A very Christmas Carol

di Mirella__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di mele, spettri e ragazzi isterici ***
Capitolo 2: *** Di lavoratori pigri, di biondi impulsivi e di perplessità ***
Capitolo 3: *** Di strani inviti, di rossi allegri e d’imprevisti ***
Capitolo 4: *** Di colleghi invadenti, di spettri albini saccenti e di futuri sconosciuti ***
Capitolo 5: *** Di tessere scomparse, di mori sorprendenti e di luoghi mai visitati ***



Capitolo 1
*** Di mele, spettri e ragazzi isterici ***


Autore: Kira 16

Titolo: A Very Christams Carol

Fandom scelto: Death Note

Prompt scelto: Fan Art su Death Note posta a fine storia.

Introduzione: Storia ispirata al famoso Canto di Natale di Charles Dickens.
Tre spettri faranno visita al giovane e cinico Light Yagami, incitandolo a cambiare condotta; un triste destino si abbatterà sul diciassettenne in caso non accetti.

In base al suo comportamento il ragazzo riceverà una dannazione eterna oppure un qualcosa di molto più terreno che starà a lui decidere se considerare più come una maledizione che altro…

Note dell'autore:  spero che l’idea possa piacere, è uno stile molto diverso da quello che utilizzo di solito, ma vedendo quella fan art natalizia non ho potuto fare a meno d’adottarlo. 

 

Buona lettura!

 

A Very Christmas Carol

 

1.Di mele, spettri e ragazzi isterici

 

 

Ebbene miei cari lettori, voi che avete avuto l'ardire d'aprire questa pagina infima, scoprirete un qualcosa che mai in Death Note è stato svelato prima.

Ho pensato e ripensato agli avvenimenti di quella notte, il come raccontarli mi sfugge, ma, se voi mi seguiste, ben saprei come le parole andrebber condotte.

Se fin qui ho attirato la vostra attenzione, tra giochi di parole e scherzi beffardi, andrei a narrarvi della triste situazione.

I cori cantavan con allegria quel ventiquattro dicembre, le strade eran in festa e persino gli uomini più turbolenti avevano fatto cessar nel proprio animo la tempesta; si sa, però, l'eccezione permane e noi andremo ad analizzare proprio questa.

I campanelli trillavano accompagnati dallo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e nell'aria si respirava quel non so che di novità, tanto che anche i bambini saltellavan qua e là; entusiasmati e felici, le nostre voci bianche si facevan spazio tra i cumuli di neve per arrivare alle case e deliziarne gli abitanti col loro canto lieve.

Una bella villetta tra tutte spiccava, avvenente e lussuosa, sembrava prometter mille leccornie, se solo fosse stata rallegrata dai visi dei dolci fanciulli.

Lesta una mano guantata batté tre volte sulla porta e una biondina - in abiti d'argento fasciata - andò ad aprire, mostrando un sorriso a trentadue denti a quella bambina che tremava a causa dei venti.

"Posso fare qualcosa per te, oh dolce fanciulla?" Chiese Misa, sporgendosi poco in avanti per meglio mirar il viso della piccina.

"Oh, certo che potete signorina, vorrei cantare qualcosa per voi, anche una strofa breve," rispose quella facendo una moina.

Misa guardò lo scricciolo d'innanzi a sé, quasi quasi d'accettare la proposta fu tentata, ma, in men che non si dica, in malo modo dentro casa venne richiamata e con molto dispiacere dovette l'offerta reclinare.

Una volta dentro tornata, la giovane Misa Misa si portò a fianco del padrone di casa, che incessantemente con la testa china sullo scrittoio lavorava, tenendo dalle feste e sciocchezze inerenti la sua mente lontana.

"Caro, è la vigilia di Natale, tutti hanno bisogno di riposare, concedetemi un paio di minuti, non lasciatevi pregare!" E la ragazza prese il braccio del ragazzo con tale grinta, che il giovincello si ritrovò a terra, quasi quasi sul violoncello, il regalo di suo padre!

Che blasfemia, quale errore!

La giovane Misa scappò in preda al terrore!

Il ragazzo, tuttavia, non poteva lasciar di certo la sua rabbia correre via, aveva bisogno di uno sfogo e quale altro poteva essere se non torturare i suoi sottoposti con un allegro divieto in un giorno tanto gioioso?

Cosi, velocemente, prese il telefono, contattò entrambi gli sciocchi e disse con invidiabile flemma, "Mikami, Takada, voglio che concludiate i lavori entro domani, solo allora potrete apporre sulla lettera il mio stemma".

Dall'altro capo della linea, due giovani coniugi esasperati si osservarono e i pacchetti rossi che stringevano tra le mani guardarono: erano dall'impacco tanto sgargiante, nonché un po' grossolano, Takada allora fiato prese, cercando di trattenere un sospiro a sue grosse spese.

"Oh giovane capo, oggi è la vigilia di Natale, non meritano tutti un po' di pace in un giorno tanto speciale?"

Inarcando un castano sopracciglio, Yagami lasciò che il dissenso prendesse sul suo volto immagine e possesso; la voce venne un paio di volte schiarita e in men che non si dica attaccò Takada, come inviperita.

"Speciale? Che cosa c'è di tanto speciale? Nessun vecchietto porta i balocchi ai bambini a bordo di una slitta trainata da renne volanti, nessuna magia, niente di niente, se nell'anno c'è un giorno speciale, non è certamente quello di Natale. Devo quindi presumere che la vostra non sia altro che una scusa banale per starvene a casa ad oziare?"

Mikami tutto udì e permetter non poté che l'uomo – così simile, per il dipendente, ad un dio - avesse di lui tale pensiero: insomma, era un gran condottiero!

"Mio signore," disse rubando in fretta e furia il telefono dalle mani della donna, "di me si può fidare, non ascolti mia moglie e mi lasci fare! "

Un ghigno degno del Grinch si allargò sul viso del giovane Yagami, era riuscito a convincerli, sia quella gallina di Takada ed anche suo marito, quel povero cane!

"In voi confido, Mikami, in fondo siete il mio consigliere più capace ". E senza attender risposta, chiuse la conversazione.

 

Dopo tante altre canzonette di Natale, dopo che anche la strada venne resa impraticabile dai candidi fiocchi di neve, dopo ancora che i campanelli smisero di suonare, le lancette rintoccaron la mezzanotte; solo allora il nostro protagonista levò la testa dallo scrittoio, con lenti movimenti calcolati alzò le braccia e si stiracchiò.

"È Natale," sussurrò, "un po' di riposo non mi farà male".

E mentre ciò diceva, il telefono squillò.

Sussultò il piccolo diciassettenne e con tanta riluttanza egli rispose, solo la voce allegra della madre dal riattaccare lo trattenne.

"Auguri figliuolo, oggi è Natale!"

Scocciato, Light face una smorfia, possibile che tutti intonassero la medesima litania?!

"Auguri anche a tutti voi. Spero che tu, papà e Sayu stiate passando questo giorno in allegra compagnia!"

Un prolungato sbuffo udì il giovane, la madre si era stancata della reticenza che il figlio mostrava per le festività, eppure continuava a sperare che Light le facesse visita, almeno in uno di quei giorni! Perciò gli telefonava con nevrotica continuità.

"Ma piccolo mio.."

"Mamma scusa," tagliò corto il fanciullo, ma ho lavorato tanto ed è ora che vada a dormire," anche stavolta la risposta non attese e quando sentì nuovamente il campanello della porta di casa lo ignorò, al diavolo dei bambini le pretese!

Sayu ignorava le intenzioni del fratello e aspettava sulla soglia della porta la di lui figura.

A bussare iniziò, ma del parente altre erano le mansioni: Light il pigiama già vestiva e di certo non aveva intenzione di verificare l'identità di chi lo perseguiva, i calzini pesanti inoltre infilò e distrutto supino sul letto infine si sdraiò.

Il bussare alla porta finalmente era cessato, quasi sembrava al bambino - troppo in fretta cresciuto - d'esser finito in un mondo incantato, tanto presto era il silenzio piombato!

Ma se, a primo impatto, quell’ambiente al dormiente sembrava favorire, il giovane venne a scoprire che così non era.

Tra le lenzuola Light si girò rigirò, ma a prender sonno non riusciva e soprattutto tranquillo non si sentiva.

Trovava strano che il rumore delle lancette del grande orologio a pendolo avesse cominciato a farsi sentire, era l'unico nella stanza: tic toc, tic, toc…  e nonostante fuori infuriasse tempesta, non c'era suono che avvertisse della pioggia funesta.

Arrivò l'or delle streghe,  ma il fanciullo ancor non si abbandonava tra le accoglienti braccia di Morfeo, così si mise a sedere, stropicciò un po' col dorso della mano le palpebre stanche e, non appena la vista da confusa divenne nitida, il suo cuore perse d'un battito.

 

Tic, toc, tic, toc.

 

Urlò, urlò così forte che tutti avrebbero dovuto udirlo, ma nessuno lo sentì, solo com'era nella grande casa.

 

Tic, toc, tic, toc.

 

Cadde a terra nel tentativo di fuggire, si fece anche male al polso, ma dove poteva andare quando anche la porta della sua camera era scomparsa? Era spaventato!

Oh piccolo stolto!

 

Tic, toc, tic, toc

 

Che avesse lasciato aperte le porte?

Ma no, ma no, certo che no!

Ma allora, allora come quella creatura era giunta sin li?

Oh quale malasorte!

 

Tic, toc, tic, toc.

 

Il mostro aprì la bocca, mostrando una serie di zanne affilate e distorte, poi incurvò le labbra, nell'imitazione di un sorriso alquanto sciocca.

 

Tic, toc, tic, toc.

 

La creatura inclinò il capo verso destra, gli occhi gialli indagarono e il ticchettio si fermò.

Alzò un braccio scheletrico e mostrò il piccolo orologio a cucù che in mano reggeva.

L'uccellino di legno uscì presto dal suo nascondiglio e un'unica musichetta inquietante pervase la camera: erano delle campane quel che udiva? Però non suonavan a festa, ma di una di quelle tristi melodie che nel cuor della gente tutt'oggi resta.

