City of Lies

di Iwas_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** All'Istituto ***
Capitolo 3: *** Eccessivi segreti ***
Capitolo 4: *** Di greco, Rune e Blue Bitter Lemons ***
Capitolo 5: *** Sovrabbondanza di vampiri ***
Capitolo 6: *** Un passo avanti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

~ Veramente le colpe si pagano più e più volte. Nei suoi conti
con l'uomo il Destino non chiude mai il bilancio.


Oscar Wilde




"Occhi grandi", gli aveva detto una volta Hodge "Il segreto per riconoscere un demone Scatter sta negli occhi. A prima vista possono sembrare normalissimi gatti randagi, ma che l'Angelo mi fulmini se ho mai visto un gatto con quegli occhi."
Era esattamente quello che aveva il gatto che con fare noncurante gli era passato davanti un minuto prima: due occhi che erano il doppio di quelli di Church.
Lo seguì a distanza di sicurezza, aspettando di trovarsi da solo prima di estrarre la spada angelica. Non che a quell'ora girasse molta gente per Central Park.
- Zafkiel - mormorò, un istante prima di buttarsi all'assalto.
Corse verso il demone talmente velocemente che questo ebbe appena il tempo di voltarsi prima che egli spiccasse un salto tentando un attacco dall'alto. Aveva però sottovalutato la velocità del suo nemico, o forse sopravalutato la sua, perché lo Scatter schivò il colpo, mentre il suo volume aumentava notevolmente.
"Devi ucciderli al primo colpo", aveva continuato Hodge "Altrimenti riprenderanno la loro grandezza naturale, che è all'incirca pari a quella di un lupo. A quel punto la battaglia si farà molto, molto più difficile."
Pazienza, si disse. Maggiore era il rischio, maggiore era il divertimento. Ci voleva più concentrazione, più forza, più agilità e più resistenza per combattere da solo contro un demone di quel tipo. Dovevi isolarti dal resto del mondo e mettere tutto te stesso nell'attimo presente, perché una piccola distrazione poteva fare la differenza fra la vita e la morte. Proprio quello di cui aveva bisogno.
Sentì i muscoli tendersi mentre tentava un fendente contro il demone, che si era buttato contro di lui mirando al torace; entrambi schivarono il colpo, mentre sentiva l'eccitazione della battaglia crescere in maniera esponenziale.
Lui e il suo avversario esitarono un attimo fissandosi negli occhi, poi lo Scatter tentò un attacco frontale con un salto. Mosse la spada abbastanza in fretta per procurargli una ferita su un lato scoperto, non riuscì però a constatarne la gravità, perché il demone cadde su di lui, schiacciandolo con la sua mole e facendolo cadere a terra.
Si accorse a malapena dei tagli che gli artigli del demone gli avevano lasciato sul petto, squarciando la maglietta nera, mentre sollevava la spada su cui era miracolosamente riuscito a mantenere la presa. Sentì un dolore intenso alla spalla mentre i denti dello Scatter la perforavano, e fu più che altro per una reazione istintiva se agitò la spada. Incredibilmente, il colpo andò a segno.
Lo Scatter emise quello che con tutta probabilità era un gemito di dolore, per poi spiccare un balzo all'indietro, dandogli l'opportunità di alzarsi.
- Okay, abbiamo giocato anche troppo.
Ignorando il dolore, fece una finta a destra per poi deviare all'ultimo minuto il colpo verso il basso, tranciando di netto una zampa anteriore. Il demone emise un verso orribile, ma non gli diede il tempo di fare altro, perché mirò alla gola, squarciandola.
Lo Scatter morì sul colpo, cadendo a terra.
Quasi inconsciamente, si abbassò sul demone e continuò a colpirlo una, due, tre e più volte, accanendosi sul cadavere fino a quando non scomparve. Solo allora si rese conto di quello che aveva appena fatto.
Chiuse gli occhi, mordendosi il labbro inferiore. No, quello che aveva fatto non aveva senso.
Non aveva avuto senso fin dall'istante in cui era uscito quella sera dall'Istituto per andare da solo a caccia di demoni. Non aveva avuto senso il suo girovagare per ore cercando il pericolo, e nemmeno quella gioia nell'aver trovato un avversario duro contro cui combattere. Non aveva senso nemmeno il modo in cui se ne stava fregando dei tagli che avrebbe potuto tranquillamente curare con un iratze. Sopratutto, non aveva avuto senso continuare ad accanirsi contro un demone che non avrebbe potuto più nuocergli.
La verità però era che Alexander Lightwood avrebbe fatto di tutto, anche le cose più insensate, pur di placare quella rabbia e quella frustrazione che sembravano lentamente bruciarlo dentro.


Note dell'autore che in genere nessuno legge
Se siete arrivati fin qui a leggere, vi ringrazio. Ci ho lavorato parecchio su questa storia (anche se mi rendo conto che da un prologo di questo tipo non è che si capisce molto, ma ci ho messo secoli per decidere cosa scriverci e mi ci sono affezionata) e spero di dare lo spazio che merita ad ogni personaggio.
Questo capitolo è parecchio corto, ma si tratta solo di un prologo, giuro che i prossimi saranno più lunghi e sopratutto più interessanti (però Alec è un figo, dunque siate felici).
In questa storia ci sarà un po' di tutto, dalle nostre coppie preferite (basta vedere i riferimenti Malec nel prologo, ma non posso assicurarvi che le coppie saranno integre anche alla fine) a scene di combattimento e (che gioia) sangue.
Si tratta della prima FF che scrivo su questo fandom (il motivo principale per cui l'ho scritta ovviamente è perché devo scrivere qualcosa sui miei amati Shadowhunters finché ho la certezza che sono tutti vivi), vorrei solo sapere se la storia vi incuriosisce e se vorreste che la continuassi, mi bastano solo due parole (poi le critiche lunghe sono ovviamente ben accette).
Grazie comunque per aver letto!

Iwas_

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Capitolo 2
*** All'Istituto ***


All'Istituto




- Alexander Gideon Lightwood, sei un emerito idiota!
- Grazie Iz, non me ne ero accorto - sbuffò Alec, crollando sul letto di camera sua. Indossava ancora la maglietta oramai inutilizzabile che portava quando era tornato all'Istituto, un paio di ore prima, con alcune macchie di sangue secco sparse un po' ovunque.
- Razza di scemo, te lo giuro, se fossi mamma non ti farei più uscire di casa.
- Mamma però sa che sono maggiorenne e che posso fare quello che voglio.
Jace sbuffò: non ne poteva più di quei due. Andavano avanti così da quando Alec era tornato all'Istituto circa un'ora prima, i segni dei tagli curati da un iratze fatto male ancora visibili sulla pelle pallida. Gli ci era voluto meno di mezzo minuto per riassumere agli altri Lightwood un'avvincente battaglia con uno Scatter; Jace non poteva negare di essere rimasto sorpreso, e dallo sguardo che si era scambiato con Isabelle si era reso conto di non essere stato il solo. Forse sorpreso non era il termine esatto, forse definirsi "spaventato" sarebbe stato meglio: spaventato per Alec, ma spaventato anche da Alec. Perché mai proprio lui avrebbe dovuto fare una cosa simile? Era stata con una piccola fitta al cuore che si era dato la risposta da solo, qualche istante dopo, rendendosi conto che il ragazzo era diventato scemo quanto lui nei suoi momenti peggiori.
La cosa che più di tutte lo aveva stupito però era stata la reazione di Maryse quando aveva visto Alec, la parola che più si avvicinava a descrivere il suo comportamento era "indifferenza". In realtà, sembrava preoccupata per il figlio, ma le urla isteriche che Jace aveva temuto non erano arrivate: gli aveva solamente detto di fare più attenzione, in futuro. Nient'altro. Era impossibile dimenticare l'espressione di Isabelle, che con gli occhi sgranati aveva volto ripetutamente lo sguardo prima alla madre e poi al fratello, senza proferire parola.
- Adesso cerchi pure di imitare quell'idiota di Jace mettendoti in pericolo così? - sentì sbraitare quest'ultima, interrompendo il filo dei suoi pensieri..
- Beh, direi che se ha trovato in me un modello da seguire la cosa non può che fargli bene - fu il commento con cui l'appena nominato si inserì nella conversazione.
Alec non rispose, né Jace si aspettava che lo facesse. Era tornato nel suo magico mondo popolato da unicorni color arcobaleno.
Era da quando lo conosceva che ogni tanto vedeva Alec farsi improvvisamente assente dalla conversazione, mentre fissava un punto imprecisato perdendo totalmente la cognizione di ciò che gli stava attorno. In genere era questione di qualche istante e il suo migliore amico tornava al suo fianco, ma non era più così. Non da quella sera.
 
La ricordava benissimo: era disteso nel letto in infermeria quando la porta si era spalancata di botto, facendo entrare due Fratelli Silenti con al seguito Maryse e Isabelle che scortavano un Alec sanguinante. A Jace tornavano in mente con chiarezza le sue proteste, sostenendo di stare bene, mentre lo facevano distendere nel letto accanto al suo. I minuti seguenti erano passati nella più totale confusione, mentre Alec cercava disperatamente di farsi ascoltare.
Apportato che non aveva nulla di più che una costola incrinata e qualche graffio superficiale, avevano tutti ascoltato la storia del ragazzo. Insolitamente per lui era stata confusa, con alcune contraddizioni, alle volte piena di chiacchiere inutili che non avevano portato a nulla; il messaggio comunque era stato chiaro: Maureen aveva ucciso Camille Belcourt e lo aveva attaccato. Jace si era distratto durante il resoconto della battaglia fra Alec e Maureen, impegnato com'era a tentar di non far bruciare le coperte col Fuoco Angelico, e in seguito non aveva più chiesto al suo parabatai di ripetere quella parte.
Ricordava bene però il modo agitato con cui Maryse era uscita, seguita dai due Fratelli, raccomandando Isabelle di vegliare sul fratello fino a quando non sarebbe tornata. E Isabelle, ovviamente, aveva fatto la cosa peggiore che avrebbe potuto fare proprio nell'istante in cui la porta si chiudeva dietro Fratello Zaccaria.
A sua discolpa, andava detto che il suo non era stato altro che un gesto di cortesia nei confronti di Alec; ma comunque rimaneva il fatto che quando aveva chiesto a suo fratello se voleva che andasse a chiamare Magnus, il ragazzo aveva immediatamente vomitato.
Jace si sentiva ancora stupido quando pensava alla battuta che aveva fatto, di cui non rammentava le parole precise ma che riguardava l'insopportabile profumo al sandalo dello stregone, che aveva reso Alec ancora più pallido di quello che era, se possibile.
Era stato con voce strozzata che il ragazzo aveva mormorato qualcosa riguardo a lui e a Magnus, che nessuno dei suoi due fratelli sul momento aveva ben afferrato.
Lo aveva ripetuto a voce più alta, mentre teneva lo sguardo fisso sulle sue mani: lo stregone lo aveva lasciato. Inutile dire che la sorpresa era stata talmente tanta che né Jace né Isabelle erano riusciti a replicare. Alec non si era sbilanciato in altre spiegazioni. Era stato solo qualche giorno prima, alla fine di una riunione del Concilio, che il ragazzo aveva sussurrato a Jace: - Non avercela con lui. Lui non c'entra nulla. Sono io l'idiota.
 
