A very Christmas Carol di Mirella__ (/viewuser.php?uid=162565)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di mele, spettri e ragazzi isterici ***
Capitolo 2: *** Di lavoratori pigri, di biondi impulsivi e di perplessità ***
Capitolo 3: *** Di strani inviti, di rossi allegri e d’imprevisti ***
Capitolo 4: *** Di colleghi invadenti, di spettri albini saccenti e di futuri sconosciuti ***
Capitolo 5: *** Di tessere scomparse, di mori sorprendenti e di luoghi mai visitati ***
Capitolo 1 *** Di mele, spettri e ragazzi isterici ***
Autore: Kira
16
Titolo: A
Very Christams Carol
Fandom
scelto: Death
Note
Prompt
scelto: Fan
Art su Death Note posta a fine storia.
Introduzione: Storia
ispirata al famoso Canto di
Natale di Charles Dickens.
Tre
spettri faranno visita al giovane e cinico
Light Yagami, incitandolo a cambiare condotta; un triste destino si
abbatterà
sul diciassettenne in caso non accetti.
In
base al suo comportamento il ragazzo riceverà una
dannazione eterna oppure un qualcosa di molto più terreno
che starà a lui decidere
se considerare più come una maledizione che altro…
Note
dell'autore: spero
che l’idea possa piacere, è uno stile
molto diverso da quello che utilizzo di solito, ma vedendo quella fan
art natalizia
non ho potuto fare a meno d’adottarlo.
Buona lettura!
A Very
Christmas Carol
1.Di
mele, spettri e ragazzi isterici
Ebbene miei cari
lettori, voi che avete avuto l'ardire d'aprire questa pagina infima,
scoprirete
un qualcosa che mai in Death Note è stato
svelato prima.
Ho pensato e
ripensato agli
avvenimenti di quella notte, il come raccontarli mi sfugge, ma, se voi
mi
seguiste, ben saprei come le parole andrebber condotte.
Se fin qui ho
attirato
la vostra attenzione, tra giochi di parole e scherzi beffardi, andrei a
narrarvi della triste situazione.
I cori cantavan con
allegria quel ventiquattro dicembre, le strade eran in festa e persino
gli
uomini più turbolenti avevano fatto cessar nel proprio animo
la tempesta; si sa,
però, l'eccezione permane e noi andremo ad analizzare
proprio questa.
I campanelli
trillavano
accompagnati dallo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e nell'aria si
respirava quel non so che di novità, tanto che anche i
bambini saltellavan qua
e là; entusiasmati e felici, le nostre voci bianche si
facevan spazio tra i
cumuli di neve per arrivare alle case e deliziarne gli abitanti col
loro canto
lieve.
Una bella villetta
tra
tutte spiccava, avvenente e lussuosa, sembrava prometter mille
leccornie, se
solo fosse stata rallegrata dai visi dei dolci fanciulli.
Lesta una mano
guantata
batté tre volte sulla porta e una biondina - in abiti
d'argento fasciata - andò
ad aprire, mostrando un sorriso a trentadue denti a quella bambina che
tremava
a causa dei venti.
"Posso fare
qualcosa per te, oh dolce fanciulla?" Chiese Misa, sporgendosi poco in
avanti per meglio mirar il viso della piccina.
"Oh, certo che
potete signorina, vorrei cantare qualcosa per voi, anche una strofa
breve," rispose quella facendo una moina.
Misa
guardò lo
scricciolo d'innanzi a sé, quasi quasi d'accettare la
proposta fu tentata, ma,
in men che non si dica, in malo modo dentro casa venne richiamata e con
molto
dispiacere dovette l'offerta reclinare.
Una volta dentro
tornata, la giovane Misa Misa si portò a fianco del padrone
di casa, che
incessantemente con la testa china sullo scrittoio lavorava, tenendo
dalle
feste e sciocchezze inerenti la sua mente lontana.
"Caro, è
la vigilia
di Natale, tutti hanno bisogno di riposare, concedetemi un paio di
minuti, non
lasciatevi pregare!" E la ragazza prese il braccio del ragazzo con tale
grinta, che il giovincello si ritrovò a terra, quasi quasi
sul violoncello, il
regalo di suo padre!
Che blasfemia, quale
errore!
La giovane Misa
scappò
in preda al terrore!
Il ragazzo, tuttavia,
non poteva lasciar di certo la sua rabbia correre via, aveva bisogno di
uno
sfogo e quale altro poteva essere se non torturare i suoi sottoposti
con un
allegro divieto in un giorno tanto gioioso?
Cosi, velocemente,
prese
il telefono, contattò entrambi gli sciocchi e disse con
invidiabile flemma,
"Mikami, Takada, voglio che concludiate i lavori entro domani, solo
allora
potrete apporre sulla lettera il mio stemma".
Dall'altro capo della
linea, due giovani coniugi esasperati si osservarono e i pacchetti
rossi che
stringevano tra le mani guardarono: erano dall'impacco tanto
sgargiante, nonché
un po' grossolano, Takada allora fiato prese, cercando di trattenere un
sospiro
a sue grosse spese.
"Oh giovane capo,
oggi è la vigilia di Natale, non meritano tutti un po' di
pace in un giorno
tanto speciale?"
Inarcando un castano
sopracciglio, Yagami lasciò che il dissenso prendesse sul
suo volto immagine e
possesso; la voce venne un paio di volte schiarita e in men che non si
dica
attaccò Takada, come inviperita.
"Speciale? Che cosa
c'è di tanto speciale? Nessun vecchietto porta i balocchi ai
bambini a bordo di
una slitta trainata da renne volanti, nessuna magia, niente di niente,
se
nell'anno c'è un giorno speciale, non è
certamente quello di Natale. Devo
quindi presumere che la vostra non sia altro che una scusa banale per
starvene
a casa ad oziare?"
Mikami tutto
udì e
permetter non poté che l'uomo – così
simile, per il dipendente, ad un dio -
avesse di lui tale pensiero: insomma, era un gran condottiero!
"Mio signore,"
disse rubando in fretta e furia il telefono dalle mani della donna, "di
me
si può fidare, non ascolti mia moglie e mi lasci fare! "
Un ghigno degno del
Grinch si allargò sul viso del giovane Yagami, era riuscito
a convincerli, sia
quella gallina di Takada ed anche suo marito, quel povero cane!
"In voi confido,
Mikami, in fondo siete il mio consigliere più capace ". E
senza attender
risposta, chiuse la conversazione.
Dopo tante altre
canzonette di Natale, dopo che anche la strada venne resa impraticabile
dai
candidi fiocchi di neve, dopo ancora che i campanelli smisero di
suonare, le
lancette rintoccaron la mezzanotte; solo allora il nostro protagonista
levò la
testa dallo scrittoio, con lenti movimenti calcolati alzò le
braccia e si
stiracchiò.
"È
Natale,"
sussurrò, "un po' di riposo non mi farà male".
E mentre
ciò diceva, il
telefono squillò.
Sussultò
il piccolo
diciassettenne e con tanta riluttanza egli rispose, solo la voce
allegra della
madre dal riattaccare lo trattenne.
"Auguri figliuolo,
oggi è Natale!"
Scocciato, Light face
una smorfia, possibile che tutti intonassero la medesima litania?!
"Auguri anche a
tutti voi. Spero che tu, papà e Sayu stiate passando questo
giorno in allegra
compagnia!"
Un prolungato sbuffo
udì
il giovane, la madre si era stancata della reticenza che il figlio
mostrava per
le festività, eppure continuava a sperare che Light le
facesse visita, almeno
in uno di quei giorni! Perciò gli telefonava con nevrotica
continuità.
"Ma piccolo
mio.."
"Mamma scusa,"
tagliò corto il fanciullo, ma ho lavorato tanto ed
è ora che vada a
dormire," anche stavolta la risposta non attese e quando
sentì nuovamente
il campanello della porta di casa lo ignorò, al diavolo dei
bambini le pretese!
Sayu ignorava le
intenzioni del fratello e aspettava sulla soglia della porta la di lui
figura.
A bussare
iniziò, ma del
parente altre erano le mansioni: Light il pigiama già
vestiva e di certo non
aveva intenzione di verificare l'identità di chi lo
perseguiva, i calzini
pesanti inoltre infilò e distrutto supino sul letto infine
si sdraiò.
Il bussare alla porta
finalmente era cessato, quasi sembrava al bambino - troppo in fretta
cresciuto
- d'esser finito in un mondo incantato, tanto presto era il silenzio
piombato!
Ma se, a primo
impatto,
quell’ambiente al dormiente sembrava favorire, il giovane
venne a scoprire che
così non era.
Tra le lenzuola Light
si
girò rigirò, ma a prender sonno non riusciva e
soprattutto tranquillo non si
sentiva.
Trovava strano che il
rumore delle lancette del grande orologio a pendolo avesse cominciato a
farsi
sentire, era l'unico nella stanza: tic toc, tic, toc… e nonostante fuori
infuriasse tempesta, non
c'era suono che avvertisse della pioggia funesta.
Arrivò
l'or delle
streghe, ma il fanciullo ancor non si abbandonava
tra le accoglienti
braccia di Morfeo, così si mise a sedere,
stropicciò un po' col dorso della
mano le palpebre stanche e, non appena la vista da confusa divenne
nitida, il
suo cuore perse d'un battito.
Tic, toc, tic, toc.
Urlò,
urlò così forte
che tutti avrebbero dovuto udirlo, ma nessuno lo sentì, solo
com'era nella
grande casa.
Tic, toc, tic, toc.
Cadde a terra nel
tentativo di fuggire, si fece anche male al polso, ma dove poteva
andare quando
anche la porta della sua camera era scomparsa? Era spaventato!
Oh piccolo stolto!
Tic, toc, tic, toc
Che avesse lasciato
aperte le porte?
Ma no, ma no, certo
che
no!
Ma allora, allora
come
quella creatura era giunta sin li?
Oh quale malasorte!
Tic, toc, tic, toc.
Il mostro
aprì la bocca,
mostrando una serie di zanne affilate e distorte, poi
incurvò le labbra,
nell'imitazione di un sorriso alquanto sciocca.
Tic, toc, tic, toc.
La creatura
inclinò il
capo verso destra, gli occhi gialli indagarono e il ticchettio si
fermò.
Alzò un
braccio
scheletrico e mostrò il piccolo orologio a cucù
che in mano reggeva.
L'uccellino di legno
uscì presto dal suo nascondiglio e un'unica musichetta
inquietante pervase la
camera: erano delle campane quel che udiva? Però non
suonavan a festa, ma di
una di quelle tristi melodie che nel cuor della gente tutt'oggi resta.