Il ragazzo quella malinconica musica ascoltò e, una volta che essa tacque, osservò la terrificante figura.

"C.... chi sei?" Chiese infine, mentre l'altro sghignazzava, mostrando un'educazione affatto fine.

"Mmm.... allora, io mi chiamo Ryuk e sono uno shinig..." qualcosa alla testa colpì il mostro, era una mela, quale sorpresa!

In egual momento, una vocina melodiosa arrivò mite mite all'orecchio della creatura. "Non è il tuo ruolo, non è il momento! Sta buono e fa quanto detto".

Così lo shinigami venne rimproverato, ma visto anche il frutto che gli avevan donato, decise di stare al gioco, in fondo divertente sembrava.

"Volevo dire, io sono la tua coscienza, oh giovane Light, ma chiamami pure Ryuk, mi piace di più".

L'altro però ribadì sicuro: "Non è possibile, ne sono certo! Lo giuro!"

La coscienza aggrottò le sopracciglia e il giovane in modo confuso scrutò.

"E perché mai non potrei essere la tua coscienza?"

Light si mise a sedere sul letto, guardò irritato l'essere e rispose francamente.

"Sono fin troppo avvenente per avere una morale dalla così orrida presenza, che domande poste inutilmente!"

Ryuk ci restò male a questa risposta così schietta, ma a fargli sorvolare sull'affermazione fu un'altra mela caduta dal nulla tanto in fretta.

"Beh allora chiamami Ryuk e vedila un po' come vuoi tu".

Il piccolo annuì, aspettando che l'essere nero continuasse la conversazione, cosa che avvenne solo quando entrambi i frutti svanirono nel suo pancione.

"Bene, io sono qui per avvertirti... almeno credo," disse confuso Ryuk, grattandosi il mento. "Allora, domani verrà a farti visita uno spirito del Natale: egli ti mostrerà il tuo passato, ascoltalo bene e chissà se non ne rimarrai affascinato!"

Il ragazzo lo osservò curioso, "e perché lo spirito dovrebbe farmi visita in modo così tempestoso?"

Ryuk ridacchiò e l'ennesima mela apparsa dal nulla azzannò. "Perché dopo ce ne saranno altri due e non sia mai che questi arrivino prima di lui, già in passato accadde e non sai quanto si dispiacque!".

Le idee di Light più chiare non erano e così cominciò a pensare che il tutto fosse solo una presa in giro ben riuscita, tuttavia, non gli costava niente restar al gioco, avrebbe manipolato gli eventi e una volta scoperti i colpevoli avrebbe fatto sputar loro persino i denti!

"Io intendevo il perché di questa visita, cosa mai mi possono importare del fantasma le assurdità!"

"Ah... già,  in effetti hai ragione, a quanto ho capito, voglion darti una bella lezione".

Light trattenne il riso e lo osservò sinceramente colpito. "Una lezione? Una lezione a me? Che ben vengan tutti e tre in una notte sola, mostrerò loro le mie nozioni!"

E a queste parole Ryuk rise, rise davvero tanto, ma così tanto che rischiò più volte di farsi andar storto il torsolo della mela, le situazioni che andavan a crearsi erano a dir poco avvincenti!

Il mostro iniziò pian piano a dissolversi finché solo la grande bocca dai denti affilati restò. "Preparati, preparati pure e fa veder loro le tue nozioni. Voi umani siete davvero divertenti!"

Poi anch'essa scomparve, ma il giovane d'animo non si perse, a letto tornò, tranquillo come non mai e, quella volta, il sonno presto via lo portò.

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Capitolo 2
*** Di lavoratori pigri, di biondi impulsivi e di perplessità ***


A Very Christmas Carol

 

2.Di lavoratori pigri, di biondi impulsivi e di perplessità

 

 

La mattina seguente presto arrivò, il cielo era limpido quel giorno, nonostante la pioggia violenta di poche ore prima.

I raggi del sole dall'enorme finestra filtravano e la camera del signorino Yagami illuminavano.

Egli sbatté le palpebre un paio di volte, poi regalò al mattino un nuovo sorriso e lesto andò a sciacquarsi il viso.

Uno strano incubo quella notte il suo sonno aveva  tormentato, quale sciocchezza!

Lo  stress doveva averlo esasperato!

Quando di prepararsi finì, andò nel suo studio e Takada e Mikami per telefono avvertì.

"Se non avete concluso il lavoro..." iniziò severo, mantenendo pur sempre un certo decoro, ma presto dovette interrompersi poiché sentì una serie di versi e scusanti: gli pareva di star parlando con dei lattanti!

"V... vede s... signore..."

"Ah! Signore di qua, signore di là, un compito vi avevo affidato e capace di concluderlo non siete stato!"

Quando sentì il figlio del capo irritato, Mikami in fretta provvide a riparare il danno causato. "No, vede, padrone, è già tutto come prestabilito, purtroppo però il proprietario della ditta cui tutto  era destinato sembra aver chiuso i battenti, in bancarotta quello stolto l'azienda ha mandato!"

Light fissò per un po' la cornetta del telefono allibito: tutta quella merce, tutte quelle spese! Avevan perso tutto e già in cuor suo si chiedeva quali decisioni dovevan esser prese!

"T... tu menti," dichiarò con voce portentosa, "sei licenziato inetto!" Urlò infine in preda ad una crisi nervosa, "quel Lawliet mi ha fregato!" Strillò con voce stridula sbattendo i pugni sul tavolo. "Sì, sono sicuro che è stata colpa sua! Avrà fatto in modo da consigliare a Mikami quella ditta, dell'imbranataggine di lui avrà approfittato!"

Così, il giovane fulmineo si alzò e a grandi falcate lo studio misurò.

Cosa fare? Come fare?

Avrebbe dovuto star più attento al suo schiavetto e adesso il suo rivale a un passo da lui era arrivato, che essere abietto!

Su e giù un altro paio di volte fece, non c'era che dire, si era proprio divertito a sue spese!

Il cervello si malmenò alla ricerca di qualche informazione che avrebbe potuto giovargli almeno un po', ma dopo ore e ore passate a rimuginar su un ben emerito nulla, dovette concludere che scervellarsi in così cruento modo non era affatto producente, dunque si costrinse a star seduto e le mani intrecciate sotto il mento portò.

L'unica cosa che alle meningi giungeva come possibile soluzione, era quella di tagliare gli eccessi, dimezzare gli operai e ridurre al minimo degli impianti i costi: la perdita così sarebbe stata riparata e - con la scusa dell’impegno - la cena con la sua famiglia poteva esser rimandata.

Lavorò tutto il dì, un minuto di pausa non si concesse; i profili di tutti gli impiegati studiò, dal più produttivo al minor, e in base a quelli eliminò gli eccessi.

Poco importava se i licenziati avesser sulle spalle una famiglia, se fosser stati più attenti sarebber stati salvati e non fuori relegati.

Lavorò molto di più il giovincello, la pausa non gli sfiorò neanche per un attimo il cervello.

Scrisse direttive e ordini su carta emanò e nessuno osò disturbarlo: i servi si muovevano silenziosi tra le mura della grande casa e nemmeno Misa Misa quel giorno a rallegrar -controvoglia del ragazzo s'intende - il suo umor nero venne.

Per questo, quando finalmente il signorino Yagami si riscosse, si sentì sicuro d’aver fatto ciò di quanto più giusto per la società fosse.

In camera si ritirò con animo gioioso, anche perché nella casa regnava un silenzio religioso.

 Il piccolo diciassettenne si massaggiò il polso destro, gli doleva come non mai - evidentemente a causa dello scrivere - dunque ignorò volutamente il livido violaceo che la sua pelle contornava e, velocemente, sdraiandosi sul letto prono si rilassò, ma a pensare presto riprese.

Mille dubbi lo assalirono insistenti e forti, l'ansia fece contorcere le povere budella nel suo corpo, mentre la paura d'aver sbagliato lo mandava in collera contro persino se stesso.

Non era convinto del suo operato, ma sapeva che era necessario, allora perché non aveva mai smesso di contemplare la situazione di quell'impiegato, che aveva cinicamente licenziato, e a quella del figlioletto di lui tanto malato?

Ma no, doveva smetterla: non era da Light dubitare e non avrebbe iniziato di certo quella sera!

Ma cari lettori, questo lui non lo sapeva; ci avrebbe ripensato certamente alla seguente notte nera e non in quelle ore che presto avrebbe vissuto.

Perché si sa sia oggi e si sapeva già allora che Yagami in tutto era efficiente, eccetto che nel togliersi i pensieri dalla mente.

Anche quella volta il manto stellato era coperto da nubi e, per quanto incredibile potesse sembrare, più del cielo stesso erano oscure; la pioggia violenta cadeva, ma il suono ben udibile era.

Il signorino beatamente si crogiolava nel fragore dei tuoni e nella luce dei lampi da cui la stanza di tanto in tanto era abbagliata. 

Sonno neanche stavolta prendeva, ma da dire c'era che, nonostante avesse tanto lavorato, mai in vita sua era stato in tal modo riposato.

Dunque, nuovamente a sedere sul letto si pose e il viso alla finestra interessato rivolse.

Il giovane notò come in sé covasse una strana sensazione di distacco, si sentiva così apatico, ma anche insofferente al mondo e ai suoi doni: come se il freddo non potesse più nuocergli, come se nemmeno il caldo potesse farlo soffrire; a sormontare su queste potenti emozioni, c'era quella che più lo confondeva, ossia il disinteresse verso ciò che attorno gli accadeva.

Via dalle spalle scivolò il fardello dell'operaio e del figlioletto; ancor più leggero si sentì il ragazzo, tanto che gli sembrò di poter volare! 

Sul punto d'alzarsi dal letto fu, ma, quando provò le lenzuola a scostare la mano, non le scompose e come se nulla le avesse toccate restaron lì, immobili e composte.

Delle risa violente, di colpo, la stanza inondaron e il povero Light per poco non svenne nell'udir un simile tono.

