Baby, non scherzare con il fuoco.

di Nightshade_04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***







 



 
 
 † CAPITOLO PRIMO †
 




Me ne stavo tornando a casa, dopo aver trascorso l’intero pomeriggio a casa della mia amica Ellen.
Era ormai sera, e camminavo lungo la strada buia, illuminata solo da qualche lampione qua e là, quando la mia attenzione fu catturata dall’ urlo supplichevole di un ragazzo.
Incuriosita, mi concentrai sulla direzione da cui proveniva quel lamento, lo seguii e giunsi nei pressi di un vicolo oscuro. Lì, vidi cinque figure che stavano in piedi attorno a qualcosa, o meglio, qualcuno.
Mi avvicinai senza farmi notare e mi nascosi dietro ad un cassonetto della spazzatura, nonostante lo sgradevole odore.
Due ragazzi tenevano fermo per le braccia un altro ragazzo, che dall’aspetto doveva essere uno di quei secchioni fastidiosi, mentre un terzo gli tirò un pugno in pieno viso.
“Basta, vi prego!” Implorava lo sventurato, mentre altri due ragazzi, in piedi di fronte a lui, si godevano la scena, soddisfatti.
“Te la sei voluta tu! Te lo avevamo detto che sarebbe finita così, se non ci avessi portato tutti i compiti scritti entro stamattina. Ma no, tu hai voluto fare di testa tua, non ti sei presentato oggi a scuola e la sai una cosa? La professoressa ci ha messo una valutazione negativa e questo per colpa tua.” Continuò lo stesso ragazzo di prima, assestandogli un gancio destro, stavolta nello stomaco.
Il poveretto si piegò in due, boccheggiando aria. Guardai colui che lo aveva colpito e lo riconobbi: era una delle reclute più giovani degli Skulls.
Gli Skulls erano l’altra banda al vertice del potere, qui a New York. Erano famosi per le loro azioni in tutta la città e le persone normali gli giravano alla larga, non volendo, per nessuna ragione, imbattersi in qualcuno di loro.
Quelli dovevano essere dei nuovi acquisti, solo degli sciocchi ragazzini di quindici anni, che non sapevano come la loro vita sarebbe cambiata entrando a far parte del clan e credevano soltanto che significasse farsi rispettare, ottenere tutto ciò che si voleva e poter vantarsene. Poveri illusi.
Non seppi perché, ma decisi di intervenire. Era troppo tempo che non facevo a botte con qualcuno, quasi dieci ore -cavolo!- ed avevo voglia di divertirmi.
Uscii da dietro quel maleodorante nascondiglio e con passo tranquillo, mi avvicinai a loro.
“Guarda, guarda chi mi tocca trovare in giro per le strade il martedì sera: delle reclute degli Skulls che se la prendono con un poveretto perché… non gli ha portato i compiti?” Dissi attirando i loro sguardi su di me, sollevando un sopracciglio, indignata. “Devo ammettere che mi sarei aspettata di meglio. Cinque contro uno, poi. Molto leale!” Li schernii, contrariata.
Il ragazzo più imponente tra quelli serrò la mascella, digrignandola. “E tu chi saresti, scusa?!” Mi domandò, con fare prepotente.
Non potei evitare di ridere. Ebbi quasi compassione di lui, così stupido ed ingenuo.
“Me lo stai chiedendo sul serio?” C’era molta ironia nel mio tono di voce. “Io sono Alexa, Alexa Jersey.”
Li vidi irrigidirsi; poi due di loro se la diedero a gambe levate, superandomi. Come avevo pensato, pivelli.
“Quindi tu s-sei …” Parlò ancora, ma lo precedetti. “Si, sono la sorella di Mason, capo dei Dangers e sinceramente sono molto sorpresa del fatto che tu me l’abbia chiesto.”
I Dangers, ossia la mia banda, erano i nemici più temibili degli Skulls. Eravamo più o meno allo stesso livello, anche se -ovviamente- noi eravamo  più forti. Volevamo prevalere gli uni sugli altri e per questo eravamo in continuo conflitto.
Mason Jersey era mio fratello e dirigeva tutta la società. Io perciò, facevo la sua stessa vita fin da quando ero piccola. Ero cresciuta in quella battaglia ed ero temuta dalla gente. Sinceramente facevano bene ad avere paura di me: ero la ragazza più conosciuta tra i componenti dei Dangers per le mie capacità. Ero abilissima con le armi da fuoco ed imbattibile nella lotta corpo a corpo, ma me la cavavo altrettanto bene con le spade ed i coltelli. Molte volte ero stata il perno fondamentale di molte missioni; se avessi sbagliato io -cosa che comunque non sarebbe mai successa-, sarebbe andato tutto a rotoli.
Sarebbe potuto sembrare strano dire tutto questo di me, dato che avevo solo sedici anni, ma tutti sapevano che ciò che si diceva in giro sul mio conto, era vero. Tranne il fatto che avessi ucciso qualcuno. Delle voci -false- raccontavano che avessi fatto fuori in totale una ventina di persone, cosa assolutamente non vera dato che, anche volendo, non sarei mai stata in grado di togliere la vita ad un essere umano. Potevo ferire, anche molto gravemente, ma l’omicidio andava contro i miei principi.
Nella scuola tutti tenevano si tenevano a distanza da me e quando camminavo per i corridoi, ero sempre al centro dell’ attenzione. Gli unici amici che avevo facevano parte della mia banda, poiché i genitori dei ragazzi “normali”, li obbligavano ad ignorarci. Oltretutto, non potevamo di certo essere amici dei membri degli Skulls. Era vietato e comunque incoerente.
La voce del ragazzo di fronte a me mi distolse dai miei pensieri. “Cosa vuoi? Perché sei qui? Stai fuori da questioni che non ti riguardano!” Mi urlò contro. Nessuno doveva permettersi di rivolgersi a me con quel tono, men che meno se avesse avuto qualche anno in meno di me.
“Questa frase è la dimostrazione che Jakob accetta nella sua banda anche stupidi, senza cervello come voi, senza metterli alla prova. Lo dicevo che era un ignorante!” Una delle regole basilari di ogni gruppo, era quello di non insultare mai i propri superiori ed impedire anche ad altri, di farlo. 
“Non parlare così del nostro capo!” Mi ringhiò contro. Era addirittura convinto di spaventarmi, cosa da non credere!
“Se no…?” Lo sfidai, sostenendo la tensione tra i nostri sguardi. Credo che, anche se non fossero visibili ad occhio nudo, tra le nostre iridi intercorressero delle scariche elettiche.
“Se no, dovrai vedertela con noi!” Esclamò.
“Uh, sono proprio spaventata.” Dissi, prendendoli in giro e portandomi le mani sulle guance, mimando un’ espressione terrorizzata. “Fatevi sotto!” Li istigai un istante dopo, facendogli cenno con l’indice di avvicinarsi.
Il moro si scroccò le dita delle mani, pronto ad attaccarmi, mentre i due ragazzi alle sue spalle lasciavano cadere a terra il ragazzo malmenato e si mettevano al suo fianco.
Ero pronta. Volevo anche battere il mio record, ossia metterli al tappeto in meno di cinque minuti. Guardai l’orologio al mio polso e sghignazzai, forse con un pizzico di malvagità. Non credevo che nessuno, oltre a me, avesse mai provato a fare una cosa del genere. Era arrivato il momento dello scontro -sfortunatamente per loro-, perciò, bando alle ciance! 
Il primo ragazzo avanzò verso di me e tentò di colpirmi con un pugno, che però afferrai prontamente. Senza il minimo sforzo gli roteai il braccio, facendogli fare un mezzo giro su se stesso per il dolore. Lo colpii alla schiena con un calcio, sferrato con grande forza.
Fuori uno.
Ci provò allora il secondo, che mi mise le mani sulle spalle, stringendo la presa, ma io risposi alla sua aggressione aggrappandomi a mia volta sulle sue muscose spalle, per poi colpirlo, con il ginocchio, nello stomaco. Mi lasciò, gettandosi sull'asfalto umido, sofferente.
Fuori due.
Ed ora restava l’ultimo. Mi tirò un calcio che evitai, poi un altro, ma mi mancò nuovamente. Allora fu il mio turno e quando gli tirai un calcio, insegnatomi dal mio maestro di arti marziali, lo misi KO.
Sorpresa di aver già finito, con anche un po' di rammatico, riguardai l’orologio. Erano trascorsi soltanto quattro minuti e dieci secondi -evviva!-. 
Andai dal ragazzo in fondo alla via, ancora seduto per terra, che aveva osservato la scena, atterrito.
“Tutto bene?” Gli domandai gentilmente, porgendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi. Lui la prese, senza togliermi gli occhi di dosso.
“Si, grazie.” Rispose, un po’ titubante nei miei confronti.
“Meglio che ora tu te ne torni a casa. Loro ti lasceranno in pace per un po’, ma ti conviene comunque evitarli, per quanto ti possa essere possibile.” Gli consigliai, alludendo ai ragazzini degli Skulls.
Il ragazzo annuì e se ne andò, senza farselo ripetere una volta. Io rimasi nella via ad osservare i miei ‘nemici’, mentre a poco a poco si riprendevano e si ricomponevano.
Decisi di lasciar loro un messaggio per il loro capo, giusto per il gusto di farlo.
“Spero che questo vi sia servita da lezione. È stato sciocco da parte vostra voler affrontarmi, nonostante sapeste del mio livello di combattimento. Sono stata anche fin troppo buona, a dirla tutta. Comunque, ora, fatemi un favore: dite da parte mia a Jakob che è un incapace e che dovrebbe migliorare la selezione per l’ ingresso nella banda.” Conclusi, accennando un occhiolino e tornandomene a casa, da mio fratello.

La mattina seguente mi svegliai in orario e mi preparai per andare a scuola.
Quando arrivai al cancello d’ ingresso, vidi la mia amica Ellen corrermi incontro. I suoi lunghi capelli neri oscillavano a destra e a sinistra, mentre il suo corpo snello si muoveva nella mia direzione. Avevo sempre amato i suoi capelli, lunghi fino a metà schiena, leggermente ondulati e di quel color corvino lucente, che si addiceva proprio ai suoi bellissimi occhi verde smeraldo. Ellen era la mia migliore amica, anche se aveva un anno in più di me. La avevo conosciuta all’ interno della società ed eravamo divenute da subito inseparabili.
“Che hai fatto ai capelli?!” Mi domandò stranita.
Io avevo i capelli ondulati castani con dei riflessi più chiari. Ma a me non piacevano, perciò quella mattina, prima di andare a scuola, mi ero dipinta delle ciocche di blu, con una bomboletta spray apposita. Devo ammettere che erano uscite davvero bene e poi facevano risaltare i miei occhi azzurri.
“Era da un po’ che pensavo di farmele, solo che non ho mai avuto il coraggio, fino a stamattina.” Ammisi sorridendo. 
“Wow, non me l’aspettavo. Comunque devo dirtelo, stai davvero bene. Fai un giro su te stessa.” Mi disse e feci come aveva chiesto. “Si, mi piacciono un sacco!” Mi batté il cinque, felice per me.
Scoppiammo a ridere, per poi avviarci all’ interno della scuola.
“Ehi, ma che hai fatto ieri sera?” Se ne uscì all’ improvviso, curiosa. “Mi è giunta voce che hai steso dei poppanti degli Skulls.”
Le raccontai per filo e per segno come si era svolta la vicenda, senza tralasciare il minimo particolare. Quelle cose capitavano abbastanza frequentemente a gente come noi.
“Ecco, e questo è tutto.” Terminai il racconto, sollevata.
“Grande Alexa! Gli hai dato una bella lezione! Chissà Jakob come avrà reagito, quando lo è venuto a sapere! Sarà andato su tutte le furie.”
“Probabile!”
Affermai. Sinceramente, non avevo nemmeno preso in considerazione quella possibilità, non l'aveva mica fatto per infastidirlo! 
Lo squillare della campanella ci avvisò che le lezioni stavano per iniziare. Salutai Ellen e mi diressi nella mia aula. Quando entrai, presi posto negli ultimi banchi vicino alla finestra, che da qualche anno mi appartenevano. Guardai il cielo: era nuvoloso e minacciava seriamente di iniziare a piovere. Le foglie degli alberi erano colorate di rosso, arancio, giallo e marrone, colori caratteristici del mese di Ottobre.
Prestai poca attenzione alla spiegazione dell’ insegnante e il tempo sembrava non passare mai. Tirai fuori il cellulare dalla tasca della mia felpa e scrissi un messaggio a mio fratello, che a quest’ora sarebbe dovuto essere a casa. Lui non andava più a scuola da un pezzo, dato che aveva già vent’ anni ed era quasi sempre impegnato con gli affari della banda .
A: Mason
“Qui è una noia assoluta. Non capisco perché debba ancora andare a scuola”

Attesi solo pochi minuti prima di ricevere una sua risposta.
Da: Mason
“Perché altrimenti non farai mai niente nella vita. E poi, cerca di stare attenta alla lezione, non vorrai mica essere bocciata e ripetere l’anno!”

Come al solito, mio fratello doveva fare il moralista. Non riuscivo proprio a capire perchè si comportava così, dato che ai suoi tempi, era stato l'incubo di ogni professore. Sospirai e mi gettai all’ indietro sulla sedia, infastidita, mentre premevo i tastini.
A: Mason
“Va beh, lavorerò nella società! E poi non mi possono bocciare, siamo appena ad Ottobre.”
Non ricevetti più alcun sms. Tipico di lui: quando avevo ragione, lasciava sempre cadere l’argomento.
Le ore passarono, anche se con una lentezza lancinante, e finalmente venne l’intervallo. Uscii dall’ aula ed andai al mio armadietto, in fondo al corridoio. Lo aprii , inserendo nel lucchetto la combinazione e ci gettai dentro con poca cura, i libri di testo che per oggi non mi sarebbero più serviti. Quando richiusi l’anta metallica e mi voltai, mi trovai faccia a faccia con un ragazzo che conoscevo bene.
Alto, magro, muscoloso, capelli marrone scuro con sfumature più chiare, occhi color cioccolato fondente, che però si schiarivano avvicinandosi alla pupilla e il solito sorrisetto strafottente sulle labbra. Indossava jeans neri, una maglietta grigia attillata, che metteva in risalto i muscoli del suo petto e sopra, una giaccia nera di pelle.
“Alexa, che piacere vederti.” 
“Peccato che non possa dire la stessa cosa, Jakob.”
Replicai acida, notando il suo sorriso espandersi alla mia reazione.
“Così mi ferisci.” Ironizzò, mettendosi una mano sul cuore. “Pensavo di farti una bella sorpresa venendoti a parlare.”
“Mi spiace, evidentemente hai pensato male.”

“Sono venuto a sapere di cosa è successo ieri sera. E mi è stato anche riferito il messaggio.”
“Bene, non mi interessa minimamente.”
Fu tutto ciò che dissi.
Vidi la sua espressione incupirsi, poi fece un passo in avanti e dovetti indietreggiare. Mi trovai con le spalle contro il metallo freddo, ma non mi sentii in trappola finché non appoggiò anche le mani ai lati della mia testa, facendo peso sugli armadietti.
“Io non sono stupido, ok?” Si accigliò, guardandomi serio.
“Infatti ho detto che sei incapace, non stupido. In fondo, lo sai che è la verità.” Risposi, provocandolo.
In un primo momento rise, ma poi tornò serio.
“Piccola, apprezzo la tua tenacia, ma ti avverto che non dovresti sfidarmi così.”
“Non ho paura di te.”
“Dovresti invece.”

La sua posizione era opprimente e decisi di rimediare. Poggiai le mani sul suo petto e lo spinsi indietro.
“Sentimi, avrai anche due anni in più di me e sarai anche il capo degli Skulls, ma sappi che non mi spaventi. Puoi venir qua, ora, e fare l’arrogante e lo sbruffone finché vuoi, ma le cose non cambieranno. Ho detto che sei incapace e tutt’ora lo penso, basti guardare che pivelli hai reclutato.” Gli risposi a tono.
“Hai fegato, piccola. Mi piaci. Potresti anche esserci utile nella società.”
“Stai scherzando spero! Io non entrerei mai, e ripeto mai, a far parte della vostra banda!”
Esclamai.
“Peccato, tanto talento sprecato.” Sussurrò, poggiandomi la mano sulla guancia e accarezzandomela con il pollice, prima di voltarsi ed andarsene.
Rimasi immobile sul posto, vedendolo allontanarsi. Prima che girasse l’angolo e sparisse in un altro corridoio però, si girò indietro: “Comunque, stai bene con questo nuovo look.” E mi fece l’ occhiolino, sorridendomi. Ero confusa, ma non capivo il perché.

