a blow to heart.

di orl_virginia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** clash. ***
Capitolo 2: *** grace. ***



Capitolo 1
*** clash. ***


Mi ero appena svegliata: erano le 5:15 di mattina ed io me ne stavo accovacciata in un angolino di quell'immensa sala, nonostante fossero almeno 25 gradi li fuori, stavo congelando.
Il mio volo aveva ritardato di due ore, davanti a me c'era una fila interminabile di persone che aspettava con ansia di salire su quell'aereo per partire e non tornare mai più: anch'io facevo parte di una di quelle. Mi stropicciai gli occhi e mi guardai attorno: persone che andavano e venivano; perfetti sconosciuti che camminavano in fretta, quasi correndo, e mi chiedevo dove trovassero tutta quell'energia a quest'ora del mattino; risuonava il suono dei tacchi delle donne che passavano di li: hostess, ragazze, signore con bambini, tizie mai viste ma tutte così uguali in quella circostanza; forse era stato proprio quel suono, quasi frastuono, a svegliarmi.
Tra tutte quelle persone che c'erano lì, la mia attenzione cadde su un uomo che stava litigando con qualcuno per un motivo apparentemente sconosciuto ai miei occhi, gesticolava e parlava svelto, ma era buffo il modo in cui il suo viso passava da divertito a nervoso in meno di un secondo, era come se stesse prendendo in giro l'altro ma era comunque incazzato per quello che gli era successo; continuai a fissare quella scena per una manciata di minuti.
Provai ad alzarmi senza risultare troppo goffa, ma il mio tentativo falli miseramente per colpa delle mie gambe indolenzite che non ne volevano sapere di tenermi in piedi. Così, con la speranza che nessuno avesse notato il mio mal riuscito tentativo di restare in piedi per più di due secondi come una persona normale, decisi di sedermi di nuovo ed aspettare il mio turno per la fila, da li.
Ero stanca, e chiunque avrebbe potuto leggermelo in viso, se solo qualcuno si fosse soffermato. ma chi vogliamo prendere in giro? Nessuno si fermerebbe, in un aereoporto, a chiedere ad una perfetta sconosciuta se si sentiva bene o se le serviva qualcosa. Ma la verità è che io ci speravo lo stesso, perché avevo un disperato bisogno di avere qualcuno, di sentirmi parte di qualcuno, di essere apprezzata.
Ero il perfetto stereotipo di una diciassettenne sola e disprezzata da tutti, solamente perché mi piaceva starmene a casa con i miei amati libri piuttosto che uscire ed andare alle feste, per poi tornare a casa ubriaca e vomitare anche l'anima nel cesso di casa mia.
"Questa vacanza mi farà bene", mi ripetevo questa frase da quando mi ero chiusa la porta di casa dietro le spalle, come un mantra. Effettivamente, avevo davvero bisogno di staccarmi da tutto e tutti, non riuscivo più a rimanere in quel posto ed essere giudicata, parlata alle spalle, ogni volta che uscivo di casa; sentire le persone che cominciavano a bisbigliare subito dopo essere passata davanti a loro, nel corridoio della scuola; le risa di ragazze ovviamente molto più carine di me, dopo essere uscita dai bagni; gli insulti che a volte mi urlavano in faccia, le prese in giro: no, quel posto non faceva decisamente per me.
Così avevo deciso di andarmene, prendermi una pausa, ed andare nella città più caotica del mondo, la città che non dorme mai: New York. Fin da bambina sognavo di mettere piede in un posto come quello, ma i miei genitori non erano ricchi, non eravamo una famiglia benestante e i nostri risparmi non ci permettevano di fare un viaggio che sembrava essere così costoso all'epoca.
Poi mio padre ebbe un colpo di fortuna; Mark, un suo amico, gli trovò lavoro in un'azienda dove lui ne era a capo. prima era un semplice impiegato, ma man mano che passavano i mesi, scalava di ruolo fino a che un giorno: Mark, dato che aveva almeno una decina di anni più di mio padre, dopo qualche anno decise di andare in pensione e pensare alla sua famiglia, e nominò nuovo direttore dell'azienda mio padre. Non dico che grazie a quel lavoro siamo milionari ma possiamo finalmente permetterci una casa abbastanza grande piuttosto che un appartamentino in periferia; andare dei ristoranti di lusso, piuttosto che scendere sotto per una pizza e viaggiare.
Comunque la mia fila per il check-in stava diminuendo ed era quasi arrivato il mio turno, mi alzai nuovamente ma senza inciampare nei miei stessi piedi meravigliandomi della grazia con cui presi la mia borsa e mi avvicinai. Dopodiché mi recai al bar per mangiare un boccone prima di partire, erano due giorni che non toccavo cibo e diciamo che era quasi evidente data la mia debolezza nelle gambe. Non ero grassa, e non digiunavo per dimagrire, ma semplicemente non sentivo il bisogno di mangiare, tutto qui.
Dopo aver ingerito, quasi contro voglia, un cornetto vuoto e bevuto una tazza di latte, mi stavo recando al mio gate a passo svelto dato che, come al solito, ero in ritardo; quando ad un certo punto, distratta come sono, andai a sbattere ad un ragazzo, facendo cadere la mia e la sua roba. chiesi scusa mille volte senza guardarlo in faccia per il troppo imbarazzo. Ma dopo aver raccolto le nostre cose, lui prese il mio mento tra l'indice e il pollice, mi costrinse ad alzare la testa e fissarlo dritto in quegli occhi verdi che sembravano aver visto troppo dolore. mi sorrise, e notai quelle meravigliose fossette che mi fecero venir voglia affondarci le dita dentro, ma dovetti trattenermi, dopo tutto non lo conoscevo. Imbarazzata per l'accaduto e perché, probabilmente, ero diventata rossa come un pomodoro, chiesi scusa di nuovo e me ne scappai.

