L'amore è una cosa semplice

di giostyles98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** INTERSECT ***
Capitolo 2: *** Josh ***
Capitolo 3: *** Flash ***
Capitolo 4: *** Casa Bianca..?! ***
Capitolo 5: *** Sei mesi di tortura! ***
Capitolo 6: *** Forte come una tigre. ***



Capitolo 1
*** INTERSECT ***


Avete mai sentito parlare dell’Intersect? Quella cosa che appena la guardi entra nella tua testa in una frazione di secondo? L’Intersect è un qualcosa appartenente al governo Americano. E’ una sequenza molto veloce di immagini e se ti metti a guardarla ti entra nella testa e fa di te un’arma micidiale. Mi chiamo Josephine Cooper, sono italiana ma ho origini americane e inglesi; mi sono trasferita in Inghilterra all’età di cinque anni per motivi di lavoro di mio padre. Avevo quindici anni quando quella cosa entrò a far parte della mia vita. Ora inizia veramente la storia. Tutto iniziò un giorno dell’Aprile del 2012. Il professore di informatica ci aveva dato da fare una ricerca sulla CIA, l’FBI e la NSA. Dovevamo portare solo la parte storica e le imprese che avevano compiuto "Per la settimana prossima voglio tutto sulla cattedra e chi non avrà la ricerca si troverà un bel due sul registro" disse lui con aria arrogante. A che serviva poi sapere della CIA o delle sue amiche FBI e NSA, poi? Non lo capivo. Pur di farci lavorare si inventava qualche sciocchezza. Tornai a casa il pomeriggio e mi misi subito al lavoro. Non ne avevo proprio voglia, ma così, una volta fatto, non dovevo più preoccuparmi di quella stupida ricerca. "Tesoro.." disse mia madre "..Io devo andare via. Starò fuori per qualche ora; non fare sciocchezze" "Non mi sono mai messa nei guai mamma, non penso sia il momento di iniziare" dissi mentre cercavo delle informazioni su internet. Mia madre mi guardò stupefatta per il mio comportamento arrogante ma non mi interessava. Non sono una ragazza maleducata, anzi, tutto il contrario, ma quando faccio un lavoro non mi piace che una persona venga ad interrompermi. Mia madre rimase dietro le mie spalle aspettando una mia risposta, ma dopo se ne andò delusa chiudendo la porta della mia camera. Una volta uscita di casa mi sentii sollevata. Quando sono a casa da sola mi sento libera. Nessuno che mi dice cosa fare e cosa dire, sono semplicemente io. Ad un tratto mi bloccai e mi misi ad ascoltare mia madre che apriva la portiera della macchina; poi entrò, la chiuse ed accese il motore per poi partire. Subito dopo mi precipitai allo stereo, inserì un cd e alzai il volume al massimo. Ballavo e cantavo; ballavo e sognavo ad occhi aperti. Quella canzone, quella strofa “Baby you light up my world like nobody else! The way that you flip your hair gets me overwhelmed. But when you smile at the ground it aint hard to tell. You don't know oh oh! You don't know you're beautiful” mi faceva sorridere anche quando ero triste, mi faceva sognare cose immaginabili. I One Direction non li avevo mai visti. Pur abitando a Londra loro non riuscivo mai a vederli. Loro erano la mia vita. La loro musica mi faceva diventare matta. Sognavo di poterli un giorno abbracciare, di dire loro quanto erano importanti per me, ma fino a quel momento non era mai accaduto. Quella stessa sera mi buttai sul letto a pensare quando ad un tratto mi suonò il cellulare. Guardai chi fosse e notai che era la mia migliore amica, Perla. Risposi "Ciao Perla!" "Jo ciao! come stai?" "Bene! Tu invece?" "Ah, io sto benissimo. Non sai cosa mi è successo oggi!" "Dai, dai, racconta" "Oggi.. Oggi ero seduta sul muretto che c’è in corridoio, quello vicino al bar e ad un tratto mi è passato davanti Alex! Mamma se è bello quel ragazzo!" "Ah, ah" "Che c’è?! Non sei felice?" "Perla! Ti è solo passato davanti!" "Mamma mia! Che nervose che siamo oggi" "Scusami.. E’ che c’è questa ricerca da fare e non so da dove partire. Sono argomenti troppo grandi" "Ma è per la settimana prossima. Tu ora rilassati e non pensare a quella ricerca" "Va bene. Comunque ora devo andare, vado a preparare qualcosa da mangiare per questa sera" "Tua mamma fa ancora i turni vero?" "Già. E’ appena andata in commissariato" "Va bene dai. Ti lascio ai tuoi lavori di casalinga. Ciao ti voglio bene" "Anche io. Ciao bella!" riattaccai il telefono e tirai un sospiro di sollievo rilassandomi per un attimo. Poi contai fino a tre e con un salto scesi dal letto e andai giù per preparare la cena. Lentamente mi avviai verso la cucina. Non avevo per niente voglia di preparare la cena ma infondo lo facevo per mia madre. Lei fa il commissario di polizia e da un po’ di giorni faceva dei turni per il fatto che dovevano scegliere chi accettare come commissario tra mia madre e un altro tipo. Una volta giunta in cucina presi una pentola di media dimensione e la riempii di acqua per poi metterla sul fuoco. Mi girava la testa, non sapevo cosa fare. Meno male che era sabato e che il giorno dopo non ci sarebbe stata scuola. Ad un tratto però, mentre ero seduta su una sedia vicina al tavolo a leggere una rivista suonò il campanello. Mi alzai e andai da aprire, ma non vidi nessuno. Poi guardai per terra e vidi un pacchetto che era appoggiato sul tappeto. Lo presi in mano e lo guardai più volte per provare a capire cos’era ma niente da fare. Osservai ancora se c’era qualcuno nelle vicinanze, magari la persona che aveva messo lì quel pacchetto era ancora vicino a casa mia, ma poi decisi di entrare. Appoggiai il pacchetto sul marmo del davanzale della finestra e continuai a cucinare. Finito tutto mi ricordai del pacchetto. Lo presi in mano guardandolo attentamente. Veniva da Washington.. "Ma.. Non è possibile. Un pacchetto che viene da Washington che capita proprio a casa mia? Sicuramente si saranno sbagliati" aspettai un attimo ma poi "Beh, tanto vale guardare cosa contiene" lo scartai e notai che era un dvd. Sulla custodia c’era un’etichetta con scritto “Per Josephine Cooper”. Misi il dvd nel lettore dvd e mi misi in mezzo alla sala davanti alla tv con le braccia conserte aspettando di vedere cosa conteneva. Ad un tratto un conto alla rovescia comparve sullo schermo. 3.. 2.. 1.. Un numero infinito di immagini cominciarono a comparire sullo schermo del televisore ad una velocità impressionante e i miei occhi rimanevano fissi a guardarle senza muoversi di un millimetro. Qualcosa entrò nella mia testa e ad un tratto, quando tutto finì, caddi a terra perdendo conoscenza.