 
Eravamo quasi arrivate al capannone. Io ed Ellen lo avevamo fatto un’altra volta. Durante l’intervallo ce ne eravamo andate da scuola, senza dire niente a nessuno. Probabilmente qualcuno si sarebbe preoccupato o si sarebbe chiesto dove fossimo, ma, a dirla tutta, avevo dei dubbi al riguardo.
Arrivammo davanti all’ enorme portone d’ ingresso dell’ edificio, ormai in disuso. Con un po’ di fatica lo aprimmo ed entrammo.
Questo un tempo era stato la base d’ addestramento dei Dangers. Ampio, spazioso e ben nascosto tra gli alberi di una collinetta nella periferia della città, era stato poi trovato e preso d’assedio dagli Skulls.
Dal quel momento il centro era stato spostato in un luogo più sicuro e introvabile, ed era stato vietato a tutti tornare qui. Perciò stavamo nuovamente infrangendo le leggi della società.
Ma questo luogo ci piaceva da impazzire e teneva racchiuso in sé troppi ricordi. Inoltre ci serviva un posto in cui nessuno sarebbe andato e dove avremmo potuto tranquillamente lavorare al nostro nuovo esperimento: un piccolissimo insetto microchip con GPS incorporato, che sarebbe stato lanciato ad una velocità elevata da un’ apposita pistola, affinché sarebbe stato in grado di attaccarsi anche su obiettivi ad una certa distanza. Avevamo rubato l’idea in un laboratorio di scienziati specificati nel settore delle armi, ma essendo l’abbozzo molto vago, non eravamo ancora riuscite ad arrivare dove volevamo.
Ogni volta che lo testavamo, il microchip si frantumava venendo a contatto con il bersaglio, oppure, nel migliore dei casi, si attaccava all’ oggetto, ma dopo poco tempo cadeva a terra.
C’erano ancora tante cose da perfezionare e poco tempo per farlo, siccome questo doveva rimanere segreto a tutti e gli unici momenti in cui non eravamo impegnate con la banda era la mattina, quando avevamo però scuola. Certamente avremmo potuto dirlo a Mason, che ci avrebbe fatte aiutare dai suoi migliori tecnici, ma non volevano per due motivi. Il primo era che il progetto era stato preso in un luogo in cui ci era stato proibito di andare e ci avevamo lavorato in un altro posto, in cui egualmente non avremmo dovuto essere. Il secondo, invece, era che volevamo ultimare l’opera per conto nostro, così magari mio fratello si sarebbe reso conto di quanto valessimo e ci avrebbe finalmente mostrato quei file segreti della società, che si era sempre rifiutato di farci vedere.
Tolsi la valigetta grigia dal mio zaino e la aprii. Presi la pistola nera, avvolta nella custodia di pelle marrone e la posai con cura sul tavolo di legno davanti a me. Poi, riposi a fianco di quest’ ultima una scatoletta di ferro, contenente gli ultimi microchip rimasti e un’ altra più grande, con gli attrezzi da lavoro.
Dopo una ventina di minuti eravamo ancora al punto di partenza. Gli strumenti erano sparsi ovunque, la pistola stava nella mia mano già carica ed il manichino di fronte a me, era ancora lì a fissarmi. Avevo provato a sostituire una parte dell’ insetto, rendendola più resistente e questo aveva avuto come il risultato che, anche dopo l’impatto, rimanesse integro. Però aveva anche comportato che il peso fosse aumentato e, con ancora più fatica, tentava di rimanere aggrappato.
Mi stavo irritando, perché ogni qualvolta credevamo di avercela fatta, non era mai così.
Stavo ancora sbuffando, quando sentimmo delle voci provenire dall’ esterno. Corremmo subito alla finestra, ormai senza vetro, che puntava sul sentiero che riconduceva in centro città, e ciò che vidi mi fece imprecare.
“Dannazione! Tra tutti coloro che sarebbero potuti venire qui oggi, proprio gli Skulls!”
“Peggio! Quelli non sono degli Skulls qualunque…”
Iniziò la mia amica.
“Sono i bracci destri di Jakob!” Esclamai, intimorita.
“Dobbiamo andarcene e alla svelta!” Mi incitò El, muovendo freneticamente le braccia.
“Ma non possiamo lasciare le cose qui.” Dissi indicando il materiale sul tavolo di legno. “Dobbiamo mettere via tutto e portarcelo via.”
“Non faremmo mai in tempo, lascia perdere e andiamocene, adesso!”
Supplicò.
“No! Non ho lavorato mesi e mesi per dover poi abbandonare tutto il mio lavoro!” Protestai, in preda all’ ansia. Eravamo in un guaio enorme e se non avessimo trovato una soluzione al più presto, sarebbe finita molto male.
“Ok, allora tu metti via tutto il più velocemente possibile. Io uscirò allo scoperto e cercherò di tenerli impegnati, poi scapperò. Tu uscirai dalla porta su retro e andrai al bar del parco Ovest, dove ci rincontreremo.” Sentenziò la mora, sicura di sé. Sarebbe stato rischioso per entrambe, ma era l’unica possibilità che ci restava.
Annuii e velocemente iniziai a riporre tutta l’attrezzatura all’ interno della valigetta. Intanto Ellen era uscita e avevo potuto sentire le sue parole: “Salve! Come state? Che strano vedervi qui, vi siete per caso persi?”
I ragazzi, più grandi di lei di due o tre anni, le risposero bruscamente. “E tu che cavolo ci fai qui!? Lo sai che questa è la nostra proprietà vero?”
“Si, infatti me ne stavo giusto per andare.”
Rispose lei. La conosceva fin troppo bene e dal suo tono di voce, nonostante fosse all’esterno, capivo che era parecchio agitata e che presto non sarebbe più riuscita a sopportare tutta quella tensione.
“Non penso proprio.” Parlò uno, con una voce profonda.
Poi non sentii altre parole, probabilmente stavano cercando di prenderla, ed io mi imposi di darmi una mossa. Nel giro di pochi minuti stavo facendo scattare la serratura della valigetta. Avevo gettato dentro le cose un po’ alla rinfusa, data la situazione, ma finalmente potevo andarmene da lì.
Già qualche minuto prima, aveva sentito urlare: “Fermatela, non lasciatevela scappare!” e ciò stava a significare che Ellen non era più in zona e che era davvero una questione di secondi, per il buon esito della mia fuga.
Senza ulteriori indugi, corsi attraverso tutto il capannone ed aprii la porta su retro, con un calcio.
“Ce l’ho fatta, l’ho scampata un’ altra volta.” Mormorai a bassa voce a me stessa, quasi fosse una rassicurazione, gettandomi fuori, con lo sguardo chino sul pavimento.
Sentii qualcosa impedirmi di avanzare, mentre mi teneva ferma.
“Non credo te ne andrai facilmente.” Ghignò quella voce, troppo familiare.







Buonasera!

Ciao a tutti, questo è il primo capitolo della mia nuovissima storia originale.
Beh, che ne pensate?
Vi piace? O è meglio che vada a rifugiarmi sulla montagne innevate con l'uomo delle nevi? Hahaha!
Scrivetemi il vostro parere qui sotto, mi farebbe davvero piacere. 
A prestissimissimo. Vostra Nightshade_04 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***










†  CAPITOLO SECONDO †





 
 
“Allora, mi vuoi dire che cosa ci facevi qui, mocciosa?” Mi chiese nuovamente Jakob spazientito, sbuffando.
Ero seduta con le mani legate dietro la schiena e da ormai una decina di minuti venivo tartassata di domande, alle quali però, persistevo a non dare risposte. Quando poco prima stavo tentando di fuggire di lì e le braccia di Jakob mi avevano bloccata, avevo provato a ribellarmi e sfuggire alla sua presa, ma era stato tutto inutile: la sua superiorità fisica era notevole. Inoltre, se anche ce l’avessi fatta, non sarei riuscita lo stesso ad andarmene via, dato che insieme a lui c’erano anche altri membri della sua banda, i quali mi avevano circondata quasi a formare una barriera infrangibile. Dopodiché il moro mi aveva sollevata di peso e mi aveva portata di nuovo dentro, legandomi con delle spesse corde, alla sedia dove mi trovavo ora.
“No, non te lo dico adesso e non te lo dirò mai.” Affermai, mostrandomi sicura di me. In realtà non lo ero per niente, ero tutt’ al più preoccupata, perché se non fossi riuscita ad evadere di lì in tempo per questo pomeriggio, mio fratello avrebbe sicuramente chiesto ad Ellen dove fossi e molto probabilmente lei gli avrebbe raccontato tutta la verità, cosa che non sarebbe dovuta succedere per nulla al mondo.
“Stammi a sentire, non costringermi ad usare le maniere forti, perché potresti pentirtene!” Proruppe, alzando il tono di voce ed avvicinandosi minacciosamente a me. Lo ammetto, avevo paura. Sì, io, Alexa Jersey, ero spaventata. Ma solo un po’, eh.
“Perché non risolviamo la questione davanti ad una bella tazza di thè caldo?” Sdrammatizzai, cercando di prendere del tempo per farmi venire un’ idea.
Mi ricordai della valigetta e guardai nell’ angolino a fianco della porta dove poco prima la avevo gettata. Fortunatamente non se ne erano accorti: quei bestioni erano troppi intenti a guardare cosa stesse succedendo tra me e il loro capo, per farci caso. E dovevo fare in modo che non la vedessero, ma soprattutto, non la prendessero. In tal caso sarebbe stato un casino bello e buono, perché sarebbero venuti a conoscenza delle mie vere intenzioni, e Dio solo sa, come avrebbero reagito poi.
“Ehi, ma mi stai ascoltando?!” Mi richiamò dai miei pensieri Jakob, passandomi più volte una mano davanti alla faccia.
Mi ripresi immediatamente e tornai ‘sul pianeta Terra ’, per così dire.
“Oh, ehm… dicevi?” Dissi imbarazzata, non avendo seguito nemmeno una parola del suo discorso.
Per tutta risposta, lui si girò nella direzione in cui mi ero incantata con lo sguardo poco prima, e la vide.
‘No, BIP, BIP, BIP’  Imprecai mentalmente, iniziando a muovermi sulla sedia, sperando di distrarlo. Nonostante ciò, non mi degnò di uno sguardo e subito andò a prenderla. Ma prima che potesse afferrare la sua maniglia, diedi un’altra spinta alla sedia, urlando: “No, BIP! Non prenderla!” E per la forza che ci avevo messo, mi ribaltai all’indietro, causando un forte tonfo.
“Ahia!” Mi lamentai per la botta che avevo preso, mentre Jakob stava tornando ora da me, sorridendo. Teneva fra le mani quell’ oggetto che avevo provato in tutti i modi di tenergli fuori portata e sentii di aver fallito.
“BIP?” Mi guardò dall’ alto con un sopracciglio alzato, confuso e divertito allo stesso tempo.
“È il mio modo per evitare di usare termini volgari, se proprio devo, dico un BIP al loro posto.” Lui scoppiò in una sonora e fragorosa risata, così come gli altri ragazzi lì vicini.
“Certo che sei proprio buffa. Una come te, la sorella del capo di una delle bande di delinquenti più potenti della città, che usa la parola BIP al posto delle parolacce!” Esclamò deridendomi e facendomi arrossire.
Era una cosa che avevo sempre fatto fin da bambina, quando non mi piaceva sentir dire quelle parole uscire dalla bocca di mio padre o mio fratello e li incitavo a sostituirle con un’ altra parolina “più gentile”, come la definivo io, quale ‘BIP’, appunto. Crescendo, il vizio era rimasto. Ora non facevo più osservazioni sullo stile di linguaggio altrui, ma preferivo comunque tenere il mio in questo modo. In effetti aveva ragione a dire che questo comportamento non si addiceva al tipo di persona che ero, ma era più forte di me, che ci potevo fare?
“Senti, invece di continuare a ridere come un deficiente, perché non mi aiuti a risollevarmi da terra, che mi sto facendo male ed è tutto sporco?! Ah, e poi magari non mi sleghi anche?!” Lo provocai, guardandolo dritto negli occhi. Annuì e con poco sforzo tirò su la sedia, con me sopra. Non ero ancora libera, ma per lo meno non stavo più sdraiata su quel pavimento sudicio e polveroso.
“Grazie…”
“Figurati. E ora guardiamo cosa nascondi qui dentro, piccola.”
Si avvicinò al tavolo e ci posò sopra la valigetta, facendo pressione sulla serratura per aprirla. C’era un codice da inserire per far scattare la sicura e, fortunatamente, lui non lo conosceva. Ci armeggiò ancora per qualche minuto, poi si arrese e si girò verso di me.
“Dimmelo.” Mi ordinò freddo e distaccato.
“Che cosa?” Feci la finta tonta. Non gli avrei mai rivelato i numeri.
“Sai benissimo di cosa sto parlando, avanti.”
“Invece non lo so.”
Insistetti. Finché non avesse saputo la combinazione, non avrebbe scoperto il nostro piano e non mi avrebbe nemmeno potuta uccidere, perché gli servivo, giusto?
“Perché devi sempre fare la ragazzina testarda?!” Mi prese il mento con una mano, sollevandolo fino ad incatenare i miei occhi nei suoi. Sostenni il suo sguardo coraggiosamente, prima di rispondergli: “Perché lo sono.”
“Invece adesso tu mi dirai quali sono i numeri per aprirla.”
Soffiò sulle mie labbra, scandendo bene parola per parola. Il battito del mio cuore aumentava ogni secondo di più, ma non potevo permettermi di perdere il controllo. Cercai di spostare il mio sguardo in un'altra direzione, ma lui parve accorgersene. “Guardami!” Disse autoritariamente. “E parla!”.
“Non lo farò, perché a quel punto non vi sarò più utile e potrete tranquillamente sbarazzarvi di me.”
Diedi voce ai miei pensieri.
“Allora è questo il problema, hai paura di morire.” Un sorrisetto, come di chi avesse il dominio del mondo, incurvò le sue carnose labbra rosse. Si risollevò eretto e parlò ai suoi compagni. “Uscite tutti di qui, ora.”
Non riuscivo a capire perché lo avesse fatto e un oceano di dubbi mi assaliva. Gli Skulls obbedirono senza proferire parola e ben presto ci ritrovammo soli. Deglutii rumorosamente quando Jakob tornò da me, con quell’ espressione malefica e perversa.
“Lasciami andare, ti prego.” Lo supplicai.
“Non ancora, piccola. Prima devi farmi un favore e sai già di cosa si tratta.” Non avrei ceduto tanto facilmente, non era nella mia natura e non sarei cambiata proprio ora. “Mai.” Sputai sprezzante. Lui continuava a sorridermi, quasi si divertisse delle mie reazioni, e rimasi sconcertata quando mi sfiorò dolcemente la guancia con la mano destra, sussurrandomi “Allora facciamo un accordo.”
“Che genere di accordo?”
Domandai, incuriosita dalla proposta. Solitamente non mi riducevo mai a scendere a patti con i nemici, ma in casi come questi, in cui ti ritrovi con le spalle al muro, tutto è lecito.
“Facciamo così, tu mi dici come aprirla ed io mantengo il segreto su ciò che all’ interno.” Credeva davvero che avrei accettato? Non ci avrei guadagnato niente, che senso aveva?
“Se davvero pensi che potrei accontentarmi del fatto che tu mantenga il segreto, ti sbagli di grosso. Io pretendo di essere liberata e lasciata andare.” Feci convinta. Lui mi sorrise. “Vedo che sai contrattare. Peccato che non abbia la minima intenzione di stare al tuo gioco.” Dichiarò.
“Peggio per te, vorrà dire che dovrai arrangiarti.” Sapevo che era un osso duro, ma non l’avrebbe avuta vinta tanto facilmente. Digrignò i denti: evidentemente era stato sempre abituato ad ottenere quello che voleva, subito, senza troppi sforzi.
“Ragazzina, qui non sei proprio nelle condizioni di dettare regole o condizioni. È meglio per te se collabori, fidati.”
“Finché non sarò libera, non sentirai più alcun suono uscire dalle mie labbra.”
E con questo, tagliai ogni conversazione. Avrebbe avuto il mio silenzio eterno.
“Vedremo se riuscirai davvero a mantenere quello che hai appena detto.” Infilò una mano in tasca e vi sfilò un coltellino. Si posizionò alle mie spalle e avvicinò l’oggetto metallico alla mia gola. Potevo sentire la lama fredda ed affilata sulla pelle. Non era certo la prima volta che mi ritrovavo in una situazione del genere, quindi mantenni la calma.
“Se non parli ora, sarà l’ultima cosa che farai, e potrai dire addio a tuo fratello ed ai tuoi amichetti.” Niente. Ero impassibile davanti a lui. Sapevo benissimo che non mi avrebbe mai uccisa. Forse si era scordato che anch’ io facevo la sua stessa vita e perciò sapevo bene che le torture non avevano mai lo scopo di portare alla morte, ma semplicemente farlo credere alla vittima, fino ad indurla a compiere ciò che si vuole.
“Persisti, eh!” Fece scorrere la lama sulla carne, tagliandola e facendo sgorgare il sangue. Era solo una ferita superficiale, niente di cui preoccuparsi. Mantenni la mia postura salda e non lasciai trapelare alcuna emozione dalla mia faccia. Vedendo che non demordevo, iniziò a passarci sopra le sue dita. Faceva male e bruciava, ma dovevo resistere. Premette forte ed anche se ci misi tutto il mio impegno per impedirlo, mi scappò un gemito di dolore.
“Vedi che allora qualcosa la senti.” Era malefico e spietato; lo detestavo.
“Puoi fare quello che vuoi, tanto non mi convincerai mai!” Non rimase molto sorpreso dalla mia reazione: evidentemente se l’aspettava.
“Come sospettavo. È difficile gestire persone con un carattere come il tuo, sai?”
“In che senso?”
Mi ricordavo di aver detto che non avrei più parlato, ma me ne fregai altamente.
“Beh, sei forte, non ti fai intimorire da nessuno e mascheri bene i tuoi sentimenti. Pochi hanno queste capacità e la maggior parte di essi ha poco autocontrollo. Tu ci riesci?” Così, da una semplice affermazione, stava nascendo un discorso. Non ci avevo mai pensato. In effetti, molte volte perdevo la pazienza ed agivo d’impulso senza riflettere.
“Si.” Mentii.
“Più convincente.”
“Come, scusa?”
“Se devi raccontare una balla, sii almeno più convincente.”
Come era riuscito a capirlo? Soltanto mio fratello riusciva a leggere la veridicità nelle mie parole.
“Come ne sei capace?” Domandai, allibita.
“È una delle mie tante doti. Potrei insegnarti come si fa, un giorno.” Si capiva che non diceva sul serio.
“Tra le tue infinite doti, c’è anche quella di slegare le persone?” Ormai mi era chiaro che, se avessi continuato ad essergli ostile, non avrei ottenuto niente, perciò optai per un approccio momentaneo.
“Apprezzo lo sforzo, comunque è un ‘NO’.”
Infine, tentai un’ ultima, folle, idea.
“Ascolta Jakob, non sono solita dire queste cose a tutti, ma è davvero importante. Devo tornare da mio fratello per pranzo, altrimenti scoppierà la terza guerra mondiale. Quello che io e la mia amica stavamo facendo era segreto, capisci? Se lo scoprisse, per me sarebbe la fine, e, nonostante io sappia che tu ne trarresti grande vantaggio e ne saresti felice, per piacere, ti chiedo di aiutarmi.” Avevo abbassato ogni difesa dicendogli la verità. Speravo con tutta l’ anima che provasse almeno un po’ di pietà nei miei confronti e mi capisse.
I secondi scorrevano in silenzio. Sembrava riflettere sulle varie possibilità e dentro di me si diffondeva un’ ansia terribile.
Mi ero già pentita di quello che avevo fatto, ero stata stupida.
“Mi hai sorpreso. Davvero, non me lo sarei mai aspettata una cosa simile da te. Ti rendi conto vero, che con quella rivelazione, hai messo la tua vita nelle mie mani?” Sembrava davvero appagato. Ecco, lo sapevo, non avrei dovuto fidarmi. 
“Tuttavia, anche io ho un cuore, nonostante non voglia dimostrarlo. Perciò ti permetterò di andare via, ma ad un’altra condizione.” Ancora…!
“E sarebbe?” Ero davvero stanca, non ne potevo più.
“Ogni pomeriggio dovrai passare almeno un’ora con me.” Disse fiero.
“Stai scherzando spero!” Lo guardai scioccata. Ma che cavolo gli prendeva? Per quale assurdo motivo voleva trascorrere del tempo in mia compagnia? Gli era dato di volta il cervello?
“No.”
“Perché?”
Volevo delle risposte.
“Lo scoprirai quando verrai.”
Non avrei mai, e sottolineo mai, voluto farlo, ma avevo altra scelta? No.
Feci un cenno di consenso con il capo, frustrata.
“Eh brava la mia piccola mocciosa!” Sghignazzò soddisfatto.
“Però… Cosa mi assicura che mi lascerai andare davvero, una volta che avrai ottenuto ciò che vuoi?” Chiesi, diffidente.
“Ti do la mia parola, questo non ti basta?” Paf, patetico. Come se contasse davvero qualcosa per me, ciò che diceva.
“No, non mi basta per niente. Non mi fido di te, voglio essere sicura, prima di commettere un altro passo falso.” Era un atteggiamento prudente ed intelligente: avrebbero dovuto farmi una statua per la mia saggezza. ‘Ma ti sembrano cose da pensare in questo momento?!’ rimproverai me stessa. ‘Oh, no, adesso mi ritrovo anche a parlare da sola, come mi sto riducendo, per carità!’ continuai il mio monologo interiore. ‘Basta!’, e tornai coi piedi per terra.
“E come dovrei dimostrarti che non mento?” Cosa avrei dovuto rispondergli?
“Non lo so, fai qualcosa che me lo provi.” Era troppo scontata come richiesta? Boh, non sapevo che altro avrei potuto dirgli. Dal canto suo, Jakob fece una risatina di chi ha in mente qualcosa, e mi si avvicinò.
Sentii una leggera pressione e solo a quel punto mi resi conto di avere le sue labbra sulle mie. Fu un bacio molto casto, ma che mi lasciò comunque scombussolata.
“Questa come dimostrazione è abbastanza convincente?” Rimasi in silenzio, ancora intontita per quello che era appena successo. “Che c’è, adesso sei tornata di nuovo muta?”
Niente, le parole non ne volevano sapere di uscire dalla mia bocca ed io continuavo a guardarlo, seguendo ogni suo minimo movimento. Tornò al tavolo. “Avanti, ora che ti puoi fidare, dimmelo.” Risposi quasi come una ragazza ipnotizzata, alla sua domanda: “45-59-98-84”
“Che fantasia!” Mi schernì per la scelta dei numeri.
“Dovevo pur scegliere qualcosa che mi sarebbe rimasto in mente e la tecnico delle coppie di numeri mi sembrava perfetta.” Il mio tono tentava di apparire duro, per quanto possibile. Non volevo fargli capire quanto quel contatto, aveva scatenato dentro me un caos inconcepibile, lasciandomi totalmente sotto-sopra. La serratura scattò. Ora anche lui avrebbe saputo.
Decisi che non dire niente sarebbe stata la cosa migliore da fare in quel momento: magari non avrebbe nemmeno capito cosa fossero gli oggetti che teneva tra le mani, oppure non gliene sarebbe importato minimamente ed avrebbe rimesso tutto al suo posto.
Quando però mi guardò, tenendo tra le mani il progetto, sembrava addirittura stupito. “Davvero stavate lavorando a questo?” Indicò gli schemi, disegnati con l’inchiostro nero sulla carta bianca.
“Si… E questa cosa deve restare tra noi, intesi?” Faticavo a credere che avrebbe rispettato i patti, ma dovevo provarci, se volevo che tutto andasse per il verso giusto.
“Ma sei impazzita? È una cosa formidabile, devo assolutamente dirlo agli altri!” E ti pareva!
“No! Abbiamo fatto un accordo, perciò tu adesso slegami e poi non azzardarti a dire niente a nessuno, o io…”
“O tu…?” Era proprio una bella faccia tosta. Dovevo intimorirlo, quindi optai per la conclusione più famosa.
“O io ti uccido.” Come se ne fossi stata realmente capace. Jakob rise, ancora, ed io non potei far altro se non roteare gli occhi al cielo, -anche se eravamo al chiuso-, e sbuffare. “Dico sul serio, Jak” E per la prima volta usai un nomignolo con lui.
“Non ci riusciresti mai.”
“Sei troppo pieno di te. Datti meno arie, amico.”
Ed ecco tornare la Alexa combattente.
“Si, si, come no.”
Che brutta giornata era stata quella: io non ero per niente abituata a sottomettermi al volere altrui, ero una che faceva sempre e solo quello che voleva e non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Se Mason avesse saputo…
Venne verso di me ed agì. Finalmente i miei polsi potevano muoversi liberamente. Mi alzai, il mio corpo era indolenzito e mi faceva male la spalla, forse per la caduta di prima. Corsi verso la mia valigetta, ma Jakob mi si parò davanti. “Non la porterai via ora, la considererò come un pegno per stimolarti a presentarti agli incontri.” Sorrise furbo. A che scopo vedermi? Non riuscivo a capire, seriamente. Eravamo nemici, dunque, perché quell’assurda richiesta?
“Ora vattene, prima che cambi idea.” Lo guardai sghembo, ma poi feci come mi aveva detto.
Una volta abbastanza lontana da quell’ orrendo posto, presi dalla tasca della felpa il mio telefono cellulare, che per tutto il tempo se ne era rimasto lì, e composi il numero di Ellen.
Tu… Tu… Tu…
“Alexa!” Trillò, quasi rompendomi un timpano.
“Si, sono io.”
“Che diamine di fine hai fatto?! Credevo fossi morta!”
Come sempre saltava a conclusioni drastiche.
“Che esagerata! Sono solo stata presa da Jakob e dai suoi, poi però…” Avrei dovuto dirglielo? Meglio di no.
“Però…?” Continuò, alludendo alla frase che avevo lasciato in sospeso.
“Però sono riuscita a liberarmi e sono scappata.” Bugia.
“Wow, te l’ho già detto che sei grande?” Disse entusiasmata.
“Si, almeno un centinaio di volte!” Risi, contagiandola.
“Adesso però muoviti e torna alla base, è tardi, e tra poco tuo fratello mi domanderà che fine hai fatto!”
“Che ore sono scusa?”
“L’una e mezza. Veloce, ti aspettiamo per pranzare.”
Accipicchia, quante ore erano trascorse?!
Agganciai il telefono, senza neanche terminare la conversazione, e mi misi a correre. Dovevo arrivare in tempo o Mason avrebbe potuto insospettirsi. Chiamai subito un taxi e nel giro di un quarto d’ora stavo già percorrendo il corridoio che conduceva alla sala in cui avrei dovuto pranzare. Ero anche passata a casa a prendere una sciarpa, per coprire i segni sul collo, che sarebbero stati senza dubbio, una prova degli avvenimenti della mattina. Spalancai la porta e gli occhi di tutti i presenti, seduti attorno alla lunga tavolata, furono su di me. Cercai di non prestarvi attenzione e mi incamminai verso mio fratello e la mia amica.
“Alla buon’ ora! Dov’ era finita?!” Mason era visibilmente irritato.
“Ehm, la professoressa mi ha trattenuta in classe di più del previsto dopo la fine della lezione, quindi ho fatto tardi. Scusa.” Come giustificazione era un po’ banale, ma soprattutto surreale, ed infatti dal suo sguardo capii che non era molto convinto.
“Mi stai nascondendo qualcosa?” Ed ecco la domanda che non avrei mai voluto sentire. Mentire al capo era un’ infrazione punita gravemente. Cercai aiuto negli occhi di Ellen, dove lessi titubanza, e alla fine feci quello che non avrei mai dovuto fare.
“Chi, io? Perché mai dovrei nasconderti qualcosa, sai tutto di me, sono tua sorella!”
“E allora perché stai iniziando a sudare?”
Riusciva sempre a capirmi troppo bene. Mi concentrai ed alla fine decisi.
“Hai ragione, c’è una cosa che non ti ho detto…” Iniziai. La mia migliore amica s’ irrigidì sulla sedia e continuò a mandarmi occhiatacce ammonitrici. Mason invece diventò all’ improvviso serio.
“Vedi, ti ho tenuto all’ oscuro di un fatto… Ho preso un impreparato in algebra e la professoressa ha detto che se continuo così, mi boccia!” Come reagirono? Beh, si misero tutti a ridere, e mi sentii un po’ in imbarazzo. Ellen tornò a rilassarsi e si mise a sua volta a ridere, anche se il motivo per cui lei lo faceva era più che altro perché, secondo me, aveva davvero pensato che avrei confessato il nostro segreto.
Pranzammo e passammo l’intero pomeriggio nella palestra, allenandoci nella lotta. Verso le sei mio fratello ci disse che poteva bastare, e finalmente, me ne tornai a casa. Ero stanchissima e completamente sudata, perciò optai subito per una bella doccia rigenerante. Quando uscii dal bagno della mia camera, ancora avvolta nell’ accappatoio, guardai il mio cellulare poggiato sul letto e notai che la lucina bianca che indicava l’arrivo o meno di qualche messaggio, lampeggiava. Allora mi avvicinai e dopo aver sbloccato lo schermo, aprii e lessi.
Da: Sconosciuto
“Ricordati che domani pomeriggio dopo la scuola devi venire da me. ;) J.”