Le porte vennero spalancate e un vortice di vento, nonostante le finestre serrate, la camera invase, via via, sempre più violento!

Yagami iniziò a guardarsi intorno e, quando gli occhi sul suo stesso giaciglio gravaron, si alzò di scatto e portò le mani alla castana chioma.

"Son morto?"' Urlò al vento disperato, vedendo il suo corpo tra le soffici lenzuola adagiato.

A quelle parole le risa di volume s'alzarono, mentre le tende presero a svolazzare, i libri giù dalla libreria con foga iniziarono a schizzare, gli antichi volumi a caso si aprivano e strappate le pagine dalle violente folate di vento finivano!

Le ante degli armadi sbatterono più volte nella stanza, producendo un rumore a dir poco assordante, mentre una nebbia, proveniente da Dio solo sapeva dove, si concentrava al centro della camera.

Ancora il nostro protagonista imprecava verso il se stesso dormiente e si domandava di come fosse stata possibile tale disgrazia!

Si disperava, le mani ai capelli si portava e caso certo non faceva alla nebbia che andava ad uniformarsi e compattarsi formando un mulinello illuminato all'interno da mille e più fulmini.

Solo un urlo riuscì a distogliere Light dalle sue elucubrazioni, ancora più forte e certamente mille volte più inquietante delle risa.

"Io sono il PRIMO che arriva dei tre spettri, mi chiamo Mihael Keehl, fantasma dei Natali passati. Chi mi ha dato questo sciocco ruolo proprio non saprei, ma giuro che, se trovo lo stolto che in rima sta cercando di farmi parlare, non lo farò arrivare affatto al prossimo Natale!"

La richiesta dell'irruento fantasma venne presto accolta, ma, di Light, la reazione alla sua presenza non fu altrettanto accorta.

"Non stavo prestandovi attenzione, oh nobil uomo, e non posso tuttora, guardate quel mio bel giovane corpo, senza una vita che lo ospita andrà in malora! Alla mia promessa sposa verrà un colpo!"

E giusto mentre Light pensava ai vantaggi di quest'ultima possibilità, il fantasma per il polso lo prese e ad alzarsi lo costrinse, riuscendo a metterlo persino a disagio, poiché lo scrutava con sin troppa intensità.

"Bene, già mi hanno costretto a venire fin qui, come se io non avessi niente di meglio da fare durante la notte di Natale! Ma almeno possiamo sbrigarci? Spero che tu sia pronto, quindi, Yagami, adesso vieni con me e dei tuoi errori ti farò render conto!"

Ma l'interpellato indietro si sbilanciò: di seguire quell'estraneo proprio non se ne parlava!

Il suo corpo! Il suo stupendo corpo!

Quella era la sua prima preoccupazione, altro che fantasma!

Così il ragazzo ragionava e tra le braccia si stringeva cercando almeno un po' di conforto.

Mello sospirò, tirò ancora verso di sé il signorino e gli urlò contro: "non sei morto! Il tuo passato ti devo mostrare, ma di certo nella tua forma terrena non lo posso fare!"

Light infine si calmò dopo aver studiato per tre minuti l'accaduto, dunque quello della notte precedente non era stato affatto un sogno, che cosa inattesa! Ma anche incredibilmente interessante…

"Allora," iniziò il fantasma a spiegare, forse in modo sin troppo sbrigativo. "Hai ignorato una bambina che alla tua porta era venuta a cantare, fatto scappare la tua fidanzata che ti voleva solo coccolare, impedito a due coniugi di festeggiare e tutto ciò nella vigilia di Natale! Per non parlare poi del fatto che hai ignorato al telefono tua madre che, poverina, da lei ti aspettava; lasciato tua sorella fuori dalla porta inutilmente ad aspettare e mille e più operai hai deciso di licenziare,  tutto nel giorno di Natale, ma cosa mai ti salta in mente? Sei una canaglia! Dovresti sparire nella più fitta boscaglia!"

Light inarcò un sopracciglio e infine chiese, non riuscendo a trattenere un briciolo di curiosità: "se é lecito domandare, perché mai tanta pena vi date? Sembra che io abbia offeso la vostra persona per prima, ma non mi pare d'avervi dato ragione di tale ira".

"Ira?" Chiese il fantasma non riuscendo a trattenere una risatina, "vedi, non sono in collera con te, anzi, tutt'altro, voglio farti i miei più sinceri complimenti, io stesso faticherei a mantenere un simile atteggiamento  in un giorno cui la gente è in tale fermento!"

"E allora perché mi state dando il tormento!?" Esclamò Light tornando a piangere di nuovo al suo capezzale.

Mello sbuffò spazientito e invitò con un cenno del capo il ragazzo fuori sul balconcino, ma la pioggia ancora incessante cadeva, ragion per cui il signorino scosse la testa.

"Non ti bagnerai, non hai corpo, Yagami, quindi vieni con me e non dubitare".

Una volta fuori il giovane si meravigliò di come la pioggia funesta non lo toccava e di come il freddo indifferente gli sembrava.

"Perché ogni anno noi tre fantasmi decidiamo chi sia il più cinico degli umani," riprese lo spettro con il viso rivolto a scrutare l'orizzonte. "Ebbene Yagami, tu sei la medaglia d'oro del nostro podio, peggio di te non ne esistono e ne sarei onorato,  in un certo senso, se un simil primato mi sarebbe affibbiato".

Light si zittì a quelle parole, non riusciva a credere a ciò che aveva udito: lui... cinico? Il primo tra i cinici?

"Ehi, sveglia," disse il fantasma infastidito nel non aver gli occhi altrui puntati addosso. "Ora noi andremo giù, nei meandri del tuo passato, ti farò vedere perché così sei diventato".

E senza lasciar tempo al ragazzo di metabolizzare quanto detto, con uno scatto fulmineo lo spintonò giù dal balconcino.

Urlò forte, Yagami, durante quella caduta, non tacque neanche un attimo quella povera anima sperduta!

Solo quando su un piano gli sembrò di trovarsi e tutto divenne nero iniziò la voce a mancargli, così una mano al volto portò e dove si trovava di capire cercò.

Non era tutto poi così oscuro, ben mirando in quella stanza dalle strambe ambiguità, si poteva notare un certo mobilio; quando la vista si abituò per bene, poté vedere due bambini accucciati sotto le coperte di un gran lettone a baldacchino.

"Quello sono io," annunciò fiero al fantasma che dietro gli era apparso, non senza un po' d'orgoglio; in fondo Light lo sapeva: anche allora adorabile era.

Lo spettro osservò con indifferenza la scena e ancor meno attenzione diede a quella affermazione.

"Come vuoi, ma quella accanto invece chi è?" Chiese subdolo pur sapendo l'identità dell'altro scricciolo.

"É la mia sorellina," rivelò l'altro, guardando male Mihael:  era certo che lo spettro conoscesse almeno le persone che a lui erano più vicine.

"Ma che carini..." disse il fantasma guardandosi le unghie: proprio non capiva il biondo come in tale situazione fosse finito, avrebbe preferito esser sostituito! "Bene, adesso ragiona un attimo e ricorda, cosa accadeva allora?"

Light rise di cuore e si avvicinò ai due bambini.

"Mia madre preparava le calze e le appendeva sul camino, poi quando noi dormivamo le riempiva con dei doni..."

"Alt!" Lo interruppe il fantasma, poiché a contraddirlo era pronto. "Tu non sapevi che fosse tua madre a prepar tutto".

Light fece spallucce e annuì, "beh non sapevo ogni cosa, ma era logico pensar che di certo non era un personaggio inesistente a riempir le calze".

"Eppure mi sembra che tu ci credessi fermamente all'epoca". E con uno scocco di dita, il set attorno a lui prese vita!

Le luci illuminarono poco la stanza e il respiro assorto dei bambini chiaro e tondo si sentì.

Il maggiore all'improvviso si svegliò e la sorella scosse per un po'.

"Sayu, è mezzanotte, Babbo Natale sarà già venuto a farci visita!"

E con un movimento rapido e scattante, i due giù dal letto saltaron e fino alla sala da pranzo trotterellarono.

"Visto?" Disse Mello soddisfatto, mentre la sua figura iniziava a vacillare assieme alla cameretta.

Stavan cambiando luogo, quel marrano di un fantasma almeno avrebbe potuto avvisare!

A Light venne da rimetter pranzo e cena durante il suo viaggio nello spazio e nel tempo, tanto che, quando si ritrovò in un parco, dovette persino sedersi su un'altalena.

"A quanto pare eri un bambino come tutti gli altri," disse Mello solenne,  incrociando le braccia sul petto.

"Non direi proprio," rispose Light indicando un'altra versione di se stesso con la testa china su un libro, che stava seduto su una panchina non di lì molto distante. "Spesso coloro che hanno un pensiero troppo diverso dal prossimo vengono emarginati, ognuno di noi deve trattenere i propri impulsi e adattarsi alle regole che la società c'impone". Altri bambini arrivarono e attorniarono il ragazzino, il più corpulento tra di loro si avvicinò e l'attenzione del piccolo Light attirò.

"Posa i libri e vieni a giocare con noi!" Gli disse mostrandogli un pallone.

Il bambino annuì, riuscendo a trattenere un sospiro, e annoiato gli altri ragazzini seguì.

Aiutò persino qualcuno che era così maldestro da non riuscire a restare in piedi a causa della neve.

"Se avessi rifiutato sarei stato considerato strano e anormale, perciò preferii seguirli, almeno così, a loro apparivo uguale".

Mello un biondo sopracciglio inarcò, poi fece spallucce e ancora una volta scena cambiò.

"Questo tuo atteggiamento prese spazio anche nella tua famiglia," disse secco lo spettro, osservando come il ragazzo castano sorridesse ad una conversazione, seduto a cena con attorno i parenti, ma come, invero, non fosse minimamente coinvolto nella discussione.

"Cos'altro avrei dovuto fare?" Chiese il signorino al fantasma con fare irritato, "non potevo certo mettermi a contraddire tutti su tutto, mi avrebber cacciato". 