- JACE LIGHTWOOD, MORGENSTERN, HERONDALE O COME CAVOLO TI CHIAMI!
L'urlo di Isabelle fece sobbalzare Jace, che per poco non cadde dalla sedia accanto alla scrivania sgombra di Alec, dove si era seduto.
- Mi hai chiamato, per caso?
- Per Raziel, non ci posso credere, ti ho chiamato almeno tre volte! Ora di fratelli rincitrulliti ne ho ben due! È logico che due idioti totali come voi siano diventati parabatai!
Jace aprì la bocca per ribattere, ma Isabelle gli lanciò una di quelle occhiate di fuoco identiche a quelle della madre, che gliela fece richiudere immediatamente.
La sua seconda regola per la sopravvivenza era di non aprire mai bocca quando sua madre lo guardava in quella maniera, regola che si era ampliata comprendendo anche gli sguardi di Isabelle.
Izzy uscì dalla camera sbuffando, ma senza aggiungere altro.
Jace sospirò, voltandosi a guardare Alec: non si era nemmeno mosso.
- Hai già fatto colazione?
Alec voltò lentamente la testa per guardarlo: - Jace -, disse - sono stato fuori tutta la notte, sono tornato sanguinante da uno scontro con un demone e tutto quello che mi chiedi è se ho fatto colazione?
- Guarda che la colazione è il pasto più importante della giornata: è mio dovere di parabatai assicurarmi che tu faccia colazione. Secondo me c'è anche un passo che ne parla, nel Codice. Qualcosa tipo "Ricordati di rammentare la colazione al tuo parabatai".
Alec continuava a fissarlo seccato. Jace dovette ammettere con se stesso che aveva sperato che almeno un po' ridesse. Gli sarebbe bastato anche un sorriso. Una replica. Una critica. Un'occhiataccia. Gli sarebbe bastata ogni cosa, tranne quello sguardo vuoto.
Più di una volta qualcuno gli aveva detto che a prima vista Alec stesso sembrava vuoto, una persona dal volto inespressivo e di troppe poche parole. Si sbagliavano... quello era il vuoto.
- Alec... cos'è veramente successo fra te e Magnus?
 
Driiiiiin. Driiiiiin. Driiiiiiin.
Isabelle estrasse di malavoglia il cellulare dalla tasca, lesse il numero che compariva sul display ed esitò un istante prima di rispondere. Non era esattamente il momento adatto per lui; ma forse lei non riteneva nessun momento adatto per lui.
- Pronto?
- Buongiorno!
- Voi vampiri dovete avere gli orari sfasati. Se non fosse stato per Alec io probabilmente a quest'ora starei ancora dormendo.
- Ma non lo stai facendo, e sono le nove e mezza di mattina, non è tardi. Comunque, che ha combinato Alec?
Isabelle esitò un istante prima di rispondere: avrebbe voluto parlarne con Simon, che perlomeno a differenza di quegli altri due o di sua madre l'avrebbe ascoltata veramente, ma non era sicura che fosse la cosa giusta da fare. La verità era che non sapeva affatto quale sarebbe stata la cosa giusta da fare: si sentiva persa quasi come suo fratello.
- Lascia stare - disse infine.
- Capito, affari Nephilimcosi. Per il resto, come stai? Intendo, oltre al fatto che sta per scoppiare una guerra e che siamo sull'orlo dell'Armageddon.
- Io... non lo so. Credo sia successo tutto troppo in fretta.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Simon aggiunse: - Anche io sto bene. Cioè, da quel poco che so la mia specie sta per iniziare una sorta di guerra civile o qualcosa di simile, ma nulla di importante in fondo. Potrebbero avermi attaccato, potrebbe essere caduto un meteorite su casa mia o potrebbero avermi rapito i Mangiamorte, ma sono vivo e vegeto. Sul serio, Izzy, non devi preoccuparti.
- Ti stai forse lamentando perché sono cinque giorni che non ti chiamo?
La voce di Isabelle divenne gelida. Si chiese come facesse Simon a trovarla sempre nei suoi momenti peggiori. Forse però non avrebbe dovuto innervosirsi per quello... non era ovvioche Simon volesse sentirla? In fondo Jace e Clary si vedevano sempre... ma la loro situazione non era come quella di Jace e Clary. Poteva considerare Simon il suo ragazzo, dopotutto?
- Ehm... volevo solo sentirti. Mi manchi.
- Ah.
Fantastico, aveva definitivamente mandato tutto a quel paese. Come diamine si poteva rispondere in quella maniera ad un "mi manchi"? Aveva avuto tanti ragazzi, e aveva avuto le parole giuste per rispondere ad ognuno di loro. Non riusciva a capire che problemi avesse ora.
Con lui però era diverso, dovette ammettere con sé stessa: con lui non riusciva mai a dire quello che voleva e ad esprimere i propri sentimenti, eppure era allo stesso tempo la persona con cui si apriva più che con chiunque altro. Lo trovava un bel paradosso.
Si accorse solo in quel momento che Simon era rimasto in silenzio. No, non avrebbe rovinato tutto così. Iniziò a farfugliare una scusa, mentre giocherellava con la collana che portava al collo: lo faceva sempre, quando era nervosa.
- Scusa, è che Alec mi ha fatto incavolare nera. Mio fratello è un idiota, e l'altro mio fratello lo è ancora più di lui, se possibile. Qui stanno tutti impazzendo, odio questo posto. Fosse per me andrei a tirare uno schiaffo a tutti e... no aspetta, a Jace ne ho già tirato uno... forse anche ad Alec...
- Allora ti andrebbe di venire ad un concerto stasera? - Simon la interruppe di getto, un tono inconfondibilmente speranzoso. - Clary viene. Se vuoi porta anche gli altri, tranne Jace. Abbiamo già abbastanza gente che ci lancia addosso pomodori.
- Avrebbe comunque la sua ragazza a farlo tacere.
- Non si sa mai. Allora?
- Dove?
- Al Bear bar. È vicino a casa di Jordan, comunque.
- Il nome schifoso potrebbe fare concorrenza a quello del tuo gruppo. Si chiama ancora Sparkling Lights?
- No, mi ricordava troppo Magnus. Ora siamo i Blue Bitter Lemons. In realtà non mi fa impazzire, sembra un po'...
- Una brutta copia dei Red Hot Chili Peppers - concluse lei. - Forse perché lo è.
- Aspetta, conosci i Red Hot Chili Peppers?
- Perché siete tutti convinti che noi Shadowhunters viviamo fuori dal mondo?
- Chiedo venia, allora. Comunque non mi hai ancora risposto.
- Io... penso che vada bene. O almeno credo.
- Fantastico! - esclamò lui, e Isabelle quasi riusciva a vederlo, con quel sorriso infantile ed incredibilmente sincero che ogni tanto gli appariva in volto. - Alle otto di sera là allora. Ciao, Iz. Cerca di non uccidere nessuno nel frattempo, nemmeno Jace. Sai, mi seccherebbe andare a consolare Clary.
- Farò del mio meglio. Ciao.
Simon chiuse la chiamata, lasciando un lieve sorriso sul volto di Isabelle. Forse si sarebbe perfino divertita, chissà; pensò, mentre rimetteva il telefono in tasca.
- Jace, torna subito qua!
La voce di Alec rimbombò nel corridoio quasi vuoto, e un istante dopo Isabelle fu travolta proprio da Jace, che stava correndo l'Angelo solo sapeva dove.
Evidentemente il ragazzo non aveva calcolato la possibilità di incrociarla sulla sua traiettoria, perché il colpo ricevuto fu tale che lei cadde a terra, sbattendo la testa. Alzò un attimo lo sguardo giusto per vedere che Jace era miracolosamente rimasto in piedi, le lanciò un'occhiata distratta probabilmente per controllare che non si fosse fatta niente, e ripartì verso la sua meta.
- Ah no, ora torni qua! -, esclamò Isabelle, rialzandosi con la prontezza che solo uno Shadowhunter poteva avere, e altrettanto velocemente srotolò la frusta dorata che portava sempre al polso.
Jace poteva essere veloce, ma la sua frusta lo era di più: con un unico, fluido movimento la fece attorcigliare attorno alla sua gamba, e il biondo non poté evitare di cadere a terra di faccia.
Lo sentì imprecare pesantemente, mentre gli si avvicinava, si inginocchiava accanto a lui e gli stringeva un polso con la mano che non teneva la frusta.
- Ora mi dici dove stavi correndo con tanta fretta.
- Grazie al cielo c'eri tu, Iz!
Isabelle si voltò: alle sue spalle c'era Alec, lievemente piegato su se stesso e con il fiatone. Continuava ad indossare la maglietta squartata. Sentì Jace imprecare nuovamente.
- Ma è mai possibile che ogni volta che vi lascio soli voi due combiniate qualche casino? - chiese. A volte si sentiva come se fosse lei la maggiore dei tre.
- Non è colpa mia, è stato lui! -, ribatté Alec.
- Io ti sto semplicemente dando una mano. Al tuo posto mi lascerei stare e andrei a fare colazione, cosa che, tra parentesi, non hai ancora fatto.
Isabelle sospirò, mentre la frusta si attorcigliava nuovamente attorno al suo braccio e si rialzava assieme a Jace, sempre tenendo salda la presa sul suo polso.
- Che diamine hai fatto, Jace? - chiese. - Era da due settimane che non vedevo Alec così attivo.
- Sul serio? Allora dovrei dirgli che sto andando a parlare con Magnus più spesso.
Alec emise quello che sembrava il verso di un bradipo col mal di pancia: - Ha deciso che deve contestare una cosa a Magnus, ha una sua stupida teoria che...
- Non è stupida, ha senso. Okay Alec, tu sei scemo, ma nemmeno il nostro porcospino luccicante è da meno.
- Continuo a non capirci nulla - disse Isabelle.
- Te lo spiegherò quando tornerò, tranquilla.
Dopo aver pronunciato quelle parole, Jace, con una forza che Isabelle non si aspettava, torse il braccio, costringendola a lasciare la presa, si rialzò e ripartì verso quella che doveva essere l'uscita.
Alec fece per inseguirlo, ma Isabelle lo prese per un lembo della maglietta, trattenendolo.
- Jace è stupido almeno quanto te -, disse rispondendo allo sguardo di accusa del fratello - ma quando si tratta del suo migliore amico credo che sappia quello che sta facendo.



Note dell'autore
Ecco, questo è il primo capitolo vero e proprio della storia, e sono quasi impazzita per scriverlo: nonostante i capitoli siano tutti nella mia testa dal primo all'ultimo, non sapevo trovare un modo adatto per iniziare questa storia (per intenderci, ho scritto circa otto incipit diversi, qualcuno l'ho usato più avanti, altri li ho cancellati dalla storia).
Non è ancora successo nulla di entusiasmante, ma le mie storie sono sempre così: nel vivo dell'azione si entra dopo qualche capitolo. Spero di non metterci troppo a pubblicare il prossimo, ma sono letteralmente sommersa dai compiti che avrei dovuto fare e che ero troppo pigra per fare (insomma, pregate per me).
Tuttavia, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate :)
Intanto ringrazio nuovamente chi mi ha lasciato una recensione nel capitolo precedente e tutte le altre persone che hanno inserito la mia storia fra le seguite anche se per ora non si sono fatte sentire.
Io e Alec vi lovviamo.