Il ragazzo quella
malinconica
musica ascoltò e, una volta che essa tacque,
osservò la terrificante figura.
"C.... chi
sei?" Chiese infine, mentre l'altro sghignazzava, mostrando
un'educazione
affatto fine.
"Mmm.... allora, io
mi chiamo Ryuk e sono uno shinig..." qualcosa alla testa
colpì il mostro,
era una mela, quale sorpresa!
In egual momento, una
vocina melodiosa arrivò mite mite all'orecchio della
creatura. "Non è il
tuo ruolo, non è il momento! Sta buono e fa quanto detto".
Così lo
shinigami venne
rimproverato, ma visto anche il frutto che gli avevan donato, decise di
stare
al gioco, in fondo divertente sembrava.
"Volevo dire, io
sono la tua coscienza, oh giovane Light, ma chiamami pure Ryuk, mi
piace di
più".
L'altro
però ribadì
sicuro:
"Non
è possibile, ne sono certo! Lo giuro!"
La coscienza
aggrottò le
sopracciglia e il giovane in modo confuso scrutò.
"E perché
mai non
potrei essere la tua coscienza?"
Light si mise a
sedere
sul letto, guardò irritato l'essere e rispose francamente.
"Sono fin troppo
avvenente per avere una morale dalla così orrida presenza,
che domande poste
inutilmente!"
Ryuk ci
restò male a
questa risposta così schietta, ma a fargli sorvolare
sull'affermazione fu
un'altra mela caduta dal nulla tanto in fretta.
"Beh allora
chiamami Ryuk e vedila un po' come vuoi tu".
Il piccolo
annuì,
aspettando che l'essere nero continuasse la conversazione, cosa che
avvenne
solo quando entrambi i frutti svanirono nel suo pancione.
"Bene, io sono qui
per avvertirti... almeno credo," disse confuso Ryuk, grattandosi il
mento.
"Allora, domani verrà a farti visita uno spirito del Natale:
egli ti
mostrerà il tuo passato, ascoltalo bene e chissà
se non ne rimarrai
affascinato!"
Il ragazzo lo
osservò
curioso, "e perché lo spirito dovrebbe farmi visita in modo
così
tempestoso?"
Ryuk
ridacchiò e
l'ennesima mela apparsa dal nulla azzannò.
"Perché dopo ce ne saranno
altri due e non sia mai che questi arrivino prima di lui,
già in passato
accadde e non sai quanto si dispiacque!".
Le idee di Light
più
chiare non erano e così cominciò a pensare che il
tutto fosse solo una presa in
giro ben riuscita, tuttavia, non gli costava niente restar al gioco,
avrebbe
manipolato gli eventi e una volta scoperti i colpevoli avrebbe fatto
sputar
loro persino i denti!
"Io intendevo il
perché di questa visita, cosa mai mi possono importare del
fantasma le
assurdità!"
"Ah...
già, in effetti hai ragione, a quanto ho
capito, voglion darti una
bella lezione".
Light trattenne il
riso
e lo osservò sinceramente colpito. "Una lezione? Una lezione
a me? Che ben
vengan tutti e tre in una notte sola, mostrerò loro le mie
nozioni!"
E a queste parole
Ryuk
rise, rise davvero tanto, ma così tanto che
rischiò più volte di farsi andar
storto il torsolo della mela, le situazioni che andavan a crearsi erano
a dir
poco avvincenti!
Il mostro
iniziò pian
piano a dissolversi finché solo la grande bocca dai denti
affilati restò.
"Preparati, preparati pure e fa veder loro le tue nozioni. Voi umani
siete
davvero divertenti!"
Poi
anch'essa scomparve,
ma il giovane d'animo non si perse, a letto tornò,
tranquillo come non mai e,
quella volta, il sonno presto via lo portò.
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Capitolo 2 *** Di lavoratori pigri, di biondi impulsivi e di perplessità ***
A
Very Christmas Carol
2.Di
lavoratori pigri, di biondi impulsivi e di
perplessità
La mattina seguente
presto arrivò, il cielo era limpido quel giorno, nonostante
la pioggia violenta
di poche ore prima.
I raggi del sole
dall'enorme finestra filtravano e la camera del signorino Yagami
illuminavano.
Egli
sbatté le palpebre
un paio di volte, poi regalò al mattino un nuovo sorriso e
lesto andò a
sciacquarsi il viso.
Uno strano incubo
quella
notte il suo sonno aveva tormentato, quale
sciocchezza!
Lo stress
doveva averlo esasperato!
Quando di prepararsi
finì, andò nel suo studio e Takada e Mikami per
telefono avvertì.
"Se non avete
concluso il lavoro..." iniziò severo, mantenendo pur sempre
un certo
decoro, ma presto dovette interrompersi poiché
sentì una serie di versi e
scusanti: gli pareva di star parlando con dei lattanti!
"V... vede s...
signore..."
"Ah! Signore di
qua, signore di là, un compito vi avevo affidato e capace di
concluderlo non
siete stato!"
Quando
sentì il figlio
del capo irritato, Mikami in fretta provvide a riparare il danno
causato.
"No, vede, padrone, è già tutto come
prestabilito, purtroppo però il
proprietario della ditta cui tutto era destinato
sembra aver chiuso
i battenti, in bancarotta quello stolto l'azienda ha mandato!"
Light
fissò per un po'
la cornetta del telefono allibito: tutta quella merce, tutte quelle
spese!
Avevan perso tutto e già in cuor suo si chiedeva
quali decisioni dovevan
esser prese!
"T... tu
menti," dichiarò con voce portentosa, "sei licenziato
inetto!"
Urlò infine in preda ad una crisi nervosa, "quel Lawliet mi
ha
fregato!" Strillò con voce stridula sbattendo i pugni sul
tavolo.
"Sì, sono sicuro che è stata colpa sua!
Avrà fatto in modo da consigliare
a Mikami quella ditta, dell'imbranataggine di lui avrà
approfittato!"
Così, il
giovane
fulmineo si alzò e a grandi falcate lo studio
misurò.
Cosa fare? Come fare?
Avrebbe dovuto star
più
attento al suo schiavetto e adesso il suo rivale a un passo da lui era
arrivato, che essere abietto!
Su e giù
un altro paio
di volte fece, non c'era che dire, si era proprio divertito a sue spese!
Il cervello si
malmenò
alla ricerca di qualche informazione che avrebbe potuto giovargli
almeno un
po', ma dopo ore e ore passate a rimuginar su un ben emerito nulla,
dovette
concludere che scervellarsi in così cruento modo non era
affatto producente,
dunque si costrinse a star seduto e le mani intrecciate sotto il mento
portò.
L'unica cosa che alle
meningi giungeva come possibile soluzione, era quella di tagliare gli
eccessi,
dimezzare gli operai e ridurre al minimo degli impianti i costi: la
perdita
così sarebbe stata riparata e - con la scusa
dell’impegno - la cena con la sua
famiglia poteva esser rimandata.
Lavorò
tutto il dì, un
minuto di pausa non si concesse; i profili di tutti gli impiegati
studiò, dal
più produttivo al minor, e in base a quelli
eliminò gli eccessi.
Poco importava se i
licenziati avesser sulle spalle una famiglia, se fosser stati
più attenti
sarebber stati salvati e non fuori relegati.
Lavorò
molto di più il
giovincello, la pausa non gli sfiorò neanche per un attimo
il cervello.
Scrisse direttive e
ordini su carta emanò e nessuno osò disturbarlo:
i servi si muovevano
silenziosi tra le mura della grande casa e nemmeno Misa Misa quel
giorno a
rallegrar -controvoglia del ragazzo s'intende - il suo umor nero venne.
Per questo, quando
finalmente il signorino Yagami si riscosse, si sentì sicuro
d’aver fatto ciò di
quanto più giusto per la società fosse.
In camera si
ritirò con
animo gioioso, anche perché nella casa regnava un silenzio
religioso.
Il piccolo
diciassettenne si massaggiò il polso destro, gli doleva come
non mai -
evidentemente a causa dello scrivere - dunque ignorò
volutamente il livido
violaceo che la sua pelle contornava e, velocemente, sdraiandosi sul
letto
prono si rilassò, ma a pensare presto riprese.
Mille dubbi lo
assalirono insistenti e forti, l'ansia fece contorcere le povere
budella nel
suo corpo, mentre la paura d'aver sbagliato lo mandava in collera
contro
persino se stesso.
Non era convinto del
suo
operato, ma sapeva che era necessario, allora perché non
aveva mai smesso di
contemplare la situazione di quell'impiegato, che aveva cinicamente
licenziato,
e a quella del figlioletto di lui tanto malato?
Ma no, doveva
smetterla:
non era da Light dubitare e non avrebbe iniziato di certo quella sera!
Ma cari lettori,
questo
lui non lo sapeva; ci avrebbe ripensato certamente alla seguente notte
nera e
non in quelle ore che presto avrebbe vissuto.
Perché si
sa sia oggi e
si sapeva già allora che Yagami in tutto era efficiente,
eccetto che nel
togliersi i pensieri dalla mente.
Anche quella volta il
manto stellato era coperto da nubi e, per quanto incredibile potesse
sembrare,
più del cielo stesso erano oscure; la pioggia violenta
cadeva, ma il suono ben
udibile era.
Il signorino
beatamente
si crogiolava nel fragore dei tuoni e nella luce dei lampi da cui la
stanza di
tanto in tanto era abbagliata.
Sonno neanche
stavolta
prendeva, ma da dire c'era che, nonostante avesse tanto lavorato, mai
in vita
sua era stato in tal modo riposato.
Dunque, nuovamente a
sedere sul letto si pose e il viso alla finestra interessato rivolse.
Il giovane
notò come in
sé covasse una strana sensazione di distacco, si sentiva
così apatico, ma anche
insofferente al mondo e ai suoi doni: come se il freddo non potesse
più
nuocergli, come se nemmeno il caldo potesse farlo soffrire; a
sormontare su
queste potenti emozioni, c'era quella che più lo confondeva,
ossia il
disinteresse verso ciò che attorno gli accadeva.
Via dalle spalle
scivolò
il fardello dell'operaio e del figlioletto; ancor più
leggero si sentì il
ragazzo, tanto che gli sembrò di poter volare!
Sul punto d'alzarsi
dal
letto fu, ma, quando provò le lenzuola a scostare la mano,
non le scompose e
come se nulla le avesse toccate restaron lì, immobili e
composte.
Delle risa violente,
di
colpo, la stanza inondaron e il povero Light per poco non svenne
nell'udir un
simile tono.