Rimasi perplessa. Da chi sarei dovuta andare domani? Non mi ricordavo di avere qualche appuntam-… Jakob! Ecco per cosa stava quella ‘J’ finale. Me ne ero scordata! Come avrei fatto, adesso? Non potevo essere da lui e alla base contemporaneamente. Già, perché alla fine avevo deciso di andarci sul serio. Conoscevo i rischi, ma dovevo pur in qualche modo riprendermi i miei insetti microchip, no? Avevo pensato che magari avrei potuto trafugarli senza farmi vedere, così non sarei più dovuta tornare lì. Come idea non era niente male. Mi venne un altro dubbio: come aveva ottenuto il mio numero di cellulare? Lasciai perdere e invece salvai il suo in rubrica, sotto il nome di “Imbecille”, giusto per essere gentile, e dopo di ché risposi.
Ad: Imbecille
“Grazie per avermelo ricordato, mi hai rovinato la serata. Come diamine hai ottenuto il mio numero?! E poi, come faccio a venire da te, se non so nemmeno dove si trova la vostra sede?”

Anche la posizione del luogo era un ulteriore problema. Che vita incasinata!
Pochissimi secondi ed il mio cellulare vibrò.
Da: Imbecille
“ Mocciosa, io posso avere tutto quello che voglio, il tuo numero è niente in confronto al mio potere. Tranquilla, non dovrai venire alla nostra sede principale, dato che sarà una cosa segreta e verrai a casa mia. ;)”

Casa mia.
Casa mia.
Casa mia.
Aveva davvero scritto “Casa mia”? No, non avrei mai messo piede nella dimora del mio acerrimo nemico. Era come se un topo andasse a vivere nella stessa stanza di un gatto, impensabile.
Decisi di non rispondere più e me ne andai a letto.
La mattina seguente fui svegliata dal suono ad intermittenza della mia sveglia. Anche se controvoglia, mi alzai ed andai in bagno a prepararmi. Una volta sistemata, presi il cellulare e scesi in cucina a far colazione. In casa c’ero soltanto io: mio fratello era sicuramente già uscito, per andare nel suo ufficio alla base ed i miei genitori… beh, i miei genitori non c’erano già più da parecchi anni. Se ne erano volati via quando avevo tredici anni, in un incidente d’auto. Così avevo continuato a vivere nella nostra casa con mio fratello, che cercava di fare da madre e padre allo stesso tempo. Purtroppo però, era sempre pieno di lavoro, ed avevo imparato a cavarmela da sola, durante la sua assenza. A volte pensavo ancora a Calla e Ray, quando mi capitava sotto mano una foto della nostra famiglia, ma per il resto del tempo, cercavo di tenerli lontani dai miei pensieri. Soprattutto in azione, perché sarebbero significati una debolezza per me.
Posai la tazza del latte nel lavello e riposi negli scaffali i sacchetti di biscotti e cereali. Andai a lavarmi i denti e scesi sotto casa, dove George mi stava aspettando, nella sua Ferrari nera.
Chi era George? Un amico di mio fratello; lavorava anche lui nella società ed era ricco sfondato. Era più piccolo di Mason di due anni, perciò ne aveva diciannove, ed avevo sempre avuto un debole per lui.
Biondo e con gli occhi azzurri, dolce, simpatico, disponibile e carino. Penso che anch’io per lui fossi importante. Ogni mattina mi accompagnava a scuola, anche se lui era già all’ ultimo anno, e avrebbe potuto esser ritenuto uno sfigato facendosi vendere in giro con una di terza. Tuttavia non ci faceva caso e non si disinteressava di ciò che gli altri potessero dire sul suo conto. Gli volevo un sacco di bene per questo.
Salii in auto e lo salutai con un buffetto sulla guancia. “Buongiorno.”
“Ciao, principessa!”
Gli battei un pugno sul petto, in segno di protesta.
“Ehi. Stavo scherzando, non te la prendere!” Sorrideva per come avevo reagito. Non sopportavo quei soprannomi sdolcinati, io ero una dura, non mi si addicevano proprio. Comunque con lui non riuscivo mai ad arrabbiarmi seriamente, quindi misi solo un finto broncio. Il suono della sua risata cristallina riempi l’aria.
“Ah, volevo dirti che oggi finisco lezione al tuo stesso orario. Se vuoi, ti porto io al centro per pranzo.” La risposta era sempre ‘si’, ma apprezzavo il fatto che ogni volta, lui me lo chiedesse.
“Avrei altra scelta?” dissi, felice.
“Beh, in realtà no.”
“Allora è deciso.”

Arrivati a scuola, George parcheggiò l’auto e subito tutti gli occhi furono puntati su di noi. Non perché pensassero ci fosse una relazione tra di noi o altro, piuttosto perché sapevano chi fossimo. Si avvicinò per lasciarmi un leggero bacio sulla guancia in segno di saluto, quando si ritrasse confuso.
“E quello cos’è?” Chiese.
“Quello, cosa?”
“Quel segno che hai sul collo, vicino alla gola.”
Era serio, fin troppo. Mi accorsi che la stoffa della sciarpa era involontariamente scesa, così la rialzai.
“Niente che ti riguardi.” Risposi, andandomene.
Mi prese per un polso, facendomi girare. “Dimmi cos’è, o dovrò riferirlo a tuo fratello.” Perché dovevano sempre tirare in ballo Mason? Non riuscivano a concludere niente senza minacciarmi?
“Niente, sono caduta ed ho sbattuto contro il tavolo! Oggi me ne torno da sola, non mi aspettare.” Urlai, in preda all’ ira, liberandomi della sua presa.
Mi diressi in classe, dove la professoressa mi fece notare di essere in ritardo. Purtroppo ero ancora agitata per ciò che era appena successo e la mandai a quel paese, con parole davvero poco educate. Come potrete immaginarvi, mi spedì dritta nell’ ufficio del preside. Dovetti anche aspettare fuori perché c’era già qualcun altro dentro. Penso che un giorno o l’altro, non poi così lontano, avrei fatto saltare in aria quell’ edificio sprezzante chiamato ‘Scuola’. In quei momenti, si impossessava di me un odio profondo verso ogni forma di vita della Terra.
La porta si aprì ed alzai lo sguardo.
“Qual buon vento ti porta qui, tesoro?” Sempre il solito sbruffone.
“Ho soltanto risposto  male alla Smith.” Confessai, per niente pentita del gesto. Rise, come al solito. “Lo trovi così divertente?” Chiesi infastidita.
“Tu, quella dal linguaggio educato, che si fa spedire dal preside per questo?” Non riusciva a trattenersi ed a momenti gli avrei mollato uno schiaffo. Alzai la mano, ma lui capì all’ istante le mie intenzioni, infatti la bloccò con la sua.
“Calmati, bellezza. Non avevi detto che sapevi controllarti? Non mi pare. Comunque tranquilla, ci lavoreremo. Ti aspetto nel parcheggio dietro la scuola, al termine delle lezioni.” Finì, indicandomi la segretaria che mi faceva cenno di entrare nella stanza.
“Ciao.” Lo salutai con la mano. 













Spazio Autrice!

