A.A.A. Cercasi Amore per un Bungalow

di tp naori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** day 1 ***
Capitolo 2: *** giorno 2 ***



Capitolo 1
*** day 1 ***



Mi è sempre piaciuto, andare in campeggio. La forza di abitudine dei miei, che ci tornano ogni estate. E stata questa ha farmi innamorare, delle tende da due posti. Quelle da sette, con tanti picchetti e tiranti da posizionare. O i più comodi, camper o Bungalow. Sono le principali sistemazioni di un campeggio. Le migliori sono le tende canadesi, ricordo con mio padre la poca fatica ad ammontarle. Era divertente, quando si e bambini. Inesorabilmente si cresce, s’invecchia, si mettono al mondo figli. Nella vita il verbo fermasi, e solo per un lasso di tempo. Fermasi ha pensare, fermarsi per pisciare. La vita non si ferma, siamo noi ha farlo.

Il campeggio, era fuori Jesolo. Assomiglia ha tutti i campeggi, lunghe file di tende da una parte. Dall’altra Bungalow e altri alloggi. Ha dividere quelle residenze dal mare, una bella pineta. Verde, con piccoli sentieri, protetti da staccionate in legno. Seguivi la folla, ed eccolo il mare.

Ahh la salsedine, la sabbia che s’infila dovunque, i lettini, l’ombrellone, i bagnini, le ragazze dell’animazione, le ragazze in costume semplicemente. Quelle che fanno la fila, davanti hai camerini, o affianco alle docce. Era questo, che mi sarei perso. Se sarei stato ha casa, da solo per una settimana. Prospettiva allettante, una settimana solo per me. Nella quale potevo benissimo girare in mutande per casa. Tanto quella imbarazzante scena, non l’avrebbe vista nessuno. Non perche non abbia il fisico, no certo che no. Mi alleno un giorno si e uno no, correndo al parco vicino casa.

E cosi che va, farsi trovare pronti per L’estate. Stagione di caccia, agli amori avventurieri di una settimana o poco più. Sotto l’ombrellone amarsi; una goduria.

Partimmo, io e i miei genitori subito dopo pranzo. Accompagnati da mia sorella, e il suo ragazzo. Che evidentemente, viveva ha scrocco. Non li bastava vitto e alloggio, ma anche una vacanza. Non vi racconto, altro per ragioni mie e solo mie. Comunque, fatti i bagagli quella stessa mattina. E lanciati nel cofano dell’auto di mio padre. Eravamo pronti ha partire, imboccare l’autostrada e sparire ha velocità sostenuta. Fossi io ha guidare, sparirei dentro una nuvola di polvere. Alla ricerca della terra promessa.

Le quattro corsie, scorrevano attorno ha noi. Come un tappeto magnetico. L’imbocco dell’autostrada, la corsia d’accelerazione; la mia preferita. Un’po come pista per gli aerei. Basta mettere un paio di ali, il giusto propulsore e quella macchina. Poteva essere un aereo. Il traffico scorreva, niente code infernali all’orizzonte. Fu un viaggio assolato, dietro hai miei occhiali scuri guardavo il panorama scorrere. Dalla grande città che è Milano, alle campagne fuori Brescia. C’era persino un negozio della Lamborghini, si vedeva dall’autostrada. Per il resto, mi lasciai incantare dal paesaggio. Le torri, qualche castello con le sue mura fatte di sassi. Inespugnabili.

Eccolo li, il Veneto. Ultima tappa Venezia mi raccomando. Anche li sottointeso amore, amore, amore. Non che riuscissi ha farne a meno. Dell’amore e quant’altro. Importava nella mia vita, quanto non aver ancora trovato il suo caldo abbraccio. Qualche ora di viaggio, o poco più. L’allungo di quelle ore, era dovuto alle parecchie soste in Autogrill, per evacuare le vesciche soprattutto.

Avevamo un bel bungalow, sei posti. Perche di cinque non le fanno. E la prima cosa, che notai. Anche in autostrada. La sorprendente massa eterogenea, di Tedeschi. Erano migliaia, più degli Olandesi con le loro roulotte. Ovviamente, questi guidano solo, Mercedes, Bmw, Audi, Wolsfaghen, Porsche. E noi Italiani, cosa guidiamo?. Mercedes, Bmw, Audi, Wolsfaghen, Porsche. Esistono altre auto. Io, desidero una Fiat Panda, quella che aveva mia madre alla mia età. Persino aveva una striscia da corsa, nera rispetto al colore della carrozzeria bianca. Noi Italiani, abbiamo la Ferrari, la Lamborghini (di recente passata hai Tedeschi), la Pagani, L’alfa Romeo, Lancia, Fiat. Ne abbiamo di macchine belle, perche scegliere solo quelle Tedesche?. Premettendo che non ho nulla contro i Tedeschi. Ma proprio non sopporto, un paese che non riesce ha essere orgoglioso di se. Con i suoi difetti e quant’altro. Infondo il nostro paese, qualcosa di bello dovrà avere. Tutti questi turisti stranieri, non me li spiego altrimenti. Noi siamo Il Bel Paese, abbiamo Isole stupende, mari tre e sono perfetti, regioni con le loro culture differenti. La Germania ha tutto da invidiarci. L’olanda meno, Amsterdam e sempre Amsterdam. Coffe shop; ad esempio.

Scivolammo oltre la barriera dell’ingresso. Dopo aver pagato, e dopo aver ricevuto un braccialetto azzurro chiaro. Come quando vai in Discoteca, e ti danno quei braccialetti flou. E tu sai che sei Ok, con quel braccialetto. Solo perche una parte del tuo copro, e illuminata. Cercammo la nostra sistemazione, grazie all’aiuto di un ragazzo della reception. Ci porto lui, in bicicletta. E noi dietro in macchina.