Le porte vennero
spalancate e un vortice di vento, nonostante le finestre serrate, la
camera
invase, via via, sempre più violento!
Yagami
iniziò a
guardarsi intorno e, quando gli occhi sul suo stesso giaciglio
gravaron, si
alzò di scatto e portò le mani alla castana
chioma.
"Son morto?"'
Urlò al vento disperato, vedendo il suo corpo tra le soffici
lenzuola adagiato.
A quelle parole le
risa
di volume s'alzarono, mentre le tende presero a svolazzare, i libri
giù dalla
libreria con foga iniziarono a schizzare, gli antichi volumi a caso si
aprivano
e strappate le pagine dalle violente folate di vento finivano!
Le ante degli armadi
sbatterono più volte nella stanza, producendo un rumore a
dir poco assordante,
mentre una nebbia, proveniente da Dio solo sapeva dove, si concentrava
al
centro della camera.
Ancora il nostro
protagonista imprecava verso il se stesso dormiente e si domandava di
come
fosse stata possibile tale disgrazia!
Si disperava, le mani
ai
capelli si portava e caso certo non faceva alla nebbia che andava ad
uniformarsi
e compattarsi formando un mulinello illuminato all'interno da mille e
più
fulmini.
Solo un urlo
riuscì a
distogliere Light dalle sue elucubrazioni, ancora più forte
e certamente mille
volte più inquietante delle risa.
"Io sono il PRIMO
che arriva dei tre spettri, mi chiamo Mihael Keehl, fantasma dei Natali
passati. Chi mi ha dato questo sciocco ruolo proprio non saprei, ma
giuro che,
se trovo lo stolto che in rima sta cercando di farmi parlare, non lo
farò
arrivare affatto al prossimo Natale!"
La richiesta
dell'irruento fantasma venne presto accolta, ma, di Light, la reazione
alla sua
presenza non fu altrettanto accorta.
"Non stavo
prestandovi attenzione, oh nobil uomo, e non posso tuttora, guardate
quel mio
bel giovane corpo, senza una vita che lo ospita andrà in
malora! Alla mia
promessa sposa verrà un colpo!"
E giusto mentre Light
pensava ai vantaggi di quest'ultima possibilità, il fantasma
per il polso lo
prese e ad alzarsi lo costrinse, riuscendo a metterlo persino a
disagio, poiché
lo scrutava con sin troppa intensità.
"Bene, già
mi hanno
costretto a venire fin qui, come se io non avessi niente di meglio da
fare
durante la notte di Natale! Ma almeno possiamo sbrigarci? Spero che tu
sia
pronto, quindi, Yagami, adesso vieni con me e dei tuoi errori ti
farò render
conto!"
Ma l'interpellato
indietro si sbilanciò: di seguire quell'estraneo proprio non
se ne parlava!
Il suo corpo! Il suo
stupendo corpo!
Quella era la sua
prima
preoccupazione, altro che fantasma!
Così il
ragazzo ragionava
e tra le braccia si stringeva cercando almeno un po' di conforto.
Mello
sospirò, tirò
ancora verso di sé il signorino e gli urlò
contro: "non sei morto! Il tuo
passato ti devo mostrare, ma di certo nella tua forma terrena non lo
posso
fare!"
Light infine si
calmò
dopo aver studiato per tre minuti l'accaduto, dunque quello della notte
precedente non era stato affatto un sogno, che cosa inattesa! Ma anche
incredibilmente interessante…
"Allora,"
iniziò il fantasma a spiegare, forse in modo sin troppo
sbrigativo. "Hai
ignorato una bambina che alla tua porta era venuta a cantare, fatto
scappare la
tua fidanzata che ti voleva solo coccolare, impedito a due coniugi di
festeggiare e tutto ciò nella vigilia di Natale! Per non
parlare poi del fatto
che hai ignorato al telefono tua madre che, poverina, da lei ti
aspettava;
lasciato tua sorella fuori dalla porta inutilmente ad aspettare e mille
e più
operai hai deciso di licenziare, tutto nel giorno di
Natale, ma cosa
mai ti salta in mente? Sei una canaglia! Dovresti sparire nella
più fitta
boscaglia!"
Light
inarcò un
sopracciglio e infine chiese, non riuscendo a trattenere un briciolo di
curiosità: "se é lecito domandare,
perché mai tanta pena vi date? Sembra
che io abbia offeso la vostra persona per prima, ma non mi pare
d'avervi dato
ragione di tale ira".
"Ira?" Chiese
il fantasma non riuscendo a trattenere una risatina, "vedi, non sono in
collera con te, anzi, tutt'altro, voglio farti i miei più
sinceri complimenti,
io stesso faticherei a mantenere un simile
atteggiamento in un
giorno cui la gente è in tale fermento!"
"E allora
perché mi
state dando il tormento!?" Esclamò Light tornando a piangere
di nuovo al
suo capezzale.
Mello
sbuffò spazientito
e invitò con un cenno del capo il ragazzo fuori sul
balconcino, ma la pioggia
ancora incessante cadeva, ragion per cui il signorino scosse la testa.
"Non ti bagnerai,
non hai corpo, Yagami, quindi vieni con me e non dubitare".
Una volta fuori il
giovane si meravigliò di come la pioggia funesta non lo
toccava e di come il
freddo indifferente gli sembrava.
"Perché
ogni anno
noi tre fantasmi decidiamo chi sia il più cinico degli
umani," riprese lo
spettro con il viso rivolto a scrutare l'orizzonte. "Ebbene Yagami, tu
sei
la medaglia d'oro del nostro podio, peggio di te non ne esistono e ne
sarei
onorato, in un certo senso, se un simil primato mi
sarebbe
affibbiato".
Light si
zittì a quelle
parole, non riusciva a credere a ciò che aveva udito: lui...
cinico? Il primo
tra i cinici?
"Ehi,
sveglia," disse il fantasma infastidito nel non aver gli occhi altrui
puntati addosso. "Ora noi andremo giù, nei meandri del tuo
passato, ti
farò vedere perché così sei diventato".
E senza lasciar tempo
al
ragazzo di metabolizzare quanto detto, con uno scatto fulmineo lo
spintonò giù
dal balconcino.
Urlò
forte, Yagami,
durante quella caduta, non tacque neanche un attimo quella povera anima
sperduta!
Solo quando su un
piano
gli sembrò di trovarsi e tutto divenne nero
iniziò la voce a mancargli, così
una mano al volto portò e dove si trovava di capire
cercò.
Non era tutto poi
così
oscuro, ben mirando in quella stanza dalle strambe
ambiguità, si poteva notare
un certo mobilio; quando la vista si abituò per bene,
poté vedere due bambini
accucciati sotto le coperte di un gran lettone a baldacchino.
"Quello sono
io," annunciò fiero al fantasma che dietro gli era apparso,
non senza un
po' d'orgoglio; in fondo Light lo sapeva: anche allora adorabile era.
Lo spettro
osservò con
indifferenza la scena e ancor meno attenzione diede a quella
affermazione.
"Come vuoi, ma
quella accanto invece chi è?" Chiese subdolo pur sapendo
l'identità
dell'altro scricciolo.
"É la mia
sorellina," rivelò l'altro, guardando male
Mihael: era certo
che lo spettro conoscesse almeno le persone che a lui erano
più vicine.
"Ma che
carini..." disse il fantasma guardandosi le unghie: proprio non capiva
il
biondo come in tale situazione fosse finito, avrebbe preferito esser
sostituito! "Bene, adesso ragiona un attimo e ricorda, cosa accadeva
allora?"
Light rise di cuore e
si
avvicinò ai due bambini.
"Mia madre
preparava le calze e le appendeva sul camino, poi quando noi dormivamo
le
riempiva con dei doni..."
"Alt!" Lo
interruppe il fantasma, poiché a contraddirlo era pronto.
"Tu non sapevi
che fosse tua madre a prepar tutto".
Light fece spallucce
e
annuì, "beh non sapevo ogni cosa, ma era logico pensar che
di certo non
era un personaggio inesistente a riempir le calze".
"Eppure mi sembra
che tu ci credessi fermamente all'epoca". E con uno scocco di dita, il
set
attorno a lui prese vita!
Le luci illuminarono
poco la stanza e il respiro assorto dei bambini chiaro e tondo si
sentì.
Il maggiore
all'improvviso si svegliò e la sorella scosse per un po'.
"Sayu, è
mezzanotte, Babbo Natale sarà già venuto a farci
visita!"
E con un movimento
rapido e scattante, i due giù dal letto saltaron e fino alla
sala da pranzo
trotterellarono.
"Visto?" Disse
Mello soddisfatto, mentre la sua figura iniziava a vacillare assieme
alla
cameretta.
Stavan cambiando
luogo,
quel marrano di un fantasma almeno avrebbe potuto avvisare!
A Light venne da
rimetter pranzo e cena durante il suo viaggio nello spazio e nel tempo,
tanto
che, quando si ritrovò in un parco, dovette persino sedersi
su un'altalena.
"A quanto pare eri
un bambino come tutti gli altri," disse Mello
solenne, incrociando le braccia sul petto.
"Non direi
proprio," rispose Light indicando un'altra versione di se stesso con la
testa china su un libro, che stava seduto su una panchina non di
lì molto
distante. "Spesso coloro che hanno un pensiero troppo diverso dal
prossimo
vengono emarginati, ognuno di noi deve trattenere i propri impulsi e
adattarsi
alle regole che la società c'impone". Altri bambini
arrivarono e
attorniarono il ragazzino, il più corpulento tra di loro si
avvicinò e
l'attenzione del piccolo Light attirò.
"Posa i libri e
vieni a giocare con noi!" Gli disse mostrandogli un pallone.
Il bambino
annuì,
riuscendo a trattenere un sospiro, e annoiato gli altri ragazzini
seguì.
Aiutò
persino qualcuno
che era così maldestro da non riuscire a restare in piedi a
causa della neve.
"Se avessi
rifiutato sarei stato considerato strano e anormale, perciò
preferii seguirli,
almeno così, a loro apparivo uguale".
Mello un biondo
sopracciglio inarcò, poi fece spallucce e ancora una volta
scena cambiò.
"Questo tuo
atteggiamento prese spazio anche nella tua famiglia," disse secco lo
spettro, osservando come il ragazzo castano sorridesse ad una
conversazione,
seduto a cena con attorno i parenti, ma come, invero, non
fosse
minimamente coinvolto nella discussione.
"Cos'altro avrei
dovuto fare?" Chiese il signorino al fantasma con fare irritato, "non
potevo certo mettermi a contraddire tutti su tutto, mi avrebber
cacciato".