Iwas_

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Capitolo 3
*** Eccessivi segreti ***


Eccessivi segreti




Jace uscì di corsa dall'Istituto, fermandosi un istante mentre strizzava gli occhi, accecato dalla luce del sole, poi riprese a dirigersi verso la casa di Magnus, questa volta camminando: era ormai chiaro che Alec non lo avrebbe fermato. Quell'idiota di Alec.
Jace non riusciva a togliersi dalla mente l'espressione che aveva mentre gli raccontava tutto: si era morso più volte il labbro inferiore, come era solito fare quando era nervoso; non era mai riuscito a guardarlo negli occhi o forse semplicemente non voleva, perché teneva lo sguardo fisso sulle sue mani (che Jace aveva notato tremare leggermente); e da ogni suo piccolo movimento si notavano il disagio, il dolore e la vergogna che gli stava provocando parlarne.
Jace non poteva negare di essere rimasto sorpreso da quello che era riuscito a fare suo fratello adottivo, seppur non molto in positivo, ma sopratutto lo capiva... lui stesso si sarebbe comportato diversamente se ci fosse stato un problema  del genere fra lui e Clary? No, non credeva.
Per questo non si era sentito in vena di giudicare Alec troppo duramente, sopratutto perché sapeva che a differenza sua il suo migliore amico non sapeva come gestire una relazione, figurarsi poi se il suo ragazzo era uno stregone strampalato con ottocento anni alle spalle e con un pessimo gusto musicale.
Avrebbe fatto una ramanzina come si doveva anche ad Alec prima o poi, ma ora era il momento di Magnus.
"Mai mettersi contro un Lightwood, caro il mio stregone. O un Herondale. O un Morgenstern. O un Wayland. O tutti e quattro messi assieme."
Ci mise un po' per raggiungere la casa del Sommo Stregone di Brooklyn, ma non ci fece caso: le gambe lo guidavano automaticamente verso la sua meta, mentre Jace ripensava a tutto quello che lo stava portando da Magnus e a cosa doveva dirgli.
 
- Allora, appuntamento romantico stasera?
Simon sospirò, mentre un Jordan in boxer neri, ciabatte e capelli spettinati rovistava nel frigo semivuoto.
- Non so se quello con Izzy si può definire un appuntamento romantico. Non so nemmeno come stanno realmente le cose fra di noi.
- Beh, forse dovreste chiarire un po' - propose Jordan mentre estraeva una mela dal frigo, che rimise frettolosamente dentro con un'espressione disgustata. Simon ricordò che erano due giorni che il suo coinquilino non trovava altro di commestibile in quel coso.
- Chiarire con lei? Hai presente che lei è Isabelle Lightwood? Quella ragazza con i capelli neri che sembra pronta a sedurti per poi portarti in una stanza delle torture dove sarai costretto a morire lentamente?
- Insomma, hai paura. No, tranquillo, anche io con Maia all'inizio ero così.
Era impossibile non notare il sorriso che era apparso sul volto di Jordan non appena aveva nominato la sua ragazza.
- Mi pareva non mi avessi ancora parlato di lei, oggi -, borbottò Simon, a voce troppo bassa perché il beato innamorato potesse sentire.
- Trovato! -, esclamò Jordan, mentre estraeva una porzione a dir poco misera di burro.
- Da quanto tempo era sepolto nel tuo frigo, esattamente?
- Non lo so ad essere sincero. Non ricordo di aver comprato del burro - ammise Jordan, mentre si sedeva a tavola armato di coltello e qualcuna delle ultime fette di pane rimaste.
Simon non replicò, mentre si accomodava accanto al ragazzo.
- Hai mai pensato di andare a fare la spesa?
- Molto spiritoso, Simon. Non ho davvero tempo, fra questa storia di Maureen, Maia e il Praetor in generale. Potresti farla tu.
- Certo, un vampiro al supermarket. Dovrei trovare quello con le bottigliette di sangue A positivo in sconto però, ultimamente i prezzi si sono alzati.
Jordan non replicò, impegnato com'era a cercare di razionare il burro in modo da averne abbastanza da mettere su ogni fetta di pane. Battaglia persa in partenza.
Il silenzio creatosi fra i due rimase fino a quando non fu interrotto da un'allegra musichetta proveniente da un'altra stanza.
- Mio cellulare - borbottò Jordan, alzandosi, non senza un'aria seccata. Simon si chiese se tutti i lupi mannari fossero così intrattabili la mattina presto. Anche da quella distanza, sentì distintamente Jordan rispondere.
Non era sua intenzione origliare , ma l'appartamento era troppo piccolo e il suo udito troppo sviluppato per poter fare altrimenti.
- No, non stavo dormendo. Come mai mi chiami a quest'ora? -, sentì chiedere Jordan.
Ci fu qualche attimo di silenzio, poi: - Lo sai che non sono affari miei. Io ho il vampiro. Oh, andiamo, non puoi segnalarla al... La stai portando a casa? Come mai? Non ci vede? Oh diamine, non sei più un novellino!
Simon non riusciva a capire di cosa stesse parlando Jordan, ma qualcosa gli diceva che si trattava di una situazione fuori dall'ordinario. Come se le ultime situazioni in cui era finito a suo malgrado fossero state ordinarie.
- Okay, ma poi ti arrangi da solo, che io stasera ho un impegno... Addirittura? Non ti capisco. Va bene, arrivo subito, tu non ti muovere.
Detto questo, riagganciò.
Arrivò frettolosamente in cucina, con il cellulare ancora stretto in mano.
- Problemi? -, chiese Simon.
- Mi ha chiamato Harry, un mio amico. Dice di aver bisogno urgente di aiuto. Se ti lascio solo per il pomeriggio non rischi di morire o uccidere qualcuno, vero?
- A meno che tu non mi metta faccia a faccia con Jace credo di no.
- Perfetto. A stasera, allora. - fu il saluto di Jordan, che posò una mano sulla maniglia della porta, pronto ad uscire.
- Jordan! - lo chiamò improvvisamente Simon.
- Cosa c'è?
- Non penserai di uscire vestito così, vero?
 