Quello scontro mi aveva turbata ma non riuscivo bene a capirne il motivo: non lo conoscevo, e non lo avrei mai conosciuto quel ragazzo dagli occhi verdi.








                                                                                                                                               

se qualcuno ha twitter e vuole chiedermi qualcosa mi chiamo @backf0rhaz, altrimenti recensite qui sotto, per qualunque cosa vi risponderò. grazie per aver letto, spero vi abbia incuriosito almeno un po', anche se si capisce molto bene chi sia il protagonista di questa storia, ma spero comunque che vi abbia indotto a continuare a seguirla. -virginia.

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Capitolo 2
*** grace. ***


Perché non riuscivo a smettere di pensare a quel ragazzo, tra l'altro completo sconosciuto, incontrato pochi minuti prima?
Quando ci eravamo scontrati e avevo accidentalmente fatto cadere la sua borsa, avevo notato che c'erano solo libri in essa; non c'erano vestiti o quant'altro, ma solo tantissimi libri.
Forse era stato proprio questo a colpirmi, oppure i suoi occhi di un verde intenso, occhi che avrebbero potuto illuminare un mondo intero i suoi, ma che non potevano farlo per il troppo marcio che beva dentro, occhi che avevano visto troppo dolore, occhi che avevano accumulato troppe lacrime.
O forse il suo sorriso, così semplice, quasi finto, un sorriso di cortesia, ma che ornato da quelle fossette avrebbe fatto sciogliere anche la persona più insensibile.
Si era bagnato le labbra più volte mentre raccoglieva i suoi libri da terra, era l'unica cosa che mi ero permessa di guardare prima che lui mi alzò la testa, le sue perfette labbra quasi un po' troppo rosse, così perfette tanto che mi avevano fatto venir voglia di assaporarle.
Ma che stavo dicendo? Cosa stavo facendo? Non potevo permettermi di fantasticare su una persona, della quale non conoscevo nemmeno il nome, come una quindicenne in preda agli ormoni.
 