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Capitolo 2
*** Josh ***


Mi svegliai dopo un po’ di minuti, o almeno credevo che erano un po’ di minuti. Guardai l’ora della televisione ed erano le 11.30 della sera. Appena mi alzai cominciai ad avere dei capogiri ed una forte emicrania. “Ma che diavolo è successo?” chiesi a me stessa con voce tremolante. Mia madre non era ancora tornata. Vidi che il lettore dvd era aperto e mi ricordai di quel pacchetto. Presi il dvd e lo rimisi nella custodia. Volevo solo andarmene a letto e farmi una dormita. Mi diressi verso le scale e quando stavo per arrivare all’ultimo gradinò squillò il telefono di casa “No! Non adesso!” scesi piano piano e risposi “Pronto, chi parla?” ma nessuno rispose “Ehi, mi sentite? Chi parla?” ma ancora niente, così riattaccai scocciata “Stupidi scherzi telefonici. Se becco chi li fa lo mando in galera”. Ritornai in camera a dormire. Il mattino seguente non pensai più a quello che era successo la sera prima. Ero in classe, come tutti i giorni e stavo facendo storia. Ad un tratto però iniziò a venirmi un forte mal di testa e sentivo dei fischi che mi davano fastidio alle orecchie. “Prof!” chiesi ormai esausta di quel frastuono “Dimmi pure Josephine” “Potrei andare un attimo al bagno per favore?” “Certo vai, ma non metterci tanto”. Mi alzai e uscii di corsa dall’aula per andare in bagno. Una volta giunta appoggiai le mani sul marmo freddo e bagnato e mi guardai allo specchio. Non era cambiato nulla, ero sempre la stessa. Mi controllai gli occhi, ma erano normali. Mi diedi una rinfrescata alla faccia e poi mi diressi verso la porta per uscire, ma ad un tratto tutte le luci cominciarono a lampeggiare, come se fossero state immediatamente tutte bruciate. Un dolore allucinante mi colpì nella testa e cominciai a vedere tutto sfuocato, finché non caddi a terra svenendo. Mi risvegliai dopo pochi minuti e tutto era tornato normale. Ancora un po’ indolenzita uscii dal bagno e corsi in classe vedendo che erano tutti ai loro posti. “Josephine, ma dov’eri finita?” “Mi scusi professoressa, ma c’era tanta gente e..” “Dai, vai a sederti che continuiamo” andai a sedermi al mio posto. Dopo pochissimo però, presa dalla curiosità domandai a Clark, il mio vicino di banco, se anche lì era successa la stessa cosa con le luci “No.. Non è successo niente qui. Sei sicura di stare bene? Sei un po’ pallida..” “Si.. Si sto benissimo” invece non era affatto vero. Non stavo bene. Ero un po’ spaventata e confusa. Finito l’orario scolastico tornai a casa e vidi mia madre che stava leggendo il quotidiano seduta sul divano. “Caio tesoro!” mi disse senza togliere lo sguardo dal giornale “Ciao mamma..” “Com’è andata oggi a scuola?” “Ehm.. Come al solito. Non è successo nulla di particolarmente elettrizzante” “Va bene..” disse alzandosi e andando a prendersi il cappotto “Vado al lavoro, ci vediamo sta sera. Lì hai tutto pronto” “Va bene, grazie. Ciao!” uscì di casa di corsa per poi andare al lavoro. Io rimasi ferma in mezzo alla sala senza sapere che fare. Non avevo più fame.. Mi sedei sul divano a guardare un po’ la tv. Ad un tratto però, si spense. “Ma che diavolo..” dissi alzandomi dal divano scocciata “Ma che succede oggi?! Sembra che in ogni luogo in cui vada la corrente sparisca!” ero arrabbiata. Non capivo cosa stesse succedendo. Ad un tratto sentii un rumore provenire dal piano superiore. Mantenni la calma e andai a prendere un coltello dalla cucina, per poi salire lentamente su per le scale. Mi appoggiai con la schiena al muro per non farmi vedere, dato che qualcuno era andato in camera mia a rovistare tra le mie cose. Avevo paura e respiravo affannosamente. Provai a guardare chi fosse ma non riuscivo a vedergli metà del busto. Provai a guardare meglio ma scivolai e caddi per terra entrando con metà del mio corpo in camera mia. Vidi un uomo alto, tutto vestito di nero con un passamontagna sulla testa che stava frugando tra i miei cassetti. Appena mi vide si blocco per qualche secondo per poi correre verso la finestra per scappare, ma io, ancora stesa a terra, mi allungai e lo presi per le gambe facendolo cadere “Che cosa vuoi da me?!” dissi bloccandolo in modo da non potermi fare del male “Rispondi!” “Ok! Ok! Ti dirò tutto ma lasciami andare” lo tirai su tenendolo per un braccio con la mano sinistra, mentre con la destra gli puntavo il coltello. Lo feci sedere