Eccolo arrivato, finalmente. Sperò vivamente che Magnus fosse a casa, altrimenti al suo ritorno all'Istituto Alec avrebbe tentato di legarlo o qualcosa del genere. Non poteva permetterselo.
Dopo una settimana passato disteso in un letto, non vedeva l'ora di agire, di fare qualcosa di concreto. E questa cosa che stava facendo ora aveva la massima importanza.
- Avanti, Jace, fallo ora o mai più.
Quanto si sentiva figo a pronunciare quelle parole. Fiero di sé, suonò.
Passo qualche istante, poi una voce invase il pianerottolo: Sommo Stregone di Brooklyn Magnus Bane. Dichiarare il motivo della visita e quanto siete disposti a pagare.
Jace trovava divertente l'idea che Magnus si fosse modernizzato in quella maniera, ma non gli sfuggì la nota di noia, o forse di esasperazione, nella voce dello stregone.
- Sono il tuo Shadowhunter preferito. No, aspetta, forse tu preferisci Alec, ma io in genere sono io lo Shadowhunter preferito di tutti...
Qualche altro istante di silenzio, che si allungò fino a diventare un minuto.
- Oh, andiamo Magnus, lo so che sei in casa. O almeno credo.
Lo stregone tuttavia non rispose.
- Magnus, ti faccio saltare in aria la casa se non mi apri quella benedetta porta!
Questa volta doveva essere suonato almeno un po' convincente, perché qualche attimo dopo la porta si aprì lentamente, rivelando dietro di essa l'uomo che Jace era venuto a trovare
- Mi pareva di aver detto ad Alec di essere stufo di voi Nephilim, o sbaglio?
Tante cose avrebbero potuto colpire Jace: il tono tagliente e privo di qualunque calore con cui lo stregone si era rivolto a lui, il loft che sembrava essere più in disordine del solito che intravedeva alle spalle di Magnus, la semplice maglietta marrone e i pantaloni neri di una tuta che indossava lo stregone (con come unica nota di colore una collana a cui era appeso un piccolo ciondolo verde), i capelli che sembravano non vedere un pettine da mesi, l'assenza totale di qualche profumo sgradevole che in genere lo accompagnava e dell'ombra di un sorriso.
Nessuna di queste cose, tuttavia, era paragonabile agli occhi dello stregone: privi di trucco, Jace trovava quegli occhi verdi ancora più appariscenti, forse a causa dell'innegabile tristezza di cui sembravano colmi. Il contrario degli occhi di Alec, che presentavano il vuoto più assoluto.
Eppure quelle due paia di occhi erano allo stesso modo devastanti da guardare.
- Ah, ma allora sei veramente in casa! Ehm... è sempre un piacere vederti.
- Sopratutto dopo aver minacciato di farmi esplodere la casa, suppongo.
- Posso entrare?
- Non hai sentito quello che ho detto?
- Si tratta di una cosa importante Magnus. Guardami negli occhi: sono totalmente serio. Quando mai potrai rivedere me totalmente serio?
- Si tratta di Alec.
Non era una domanda.
- Certo, ma... - Jace non ebbe tempo di finire la sua premeditata arringa per convincere Magnus, perché gli chiuse la porta in faccia. Qualcosa diceva a Jace che non avrebbe nuovamente ceduto davanti alla minaccia di un'esplosione.
Forse aveva sperato un po' troppo nella vecchia ospitalità dello stregone mentre cercava una maniera per entrare in casa sua senza far danni rilevanti. Jace Herondale però non era nato per arrendersi.
Iniziò a premere il campanello più e più volte, a intervalli brevi o lunghi, inizialmente divertendosi per un po' con il codice Morse, poi iniziò ad usare il campanello per comporre allegri motivetti.
Era nel bel mezzo di quello che a suo parere stava riuscendo meglio di tutti, quando la porta si aprì per la seconda volta, con un Magnus questa volta esasperato.
- Mi hai svegliato il gatto.
- Un motivo in più per farmi entrare e non farmi venire qui a suonare ogni giorno, non credi?
- Il problema è che so che saresti capace di farlo. Sappi però che posso cacciarti da casa mia quando voglio, Jace.
- Cercherò di non dimenticarlo.
Lo stregone si girò e rientrò nell'appartamento senza aggiungere altro, lasciando però la porta aperta permettendo a Jace di seguirlo. Il ragazzo non riuscì a non emettere un piccolo gemito di disgusto mentre chiudeva la porta dietro di sé: quel luogo era ancora peggio di come se l'era immaginato.
C'era un piccolo strato di polvere sulle credenze accanto all'entrata, che ospitavo oggetti assolutamente inutili, probabilmente dei souvenir. Quelli sembravano non essere stati nemmeno guardati. Ammassate in un angolo, c'erano delle scatole di qualche take away e dei cartoni vuoti di pizza, il cui unto si poteva distinguere anche a quella distanza. C'erano vari oggetti sparsi per terra, da qualche vestito ai giochi del gatto ai cocci di qualcosa non meglio identificato. Chairman Meow si trovava a pochi passi da lui, mentre lo fissava con aria svogliata. Nemmeno lui sembrava passarsela bene: era più magro dell'ultima volta che Jace lo aveva visto.
Sul divano erano ammassati altri vestiti, come si potrebbero ammassare i vestiti che ti togli di fretta una volta tornato a casa e che ti riprometti di piegare più tardi. Jace notò anche dei libri aperti accanto al tavolino.
- Ora che sei single organizzi festini clandestini dandoti alla pazza gioia e poi ti dimentichi di mettere in ordine?
L'occhiataccia che ricevette fu un motivo sufficiente per non riaprire la bocca.
- Siediti - lo invitò svogliatamente Magnus, facendo un cenno verso il divano e buttato giù le cose ammucchiatevi sopra con un gesto secco.
Jace obbedì, nonostante quel luogo non gli piacesse affatto e nonostante gli fosse venuta una voglia improvvisa di correre via: era da quando aveva memoria che non riusciva a rimanere a lungo in posti disordinati.
- Ti vedo a disagio.
- Io... cos'è successo qui? E' tutto...
- Disordinato? Beh, prima era peggio. Questo dovrebbe invogliarti a non fare altre domande.
Jace sospirò, mentre mentalmente applicava la sua tattica mentale per sfuggire al disordine in casa d'altri.
Trovarsi in posti sporchi o comunque pieni di roba sparsa ovunque senza una logica precisa stava quasi far male Jace: trovava tutto tremendamente fastidioso, e l'idea di fare parte di quello scenario lo faceva sentire anche peggio. Doveva concentrarsi e fingere che il piccolo spazio in cui stava seduto lui, sgombro da ogni cosa, fosse tutto il suo universo: il resto era lontano da lui, non lo riguardava. Il segreto stava nel fingere di essere circondato da una specie di cupola trasparente che lo isolava dal disordine, che in quel metro quadrato scarso dove si trovava lui non poteva raggiungerlo.
- Per quanto possa essere già messa male di suo, mi farebbe piacere se non bruciassi qualche pezzo di casa mia - aggiunse Magnus, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
Jace si fissò le mani, notando con orrore che avevano ripreso a bruciare del Fuoco Angelico; questo poteva voler dire una sola cosa: non era ancora riuscito a controllarlo del tutto, se quando si perdeva nei suoi pensieri ricominciava ad ardere. Imprecò, mentre pian piano le fiammelle si estinguevano.
- Devo imparare a controllarlo meglio, lo so... Sai, dopo la battaglia con Sebastian, quando la spada di Michele mi ha...
- So del Fuoco Angelico, risparmiami inutili spiegazioni. Ehi, sarò anche chiuso in casa per tre quarti del mio tempo, ma sono pur sempre il Sommo Stregone di Brooklyn: so quello che succede nella mia città - aggiunse in risposta allo sguardo sorpreso di Jace.
- Allora suppongo tu sia morto di gelosia a sapere che c'è qualcuno che luccica più di te.
- Ti preferivo quando eri scomparso, Jace - replicò Magnus. - Allora, cosa vuoi?
- Alec mi ha detto tutto - disse di getto: erano arrivati al punto focale di quella visita.
- Logico. E allora? Cosa vuoi? Farmi la predica perché sono stato tanto cattivo quando ho ferito i suoi sentimenti?
- Lo sappiamo entrambi che Alec ha fatto un'idiozia, e lo sa anche lui. Ma è distrutto, lui ha...
- E allora? Credi che io stia bene? Guardati intorno: ti sembra la casa di una persona felice questa?
Jace non ricordava di aver mai sentito Magnus parlare in maniera veramente nervosa, frettolosa e isterica. No, Magnus era sempre stato calmo e razionale, e ogni cosa che faceva la faceva con una classe innegabile.
- State male entrambi, okay. Ma perché non perdonarlo?
- Tu non capisci bene la situazione. Alec... ha praticamente tentato di uccidermi, e non mi ha detto niente. Avremmo potuto parlarne, avrei potuto spiegargli cos'è che voleva dargli Camille... ma lui niente, non mi ha detto niente. Una volta mi hanno detto che l'amore è fiducia: allora cos'era quello che Alec provava per me, se la fiducia non c'è mai stata? Che motivo aveva per non fidarsi di me?
- Aveva paura, e la paura spinge a fare sciocchezze. Aveva semplicemente paura di perderti. Ma tu - Jace esitò un attimo, cercando il modo migliore per formulare la domanda che lo aveva portato in quel luogo. - Tu che ragioni avevi per non fidarti di lui?
Lo stregone parve un attimo spiazzato, ma si ricompose subito: - Non capisco quello che stai dicendo.
- Io credo invece che tu capisca benissimo. Se c'è un motivo per cui Alec si è spaventato improvvisamente davanti all'idea di perderti è proprio per quella: la fiducia, che sostieni avrebbe dovuto riporre in te, ma che tu non hai mai riposto in lui.
- Stai farneticando a vuoto, Jace.
- Allora saprai certamente spiegarmi perché Alec mi ha raccontato di non sapere niente di te, di non avere idea nemmeno del luogo in cui eri nato prima che Camille glielo rivelasse, di non capire perché ci tieni tanto a non far sapere chi è tuo padre e perché sei così restio a parlare del tuo passato.
- A quanto pare voi Nephilim non sapete proprio non farvi gli affari degli altri, vero?
- Non mi hai risposto.
- Non è necessario rivelare tutto di sé in una relazione.
- Non se a quella persona hai detto di voler invecchiare con lei.
Per la prima volta, e sospettava anche unica, volta in vita sua Jace vide Magnus così sorpreso da non poter replicare.
- Tu... non puoi capire.
- Sono troppo sveglio per non poter capire.
- Certe cose è meglio che restino nascoste, Jace.
- Addirittura il tuo luogo di nascita? Che c'è di tanto pericoloso nel sapere dove sei nato?
- Fila via, Herondale.
- Ti avevo detto che Alec non era pronto per i tuoi giochetti. Te l'avevo detto.
- Va via, torna dal tuo amichetto e parlate pure male di me insieme se vi fa stare meglio. Non m'importa.
- Magnus...
- Ho detto via.
Fu così che Jace capì che non aveva altro da dirgli. Si alzò lentamente, dirigendosi verso l'uscita, e mentre altrettanto lentamente se la chiudeva alle spalle disse: - Avete due modi opposti di affrontare la cosa, eppure è innegabile che tutti e due ci state da cani. Se tu continui a provare qualcosa per lui, perché non...
- Non sempre due persone che si amano possono restare insieme, Jace.
- Ma saresti mai stato disposto ad abbandonare la paura di condividere il tuo passato così come lui aveva abbandonato la paura di soffrire per amore pur di stare con te?
Nonostante sentisse lo sguardo di quegli occhi verdi su di sé, non ricevette risposta.



Note dell'autore
Benvenuti al terzo capitolo :) Che probabilmente è proprio uno dei più importanti, perché è proprio da questo che è partita l'idea per la storia (che poi è diventata totalmente diversa dall'originale, ma dettagli).
Insomma, ad essere sincera mi aspettavo qualcosa di meglio, ma sarà che io non sono mai contenta di quello che scrivo.
Mi farebbe piacere sapere che ne dite voi!
Grazie nuovamente a quelli che mi hanno recensito e a tutti gli altri che hanno messo la mia storia fra le seguite o addirittura fra le preferite...
Tanti baci e tanti glitter a voi!

Iwas_

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Capitolo 4
*** Di greco, Rune e Blue Bitter Lemons ***


Di greco, Rune e Blue Bitter Lemons




Ἔρχομαι.
Quante volte aveva letto quel biglietto? Troppe, a giudicare dalla maniera in cui era spiegazzato.
Si ostinava a rileggerlo, come se in quelle parole potesse trovare qualcos'altro, come se potesse scoprire cosa stava facendo Jonathan Morgenstern solo grazie ad una parola.
In quel momento, però, nonostante fosse nuovamente immobile a fissare il foglietto, i suoi pensieri stavano vagando da tutt'altra parte rispetto alla guerra che stava per iniziare.
Maryse era distrutta: erano successe troppe cose in poco tempo per pretendere che riuscisse a farsi una dormita come si deve. Jocelyn le aveva detto che ogni volta che la guardava vedeva in lei la sintesi di tutto quello che erano gli altri Shadowhunters presenti all'Istituto: le rughe sul suo volto si erano fatte più evidenti, assieme ad un paio di occhiaie scure che era sicura di non avere mai avuto, il volto era incorniciato da ciocche ribelli che uscivano da uno chignon fatto male, ed era dimagrita di almeno cinque chili. E come avrebbe potuto essere altrimenti?
Robert le aveva a malapena rivolto la parola da quando era tornato, Jace aveva avuto problemi evidenti nel gestire quello stupido Fuoco Angelico, Isabelle sembrava un falco chiuso in una gabbia, l'assassino di Max era ancora a piede libero e si stava preparando a distruggere il mondo, mentre Alexander era tornato a casa da un paio di ore reduce da una battaglia con un demone.
"Stanno affrontando tutti qualcosa che è semplicemente troppo per loro" si ritrovò a pensare, mentre lo sguardo si posava per un istante su una vecchia voto scattata il giorno del quindicesimo compleanno di Alec. Suo figlio maggiore stava soffiando le candeline su una torta con la melassa, mentre dietro di lui le soffiavano per scherzo pure Jace e Isabelle. Già allora formavano un trio formidabile. Dietro di loro, lei teneva in braccio Max, mentre Robert le cingeva le spalle con un braccio, entrambi complici di una finzione, di un amore scomparso che doveva esistere ancora solo per il bene dei loro figli. Come se Robert dopo quella decisione fosse stato un padre presente.
L'ultima volta che lo aveva visto cercare di fare qualcosa di buono con i suoi figli era stato un mese prima e aveva finito per dire ad Alexander che il suo essere gay era solo una sbandata adolescenziale che gli sarebbe passata presto. Nonostante lei per prima fosse rimasta sconvolta quando suo figlio aveva dichiarato al mondo il suo amore per Magnus Bane, tutto quello che desiderava era che fosse felice.
Così come voleva fossero felici Isabelle, Jace e Max. Più ci pensava, più credeva di non essere riuscita bene nel suo compito: quello che aveva ottenuto erano una Isabelle isterica, un Jace distrutto e un Alec che non le parlava più; mentre Max lo aveva perso definitivamente.
Poi c'era Clary, quella ragazzina che le sembrava ogni volta che la vedeva un mondo tutto da scoprire. Doveva ammettere che ammirava l'impegno con cui si dedicava agli studi intensivi a cui era stata sottoposta vista la sua recente, pericolosa avventura; finalmente era arrivato anche l'esperto di Rune, con cui però aveva battibecchi continui. Più di una volta infatti Albert era andato da lei con commenti sarcastici riguardo quella che era stata l'eroina della battaglia a Idris.
- Maryse? Posso entrare?
Non dovette neppure alzare lo sguardo per riconoscere il proprietario di quella voce.
- Fa pure, Robert. Non sto facendo nulla di utile al momento.
Suo marito le si avvicinò, fino a fermarsi accanto a lei.
- Vuoi sederti? - gli chiese, indicando la poltrona di fronte a lei.
- No, desideravo solo informarti dei progressi relativi alle indagini.
Maryse annuì: il giorno prima era stata uccisa una ragazza in una via secondaria del Queens. L'aveva trovata un lupo mannaro, che era corso a chiamare gli Shadowhunters.
- Allora, cosa avete scoperto?
- Si tratta di una ragazza mondana, anche se questo credo lo sapessi già.
- Ripetimelo: da quando ci occupiamo anche di mondani?
- Da quando ci sono chiari segni dell'opera di qualche Nascosto dietro questa uccisione.
Maryse si accigliò. - Che cosa vuoi dire? - chiese.
- Abbiamo chiamato uno stregone abbastanza potente, che ci ha confermato che ha rilevato tracce di magia nera sul cadavere. Il corpo è stato inoltre sgozzato e reso quasi irriconoscibile. Per questo quel lupo mannaro è corso da noi: dice che non gli sembra possibile fosse opera di un mondano.
- Come se non avessimo già abbastanza problemi di nostro... - mormorò Maryse, mentre quasi inconsciamente accartocciava il biglietto di Sebastian.
 