Il Light del passato
si
alzò dal tavolo una volta finito di cenare, pulì
e rassettò quanto aveva
disordinato e in camera sua si apprestò a tornare.
"Light, oggi a
mezzanotte sarà Natale, non vuoi restare assieme a noi per i
regali da
scartare?" E mentre la madre cordialmente gli sorrideva, il padre gli
lanciò un’occhiata che per poco la vita
non gli toglieva e il figlio, un
po’ intimorito, annuì.
“Scusami
mamma, deve
essere la stanchezza,” mentì e nonostante in
camera sua avesse da
studiare, a tavola si costrinse a restare.
Improvvisamente la
scena
si fece lontana, Light tornò indietro, catapultato, da
chissà cosa, nella sua
stessa camera, dentro il suo stesso corpo.
Si alzò di
scatto il
ragazzo e una mano alla gola portò, iniziando a boccheggiare
per riprendere
fiato, infine lo sguardo su Mello fissò.
“Non mi
pare abbiate
ottenuto molto con questo viaggio, mi sbaglio?”
Mello
sospirò e prese a
percorrere a grandi falcate la stanza, poi il suo angelico volto venne
illuminato da un lampo e un ghigno vi prese vita.
“Il tutto
si chiarirà
quando il prossimo spettro arriverà, la tua anima potrebbe
essere salvata, ma
non nego che dovrai lavorarci su, sempre se vorrai compiere un
simil…”
“L…
la mia anima? Salvata?!”
Esclamò Light alzandosi per fronteggiare lo spettro.
“Da cosa?”
“Da te
stesso, oh
giovane stolto, da te stesso e dalla dannazione eterna!”
Detto questo il
fantasma così com’era venuto scomparve, vale a
dire: tra vento,
risate e soprattutto disordine.
Light
portò una mano
alla fronte e sospirò.
“Che
sciocchezze,” disse
ad alta voce fra sé e sé, “se il
paradiso e l’inferno esistessero, allora quei
tre fantasmi non dovrebber proprio lì ritrovarsi?”
Poi
cominciò a
sistemare il caos che la sua stessa camera era
diventata.
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Capitolo 3 *** Di strani inviti, di rossi allegri e d’imprevisti ***
A
Very Christmas Carol
3.Di
strani inviti, di rossi allegri e d’imprevisti
Ed
è qui che giungiamo, bellissime dame e affascinanti
galantuomini, a quello che fu il terzo giorno di supplizio del giovane
Yagami.
Quel dì,
il signorino
prese coscienza degli eventi accaduti le precedenti notti, ma
è meglio scendere
ancor più nei dettagli, in fondo, non si dice proprio che i
protagonisti dei
fatti siano i più dotti?
Il diciassettenne era
agitato quella mattina, come una furia si abbatteva su chiunque a tiro
gli
capitasse; ordini a destra e a manca impartiva e non appena qualcuno
osava
ribadire veniva mandato fuori a calci: ovviamente, il signorino non si
preoccupava dei modi che bisognava addolcire .
Quando la sua
ira, infine, trovò pace, si sedette sul
lussuoso divano della camera
da letto e ne carezzò la pregiata stoffa con la punta delle
dita.
Si era ritrovato a
dover
convivere con l'incubo di quattro notti tormentate: due eran passate,
grazie a
Dio, ma gliene restavan altre tante da subire e come le avrebbe
superate per
lui restava un mistero; quasi si sentiva sotto assedio!
Come se il tutto non
bastasse, a mandarlo in panico era arrivato quel... nemmeno voleva
definirlo
dono, insomma, da che mondo e mondo si omaggiava con dei fiori un uomo?
Erano delle rose
rosse
quelle che aveva dovuto sistemare accanto al baldacchino, non che gli
dispiacessero poi tanto, ma, in fin dei conti, se le avesse volute
avrebbe da
sé provveduto ad acquistarle.
Il problema maggiore,
però, non si esplicava in quel regalo, bensì
dalle parole che lo
accompagnavano.
Un piccolo biglietto,
così semplice, così sfacciato!
Tanto che era
riuscito a
spiazzarlo, a lasciarlo senza parole, quasi come se privo d'intelletto
fosse
stato!
"Mio carissimo
collega," così iniziava il breve testo, "sarei lieto di
disquisire
dei problemi dei quali si è dovuto occupare," a quella
lettura Yagami si
morse il labbro stizzito, quanto era molesto! "A causa mia, non lo
nego," e lo ammetteva pure il marrano! "Ragion per cui la invito nella
mia tenuta domani sera," un invito a cena? Cosa mai era? "Se dovesse
rifiutare la mia offerta, farò mostra della mia persona
d’innanzi la sua porta
quando più mi aggrada,” sconcertante!
Il povero Light
sospirò
e a leggere continuò, “spero che le rose siano
state di vostro
gradimento”. Ed una firma in basso a
destra concludeva il tutto.
“Lawliet”
Che intenzioni
avesse,
quel maledetto, proprio non lo immaginava, ma le opzioni di cui
disponeva erano
tante, perciò esser il più possibile obiettivi
bisognava.
Se non si fosse fatto
vedere, il tarlo che da mesi gli martellava la mente sarebbe venuto da
lui;
ebbene, Light avrebbe fatto così: meglio affrontare un
avversario come Lawliet
in casa propria, dove le difese sarebber potute restare alte, invece
che
diventare facile preda in un territorio sconosciuto.
Tre colpi secchi
dalla
porta d'ingresso giunsero inaspettati all'orecchio, qualcuno aveva
avuto il
coraggio di chiedergli udienza in un momento tanto bislacco?
Quando
andò ad aprire,
non con poca rabbia per esser stato disturbato, un ragazzino dai grandi
occhi
grigi e il viso tirato mostrò un sorriso delicato.
"Buongiorno signor
Yagami, sono venuto a chiedervi perdono da parte di mio padre, abbiamo
bisogno
di quel lavoro e..." ma l'espressione che i lineamenti del castano
assunsero lo costrinsero presto al silenzio.
Light odiava coloro
che
rimpiangevano le proprie azioni, ne aveva le tasche piene e all'udire
anche
solo la premessa del discorso aveva assottigliato lo sguardo -
lievemente
s'intende - ma ciò bastò a conferirgli un'aria
quasi felina.
"Se avesse tenuto
tanto al suo lavoro, il signor...?" chiese con un cipiglio curioso.
"Tota,"
rispose il più piccolo in un soffio.
"Matsuda,"
sussurrò Light collegando immediatamente il cognome a
quell'impiastro.
"Avrebbe fatto più guadagni e certamente meno disastri! Ora,
se non ti
dispiace, ho altro di cui occuparmi e non posso fermarmi certo ad
ascoltare i
lamenti del figlio di uno scansafatiche". Non attese repliche il
signorino
e chiuse la porta in faccia al ragazzino.
Una volta dentro
tornato, si precipitò ad afferrare il telefono: d'appioppare
a Misa una scusa
per quella sera e per quella dopo ancora aveva dimenticato!
Per non parlare del
fatto che la ragazza attendeva una risposta: lei aveva già
avanzato proposta di
matrimonio, ma Light, piuttosto che accettare, avrebbe compiuto un
patto
persino con il demonio!
Era fuori
discussione!
Figuriamoci se avesse voluto unire il suo destino a qualcuno di
così frivolo, specie a quel tempo: era
ancor troppo giovane!
Per questi e
più motivi
da giorni ignorava Misa Misa, insomma, ancora non era tanto masochista!
Qualcuno poteva
definire
il suo comportamento "da codardo", ma era un po'
grazie a
lei che aveva ottenuto un certo prestigio: essere il promesso di una
donna
tanto ammirata, gli aveva senza alcun dubbio giovato per giunger al
successo.
"Pronto?"
L'acuta voce della ragazza distolse Light dalle sue elucubrazioni,
dunque si
riscosse e cercò di mantenere un tono pacato.
"Misa, purtroppo
questa sera non potremo uscire, il nostro appuntamento slitta a data da
destinarsi," e, conscio di ciò che stava per avvenire, il
telefono
allontanò dall'orecchio.
Le urla rumorose che
provennero
dalla cornetta si fecero attendere molto per trasformarsi in
piagnucolii
sommessi, solo allora il castano avvicinò l'apparecchio alla
sua persona.
"E... e va bene
Light"' gracchiò Misa Misa, "ma la prossima settimana voglio
tre
appuntamenti extra, sia chiaro".
L’interpellato
sospirò
e, nonostante la donna non fosse davanti a lui, mosse il capo in segno
d'assenso con fare accondiscendente.
"Avrai tutto
ciò
che vuoi, però adesso devo lasciarti, ho da fare..."
mentì con
nonchalance.
"Ti amo tanto
Light!" Urlò la ragazza aspettando poi la risposta del
giovane.
"Ti amo anche
io". L'accontentò il diciassettenne monocorde, senza tanti
giri di parole.
La ragazza era tanto
ingenua, bastava poco per ingannare il suo povero cuore.
Quando anche quel
giorno
maledetto vide il sole tramontare, Light si preparò
mentalmente alla venuta del
secondo fantasma.
Dopo essersi concesso
un
po' di riposo, sedette con eleganza sul divano; non era agitato, col
tempo, era
riuscito a tenere ben a bada quel tipo di miasma.
Già,
veleno, perché
l'ansia non poteva esser considerata altro.
Era un sentimento
dannoso,
capace di far perdere il ben dell'intelletto: un uomo d'affari
impeccabile
doveva esserne immune e Light lo era, poiché meticoloso.
Tre colpi secchi
risuonaron portentosi, doveva esser il secondo dei tre spettri
misteriosi.
Il ragazzo
sbatté le palpebre,
un po' sorpreso (non si aspettava certo che il suo ospite battesse alla
porta) e rassettò le maniche della
camicia di lino.
"Avanti," disse
come se fosse un gentile invito.
Le porte si aprirono
con
un gran baccano, ma nessuno entrò, si poteva,
però, udire un certo mormorio;
Light, allora, si alzò poco convinto e alla soglia si
avvicinò piano.
Un ragazzo, rosso di
capelli, v'indugiava, egli sussultò quando il padrone di
casa notò.
"Salve, e beh...
ecco, io se non sbaglio dovrei essere il secondo fantasma di Natale,"
berciò giù di lì, poi
guardò Light, che lo osservava a sua volta stranito, e
riprese la sua presentazione. "Mi chiamo Mail Jeevas...?"
Pronunciò a
mo' di domanda, "ad esser sincero, io qui non é che c'entri
poi molto, uno
spettro, uno dei tre, è uscito di senno, perciò
mi han concesso il suo
scettro".