Il Light del passato si alzò dal tavolo una volta finito di cenare, pulì e rassettò quanto aveva disordinato e in camera sua si apprestò a tornare.

"Light, oggi a mezzanotte sarà Natale, non vuoi restare assieme a noi per i regali da scartare?" E mentre la madre cordialmente gli sorrideva, il padre gli lanciò un’occhiata che per poco la vita non gli toglieva e il figlio, un po’ intimorito, annuì.

“Scusami mamma, deve essere la stanchezza,” mentì e nonostante in camera sua avesse da studiare,  a tavola si costrinse a restare.

Improvvisamente la scena si fece lontana, Light tornò indietro, catapultato, da chissà cosa, nella sua stessa camera, dentro il suo stesso corpo.

Si alzò di scatto il ragazzo e una mano alla gola portò, iniziando a boccheggiare per riprendere fiato, infine lo sguardo su Mello  fissò.

“Non mi pare abbiate ottenuto molto con questo viaggio, mi sbaglio?”

Mello sospirò e prese a percorrere a grandi falcate la stanza, poi il suo angelico volto venne illuminato da un lampo e un ghigno vi prese vita.

“Il tutto si chiarirà quando il prossimo spettro arriverà, la tua anima potrebbe essere salvata, ma non nego che dovrai lavorarci su, sempre se vorrai compiere un simil…”

“L… la mia anima? Salvata?!” Esclamò Light alzandosi per fronteggiare lo spettro. “Da cosa?”

“Da te stesso, oh giovane stolto, da te stesso e dalla dannazione eterna!” Detto questo il fantasma così com’era venuto scomparve, vale a dire:  tra vento, risate e soprattutto disordine.

Light portò una mano alla fronte e sospirò.

“Che sciocchezze,” disse ad alta voce fra sé e sé, “se il paradiso e l’inferno esistessero, allora quei tre fantasmi non dovrebber proprio lì ritrovarsi?”

Poi cominciò a sistemare  il caos che la sua stessa camera era diventata.

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Capitolo 3
*** Di strani inviti, di rossi allegri e d’imprevisti ***


A Very Christmas Carol

 


3.Di strani inviti, di rossi allegri e d’imprevisti





Ed è qui che giungiamo, bellissime dame e affascinanti galantuomini, a quello che fu il terzo giorno di supplizio del giovane Yagami.

Quel dì, il signorino prese coscienza degli eventi accaduti le precedenti notti, ma è meglio scendere ancor più nei dettagli, in fondo, non si dice proprio che i protagonisti dei fatti siano i più dotti?

Il diciassettenne era agitato quella mattina, come una furia si abbatteva su chiunque a tiro gli capitasse; ordini a destra e a manca impartiva e non appena qualcuno osava ribadire veniva mandato fuori a calci: ovviamente, il signorino non si preoccupava dei modi che bisognava addolcire .

Quando la sua ira,  infine, trovò pace, si sedette sul lussuoso divano della camera da letto e ne carezzò la pregiata stoffa con la punta delle dita.

Si era ritrovato a dover convivere con l'incubo di quattro notti tormentate: due eran passate, grazie a Dio, ma gliene restavan altre tante da subire e come le avrebbe superate per lui restava un mistero; quasi si sentiva sotto assedio!

Come se il tutto non bastasse, a mandarlo in panico era arrivato quel... nemmeno voleva definirlo dono, insomma, da che mondo e mondo si omaggiava con dei fiori un uomo?

Erano delle rose rosse quelle che aveva dovuto sistemare accanto al baldacchino, non che gli dispiacessero poi tanto, ma, in fin dei conti, se le avesse volute avrebbe da sé provveduto ad acquistarle.

Il problema maggiore, però, non si esplicava in quel regalo, bensì dalle parole che lo accompagnavano.

Un piccolo biglietto, così semplice, così sfacciato!

Tanto che era riuscito a spiazzarlo, a lasciarlo senza parole, quasi come se privo d'intelletto fosse stato!

"Mio carissimo collega," così iniziava il breve testo, "sarei lieto di disquisire dei problemi dei quali si è dovuto occupare," a quella lettura Yagami si morse il labbro stizzito, quanto era molesto! "A causa mia, non lo nego," e lo ammetteva pure il marrano! "Ragion per cui la invito nella mia tenuta domani sera," un invito a cena? Cosa mai era? "Se dovesse rifiutare la mia offerta, farò mostra della mia persona d’innanzi la sua porta quando più mi aggrada,” sconcertante!

Il povero Light sospirò e a leggere continuò, “spero che le rose siano state di vostro gradimento”.  Ed una firma in basso a destra concludeva il tutto.

 

Lawliet

 

Che intenzioni avesse, quel maledetto, proprio non lo immaginava, ma le opzioni di cui disponeva erano tante, perciò esser il più possibile obiettivi bisognava.

Se non si fosse fatto vedere, il tarlo che da mesi gli martellava la mente sarebbe venuto da lui; ebbene, Light avrebbe fatto così: meglio affrontare un avversario come Lawliet in casa propria, dove le difese sarebber potute restare alte, invece che diventare facile preda  in un territorio sconosciuto.

Tre colpi secchi dalla porta d'ingresso giunsero inaspettati all'orecchio, qualcuno aveva avuto il coraggio di chiedergli udienza in un momento tanto bislacco?

Quando andò ad aprire, non con poca rabbia per esser stato disturbato, un ragazzino dai grandi occhi grigi e il viso tirato mostrò un sorriso delicato.

"Buongiorno signor Yagami, sono venuto a chiedervi perdono da parte di mio padre, abbiamo bisogno di quel lavoro e..." ma l'espressione che i lineamenti del castano assunsero lo costrinsero presto al silenzio.

Light odiava coloro che rimpiangevano le proprie azioni, ne aveva le tasche piene e all'udire anche solo la premessa del discorso aveva assottigliato lo sguardo - lievemente s'intende - ma ciò bastò a conferirgli un'aria quasi felina.

"Se avesse tenuto tanto al suo lavoro, il signor...?" chiese con un cipiglio curioso.

"Tota," rispose il più piccolo in un soffio.

"Matsuda," sussurrò Light collegando immediatamente il cognome a quell'impiastro. "Avrebbe fatto più guadagni e certamente meno disastri! Ora, se non ti dispiace, ho altro di cui occuparmi e non posso fermarmi certo ad ascoltare i lamenti del figlio di uno scansafatiche". Non attese repliche il signorino e chiuse la porta in faccia al ragazzino.

Una volta dentro tornato, si precipitò ad afferrare il telefono: d'appioppare a Misa una scusa per quella sera e per quella dopo ancora aveva dimenticato!

Per non parlare del fatto che la ragazza attendeva una risposta: lei aveva già avanzato proposta di matrimonio, ma Light, piuttosto che accettare, avrebbe compiuto un patto persino con il demonio!

Era fuori discussione! Figuriamoci se avesse voluto unire il suo destino a qualcuno di così  frivolo, specie a quel tempo: era ancor troppo giovane!

Per questi e più motivi da giorni ignorava Misa Misa, insomma, ancora non era tanto masochista!

Qualcuno poteva definire il suo comportamento "da codardo",  ma era un po' grazie a lei che aveva ottenuto un certo prestigio: essere il promesso di una donna tanto ammirata, gli aveva senza alcun dubbio giovato per giunger al successo.

"Pronto?" L'acuta voce della ragazza distolse Light dalle sue elucubrazioni, dunque si riscosse e cercò di mantenere un tono pacato.

"Misa, purtroppo questa sera non potremo uscire, il nostro appuntamento slitta a data da destinarsi," e, conscio di ciò che stava per avvenire, il telefono allontanò dall'orecchio.

Le urla rumorose che provennero dalla cornetta si fecero attendere molto per trasformarsi in piagnucolii sommessi, solo allora il castano avvicinò l'apparecchio alla sua persona.

"E... e va bene Light"' gracchiò Misa Misa, "ma la prossima settimana voglio tre appuntamenti extra, sia chiaro".

L’interpellato sospirò e, nonostante la donna non fosse davanti a lui, mosse il capo in segno d'assenso con fare accondiscendente.

"Avrai tutto ciò che vuoi, però adesso devo lasciarti, ho da fare..." mentì con nonchalance.

"Ti amo tanto Light!" Urlò la ragazza aspettando poi la risposta del giovane.

"Ti amo anche io". L'accontentò il diciassettenne monocorde, senza tanti giri di parole.

La ragazza era tanto ingenua, bastava poco per ingannare il suo povero cuore.

 

Quando anche quel giorno maledetto vide il sole tramontare, Light si preparò mentalmente alla venuta del secondo fantasma.

Dopo essersi concesso un po' di riposo, sedette con eleganza sul divano; non era agitato, col tempo, era riuscito a tenere ben a bada quel tipo di miasma.

Già, veleno, perché l'ansia non poteva esser considerata altro.

Era un sentimento dannoso, capace di far perdere il ben dell'intelletto: un uomo d'affari impeccabile doveva esserne immune e Light lo era, poiché meticoloso.

Tre colpi secchi risuonaron portentosi, doveva esser il secondo dei tre spettri misteriosi.

Il ragazzo sbatté le palpebre, un po' sorpreso (non si aspettava certo che il suo ospite battesse alla porta)  e rassettò le maniche della camicia di lino.

"Avanti," disse come se fosse un gentile invito.

Le porte si aprirono con un gran baccano, ma nessuno entrò, si poteva, però, udire un certo mormorio; Light, allora, si alzò poco convinto e alla soglia si avvicinò piano.

Un ragazzo, rosso di capelli, v'indugiava, egli sussultò quando il padrone di casa notò.

"Salve, e beh... ecco, io se non sbaglio dovrei essere il secondo fantasma di Natale," berciò giù di lì, poi guardò Light, che lo osservava a sua volta stranito, e riprese la sua presentazione. "Mi chiamo Mail Jeevas...?" Pronunciò a mo' di domanda, "ad esser sincero, io qui non é che c'entri poi molto, uno spettro, uno dei tre, è uscito di senno, perciò mi han concesso il suo scettro".