sulla mia sedia e gli legai i polsi ai braccioli con dei fazzoletti di stoffa. “Vediamo ora chi si nasconde dietro questo passamontagna..” glielo tolsi e vidi un ragazzo. Avrà avuto si e no diciassette anni. Capelli biondi, occhi azzurri, muscoloso.. “Chi sei?” chiesi guardandolo dall’alto verso il basso “Mi chiamo Josh..” “Cognome prego” “Sullivan.. Josh Sullivan” rimasi zitta e iniziai a girare intorno alla sedia per osservarlo meglio. Gli trovai una pistola sul fianco sinistro, la presi e poi mi rimisi davanti a lui e mentre osservavo la pistola gli dissi “Josh Sullivan eh.. Mio caro Josh. Puoi dirmi che ci fai in casa mia e perlopiù a frugare tra le mie cose?” “Stavo cercando una cosa” “Cosa?” chiesi guardandolo fisso negli occhi. Lui si congelò “Vuoi dirmi cosa cercavi si o no?! Parla” “Cercavo un dvd” “Un dvd?” ma di cosa stava parlando? “Si, un dvd” “Descrivimelo” “Ti è stato spedito per posta, ma è stato tutto uno sbaglio” “Ah! Adesso ricordo.. Questo dvd!” dissi prendendo l’oggetto da sotto il cuscino del mio letto “E perché sarebbe stato uno sbaglio? Se non vado errata sul pacchetto c’era scritto il mio nome e la mia via” “Lo so ma..” “Niente ma. E’ stato spedito a me e quindi è mio” “Dimmi solo una cosa.. L’hai guardato?” “Ehm.. Credo di si” lui rimase a bocca aperta, come se fosse paralizzato “Non dovevo guardarlo?” “Esatto” mi avvicinai a lui e mi appoggiai ai braccioli con le mani, guardandolo fisso negli occhi “Senti.. Come fai a sapere tutte queste cose? Perché hai una pistola con te e soprattutto.. Da dove vieni” “Sono americano” “Ok, adesso rispondi alle altre due domande” “Io.. Io sono..” “Tu sei cosa?” lui chiuse gli occhi e sospirò “Sono un agente segreto della CIA” “Scusami? Un agente segreto della CIA?!” rimanemmo a guardarci per un secondo e poi scoppiai a ridere “Tu non puoi far parte della CIA! E’ impossibile. Sei troppo giovane! Quanti anni hai?” “Diciotto anni” “Ah, tre in più di me” rimanemmo in silenzio e poi mi sedei sul letto affianco a lui “Ascoltami.. Se veramente fai parte della CIA, puoi spiegarmi il motivo per cui vuoi quel benedetto dvd?” “Non posso dirtelo” “Non puoi dirmelo? Bene allora, ti terrò sotto sequestro” lui si mise a ridere “Non puoi farlo! Dai insomma.. Io sono un agente segreto, possono localizzarmi!” “Sai, non sono nata sta mattina. Sei mai andato al cinema?” “Ehm.. Si. Perché?” andai dietro di lui, gli guardai dentro il colletto della maglia e vidi, come avevo immaginato, un piccolissimo localizzatore. Glielo staccai “Ehi ma che fai?” mi chiese lui. Non gli diedi risposta e gli fregai anche il cellulare, che era nella tasca destra dei pantaloni “Ridammi subito quel cellulare!” “Neanche morta. Adesso non potranno più rintracciarti. Ho imparato guardando i film d’azione” gli feci un sorriso e lui ricambiò “Bene, ora mi hai in ostaggio. Cos’hai in mente di fare? Dove mi nasconderai?” “Non ti nasconderò. Vieni con me” lo slegai e lo portai in camera di mia mamma. Io ho un fratello di venticinque anni che lavora in Messico. Alcuni suoi vestiti erano ancora in casa. Aprii l’armadio e ne tirai fuori qualcuno “Tieni. Mettili” “Perché?” “Tu mettili e basta” lui fissò i vestiti in silenzio e poi mi guardò “Vuoi rimanere qui a guardarmi?” arrossii “Ma che dici! Dai cambiati, ci vediamo fra cinque minuti”. Uscii dalla stanza e mi misi ad aspettare. Lui intanto era dentro e mentre si stava cambiando notò la finestra aperta. Per un attimo ebbe l’idea di scappare ma poi si blocco e continuò a vestirsi. Io intanto, fuori, fissavo la pistola. Non ne avevo mai vista una dal vivo, sempre nei film. Ad un tratto però mi partì un colpo “Oddio!” presi spavento dal rumore che aveva fatto e notai che il proiettile aveva rotto il vaso preferito di mia mamma. Veniva da Venezia, in Italia. Ad un tratto però, mentre stavo fissando il vaso in frantumi, sentii un rumore provenire dalla stanza di mia mamma. Corsi subito e aprendo la porta notai subito la finestra spalancata “No.. No quello è scappato!” stavo guardando fuori dalla finestra quando ad un tratto qualcuno mi tappò la bocca. Iniziai a dimenarmi quando la persona mi lasciò andare e girandomi vidi che era Josh “Ma sei matto?! Vuoi farmi morire per caso?” lui rise “Ho ucciso, si. Ma tu non sei una delle mie vittime.. Per ora” conoscevo quel ragazzo da mezz’ora e cominciava a starmi un po’ simpatico, ma proprio poco eh.