Clary accartocciò l'ennesimo foglio del bloc notes, buttandolo nel cestino al suo fianco.
- Evidentemente non ti stai concentrando abbastanza.
- Evidentemente creare Rune a comando non mi riesce - rispose, stringendo la penna con più forza.
Albert Strongblood era un vecchio sulla sessantina, alto e secco, con due baffoni grigi da far invidia a chiunque e un carattere da far venire voglia di scagliargli contro qualcosa a chiunque.
Purtroppo era anche il suo maestro esperto di Rune, e doveva tentare di farselo andar giù. Senza molto successo, comunque.
- Porta più rispetto per me! Il tuo è un potere che c'è bisogno di far fruttare al massimo in quanto unico e importantissimo per la guerra che sta per arrivare!
- Le ho già detto che non è così semplice.
- Forse perché non ti impegni.
- Forse perché il mio insegnante non mi lascia un attimo in pace.
Ecco, aveva oltrepassato il limite, di nuovo. Fu il colorito paonazzo che assunse la faccia di Alby (così lo chiamava quando non era in sua presenza) a farglielo capire.
- Signorina Morgenstern, io lo trovo assolutamente...
-Penso che la lezione di oggi sia finita qui - rispose Clary, prendendo in mano il blocco e uscendo dalla porta senza aggiungere altro. Non sentì Alby urlare o altro, forse anche lui si rendeva conto che la sua alunna oramai era una causa persa: non sarebbe mai riuscita a creare una Runa solo per far contento lui.
Quando l'avevano informata che finalmente era arrivato il famoso esperto di Rune che il Conclave le aveva promesso ne era rimasta entusiasta, e non vedeva l'ora di mettersi all'opera: voleva fare la sua parte nella guerra contro Sebastian, voleva trovare un modo per aiutare gli Shadowhunters, voleva creare nuove Rune sempre più potenti. Aveva provveduto Albert Strongblood a smorzare il suo entusiasmo alla prima lezione.
Clary sospirò, mentre camminava con lo sguardo rivolto verso il pavimento: era solo un vecchio Shadowhunters che probabilmente era rimasto fermo ai tempi dell'invenzione della ruota.
- Idiota... - mormorò.
- Si riferisce a me, signorina?
Quasi inconsciamente, Clary si fermò e sorrise. Alzò lentamente lo sguardo, per ritrovarsi davanti la perfezione di Jace. Il suo ragazzo aveva dipinto sul volto un mezzo sorriso, gli occhi dorati che brillavano, quasi fosse un bambino che aveva appena rubato un barattolo di marmellata dalla cucina e l'avesse fatta franca.
- Certo - rispose. - Sei il più grosso idiota che conosco.
Poi si buttò fra le sua braccia, sfiorandogli dolcemente le labbra.
- Mi sei mancato - gli disse. - Mi sembra sempre di non vederti da troppo tempo.
- Ho avuto da fare, fra parabatai emo e stregoni dallo sguardo felino.
Clary inarcò le sopracciglia. - Hai visto Magnus?
- Qualche ora fa. Ho preferito non tornare subito per paura che Alec cercasse di uccidermi. Ora che ci penso, però, potrebbe anche aver piazzato un'anatra nel mio letto a tradimento.
- Non ho visto Alec in giro, anche se in effetti non vedo quasi mai Alec in giro. Che hai combinato con Magnus?
Lo sguardo di Jace si fece esitante per un attimo, poi rispose: - Gli ho fatto visita perché dovevo dirgli una cosa riguardo il suo ex ragazzo. Penso che sia meglio che ne parli solo con l'ex ragazzo in questione per ora.
- Non ti fidi di me?
La domanda le era uscita dalla bocca quasi di sua spontanea volontà, senza che ci avesse pensato troppo. Se ne pentì immediatamente.
- Clary... io... come puoi pensare che non mi fidi di te?
Jace sembrava sinceramente stupito e incredulo.
- No Jace, scusa, non volevo dire quello, è solo che io...
- Clary, con tutto il rispetto, sono affari di Alec: non vuole che nessuno ne sappia niente. Ha avuto problemi enormi a confidarsi con me, figuriamoci se...
- Jace, non volevo dire quello. Solo che... sono stanca. Ho litigato di nuovo con Alby e tutto quello che sta succedendo mi rende incredibilmente nervosa.
Jace le sorrise nuovamente, quel sorriso speciale che riservava solo per lei, quel sorriso dolce, dove non c'era traccia di sarcasmo.
- Forse dovrei provvedere io a calmarti. Sembra però che tutte le ragazze abbiano gli ormoni a mille quando si trovano in mia presenza.
Dopodiché la baciò con passione, stringendola forte contro il suo petto. A Clary piaceva il modo in cui la teneva stretta a sé, come se al mondo esistessero solo loro due, come se nient'altro fosse importante.
- Allora - disse, dopo essersi staccata da lui. - Stasera mi accompagni al concerto di Simon, vero?
- Certo - rispose immediatamente Jace. - A patto che Alec quella papera nel mio letto non l'abbia infilata veramente.
 
- Beh, alla fine è stato figo, no?
- Simon - Isabelle sospirò - non puoi considerare "figo" il concerto di un gruppo che si chiama Blue Bitter Lemons.
Il vampiro alzò gli occhi al cielo, ma non replicò. Non che ci fosse molto da controbattere, ad essere sinceri, nonostante Simon odiasse l'idea di lasciare ad Izzy l'ultima parola: era del suo gruppo che si stava parlando, in fondo.
- Dai, ammettilo che siete solo una brutta copia dei Red Hot Chili Peppers con quel nome. Ehm... parecchio brutta, ad essere sincera - fece Clary mentre si introduceva nella conversazione.
- L'avevo già sentita, questa.
Simon cercò Jordan con lo sguardo, forse in cerca di un supporto morale, ma non ci volle molto ad accorgersi che il suo coinquilino era fuggito da qualche parte con la propria ragazza: evidentemente il fatto che fosse stato impegnato per la maggior parte della giornata ad aiutare un suo amico del Praetor Lupus implicava che dovessero recuperare il tempo perduto. Jordan non gli aveva riferito precisamente il problema che aveva il tizio, semplicemente pareva avesse trovato uno stregone che aveva bisogno di loro.
Tirò un calcio a una lattina sul marciapiede, rinunciando a giocare una partita persa in partenza, come tutte le discussioni con Isabelle.
Era stato bello rivederla, finalmente, nonostante il disagio iniziale. Simon per qualche istante si era pentito di aver invitato anche Clary e compagnia, ma la verità era che anche se fossero stati da soli non sarebbe cambiato molto: la sua migliore amica era rimasta accanto a Jace tutto il tempo, che sembrava impegnato in una gara di sguardi truci con Alec. Quando aveva chiesto ad Izzy cosa fosse successo tra i due, lei gli aveva detto di lasciar stare.
- Forse fareste meglio a trovarvi un nome normale. Che ne so, The Spiders - Clary a quanto pareva aveva appena lasciato il suo bellimbusto nel mezzo della sua gara di sguardi per unirsi a loro.
- Fai ancora più schifo di Eric nei nomi, Clary. Così sembreremmo una brutta copia dei The Beatles.
- Tranquillo, nessuno avrebbe il coraggio di osare paragonarvi a gente che faceva buona musica.
Simon alzò nuovamente gli occhi al cielo. - Voi donne siete impossibili.
Subito dopo lanciò un'occhiata fugace a Isabelle, che però stava guardando da un'altra parte.
- Ragazzi, abbiamo un problema.
Simon si voltò: a parlare era stato Jace, affiancato da un Alec che teneva in mano un cellulare.
- Lo so, nemmeno io riesco a trovare un nome decente da dare alla band.
Per tutta risposta si ritrovò quattro Shadowhunters che lo fulminarono con lo sguardo.
- Cos'è successo? - chiese Clary.
- Mi ha appena chiamato nostra madre - fece Alec, evidentemente rivolgendosi a Isabelle. - Dice che potrebbero aver trovato qualcosa riguardo ai colpevoli dell'omicidio della mondana, ma non è questo l'importante.
- Ehi, aspettate un secondo - lo interruppe Simon. - Mi state dicendo che qualcuno sta uccidendo altra gente in maniera strana per la millesima volta da quando questa storia è iniziata?
- Precisamente.
- Che originali - sbuffò Simon.
- Comunque - proseguì Alec, ignorando il suo commento. - Pare che papà sia miracolosamente libero sta sera e che voglia parlare con me. E con te, Izzy.
Isabelle fece una smorfia: - Ha finalmente deciso di parlarti, dunque. Dopo quanti mesi, scusa?
- Lascia stare, Iz - la liquidò velocemente Alec, mentre si mordeva il labbro inferiore: sembrava in imbarazzo.
- Allora accompagno Clary a casa e poi vi raggiungo - si inserì Jace, salvando, almeno per il momento, il suo parabatai.
- E non accompagni me? Io ho paura del buio!
- Oh, sta zitto Simon! - esclamò Isabelle, avvicinandosi a lui. Simon indietreggiò di un passo spontaneamente, ma tutto quello che Isabelle fece fu lasciargli un bacio sulla guancia.
- Forse così riesco a farti stare zitto. Ciao, Simon.
Senza lasciargli il tempo di replicare, partìvelocemente in direzione dell'Istituto, seguita da Alec, che lo salutò sbrigativamente.
- In effetti con un altro avresti potuto zittirmi veramente - si ritrovò a mormorare Simon, accarezzandosi la guancia con un'espressione che preferì non immaginare.
- Che carini - fu il commento di Jace, che aveva dipinta in viso un'espressione idiota e sdolcinata.
- Risparmiatelo.
- Smettetela - li interruppe Clary. - Allora ci vediamo. Ciao, Simon.
- Aspetta un secondo - le rispose, mentre sentiva il cellulare vibrargli in tasca.
- Pronto? - rispose.
- Sono Raphael, Diurno. Ho bisogno di parlarti.