La tranquillità apparente dell’ingresso, mascherava ciò che c’era dietro l’angolo. Tende, camper e persone in giro con costume da bagno, o pantaloncini corti e ciabatte. Bambini, quelli correvano in giro sui loro monopattini, o skate all’ultimo grido. Noi ci guardammo attorno, affascinati. C’era persino una piscina. Poi scopri, essere l’inizio di questa storia.

Ci sistemammo bene, dentro al Bungalow. Uno spazio ristretto, dove dormire solamente. Infondo e questo il suo scopo. I nostri vicini, immancabilmente erano Tedeschi. Un cenno di capo, per saluto. Ed era Ok. I bagagli vennero smistati, nelle due stanze da letto. Uno doveva dormire, sul divano. E chi era secondo voi, quella persona?. Io, ci finisco sempre di mezzo io. Avrei dormito scomodo, ma almeno non avrei dormito con mia sorella, o peggio il suo ragazzo. Dopo aver sistemato tutto, ci rubo un quarto d’ora si e no. Decidemmo di farci un giro, prima tappa il supermercato del campeggio.

Per arrivarci bisognava, camminare per pochi metri. Ripassare davanti alla grande piscina, oltrepassare la piazza dove c’era un palco per gli spettacoli della sera. Passare affianco al Ristorante - Bar-Tabacchino. Faceva di tutto.

Finalmente il supermercato, uno spazio piccolo, e freddo per via dei frigoriferi aperti. Prima cosa prendere un cestino per la spesa, seconda cosi aggirarsi fra quelle file come turisti alle prime armi. Non sanno dove si trovano, ed hanno paura di chiedere informazioni. cosi eravamo delle anime perse, e spaventate. Per arrivare al supermercato, manco ha dirlo ci penso il ragazzo di mia sorella. Con atteggiamento, del tipo: io sono un figo, e non ho nulla di cui vergognarmi. Oltre L’ego esagerato. Si avvicina con passo spedito, ad una coppia, un uomo e una donna. Marito e moglie, senza figli. E li chiede.

“scusate..sapete dov’è il supermercato” li disse proprio cosi, lo disse in un inglese frastagliato e poco capibile. Per ovvie ragioni, non scriverò la loro risposta. Anche perche, non sono quella cima con L’inglese. Parlarlo e una cosa, scriverlo e l’esatto opposto.

Tornando al supermercato, giravamo in quelle file. Quando incrociai per sbaglio, lo sguardo di una ragazza. Era della mia età, abbastanza giovane. Il suo istinto fu quello di sorridermi, manco fossi il suo principe azzurro. Si sono io, lunga l’attesa?. A parte gli scherzi, aveva un gran bel sorriso. Denti candidi, perfetti, e poi diciamo cielo le bionde fanno sempre un certo effetto. Già fantasticavo sulla bionda, quando mia sorella che aveva visto tutto s’intromise. Spari fra quelle file, probabilmente l’andò ha cercare. Volevo seguirla, qualcosa in me mi bloccava. La paura del rifiuto, e che ho vissuto cosi la mia vita. Con la paura di non farcela, quanto è dura non essere mai all’altezza della situazione. Torno mia sorella, sicché mi disse:

“ride cosi ha tutti”. fantastico non potevi lasciarmi fantasticare ancora un’po. Che ti ho fatto di male.

Dopo questa piccola avventura, non la chiamerei cosi. Ma non ho altro modo per definirla. Pagammo alla cassa, di nuovo il solito giro per il nostro Bungalow. C’era chi come io, suggerivo scorciatoie inventate. Per lo più spiccate dal mio forte orientamento, o logica. Nessuno segui i miei consigli, sulle scorciatoie, cosi sudammo io e il ragazzo di mia sorella. Con la poca roba che avevamo comprato.

Le vie erano un susseguirsi, di persone che vivevano ha stretto contatto. Non contava la nazionalità, ne le generalità di ogni viso. Persone grasse, magre, scabre, alte, dinoccolate, buffe, serene, stupide, eccitanti. Non contava persino il colore della pelle, perche poi dovrebbe contare?. Vivevamo in pacifica convivenza, ed era anche all’ordine del giorno aiutarsi con i vicini.

“ho finito il sale, non è che ne hai un’po?” o ad esempio:

“mi chiedevo se per piacere, avevi un pennarello da imprestarmi”.

E la risposta era sempre “si, certo”.

La globalizzazione hai i suoi svantaggi, ma le strade dei nostri padri fondatori ci hanno portato ha questa convivenza pacifica serena. Ogni tanto interrotta da scatti d’ira. Assurda, rende l’uomo una persona più stupida di quanto è. Come l’alcool, o le droghe pesanti. In realtà siamo tutti delle bestie, e si docili, ma alle volte spietate. Frutto della nostra vita, nelle grandi o piccole città. Il cerchio dei vincenti, e il rione dei perdenti. Ed entrarci nell’uno o nell’altro, può cambiarti la vita. Per farlo, devi far fuori chi comanda, allora sarai un vincente. Se scappi, bhè la tua condanna e molto chiara.

Il caldo, non era insopportabile. Per i miei, era tutt’altro. L’afa gli opprimeva, io ha contatto con altra gente mi sentivo strano. Amavo guardare i passanti, ricordarmi ogni loro singolo particolare. Era sensazionale ciò che riuscivo ha capire. Sorprendendomi ha volte. La piscina ha pochi passi da noi, era la fonte agognata di refrigerio.