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Capitolo 3
*** Flash ***


Dopo un paio di settimane dall'apparizione di Josh, io non lo vidi più. Era sparito dalla circolazione. E si che a me non avrebbe dovuto importare dov'era finito, solo che con lui al mio fianco sapevo che forse ero più al sicuro. Il fatto è che le giornate erano monotone, pensavo che se almeno ci fosse stata una persona come lui nella mia vita, questa sarebbe diventata un po' più attiva. La mattina mi svegliavo, andavo a scuola, tornavo e facevo i compiti. Sapevo che lui era in città, ma Londra è enorme e trovare una persona tra milioni è piuttosto difficile, soprattutto se si è da soli. Volevo sapere dov'era finito. Lui mi aveva detto che era venuto lì per il dvd, ma non se l'era ancora preso, quindi non pensavo se ne fosse andato a mani vuote, così ogni giorno, per tornare da scuola facevo una strada diversa. Delle volte tornavo a piedi e passavo per delle vie mai viste, altre prendevo l'autobus con tutti i miei compagni e passavo per il centro, sperando di beccarlo per strada. Ma nulla, lui non si faceva vedere. Così un giorno mi stancai e me ne tornai a casa facendo la solita strada. Ero sul punto di girare l'angolo quando vidi un furgoncino bianco parcheggiato pochi metri lontano da casa mia. C'erano due uomini che parlavano dietro di esso. Uno era tondo e paffuto, l'altro invece mingherlino. Mi misi ad ascoltare. "Non possiamo rimanere qui!" disse l'uomo paffuto sotto voce "Invece dobbiamo. Il capo non ci ha ancora detto di tornare" quelle parole mi crearono una fitta al petto "E' troppo pericoloso, ci potrebbero scoprire" "Ma non lo faranno. Siamo molto più furbi noi" ribattè l'uomo magro. I due si diedero un'occhiata e poi si diressero verso il bar all'inizio della via. Io morivo dalla curiosità, volevo sapere cosa c'era dentro quel furgone. Così aspettai che loro entrassero nel bar per poi andare a cercare di aprire quel furgone. Appoggiai lo zaino delicatamente per terra e con tutta la forza che avevo provai a rompere la catena che teneva chiuse le due ante, ma niente da fare, ma non mi stupii di non essere riuscita a rompere quella catena, infondo era pur sempre di metallo. Mi sporsi un attimo per vedere se quei due uomini stavano tornando ma loro erano ancora dentro. Così presi una molletta dai miei capelli e la infilai nella serratura del lucchetto. Quelle cose le fanno solo nei film e io ne ero consapevole, ma volevo comunque provarci. Ero concentrata, volevo aprirlo per forza, quando ad un tratto vidi il gancio staccarsi e capii che c'ero riuscita. Aprii le ante del furgone vidi enormi scatoloni, uno sopra l'altro, tutti ammassati. Erano chiusi da dello scotch. La mia curiosità aumentava sempre di più, così decisi di aprirne uno. Vidi dei sacchetti da un chilogrammo ciascuno, contenenti una polvere bianca. Ne aprii un altro e vidi che all'interno di altrettanti sacchetti erano contenute delle pasticche di extasy. Ero pietrificata. Ad un tratto una voce mi richiamò. Mi girai e vidi il signore paffuto prendermi per una spalla e tirarmi giù dal furgone "Che ci fai dentro il nostro furgone?!" io non risposi, mi faceva troppo male la spalla "Rispondi, altrimenti vedrai la tua curiosità dove ti porta!" presi coraggio "Non l'ho fatto apposta, lo giuro. Mi sembrava il furgone di mio zio e siccome l'ho visto aperto sono andata a vedere!" "E tu aspetti che noi ti crediamo?!" disse l'uomo magro. Ad un tratto mi tirò una sberla che mi fece cadere per terra. Più che la faccia mi faceva male la spalla. Ma come un angelo venuto dal cielo vidi qualcuno tirare un pugno all'uomo paffuto, e un altro al suo compagno. Poi mi venne ad aiutare ";Josh?!" "E chi altri sennò?" rispose lui "Dai, ora combattiamo insieme" disse lui iniziando a tirare calci a pugni ai due uomini "Ma io non so combattere!" "Fidati, tu puoi farcela. Dentro di te hai un computer che ti permette di conoscere il con fu e tutte le arti marziali esistenti a questo mondo. Devi solo avere dei flash!" "E come si provocano questi flash?!" "Così!" in un attimo prese per un braccio quello magro e me lo scagliò contro e io.. Io vidi tutta una sequenza di immagini, tutto in una frazione di secondo. Pur avendo una forte emicrania presi l'uomo e iniziai a combattere tirandogli calci e pugni, sullo stomaco e sul mento. Tutto sembrava facile, come se le arti marziali le avessi sapute da sempre. Poi, quando entrambi furono a terra corsero via e Josh chiamò la polizia che si precipitò lì. "Stai bene?" mi chiese "Si credo. Ho la testa che scoppia ma per il resto sto bene" "Ho preso paura" disse stringendomi in un forte abbraccio "Anche io. Ma perchè non ti