di contegno. Esattamente in quell’istante la metro cominciò a frenare facendo sobbalzare i vagoni e con essi tutti i passeggeri al loro interno. Antonio stava già sperimentando l’ebbrezza della caduta libera che Lovino lo acciuffò al volo.
-Tieniti coglione!- Per tutta risposta lo spagnolo lo fissò per qualche secondo negli occhi, per  poi gonfiare le guance ormai porpora e ricominciare a ridere. L’italiano provò l’improvviso quanto invitante impulso di prendere quella stupida faccia sorridente e spalmarla contro il finestrino,  poco importava dei testimoni: probabilmente avrebbe fatto un favore anche a loro. Il dover restare in piedi, costretto in posizioni da far invidia a un contorsionista, schiacciato da estranei sudaticci e in compagnia di quell’essere bipolare e pericolosamente dannoso per la sua persona e la sua sanità mentale: l’apoteosi del romanticismo.
Lovino fu davvero grato al piccolo monitor nero del quale la carrozza era fornita quando vide scorrere su esso il nome della sua fermata in cubitali lettere gialle, anche se effettivamente quello schermetto non aveva nessun merito. Le porte aperte gli apparvero come la cosa più meravigliosa che l’uomo avesse mai inventato e, con grande soddisfazione e un gran respiro, varcò la soglia, girandosi subito dopo per controllare che l’altro l’avesse seguito.
 
-E se chiamassimo Daniel?-
Considerando che i due stavano vagando per le strade da più di venti minuti ritrovandosi alla fine e per qualche incomprensibile motivo sempre davanti alla stessa cassetta delle lettere, quella poteva essere considerata una domanda lecita.
-Lo disturberemmo. E ce la posso fare benissimo da solo- svoltarono l’angolo. L’angelo si ritrovò a fissare per l’ennesima volta il cilindro rosso incriminato. Assottigliò lo sguardo e lo guardò truce.
-Chiediamo informazioni-.
Antonio non osò ribattere.
 
Dopo essersi fatti spiegare la strada –due volte- da un’arzilla vecchietta che tra l’altro si era anche offerta di accompagnarli, Lovino e Antonio ricominciarono la loro ricerca.
-Ehi Antonio- il diretto interessato si voltò incuriosito: l’angelo non aveva mai cominciato una conversazione di sua spontanea volontà. –Mi spieghi cosa ci fai anche tu qua. Intendo dire, di solito i demoni non compaiono solo ogni tanto? Non sono costretti a rimanere sempre con i loro protetti come gli angeli eppure tu sei sempre in mezzo alle palle. Cos’è ‘sta storia?-
Lo spagnolo, in un primo momento, rimase sorpreso per il tono quasi gentile con cui l’altro aveva iniziato il discorso, ma dovette ricredersi presto, ritrovandosi a ridacchiare sinceramente divertito dai quei modi così poco angelici che l’altro ostentava.
-Semplice: è il mio primo incarico e voglio fare bella figura. Esattamente come te-
-Potrei anche far finta di crederci se ci tieni. E adesso un’altra domanda: perché ci sei anche tu con me in questo momento?- I due, camminando uno affianco all’altro, continuarono a parlare senza però guardarsi e mantenendo lo sguardo fisso sulla via.
-Perché ieri Daniel parlava anche con me, quindi…-
Lo strano verso che Lovino emise in risposta -una via di mezzo tra uno sbuffo stizzito e il rumore di una paperella di gomma che viene calpestata- mise fine alla conversazione.
 