Mi accomodai sul sedile e decisi di porre fine a quegli imbarazzanti pensieri con un buon libro, ma evidentemente il libro non basto per calmarmi: non riuscivo a concentrarmi, sfogliavo le pagine, ma senza capire il vero significato di ciò che stavo leggendo; così rinunciai, e mi addormentai con la testa appoggiata al finestrino sognando occhi verdi nel buio.
Dopo poche ore venni svegliata da un'hostess avvisandomi che stavamo atterrando; i miei capelli erano un disastro e il mio viso traspariva stanchezza da ogni poro. Una volta atterrati, uscii per prima dall'aereo per dirigermi subito al bagno dell'aeroporto: era già qualche settimana che avevo la nausea, ma negli ultimi giorni capitava molto più spesso e non riuscivo a capacitarmi del perché; aprii la prima porta di una lunghissima fila di bagni senza bussare, ma fortunatamente lo trovai libero e chiudendomi alla svelta la porta alle spalle, misi la mia faccia sopra a quel maleodorante cesso e vomitai per l'ennesima volta. vomitai tutto quello che avevo dentro, ovvero solamente il latte e il cornetto che avevo mangiato prima, vomitai come se dovessi vomitare tutta la frustrazione che c'era in me, anche se quello che finì nel water fu davvero poco. Uscii dal bagno, mi lavai le mani e mi sciacquai il viso. Dopo essermi asciugata mi guardai più volte allo specchio: vidi l'immagine riflessa di una ragazza cresciuta troppo in fretta, stanca, con il viso leggermente troppo magro; occhi azzurri ormai spenti, occhi che avevano pianto tutta l'acqua che avevo in corpo. Non potevo sopportare quell'immagine, non riuscii più a continuare a guardarmi; me ne andai e chiamai un taxi.
 
-Dove la porto signorina?- domandò il tassista, doveva essere un uomo sulla cinquantina e fumatore a giudicare dalla sua voce e dalla tosse persistente durante il viaggio.
-155 Chambers Street, per favore- era l'indirizzo della casa di Grace, mia cugina, aveva insistito così tanto di venirla a trovare e finalmente ne ebbi la possibilità; sarei stata con lei per due settimane e mezzo.
Il tassista non se lo fece ripetere due volte, partì a tutta velocità in una strada affollatissima, nella città che consideravo la più bella del mondo. Mi accorsi che eravamo fermati solo quando l'uomo sulla cinquantina mi chiamò più di una volta, ripetendomi che eravamo arrivati; mi ero immersa in quelle luci, in quei grattaceli così alti, di alcuni dei quali non si riusciva nemmeno a vedere la cima; pagai e salii di corsa le scale per recarmi finalmente al portone di casa sua, la quale sarebbe diventata mia per due settimane. Non presi l'ascensore, ero troppo euforica per stare ferma ad aspettare. Dopo tre piani di scale, arrivai alla porta giusta: controllai il campanello e suonai.
Grace mi aprì la porta e, appena mi vide, mi abbracciò calorosamente ripetendomi quanto le ero mancata e che era entusiasta di vedermi. La sua famiglia non era benestante, e lei lavorava come cameriera in un bar, perciò il suo appartamento non era molto spazioso, ma andava bene per due persone. Mi fece accomodare nel piccolo salotto e porto la mia borsa in quella che sarebbe dovuta essere la mia camera.
-Solo una borsa? Non è un po' poco per due settimane?-
Il suo stipendio veniva esaurito nello shopping e nel benessere, si curava molto esteriormente e si notava: era una ragazza alta, occhi color nocciola, capelli color mogano, labbra carnose color lampone, un sorriso smagliante; aveva qualche lentiggine, lei non le sopportava, ma era quello che amavo più in lei. Le lentiggini le davano un tocco di bambinesco, di imperfezione che la distingueva da tutte quelle ragazze dalla pelle candida e pulita.
-Solo il necessario.- sorrisi a malapena, un po' imbarazzata, arrossendo come sempre.
-Vedo che la tua smania di arrossire per qualunque cosa, non è passata.- arrossì ancora di più e feci un sorriso a mo' di scuse.
Tenevo molto a mia cugina, forse era la persona alla quale tenevo di più. Lei c'era stata quando nessun altro c'era, quando nemmeno mia madre s'era presa cura di me. Era stato tutto ciò di cui avevo bisogno fino ai sedici anni, poi se n'era andata anche lei, ma non perché non mi volesse più, solo perché aveva bisogno di dare una svolta alla sua vita e infondo la capivo perché in quell'appartamento negli angoli più remoti di londra, non poteva concludere nulla, soprattutto dopo tutto quello che era successo.
Così rimasi sola, andai a vivere dalla mia migliore amica Elly, l'unica che mi capisse veramente con una madre gentile e apprensiva: mi avevano accolto a braccia aperte, in un certo senso mi capivano anche loro.