Decidemmo di fare una scappata al mare. La pineta prometteva bene, all’ombra di quei pini si sentiva cantare uccelli, e gabbiani. Gli aghi, ti s’infilavano nelle ciabatte strusciandosi sui miei talloni. Era divertente, spostarsi in quel verde. Poi non conoscevamo la strada, per arrivare al mare. Il mio orientamento non mi hai mai tradito, dai tempi degli scout. Segui il mio fiuto, ha dir la verità avevo avuto culo. Nel trovare il mare, senti la sabbia, senti le onde ha pochi metri. Da quella landa granulosa. La sabbia, il mare, più in la gli scogli. Sembravano dei moli dove barche potevano approdare. Dei bracci verso il mare, tentavano di afferrare le correnti. Queste circumnavigavano tutto. Esamine.

I lettini erano quasi tutti prenotati, alcuni erano vuoti. Ma dai materassini, sotto le sdraio si capiva che fossero occupati. Non avevo ancora sentito la salsedine, ne quando arrivai ha riva. Mi dissi che altri odori, coprivano tutto. Ciò riusciva ha spiegarmi tutto, da quando ero arrivato al campeggio. Non avevo sentito la salsedine. Non come quando andavo in Sicilia, dai miei nonni. Li la salsedine, la sentivi all’uscita dell’aeroporto di Catania. T’inebriava quel profumo, e diciamolo era un ottimo profumo. Pensi all’estate, e subito il tuo cervello accosta ha quella parola, salsedine, belle ragazze, costumi da bagno, abbronzarsi, e magari trovare l’amore.

E io lo trovai, il giorno dopo.

Si chiamava..non lo so il suo nome, so solo che è bella. Parole, aggettivi per definirla ne avevo. Era come se mi sentissi, bloccato. Esprimermi con lei, mi risultava difficile già dall’inizio. Segno che per me, era importante. Perche parlarci, quando potevo deluderla, perche provarci per ottenere in cambio un rifiuto.

La piscina del campeggio era; grande soprattutto. C’erano tre vasche, la prima per bambini, l’acqua mi arrivava alle caviglie. La seconda per bambini superiore hai sette anni, li l’acqua iniziava ad essere alta. Poi c’era quella olimpionica, o sempre amato il nuoto. Esprimere le mie qualità natatorie con quella folla, era impossibile. Sembrava che ogni persona, grande o piccola che sia. Si riversava in quella vasca, soprattutto ragazzi avvinghiati ad ragazze. Ed io quel verbo, non lo conoscevo. L’abbracciare un’altra persona? Mai fatto, qualche volta mia madre. Ma non credo che in questo contesto, valghi molto.

Eppure Lei, con la “L” maiuscola davanti. Era li, nella piccola vasca idromassaggio. I capelli, gli scendevano in quel modo disordinato. Che devo ammetterlo, avevano il loro fascino. Ciò li dava anche la possibilità di portarseli dietro con una mano. In un modo cosi provocante. Entro nell’idromassaggio e, accorgendosi del mio sguardo. Mi lancio, dall’altra parte della vasca il suo di sguardo. I suoi occhi, nocciola chiari. Dolci, sazianti come la Nutella ha colazione. Da spalmare sui miei sogni, sostanza che renderebbe tutto più dolce e romantico. Sorrise, sorrise ha me. Con le sue amiche, che proprio non avevo visto. Troppo interessato ha Lei. Avrà un nome si, ma preferisco chiamarla Lei. Colei che dona sogni, e anima ogni uomo. Usci quasi subito, con le sue amiche. Voltandosi appena verso di me, come ha dire.

“che aspetti, mi vuoi seguire”.

Ed io, da stupido che sono rimasi li fra quei getti. Volli si seguirla, ma. Troppo abituato ha perdere, già in partenza. Non mi mossi. Io ero abituato cosi, ogni cosa che volevo, ogni cosa che facevo non andava mai bene. Ha nessuno. Tipo la scrittura, o la voglia, e continua ricerca di nuova musica. Alla fine mi renderà sordo, spararmi buona musica nelle orecchie. Ma almeno sintetizzo tutto. Perche la musica, ti arriva velocemente. Non come un Libro, che ha bisogno d’essere letto, d’essere capito. La musica si capisce da se, e molto emozionale in questo senso. Un Libro varia, anche un quadro. La musica e l’arte più veloce da sintetizzare. Uscii dalla vasca idromassaggio, cercando Lei. Guardandomi attorno, scrupolosamente non saltai nulla. Passai in rassegna tutti i costumi, simile al suo. Verde scuro, con dei semplici fiorellini stampati. Cercai il verde, non lo trovai. Mi concentrai su altro, le nuvole costituivano un forte richiamo. Disteso sul mio telone, guardai le nuvole. Assaporando la gioia, che potevo provare nel parlarci. Andiamo, chi vogliamo prendere in giro! Sei timido, hai paura della tua ombra! Perche una come Lei, parlerebbe con te?. Questa era solo una scusa, per non affrontare le mie paure. Ma decisi, mi decisi ha parlargli. Ma come? Ma come?…

Il tempo passava, e la mia vicina di telone. Si divertiva ha fare verticali, manco fosse alle olimpiadi di ginnastica artistica. Aveva si e no undicidodici anni. Era brava, per l’amore di Dio. Ma andiamo, sappiamo tutti perche si divertiva. Dava il suo spettacolo, e ragazzi della sua stessa età passavano accanto. Con l’unica scusa, se non quella di guardarla. Mentre le sue gambe, sono dritte ha testa in giù. Aveva dei bei fianchi, e quando apriva più le gambe s’intravedeva qualcosa. Sentendomi male, usci dalla piscina per fare quattro passi. Decisi di spostarmi a mare, tanto Lei l’avrei rivista domani. Altra scusa, per non parlarci.