Light, a quelle
parole,
annuì, sperando che Mail non desse spiegazioni aggiuntive
riguardo il fantasma
impazzito: non che la curiosità non lo rodesse nel profondo,
ma era meglio non
sapere cos'avesse fatto uno spettro di tanto grave da meritare il
licenziamento.
"Il mio promemoria
mi dice..." il fantasma cominciò a cavar fuori dalla sua
tasca vari block
notes, gettandoli per aria, "eccolo qui!" Urlò vittorioso
alla fine
della sua ricerca, "che dovrei mostrarti il tuo presente". Dopo
tacque e i due iniziarono a guardare tutto, fuorché il loro
interlocutore.
"Mi dispiace, ma il
mio presente già lo conosco, anche sin troppo bene: so
già cosa accadrà domani,
contando sugli elementi che influenzano gli avvenimenti di oggi". Prese
la
parola Light.
"Beh, noi andiamo a
farci un giro, poi mi dici!" Annunciò il defunto dandogli
una pacca sulla
spalla con affetto.
Il castano,
improvvisamente, si sentì cadere; durò per ben
pochi secondi questa orribile
sensazione, poi, osservò il suo corpo giacere a terra.
Quella volta non
rimase
spaventato dall’evento, il suo pensiero era diretto
più al prodigio in sé: di
fatto, Light si chiedeva come fosse possibile prendere quella forma,
con non
poco accanimento.
Era tornato ad essere
incorporeo.
Quando i due preser
marcia, in città un piacevole venticello aleggiava e l'odore
del pane caldo
l'olfatto beava.
"Dove
andiamo?" Chiese Light curioso, dando, di tanto in tanto, un'occhiata
furtiva alle case lì vicino.
Conosceva quel luogo,
il
giovincello, era il quartiere dove la sua promessa - tsh, ma per
carità! -
sposa abitava.
Giunsero presto alla
di
lei abitazione, vi entrarono senza fare il minimo rumore.
Ogni angolo era
stipato
da mille e più statuine raffiguranti, per la maggior parte,
dei santi.
Il comodino, accanto
a
letto, sembrava essere un piccolo santuario, tanti erano gli oggetti
sacri che
lo occupavano.
Misa Misa era distesa
supina sul letto col volto coperto dall'esile mano, sembrava avesse
pianto da
poco: le guance erano imperlate da piccole gocce.
"È a causa
tua,
Light," annunciò il fantasma, sedendosi accanto alla donna e
guardandola
con un certo languore. "Sei tu a trattarla con sufficienza, sembra
soffrire per la tua assenza".
Light storse le
labbra e
scrollò le spalle: "non vedo come potrebbe essere colpa mia.
Nei suoi
confronti non ho mai mutato atteggiamento, sapeva com'ero quando mi
conobbe ed
era conscia che non sarei cambiato".
"Forse ci
sperava".
“Si
sbagliava”. Le dita
del castano sfiorarono appena la ragazza, non era certamente lei
ciò che si
accingeva a toccare, ma una lettera appoggiata al suo fianco, peccato
che
quando le sottili falangi avrebbero dovuto incontrare la ruvida carta
vi
passarono attraverso.
“Voglio
leggerla,”obbiettò lui.
Mail
sospirò e prese la
lettera al posto del giovane, la aprì e lesse a gran voce.
“Mi duole
il cuore, ma non posso più
mentirvi, oh mio dolce primo amore; non adesso che, finalmente, ho
conosciuto
la dolce sensazione del sangue che fluisce alle gote con ardore, non
ora che ho
trovato chi sa farmi trasalire con un solo effimero sguardo.
Trovo ingiusto
essermi reso conto da ben
poco tempo che i miei sentimenti per voi non erano altro che affetto e
grande
ammirazione, ma trovo ancor più scorretto farvi credere in
un amore che non
esiste e che mai potrà esserci.
Vi lascio con poche
parole, mia cara
amica, se mai un giorno vi potrà dei miei auguri importare
qualcosa, allora, vi
auguro tutta la felicità di questo mondo, spero riusciate a
trovare un uomo che
vi apprezzi come meritate.
Non
più vostro.
Light
Yagami”.
Quel testo non era
stato scritto da lui,
aveva avuto ben altro per la mente.
Alla prima
impressione,
aveva sentito il bisogno di ridere: qualcuno che potesse fargli provare
determinate emozioni non esisteva, nemmeno nel più lontano
pianeta!
Poi un brivido gli
risalì lungo la spina dorsale, la situazione poteva esser
considerata anche
inquietante ripensando… tuttavia non diede ascolto a quella
strana sensazione
che gli serpeggiava sin nel profondo dell’animo e a pensare
razionalmente
iniziò.
In molti invidiavano
la
sua relazione con Misa e, di certo, qualcuno voleva mettergli i bastoni
tra le
ruote; ecco che la cerchia dei sospettati si restringeva solo ai rivali
più
vicini al ragazzo.
Al contempo,
però, se
non si fosse fatto sentire per un paio di giorni - con la scusa
onnipresente
del lavoro - e avesse lasciato che la ragazza
credesse a quelle
poche righe, sarebbe stato libero! E non poteva che gioirne al solo
pensiero!
Si sarebbe ripreso
Misa,
una volta detto che quella lettera era solo una banale copia; il
confronto tra
le calligrafie avrebbe confermato le sue parole.
Si
avvicinò al fantasma
per dare conferma alle sue stesse deduzioni, ma quando il suo occhio
cadde
sugli eleganti caratteri ne rimase affascinato: scritte di suo pugno
sembravano, ma di certo così non era, a meno che il suo
subconscio non avesse
preso vita durante le ore di sonno!
Rimase in silenzio,
portò una mano al mento e socchiuse gli occhi per meglio
concentrarsi.
Chi mai poteva essere
quel buzzurro?
Per la prima volta,
in
vita sua, si sentì come osservato; quale pazzo avrebbe
riprodotto, in modo
tanto ossessivo, la sua grafia? Se ne sarebbe occupato domattina, non
adesso,
non era il momento.
“Non hai il
minimo
tatto,” annunciò il fantasma, scuotendo la testa
in segno di dissenso, facendo sussultare
Light.
Un sorriso sornione
si
dipinse sul volto di quest’ultimo, esso sembrava essere il
riflesso del suo
pensiero scaltro e meschino.
“A cosa ti
riferisci?”
Chiese innocentemente.
“Ai tuoi
propositi”.
Nuovamente, lo
sguardo
del castano si affilò e si chiese se quel fantasma non fosse
stato in grado di
leggergli la mente.
“Dovresti
dare alla
gente che ti è attorno la giusta importanza”.
Continuò il rosso. “Tu non sai
quanto hai allontanato chi più ti sarebbe stato
vicino”.
“Ti
sbagli”. Disse secco
Light, facendo zittire lo spettro che, con risolutezza,
adagiò la lettera
accanto alla ragazza, proprio lì, dov’era prima.
“So benissimo chi ho
allontanato, ma è meglio così, a rallegrar le
loro grigie giornate non ero
destinato”.
Con un gesto teatrale
il
signorino portò una mano alla fronte, poi, prese a camminare
per la stanza con
calma, piccoli passi che non avevano nessun’altro obiettivo
che non fosse
attirare l’attenzione a sé.
“Non voglio
tra i piedi
tanti spaventapasseri ai quali donare un cervello non rientra nemmeno
nelle
capacità del grande mago di Oz! Credevi sul serio che non
sapessi in che
condizioni Misa versasse? E fammi indovinare un po’, il giro
doveva, forse,
continuare tra i sobborghi? Volevi farmi dare un’occhiata
alla famiglia Tota?
Oppure, alla mia povera madre che è costretta a passare le
feste senza
il suo figlioletto? Della mia futura
sposa,” continuò con sarcasmo,
“già me ne hai dato dimostrazione, anche voi
esseri soprannaturali siete
prevedibili e noiosi, qualità che sembra dagli umani abbiate
fatto
acquisizione!”
Matt si riscosse,
come
se fosse stato ridestato all’improvviso, infine,
posò lo sguardo sul ragazzo.
"È la
noia,"
disse Matt osservandolo intensamente, " È lei
è la tua peggiore
nemica".
Light
annuì, lo guardò
con sufficienza, poi sbuffò e l'attenzione su Misa
spostò.
"Lei sarà
la moglie
perfetta, lei mi aspetterà sia a pranzo che a cena, non
mancherà mai di
organizzare una cerimonia, anche la più irrilevante; ma con
l'andare degli anni
avanti, ogni giorno mi sembrerà d'averlo già
vissuto, sarà sempre tutto,
così... monotono. Io... io non voglio".
I due uscirono dalla
casa in silenzio.
Light non
guardò
indietro, sapeva cos'avrebbe visto e non lo interessava.
Forse non avrebbe
nemmeno detto la verità su quella lettera, l'idea, poi
tanto, non lo
tormentava.
Quando tornarono
nella
bella villetta, il silenzio era l'indiscusso protagonista; pace, una
pace che
stava diventando sempre più frequente da quando, Light aveva
previsto anche
questo, nessuno dei suoi familiari veniva più a fargli
visita.
"Non riuscirai a
prevedere sempre ogni cosa". Prese in mano la conversazione il rosso.
"Le nuove
situazioni non saranno che dettate da minime variazioni".
Ribatté
immediatamente l'altro.
Ma il fantasma non si
fece zittire e, con il senno di chi lunga la sapeva, disse: "piccoli
cambiamenti possono determinare eventi disastrosi in
certe
occasioni. Non dare mai nulla per scontato: milioni e milioni di
persone
s'incontrano ogni giorno a causa di tanti piccoli imprevisti; chiamalo
fato, o
chiamalo semplicemente caso, non puoi escludere a priori di conoscere
qualcuno
che, tanto per citare il nostro scrittore misterioso, ti
farà conoscere il
dolce affluir rapido del sangue alle gote".
A quel punto il
fantasma
trattenne il riso e aprì la porta. "Spero che quando ci
rivedremo non sarà
all'inferno, non per qualcosa, ma tu sei il mio primo impiego, mi
piacerebbe
aver iniziato in modo decente, chiedo questo almeno!"
Ma Light, lesto,
rispose
e, a dirla tutta, anche con un po' di stizza: "non hai fatto un
accidente,
staresti bene a lavorare come nullafacente!"
Lo spettro rise di
nuovo, stavolta con più gusto.
"Non saprei, credo
proprio che deciderò in futuro, ma, al momento, il mio
incarico eseguirò con grande
impegno; un ultimo consiglio, oh giovane sciocco, attento ai gufi".