sei più fatto vedere?! Ero in pensiero!" "Sono un agente speciale della CIA, sono sotto copertura! Non posso mostrarmi in giro come se nulla fosse" "Ah scusami, non lo sapevo" "Tranquilla, fa lo stesso. Ora però ti accompagno a casa" "Ma è a trenta metri da qui!" "Ti accompagno comunque" mi fece l'occhiolino e mi portò fino a casa. La sera faci per andare su face book quando il computer mi dice "Accesso negato" "PERCHE'?!" urlai. Riprovai più volte ma mi diceva sempre "Accesso Negato". Non capivo il motivo, quando ad un tratto si aprì la finestra di una videochiamata e vidi un uomo alto, robusto, di carnagione scura, con capelli corti solo ai lati della testa e due occhi neri come il carbone. Indossava una divisa verde, con delle stelline sulle spalle. "Salve signorina Cooper" mi disse con sguardo fisso e tono deciso "Salve.." risposi con voce tremolante "Mi presento, sono un comandante della CIA, Mike Peterson. Il video che le è stato mandato doveva andare nelle mani di un nostro agente, Taylor Cox. Purtroppo però, è morto tredici ore prima dell'arrivo del dvd a casa sua. Lei possiede un dono preziosissimo. Si chiama Intersect. E’ un supercomputer che riesce ad essere inserito nel cervello umano senza dover usare interventi e contiene tutti i segreti del governo americano. E' per questo che lei da ora farà parte degli agenti speciali della CIA. All'inizio avevamo pensato di toglierle l'Intersect tramite macchine apposite, ma abbiamo constatato che sarebbe stato troppo pericoloso, avrebbe potuto avere danni cerebrali irreversibili. Per questa nostra buona azione deve ringraziare l'agente Sullivan, che ci ha supplicato di farle tenere il supercomputer" "Josh vi ha supplicato di questo?" "Si, lo conosce?" "Certo, lo avevo trovato a frugare tra le mie cose e così ora.. Ora siamo in una fase di odio-amicizia" "Capisco. Tuttavia lei domani si dovrà trasferire da noi, alla centrale di Washington" "Come?!" "Non può rimanere lì signorina, altrimenti sarà in pericolo. Lei possiede una cosa troppo preziosa e pur di averla la metterebbero sotto tortura" "Chi? Chi vuole avere l'Intersect?" "Persone spietate, che lo userebbero solo per fare del male. Ora però prepari le valigie, perchè domani mattina alle se, lei sarà in volo verso Washington" "Aspetti, ma.." non feci in tempo a finire la frase che la comunicazione sparì. Non potevo lasciare mia madre da sola, io non potevo partire. E poi con quale biglietto, che non avevo nemmeno i soldi per comprarne uno? Ad un tratto il campanello suonò. Aprendo la porta notai una grande busta sul tappeto. Tornata in casa la aprii e trovai una falsa carta di identità, un falso passaporto e due biglietti di andata per Washington. Mi resi conto che la cosa stava diventando seria, che non potevo più vivere la vita di una normale teenager. Se fossi rimasta lì, avrei potuto mettere a repentaglio la vita di mia madre

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Capitolo 4
*** Casa Bianca..?! ***


Stavo camminando frettolosamente, non volevo arrivare in ritardo. Mi stavo dirigendo da Josh ed erano le 2.00 della notte. Avevo una valigia con me con dentro solo il necessario e tenevo stretta sulla pancia la busta. Mia madre? Mia madre non sapeva nulla. Non è bello da dire ma andare via di casa era la cosa migliore. Josh abita in un palazzo alto, nella parte più ricca di Londra. Giunta davanti alla porta di casa sua ebbi un piccolo ripensamento. E se dopo fosse andato tutto storto? Non avrei più potuto tornare indietro. Bussai. Mi venne ad aprire una donna, una giovane donna in vestaglia. Alta, bionda, occhi scuri.. Finta. Si, perchè lo era. Due balconi enormi e il fondo schiena che sembrava di gomma. "Salve, cerco Josh" dissi con imbarazzo e subito lui mi rispose uscendo dalla camera da letto. Lui non sapeva che dire, era decisamente in imbarazzo. Così, preso alla sprovvista, diede i vestiti alla ragazza buttandola fuori casa. Reazione piuttosto insolita da parte sua. "E così tu hai.." dissi guardandolo dalla testa ai piedi con un sorriso malizioso "Non aggiungere altro!" gridò per zittirmi. Il suo viso era bordeaux. Se ne andò in bagno e tornò tutto cambiato e sistemato. "Che ci fai qui?" "Guarda" e gli porsi la busta sulle mani. Lui rimase incredulo, anche perchè non era pronto per partire subito, nessuno lo aveva avvisato. "Non ci rimane che andare allora. Se il comandante ha detto così, ci conviene muoversi". Lo aiutai a preparare la valigia e verso le 4.00 del mattino eravamo già in aeroporto. Per la prima volta vidi com'era davvero il mondo di notte. Non ti puoi fidare di nessuno. Tutti ti fissano, ti guardano storto, come se pure loro avessero paura di