Eccovi il secondo capitolo, che ne pensate? Ditemelo in una recensione, mi farebbe piacere!
Ringrazio le 13 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le 8 persone che hanno messo la storia tra le preferite, le 3 nelle ricordate e le 12 nelle seguite. Vi voglio bene :)
Aggiorno presto,
 A presto. Jess Xx

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***










†  CAPITOLO TERZO †
 




-Driiiiiiiiiiin

Quel trillo fastidioso e tanto amato allo stesso tempo, mi fece capire che, per oggi, potevano bastare tutte quelle lettere e quei numeri. Era ora di andar via di lì!
Presi lo zaino e mi avviai all’uscita, con passo deciso. C’erano due cose che non avevo risolto, ma che comunque prima o poi, avrei dovuto affrontare: in primo luogo, Jakob ed il suo stramaledetto patto; e poi George, che si era accorto del taglio, e temevo potesse fare la spia, cosa che tutti nella società sapevano fare bene. Sovrappensiero, sbattei contro una primina. Lei non disse niente, probabilmente spaventata da chi si era trovata davanti. L’ ignorai e proseguii.
Mi guardai attorno in cerca di Ellen; non riuscii a scorgerla, per il flusso di studenti che se ne stava tornando a casa. Beh, tanto meglio: non avrei dovuto inventarmi scuse e menzogne anche con lei. Attesi, fino a quando non rimasero nel cortile solo un paio di ragazzini, che aspettavano che i genitori venissero a prenderli.
Era arrivato il momento di fare i conti con il mio più grande problema. M’incamminai sul retro dell’edificio, dove vi era il parcheggio, sapendo che sicuramente sarebbe stato lì ad aspettarmi.
Stavo facendo la cosa giusta? Avrei davvero dovuto rispettare l’accordo, solo per dei microchip? Magari avrei potuto rinunciare e rubare un altro progetto, da qualche parte. In fin dei conti, non era così difficile. Allo stesso tempo però, ci avevamo lavorato per tutti quei mesi, e mi scocciava proprio buttar via tutto, solo per codardia.
Oltretutto, non mi andava neanche di dare il thè servito agli Skulls. Insomma, dentro di me ero combattuta tra andare o non. Alla fine scelsi la prima opzione. Giunsi alla fine del corridoio esterno, che aggirava la scuola, e mi sporsi per spiare là dietro.
Il moro se ne stava seduto sul cofano della sua costosissima Lamborghini Veneno grigia, con il cellulare tra le mani. Ogni tanto sollevava il capo e dava un’ occhiata in giro, per poi tornare nuovamente con lo sguardo fisso sul piccolo schermo.
Ripensai agli eventi del giorno precedente e a come mi aveva trattata. Ok, mi era già successo altre volte ed alla fine era stato anche fin troppo gentile, ma infilarmi nella ‘tana del lupo’ non era esageratamente rischioso? Chi, con un briciolo di cervello, l’avrebbe fatto?
Anche se forse non si sarebbe comportato male. Ma chi mi assicurava, che invece non l’avrebbe fatto?
E per la millesima volta nella mia vita, i dubbi presero il sopravvento e tornai indietro. Avrei trovato un modo alternativo per riottenere il mio materiale, al diavolo tutto!
Poiché avevo liquidato George per il passaggio, ero costretta a farmi tutta la strada a piedi. Cercai di non lamentarmi, nemmeno mentalmente, perché ero io ad aver voluto quella situazione. Presi dalla tasca gli auricolari, li collegai al cellulare e feci partire la musica. Quei suoni mi facevano rilassare, erano come un antidolorifico per le ferite, e non intendo solo quelle esterne. C’erano ancora delle cose, quali la morte dei miei genitori, che non ero riuscita ancora a superare completamente. Ogni volta che tornavo al passato, affogando tra i ricordi, soffrivo. Per quello, perseveravo nell’ ignorarli. Di notte, dormendo, a volte capitava che risognassi ancora quando, quella volta di qualche anno fa, quegli occhi blu ghiaccio, nel buio della notte mi si erano avvicinati, e mi avevano sussurrato: “Spero sarai felice ora, che per colpa tua Calla e Ray sono morti.”. Non avevo avuto il tempo di chiedergli chi fosse o da dove venisse, perché mio fratello era uscito in giardino e mi aveva costretta a rientrare in casa. Ma quelle parole, non le avevo mai dimenticate: erano rimaste impresse nella mia testa, come un tatuaggio sulla pelle. Non trovai mai un collegamento tra la frase e la realtà, dato che la morte dei miei, era stata causata da un incidente d’auto. Tuttavia, sotto sotto sentivo che c’era qualche cosa che mi era stata tenuta nascosta. E un giorno, l’avrei scoperta.
Mi arrestai, nel momento in cui una mano mi coprì gli occhi ed un braccio mi strinse la vita. Scrollai di dosso quella presa e mi voltai verso il mio aggressore, scoprendo la sua identità.
“È così difficile per te essere gentile con le persone e non trattarle male?” Domandò lui.
“Scusami George, non so cosa mi sia preso questa mattina. Mi dispiace.” Cercai di chiarire con il biondo, più che altro credo, perché temessi quello che avrebbe potuto dire, su ciò che aveva visto sul mio collo. Com’ era il detto? Meglio amici che nemici? Boh, qualcosa del genere, comunque.
“Tranquilla è tutto a posto.” Benissimo, ora magari tieni anche la bocca chiusa.
“Ne sono felice. Ma non ti avevo detto di andare pure senza di me?”
“Si, ma ho voluto aspettarti lo stesso. Poi ti ho seguita in auto.”
Ma dico, ha qualche problema il ragazzo? Capisco che magari tra me e lui ci sia qualcosina di più, di una normale e semplice amicizia, ma quello a momenti era stalking.
“E la tua macchina ora dov’è?” Sviai il discorso.
“Parcheggiata all’angolo dietro l’incrocio.” Mi indicò la direzione, alle sue spalle.
“Ok.” Non sapevo proprio cosa dire, insomma, ero allibita. Fortuna che non me ne ero andata per davvero con Jakob, altrimenti mi avrebbe scoperta! Tirai uno di quei sospiri di sollievo molto profondi.
“Tutto apposto?” Cavolo, ma che gli stava prendendo a quel ragazzo? Si stava riducendo come una femminuccia innamorata!
“Si. Ti ringrazio per avermi aspettata, comunque ora puoi andare. Oggi non vengo al Centro, devo studiare per una importante verifica, e vado dritta a casa.” E brava Alexa, recitazione impeccabile!
“Se vuoi, ti ci posso accompagnare io.”
“No!”
Urlai. Mi accorsi di aver reagito male, quindi mi corressi subito. “Cioè, volevo dire… Non ti disturbare, e sbrigati, che mio fratello ti starà aspettando!”
“Va bene, come vuoi tu.” E deluso, se ne andò. Ero molto sorpresa da lui. Era sempre stato un tipo forte, sicuro di sé, e con un cuore di pietra. Era di quel ragazzo che mi ero innamorata, non di un tenero e premuroso pappamolle! È proprio vero: le persone cambiano!
Lo salutai, e ripresi la mia strada.
 Neanche cinque minuti, e di nuovo, il rombo di un’auto che si ferma e qualcuno che mi blocca, afferrandomi per un braccio.
“Ehi, piccola, aspetta.”
Eh no George, adesso mi avevi veramente stancata!
“George, basta! Si può sapere che ti prende?! Smettila di seguirmi!” Strillai, voltandomi. Lui rise.
“Non so di cosa tu stia parlando, comunque puoi star certa che io non sono George!” Per mille babbuini africani! Quello non era il biondo…!
“J-Jakob. Che ci fai qui?” Dissi titubante, esitando sul suo nome.
“Forse dovrei essere io a chiedertelo. Sbaglio od avevamo un accordo, noi due?” Oh, oh! Guai in vista!
Sapevo, e percepivo, che non era stato per niente contento della buca che gli avevo dato. Non potevo biasimarlo, anche io mi sarei al quanto incavolata.
“Ho un improvviso vuoto di memoria.” Finsi un’ espressione smemorata ed il moro serrò la mascella. Mi prese per le spalle e mi trascinò indietro, fino alla sua macchina. Mi spinse contro la carrozzeria, intrappolandomi tra lui ed essa.
“Adesso la finisci di prendermi in giro, è chiaro? Sono stato anche fin troppo paziente con te, altre persone, a quest’ ora, sarebbero già morte!” Deglutii rumorosamente, sapendo che era la verità.
“Allora, perché non mi hai ancora uccisa?!” Replicai, acidamente. In un primo momento rimase spiazzato dalla mia risposta. Forse si sarebbe aspettato che restassi intimorita e gli chiedessi scusa, ma non sapeva che non l’avrei mai fatto.
“Sarebbe meglio per te, se tenessi la bocca chiusa.” Arretrò di qualche passo, portandomi con lui. Dopodiché, aprì la portiera posteriore della Lamborghini e mi ci gettò dentro, con disinteresse, chiudendo subito dopo lo sportello. L’interno non era niente male, sedili in pelle nera con vetri oscurati, sistema all’avanguardia ed innovativo. Provai ad tirare la maniglia, per uscire, ma fu tutto inutile, poiché era bloccata.
Jakob si sedette nel posto del guidatore, e mise in moto il veicolo.
“Fammi subito scendere!” Gridai, fuori dai gangheri. Mi stava portando via senza il mio consenso: era un rapimento, no?
Mi ignorò totalmente ed accelerò la velocità. Arrivammo ad un incrocio, e nonostante ci fosse il semaforo rosso, non si fermò. Al contrario invece, premette più forte sull’acceleratore, e tagliammo la strada a tutte le altre persone in circolazione, rischiando di fare un incidente.
“Ma sei pazzo?!” Doveva avere seriamente qualche problema mentale; se non ci eravamo schiantati contro un  camion, era stato un miracolo.
“Potevamo morire!” Continuai, frustata e spaventata.
“Vuoi chiudere il becco?! Mi stai dando fastidio.” Mi rimproverò lui, facendomi ammutolire. Sfrecciò per le vie della città, e non mi azzardai più a dire niente, tanto, a cosa sarebbe servito? Mantenni sempre lo sguardo fisso all’esterno ed ogni tanto mi accorsi che Jakob, attraverso lo specchietto retrovisore, mi spiava.
Dopo all’incirca un quarto d’ora, che a me parvero anni, ci fermammo nel parcheggio di un ristorante molto lussuoso.
“Perché siamo venuti qui?” Gli domandai, non capendo.
“Se non erro, nessuno dei due ha  ancora pranzato.” Si voltò per guardarmi, e mi sorrise. Giusto: mi era totalmente passato di mente. Non avevo neanche più fame, a dirla tutta. Quando scese, dovette venire ad aprirmi la portiera, poiché dall’ interno non era possibile.
“Andiamo.” Mi incitò, distaccato. Era un ragazzo senza sentimenti,  ne avevo la prova. Non avrebbe mai trovato qualcuno in grado di amarlo, sarebbe rimasto solo per sempre.
All’ entrata, una signorina ci venne incontro, mostrandoci il tavolo che era stato prenotato per noi.
“Avevi organizzato già tutto?” Era ovvio che sì, altrimenti la cameriera non ci avrebbe indicato il posto, a noi riservato.
“Si. Ma non farti strane idee: ti ho costretta a venire solo perché avevo già pagato, e non ero riuscito a trovare in tempo, un’altra troietta da portare al tuo posto. Altrimenti non me ne sarebbe fregato niente di te.” Non ebbe neppure il coraggio di guardarmi in faccia. Tutta quella gentilezza mi lusingò addirittura! Tralasciando il fatto, che non sapevo se davvero si potesse pagare prima di mangiare, presi il cellulare dalla giacca. Nell’appoggiarlo sulla tovaglia, Jakob me lo sequestrò con gesto veloce.
“Ma che diamine fai?”
“Non voglio che chiami i tuoi soci.”
“Perché secondo te, potrei farlo sul serio? Dammelo.”
Si mise a ridacchiare e solo allora, mi accorsi di aver usato involontariamente un doppio senso.
“Quando vuoi, piccola. Però credo che questo non sia, né il luogo né il momento adatto.”
“Quanto sei scemo?!”
Ma lui sembrava divertito dalla situazione e divenni egualmente più serena.
“Abbastanza per capire che mi vuoi.”
“Modesto il ragazzo.”
Ad essere onesta, non trovavo niente in lui che potesse attrarmi. Era troppo egocentrico e… non era George. Mi costava molto ammetterlo, ma, nonostante come si fosse comportato quel giorno, il mio cuore batteva ancora per lui. Non stavamo insieme, e ci eravamo baciati solo un paio di volte. Tuttavia, ci amavamo e dovevamo tenere tutto nascosto a Mason, perché sicuramente non l’avrebbe presa bene. Mio fratello era alquanto protettivo nei miei confronti e non lasciava mai avvicinare nessun ragazzo.
“Ammettilo, che ti piaccio.” Ma credeva di essere l’ombelico del mondo? Tesoro, torna coi piedi per terra, eh!
Grazie a Dio, non ebbi il tempo di rispondere, perché un bellissimo ragazzo venne da noi, chiedendoci le ordinazioni. Rimasi incantata dal suo aspetto, ammaliata da quel sorriso a trentadue denti, così bianco e perfetto ed alla fine, fu Jak a richiamarmi: “Alexa, allora?! Ti vuoi dare una mossa?”
“Si, ehm… Prendo lo stesso che ha preso lui.”
Il ragazzo annuì e se ne andò. Riportai l’attenzione sul moro, e non potei trattenermi dal domandargli: “Scusa, tu cos’è che hai ordinato?” Sorrisi, imbarazzata.
“Se fossi stata a sentirmi, invece di sbavare come un cagnolino, dietro a quello sgorbio, ora lo sapresti.”
“Chiamalo sgorbio, quello.” Scoppiai in una energica risata. Il mio commento lo irritò parecchio, causando quella che fu poi, la sua risposta.
“Si vedeva che te lo stavi scopando con gli occhi.” Non aveva senso star lì a negare; la discussione non sarebbe in ogni caso, mai terminata. Rimasi dunque in silenzio.
Arrivarono i piatti richiesti. Per fortuna erano solo delle pizze prosciutto e funghi, e delle patatine. Iniziai a mangiare, riempiendo finalmente lo stomaco, che non ne poteva più di restarsene vuoto.
“Non parli più di nuovo?” Mi schernì Jakob.
“Quando non si ha nulla di intelligente da dire, è preferibile stare zitti.” Era una frase che mi era stata ripetuta tante volte, da bambina.
“E chi sarebbe il coglione, che ha sparato una cavolata del genere?” Come un vulcano in eruzione, esplosi, alzandomi di scatto.
“Mia madre!” Gli urlai contro. Come si era permesso?! Calla non c’era più, non aveva alcun diritto di offenderla. Mi avviai verso l’uscita, con il moro al seguito.
“Alexa fermati! Non lo sapevo, non era mia intenzione.”
Mi voltai, alzando il dito medio. Non avrei passato un secondo di più della mia vita, con lui. Aumentai il passo, fino a correre. Lui mi stava ancora alle costole ed in men che non si dica, mi braccò.
“Scusami. Non andartene.”
“Dimmi per quale motivo dovrei darti retta.”
Non perdonavo molto facilmente, io.
Ci pensò su un po’, ma non trovò come giustificarsi.
“Come immaginavo.”
Lo lasciai in piedi nel parcheggio, e me ne tornai a casa. Bella merda.











Rieccomi! Che ne pensate? 
Lasciate una recensione, forza! :)