Light, a quelle parole, annuì, sperando che Mail non desse spiegazioni aggiuntive riguardo il fantasma impazzito: non che la curiosità non lo rodesse nel profondo, ma era meglio non sapere cos'avesse fatto uno spettro di tanto grave da meritare il licenziamento.

"Il mio promemoria mi dice..." il fantasma cominciò a cavar fuori dalla sua tasca vari block notes, gettandoli per aria, "eccolo qui!" Urlò vittorioso alla fine della sua ricerca, "che dovrei mostrarti il tuo presente". Dopo tacque e i due iniziarono a guardare tutto, fuorché il loro interlocutore.

"Mi dispiace, ma il mio presente già lo conosco, anche sin troppo bene: so già cosa accadrà domani, contando sugli elementi che influenzano gli avvenimenti di oggi". Prese la parola Light.

"Beh, noi andiamo a farci un giro, poi mi dici!" Annunciò il defunto dandogli una pacca sulla spalla con affetto.

Il castano, improvvisamente, si sentì cadere; durò per ben pochi secondi questa orribile sensazione, poi, osservò il suo corpo giacere a terra.

Quella volta non rimase spaventato dall’evento, il suo pensiero era diretto più al prodigio in sé: di fatto, Light si chiedeva come fosse possibile prendere quella forma, con non poco accanimento.

Era tornato ad essere incorporeo.

Quando i due preser marcia, in città un piacevole venticello aleggiava e l'odore del pane caldo l'olfatto beava.

"Dove andiamo?" Chiese Light curioso, dando, di tanto in tanto, un'occhiata furtiva alle case lì vicino.

Conosceva quel luogo, il giovincello, era il quartiere dove la sua promessa - tsh, ma per carità! - sposa abitava.

Giunsero presto alla di lei abitazione, vi entrarono senza fare il minimo rumore.

Ogni angolo era stipato da mille e più statuine raffiguranti, per la maggior parte, dei santi.

Il comodino, accanto a letto, sembrava essere un piccolo santuario, tanti erano gli oggetti sacri che lo occupavano.

Misa Misa era distesa supina sul letto col volto coperto dall'esile mano, sembrava avesse pianto da poco: le guance erano imperlate da piccole gocce.

"È a causa tua, Light," annunciò il fantasma, sedendosi accanto alla donna e guardandola con un certo languore. "Sei tu a trattarla con sufficienza, sembra soffrire per la tua assenza".

Light storse le labbra e scrollò le spalle: "non vedo come potrebbe essere colpa mia. Nei suoi confronti non ho mai mutato atteggiamento, sapeva com'ero quando mi conobbe ed era conscia che non sarei cambiato".

"Forse ci sperava".

“Si sbagliava”. Le dita del castano sfiorarono appena la ragazza, non era certamente lei ciò che si accingeva a toccare, ma una lettera appoggiata al suo fianco, peccato che quando le sottili falangi avrebbero dovuto incontrare la ruvida carta vi passarono attraverso.

“Voglio leggerla,”obbiettò lui.

Mail sospirò e prese la lettera al posto del giovane, la aprì e lesse a gran voce.

 

“Mi duole il cuore, ma non posso più mentirvi, oh mio dolce primo amore; non adesso che, finalmente, ho conosciuto la dolce sensazione del sangue che fluisce alle gote con ardore, non ora che ho trovato chi sa farmi trasalire con un solo effimero sguardo.

Trovo ingiusto essermi reso conto da ben poco tempo che i miei sentimenti per voi non erano altro che affetto e grande ammirazione, ma trovo ancor più scorretto farvi credere in un amore che non esiste e che mai potrà esserci.

Vi lascio con poche parole, mia cara amica, se mai un giorno vi potrà dei miei auguri importare qualcosa, allora, vi auguro tutta la felicità di questo mondo, spero riusciate a trovare un uomo che vi apprezzi come meritate.

 

Non più vostro.

Light Yagami”.

 

 

Quel testo non era stato scritto da lui, aveva avuto ben altro per la mente.

Alla prima impressione, aveva sentito il bisogno di ridere: qualcuno che potesse fargli provare determinate emozioni non esisteva, nemmeno nel più lontano pianeta!

Poi un brivido gli risalì lungo la spina dorsale, la situazione poteva esser considerata anche inquietante ripensando… tuttavia non diede ascolto a quella strana sensazione che gli serpeggiava sin nel profondo dell’animo e a pensare razionalmente iniziò.

In molti invidiavano la sua relazione con Misa e, di certo, qualcuno voleva mettergli i bastoni tra le ruote; ecco che la cerchia dei sospettati si restringeva solo ai rivali più vicini al ragazzo.

Al contempo, però, se non si fosse fatto sentire per un paio di giorni - con la scusa onnipresente del lavoro -  e avesse lasciato che la ragazza credesse a quelle poche righe, sarebbe stato libero! E non poteva che gioirne al solo pensiero!

Si sarebbe ripreso Misa, una volta detto che quella lettera era solo una banale copia; il confronto tra le calligrafie avrebbe confermato le sue parole.

Si avvicinò al fantasma per dare conferma alle sue stesse deduzioni, ma quando il suo occhio cadde sugli eleganti caratteri ne rimase affascinato: scritte di suo pugno sembravano, ma di certo così non era, a meno che il suo subconscio non avesse preso vita durante le ore di sonno!

Rimase in silenzio, portò una mano al mento e socchiuse gli occhi per meglio concentrarsi.

Chi mai poteva essere quel buzzurro?

Per la prima volta, in vita sua, si sentì come osservato; quale pazzo avrebbe riprodotto, in modo tanto ossessivo, la sua grafia? Se ne sarebbe occupato domattina, non adesso, non era il momento.

“Non hai il minimo tatto,” annunciò il fantasma, scuotendo la testa in segno di dissenso, facendo sussultare Light.

Un sorriso sornione si dipinse sul volto di quest’ultimo, esso sembrava essere il riflesso del suo pensiero scaltro e meschino.

“A cosa ti riferisci?” Chiese innocentemente.

“Ai tuoi propositi”.

Nuovamente, lo sguardo del castano si affilò e si chiese se quel fantasma non fosse stato in grado di leggergli la mente.

“Dovresti dare alla gente che ti è attorno la giusta importanza”. Continuò il rosso. “Tu non sai quanto hai allontanato chi più ti sarebbe stato vicino”.

“Ti sbagli”. Disse secco Light, facendo zittire lo spettro che, con risolutezza, adagiò la lettera accanto alla ragazza, proprio lì, dov’era prima. “So benissimo chi ho allontanato, ma è meglio così, a rallegrar le loro grigie giornate non ero destinato”.

Con un gesto teatrale il signorino portò una mano alla fronte, poi, prese a camminare per la stanza con calma, piccoli passi che non avevano nessun’altro obiettivo che non fosse attirare l’attenzione a sé.

“Non voglio tra i piedi tanti spaventapasseri ai quali donare un cervello non rientra nemmeno nelle capacità del grande mago di Oz! Credevi sul serio che non sapessi in che condizioni Misa versasse? E fammi indovinare un po’, il giro doveva, forse, continuare tra i sobborghi? Volevi farmi dare un’occhiata alla famiglia Tota? Oppure, alla mia povera madre che è costretta a passare le feste senza il  suo figlioletto? Della mia futura sposa,” continuò con sarcasmo, “già me ne hai dato dimostrazione, anche voi esseri soprannaturali siete prevedibili e noiosi, qualità che sembra dagli umani abbiate fatto acquisizione!”

Matt si riscosse, come se fosse stato ridestato all’improvviso, infine, posò lo sguardo sul ragazzo.

"È la noia," disse Matt osservandolo intensamente, " È lei è la tua peggiore nemica".

Light annuì, lo guardò con sufficienza, poi sbuffò e l'attenzione su Misa spostò.

"Lei sarà la moglie perfetta, lei mi aspetterà sia a pranzo che a cena, non mancherà mai di organizzare una cerimonia, anche la più irrilevante; ma con l'andare degli anni avanti, ogni giorno mi sembrerà d'averlo già vissuto, sarà sempre tutto, così... monotono. Io... io non voglio".

 

I due uscirono dalla casa in silenzio.

Light non guardò indietro, sapeva cos'avrebbe visto e non lo interessava.

Forse non avrebbe nemmeno detto la verità su quella lettera, l'idea, poi tanto, non lo tormentava.

Quando tornarono nella bella villetta, il silenzio era l'indiscusso protagonista; pace, una pace che stava diventando sempre più frequente da quando, Light aveva previsto anche questo, nessuno dei suoi familiari veniva più a fargli visita.

"Non riuscirai a prevedere sempre ogni cosa". Prese in mano la conversazione il rosso.

"Le nuove situazioni non saranno che dettate da minime variazioni". Ribatté immediatamente l'altro.

Ma il fantasma non si fece zittire e, con il senno di chi lunga la sapeva, disse: "piccoli cambiamenti possono determinare eventi disastrosi  in certe occasioni. Non dare mai nulla per scontato: milioni e milioni di persone s'incontrano ogni giorno a causa di tanti piccoli imprevisti; chiamalo fato, o chiamalo semplicemente caso, non puoi escludere a priori di conoscere qualcuno che, tanto per citare il nostro scrittore misterioso, ti farà conoscere il dolce affluir rapido del sangue alle gote".

A quel punto il fantasma trattenne il riso e aprì la porta. "Spero che quando ci rivedremo non sarà all'inferno, non per qualcosa, ma tu sei il mio primo impiego, mi piacerebbe aver iniziato in modo decente, chiedo questo almeno!"

Ma Light, lesto, rispose e, a dirla tutta, anche con un po' di stizza: "non hai fatto un accidente, staresti bene a lavorare come nullafacente!"

Lo spettro rise di nuovo, stavolta con più gusto.

"Non saprei, credo proprio che deciderò in futuro, ma, al momento, il mio incarico eseguirò con grande impegno; un ultimo consiglio, oh giovane sciocco, attento ai gufi".