Poi rise ancor
più
forte, varcò la soglia e lì vi scomparve.
Light
provò a seguirlo,
voleva assolutamente delle delucidazioni, non gli andava, senza prima
aver
chiarito, di dare ascolto alle sue considerazioni!
Lui doveva stare
attento
ai gufi?
Se
non voleva essere
licenziato, quello spettro, doveva certamente rimediare ai suoi metodi
buffi.
|
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Capitolo 4 *** Di colleghi invadenti, di spettri albini saccenti e di futuri sconosciuti ***
A
Very Christmas Carol
4.Di
colleghi invadenti, di spettri albini
saccenti e di futuri sconosciuti
Il ragazzo
posò una mano
tra le lenzuola bianche, ne carezzò la morbida consistenza e
con un blando
sospiro schiuse gli occhi.
Spesso si domandava
cos'avesse fatto di tanto male da meritarsi un lavoro così
caotico e infernale.
Il suo ufficio - nei
giorni dopo le festività - avrebbe assistito ad un via vai
di gente cupa e
imbronciata, che dalla fine della vacanze sarebbe stata pure scocciata.
Alta la tensione si
sarebbe rivelata e tesa come una corda di violino, ma Light sarebbe
riuscito a
calmare gli animi, ricorrendo al suo intelletto sopraffino.
Ben sapeva giostrare
i
giochi dell'azienda di famiglia ed era solo merito suo se gli affari
procedevan
a meraviglia.
Ma il sonno era suo
nemico: da tre notti, ormai, il ragazzo non dormiva tranquillo,
giacché tre
malvagi demoni avevano avuto modo di turbare il suo riposo, ognuno dei
quali
aveva un potere a dir poco spaventoso.
Per queste ragioni
Light
dubitava seriamente di riuscire a riprendere il lavoro e ad essere
impeccabile
come suo solito.
Sbatté
le palpebre
un paio di volte, la luce del giorno lo infastidiva non poco, allora
portò il
lenzuolo sopra la propria testa, non aveva alcuna intenzione d'andare a
messa.
—
— —
I
rintocchi delle campane riecheggiavano
gioiosi, i fedeli prendevano posto tra le panche di legno, i bambini
erano in
silenzio all'interno della chiesa, sembrava che persino a loro la
parola fosse
stata presa.
In piedi, in un
angolo
oscuro dell'edifico, stava un ragazzo dai folti capelli neri, avvolto
in un
abito domenicale che risultava scialbo, grezzo e un tantino
stropicciato,
nonostante da pregiate stoffe fosse stato creato.
Le scarpe erano
malamente indossate, tanto che i calcagni toccavan il freddo pavimento,
anche
se dei brividi che lo avrebbero dovuto cogliere, il giovane, non pareva
aver
presentimento.
I pantaloni
circondavano
la vita mollemente - chiunque avrebbe capito che bisognavano di una
cintura,
persino un malato di mente! - lasciavano intravedere una sottile linea
blu che
altro non era se non la biancheria.
La camicia bianca era
lasciata a se stessa, i bottoni erano fuori dalle giuste asole, mentre
la
giacca era stata affidata al vecchio maggiordomo, accentuando la
noncuranza del
nobil uomo.
Lawliet non ascoltava
il
prete - il quale aveva già dato il
benvenuto ai fratelli - ma
scrutava disinteressato la folla, in cerca di una capigliatura
perfettamente
liscia e ordinata.
Sporse il labbro
inferiore quando non trovò quel che
cercava, assumendo un
espressione simile a quella di un bambino capriccioso che non aveva
ottenuto
ciò che desiderava.
L'anziano si
avvicinò,
gli porse la giacca e accennò un inchino.
"Conviene tornare
alla villa, signorino, so che volevate vedere il giovanotto, ma
è chiaro che
non farà mostra della sua persona. Vi consiglierei
d'attendere la cena".
"Watari, ti prego
di non parlare quando non sei interpellato". Furono le lapidarie parole
di
L. "Lui non verrà stanotte da me". Poi si stampò
un finto sorriso
sulle labbra, talmente tirato da risultare inquietante e si
avvicinò ad una
signorina dai lunghi capelli neri, avvolta in un cappotto all'apparenza
tanto
ingombrante.
Dunque prese fiato e
disse col tono di voce più normale di questo mondo:
"Perdonate il disturbo, ma dovrei rubare un attimo
del vostro
tempo, il signorino Yagami è il vertice dei miei quesiti,
non voglio vagar in
tondo".
Le occhiate irritate
dei
fedeli giunsero a colpire Lawliet, che, imperterrito e menefreghista,
iniziò a
porre una domanda dopo l'altra alla signorina Misora, tutte incentrate
sulla
persona del giovane Light: quale fosse il suo colore preferito, cosa
mangiasse
con più letizia, quali fossero i suoi giorni liberi, le
feste che più adorava o
odiava e così via...
Naomi cercava di
scacciarlo lontano, rispondendo agli interrogativi in modo netto e
sbrigativo,
invitandolo -ogni qualvolta finisse di dare la risposta,
perché certamente
Lawliet non era un tipo che si accontentava - a lasciare quel luogo di
culto.
Quando, finalmente,
il
moro raggiunse la propria auto, Watari sospirò sollevato,
per un attimo aveva
pensato che il suo protetto sarebbe finito dalla folla linciato.
"Avete saputo
ciò
che v'interessava?" Chiese curioso l'anziano al volante.
Lawliet
annuì, ma non
gli prestava davvero attenzione, era in un luogo tutto suo, dall'auto
molto
distante.
Seduto nel sedile
posteriore, portò le ginocchia al petto e vi
poggiò la fronte.
Informazioni, se
doveva
avere a che fare con Light Yagami non gli serviva altro.
Conosceva
già tutto di
lui, era riuscito ad entrare in possesso di contratti che il ragazzo
aveva
stipulato con altre aziende; il suo metodo lavorativo era impeccabile.
Lawliet lo voleva
come
suo socio in affari, ma non solo.
Era rimasto colpito
dalla personalità del giovane, dal suo atteggiamento, dal
suo portamento.
Rare erano state le
occasioni nelle quali lo aveva incontrato, eppure sentiva che tra di
loro c'era
qualcosa, un sentimento che avrebbe acceso molto più di una
questione.
Non amore, certo che
no!
Bensì attrazione.
La sua attenzione era
sempre calamitata dal modo di controbattere che il ragazzo adottava nei
confronti di chi gli era avverso; cercare d'affermare la propria
ragione era
solo tempo perso.
Light Yagami vinceva,
sempre.
Ed era qui che la
mente
contorta dell'uomo d'affari si era incaponita.
Una persona non
poteva
trionfare in qualsiasi occasione, doveva
sbagliare, doveva avere
anche una piccola imperfezione! Altrimenti sarebbe giunta a credere
d'essere
irraggiungibile, perfetta, divina.
Ebbene, Lawliet
voleva
essere questo per Light.
Voleva essere il suo
sbaglio, voleva essere la sua imperfezione.
Il nobil uomo sarebbe
stato ciò che avrebbe reso il signorino Light umano.
Sarebbe stato
sorprendente, lo avrebbe preso in contropiede.
Ryuzaki era
abbastanza
accorto da rendersi conto che il ragazzo teneva molto a pianificare
ogni singolo
evento della giornata: la sua vita era scandita dai ritmi che il lavoro
gli
imponeva, quindi le sue giornate erano monotone e noiose.
L'uomo doveva
riuscire a
non diventare il passatempo che avrebbe fatto divertire quel ragazzetto
durante
le ore di riposo.
L Ryuzaki Lawliet ,
per
il signorino Yagami Light, sarebbe stato imprevedibile, inafferrabile.
Deciso questo, non
gli
restava altro da fare se non scegliere l'abito per il loro prossimo
incontro.
Ah, già!
Quasi
dimenticava!
Doveva anche
eliminare
ciò che dalla lettera inviata a quella gallinaccia avrebbe
potuto far risalire
a lui, avrebbe evitato una figuraccia!
—
— —
"Buonasera, Light
Yagami".
Il castano, che
camminava avanti e indietro nelle sue stanze, aveva atteso la venuta
del terzo
e ultimo fantasma di Natale, tuttavia, non si trattenne dal sussultare
quando
sentì una voce alle sue spalle.
Si voltò
e, con sua
somma sorpresa, si trovò davanti un ragazzino sul pavimento
seduto, intento a
comporre un puzzle, bianco in gran parte, ma dal bordo dorato.
Ormai mancavan pochi
pezzi alla fine del lavoro, ma sembrava fosse
bloccato da chissà
quale mistero arcano.
"Buonasera,"
rispose il castano, osservandolo poi per qualche minuto.
Quello spettro era
diverso dagli altri, ma Light non sapeva dare una spiegazione a questa
strana
sensazione.
Era come se il suo
ospite fosse colui che avrebbe messo la parola fine
ad un ciclo di
sfortunati eventi e che presto ne sarebbe iniziato uno nuovo.
Che pensieri
pessimistici! Meglio riporre fiducia in qualcosa di più
positivo, come sempre
provava a fare, anche se in modo approssimativo.
"Sono Nate River,
fantasma dei Natali futuri, sono venuto sin qui per mostrarti il tuo
avvenire".
Il fantasma si
alzò e in
un unico, fluido movimento tese la mano verso Light, non era di molte
parole;
il signorino, però, si scostò in fretta,
intimorito da colui che sembrava essere
poco più di un candido infante e un'affermazione fulminea
gli giunse schietta:
"Non voglio sapere".
Uno
sghignazzo si distese sui tratti delicati del
piccolo albino, ma
sembrava più un ghigno, che un vero riso di bambino.
"E perché
mai,
Yagami, non vuoi sapere cosa il destino ti riserva? Sei forse pentito
di
qualcosa e hai paura di ciò che ti spetta?" Nate sedette
nuovamente e
incastrò una tessera nel suo stupido gioco, che risultava
infantile agli occhi
ambrati del castano e non poco!
"Io non mi pento di
nulla," lo rimbeccò Light stizzito. "Ho sempre saputo in
anticipo a
cosa le mie scelte mi avrebbero portato e adesso, se non ti dispiace,
credo
d’aver abbastanza tollerato".
"Stai parlando
delle tue decisioni, Light!" Lo riprese lo spettro, quasi senza dare il
tempo al ragazzo di finire la frase. "Ma sei al corrente di cosa passa
nella mente di chi ti è vicino?"