Nonostante il fatto che avrebbero dovuto sapere dove andare sin dall’inizio grazie alla spiegazione dell’ungherese e che in aggiunta avevano anche chiesto indicazioni lungo la strada, per i due non fu così semplice trovare il “Five”: era in una piazzetta abbastanza nascosta rispetto alle vie principali, nella quale si arrivava passando sotto ad alti archi in muratura, e che  poteva passare facilmente inosservata se non si prestava attenzione. Davanti all’entrata, i tavolini metallici erano parzialmente coperti alla vista dei passanti da grandi vasi dove varie specie di piante e fiori erano stati mescolati sapientemente tra loro con il risultato di far sembrare il tutto un’estensione della parete ricoperta d’edera del porticato. A destra una piccola fioreria, probabilmente complice nella formazione di quell’angolo così suggestivo e particolare per una metropoli come Londra.
Decisero di entrare. Mentre si avvicinavano al locale, un profumo dolce e leggermente speziato arrivò alle loro narici sempre più forte fino a quando varcarono la soglia, dove furono letteralmente travolti dall’aroma di caffè e cannella. L’interno non aveva niente da invidiare all’esterno: non era molto grande, ma i colori caldi delle pareti e del legno, elemento caratteristico e ricorrente nell’intero arredamento del negozio, riprendevano quell’idea di riservatezza e calma data da quella specie di piccolo giardino che si incontrava entrando.
Antonio si avvicinò alla vetrinetta d’esposizione, piegandosi in avanti verso di essa con espressione estasiata mentre il suo sguardo vagava tra tutti quei dolci.
-Volete qualcosa?- un ragazzo biondo apparve d’un tratto dietro al bancone cogliendoli di sorpresa.
Antonio alzò lo sguardo su di lui abbandonando momentaneamente la contemplazione di torte e pasticcini, portandosi un braccio dietro la testa e sorridendo imbarazzato
-Non so proprio cosa scegliere… Tu cosa mi consiglieresti?-
-Dipende da cosa ti piace, ma se ti interessa in cucina hanno appena sfornato una teglia di Danish. Diciamo che sono delle specie di brioche arrotolate a cui vengono aggiunti altri ingredienti. Adesso dovrebbero essere pronte quelle all’uvetta: se vuoi provare quelle… o ci son-
Antonio lo interruppe esibendo un largo sorriso –No no, mi fido: prendo allora una…- si bloccò non ricordando già più il nome del dolce –…una girella all’uvetta-
Lovino, rimasto nel frattempo in disparte, era concentrato sul cameriere che stava servendo lo spagnolo, incuriosito da questo: osservandolo aveva notato che durante l’intero discorso non aveva mai cambiato espressione, mantenendone una neutra e distaccata, e che, nonostante questo, riusciva comunque a trasmettere e far capire quanto amasse quello che stava facendo.
-E per te?- Il ragazzo aveva ora lo sguardo puntato sull’angelo.
 L’italiano si avvicinò a sua volta alla vetrinetta e dopo una breve occhiata optò per un semplice toast. Vide il biondo raccogliere uno dei panini con un paio pinze metalliche per poi sparire in cucina dopo averli invitati ad accomodarsi. Ricomparve tenendo in mano due piattini fumanti, uno contenente l’ordine di Lovino e l’altro con una Danish pastry riccamente glassata di bianco per Antonio.
Ora che gli era vicino, l’angelo riuscì a guardare meglio il cameriere: stimò che doveva essere più basso di lui di almeno cinque centimetri. I capelli estremamente chiari e lisci erano parzialmente raccolti da un fermaglio dalla particolare forma a croce e gli occhi, di un peculiare blu quasi tendente al viola, spiccavano sulla pelle diafana. Probabilmente era originario del Nord Europa. Sovrappensiero, prese a mangiare il proprio toast, imitando lo spagnolo che aveva intanto già quasi finito il suo dolce.
 
-Scusami- Lovino si rivolse al giovane che ora gli stava porgendo il resto –un nostro amico ci ha detto che cercate dei camerieri e ci chiedevano se il lavoro è già stato preso-.
Il ragazzo si fermò a squadrarli per un attimo per poi rispondere che nessuno era ancora stato assunto.
-Ah, ok grazie...- ficcò lo scontrino e le monetine in tasca- E quando potremmo trovare il proprietario?-
In quel momento il discorso fatto dall’ungherese il giorno prima riaffiorò nella sua mente: “So che il bar vicino a dove lavoro cerca dei nuovi camerieri. Ho sentito che gli ultimi si sono licenziati  perché dicevano di aver visto cose strane e che il capo era fuori. Potreste vedere là secondo me”. Chissà com’era questo tipo se era riuscito a far fuggire degli impiegati…
La voce bassa del biondo lo risvegliò dai suoi pensieri. Guardò confuso la mano che l’altro gli stava porgendo.
- Lukas Bondevik, co-propietario del Five-
Lovino impiegò qualche secondo a elaborare quelle informazioni, per poi arrossire di colpo e ricambiare al saluto con un balbettante “Piacere”. Non che Antonio fosse messo molto meglio: se ne stava impalato a bocca aperta alle spalle dell’angelo senza riuscire a capacitarsi di come quel ragazzino efebico potesse in realtà essere il boss.
Davanti a loro Lukas, mantenendo la solita espressione, si limitò ad un neutro:
-Ci vediamo domani alle sette meno dieci per una prova. Siate puntuali-
 
 
 
Ho sonno, ma sinceramente sono felice che il capitolo sia finito anche se non ne sono soddisfatta. Pensare che all’inizio la litigata tra Lovino e Antonio non era neanche prevista… E compare anche uno dei miei personaggi preferiti! Va beh, lasciate un commentino per farmi sapere la vostra opinione e le vostre critiche. A presto (non ci credo neanch’io…)
 Sve

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