Poi rise ancor più forte, varcò la soglia e lì vi scomparve.

Light provò a seguirlo, voleva assolutamente delle delucidazioni, non gli andava, senza prima aver chiarito, di dare ascolto alle sue considerazioni!

Lui doveva stare attento ai gufi?

Se non voleva essere licenziato, quello spettro, doveva certamente rimediare ai suoi metodi buffi.

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Capitolo 4
*** Di colleghi invadenti, di spettri albini saccenti e di futuri sconosciuti ***


A Very Christmas Carol

 

 4.Di colleghi invadenti, di spettri albini saccenti e di futuri sconosciuti

 

Il ragazzo posò una mano tra le lenzuola bianche, ne carezzò la morbida consistenza e con un blando sospiro schiuse gli occhi.

Spesso si domandava cos'avesse fatto di tanto male da meritarsi un lavoro così caotico e infernale.

Il suo ufficio - nei giorni dopo le festività - avrebbe assistito ad un via vai di gente cupa e imbronciata, che dalla fine della vacanze sarebbe stata pure scocciata.

Alta la tensione si sarebbe rivelata e tesa come una corda di violino, ma Light sarebbe riuscito a calmare gli animi, ricorrendo al suo intelletto sopraffino.

Ben sapeva giostrare i giochi dell'azienda di famiglia ed era solo merito suo se gli affari procedevan a meraviglia.

Ma il sonno era suo nemico: da tre notti, ormai, il ragazzo non dormiva tranquillo, giacché tre malvagi demoni avevano avuto modo di turbare il suo riposo, ognuno dei quali aveva un potere a dir poco spaventoso.

Per queste ragioni Light dubitava seriamente di riuscire a riprendere il lavoro e ad essere impeccabile come suo solito.

 Sbatté le palpebre un paio di volte, la luce del giorno lo infastidiva non poco, allora portò il lenzuolo sopra la propria testa, non aveva alcuna intenzione d'andare a messa.

 

— — —

 

 I rintocchi delle campane riecheggiavano gioiosi, i fedeli prendevano posto tra le panche di legno, i bambini erano in silenzio all'interno della chiesa, sembrava che persino a loro la parola fosse stata presa.

In piedi, in un angolo oscuro dell'edifico, stava un ragazzo dai folti capelli neri, avvolto in un abito domenicale che risultava scialbo, grezzo e un tantino stropicciato, nonostante da pregiate stoffe fosse stato creato.

                                                                                                                                                                            

Le scarpe erano malamente indossate, tanto che i calcagni toccavan il freddo pavimento, anche se dei brividi che lo avrebbero dovuto cogliere, il giovane, non pareva aver presentimento.

I pantaloni circondavano la vita mollemente - chiunque avrebbe capito che bisognavano di una cintura, persino un malato di mente! - lasciavano intravedere una sottile linea blu che altro non era se non la biancheria.

La camicia bianca era lasciata a se stessa, i bottoni erano fuori dalle giuste asole, mentre la giacca era stata affidata al vecchio maggiordomo, accentuando la noncuranza del nobil uomo.

Lawliet non ascoltava il prete - il quale  aveva già dato il benvenuto ai fratelli - ma scrutava disinteressato la folla, in cerca di una capigliatura perfettamente liscia e ordinata.

Sporse il labbro inferiore quando non  trovò quel che cercava, assumendo un espressione simile a quella di un bambino capriccioso che non aveva ottenuto ciò che desiderava.

L'anziano si avvicinò, gli porse la giacca e accennò un inchino.

"Conviene tornare alla villa, signorino, so che volevate vedere il giovanotto, ma è chiaro che non farà mostra della sua persona. Vi consiglierei d'attendere la cena".

"Watari, ti prego di non parlare quando non sei interpellato". Furono le lapidarie parole di L. "Lui non verrà stanotte da me". Poi si stampò un finto sorriso sulle labbra, talmente tirato da risultare inquietante e si avvicinò ad una signorina dai lunghi capelli neri, avvolta in un cappotto all'apparenza tanto ingombrante.

Dunque prese fiato e disse col tono di voce più normale di questo mondo: "Perdonate  il disturbo, ma dovrei rubare un attimo del vostro tempo, il signorino Yagami è il vertice dei miei quesiti, non voglio vagar in tondo".

Le occhiate irritate dei fedeli giunsero a colpire Lawliet, che, imperterrito e menefreghista, iniziò a porre una domanda dopo l'altra alla signorina Misora, tutte incentrate sulla persona del giovane Light: quale fosse il suo colore preferito, cosa mangiasse con più letizia, quali fossero i suoi giorni liberi, le feste che più adorava o odiava e così via...

Naomi cercava di scacciarlo lontano, rispondendo agli interrogativi in modo netto e sbrigativo, invitandolo -ogni qualvolta finisse di dare la risposta, perché certamente Lawliet non era un tipo che si accontentava - a lasciare quel luogo di culto.

Quando, finalmente, il moro raggiunse la propria auto, Watari sospirò sollevato, per un attimo aveva pensato che il suo protetto sarebbe finito dalla folla linciato.

"Avete saputo ciò che v'interessava?" Chiese curioso l'anziano al volante.

Lawliet annuì, ma non gli prestava davvero attenzione, era in un luogo tutto suo, dall'auto molto distante.

Seduto nel sedile posteriore, portò le ginocchia al petto e vi poggiò la fronte.

Informazioni, se doveva avere a che fare con Light Yagami non gli serviva altro.

Conosceva già tutto di lui, era riuscito ad entrare in possesso di contratti che il ragazzo aveva stipulato con altre aziende; il suo metodo lavorativo era impeccabile.

Lawliet lo voleva come suo socio in affari, ma non solo.

Era rimasto colpito dalla personalità del giovane, dal suo atteggiamento, dal suo portamento.

Rare erano state le occasioni nelle quali lo aveva incontrato, eppure sentiva che tra di loro c'era qualcosa, un sentimento che avrebbe acceso molto più di una questione.

Non amore, certo che no! Bensì attrazione.

La sua attenzione era sempre calamitata dal modo di controbattere che il ragazzo adottava nei confronti di chi gli era avverso; cercare d'affermare la propria ragione era solo tempo perso.

Light Yagami vinceva, sempre.

Ed era qui che la mente contorta dell'uomo d'affari si era incaponita.

Una persona non poteva trionfare in qualsiasi occasione, doveva sbagliare,  doveva avere anche una piccola imperfezione! Altrimenti sarebbe giunta a credere d'essere irraggiungibile, perfetta, divina.

Ebbene, Lawliet voleva essere questo per Light.

Voleva essere il suo sbaglio, voleva essere la sua imperfezione.

Il nobil uomo sarebbe stato ciò che avrebbe reso il signorino Light umano.

Sarebbe stato sorprendente, lo avrebbe preso in contropiede.

Ryuzaki era abbastanza accorto da rendersi conto che il ragazzo teneva molto a pianificare ogni singolo evento della giornata: la sua vita era scandita dai ritmi che il lavoro gli imponeva, quindi le sue giornate erano monotone e noiose.

L'uomo doveva riuscire a non diventare il passatempo che avrebbe fatto divertire quel ragazzetto durante le ore di riposo.

L Ryuzaki Lawliet , per il signorino Yagami Light, sarebbe stato imprevedibile, inafferrabile.

Deciso questo, non gli restava altro da fare se non scegliere l'abito per il loro prossimo incontro.

Ah, già! Quasi dimenticava!

Doveva anche eliminare ciò che dalla lettera inviata a quella gallinaccia avrebbe potuto far risalire a lui, avrebbe evitato  una figuraccia!

 

— — —

 

"Buonasera, Light Yagami".

Il castano, che camminava avanti e indietro nelle sue stanze, aveva atteso la venuta del terzo e ultimo fantasma di Natale, tuttavia, non si trattenne dal sussultare quando sentì una voce alle sue spalle.

Si voltò e, con sua somma sorpresa, si trovò davanti un ragazzino sul pavimento seduto, intento a comporre un puzzle, bianco in gran parte, ma dal bordo dorato.

Ormai mancavan pochi pezzi alla fine del lavoro, ma sembrava fosse bloccato  da chissà quale mistero arcano.

"Buonasera," rispose il castano, osservandolo poi per qualche minuto.

Quello spettro era diverso dagli altri, ma Light non sapeva dare una spiegazione a questa strana sensazione.

Era come se il suo ospite fosse  colui che avrebbe messo la parola fine ad un ciclo di sfortunati eventi e che presto ne sarebbe iniziato uno nuovo.

Che pensieri pessimistici! Meglio riporre fiducia in qualcosa di più positivo, come sempre provava a fare, anche se in modo approssimativo.

"Sono Nate River, fantasma dei Natali futuri, sono venuto sin qui per mostrarti il tuo avvenire".

Il fantasma si alzò e in un unico, fluido movimento tese la mano verso Light, non era di molte parole; il signorino, però, si scostò in fretta, intimorito da colui che sembrava essere poco più di un candido infante e un'affermazione fulminea gli giunse schietta: "Non voglio sapere".  

Uno sghignazzo  si distese sui tratti delicati del piccolo albino, ma sembrava più un ghigno, che un vero riso di bambino.

"E perché mai, Yagami, non vuoi sapere cosa il destino ti riserva? Sei forse pentito di qualcosa e hai paura di ciò che ti spetta?" Nate sedette nuovamente e incastrò una tessera nel suo stupido gioco, che risultava infantile agli occhi ambrati del castano e non poco!

"Io non mi pento di nulla," lo rimbeccò Light stizzito. "Ho sempre saputo in anticipo a cosa le mie scelte mi avrebbero portato e adesso, se non ti dispiace, credo d’aver abbastanza tollerato".

"Stai parlando delle tue decisioni, Light!" Lo riprese lo spettro, quasi senza dare il tempo al ragazzo di finire la frase. "Ma sei al corrente di cosa passa nella mente di chi ti è vicino?"

"Certo che sì, sono io che comando anche le loro". Quasi il signorino rise, "se tu e i tuoi compari avete avuto modo di tenermi d'occhio, dovreste aver capito con quali pecore ho a che fare, non saprebbero distinguere del banale metallo dall’oro!"