Non lo facevo apposta, ero abituato ha comportarmi cosi. E un mio difetto lo so, ma che ci posso fare. Se non accettarlo?. Intrapresi la pineta, e mi persi nella boscaglia di pini e altre conifere. Salsedine o no, quel posto mi piaceva. C’era Lei, d’altronde. Al trotto esplorai quei sentieri, portavano tutti a mare. C’e ne erano tanti, viceversa c’erano tante spiagge oltre quella del campeggio. Tutte in egual modo simili. I soliti scogli ogni tot metri, per proteggere quelle lande sabbiosa dalle maree. Il vento spirava, fra le conifere, e il rumore venne attutito. C’erano un mucchio di biciclette che passavano, uomini correvano. Bambini giocavano ha rincorrersi su quei sentieri. Non mi accorsi d’essere seguito. Infondo c’erano un sacco di persone, andavano dove andavo io. Eppure Lei, era dietro di me.

Mi accorsi di Lei, quando per sbaglio mi voltai. Un bambino tedesco, stava piangendo nella pineta. E il suono, arrivava dalle mie spalle. Voltandomi vidi, la sua chioma e incrociai i suoi occhi. Rimasi fermo, impalato come avessi hai piedi delle scarpe di cemento fresco. E più stavo fermo, più questo si assorbiva. Sorrise ancora, e segui le sue amiche che nel frattempo erano passate oltre. Di seguirla proprio non se ne parlava, sarebbe un atteggiamento strano. Ma se veramente dovevo andare a mare, questo non era seguire una persona. E comunque, c’e del male in questo?.

No assolutamente, la segui cosi per godere di quel contatto ottico. La sua schiena, era perfetta dritta fin sotto l’incavo, quella leggera curva sull’interno prima del fondoschiena. E camminava, camminava ridendo con le sue amiche. Ed io le arrancavo dietro, non solo perche godevo del panorama. Il suo, sembrava una vecchia cartina sgualcita con i suoi misteri. Era tutta da scoprire e non.

Sicché pensai d’essermi bevuto, o molto più probabilmente. Fottuto il cervello.

Lei esercitava il suo fascino, su di me. La seguivo come un cane fa con il suo padrone, in base all’odore. Tolsi le ciabatte, perche amavo troppo camminare ha piedi nudi sulla sabbia bollente. Dava quel sollievo, ad ogni dolore. Ero solo, il mio piano non prevedeva di rimanere solo. Volevo solo seguirla amabilmente. Mi trovai da solo, in mezzo alla folle esorbitante di turisti di ogni nazione. Li sdraiati sui lettini, o sui loro teloni a terra. Prendevano tutti il sole, o ad esempio; come i bambini, giocavano ha riva. Sul bagnasciuga, perfetto per costruire castelli o dighe di sabbia. Per mia somma esperienza. Una passeggiata sul bagnasciuga, era qualcosa di invitante. Potevo osservare tutto, e camminare indisturbato. Senza che ciò venga notato, in maniera inequivocabilmente strana. Non ero strano, ero in solitudine. Il mare attirava non solo, famiglie ma anche belle ragazze. Olandesi, Tedesche, Francesi. C’era un mix di culture differente, e variabile in pochi metri quadri di sabbia. Gli Italiani erano eccezionali, si trascinavano gommoni, braccioli, palette, secchielli e chi più ne ha più ne metta. Li vedevi arrancare nella sabbia, alla ricerca di uno spiazzo libero abbastanza. Per appoggiare tutta quell’attrezzatura. I mariti. Le mogli portavano borse, teli da spiaggia e basta. I figli, erano macchioline fra la folla. Scattanti, con molta agilità si buttavano a mare cosi. Senza passare dal via, ne scontando la prigione dopo la casella degli imprevisti. Monopoli, gioco per ogni evenienza.

Camminavo osservando quei fisici statuari, le Tedesche. Minute e aggraziate, le Olandesi. Una marea di chiome bionde, rese più splendenti dall’effetto del sole.

Lentamente stava calando verso Ovest, dove si sarebbe immerso nel mare per spegnersi. Ed accendersi ad Est, immancabile come sempre. La Luna, sembrava una piccola fetta di mozzarella. Bianca, con le sue imperfezioni. I buchi Lunari. E già, m’immaginavo i vecchi dell’Apollo 11, che si godevano la vista da lassù. Il cielo decisamente non è nostro, lo spazio invece e metà perfetta per uomini che cercano l’orgoglio.

Camminavo, arrancando nella battigia, sprofondavo ad ogni passo. Dimenticandomi di Lei, in me speravo fosse Italiana. Perche già con le Italiane, facevo fatica ha parlare. Figuriamoci una straniera!. Risi fra me e me, quando notai la ragazza dell’animazione venirmi incontro.

“ciao, fra dieci minuti ci sono i giochi sulla sabbia”.

“si lo dirò hai bambini che incontro” scherzai.

La ragazza fece una smorfia, poco contenta.

“dai, non essere cosi noioso”

“io non sono noioso” risposi, offeso.

“bhè allora vieni ha divertirti” mi tiro in ballo, verso quei patetici giochi sulla sabbia.