qualcosa e usano quelle occhiate per difesa. Io ero appiccicata a Josh e lui mi teneva stretta a se. Poi ci sedemmo per attendere il nostro volo. "Sei davvero sicura di potercela fare? Credi davvero di riuscire a sopportare una cosa simile?" "Si, sono sicura. Ogni cosa avviene per un motivo. E se possedere l'Intersect fosse il segno di un mio futuro da spia?" "Ma è molto pericoloso. Difficile" "Appunto. Difficile, non impossibile" Ci furono alcuni secondi di silenzio, poi io dovetti andare al bagno. Mi diressi verso i bagni, da sola. Ad un tratto però vidi un vecchio, trascurato, seduto per terra con la schiena appoggiata al muro. Aveva una coperta di lana sulle ginocchia. Indossava un berretto bucato grigio e un maglione pesante, con dei pantaloni sporchi e luridi e affianco a lui c'era una tazzina di ferro. Sembrava stanco, stanco di vedere sempre persone passare senza degnarlo di uno sguardo. Decisi di estrarre dalle mie tasche due sterline. Non erano molti soldi, ma erano gli unici che avevo. Così mi avvicinai e glieli misi nella tazzina. Poi rialzandomi lo fissai. Sembrava addormentato. Con un po' di tristezza feci per andarmene quando qualcosa mi afferrò la gamba. Mi girai e vidi il vecchio che mi fissava. Aveva due occhi grigi come ghiaccio e gli mancavano parecchi denti. "Ma cosa fa una bella signorina come te qui? Di notte" la sua voce era fine e acuta, metteva timore. "Io.. Io devo andare signore, mi lasci" "Perchè ti devo lasciare? Infondo mi hai aiutato dandomi quei soldi. Devo ricambiare" il mio cuore batteva al ritmo di una canzone house, dove tu non devi far altro che saltare senza fermarti. Iniziò a stringermi la gamba, mi stava facendo male, ma la gente passava e se ne fregava altamente. Iniziai a lamentarmi sempre di più, ma lui no, lui stringeva la sua mano sempre di più e cominciava a tirarmi verso di se. Non sapevo che fare. Mi dimenavo ma nulla, non si voleva arrendere. "Lasciami stare!" gridai. Ad un tratto un'ombra e.. Un colpo." Aprii gli occhi e mi ritrovai stesa a terra e davanti a me c'era Josh, in piedi con il fiatone. Il vecchio barbone era svenuto, per il colpo che aveva preso da Josh. "Tutto bene?" chiese lui. Quella frase, la sua voce.. Mi sentii sollevata nel sentirlo. "Si, tutto bene grazie" dissi alzandomi. "Forse la prossima volta in bagno dovresti andarci con qualcuno, non trovi?" "Forse". Dopo essere andata in bagno ritornammo a sederci. Passammo un'intera mezz'ora a non parlare. Lui leggeva e io guardavo il pavimento, ma poi ecco quella voce dall'altoparlante. Ci ritrovammo così sull'aereo, dritti per Washington. Devo ammettere che stare su quell'aereo senza far nulla era piuttosto straziante. Dormivo, mangiavo e ascoltavo la musica; dormivo, mangiavo e ascoltavo la musica. Tutto così. Inutile dire che io e Josh parlavamo, perchè no, non lo facevamo. Strano. Dopo molte ora di viaggio però arrivammo in quell'enorme città. Alti palazzi mi circondavano. Ora capisco come le formiche vedono noi umani. Prendemmo un taxi e via, verso la Casa Bianca! La Casa Bianca? Ma non doveva essere la centrale della CIA?!

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Capitolo 5
*** Sei mesi di tortura! ***


Il taxi si fermò a metà strada. Lì ad aspettarci c’era una limousine bianca. “Salve Jack!” disse Josh. “E’ un piacere rivederla signorino Sullivan” rispose quello che poteva sembrare l’autista. “Ti prego Jack.. Non sono più un bambino. Ora puoi chiamarmi signor Sullivan” disse con un sorriso sulla faccia. “Certamente.. Signor Sullivan. Farò come dice. Prego, accomodatevi” Non ero mai salita su una limousine. Per un attimo soltanto mi sentii importante. Arrivammo poco dopo nella dimora del presidente. Un enorme prato si estendeva intorno alla Casa Bianca, con fontane e piante ben curate. Una meraviglia. “Ora però spiegami il motivo per cui siamo venuti qui” dissi con tono seccato a Josh “Semplice, eccoti il motivo” Mentre stavamo camminando a passo sostenuto lungo i larghi corridoi di quel palazzo, vidi arrivare verso di noi il comandante Mike Peterson che con il suo sguardo fermo e rigido mi fece impietrire. “Agente Sullivan!” disse. “Si signore! Mi dica signore!” rispose Josh in un modo alquanto bizzarro, scattante, fermandosi di colpo e irrigidendosi come uno stecchino e mettendosi la mano destra sulla fronte in forma di saluto verso il suo superiore. “Credo che lei sia la signorina Cooper. E’ un piacere conoscerla” “La ringrazio” dissi con un leggero nodo alla gola. Il comandante Peterson mi guardò dalla testa ai piedi, girandomi attorno, con le mani ben salde dietro la sua schiena. Cercavo di rimanere il più immobile possibile, a stento respiravo “Credo