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***








† CAPITOLO QUARTO †







Punto di vista di Jakob

Era successo un casino con Alexa, ma non era colpa mia. Non potevo certo sapere che era stata sua madre a dire quella frase! Poi, lei non sapeva quello che era veramente successo ai suoi genitori. Le avevano raccontato una bugia, riguardo alla loro morte. Nessun incidente d’auto. Nessuna cosa accidentale. Erano stati uccisi, da suo fratello. Solo io ed alcuni membri dei Danger lo sapevamo; ci eravamo accordati di non farglielo mai scoprire. Avevo accettato perché sapevo cosa si provava a perdere qualcuno a cui volevi davvero bene: mi era successo lo stesso con mi sorella. Era stata portata via quando aveva sette anni, e non avevo potuto fare niente. Oltretutto, sarebbe scoppiato un vero e proprio putiferio, se avessi detto la verità. Non mi venne mai detto il motivo di quel gesto, ma erano comunque affari dei quali non dovevo interessarmi. 
Non volevo lasciarla andare via così, ma non sarei certo stato io a rincorrerla. Questa settimana, una spia infiltrata tra i miei nemici mi aveva informato dell’ idea di Mason di proporre uno scambio con un potente uomo politico dell’ Arabia Saudita,  dove Alexa sarebbe stata ceduta, o meglio venduta, senza il suo consenso. Nonostante tra me e la ragazzina non corresse proprio buon sangue, ritenevo che avesse delle doti molto sviluppate rispetto alle persone normali, per questo volevo farla passare dalla mia parte, salvandola. 
Ne avevo già parlato con i direttori dei vari settori dell’ organizzazione e nessuno aveva avuto da obiettare. In più, lei conosceva tutto dei Danger: il luogo, i segreti, le tattiche, i piani e ci sarebbe stata molto utile.
Da quel punto di vista quindi, pareva andare tutto liscio come l’olio. Peccato che nella realtà invece, avessimo altre questioni di cui occuparci, per esempio come fare in modo che si fidasse di noi, o per lo meno di me. E come se non bastasse, bisognava fare anche in fretta, perché non sapevamo quando suo fratello avrebbe agito. 
Dovevo ammettere di non aver mai visto un ragazzo più spietato di lui. Uccidere i suoi genitori e poi voler tradire sua sorella. Mi chiedevo come facesse ancora a guardarsi allo specchio, ma probabilmente non lo faceva mai.
Tornai all’interno del ristorante e saldai il conto, senza nemmeno finire il pasto. Avevo un brutto presentimento e sentivo che stava per succedere qualcosa che c’entrasse con la bimbetta. Salii in auto e misi in moto, percorrendo le strade che sicuramente anche lei aveva fatto, per tornare a casa a piedi. Arrivato quasi al suo quartiere la vidi: passo svelto ed incalzante, mani in tasca e testa bassa. Rimasi alcuni secondi a seguire la sua figura esile mentre si spostava, poi mi accorsi di un ragazzo che la seguiva e che, con un sacco di stoffa nella mano, aveva tutt’altro che buone intenzioni. Magari era stato inviato da Mason stesso per attuare il loro piano. Ma non dovevo essere precipitoso. Parcheggiai al lato della strada ed analizzai attentamente ogni singola azione. 
Alexa era quasi arrivata a casa sua, ma l’uomo la colse di sorpresa alle spalle, incappucciandola. Ebbi l’istinto di uscire e correre ad aiutarla, ma non lo feci.
Se la sapeva benissimo cavare da sola; infatti si voltò e dopo essere sfuggita alla sua prese, si tolse quel coso dalla testa. Mi parve scioccata quando vide il volto del ragazzo, probabilmente lo conosceva. Urlò qualcosa, che però non capii da qui, prima di prenderlo a pugni. Si difese agilmente dal suo contrattacco: bloccò due ganci destri e ne assestò uno a sua volta sull’occhio dell’ aggressore, gli tirò un calcio nello stomaco e se ne andò, entrando in casa. 
A quel punto aprii la portiera e mi incamminai spedito dietro di lei. Passando a fianco del ragazzo steso a terra, non riuscii a trattenermi dallo sputargli addosso. Per essere sicuro che non si rialzasse, calciai anche nei suoi gioielli di famiglia.
Arrivai davanti alla porta della casa del mio peggior nemico, nonché fratello della mia futura alleata. Bussai abbastanza insistentemente, poiché nessuno voleva darmi risposta. 
“Alexa, sono Jakob, aprimi.” Urlai, sperando di incoraggiarla a farmi entrare.
La serratura girò e in un attimo mi trovai di fronte la ragazza bionda. 
“Che cavolo vuoi?” Domandò arrabbiata ed infastidita.
Feci alcuni passi avanti e, scansandola, entrai nella casa. Giuro che non mi sarei mai immaginato fosse così… normale. Non pensavo sarebbe stato come entrare nella villa di una semplice famigliola felice, credevo fosse più una casa lugubre e tetra, chissà perché!
“Insomma, cosa stai facendo?! Nessuno ti ha dato il permesso di entrare!” Ma a tradirla furono il fatto che chiuse la porta ed il suo tono di voce, dal quale trafelava un certo sollievo nel fatto che fossi con lei. Che avesse avuto paura?
“Non sei al sicuro qui.” Affermai, guardandomi in giro. “Verranno a prenderti. Ti vogliono, gli servi.” Continuai. 
“Ma guarda, ci ero arrivata anche io, sai?” Disse ironica, leggermente angosciata.
“Non capisci. Tuo fratello…” Non potevo ancora dirglielo, non era il momento adatto e non c’era neppure tempo.
“Mio fratello cosa?” Mi guardò stranita ed incuriosita, ma dovetti liquidarla velocemente: “Non ora. Sappi solo che quello che ti ha aggredita poco fa è uno della tua banda.” Non era rimasta per niente sorpresa da ciò che avevo appena detto.
“Lo so.” 
“Non sei più al sicuro qui. Devi venire con me!”
Esclamai puntando il mio sguardo nel suo. Questa volta rimase scioccata e rimase in silenzio. Le presi una mano e cercai di condurla via con me. “Forza, non abbiamo molto tempo.”
Come risvegliata da uno stato di trans, Alexa si riscosse e mi rispose: “Ma che stai dicendo? No, non verrò mai via con te. Mio fratello si occuperà di lui e lo punirà.”
Sbuffai per quanto fosse ingenua. Le poggiai la mano libera sulla guancia.
“So che ti sembrerà impossibile, ma quel ragazzo, che già conosci, è stato mandato da tuo fratello in persona.” Dovevamo darci una mossa, perché sicuramente ne sarebbero arrivati altri, di quei farabutti.
Sbarrò gli occhi e corrugò le sopracciglia. “Tutto quello che stai dicendo non ha alcun senso, lo capisci, vero? Per quale assurdo motivo dovrebbe mandare qualcuno per cercare di rapirmi?” Ed ecco, era arrivata alla domanda che non avrei voluto mi venisse fatta. L’avrei ferita se avessi confessato, quindi sviai il discorso.
“Vieni con me e lo scoprirai. Davvero Alexa, non sto scherzando, sei in pericolo, è te che vogliono.” La vidi molto insicura sul da farsi, ma alla fine acconsentì. Feci per aprire la porta, ma non ce ne fu il bisogno: questa si spalancò di colpo, quasi arrivandomi in faccia. Un tipo robusto irruppe nella stanza, guardando prima me e poi la ragazza al mio fianco. Provò ad avvicinarsi a lei, ma mi parai davanti, facendole da scudo. “Cosa credi di fare?” Sputai aggressivo. Lui ringhiò, digrignando i denti.
“Togliti di mezzo, Black. Non dovresti nemmeno essere qui.” Odiavo quando mi chiamavano con il mio cognome, mi irritava. Per l’ennesima volta, provò a superarmi, ma non glielo permisi. “Non ti lascerò portare a termine il vostro piano meschino.” Gli lanciai un’occhiata truce e di sfida. Vedendo che non demordevo, alzò un braccio, pronto a colpirmi, quando da dietro le mie spalle Alexa parlò. 
“Spencer, non farlo!” Oh, dunque era così che si chiamava. Ascoltandola, riporto il braccio lungo il busto. “Si, Spencer, ascolta la ragazza.” Sorrisi malignamente.
“Alexa, non ascoltare quello che ti dice, ti sta solo ingannando, vieni via con me.” Le suggerì Spencer, sorridendole falsamente. Lei venne al mio fianco e si avvicinò a lui, mentre il sorriso del ragazzo si espandeva sempre di più. Non poteva realmente fidarsi, non poteva essere così allocca. Con mio grande compiacimento, non deluse le mie aspettative: sul più bello, colpì Spencer con un pugno in faccia, che lo fece barcollare. Scoppiai a ridere, perché si era fatto colpire come uno stupido. Lui si riprese e si gettò su di lei per farle male, peccato che io lo afferrai e lo spinsi a terra, lontano. “Ti stai proprio bene, anche se meriteresti di peggio.” 
“Giusto.”
Concordò Alexa. Le sorrisi ed uscimmo da quella casa, guardandoci sempre alle spalle. Spencer non si era ancora alzato, evidentemente aveva deciso di rinunciare. Sul viottolo non resistessi alla curiosità e dovetti chiederglielo: “Come mai hai deciso di fidarti di me e non di lui?”
Ci pensò su qualche istante e poi parlò decisa e sicura di sé: “Non mi è mai stato molto simpatico Spencer. E poi, quello che ha provato a rapirmi prima, mi ha guardato e, riconoscendomi, mi ha detto che gli dispiaceva e che non avrebbe voluto. Quindi la tua teoria aveva senso. Anche se non riesco ancora a dare un senso al tutto.” Confessò infine. 
“ Ti spiegherò meglio dopo, ora vediamo di andarcene di qui. La mia macchina è là.” E la indicai.
“Mi stavi seguendo per caso?” Chiese con tono giocoso.
“Può darsi.” Risposi sul vago, tanto la risposta era ovvia e sottintesa. Ero indeciso se andare ad aprirle la portiera per farla salire in auto o no, ma pensando al peperino di ragazza che era, ci rinunciai. Una volta dentro, sgommai via, allontanandomi velocemente.
“Perché lo fai?” Se ne uscì ad un certo punto. 
“Fare, cosa?” Avevo capito benissimo a cosa si riferisse.
“Intendo, perché fai tutto questo? Per quale motivo mi stai aiutando?” Potevo capire la sua voglia di sapere e di capire, ma dovetti nuovamente rimandare le spiegazioni a miglior momento.
“Dopo. Quando saremo arrivati a casa mia.” Annuì, perdendosi a guardare fuori dal finestrino. Un cellulare incominciò a squillare: era quello di Alexa. Lei frugò nello zaino scolastico, che aveva ancora con sé, e quando trovò il telefono rimase imbambolata a guardare lo schermo. Spazientito, glielo tolsi dalle mani e lessi il mittente: Mason. Ora capivo. Decisi di accettare la chiamata e risposi al posto suo.
“Si?” 
“Tu! Brutto delinquente che non sei altro!”
Gridò Mason infuriato, dall’altra parte della linea. Ridacchiai un po’ divertito.
“Uh, senti da che pulpito viene la predica! In ogni caso, è un piacere poter parlare con te. Come te la passi? Bene, spero.”  Risi di gran gusto e siccome Alexa era perplessa, misi il vivavoce, ripassandole l’apparecchio ed intimandola a fare silenzio.
“Fossi in te non farei tanto lo spiritoso, Jak. Dimmi dove si trova mia sorella.” Mi ordinò e la sua voce si espanse in tutte le direzione nel veicolo.
“Non ne ho idea.” 
“Smettila di prendermi in giro, so che è con te!”
Woh, si stava davvero scaldando, il cattivo ragazzo.
“Bè, devo ammettere che la presenza della tua sorellina mi allieta molto. È davvero carina, sai?” Stavo scherzando, ma Alexa arrossì lo stesso, a quanto mi parve.
Si udì un colpo sonoro e poi cadde la linea.
“Il fratello si è arrabbiato.” Scherzai, ma la bionda non rise, purtroppo. Non disse più niente ed io restai concentrato nella guida.
In una decina di minuti eravamo arrivati alla mia villa: davanti al cancello feci scorrere la mia carta dorata sul sensore, ed il primo si aprì, permettendoci l’ingresso.
“Davvero fica, casa tua!” Disse Alexa vedendola, allegra. Forse aveva riacquistato un po’ di serenità, speravo. “Già! E il dentro è ancora meglio!” Entrammo nella mia (poco modesta) villa e lei rimase a bocca aperta.
“Ma ci vivi da solo, in questo posto immenso?”
“Mi dispiace ammetterlo ma… sì!”
Scoppiammo a ridere insieme. “Se vuoi, guardati pure in giro, vado un attimo a fare una telefonata. Fa come se fossi a casa tua!” Le dissi premurosamente. Andai nello studio al primo piano, dopo averla congedata. La sua presenza mi rendeva felice, anche se non capivo perché. Composi il numero di Luke, il mio più grande amico e compagno di battaglia: dovevo avvisarlo che la bella principessa era arrivata nel castello del bel principe.


Punto di vista di Alexa

In una giornata erano successe così tante cose! Ed ora ero lì, su quel divano nella villa del mio nemico più spietato, mentre aspettavo proprio quest’ ultimo, per farmi raccontare la verità. Rimaneva ancora un mistero come avesse fatto a scoprire che qualcuno mi avrebbe fatto del male e anche perché mi aveva aiutata.
Avrebbe dovuto odiarmi, invece si stava comportando davvero bene con me. E pensare che pochi minuti prima mi aveva fatta andare su di giri, dicendo quelle cose al ristorante. Però mi aveva anche salvato la vita, vero? Oppure sarebbe stato lui a togliermela? No, mi fidavo, anche se non sapevo in base a quali principi.
Il salotto era un posto davvero agiato: due divani, una poltrona, televisore al plasma enorme (non potrei definire quanto sia grande), un caminetto, un tavolino di vetro, una grande tavola di legno di ciliegio, penso, con otto sedie e mobili tutti abbinati. Le pareti erano color crema, mentre le piastrelle del pavimento richiamavano molto il colore del cioccolato. Dovevo  ammettere che quell’ abbinamento non mi dispiaceva affatto. Esplorai la stanza e vidi due quadretti di foto, sopra il camino. Mi avvicinai per vedere meglio: nella prima voto, c’era una famiglia in un boschetto per un pic-nic, e riconobbi sia Jakob che sua sorella, la sua defunta sorella. Nell’ altra invece, c’era sempre Jakob, con un signore abbastanza anziano che però non conoscevo.
“Vedo che ti piacciono le fotografie.” Comparve il moro, alle mie spalle. Mi sentii un tantino in imbarazzo, perché mi sembrava di essere stata colta con le mani nel sacco, mentre ficcanasavo in giro. Beh, era anche vero che ero stato lui stesso a dirmi di “esplorare”, tuttavia ero in soggezione.
“Si, abbastanza.” Mi limitai solo a questa risposta.
“Ti parlerei volentieri della mia famiglia, se non fosse che ora abbiamo cose più importanti di cui discutere. Per esempio, il motivo per il quale ti trovi qui con me, adesso. Vieni, siedi sul sofà e chiarirò ogni tuo dubbio.” Feci esattamente come lui mi aveva detto, ansiosa di scoprire.
“Ok, dimmi tutto.” Sussurrai, incerta.
“Ahimè, dovrò partire dal principio, e so che per te saranno duri colpi. Sei pronta?” Addirittura mi spaventava, sentirmi dire così. Non sapevo cosa aspettarmi.
“Quando vuoi.” Cercai di apparire audace, ma dubito funzionò.
“C’è una cosa che non sai sulla morte di Calla e Ray. Vedi, non è stato un incidente quello che gli è capitato, sono stati uccisi.” Bang, coltellata al cuore. Ero sconvolta, non ci potevo credere! Iniziò a tremarmi il labbro inferiore, mentre chiedevo ulteriori spiegazioni. “C-chi è stato?”
Lui abbassò lo sguardo, dispiaciuto. “Non credo tu lo voglia sapere veramente.” Come poteva dire una cosa del genere? Era scontato che volessi sapere chi fosse l’assassino dei miei genitori, sempre che quella fosse stata la verità.
“Certo che lo voglio sapere! Dimmelo!” Per l’agitazione, mi alzai di scatto in piedi, fino a ritrovarmi di fronte a lui, che invece non si era mai seduto.
Lui mi posò le braccia sulle spalle e mi guardò con compassione. “So che sarà terribile per te, però… Hai ragione, hai il diritto di saperlo. I tuo genitori sono stati uccisi da…”
“Avanti, dillo!”
“Tuo fratello Mason.”
Mi crollò il mondo addosso. Che idiozia era mai quella? Scherzava, era ovvio. Mason non sarebbe mai stato in grado di fare una roba simile.
Forse avevo semplicemente sentito male.  
“C-come hai detto?” La mia voce era ridotta ad un sussurro e mi sentivo mancare.
“Penso che tu abbia sentito benissimo. Mi dispiace un sacco, Alexa.” Mi guardava con quegli occhioni tristi e pieni di malinconia. Io ci misi alcuni minuti per immagazzinare quel colpo. Sarei dovuta essere furibonda e mi sarei dovuta fiondare ad uccidere mio fratello, ma non riuscii a fare altro se non poggiare la testa sul petto di Jak e piangere. Sebbene fosse una cosa infantile, mi permetteva di sfogarmi e decisi, per una volta nella mia vita, di fare quello che era meglio per me. Lui mi strinse a sè e continuò a ripetermi quanto gli dispiacesse, mentre mi accarezzava dolcemente i capelli. I miei occhi erano chiusi perché invasi dalle lacrime, ma ben presto mi sentii mancare e non capii più niente.

Sollevai le palpebre e vidi un soffitto color verde acqua. Non mi trovavo più in salotto con Jakob e mi domandavo come ci fossi finita lì e soprattutto cosa fosse accaduto precedentemente. Cercai di fare mente locale, ma non trovai una risposta.
“Finalmente ti sei svegliata.” Disse una voce alla mia destra. Girai la testa in quella direzione e vidi che sdraiato a fianco a me c’era Jak. Solo allora abbassai lo sguardo sul mio corpo e realizzai che ci trovavamo sdraiati sul suo letto, nella sua camera. Una coperta di lana era stesa sopra i nostri corpi. Mi sentii avvampare.
“Cosa è successo?” Chiesi, guardandolo imbarazzata.
“Sei svenuta tra le mie braccia. Pensavo fossi stanca, così ti ho portato qui per riposare, e poiché anch’io avevo bisogno di riposo, ho schiacciato un sonnellino insieme a te. Spero tu non te la sia presa.” Lo disse con disinvoltura, senza problemi. Ero scombussolata, confusa ed instabile.
“Che ore sono?” Cercai di capire per quanto avessi dormito. Lui si guardò il polso, sul quale aveva l’orologio e mi accorsi che le nostre mani erano unite. Le mie dita si intrecciavano con le sue e mi sorpresi di come si incastravano perfettamente, quasi fossero fatte le une per le altre. Arrossii e lasciai velocemente la presa. Speravo intensamente fosse stato lui il primo a prendermi la mano e non il contrario, perché in quel caso, sarei morta dalla vergogna.
“Quasi le sette. Cavolo, abbiamo dormito parecchio! Andiamo, dobbiamo anche cenare.” Mi sorrise meravigliosamente e mi sentii in colpa per come lo avevo trattato a pranzo. Lui era sempre stato gentile ed io mi ero comportata male.
Era già arrivato allo stipite della porta quando lo chiamai: “Jakob!”.
Lui si voltò di scatto. “Si?” Puntava lo sguardo su di me e, nonostante una prima esitazione, gli dissi: “Scusa per come mi sono comportata oggi con te, mi dispiace. Non avrei voluto piantarti in asso così, ma ho perso le staffe.” Mi scusai.
“Tranquilla, è acqua passata ormai!” Mi fece l’occhiolino e sparì dietro la porta. Non sapevo dove sarei dovuta andare per tornare al salotto, così gli corsi dietro: “Aspetta!” Lo vidi svoltare alla fine del corridoio, con passo svelto. Andai nella sua stessa direzione, ma ben presto mi trovai costretta a scegliere di nuovo tra destra e sinistra. Era tutto pieno di stanze ed io mi sentivo spaesata. 
“Jakob?” Chiamai preoccupata, cercando segni di vita.
“Jak?” Insistetti.
Buu! Urlò una voce al mio orecchio ed io gridai. 
“Sei un cretino, mi hai fatto venire un infarto!” Gli tirai un debole pugno sul petto, che scoprii duro e muscoloso. 
“Scusa, non ho saputo resistere. Tu che pizza vuoi?” S’informò riprendendomi la mano nella sua e guidandomi in quel labirinto. Era una sensazione strana quella che provavo, ma mi ci sarei potutaabituare
 volentieri .
“Margherita.” Non volevo mangiare, non mi andava.
“Sicura?” Volle essere certo della mia scelta.
“Si, si.” Confermai.
“Bene, allora ordino subito. Nel frattempo devo dirti una cosa che oggi non ti sono riuscito a dire.” Giusto, non mi aveva ancora detto cosa mi voleva fare mio frat… Mason.
“Hai ragione, appunto.” Fui pienamente d’accordo con lui. 
Prese un bel respiro, quasi fosse pronto ad affrontare la morte. “Abbiamo una spia fra i vostri. In questi giorni è venuta a conoscenza di un piano escogitato da tuo fratello: ti voleva vendere ad un commercialista Arabo. So che sembra assurdo ma...”
Non lo lasciai finire che esclamai: “Ecco perché!” Non ci potevo credere, non poteva essere vero. Jakob mi guardò storto “Che succede?”
“Mason ultimamente ha studiato la lingua araba… non riesco ancora a capacitarmene, come ha potuto?! Io lo odio.”
Dissi, in preda all’ira.
Le confortevoli braccia di Jak mi strinsero in un caloroso abbraccio, che mi fece rilassare. “Non ti preoccupare, con me sei al sicuro. Non potrà farti niente.” Ed io lo speravo con tutta me stessa.
Passammo la serata in una atmosfera tranquilla. Jakob per farmi dimenticare tutte le brutte cose che erano accadute quel giorno, mi fece anche vedere un film d’azione e romantico in 3D. Fu bellissimo. Stette tutto il tempo a cullarmi e coccolarmi e mai, come in quel momento, avevo avuto bisogno di tutto ciò.
Quando finì era tardi ed ero molto assonnata.
“Vuoi andare a dormire?” Annuii con la testa. Mi portò nella sua camera, poi aprì un cassetto dell’armadio e vi tolse una maglietta ed un paio di pantaloncini.
“Tieni, indossa questi, sarai più comoda che con i jeans.” Disse, porgendomeli. Le guance mi andarono a fuoco, ma accettai comunque il gesto.
“Se vuoi cambiarti e fare le tue cose, quello è il bagno. Spazzolini e dentifricio nuovi sono nel secondo cassetto a destra.” Mi mostrò tutto e poi se ne andò, lasciandomi cambiare. “Grazie” Biascicai.
Quando tornai nella camera da letto anche lui si era svestito: ora indossava solo un paio di pantaloncini. Avvampai quanto vidi l’addome scolpito e lui si accorse delle mie occhiate, ricoprendosi con una maglietta.
“Dormi pure nel mio letto, io andrò nella camera degli ospiti.” Non glielo avrei mai permesso. Primo perché non era giusto, secondo perché non volevo dormire da sola e terzo perché il letto era a due spiazzi, perciò ci sarebbe stato anche lui.
“No!” Proruppi. “Cioè volevo dire… Puoi dormire tu qui, dormirò io nella stanza degli ospiti.” Mi proposi di andare io nell’altra stanza.
“Non se ne parla, è fuori discussione.” Non me la voleva proprio dare vinta, così mi restava solo una cosa da fare.
“Allora dormi con me.” Mi guardò indeciso, ma alla fine accettò.
Mi infilai sotto le coperte e subito gli diedi le spalle.
“Buonanotte” Dissi e lui fece lo stesso. Sarebbe stato bello che adesso lui si fosse girato e si fosse abbracciato a me, come succedeva nei film, peccato che questa era la realtà.
Un braccio mi cinse la vita ed all’improvviso sentii una presenza dietro la mia schiena. Scherzavo, forse queste cose non succedevano solo nei film. Chiusi gli occhi e mi addormentai con il sorriso sulle labbra.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***









† CAPITOLO QUINTO †
 






Punto di vista di Alexa


Mi svegliai di soprassalto, ritrovandomi in un letto che non era il mio. Per qualche secondo fui disorientata, ma poi mi ricordai gli avvenimenti del giorno precedente. Sentivo dietro di me una presenza e quando realizzai che fosse Jakob, sgusciai silenziosamente fuori dalle coperte. Mi chiusi in bagno e mi guardai allo specchio: che cavolo stavo facendo? Mi ero fidata del mio peggior nemico, credendo ciecamente alle sue parole e non avevo nemmeno considerato la versione dei fatti di mio fratello. All’ improvviso mi sentii in colpa, perché nessuno poteva assicurarmi che quello che aveva detto Jak fosse la verità. Magari aveva mentito solo per attirarmi in una trappola. Nah, comunque non avrebbe avuto senso; si era comportato fin troppo bene. A meno che, avesse avuto qualcosa in mente.
Invasa dai dubbi, uscii dal bagno e presi il mio telefono cellulare, che era rimasto acceso tutta la notte in modalità silenziosa, sul comò.
Trovai una ventina di chiamate perse da mio fratello, più 17 messaggi. La maggior parte erano suoi e dicevano:
“Alexa torna a casa subito.”
“Ascoltami, sei in pericolo, quel pezzo di merda ti ha mentito.”
“Rispondimi Alexa, ti scongiuro.”
“Torna a casa.”
“Dimmi che stai bene, per favore.”
“Dove sei? Dimmelo, ti vengo a prendere.”
“Cazzo Alexa, rispondi alle mie chiamate!”
“Scappa, ovunque tu sia, sei in pericolo!”
“Giuro che quel figlio di puttana me la pagherà, fosse l’ultima cosa che faccio.”
“Alexa, sono tremendamente in pensiero. Dammi un cenno di vita, ti supplico!”
“Scusa per tutte le volte che non sono stato il fratello perfetto, ti voglio bene, per favore, resisti.”