Immaginavo fossero dei giochi organizzati per bambini. Invece c’erano un sacco di ragazzi della mia età. C’era persino Lei, e le sue amiche. Ebbi l’istinto di scappare. Mi bloccai, ripensando che forse rendermi ridicolo hai suoi occhi non aiutava proprio. Già, non era una buona soluzione.

“che c’e?” domando la ragazza dell’animazione.

Guardai ancora Lei, deglutendo. Cosa che fu notata dall’animatrice.

“ho capisco” disse, mettendosi affianco ha me.

“no, non capisci.” le confessai.

Oh Dio ero cosi penoso, cosi tragico, cosi solo.

Ebbi un moto, il moto della fuga. Scappai, voltando le spalle a Lei. Meglio che un sogno rimanga tale, che piuttosto finisca, e si disperde come un granello di sabbia. Nell’orifizio dell’emarginazione sociale.

La gravità perche l’hanno inventata, perche esiste al mondo questa forza d’attrazione?. Che poi si limita ha tirarti al centro di ogni cosa.

Avevo altro per la testa, quando da solo camminavo nella pineta. Si stava facendo buio, la gente tornava verso le loro tende, o Bungalow e roulotte. Io scappavo, andandomi ha rifugiare nel nostro alloggio. Sulla veranda, c’era una specie di amaca. Mi sdraiai li, contai ogni mio respiro, ogni mio battito di cuore per calmarmi. Perche sono cosi strano?.

I miei arrivarono verso pomeriggio tardi, belli bagnati, e un filo abbronzati.

“Leo, che hai fatto tutto il giorno?” trillo mia madre.

Risposi quasi stancamente.

“qui e la”

“e che hai fatto?” si aggiunse mio padre.

“o questo e quello” risposi, come prima.

“socialità proprio zero, eh” mi derise mia sorella.

Il suo ragazzo alzo le spalle, disinteressato ha tutto

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Capitolo 2
*** giorno 2 ***


Nuova alba, nuovo giorno saluta il gallo gracchiante da qualche parte. Era un nuovo giorno, ed il sole splendeva più che mai. Come sempre, ero stato il primo ad alzarmi dalla mia branda. In campeggio non è come casa, quando esci la mattina appena sveglio. Vedi solo il grigio del palazzo di fronte, si qua è la e adornato da gerani e altri fiori finti in plastica. In campeggio l’unica cosa che vedi e il verde.

Verde era la quercia di fronte al nostro Bungalow, verde era il prato, verde erano le siepi che delimitavano il parcheggio del campeggio. Vicino al nostro Bungalow. E raro vedere fra l’altro, gente correre, e sudare in giro per quelle stradine. Eppure c’erano un sacco di uomini, di donne che correvano in giro. Ebbi anch’io la voglia di fare un salutare movimento mattutino. Afferrai i pantaloncini, un paio di scarpe. E via cosi, alla ricerca della mia Amata. Magari avrei fatto una bella figura, se Lei mi avrebbe visto correre. Insomma non sono palestrato, ma ho il mio bel fisico. Amo sudare, amo fare movimento. Non sono un tipo che ozia sul divano, insomma.

Il nostro amore era musica, non finiva mai. Lo diceva Jovanotti, deve per forza essere vero, no?!. Cantavo di gioia, il mio cuore palpitava. E si anche per l’andatura sostenuta della corsa. Ma dentro il mio Inferno, si stava placando. Non mi sentivo solo, non mi sentivo idiota o stupido. Che sono sinonimi, ma per definirli si usano parole diverse. Ero gioioso, ero felice, ridevo e cantavo in pineta. L’effetto, del mio canto venne aumentato di qualche decibel. Nel silenzio regnante in pineta.

Arrivai sudato sulla spiaggia, dopo una mezz’oretta buona di corsa. Il respiro fragoroso, i polmoni che si svuotano per poi riempirsi d’aria ha ritmo veloce. La saliva nella gola, quando si corre e si respira usando solo la bocca. Si ha questo effetto, il mio professore di ginnastica mi ripeteva quasi sempre che, dovevo respirare col naso quando correvo. Ed io, inesorabilmente non lo prendevo sul serio quel consiglio. C’era un gruppo di ragazzi, attorno ha una ragazza distesa sulla sabbia. Le loro voci conciate, arrivarono alle mie orecchie. Sembravano eccitati per qualcosa, mi avvicinai circospetto. Avvampai, quando capì che era Lei. E che quei pervertiti la palpeggiavano, senza pudore. Visto che Lei, non era in se. Sembrava svenuta, cosi docile, un tenero fagotto; ubriaco immagino. M’i avvicinai, la faccia scura e i pugni stretti, pronto ha difendere il mio amore. Da ogni patetico, pervertito Tedesco o Olandese che sia. Ero pronto ha tutto, una forza la mia sconosciuta sino ha quel momento. Non pensavo di poter provare cosi tanta rabbia. Alzai fiero il petto.

“allora, che state facendo” gli guardai uno ad uno, ha terra c’era un bastone di legno. Abbastanza grosso, da poterlo usare come una mazza. Lo presi da terra, spazzolando la sabbia via dal tronco. Me lo rigirai fra le mani, minaccioso più che mai. Quel gesto ebbe, l’effetto desiderato. Quei cinque ragazzi, sparirono spaventati. Come conigli nelle loro tane, quando sanno che arriva il grosso predatore. Conigli che non hanno, nessun sentimento di pietà verso una ragazza ridotta a quel modo. Abbandonai il ramo nodoso, trascinato sin li dalla corrente da chissà quale posto. Inginocchiandomi accanto ha lei, sprofondai nella sabbia con le gambe. Era fresca, la sabbia la mattina.