che prima di mandarti in missione tu debba fare un po’ di allenamento. Dovresti rimetterti un po’ informa” “Certo signore, come vuole.. Signore” la mia voce tremolante mi fece uscire queste parole come se fossero state sussurrate. Ma sbaglio o quello aveva detto che dovevo “rimettermi in forma”? Quindi mi riteneva grassa eh! Gli uomini non sanno che non bisogna dire cose del genere ad una donna?! A quanto pare no. “Prima di andare però, vorrei farle conoscere una persona, signorina Cooper”. Mi sarei dovuta preoccupare? Camminammo di nuovo raggiungemmo una grande porta bianca (come del resto tutta la casa), con davanti due uomini solo muscoli, in giacca e cravatta con un auricolare all’orecchio ciascuno. Appena videro il distintivo del comandante aprirono la porta e.. “Ciao Mike!” esclamò un uomo alto, esile, scuro di pelle, seduto ad un ampia scrivania. Quando lo vidi mi scappò una parolaccia “Cazzo..” dissi con un tono di voce che fortunatamente solo Josh sentì e che ricambiò con una forte gomitata. Ma lui non poteva capire cosa volesse dire per me vedere in carne ed ossa il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. “Signor Obama!” “Oh Mike, lo sai che puoi darmi del tu e che mi puoi chiamare per nome” “Si lo so, ma sono passati ormai gli anni del liceo” “Lascia da parte il liceo per un attimo. Noi due siamo amici e gli amici non si chiamano per cognome. Ma comunque, chi è questa graziosa ragazza? E’ la famosa ragazza che possiede l’Intersect?” “Si Barack, è proprio lei” “Cosa sai dirmi di lei?” disse sorridendo il presidente “Sappiamo che è inglese ma ha origini italiane, che vive da sola con la madre, che a scuola non è tra le migliori ma che se la cava molto bene nelle attività fisiche. Praticava ginnastica artistica, ma all’età di otto anni ha avuto un incidente alle caviglie e da quel momento ha smesso. Ha 15 anni e..” “Scusate, ehm.. Signori. Signor presidente, comandante, perdonatemi, ma non fate finta di parlare come se io non ci fossi. Infondo le cose potete chiederle a me” dopo quella frase abbassai subito gli occhi verso il pavimento. Sapevo che forse avevo fatto una sciocchezza. “Certo, hai pienamente ragione. Scusaci.. Ehm, come ti chiami?” “Josephine Cooper signor presidente” “Che bel nome, davvero degno di una ragazza come te. Graziosa e gentile. E’ stato un piacere conoscerti Josephine, ma ora io mi devo ritirare, ho delle commissioni da fare” mi fece un sorriso rassicurante. Era davvero gentile. Barack Obama e il comandante Peterson si salutarono con una stretta di mano e poi noi tutti ce ne ritornammo a.. Aspettate, dove? Io non sapevo proprio dove mi stavano portando. Ci spostammo a Langley, una città quasi deserta, ma che ospita parecchie strutture governative, tra cui la sede della CIA. Mi ritrovai davanti ad un enorme edificio, circondato in buona parte da filo spinato. Devo ammettere che per un istante mi tremarono le gambe. L’atrio era enorme, con lo stemma della CIA stampato sul pavimento. Un’aquila con scritto ‘Central Intelligence Agency. United States of America’. Il comandante Peterson guardò Josh e disse “Agente Sullivan. Lei sa cosa deve fare” “Certo signore” e il comandante se ne andò, lasciandomi da sola con Josh. “Che intendeva dire con ‘lei sa cosa deve fare’?” “Vieni con me” Mi portò in una specie di enorme palestra, una cosa da me mai vista prima. Ovviamente non mancava lo stemma della CIA. “Tu da ora dovrai fare tutto quello che ti dico, è chiaro? Se ti dico corri, tu cominci a correre, se ti dico fai sollevamento pesi, tu obbedisci. Quindi ora vatti a cambiare” “Ehi, ma che sta succedendo?” “Tu fallo” mi diede in mano un completo da ginnastica nero, formato da reggiseno per palestra e pantaloncini corti, e così mi andai a cambiare. Tornata da Josh, vidi che aveva creato un percorso con dei cilindri “Tu da questo momento, per i prossimi sei mesi, subirai la tortura più grande della tua vita. Oggi comincia il tuo allenamento per diventare una spia completa. E sei anche avvantaggiata, perché possiedi l’Intersect, cosa che ti da molta più potenza e agilità. In soli sei mesi farai un allenamento completo. Un allenamento che in realtà dura parecchi anni. Quindi adesso preparati e.. Corri!” disse premendo il pulsante del cronometro “Ma perché dovrei..” “Corri ho detto!” “Si signore!” mi misi così a correre. Ma dentro di me non sapevo se ridere o piangere. Mi veniva da ridere per il comportamento bizzarro di Josh, ma piangere nel sapere che in per sei mesi dovevo affrontare questo e molto altro. Ma io ce la potevo fare. Possedevo l’Intersect e come ha detto Josh è un vantaggio per me. Speravo soltanto che quei sei mesi finissero in fretta.