Poi ce n’erano sei da parte di Ellen:
“Amica dove ti sei cacciata? Ho provato a chiamarti a casa ma non ho trovato nessuno. Xx”
“Ale, ma ci sei? Ti sei addormentata sulla tazza del WC? xD”
“Oddio, Mason mi ha appena detto quello che è successo! Dove sei?! Come stai?”
“Migliore amica, dimmi che è tutto Ok e che stai tornando a casa, te ne prego!”
“Sono in ansia, appena vedo Black, giuro che gli stacco la testa a morsi!”
“Stai tranquilla, ti troveremo. Stiamo lavorando tutti per te.”

Solo a quel punto mi resi davvero conto di quanto avessi fatto allertare tutti, nella società. Avevo fatto una grande cazzata a seguirlo fin lì, e tutto perché George aveva tentano di portarmi via senza il mio consenso. Non obbligatoriamente però voleva dire che mio fratello volesse realmente vendermi ad uno sceicco Arabo.
Il biondo avrebbe potuto lavorare per un’altra società ed aver complottato contro di noi per tutto quel tempo. Ero profondamente confusa e non sapevo chi fosse il buono e chi il cattivo della storia. Non sapevo a chi affidarmi, non sapevo niente. Una sola cosa dovevo fare in quel momento: parlare con Mason.
Uscii dalla camera, accertandomi che la porta non cigolasse e non svegliasse il ragazzo assopito. Vagai per i corridoi e quando fui abbastanza lontana, aprii la chiamata. Ci furono tre squilli, prima d’ottenere una risposta:
“Alexa, grazie a Dio, sei viva!” Urlò mio fratello, in preda ad una crisi isterica. Dal tono di voce comprendevo che non stava mentendo.
“Ovvio, che ti aspettavi? Che mi sarei lasciata uccidere? Hai proprio una bassa considerazione di me, fratello.” Riuscii addirittura a scherzarci sopra, cosa da non credere!
“Smettila di scherzare, dimmi immediatamente dove ti trovi! È tutta la notte che cerco di mettermi in contatto con te, mi hai fatto stare in ansia!” Mi rimproverò, con il suo solito atteggiamento di superiorità, che non sopportavo proprio.
“Sono a casa di Black. Ho passato la notte da lui.” Ammisi, senza troppi pensieri.
“Tu, cosa?! Ma dico, sei impazzita per caso?!” Come da copione, era andato su tutte le furie. Teoricamente adesso sarebbe iniziata la parte in cui mi faceva la predica su quanti fossi irresponsabile, sul fatto che non ne combinavo mai una giusta e bla bla bla.
“Ma stai calmo, per una volta tanto! Sto benissimo, Jakob non mi ha fatto niente! Piuttosto mi ha aiutata quando George ha tentato di rapirmi, ne sai qualcosa?!”
All’inizio ci fu un silenzio imperturbabile, poi, dopo aver sospirato, riprese parola. “So quello che è successo, mi è stato raccontato da Spencer.  George ha tradito la società e ne pagherà le conseguenze. Mi dispiace davvero, sorellina.” Avrei dovuto credergli? In tal caso avrebbe dovuto anche essere a conoscenza della ragione di quel gesto.
“Hm... E sai anche perché l’ha fatto?” Mi parve di sentire un rumore in lontananza, così mi girai e cercai di capire da dove provenisse. Non trovai una risposta – ma no, non me l’ero immaginato- e mi concentrai di nuovo sulla conversazione con Mason.
“Ho ancora delle perplessità al riguardo. Dice di essere stato costretto, ma non so ne da chi, ne perché.” Oh, grazie tante fratellone, sei stato proprio di grande aiuto!
Mi balenò in mente l’idea che, forse, George fosse la spia degli Skulls. Riflettendoci… no, non aveva senso, sennò cosa cavolo si sarebbe intromesso a fare, Jakob?
O ancora, forse lo aveva fatto proprio perché il biondo si era fatto mettere al tappeto da me in persona, e stavo rovinando il suo piano.
Ma il ragazzo con gli occhi nocciola però, non mi dava l’idea di essere uno che stava tramando qualcosa. Al contrario. Dio Mio, perché era tutto un fottutissimo casino?!
Alexa, ora diventi anche volgare?!
Oh, no! Era vero! Avevo iniziato ad esprimermi come una vera e propria ragazza maleducata dei Danger!
Ecco, appunto.
Ma che facevo, mi mettevo 
pure a parlare  da sola? Avevo perso del tutto la ragione?
Probabilmente si. Eri sempre stata una ragazza strana!
Ora basta!
“Quindi non è vero che volevi vendermi ad uno sceicco arabo?” Domandai. 'Ti prego, dì di no, dì di no!' sperai, incrociando le dita.
“Ma cosa ti salta in mente? Non potrei mai fare una cosa del genere! Chi mai ti ha detto una cazzata simile?” Aveva perso le staffe, irritato dalla domanda –lo conoscevo troppo bene-.
“Nessuno.” Mi limitai a dire e subito ricordai cosa mi era stato detto riguardo alla morte dei miei genitori. Non potei fare a meno di chiedergli se il mio dubbio era fondato, oppure era solo una grande balla. “Mason, Jakob mi ha detto che mamma e papà… Ecco, non sono morti in un incidente…” Cominciai.
Non sapevo in che modo dirlo. Insomma, non potevo mica uscirmene con una frase del tipo: “Ehi, fratello, hai ucciso tu i nostri genitori?”.
 
Sentii il suo respiro aumentare di velocità, mentre soffiava sul microfono del cellulare. “Che ti ha detto quel bastardo?” Disse acidamente. Fortunatamente non era lì con me in quel momento, altrimenti sarei stata certa che sarebbe corso da Black e gli avrebbe spaccato la faccia a suon di pugni.
“Che tu… beh, non è facile da dire…” Ero davvero impacciata e continuavo a girarci intorno.
“Che io, cosa?!” Mio fratello soffriva di una sindrome da perdita rapida della pazienza. Una cosa grave, a mio dire.
“Tu hai ucciso Calla e Ray.” Bene, finalmente avevo lanciato la bomba. Ora bisognava solo aspettare e stare a vedere se sarebbe scoppiata, oppure sarebbe rimasta intatta sul terreno.
Dopo un paio di minuti, che a me sembrarono secoli, ruppi il silenzio. “Mason? Ci sei ancora?” Domandai con voce flebile, un po’ spaventata per la sua reazione.
“Si, ci sono. Senti Alexa, dobbiamo parlare. Ma non tramite un fottutissimo telefono. Ti aspetto tra mezz’ ora al Parco Ovest della città. Non tardare.” E detto ciò, agganciò.
Ottimo, come ci sarei arrivata?
Tornai nella stanza nella quale mi ero riposata: Jakob dormiva ancora, con le labbra leggermente socchiuse e le guance arrossate, mentre stringeva a sé il cuscino. Non seppi perché, ma quella vista mi sembrò davvero tenera, dolce come un bambino appena nato. Afferrai i vestiti che avevo indossato il giorno precedente ed andai a cambiarmi nel bagno. Mi sistemai i capelli alla bell’e meglio, poiché non avevo a disposizione una spazzola. Fortunatamente il giorno prima non mi ero truccata, così non dovetti sistemare niente sul mio viso e mi limitai semplicemente a sciacquarlo. Di soppiatto –mi sentivo tanto come l’agente 007 in missione- presi il mio zaino, poggiato in un angolino sul pavimento e mi avviai verso la porta che riconduceva fuori. Diedi un’ultima occhiata al ragazzo assopito e mi scappò un sorrisino. Avanzai tranquilla e poiché le ante erano chiuse, non distinsi bene le figure attorno a me e colpii con il mignolo del piede, lo spigolo di un mobile. Invocai tutti i santi esistenti ed anche quelli non esistenti. “Ma porca paletta!” Esclamai, presa dal dolore misto a rabbia. Saltellai su un piede verso la porta.
“Che stai facendo?” Chiese lui, dietro di me. Perfetto, si era svegliato! Che mi sarei inventata a quel punto? Cosa gli avrei detto? Che andavo a fare la spesa? Che stavo tornando da Mason, dal quale lui mi aveva messo in guardia?
Due braccia mi circondarono la vita, prima che il suo mento venisse posato sulla mia spalla. “Stai scappando?” Sussurrò, in modo così sensuale, che fui percossa da un brivido. Il suo bacino era premuto contro la mia schiena e solo allora notai quanta era la differenza di altezza tra noi due. Lui mi sovrastava, completamente.
“N-no.” Farfugliai. Accidenti a me ed alle mie stupide ovaie, che mi avevano appena fatto fare la figura dell’ idiota!
“Ne sei proprio sicura?” Alitò sulla pelle del mio collo, facendomi fremere. Come riusciva a causare in me tutto quello scompiglio? Cosa mi stava facendo? L’ Alexa Jersey che si rispettava, aveva sempre i nervi saldi e non si lasciava sopraffare da nessuno.
“Si.” Risposi glaciale. “Allora perché ti sei cambiata e tieni stretto tra le mani il tuo zaino? E perché stavi uscendo di qui di nascosto?” Mi spiazzava sempre, quell’ adorabile ragazzo odioso.
“Perché… ehm…” Forza Alexa, fatti venire una delle tue brillanti idee! Dai! “…perché… volevo andare a prenderti una sorpresa!” Buttai giù ad un tratto. Ma sei cretina? Che cazzate vai a dire? Un sorpresa? No, seriamente, fatti curare in una casa di cura psichiatrica specializzata, eh!
Oltre a me, anche lui rimase interdetto: “Una sorpresa?” Mi sarei voluta tanto prendere a schiaffi con le mie stesse mani, peccato che in quel momento fossi già stata impegnata con altro. “Sul serio?” Domandò, dubbioso. Alla fine feci quello che sapevo fare meglio: dire la verità. “No, è una cazzata, non è affatto vero.”
“Bene.” Affermò, lasciando la presa su di me. “Allora, mi dici che cosa stavi cercando di fare?” Andò alla finestra ed aprì le ante, permettendo alla luce solare di  filtrare attraverso le finestre. Mi girai a guardarlo, mentre il mio cervello elaborava una scusa plausibile. “Niente.”
“Smettila di raccontare cazzate, per favore!” Che soffrisse anche lui dello stesso problema di Mason? L’avrei scoperto molto presto.
“Stavo andando da mio fratello.” Fui schietta, perché non trovai nessun’altra possibilità. Lui s’incupì e mi guardò in modo strano, non fui in grado di decifrare la sua espressione, e a breve fu a pochi centimetri da me.
“Ma davvero?” Aveva un sorrisetto inquietante sulle labbra e per la prima volta da quando stavo lì, dubitai delle sue intenzioni. “Beh, io non credo proprio uscirai da qui.”
Quel ragazzo era un vero mistero per me: un momento era il ragazzo più dolce del mondo, l’attimo dopo, era un duro in tutto e per tutto –è il capo degli Skulls, Alexa, chiediti il perché!-. Jakob si avvicinava ed in automatico io andavo indietro.
Idea! Se fossi arretrata a poco a poco, sarei potuta uscire dalla stanza e provare a scappare! Mi mossi sempre più velocemente e mi voltai anche per un nanosecondo per vedere quando la porta fosse aperta: ahimè, davvero poco, ma comunque era una possibile via di fuga.
Un passo, ancora uno… Quando ero proprio sul punto di darmela a gambe, un braccio del moro si poggiò sul legno alle mie spalle, spingendolo affinché andasse a chiudere il piccolo varco. Maledizione!
“Pensavi sul serio di farcela?” Jakob rise di me e del mio fallito tentativo.
Perché si comportava così? Boh.
Mi ritrovai dunque, incastrata tra il legno ed il bel ragazzo. Déjà-vu.
Non risposi alla sua domanda retorica e subito me ne fu posta un’altra. “Perché vuoi andartene? Non ti sei trovata bene qui?” E forse fu solo una mia impressione –no, non lo fu – ma mi parve dispiaciuto e preoccupato. Che dietro a quell’ atteggiamento prepotente e dominante, ci fosse un animo buono? Ma che dico,  scemenze!
“Non è quello, solo che…” Ero combattuto se dirglielo oppure no.
“Solo, cosa?” Mi guardò con quegli occhi nocciola che mi piacevano tanto –solo gli occhi mi piacevano, non Jakob, sia chiaro- e mi sentii sciogliere.
“Poco fa ho telefonato a mio fratello. Dice che non è vero che voleva cedermi allo sceicco e vuole incontrarmi di persona per parlare della morte dei nostri genitori.”
Ci pensò su un pochino, prima di parlare: “E tu gli credi, Alexa?!” Sembrava scioccato, ma in realtà avrebbe avuto un sacco di motivi per non esserlo.
“Sinceramente, sì! Penso che mi possa affidare di più su mio fratello, che conosco da una vita, che su te, con cui ho “parlato” al massimo un paio di volte ed in entrambe, per insultarci!” Cominciò a tornare la vera me. Lui si passò una mano tra i capelli.
“Ma io ti ho detto la verità, cazzo!” Esclamò, burbero.
“Non lo metto in dubbio, ma prima vorrei sentire la versione di Mason.” Usai un tono deciso e sicuro, che sarebbe sicuramente servito a mio vantaggio.
“Non ti lascerò andare.” La sua voce era distaccata e voleva dare ordini, ma io non ero il tipo da farsi sottomettere.
“Non ti stavo chiedendo il permesso.” Dissi, acida e scontrosa. Si avvicinò ancora di più, premendo il suo corpo contro il mio. Spostò alcune volte lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra e mi confuse.
“Peccato che sei a casa mia e qui le regole le decido io.” Si allontanò e mi prese per un braccio, trascinandomi lontano dalla porta. Lo vidi frugare in un cassetto e poi vi estrasse un paio di manette. Oh, mio, Dio. Faceva sul serio? Le aprì e si mosse verso di me, ma prontamente balzai lontano. Feci il giro del letto, finché non mi trovai contro il comodino. “Fai la brava.” Sorrise sghembo. Certo, secondo te mi facevo anche ammanettare? Ma per favore!
Saltai sul letto - chi sene fregava se si sfondava - e lo attraversai, trovandomi all’ altro lato della stanza. Mi gettai fuori dalla stanza e corsi più velocemente che potei.
Se almeno avessi saputo dove diavolo stessi andando! I passi dietro di me mi fecero intuire che fossi seguita. Accelerai e finalmente, voltandomi indietro, notai di averlo seminato –che gioia!-.
Peccato che poco dopo mi trovai in un corridoi senza fine, un vicolo cieco in pratica. Ecco perché aveva rallentato: sapeva che ero in trappola. Merda (secca) –pessima battuta-. Da dietro l’angolo spuntò Jakob, che sorrideva vittorioso.
“Corsa finita, baby.”  Forse aveva ragione, non potevo più fare niente, tanto valeva seguirlo di mia spontanea volontà.
“Ok, hai vinto tu.” Sospirai miseramente. Lui sorrise e mi porse la mano, aspettandosi che l’afferrassi. Ebbi un flashback e mi tornò in mente una mossa, insegnatami da mio fratello, grazie alla quale sarei potuta strisciare attraverso le gambe semi-aperte di Jak e sorpassarlo. Guardando bene però, l’apertura era troppo piccola e non ci sarei passata.
Ebbi un altro lampo di genio. Mi avvicinai moltissimo a lui ed unii le braccia dietro al suo collo. Doveva credere che stessi per baciarlo. Lo spinsi contro il muro, facendo scontrare i nostri bacini. Sciolsi le mani, posandole sulle sue spalle, fingendo fosse per aiutarmi ad alzarmi sulle punte ed unire le nostre labbra. Mi avvicinai fino a quando le nostre bocche quasi non si sfiorarono, poi, gli diedi una ginocchiata nel pacco –non troppo forte, non volevo fargli tanto male- e corsi via, ripercorrendo i corridoi di prima, nella direzione inversa. Lui non se l’era aspettato, così avrei avuto un certo vantaggio. Notai un corridoio che prima avevo del tutto ignorato e lo seguii. In fondo ad esso vi trovai le scale che portavano al piano inferiore! Mi fermai un attimo, contenta del fatto che ce l’avevo fatta.
Ma parlai - o meglio, pensai - troppo presto, perché Jakob nuovamente mi fu alle calcagna. Mi fiondai giù dalle scale: avrei tanto voluto provare a fare come nei film, quando i protagonisti scendono seduti sullo scorri-mano, ma lasciai quell’ esperienza ad un momento migliore. Mancava pochissimo; la porta d’ingresso era là, a pochi metri da me.
Sicuramente la mia fuga avrebbe avuto un buon esito, se non fosse che inciampai nell’ ultimo gradino, finendo come un sacco di patate, a terra.
“Ma vaffanculo!” Imprecai, ed in quel momento, non me ne poteva fregare un fico secco delle buone maniere. Il ragazzo, scendendo la scalinata assassina, rise di gusto, irritandomi.
“Certo che sei proprio un salame!” Continuava a deridermi, cosa che fin da piccola, non sopportavo. La mia prima idea era stata quella di alzarmi e picchiarlo, poi però, ricordandomi che lui sarebbe stato comunque più forte di me, rinunciai. Me ne stetti sul parquet di legno, tutta dolorante. “Sta’ zitto, accidenti!” Gli intimai. Si mise davanti a me: avevo i suoi piedi a pochi centimetri dalla mia faccia. A quella scena, mi venne da dire una cosa. “Dovresti lavarti i piedi ogni tanto, sai? Ed anche farti una pedicure.” Ovviamente, era tutto falso, i suoi piedi erano perfetti, come tutto il resto del suo corpo. Jakob mi credette e si spostò immediatamente, visibilmente a disagio per la mia osservazione. Mi tirai su fino a trovarmi seduta. Guardai negli occhi il mio “amico” e vedendolo con quell’ espressione imbarazzata, mi misi a ridere di lui, vendicandomi per poco prima. “Che scemo, ci sei cascato! Dovresti vedere la tua faccia in questo momento!” Era troppo comica come cosa, non ci potei fare niente.
Realizzando che l’avevo presto per il culo –si, evviva la finezza!- mi si avvicinò e, afferrandomi per le braccia, mi tirò in piedi. A quel punto la sua stretta attorno al mio corpo divenne salda. Jakob mi afferrò un polso e vi ci chiuse attorno alla manetta. “No, tesoro, tu sei scema!” Disse, tornando a fissarmi.
“Proprio qui sbagli. Io non sono scema, semplicemente uso un altro tipo di intelligenza!” Esclamai, ricominciando a ridere come una scema, appunto.
Lui si portò una mano sugli occhi. “Davvero squallida. Una battuta peggiore non la potevi trovare.” Chiuse l’altra manetta attorno al suo polso. Ma che diamine…?
Era ritardato o cosa?
“Ma che fai? Liberami subito la mano!” Provai a tirare per liberarmi, ma l’unico risultato che ottenni, fu quello di farmi male.
“Dai piccola, puoi ammetterlo che provi piacere stando vicino a me!” Ammiccò, facendomi un occhiolino. Di nuovo, si faceva largo il Jakob vanitoso ed arrogante –peccato che mi piaceva anche quella parte di lui. Non è vero, non mi piaceva!-.
“Ma fammi il favore!”
“Non c’è niente di male, sai?”
Mi prese con la mano libera, l’altro polso, portandoselo vicino al petto. Ero in piedi, di fronte a lui, e pochi centimetri ci separavano. Guardai l’orologio appeso alla parete, alle sue spalle e dedussi che ero davvero in ritardo.
“Si, si, non m’importa. Ti prego Jakob, devo andare, Mason mi starà aspettando.” Cercai di convincerlo a lasciarmi andare.
“Quanto mi dispiace, ho perso giusto ieri la chiave di queste manette. Mi sa che se vuoi andarci, dovrai portarmi con te!” Sapevo che era una menzogna; non si sarebbe mai ammanettato a me senza avere la chiave d’apertura. Proprio su questa idea, lo istigai. “Va bene, allora verrai anche tu!”