Aveva gli occhi chiusi e farneticava, dal suo alito capì che aveva bevuto troppo. Li pulì il viso, da qualche granello di sabbia depositatosi sulla sua guancia. Ebbi un moto di dolcezza nel farlo. Col palmo rivolto la sfiorai. Lei improvvisamente apri gli occhi, piangeva. La rassicurai, trovando parole di conforto.

“non e successo niente, tranquilla” le dicevo, mentre li mettevo un braccio intorno al collo. Alzandola di peso, dolcemente. Provai ha farla camminare, inciampo quasi subito. Quindi la ripresi, stavolta in braccio. Non provai nessun eccitamento, nel mettere una mano sulla sua coscia. Niente di niente, c’era Lei che doveva essere trasportata in un posto sicuro. Era questo il mio scopo, la mia missione. La pineta iniziava ad essere frequentata da molte persone, i mattutini che andavano in spiaggia. E quella visione, di me, con in braccio una ragazza. Li fece sorridere di malizia, chissà cosa avevano fatto quei due in spiaggia. Ehehehe. Solo io sapevo che non era successo niente.

Il primo problema, venne fuori quando arrivai al cancello che delimitava la pineta dal campeggio. Dove dovevo portarla?.

“dove abiti?” le domandai, sperando magari fosse abbastanza lucida dal dirmelo.

Vaneggiava, parlava di cose incomprensibili. Come può una ragazza bella come lei, ridursi in quello stato. Non me ne capacitavo, ancora. Non pensavo che fossi solo io ad avere dei problemi. Stavo percorrendo, il grande vialone quello che portava alla piscina. Quando sbuco dietro ad un albero, una sua amica.

“Vanessa, e tutta la sera che ti cercavamo” disse, notai dal suo tono la preoccupazione necessaria.

“lo trovata in spiaggia stamattina, cosi” dissi, senza essere interpellato.

Visto che la sua amica, al momento aveva solo occhi per Lei. Vanessa, che bel nome.

“l’avevo detto, di non bere cosi troppo” rispose la sua amica.

“c’e la fai, ha portarla dove dormiamo noi?” aggiunse.

Annui, potevo portare il suo peso leggero dovunque. Con quella scorta, portai Vanessa al suo Bungalow.

“comunque io sono Alessia” si presento la sua amica.

“Leonardo” mi presentai.

“allora Leonardo, giochi ha fare l’eroe o altro?” era una domanda, ne diretta, ma che non lasciava altra scelta se non le due opzioni. Sull’altro potevo anche lavorare di fantasia, ma sull’eroe..

“non lo so” dissi sincero.

Alessia, rimase ha bocca aperta in una smorfia davvero indecifrabile.

“siamo arrivati” disse poi.

Il loro Bungalow, il numero 9. Era una piccola residenza, come la mia. Parcheggiata affianco, c’era un Golf grigio. Una macchina da uomo, la mia mente lavorava frenetica. Cercava di carpire tutto il possibile, su Vanessa e la sua amica Alessia. Magari un giorno, mi sarebbe stato utile. Anche se non credo, che sapere certe cose. Mi aiuterebbero in una disputa, col l’eventuale ragazzo di Vanessa. Chiederlo, era troppo personale. Cosi mi limitai, ad trasportare il corpo di Vanessa dentro il Bungalow. Nulla di che, al suo interno. Tre letti, un bagno, e una cucina. Il minimo indispensabile per vivere, non c’erano particolari che lasciassero intendere niente. Solo tre valigie, hai piedi dei tre letti.

“mettila qui” disse Alessia, spostando dei vestiti su un letto.

“Alessia, sei tu” chiamo un’altra ragazza.

“si, ho trovato Vanessa” grido di rimando Alessia.

Vanessa ebbe una smorfia, di dolore.

“non la invidierò fra qualche ore” dissi, ridendo.

Rise anche Alessia. Lasciai quel dolce peso, su quel letto morbido. Alessia copri Vanessa, con una coperta presa da chissà quale parte di quel Bungalow. Era arrivato il momento, di andarsene.

“meglio che vada” dissi, guardando un’ultima volta Vanessa.

“rimani, che hai da fare?.” rispose Alessia.

“farmi una doccia, poi andare al mare credo” dissi.

“ci vediamo in spiaggia, allora” rispose Alessia, allargando le braccia.

“va bene” confermai, uscendo dal Bungalow cosi come ero entrato senza far rumore.

Chiusi la porta del numero 9, lasciandomi sfuggire un sospiro di sollievo. So come si chiama; Vanessa. Lo abbracciata, lo salvata. Posso solo essere orgoglioso di me. Si lo sarò.

Sognante camminai verso, il mio Bungalow. Afferrai accappatoio, shampoo, e un costume da bagno. Attrezzato cosi, andai verso le docce in comune. Erano spaziose, ci si poteva ballare dentro. E l’acqua era cosi fresca, mi lavai per bene. Pulendo via il sudore, e cosi facendo l’odore di Vanessa. Non volevo all’inizio, ma fra i due il profumo che prevaleva era quello del mio sudore. Non un bel odore, oserei dire.

Tornato al mio Bungalow, completamente pulito. L’unico mio pensiero, era su Vanessa. Su quei ragazzi, che probabilmente avrei rivisto in giro, fra quelle tende. Cosa gli avrei fatto?. Mi domandai; probabilmente nulla. Avrei lasciato scorrere tutto, come è giusto che sia. La vendetta, rende l’uomo più schiavo di se stesso. Di quanto non lo è già.