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Capitolo 6
*** Forte come una tigre. ***


Due settimane, passarono due settimane dal nostro arrivo a Washington e io ero SFINITA. Mancavano soltanto cinque mesi, due settimane e un giorno alla fine del mio addestramento. Che bello! Mi svegliavano alle 4.30 del mattino e andavo a letto alle 10.00 della sera e tutto quello ancora per cinque mesi. La sera prendevo il rosario e pregavo perché il giorno successivo sarebbe andato tutto bene. Non potevo sapere cosa sarebbe successo l’indomani di ogni giorno che stavo passando. Colazione non troppo abbondante per me alle 4.45, per mia scelta, dato che dovevo “rimettermi in forma”. Poi correvo subito da Josh in palestra. Avevano affittato un piccolo appartamento per me, ma sprecavano solo che soldi dato che non c’ero quasi mai. Comunque giunta in palestra per le 5.00 in PUNTO (mai sgarrare altrimenti ti fanno fare il doppio dell’allenamento) e iniziavo con una corsa leggera intorno a tutto l’edificio. Secondo me ogni volta che passavo di fronte all’ufficio dei vari comandanti e persone varie, loro si fermavano a fissarmi. E’ una sensazione che ho sempre avuto. Credo che tra di loro facessero scommesse su di me, tipo “Se arriva a fare tre mesi così di regalerò il mio ufficio” “Se invece non li farà io ti regalerò il mio” “E chi lo vuole il tuo?” “Allora ti darò la mia porsche” “Affare fatto” concludendo con una bella stretta di mano. Certo, io quelle cose le immaginavo e basta ma ora che ci penso probabilmente lo facevano davvero. Poi la mia routine continuava con il fare un sacco di addominali, tanti addominali.. Troppi addominali. E flessioni, cosa che io non riuscivo a fare dato che le mie braccia erano flosce e prive di forza, così mi faceva fare pesi da due chili, per poi passare a tre e al quarto mese siamo passati a sei e alla fine riuscii a fare benissimo le flessioni. Poi c’erano anche prove di agilità. In una stanza completamente vuota, con una vetrata scura, dove dall’altra parte c’era Josh ai comandi che poteva vedermi. Questa prova la feci per una trentina di volte. Consisteva nel mettermi dietro una linea rossa, all’inizio della stanza e poi lui faceva partire dei laser. Dovevo attraversarli senza toccarli e se li toccavo, dall’alto partivano dei sacchi da due chili pieni di sabbia, pronti a colpirmi. Inutile dire che le prime volte sbagliavo sempre e che mi sono ricevuta delle saccate in faccia, perché è proprio così. Una volta mi sono persino attaccata a un sacco e io ero più che convinta che la corda che lo teneva era corta, invece no, era abbastanza lunga da farmi schiantare contro il muro che c’era dall’altra parte. E io sapevo che Josh dall’altra parte della vetrata rideva. Si, lo sapevo, me lo sentivo. Poi facevo addestramento all’aperto, dove dovevo percorrere un lungo percorso. Se pensate che un percorso non è un problema, avete ragione, ma affrontarlo con degli ostacoli esterni come piccoli esplosivi lanciati proprio da Sullivan, quello si che è un problema. Ho rischiato più colte di essere colpita e dentro di me lanciavo i peggiori insulti a quel ragazzo, che stava rischiando di farmi morire! Un giorno capitò che mi nascosi dietro un albero per riposarmi e lui mi lanciò un petardo proprio vicino alla gamba. Feci in tempo a salire sull’albero e a coprirmi il viso che quell’affare scoppiò “Vaffanculo!” gli urlai. Non evitai di dirglielo, potevo ritrovarmi con tre arti al posto di quattro per colpa sua. All’inizio del sesto mese cominciai ad imparare come sparare. La prima volta mi misero delle cuffie protettive alle orecchie anche se il rumore dello sparo era stato comunque assordante. Dove finì il proiettile? E chi lo sa! Le successive nove volte però furono migliori. Riuscivo a colpire in pieno il bersaglio, senza alcuna distrazione. Ma la cosa peggiore però, fu quella di praticare un percorso, con ostacoli esterni mandati da Josh, questa volta proiettili e riuscire, con una pistola a colpire i vari bersagli che mi capitavano davanti. Dovevo essere veloce, agile, scattante, con i riflessi pronti. “Qua dovrai utilizzare l’Intersect” “E come faccio?” “Di solito si attiva quando la persona che lo possiede entra in panico o comunque la sua adrenalina aumenta. Questa fa si che l’Intersect risponda entrando in atto con il tuo cervello e sistema nervoso. Serve solo concentrazione” “Va bene”. Avevo paura, lo ammetto. Ma mi fidavo di Sullivan e sapevo che se mi fosse successo qualcosa lui sarebbe venuto in mio soccorso. “Pronta? Tre, due, uno.. Via!” partii di corsa, iniziando a fare uno slalom tra degli alberi e sparai appena vidi un bersaglio a forma di uomo. Continuai a correre, schivando i vari proiettili che venivano lanciati a comando da Josh. Poi si presentò davanti a me una rampa da scalata. Senza pensarci due volte iniziai ad arrampicarmi fino ad arrivare in cima. Era alta, molto alta. Così alta che per la prima volta mi vennero le vertigini. Ma fu in quel momento che mi venne in mente dell’Intersect. Josh iniziò di nuovo a sparare e io mi misi dall’altra parte della rampa, aggrappata con le dita alle assi di legno. I proiettili non potevano attraversare la rampa perché la parte che avevo scalato era imbottita con uno strato di acciaio, cuoio e molta spugna. Sta il fatto che le mie dita non potevano reggere ancora per molto, così cercai di attivare quell’affare che avevo nella testa, ma non ci riuscivo. Quando vidi però un proiettile venire verso di me, nella direzione opposta. In un istante tutto sembrava muoversi più lentamente e io mi staccai dalla rampa e con un salto roteai evitando tutti i proiettili, riuscendo persino a prenderne uno in mano senza farmi del male. Conclusi il percorso in 1.44 secondi. Sei mesi passati in un soffio, ma mi sentivo pronta e allenata. Avevo degli addominali d’acciaio e soprattutto una mente libera da ogni pensiero cupo e dalle paure. Ora dovevo solo affrontare la mia prima missione.

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