Note dell'autore
Allora, mi sono resa conto che non riuscirò ad aggiornare troppo spesso causa scuola/compiti delle vacanze che non ho finito/impegni vari. Io faccio del mio meglio.
Che dire di questo capitolo? Si tratta di un capitolo calmo, una piccola pausa per rallentare il ritmo della storia.
Io adoro Maryse e adoro Simon, spero di averli resi entrambi. Il problema peggiore però è Clary: è un personaggio che odio e che trovo stupido e inutile. A quanto pare però è anche la protagonista della saga, dunque devo scrivere anche di lei e sto facendo di tutto per non farla sembrare insopportabile quanto sembra a me (anche se forse forse qualche figuraccia potrei fargliela fare...). Insomma, io spero che i suoi fan non inizino a odiare me e che la trovino ben resa.
Grazie a chi mi recensisce fedelmente e a tutti quelli che leggono questa storia silenziosamente, che magari l'hanno inserita fra le preferite/ricordate/seguite. Spero di sentirvi prima o poi!
Fatemi sapere cosa ne pensate, è parecchio importante per me (anche se suono un po' patetica).

Iwas_

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Capitolo 5
*** Sovrabbondanza di vampiri ***


Sovrabbondanza di vampiri




"Nessun problema, Simon. Vedi solo di non fare troppo rumore quando rientri. Anzi, se vuoi non serve neanche rientrare" era stato quello che gli aveva riferito Jordan una volta avvisato che il suo coinquilino sarebbe rientrato prima del previsto.
- Chissà perché, ho come la sensazione che ci sia un terzo incomodo nel nostro appartamento - borbottò, mentre rimetteva il cellulare in tasca.
Non sapeva cos'altro volesse Raphael da lui e non era affatto entusiasta all'idea di vederlo, ma sapeva anche che meno si faceva odiare dal capo dei vampiri di New York meglio era; nonostante da quel poco che sapesse non era certo che Raphael sarebbe rimasto a capo dei suoi succhiasangue ancora a lungo.
Voleva incontrarlo davanti a un fast food poco distante dal Bear Bar, dunque Simon vi ci stava recandosi a piedi. Sul resto non aveva detto nulla, anzi, era stato piuttosto sbrigativo.
Arrivò al luogo dell'appuntamento in dieci minuti: la stradina secondaria in cui si trovava era deserta, eccezion fatta per tre figure in moto distanti qualche decina di metri da lui. Per un mondano sarebbe stato impossibile riconoscerle, vista la scarsa luce che i lampioni offrivano, ma Simon non ebbe difficoltà ad individuare Raphael, al centro dei tre. Anche lui doveva averlo notato, perché le tre moto partirono verso la sua direzione.
- Diurno - lo salutò sbrigativamente Raphael una volta arrivato, i riccioli che ondeggiavano lievemente a causa di una leggera brezza notturna.
- Raphael. Come mai mi volevi? - chiese Simon, passandosi nervosamente una mano fra i capelli, che gli coprivano la fronte nascondendo l'inesistenza del Marchio di Caino. Nonostante sapesse della presenza di Jace, nascosto da qualche parte, non riusciva a sentirsi totalmente tranquillo. Era stata Clary a fargli presente che incontrarsi da solo con Raphael avrebbe potuto mandarlo nella tomba per una seconda volta, ed era stato Jace ad offrirsi volontario per tenerlo d'occhio, gesto che nel profondo lo aveva sorpreso. Ora, Clary era sul pick-up di Luke e stava tornando a casa, Jace invece lo aveva seguito: l'abilità nel non farsi né vedere né sentire dello Shadowhunter aveva sorpreso lo stesso Simon.
- Ho un accordo da proporti, Diurno.
Il vampiro sorrise, scoprendo i denti bianchissimi. Simon credeva i denti bianchissimi fossero qualcosa che ti veniva automaticamente una volta diventato vampiro, poi si era trasformato e aveva scoperto di dover usare lo spazzolino come tutti gli altri. Prese nota mentalmente di chiedere a Raphael, prima o poi, che marca usasse.
- L'ennesimo accordo che non accetterò?
- Non se è in gioco la tua stessa vita.
- Diventi sempre più abile nelle frasi ad effetto. Dovresti insegnarmi come si fa.
- Sei troppo convinto di essere divertente per i miei gusti, Diurno.
Simon guardò l'uomo che aveva parlato: era alto e di corporatura grossa, la mascella squadrata e il volto brutale, la bocca semiaperta in cui si intravedevano i canini. Le piccole rughe attorno alla bocca lo facevano sembrare come se non avesse mai riso in vita sua, e Simon non sarebbe stato pronto a scommettere il contrario. Quello era un vampiro che proveniva dalle storie che sua mamma ogni tanto le leggeva, non come Raphael con un ridicolo orecchino a forma di croce e con una bandana rossa legata attorno al collo.
- E i tuoi amici chi sarebbero? - chiese, mentre guardava con attenzione per la prima volta il terzo membro della compagnia, una ragazza che all'apparenza non poteva avere più di sedici anni: aveva i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, le labbra color rosso acceso che facevano contrasto contro la pelle pallida del viso a forma di cuore. Il suo volto era inespressivo.
- Helen e Gerald. Sono due dei miei vampiri più fidati e... non credo ci sia bisogno di spiegarti chi dei due è chi, insomma - fece Raphael, mentre scendeva dalla moto.
Simon avrebbe voluto rispondere con sarcasmo, ma lo sguardo di Gerald, ancora fisso su di lui, gli fece cambiare idea.
- Come mai ti sei fatto accompagnare da due tuoi scagnozzi? - chiese invece. - Non mi sembra tu l'abbia mai fatto.
- Andare in giro di notte da soli per New York non è sicuro, Diurno, nemmeno per i vampiri.
Simon inarcò un sopracciglio, mentre iniziava a percepire la gravità della situazione.
- Qual'è il problema, Raphael?
- È Maureen il problema - sbottò Helen, aprendo bocca per la prima volta.
- Dios, mai che tu mi lasci parlare, Helen.
- Scusa capo - rispose lei, nonostante dalla sua espressione fosse chiaro che non lo stesse prendendo sul serio. Raphael la ignorò.
- Quanto sai della situazione fra noi vampiri, Diurno?
- Poco - ammise Simon. - Cioè, Maureen sarebbe di diritto il capo di New York ma a molti di voi non piace, no?
- È così. La ragazzina è troppo giovane, in tutti i sensi, per essere a capo di un clan di vampiri grande come il nostro: non saprebbe gestirci. Inoltre non ci piacciono i suoi modi, sono troppo violenti, anche per un vampiro. Ci sono anche problemi da parte del Conclave ora, a Maureen a quanto pare non importa della legge. Sarebbe da idiotas pensare di andare avanti senza che gli Shadowhunters ci sterminino.
- Inoltre Raphael non molla il posto di capo nemmeno fra mille anni - si inserì Helen, che rimaneva seduta sulla moto, la testa appoggiata sul manubrio e l'espressione annoiata, come se avesse già sentito quella storia miliardi di volte. - Nonostante il capo legittimo sia la piccolina.
- La piccolina porterebbe solo grane - le rispose Gerald.
- Va bene - li interruppe Simon, che si sentiva sempre più a disagio ogni minuto che passava: era stato lui in fondo, seppur involontariamente, a permettere che Maureen venisse trasformata. - Da me cosa volete?
- Mi sembra logico - rispose Raphael. - Le due fazioni di vampiri che parteggiano per me o per lei al momento sono in stallo: siamo divisi esattamente a metà. Ma tu, Simon, tu sei un Diurno con il Marchio di Caino. Al momento non ti sei schierato, ma io ti voglio con noi. Molti passerebbero dalla nostra parte se anche tu mi appoggiassi.
- Ehi, calma, aspetta un secondo. Mi avevi già chiesto una volta di unirmi a te, e ho rifiutato. Perché ora dovrebbe essere diverso? Tu mi uccideresti se ti fosse possibile.
- E allora?
- Come sarebbe a dire "e allora"?
- Facciamo così, Diurno: tu stai dalla mia parte, e io in cambio ti lascerò stare. Non cercherò di ucciderti se ne avrò l'occasione e ti lascerò vivere la tua vita fino a quando non accetterai di essere un vampiro. In cambio devi solo stare dalla mia parte.
Simon ci pensò su per qualche istante, facendo mentalmente il punto della situazione. No, decise infine, prendere le parti di qualcuno era troppo rischioso per la sua vita. Preferiva ridursi ad un osservatore esterno, a cullarsi nell'illusione creata da sé stesso che avrebbe potuto avere una vita da mondano senza essere coinvolto, che anche lui avrebbe seguito Clary e tutti gli altri nella tomba. Quelle questioni non dovevano assolutamente riguardarlo.
- Vedi, Raphael, non è che ci tengo molto all'idea che una volta scoperto che sto dalla tua parte Maureen venga a farmi visita nel cuore della notte per squartarmi vivo - tentò cautamente.
- Maureen potrebbe venire a farti visita nel cuore della notte per squartarti vivo comunque - lo minacciò Gerald. Simon si chiese come mai le minacce da parte sua sembrassero molto peggiori di quelle di Raphael.
- Non credo. Finora mi ha lasciato vivere la mia bella vita da Diurno in pace - tentò.
- Finora avrebbe potuto essere impegnata in altre cose più importanti di te.
Simon serrò le mani a pugno, conficcandosi le unghie nella carne: non poteva dirsi entusiasta all'idea di unirsi a Raphael, ma nemmeno all'idea di avere altri nemici senza aver fatto nulla.
- Non mi fido di voi, e non ho intenzione di farlo nemmeno nei prossimi mesi - disse infine: sapeva che Izzy non avrebbe approvato il contrario.
Raphael lo squadrò, poi chiese: - È un no definitivo il tuo? Sta attento, Diurno. Fossi in te non prenderei certe decisioni tanto alla leggera.
- Io... per ora è così. Al massimo ti richiamo - rispose, facendo l'occhiolino a Raphael. Il suo tentativo di sdrammatizzare, però, non sembrò fare un grande effetto sui vampiri: Raphael aveva uno sguardo che sembrava augurargli una morte lenta fra atroci dolori, Gerald sembrava pronto a dargli una morte fra atroci dolori, Helen si stava limitando ad osservarlo con un mezzo sorriso e uno sguardo non molto interessato.
- Tranquilli, cambierà idea - disse, con l'aria di chi la sapeva lunga.
- Glielo auguro - rispose Raphael. - A presto, spero, Diurno.
Detto questo, le tre moto partirono sgommando, e pochi secondi dopo erano già sparite.
- Rimpatriata fra vampiri?
Simon si volto: Jace era magicamente riapparso dietro di lui.
- Rimpatriata fra vampiri che vogliono farsi fuori a vicenda direi. Io me ne torno a casa.
- Devo farti da baby sitter e accompagnarti fino là o posso andarmene per i fatti miei?
- Penso che nessun bambino al mondo vorrebbe te come baby sitter, Jace.
- Capito, ti accompagno a casa. Devo assicurarmi che non mangi la cioccolata prima di andare a dormire: ti rovina il sonno e poi ti vengono le carie.
 