"E se in mezzo al tuo gregge ci fosse un ladro? A questo hai pensato?"

Il diciassettenne affilò lo sguardo e incrociò le braccia sul petto. "Nessuno riuscirebbe a fregarmi, nessuno ne è all'altezza".

"Pecchi in superbia, Light Yagami". Constatò l'albino, ma l'altro scosse il capo.

"No, la mia non è superbia; sarò ben lieto di porgere la mano di fronte a chi risulterà essere mio pari, ma ancora nessuno se ne è dimostrato degno".

"Non ti preoccupa la lettera che è giunta a Misa Amane?"

"Uno stupito scherzo, niente di più, non ho posto questioni perché della situazione non m'importava".

"E se il ladro avesse fatto la prima mossa con quel testo?"

Light si irritò, il motivo, anche stavolta, chiaro non gli risultava, forse era il fatto che l'albino non avesse gli occhi puntati su di lui mentre parlava, oppure l'insistenza con la quale il ragazzino antitesi ad ogni sua argomentazione creava;  il dubbio, però, aveva iniziato a tormentargli l'animo... che non avesse prestato attenzione a qualcosa di davvero importante?

"No, non può essere". Rispose più a se stesso che allo spettro.

"Allora, se non hai torto, cosa ti costa dare un'occhiata a ciò che già sai?"  Per la seconda volta, River porse il palmo e di nuovo restò in attesa, ma il giovane ancora non accettò la mano tesa.

L'albino, a quel punto, fece nuovamente quell'inquietante smorfietta  e mise al suo posto un'altra tessera.

"Non ho voglia di partecipare a lunghe odissee inconcludenti".

 "Secondo me, hai solo paura".

Punto nell'orgoglio, il giovane incenerì quell'essere con un solo sguardo.

Lui non temeva niente, non c'era nessuno che potesse creargli un simile disagio;  così, di slancio, fece per afferrare la mano dell'albino, come una muta dichiarazione di sfida, ma non acchiappò altro che aria e tale era la grinta che aveva messo in quel movimento, che per poco non rischiò di rovinare a terra e veder tutti i firmamenti.

"Cos'è? Non cogli la mia proposta, Light?"

Ora l'albino teneva un tono di voce canzonatorio, il castano non si fece prender dalla rabbia e sprezzante disse: "Spiegami tu, visto che sei tanto furbo"

Nate riportò l'attenzione sul puzzle e il giovane accontentò: "Il futuro non è deciso: subisce cambiamenti con rapidità e noi non possiamo fare nulla per prevederlo. Il passato è scritto, dunque immutabile, mentre il presente non è altro che un foglio bianco riempito a metà". E, dette queste parole, l'albino sistemò il penultimo pezzo.

"È possibile, Yagami, prevedere una catastrofe naturale? No, certo che no, dunque sta attento, perché a questo mondo c'è chi possiede la forza di una tempesta".

Così scomparve il terzo fantasma, lasciando sul lucido parquet un'ultima piccola tessera.

Il puzzle non era completo, ancora.

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Capitolo 5
*** Di tessere scomparse, di mori sorprendenti e di luoghi mai visitati ***


Angolo dell’autrice

Febbre, letto, pioggia, non si va a scuola, quindi quale momento migliore per scrivere?

Siamo giunti alla fine di questa storia, in basso posterò la foto dalla quale e per la quale è stata scritta, vi consiglio di leggere prima di vederla, ma ad essere sincera, se fossi una lettrice, io non lo farei e andrei dritta in fondo al capitolo : )

Ringrazio di cuore Synapsis e Scintilla 19, ogni recensione è stata stupenda e mi ha lasciata senza parole, entrambe mi avete dato preziosissimi consigli che di certo continuerò a seguire anche nei miei prossimi scritti.

Spero che questo capitolo sia una degna conclusione.

Buona Lettura!

 

A very Christmas Carol

 

 

Di tessere scomparse, di mori sorprendenti e di luoghi mai visitati

 

La segretaria sorrise quando vide l’uomo entrare con passo frettoloso e avvicinarsi a lei con non poca inquietudine.

“Com’è?” Chiese agitato, guardandosi attorno e tenendo stretti a se dei documenti che, da come se ne prendeva cura, sembravano importanti quanto la sua stessa vita.

Naomi Misora non riuscì a trattenere un risolino e scribacchiò velocemente qualcosa su un foglio. “Per ora è tranquillo, mi ha persino chiesto d’organizzare la cena con la sua famiglia venerdì prossimo. Ti consiglio d’approfittarne”. Detto questo, gli fece l’occhiolino e indicò con un cenno del capo la porta socchiusa alla sua destra. “Fa’ in fretta, oggi torna a casa in anticipo”.

Matsuda restò in punta di piedi sulla soglia ancora un po’, fino a quando non ebbe il coraggio di metter piede nell'ufficio del capo: da quando era stato licenziato e poi riassunto, ragionava due volte prima di fare una qualsiasi mossa e in quel momento, col suo fascicolo tra le mani, aspettava che l'imperatore gli concedesse la possibilità di prender parola.

Infatti, con la fine delle sue tre notti di terrore, Light pareva aver acquisito un nuovo vigore.

Tutti i suoi stanchi subordinati avevano notato quel cambiamento, ma se fosse in bene o in male, nessuno lo sapeva, o meglio, nessuno osava farne commento.

Il signorino governava col pugno di ferro il suo vasto impero, con una grinta e una volontà che persino il diligente Aizawa non riusciva più a giustificarne le assurdità: erano aumentate le ore nelle quali svolgere il proprio dovere, dimezzate le vacanze e diminuito al minimo indispensabile dei dipendenti il salario.

A Light ancora rodevano le critiche dei tre diavoli, anche se, solo di tanto in tanto però, lanciava uno sguardo furtivo alla finestra e la sua mente iniziava a vagare mesta.

Chissà, e  se fossero stati proprio quei pensieri ad averlo persuaso ad assumere, nuovamente, quell’idiota di Matsuda?

Tutte sciocchezze.

Erano passati i minuti dall’ultima apparizione, erano passavate le ore, erano passati i giorni! Nessuna traccia di pericolo vigeva nei dintorni!

Che gli spettri gli avessero mentito?

E se invece fosse stato tutto frutto del suo inconscio stressato?

Doveva considerarsi matto?

Che avesse bisogno di un dottore?

Lesto si riscosse da quelle elucubrazioni e - come faceva da un paio di giorni a quella parte - aprì il cassetto della propria scrivania, poi fece un guizzo con lo sguardo verso il proprio dipendente e con un cenno del capo lo invitò ad avvicinarsi.

"Mi ritrovo, contro la mia volontà, a doverti fare i miei complimenti per i documenti riguardanti la nostra diretta concorrente, la Lawliet Corporation".  Light si alzò e prese il proprio cappotto. "E mi saresti d'enorme aiuto se fino alle sette potessi stare qui e controllare che i lavoratori rispettino i loro turni".

A nulla valsero i tentavi d'opporsi del giovane uomo;  tantomeno giovarono frasi come "ma sono qui dalle sei del mattino", oppure "devo tornare a casa in anticipo".

La richiesta del signorino era un ordine e, di certo, quest'ultimo non si premurò d'ascoltare i suoi lamenti.

"Un’ultima cosa, signor Tota," disse con non-chalance, portando la mano al pomello della porta, "in quel cassetto ci dovrebbe essere una tessera di un puzzle," indicò la propria scrivania e aggiunse un'espressione lievemente più dolce, "ve ne prego, me la potreste porgere?"

Matsuda osservò un momento il giovane, come se non avesse ben compreso le sue parole, poi si lanciò alla ricerca dell'oggetto con foga - per non far irritare il capo più di quanto già non fosse naturalmente predisposto - trovò quanto richiesto e glielo porse.

Il ragazzo gli sorrise cordiale: visto che Matsuda era in grado di vedere quell'oggetto, significava che pazzo ancora non era, ma quando allungò la mano per riprendere l’oggetto si scostò, come scottato.

Il poveretto lo osservò confuso, non senza essersi spaventato un po’ a sua volta, ma Light scosse la testa.

“Ecco, credo che lo dobbiate gettar via”. Disse con tono monocorde, ripercorrendo, nella propria mente, il dialogo con Nate.

L’albino sistemava pezzi su pezzi, man mano che la discussione proseguiva, lui completava il suo puzzle.

Che toccasse a lui metter fine a quel quadro?

Storse le labbra: se il fantasma ci teneva tanto, non lo avrebbe accontentato.

Salutò e si chiuse la porta alle spalle, lasciando il moro, perplesso alquanto, a grattarsi la nuca mentre fissava la scrivania.

Il ragazzo mancò di poco colui che avrebbe -  invero - dovuto metter fine a quel giochetto, ma dobbiamo andare avanti per vedere come si sarebbe evoluto quel momento.

 

 

Era il momento in cui il sole mostrava se stesso solo per due quarti, donando al cielo rossastro la luminosità che di solito possedeva solo al primo mattino.

Mentre tornava a casa, il ragazzo decise d’approfittare di quel momento di pace e si rilassò lievemente.

La venuta dei fantasmi poteva considerarsi inutile, però…

Il ragazzo sospirò e scosse la testa.

Nuovamente il lavoro a quell’emerito idiota aveva concesso, giacché quel suo figlioletto era riuscito a fargli pena, ma c’era da dire che Matsuda aveva dimostrato d’essere una persona capace, se sotto pressione: tanto valeva approfittare della situazione; quest’ultima era una rivelazione che lo aveva stupito, ma da questo punto si tornava di nuovo a capo e il ragazzo si sentiva come costretto a ripensare ai tre spettri.

Possibile che non fosse in grado, al contrario di come aveva sempre sostenuto, di prevedere sempre tutto?

Un brivido gli percorse la colonna vertebrale e fu costretto a stringersi nelle braccia e ad accelerare il passo.