"Certo che
sì, sono
io che comando anche le loro". Quasi il signorino rise, "se tu e i
tuoi compari avete avuto modo di tenermi d'occhio, dovreste aver capito
con
quali pecore ho a che fare, non saprebbero distinguere del banale
metallo
dall’oro!"
"E se in mezzo al
tuo gregge ci fosse un ladro? A questo hai pensato?"
Il diciassettenne
affilò
lo sguardo e incrociò le braccia sul petto. "Nessuno
riuscirebbe a
fregarmi, nessuno ne è all'altezza".
"Pecchi in
superbia, Light Yagami". Constatò l'albino, ma l'altro
scosse il capo.
"No, la mia non
è superbia;
sarò ben lieto di porgere la mano di fronte a chi
risulterà essere mio pari, ma
ancora nessuno se ne è dimostrato degno".
"Non ti preoccupa
la lettera che è giunta a Misa Amane?"
"Uno stupito
scherzo, niente di più, non ho posto questioni
perché della situazione non
m'importava".
"E se il ladro
avesse fatto la prima mossa con quel testo?"
Light si
irritò, il
motivo, anche stavolta, chiaro non gli risultava, forse era il fatto
che
l'albino non avesse gli occhi puntati su di lui mentre parlava, oppure
l'insistenza con la quale il ragazzino antitesi ad ogni sua
argomentazione
creava; il dubbio, però, aveva iniziato a
tormentargli l'animo...
che non avesse prestato attenzione a qualcosa di davvero importante?
"No, non
può
essere". Rispose più a se stesso che allo spettro.
"Allora, se non hai
torto, cosa ti costa dare un'occhiata a ciò che
già sai?" Per
la seconda volta, River porse il palmo e di nuovo restò in
attesa, ma il
giovane ancora non accettò la mano tesa.
L'albino, a quel
punto,
fece nuovamente quell'inquietante smorfietta e mise
al suo posto
un'altra tessera.
"Non ho voglia di
partecipare a lunghe odissee inconcludenti".
"Secondo
me,
hai solo paura".
Punto nell'orgoglio,
il
giovane incenerì quell'essere con un solo sguardo.
Lui non temeva
niente,
non c'era nessuno che potesse creargli un simile
disagio; così, di
slancio, fece per afferrare la mano dell'albino, come una muta
dichiarazione di
sfida, ma non acchiappò altro che aria e tale era la grinta
che aveva messo in
quel movimento, che per poco non rischiò di rovinare a terra
e veder tutti i
firmamenti.
"Cos'è?
Non cogli
la mia proposta, Light?"
Ora l'albino teneva
un
tono di voce canzonatorio, il castano non si fece prender dalla rabbia
e
sprezzante disse: "Spiegami tu, visto che sei tanto furbo"
Nate
riportò
l'attenzione sul puzzle e il giovane accontentò: "Il futuro
non è deciso:
subisce cambiamenti con rapidità e noi non possiamo fare
nulla per prevederlo.
Il passato è scritto, dunque immutabile, mentre il presente
non è altro che un
foglio bianco riempito a metà". E, dette queste parole,
l'albino sistemò
il penultimo pezzo.
"È
possibile,
Yagami, prevedere una catastrofe naturale? No, certo che no, dunque sta
attento, perché a questo mondo c'è chi possiede
la forza di una tempesta".
Così
scomparve il terzo
fantasma, lasciando sul lucido parquet un'ultima piccola tessera.
Il
puzzle non era
completo, ancora.
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Capitolo 5 *** Di tessere scomparse, di mori sorprendenti e di luoghi mai visitati ***
Angolo
dell’autrice
Febbre,
letto, pioggia, non si va a scuola, quindi quale
momento migliore per scrivere?
Siamo
giunti alla fine di questa storia, in basso posterò la
foto dalla quale e per la quale è stata scritta, vi
consiglio di leggere prima
di vederla, ma ad essere sincera, se fossi una lettrice, io non lo
farei e andrei
dritta in fondo al capitolo : )
Ringrazio
di cuore Synapsis e Scintilla 19, ogni recensione
è stata stupenda e mi ha lasciata senza parole, entrambe mi
avete dato
preziosissimi consigli che di certo continuerò a seguire
anche nei miei
prossimi scritti.
Spero
che questo capitolo sia una degna conclusione.
Buona
Lettura!
A very
Christmas Carol
Di tessere
scomparse,
di mori sorprendenti e di luoghi mai visitati
La
segretaria sorrise quando vide l’uomo entrare con passo
frettoloso e
avvicinarsi a lei con non poca inquietudine.
“Com’è?”
Chiese agitato, guardandosi attorno e tenendo stretti a se dei
documenti che,
da come se ne prendeva cura, sembravano importanti quanto la sua stessa
vita.
Naomi Misora
non riuscì a trattenere un risolino e scribacchiò
velocemente qualcosa su un
foglio. “Per ora è tranquillo, mi ha persino
chiesto d’organizzare la cena con
la sua famiglia venerdì prossimo. Ti consiglio
d’approfittarne”. Detto questo,
gli fece l’occhiolino e indicò con un cenno del
capo la porta socchiusa alla
sua destra. “Fa’ in fretta, oggi torna a casa in
anticipo”.
Matsuda
restò
in punta di piedi sulla soglia ancora un po’, fino a quando
non ebbe il
coraggio di metter piede nell'ufficio del capo: da quando era stato
licenziato
e poi riassunto, ragionava due volte prima di fare una qualsiasi mossa
e in
quel momento, col suo fascicolo tra le mani, aspettava che l'imperatore
gli
concedesse la possibilità di prender parola.
Infatti, con
la fine delle sue tre notti di terrore, Light pareva aver acquisito un
nuovo
vigore.
Tutti i suoi
stanchi subordinati avevano notato quel cambiamento, ma se fosse in
bene o in
male, nessuno lo sapeva, o meglio, nessuno osava farne commento.
Il signorino
governava col pugno di ferro il suo vasto impero, con una grinta e una
volontà
che persino il diligente Aizawa non riusciva più a
giustificarne le assurdità:
erano aumentate le ore nelle quali svolgere il proprio dovere,
dimezzate le
vacanze e diminuito al minimo indispensabile dei dipendenti il salario.
A Light
ancora rodevano le critiche dei tre diavoli, anche se, solo di tanto in
tanto
però, lanciava uno sguardo furtivo alla finestra e la sua
mente iniziava a
vagare mesta.
Chissà,
e se fossero stati
proprio quei pensieri
ad averlo persuaso ad assumere, nuovamente, quell’idiota di
Matsuda?
Tutte
sciocchezze.
Erano
passati i minuti dall’ultima apparizione, erano passavate le
ore, erano passati
i giorni! Nessuna traccia di pericolo vigeva nei dintorni!
Che gli
spettri gli avessero mentito?
E se invece
fosse stato tutto frutto del suo inconscio stressato?
Doveva
considerarsi matto?
Che avesse
bisogno di un dottore?
Lesto si
riscosse da quelle elucubrazioni e - come faceva da un paio di giorni a
quella
parte - aprì il cassetto della propria scrivania, poi fece
un guizzo con lo
sguardo verso il proprio dipendente e con un cenno del capo lo
invitò ad
avvicinarsi.
"Mi
ritrovo, contro la mia volontà, a doverti fare i miei
complimenti per i
documenti riguardanti la nostra diretta concorrente, la Lawliet
Corporation". Light
si alzò e prese
il proprio cappotto. "E mi saresti d'enorme aiuto se fino alle sette
potessi stare qui e controllare che i lavoratori rispettino i loro
turni".
A nulla
valsero i tentavi d'opporsi del giovane uomo; tantomeno
giovarono frasi come "ma sono
qui dalle sei del mattino", oppure "devo tornare a casa in
anticipo".
La richiesta
del signorino era un ordine e, di certo, quest'ultimo non si
premurò
d'ascoltare i suoi lamenti.
"Un’ultima
cosa, signor Tota," disse con non-chalance, portando la mano al pomello
della porta, "in quel cassetto ci dovrebbe essere una tessera di un
puzzle," indicò la propria scrivania e aggiunse
un'espressione lievemente
più dolce, "ve ne prego, me la potreste porgere?"
Matsuda
osservò un momento il giovane, come se non avesse ben
compreso le sue parole,
poi si lanciò alla ricerca dell'oggetto con foga - per non
far irritare il capo
più di quanto già non fosse naturalmente
predisposto - trovò quanto richiesto e
glielo porse.
Il ragazzo
gli sorrise cordiale: visto che Matsuda era in grado di vedere
quell'oggetto,
significava che pazzo ancora non era, ma quando allungò la
mano per riprendere
l’oggetto si scostò, come scottato.
Il poveretto
lo osservò confuso, non senza essersi spaventato un
po’ a sua volta, ma Light
scosse la testa.
“Ecco,
credo
che lo dobbiate gettar via”. Disse con tono monocorde,
ripercorrendo, nella
propria mente, il dialogo con Nate.
L’albino
sistemava pezzi su pezzi, man mano che la discussione proseguiva, lui
completava il suo puzzle.
Che toccasse
a lui metter fine a quel quadro?
Storse le
labbra: se il fantasma ci teneva tanto, non lo avrebbe accontentato.
Salutò
e si
chiuse la porta alle spalle, lasciando il moro, perplesso alquanto, a
grattarsi
la nuca mentre fissava la scrivania.
Il ragazzo
mancò di poco colui che avrebbe -
invero
- dovuto metter fine a quel giochetto, ma dobbiamo andare avanti per
vedere
come si sarebbe evoluto quel momento.
Era il
momento in cui il sole mostrava se stesso solo per due quarti, donando
al cielo
rossastro la luminosità che di solito possedeva solo al
primo mattino.
Mentre
tornava a casa, il ragazzo decise d’approfittare di quel
momento di pace e si
rilassò lievemente.
La venuta dei
fantasmi poteva considerarsi inutile, però…
Il ragazzo
sospirò e scosse la testa.
Nuovamente
il lavoro a quell’emerito idiota aveva concesso,
giacché quel suo figlioletto
era riuscito a fargli pena, ma c’era da dire che Matsuda
aveva dimostrato
d’essere una persona capace, se sotto pressione: tanto valeva
approfittare
della situazione; quest’ultima era una rivelazione che lo
aveva stupito, ma da
questo punto si tornava di nuovo a capo e il ragazzo si sentiva come
costretto
a ripensare ai tre spettri.
Possibile
che non fosse in grado, al contrario di come aveva sempre sostenuto, di
prevedere sempre tutto?
Un brivido
gli percorse la colonna vertebrale e fu costretto a stringersi nelle
braccia e
ad accelerare il passo.