- Alexander Gideon Lightwood, o apri questa porta o giuro che la faccio esplodere!
Alec sospirò, continuando tuttavia a ignorare le minacce di sua madre. Da quanto tempo bussava alla porta di camera sua? Non avrebbe saputo dirlo. In realtà non avrebbe nemmeno saputo dire cosa voleva, anche se forse l'aveva detto. In ogni caso, non gli importava: per quella giornata aveva fatto la sua parte partecipando all'ennesima, inutile riunione su come muoversi vista la minaccia di Sebastian e l'omicidio della mondana. Aveva perfino prestato attenzione; questo in fondo gli dava tutto il diritto di essere lasciato in pace. Distrattamente, si chiese perché sua madre non usasse una Runa di apertura. Forse perché aveva troppo orgoglio per entrare in camera di suo figlio con un trucco del genere; più probabilmente sarebbe rimasta lì, a bussare, finché Alec non le avrebbe aperto. Solo che Alec non trovava alcun motivo buono per farlo.
- Faccio mangiare a Church il tuo pollo al curry, Alexander!
Ah, allora era quello che Maryse Lightwood voleva: portargli la cena. E sua madre sapeva che il pollo al curry era uno dei suoi piatti preferiti. Se pensava di riuscire a sollevargli il morale si sbagliava di grosso.
Continuava a bussare alla porta con insistenza, testardamente, rinunciando all'idea che Alec non volesse vedere nessuno.
"Prima le apro, prima se ne andrà."
Quel pensiero gli attraversò la testa per un solo istante, e si chiese come mai non ci avesse pensato prima. A quanto pareva, alle cose ovvie ci pensava sempre troppo tardi. Non si sarebbe ritrovato chiuso in camera sua a disperarsi da una giornata intera se fosse stato altrimenti.
Lentamente, si alzò, girò la chiave nella serratura e aprì la porta, quel tanto che bastava per vedere sua madre con in mano un piatto piuttosto consistente di pollo.
Maryse lo squadrò per un istante, all'apparenza sorpresa. Alec capì che non si aspettava veramente che le avrebbe aperto, ma riprese subito il suo solito contegno.
- Potevi almeno venire a cena.
- Avevo voglia di stare un po' da solo.
- Hai sempre voglia di stare da solo. Non è possibile che questa storia di...
- Se vuoi dirmi che ovviamente capisci il fascino che il proibito ha sui giovani, che capisci che l'idea di provare a stare con un Nascosto del mio stesso sesso mi attirasse, ma che sai anche che era solo una sbandata adolescenziale e che presto tornerò normale, che non è il caso di farne un tragedia... - Alec esitò un istante. Avrebbe voluto un finale ad effetto per quel discorso, ma dovette ricordarsi per l'ennesima volta che lui non era Jace e che i finali ad effetto non li sapeva fare - Be', se vuoi dirmi questo, l'ha già fatto papà - fu la sua semplice conclusione.
Alec la guardò negli occhi, e fu sorpreso quando vide dentro di essi un barlume di dolcezza che in sua madre raramente compariva.
- Come se potessi giudicarti in questa maniera, Alexander. Robert non riesce a credere che il tuo non sia stato solo uno stupido errore dettato dall'incoscienza giovanile, vorrebbe con tutto il cuore che tu continuassi la dinastia dei Lightwood. Ma io...
- L'amore non è mai un errore - mormorò Alec, chiedendosi un istante dopo chi gliel'avesse fatta dire una frase di quel tipo. Stava diventando penoso.
- Forse l'errore sta nel rifiutare l'aiuto degli altri come stai facendo tu. Robert vuole solo...
- Papà vuole solo un figlio che non avrà mai. Non gli importa veramente di me, lui quello che vuole è soltanto l'immagine del figlio perfetto. Gli ho parlato ieri sera mamma, dimentichi? Anzi, sia io che Isabelle gli abbiamo parlato, e non mi pare che sia riuscito a combinare qualcosa di buono, per nessuno dei due.
- Alexander, io...
- Voglio solo stare da solo, ma'.
Maryse sembrò non aver niente da replicare, dunque si limitò a consegnare ad Alec la sua cena, che il ragazzo prese e andò ad appoggiare su un piccolo tavolino che si trovava nella sua stanza da quando aveva memoria. Solo dopo qualche istante si accorse che sua madre era ancora sulla soglia di camera sua, immobile. Si girò e si diresse da lei.
- Mamma, perché...
Non finì mai la frase: sua madre gli buttò le braccia al collo, stringendolo forte.
- È dura per tutti noi - gli sussurrò. - E io non so essere una madre brava come vorrei con te, Jace e Isabelle. Ce la metto tutta, però.
- Mamma... andrà tutto bene.
Alec non riusciva a capire come mai fosse improvvisamente arrivato il suo turno di rassicurare qualcuno, come mai i ruoli si fossero invertiti. Eppure non poteva crollare solo perché suo padre non lo capiva: non l'aveva mai capito, sarebbe stato sciocco aspettarsi altrimenti.
- Lo spero tanto, Alexander. Lo spero tanto.
 
Tic. Toc. Tic. Toc.
Ogni tanto il suo mondo si fermava, mentre tutti i suoi pensieri erano rivolti verso quel suono sicuro e costante. Dimenticava tutto, mentre chiudeva gli occhi e tutto quello che riempiva la sua mente era quel suono.
Tic. Toc.
Magnus aveva sempre considerato il suono dell'orologio l'unica costante nella sua vita.
Quando vivevi in eterno, cosa poteva rimanere senza al tuo fianco senza cambiare mai? Potevi rispondere "l'amore", ma aveva perso il conto degli amanti per cui aveva pianto la morte. Potevi rispondere "gli amici", eppure era stato proprio lui a trovare il corpo di Ragnor privo di vita. Potevi rispondere "la tua casa", ma aveva cambiato abitazione talmente tante volte che oramai non sapeva più se c'era un posto che poteva effettivamente chiamare casa. Potevi rispondere "il tuo aspetto", ma cento anni fa non si metteva l'eyeliner. Potevi rispondere "il tuo carattere", ma si sorprendeva in continuazione di quanto cambiasse pian piano di giorno in giorno. Potevi rispondere anche "le montagne e i mari", al limite dell'esasperazione, ma anche quella era una bugia.
Era quello che non cambiava mai: Tic. Toc.
La sola certezza alla quale poteva affidarsi: la consapevolezza che, in qualunque epoca si trovasse, il tempo continuava a scorrere, indifferente di fronte ai suoi pensieri, ai suoi problemi e alla sua vita; era sempre lì: Tic. Toc. E sarebbe rimasto con lui fino alla fine.
Lo faceva sempre, quando era pieno di dubbi e domande senza risposta, lasciava che la sicurezza di quel tic toc gli invadesse la mente e scacciasse tutto il resto.
Tic. Toc. Tic. Driiiin.
Magnus sobbalzò, mentre lanciava una fugace occhiata all'orologio: era l'una di notte.
- Vampiri - si disse, alzando gli occhi al cielo. Sperò solo che non fosse un lavoro troppo noioso quello che dovevano chiedergli. Oppure, si disse mentre chi aveva suonato non rispondeva alla richiesta di dire il proprio nome, poteva essere di nuovo Jace Herondale, testardo come pochi. Sentì un piccolo peso al cuore mentre si avviava ad aprire la porta: non era pronto per parlare di nuovo con lui. Si chiese, ripensando alle sue ultime parole, se lo sarebbe mai stato.
Alexander era un capitolo della sua vita che se avesse potuto avrebbe cancellato, dimenticato totalmente. Se avesse potuto, Magnus non l'avrebbe mai voluto incontrare: le lacrime sbavavano troppo l'eyeliner che ogni tanto metteva ancora.
- Chi è? - chiese con voce strascicata mentre si avvicinava alla porta.
- Magnus, ti prego, apri!
Si bloccò all'istante, un secondo prima che le sue dita si chiudessero attorno alla maniglia. No, doveva aver sentito male. Non poteva essere la sua voce. Non era possibile.
Aprì la porta, e si sentì svenire.
- Oddio - mormorò.
- Magnus, fammi entrare, ti prego.
Davanti a lui, con i capelli unti, i vestiti strappati e sangue rappreso sul volto c'era Camille.

Note dell'autore
Salve! Allora, sto scrivendo con tempi talmente lenti che mi faccio schifo da sola, ma sono talmente impegnata che ho avuto ora il tempo di rileggere un capitolo scritto tipo un mese fa e di pubblicarlo.
Non ne sono molto entusiasta, avrei voluto sviluppare meglio la parte di Simon, ma come ho già detto sono distrutta e questo è il meglio che mi riesce.
Comunque è super bello vedere che la gente che segue questa storia o la mette fra preferite/ricordate aumenta ad ogni capitolo, grazie! Mi farebbe piacere ricevere una recensione, anche piccola, giusto per sapere se la storia vi piace o no.
Lo ammetto sono talmente distrutta che ho bisogno di essere motivata.
Alla prossima!

Iwas_

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Capitolo 6
*** Un passo avanti ***


Un passo avanti




Imprecò, mentre perdeva l'equilibrio e finiva distesa supina sul materasso.
- Non va bene. No, devo concentrarmi sull'allenamento. Non su papà.
Continuava a ripetere quelle tre frasi mentre provava capriole, salti ed esercizi che rendeva man mano più complessi nella palestra dell'Istituto. Non che avesse ottenuto i risultati sperati.
Isabelle era furiosa con suo padre per la predica fatta a lei e ad Alec: non riusciva a capire se ci provasse una sorta di sadico gusto a trattarli così. Come poteva sperare di migliorare il rapporto fra di loro se aveva fatto inizialmente al fratello una predica su quanto fosse sbagliato il suo amore per un Nascosto gay e a lei una predica su come non tenesse a bada Alec e su come fosse stufo di sapere che faceva scappatelle con i Nascosti?
"Allora non sei totalmente scemo" era stata la sua risposta, "mi sembrava quasi impossibile che non te ne fossi accorto".
Non credeva che suo padre sapesse delle sue uscite con Simon, ma era sicura che se avesse saputo che si era trovata un ragazzo con cui sperava di riuscire ad avere un rapporto serio non avrebbe approvato comunque. Ma qual'era effettivamente il suo rapporto con Simon? Era la millesima volta che se lo chiedeva e che non riusciva comunque a darsi una risposta.
Frustrata, tirò un calcio ad un manichino che Alec usava per esercitarsi con l'arco quando ancora non era così dannatamente bravo. Una volta con aria snob le aveva detto che i bersagli fissi erano da principianti.
- Izzy? Tutto bene?
Isabelle si voltò, riconoscendo immediatamente la voce: le bastò un'occhiata ai capelli rossi per vedere che non si era sbagliata.
- Buongiorno, Clary. Come mai così mattiniera?
Clary fece un'alzata di spalle: - Avevo voglia di esercitarmi un po' in palestra prima di iniziare le vere lezioni, volevo riscaldarmi da sola. Più mi alleno, meglio sarà in fondo. Devo diventare una Shadowhunter vera e propria in fretta, no?
Isabelle le sorrise, nonostante sapesse che Clary avrebbe dovuto impiegare anni per raggiungere i livelli suoi e dei suoi fratelli. Non che la ragazza avesse un bisogno immediato di rendersene conto, ovviamente.
- Comunque... a quanto vedo è già occupata.
- E allora? Ti imbarazza fare esercizi davanti a me?
Clary arrossì violentemente, mentre iniziò a mormorare: - Vedi... sono talmente goffa che tu non hai idea... mentre tu...
- Io sono appena inciampata facendo una capriola a mezz'aria. Fai tu - le rispose, mentre prendeva un coltello d'esercitazione e lo lanciava su un bersaglio. Mancò di poco il centro.
- Tu invece... come mai sei qui a quest'ora?
Isabelle fece una smorfia: - Sia io che Alec non sopportiamo nemmeno la vista di nostro padre dopo quello che è successo ieri. Lui in noi non vede due esseri umani, lui vede solo l'idea di figlio perfetto che ha lui e vede quanto la roviniamo.
Clary sembrò basita. - Io... cos'è successo ieri?
- Lascia stare, Clary. Vai ad allenarti piuttosto - le rispose, mentre tirava un ultimo coltello, si voltava ed usciva dalla palestra senza aggiungere altro, lasciando alla ragazzina con le lentiggini un'espressione interrogativa dipinta sul volto.
 