Non avrei mai creduto avrebbe resistito così a lungo. Alla fine comunque, aveva accettato. Non mi aveva liberato: stava venendo con me –ed intendo proprio con, dato che i nostri polsi erano ancora uniti -. Avevamo indossato entrambi una felpa con il cappuccio - tutte e due di Jakob -, le cui maniche nascosero in parte il metallo grigio delle manette. Stavamo camminando per entrare nel parco: molte persone per strada si soffermavano ad osservare le nostre braccia, incuriositi.
“Ci stanno guardando tutti.” Feci notare al moro, come se non se ne fosse già accorto.
“Lo so.” Annuì solamente.
“E non credi sia arrivato il momento di separarci? Ed intendo nel vero senso della parola.” Domandai, piena di speranze.
“No, non credo. Però se vuoi” Iniziò, prendendomi la mano ed incrociando le nostre dita. “possiamo fare così. Salterà all’occhio a meno persone.” Era chiaro che lo facesse solo per tenermi per mano e non per il parere dei passanti, comunque stetti al gioco. Alcune ragazzine, vedendoci, bisbigliavano tra di loro cose che non compresi, per loro fortuna.
Entrammo nel parco deserto. Mi guardai attorno, scorgendo la figura incappucciata di mio fratello, in piedi davanti ad una panchina.
“È là.” Gli indicai. “Andiamo.”
A passo svelto, arrivammo davanti a mio fratello. Appena mi vide, sobbalzò dalla gioia e lo fece un po’ meno quando si accorse che io e Jakob eravamo ammanettati.
“Black.” Disse sprezzante mio fratello, “salutando” prima lui e poi me.
“Jersey, quanto tempo.” Lo provocò Jakob. Per attirare la loro attenzione, mi schiarii la voce.
“Alexa, mi puoi cortesemente spiegare questo cosa significa?” Chiese, poco gentilmente, Mason.
“Ehm… è una storia un po’ lunga, comunque ora non siamo qui per questo.” Lui annuì poco convinto e continuò a lanciare occhiatacce omicide a Jakob, che mi stringeva ancora la mano, scaldandomela ed infondendomi coraggio.
“Però che cazzo ci fa quel coglione qui con te?!”
“Mason, se è ammanettato a me, penso che tu possa capire il perché sia qui!”
Esclamai, alzando gli occhi al cielo.
“Non posso proprio sopportare questa cosa, Black. Non so per quale assurdo motivo vi troviate in questa condizione, ma sappi, che se non fosse perché sei attaccato a mia sorella e che prendendoti a cazzotti, farei del male anche a lei, avresti già fatto una bruta fine.” Lo minacciò.
“Uh, sono proprio spaventato!” Rispose l’altro.
“Potete finirla?!” Urlai, esasperata. Erano peggio dei bambini dell’asilo, santo cielo! “Mason, se sono qui è perché voglio sapere cosa è successo a mamma e papà.” Dissi seria. Lui mi degnò della sua attenzione, ma appena due secondi e riportò lo sguardo sul ragazzo al mio fianco.
“Non ho intenzione di parlarne con lui che ascolta.” Affermò convinto. Da parte sua, Jak ridacchiò: “Ma dai Mason, che problemi ti fai? Tanto so già tutto, non cambierebbe niente!” In quel momento, l’ipotesi che davvero fosse stato mio fratello l’assassino dei miei genitori, tornò in gioco.
“Stai zitto, lurido figlio di-” Non gli permisi di continuare, poiché mi parai davanti a lui. “Smettila! Avete rotto voi due! Voglio la verità!” Esclamai, mentre la pazienza se ne stava andando a quel paese.
Mason prese un bel respiro. Continuò a fissare il moro alle mie spalle, ma le sue labbra si mossero ugualmente. “Sentimi, non so cosa ti abbia raccontato lui. Comunque devi sapere-” Per l’ennesima volta lo interruppi.
“No, aspetta!” Dissi, veloce. Prima di rovinarmi per sempre la vita, scoprendo chissà quale verità, c’era un’altra cosa che volevo sapere.
“Cosa c’è, stavolta?” Rispose, alquanto scocciato.  Lo conoscevo bene e sapevo che odiava quando qualcuno gli parlava sopra, impedendogli di continuare il suo discorso.
“Prima devo farti una domanda.”
“Dimmi, ti ascolto.”
Acconsentì.
“Davvero mi avresti venduta allo sceicco arabo?” Dato che era il momento delle confessioni, mi sembrava lecito, chiedere. Lui fece roteare gli occhi, altro sintomo di nervosismo. “Ancora con questa storia? Mi sembrava di averti già detto che non era vero!” Era convinto delle sue parole, perciò cercai risposta negli occhi di Jakob, che sembrarono confusi quanto i miei.
“La mia spia però mi aveva informato diversamente.” Precisò Jakob. All’ inizio mi fratello spalancò gli occhi: “Spia, hai detto?!” Era parecchio sconvolto.
“Si, hai capito benissimo.”
“Tralasciando il fatto che, avendomi detto di una spia nella mia società, la troverò e la eliminerò, comunque te lo giuro su tutto quello ho di più caro al mondo, Alexa, non è così. Evidentemente la spia deve aver capito male: la mia idea era quella di farti conoscere lo sceicco, al quale sicuramente saresti stata simpatica, affinché poi lui volesse concludere alcuni affari con noi. Niente che tu non abbia già fatto.”

Tutto aveva un senso. Allora Jakob o si era sbagliato, o aveva mentito. Lo guardai appunto per capire quale delle due opzioni fosse la più corretta. Lui abbassò lo sguardo e si scusò: “Alexa, mi duole ammetterlo, ma credo che tuo fratello non stia mentendo su questo.” Disse, calcando sulle ultime due parole e lanciando a Mason un’occhiata d’intesa. “Evidentemente, la mia spia deve aver capito male.”
Apprezzai molto questo suo gesto, infatti gli sorrisi, dicendogli che non importava.
“Bene, ora che questo dubbio è stato chiarito, puoi raccontarmi dei nostri genitori.” Lo informai e di nuovo, la luce nei suoi occhi si spense.
“Promettimi però che starai ad ascoltarmi fino alla fine.” Mi quasi supplicò, preoccupato. Doveva essere qualcosa di molto, ma molto importante.
“Si, te lo prometto.” Abbozzai un sorriso per incoraggiarlo, ma purtroppo non ebbe il risultato che speravo.
“Alexa, è complicato.” Disse ancora. Non capivo se lo diceva perché non voleva andare avanti, o perché temeva che non avrei mantenuta la parola data.
“Fa niente, parla.” Potevo solo imporgli di proseguire, perché in quel momento ero io a comandare. Strizzò gli occhi e vidi mio fratello in difficoltà, per una delle poche volte nella mia vita.
“Tutto è iniziato un anno prima della loro morte. Papà dirigeva tutto nella società e mamma lo affiancava. Io ero un membro come tutti gli altri, ma ambivo al potere. Chiesi più e più volte di poter ottenere un incarico migliore, un posto di classe superiore, ma niente. Calla e Ray si ostinavano a rifiutare. Quella sera avevo bevuto, non so cosa mi prese.” Vidi i suoi occhi diventare lucidi, mentre raccontava quella parte di racconto. “Andai al centro e trovai mamma e papà che sistemavano gli ultimi affari. Il pomeriggio di quello stesso giorno, aveva fatto l’ennesima richiesta che, come sempre, non mi era stata concessa. Avevano detto che ero troppo immaturo ed irresponsabile e che non sarei mai stato in grado di ottenere una carica di tale livello. Così andai da loro, con una pistola.” Il cuore iniziò a stringersi dentro il mio petto, l’angoscia si diffondeva ovunque. “Li vidi lì, felici… Davvero, non so cosa mi sia passato per la testa, ma…” Ormai la sua voce era rotta dal pianto. “…Li uccisi.” Si fermò un attimo, ed io sentii pizzicare gli occhi, che ben presto si riempirono di lacrime. Non ci potevo credere, non poteva essere!
Non mio fratello, non Mason! Ero disperata, mi aggrappai a Jakob che, rattristito, mi aiutò a rimanere in piedi. Mio fratello, anzi no, per me non lo era più, mi aveva tradito e mentito per tutti quegli anni!
“La cosa peggiore la feci poi.” C’era qualcosa di peggio? Seriamente, cosa potrebbe esserci di più abominevole dell’ assassinio dei propri genitori?! “Presi i loro corpi e li misi nell’auto di papà, guidai fino al fiume, poi mi avvicinai alla riva, sempre di più e quando mancarono pochi metri, scesi dalla macchina, che finì in acqua. Per questo si ipotizzò di un incidente, per questo nessuno, a parte Jakob ed altre due o tre persone della banda, scoprì mai la verità. Mi dispiace Alexa, avrei tanto voluto dirtelo ma…” Stava piangendo, ma non mi faceva compassione. Era un mostro, provavo un odio ed una rabbia repressa dentro di me, che necessitavo  di sfogare.
Lo avrei ammazzato di botte, avrei vendicato mamma e papà. Guardai Jakob e, con la voce più spietata e spaventosa che mai avessi avuto, gli dissi: “Apri le manette, ora.”
Lui infilò la mano in tasca, estraendone una minuscola chiave, con la quale le aprì. Appena fui libera, mi avvicinai ancora di più a mio fratello.
“Tu, lurido verme!” Gli sferrai un pugno sul naso, ma non soddisfatta dalla potenza che ci avevo messo, gliene tirai un altro. Del sangue colò dalla narice, sporcandogli la pelle. “Alexa, fermati!” Mi implorò lui, ma non avevo intenzione di smettere.
“Ti odio, ti odio, ti odio! Come hai potuto farlo, come hai potuto uccidere mamma e papà?! Mi hai mentito, per tutti questi anni, ma nulla in confronto a ciò che hai fatto! Sei un mostro, un abominio, nemmeno ti meriti di vivere ancora su questo pianeta!” Lo presi per i capelli e glieli tirai, facendogli abbassare il capo e lo presi a pugni insistentemente. Lui mi lasciava fare, sapeva che era giusto –per quanto potesse esserlo, picchiare qualcuno- ed avrei dovuto fargli anche di peggio.
L’avrei massacrato di botte, lì, in quel parco, se non fosse stato per la voce di Jakob, che entrò nella mia testa: “Alexa, basta! Capisco che tu sia arrabbiata, ma non è questo il luogo ideale per risolvere la questione. Vieni via.” Mi toccò un braccio, ma gli ringhiai contro, facendolo allontanare. Diedi una ginocchiata nello stomaco a Mason, che si piegò in due, prima di cadere sulla ghiaia del sentiero.
“Alexa, ascoltami.” La voce di Jakob fu come un calmante: mi fece rilassare e distendere i nervi, così, all’ improvviso, smisi di fare quello che stavo facendo.
Quella era stata senza dubbio la giornata più brutta della mia vita. Mi era crollato addosso il mondo, come un grande blocco di cemento.
Feci tre passi indietro e corsi ad abbracciare Jakob, che mi accolse gentilmente tra le sue braccia. Presi a singhiozzare, ma non prestavo attenzione se intorno qualcuno avesse visto l’accaduto. Quando lo feci, comunque, notai che nessuno a quell’ ora era nel parco. Almeno una cosa positiva c’era!
“Jakob, per favore, portami via di qui.”
“Certo, piccola.”













Ditemi cosa ne pensate in una recensione, mi rendereste felice c: Un bacio :-* Grazie a tutti i lettori, a quelli che recensiscono sempre ed a quelli che io chiamo "lettori silenziosi", che si limitano alla lettura.

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***










† CAPITOLO SESTO 
 †



 

Punto di vista di Jakob, il figo.
 