La mia famiglia, oramai il ragazzo di mia sorella. Sembrava farne parte. Era riunita su di un tavolo, sulla veranda. Stavano facendo colazione, mi aggiunsi ha loro. Mangiando sporadicamente, i cereali dentro il latte. Non avevo molta fame, volevo solo tuffarmi a mare. Lasciarmi accarezzare dal sale nell’acqua. Addormentarmi sulla sabbia al sole. Sembrava un ottimo piano.

E lo feci, cioè andai in spiaggia coi i miei. Pur rimanendo isolato, rispetto ha loro. Io mi stavo vivendo la mia di vacanza. Loro, ovvero la mia famiglia stavano vivendo la loro di vacanza. In apparenza diversa dalla mia. Io saltavo, loro oziavano, io correvo, loro dormivano. Differenti, sotto tutti gli aspetti. I miei affittarono per quei giorni di vacanza, un ombrellone con due sdraio. Decisi già da subito, di lasciare quelle comodità ad altri. Mi accontentavo della superficie calda della sabbia.

Sdraiandomi sopra di essa, grazie a un telo da spiaggia. Chiusi gli occhi per qualche istante, nel quale venni avvertito dai miei. Stavano andando ha farsi un bagno. Li feci OK con le mani, era tutto ok.

Il sole riscaldava il mio viso, godendo di quel calore. Da due parti, sulla schiena e sulla parte davanti. Spiro una leggera brezza, il rumore confortante veniva dalle basse onde che s’infrangevano sugli scogli. Bambini gridavano gioiosi, uomini e donne parlavano fra di loro. Ragazzi, camminavano a coppie sul bagna asciuga. Ed io come al solito, guardavo tutto. O meglio, avevo dato solo un’occhiata. Poi mi abbandonai al telo da spiaggia, e al sole abbracciandolo. Mi addormentai quasi subito, venni svegliato da mia sorella pochi minuti dopo. Tutta gocciolante, si affaccio verso di me. Bagnandomi un poco, mi provocava spesso. Cosi io, spinto da un moto goliardico, la presi in braccio. E la trascinai ha mare, sin dove l’acqua era alta abbastanza. Con mia sorella che gridava per tutto il tragitto, la lanciai di forza in acqua. Dopo questa mossa, pensavo di ritornarmene ha riva. Ma qualcosa mi blocco, mia sorella mi afferro per una spalla e, mi affogo con delicata forza. Senza che da me, venne opposta tanta resistenza. Schizzi di bambini ha largo, sembravano i nostri. I soliti giochi che si fanno in acqua. Salto fuori un pallone, il ragazzo di mia sorella. Lo andò ha prendere a riva. Giocammo per un buon quarto d’ora, ha pallavolo. Esibendoci in prove di atletismo niente male. Io arrancavo, saltavo, mi lanciavo in acqua per prendere quella dannata palla. Era una questione personale. Mi diverti un sacco, e dai visi dei miei due compagni di giochi. Sorridenti, non ero l’unico ha divertirmi.

Tornammo ha riva, quando le nostre dita delle mani iniziarono ha raggrinzirsi. I miei genitori, avevano fatto amicizia con i nostri vicini d’ombrellone. Tutto sommato erano simpatici, ha prima vista pensai. Eppure il figlio della coppia, l’avevo già visto quella stessa mattina. Era uno dei cinque, attorno ha Vanessa. La mascella mi si blocco, avevo la voglia proprio di saltarli al collo. Ovviamente, mi comportavo cosi solo perche credevo che, Vanessa fosse mia. Non era cosi, non ora, non in questo momento. E mi sentii stupido. Sdraiandomi sul mio telone, feci finta di niente. La sabbia era calda abbastanza, per sciogliere la tensione dei miei muscoli. Ripresi controllo di me, tramite il respiro lento e regolare. I bronchi in espansione, per poi passare al completo rilascio. Cosi passo la mattinata soleggiata, bagni in mare frequenti, e l’oziare tanto amato delle vacanze estive, e concesso, sui teloni da spiaggia. O per i non fanatici della tintarella, sotto gli ombrelloni. La mattina passo, rapida e veloce. Estendevo le mani verso il cielo, finche qualcosa ombreggio tutto. Quel qualcosa, era una persona. Ne riconoscevo solo i lineamenti. Socchiusi gli occhi, portandomi una mano sopra la nuca. Riconobbi Vanessa.

“possiamo parlare?” mi chiese, in fretta mi alzai.

Spazzolandomi i capelli, ora era alla stessa sua altezza. Anche se ripensavo, a quanto fosse liscia la sua pelle.

“di cosa” risposi, con tono molto gentile.

“di quello che è successo prima, ma non voglio parlarti qui” disse Vanessa, allontanandosi dalla spiaggia. Prendendo la direzione della pineta. Segui Vanessa, e per fortuna sia i miei che mia sorella non erano presenti. Non dovetti dare spiegazioni ha nessuno. Segui Vanessa, non che quella fosse la prima volta. Si fermo, in mezzo alla pineta. Dove una sgangherata panchina, incredibilmente stava in piedi. Si sedette proprio li, Vanessa. Attendendo che pure io, mi sedetti li. Non lo feci, rimasi in piedi. Proprio davanti ha lei.

“rischia di cadere da un momento all’altro” le dissi, al suo sguardo parecchio curioso.

Vanessa ebbe una reazione che nemmeno immaginavo, inizio ha ridere e anche forte. Toccandosi la fronte, la più bella risata che ebbi mai sentito.

“rischia…. di cadere….da un momento all’altro” scandì fra una risata e l’altra.