Quando ti nasce un figlio non sai mai chi ti metti in casa.
Non ricordava dove l'aveva letto, ma quelle parole gli erano rimaste come stampate nella testa. Erano quelle parole che gli passavano davanti agli occhi ogni volta che vedeva Alec o Isabelle girare per l'Istituto. Dov'è che aveva sbagliato con loro?
Robert Lightwood aveva rinunciato a tutto per i suoi figli: aveva rinunciato alla possibilità di passare anni felicemente ad Alicante, aveva rinunciato ad una donna che desiderava e aveva rinunciato alla sua libertà, venuta sempre prima di tutto.
Ora ogni volta che si guardava attorno si chiedeva perché la vita fosse stata tanto ingrata con lui: ogni notte dormiva accanto ad una donna per la quale provava niente di più che rispetto, il suo primogenito non avrebbe mai portato avanti la sua dinastia, destinata ad estinguersi con lui, Isabelle preferiva comportarsi come una sciocca ragazzina irresponsabile, piuttosto che quello che ci si aspettava da una Shadowhunter quasi maggiorenne, e Max era morto. Rimaneva sempre Jace Herondale, ma non l'aveva mai sentito veramente parte di sé. Non c'era alcun riflesso di Robert Lightwood nei capelli biondi e negli occhi dorati del ragazzo. Inoltre le cose erano peggiorate da quando aveva scoperto che non era veramente il figlio di Michael, che del suo vecchio parabatai non era rimasto nulla.
Stava cercando di rimediare, stava cercando di far capire loro semplicemente quello che sarebbe stato meglio per la loro felicità, quella che a lui i propri doveri avevano negato.
Era da ingrati osare uscire da una stanza sbattendogli la porta in faccia dopo il discorso che aveva tentato di iniziare per loro.
- Robert? Ci sei?
- Scusa, mi sono distratto un momento - rispose a Ryan Whitemind, il Cacciatore che si trovava con lui nella vecchia chiesa abbandonata del Queens, sorvegliata costantemente, dove custodivano il cadavere della mondana uccisa... Robert non ricordava nemmeno come si chiamava.
Cercava di fissarlo il meno possibile, dopo l'ultimo esame che aveva effettuato su quel cadavere con l'aiuto di uno stregone la notte non aveva dormito: la faccia era deformata a causa di un taglio che partiva dall'orecchia destra fino all'occhio, di cui oramai non rimaneva quasi nulla; era stata strappata tutta la carne del ginocchio sinistro, tanto che era possibile vedere la rotula; ma la cosa più spaventosa era il torace. Il petto della ragazza era stato squarciato da un taglio verticale che lo divideva in due parti simmetriche, le viscere oramai erano solo una poltiglia indefinita e le costole, ben visibili, erano incrinate o in alcuni casi spezzate. Il cadavere non presentava segni di decomposizione, grazie a qualche Runa posta attorno ad esso.
C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella scena: una sensazione di profondo disagio riempiva Robert ogni volta che la fissava, nonostante avesse visto fin troppi cadaveri e ferite raccapriccianti, assieme alla certezza che tutto quello era assolutamente innaturale, una consapevolezza che lo riempiva di una paura che razionalmente parlando era quasi immotivata.
- Allora, hai trovato qualcosa di utile? - chiese allo stregone che avevano chiamato: il Concilio sperava di ottenere qualcosa di più da un secondo esame che desse delucidazioni in merito alla modalità dell'assassinio o all'assassino stesso. Durante la prima analisi erano soltanto riusciti a stabilire che sulla ragazza era stata effettuata della magia nera, a quanto pareva prima della morte, ma non era ben chiaro il perché quel cadavere fosse stato abbandonato con tanta noncuranza in un luogo in cui era abbastanza facile ritrovarlo. Oppure l'abbandono di quel cadavere in un luogo dove gli Shadowhunters potessero ritrovarlo era stato voluto, una parte di un quadro a loro sconosciuto. Era inutile però abbandonarsi in congetture senza elementi concreti da valutare.
- Io... potrebbe essere - disse il Nascosto, che tranne una coda di rettile che agitava in continuazione e una lingua biforcuta non aveva nulla di troppo anormale.
- Sei riuscito ad individuare che tipo di magia è stata usata? - chiese Ryan.
Non avevano idea infatti di cosa fosse stato effettivamente fatto alla ragazza, il primo stregone aveva detto che non era abbastanza esperto per cose di quel tipo. Aveva suggerito di chiedere a qualcuno di più costoso.
Il Nascosto scosse la testa, infrangendo le speranze dei due Shadowhunters: - Purtroppo non è di mia competenza: si tratta di magia proibita...
- Ma dai - commentò Ryan.
- ... e comunque credo sia qualcosa di molto difficile da eseguire. Penso che l'unica persona a New York che potrebbe dirvi qualcosa in più sia Magn...
- Pazienza, allora che altro hai trovato? - lo interruppe nuovamente Robert.
Lo stregone lo fissò per un istante con profondo disappunto, tirando fuori la lingua innaturalmente lunga, evidentemente infastidito dall'essere stato interrotto per due volte di fila. Pazienza, Robert era più infastidito di lui.
- Ho trovato qualcosa che potrebbe appartenere all'aggressore - disse comunque.
I volti dei due uomini parvero illuminarsi e accendersi di un interesse improvviso: quella era una svolta in cui non avevano osato sperare.
- Si tratta di una sottigliezza, ma con i miei poteri e un aumento della paga potremmo ricavarne qualcosa in più - continuò. - È un normalissimo capello, un classico insomma. Però sono sicuro che non appartenga alla ragazza e sono altrettanto sicuro che potrei trovare la persona a cui appartiene.
Detto questo, mostrò loro il capello in questione: un capello scuro e corto, non appartenente di certo a una ragazza bionda.
- Potrebbe essere un buco nell'acqua. Potrebbe non appartenere a quello che l'ha uccisa, ma a un suo amico o un suo famigliare.
- Beh, che ne dici, Cacciatore - gli occhi dello stregone fissarono i suoi - vale la pena provare o no?
 
- Sinceramente, penso tu dovresti provare con qualcos'altro - ammise Jace, passandosi una mano fra i capelli.
- Andiamo, posso farcela, ho solo bisogno di un po' di pratica - rispose Clary, il volto corrugato per la concentrazione con una goccia di sudore che le scendeva lungo la guancia. Avevano passato una serata piuttosto piacevole: si erano riusciti a concedere una cena al cinese dopo gli studi di Clary, ma lei aveva insistito per tornare subito all'Istituto per l'allenamento serale. Doveva ammettere che ammirava la sua determinazione e la sua serietà, ma odiava anche il fatto che quelli che stava facendo erano preparativi ad una battaglia troppo dura per lei.
- Clarissa, rassegnati, non sei portata per il tiro con l'arco.
- Non credo che Alec all'inizio fosse esattamente un fenomeno.
- Però a lui non sfuggivano le frecce di mano quando doveva incoccarle.
Clary lo ignorò: voleva saper usare tutte le armi, ed erano due settimane che cercava di imparare il tiro con l'arco. Non con grandi risultati: non era abbastanza paziente per quel tipo di arma, inoltre si distraeva molto facilmente.
- Clary, non sei riuscita a sfiorare il bersaglio nemmeno una volta - provò di nuovo.
- Quando ero bambina volevo provare a tutti i costi a usare l'arco, ma mia mamma non mi ha mai lasciato. Ora che ne ho l'opportunità devo farlo, Alec ha una certa grazia quando tira con l'arco che...
- Alec è una persona calma e controllata, a differenza tua, per quanto ultimamene salti su come un porcospino per ogni cosa.
- Lo stai criticando solo perché avete litigato e perché era lui ad avere ragione.
- Lo considero improbabile.
Non gli andava tanto di ricordare che il suo migliore amico gli rivolgeva a malapena la parola senza una giustificazione plausibile.
- Comunque - continuò - se stai cercando in Alec un modello da seguire sei fregata. Diventeresti una emo che non si rende conto di quanto sia fortunata ad avere al suo fianco un ragazzo perfetto come me. Questi Lightwood... fai anche l'impossibile per loro e poi ti danno dell'idiota e del falso amico, solo che te lo dicono con un linguaggio lievemente più volgare.
- Peccato che io mi renda conto di quanto sia fortunata ad avere al mio fianco un ragazzo come te... però toglierei il "perfetto".
Jace sorrise, avvicinandosi alla sua ragazza da dietro ed abbracciandola.
- Evidentemente non hai ancora scoperto tutte le mie qualità se non mi ritieni perfetto - le sussurrò, dandole un bacio sulla guancia.
Clary stava per replicare, ma si bloccò quando entrambi sentirono il rumore di una porta che sbatteva. Veloce come un fulmine, Jace liberò Clary dal suo abbracciò e si girò, trovandosi di fronte ad Izzy.
- Possibile che ci interrompi sempre nei momenti meno opportuni? - chiese, lievemente esasperato.
- Possibile che vi trovi sempre a pomiciare nei luoghi meno opportuni? - rispose lei, giocando con un coltello che aveva estratto dalla cintura. Solo allora Jace si accorse che era in tenuta da caccia.
- Dove stai...
- Andando? - terminò lei. - Nello stesso luogo dove verrai tu, fratellino. Andiamo a stanare un vampiro.


Note dell'autrice
Un piccolo capitolo che è una sorta di "calma prima della tempesta", difatti nel prossimo capitolo la storia prenderà una piccola svolta ed entreremo nel vivo dell'azione! 
Chiedo scusa a quelli che volevano sapere che cacchio ci facesse una vampira teoricamente morta alla porta di Magnus, ma perché dirvelo subito? 
Comunque, grazie per aver letto fin qui! Spero di pubblicare il prossimo capitolo questa settimana :)
Grazie anche a chi mi recensisce e a chi legge silenziosamente (ma che spero prima o poi si farà sentire).
Alla prossima 

Iwas_

 

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