 

 

 

Non era molto tardi, ma il ragazzo teneva a svegliarsi riposato il giorno seguente, dunque, quando fece ritorno alla sua abitazione, si recò nelle sue stanze e si spogliò degli abituali indumenti, eccezion fatta per calze, boxer, maglia e camicia; nessuno lo aveva mai visto in quelle condizioni e l'idea che almeno quella parte di sé sarebbe rimasta segreta lo rilassava.

Approfittando della casa vuota - come sempre d'altronde -  si recò in cucina, si sporse di poco per aprire l'anta di un ripiano e prese, non senza un certo fare vittorioso, il suo pacco di patatine "Più Gusto".

Giusto mentre le sue papille gustative stavano per incontrare il salato sapore di quell'ambrosia, un rumore violento ed improvviso giunse dalle sue stanze.

A mostri, fantasmi, fate e folletti pensò il ragazzino - visti gli avvenimenti dei giorni precedenti - ma si riscosse, dandosi dello stupido per avervi pensato anche solo per un istante.

Dunque prese un pesante soprammobile: l'avrebbe usato come arma, in caso qualche ladro avesse deciso di venire a concedergli una visita.

Fece scivolare la mano sul liscio pomello della porta e con uno scatto repentino la aprì, pronto a colpire il suo aggressore, ma restò di stucco quando vide il bianco della sua camera soffocato dal nero della fuliggine, mentre un'oscura presenza tentava di prender aria a pieni polmoni.

Il giovane Yagami realizzò solo in un secondo momento che la figura ansimante in un angolo della stanza era umana e, quando capì di chi si trattasse, trattenne il suo, di respiro.

Non per l'emozione, certo che no! Ma per la rabbia!

Quel Lawliet!

L'aveva avvertito, questo è vero, ma  nel biglietto aveva specificato che la sua presenza davanti la soglia della sua porta avrebbe mostrato! Non di certo nelle sue stanze! Nossignore!

Dalle mani fece cader via l'oggetto: non voleva rischiare decisioni prese così, di getto.

"Cosa. Ci. Fai. In. Casa. Mia?!" Scandì per bene ogni parola, ogni sillaba, sperando che la sua ira non agisse per prima.

Lawliet si avvicinò al ragazzo, portò un dito alle labbra e il grosso sacco natalizio dietro le spalle spostò; soltanto allora, con quel semplice gesto, Light realizzò come fosse vestito quell'essere grottesco.

Il cappello rosso era spostato di lato e il ponpon bianco penzolava alla destra del suo viso.

La giacca dello stesso accostamento di colori era composta, così come i pantaloni.

L’andatura dell'uomo era dai grandi scarponi neri ingombrata, pareva che fosse spinto a tollerarli da una forza di volontà ben celata.

"Te lo avevo detto, Light-Kun, che sarei venuto a farti visita e noto - con estremo piacere, credimi - che mi stavi aspettando". Le parole vennero accompagnate da un lungo sguardo lascivo, che percorse il corpo del diciassettenne dalle punte dei piedi a quelle dei capelli, apprezzando, in particolar modo, quella maglia e quella camicia abbinate a null'altro se non a quei boxer e a quelle calze.

Light fremette e si sentì riscuotere, nessuno osava mai riservargli simili attenzioni e non voleva che quell'uomo ne fosse il fautore.

Accennò verso di lui un passo, quel Babbo Natale improvvisato, marcato da un portamento incurvato.

Il ragazzo lo imitò, facendo l'esatto opposto: indietreggiò, giusto un pizzico, ma finì seduto sul suo comodo divano.

Light elargì al mobile uno sguardo carico di rimprovero, come se non si fosse  dovuto trovare lì ad ostacolargli il passo e a rovinare quel suo piano di fuga tanto geniale quanto essenziale.

Lawliet, invece, deliziato dalla seducente posa del ragazzo, si leccò le labbra, venerando con lo sguardo la bella e ambrata pelle.

Fu un attimo, e il moro lasciò cadere da parte il sacco, si avvicinò al soggetto che da mesi la sua mente definiva come bersaglio, costringendo il fanciullo ad un precario equilibrio sul bracciolo del sofà.

Quindi, anche Lawliet sedette tra i morbidi cuscini, posizionandosi tra le gambe aperte del minore.

Dalla tasca della propria giacca estrasse un pacchetto rosso a dir poco delizioso! Fece scorrere la scatolina lungo la gamba della propria preda e la infilò nella sua calza.

Da quella distanza così ridotta, Ryuzaki poteva sentire il dolce respiro affannato del castano.

"Mi dai del tu? Cos'è questa confidenza?" Chiese Light, disturbato dai fianchi che le sue gambe erano costrette a cingere.

"Direi che, vista la situazione, un grazie potrebbe anche bastare, o forse no?"

Il castano cercò di replicare, ma la situazione era spiazzante e il corpo del ragazzo sopra il suo lo infastidiva, dunque, fece una smorfia contrita.

"E per cosa esattamente? Per avermi liberato da un fardello indesiderato?" Ribatté Light velocemente.

Le labbra dell’altro si stirarono in un sorriso birichino. "Mmm... dovresti specificare il fardello in questione," decretò infine, accarezzandogli  i fianchi e utilizzando la scusa per trarlo più vicino a sé.  "Potrei liberarti da mille seccature," sussurrò a poco meno da un soffio dalle sue labbra, rubandogli il fiato di un respiro, "potrei farti urlare segreti fin ora rimasti taciti nei meandri del tuo cuore e potrei farti rivivere ancora e ancora questa sensazione".

La mano pallida del moro risalì nuovamente lungo la gamba del giovane, poi percorse la coscia, ma non si fermò,  sfiorò l'inguine e continuò il suo percorso sotto le vesti;  fermò la corsa delle dita, che carezzavano il corpo tremante di Light, solo quando giunse al petto, dove il battito cardiaco accelerato, si udiva tumultuoso.

Rise il minore e bloccò la mano dell’altro.

“Può darsi che sia solo per il regalo,” dunque allontanò Ryuzaki e, con un sorriso a fior di labbra, prese il regalo sgargiante e lo scartò.

Restò di stucco quando il suo occhio fu attratto dallo scintillio dell’anello, poi sgranò gli occhi e osservò le occhiaie marcate del suo rivale,  ne constatò il comportamento tempestoso e sussultò, riconoscendo in quell'uomo gli avvertimenti dei tre spettri.

“Dovrei metterlo all’anulare?” La sua melodiosa voce non toccò punte stridule o acute, eppure a Lawliet parve di sentirle e, trattenendo le risate, fece spallucce.

“Questo è quanto la tradizione detta, ma essendo noi una coppia non propriamente canonica, penso che tu possa metterlo dove più ti aggrada”.

Lo sguardo che gli elargì Light fu di fuoco, ma L lo ignorò e prese la mano sinistra del giovane tra le sue, “quindi accetti?”

“Solo se mi illumini su un preciso punto: da quando io e te formeremmo una coppia?”

Il moro ci pensò un po’ su, poi carezzò di sfuggita le labbra del giovane.

“Oserei vedere nella conferenza, tenutasi nella domenica di due settimane orsono, l’inizio della nostra relazione”.

Light inarcò un sopracciglio, decisamente scettico all’idea, “un bacio rubato non ha significato”.

“Però, da come mi stringevi, a te sembrava importare, o sbaglio?” Gli sussurrò all’orecchio il moro, carezzando la giugulare del ragazzo con il dorso della mano.

Quel ruvido tocco sembrava bruciare e marchiare la pelle, donandogli le sensazioni che Misa sempre aveva cercato di procurargli, ma che non era mai riuscita anche solo ad imitare.

“Ero fidanzato, ti stavo spintonando via”. Sibilò in un soffio, mordendo con decisione la pelle eburnea del moro, lasciando sulla gola un marchio rossastro.

“Un problema fin troppo facile da risolvere”. Rispose l’altro, trattenendo il respiro, per poi catturare le labbra del castano e possederle ancora, come da giorni si era ritrovato a desiderare.

“Un ultimo dono,” sussurrò L sulle sue labbra, mostrando la tessera di un puzzle che stringeva tra le mani, “Matsuda non è buono nemmeno a gettar via della robaccia”.

Il più piccolo sorrise lievemente ed annuì, aprì la finestra e gettò via quel pezzo.

Aveva trovato già cosa gli serviva per completare se stesso.

Vennero con forza bruta tolti i vestiti e il castano assecondò i movimenti che il corpo dell’altro gli impose: sussultò ad ogni tocco e carezza, si inarcò contro di lui, cercando baci più profondi.

Lawliet fece accomodare sotto di sé il rivale e continuò a tormentare l'epidermide delicata della spalla prima con i denti, leccando poi le ferite che lasciava, quasi a scusarsi per il suo irrequieto temperamento.

Light chiuse gli occhi e affondò una mano tra i capelli spettinati del maggiore; ne tirò qualche ciocca, un po' per piacere, un po' per rimproverarlo dei segni che osava lasciare.

Fremette d'aspettativa quando le mani di L iniziarono a massaggiare lentamente le cosce, si morse le labbra dal dolore e non si lasciò sfuggir lamenti, quando sentì l'uomo violare il suo corpo.

"La prossima volta n... non ti lascerò carta bianca, s... sappilo".

Ryuzaki ghignò e lo zittì con un bacio.  "Quindi ci sarà una prossima volta". Disse affannato.

Il giovane alzò gli occhi al cielo, ma annuì, punendo la sfacciataggine dell’amante con un morso al labbro inferiore; ma si zittirono, una volta che la ricerca del piacere ottenebrò le loro geniali menti.

Entrambi respirarono in sincronia, cercando continuamente lo sguardo dell’altro: ogni carezza era importante ed ogni bacio vitale.

 Sia L che Light trovarono pace in quei prolungati e ripetuti contatti che a lungo avevano cercato.

La tessera tornò al suo posto grazie ad uno shinigami – o spettro? - di nostra conoscenza, che fuori dalla finestra ridacchiava, volando verso un luogo che, questa volta, non avrebbe accolto i protagonisti della nostra storia.

 

Fine

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