Attesi che finisse di ridere, di cosa mi volesse parlare non era quel granché di mistero. Probabilmente di quella mattina voleva parlare Vanessa. Che smise di ridere, e torno ha fissarmi intensamente.

Dritto-dritto negli occhi, senza esitare. Cosi di una purezza sensazionale, i suoi occhi erano dei bagliori splendidi. Dei diamanti lavorati finemente, dalla timidezza celata a mala pena dal suo carattere. Gli occhi raccontano, più di ogni altro discorso. Come ha dire, che non mentono mai. Deglutì per quell’intensità di sguardo.

“senti Leonardo, stamattina ero..”

“non sono nessuno, per meritare le tue scuse. Per cosa poi, non ha importanza.” la bloccai, non pretendevo le sue scuse. Infondo per lei potevo essere chiunque, ma ero Leonardo. E mi chiamo cosi Vanessa, la cosa sensazionale era che sapeva il mio nome. Lei sapeva il mio nome.

“volevo solo ringraziarti” osservo Vanessa, seria, quasi offesa.

Fu il mio turno di ridere a crepapelle.

“sono troppo affrettato ha volte” imbarazzato dissi, spettinandomi i capelli a mo’ di scusa.

“nessuno te lo ha mai detto?!” rispose Vanessa, sarcastica.

Ridemmo assieme, nel silenzio che regnava in pineta.

“volevo dirti grazie, sul serio Leo. Se non ci fossi stato tu, probabilmente..” non riuscì ha finire la frase Vanessa. Meramente pianse, raccolsi una sua lacrima sulla guancia. Mi sorprese Vanessa, mettendomi le braccia attorno al collo. Rimanemmo cosi attaccati, sembro durare tutto un’eternità. Fino ha che, Vanessa sciolse quell’abbraccio. Asciugandosi le sue lacrime, con il palmo della mano.

“grazie. Davvero.” aggiunse Vanessa, baciandomi sulla guancia. Per poi dileguarsi nella pineta, resistetti all’impulso di seguirla. Perche era giusto cosi, lasciarla sola era meglio. Sentivo proprio che la mia presenza non fosse necessaria.

Tornai in spiaggia, accarezzandomi la guancia. Proprio li dove Vanessa, mi aveva baciata. Disteso, sul telone da spiaggia. Osservai la gente divertirsi nel mare, affondai i piedi nella sabbia calda. Rannicchiato con le ginocchia sul mento. Arrivo mia sorella e il suo ragazzo, mi trascinarono a riva con il pallone. Sulla battigia giocammo a pallavolo, passaggi sbagliati, cadute gravose sulla sabbia.

E poi un bel bagno a largo, sott’acqua c’era un altro mondo. Quanto avrei voluto una maschera e un boccaglio. Sarebbe bello esplorare gli abissi, chissà che tesori ci fossero nascosti la sotto la sabbia.

Giovane esploratore, senza esperienza cerca tesoro millenario. Ah l’illusione d’essere ciò che non sei.

Venne mezzogiorno, e il mio stomaco reclamava un pasto abbondante. Succedeva spesso, di solito quando la mattina andavo ha correre. Non era una novità, nemmeno per i miei. Cucino abbondante mia madre, raddoppiando le porzioni di pasta al sugo. Il classico cibo di chi va in campeggio, pasta ha mezzogiorno, carne o pesce alla sera, o molto semplicemente una bella salutare insalata.

Ci proviamo, ci proviamo, speriamo, preghiamo per avere successo. Ma niente e scritto, e non è detto che c’e la facciamo. E questo, semplicemente e questo, sei tu.

Mi giri in testa, mi fai provare pene, come se io non fossi abbastanza. Allora scavo nelle mie memorie, ti trovo li. A sorridermi, tu, solo tu nell’ombra della mia solitudine attorno. So che e difficoltoso, non sarà certo una passeggiata. Giorno dopo giorno, vedrai spererai ancora in qualcosa che hai perso da tempo. Vivrai, perdendo la tua tristezza io lo so. Ed e per questo che Vanessa, passeggiavo per il campeggio subito dopo mangiato, alla tua ricerca. Qualcosa in me era scattato, credevo ancora. Le vie sterrate si assomigliavano, tende canadesi, caravan, roulotte, camper. E i campeggiatori biondi sembravano tutti uguali, cresciuti nelle stesse identiche famigli, coi stessi valori, col le loro tristi esistenze. Del Patos in me, reso dai miei pensieri riguardo Vanessa.

La trovai, in piscina nel pomeriggio presto. Era seduta su di una sdraio, fumava stancamente una sigaretta. Si allungava la sigaretta, dalla mano alla bocca. Aspirando, un lieve respiro. Prima di liberare il fumo, con un semplice sbuffo. Era sola, distesa in costume da bagno sulla sdraio. Fissava i giochi di luce dell’acqua, come se dentro ci fosse la risposta ha tutto. Era cosi intensa, nel suo scrutare quei giochi di luce. Come piccole pepite d’oro, che galleggiavano sull’acqua limpida della piscina. Non si è mai vista una piscina, con l’acqua scura. E per via di quel tanto cloro che ci mettono dentro. Ne buttano di più in quell’orario, quando nessuno può fare il bagno perche si è appena finito di mangiare. L’ambiente desolato, e privo delle grida gioiose dei bambini che si tuffavano in acqua. Uno spazio vuoto, c’eravamo solo io e Vanessa. Io ero li per lo stesso suo motivo, avevo mille pensieri. E nulla, sembrava aiutarmi più dello sdraiasi a bordo piscina su una sdraio, e osservare i giochi di luce sull’acqua.

 

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