-A che pensi Charlie?- non mi ero nemmeno accorta che stavo fissando il vuoto da almeno venti minuti, ero troppo presa dal dolore che mi portavo appresso, come un'ancora, come un peso da trascinare per tutta la vita. Ero come una bilancia, io da una parte e il peso di tutto l'accaduto dall'altra: continuavo a tirare quel sacco enorme, in modo tale che pesassi più io ed avessi la meglio; ma se per sbaglio, lo lasciavo andare, finivo in un vortice di pensieri e dolore, dal quale ero appena uscita dopo mesi.
-Oh, a niente.- avevo la voce troppo bassa e tremante rispetto al solito, il viso di Grace si addolcì subito. Lei aveva capito, lei mi capiva sempre.
-So che dopo due anni fa ancora male, ma tua mamma è sempre con te, ti protegge da lassù. Quello che è successo dopo è.. Diciamo, normale. Voglio dire, di certo non tutti avrebbero reagito allo stesso modo, ma star male dopo la perdita della propria madre è normale no? Tuo padre ha fatto la sua scelta, non ne hai colpe..- già, lui aveva scelto, aveva trovato di meglio. Dopo la morte di mamma, dopo quello che avevo fatto, nessuno avrebbe mai voluto una figlia come me e mio padre, ovviamente, si era trovato un'altra mogliettina divorziata con due figli da crescere. Aveva preferito due bambini che avrebbero avuto una madre e un padre, un buon futuro, insomma: una famiglia normale; non una sedicenne piagnucolona, senza madre e senza amici. -..E poi sei a New York, Charlotte! Non era quello che volevi fin da bambina? Dai, andiamo a divertirci e smettiamola di rimuginare, almeno per queste due settimane!-

Dopo un intero pomeriggio passato a correre tra un negozio e l'altro, finalmente tornammo a casa.
-Sono stanchissima!- dissi e mi buttai sul divano, chiusi gli occhi per una manciata di secondi e quando li riaprii mi trovai Grace a fissarmi in piedi, aveva un sorriso a 32 denti stampato in faccia.
-E ora perchè ridi? Cosa c'è?-
-Niente, solo dovrai riprenderti in fretta perché ho una sorpresa per te!-
-Oddio cos'altro c'è? Non dirmi che stasera usciamo..- Grace, da questo punto di vista, era molto diversa. Lei c'andava alle feste, io restavo a casa; lei a scuola aveva tantissime amiche, io nessuna.
-Si, mi spiace per te, ma è ora che ti trovi un ragazzo e qualche amica.-
-Ma io ho te, mi basti e avanzi no?- era vero, lei era tutto per me, era tutto ciò che volevo e tutto ciò di cui avevo bisogno, o almeno così credevo.
-Per quanto quello che hai detto possa esser dolce, non mi farai cambiare idea! E' ora che quegli occhi azzurri ormai spenti, si accendano di nuovo e vedano gente nuova! Perciò, dopo cena uscirai insieme a me e andremo a ballare.- merda, non mi andava proprio di uscire, dopo un viaggio stancante e dopo aver vomitato l'unica cosa che avevo mangiato in due giorni, non avevo nemmeno le forse per farlo. Ma Grace era troppo testarda, così accennai un si con la mano e me ne andai in camera a sdraiarmi un po'.

La serata fu devastante: avevo preso qualche bicchierino di vodka, ma già dopo il terzo mi girava la testa e non avevo intenzione di vomitare di nuovo, la musica era assordante e non sopportavo tutto quel rumore. Un amico di Grace ci aveva anche provato con me, era carino ma non era proprio il mio tipo: un palestrato dagli occhi color nocciola e capelli biondissimi, un pompato che non faceva altro che vantarsi dei suoi muscoli e parlare di quanto fosse irresistibile.

La prima settimana la passammo tra sciopping e feste, eravamo a casa solamente per il pranzo e a volte la cena.
Il lunedì seguente arrivò una telefonata da Elly, mi chiedeva di tornare perché sua madre non stava bene e tra la scuola, la casa e altri impegni non riusciva a farcela da sola, perciò fui costretta a lasciare la mia amata Grace e tornare nel posto che tanto odiavo.



                                                                                                                                         

salve a tutti, scusate per il capitolo un po' più lungo del precedente. in questo avete capito un po' del carattere di charlotte e della sua storia.
diciamo che non è del tutto completo, non volevo scrivere tutto quanto in un solo capitolo ma lasciarvi un po' in sospeso.
spero vi piaccia e per qualunque cosa recensite o chiedete su twitter (@backf0rhaz).

-virginia.
 

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