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Perdere tutto, il coraggio, la maturità forzatamente acquisita nel
vagabondaggio al seguito di un demone
Perdere tutto,
il coraggio, la maturità forzatamente acquisita nel vagabondaggio al seguito di
un demone.
Tornare completamente bambina, e
guardare con occhi di bambina la mattanza che
comincia.
Vedere Inuyasha trasformarsi ancora in un mostro, e sapere che non
avrà pietà. Vedere il monaco fuggire chissà dove,
purché lontano dai suoi compagni, stringendosi convulsamente la mano fasciata.
Soprattutto, vedere il proprio signore, Sesshomaru,
che snidando la spada le lancia lo sguardo inequivocabile di chi si appresta al
suo ultimo duello.
Perdere tutto. Tornare
completamente bambina. E, come una bambina, piangere
disperatamente sino a che il mondo non scompaia nelle lacrime.
Inuyasha
aveva perso il controllo di sé. La
Tessaiga giaceva da qualche parte,
abbandonata, e il mezzodemone si avvicinava, gli
occhi iniettati di sangue, la bocca deformata in un ghigno feroce.
Kagome
era come immobilizzata: da una parte l’istinto di indietreggiare, fuggire,
dall’altra l’amore che la spingeva a cercare, ancora una volta, di strappare Inuyasha al suo sangue demoniaco, farlo tornare padrone di
sé. C’era riuscita tante volte, ma stavolta era
difficile. Probabilmente impossibile. L’intensità dell’aura maligna di Naraku era più forte dei suoi poteri. Ma
non poteva fuggire, nessuna salvezza per lei senza Inuyasha.
Per questo gli andò incontro.
Quella persona non sono io, io non sono qui, tutto questo non sta
accadendo
Quella persona non sono io, io
non sono qui, tutto questo non sta accadendo.
Invece
sì.
Anche
mio padre si vide così, dall’esterno?
Era così calmo, quel giorno. Ma
dietro gli occhi bassi anche lui provava quello che provo
io ora?
Avrà pensato che è stato tutto
inutile?
È troppo crudele morire con delle
domande, ma che mi aspettavo, una maledizione grava su di me, e non passa solo
per il corpo, per questo foro giunto al limite.
Poteva andare diversamente?
E che
farà Sango ora?
Potessi cantare “Mi dispiace di
morire ma son contento”, ma inveceno. Muoio disperato.
Come nubi falcidiate dal sole i fumi della follia abbandonarono Inuyasha
Come nubi falcidiate dal sole i
fumi della follia abbandonarono Inuyasha. Impiegò del
tempo a rendersi conto di quel che era successo, ma alla fine gli fu chiaro:
per l’ennesima volta il suo sangue demoniaco aveva preso il sopravvento. Quanto
era durato, e soprattutto, cosa aveva fatto in quella fase di trasformazione?
Sicuramente qualcosa di grave: le
mani e le braccia sporche di sangue lo testimoniavano. Ma
chi era caduto vittima della sua furia? Non vedeva nessun cadavere intorno a
sé, ma poco a poco iniziava a riconoscere sensazioni ed odori...
Aveva tentato in ogni modo di
salvare Kohaku, si era preoccupata per la sorte del
suo uomo. Ma stavolta, Sango
pensò alla propria vita. E realizzò l’assoluto,
prolungato, irreversibile fallimento che era stata. Non aveva
saputo aiutare il fratello, non era riuscita a salvare Miroku. Né era in grado di
uccidere Naraku, ed ora che Inuyasha
e Kagome erano morti, chi altri avrebbe potuto farlo?
Aveva fallito, in ogni cosa. Non
era questo che suo padre si aspettava da lei, come sterminatrice. Lei, più di Kohaku posseduto, aveva disonorato la famiglia.
Si aggirava smarrito, ma nella sua mente non risuonava che una frase:
“Sono arrivato tardi”
Si aggirava smarrito, ma nella
sua mente non risuonava che una frase: “Sono arrivato tardi”.
Aveva trovato Rin,
avvelenata dal miasma. Si era chinato su Kagome,
povero ammasso di carne e materia cerebrale. Aveva visto Inuyasha,
forse non morto ma inerte, con gli occhi bianchi, catatonico. E di fronte ad ognuno di loro aveva ripetuto mentalmente la
stessa frase: “Sono arrivato tardi”.
Ma se
anche fosse arrivato prima, cosa avrebbe potuto fare? Era solo un ragazzino
divorato dai sensi di colpa... ma almeno li avrebbe
appoggiati.
Nessuna traccia di Sango e del monaco. Si mosse per cercarli, ma morì prima.
Naraku lo aspettava, ma sembrava un altro: non il suo solito sorriso
sarcastico, non la sua risata
Naraku
lo aspettava, ma sembrava un altro: non il suo solito sorriso sarcastico, non
la sua risata. Ora lo fissava altero ed estraniato,
proprio come era lui un tempo, prima di essere
sconfitto da Inuyasha, prima di Rin.
Il cambiamento di Narakuera forse prevedibile,
era diventato un demone completo. Ma il suo, cosa
significava? Che si stava umanizzando?
Strane domande da porsi pochi
istanti prima di un duello mortale. Ma erano
necessarie, per trovare un senso in quell’epilogo. In
fondo, però, la risposta la conosceva già: difendeva qualcosa – qualcuno? – che
non era sé stesso. E questo
bastava.
Posso dire di aver fatto il mio
dovere. Poco, ma quello che era nelle mie possibilità.
Ho custodito la memoria di Kikyo. Ho aiutato Inuyasha. Da
sola, nonostante la ferita, la vecchiaia, la pinguetudine,
sono riuscita a proteggere il villaggio, nonostante anni di guerra e di attacchi di demoni. Posso essere orgogliosa di quello che
ho fatto, ma ora sono, più di ogni cosa, stanca. Così
stanca da non riuscire a provare dolore per il corpo demoniaco di Naraku che si espande, che sta per divorare ogni cosa, villaggio
compreso. Non importa.
La morte mi coglierà
mentre riposo. Lasciatemi riposare.
La mia prima morte è stata il giorno in cui sono diventata una
sacerdotessa
La mia prima morte è stata il
giorno in cui sono diventata una sacerdotessa.
La mia seconda morte è stata per
mano di Naraku, nelle sembianze di Inuyasha.
La mia terza
morte è stata nei pressi del monte Hakurei.
La mia quarta
morte poteva essere quella definitiva, tra le braccia del mezzodemone che ho amato.
Ma oggi,
nella sconfitta ultima, nell’uccisione di Kagome,
nella corruzione della sfera, muoio per la quinta, e ultima volta. La vita che
era rimasta di me, nella luce della sfera, è stata soffocata definitivamente
dal trionfo di Naraku.
Il panorama da questa montagna è
indicibile. Ed è giusto che sia così, che sia il
silenzio a chiudere uno scontro trascinatosi oltre ogni logica, sopravvissuto
alla caparbietà dei suoi stessi protagonisti.
Non è restato
più niente, non è rimasto più nessuno. A che pro lasciare che parole si
posino sulla grandiosità di questo nulla? Solo un meschino compiacimento,
ma queste miserie non ti interessano più, Naraku.
Vittoria, sconfitta? Si annullano a vicenda. Esisti, e questo solo conta.
Alla tua mente, tornano le parole
di Bashō: “Ancora
vivo, e il viaggio è finito. Sera d’autunno”