   “Jakob per favore, portami via di qui.” Mi implorò la ragazza, facendomi tanta tenerezza. Quello che aveva appena scoperto, non era certo roba da poco e non potevo neanche lontanamente immaginare, come si sentisse in quel momento. Aveva gli occhi rossi per le lacrime ed il bel azzurro cielo che solitamente li caratterizzava, era ora più spento, simile ad un mare durante la tempesta.
Lo sfogo che aveva avuto contro suo fratello, mi dimostrava quanto, fin da piccola, era stata allenata e preparata nell’arte del combattimento. Godeva di una forza considerevole, che non si assocerebbe mai ad una ragazza della sua età.
Provavo un leggero senso di colpa, perché sapevo che se lei stava distrutta moralmente in quel modo, era perché ero stato io a causarlo. Se non gli avessi mai detto niente al riguardo dei suoi genitori, molto probabilmente adesso sarebbe stata lì con me a riempirmi d’ insulti, come solo lei sapeva fare, ma comunque felice. Mi sentivo di dover fare qualcosa per lei, per farmi perdonare; quindi decisi che l'avrei fatta restare a casa mia finché non si fosse sentita meglio abbastanza per poter decidere in maniera lucida.
   “Certo, piccola.” Le sussurrai, prendendole la mano e conducendola fuori da quel parco, nuovamente nel parcheggio dove avevo lasciato la mia macchina.
La aiutai anche a salire, aprendole lo sportello e richiudendolo un attimo dopo, appena si era accomodata. Ero insicuro su cosa dirle: non volevo fare un passo falso, ferendola o facendola arrabbiare, ma quel silenzio stava diventando insostenibile.
   “P-posso restare con te, almeno p-per oggi? N-non saprei dove andare, a-altrimenti.” Bisbigliò innocente, Alexa. Mi voltai a guardarla: aveva lo sguardo perso nel vuoto, cosa che succedeva spesso a chi aveva appena ricevuto una notizia sconvolgente. Non ero mai stato un granché con le parole, non sapevo come consolare qualcuno, figurarsi poi una come lei!
Non lo dicevo in senso negativo, ovviamente, ma lei aveva un qualcosa di diverso dalle altre persone, era… speciale! Non ci avevo mai parlato molto, ma quel poco tempo trascorso con lei mi aveva aiutato a capire che mai avrebbe confessato di non stare bene, non si sarebbe mai sfogata, dicendo quello che provava realmente. Soleva reprimere tutto dentro se stessa, accumulando tutti quei sentimenti negativi che poi esplodevano, sotto forma di rabbia, acidità ed aggressività –come avevo notato fin dalla prima volta che l’avevo incontrata-. Comunque, neanche con questo, i pesi che si portava dietro avrebbero smesso di darle il tormento. Doveva imparare a fidarsi di qualcuno, ed aprirsi completamente a lui.
Non l’avevo mai vista in uno stato così vulnerabile: si notava benissimo che non ce la facesse più. La sua richiesta, balbettata con insicurezza ed il labbro tremante, mi fecero per un attimo venir voglia di baciarla, ma, non volendo approfittare di lei in quelle condizioni, dovetti reprimere quell' istinto. Alexa non mi piaceva ed io non mi sarei mai innamorato, l’avevo promesso fedelmente a me stesso. Era impossibile 
però negare che fosse bella ed avesse un caratterino “speziato”. Forse provavo un po’ d’attrazione fisica, ma per adesso non era niente di più.
Riguardo alla sua richiesta che mi rese davvero felice, anche se non volli ammetterlo- non potevo che risponderle di sì.
   “Certo, non ti preoccupare. Puoi restare a casa mia tutto il tempo che vuoi, tanto, come hai già potuto constatare, vivo da solo, perciò non disturberai neppure.” Anche io al posto suo mi sarei subito preoccupato su che cosa ne sarebbe stato di me. In fin dei conti lei abitava ancora con suo fratello e, dopo quello che era appena successo, sicuramente non sarebbe tornata tanto volentieri in quella casa, con lui.
Lei mi lanciò un’occhiata veloce, tornando a guardare la strada. Ero davvero sorpreso del fatto che non vi era quasi nessuno in giro, quella mattina. Probabilmente gli studenti erano già a scuola, dove avremmo dovuto essere anche Alexa ed io, ed i lavoratori erano già all’opera. Mi fermai ad un incrocio, causa semaforo rosso, anche se più di una volta mi venne la tentazione di passare lo stesso, dato che non c’era nessuno nei paraggi. Approfittai di quella sosta per passare una mano sulla guancia della bionda –o era mora? Bah, era un misto, ma che differenza faceva?!- chiedendole: “Come stai?” Che domanda stupida ed insensata: come sarebbe dovuta stare? Di certo non bene. Alexa mi guardò e per la testa sono sicuro gli passò qualcosa di strano, come mi dimostrarono i fatti che si sarebbero svolti da un momento all’ altro. Lei mi mise un mano sulla spalla e si sporse verso di me. Non capii cosa aveva intenzione di fare, ma era sicura delle sue azioni. Si mise in ginocchio sul sedile, avvicinandosi sempre di più, prima di lanciarmisi addosso, mettendosi a cavalcioni su di me. Mi stava vicinissima anche con il viso e la mia sorpresa fu tale che non riuscii nemmeno ad imporle di tornare dov’ era.
   “C-che stai facendo?” Dissi, mentre il battito del mio cuore accelerava ed il mio respiro si faceva più affannoso. Non mi lasciò il tempo di dire altro, perché infilò le dita nei miei capelli ed unì con prepotenza le nostre labbra. Mi si formò un insolito formicolio nello stomaco, al quale attribuii come colpa, il fatto che il corpo della ragazza fosse premuto troppo forte contro il mio.
Mi leccò il labbro inferiore, prima di infilare la sua lingua nella mia bocca. Mi ci volle un attimo per realizzare che tutto quello stesse realmente accadendo e reagire di conseguenza. Misi le mani dietro la sua schiena, stringendola a me e poi intrecciai le nostre lingue. Inclinai di poco la testa, in modo da avere una migliore angolazione per baciarci. Fui completamente travolto dalla passione che ci mise e non stetti a farmi tanti problemi sul perché stesse succedendo, anzi, desiderai di più.
Spostai le mani sui suoi glutei, che palpai e strinsi; poi separai le nostre bocche, facendo scendere le labbra sulla pelle accaldata del suo collo. Mi sentivo pieno di energie e bene come mai mi ero sentito prima. Speravo tanto che quell’effetto ci fosse stato anche su Alexa, così forse avrebbe smesso per un attimo di pensare a suo fratello. Lasciai una scia di baci che dalla mascella scendevano, sempre più in giù. Presi a succhiare un lembo di pelle della spalla, ma sempre in modo delicato, per non farle male. Dalla sua bocca uscivano gemiti in parte soppressi, che mi fecero dannatamente eccitare. Indossava una maglia scollata, così potei posare le labbra anche sulla pelle vicino ai suoi seni. Per aiutarmi, inarcò la schiena, ma purtroppo combinò un bel guaio: il mio amichetto dei paesi bassi parve “risvegliarsi” dopo un lungo periodo di letargo. Le misi una mano dietro la nuca, riavvicinandola a me e baciandola ancora. Succhiai un po’ il suo labbro superiore prima di unire nuovamente le nostre lingue. Alexa continuava a muoversi in modo sensuale su di me, tenendo ora le mani sul mio viso ed il tessuto dei boxer iniziò ad essere troppo stretto. Controvoglia –dovetti fare uno sforzo enorme- mi allontanai da lei, che rimase confusa dal mio gesto.
   “Torna a sederti al tuo posto, per piacere.” Le dissi, con il battito non ancora ristabilizzato. Ci rimase male, potei notarlo, ma alla fine ubbidì.
Non potevo dirgli il vero motivo per il quale lo avevo fatto, così approfittai del semaforo diventato verde. “Devo guidare, è verde e ben presto altri guidatori si potrebbero lamentare.” Certo, poi vorrei capire di quali guidatori stessi parlando, dato che non c’era nessuno.
   “Oh…” Lei abbassò lo sguardo e dovetti ricredermi quando la vidi arrossire: non avrei mai immaginato sarebbe potuto succedere anche a lei. Alexa, in imbarazzo? Incredibile!
Nessuno parlò più fino a quando arrivammo alla mia villa. Aprii la porta di casa e la feci entrare, prima di me e lei sussurrò un fievole “Grazie.” Molti pensieri mi assillavano e tra quelli, la maggior parte riguardavano la ragazza che mi era appena passata davanti. Ero confuso riguardo ai miei sentimenti nei suoi confronti e soprattutto riguardo ai suoi verso di me. Poi iniziai ad ipotizzare cosa avrei fatto in entrambe le possibilità: se mi avesse respinto, sicuramente le sarei rimasto indifferente. Ma se invece fossi riuscito a farle confessare di provare qualcosa per me? Che avrei fatto? Ed oltretutto… io, cosa provavo per Alexa?
Non ne avevo la più pallida idea, sapevo solo che con lei attorno mi sentivo completo, felice e del tutto a mio agio.
Entrati in salotto mi ricordai che non avevamo ancora fatto colazione, poiché eravamo dovuti correre subito da quel vigliacco di Mason.
   “Ehi, non abbiamo ancora mangiato! Ti va una cioccolata calda?” Le domandai, sorridente. Volevo rompere il ghiaccio ed anche far finta che quello che fosse accaduto in macchina poco prima, fosse solo un lontano ricordo.
   “Si, va bene.” Rispose, finalmente riprendendosi. Fui molto felice del fatto che uscì dallo stato di trans emotivo nel quale era caduta in presenza del fratello, dimostrando ancora una volta, la grande forza d’animo che aveva.
 



Punto di vista della temeraria Alexa
 

Facemmo colazione chiacchierando come due amici avrebbero fatto durante una giornata passata in compagnia. Io ero sempre stata una ragazza che riusciva a mantenere il suo rapporto con gli altri, anche dopo che era successo qualcosa che avrebbe potuto causare una situazione di disagio. Avevo fatto allo stesso modo anche con il bacio dato a Jakob. Quello, dopo la mia presa d’iniziativa, era stato continuato da entrambi. Perché l’avevo fatto? Era per un’assurdità…
Da qualche parte, un giorno avevo letto che tutti i mali potevano momentaneamente scomparire od alleviarsi se si aveva accanto una persona che davvero teneva a noi e che sarebbe stata in grado di darci il proprio amore. Poiché dentro mi sentivo morire – e per Jakob provavo un’ innocua attrazione- avevo fatto quello che avevo fatto. Non avrei mai pensato che, oltre a farmi dimenticare tutte le brutte cose che erano successe in quei due giorni, mi avrebbe fatto sentire la ragazza più felice del pianeta Terra. Probabilmente era tutto merito del moro, che aveva contribuito in maniera più che soddisfacente, assecondando ogni mio singolo movimento. Mi doleva ammetterlo, ma quel bacio mi era piaciuto. Avrei pagato oro per sapere se anche per lui era valsa la stessa cosa.
   “A che pensi?” Chiese Jakob, distogliendo l’attenzione dal film che stavamo guardando, sdraiati sul divano, con la mia testa appoggiata al suo petto ed il mio corpo accoccolato contro il suo.
   “Oh, a niente in particolare.” A te, stupido ragazzo! Gridava il mio cuore.
Lui portò un suo braccio attorno alle mie spalle, premendomi ancora di più contro se stesso. Mi guardò con due occhi pieni di furbizia, mentre le sue labbra si increspavano in un leggero sorriso. “Ah, si?” In una nanosecondo ribaltò entrambi: io finii distesa di schiena, mentre lui torreggiava su di me.
Sosteneva il suo corpo grazie alle muscolose braccia, che non potei fare a meno di notare. Portò il suo bellissimo viso a pochi millimetri dal mio, facendo sfiorare i nostri nasi.
   “A me non sembrava.” Biascicò sulle mie labbra. Non sapevo cosa gli fosse preso: probabilmente doveva aver frainteso totalmente quello che era successo in macchina, andando a pensare chissà cosa. In quella posizione mi sentivo mancare l’aria, ma non avrei voluto per nessuna ragione essere in un altro posto.
La visione delle sue labbra sulle mie continuava ad invadere i miei pensieri, facendomi desiderare di nuovo quel contatto. A poco a poco, quel ragazzo mi stava facendo perdere la ragione.
   “A me, al contrario, hai dato l’impressione si trattasse di qualcosa d’importante.”
La sua bocca continuava a sfiorarsi con la mia e divenni sempre più agitata. Bramavo troppo di poter risentire il suo sapore, per questo cedetti.
   “Si, è vero.” Il mio sguardo continuava ad alternarsi tra le pozze marroni dei suoi occhi e la sofficità delle sue labbra. Jakob fu molto compiaciuto per aver ottenuto tutto quel controllo su di me, ma non sapeva che non avrei mollato subito.
Spostò il peso sui gomiti, iniziando ad accarezzarmi il fianco, facendomi rabbrividire. Ora lui era molto più vicino a me ed i nostri bacini si toccavano. Mi fece un certo effetto sentire il cavallo dei suoi jeans contro la mia intimità, ma provai a nascondere quella sensazione.
   “Hm… E cos’era esattamente?” Nonostante usò una voce parecchio sexy, fallì il suo tentativo.
   “Nulla che tu debba sapere.” Risposi, sentendo il cuore battere velocemente. Infastidito, sollevò di poco la mia maglia, lasciando scoperto il mio ventre, sul  quale prese a disegnare figure immaginarie. Per un attimo chiusi gli occhi, beandomi del suo tocco. Quando li riaprii, Jak mi lasciò un veloce bacio a stampo, che mi fece arrossire.
   “Io penso invece che me lo dirai.” Mi sussurrò all’orecchio, prima di baciarmi nuovamente per pochi secondi. Avevo ben capito le sue intenzioni: voleva farmi impazzire lentamente, finché non avessi abbassato la barriera che ci separava e l’avessi fatto entrare nella mia testa.
   “N-no.” Avrei voluto essere più decisa, ma la mano di Jakob era risalita sotto la maglia, lasciandomi con il fiato corto. Sorrise maliziosamente, iniziando a massaggiarmi i seni. Una scossa mi parti dal basso ventre, stordendomi. Non avevo mai provato niente di simile: sentivo tutto dannatamente in subbuglio, compresa la mia intimità, che pulsava. Gemetti a bassa voce.
Anche la mano libera di Jakob andò a raggiungere l’altra, aiutandola con quello in cui era impegnata. Sconvolta da quel piacere improvviso, gettai la testa indietro.
   “Avanti, smettila di fare la testarda, per una volta.”  Le sue parole catturarono nuovamente la mia attenzione e tornai a guardarlo.  Una sua mano si strinse a coppa attorno ad un mio seno e mi lasciai scappare un gemito. Il moro era davvero soddisfatto del modo in cui mi aveva in pugno, ma io lo feci ricredere: infilai entrambe le mani nei suoi capelli dietro la nuca e lo tirai con forza sulle mie labbra. Lo baciai in modo famelico e non ci volle molto prima che anche lui ricambiasse con la stessa intensità e passione. Andammo avanti per parecchi minuti, ma poi lui si staccò e si spostò a torturare il mio collo, baciandolo, mordendolo e succhiandolo.
   “Forza piccola, parla.” Fu il modo in cui disse quel ‘piccola’, che mi fece sciogliere del tutto. In quel momento avrei fatto qualunque cosa lui mi avesse chiesto, pur di ottenere da lui ancora un bacio.
   “Baciami.” Lo supplicai, con la voce spezzata dai gemiti.
   “Prima dimmi a cosa stavi pensando.” Mi incitò ed io –sebbene maledicendomi mentalmente- obbedii.
   “A te.” Confessai infine. Credevo che a quel punto mi avrebbe concesso quell'unione di bocche, invece non lo fece.
   “E che cosa su di me, esattamente?”
No, non gli avrei mai rivelato quanto mi era piaciuto quel bacio, così come anche tutti quelli che si erano appena succeduti. Rimasi in silenzio, facendogli intuire che non avrei aperto bocca.
   “Se la metti così, allora…” Si leccò le labbra maliziosamente, poi si ritrasse momentaneamente, per andare a sfilarmi la maglietta. Avrei voluto impedirglielo, ma rimasi immobile ad ogni suo mossa. Si fiondò sul mio petto, lasciando languidi baci e premendo le sue labbra un po’ ovunque.
Dopo, le sue mani si portarono dietro la mia schiena, che inarcai leggermente per aiutarlo, e mi slacciò anche il reggiseno. Divenni letteralmente bordeaux perché nessuno, prima d’ allora, mi aveva vista così. Si dedicò per molto tempo a quella parte del mio corpo scoperta, facendo crescere nella mie viscere un certo eccitamento.
Continuava a ripetermi di dirgli quella cosa, ma io resistetti meravigliosamente.
Ad un certo punto mi resi conto di quello che stavo facendo, o meglio, mi stavo lasciando fare e fui tentata di spingerlo via ed andarmene.
Poi però, sentendo tutto quel benessere che mi stava causando, accantonai definitivamente quell'opzione.
Realizzando che quello non era abbastanza per farmi sputare il rospo, Jakob decise di passare alle ‘maniere forti’. Avvicinò le mani alla cerniera dei miei jeans, per abbassarla.
Ebbi un ripensamento dell'ultimo minuto, così spostai le mie mani sulle sue, allontanandogliele da quella zona che sentivo molto accaldata.
Jakob sorrise sghembo, prima di afferrarmi i polsi con una mano e portarmeli sopra la mia testa. Percorse con l’altra tutto il mio interno coscia, arrivando fino all’ inguine. Lì, fui scossa da un altro gemito.
Di conseguenza, lui premette la sua intimità, che avevo scoperto essere una dura erezione, sulla mia. Iniziò a strusciarmisi sopra ed ad ogni movimento che faceva, avevo sempre più voglia di lui.
   “Dimmi che non mi vuoi, baby e ti lascerò in pace.” Disse con voce roca e sensuale.
Già, se solo avessi avuto la forza per farlo!
Roteò i suoi fianchi contro i miei, prima di slacciarsi i pantaloni e sfilarseli, restando solo in boxer. Fu troppo sentire il suo pene contro di me, anche se da sopra la stoffa. “S-si!” Gemetti.
   “Si, cosa?” Rispose beffardo.
   “Ti voglio.”
Non se lo fece ripetere due volte, che mi sfilò i jeans e scostò a lato le mie mutandine di pizzo nero, -me le aveva regalate Ellen per il mio compleanno- massaggiando con il pollice la mia parte sensibile. Dopo poco, un suo dito stuzzicò la mia entrata, prima di infilarvisi dentro. Lanciai un urlo per il dolore ed una lacrime mi rigò la guancia.
   “Mi dispiace, piccola.” Disse con rammarico, il moro.
Quella presenza dentro di me mi faceva sentire tremendamente a disagio e quando iniziò a roteare su se stesso al mio interno, gemetti, sollevando i fianchi. Era tutto così nuovo per me.
   “Vedrai, ti farò sentire bene.” Mi baciò passionalmente, mentre infilava un altro dito nella mia intimità ed il mio lamento fu oppresso dalle sue labbra. Forse era proprio per quello che mi aveva baciata in quel momento.
Quei movimenti all’inizio mi fecero male, ma poi un’onda di piacere si espanse per tutto il mio corpo. “Jakob!” Esclamai.
Lui si fermò immediatamente. Non era per quello che lo avevo chiamato e lo sapeva. Persisteva a rimanere immobile, così mossi il bacino verso di lui.
   “Vuoi che continui?” Mi domandò riprendo a muoversi, anche se, ahimè, troppo lentamente. Annuii con il capo.
   “Voglio che tu me lo dica a parole.” Il suo dito medio fece un movimento  nuovo, facendomi perdere ogni contegno. “Si cazzo Jakob, continua!” Urlai.
Lui ridacchiò, fermandosi nuovamente. “Dimmi quello che voglio sapere.”
Stetti zitta, ma lui mi accontentò lo stesso. Si mosse sempre più velocemente, mimando la penetrazione ed a breve giunsi sull'orlo del mio limite. Ormai il nome del ragazzo usciva costantemente dalle mie labbra. Lo fece apposta: per la terza volta, in una decina di minuti, mi fece dannare, bloccandosi.
Ero straziata. “Jakob ti prego!” Implorai. Ma lui non disse nulla, rimase a fissarmi come solo lui sapeva fare. Ora mi era tutto chiaro.
    “O-ok! Pensavo a quanto mi piacessero i tuoi baci, anche se ora potrei dire ben altro oltre a quello!” Perfetto, con l’ultima parte mi ero aggiudicata la figura dell’ idiota!
Jak sorrise e mi portò all’ apice.
   “Ecco piccola, questo era il tuo primo orgasmo. Speravo fosse qualcosa di più quel ‘segreto’, per dover fare tutto questo per saperlo!” Sghignazzò, ma non gli diedi corda. 
   “Comunque non abbiamo finito.” Ribaltò la situazione, mettendomi a cavalcioni su di lui.
   “Il mio amichetto lì sotto è sofferente: necessiterebbe di un aiuto.”
Arrossii, capendo ciò che mi stava chiedendo.  Il problema era che, non ne ero capace: non l'avevo mai fatto.



















Ciao fantastiche lettrici! Come state? 

Allora, che ne pensate di questa parte un po' mlml tra Jakob ed Alexa? 
Vi è piaciuto? :) Lo spero davvero! (Anche perchè in 'quelle cose' non sono molto pratica)


Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate e chi, ovviamente, ha recensito! 

Domanda del giorno: Cosa vi aspettate accadrà tra i due nel prossimo capitolo?

Lasciate una recensione, mi farebbe felice e mi invoglierebbe a scrivere :3
Ciauuu, vostra J.x
 

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