Non era
molto tardi, ma il ragazzo teneva a svegliarsi riposato il giorno
seguente,
dunque, quando fece ritorno alla sua abitazione, si recò
nelle sue stanze e si
spogliò degli abituali indumenti, eccezion fatta per calze,
boxer, maglia e
camicia; nessuno lo aveva mai visto in quelle condizioni e l'idea che
almeno
quella parte di sé sarebbe rimasta segreta lo rilassava.
Approfittando
della casa vuota - come sempre d'altronde -
si recò in cucina, si sporse di poco per aprire
l'anta di un ripiano e
prese, non senza un certo fare vittorioso, il suo pacco di patatine
"Più
Gusto".
Giusto
mentre le sue papille gustative stavano per incontrare il salato sapore
di
quell'ambrosia, un rumore violento ed improvviso giunse dalle sue
stanze.
A mostri,
fantasmi, fate e folletti pensò il ragazzino - visti gli
avvenimenti dei giorni
precedenti - ma si riscosse, dandosi dello stupido per avervi pensato
anche
solo per un istante.
Dunque prese
un pesante soprammobile: l'avrebbe usato come arma, in caso qualche
ladro
avesse deciso di venire a concedergli una visita.
Fece
scivolare la mano sul liscio pomello della porta e con uno scatto
repentino la
aprì, pronto a colpire il suo aggressore, ma
restò di stucco quando vide il
bianco della sua camera soffocato dal nero della fuliggine, mentre
un'oscura
presenza tentava di prender aria a pieni polmoni.
Il giovane
Yagami realizzò solo in un secondo momento che la figura
ansimante in un angolo
della stanza era umana e, quando capì di chi si trattasse,
trattenne il suo, di
respiro.
Non per
l'emozione, certo che no! Ma per la rabbia!
Quel
Lawliet!
L'aveva
avvertito, questo è vero, ma nel
biglietto aveva specificato che la sua presenza davanti la soglia della
sua
porta avrebbe mostrato! Non di certo nelle sue stanze! Nossignore!
Dalle mani
fece cader via l'oggetto: non voleva rischiare decisioni prese
così, di getto.
"Cosa.
Ci. Fai. In. Casa. Mia?!" Scandì per bene ogni parola, ogni
sillaba,
sperando che la sua ira non agisse per prima.
Lawliet si
avvicinò al ragazzo, portò un dito alle labbra e
il grosso sacco natalizio
dietro le spalle spostò; soltanto allora, con quel semplice
gesto, Light
realizzò come fosse vestito quell'essere grottesco.
Il cappello
rosso era spostato di lato e il ponpon bianco penzolava alla destra del
suo
viso.
La giacca
dello stesso accostamento di colori era composta, così come
i pantaloni.
L’andatura
dell'uomo
era dai grandi scarponi neri ingombrata, pareva che fosse spinto a
tollerarli
da una forza di volontà ben celata.
"Te lo
avevo detto, Light-Kun, che sarei venuto a farti visita e noto - con
estremo
piacere, credimi - che mi stavi aspettando". Le parole vennero
accompagnate da un lungo sguardo lascivo, che percorse il corpo del
diciassettenne dalle punte dei piedi a quelle dei capelli, apprezzando,
in
particolar modo, quella maglia e quella camicia abbinate a null'altro
se non a
quei boxer e a quelle calze.
Light
fremette e si sentì riscuotere, nessuno osava mai
riservargli simili attenzioni
e non voleva che quell'uomo ne fosse il fautore.
Accennò
verso di lui un passo, quel Babbo Natale improvvisato, marcato da un
portamento
incurvato.
Il ragazzo
lo imitò, facendo l'esatto opposto: indietreggiò,
giusto un pizzico, ma finì
seduto sul suo comodo divano.
Light
elargì
al mobile uno sguardo carico di rimprovero, come se non si fosse dovuto trovare lì
ad ostacolargli il passo e a
rovinare quel suo piano di fuga tanto geniale quanto essenziale.
Lawliet,
invece, deliziato dalla seducente posa del ragazzo, si leccò
le labbra,
venerando con lo sguardo la bella e ambrata pelle.
Fu un attimo,
e il moro lasciò cadere da parte il sacco, si
avvicinò al soggetto che da mesi
la sua mente definiva come bersaglio, costringendo il fanciullo ad un
precario
equilibrio sul bracciolo del sofà.
Quindi,
anche Lawliet sedette tra i morbidi cuscini, posizionandosi tra le
gambe aperte
del minore.
Dalla tasca
della propria giacca estrasse un pacchetto rosso a dir poco delizioso!
Fece
scorrere la scatolina lungo la gamba della propria preda e la
infilò nella sua
calza.
Da quella
distanza così ridotta, Ryuzaki poteva sentire il dolce
respiro affannato del
castano.
"Mi dai
del tu? Cos'è questa confidenza?" Chiese Light, disturbato
dai fianchi che
le sue gambe erano costrette a cingere.
"Direi
che, vista la situazione, un grazie potrebbe anche bastare, o forse
no?"
Il castano
cercò
di replicare, ma la situazione era spiazzante e il corpo del ragazzo
sopra il
suo lo infastidiva, dunque, fece una smorfia contrita.
"E per
cosa esattamente? Per avermi liberato da un fardello indesiderato?"
Ribatté
Light velocemente.
Le labbra
dell’altro si stirarono in un sorriso birichino. "Mmm...
dovresti
specificare il fardello in questione," decretò infine,
accarezzandogli i
fianchi e utilizzando
la scusa per trarlo più vicino a sé.
"Potrei liberarti da mille seccature," sussurrò
a poco meno da
un soffio dalle sue labbra, rubandogli il fiato di un respiro, "potrei
farti urlare segreti fin ora rimasti taciti nei meandri del tuo cuore e
potrei
farti rivivere ancora e ancora questa sensazione".
La mano
pallida del moro risalì nuovamente lungo la gamba del
giovane, poi percorse la
coscia, ma non si fermò, sfiorò
l'inguine e continuò il suo percorso sotto le vesti; fermò la corsa
delle dita, che carezzavano il
corpo tremante di Light, solo quando giunse al petto, dove il battito
cardiaco
accelerato, si udiva tumultuoso.
Rise il
minore e bloccò la mano dell’altro.
“Può
darsi
che sia solo per il regalo,” dunque allontanò
Ryuzaki e, con un sorriso a fior
di labbra, prese il regalo sgargiante e lo scartò.
Restò
di
stucco quando il suo occhio fu attratto dallo scintillio
dell’anello, poi sgranò
gli occhi e osservò le occhiaie marcate del suo rivale, ne constatò il
comportamento tempestoso e
sussultò, riconoscendo in quell'uomo gli avvertimenti dei
tre spettri.
“Dovrei
metterlo all’anulare?” La sua melodiosa voce non
toccò punte stridule o acute,
eppure a Lawliet parve di sentirle e, trattenendo le risate, fece
spallucce.
“Questo
è
quanto la tradizione detta, ma essendo noi una coppia non propriamente
canonica, penso che tu possa metterlo dove più ti
aggrada”.
Lo sguardo
che gli elargì Light fu di fuoco, ma L lo ignorò
e prese la mano sinistra del
giovane tra le sue, “quindi accetti?”
“Solo
se mi
illumini su un preciso punto: da quando io e te formeremmo una
coppia?”
Il moro ci
pensò un po’ su, poi carezzò di
sfuggita le labbra del giovane.
“Oserei
vedere nella conferenza, tenutasi nella domenica di due settimane
orsono,
l’inizio della nostra relazione”.
Light
inarcò
un sopracciglio, decisamente scettico all’idea, “un
bacio rubato non ha
significato”.
“Però,
da
come mi stringevi, a te sembrava importare, o sbaglio?” Gli
sussurrò
all’orecchio il moro, carezzando la giugulare del ragazzo con
il dorso della
mano.
Quel ruvido
tocco sembrava bruciare e marchiare la pelle, donandogli le sensazioni
che Misa
sempre aveva cercato di procurargli, ma che non era mai riuscita anche
solo ad
imitare.
“Ero
fidanzato, ti stavo spintonando via”. Sibilò in un
soffio, mordendo con
decisione la pelle eburnea del moro, lasciando sulla gola un marchio
rossastro.
“Un
problema
fin troppo facile da risolvere”. Rispose l’altro,
trattenendo il respiro, per
poi catturare le labbra del castano e possederle ancora, come da giorni
si era
ritrovato a desiderare.
“Un
ultimo
dono,” sussurrò L sulle sue labbra, mostrando la
tessera di un puzzle che
stringeva tra le mani, “Matsuda non è buono
nemmeno a gettar via della
robaccia”.
Il
più
piccolo sorrise lievemente ed annuì, aprì la
finestra e gettò via quel pezzo.
Aveva
trovato già cosa gli serviva per completare se stesso.
Vennero con
forza bruta tolti i vestiti e il castano assecondò i
movimenti che il corpo dell’altro
gli impose: sussultò ad ogni tocco e carezza, si
inarcò contro di lui, cercando
baci più profondi.
Lawliet fece
accomodare sotto di sé il rivale e continuò a
tormentare l'epidermide delicata
della spalla prima con i denti, leccando poi le ferite che lasciava,
quasi a
scusarsi per il suo irrequieto temperamento.
Light chiuse
gli occhi e affondò una mano tra i capelli spettinati del
maggiore; ne tirò
qualche ciocca, un po' per piacere, un po' per rimproverarlo dei segni
che
osava lasciare.
Fremette
d'aspettativa quando le mani di L iniziarono a massaggiare lentamente
le cosce,
si morse le labbra dal dolore e non si lasciò sfuggir
lamenti, quando sentì
l'uomo violare il suo corpo.
"La
prossima volta n... non ti lascerò carta bianca, s...
sappilo".
Ryuzaki
ghignò e lo zittì con un bacio.
"Quindi ci sarà una prossima volta". Disse
affannato.
Il giovane
alzò gli occhi al cielo, ma annuì, punendo la
sfacciataggine dell’amante con un
morso al labbro inferiore; ma si zittirono, una volta che la ricerca
del
piacere ottenebrò le loro geniali menti.
Entrambi
respirarono
in sincronia, cercando continuamente lo sguardo dell’altro:
ogni carezza era
importante ed ogni bacio vitale.
Sia
L che Light trovarono pace in quei prolungati
e ripetuti contatti che a lungo avevano cercato.
La tessera tornò
al suo posto grazie ad uno shinigami – o spettro? - di nostra
conoscenza, che
fuori dalla finestra ridacchiava, volando verso un luogo che, questa
volta, non
avrebbe accolto i protagonisti della nostra storia.
Fine
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